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Full text of "Poesie di Giuseppe Giusti"

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University  of 
Connecticut  Libraries 


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POESIE 


DI 


GIUSEPPE  GIUSTI 

ILLUSTRATE  DA 

ADOLFO   MATARELLI 

COMMENTATE 
da  un  condiscepolo  dell'autore  ed  annotate  di  ricordi  storici 

DAL 

Prof.  GIULIO  CAPPI 


FIRENZE 
CASA    EDITRICE    NERBINI 


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7.7 


La  presente  edizione  delle   Poesie  di  Giuseppe  Giusti  è  posta,  in  quanto 
alla  proprietà  artistica,  sotto  la  salvaguardia  delle  vigenti  leggi. 


Firenze,   1924    —  Stabilimenti  Tipografici  A.  Vallecchi,  Via  Ricasoli,  6. 


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CENNI  BIOGRAFICI 

DI 

GIUSEPPE  GIUSTI 


Quando  nel  1809  la  Toscana  era  retta  dallo  splendido  e  glorioso  scettro  di  Napoleone  I, 
che  bandiva  dagli  atti  del  Governo  perfino  il  gentile  idioma  di  Dante,  di  Petrarca  e  di  Ma- 
chiavelli, nacque  in  Monsummano  (1)  dal  cav.  Domenico  e  dalla  nobil  donna  Ester  Chiti, 
Giuseppe   Giusti. 

La  famiglia  Giusti,  patrizia  pesciatina  e  ascritta  all'ordine  cavalleresco  di  Santo  Stefano, 
aveva  dato  in  altro  Giuseppe  un  giureconsulto  e  uomo  di  Stato  distinto,  e  un  ministro  bene 
accetto  a  Leopoldo  I,  precursore  della  civiltà  contemporanea  e  osteggiatore  delle  indebite 
ingerenze  della  Corte  di  Roma  negli  affari  civili. 

Cresceva  il  fanciullo  Giuseppe  all'amore  dei  genitori  e  da  essi  ereditava  quel  fare  accorto, 
quel  fine  spirito  di  analisi  e  di  ricerche  e  quell'acume  che  sa  cogliere  i  rapporti  delle  cose  e 
ponderare  i  diversi  lati  —  non  che  quel  bollente  spirito  che  fa  tradurre  le  impressioni  in  con- 
cetti spiccati  e  incisivi. 

La  Valdinievole  non  era  una  provincia,  in  cui  potesse  il  fanciulletto  Giuseppe  succhiare 
il  latice  della  sapienza  e  ricevere  utili  ammaestramenti.  Però  alcuno  ne  ebbe  dalla  viva  voce 
del  padre  e  poscia  da  quella  di  un  sacerdote  di  Montecatini,  quello  di  prendere  ad  amare  i 
classici. 

Ben  presto  lo  sveglio  e  avvenente  Giuseppe  mosse  per  Firenze  e  si  fece  alunno  neh"  Isti- 
tuto Zuccagni,  ove  ebbe  la  fortuna  d' incontrarsi  col  maestro  Andrea  Francioni,  accademico 
della  Crusca,  che  gli  fu  utile  guida  nello  studio  dei  classici  e  precipuamente  in  quello  di  Vir- 
gilio   e    di    Petrarca. 

Da  Firenze  il  Giusti  passò  a  più  alti  studi  nel  Collegio  Forteguerri  di  Pistoia  e  poscia  die 
fine  alla  sua  educazione  letteraria  nel  Collegio  dei  nobili  di  Lucca. 

La  vena  poetica  timidamente  cominciava  in  quella  giovanile  età  a  sprigionarsi  nel  Giusti; 
ed  è  cosa  notoria  che  die  mano,  in  quel  torno  di  tempo,  a  non  poche  poesie  giocose  scritte  in 
dialetto  lucchese,  non  che  alla  Torre  di  Babele.  —  Già  egli  improntava  al  Bsrni  la  vigorosa 
gaiezza,  al  Parini  l'austera  sobrietà,  il  verso  sottilmente  temprato  e  l' innesto  nella  satira 
della  lirica,  ed  al  Grossi  il  dolce  incanto  di  un  soave  abbandono  e  le  caste  voluttà  dell'amore . 

Se  non  che  Giuseppe  non  presentiva  ancora  tutta  la  forza  del  suo  privilegiato  ingegno, 
del  quale  disperò  affatto,  quando  nel  1827  si  recò  in  Pisa  ad  apprendere,  contro  sua  voglia, 
la  giurisprudenza.  —  Come  Tasso,  com?  Petrarca,  come  Ovidio,  la  sterilità  di  quegli  studi 
non  gli  allietava  l'animo,  né  gli  ricreava  la  mente  :  e  ad  ogni  tratto  suo  malgrado  tornava 
alle  Muse.  —  Vistosi  da  natura  non  chiamato  agli  studi  legali,  annuente  il  padre  si  restituì 

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in  Valdinievole  e  prese  stanza  nel  castello  di  Montecatini,  vagarellando  in  quelle  amene  pen- 
dici da  mattina  a  sera,  come  meglio  il  giovanile  talento  gli  dettava  e  facendo  incetta  di  pro- 
verbi e  di  voci  prettamente  toscane. 

Nel  1830  ritornò  in  Pisa,  ove  in  breve  acquistò,  non  conquistò,  il  diploma  di  dottore  in 
ambo  le  leggi,  e  quindi  passò  in  Firenze  a  far  pratica  nello  studio  di  Cesare  Capoquadri,  di- 
fensore allora  dei  Senesi  ascritti  alla  Giovane  Italia  e  poscia  nel  1850,  ministro  di  grazia  e 
giustizia  di  Leopoldo  II  ritornato  in  trono  sulla  punta  delle  baionette  di  un  D'Aspre. 

Amico  e  condiscepolo  a  Montanelli  e  a  Tonti,  il  primo  ferito  e  il  secondo  ucciso  nella 
battaglia  di  Curtatone,  ad  essi  andava  leggendo  quegli  scherzi  poetici  che  egli  di  tratto  in 
tratto  componeva,  o  aveva  di  già  scritti  nel  tirocinio  scolastico  dell'Università  di  Pisa.  — 
Le  Parole  di  un  Consigliere  al  principe,  La  Ghigliottina,  La  Rassegnazione  e  Proponimento  di 
mutar  vita,  non  meno  che  alcuni  sonetti,  egli  li  scrisse  in  Pisa  ove  erasi  legato  d'amistà  col 
Giannini  e  con  Luigi  Frassi. 

Chi  rammenta  quei  tempi  dovrà  accorgersi,  che  le  menti  perspicaci  ondeggiavano  fra 
il  culto  di  Voltaire,  che  ispirò  Hegel,  e  quello  di  Chateaubriand  che  ispirò  Manzoni  e  Gioberti, 
e  che  in  politica  i  Lafayette,  gli  Armand,  i  Thiers  riempivano  la  mente  e  davano  pascolo  po- 
litico alla  gioventù  italiana,  che  Mazzini  chiamava  alla  riscossa  con  altri  intendimenti,  meno 
curante  della  libertà  che  della  indipendenza  e  unità  della  penisola 

Giuseppe  Giusti  aveva  troppo  acume  per  non  accogliere  in  seno  gli  ammaestramenti 
e  le  opinioni  che  correvano  per  quel  tempo  e  troppa  foga  ed  estro  poetico  per  non  incar- 
narne i  concetti  in  qualche  componimento. 

Era  quello  un  tempo  di  transizione  :  pochi  uomini  seppero  farsi  un  concetto    chiaro, 

reciso,  netto  di  ciò  che  fosse  meglio  per  l' Italia.  Giusti  anch'esso  pagò  un  tributo  alle  varie 

e  contradditorie  dottrine,  per  mitezza  d'animo  e  sicurezza  di  criterio  sempre  avverso  alle 

massime  esclusive  ed  esagerate.  E  tenne  pur  giusta  misura  nell'acre  e  lunga  polemica  fra 

i  classici  e  i  romantici. 

Però  l'unità,  l'indipendenza  e  la  libertà  della  Patria  furono  amore  e  aspirazione  nella 
sua  bell'anima.  Egli  cantò  infatti  l'una  e  le  altre  nello  Stivale,  neh"  Incoronazione  (alla  quale 
però  Carlo  Alberto  non  intervenne)  e  nella  Terra  dei  morti,  spronando  gli  infiacchiti  animi 
degli  italiani  al  virile  oprare  ed  alla  speranza  e  rampognando  in  altri  componimenti,  princip1 
e  nobili  degenerati,  borghesia  boriosa  e  sciocca,  e  popolo  pitocco. 

Castigò  colla  sferza  del  ridicolo  (sicuro  che  di  niuno  autore  contemporaneo  erano  sì 
ricercate  e  avidamente  lette  le  opere)  il  materialismo  nel  San  Giovanni,  la  niuna  fede  degli 
impiegati  nella  Legge  Penale  e  nel  Gingillino,  il  cercatore  d' impieghi  e  il  procacciante  mesta- 
tore nel  Girella,  i  pregiudizi  popolari  nel  Sortilegio  e  nell'Apologia  del  giuoco  del  lotto,  la  cor- 
ruzione nella  Madre  educatrice,  gli  utopisti  negli  Umanitari  e  negli  Eroi  da  poltrona,  nella 
Repubblica,  YAruff apopoli,  ecc. 

Così  preludeva  Giuseppe  Giusti  ai  nuovi  tempi  e  invocava  l'alba  del  risorgimento  nazionale  ; 
e  non  è  dir  molto  se  si  assicura  che  ancor  per  esso  si  adoperò  efficacemente,  onde  affrettarlo. 
Nel  1844  il  nostro  poeta  che  aveva  tenuto  dietro  a  quei  congressi  dei  Naturalisti,  dalle 
cui  elucubrazioni  poco  si  avvantaggiò  la  scienza,  ma  molto  la  e  iviltà  e  la  politica,  si  ammalò 
di  fegato  e  per  ccnsiglio  dei  medici  si  recò  a  viaggiare.  Vide  Roma,  si  trattenne  in  Napoli  e 
l'anno  dopo  quasi  diremmo  amorosamente  catturato  da  quella  cara  donna  della  marchesa 
Luisa  d'Azeglio,  forse  l'unica  e  senza  dubbio  la  migliore  delle  sue  amiche,  fu  invitato  a  vi- 
sitare la  Lombardia.  A  Milano  conobbe  Manzoni  che  festosamente  lo  accolse  e  volle  trattenerlo 
un  mese  nella  sua  villa. 

Reduce  in  Toscana  e  preso  stanza  in  Firenze  presso  il  senatore  Gino  Capponi  salutò  l'al- 
bore della  libertà  e  indipendenza  d' Italia  :  fu  ufficiale  della  Guardia  Nazionale  e  poscia  per 
tre  volte  deputato  al  Consiglio  generale  ed  alla  Costituente  (alla  quale  però  mai  intervenne). 
Egli  fu  di  parte  moderata,  e  a  guisa  di  Ugo  Foscolo  parvegli,  che  colle  sètte  non  potesse  farsi, 
né  conservarsi  in  libertà  la  nazione;  e  quindi  rifiutò  mai  sempre  di  prestare  ad  esse  la  sua 
penna,  la  sua  parola,  la  sua  opera. 

In 


sue 


Malato  di  incipiente  tubercolosi,  nell'estate  del  1848  sedevasi  deputato  vicino  allo  scri- 
vente, il  lento  malore  che  albergavagli  in  seno  lo  rendeva  di  debole  animo  e  meno  fiducioso 
di  quel  che  avrebbe  dovuto,  delle  future  sorti  d' Italia.  Parlò  poche  volte  alla  Camera,  una  sola 
volta  al  popolo  ammutinato  alle  porte  del  Parlamento,  ma  con  nessuno  effetto.  Era  allora  in 
voga  il  famoso  detto  :  /'  Italia  farà  da  sé. 

Avvenuta  la  restaurazione  temè  della  libertà,  ma  non  mancò  di  carità  di  patria  e  non 
pochi  dannati  dalla  Commissione  di  governo  all'esilio,  ebbero  per  i  suoi  autorevoli  uffici  revo- 
cato il  decreto  di  bando  :  e  di  ciò  la  Storia  gli  deve  tener  conto. 

Finalmente  nel  31  marzo  1850  dopo  lunga  e  penosa  malattia,  preso  da  un  eccesso  di  emot- 
tisi spirò,  lasciando  in  se'rvitù  degli  Austriaci  queir  Italia,  che  quando  egli  aprì  gli  occhi  alla 
luce  trovavasi  in  servitù  dei  Francesi. 

Fu  Giuseppe  Giusti  di  alte  e  avvenenti  forme,  di  gentile  aspetto,  di  voce  soave,  di  anima  tem- 
prata più  all'amore  generoso  che  allo  sdegno  —  ed  anche  quando  correggeva  amava  —  non 
odiò  mai,  sdegnò  le  arti  della  vanità,  non  lo  ammorbò  né  superbia,  né  orgoglio,  amò  il  lieto 
conversare,  fu  tenero  coi  parenti,  sincero  cogli  amici  e  giusto  con  tutti. 

Ecco  il  profilo  fisico  e  morale  dell'  insigne  poeta,  di  cui  imprendiamo  a  riprodurre  le  opere. 

Le  ossa  del  poeta  nazionale,  dell'  inventore  e  creatore  della  satira  civile  e  politica,  giac- 
ciono nella  Chiesa  di  S.  Miniato  al  Monte  e  un  modesto  monumento  le  addita  al  visitatore. 


(1)  Nelle  prime  ore  di  una  bella  mattina  del  luglio  1868,  il  generale  Garibaldi  recavasi  alla  Grotta  in 
compagnia  di  alcuni  ammiratori,  in  Monsummano,  onde  ossequiare  la  nobil  donna  Ildegarda  Giusti,  al- 
l'esimio Poeta  sorella,  e  il   di  lei  consorte,  signor  cap.  Nencini-Giusti. 

Il  generale  chiese  di  vedere  la  camera  ove  era  nato  il  Poeta  nazionale,  e  ben  tosto  introdottosi,  si  scoprì 
il  capo  e  assunse  un  atteggiamento  di  rispetto  e  di  commozione.  Il  signor  Nencini,  facendosi  a  pregare  1'  il- 
lustre Eroe  dei  due  mondi  onde  si  coprisse,  ne  ebbe  la  seguente  risposta  :   «  Non  sarò  giammai  tanto  ir- 

«  RIVERENTE  VERSO  LA  MEMORIA  DI  QUESTO  GRANDE  ITALIANO  ;  DOVE  NACQUE  UN  GIUSEPPE  GIUSTI  CONVIEN 
«  CHE  OGNI  UOMO  STIA  COL  CAPO  SCOPERTO  E  CON  AMMIRAZIONE  SALUTI  IL  LUOGO  OVE  EGLI  APRÌ  GLI  OCCHI 
«  ALLA    LUCE  ». 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


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LA  GUIGLIOTTINA  A  VAPORE 


Hanno  fatto  nella  China 
Una  macchina  a  vapore 
Per  mandar  la  guigliottina 


12 


Poesie  del  Giusti  illustrale 


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OliN. 


L'istrumento  ha  fatto  chiasso 
E  quei  preti  han  presagito 
Che  il  paese  passo  passo 
Sarà  presto  incivilito  ; 


--^--     C  lì.   N- 


■■  ;ii- 


Rimarrà  come  un  babbeo 

L'Europeo. 


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Sin: 


Poesie  del  Giusti  illustrale 


13 


L'Imperante  è  un  uomo  onesto  ; 
Un  po'  duro,  un  po'  tirato, 
Un  po'  ciuco  ;   ma  del  resto 
Ama  i  sudditi  0  lo  Stato, 


E  protegge  i  bell'ingegni 

De'  suoi  regni. 


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14 


Toesie  del  Giusti  illustrate 


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V'era   un   popolo  ribelle 
Che  pagava   a   malincuore 
I  catasti  e  le  gabelle  : 


Il  benigno  imperatore 
Ha  provatolin  quel  paese 

Quest'arnese. 


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DM 


^Poesie  del  Giusti  illustrate 


La  virtù  dell'  istrumento 
Ha  fruttato  una  pensione 
A  quel  boia  di  talento, 
Col  brevetto  d' invenzione, 


15 


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E  1'  han  fatto  mandarino 

Di  Pekino. 


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16 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


Grida  un  frate  :  o  bella  cosa  ! 
Gli  va  dato  anco  il  battesimo. 


Ah  !  perchè,  dice  al  Canosa 
Un  Tiberio  in  diciottesimo, 
Questo  genio  non  m'  è  nato 

Nel  ducato  ! 


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Poesie'del   Giusti  illustrate.  —  edizione  nerbini 


Fascicolo  2. 


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'Poesie  del  Giusti  illustrate 


*9 


Rassegnazione  e  proponimento  di  cambiar  vita 


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PARLATE     k 
AL    PORTI  ERI 


Io  non  mi  credo  nato  a  buona'luna  ; 
E  se  da  questa  dolorosa  valle 
Sane  a  Gesù  riporterò  le  spalle, 

Oh  che  fortuna 


In   quanto  al  resto  poi  non  mi  confondo  : 
Faccia  chi  può  con  meco  il  prepotente, 
Io  me  la  rido  ;  e  sono  indifferente  ; 

Rovini  il  mondo. 


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20 


Toesie  del  Giusti  illustrate 


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A  quindici  anni  immaginava  anch  'io 

Che  un  uomo  onesto,  un  povero  minchione, 
Potesse   qualche  volta  aver  ragione  : 

Furbo,  per  Dio  ! 


Non  vidi  allor  che  barattati  i  panni 
Si  fossero  la  frode  e  la  giustizia  (2)  : 
Ah  veramente  manca  la  malizia 

A  quindici  anni  ! 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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21 


Ma  quando,  in  riga  di  paterna  cura, 
Un  birre-  mi  cuoprì  di  contumelia, 


Conobbi  i  polli,  e  accorto  della  celia 

Cangiai  natura. 


MATA 


Cangiai  natura  ;  e  adesso  le  angherie 
Mi  sembrano  sorbetti  e  gramolate  : 
Credo  santo  il  Bargello   (3)  e  ragazzate 

Le  prime  ubbie. 


Hill? 


22 


'Poesie  del  Giusti  illustrate 


Son  morto  al  mondo  ;  e  se  il  padron  lo  vuole, 


Al  messo,  all'esattore,  all'aguzzino 
Fo  di  berretta  (4),  e  spargo  sul  cammino 

Rose  e'  viole. 


Son  morto  al  mondo  ;  e  se  novello  insulto 
Mi  vien  da  commissari  (5)  o  colli  torti  (6), 
Dirò  :   che  serve  incrudelir  co'   morti  ? 

Parce  sepitlto  ! 


siit 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


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23 


Un  diavol  che  mi  porti  o  il  lumen  Christi  (7) 
Aspetto  per  uscir  da  questa  bega  : 


Una  maschera  compro  alla  bottega 

Dei  Sanfedisti  (8). 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


La  vita  abbuierò  gioconda  e  lieta  ; 
Ma  combinando  il  vizio  e  la  decenza, 


lille  ' 


'VlsTci^ 


Velato  di  devota  incontinenza, 

Dirò  compieta. 


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me 


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Voesie  del  Giusti  illustrate 


Più  non  udrà  l'allegra  comitiva 
La  novelletta  mia,  la  mia  canzone  ; 


Gole  di  frati  al  nuovo  Don  Pirlone  (9) 

Diranno  evviva. 


In  un  cantone  rimarrà  la  bella 
Che  agli  scherzi  co'  cari  occhi  m' infiamma, 
E  raglierò  il  sonetto  e  l'epigramma 

A  Pulcinella. 


25 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


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Rispetterò  il  Casino  (io)  ;  e  sarò  schiavo 
Di  pulpiti,  di  curie  e  ciarlatani  ; 


—  ) 


Alle  gabelle  batterò  le  mani, 

E  dirò,  bravo  ! 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


alle 


27 


Così  sarò  tranquillo,   e  lunga  vita 

Vivrò  scema  di  affanni  e  di  molestie  ; 


Sarò  de'  bacchettoni  e  4eile  bestie 

La  calamita. 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


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Amica  mi  sarà  la  sagrestia, 

La  toga,  durlindana,  e  il  presidente  ! 


Sarò  un  eletto,  e  dignitosamente. 

Farò  la  spia. 


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'Poesie  del  Giusti  illustrate 


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29 


Subito  mi  faranno  cavaliere, 
Mi   troverò  lisciato  e  salutato, 
E  si  può  dare  ancor  che  sia  creato 

Gonfaloniere   (n). 


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30 


Toesie  del  Giusti  illustrate 


Allora,  ventre  mio,  fatti  capanna  ; 

Manderò  chi  mi  burla  in  gattabuia   (12)  ; 


Dunque   s'  intuoni   agli  asini  alleluia, 

Gloria  ed  osanna. 


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Toesie  del  Giusti  illustrate  31 


ANNOTAZIONI 


(1)  Fu  scritta  nel  1833,  quando  i  sollevamenti  di  Romagna  erano  stati  repressi  dalle  armi  austria- 
che e  la  reazione  infieriva  a  Parma,  a  Modena,  a  Bologna  e  più  o  meno  in  tutta  Italia,  non  escluso  il 
Piemonte,  che  infierì  contro  i  pochi  insorti  di  Savoja. 

(2)  Allude  ai  giudizi  statari,  o  assassini  politici  perpetrati  coi  più  abbietti  stratagemmi  inquisi- 
sitoriali  negli  Stati  pontifici  e  nel  Ducato  di  Modena  da  quel  Tiberio  in  dicottesimo  qual  fu  Fran- 
cesco IV. 

(3)  L'alta  polizia  in  Toscana  era  affidata  al  presidente  del  Buon  Governo  (specie  di  prefetto), 
ai  commissari  regi  residenti  nelle  principali  città  ed  a  vicari  parimenti  regi,  residenti  in  ogni  capoluogo 
di  mandamento.  La  bassa  polizia  era  fatta  in  quel  tempo  dalle  squadre  dei  famigli,  o  vecchi  birri 
che  avevano  a  capo  il  Bargello.  Cotestoro  vestivano  casacca  e  pantaloni  di  velluto,  andavano  armati 
di  nodosi  randelli  e  per  lo  più  facevano  causa  comune  coi  ladri.  Dopo  il  18  31  la  polizia  fu  affidata 
ai  carabinieri  che  presero  poi  il  nome  e  vestirono  la  divisa  di  gendarmi,  per  ritornare  dopo  l'aggre- 
gazione della  Toscana,  al  Piemonte  nuovamente  carabinieri.  L'ultimo  avanzo  della  sbirreria  fu  official- 
mente  annientato  dal  ministro  Ridolfi  nel  1848  e  dal  popolo  toscano  bandito  e  cacciato  dalla  città. 
Poco  dopo  furono  creati  i  delegati  di  governo,  che  pochi  anni  or  sono  cedettero  il  posto  ai  delegati 
di   Pubblica    Sicurezza. 

Ai  tempi  ai  quali  allude  il  Poeta  non  esisteva  ancora  in  Toscana  la  pubblicità  del  giudizio  negli 
affari  e  processi  criminali  :  e  alla  polizia  era  deferito  parte  del  potere  giudiziario.  Nel  più  cupo  dei 
segreti  si  accoglievano  le  delazioni,  si  compilavano  i  processi,  si  emanavano  le  sentenze  di  carcere, 
bando  o  confine,  che  non  erano  appellabili  ;  e  nei  casi  più  miti  e  lievi  si  chiamavano  gli  imputati 
e  con  calcatissime  intemerate  si  ammonivano,  si  redarguivano  e  si  minacciavano.  Fu  appunto  in  seguito 
ad  una  di  queste  ammonizioni  belate  dah"auditor  di  governo  di  Pisa  che  il  Giusti  scrisse  questa  fra 
le  sue  più  fini  e  pungenti  satire. 

(4)  Levarsi  il  cappello. 

(5)  S'  intende  di  polizia. 

(6)  Pinzocheri,  o  bacchettoni. 

(7)  £  un  pezzetto  di  cero,  o  condelotto  benedetto  nel  sabato  santo. 

(8)  I  Sanfedisti  formavano  una  setta  politico-religiosa  conservatrice.  Furono  regolamentati  dai 
Gesuiti  e  per  la  parte  politica  si  crede  ci  lavorasse  il  principe  di  Canossa,  sotto  1'  ispirazione  di  Fran- 
cesco IV,  duca  di  Modena.  Certo  è  che  nelle  Romagne  e  nel  Modenese  il  sanfedismo  si  alzò  all'apogèo 
ed  aveva  i  suoi  adepti  come  i  suoi  banditori  dal  pergamo  e  i  suoi  giornali.  La  famosa  Gazzetta  redatta 
dal  baly  Samminiatelli,  intitolata  La  Voce  della  Verità,  era  l'organo  più  autentico  di  questo  guazza- 
buglio di  santo  e  di  profano,  di  pratiche  sbirresche  e  pratiche  religiose,  che  serviva  a  corroborare  il  di- 
spotismo dei  proconsoli  austriaci  in  Italia  e  il  dogmatismo  della  curia  di  Roma.  Ad  ogni  modo  era 
lo  spirito  di  conservazione  che  si  opponeva  con  tutti  i  mezzi  leciti  ed  illeciti,  onesti  e  disonesti  a  quello 
d' innovazione  e  formava  un  contro-altare  a  Mazzini  e  alla  sua  scuola,  che  in  allora  colla  Giovine 
Italia  informava  di  sé  la  gioventù  della  penisola.  Il  Gualtiero  e  il  Farini  stigmatizzarono  nelle  loro 
storie  l'empia  sètta  dei  Sanfedisti,  narrando  le  opere  truci  e  immani  perpetrate  nelle  Romagne  e  spe- 


aiil=r:  : 

32  Toesie  del  Giusti  illustrate 


cialmente  a  Faenza  dai  centurioni,  lance  spezzate  del  sanfedismo  applicato.  I  rivolgimenti  politici 
del  1847-48  sconcertarono  la  sètta  sanfedistica,  ma  non  tanto  che  non  sobillassero  che  Pio  IX  era 
stato  illegalmente  eletto  pontefice  e  cercassero  di  trarlo  a  sé  —  come  avvenne  —  morto  il  cardinale 
Micara,  nel  29  aprile    1848. 

Questa  sètta,  così  ben  dipinta  con  la  più  fine  ironia  del  nostro  Poeta,  oggi  si  è  trasmutata  nei 
moderni  Paolotti  o  Vincenzini,  di  cui  è  piena  1'  Italia  e  più  dell'  Italia  la  Francia.  Cotestoro,  ultimi 
dei  Burgravi  del  medio-evo  e  del  gius-caconico  fossilizzato,  sono  d'  inciampo  ad  ogni  efficace  sviluppo 
d' intendimenti  liberali  non  tanto  fra  noi,  quanto  in  Francia  ed  anche  più  nello  stesso  Belgio. 
(9)  Al  nuovo  ipocrita. 

(r)  Luogo  di  riunione  dei  nobili  di  Pisa,  oegi  ridotto  a  stanze  civiche. 

(li)  Sindaco. 

(12)  Prigione. 


5111 =3^ 


Poesie  del  Giusti  illustrate.  —  edizione  nerbini 


Fascicolo  3. 


aiir 


Toesie  del  Giusti  illustrate 


~m 


35 


IL    D  I  E S    I  R  JE  <" 


nuumiiiiH 


Dies  ira!  è  morto  Cecco  (2)  ; 
Gli  è  venuto  il  tiro  secco   (3)  : 
Ci  levò  l' incomodo. 


an: 


:mì? 


aiic 


36 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


=n(i^ 


Un  ribelle  mal  di  petto 
Te  lo  messe  al  cataletto 


Sia  laudato  il  medico!  (4) 


È  di  moda  :  fino  il  male 
La  pretende  a  liberale  (5)  ; 

Vanità  del  secolo  ! 


=nllt 


zulff 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


unii 


37 


Tutti  i  principi  reali 
E  l'Altezze  imperiali, 

L'eccellenze,  eccetera  (6), 


Abbruniscono  i  cappelli 


Il  bali  Samminiatelli 

Bela  il  panegirico   (7). 


^iii- 


-llfi? 


38 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


Già  la  Corte,  il  Ministero, 
Il  soldato,  il  birro,  il  clero, 


M  a  ta  — —  — _^P 


v  i  s  e  o NTT 


Manda  il  morto  al  diavolo'  (8). 


Liberali  del   momento 
Per  un  altro  giuramento 

Tutti  sono  all'ordine. 


j 


Sili: 


;imi 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


39 


Alle  cene,  ai  desinari 

(Oh  che  birbe  !)  i  Carbonari 


Ruttan   inni   e    brindisi  (9). 


^ìiin 


niliF 


aiic 


40 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


:iiut 


'«V^ 


Godi,  o  povero  Polacco  ; 
Un  amico  del  Cosacco  (io) 


Sconta  le  tue  lacrime. 


Quest'  è  ito  ;  al  rimanente 
Toccherà  qualche  accidente 


Dio  non  paga  i1  sabbato. 


SUI: 


SÌÌC 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


-nife 


41 


Ma  lo  Scita  inospitale 

Pianta  l'occhio  al  funerale 

Sitibondo  ed  avido  ; 


Come  iena  del  deserto 

Annosando  a  gozzo  (n)  apert® 
Il  fratel  cadavere. 


?illlz 


Illfi? 


4IIC 


42 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


--\m 


Veglia  il  Prusso  e  fa  la  spia, 


E  sospirano  il  Messia 

L'Elba,  il  Reno  e  l'Oderà. 


Rompe  il  Tago  con  Pirene 
Le  cattoliche  catene, 


Brucia  i  frati  e  gongola  (12). 


^IlE 


Illltr 


jjii: 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


-m 


43 


Sir  John  Bull  (13)  propagatore 
Delle  macchine  a  vapore 


Manda  i  tory      rotoli. 

JIL 


Il  Chiappini  (14)   si  dispera, 
E  grattandosi  la  pera   (15) 

Pensa  a  Carlo  decimo. 


=Wi? 


zm 


44 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


Ride  Italia  al  caso  reo  ; 

E  dall'Alpi  a  Lilibeo  (16) 


I  suoi  re  si  purgano. 


^ic 


3ll!r 


me 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


3116 


45 


Non  temete  ;  lo  stivale  (17) 
Non  può  mettersi  in  gambale  ; 


:il^ 


Dorme  il  calzolaio. 


m= 


-(1117= 


46 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


Ma  silenzio  !  odo  il  cannone  ; 


Non  è  nulla  :  altro  padrone  ! 

Habemus  Pontificem. 


53111= 


:m 


Poesie  del  Giusti  illustrate  47 


ANNOTAZIONI 


(1)  È  questo  un  responsorio  assai  ben  noto  che  si  canta  nella  Chiesa  in  occasione  delle  esequie 
pei  fedeli  defunti,  in  propiziazione  dell'anima  del  trapassato. 

(2)  Allude  alla  morte  di  Francesco  I,  imperatore  d'Austria,  figlio  di  Leopoldo  I  e  fratello  di  Fer- 
dinando III,  morto  granduca  di  Toscana.  L' imperatore  Francesco  fu  l'ultimo  rappresentante  del 
Sacro  Romano  Impero,  e  fu  segnato  del  nome  di  Francesco  IL 

La  Confederazione  dal  Reno,  o  per  dir  meglio  la  rivoluzione  francese  portata  dalle  armi  napo- 
leoniche in  tutta  1'  Europa,  mentre  fece  man  bassa  sopra  tanti  principati  retti  da  dignitari  ecclesia- 
stici, buttò  a  terra  l'ultimo  baluardo  che  restava  al  feudalismo  in  Allemagna,  il  Sacro  Romano  Im- 
pero, che  fu  poi  padre  legittimo  della  quadruplice  Santa  Alleanza  firmata  a  danno  della  Francia  ed  in 
onta  della  civiltà  e  della  libertà  de' popoli,  nel  1815  a  Vienna. 

L' imperatore  Francesco,  che  bon  gre  o  mal  gre  aveva  rinunziato  al  titolo  d'  imperatore  del  Sacro 
Romano  Impero,  non  vide  che  con  ciò  egli  solennemente  chiudeva  l'èra  del  Medio  Evo  — ■  quest'era 
che  i  clericali  francesi  credono  invece  essere  stata  chiusa  dalla  Bolla  pontificia  che  convocava  il  ven- 
tiduesimo Concilio  Ecumenico  per  1'  8   dicembre   1869. 

Logicamente  dall'epoca  dell'abdicazione  di  Francesco  II  alla  Corona  di  ferro  e  al  titolo  d' im- 
peratore del  Sacro  e  Romano  Impero,  data  la  decadenza  storica  e  virtuale  della  potenza  temporale 
del  papato. 

Francesco  I,  che  come  uomo  e  come  austriaco  fu  amato  e  lodato  (e  di  costumi  sem  plici  egli  era 
infatti  e  bonariamente  trasse  i  lunghi  suoi  giorni),  come  imperante  fu  all'  Italia  esiziale  e  cagione 
di  pianti  e  sventure. 

Colle  sue  armi  poderose  puntellò  mai  sempre  il  trono  dei  pontefici,  che  cercarono  abbattere  più 
e  più  volte  i  sudditi  suoi,  per  mille  sevizie  e  crudeltà  oppressi.  Fu  poi  desso  che  estinse  la  fiaccola  della 
libertà  nel  1820  e  1821  nel  Napoletano  ed  in  Piemonte,  emancipatisi  dal  dispotismo  per  virtù  pro- 
pria. Fu  esso  che  acquistossi  fama  imperitura  di  crudele  e  di  tiranno  per  il  modo  con  cui  incrudelì 
contro  i  patriotti  lombardi  e  specialmente  contro  Gonfalonieri,  Maroncelli,  Mompiani,  Pallavicini, 
Silvio  Pellico,  Gioja,  Borsari  ed  altri  non  pochi.  Fu  desso  infine  che  riportò  Francesco  IV  a  Modena 
e  Maria  Luisa  a  Parma  nel  1831. 

Gli  Italiani  erano  avvezzi  a  considerare  Francesco  I  come  il  drago  che  custodiva  il  frutto  a  noi 
vietato,  cioè  la  libertà  e  l' indipendenza  della  Penisola,  che  Metternick  chiamava  una  espressione 
geografica. 

Francesco  I  era  odiato,  e  giustamente  odiato,  dagli  Italiani,  e  ispiratosi  all'opinione  pubblica  nel 
1835  2  nostro  poeta  diede  mano  al  presente  componimento. 

(3)  Per  tiro  secco  s' intende  in  Toscana  l'apoplessia  fulminante. 

(4)  L'avere  accennato  all'apoplessia  nell'altra  strofa,  il  poeta  fa  ben  conoscere  che  questo  è 
uno  scherzo. 

(5)  La  denominazione  di  liberali  per  designare  gli  amatori  della  libertà  e  dell'  indipendenza  ita- 
liana cominciò  ad  usarsi  nel  1831  dopo  la  rivoluzione  di  Francia.  Per  lo  innanzi  chiamavansi  framas- 
soni,  carbonari,  patriotti,  giacobini,  ecc.  Fu  Mazzini  nel  suo  giornale  La  Giovine  Italia,  avidamente 
ricercato  e  letto  in  quel  torno  di  tempo,   che  la  popolarizzò. 

(6)  Questo  vocabolo  latino  è  stato  qui  dall'autore  italianizzato. 


flìlC 


48  Poesie  del  Giusti  illustrate 


(7)  Allude  a  ciò  che  ne  scrisse  questo  famoso  reazionario,  calderaro  e  sanfedista  nella  Voce  della 
Verità,  di  Modena.  Egli  aveva  un  alto  grado  nell'Ordine  cavalleresco  di  S.  Stefano,  abolito  nel  1859 
dal  Ricasoli,  governatore  della  Toscana.  Vi  erano  in  esso  Ordine  i  gradi  di  cavaliere,  di  bali,  di  priore,  ecc. 

(8)  È  la  solita  massima  di  Mazzarino  :  E  morto  il  re,  evviva  il  re. 

(9)  Qui  l'autore  riprende  l'antica  denominazione  di  carbonari,  ma  unicamente  per  designare 
coloro  fra  i  liberali  che  erano  ascritti  con  giuramento  alla  setta  carbonaresca,  alla  quale  vuoisi  che 
avesse  dato  puranco  il  suo  nome  Giovanni  Mastai  Ferretti,  di  poi  papa  Pio  IX. 

(io)  Lo  czar  Nicolò  esterminatore  dei  sollevati  della  Polonia, 
(n)  Fauci. 

(12)  Allude  all' insurrezione  dei  Portoghesi  contro  Don  Pedro  e  degli  Spagnuoli  contro  Don 
Carlos  che  contrastava  la  corona  ad  Isabella  II,  in  quel  tempo  segnacolo  di  libertà  :  e  ai  barilotti  di 
polvere  messi  nei  sotterranei  di  alcuni  conventi  di  Barcellona  mandati  in  aria. 

(13)  Inghilterra. 

(14)  È  assai  conosciuta  la  causa  intentata  a  Casa  d'  Orléans  da  Maria  Stella.  —  Vuoisi  che 
verso  Marradi,  in  una  notte  tenebrosa,  si  fermassero  in  un  povero  albergo  il  padre  e  la  madre  di 
Luigi  Filippo  e  che  ivi  avendo  la  genitrice  dato  alla  luce  una  figlia,  mentre  la  moglie  del  birro  Chiap- 
pini partorì  un  figlio,  in  quel  luogo,  a  prezzo  d'oro,  si  fece  il  baratto. 

(15)  Allude  alla  testa  slargata  in  alto  a  guisa  appunto  di  una  pera. 

(16)  Fiumicello  siculo. 

(17)  L'Italia. 


sui mg 


POESIE   DEL   GIUSTI    ILLUSTRATE 


ANN 


Legge  penale  per  gì' Impiegati (I 


Il  nostro  sapientissimo  padrone  (2) 
Con  venerato  motuproprio  impone, 
Che  da  oggi  in  avanti  ogn'  impiegato 
Per  il  ben  dello  Stato, 

(Per  dir  come  si  dice)   ari  diritto, 
E  in  caso  d' imperizia  o  di  delitto, 
Lo  vuol  punito  scrupolosamente 

Colla  legge  seguente: 


1835. 


Poesie  del   Giusti  illustrate.  —  edizione  nerbini 


Fascicolo  4. 


Sili: 


Toesie  del  Giusti  illustrate 


"Hit 


51 


Se  un  real  segretario  o  cameriere^), 
Tagliato,  puta  il  caso,  a  barattiere, 


Ficca,  a  furia  di  brighe,  in  tutti  i  buchi 
Un  popolo  di  ciuchi  (4)  ; 

Se  un  cancellier  devoto  della  zecca 
Sulle  volture  (5)  o  sul  catasto  lecca, 


E  attacca  una  tal  qual  voracità 

Alla  Comunità  (6)  ; 


zllfr? 


ajll- 


52 


Toesie  del  Giusti  illustrate 


miii 


Se  a  caso  un  ispettor  di  polizia 


mi 


iUi'.rW 


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Sganascia  o  tiene  il  sacco,  o  se  la  spia 
Inventa,  per  non  perder  la  pensione, 
Una  rivoluzione  (7)  ; 


Son  piccoli  trascorsi  perdonabili, 
Dall'umana  natura  inseparabili  : 


Né  sopra  questi  allungherà  la  mano 
Il  benigno  sovrano. 


5IIII 


nifi? 


sin: 


Toesie  del  Giusti  illustrate 


53 


niis 


Ma  nel  delitto  poi  di  peculato, 

Posto  il  vuoto  di  cassa  a  sindacato, 


Chi  avrà  rubato  tanto  da  campare, 

Sia  lasciato  svignare  ; 


Chi  avrà  rubato  poco,  si  perdoni, 


NUMERI   VECCHij  -*,, 


E  tanto  più  se  porta  testimoni 
D'essersi  a  questi  termini  ridotto 

Per  il  giuoco  del  lotto  (8)  ; 


5111  : 


nifi? 


me 


54 


'Poesie  del  Giusti  illustrate 


Se  un  real  ingegnere  o  un  architetto 
Ci  munge  fino  all'ultimo  sacchetto, 
Per  rimediar  a  questa  bagatella 

Si  cresca  una  gabella. 


Se  saremo   costretti  a  trapiantare 
Un  vicario  (9)  bestiale  o  atrabiliare, 
Tanto  per  dargli  un  saggio  di  rigore 
Sarà  fatto  auditore. 


5111- 


glie 


Toesie  del  Giusti  illustrate 


niui 


55 


Se  un  consiglier  civile  o  criminale 
Sbadiglierà  sedendo  in   tribunale, 


Visto  che  lo  sbadiglio  è  contagioso, 

Si  condanni  al  riposo  ; 


Se  poi  barella,  o  spinge  la  bilancia 


A  traboccar  dal  lato  della  mancia, 
GÌ'  infliggeremo  in  riga  di  galera 

Congedo  e  paga  intera. 


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Illfi? 


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56 


m|t 


Toesie  del  Giusti  illustrate 


Se  un  ministro  riesce  un  po'  animale, 
Siccome  bazzicava  il  principale  (io), 
Titolo  avrà  di  consigliere  emerito 

E  la  croce  del  merito   (11). 


Sili: 


nifi? 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


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57 


L'AMICA     LONTANA 


Quando  la  luna  in  suo  candido  velo.... 

(Sestina  terza,  pagina  59). 


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fi  111 

Toesie  del  Giusti  illustrate  59 


ALL'AMICA   LONTANA 


(1) 


Te,  solitaria  pellegrina,  il  lido 
Tirreno  e  la  salubre  onda  ritiene, 
E  un  doloroso  grido 
Distinto  a  te  per  tanto  aere  non  viene, 
Né  il  largo  amaro  pianto 
Tergi   pietosa  a  quei  che  t'ama  tanto. 


E  tu  conosci  amore,  e  sai  per  prova 
Che  nell'assenza  dell'obbietto  amato 
Al  cor  misero  giova 
Interrogar  di  lui  tutto  il  creato. 
Oh  se  gli  affanni  accheta 
Questa  di  cose  simpatia  segreta  ! 


Quando  la  luna  in  suo  candido  velo 
Ritorna  a  consolar  la  notte  estiva, 
Se  volgi  gli  occhi  al  cielo, 
E  un'amorosa   lacrima  furtiva 
Bagna  il  viso  pudico 
Per  la  memoria  del  lontano  amico  : 


Quell'occu7ta  virtù  che  ti  richiama 
Ai  dolci  e  malanconici  pensieri, 
È  di   colui  che  t'ama 
Un  sospir  che  per  taciti  sentieri 
Giunge  a  te,  donna  mia, 
E  dell'anima  tua  trova  la  via. 


Se  il  venticel  con  leggerissim'ala 
Increspa  l'onda  che  lieve  t'accoglie, 
E  susurrando  esala 
Intorno  a  te  dei  fiori  e  delle  foglie 
Il  balsamo,  rapito 
Lunge  ai  pomari  dell'opposto  lito  ; 


^H  Uff? 


gin  Mg- 

éo  Toesie  del  Giusti  illustrate 


Dirai  —  Quest'onda  che  si  lagna,  e  questo 
Aere  commosso  da  soave  fiato, 
Un  detto,  un  pensier  mesto, 
Sarà  del  giovinetto  innamorato. 
Cui  deserta  e  sgradita 
Non  divisa  con  me  fugge  la  vita.  — 


Quando  sull'onda  il  turbine  imperversa 
Alti  spingendo  al  lido  i  flutti  amari, 
E  oscurità  si  versa 
Sull'ampia  solitudine  dei  mari, 
Guardando  da  lontano 
L'  ira  e  i  perigli  del  ceruleo  piano, 


Pensa,  o  cara,  che  in  me  rugge  sovente 
Di  mille  e  mille  affetti  egual  procella  ; 
Ma  se  l'aere  fremente 
Raggio  dirada  di  benigna  stella, 
È  il  tuo  sereno  aspetto 
Che  reca  pace  all'agitato  petto. 


Anch'  io,  mesto  vagando  all'Arno  in  riva, 
Teco  parlo  e  deliro,  e  veder  parmi 
Come  persona  viva 
Te  muover  dolcemente  a  consolarmi  : 
Riscosso  alla  tua  voce 
Neil'  imo  petto  il  cor  balza  veloce. 


Or  flebile  mi  suona  e  par  che  dica 
Nei  dolenti  sospiri  —  0  mio  diletto, 
All'  infelice   amica 

Serba  intero  il  pensier,  serba  l'affetto 
Siccome  amor  la  guida, 
Essa  in  te  si  consola,  in  te  s'affida.  - 


Or  mi  consiglia,  e  da  bugiardi  amici 
E  da  vane  speranze  a  sé  mi  chiama. 
—   Brevi   giorni   infelici 
Avrai,  mi  dice,  ma  d' intatta  fama  : 
Dolce  perpetuo  raggio 
Rischiarerà  di  tua  vita  il  viaggio. 


ali: 


riilS 


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Poesie  del  Giusti  illustrate  61 


Conscio  a  te  stesso  la  letizia  il  duolo 
Premi  e  l'amor  di  me  nel  tuo  segreto  ; 
A  me  tacito  e  solo 
Pensa  ;  e  del  core  ardente  irrequieto 
Apri  l' interna  guerra 
A  me  che  sola  amica  hai  sulla  terra.  — 


Torna  la  cara  immagine  celeste 

Tutta  lieta  al  pensier  che  la  saluta, 

E  d'un  angelo  veste 

L'ali,  e  riede  a  sé  stessa  ;  e  si  trasmuta 

Quell'aereo  portento, 

Come  una  rosea  nuvoletta  al  vento. 


Cosi  da  lunge  ricambiar  tu  puoi 
Meco  le  tue  dolcezze  e  le  tue  pene 
Interpreti  tra  noi 
Fien  le  cose  superne  e  le  terrene  : 
In  un  pensiero  unita, 
Sarà  così  la  tua  colla  mia  vita. 


Il  sai,  d'uopo  ho  di  te  :  sovente  al  vero 
Di   cari  sogni  io  mi  formava  inganno  : 
E  ornai  l'occhio  il  pensiero 
Altre  sembianze  vagheggiar  non  sanno  ; 
Ogni  più  dolce  cosa 
Fugge  l'animo  stanco  e  in  te  si  posa. 


Ma  così  solo  nel  desìo  che  m'arde 

Virtù  vien  manco  ai  sensi  e  all'  intelletto, 

E  sconsolate  e  tarde 

Si  struggon  l'ore  che  sperando  affretto  : 

Ahimè,  per  mille  affanni 

Già  declina  il  sentier  de'  miei  begli  anni  ! 


Forse  mentr'  io  ti  chiamo,  e  tu  noi  sai, 
Giunge  la  vita  afflitta  all'ore  estreme  ; 
Né  ti  vedrò  più  mai, 
Né  i  nostri  petti  s'uniranno  insieme  : 
Tu  dell'amico  intanto 
Piangendo  leggerai  l'ultimo  canto. 


^" =IKÌF 


62  'Poesie  del  Giusti  illustrate 


Se  lo  spirito  infermo  e  travagliato 
Compirà  sua  giornata  innanzi  sera, 
Non  sia  dimenticato 
Il  tuo  misero  amante  :  una  preghiera 
Dal  labbro  mesto  e  pio 
Voli  nel  tuo  dolore  innanzi  a  Dio. 


Morremo  :  e  sciolti  di  guaggiù  n'aspetta 
Altro  amore,  altra  sorte  ed  altra  stella. 
Allora,  o  mia  diletta, 
La  nostra  vita  si  farà  più  bella  : 
Ivi  le  nostre  brame 
Paghe  saranno  di  miglior  legame. 


Di  mondo  in  mondo  con  sicuri  voli 
Andran  l'alme,  di  Dio  candide  fighe, 
Negli  spazi  e  nei  soh 
Numerando  di  lui  le  meraviglie  ; 
E  la  mente  nell'onda 
Dell'eterna  armonia  sarà  gioconda. 


5)ii  |||g 


g»  nife 

Toesie  del  Giusti  illustrate  6 


') 


ANNOTAZIONI 


(legge  penale   per  gl'  impiegati). 


(i)  La  casta  degli  impiegati  regi  si  può  dire  che  in  questi  tempi  fosse  privilegiata.  Le  paghe  ed 
emolumenti,  per  la  somma,  non  erano  esorbitanti,  ma  poiché  la  moneta  aveva  un  valore  relativo  triplo 
di  quello  che  ha  al  presente,  così  gli  impiegati,  dal  più  elevato  all'  infimo,  avevano  modo  di  provve- 
dere ai  bisogni  propri  ed  a  quelli  della  famiglia  e,  in  caso  di  morte  od  impotenza,  di  assicurare  una 
congrua  pensione  alla  sposa  ed  ai  figli.  —  Fino  al  1838,  epoca  in  cui  il  presidente  Puccini  attivò  in  To- 
scana i  Tribunali  collegiali  con  il  pubblico  dibattimento,  si  procedeva  nella  nomina  e  promozione  degli 
impiegati  un  po'  per  anzianità  e  molto  per  favoritismo  ;  anzi  il  favoritismo  fu  elevato  a  sistema  da 
Vittorio  Fossombroni,  troppo  grande  uomo  di  Stato  per  il  piccolo  granducato  della  Toscana.  Puccini 
però  installò  nella  nuova  magistratura  i  migliori  leggisti  ed  avvocati  e  a  tutti  i  sommi  porse  invito 
di  prendervi  posto.  —  Il  senatore  Gaetano  Giorgini,  sopraintendente  agli  studi,  nel  1840  per  sua  parte 
chiamò  a  leggere  nelle  università  del  granducato  uomini  sommi  di  tutta  Italia  :  e  mercè  di  questi 
due  savi  e  sapienti  cittadini  e  magistrati  il  favoritismo  ebbe  un  primo  terribile  colpo.  —  All'epoca 
in  cui  fu  scritta  questa  poesia,  nulla  di  ciò  erasi  anche  fatto,  e  dal  principe  come  dal  popolo  gli  im- 
piegati erano  tenuti  in  molto  pregio  e  in  singolare  considerazione.  È  doveroso  poi  il  dire  che,  meno 
un'estrema  servilità  e  spesso  una  proverbiale  insipienza,  in  generale  la  condotta  degli  impiegati  era 
irreprensibile,  e  le  prevaricazioni,  le  infedeltà  in  officio,  i  vuoti  di  cassa  e  i  ladroneggi  erano  cose  assai 
rare,  sicché  eravamo  ben  lungi  dalla  corruzione  del  giorno  d'oggi. 

(2)  Così  gli  impiegati  chiamavano  il  sovrano  Leopoldo  IL 

(3)  Si  noti  come,  attesa  la  somma  servilità,  l'autore  metta  assieme,  come  tuttora  costumasi  alla 
Corte  papale  di  Roma,  il  titolo  e  la  qualità  di  segretario  con  quella  di  cameriere. 

(4)  Qui,  come  s-corgesi,  si  allude  al  favoritismo,  che  già  accennammo. 

(5)  Dicesi  fra  noi  voltura  il  trapasso  e  trasferimento  delle  proprietà  immobiliari  dall'uno  all'altro 
possessore. 

(6)  Comune  o  municipio. 

(7)  Era  costume  dei  birri,  non  però  diffuso  in  Toscana  come  nel  Modenese  e  nel  Napoletano, 
d' inventare  rivoluzioni,  cospirazioni  e  conati  di  sètte  per  ingraziarsi  col  principe,  aver  lode  di  solerti 
e  zelanti  ed  ottenere  premi  e  pensioni.  —  Perà  le  sètte  esistevano,  ma  non  si  scoprivano. 

(8)  Si  allude  ad  un  vicario  regio  che  aveva  speso  nel  giuoco  del  lotto  il  retratto  dal  rilascio  delle 
patenti  per  la  caccia.  —  Trovato  un  vuoto  di  cassa,  egli  disse  con  molto  spirito  :  «  Altezza,  da  que- 
sta cassa  regia  ho  messo  i  danari  in  quest'altra.  Ho  dunque  peccato  ?  »  Questo  tratto  di  spirito  lo  salvò 
da  un  processo. 

(9)  Pretore. 

(io)  Il  granduca. 

(11)  La  croce  dell'ordine  di  S.  Giuseppe  fu  istituita  nel  1815  dal  granduca  Ferdinando  III.  — 
Bisogna  confessare  che  di  quest'ordine  cavalleresco,  che  era  rappresentato  da  un  nastro  rosso  e  che 
ebbe  esistenza  fino  al  1859,  non  ne  fu  fatto  mai  spreco  e  si  mantenne  in  credito. 


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64  Toesie  del  Giusti  illustrate 


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(all'amica    lontana) 


(1)  Debiti  rigu  ardi  ci  vietano  di  additare  la  donna  che  si  tutte  amò  Giuseppe  Giusti,  che  fu  gen- 
tile, cortese  e  scherzoso  con  quante  care  e  soavi  donne  conobbe.  —  Basti  al  lettore  il  sapete  che,  delle 
due  donne  che  egli  sopra  tutte  pregiò,  una  porta  il  nome  di  Elvira  e  l'altra  di  Luisa.  Elvira  amò  —  Luisa 
idolatrò.  —  Per  Luisa  ebbe  culto  e  rispetto,  ma  in  Elvira  si  indiò  e  per  essa  sentì  la  vita. 

Questi  versi  rivelano  tutta  la  soavità  e  la  dolcezza  dell'anima  del  Giusti  :  e  così  affettuosi  non 
poteva  dettarli  chi  non  avesse  amato.  —  Giuseppe  sospirò,  amò,  ma  fu  compreso  da  una  donna  di 
alti  sensi  e  di  fermi  propositi  —  e  questa  fu  1'  Elvira. 

Di  altre  donne  sappiamo  che  si  pregiano  di  avere  incatenato  al  loro  carro  il  cuore  del  poeta,  ma  il 
poeta  che  ama  e  piange,  consegna  alla  carta  i  sensi  del  suo  amore,  e  noi  non  troviamo  che  giammai 
(meno  in  qualche  sonetto  pure  intitolato  all'  Elvira)  il  Giusti  abbia  dato  libero  sfogo  alla  pienezza  di 
affetto  che  gli  inondava  il  seno. 

Godi  tu,  dunque,  Elvira,  di  avere  ispirato  questi,  fra  i  bellissimi  versi  che  conta  il  moderno  Par- 
naso, e  convien  ben  dire  che  Iddio  ti  abbia  privilegiata  fra  le  donne,  se  tanto  potesti. 

E  godi  tu,  Luisa,  se  Giuseppe  Giusti  ebbe  per  te  amore  e  culto  perenne  e  ti  lasciò  tale  eredità  di 
affetti  da  doverlo  piangere  fin  che  avrai  gli  occhi  aperti  alla  luce.  —  Elvira,  Luisa,  la  letteratura  ita- 
liana vi  è  riconoscente. 


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POESIE   DEL   GIUSTI    ILLUSTRATE 


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Poesie  del  Giusti  illustrate.  —  edizione  nerbini 


Fascicolo  5. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


67 


LO    STIVALE  (I) 


Ingegnati,  se  puoi,   d'esser  palese. 
(Dante.  Rime.) 


Io  non  son  della  solita  vacchetta, 
Né  sono  uno  stivai  da  contadino 
E  se  paio  tagliato  coll'accetta, 


Chi  lavorò  non  era  un  ciabattino  : 
Mi  fece  a  doppie  suola  e  alla  scudiera, 
E  per  servir  da  bosco  e  da  riviera  (2). 

Dalla  coscia  giù  giù  sino  al  tallone 
Sempre  all'umido  sto  senza  marcire  : 
Son  buono  a  caccia  e  per  menar  di  sprone, 
E  molti  ciuclù  ve  lo  posson  dire  : 
Tacconato  di  solida  impuntura, 
Ho  l'orlo  in  cima,  e  in  mezzo  la  costura. 

Ma  1'  infilarmi  poi  non  è  sì  facile, 


Né  portar  mi  potrebbe  ogni  arfasatto  (3) 
Anzi  affatico  e  stroppio  un  piede  gracile, 
E  alla  gamba  dei  più  son  disadatto  : 
Portarmi  molto  non  potè  nessuno, 
M'  hanno  sempre  portato  un  po'  per  uno. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


Io  qui  non  vi  farò  la  litania 

Di  quei  che  fùr  di  me  desiderosi  ; 
Ma  così  qua  e  là  per  bizzarria 
Ne  citerò  soltanto  i  più  famosi, 
Narrando  come^fui  messo  a  soqquadro, 
E  poi  come  passai  di  ladro  in  ladro. 


Parrà  cosa  incredibile  :  una  volta, 
Non  so  come,  da  me  presi  il  galoppo, 


E  corsi  tutto  il  mondo  a  briglia  sciolta  (4)  ; 
Ma  camminar  volendo  un  poco  troppo, 
L'equilibrio  perduto,  il  proprio  peso 
In  terra  mi  portò  lungo  e  disteso. 


Allora  vi  successe  un  parapiglia  : 
E  gente  d'ogni  risma  e  d'ogni  conio 
Pioveano  di  lontan  le  mille  miglia  (5), 
Per  consiglio  d'un  prete  o  del  Demonio  (6) 
Chi  mi  prese  al  gambale  e  chi  alla  fiocca, 


Gridandosi  tra  lor  :  bazza  a  chi  tocca  (7). 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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69 


Volle  il  prete,  a  dispetto  della  fede, 
Calzarmi  coll'aiuto  e  da  sé  solo  (8)  ; 
Poi  sentì  che  non  fui  fatto  al  suo  piede, 
E  allora  qua  e  là  mi  dette  a  nolo  (9)  ; 
Ora  alle  mani  del  primo  occupante 
Mi  lascia,  e  per  lo  più  fa  da  tirante. 

Facea  col  prete  a  picca,  e  le  calcagna  { 
Volea  piantarci  un  bravazzon  tedesco  (io) 


Ma  più  volte  scappare  in  Alemagna 
Lo  vidi  sul  cavai  di  san  Francesco  : 
In  seguito  tornò  ;  ci  s'  è  spedato, 
Ma  tutto  fin  a  qui  non   m'  ha   infilato  (n) 


Per' un  secolo  e  più  rimasto  vuoto, 

Cinsi  la  gamba  a  un  semplice  mercante  (12) 
Mi  riunse  costui,  mi  tenne  in  moto, 


E  seco  mi  portò  fino  in  levante  (13)  : 
Ruvido  sì,  ma  non  mancava  un  ette 
E  di  chiodi  ferrato  e  di  bullette. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


Il  mercante  arricchì,  credè  decoro 

Darmi  un  po'  più  di  garbo  e  d'apparenza  : 
Ebbi  lo  sprone,  ebbi  la  nappa  d'oro  (14), 
Ma  un  tanto  scapitai  di  consistenza  : 
E,  gira  gira,  veggo  in  conclusione 
Che  le  prime  bullette  eran  più  buone. 

In  me  non  si  vedea  grinza  né  spacco  ; 
Quando  giù  di  ponente  un  birichino  (15) 
Da  una  galera  mi  saltò  sul  tacco, 
E  si  provò  a  ficcar  anco  il  zampino  ; 
Ma  largo  largo  non  vi  stette  mai, 


Anzi  un  giorno  a  Palermo  lo  stroppiai  (16). 

Fra  gli  altri  dilettanti  oltramontani, 
Per  infilarmi  un  certo  re  di  picche, 
Ci  si  messe  co'  piedi  e  colle  mani  ; 
Ma  poi  rimase  lì  come  berlicche, 


Quando  un  cappon   (17),  geloso  del  pollaio, 
Gli  minacciò  di  fare  il  campanaio. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Da  bottega  a  compir  la  mia  rovina 
saltò  fuori  in  quel  tempo,  o  giù  di  lì, 


Un  certo  professor  di  medicina  (18), 
Che  per  camparmi  sulla  buccia,  ordì 
Una  tela  di  gabale  e  d' inganni,, 
Che  fu  tessuta  poi  per  trecent'anni. 

Mi  lisciò,  mi  coprì  di  bagattelle, 

E  a  forza  d'ammollienti  e  d' impostura 
Tanto  raspò,  che  mi  strappò  la  pelle  : 
E  chi  dopo  di  lui  mi  prese  in  cura, 
Mi  concia  tuttavia  colla  ricetta 
Di  quella  scuola  iniqua  e  maledetta. 

Ballottato  così  di  mano  in  mano, 
Da  una  fitta  d'arpie  preso  di  mira, 
EbbiTa  soffrire  un  Gallo   e  in  Catalano 


Che  si  messero  a  fare  a  tira  a  tira  : 
Alfin  fu  Don  Chisciotte  il  fortunato  (19)  ; 
Ma  gli  rimasi. rotto  e  sbertucciato, 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


Chi  m'  ha  veduto  in  piede  a  lui,  mi  dice 
Che  lo  spagnolo  mi  portò  malissimo  (20)  ; 


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M'  insafardò  di  morchia  e  di  vernice  : 
Chiarissimo  fui  detto  ed  illustrissimo  : 
Ma  di  sottecche  (21)  adoperò  la  lima  : 
E  mi  lasciò  più  sbrendoli  (22)  di  prima. 


A  mezza  gamba,  di  color  vermiglio, 
Per  segno  di  grandezza  e  per  memoria, 
M'era  rimasto  solamente  un  giglio  (23)  : 
Ma  un  papa  mulo  (24),  il  dia  voi  l'abbia  in  gloria, 
Ai  barbari  lo  die,  con  questo  patto 


Di  farne  una  corona  a  un  suo  mulatto. 


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^Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Da  quel  momento,  ognuno  in  santa  pace 
La  lesina  menando  e  la  tanaglia, 
Cascai  dalla  padella  nella  brace  : 
Viceré,   birri  e  simile  canaglia   (25) 
Mi  fecero  angherie  di  nuova  idea, 


Et  diviserunt  vestimento,  mea  (26;. 


Così  passato  d'una  in  altra  zampa 
D'animalacci  zotici  e  sversati, 
Venne  a  mancare  in  me  la  vecchia  stampa 


Di  quei  piedi  diritti  e  ben  piantati, 
Co'  quali,  senza  andar  mai  di  traverso, 
Il  gran  giro  compiei  dell'universo. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


O  povero  stivale  !  ora  confesso 

Che  m'  ha  gabbato  questa  matta  idea  : 
Quand'era  tempo  d'andar  da  me  stesso, 
Colle  gambe  degli  altri  andar  volea  ; 
Ed  oltre  a  ciò  la  smania  inopportuna 


Di  mutar  piede  per  mutar  fortuna. 


Lo  sento  e  lo  confesso  ;  e  nondimeno 
[    Mi  trovo  così  tutto  in  isconquasso, 
Che  par  che  sotto  mi  manchi  il  terreno 
Se  mi  provo  ogni  tanto  a  fare  un  passo 
Che  a  forza  di  lasciarmi  malmenare, 


Ho  persa  rabitudine  d'andare. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Ma  il  più  gran  male  me  1'  han  fatto  i  preti  (27), 
Razza  maligna  e  senza  discrezione  ; 
E  1'  ho  con  certi  grulli  di  poeti, 
Che  in  oggi  si  son  dati  al  bacchettone  (28)  : 
Non  e'  è  Cristo  che  tenga,  i  Decretali 


Vietano  ai  preti  di  portar  stivali. 


E  intanto  eccomi  qui  roso  e  negletto, 
Sbrancicato  da  tutti,  e  tutto  mota  ; 
E  qualche  gamba  da  gran  tempo  aspetto 
Che  mi  levi  di  grinze  e  che  mi  scuota  : 
Non  tedesca,   s' intende,  né  francese  ; 


Ma  una  gamba  vorrei  del  mio  paese  (29). 


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fin: 


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76 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


Una  già  n'assaggiai  d'un  certo  sère  (30), 
Che  se  non  mi  faceva  il  vagabondo, 
In  me  potea  vantar  di  possedere 
Il  più  forte  stivai  del  mappamondo  : 


Ah  !  una  nevata  in  quelle  corse  strambe 
A  mezza  strada  gli  gelò  le  gambe. 


Rifatto  allora  sulle  vecchie  forme 
E  riportato  allo  scorticatoio, 
Se  fui  di  peso  e  di  valore  enorme, 
Mi  resta  a  mala  pena  il  primo  cuoio  : 
E  per  strapparmi  i  buchi  nuovi  e  vecchi 


Ci  vuol  altro  che  spago  e  piantastecchi  (31). 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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77 


La  spesa  o  forte,  e  lunga  è  la  fatica 
Bisogna  ricucir  brano  per  brano  ; 


Ripulir  le  pillacchere  (32)  ;  all'antica 
Piantar  chiodi  e  bullette  ;  e  poi  pian  piano 
Ringambalar  la  polpa  ed  il  tomaio  : 
Ma  per  pietà  badate  al  calzolaio  ! 


E  poi  vedete  un  po'  :  qua  son  turchino, 
Là  rosso  e  bianco,  e  quassù  giallo  e  nero, 
Insomma  a  toppe  come  un  arlecchino  : 
Se  volete  rimettermi  davvero, 
Fatemi  con  prudenza  e  con  amore  (33), 


Tutto  d'un  pezzo  e  tutto  d'un  colore. 


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78 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


Scavizzolate   all'ultimo  se  v'  è 


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Un  uomo  pur  che  sia,  fuorché   poltrone  : 
E  se  quando  a  costui  mi  trovo  in   pie 
Si  figurasse  qualche  buon  padrone 
Di  far  con  meco  il  solito  mestiere, 


Lo  piglieremo  a  calci  nel  sedere. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate  79 


ANNOTAZIONI 


(1)  Il  poeta,  servendosi  della  figura  popolarmente  adottata  di  rappresentare  1'  Italia  sotto  forma 
di  uno  stivale,  ne  dà  un'  idea  geografica  graziosissima,  facendone  vedere  le  lunghe  coste  bagnate 
dall'Adriatico  e  dal  Mediterraneo,  l'estremità  superiore  cinta  dalle  Alpi  (Vorló)  e  la  catena  degli  Ap- 
pennini (la  costura)  che  la  traversa  in  quasi  tutta  la  lunghezza. 

(2)  Questo   proverbio    significa  :    da    servire    ad   ogni   strapazzo. 

(3)  Uomo  bislacco,  avventato,   irriflessivo  e  peggio. 

(4)  Allusione  all'epoca  romana  in  cui,  sotto  l' impero  d'Ottaviano,  questa  potenza  dominò  la 
più  gran  parte  del  mondo  allora  conosciuto. 

(5)  Perduto,  col  sentimento  di  libertà,  l'antico  valore,  l' impero  romano  andò  in  isfacelo  e  da 
quel  punto  cominciò  per  1'  Italia  la  triste  sequela  di  occupazioni  straniere  che  al  giorno  d'oggi  non 
sono  ancora  cessate. 

(6)  Ben  dice  il  poeta  :  «  col  consiglio  d'un  prete  »,  poiché  gli  stranieri,  da  Pipino  al  III  Napo- 
neolide,  furono  ben  quarantatre  volte  chiamati  in  Italia  dai  romani  pontefici. 

(7)  Significa  :  chi  prende,  prende. 

(8)  Allude  il  poeta  ai  vari  tentativi  fatti  dai  papi  d' impossessarsi  di  tutta  l' Italia  ;  in  ispecie 
da  Gregorio  VII,  Alessandro  VI  e  Giulio  II,  che  tutti  nutrirono  l' idea  di  un  vasto  regno  teocratico 
e  che  furon  causa  di  tanto  spargimento  di  sangue. 

(9)  Richiama  qui  in  memoria  le  invasioni  teutoniche,  che  furon  numerose  e  quasi  sempre  in- 
felici. L' impero  germanico,  protettore  nato  dell'  idea  autocratica  e  feudale,  mancò  spesso  al  suo 
mandato  scendendo  in  Italia  a  sostenere  il  papato,  che  faceva  suo  appoggio  delle  classi  popolari  e  delle 
idee  di  libertà  come  erano  intese  a  quell'epoca  ;  e  quindi  non  potè  mai  stabilire  altra  influenza  sulle 
popolazioni  italiane  che  quella  della  forza  brutale  delle   sue  numerose  armate. 

(io)  Federico  Barbarossa.  Gli  Italiani,  riuniti  contro  di  lui,  lo  sconfissero  ed  obbligarono  a  rifug- 
girsi  vergognosamente   in   Germania   per   ben   due   volte. 

(11)  Al  momento  in  cui  il  Giusti  scriveva  questa  poesia,  l'Austria,  pallido  riflesso]  dell'impero 
teutonico  dominava   ancora   nel  Lombardo-Veneto. 

(12)  Accenna  qui  alle  repubbliche  italiane,  in  ispecie  Venezia,  Genova  e  Pisa,  che  stesero  ben 
lungi  il  loro  dominio  specialmente  in  Oriente,  con  utile  grandissimo  della  loro  patria,  fino  a  che  non 
furono  fiaccate  dal  lusso  e  dallo  spirito  di  parte,  che  produsse  la  loro  ruina  a  utile  del  prete  e  della 
ignoranza. 

(13)  Crediamo  che  alluda  in  singoiar  modo  alla  spedizione  veneta  capitanata  da  Dandolo,  che 
s' impadronì  di  Costantinopoli. 

(14)  Allude  qui  al  progresso  del  lusso  e  delle  arti  belle  che,  se  produssero  nuova  gloria  all'  Italia, 
furon  causa  d' infiacchimento  generale  e  della  perdita  della  libertà. 

(15)  Discesa  di  Carlo  di  Anjou  nel  regno  di  Napoli,  che  combattè  e  vinse  Manfredo  di  Svevia, 
ma  dovette  poi  tenersi  sempre  in  armi  per  sostenere  la  sua  conquista. 

(16)  Parla  qui  il  poeta  dei  Vespri  Siciliani  (30  marzo  1282),  fatto  accettato  dalla  tradizione  po- 
polare, ma  non  dalla  storia,  che,  almeno,  lo  riduce  a  minime  proporzioni. 

(17)  Carlo  Vili  di  Francia  e  Piero  Capponi,  che  rispose  alle  sue  audaci  pretese  con  le  famose  pa- 
role :  «  Suonate  la  vostre  trombe,  noi  suoneremo  le  nostre  campane  ». 


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80  Poesie  del  Giusti  illustrate 


(18)  Famiglia  Medici,  mentovata  la  prima  volta,  nei  tumulti  avvenuti  nel  1301  in  Firenze.  Dino 
Compagni  li  chiama  di  già  «  potenti  popolani  ».  Tutti  sanno  con  quali  subdole  arti  tutti  i  membri  di 
questa  famiglia  cercarono  di  venire  in  autorità  con  distruzione  della  patria  libertà.  I  Medici  regnarono 
per  trecento  anni  (Gian  Gastone,  ultimo  di  questa  stirpe,  morì  nel  1737).  Tutti  i  mezzi  di  corruzione 
furono  buoni  per  loro,  e  la  casa  di  Lorena,  che  loro  successe,  fu  maestra  nello  snervare  e  affievolire 
l'animo  fiero  e  forte  dei  popoli  toscani. 

(19)  Guerre  al  principio  del  XVI  secolo  tra  Carlo  V  di  Spagna  e  Francesco  I  di  Francia,  com- 
battute con  varie  sorti  che  poi  riuscirono  felici  per  la  Spagna,  la  quale  restò  in  possesso  delle  pro- 
vince meridionali  e  del  ducato  di  Milano.  —  Splendido  fatto  di  queste  guerre  fu  la  disfida  di  Bar- 
letta  (1509)   sostenuta    con  tanta  gloria  da  strenui  italiani  contro  l'orgoglio  francese. 

(20)  Tutti  sanno  qual  mal  governo  fecero  gli  Spagnuoli  delle  provincie  italiane  restate  in  loro 
potere. 

(21)  Chetamente. 

(22)  Più  rotto  di  prima. 

(23)  La  repubblica  di  Firenze.  Il  comune  di  Firenze  alzava  in  tempi  antichi  per  stemma  un  giglio 
bianco  in  campo  rosso,  che  poi  fu  cambiato  in  un  giglio  rosso  in  campo  bianco. 

(24)  Clemente  VII  di  casa  Medici,  nel  trattato  di  Barcellona  con  Carlo  V,  stabilì  di  mettere  in 
trono  la  sua  famiglia  e  specialmente  Alessandro  suo  figlio  avuto  da  una  schiava  mora  e  che  perciò 
il  poeta  chiama  mulatto.  Le  infamie  di  questo  tiranno  segnano  una  delle  epoche  più  tristi  della  storia 
italiana. 

(25)  I  viceré  per  la  Signoria  di  Spagna  erano  a  Napoli  ed  a  Milano. 

(26)  «  E  si  divisero  tra  loro  le  mie  vesti,  »  cioè  mi  sminuzzarono  in  tanti  piccoli  Stati,  che  poi  si  pas- 
savano  di  mano  in  mano  secondo  la  fortuna. 

(27)  Che  i  preti  siano  sempre  stati  la  più  gran  ruina  d'  Italia,  diciotto  secoli  di  storia  ce  lo  ap- 
presero, e  ce  lo  provarono  ancor  più  le  contemporanee  vicende  in  cui  la  mano  nascosta  di  Roma  po- 
neva a   dissesto  quanto  l' intelligenza  popolare  poteva  fare  a  prò  del  suo  paese. 

(28)  Della   scuola  neo-cattolica   del  Manzoni. 

(29)  Vorrebbe  risorgere,  ma  per  propria  virtù  e  co'  propri  mezzi,  poiché  il  poeta  prevedeva  di 
già  quanto  caro  ci  sarebbe  costato  l'aiuto  di  uno  straniero  ! 

(30)  Napoleone  I,  che  cadde  in  conseguenza  della  mala  riuscita  della  campagna  di  Russia  (18 12) 
in  cui  un  gelo  straordinario  distrusse  ed  impedì  tutti  i  piani  che  la  sua  vasta  mente  aveva  concepito. 

(31)  I  trattati  del  18 15  ridussero  l' Italia  al  più  misero  stato.  —  L'Austria  predominante  dapper- 
tutto. —  I  sovrani  piuttosto  servi  che  alleati  di  questa  potenza.  —  I  patiboli,  le  galere,  le  torture 
in  permanenza  per  tutti  i  buoni  cittadini.  —  L' istruzione  nulla,  la  vita  politica  distrutta.  —  Ecco 
qual  fu  la  vita  dell'  Italia  dal  181 5  al  1860.  —  La  lezione  ci  sarà  profittevole  ?  —  Ora  sono  i  deficit 
e   la   mala   amministrazione  che  la   rovinano. 

(32)  Schizzi  di  fango.  —  Il  poeta  allude  alle  microscopiche  tirannie  allora  esistenti,  ed  al  governo 
papale  che  solo  ha  resistito  più  di  tutti. 

(33)  Il  poeta  rimpiange  la  divisione  in  tanti  Stati,  come  causa  prima  della  sventura  d'  Italia  ; 
ora  che  questi  Stati  furono  assorbiti  in  uno,  otterrem  noi  quello  che  il  poeta  desiderava,  cioè  :  L'  Ita- 
lia  una  e  senza  stranieri  ? 


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POESIE    DEL    GIUSTI    ILLUSTRATE 


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Fascicolo  6 


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A    SAN    GIOVANNI  (I) 


(1837) 


In  grazia  della  zecca  fiorentina 

Che  vi  pianta  a  sedere  in  un  ruspone,  . 
O  san  Giovanni,  ogni  fedel  minchione 
A  voi  s' inchina. 

Per  voi  sconvolto  il  mondo  e  indiavolato 
S'agita  come  mare  in  gran  burrasca  : 
Il  vostro  atueo  vapor  giù  dalla  tasca 
Dello  scapato 

Sgorga  in  pioggia  continua,  feconda 


Al  baro,  al  sarto,  a  epicureo  vivaio  ; 


E  s' impaluda  in  man  dell'usuraio 
Pestifer'onda  (2). 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


Dal  turbante  invocato  e  dalla  stola 
Siete  del  pari  :  a'  santi,  ai  birichini, 
Ai  birri  smessi  quondam  giacobini 
Voi  fate  gola  (3). 


Gridano  Ave  sftes  unica  in  un  coro 


A  voi  scontisti,  bindoli  e  sensali, 
A  voi  per  cui  cancellan  le  cambiali 
Il  libro   d'oro   (4). 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


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Vecchia  e  novizia  deità,  che  il  callo 
Ha  già  sul  core  e  pudicizia  ostenta, 


Perde  le  rose  e  itterica  doventa 

Del  vostro  giallo  (5). 

Il  tribuno  che  tiene  un  piede  in  Francia 
L'altro  a  Modena  e  sta  tra  due  sospeso, 
Alza  ed  abbassa  al  vostro  contrappeso 
La  rea  bilancia  (6). 

Voi,  ridotto  a  trar  sangue  da  una  rapa, 
Dal  giorno  che  impegnò  la  navicella, 


Chiama  al  deserto  della  sua  scarsella 
Perfino  il  papa  (7). 


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'Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Salve,  o  bel  conio,  al  secolo   mercante 
Polare  stella  !  Ippocrate,  il  giornale, 
E  la  monomania  trascendentale 

Filosofante, 

E  prete   Apollo  in  maschera  che  predica 
Sempre  pagano  sull'arpa  idumea, 
Fidano  in  te,  ponsando  diarrea 

Enciclopedica  (8). 


O  mondo,  mondo  !  oh  gabbia  d'armeggioni, 
Di  grulli,  di  sonnambuli  e  d'avari, 
I  pochi  che  per  te  fan  de'  lunari  (9) 
Son  pur  minchioni  ! 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


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Non  delle  sfere  l'armonia  ti  guida, 
Ma  il  magnetico  suon  delle  monete. 


Francia  s'arruffa  intanto  nella  rete 
Del  birro  Mida  (io). 

Sostien  l'amico   (n)  con  un  laccio  al  collo 
Anglia  con  fede  che  la  greca  eclissa  : 
Lacera  il  Belgio  la  volpina  rissa 

D'un  protocollo  (12). 

In  furor  di  cannibali  si  cangia 

Lo  scisma  ibero  che  sé  stesso  annienta, 
Cannibale  peggiore  or  lo  fomenta, 

Poi  se  lo  mangia  (13). 

Sognan  d'  Italia  i  popoli  condotti 
Con  sette  fila  (14)  in  cieco  laberinto  : 


Giocano  i  re  per   arte  e  per  istinto 

Ai  bussolotti. 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


Se  l' inumana  umanità  si  spolpa, 
Se  a  conti  fatti  gli  asini  siam  noi, 
Caro  Giovanni,  un  santo  come  voi 
N'avrà  la  colpa  ? 

Colpa  è  di  questi  figli  del  demonio 
Che  giran  per  le  tasche  a  voi  confusi, 
Di  cui  vedete  le  sentenze  e  i  musi 

Brillar  nel  conio  (15). 

Colpa  di  moltitudine  che  anela 
Far  da  leon  col  core  impecorito  ; 


Falsificando  il  cuojo  ed  il  ruggito 
Sbadiglia  e  bela. 

Che  dico  mai  ?  Di  scettri  e  candelieri 
A  questa  gente  non  importa  un  ette  : 
Tribune  invade  e  cattedre  e  gazzette 
Furor  di  zeri. 

Guerra  non  è  di  popoli  e  sovrani, 

E  guerra  di  chi  compra  e  di  chi  vende  : 
E  il  moralista  addirizzar  pretende 

Le  gambe  ai  cani  ?   (16) 

Ah  !  predicar  la  Bibbia  o  l'Alcorano, 
San  Giovanni  mio  caro,  è  tempo  perso  : 


Mostrateci  la  borsa,  e  1'  universo 

Sarà  cristiano  (17). 


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Voesie  del  Giusti  illustrate  89 


ANNOTAZIONI 


(1)  San  Giovanni  Battista  è  il  protettore  della  città  di  Firenze  e  ad  esso  è  dedicato  il  battiste- 
ro, ove  trovansi  quelle  porte  di  bronzo  che  si  disse  esser  degne  del  paradiso,  se  nel  paradiso  vi  fos- 
sero porte  e  mura,  e  per  le  quali  va  celebre  pei  secoli  il  nome  di  Lorenzo  Ghiberti. 

La  repubblica  di  Firenze,  benché  avesse  per  stemma  il  leoncino  rampante  o  Marzocco,  come  Roma 
e  Siena  ebbero  la  lupa,  Venezia  il  leone  alato,  Torino  il  toro,  Napoli  il  cavallo  e  Milano,  ai  tempi  dei 
Visconti,  la  biscia,  soleva  imprimere  nella  moneta  d'oro  l'effigie  del  protettore,  e  fra  le  antiche 
monete  più  note  v'erano  lo  zecchino,  del  valore  di  circa  1 1  franchi  e  il  triplo  zecchino,  che  si  chia- 
mava ruspone,  coniato  con  oro  senza  lega,  in  modo  da  restarne  pieghevole  e  malleabile.  Il  triplo 
zecchino,  o  ruspone,  si  è  continuato  a  coniare  fino  al  tempo  della  riforma  monetaria  del  regno  ed 
anche  nel  tempo  del  principato  ;  non  ha  mai  portata  altra  effigie  che  quella  di  san  Giovanni  Batti- 
sta da  un  lato  e  del  giglio  fiorentino  dall'altro,  sicché  chiamavasi  anche  gigliato  d'oro. 

(2)  Qui  il  ruspone,  è  preso  per  simbolo,  ed  è  significato  il  tutto  nella  parte,  alludendo  alla  ultra- 
potenza dell'oro,  all'uso  proficuo  ed  immorale  che  se  ne  fa  e,  direm  così,  allo  stillicidio  continuo  e 
lento  che  di  esso  si  fa  nei  forzieri  degli  usurai. 

(3)  In  questa  strofa,  come  ben  si  scorge,  il  poeta  fa  conoscere  come  l'oro  sia  da  tutti  ricercato,  dal 
prete  come  dal  turco  ed  eretico,  dai  santi,  dai  malviventi,  e  come  in  virtù  di  esso  non  pochi  amanti 
di  libertà  si  siano  venduti  al  principato  dispotico  ed  abbiano  assunta  la  ignobile  carica  di  birri  alti, 
o  bassi.  Non  è  ignoto  come  non  pochi  carbonari  si  vendessero  al  duca  di  Modena  e  ad  un  Fer- 
dinando di  Napoli,  e  ci  venne  assicurato  che  negli  archivi  segreti  di  Napoli  trovansi  molte  suppliche 
di  persone  che  si  credeva  appartenessero  al  partito  liberale,  che  chiedevano  un  impiego  a  detto  re 
Ferdinando.  —  Questo  è  un  fenomeno  di  immoralità  politica,  che  pur  troppo  si  è  notato,  dal  Guic- 
ciardini ai  nostri  tempi,  in  ogni  restaurazione  principesca  o  distruzione  di  secolare  repubblica  ;  e 
così  di  rado  avvenne  che  ad  idee  nuove  tenessero  dietro  cose  nuove  ed  uomini  nuovi. 

(4)  Il  Libro  d'oro  era  una  vacchetta  qualunque,  in  cui  scrivevansi  le  nascite,  i  matrimoni  e 
le  morti  delle  famiglie  nobili.  Noi  vedemmo  quello  famoso  della  repubblica  di  Venezia,  e  ci  parve 
cosa  miserissima  per  quel  che  fosse  la  carta  e  la  legatura.  In  quell'occasione  ci  fu  raccontato  il  se- 
guente aneddoto  :  quando,  dopo  il  trattato  infaustissimo  di  Campoformio,  l'Austria  ebbe  da  Napo- 
leone I  in  cessione  il  territorio  della  Repubblica  veneta,  fu  cura  premurosa  del  gabinetto  aulico  di 
invitare  il  conservatore  e  bibliotecario  degli  archivi  veneti  di  spedire  con  buona  scorta  a  Vienna  il 
Libro  d'oro.  Convenne  ubbidire  e,  colla  scorta  di  sicurezza,  il  famoso  libro  fu  colà  portato.  Se  non 
che,  visto  che  non  era  d'oro  massiccio,  ma  che  era  un  semplice  libriccino  coperto  di  marocchino  nero, 
fu  restituito  e  riposto  negli  archivi  de'   Frari. 

Qui  vi  è  inoltre  una  pungente  satira  per  i  nostri  nobili,  i  quali,  prima  della  rivoluzione  italiana, 
meno  poche  onorevoli  eccezioni,  erano  rimasti  presso  a  poco  tali  quali  li  dipinse  il  Parini  nel  suo 
immortale  poemetto  :  comechè  ricchi  di  vizio  e  non  curanti  dei  progressi,  delle  industrie,  dei  com- 
merci e  dell'agricoltura,  assottigliavano  il  loro  avito  patrimonio  a  forza  di  cambiali  non  pagate, 
avallate  e  riavalliate  poi  fino  al  fallimento. 

(5)  Qui  allude  agli  usurai,  scontisti  (allora  non  erano  ancora  sorti  i  borsaiuoli)  ed  altra  gente 
che  speculava  sulle  prodigalità  e  sui  vizi  dei  ricchi  insensati  e  li  descrive  quali  sono,  senza  viscere 
e  senza  carità,  e  con  un'unica  religione,  quella  del  denaro. 


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90  Toesie  del  Giusti  illustrate 


(6)  Qui  allude  alla  compra  e  vendita  della  coscienza  ed  alla  teoria  del  tornaconto,  che  in  oggi 
è  professata  pur  troppo  in  tutto  il  mondo  civile. 

(7)  Qui  si  allude  all'  ingente  debito  dello  Stato  Pontificio,  che  poi  in  gran  .parte  è  venuto  in 
eredità  al  regno  d'  Italia. 

(8)  In  questa  strofa  il  Giusti  si  fa  a  dire  come  i  medici,  i  filosofi,  i  giornalisti,  i  preti  ed  i  poeti, 
brevemente  tutte  le  classi  sociali,  fidano  ed  invocano  il  vitello  d'oro,  idolo  del  genere  umano  fino 
dalla  traversata  degli  Israeliti  nel  deserto. 

(9)  Patiscono  la  fame. 

(io)  Vuoisi   che  Luigi   Filippo   fosse   il   figlio   del   birro   fiorentino   Chiappini,  come  già  si  disse. 

(11)  Cioè,  Luigi  Filippo. 

(12)  È  noto  come  per  l'assestamento  del  regno  del  Belgio  ben  sessantaquattro  progetti  o  pro- 
tocolli~si  discussero  dalla  diplomazia,  e  durarono  le  trattative  non  meno  di  otto  anni. 

(13)  Qui  è  pennelleggiata  la  contesa  fra  la  regina  Cristina  e  Don  Carlos,  e  fra  i  costituzionali 
ed  i  legittimisti  e  clericali.  — ■  Inoltre  si  allude  agli  incoraggiamenti  dati  alla  rivoluzione  dal  go- 
verno inglese,  desideroso  di  aprire  un  largo  mercato  in  Ispagna  ai  suoi  prodotti  industriali,  alle  sue 
armi  ed  alle  sue  munizioni  come  oggi. 

(14)  Allude   ai    sette   sovrani   che    si   spartivano   il   dominio   dell'  Italia. 

(15)  Le  altre  monete. 

(16)  Cioè,   fare  l'impossibile. 

(17)  Qui  è  preso  di  mira  l' indifferentismo  religioso  e  le  frequenti  apostasie  indotte  dall'  interesse 
in  coloro  che,  o  non  hanno  profonde  convinzioni,  o  hanno  una  coscienza  tanto  elastica  da  servire  ad 
un  tempo  a  Dio  ed  a  Moloch. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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LORENZO   BARTOL1NI 


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LA  FIDUCIA  IN  DIO 


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LA   FIDUCIA   IN    DIO 


STATUA    DI  BARTOLINI  (i) 


Come  dicesse  a  Dio  :  D'altro  non  calme. 

(Dante,  Purgatorio.) 


Quasi  obliando  la  corporea  salma, 
Rapita  in  Quei  che  volentier  perdona, 
Sulle  ginocchia  il  bel  corpo  abbandona 
Soavemente  e  l'una  e  l'altra  palma. 


Un  dolor  stanco,  una  celeste  salma 
Le  appar  diffusa  in  tutta  la  persona  : 
Ma  nella  fronte  che  con  Dio  ragiona 
Balena  l' immortai  raggio  dell'alma  : 

E  par  che  dica  :  —  Se  ogni  dolce  cosa 
M' inganna,  e  al  tempo  che  sperai  sereno 
Fuggir  mi  sento  la  vita  affannosa  ; 


Signor,  fidando,  al  tuo  paterno  seno 
L'anima  mia  ricorre,  e  si  riposa 
In  un  affetto  che  non  è  terreno. 


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ANNOTAZIONI 


(i)  Lorenzo  Bartolini,  amico  e  discepolo  di  Canova,  si  può  dire  che  fesse  il  complemento  di 
quello.  —  Egli  era  già  maturo  e  valente  scultore  quando  cadde  il  primo  impero,  e  mi  torna  alla  mente 
quel  dì,  che  egli,  additandomi  nel  suo  studio  una  colossale  statua  di  Napoleone  I,  ordinatagli  dal 
municipio  di  Ajaccio,  dicevami  :  quei  tempi  devono  tornare,  e  questa  statua  uscirà  dal  lungo  suo 
carcere. 

Il  Bartolini  educò,  nell'Accademia  di  belle  arti  di  Firenze,  dove  era  professore  dell'arte  scul- 
toria, e  più  nel  suo  studio  di  via  S.  Frediano,  noto  agli  esteri,  direi  quasi  più  che  ai  fiorentini,  una 
generazione  di  scultori  che  nobilitarono  l'arte  assieme  col  paese  natale.  —  Virtualmente  si  può  dire 
che  Costoli,  Santarelli,  Fantacchiotti,  Cambi,  Duprè,  Romanelli,  Pampaloni,  Fedi,  Pazzi  ed  altri 
celebrati  artisti  che  vanta  Firenze,  si  inspirarono  alle  opere  e  ai  consigli  del  Bartolini. 

Egli  voleva  l' ideale  nel  reale  e  senz'ombra  di  manierismo  ;  in  che  purtroppo  un  cotal  poco  peccò 
lo  stesso  Canova. 

Al  purismo  dei  Tordwaldson,  dei  Tenerani,  dei  Finelli  ed  altri  insigni  scultori  di  Roma  egli 
non  fu  devoto  sì,  che  al  convenzionale  sacrificasse  il  vero  ;  e  se  tuttora  vivesse  non  accetterebbe 
neppure  per  intero  la  morbidezza  e  la  grazia  del  Velia  e  del  Magni. 

Bartolini  fece  parte  del  celebre  quadriumvirato  fiorentino  ;  e  maneggiava  lo  scalpello  nei  tempi 
che  il  Sabatelli  maneggiava  il  pennello,  Niccolini  scriveva  Y Arnaldo  da  Brescia,  e  il  Cherubini  si  im- 
mortalava nella  musica  specialmente  sacra. 

Bartolini,  che  fu  splendido,  onesto,  liberale  e  disinteressato  sempre,  morì  povero  e  si  vide  ag- 
giudicata ai  creditori  la  sua  propria  casa. 

Egli  amò  l'arte  per  l'arte  e  non  ne  fece  mercimonio.  — ■  Restano  non  pochi  de'  suoi  lavori  in  Italia 
a  far  testimonianza  della  sua  valentia  nella  scoltura  e  a  dimostrare  quanto  egli  mai  fosse  dentro 
alle  ragioni  dell'estetica  artistica.  —  Però  il  maggior  numero  delle  sue  opere  passò  le  Alpi  e  andò 
ad  ornare  le  gallerie  di  non  pochi  principi. 

Egli  ebbe  il  senso  del  bello,  ma  il  bello  non  lo  fece  consistere  nel  puro  plasticismo  e  nella  rego- 
larità e  grazia  delle  forme.  Il  bello  ideale  egli  non  lo  staccava  mai  dal  bene  ideale  e  dall'espres- 
sione intellettuale,  avvisando  che  il  bello  e  il  buono  non  possono  andare  tra  di  loro  disgiunti,  né  sepa- 
rati dalla  espressione  intellettuale,  essendo  queste  le  tre  forme  indivise  con  le  quali  si  palesa  all'uma- 
nità l'eterno  Facitore  delle  cose  ;  è  quindi  il  subbietto  naturale  delle  belle  arti,  le  quali  debbono 
poggiare  alla  idealità  nella  stessa  materialità,  se  aspirano  ad  esercitare  ed  assumere  fra  gli  uomini 
un  apostolato  civile. 

Che  se  all'  Italia  niuno  potè  ancora  carpire  il  serto  del  primato  nella  scoltura,  e  la  stessa  Espo- 
sizione mondiale  di  Parigi  ne  porse  conferma,  per  gran  parte  il  merito  si  deve  attribuire  al  Bartolini 
che  presentì  i  tempi  ed  incarnò  le  aspirazioni  con  la  maestria  delle  linee,  guidata  da  un  concetto 
che  trascende  i  sensi. 

Basta  dare  uno  sguardo  alla  bella  sua  statuetta  della  Fiducia  in  Dio  per  conoscere  che  egli  ha 
creduto  bene  di  allontanarsi  dai  concetti  mitologici,  tanto  cari  a  Canova,  Finelli  e  Tenerani,  e  che 
egualmente  si  è  tenuto  lontano  dal  purismo  smilzo  neo-cattolico,  anche  questo  appellando  ad  una 
società  che  è  sparita  dal  mondo  ed  a  credenze  di  altri  tempi. 

Bartolini  voleva  che  alle  belle  arti  si  chiudesse  il  tempio  dell'antichità  delle  persone,  cose  e 
credenze  morte,  e  si  aprisse  quello  dell'avvenire.  Egli,  a  nostro  giudizio,  bene  avvisò,  imperocché 
se  si  può  apprendere  il  muto  tecnicismo,  non  si  possono  animare  i  marmi  imitando  gli  originali 
greci. 

La  fiducia  in  Dio  —  pensa,  frega  e  spera  —  con  quella  calma  serena  che  si  addice  alla  innocenza 
e  a  quel  sicuro  trionfo  della  virtù,  che  forte  parla  alle  coscienze  incorrotte. 

Questa  statuetta  fu  ed  è  soltanto  pregiata  appunto  perchè,  sotto  l' impassibilità  marmorea,  vi 
è  un   pensiero,  una  fede  e  una  speranza  palpitanti. 


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POESIE    DEL    GIUSTI    ILLUSTRATE 


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Poesie  del  Giusti  illustrate.  —  edizione  nerbi  ni 


Fascicolo  7. 


Poesie  del  Giusti  illustrale 


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BRINDISI  (,) 


Amici,  a  crapula 
Non  ci  ha  chiamati 
Uno  dei  soliti 
Ricchi  annoiati, 

Che  per  grandigia 
Sprecando  inviti, 
Gonfia  agli  applausi 
De'  parassiti. 

A  diplomatica 
Mensa  non  siamo 


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D'un  Giuda  in  carica 
Che  getti  l'amo, 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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E  tra  gì'  intingoli 
E  tra  i  bicchieri 
In  prò  de'  Vandali 
Peschi  i  pensieri  (2). 

Ma  un  capo  armonico, 
Volendo  a  cena 
Una  combriccola 
Di  gente  amena, 

S'  è  messo  in  animo 
Di  sceglier  noi, 
Di  mezza  taglia, 
Compagni  suoi  ; 


Razza  burlevole 
Che  non  dà  retta 
Ai  gravi  ninnoli 
Dell'etichetta. 

Difatti  esilia 

Da  questa  stanza 
La  parte  mimica 
Dell'eleganza  : 


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^Poesie  del  Giusti  illustrate  101 


Né  per  mobilia 
Si  pianta  allato 
Tanto  la  seggiola 
Che  il  convitato. 

Non  ci  solletica 
Con  cibi  strani, 
Sì  che  lo  stomaco 
Senta  domani 

Fastidio  insolito 
Di  stare  in  briglia 
Nell'ordinario 
Della  famiglia. 

Non  ci  abbarbaglia    . 
Coll'apparecchio, 
Perchè  del  pubblico 
S'empia  l'orecchio, 

Sulle  stoviglie, 
Sul  vasellame, 
D'un  panegirico 
Nato  dì  fame. 

Queste  son  misere 
Ambizioncine 
Di  teste  anomale 
E  piccinine, 

Che  nel  silenzio 
D'un  nome  nullo 
Per  fare  strepito 
Fanno  il  Lucullo  : 

Son  ammennicoli 
E  spampanate 
Di  certe  anonime 
Birbe  dorate, 

Che  tra  noi  ronzano 
Alla  giornata 
Come  gli.  opuscoli 
Di  falsa  data  (3)  ; 

E  così  tentano 
Turar  la  bocca 
Sopra  un'origine 
Lercia  o  pitocca. 


siic 


nifi? 


Sii" 


I02 


Toesie  del  Giusti  illustrate 


Oppur  son  cabale 
Da  rifiniti, 
Che  alla  vigilia 
D'andar  falliti 

Si  danno  l'aria 
Dell'uomo  grande, 
Che  ha  l'oro  a  staia, 
Che  spende  e  spande. 

Qui  non  si  veggono 
Fin  sulla  scala 
Tappeti,  fronzoli, 
Livree  di  gala  : 

Né  di  risparmio 
Bizzarro  impasto 
Sotto  i  magnifici 
Fumi  del  fasto, 


Immaginatevi 
Passar  via  via 
Lanterna  magica 
Di  piatteria, 

Per  cui  s'annosano 
Arrosto  e  vino, 
Mostrato  in  copia, 
Datola  miccino. 


Sili: 


3«F 


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^Poesie  del  Giusti  illustrate 


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103 


Qui  non  ci  decima 
Sempre  il  migliore 
Il  sotterfugio 
D'un  servitore. 

Che  d'oro  luccichi 
Le  spalle  e  il  petto, 
E  di  panatica 
Viva  a'  stecchetto. 

Di  qui  non  tornano 
Polli  in  cucina 
Buoni  a  rifriggersi 
Per  domattina  (4)  ; 

Ma  i  piatti  girano 
Tre  volte  almeno  : 


Non  si  può  muovere 
Chi  non  è  pieno  ; 


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104  Poesie  del  Giusti  illustrate 


E  tutti  asciugano 
Bottiglie  a  scialo 
Senza  battesimi, 
Né  prese  a  calo, 

Che  vanno  e  vengono 
Sempre  stappate, 
E  si  licenziano 
Capivoltate. 

Ecco  un'  immagine 
Pretta  e  reale 
Del  fare  omerico, 
Patriarcale  ; 

Ecco  la  satira 

Chiara  e  lampante 
D'un  pranzo  funebre 
Detto   elegante, 

Ove  si  cozzano 
Piatti  e  bicchieri 
In  un  mortorio 
Di  ghiotti  seri  ; 

E  lì  tra  gli  abiti 
E  i  complimenti, 
L' imbroglio,  il  tedio 
T'allega  i  denti  ; 

O  ti  ci  ficcano 
Così  pigiato, 
Che  senza  gomiti 
Bevi  impiccato. 

A  un  tratto  simile 
Di  cortesia, 
Risponda  un  brindisi 
Pien  d'allegria, 

Ma  schietto  e  libero, 
Sì  che  al  padrone 
Non  mandi  l'alito 
Dello  scroccone. 

Adesso  in   circolo 
Diamo  un'occhiata 
Tastando  il  debole 
Della  brigata. 


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Toesie  del  Giusti  illustrate  105 


Siam  tutti  giovani, 
E,  grazie  al  cielo, 
In  corpo  e  in  anima , 
Tutti  d'un  pelo  ; 

Tutti  di  lettere 
Infarinati  ; 
Tutti  all'unisono 
Per  tutti  i  lati. 

Se  come  Socrate 
Talun  qui  pensa 
In  accademia 
Mutar  la  mensa, 

Siam  tutti  all'ordine, 
Al  suo  comando, 
Tagliati  a  ridere 
Moralizzando. 

Ma  sulla  cattedra 
Resti  ogni  lite 
Di  metafisiche 
Gare  sciapite  ; 

Fuori  il  puntiglio, 
Fuori  il  vanume, 
Fuori  il  chiarissimo 
Pettegolume. 

Un  basso  strepito 
Si  sa  per  prova 
Che  il  tempo  lascia 
Come  lo  trova  " 

E  in  vii  ricambio 
Di  fango  o  incenso; 
Vi  gioca  a  scapito 
Fama  e  buon  senso. 

Se  poi  v'accomoda 
O  male  o  bene. 
Dire  in  disordine 
Quel  che  vien  viene  ; 

Zitte  le  ciniche 
Baie  all'  ingrosso, 
Che  a  tutti  trinciano 
La  giubba  addosso  ; 


gl'I  "^ 

106  'Poesie  del  Giusti  illustrate 


Zitto  l'equivoco 
Da  Stenterello, 
Che  sa  di  bettola 
E  di  bordello  ; 

Facciam  repubblica 
Senza  licenza  : 
Nessun  ci  addebiti 
Di  maldicenza  : 

E  tra  le  celie 
Del  lieto  umore 
Tutti  si  scottino 
Meno  il  pudore. 

Se  nelle  lepide 
Gare  d'  ingegno 
Tizio  o  Sempronio 
Dà  più  nel  segno  ; 


Se  a  fin  di  tavola 
E  a  naso  rosso 
Una  facezia 
V'arriva  all'osso  ; 

Non  fate  broncio 
Come  taluno, 
Che,  se  nel  muoversi 
Lo  tocca  un  pruno, 


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Poesie  del  Giusti  illustrate  107 


Soffia,  s'  inalbera 
E  si  scorruccia 
E  per  cornaggine 
Si  rincantuccia. 

È  vero  indizio 
Di  testa  secca, 
Quando  la  boria 
Ti  fa  cilecca  (5), 

Buttarsi  al  serio 
Dietro  un  ripicco 
Nato  da  stimolo 
Di  fare  spicco. 

Certa  lunatica 
Stiticheria 
Copra  1'  invidia 
Di  vecchia  arpìa. 

Che  in  mezzo  secolo 
Non  s'  è  cavata 
Nemmen  la  smania 
Di  esser  tentata  : 

E  nella  noia 

Di  quattro  mura 
Si  tappa  al  vizio 
Che  non  la  cura. 

O  giovi  ai  satrapi 
Che  stanno  in  tuono, 
E  nel  bisbetico 
Cercano  il  buono  : 

Con  dommi  stitici 
Da  veri  monchi, 
La  via  s' impacciano 
Di  mille  bronchi  ; 

E  si  confiscano 
I  cinque  sensi 
Vivendo  a  macchina 
Come  melensi. 

Come  ?  un.  ascetico 
Di  cuore  eunuco, 
In  dormiveglia 
Tra  il  santo  e  il  ciuco. 


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ditè 


108  Poesie  del  Giusti  illustrate 


Scomunicandoci 
L'umor  giocondo, 


Vorrà  rimettere 

Le  brache  al  mondo  ? 

Oh,  senza  storie 
Tanto  noiose, 
I  savi  cingono 
Bontà  di  rose  ; 

E  praticandola 
Cortese  e  piana, 
La  fanno  agevole 
E  popolana. 

All'uomo  ingenuo 
Non  fa  lusinga 
Certa  selvatica 
Virtù  solinga  ; 

Virtù  da  istrice, 
Che  stuzzicato 
Si  raggomitola 
Di  punte  armato. 

Lasciamo  i  ruvidi, 
Che  a  grugno  stufo 
La  gente  scansano 
Facendo  il  gufo, 

Chiusi  al  contagio 
Del  mondo  infetto 
Di  sé  medesimi 
Nel  lazzaretto  (6). 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


arni 


109 


Noi,  nati  a  starcene 
Fuor  del  deserto, 
Fra  i  nostri  simili, 
Col  cuore  aperto, 

Tiriamo  a  vivere 
Da  buona  gente, 
Raddirizzandoci 
Piacevolmente. 

Qui  l'amor  proprio 
Sia  cieco  e  sordo  ; 
Qui  punzecchiamoci 
Tutti  d'accordo  ; 

E  senza  collera, 
Né  grinta  tosta 


Facciamo  a  dircele 
Botta  e  risposta. 


§11; 


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no  Poesie  del  Giusti  illustrate 


Meglio  alla  libera 
Buttarle  fuori, 
Che  giù  nel  fegato 
Covar  rancori, 

Falsare  un  animo 
Meschino  o  reo, 
Sotto  ralchimia 
Del  galateo. 

Ai  galantuomini 
Non  fa  paura 
Una  reciproca 
Gaia  censura. 

All'amichevole 
Burlarsi  un  poco, 
Fa  prò,  solletica, 
Riesce  un  giuoco  ; 

E  quel  sentirsele 
Dire  in  presenza, 
Prova  l'orecchio 
Della  coscienza. 

Ma  già  le  snocciola 
Come  le  sente 
Tanto  la  Camera 
Che  il  Presidente  (7). 

