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ProDsatorn © FnE(0)§®ffn
NEL SECOLO CHE MUORE
(Giuseppe Cbcccbia
Poeti Pposatori e Fi
pel secolo cl^e rpaore
i^ttidi, Ritratti e 8o^i?^etti
CASERTA
SALVATORE MARINO
Tipografo Editore
1900
Proprietà Letteraria Dell'Editore;
Edizione numerata da 1 a 1100.
Le copie non mimi f e della firma dell' Autore, si riter-
ramio contraffatte , e f Editore procederà a norma delle
leggi-
Copia N.^^,^
A
GIOSUÈ CARDUCCI
CHE PRIMO IN QUESTI ULTIMI TEMPI
-CON ORIGINALE E SOLITARIA OPERA DI RINNOVAMENTO
LE OBLIATE TRADIZIONI ANTICHE
■CONGIUNSE AGLI SPIRITI E ALLE FORME DELL'eTÀ NUOVA
l'autore
queste povere fronde disperse
che qui raccolse un affetto memore e pio
■Con AMMIRAZKjNE di studioso e con gratitudine di DISCEPt)I.O
DEDICA MODESTO E RIVERENTE
J?.v52JU5fe>S
j^i lettori.
Per hen altro desiderio che di gloria ho qui l'accolto in
volume queste pagine sparse che sono a j^^na una parte [forse
nemmeno un quinto) dell' iminenso materiale che da oltre un
ventennio son venuto via via accumulando: solo un terzo di
esso venne gradatamente alla luce in moltissime riviste del
Regno, alle quali dovè spesso corrispondere, contro ogni m,ia
huona volontà, così V indole del contenuto come V impronta
dello stile.
Non che talvolta non avessi potuto far meglio e dare ai
miei lavori una piìt pensata e organica orditura; non che
mi fossi piaciuto, quasi per solletico di vanità o per impo-
tenza, di offrir sempre alle rassegne il pallido barlume di
piccole idee o il futile ritaglio di cultura spicciola e minuta,
come i pili de' nostH fanno; ma, pur avendo sempre fermi
gV intendimenti e gl'indirizzi della critica e dell'arte, fui vera-
mente costretto a ridurre talvolta o a stremare il pensiero,
pur di acconciarlo al breve e livido orizzonte di poche pagine
o colonne de' periodici in cui Vangustia della trattazione do-
veva esser pari all' angustia dello spazio. E non basta. Mi
conveniva spesso accomodare anche i lineamenti e i colori
dello stile, anche le tempere e i caratteri de' giudizi e delle
osservazioni , per foggiarli su lo stampo o sul taglio di
stagione cZe' giornali, e in corrispondenza all' indole degli ar-
gomenti, varianti metodicamente secondo lo spirar del tempo,
del minuto, dell'ora, varianti secondo le mutevoli esigenze di
quelle misere occasioni che con vocabolo impuro dicono oggi di
attualità. Ahi! tidto guasta e isterilisce in Italia la stampa
periodica, questa edicola del pensiero, questo minimo serbotoio
del gusto. Essa non accoglie che p)iccoli estratti di ricerche,
poveri saggi di erudizione e di critica, miseri sommari di
coltura a buon mercato; essa sorge ad uso e consumo di
editori venali con la sistematica finzione di educare il po-
polo. Del resto il novo spirito de' tempi aborre dal grande
vili
lavoro organico che apparisce di radoj sia jìerchè dal vivo
seno del metodo sperimentale che tutte jjervade le fonti
della vita moderna non può nascere che una grande divi-
sione di studi speciali intesi a rinnovare^ a ricomporre,
a ricostruire a poco a poco tutte le umane discipline che ben
tardi da un uomo di genio potranno essere organate e assommate
in un quasi digesto di poderoso e definitivo lavoro^' sia perchè
non possono ora questi fecondi studi renderci altro che pic-
coli esperimenti, minime conquiste, ricerche modeste le quali
trovano posto anche in questi popolari serbatoi della cultura.
Dal fondo di queste industriose elaborazioni sorge il saggio,
l'estratto, il sommario che i buoni rendono con sintesi nutrita
e i mediocri guastano, corrompono, diluiscono: V una cosa e
l'altra vorrebbero essere come la quint' essenza delle cose, come
r esprit della dottrina, come il frutto primaticcio dei trovati
parziali, ma che pur troppo anche ne' piii chiari scrittori non di-
ventano neppure l'embrione del vero. I nostri vecchi invece, pri-
ma del pienodomin io del metodo sperimentale, cipoteano dare i
molti e grandi volumi, poiché dal jjroprio fondo originale e
psicologico sapevano derivare tutto un organesimo di veri, di
principii, di jiostulati, frutto potente della grande idealizzazione
e speculazione del j^^f^siero solitario e geniale. Se un po' di
quel vivo lume potesse rinfiammar? le nostre scienze aride, e
ne sarebbe tempo, non mancherebbe neanche a noi quella
grande idealità ch'ora ci manca in tutto, anche nelle lettere
e nelle arti, intormentite e guaste dal ghiaccio della dottrina e
della erudizione.
Ciò non ostante non mi lasciai invadere tatto da questa
quasi tirannide della pubblicità, che anzi, come potei, ^:)»/'
volli pensare e scrivere a modo mio, anche a costo di ritrarmi
all'ombra de'piccoli diari e senz'ambire agli alti gradi delle
grosse riviste dove pur troppo si arriva non senza aver prima
pagato il jyedciggio della servilità. A poco a poco, dalle mo-
deste ma più, libere effemeridi minori giunsi senza aspettar-
melo a' cerchi ambiti di alcune riviste gravi dove mi fu
concessa quella indipendenza che per intima forza di carat-
tere sempre andavo cercando; ma da me non fu tocca nem-
men la soglia del Sancta Sanctorura delle venerabili cricche,
con grande conforto e vantaggio dell' animo e dell' ingegno.
Cosi mi avvenne di liberarmi almeno in parte da quella
soggezione o imposizione psicologica che in Italia fa seni-
IX
pre asservire le intelligenze agli aridi j^ostulatì o alle misere
dottrineile sorte jnù a benefizio degli uomini che de' prin-
cipii; volli anzi insorgere con ispirilo equanime contro di
esse, e, senza dimezzarmi , curai esprimere netto e distinto
il mio giudizio e il mio convincimento pur quando dalle asso-
ciazioni cointeressate me ne potesse venire biasimo o rampogna.
Di questa equanimità e imparzialità credo di aver dato saggio
in questa raccolta che volli far rispondere al concetto infor-
matore del titolo, eh' è appunto quello di dar come in un
quadro di vario e assortito disegno, dove largamente e dove
rapidamente, un' id^a almeno generale e quasi un prospetto
a brevi 0 di /fusi conforni, della coltura contemporanea in Italia,
qual essa specialmente si rivela nelle opere di poesia e di
prosa di quest' ultimo scorcio di secolo che potrebbe aver le
]}roporzioni di un trentennio.
Questo concetto informatore mi balenò sempre nella mente
pur quando composi i più, brevi minuzzoli di critica, ma non
seppi né potei per le ragioni che dirò appi-esso conseguire pie-
namente la vagheggiata unità. E già fin dal 1885 avea fatto
annunziare un libro con questo titolo: - L'ultimo trentenn^'o
nella critica e nell'arte, libro che presso a poco potea rispon-
dere all' indole di questa raccolta e delle altre che verranno
dopo di sul ricco materiale che ho già pronto da un jjezzo.
Avrei voluto raccogliere il meglio de' miei lavori, ma ne
fui impedito dalla natura e dalle difficoltà del vastissimo
tema il quale, come disegno anche sommario ili tutta la let-
teratura contemporanea, abbraccia tali e tanti argomenti che
non poterono esser tutti lumeggiati da quella serie di articoli
o di studi apparsi entro i confini di un solo e breve jteriodo
o del migliore momento della mia operosità: il perchè ho dovuto
accogliere composizioni anche mediocri, capitoli talvolta leg-
geri 0 di troppo rapida conteneìiza critica, cenni o bozzetti
intorno ad opere gravi di scrittori anche insigni, che per tempi
diversi, e secondo le occasioni e i ])e> iodici a cui servirono,
son venuto scrivendo con proporzioni spesso modeste, o, per
manco di meglio, sotto forma di linee, di tratti, di appunti.
Data questa necessità od angustia, non mia ma di quelli che
dirigono in Italia il carrozzone della cultura, e data insieme
la vastità del contenuto e il troppo lungo corso di tempo nel
quale la mia mente ha potuto assorbirlo od assimilarlo, n'è
dovuto naturalmente derivare uno svolgimento dove monco o
troppo ristretto e dove largo ed analitico^ dove minuzioso
ed eccessivo e dove finalmente manchevole, sterile, oscillante^
o per difetto di sludi non ancora ben sodi o per giovanile
leggerezza d' impressioni e di entusiasmi. Tutti questi capitoli
furono da me composti nel troppo lungo periodo di oltre
veni' anni: troppo lungo davve>'0 per chi sa quanto mutar di
idee e di sentimenti avviene nelV ingegno e nell'animo di chi
comincia a scrivere adolescente e seguita maturo in mezzo
alle piÌL ardue difficoltà il progressivo svolgimento della sua
formazione ed evoluzione ideale. Certo sarebbe stato piti utile
l'accogliere insieme sott'altro titolo gli scritti dell'età matura^
ma non ho potuto farlo, avendo dovuto ordinare e comporre
un volume la cui trattazione meglio arridesse alla grande
maggioranza de' lettori, i quali son piic tosto avidi della
varietà o della novità curiosa che non del ponderoso e diffì-
cile contenuto; ed insieme ho dovuto anche pensare alla for-
tuna mercantile del libro, non per bramosia di siibiti gua-
dagni, ina i>^ì' ritrarne almeno quel tanto che ini bastasse a
sopperire alle ingenti spese della pubblicazione. La quale si
è venuta facendo a poco a poco e quasi a tratti e a sbalzi,
e senza un disegno prestabilito sia dell' ampiezza che della
scelta de' capitoli e degli argomenti; e questa titubanza pro-
venuta un po' dalle esigenze mie e un po' da quelle dell'edi-
tore ha prodotto qua e là un certo disordine nella distribu-
zione della materia che avrebbe dovuto esser molto più organica,
disordine che certo disjjarirà in una prossima edizione. Inoltre,
data la mole del volume, ho dovuto sopprimere molti e molti
studi assai larghi i quali, se rispondexmno agli argomenti,
non rispondevano del pari all'ampiezza materiale delle pagine;
onde vi ho rijmrato as.sai limitatamente con il libro IV nel
quale sono stato dolorosamente costretto per V assoluta man-
canza di spazio a sostituirli, su tipi assai mìmdi e diversi
da quelli de' tre libri precedenti, con una larghissima serie di
tratti e di apjy unti espressamente composti e richiesti dal titolo
e dal disegno dell' opera, tratti e appunti c/ie alla lor volta
saran seguiti da' relativi e più diffusi capitoli nelle raccolte
successive che sp)ero di dar presto alla luce. De' filosofi ho
appena discorso, limitandomi a quelli i quali han pregio
di p)rosatori o che pì'ojjrio era un torto dimenticare del tutto
rispetto ad alcuni caratteri troppo spiccati dell' opera loro,
sia come indirizzo sia come svolgimento. Cinedo quindi
venia delle non poche lacune o restrizioni, e della disu-
guaglianza della contenenza critica dove troppo estesa e
XI
dove troppo rapida e succinta : del resto , com' era pos-
sibile dar piena omogeneità a lino svolgimento di così vaste
proporzioìii ne' termini assegnati di un volume anche grosso?
e com' era possibile parlare ugualmente di tutto e di tutti ?
Certo non mi pare di aver dimenticato il meglio della nostra
letteratura, e pur dove ho dovuto restringere mi son provato
a dare sotto brevità e come a grandi linee tutto, la fìsonomia
degli scrittori nettamente rilevata da tutta V opera loro, secondo
il maturo giudizio in ine formatosi dopo lunghi anni e dopo
accurate e frequenti letture. Ad ogni modo non è questo se
non come un primo assaggio del modo onde io penso possa
venir tratteggiata una storia almeno sommaria delle lettere
contemporanee che in seguito aura sotto altri titoli la sua
continuazione in altri volumi.
Alcuni degli articoli che son compresi in questa prima
raccolta, come quelli intitolati Alla ricerca de' microbi cho-
lerici, Vecchi e novi retori, Novelle, furono pensati nella,
prima età, e un po' pili tardi, cioè intorno all' 80, comin-
ciati a comporre e a jjubblicare: quelli intorno a tutta l'opera
del Carducci, che non sono tutti né sempre i migliori ( gli
altri verranno ììì luce in un secondo volume), appartengono
al periodo delle Odi barbare e delle Rime nuove, e di quel
tempo rendono fedelmente i sitbiti entusiasmi e le prime e
facili impressioni di gioventit,' e qua e là pel volume non
mancano pochi altri trucioli o frammenti di que' primi im-
paraticci di critica e di arte i quali sono stati sol dall' ar-
gomento richiesti e non dal mio gusto e dalla mia volontà.
Ala fin dal 1887 io mi volsi con maggior prep trazione ad
argomenti molto pili gravi e fecondi, ne' quali mi provai
congiungere il ricco e fedele patrimonio de' maestri a qualche
mio personale e audace tentativo suggeritomi anche dalla
scienza positiva del tempo, o meglio, dalla simpatica e ge-
niale dottrina della Evoluzione, che una rassegna assai dotta
e profonda, la Rivista di filosofia scientifica di Enrico Mor-
selli^ la quale per colpa de' tempi non vive già p>iìc, andava
allora propagando e quasi popolar izzando in Italia coll'aiuto
de' pili insigni filosofi e naturalisti. Il gennaio di quell'anno
apparve per la prima volta un mio studio sul Metodo storico-
evolutivo nella Critica letteraria che ad alcuni fra' piii egregi
letterati e scienziati del tempo non dispiacque: esso vide la
luce nella mentovata rivista, la quale fin dal marzo - aprile
XII
del 1884 avea cominciato ad accogliere altri miei saggi assai
pili pensati de' precedenti, come quello su T Intermittenze
storiche di cui si occupò anche la Nuova Antolo2;ia nel fase,
del 1° decembre del medesimo anno ipp. 589,90) , e che ,
non ostante qualche esagerazione od avventataggine , parve
allora una interpretazione quasi nuova della dibattuta
questione. In generale tutt' i capitoli di questo volume che
dal J887 furon cominciati a comporre, rivelano il graduale
svolgimento del mio senso critico e un più sicuro avviamento
verso forme piti omogenee e proprie e verso contenuti più
personali e diretti. Mi il fondo — devo par confessarlo —
fin dai primi anni della mia educazion". bdteraria. sin per
affinità del mio ingegno e del mio gusto a qaell' indirizzo pili
s ma, sin pel mutevole e caotico apparire della cultura etero-
genea, l'attinsi, e fu bene, doli' opera di un grande maestro,
il Carducci, di cui mi feci quasi V unico esemplare, e delle
cui dottrine e teoriche divenni sinceramente e razionalmente
il pili fedele e convinto e acceso banditore. Ecco perché nelle
pagine di questo volume torna assai spesso il nome del Car-
ducci, la cui grande autorità vien quasi costantemente e osti-
natamente citata. Ma non si creda abbia pensato mai di
ripeterne servilmente il jyensiero o con opera di mosaico e di
plagio o con riflesso e minuto esercizio di amplificazione: a
lui devo soltanto il sostrato dell'opera san rinnovatrice, e qua
e là alcuni atteggiamenti o linee di composizione e pili spesso
alcuni giri di costrutti o nerbi di forni? inconsciamente e inav-
vediUamente assimilati e fusi co' naturali rilievi del proprio
mio stile, il quale, con tutti i suoi difetti, risponde benissimo
al mio animo e al mio ingegno. Ne' lavori miei giovanili è
certo più, evidente questo quasi detrito de' contenuti e delle
forme del maestro, ma esso va sempre piìi attenuandosi se
non disparendo del tatto ne lavori dell'età matura. Oh! certo
non ho potuto spogliarmene interamente, piichè questo assor-
bente scrittore iiigLia troppo del T (mima e del cuore di chi
lo stadia e lo intende: or come potevo perdere ogni impronta
di quelle strette tenaci quando questo mio grande amore della
gioventii mi ha sempre tentato ed accompagnato per oltre
vent' anni, con una voluttà di entusinsnio e con un fervore
di ammirazione ch'è stato quasi una fe1)bre, ma di quelle che,
come diceva il Settembrini, fan crescere la persona? Antichis-
simo e. ancor vero il detto tiineo hominem unius libri; ma
con ìnoltissimi vantaggi questo culto assiduo di un esemplare
solo porta jjure qualche angustia nelle facoltà inventive. Però
degV insegnamenti del maestro mi feci tutta ima sintesi prò-
XIII
pria, e a mio modo li accomodai, li dilargai, li applicai, sia
con l'esercizio diretto delle mie attitudini e delle mie facoltà,
sia con gli elementi e i fondamenti venutimi da altre disci-
pline e da altri indirizzi; ma conservai sempre dell' opera
carducciana questi caratteri: un culto profondo per l'arte clas-
sica e un molteplice senso estetico in tutte le produzioni let-
terarie, e insieme una fermezza e indipendenza di giudizi e
intendimenti critici e artistici, i quali soprattutto si fondano
su C armonica compenetrazione dell' antico col nuovo, della
parte tradizionale colla rivoluzionaria, di quello che sul vecchio
fondo ancora permane con ciò che di vpgeto e di sano ci offre
jjure il clima storico dell' età, cosi nella forma coni", nel
pensiero.