Già  della  chiacchiera 
L'estro  s' infiamma  ; 
Sento  l'aculeo 
Dell'epigramma  ; 

Gli  atleti  s'armano 
Tutti  a  duello, 
Guai  alle  costole 
Di  questo  e  quello. 

Bravi,  la  gioia 
Che  qui  sfavilla, 
Del  fluido  elettrico 
Par  la  scintilla, 

Che  dal  suo  carcere 
Appena  mossa, 
Il  primo  e  l'ultimo 
Sente  la  scossa. 


51H  =«& 


=u)ii: 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


=TH!fe 


III 


Via,  ricordiamoci 
Di  fare  in  modo 
Che  il  dire  e  il  bevere 
Non  faccia  nodo, 

E  se  ci  pencola 
Sotto  il  terreno, 


o-i«- 


Rimanga  in  bilico 
La  testa  almeno  (8). 


5iiii 


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II2  Poesie  del  Giusti  illustrate 


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ANNOTAZIONI 


(i)  Per  quanto  siano  corse  le  mie  indagini,  pare  che  il  nostro  poeta  scrivesse  e  recitasse  il 
presente  brindisi  ad  un  pranzo  di  famiglia  dato  da  Lorenzo  Marini  di  Pescia. 

Questa  poesia,  piena  di  grazia,  di  brio,  di  vivacità  e  di  pungente  critica,  ci  fa  conoscere  ad  un 
tempo  quanto  d'umor  gioviale  e  giocondo  fosse  nel  1838  il  Giusti  e  come  i  vendifumi  blasonati  fos-. 
sero  in  quel  tempo  una  delle  non  poche  piaghe  della  Toscana. 

Ci  vollero  grandi  delusioni  e  somme  sventure  della  patria  per  imprimere  nella  fronte  dell  alto 
poeta  le  stigmate  della  malinconia  e  per  riempirgli  il  cuore  di  amarezza. 

Lo  scrittore  di  queste  righe  rammenta  di  aver  veduto  il  Giusti  (e  fu  l'ultima  volta)  oltremodo 
mesto  e  scorato  nel  giugno  del  1849.  —  Nell'atto  che  ad  esso  si  presentava  il  valente  scultore  Ro- 
manelli, già  bandito  dalla  Toscana  per  decreto  della  Commissione  di  Governo,  e  per  1  buoni  uffizi 
dell'amico  abilitato  a  rimanervi,  egli  diceva  allo  scrivente  :  Vedi  tu  quel  sacerdote  in  rossa  e  sfug- 
gevole -parrucca  che  difilato  muove  verso  la  porta  di  Palazzo  Vecchio  ?  —  Mirarlo  col  volto  proffi- 
gato  e  con  un  fascio  di  carte  in  mano.  —  Sai  tu  ?  quelle  sono  note  di  proscrizione  !  Pensa  che  ogni 
dì  di  questi  calabroni  reazionari  ne  giungono  non  pochi  alla  Commissione  di  Governo,  che  per  timor 
di  peggio  e  di  essere  sbalzata  bisogna  pure  che  qualche  cosa  essa  loro  conceda. 

Tutta  la  Valdinievole  e  molte  elette  società  di  Pisa,  Firenze  e  Livorno  rammentano  ancora  1 
tratti  di  spirito  satirici  se  vuoi,  ma  non  avvelenati,  coi  quali  sapeva  il  Giusti  condire  1  suoi  discorsi 
e  che  emanavano  come  fuoco  elettrico  dalla  sua  bella  mente,  dall'amore  della  virtù  e  dallo  sdegno 
a  cui  lo  movevano  i  vizi,  specialmente  se  meschini  ed  ignobili. 

Gli  anni,  l'epatite,  il  timore  di  essere  stato  morsicato  da  un  gatto  idrofobo  e  sopratutto  le 
miserie  d'  Italia  e  le  improntitudini  di  molti  fra  gli  italiani,  lo  resero  iracondo,  sdegnoso  e  diro 
ancora   sfiduciato  ed  oltremodo  malinconico.  .  . 

(2)  Fra  le  arti  infernali  adoperate  dalla  Polizia  —  non  però  a  vero  dire  molto  usitate  in  .to- 
scana —  eravi  quella  di  introdurre  qualche  birro  mascherato  nelle  congreghe  dei  liberali  e  di  pro- 
muovere pranzi,  feste  e  cene  onde  carpir  loro  i  segreti. 

Noi  ci  trovavamo  nel  1833  in  Parma  e  potemmo  venire  in  cognizione  che  un  finto  liberale  e 
finto  esule  di  Modena,  convitò  a  banchetto  gran  parte  della  più  calda  gioventù  di  quella  citta  — 
Non  vale  il  dire  che  si  propiziò  alla  libertà  d' Italia  e  che  il  giorno  di  poi  il  feroce  commissario  Sar- 
torius  (ucciso  in  appresso  in  una  piazza)  li  fece  carcerare. 

(3)  A  quel  tempo  la  stampa  clandestina  cominciava  ad  assumere  quell  apostolato  civile,  che  fu 
di  tanto  giovamento  a  preparare  i  moti  del  1848;  i  quali,  volere  o  non  volere  sono  stati  quelli 
che  hanno  fatto  mutar  faccia  all'  Europa  ed  hanno  instaurato  l'èra  novella.  —  La  maggior  parte 
degli  opuscoli  che  si  spargevano  in  Italia,  portavano  la  data  di  Lugano  o  di  Bastia.  —  In  quel 
tempo  la  stampa  clandestina  fu  un'utile  provvidenza  -  oggi,  colla  piena  liberta  della  stampa  che 
abbiamo,  non  sarebbe  che  una  vigliaccheria.  ...  . 

(4)  Qui  il  poeta,  ridendo,  castiga  il  fasto  borioso  che  va  compagno  alla  spilorceria  —  e  fa 
pure  allusione  a  quella  gherminella  alla  quale  sogliono  appigliarsi  non  pochi  sconcertati  nelle  fi- 
nanze alla  vigilia  del  fallimento.  -  Vecchie  trappolerie  sono  queste  e  ben  conosciute,  ma  pur  troppo 
il  gregge  dei  gonzi  è  molto  numeroso,  e  dei  barattieri  e  trappoloni  nuovi  ogni  di  se  ne  presentano 
sulla  scena  del  mondo. 

(0  Far  cilecca,  significa  accennare  e  non  dare.  , 

(6)  Qui  riprende  i  moralisti  pedanti,  i  quali  credono  col  renderci  la  virtù  ostica,  disadorna,  spi- 
nosa e  peggio,  di  farla  gradita  e  rispettata.  -  La  virtù  non  ha  bisogno  di  orpelli  e  di  magniloquenza 
per  far  sì  che  gli  uomini  s' innamorino  di  lei,  una  volta  che  sia  veduta  nella  sua  punta.  -  Parlate 
al  cuore  e  il  cuore  vibrerà  e  si  entusiasmerà  !   Ma  per  parlare  al  cuore  1  pedanti  vecchi  e  nuovi 

non  sono  adatti.  ,  .  .     .  ,     „„,„„jor„ 

(7)  Da  questi  due  versi  si  scorge  che  fino  dal  1838  i  giovani  colti  cominciavano  ad  apprendere 
la  fraseologia  parlamentare.  Noi  vivemmo  quel  tempo  e  il  nostro  ideale  era  quello  della  costituzio- 

^Vcofmoka  saviezza  il  poeta  chiude  il  suo  brindisi.  Dopo  aver  detto  della  franchezza  nel 
correggersi  a  vicenda  e  della  necessità  di  moderare  la  soverchia  suscettività  eh  un  amor  proprio 
male  inteso,  inculca,  a  modo  di  conclusione,  la  massima  che  è  lecito  rallegrarsi  in  festosi  ed  ami- 
chevoli convegni,  ma  che  in  tutto  vi  deve  essere  una  misura  di  temperanza  :  e  che  il  lieto  conver- 
sare e  le  ricreazioni  della  tavola  non  devono  tramutarsi  in  orgia  e  peggio  ancora  nel  turpe  vizio 
della  ubbriachezza. 


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POESIE    DEL   G/UST1    ILLUSTRATE 


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Poesie  del   Giusti  illustrate.  —  edizione  nerbini 


Fascicolo  8. 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


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APOLOGIA    DEL    LOTTO 


1838. 


Don  Luca,  uomo  rotto, 
Ma  onesto  piovano, 
Ha  un  odio  col  lotto 
Non  troppo  cristiano  : 
E  roba  da  cani 
Dicendo  a  chi  gioca, 


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Trastulla^  coli'  oca 
I  suoi  popolani. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


Don  Luca  davvero 

È  un  gran  galantuomo 
Migliore  del  clero 
Che  bazzica  in  domo  : 
Ma  è  troppo  esaltato, 
E  crede  che  tocchi 


Ai  preti  aprii"  gli  occhi 
Al  mondo  gabbato  (2). 


Siili. 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


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117 


In  oggi  educare, 
O  almeno  far  vista, 
È  moda  :  il  collare 
Doventa  utopista  : 
E  ognuno  si  scapa 
A  far   de'  lunari 


..:       O 


Guastando  gli  affari 
Del  trono  e  del  papa  (3) 
Il  giuoco  in  complesso 
E  un  vizio  bestiale, 
Ma  il  lotto  in  sé  stesso 
Ha  un  che  di  morale  : 
Ci  avvezza  indovini, 
Pietosi  di  cuore  ; 
Doventi  un  signore 
Con  pochi   quattrini  : 


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n8 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Moltiplica  i  lumi, 


Divaga  la  fame, 
Pulisce  i  costumi 
Del  basso  bestiame. 
Di  fatto  lo  Stato, 
Non  punto  corrivo, 
Se  fosse  nocivo 
L'avrebbe  vietato. 


5iit 


ani 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


ats 


119 


Lasciate,  balordi, 

Che  il  lotto  si  spanda, 


Che  Roma  gli  accordi 
La  sua  propaganda  : 
Se  gridi  per  via  : 
Cristiani,  un  bel  terno  ! 
S'aiuti  il  governo 
Nell'opera  pia  (4). 
Di  Grecia,  di  Roma 

I  regi  sapienti 
Piantavan  la  soma 
Secondo  le  genti, 

E  a  norma  del  vizio 

II  morso  o  lo  sprone  ; 
Che  brave  persone  ! 
Che  re  di  giudizio  ! 

Con  aspri  precetti 
Licurgo  severo 
Corresse  i  difetti 
Del  greco  leggiero, 
E  Numa,  con  arte 
Di  santa  impostura, 
La  buccia  un  po'  dura 
Del  popol  di  Marte. 


5IHC 


120 


Toesie  del  Giusti  illustrale 


LDg 


O  tisici  servi 

Dal  cor  di  coniglio, 
Un  savio  consiglio 
Vi  fodera  i  nervi  : 
Un  tempo  corrotto, 
Perduta  ogni  fede, 
È  gala  se  crede 
Nel  giuoco  del  lotto. 

Lasciate  giuocare, 
Messer  Galileo  : 
Al  verbo  pensare 
Non  v'  è  giubileo  : 


.;■■:,.  ...vlUI'J,  , 


iiMiiiiiiiift-f^tiiisjiBifi'iiiiiiiiiiiiiiiiiiiyiii'vi 


Studiar  1'  infinito  ! 
Che  gusto  imbecille  ! 
Se  fo  le  sibille, 
Non  sono  inquisito  (5). 


a»: 


lille 


i$tLL 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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121 


Un  giuoco  sì  bello 
Bilancia  il  Vangelo, 


E  mette  a  duello 
L'  inferno  col  cielo  ; 
Se  il  diavolo  è  astratto, 
Un'anima  pia 
Implora  l'estratto 
Coìl'Ave  Maria. 
Per  dote  sperata 
Da  pigra  quintina 
La  serva  piccata 
Fa  vento  in  cucina  : 
La  pappa  condita 
Cogli  ambi  sognati 
Sostenta  la  vita 
Di  mille  affamati. 


5IU; 


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122 


'Poesie  del  Giusti  illustrate 


mot 


Se  passa  la  bara, 
Del  morto  ogni  cosa 
Domandano  a  gara  : 
O  gente  pietosa  ! 
Eh  !  im  popol  di  scettici 
Non  piange  disgrazie, 


Ma  giuoca  le  crazie  (6) 
Sui  colpi  apoplettici.  ; 
Se  suonano  a  gogna, 
Ci  vedi  la  piena  : 
Ma  in  quella  vergogna 
Si  specchia       si  frena  ? 
Nel  braccio  ti  dà 
La  donna  vicina 
E  dice  :  Berlina 
Che  numero  fa  ? 


Sur 


Jfg 


3K 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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123 


Ah  !  viva  la  legge 

Che  il  lotto  mantiene  : 
Il  capo  del  gregge 
Ci  vuole  un  gran  bene  ; 
I  mali,  i  bisogni 
degli  asini  vede, 


'''^llllMIpl^Mh!,^,^ 


E  al  fieno  provvede 
Col  libro  dei  sogni  (7). 
Chi  trovasi  al  verde 

L'ascriva  a  suo  danno  :S3 


Lo  Stato  ci  perde, 
E  tutti  lo  sanno. 
Lo  stesso  piovano 
In  fondo  è  convinto 
Che  a  volte  ci  ha  vinto 
Perfino  il  sovrano. 


Ì«T 


zm 


SIC 


124 


Poesie  del   Giusti  illustrale 


aiut 


Contento   del  mio, 
Né  punto  né  poco, 
Per  grazia  di  Dio, 
M'  importa  del  giuoco. 
Ma  certo,  se  un  giorno 
Mi  cresce  la  spesa, 


Galoppo  all'  impresa 

E  strappo  uno  storno  (8). 


ialK 


^lG? 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


zm 


125 


AFFETTI    D'UNA    MADRE  (I) 


1839. 


Presso  alla  culla,  in  dolce  atto  d'amore, 
Che  intendere  non  può  chi  non  è  madre, 
Tacita  siede  e  immobile  :  ma  il  volto 


tfj  -i 


Nel  suo  vezzoso  bambinel   rapito, 
Arde,  si  turba  e  rasserena  in  questi 
Pensieri  della  mente  inebriata  (2)  : 


Sili: 


zm 


126  Poesie  del  Giusti  illustrale 


—  Teco  vegliar  m'  è  caro, 

Gioir,  pianger  con  te  :  beata  e  pura 
Si  fa  l'anima  mia  di  cura  in  cura  : 
In  ogni  pena  in  nuovo  affetto  imparo  (3). 

Esulta,  alla  materna  ombra  fidato  (4), 
Bellissimo  innocente  ! 
Se  venga  il  dì  che  amor  soavemente 
Nel  nome  mio  ti  sciolga  il  labbro  amato  ; 

Come  l' ingenua  gota  e  le  infantili 
Labbra  t'adorna  di  bellezza  il  fiore, 
A  te  così  nel  core 
Affetti  educherò  tutti  gentili. 

Così  piena  e  compita 

Avrò  l'opra  che  vuol  da  me  natura  : 
Sarò  dell'amor  tuo  lieta  e  sicura, 
Come  data  t'avessi  un'altra  vita  (5). 

Goder  d'ogni  mio  bene, 

D'ogni  mia  contentezza  il  ciel  ti  dia  ! 

10  della  vita  nella  dubbia  via 

11  peso  porterò  delle  tue  pene. 

Oh,  se  per  nuovo  obietto 

Un  dì  t'affanna  giovanil  desìo, 
Ti  risovvenga  del  materno  affetto  ! 
Nessun  mai  t'amerà  dell'amor  mio. 

E  tu  nel  tuo  dolor  solo  e  pensoso 

Ricercherai  la  madre,  e  in  queste  braccia 

Asconderai  la  faccia  ; 

Nel  sen  che  mai  non  cangia  avrai  riposo  (6). 


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Poesie  del  Giusti  illustrate  127 


ANNOTAZIONI 


(apologia    del    lotto) 

(1)  Il  giuoco  del  lotto  è  una  istituzione  immorale  antichissima.  Tutti  gli  Stati  europei,  veg- 
gendo  che  questa  speculazione  sulla  pubblica  credulità  e  questa  taglia  sulla  miseria  e  cecità  del 
popolo  era  un  cespite  di  vistose  rendite,  ne  fecero  un  cardine  del  loro  sistema  finanziario. 

Non  appena  però  un  popolo  civile  ebbe  compiuta  una  rivoluzione,  che  il  giuoco  del  lotto  fu 
abolito  —  e  così  avvenne  in  Inghilterra,  in  Francia  e  in  Ispagna. 

Se  non  che  ben  presto,  tranne  che  neh'  Inghilterra,  nella  Svizzera,  nell'America  del  Nord  ed 
in  vari  Stati  della  Germania,  questo  immoralissimo  giuoco  fu  riattivato. 

L'  Italia,  tanto  nel  1848  quanto  nella  rivoluzione  del  1859-60,  non  si  diede  nemmeno  la  pre- 
mura di  decretarne  l'abolizione  ;  e  tutte  le  volte  che  si  udì  in  Parlamento  una  voce  che  la  patro- 
cinasse, sorsero  i  ministri  e  i  consorti  a  dichiarare  che  il  predetto  giuoco  è  immorale  e  che  quindi 
si  deve  sopprimere,  ma  che  attesi  i  bisogni  delle  finanze  ciò  non  potevasi  fare  immediatamente. 

Risulta  dalle  statistiche  che  un  anno  per  l'altro  il  lotto  rende  allo  Stato  66  milioni  di  lire  al 
netto,  qualche  cosa  più  (sic)  della  tassa  sulla  ricchezza  mobile,  e  pressoché  quanto  il  registro,  le 
ipoteche  e  il  bollo  !  —  Al  che  aggiungi,  che  questa  somma  è  l'equipollente  del  sudore  del  povero  ed 
è  sottratta  ai  più  vivi  e  pressanti  bisogni  della  sua  sussistenza.  Fa  pietà  il  vedere,  specialmente  nelle 
serate  di  venerdì,  accorrere  ai  banchi  del  giuoco  tanta  misera  gente  che  ritorna  speranzosa  ai  suoi 
tuguri,  per  uscire  dolente  e  afflitta  più  che  per  lo  innanzi  nel  sabato  sera. 

Le  donnicciuole  da  tutti  gli  avvenimenti  traggono  motivo  di  estrarre  numeri  dal  libro  così 
detto  dei  Sogni  (del  quale  si  san  fatte,  crediamo,  67  edizioni  !)  e  via  difilato  al  banco,  o  Prenditoria 
del  giuoco. 

ti  Giusti,  a  ragione  sdegnato  di  tanta  jattura,  con  lo  stile  di  Giovenale  toccò  in  questa  vivace 
poesia  l'argomento  per  tentare  se,  ridendo,  avesse  potuto  castigare  mores,  ma  pur  troppo  non  ottenne 
l' intento.  —  Non  vi  è  che  la  civiltà  che  possa  fugare  questa  turpitudine  ;  e  tanto  è  vero-  che  nel- 
1'  Italia  stessa  veggiamo  che  le  provincie  nordiche  del  regno  limitano  le  loro  giocate,  e  le  meridionali 
e  subito  dopo  la  Toscana  sono  quelle  che  più  vi  ricorrono  e  vi  gettano  a  larga  mano  il  loro  de- 
naro. —  E  comechè  il  giuoco  pubblico  non  vi  bastasse,  vi  sono  i  Gallinai,  o  giuochi  del  lotto  privato, 
i  quali,  mentre  danno  tanto  da  fare  alla  Polizia  che  illogicamente  li  tiene  d'occhio,  tolgono  al  po- 
vero quell'ultimo  obolo  che  dovrebbe  esser  riservato  per  le  Casse  di  risparmio. 

Di  faccia  a  poche  fortune  acquistate  si  contano  a  migliaja  le  fortune  perdute  nel  giuoco  del 
lotto  e  i  cervelli  andati  nella  luna  ;  e  pur  troppo  le  elucubrazioni  cabalistiche  occupano  almeno  al- 
meno la  mente  della  metà  degli  abitanti  delle  città  e  dei  villaggi.  —  Bisogna  convenire  che  siamo 
anche   barbari  ! 

(2)  Nalla  figura  di  don  Luca  il  poeta  ha  voluto  pingere  e  indicare  la  missione  morale  e  civile 
dei  parrochi.  —  Ed  infatti  chi  meglio  di  loro  potrebbe  estirpare  tanti  e  tanti  pregiudizi  del 
popolo  incolto  risguardanti  la  fisica,  l'economia  pubblica,  l'igiene,  la  morale  e  la  religione  ?  Eglino 
tutto  il  giorno  a  contatto  coi  loro  parrocchiani,  potrebbero,  ove  lo  volessero,  investirsi  di  un  apo- 
stolato civile  che  in  altri  tempi  esercitarono  con  pubblico  benefizio  e  somma  lode  ;  ma  pur  troppo  Roma 
si  è  messa  alla  coda  del  secolo  e  i  preti  han  cessato  di  essere  cittadini  per  diventare  stromenti  di 
servitù  e  ministri  degli  errori. 

(3)  Si  potrebbe  ritenere  che  in  questi  versi  il  Giusti  alludesse  ad  alcuni  sacerdoti  che  verso 
quel  torno  di  tempo  si  erano  mostrati  propensi  all'educazione  intellettuale  del  popolo  nella  Toscana. 
Il  Lambruschini,  il  piovano  Malenotti,  il  padre  Pendola,  il  Giorgi,  L'  Inghirami  e  il  Bernardini, 
scolopi  ;  il  prete  Contrucci  e  il  prete  Arcangioli  ed  altri  ancora  militarono  in  questa  eletta  schiera. 

(4)  Qui  l' ironia  raggiunge  il  sublime  ;  e  si  sa  infatti  come  e  quanto  la  Corte  pontificia  abbia 
sempre  incoraggiato  questo  nefando  mercimonio. 

(5)  Qui  torna  nuovamente  a  pungere  e  ad  alludere  agli  intralciamenti  che  i  governi  d'allora 
ponevano  ad  ogni  elevato  concepimento  a  libera  discussione  di  vitali  argomenti  nazionali.  Né  si 
poteva  dire  panem  et  circenses  e  forca  in  piazza  e  giustizia  in  palazzo,  che  le  forche  vi  erano,  ma  la 
giustizia  mancava  e  spesso  mancava  anche  il  pane  in  mezzo  ai  giuochi. 


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128 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


(6)  Piccola  moneta  erosa  del  valore  di  sette  centesimi,  abolita  nel  1860.  —  Sotto  i  Medici  erano 
di  foglietta  d'argento,  poi  si  fecero  di  rame. 

(7)  Giusto  rimprovero  alla  stupidità  degli  amatori  di  questo  giuoco. 

(8)  Con  questi  ultimi  versi  l'Autore  fa  conoscere  che  la  speranza  sulle  vincite  del  lotto  è  illu- 
soria e  che  questa  è  l'ultima   risorsa  dei  disperati. 


(affetti  d'  una  madre). 

(1)  Come  è  proprio  di  quelle  anime  elevate  che  sdegnose  di  ogni  civile  turpitudine  e  morale  ne- 
quizia sfogano  il  loro  sdegno  generoso  coi  canti  immortali,  e  sono  dispensatrici  di  lode  o  d'  infa- 
mia eterna,  Giuseppe  Giusti  ebbe  anima  appassionata  per  il  bello,  il  giusto  e  il  santo,  e  non  hawi 
chi   rimproverare  gli  possa  un  atto  meno  che  onesto. 

Il  Giusti  fu  tenerissimo  verso  la  sua  madre,  Este<-  Chiti,  che  passò  all'altra  vita  or  sono  venti 
anni,  cieca  non  della  mente  ma  del  corpo.  In  vero  Ester  Chiti  fu  donna  di  alti  sensi  e  forse  più 
da  essa  che  dal  padre  suo,  cavalier  Domenico,  ereditò  il  nostro  Giuseppe  quel  sicuro  spirito  di 
osservazione  e  quella  fine  ironia  e  perspicacia  nel  notare  il  lato  manchevole  in  tutte  le  persone, 
che  pur  troppo  fa  difetto  a  cotanti  sapienti. 

Giuseppe  Giusti  amò  suo  madre,  e  corre  ancora  per  la  bocca  dei  suoi  concittadini  il  nome  che 
egli  si  acquistò  in  Valdinievole,  di  -padre  e  proiettore  di  tutti  i  bambini. 

Quella  bella  e  cara  innocenza  che  li  distingue  come  infatti  non  apprezzarla  e  non  compiacer- 
sene e  non  farsene  scudo  contro  la  malvagità  degli  adulti  ?  —  Sinite  parvuìos  venire  ad  me  :  così 
diceva  Gesù  Cristo  alle  turbe.  —  Se  tanto  arride  alle  anime  pure  e  soavi  la  dolcezza  infantile, 
qual  incanto  non  deve  essere  per  una  madre  che  non  sia  snaturata  ? 

^  L'amor  materno  non   è  proprio  dell'umana  specie  —  le  fiere  istesse,  la   tigre  pur  anco  ama  i 
suoi  pargoli,  il  frutto  delle  sue  viscere. 

L'amor  materno  in  un  cuor  ben  fatto  !  Oh  magica  parola,  oh  cumulo  di  soavi  e  pietosi  sacri- 
fici, oh  sublimità  dell'umana  natura,  oh  dignità  della  donna  sopra  tutte  le  cose  create  ! 

Giusti  non  poteva  non  toccare  questo  tenero  e  delicato  argomento  e  con  parsimonia  di  parole, 
con  sobrietà  di  dettato  e  con  poche  e  maestre  pennellate  lo  trattò  in  questa  poesia. 

(2)  Avvedutamente  il  poeta  colloca  la  madre  alla  culla  del  diletto  suo  figlio.  —  Helvetius,  gran 
fautore  della  morale  del  ben  inteso  interesse,  volle  riportare  all'egoismo  ogni  gentile  e  caro  affetto. 

Il  Giusti  collocando  la  madre,  auspicatrice  di  ogni  lieta  ventura  e  pavida  osservatrice  del  suo 
pargolo,  presso  alla  culla,  dimostrò  che  l'amor  materno  trae  la  sua  origine  da  un  sentimento  più 
nobile  di  qualsiasi  volgare  tornaconto.  Egli,  come  è  proprio  dei  veri  poeti,  divinò  la  natura  e  la 
colse  in  flagrante. 

I  (3)  A  rinforzo^  del  proprio  argomento  il  poeta  fa  risaltare  come  l'amor  di  madre  si  pasce  e 
si  accresce  sotto  l' impulso  degli  stessi  dolori  e  timori,  o  da  ogni  pena  trae  argomento  di  rinforzare 
I  affetto   suo. 

(4)  Ofa  si  volge  al  figlio  e  con  appropriate  parole  gli  va  mostrando  come  nei  vari  casi  della 
vita  egH  non  troverà  giammai  un  amore  che  nell'essenza  sua  purissima  pareggi  quello  della  madre 
(che  fu  immortalato  perfino  nei  volumi  santi)  e  come  l'amor  materno  sia  l'educatore  per  eccellenza 
del  cuore  del  fanciullo. 

(5)  Qui  il  poeta  nota  la  compiacenza  della  madre  nel  vedere  nel  figlio  svilupparsi  i  germi  della 
onestà  e   dell'  ingegno,   altri  degli  indizi  e  caratteri  dell'amore  puro,   vero  e  santo. 

(6)  L'amor  materno  è  il  solo  che  non  cangia  mai.  —  Melchiorre  Gioja  volendo  ridurre  in  cifre 
quest'affetto,  lo  calcolò  a  dodici  gradi,  valutando  quello  dei  figli  verso  la  madre  a  due  soli  gradi. 
—  Noi  non  vogliamo  analizzare  in  questo  modo  il  profumo  dell'amore,  ma  diremo  che  primo  a  sorgere, 
ultimo  ad  estinguersi,  è  l'amor  materno  e  che  ad  ogni  periclitante  ventura  egli  resta  fermo  e  in- 
concusso a  tutela  e  a  difesa  della  prole,  spesso  dell'amor  materno  immeritevole,  e  non  di  rado 
riottosa  e  protenra. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate.  —  edizione  nerbi  ni 


Fascicolo  9. 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


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LA    VESTIZIONE^ 


1839. 


Quando  s'aprì  rivendita  d'onori, 


E  di  croci  un  diluvio  universale 
Allagò  il  trivio  di  commendatori  (2)  ; 

Quando  nel  nastro  s'  imbrogliaron  l'ale 
L'oche,  l'aquile,  i  corvi  e  gli  sparvieri  ; 
O,  per  parlar  più  franco  e  naturale, 

Quando  vi  vider  fatti  cavalieri 
Schiume  d'avvocatùcci  e  poetastri, 
Birri,  strozzini  ed  altri  vituperi   (3)  ; 

Tal  che  vedea  la  feccia  andare  agli  astri 
Né  un  soldo  sciupò  mai  per  tentar  l'ambo 
Al  gran  lotto  dei  titoli  e  dei  nastri, 

Nel  cervellaccio  imbizzarrito  e  strambo 
Sentì  ronzar  di  versi  una  congerie  : 
E  piccato  di  fare  un  ditirambo, 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Senza  legge  di  forme  o  di  materie, 
Le  sacre  mescolò  colle  profane 
E  le  cose  ridicole  alle  serie. 

Parole  abburattate  e  popolane, 
Trivialità   cucì,   convenienti 
A  celebrar  le  gesta  paesane, 

E  proruppe  da  matto  in  questi  accenti, 
Ai  retori  lasciando  e  a'  burattini 
Grammaticali  ed  altri  complimenti. 

Rósa  da  nobiltà  senza  quattrini 
Casca  la  vecchia  Tavola,  e  la  nuova 
È  una  ladra  genìa  di  Paladini. 

Tanta  è  la  sua  viltà  che  non  ne  giova  ; 


E  i  bottegai  de'  titoli  lo  sanno, 

Ma   tiramvia  perchè  gatta  ci  cova  (4). 

Come  di  Corte  riempir  lo  scanno 
.    Che  vuotan    conti  tribolati  ?  e  come 
Le  forbici  menar  se  manca  il  panno  ? 

Volle  di  cavalier  prendere  il  nome, 
Spazzaturaio  d'anima,  un  droghiere  : 
Bécero  si  chiamò  di  soprannome. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate  133 


In  diebus  illis  girò  col  paniere 
A  raccattare  i  cenci   per  la  via, 
Da  tanto  ch'era  nato  cavaliere. 

Trovo  che  fece  anco  un  sinsin  la  spia, 
Poi,  come  non  si  sa,  1*  ipotecario  ; 
Di  questo  passo  aprì  la  drogheria. 

E  coli' usura  e  facendo  il  falsario, 
Co'  frodi  e  con  bilance  adulterate, 
Gli  venne  fatto  d'esser  milionario. 

Volle,  quand'ebbe  i  rusponi  a  palate, 
Rubar  fin  la  collottola  al  capestro 
E  col  nastro  abbuiar  le  birbonate. 

D'un  bali  che  di  Corte  è  l'occhio  destro 
Dette  di  frego  a  un  debito  stantìo, 
E  quei  l'accomodò  col  Gran  Maestro. 

Brillava  a  festa  la  casa  d'  Iddio 

Tra  il  fumo  degli  incensi  e  i  lampadari  : 
D'organi  e  di  campane  un  diavolìo 

Chiamava  a  veder  Bécero  agli  altari 
A  insudiciare  il  sacro  ordin  guerriero 
Che  un  tempo  combattè  contro  i  corsari. 

A  lui  d' intorno  il  nobilume  e  il  clero 
Le  parole  soffiandogli  ed  i  gesti, 
In   tutti   lo   ciurmavan   cavaliero. 

Tra  i  preti,  tra  i  taù  (5),  con  quelle  vesti, 
Alterar  si  sentì  la  fantasia  ; 
Né  gli  pareano  più  quelli  né  questi  ; 

Ma  li  vedea  mutar  fisonomia, 
E  dall'altar  discendere  e  svanire 
Le  immagini  di  Cristo  e  di  Maria. 


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134 


Toesie  del  Giusti  illustrate 


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Era  la  chiesa  un  andare  e  venire 
Di  fieri  spettri  e  d'orribili  larve, 
Con  una  romba  da  farlo  ammattire. 

Crollò  il  ciborio,   si  divelse  e  sparve  : 


E  nel  luogo  di  quello  una  figura 
Magra   e    d'aspetto  tisico  gli  apparve. 

In  mano  ha  la  cambiai,  dalla  cintura 
Di  molti  pegni  un  ordine  pendea  ; 
La  riconobbe  tosto  per  1'  Usura 

Dalla  pratica  grande  che  n'avea. 
Vide  prender  persona  i  candelieri, 
E  diventar  di  scrocchi  un'assemblea. 

Parean  nobili  tutti  i  cavalieri, 

E  d'accordo  gridavano  al  fantasma  : 
«  Mamma,  Pisa  per  voi  do  venta  Algeri  »  (6). 

Com'uom  che  per  mefìtico  miasma 
Anela  e  gronda  d'un  sudor  gelato, 
O  come  un  gobbo  che  patisce  d'asma, 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


135 


Bécero  si  sentì  mozzare  il  fiato  : 

Alzossi,  e  per  fuggir  volse  le  spalle  ; 
Ma  gli  treman  le  gambe,  e  d'ogni  lato 

Di  strane  torme  era  stipato  il  calle. 

Grullo,  confuso  Cose  d' inferno 

Rimase  lì  ;  Coll'occhio  interno 

Col  manto  il  muso  Della  paura, 

Si  ricoprì.  Che  non  si  tura. 

Da  quella  faccia  Anzi,  raccolto 

Che  lo  minaccia  In  sé  medesimo, 

Celarsi  crede,  Si  sentì  l'animo 

Ma  sempre  vede  Vie  più  scolvolto. 

E  di  più  nere  immagini 
Gli  si  turbò  la  mente. 
Sognò  l'accusa,  il  carcere, 
La  Corte,  il  presidente  ; 
In  banco  di  vergogna 
Sedè  coi  malfattori  : 
Udì  parlar  di  gogna, 
Di  pubblici  lavori. 

Tosato,'  esposto  al  popolo, 
Ai  tocchi  d'un  battaglio, 
L'abito  nobilissimo 
Cangiò  colore  e  taglio  : 


La  croce  sfigurata 
Pareva  un  cartellacelo 
Lo  sprone  un  catenaccio, 
La  spada  una  granata. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Poi  vide  un'alta  macchina, 
Un  militar  cortèo, 
Fantasticò  d'ascendere 
Su  per  uno  scalèo  ; 
E,  sotto  una  gran  folla  ; 
Allato,  un  cappuccino  : 
Fu  messo  a  capo  chino 
E  udì  scattar  la  molla. 

Parvegli   a  quello  scatto 
Sentire  un  certo  crollo, 


Ch'alzò  le  mani  a  un  tratto 
Per  attastarsi  il  collo. 

Ma  in  quel  punto  una  mano  scettrata 
Gli  calò  sulla  testa  nefaria  ; 
Allo  strano  prodigio,  incantata 
La  mannaia  rimase  per  aria. 
Viva,  viva,  gridava  il  buglione, 
La  giustizia  del  nostro  Solone  ! 
Se  protegge  chi  ruba  e  chi  gabba 
Muoia  Cristo,  si  sciolga  Barabba. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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137 


Di  sotto  la  toga 
Che^quasi  l'affoga 
La  testa  levò  ; 
D' intorno  girò 
Quegli  occhi  di  falco  : 
E  allor  gli  s'offerse 
D'altare,  di  palco, 
D'usura,  di  Cristo, 


Un  vortice,  un  misto 
Di  cose  diverse. 
Così  del  malato 
Non  bene  svegliato, 
Col  falso  e  col  vero 
Combatte  il  pensiero 
Guizzando  nel  laccio 
Di  qualche  sognacelo. 


E  già  la  vision  si  disciogliea  ; 

Quando  da  un  lato  della  chiesa  sente 
Incominciare   un   canto,   e   gli  parea 
Superbo  nel  concetto  e  impertinente. 
Si  volta,  e  vede  in  aulica  livrea 
Gente  che  incoccia  maledettamente 
D'esser  di  carne  come  tutti  siamo  ' 
E  vorrebbe  per  babbo  un  altro  Adamo. 

Vedea  sbiadito  il  nastro  degli  occhielli 
E  la  fusciacca  doventata  bieca  ; 
Uniformi  ritinte,   e  de'  gioielli 
Il  bugiardo  baglior  che  non  accieca. 


Else  e  crascià  riconoscea  tra  quelli, 

E  spallette  tenute  in  ipoteca, 

E  marchesi  mandati  in  precipizio  ; 

E  più  visi  di  bue  che  di  patrizio 
(Qui  ci  vuole  un  certo  imbroglio 

Di  sussiego  e  di  miseria, 

E  il  frasario  dell'orgoglio 

Adattato  alla  materia. 

Fatto  mantice,  il  polmone 

Spiri  vento  di  blasone. 
Ma  di  modi  arcigni  e  tronfi 

Non  ho  copia  in  casa  mia, 

Né  un  bisnonno  che  mi  gonfi 


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I38 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Di  fastosa  idropisia  ; 

E  un  linguaggio  da  strapazzo 

Ascoltai  fin  da  ragazzo. 

Se  il  poetico  artifizio 

Non  m'aiuta  a  darmi  l'aria 
D'uno  sbuffo  gentilizio, 
Colpa  d'anima  ordinaria. 
Proverò  se  ci  riesco) 
Lo  squadravano  in  cagnesco 

E  diceano  :  —  Un  mercatino 
Che  il  paese  ha  messo  a  rubba, 
Un  vilissimo   facchino 
Si  nobilita  la  giubba, 
E  dal  banco  salta  fuori 
A  impancarsi  co'  signori  ? 

Si  vedrà  dunque  un  figuro, 
Nato  al  fango  e  al  letamaio, 
Intorbare  il  sangue  puro 
Col  suo  sangue  bottegaio  ? 
E  farà  questo  plebeo 
Tanto  insulto  al  galateo  ? 

Usurai  crucisignati 

Che  si  comprano  di  lei, 
Tra  i  patrizi  scavalcati 
Passeranno  in   tiro  a  sei 


A  esalar  l'anima  ciuca 
A  sinistra  del  granduca  ? 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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139 


Rifiniti  dal  mestiere 

C  è  chi  paga  i  ciambellani 
Con  un  calcio  nel  sedere  ; 
E  rifa  di  pelacani 
Che  il  delitto  insignorì, 
Il  vivaio  dei  bali. 

E  di  più,  ridotto  a  zero 
Il  patrizio  è  condannato 
A  succhiarsi  il  vitupero 
Di  vestir  chi  1'  ha  spogliato, 
A  ridursi   sulla  paglia 
Per  far  largo  alla  canaglia. 

Se  vien  voglia  ai  morti  eroi 
Dell'avita  abitazione, 
Oramai,   siccome  noi 
Si  tornò  tutti  a  pigione. 
Cerchi  l'anima  degli  avi 
Il  birbon  che  n'  ha  le  chiavi. 

Di  quest'antifona 
L'onda  sonora 
Su  per  la  cupola 
Tremava  ancora  : 


L' illustre  bingolo 
A  capo  basso 
Parea  don  Bartolo 
Fatto  di  sasso  : 


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140 


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'Poesie  del  Giusti  illustrate 


Quand'ecco  a  scuoterlo 
Dal  suo  stupore 
Un  nuovo  strepito 
Un  gran  rumore. 

Come  pinzochera 

Che  il  mondo  inganna, 
Di  dentro  Taide, 
Di  fuor  Susanna, 


Si  sogna  i  diavoli 
Montati  in  furia, 
Dopo  la  predica 
Sulla  lussuria  ; 

Così,  coll'animo 
Sempre  alterato, 
Tutto  Camaldoli  (7), 
Tutto  Mercato, 


Vedea  concorrere 
In  una  lega, 
Portando  l'alito 
Della  bottega  ; 


Sbracciati,  in  zoccoli, 
E  scalzi  e  sbrici, 
E  musi  laidi 
Di  vecchi  amici  ; 

E  Crezie  e  Càtere, 
E  Bobi  e  Beco  (8), 
Su  per  le  bettole 
Cresciuti  seco. 


Questa  combriccola 
Strana  di  gente 
Agglomerandosi 
Confusamente, 


Lasciate  le  idee, 
Le  frasi  ampollose, 
Con  urla  plebee 
Rincara  la  dose, 


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nifi? 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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141 


E  lo  striglia  così  nel  suo  vernacolo 
Senza  tanto  rispetto  al  tabernacolo 


Salute  a  Bécero, 
Viva  il  droghiere  ! 
Bellino,  in  maschera 
Di  cavaliere  ! 

O  come  dòmine, 
Se  giorni  sono 
Vendevi  zénzero 
Per  pepe  bono, 

Oggi  ci  reciti 
Col  togo  addosso 
Questa  commedia 
Del  cencio  rosso  ? 

Ah  !  tra  lo  zucchero, 
Col  tuo  pestello, 
Eri  in  carattere, 
Eri  più  bello  ! 

Or  tra  lo  strascico 
E  l'albagìa 
Un  chiappanuvoli 
Par  che  tu  sia. 

Ah  torna  Bécero, 
Torna  droghiere  ; 
Leva  la  maschera 
Di  cavaliere. 

Se  per  il  solito 
Quando  ragioni 
Dici  spropositi 
Da  can  barboni, 

Come  discorrere 
Potrai  con  gente 
Che  saprà  leggere 
Sicuramente  ? 

Ah  torna  Bécero, 
Torna  droghiere  ; 
Leva  la  maschera 
Di  cavaliere. 


Se  schifo  ai  nobili 
Non  fa  la  loia 
Di  certi  ciaccheri 
Scappati  al  boia  ; 

Se  i  preti  a  crederti 
Son  tanto  bovi, 
Con  codest'anima 
Che  ti  ritrovi  ; 

Se  per  lo  scandalo 
Di  questa  festa 
Non  ti  precipita 
La  chiesa  in  testa  ; 

O  in  oggi  ha  credito 
Lo  sbarazzino, 
O  santo  Stefano 
Tira  al  auattrino. 

Ma  noi  che  fécemo  (9) 
Teco  il  mestiere, 
S'ha  a  dir  lustrissimo? 
L'aresti  a  avere  ! 

Un  rivendugliolo 
Rimpannucciato 
Ci  ha  a  stare  in  aria  ? 
Va'  via,  sguaiato  ! 

Va'  colle  logiche   (io) 
Va'  pure  assieme  ; 
Che  tu  ci  bazzichi 
Non  ce  ne  preme. 

Ma  se  da  ridere 
Po'  poi  ci  scappa 
Di  te,  del  ciondolo, 
E  della  cappa, 

Non  te  ne  prendere, 
Non  far  cipiglio  : 
Sai  di  garofani 
Lontano  un  miglio. 


Tièntene,  Bécero  ; 
Gonfia,  droghiere  ; 
Se'  bello  in  maschera 
Di  cavaliere  ! 


t»h= 


ars 


itili: 


142 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


Tacquero  :  e  gli  parea  che  ad  una  voce 
Ripigliasser  le  genti  ivi  affollate  : 
—  Se  dalla  forca  ti  salvò  la  croce, 
Non  ti  potrà  salvar  dalle  frustate.  — 
Indi  ogni  larva  se  n'andò  veloce  : 
Finì  la  cerimonia  e  le  fischiate  ; 


E  su  in  ciel  Santo  Stefano  si  lagna 

Di  vedere  un  pirata  in  cappamagna  (11). 


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afi? 


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Poesie  del  Giusti  illustrate  143 


ANNOTAZIONI 


(1)  Allude  alla  vestizione  dell'ordine  di  S.  Stefano  protomartire,  istituito  dal  granduca  Ferdi- 
nando II  de'  Medici,  quello  stesso  che  pugnò  contro  i  Mori,  ed  a  cui  fu  eretta  una  statua  in  bronzo, 
con  quattro  mori  incatenati,  nella  darsena  di  Livorno.  —  Istituito  nei  primi  anni  del  XVII  secolo, 
quest'ordine,  metà  civile  e  metà  militare,  fu  abolito  dal  Governo  provvisorio  della  Toscana  nel  1859, 
unitamente  all'altro  ordine  cavalleresco  detto  di  S.  Giuseppe,  e  del  merito,  fondato  da  Ferdinan- 
do III,  e  l'altro,  detto  del  Cherubino,  che  formava  il  distintivo  dei  professori  della  Università  della 
Toscana. 

La  sede  dell'ordine  di  S.  Stefano  era  in  Pisa,  ove  i  cavalieri  avevano  un  magistero,  un  tribu- 
nale dell'ordine,  od  auditorato,  una  direzione  amministrativa  ed  una  bellissima  chiesa,  nella  quale 
uffiziavano  i  cappellani  dell'ordine  stesso. 

I  cavalieri  obbligati.ad  intervenire  a  molte  funzioni,  indossavano  una  cappa  magna  di  lana  bianca 
con  una  croce  rossa,  e  rosso  era  il  nastro  che  portavano  all'occhiello  nelle  vesti  da  borghese.  Ave- 
vano poi  un'uniforme  militare  di  panno  bianco  ed  una  turchina  ambedue  mostreggiate  di  rosso,  e 
lunga  spada,  ecc. 

I  gradi  dell'ordine  erano  quelli  di  cavaliere,  bali,  priore,  gran  maestro,  ecc. 

Lo  Statuto  che  li  governava  era  improntato  alle  idee  semicanoniche  del  medioevo.  —  I  cava- 
lieri facevano  una  specie  di  voto  di  castità,  tollerandosi  che  prendessero  moglie  —  erano  obbligati 
a  recitare  alcune  preci  quotidiane,  a  sentir  messa,  a  confessarsi  spesso  ed  a  combattere  contro  i  turchi. 

Quest'ordine  rappresentava  in  Toscana  i  feudi  e  i  possessi  di  manomorta.  Chiunque  fosse  no- 
bile poteva  chiedere  di  fondare  una  così  detta  commenda,  chiamando  tre  linee  al  godimento  della 
commenda  stessa  e  all'onore  del  cavalierato.  Per  ottenere  il  titolo  di  bali  crediamo  che  si  dovesse  am- 
mortizzare un  fondo  del  valore  di  50.000  lire,  e  per  una  commenda  di  cavaliere  se  ne  esigevano  circa 
30.000.  —  Estinte  le  linee  chiamate  nell'atto  di  fondazione  della  commenda,  se  ne  impadroniva  il 
Governo,  e  ricompensava  gli  impiegati  vecchi  e  zelanti  dello  Stato. 

La  vestizione  non  era  obbligatoria  e,  negli  ultimi  tempi,  pochi  si  sobbarcarono  alle  ingenti  spese 
che  occorrevano  per  quella  funzione,  nella  quale  qualche  cosa  bisognava  regalare  a  tutti  i  cavalieri 
che  vi  intervenivano.  —  Onde  restringere  questi  dispendi  consuetudinari,  molti  titolari  si  facevano 
vestire  a  Pescia,  nido  antico  di  cavalieri  di  quest'ordine. 

Non  è  quindi  meraviglia  se  il  nostro  Poeta,  spettatore  di  chissà  quante  di  queste  vestizioni,  ne 
scòrse  il  lato  ridicolo  e  die  vita  ad  una  delle  più  fine  satire  che  la  sua  penna  incisiva  scrivesse. 

(2)  La  parola  commendatore  non  indica  qui  un  grado  dell'ordine  pari  a  quello  degli  ordini  caval- 
lereschi moderni,   ma  soltanto  il  cavaliere  che  possedeva   una  commenda. 

(3)  Quello  che  qui  lamenta  e  riprende  il  Poeta,  era  vero  e,  fino  dai  suoi  tempi,  pur  troppo  fra 
gli  uomini  illustri  decorati  vi  era  anche  il  gregge  e  l' indegno.  —  Però  conviene  confessare  il  vero, 
che  la  crocimania  non  era  peranco  giunta  al  grado  a  cui  oggi  è  salita,  e  che  con  qualche  pudore  si 
procedeva  nel  conferimento  di  questi  gradi  onorifici. 

Chiunque  si  faccia  a  confrontare  i  tempi  anteriori  al  1848,  con  quelli  che  sono  sorti  dopo,  vedrà 
esserci  una  grande  differenza  e  tutta  a  svantaggio  degli  attuali.  —  Da  più  parti  in  Italia  si  chie- 
deva l' istituzione  di  un  ordine  nuovo  che  non  si  conferisse  che  ai  veramente  benemeriti  della  patria, 
delle  scienze,  delle  arti,  e  si  appagò  il  comune  desiderio  creando  quello  della  Corona  d'  Italia  ;  ma 
a  che  siamo  noi  F  Siamo  al  punto  che  la  presente  satira  del  Giusti  crediamo  che  a  null'altro  ordine 
si  attagli  e  quadri  meglio  che  a  quello  della  Corona  d' Italia,  oggimai  pur  troppo  ancor  esso  polluto. 


ila: 


144  Poesie  del  Giusti  illustrate 


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(4)  Qui  riprende  l'origine  e  la  smania  nobilesca  di  alcuni  béceri  arricchiti  nelle  truffe  e  nei  mer- 
cimoni ;  e  pur  troppo  da  questa  feccia  trasse  sua  origine  non  pcca  parte  della  nobiltà  moderna, 
volendo  così  i  parvenus  con  una  croce  coprire  la  povertà  del  loro  ingegno,  la  pravità  dell'animo  e 
le  opere  malvagie  perpetrate. 

Il  burlesco  protagonista  di  questa  satira  fu  uno  dei  tanti  che  si  alzò  a  nobiltà  dai  più  umili 
ed  abbietti  gradi  sociali  ;  e  pur  troppo  non  fu  il  solo.  —  Quando  fu  passata  manoscritta,  come  tutte 
le  altre,  questa  poesia  nel  crocchio  degli  amici,  tutti  seppero  per  qual  nuovo  cavaliere  era  stata 
scritta  :  carità  però  vuole  che  anche  sapendolo  non  si  nomini,  avvegnaché  il  Giusti  abbia  sempre 
preso  di  mira  non  gli  uomini,  ma  il  vizio. 

5)  I  taù  erano  i  camerieri  o  scudieri  dell'ordine. 

(6)  Come  si  disse,  la  sede  dell'ordine  era  a  Pisa. 

(7)  Luogo  ove  abitano  le  persone  del  volgo  e  susurrano  con  incessante  cicaleggio  le  Ciane  fio- 
rentine. 

(8)  Diminutivi  popolari   di  Lucrezia,   Caterina,   Zanobi  e  Domenico. 

(9)  Idiotismo,  invece  di  facemmo. 

(io)  Il  popolo  chiamava  logica  il  giovane  che  faceva  l'elegante.  • 

(n)  Come  dicemmo,  i  cavalieri  di  S.  Stefano  vestivano  la  cappamagna,  specie  di  veste  alla  romana. 
Tutta  questa  satira,  lasciato  ciò  che  può  spettare  ad  hominem,  è  il  commento  dei  seguenti  versi  : 

In  tempi  men  leggiadri  e  più  feroci 
Si  appiccavano  i  ladri  sulle  croci  — 
In  tempi  men  feroci  e  più  leggiadri 
S'appiccano  le  croci  in  petto  ai  ladri. 

E  pur  troppo  è  vero  ! 


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POESIE    DEL    GIUSTI    ILLUSTRATE 


Poesie  del  Giusti  illustrate.  —  edizione  nerbini 


Fascicolo  10. 


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Poesie  del  Giusti  illustrale 


147 


PER  UN  REUMA  D'UN  CANTANTE 


(1) 


1841. 


V  è  tal  che,  mentre  canti  e  in  bella  guisa 
Lodi  e  monete  accatastando  vai, 
Rammenta  i  dolci  che  non  tornan  mai 
Tempi  di  Pisa, 

Quando  di  notte  per  la  via  maestra, 
Il  duo  teco  vociando  e  la  romanza, 
Prendea  diletto  di  chiamar  la  ganza 
Alla  finestra  ; 

E  a  lui  gli  amici  concedeano  vanto 
Di  ben  temprato  orecchio  all'armonia 
E  dalla  gola  giovinetta  uscìa 
Facile  il  canto. 

Pazzo,  che  almanaccò  per  farsi  nome, 
Con  un  libraccio  polveroso  e  vieto, 
Lasciando  per  il  suon  dell'alfabeto 
Crome  e  biscrome  !   (2). 

Or  tu  Mida  doventi  in  una  notte  ; 
E  via  portato  da  veloce  ruota, 


Sorridi  a  lui  che  lascia  nella  mota 
Le  scarpe  rotte  : 


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148 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Ed  ei  lieto  risponde  al  tuo  sorriso, 
E  l'antica  amistà  sente  nel  seno 
Che  a  te  lo  ravvicina,  a  te  che  almeno 
Lo  guardi  in  viso. 

Vedi  ?  passa  e  calpesta  il  galateo 
Lindoro,   amor  d' inverniciate  dame, 
E  d'elegante  anonimo  bestiame 
Tisico  Orfeo. 

Eccolo  ;  ognun  si  scansa,  ognun  trattiene 
L'alito,  e  schianta  ansando  dalla  tosse  ; 
E  creste  all'aria  e  seggiole  commosse.... 
Ei  viene,  ei  viene. 

Svenevole  s' inoltra  e  sdolcinato  ; 

Gira,  ciarla,  s'  inchina  e  l'occhio  pesto 
Languidamente  volge  e  fa  il  modesto 
E  lo  svogliato. 


Pregato  e  ripregato,  ecco  sorride 
In  atto  di  far  grazia  ai  supplicanti  ; 
I  baffi  arriccia  in  su,  si  tira  i  guanti, 
E  poi  si  asside. 

La  giovinetta  convulsa  e  sbiadita 

Très-bien  gorgoglia  con  squarrata  voce, 
Mentr'ei  tartassa  il  cembalo  ;  e  veloce 
Mena  le  dita  ; 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


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149 


E  nelle  orecchie  imbriacate  muore 
Semifrancese  lambiccato  gergo 
Di  frollo  Adon  che  le  improvvisa  a  tergo 
Frizzi  d'amore. 

Piange  intanto  il  filosofo  imbecille, 
E  dietro  l'arte  tua  chiama  sprecato 
L'oro  che  può  lo  stomaco  aggrinzato 
Spianare  a  mille  ; 

Piange  di  Romagnosi  che  coli' ale 

Dell'alto  ingegno  a  tanti  andò  di  sopra 


E  i  giorni  estremi  sostentò  coll'opra 
D'un  manovale  (3). 

Pianto  sguaiato,  che  del  mondo  vecchio 
In  noi  l'uggia  trapianta  e  il  malumore  '. 


Purché  la  pancia  il  cuoco,  ed  un  tenore 
C'empia  l'orecchio, 


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Sii: 


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150 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


Che  importa  a  noi  del  nobile  intelletto 
Che  per  l'utile  nostro  anela  e  stenta, 
Del  poeta  che  bela  e  ci  sgomenta 
Con  un  sonetto  ? 

Dell'ugola  il  tesoro  e  dei  registri 
Di  noi  stuccati  gli  sbadigli  appaga  ; 
Torni  Dante,  tre  paoli  (4)  ;  a  te,  la 
Di   sei  ministri. 

Signor  !  Tu  che  alla  pecora  tosata 
Volgi  in  aprile  il  mese  di  gennaio 
E  secondo  il  mantel  tarpi  a  rovaio 
L'ala  gelata, 

Salva  l'educatrice  arte  del  canto  ; 
A  te  gridano  i  palchi  e  la  platea  : 
Miserere,  Signor,  d'una  trachea 
Che  costa  tanto. 


paga 


Anzi  del  cranio  rattrappiti  e  monchi 
Gli  organi  lascia  che  non  danno  pane, 
E  la  poca  virtù  che  vi  rimane 
Ca7i  ne'  bronchi. 

S'usa  educar,  lo  so  ;  ma  è  pur  corbello, 
Bimbi,  chi  spende  per  tenervi  a  scuola  ! 
Gola  ed  orecchi  ci  vuole,  orecchi  e  gola  ; 
Pèste  al  cervello  !   (5) 


Sip 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Preterito  più  che  perfetto  del  verbo  "  pensare  „  (I) 


1839. 


Il  mondo  peggiora 
(Gridan  parecchi) 
Il  mondo  peggiora  : 
I  nostri  vecchi  (i) 

Di  rispettabile, 
D'aurea  memoria, 
Quelli  eran  uomini  ! 
Dio  li  abbia  in  gloria. 

È  vero  :  i  posteri 
Troppo  arroganti, 
Per  questa  furia 
D'andare  avanti, 

All'uman  genere 
Ruppero  il  sonno 


E  profanarono 
L'  idee  del  nonno  (2). 
In  ilio  tempore  (3), 
Quando  i  mortali 
Se  la  dormivano 
Fra  due  guanciali  ; 


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sic 


152 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Quand'era  canone 
Di  galateo 
Nihil  de  principe, 
Parum  de  Deo  : 

Oh  età  pacifiche, 
Oh  benedette  ! 
Non  e'  impestavano 
Libri  e  gazzette  ; 


Toccava  all'  indice 
A  dire,  io  penso  ; 
Non  era  in  auge 
Questo  buon  senso, 

Questi  filosofi 
Guastamestieri, 
Che  i  dotti  ficcano 
Tra  i  cavalieri. 

Pare  impossibile  ! 
La  croce  è  offesa 
Perfin  sugli  abiti  ! 
(Pazienza  in  chiesa  !) 


fli  II-: 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


E  prima  i  popoli 
Sopra  un  occhiello 


Ci  si  sciupavano 
Proprio  il  cappello. 

Per  questo  canchero 
Dell  '  uguaglianza 
Non  v'era  requie 
Né  tolleranza  ; 

Non  era  un  martire 
Ogni  armeggione 


«*■ 


Dato  al  patibolo 
Per  la  ragione. 
Tutti  serbavano 
La  trippa  ai  fichi  : 
Oh  venerabili 
Sistemi  antichi  ! 


35 


5iii- 


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154 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Per  viver  liberi 
Buscar  la  morte  ? 


È  meglio  in  gabbia, 
E  andare  a  Corte. 

Là,  servo  e  suddito 
Di  regio  fasto, 
Leccava  il  nobile 
Cavezza  e  basto   (4) 

E  poi  dell'aulica 
Frusta  prendea 
La  sua  rivincita 
Sulla  livrea. 

Ma  colle  borie 
Repubblicane 
Non  domi  un  asino 
Neppur  col  pane  ; 

E  in  oggi,  a  titolo 
Di  galantomo, 
Anche  lo  sguattero 
Pretende  a  omo. 

Prima  trattandosi 
D' illustri  razze, 
A  onore  e  gloria 
Delle  ragazze, 


fili: 


ÉIDC 


mit 


Voesie  del  Giusti  illustrate 


155 


Le  mamme  pratiche 

E  tutte  zelo 

Voleano  il  genero 

Con  il  trapelo  (5). 
Del   matrimonio 

Finiti  i  pesi 

Nel  primo  incomodo 

Di  nove  mesi, 
Si  rimettevano 

Mogli  e  mariti 


L'uggia  reciproca 
Di  star  cuciti  ; 

Ejl'Orco  e  i  magici 
Sogni  ai  bambini 
Eran  gli  articolo 
Del  Lambruschini  (6). 

Oggi  si  predica 
E  si  ripiglia 
La  santimonia 
Della  famiglia  (7). 

I  figli,  dicono, 
Non  basta  farli  ; 
V  è  la  seccaggine 
Dell'educarli. 

E  in  casa  il  tenero 
Babbo  tappato 
Cova  gli  scrupoli 
Del  proprio  stato  ; 


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156  Poesie  del  Giusti  illustrate 


E  le  Penelopi 
Nuove  d'  Italia, 
La  bega  arcadica 
Di  far  la  balia. 

Oh  tempi  barbari  ! 
Nessun  più  stima 
Quel  vero  merito 
Di  nascer  prima. 

Dolce  solletico 

Di  un  padre  al  core  : 
Ah  l'amor  proprio 
È  il  vero  amore  ! 

Tu,  tu,  santissimo 
Fide-commesso, 
Da  questi  Vandali 
Distrutto  adesso, 

Nel  primogenito 
Serbasti  unito 
L'onor  blasonico, 
Il  censo  avito, 

E  in  retta  linea 
D'età  in  età 
Ereditaria 
L'asinità. 

Ora  alla  libera 
Vede  un  signore 
Potarsi  l'albero 
Dal  creditore  ; 

L'usura,  il  codice, 
Ne  róse  i  frutti  ; 
Il  messo  e  l'èstimo  (8) 
Pareggia  tutti  : 

Chi  non  sa  leggere 
Si  chiama  un  ciuco, 
E  inciampi  cattedre 
Per  ogni  buco. 

Per  l' illustrissimi, 
Funi  e  galere 
Un  giorno  c'erano, 
Per  darla  a  bere  ; 

Ma  in  questo  secolo 
Di  confusione 
Si  pianta  in  carcere 
Anco  un  barone  ; 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


157 


E  s'aboliscono 
Senza  giudizio 
La  corda,  il  boja, 
E  il  Sant'Uffizio  (9). 

Il  vecchio  all'ultimo, 
Saldando  ai  frati 
Quel  po'  di  debito 
De'  suoi  peccati, 

I  figli  poveri 
Lasciava,  e  pio 
Mettea  le  rendite 
In  man  di  Dio  (io). 

Oggi  ripiantano 
\J  a  ufo  in  cielo, 
E  a'  pescivendoli 
Torna  il  vangelo. 

E  se  il  pontefice 
Fu  Roma  e  toma. 


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Or  non  dev'essere 
Nemmanco  Roma  : 


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158 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


E  si  scavizzola 
Si  stilla  tanto, 


Che  adesso  un  chimico 
Rovina  un  santo  (11). 

Prima  il  battesimo 
Ci  dava  i  re, 
In  oggi  il  popolo 
Gli  unge  da  sé  (12)  ; 

E  se  pretendono 
Far  da  padrone 
Colle  teoriche 
Del  re  leone, 

Te  li  rimandano 
Quasi  per  ladri  : 
Beata  l'epoca 
De'  nostri  padri  I 


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Poesie  del  Giusti  illustrate  159 

ANNOTAZIONI 


(per  un  reuma  d'  un   cantante) 

(1)  Il  suono,  il  canto  e  la  danza,  non  vi  ha  dubbio  che  sono  cespiti  del  grande  albero  dell'arte 
come  la  poesia,  la  pittura  e  la  scultura,  che  presso  un  popolo  civile  devono  essere  in  pregio,  come- 
chè  parlino  all'affettività  umana,  che  è  gran  parte  della  nostra  substanzia,  e  comechè  le  verità  pure 
che  si  partono  o  si  volgono  all'  intelletto  non  bastino,  come  non  basta  l'alimento  della  pura  corpo- 
reità umana. 

Carne,  mente  e  cuore  formano  l'uomo  e  ad  ogni  ramo  di  quella  triade  di  sentimenti,  di  pensieri 
e  di  materiali  bisogni  vuoisi  dar  pascolo  gradito. 

Ma  se  la  Grecia  e  Roma  nell'apogeo  della  loro  civiltà  idolatrarono  cantanti,  mimi  e  suonatori 
assai  più  dei  poeti,  dei  pittori,  degli  scultori,  degli  oratori,  dei  filosofi  e  degli  uomini  di  toga  e  di 
spada,  P  indole  speciale  della  moderna  civiltà  esigerebbe  che  un  tal  culto  si  moderasse  e  che  ad  una 
dotta  laringe  e  ad  una  lesta  e  ben  tornita  gamba  non  si  aprissero  quei  forzieri  che  si  chiudono  alla 
virtù  infelice,  alla  scienza  vilipesa  e  all'onestà  disconosciuta.  In  questo  modo  si  antepone  il  sussulto 
dei  muscoli  all'  intelletto,  l'aere  che  fugge  dalla  trachea  ai  puri  e  sacri  affetti  del  cuore,  e  il  trillo, 
il  gorgheggio  e  la  piroetta  al  santo  amore  della  patria. 

Giuseppe  Giusti,  che  ogni  sconcezza  dei  moderni  costumi  vide  ed  annotò,  non  poteva  non  ve- 
dere il  violato  parallelismo  fra  le  ricompense  che  il  mondo  contemporaneo  dona  agli  artisti  di  canto 
e  quelle  che  elargisce  ai  sapienti  ed  agli  artisti.  Quindi  non  poteva  non  tentare  di  porvi  un  freno, 
adoprando  per  tale  intento  l'unica  arme  che  si  richiede,  quella  del  ridicolo. 

Ottenne  il  prefissosi  intento  ?  Crediamo  di  no. 

(2)  Le  prime  strofe  di  questa  saffica  riguardano  il  celebre  cav.  Napoleone  Mariani,  amico  e  con- 
discepolo all'università  di  Pisa  del  nostro  autore.  Il  Giusti,  modesto  com'era  e  quasi  diffidente  di 
sé,  nel  tentar  questo  nuovo  genere  di  poesia,  lo  dichiarò  di  viva  voce  al  Moriani.  E  questa  circostanza 
ci  richiama  alla  mente  che  "non  pochi  fra  attori  e  cantanti  furono  alunni  di  qualche  ateneo,  e  noi 
potremmo  nominarne  alcuni  che  avemmo  nei  primi  anni  del  nostro  tirocinio  condiscepoli  a  Pisa.  Che 
diremo  di  tanti  celebri  che,  non  solamente  le  aule  universitarie,  ma  non  videro  neppure  le  mura  di 
una  scuoletta  ? 

Napoleone  Moriani  fu  un  astro  brillante  sulle  scene  dei  maggiori  teatri  d'  Europa.  La  sua  voce 
melodiosa,  il  suo  bell'aspetto,  la  sua  maestrìa  ed  onestà  gli  procacciarono  molti  meritati  onori.  Il 
suo  nome,  vivo  tuttora  negli  animi  nostri,  passerà  nel  dominio  della  storia  dell'arte.  Il  fascino  della  sua 
voce,  del  suo  canto  e  del  suo  valore  drammatico,  massimamente  nella  Lucia,  nella  Lucrezia  Borgia 
di  Donizzetti  e  nel  Rolla  di  Ricci  (che  niun  tenore  osò  per  anco  toccare)  resteranno  a  memoria  di 
perenne  dolcezza  e  di  forti  emozioni.  Il  Moriani  tanto  raggiunse  nell'arte  la  verità,  che  in  Germania 
ed  in  Francia  era  chiamato  il  tenore  della  bella  morte.  Moriani,  all'apogeo  della  sua  gloria,  nella  pie- 
nezza dei  suoi  invidiabili  mezzi,  non  curando  ricchezze,  abbandonò  il  teatro  (e  fu  questo  un  furto 
all'arte)  nauseato  dagli  intrighi  che  gli  furono  sempre  indivisibili  compagni,  e  di  tutto  ciò  che  vi  ha 
di  brutto  e  d' immorale  dietro  le  scene.  Di  cuore  sensibile  e  di  onesti  principi,  fu  in  tutto  vittima  della 
sua  buona  fede.  Con  modesta  fortuna,  circondato  dall'amore  dei  suoi  figli  Carlo  e  Minerva,  viveva 
la  maggior  parte  dell'anno  in  una  sua  villa  nelle  vicinanze  di  Greve,  occupandosi  di  enologia  e  di 
cose   agrarie. 

(3)  Il  Poeta  ha  ragione  —  Botta,  Romagnosi,  Gioja,  Rossetti,  Tommaseo  e  mille  e  mille  altri 
grandissimi  italiani  vissero  giorni  miseri  e  fra  lo  stento  camparono,  o  campano  la  vita  a  frusto 
a  frusto. 

Paragonate  la  vita  misera  di  questi  sapienti  con  le  lautezze  di  una  Rachel,  una  Ristori,  una  Grisi, 
una  Malibran,  una  Titiens,  una  Cerrito,  una  Esler,  una  Taglioni  e  cento  e  cento  altre  e  dite  se  vi 
è  ragione  che  basti  per  scusare  lo  spreco  che  si  fa  da  un  lato  e  la  spilorceria  cittadina  per  l'altro  ! 

(4)  I  paoli  erano  una  piccola  moneta  d'argento  del  valore  di  $6  centesimi.  Furono  per  la  prima 
volta  fatti  coniare  da  Paolo  III  papa  Farnese  —  essi,  e  così  i  loro  duplicati,  sono  stati  da  tempo 

aboliti. 

(5)  Magnifica  e  finamente  ironica  è  la  finale  della  satira.  Dopo  averci  fatto  conoscere  nelle  pre- 
cedenti strofe  tale  abitudine  del  non  sempre  colto  pubblico,  e  la  nullità  civile  di  molti  cantanti  e  quel- 
l'ostracismo dato  all'  intelletto,  fa  conoscere  il  generoso  sdegno  che  moveva  il  Poeta  quando  si  fece 
a  toccare  questa  stortura  dell'appetiscenza  e  delle  costumanze  della  società  contemporanea,  che  al 
ballo  ed  al  canto,  anzi  al  teatro  istesso,  non  domanda  più  altro  che  una  solleticatura  dalla  univer- 
sale apatia  e  un  pascolo  al  più  impudico  cinismo. 


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160  Toesie  del  Giusti  illustrate 


(PRETERITO  PIÙ  CHE  PERFETTO  DEL  VERBO  «  PENSARE  ») 


(i)  Fino  da;  tempi  di  Orazio  i  vecchi  sono  stati  sempre  lodatori  temporis  adì,  non  perchè  il  mondo 
cangi  di  sovente  e  molto,  ma  perchè  siamo  noi  che  cangiamo  cogli  anni,  e  quello  che  ci  sorrideva 
nella  giovinezza,  ci  attrista  nella  tarda  e  senile  età.  —  Arrogi,  che  l'uomo  è  conservatore  per  natura, 
schivando  la  fatica  e  lo  studio  che  richiedono  le  nuove  verità,  le  nuove  istituzioni  ed  in  generale 
tutte  le  cose  e  pratiche  nuove. 

(2)  Nell'economia  della  natura  e  nella  natura  degli  uomini,  come  in  quella  di  ogni  consorzio 
_  civile  e  politico,  tutto  è  siffattamente  temperato  in  un  dualismo  prestabilito  di  progresso  e  di   con- 
servazione ;  ed  è  perciò  che  se  vi  sono  i  codini,  o  retrogradi,  vi  si  trovano  pure  i  progressisti,    i  quali, 
pria  col  ministero  della  penna  e  della  parola,   e  poi  con  quello  delle  rivoluzioni  e  delle  barricate,    o 
della  spada  e  del  cannone,  dicono  ai  popoli  :  avanti  ! 

Gli  elevati  intelletti,  i  veri  sapienti  non  sono  mai  né  del  loro  tempo,  né  del  tempo  passato,  ma 
appartengono  al  futuro.  —  Felici  quando  non  hanno  ragione  troppo  presto  ;  infelici  se  spingono  i 
loro  sguardi  nel  più  lontano  avvenire  e  profetizzano  il  futuro  remoto. 

Giuseppe  Giusti  fu  uno  appunto  di  questi  uomini  chiaroveggenti  e  fu  mai  sempre  devoto  al 
progresso,  ma,  intendiamoci,  al  progresso  del  bene  (perchè  dove  non  è  bene  reale,  non  vi  è  progresso 
vero)   e  come  altissimo  intelletto  ebbe  ancor  esso  a  subire  i  pungenti  aculei  della   acre  malignità. 

(3)  Qui  comincia  una  ironia  così  leggiadramente  espressa,  che  nulla  sapremmo  imaginare  di 
più  appropriato  per  dimostrare  la  nullità,  le  oziosità  ed  i  pregiudizi  dei  tempi  anteriori  alla  Rivo- 
luzione francese,  che  ci  diede,  coli' eguaglianza  civile,  i  diritti  dell'uomo  ;  e  al  granduca  Pietro  Leo- 
poldo che  avrebbe  concesso  alla  Toscana  uno  Statuto  compilato  dal  senatore  Giani,  se  i  Toscani  di 
quel  tempo  non  avessero  (nel  Pratese  e  nel  Pistojese  specialmente)  tumultuato  per  avere  i  santi  vecchi 
e  le  antiche  leggi,  a  forza  di  legnate  nuove. 

(4)  Ad  eccezione  di  parte  della  nobiltà  del  Piemonte,  della  Lombardia,  della  Liguria  e  del  Ve- 
neto, quello  che  ne  disse  il  Parini  e  quello  che  ne  scrive  qui  il  Giusti  è  tratto  dal  vero.  —  Essa  fu 
per  gran  tempo  fiacca,  boriosa,  insulsa  e  nemica  di  ogni  progresso  sociale. 

(5)  Dicesi  trapelo  quella  bestia  da  tiro  che  nelle  salite  si  unisce  ai  cavalli,  o  muli,  che  tirano 
le  carrozze  o  i  carri.  —  Qui  però  il  poeta,  allude  ad  altra  cosa.  —  Pria  del  1789  le  nobili  signorine 
facendo  la  scritta  di  matrimonio  stabilivano,  in  Toscana,  il  diritto  di  provvedersi  di  un  cavaliere  ser- 
vente, che  toglieva  molte  fatiche  matrimoniali  agli  sposi,  ed  aveva  sulle  donne,  altrui  consorti,  un 
illimitato  potere. 

(6)  Il  senatore  Lambruschini,  checché  dir  se  ne  voglia,  fu  dei  primi  in  Italia  che  si  occupò  di 
pedagogia,  e  la  sua  Guida  dell'educatore  menò  grandissimo  rumore.  Egli,  benché  peritoso,  si  staccò 
da  Roma  e  ne  ebbe  dei  rimprocci  da  suo  zio,  segretario  di  Stato  sotto  Gregorio  XVI.  —  Egli  visse 
molto  vecchio  e  fu  ispettore  generale  delle  scuole  del  regno.  Liberale  in  tempi  di  servitù,  non  sa- 
premmo dire  che  cosa  sia  stato,  politicamente  parlando,  nell'età  senile  ;  però  si  mantenne  sempre 
uomo   onesto. 

(7)  Qui  per  antitesi,  venendo  a  fare  il  quadro  dei  tempi  moderni,  parla  del  bisogno  e  della  con- 
venienza di  istruire  i  figli,  di  allattarli  le  proprie  madri,  di  educarli,  di  por  giù  i  majorascati,  barbara, 
ingiusta  ed  antinaturale  istituzione  del  medio  evo,  i  fidecommissi  inceppanti  l'agricoltura  e  ledenti 
il  possesso. 

(8)  Allude  all'uguaglianza  civile  che  va  instaurandosi  in  tutta  1'  Europa  meridionale  —  ma 
che,  incredìbile  dictu,  manca  ancora  all'  Inghilterra. 

(9)  Allude  alla  riforma  dei  codici  criminali  ed  ai  supplizi  dell'  Inquisizione. 

(io)  Fino  agli  ultimi  tempi  si  credeva  dai  ricchi  che  fosse  mezzo  espiatorio  pei  loro  molti  peccati 
il  privare  i  figli  ed  i  parenti  del  patrimonio  loro  spettante,  lasciandolo  a  chiese  e  conventi,  ossivero 
a  preti  e  frati.  —  Coll'abolizione  delle  manimorte  quest'abuso  fu  tolto,  e  in  Torcana,  fino  dal  1786,  si 
ebbe  questo  beneficio. 

(11)  Riconoscendo  il  menomato  potere  del  papa,  parla  di  alcune  soverchierie  e  mistificazioni  che 
sono  operate  dalla  chimica,  mentre  un  dì  credevasi  che  fossero  effetti  di  celesti  prodigi.  —  Pare  che 
qui  alluda  più  specialmente  all'ebollizione  del  così  detto  sangue  di  san  Gennaro. 

(12)  Qui  allude  al  diritto  del  popolo  e  al  suffragio  universale  nell'elezione  dei  sovrani ,  teoria  og- 
gimai  da  tutti  riconosciuta  e  sostituita  alla  grazia  di  Dio  ed  al  diritto  divino. 


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POESIE  DEL  GIUSTI  ILLUSTRATE 


Poesie  del  Giusti  illustrate.  —  edizione  nerbimi 


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Fascicolo  11. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


163 


PER  IL  PRIMO  CONGRESSO   DEI  DOTTI 

TENUTO    IN    PISA    L'ANNO    1839    (i) 


1839. 

Di  sì  nobile  congresso 
Si  rallegra  con  sé  stesso 

Tutto  l'uman  genere. 
Tra  i  potenti  della  penna 

Non  si  tratta,  come  a  Vienna, 

D'allottare  i  popoli. 


E  per  questo  un  tirannetto  (2) 
Da  quattordici  a  duetto  (3) 

Grida  :   Oh  che  spropositi  ! 
Questo  principe  toscano, 
Per  tedesco  e  per  sovrano, 

Ciurla  un  po'  nel  manico. 
Lasciar  fare  a  chi  fa  bene  ? 
Ma  badate  se  conviene  ! 

Via,  non  è  da  principe. 


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164 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Inter  nos,  la  tolleranza 

È  una  vera  sconcordanza, 

Cosa  che  dà  scandalo. 

Non  siam  re  mica  in  Siberia  ; 
Dio  '1  volesse  !  Oh  che  miseria 
Cavalcar  1'  Italia  ! 


Qui,? nell'aria,  nel  terreno, 
Chi   lo  sa  ?   e'  è  del  veleno  : 

Buscherato  il  genio  ! 

Un'Altezza  di  talento 
Questo  bel  ragionamento 

Faccia  a  sé  medesimo. 

Se  la  stessa  teoria 
Segue,  salvo  l'eresia, 

Il  morale  e  il  fisico  ; 

Anco  il  lume  di  ragione, 
Per  virtù  di  riflessione, 

Cresce  e  si  moltiplica. 

E  siccome  a  chi  governa 
E  nemica  la  lanterna 

Che  portò  Diogene, 


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Voesie  del  Giusti  illustrate 


165 


Dal  mio  Stato  felicissimo 

(Che  per  grazia   dell'Altissimo 

Serbo  nelle  tenebre) 


Imporrò  con  un  decreto 
Che  chi  puzza  d'alfabeto 

Torni  indietro  subito  ; 


E  proseguano  il  viaggio, 
Purché  paghino  il  pedaggio, 

Solamente  gli  asini. 


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166 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Ma  quel  matto  di  granduca 
Di  tener  la  gente  ciuca 

Non  conosce  il  bandolo. 

Qualche  birba  lo  consiglia  ; 
O  il  mestare  è  di  famiglia  (4) 
Vizio  ereditario. 

Guardi  me  che  so  il  mestiere, 
E  che  faccio  il  mio  dovere 

Propagando  gli  ebeti. 

Per  antidoto  al  progresso, 
Al  mio  popolo  ho  concesso 

Di  non  saper  leggere. 

Educato  all'  ignoranza, 

Serva,  paghi  e  me  n'avanza  : 

Regnerò  con  comodo. 


Sì,  son  Vandalo  d'origine, 
E  proteggo  la  caligine, 

E  rinculo  il  secolo. 

Maledetto  l'Ateneo 
Che  festeggia  Galileo  : 

Benedetto  1'  Indice  (5). 


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Poesie  del  Giusti  illustrale 


167 


IL    BRINDISI    DI    GIRELLA'1» 

DEDICATO  AL   SIGNOR  DI  TALLEYRAND   BUON'ANIMA    SUA 


1840. 


Girella  (emerito 
Di  molto  merito), 
Sbrigliando  a  tavola 
L'umor  faceto, 
Perde  la  bussola 
E  l'alfabeto  ; 
E  nel  trincare  (2) 


Cantando  un  brindisi 

Della  sua  cronaca 

Particolare 

Gli  uscì  di  bocca 

La  filastrocca.  * 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


Viva  arlecchini 
E  burattini 
Grossi  e  piccini  ; 
Viva  le  maschere 
D'ogni  paese, 

Le  giunte,  i  club,  i  principi  e  le  chiese  (3). 
Da  tutti  questi, 
Con  mezzi  onesti, 


Barcamenandomi  (4) 

Tra  il  vecchio  e  il  nuovo, 

Buscai  da  vivere, 

Da  farmi  il  covo. 

La  gente  ferma, 

Piena  di  scrupoli, 

Non  sa  coli' anima 

Giocar  di  scherma  ; 

Non  ha  pietanza 

Dalla  Finanza. 

Viva  arlecchini 
E  burattini  ; 
Viva  i  quattrini  ! 
Viva  le  maschere 
D'ogni  paese, 
Le  imposizioni  e  l'ultimo  del  mese  (5!). 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


169 


Io,  nelle  scosse 
Delle  sommosse, 
Tenni  per  àncora 
D'ogni  burrasca, 


Da  dieci  o  dodici 
Coccarde  in  tasca. 
Se  cadde  il  prete, 
Io  feci  l'ateo, 
Rubando  lampade, 
Cristi  e  pianete, 
Case  e  poderi 
Di  monasteri  (6). 

Viva  arlecchini 
E  burattini 
E  giacobini  ; 
Viva  le  maschere 
D'ogni  paese, 

Loreto  e  la  Repubblica  francese  (6). 
Se  poi  la  coda 
Tornò  di  moda, 
Ligio  al  pontefice 
E  al  mio  sovrano 
Alzai  patiboli 
Da  buon  cristiano. 
La  roba  presa 
Non  fece  ostacolo  ; 
Che  col  difendere 
Corona  e  Chiesa, 
Non  resi  mai 
Quel  che  rubai. 


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170 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Viva  arlecchini 
E  burattini  ; 
E   birichini  ; 
Briganti  e  maschere 
D'ogni  paese, 

Chi  processò,  chi  prese  e  chi  non  rese  (8). 
Quando  ho  stampato, 
Ho  celebrato 


E  troni  e  popoli, 
E  paci  e  guerre  ; 
Luigi,  l'Albero  ; 
Pitt,   Robespierre  ; 
Napoleone, 
Pio  sesto  e  settimo  ; 
Murat,   Fra  Diavolo, 
Il  re  Nasone  ; 
Mosca  e  Marengo  ; 
E  me  ne  tengo  (9). 
Viva  arlecchini 
E  burattini, 
E  ghibellini 
E  guelfi  e  maschere 
D'ogni  paese  ; 
Evviva  chi  salì,  viva  chi  scese. 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


mot 


171 


Quando  tornò 
Lo  statu  quo, 
Feci  baldorie, 
Staccai  cavalli, 
Mutai  le  statue 
Sui  piedistalli. 
E  adagio  adagio 
Tra  l'onde  e  i  vortici, 
Su  queste  tavole 
Del  gran  naufragio, 
Gridando  evviva 


Chiappai  la  riva. 

Viva  arlecchini 
E  burattini  ; 
Viva  gì'  inchini  ; 
Viva  le  maschere 
D'ogni  paese  ; 

Viva  il  gergo  d'allora  e  chi  1'  intese  (io). 
Quando  volea 
(Che  bella  idea  !) 
Uscito  il  secolo 
Fuor  de'  minori, 
Levar  1'  incomodo 
Ai  suoi  tutori  ; 


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172 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Fruttò  il   carbone, 
Saputo  vendere, 
Al  cor  di   Cesare 
D'un    mio  padrone 
Titol  di  re   (n), 


E  il  nastro  a'me. 

Viva  arlecchini 
E  burattini 
E  pasticcini  ; 
Viva  le  maschere 
D'ogni  paese 

La  candela  di  sego  e  chi  l'accese(i2). 
Dal  trenta  in  poi, 
A  dirla  a  voi, 
Alzo  alle  nuvole 
Le  tre  giornate   (13)  ; 
Lodo  di  Modena 
Le  spacconate  ; 
Leggo  i  giornali 
Di  tutti  generi  ; 
Piango  1'  Italia 
Coi  liberali  ; 
E  se  mi  torna, 
Ne  dico  corna. 


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Viva  arlecchini 
E  burattini, 
E  il  re  Chiappini  ; 
Viva  le  maschere 
D'ogni  paese, 
La  Carta,  i  tre  colori  e  il  crimen  lce.se  (14). 

Ora  son  vecchio, 
Ma  coli' orecchio, 
Per  abitudine 
E  per  trastullo, 
Certi  vocaboli 
Pigliando  a  frullo, 
Placidamente 
Qua  e  là  m'esercito  ; 
E  sotto  l'egida 
Del  presidente 
Godo  il  papato 
Di  pensionato. 

Viva  arlecchini 
E  burattini, 
E  teste  fini, 
Viva  le  maschere 
D'ogni  paese  ; 


Viva  chi  sa  tener  l'orecchie  tese. 


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174 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


Quante  cadute 
Si  son  vedute  ! 


Chi  perse  il  credito, 
Chi  perse  il  fiato, 
Chi  la  collottola, 
E  chi  lo  Stato. 
Ma  capofitti 
Cascaron  gli  asini  : 
Noi  valentuomini 
Siam  sempre  ritti, 


Mangiando  i  frutti 
Del  mal    di  tutti. 
Viva  arlecchini 
E  burattini, 
E  gì'  indovini  ; 
Viva  le  maschere 
D'ogni  paese  ; 
Viva  Brighella  che  ci  fa  le  spese. 


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Toesie  del  Giusti  illustrate  175 


ANNOTAZIONI 


(per  il  primo  congresso  dei   dotti). 


(1)  Nel  1839  si  importarono  in  Italia  dalla  Germania,  meglio  che  dalla  Francia  e  dall'  Inghil- 
terra, i  congressi  dei  naturalisti.  —  Leopoldo  II  accolse  la  proposta  degli  Antinori,  dei  Ridolfi,  dei 
Bufalini,  dei  Matteucci  e  del  principe  di  Canino,  e  nel  settembre  di  detto  anno  si  effettuò  la  prima 
riunione  a  Pisa,  e  si  compose  di  circa  360  naturalisti. 

Farini  giudicò  per  quello  che  erano  i  congressi  scientifici  dell'  Italia.  —  Poco  fecero  per  la  scienza, 
ma  molto  per  la  liberazione  della  nazione.  —  I  patrioti  s' intesero,  e  apertamente,  fuori  di  ogni  setta, 
salutarono  l'aurora  del  risorgimento  italiano  a  Torino,   a  Genova  e  a  Venezia. 

—  I  vostri  congressi  —  dicevami  un  giorno  Garibaldi  nel  tragitto  che  facemmo  da  Monsummano 
a  Fucecchio — sono  stati  molto  utili  al  paese.  L'Italia  si  è  fatta,  o  meglio,  si  farà  da  sé,  ma  un  grande 
impulso  ce   l'avete  dato  voi  altri  colle  vostre  riunioni. 

(2)  Il  duca  di  Modena. 

(3)  Dtietto,  moneta  toscana,  ossia  due  quattrini  —  equivalenti  a  tre  centesimi. 

(4)  Allude  a   Leopoldo  I  precursore  del  secolo,  avo  di  Leopoldo   IL 

(5)  Come  suona  spontanea  in  bocca  dell'oscurantista  e  dispotico  Francesco  IV,  duca  di  Mo- 
dena, questa  romanzina  al  reale  cugino  di  Toscana  !  —  Chi  festeggia  infatti  il  Galileo  non  può  amare 
P  Indice,  e  chi  ama  P  Indice  non  può  inneggiare  al  martire  dell'  Inquisizione.  —  Se  non  che  venne 
presto  il  tempo  che  per  due  volte  anche  Leopoldo  II  rinculò  il  secolo,  e  fu  costretto  per  due  volte, 
cioè  nell'8  febbraio  1849  e  nel  27  aprile  1859,  ad  esulare  dal  Granducato  e  quest'ultima  volta  per 
sempre. 


(il    brindisi    di    girella). 


(1)  Fu  questa  la  satira  che  cogliendo  al  vero  i  vizi  dei  burgravi  della  Borsa  e  dei  versipelle  politici, 
elevò  ad  alta  fama  il  Giusti.  —  Anzi,  mentre  delle  satire  mandate  in  mano  degli  amici,  mai  scritte 
di  proprio  pugno,  negava  volentieri  la  paternità,  di  questa  se  ne  confessava  facilmente  e  liberamente 
autore. 

I  manoscritti  poetici  di  Giuseppe  Giusti  sono  rarissimi  :  anzi  si  ha  luogo  di  credere  che  di  molte 
satire,  che  scriveva  e  imparava  a  memoria,  poi  lacerava  il  manoscritto,  non  sia  mai  esistito  l'originale 
in  buona  forma.  Narrasi  infatti  che  essendogli  stata  fatta  una  perquisizione  dagli  agenti  di  polizia 
del  toscano  Morfeo,  non  gli  furono  trovati  altri  scritti  che  la  nota  del  bucato. 

II  brindisi  di  Girella,  che  si  può  applicare  a  Talleyrand  come  a  qualunque  uomo  politico  contem- 
poraneo, specialmente  della  Francia  ed  in  parte  anche  dell'  Italia,  ove  i  sommi  hanno  servito  tutti  1 
padroni  e  legato  l'asino  ove  loro  piaceva,  si  diffuse  ben  tosto  in  tutta  Italia  e  se  ne  menò  rumore 
come  di  un  avvenimento  politico. 

Si  sa  che  Talleyrand,  già  vescovo  di  Antuan  cantò  la  messa  dello  Spirito  Santo  nella  convo- 
cazione degli  Stati  generali  sotto  Luigi  XVI  nel  1789,  servì  la  Repubblica,  il  Direttorio,  Napoleone 
console  e  Napoleone  imperatore,  favorì  la  Restaurazione,  fu  al  Congresso  di  Vienna  e  di  Parigi,  presto 
tredici  giuramenti,  fu  prete,  poi  vescovo,  poi  giacobino,  poi  secolare  e  dopo  morto  volle  essere  sep- 
pellito cogli  abiti  episcopali  e  col  rito  usato  pei  sacerdoti. 

Però  egli  non  fu  che  uno,  sebbene  il  più  cospicuo,  dei  molti  Girella  dei  tempi  nostri. 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


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(2)  Trincare,  significa   bere  molto  e  a  largo  nappo. 

(3)  Sono  singolarissimi  i  ravvicinamenti  (i  rafrcchements)  fatti  in  questa  scherzosa  e  vivace 
poesia  del  nostro  Poeta  —  si  direbbero  quasi  fatti  a  modo  di  §alti  grotteschi  se  la  fine  satira  e  la 
pungente  ironia  non  legassero  il  tutto  con  un  sottile  filo  di  sintassi,  di  logica  e  di  senso  allegorico. 
Egli  unisce  in  un  verso  le  giunte,  che  erano  una  specie  di  tribunale  statario,  i  club,  ragunata  di  liberali 
rappresentanti  dell'avvenire,  i  principi  e  le  chiese  che  rappresentano  il  passato  fossilizzato. 

(4)  Barcamenandomi,  è  questo  un  vocabolo  che  non  abbiamo  trovato  usato  da  altri  autori.  — 
Qui  il  Giusti  lo  ha  usato  nel  senso  di  una  condotta  politica  doppia  ed  equivoca,  come  si  conviene  a 
colui  il  quale  è  il  protagonista  della  satira,  che  si  propone  di  campare  collo  spionaggio. 

(5)  Gli  impiegati  regi  in  Toscana  erano,  sotto  Leopoldo  II,  pagati  il  16  d'ogni  mese,  e  però 
si  chiamarono  anche  sedicini.  —  Non  sappiamo  quindi  come  si  alluda  all'ultimo  del  mese.  In  altre 
edizioni  troviamo  questa  variante  :  «Le  imposizioni  e  il  sedici  del  mese  »  e  questa  la  crediamo  la 
più  esatta. 

(6)  Qui  va  semplificando  con  verità  storica  le  opere  dei  Girella  politici,  che  restano  sempre  a 
galla,  non  andando  mai  contro  vento  e  a  tempo  cambiando  pensiero  e  coccarda. 

(7)  Si  ritorna  alle  antitesi  politiche,  cioè  il  monachismo  e  il  miracolismo  del  santuario  di  Lo- 
reto di  faccia  all'ateismo  della  Repubblica  francese. 

(8)  Eccoci  alla  morale  elastica  dei  Girella,  che  lodando  ed  approvando  ogni  forma  di  governo 
ed  ogni  prircipe,  non  si  credono  in  dovere  di  rinunziare  ai  benefici  dei  governi  antecedenti,  né  di 
restituire  la   roba  presa. 

(9)  Luigi,  si  intende  Luigi  XVI  ;  l'Albero,  l'albero  della  libertà  ;  Nasone,  il  re  Francesco  I  di 
Napoli  ;   Fra  Diavolo,  un  famoso  reazionario  sotto  il  cardinale  Ruffo. 

(io)  Il  gergo  della  restaurazione  fu  veramente  inintelligibile.  —  Difatti  mentre  Napoleone,  fida- 
tosi della  lealtà  inglese,  sul  Bellerofonte  si  trasportava  a  S.  Elena  e  vi  si  inchiodava  ;  il  viceré  Eu- 
genio, fedele  alla  fortuna  del  gran  capitano,  era  sbalzato  di  trono  ;  i  reazionari  lombardi  uccide- 
vano Prina  ed  acclamavano  il  governo  dell'Austria  ;  Bellegarde  da  Milano,  Bentink  da  Genova, 
Murat  da  Napoli,  chiamavano  a  libertà  e  ad  indipendenza  gli  italiani  servi  servorum  di  tutti  i  vecchi 
e  nuovi  padroni.  Sicché  ben  potè  dire  il  Poeta:  «Viva  il  geigo  d'allora  e  chi  l'intese». 

(11)  Qui  non  vi  è  dubbio  che  alluda  al  principe  di  Carignano  eletto  re  di  Sardegna,  nel  1830, 
dopo  che  pagò  i  suoi  peccati  liberaleschi  e  carbonareschi  al  Trocadero,  e  seppe  ingraziarsi  Francesco  I 
imperatore   d'Austria. 

(12)  Allegoricamente  qui,  la  candela  di  sego,  indica  il  dominio  dei  tedeschi  in  Italia. 

(13)  Le  giornate  di  luglio  del   1830  e  la  fuga  di  Carlo  X. 

(14)  La  Carta  o   Statuto  concesso  ai  Francesi  dal  re  cittadino  Luigi  Filippo  d'Orléans. 


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POESIE   DEL   GIUSTI    ILLUSTRATE 


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Poesie  del   Giusti  illustrate. —  edizione  nerbini 


Fascicolo  12. 


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179 


GLI  UMANITARI 


1841. 


Ecco  il  Genio  umanitario  (1) 
Che  del  mondo  stazionario 
Unge  le  carrucole. 
Per  finir  la  vecchia  lite 
Tra  noi,   bestie  incivilite 

Sempre  un  po'   selvatiche, 
Coli'  idea  d'essere  Orfeo 
Vuol  mestare  in  un  cibrèo 
L'universo  e  reliqua  (2). 
Al  ronzìo  di  quella  lira 
Ci  uniremo,  gira  gira, 

Tutti  in  un  gomitolo. 


Varietà  d'usi  e  di  clima 
Le  son  fisime  di  prima  : 
È  mutata  l'aria. 


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180  Poesie  del  Giusti  illustrate 


I  deserti,  i  monti,  i  mari, 
Son  confini  da  lunari, 

Sogni  di  geografi   (3). 

Col  vapore  e  coi  palloni 
Troveremo  gli  scorcioni 
Anco  nelle  nuvole  : 

Ogni  tanto,  se  ci  pare, 
Scapperemo  a  desinare 

Sotto,  qui  agli  antipodi  : 

E  ne'  gemini  emisferi 

Ci  uniremo  bianchi  e  neri  : 
Bene  !   che  bei  posteri  ! 

Nascerà  di  cani  e  gatti 
Una  razza  di  mulatti 

Proprio  in  corpo  e  in  anima. 

La  scacchiera  d'arlecchino 
Sarà  il  nostro   figurino, 
Simbolo  dell'  indole. 


(Già  per  questo  il  gran  sultano 
Fé'  la  giubba  al  musulmano 
A  coda  di  rondine  !)   (4) 

Bel  gabbione  di  fratelli  ! 
Di  tirarci  pe'  capelli 

Smetteremo  all'ultimo. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


181 


Sarà  inutile  il  cannone 


Morirem   d'  indigestione, 


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Anzi   di   nullaggine. 

La   fiaccona  generale 
Per  la  storia  universale 
Farà  molto  comodo. 

10  non  so  se  il  regno  umano 
Deve  aver  papa  e  sovrano  ; 

Ma  se  ci  hanno  a  essere, 

11  monarca  sarà  probo 

E  discreto  :  un  re  del  globo 
Saprà  star  ne'  limiti  (5). 


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182 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


Ed  il  capo  della  Fede  ? 
Consoliamoci,   si  crede 
Che  sarà  cattolico. 

Finirà,   se  Dio  vuole, 
Questa  guerra  di  parole, 
Guerra  da  pettegoli. 

Finirà  :   sarà  parlata 
Una  lingua  mescolata, 
Tutta  frasi  aeree  (6) 


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E  già  già  da  certi  tali 
Nei  poemi  e  nei  giornali 
Si  comincia  a  scrivere. 

Il  puntiglio  discortese 
Di  tener  dal  suo  paese 

Sparirà  tra  gli  uomini. 

Lo  chez-nous  d'un  vagabondo 
Vorrà  dire  in  questo  mondo, 
Non  a  casa  al  diavolo. 

Tu,  gelosa  ipocondria, 

Che  m'  inchiodi  a  casa  mia, 
Escimi   dal   fegato  ; 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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E  tu  pur  chetati,  o  Musa, 
Che  mi  secchi  colla  scusa 
Dell'amor  di  patria. 

Son  fighuol  dell'universo 
E  mi  sembra  tempo  perso 
Scriver  per  1'  Italia. 

Cari   miei   concittadini, 

Non  prendiamo  per  confini 
L'Alpi  e  la  Sicilia  : 

S'  ha  da  star  qui  rattrappiti 
Sul  terren  che  ci  ha  nutriti  ? 
O  che  siamo  cavoli  ? 

Qua  o  là  nascere,  adesso, 
Figuratevi,  è  lo  stesso  : 
Io  mi  credo  tartaro. 


Perchè  far  razza  tra  noi  ? 
Non  è  scrupolo  da  voi  : 
Abbracciamo  i  barbari  : 

Un  pensier  cosmopolita 
Ci  moltiplichi  la  vita 

E  ci  slarghi  il  cranio. 


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184 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Il  cuor  nostro  accartocciato, 
Nel  sentirsi  dilatato, 
Cesserà  di  battere. 

Così  sia  ;  certe  battute 
Fanno  male  alla  salute  ; 
C  è  da  dare  in  tisico. 

Su  venite,  io  sto  per  uno  : 
Son  di  tutti  e  di  nessuno  ; 
Non  mi  vo'  confondere. 


Nella  gran  cittadinanza, 

Picchia  e  mena,  ho  la  speranza, 
Di  veder  le  scimmie  (7). 

Sì  sì,  tutto  un  zibaldone   (8)  : 
Alla  barba  di  Platone 
Ecco  la  repubblica  ! 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


185 


IL    SOSPIRO    DELL'ANIMA 


Ahi  misero  colui  che  circoscrive 
Sé  di  questi  anni  nell'angusto  giro, 
E  tremante  dell'ore  fuggitive 
Volge  solo  al  passato  il  suo  sespiro  ! 


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Principio  e  fine  a  noi  d'ogni  dimora 
Neil  esser,  crede  il  feretro  e  la  culla  ; 
Simile  a  bolla  che  da  morta  gora 
Pullula  un  tratto  e  si  risolve  in  nulla. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate  187 


IL   SOSPIRO    DELL' ANIMA(I) 


1840. 


Ciascun  confusamente  un  bene  apprende 
Nel  quale  si  quieti  l'animo 

(Dante,  Purga 


Suonar  nermio  segreto  odo  una  voce 
Che  a  sé  mi  tiene  dubitando  inteso, 
E  non  sento  l'età  fuggir  veloce 
In  quella  nota  attonito  e  sospeso. 

Così  rapido  scorre  e  inavvertito 
Il  libro,  quando,  per  diversa  cura, 
In  sé  fermato  l'animo  e  rapito, 
Non  procede  coll'occhio  alla  lettura. 

Chi  sei  che  parli  sì  pietoso  e  umile  ? 
Un  lieto  sogno  della  mente  ?  o  sei 
Misterioso  spirito  gentile, 
Che  ti  compiangi  degli  affanni  miei  ?   (2) 

Nella  mestizia  più  benigno  sorge, 
E  tesori  di  gioie  a  me  rivela  ; 
A  me  dubbioso  e  stanco  aita  porge, 
E  così  meco  parla  e  si  querela  (3)  : 

—  Perchè  sì  pronto  vai  per  il  cammino 
Soave  che  per  grazia  il  ciel  ti  diede, 
E  sei  fatto  simile  al  pellegrino 
Che  per  umida  valle  affretta  il  piede  ? 

No,  no  ;  questa  non  è  terra  di  pianto, 
E  giardino  di  fiori  e  d'acque  ameno  : 
Sofferma    il  passo  !  ah  !  non  t'  incresca  tanto 
Il  tuo  gentile  italico  terreno  ! 


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188  Poesie  del  Giusti  illustrate 


Ma  un  sentier  che  la  pace  ha  per  confine  (4), 
Laghi,  perenni  fonti,  aure  beate, 
Pianure  ^terminabili  e  colline 
Di  perpetua  verdura  inghirlandate, 

Sempre  innanzi  alla  mente  desiosa 
Siccome  sogni  ricordati  stanno  : 
E  il  forte  immaginar  che  non  ha  posa 
Di  stupor  t'empie  e  di  segreto  affanno. 

Qui  l'avida  pupilla  non  s'appaga 
Nelle  bellezze  della  donna  amata  ; 
Né  tu  vedesti  mai  cosa  più  vaga, 
Né  mai  diversa  donna  hai  desiata  :  (5) 

O  non  ravvisi  in  lei  l'Angelo  vero 
Così  velato  di  corporea  forma, 
0  quella  che  amoreggia  il  tuo  pensiero 
Sopra  i  fior  di  quaggiù  non  posa  l'orma. 

Vegliando    incontro  ai  bei  sogni  ridenti, 
Ogni  più  chiuso  albergo  apre  al  dolore, 
E,  quasi  armato  di  sé  stesso,  il  core 
Vigor  si  fa  degl'intimi  tormenti. 

Di  cosa  lieve  pueril  talento 

Mai  noi  travolge  seco  in  lungo  oblìo  ; 
E  mai  non  seppe  abbandonarsi,  lento 
Seguendo  inerzia,  a  lubrico  pendìo. 

Virtù  d'amor  non  lieve  e  non  mentita, 
Come  gemma  derisa,  asconde  e  serba  ; 
La  sua  non  terge  per  l'altrui  ferita, 
Ma  del  comun  gioir  si  disacerba  (6)  : 

Non  corre  a  maledir  con  facil  piede, 
Se  il  fatto  non  risponde  all'alta  idea  ; 
Vagheggia  in  sé  con  l'occhio  della  fede 
Secoli  di  virtude,  e  là  si  bea. 

Però  la  mente  tua,  quando  si  cessa 

Dall'opre  e  dalle  cure  aspre  del  giorno, 
Ama,  tutto  tacendo  a  lei  d'  intorno, 
In  quel  silenzio  ricercar  sé  stessa  : 


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Poesie  del  Giusti  illustrate  189 


E  all'azzurro  sereno,  al  puro  lume 
Degli  astri  intendi  l'occhio  lagrimoso, 
Come  augelletto  dall'  inferme  piume 
Appiè  dell' arboscel  del  suo  riposo. 

Quest'ardito  desìo,  vago,  indistinto, 
È  una  parte  di  te,  di  te  migliore, 
Che  sdegnando  dei  sensi  il  laberinto 
Anela  un  filo  a  uscir  di  breve  errore  : 

Come  germe  che  innanzi  primavera 
Deh'  involucro  suo  tenta  l,a  scorza, 
Impaziente  s'agita,  e  la  vera 
Sentita  patria  conseguir  si  sforza. 

Però  t' incresce  il  dolce  aere  e  la  terra 
Ch'ogni  mortai  vaghezza  addietro  lassa, 
E  raro  spunta  dall'  interna  guerra 
Riso  che  sfiora  il  labbro  e  al  cor  non  passa. 

Gli  aspetti  di  quaggiù  perdon  virtute 
Delle  pensate  cose  al  paragone, 
E  Dio,  centro  di  luce  e  di  salute, 
Ne  risospinge  a  se  con  questo  sprone  (7). 

Onde  gii  inni  di  lode  e  il  fiero  scherno 
Che  del  vizio  si  fa  ludibrio  e  scena 
Muovon  da  occulta  idea  del  Bello  eterno, 
Come  due  rivi  d'una  stessa  vena. 

Questo  drizzar  la  vela  a  ignota  riva, 
Questo  adirarsi  di  una  vita  oscura, 
E  la  lieta  virtù  che  ne  deriva, 
Son  larve,   di  lor  vero  arra  e  figura   (8).  — 

Ma  quasi  stretto  da  tenace  freno 

Dire  il  labbro  non  può  quel  che  il  cor  sente  ; 

E  più  dolce,  più  nobile,  più  pieno 

Mi  resta  il  mio  concetto  entro  la  mente    (9)  ; 

E  gareggiando  colla  fantasia, 

Lo  stile  è  vinto  al  paragon  dell'ale  ; 
E  suona  all'  intelletto  un'armonia 
Che  non  raggiunse  mai  corda  mortale. 


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190  Poesie  del  Giusti  illustrale 


Ah  sì  !  lunge  da  noi,  fuor  della  sfera 

Oltre  la  qual  non  cerchia  nman  compasso, 

Vive  una  vita  che  non  è  men  vera 

Perchè  comprender  non  si -può  qui  basso  (io). 

Cinta  d'alto  mistero  arde  una  pura 
Fiammella  in  mar  d'eterna  luce  accesa, 
Da  questo  corpo  che  le  fa  misura 
.  Variamente  sentita  e  non  intesa. 

Come  Elitropio,  che  l'antica  mente 
Fingea  ninfa  mutata  in  fior  gentile, 
Segue  del  sole  il  raggio  onnipotente, 
Del  sol  che  più  tra  gli  astri  è  a  Dio  simile  ; 

Continuando  la  terrena  via, 

Rivolta  sempre  al  lume  che  sospira, 

Seguirà,  seguirà  l'anima  mia 

Questo  laccio  di  amor  che  a  sé  la  tira. 

Ahi  misero  colui  che  circoscrive 
Sé  di  questi  anni  nell'angusto  giro, 
E  tremante  dell'ore  fuggitive 
Volge  solo  al  passato  il  suo  sospiro  ! 

Principio  e  fine  a  noi  d'ogni  dimora 
Nell'esser,  crede  il  feretro  e  la  culla  ; 
Simili  a  bolla  che  da  morta  gora 
Pullula  un  tratto,  e  si  risolve  in  nulla. 


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ANNOTAZIONI 


(Gli  umanitari) 

(i)  Disse  il  Balbo  che  1'  idea  che  prevalse  in  Europa  dal  1815  al  1848  fu  quella  della  costitu- 
zionalità degli  Stati,  per  la  quale  avvennero  le  rivoluzioni  di  Spagna,  di  Portogallo,  di  Napoli,  del 
Piemonte  e  si  potrebbe  anche  dire  la  rivoluzione  francese  del  1830. 

Poi  a  questa  idea  successe  l'altra  delle  nazionalità  distinte,  la  quale  compie  nei  tempi  attuali 
la  sua  parabola  ascendente.  —  Una  volta  che  anche  questa  idea  avrà  compito  il  suo  ciclo  non  vi  ha 
dubbio  che  cederà  il  luogo  all'  idea  umanitaria  bene  intesa  :  e  già  nei  concetti  del  socialismo,  nella 
federazione  dei  dotti  e  nell'associazione  dei  capitali  e  degli  operai  di  tutto  il  mondo,  si  va  accennando 
a   questa  prossima  innovazione. 

Spariranno  le  distinzioni  di  popoli,  come  in  Europa  sono  quasi  del  tutto  scomparse  le  distinzioni 
di  caste,  e  in  America  quelle  delle  razze  e  del  colore.  —  Però  fra  questo  umanitarismo  bene  inteso 
e  quello  che  era  bandito  ai  tempi  che  viveva  il  nostro  Poeta,  vi  è  un'  immensa  differenza.  —  Questi 
umanitari  erano  capi  sventati  che,  o  non  afferrarono  1'  idea  madre,  o  la  falsarono,  e  ne  fecero  una 
ridicola  parodia,  la  caricatura  di  un'  idea  inclusa  in  germe  per  la  prima  volta  da  Cristo  nel  suo 
Vangelo.  —  Quindi  è  che  l'arguta,  sagace  e  pungente  penna  del  Poeta  nazionale  non  poteva  non  stigma- 
tizzare cotesti  visionari  che  curarono  delle  forme  vuote  di  un  concetto  reale,  qualunque  si  fosse. 

(2)  Qui  il  Poeta  spiega  più  lucidamente  il  suo  concetto  e  fa  conoscere  a  qual  genere  di  umanitari 
appella.  Sono  coloro  che  credono  doversi  dannare  tutto  il  già  fatto  alle  gemonie,  rialzarsi  su  nuove 
basi  tutto  quanto  l'edifizio  sociale,  tenere  in  niun  cale  la  dottrina  dei  tempi  passati,  la  sapienza 
tradizionale,  l'esperienza  di  tanti  secoli,  e  il  senso  comune  di  tutto  il  genere  umano  passato  e  pre- 
sente. —  Paragonandoli  ad  Orfeo  egli  fa  conoscere  l' inadequatezza  e  povertà  dei  mezzi  che  si  vogliono 
adoperare  per  conseguire  altissimi  fini  :  ed  ecco  il  lato  della  satira  e  della  pungente  ironia. 

(3)  Non  vi  ha  dubbio  che  le  differenze  di  clima,  di  razze,  di  religione,  di  usi,  di  lingue  e  di  costumi 
non  potranno  mai  assimilarsi,  poiché  sono  un  portato  della  natura,  dirò  così,  estrinseca  dell'uomo 
legato  con  tutto  quanto  lo  attornia  nello  spazio  siccome  nel  tempo.  —  Ciò  spiega  i  niuni  progressi 
che  fa  la  civiltà  europea  e  la  religione  cristiana  nell'  Indostan,  nella  China,  nel  Giappone,  in  una  parola 
nell'Asia  tutta.  Questo  però  non  nuoce  che  fisiologicamente  e  psicologicamente  gli  uomini  non  ap- 
partengano tutti  ad  una  stessa  famiglia  e  tutti  siano  educabili  e  perfezionabili  quand'anche  in 
origine,  come  cercò  dimostrare  Carlo  Darwin,  noi  si  discendesse  dalla  scimmia  Gorilla.  Questa  idea, 
che  oggi  fa  il  giro  dell'  Europa,  ci  sorride  alla  mente,  imperocché  se  dalla  scimmia  nacque  l'uomo, 
dagli  uomini,  col  tempo,  nasceranno  gli  angeli.  —  E   così  sia, 

(4)  Qui  allude  alle  riforme  fatte  nel  vestiario  dei  cortigiani  e  dei  soldati  dal  Sultano  e  da  altri 
principi  osmanli.  —  Ma  le  son  lustre  e  nulla  più.  —  Sotto  le  veste  europea,  vi  troverai  sempre  il  turco 
asiatico,  sia  istruito,  o  no,  nei  nostri  costumi,  nelle  arti  e  nelle  scienze. 

(5)  Dietro  l'esposto  trova  paradossale  che  vi  possa  essere  un  solo  re  ed  un  solo  pontefice,  rifiu- 
tando la  vecchia  utopia  della  monarchia  universale,  che  fu  il  sogno  prediletto  di  Alessandro  il  Ma- 
cedone, di  Giulio  Cesare,  di  Tamerlano,  di  Carlo  V  e  di  Napoleone  I  nel  campo  politico,  e  di  Inno- 
cenzo III  e  di  Gregorio  VII  nel  campo  religioso. 

(6)  Qui  coglie  il  destro,  vista  l' impossibilità  di  fondere  in  una  tutte  le  lingue,  che  crediamo  siano 
un  duecento,  di  sferzare  quegli  accigliati  e  rabbuffati  spigolisti  che  con  poche  frasi  alla  Byron,  alla 
Guerrazzi  e  alla  Foscolo,  o  alla  Victor  Hugo  insozzano  la  purissima  lingua  di  Dante,  del  Petrarca, 
del  Manzoni,  del  Cesari,  del  Giordani,  siccome  del  Varchi,  del  Compagni,  del  Guicciardini,  ecc. 

(7)  Quello  che  scherzosamente  va  qui  dicendo  il  Giusti,  si  è  già  verificato.  —  Vuoisi,  come  sopra 
accennai,  che  gli  antichi  nostri  progenitori  fossero  i  scimmiotti,  e  quindi  sono  più  che  nostri  fratelli, 
nostri  superiori  ed  avoli,  bisavoli  e  cose  simili. 

(8) 

In  verità  io  sto  per  uno 
Son  di  tutti  e  di  nesstu 

Non  mi  vo'  confondere. 

Ecco  il  timore  del  Poeta  :  spento  l'amor  di  patria  e  reso  freddo  il  cuore  per  le  memorie  del  luogo 
nativo,  crede  il  Giusti  che  ne  possa  avvenire  l' indifferenza  ed  il  nullismo,  o  quietismo  morale,  e  che 
qualunque  forma  di  governo  che  si  potesse  adottare  non  possa  rappresentare  che  uno  zibaldone.  — 
Qui  la  musa  si  innalza  ad  alto  concetto  e  lasciando  la  sferza  del  ridicolo,  agita  la  questione  con  un 
senso  squisito  di  convenienza  e  di  acume.  I  posteri  risolveranno  questo  arduo  problema. 

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192 


Poesie  del  Giusli  illustrate 


(il  sospiro   dell'anima) 

(1)  Dopo  molti  secoli  siamo  tornati  a  sant'Agostino,  il  quale  soleva  dire  che  l'anima  umana, 
sempre  operosa,  temente  e  sperante,  come  luce  che  sempre  scintilla,  non  trova  la  sua  pace  mai  se  non 
quando  quiescat  in  Deo  ;  il  che  significa  allora  quando  sia  fuori  dell'osservazione  e  cantemplazione 
filosofica  e  fisiologica.  —  Pure  uno  stato  di  relativa  soddisfazione  vi  è  ancora  per  le  anime  nobili,  ed 
è  il  momento  che  tien  dietro  alle  azioni  generose  operate  con  proprio  sacrifizio,  e  quello  del  perdono  ; 
al  contrario  del  modo  con  cui  furono  descritti  gli  Dei  pagani,  pei  quali  era  delizia  dell'anima  la  ven- 
detta, e  P  Jehova  degli  Israeliti,  che  esso  pure  degli  olocausti  e  delle  vendette  sterminatrici  si  com- 
piacque, stando  ai  libri  mosaici. 

Il  tempo  e  il  cristianesimo  hanno  ingentilita  e  tolta  molta  parte  di  scoria  all'anima  ;  ed  in  ciò 
ebbero  grande  parte  i  poeti,  specialmente  italiani,  da  Dante  e  Petrarca  a  Milton,  a  Manzoni,  a  La- 
martine,   i  quali  cantarono  di  religione  e  di  amore. 

(2)  Quasi  quasi  sembra  che  il  Poeta  appelli  ad  un  quid  simile  del  genio  e  dello  spirito  parlante 
di  Socrate,  o  di  Torquato  Tasso,  o  di  san  Francesco  d'Assisi,  ai  quali  pareva  vedere  attorno  a  sé  e 
parlare  esseri  immortali  di  forme  umane  momentaneamente  rivestiti.  —  Fin  qui  però  egli  non  fa 
che  pingere,  con  pennello  da  maestro,  la  natura,  l'essenza  e  gli  effetti  della  contemplazione,  in  forza 
della  quale,  stando  ai  teologhi,  l'eternità  sarà  come  se  non  fosse. 

(3)  Nel  profondo  dell'animo,  nel  colmo  peranco  della  sventura  vi  è  sempre  la  fibra  della  reazione; 
il  che  mostra  che  tutto  il  nostro  essere  si  governa  con  la  sistole  e  la  diastole,  cioè  con  un  dualismo 
prestabilito  ;  sicché  non  vi  è  sventura  che  trovi  l'animo  a  lungo  prostrato  senza  alcuna  idea  conso- 
latrice, come  non  vi  è  gioja  che  non  lasci  dopo  qualche  tempo,  qualche  cosa  a  desiderare. 

Questi  concetti  danteschi  non  possono  non  poggiare  sulla  teologia  razionale,  e  quindi  sembra  che 
in  qualche  modo  si  posino  sulla  esistenza  di  Arimane  e  Oromaze,  il  genio  del  male  ed  il  genio  del 
bene,  l'angiolo  buono  e  l'angiolo  cattivo,  Iside  e  Osiride,  credenza  fondamentale  di  tutte  le  religioni 
primitive. 

(4)  In  questa  e  nella  seguente  strofa  il  Giusti  si  fa  ad  esemplificare,  mescendo  le  descrizioni 
della  natura  (classicismo  ellenico)   all'  intuizione  ontologica  giobertiana. 

(5)  Ma  ecco  che  con  una  successione  ideale  consona  alla  forma  dell'anima  vivificata  dall'  infi- 
nito desìo,  scende  a  parlare  della  donna  amata,  avvisando  che  non  è  nelle  forme  plastiche  che  la  pu- 
pilla avida  si  posa  e  si  allieta  ;  ma  è  nella  corrispondenza  del  tipo  realizzato  al  tipo  preideato  e  di- 
remo quasi  congenito  e  innato  —  onde  dice  benissime. 

Né  mai  diversa  donna  hai  desiata. 

(6)  Virtù  d'amor  non  lieve  né  mentita  è  incitamento  ad  opere  magnanime  e  sprone  a  virtù,  che 
nel  comune  gioire  ogni  pena  disacerba,  né  segue  inerzia  in  lubrico  pendio,  ma  vivificando  purifica  e 
dona  le  ali  al  tempo  ed  alla  fede,  calma  le  ambascie  dell'ardente  desiderio  e  santifica  —  onde  eb- 
bero gran  ragione  i  teologhi  di  dire  che  Dio  è  l'amore,  e  i  poeti:  che  nei  suoi  bei  giorni  ogni  ani- 
male d'amor  si  riconsiglia  —  e  che  infine  Lucifero  è  unicamente  infelice  e  maligno,  perchè  non  può 
amare. 

(7)  Qui,  ecco  che  il  Poeta  ritorna  all'idea  di  sant'Agostino. 

(8)  L'animo  nostro  tende  verso  l' infinito  e  comunque  lo  rivesta  e  non  lo  possa  esprimere  che 
con  forme  finite  e  soggettive,  pure  l'aspirazione  non  cessa.  Dio  vede  l'eterno  vero  e  l'eterno  Bello, 
noi  non  lo  vediamo  che  nel  modo  indicato  da  san  Paolo,  cioè  in  enigma  e  per  riflesso  ;  ma  la  tem- 
pera dell'animo  nostro  si  è  tale  da  averne  un  qualche  senso  iniziale  ed  embrionale  e  un  desiderio  vi- 
vissimo. —  Ed  ecco  che  con  questo  si  rannodano  le  larve,  Varrà  e  la  figura  di  cui  parla  qui  il  Poeta. 

(9)  Anch'cgli  Giuseppe  Giusti  riconosce  l'operosità  della  coscienza,  la  quale  si  aggira  in  un 
mondo  tutto  ignoto  alla  mente.  Ed  in  vero  la  mente  nulla  ha  che  fare  col  sentimento  —  quella 
sempre  serena,  questo  sempre  in  agitazione  ■ —  quella  illumina,  questo  commuove  — ■  quella  spiega 
Dio,  questo  lo  intende,  lo  sente,  lo  ama. 

(io)  Qui  parla  dell'  immortalità  dell'anima,  ma  potrebbe  ben  anche  aggiungersi  la  immortalità 
dell'  intimo  sentimento  con  trasformazione  ben  s' intende  analoga  dell'una  e  dell'altra,  sciolto  il  le- 
game corporeo  e  1'  intreccio  della  macchina  animale.  —  Ripugna  invero  il  credere  che  chi  fu  genio 
in  terra,  e  chi  fu  prodigio  d'amore,  non  sia  più  nulla,  estinta  la  vita  terrena.  —  Ripugna  il  credere 
che  l'umanità  abbia  innato  un  sentimento,  un  desìo,  una  sete  inestinguibile  per  giungere  ad  una 
fonte  che  non  esiste. 

Il  Gioja  dice  che  fu  il  dolore  di  una  madre,  che  aveva  perduta  una  sua  tenera  figlia,  quello 
che  imaginò  l' immortalità  dell'anima  :  ma  fosse  pure  una  larva,  un  sogno,  un  fantasma,  poiché 
nobilita  ed  allieta  la  vita,  dovrebbe  accogliersi.  Scettici  del  giorno,  nullità  pronipoti  del  Gorilla, 
lasciateci  nella  nostra  credenza.  —  Quando  pure  non  esista,  è  nell'  interesse  dell'umanità  di  carez- 
zare l' immortalità   dell'anima  e  dell'amore. 


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POESIE   DEL   GIUSTI    ILLUSTRATE 


Poesie  del   Giusti  illustrate.—  edizione  nerbini 


Fascicolo  13. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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195 


L'INCORONAZIONE 


(1) 


1838. 


Al  re  dei  re  che  schiavi  ci  conserva 
Mantenga  Dio  lo  stomaco  e  gli  artigli 
Di  coronate  volpi  e  di  conigli 
Minor  caterva  (2) 


Intorno  a  lui  s'agglomera  ;  e  le  chiome 
Porgendo,  grida  al  tosator  sovrano  : 
Noi  toseremo  di  seconda  mano, 

Babbo,  in  tuo  nome  (3). 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Vedi  i  ginocchi  insudiar  primiero 
Il   Savoiardo  di  rimorsi  giallo, 
Quei  che  purgò  di  gloria  un  breve  fallo 
Al  Trocadero. 
O  carbonari,  è  il  duca  vostro,  è  desso 

Che  al  palco  e  al  duro  carcere  v'  ha  tratti 
Ei  regalmente  del  ventuno  i  patti 
Mantiene  adesso. 


Colla  clamide  il  suol  dietro  gli  spazza 
Il  Lazzarone  paladino  infermo  ; 
Non  volge  l'anno,  in  lui  sentì  Palermo   (4) 
La  vecchia  razza. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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197 


Di  tant'armi  che  fai,  re  Sacripante  ? 
Sfondar  ti  pensi  i]  cielo  con  un  pugno  ? 
Smetti,  scimmia  d'eroi,  t'accusa  il  grugno 
Di  zoccolante  (5). 


Il  toscano  Morfeo  vien  lemme  lemme 


Di  papaveri  cinto  e  di  lattuga, 
Che  per  la  smania  d'eternarsi  asciuga 
Tasche  e  maremme  (6). 


Co'  tribunali  e  co'  catasti  annaspa  ; 
E  benché  snervi  i  popoli  col  sonno, 
Quando  si  sogna  d' imitare  il  nonno, 
Qual  cosa  raspa. 


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198 


Toesie  del  Giusti  illustrate 


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Sfacciatamente  degradata  torna 
Alle  fischiate  di  sì  reo  concorso 


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Lei  che  l'esilio  consolò  del  Còrso 
D'austriache  corna   (7). 


Ilare  in  tanta  serietà  si  mesce 

Di  Lucca  il  protestante  Don  Giovanni, 
Che  non  è  nella  lista  de'  tiranni 
Carne  né  pesce  (8). 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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199 


Né  il  Rogantin  di  Modena  vi  manca, 

Che  avendo  a  trono  un  guscio  di  castagna, 
Come  se  fosse  il  conte  di  Culagna  (9), 
Tra  i  re  s' imbranca . 


Roghi  e  mannaie  macchinando,  vuole 
Con  derise  polemiche  indigeste, 


Sguaiato  Giosuè  di  casa  d'  Este, 
Fermare  il  sole. 


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200 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Solo  a  Roma  riman  papa  Gregorio, 
Fatto  zimbello  delle  genti  ausonie. 
Il  turbin  dell'età,  nelle  colonie 

Del  Purgatorio, 


Dell'  indulgenze  insterilì  la  zolla 

Che  già  produsse  il  fior  dello  zecchino. 
Or  la  bara  infruttifera  il  becchino 
Neppur  satolla. 


D'arpie  poi  scese  una  diversa  pèste 
Nel  santuario  a  dar  l'ultimo  sacco  : 
O  vendetta  d' Iddio  !  pesta  il  Cosacco 

Di  Pier  la  veste  (io). 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


201 


O  destinato  a  mantener  vivace 

Dell'albero  di  Cristo  il   santo  stelo, 


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La  ricca  povertà  dell'  Evangelo 
Riprendi  in  pace. 

Strazii  altri  il  corpo  ;  non  voler  tu  l'alma 
Calcarci  a  terra  col  tuo  doppio  giogo  : 
Se  muor  la  speme  che  al  di  là  del  rogo 
S'affìssa  in  calma, 

Vedi  sgomento  minare  al  fondo 

D'ogni  miseria  l'uom  che  più  non  crede  ; 
Ahi  !  vedi  in  traccia  di  novella  fede 
Smarrirsi  il  mondo. 

Tu  sotto  l'ombra  di  modesti  panni 
I  dubitanti  miseri  raccogli  : 
Prima  a  te  stesso  la  maschera  togli, 
Quindi  ai  tiranni  (il). 

Che  se  pur  badi  a  vender  l'anatèma  (12), 
E  il  labbro  accosti  al  vaso  dei  potenti, 
Ben  altra  voce  all'affollate  genti  : 
«  Quel  diadema 

«  Non  è,  non  è  (dirà)  de'  santi  chiodi, 
«  Come  diffuse  popolar  deh  rio  : 
«  Cristo  l'armi  non  dà  del  suo  martirio 
«  Per  tesser  frodi. 


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202 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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«  Del  vomere  non  è  per  cui  risuona 
«  Alta  la  fama  degli  antichi  padri 


«  È  settentrional  spada  di  ladri 
«  Tòrta  in  corona. 

«  O  latin  seme,  a  chi  stai  genuflesso  ? 

«  Quei  che  ti  schiaccia  è  di  color  l'erede  ; 
(t  É  la  catena  che  ti  suona  al  piede 
«  Del  ferro  istesso. 

«  Or  via,  poiché  accorreste  in  tanta  schiera, 
«  Piombate  addosso  al  mercenario  sgherro  : 
«  Sugli  occhi  all'oppressor  baleni  un  ferro 
«  D'altra  miniera  ; 

«  Della  miniera  che  vi  die  le  spade 
«  Quando  neh1'  ira  mieteste  a  Legnano 
«  Barbare  torme,  come  falce  al  piano 
«  Campo  di  biade  ». 

Ahi  che  mi  guarda  il  popolo  in  cagnesco, 
Mentre,  alle  pugne  simulate  vòlto, 
Stolidi  viva  prodiga  al  raccolto 
Stormo  tedesco  !   (13) 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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203 


Il  popol  no  ;  la  rea  ciurma  briaca 
D'ozio,  imbestiata  in  leggiadrie  bastarde, 
Che  cola,  ingombro,  alle  città  lombarde 
Fatte  cloaca  : 

Per  falsi  allori  e  per  servii  tiara 
Comprati  mimi  ;  e  ciondoli  e  livree 
Patrizie  diplomatiche  e  plebee, 

Lordate  a  gara  ; 

E  d'ambo  i  sessi  adulteri  e  vaganti, 
Frollati  per  canizie  anticipata  ; 
E  con  foia  d'amor  galvanizzata 

Nonni  eleganti  : 


Simil  al  pazzo  che  col  pugno  uccide    • 
Chi  lo  soccorre  di  pietà  commosso, 
E  della  veste  che  gli  brucia  addosso 
Festeggia  e  ride. 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


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205 


L'UOMO   DI  SETTA 


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SONETTO 


Se  leggi  Ricordano  Malespini, 

Dino  Compagni  e  Giovanni  Villani, 
E  i  cronisti  Lucchesi  ed  i  Pisani, 
Senesi,  Pistoiesi,  ed  Aretini, 

Genovesi,  Lombardi,  Subalpini, 
Veneti,  Romagnoli  e  Marchigiani, 
E  poi  Romani  e  poi  Napoletani, 
E  giù  giù  fino  agli  ultimi  confini  ; 


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206 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Vedrai  che  l'uom  di  setta  è  sempre  quello  (1)  ; 
Pronto  a  giocar  di  tutti  e  a  dire  addio 
Al  conoscente,  all'amico  e  al  fratello. 

«  E  tutto  si  riduce,  a  parer  mio  », 
(Come  disse  un  poeta  di  Mugello) 


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«A  dire:  esci  di  lì,  ci  vo'  star  io»  (2). 


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Poesie  del  Giusti  illustrate  207 


ANNOTAZIONI 


(l'  incoronazione). 

(1)  Allude  all'  incoronazione  dell'  imperatore  d'Austria,  Ferdinando  II,  avvenuta  in  Milano 
nel  1837.  Ad  ammaestramento  dei  presenti  è  bene  riandare  la  storia  del  nostro  paese,  dacché  ebbe 
una  storia  in  proprio   (nei  tempi  moderni),  cioè  dal   1821   ad  oggi. 

Con  questa  pietra  del  paragone  si  può  vedere  il  cammino  che  abbiamo  fatto,  non  avvinti  e 
tirati  dal  fulmineo  carro  di  un  eroe  guerriero  che  tutta  quanta  abbia  sommossa  1'  Europa,  ma  per 
virtù  indigena  e  per  forza  di  consiglio,  di  armi  e  di  ardimento  italiano. 

Poeti  e  filosofi,  oratori  e  scienziati  si  posero  all'opera,  e  una  gioventù  piena  di  alti  sensi  eroi- 
camente si  votò  alla  libertà  della  patria  ed  emula  dell'antica  Grecia  e  dell'antica  Roma,  seppe 
morire  gridando  :   Viva  /'  Italia. 

Il  martirologio  degli  italiani  fu  ben  numeroso  e  di  splendidi  nomi  onorato.  Napoli,  Roma,  Mi- 
lano, Brescia  ne  diedero  un  vistoso  contingente  dal  1799  al  1853  ;  nel  1848  a  Vicenza  i  Romagnoli 
e  i  Romani,  a  Curtatone  i  Toscani  e  i  Napoletani,  a  Villafranca  i  Piemontesi,  a  Marghera  i  Veneti 
pagarono  alla  patria  largo  tributo  di  vite  preziose  e  di  sangue  cittadino.  —  Garibaldi  coi  suoi  prodi, 
assunto  lo  stendardo  dell'eroismo  a  Roma  e  poscia  in  Sicilia,  fece  conoscere  come  gli  italiani  sap- 
piano pugnare  per  la  patria  coll'antico  valore  e  sappiano  vincere  o  morire. 

Ma  questa  è  ornai  storia  in  Italia  ben  nota.  —  Torniamo  al  1837. 

(2)  Qui  il  Poeta  tantosto  mette  in  mostra  1'  ipocrisia  dei  principi  italiani,  l'alta  sovranità  del- 
l' imperatore  d'Austria  sopra  tutti  i  sovrani  d'  Italia  e  la  schiavitù  accettata  di  buon  grado  e  be- 
nedetta dai  popoli  italiani  —  servum  pecus. 

(3)  Qui  è  dipinto  il  carattere  dei  principi  nostri,  che  regnando  per  graziad'Iddio  e  più  per  grazia 
dell'Austria,  promettevano  non  discostarsi  dal  sistema  aulico  rincarando  sulla  tosatura  dei  popoli 
(imposte  e  balzelli). 

Il  re  Carlo  Alberto  in  quel  tempo  non  si  era  ancora  riabilitato  nell'animo  dei  liberali  che  nel 
1831   aveva  severamente  puniti  per  i  fatti  di  Savoja  e  già  teneva  in  esilio  Mazzini. 

Costretto  a  seguire  la  spedizione  del  duca  d'Angoulème  in  Spagna  nel  1823,  ei  si  trovò  a  pu- 
gnare, e  come  soldato  illustrò  il  suo  nome,  contro  la  libertà  che  reclamava  il  popolo  ibero  :  e  col 
pungolo  di  Francesco  IV  di  Modena,  che  nientemeno  aspirava  a  detronizzarlo,  piaggiò  per  qualche 
tempo  l'Austria  e  si  barcamenò  per  conservare  la  corona.  —  Non  è  poi  una  verità  storica  che  Carlo 
Alberto  si  recasse  a  Milano  all'epoca  dell'  incoronazione.  —  Né  esso,  né  il  papa  Gregorio,  né  il  re 
Ferdinando  di  Napoli  vi  comparvero  • —  solamente  vi  intervennero  i  minori  satelliti,  diretti  ram- 
polli di  casa  d'Austria  e  il  duca  di  Lucca. 

(4)  Si  allude  alla  repressione  dei  moti  di  Palermo,  i  quali  accennavano  più  ad  una  autonomia 
della   Sicilia   che   ad  un   risorgimento   d'  Italia. 

(5)  Zoccolanti  diconsi  i  frati  di  san  Francesco  d'Assisi,  atteso  i  coturni  con  suola  di  legno  che 
adoperano. 

(6)  Qui  si  parla  delle  ingenti  spese  fatte  dal  governo  di  Leopoldo  II  nelle  maremme  Toscane 
per  ridurle  in  istato  di  buona  coltivazione  e  di  essiccazione,  seguendo  i  piani  idraulici  di  Fossom- 
broni,  del  Manetti  e  del  Giorgini  con  alterno  avvicendamento.  Il  granduca  Leopoldo  II  vi  gettò  i 
ventisette  milioni  di  lire  che  lo  Stato  ebbe  in  retaggio  da  Ferdinando  III,  morto  nel  1824  —  e 
senza  dubbio  vi  fu  spreco.  Però  l'opera,  per  lo  scopo  e  l' intendimento,  fu  lodevole  e  monumentale, 
quanto  proficua  —  solo  è  a  lamentarsi  che  i  lavori  non  si  siano  in  un  modo  più  economico  continuati 
e  che  pochissimo  utile  se  ne  sia  fino  ad  oggi  potuto  ritrarre. 

(7)  Maria  Luisa  duchessa  di  Parma  non  fu  certamente  risparmiata  dalla  satirica  ed  incisiva 
penna  dell'autore.  Sposa  a  Napoleone  il  grande,  ella  non  avrebbe  giammai  dovuto  dare  la  mano 
di  consorte  al  generale  conte  di  Neiperg,  da  cui  ebbe  due  figli,  ed  una  figlia,  maritata  al  conte 
di  S.  Vitale  di  Parma.  Quella  mano  che  aveva  inanellata  il  vincitor  d'  Europa,  non  poteva,  non 


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208 


Toesie  del  Giusti  illustrate 


JIIÈ 


doveva  ricevere  la  gemma  nuziale  per  parte  di  un  generale  al  servizio  dell'  imperatore  d'Austria, 
che  a  lei  fu  padre. 

Ma  amor,   che  a  nullo  amato  amar  perdona. 

Gettiamo  il  velo  e  copriamo  con  parole  pietose  il  fallo  da  Maria  Luisa  commesso.  —  Come 
sovrana  e  come  austriaca  essa  non  angariò  i   Parmigiani  e  la  sua  morte  fu  da  tutti  pianta. 

(8)  Lodovico  duca  di  Lucca  ebbe  assai  spirito  per  non  investirsi  della  parte  di  sovrano  di 
uno  Stato  microscopico  —  operando  in  modo  tutto  differente  dal  figlio  suo  Carlo  III,  che  fu  pugna- 
lato presso  alla  sua  reggia  dopo  pochi  anni  di  regno. 

Lodovico  aveva  cara  la  sovranità  per  quanto  gli  forniva  i  mezzi  di  condurre  una  vita  sans 
souci,  allietata  da  ogni  specie  di  confortable,  e  spesso  avvenne  che  i  mezzi  pecuniari  gli  facessero 
difetto.  —  Generoso  di  animo  fu  mai  sempre  largo  ed  elastico  in  materia  di  religione,  e  sebbene 
non  comprendesse  la  libertà,  pure  in  quanto  a  liberalità  ne  aveva  a  dovizia,  e  tollerante  si  ad- 
dimostrò più  di  una  volta.  —  Sposatosi  alla  figlia  del  re  di  Sardegna,  che  viveva  poscia  vicino 
a  Viareggio  nella  sua  villa  Pianole,  non  ebbe  grandemente  a  curarla,  atteso  1'  asceticismo,  degno 
di  altri  tempi,  che  costantemente  l'animò. 

(9)  Culagna  è  un  meschino  villaggio  vicino  a  Castelnuovo  dei  Monti, 
(io)  Allude  alla  visita  fatta  a  papa  Gregorio  dallo  czar  Niccolò  di  Russia. 

(11)  Qui  si  accenna  alla  rigenerazione  del  papato  e  al  ritorno  dell'autorità  delle  somme  chiavi 
ai  suoi  principi,  cioè  alla  tutela   degli  interessi  morali  dei   credenti  e  degli  interessi  civili  e  ma- 
teriali dei  popoli  conculcati  dai  despoti. 

(12)  Sono  presi  di  mira  in  queste  infocate  parole  i  connubi  liberticidi  pattuiti  da  papa  Gregorio 
con  l' imperatore  d'Austria  e  con  quello  di  Russia  e  il  mercimonio  della  religione  adoperata  a 
turpi  fini  di  servitù  e  di  pazzi  festeggiamenti. 

(13)  Un  cotale  festeggiamento,  nel  quale  pur  troppo  all'epoca  dell'  incoronazione  si  distinse  la 
città  di  Milano,  è  stigmatizzato  dal  Giusti  con  lo  stile  di  Giovenale  e  non  vi  ha  dubbio  che  fu  di 
vergogna  a  quella  grande  e  italica  città. 

Ma  i  tempi  non  erano  maturi  e  1'  Italia  dormiva  tutta  quanta  ;  né  accennava  a  risorgere  a 
novella  vita.  —  Il  benessere  materiale  aveva  ammollita  la  generazione  che  stava  per  iscomparire, 
sazia  di  guerre  e  di  vicende  politiche,  e  la  generazione  che  sorgeva,  nel  1877,  non  conscia  ancora 
dell'alta  missione  che  il  destino  d'  Italia  aveva  a  lei  riservata. 


(l'  uomo    di    setta). 


(1)  Non  crediamo  che  sia  assolutamente  vero  che  le  sètte  non  abbiano  altro  movente  che  la 
vanità  e  il  potere.  Crediamo  invece  che  ve  ne  siano  mosse  da  più  alti  principi  e  basate  a  più  elevati 
fini.  In  molte  giuoca  l'entusiasmo  :  e  se  tutto  fosse  volgare  interesse  e  sete  d'  imperio,  le  sètte 
non  avrebbero  dati  tanti  martiri.  —  Non  si  può  ciò  nonostante  disconoscere  che  le  sètte,  e 
fra  tutte  la  clericale,  intesero  sempremai  in  Italia  a  formare  uno  Stato  entro  lo  Stato  ;  impedirono, 
da  Berengario  I  ad  oggi,  la  costituzione  compatta  della  Penisola,  e  oggi  pure  fanno  ogni  possa  per 
ritornarla  all'antico  caos.  Ma  vivaddio  non  ci  riusciranno  ! 

(2)  I  Francesi  che  ci  rubarono  ogni  cosa  meno  il  sole,  si  appropriarono  anche  questo  detto  del 
poeta  mugellese,  e  ne  diedero  la  gloria,  crediamo,  al  Conte  di  Segur.  —  Benché  piccola  cosa,  non 
sarà  inopportuna  questa  rivendicazione  di  un  aforismo  politico  che  si  confà  più  assai  all'  indole 
francese  che  a  quella  degli  italiani.  Ma  pur  troppo  il  tempo  delle  sètte  non  è  ancora  finito,  ed 
oggi  stesso  lacerano  la  misera  Italia,  e  vi  ha  chi  vorrebbe  levar  di  seggio  coloro  che  ci  sono  per  se- 
dervi in  loro  vece. 


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Poesie  deHGiusti  illustrate.  —  edizione  nerbimi 


Fascicolo  14. 


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Toesie  dei  Giusti  illustrate  211 


ALL'AMICO 

NELLA     PRIMAVERA     DELL'ANNO     1841 


Già,  prevenendo  il  tempo,  al  colle  aprico 
Il  mandorlo  è  fiorito  (i)  ; 
A  te  simile,  o  giovinetto  amico, 
Che  impaziente  al  periglioso  invito 
Corri  della  beltade 
Coi  primi  passi  della  prima  etade. 

Godi,  Roberto  mio,  godi  nel,  riso 
Breve  di  giovinezza  : 
E  se  il  raggio  vedrai  d'un  caro  viso 
Che  il  cor  t' inondi  di  mesta  dolcezza, 
Apri  l' ingenuo  petto 
Alla  soavità  d'un  primo  affetto   (2). 

Possa  la  donna  tua  farti  beato 
Coi  lieti  occhi  amorosi  : 
A  te  fidata  consigliera  a  lato 
In  atto  di  benigno  angelo  posi, 
E  nell'amor  ti  sia 
Come  perpetuo  lume  in  dubbia  via  (3). 

Non  ti  seduca  dei  vani  diletti 
La  scena  allevatrice  : 
Leggier  desìo  diviso  in  molti  obietti 
Ti  prostra  l'alma  e  non  ti  fa  felice  ; 
Sente  bennato  cuore 
Fiorir  gioia  e  virtù  d'un  solo  amore  (4). 

Soave  cosa  un'adorata  immago 
Sempre  vedersi  innante, 
E  serenare  hi  lei  l'animo  pago, 
In  lei  bearsi  riamato  amante, 
E  di  se  nell'oblìo 
Viver  per  altri  in  un  gentil  desìo  (5). 

Oh  !  mi  sovviene  un  tempo  a  cui  sospiro 
Sempre  dal  cor  profondo  : 
Or  che  degli  anni  miei  declina  il  giro 
E  agli  occhi  stanchi  si  scolora  il  mondo, 
Passa  la  mia  giornata 
Dalia  stella  d'amor  non  consolata. 


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212  Poesie  del  Giusti  illustrate 


Pure,  a  quel  tempo  ripensando,  parmi 
Gustar  di  quella  pace 
E  alle  speranze  antiche  abbandonarmi. 
Così,  se  cessa  il  canto  e  l'arpa  tace, 
Senti  per  l'aere  ancora 
Vagare  e  mormorar  l'onda  sonora. 

Non  farò  come  quei  che  al  pellegrino 
Fonti  e  riposi  addita, 
Tacendo  i  mali  e  i  dubbi  del  cammino  : 
Forse  da  cara  mano  a  te  la  vita, 
Di  basse  frodi  ignaro, 
Sarà  cosparsa  di  veleno  amaro  (6). 

Sgomento  grave  al  cor  ti  sentirai, 
Quando  svanire  intorno 
Vedrai  l'auree  speranze  e  i  sogni  gai  ; 
Quando  agi'  idoli  tuoi  cadranno  un  giorno 
Le  bende  luminose 
Che  la  tua  mano  istessa  a  lor  compose  (7). 

Nel  tuo  pensiero  di  dolor  confuso 
Con  inquieta  piuma 
Volgendosi  e  gemendo  amor  deluso, 
Qual  dell'aere  che  intorno  a  sé  consuma 
S'alimenta  la  fiamma 
Ti  struggeràHa  vita  a  dramma  a  dramma  (8). 

Ma  che  ?  se  di  viltà  non  ti  rampogna 
Rea  coscienza  oscura, 
Lascia  dar  lode  altrui  della  menzogna. 
Seduto  in  dignità  nella  sventura, 
Sprezza  i  superbi  ingrati 
Che  nome  hanno  d'accorti  e  di  beati  (9). 

Tu  nel  dolore  interroga  te  stesso 
Come  in  sicuro  speglio  ; 
Fortificando  il  mite  animo  oppresso 
Per  via  d'affanni  ti  conduci  al  meglio 
E  con  fronte  serena 
I  carnefici  tuoi  conturba  e  frena  (io). 

Risorgerai  dalle  pugne  segrete 
Del  core  e  della  mente 
Saggio  e  composto  a  nobile  quiete. 
Vedi  ?  passò  la  bruma,  e  alla  tepente 
Feconda  aura  d'aprile 
Ti  dà  l'acuta  spina  un  fior  gentile  (n). 


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SIC 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


213 


A  GIROLAMO  TOMMASI 


1841. 


Girolamo,  il  mestier  facile  e  piano 
Che  gì'  insegnò  natura  ognun  rinnega 
E  vuol  nei  ferri  dell'altrui  bottega 
Spellar  la  mano  ; 

Ognuno  in  gergo  a  scrivacchiar  s'  è  messo  (1) 
Sogni  accattati,  affetti  che  non  sente, 
Settario  adulator  della  corrente 
O  di  sé  stesso. 

In  due  scuole  vaneggia  il  popol  dotto  : 
La  vecchia,  al  vero  il  torbo  occhio  rifiuta  ; 
La  nuova,  il  letterario  abito  muta 
Come  il  panciotto. 

Di  qua,  cervel  digiuno  in  una  testa 
Di  stoppa  enciclopedica  imbottita  (2), 
D'uscir  del  guscio  e  d' ingollar  la  vita 
Furia  indigesta  ; 


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214 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Calvo  Apollo  di  là  trotta  alla  zuffa 


"fffltaa»;..'» 


Sul  Pegaso  arrembato  (3)  e  co'  frasconi  : 
Copre  liuti  e  cetre  e  colascioni  (4) 
Vernice  o  muffa. 
Aggiungi  a  questo  un  tirar  giù  di  lerci 
Sonniferi,  che  il  torchio  transalpino 


Vomita  addosso  a  noi,  del  figurino 
Bastardi  guerci  : 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


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2I5 


E  tosto  intenderai  come,  dal  verme 
Di  bavose  letture  allumacato, 
Del  genio  paesano  appena  nato 

Raggrinza  il  germe. 


Non  tutti  il  vento  forestiero  intasa  ; 
V  ha  chi  bee  le  native  aure  vitali  ; 
Ma  non  è  già  chi  spolvera  scaffali 

Tappato  in  casa  ; 


E  sol  perchè  di  cronache  e  leggende 
E  di  scene  cucite  un  sudiciume, 
Per  carestia,  per  noia  e  per  costume, 
Si  compra  e  vende, 


Ponsa  e  s'allenta  in  pueril  conato 
Di  storia  o  d'epopea,  tisico  a  tanto, 


O  sotto  il  peso  di  tragico  manto 

Casca  sfilato  ; 


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Tocsie  del  Giusti  illustrate 


O  briaco  di  sé  scansa  la  gente, 
E  per  il  lago  del  cervello  oscuro 
Pescando  nel  passato  e  nel  futuro 

Perde  il  presente 


Ma  quei  cui  non  fann'ombra  all'  intelletto 
La  paga,  il  boia  e  gli  altri  spauracchi  : 
Che  si  misura  senz'alzare  i  tacchi 

Col  suo  subietto  ; 


Che  benedice  alla  nativa  zolla, 

Né  baratta  sapore  o  si  tien  basso, 

Se,  Dio  volendo,  invece  d'ananasso 

Nacque  cipolla. 


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Toesie  del  Giusti  illustrate  217 


Varian  le  braccia  in  noi,  varia  1'  ingegno 
A  diversi  bisogni  accomodato  : 
E  trono  e  forca  e  seggiola  e  steccato 
Non  fai  d'un  legno. 


Tommasi,  l'umor  mio  tra  mesto  e  lieto 
Sgorga  in  versi  balzani  e  semiseri  ; 
Né  so  piallar  la  crosta  ai  miei  pensieri, 
Né  so  star  cheto. 


Anch'  io  sbagliai  me  stesso,  e  nel  bollore 
Degli  anni  feci  il  bravo  e  l' ispirato, 
E  pagando  al  Petrarca  il  noviziato 

Belai  d'amore  (5)  ; 


Ma  una  voce  segreta  ogni  momento, 
Giù  dai  fondacci  della  coscienza, 
Mi  brontolava  in  tutta  confidenza  : 

«  Muta  strumento. 


«  Perchè  temi  mostrar  la  tua  figura, 

«  Se  nella  giubba  altrui  non  1'  hai  contratta  ? 
«  Dell'ombra  propria  come  bestia  matta 
Ti  fai  paura. 


«  I  tuoi  concetti,  per  tradur  te  stesso, 
«  Rendi  svisati  nel  prisma  dell'arte, 
«  E  di  secondo  lume  in  sulle  carte 
«  Torbo  reflesso. 


«  L' indole  tua  così  falsificando, 

«  Se  fai  d'alchimia  intonaco  alla  pelle, 
«  Del  tempo  passerai  dalle  gabelle 

«  Di  contrabbando  ? 


«  Scimmia,  se  gabberai  le  genti  grosse, 
«  Temi  l'orecchio  spalancato  al  vero, 
«  Che  ne'  tuoi  sforzi  dell'  inno  guerriero 
«  Sente  la  tosse. 


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218 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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«  Chi  nacque  al  passo  e  chi  nacque  alla  fuga 
«  Invano  invano  a  volgere  il  molino 
«  Sforzi  la  zebra,  o  a  farti  il  procaccino 
«  La  tartaruga. 

«  Lascia  la  tromba  e  il  flauto  al  polmone 
«  Di  chi  e'  è  nato  o  se  1'  è  fìtto  in  testa  : 
«  Tu  de'  pagliacci  all'odierna  festa 

«  Fischia  il  trescone  ». 


Ed  ecco  a  rompicollo  e  di  sghimbescio 
Svanir  le  larve  della  fantasia, 
E  il  medaglione  dell'  ipocrisia 

Vòlto  a  rovescio. 


Come  preso  all'amor  d'una  devota, 
Se  casca  il  velo  rabescato  in  coro, 
Vedi  l' idolo  tuo  creduto  d'oro 

Farsi  di  mota  ; 


Veggo  un  Michel  di  Landò,  un  Masaniello 
Bere  al  fiasco  di  Giuda  e  perder  l'erre  (6)  ; 
Bruto  commendatore  e  Robespierre 
Frate  e  bargello  ; 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


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219 


Mirare  a  tutto  e  non  avere  un  segno  ; 
Superbia  in  riga  d'Angelo  custode  ; 
Con  convulsa  agonia  d'oro  e  di  lode 
Spennato  ingegno  ; 


Un  palleggiar  di  lodi  inverecondo  ; 
Atei-salmisti,  Tirtei  coli 'affanno, 
E  le  grinze  nel  core  a  ventun  anno, 
Lordare  il  mondo. 


Restai  di  sasso  ;  barattare  il  viso 
Volli  e  celare  i  tratti  di  famiglia.: 
Ma  poi  l' ira,  il  dolor,  la  maraviglia 
Si  sciolse  in  riso  ; 


Ah,  in  riso  che  non  passa  alla   midolla  ! 
E  {mi  sento  simile  al  saltambanco, 
Che  muor^di  fame  e  in  vista  ilare  e  franco1 
Trattien  la  folla. 


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2 20                                                Poesie  del  Giusti  illustrate 

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Beato  me,  se  mai  potrò  la  mente 
Posar  quieta  in  più  sereni  obietti, 
E  sparger  fiori  e  ricambiare  affetti 

Soavemente . 

Cessi  il  marcato  reo,  cessi  la  frode, 
Sola  cagion  di  spregio  e  di  rampogna  : 
E  il  cor  rifiuta  di  cornuti  vergogna 
Misera  lode. 

Ma  fino  a  tanto  che  ci  sta  sul   collo, 
Sorga  all'  infamia  dalla  nostre  voce, 
Di  scherno  armata  e  libero  e  feroce, 

Protesta  e  bollo. 

Come  se  corri  per  le  gallerie 

Vedi  in  confuso  un  barbaglìo  di  quadri  ; 
Così  falsi  profeti  e  bali  ladri. 

Martiri  spie  (7), 

Mercanti  e  birri  in  barba  liberale, 

Mi  frullan  per  la  testa  a  schiera  a  schiera  : 
Tommasi,  mi  ci  par  l'ultima  sera 

Di  carnevale. 

Ecco  i  miei  personaggi,  ecco  le  scene, 
E  degli  scherzi  la  sorgente  prima  ; 
Se  poi  m'  è  dato  d'  infilar  la  rima 

0  male  0  bene, 

Scrivo  per  me,  scemandomi  la  noia 
Di  questa  vita  grulla  e  inconcludente, 
Torpido  per  natura  e  impaziente 

D'ogni  pastoia. 

Chi  mira  al  fumo  0  a  quello  che  si  conia, 
Dalle  gazzette  insegnamenti  attinga, 
E  là  si  stroppi  il  cranio  0  nella  •  stringa 
Del  De  Colonia  : 

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mi                                                                                                 ...... ._  .. .... 

*M 

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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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221 


Centoni,  fantasie  scriva  a  giornata, 
Venda  la  bile,  il  credo  e  la  parola  ; 


Mentre  gli  pianta  il  compito  alla  gola 
Libraio  pirata, 


Che,  avaro  e  buono  a  nulla,  esige  mondi 
Da  te  che  mostri  un'oncia  di  valore  ; 
E  co'  romanzi  galvanizza  il  core 
De'  vagabondi. 


Io  no  :  non  porterò  di  Tizio  o  Caio 
Oltramontane  o  arcadiche  livree, 
Né  per  lisciarle  affogherò  l' idee 
Nel  ca'amaio. 


Non  sarò  visto  volontario  eunuco 
Recidermi  il  cervel,  perch'  io  disperi 
La  firma  di  un  real  castrapensieri  (8) 
Birbone  e  ciuco. 


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222 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Se  posso,  al  foglio  non  darò  rimate 
Frasi  di  spugna  o  copie  o  ipocrisie, 
Né  per  censura  pubblica  le  mie 
Stizze  private 


Ma  scrivendo  là  là  quando  mi  pare 
Sulle  farse  vedute  a  tempo  mio, 
Qualcosa  annasperò,  se  piace  a  Dio, 
Nel  mio  volgare. 


Laudato  sempre  sia  chi  nella  bara 
Dal  mondo  se  ne  va  col  suo  vestito  : 
Muoia  'pur  bestia  ;  se  non  ha  mentito, 


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Che  bestia  rara  ! 


5IIC 


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Poesie  del  Giusti  illustrale  223 


ANNOTAZIONI 


(all'  amico) 


(1)  Prevenendo  il  tempo  :  è  felicissimo  concetto,  imperocché  fra  noi  verso  il  20  di  febbraio  già 
il  mandorlo  fiorisce.  Se  non  che  avviene  che  spesso  i  fiori  sono  visitati  e  coperti  dalla  neve  ed  ap- 
passiti dai  rigidi  freddi,  che  talvolta  nel  nostro  clima  si  protraggono  fino  a  tutto  l'aprile.  —  Un 
amore  avanti  il  tempo,  che  viene  ragguagliato  alla  precoce  fioritura  del  mandorlo,  è  una  simili- 
tudine originale,  conveniente  —  e  sta  in  armonia  col  periglioso  invito  della  beltade. 

(2)  Due  concetti  sono  qui  maestrevolmente  espressi,  cioè  quello  della  soavità  e  purezza  di  un 
primo  affetto  e  della  mestizia  che  l'accompagna.  —  È  pur  vero  che 

Mesto  è  l'amor,  dal  garrulo 

Riso  l'amor  non  nasce  ; 

Ei  di  sospiri  teneri, 

Di  lacrime  si  pasce. 
Ognor  paventa  l'anima, 

Che  vive  appassionata, 

Dall'  idolo  che  adora 

Essere  abbandonata. 

Quell'amor  che  è  luce  e  fuoco,  è  palpito  dell'universo  intiero,  come  è  bufera,  valanga,  folgore  ed 
uragano  della  vita  del  cuore,  nelP  ingenuità  dei  primi  anni  è  indefinita  dolcezza  di  anima  più  che 
voluttà  di  sensi  :  ed  è  aspirazione  meglio  che  conseguimento  di  fini  all'amore  prestabiliti. 

(3)  La  donna  che  veramente  ama  è  angelo  custode,  benefica  consigliera  per  intuito,  guida 
non  fallace  e  genio  profetico  di  colui,  cui  la  stringe  quella  catena  che  lega  tutte  le  create  cose  al 
Creatore  e  le  congiunge  fra  di  loro.  —  Mai  una  donna  che  ama  avviene  che  dia  un  consiglio  infido, 
guidata  come  è  dal  sentimento  e  dalla  coscienza  che  vai  bene  la  ingannatrice  e  spesso  impossente 
ragione.  Nei  casi  dubbi  della  vita,  se  consultate  la  donna  che  amate  ne  trarrete  lume  di  sicuri  passi. 

(4)  Ben  s' intende  che 

Leggier  desio  diviso  in  molti  oggetti 
Non  può  dirsi  amore. 

L'amore  è  solo  ed  esclusivo  di  sua  natura.  Più  amori  indicano  mancanza  di  amore,  come  la  comparsa 
di  più  stelle  significa  ed  appalesa  che  il  sole  tramontò  dall'orizzonte.  Nei  molti  fallaci  amori  pos- 
sono ricercarsi  i  vani  diletti,  ma  in  essi  non  può  né  quietarsi  l'anima,  né  fiorire  gioja  e  virtù.  L'af- 
fetto unico  che  vivifica,  purifica  e  sprona  alla  virtù,  è  il  generoso  e  sublime  concetto  che  qui  esplica 
il  nostro  Poeta.  —  E  questo,  oltre  essere  concetto  estetico,  è  pure  concetto  etico. 

(5)  L'amante. 

Ha  per  il  bene  allnn  sua  vita  cara 
E  solo  vive  in  un  gentil  desio. 

Chi  più  non  desidera,  più  non  ama,  ed  è  perciò  che  ne  è  venuta  la  sconfortante  sentenza  che  il  ma- 
trimonio è  la  tomba  delV amore  ;  il  che  non  è  vero  per  le  anime  gentili,  che  ricercano  nella  compagna 
della  vita  qualche  cosa  di  più  e  di  meglio  dei  godimenti  sessuali. 

(6)  Qui  allude  al  mercimonio  dell'amore,  all'adulterazione  e  alla  falsificazione  della  cosa  più 
soave  e  santa  che  Dio  abbia  creata,  ossivero  emanata  dalla  sua  propria  substantia. 

(7)  Guai  a  chi  posò  il  suo  affetto  in  chi  non  ne  era  degno  e  gli  compose  una  corona  luminosa, 
che  cadute  dagli  occhi  le  bende  ottenebratrici,  dovrà  poi  strapparla  con  le  sue  stesse  mani  !  Oh 
come  diventa  laido  e  schifoso  l' idolo  fulgente  che  si  adorava  !  — ■  Fra  chi  soffre  ambascie  senza  nome 
e  senza  fine  per  amore  deluso  e^chi  lo  vende  o  lo  simula,  lo  adultera  o  lo  falsifica,  non  dovrebbe 
essere  dubbia  la  scelta;  all'ingannato  resta  la  stima  di  sé  stesso  e  la  santità  del  suo  duolo  — 
al  falso,  all'  ingannatore  non  può  restare  che  la  vergogna  della  sua  sozza  anima  —  ne  può  stimarsi 
più  di  quello  che  sa  di  meritare. 


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224 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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(8)  Oh  !  pur  troppo  con  inquieta  piuma  (aurea  sentenza  in  adeguate  parole)  la  vita  del  cuore 
si  consuma  nell'elemento  in  cui  viveva  e  di  cui  si  alimentava,  e  a  dramma  a  dramma  quando  viene 
a  mancargli,  si  estingue.  —  È  questa  la  storia  di  tutti  i  tempi  e  di  tutti  i  popoli,  i  quali  ebbero  intel- 
letto d'amore. 

(9)  Sì,  vi  è  una  dignità  nella  sventura  :  e  di  un  duolo  immeritato,  se  viltà  non  lo  turba,  può 
l'uomo  farsene  un   manto   da    non  cambiarsi  colla  porpora  dei  re 

(io) 


Qui  nel  Poeta  parla  la  ragione  ; 
Ardua  e  la  risposta. 


Con  fronte  serena 

I  carnefici  tuoi  conturba  e  frena. 

ma  può  essere  ascoltato  il  consiglio  da  chi  fu  tradito,  fu  deluso  ? 


^  ?  (il)  Oh  sì  !  non  vi  è  che  un  fior  gentile  che  possa,  passata  la  bruma,  ri 
l'anima  appassionata  dagli  ispidi  aculei  di  un  fiore  volgarissimo.  —  Chi  tr; 
bestemmiava  l'amore.  —  L'alma  gentile,  o  non  ama,  o  ama  eternamente. 


risanare  le  ferite  fatte  al- 
tradiva  non  amava,  bensì 


(A   GIROLAMO   TOMMASl) 

(I)  Per  quanto  appare  dal  contesto  di  questa  bellissima  fra  le  belle  satire  di  Giuseppe  Giusti 
sembra  che  pigli  a  roteare  la  sferza  contro  la  scuola  dei  romantici  e  dei  classici,  o  per  dir  meglio 
degli  arcadici  e  degli  umanitari  nel  campo  delle  lettere. 

_  (2)  Si  conferma  il  concetto  suespresso,  parlandosi  della  vacuità,  della  stemperatezza,  dell'  eru- 
dizione non  assimilata,  non  fatta  sangue,  non  confacente  a  cosa  alcuna  utile  alla  vita  non  espres- 
sione dei  tempi  attuali,  e  moneta  non  più  spendibile  :  . 

Vuoto  suono  che  sibila  e  non  crea 
come  diceva  Ugo   Foscolo. 

(3)  Arrembato  —  che  si  regge  male  sulle  gambe. 

(4)  Colascioni  —  chitarre  mal  ridotte. 

(5)  I  Petrarchisti,  come  i  Cesarottisti  e  i  Frugoniani  furono  una  delle  maggiori  piaghe  della  lette- 
ratura italiana.  —  Diceva  ottimamente  il  Buonarroti  che  chi  imita,  non  sarà  imitato,  ma  per  la  turba 
magna  che  si  arrampica  sugli  scanni  delle  Belle  Arti  e  del  tempio  di  Minerva  il  copiare  è  facile 
e  necessita  ed  «tinto  di  natura  ed  è  un  equipollente  di  quella  pigrizia  che  domina  la  vita  di  tanti 
e  tanti  alacri  ingegni  d'  Italia. 

Il  Poeta  si  scusa  pur  esso  di  aver  belato  d'amore  —  ma  è  però  bella  quella  colpa  che  ci  diede  dei 
sonetti  che  sono  una  gemma  letteraria  peregrina  e  i  versi  all'Amica  lontana. 

(6)  Perdere  l'erre,  significa  in  dialetto  toscano  impossibilità  a  ragionare  più  correttamente 

(7)  E  il  mercimonio  che  si  fa  della  penna  :  è  lo  scrivere  contro  o  senza  coscienza  •  è  l'affastel- 
lamento di  cose  sacre  con  le  profane  :  è  la  mancanza  di  qualunque  fede  negli  scribacchianti,  quello 
che  flagella  il  Giusti:  e  ne  ha  ben  d'onde;  se  non  che  fu  detto  da  un  diplomatico  che  la  parola 
fu  data  ali  uomo  per  mascherare  il  pensiero  :  oggi  si  potrebbe  dire  che  la  penna  gli  fu  fornita  perchè 
lo  travisasse  e  lo  corrompesse.  re  r 

Lo  spirito  settario  ha  tutto  invaso  e  tutto  corrotto  :  non  vi  è  farabutto  che  dai  partigiani  non 
si  dia  perun  eroe.  -  Non  vi  è  uomo  prode  ed  onesto  che  dagli  avversari  non  si  denunzi  come  un 
pessimo  cittadino.  —  Si  fabbricano  e  si  scompongono  a  macchina  le  riputazioni.  -  Siamo  in  mezzo 
al  basso  impero.  -  I  giorni  fatali  che  fino  dal  1840  aveva  scorti  Giuseppe  Giusti  nell'attuale  società 
fruttificarono  con  un  rigoglio  spaventoso,  e  basterà  il  dire  che  nel  decennio  dal  18C7  al  1867  in  Francia 
furono  perpetrati  da  ecclesiastici  (di  cui  473  pubblici  maestri)  874  delitti  contro  il  pudore  •  stupri 
pederastie  ed  altre  laidezze.  r  r    ' 

(8)  Quando  scriveva  il  nostro  Poeta,  in  Toscana  esisteva  sempre  la  censura  preventiva  che 
fu  abolita  nel  15  maggio  1848  con  la  legge  che  in  gran  parte  è  tuttora  vigente. 


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POESIE   DEL  GIUSTI    ILLUSTRATE 


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Poesie  del   Giusti  illustrate.—  edizione  nerbini 


Fascicolo  15. 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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227 


IL    BALLO(I) 


1841. 


Parte     Prima. 

In  una  storica 
Casa,  affittata 
Da  certi  posteri 
Di  Farinata  (2), 

A  scelto  e  splendido 
Ballo  e'  invita 
Chilosca,  gotica 
Beltà  sbiadita. 

Come,  per  magico 
Vetro,  all'oscuro, 
Folletti  e  diavoli 
Passar  sul  muro, 

Maravigliandosi, 
Vede  il  villano 
Che  corre  al  cembalo 
Del  ciarlatano  ; 

Tali,  per  l'intime 
Stanze,,  in  confuso, 


Cento  s'affollano, 
Sporgendo  il  muso, 


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228 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


Baroni,  principi, 
Duchi,  eccellenze, 
E  inchini  strisciano 
E  reverenze. 

Un  servo  i  ciondoli 

Tien  d'occhio,  e  al  centro 


Le  borie  anticipa 
Di  chi  vien  dentro. 

Fra  tanti  titoli 
Nudo  il  mio  nome 
Strazia  inarmonico 
Gli  orecchi,  come 

In  una  musica 
Solenne  e  grave 
Un  corno,  un  òboe 
Fuori  di  chiave. 

Con  un  olimpico 
Cenno  di  testa, 
La  tozza  e  burbera 
Dea  della  festa, 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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229 


Benedicendoci 
Dal  suo  divano, 
C  insacca  al  circolo 
A  mano  a  mano. 

In  brevi  rauchi 
Scipiti  accenti 
Pagato  il  dazio 
De'  complimenti, 

Stretto  per  l'andito 
Sfila  il  bon  toii  : 
Si  stroppia,  e  brontola 


Pardon,   pardon. 


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230 


Toesie  del  Giusti  illustrate 


O  quadri,  o  statue, 
O  sante  travi, 
Che  del  vernacolo 
Rozzo  degli  avi 

Per  cinque  secoli 
Nauseate, 
Coli' 'appigionasi 
Vi  compensate  ; 

Soffrite  l'alito 
D'un  paesano 
Che  per  buaggine 
Parla  italiano  (3). 

Là  là  inoltrandomi 
Pigiatole  tardo, 


Fra  ciuffi  e  riccioli 
M'allungo,  e  guardo 

Ove  mefitici 
Miasmi  esala 
Una  caldaia 
Chiamata  sala. 


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3in 


^Poesie  del  Giusti  illustrate 


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231 


Come,  per  muoversi 
D'occulto  ingegno, 
Girano  e  saltano 
Gruppi  di  legno 

Su  questi  ninnoli 
Della  Germania  ; 
Così  parevano 
Presi  alla  pania, 

Così  scattavano 
Duri  impiccati, 


Fantasmi  e  scheletri 
Inamidati. 

Ivi  non  gioia, 
Non  allegria, 
Ma  elegantissima 
Musoneria  ; 

Turate  l'anime, 
Slargati  i  pori 
A  smorti  brividi 
Di  flosci  amori  ; 

Gergo  di  stitica 
Boria  decente, 
Ciarlìo  continuo 
Che  dice  niente. 


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232 


Poesie  dei  Giusti  illustrate 


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Ecco  si  rompono 
Partite  e  danze  : 
S'urta,  precipita 
Nell'altre  stanze 

La  folla  ;  e  assaltano 
Dame  e  signori 


Bottiglie,  intingoli 
E  senatori. 

Per  tutto  un  chiedere, 
Per  tutto  un  dare, 
Stappare,  mescere, 
E  ristappare  ; 

Un  moto,  un  vortice 
Di  mani  impronte, 
E  piatti  e  tavole 
Tutte  in  un  monte. 

Oltre  lo  stomaco, 
Da  quella  cena 
Molti  riportano 
La  tasca  piena  ; 


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Poesie  del  Giusti  illustrale 


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E  nel  disordine, 
Nel  gran  viavai, 


Spesso  ci  scappano 
Anco  i  cucchiai  (4). 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


Parte    Seconda 


Lì  tra  le  giovani 
Nuore  slombate, 
E  tra  le  suocere 
Rintonacate  ; 

Tra  diplomatiche 
Giubbe  a  rabeschi, 
E  croci  e  dondoli 
Ciarlataneschi  ; 

Veggo  l'antitesi 
Di  quattro  o  sei 
Eterogenei 
Grugni  plebei  (5). 

A  me,  che  ho  reproba 
La  fantasia 
Per  democratica 
Monomania, 

Piacque  lo  scandalo 
Dei  dommi  infranti 
In  quel  blasonico 
Santo  dei  Santi  : 

Ma  poi,  ficcandomi 
Là  tra  le  spinte, 
Mi  stomacarono 


Tre  laide  grinte  (6). 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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235 


Una  è  crisalide 
D'un  quondam  frate 
Oggi  per  celia 
Si  chiama  abate  ; 

Ma  non  ha  cherica, 
Non  ha  collare  ; 
Devoto  al  pentolo 
Più  che  all'altare. 

Caro  ai  gastronomi 
Per  dotta  fame  ; 
Temuto  e  celebre 
Per  fama  infame, 

Narrando  cronache 
E  fatterelli, 
Magagne  e  debiti 
Di  questi  e  quelli  ; 

Compra  se  biasima, 
Vende  se  loda, 
E  per  salario 
Lecca  la  broda. 

Gratificandosi 

Fanciulle  e  spose, 


Gioca  per  comodo  ; 
E  mamme  uggiose 


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236 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


E  paralitici 
Irchi  divaga  ; 
Ruba,  fa  ridere, 
Perde  e  non  paga. 

È  l'altro  un  nobile 
Tinto  d'  ieri, 
Re  cristianissimo 
Dei  re  banchieri. 

Scansando  il  facile 
Prete  e  la  scure, 
Già  dilettavasi 
Di  basse  usure  : 

Oggi  sollecito 
D'  illustri  prese, 
Sdegnando  l'obolo 
Camaldolese, 

Nel  nobil  etere 
Sorse  veloce, 


E  al  paretaio 
Piantò  la  croce. 

Come  putredine 
Che  lenta  lenta 
Strugge  il  cadavere 
Che  l'alimenta, 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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237 


E  propagandosi 
Dai  corpi  infermi 
Par  che  nel  rodere 
S'attacchi  ai  vermi  ; 

Così  la  rancita 
Muffa  patricia, 
Da  illustri  costole 
Senza  camicia 

Spinta  dal  debito 
Allo  spedale, 
S'attacca  all'ordine 
Della  cambiale  ; 

E  già  ripopola 
Corti  e  casini 
Una  colonia 
Di  scortichini. 

Di  quei  lustrissimi 
L'odio  sommesso 
Lo  scansa  e  inchinasi 
Nel  tempo  istesso  ; 

Ed  ei  burlandosi 
D'odii  e  d'onori, 


Conta  e  girandola 
Tra  i  debitori. 


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238 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


Il  terzo  è  un  profugo, 
Perseguitato 
Peggio  d'un  utile 
Libro,  stampato 

Senza  le  barbare 
Al  birro  e  al  clero 
Gabelle  e  decime 
Sopra  il  pensiero. 

Ferito  a  Rimini, 
Quest'  infelice 
Scappò  di  carcere 
(Almen  lo  dice)  ; 

Errò  famelico, 

Strappato  ed  egro  ; 
Si  sogna  il  boia, 
Ma  dorme  allegro. 

O  della  patria 
Sinceri  figli, 
Degni  d'un  secolo 


Che  non  sbadigli  ! 

Con  voi,  magnanimi, 
Non  entri  in  lega 
Chi  del  patibolo 
Si  fa  bottega. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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239 


Come  Alcibiade 
Variando  norme, 
Questo  girovago 
Proteiforme, 

Trasfigurandosi, 
Tende  la  rete  ; 


A  Londra  è  un  esule, 


A  Roma  è  prete. 


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240 


Toesie  del  Giusti  illustrate 


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Briaco  a  tavola 
Co'  ciambellani, 
Ai  re  fa  brindisi 
Oggi  ;  domani 

Vien  meco,  e  recita 
0  Italia  mia  ! 
Le  birbe  inventano 


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Che  fa  la  spia  (7). 


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POESIE     DEL    GIUSTI     ILLUSTRATE 


Parte  Terza. 


Ad  una  tisica 
Larva  sdentata, 


Ritinto  giovane 
Di  vecchia  data, 

Che  stava  in  bilico 
Biasciando  in  mezzo 
Di  quel  miscuglio 
Mostrai  ribrezzo. 

Oggi  che  a  miseri 
Nomi  ha  giovato 
La  trascuraggine 
Del  tempo  andato, 

E  si  perpetua 
Ogni  genìa 
Per  gran  delirio 
D'epigrafia  ; 


Poesie  del  Giusti  illustrate. 


EDIZIONE    NERBINI 


Fascicolo  16. 


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242 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Mi  scusi  l'epoca 

Se  anch'  io  m' induco 
Al  panegirico 
Di  questo  ciuco. 

Nacque  anni  domini 
Ricco  e  quartato  : 
Morto  di  noia 
Dov'era  nato, 

Per  controstimolo 
Corse  oltremonte  ; 
Di  là,  versatile 
Camaleonte.. 

Tornò  mirabile 
Di  pellegrini 
Colori,  e  al  solito 


Finì  i  quattrini. 


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Poesie  del  Giusti  illustrale 


243 


E  adesso  ai  Tartari 
Cresi  cucito, 
Ombra  patrizia 
Tutta  appetito, 


Ripappa  gli  utili 
Nel  piatto  altrui 
Del  patrimonio 
Pappato  a  lui. 

Costui  negli  abiti 
Strizzato  e  monco, 
Si  stira,  s'agita, 
Si  volta  in  tronco  ; 

E  con  ironica 
Grazia  scortese, 
Nel  suo  frasario 
Mezzo  francese, 

Disse  :  —  Eh  goffaggini 
State  a  vedere, 
E  divertitevi  ; 
Col  forestiere 


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244  Poesie  del  Giusti  illustrate 


Che  spende  e  in  sèguito 
Ci  rece  addosso, 
Bisogna  mungere 
E  bever  grosso. 

Po'  poi,  le  nenie 
Messe  da  banda, 
Cos'  è  1'  Italia  ? 
È  una  locanda. 

L'oste  non  s'occupa 
Di  far  confronti  ; 
I  galantuomini 
Li  tasta  ai  conti  ; 

E  fama,  credito, 
Onore,  insomma 
Son  cose  elastiche 
Come  la  gomma. 

Certo,  le  topiche 
Zucche  alla  grossa, 
Col  mal  di  patria 
Fitto  nell'ossa  ; 

Un  malinconico, 
Legato  al  fare 
E  alla  grammatica 
Della  comare, 

Vi  cita  il  genio, 
L'arti,  la  storia.... 
Tutti  cadaveri 
Buona  memoria. 

Io  tiro  all'ostriche, 
Né  mi  confondo. 
Sapete  il  conio 
Che  corre  al  mondo  ? 

Franchezza,  spirito, 
E  tirar  via  : 
Il  resto  è  classica 
Pedanteria.  — 

Io  che  spessissimo 
Mi  fo  melare  (8) 
Per  vizio  inutile 
Di  predicare, 


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Poesie  del  Giusti  illustrale 


245 


Punto  nel  tenero, 
Risposi  :  —  È  vero, 
Questo  è  l'ergastolo 
Del  globo  intero. 

Se  togli  un  numero 
Di  pochi  onesti 
Che  vanno  e  vengono 
Senza  pretesti, 

Nella  penisola 
Tira  a  sboccare 
Continuo  vomito 
D'alpe  e  di  mare. 

Piovono  e  comprano 
Gli  ossequi  istessi 


Banditi  anonimi, 
Serve  e  're  smessi  ; 


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246 


Toesie  del  Giusti  illustrate 


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A  cui  confondersi 
Col  canagliume 
Non  è  che  un  cambio 
Di  sudiciume. 

A  questa  laida 

Orda  e  marame  (9) 
Di  conti  aerei, 
D'ambigue  dame 

Irte  d'esotica 
Prosopopea, 


Noi  vili  e  stupidi 
Facciam  platea  : 

E  un  nome  vandalo 
In  offe  o  in  iffe 
Ci  compra  l'anima 
iCon  un  rosbiffe.  — 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


Eh,  via,  son  fisime 
Di  testa  astratta, 
Riprese  il  martire 
Della  cravatta  ; 

Son   frasi  itteriche 
Del  pregiudizio  ; 
Bella  !  ha  gli  scrupoli  ! 
Oh  !  addio,  novizio.  — 

E  presa  l'aria 

Dell'uomo  avvezzo, 


Andette  a  bevere 
Tutto  d'un  pezzo. 


247 


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248  Toesie  del  Giusti  illustrate 


ANNOTAZIONI 


(1)  Il  ballo  può  essere  un  onesto  divertimento,  come  uno  strumento  di  perdizione  —  un  esercizio 
igienico  e  ricreante,  come  uno  spettacolo  di  vana  pompa  e  di  insolente  fasto.  Con  più  si  sale  in  alto 
nella  sfera  sociale,  meno  il  ballo  serba  il  suo  carattere  originario.  I  balli  popolari  nelle  ricorrenze  delle 
feste,  o  nelle  fredde  serate  dell'  inverno,  sono  improntati  di  gioia  vivace,  di  brio,  di  espansione  e  di 
ricreazione  di  animo.  Tutte  le  nazioni  ebbero  e  molte  tuttora  conservano  i  loro  balli  storici.  —  Il  tre- 
scone, la  manfrina  e  la  tarantella  in  Italia  ;  il  fandango  in  Ispagna,  il  ballo  a  catena  in  Isvizzera,  ecc. 
In  Atene  si  ballava  ai  giuochi  olimpionici  e  nelle  feste  di  Bacco  —  a  Roma  nei  saturnali  e  nelle  feste 
della  vendemmia.  —  Nelle  Indie  orientali,  fra  i  selvaggi  dell'America,  nella  China,  ovunque  si  balla. 

Il  ballo  è  più  o  meno  comune  e  diffuso  fra  le  nazioni  moderne.  —  A  Parigi  si  balla  tutte  le  sere 
in  molte  sale  a  pagamento  —  a  Vienna  si  balla  sempre  e  dovunque,  mentre  a  Londra  non  si  danza 
neppure  dove  si  danno  feste  da  ballo  ! 

In  Italia  il  ballo  (non  parliamo  dei  balli  teatrali)  oggi  è  in  sommo  credito  ;  e  si  balla  più  del 
dovere  in  alto  e  in  basso  della  società.  —  Non  basta  più  il  carnevale  —  la  stagione  dei  teatri  e  dei 
veglioni,  ove  nessuno  più  danza  —  si  vuol  ballare  in  quaresima,  eppoi  anche  dopo  Pasqua,  eppoi 
sempre,  e  questo  è  troppo,  perchè  diventa  uno  sciopero  dell'anima  e  spesso  ingenera  il  vagabondaggio 
del  cuore.  Il  ballo  è  inebbriante,  attrae,  seduce  le  giovanette  inesperte  ed  ingenue  ;  e  a  lungo  giuoco, 
se  non  lo  frenano,  nuoce  alla  loro  salute  non  meno  che  alle  buone  disposizioni  al  lavoro  da  cui  le  al- 
lontana, nel  nostro  clima  dove  il  dolce  far  niente  è  endemico,  epidemico  e  contagioso.  Il  ballo  e  le  molte 
feste  sacre  e  profane  sono  una  delle  prime  cagioni  dell'arresto  del  lavoro  e  della  poca  operosità.  Sunt 
certi  denique  fines. 

(2)  Il  ballo  che  si  fa  a  stigmatizzare  il  Poeta  è  uno  di  quelli  che  lasciano  il  tempo  che  trovano, 
un  ballo  di  ostentazione  boriosa,  condito  di  sbadigli  più  o  meno  sonori  e  di  ricambio  di  falsa  moneta 
di  complimento  con  finzione  proferiti  e  con  ipocrisia  velata  ricevuti  ;  un  formalismo  e  artificialismo 
della  moderna  società  ove  la  serena  e  vivace  allegrezza  e  l'abbandono  soave  dell'anima  non  si  affac- 
ciano neppure  alle  sale  sfarzosamente  illuminate  da  molteplici  doppieri,  ove  il  turbinio  delle  coppie 
danzanti  è  compassato  ai  ballerini  dagli  organisti  di  Germania.  —  Un  discendente  di  Farinata  che 
affitta  ad  uno  straniero  il  suo  palazzo.  —  Oh  vergogna  dei  tempi  !  —  Eppure  siamo  a  tali  che,  meno 
lo  Strozzi,  il  Corsini,  il  Capponi  e  pochi  più,  quasi  tutte  le  famiglie  antiche  fiorentine  cedono,  per  da- 
naro, ad  altri  il  palazzo  ove  nacquero  i  famosi  loro  avi.  —  Siamo  nel  secolo  dell'oro  ! 

(3)  È  costume,  via  via  che  si  presenta  un  invitato  nella  saia  da  ballo,  che  un  servo  ne  annunzia 
l'arrivo  ingrossando  la  voce  a  seconda  dei  titoli  :  e  pur  troppo  chi  non  ne  ha  dei  sonori  deve  atten- 
dersi i  brevi  e  rauchi  scipiti  accenti  della  dea  della  festa.  A  ciò  aggiungi  che  se  il  disgraziato  ignora  quel 
frasario  francese  che  si  spande  in  tutte  le  feste  da  ballo  cangiate  in  soirèes  dansantes  (nemmeno  il  nome, 
povera  Italia,  hai  tu  conservato  !)  corre  il  pericolo  di  esser  preso  per  un  irrochese. 

(4)  Il  mondo  dell'alta  società  dei  Salons,  come  si  chiama,  si  divide  in  due  classi,  il  mondo  uf- 
ficiale e  i  parassiti  a  prova  di  fuoco  registrati.  —  Questa  massa  di  gente  slombata,  affloscita,  intona- 
cata, tinta!  o  ritinta,  gira  alla  guisa  dei  beduini  di  luogo  in  luogo  e  di  casa  in  casa,  fiutando  le  tende 
e  ponendo  l'alabarda  ove  si  manduca.  — ■  È  sempre  la  stessa  roba  usata,  schifosa,  orpellata,  crociata 
basta  che  sia,  o  peggio.  —  Spesso  al  buffet  avvengono  delle  baruffe  chiozzotte  e  scene  scandalose,  e 
pur  troppo  nella  reggia  stessa  mancarono  alcune  volte  anche  le  posate.  —  Dell'  insaccatura  di  vivande 
e  di  paste  non  è  a  dirsi,  in  questo  tollerato  vandalismo  così  al  vivo  dipinto  dal  nostro  Poeta  satirico. 

(5)  Grugno.  Il  grugno  è  del  porco  —  ma  qui  si  usò  dall'autore  in  istile  figurato. 

(6)  Grinta.  Parola  del  vernacolo  fiorentino  esprimente  una  fisionomia  ributtante. 

(7)  Questi  tre  personaggi  abbiamo  credenza  che  siano  parto  della  fantasia  del  Poeta,  checché 
alcuni  conoscenti  dell'autore  asseriscano  che  in  verità  esistevano  ai  tempi  nei  quali  fu  scritta  questa 
satira.  —  In  ogni  modo  i  tipi  del  prete  brigante,  del  finto  martire  della  patria  e  del  becero  strozzino 
gallonato  sono  resi  bene  e  dipinti  con  mano  maestra. 

(8)  Melare  —  tirar  pomi. 

(9)  Marame,  accozzaglia.  —  Fino  dal  1840  cominciava  la  moda  dei  sedicentisi  duchi,  conti  e 
marchesi;  però  non  erano  ancora  giunti  al  punto  che  i  borsaioli  e  i  farabutti  si  ornassero  di  non  avute 
croci  il  petto  ed  ostentassero  falsi  diplomi  di  nobiltà.  —  Delle  dame  equivoche,  delle  avventuriere  dei 
bagni,  delle  feste,  dei  lunghi  viaggi,  non  era  come  oggi  pieno  il  mondo. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Toesie  del  Giusti  illustrate  251 


Nell'occasione  che  fu  scoperto 
a  firenze 

IL  VERO  RITRATTO  DI  DANTE 

FATTO  DA  GIOTTO  (1) 


1841. 


Qual  grazia  a  noi  ti  mostra, 
O  prima  gloria     italica,  per  cui 
Mostrò  ciò  che  potea  la  lingua  nostra  ? 
Come  degnasti  di  volgerti  a  nui 
Dal  punto  ove  s'acqueta  ogni  desìo  ? 
Tanto  il  loco  natio 
Nel  cor  ti  sta,  che  di  tornar  t'  è  caro 
Ancor  nel  mondo  senza  fine  amaro  ? 

Ma  da  seggio  immortale 

Ben  puoi  rieder  quaggiù  dove  si  piange  : 
Tu  sei  fatto  da  Dio,  sua  mercè,  tale, 
Che  la  nostra  miseria  non  ti  tange. 
Soluto  hai  nelle  menti  un  dubbio  grave, 
E  quel  desio  soave 
Che  lungamente  n'  ha  tenuti  in  fame, 
Di  mirar  gli  occhi  tuoi  senza  velame. 

Nel  mirabile  aspetto 
Arde  e  sfavilla  un  non  so  che  divino 
Che  a  noi  ti  rende  nel  vero  concetto  : 
A  te  dinanzi,  come  il  pellegrino 
Nel  tempio  del  suo  voto  rimirando, 
Tacito  sospirando, 
Sento  l'anima  mia  che  tutta  lieta 
Mi  dice  :  or  che  non  parli  al  tuo  poeta  ? 


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252  Poesie  del  Giusti  illustrate 


Diffusa  una  serena 
Mestizia  arde  per  gli  occhi  e  per  le  gene 
E  grave  il  guardo  e  vivido  balena 
Come  a  tanto  intelletto  si  conviene  ; 
E  nello  specchio  della  fronte  austera, 
Oual  sole  in  acqua  mera, 
Splende  l' ingegno  e  l'anima  sicura 
Sotto  l'usbergo  del  sentirsi  pura. 


Tal  nella  vista  nuova 

Fosti,  e  benigne  stelle  ti  levaro 

Di  cortesia,  d' ingegno  in  bella  prova, 

E  di  valor,  che  allora  ivan  del  paro. 

Così  poi  ti  lasciò  la  tua  diletta, 

La  bella  giovinetta, 

Nella  selva  selvaggia  incerto  e  solo, 

Armandoti  le  penne  a  tanto  volo. 


Così  fermo  e  virile 

Frenar  tentasti  il  tuo  popolo  ingiusto  : 
Così,  cacciato  poi  del  bello  ovile, 
Mendicasti  la  vita  a  frusto  a  frusto, 
Ben  tetragono  ai  colpi  di  sventura  ; 
E  della  tua  sciagura 
Virtù  ti  crebbe,   e  potè   meglio  il  verso 
Descriver  fondo  a  tutto  l'universo. 


Solingo  e  senza  parte 
Librasti  in  equa  lance  il  bene  e  il  male, 
E  nell'angusto  circolo  deh' arte 
Come  in  libero  ciel  spiegasti  l'ale. 
Novella  Musa  ti  mostrava  l'Orse, 
E  fino  a  Dio  ti  scòrse 
Per  lo  gran  mar  dell'  Essere  l'antenna, 
Che  non  raggiunse  mai  lingua  né  penna. 


Sempre  più  e'  innamora 
Tua  vision  che  poggia  a  tanta  altezza  : 
Nessun  la  vide  tante  volte  ancora, 
Che  non  trovasse  in  lei  nuova  bellezza. 
Ben  gusta  il  frutto  della  nuova  pianta 
Chi  la  sa  tutta  quanta  : 
In   lei  si  specchia  cui   di   ben   far  giova, 
Per  esempio  di  lei  beltà  si  prova. 


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Toesie  del  Giusti  illustrate  253 


Forse  intera  non  vedo 

La  bellezza  eh'  io  dico,   e  si  trasmoda 

Non  pur  di  là  da  noi  ;  ma  certo  io  credo 

Che  solo  il  suo  fattor  tutta  la  goda. 

E  così  cela  lei  l'esser  profonda  : 

E  l'occhio  che  per  l'onda 

Di  lei  s' immerge,   prova  il  suo  valore  ; 

Tanto  si  dà   quanto   trova  d'ardore. 


Per  mille  penne  è  tòrta 

La  sua  sentenza  :   e  chi  là  entro  pesca, 

Per  gran  sete  d'attingere  vi  porta 

Ambagi  e  sogni  onde  i  semplici  invesca. 

Uno  la  fugge,   un  altro  la  coarta, 

O  va  di  carta  in  carta 

Tessendo  enimmi,  e  sforza  la  scrittura 

D'un  tempo  che  delira  alla  misura. 


Per  arte  e  per  inganno 

Di  tal  cui  sol  diletta  il  pappo  e  il  dindi, 

Mille  siffatte  favole  per  anno 

Di  cattedra  si  gridan  quinci  e  quindi. 

O  di  te  stesso  guida  e  fondamento, 

Ai  pasciuti  di  vento 

Dirai  che  indarno  da  riva  si  parte 

Chi  cerca  per  lo  vero  e  non  ha  l'arte. 


Ben  v'  ha  chi  sente  il  danno, 

E  che  si  stringe  a  te  ;  ma  son  sì  pochi 
Che  le  cappe  fornisce  poco  panno. 
Padre,   perdona  agi'  intelletti  fiochi, 
Se  tardo  orecchio  ancor  non  ha  sentito 
Tuo  nobile  ruggito  ; 
Se   fraude   spiuma,   se  iattanza  veste 
D'ali  di  struzzo  l'aquila  celeste. 


Io,  che  laudarti  intendo 

Veracemente,   con   ardito   innesto, 

Tremando  all'opra  e  diffidando,  prendo 

La  tua  loquela  a  farti  manifesto. 

Se  troppa  libertà  m'allarga  il  freno, 

Il  dir  non  mi  vien  meno  : 

Lascia  eh'  io  venga  in  piccioletta  barca 

Dietro  il  tuo  legno  che  cantando  varca. 


5111 


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254  Poesie  del  Giusti  illustrate 


O  maestro,  o  signore, 
O  degli  altri  poeti  onore  e  lume, 
Vagliami  il  lungo  studio  e  il  grande  amore 
Che  m' han  fatto  cercar  lo  tuo  volume. 
Io   ho   veduto   quel,   che   s' io   ridico, 
Del  ver  libero  amico, 
Da  molti  mi  verrà  noia  e  rampogna, 
O  per  la  propria  o  per  l'altrui  vergogna. 


Tantalo,  a  lauta  mensa 
D'ogni  saper,  vegg'  io  scarno  e  digiuno, 
Che  scede  e  prose  e  poesie  dispensa, 
E  scrivendo  non  è  né  due  né  uno. 
Oimè,   filosofia,    come   ti  muti, 
Se  per  viltà  rifiuti 

De'  padri  nostri  il  senno,  e  mostri  a  dito 
Il  settentrional  povero  sito  ! 


Qui  l'asino  s' indraca 
Stolidamente,  e  con  delirio  alterno, 
Vista  la  greppia,  poi  raglia,  si  placa, 
E  muta  basto  dalla  state  al  verno. 
Libertà  va  gridando  eh'  è  si  cara 
Ciurma  oziosa  ignara, 
E  chi  per  barattare  ha  l'occhio  aguzzo  ; 
Né  basta  Giuda  a  sostenerne  il  puzzo. 


L'antica  gloria  è  spenta  ; 

E  le  terre  d'  Italia  tutte  piene 

Son  di  tiranni  e  un  martire  doventa 

Ogni  villan  che  parteggiando  viene. 

Pasciuto   in  vita   di  rimorsi  e   d'  onte, 

Dai  gioghi  di  Piemonte, 

E  per  l'antiche  e  pe  ler  nuove  offense 

Caina  attende  chi  vita  ci  spense. 


Oggi  mutata  al  certo 
La  mente  tua  s'adira  e  si  compiagne 
Che  il  giardin  dell'  imperio  abbia  sofferto 
Cesare  armato  con  l'ugne  grifagne. 
La  mala  signoria  che  tutti  accora 
Vedi  come  divora 
E  la  lombarda  e  la  veneta  gente, 
E  Modena  con  Parma  n'  è  dolente. 


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■JPowìé  rff/  Giusti  illustrate  255 


Volge  a  rinnova  membre 

Fiorenza,  e  larve  di  virtù  profila 

Mai  colorando,  che  a  mezzo  novembre 

Non  giunge  quello  che  d'ottobre  fila. 

Oual  è  de'  figli  suoi  che  in  onor  l'ama, 

A  gente  senza  fama 

Soggiace  :  e  i  vermi  di  Giustiniano 

Hanno  fatto  il  suo  fior  sudicio   e  vano. 


Basso  e  feccioso  sgorga 

Nel  Serchio  il  brulicame  di  Borbone, 

E  in  quel  corno  d'Ausonia  che  s'  imborga 

Di  Bari,  di  Gaeta  e  di  Cotrone, 

E  la  bella  Trinacria  consuma  ; 

Che,  là  dov'arde  e  fuma 

Dall'alto  monte,  vede  ad  ora  ad  ora 

Mosso  Palermo  a  gridar  —  mora,  mora  ! 


Al  basso  della  ruota 

La  vendetta  di  Dio  volge  la  chierca  : 
La  gente  che  dovrebbe  esser  devota, 
Là  dove  Cristo  tutto  dì  si  merca 
Puttaneggiar  co'  regi  al  mondo  è  vista, 
Che  di  farla  più  trista 
In  dubbio  avidi  stanno  :  e  l'assicura, 
Di  fede  invece,  la  comun   paura. 


Del  par  colla  papale 

Già   l'ottomana   tirannia   si   sciolse, 

Là  dove  Gabbriello  aperse  l'ale 

E  dove  Costantin  l'aquila  volse. 

Forse  Roma,  Sionne  e  Nazzarette 

E  l'altre  parti  elette, 

Il  gran  decreto  che  da  sé  è  vero 

Libere  a  un   tempo  vuol  dall'adultero. 


Europa  Affrica  è  vaga 

Della   doppia   ruina  ;  e   le  sta   sopra 

Il  barbaro,  venendo  da  tal  plaga 

Che  tutto  giorno  d'Elice  si  cuopra  ; 

E  l'angla  nave  all'oriente  accenna  : 

Ma  lenta  della  Senna 

Turba  con  rete  le  volubili  acque 

La  volpe  che  mal  regna  e  che  mal  nacque, 


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256  Poesie  del  Giusti  illustrate 


E   palpitando  tiene 

L'occhio  per  mille  frodi  esercitato 
All'opposito   scoglio   di   Pirene 
Delle  libere  fiamme  inghirlandato  ; 
Temendo  sempre  alle  propinque  ville 
Non  volin  le  faville 
Di  spenta  libertà  sopra  i  vestigi, 
E   d'uno  stesso  incendio   arda  Parigi. 


Ma  dal  corporeo  velo 

Scarco,  e  da  tutte  queste  cose  sciolto, 

Con  Beatrice  tua  suso  nel  cielo 

Cotanto  gloriosamente  accolto, 

La  vita  intera  d'amore  e  di  pace 

Del  secolo  verace 

Ti  svia  di  questa  nostra  inferma  e  vile  ; 

Sì  è  dolce  miracolo  e  gentile. 


E  beato  mirando 

Nel  volume  lassù  triplice  ed  uno, 

Ove  si  appunta  ogni  ubi  ed  ogni  quando, 

U'   non  si  muta  mai  bianco  né  bruno, 

Sai  che  per  via  d'affanni  e  di  ruine 

Nostre   terre  latine 

Rinnoverà,  come  piante  novelle, 

L'amor  che  muove  il  sole  e  1'  altre  stelle. 


(i)  Improntando  i  sensi,  i  concetti  e  le  parole  dell'altissimo  Poeta,  Giuseppe  Giusti  si  eleva  in 
questa  canzone  all'altezza  del  Ghibellino  e  lo  commenta  degnamente  in  ciò  che  riguarda  il  concetto 
e  l' idea  nazionale. 

Passando  in  rivista  le  miserie  e  l'avvilimento  politico  dell'  Italia,  quale  frazionata,  divisa  ed 
oppressa  trovavasi  nel  1841,  l'addita  a  Dante  Alighieri  e  flagella,  come  esso  fece  cogli  uomini  del 
XIII  secolo,  i  potentati  e  i  cittadini  del  XIX  secolo. 

Trova  in  Firenze  larve  di  virtù,  basso  e  feccioso  trova  il  bulicame  borbonico  in  Lucca  e  nel  regno 
delle  Due  Sicilie,  la  mala  signoria  nel  Lombardo-Veneto,  Modenese  e  Parmigiano,  le  sozzure  in  Roma,  ecc. 
la  caina  in  Piemonte  —  tiranni  e  popoli  ignavi  ovunque. 

Interpretando  con  ira  magnanima  il  concetto  nazionale  di  Dante  Alighieri,  che  solingo  e  senza 
parte  librò  in  equa  lance  il  bene  e  il  male,  Giuseppe  Giusti  conobbe  i  danni  della  lunga  servitù  ma  non 
'presentì  così  vicino  il  risorgimento  della  patria  —  avvenimento  al  quale  egli  non  poco  contribuì  col- 
l'aculeo  della  pungente  satira.  —  Egli  fu  il  Barretti  della  politica  dei  suoi  tempre  richiamerà  più  alte 
cose  gli  assonnati  spiriti  della  penisola.  —  In  quel  tempo  non  vi  erano  che  gli  esuli  che  incitassero 
gli  italiani:  Gioberti,  Durando,  Pecchio,  Rossetti,  Mamiani,  Orioli,  Botta  e  cento  e  cento  altri. 

In  fine  il  nostro  Autore  richiama  la  gioventù,  togliendola  ai  futili  perditempi  letterari,  ai  severi 
studi  della  Divina  Commedia,  come  quelli  che  possono  accendere  la  mente,  nobilitare  il  cuore  e  pre- 
ludere al  risorgimento  nazionale. 


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Poesie  del   Giusti  illustrate.  —  edizione  nerbini 


Fascicolo  17* 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


IL    MEMENTOMO 


(i) 


1841. 


Se  ti  dà  l'animo 
D'andar  pei  chiostri 
Contando  i  tumuli 
Degli  avi  nostri, 
Vedrai  l' immagine 
Di  quattro  o  sei 
Chiusi  per  grazia 
Ne'  mausolei. 

Oggi  e'  insacca 
La  carne  a  macca 
In  laide  maschere 
Fidia  si  stracca. 

Largo  ai  pettegoli 
Nani  pomposi 
Che  si   scialacquano 
Lapoteosi. 

Non  crepa  un  asino 
Che  sia  padrone 
D'andar  al  diavolo 
Senza  iscrizione. 


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Dietro  l'avello 
Di  Machiavello  (2) 
Dorme  lo  scheletro 
Di  Stenterello. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


Commercio  libero  : 
Suoni  il  quattrino, 
E  poi  s'avvallano 
Chiesa  e  casino. 
Si  cola  il  merito 
A  tutto  staccio  ; 
Galloni  e  Panteon 
Sei  crazie  il  braccio. 
Scappa  di  dòmo 
Un  pover'uomo 
Che  senta  i  brividi 
Di  galantuomo. 


O  mangiamoccoli, 
Che  a  fare  un  santo 
Date  ad  intendere 
Di  starci  tanto  ! 
E  poi  nell'aula 
Devota  al  salmo 
L'  infamia  sdraiasi 
Di  palmo  in  palmo  ! 
Ah  l'aspersorio 
Per  un  mortorio 
Slarga  al  postribolo 
Anco  il  ciborio  ! 


259 


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SJiir: 


260 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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La  bara,  dicono, 
Ci  porta  al  vero  : 
Oh  sì,  fidatevi 
D'  un  cimitero  ! 
Un  giorno  i  posteri 
Con  labbra  pie 
Biasciando  il  lastrico 
Delle  bugie, 


Diranno  :  Oh  gli  avi 
Com'eran  bravi  ! 
Che  spose  ingenue, 
Che  babbi  savi  ! 


an- 


ali? 


Toesie  del  Giusti  illustrate 


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261 


Un  dotto,  transeat  ! 
Ma  un'  Eccellenza 
Tapparlo  a  povero, 
Certo,  è  indecenza  ! 
Ribolla  in  lurida 
Fogna  plebea 


Del  basso  popolo 

La  fricassea  (3)  : 

Spalanca,  o  Morte, 
Vetrate  e  porte  ! 


Aria  a  un  cadavere 
Che  andava  a  Corte 


ae 


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262  Poesie  del  Giusti  illustrate 


Così  la  postuma 
Boria  si  placa  : 
E  molti,  a  immagine 
Della  lumaca, 
Dietro  si  lasciano 
Sul  pavimento 
Impura  striscia 
Che  pare  argento. 

Ecco  gli  eroi 

Fatti  per  voi, 

Che  a    suon  di  chiacchiere 

Gabbate  il  poi. 

Ma  dall'elogio 
Chi  t'assicura, 
O  nato  a  vivere 
Senza  impostura  ? 
Morto,  e  al  biografo 
Cascato  in  mano, 
Nell'asma  funebre 
D'un  ciarlatano 

Ménti  costretto, 

E  a  tuo  dispetto 

Imbrogli  il  pubblico 

Dal  cataletto. 

Per  dio,  la  lapida 
Mi  fa  spavento  ! 
Vo'  fare  un  lascito 
Nel  testamento 
D'andar  tra'cavoli 
Senza  il  qui  giace. 
Lasciate  il  prossimo 
Marcire  in  pace, 

O  parolai, 

O  epigrafai, 

O  vendi-lacrime, 

Sciupa-solai. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate  263 


ANNOTAZIONI 


(1)  In  questa  briosa  e  risentita  satira  il  nostro  Poeta  tocca  una  delle  più  lercie  piaghe  della 
moderna  società.  GH  scìupasolai  e  epigrafai  sono  giunti  a  tanto  che  offendono  il  senso  morale  del 
popolo.  —  Agli  estinti  è  dovuto  l'oblio  delle  loro  colpe  e  il  ricordo  delle  loro  virtù.  —  Ma  vedere 
eternati  nel  marmo,  o  nel  bronzo,  con  parole  di  alto  encomio,  uomini  di  nessuna  o  di  fama  perduta, 
donne  che  vissero  senza  esser  mai  vive,  pargoletti  che  non  respirarono  le  aure  del  giorno  che  per 
pochi  istanti,  muove  a  schifo  e  a  sdegno. 

Nei  bei  tempi  della  repubblica  romana  l'epigrafe  era  cosa  di  sì  grave  momento  che  a  tutti 
non  concedevasi  :   e  molto  meno  al  vizio  si  lasciavano  tributare  le  lodi  e  gli  encomi  dovuti  alla  virtù. 

—  Vennero  i  tempi  tristi,  i  tempi  della  corruzione,  susseguì  il  lassismo  ignobile  nel  basso  impero  e 
allora  fu  lecito  quello  che  oggi  si  osserva  nella  nostra  corrotta  società. 

Gli  onori  per  gli  estinti  sono  una  delle  potenti  molle  per  richiamare  nel  sentiero  della  rettitudine 
i  superstiti  :  e  se  al  vizio  trionfante  si  tributano  compri  onori  e  venduti  incensi,  che  stimolo  volete 
che  i  cittadini  abbiano  per  mantenersi  nel  tramite  dell'onestà  ?  —  Si  ritorna  a  quell'epoca  in  cui  i 
truculenti  e  immani  imperatori  di  Roma  si  chiamavano  e  si  adoravano  come  Dei,  e  alla  stupidità 
di  Caligola  e  di  Vitellio  che  decretarono  lapidi  onorifiche  a  cavalli  e  a  ciuchi. 

Contrucci  e  Muzzi  rialzarono  l'epigrafia  italiana,  ma  di  piacenteria  essi  pure  non  andarono 
immuni.  —  Essi  estinti,  tranne  poche  eccezioni,  le  epigrafi  sono  diventate  un  affare  commerciabile 

—  pagabili  a  peso  d'oro. 

Sia  dunque  lode  a  Giuseppe  Giusti  che  per  il  primo  avvertì  questa  vergogna  dei  tempi  attuali 
che   domanda   un   energico   provvedimento. 

(2)  Chi  non  sarebbe  preso  di  sdegno  nel  vedere  che  a  tergo  del  sepolcro  monumentale  eretto 
nel  Pantheon  italiano  di  Santa  Croce  a  Niccolò  Machiavelli  coll'eloquente  e  concisa  epigrafe  Tanto 
homini  nullum  par  elogium,  vi  fosse  il  sepolcro  e  la  lapide  di  Luigi  Del  Buono,  lo  Stenterello  per 
eccellenza  —  anzi  lo  inventore  di  questa  maschera  teatrale  ?  Non  è  questo  il  più  pungente  degli 
epigrammi  e  la  satira  più  crudele  dei  tempi  moderni  ?  —  Nel  XVI  secolo  Machiavelli,  nel  XVII 
Galileo,  nel  XVIII  Napoleone  e  Volta  e  nel  XIX  l' inventore  dello  Stenterello.  —  Su  via  tor- 
niamo a  i  principi,  ridiventiamo  uomini. 

(3)  Fricassea  —  carne  tagliata  a  pezzi  e  cotta  nell'uovo  nel  significato  proprio  della  parola, 
ma  in  senso  allegorico  e  traslato  significa  carne  sfacciata  e  informe  —  carcame  putrido  del  corpo 
di  chi  fu  grande  e  ricco,  come  di  colui  che  fu  povero  e  misero  —  uguale  la  legge  della  creazione 
uguale  la  legge  della  decomposizione  dei  corpi  umani. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate  265 


LA  TERRA  DEI  MORTI  (I> 


G.  C. 


1841 


A  noi  larve  d'  Italia, 
Mummie  dalla  matrice, 
È  becchino  la  bàlia, 
Anzi  la  levatrice  : 
Con  noi  sciupa  il  priore 
L'acqua  battesimale, 
E  quando  si  rimuore 
Ci  ruba  il  funerale  (-2). 


Eccoci  qui  confitti 
Coli' effigie  d'Adamo  ; 
Si  par  di  carne  e  siamo 
Costole  e  stinchi  ritti. 
O  anime  ingannate, 
Che  ci  fate  quassù  ? 
Rassegnatevi,  andate 
Nel  numero  dei  più. 


Ah  d'una  gente  morta 
Non  si  giova  la  storia  ! 
Di  libertà,  di  gloria, 
Scheletri,  che  v'  importa  ? 


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266  Toesie  del  Giusti  illustrate 


A  che  serve  un'esequie 
Di  ghirlande  o  di  torsi  ?   (3) 
Brontoliamoci  un  requie 
Senza  tanti  discorsi. 


Ecco,  su  tutti  i  punti 
Della  tomba  funesta 
Vagar  di  testa  in  testa 
Ai  miseri  defunti 
Il  pensiero  abbrunato 
D'un  panno  mortuario. 
L'artistico,  il  togato, 
Il  regno  letterario. 


È  tutto  una  morìa. 
Niccolini  è  spedito  ; 
Manzoni  è  seppellito 
Co'  morti  in  libreria. 
E  tu  giunto  a  compieta, 
Lorenzo,  come  mai 
Infondi  nella  creta 
La  vita  che  non  hai  ?  (4) 


Cos'era  Romagnosi  ? 
Un'ombra  che  pensava, 
E  i  vivi  sgomentava 
Dagli  eterni  riposi. 
Per  morto  era  una  cima 
Ma  per  vivo  era  corto, 
Difatto,  dopo  morto, 
È  più  vivo  di  prima  (5). 


Dei  morti  nuovi  e  vecchi 
L'eredità  giacenti 
Arricchiron  parecchi 
In  terra  di  viventi  : 
Campando  in  buona  fede 
Sull'asse  ereditario, 
Lo  scrupoloso  erede 
Ci  fa  l'anniversario. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Con  che  forza  si  campa 
In  quelle  parti  là  ! 
La  gran  vitalità 
Si  vede  dalla  stampa. 
Scrivi,  scrivi  e  riscrivi, 
Oue'  geni  moriranno 
Dodici  volte  l'anno, 
E  son  lì  sempre  vivi. 

O  voi,  genti  piovute 
Di  là  dai  vivi,  dite, 
Con  che  faccia  venite 
Tra  i  morti  per  salute  ? 
Sentite,  prima  o  poi 
Ouest'aria  vi  fa  male  ; 
Quest'aria  anco  per  voi 
E  un'aria  sepolcrale. 

O  frati  soprastanti, 
O  birri  inquisitori, 
Posate  di  censori 
Le  forbici  ignoranti. 


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268 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Proprio  de'  morti,  o  ciuchi, 
È  il  ben  dell'  intelletto  : 
Perchè  volerci  eunuchi 
Anco  nel  cataletto  ? 