E con la medesima guida, come studiai quasi tutte le fonti
della coltura contemporanea neW oliera specialmente dei cri-
tici e degli artisti migliori, cosi d' altra parte non mancai di
scorrere tutto, o quasi, il territorio della nostra grande lette-
ratura classica, dove mi avvenni spesso iìi elementi preziosi
ch<i alla sua volta lo stesso mio maestro avea tolti e assimi-
lati per l'opera sua.
Qnaiid' io mi vuhl interamente al Carducci già era tutto
pieno della nostra produzùme eteroclita: avea letto e assai
raramente digerito una quantità strabocchevole di libri d'ogni
ordine e rf' ogni disciplina; avea scritto novelle, romanzi, com-
medie, tragedie, drammi; avea perpetrati non so quanti delitti
di poesia, ed ero già per essere travolto e ingoiato dalla poz-
zanghera del Verismo. 3Ii salvai a tempo per V autorevole
consiglio di un illustre scrittore che vii propose come unico
modello il Carducci, il quale soltanto potea liberarmi da
quello scompiglio ideale, purificarmi, correggermi, e ridurre
cosi ad unità organica i miei studi e le confase idee che ini
faceano ressa nella mente. Ora dirò perchè mi fu consigliato e
perchè anche dopo seguii sempre questo esemplare solo e non
pili altri che avrei potuto scegliere fra' migliori critici del
tempo nostro. Non lo feci perchè non dovevo farlo, o non lo
avrei potuto senza mio danno: e ciò per piìi altre ragioni degne.
Primamente il Carducci è il solo che fra' piii insigni in-
tende a un tempo cosi al metodo sperimentale come all' indi-
rizzo estetico della critica, avvalorandoli e compiendoli con
l'opera, sua di prosatore e di poeta; secondamente egli è anche
il solo che ha scritto genialmente intorno alle piit nuove e
XIV
jiiù varie manifestazioni dell' arte ìnoderna e della contempo-
ranea, e insieme intorno alle questioni più vive e piii fresche
di lingua^ di stile, di metodi, di scuole, rf' indirizzi: in terzo
luogo niuno più di lui ha piic 2->ro fondamente e piic sana-
mente esercitato una cosi grande influenza o almeno una così
durevole impressione su gli animi della presente generazione,
ed anche di quelli che dopo, per torte e oblique vie, o de-
viarono dall' arte sua o la snaturarono per impotenza od
isforzo di novità: in quarto luogo, nell'informe e quasi anar-
chico accozzo di metodi, di dottrine, di principii, di sistemi
che da oltre un ventennnio agitano e conturbano il vitale
e armonico organesimo dell'arte, egli è quasi l'unico esempio
da seguire, come quegli che, filologo, critico, storico, stilista,
poeta, sa congiungere al sopravvivere delle forme antiche piii
adatte il progressivo svolgersi delle nuove; e finalmente lo
spirito polemico che anima le sue prose e le sue poesie ne'
più svariati argomenti, antichi e nuovi, eccita nell'animo de'
giovini un rivolgimento ideale che può in alcuni, come av-
venne in me, determinare un avviamento a un ordine fisso
di dottrine e di studi. Ecco perchè mi giovò sostanzialmente
la scelta di questo solo modello. Devo poi aggiungere che in
questo volume non ho potuto fare a meno di riportare a' lor
luoghi e piii di una volta cosi le fonti carducciane come le
mie e le altrui; ed è natumle: obbligato a scrivere per tanti
periodici intorno a moltissimi e differenti argomenti, gli ar-
ticoli, ciascun de' quali era come un piccolo organismo a sé,
richiamavano di necessità, o per incidenza a per la natura
de' soggetti, pensieri e idee ed osservazioni che potevano o
dovevano esser fatte per altri articoli: e ciò tanto più m'era pos-
sibile 0 necessario , quanto piii io sentiva il bisogno di ri-
chiamare intorno agli argomenti diversi l'unità fondamentale
delle questioni, cioè lo studio e il riscontro di tutta la p)^'0-
duzione contemporanea allo specchio delle tradizioni classiche
e in corrispondenza alle leggi universali della evoluzione este-
tica applicate allo storico divenire dell' Arte ne' molteplici
climi storici.
Ad alcuni pjotrà forse parere strano ch'io, anzi che spendere
il temp)0 intorno ad argomenti di p)ura critica estetica o in-
torno al contenuto della nostra fecondazione contemporanea
■da me ritenuta in gran parte assai frivola e dannosa, non
abbia meglio rivolto l'ingegno eie attitudini a studi più gravi
e alla ricerca o disamina di alcuni punti ancora ignorati
XV
della nostra letteratura classica nella quale tanti altri ci han
dato cosi belle e utili prove di osservazioni e di trovati. Ve-
rissimo. Ma io, costretto a vivere in luoghi troppo angusti e
perciò privi di larga circolazione ideale, non potetti aver mai,
come pur desideravo, il benefizio di ricche biblioteche e d'inesplo-
rate fonti storiche le quali avessero potuto aiutarmi in tal
natura di studi, veramente utili quando non troppo arida-
mente minuti e facchineschi, e ne' quali tentai pure qualche
cesa che per manco di altri documenti non potei continuare:
ripetere V altrui o farne esercizio di compilazione, è da pe-
danti; aggiungere alle sottigliezze erudite le sottigliezze pensate,
è da retori o da svisatori del vivo e del vero pensiero classico.
Perciò tutto quello che ho pensato ed ho scritto, mi è convenuto
derivarlo quasi interamente dal mio intuito, dal mio ingegno e
da quella cultura che da solo ho potuto procacciarmi. Ora, non
rimanendomi altra messe se non quella che di anno in anno
mi veniva fornita da quel tanto di letteratura o di scienza
contemporanea che mi riusciva di raccogliere ne' libri venu-
timi a mano con molti stenti e con molti sacrifizi, ho p>otuto
su di essi soltanto affinare il mio gusto e le mie facoltà, con
faticoso esercizio di tidVi giorni, con assidui e solitari tenta-
tivi, col inii vivo desiderio di mirar diritto alla meta an-
che se non mi fosse agevole toccarla. E se7apre, anche ne-
gli scritti miei piii giovanili, ebbi cura assidua non solo del
contenido ma ancoim della lingua e dello stile, e, per quanto
potei, mirai pure all'arte, avvisando che all'opera del cri-
tico, come in generale oggi non avviene, debba andare con-
giunta quella del vero scrittore; poiché sarebbe strano e irra-
gionevole che il giudice delle cose altrui, il rivelatore o il
discopritore di tante sovrane bellezze non desse egli primo
V esempio, non dico di emularle, ma di almeno tentarle con
il piic puro sentimento e intendim,ento estetico. E cosi nel
corso di moltissimi anni ho potuto accumulare una gran
mole di articoli, di studi, di piccole monografìe, sterili forse
ma ostinati esercizi di uno studioso autodidattico che tutto
deve a sé stesso, senz'altri aiuti che del proprio ingegno e di
una costante ojjerosità. Povero frutto di queste fatiche cosi a
lungo durate é solo in parte questo modesto volume che, se
non altro, rivela forse l'equanime rettitudine de' pensieri, la
franchezza delle osservazioni e delle impressioni, V onesto e
indipendente coraggio di esprimer netto ed intero anche se
acre quel convincimento che non da rapide letture ma da
studi lenti e meditati ho derivato nell'animo e nella coscienza:
onde posso confessare che non recai giudizio inai su opere
XM
che non avessi prima seriamente studiate, e intorno ad autori
di cui non conoscessi per molte prove la mitura evoluzione
dell' ingef/no. Potrò certo essermi ingannato o non piacei'e
talvolta a' lettori specialmente interessali o ignoranti, come
sarei ben lieto se potessi accorgermi e poi ricredermi dell'in-
ganno; ma non credo di esser venuto meno mai a quella
impavida e onesta sincerità d' intendimenti per mezzo della
quale, con opera vivace di legittima reazione e spesso co' co-
lori troppo accasi dello stile polemico, lio voluto opportuna-
mente insorgere contro la procace e dannosissima impostura
delle cricche letterarie che con la venale e reciproca solida-
rietà di lodi e di vituperi turbano in Italia il razionale e
dislhteressato svolgimento dell'arte non pure ne' facili volumi
ma ancora e piìi ne'' soliti diarii ove la critica vien fatta ed
esercitata da' ciarlatani i quali si arrogano il diritto, da po-
chi a loro conteso, di parlar di tutti e di tutto, alimentando
così le vanità delle piccole glorie d'Italia.
Tali ragioni vengono finalmente a dimostrare che questo
si lungo discorso non mi fu ispirato dal vano desiderio di
parlare di me, che son certo un modesto ed oscuro scrittore,
ina solo dal bisogno di additare e in parte giustificare le
molte imperfezioni dell'opera mia, la quale è destinata, non
ai dotti, ma a que' lettori men culti i quali fossero vaghi di
avere almeno una generale conoscenza della letteratura con-
temporanea di cui il presente volume pare sia il primo sag-
gio che vpgga oggi la luce in Italia, almeno rispetto all'am-
piezza e interezza sintetica del difficilissimo argotnento; e per
questo soprattutto, dopo gli ostinati incitamenti di tanti amici
e benevoli, mi son finalmente determinato di raccogliere con
qualche ordine un grosso nucleo di articoli e di studi sparsi,
che in gran parte io aveva già dimenticati. Vorrei non aver
speso invano le mie fatiche, e vorrei anche sperare, non in-
dulgenza, ma giustizia ed equanimità, da' lettori buoni e va-
lenti a cui soltanto mi rivolgo ed a cui mando i saluti egli
auspica tra il secolo che si chiude e l'altro che sta per sor-
gere.
Lacera (Foggia), i'J marzo 1900.
Elenco degli Autori
(1]
QUELLI CHE FURONO (2)
Arnesi G. — 387.
Albicini C. — 416.
Albirizzi Teiitochi I. — 387.
Aleardi A. — 439; 443.
Amari iM. — 409.
Amoretti P. — 386.
Angiulli A. — 37; 98: 351-57.
Aragona (cV) T. — 385.
Baravalle C. — 441: 444.
Bartoli A. — 393; 399; «ET
Bassi L. — 386.
Belli G. — 442.
Benedettini T. — 385-86.
Bersezio V. — 103; 424-25.
Biagi G. A. — 416.
Bianchi C. e N. — 416.
Bonghi R.— 82: 108; 133; 137; 170;
» 204: 323; 320 (EL); 323
» 333; 401.
Borgognoni A.— 89; 145; 150; 170-71
» 397; 405.
Brofferio A. — 441-42.
Bùccola G. — 9S.
Bugeili B. — 388.
O
Cafiero M. — 105; 320 (B)
Canelio U. A. — 65.
Canestrini G. — 98.
Carmelo E. — 444.
Castagnola P. E. — 443.
Cattaneo C. — 199.
Cattermole Mancini E. (Contessa
» Lara). 41: 96; 104; 389.
Cavallotti F.— 109-10; 145; 170; 245;
» 319; 337-40; 402; 427;
» 4-J4-45; 449-50.
Ceneri G. — 195.
Cibrario L. — 442.
Cocchi G. — 442.
Colonna V. — 384-85.
Correnti C. — 404.
Cossa P. — 442.
r>
DairOngaro F. — 442.
D'Arcais F. — 416.
Darwin C. — 64-87.
De Castro G. — 416.
De Sanctis F.— 20-21; 130; 238; 364;
» 365; 398; 408; 411.
De Zerbi R. — 32u (F).
Di Lantosca Riccardi V. — 444.
Di Varano C. — 386.
Dorè G. — 100.
Fanfani P. — 89; 90; 91.
Fedele C. — 385.
Ferrai E. — 415.
Ferrigni P. C. (lorik) — 422-23.
Ferrieri P. — 415.
Filippi F. — 416.
Filopanti Q. — 170; 195.
(1) Vi son compresi anche quelli pur una volta citati; ma i classici , di cui
spesso nfil volume si parla, non sono stati registrati in questo elenco che altri-
menti sarebbe riuscito troppo lungo e prolisso.
(2) Vi son compresi i nomi delle scrittrici anche antiche e di cui si dà nel
volunje un particolare ricordo.
Fornaii V. — 415.
Fortis L. — 117.
Fusinato A. — 387-88.
Fusinato E. — 387-88.
G
Gando G. — 98.
Gargani T. — 3GG.
Gargiolli C. — l-l4.
Giuliani G. B. — 415.
Gonzaga G. — 386.
Guacci G. — 38(3.
Guasti C. — 415.
Guerrazzi F. D.— 1.33-139; 170; 402.
Hillebrand G. — 155; 170.
Imbriani V. — 320 (V]
Julia V. — 4.54.
Ivon E. — 320 (F).
Landau M. — 29.
Lessona M. — 369-73.
Lignana G. — 411.
Lombardi E. — 444.
408-9.
IVI
Maccari G. B
Mamiani T. -
Manzoni A.—
Marenco L.
Mario A. —
Marselli N.
Massari G.
Maupassant
- 443.
— 170; 188; 194; 443.
—14-15; 17; 44-45; 131:
327-30; 405-7; 413-14;
419; 409-41;
— 444.
170; 416.
— 4i6.
— 416.
. — 104.
Melza T. — 386.
Milli G. — 388.
Minghetti M. — 404.
Monnier M. — 170.
Morato 0. — 386.
Muller G. — 416.
IV
Nencioni E. — 99; 169; 363-68; 395;
» 396; 444; 445; 448.