Perchè  ci  stanno  addosso 
Selve  di  baionette, 


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E  s'ungono  a  quest'osso 
Le  nordiche  basette  ? 
Come  !  guardate  i  morti 
Con  tanta  gelosia  ? 
Studiate  anatomia, 
Che  il  diavolo  vi  porti  !  (6) 


Ma  il  libro  di  natura 
Ha  l'entrata  e  l'uscita 
Tocca  a  loro  la  vita 
E  a  noi  la  sepoltura. 
E  poi,  se  lo  domandi 
Assai  siamo  campati  : 


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Pocsie  del  Giusti  illustrate 


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169 


Gino,  eravamo  grandi  (7), 
E  là  non  eran  nati. 


O  mura  cittadine, 
Sepolcri  maestosi, 
Fin  le  vostre  ruine 
Sono  un'apoteosi. 
Cancella  anco  la  fossa, 
O  barbaro  inquieto  ; 
Che  temerarie  l'ossa 
Scuotono  il  sepolcreto. 


Veglia  sul  monumento 
Perpetuo  lume  il  sole, 
E  fa  da  torcia  a  vento 
Le  rose,  le  viole, 
I  pampani,  gli  olivi, 
Son  simboli  di  pianto  : 
O  che  bel  camposanto 
Da  fare  invidia  ai  vivi 


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270 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Cadaveri,  alle  corte 
Lasciamoli  cantare, 
E  vediam  questa  morte 
Dov'anderà  a  cascare. 


Tra  i  salmi  dell'Uffizio 
C  è  anco  il  Dies  irce  ; 
O  che  non  ha  a  venire 
Il  giorno  del  giudizio  ?  (8) 


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Poesie  del  Giusti  illustrate  271 


ANNOTAZIONI 


(1)  L'alma  Tellus,  la  madre  delle  scienze,  delle  lettere,  delle  belle  arti  tutte,  dei  più  sottili  e 
duraturi  ordinamenti  militari,  civili  ed  economici  —  la  terra  che  fu  culla  a  Dante,  a  Colombo, 
a  Michelangiolo,  a  Machiavelli,  a  Raffaele  d'Urbino,  a  Napoleone  I  ed  a  Galileo  può  chiamarsi  la 
terra  dei  morti  !  Più  stupida  che  irriverente  fu  questa  frase  di  Lamartine,  che  non  seppe  essere  né 
fedele  a  quel  re  che  lo  aveva  colmato  di  onori,  né  repubblicano  sincero,  atto  a  grandi  concepimenti. 

Quando  Lamartine  scriveva,  1'  Italia  già  si  risvegliava,  e  dietro  i  Foscolo,  i  Manzoni,  i  Monti 
e  gli  Alfieri,  si  schieravano  i  Balbo,  i  D'Azeglio,  i  Gioberti,  i  Niccolini,  i  Guerrazzi,  i  Mamiani  e  i 
Rosmini  precursori  di  Vittorio  Emanuele,  di  Cavour  e  di  Garibaldi  —  una  triade  che  1'  Europa  invidia. 

Pur  troppo  i  facili  nostri  trionfi  e  la  precipitazione  con  la  quale  caddero  a  rifascio  sette  troni 
secolari,  avvennero  i  plebisciti  e  si  iniziarono  e  compirono  gli  eventi  fortunosi  delle  sorti  italiane, 
ci  resero  noncuranti  e  imprudenti  disprezzatori  dei  nemici  che  tuttora  conta  l'unità  ed  indipendenza 
italiana  e  tutto  è  ancora  in  problema  —  abbiamo  nemici  ovunque,  a  Roma  come  a  Parigi,  e  fra 
cattolici  non  meno  che  fra  protestanti  e  scismatici.  —  Ma  i  più  attivi  e  pericolosi  nemici  di  noi  italiani, 
siamo  noi  italiani,  che  quasi  ci  pentiamo,  sotto  il  vessillo  dell'unità,  di  esserci  riuniti  in  una  nazione 
sola,  distruggendo  per  sempre  (giova  almeno  sperarlo)  lo  spirito  di  gretto  municipalismo  e  quello 
delle  individualità  strapotenti  in  Italia.  —  No  che  1'  Italia  non  fu  mai  morta,  benché  la  tristezza 
dei  tempi,  le  male  arti  dei  governi-  dispotici  e  corruttori,  1'  invidia  e  la  malevolenza  delle  nazioni 
già  nostre  discepole  e  ancelle,  la  gelosia  dei  potentati  e  la  crociata  oscurantista  del  papato  ci  vie- 
tassero di  apparir  vivi  nella  politica  e  nelle  arti  dell'  industria  e  dei  commerci.  —  Che  se  morti  fum- 
mo, noi  risorgemmo,  sventando  quell'assioma  della  storia  che  suona  —  nessuna  nazione  estinta 
potrà  risorgere  —  sostituendovi  (e  lo  sia  caro  alla  Polonia)  il  detto  di  Cesare  Balbo,  che  nessuna 
nazione  cristiana  può  perire. 

Se  noi  italiani  siamo  destinati  ad  uno  splendido  avvenire,  o  a  morir  per  sempre  miseri  ed  ino- 
norati, oggi  sta  sulla  bilancia  —  se  non  farà  senno  la  Rappresentanza  nazionale,  se  non  soccorrerà 
il  buon  senso  della  popolazione,  se  il  Governo  disconoscerà  i  tempi  e  l'altezza  della  sua  missione 
—  allora  la  trista  sentenza  avrà  una  ben  meritata  significazione,  e  noi  pregheremo  i  vapori  vulcanici 
condensati  sotto  il  nostro  suolo  ad  erompere  ed  a  precipitarci  tutti  quanti  nell'abisso.  —  Ma  Dio 
disperda  il  tristo  augurio  L 

(2)  In  questa  sdegnosa  satira  Giuseppe  Giusti  fu  grande  e  diremo  quasi  inimitabile.  —  La  poesia 
che  commentiamo  ebbe  un'eco  in  tutta  1'  Italia  e  suscitò  una  miriade  di  scrittorelli,  che  meglio  di 
completarne  il  concetto  lo  deturparono,  accennando  a  mille  futilità  ed  insolentendo  con  modi  vol- 
gari e  plebei  contro  gli  scrittori  francesi  sulle  cose  d'  Italia. 

(3)  Torsi,  significa  mozziconi  di  torcetti. 

(4)  Lorenzo  :  fu  il  nome  dell'  immortale  Bartolini,  scultore  di  quella  vaglia  e  di  quella  fama 
che  tutti  sanno,  e  che  sì  può  dire  il  fondatore  della  fiorente  scuola  fiorentina  e  quegli  che  liberò 
1'  Italia  dalla  tirannia  del  formalismo,  a  cui  piegò  lo  stesso  Canova  e  non  ne  andarono  del  tutto 
immuni  né  Torwaldesen  né  Tenerani. 

(5)  Magnifica  questa  idea  dei  morti  più  vivi  di  quando  il  mondo  se  li  ebbe.  In  questo  caso  fu 
anche  vero.  Romagnosi,  sovrano  intelletto  speculativo,  temprò  la  filosofia  vaporosa  degli  Alemanni, 
la  sofistica  dei  Francesi  e  la  superficiale  degli  Inglesi  coll'esperimentalismo  italiano,  e  con  l'indu- 
zione storica  del  Vico.  —  Esso  fu  misero  ed  ignoto  fin  che  visse.  —  Dopo  morto  fu  grandissimo 
e  laudato. 


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272  Toesie  del  Giusti  illustrate 


(6)  Ottimamente,  a  che  tanti  castrapensieri  e  spegnilumi,  e  armi  e  spie  e  patiboli,  se  noi  era- 
vamo morti  ?  Lo  si  sapeva  che  noi  eravamo  vivi,  impazienti  di  libertà  ed  insofferenti  di  servitù. 
—  Però  ci  si  opprimeva  con  ogni  tirannide  civile,  politica  e  religiosa  —  a  maggior  gloria  dei  de- 
spoti stranieri. 

(7)  Gino,  il  marchese  Gino  Capponi  presso  il  quale  il  Poeta  visse  nei  suoi  ultimi  anni  e  vi 
morì,  lasciando  parte  dei  suoi  manoscritti  a  questo  grande  italiano  della  scuola  neo-cattolica,  e 
discendente  da  quel  Piero  Capponi,  ganfoloniere  di  Firenze,  che  rintuzzò  l'orgoglio  del  re  Carlo  Vili 
di  Francia. 

(3) 

Tra  i  salmi  dell'Uffizio 
C'è  anco  il  Dies  ir*: 
O  che  non  ha  a  venire 
Il  giorno   del  giudizio  ? 

Magnifica  conclusione  dopo  quella  del  paradiso  delle  nostre  città,  dei  nostri  freschi  vigneti  e  vaghi 
giardini  e  ridenti  prati.  —  Degno  vaticinio  per  un  popolo,  che  albergando  dove  la  natura  è  tanto 
rigogliosa,  non  può  non  essere  d' indole  ardita,  spigliata  e  della  libertà  avidissimo.  In  parte  il  1859 
e  60  verificò  il  lusinghiero  vaticinio,  il  voto  di  Giuseppe  Giusti  :  e  dopo  il  1866  il  lurco  tedesco  non 
calpestò  più  la  nostra  terra. 

Ripassò  l'Alpi  e  ritornò  fratello. 


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Poesie  del   Giusti  illustrate.  —  edizione  nerbini 


Fascicolo  18. 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


75 


L'AMOR    PACIFICO(I) 


1841. 


Gran  disgrazia,  mia  cara,  avere  i  nervi 
Troppo  scoperti  e  sempre  in  convulsione  ; 
E  beati  color,  Dio  li  conservi, 
Che  gli  hanno,  si  può  dire,  in  un"coltrone, 


In  un  coltrone  di  grasso  coi  fiocchi, 
Che  ripara  le  nebbie  e  gli  scirocchi  (2). 

Noi,  poveri  barometri  ambulanti, 

Eccoci,  qui,  con  tutto  il  nostro  amore, 

Piccosi,  puntigliosi,  stravaganti, 

Sempre  e  poi  sempre  in  preda  al  malumore, 

Senza  contare  una  carezza  sola 

Che  o  presto  o  tardi  non  ci  torni  a  gola. 


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276 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


Sentimi,  cara  mia,  questa  commedia 
O  dura  poco  o  non  finisce  bene  ; 
E  se  d'accordo  non  ci  si  rimedia, 
Un  di  no'  due  ne  porterà  le  pene. 
Tu  patisci,,  io  non  godo,  e  mi  rincresce 
Riformiamoci  un  po'  se  ci  riesce  (3). 


In  via  di  contrapposto  e  di  specifico 
Al  nostro  amor  che  non  si  cheta  mai, 
Ecco  la  storia  dell'amor  pacifico 
Di  due  fortunatissimi  Ermolai, 
Femmina  e  maschio,  che  dal  primo  bacio 
Stanno  tra  loro  come  pane  e  cacio. 


Essi  là^  là,"  come  ragion  comanda, 
S'adorano  da  un  mezzo  giubileo  : 
L'amorosa  si  chiama  Veneranda, 
E  l'amoroso  si  chiama  Taddeo  ; 
Nomi  rotondi,  larghi  di  battuta 
E  da  gente  posata  e  ben  pasciuta. 


La  dama  infatti  è  un  vero  carnevale, 
Una  meggiona  (4)  di  placido  viso  ; 
Pare  in  tutto  e  per  tutto  tale  e  quale 
Una  pollastra  ingrassata  col  riso  ; 
Negli  atti  lenti  ha  scritto  :  Posa  piano 
E  spira  flemma  un  miglio  di  lontano. 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


277 


Grasso,   bracato,  a  peso  di  carbone, 

Il  suo  caro  Taddeo  somiglia  un  B   (5)  ; 
Un  vero  cor-contento,  un  mestolone 
Fatto,  come  suol  dirsi,  e  messo  lì  ; 
Sbuffa,  cammina  a  pause,  par  di  mota, 
Pare  un  tacchino  quando  fa  la  'rota  (6). 

Del  rimanente,  vedi,  tutte  e  due, 
Oltre  all'esser  onesti  a  tutta  prova, 
Levato  il  grasso  e  un  briciolo  di  bue, 
Che  per  un  grasso  non  è  cosa  nova, 
Son  belli,  freschi,  netti  come  un  dado, 
Cosa  che  in  gente  grassa  avvien  di  rado. 

Si  veggono  la  sera  e  la  mattina 
Comodamente  all'ore  stabilite  ; 
Parlan  di  consumè,  di  gelatina, 
Di  cose  nutrienti  e  saporite  ; 
Neil'  inverno  di  stufe,  e  nell'estate 
Trattano,  per  lo  più,  di  gramolate. 

Quando  arriva  Taddeo,  siede  e  domanda  : 
Cara,  che  fai  ?  come  va  l'appetito  ?  — 
Mi  contento,  risponde  Veneranda  : 
E  tu,  anima  mia,  com'  hai  dormito  ?  — 
Undici  ore,  amor,  mio,  tutte  d'un  fiato  : 
A  mezzo  giorno,  o  sbaglio,  o  t'  ho  sognato. 


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278 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


E  per  dell'ore  poi  resta  lì  fermo, 

Duro,  in  panciolle,  zitto  come  un  olio  ; 
O  tirando  sbadigli  a  cantofermo, 
Come  se  fosse  zucchero  o  rosolio, 
Si  succhia  in  pace  l'apatia  serena 
Di  quel  caro  faccione  a  luna  piena. 


■ —  CLos-ur/M 

iDal  canto  suo  la  tepida  signora, 
Quasi  supina  colla  calza  in  mano, 
Infilando  una  maglia  ogni  mezz'ora, 
Ride  belando  al  caro  pasticciano. 
E  torna  a  dimandar  di  tanto  in  tanto  : 
Lo  vuoi  stamane  un  dito  di  vin  santo  ? 

Perch:   questa   signora,  hai  da  sapere, 
Che  invece  di  bijou,  di  porta-spilli, 
Di  rococò,  di  bocce  e  profumiere, 
E  di  quei  mille  inutili  gingilli, 
-  Di  che,  sciupando  un  monte  di  quattrini, 
Tu  gremisci  vetrine  e  tavolini, 

Come   donna  da  casa  e  che  sa  bene 
Il  gusto  proprio  e  quello  di  chi  l'ama, 
In  luogo  di  quei  ninnoli,  ci  tiene 
Bottiglie,  che  so  io,  bocche  di  dama  (7), 
Paste,  sfogliate  ripiene  di  frutta, 
Tanto  per  non  amarsi  a  bocca  asciutta. 


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Poesie  del  Giusti  illustrale  279 


La  sera,  quando  s'avvicina  l'ora 

D'andare  alla  burletta  o  alla  commedia, 

Venerenda  che  mastica  e  lavora, 

Senza  scrollarsi  punto  dalla  sedia, 

Sbadiglia  e  poi  domanda  :  il  tempo  è  buono  ?  — 

Stupendo.      -  Guarda  un  po'  che  ore  sono  ?  — 


Son  l'otto.  —  Proprio  l'otto  ?  Ora  mi  vesto.  - 
Brava,  —  Ma  ti  rincresce  d'aspettarmi  ?  — 
No,  no,  vestiti  a  comodo.  -  -  Eh  fo  presto  !  - 
(E  lì  piantati  e  duri  come  marmi). 
Taddeo,  che  ore  sono  ?  -  -  Son  le  nove.  — 
Dunque  scappo  a  vestirmi.  —  (E  non  si  muove). 


Taddeo,  che  dici,  mi  vesto  di  nero  ?  — 
Sì,  vestiti  di  nero.      -  O  la  mantiglia 
L'abbia  a  prendere  ?  -  -  Prendila.  —  Davvero  ? 
O  se  è  caldo  ?  -  -  Allora  non  si  piglia.  — 
Così  restano  in  asso,  e  dopo  un  pezzo  : 
Che  ore  sono  ?  Son  le  dieci  e  mezzo.  — 


Diamine  !  O  dove  sia  la  cameriera  ? . . . 
Basta,  oramai  sarà  l'ultima  scena  ; 
Che  diresti  ?  —  Anderemo  un'altra  sera.  - 
Sì,  dici  bene,  è  meglio  andare  a  cena.  — 
E  di  questo  galoppo,  ognuno  intende 
Che  vanno  avanti  anco  le  altre  faccende. 


Liti,  capricci,  chiacchiere,  dispetti, 
Non  turbano  quel  nodo  arcibeato  : 
La  Gelosia  e'  ingrassa  di  confetti, 
Il  Sospetto  ci  casca  addormentato  : 
Amor  ci  va,  sbrigata  ogni  faccenda, 
E  credo  che  ci  vada  a  far  merenda. 


La  Maldicenza  (impara,  o  disgraziata, 

Tu  che  di  ciarle  fai  sempre  un  gran  caso), 
La  Maldicenza  a  volte  s'  è  provata 
Nelle  loro  faccende  a  dar  di  naso, 
Tentando  forse  di  scoprir  terreno 
O  di  farli  dormir  mezz'ora  meno  : 


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280 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


Ma  per  quanto  le  zanne  abbia  appuntate 
Come  lesine  e  lunghe  più  d'un  passo, 
Questa  volta,  nel  mordere,  ha  trovate 
Tante  suola  di  muscoli  e  di  grasso, 
Che  per  giungere  al  cor  colla  ferita 
L'  ha  fatta  corta  almen  di  quattro  dita. 

Una  tal  volta,  immagina,  fu  detto 
A  Veneranda  da  una  sua  vicina, 
Che  Taddeo  le  celava  un  amoretto 
Di  fresco  intavolato  alla  sordina, 
E  ciarlando  arrivò  la  chiacchierona 
Fino  a  dirle  la  casa  e  la  persona. 


Rispose  Veneranda  :  O  che  volete, 
Caspiteretta,  che  non  si  diverta  ? 
Lo  compatisco  :  è  giovane,  sapete  ! 
Solamente  rimango  a  bocca  aperta 
Che  la  vada  a  cercar  tanto  lontana, 
A  rischio  di  pigliar  una  scalmana  !  — 

Un'altra  volta  dissero  a  Taddeo 
Che  Veneranda,  povera  innocente, 
Teneva  di  straforo  un  cicisbeo, 
E  che  questo  briccone  era  un  tenente 
Che  gli  faceva  l'amico  sul  muso 
E  dietro  il  Giuda,  come  corre  l'uso. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


III  ili 


281 


Come  !  disse  Taddeo,  Carlo  ?  davvero  ? 
Povero  Carlo,  è  tanto  amico  mio  ! 


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Per  me  ci  vada  pur  senza  mistero, 
E  tanto  meglio  se  ci  sono  anch'  io. 
Ma  eh  ?  che  capo  ameno  che  è  Carlo  ! 
Fa  bene  Veneranda  a  carezzarlo.  — 

Così  di  mese  in  mese  e  d'anno  in  anno 
Amandosi  e  vivendo  lemme  lemme, 
È  certa,  cara  mia,  che  camperanno 
A  dieci  doppi  di  Matusalemme. 
E  noi,  col  nostro  amore  agro  e  indigesto, 
Invecchieremo,  creperemo,  e  presto. 

O  pace  santa  !  o  nodo  benedetto  ! 
Viva  la  Veneranda  e  il  suo  tesoro  ! 
Ma  insomma  delle  somme,  io  non  t'ho  detto 
Come  andò  che  s'  intesero  tra  loro  : 
Se  non  Y  ho  detto,  te  lo  dico  adesso  : 
Dirtelo  prima  o  poi,  tanto  è  lo  stesso. 

Erano  tutti  e  due  del  vicinato, 
Piccioni  della  stessa  colombaia  ; 
E  ciascuno  nel  mondo  avrà  notato 
Che  Dio  fa  le  persone  e  poi  l'appaia, 
Che  l'amore  e  la  tosse  non  si  cela, 
Che  vicinanza  è  mezza  parentela. 


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282 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


Veneranda  era  vedova  di  poco  : 
Taddeo,  scapolo,  ricco  e  ben  veduto  : 
E  una  volta,  a  proposito  d'un  cuoco, 
V'era  corso  un  biglietto  ed  un  saluto 
Ma  fino  a  lì,  da  buoni  conoscenti, 
La  cosa  era  passata  in  complimenti. 

Un  giorno,   da  un  amico  a  desinare 
Trovandosi  invitati  e  messi  accanto, 
Si  vennero  per  caso  a  combaciare 


Colle  spalle,  co'  gomiti,  con  quanto 
Sempre  (quando  la  seggiola  non  basta) 
S'arroteranno^due  \di  quella  pasta. 

L'  indole,  la  scambiavole  pinguetudine,  ■ 
La  scintillaccia  che  madre  Natura 
Pianta  perfino  in  corpo  alla  torpedine, 
li  cibo,  il  caldo,  e  quella  arrotatura, 
Fece  sentire  alle  nostre  balene 
D'esser  due  còsi  da  volersi  bene. 

L'affetto  stuzzicato  ad  ogni  costo 
Volea  provarsi  a  dire  una  parola  ; 
Ma  scontrato  dal  fritto  e  dall'arrosto 
Restava  lì  strizzato  a  mezza  gola  : 
Intanto  il  desinare  era  finito, 
Combattendo  l'amore  e  l'appetito. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


S'alzaron  gli  altri,  ed  ove  si  mesceva 
Il  calie  tutti  quanti  erano  andati  ; 


Quando  gli  amanti,  dandosi  di  lèva 
Co'  pugni  sulla  mensa  appuntellati, 
In  tre  tempi,  su  su,  venner  ponzando, 
Soffiando,  mugolando  e  tentennando. 

Ouando  d'essere  in  pie  fu  ben  sicuro, 

~  Taddeo  porse  alla  bella  un  braccio  grave 

All'uscio  si  puntò,  si  strinse  al  muro  ; 

E  lì  deposto  il  carico  soave, 


Nelle  stanze  di   là  la  mandò  sciolta, 
Che  bisognò  passare  uno  alla  volta. 


283 


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284  Toesie  del  Giusti  illustrate 


Di  qua,  di  là,  per  casa  e  nel  giardino 
Tutta  si  sparpagliò  la  compagnia  : 
Ma  fiacchi  dal  disagio  del  cammino 
Di  due  salotti  e  d'una  galleria, 
Provvidero  gli  amanti  alla  persona, 
E  fecer  alto  alla  prima  poltrona. 


Nel  primo  abbocco  degl'  innamorati 
Si  sa  che  no  v'è  mai  senso  comune  : 
Ma  quando  tutti  e  due  sono  impaniati, 
Ognun  dal  canto  suo  slenta  la  fune  : 
Ognuno  sa  ciò  che  l'altro  vuol  dire, 
Ognun  capisce  perchè  vuol  capire. 


Dopo  mezz'ora  e  più  di  pausa  muta 

Taddeo  si  fece  franco  e  ruppe  il  ghiaccio, 

E  cominciò  :  Signora,  1'  è  piaciuta 

La  crema  ?  —  Eccome  !  —  Sì  ?  me  ne  compiaccio. 

E  quei  tordi  ?  —  Squisiti  !  —  E  lo  zampone  ?  — 

Eccellente  !  ■  —  E  quel  dentice  ?  —  Bonone  !  — 


Per  verità,  si  stava  un  po'  pigiati.... 
Era  un  bene  per  me  l'averla  accosta  : 
Ma  se  per  caso  ci  siamo  inciampati, 
Creda,  signora,  non  1'  ho  fatto  a  posta.  — 
Oh,  le  pare  !   anzi  lei   ci  stava   stretto  ; 
Scusi,  vede,  son  grassa....  —  E  un  bel  difetto  !  — 


Lo  crede  ?  —  In  verità  !  codesto  viso 

È  una  pasqua,  che  il  ciel  glielo  mantenga.  — 
Son  sana.  ■ —  Altro  che  sana  !  è  un  paradiso  !  — 
Ma  via,  sono  un  po'  grossa....  —  E  se  ne  tenga  ! 
Per  me....  vorrei....  se  mi  fosse  concesso.... — 
Che  cosa  ?  —  Rivederla  un  po'  più  spesso.  — 


S'annoierebbe.  —  Oibò  ?  m'annoierei  ? 
Anzi  sarabbe  il  mio  divertimento.  — 
Oh  troppo  buono  !  allora....  faccia  lei....  — 
Vede,  signora,  il  suo  temperamento 
Mi  pare  che  col  mio  possa  confarsi  : 
Che  ne  direbbe  ?  —  Eh,  gua',  potrebbe  darsi.  — 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


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285 


Via,  faremo  così:  ci  penseremo, 

Ci  proveremo  ;  e  poi,  se  si  combina, 
Quand'  è  contenta  lei,  seguiteremo  : 
La  strada  è  pari,  la  casa  è  vicina, 
Tutto,  secondo  me,  va  per  la  piana... 
Comincerò  quest'altra  settimana.  — 


E  così,  tra  volere  e  non  volere, 
Fu  sentito,  scoperto,  ventilato, 
E  poi  con  tutto  il  comodo  a  sedere, 
Senza  malinconie  continuato 
Per  tanti  e  tanti  e  tanti  anni  di  filo, 
Questo  tenero  amor  nato  di  chilo. 


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286  Poesie  del  Giusti  illustrate 


ANNOTAZIONI 


(l)  La  natura  umana  è  un  misto  di  corporeità  animale  e  di  spiritualismo  angelico  :  ed  erra 
al  pari  chi  crede  l'uomo  non  essere  che  un  bruto  propaginato  dalle  scimmie,  come  chi  opina  essere 
esso  una  pura  emanazione  dell'eterno  bene  e  della  coscienza  universale  delle  cose,  del  vero  e  del 
bello  come  del  giusto  e  del  perfetto. 

Fra  i  diversi  popoli,  come  fra  i  diversi  individui,  e  nei  vari  tempi  alla  pari  che  nei  vari  luoghi 
si  ha  agio  di  notare  alcune  eccezioni.  —  Vi  sono  delle  nature  privilegiate  che  più  delle  altre  pog- 
giano all'etereità  e  bontà  divina,  come  ce  ne  sono  delle  altre  che  scendono  al  grado  di  bruti  e 
nei  quali  la  voce  della  coscienza  tace  alla  pari  della  voce  dell'  intelletto,  e  gli  appetiti  animali  e  brutali 
prendono  il  sopravvento  sui  nobili,  cari  e  gentili  affetti. 

Le  passioni  tutte  prendono  colore,  forma  e  impronta  dallo  stato  fisiologico  e  psicologico  dei 
diversi  individui  ed  improntano  alla  tempra  di  questi  un  carattere  indelebile  usque  ai  furami. 

La  nobile  passione  dell'amore  non  si  sottrae  a  questa  legge  generale,  ed  è  per  ciò  che  in  alcuni 
è  istinto  di  voluttuose  sensazioni,  ed  in  altri  è  spiracolo  dell'  ineffabile  ed  eterna  dolcezza. 

Dalle  dolci  armonie  di  amore  di  Abelardo  e  di  Eloisa,  di  G.  G.  Rousseau,  di  Lord  Byron,  di 
Dante  e  Petrarca,  di  san  Francesco  di  Sales  e  di  santa  Teresa,  a  ciò  che  si  nota  diuturnamente 
nella  storia  della  vita  dell'universalità  dei  cittadini,  vi  è  una  incommensurabile  distanza.  Nei  primi 
l'amore  fu  sospiro  dell'anima,  negli  altri  non  è  che  sfogo  dei  bisogni  della  corporeità.  —  Però  questo 
non  è  amore,  come  l' ipocrisia  non  è  carità,  e  il  perdono  obbligato  non  è  generosità  di  animo. 

Giuseppe  Giusti,  in  questo  lepido  ed  ameno  racconto,  più  che  la  ferula  di  Giovenale,  Barretti 
e  Parini,  adoperò  la  grazia,  la  leggiadria  e  il  lepore  del  tosco  idioma  e  si  compiacque  scherzare  senza 
ferire  e  ritrarre  uno  dei  moderni  tipi  sociali.  Egli  spogliò  l'amore  di  Taddeo  e  Veneranda  di  ogni 
sospetto,  di  ogni  gelosia,  di  ogni  indipendenza  individuale,  quindi  pinse  in  pingui  corpi  la  cras- 
sità  dell'amore  conjugale.  Da  nature  eguali,  simile  ed  eguale  elettricità,"  non  si  sviluppa  alcuna  effer- 
vescenza —  ed  un  affetto  senza  armonica  contradizione  fra  l'uomo  e  la  donna,  se  può  essere  bene- 
volenza ed  amicizia,  non  potrà  mai  essere  amore. 

Dove  non  fu  fiamma  non  vi  potè  essere  incendio,  e  dove  manca  la  gelosia  e  il  bisogno  dell'as- 
soluto e  pieno  individualismo  non  vi  può  essere  sublimità  e  veracità  di  amore. 

Basta  a  Taddeo  e  Veneranda  trincare,  mangiare  e  dormire.  —  L'  amore  in  loro  è  passivo, 
è  inoperoso,  o  per  dir  meglio,  non  esiste.  —  Quel  fremito  divino  che  agita  il  core,  che  commove  corpo 
ed  anima,  che  atterra  o  sublima,  che  rende  grandi  o  miseri,  che  inspira  le  grandi  virtù  o  gli  efferati 
delitti,  che  è  sospiro  dell'anima,  alimento  della  vita,  speme  e  conforto,  che  vendica  ogni  perversità 
di  fortuna,  invano  voi  lo  cerchereste  nei  nostri  eroi  —  plasmati  all'unisono. 

Nature  opposte,  aventi  qualche  punto  di  attrito  e  di  congiunzione  simpatica,  fatale  inesorabile 
e  non  scindibile  :   ecco  le  molle  del  vero  amore. 

(2)  E  verissimo  :  le  passioni  si  atteggiano  a  seconda  della  temperie  individuale  del  sistema 
nervoso.  L'amore  nasce,  come  ogni  altra  passione  affettiva,  dal  sistema  nervoso,  e  più  che  altro  da 
quello  che  presiede  alla  vita  animale.  —  Il  gran  taumaturgo  degli  affetti  è  il  gran  simpatico. 

Amor  che  nasce  in  mente  non  è  amore. 

non  è  che  roba  fredda  comunque  bene  cucinata  :  è  nebbia  che  lascia  il  tempo  che  trova  ;  sullo  svi- 
luppo delle  simpatie,  l'intelletto  e  la  volontà  non  hanno  alcun  potere,  sono  fatali  fulminazioni  che  deci- 
dono del  bene  e  del  male  di  tutta  la  vita  e  la  circondano  di  rose  sempre  verdi,  o  di  spine  infinite 
e  pungentissime. 

(3)  Giusti  sentì  la  forza  dell'amore  e  trovò  nella  sua  Elvira  una  donna  che  voleva  amarlo,  ma 
con  pienezza  dell'  indipendenza,  sottostando  ai  suoi  frequeni  sebbene  innocenti  capricci,  le  ardeva 


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Poesie  del  Giusti  illustrate  287 


l'anima  di  momento  in  momento.  Ma  poiché  l'affetto  era  pure  in  essa  sentito,  profondo  e  sincero, 
cosi  il  rimorso  si  svegliava  subito,  e  succedendo  allo  sdegno  la  pace,  godevano  momenti  brevi  di 
dolcezza  e  voluttà  ineffabile.  Ma  già  l'amore  è  così,  e  la  donna  schiva,  sommessa  e  legata  alla  neces- 
sità non  può  amare,  né  Giusti,  né  altri  la  desidererebbe  tale.  —  Nella  libertà  dell'affetto,  nelle  brevi 
<merre  e  nelle  dolci  paci,  la  vita  scorre  lieta  e  confortata. 

(4)  Meggìona  :  donna  ben  appannata  di  carni. 

(5)  B  :     allude  al  petto  e  all'addome   prominente. 

(6)  Far  la  rota  :  girare  attorno  a  collo  rialzato  e  ad  ali  spiegate. 

(7)  Dolce  fatto  con  uova,  zucchero  e  mandorle. 


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POESIE   DEL   GIUSTI    ILLUSTRATE 


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Poesie  del   Giusti  illustrate.—  edizione  nerbini 


Fascicolo   19 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


291 


LA   SCRITTA 


1841. 


Parte  prima. 


Pesa  i  vecchi  diplomi  e  quei  d' ieri, 
Di  schietta  nobiltà  v'  è  carestia  : 


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Dacché  la  fame  entrò  ne'  cavalieri, 
La  tasca  si  ribella  all'albagìa. 
Ma  nuovi  sarti  e  nuovi  rigattieri 
A  spogliare  e  vestir  la  signorìa 
Manda  la  Banca,  e  le  raschiate  mura 
Ripiglian  l'oro  della  raschiatura. 


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292 


'Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Poco  preme  l'onor,  meno  il  decoro  ; 
E  al  più  s'abbada  a  insudiciare  il  grado 
Che  se  grandi  e  plebei  calan  tra  loro 
A  consorzio  d'uffici  o  a  parentado, 
Necessità  gli  accozza  a  concistoro 
O  a  patto  coniugai  ;  ma  awien  di  rado 
Che  non  rimangan  gli  animi  distanti, 
E  la  mano  del  cor  si  dà  co'  guanti  (1). 

Un  de'  nostri  usurai  messe  una  volta 
L'unica  figlia  in  vendita  per  moglie, 
Dando  al  patrizio  che  l'avesse  tolta 
Delle  fraterne  vittime  le  spoglie  ; 
Purché  negli  usci  titolati  accolta 
Venisse,  a  costo  di  rifar  le  soglie, 
E  colle  nozze  sue  l'opere  ladre 
Nobilitasse  del  tenero  padre. 


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Era  quella  fanciulla  uno  sgomento  ; 
Gobba,  sbilenca,  colle  tempie  vuote  ; 
Un  muso  tutto  naso  e  tutto  mento, 
Che  litigava  il  giallo  alle  carote  : 
Ma  per  vera  bellezza  un  ottocento 
Di  mila  scudi  avea  tra  censo  e  dote  ; 
Per  questo  agli  occhi  ancor  d'un  gentiluomo 
Parea  leggiadra,  e  il  babbo  un  galantuomo. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


293 


Non  ebbe  questi  da  durar  fatica, 
Nò  bisognò  cercar  colla  lanterna 
Un  genero  che  in  sé  pari  all'antica 
Boria  covasse  povertà  moderna  : 
Anzi  gli  si  mostrò  la  sorte  amica 


Tanto,  che  intorno  a  casa  era  un'eterna 
Folla  d' illustri  poveri  di  razza, 
Che  incrociarsi  volean  colla  ragazza. 

Di  venti  che  ne  scrisse  al  taccuino 
A  certi  babbi-morti  dirimpetto, 
Un  ve  ne  fu  prescelto  dal  destino 
A  umiliare  il  titolo  al  sacchetto. 
L'albero  lo  dicea  sangue  latino 
Colato  in  lui  sì  limpido  e  sì  pretto 
Che  dalla  cute  trapelava,  e  vuoisi 
Che  lo  sentisse  il  medico  da'  polsi. 

La  scritta  si  fissò  lì  sul  tamburo  : 
E  il  quattrinaio,  a  cui  la  cosa  tocca, 
Dei  parenti  del  genero  futuro 
Tutta  quanta  invitò  la  filastrocca. 
Coi  propri,  o  scelse,  o  stette  a  muso  duro, 
O  disse  per  la  strada  a  mezza  bocca  : 
Se  vi  pare  veniteci,  ma  poi 
Non  vi  costringo....  in  somma,  fate  voi. 


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294 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Un  gran  tempestìo 
S'udiva  una  sera 
Di  zampe  e  di  ruote  : 
Con  tal  romorìo 
Lontana  bufera 
Gli  orecchi  percuote. 
Gran  folla  di  gente, 
Saputa  la  cosa, 
Al  suono  accorrea  ; 
E  tutta  lucente 
Brillar  della  sposa 
La  casa  vedea. 

La  fila  de'  cocchi 
Solcava  la  strada 
A  perdita  d'occhi  : 
Per  quella  contrada 
Un  ite  e  venite 
Di  turbe  infinite  : 
Continuo  lo  strano 
Vociar  de'  cocchieri  : 
E  in  mezzo  al  baccano, 
Tra  torce  e  staffieri, 
La  ciurma  diversa, 
Plebea  e  signora, 


Nell'atrio  si  versa 
In  duplice  gora. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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295 


Là  smonta  la  dama, 
E  qua  la  pedina 
Che  adesso  si  chiama 
O  zia  o  cugina  : 
Il  gran  ciambellano 
V'arriva  da  corte, 


E  dietro  un  tarpano 
Da  fare  il  panforte  (2). 

Per  lunghi  andirivieni 
Di  stanze  scompagnate 
E  di  stambugi  pieni 
D'anticaglie  volate, 
Tra  le  livree  di'  gala 
S' imbocca  in  una  sala, 

A  cera  illuminata 
Da  mille  candelieri, 
Da  mobili  stivata 
Nostrali  e  forestieri, 
E  carica  d'arazzi 
Vermigli  e  paonazzi  : 

Ricca  d'oro  e  di  molta 
Varietà  di  tappeti. 
Dipinta  era  la  volta, 
Dipinte  le  pareti 
Di  storie  e  di  persone 
Analoghe  al  padrone. 


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!96  Poesie  del  Giusti  illustrale 


Era  in  quella  pittura 
Colla  Mitologia 
Confusa  la  Scrittura  : 
La  colpa  non  è  mia, 
Se  troverai  descritte 
Cose  fritte  e  rifritte. 

Pagato  tardi  e  poco 
L'artista  e  messo  al  punto, 
Pensò  di  fare  un  giuoco 
A  quel  ciuco  riunto, 
E  lì  sotto  coperta 
Gli  potè  dar  la  berta   (3). 

Da  un  lato,  un  gran  carname 
Erisitone  ingoia  ; 
E  dall'aride  cuoia 
Conosci  che  la  fame 
Coli'  intimo  bruciore 
Rimangia  il  mangiatore. 

Giacobbe  un  po'  più  giù, 
D'  Erisitone  a  destra, 
Al  povero  Esaù 
Rincara  la  minestra  ; 
Santa  massima  eterna 
Di  carità  fraterna. 

Ma  dall'opposto  lato 
Luccica  la  parete 
Di  Giove,  trasmutato 
In  pioggia  di  monete, 
Che  scende  a  Danae  in  braccio 
Ad  onta  del  chiavaccio. 

Di  là  da  Danae  l'empio 
Eliodoro  è  steso 
Sulla  soglia  del  tempio  ; 
E  un  cavalier,  disceso 
Dal  ciel,  pesta  il  birbante 
Colle  legnate  sante. 

Nel  soffitto  si  vede 
D'un  egregio  lavoro 
Mida  da  capo  a  piede 
Tutto  coperto  d'oro, 
Che  sta  lì  spaurito 
Dal  troppo  impoverito. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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297 


Nel  campo  lentamente 

In  vista  al  vento  ondeggia 
La  canna  impertinente, 
E  più  lunge  serpeggia 
Volubile  sul  suolo 
Il  lucido  Pattòlo. 

Fa  contrapposto  a  Mida 
La  presa  di  Sionne  : 
Udir  credi  le  strida 
Di  fanciulli  e  di  donne, 
E  divampare  il  fuoco 
Rugghiando  in  ogni  loco  ; 

E  nell'orrida  clade, 

Di  sangue  e  d'oro  ingorde, 
Fra  le  lance  e  le  spade 
Frugar  con  le  man  lorde 
Per  il  ventre  dei  morti 
Le  romane  coorti. 


La  sposa  in  fronzoli 
Sta  là  impalata, 
Rimessa  all'ordine 
E  ripiallata. 

Tutte  l'attorniano 
Le  donne  in  massa 
Dell'alta  camera 
E  della  bassa. 


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298 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


Queste  la  pigiano, 
La  tiran  via  ; 
Quell'altre  lisciano 
Con  ironia  : 

Essa  si  spiccica 
Meglio  che  sa, 
E  si  divincola, 
Di  qua  e  di  là. 

Lo  sposo  a  latere, 
Ridendo  a  stento, 
Succhia  la  satira 
Nel  complimento  ; 

Ma,  come  l'asino 
Sotto  il  bastone, 
Si  piega,  e  all'utile 
Doma  il  blasone. 


Legato  e  gonfio 
Come  un  fagotto, 
Con  tutta  l'aria 
D'un  gabellotto, 

Ritto  a  ricevere 
Sta  l'usuraio  : 
Ciarla,  s' infatua, 
È  arzillo  e  gaio. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


Par  che  dal  giubilo 
Non  si  ritrovi. 
Cogl'  illustrissimi 
Parenti  nuovi 


299 


Si  sdraja  in  umili 
Salamelecchi, 
E  passa  liscio 
Su  quelli  vecchi. 

Anzi  affacciandosi 
Spesso  al  salone, 
Grida  :  «  Ma  diavolo 
Che  confusione  ! 

Ohe,  rizzatevi 
Costà,  Teresa  ; 
Date  la  seggiola 
Alla  marchesa. 

Su  bello,   Gaspero  ! 
Al  muro,  Gosto  !   (4). 
Lesti  !  stringetevi, 
Sbrattate  il  posto  ». 

Quelli  rinculano 
Goffi  e  confusi, 
In  lingua  povera 
Dicendo  :  Oh  !  scusi. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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«  Ma  no  (ripiglia 
La  dama  allora)  ; 
No,  galantuomini  ; 
Chi  non  lavora 

Può  star  benissimo 
Senza  sedere  : 
Via,  riposatevi, 
Fate  il  piacere  ». 

Così  le  bestie 
Scansa  con  arte, 
E  va  col  prossimo 
Dall'altra  parte  ; 


Ove  una  sedia 

Le  porge  in  guanti 
Uno  dei  soliti 
Micchi   eleganti, 

Che  il  gusto  barbaro 
Concittadino 
Inciviliscono 
Col  figurino. 

Sol,  con  quei  tangheri 
Che  stanno  in  piede, 
Seduta  a  chiacchiera 
Qua  e  là  si  vede 


Su: 


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aj«; 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


Qualche  patrizia 
Andata  ai  cani, 
Più  democratica 
Co'  terrazzani. 

Genio  che  mediti 
Di  porre  i  sarti 
Nell'Accademia 
Delle  Bell'Arti  ; 

A  cui  del  cranio 
Sopra  le  cuoia 
Sfavilla  l'organo 
Della  cesoia  ; 

Reggi  la  bussola 
Dell'estro  gretto, 
E  colla  critica 
Dell' occhialetto 

Profila  i  termini 
Della  distanza 
Tra  la  goffaggine 
E  l'eleganza. 

Là  tra  la  ruvida 
Folla  spregiata, 
Stretta  negli  angoli 
E  rinzeppata. 


301 


Ncp^r<r.^  e^ 


Vedresti  d'uomini 
Scorrette  moli, 
Piantate,  immobili, 
Come  pioli  ; 


-J<r? 


mr- 


302 


Toesie  del  Giusti  illustrate 


Testoni,  zazzere, 
Panciotti  rossi, 
E  trippe  zotiche, 
E  cosi  grossi. 

Con  un'  indigena 
Giubba  a  tagliere, 
Ecco  il  quissimile 
D'un  cancelliere 

Sotto  le  gocciole 
D'una  candela  : 
E  con  due  classici 
Solini  a  vela, 

Una  testuggine 
Che  si  ripone 
Nel  grave  guscio 
D'un  cravattone, 


Accantona  un  ebete 
Che  duro  duro 
Col  capo  all'aria 
Puntella  il  muro. 


5111: 


il]  II" 


Toesie  del  Giusti  illustrate 


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Le  donne  avevano 
La  roba  a  balle, 
E  tutto  un  fondaco 
Sopra  le  spalle  ; 

Code,  arzigogoli, 
Penne,  pennacchi, 
Cesti  d'indivia 
E  spauracchi. 


Ma  dal  contrario 
Lato  splendea 
Levigatissima 
La  nobilea. 

Colori  semplici, 
Capi  strigliati, 
Gentili  occhiaie, 
Visi  slavati  : 


Sostanza  tenue 

Che  poco  ingombra, 

Anello  medio 

Fra  il  corpo  e  l'ombra 

Sorrisi  fatui, 
Moti  veloci, 
Bleso  miscuglio 
D'estranee  voci  : 


SII  - 


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304 


Toesie  del  Giusti  illustrate 


E  neil'  intonaco, 
Nelle  maniere 
L'arte  che  studia 
Di  non  parere. 

Così,  velandosi 
Beltà  sfruttata 
D'una  modestia 
Matricolata, 

Riduce  a  stimolo 
Fin  l'onestà 
E  per  industria 
Si  volta  in  là. 


Ma  già  il  notaio, 
Disteso  l'atto, 
Si  rizza,  e  al  pubblico 
Legge  il  contratto. 

Giù  giù  per  ordine 
Si  firma  :   e  poi 
Per  sala  girano 
Bricchi  e  vassoi  : 

Gran  suppellettile 
Ove  apparia 
Mista  alla  boria 
La  gretteria. 


sue 


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POESIE    DEL    GIUSTI    ILLUSTRATE 


Le  dame  dicono 
Partendo  in  fretta  : 
«  Era  superflua 
Tanta  etichetta. 

Oh  !  per  i  meriti 
D'una  bracina 
Bastava  l'abito 
Di  stamattina  ». 

Quelle  del  popolo, 
Tutte  impastate 
Di  thè,  di  briciole, 
Di  limonate  ; 

Che,  più  del  solito 
Strinte  impettite, 
Fiacche  tronfiavano 
E  indolenzite  : 


«  Animo,  animo  ! 
Mi  par  mill'anni  : 
Immè,  gridavano, 
Con  questi  panni  ! 

Uh  che  seccaggine  ! 
O  maledette 
Le  scritte,  i  nobili 
E  le  fascette  !  » 


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Poesie  del  Giusti  illustrate. 


EDIZIONE    NERBINI 


—  Ilfir 


Fascicolo  20. 


ÉNC 


306 


Poesie  del  Giusti  illustrale 


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Parte  Seconda 


Partì  l'ultimo  lo  sposo, 
Sopraffatto  dal  pasticcio 
E  dall'obbligo  schifoso 
Di  legarsi  a  quel  rosticcio. 
Con  quest'osso  per  la  gola 
Si  ficcò  tra  le  lenzuola. 


Chiuse  gli  occhi  :  e  gli  parea 
D'esser  solo  allo""scoperto  ; 
E  un  grand'albero  vedea' 
Elevarsi  in  un  deserto  ; 
Un  grand'albero,  di  fusto 
Antichissimo  e  robusto. 


Giù  dagl'  infimi  legami 

Fino  al  mezzo  della  fronda, 
Spicca  in  alto,  stende  i  rami, 
E  di  frutti  si  feconda, 
Che,  di  verdi,  a  poco  a  poco 
S'  incolorano  di  croco. 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


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30; 


Un  gran  nuvolo  d'uccelli, 
Di  lumache  e  di  ronzoni 


Si  pascevano  di  quelli 
E  beccavano  i  più  buoni  ; 
Tanto  che  l'albero  perde 
L'ubertà  del  primo  verde. 


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308 


Poesie  del  Giusti  illustrale 


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Ma  dal  mezzo  alla  suprema 
Vetta  in  tutto  si  dispoglia  ; 
E  su  su  langue,  si  scema 
D'ogni  frutto  e  d'ogni  foglia, 
E  finisce  in  nudi  stecchi 
Come  pianta  che  si  secchi. 

Mentre  tutto  s'ammirava 
Nelle  fronde  il  signorotto, 
E  il  confronto  almanaccava 
Del  disopra  col  disotto, 
Più  stupenda  visione 
Lo  sviò  dal  paragone. 

Ove  il  tronco  s'assottiglia 
E  le  braccia  apre  e  dilata, 
Vide  l'arma  spiattellata 
Colla  bestia  di  famiglia, 


Che  soffiando  corse  in  dentro 
E  lasciò  rotto  nel  centro. 


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Pome,  del  Giusti  illustrate 


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309 


Dall'araldico  sdrucito, 
Come  in  ottico  apparato 
Che  rifletta  impiccinito 
Un  gran  popolo  affollato, 
Traspariva  un  bulicame  , 
D'  illustrissimi  e  di  dame. 


Cappe,  elmetti  luccicanti, 
Toghe,  mitre  e  berrettoni, 
E  grandiglie  e  guardinfanti, 
E  parrucche  "a  riccioloni, 
E  gran  giubbe  gallonate, 
E  codone  infarinate, 


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310 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Con^musacci  arrovellati 
Bofonchiavano  tra  loro  (5) 
Di  contee,  di  marchesati, 
Di  plebei,  di  libri  d'oro, 
E  di  tempi  e  di  costumi, 
E  di  simili  vecchiumi. 

Dietro  a  tutti,  in  fondo  in  fondo, 
Si  vedea  la  punta  ritta 
D'un  cappuccio  andare  a  tondo  ; 
Come  se  tra  quella  fìtta 


Si  provasse  a  farsi  avante, 
Qualche  padre  zoccolante. 

Lo  vide  appena  che  lo  perse  d'occhio  : 
Quello,  alla  guisa  che  movendo  il  lóto 
Ritira  il  capo  e  celasi  il  ranocchio, 

In  giù  disparve  con  veloce  moto  : 

E  tosto  un  non  so  che  suona  calando 
Dentro  del  fusto  come  fosse  vuoto. 

Come  a  tempo  de'  classici,  allorquando 
Gli  olmi  e  le  quercie  aveano  la  matrice 
E  figliavano  Dee  di  quando  in  quando  ; 

Cosi,  spaccato  il  tronco  alla  radice, 
Far  capolino  e  sorgere  fu  vista 
Una  figura  antica  di  vernice. 


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^011- 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


3ii 


Era  l'aspetto  suo  quale  un  artista 
Non  trova  al  tempo  degli  Stenterelli  (6), 
Se  gli  tocca  a  rifare  un  trecentista. 

Rasa  la  barba  avea,  mozzi  i  capelli, 
E  del  cappuccio  la  testa  guernita, 
Oggi  sciupata  a  noi  fin  da'  cappelli  ; 

Un  mantello  di  panno  da  eremita, 
Tra  la  maglia  di  lana  e  il  giustacuore 
D'un  cingolo  di  cuoio  stretta  la  vita. 

Corto  di  storia,  il  povero  signore 

Lo  prese  per  un  buttero,  e  tra  '1  sonno 
Gli  fece  un  gesto  e  brontolò  :  Va'  fuore. 


Sorrise  e  disse  :  —  Io  son  l'arcibisnonno 
Del  nonno  tuo,  lo  stipite  de'  tuoi, 
Nato  di  gente  che  vendeva  il  tonno. 

Oh  via  non  mi  far  muso,  e  non  t'annoi 
Conoscer  te  d'origine  sì  vile, 
Comune,  o  nobilucci,  a  tutti  voi. 

Taccio  come  salii  su,  dal  barile 
Di  quel  salume  ;  ma  certo  non  fue 
Né  per  onesta  vita  mercantile, 


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312  Poesie  del  Giusti  illustrate 


Né  per  civil  virtù    che  d'uno  o  due 
Prese  le  menti,  ond'ei  poser  nell'arme 
Per  tutta  nobiltà  l'opere  sue. 

Sai  che  la  nostra  età  fu  sempre  in  arme  ; 
Io  per  quel  mar  di  guerre  e  di  congiure 
Tener  mi  seppi  a  galla  e  vantaggiarme. 

Ma  tocche  appena  le  magistrature, 

Fui  posto  al  bando,  mi  guastar  le  case, 
E  a  due  dita  del  collo  ebbi  la  scure. 


A  piedi,  con  quel  po'  che  mi  rimase, 
Giunsi  a  Parigi  ;  e  un  mio  concittadino 
D'aprir  bottega  là  mi  persuase. 

Un  buco  come  quel  di  un  ciabattino 

Scovammo  ;  e  a  forza  di  campare  a  stento 
E  di  negar  Gesù  per  un  quattrino, 

N'ebbi  il  guadagno  del  cento  per  cento  ; 
Quindi  a  prestar  mi  détti  ;  e  feci  cose, 
Cose  che  a  raccontarle  è  uno  spavento. 

Pensa  alle  ruberìe  più  strepitose, 
Se  d'arpia  battezzata  ower  giudea 
Ma'  mai  t'  hanno  ghermito  ugne  famose, 

Son  tutte  al  paragone  una  miscea  : 
Questo  socero  tuo,  guarda  se  pela, 
Non  le  sogna  nemmanco  per  idea. 

Figlio  e  nipote,  per  lunga  sequela 
D'anni  continuando  il  mio  mestiere, 
Nel  mar  dell'angherìe  spiegò  la  vela. 

Quelle  nostre  repubbliche  sì  fiere, 
Moge  obbediano  un  duca,  un  viceré, 
Che  significa  birro  e  gabelliere  ; 

Quando  un  postero  mio  degno  di  me 
Rimpatriò  ricchissimo,  e  il  bargello 
Del  suo  rimpatriar  seppe  il  perchè. 


Siili  —  =  lue 


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Poesie  del  Giusti  illustrate  313 


E  qui  mutando  penne  il  nuovo  uccello, 
Fatta  la  roba,  fece  la  persona, 
E  calò  della  corte  allo  zimbello. 

Da  quel  momento  in  casa  ti  risuona 
Un  titolaccio  col  superlativo, 
E  a  bisdosso  dell'arme  hai  la  corona. 

Aulico  branco  né  morto  né  vivo 
Da  costui  fino  a  te  fu  la  famiglia, 
Ebete  d'ozio  e  in  vivere  lascivo, 

Ridotto  al  verde  per  donar  la  briglia. 

Perchè  ti  penti,  o  bestia  cortigiana  ? 

Prendi  dell' usurier  prendi  la  figlia  ; 
Che  siam  tutti  d'un  pelo  e  d'una  lana  (7). 


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314  Poesie  del  Giusti  illustrate 


ANNOTAZIONI 


(1)  In  Italia  vi  fu  ben  poca  nobiltà  feudale,  e  crediamo  che  in  Firenze  non  siavi  stata  altra  fa- 
mis'lia  che  quella  del  barone  Bettino  Ricasoli.  In  Toscana,  ove  scrisse  Giuseppe  Giusti,  la  nobiltà 
fu  titolo  e  non  casta  privilegiata,  come  nella  Venezia,  nella  Sicilia  e  nel  Piemonte.  La  nostra  nobiltà 
nacque  dalle  industrie,  dai  commerci,  dalle  illustrazioni  letterarie,  civili  e  guerriere,  più  che  dal  be- 
neplacito dei  principi  stranieri  conculcatori  del  diritto  dei  popoli  italiani. 

Aboliti  i  majorascati  e  i  fidecommissi  nelle  nostre  famiglie  magnatizie  da  Pietro  Leopoldo,  la 
nobiltà  nostra  andò  perdendo  censo,  lustro  e  agiatezza,  e  non  rimasero  che  le  commende  dell'Ordine 
di  S.  Stefano,  soppresso  anch'esso  nel  1859. 

Intanto  era  avvenuto  un  ritorno  ai  principi,  ai  tempi  del  medio  evo.  —  Le  popolane  sposarono 
dei  nobili  senza  pregiudizio  della  cacca  nobilesca,  e  più  le  fanciulle  nobili  si  impalmarono  a  grassi  bor- 
ghesi. —  La  nobiltà  spesso  teneva  la  vece  della  dote  in  chi  voleva  illustrare  la  oscura  prosapia,  e  le 
ricche  cittadine  andarono  a  lucupletare  l'esausto  forziere  dei  nobili  decaduti.  - —  Oggi  si  corre  an- 
che di  più.  —  Le  celebrità  delle  scene  cercano  un  uomo  qualunque,  purché  possegga  un  blasone  :  e 
le  principesse  non  sdegnano  un  banchiere.  — ;  Non  vi  è  più  altra  nobiltà  che  quella  dell'oro  —  e  tutti 
pari. 

(2)  Dolce  fatto  con  zucchero  e  mandorle. 

(3)  Dar  la  berta,  significa  canzonare. 

(4)  Costo  —  Agostino. 

(5)  Bofonchiare,  significa  discutere  con  animato  e  vivo  linguaggio  e  risentite  parole. 

(6)  A  Giuseppe  Giusti  parve  sì  fiacca,  scialba  e  slombata  la  generazione  fra  cui  visse,  che  so- 
leva chiamare  il  suo  tempo  quello  degli  Stenterelli  (maschera  fiorentina)  cioè  della  frivolezza,  della 
spensieratezza  e  delle  triviali  insulsaggini  vendute  e  comprate  per  tanta  roba  di  spirito.  — ■  Però  egli 
si  ingannava,  imperocché  fu  quella  stessa  generazione  che  cotanto  stigmatizzò,  e  di  cui  ebbe  sì  poca 
stima,  che  iniziò  i  tempi  nuovi  e  diede  principio  alla  grande  opera  del  Risorgimento  e  della  emancipa- 
zione dell'  Italia.  La  imponente  rivoluzione,  o  meglio  solenne  protesta  dei  Fiorentini  nel  27  aprile  1859 
cominciò  l'opera  dell'unità  d'  Italia,  e  la  sacra  falange  che  pugnò  il  29  maggio  1848  sotto  le  mura  di 
Mantova,  basta  essa  sola  ad  illustrare  un  popolo  ed  un'età. 

(7)  Non  vi  è,  od  almeno  non  si  rispetta  più  in  Europa  altra  nobiltà  che  quella  delle  proprie  azioni  ; 
il  che  non  vuol  mica  dire  che  non  ci  siano  delle  illustri  famiglie  benemerite  della  patria  o  delle  scienze 
o  delle  arti  o  della  pubblica  carità.  —  Ma  se  vi  è  una  famiglia  di  Stuardi,  ve  ne  è  un'altra  dei  Caracci, 
dei  Bernovilli,  dei  Targioni,  ecc.  Se  vi  è  un  Napoleone  I,  vi  è  un  Volta,  un  Canova,  un  Lagrangia,  egual- 
mente immortali.  —  Milton  e  Skahespeare  per  Enrico  Vili  e  Cromwell  —  Lamartine,  Arago  e  Victor 
Hugo  per  un  Luigi  XVIII,  un  La  Rochefocauld,  un  Condè  —  un  Galileo  e  Michelangelo  per  un  Lo- 
renzo dei  Medici  e  papa  Leone  X  — -un  Balilla,  un  Guglielmo  Teli  per  un  imperatore  Alberto  e  una 
Maria  Teresa. 

La  nobiltà  è  nelle  famiglie  storiche,  ma  non  nei  diplomi  dati,  venduti  e  comprati  dai  sovrani. 
E  l'opinione  pubblica,  è  il  grido  del  popolo  che  li  conferisce  —  e  non  altri.  —  Chi  infatti  più  nobile 
di  Washington,  Garibaldi,  Franklin,  Jenner,  Bolivar,  Cavour,  Bismark  e  La  Fayette  ? 

Questa  satira  del  Giusti  perde  in  oggi  alquanto  del  suo  valore.  —  La  fusione  della  borghesia  colla 
nobiltà  è  oggimai  avvenuta  su  tutta  la  linea,  e  sta  oggi  compiendosi  quella  delle  diverse  caste  re- 
ligiose. 

Essa  vale  però  a  rammentarci  e  a  pingerci  al  vivo  gli  usi  di  un  tempo,  che  la  civiltà  ha  fatto  sì 
che  oramai  si  possa  considerare  come  remoto. 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


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Poesie  del  Giusti  illustrale  317 


AD  UNA  GIOVINETTA 


1841. 


Non  la  pudica  rosa 
Che  il  volto  a  lei  colora, 
Né  il  labbro  ove  s' infiora 
La  vergine  parola 
Che  dal  cor  parte  e  vola  —  armoniosa, 


Non  la  bella  persona 
Che  vince  ogni  alta  lode, 
Né  l'agii  pie  che  gode 
Della  danza  festiva 
A  ciù  tutta  giuliva  —  s'abbandona, 


Mi  dier  vaghezza  e  norma 
Di  volgermi  a  costei, 
Ma  la  bontà  che  in  lei 
Splende  modesta  e  cara 
Tanto    quant'  è  più  cara  —  in  bella  forma  (1). 


Agli  occhi,  che  non  sanno 
Cercar  d'un  bene  altrove, 
Della  sua  luce  piove 
Soavissima  stilla 
D'una  gioia  tranquilla  —  senz'affanno. 


Ah  !  non  è  ver  che  asconda 
Sé  stesso  il  cielo  a  noi, 
Quando  agli  eletti  suoi 
Così  l'aula  disserra, 
Questa  misera  terra  —  a  far  gioconda. 


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318                                              Poesie  del  Giusti 

illustrate 

...   .         ._ ■  _  .Hit 

Come  allo  specchio  innante, 
Trattien  fanciulla  il  fiato, 
Temendo  che  turbato 
Il  muto  consigliero 
A  lei  non  renda  intero  —  il 

suo  sembiante  (2), 

Così  commossa  a  dire 
Il  trepidante  affetto, 
Confusa  di  rispetto 
La  voce  non  s'attenta, 
E  suona  incerta  e  lenta  - 

-  il  mio 

desire. 

0  gemma,  0  primo  onore 
Delle  create  cose, 
M'  odi  ;  e  le  man  pietose 
Porgi  benigna  al  freno 
D'un  cor  di  fede  pieno  — 

e  pien 

d'amore. 

Né  in  te  dubbio  0  paura 
Desti  il  pungente  stile, 
Quasi  a  trastullo  vile 
Io,  da  pietà  lontano, 
Prenda  il  delirio  umano  - 

-  e  la  sventura. 

Un  vergognoso  errore 
Paleso  sospirando  : 
Alla  virtù  mirando, 
Muove  senza  sgomento 
Rimprovero  e  lamento  — 

il  mio  < 

iolore. 

Se  con  sicuro  viso 

Tentai  piaghe  profonde, 

Di  carità  neh1'  onde 

Temprai  l'ardito  ingegno, 

E  trassi  dallo  sdegno  —  il  mesto 

riso  (3V 

Non  t'abbassar  col  volgo 
A  facili  sospetti  : 
Vedi  per  quanti  aspetti 
Ricorro  alla  virtute, 
Quando  per  mia  salute  — 

a  te  mi  volgo . 

llllC 


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gin  ai§ 

'Poesie  del  Giusti  illustrate  319 


Oh  se  per  tuo  mi  tieni 
Come  sorella  amante, 
Se  della  vita  errante 
Reggi  nei  passi  amari 
L'anima  mia  eoi  cari  —  occhi  sereni  (4)  ; 


L' ingegno  sconsolato 
A  miglior  vita  sorto 
Riprenderà  conforto 
Di  vivida  fragranza 
Nel  fior  della  speranza  —  in  me  rinato. 


Ogni  gentil  costume, 
Ogni  potenza  ascosa 
La  tua  voce  amorosa 
In  me  desta  e  ravviva, 
Come  licor  d'oliva  —  un  fioco  lume  (5). 


Già  nella  mente  tace 

|    Ogni  ombra  del  passato  ; 

Già,  il  cor,  rinnovellato 

Come  tenera  fronda,  j  > 

Consola  una  gioconda  —  aura  di  pace. 


SI"  '"5 


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320 


'Poesie  del  Giusti  illustrate 


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ANNOTAZIONI 


(1)  Come  è  qui  gentile  il  nostro  Poeta,  e  quanto  addentro  e  profondamente  sente  nel?  intelletto 
d'amore  e  nella  vera  estetica  del  sentimento,  che  non  ha  un  campo  meno  augusto  ed  ampio  di  quello 
dell'estetica  del  Bello,  alla  quale  si  consacrano  volumi  sopra  volumi.  —  Invece  la  fisiologia  morale 
dell'affetto  non  è  ancora  stata  trattata  che  a  modo  di  sfuggevoli  e  di  incidentali  episodi,  benché  in  essa 
consista  gran  parte  della  dignità  dell'uomo  e  quella  appunto  che  lo  sublima  all'angelica  creatura.  — 
0  nati  dall'argilla,  o  nati  da  una  talpa,  o  nati  dalla  scimmia,  o  nati  dal  balordo  roteare  degli  atomi 
mondiali,  il  primo  nostro  padre  (e  con  esso  la  prima  nostra  madre,  poiché  senza  di  essa  non  sarebbe 
stato  fatto  nulla)  certo  è  che  gli  uomini  che  hanno  puro  il  cuore  si  dirigono  al  cielo  e  all'eternità,  di- 
rei così,  meglio  per  le  vie  del  sentimento  che  per  quelle  della  scienza  e  dell'  intelletto. 

Benissimo  !  non  è  il  volto  plasticamente  leggiadro,  né  la  maestria  nei  vezzi  femminili  che  ser- 
vono a  far  amare  una  vaga  persona  e  che  possono  destare  un  senso  arcano  di  indefinito  ed  imperituro 
amore,  ma  la  bontà  modesta  e  gentile  che  in  belle  forme  è  tanto  rara. 

'  Erra  la  donna  che,  fidando  nella  propria  bellezza,  crede  che  questa  basti  per  incatenare  i  mortali 
ai  suoi  piedi  e  per  aver  motivo  di  inorgoglire.  —  Miserabili  sotterfugi  !  L'orgoglio  che  perdette  Luci- 
fero perderà  anche  voi  —  e  quale  infatti  vi  è  più  turpe  spettacolo  e  più  abbietto  di  un  angiolo  (per 
le  forme)   decaduto  e  '  sfiorato  ! 

(2)  Come  è  graziosa  questa  imagine  ed  anche  peregrina  !  Come  si  vede  che  senza  uscire  dal  clas- 
sico, siamo  nel  romantico  e  nel  moderno. 

(3)  Egregiamente.  Nell'animo  di  Giuseppe  Giusti  non  albergò  giammai  né  odio,  né  rancore,  né 
fiele.  La  sua  satira  fu  figlia  dell'amore.  Fu  tutto  un  amore,  essa  stessa.  —  Stigmatizzò  il  vizio  e  la 
laidezza  morale,  perchè  fa  onta  al  Bello,  al  Bene  ed  al  Vero  eterno,  di  cui  ogni  alma  eletta  s' inna- 
mora, ma  rispettò  mai  sempre  le  persone,  né  denigrò  mai  alcuno. 

(4)  Ah  pur  troppo  lo  dissi  —  la  donna  è  la  prima  consigliera  dell'uomo,  e  non  senza  ragione  Eva 
significa  vita.  —  Nei  casi  dubbi,  nei  grandi  dolori,  nelle  somme  sventure,  nelle  malattie,  nella  morte 
non  vi  è  chela  donna  che  ci  porga  il  coraggio  di  traversare  il  pelago  degli  affanni.  —  Essa  è  la  prov- 
videnza incarnata.  —  Essa  è  patria  ,  religione  e  poesia.  La  donna  che  si  ama  è  tutto.  Tutto  compen- 
dia, tutto  riassume  e  contiene  in  se. 

(5)  Ha  ragione  il  Giusti,  la  donna  del  cuore  è  l'olio  della  fiaccola  di  nostra  vita,  che  risveglia 
il  gemo  assopito,  fa  rinascere  alla  speranza,  incita  alla  virtù,  e  muove  e  ridesta  ogni  forza  ascosa.  — 
Ma  qui  sta  il  difficile.  Bisogna  che  la  bontà  della  donna  sia  verace,  che  l'affetto  non  sia  menzognero 
che  F  istruzione  sia  a  sufficienza,  che  l'educazione  sia  casalinga  e  non  viziata  dalla  superstizione  e 
dai  pregiudizi,  e  sopratutto  che  abbia  intelletto  d'amore,  poiché  altrimenti,  diceva  benissimo  Gio- 
berti, meglio  di  una  filosofessa,  di  una  blas-bleu,  di  una  filantropa  all'uso  moderno  (coi  denari  degli 
altri),  mi  piace,  pregio  e  stimo  la  vecchierella  che  flette  i  ginocchi  e  bacia  il  simulacro  della  Vergine 
del  Buon  Consiglio. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate.  —  edizione  nerbini 


Fascicolo  21. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate  323 


IL  RE   TRAVICELLO 


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1841. 


Al  Re  Travicello 
Piovuto  ai  ranocchi, 
Mi  levo  il  cappello 
E  piego  i  ginocchi  ; 
Lo  predico  anch'  io 
Cascato  da  Dio  : 
Oh  comodo,  oh  bello 
Un  Re  Travicello  ! 

Calò  nel  suo  regno 
Con  molto  fracasso  ; 
Le  teste  di  legno 
Fan  sempre  del  chiasso 
Ma  subito  tacque, 
E  al  sommo  dell'acque 
Rimase  un  corbello 
Il  Re  Travicello^ 

Da  tutto  il  pantano 
Veduto  quel  coso  (2), 
«  È  questo  il  sovrano 
Così  rumoroso  ? 
(S'udì  gracidare). 
Per  farsi  fischiare 
Fa  tanto  bordello 
Un  Re  Travicello  ? 

Un  tronco  piallato 
Avrà  la  corona  ? 
O  Giove  ha  sbagliato, 
Oppur  ci  minchiona  : 
Sia  dato  lo  sfratto 
Al  re  mentecatto. 
Si  mandi  in  appello 
Il  Re  Travicello  »  (3). 


311: 


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324  Poesie  del  Giusti  illustrate 


Tacete,  tacete  ; 
Lasciate  il  reame, 
O  bestie  che  siete, 
A  un  re  di  legname. 
Non  tira  a  pelare, 
Vi  lascia  cantare, 
Non  apre  macello 
Un  Re  Travicello  (4). 

Là  là  per  la  reggia 
Dal  vento  portato, 
Tentenna,  galleggia  ; 
E  mai  dello  Stato 
Non  pesca  nel  fondo  : 
Che  scienza  di  mondo  ! 
Che  re  di  cervello 
È  un  Re  Travicello  ! 

Se  a  caso  s'adopra 
D' intingere  il  capo, 
Vedete  ?  di  sopra 
Lo  porta  daccapo 
La  sua  leggerezza. 
Chiamatelo  Altezza, 
Che  torna  a  capello 
A  un  Re  Travicello. 

Volete  il  serpente 

Che  il  sonno  vi  scuota  ? 
Dormite  contente 
Costì  nella  mota, 
O  bestie  impotenti  : 
Per  chi  non  ha  denti, 
È  fatto  a  pennello 
Un  Re  Travicello  ! 

Un  popolo  pieno 
Di  tante  fortune 
Può  farne  di  meno 
Del  senso  comune. 
Che  popolo  ammodo, 
Che  principe  sodo. 
Che  santo  modello 
Un  Re  Travicello  !  (5). 


311.  -  «15 


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'Poesie  del  Giusti  illustrale 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


527 


LE  MEMORIE  DI  PISA 


(1) 


1841. 


Sempre  nell'anima 
Mi  sta  quel  giorno, 
Che,   con  un  nuvolo 
D'amici  intorno, 
D'  Eccellentissimo 
Comprai  divisa  (2), 
E  malinconico 
Lasciai  di  Pisa 
La  baraonda 
Tanto  gioconda. 

Entrai  nell'Ussero  (3) 
Stanco  affollato  ; 
E  a  venti  l'ultimo 
Caffè  pagato, 
Saldai  sei  paoli 
D'un  vecchio  conto  ; 
E  poi  sul  trespolo, 
Lì  fuori  pronto, 


Partii  col  muso 
Basso  e  confuso. 


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328 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


Quattro  anni  in  libera 
Gioia  volati 
Col  senno  ingenito 
Agli  scapati  ! 
Sepolti  i  soliti 
Libri  in  un  canto, 
S'apre,  si  compita, 
E  piace  tanto, 
Di  prima  uscita, 
Ouel  della  vita  ! 


Bevi  lo  scibile 
Tomo  per  tomo, 
Sarai  chiarissimo 
Senz'esser  uomo. 
Se  in  casa  eserciti 
Soltanto  il  passo, 
Quand'esci  sdruccioli 
Sul  primo  sasso. 
Dal  fare  al  dire 
Oh  !  v'  è  che  ire  !   (4). 


Scusate,  io  venero, 
Se  ci  s' impara, 
Tanto  la  cattedra 
Che  la  bambara  (5)  ; 
Se  fa  conoscere 
Le  vie  del  mondo, 
Oh  buono  un  briciolo 
Di  vagabondo, 
Oh  che  sapienza 
La  negligenza  ! 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


329 


E  poi  quell'abito 
Roso  e  scucito  ; 
Quel  tu  alla  quacchera 
Di  primo  acchito  ! 
Virtù  di  vergine 
Labbro  in  quegli  anni, 
Che  poi,  stuprandosi 
Co'  disinganni, 
Mentisce  armato 
D'un  lei  gelato  ! 

In  questo  secolo 
Vano  e  banchiere 
Che  più  dell'essere 
Conta  il  parere, 
Quel  gusto  cinico 
Che  avea  ciascuno 
Di  farsi  povero 
Trito  e  digiuno 
Senza  vergogna, 
Chi  se  lo  sogna  ?  (6). 


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330 


Toesie  del  Giusti  illustrate 


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O  giorni,  o  placide 
Sere  sfumate 
In  risa,  in  celie 
Continuate  ! 
Che  prò,  che  gioia 
Reca  una  vita 
D'epoca  in  epoca 
Non  nai  mentita  ! 
Sempre  i  cervelli 
Come  i  capelli  ! 

Spesso  di  un  Socrate 
Adolescente 
N'esce  un  decrepito 
Birba  o  demente  ! 
Da  sano  è  ascetico  ; 
Coi  romatismi 
Pretende  a  satiro  ; 
Che  anacronismi  ! 
Dal  farle  tardi 
Cristo  ti  guardi. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Ceda  lo  studio 
All'allegria, 


Come  alla  pratica 
La  teoria  ;  . 
O  al  più  s'alternino 
Libri  e  mattìe, 
Senza  le  stupide 
Vigliaccherie 
Di  certi  duri 
Chiotti  e  figuri. 


Col  capo  in  cembali, 
Chi  pensa  al  modo 
Di  farsi  credito 
Col  grugno  sodo  ? 
Via  dalle  viscere 
L'avaro  scirro 
Di  vender  l'anima, 
Di  darsi  al  birro, 
Di  far  la  robba 
A  suon  di  gobba. 


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'Poesie  del  Giusti  illustrale 


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Ma  il  punch,  il  sigaro, 


Qualche  altro  sfogo, 
Uno  sproposito 
A  tempo  e  luogo  ; 
Beccarsi  in  quindici 
Giorni  l'esame 
In  barba  all'ebete 
Servitorame 
Degli  sgobboni 
Ciuchi  e  birboni  (7)  ; 

Ecco,  o  purissimi, 
Le  colpe,  i  fasti 
Dei  messi  all'  indice 
Per  capi  guasti. 
La  scapataggine 
È  un  gran  criterio, 
Quando  una. maschera 
Di  bimbo  serio 
Pianta  gli  scaltri 
Sul  collo  agli  altri. 


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Poesie  del  Giusti  illustrali' 


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335 


Quanta  letizia 

Ravviva  in  mente 
Quella  marmorea 
Torre  pendente  (8), 
Se,  rivedendola 
Molt'anni  appresso, 
Puoi,  compiacendoti, 
Dire  a  te  stesso  : 
Non  ho  piegato 
Né  pencolato  ! 

Tali  che  vissero 
Fuor  del  bagordo, 
E  che  ci  tesero 
L'orecchio  ingordo, 
Quando  burlandoci 
Dei  due  Diritti  (9), 
Senza  riflettere 
Punto  ai   Rescritti, 


Cantammo  i  cori 
De'  tre  colori  ; 


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334 


Toesie  del  Giusti  illustrate 


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Adesso  sbraciano 
Gonfi  e  riunti, 
Ma  in  bieca  e  itterica 
Vita  defunti. 
E  noi  (che  discoli 
Senza  giudizio  !) 
Siam  qui  tra  i  reprobi 
Fuor  di  servizio, 
Sempre  sereni 
E  capi  ameni. 

A  quelli    il  popolo, 
Che  teme  un  morso, 
Fa  largo,  e  subito 
Muta  discorso  ; 
A  noi  repubblica 
Di  lieto  umore, 


Tutti  spalancano 
Le  braccia  e  il  core 
A  conti  fatti, 
Beati  i  matti  !  (io). 


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Poesie  del  Giusti  illustrate  335 


ANNOTAZIONI 


(il  re  travicello). 


(1)  Questa  novelletta  è  presa  con  tosco  sale  da  Fedro  e  da  Esopo. 

(2)  Coso  —  cosa  poco  degna  di  rimarco  e  male  definita. 

(3)  Mandare  in  appello,  significa  rimettere  la  conoscenza  di  una  sentenza  proferita  da  un  tribu- 
nale ad  un  altro  tribunale  superiore.  —  Qui. -però  è  preso  in  senso  analogico  e  significa  si  sfratti  e  si 
mandi  via. 

(4)  Qui  la  satira  è  finissima,  e  davvero  che  è  meglio  un  re  travicello  che  un  re  serpente  e  vampiro. 

(5)  Quando  fu  pubblicata  questa  satira,  che  è  leggiadra,  ma  non  delle  più  felici  di  Giuseppe  Giu- 
sti, vi  fu  chi  credette  che  alludesse  a  Leopoldo  II,  allora  granduca  di  Toscana,  e  veramente  quel  ti- 
tolo di  altezza  che  adopera  nella  strofa  settima  ce  lo  farebbe  pensare.  Giusti  però  non  faceva  che  i  ve- 
stiti, e  non  era  sua  colpa  se  si  attagliavano  bene  a  questi  ed  a  quelli. 


(le  memorie  di  fisa). 


(1)  Giuseppe  Giusti  fu  a  Pisa  dal  1826  al  1832  con  due  anni  d'  interruzione  —  cioè  dal  27  al  29. 
Niuno  avrebbe  pensato,  ed  egli  ed  il  di  lui  padre  che  lo  richiamò  a  Pescia,  per  i  primi,  meno  degli  al- 
tri, che  in  quel  giovane  svagolato,  spigliato,  accorto,  burlone  e  gioviale  vi  fosse  la  stoffa  di  un  grande 
uomo.  —  In  quel  tempo  Bagnoli,  l'autore  del  Cadmo,  era  professore  di  letteratura  greca  e  latina,  e 
Giovanni  Rosini,  l'autore  della  Monaca  di  Monza,  lo  era  di  belle  lettere  italiane. 

Il  giovane  Giusti  non  era  però  all'  Università  il  luogo  ove  studiava  le  belle  lettere,  ma  nel  mondo 
reale,  bellissimo  e  caro,  sebbene  ristretto,  e  nei  convegni  della  scolaresca. 

Questa  non  aveva  più  il  suo  Fòro,  come  ai  tempi  di  Pietro  Leopoldo,  ove  la  scolaresca  formava 
uno  Stato  nello  Stato,  e  vivea  appartata,  e  per  lo  più  in  aperto  conflitto  colla  popolazione  della  città. 

La  nobilea  di  quel  tempo,  con  poche  idee  e  molti  scudi,  sdegnava  la  comunione  cogli  scolari,  e 
questi  non  si  erano  ancora  dirozzati  in  modo  da  sedersi  al  banchetto  di  gente  squisitamente  educata. 
In  quel  tempo  accorrevano  all'  Università  di  Pisa  non  pochi  giovani  della  Corsica,  e  molti  della  allora 
allora  risorta  Grecia. 

Dove  si  adunavano  gli  scolari  eri  certo  di  trovarvi  clamori,  urli,  bestemmie,  gioco,  vino  e  male 
donne.  —  Ed  era  appunto  per  cagione  di  queste  che  spesso  spesso  insorgevano  litigi  e  risse  fra  i  be- 
ceri pisani  e  la  scolaresca.  —  Vi  fu  un  tempo  che  nacque  pure  una  contesa  fra  còrsi  e  toscani  e  vi  cor- 
sero sfide  e  legnate,  non  poche  liti  e  carcerazioni.  —  Era  il  tempo  dei  birri,  detti  famigli,  e  anche  con 
questi  vi  erano  frequenti  scambi  di  pugni  e  bastonate.  Però,  generalmente  la  vita  dello  scolaro  era  bella, 
comoda  ed  economica.  Con  sei  scudi  al  mese  si  trovava  una  buona  dozzina  con  una  camera  decente, 
e  gli  stessi  spassi  e  le  ricreazioni  giovanili  costavano  ben  poco. 

Avanti  il  1831  nessuno  si  occupava  di  politica,  sotto  il  paterno  regime  del  Fossombroni  e  del  Cor- 
sini, ministri  di  Leopoldo  II  ;  civilmente  vi  era  quanta  mai  libertà  si  poteva  desiderare,  e  della  libertà 
politica  nessuno  ne  sentiva  il  bisogno. 

(?)  Fu  già  costume  degli  scolari  della  pisana  Università  di  prendere  il  neofito-Li turato  in  mezzo, 
e  con  ogni  modo  di  chiassoso  e  festoso  accoglimento  accompagnarlo  a  casa.  —  Per  gli  scolari  di  quel 


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336  Poesie  del  Giusti  illustrate 


tempo  il  passare,  come  dicevasi,  all'esame  era  una  vittoria  riportata  sul  collegio  dei  professori,  e  bi- 
sognava festeggiarla  in  ogni  modo. 

(3)  Ussero  è  un  ampio  caffè  situato  sul  Lungarno  in  vicinanza  di  via  S.  Frediano  ove  è  situata 
1'  Università.  È  un  saffè  ove  si  riuniva  tutta  la  scolaresca  nelle  lunghe  serate  d' inverno,  luogo  di 
giuoco,   cattedra,  convegno  e  palestra   della  scolaresca. 

Che  vi  apprendeva,   non   virtù,    ma  vizi. 

(4)  Allude  qui  alla  scienza  pedante  e  fossilizzata  che  si  insegnava  in  quel  tempo  in  Pisa,  benché 
nella  loro  branca  Carmignani  e  Del  Rosso  fulgessero  per  meriti  eminenti. 

(5)  In  ogni  modo  fa  conoscere  che  il  libro  della  vita  si  squaderna  anche  fuori  dell'Ateneo  e  per- 
fino a  bambara,  ossia  al  giuoco  della  primiera,  il  che,  sebbene  in  senso  astratto,  è  pur  troppo  vero. 

(6)  Parlasi  della  ingenuità  primitiva,  della  cordialità  e  prodigalità  spensierata  di  quella  gioventù 
molto  amorosa  e  poco  studiosa,  chiassona,  allegra  e  faceta. 

(7)  Sono  qui  pinti  i  costumi  e  le  mariuolerie  piacevoli  e  perdonabili  degli  scolari. 

(8)  Il  campanile  di  Pisa,  monumento  di  antica  e  meravigliosa  architettura. 

(9)  Dei  due  diritti  —  civile  cioè  e  criminale  ;  ve  ne  era  anche  un  terzo,  cioè  il  diritto  canonico. 
(io)   Bello  questo  confronto  fra  i  cosi  detti  scolari  discoli  e  i  vagabondi  e  quei  musi  che,  venduti 

al  potere,  o  ad  una  esistenza  di  artificiose  e  convenzionali  consuetudini,  perdettero  il  brio  delle  anime 
serene  senza  acquistare  il  profumo  delle  civili  virtù.  Nipote  di  Giuseppe  Giusti,  presidente  del  Buon 
Governo  ai  tempi  di  Leopoldo  I  granduca  di  Toscana  e  figlio  di  Domenico  Giusti,  equite  di  S.  Ste- 
fano, il  nostro  Poeta  avrebbe  potuto,  ove  avesse  albergato  in  seno  anima  meno  fiera  e  disdegnosa, 
ottenere  uno  di  quei  lucrosi  impieghi,  dove  l'emolumento  è  sempre  in  ragione  inversa  della  fatica  e 
delle  occupazioni.  Ma  egli  era  nato  poeta,  e  non  vi  fu  tra  noi  che  Lodovico  Ariosto  che  per  poco 
conservasse  un  impiego  per  mangiare,  e  il  Saccenti  per  lamentarsi  del  suo  stato.  —  Quando  passò 
in  Firenze  per  compirvi  gli  studi  dell'avvocatura,  Giuseppe  Giusti  era  già  troppo  celebre,  per  non  vi- 
vere liberamente:  anzi  le  patriottiche  scene  del  1831  erano  già  passate  per  la  sua  mente  e  per  il 
suo  cuore,  e  non  poteva  esser  più  che  il  nostro  bardo  nazionale. 


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POESIE    DEL    GIUSTI     ILLUSTRATE 


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GINGILLINO 


AD    ALESSANDRO    POERIO  (0 


1845. 


PROLOGO 

Sandro,  i  nostri  padroni  hanno  per  uso 
Di  sceglier  sempre  tra  i  servi  umilissimi 
Quanto  di  porco,  d'  infimo  e  d'ottuso 
Pullula  negli  Stati  felicissimi  : 
E  poi  tremano  in  corpo  e  fanno  muso, 
Quando,  giunti  alle  strette,  i  serenissimi 
Sentono,  al  brontolar  della  bufera, 
Che  la  ciurma  è  d'  impaccio  alla  galera  (2)  ; 


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Poesie  del  Giusti  illustrate.  —  edizione  nerbi  ni 


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Fascicolo  22. 


Sin  : 


338 


Poesie  del  Giusti  illustrale 


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Ciurma  sdraiata  in  vii  prosopopea  (3) 
Che  il  suo  beato  non  far  nulla  ostenta, 
Gabba  il  salario  e  vanta  la  livrea, 
Sempre  sfamata  e  sempre  malcontenta  : 
Dicasterica  (4)  peste  arciplebea, 
Che  ci  rode,  ci  guasta,  ci  tormenta 
E  ci  dà  della  polvere  negli  occhi, 
Grazie  a'  governi  degli  scarabocchi. 

Sempre  l'uom  non  volgare  e  non  infame 
O  scavalcato  od  inutile  si  spense, 
O  presto  imbirbonì  nel  brulicame 
Dell'altre  arpìe  fameliche  e  melense  : 
Così  sente  talor  di  reo  letame 
L'erba  gradita  alle  frugali  mense, 
Così  per  verme  che  la  fori  al  piede 
Languir  la  pianta  ed  intristir  si  vede. 

O  principi  reali  e  imperiali, 
Gotico  seme  di  grifagni  eroi, 
Forse  accennando  ai  lupi  commensali 
Nelle  veci  dell'  Io  stampate  il  Noi  ? 
Spazzateci  di  qui  questi  animali 
Parassiti  del  popolo  e  di  voi, 
Questa  marmaglia  che  con  vostro  smacco 


Ruba  a  man  salva  e  voi'tenete  il  sacco. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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339 


I. 


Il   Voltaiaccia  e  la  Meschinità, 
L'  Imbroglio,  la  Viltà,  l'Avidità 
Ed  altre  Deità, 

Come  sarebbe  a  dir  la  Gretteria 
E  la  Trappoleria, 
Appartenenti  a  una  Mitologia 
Che,  a  conto  del  Governo,  a  stare  in  briglia 
Doma  educando  i  figli  di  famiglia, 


Cantavano  alla  culla  d'un  bambino, 

Di  nome  Gingillino, 

La  ninna  nanna  in  coro, 

Tutte  sentenze  d'oro 

Degnissime  del  secolo  e  di  loro. 


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Bimbo,  non  piangere  : 
Nascesti  trito  (5)  ; 
Ma  se  desideri 
Morir  vestito, 

Ecco  la  massima 
Che  mai  non  falla 
E  come  un  sughero 
Ti  spinge  a  galla. 

Dagli  anni  teneri 
Piega  le  cuoia 
Al  tirocinio 
Della  pastoia  : 

Sotto  la  gramola  (6) 
Del  pedagogo 
Curvati,  schiacciati, 
Rompiti  al  giogo. 

E  cogli  estranei, 
E  in  mezzo  ai  tuoi, 
Annichilandoti 
Più  che  tu  puoi, 

Non  far  lo  sveglio, 
Non  far  l'ardito  ; 
Se  pur  desideri 
Morir  vestito. 

Non  ti  frastornino 
La  testa  e  il  core 
Larve  di  gloria. 
Sogni  d'onore. 

Fuggi  le  noie, 
Fuggi  le  some, 
Fuggi  i  pericoli 
Di  un  chiaro  nome  : 

E  limitandoti 
Senz'altro  fumo 
A  saper  leggere 
Pel  tuo  consumo, 

Rinnega  il  genio 
Sempre  punito  ; 
Se  pur  desideri 
Morir  vestito. 


Cresci  e  rammentati 
Che  dà  nel  naso 
Più  lo  sproposito 
Commesso  a  caso. 

Che  la  perfidia 
La  più  fratina 
Tramata  in  regola 
E  alla  sordina. 

Abbi  di  semplice 
Per  segno  certo 
Dell'uomo  ingenuo 
L'errore  aperto, 

E  imita  il  sudicio 
Che  par  pulito  ; 

Se  pur  desideri 
Morir  vestito. 

Studia  la  cabala 
Del  non  parere, 
E  gli  ammennicoli 
Del  darla  a  bere  (7). 

Di  Dio,  del  Diavolo 
Non  farti  rete  ; 
Nega  il  negabile, 
Ma  liscia  il  prete. 

Un  letamaio 
Di  vizi  abborra 
Giù  de*  precordii 
Tra  la  zavorra  ; 

Ma  cornili  populo 
Esci  contrito  ; 
Se  pur  desideri 
Morir  vestito. 

In  corpo  e  in  anima 
Servi  al  reale, 
E  non  ti  perdere 
Neil'  ideale. 

Se  covi  smania 
Di  far  fagotto, 
Incensa  1"  idolo 
Quattro  e  quattr'otto. 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


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341 


Sempre  la  favola 
Della  ragione 
Cede  alla  storia 
Del  francescone  (8)  ; 

Sempre  lo  scrupolo 
Muoia  fallito  ; 
Se  pur  desideri 
Morir  vestito. 

Non  far  che  ma  libero 
Sdegno  ti  dia 
Quella  poetica 
Malinconia, 


Per  cui  non  paiono 
Vili  e  molesti 
Dei  galantuomini 
I  cenci  onesti. 


Un  gran  proverbio 
Caro  al  Potere 
Dice  che  l'essere 
Sta  nell'avere  : 

Credi  l'oracolo 

Non  mai  smentito  ; 
Se  pur  desideri 
Morir  vestito. 


Venti  anni  dopo,  un  frate  professore, 
Gran  sciupateste  d'  Università, 
Da  vero  Cicerone  inquisitore 
Encomiava  la  docilità 
E  la  prudenza  d'un  certo  dottore 
Fatto  di  pianta  in  quel  vivaio  là, 
Dottore  in  legge,  ma  di  baldacchino, 
Che  si  chiamava  appunto  Gingillino  (9). 


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Poesìe  del  Giusti  illustrate 


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In  gravità  dell'aurea  conclone 
Messer  Fabbricalasino  si  roga 
Capo  Arruffacervelli  ;  e  un  zibaldone 
Di  cancellieri  e  di  bidelli  in  toga 
Gli  fa  ghirlanda  intorno  al  seggiolone, 
E  di  quell'Ateneo  la  sinagoga, 
Che  in  lucco  nero,  a  rigor  di  vocabolo, 
Parea  di  piattoloni  un  conciliabolo  (io). 


Chi  brontola,  chi  tosse  e  chi  sbadiglia  ; 
Chi  ride  del  dottore  e  chi  del  frate  ; 
Che  ansando  e  declamando  a  tutta  briglia, 
Con  salti  e  con  rettoriche  gambate 
Circonda  il  caro  alunno  e  l'appariglia 
Alle  celebrità  più  celebrate, 
Calandosi  a  concluder  finalmente 
Di  dotta  carità  tutto  rovente  : 

«  Vattene,  figlio,  del  bel  numer  uno 
De'  giovani  posati  e  obbedienti, 
Oh  vattene  digiuno 
Di  ragazzate  e  di  divertimenti, 
Di  pipe,  di  biliardi,  e  d'osterie, 
Di  barbe  lunghe  e  d'altre  porcherie  (n). 


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Poesie  del  Giusti  illustrate  343 


O  bendetto  te,  che  dalla  culla 

Se'  stato  savio  di  dentro  e  di  fuori  ; 
Che  non  hai  fatto  nulla 
Senza  il  permesso  de'  Superiori, 
Sempre  abbassando  la  ragione  e  l'estro, 
Sempre  pensando  a  modo  del  maestro  ! 

Salve,  o  raro  intelletto,  o  cor  leale, 
Che  d'una  fogna  d'empi  e  d'arroganti. 
Te  n'esci  tale  e  quale, 
Esci  come  venisti,  e  tiri  avanti  ! 
Vattene  al  premio  che  s'aspetta  al  giusto 
Della  gran  soma  dottorale  onusto  ! 

Comincia  coll'esempio  e  coli'  inchiostro 
A  difender  l'altare  a  destra  mano, 
Ed  a  mancina  il  nostro 
Dolce  amorevolissimo  sovrano  : 
Vattene,  agnello  pieno  di  talento, 
Caro  al  presepio  e  al  capo  dell'armento  »  (12). 

All'apostrofe  barocca 

Che  con  grande  escandescenza 
Esalava  dalla  bocca 
Di  quel  mostro  d'eloquenza, 
Gingillino  andato  in  gloria 


Se  n'uscìa  gonfio  di  boria 
Dal  chiarissimo  concilio 
Colla  zucca  in  visibilio. 


In: 


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344 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


Sulla  porta  un  capannello 
D'onestissimi  svagati, 
Un  po'  lesti  di  cervello, 
E  perciò  scomunicati, 
Con  un  piglio  scolaresco 


Salutandolo  in  bernesco, 
Gli  si  mosser  dietro  dietro 
Canticchiando  in  questo  metro: 

—    Tibi  quoque? Ubi  quoque 
È  concessa  facoltà 
Di  potere  in  jure  utroque 
Gingillar  l'umanità. 
La  manìa  di  Sere  Imbroglia  (13) , 
Che  nel  cranio  ti  gorgoglia, 
Ti  rialza  fuor  di  squadro 
Il  bernoccolo  del  ladro. 

Che  ti  resta,  che  ti  resta 
D'uno  sgobbo  inconcludente 
In  quel  nòcciolo  di  testa, 
Sepoltura  della  mente  ? 
Ma  se  l'anima  di  stoppa 
Se  n'  è  tinta  per  la  groppa, 
Tanto  basta,  tanto  basta 
Per  ficcar  le  mani  in  pasta. 


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Toesie  del  Giusti  illustrate  $45 


Infilando  la  giornèa 

D'avvocato  o  di  notaio, 
Che  t' importa  la  nomèa  (14) 
Se  t'accomodi  il  fornaio  ? 
Tu  se'  nato  a  fare  il  bracco, 
Il  giannizzero,  il  cosacco  ; 
E  compensi  il  capo  corto 
Coli' andare  a  collo  torto. 

O  pinzochere  fiscale. 

Ti  si  legge  chiaro  in  viso 
Che  galoppi  al  tribunale 
Per  la  via  del  paradiso  : 
E  di  più  e'  è  stato  detto 
Che  lavori  di  soffietto  (15), 
Devotissimo  ab  antico 
Dell'apostolo  dal  fico. 

Ma  quel  Giuda  era  un  buffone, 
Un  vilissimo  figuro  : 
Tu,  vincendo  il  paragone, 
Mostrerai  eh' a  muso  duro 
Si  può  vendere  un  Messia, 
Senza  far  la  scioccheria 
Di  morire  a  gozzo  stretto 
E  di  rendere  il  sacchetto. 


II. 


Nel  mare  magno  della  capitale,     . 
Ove  si  cala  e  s'agita  e  ribolle 
Ogni  fiumana  e  del  bene  e  del  male  ; 

Ove  flaccidi  vizi  e  virtù  frolle 
Perdono  il  colpo  nel  cor  semivivo 
Di  gente  doppia  come  le  cipolle  ; 

Ove  in  pochi  magnanimi  sta  vivo, 
A  vituperio  d'una  razza  sfatta, 
Il  buon  volere  e  il  genio  primitivo  ; 

E  dietro  a  questi  l' infinita  tratta 
Del  bastardume,  che  di  sé  fa  conio 
E  sempre  più  si  mescola  e  s' imbratta  ; 


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346 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


Col  favor  della  Musa  o  del  Demonio 

Che  il  crin  m'acciuffa  e  là  mi  scaraventa, 
Entro,  e  mi  caccio  in  mezzo  al  pandemonio. 

O  patria  nostra,  o  fiaccola  che  spenta 
Tanto  lume  di  te  lasci,  e  conforti 
Chi  nel  passato  sogna  e  si  tormenta, 

Vivo  sepolcro  a  un  popolo  di  morti, 
Invano,  invano  dalle  sante  mura 
Spiri  virtù  negli  animi  scontorti. 

Quando  per  dubbio  d'un'  infreddatura 
L'etica  folla  a  notte  si  rintana, 
Le  vie  nettando  deUa  sua  lordura  ; 

Quando  il  patrizio,  a  stimolar  la  vana 
Cascaggine  dell'ozio  e  della  noia, 
Si  tuffa  nella  schiuma  oltramontana  ; 


E  ne'  teatri  gioventù  squarquoia  (16) 
E^vecchiume  rifritto  ostenta  a  prova 
False  carni,  oro  falso  e  falsa  gioia  ; 

Malinconico  pazzo  che  si  giova 
Del  casto  amplesso  della  tua  beltade, 
Sempre  a  tutti  presente  e  sempre  nova, 


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Toesie  del  Giusti  illustrate  347 


Lento  s' inoltra  per  le  mute  strade, 
Ove  più  lunge  è  il  morbo  delle  genti 
Ed  ove  l'ombra  più  romita  cade. 

Paragona  locande  e  monumenti, 

E  l'antica  larghezza  e  il  viver  gretto 
Dei  posteri  mutati  in  semoventi  ; 

E  degli  avi  di  sasso  nel  cospetto, 

Colla  mente  in  tumulto  e  l'occhio  grosso 
D    ]  lacrime  d'amore  e  di  dispetto, 

Gli  vien  la  voglia  di  stracciarsi  addosso 
Questi  panni  ridicoli,  che  fuore 
Mostrano  aperto  il  canchero  dell'osso 

E  la  strigliata  asinità  del  core  (17). 

Tra  i  mille  ergastoli 
Di  mille. tinte, 
Che  tutta,  in  pagine 
Chiare  e  distinte. 

Se  reggi  il  vomito, 
Ti  fan  palese 
La  bassa  cronaca 
D'un  reo  paese  ; 

Vince  lo  stomaco, 
Vince  l'acume 
D'ogni  occhio  intrepido 
Al  laidume, 

Primo,  in  obbrobrio, 
Di  tanti  e  tanti, 
Il  lombricaio 
Degli  aspiranti  (18)  : 

Immonda  chiòvina  (19), 
Ove  caduto 
Del  Foro  il  fetido 
Sterco  e  il  rifiuto, 

In  sé  medesimo 
Putre  e  fermenta, 
E  immedicabili 
Miasmi  avventa. 


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348 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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A  gran  carattere 
In  gran  cartello, 
Sta  sul  vestibolo 
Scritto  :   Bargello  (20)  ; 

Parola  mistica 

Che  il  fiato  in  bocca 
Gela,  e  significa  : 
Bazza  a  chi  tocca  (21). 

Dai  sacri  Canoni, 
Dalle  Pandette, 
Passato  al  codice 
Delle  manette  (22), 

Ringhia  lo  spirito 
Del  mio  lodato 
Nell'abominio 
Lì  rotolato. 


Scorda  v  ambrosia  ì 
Del  tuo  Parnaso, 
Calza  gli  zoccoli, 
Turati  il  naso, 

Musa  ;""e  tenendoti 
Su  la  sottana, 
Scendi  al  motriglio 
Dell'empia  tana. 


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'Poesie  del  Giusti  illustrale 


Come  in  immagini 
Lerce  e  falsate, 
Nella  Tebaide, 
Al  santo  abate 

Piovean  le  luride 
Torme  dell'orco, 
Sporcando  il  trogolo 
■  Perfino  al  porco  ; 

Per  furia  idrofoba 
Che  giù  li  mena, 
Così  nel  baratro 
Sbocca  una  piena 

D' infami  rabule  (23), 
Di  birri  e  spie, 
A  mucchi,  a  vortici, 
A  litanie. 


Ohimè  !  che  l'aere 
Maligno  e  tetro 
La  casta  vergine 
Respinge  indietro, 

La  casta  vergine 
Ond'  io  m'adiro, 
A  cui  quell'alito 
Mozza  il  respiro. 


349 


Sin: 


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350  Poesie  del  Giusti  illustrate 


Nata  alle  vivide 
Fonti,  all'ameno 
Rezzo  dei  lauri, 
Al  ciel  sereno, 

Di  quella  bozzima  (24) 
Che  là  s'  infogna 
Sente  F  ingenua 
Schifo  e  vergogna. 

La  turpe  bolgia 
Sdegnando  io  stesso 
Ove  alleluia 
Canta  il  processo, 

Varco  allo  stabbio 
Che  aduna  a  sera 
I  burocratici  (25) 
Di  bassa  sfera. 

Giace  in  un  vicolo 
Sghembo  e  remoto, 
Tra  le  pozzanghere  (26) 
D'eterno  loto, 

Nera  casipola 
A  uscio  e  tetto, 
Che  d'una  trappola 
Ti  dà  l'aspetto. 

Dal  bugigattolo 
De'  magistrati, 
Dal  serbatoio 
Degli  avvocati, 

La  sozza  frùcola  (27), 
La  vii  tartuca, 
La  talpa  e  il  granchio 
Là  si  trabuca  : 

Là  dai  venefici 
Rovi  del  fisco, 
Si  striscia  l'aspide 
E  il  basilisco  : 

Là,  grogiolandosi  (28) 
Le  invidie  inermi    , 
Miste  all'ossequio 
Deglraltri  vermi, 


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Poesie  del  Giusti  illustrate                                                3  5 1 

Sbuffa  e  si  gloria 
L'ozio  bracato 
Del  tarlo  pubblico 
Già  giubilato. 

Là,  colle  nubili 
Sciolte  e  vistose, 
Recan  le  vedove, 
Le  mogli  annose 

De'  commissarii, 
De'  gabellotti, 
Rigiri,  scandali, 
Pania  e  cerotti: 

Là  per  libidini 
Di  contrabbando 
Vanno,  e  cimentano 
Di  quando  in  quando 

La  lor  nullaggine 
Che  par  persona. 
Le  Cariatidi  (29) 
Della  Corona. 

Tutto  si  rumina, 
Tutto  s' indaga, 
Tutti  si  sgolano 
Lì  per  la  paga  ; 

Tutti  colorano 

Al  caso  proprio 
L'ombre,  le  nuvole 
D'un  motupropjio; 

Ogni  bazzecola, 
Ogni  bisbiglio, 
Che  bolle  in  pento' a 
Del  Gran  Consiglio. 

E  lì  si  predica, 
Lì  si  dibatte 
La  compra  e  vendita 
Delle  mignatte  (20), 

Che  i  re  ci  azzeccano 
Fitte  alle  vene 
Per  controstimolo 
Del  troppo  bene. 

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'Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Come  del  chimico 
Nel  cavo  rame 
Si  scioglie  in  glutine 
L'accolto  ossame, 

Così  1'  intingolo 
D'un'altra  colla, 
Dal  gran  carnaio 
Che  là  s'affolla, 

Tira  una  Taide, 
Che  adesso  è  nonna, 
Di  quel  postribolo 
Donna  e  madonna. 


Fu  già  da  giovane 
Cuoca  e  pietanza 
D'un  rodipopo'o 
Su  di  finanza  ; 

Che  dietro  un  sèguito 
D'apoplessie, 
D' ire,  di  scrupoli, 
Di  trullerie, 

In    facielEcclesiae, 
Tirando  innanzi, 
Di  sé,  del  pubblico 
Biascie  gli  avanzi  : 


5111- 


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POESIE  DEL  GIUSTI  ILLUSTRATE 


Finché,  lasciandole 
Sgombro  il  canile 
Col  copertoio 
Del  vedovile, 

Fece  all'erario 
Costar  salato 
Anco  il  rimedio 
Del  suo  peccato. 

Se  al  mondo  è^- femmina 
Garga  e  maestra  (31), 
Costei  del  diavolo 
Può  stare  a  destra  ; 

Costei  che,  a  titolo 
Di  ben  servito, 
Rósola  il  principe 
Come  il  marito. 

L'eccellentissimo 
Dottor  Gingilla.. 
Entrato  in  grazia 
Della  sibilla, 


Poesie  del  Giusti  illustrate.  —  edizione  nerbini 


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Fascicolo  23. 


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354 


Poesie  dei  Giusti  illustrate 


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Dopo  un  proemio 
D' incensi  abietti, 
Di  basse  lacrime, 
Di  sconci  affetti, 

Le  chiese  il  bandolo 
Che  mena  al  varco, 
E   schiude  i  pascoli 
Del  regio  parco, 

A  cui  l'ex-guattera, 
Tirando  fuori 
Della  domestica 
Scuola  i  tesori, 

Senza  metafora 
Tracciò  distinto 
L' itinerario 
Del  laberinto  (32). 


UT. 