Nievo I. — 443.
o
Occioni 0. — 415.
Padula V. — 454.
Parzanese F, P. — 443.
Perez F. 444.
Perusino G. S. — 98.
Petruccelli della Gattina G. — 394;
» » 427.
Praga E. — 443.
Prati G. — 443.
Regaldi G. — 442—43.
Ptenan E. — 25.
Revere G. — 443.
Ricotti E. — 416.
Rosa G. — 416.
Sai mi ni V. — 444.
Saluzzo Roero D. —
Sbarbaro P. — 320 (FG); 374-78.
Settembrini L. — XlI-86.
Siciliani P. — 347-50; 352-55.
Stampa G. — 385-86.
Stoppani A. — 404.
T
Tabarrini M. — 416.
Tari A. — 408-9.
Tarchetti I. U. — 425; 443.
Tommaseo N. — 442.
Trezza G. — 20; 65; 66; 67; 84-85;
» 98-99; 145; 153; 169;
» 170; 294; 297; 305; 320
» (F); 341-46; 398.
Turrisi Colonna G. — 386.
Vallauri T.
Vitrioli D.
Zanella G.
- 415.
98; 358-62.
z
244; 393-94,- 297; 354;
» 356; 404; 432; 444.
Zendrini B. — 444.
QUELLI CHE SONO
Abba G. C. - 416.
Acri F. — 429.
Aganoor V. — 388.
Agostino P. da Monteteltro — 307-
313.
Allievo G. — 98; 429.
Antona-Traversi C. — 18; 26; 412.
Arciiinti (Cliirtani) L. — 104; 416.
Ardigò R. — 98; 297.
Arnaboldi A. — 245; 445-46.
Ascoli G. — 71; 400; 401.
Asturaro A. — 429; 436.
Avanzini B. — 59; 99.
Baccelli A. — 452-53.
Bacci 0. — 415.
Bacci V. — 415.
Barbiera C. R. — 100; 415.
Barboni L. — 170.
Barrilli A. G. — 421-22; 425.
Barzellotti G. — 64; 116; 429-30.
Beccaria C. — 98.
Bernardi I. — 98.
Berta A. — 455.
Bertacchi C. — 104; 455.
Bertini Attili C. — 389.
Bertoldi A. — 415.
Bertolini F. — 416.
Betteloni V. — 245; 445; 448.
Biagi G. — 415.
Bianchi L. — 433-34.
Boccardo G. — 104.
Boito A. — 445; 449.
Boito C. — 416.
Boner E. G. — 455.
Botti-Binda R. — 390.
Bovio G. — 162; 4:i9; 431-32.
Brilli U. — 263; 415.
Brunamonti-Bonacci A. — 388-89.
o
Canestrini G. — 429.
Cannizzaro T. — 104; 445-47.
Cantoni C. — 429; 436.
Cantoni G. — 429; 436.
Capitelli G. — 457-58.
Capuana L.-26: 27; 320 (F); 420-21.
Carducci G.— XII-XIV; 11; 14; 17
» 69-70; 89-91; 99-100:
» 130; 137-40; 140-234:
» 252-53; 298-99; 328-29:
» 363; 366; 369; 410; 436:
» 440-41; 445: 423: 450-
» 51.
Casini T. — 263; 413.
Gavazza P. — 415.
Cena G. — 455.
Cerquetti Alfonso — 412.
Cesareo A. G. — 27; 104: 412: 450.
Checchi E. — 59; 99.
Checcucci C. — 147.
Chialvo G. — 455.
Chiappelli A
Chiarini G.—
Ciampoli D.
Clan V. — 415.
Cima A. — 416.
Cimmino F. — 320 (B).
Cipolla C. — 416.
436.
59; 95; 99; 135-36; 139;
145; 155; 168-69; 171;
193;-94; 200: 245; 320
(D); 320 (F): 366; 496
412; 44.5-46.
320 (\i).
Cipollini A. — 415-16.
Cocchia E. — 416.
Connetti De Martiis S.— 429: 435-36.
Colaprosso F. — 415.
Colaianni U. — 429; 434.
Colautti A. — 455.
Colozza G. — 97; 436.
Comparetti D. — 137; 393; 397.
Contorti L. — 455.
Conti A. — 404: 429.
Coppino M. — 362.
Corradini C. — 415; 455.
Cortese G. — 416.
Costanzo G. A. — 245; 445; 446.
Crescini V. — 415.
Crivellucci A. — 416.
Cagnoni G. — 415.
r>
D'Ancona A. — 99; .393; 398-99.
D'Annunzio G. — 37-38; 107; 113;
» 266-92; 320 (BD)
» 452.
De Amicis E. — 417-20; 432; 455.
De Bella A. — 434-35.
De Dominicis F. S.-70; 429; 436.
De Gubernatis A. — 97; 104; 411.
De lohannis A. — 429.
Deledda G. — 390; 425.
De Leva G. — 416.
Della Giovanna I. — 263: 412.
Della Porta A. — 455.
Della Sala Y, — 420 |B).
Del Lungo 1. — 393; 397.
De Lollis C. — 415.
Delpino F. — 429.
De Luca B. — 325; 416.
Depanis G. — 103.
Di (liacomo S. — 320 (B)
Di Thaler C. — 170.
D'Ovidio F. — 410-11.
E
Ellero P. — 195.
Errerà A. — 104.
F
Fabretti A. — 416.
Faldella G. — 427-28.
Falorsi G. — 415.
Fambri P. — 428.
Farina S. — 27: 104; 425-26.
Farnese P. — 316.
Fasiani A. — 453-54.
Fava 0. — 320 (C).
Federzoni G, — 415.
Ferrai L. A. — 416.
Ferrari S. — 40-41; 246; 263, 452.
Ferrerò G. — 434.
Ferri E. — 429: 434.
Pinzi G. — 108: 41.5; 455.
Fiorini V. — 415.
Flamini F. — 415.
Flechia G. — 71; 416.
Fleres U. — 320. (F); 416; 454.
Fogazzaro A. —820; 245; 428; 432;
» 445; 449.
Fontana F. — 455.
Fornaciari Pv. — 412; 415.
Fornelli U. — 43().
Fraccaroli G. — 416.
Franchetti A. — 41i).
Fradeletto A. — 415.
Frati L. — 416.
Fucini R. — 388; 422-23; 455.
Fulvia — 96.
Fumagalli L. — 416.
Fumi G. F. — 41().
o
Gandino G. B. — 415.
Garoglio D. — 4.55.
Gentile I. — 416.
Gliisleri A. — 199.
Giachi V. — 415.
Giacosa G. — 319; 423-24.
Gianelli E. — 389-90.
Gigli G. — 460.
Giorgini G. B. — 415.
Giovagnoli R. — 415; 455.
Giussani C. — 416.
Gnoli D. — 24.5; 445-46.
Gotti A. — 416.
Graf A. — 245; 402-3.
Grilli G. — 455.
Grosso S. — 416.
Guarnerio P. E. — 4.55.
Guerrini 0. — 245; 389; 397; 445;
» 450-51.
Ibsen E. — 19; 25.
lessie Withe vedova Mario — 416.
Inama V. — 415.
Kerbaker M. - US; 410-11.
L
Labanca B. — 436.
Labriola A. — 421»; 436.
Liov P. — 432-33.
Lombroso C. — 82: 207; 370; 429;
» 431; 434.
Loria A. — 429; 43().
^1
Mantegazza P. - 69; 371; 432-33.
Mantit-a G. — 454.
Mantovani D. — 415; 428.
Marano Attanasio G. — 461.
Marcati A. — 107.
Marchese N. — 455.
Mariani Pv. — 436.
Marinelli G. — 429; 496.
Mariotti F. — 412.
Marradi G. — 26; 40-41: 162; 2141
» 245-65: 318-19; 320
» (F); 450; 152.
Martello T. — 108.
Martini Felice — 415.
Martini Ferdinando — 19; 59; 99.
Mascagni P. — 24: 40.
Masci F. — 429.
Masi E. — 99; 393; 398.
Massarani T. — 399.
Mastri P. — 455.
Mattirolo 0. — 429.
Mazzoni G. — 2e}; 40-41; 246; 263;
» 320 (F): 444; 452.
Melani A. — 416.
Menasci G. — 96; 455.
Menegazzi G. B. — 96.
Mestica G. — 412-13.
Mezzanotte G. — 316; 321 (C).
Michelangeli L. — 415.
Milelli D. — 245; 314-320; 445-45.
Miranda G. — 107.
Misasi N. — 320 (B).
Molmenti P. — 416; 428.
Mommsen T. — 145; 170.
Monaci E. — 393; 398-99.
Morandi L. — 413-14.
Morelli V. — 355.
Morselli E. — 97; 429; 433-34.
Mosso A. — 429; 515.
IV
Neera (Anna Zuccaro Pi.adius) 96.
Negri A. — 41; 390; 415.
Negri G. — 415.
Nitti F. S. — 434.
Nevati F. — 415.
o
Oietti U. — 286.
Orvieto A. — 96: 455.
Pais E. — 416.
Pais F. — 195.
Panbianco G. — 63; 458-60.
Panzacchi E.— 95-96; 99; 140; 158
» 161; 169; 194; 195
» 245; 320 (I); 395 445
» 448-49; 452.
Paoli C. — 429.
Pascarella G. — 454.
Pascoli G. — 40-41: 9ù: 246; 263;
» 320 (F); 415.
Pasqualigo F. — 98.
Pelliccioni G. — 416.
Petrocchi P. — 88-92: 414.
Pica V. — 320 (B)-246: 416.
Picciola G. — 452.
Pichler — 170.
Piccolomini E. — 416.
Pieretti L. — 412.
Piergili G. — 412.
Pilo M. — 409; 432-33; 455.
Pinelli L. — 245; 293-306.
Pio Oscar — 455.
Pisani-Dossi A. — 320 (F).
Pizzi I. — 415.
Pollazzi P. — 100-101.
Posocco G. U. — 455.
Prati R. — 25.
Prudenzano F. — 455.
Puccianti G. — 415.
Puglia F. - 42P: 434.
Ragnisco P. — 429.
Ragusa-.Moleti G. 455.
Ramorino F.
Rapi sardi M.
318;
415.
- 40-41; 245;
445; 450.
1; 85; 393; 398-99.
429.
Rajna P. ■
Regalia E.
Renier R. — 95: 403-404.
Ricci C. — 245; 397.
Ridolfl C. — 1U8.
Rigutini G. — 414.
Rinaldi B. — 98.
Rizzatti F. — 432-33: 455.
Rocchi F. — 195.
Rolando A. 410.
Romiti G. — 429.
Rondarli A. — 415.
Ronzon A. — 415.
Rossi — 108.
Rovetta G. — 42(5-27.
Roux Amedeo — 170.
Rubichi E. (Richel) - 101-2.
Sabbatini R. — 41»;.
Sacerdoti E. — lOG.
Salvador! G. — 320(1)); 415; 454.
Salveraglio F. — 415.
Sanlelice E. — 455.
Scalinger G. M. — 105.
Scarfoglio E. — 2.39: 320 (D); 434.
Schiattarella R. — 434.
Serao M. — 320 iBi: 428.
Serena A. — 456-57.
Sergi G. — 98: 429: 434.
Sesler F. — 412.
Schanz Giulio — 154; 170.
Schiaparelli G. — 41(3.
ScheriDo M. — 415.
Solerti A. — 415.
Sommaruga A. — 94-100; 320 (AB
» CDEFGH).
Spencer E. — 98.
Speraz B. (Bruno Sperani) — 428.
Stampini E. — 145; 170; 415.
Stiavelli G. — 4.55.
Straccali A. — 412.
Strafforello G. — 104; 415.
Strinati E. — 455.
T
Tamassia E. — 429.
Tamburini A. — 429.
Tanganelli A.
Tedeschi P. — 415.
Testa Cesario (Papiliunculus)— 320
» (F); 454.
Teza E.— 104; 167; 170; 195;
» 410.
Tocco F. — 349: 429; 436.
Torelli A. — 455.
Torraca F. — 411-12.
Tozzetti Targioni G. — 415.
Treves E. —97; 100-101.
Trevisan F. — 415: 4.55.
Turbiglio S. — 429.
Turati F. — 108.
401-2;
Uda F.
Uda M.
XJ
425; 445: 44(5.
425.
Valcarenghi U. 04.
Valdarnini A. 4.36.
Vecchi A. V. (lack la Bolina) —
» 104; 428.
Vecchini A. — 95.
Venturi A. — 415.
Verdi G. — 24; 40.
Verdinois F. — 18; 19: .320 (F).
Verga G. — 27; 31: 271: 320 (F);
» 420; 425; 426.
Vignoli T.-294; 299; 300-301; 429.
Villari P. — 409-10.
Vivanti Annie — 45: .389.
z
Zambaldi F. — 415.
Zardo A. — 415.
Zenatti A. e 0. — 415.
Zingarelli N. — 412.
Zola E. — 25; 39.
Zuccaro Radius A. (Neera); — 428.
Zumbini B. -130; 137; 266; 274; 384;
» 385; 393; 394-95; 397;
» 398; 446.
Libro I.
Studi e bozzetti su argomenti di
varia e generale letteratura.
I.
Prosa coiiteniiioranea.
JUANTI mai oggi, fra quelli clie più sono in
voce di scrittori e di artisti, sanno indu-
giarsi con sapiente industria di lima intorno
a un periodo classico?
Quanti mai , anche fra quelli che, studiosissimi
ricercatori delle tradizioni dell'arte nella nostra storia
letteraria , hanno autorità grande di critici dotti e
acuti, sanno attingere da' lor scrittori meglio disa-
minati, elementi e materiali e forme per una prosa
forbita ed elegante nell'agevole e ricca italianità dello
stile ?
Quanti mai de' giovani anche migliori eh' escon
fuora novellieri e bozzettisti da' nostri instituti clas-
sici (neppur parlo delle scuole e degl'instituti tecnici,
né di altre case di cultura), mostrano, nella foga dello
scrivere e dello stampare , anche un accenno alle
nostre classiche tradizioni dell'arte ?
È proprio innegabile che, così nella prosa come
nella poesia, 1' odierna grafomanìa italiana segna un
vero e desolantissimo decadimento.
Tolti il Carducci , che — mirabile e inimitabile
esempio — prosegue costante e con aria sana di mo-
dernità il classico culto della forma, e, a non breve
distanza , altri pochi, i più de' nostri non possono
avventurare alla posterità sola una pagina che possa
reputarsi perfetto modello di stile.
Altri potrà per avventura , e a bella prima, tac-
ciarmi di troppo rigido escliisivisvio, ove sol noti e
consideri alcuni pregi veramente notevoli ma insuffi-
cienti , e a cui devono più che venti scrittori la lor
fama di artisti.
Mi spiegherò meglio, e, potendo, senza frasi. Non
vo' dire che in Italia non abbondino, anc' oggi, let-
terati pur egregi od illustri come prosatori: non vo'
dire che i più de' critici nostri non scrivano agili e
corretti: neanche vo' affermare che parecchi giovani,
veramente ammirabili in certa nativa e ridondante
spontaneità e freschezza di stile, non conservino pregi
di prosatori non volgari.
Siamo d'accordo.