O  merli  tarpati 
Su  su  da  piccini, 
O  galli  potati 

Ad  usimi   Delphini  ; 

O  gufi  pennuti 

Dell'antro  di  Cacco, 
O  falchi  pasciuti 
Del  pubblico  acciacco; 


O  nibbi  vaganti 
Stecchiti  di  fame, 
O  corvi  anelanti 
Al  nostro  carcame  ; 

Sparvieri,  calate, 
Calate,  avoltoi  ; 
Pappate  pappate  ; 
Si  scanna  per  voi  : 


5111: 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


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355 


Ma  intanto,  brigata. 
Udite  la  strega 
Che  dà  1'  imbeccata 
Al   vostro  collega. 

Che  bisogna  scansare  i  liberali, 

I  giovani  d'  ingegno,  i  mal  veduti  ; 
Non  chiacchierar  di  libri  e  di  giornali  , 
Come  non  visti  mai  né  conosciuti  ; 
Chiuder  l'animo  a  tutti  e  stare  a  sé  ; 
So  di  buon  luogo  che  lo  sai  da  te. 

Questo  appartiene  all'arte  del  non  fare  ; 
E  in  quest'arte  sei  vecchio  e  ti  conosco, 
E  sarebbe  il  volertela  insegnare, 
Portar  acqua  alla  fonte  e  legne  al  bosco 
Ora  all'  ingegno  tuo  bene  avviato 
Resta  l'altra  metà  del  noviziato. 


Prima  di  tutto  incurva  la  persona, 
Personifica  in  te  la  reverenza  ; 
Insaccati  una  giubba  alla  carlona, 
E  piglia  per  modello  un'eccellenza  : 
In  questo  caso  l'abito  fa  il  monaco, 
E  il  muro  si  conosce  dall'  intonaco. 


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356 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Piglia  quel  su  e  giù  del  saliscendi  ; 

Quell'occhio  del  ti  vedo  e  non  ti  vedo  ; 
Quel  tentennìo,  non  so  se  tu  m' intendi, 
Che  dice  sì  e  no,  credo  e  non  credo  ; 
E  piglia  quel  sapor  di  dolce  e  forte, 
Che  s'usa  dal  bargel  fino  alla  corte. 

Barba  no,  ci  s'intende  :   un  impiegato 
(Cosa  chiara,  provata  e  naturale), 
Quanto  più  serba  il  muso  di  castrato, 
Tanto  più  entra  in  grazia  al  principale  : 


Ma  in  questo,  per  piacere  a  chi  conviene, 
Anco  la  mamma  t'  ha  senato  bene. 

Non  lasciar  mai  la  predica  e  la  messa, 
E  prega  sempre  Iddio  vistosamente  ; 
Vacci  nell'ora  e  nella  panca  stessa 
Del  commissario  oppur  del  presidente  ; 


Anzi,   di  sentinella  alla  piletta, 
Dagli,  quand'entra,  l'acqua  benedetta. 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


357 


Fatti  introdurre,  e  vai  sera  per  sera 

Da  qualche  scamonèa  fatto  ministro  (33)  ; 
E  là,  secondo  l' indole  e  la  cera, 
Muta  strumento  e  giuoca  di  registro  : 
Se  ti  par  aria  da  farci  il  buffone, 
Fallo,  e  diverti  la  conversazione  ; 

Se  poi  si  gioca  e  si  sta  sulle  sue, 
Chiappa  le  carte  e  fai  da  comodino, 
Perdi  alla  brava,  ingozzati  del  bue, 
Doventa  il  Papa- Sei  del  tavolino  ; 
Che,  quando  t'  ha  sbertato  e  spelacchiato. 
Ti  salda  il  conto  a  spese  dello  Stato. 

Fa'  di  tenerlo  in  giorno,  e  raccapezza 
La  chiacchiera,  la  braca,  il  fattarello  ; 
Tutto  ciò  che  si  fa  da  Su' Altezza 
(Per  così  dire)  infino  a  Stenterello. 
Sia  l'ozio  il  posto  o  la  meschinità, 
Chi  comanda  è  pettegolo,  si  sa. 

Se  il  diavolo  si  dà  (34)  che  ti  s'ammali, 
Visite,  amico,  visite  e  di  molte  : 
Metti  sossopra  medici,   speziali, 
Fa'  quelle  scale  centomila  volte  ; 
Piantagli  un  senapismo,  una  pecetta  ; 


E,  bisognando,  vuota  la  seggetta. 


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358 


'Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Se  l'uomo  guarirà,  fattene  bello  : 

Se  poi  vedi  che  peggiora  e  che  muore, 
A  caso  perso,  bacia  il  chiavistello 
E  lascia  nelle  péste  il  confessore. 
Il  morto  giace,  il  vivo  si  dà  pace, 
E  sempre  s'appuntella  al  più  capace. 

Colle  donne  di  casa  abbi  giudizio  ; 
Perchè,  credilo  a  me,  ci  puoi  trovare 
Tanto  una  scala  quanto  un  precipizio, 
E  bisogna  saper  barcamenare. 
Tienle  d'accordo,  accattane  il  suffragio  ; 
Ma  prima  di  andar  oltre,  adagio  Biagio. 

Se  avrà  la  moglie  giovane,  rispetto, 
E  rispetto  alle  serve  e  alle  figliuole  ; 


Se  1'  ha  vecchia,  rimurchiala  a  braccetto, 
Servila,  insomma  fai  quello  che  vuole  : 
Oh  le  vecchie,  le  vecchie,  amico  mio, 
Portano  chi  le  porta  ;  e  lo  so  io. 

Occhio  alla  servitù  venale  e  scaltra  ; 
Ungi  la  rota,  e  tienti  sull'avviso 
Di  non  urtarla  ;   una  man  lava  l'altra, 
Suol  dirsi,  e  tutte  e  due  lavano  il  viso: 
Nel  mondo  va  giocato  a  giova  giova, 
E  specialmente  se  gatta  ci  cova. 


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Poesie  del  Giusti  illustrale  359 


Sempre  e  poi  sempre  un  pubblico  padrone 
Ha  un  servitore  più  padron  di  lui, 
Che  suol  fare  alla  roba  del  padrone 
Come  a  quella  di  tutti  ha  fatto  lui  (35)  : 
Se  l'amico  avrà  il  suo,  con  questo  poi 
Sii  pane  e  cacio,   e  datevi  del  voi. 


Se  mai  nasce  uno  scandalo,  un  diverbio, 
Un  tafferuglio  in  quella  casa  là, 
Acqua  in  bocca,  e  rammentati  il  proverbio 
—  Molto  sa  chi  non  sa,  se  tacer  sa  ;  — 
A  volte,  in  casa  propria,  un  consigliere 
Pare  una  bestia,  ma  non  s'  ha  a  sapere. 


In  quanto  a  lodi  poi,   tira  pur  via  ; 
Incensa  per  diritto  e  per  traverso  ; 
Loda  1'  ingegno,  loda  la  mattìa, 
Loda  l' imprese,  loda  il  tempo  perso  : 
Quand'anco  non  vi  sia  capo  né  coda, 
Loda,  torna  a  lodare,  e  poi  riloda. 


Pésca  una  dote,  e  ridi  del  decoro 
(Della  virtù,  si  sa,  non  ne  discorro)  ; 
Che  se  piacesse  all'eccellenze  loro 
D'appiccicarti  un  canchero,  un  camorro, 
Purché  ti  sia  la  pillola  dorata, 
Beccala,  e  non  badare  alla  facciata. 


Briga  più  che  tu  puoi  ;  sta'  sub"  intese  ; 
Piglia  quel  che  vien  vien,  pur  di  servire  ; 
Ma  chiedi,  che  la  bòtta  che  non  chiese 
Non  ebbe  coda  :  e  poi  devi  capire, 
Che  non  sorrette  dai  nostri  bisogni 
Le  loro  autorità  sarebber  sogni. 


L'animo  d'un  ministro,  il  mio  e  il  tuo, 
Son,  press'a  poco,  d'uno  stesso  intruglio  : 
Dunque  un  nebbione  che  non  fa  sul  suo, 
E  si  può  fare  onor  del  sol  di  luglio, 
Nella  sua  dappocaggine  pomposa, 
È  quando  crede  di  poter  qualcosa. 


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360 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Non  ti  sgomenti  quel  mar  di  discorsi, 

Quel  traccheggiar  la  grazia  al  caso  estremo, 

Quel  nuvolo  di  se,  di  ma,  di  jorsi, 

Quel  solito  vedremo,  penseremo.... 

Eterno  gergo,  eterna  pantomima 

Di  queste  zucche  che  tu  vedi  in  cima. 

Abbi  per  non  saputo  e  per  non  visto 
Ogni  mal  garbo,  ogni  atto  d'annoiato  ; 
Fingiti  grullo  come  papa  Sisto, 
Se  ti  preme  di  giungere  al  papato  ; 
Il  dolce  pioverà  dopo  l'amaro, 
E  l' importuno  vincerà  l'avaro.   (36). 

E  Gingillino  non  intese  a  sordo 
Della  volpe  fatidica  il  ricordo. 
Andò,  si  scappellò,  s' inginocchiò, 
Si  strisciò,  si  fregò,  si  strofinò  : 


E  soleggiato,  vagliato,  stacciato, 
Abburattato  da  Erode  a  Pilato, 
Fatta  e  rifatta  la  storia  medesima, 
Ricevuto  il  battesimo  e  la  cresima 
Di  vile  e  di  furfante  di  tre  cotte, 
Lo  presero  nel  branco,  e  buona  notte. 


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Toesic  del  Giusti  illustrate 


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Qui,  non  potendosi 
Legare  al  collo 
La  grazia  regia 
Col  regio  bollo, 

A  capo  al  letto 
In  un  sacchetto 
Se  l' inchiodò  ; 

Mattina  e  sera 
Questa  preghiera 
Ci  bestemmiò  : 


—  Io  credo  nella  Zecca  onnipotente 
E  nel  figliuolo  suo  detto  Zecchino  : 
Nella  Cambiale,  nel  Conto  corrente, 
E  nel  Soldo  uno  e  trino  ; 
Credo  nel  Motuproprio  e  nel  Rescritto 
E  nella  Dinastia  che  mi  tien  ritto. 

Credo  nel  Dazio,  e  neh"  Imposizione, 
Credo  nella  Gabella  e  nel  Catasto  ; 
Nella  docilità  del  mio  groppone, 
Nella  greppia  e  nel  basto  : 
E  con  tanto  di  cuore  attacco  il  voto 
Sempre  al  santo  del  giorno  che  riscuoto. 


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362 


Poesie  del  Giusti  illustrale 


Spero  così  d'andarmene  là  là 
O  su  su  fino  all'ultimo  scalino, 
Di  strappare  un  cencin  di  nobiltà, 
Di  ficcarmi  al  casino, 
E  di  morire  in  Depositeria 
Colla  croce  all'occhiello  ;  e  così  sia. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate  565 


LA    CHIOCCIOLA 


1841 


Viva  la  chiocciola, 
Viva  una  bestia 
Che  unisce  il  merito 
Alla  modestia. 
Essa  all'astronomo 
E  all'architetto 
Forse  nell'animo 
Destò  il  concetto 
Del  canocchiale 
E  delle  scale. 

Viva  la  chiocciola. 
Caro  animale. 

Contenta  ai  comodi 
Che  Dio  le  fece, 
Può  dirsi  il  Diogene 
Della  sua  specie. 
Per  prender  aria 
Non  passa  l'uscio  : 
Nelle  abitudini 
Del  proprio  guscio 
Sta  persuasa 
E  non  intasa. 

Viva  la  chiocciola, 
Bestia  da  casa. 

Di  cibi  estranei 

Acre  prurito 

Svegli  uno  stomaco 

Senza  appetito  , 

Essa,  sentendosi 

Bene  in  arnese, 

Ha  gusto  a  rodere 

Del  suo  paese 

Tranquillamente 

L'erba  nascente. 

Viva  la  chiocciola, 
Bestia  astinente. 


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366  Poesie  del  Giusti  illustrale 


Nessun  procedere 
Sa  colle  buone, 
E  più  d'un  asino 
Fa  da  leone  : 
Essa  al  contrario, 
Bestia  com'  è, 
Tira  a  proposito 
Le  corna  a  sé  ; 
Non  fa  l'audace, 
Ma  frigge  e  tace. 

Viva  la  chiocciola, 
Bestia  di  pace. 

Natura,  varia 

Ne'  suoi  portenti, 

La  privilegia 

Sopra  i  viventi, 

Perchè  (carnefici, 

Sentite  questa  ) 

Le  fa  rinascere 

Perfin  la  testa  : 

Cosa  mirabile, 

Ma  indubitabile. 

Viva  la  chiocciola, 
Bestia  invidiabile. 

Gufi  dottissimi, 
Che  predicate 
E  al  vostro  simile 
Nulla  insegnate  ; 
E  voi,  girovaghi, 
Ghiotti,  scapati, 
Padroni  idrofobi, 
Servi  arrembati  ; 
Prego  a  cantare 
L' intercalare  : 

Viva  la  chiocciola, 
Bestia  esemplare. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate  367 


ANNOTAZIONI 


(gingillino) 


(1)  L'amicizia  di  Giuseppe  Giusti  con  Alessandro  e  Carlo  Poerio  (che  fu  poeta  di  squisito  sen- 
tire) datò  da  quando  egli  fece  il  viaggio  di  Roma  e  Napoli,  credo  nel  1844.  —  Giusti  era  allora 
maturo  di  senno,  e  aveva  di  già  stretta  amicizia  con  Manzoni,  Grossi,  Niccolini  ed  altri  insigni  lette- 
rati. —  Non  è  stato  che  con  Guerrazzi,  che  pure  è  gigante  ed  è  il  nostro  Byron,  che  Giuseppe 
Giusti  non  ebbe  intrinsichezza.  — ■  Nel  1848  e  1849  anzi,  per  spirito  di  partito,  gli  fu  avverso  ad 
oltranza.  Giusti  voleva  nulla  precipitare  e  andare  coi  principi  alla  libertà  ed  alla  confederazione. 
Montanelli  voleva  la  confederazione,  ma  non  la  monarchia  unitaria,  e  Guerrazzi  avrebbe  voluto  per- 
venire alla  libertà,  unità  ed  indipendenza  per  via  della  rivoluzione,  nel  che  ebbe  consenzienti  anche 
Mazzini  e  Mazzoni,  sebbene  non  fosse  di  parere  di  imporre  la  repubblica  al  popolo,  né  rendere  obbli- 
gatoria la  inoculazione. 

All'epoca  di  questa  satira,  una  delle  più  pungenti  e  conosciute  del  poeta  pesciatino,  1'  Italia 
cominciava  a  rimuoversi.  Erano  già  avvenuti  i  casi  di  Romagna,  e  per  il  suo  libro  sopra  di  essi, 
Massimo  d'Azeglio  era  già  stato  esiliato  dalla  Toscana,  che  aveva  restituito  il  Renzi  al  governo 
pontificio  ed  era  già  avvenuta  la  strage  di  Cosenza. 

Brevemente,  i  preludi  del  1848  erano  di  già  sorti,  e  con  Falconi,  il  principe  di  Canino  e  Mon- 
tanelli avevamo  già  fondata  a  Parigi  la  Gazzetta  Italiana.  La  satira  politica  del  Giusti  corniciava 
quindi  a  toccare  nel  vivo. 

(2)  Galera,  specie  di  nave  originaria  e  antichissima  d'  Italia.  —  Si  crede  inventata  dai  Pisani, 
benché  possedessero  galere  in  altra  forma  anche  i  Romani. 

(3)  Prosopopea,  in  alterigia  cioè  e  superbia. 

(4)  Dicasterica,  di  dicastero,  e  come  oggi  direbbesi  burocratica. 

(5)  Trito,  ossia  povero. 

(6)  Gramola,  volgare  strumento  per  maciullare  la   canape. 

(7)  Come  mette  al  nudo  l'arte  ipocrita  dei  vigliacchi  che  pullulano  come  triste  erba  in  tutte 
le  società,  ma  più  assai  ingramignano  le  società  corrotte  !  —  Col  1844  finiva  un'era  di  tre  secoli 
e  ne  cominciava  un'altra.  —  Allora  il  prete  doveva  esser  Dio,  e  il  birro  angiolo.  —  Scappellate 
a  tutti  e  due,  e  nessun  timore.  Noi  sappiamo  di  alcuni  che  per  ottenere  un  impiego  andandosene 
mai  sempre  a  collo  torto,  si  recarono  nelle  chiese  di  Firenze  per  dare  l'acqua  benedetta  al  presidente 
del  Buon  Governo  o  a  qualche  altro  alto  impiegato.  —  Il  non  parere  qui  indica  1'  ipocrisia  fatta 
natura,  e  ammennicoli  le  ragioni  sofistiche  della  pinzocheria. 

(8)  Francescane,  moneta  d'argento  oggi  abolita,  che  valeva  L.   5,60. 

(9)  Vi  ha  chi  crede  che  il  dottor  Gingillino  fosse  il  già  ministro  di  Leopoldo  II,  Baldasseroni, 
altri  credono  Francesco  Fcrti  —  ma  io  reputo  che  questa  satira  fosse  impersonale,  e  molti  divide- 
ranno la  mia  opinione. 

(io)  Allude  al  conferimento  della  laurea  dottorale,  che  in  quei  tempi  si  faceva  con  molta  so- 
lennità nelle  sale  dell'arcivescovado,  e  il  gran  cancelliere,  per  il  vescovo,  ne  rogava  l'atto,  e  un  pro- 
fessore a  turno  leggeva  un'orazione. 

(11)  Era  già  cominciata  la  persecuzione  alla  barba  lunga,  a  tutta  la  barba  ed  ai  baffi  soli.  — ■ 
Il  duca  di  Modena,  il  papa  e  il  re  di  Napoli  erano  in  ciò  inesorabili.  —  In  Toscana,  meno  che  per 
gli  impiegati,  che  qui  pure  era  per  essi  una  specie  di  crimen  lassae,  si  tirava  via.  —  Si  additava  il  barbuto 
e  baffuto  al  birro,  e  si  andava  avanti. 

(12)  Come  emerge  la  morale  della  satira  in  questo  verso,  che  si  poggia  sull'equivoco  ! 

(13)  Ser  Imbroglia,  aggettivo  dato  dai  Toscani  ai  notari  e  legulei  senza  dottrina  e  senza  coscienza. 
Il  bernoccolo  del  ladro,  si  deve  intendere  nel  senso  della  dottrina  di  Gali. 


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368 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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(14)  Nomèa,  sinonimo,  in  lingua  volgare  toscana,  di  fama. 

(15)  Soffietto,  spia.  —  Apostolo  del  fico,  Giuda. 

(16)  Squarquoia,  infralita,  putrida  e  peggio. 

(17)  Questo  verso  è  superbo  per  concetto  e  novità  —  la  strigliata,  appella  alla  raffinatezza 
dell'  ipocrisia  e  V asinità  del  core,  alla  depravazione  stupida  e  orbata  di  ogni  nobile  sentimento. 

(18)  Qui  entra  nel  pandemonio  della  burocrazia,  e  ne  annovera  le  bassezze  e  le  vergogne. 

(19)  Chiovina,  fossa  di  spurgo,  cloaca,  fogna. 

(20)  Bargello,  in  Toscana  chiamavasi  il  capo  birro.  Palazzo  del  Bargello  era  detto  quello  nel  quale 
erano  le  carceri,  e  si  rendeva  giustizia  nei  tempi  antichi,  dal  Podestà  della  città. 

(21)  Bazza  a  chi  tocca,  proverbio  nostrale  che  presso  a  poco  indica:  chi  -pesca,  pesca. 

(22)  Manette,  quelle  funi  con  nottolino  di  ferro  o  di  legno  con  le  quali  si  legano  i    polsi    agli 
arrestati. 

23)  Rabule,  scrivani. 

(24)  Bozzima,  crusca  impastata  con  acqua,  della  quale  si  servono  le  tessitrici. 

(25)  Birrocratici,  invece  di  burocratici  ;  è  meno  nobile,  ma  più  vera  è  l'etimologia. 

(26)  Pozzanghere,  fossette  con  acqua  e  melma» 

(27)  Frùcola,  piccolo  anfibio. 

(28)  Crogiolandosi,  compiacendosene. 

(29)  Cariatidi,  alti  impiegati. 

(30)  Compra  e  vendita  delle  mignatte,  cioè  degli  impiegati. 

(31)  Garga,  scaltra. 

(32)  Pietà  per  gli  estinti  vuole  che  non  si  nomini  questa  squarquoia  manipolatrice  di  impieghi 
fatta  sposa  a  chi  tutto  poteva,  per  dispetto  della  pubblica  finanza,  e  morta  qual  visse.  Pur  troppo 
molti  la  conobbero  ! 

(33)  Scamonèa,  balordo. 

(34)  Darsi  il  diavolo,  cioè,  darsi  la  disgrazia,  modo  usato  dal  popolo,  che  con  molto  accorgimento 
fa  tutt'una  cosa  di  disgrazia  e  di  diavolo. 

(35)  Idiotismo   non   in   grazia   della  rima,   ma   del   dialogo. 

(36)  Chi  conobbe  quei  tempi  può  solo  dire  quanta  verità  storica  vi  sia  in  questa  parte  della  satira 
e  se  meglio  si  poteva  fotografare  quell'abbietta  canèa  che  si  arrampicava  sulle  scale  dei  pubblici 
uffici.  Verità,  tutta  verità. 


(la  chiocciola). 


Questa  poesia  è  allegorica,  come  ognuno  lo  vede  a  chiara  luce,  e  si  dirige  a  quei  conservatori 
e  lodatori  temporis  adi,  di  cui  era  piena  1'  Italia  e  in  ispecial  modo  la  Toscana  ai  tempi  del  Poeta. 
Si  poteva  dire  che  noi  a  quel  tempo  eravamo,  e  in  gran  parte  anche  adesso  siamo,  veri  chinesi.  — 
Infatti  non  si  crede  neppure  a  quel  progresso  che  tutti  i  giorni  invochiamo  e  lodiamo.  Guai  a  toccare 
un  chiodo,  un  sasso  antico  !  —  Guai  a  levar  una  festa,  che  non  ha  senso  comune.  —  Guai  a  chi 
dicesse  :  andate  a  cercare  fortuna  pel  mondo,  come  fanno  i  Savoiardi,  i  Lucchesi  e  i  Liguri.  —  Guai 
a  chi  ci  costringesse  a  rinunziare  al  giuoco  del  lotto  ed  al  nostro  misero  guscio 


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POESIE  DEL  GIUSTI  ILLUSTRATE 


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IL   SORTILEGIO 


1846 


A  ENRICO  MAYER  E  A  LEOPOLDO  ORLANDINI.  W 


Miei 


cari, 


Nel  1844,  quando  io  era  quasi  disperato  della  salute,  voi  due  m'accoglieste  successivamente  in  casa 
vostra,  e  per  mesi  e  mesi  mi  ci  teneste  come  fratello,  sopportando  infiniti  fastidi  per  causa  mia,  e  divi- 
dendo meco  1  patimenti  e  le  malinconie  di  quello  stato  angoscioso. 

Io  non  potrò  mai  rimeritarvi  di  tanto  benefizio  ;  ma  per  mostrarvi  in  qualche  modo  la  mia  rico- 
noscenza, ho  pensato  di  pubblicare  col  vostro  nome  questo  racconto  ;  assicurandovi  che  non  intendo  of- 
frirvi cosa  degna  di  voi,  se  non  quando  allo  scopo  al  quale  è  diretto  il  componimento. 


Vostro 
Giuseppe   Giusti. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate.  —  edizione  nerbini 


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Fascicolo  24, 


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Poesie  del  Giusti   illustrate 


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371 


Il  lotto,  ve  lo  dissi  un'altra  volta  (2), 
Il  lotto  è  un  gioco  semplice,   innocente, 
Che  raddirizza  ogni   testa  stravolta  : 
E  chi  si  fonda  in  lui,  non  se  ne  pente. 
Lo  dissi  e  lo  ridico,  e  n'ho  raccolta 
La  più  limpida  prova  ultimimsate 
In  un  bel  fatto  accaduto  tra  noi, 
Che  siamo  al  tempo  che  sapete  voi. 

In  un  castello  de'  nostri  Appennini, 
E  il  nome  non  importa,   era  saltato 
Tanto  nell'ossa  di  que'  montanini 
L'estro  del  giocolin  sopralodato, 


Stilili1  -    •'■  *■?'- 


Che  nelle  gole  giù  de'  botteghini 
In  ambi  e  in  terni  avean  precipitato, 
Colla  speranza  certa  d'arricchire, 
Fin  le  raccolte  di  là  da  venire. 

La  voce  Botteghino  non  è  mia  (3)  ; 
E  una  protesta  mi   pare  opportuna, 
Se  mai  pensaste  che  la  poesia 
Parli  a  malizia  o  secondo  la  luna  : 


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372 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


Il  Botteghino  e  la  Prenditoria 
Volgarmente  son  due  in  carne  una  : 
Se  il  nome  è.  brutto,  il  popolo  inventore 
N'  ha  colpa  e  non  ne  sto  mallevadore. 

Dunque  tornando  a  noi,  que'  montanari 
Fino  alle  scarpe  avean  data  lajvia, 
Sognando  negli  spazi  immaginari 
Di   fare  un  buco  in   Depositeria  (4). 
Di  giocator,  di  prodighi  e  d'avari 
Oltre  la  borsa  va  la  bramosìa  ; 
E  come  chi  più  n'  ha,  più  ne  vorrebbe, 
Chi  più  ne  sciupa  e  più  ne  sciuperebbe. 

Bazzicava  lassù  per  que'  paesi 


Un  di  que'  rivenduglioli  ambulanti, 
Che  fan  commercio  a  denari  ripresi 
Di  berretti,  di  scatole,  di  santi, 
E  di  ferri  da  calze,  e  d'altri  arnesi. 
Quanti  n'occorre  per  cucire,  e  quanti 
Ne  porta  in  petto,  al  collo  e  sulla  testa 
La  villana  elegante  il  dì  di  festa. 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


373 


Oltre  a  codeste  bricciche,  costui  (5) 
La  sacca  d'un  gioiello  avea  provvista, 
Che  tra  le  cose  che  giovano  altrui 
Va  messo  per  ossequio  in  capo  lista  ; 
Cosa  mirabilissima  per  cui 
Splende  alla  mente  una  seconda  vista  ; 
Cosa  che  serve  per  tutti  i  bisogni  ; 
E  questa  perla  era  il  Libro  de'  sogni. 

La  famosa  Accademia  del  Cimento, 
L'  Istituto  di  Francia  e  d'  Inghilterra, 
È  tutta  roba  di  poco  momento 
Appetto  a  quella  che  il  gran  libro  serra. 
«  Credete  a  chi  n'  ha  fatto  esperimento  » 
Che  quello  è  il  primo  libro  della  terra  ; 
Onde  lo  privilegia,   e  con  ragione, 
La^sacra  e  la  profana  Inquisizione. 

Questo  libro  utilissimo,  non  solo 
Egli  lassù  l'avea  disseminato, 


Ma  nel  mezzo  di  piazza  al  montagnolo 
Spiegato  con  amore  e  postillato  ; 


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4111; 


374 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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E  il   giorno  dell'arrivo,  al  merciaiolo, 
Il  popolo,  il  comune  e  il  vicinate 
Correano  a  dire  i  sogni  della  notte, 
Ladri,  morti,  paure  e  gambe  rotte. 

Ed  ei,  presa  la  mano  a  far  l'oracolo, 


O  rispondeva  avvolto,  o  stava  muto  : 
Anzi,  fra  l'altre,  aveva  un  tabernacolo 
Con  dentro  un  certo  santo  sconosciuto, 
Dal  qual,   secondo  lui,  più  d'un  miracolo 
E  più  d'un  terno  a  molti  era  piovuto, 
Pur  di  destare  la  sua  cortesia    * 
Pagando  un  soldo  ed  un'avemmaria. 

Lo  spolverava,  l'apriva  e  gridava 
Che  tutti  si  levassero  il  cappello  : 
Poi  brontolando  paternostri,  andava 
Tomo  torno  a  raccòrre  il  soldarello  : 
E  mentre  ognuno  pregava  e  pagava, 
Più  numeri  di  sotto  dal  gonnello 
Tirava  fuori  agli  occhi  della  folla 
Il  moncherino  di  quel  santo  a  molla. 

Né  volendo,  se  a  vuoto  eran  giocati, 
Parer,  col  santo,  e  tutto,  un  impostore, 


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'Poesie  del  Giusti  illustrate 


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375 


—  Egli  è,   dicea,   per  i  vostri  peccati, 
Che  non  trovan  la  via  di  venir  fuore.   — 
Smunti  così  gran  tempo  e  bindolati 
Avea  que'  mammalucchi  in  quell'errore, 
E  col  governo  il  traffico  diviso, 
E  mescolato  al  vizio  il  paradiso. 

Stanchi  alla  fine,  e  come  accade  spesso 

D'uno  che  al   gioco  giochi  anco  il  cervello, 

Che  invece  di  pigliarla  con  se  stesso 

E'  se  la  piglia  con  questo  e  con  quello, 

Un  dì  che  il  rivendugliolo  avea  messo 

Fuori  i  fagotti  e  il  solito  zimbello, 

Da  sei  gli  sono  addosso,  e  con   molt'arte 

L'attorniano  e  lo  traggono  in  disparte. 


E  dopo  averlo  strapazzato  e  dette 
Cose  del  fatto  suo  proprio  da  chiodi, 
GÌ'  intuonaron  minaccie  maledette, 
E  che  voleano  il  terno  a  tutti  i  modi. 
Messa  lì  su  quel  subito  alle  strette 
La  volpe  che  maestra  era  di  frodi, 
Facendo  l' imbrogliato  e  il  mentecatto, 
Te  li  abbonì  che  non  parve  suo   fatto. 

Poi  protestando  che  del  trattamento 

Non  facea  caso  e  lo  mandava  a  monte, 
Accennò  roba,  parlò  d'un  portento, 


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376 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


La^prese  larga,   te  li  tenne  in  ponte, 
E  finse  di  raccogliersi  un  momento, 
E  chiuse  glifoechi,  e  si  fregò  la  fronte, 


|   Ejdisse  :  —  Attenti,  che  non  diate  poi 
A"me  la  colpa  che  si  spetta  a  voi. 

Bisognerebbe  quando  il  gallo  canta 

Sull'alba,  o  appena  il  sole  è  andato  sotto, 
Novanta  ceci  secchi  sulla  pianta 
Córre  senz'esser  visti  o  farne  motto  ; 
E  dall'uno  giù  giù  fino  al  novanta 
Scriverci  sopra  i  numeri  del  lotto, 
Con  una  tinta  che  non  si  cancella, 
Fatta  di  pece  e  d'unto  di  padella  ; 

Affilare  un  coltello,   essere  accorto 
Che  chi  l'affila  non  tocchi  nessuno  ; 
E  un  corpo  maschio,  defunto  di  corto, 
Scavar  di  notte,   in  giorno  di  digiuno  ; 
E  tagliata  e  vuotata  a  questo  morto 
Ben  ben  la  testa,  dentro  a  uno  a  uno 
Mettere  i  ceci,  stando  inginocchiati, 
Tre  volte  scossi,  e  tre  volte  contati  ; 

Avere  un  pentolone,   e  a  queste  gore 
Qua  sotto  empirlo  di  quell'acqua  gialla, 
E  bollirci  quel  capo,  e  che  di  fuore 
Non  vada  l'acqua,  Dio  guardi  a  versalla  ! 
A  mala  pena  spiccato  il  bollore, 
Da'  primi  ceci  che  verranno  a  galla 
Avrete  il  terno  :  e  se  dico  bugia, 
Che  non  possa  salvar  l'anima  mia.  — 


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Poesie  del  Giusti  illustrale 


377 


Quel  dettar  tutto  sì  minutamente, 

Quel  morto,   quella  pentola,   e  il  gran  guaio 
D'aver  bisogno,   fece  a  quella  gente 
Girar  la  testa  come  un  arcolaio  : 
E  creduto  per  fede  agevolmente 
E  rimandato  libero  il  mereiaio, 


Stillano  il  modo  di  venire  a  capo 

D'aver  in   mano  e  di  bollir  quel  capo  (6). 

Di  fresco  era  lassù  morto  il  curato, 
E  l'avevano  sepolto  dirimpetto 
Alla  porta  di  chiesa,  ove  il  sacrato 
Ila  una  lapide  antica  a  questo  effetto. 
Quel  prete  per  disgrazia,  infarinato 
D'algebra,  se  di  tempo  un  ritaglietto 
Gli  concedea  la  cura  di  montagna, 
Era  sempre  a  raspar  sulla  lavagna. 

Quell'armeggìo  di  numeri  venuto 
A  risapersi  nel  paese,  il  prete 
Per  un  gran  cabalista  era  tenuto 
E  che  de'  terni  avesse  in  man  la  rete  : 
E  scalzarlo  parecchi  avean  voluto, 
Mentre  che  visse,  sull'arti  segrete 
Di  menar  la  fortuna  per  il  naso, 
Pescando  il  certo  nel  gran  mar  del  caso. 


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Sin- 


373 


'Poesie  dil  Giusti  illustrale 


rutti 


L'ultima  carne  maschia  seppellita 
Era  il  prete,  la  cosa  è  manifesta  ; 
Dunque  la  testa  che  andava  bollita 
Era  la  sua,  certissima  anco  questa  ; 
E  tanto  più  che  avvezzi  erano,  in   vita, 
I  numeri  a  bollirgli  nella  testa. 
Così  dicendo  quella  gente  grossa 
Pensò  del  prete  violar  la  fossa. 


Risoluti  s'accordano  costoro, 

E  si  partiscon  l'opere  e  le  veci  : 
Ammannisca  il  coltello  uno  di  loro, 
Un  altro  il  pentolone,   un  altro  i  ceci 
E  poi  tutti  si  trovino  al  lavoro 
Di  nottetempo,  ^à  dopo  le  dieci, 
Nel  giorno  da  Mosè  dato  all'altare, 
Ed  alle  streghe  nell'era  volgare. 


Tutto  quel  giorno  che  precesse  il  fatto, 
Maso,  un  di  quelli  dell'accordellato, 
Girò  per  casa  mutulo,  distratto 
E  torbo  come  mai  non  era  stato  : 


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-ma 

Poesie  del  Giusti  illustrate  379 


La  moglie  era  presente  :  e  di  soppiatto 
Coli 'occhio  che  alle  donne  Amore  ha  dato 
Lo  guardava  e  guardava,  a  quella  vista 
Facendosi  anco  lei  pensosa  e  trista. 


Erano  sposi  da  cinqu'anni  ;  e  stati 
Sempre  insieme  su  su  da  piccolini, 
Poi  coli' andar  del  tempo  innamorati, 
S'eran  congiunti  da  onesti  vicini. 
E  dal  dì  che  l'aitar  santificati  j 
Avea  gli  affetti  lor,  già  tre  bambini 
Rallegravan  la  rustica  dimora, 
Che  tre  rose  parean  còlte  d'allora. 


A  forza  di  risparmio  e  di  lavoro 
Conducean  vita  semplice  e  frugale, 
Poveri  sì,   ma  in  pace  e  con  decoro, 
Contenti  nel  pudor  matrimoniale, 
Quando  ecco  il  lotto  a  ficcarsi  tra  loro. 
Il  lotto,  gioco  imperiale  e  reale  (7), 
E  quella  pace  e  quel  viver  onesto 
Subito  in  fumo  andar  con  tutto  il  resto. 


Vani  usciti  i  consigli  erano,  e  vani 
Con  lui  gli  affanni  di  quella  meschina, 
Che  sempre  più  vedea  d'oggi  in  demani 
Esso  e  la  roba  andarsene  in  rovina  : 
Ed  or  facea  concetti  e  sogni  strani 
Del  vederselo  lì  dalla  mattina 
Senza  toccar  lavoro  o  far  parola 
O  consolarla  d'un'occhiata  sola. 


E  come  più  la  sera  s'appressava, 

Più  lo  vedea  smaniante  e  pensieroso. 
Un  po'  sedeva,  un  po'  cantarellava, 
Come  fa  l'uom*  che  aspetta  e  non  ha  poso  ; 
Ed  or  prendeva  in  braccio,  ora  scansava 
Un  fanciulletto,  che  tutto  festoso 
Con  più  libero  pie  degli  altri  dui 
Salterellava  dalla  madre  a  lui. 


Si: 


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380 


Poesie  dei  Giusti  illustrate 


L'aria  imbrunì,  suonò"  l'avemmaria, 
E  sorta  in  pie  la  donna,  a'  figlioletti 
Incominciò  malinconica  e  pia 
A  suggerir  garrendo  i  sacri  detti  : 
Maso,  fermo  sull'uscio,  o  non  udìa 
La  squilla,  vaneggiando  in  altri  obietti  ; 
O  se  l'udì-,  non  ebbe  in  quella  sera 
Né  parola  né  cuor  per  la  preghiera. 


Notò  la  donna  l'atto  ;  e  avendo  piena 
Già  già  la  testa  di  mille  paure, 
Dentro  se  ne  sentì  crescer  la  pena  ; 
Ma  la  represse,   e  attese  ad  altre  cure. 
E  acceso  il  lume  e  il  fuoco,  e  dato  cena 
E  messe  a  letto  quelle  creature, 
Ritrovò  Maso  tutto  addormentato 
Col  capo  sulla  mensa  abbandonato. 


Volea  parlar,   ma  non  le  dette  il  cuore 
D'aprir  la  bocca,  e  ste'  soprappensiero  ; 
E  quello  immaginar  pien  di  dolore 
Le  cose  più  che  mai  le  volse  in  nero  ; 


3»- 


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'Poesie  del  Giusti  illustrate  381 


Poi,  come  fa  chi  dubbia  e  sente  amore 
Che  cerca  e  teme  di  saper  il  vero, 
Soavemente  a  lui  che  amava  tanto 
Si  volse  e  disse  con  voce  di  pianto  : 


-  Maso,  per  carità,  parla,  che  hai  ? 
Via,  parla,  non  mi  dar  questi  spaventi  : 
Così  confuso  non  t'  ho  visto  mai  ; 
Oh,  Maso  mio,  perchè  non  mi  contenti  ? 
Se  non  lo  fai  per  me,  se  non  lo  fai, 
Fallo  per  que'  tre  poveri  innocenti, 
Che  son  di  là  che  dormono  ;  e  non  sanno 
Lo  snaturato  di  padre  che  hanno. 


Maso,  bada  alla  gente  !  Il  viciname 
Sparla  di  te  ;  che  ti  se'  mal  ridutto, 
Che  un  giorno  o  l'altro  quel  giocaccio  infame 
T"  ha  da  portare  a  qualcosa  di  brutto  : 
Oh  senti,  Maso  mio,  meglio  la  fame, 
Andar  nudi,   accattare,  è  meglio  tutto  : 
Ma,  se  non  altro,  non  darmi  il  rossore 
Che  tu  perda  col  pane  anco  l'onore.  — 


sì  dicendo,  a  lui  s'era  accostata 
E  dolcemente  gli  tendea  la  mano, 
Continuando  con  voce  affannata 
A  interrogarlo,  a  scongiurarlo  invano  ; 
Che  da  sé  la  respinse,  e  dispietata- 
-mente  la  minacciò,   quel  disumano, 
E  di  tacer  le  impose,  e  che  di  volo 
Andasse  a  letto,  e  lo  lasciasse  solo. 


Andò  la  dolorosa,   e  mezza  morta 
Senza  spogliarsi  in  letto  si  distese  : 
E  là  piange,  e  si  strugge  e  si  sconforta, 
Cheta,  in  sospetto  e  sempre  sulT  intese  : 
Né  molto  sta,  che  cigolar  la  porta 
Udendo,  sorge  ;  e  coll'orecchie  tese 
Sente,  pian  piano,  con  sordo  stridore, 
A  doppia  chiave  riserrar  di  fuore. 


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382 


Toesie  del  Giusti  illustrate 


Balza  da  letto,  e  prima  che  s' involi 
P  Del  tutto  vuol  seguirlo  arditamente  : 

E   poi  non  si  risolve,   e  de'   figlioli 
I   Sorge  il  pensiero  a  divider  la  mente  : 
Ma  tosto  il  dubbio  di  lasciarli  soli 
Cede  al  timor  più  vivo  e  più  presente  ; 
Scende,  e  tenta  la  toppa,  e  nulla  avanza 
E  del  forzarla  è  vana  ogni  speranza. 


Più  l'ostacolo  è  forte,  e  più  s'esalta 

L'animo  in  quello  ;  ond'essa  audace  e  destra 
Si  lancia  ove  ricorre  angusta  ed  alta 
Cinque  braccia  da  terra  una  finestra  ; 
L'apre  la  donna  e  su  vi  monta,   e  salta 
Speditamente  nella  via  maestra 
E  per  molti  sentieri  erra,  e  s'  invesca 
Senza  molto  saper  dove  riesca. 


In  questo  mentre  i  compagni  di   Maso, 
A  mezza  costa,  fuor  dell'abitato, 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


383 


Celatamente  avean  le  legna  e  il  vaso 
Per  la  strana  cottura  apparecchiato: 


Esjli,  co'  ferri  che  facean  al  caso 
D'alzar  la  pietra  e  scorciare  il  curato, 
Per  altra  via,  coli' animo  scontento, 
Ultimo  venne  al  dato  appuntamento. 

Qui  ci  vorrebbe  una  notte  arruffata, 
~  Una  notte  di  spolvero,  che,  quando 
Alla  tedesca  fosse  strumentata, 
Paresse  un  casa-al-diavolo,  salvando, 
Se,  per  esempio,  la  nota  obbligata 
D'un  par  di  gufi  avessi  al  mio  comando, 
E  fulmini  a  rifascio,  e  un'acqua  tale 
Da  parere  il  diluvio  universale  ; 


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384 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


E  una  romba  di  vento,  e  il  rumor  cupo 
D'un  fiume,  d'un  torrente,  o  che  so  io, 
Che  giù  scrosciando  d'un  alto  dirupo, 
Rintostasse  de'   tuoni  il  brontolìo  : 
Di  quando  in  quando  un  bell'urlo  di  lupo. 
Un  morto  che  gridasse  Gesù  mio, 
E  una  campana  che  sonasse  a  tocchi  : 
Riuscirebbe  una  notte  co'  fiocchi. 


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1 


8 


farlo  apposta,   tra  le  notti  belle 
Vedute  al  mondo,  questa,  a  mia  sfortuna, 
Si  potea  dir  bellissima  :  le  stelle 
Erano  fuori,  tutte  fin  a  una  ! 
Se  a  sciuparmi  le  tenebre  con  quelle 
Fosse  venuta  in  ballo  anco  la  luna, 
Piantavo  la  novella,  e  buona  sera  : 
Tiriamo  avanti,   la  luna  non  c'era. 


Zitti,  spiando  intorno,   e  come  un  branco 
Di  lupi  ingordi....   Adagio,   e  colle  buone; 
Il  lupo  è  detto.  —  Di  corvi  ?  — ■  Nemmance, 
Che  di  notte  non  vanno  a  processione.... 
Sicché  dunque  dirò,  lasciato  in  bianco. 
Per  questa  volta  tanto,  il  paragone, 
Che   s'avviò  la  frotta  al  cimitero, 
(E  passi  per  la  rima)   all' aer  nero. 


Intanto  qua  e  là  s'era  aggirata 

Ratta,  intendendo  la  vista  e  l'udito, 

Quella  povera  donna  sconsolata 

Inutilmente  cercando  il  marito  ; 

E  stanca  per  que'  sassi,  e  disperata 

Della  traccia,   per  ultimo  partito 

Alla  chiesa  risolse  incamminarsi, 

E  là  piangere  e  a  Dio  raccomandarsi. 


Su  per  una  viottola  scoscesa 
Va  la  meschina  risolutamente  ; 
E  all'orlo  del  sacrato  appena  ascesa 
Che  fa  piazzetta,   sul  poggio   eminente, 


53 


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POESIE    DEL   GIUSTI    ILLUSTRATE 


Ode,  o  le  pare,  là,  verso  la  chiesa, 
Un  sordo  tramenio,  come  di  gente 
Che  soprarrivi  cheta  e  frettolosa 
E  s'argomenti  di  tentar  qualcosa. 


Insospettita  fermasi,   e  s'acquatta 
Giù  rannicchiata,  dietro  a  certi  sassi 


D'una  vecchia  casipola  disfatta, 
Distante  dalla  chiesa  un  trenta  passi  ; 
E  di  lì  guarda,  e  scorge  esterrefatta 
Un  gruppo  strano,   e  parie  che  s'abbassi 
In  atto  di  sbarbar  con  violenza 
Di  terra  cosa  che  fa  resistenza. 

Ecco  si  smuove  una  lapide  ;  e  tosto 

S'alza  quel  gruppo,   e  indietro  si  ritira. 

E  di  subito  giunge  là  discosto 

Il  grave  puzzo  che  l'avello  spira. 

Senza  alitare  o  muoversi  di  posto, 

Trema  la  donna  misera,  e  s'ammira, 

Qual  chi  dorme  e  non  dorme  e  in  sogno  orrendo 

Volteggia  col  pensier  stupefacendo. 


5Ul  : 


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Toesie  del  Giusti  illustrate.  —  edizione  nerbini 


Fascicolo  25. 


386 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


Lenta   calarsi   dentro  e  risalire 
Una  figura  vede  dall'avello, 
E  sorta,  accorrere  i  compagni,  e  dire 
Un  non  so  che  di  testa  e  di  coltello 
E   allor  le  parve  vedere  è  sentire 
Ricollocar  la  lapide  bel  bello  ; 
Poi  tutti  verso  lei  tendere  al  piano, 
E  innanzi^un  d'essi  con  un  peso  in  mano. 


Quel  vederli  venire  alla  sua  volta 
Tanto  le  crebbe  tremito  e  spavento, 
Che  dentro  si  sentì  tutta  sconvolta 
E  chiuse  gli  occhi  e  uscì  di  sentimento. 
Quelli  che  con  molt'  impeto  e  con  molta 
Fretta  correano  in  basso  all'altro  intento, 
Raccolti  in  branco  e  presa  la  calata, 
L'ebber  senza  notarla  oltrepassata. 

Non  molto  andaro  in  giù,   che  dalla  via 
Torsero  a  manca,  e  pervennero  in  loco 
Ove  per  molti  ruderi  s'uscìa 
Ne'  campi,  scosti  dalle  case  un  poco. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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La  poveretta  che  si  risentia 
Ecco,  vede  laggiù  sorgere  un  foco, 
E  parecchi  d'  intorno  affaccendati 
Dal  baglior  delle  fiamme  illuminati. 

Brillò  la  fiamma  appena,  che,  non  lunge 
Da  lei,  più  gente  a  gran  corsa  si  sferra, 
E,  giù  piombata  in  un  attimo,  giunge 
Là  dove  lo  splendor  s'alza  da  terra  : 
E  altra  gente  gridar  che  sopraggiunge, 
E^d'un'altra  che  fugge  il  serra  serra  ; 
E  su  per  giù  per  fossi  e  per  macchioni 
Stormir  di  frasche,  e  salti  e  stramazzoni. 


S'alza  un  alterco....  Ahi  misera  !   è  la  voce, 
È  la  voce  di  Maso,  e  par  che  tenti 
Di  liberarsi   d'uno  stuol  feroce 
Che  lo  serri  d'  intorno  e  gli  s'avventi  ; 
Tosto  drizzata  in  pie,  scende  veloce 
Onde  veniale  il  suon  de'  fieri  accenti  ; 


Ouand'ecco  che  la  ferma  un  duro  sgherro, 
Con  un  artiglio  che  parea  di  ferro. 


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388 


Toesie  del  Giusti  illustrate 


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Le  spie  del  luogo  avean  raccapezzato, 
Non  si  sa  come,  un  che  di  quel  ritrovo, 
E  un  Ser  Vicario  già  n'era  avvisato 
Famoso  per  trovare  il  pel  nell'ovo  ; 
Ma  tardi  e  male  postisi  in  agguato 
I  bracchi,  mossi  a  chiapparli  sul  covo, 


Fallito  il  colpo  della  sepoltura, 
Te  gli  avean  cólti  alla  cucinatura. 

Raggranellati  tutti  e  fatto  il  mazzo, 
La  donna  fu  creduta  della  lega  : 
Il  merciaiolo  citato  a  Palazzo, 
Svesciando  il  caso  dall'alfa  all'omega, 
Provò  che  per  uscir  dall'  imbarazzo 
Avea  dato  una  mano  alla  bottega. 
Tant'  è  chi  ruba  che  chi  tiene  il  sacco 
Dunque  fu  detto  che  battesse  il  tacco. 

Con  più  giustizia,  della  falsa  accusa 
Uscì  netta  la  misera  innocente  ; 
Ma  di  vergogna  e  di  dolor  confusa 
Pericolò  di  perderne  la  mente  ; 
Perocché  fissa  quella  notte,  e  chiusa 
Nel  proprio  affanno  continuamente, 
Da  paurose  immagini  assalita 
S'afflisse  e  tribolò  tutta  la  vita. 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


389 


Veggano  intanto  i  re,  vegga  l'avaro 
Gentame  intento  a  divorar  lo  Stato, 
Di  quanti  errori  il  pubblico  denaro 
E  di  che  pianto  sia  contaminato  ! 
Fuman  del  sangue  sottratto  all'  ignaro 
Popolo,  per  voi  guasto  e  ^aggirato, 
Le  tazze  che  con  gioia  invereconda 
Vi  ricambiate  a  tavola  rotonda. 

Dritto  e  costume  nel  consorzio  umano 
Così  per  vostre  frodi  hanno  discordia  : 
E  cupidigia  vi  corrompe  in  mano 
E  la  giustizia  e  la  misericordia  : 
Che  assolver  non  si  puote  un  atto  insano 
Che  con  legge  e  ragion  rompe  concordia  : 
Né  giustamente  l'error  mio  si  danna, 
Quando  il  giudice  stesso  è  che  m' inganna. 

Premesso  questo,  è  tempo  di  sbrigare 
Anche  quegli  altri  che  lasciammo  presi. 
Dopo  un  gran  chiasso  e  un  grande  almanaccare 
Di  spie,  di  birri  e  di  simili  arnesi  ; 


Dopo  averli  tenuti  a  maturare, 
Come  le  sorbe,  in  carcere  se'  mesi 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


Dopo  un  processo  lungo  lungo  lungo, 

Si  svegliò  la  Giustizia-  e  nacque  il  fungo. 

E  fu,   che  resultava  dal  processo 
Violato  sepolcro  e  sortilegio  : 
Ma  visto  che  il  delitto  fu  commesso 
Per  il  lotto,  e  che  il  lotto  è  un  gioco  regio, 
Chi  delinque  per  lui,  di  per  sé  stesso 
Partecipa  del  lotto   al   privilegio.   ■ 
Se  fosse  stata  briscola  o  primiera, 
Pover'a  loro!   andavano  in  galera  (8). 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


39i 


A  GINO   CAPPONI 


(1) 


184: 


Vediun  po' ,  Gino  mìo,  che  cosa  vuol  dir,-  l'aver  che  fare  co'  poeti.'  Non  contenti  di  scapriccirsi 
rimando  sul  conto  degli  altri  e  sul  proprio,  (Intimano  anche  gii  amici  a  parte  dei  loro  capricci, 
chi  per  affetto  e  chi  per  far  gente.  Anni  sono,  intitolai  a  te  quella  tirata  sulle  Mummie  Italiche, 
scherzo  cagnesco  che  risente  della  stizza  dei  tempi  nei  quali  fu  scritto  ;  oggi  che  abbiamo  tutti  il  sangue 
più  addolcito,  accetta  questa  aspirazione  a  cose  migliori,  scritta  come  tu  sai,  quando  il  buono  era  sempre 
di  là  da  venire  e  anzi  pareva  lontanissimo.  A  chi  sapesse  che  tu  sei  il  solo  al  quale  ho  ricorso  in  tutto 
ciò  che  passa  tra  me  e  me,  non  farà  meraviglia  questa  pubblica  confessione  che  io  t'  indirizzo  :  a  chi 
non  lo  sapesse,-  ho  voluto  dirlo  in  versi,  tanto  più  che  dal  Petrarca  in  poi  pare  una  legge  poetica  che 
le  affezioni  dei  rimatori  siano  sempre  di  pubblica  ragione.  Lasciami  aggiungere  e  lascia  sapere  a  tutti, 
che  io  ti  son  tenuto  di  molti  conforti  e  di  molle  raddirizzature  :  che  se  tuttavia  mi  restano  addosso  delle 
magagne,   la   colpa   non  è  dell'ortopedico. 

Tuo  affezionai:.0 
Gr'sfppe     GlL'STI. 


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Poesie  del  Giusti  illustrale 


393 


Così  tornata  alla  solinga  stanza 
La  vaga  giovinetta,  in  cui  l'acuta 
Ebrietà  del  suono  e  della  danza 
Né  stanchezza  né  sonno  non  attuta. 
Il  fragor  della  festa  e  l'esultanza 
Le  romba  intorno  ancor  per  l'aria  muta; 
E  il  senso  impresso  de'  cari  sembianti 
E  de'  lumi  e  de'  vortici  festanti 
In  faticosa  vision  si  muta. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate  395 


Come  colui  che  naviga  a  seconda 
Per  correnti  di  rapide  fiumane, 
Che  star  gli  sembra  immobile,  e  la  sponda 
Fuggire  e  i  monti  e  le  selve  lontane  ; 
Così  l' ingegno  mio  varca  per  l'onda 
Precipitosa  delle  sorti  umane  : 
E  mentre  a  lui  dell'universa  vita 
Passa  dinanzi  la  scena  infinita, 
Muto  e  percosso  di  stupor  rimane  (2). 


E  di  sordo  tumulto  affaticarme 
Le  posse  arcane  dell'anima  sento  ; 
E  guardo,  e  penso,  e  comprender  non  parme 
La  vista  che  si  svolve  all'occhio  intento  ; 
E  non  ho  spirto  di  sì  pieno  carme 
Che  in  me  risponda  a  quel  fiero  concento  ; 
Così  rapito  in  mezzo  al  moto  e  al  suono 
Delle  cose,  vaneggio  e  m'abbandono, 
Come  la  foglia  che  mulina  il  vento  (3). 


Ma  quando  poi  remoto  dalla  gente, 
Opra  pensando  di  sottil  lavoro, 
Nelle  dolci  fatiche  della  mente 
Al  travaglio  del  '  cor  cerco  ristoro  ; 
Ecco  assalirmi  tutte  di  repente, 
Come  d'  insetti  un  nuvolo  sonoro, 
Le  rimembranze  delle  cose  andate  ; 
E  larve  orrende  di  scherno  atteggiate 
Azzuffarsi  con  meco  ed  io  con  loro. 


Così  tornata  alla  solinga  stanza 
La  vaga  giovinetta,  in  cui  l'acuta 
Ebrietà  del  suono  e  della  danza 
Né  stanchezza  né  sonno  non  attuta, 
Il  fragor  della  festa  e  l'esultanza 
Le  romba  intorno  ancor  per  l'aria   muta  ; 
E  il  senso  impresso  de'  cari  sembianti 
E  de'  lumi  e  de'  vortici  festanti 
In  faticosa  vision  si  muta. 


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396  Toesie  del  Giusti  illustrate 


Come  persona  a  cui  ratto  balena 
Sùbita  cosa  che  d'obliar  teme, 
Così  la  penna  afferro  in  quella  piena 
Del  caldo  immaginar  che  dentro  freme  ; 
Ma  se  sgorgando  di  diffidi  vena 
La  parola  e  il  pensier  pugnano  insieme, 
Io,  di  me  stesso  diffidando,  poso 
Dal  metro  audace,  e  rimango  pensoso, 

E  l'angoscia  d'un  dubbio  in  cor  mi  geme. 


Dunque  su  questo  mare  a  cui  ti  fide 
Pericolando  con  sì  poca  vela, 
Il  nembo  sempre  e  la  procella  stride 
E  de'  sommersi  il  pianto  e  la  querela  ? 
E  mai  non  posa  l'onda,  e  mai  non  ride 
L'aere,  e  il  sol  di  perpetue  ombre  si  vela  ? 
Di  questa  ardita  e  travagliata  polve 
Che  teco  spira  e  a  Dio  teco  si  volve 
Altro  che  vizio  a  te  non  si  rivela  ? 


E  chi  sei  tu  che  il  libero  flagello 

Ruoti,  accennando  duramente  il  vero, 
E  che  parco  di  lode  al  buono  e  al  bello 
Amaro  carme  intuoni  a  vitupero  ? 
Cogliesti  tu,  seguendo  il  tuo  modello, 
Il  segreto  dell'arte  e  il  ministero  ? 
Diradicasti  da  te  stesso  in  pria 
E  la  vana  superbia  e  la  follìa, 

Tu  che  rampogni  e  altrui  mostri  il  sentiero  ?  (4). 


Allor  di  duol  compunto,  sospirando, 

De'  miei  pensieri  il  freno  a  me  raccolgo  ; 
E  ripetendo  il  dove,  il  come,  il  quando, 
La  breve  storia  mia  volgo  e  rivolgo, 
Ahi  del  passato  l'orme  ricalcando 
Di  mille  spine  un  fior  misero  colgo  ! 
Sdegnoso  dell'errar,  d'error  macchiato, 
Or  mi  sento  co'   pochi  alto  levato, 
Ora  giù  caddi  e  vaneggiai  col  volgo  ! 


SUI; 


Poesie  del  Giusti  illustrate  397 


Misero  sdegno,  che  mi  spiri  solo, 

Di  te  si  stanca  e  si  rattrista  il  core  ! 
O  farfalletta  che  rallegri  il  volo, 
Posandoti  per  via  di  fiore  in  fiore, 
E  tu  che  sempre  vai,  mesto  usignolo, 
Di  bosco  in  bosco  cantando  d'amore, 
Delle  vostre  dolcezze  al  paragone, 
In  quanta  guerra  di  pensier  mi  pone 
Questo  che  par  sorriso  ed  è  dolore  !  (5) 


Oltre  la  nube  che  mi  cerchia  e  in  seno 
Agita  i  venti  e  i  fulmini  dell'  ira, 
A  più  largo  orizzonte,   a  più  sereno 
Cielo,  a  più  lieto  voi  l'animo  aspira  ; 
Ove  congiunti  con  libero  freno 
I  forti  canti  alla  pietosa  lira, 
Di  feconda  armonia  l'etere  suoni  , 
E  sian  gì'  inni  di  lode  acuti  sproni 
Alla  virtù  che  tanto  si  sospira. 


O  Gino  mio,  se  a  te  questo  segreto 
Conflitto  della  mente  io  non  celai, 
Quando  accusar  del  canto  o  mesto  o  lieto 
In  me  la  nota  o  la  cagion  udrai  : 
Narra  quel  forte  palpito  inquieto, 
Tu  che  in  altrui  l' intendi  e  in  te  lo  sai, 
Di  quei  che  acceso  alla  beltà  del  vero 
Un  raggio  se  ne  sente  nel  pensiero, 

E  ognor  lo  segue  e  non  lo  giunge  mai  (6). 


E  anch'  io  quell'ardua  immagine  dell'arte, 
Che  al  genio  è  donna  e  figlia  è  di  natura, 
E  in  parte  ha  forma  dalla  madre,  in  parte 
Di  più  alto  esemplar  rende  figura  ; 
Come  l'amante  che  non  si  diparte 
Da  quella  che  d'amor  più  l'assecura, 
Vagheggio,  inteso  a  migliorar  me  stesso  ; 
E  d' innovarmi  nel  pudico  amplesso 
La  trepida  speranza  ancor  mi  dura. 


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398 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


I  TRENTACINQUE  ANNI 


1844. 


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Grossi,   ho  trentacinque  anni,   e  m'  è  passata 
Quasi  di  testa  ogni  corbellerìa  ; 
O  se  vi  resta  un  grano  di  pazzìa, 
Da  qualche  pelo  bianco  è  temperata. 

Mi  comincia  un'età  meno  agitata, 
Di  mezza  prosa  e  mezza  poesia  ; 
Età  di  studio  e  d'onesta  allegria, 
Parte  nel  mondo  e  parte  ritirata. 

Poi,  calando  giù  giù  di  questo  passo 
E  seguitando  a  corbellar  la  fiera, 
Verrà  la  morte,   e  finiremo  il  chiasso. 

E  buon  per  me,  se  la  mia  vita  intera 
Mi  frutterà  di  meritare  un  sasso 
Che  porti  scritto  :  «  Non  mutò  bandiera  ». 


Poesie  del  Giusti  illustrate  399 


ANNOTAZIONI 


(li.    sortilegio). 


(1)  Enrico  Mayer  di  Livorno  è  uno  di  quegli  uomini,  pei  quali  il  giudizio  della  posterità  in- 
comincia in  vita.  Esso  era  uno  dei  campioni  del  progresso  che  coi  Ridolfi,  Capponi,  Lambruschini, 
Montanelli,  Puccini,  Orlandini,  Pieri,  Ricasoli,  Centofanti,  Viesseux,  Odaldi,  Torrigiani,  Thouar, 
Giusti  ed  altri  non  pochi  resero  in  tanta  fama  la  coltura  della  Toscana. 

Nel  1844  il  nostro  Poeta  era  travagliato  da  una  malattia  di  fegato,  la  quale  portavalo  ad  una 
malinconia  così  desolante  che  il  soccorso  degli  amici,  e  lo  svago  del  viaggio  che  intraprese  a  Roma, 
Napoli  e  Milano  non  valsero   a  togliere  totalmente. 

(2)  Questa  pungente  ed  amara  satira  non  perde  il  pregio  dell'attualità.  Sono  passati  anni  pa- 
recchi dacché  fu  pubblicata,  e  tuttora  pinge  al  vero  le  imposture  dei  cerretani  sacro-profani.  Il  credito 
nelle  plebi  del  Libro  de'  Sogni,  di  cui  se  ne  sono  fatte  più  edizioni  che  della  Bibbia  e  della  Divina 
Commedia,  e  la  credulità  sono  gli  studi  dei  disperati. 

Continuasi  nelle  nostre  città  primarie  a  prestar  fede  ai  sogni,  e  a  passarsi  di  casa  in  casa  il 
Libro  che  li  spiega,  e  nelle  campagne  il  giuoco  del  lotto  non  è  mai  allignato  come  in  oggi,  ed  è  il 
benvenuto  qualunque  impostore  che  con  una  impudente  sicumera  porge  ai  creduli  tre  numeri  sicuri. 

(3)  Botteghino,  significa  banco  del  lotto.  La  Prenditoria  era  un  botteghino,  o  un  banco  ove  si  face- 
vano le  maggiori  giuocate. 

(4)  Depositeria  dicevasi,  a  tempo  del  governo  lorenese,  la  tesoreria  dello  Stato. 

(5)  Bricciche,  significa  minutaglia  e  sottigliumi. 

(6)  Questo  fatto,  degno  del  medio  evo,  corre  fama  che  avvenisse  in  un  castello  delle  montagne 
di  Pistoia  ;  alcuni  lo  dicono  Pitellio,  altri  parlano  di  Piteccio.  In  ogni  modo  il  fatto  fu  vero,  e  non 
frutto  di  poetica  fantasia. 

(7)  Giuoco  imperiale  e  reale,  allude  al  governo  della  Toscana  sotto  un  principe  della  Casa  d'Austria. 

(8)  Il  giuoco  è  una  passione  ingenita  di  tutti  gli  oziosi  e  i  dissipati.  Se  a  questa  tendenza  voi  ci 
unite  un  grosso  premio,  come  avviene  appunto  nel  giuoco  del  lotto,  il  popolo  che  beve  grosso  non 
pensa  all'  improbabilità  della  vincita,  ma  si  bea  nell'  isperato  sorriso  della  fortuna  e  tira  via. 

Che  monta,  se  per  la  giuocata  di  un  terno  ci  sono  sette  milioni  di  combinazioni  in  contrario  ? 
Ve  ne  ha  anche  una  in  favore  e  questa  illude,  abbaglia  e  trascina  le  genti. 

Ai  tempi  di  Giuseppe  Giusti  il  giuoco  del  lotto  era  in  minor  favore  che  in  oggi  e  la  ragione  ne 
è  chiara.  Il  progresso  delle  giuocate  è  in  ragione  inversa  della  prosperità  pubblica  e  nel  1814  era  la 
Toscana  troppo  ricca,  per  il  proprio  lavoro,  da  domandare  al  caso  una  fortuna  straordinaria.  Il  lotto, 
su  per  giù,  era  riservato  al  popolino.  Ora  la  cosa  muta.  La  ricchezza  pubblica  si  è  menomata.  Le 
imposizioni  si  sono  accresciute  e  i  commerci  poco  sviluppati.  Né  questo  è  il  tutto.  Le  lotterie  pub- 
bliche e  private,  palesi  o  clandestine,  hanno  preso  un  formidabile  incremento.  Sono  venute  fuori 
le  tombole  ad  ogni  festa,  le  lotterie  dei  gallinai,  che  non  si  sa  perchè  si  proibiscono  se  se  ne  per- 
mettono altre  di  consimili,  o  se  sono  tollerate  quelle  delle  fiere  e  quelle  degli  imprestiti  dei  Comuni, 
del   Governo  e  dei  particolari. 

L'  Italia  è  divenuta  una  gran  bisca  quasi  alla  pari  di  Baden  e  dell'Austria,  e  la  irruenza  del  gioco 
è  tale  che  ci  vuol  altro  che  delle  poesie  e  dei  sermoncini  per  porvi  un  freno. 

Con  che  non  biasimiamo  i  generosi  e  meritori  conati  dei  moralisti,  degli  economisti  e  dei  poeti, 
ma  siamo  fermamente  persuasi  che  fino  a  tanto  che  gì'  italiani  non  si  daranno  al  lavoro  con  cura 
indefessa  e  che  la  prosperità  pubblica  si  sarà  accresciuta,  non  è  a  sperarsi  che  cessi  la  monomania 
del  giuoco  del  lo.tto,  il  quale  toglie  dalle  vuote  scarselle  degl'  italiani  non  meno  di  80  milioni  all'anno 

Nunc  erudimini. 


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400  Poesie  del  Giusti  illustrate 


(a  Gino  Capponi). 


(1)  Nel  1847  1'  Italia  si  risvegliava  animata  dalla  voce  di  Pio  IX,  cui  dovettero  piegare,  loro 
malgrado  i  principotti  d'  Italia,  con  più  o  meno  velata  ipocrisia.  Carlo  Alberto  per  un  lato,  e  Fer- 
dinando II  per  l'altro,  avevano  fatto  atto  di  indipendenza  l'uno  contro  l'Austria  e  1'  altro  contro 
1  Inghilterra  :  essi  avevano  armi,  armati  e  coraggio  e  ognuno  per  sé  avrebbe  volon'ieri  stesa  la  mano 
alla  corona  d'  Italia.  Allora  si  leggevano  e  si  meditavano  le  opere  dei  grandi  scrittori  nazionali,  le 
quali  erano  un  avvenimento,  una  festa,  una  gioia.  Come  era  bella  quella  primavera  della  nuova 
Italia  !  Vecchi  e  giovani,  donne  e  fanciulli,  poveri  e  ricchi,  sacerdoti  e  soldati:  tutti  concordemente 
plaudivano  ai  tempi  nuovi  e  il  1^47  fu  un  inno  e  un  ditirambo  continualo.  Giuseppe  Giusti,  che 
tanto  aveva  scritto  per  rialzare  gli  animi  degli  italiani,  non  poteva  non  compiacersene,  veggendo 
che  i  vizi  e  le  accidie  da  esso  stigmatizzate  avevano  ceduto  il  luogo  ad  alti  e  virili  sensi  di  libertà 
e  di  indipendenza  nazionale. 

Egli  si  indirizzava  a  Gino  Capponi,  non  degenere  nipote  de'  magnanimi  avi  e  della  libertà 
della  patria  e  delle  arti  belle  e  dei  buoni  studi  zelantissimo. 

Come  nei  poeti  è  costume,  volle  che  pubbliche  fossero  le  attestazioni  e  le  manifestazioni  esterne 
di  quel  culto  che  nutriva  per  questo  grande  italiano,  dal  fato  destinate  a  scpravivergli  e  ad  accoglierle 
morente  fra  le  braccia. 

(2)  Con  questa  poesia  l'autore  volle  richiamare  in  vita  una  delle  tante  forme  antiquate,  e  bene 
fece  ;  la  poesia  come  arte  bella  è  antica  in  Italia  e  se  anch'essa  dovette  passare  per  la  trafila  del  ba- 
rocchismo e  dell'ampollosità,  fu  pure  elegante,  pudica  e  tersa  nei  tempi  nei  quali  erano  castigate 
la  pittura,  la  scoltura  e  l'architettura.  Noi  crediamo  che  non  sia  male  in  tutte  le  cose  tornare  di 
quando  in  quando  ai  principi  e  ottemperare  ai  sovrani  dettami  dell'estetica  le  facili  e  crmpiaccmi  Muse. 

In  ogeri  la  poesia  non  diremmo  che  sia  in  decadenza  assoluta,  ma  è  certo  che  non  ha  ancora 
preso  quello  slancio  che  avrebbe  dovuto  imprimerle  la  ep'  pèa  italiana,  che  grande  ella  è,  e  ma- 
raviglio^ e  argomento  di  onore,  gloria  ed  orgoglio  di  noi  contemporanei  che  tramanderemo  1'  Italia 
bene  o  male  fatta  e  compita  ai  nostri  figli. 

(3)  Non  sappiamo  a  qual  robustezza  di  dettato  e  bellezza  di  forma  sarebbe  asceso  Giuseppe 
Giusti,  se  a  quarant'anni  la  morte  non  lo  coglieva.  Dai  frammenti  dell'Arie  e  anche  da  queste  robuste 
strofe  si  scorge  il  progresso  che  l'autore  aveva  già  fatto  dai  buoni  e  profondi  studi.  Ornato  è  spiri- 
toso prosatore  sempre,  a  poco  a  poco  temprava  nella  poesia  sempre  più  l'aculeo  della  satira  nella 
venustà  e  splendidezza  della  forma. 

Ma  il  cielo  invido  ce  lo  rapì  innanzi  sera,  come  fa  sempre  dei  buoni. 

4)  Questo  esame  di  coscienza  succeduto  ad  una  similitudine  gentile  quanto  cara,  tocca  al  su- 
blime e  davvero  che  rivela  la  ispirazione  poetica.  È  una  ingenua  confessione,  nella  quale  il  Giusti 
rivela  ad  un  tempo  la  sua  grandezza  e  il  modesto  sentire  di  sé  stesso.  —  Siam  polve  tutti  —  angelo 
nessuno,  e  nessuno  pienamente  demone,  e  nel  fòro  della  coscienza  anche  i  grandi  uomini  spesse  volte 
sentono  che  nacquero  dalla  creta,  onde  sorse  il  dettato,  che  quando  è  solo  nessun  uomo  è  un  ero'. 

(5)  Qui  è  ripresa  magnificamente  l'umana  natura.  Le  grandi  gioie  incitano  al  pianto  e  muovono 
e  atteggiano  il  sentimento  al  duolo,  duolo  se  vuoisi,  ci  si  perdoni  l'antitesi,  voluttuoso,  ma  pur  duolo 
sempre  anche  se  unito  al  riso.  Lo  si  sa,  spesso  si  ride  quando  e  appunto  perchè  non  si  può  piangere 
e  di  quel  riso  si  muore,  mentre  non  si  muore  mai  di  pianto. 

(6)  £  vero  :  la  irrequietezza  della  mente  mai  paga  di  sé  stessa,  che  più  va  crescendo  con 
più  si  accresce  il  sapere,  è  il  movente,  delle  grandi  concezioni.  Che  se  si  marita  ad  alto  e  nobil 
cuore  ti  porta  ai  miracoli  delle  arti  belle,  se  all'amor  di  patria,  all'eroismo  od  al  martiric,  se  all'ele- 
vatezza della  mente  alla  politica,  alle  matematiche  o  alla  filosofia.  È  in  forza  di  questo  pungolo 
che  va  dicendo  all'  ingegno  umano,  cammina,  cammina,  che  si  operano  i  prodigi  della  scienza  ed 
i  miracoli  dell'arte.  Quando  vi  è  un'armonia  prestabilita  fra  1'  intelletto  e  il  cuore,  qualunque 
sia  la  tempra  organica  e  sentimentale  delle  individualità,  queste  salgono  all'apogèo  dell'umana 
grandezza.  E  questo  che  noi  diciamo  in  misere  parole,  chiaramente  viene  esplicato  in  forte  e  robusto 
eloquio  nei  versi  che  il  Giusti  diresse  al  venerando  Gino  Capponi,  i  quali  faranno  testimonianza 
ai  posteri  della  amicizia  che  legava  questi  due  onorandi  italiani. 


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POESIE    DEL    GIUSTI     ILLUSTRATE 


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Poesie  del  Giusti  illustrate.  —  edizione  nerbini 


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Fascicolo  26. 


Toesie  del  Giusti  illustrate  403 


I  BRINDISI 


(1) 


1843. 


Mia  cara  amica, 

Voi  Milanesi  siete  assuefatti  a  vedere  il  carnevale  che  fa  un  buco  nella  quaresima  e  ruba  otto  giorni 
all'  Indulto.  Non  so  o  non  mi  ricordo  chi  v'abbia  data  questa  licenza  :  ma  deve  essere  stato  di  certo  un 
papa  di  buon  umore  e  di  maniche  larghe.  Noi,  finite  le  maschere  {almeno  quelle  di  cartapesta)  e  rima- 
nendoci addosso  uno  strascico  di  svagatezza,  come  rimane  negli  orecchi  il  suono  dei  violini  dopo  una 
festa  da  ballo,  ci  pigliamo  a  titolo  di  buon  peso,  e  senza  licenza  dei  superiori,  il  solo  giorno  delle  Ceneri, 
e  tiriamo  via  a  godere  fino  alla  sera,  come  se  il  Mementomo  non  fosse  stato  detto  a  noi.  Voi  quegli  otto 
giorni  li  chiamate  il  carnevalone,  e  noi  quest'unico  gìornarello  di  soprapiù  lo  chiamiamo  il  carnevalino. 

La  sera  del  giovedì  grasso  del  1842,  uno  di  quei  tali  che  danno  da  mangiare  per  ozio  e  per  sentirsi 
lodare  il  cuoco,  aveva  invitati  a  cena  da  diciotto  0  venti,  tutti  capi  bislacchi  chi  per  un  verso  e  chi 
per  un  altro,  e  tutti  scontenti  che  il  carnevale  fosse  lì  lì  per  andarsene.  V'erano  nobili  inverniciati  di 
fresco  e  nobili  un  po'  intarlati  ;  v'erano  banchieri,  avvocati,  preti  alla  mano,  insomma  omni  genere  mu- 
sicorum.  Tra  gli  altri,  non  so  come,  era  toccato  un  posto  anche  a  due  che  pizzicavano  di  poeta,  agli  anti- 
podi uno  dall'altro,  ma  tutti  e  due  portati  allo  stile  arguto  0  faceto  come  vogliamo  chiamarlo.  Il  padrone , 
sapendo  V  ìndole  delle  bestie,  per  rimediare  allo  sproposito  fatto  d'  invitarli  insieme,  prò  bono  pacis  li 
aveva  collocati  alle  debite  distanze.  Il  primo  era  un  abate,  solito  a  tenere  la  Bibbia  accanto  a  Voltaire, 
buon  compagnone,  tagliato  al  dosso  di  tutti,  né  guelfo  né  ghibellino,  dirotto  al  mondo,  un  maestro  di 
casa  nato  e  sputato.  L'altro  era  un  giovane  né  acerbo,  né  maturo,  una  specie  di  cinico  elegante,  un 
viso  tra  il  serio  ed  il  burlesco,  da  tenere  una  gamba  negli  studi  e  una  nella  dissipazione,  e  via  discorrendo. 
La  cena  passò  in  discorsi  sconnessi,  in  pettegolezzi,  in  lodi  al  Bordeaux  e  ai  pasticci  di  Strasburgo  : 
vi  fu  un  po'  di  politica,  un  po'  di  maldicenza  :  per  farla  breve,  fu  una  cena  delle  solite. 

Alla  fine,  cioè  due  ore  dopo  la  mezzanotte,  il  padrone  nel  congedare  i  convitati  disse  loro  :  «  Spero 
che  il  primo  giorno  di  quaresima  vorrete  favorirmi  alla  mìa  villa  a  fare  il  carnevalino  ».  Ringraziarono, 
e  accettarono  tutti.  Ma  uno,  0  che  si  dilettasse  di  versi,  0  che  avesse  alzato  il  gomito  più  degli  altri,  gridò: 
«  Alto,  signori  ;  prima  dì  partire,  i  due  poeti  ci  hanno  a  promettere  per  quel  giorno  di  fare  un  brin- 
disi per  uno  ».  Gli  altri  applaudirono,  e  i  poeti  bisognò  che  piegassero  la  testa. 

Venne  il  giorno  delle  Ceneri,  e  nessuno  mancò  né-  alla  predica  né  al  desinare.  Passato  questo  né 
più  né  meno  com'era  passata  la  cena,  «  Sor  abate,  tocca  a  lei  !  »  gridò  quello  stesso  che  aveva  proposto  i 
brindisi  :  e  l'abate  che  in  quei  pochi  giorni  aveva  chiamato  a  raccolta  i  suoi  studi  tanto  biblici  che  vol- 
terriani, accomodandoli  all'  indole  della  brigata,  si  messe  in  positura  di  recitante,  bevve  un  altro  sorso 
che  fu  come  il  bicchiere  della  staffa,  e  poi  spiccò  la  carriera  di  questo  susto  : 


Io  vi  ho  promesso  un  brindisi,  ma  poi  (2) 
Di  scrivere  una  predica  ho  pensato 
Perchè  nessuno  mormori  di  noi, 
Perchè  non  abbia  a  dir  qualche  sguaiato 
Che  noi  facciamo  la  vita  medesima 
Tanto  di  carneval  che  di  quaresima. 


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404 


Poesie  del  Giusti  illustrale 


Senza  stare  a  citarvi  il  Mementomo 
O  quell'uggia  del  Passio  o  il  Miserere, 
Col  testo  proverò  che  un  galantuomo 
Può  divertirsi,  può  mangiare  e  bere 
E  fare  anche  un  tantin  di  buscherio  (3), 
Senza  offender  Messer  Domine  Dio. 

Narra  l'antica  e  la  moderna  storia 

Che  i  ^ran  guerrieri,  gli  uomini  preclari, 
Eran  famosi  per  la  pappatoria  ; 
Tutto  finiva  in  cene  e  in  desinari  : 


E  di  fatto ,.  un  eroe  senza  appetito 
iia  tutta  l'aria  d'un  rimminchionito. 

Perchè  credete  voi  che  il  vecchio  Omero 
Da  tanto  tempo  sia  letto  e  riletto  ? 
Forse  perchè  lanciandosi  il  pensiero 
SuU'orme  di  quel  nobile  intelletto 
Va  lontano  da  noi  le  mille  miglia 
Sempre  di  meraviglia  inCmeraviglia  ? 

Ma  vi  pare  !  nemmanco  per  idea.' 
Sapete  voi  perchè  l'aspra  battaglie. 
Di  Troia  piace,  e  piace  l'Odissea  ? 
Perchè  ogni  po'  si  stende  la  tovaglia  ; 
Perchè  Ulisse  e  quelli  altri  a  tempo  e  loco 
Sanno  farla  da  eroe  come  da  coco. 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


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405 


Socrate,  che  fu  tanto  riverito 
E  tanto  onora  l'umana  ragione,    . 
Se  vi  faceste  a  leggere  il  Convito  (4) 
Scritto  da  Senofonte  e  da  Platone, 
Vedreste  che  tra  i  piatti  e  l'allegria 
Insegnava  la  sua  filosofia. 


Ma  via,  lasciamo  i  tempi  dell'  Iliade, 
I  sapienti  e  gli  eroi  del  gentilesimo  ; 
Passiamo  ai  tempi  della  santa  Triade, 
Della  Circoncisione  e  del  Battesimo  : 
Piacque  sotto  la  Genesi  il  mangiare 
E  piace  adesso  nell'era  volgare. 

Tutti  siam  d'una  tinta,  e  per  natura 
Ci  tira  la  bottiglia  e  la  cucina  (5)  : 
Dunque  accordiam  la  ghiotta  alla  Scrittura  ;  ' 
Anzi,  portando  il  pulpito  in  cantina, 
Vediam  di  fare  un  corso  di  buccolica  (6) 
Tutto  di  balla  alla  chiesa  cattolica. 


Papa  Gregorio  è  un  papa  di  criterio  (7) 
È  di  Dio  degnamente  occupa  il  posto  ; 
Eppur  si  sa  che  il  timpano  e  il  salterio 
Accorda  all'armonia  del  girarrosto  : 
E  se  i  preti  diluviano  di  cuore, 
Lo  potete  vedere  a  tutte  l'ore. 


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406 


Toesie  del  Giusti  illustrate 


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La  Bibbia  è  piena  di  ghiottonerie  : 
Il  nostro  padre  Adamo  per  un  pomo 
La  prima  fé'  delle  corbellerie, 
E  la  rósa  ne'  denti  infuse  all'uomo  (8). 
S'ei  per  un  pomo  si  giuoco  il  giardino, 
Cosa  faremo  noi  per  un  tacchino  ? 

Niente  dirò  di  Lot  e  di  Noè, 
Né  d'altri  patriarchi  bevitori, 
Né  di  queLpopol  ghiotto  che  Mosè 
Strascinò  seco  per  sì  lunghi  errori  ; 
Che,  male  avvezzo,  sospirò  da  folle 
Perfin  gli  agli  d'  Egitto  e  le  cipolle 

Giacobbe,  dalla  madre  messo  su, 
Isacco  trappolò  con  un  cibreo*  (9), 


E  inoltre  al  primogenito  Esaù 
Le  lenticchie  vendè  da  vero  ebreo  : 
Anzi  gli  Ebrei,  per  dirla  qui  tra  noi, 
Chiedono  il  doppio  da  quel  tempo  in  poi. 

Vo'  dire  anco  di  Gionata,  che,  mentre 
Saulle  intima  ai  forti  d'  Israele 
Di  tener  vuoto  per  tant'ore  il  ventre, 
Ruppe  il  divieto  per  un  po'  di  miele  : 
Tanto  è  ver  che  la  fame  è  si  molesta, 
Che  per  essa  si  giuoca  anco  la  testa. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


4°: 


Venendo  poi  dal  vecchio  testamento 
A  ripassar  le  cronache  del  nuovo  : 
Cariche,  offici,  più  d'un  sacramento, 
Parabole,  precetti,  esempi,  trovo 
(Se  togli  qua  e  là  qualche  miracolo) 
Che  Cristo  li  fé'  tutti  nel  Cenacolo  (io). 

Sembra  che  quella  mente  sovrumana 
Prediligesse  il  gusto  e  l'appetito  : 
Come  fu  visto  alle  nozze  di  Cana 
Che  sul  più  bello  il  vino  era  finito, 
Ed  ei  col  suo  potere  almo  e  divino 
Lì  su  due  piedi  cangiò  l'acqua  in  vino. 

Ed  oltre  a  ciò  rammentano  i  cristiani, 
E  nemmeno  l'eretico  s'oppone, 
Ch'egli  con  cinque  pesci  e  cinque  pani 
Un  dì  sfamò  cinquemila  persone, 
E  che  gliene  avanzar  le  sporte  piene, 
Né  si  sa  se  quei  pesci  eran  balene. 


Ne  volete  di  più  ?  l'ultimo  giorno 

Ch'ei  stette  in  terra  e  che  alla  mensa  mistica 

Ebbe  mangiato  il  quarto  cotto  in  forno, 

Istituì  la  legge  eucaristica, 

E  lasciò  nell'andare  al  suo  destino 

Per  suoi  rappresentanti  il  nane  e  il  vino. 


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408 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


Anzi,  condotto  all'ultimo  supplizio, 
Fra  l'altre  voci  ch'egli  articolò 
Dicon  gli  evangelisti  che  fu  sitio  : 
Ed  allorquando  poi  risuscitò, 
La  prima  volta  apparve,  e  non  è  favola, 
Agli  apostoli,  in  Emaus,  a  tavola. 

E  per  ultima  prova,  il  luogo  eletto 
Onde  servire  a  Dio  di  ricettacolo, 
Se  dall'ebraico  popolo  fu  detto 
Arca,  Santo  dei  Santi  e  Tabernacolo, 
I  cristiani  lo  chiamano  Ciborio  (n) 


Con  vocabolo  preso  in  refettorio." 

Lascerò  stare  esempi  *e  citazioni, 
E  cosa  vi  dirò  da  pochi  intesa, 
Da  consolar  di  molto  i  briaconi  : 
È  tanto  vero  che  la  Madre  Chiesa 
Tiene  il  sugo  dell'uva  in  grande  onore, 
Che  si  chiama  la  vigna  del  Signore. 

Dunque  destino  par  di  noi  credenti 

Nel  padre,  in  quel  di  mezzo  e  nel  figliuolo  (12), 
Di  bere  e  di  mangiare  a  due  palmenti  (13) 
E  tener  su  i  ginocchi  il  tovagliolo  : 
E  se  questa  vi  pare  un'eresia, 
Lasciatemela  dire,  e  così  sia. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


409 


Allegri,  amici  :  il  muso  lungo  un  palmo 
Tenga  il  minchion  che  soffre  d'  itterizia  ; 
Noi  siamo  sani,  e  David  in  un  salmo 
Dice  :  Servite  Domino  in  loetitia  ; 
Sì,  facciam  buona  tavola  e  buon  viso, 
E  anderemo  ridendo  in  Paradiso. 

V abate  era  stato  interrotto  cento  volte  da  risa  sgangherate  ;  ma  alla  chiusa  l'uditorio  andò  in  visi- 
bilio, e  ricolmati  i  bicchieri,  urlò,  cozzandoli  insieme,  un  brindisi  alla  predica  ed  al  predicatore  ;  e  l'urto 
fu  così  scomposto,  che  il  più  ne  bevve  la  tovaglia.  Toccava  ali 'altro,  il  quale,  con  certi  atti  dinoccolati, 
e  senza  cercare  aiuto  nel  vino,  disse  :  «  Signori,  io  in  questi  giorni  non  ho  potuto  mettere  insieme  nulla. 
di  buono  per  voi  :  ma  ho  promesso,  e  non  mi  ritiro.  Solamente  vi  prego  di  lasciarmi  dire  un  certo  brin- 
disi che  composi  tempo  fa  per  la  tavola  d'uno,  che  quando  invita  non  dice  :  venite  a  pranzo  da  me, 
ma  si  tiene  a  quel  modo  più  vernacolo,  o,  se  volete,  più  contadinesco  :  domani  mangeremo  un  boccone 
insieme  ».  —  Udirono  la  mala  parata,  e  il  poeta  incominciò  (14)  : 


BRINDISI  PER  UN  DESINARE  ALLA  BUONA 


A  noi  qui  non  annuvola  il  cervello 
La  bottiglia  di  Francia  e  la  cucina  : 
Lo  stomaco  ci  appaga  ogni  cantina, 

Ogni  fornello. 

I  vini,  i  cibi,  i  vasi  apparecchiati 
E  i  fior  soavi  onde  la  mensa  è  lieta, 
Sotto  1'  influsso  di  gentil  pianeta 

Con  noi  son  nati. 


Queste  due  strofe  non  fecero  né  caldo  né  freddo. 

Chi  del  natio  terreno  i  doni  sprezza, 
E  il  mento  in  forestieri  unti  s'  imbroda, 
La  cara  patria  a  non  curar  per  moda 

Talor  s'avvezza  (15). 


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410 


Toesie  del  Giusti  illustrate 


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Filtra  col  sugo  di  straniere  salse 
In  noi  di  voci  pellegrina  lue  : 
Brama  ci  fa  d'oltramontano  bue 

L'anime  false  (16). 


Qui  il  padrone  e  gli  invitati    cominciarono  a  sentirsi  una  -pulce  negli  orecchi. 

Frolli  siam  mezzi,  frollerà  il  futuro 
Quanta  parte  di  noi  rimase  illesa  : 
La  crepa  dell'  intonaco  palesa 

Che  crolla  il  muro  (17). 

Fuma  intanto  nei  piatti  il  patrimonio  : 
Il  nobiluccio  a  bindolar  1'  Inglese 
(Che  i  dipinti  negati  al  suo  paese, 

Pel  suolo  ausonio 

Raggranellando  va  di  porta  in  porta) 


Fra  i  ragnateli  di  soffitta  indaga  : 
Resuscitato  Raffaello  paga 

Per  or  la  sporta. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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411 


O  nonni,  del  nipote  alla  memoria 
Fate  che  torni,  quando  mangia  e  beve, 


Che  alle  vostre  quaresime  si  deve 

L'  itala  gloria  (18). 

Alzate  il  capo  dai  negletti  avelli  ; 
Urlate  negli  orecchi  a  questi  ciucili 
Che  l'età  vostra  non  patì  granduchi 

Né  stenterelli  (19). 

Tutto  cangiò,  ripreso  hanno  gli  arrosti 
Ciò  che  le  rape  un  dì  fruttaro  a  voi  : 
In  casa  vostra,  o  trecentisti  eroi, 

Comandan  gli  osti. 


Per  tutte  queste  strofe,  la  stizza,  il  dispetto,  la  vergogna  erano  passate  e  ripassate  velocemente  sul 
viso  di  tutti  come  una  corrente  elettrica,  e  già  si  sentivano  al  più  non  posso.  Solamente  l'abate  se  ne 
stava  là  come  interdetto,  tra  la  paura  di  tirarsi  addosso  V  ironia  dell'avversario  per  un  atto  di  disap- 
provazione e  quella  di  perder  la  minestra  per  un  ghigno  che  gli  potesse  scappare.  Il  poeta  seguitava  : 

E  strugger  puoi,  crocifero  bàbbèo.... 

A  questa  scappata,  il  padrone,  che  da  un  pezzo  si  scontorceva  sulla  seggiola  come  se  avesse  i  dolori 
di  corpo,  fatto  alla  meglio  un  po'  di  viso  franco,  disse  con  un  risolino  stiracchiato  :  «  Se  non  rincrescesse 
al  poeta,  potremmo  passare  nelle  altre  stanze  a  bevere  il  caffè,  e  là  udire  la  fine  del  suo  brindisi  ».  ■ — 
Tutti  si  alzarono  issofatto,  andarono,  fu  preso  il  caffè,  e  nessuno  fece  più  una  parola  del  brindisi  rimasto 
in  asso.  Ma  il  poeta  che  stava  iti  orecchi  udì  due  in  disparte  che  si  dicevano  tra  loro  :  «  Che  credete  che  il 


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412 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


brindisi  fosse  bette  fatto,  come  ha  voluto  darci  ad  intendere  ?  Quello  è  stato  un  ripiego  trovato  lì  per  lì, 
per  suonarla  al  padrone  di  casa  ed  a  noi.  —  Che  impertinenti  che  si  trovano  al  mondo  !  rispondeva 
quell'altro  :  a  lasciarlo  dire,  chissà  dove  andava  a  cascare  !  »  — 

Chi  fosse  curioso  di  sapere  la  fine  che  doveva  avere  il  brindisi,  eccola  tale  e  quale 

E  strugger  puoi,  crocifero  bàbbèo, 
L'asse  paterno  sul  paterno  foco, 
Per  poi  briaco  preferire  il  coco 

A  Galileo  ; 


E  bestemmiar  sull'arti,  e  di  Mercato 
Maledicendo  il  Porco  e  chi  lo  fece  (20) 
Desiderar  che  ve  ne  fosse  invece 

Uno  salato  ? 

D'asinità  siffatte,  anima  sciocca, 
T'assolve  la  virtù  del  refettorio  : 
Ciancia,  se  vuoi  ;  ma  sciolta  all'uditorio 

Lascia  la  bocca. 

Se  parli  a  tal  che  l'anima  baratta 
Col  vario  acciottolìo  delle  scodelle, 
In  grazia  degl'  intingoli  la  pelle 

Ti  resta  intatta. 

Chi  visse  al  cibo  casalingo  avvezzo 
Stimol  non  sente  di  sì  bassa  fame, 
Che  paghi  un  illustrissimo  tegame 

Sì  caro  prezzo. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


413 


La  tavola  per  lui  gioconda  scena 
È  di  facezie  e  di  cortesi  modi  ; 
Non  è,  non  è  d'  ingiuriose  lodi 

Birbesca  arena. 

Entri  quel  prete  nella  rea  palestra, 
Che  il  sacro  libro,  docile  al  palato, 
Cita  dove  Esaù  vende  il  primato 

Per  la  minestra  ; 

Ride  in  barba  a  san  Marco  ed  a  san  Luca, 
E  gridi  che  il  suo  santo  è  san  Secondo  (21) 


E  che  il  zampon  di  Modena  nel  mondo 

Compensa  il  duca. 

O  v'entri  il  dottorel  che  come  corbo 
Si  cala  dello  Stato  alla  carogna, 
E  colla  rete  delle  lodi  agogna 

Pescar  nel  torbo  : 


Né  l' indefesso  novellier  s'escluda, 
Bastonator  d'amici  e  di  nemici, 
Famoso  di  cenacoli  patrici 

Buffone  e  Giuda. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Qui  di  lieto  color  brilli  la  guancia, 

Sia  franco  il  labbro  e  libero  il   pensiero" 
No,  tra  gli  amici  contrappeso  al  vero 

Non  fa  la  pancia. 


O  beato  colui  che  si  ricrea 
Col  fiasco  paesano  e  col  galletto  i 
Senza  debiti  andrà  nel  cataletto, 

Senza  livrea  (22). 


Vedete  bene  che  questo  brindisi  non  aveva  che  far  nulla  con  quel  desinare  ;  ed  anch'1  io\pendereì  a 
credere  che  V  intenzione  del  poeta  non  fosse  schietta  farina.  Veramente,  sentirsele  dire  sul  muso,  non  piace 
a  nessuno  ;  e  parrebbe  regola  di  convenienza  che,  mangiando  la  minestra  degli  altri,  si  dovesse  rispar- 
miare chi  ha  il  mestolo  in  mano.  Ma  questi  benedetti  poeti,  con  tutta  la  reverenza  che  professano  a  Mon- 
signor della  Casa,  si  fanno  un  galateo  a  modo  loro  ;  e  specialmente  quando  si  sono  intestati  di  volerla 
dire  come  la  pensano.  —  Potete  bene  immaginarvi  che  a  quella  tavola  il  poeta  cagnesco  bisognò  che  fa- 
cesse un  crocione,  e  che  l'abate  rimase  in  perpetuo  padrone  del  baccellaio.  Ora  ecco  qui  questi  due  brindisi 
al  comando  di  chi  li  vuole.  Il  primo  assicurerà  il  fornaio  a  tutti  gli  scrocconi  che  sapranno  imitarlo  ; 
col  secondo  bisognerà  rassegnarsi  a  mangiare  all'osteria. 


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Toesie  del  Giusti  illustrate  4 1 5 


ANNOTAZIONI 


(1)  I  carnevali  sono  sempre  stati  gran  parte  della  vita  pubblica  degli  italiani.  Ai  tempi  di 
Lorenzo  il  Magnifico  e  di  Leone  X  si  celebrarono  quelli  di  Firenze  e  di  Roma,  poi  vennero  i 
carnevali  di  tutto  l'anno  e  le  maschere  di  tutti  i  giorni  in  Venezia,  quindi  il  carnevalone  di  Milano 
e  infine  gli  splendidi  moderni  carnevali  di  Torino.  A  Roma  e  a  Firenze  durante  que'  giorni  di  cla- 
morosa intemperanza  tutto  era  permesso  e  fino  agli  ultimi  anni  il  mascalzone  entrava,  in  Roma, 
nella  carrozza  del  principe  per  accendere  e  spegnere  il  moccoletto  e  per  dirgli  villania.  Era  un 
rimasuglio   di   quel   giorno   di   festa   e   di   libertà  che  gli  antichi  romani  lasciarono  ai  loro  schiavi. 

Il  carnevalone  di  Milano  fu  un  privilegio  concesso  dai  pontefici  alla  città  e  sacro  alla  riforma 
del  rito  ambrosiano.  A  Venezia  fu  la  politica  che  inventò  i  carnevali.  Bisognava  richiamare  i  ricchi 
forestieri  e  dar  guadagno,  spasso  e  sollazzo  ai  cittadini. 

Nelle  grandi  e  civili  città  i  carnevali  come  le  fiere  oggi  non  hanno  più  ragione  di  essere.  In 
esse  vi  è  fiera  tutti  i  giorni  e  carnevale  tutte  le  notti.  Londra  non  conosce  carnevale,  a  Berlino 
non  si  sa  quando  sia  e  a  Parigi  non  hanno  conservato  che  la  processione  del  bue  grasso  nell'ultimo 
giovedì.  Nel  1843,  epoca  dell'attuale  satira,  le  cose  in  Italia  eran  ben  diverse  dalle  attuali  e  le  ma- 
schere ed  i  tripudi  pazzeschi  del  carnevale  eran  tuttora  all'ordine  del  giorno.  La  tirannide  lo  per- 
metteva, bisognava  un  poco  sgarrirsi. 

(2)  Il  lettore  deve  mirare  alla  estetica  oratoria  e  al  simmetrico  riscontro  dei  due  protagonisti 
e  dei  due  brindisi.  Vi  è  rappresentato  il  passato  e  il  futuro,  l'accidia  ghiotta  e  la  dignità  umana  ; 
la  poesia  da  giullari,  vuota,  corruttrice,  e  adulatrice,  e  la  franca  e  dignitosa  parola  della  nuova  ci- 
viltà. Dal  contrasto  si  vede  qual'era  1'  Italia  fino  al  1843  e  quale  già  si  presentiva  che  sarebbe  stata 
pria  che  finisse  il  secolo. 

Tali  i  protagonisti,  tali  le  poesie.  Il  prete  indifferente  in  politica  e  in  religione,  schiavò  di  tutti 
e  più  dell'epa  ed  epicureo  per  eccellenza,  il  giovane  invece  cinico,  arguto  e  faceto,  ma  di  una  facezia 
che  punge,  scotta  e  brucia,  con  un  piede  negli  studi  ed  uno  nella  dissipazione.  Però  nel  suo  brin- 
disi non  vi  sono  né  bassezze  né  strane  idee  ;  è  un  richiamo  alla  dignità  nazionale  ed  alla  ben  intesa  par- 
simonia domestica  degli  avi  col  fiasco  paesano  ed  il  galletto  e  con  incitamento  al  culto  delle  belle  arti. 

(3)  Buscherio,  indica  chiasso  clamoroso. 

(4)  Una  delle  opere  più  pregiate  di  Platone  ateniese. 

(5)  Ghiotta,  è  quel  recipiente  di  metallo  che  si  tiene  sotto  il  girarrosto  per  raccogliere  l'olio. 

(6)  Buccolica  :  qui  è  preso  nel  senso  volgarissimo  dei  Toscani. 

(7)  Papa  Gregorio  XVl  allora  regnante.  Si  disse  che  amava  la  buona  tavola  e  il  buon  vino  e 
:he  inaffiava  quello  d'Orvieto  con  lo  champagne .  Non  sappiamo  se  ciò  sia  vero.  Sappiamo  invece 
che  fu  dotto,  ma  nemico  della  libertà  politica  senza  alcuna  velleità  di  farsi  chiamare  pari  a  Dio,  come 
fecero  Pio  IX,  Lucifero  e  Adamo. 

(8)  Rósa,  prurito. 

(9)  Cibreo,  è  una  raccolta  di  visceri  di  pollo  cotta  in  salsa  con  ova. 
(io)  Cenacolo,  luogo  ove  si  mangia. 

(li)  Ciborio,  luogo  ove  si  conservano  le  ostie  consacrate. 

(12)  In  quel  di  mezzo,  espressione  impropria  per  indicare  lo  Spirito   Santo. 

(13)  Mangiare  a  due  palmenti,  indica  divorare  senza  modo  e  misura. 

(14)  Critica  di  riscontro  al  fasto  spiegato  dal  pomposo  anfitrione. 

(15)  Tirata  eccellente  contro  la  forestieromania  che  fu  per  tali  anni  vizio  e  vergogna  dell'  Italia 
che  imitava  anche  il  passo  degli  stranieri  e  nulla  era  pregiato  se  non  veniva  da  Londra  o  Parigi. 
Con  quel  brutto  cuore  addosso,  dice  bene  il  Giusti,  si  finiva  col  perdere  ogni  amore  alle  cose  nostre 
ed  a  non  essere  più  né  carne  né  pesce.  Chi  imita  non  sarà  mai  imitato  :  così  ebbe  a  dire  il  Buonarroti. 


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416  Poesie  del  Giusti  illustrate 


(16)  Pur  troppo  anche  la  lingua  nostra  ebbe  a  risentirne  danni  ed  oltraggi,  ed  un  popolo  che  perde 
la  sua  lingua  perde  tutto. 

(17)  Allude  alla  perdita  del  carattere  nazionale. 

(18)  Alle  vostre  quaresime,  cioè  alla  vita  sobria  e  parca  che  lasciava  margine  ai  ricchi  di  inco- 
raggiare gli  artisti  e  sovvenire  i  poveri. 

(19)  Maschera  del  teatro  fiorentino  non  a  caso  ravvicinata  a  quella  dell'ultimo  granduca. 

(20)  Il  Porco  di  Mercato  Nuovo  è  opera  greca.  Quello  che  ora  vi  si  osserva  è  una  copia  fatta  dal 
Papi  ;  l'originale  è  nella  Galleria  degli  Uffizi. 

(21)  Secondo,  paese  ove  si  preparano  le  spallette  di  maiale. 

(22)  Questa  satira  contro  le  dilapidazioni  ed  il  lusso  smodato  della  cucina,  contiene  tante  mag- 
giori verità  quanto  più  si  legge  e  rilegge.  Vi  è  nel  secondo  brindisi  tanto  sdegno  generoso  e  tratt: 
di  incisiva  satira  che  non  fa  meraviglia  se  fu  lodato  e  giunse  opportuno. 

La  gola,  il  sonno  e  le  oziose  piume  hanno  dal  mondo  ogni  virtù  bandita,  e  Giuseppe  Giusti, 
che  questo  sapeva,  col  suo  brindisi  volle  dare  una  nuova  direzione  allo  spirito  e  sentimento  degli 
italiani,  e  visse  tanto  da  vedere  che  la  nuova  èra  spuntava. 


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POESIE   DEL   GIUSTI    ILLUSTRATE 


IL  PAPATO  DI  PRETE  PERO 


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1845. 


Prete  Pero  è  un  buon  cristiano, 
Lieto,  semplice,  alla  mano  ; 

Vive  e  lascia  vivere  (2). 


Si  rassegna,  si  tien  corto, 
Colla  rendita  d'un  orto 

Sbarca  il  suo  lunario. 

Or  m'accadde  di 'sognare 
Che  quest'uomo  singolare 

Dovente  pontefice  (3). 


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Poesie  del  Giusti  illustrate.  —  edizione  nerbini 


Fascicolo  27. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Sulla  cattedra  di  Piero, 
Sopraffatto  dal  pensiero 

Di  pagare  i  debiti, 

Si  serbò  l'ultimo  piano  ; 
^  E  del  resto  al  Vaticano 

Messe  l'appigionasi  (4). 


Abolì  la  Dateria, 

Lasciò  fare  un'osteria 

Di  Castel  Sant'Angelo  (5)  ; 

E  sbrogliato  il  Quirinale, 
Ci  fé'  scrivere  :   Spedale 

Per  i  preti  idrofobi  (6). 

Decimò  frati  e  prelati  ; 
Licenziò  birri,  legati, 

Gabellieri  e  svizzeri  (7)  ; 

E  quel  vii  servitorame, 
Spugna,  canchero  e  letame 

Del  romano  ergastolo  ; 

Promettendo  che  lo  Stato, 
Ripurgato  e  sdebitato, 

Ricadrebbe  al  popolo  (8). 

Fece  poi  su  i  cardinali 
Mille  cose  originali 

Dello  stesso  genere. 

Die  di  frego  agi'  ignoranti, 
E  rimesse  tutti  quanti 

Gli  altri  a  fare  il  parroco  (9). 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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419 


Del  pensiero  ogni  pastoia 
Abolì  :  per  man  del  boia 


Fece  bruciar  1'  Indice  (io) 

E  tagliato  a  perdonare, 
Dove  stava  a  confessare 

Scrisse  :  Datar  omnibus. 

Poi,  veduto'  che  gli  eccessi 
Son  ridicoli  in  sé  stessi, 

Anzi  che  si  toccano, 

Nella  sua  greggia  cristiana 
Non  ci  volle  in  carne  umana 
Angioli  né  diavoli. 

Vale  a  dir,  volle  che  l'uomo 

Fosse  un  uomo  e  un  galantuomo, 
E  del  resto  transeat. 

Bacchettoni  e  libertini 
Mascolini  e  femminini 

Messe  in  contumacia  (11) 


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420 


'Poesie  del  Giusti  illustrate 


In  un  borgo  segregato, 
Che  per  celia  fu  chiamato 

Il  Ghetto  cattolico. 

Parimente  i  miscredenti, 
Senza  prenderla  coi  denti, 

Chiuse  tra  gì'  invalidi  ; 

E  tappò  ne'  pazzarelli 
I  riunti  cristianelli, 

Rifritture  d'ateo. 

Proibì  di  ristacciare 
I  puntigli  del  collare, 

Pena  la  scomunica. 

Proibì  di  belare  inni 
Con  quei  soliti  tintinni, 

Pena  la  scomunica. 

Proibì  che  fosse  in  chiesa 
Più  l'entrata  che  la  spesa, 

Pena  la  scomunica. 

Nel  veder  quell'armeggìo, 
Fosse  il  sogno  o  che  so  io, 

Mi  parea  di  scorgere 


Che  in  quel  papa,  a  chiare  note, 
Risorgesse  il  sacerdote 

E  sparisse  il  principe  (12). 


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Voesie  del  Giusti  illustrate 


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421 


Vo  per  mettermi  in  ginocchio, 

Quando  a  un  tratto  volto  l'occhio 
A  una  voce  esotica, 

E  ti  veggo  in  un  cantone 
Una  fitta  di  corone 

Strette  a  conciliabolo. 


Arringava  il  concistoro 
I^Un  figuro,  uno  di  loro, 

Dolce  come  un   istrice. 

«  No,  dicea,  non  va-  lasciato 
Questo  papa  spiritato, 

Che  vuol  far  l'apostolo, 

Ripescare  in  prò  del  cielo 
Colle  reti  del  Vangelo 

Pesci  che  ci  scappino. 

Questo  è  un  papa  in  buona  fede  : 
È  un  papaccio  che  ci  crede  ! 

Diamogli  l'arsenico  ». 


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422 


'Poesie  del  Giusti  illustrate 


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IL  POETA  E  GLI  EROI  DA  POLTRONA  (,) 


1844. 


Poeta. 
Eroi,  eroi, 
Che  fate  voi  ? 

Eroi. 
Ponziamo  il  poi. 

Poeta. 
(Meglio  per  noi  !) 
O  del  presente 
Che  avete  in  mente  ? 

Eroi. 
Un  tutto  e  un  niente. 

Poeta. 
(Precisamente). 


Che  brava  gente  ! 
Dite,  o  1'  Italia  ? 

Eroi. 

L'abbiamo  a  balia  (2). 

Poeta. 

Balia  pretesca, 
Liberalesca, 
Nostra  o  tedesca  ? 

Eroi. 
Vattel'a  pesca  (3). 

Poeta. 
Lo  so  (Sta  fresca  !). 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


423 


SANT'AMBROGIO 


1846. 


Vostra  Eccellenza  che  mi  sta  in  cagnesco 
Per  que'  pochi  scherzucci  di  dozzina, 
E  mi  gabella  per  anti-tedesco  (1) 
Perchè  metto  le  birbe  alla  berlina; 
O  senta  il  caso  avvenuto  di  fresco 
A  me,  che,  girellando  una  mattina, 
Capito  in  Sant'Ambrogio  di  Milano  (2), 
In  quello  vecchio,  là  fuori  di  mano. 

M'era  compagno  il  figlio  giovinetto 
D'un  di  que'  capi  un  po'  pericolosi, 


Di  quel  tal  Sandro,  autor  d'un  romanzetto 

Ove  si  tratta  di  promessi  sposi.... 

Che  fa  il  nesci,  Eccellenza  ?  o  non  l'ha  letto  ?  (3) , 

Ah,  intendo  :  il  suo  cervel,  Dio  lo  riposi, 

In  tutt'altre  faccende  affaccendato, 

A  questa  roba  è  morto  e  sotterrato. 


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424 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Entro  :   e  ti  trovo  un  pieno  di  soldati, 
Di  que'  soldati  settentrionali, 
Come  sarebbe  boemi  e  croati, 
Messi  qui  nella  vigna  a  far  da  pali  : 
Difatto  se  ne  stavano  impalati, 
Come  sogliono  in  faccia  a'  generali, 


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Co'  baffi  di  capecchio  e  con  que'  musi  (4), 
Davanti  a  Dio  diritti  come  fusi. 

Mi  tenni  indietro  ;  che,  piovuto  in  mezzo 
Di  quella  maramaglia,  io  non  lo  nego 
D'aver  provato  un  senso  di  ribrezzo 
Che  lei  non  prova  in  grazia  dell'  impiego. 
Sentiva  un'afa,  un  alito  di  lezzo  : 
Scusi,  Eccsllenza,  mi  parean  di  sego 
In  quella  bella  casa  del  Signore 
Fin  le  candele  dell'aitar  maggiore. 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


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425 


Ma  in  quella  che  s'appresta  il  sacerdote 


A  consacrar  la  mistica  vivanda, 

Di  subita  dolcezza  mi  percuote 

Su,  di  verso  l'altare,  un  suon  di  banda. 

Dalle  trombe  di  guerra  uscian  le  note 

Come  di  voce  che  si  raccomanda, 

D'una  gente  che  gema  in  duri  stenti 

E  de'  perduti  beni  si  rammenti. 

Era  un  coro  del  Verdi  :   il  coro  a  Dio 
Là  de'  Lombardi  miseri  assetati  ; 
Quello  :  0  Signore,  dal  tetto  natio, 
Che  tanti  petti  ha  scossi  e  inebriati. 
Qui  cominciai  a  non  esser  più  io  ; 
E  come  se  que'  còsi  doventati 
Fossero  gente  della  nostra"  gente, 
Entrai  nel  branco  involontariamente. 

Che  vuol  ella,  Eccellenza,  il  pezzo  è  bello, 
Poi  nostro,  e  poi  suonato  come  va  ; 
E  coli' arte  di  mezzo,  e  col  cervello 
Dato  all'arte,  l'ubbìe  si  buttan  là. 
Ma  cessato  che  fu,  dentro,  bel  bello 
Io  ritornava  a  star  come  la  sa  : 


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426 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Quand'eccoti,  per  farmi  un  altro  tiro, 
Da  quelle  bocche  che  parean  di  ghiro 


Un  cantico  tedesco  lento  lento 

Per  l'aer  sacro  a  Dio  mosse  le  penne. 
Era  preghiera,  e  mi  parea  lamento, 
D'un  suono  grave  flebile  solenne, 
Tal  che  sempre  nell'anima  lo  sento  : 
E  mi  stupisco  che  in  quelle  cotenne, 
In  que'  fantocci  esotici  di  legno, 
Potesse  l'armonia  fino  a  quel  segno. 

Sentia  neh'  inno  la  dolcezza  amara 
S    De'  canti  uditi  da  fanciullo  :  il  core 
Che  da  voce  domestica  gì'  impara 
Ce  li  ripete  i  giorni  del  dolore  : 
Un  pensier  mesto  della  madre  cara, 
Un  desiderio  di  pace  e  d'amore, 
Uno  sgomento  di  lontano  esilio, 
Che  mi  faceva  andar  in  visibilio  (5). 

E  quando  tacque,  mi  fasciò  pensoso 
Di  pensieri  più  forti  e  più  soavi. 
—  Costor,  dicea  tra  me,  re  pauroso 
Degl'  italici  moti  e  degli  slavi 
Strappa  a'  lor  tetti,  e  qua  senza  riposo 
Schiavi  li  spinge  per  tenerci  schiavi  ; 
Gli  spinge  di  Croazia  e  di  Boemme, 
Come  mandre  a  svernar  nelle  maremme. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


427 


A  dura  vita,  a  dura  disciplina, 
Muti,  derisi,  solitari  stanno, 
Strumenti  ciechi  d'occhiuta  rapina 
Che  lor  non  tocca  e  che  forse  non  sanno  : 
E  quest'odio,  che  mai  non  avvicina 
Il  popolo  lombardo  all'alemanno, 
Giova  a  chi  regna  dividendo,  e  teme 
Popoli  avversi  affratellati  insieme. 

Povera  gente  !  lontana  da'  suoi 
In  un  paese  qui  che  le  vuol  male, 
Chi  sa  che  in  fondo  all'anima  pò'  poi 
Non  mandi  a  quel  paese  il  principale: 
Gioco  che  1'  hanno  in  tasca  come  noi.  — 
Qui,  se  non  fuggo,  abbraccio  un  caporale, 
Colla  su'  brava  mazza  di  nocciuolo, 


Duro  e  piantato  lì  come  un  piolo  (6). 


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428 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


I  PIÙ  TIRANO  I  MENO1" 


1848. 


Che  i  più  tirano  i  mencie  verità, 
Posto  che  sia  nei  più  senno  e  virtù  ; 
Ma  i  meno,  caro  mio,  tirano  i  più, 
Se  i  più  trattiene  inerzia  o  asinità. 

Quando  un  intero  popolo  ti  dà 
Sostegno  di  parole  e  nulla  più, 
Non  impedisce  che  ti  butti  giù 
Di  pochi  impronti  la  temerità. 

Fingi  che  quattro  mi  bastonin  qui, 
E  lì  ci  sien  dugento  a  dire  :  Ohibò  ! 
Senza  scrollarsi  o  muoversi  di  lì  ; 

E  poi  sappimi  dir  come  starò 

Con  quattro  indiavolati  a  far  di  sì, 
Con  dugento  citrulli  a  dir  di  no. 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


429 


L'ARRUFFA-POPOLI 


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1848. 


Ateo,  salmista  (2),  apostolo  d'  inganno  ; 
Vile,  se  t'odia  ;  se  ti  palpa  (3),  abietto  ; 
Monco  (4)  al  ferro,  centimano  al  sacchetto  ; 
Nel  no  (5),  maestro  di  color  che  sanno  ; 

Sotto  l'ammanto  dello  stoico  panno 

Cela  il  cor  marcio  e~,'l  mal  dell'  intelletto  ; 
Invidioso,  oltracotante,  inetto  ; 

'    Libera  larva  di  plebeo  tiranno  (6)  : 

Tutto  sfa,  nulla  fa,  tutto^disprezza  ; 

Sonnambulo  ha  il  cervello  e  la  scrittura, 
Sofista  pregno  d' infeconda  asprezza  : 

Fecondità  del  mulo,  a  cui  Natura^  (7) 
Die  forte  il  calcio  e  più  l'ostinatezza, 
Ed  i  cog  .  .  .  .  i  per  cog  .  .  .  atura  (8).  . 


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430  Poesie  del  Giusti  illustrate 


ANNOTAZIONI 


(Il  papato  di  prete  pero). 

(1)  Fu  detto  che  i  poeti  sono  profeti  e  che  i  profeti  non  furono  che  poeti  più  o  meno  inspirati. 
Quell'estro  divino  che  invade  la  mente  e  ricolma  il  cuore  di  quelle  anime  elette  che  tramandano  il 
profumo  delle  poetiche  armonie,  potrebbe  invero  chiamarsi  l'intuito  dell'avvenire,  la  prescienza 
delle  cose  e  una  nebulosa  pregustazione  del  futuro. 

In  ogni  modo  Giuseppe  Giusti  in  questa  poesia  fu  profeta,  e  tale  lo  diciamo,  avvegnaché  nel 
1845  nulla  faceva  presentire  che  1'  Italia  si  sarebbe  svegliata  dal  lungo  sonno,  e  che  sulla  cattedra 
di  San  Pietro  sarebbe  asceso  un  pontefice  di  stampo  antico,  se  non  della  energia  di  Alessandro  III 
e  Giulio  II,  di  buona  volontà  e  di  liberi  e  patriottici  intendimenti. 

Allora  regnava  sul  soglio  pontificio  Gregorio  XVI,  sul  trono  di  Napoli  sedeva  Ferdinando  II 
il  carnefice  dei  Bandiera,  e  su  quello  di  Pietro  Leopoldo,  il  nipote  di  Leopoldo  II,  che  esiliava  dalla* 
Toscana  Massimo  d'Azeglio  per  il  suo  libro  Sui  casi  delle  Ro magne  e  consegnava  il  De  Renzi  alla 
polizia  pontificia. 

_  Chi  avrebbe  mai  in  quel  tempo  potuto  immaginare  e  profetizzare  che  il  successore  di  Gre- 
gorio sarebbe  stato  un  ottimo  prelato,  già  addetto  alla  corte  pontificia  come  guardia  nobile,  poi 
addetto  alle  missioni  del  Chili,  quindi  vescovo  di  Spoleto  e  infine  di  Imola  ! 

Ma  lasciamo  alla  storia  di  giudicare  gli  atti  politici  di  Pio  IX  nella  prima  epoca  e  nell'epoca 
successiva  del  suo  pontificato,  e  di  quando  era  fallibile,  come  dappoiché  tu  dichiarato  infallibile. 

(2)  Prima  virtù  del  sacerdote  deve  essere  quella  della  tolleranza  :  ed  ecco  che  il  valente  poeta 
lo  dice  là  alla  buona,  alla  casalinga,  nella  prima  strofa.  La  seconda  virtù  deve  essere  quella  della 
vita  sobria  e  parca,  dietro  la  gran  legge  di  Cristo  che  il  paradiso  appartiene  ai  poveri  e  che  con- 
viene ai  sacerdoti,  quod  superest  dare  pauperibus,  ed  ecco  che  il  poeta  nella  seconda  strofa  allude 
all'orticello  e  a  poco  più. 

(3)  L'attuale  poesia,  sotto  la  veste  semplice  e  lo  stile  faceto,  è  per  me  una  delle  più  sagge  e 
profonde  che  abbia  scritto  il  celebratissimo  Giusti.  Eccone  la  prova  :  che  fa  il  Poeta  ?  Egli  sogna 
che  questo  modesto  ed  ottimo  sacerdote,  contro  tutte  le  consuetudini  e  la  probabilità,  sia  eletto 
papa.  È  un  sogno  egli  dice,  e  veramente  non  poteva  essere  nel  1845  che  un  sogno  e  dei  più  strani. 
Giovanni  Maria  Mastai  fu  eletto  per  caso,  ed  avanti  che  con  deliberato  proposito  si  elevi  alla  cat- 
tedra di  San  Pietro  un  prete  pari  per  la  bontà  e  la  semplicità  a  Gesù  Cristo,  converrà  che  passino 
molti  secoli,  cioè  questo  non  avverrà  che  dopo  la  riforma  della  Chiesa,  la  quale  oggi  se  si  prepara, 
chi  sa  quando  sarà  attuata. 

(4)  Tutto  qui  è  in  coerenza.  Il  papa  prende  ad  abitare  un  modesto  quartiere  del  Vaticano  e 
lascia  il  resto  al  servizio  pubblico.  Prete  veramente  cattolico  ed  imitatore  di  Cristo  non  si  compiace 
di  mondane  pompe. 

(5)  Il  vicario  di  Cristo  non  deve  avere  altre  armi  cbe  la  preghiera  e  la  pietà  ;  ed  ecco  la  ra- 
gione di  trasformare  in  osteria  il  Castel  S.  Angelo.  Non  deve  piamente  speculare  sulle  Bolle  con  balzelli 
fiscali,  sulle  dispense,  sui  brevi,  sulle  indulgenze,  ecc.,  sempre  gratis,  benché  sempre  pagate.  Di  qui 
l'abolizione  della  Dateria. 

(6)  Vedete  sapienza  !  mentre  oggi  si  mena  tanto  rumore  per  il  preso  possesso  del  Quirinale, 
da  preti  e  frati  tuttora  immersi  fino  ai  capelli  nella  mondana  pegola  :  ecco  che  il  Giusti  dopo  aver 
visto  destinato  il  Vaticano  alle  belle  arti,  scorge  il  Quirinale  fatto  asilo  pio  e  ricovero  d'  infermi, 
e  fra  questi  pone  i  preti  idrofobi,  cioè  i  preti  dissenzienti  dalle  pratiche  sanamente  religiose  del  pon- 
tefice e  con  ciò  dichiara  essi  pure  ammalati. 

(7)  Benissimo.  Qui  si  parla  di  decimazione  e  non  di  abolizione  dei  frati,  e  della  licenza  assoluta 
data  ai  legali,  ai  birri,  ai  gabellieri  e  alle  milizie  svizzere  e  quel  vile  servitorame  che  è  cancro  e  letame 
di  tutte  le  Corti. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate  431 


(8)  Sul  popolo,  col  consenso  dui  popolo,  per  elezione  popolare  fosse  la  signoria  dei  papi,  ed  è 
ben  giusto  che  sia  ricaduta  in  potestà  del  popolo  italiane,  non  per  magnanima  virtù  del  papa,  ma 
per  destino  di  civiltà  e  potenza  di  cannone. 

(9)  I  cardinali  ritornati  alla  cura  delle  anime  e  alla  carica  di  parrocchie  un'altra  delle  riforme 
che  dovranno  avvenire.  Le  sinecure  la  società  presente  male  le  tollera  e  molto  meno  le  tollererà  la 
società  di  coloro  che  verranno. 

(io)  Qui  è  indicata  la  libertà  del  pensiero  e  della  coscienza,  senza  menomare  la  fede  e  la  reli- 
gione, che  sono  bisogno  del  cuore  e  un  assioma  dell'  intelletto. 

(11)  Né  angioli,  né  diavoli,  savia  sentenza  è  questa.  L'uomo  non  può  essere  che  uomo,  e  la  sua 
perfezione  sta  nell'essere  onesto  e  non  di  andare  incontro  agli  istinti  e  ai  sentimenti  della  natura  ; 
quindi  i  bacchettoni  e  i  libertini  sono  dispregevoli  alla  pari. 

Metteva  poi  i  miscredenti  tra  gli  invalidi  (che  tali  sono  al  certo  nella  mente)  come  poneva  nel 
ghetto  i  bacchettoni,  gli  effeminati,  i  libertini  e  i  mascalzoni,  tutta  roba  da  segregarsi  dalla  società. 

(12)  Spariva  il  principe  del  sogno  e  tornava  il  sacerdote.  Ma  nello  stesso  tempo  scorgeva  un  con- 
ciliabolo di  corone  che  dichiaravano  quel  papa  spiritato,  perchè  voleva  far  l'apostolo.  Questo  è  un 
papa  in  buona  fede,  diamogli  l'arsenico. 

Ciò  che  Giuseppe  Giusti  profetizzava  nel  1845  ebbe  un  principio  di  esecuzione  nel  1848,  pria 
che  Pio  IX  si  rivolgesse  all'Austria  ed  ai  gesuiti,  smettendo  di  esser  guelfo  per  diventare  ghibellino 
e  sanfedista.  Vi  fu  infatti  in  quel  torno  di  tempo  un  tentativo  di  avvelenamento  sulla  sua  sacra 
persona  e  si  sa  che  il  cardinale  Micara  non  lo  abbandonava  un  istante. 

Ma  ben  presto  il  papa  nuovo,  buono  ad  esser  papa  vecchio,  un  papa  come  gli  altri,  avverso  alla 
civiltà,  alla  libertà  ed  alla  nazionalità,  chiamò  in  Italia  armi  straniere,  invocò  il  fanatismo  religioso 
e  se  1'  Italia  si  unificò,  non  fu  certo  per  opera  sua,  ma  per  quel  volere  supremo  che  guida  tutte  le 
cose  e  il  quale  volgarmente  si  chiama  :  il  dito  d'  Iddio. 


(il  poeta  e  gli  eroi  da  poltrona). 

(1)  È  questo  un  vero  giojello  poetico  satirico  che  fece  il  giro  dell'  Italia.  Vi  era  Va  propos  e  la 
opportunità.  Questo  scherzo  è  una  graziosissima  tirata  di  orecchie  ai  falsi  medici,  ai  ciarlatani  politici 
che  tutti  avevano  una  panacea  per  curare,  fortificare  e  liberare  1'  Italia  dalla  straniera  servitù. 

(2)  U  abbiamo  a  balia.  Ben  detto:  si  pretendeva  rifare  di  nuovo  1'  Italia,  e  chi  voleva  affidarne 
la  cura  alla  potestà  religiosa  (Gioberti  e  Balbo),  chi  ai  liberali  puri  increduli  al  clero  (Niccolini  e 
Giusti),  altri  alla  confederazione  coll'Austria  (Alberi,  Ranalli  e  Cantù). 

(3)  VatteVa  pesca  —  cioè,  chi  lo  può  sapere  ? 


(sant'ambrogio). 

(1)  Gabella,  mi  tiene  in  concetto,  mi  crede,  ecc. 

(2)  Capito,  mi  trovo,  arrivo,  quasi  a  caso. 

(3)  Fare  il  ne  sci,  vuol  dire  mostrare  di  non  sapere. 

(4)  Capecchio,  stoppa  non  ripulita,  né  pettinata. 

(5)  Visibilio,  dolcezza  senza  pari. 

(6)  E  ripreso  benissimo  lo  stato  miserando  delle  soldatesche  dell'Austria  di  quel  tempo,  senza 
patria  e  senza  speranza  di  gloria.  Costretti  a  fare  da  pioli,  quando  non  facevano  la  parte  di  carnefici 
di  una  gente  diversa  per  lingua,  costumi  ed  intendimenti,  forse  aborrivano  eglino  stessi  colui  che 
qua  li  inviava  e  di  qua  li  richiamava  senza  biasmo  e  senza  lode. 

Il  tedesco  non  è  muto  e  silenzioso  per  natura.  Egli  è  anzi  vivace,  gioviale,  buontempone  ed  anche 
onesto  e  in  gran  parte  colto.  Vi  ha  tuttora  fra  noi  il  pregiudizio  che  gli  abitanti  della  Boemia  e  Croazia 
siano  ignoranti,  duri,  grulli  e  peggio  ;  ma  è  bene  che  si  sappia  che  questo  concetto  è  falsissimo  e 
che  in  quei  paesi  si  studia  più  seriamente  che  da  noi,  si  viaggia  per  istruirsi,  si  fa  tesoro  di  tutti  i 


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43 2  Poesie  del  Giusti  illustrate 


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portati  della  civiltà,  non  si  conosce  né  il  furto,  né  il  pitocchismo.  Ognuno  ama  lavorare  e  trova  lavoro, 
ama  istruirsi  e  si  istruisce,  ama  conoscere  gli  altri  popoli  e  viaggia  per  raggiungere  la  sua  meta. 

Noi  abbiamo  dovuto  arrossire  molte  volte  al  cospetto  degli  Alemanni  nel  vedere  la  crassa  igno- 
ranza delle  nostre  plebi  rurali,  la  loro  accidia,  i  vizi  precoci,  la  profonda  ignavia  e  il  mal  costume. 

Questo  però  nulla  toglie  alla  spiacevole  impressione  provata  dal  nostro  Poeta  nel  1846,  quando 
senti  maritarsi  ad  un  inno  patriottico  musicato  dal  Verdi  un  canto  teutonico  di  oppressione  alla 
conculcata  sua  patria. 

Ma  ecco,  che  nella  dolcezza  dell'immenso  dolore,  il  vate  fattosi  profeta  per  poco  stette  che  non 
abbracciò  un  caporale.  Egli  presentiva  che  sarebbe  venuto  il  tempo  in  cui  noi  italiani  non  avremmo 
avuti  più  fidi  amici  dei  tedeschi,  né  eglino  più  fidi  alleati  di  noi. 


(i     PIÙ    TIRANO     I    MENO). 

(1)  Questo  sonetto  fu  una  delle  ultime  poesie  del  Giusti  :  lo  pubblicò  nei  primi  mesi  del  1849 
e  benché  non  abbia  un  gran  valore  né  politico,  né  poetico,  pure  se  ne  compiaceva.  Gli  costò  molta 
fatica  ed  10  mi  rammento  di  aver  veduto,  allorché  sedevamo  assieme  nel  Parlamento  Toscano,  il 
manoscritto  mille  e  mille  volte  ritoccato  e  corretto.  Ne  prese  il  concetto  dalle  intemperanze  dema- 
gogiche di  quel  tempo  che  un  dì  si  trovò  a  dover  frenare  alla  Camera,  dichiarandole  liberticide. 
Ci  furono  dei  mesi  nel  1848-49  in  cui  seralmente  in  Firenze  l'ordine  pubblico  era  turbato  da  masnade 
e  turbe  di  sfaccendati  tumultuanti.  Tutti  deploravano  queste  orgie  della  libertà  o  meglio  dell'anarchia, 
ma  nessuno  si  faceva  avanti  per  porvi  un  fine. 

Di  ciò  il  Giusti  ne  era  sdegnatissimo  e  riversò  parte  della  generosa  sua  bile  in  questo  sonetto, 
che  però  non  fece  né  caldo  né  freddo  e  lasciò  il  tempo  che  trovò.  Erano  tempi  grossi  quelli,  più 
che  mai  sconvolti  dalla  disfatta  di  Novara.  Il  piemonte  piegò,  tutta  Italia  giacque.  Se  non  che  a 
Tonno  restò  il  Labaro  e  ovunque  il  seme  di  politica  libertà  che  nel  1859  e  l86°  fruttificò  e  fece  piazza 
pulita. 


(l'arruffa  popoli). 

(1)  Questo  sonetto,  che  fu  scritto  in  occasione  delle  improntitudini  demagogiche  dell'  inverno 
del  1848-49,  rivela  nel  poeta  un  animo  asacerbato.  Fu  molto  commentato  nel  partito  dei  conservatori 
e  preso  a  sillabo.  È  una  anticipazione  del  famoso  Rabagas  di  Sardou  che  fece  il  giro  di  tutti  i  nostri 
teatri,  e  si  può  dire  di  tutti  i  teatri  d'  Europa.  P*  -» 

(2)  Salmista  non  starebbe  con  ateo  se  non  si  prendesse  nel  concetto  di  piagnone   moderno  e 
declamatore  iperbolico. 

(3)  Palpa.  Qui  sta  per  strisciarsi  attorno  a  te. 

(4)  Monco  al  ferro  :  cioè  eroe  da  piazza  e  non  da  campo  :  centimano  ossia  Briarèo. 

(5)  Nel  no  ;  cioè  nella  menzogna. 

(6)  Larva  ài  liberalismo,  non  liberale  ma  liberale  apocrifo. 

(7)  Cioè  del  tutto  infecondo. 

(8)  Atura,  nasconde. 


Sili: 


nifi; 


:n\!à 


5W: 


POESIE   DEL  GIUSTI   ILLUSTRATE 


I  DISCORSI  CHE  CORRONO 


1847. 


Onesto  dialogo  è  tolto^  da  una  commedia  intitolata 

I  DISCORSI  CHE  CORRONO 

Vazione  è  in  un  paese  a  scelta  della  platea,  perchè  i  discorsi  che  corrono  adesso  corrono  mezzo 
mondo.  1  personaggi  sono  : 

'  Granchio,  giubbilato  e  pensionato  ; 

Sbadiglio,   possidente  ; 
Archetto,  emissionario  ; 
Ventola,   scroccone  ; 

e  altri  che  non  parlano  o  che  non  vogliono  parlare  (i). 

Questi  soprannomi  l'Autore  non  gli  ha  stillati  per  lepidezza  stenterellesca,  ma  per  la  paura  dì 
dare  in  qualche  scoglio  ponendo  i  nomi  usuali. 

La  commedia  è  in  versi,  perchè  V Autore,  sentendosi  della  scuola  che  corre,  e  sapendo  per  conse- 
guenza di  dover  battere  il  capo  o  in  una  prosa  poetica  o  in  una  poesia  prosaica,  ha  scelto  quest'ultima, 
sicuro  di  non  essere  uscito  di  chiave.  , 

Siccome  il  tempo  va  di  carriera,  e  il  mettere  in  'scena  una  commedia  che  non  sia  del  tempo  e  lo 
stesso  che  uscire  in  piazza  a  fare  il  bello  con  una  giubba  tagliata,  per  esempio,  nel  millottocentoquat- 
tordici,  potrebbe  darsi  che  l'Autore  ritardato  dalla  fantasia  non  potesse  finire  il  lavoro  a  tempo,  e  che 
il  pubblico  non   ne  vedesse  altro  che  questo  brano. 

ATTO  SECONDO 

SCENA  quinta. 
Salotto. 


Da  un  lato  una  Tavola  mezza  sparecchiata.  Granchio  e  Ventola  in  poltrona  al  caminetto.  Gran- 
chio pipa;  Ventola  si  stuzziepi  denti.  Dopo  un  minuto  di  silenzio,  Ventola  s'alza  e  va  a  guar- 
dare il  barometro. 


-uSf 


Poesie  del  Giusti  illustrate.  —  edizione  nerbini 


Fascicolo  28. 


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434 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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GRANCHIO. 

Che  ci  dice  il  barometro  ? 

ventola   (tentennando   il  barometro   colla   nocca). 

Par  che  annunzi  burrasca. 

granchio  (per  attaccar  discorso). 

Meglio  ! 

ventola  (capisce  e  lo  seconda). 

Scusi,  a  proposito, 
Se  vo  di  palo  in  frasca  : 

L'ha  veduta  la  Civica?  (2). 

granchio   (sostenuto). 

L'  ho  veduta. 

VENTOLA. 

Le  piace  ? 

granchio  (noncurante) 

Non  me  n'  intendo. 

ventola  (per  dargli  nel  genio). 
È  un  ridere. 


Che  guerrieri  di  pace  ! 

granchio  (tastandolo). 

Che  la  pigliano  in  celia  ? 

ventola  {con  ammirazione  burlesca). 

In  celia  ?  e  non  fo  chiasso  ! 
La  pigliano  sul  serio  ! 
Per  questo  mi  ci  spasso. 

granchio. 

Fate  male. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


~\m 


435 


VENTOLA. 


M'arrestino  ! 

O  la  scusi  :   che  quella 
Le  par  gente  da  battersi  ? 

granchio  {ironico). 

O  to',  sarebbe  bella  ! 


Una  volta  che  il  principe 
Le  arrischia  anni  e  bandiere, 
Che  gliele  dà  per  dargliele  ? 

ventola  (mostrando  di  leggergli  in  viso). 

La  mi  faccia  il  piacere  ! 

Già  la  lo  sa....  Diciamola 
Qui,  che  nessun  ci  sente  : 
Ci  crede  lei  ? 

granchio  {con  affettazione). 

Moltissimo  ! 

ventola. 
Io  non  ci  credo  niente. 

Per  me  queste  commedie 
Di  feste  e  di  soldati, 
Son  perditempi,  bubbole, 
Ouattrini  arrandellati. 

granchio  {facendo  V  indifferente'). 
Può  essere. 

ventola. 
Può  essere  ? 
È  senza  dubbio....  In  fondo, 
Con  quattro  motuproprii 
Che  si  rimpasta  il  mondo  ? 


426  Poesie  del  Giusti  illustrate 


granchio  (agrodolce). 

Di  con  di  sì. 

VENTOLA. 

Lo   dicano  : 
Altro  è  dire,  altro  è  fare, 

granchio  (come  sopra). 

Eh,  crederei  ! 

VENTOLA. 

Le  chiacchiere 
Non  fan  farina. 

granchio  (come  sopra). 

Pare! 

ventola  (rintosta). 

E  poi,  quelli  che  mestano 
Presentemente,  scusi, 
Con  me  la  può  discorrere, 
O  che  le  paion  musi  ? 

granchio  (asciutto). 

Non  so. 

ventola  (con  sommissione  adulatoria). 

Non  vada  in  collera  ; 
Badi,  sarò  una  bestia, 
Ma  lei,  sia  per  incomodi, 
Sia  per  troppa  modestia, 

Sia  per  disgusti,  eccetera, 
Da  non  rinfrancescarsi, 
Ci  servì  nelle  regole  !... 

granchio  {facendo  V  indiano). 

Cioè  dire  ? 

ventola. 
A  ritirarsi. 

granchio  (con  modestia  velenosa). 

Oh,  per  codesto,  a  perdermi 
Ci  si  guadagna  un  tanto  : 
Lo  volevano  ?  l'ebbero  : 
La  cosa  sta  d'  incanto  ! 

Or  armeggiano,  cantano, 
Proteggono  i  sovrani, 
Hanno  la  ciarla  libera, 
Lo  Stato  è  in  buone  mani  ; 

Va  tutto  a  vele  gonfie  ! 
Il  paese  è  felice  : 
Si  vedranno  miracoli  ! 

VENTOLA. 

La  dice  lei,  la  dice. 


51"  -  —         '  — -M75 


ms. 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


437 


Badi,  se  la  mi  stuzzica, 
È  un  pezzo  che  la  bolle  !   (3). 

granchio  {.per  attizzarlo). 

Miracoli  ! 

ventola  {ci  dà  dentro). 

Spropositi 
Da  prender  colle  molle  ! 

granchio  (contento'). 

Oh,  là  là. 

VENTOLA. 

Senza  dubbio  ! 
E  il  male  è  nelle  cime. 

granchio  {come  sopra). 

Po  ver 'a  voi  !  chetatevi  ! 
Quella  gente  sublime  ? 

ventola  {mettendosi  una  mano  al 

Cteda.... 


cranchio.    {gode  e  non  vuol  parere). 

Zitto,  linguaccia  : 
Facciamola  finita. 

ventola  (serio  serio). 

Creda  sul  mio  carattere, 
Non  ne  voglion  la  vita. 

granchio  {gongolando). 

Oh,  non  ci  posso  credere  : 
Se  mai,  me  ne  dispiace. 


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438 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


VENTOLA. 

Dunque,  siccome  è  storia, 
Metta  l'animo  in  pace. 

(cranchio  rimali  lì  in  tronco). 
ventola  (non  lascia  cadere  il  discorso). 

Vuol  Ella  aver  la  noia 
Di  sentire  a  che  siamo  ? 
Per  me  fo  presto  a  dirglielo. 

granchio  (se  ne  strugge). 
Animo  via  !  sentiamo. 

ventola  (atteggiandosi). 

In  primis  et  ante  omnia, 
Sappia  che  gì'  impiegati, 
Con  codesti  Sustrissimi  (4), 
Son  tutti  disperati, 

A  quell'ora,  lì,  al  tribolo  : 


E,  o  piova  o  tiri  vento, 
Non  e'  è  cristi  :  Dio  liberi  (5), 
A '"sgarrare  un  momento  ! 
Nulla  nulla,  l'antifona  : 

(caricando  la  voce) 

«  Signore,  ella  è  pagato 

«  Non  per  fare  il  suo  comodo 

«  Ma  per  servir  lo  Stato. 

«  La  m' intenda,  e  sia  l'ultima  ». 

granchio  (sgusciando  gli  occhi). 

Alla  larga  !   (6) . 


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Poesie  del  Giusti  illustrate  439 


ventola  (trionfante). 

O  la  veda 
Se  a  tempo  suo.... 

granchio  (dandogli  sulla  voce  tutto  contento). 

Chetiamoci  ! 

VENTOLA. 

Adunque  la  mi  creda. 

granchio   (ride  e  pipa). 

La  ride  ?  Aspetti  al  meglio  ! 
Quand'uno  è  lì,  bisogna 
Per  se'  ore  continue, 
Peggio  d'una  carogna, 

Assassinarsi  il  fegato, 
Logorarsi  le  schiene  : 
E  e'  è  anco  di  peggio, 
Che  bisogna  far  bene.  - 

Se  no,  con  quella  mutria  (7)  : 

(caricando  la  voce). 

«  Noi,  non  siamo  contenti  : 
«  Noi,  vogliami  degli  uomini 
«  Capaci,  onesti,  attenti  ; 

«  Degli  uomini  che  intendano 
«  Quale  è  il  loro  dovere  ». 
Ma  eh  ? 

granchio  (con  un  allaccio). 

'  Pare  impossibile  ! 

VENTOLA. 

Son  quelle  le  maniere  ? 

(granchio  gode  e  pipa). 
ventola  (continuando). 

Di  se'  ore  di  gabbia, 
Con  lei,  sia  benedetto, 
E'  ne  potevan  rodere. 
Non  è  vero  ?   un  paietto. 

Mezz'ora,  a  dondolarsela 
Prima  di  andare  al  s^zio  ; 
Un'altra  mezza,  a  chiacchiera 
Girando  per  l'uffìzio  ; 

Un'altra,  sciorinandosi 
Fuori  con  un  pretesto  ; 
E  un'altra,  sullo  stendere, 
Andando  via  più  presto. 

Poi  la  fede  del  medico 
Ogni  quindici  giorni  ; 
I  bagni  ;  un  mese  d'aria 
Qui  per  questi  dintorni  ; 


Sin: 


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440 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


Via,  tra  ninnoli  e  nannoli, 
E'  si  potea  campare, 
Ora  ?  bisogna  striderci 
O  volere  o  volare. 


Eccoli  là  che  sgobbano 
Piantati  a  tavolino  ; 
E  lì  coll'orologio, 
E  diciotto  di  vino  (8). 

Che  le  pare  ? 

granchio  (disprezza tue). 

Seccaggini  ! 


VENTOLA. 


Ma  mi  burla  !  E'  si  lascia 
Rifiatare  anco  un  bufalo  ! 
Quelli  ?  o  dente  o  ganascia. 

(granchio  ride  e  pipa). 
ventola  (rincarando). 

Senta  !  un  povero  diavolo 
Che  sia  nato  un  po'  tondo, 
Senza  un  modo  di  vivere, 
Senza  un  mestiere  al  mondo, 

Che  noiato  di  starsene 
Lì  bruco  e  derelitto 
Cerchi  di  sgabellarsela  (9) 
All'ombra  d'un  Rescritto  ; 

Non  e'  è  misericordia  : 


Tilllr 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


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441 


(contraffacendo) . 

«  Scusi,  le  vengo  schietto  : 
«  Il  posto  che  desidera, 
«  Veda,  è  difficiletto  : 

«  Ella,  non  per  offenderla, 
«  Ma  non  è  per  la  quale  »  (io). 
È  carità  del  prossimo  ? 


Carità  liberale  ! 


GRANCHIO. 


VENTOLA. 


E  vo'f  potete  battere, 
Vo'lpotete  annaspare  ! 
Moltiplicar  le  suppliche, 
Farsi  raccomandare, 


Impegnarci  la  moglie, 
Le  figliole....  è  tutt'una  ! 
Con   questi   galantuomini, 
Chi    sa  poco,    digiuna. 

Guardi,  non  voglion  asini  ! 


cranchio  (in  cagnesco). 


Cari 


VENTOLA. 


Gesusmaria  ! 
S'  è  vista  mai,  di  grazia, 
Questa  pedanteria  ? 


granchio  (gongola). 


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442 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


ventola  (con  tono  derisorio). 

Del  resto  poi,  son  umili, 
Son  discreti,  son  savi, 
Fanno  il  casto,  millantano 
Di  non  volere  schiavi  !... 

granchio  (scuotendo    la   pipa   sul  fuoco,    e    facendo 
d'alzarsi  per  andare   a  posarla). 

Filantropi,  filantropi, 
Filantropi,  amor  mio  ! 


Tatto 


VENTOLA. 

(rizzandosi  di  slancio  e  togliendogli  di  mano  la  pipa). 

Dia  qua,  la  non  s' incomodi, 
Gliela  poserò  io. 

granchio   (piglia  le  molle  e  attizza  il  fuoco). 

Giacché  ci  siete,  o  Ventola.... 

ventola   (si  volta   in  fretta). 

Comandi. 

GRANCHIO. 

Il  fuoco  è  spento  : 
Pigliate  un  pezzo. 

ventola  (posa  la  pipa,  e  trotta  alla  paniera  della  legna).      4 

Subito. 
La  servo  nel  momento. 

(mette  su  il  pezzo  e  si  sdraia  daccapo). 

Del  resto,  per  concludere, 
Io,  con  tutta  la  stima 
Di  tutti....  ho  a  dirla  ? 

»  GRANCHIO. 

Ditela. 


^Tiir— 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


443 


ventola  (in  musica). 
Si  stava  meglio  prima. 

granchio  (modesto). 

Non  saprei. 

VENTOLA. 

Per  esempio, 
Dica,  secondo  lei, 
Questa  baracca,  all'ultimo, 
Come  andrà  ? 

GRANCHIO. 

Non  saprei. 

VENTOLA. 

Oh  male  !  Tutti  scrivono, 
Tutti  stampano,  tutti 
Dicon  la  sua. 

granchio  (ironico). 

Bravissimi  ! 

VENTOLA. 

Senta,  son  tempi  brutti  ! 

granchio  (come  sopra). 

Perchè  ? 

VENTOLA. 

Quando  un  sartucolo, 
Un  oste,  un  vetturale, 


La  se  lo  vede  in  faccia 
Compitare  un  giornale  ; 

Quando  il  più  miserabile 
Le  parla  di  diritti  ; 
E'  non  e'  è  più  rimedio. 
I  governi  son  fritti  ! 


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444 


Bene  ! 


Toesic  del  Giusti  illustrale 


granchio  (come  sopra). 


VENTOLA. 


Quelli  s' impancano 
A  farci  il  maggiordomo  ; 
Questi  a  trattare  il  principe, 
Come  se  fosse  un  altr'uomo  : 


Benone  ! 


granchio  (come  sopra). 


VENTOLA. 


Uno  s' indiavola, 
Un  altro  s'  indemonia.... 
Questa  è  la  vita  libera  ? 
Questa  è  una  Babilonia. 

granchio  (con  tono  dottorili}. 

Che  volete  ?  s'imbrogliano, 
E  vanno  compatiti. 


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VENTOLA. 


O  quella  di  pigliarsela 
Sempre  co'  Gesuiti, 

Non  si  chiama  uno  scandalo  ? 

granchio  (serio). 

Codesta,  a  dire  il  vero, 
E  una  cosa  insoffribile  ! 

VENTOLA. 

La  dica  un  vitupèrio  ! 
O  toccare  il  vespaio 
Di  chi  gli  può  ingollare, 
Non  è  un  volerle  ? 

granchio  (allegro). 

O  catterà  (n), 
Lasciategliele  dare. 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


445 


VENTOLA. 

E  che  crede,  che  dormano  ? 

GRANCHIO. 

Dove  ? 

ventola  (accennando  lontano  lontano). 

In  Oga  Magoga  ?   (*) 

granchio  (allegro). 

Eh  !  chi  lo  sa  ? 

VENTOLA. 

Che  durino  ! 
Per  adesso,  si  voga  : 
Ma  se  l'aria  rannuvola  ? 

granchio  (indifferente). 

Che  annuvola  per  noi  ? 

VENTOLA. 

Vero  !   bene!  bravissimo  ! 
Li  vedremo  gli  eroi  ! 

(s'alza  e  cerca  il  cappello). 
granchio. 
Che,  andate  via  ? 

VENTOLA. 

La  lascio, 
Perchè  sono  aspettato. 

GRANCHIO. 

Se  avete  un'ora  d'ozio.... 


VENTOLA. 

(fa  una  riverenza,  s'  incammina  e  ogni  tanto  si  volta). 
Grazie,  troppo  garbato. 


*)  Dall'Og  Magog  della  Scrittura  è  nato  l'idiotismo  Oga  Magoga  per  accennare  un  paese  lontano  da  noi. 


(*) 


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446 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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GRANCHIO. 

Una  zuppa  da  poveri.... 

ventola  (come  sopra). 

Da  poveri  ?  Gnorsie  ! 
Anzi.... 

granchio  (jacendo  l'umiliato) . 

Non  vedo  un'anima  ! 

ventola  (come  sopra). 

Guardi  che  porcherie  ! 

granchio  (come  sopra). 
Eh  gua'  !... 

ventola    (come  sopra). 

Ma  la  non  dubiti, 

granchio  (come  sopra). 
Siamo  ben  cucinati  ! 
Questo,  se  mai,  lasciatelo 
A  noi  sacrificati. 

ventola  (come  sopra). 

A  loro  ?  a  noi  ! 

granchio  (in  tono  mesto). 

Finiamola, 
Non  tocchiamo  una  piaga  !... 
Addio. 


ventola  (fa  una  reverenza  e  nell'andersene  dice  fra  se). 

Povera  Vittima, 
Con  quel  tocco  di  paga  ! 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


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447 


LA  FAMA  DI  SCRITTORE 


1845. 


La  nomèa  di  poeta  e  letterato  (i) 

Ti  reca,  amico  mio,  di  gran  bei  frutti  ; 

E  il  più  soave  è  l'essere  da  tutti 

E  lodato  e  cercato  e  importunato^)/ 

Il  grullo,  l'ebete,  il  porco  beato, 
Lo  spensierato,  ed  altri  farabutti, 
Fanno  in  pace  i  loro  fatti  o  belli  o  brutti, 
Ed  hanno  tempo  di  ripigliar  fiato. 


Ma  1'  ingegno  che  spopola  e  che  sfalca  (3) 
E  l'asino  d'un  pubblico  insolente 
Che  mai  lo  pasce  e  sempre  lo  cavalca  : 

E  gli  bisogna,  o  disperatamente 

Piegar  la  groppa  a  voglia  della  calca  (4), 
O  dare  in  bestia  come  l'altra  gente. 


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44&  Poesie  del  Giusti  illustrale 


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ANNOTAZIONI 


(i   DISCORSI  CHE  CORRNO). 

(i)  L'allusione  e  la  satira  politica  è  ben  chiara  dal  nome  dei  personaggi.  £  una  satira  della 
vecchia  società  italiana  avanti  il  Risorgimento.  In  Granchio  si  potrebbe  ravvisare  un  ex-presidente 
del  Buon  Governo  ben  noto. 

(2)  Civica  —  cioè  la  guardia  civica  concessa  nel  settembre  del  1847  da  Leopoldo  IL 

(3)  La  bolle  —  dettato  popolare  che  indica  il  malcontento  pubblico  e  l'avvicinarsi  di  sommosse. 

(4)  Sustrissimi  per  illustrissimi,  a  dileggio. 

(5)  Non  e'  è  cristi  —  dettato  popolare  che  vuol  dire  :  non  e'  è  da  uscirne. 

(6)  Alla  larga  —  state  lontano. 

(7)  Mutria  —  austerità,  serietà,  cupezza. 

(8)  Diciotto  di  vino  —  non  e'  è  transazione. 

C  è  molto  del  vero  in  questa  critica  dei  burocratici.  Essendo  sempre  stati  come  ora  in  maggior 
numero  di  quello  che  occorre,  non  hanno  mai  saputo  come  ammazzare  il  tempo.  Gli  stessi  vizi  an- 
tichi si  perpetuano  epidemici  negli  uffizi  italiani,  e  chi  per  un  lato,  chi  per  l'altro,  tenta  bucare  i 
rigidi  regolamenti,  coi  quali  in  oggi  sono  retti  gli  impiegati.  Brevemente,  la  fatica  in  generale  dagli 
italiani  non  la  si  vuole. 

(9)  Sgabellarsela  —  vivere  un  poco  agiato. 

(io)  Non  è  per  la  quale  —  indica  non  essere  adatto. 

(li)  0  catterà  —  esclamazione  ;  un  correttivo  di  parola  indecente. 

(12)  Gnorsie  —  sì  signore. 

In  questo  dialogo  è  assai  bene  rappresentato  l' impiegato  giubilato  messo  a  riposo  con  una 
elevata  paga  —  e  in  forza  di  questa,  cauto,  meticoloso  e  sempre  in  guardia  contro  tutti.  Pure  tra- 
sparisce chiaro  l'odio  alle  innovazioni  e  l'amore  al  potere  assoluto.  Son  tutti  d'uno  stampo  e  d'una 
vena  questi  impiegati  riposati  —  nulla  andava  bene  che  ai  loro  tempi  ;  da  strumenti  più  o  meno 
devoti  e  zelanti  di  servitù  diventano  preda  di  chi  sa  adularli  e  trarli  nella  rete.  In  parola  i  pen- 
sionati sono  i  peggiori  amici  che  si  abbia  il  governo  e  la  libertà  —  almeno  fra  noi. 


(la  fama  di  scrittore). 

(r)  Nomèa  è  sinonimo  in  Toscana  di  fama.  L'introduzione  di  questa  parola  plateale  è  un  poco 
ardita,  se  si  tratta  di  una  poesia  di  argomento  serio,  ma  nel  faceto  e  nel  bernesco  è  più  che  tollerabile. 

(2)  Questo  dell'  importunato  è  una  grande  verità  e  la  fama  di  sapiente  in  Italia  è  un  lucro  ces- 
sante e  un  danno  emergente.  È  un  pozzo  dove  tutti  si  credono  lecito  di  attingere  ;  è  un  colleticcio 
continuo.  Manifesti  di  associazione,  giudizi,  domandati  inviti  per  riunioni,  oboli  chiesti  e  compensi 
mai,  sempre  così.  Quando  appartenete  al  pubblico,  il  pubblico  non  vi  risparmia  e  non  pensa  mai 
a  pagarvi.  In  America,  in  Inghilterra  ed  in  Francia  gli  scrittori  arricchiscono  ;  questi  da  noi  se 
hanno  un  poco  di  patrimonio  se  lo  finiscono.  Sempre  così  e  bisogna  finirla. 

(3)  Sfalcare  è  U  moto  de!  cavallo  che  si  alza  sulle  gambe  di  dietro.  Questa  immagine  non  è  felice, 
ma  è  molto  significativa  perchè  riprende  bene  l' idea  dell'  ingegno  non  comune  che  è  l'asino  di  un 
pubblico  insolente. 

(4)  Groppa  :  dorso  —  calca  :  f  olla,  moltitudine  di  popolo  stretto  insieme. 


5111: 


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POESIE    DEL    GIUSTI     ILLUSTRATE 


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Poesie  del  Giusti  illustrate.  —  edizione  nerbini 


Fascicolo  29. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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AVVISO 

per  un  VII  Congresso  ehe  è  di  là  da  venire 


1841. 


Su'  Altezza  Serenissima  (i), 
Veduta  l' innocenza 
Di  quelli  che  almanaccano 
D' intorno  alla  scienza  ; 


Visto  che  tutti  all'ultimo 
Son  rimasti  gli  stessi, 
E  pagan  sempre  l'èstimo 
Dopo  tanti  congressi  ; 

Nelle  paterne  viscere 

Chiuso  il  primo  sospetto, 
Spalanca  uno  spiraglio 
In  prò  dell'  intelletto. 

Sia  noto  alla  penisola 
Dall'Alpe  a  Lilibeo, 
Noto  a  tutto  il  chiarissimo 
Dottume  europeo, 

Che  ci  farà  la  grazia 
D'aprire  alla  dottrina 
Gli  Stati  felicissimi 


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E  la  real  cucina. 


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452 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Per  questo,  a  tutti  e  singoli 
Chiamati  nei  domini 


(Nel  caso  che  non  trovino 

Oppilati  i  confini) 
Dice  di  lasciar  correre, 

Per  lo  stile  oramai, 

L'apostrofi  all'  Italia 

Non  ascoltate  mai. 
A.nzi,  purché  non  tocchino 


Il  pastorale  e  il  soglio, 
Ai  dotti  cantastorie 
Rilascia  il  Campidoglio  ; 


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Toesie  del  Giusti  illustrate  45  3 


Che  di  lassù  millantino, 
Scordando  il  tempo  perso, 
D'avere  in  ilio  tempore 
Spoppato  l'universo. 

Questa,  quando  la  trappola 
Muta  i  leoni  in  topi, 
È  roba  di  rettorica  ; 
L' insegnan  gli  Scolopi. 

E,  tolta  la  statistica 
Che  pubblica  i  segreti, 
La  chimica  e  la  fisica, 
Che  impermalisce  i  preti  ; 

Tolto  il  commercio  libero, 
Tolta  l'economia, 
Gli  studi  geologici 
E  la  frenologia  ; 

Posto  un  sacro  silenzio 

D'ogni  e  qualunque  scuola  ; 


Del  resto  a  tutti  libera 
Concede  la  parola. 

Ora  che  il  suo  buon  animo 
È  chiaro  e  manifesto, 
A  scanso  d'ogni  equivoco 
Si  ponga  mente  al  resto. 

ali  =)llg 


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454 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


Il  progresso  è  una  favola  : 
E  Su'  Altezza  è  di  quelli 
Rimasti  tra  gì'  immobili, 


E  crede  ai  ritornelli. 

Perciò,  da  savio  principe 
Che  in  prò  de'  vecchi  Stati 
Ritorce  il  veneficio 
Dei  nuovi  ritrovati, 

Ha  con  fino  criterio 
Pensato  e  stabilito 
Di  promettere  un  premio 
A  chi  sciolga  un  quesito  : 


«  Dato  che  torni  un  secolo 
«  Agli  arrosti  propizio, 
«  Se  possa  il  carbon  fossile 
«  Servire  al  Sant'Uffizio  ». 


5111; 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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455 


STORIA  CONTEMPORANEA' 


1847. 

Nel  marzo  andato,  un  asino  di  spia, 
Fissato  il  chiodo  in  certa  paternale 
Buscata  a  conto  di  poltroneria, 
Fu  rinchiuso  per  matto  allo  spedale. 
Dopo  se'  mesi  e  più  di  frenesia, 
Ripreso  lume  e  svaporato  il  male, 
Tornò  di  schiena  al  solito  mestiere 
Per  questa  noia  di  mangiare  e  bere. 

Si  butta  a  girellar  per  la  città, 


S'  imbuca  ne'  caffè,  nell'osterie  ; 

E  sente  tutti  di  qua  e  di  là, 

—  Saette  a'  birri,  saette  alle  spie, 

Popolo,  Italia,  Unione,  Libertà, 

Morte  a'  Tedeschi,  —  ed  altre  porcherie, 

Porcherie  per  orecchi  come  i  suoi 

Quasi  puliti  dal  trentuno  in  poi. 

-  Corpo  di  Giuda!  Che  faccenda  è  questa  ? 
Dicea  tra  sé  quel  povero  soffione  ; 
O  io  vagello  sempre  colla  testa  (2), 
O  qui  vanno  i  dementi  a  processione. 
Basta,  meglio  così  :  così  alla  lesta, 
Senza  ficcarmi  o  star  qui  di  piantone, 


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4)6 


To«^  afe/  Gws/i  illustrate 


Vado,  m'affaccio  sulla  via  maestra, 
E  sbrigo  il  fatto  mio  dalla  finestra. 


Entra  in  casa,  spalanca  la  vetrata 
Con  lì  pronta  la  carta  e  il  calamaio  ; 
E  un'ora  sana  non  era  passata, 
Che  già  n'avea  bollati  un  centinaio. 
Contento  per  quel  dì  della  retata, 
Chiappa  le  scale,  e  trotta  arzillo  e  gaio 
De'  tanti  commissari  al  più  vicino  ; 
E  là,  te  gli  spiattella  il  taccuino. 


Con  una  gran  risata  il  commissario 
Lette  tre  righe,  lo  guardò  nel  muso, 
E  disse  :  —  Bravo  il  sor  referendario  ! 
La  fa  l'obbligo  suo  secondo  l'uso  : 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


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457 


Si  vede  proprio  che  ha  perso  il  lunario 

E  che  ne'  pazzerelli  è  stato  chiuso. 

La  non  sa,  signor  mio,  che  Su'  Altezza 

Ora  al  buon  senso  ha  sciolta  la  cavezza  ?  — 

-  Su'  Altezza  ?  Al  buonsenso  ?  E  non  corbello  ! 
Al  buonsenso  ? . . .  O  non  era  un  crimenlese  ? 
Ma  qui  e'  è  da  riperdere  il  cervello  ! 


O  dunque  adesso  chi  mi  fa  le  spese  ?  - 
—  So  io  di  molto  ?  —  gli  rispose  quello 
Che  fo  l'oste  alle  birbe  del  paese  ? 
Animo  !  venga  qua,  la  si  consoli  : 


La  metterò  di  guardia  a'  borsaioli  —  (3). 


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4/8 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Agli  spettri  del  4  Settembre  1847 


1847. 


Quella  notizia  gli  avea  dato  una  disinvoltura, 
una  parlantina,  insolita  da  gran  tempo. 

(Promessi  Sposi,  cap.  XXXVIII.) 


Su,   Don   Abbondio,  è  morto  Don  Rodrigo  (i), 
Sbuca  dal  guscio  delle  tue  paure  : 
È  morto,  è  morto  :  non  temer  castigo, 
Destati  pure. 


Scosso  dal  limbo  degl'  ignoti  automi, 
Corri  a  gridare  in  mezzo  al  viavai 
Popolo  e  libertà,  cogli  altri  nomi, 
Seppur  li  sai. 

Ma  già  corresti  :  ti  vedemmo  a  sera 
Tra  gente  e  gente  entrato  in  comitiva, 
E  seguendo  alla  coda  una  bandiera, 
Biasciare  evviva. 

Cresciuta  l'onda  cittadina,  e  visto 
Popolo  e  re  festante  e  rimpaciato, 
E  la  spia  moribonda,  e  al  birro  tristo 
Mancare  il  fiato  : 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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459 


Tu,-sciolto  dall'  ingenito  tremore, 


Saltasti  in  capofila  a  far  subbuglio, 
Matto  tra  i  savi  ;  e  ti  facesti  onore 
Del  sol  di  luglio. 

Bravo  !  coraggio  !  Il  tempo  dà  consiglio  ; 
Consigliati  col  tempo  all'occasione  : 
Ma  intanto  che  può  fare  anco  il  coniglio 
Cuor  di  leone, 

Ficcati,  Abbondio  :   e  al  popolo,  ammirato 
Di  te  che  armeggi  e  fai  tanto  baccano, 
Urla  che  fosti,  ancor  da  sotterrato, 
Repubblicano. 


Voi,  liberali,  che  per  anni  ed  anni 
Alimentaste  il  fitto  degli  orecchi, 
Largo  a'  molluschi  !  e  andate  co'  tiranni  (2X 
Tra  i  ferri  vecchi  ! 


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460 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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A  questo  fungo  di  settembre,  a  questa 
Civica  larva  sfarfallata  d'ora, 
Si  schioda  il  labbro  e  gli  ribolle  in  testa 
Libera  gora. 

Già  già  con  piglio  d'orator  baccante 
Sta  d'un  caffè,  tiranno,  alla  tribuna  ; 
Già  la  canèa  dei  botoli  arrogante  (3^ 
Scioglie  e  raguna. 


Briaco  di  gazzette  improvvisate, 
Pazzi  assiomi  di  governo  sputa 
Sulle  attonite  zucche,  erba  d'estate 
Che  il  verno  muta. 

«  Diverse  lingue,  orribili  favelle  » 

Scoppiano  intorno  ;  e  altèra  in  baffi  sconci 
Succhia  la  patriottica  Babelle 
Sigari  e  ponci. 

Dall'un  de'  canti,  un'ombra  ignota  e  sola 
Tien  l'occhio  al  conventicolo  arruffato, 
E  vagheggia  il  futuro  e  si  consola 
Del  pan  scemato. 

Stolta  !   Se  v'  ha  talun  che  qui  rinnova 
L'orgie  scomposte  di  confusa  Tebe, 
Popol  non  è  che  sorga  a  vita  nuova; 
E  poca  plebe. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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461 


E  poca  plebe  :  e  d'oro  e  di  penuria 
Sorge,  a  guerra  di  cenci  e  di  gallone  ; 
Censo  e  Banca  ne  dà,  Parnaso  e  Curia  , 
Trivio  e  Blasone. 

È  poca  plebe  :  e  prode  di  garrito, 

Prode  di  boria  e  d'ozio  e  d'ogni  lezzo, 
Il  maestoso  italico  convito 

Desta  a  ribrezzo. 

Se  il  fuoco  tace,  torpida  s'avvalla 

Al  fondo,  e  i  giorni  in  vanità  consuma  ; 
Se  ribollono  i  tempi,  eccola  a  galla 
Sordida  schiuma. 

Lieve  all'amore  e  all'odio,  oggi  t' inalza 
De'  primi  onori  sull'ara  eminente, 
Doman  t'aborre  e  nel  fango  ti  sbalza, 
Sempre  demente. 

Invano  invano  in  lei  pone  speranza 
La  sconsolata  gelosia  del  Norde. 


Di  veri  prodi  eletta  figliolanza 
Sorge  concorde  ; 

E  di  virtù,  d'  imprese  alte  e  leggiadre 
L'  Italia  affida  :  carità  la  sprona 
Di  ricomporre  alla  dolente  madre 
La  sua  corona. 


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462 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


O  popol  vero,  o  d'opre  e  di  costume  (4) 
Specchio  a  tutte  le  plebi  in  tutti  i  tempi, 
Levati  in  alto,  e  lascia  al  bastardume 
Gli  stolti  esempi. 


Tu  modesto,  tu  pio,  tu  solo  nato 
Libero,  tra  licenza  e  tirannia, 
Al  volgo  in  furia  e  al  volgo  impastoiato 
Segna  la  via. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate  463 


ANNOTAZIONI 


(avviso  per  un  vii  congresso  che  è  DI  LÀ  DA  venire). 

(1)  Nel  1839  si  aPri  m  Pisa  ^  Primo  Congresso  degli  scienziati,  auspice  Leopoldo  II,  allora 
granduca  della  Toscana.  Negli  anni  successivi  i  Congressi  furono  tenuti  a  Torino,  Firenze,  Lucca, 
Milano,  Padova,  Napoli,  Genova  e  Venezia.  Quello  di  Venezia  non  ebbe  fine  e  fu  strozzato,  perchè 
cominciavano  i  rivolgimenti  sociali  all'echeggiare  della  parola  di  Pio  IX.  Per  poco  anche  Grego- 
rio XVI  avrebbe  permesso  che  il  Congresso  si  tenesse  in  Roma.  Egli  era  pontefice  dotto  e  le  scienze 
e  le  arti  le  amava,  ma  temeva  il  principe  di  Canino. 

«Voi  nominerete,  dicevami  una  cotal  sera  dell'ottobre  del  184.5,  presidente  generale  il  Bona- 
parte,  ed  egli  del  Congresso  dei  dotti  ne  farà  una  congrega  settaria.  Io  sono  vecchio  e  lascio  al 
mio  successore  riformare  lo  Stato,  a  cui  non  si  può  dare  una  martellata  senza  che  caschi  tutto  quanto 

in  frantumi  ».  . 

Leopoldo  II  era  in  allora  molto  onorato  in  Toscana  e  ci  fu  un  tempo  che  si  pensava  dai  liberali 
ad  ingrandirgli  lo  Stato  colle  Legazioni.  Alle  scienze  naturali  Leopoldo  II  portava  affetto  senza 
dubbio  e  se  avesse  avuto  più  genio,  e  non  fosse  stato  pupillo  docile  dell'Austria,  avrebbe  seguito 

la  via  di  Casa   Savoja.  _  . 

Il  Poeta  in  questo  avviso  scherza  piacevolmente,  non  è  pero  a  ritenersi  sul  seno  che  egli 
avesse  in  poca  estimazione  la  scienza  italiana.  L'esperienza  provò  il  contrario,  perchè  volere  o  non 
volere  il  sacro  fuoco  di  Vesta  e  gli  accordi  politici  nacquero  nei  Congressi  scientifici. 


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(storia  contemporanea). 

(1)  Siamo  sempre  nel  1S47  due  mesi  avanti  la  concessione  della  libertà  della  stampa  octrojata 
nel  15  di  maggio. 

(2)  Vagellare,   delirare.  (       ...... 

(3)  Nel  primi  mesi  del  1848  ci  fu  in  Firenze  un  tumulto  popolare  ed  una  razzìa  di  birri  alti  e 
bassi,  grossi  e  spiccioli  e  di  spie  più  o  meno  note.  Due  di  queste  furono  missacr  ite  nelle  pubbliche  vie. 

Il  ministro  Ridolfi  abolì  la  vecchia  polizia  senza  sostituitene  una  nuova.  I  registri  dei  Com- 
missa-i.tti  furono  rap't!,  e  figira-d>  in  essi  la  no-a  d  11  :  spi;  d  governo,  .otostiro  passarono 
tutte  dei  brutti  quarti  d'ora  di  Rabelais.  Anzi  il  P.iolini  e  1'  Evangelisti  fino  10  massacrati.  Furono 
questi  gravi  errori  del  ministero  Ridolfi,  che  fu  il  primo  ministero  liberale  di  Leopoldo  II. 


51ii  : 


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464  Poesie  del  Giusti  illustrate 


(AGLI  SPETTRI  DEL  4  SETTEMBRE  I847). 


n      (À?°  ?  retcro|radl  «corsero  in  quell'epoca  alla   medicina   dei   contrari  ed    alla    schiavina  di 
Don  Abbondio.   Si  finsero  più  liberali  degli  altri,  più  caldi  d'amor  di  patria,  perfino  repubblicani 
e  cosi  illudendo  alcuni    salvarono  le  paghe  e  la  pelle.  Questa  è  la  storia  di  tutte  le  rivoluzioni  pas- 
sate e  sarà  quella  delle  future  -  delle  giubbe  rovesciate  degli  uomini  a  doppia  bandiere  e  a  più 
coccarde     e     dei     mentitori  ai  giuramenti  fatti,  la  razza  non  si  estinguerà  mai  più.   E  tutta   que- 

f,tl0neru         manovra>    di  evoluzioni  e  di  funambolismo  per  farete  e  non  essere    e    per    conservare 
1  equilibrio.  •  •  r 

(2)  Veri  molluschi  i  volta  bandiera  si  propagano,  si  moltiplicano  e  presto  diventano  padroni 
dei  campo  e  ritornano  sotto  altra  veste  agli  affari.  Non  vi  è  paese  che  conti  ioo  repubblicani  alla 
vigilia  di  una  rivoluzione  che,  se  riesce,  il  giorno  dopo  non  ne  conti  100.000  più  arditi  e  radicali 
dei  repubblicani  antichi  e  per  principi.  Così  si  dica  di  uno  Stato  che  da  un  reggimento  libero  passa 
alla     monarchia     assoluta,     e     se     vuoisi     anche     alla     tirannide. 

Questa  misera  razza  di  Adamo  o  dell'  antico  Gorilla  è  fatta  così,  e  né  per  tempo  né  'per 
luogo  si  muta.  r  r  '  -F 

(3)  Canèa,  il  rumore  che  fanno  molti  cani  dietro     una  selvaggina. 

(4)  E  stupenda  questa  distinzione  fra  plebe  balorda  e  razzamaglia  da  tutti  i  venti  e  gli  eventi 
e  il  popolo  vero.  Popolo  siamo  tutti,  quando  la  mente  retta  e  la  coscienza  pura  ci  sorreggono 
La  plebe,  la  feccia  sordida  e  briaca  non  è  popolo  niente  più  che  la  melma  e  il  fango  non  sono 
ne  acqua,  né  terra. 

•   GÌxTeFiPe   GÌUStÌ  mÌrÒ  dÌlkt°'   ebbe  fcde  negli  italiani  e  ne  valutò  i]  numero  con  acume    pro- 
m°'-a       i?  restaurazlone  veggendo  cotanti  traditore   cotante  maschere  e  cotanta  viltà  si    scorò 
Ma  vide  eh     era  un  uragano  che    passerebbe  e  ne  sentì  erave  duolo.  Egli  non  vide  la  terra  prò 
messa,   forse   perchè   dubitò   della   potenza   dell'  idea   e   del  dito  d'  Iddio  che  fino  ad  oggi    vocino 
pure   a  loro  possa   e  imprechino  i  sacerdoti  liberticidi,  ci  fu   propizio  e  ci  guidò  a  salvamento 


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Poesie  del  Giusti  illustrate.  —  edizione  nerbini 


Fascicolo  30. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


467 


LA  RASSEGNAZIONE 

AL  PADRE   ***  CONSERVATORE  DELL'ORDINE  DELLO  «  STATO  QUO  » 

1846. 


Dite  un  po',  Padre  mio  ;  sarebbe  vero 
Che  ci  volete  tanto  rassegnati 


Da  giulebbarci  in  casa  il  forestiero  (1) 
Come  un  cilizio  a  sconto  de'  peccati, 
E  a  Dio  lasciare  la  cura  del  poi, 
Come  se  il  fatto  non  istesse  a  noi  ? 


Eh  via,  Padre,  parliamo  da  cristiani  : 
Se  vi  saltasse  un  canchero  a  ridosso, 
Lascerete  là  là  d'oggi  in  domani 
Che  col  comodo  suo  v'arrivi  all'osso  ? 
Aspetterete  lì  senza  chirurgo 
Che  vi  levi  da  letto  un  taumaturgo  ? 


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468 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Uno  che  nasce  qui  nel  suo  paese, 
Che  di  nessuno  non  invidia  il  covo  ; 
Se  non  fa  posto,  se  non  fa  le  spese 


A  eli  gli  entra  nel  nido  e  ci  fa  l'ovo, 
Se  non  gli  fa  per  giunta  anco  buon  viso  ; 
Secondo  voi,  si  gioca  il  paradiso  ? 

Noi  siam  venuti  su  colla  credenza 

Che  il  mondo  è  largo  da  bastare  a  tutti  : 
E  ci  pare  una  bella  impertinenza, 
Che  una  ladra  genìa  di  farabutti  (2) 


Venga  a  imbrogliar  le  parti  di  lontano 
Che  fa  Domine  Dio  di  propria  mano. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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469 


Questa  dottrina  di  succhiarsi  in  pace 
"  Uno  che  ci  spelliccia  allegramente, 
Padre,  non  è  in  natura,  e  non  ci  piace 


~"~~^?2 


Appunto  perchè  piace  a  certa  gente  : 
Caro  Padrino  mio,  questa  dottrina, 
Secondo  noi,  non  è  schietta  farina. 

Vedete  ?  Ognuno  di  scansar  molestia 
Si  studia  a  più  non  posso  e  s'arrabatta 


E  morsa  e  tafanata,  anco  una  bestia  (3) 
Vedo  che  si  rivolta  e  che  si  gratta  : 


E  noi  staremo  qui  come  stivali 
Senza  grattarci  quest'altri  animali  ? 


a»: 


470 


rne 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


<t  Siamo  fratelli,  siam  figli  d'Adamo, 
Creati  tutti  a  immagine  d'  Iddio  ; 
Siam  pellegrini  sulla  terra  ;  siamo, 
Senza  distinzi'on  di  tuo  né  mio, 
Una  famiglia  di  diverse  genti....  >: 
Bravo,  grazie,  non  fate  complimenti 

E  facciamo  piuttosto,  in  carità, 
Tanti  fratelli,  altrettanti  castelli  ! 
Di  quella  razza  di  fraternità 


Anco  Abele  e  Caino  eran  fratelli  ! 
Finché  ci  fanno  il  pelo  e  il  contrappelo, 
Che  c'entra  stiracchiare  anco  il  Vangelo  ? 

Questo  vostro  dolciume  umanitario  (4), 
Questa  fraternità  tanto  esemplare, 
Che  di  santa  che  fu  là  sul  Calvario 
L'anno  ridotta  ad  un  intercalare, 
Vo'  l'usereste,  ditemi,  appuntino 


1 


Tanto  al  ladro  diritto  che  al  mancino  ? 


:  Hip 


Toesie  del  Giusti  illustrate 


MI!* 


47 1 


Oh  io,  per  ora,  a  dirvela  sincera, 
Mi  sento  paesano  paesano  : 
E  nel  caso,  sapete  in  qual  maniera 
Sarei  fratello  del  genere  umano  ? 
Come  dice  il  proverbio  :  amici  cari, 
Ma  patti  chiari  e  la  borsa  del  pari. 


Prima,  padron  di  casa  in  casa  mia  (5)  ; 


Poi,  cittadino  nella  mia  città  ; 


■niu; 


ufi? 


ajll: 


472 


'Poesie  del  Giusti  illustrate 


-RIÈ 


Italiano  in  Italia  ;  e  così  via 
Discorrendo,  uomo  nell'umanità": 
Di  questo  passo  do  vita  per  vita, 


E  abbraccio  tutti  e  son  cosmopolita. 

La  carità  Y  è  santa,  e  tra  di  noi 

Che  siamo  al  sizio,  venga  e  si  trattenga 
Ma  verso  chi  mi  scortica,  po'  poi, 
Io  non  mi  sento  carità  che  tenga  : 
Padrino,  chi  mi  fa  tabula  rasa  (6), 
Pochi  discorsi,  non  lo  voglio  in  casa. 


'h>- 


:mi? 


3)11  : 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Alò 


Questa  marmaglia,  di  starci  sul  coPo 
Non  si  contenta  :  ma  tira  a  dividere, 
Tira  a  castrare  e  a  pelacchiare  il  pollo, 
Come  suol  dirsi,  senza  farlo  stridere  : 
E  la  pazienza  in  questo  struggibuco  (7) 
La  mi  doventa  la  virtù  del  ciuco. 


L'  ira  è  peccato  !  Sì,  quando  per  1'  ira 
Se  ne  va  la  giustizia  a  gambe  all'aria  ; 
Ma  se  le  cose  giuste  avrò  di  mira, 
L'  ira  non  sento  alla  virtù  contraria. 
Fossi  papa,  scusatemi,  a  momenti 
L' ira  la  metterei  tra'  sacramenti. 


Cristo,  a  questo  proposito,  ci  ha  dato, 
Dolce  com'era,  un  bellissimo  esempio 
(E  lo  lasciò  perchè  fosse  imitato)  ; 
Quando,  come  sapete,  entrò  nel  tempio 


E  sbarazzò  le  soglie  profanate 
A  furia  di  santissime  funate. 


5in: 


■«B 


01' 


474 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


Fino  a  non  far  pasticci,  e  all'utopie 

Tenere  aperto  l'occhio  e  l'uscio  chiuso  (8)  ; 
Fino  a  sfidare  il  carcere,  le  spie, 
L'esilio,  il  boia,  e  ridergli  sul  muso  ; 
Fino  a  dar  tempo  al  tempo  ;  oh,   Padre  mio, 
Fin  qui  ci  sono,  e  mi  ci  firmo  anch'  io. 

Ma  la  prudenza  non  fu  mai  pigrizia. 
Vosignoria  se  canta  o  sesta  o  nona, 
Canta  :  Servite  Domino  in  laetitia  ; 
E  non  canta  :  servitelo  in  poltrona. 
Chi  fa  da  santo  colle  mani  in  mano, 
Padre,  non  è  cattolico,  è  pagano. 


5M- 


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<  DB- 


Toesie  del  Giusti  illustrate 


475 


IL   DELENDA   CARTAGO 


1846. 


E  perchè  paga  Vostra  Signoria  (i) 

Un  grullo  fìnto,  un  sordo  di  mestiere  (2), 
Uno  che  a  conto  della  Polizia 


Ci  dorma  accanto  per  dell'ore  intere  ? 
Questo  danaro  la  lo  butta  via, 
Per  saper  cose  che  le  può  sapere, 
Nette  di  spesa,  dalla  fonte  viva. 
Glielo  voglio  dir  io  :  la  senta,  e  scriva. 

In  primis,  la  saprà  che  il  mondo  e  l'uomo 
Vanno  col  tempo  :  e  il  tempo  ,  sento  dire, 
Birba  per  lei  e  per  noi  galantuomo, 


Verso  la  libertà  prese  l'aire. 

Se  non  lo  crede,  il  campanil  del  duomo 

È  là  che  parla  a  chi  lo  sa  capire  : 

A  battesimo  suoni  o  a  funerale. 

Muore  un  brigante  e  nasce  un  liberale  (3)-£j 


^Bl; 


-BIS 


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476 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


zuig 


Dunque,  senta,  se  vuol  rompere  i  denti 
Al  tarlo  occulto  che  il  mestier  le  rode  (4) 
O  scongiuri  le  tossi  e  gli  accidenti 


Di  risparmiar  quest'avanzo  di  code  : 

Se  no,  compri  le  bàlie,  e  d' innocenti 

Faccia  una  strage,  come  fece  Erode  ; 

Ma  avverta,  che  il  Messia  si  salva  in  fasce  ; 

E  poi,  quando  l'uccidono,  rinasce. 


I  sordi  tramenii  delle  congiure, 

Il  far  da  Gracco  e  da  Robespierrino, 

È  roba  smessa,  solite  imposture 

Di  birri,  che  ne  fanno  un  botteghino  (4). 

Questi  romanzi,  la  mi  creda  pure, 

Furono  in  voga  al  tempo  di  Pipino  : 

Oggi  si  tratta  d'una  certa  razza 

Che  vuole  storia  e  che  le  dice  in  piazza. 


5ttr 


Toesie  del  Giusti  illustrate 


-itist 


477 


Sicché  non  sogni  d'averla  da  fare 
Col  carbonaro,  né  col  frammasone  (7) 
O  giacobino  che  voglia  chiamare 


Chi  vive  al  moccolm  deìla'ragione  : 

Si  tratta  di  doversela  strigare 

Con  una  gente  che  non  vuol  padrone  ; 


Padrone,  intendo,  del  solito  conio, 


Che  un  po'  tarpati  e'  non  sono  il  demonio. 

Dunque,  padrone  no  !  1*  ha  scritto  ?  O  bravo. 
Padrone  no  !  Sta  bene  e  andiamo  avanti. 
Repubblica,  oramai,  tiranno,  schiavo  (8), 
E  altri  nomi  convulsi  e  stimolanti, 


mz 


=* 


so; 


478 


■s 


Poesie  del  Giusti  illustrale 


Sì,  lasciamoli  là  :  giusto  pensavo 
Che,  senza  tante  storie  e  senza  tanti 
Giri,  si  può  benone  in  due  parole 
Tirar  la  somma  di  ciò  che  si  vuole. 

Scriva  ^vogliam  che  ogni  figlio  d'Adamo 


Conti  per  uomo  ;  e  non  vogliam  Tedeschi  (9) 
Vogliamo  i  capi  col  capo  ;  vogliamo 
Leggi  e  Governi  ;  e  non  vogliam  Tedeschi. 
Scriva  :  vogliamo,  tutti,  quanti  siamo, 


MALTAa 


L'  Italia,  Italia  :  e  non  vogliam  Tedeschi 
Vogliam  pagar  di  borsa  e  di  cervello, 
E  non  vogliam  Tedeschi  :  arrivedello. 


aio: 


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Poesie  del  Giusti  illustrate  479 


ANNOTAZIÓNI 


(la  rassegnazione). 

(i)  Giulebbare  non  è  nuovo,  ma  nell'azione  morale  è  la  prima  volta  che  fu  usato.  Porro  unum 
est  necessarium  '  Tant'  è,  il  Giusti  voleva  lo  straniero  fuori  d'  Italia.  Era  il  concetto  di  Giulio  II 
meglio  inteso,  cioè  con  maggior  sincerità.  Su  ciò  il  Giusti  trovavasi  concorde  col  d'Azeglio,  col  Sal- 
vatoli   col  Guerrazzi,  col   Berchet,  col   Rassetti,  col  Mmtanelli,  Pieno,  Mutuarli,  ecc. 

(2)'  Farabutto.  È  una  parola  venuta  modernamente  in  credito.  E  qui  esprime  un  soggetto  senza 
coscienza,  capace  di  ogni  mala  opra  anche  sotto  apparenze  cortesi  e  leccate. 

(3)  Tafanata,  voce  nuova  di  zecca:  sta  per  molestata  dai  tafani. 

(4.)  Q<""°  mostro  dolciumi  umanitario.  Pur  troppo  i  troni  fossili  e  la  religione  ad  usum  Delphint, 
dopo  la  catastrofe  napoleonica,  avevano  stretta  una  lega  più  infernale  che  celeste  «  Impicca,  fai 
vista  di  credere»,  diceva  il  prete  al  principe,  e  questi  a  sua  volta:  «Semina  quel  che  vuoi,  ma 
predica  la  sottomissione  assoluta  e  piena  a  noi»,  rispondeva  al  sacerdote.  «Rigammo  entrambi 
al  disopra  delle  leggi,  ognuno  nella  sua  provincia  e  dividiamoci  il  mondo».  Di  qui  1  concordati 
con  la  Santa  Side,  strumenti  magistrali  di  doppia  servitù  dei  popoli  al  trono  ed  ali  altare,  cardini 
di  inazione  e  di  ipocrisia.  Sotto  un  punto  di  vista  il  Vangelo  propende  per  il  comunismo  e  la  più 
estesa  e  universale  democrazia,  ed  i  socialisti  moderni  ben  a  ragione  dovrebbero  dirsi  eminente- 
mente cristiani.  Però  i  preti  e  i  frati  pigliavano  il  Vangelo  a  spizzico,  e  gli  facevano  dire  quello  che 
a  loro  tornava  comodo.  Ojgi  che  sono  nell'opposizione  al  governo  proclamino  la  democrazia  cristiana  ; 
nei  tempi  passati,  che  erano  puntelli  e  spalle  ai  troni,  vi  pacavano  l'autocrazia  e  d  rispetto  alle  auto- 
rità sovrane.  Il  soffio  possente  della  rivoluzione  mudò  già  a  catafascio  troni  e  predicatori,  la- 
sciando intatti  i  veri  altari  e  i  principi  civili  nel  re?g;mìnto  degli  Stati. 

Il  nostro  Poeta  presentiva  i  temoi  e  scalzava  colla  penna  incisiva  il  vecchio  e  tarlato  edihzio, 
e  non  era  il  solo.  Nell'ottobre  del  18+5  ebbi  luogo  di  parlare  a  lungo  con  Gregorio  XVI.  Uomo  dot- 
tissimo ed  avvedutissimo  come  egli  era,  parlando  di  riforme  nello  Stato  della  Chiesa    dicevanu  : 
«  Se  a  questo  edifizio  si  dà  una  martellata  esso  se  ne  va  tuuo  <n  rovina  »   Gregorio  XVI  fu  profeta, 
solo  che  da  quelle  rovine  nacque  1'  Italia  e  risorgerà  pura  e  divina  la  religione  d.  Gesù  Cnsto_ 

(e)  Magnifici  versi  sono  quelli  di  questa  sestina  (non  dico  per  il  lato  estetico,  avvegnaché  il  Poeta 
abbia  tirato  giù  tutta  la  sua  composizione  alla  buona  ed  alla  casalinga)  nei  quali  è  -hipramente  spie- 
gato come  si  Dossa  essere  cosmopoliti,  cittadini  e  patriotti  ad  un  tempo.  La  famiglia,  d  comune,  la 
società,  la  nazione  ed  in  ultimo  l'umanità.  Prima  conviene  essere  in  sé  e  per  sé,  quindi  per  la  sua  na- 
zione ed  infine  per  tutto  il  genere  Limino.  . 

(6)  Padrino,  chi  mi  fa  tabula  rasa,  cioè  chi  utto  mi  ruba  di  casa,  se  posso,  lo  minio  via  ed  no 

r?gione. 

(7)  Lo  struggibuco  è  un  giocherello  da   bambini. 

(8)  Tenere  aperto  l'occhio  e  l'uscio  chiuso  alle  utopie,  dar  tempo  al  tempo,  sfidare  martiri  e  mar- 
tirizzatoti è  prodezza  che  per  il  Preta  vale  ;  ma  la  prudenza  non  deve  degenerare  in  pigrizia,  ne  chi 
vuol  essere  e  istiano  deve  starsi   eternamente  coiie  mani  in   mano. 

Brevemente  Giusti,  senza  peccare  di  socinismo,  milinismo  e  luteranismo  avrebbe  voluto  mari- 
tare il  Vangelo  ai  codici,  e  i  daterai  della  Chiesa  ai  portati  della  civiltà  fondata  nella  civile  rettitu- 
dine. Parevagli  che  dal  cattolicismo  si  potesse  cogliere  qualche  forza  sociale  eminentemente  attiva 
ed  operosa,  e  che  la  quiescenza,  1'  ignavia,  la  cieca  sottomissione  e  la  rassegnazione  vigliacca  ad  ogni 
sopruso  e  prevaricata  soperchieria  delle  autorità  civili  e  religioni  non  fosse  da  menarsi  buona.  Egli 
protestò  contro  l'avvilimento  dell'uomo  nella  sua  personalità  intellettuale^  morale  e  1  infeudamento 
di  questa  bella  e  intelligente  opera  di  Dio  nel  mare  magnum  dei  pregiudizi,  degli  assurdi^  delle  super- 
stizioni e  peggio.  Il  Giusti  quindi  altamente  benemerito  della  civiltà  e  della  patria  ed  e  per  cicche 
la  sua  fama,  post  obitum,  crescit  eunio. 

(il  delenda   cartago). 

(1)  Il  Poeta  allude  ad  un  commissario  di  polizia  qialunqie  od  anche,  se  vuoisi,  al  presidente 
del  Buon  Governo,  che  fra  noi  era  avanti  il  18 1 8  una  specie  di  prefetto  di  Polizia  del  granducato. 

(2)  Mentre  Leopoldo  I,  Mnternich  e  più  tardi  Napoleone  III  avevano  organizzato  uno  spio- 
naggio che  si  filtrava  in  tutte  le  classi  sociali  e  arruolavano  sacerdoti  alti  e  bassi,  professori,  nobili, 
impiegati  in  quiescenza,  sicché  giorno  per  giorno  sapevano  cosa  si  mulinava  in  tutte  le  caste 
della  società  e  in  tutti  i  luoghi  dello  Stato,  il  Governo  di  Leopoldo  II  si  contentava  dei  cosi  detti 
orecchianti.  Erano  cotestoro  gente  sudicia  ed  abbietta  che  si  accovacciava  nei  teatri,  nei  biliardi, 
nei  caffè  nelle  trattorie,  ecc.,  e  faceva  le  viste  di  dormire,  riportando  poi  ad  un  birro  qualsiasi  U 
filato    come  dice  il  proverbio.  Spie  maschine,  infide,  paurose  e  con  nessuna  intelligenza,  che  travi- 


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480  Poesie  del  Giusti  illustrate 


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ciancie, 
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savano  1  fatti  non  mai  da  essi  ben  conosciuti  e  se  inventavano  delle  congiure  o  delle  macchinazioni 
non  le  scoprivano  mai.  Novellieri  del  giorno  da  56  centesimi  di  stipendio  per  ogni  serata  di  finta 
dormiveglia. 

La  Corte  di  Leopoldo  II,  e  più  di  tutti  la  granduchessa  Maria  Antonietta,  dilettavasi  di  . 
pettegolezzi  e  scandali.  Il  presidente  del  Buon  Governo  portava  due  o  tre  volte  la  settimana  il  „ 
contingente  ricavato  dai  rapporti  dei  commissari  e  dei  vicari  regii,  ma  era  roba  avariata,  poco  diver- 
tente e  non    da  romanzo. 

Quando  il  marchese  Cosimo  Ridolfi  nel  1848  fu  eletto  ministro  dell'interno  abolì  la  vecchia 
Polizia  senza  crearne  in  antecedenza  una  nuova,  i  registri  segreti  della  Polizia  diventarono  di  pub- 
blica ragione.  Tutti  conobbero  il  ne  me,  il  cognome  e  l'abbiettezza  delle  spie  pagate  e  molte  di  esse, 
siccome  molti  agenti,  passarono  dei  brutti  quarti  d'ora  di  Rabelais,  e  alcuni  vi  lasciarono  la  vita! 
_  (3)  Altrove  si  trova  scritto  :  muore  un  codino  e  nasce  un  liberale.  Questa  dizione  mi  piace 
più  ed  è  più  consona  al  vero,  perchè  né  tutti  i  vecchi  sono  briganti,  né  tutti  i  giovani  fior  di  virtù. 
Poi  di  fronte  e  per  antitesi  ai  liberali  stanno  i  codini,  i  retrogradi,  i  tardigradi,  ma  non  i  briganti. 
Certo  è  che  il  Giusti  vedeva  chiarsmente  che  il  mondo  morale  e  politico  si  moveva,  che  la  libertà 
si  incubava  e  che  la  rivoluzione  non  si  poteva  più  arrestare  o  prevenire  colle  vecchie  arti  di  governo. 
_  (4)  Bellissimo  quel  tarlo  che  rode  i  ferri  del  mestiere  dei  poliziotti,  indicando  che  pei  nuovi 
nati  non  vale  neppure  il  rimedio  eroico  del  re  Erode.  Il  Salvatore  si  salva  sempre  e  se  esso  muore, 
rinasce,  cioè  subentra  un  altro.  Qui,  oltre  posia,  vi  è  una  profonda  filosofia  e  conoscenza  dell'an- 
damento poli  tico  di  tutte  le  rivoluzioni  radicali. 

(5)  Il  botteghino  dei  birri  durò  molto  e  ne  usò  ad  alta  dose  lo  stesso  Napoleone  III.  Si  sa, 
complotti  orditi,  Robespierri  in  erba,  Gracchi  iracondi,  furenti  e  impetuosi  che  si  preparano,  armi 
viste  e  non  viste,  liste  false  o  vere  di  congiurati,  erano  le  miniere  dei  birri  grandi  e  piccoli,  e 
qualcosa  di  questa  anticaglia  ci  è  rimasta  anche  ai  dì  che  corrono.  Il  processo  di  Rimini  e  quello 
degli  internazionali  di  Firenze,  Roma,  Salerno,  ed  ultimamente  quello  intentato  ai  capi  del  Partito 
operaio  italiano,   informino. 

(6)  Il  ghiaccio  fin  dal  1845  erasi  rotto.  Pio  IX  nel  1856  lo  mandò  in  tritoli  e  lo  fuse  del  tutto. 
I  congressi  scientifici  diedero  le  mosse,  i  giornali  letterari  (dei  politici  indipendenti  non  ve  ne  erano) 
entrarono  per  quella  breccia.  La  Gazzetta  Italiana,  che  si  pubblicava  appunto  nel  1845  a  Parigi, 
iniziava  la  crociata  e  la  causa  liberale  progrediva.  Scrivevano  in  quella  Gazzetta,  Montanelli,  Guerrazzi, 
Capponi,  Libri,  C.  Bonaparte,  Amari  ed  anche  infine  fra  tutti  io  stesso.  Proibita  quella  in  tutta 
Italia,  venne  eletto  pontefice  Pio  IX  e  d'allora  in  poi  ogni  segretume  cessò,  e  cessò  pure  la  Giovane 
Italia  tenuta  segreta,  cerne  molte  opere  pubblicate  a  Londra  e  a  Lugano.  Un  giorno  la  storia  toc- 
cherà, come    conviensi,  di  tutto  questo. 

(7)  Nel  1845  il,  carbonarismo  aveva  fatto  il  sua  tempo.  Dal  1821  al  1835  si  era  quasi  estinto 
come  il  calderarismo  di  Canosa.  Invece  sorgevano  numerosi  i  mazziniani  affigliati  alla  Giovane  Italia 
che  fu  manna  per  quei  tempi  e  per  1'  Italia,  che  la  ridestò  dal  sonno  trisecolare,  e  per  qualche  mese 
pullulò  anche  il  s  ansi  monismo.  I  massoni  ci  furono  e  ci  sono,  anzi  formano  una  corporazione  colta, 
intelligente,  numerosa  e  influente  :  ma  anche  per  i  frammassoni,  come  si  chiamavano,  i  bei  tempi 
erano  passati  e  il  segretume  se  si  era  conservato  non  aveva  più  quegli  spaventevoli  riti  di  pugnali, 
tazze,  compassi,_  triangoli,  liquori  avvelenati,  scene  del  Tribunale  di  Weimar,  obbligo  di  pugnalare 
il  fedifrago  e  mille  altre  cose  già  dette  e  credute  vere  anche  nei  tempi  antichi. 

Oggi  il  massonismo  non  è  più  che  una  società  di  filantropia  cristiana,  che  ama  fare  il  bene 
senza  ostentazione,  che  ama  la  libertà,  la  costituzione  e  la  monarchia  e  che  non  dà  noia  neppure 
alle  mosche. 

(8)  Tutti  sanno  che  il  Giusti  non  era  repubblicano,  ma  liberale  costituzionale.  Egli  conosceva 
il  suo  tempo  e  il  suo  paese,  e  siccome  agli  operati  di  cateratta  si  amministra  la  luce  a  centellini, 
così  pensava  doversi  fare  della  libertà  politica  ai  popoli  da  più  secoli  oppressi.  Lasciando  le  tirate 
rettoriche  e  le  declamazioni  tribunizie  ai  tragici,  si  contentava  di  avere  un  principe  tarpato  cioè 
costituzional  e.  ' 

(9).  EgJi  curava  sopratutto  l' indipendenza  della,  patria  e  voleva  che  pria  si  ottenesse  questa 
eppoi  si  pensasse  alle  libertà  politiche.  Quindi  il  -porro  unum  est  necessarium.  Quindi  i  Delenda  Car- 
tago.  Quindi  l'ultima  strofa  della  presente  poesia  ;  meschina  se  vuoisi  come  poesia,  ma  eloquen- 
tissima  come  concetto  politico.  Vogliamo  l' Italia,  Italia,  cioè  l' Italia  degli  Italiani,  grido  di  guerra 
che  corse  più  tardi  e  che  io  credo  la  prima  volta  si  udisse  dal  colloquio  di  Plombiers  e  fu  quindi 
ripetuto  dall'Alpi  al  Lilibeo  per  ventitré  anni.  In  tutte  le  sue  poesie,  e  nello  Stivale  come  in  questa, 
Giuseppe  Giusti  aspirò  a  quella  resurrezione  dell'  Italia  (non  pagana,  non  religiosa,  non  domma- 
tica  ma  qualunque  si  fosse  e  alla  machiavellica)  che  dettava  immortali  pagine  a  Dante,  Petrarca 
Filicaia,  Alamanni,  Afieri,  Niccolini,  Guerrazzi,  Montanelli,  Amari,  Capponi,  Berchet,  'Giannone,' 
Ugo  Foscolo,  Tommaseo  e  cento  e  cento  altri.  Egli  voleva  1'  Italia  una,  libera  e  sopratutto  indi- 
pendente. Adoperò  la  incisiva  sua  penna  e  la  castigata  parola  a  tal  fine,  e  ciò  che  desiderava  e  va- 
gheggiava, auspice   Iddio  e  70.000  martiri,  alfine  si  ottenne. 

Pensi  la  gioventù  che   ora  è  sulla  breccia  a  non  guastare  cotanta  opera  ! 


Sili: 


S! 


■UÈ 


POESIE    DEL    GIUSTI    ILLUSTRATE 


Tra  i  re  del  paese   |    Qualcuno  1"  intese. 


5UI: 


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Poesie  del  Giusti  illustrate.  —      edizione  nerbini 


Fascicolo  31, 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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483 


Consiglio  a  un  consigliere 


1847. 


Signor  consigliere  (1), 
Ci  faccia  il  piacere 
Di  dire  al  padrone   (2) 
Che  il  mondo  ha  ragione 
D'andar  come  va. 

Dirà  :  ■■ —  Padron  mio, 
La  mano  di  Dio 
Gli  ha  dato  l'andare  ; 
Di  farlo  fermare 
Maniera  non  v'  ha. 

Se  il  volo  si  tarpa 
Calando  la  scarpa  (3) 
A  ruota  nostrale, 
Che  ratta  sull'ale 
Precipita  in  giù, 

La  ruota  del  mondo 
Andrà  fino  in  fondo  : 
Né  un  moto  s'arresta 
(Stiam  lì  colla  testa) 
Che  vien  di  lassù. 


E  mentre  cammina, 
Con  sorda  rapina 
I  gretti,  i  poltroni, 
I  servi,  i  padroni, 
Travolge  con  sé. 

Tra  i  re  del  paese 
Qualcuno  1'  intese  : 
E  a  dirla  tal  quale, 
Più  bene  che  male 
N'ottenne  fin  qui. 

Slentando  la  briglia, 
Tornò  di  famiglia  ; 
Temeva  in  quel  passo 
Di  scendere  in  basso, 
E  invece  salì. 

Giudizio,  messere  ! 
Facendo  il  cocchiere 
In  urto  alla  ruota, 
Si  va  nella  mota  ; 
Credetelo  a  me. 


Per  tutto  si  vede 
Che  il  carro  procede 
Con  dietro  una  calca 
Che  seco  travalca 
Con  libero  pie  : 


Pensando  un  ripiego, 
Io  salvo  l' impiego  : 
E  voi  (dando  retta), 
Rivista  e  corretta, 
La  paga  di  re.  — 


5111; 


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484 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


Istruzioni  ad  un  emissario 


1847. 


Anderete  in  Italia  :   ecco  qui  pronte   (1) 
Le  lettere  di  cambio  e  il  passaporto. 
Viaggerete  chiamandovi  conte, 
E  come  andato  per  vostro  diporto. 
Là,  fate  il  pazzo,  fate  il  Rodomonte, 
L'ozioso,  il  giocatore,  il  cascamorto  ; 
E  godete  e  scialate  allegramente  : 
Che  son  cose  che  fermano  la  gente  (2). 

Quando  vedrete   (ed  accaderà  di  certo) 
Calare  i  filunguelli  al  paretaio, 
Fate  razza  ;  parlate  a  cuore  aperto  :  " 
Mostratevi  con  tutti  ardito  e  gaio  ;    ,J 
Dite  che  il  Norde  è  un  carcere,  un  deserto, 
Un  vero  domicilio  del  gennaio, 
Paragonato  al  giardino  del  mondo, 
Bello,  ubertoso,  libero  e  giocondo. 

Questa  parola  Ubero,  buttata 

Là  nel  discorso  come  per  ripieno, 
Guardate  qua  e  là  nella  brigata 
Se  vi  dà  ansa  di  pigliar  terreno. 


«11- 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


485 


Se  casca,  e  voi  battete  in  ritirata, 
Seguitando  a  parlar  del  più  e  del  meno  ; 
Se,  viceversa,  v'  è  chi  la  raccatta, 
Andate  franco.,  che  la  strada  è  fatta. 

Franco,  ma  destro.  A  primo  non  è  bene 
Buttarsi  a  nuoto  come  fa  taluno  ; 
Che,  quando  ha  dato  il  tuffo,  e'  non  si  tiene 
E  tanto  annaspa  che  lo  scopre  ognuno. 
Prender  la  lepre  col  carro  conviene, 
Girar  largo,  non  essere  importuno, 
Tastare  e  lavorar  di  reticenza, 
Con  quel  giudizio  che  pare  imprudenza. 

Far  la  vittima,  no,  non  vi  consiglio  (3), 
Perchè  il  ripiego  è  noto  alla  giornata: 
Da  sedici  anni  in  qua,  codesto  appiglio 
Tanta  gente  in  quei  luoghi  ha  bindolata, 
Che  si  conosce  di  lontano  un  miglio 
La  piaga  vera  e  la  falsificata. 
Anzi  vantate,  e  fatevene  bello, 
Che  nessuno  v'  ha  mai  torto  un  capello. 

Fatto  che  vi  sarete  un  bravo  letto 
Nell'animo  di  molti,  e  decantato 
Vi  sentirete  per  un  uomo  schietto, 
E  dei  fatti  di  qua  bene  informato  ; 
Dite  corna  di  me,  ve  lo  permetto  ; 


1 


Z^M  B  £  LJ 


Dite  che^dormo,  che  sono  invecchiato^ 
Inventatene  pur,  se  ve  ne  manca, 
Che,  come  dico,  vi  do  carta  bianca. 


5111: 


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Del  ministro  di  là  dite  lo  stesso 
Ne'  caffè,  ne'  teatri,  in  ogni  crocchio  : 
Anzi,  a  questo  proposito,  v'  ho  messo 
Sul  passaporto  un  certo  scarabocchio, 
Che  vuol  dire,  Inter  nos,  ordine  espresso 
Di  lasciar  fare  e  di  chiudere  un  occhio. 
Andiamo  :   ora  che  siete  in  alto  mare, 
Ecco  la  strada  che  vi  resta  a  fare. 

Fatevi  centro  della  parte  calda 

Che  campa  di  sussurri  e  di  gazzette  ; 
E  sia  roba  in  giacchetta  o  roba  in  falda, 
Delira  sempre  e  mai  capisce  un  ette. 
Agevolmente  a  questa  si  riscalda 
Con  nulla  il  capo  ;  e  quando  uno  la  mette 
Nel  caso  di  raspare  in  tempi  torbi, 
Arruffa  tutto  e  fa  cose  da  orbi  (4). 

Compiangete  il  paese  ;  screditate 

Quell'andamento,  quel  mondo  uniforme  ; 

Deridete  le  zucche  moderate, 

Come  gente  che  ciondola  e  che  dorme  ; 

Censurate,  il  Governo  ;  predicate 

Che  la  pace,  le  leggi,  le  riforme 

Son  bagattelle  per  chetar  gli  sciocchi 

E  per  dar  della  polvere  negli  occhi. 

Sopratutto  attizzate  i  malcontenti 
Sul  ministrarne  della  nuova  scuola, 
Che  sopprime  i  vocaboli  stridenti 
E  vuol  la  cosa  senza  la  parola. 
Quello  è  un  boccone  che  m'allega  i  denti 
E  che  mi  pianta  un  osso  per  la  gola, 
Mentre  per  me  sarebbe  appetitosa 
Colla  parola  intorbidar  la  cosa. 

Spargete  delle  idee  repubblicane  ; 

Dite  che  i  ricchi  e  tutti  i  ben  provvisti 

Fan  tutt'uno  del  popolo  e  del  cane, 

E  son  tutti  briganti  e  sanfedisti  ; 

Che  la  questione  significa  pane, 

Che  chi  1'  intende  sono  i  comunisti  ; 

E  che  il  nemico  della  legge  agraria 

Condanna  i  quattro  quinti  a  campar  d'aria  (5). 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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487 


Quando  vedrete  a   tiro  la  burrasca, 
""'  E  che,  il  vento  voltandosi  alla  peggio, 
La  repubblica  santa  della  tasca 
Cominci  a  brontolare  e  a  far  mareggio, 
Dategli  fune,  e  fatemi  che  nasca 
Una  sommossa,  un  tumulto,  un  saccheggio 
Tanto  che  i  re  di  là,  messi  alle  strette, 


Ch leggano  qua  congressi  o  baionette. 

Se  v'occorre  di  spendere,  spendete  ; 
Che  i  quattrini  non  guastano  :  vi  sono 
Birri  in  riposo,  spie  se  ne  volete, 
Sfaccendati,  spiantati....  è  tutto  buono. 
Se  vi  dà  di  chiapparmeli  alla  rete, 
Di  far  tantino  traballare  un  trono  ; 
Spendetemi  tesori  e  son  contento, 
Che  gli  avrò  messi  al  secento  per  cento. 

Ohe,   nel  dubbio  che  qualcun  vi  scopra, 
Avvisatene  me  :  tutto  ad  un  tratto 
Vi  scoppia  addosso  un  fulmine  di  sopra, 
E  do  ventate  martire  nell'atto  : 


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488 


Toesie  del  Giusti  Uhi strale 


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Ecco  il  ministro  a  fare  un  sottosopra, 
Ecco  il  Governo  che  vi  dà  lo  sfratto  : 
E  così  la  frittata  si  rivolta, 
E  siete  buono  per  un'altra  volta. 

Per  non  dar  luogo  all'uffizio  postale 
Di  sospettar  tra  noi,  quest'armeggìo, 
Corrispondete  qua  col  tal  di  tale  ; 
E  siate  certo  pur  che  l'avrò  io. 
Egli,  come  sapete,  è  liberale, 
E  ribella  il  paese  a  conto  mio. 


Ci  siamo  intesi  :  lavorate  ;  e  poi 

Se  e'  incastra  una  guerra,  buon  per  voi. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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489 


LA    GUERRA 


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1846. 

Eh  no,  la  guerra,  in  fondo, 
Non  è  cosa  civile  (2)  : 
D' incivilire  il  mondo 
Il  genio  mercantile 
S'  è  addossata  la  bega  : 


Marte  ha  messo  bottega. 
Le  nobili  utopie 


Del  secolo  d'Artù  (3), 
Son  vecchie  poesie 
Da  novellarci  sii  : 


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ajn: 


49° 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


Oggi  a  pronti  contanti 
I   cavalieri  erranti 

Con  tattica  profonda 


Nell'arena  dell'oro 


A  tavola  rotonda 
Combattono  tra  loro, 
Strappandosi  co'  denti 
Il  pane  delle  genti  (4). 


Su: 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


491 


Sì,  sì,  pensiamo  al  cuoio, 


E  la  gotta  a'  soldati. 
Cannone  e  filatoio 
Si  sono  affratellati  ; 
È  frutto  di  stagione 
Polvere  di  cotone. 


Di  guerresco  utensile 
Gli  arsenali  e  le  ròcche 
Ridondano  :  il  fucile 
Sbadiglia  a  dieci  bocche 
De'  soldati  alle  spalle, 
Affamato  di  palle. 


Né  mai  tanto  apparato 
D'armi  crebbe  congiunto 
A  umor  sì  moderato 
Di  non  provarle  punto. 


Sin; 


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49  2 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Dormi  Europa,  sicura  : 
Più  armi  e  più  paura  (5). 