La prosa contemporanea la quale — volere o non
volere — è proceduta per diritta linea, ma sotto dati
punti di vista, dall' inimitabile modello manzoniano,
ha certamente, se non la purezza e la proprietà della
lingua, se non la finissima e complicata architettura
del periodo, se non la vigorosa e densa plasticità
dello stile, un più libero e disimpacciato andamento
nell'arte, andamento che la classica prosa - bisogna
pur dirlo - non ebbe così spontaneo e immediato. Ma
son elleno sufficienti, per uno stile organico e finito,
le scarse doti della prosa contemporanea, almeno co-
me la scrivono i più de' nostri , troppo assidui coo-
peratori alla coltura odierna ?
Alla prosa italiana contemporanea, perchè sia com-
piuta, manca il c?ilio della forma nelle classiche tra-
dizioni dell' arte.
E vorrei ragionarne così.
Il pensiero — non importi considerarne il contenuto
— si svolge e moltiplica nella mente, almeno quand'è
complesso, di parvenze molteplici e diverse, e n'esce
colorato come da un' iride di luce e con gradazioni
ed isfondi sì vari e ricchi di contorni, da parere —
— starei per dire — quasi un caleidoscopio di splen-
dori e di riflessioni ottiche.
13
Un grido di dolore, un accento d' ira, un rantolo
di rabbia, uno scatto qualunque del nostro dramma
interiore, hi esplosioni veementi, sanguigne, vertigi-
nose che par lingueggino serpeggiando come su per
tutti i tasti della nostra lingua articolata, secondo la
irrequietudine degli strappi e de' fremili interni.
E il pensiero, com' è vario e molteplice nella raf-
figurazione psichica e interiore, così dev' esser ricco
di movenze, di elasticità e di giunture nella rappre-
sentazione sensibile, geometrica, plastica dell'arte. Ciò
eh' è dentro dev' esser fuori, in una perfetta e lucida
armonia, in una quasi matematica distribuzione di
linee e di rilievi.
\\ pondo ascoso dell'idea deve balzare con tutt' quanti
i lineamenti della sua figura internamente concetta.
Or questa perfettissima rispondenza tra il pensiero e
la forma, tra l'espressione e il concetto, tra l'imagine
e la frase, tra il senso e la parola; questa fedelissima
ricreazione es:eriore del fenomeno psicologico, deve
aver nell'arte , la sensibile e dinamica ripercussione
vivente e immediata della visione interiore.
Questo ottennero , in grado mirabile, i classici
maestri.
Che cosa sono mai dunque codeste tradizioni clas-
siche, nella forma e nello stile?
Lo dirò subito.
Le tradizioni classiche — lo scrissi già altrove —
si compendian tutte in queste parole sole: culto della
forma, eh' è quanto dire, lavoro industre e accura-
tissimo dello stile, o, eh' è meglio, educazione aristo-
cratica nel portamento e negli abiti del proprio pen
siero. É il limae labor, come dicea il vecchio Orazio,
della opera letteraria, critica o artistica che siasi.
E, così, esse possono scorgersi nell' orditura squi-
sitamente elaborata del periodo che, non con mosse
comuni e consuetudinarie, ma senza innaturali con-
torcimenti s' atteggia e si snoda agile e moltiforme,
u
denso e vigoroso, scultorio e vibrante, nelle oppor-
tune trasposizioni e ne' sottili e levigatissimi giri e
contorni e ligamenti della frase, delle proposizioni,
de' membri. Questo fecero gli antichi, e a questo sa-
rebbe riescito, se non l'avesse distratto la politica de'
tempi tumultuosi, quell'atletico ingegno di Francesco
Domenico Guerrazzi; e a questo è alfine riuscito un
solo vivente prosatore: Giosuè Carducci.
Il Manzoni, anima potentemente equilibrata e lim-
pidamente serena, nell' uguale e pur varia concinnità
dello stile, sì ben rispondente all'armonia calma e pro-
fonda del pensiero e dell'osservazione, rese in sommo
grado, a simiglianza de' classici, non gì' impeti e i
turbini della passione impervia al suo cuor timorato
di cattolico e credente, non la magniloquenza della
rappresentazione, non la nervosa elasticità e prodi-
galità delle forme, ma, come in vivo specchio, quel-
l'onda corrente e soavemente mormorante che affa-
ceasi allo spirito suo, quieto e candido notomizzatore
di quel realismo umano che sol fu possibile dopo la
tempesta del 1815.
E non stenterei a credere che il Manzoni, pur ri-
manendo fermi gì' ideali suoi nell'arte, avrebbe rive-
lato, in tempi diversi, quelle grandi qualità dello stil
classico, eh' egli mostrò di emular sì bene nelle sue
poesie giovanili, mentre faceva le sue prime armi alla
bella scuola del Parini, quando cioè scrisse il poemetto
Urania e il carme in morte di Carlo Imbonati. E con
altra tempra di carattere, con indole più accesa m?
non meno virile, sarebbe riescito prosatore intima-
mente classico, e ci avrebbe reso così tutti i caratteri
di quello stile e di quell'arte, non senza mescolarli alle
correnti più mosse dello scrivere moderno, che gio-
vine seppe attingere con tanto gusto da quel vivaio
di cultura che furono i circoli di madama Helvetius,
e di madama Cabanis, ad Auteil.
15
Con questo vo' dir soltanto che non è giusto met-
tere innanzi e invocar sempre il Manzoni quasi a
scusare la puerilità e manchevolezza della prosa vi-
vente, tutta nervi ma senza muscoli, tutta lascivie e
rammollimenti ma senza palpiti e sangue.
L'avvenimento della prosa femmiìiina a' tempi nostri
fu il portato della corruzione della vera arte manzo-
niana, fu come il logico procedimento della impotenza
de' falsi imitatori dell' insigne lombardo, che riman
tuttavia inimitabile esempio di quel che sarebbe rie-
scita una prosa nuova, in Italia, dopo il ritorno asce-
tico del 15 e dopo la tempesta della rivoluzione, se
r unità italiana avesse potuto evitare tanto decadi-
mento. E quindi, nell' arte de' nostri, permangon
tuttavia alcuni caratteri prbnigenii, alcuni elementi
potenziali, sto per dire, di quello stile allo stato greg-
gio: vi manca l'aristocratica finitezza e l' industria
sottile di quella tecnica meravigliosa.
E mentre il Manzoni si mostrò sempre come incon-
tentabile dell'assiduo e tenace lavoro di lima per me-
glio rispecchiare il pensier suo, i nostri, pur contenti
della massima volgare: Scrivete come parlate, si la-
sciano andar troppo solleciti alla fretta, a quella fretta
che, come dicea Dante, l' onestate ad ogni atto dismaga.
E cosi, se il grande lombardo andò riguardoso nella
elezione de' materiali e delle forme, i nostri accettano
ogni più brutto gergo dialettale o di gazzetta, e scri-
von senza nesso di giusti legamenti, senza varietà di
lucida orditura, ben paghi d' esprimersi, com' essi
dicono, alla buona e senza retorica. E così, se 1' uno
riesce nitido e trasparente, gli altri si mostran vaporosi
e ondeggianti; se 1' uno è proprio e semplice e inge-
nuo, gli altri son puerili, prolissi, ineleganti, pedestri:
se l'uno raggiunge finissimamente nella piana e cri-
stallina euritmia della forma, nella matematica e pro-
porzionata architettura del periodo, nell' uguaglianza
mirabile dello stile, le varie mosse e sfumature del
pensiero, le diverse adombrature dell' imagine, gli
r6
altri bamboleggiano con uno stil misero, rattrappito,
stereotipato e ch'essi acconciano a tutte le idee, a tutti
i fantasmi, a tutte le situazioni. Tale è la differenza!
Ora un logico e non esclusivo ritorno al Manzoni
e, con sempre in mano questo prezioso modello, agli
esemplari migliori de' classici nostri, non senza una
sana nutrizione di greco e di latino; un ritorno, dico,
al Manzoni, che scaltri di movenze nuove e più cor-
renti questa lingua italiana che al Byron parve come
una musica favellata, e, nel tempo istesso, alle tradi-
zioni più intimamente classiche de' secoli o periodi
migliori della nostra lettetatura, un tale ritorno, dico,
sarà certo un grande bisogno del nostro avvenire lette-
rario.