Popoli,  respirate-: 


E  gli  eroi  macellari 
Cedano  alle  stoccate 
Degli  eroi  milionari  : 
La  spada  è  un'arme  stanca, 
Scanna  meglio  la  banca   (6). 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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493 


Bollatevi  tra  voi, 
Re,  ministri  e  tribune  ; 
Gridate  all'armi  ;   e  poi 


Desinando  in  comune, 
Gran  proteste  di  stima, 
E  amici  più  di  prima. 

La  pace  del  quattrino 
Ci  valga  onore  e  gloria 
Guerra  di  tavolino 
Facilita  la  storia. 
Oh  che  nobili  annali, 
Protocolli  e  cambiali  ! 

Hanno  tanto  gridato 
Sulla  tratta  de'  Negri  ! 
Eppure  era  mercato  ! 
Tedeschi,  state  allegri  : 
Finché  la  guerra  tace, 
Ci  succhierete  in  pace. 


ms, 


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Slfc 


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494 


Toesie  del  Giusti  illustrate 


Ma  che  è  questo  scoppio 
Che  introna  la  marina  ? 
Nulla  :  un  carico  d'oppio 
Da  vendersi  alla  China  ; 
È  una  fregata  inglese 
Che  l'annunzia  al  paese   (7). 

Qui,  l'oppio  capovolta 
Dritti  e  filantropie  ! 
Ma  i  barbari  una  volta, 
Oggi  le  mercanzie 
Migran  da  luogo  a  luogo, 
Bisognose  di  sfogo. 

Strumento  di  conquista 
Fu  già  la  guerra  ;  adesso 
È  affar  da  computista  : 
Vedete  che  progresso  ! 
Pace  a  tutta  la  terra  : 
A  chi   non   compra,  guerra  ! 


Ihl 


aj»: 


Toesie  del  Giusti  illustrate  495 


ANNOTAZIONI 


(consiglio  ad  un  consigliere). 
(i)  Vi  erano  nel  granducato  più  specie  di  consiglieri,  ma  i  più  eminenti  erano  i  consiglieri  di  Stato, 
o  ministri,  e  quelli  della  Consulta.  Qui  si  vede  chiaro  che  il  Poeta  parla  ad  un  consigliere  di  Stato. 

(2)  Gli  impiegati,  generalmente,  volendo  nominare  il  granduca,  lo  designavano  col  nome  di  Padrone. 

(3)  Scarpa,  è  il  freno  che  si  usa  pei  veicoli  quando  si  percorrono  le  discese. 

(4)  Qui  l'autore  ammette  il  progresso  fatale  o  provvidenziale  che  sia  di  ogni  cosa,  di_  ogni 
umana  istituzione  e  filosoficamente  fa  conoscere  che  chi  segue  l'andazzo  ragionevole  dei  tempi  dol- 
cemente ne  è  condotto  e  chi  vi  si  oppone  ne  è  travolto.  Volentem  ducunt,  trahunt  nolentem,  phata. 


È  una  massima  del  resto  antichissima. 


Tra  i  re  del  paese 
Qualcuno  1"  intese. 


Con  quall'acume  profetico  che  la  natura  dà  a  quei  sublimi  e  privilegiati  ingegni  che  si  alzano  a 
volo  nelle  somme  regioni  poetiche,  il  Giusti  vaticinò  la  somma  gloria  di  Vittorio  Emanuele  che  co- 
nobbe i  suoi  tempi,  e  consultato  il  cuore  ottimo  e  1'  intelletto  positivo  e  castigato,  si  diede  in  braccio 
al  progresso  e  al  suo  popolo.  Ei  fu  profeta  e  grande  divinatore  degli  umani  eventi  molti  anni  avanti 
del  1857,  quando  Napoleone  III,  fidando  nelle  sue  arti  politiche,  convitava  a  lauto  banchetto  m 
Parigi  quasi  tutti  i  sovrani  di  Europa  :  Vittorio  Emanuele  siede  sopra  il  trono  di  una  grande  na- 
zione, Napoleone  III  fu  balzato  dal  trono  e  morì  in  terra  straniera  !  Qaal  lezione  ! 

(istruzioni  ad  un  emissario). 

(1)  Probabilmente  l'emissario  si  doveva  partire  da  Vienna.  In  quei  tempi  dalla  Francia  ci 
veniva  la  libertà  o  almeno  le  fanj 'aronate  liberalesche  e  la  Prussia  e  la  Russia  per  noi  non  esisterono. 
L'  Inghilterra  ci  dava  le  lettere  di  Gladstone,  vere  mitragliatrici  del  Borbone  di  Napoli,  e  dopo 
il  1808  reazionaria  quella  nazione  e  infesta  all'  Italia  non  fu  mai.  Oggi  tutto  è  mutato.  L'  Inghilterra 
come  la  Francia  ci  invia  vescovi  faziosi  e  sillabimi,  pellegrini  e  pellegrine  a  josa  e  decurioni  e 
centurioni  deh'  infallibilità  papale.  Nei  tempi  nei  quali  visse  il  Giusti  questa  porcheria^  medievale 
non  scendeva  le  Alpi.  Oggi,  le  scende,  beve  e  mangia,  tripudia,  si  fa  vedere  per  le  vie  e  per  le 
piazze  e  ci  porta  acqua  di  Lourdes  e  santi  nuovi,  cuori  di  scarlatto  e  immagini  della  beata  Alacoque. 
Però  il  diavolo  non  è  brutto  come  si  dipinge,  avvegnaché  i  pellegrini  lasciano  molto  denaro  in 
Italia,  vi  comprano  molti  oggetti  sacri  e  profani  di  prezzo  elevato,  si  trattano  bene  maschi  e  fem- 
mine ;  a  serque,  se  la  scarrozzano  da  mattina  a  sera,  vedono  Roma  e  il  prigioniero  con  un  pò  di 
paglia,  e  lieti,  contenti,  rubicondi  se  ne  tornano  ai  loro  remoti  paesi.  Sono  crociate  all'uso  moderno, 
a  prezzi  ridotti  e  a  sacrifizi  microscopici.  .  . 

(2)  La  pittura  dell'emissario  è  presa  al  naturale.  L'  Italia  conta  nella  sua  recente  stona  molti 
di  questi  bipedi  infami  venuti  qua  ad  accalappiare  i  gonzi  ed  anche  i  sinceri  amatori  della  patria 
e  della  libertà.  Avulso  uno,  alter  non  deficit.  Appena  qualcuno  se  ne  scopriva,  altri  ne  apparivano, 
e  ad  ogni  apparizione  di  un  emissario,  che  la  trinciava  da  principe,  conte  o  marchese,  le  carceri 
di  Lombardia,  di  Modena  e  del  Napoletano  si  riempivano  di  inquisiti  per  delitti  di  Stato,  o  la  forca, 
la  ghigliottina,  le  palle  funzionavano  iniquamente.  Mi  rammento  che  trovandomi  studente  in 
Parma  nel  1832,  venne  colà  un  sedicente  liberalone  ed  alto  personaggio  da  Modena,  speditovi  segre- 
tamente da  Francesco  IV,  e  convocò  tutti  i  patriotti  della  città  ad  un  pranzo.  Erano  giovani  prodi, 
ma  incauti  ed  entusiasti  già  compromessi  nei  modi  del  183 1.  Pochi  giorni  dopo  l'emissario  spari 
e  quegli  ingenui  patriotti  furono  tutti  quanti  carcerati.  È  vero  altresì  che  dopo  due  mesi  anche  il 
goriziano  commissario  Sartorius,  fautore  della  trappola,  fu  stilettato  come  avvenre  di  Besim  a 
Modena  e  nel  1848  dell' Anviti  nelT  istessa  città  di  Parma. 

Vuoisi  che  nelT  istesso  anno  noi  toscani  avessimo  pure  un  emissario  austriaco,  il  quale  sfug- 
gendo all'occhio  linceo  del  Guerrazzi,  fu  da  questi  nominato  comandante  delle  guardie  municipali. 
Io  pure  conobbi  per  debito  di  ufficio,  come  questore  della  Costituente,  il  Solerà,  ma  tanto  mi  parve 
liberale,  modesto  e  onesto  gentiluomo,  che  rimasi  di  sasso  al  saperlo  ritornato  in  Firenze  con  la 
truppa  austriaca  in   divisa   di  ufficiale.  . 

(3)  Accortissimo  il  consiglio  di  non  far  la  vittima  e  il  fargli  dire  che  non  gli  si  torse  un  capello. 

(4)  Spronate,  aizzate  la  plebe  che  fa  cose  da  orbi.  Infame,  ma  utile  consiglio  per  chi  vuol  pe- 
scare nel  torbido  e  iniziare  una  nuova  notte.  Buffo  di  vento  è  la  plebe  che  ti  eleva  o  ti  abbassa 
a  suo  beneplacito.  Dall'Osanna  al  Crucifigge  breve  fu  mai  sempre  il  cammino,  e  male  accorto  e  chi 
su  di  essa  si  fida  e  se  ne  fa  piedistallo. 

(5)  Anche  l'evocare  il  fantasma  del  comunismo  è  moUa  potente  per  chi  specula  onde  ritrarre 
a  servitù  i  popoli  e  distruggere  gl'istinti  di  libertà.  " 

Brevemente  tutte  le  inique  arti  della  vecchia  Polizia  dei  Napoleomdi,  come  della  Casa  d  Austria 
e  dei  Borboni  in  questa  satira  sono  finamente  delineate  e  coll'aculeo  della  più  fina  ironia  stigma- 
tizzate   C  è  verità  in  tutto.  C'era  opportunità  quando  venne  alla  luce  e  vi  era  santo  amore  dei- 


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l'umanità   e   scudo  per  i   giovani   troppo    modesti   e   troppo   creduli.  Questa  dell'  immortale  Giusti 
non  fu  soltanto  una  bella  poesia,  ma  un'utile  e  generosa  azione. 

(la   guerra). 

(i)  Questo  scherzo  punge  i  predicatori  della  pace  a  ogni  costo,  anche  a  prezzo  delle  più  ver- 
gognose bassezze  ;  i  quah  poi,  se  capita  il  destro  di  guadagnare,  danno  un  calcio  ai  loro  sistemi 
e  rovesciano  il  mondo. 

(2)  Non  vi  ha  dubbio  che  la  guerra,  presa  in  un  senso  ben  diverso  dallo  scherzo  del  nostro 
autore  e  tal  flagello  che  ripugna  alla  coscienza,  come  alla  fredda  ragione  dell'uomo,  e  ai  dettami 
della  religione  di  Cristo  Ma  pur  troppo  la  guerra  è  nell'universa  natura,  ove  non  vi  ha  creazione 
senza  una  precedente  distruzione  e  dove  vita  e  morte  hanno  un  identico  significato  e  un  mede- 
simo scopo,  la  conservazione  rinnovellata  del  tutto,  e  la  cooperazione  di  ogni  atomo  all'universa 
armonia  dei  mondi  infiniti. 

Come  l'atmosfera  ha  i  suoi  organi  e  i  suoi  venti,  il  mare  le  sue  tempeste,  la  terra  i  suoi  ter- 
remoti, cosi  1  umanità  va  sottoposta  alle  sempre  devastatrici,  ma  spesso  anche  appuratici  guerre 
JNon  si  edifica  il  nuovo  senza  la  distruzione  del  vetusto  e  gli  uomini  son  troppo  schiavi  dei  pre- 
giudizi, conservatori  e  servi  delle  inveterate  abitudini,  per  rinnovarsi  senza  la  guerra 

Pure  la  matura  civiltà  dei  tempi  deve,  se  non  estinguerla,  toglierne  in  gran  parte  le  cause 
e  la  lega  pacifica  degli  inglesi  capitanati  da  Britgt  e  Smith,  il  congresso  degli  internazionali  che 
vogliono  distruggere  oggi  per  ricrear  domani,  un  perenne  ordine  di  pacifica  convivenza  sociale 
non  sono_  che  i.  preludi  di  un'era  più  o  meno  vicina.  Se  non  che  più  che  alle  vacue  parole  e  alle 
sante  aspirazioni  dei  filantropi,  più  che  alle  buone  intenzioni  e  ai  fatti  malvagi  degli  incendiari,  potrebbe 
aversi  tede  neh  arbitrato  internazionale,  di  cui  si  gettarono  le  basi  nel  trattato  di  Parigi  del  181;  6  e  cui 
ricorsero  le  due  più  forti  potenze  marittime  del  mondo,  1'  Inghilterra  e  gli  Stati  Uniti  dell'America. 

Più  ancora  che  dal  supremo  consiglio  d'arbitrato  internazionale  è  a  sperarsi  dai  progressi  della 
potenza  assoqatrice  e  assimi'atrice  delle  industrie,  delle  scienze  e  dei  commerci. 

Questo  sarà  il  gran  miracolo,  ma  per  ora  ne  siamo  ancora  molto  lontani.  Il  nuovo  proble- 
ma sociale  e  posto,  ma  chi  sa  per  quante  guerre  dovrà  passare  l'umanità  pria  di  risolverlo. 

(3)  Ann,  1  eroe  della  tavola  rotonda,  dei  paladini  e  dei  Reali  di  Francia  :  insomma  il  rappre- 
sentante mitico  dell'antica  cavalleria. 

(4)  Quando  Giusti  scriveva  questa  poesia  che  sferza  acremente  i  falsi  umanitari,  la  viltà  del 
secolo  eia  bieca  rapina  dei  banchieri  e  dei  giocatori  di  Borsa,  le  grandi  guerre  europee  non  si  erano 
ancora  iniziate.  r 

Delle  eroiche  battaglie  di  Napoleone  I  non  esisteva  che  una  ricordanza  viva  e  sublime  se  volete 
ma  tale  da_  impressionare  più  la  mente  che  il  cuore. 

Erasi  in  vero  la  Grecia  già  costituita  in  dipendenza  limitata  e  avevano  tentato  la  Polonia 
e  1  Italia  di  sottrarsi  al  dominio  straniero,  ma  invano.  Più  fortunate,  la  Francia,  la  Spagna  e  il 
Portogallo  avevano  dato  il  Governo  ad  una  più  simpatica  dinastia  e  1'  Europa  aveva  dovuto  rico- 
noscere il  distacco  del  Belgio  dal  regno  d'Olanda  e  la  sua  costituzione  in  Stato  autonomo. 

Allora  correva  il  tempo  delle  aspirazioni  al  governo  costituzionale  e  si  iniziavano  queUe  deUa 
restaurazione  delle  nazioni  civili,  la  Grecia,  1'  Italia  e  la  Polonia.  Ma  in  questo  campo  si  faceva 
ben  poco  cammino  :  1  martiri  erano  molti,  ma  gli  acquisti  pochi. 

Le  grandi  guerre  ricomparvero  con  Napoleone  III  dopo  che  fu  eletto  imperatore  e  queste  Giu- 
seppe Giusti  non  le  vide.  Egli  che  tanto  stigmatizzò  la  corruzione  borghese  sotto  Luisi  Filippo  chi 
sa  cosa  avrebbe   detto  vedendo  la  universale  corruzione  del  secondo  impero. 

(5)  Dormi,  Europa,  sicura  : 

Più  armi  e  più  paura. 

È  vero  :  ci  sono  stati  molti  anni  in  cui  il  lusso  delle  armate  non  aveva  ragione  di  essere  che 
nel!  antica  massima  :  si  vis  pacem,  -para  bellum. 

Tutti  si  armavano  perchè  vedevano  armare  gli  altri.  Non  ostante  che  le  bocche  di  fucili,  ripeterò 
la  eloquente  parabola  del  Poeta,  fossero  affamate  di  palle. 

(6)  Scanna  meglio  la  Banca. 

È  vero  :  cominciaronsi  a  fare  le  guerre  coll'oro,  coi  capitali,  colle  industri  e  chi  più  ne  ebbe 
ottenne  più  potente  risultato.  Fu  allora  che  1'  Inghilterra  e  la  Francia  poggiarono  a  quella  grandezza 
ed  a  quell  apogeo  dal  quale  dovettero  scendere  non  appena  l'oro  cede  il  posto  alla  spada  ed  al  can- 
none ;  e  fu  appunto  l'oro  corruttore  che  prostrò  la  virilità  della  Francia  e  dell'  Inghilterra.  Chi  era 
più  povero  fu  più  valente  e  vinse. 

i'  -a  i7^0!16  immoralità  !  avvelenare  una  nazione  per  trarne  oro  e  merci  !  —  tutto  sacrificando  al- 
I  idolo  del  secolo.  —  Dalla  China  dovevano  venire  proteste  di  civiltà  e  sensi  di  umanità  e  1'  Inghil- 
terra non  doveva  vergognarsene.  Nazione  perduta  !  a  forza  di  cannonate  volle  portare  il  veleno 
neli  impero^  dei  Mandarini.  Ma  per  questa  via  non  si  va,  e  Giuseppe  Giusti  fu  profeta,  come  lo 
turano   tutti   1  grandi   ispirati   poeti   di   tutte   le  nazioni,  da  Geremia  a  Isaia,  a  Omero  e  a  Dante 


fin: 


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POESIE    DEL   GIUSTI    ILLUSTRATE 


IL  CONGRESSO  DEI  BIRRI  (,) 


Solamente  dirò  che  l'adunanza 

In  tre  schiume  di  birri  era  distinta. 
Delle  Camere  d'oggi  a  somiglianza. 


Sin: 


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Foesie  del  Giusti  illustrate.  —  edizione  nerbini 


Fascicolo  32. 


SO: 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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499 


DITIRAMBO 


1847 


A  scanso  di  rettorica,  ho  pensato 

Di  non  fermarmi  a  descriver  la  stanza 
Che  in  grembo  accolse  il  nobile  Senato. 

Solamente  dirò  che  l'adunanza 

In  tre  schiume  di  birri  era  distinta, 
Delle  Camere  d'oggi  a  somiglianza. 

A  dritta,  i  birri  a  cui  balena  in  grinta 

Il  sangue  puro  ;  a  manca,  gli  arrabbiati  (2); 
Nel  centro,  i  birri  di  nessuna  tinta  ; 

Birrùcoli  cioè  dinoccolati, 

Birri  che  fanno  il  birro  pur  che  sia  ; 
Bracchi  no,  ma  locuste  degli  Stati. 

Tagliere  corto  anco  alla  dicerìa 
Che  fece  con  un  tono  da  compieta 


Il  gran  capoccia  della  sbirreria  (3)  ; 

Che  deplorò  giù  giù  dall'«  alla  zeta 

E  le  glorie  birresche  e  i  guasti  orrendi 
Che  porta  il  tempo  come  l'acqua  cheta 


5x1: 


ifli: 


riilÈ 


500 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


E  parlò  di  pericoli  tremendi, 

E  d'averli  chiamati  a  parlamento  (4) 
Per  consultarli  sul  modo  ienendi 

Di  riparare  in  tempo  al  fallimento. 

Dalla  manca,  oratore 
Di  que'  birri  bestiali, 
Sbucò  pien  di  furore 
Un  mangialiberali  ; 
E,  sgretolando  i  denti, 
Proruppe  in  questi  accenti  : 


Pare  impossibile 
Che  in  un  paese, 
Nel  quale  ammorbano 
Di  crimenlese 

Anco  gì'  ipocriti 
Del  nostro  Uffìzio, 
Si  perda  in  chiacchiere 
Tempo  e  giudizio  ! 

Quando  col  mietere 
Di  poche  teste 
Si  può  d'un  soffio 
Stirpar  la  peste  ; 


àìu: 


filli: 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


5Pi 


Perchè,  cullandosi, 
Lasciar  che  cresca 
Questa  fungaia 
Liberalesca  (5), 

E  manomettere, 
Stato  e  monarca, 
E  a  suon  di  ninnoli 
Mandar  la  barca  ? 

Stolto  chi  reggere 
Pensa  un  Governo 
Colle  buaggini 


D'un   far  paterno  ! 

Riforme,  grazie, 
Leggi,  perdono, 
Son  vanaglorie, 
Pazzie,  sul  trono. 

Lisciare  un  popolo 
Che  fa  il  padrone  ? 
Supporre  in  bestie 
Dritto  e  ragione  ? 


5111- 


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502 


Toesie  del  Giusti  illustrate 


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Lodare  un  regio 
Senno,  corrotto 
Di  questa  logica 
Da  sanculotto  ? 

No  :  nel  carnefice 
Vive  lo  .Stato  : 
Ogni  politica 
Sa  d' impiccato  ; 

E  un  re  che  a  cintola 
Le  man  si  tiene, 
Se  casca,  al  diavolo  ! 
Caschi,  sta  bene. 

Che  c'entra  il  prossimo  ? 
Io  co'  ribelli 


Sono  antropofago, 
Non  ho  fratelli. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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503 


Non  dico  al  principe  : 
—  Allenta  il  freno, 
Tentenna,  scaldati 
La  serpe  in  seno  ; 

E  quando  il  pelago 
Sale  in  burrasca, 
Affoga  e  ficcati 
Le  leggi  in  tasca.  — 

Io  vecchio,  io  vergine 
D'  idee  sì  torte, 
Colla  canaglia 
Vo  per  le  corte. 

Tenerli  d'occhio 
(Sia  che  si  sia) 
Impadronirsene, 
Colpirli,  e  via. 

Ecco  la  massima 
Spedita  e  vera  : 


Galera  e  boia, 
Boia  e  galera. 


5i)ii  : 


504 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


Disse  :  e  al  tenero  discorso 

Di  quell'orso,  —  a  mino  manca 
Ogni  panca  —  si  commesse  : 
Non  si  scosse,  —  non  fé'  segno 
O  di  sdegno  —  o  d' ironia 
L'albagia  —  seduta  a  dritta  ; 
E   ste'   zitta  —  la  platea. 
Si  movea  — ■  lenta  in  quel  men  tre, 
Giù  dal  ventre  — -  della  stanza, 
La  sembianza  —  rubiconda 
E  bistonda  —  d'un  vicario  (6) 
Del  salario  — •  innamorato  : 


Che,  sbozzato  —  uno  sbadiglio, 
Con  un  piglio  —  di  maiale 
Sciorinò  questa  morale  : 

Non  dico  :  la  mannaia, 

Purché  la  voglia  il  tempo, 
Rimette  a  nuovo  un  popolo; 
E  il  resto  è  un  perditempo. 

Ma-  quando  de'  filantropi 
Crebbe  la  piena,  e  crebbe 
Questa  flemma  di  codici 
Tuffati  nel  giulebbe  ; 

Quando  alla  moltitudine, 
Bestia  presuntuosa, 
Il  caso  ha  fatto  intendere 
Che  la  testa  è  qualcosa  ; 


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Toesie  del   Giusti  illustrate 


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)05 


Darete  un  fermo  al  secolo, 


Lì,  col  boia  alla  mano  ? 
Collega,  riformatevi  : 
Siete  antidiluviano. 

Voi  vi  pensate  d'essere 
A  quel  tempo  beato, 
Quando  gridava  Italia 
Soltanto  il  letterato. 

Amico,  ora  le  bàlie 

L'  insegnano  a'  bambini  ; 
E  quel  nome  dagli  Arcadi 
Passò  ne'  contadini. 

Sì,  le  spie  s'arrabattano, 
E  lo  so  come  voi  : 
Ma  in  fondo,  che  conclusero 
Dal  quattordici  in  poi  ? 

Se  allora  le  degnavano 
Perfino  i  cavalieri  : 
Ora,  non  ce  le  vogliono 
Nemmanco  i  caffettieri. 

I  processi,  le  carceri 
Fan  più  male  che  bene  : 


SUI; 


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Su: 


506 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Un  liberale,  in  carcere, 
C  ingrassa,  e  se  ne  tiene  ; 

E  quando  esce  di  gabbia 
Trattato  a  pasticcini, 
È  preso  per  un  martire, 
E  noi  per  assassini  (7). 

Gua',  spero  anch'  io  che  i  popoli 
Vadano  in  perdizione  : 
Ma  se  toccasse  ai  principi 
A  dare  il  traballone  ? 

Colleghi,  il  tempo  brontola  : 
E  ovunque  mi  rivolto, 
Vi  dico  che  per  aria 
C  è  del  buio,  e  di  molto  ! 

Il  mondo  d'oggi  è  un  diavolo 
Di  mondo  sì  viziato, 
Che  mi  pare  il  quissimile 
D'un  cavallo  sboccato  : 

Se  lo  mandate  libero, 
O  si  ferma  o  va  piano  ; 


Più  tirate  la  briglia, 
E  più  leva  la  mano. 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


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507 


Io  queste  cose,  al  pubblico, 
Certo  non  le  direi  : 
In  piazza  fo  il  cannibale  ; 
Ma  qui,  signori  miei, 

Qui.  dove  è  presumibile 
Che  non  sian  liberali, 
Un  galantuomo  è  in  obbligo 
Di  dirle  tali  e  quali. 

Sentite  :  io  per  la  meglio 
Mi  terrei  sull'  intese  ; 
Vedrei  che  piega  pigliano 
Le  cose  del  paese  ; 

E  poi,  senza  confondermi 
Né  a  sinistra  né  a  destra, 
O  principe  o  repubblica, 


saSSsa» 


Terrei  dalla  minestra. 

Il  centro  acclamò, 
La  manca  sbuffò  ; 


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ÉJIE 


~ lite 

5°8  'Poesie  del  Giusti  illustrate 


Un  terzo  Demostene 
In  piede  salì, 
Al  quale  agitandosi 
La  dritta  annuì. 
Silenzio,  silenzio  ! 
Udite  la  parte, 
La  parte  che  sfodera 
Il  verbo  dell'arte. 


Gli  onorandi  colleghi,   a  cui  fu  dato 
Prima  di  me  d'emettere  un  parere, 
Non  hanno,  a  senso  mio,  bene  incarnato 
Lo  scopo  dell'ufficio  e  l'arti  vere, 
Qui  non  si  tratta  di  salvar  lo  Stato, 
Di  cattivarsi  il  popolo,  o  messere, 
D'assicurarsi  nella  paga  un  poi  ; 
Si  tratta  d'aver  braccio  e  d'esser  noi. 

Io  non  ho  per  articoli  di  fede 

E  non  rifiuto  il  sangue  e  la  vendetta  : 
Dico,  che  il  forte  è  di  tenersi  in  piede  ; 
Rispetto  al  come,  è  il  caso  che  lo  detta. 
Senza  sistemi,  il  saggio  opera  e  crede 
Sempre  ciò  che  gli  torna  e  gli  diletta  : 
Mirare  al  fine  è  regola  costante  ; 
E  chi  soffre  di  scrupoli  è  pedante. 

Ciò  che  preme  impedire  è  che  tra  loro 
S'  intendano  governi  e  governati  : 
Se  s' intendono,  addio  :  l'età  dell'oro, 
Per  noi,  tanto,  finisce  ;  e  siamo  andati. 
Dunque  convien  raddoppiare  il  lavoro 
D' intenebrarli  tutti,  e  d'ambo   i  lati 
Dare  alle  cose  una  certa  apparenza 
Da  tenerli  in  sospetto  e  in  diffidenza. 

Noi  non  siam  qui  per  prevenire  il  male  : 
Giusto  !  va'  là,  sarebbe  un  bel  mestiere  ! 
La  così  detta  pubblica  morale 
Anzi  è  l' inciampo  che  ci  dà  pensiere. 
Il  vegliare  alla  quiete  universale 
E  un  reggere  a'  poltroni  il  candeliere  ; 
Quando  uno  Stato  è  sano  e  in  armonia, 
Che  figura  ci  fa  la  Polizia  ?   (8) 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


rais. 


509 


Se  cesseranno  i  moti  rivoltosi, 

Se  scemeranno  i  tremiti  al  Governo, 

Nel  pubblico  ristagno  inoperosi 

Dormirete  nel  fango  un  sonno  eterno. 

Popoli  in  furia  e  principi  gelosi 

Son  del  nostro  edilìzio  il  doppio  perno. 

Perchè  giri  la  ruota  e  giri  bene, 

Che  la  mandi  il  disordine  conviene. 

Tempo  già  fu,  lo  dico  a  malincuore, 
Che  di  Giustizia  noi  bassi  strumenti, 
Addosso  al  ladro,  addosso  al  malfattore, 
Miseri  cani,  esercitammo  i  denti  : 
Ma  poi  che  i  re  ci  presero  in  favore 
E  ci  fecer  ministri  e  confidenti, 
Noi,  di  servi  de'  servi,  in  tre  bocconi" 


Eccoci  qui  padroni  de'  padroni. 

Dividete  e  regnate....  —  A  questo  punto 
Suonò  d'evviva  la  piazza  vicina 
Al  principe  col  popol  ricongiunto, 
All'  Italia  e  alla  Guardia  cittadina. 
Fecero  a  un  tratto  un  muso  di  defunto 
Tutti,  nel  centro,  a  dritta  ed  a  mancina 
E  morì  sulle  labbra  accidentato 
Il  genio  di  quel  birro  illuminato. 


sin- 


an: 


5IO 


Poesie  del  Giusti  illustrale 


Coatro  un  letterato  pettegolo  e  copista 


1845. 


O  chiarissimo  ciuco, 
O  cranio  parassito  (1) 
All'erudita  greppia  incarognito, 
Tu  del  cervello  eunuco 
All'anime  bennate 
Palesi  la  virtù  colle  pedate. 


Somigli  uno  scattai  e, 

Di  libri  un  tempo  idropico  e  digiuno, 
Grave  di  tutti,  inteso  di  nessuno  ; 
O  meglio,  un  arsenale, 

Ove  il  sapere,  in  preda  alle  tignole, 
Non  serba  altro  di  sé  che  le  parole. 

Poiché  sfacciatamente 
Copri  de'  panni  altrui  l'anima  nuda, 
Scimmia  di  forti  ingegni  e  Zoilo  e  Giuda  ; 
Smetti,  o  zucca  impotente, 
Di  prenderti  altra  briga  ; 
Strascica  l'estro  sulla  falsariga. 


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Toesie'  del  Giusti  illustrate 


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511 


Una  levata  di  cappello  involontaria 


1845. 


Rise  Emilio  (i),  perchè  nella  funesta 
Casa  dei  folli  un  dì  con  esso  entrando, 
Confusolo  spettacol  miserando, 

Scoprii  la  testa. 


Oh  !  s'ei  dovesse  a  chi  non  ha  cervello 
Passar  dinanzi  dei  villani  al  modo, 
Tener  potrebbe  in  capo  con  un  chiodo 
Fisso  il  cappello. 

Onorar  la  sventura  è  mio  costume, 
E  senza  farisaica  vernice 
Nei  casi  meditar  dell'  infelice 

La  man  di  un  nume. 

Accanto  a  illustre  mentecatto,  avvezzo 
Al  salutar  d'un  popolo  di  schiavi, 
Accanto  ai  pazzi  che  la  fan  da  savi 

Passo  e  disprezzo  (2). 


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512  Poesie  del  Giusti  illustrate 

ANNOTAZIONI 

(il  congresso   de'   birri). 

(1)  Quando  nel  1847  l'autore  scrisse  questa  meravigliosa  creazione  del  suo  genio  possente,  i 
tempi  ingrossavano.  Da  un  anno  Pio  IX  sedeva  sulla  cattedra  di  S.  Pietro  con  a  lato  i  cardinali  Gizzi 
e  Micara  libéralissimi  ;  Carlo  Alberto  si  disponeva  ad  abbandonare  i  gesuiti,  e  il  reame  di  Napoli 
bolliva  per  impeti  generosi.  Leopoldo  II,  tentennando  fra  il  sì  e  il  no,  aveva  veduto  che  non  potendosi 
incarcerare  tutti  i  liberali  del  granducato,  di  cui  fu  portata  la  lunga  nota  nel  Consiglio  dei  ministri 
e  dal  figlio  del  consiglier  Cempini  copiata  e  resa  nota  a  Pisa  al  prof.  Montanelli  (nella  qual  nota  eravi 
pure  il  mio  nome),  pensò  fare  di  necessità  virtù  e  concesse  prima  la  Consulta  di  Stato,  poi  la  libertà 
della  stampa  e  quindi  la  Guardia  civica.  Ignorasi  se  Leopoldo  in  allora  fosse  di  buona  fede,  si  sa 
soltanto  che  due  anni  dopo  dal  Governo  austriaco  fu  solennemente  redarguito  e  punito  e  che  di 
molti  dei  suoi  beni  di  Boemia  fu  da  quello  spogliato.  L'apostasia  avvenne  a  Gaeta,  siccome  quella 
di  Pio  IX,  spintivi  dall'  ipocrita  Tiberio  di  Napoli.  Nel  1847  il  Congresso  dei  birri  se  non  ebbe  luogo, 
come  io  ritengo,  aveva  ragione  di  essere.  Sono  oggimai  morti  molti  di  coloro  che  potevano  prendervi 
parte  attiva.  Però  ragion  vuole  che  si  dica  che  né  i  ministri  Paver,  Hamburg,  Cempini,  né  Baldasseroni 
e  Bologna,  erano  di  tal  tempra.  Ciantelli  in  quel  tempo  da  molti  anni  era  stato  remosso  dalla  presi- 
denza del  Buon  Governo.  Il  Landucci  con  pochi  commissari  di  Governo  e  vicari  regii  vi  avrebbe  figurato. 

Il  birro  spicciolo  coi  suoi  pantaloni  e  casacca  di  velluto,  gli  orecchini  a  cerchio,  il  grosso  e  nodoso 
bastone,  erano  esseri,  quanto  abbietti,  innocui.  Lo  stesso  celebre  bargello  Paolini  ed  il  Bandelloni 
non  avevano  l'anima  prava  e  feroce.  Il  marcio  stava  nei  vicari,  commissari  e  auditori  di  Governo, 
la  magistratura  avendola  rupulita  dai  rococò,  dai  Maniscalco  e  Pacifico,  il  valentissimo  presidente 
Puccini.  Il  Nervini,  esimio  poeta  latino,  il  Bicchierai  se  erano  di  idee  retrivamente  avventate,  non  usci- 
rono mai  dalla  legge,  né  incrudelirono  mai.  Ma  già,  questa  nostra  dolce  Etruria  non  è  terreno  da 
Pasqualoni,  Canosa,  Merenda,  Salvotti,  Bolza  ed  altri  carnefici  di  Confalonieri  e  Silvio  Pellico.  Qui 
la  terra  molle  e  dilettosa,  simili  a  sé  gli  abitatori,  produsse  una  piccola  effervescenza  popolare  nel 
1848,  quando  il  ministro  Ridolfi  abolì  la  vecchia  Polizia  senza  sostituirvi  la  nuova  e  ci  fu  anche 
qualche  vittima.  Anche  nel  1849  si  ripeterono  le  scene  poco  edificanti  del  '48  contro  gli  agenti  poli- 
zieschi ;  ma  fu  un  uragano  di  poche  ore  che  investì  più  dei  poliziotti  le  spie  arreggimentate  di 
cui  si  trovarono  le  note. 

(2)  Grinta,  viso  arcigno,  duro  e  poco  prevenente. 

(3)  Il  gran  capoccia  dei  birri,  ossia  il  presidente  del  Buon  Governo. 

(4)  Chiamati  a  parlamento,  bellissima  e  pura  locuzione  ;  oggi  si  direbbe  con  linguaggio  improprio 
chiamati  a  consiglio. 

(5)  Fungaia  liberalesca.  £  nel  carattere  dei  birri  Torquemada  e  Maniscalco  di  denigrare  la  gio- 
ventù pensante.  Fungaia  per  sopravegetazione  venefica  è  espressione  che  corre  bene  :  così  l'altra  : 
ogni  politica  sa  d'  impiccato,  e  l'altra  infine  di  galera  e  boia,  boia  e  galera. 

(6)  Erano  avanti  il  1848  i  vicari  regii  ciò  che  ora  sono  i  pretori,  gente  amica  delle  carceri  e 
delle  gravi  pane,  ma  non  del  boia,  nemica  a  libertà  politiche,  ma  non  al  tripudio  multigenere  e 
alla  bonne  e  bére.  Quindi  odiava  i  codici  tuffati  nel  giulebbe. 

(7)  E  inutile,  l'opinione  pubblica  va  valutata,  e  il  bravo  vicario  non  la  trascurava  veggendo 
che  non  era  più  tempo  da  spie  alte  e  basse,  né  da  esilii  e  carceri  che  facevano  i  martiri  anche  se  trat- 
tati a  pasticcini.  Quindi  logico  per  eccellenza  barcamenandosi  propone  di  tenerla  dalla  minestra, 
cioè  da  chi  vince. 

(8)  Che  figura  ci  fa  la  Polizia  ?  L'allocuzione  di  questo  birro  è  tale  che  svela  l'intimo  magistero 
di  ogni  Polizia,  non  intenta  che  ad  impedire  ogni  fiducia  e  legame  fra  sovrano  e  popolo.  Ed  invero 
il  regno  dei  birri  non  può  coesistere  con  quello  dell'armonia  regia  e  popolare  e  del  regno  della  libertà. 
La  pittura  è  al  naturale,  fotografata  direi  tutta  alla  La  Bruyère.  Al  birro  abbisognano  popoli  in 
furia  e  principi  gelosi. 

(contro    un    letterato    pettegolo    e    copista). 

(i)  O  cranio  parassito 

All'erudita  greppia  incarognito. 
Tu  del  cervello  eunuco. 

Questi  versi,  per  la  c^rar^satirica,  valgono  tant'oro.  Non  una  parola  di  più,  non  una  di  meno  — 
concisi,  stringenti,  incisivi  —  così  dicasi  di  quell'altro  verso  : 

Di  libri  a  un  tempo  idropico  e  digiuno. 
E  le  scultorie  frasi  di  zucca  impotente  che  si  strascica  l'estro  sulla  falsariga    sono    improntate  di  genio 
poetico  e  di  classica  satira,  che  si  riporta  a  Orazio,  M-irziale  e  Manzini. 

(una  levata  di  cappello  involontaria). 

(1)  Emilio,  si  aggiunga  Frullani. 

(2)  Qui  ritrovo  una  specie  di  calembour  che  non  mi  appaga  pienamente  e  non  mi  pare  chiara- 
mente spiegato  il  concetto  di  quest'epigramma.  Chi  ben  cerca  però  vi  trova  lo  sdegno  per  quelle 
boriose  e  grulle  nullità  che  la  predicano  da  savi  e  vogliono  sembrar  persone,  non  che  una  pietà  gentile 
per  gl'infelici  che  perdettero  il  senno.  Ma,  ripeto,  il  concetto  è  oscuro  e  la  satira  non  è  delle  più  felici. 

Sitt,  — mi 


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POESIE   DEL   GIUSTI    ILLUSTRATE 


Misero  !  a  diciott'anni 
Si  sdraia  nel  dolore 
D'aerei  disinganni, 
E   atteggia  al   malumore 
Il   labbro  adolescente 
Che  pipa  eternamente. 


51»; 


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Poesie  del  Giusti  illustrate.  —  edizione  nerbini 


Fascicolo  33. 


4)11  : 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


IL    GIOVINETTO 


1845. 


Misero  !  a  diciott'anni  (i) 
Si  sdraia  nel  dolore 
D'aerei  disinganni, 
E  atteggia  al  mal  umore 
Il  labbro  adolescente 
Che  pipa  eternamente. 

Beccando  un  po'  di  tutto 
Ossia  nulla  di  nulla, 
Col  capolino  asciutto 
Si  sventola  e  si  culla 
In  un  presuntuoso 
Ozio,  senza  riposo. 

Pallida  capelluta 
Parodia  d'Assalonne, 


515 


Circuendo  alla  muta 
Geroglifiche  donne, 
Almanacca  sul  serio 
Un  pudico  adulterio. 


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516 


Toesie  del  Giusti  illustrate 


~m 


E  mentre  avido  bee 
L'  insipido  veleno 
Delle  Penelopèe, 


Che  si  smezzano  in  seno 

Il  pudore,  l'amore, 

Il  ganzo  e  il  confessore  ; 

Petrarca  da  commedia, 
Eunuco  insatirito  (2), 
Frignando  per  inedia 
Elegiaco  vagito, 
Rimeggia  il  tu  per  tu 
Tra   il  Vizio  e  la  Virtù. 

Convulso,  semivivo, 
Sfiaccolato,  cascante  ; 
Amico  putativo, 
E  putativo  amante  ; 
Annebbiando  il  cipiglio 
Tra  1'  inno  e  lo  sbadiglio  ; 

In  asmatiche  scede 

Di  Dio  cincischia  il  nome  : 
Ma  il  lume  della  fede 
In  lui  scoppietta,  come 
Lucignolo  bagnato, 
Cristianello  annacquato. 


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"Poesie  del  Giusti  illustrate 


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517 


Canta  1'  Italia,  i  lumi, 
Il  popolo,  il  progresso, 
Già  già  rettoricumi 
Per  gli  Arcadi  d'adesso  : 
Tuffato  in  cene  e  in  balli, 


Martire  in  guanti  gialli. 

Per  abbuiar  la  monca 
Vanità  della  mente, 
Geme  dell'ala  tronca 
A  W  ingegno  crescente  ; 
Di  dottarelli  in  erba 
Querimonia  superba. 

Si  paragona  al  fiore 

Che  innanzi  tempo  cade, 
A  cui  manca  il  tepore 
E  le  molli  rugiade  ; 
E  non  ha  cuor  né  senno 
Di  dir  :  mi  sento  menno. 


sui: 


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5l8 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


Ricco  dell'avvenire, 
Casca  sull'orme  prime  ; 
Balbetta  di  morire.... 
E  di  che  ?  di  lattime  ? 
O  anima  leggera 
Sfiorita  in  primavera, 

Spossate  ambizioni, 
Scomposti  desidèri, 
Mole,  aborti,  embrioni 
Di  stuprati  pensieri, 
E  un  correre  alla  matta 
Col  cervello  a  ciabatta, 

In  torbida  anarchia 
Ti  tengono  impedita. 
Per  troppa  bramosìa 
D'affollarti  alla  vita, 


T'arrabatti  nel  limbo, 
Paralitico  bimbo. 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


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5*9 


A  LEOPOLDO  SECONDO 


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1847. 


Signor,  sospeso  il  pungolo  severo, 
A  te  parla  la  Musa  alta  e  sicura, 
La  Musa  onde  ti  venne  in  prò  del  vero 
Acre  puntura  (2). 


Libero  prence,  a  gloriosa  mèta 

Vòlto  col  popol  suo  dal  cammin  vecchio  (3), 
Con  nuovo  esempio  a  libero  poeta 
Porga  l'orecchio. 

Taccian  l'accuse  e  l'ombre  del  passato, 
Di  scambievoli  orgogli  acerbi  frutti  : 
Tutti  un  duro  letargo  ha  travagliato, 
Errammo  tutti  (4). 

Oggi  in  più  degna  gara  a  tutti  giova 
Cessar  miseri  dubbi  e  detti  amari, 
Al  fiero  incarco  della  vita  nuova 
Nuovi  del  pari. 


4|IU 


-Illa 


520 


Toesie  del  Giusti  illustrate 


Se  al  popolo  non  rechi  impedimento 
L'abito  molle,  la  dormita  pace, 
La  facil  sapienza,  il  braccio  lento, 

La  lingua  audace  (5)  ; 

Se  non  turbino  il  re  larve  bugiarde, 
Vuote  superbie,  ambizioni  oscure, 
Frodi,  minacce,  ambagi,  ire  codarde, 
Stolte  paure  ; 

Piega  popolo  e  re  le  mansuete 

Voglie  a  concordia  con  aperto  riso  ; 
E  il  lungo  ordir  della  medicea  rete 
Ecco  è  reciso  (6). 


Che  se  dell'avo  industrioso  istinto, 
Strigato  il  laccio  che  vita  ci  spense, 
Nostra  virtù  da  cieco  laberinto 

Parte  rendense  (7), 

Tardi  d'astuta  signoria  lasciva 
La  radice  mortifera  si   schianta  : 
Serpe  a  guisa  di  rovo,  e  usanza  avviva 
La  mala  pianta  (8). 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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521 


Ma  vedi  come  nella  mente  eterna 
Tempo  corregge  ogni  cosa  mortale  : 
Nasce  dal  male  il  ben  con  vece  alterna, 
Dal  bene  il  male  : 

» 

Né  questo  è  cerchio  come  il  volgo  crede, 
Che  salga  e  scenda  e  sé  in  sé  rigire  ; 
È  turbine  che  al  ver  sempre  procede 
Con  alte  spire. 

Nocque  licenza  a  libertà  ;  si  franse 
Per  troppa  tesa  l'arco  a  tirannia  ; 
E  l'una  e  l'altra  fu  percossa,  e  pianse 
L'errata  via  (9). 

Dalla  nordica  illuvie  Italia  emerse 

Ricca  e  discorde  di  possanza  e  darte  : 
Calò  di  nuovo  il  nembo,  e  la  sommerse 
Di  parte  in  parte. 

Or,  come  volge  calamita  al  polo, 


Volta  alla  luce  che  per  lei  raggiorna, 
Compresa  d'un  amor,  d'un  voler  solo, 
Una  ritorna  (io). 

Scosso  e  ravvisto  del  comune  inganno 
Che  avvolse  Europa  in  tenebroso  arcano, 
Lei  risaluta  il  Franco  e  l'Alemanno, 

L'Anglo  e  1'  Ispano  (11)  ; 


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522  Poesie  del  Giusti  illustrate 


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E  un  agitarsi,  un  franger  di  ritorte, 
Una  voce  dal  ciel  per  tutto  udita 
Che  riscuote  i  sepolcri  e  dalla  morte 
Desta  la  vita. 

E  in  te  speranza  alla  toscana  gente 
Del  quinto  Carlo  dagli  eredi  uscio  : 
Rinasce  il  giglio  che  stirpò  Clemente, 
Diletto  a  Pio  (12). 

Al  culto  antico  di  quel  santo  stelo  (13) 
Della  libera  Italia  ultimo  seme, 
Di  re  dovere  e  cittadino  zelo 

Muovano  insieme. 

Già  da  Firenze  il  fior  desiderato 
Andò,  simbol  di  pace  e  di  riscatto, 
Di  terra  in  terra  accolto  e  ricambiato 
Nel  di  del  patto  (14). 

Che  ogni  altro  patto  vincerà  d'assai 
Mille  volte  giurato  e  mille  infranto. 
Signor,  pensa  quel  dì  !  versasti  mai 
Più  dolce  pianto  ? 

E  noi  piangemmo,  e  lacrime  d'amore 
Padre  si  ricambiar,  figli  e  fratelli  : 
Quel  pianto  che  finì  tanto  dolore 
Nessun  cancelli 

Ed  or  che  a  noi  per  nuovo  atto  immortale 
La  tua  benignità  si  disasconde, 
E  n'avesti  dal  Serchio  al  crin  regale 
Debita  fronde, 

La  gioia  austera  de'  cresciuti  onori 
Cresca  conforto  a  te  nell'ardua  via  ; 
Tra  gente  e  gente  di  novelli  amori 
Cresca  armonia. 

Al  secolo  miglior,  de'  tuoi  figlioli 
Sorga  e  de'  nostri  nobile  primizie, 
E  di  gemma  più  cara  orni  e  consoli 
La  tua  canizie. 


51"  "'S 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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523 


AL    MEDICO 


CARLO    GHINOZZI 

contro   l'abuso   dell'etere   solforico 


(0 


1847. 


Ghinozzi,  or  che  la  gente 
Si  sciupa  umanamente, 
E  alla  morbida  razza 
Solletica  il  groppone 
Filantropica  mazza 
Fasciata  di  cotone  (2)  ; 

Lodi  tu  che  il  dolore, 
Severo  educatore, 
C  impaurisca  tanto  ? 
Che  l'uom,  già  sonnolento, 
Dorma  perfin  del  pianto 
All'alto  insegnamento  ? 


-Siu- 


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524  Poesie  del  Giusti  illustrate 


Gioia  e  salute  scende 

Dal  pianto,  a  chi  1'  intende 
Né  solo  il  bambinello 
Per  le  lacrime  fuori 
Riversa  dal  cervello 
I  mal  concetti  umori  (3). 


A  chi  se  stesso  apprezza 
Chiedi,  se  in  vile  ebbrezza 
Cercò  rifugio  a'  guai, 
Se  sofisma  di  scuola 
Gli  valse  il  dolce  mai 
D'una  lacrima  sola  ! 


Liberamente  il  forte 
Apre  al  dolor  le  porte 
Del  cor,  come  all'amico  ; 
E  a  consultar  s'avvezza 
Il  consigliero  antico 
D'ogni  umana  grandezza. 


Ma  a  gente  incarognita  (4) 
I  mali  della  vita 
Sentono  di  barbarie  : 
È  bel  trovato  d'ora 
Accarezzar  la  carie 
Che  l'osso  ci  divora. 


Se  dal  vietato  pomo 

Venne  la  morte  all'uomo 
Oggi  è  medicinale 
All'umana  semenza, 
Cotto  dallo  speziale, 
L'albero  della  scienza  (5). 


Su,  la  fronte  solleva, 
Povera  figlia  d'  Eva  : 
Lo  sdegno  del  Signore 
Il  fisico  ti  placa, 
E  tu  senza  dolore 
Partorirai  briaca  (6). 


m- 


m. 


Toesie  del  Giusti  illustrate  525 


Chiudi,  chiudi  le  ciglia, 
E  sogna  una  quadriglia  ; 
Che  importa  saper  come 
Del  partorir  le  doglie 
Ti  fan  più  caro  il  nome 
E  di  madre  e  di  moglie  ? 


Bello,  in  prò  del  soffrente 
Corpo  annebbiar  la  mente 
E  quasi  inutil  cosa, 
Nella  mortale  argilla 
Sopire  inoperosa 
La  divina  scintilla  !   (7). 


Ma,  dall'atto  vitale. 
La  parte  spiritale 
Rimarrà,  senza  danno 
Nello  spasimo,  assente . 
Forse  i  chimici  sanno 
Dell'esser  la  sorgente  ? 


Sanno  come  si  volve 
Nell'animata  polve 
La  sostanza  dell'  Io  ? 
E  la  vita  e  la  morte, 
Segreti  alti  d'  Iddio   (8), 
Soggiacciono  alle  storte  ? 


Amico,  io  non  m'  impenno  (9), 
Poeta  inquisitore, 
Se  benefico  senno, 
Guidato  dall'amore, 
Rimuove  utili  veri 
Dall'ombra  de'  misteri  ; 


Sol  dell'Arte  ho  paura, 
Quando  orgogliosa  in  toga 
La  sapiente  Natura 
D'addottorar  s'arroga, 
E  l'animo  divelle 
Per  adular  la  pelle. 


iti; 


ring 


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526 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


I  GRILLI 


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1845. 

Del  nostro  Stivale 
Ai  poveri  nani 
Quel  solito  male 
Dei  grilli  romani 
In  oggi  daccapo 
Fa  perdere  il  capo. 

È  vario  il  rumore, 
Chi  predica  l' ira, 
Chi  raglia  d'amore  ; 
Ma,  gira  e  rigira, 
Rivogliono  in  fondo 
L' impero  del  mondo. 

Nel  nobile  guitto, 

Che  senza  un  quattrino 
Ostenta  il  diritto 
D'andar  al  Casino, 
Vi  trovo  in  idea, 
Bastardi  d'  Enea. 


Non  tanta  grandezza, 
O  seme  d'eroi 
Tenuto  a  cavezza  : 
Ritorna,  se  puoi, 
Padrone  di  te, 
O  Popolo-Re. 


Ib: 


-iiis 


Poesie  del  Giusti  illustrate  527 


ANNOTAZIONI 


(il  giovinetto). 


(i)  Misero  !  Viva  Dio,  va  dismettendosi  un  cotal  poco  in  Italia  quella  imbecillita  di  mente  e 
asinità  di  cuore  e  quella  muffa  e  leccatura  romantica  (specie  di  nuova  Arcadia  belante  e  sospirante) 
che  faceva  empio  strazio  dei  nostri  giovinetti  imberbi.  A  quattordici  anni  ognuno  che  avesse  letto 
Bvron  Foscolo,  Goethe,  credeva  essere  un  Jacopo  Ortis,  un  Werther  ed  un  Corsaro  Pirata  o  Arnold 
e  non  vagheggiava  che  il  suicidio,  affettando  affanni  aerei  e  tedio  della  vita  che  non  avevano  ancora 
assaggiata  e  disgusto  di  tutte  le  cose  amate  e  divine.  Eia  una  putrida  ignavia,  una  pigrizia  travestita, 
ignobile  vigliacca  e  indecorosa,  un  pinzocolismo  di  nuovo  genere  da  fare  pendant  a  quello  delle  ter- 
ziarie di  san  Francesco.  Si  amava  di  non  far  nulla  e  quel  che  è  peggio  si  tentava  di  giustificare  1  inazione. 

I  nuovi  tempi  e  il  bisognino  oggi  hanno  guarito  molti  giovinetti  da  una  simile  vesania,  o  mono- 
mania ed  oggi  di  siffatti  grulli  resta  poco  più  che  il  seme.  _      _ 

(2)  Magnifica  è  la  fotografia  morale,  intellettuale  e  fisica  di  questi  eunuchi  insatinti,  che  vanno 
frignando,  cioè  piagnucolando,  elegiaco  vagito.  Sono  qui  fotografati  a  colpo  e  con  mano  maestra  1 
così  detti  Lyons,  Dandy,  Vagheggini,  Paini,  Florindi,  Damerini  e  simili.  Fra  il  pudore  e  1  amore  il 
vizio  e  il  confessore  si  smezzano  e  si  squartano,  se  vi  si  aggiunge  il  mezzano,  il  grullo,  il  convulso, 
semivivo,  l'arfasato  e  l'amico  putativo  e  il  putativo  amante.  Queste  frasi  di  amante  sfiaccolato  e  pu- 
tativo sono  superbe  per  un'allegoria  facile  a  comprendersi.  Le  donne  amano  la  forza  anche  morale 
od  intellettuale,  ma  non  le  larve  mucillaginose  dei  Don  Giovanni  in  disponibilità,  mole,  abor.i,  embrioni 
uccisi  dal  lattime,  di  stuprati  pensieri  col  cervello  a  ciabatta  (ricalcagmto),  paralitici  bimbi  che  si 
arrabattano,  cioè  si  volgono  e  rivolgono  nel  Limbo.  Questi  sono  ritratti  veri  e  reali  dei  nostri  palliai 
romantici  e  sfiniti  sentimentali  nati  al  parassitismo  domestico  e  sociale.       ..,..,  1 

Questa  veemente  ed  inspirata  satira  concisa,  quanto  incisiva,  è  inimitabile,  e  ci  manifesta  quale 
era  la  tristezza  e  lo  sdegno  del  Poeta  per  questi  aborti  e  deturpatori  dell'unum  genere.  Un  protondo 
sdegno  la   dettò,   colse  nel   segno  e  ne  sia  lode   all'autore. 

(A  LEOPOLDO  II). 

(1)  Anche  questa  non  satira,  ma  giaculatoria,  fu  scritta  verso  la  fine  del  1847  ugualmente  che 
il  Congresso  dei  birri.  Nel  12  settembre  di  detto  anno  Leopoldo  II  fu  siffattamente  festeggiato  nella 
capitale  per  la  concessione  della  Guardia  Civica  che  mai  Firenze  vide  festa  popolare  e  tripudio  uni- 
versale cotanto  splendido.  Furono  64  le  bande  musicali  che  si  raccolsero  m  Firenze  giuntevi  con  turbe 
di  popolani  da  tutte  le  città  e  le  terre  della  Toscana.  Livorno  nell'  8  di  detto  mese  aveva  esternata 
la  sua  gioia  in  modo  solenne,  inusitato,  splendidamente  entusiasta  ;  ma  Firenze  di  gran  lunga  la 
vinse.  Erano  quei  tempi  di  un  giovane  e  bollente  entusiasmo  che  una  popolazione  non  sente  due  volte. 
Era  il  risveglio  dal  sonno  di  tanti  secoli  dell'Italia,  alma  Parens.       _ 

La  concordia  compiuta,  assoluta,  universale,  e  l'amore  avevano  etenzzato  tutu  gì  Italiani.  L  odio 
i  rancori,  le  gelosie,  le  diffidenze,  le  gare  municipali,  tutto  tacque  se  non  si  estinse. 

Da  quellWa  Giuseppe  Giusti  vedendo  prossimi  a  compirsi  i  tempi  da  lui  vaticinati  e  veggendo 
starsi  amorosi  nello  stesso  nido  le  colombe  e  le  serpi  ;  e  pensando  si  fossero  1  preti,  auspice  Pio  IX, 
riconciliati  colla  civiltà  e  colla  libertà  della  patria,  e  i  sovrani  spinti  dalla  pohtica  bufera,  riconciliati 
coi  loro  popoli,  fu  esso  pure  compreso  di  fede  e  di  ammirazione,  credette  al  miracolo  della  conversione 
del  papa  e  di  Leopoldo  IL  Ed  ecco  l'origine  ed  il  movente  dei  versi  che  andiamo  commentando. 

(2)  Non  vi  ha  dubbio  che  sebbene  col  morso  di  pecora  fosse  più  volte  punto  e  morso  dalle  satire 
dell'Autore,  il  granduca  Leopoldo  fino  al  1849  non  fu  né  crudele,  né  pravo  né  nemico  del  suo  popolo. 
Alzatosi  il  sipario  ed  incominciando  l'epopèe  della  risurrezione  italiana,  il  Giusti  mtuona  al  principe 

l' inno  di  pace  e  1'  Esodo.  ,  

(3)  A  libero  poeta  porga  V orecchio  libero  prence.  Ma  ecco  qua  il  guaio  Giusti  era  Ubero  poeta,  ma 
Leopoldo  II  non  era  libero  prence.  Allora  però  lo  si  credette,  e  più  quando  nell'aprile  il  Parlamento 
Leopoldo  disse  esser  nato  a  Pisa  ed  esser  esso  pure  italiano._  % 

(4)  Errammo  tutti.  Eh,  ammesso  il  letargo,  l'errore  era  giustificabile,  perche  nelktargo  non  s 
hanno  che  sconnessi  sogni.  Qu:  il  Poeta  assolve  a  nome  dell'  Italia  1  peccati  del  principe^  quelli  del 
popol  suo.  Osanna  e  pace  agli  uomini  di  buona  volontà  e  si  faccia  nuovo  cammino  insieme. 

(5)  Meno  chiacchiere  e  più  fatti. 


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528  Tocsie  del  Giusti  illustrate 


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(6)  Ruiso  l'ordine  della  medicea  rete  assonnatrice  e  splendidamente  corruttrice. 

(7)  Allude  alle  riforme  civili,  industriali  e  commerciali  ultroneamente  operate  da  Leopoldo  I 
d' imperitura  memoria,  vero  precursore  di  novelli  tempi,  sino  al  punto  di  voler  largire  lo  Statuto  ai 
suoi   popoli. 

(8)  Si  volge  al  principe  onde  cooperi  a  togliere  il  marciume,  lasciato  nel  paese  dalla  medicea  si- 
gnoria astuta  e  lasciva,  e  chiama  in  soccorso  l'opera  efficace  del  tempo. 

(9)  L'alternazione  dei  popoli  leggieri  è  dalla  dittatura  all'anarchia,  l'una  e  l'altra  a  lor  volta  svelte 
dagli  errori  e  dai  falsi  passi,  divorate  cioè  dai  loro  stessi  tccessi. 

(io)  Qui  esprime  il  concetto  antico  dell'unità  della  patria  e  dell'aglomeramento  delle  civerse 
Provincie  italiane,  ciò  che  appunto  non  poteva  piacere  ad  un  granduca  di  razza  austriaca,  benché 
ci  sia  stato  un  momento  che  i  fuorusciti  romagnoli  avessero  pensato  di  farne  un  re  d'  Italia,  qual 
come  tanti  altri  lo  sperarono,  e  lo  sperò  Francesco  IV  duca  di  Modena. 

(11)  In  questa  strofa  vi  è  cacofonia  nella  rima,  mail  concetto,  se  non  è  chiaramente  espresso 
però  si  comprende. 

(12)  Qui  la  mia  mente  non  arriva.  Comprendo  che  Carlo  V  distrusse  la  repubblica,  il  giglio  di 
Firenze  ;  ma  non  comprendo  come  Clemente  sia  diletto  a  Pio  se  non  fosse  per  la  guerra  bandita  agli 
imperiali,  e  non  comprendo  che  si  parli  ad  un  principe  assoluto  delle  ripristmazione  della  Repub- 
blica fiorentina 

(13)  Ribatte  col  culto  antico  di  quel  santo  stelo. 

(14)  77  dì  del  patto.  Pare  alluda  alle  feste  cittadine  che  ebbero  luogo  in  tutta  Toscana  e  alla  festa 
etrusca  del  12  settembre  di  cui  già  dicemmo,  e  alle  feste  fatte  al  granduca  in  Lucca,,  quando  ne  prese 
possesso. 

(AL  MEDICO  CARLO  GHINOZZl) 

(1)  Il  prof.  Ghinozzi  era  quel  valente  clinico  dell'Istituto  di  perfezionamento  di  Firenze  che 
tutti   sanno   ed   altamente   stimarono. 

(2)  Con  alto  filosofico  concetto  qui  il  Poeta  stigmatizza  la  moderna  scuola  umanitaria  in  ciò 
che  ha  di  più  ricercato  sibaritismo,  bene  avvisando  che  il  dolore  fisico  è  fattore  di  avvertimenti  igie- 
nici e  il  morale  sprone  a  virtù  ed  incitamento  a  grandi  opere. 

(3)  Certamente  le  lacrime  sono  una  crisi  in  molte  affezioni  nervose  e  così  intendesi  pei  dissesti 
irritativi  del  mobilissimo  sistema  nervoso  dei  bambini.  Il  pianto  in  essi,  in  tutti  noi  è  restauratore 
dell'equilibrio   ètereo-nervoso,   o   elettn>magnetico   animale. 

(+) 

Ma   a   gente  incarognita 
I   mali   della   vita 
Sentono   di   barbarie  : 
è  verissimo  ;  però  non  vuoisi  dire  che  i  dolori  fisici  e  le  sofferenze  e  ambascie  morali  (che  logorano 
e  spesso  spengono  la  vita)  debbono  andarsi  a  cercare.  Tale  però  non  fu  il  concetto   del  Monsumma- 
nese,  che  alluse  più  che  altro  al  bisogno  di  una  meno  molle,  vellutata  e  voluttuosa  educazione  per  la 
gioventù  italiana,  da  ritemprarsi  colla  fatica  degli  esercizi  e  delle  privazioni,  a  modo  dell'antichità 
greca  e  romana. 

(5)  Qui    si  commenta  il  dettato  volgare  che  il  medico  pietoso  fa  la  piaga  puzzolente. 

(6)  È  infatti  coll'uterizzazione  che  la  donna  anestasiata,  che  il  Giusti  dice  briaca,  può  sgravarsi 
senza  dolore,  almeno  avvertito.  Resta  a  vedere  se  ciò  sia  un  bene  per  il  rego'are  andamento  del  puer- 
perio,   e  su  questo  ho  gravi   dubbi. 

(7)  Veramente  non  è  l' intelletto,  ma  la  coscienza  che  dirò  fisica  che  risente  il  dolore,  siccome 
la   coscienza    morale   sente   il   rimorso. 

(8)  No,  i  segreti  della  vita  e  della  morte  non  soggiacciono  alle  storte.   Ben  detto. 

Magnifica  e  sublime  è  la  finale  di  questa  satira,  alludendo  alla  boriosa  scienza  che  pretende  addot- 
torare la  natura  e  disvellendo  l'anima,  adulare  la  pelle  :  metafora  e  realtà  ad  un  tempo  se  si  pensa 
all'uso  endermico  dell'etere  e  del  cloroformio. 

(9)  Le  due  ultime  strofe,  il  poeta  si  scusa  di  averle  capovolte. 

(1  grilli).  , 

(1)  Qui  il  Poeta  non  fu  Profeta.  Egli  credette  al  risorgimento  d'  Italia  e  con  uno  stile  incisivo 

alla  Tacito,  e  colla  forza  della  satira  rese  gli  Italiani,  per  quanto  è  dato  alla  parola  ornata  e  virile, 

sdegnosi  di  servitù  e  pronti  all'opra   del  gran  riscatto. 

Non  pensò  per  altro  che  i  tempi  fossero  vicini.  Ammalatosi  dopo  la  catastrofe  di  Novara,  visto 

da  vicino  la  reazione  irruente  e  la  tollerata  occupazione  austriaca,  egli  dubitò  dei  destini  della  patria. 
Sotto  un  punto  di  vista,  sotto  quello  dell'  iniziativa  delle  sètte,  egli  mirò  giusto.  Con  esse  non 

si  sarebbe  mai  vinta  Roma  e  abbattuto  il  potere  temporale  dei  papi.  ;  ma  in  oggi  i  drammi  politici 

precipitano  allo  scioglimento  e  noi  andammo  a  Roma  e  vivaddio  ci  resteremo. 


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POESIE    DEL    GIUSTI    ILLUSTRATE 


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Fu   finito  il   benestare  : 
Il  saltare,   il  vegerare, 

Lo  scherzare,  il  crescere. 


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Poesie^del  Giusti  illustrate.  —      edizione  nerbini 


Fascicolo  34. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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531 


GL'  IMMOBILI  E  I  SEMOVENTI 


(1) 


1841. 


Che  buon  prò  facesse  il  verbo 
Imbeccato  a  suon  di  nerbo 

Nelle  scuole  pubbliche  ; 


Come  insegnino  i  latini, 
E  che  bravi  cittadini 

Crescano  in  collegio  ; 

E  che  razza  di  cristiani 
Si  doventa  tra  le  mani 

D'un  frate  collerico  ; 

Tutti  noi,  che  grazie  al  cielo 
Non  siam  più  di  primo  pelo, 
Lo  diremo  ai  posteri. 

Messo  il  muso  nel  capestro 
Del  messer  Padre  Maestro 

(Padre  nella  tonaca), 

Fu  finito  il  benestare  : 
Il  saltare,  il  vegetare. 

Lo  scherzare,  il  crescere  (2), 


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532 


Toesie  del  Giusti  illustrate 


Davan  ombra  ai  cari  frati  : 
E  potati,  anzi  domati, 

Messi  tra  gì'  immobili, 


Ci  rendevano  ai  parenti 
Mogi,  grulli  ed  innocenti 

Come  tanti  pecoii. 

Il  moderno  educatore, 
Oramai  visto  l'errore 

De'  Reverendissimi, 

E  che  l'uomo  tra  i  viventi 
Messo  qui  co'  semoventi 

Par  che  debba  muoversi 

Ha  pescato  nel  gran  vuoto 
La  teorica  del  moto 

Applicata  agli  uomini. 

Il  fanciullo  deve  andare, 
Deve  ridere  e  pensare, 

Appoggiato  al  calcolo. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


533 


D'ora  innanzi,  mi  consolo  ! 
Questo  bipede  oriolo 


Anderà  col  pendolo. 

O  futura  adolescenza, 
Che,  filata  alla  scienza 

Nelle  scuole  a  macchina, 

Beverai  nuova  dottrina 
E  virtù  di  gelatina 

Che  non  corre  e  tremola 

In  te  sì  che  farà  spicco 
Depurato  per  lampicco 

Gas  enciclopedico  !  (3) 

Quando  il  tenero  cervello, 
Preso  l'albero  a  modello 

(Per  esempio  il  sughero), 

Succhierà  fede  e  morale 
Come  un'acqua  senza  sale 

Dal  maestro  agronomo  : 


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534 


Toesie  del  Giusti  illustrate 


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Spunteranno  foglie  e  fiori 
Senza  puzzi  e  senza  odori. 
Come  le  camelie. 

Misurati  gì'  intelletti 
E  le  fasi  degli  affetti 

Con  certezza  fisica  ; 

E  sopite  nel  pensiero 
Le  sublimi  ombre  del  vero, 
Avventate  ipotesi  ; 

Troverem  nel  positivo 
Uno  stato  negativo 

Buono  per  lo  stomaco. 


Il  pacifico  marito, 
Proponendo  per  quesito 

La  pace  domestica, 

Colla  tepida  compagna 
Sommerà  sulla  lavagna 

Gli  obblighi  del  vincolo 


SUI: 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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535 


E  Imeneo,  fatto  architetto, 
Darà  figli  al  quieto  letto 

D'ordine  composito. 

Biasceranno  unti  di  teglia 
I  fedeli  in  dormiveglia 

Salmi  geometrici. 

Ci  daranno  i  magistrati 
Certi  codici  stillati 

Che  parranno  spirito  ; 

E  vangato  e  rivangato 
Sarà  immagine  lo  Stato 

Del  giardin  dei  semplici. 

Chi  piantò  l'ordin  civile 
Sulla  base   puerile 

Dell'amore  unanime  ? 

Chi  ci  fece  quest'oltraggio 
Di  premettere  il  coraggio 

Alla   poltronaggine  ?   (4). 

Ah  !  l'amore  è  un  parossismo  ! 


In  un  lento  quietismo 

Va  cullato  il  popolo. 


5111: 


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536  Poesie  del  Giusti  illustrate 


Perchè  il  mondo  esca  di  pene, 
Tanto  il  male  quanto  il  bene 

Deve  star  nei  gangheri  : 

E  tu,  scatto  generoso, 
Abbi  titolo  e  riposo 

Nell'Arte  Poetica. 

Lo  vedete  ?  non  e'  e  cristi  : 
Siamo  nati  computisti 

Per  campar  di  numeri. 

Certi  verbi,  come  amare, 
Tollerare,  illuminare, 

Gli  ha  composti  l'algebra. 

Dunque  crescano  le  teste 
Ritondate  colle  seste  ; 

Regni  la  meccanica. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate 


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537 


A  UN   AMICO 

1841. 

lomo  (i)  s'  è  dato  al  serio  ; 

E  di  lingua  malèdica, 

Oggi  gratta  il  salterio 

O,  se  corregge,  prèdica. 
Cede  il  riso  al  dolore 

Lo  scherzo  al  piagnisteo  ; 

Doventa  il  malumore 

Legge  di  galateo. 
Pasciuto  Geremia, 

Malinconicamente 

Sbadiglia  in  elegia 

Gli  affanni  che  non  sente  : 
Anelano  al  martirio 

Milla  caricature, 

Vendendone  il  delirio 

In  bibliche  freddure. 
Le  sante  ipocrisie, 

GÌ'  inni  falsificati, 

Eran  cabale  pie 

Di  monache  e  di  frati  : 
Il  frate  ora  è  tarpato, 

Ma  dall'Alpi  a  Palermo 


Apollo  tonsurato 
Insegna  il  cantofermo  (2). 


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538 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


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Velati  tutti  quanti 
Di  falsa  superfice  ; 
Vedrai  diavoli  e  santi 
Che  appestan  di  vernice. 
Ognun  del  pari  ostenta 
Bestemmie  e  miserere  : 
Tutto,  tutto  do  venta 
Arte  di  non  parere  (3). 

Secolo  anfibio,  inetto 
Al  vizio  e  alla  virtù, 
Dal  viva  Maometto 
Torna  al  viva  Gesù  : 

Ma,  sempre  puzzolente 
di  baro  e  d'assassino, 
Fuma  all'Onnipotente 
L'avanzo  di  Caino  (4). 

Vedi  che  laida  guerra, 
Che  matassa  d'  inganni  ! 


ARINGHI     INC;! 


Si  campa  sulla  terra 
Col  baratto  dei  panni  : 

L'asino  butta  via 
Il  basto  per  la  sella, 
Si  vende  pei  Messia 
Chi  nacque  Pulcinella  (5). 


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Toesie  del  Giusti  illustrate 


539 


Prèdica  in  frase  umana 
La  fede,  la  speranza, 
La  carità  cristiana, 
Ma  non  la  tolleranza. 

Difatto,  a  tempo  e  luogo, 
Questo  fior  dei  credenti, 
Se  non  t'accende  il  rogo, 
Ti  bacerà  co'  denti  (6). 

Amico,  il  mio  pianeta 
Mi  vuol  caratterista  : 
Sebbene  oggi  il  poeta 
Si  mascheri  a  salmista, 
Io  la  mia  paite  buffa 
Recito,  né  do  ietta 
A  chi  la  penna  tuffa 
Nell'acqua  benedetta. 

E  ruminando  (7)  spesso 
De'  tempi  miei  la  storia, 
Fo  dentro  di  me  stesso 
Questa  giaculatoria  : 


Degnatevi,  o  Signore, 
D'  illuminar  la  gente 
Sui  bindoli  di  cuore 
Teologi  di  mente. 


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540  Poesie  del  Giusti  illustrale 


ANNOTAZIONI 


(cl'  immobili  e  i  semoventi) 

(1)  Questa  poesia  è  una  satira  piccante  e  pungente  e  sopratutto  verace  dell'antico  metodo 
d' istruire  ed  educare  la  gioventù  a  forza  di  legnate,  digiuni  ed  infiniti  altri  castighi  corporali.  Si 
voleva  preparare  gli  eunuchi,  ma  troppo  volendone,  si  prepararono  invece  gli  emancipatori  del- 
l' Italia.  Pochi  furfanti,  molti  eroi,  come  a  suo  tempo  dirà  la  storia. 

(2)  Pur  troppo  è  vero,  alla  natura  corporea  nulla  concedevano  il  prete  e  il  frate  insegnanti, 
armati  di  ferula,  nerbo  e  capestro.  A  nessuna  esigenza  della  tenera  età  si  faceva  grazia,  non  gin- 
nastica, non  canto,  non  suono,  non  svago,  non  correre  e  ricorrere  pei  campi  e  pei  prati  :  al  telonio 
e  sempre  al  telonio  :  se  no  nerbate  a  josa. 

Dai  vecchi  reverendissimi  passa  ai  moderni  spigliati  docenti,  i  quali  hanno  ammessa  la  teoria 
dei  semoventi  abbandonando  quella  degli  immobili.  Ma  ecco  il  male,  il  vizio  e  la  brutta  pagina  dei 
nuovi  metodi.  Eccolo  il  piccolo  discepolo  diventato  V oriolo  a  pendolo  ed  ecco  le  scuole  a  macchina. 
Savissima  riflessione  è  questa  e  vizio  esiziale  e  funesto.  Si  vuole  che  neh"  istessa  ora  si  insegnino 
agli  alunni  dei  Licei  e  dei  Ginnasi,  in  tutto  il  regno,  le  stesse  cose.  Lo  studente  intelligente  o  soro 
si  ritiene,  fra  noi,  come  un  vaso  della  stessa  capacità  determinata.  Non  si  fanno  concessioni  al  genio 
che  vola,  come  all'oca  che  ha  bisogno  di  essere  guidata  e  guidata  poi,  o  meglio  rimorchiata.. 

Il  criterio  per  la  misura  della  capacità  intellettuale  dei  giovinetti  è  poi  tale,  che  ci  si  è  voluto 
includere  tutto  lo  scibile  letterario  e  scientifico,  uno  zibaldone  e  un  pastone  da  non  poter  essere  di- 
gerito neppure  dallo  stomaco  dello  struzzo.  Per  un'antitesi,  si  è  preteso  di  avere  prima  dei  fiori 
i  frutti  ;  si  è  voluto  invertire  le  fasi  dell'età  umana  e  dare  ai  bimbi  dosi  di  istruzione  soltanto  con- 
venienti per  i  giganti.  Dal  che  ne  è  venuto  o  per  mancanza  di  studio  negli  alunni,  o  per  poca  cura 
nei  maestri,  o  meglio  per  la  soverchia  esigenza  negli  esami  e  la  indigesta  mole  e  la  irrazionale  far- 
raggine  dei  programmi,  che  tre  quarti  della  g:oventù  ascritta  ai  collegi,  licei,  ginnasi  e  scuole  tecni- 
che annualmente  sono  lasciati  sul  terreno  con  quanto  prò  della  cosa  pubblica,  dica  chi  ha  fior  di  senno. 

(3)  Questa  dottrina  distillata  per  lambicco  e  questo  gas  enciclopedico  che  cosa  è  mai  ?  Nulla, 
meno  che  nulla,  una  parvenza  di  sapere,  non  scienza,  non  istruzione  vera  e  reale.  I  vecchi  precettori 
insegnavano  poche  cose  per  bene,  i  nuovi  abbeverano  all'  Enciclopedia  la  gioventù  studiosa,  poi  la 
rendono  idropica,  eunuca,  ammalando  la  ragione  e  la  fantasia,  e  corrompono  il  buon  senso  e  la  co- 
scienza. Si  è  materializzato  tutto  e  tutto  sottoposto  a  calcolo  e  si  sono  ottenuti  fiori  senza  odore  e 
frutti  senza  sapore,  né  poteva  essere  altrimenti.  Pur  troppo  da  un  eccesso  siamo  .passati  all'opposto 
e  v'  è  del  marcio  ovunque.  L'  idealità,  l'autonomia  mentale,  i  frutti  spontanei  dell'  intelletto,  l' ini- 
ziativa dei  concetti  pullulanti  nella  mente  sovrana,  si  tengono  in  conto  di  men  che  nulla  e  sbandeg- 
giati, e  del  sublime  organismo  cerebrale  se  ne  è  fatto  un  macinino  da  caffè.  Eureka  !  17  ministri  del- 
l' illustruzione  pubblica,  3000  professori  d'elite,  24.000  maestri  hanno  veduto  buio  ove  era  chiaro 
e  viceversa,  e  in  cento  congressi  ed  in  altrettante  conferenze  non  si  è  carpita  la  sigla  del  pubblico 
insegnamento,  né  si  è  saputo  formulare  la  legge  morale  e  intellettuale  parallela  a  quella  graduale 
e  progressiva  dello  sviluppo  fisico,  non  che  degli  uomini,  di  tutti  gli  esseri  senzienti  e  vegetanti.  Non 
si  è  compreso  che  quattro  e  quattro  fanno  otto,  che  non  si  deve  lottare  contro  le  leggi  eterne  della 
natura  e  che  anche  fra  le  gente  dotta  il  senso  comune  ci  deve  trovare  un  posto  onorato. 

(4)  Benissimo,  ridotta  la  parte  morale  siccome  l' intellettuale  a  calcolo,  ad  equazioni,  a  loga- 
ritmi, l'amore,  il  coraggio,  la  coscienza  l'abnegazione,  la  pietà,  ecc.,  tutto  sfuma,  e  ciò  che  vera- 
mente nobilita  la  specie  umana  si  getta  nella  spazzatura.  Al  diavolo  tali  educatori  ! 

(a   un    amico). 

(1)  Momo,  come  ognuno  sa,  è  il  Dio  della  maldicenza.  Qui  non  è  perciò  preso  nel  senso  di  indivi- 
dualità mitologica,  ma  in  senso  analogico,  alludendo  a  certi  isterismi  sentimentali  venuti  in  moda 
in  quei  tempi.  Oggi  anche  questo  mal  vezzo  letterario  è  reietto  e  si  è  presa  la  via  della  bestemmia, 
dell'imprecazione,  dell'insolenza  letteraria,  insomma  la  via  di  Capanèo. 

(2)  Allude  alla  dottrina  neo-cattolica  e  ai  sacri  piagnistei  belati  da  qualche  poeta  di  vaglia  (Man- 
zoni,  Borghi,  Mauri,  ecc.)  e  da  una  masnada  di  letteratucoli. 

(■3")  Qui  rincara  l'argomento  colle  coscienze  a  doppio  fondo,  colle  vernici  obbligatorie,  insomma 
con  il  sordido  vizio  dell'  ipocrisia  elevato  a  virtù  sociale  e  a  moneta  spendibile  nell'umano  consorzio. 

(4)  Fuma  all'Onnipotente  —  L'avanzo  di  Caino.  Non  si  poteva  dir  meglio  e  meglio  stigmatizzare 
questi  rugiadosi  profanatori  delle  cose  sacre  e  prestidigitatori  della  virtù. 

(5)  Pittura  forbita  e  incisiva  del  ciarlatane simo  dominante  tutte  le  cose  e  in  tutti  i  luoghi. 

(6)  li  bacerà  co'  denti,  cioè  ti  azzannerà. 

(7)  Ruminando,  parola  presa  dall'atto  digestivo  più  volte  rimandato  e  mandato  nello  stomaco 
dalle  bestie  vaccine. 


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Poesie  del  Giusti  illustrate  541 


ANNOTAZIONI    DI    RICORDI    STORICI 


DEL 


Prof.  GIULIO  CÀPPI 


ALLE 


POESIE  PI  GIUSEPPE  GIUSTI 


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542  Poesie  del  Giusti  illustrate 


AVVERTENZA 


Queste  annotazioni  di  ricordi  storici,  che  fanno  seguito  ai  commenti  stampati  con  la  prima  edi- 
zione delie  poesie  del  Giusti,  pubblicate  nel  1862,  furono  fatte  con  intendimento  :  i°  Di  meglio  spiegare, 
occorrendo,  ed  interpretare  certe  frasi  e  certi  pensieri  emessi  dal  Poeta  e  forse  pochissimo  alla 
portata  di  chi  non  nacque,  o  non  soggiornò  lungamente  in  Toscana.  —  20  Di  richiamare  alla  mente 
dei  lettori  delle  poesie  tutti  indistintamente  i  governi  e  gli  uomini  che  nella  penisola  nostra  si  segna- 
larono e  si  distinsero  per  le  persecuzioni  e  le  crudeltà  d'ogni  maniera  dal  1815  sino  ai  giorni  nei  quali 
cessò  di  scrivere  il  Grande  Satirico,  acciò  la  storia  del  nostro  paese  sia  schiettamente  narrata  e  si 
perpetui  la  memoria  di  chi  in  giornata  va  dimenticato,  oppure  creduto  patriota,  mentre  fu  prodigo 
di  crudelissimi  fatti  pei  quali  non  rifinirà  di  piangere  l'umanità  inorridita.  —  3°  Di  modificare  in 
parte  alcuni  giudizi  i  quali,  colpa  i  tempi  procellosi,  furono  emessi  dall'Autore  e  che  egli  medesimo 
riconobbe  più  tardi  meno  giusti,  ovvero  un  poco  troppo  spinti  ;  e  per  di  più  a  far  noto  a  chiunque 
ama  sinceramente  il  vero,  che  le  continue  punture  inflitte  al  granduca  Leopoldo  non  eran  poi  tutte 
meritate,  giacché,  a  passioni  calmate,  è  giustizia  confessare  che  fra  i  principi  d'allora  primeggiò  per 
vera  bontà  di  animo  comechè  non  perseguì  giammai  i  liberali,  accordando  ospitalità,  onori  e  distinzioni 
ai  cospiratori  d'ogni  provincia  e  di  fuori,  compreso  Mazzini,  che  altri  governi  d'  Italia  condannarono 
più  volte  a  morte,  ed  egli  coartato  dalla  santa  alleanza  ad  arrestarlo,  gli  procurava  i  mezzi  di  salvarsi 
altrove.  —  Giustizia  per  tutti  !  E  se  il  Giusti  col  vezzo  di  scherzare  sempre  berteggiò  Leopoldo,  con 
questo  non  si  peritò  di  dare  ad  intendere  che  inclinasse  a  crudeltà  e  non  essendosi  mai. inquinato  di 
sangue,  avendo  abolita  la  pena  di  morte,  e  non  potendosi  neanco  dire  che  fosse  prepotente  ed  in- 
giusto, buono  anzi  di  troppo  e  tale,  che  meritò  di  vedersi  sollecitato  dai  barbassori  d'allora,  Ri- 
casoli,  Ginori,  Peruzzi  e  Martelli  a  riprendere  il  trono  (1)  come  lo  riprese  infatti,  la  qual  cosa,  per 
i  tempi  che  correvano  non  era  poca  gloria,  e  che  tutti  i  regnanti  d'allora  non  ebbero  la  fortuna  di 
meritare.  —  4a  Finalmente  che  nell'annotare  di  ricordi  storici  le  poesie  del  Giusti,  è  naturale  che 
si  dovessero  scegliere  quelle  soltanto  che  informate  a  sentimenti  politici,  lasciavano  qualche  lacuna 
nei  casi  che  in  allora  succedevano,  oppure  non  determinavano  nettamente,  come  si  sarebbe  dovuto, 
gli  uomini  che  vi  ebbero  la  massima  parte. 

Sotto  questo  aspètto  adunque  ;  ognuno  potrà  farsi  ragione  del  perchè  si  dovettero  tralasciare 
le  poesie  intitolate  :  AlV amica  lontana  —  Brindisi  —  A  f etti  di  una  madre  —  Per  un  reuma  di  un 
cantante  —  h  sospiro  dell' 'anima  —  A  Gerolamo  Tommasi  —  Per  il  ritratto  di  Dante  —  Ad  una  giovinetta 
—  A  Gino  Capponi  —  A  un  letterato  pettegolo  e  copista  —  I  grilli  —  argomenti  tutti  che  non  si  presta- 
vano punto  per  essere  illustrati  da  ricordi  storici  di  qualche  rilievo. 

Milano,  giugno  1887. 

G.  C. 


(1)  Il  granduca  era  fuggito  di  Toscana  l'8  febbraio  1849  e  s'era  rifugiato  a  Gaeta  con  Pio  IX,  ed  i  citati 
signori  portaronsi  colà  invitandolo  a  ritornare,  ed  entrarono  con  esso  festante  la  Toscana  più  che  altra 
volta  mai. 


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Toesie  del  Giusti  illustrate  543 


Cenni  bibliografici  di  Gii  seppe  Giusti 


Aggiungendo  alcuni  ricordi  storici  ai  commenti  pubblicati  con  la  prima  edizione,  noi  segui- 
remo passo  passo  l'autore  dei  medesimi  a  rendere  più  chiara  e  ccmpleta  la  interr.  retazione  delle  poesie. 

Principiamo  pertanto  dai  cenni  sulla  vita  dell'autore,  che  trovammo  preposti  alla  raccolta 
delle   citate  poesie. 

La  famiglia  del  Giusti,  patrizio  pesciatino,  e  ascritta  all'ordine  cavalleresco  di  Santo  Stefano,  ecc.  (i). 

Lo  scrittore  dei  cenni  storici,  incoerentemente  allo  spirito  del  poeta  ed  ai  tempi  in  cui  scriveva, 
fa  rilevare  il  patriziato  e  la  nobiltà  della  famiglia  del  Giusti  nativo  di  Pescia,  piccola  città  della 
Toscana  di  poche  migliaia  di  anime,  ed  ascrive  a  merito  dello  stesso  l'essere  stata  fregiata  dell'ordine 
cavalleresco  di  Santo  Stefano,  ed  in  questo  particolare  non  sapremo  rimbeccarlo,  comechè  quel- 
l'ordine fosse  tenuto  in  gran  conto  anche  all'estero,  non  venendovi  ascritti  se  non  uomini  di  vero 
merito.  Ricasoli,  governatore  della  Toscana,  l'abolì  nel  1859,  tanto  Per  fare  qualche  cosa  di  nuovo  ; 
e  più  tardi  si  creò  un  altro  ordine,  quello  della  Corona  d'  Italia,  del  quale  i  ministri  che  lo  proposero 
fregiarono  sé  medesimi  delle  maggiori  insegne,  e  poscia  servì  ad  insignirne  uomini  d'ogni  professione 
o  mestiere  (2),  più  ancoia,  serve  tuttodì  a  guadagnare  quella  serqua  di  uomini  che  fanno  traboc- 
care la   bilancia  dello   Stato  nella  votazione  di  certe  leggi  non  sempie  gradite  al  paese  ;  esempio 

Classico    i     CINQUANTA    COMMENDATORI     DELLO    ZUCCHERO,     e    l'altro    delle     CONVENZIONI    FERROVIARIE, 

creazioni  entrambe  del  gran  Depretis,  che  in  piena  Camera  ebbe  a  dire  :  così  piace  a  me,  e  basta  ; 
ed  i  cinquecento  legislatori  costituzionali  non  zittirono  !  I  commendatori  dello  zucchero  furono  decorati 
col  patto  che  votassero  la  legge  con  la  quale  si  aumentava  del  doppio  il  dazio  sui  coloniali.  La  vota- 
rono, ed  ebbero  la  commenda  ! 

Nel  1848  ;/  nostro  poeta  che  avea  tenuto  dietro  a  quei  congressi  di  naturalisti,  ecc.  Per  poco  che 
uno  sia  iniziato  nella  storia  contemporanea,  saprà  che  i  congressi  di  cui  si  parla,  erano  composti  di 
scienziati  in  ogni  branca  dello  scibile  e  di  ogni  parte  d'  Italia  e  non  mica  di  soli  naturalisti  (3).  Gli 
scienziati  d'allora  sotto  colore  di  far  progredire  le  scienze,  ed  in  parte  miravano  realmente  a  ciò, 
si  radunavano,  ora  in  una  città,  ed  ora  in  un'altra,  preparando  la  rivoluzione  che  doveva  avere 
per  conseguenza  il  risorgimento  della  patria  e  poscia  l'unità  italiana.  Nel  Congresso  di  Genova  (1846) 
vi  figurava  pure  Luigi  Bonaparte,  più  tardi  Napoleone  III. 

In  questo  modo  quegli  eminenti  personaggi  seppero  trovare  il  mezzo  di  cospirare  allo  aperto, 
malgrado  i  sospetti  di  quella  polizia  brutale,  che  in  Lombardia,  in  Piemonte,  a  Parma,  a  Modena, 
Roma  ed  a  Napoli  perseguitava  ferocemente  i  Carbonari  che  cospiravano  al  buio. 

Scrissi  ferocemente,  ma  debbo  aggiungere  esecratamente,  poiché  i  Carbonari  hanno  sempre  la- 
vorato pel  bene  d'  Italia,  e  lo  stesso  papa  Pio  VII  (che  è  tutto  dire  !)  visitato  dal  conte  Luigi 
Porro  che  l'abbracciò  prima  ch'ei  facesse  mostra  d'  inginocchiarsi,  e  dimandatogli  delle  cose  di  Napoli 
e  delle  mene  di  Murat,  Porro  lo  informò  di  tutto.  Pio  VII  ìispose  :  «  Non  sono  avverso  a  Murai,  né  ai 


(1)  Le  parole  dell'autore  dei  commenti  saranno  sempre  stampate  in  corsivo. 

(2)  Nel  mese  di  gennaio  1887  fu  creato  cavaliere  della  Corona  d'  Italia  il  sig.  C...  esercente  in  caffè 
e  ristorante  in  Milano.  È  naturale  che  1'  Italia  vantaggiò  molto  con  la  fabbrica  dei  panettoni  e  con  i  deli- 
cati intingoli  di  lui  !... 

(3)  Realmente  le  adunanze  di  quei  dotti  si  chiamano  congressi  dei  naturalisti.  Il  primo  congresso 
fu  tenuto  in  Parigi  nel   1839  composto  di  360  scienziati. 


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544  Poesie  del  Giusti  illustrate 


mezzi  secreti  pei  quali  si  conduce  ;  i    Carbonari  hanno  senso  italiano,  ed  ella  è  italiano,  conte    Porro, 

E   LO   SONO   ANCH'  IO  ». 

Era  allora  in  voga  il  famoso  detto  :  V  Italia  farà  da  sé,  ecc.  Era  in  voga  presso  quei  credenzoni 
i  quali  giuravano  che  gli  austriaci  si  sarebbero  cacciati  a  furia  di  pomi  cotti,  nello  stesso  modo  che 
i  francesi  nel  1870  pretendevano  di  gettare  i  prusriani  nella  loro  gerla  come  si  fa  della  spazzatura  !... 

Del  resto  il  paese  ha  ben  pagato  e  largamente  il  detto  :  /'  Italia  farà  da  sé  —  come  pagò  caris- 
simo quell'altro  :  ■ — j'attend  mon  astre  —  che  mai  non  compari,  malgrado  si  fosse  allargato  l'orizzonte 
con  l' incendio  dei  sobborghi  di  Milano  dal  quale  dicevasi  doveva  spuntare  ! 

Finalmente  nel  31  marzo  1850  dopo  lunga  e  penosa  malattia....  spirò  lasciando  in  servitù  degli 
austriaci  V  Italia,  ec>..  —  Non  1'  Italia  tutta,  bensì  la  Toscana  e  parte  degli  Stati  pontifici,  che  invasero 
la  prima,  dopo  i  movimenti  di  Livorno,  conseguenza  della  disfatta  di  Novara  e  dei  poco  esattamente 
giudicati  fatti  di  Genova,  che  lombardi  e  piemontesi  strombazzarono  compiuti  in  senso  repubbli- 
cano, mentre  una  commissione  parlamentare  presieduta  dal  deputato  Reta,  si  portò  a  Genova  per 
concertare  con  le  autorità  citadine  e  la  nobiltà  la  resistenza  al  tirannico  armistizio,  facendo  di  quella 
città  il  baluardo  della  indipendenza  italiana  e  trasportandovi  l'archivio  dello  Stato,  minacciata  come 
trovavasi  la  capitale. 

Che  in  seguito  poi  a  tremende  minacce  di  Radetzki,  abbia  dovuto  smettere  il  Comitato  di  sal- 
vezza, e  quindi  il  popolo  si  credesse  tradito  e  per  conseguenza  si  sollevasse  e  venisse  bombardato 
per  più  giorni,  malgrado  che  il  ministro  Pinelli  stampasse  sulla  Gazzetta  Ufficiale  —  nulla  essere  di 
più  falso  —  ciò  non  significa  che  Genova  aspirasse  a  proclamare  la  repubblica,  siccome  con  generoso 
slancio  stampò  il  signor  dottor  Bottero  nella  Gazzetta  del  Popolo  di  Torino,  il  quale  fu  l'unico  a  ret- 
tificare asserzioni  lontanisime  dal  vero. 

Negli  Stati  pontifici  poscia,  calarono  gli  austriaci  a  rintuzzare  quegli  arruffapopolo  che  poco 
prima  avean  fatto  mira  delle  loro  armi  Pio  IX  sulla  loggia  di  San  Pietro,  ed  aveano  assassinato 
quel  gigantesco  ingegno  che  si  era  il  ministro  Pellegrino  Rossi. 

Che  i  tedeschi  occupassero  parte  dello  Stato  papale,  mentre  i  francesi  s'  impossessarono  di 
Roma  spegnendo  la  repubblica,  chiamati  o  no  dal  papa  poco  importa,  mentre  si  sa  che  non  pochi 
furono  i  pontefici  che  impestarono  di  soldatesche  straniere  1'  Italia,  compreso  Giulio  II,  il  quale  mon- 
tato  a  cavallo  gridava  a  squarciagola  —  fuori  i  barbari  —  ma  poscia  lesto  lesto  li  chiamò  a  puntel- 
lailo,  quando  temeva  dovesse  crollare  il  proprio  Stato  !  ! 

Una  delle  vie  da  costruirsi  s'  intitolerà  del  suo  nome,  ecc.  Figararsi  se  in  Firenze  si  avrebbe  voluto 
onorare  il  Giusti  a  questo  modo,  quando  anche  in  giornata  non  si  trovò  una  strada  da  intitolarla 
a  Dante  Alighieri  !  Il  che  è  tutto  dire  ! 


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POESIE    DEL    GIUSTI        LLUSTRATE 


LA  GHIGLIOTTINA  A  VAPORE 

Annotazioni.  I  e  2.  — Fu  scritta  nel  1833  quando  là^  reazione  infieriva  a  Parma,  a  Modena,  a  Bolo- 
gna, e  più  0  meno  in  tutta  Italia  non  escluso  il  Piemonte,  ecc. 

Ma  l'autore  di  quelle  annotazioni,  oltreché  ingiustamente  tace  che  unica  la  Toscana  dava  ri- 
fugio ai  liberali  d'ogni  regione  e  i  più  degni  onorava  d' impieghi  e  di  cattedre,  non  dice  in  quali  ma- 
niere infuriasse  la  reazione  sino  al  1830;  eppure  non  avrebbe  almeno  dovuto  dimenticare  due  fatti, 
che  da  soli  basterebbero  a  caratterizzarla  e  che  furono  preludio  di  una  infinità  d'  altri  orrendissimi. 

Primo,  quello  riguardante  Ciro  Menotti,  il  quale  in  un  momento  di  generosa  aberrazione  volle 
salvare  il  duca  di  Modena  in  un  tumulto  popolare,  e  che  poscia  per  gratitudine  lo  fece  incatenare  tra- 
scinandolo seco  a  Mantova,  e  di  ritorno  a  Modena  lo  consegnò  al  carnefice  !  !  ! 

Secondo,  la  carcerazione  generale  di  tutti  quei  congiurati  che  aveano  fatto  adesione  al  principe 
di  Carignano  promotore  della  costituzione,  i  quali,  secondo  quanto  ci  narrava  il  prode  colonnello  di 
stato  maggiore  Pianavia,  nativo  di  Taggia,  portatisi  a  rendere  omaggio  al  re  da  pochi  giorni  salito 
al  trono,  scendendo  le  scale  del  palazzo  trovarono  ferme  dinanzi  al  portone  molte  vetture  nelle  quali 
chiusi  incatenati  furono  trasportati  nel  forte  di  Fenestrelle.  Come  ognuno  potrà  constatare,  la  santa 
alleanza  che  alcuni  anni  prima  avea  intimato  a  Carlo  Alberto  di  abbandonare  il  partito  liberale,  di- 
versamente lo  si  proclamerebbe  decaduto  dal  trono,  pervenuto  a  cingere  la  corona,  gli  fu  imposto 
di  conformarsi  alle  idee  dei  potentati  se  non  voleva  rimanere  isolato  od  anche  vedere  occupato  lo  Stato 
da  truppe  straniere. 

Naturale  conseguenza  di  tante  e  così  feroci  compressioni,  si  furono  le  numerose  fucilazioni  in 
Alessandria,  a  Torino,  a  Genova,  e  le  torture  d'ogni  maniera  ed  inaudite  che  sacrificarono  nobilissime 
esistenze,  fra  le  quali  emerse  uno  dei  fratelli  Ruffini  svenatosi  nelle  segrete  della  torre  del  palazzo  du- 
cale di  Genova. 

La  celerità  con  la  quale  le  commissioni  statarie  in  Piemonte,  in  Lombardia,  nelle  Romagne,  a 
Modena  ed  a  Napoli,  condannavano  a  morte  i  più  specchiati  liberali,  ispirò  al  Giusti  la  poesia  della 
guigliottina  a  vapore.  La  guigliottina,  macchina  terribile  inventata  da  G.  I.  Gu'llotin,  medico  francese, 
che  da  lui  prese  il  nome,  fu  uno  dei  tanti  benefici  apportati  all'  unanimità  dalla  famosa  rivoluzione 
del  1789,  poiché  fu  inventata  appunto  in  Francia  e  subito  adottata  da  quei  fieri  ciarlatani  dell'uma- 
nitarismo   (1). 

3.  —  L'alta  polizia  in  Toscana  fu  affidata  al  presidente  del  Buon  Governo,  specie  di  prefetto,  ecc. 
Ma  in  Toscana  tutto  si  restringeva  a  qualche  breve  confine,  cioè,  a  relegare  per  poco  tempo  in  altri 
paesi  i  più  segnalati  liberali,  il  quale  confine  (intend'amoci  bene)  non  era  l'attuale  domicilio  coatto, 
poiché  i  precettati  erano  liberi  di  fare  ciò  che  volevano  come  a  casa  propria,  e  sebbene  chiamati  so- 
vente ad  ascoltare  delle  paternali  e  dei  rabbuffi  più  o  meno  irosi,  ma  tutto  stava  lì  ;  mentre  in  Pie- 
monte la  polizia  la  teneva  il  ministro  dell'  interno  e  per  esso  i  comandanti  di  provincia,  vecchi  gra- 
duati militari,  che  la  facevano  da  veri  pretoriani,  andando  a  gara  a  chi  poteva  perseguitare  di  più. 
La  bassa  polizia  poi  era  affidata  ai  sargenti,  veri  birri  levati  da  quella  schiuma  di  birbe  sorvegliante 


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(1)  A  questo  proposito,  non  sarà  privo  d'  interesse  per  i  nostri  lettori  L  cenno  storico  che  presentiamo 
a  riguardo  del  ferale  astrumento. 

Il  dottore  Guillotin,  deputato  all'assemblea  generale  di  Francia,  aveva  tuonato  dalla  tribuna  parole 
di  fuoco  contro  la  ineguaglianza  delle  pene  applicate  secondo  il  grado  e  la  nobiltà  e,  più  ancora,  contro, 
la  barbarie  dei  supplizi,  e  perciò  studiava  il  mezzo  di  punire  il  reo  con  la  minore  sofferenza  possibile,  e  senza 
1'  intervento  diretto  della  mano  del  carnefice. 

Le  sue  lunghe  ricerche  l'avevano  persuaso  che  la  decollazione  si  avvicinava  al  suo  ideale  ;  ma  pur 
troppo  erano  innumerevoli  gli  esempi  del  macello  che  ne  risultava,  quando  il  boia  decapitava  con  le  sue  mani. 

La  difficoltà  adunque  per  Guillotin  consisteva  unicamente  nel  trovare  una  macchina  adatta  allo  scopo, 
tanto  più  che  l'assemblea,  dopo  la  famosa  di  lui  arringa  nel  1791  stabiliva  che  ogni  condannato  avrebbe 
recisa    la   testa. 

Consultatosi  più  volte  con  il  carnefice  Carlo  Enrico  Sanson,  passò  in  rivista  parecchi  modelli  d'altre 
nazioni,  ma  li  trovò  tutti  difettosi,  poiché  si  trattava  di  collocare  il  paziente  in  posizione  orizzontale,  acciò 
non  dovesse  sostenere  sé  stesso  e  perciò  l'operazione  fosse  più  sicura. 

Fu  un  meccanico  tedesco  per  nome  Schmidt,  fabbricatore  di  pianoforti  ed  amico  di  Sanson,  suonatore 
di  violoncello,  il  quale  pensando  all'  imbarazzo  in  cui  trovavasi  Guillotin,  un  giorno  scattò  mentre  suonava 
un'aria  di  Orfeo  unitamente  a  Sanson,  esclamando  :  Aspettate  !  Io  credo  di  avere  il  vostro  istrumento  ;  e 
così  dicendo  prese  la  matita  e  tracciò  la  macchina  terribile. 

Era  proprio  la  ghigliottina  che  ancora  si  usa  con  la  sua  lama  di  acciaio  tagliente  che  scorre  fra  due 
pali  e  messa  in  movimento  da  una  semplice  corda.  Il  paziente  è  collocato  orizzontalmente  sopra  un  asse 
ad  altalena,  in  modo  che  la  testa  si  trova  precisamente  al  posto  dove  deve  battere  il  ferro.  La  difficoltà 
era  vinta  e  risolto  il  problema  meditato  dal  dottor  Guillotin,  però  con  l' intervento  di  Luigi  XVI,  il  quale 
da  sommo  artefice  (ferraio,  come  tutti  sanno)  aveva  fatto  modificare  la  mannaia  in  modo  che  dovesse  essere 
in   isbieco   dalla   parte   tagliente. 

Chi  l'avrebbe  detto  a  quel!'  infelice  re,  ch'egli  doveva  provarla  ?... 


Poesie  del  Giusti  illustrate.  —  edizione  nerbini  Fascicolo  35. 


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546  'Poesie  del  Giusti  illustrate 

i  galeotti,  corrotti  e  corrompitori  oltre  ogni  credere,  assistiti  da  un  nugolo  di  spie  del  basso  e  dell'alto 
ceto,  che  vigilavano  perfino  se  gli  impiegati  sentivano  la  messa,  e  se  bazzicavano  con  persone  guar- 
date  biecamente  dall'autorità. 

In  Genova,  poi,  l'alta  polizia  stava  nelle  mani  del  governatore  Paolucci,  un  modenese  plasmato 
superbamente  a  cosacco  fin  nell'anima,  chiamato  espressamente  dalla  reazione  a  provocatore,  a  ti- 
ranno, aiutato  dal  commissario  Luciani,  famigerato  per  prepotenze  e  soprusi,  che  inspirato  dai  gesuiti, 
allora  potentissimi  in  Genova,  facea  spesso  d'ogni  libito  e  disonesto  lecito  e  legale,  avente  in  mira 
soltanto  di  perseguire  i  repubblicani  genovesi  sempre  guardati  in  cagnesco,  malgrado  che  con  le  ric- 
chezze del  loro  commercio  impinguassero  i  padroni  e  la  caterva  dei  pezzenti  blasonati  ;  ed  in  questo 
particolare  erano  compagni  di  angherie  con  i  Sardi  in  mano  dei  viceré  piemontesi. 

8.  —  /  sanfedisti  formavano  una  setta  politico-religiosa,  conservativa,  ecc.  Siccome  in  Toscana,  a 
Modena,  a  Bologna,  ed  in  Napoli,  così  nel  piccolo  regno  di  Sardegna,  i  sanfedisti,  lame  spezzate  dello 
esoso  connubio  fra  la  spada  e  la  stola,  sanzionavano  un  dispotismo  tanto  più  fiero,  quanto  più  se- 
creto. Nessuno  era  più  sicuro  di  dormire  tranquillo  in  seno  alla  propra  famiglia,  che  con  infernali 
blandizie  aveano  fatto  delle  mogli  altrettante  spie  in  ossequio  alla  religione  ;  delle  serventi  vitupe- 
revoli emissarie  contro  a  chi  loro  dava  il  pane,  seminando  sospetti  ovunque  e  su  tutti  che  non  fossero 
ascritti  a  qualche  devota  congrega,  e  non  facessero  di  schiena  ai  magnati  del  clero,  o  non  avessero 
affidati  i  propri  figli  alle  scuole  dei  gesuiti  ovvero  delle  monache  Dorotee  e  del  Sacro  Cuore.  Su  di 
tali  esosità  modellaronsi  più  tardi  i  paolotti,  che  taciti  imperano  anche  sul  clero  e  dispongono  perfino 
delle  cattedre  vescovili,  perchè  consultati  secretamente  dagli  uomini  del  Governo  prima  di  accordare 
cariche,  onor,  impieghi  e  giù  giù  discendendo  sino  agli  atti  di  pubblica  e  privata  beneficenza,  ed  infine 
ad  un  misero  pane  che  la  madre  affamata  non  può  ottenere  se  non  esibisce  la  fede  del  parroco  come 
frequentatrice  della  chiesa,  o  vantare  la  protezione  di  un  figlio  di  San  Vincenzo  de'  Paoli. 

PROPONIMENTO  DI  CAMBIAR  VITA 

Se  il  titolo  di  questa  bellissima  poesia  dice  abbastanza,  è  naturale  per  altro  che  non  possa  accen- 
nare i  particolari  di  tale  proponimento,  vale  a  dire,  che  cosa  farà  per  dimostrarsi  diverso  da  quello 
che  era  per  lo  innanzi  ;  ond'  è  che  sulla  scorta  del  Fanfani  e  del  Frizzi  andiamo  spiegando  i  propo- 
nimenti del  Giusti  col  duplice  intento  di  rendere  più  chiara  la  poesia  ed  insieme  di  pennelleggiare  i 
tempi  d'allora. 

Nel  1833  un  commissario  di  polizia  fatto  chiamare  il  Giusti  allora  studente  a  Pisa,  lo  redarguiva 
forte  assai  per  avere  fischiato  in  teatro,  mentre  i  birri,  che  al  solito  vedevano  in  tutto  lo  spirito  rivo- 
luzionario, volevano  comprimere  eziandio  le  manifestazioni  teatrali,  mettendo  sull'avviso  il  nostro 
poeta  di  comportarsi  altramente  a  scanso  di  provvedimenti  spiacevoli. 

Ma  non  pure  gli  applausi  ed  i  fischi  nel  teatro  provocavano  serie  misure  alla  reazione  in  Toscana 
ed  in  altre  regioni  ;  sibbene  eccedevano  ogni  limite  in  Piemonte  ;  ed  in  Genova  arrivavano  eziandio 
allo  stato  di  ridicolaggine  brutale  per  opera  del  cosacco  Paolucci,  il  quale  s' interessava  perfino  di 
chi  frequentava  le  conversazioni  serali  delle  primarie  famiglie,  vietandone  l'accesso  a  certuni  sotto 
la  minaccia  di  farli  marcire  nella  fortezza  di  S.  Giorgio,  od  imperando  di  andarvi,  se  non  volevano 
essere  chiusi  nella  medesima  fortezza,  siccome  accadde  al  figlio  del  ricco  negoziante  signor  0....  e  ad 
altri  dei  quali  si  potrebbe  formare  una  estesa  litania. 

Il  Giusti  pertanto  accortosi  che  a  quindici  anni,  privo  di  esperienza,  un  birro  commissario  gb 
faceva  acerbo  rimprovero  sotto  colore  di  ammonizione  paterna,  sentissi  aprire  1'  intelletto  e  conobbe 
le  angherie,  le  ingiustizie,  le  prepotenze  che  si  facevano  in  onore  del  Buon  Governo.  Fu  allora  che 
berteggiando  gli  ipocriti  da  lui  chiamati  colli  torti,  proponeva  di  comperare  una  maschera  di  san- 
fedista, puntellando  1'  Italia  quale  paladino  del  trono  e  dell'altare,  mettendo  d'accordo  il  vizio  con 
la  virtù  ;  santo  in  apparenza  e  birba  di  sottecchi.  —  Lascerò  in  un  cantone  V  innamorata  —  disse 
—  rispetterò  i  falsi  preti  ed  i  venduti  magistrati  ;  andrò  puntualmente  alla  messa  ed  alla  predica,  ed  in 
tal  maniera  sarò  anch'  io  la  stella  polare  del  mondo  credulo  ed  ignorante  ;  potrò  bazzicare  con  i  barbas- 
sori del  Governo,  che  mi  faranno  l'elogio  :  sarà  cavaliere  anch'  io  ed  anche  sindaco  ;  e  mangiando  nelle 
amministrazioni  la  roba  del  pubblico  e  gli  averi  dei  citrulli,  ingrasserò  a  più  non  posso,  salvo  a  barattar 
mestiere  secondo  i  tempi,  lasciando  la  pagnotta  della  Toscana  per  il  fieno  del  Piemonte,  vero  camaleonte 
politico   (1). 

Naturalmente  qui  si  accenna  al  numero  non  piccolo  di  quei  furbi  d'ogni  regione,  che  affamati 
di  onori  e  di  bezzi,  mascherati  da  liberali  si  atteggiarono  a  martiri  del  rispettivo  Governo  e  volarono 
in  Piemonte  a  sciorinare  teorie  patriottiche,  usufruite  accortamente  dagli  uomini  politici  di  quel  regno 
e  specialmente  dal  gran  Cavour,  che  gli  sguinzagliava  qua  e  colà  a  ringhiare  contro  i  tirannetti  ;  e 


(1)  Pare  che  i  propositi  del  Giusti  sieno  studiati  e  messi  in  pratica  anco  in  giornata,  giacché  di  questi 
camaleonti  se  ne  vedono  sorgere  ad  ogni  pie  sospinto  e  son  quelli  che  per  audacia  strillan  più  forte  :  guai 
a  chi  tocca  la  libertà  ! 

Si,  m 


Poesie  del  Giusti  illustrate  547 


frattanto  che  dessi  impinguavano,  egli  logorava  adagio  adagio  il  suo  patrimonio  !  Chi  negherà  che 
tanti  di  quei  pati  ioti  cui  in  giornata  si  erigono  statue,  non  abbiano  saputo  ben  fare  V  Italia  servendo 
d'esempio  a  qualcun  altro,  che  già  prevede  d'essere  instatuato  ? 

IL  DIES  IR^E 

2.  —  Colle  sue  armi  poderose  puntellò  mai  sempre  il  trono  dei  pontefici....  Fu  poi  desso  che 
estinse  la  fiaccola  della  libertà  nel  1820-21  nel  Napoletano  ed  in  Piemonte  emancipatisi  per  virtù 
propria,  ecc. 

Nel  Napoletano  i  tedeschi  furono  chiamati  dal  re,  il  quale  ritornato  dp.l  Congresso  di  Laibac 
dov'era  ito,  diceva,  pel  bene  dei  suoi  popoli,  invece  portò  alcuni  orsi  di  bella  razza  per  migliorare 
quella  dei  propri  boschi  !  Ed  in  Piemonte  si  volle  far  credere  entrassero  per  soffocare  la  rivoluzione 
suscitata  dal  manifesto  di  Carlo  Alberto  che  proclamava  la  Costituzione  ;  ma  in  realtà  furono  chia- 
mati da  Carlo   Felice  succeduto  a  Vittorio  Emanuele  I  che  abdicò. 

Il  giorno  4  febbraio  1821  l'armata  tedesca  entrava  in  Italia  con  proclama  del  generale  Frimont 
datato  da  Padova,  e  così  fin  d'allora  si  costituì  la  santa  alleanza  che  più  tardi  dovea  essere  dei 
tre  imperatori,  come  da  un  pezzo  noi  vediamo,  ora  consolidarsi,  ora  intiepidirsi,  poscia  cementandosi 
si  raffredda  ancora  e  sempre  a  giuoco  e  zimbello  delle  popolazioni.  —  L'armata  austriaca  calata  in 
Italia  era  di  70.000  uomini  ;  50.000  fuorno  inviati  a  Napoli  a  conquidere  i  liberali,  e  gli  altri  20.000, 
tenuti  a  disposizione  degli  eventi.  —  La  Russia  dichiarava  di  mandare  un  poderoso  esercito  in  aiuto 
degli  austriaci,  se  questi  non  bastassero,  e  la  Russia  avea  preparate  numerose  schiere  pronte  al 
primo  cenno. 

Francesco  I  imperatore,  del  quale  si  annunzia  il  decesso  in  questa  poesia,  morto  il  2  marzo  1835, 
fu  quello  che  iniz'ò  il  così  detto  regno  Lombardo- Veneto  con  l'eccidio  del  Prina  e  con  le  ciudeltà 
a  danno  di  Confalonieri,  Pellico,  Borsieri,  Maroncelli  e  molti  altri.  —  Questo  brano  di  sanguinosa 
storia  forse  è  conosciuto  da  tutti  ;  ma  vi  è  qualche  cosa  in  esso,  che  quasi  mistero  è  ancora  celato 
alla  generalità,  cioè,  che  tanto  nel  delitto  del  Prina,  quanto  nella  condanna  dei  liberali  di  cui  sopra, 
come  in  quella  di  Gasparinuti,  Rasori  ed  altri  molti,  fu  primo  e  possentemente  scellerato  strumento 
un  italiano,  il  famigerato  Ghislieri,  che  dopo  tante  nequizie,  la  stessa  Casa  d'Austria  lo  disgraziò. 
Abbandonato  da  chi  credeva  avere  servito  ed  essere  in  diritto  di  riceverne  premio,  vedutosi  coperto 
d' infamia  come  da  satanico  mantello,  si  squarciò  le  vesti,  vestì  l'assisa  monastica,  ma  tra  quelle 
sacre  mura  lo  spettro  di  Prina,  le  ombre  dei  cento  logorati  nelle  caverne  dello  Spielberg  gli  stavano 
ognora  presenti  a  tormentarlo  e  quindi  fra  tanti  e  sì  deliranti  rimorsi  dopo  alcuni  mesi  morì. 

7.  —  Allude  a  ciò  che  ne  scrisse  questo  famoso  reazionario,  ecc.  Era  costui  il  Samminiatelli, 
lurido  arnese  di  Toscana,  che  vendutosi  anima  e  corpo  al  Duca  di  Modena  pubblicava  lo  svergognato 
giornale  :  La  voce  della  verità,  nella  quale  naturalmente  faceva  la  propaganda  a  Casa  d'Austria  ed 
a  tutti  quelli  della  Lega. 

Il  poeta  dice  :  il  bali  S  ammutiate  Ili  bela  il  panegirico,  vale  a  dire,  fa  l'elogio  del  morto  impera- 
tore, ma  lo  bela,  perchè  avendo  la  fisionomia  di  un  montone,  doveva  belare  e  non  parlare.  Costui 
era  bali  nell'ordine  cavalleresco  di  Santo  Stefano,  titolo  che  equivale  ad  un  grado  superiore  al 
semplice  cavaliere.  Tre  erano  i  gradi  in  quest'ordine,  cioè  cavaliere,  bali  e  priore,  i  quali  vestivano 
una  gran  cappa  bianca  con  lo  strascico  retto  da  un  paggio  e  portava  il  primo,  appesa  al  collo, 
una  specie  di  croce  di  Malta  ;  il  secondo  una  medaglia  d'oro  ;  ed  il  terzo  un  medaglione  più  grosso 
pure  d'oro.  Il  granduca  era  il  gran  maestro  dell'ordine. 

Come   si  disse  antecedentemente,   quest'ordine  fu   soppresso   dal   Ricasoli  nel   1859. 

io.  —  Godi,  0  povero  Polacco.  Intende  dire,  che  se  da  poco  fu  spenta  nel  sangue  la  rivolu- 
zione polacca,  con  questa  morte  si  scontano,  benché  poco,  le  lagrime  versate  da  quel  popolo  ge- 
neroso, che  insensato  liberò  Vienna  dal  tremendo  assedio  dei  turchi,  pel  quale  dovea  scomparire  la 
Casa  Absburgo  ! 

12.  —  Veglia  il  Prusso,  ecc.  In  que!  tempo  la  Prussia  era  governo  dispotico  e  facevi  il 
gendarme  e  la  spia  ai  re  ed  imperatori  più  dispotici  di  essa,  perchè  le  provincie  tedesche  trama- 
vano di  liberarsi  dalla  servitù. 

13.  —  Rompe  il  Tago  con  Pirene,  ecc.  Il  poeta  intende  illudere  ai  Portoghesi  che  si  solleva- 
rono contro  Don  Pedro,  ed  agli  Spagnoli  contro  Don  Carlos  che  contrastava  il  trono  ad  Isabella  II. 
E  siccome  il  clero  prendeva  parte  grandissima  in  quella  guerra  civile,  così  furono  fatti  saltare  per 
mezzo  di  barili  di  polvere  alcuni  conventi  di  Barcellona. 

14.  —  Il  Chiappini  si  dispera,  e  grattandosi  la  pera,  pensa  Carlo  Decimo. 
È  noto  come  il  padre  di  Luigi  Filippo  re  dei  Francesi,  fuggendo  dalla  Francia  nel   1791  con 

la  moglie  in  istato  interessante,  fosse  questa  sorpresa  dai  dolori  in  un  paesello  della  Toscana  e  par- 
torisse una  bambina,  mentre  si  voleva  un  maschio  erede  della  Casa  Orleans  ;  perciò  a  prezzo  d'oro 
fu  fatto  il  baratto  della  bambina  col  bambino  di  un  certo  Chiappini  birro,  e  non  se  ne  parlò  che 
assai  più  tardi,  quando  la  bambina  venuta  grande  mosse  lite  contro  In  famiglia  degli  Orleans. 


JP  ==f 

548  Po^sfe  ck/  Giusti  illustrate 

Grattandosi  la  pera,  cioè,  il  figlio  del  birro  Chiappini  divenuto  re,  si  gratta  la  testa,  pensando 
e  temendo  gli  potesse  accadere  come  a  Carlo  X,  che  nel  1830  fu  balzato  dal  trono  dall'Orléans 
e  andò  in  esilio.  Infatti  Luigi  Filippo  nel  1848  dovette  lasciare  il  trono  ed  emigrare  in  Inghilterra. 

La  cronaca  intorno  al  baratto  della  figliuola  del  padre  di  Luigi  Filippo  con  il  figliuolo  del  birro 
Chiappini  ha  il  riscontro  con  altre  mistificazioni  regali  di  simil  genere  ;  per  esempio,  del  supposto 
figlio  di  Napo'eone  III  che  si  disse  figlio  di  un  mugnaio  e  di  un  altro,  che  un  grande  rivelò  e  da  noi 
ignorato,  ma  che  nello  insieme  palesa  come,  volere  o  volare,  la  democrazia  di  sottecchi  ha  invaso 
qualche  volta  i  troni. 

Se  in  tuttociò  che  si  scrisse  vogliasi  conoscere  una  favola,  noi  non  potremo  far  altro  per  dimo- 
strare quanto  siano  grandi  e  ripetute  le  mistificazioni  dei  monarchi,  che  narrare  ciò  che  segue,  e 
fatto  palese  da  tutto  il  giornalismo  di  Francia.  Napoleone  ebbe  un  figlio  dalla  celebre  Bolanger  ; 
ma  nell'interesse  della  successione  legittima  l'Imperatore  rinunciò  a  quella  figliuolanza  ed  ordinò 
a  Devienne  presidente  del  tribunale  di  fare  in  modo  che  la  Bolanger  dichiarasse  formalmente  che  quel 
figlio  non  era  di  Napoleone.  Il  Devienne  ottenne  la  dichiarazione  che  fu  pagata  con  un  milione,  ed 
egli  ebbe  il  grado  di  primo  presidente  di  Cassazione  !  Così  vanno  le  cose  a  questo  mondo  !  Quanto 
è  vera  la  sentenza  di  un  grande  statista,  cioè,  essere  più  certa  la  legittimità  di  un  cavallo  inglese  che 
quella  di  un  uomo  qualunque  ! 

LEGGE  PENALE  PER  GLI  IMPIEGATI 

Ben  ci  apponemmo  fin  dalla  prima  pagina  di  questi  ricordi,  cercando  di  raddrizzare  alcuni  giu- 
dizi men  retti,  che  pare  naturalmente  nascano  a  riguardo  del  granduca  leggendo  le  poesie  del  Giusti, 
nelle  quali  sovente  lo  berteggia,  magrado  che  il  Governo  della  Toscana  fosse  il  migliore  in  quei  tempi 
di  quanti  ne  esistevano  in  Italia. 

Infatti,  i  commentatori  tutti,  principiando  da  quello  che  scrisse  nella  edizione  fiorentina  del  1868, 
sino  a  Fanfani,  al  Montazio,  a  Frizzi,  per  tacere  di  molti  altri,  tutti  si  accordano  nel  dire  che  quello 
Stato  era  modellato  così,  che  nessun  altro  di  quelli  che  vennero  dopo  ed  esistono  attualmente  potrebbe 
competergli.  La  Magistratura  annoverava  i  migliori  ingegni  e  gli  uomini  più  dotti  per  cura  del  bene- 
merito Puccini,  e  le  Università  risuonarono  della  potente  ed  autorevole  voce  degli  uomini  più  chiari 
di  tutta  Italia  per  opera  del  Giorgini.  In  quanto  agli  altri  impiegati,  è  giustizia  il  dirlo,  si  attirarono 
la  considerazione  ed  il  rispetto  a  motivo  della  loro  irreprensibile  condotta  e  della  loro  proverbiale 
gentilezza,  e  molto  più  ancora  per  la  loro  fedeltà,  mentre  radissime  si  annoveravano  le  prevaricazioni 
ed  i  peculati. 

Il  Giusti,  che  aveva  bisogno  di  metter  fuori  quello  ardore  e  quel  genio  che  tumultuavagli  nello 
interno  ;  in  una  parola  :  che  bisognava  celiasse  su  tutto  e  su  tutti,  accenna  a  delle  agevolezze,  a  dei 
favori  elargiti  ad  alcuni  impiegati  prevaricatori,  che  in  realtà  non  si  fecero  mai  (1)  e  la  cronaca  ri- 
corda appena  quel  triste  buffone  di  vicario  (pretore),  il  quale  avendo  sciupato  nel  giuoco  del  lotto 
gran  parte  dello  incasso,  e  rimproverato  e  minacciato  di  processo,  rispose  :  Altezza,  i  denari  di  questa 
cassa,  li  ho  messi  in  quest'altra  ;  buffonata  che  lo  salvò  e  riebbe  l' impego. 

Parliamoci  schietto  !  Ci  sarebbe  da  esser  preso  per  un  ribelle  all'ordine  presente,  desiderando 
ardentemente  che  venissero  quei  tempi  ai  quali  pure  aspirava  il  grande  Alfieri  con  il  seguente  verso  : 

«  Perchè   non   è   Toscana  il   mondo   tutto  ?  » 

Avrà  la  croce  del  merito.  In  questo  modo  termina  la  poesia  su  della  quale  scrivemmo  le  poche 
righe  ;  ma  a  questo  proposito  devesi  ripetere  quanto  altri  commentatori  notarono,  che  la  croce  del 
merito  di  S.  Giuseppe,  non  fu  mai  sprecata  ed  anzi  fu  mantenuta,  sempre  in  credito  e  non  poteva  essere 
accordata  che  ad  un  numero  ristrettissimo  di  persone  veramente  degne.  Non  si  dovette  mai  radiare 
dal  catalogo  dei  cavalieri  dei  nomi,  siccome  vedemmo  fra  noi  ! 

Non  vorremmo  aggiungere  di  soverchio,  ma  nessuno  griderà  al  calunniatore  se  diremo,  che  gli 
attuali  ordini  cavallereschi  sono  amministrati  ben  diversamente,  e  troppo  spesso  il  favore,  l' interesse 
ed  altri  motivi  tengono  luogo  del  merito. 

LO  STIVALE 

Questa  poesia  fu  scritta  nel  1836,  quando  la  Toscana  era  giustamente  considerata  come  il  Para- 
diso terrestre  d'  Europa,  e  principalmente  d'  Italia  le  cui  provincie,  o  meglio  regioni,  dominate  co- 
m'erano da  ferrei  governi,  nutrivano  in  seno  dei  robusti  germi  che  più  tardi  avrebbero  potuto  arre- 
care copiosi  frutti   di  libertà. 

Questa  poesia,  scrive  lo  stesso  Giusti,  servì  a  dare  una  scossa  energica  nell'anima  dei  più  ardenti 
italiani,  che  di  cuore  principiarono  a  pensare  intorno  alla  dignità  della  patria. 


(1)   Ciò  è  tanto  vero  che  scrivendo  all'amico    Franconi,  dice   che  di  questa  satira  ne  avrebbe    acceso 
il   caminetto. 


WS, 


Poesie  del  Giusti  illustrate  549 


29.  —  Vorrebbe  risorgere,  ma  per  propria  virtù  e  co'  propri  mezzi,  ecc.  Ma  a  quei  giorni,  salvo  la 
propaganda  indefessa  di  Mazzini,  e  per  conseguenza  della  maggior  parte  che  aveano  aderito  alla 
Giovine  Italia,  non  v'era  alcuno  che  si  peritasse  di  farsi  vivo,  di  troppo  essendo  i  rigori  della  santa  al- 
leanza e  di  troppo  le  carneficine  ovunque  eseguite,  e  di  troppo  ancora  le  carceri  e  le  galere  stipate 
per  meri  sospetti  o  per  mere  futilità,  quando  non  si  doveano  quelle  torture  a'  meri  capricci  della 
tirannide.  Speravasi  quindi  sorgesse  un  uomo  il  quale  calzando  lo  Stivale,  gli  togliesse  le  grinze,  cioè 
mandasse  a  spasso  i  diversi  tirannelli,  e  ne  facesse  1'  unità.  Ma  quest'uomo  dovea  tardare  ancora  un 
pezzo,  che  l'unico  dovea  essere  il  gran  Garibaldi  e  senza  del  quale  non  si  sarebbe  riusciti  a  nulla. 

30.  —  Napoleone  I,  che  cadde  in  conseguenza  della  mala  riuscita  della  campagna  di  Russia,  ecc. 
Apparentemente  ciò  potrà  esser  vero,  ma  la  catastrofe  di  Russia  non  fu  la  causa,  bensì  l'effetto  di 
essersi  alienato  l'amore  delle  molte  nazionalità,  che  dopo  averle  invitate  a  sorgere  in  nome  della  in- 
dipendenza, le  usufruì,  le  decimò  immensamente  colle  improvvide  guerre,  ne  espillò  le  ricchezze 
pubbliche  e  private,  e  poscia  le  aggiogò  al  proprio  carro  e  le  dette  in  balìa  dei  loro  più  fieri  nemici  !... 
Oh  sì....  Napoleone,  alleato  con  tutte  le  nazionalità,  non  avea  bisogno  d'intraprendere  la  guerra  in 
Russia  in  quell'orrida  stagione  :  egli  avrebbe  potuto  sfidare  il  mondo  intero  e  se  ne  sarebbe  fatto 
padrone  ! 

31.  —  I  trattati  del  1815  ridussero  V  Italia  al  più  misero  stato,  ecc.  Spieghiamo  meglio  questo  con- 
cetto. Malgrado  lo  infuriare  della  reazione,  in  Toscana  il  popolo  all'ombra  di  un  placido  Governo,  si 
faceva  cultore  di  ogni  gentil  disciplina  e  le  idee  liberali,  se  non  vi  aveano  uno  splendido  sviluppo, 
tuttavia  non  erano  spente,  e  colà  si  poteva  ancora  parlare  ed  anche  congiurare,  benché  prudente- 
mente. Modena,  Parma,  Napoli,  lo  Stato  della  Chiesa  in  preda  tutti  quanti  alla  sbirraglia,  atterriti 
dalle  confische,  dai  processi,  dalle  torture  efferate  così  che  a  petto  di  esse  potevansi  dire  carezze  quelle 
degli  antichi  tiranni  Busiri  e  Fallaride,  nel  Piemonte  proseguivano  sevizie  contro  i  carbonari  e  tutti 
coloro  che  aveano  parteggiato  pel  Governo  francese.  Si  cassavano  le  sentenze  proferite  dai  tribunali 
di  quei  tempi  ;  si  facevano  giudicare  di  nuovo  le  cause  definite  dalla  Corte  di  appello  d'Aix  e  dalla 
cassazione  di  Parigi  ;  si  rendevano  retroattivi  molti  editti,  s' infrangevano  transazioni  e  si  faceva 
facoltà  persino  a  diversi  della  povera  aristocrazia  di  non  pagare  i  debiti,  e  fu  d'allora  che  si  creavano 
viceré  di  Sardegna  i  nobili  decaduti,  e  quando  si  erano  riavuti  e  rimpinzati,  se  ne  creavano  di  nuovi 
e  la  Sardegna  pagava,  come  presentemente  paga  Pantalone. 

Nei  giudizi  criminali  s' introdusse  la  pena  della  ruota,  barbarie  tolta  dai  Romani  e  dai  re  fran- 
cesi, con  cui  al  paziente,  prima  di  venire  appeso  per  la  gola,  gli  si  spezzavano  le  gambe  e  le  braccia  ; 
gli  si  schiacciava  il  petto  con  una  piccola  ruota  da  vetture....  cui  teneva  dietro  la  gogna,  le  confische 
ed  ogni  altro  barbaro  trattamento,  le  quali  mentre  facevano  inorridire  la  natura  umana,  tenevano 
le  popolazioni  in  continua  ansietà,  e  venivano  taglieggiate  con  ogni  manieia  di  contribuzioni,  impo- 
verendo la  nazione  per  impinguare  il  regio  erario  (Cronaca  Italiana,  Firenze,  Dini.  E.  Turotti, 
Storia  d'  Italia,  libro   IX). 

LORENZO  BARTOLINI 

1.  —  Lorenzo  Bartolini  amico  e  discepolo  di  Canova,  si  può  dire  che  fosse  il  complemento  di  quello. 
Egli  era  già  maturo  e  valente  scultore,  quando  cadde  il  primo  Impero,  e  mi  torna  a  mente  quel  dì  ch'egli 
additandomi  nel  suo  studio  una  statua  colossale  di  Napoleone  1  ordinatagli  dal  Municipio  di  Aiaccio, 
dicevami  :  —  quei  tempi  devono  tornare,  e  questa  statua  uscire  dal  lungo  suo  carcere. 

Il  pensiero  vagheggiato  dal  grande  Bartolini  fu  completamente  incarnato  per  opera  appunto 
dei  tempi,  i  quali  elevando  al  trono  di.Francia  Napoleone  III,  potè  la  città  di  Aiaccio,  patria  del  grande 
Napoleone,  innalzare  la  bella  statua  del  Bartolini,  che  forse  sarà  una  di  quelle  che  non  verranno  mai 
più  atterrate. 

Questo  brano  di  storia  moderna,  ha  un  piccolo  riscontro  con  la  storia  contemporanea  a  riguardo 
del  monumento  di  Napoleone  III  in  bronzo  del  Barzaghi  che  trovasi  nel  cortile  del  palazzo  del  Se- 
nato in  Milano,  e  ch'esso  pure  sembra  aspettare  i  suoi  tempi. 

Il  Municipio  di  Milano  nei  primi  giorni  del  1887  desideroso  di  vederli  arrivare,  deliberò,  sulla 
proposta  del  sindaco  senatore  Negri,  con  68  voti  sopra  74,  di  accettare  il  detto  monumento,  dando 
facoltà  alla  Giunta  di  provvedere  al  collocamento  del  medesimo  nella  località  a  questo  scopo  designata. 

Ed  il  ministro  Depretis,  nella  tornata  del  14  gennaio  anno  stesso,  si  esprimeva  nei  seguenti  ter- 
mini a  riguardo  del  senatore  Negri:  «Nella  relazione  Negri  si  constatava  il  bene  fatto  all'Italia 
«  dalla  nazione  francese,  e  si  esprimeva  un  nobile  sentimento  di  riconoscenza  verso  il  liberatore  di 
«  Milano  ».   (Applausi). 

«  Nessuno  può  cancellare  la  storia,  e  la  discesa  di  Napoleone  in  Italia  per  liberare  la  Lombardia, 
«è  storia  gloriosa  che  il  rammentare  onora  1'  Italia  e  la  Francia  >■  [Applausi]. 

È  ben  vero  che  a  prima  giunta  sembrerebbe  che  con  l'elevazione  del  monumento  a  Napoleone  III 
si  perpetuerebbe  una  poco  lusinghiera  ;  ntitesi  con  l'altro  ■ —  ai  martiri  di  Mentana  —  ma  è  vero 

gin  . .ufi? 


5  5°  Poesie  del  Giusti  illustrate 


zm 


altres,  che  quei  giovani  ero!  pagarono  il  fio  della  tristissima  ed  antinazionale  Convenzione  stipulata 
da  Minghetti  con  1  imperatore,  con  la  quale  -  si  rinunciava  per  sempre  al  possesso  di  Roma 
dando  per  garanzia  il  trasporto  della  capitale  da  Torino  a  F.renze  ;  -  ed  in  riconoscenza 
del  servizio  reso  dal  Minghetti  al  sire  di  Francia,  questi  regala  vagli  un  ricco  cofanetto  con  entrovi 
preziose  carte,  che  Min  ghetti  stesso  legò,  vuoto,  morendo,  al  conte  Borromeo 
_  I  due  fatti  disgustosissimi  di  Aspromonte  e  di  Mentana,  e  prima  di  questi,  l'eccidio  di  -oo  e  più 
cittadini  torinesi  ;  i  50  milioni  spesi  pel  trasporto  della  capitale  a  Firenze,  e  gli  altri  70  milioni  circa 
spesi  pel  trasporto  da  Firenze  a  Roma,  senza  far  menzione  di  una  serqua  d' inconvenienti  difficile 
a  qualificarsi,  furono  tutte  conseguenze  lagrimevoli  della  Convenzione  Minghetti.  che  stipulata  con 
il  caPo  di  una  nazione  amica  e  più  forte  della  nostra,  dovette  avere  la  piena  osservanza,  qualunque 
tosse   1  ostacolo  che  minacciasse  di  renderla  lettera   morta. 

Il  primo  fatto  che,  diplomaticamente  parlando,  attentò  alla  Convenzione,  fu  quello  di  Aspro- 
monte, e  le  nostre  truppe  lo  conquisero  e  distrussero.  Il  secondo,  fu  quello  pur  gloriosissimo  di  Men- 
tana, e  lo  impedì  Napoleone  III,  ma  sempre  in  forza  della  Convenzione  Minghetti,  la  quale  anco  in 
giornata  ci  terrebbe  esiliati  e  vedovi  in  Firenze  se  non  cadeva  Napoleone. 

La  infelicissima  Convenzione  accasciò  di  dolore  tutta  V  Italia,  e  Minghetti  vi  perdette  siffatta- 
mente la  popolarità  che  Bologna,  patria  di  lui,  noi  volle  più  suo  rappresentante,  e  le  he  legittime  della 
dotta  e  patriottica  Bologna  andarono  a  spegnersi  a  Legnago. 

A  S.  GIOVANNI 

Questa  poesia,  che  secondo  lo  stesso  Giusti  è  una  delle  meno  felici  che  siano  state  messe  fuori 
dal  di  lui  ingegno,  racchiude  tuttavia  un  numero  così  grande  di  verità,  le  quali,  ben  lungi  dall'essere 
svelate  pel  tempo  in  cui  furono  scritte,  leggendola  attentamente  si  vede  pur  troppo  che  hanno  un 
potente  e  numerosissimo  riscontro  con  i  nostri  tempi,  malgrado  che  il  cambiar  di  casacca  in  fatto 
di  politica  non  le  rende  facili  cotanto  nell'applicazione. 

A  quei  giorni  era  facilissimo  atteggiarsi  a  martire  non  importa  se  dell'Austria,  di  Modena,  del 
Piemonte,  di  Napoli,  allo  stesso  modo  che  in  giornata  si  vantano  i  resi  servigi  alla  patria,  che  in  realtà 
bene  esaminati  risultano  sovente  resi  alla  propria  borsa,  siccome  in  diverse  circostanze  vedemmo 
in  coloro  d»  oia  vogliono  strombazzare  essere  morti  poveri,  dopo  che  spadroneggiarono  in  palazzi 
ed  in  ville,  vivendo  alla  sibarita  ed  accrescendo  la  non  corta  litania  di  quelli  che  il  Giusti  chiamò 
bellamente  armeggioni  e  che  guidano  a  loro  posta  il  mondo  in  barba  a  quei  pochi,  dolci  di  sale,  che 
fanno  dei  lunari,  cioè  sperano  sempre  in  altro  ordine  di  cose,  che  non  verrà  mai  ! 

e  v  'j-  ~  QUÌ  ll  P°eta  aDude  aI  re  Luigi  FiliPP0'  U  1uale  dovizioso  al  pari  di  Mida  e  ritenuto  per 
figlio  di  un  Chiappini  birro  toscano,  tuttavia  tiene  la  Francia  come  fosse  avvolta  in  una  rete  di  malizie 
ed  inganni. 

13.  —  In  furor  di  cannibali,  ecc.  È  la  guerra  civile  di  Spagna  che  esecra  il  Giusti  della  quale  pochi 
assai  ne  videro  le  lagrimevoli  scene,  che  ridussero  quel  fiorentissimo  regno  una  landa,  spogliato  di 
uomini  e  di  ricchezze,  e  che  non  risorgerà  più  mai  alla  grandezza  che  suscitava  l' invidia  d'ogni  altra 
nazione  prima  del  1^34. 

Cagione  di  un  tanto  disastro  fu  la  regina  Maria  Cristina,  che  in  sugli  ultimi  momenti  della  vita 
di  re  Ferdmando  seppe  tanto  adoperarsi,  che  lo  costrinse  a  nominare  erede  del  trono  la  propria  figlia 
Isabella,  invece  del  fratello  D.  Carlos,  che  aveva  diritto  a  succedergli  in  mancanza  di  figli  maschi. 
Nessuno  potrà  mai  imaginarsi,  e  pochi  assai  crederanno  alla  immensità  dei  truci  fatti  che  accom- 
pagnarono quella  rivoluzione,  alla  efferratezza  con  cui  si  dilaniavano  le  due  parti,  ed  alle  sconce,  e 
luride  scene  di  religioso  fanatismo  delle  quali  si  fecero  autori  e  spettatori  insieme  i  membri  tutti  del 
clero,  che  sugli  altari  ardirono  sollevare  l' imagine  perfino  d'  Isabella,  adorandola  come  una  divinità  ! 

Si  disse,  e  ripetutamente  fu  scritto,  che  in  quelle  sanguinose  discordie  soffiasse  gagliardamente 
V  Inghilterra  a  vantaggio  de'  suoi  propri  mercati  ;  quello  però  che  evvi  di  positivo,  è  questo,  che 
l'unico  il  quale  ne  trasse  reali  vantaggi  si  fu  il  duca  della  Vittoria,  Espartero,  ma  che  in  faccia  alla 
stona  avrà  sempre  una  grande  responsabilità  per  ciò  che  fece. 

14.  —  Sognar  à'  Italia  i  popoli,  ecc.  Questo  verbo  sognare  lo  adoperò  il  Giusti  forse  per  dinotare 
che  rade  volte  riescono  i  popoli  nello  intento  di  emanciparsi  dai  re,  che  per  natura  ed  arte  non  inten- 
dono discendere  dall'altezza  in  cui  l'hanno  sublimati  i  loro  ascendenti. 

Nel  tempo  in  cui  scrive  il  poeta,  cioè  nel  i8u,  sanguinose  sventure  incolsero  principalmente 
il  Piemonte  e  molti  furono  condannati  a  morte,  moltissimi  al  carcere  ed  esilio.  Però  fallito  il  mo- 
vimento insurrezionale  premeditato,  Mazzini  volle  tentarne  un  altro  in  Savoia  con  intelligenza  dei 
repubblicani  di  Francia.  Fu  ordinata  la  spedizione  e  nominato  comandante  della  medesima  il  ge- 
nerale Ramorino,  antico  soldato  dell'esercito  napoleonico  e  salito  in  grande  fama  per  avere  com- 
battuto valorosamente  a  vantaggio  della  Polonia.  I  cospiratori  polacchi  ed  italiani  si  radunarono 
a  Ginevra  ed  a  Caronge,  confine  della  Savoia,  per  entrare  in  quella  terra  promulgando  la  rivolta 
e  la  repubblica. 


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mii? 


Poesie  del  Giusti  illustrate  551 


A  tale  scopo  era  andato  Rantolino  a  Lione,  ma  vedute  molte  difficoltà  a  riuscire,  si  portò  a 
Parigi  onde  farne  consapevole  Mazzini,  consigliandolo  ad  attendere  sino  a  quando  si  fosse  radunato 
un  nucleo  di  seguaci  molto  più  numeroso  da  potere  far  fronte  alle  truppe  regie.  Ed  infatti,  il 
tentativo  di  Savoia  andò  a  male,  scoraggiando  molti  ascritti  alla  Giovine  Italia,  nel  seno  della  quale 
vi  erano  i  finti  liberali  seminatori  di  zizzanie,  e  che  apertamente  dicevano  :  ogni  tentativo  dei  fuo- 
rusciti tornare  sempre  vano,  siccome  si  rileva  da  Dante  con  le  battaglie  di  Campaldino,  di  Monte 
Aperti  e  degli  emigrati  toscani  sotto  Cosimo   IL 

15.  —  Qui  fa  chiaramente  conoscere,  che  se  i  moti  popolari  abortiscono,  malgrando  si  abbia 
avuto  l' idea  ed  il  proposito  di  farli  approdare  a  buon  termine,  la  causa  non  è  soltanto  l'oppres- 
sione delle  truppe  regolari  solite  a  soffocare  nel  sangue  qualunque  movimento  tendente  a  libertà  ;  ma 
bensì  delle  popolazioni,  le  quali  vantano  di  possedere  un  coraggio  da  leoni  capaci  di  sfidare  i  pericoli  e 
sostenere  qualunque  urto  per  far  trionfare  la  propria  idea,  il  più  delle  volte  si  mostrano  pecore  o  co- 
nigli sopra  dei  quali  fanno  strage  orrenda  i  loro  nemici,  che  sovente  sono  connazionali  e  così  detti 
fratelli  ! 

APOLOGIA  DEL  LOTTO 

I.  —  Resulta  dalle  statistiche  che  un  anno  per  V altro,  il  lotto  rende  allo  Stato  65  milioni,  ecc. 

All'epoca  in  cui  furono  scritte  le  annotazioni,  tale  sarà  stata  la  rendita  del  lotto  ;  ma  dalle  me- 
desime statistiche  governative  si  apprese  due  anni  or  sono,  che  il  lotto  rendeva  ben  78  milioni  ! 
Questo  aumento,  in  parte,  si  deve  alla  corrruzione  dei  costumi,  la  quale  fa  sì  che  la  maggior  parte  della 
popolazione  rotta  alla  ignavia  aneli  di  poter  vivere  ed  arricchire  poltrendo  ;  e  nella  massima  parte, 
all'astuzia  governativa,  la  quale  per  meglio  prendere  in  questa  sozza  rete  la  gente,  ha  stabilito  la 
tariffa  delle  giocate  più  o  meno  alta  secondo  la  condizione  più  o  meno  comoda  dei  giuocatori  delle 
diverse  provincie.  Quindi  mentre  nelle  provincie  meridionali  si  può  giuocare  tutti  i  giorni  della  setti 
mana  con  una  tariffa  di  pochi  centesimi,  nelle  antiche  provincie  trovasi  molto  elevata  e  quindi  a 
seconda  della  agiatezza  delle  provincie. 

//  Giusti,  a  ragione  sdegnato  di  tanta  iattura,  ecc.  Se  il  nostro  Governo  non  pensa  neanco  ad 
abolire  l' immoralissimo  giuoco  del  lotto,  la  popolazione  vi  pensa  ancora  meno  e  stimerebbe  quasi 
\ina  sventura  pubblica  se  venisse  realmente  abolito.  E  così  incarnata  la  passione  del  giuoco  nella  nostra 
Italia,  che  alle  persone  dell'ultima  classe  sociale  non  basta  neppure  il  lotto  pubblico,  mentre  fa  di 
tutto  per  alimentare  il  giuoco  clandestino.  E  prescindendo  da  questa  tassa  immoralissima  mantenuta 
dal  Governo,  non  veggiamo  tutto  giorno  moltiplicarsi  le  case  da  giuoco  e  perfino  la  roulette  ?  A 
qual  prò  dunque  strillare  continuamente  contro  il  Casino  di  Montecarlo,  se  ad  ogni  pie  sospinto  tro- 
viamo una  casa  da  giuoco  e  se  ornai  si  moltiplicarono  cotanto  le  lotterie  pubbliche  le  quali  sono 
una  vera  mistificazione  pel  pubblico,  mentre  impunemente  si  trasgrediscono  le  condizioni  stabilite 
nel  programma  ? 

Analizzata  ben  bene  la  cosa,  il  Casino  di  Montecarlo  mantiene  il  meno  immorale  di  tutti  i 
giuochi  permessi  e  clandestini  che  rodono  la  nostra  società.  Infatti  :  colà  non  si  può  giuocare  sulla 
parola  :  è  il  denaro  che  vale,  e  perciò  non  si  avventurano  né  palazzi,  né  ville,  né  poderi,  come  si  co- 
stuma nei  clubs  e  ne  circoli  privati.  Colà  non  vi  sono  i  bari  che  truffano,  né  ingannatori  che  fuggono 
siccome  veggiamo  spessissimo  nelle  borse  ,-  ma  le  vincite,  fossero  pure  di  mezzo  milione,  sono  pagate 
subito  in  oro.  È  forse  colà  che  il  giuocatore  è  truffato  da  chi  è  preposto  alla  bisca,  come  succede 
giuocando  al  lotto  ;  poiché,  sia  che  innocentemente  faccia  un  errore,  ovvero,  come  più  spesso  accade, 
non  si  segni  a  registro  che  una  minima  parte  del  denaro  giuocato,  ecco  che  il  Governo  non  gua- 
rentisce neanco  contro  ai  ladri  ed  il  giuocatore  ne  va  sempre  di  mezzo. 

E  delle  lotterie  così  frequentemente  emesse  e  sempre  annunziate  al  pubblico  a  scopo  di  bene- 
ficenza che  cosa  dovremo  dire  ?  Ci  limiteremo  a  scrivere  qualche  parola  su  quelle  della  Croce  Rossa, 
delle  Scuole  italiane  di  Alessandria,  e  di  Santa  Margherita,  lasciando  da  parte  l'ultima  venuta  fuori, 
quella  della   Stampa,  della  quale  occorrerà  intrattenerci  più  tardi. 

In  quanto  alla  prima,  cioè,  a  quella  della  Croce  Rossa,  è  chiaro  pur  troppo  che  alcuni  milioni 
furono  accordati  a  vantaggio  degli  iniziatori  della  lotteria,  dei  principali  banchieri  che  sottoscrissero 
e  di  non  pochi  sensali  e  mediatori  di  borsa  che  vi  concorsero.  Per  tutti  costoro,  lo  scopo  benefico  ed 
umanitario  della  Croce  Rossa  non  esiste,  ed  una  tale  opera  santa,  per  essi,  vale  quanto  un'altra  ope- 
razione di  borsa  !  Ma  questo  non  è  soltanto  il  male  che  deploriamo,  vi  è  altresì  l'altro,  che  menomato 
il  capitale  dei  15  milioni,  non  si  hanno  più  tanti  premi  quanti  se  ne  sarebbero  potuti  dare  a  capitale 
intero,  e  quindi  scemata  la  fiducia. 

La  lotteria  delle  Scuole  italiane  d'Alessandria,  non  rifinì  di  lusingare  colla  stampa,  che  i  tre  colori 
dei  biglietti  si  conservassero  gelosamente,  perchè  anche  estratto  un  colore,  concorrevano  sempre  gli 
altri  due  ai  premi,  ciò  che  fu  riconosciuto  falso  a  danno  degli  uomini  di  buona  fede  rimorchiati  lungo 
tempo  dietro  le  assicurazioni  ripetute  che  l'estrazione  si  farà  il  tale  giorno  !  Che  cosa  si  dirà  poi  di  molti 
numeri  premiati  con  delle  oleografie  da  pochi  centesimi  ? 


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552  Toesie  del  Giusti  illustrate 


Ora  in  quella  di  S.  Margherita,  si  misero  in  opera  mezzi  immensi  per  la  vendita  dei  biglietti, 
con  regali  di  busti  marmorei,  di  oleografie,  e  di  biglietti  gratuiti,  ritrovati  tutti,  il  cui  importo  natural- 
mente viene  prelevato  dal  ricavo  devoluto  all'opera  pia  S.  Margherita  di  Cortona 

Uopo  questi  semplici  cenni  ei  ci  pare  che  il  Ministero  prima  di  far  coprire  certe  mercanzie  con 
la  bandtera  dei  reali,  e:  dovrebbe  pensar  meglio  !  mercanzie  con 

PRETERITO  PIÙ  CHE  PERFETTO  DEL  VERBO    PENSARE 

I.  —  Fino  dal  tempo  di  Orazio  i  vecchi  sono  sempre  stati  lodatori  temporis  acti,  non  perchè  il 
mondo  cangi  di  sovente  e  molto  ;  ma  perchè  siamo  noi  che  cangiamo    ecc 

Non  possiamo  essere  per  nulla  d'accordo  con  lo  scrittore  delle'  annotazioni,  quando  si  forza  a 
persuadere  coloro  che  giustamente  lamentano  l'attuale  andazzo  delle  cose,  essere  ingiuste  le  loro  gere- 
miadi poiché  il  mondo  non  già  bensì  gli  uomini  sono  cagione  dei  mali  che  deploriamo 

dnvrebb™0  Z*  ^l™™  d' ìntT/^d  in  1uest°  P°™  gradito  argomento,  essendoché  non  si 
dovrebbe  contraddire  la  massima  dello  scrittore  con  dei  fatti  disgustosi  di  troppo  dipendenti  dagli 
STI  -,S1  su,:ce^ttero.  nell'amministrazione  della  cosa  pubblica,  e  non  già  dalla  natura  stessa 
dell  uomo,  il  quale  invecchiando  si  fa  brontolone. 

Ha  un  bel  farsi  forte  lo  scrittore  con  le  massime  espresse  da  Orazio,  che  perfettamente  consonano 
con  le  proprie  ;  e  noi  alla  nostra  volta  porteremo  l'autorità  del  Tasso,  il  quale  nell'ornate  lasciò  scritti 
1  due  seguenti  versi  : 

«  Il  mondo  intristisce 

«  E   peggiorando  invecchia.  » 

E  a  non  andare  di  troppo  per  le  lunghe  su  di  questo  argomento  che  si  fa  ogni  giorno  più  dolo- 
roso, soggiungeremo  :  -  che  cotanto  si  è  il  disinganno  che  provasi  nel  procedimento  e  nello  sviluppo 
di  questa  nostra  vita  politico-amministrativa,  che  tutti,  almeno  coloro  che  non  hanno  interesse  a 
mantenere  questo  stato  di  equivoci,  d'incoerenze,  di  arbitrii  e  peggio,  lamentano  il  progressivo  ro- 
vimo  della  cosa  pubblica  esclamando  :  —  „"  stava  meglio  quando  si  stava  pegola  ' 

Infatti  :  per  lo  innanzi  non  vi  erano  le  delizie  dei  contratti  con  i  banchieri,  i  quali  per  ben  due 
volte  gavazzarono  largamente  sulle  strade  ferrate,  e  specularono  ingordamente  sulla  regìa  cointeres- 
STu~    a-V1  V?deVano  m,mstri'  che  Per  tenersi  s^ldi  in  seggio,  giocassero  quarantine  di  milioni 
alla  borsa  di  Parigi  insciente  il  nostro  Parlamento.  _  Non  si  votava  la  imposta  sulla  fame,  il  macinato 
opera  esosa  di  Sella  che  peggio  di  Vespasiano  seppe  confiscare  perfino  le  lagrime  e  che  boriando  sui 
propri  paradossi   m  piena  Camera  gridava  :  economie  sino  all'osso,  e  poi  sprecava  otto  e  più  milioni 
in  quel  palazzo  detto  delle  Finanze,  ma  che  in  realtà  è  un  labirinto,  nel  quale  si  sa  dove  si  entra   ma 
non  ci  si  raccapezza  nulla  dentro,  spendendo  mezzo  milione  annuo  d'interessi  per  questo  bello  arnese 
Ai  tempi  andati  non  vi  erano  i  Minghetti  ed  i  Peruzzi,  che  per  compiacere  il  sire  di  Francia,  firmavano 
la  perpetua  rinuncia  a  Roma,  dando  in  pegno  il  trasporto  della  capitale  a  Firenze,  gli  eccidi  di  200 
e  più  cittadini  a  Tonno,  e  50  milioni  di  spese  pel  trasporto  :  fatti  dolorosi,  che  Minghetti  scrivendo 
ali  onor    Branca  nel  1885  ebbe  il  coraggio  di  chiamarli  necessari  per  ottenere  il  ravvicinamento  alla  Ger- 
mania !  _  Avvicinarsi  a  Berlino  vendendo  Roma  al  Papa  ed  a  Napoleone,  fu  dove  spiccò  il  di  lui  vero 
patriottismo  !  Allora  non  vi  erano  gli  inqualificabili  aumenti  dei  tabacchi,  degli  zuccheri    del  caffè 
della  carta  bollata,  né  molto  meno  il  grande  affarone  di  Assab  e  Massaua  pel  ouale  piangono  molte  fa- 
miglie  S1  snervano  le  finanze  e  se  ne  ha  una  gloria  che  sarebbe  bella  se  non  si  fosse  mai  cercata  I 
Altro  che  Orazio  !    Altro  che  vecchi  brontoloni  !... 

8.  —  Allude  alla  uguaglianza  civile  che  va  instaurandosi  in  tutta  Europa  meridionale  ecc  Vi  sarà 
stato  il  principio,  l'embrione  in  allora  di  questa  eguaglianza,  ma  sventuratamente  si  vede,  che  il  prin- 
cipio e  1  embrione  hanno  abortito  ;  e  per  conto  nostro  siamo  costretti  a  vederla  questa  uguaglianza 
espressa  unicamente  nelle  sale  delle  Corti  di  Assise,  ove  fu  scritto  :  La  legge  è  uguale  per  tutti 
io.  —  Fino  agli  ultimi  tempi  si  credeva,  ecc.  Se  per  lo  innanzi  i  doviziosi  legavano  alle  chiese 
1  beni  appartenenti  alla  famiglia,  privandone  i  parenti,  in  giornata  per  una  boria  insensata  si  legano 
ingenti  somme  agli  spedali,  che  impinguano  un  nugolo  d' impiegati  e  pochissimo  giovano  agli  infermi. 

V  INCORONAZIONE 

•  L  j  ^?CSÌa  intom0  ^  °luale  siamo  Per  iscrivere  alcune  righe  è  una  delle  più  salienti  che  siano 
uscite  dalla  mente  del  grande  autore,  in  quantochè  trattandosi  di  gravissime  cose,  sa  condirle  bella- 
mente con  la  satira  burlesca  in  modo  affatto  nuovo,  anzi  unico  fra  tutti  i  satirici  italiani. 

I.  —  Scritta  nella  infaustissima  epoca  nella  quale  la  tirannica  oppressione  austriaca  veniva 
maggiormente  assodata  nel  1838,  quando  l'imperatore  Ferdinando  volle  farsi  incoronare  in  Milano 
e  pressoché  tutti  1  cattadini  di  questa  capitale  morale  impazzarono  per  gara  di  spendere  somme  enormi, 
sciupandole  a  festeggiare  il  proprio  dominatore,  arrivando  perfino  un  tale  ad  esporre  una  grandissima 


fip- 


^Poesie  del  Giusti  illustrate  553 


scritta  congegnata  di  puri  diamanti  di  eccessiva  grossezza,  dicente  :  W.  Ferdinando  I,  dimostra- 
zione che  fece  trasecolare  tutti  i  rappresentanti  delle  case  estere,  ed  annichili  tutti  i  maggiori  Creso 
dei  due  emisferi  venuti  espressamente  per  tale  solennità  in  Milano. 

3.  —  //  re  Carlo  Alberto  in  quel  tempo  non  si  era  ancora  riabilitato,  ecc.  Antecedentemente 
abbiamo  fatto  cenno  di  questo  disgustosissimo  fatto  storico,  ed  ora  a  completarlo  soggiungeremo  : 
che  nel  1842  mentre  assentiva  alle  proposte  dei  più  grandi  personaggi  del  Piemonte,  quali  il  marchese 
di  Provana  di  Collegno,  il  conte  di  S.  Marzano,  gl'illustri  signori  Regis,  Lisio,  Santarosa  ed  altri  che 
coraggiosi  faceano  segreta  ed  estesissima  propaganda  e  logoravano  i  loro  patrimoni  a  riuscire  nello 
intento,  egli  consentiva  alle  proposte  diluii  alto  personaggio  inviatogli  ripetutamente  dal  re  Vittorio 
Emanuele  I,  con  le  quali  doveva  lusingare  sempre  i  liberali  ;  ma  di  nascosto,  non  solo  non  dare  loro 
veruno  appoggio,  ma  bensì  combattendoli  a  tutta  oltranza,  minacciandolo  diversamente  di  privarlo 
del  regno  nel  caso  fosse  per  succedergli.  Carlo  Alberto  non  istette  in  forse  e  posto  nell'alternativa  di 
mancare  al  giuramento  fatto  in  presenza  dei  più  illustri  Carbonari  d'allora,  o  di  pregiudicare  ai  propri 
interessi  dispiacendo  al  re,  dette  la  seguente  risposta  allo  inviato  del  re  di  Sardegna  :  Dite  a  sua  Maestà 
che  ho  inteso  tutto  e  la  sua  volontà  sarà  eseguita.  (Turotti,  Storia  d'  Italia,  lib.  IX). 

Riappacificatosi  con  il  re,  dovette  piegarsi  alle  esigenze  del  medesimo,  che  in  fine  non  erano 
altro  che  quelle  della  santa  alleanza  ;  e  la  circostanza  richiedendo  di  soffocare  la  rivoluzione  in  Ispagna 
e  disperderne  i  liberali  esegui  la  spedizione  del  duca  d'Angoulème  ed  al  forte  del  Trocadero  pugnò 
come  un  leone  in  favore  della  reazione,  imprimendo  sulla  propria  fronte  quel  marrchio  di  che  ancora 
oggi  favella  la  storia,  e  proseguì  poscia  a  mantenere  il  carattere  e  la  persona  di  uomo  dell'ordine  eziandio 
quando  salì  al  trono  il  18  ottobre  preceduto  da  imprigionamenti,  da  ergastoli  e  da  patiboli,  mentre 
ricevuto  da  feste  e  passando  sotto  gli  archi  di  trionfo  aggiungevasi  il  tripudio  allo  scherno  ed  allo 
squallore  generale.   (Turotti,  voi  I,  pag.  825). 

6.  —  Qui  si  parla  delle  ingenti  spese  fatte  dal  governo  di  Leopoldo  II  nelle  Maremme  Toscane 
per  ridurle   in  buono  stato  di  coltivazione,  ecc. 

Il  Giusti,  mirando  unicamente  a  menare  la  frusta,  percoteva  ingiustamente  il  granduca  Leopoldo 
addebitandogli  anco  di  aver  seguito  i  piani  di  quei  grandi  uomini  che  erano  il  Fossombroni,  il  Manetti 
ed  il  Giorgini. 

Se  il  poeta,  in  iscambio  di  berteggiare  continuamente  Leopoldo,  avesse  conosciuto  che  cosa  si 
faceva  nelle  altre  corti  d'Italia,  certo,  mentre  avrebbe  risparmiato  l'oggetto  delle  inconsiderate  sue 
satire,  avrebbe  avuto  da  dire  largamente  sopra  di  altri  sovrani,  che  regnanti  assoluti  come  Leopoldo, 
mirarono  sempre  ad  intascare  le  rendite  dello  Stato  per  le  proprie  famiglie,  non  facendo  quasi  nulla 
pel  bene  pubblico. 

7.  —  A  lode  del  vero,  fu  risparmiata  dalla  satira  Maria  Luigia  duchessa  di  Parma,  vedova 
di  Napoleone  il  Grande,  e  sposata  in  seconde  nozze  al  generale  conte  di  Neiperg,  atto  che  alcuni  scri- 
bacchiatori  hanno  voluto  qualificare  quasi  come  un  delitto,  mentre  se  tale  si  è,  la  storia  ribocca  di 
atti  consimili  contemporanei,  e  la  madre  stessa  di  Carlo  Alberto  passò  a  seconde  nozze  non  reali,  e  noi 
ne  vedemmo  dei  ripetuti  di  cotali  matrimoni  nella  stessa  Casa,  e  ancora  più  numerosi  nelle  Case  di 
regnanti  esteri. 

Del  resto,  Maria  Luigia  quale  sovrana  di  Parma,  fece  moltissimo  di  più  per  il  proprio  ducato, 
di  quello  che  tutti  insieme  uniti  non  operarono  gli  altri  sovrani  :  e  i  portentosi  monumenti  che  ancora 
oggi  formano  la  meraviglia  dei  periti  e  la  comodità  immensa  dei  sudditi,  quali  sono  i  famosi  ponti  sui 
diversi  fiumi  e  la  grande  strada  della  Cisa,  opera  veramente  romana  e  più  che  romana  eminentemente 
filantropica  con  la  quale  s' innalzavano  lungo  la  strada  medesima  ripetute  case  cantonk  re  per  entro 
alle  quali  trovavano  ogni  maniera  di  conforto  i  viandanti  che  guadagnavano  quel  monte  inospitale 
nella  cruda  stagione,  sono  testimonianze  tali  che  appena  trovano  un  riscontro  nelle  magnifiche  costru- 
zioni dell'ex  regno  delle  Due  Sicilie. 

E  poi  :  mi  si  citino  ad  uno  ad  uno  tutti  indistintamente  i  sovrani  dell'  Italia  d'allora  e  mi  si  dica 
chi  avrà  la  fronte  di  mostrare  le  mani  monde  di  sangue  del  proprio  popolo  specialmente  per  motivi 
politici,  come  impollute  le  seppe  conservare  Maria  Luigia  ?  Chi  seppe  governare  senza  angherie  di 
sorta  e  cattivarsi  il  sincero  amor  di  tutti,  che  piansero  a  larghe  lagrime  la  morte  della  medesima  ? 
Oh  per  Iddio  !  Nel  decesso  dei  principi  si  possono  bene  ordinare  sfarzosi  lutti,  comporre  a  mestizia 
ufficiale  i  volti  dei  parassiti  e  degli  adulatori,  ma  piangere,  come  suol  dirsi,  di  cuore  e  piangere  lungamente 
non  si  vide  mai  per  nessunissimo  monarca,  e  soltanto  i  parmigiani  piansero  amaremente  la  loro  du- 
chessa  (1). 

8.  —  Don  Lodovico  duca  di  Lucca,  ecc.  Non  è  veramente  questo  il  nome,  bensi  quello  di  Carlo 
Lodovico  che  devesi  sostituire  e  del  quale  il  Giusti  non    potendo  scrivere    altro,  pure    volle  ferirlo 


(1)  Maria  Luigia  morì  avvelenata  per  la  sua  squisita  gentilezza.  ■ —  Ci  spieghiamo  :  nella  Corte  esisteva 
una  vera  congiura  contro  il  confessore  di  lei,  che  dopo  studiati  i  modi  più  spicci  a  liberarsene,  avvelena- 
rono la  tazza  di  cioccolata  che  ogni  mattina  beveva  con  la  duchessa,  terminata  la  celebrazione  della  messa. 
Narrasi  a  questo  riguardo,  che  dessa,  porgendo  graziosamente  al  prete  la  tazza  che'nel  vassoio  le  era  più 
vicina,  bevesse  in  quella  destinata  pel  confessore  e  quindi  morisse  del  veleno  preparato  al  medesimo. 

1»  —  JZ 


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554  Toesie  del  Giusti  illustrate 


appellandolo  protestante,  attributo  che  un  poeta  per  nulla  affatto  cattolico  com'era  lui  non  avrebbe 
dovuto  appropriargli  come  insulto,  ben  sapendo  che  a  quei  tempi  se  non  si  professava  così  apertamente 
il  protestantesimo  come  in  giornata  da  moltissimi,  pure  le  credenze  cattoliche  erano  di  molto  affievolite. 
Del  resto,  il  duca  Carlo  Lodovico  fu  un  monarca  singolare,  perchè  senza  il  consiglio  di  tanti  ministri 
dei  quali  si  presidiano  i  coronati,  seppe  governare  assai  bene  il  suo  piccolo  Stato,  meritandosi  la  gene- 
rale benevolenza,  cosa  molto  rara  nei  principi  della  giornata  ;  ed  il  Giusti,  che  nelle  sue  poesie  non 
trovò  quasi  mai  da  pungere  coloro  che  regnavano  fuori  di  Toscana  e  punzecchiò  poco  giustamente  i 
duchi  di  questa,  non  può  fare  a  meno  di  encomiare  Carlo  Lodovico,  scrivendo  :  —  non  essere  né  carne 
ne  pesce  fra  i  tiranni  ! 

Chiamò  da  tutte  le  parti  gli  artisti  più  celebri  in  ogni  arte,  facendo  della  piccola  città  di  Lucca 
il  convegno  delle  persone  più  illuminate,  mentre  conversava  con  i  sudditi  d'ogni  grado  così  famigliar- 
mente  da  meritarsi  la  generale  ammirazione.  Chi  scrive,  può  asseverarlo  più  d'ogni  altro,  che  ricevuto 
in  varie  occasioni  cortesemente  nella  di  lui  villa  Le  pianore  vicino  a  Pietrasanta  ed  anche  nella  reggia 
di  Lucca,  potè  giudicare  del  di  lui  spirito  colto  ed  erudito  più  di  quello  di  qualunque  altro  regnante, 
e,  per  sopramercato,  gentile  così  da  poter  servire  di  modello  ai  freddi  sembianti  dei  monarchi  dei 
nostri  giorni.  Sposato  ad  una  figliuola  del  re  di  Sardegna,  non  potè  averla  sempre  compagna  e  vicina, 
comechè  datasi  a  pratiche  divote  per  istigazione  di  un  fiate  domenicano  figlio  di  un  muganio  dei 
ducali  possedimenti,  sdegnava  convivere  con  lo  sposo,  contenta  dei  rugiadosi  discorsi  del  monaco, 
che  mentre  la  involgeva  entro  alle  spire  dello  asceticismo  più  spinto,  sapeva  trarre  V acqua  al  proprio 
molino  eccellentemente  ! 

Carlo  Lodovico  fu  il  sovrano  che  ebbe  maggioi  buon  senso  e  tatto  di  quanti  esistevano,  ed  a  tutta 
ragione  può  dirsi  che  fosse  il  vero  gentiluomo  in  tutta  l'estensione  del  termine,  e  S'ccome  buono  per 
natura,  cosa  molto  rara  in  chi  nasce  col  diritto  di  comandare,  abborrendo  dal  fare  il  tiranno  a  quei 
tempi  procellosi,  così  preferì  abdicare  in  favore  del  figlio  e  vivere  privatamente.  Oh  non  l'avesse  mai 
fatto  !  Che  Parma  non  si  sarebbe  macchiata  di  due  esecrandi  delitti,  e  dei  quali  non  potrassi  giammai 
purgare,  la  pugnalazione  cioè,  di  Carlo  III  e  l'eccidio  del  colonnello  Anviti  ! 

9.  —  Culagna  è  un  ■meschino  villaggio,  ecc.  Bellamente  il  Giusti  buffoneggia  il  duca  di  Modena, 
che  signoreggiando  una  terra  grande  quanto  un  guscio  di  noce  vuol  farla  da  gradasso  accomunandosi 
con  i  regnanti  di  grandi  Stati.  Che  se  in  questo  particolare  gli  fallisce  la  prova,  vince  però  ad  oltranza 
tutti  quanti,  sia  per  la  ferocia  e  le  sataniche  trame,  come  per  le  estorsioni  d'ogni  fatta  operate  a  danno 
degli  sventurati  sudditi. 

Infatti,  a  tacere  delle  ripetute  esecuzioni,  delle  molte  condanne  alla  galera,  delle  proscrizioni  d'ogni 
genere  con  cui  dilaniava  onesti  patrioti  di  null'altro  rei  tranne  di  amare  la  patria  e  respirare  qualche 
aura  di  libertà  :  tramava  secretamente  e  senza  posa  a  danno  del  Piemonte,  insinuando  al  proprio 
ospite  Carlo  Felice  le  massime  più  liberticide  e  congiurando  contro  Carlo  Alberto,  che  avrebbe  voluto 
spodestarlo,  facendosi  riconoscere  da  Vittorio  Emanuele  e  da  Carlo  Felice  successore  al  trono  di 
Sardegna. 

In  quanto  alle  estorsioni  ed  alle  usure  con  le  quali  opprimendo  dissanguava  gli  sventurati  sudditi, 
basterà  di  dire,  che  Francesco  IV  estese  il  monopolio  più  esoso  e  svergognato  sopra  tutto,  cosicché 
dalle  cave  dei  marmi,  sino  ai  molini  di  grano  e  di  olio,  alla  panificazione,  ai  generi  di  vestiario,  non 
vi  fu  impresa,  non  si  aprì  negozio,  non  si  esercitò  industria  che  non  fosse  di  proprietà  ducale,  spacciando 
i  generi  di  primissima  necessità  a  prezzi  favolosi  ed  affamando  letteralmente  la  popolazione. 

11.  —  Qui  si  accenna  alla  rigenerazione  del  papato,  ecc.  Fu  tentata  e  pressoché  compiuta  da 
Gregorio  XVI,  il  quale  appena  eletto  trovando  gli  Stati  della  Chiesa  in  sollevazione,  chiamò  gli  austriaci 
in  aiuto  sguinzagliandoli  contro  i  liberali  delle  Legazioni  e  delle  Romagne,  non  così  felicemente  però 
come  avrebbe  desiderato  il  papa,  unitamente  ai  cardinali  Bernetti  segretario  di  Stato  ed  Albani  com- 
missario questi  delle  Legazioni,  poiché  l'occupazione  austriaca  destando  grandi  gelosie  nella  Francia, 
questa  a  sua  volta,  pretestando  le  turbolenze  della  penisola,  inviò  un  corpo  di  spedizione  negli  Stati 
pontifici,  occupando  Ancona  sotto  il  comando  del  generale  Cubières  che  malgrado  le  proteste  papali, 
disarmò  i  soldati  pontifici  e  prese  di  fatto  il  comando  di  tutto  lo  Stato,  oppressione  straniera  in  Italia 
che  non  doveva  cotanto  presto  finire,  e  prodromo  dei  connubi  che  ancora  oggi  minacciando,  afflig- 
gono la   nostra   patria. 

IL  MEMENTO  HOMO 

La  briosissima  satira  di  cui  s'informa  la  presente  poesia,  che  si  può  giustamente  qualificare  come 
una  delle  più  riuscite  del  Giusti,  non  richiederebbe  nessuna  nota,  comecché  assai  chiaro  metta  in 
ridicolo  i  menzogneri  elogi  di  cui  si  glorificano  in  giornata  tutte  le  mediocrità  che  scompariscono 
dalla  terra. 

Che  cosa  però  non  iscriverebbe  il  nostro  poeta,  veggendo  in  qual  modo  la  manìa  del  glorificare 
chi  non  fece  poco  o  nulla  per  la  patria  e  per  l'umanità,  sia  spinta  al  punto  da  formare  una  società  di 
mutuo  incensamento,  promovendo  ed  innalzando  statue  ai  consorti  con  la  certa  speranza  di  essere 


Poesie  del  Giusti  illustrate  555 


ricambiati  di  altrettanto  appena  cesseranno  di  vivere  f  Oh  sì  !  Il  Depretis  non  si  sarebbe  cotanto 
affrettato  a  presentare  il  progetto  di  legge  per  un  monumento  a  Minghetti  la  cui  salma  era  ancora 
tiepida,  e  facendo  pesare  sulle  già  troppo  gravate  spalle  del  popolo  cento  mila  lire,  se  non  perchè  i  soci 
superstiti  avrebbero  fatto  altrettanto  con  lui  una  volta  spento  !... 

Che  cosa  non  direbbe  il  Giusti  visitando  la  città  di  Torino,  irta  di  statue  e  monumenti  a  tante 
volgarità,  che  se  possono  avere  un  lato  perdonabile,  sarà  quello  dell'amicizia  che  li  promosse  non  mai 
l'ammirazione  dei  posteri,  né  l' immortalità  della  storia,  e  che  pare  vogliano  rendersi  imitatrici  Milano 
ed  altre  città,  le  quali  lasciano  nell'oblio  i  nomi  di  personaggi  illustri  non  pure  italiani,  bensì  mondiali, 
per  immortalare  uomini  che  fecero  tutto  per  se  e  ben  poco  per  gli  altri  ?  Che  se  le  sottoscrizioni  dei 
privati  hanno  il  potere  talvolta  di  far  dire  alla  storia  ciò  che  non  è  ;  temano  che  i  popoli  in  certi  mo- 
menti, che  pure  brillano  per  grandi  giustizie,  e  per  riparazioni  di  grandi  torti,  temano,  ripigliamo,  che 
non  abbiano  a  fare  di  tante  statue  innalzate  oggigiorno,  ciò  che  di  quella  di  Andrea  Doria  ne  fece  la 
rivoluzione  e  che  forse  non  s' innalzerà  mai  più. 

LA  TERRA  DEI  MORTI 

I. —  Se  noi  italiani  siamo  destinati,  ecc.  Chi  oserebbe  mai  aggiungere  un  sentimento  soltanto 
per  chiosare  la  presente  poesia,  nella  quale  il  Giusti  si  mostrò  grande  ed  inimitabile  al  pari  di  Dante  ? 

Avendo  egli  pertanto  detto  bastevolmente  per  ricacciare  in  gola  a  Lamartine  la  sprezzante  sen- 
tenza, ed  anco  in  giornata  avendo  fatto  vedere  agli  uomini  della  stessa  tempra  di  lui  che  fummo  vivi 
malgrado  il  rabbioso  jamais  d'un  altro  arrogante  ;  pure  non  possiamo  che  vivere  trepidando  sulle 
sorti  che  aspetta  la  nostra  patria,  giacché  conveniamo  a  puntino  con  il  commentatore  delle  attuali 
poesie,  —  che  il  nostro  splendido  avvenire,  ovvero  la  nostra  morte  inonorata  sta  sulla  bilancia,  —  che 
faccia  senno  la  rappresentanza  nazionale  —  che  soccorra  il  buon  senso  della  popolazione  —  che  il  Go- 
verno conosca  i  tempi  e  l'altezza  della  propria  missione  ! 

Non  andremo  esaminando  se  siamo  giunti,  ovvero  no  a  questo  termine  da  nutrire  una  speranza 
assai  debole  pel  nostro  vivere  glorioso  ;  ma  certo  egli  è  che,  veggendo  come  è  trattata  la  faccenda 
pubblica,  e  come  a  forza  di  mali  ripieghi  e  di  meno  corrette  misure  siamo  giunti  a  vedere  massacrati 
i  nostri  soldati  dalle  orde  africane,  e  come  un,  ministero  caduto  e  ricaduto  più  volte  sotto  la  generale 
disapprovazione,  non  rifinisca  d' imporsi,  perchè  non  si  saprebbe  a  quali  altre  mani  affidare  la  gestione 
della  cosa  pubblica  ;  —  veggendo  come  fuori  di  Depretis  non  si  trovi  nessuno  che  regga  il  timone,  ci  si 
lasci  una  volta  interrogare  :  —  dunque,  se  morisse  lui,  morirebbe  anco  1'  Italia  ?  —  Eh  per  Iddio  ! 
Non  morì  con  la  dipartita  del  grande  Cavour,  e  dovrebbe  morire  per  la  perdita  di  questo  politico  che 
alla  misurata  abilità  aggiunse  l' insulto,  esclamando  dittatorialmente  in  faccia  alla  Camera  :  Piace 
a  me  e  basta  ?  Ci  sarebbe  da  ridere,  quando  non  si  trattasse  di  cose  seriissime  ! 

IL  PAPATO  DI  PRETE  PERO 

Nessuno  avrebbe  mai  imaginato,  ed  il  Giusti  non  lo  avrebbe  creduto,  che  scrivendo  questa  poesia 
nel  1845,  dovesse  avere  appena  un  anno  dopo  quasi  un  pienissimo  compimento  per  l'elezione  a  pon- 
tefice del  cardinale  Mastai. 

Diciamo  —  quasi  pienissimo  compimento  —  dacché  questo  gran  papa  salito  al  trono  con  le  più 
benevole  ed  umanitarie  intenzioni  del  mondo  e  con  un'anima  dotata  di  slancio  bastevole  per  metterle 
in  esecuzione,  dovette  suo  malgrado  arrestarsi  nello  intrapreso  cammino  non  solo,  ma  spinto  e  pro- 
vocato da  svariatissime  trame  e  da  casi  ancor  più  funesti  a  valersi  del  potere  che  gli  fu  conferito  per 
rintuzzare  gli  attacchi  feroci  ed  i  ripetuti  assassinii  che  insanguinavano  la  capitale  e  non  poche  delle 
Provincie  dello   Stato. 

E  quali  furono  le  cause  che  indussero  un  uomo  di  carattere  così  dolce,  di  sentimenti  così  umani 
e  nato  fatto  per  il  bene  dei  popoli  a  cambiare  totalmente,  sino  ad  essere  giudice  severo,  mentre  si  era 
annunciato  e  fatto  conoscere  il  padre  di  tutti  ? 

Lo  diremo  in  poche  parole,  acciò  rimanga  a  memoria  infausta  di  coloro  che  ne  furono  gli  autori 
principali. 

E  fra  questi  è  dolorosissimo  constatare  il  cardinale  Lambruschini,  per  vendetta  di  non  essere 
riuscito  nel  conclave,  in  cui  aveva  di  già  ottenuti  ben  diciassette  voti,  ma  che  poscia  in  altro  scrutinio 
furono  tolti  a  lui  e  dati  al  Mastai,  cosicché  venne  proclamato  pontefice. 

Da  quel  momento  il  Lambì uschini  usò  di  tutta  la  propria  influenza  per  contrariare  le  opere  di 
Pio  IX  ;  sobillò  le  persone  più  alte  del  clero,  corruppe  i  più  grandi  funzionari  dello  Stato  e  congiurò 
con  essi  perchè  tutto  andasse  a  rovescio  delle  pie  intenzioni  del  papa,  e  vi  sarebbe  perfettamente 
riuscito,  se  scoperte  le  mene,  svelate  le  congiure  non  si  fosse  dovuto  allontanare  Lambruschini,  deporre 
Grasselini  governatore  di  Roma,  e  tanti  altri  che  aveano  aderito  alla  perfida  congiura  intessuta  dal 
porporato  ligure. 


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556  Toesie  del  Giusti  illustrale 


A  questo  si  aggiunga,  che  quasi  tutti  gli  uomini  chiamati  a  formare  un  governo  laico  e  che  poscia 
li  vedemmo  a  rimestare  nelle  faccende  d'  Italia  con  grande  loro  prò,  tutti  si  mostrarono  impari  allo 
scopo,  incapaci  anche  di  conoscere  intimamente  i  vasti  concetti  del  gran  papa  riformatore  cosicché 
guastarono  ogni  cosa  per  la  pretesa  di  migliorare  la  società,  distruggendo  l'antico  senza  capacità  di 
sapere  edificare  qualche  cosa  di  nuovo,  siccome  fecero  poscia  ;  quindi  meglio  veri  arruffa-popoli  che 
veri  amministratori  si  sarebbero  dovuti  qualificare. 

Da  un  cotale  sgraziatissimo  stato  di  cose,  ne  nacque  un  peggioramento  così  funesto   che  tale  non 
si  vide  per  lo  innanzi  e    non  si  vedrà  più  mai,  l'assasinio  cioè  del  grande  ministro  Pellegrino  Rossi 
e  le  fucilate  dirette  alla  tribuna  di  S.  Piatro  sulla  quale  stava  il  papa  circondato  dalla  propria  corte 
nel!  atto  che  mostravasi  al  popolo  plaudente  !  !  I 

Forse  non  tutti  sanno  che  d'allora  in  poi  la  nera  congiura  si  estese  a  tutta  1'  Italia  e  se  ne  fecero 
sostenitori  ferocissimi  gli  uomini  del  clero  di  ogni  diocesi,  che  dai  pulpiti,  dai  confessionali,  nel  seno 
delle  famiglie  ingeneravano  disprezzo  per  il  papa  divenuto  eretico,  arrivando  persino  a  fare  pubbliche 
preci  per  la  di  lui  conversione  ! 

.  }  G°^'erni  tutti  dei  piccoli  Stati  italiani,  a  loro  volta  inimicavano  di  sottecchi  ed  allo  aperto  i  fautori 
di  Pio  IX,  facevano  il  possibile  per  cancellare  le  orme  che  aveano  impresse  dietro  lo  splendido  esempio 
di  lui  nella  via  del  progresso,  e  quei  principotti  che  non  si  azzardarono  di  ritirare  la  costituzione 
data,  ne  rendevano  quasi  impossibili  i  benefici  con  i  ripetuti  ristrettivi  decreti,  con  i  rigori  di  una 
polizia  sospettosa  di_  tutto  e  nel  fatto  nemica  acerrima  delle  istituzioni  liberali. 

Cotanto  crebbe  il  male,  che  gli  avvenimenti  politici  incalzarono  vieppiù  e  la  rivoluzione  guada- 
gnando terreno,  soperchiò  ogni  cosa,  fuggi  il  papa  e  la  repubblica  fu  proclamata  in  Roma,  il  venerato 
nome  di  Pio .IX  fu  fatto  segno  ancora  più  generalmente  ad  oltraggi  sanguinosi,  innomibabili,  e  soltanto 
ne  può  far  fede  chi  vide  esposte  al  pubblico  le  litografie,  le  incisioni  rappresentanti  le  cose  più  letcie 
e  sozze  che  mente  corrotta  possa  cieare. 

_  Quello  che  avvenne  poscia,  tutti  lo  sanno.  La  Francia  rimette  in  trono  Pio  IX  ;  le  repressioni  san- 
guinose in  varie  provincie  degli  Stati  papali  e  specialmente  in  Bologna  ed  in  Perugia.  .  per  finirla  l'odio 
acceso  ed  alimentato  contro  di  lui,  al  punto  che  anco  dopo  morto  perdura  animatissimo  ' 

Oh  umani  eventi  !   Chi  l'avrebbe  mai  detto,  che  un  papa,  il  quale  seppe  destare  l'entusiasmo  nelle 

potenze  più  infedeli  ;  che  i  re  medesimi  ambivano  di  dare  ai  loro  figliuoli  il  nome  di  lui  ;  che  ogni 

ceto  della  società,  dagli  istrioni  sul  teatro  fino  ai  monarchi  sul  trono,  gloriavasi  di  avere  al  collo    in 

dito,  m  portafoglio  il  ritratto  di  Pio  IX  chi  avrebbe  mai  imaginato  che  sarebbe  caduto  così  in  basso  ?... 

C  è  da  far  molto  assegno  sull'aura  popolare  non  meno  che  sulla  protezione  dei  grandi  ! 


LA  RASSEGNAZIONE 


Non  appena  fu  eletto  pontefice  Pio  IX,  e  fatto  sbalordire  meglio  che  meravigliare  il  mondo  in- 
tero colla  generale  amnistia,  che  in  un  subito  i  grandi  patrioti,  i  quali  dal  fondo  delle  carceri  avean 
sempre  studiati  i  mezzi  per  fare  libera  V  Italia,  si  misero  all'opra  da  senno,  cogliendo  l'occasione  non 
mai  per  lo  avanti  presentatasi  così  propizia  come  quella  di  vedere  un  papa  alla  testa  del  movimento 
per  cacciare  dal  suolo  italiano  i  nemici  che  tanto  sozzamente  lo  avevano  sino  allora  calpestato. 

eppure,  eh!  lo  crederebbe,  che  in  mezzo  a  questi  generosi  slanci  che- si  levarono  da  ogni  terra 
italiana,  la  reazione  capitanata  dall'Austria  trovasse  ancora  del  terreno  propizio  allo  sviluppo  dei 
tenebrosi  propositi,  e  lo  trovasse  principalmente  in  Toscana,  dove  il  germe  della  libertà  erasi  rigoglio- 
samente sviluppato  mercè  il  numero  grande  degli  uomini  più  accesi  di  amor  patrio  che  vi  aveano 
trovato  ospitalità,  onori  ed  impieghi  ! 

Questo  stato  di  cose,  contrario  affatto  allo  intendimento  generale,  andava  guadagnando  terreno 
tutti  i  giorni  mercè  all'attiva  propaganda  che  facevano  gli  affigliati  dei  Sanfedisti,  ed  il  clero  secolare 
e  regolare,  insinuando  neUe  famiglie  ed  anche  inculcando  dai  confessionali  la  pazienza,  la  tolleranza  e 
l  attaccamento  ali  ordine  attuale  delle  cose,  ed  ai  satanici  consigli  unendo  lo  scherno,  finivano  con  insinuare 
di  raccomandarsi  a  Dio,  che  tempererà  i  loro  dolori  e,  se  conoscerà  essere  del  loro  bene,  li  libererà! 

La  sedgnosa  mente  del  Giusti,  insofferente  del  giogo  straniero  quanto  altri  e  più  degli  altri,  si 
scosse  e  die  mano  a  scrivere  la  presente  poesia  o  a  meglio  dire,  la  rifece  quasi  totalmente,  improntan- 
dola di  tutto  l  odio  di  cui  era  capace  per  flagellare  i  padroni  d'  Italia  che  tenevano  i  popoli  oppressi, 
avviliti,  monchi  ridotti  automi  o  giù  di  lì  ;  ma  che  in  ultima  analisi,  erano  assai  più  disposti  all'odio 
ed  alla  stizza  che  all'amore. 

//  quieto  vivere  inculcato  dagli  amici  dell'Austria,  si  era  l'argomento  trattato  dal  Giusti  ;  quieto 
vivere  che  equivaleva  a  perpetuare  il  servaggio  della  patria  nel  momento  stesso  che  per  l'onnipossente 


-ile 


Toesie  del  Giusti  illustrate  5  57 


impulso  dato  da  Pio  IX,  doveansi  rompere  le  catene  secolari  onde  l'avean  stretta  le  potenze  nordiche 

""*?«  stoltezza  somma  predicare  la  rassegnazione,  quando  l'amore  della  terra  natia  si  faceva  sentire 
più  vivo  e  gagliardo  nel  petto  di  ogni  italiano,  e  quando  tutte  le  provincie,  da  Palermo  a  lorino  si 
sollevavano  chiedendo  libertà  ai  propri  sovrani  ed  insieme  le  armi  per  scacciare  lo  stremerò  ! 

Che  se  alcuni  di  questi  reggitori  del  popolo,  per  evitare  mali  maggiori,  si  conformavano  agli  esempi 
dati  dal  papa,  e  tali  il  granduca  e  Carlo  Alberto,  gli  altri,  per  non  ismentire  il  carattere  di  veri  tiranni, 
siccome  u  re  di  Napoli,  il  duca  di  Modena  e  l'Austria  per  le  provincie  italiane,  rintuzzavano  con  ogni 
maniera  di  barbari  mezzi,  lo  slancio  delle  popolazioni. 

Primo  fra  tutti  il  re  di  Napoli,  il  quale,  non  sapendo  come  giustificare  le  tanniche  misure  prese 
contro  le  dimostrazioni  di  gioia  del  popolo  di  Palermo,  decretava  non  si  potesse  ripetere  il  grido  di 
Viva  il  re,  a  patto  di  essere  puniti  severamente.  ...  ,  ,  „     A  „ 

Nuovi,  per  verità,  negli  annali  del  dispotismo  fu  cotale  ingiunzione,  la  quale,  emanata  dopo 
che  le  popolazioni  della  Sicilia  si  mostravano  grate  al  re  per  aver  dimesso  il  ministro  ddlmttrjo 
Sant'Angelo,  portò  conseguenze  tali  che  non  si  crederebbero  quando  la  stona  non  le  andasse  eternando 
ron  i  dìù  incontestati  documenti.  .  ,.  .     . 

Prese  adunque  a  pretesto  le  dimostrazioni  popolari,  Ferdinando  II  sguinzaglio  la  polizia  in  cerca 
degli  autori  delie  medesime,  togliendo  a  sospetto  persino  due  ufficiali  di  artigliere,  Longo  ed  Orsini 
chi  come  rei  di  lesa  maestà  furono  sottoposti  al  giudizio.  Un  tal  procedere  irrito  viemaggiormente 
le  popolazioni  e  quindi  Messina  e  sobborghi  si  agitarono  in  modo  che  dovettero  ^en«%sanfUnd°o 
lotte  con  la  truppa  e  quasi  ciò  fosse  poco,  détte  pieni  poteri  al  generale  Landi,  il  quale,  cacciando  i 
liberali,  come  tante  belve  e  non  potendoli  raggiungere  perchè  occultati  dal  contadiname  nel  30  ago- 
sto del  1847  pubblicò  un  editto  col  quale  prometteva  trecento  ducati  a  chi  uccidesse  e  ducati  mille 
a  chi  facesse  arrestare  Antonio  Capranico,  Antonio  Caglia,  Paolo  Restuccia  Antonio  Micero  Andrea 
Negri,  Gerolamo  e  Vincenzo  Mari,  Luigi  Micali,  Salvatore  Santantomo  e  Francesco  Sacca,  natural- 
mente destinati  ad  essere  appesi  per  la  gola  se  venissero  consegnati  nelle  mani  del  fiero  Landi. 

Non  potendo  infierire  con  i  citati,  la  rabbia  poliziesca  cercò  uno  sfogo  imprigionando  una  quantità 
di  cittadini,  tra  i  quali  parecchi  sacerdoti,  sospetti  di  avere  occultati  i  compromessi  ;  e  quindi  contro 
medesimi  istituito  un  procedimento,  la  cui  conseguenza  fu  la  prigionia  perpetua  per  molti  e  la  fucila- 
zione per  diversi,  tra  i  quali  quella  del  prete  Giuseppe  Sciva. 

La  repressione,  se  tale  poteva  dirsi,  di  Palermo  e  Messina,  ebbe  un  contracco  pò  in  Reggio  per 
opera  di  Giandomenico  Romeo,  contro  della  quale  fu  spedito  il  conte  d'Aquila,  fratello  del  re  con  due 
piroscafi  carichi  di  truppa,  ed  il  generale  Nunziante,  altro  paladino  del  borbone,  infierì  contro  ai  solle- 
vattne  catturò  gran  numero,  li  fece  giudicare  da  Corti  marziali,  e  molti  per  conseguenza  vennero 
condannati  alla  fucilazione,  ed  altri  all'ergastolo.  . 

Eppure  a  fronte  di  quanto  si  operava  in  danno  delle  popolazioni,  non  mancavano  1  partigiani 
della  tirannide  coronata  a  predicare  le  rassegnazione,  sperando  di  potere  cosi  ribadire  le  catene  che 
principiavano  a  strapparsi  dai  polsi  le  provincie  oppresse  Mnrlpna    in 

E  se  la  predicavano  questa  rassegnazione  in  Toscana,  facevano  lo  stesso  gli  adepti  a  Modena  in 
Piemonte,  che  pure  era  entrato  nella  via  delle  riforme  per  opera  di  Carlo  Alberto,  nor 1  risoluto  cotanto 
di  percorrerla  questa  strada  sino  al  compimento  dei  destini  voluti  dalla  nazione  poiché  gì.  cuoceva 
disbrigarsi  dai  consigli  dei  gesuiti,  i  quali  unitamente  al  generale  Galaten  erano  il  più  saldo  sostegno 
del  trono,  in  modo  che  mentre  per  le  concesse  riforme  era  divenuto  l' idolc ,  del  Piemonte  e  della 
Liguria,  ed  in  Genova  veniva  ricevuto  con  dimostrazioni  tali  che  si  crederebbero  favolose,  quando  1 
contemporanei  non  le  avessero  presenziate,  egli,  con  una  debolezza  imperdonabile,  si  recava  alla 
chiesa  dei  gesuiti  ad  ascoltare  la  messa,  obliando  che  nel  Duomo,  per  consuetudine  1  reali  di  Sar- 
degna aveano  eretto  un  palco  nella  chiesa.  Carlo  Alberto  volle  gettare  un  guanto  alla  popolazione, 
e  k  popolazione  lo  raccolse  in  un  subito,  cosicché  al  ritorno  dalla  chiesa  dei  gesuiti  non  -de  più  nes- 
suna contrada  pavesata,  nessuna  anima  festante  per  la  via  che  conduceva  al  palazzo  e  soltanto  udiva 
urli  tremendi  coi  quali  si  vociava  :   Via  i  gesuiti  —  Abbasso  1  gesuiti! 

Oh  >  se  il  popolo  avesse  intesa  la  rassegnazione  nel  modo  in  cui  la  predicavano  1  di_  lui  nemici 
le  cose  sarebbero  andate  ben  altrimenti.  In  colui  scambio,  la  lezione  data  dai  Genovesi  giovo  più 
di  quello  che  si  possa  imaginare,  ed  il  re,  lentamente  sì,  ma  costante,  prosegui  a  migliorare  le  leggi 
l'amministrazione  e  l'esercito,  preparandosi  a  combattere  le  grandi  giornate  dopo  la  sollevazione 
lombarda  e  che  poscia,  grazie  a  ripetuti  tradimenti  ed  alla  insipienza,  ebbero  a  terminare  nel  modo 
tragico  che  tutti  sanno. 


I 


nre 


£111  

5 .5  8  Poesie  del  Giusti  illustrate 


atè 


ISTRUZIONI  AD  UN  EMISSARIO 

Il  ritratto  che  fa  il  Giusti  nell'  Emissario  è  proprio  giusto  e  le  istruzioni  che  -li  si  davano  al  mo 
mento  di  lanciarlo  in  seno  alle  città  più  indicate  di  albergare  uomini  politicante  e  pereto  medio  capaci 

S  liSc0h8eTr  Preda  f  tP°tÌSm°',rr  tU"°  qUelI°  ChC  SÌ  PUÒ  deSÌde—  di  PerndL'mtte Te 
o    a  med  o  d  re   diPnn°,r  ^  *f*  ^^  ^^  ^  P™1  anni  del  -orgimento  italiano  ; 

o,  a  meglio  dire,  di  quelli  anni  in  cui  dal  veri  patrioti  si  lavorava  ardentemente  per  l'unità  d'  Italia 

cheasCt0oltaSrt0cn°n  ^^  ÒlTf  COtaH  ?e-S0"°  fl  mant°  ddla  e-^aZione  comparivano  a  Genova,' 
Livorno    e  FwTZT*  u  '  *  ^^  <**  ™  ^^  akrettanti  frumenti  di  riscossa;  à 

o  da    loro  l  TZ  C3lde^7an°  COn  essi>  mentre  di  sottecchi  il  potere  li  faceva  imprigionare, 

o  dar  loro  lo  sfratto  siccome  vedemmo  ai  tempi  di  Guerrazzi,  e  se  ne  potrebbero  anche  desinare 

3£S£fSr  C  ?  gÌOmata'  \f0r2a  diUSarC  P"  ÌSCanSare  ^avi  malÌ  -nobligaTs!  a  co- 
nerò et  un  1  orno  P  f  6  Una  Par^hanno  dl  già  P^to  il  tributo  alla  morte.  Ma  non  si  tema 
Ldet  ero  oif  volte  Pa'a       "T  *  °^°  COn°scerà  il  vero  merito  di  tanti   barbassori  che 

ealtà  cheCr,  1  r      ?Y       '-°  furon°  lnsl?mtl  dei  Primi  &*&  e  dei  primi  onori,  e  non  furono  in 
^^rÀ*™^*™*™***^  SguTa?hatÌnel  Pa^igiano,  nel  Modenese,  nelle  Romagne, 
mf  cif  n^^otlPePcne  t  ,'  "  ™  ^'t  ^  ^^^  è  gÌUStÌ2Ìa  U  dirl°'  di  costituire  una  ^Sia 
^lc  addo  VZtZ  ì  "T""  ^  faCeSSer°  Un  Ìgn°bile  mestiere'  che  nessuna  onesta  persona 

S Loner    ed  t  h'  ,        3    P,°StUtt0  "  P°SSa  anC°  Cntrare  PCr  gÌUnta  aIIa  derrata  qu«Uo  di  far, 

venuto  U"  n0        COraPromettere  chi  &  cotanto  citrullo  da  prestar  fede  al  primo 

Come  Dio  vuole,  pare  che  di  questa  pessima  genìa  non  ne  abbia  più  bisogno  1'  Italia  ■  ma  per 

orimi0  Tne  « n  ^  P<H  tant°'  ^  ^  emÌSS3rÌ  *  Un  aItr°  gene-  e  -nmeno  pericolosi  del 
primi,  ve  ne  sono  e  crescono  ogni  giorno  di  numero,  giacché  mirano  a  tradire  l' intehigenza  delle 

meno6  se  laTeT  IT  "T  ^^  f°rSe  BOn  maÌ  Veduta'  ma  caldamente  desiderata  da  eli 
meno  se  la  crederebbe,  perchè  spinto  dal  proprio  interesse 

Del  resto,  nessuna  meraviglia  che  l'ignobile  società  degli  emissari  si  propaghi  ed  aumenti  di  nu- 
mero eziandio  sotto  ai  governi  che  sono  in  fama  di  maggior  liberalismo,  mentre  vedemmo  lo  stesso 
eleZ,  PrrheVaIerSene  ln  coltissime  occasioni  e  specialmente  per  certi  colpi  di  scena  in  tempo  delle 
1W  '  epoca  e  la  faranno  sempre,  almeno  in  coloro  che  conoscono  la  storia  intima    del 

££  ™,?!£  anC°ra'  in  C°l0r°1C,he1  hann°  la  coscienza  per  deplorarli.  E  che  cosa  ci  poteva  essere  d' ille- 
Z \T1  (-!T         '  d°P0che  Ù  grande  ministro  aveva  Proclamato  in  piena  Camera,  che  la  politica 

Liti    Un,    ~puTtttO  i 

Ed  a  questo  proposito  ci  piace  raccontare  brevemente  il  fatto  seguente  • 
de11W°ITSì         Te  aU'assenabIea  legislativa  piemontese  un  progetto  di  iegge  sull'ampliamento 
dell  esercito,  legge  chetava  molto  a  cuore  di  Cavour,  il  quale  da  un  pezzo  covava  l'idea  di  fare  ri- 
nazionì6  *  ^^^      ?  Piemonte,  spingendolo  adagio  adagio  a  sedere  nel  congresso  delle  grandi 

E  siccome  non  tutti  i  deputati  del  regno  aveano  le  viste  del  grande  ministro  ed  un  nucleo  auto- 
levohssmio  dei  medesim!  tenevano  fermo  a  non  aumentare  il  debito  pubblico  con  delle  spese  che 
non  credevano  necessarie,  così  la  legge  proposta  correva  pericolo  di  naufragare,  lo  che  centra- 
nava  fortemente  ì  progetti  di  lui. 

Che  cosa  fa  Cavour  ?  incarica  il  celebre  oratore  Brofferio  a  combattere  con  uno  di  quei  discorsi 
con  cui  sapeva  egli  soltanto  conquistare  chi  lo  ascoltava,  tanta  era  l'eloquenza  che  sprigionava  nella 
toga  del  suo  dire  castigato  e  corretto,  che  non  se  ne  udì  mai  uno  consimile  anche  all'assemblea  italiana 
di  cinquecento  e  più  deputati,  ben  sapendo  che  gli  onorevoli  più  avversi  alla  legge  l'avrebbero  ap- 
provata pel  solo  motivo  che  se  Brofferio  conosciuto  per  repubblicano  la  combatteva,  segno  egli 
era  che  una  cotal  legge  dovea  essere  della  massima  necessità  e  perciò  avrebbero  votato  in  favore 
delia  stessa.  , 

Accettò  1»  incarico  Brofferio,  legando  però  la  promessa  ad  una  condizione  vagheggiata  dal  ce- 
lebre oratore  giustamente  sospettando  non  sarebbe  stata  rispettata  dopo,  siccome  in  realtà  avrebbe 
tatto  il  grande  ministro. 

Era  una  lotta  come  suol  dirsi,  da  galeotto  a  marinaro  ;  motivo  per  cui  Brofferio  presentendo 
che  sarebbe  stato  burlato,  non  si  dette  pensiero  di  parlare  alla  Camera,  cosicché  al  momento  della 
discussione,  Cavour  stacco  una  vettura,  recossi  a  casa  Brofferio  per  sollecitarlo  ;  ma  egli  non  si  tenne 
per  sicuro,  se  al  momento  medesimo  non  gli  si  presentava  il  decreto  con  cui  otteneva  quanto  erasi 
convenuto.  n 


:«£ 


Toesie  del  Giusti  illustrate  559 

Parlò  adunque  Brofferio  all'assemblea  a  sprigionò  un  fiume  tale  di  eloquenza  combattendo  la 
proposta  legge,  che  tale  non  si  udì  per  lo  innanzi,  né  si  ascolterà  più  mai  il  consimile,  e  la  legge 
passò  a  grandissima  maggioranza. 

Cavour  era  uomo  tale  da  non  cedere  il  campo,  ne  molto  meno  di  darsi  a  discrezione  ;  motivo 
per  cui  giurò  che  Brofferio,  alla  prima  occasione,  non  sarebbe  più  stato  eletto,  malgrado  che  il  de- 
putato di  Caraglio  fosse  sempre  stato  onorato  in  sei  o  sette  collegi.  Ed  a  cotal  fine  sguinzagliò  come 
emissario  il  La  Farina,  presidente  della  Società  costituzionale,  il  quale  scorrendo  a  diritto  ed  a  traverso 
1'  Italia,  cotanto  fece,  spese  e  disse,  che  realmente  l'avvocato  Brofferio  non  sortì  deputato,  ed  il  grande 
ministro  ebbe  una  di  quelle  rivincite  che  sono  assai  rare  anche  negli  annali  dei  prepotenti  e  da  quel 
giorno  venne  impiantato  il  libro  in  cui  Pantalone  pagava  le  bizzarrie  dei  ministri,  e  che  di  giorno  in 
giorno  si  fa  più  voluminoso. 

Ci  siamo  un  poco  di  troppo  dilungati  nella  narrazione  di  un  fatto  che  molti  avranno  dimenti- 
cato e  molti  ancora  non  crederanno,  ma  noi  lo.  pubblichiamo  nello  intendimento  di  far  conoscere 
con  quali  armi  tenebrose  e  sataniche  girano  per  l' Italia  gli  emissari  della  reazione  a  servizio  di  un 
partito,  che  si  propone  di  soverchiare  eziandio  la  pubblica  opinione,  con  ogni  mezzo  possibile,  non 
vale  se  poco  morale  ed  onesto. 

Il  tempo  degli  emissari  adunque,  ben  lungi  dall'essere  trascorso,  trovasi  anzi  nella  pienezza 
dello  sviluppo  ;  e  noi  italiani,  mentre  giusti,  fidenti  e  tranquilli  attendiamo  alle  proprie  faccende 
e  lasciamo  che  il  Governo  signoreggi  la  barca  nello  interesse  della  popolazione,  non  ci  accorgiamo 
che  gironzolano  cheti  cheti  emissari  di  ogni  sesso  e  colore,  che  sotto  il  manto  di  educare  le  nostre 
figliuole,  d' istruire  i  nostri  figli,  di  coprire  le  piaghe  sociali  col  manto  della  carità,  aprono  collegi, 
dischiudono  istituti  e  formano  società,  che  altro  scopo  non  hanno  se  non  quello  di  fare  proseliti  alla 
causa  del  così  detto  ordine,  al  sanledismo,  al  paolottismo,  alla  reazione,  in  '.ma  parola,  che  di  sottomano 
è  collegata  al  pastorale  e  con  la  spada,  sostenendosi  reciprocamente  nello  intendimento  di  asservire 
moralmente  le  popolazioni  dopoché  tutto  spesero  per  emanciparsi  dallo  straniero,  che  cacciato  per 
la  porta,  adagio  adagio  con  i  trattati  e  le  alleanze  entra  per  le  finestre  e  non  se  ne  andrà  più,  a  meno 
di  una  catastrofe  europea  che  tutto  distruggendo,  chiami  uomini  veramente  probi  a  ridonare  novella 
vita  al  Paese. 

Gli  emissari  adunque  li  abbiamo  in  casa,  vestiti  in  ogni  foggia  e  sotto  qualunque  assisa  ;  uomini 
e  donne  d'ogni  età,  di  ogni  regola,  d'ogni  casta  e  categoria,  senza  eccezione  di  sotto  in  su  e  viceversa  ! 
Studiamoli  nel  nostro  interesse  ed  in  quello  della  patria,  e  tantosto  potremo  giovarci  della  lezione 
dataci  da  Cristo  :  Li  conoscerete  dalle  loro  opere  col  fine  di  combatterli  senza  posa. 


a»-  — "E 


SIC 


560 


Poesie  del  Giusti  illustrate 


INDICE 


Cenni   biografici   di   Giuseppe   Giusti   ....  v 

La  guigliottina  a  vapore 11 

Rassegnazione  e  proponimento  di  cambiar  vita.  19 

Il    Dies   ira 35 

Legge  penale  per  gì'  impiegati 49 

All'amica  lontana 57 

Lo  Stivale          67 

La  fiducia  in   Dio 95 

Brindisi 9g 

A  San  Giovanni 103 

Apologia   del    lotto 115 

Affetti   di   una  madre 125 

Le    vestizione        131 

Per  un   reuma  d'un   cantante 147 

Preterito  più  che  perfetto  del  verbo  pensare  151 
Per  il   primo   Congresso   dei    dotti   tenuto    in 

Pisa  l'anno   1839 163 

Il    brindisi    di    Girella,    dedicato    al    signor    di 

Talleyrand     buon'anima    sua 167 

Gli    umanitari 175 

Il    sospiro    dell'anima 187 

L'  incoronazione 195 

L'uomo  di  setta 205 

All'amico,   nella  primavera  del   1841   ....  211 

A   Girolamo  Tommasi 213 

Il    ballo        227 

Nell'occasione  che  fu  scoperto  a  Firenze  il  vero 

ritratto  di  Dante  fatto  da  Giotto  ....  251 

Il     mementomo 259 

La  terra  dei   morti 265 

L'amor  pacifico 275 

La    scritta        291 

Ad    una    giovinetta 3™ 

Il  re   Travicello 323 

Le  memorie  di  Pisa pag,  327 


Gingillino    -    ad    Alessandro    Poorio    ....  337 

La  chiocciola 365 

11   sortilegio 369 

A  Gino  Capponi 383 

I  trentacinque  anni 391 

I  brindisi 403 

II  papato   di   prete   Pero 417 

Il  poeta  e  gli  eroi  da  poltrona 422 

Sant'Ambrogio 423 

I    più    tirano    i    meno 428 

L'arruffa-popoli 429 

I  discorsi  che  corrono 433 

i   La   fama    di    scrittore 447 

I   Avviso  per  un  VII   Congresso  che  è  di   là  da 

venire        451 

Storia    contemporanea        455 

Agli  spettri  del  4  settembre  1847 45S 

I.a  rassegnazione  -  al  Padre  ***  conservatore 

dell'ordine    dello     staht    quo 467 

II  Delenda  Cartago 475 

Consiglio   ad   un   consigliere 483 

Istruzione   ad   un   emissario 484 

La    guerra        489 

Il  congresso  dei  birri 499 

Contro  un  letterato  pettegolo  e  copista  .     .     .  502 

Una  levata  di  cappello  involontaria  ....  511 

Il  giovinetto 515 

A  Leopoldo  II 519 

Al  medico  Carlo  Ghinozzi,  contro  l'abuso  del- 
l'etere  solforico 523 

I  grilli 527 

Gl'immobili  e  i  semoventi     .......  531 

A    un    amico 537 

Annotazioni    di   ricordi    storici 541  , 


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