Il Manzoni solo, non basta. Il grande lombardo,
ancor pieno la mente delle influenze umanitarie e fi-
lantropiche della cultura francese, dedusse dalla let-
teratura di Francia quel che all'arte classica mancava
o non prevaleva, cioè un più libero e spedito anda-
mento dello stile nell'arte; ma, sì pel carattere suo,
sì per r ideale religioso che proseguiva costante, sì
per colpa de' tempi, non trasfuse nell'arte quell'anima
e, quella vita, quell'orchestra di suoni e di armonie,
quella varia e sottil compagine dello stil classico an-
tico: egli, simiglievole in ciò a ogni grande novatore
— vo' dirlo colle parole efficaci del primo prosatore
vivente — cotne si fu impossessato di quello stile, lo
stancò colle firie delle carezze di un primo amore.
Or quale sarebbe invero l'ideale da raggiungere in
fatto di stile?
Mi si si permetta eh' io lo dica colle parole d' un
altro novator grande, del Carducci, che ce ne dà
esempi mirabili e viventi.
Il Carducci scrive:
« Né parrà audace per avventura il congetturare
che r Italia tutta fosse per tenere dell' industre e sa-
piente eclettismo romano, della contemperazione arti-
stica che l'Italia tutta fece nel secolo decimoquarto e
17
decimosesto tra l'antichità e il medioevo. Ella sarebbe
chiamata a trovar la sofrosine classica delle letterature
surte o rinnovate dalla rivoluzione » (*)
Non si può dir meglio !
E nella prosecuzione di tale ideale, soggiungo io,
non avrebbe parte ultima, per quel che concerne lo
stile moderno, la efficace influenza dell' immortale
autore de' Promessi Sposi.
Così potrà esserci dato di aspettare il Verbo del-
l'arte futura, nella poesia e nella prosa.
Ma per raggiungere, almeno in parte, tale ideale, ci
è pur bisogno di rialzare di molto, nelle nostre scuole
e segnatamente ne' nostri instituti classici, il troppo
basso livello della cultura classica e nazionale.
Potremo almeno sperarlo?
(') Carducci- Discorsi lellerari e slorici - pagg. 317-18, Bologna,
Zanichelli, 1889.
IL
Per Pavyenire del Teatro Nazionale.
fi^M|AMiLLO Antona-Traversi, l'applaudito autore
^te^ delle Rozeìio e l'industrioso ricercatore delle
<S^i-^ memorie leopardiane, proponeva pur di re-
cente , come utile preservativo al rialzamento delle
sorti e all' avvenire del teatro nazionale da tempo
caduto sì in basso , una « commissione di lettura
drammatica » o almeno, prima che questa si venisse
man mano organando, il giudizio illimitato e sincero,
intorno alle opere italiane, d' uno de' nostri critici
teatrali più insigni, sul quale questo o quel capoco-
mico riponesse fiducia maggiore. Così l'uno potrebbe,
secondo il bisogno , designare scortamente il critico
suo che giudicherebbe in prima istanza: 1' altro giudi-
cherebbe in seconda; ma, di comune accordo, tutti
e due porgerebbero agli autori quei consigli e sug-
gerimenti che fossero del caso, e, con avvisato criterio,
si metterebbero in guardia contro le animose e pe-
destri riprovazioni e anche contro le appassionate
rappresaglie della platea e della stampa per difendere
l'opera immeritamente naufragata, quando ne fosse il
tempo. Parecchi hanno accolto con plauso la proposta
che — a parte l'ottimismo di chi primo la concepì —
si presta a facili attacchi e a giudizi molteplici e di-
versi. Ma un pò discorde m' è parso il parere d' un
critico arguto , di Fedrigo Verdinois , il quale, nel
n.° 213 òi&\ Mattino àx Napoli (14-15 ottobre 1892), con
uno scettico risolino fé' boccucce alle buone inten-
zioni del Traversi, e conchiuse testualmente cosi: —
Una delle due: o voi credete che il teatro sia una
19
cosa seria e che giovi al cosi detto « avanzamento
de' lumi » o non ci credete. Se no, lasciamo andare
e parliamo di altro; se sì, è lecito desiderare che il
Governo si occupi anche di cose serie e che il mini-
stero della istruzione pubblica metta anch' esso la
mano a quest'illuminazione. — Ma, ahimè, sono scet-
tico anch'io, e non credo neppure alla illuminazione
ufficiale per parte dello Stato dirigente ! Non credo
affatto all'intervento e all'utile cooperazione di quel
pubblico illuminatore che , assai povero di bilanci,
non riesce a divenir neanche un buono e operoso
ministero della pubblica istruzione in Italia ! A pro-
posito, appena il Martini venne assunto al Ministero
della Pubblica Istruzione, si fé' circolare forse ad arte
la voce ch'egli intendesse por mano a questa illumi-
nazione. Tutti allora , sapendo essere il Martini un
commediografo insigne e un geniale artista, trepida-
rono di speranza e gettarono all' aure un accorato
sospiro. Ma la voce venne subito smentita. Era na-
turale. Nient'altro ci vorrebbe che questo cataplasma
a ristorar le membra consunte della vecchia inferma!
e pur questo ci vorrebbe a consolar le condizioni
della povera Minerva italiana!
La illuminazione ufficiale, checché altri ne dica, in
ogni libera manifestazione dell' arte , se non certo
nociva è stata sempre assai poco feconda. Questa di
voler sempre far capo allo Stato , per curar quello
eh' è difetto de' tempi, è una malnata tendenza de-
gl' italiani , che, non avendo vitali succhi in terreno
vergine, impetran la cura artificiale del Governo che,
second'essi, dovrebbe entrare in tutto, sino a modi-
ficare, trasformare, innovare le tendenze e lo spirito
estetico dell'età. La Commedia muore? Lasciamola pur
morire in pace! Il Carducci, con intimo senso del vero,
in una succosa noticina apposta alle Odi Barbare, fin dal
giugno 1877 scriveva: « il dramma agonizza, e i troppi
medici non lo lasciano né meno andare in pace ». —
Dopo quindici anni il dramma, di cura in cura, ago-
nizza ancora, e per godere ancora il teatro si é ricorsi
a Enrico Ibsen: di Francia si é passati in Norvegia!
Ma che Francia! che Ibsen ! che Norvegia! L' arte
drammatica muore!
Ma io vo' scendere in campo anche più pratico e
oggettivo. Si può mai parlare d' innovazioni senza
prima por l'occhio alla vita? Ove attinge il dramma-
turgo la inspirazione immediata all'opera sua ? dallo
Stato, dalle « commissioni di lettura », dal giudizio
de' critici, o dall'ambiente? non è dall'ambiente ch'e-
gli, quasi senza addarsene, per istintivo bisogno del-
l'anima e delle facoltà, deriva le sue figure, coglie e
ricrea le filiazioni del suo spirito, attingendole come
da una voce per sé stessa mossa f È inutile illudersi:
quando il soffio animatore del tempo non avvia e
dispone 1' artista, come per inattesi incentivi, a ido-
leggiare e insieme a fecondare le creature che gli
si offrono spontanee e immediate per ogni sbocco e
su per ogni via ove gemono o ridono brandelli di
anime e di cuori, è impossibile eh' egli le rifletta in
sé per un ripiegarsi violento delle facoltà special-
mente inventive intorno a un reale che non spiccia
fuori da native sorgenti, ma si devolve per forza da
alvei artificiali e da scaturigini sterili. È dal clima
storico - come il Trezza avrebbe detto - che ogni forma
d'arte germina e si feconda connaturandosi nelle co-
scienze disposte: è nell' aria, negli echi della vita,
per entro le sinuose compagini del tessuto sociale,
dappertutto, che lo scrittore fiuta e respira gli stimoli
egli assilli dell'arte e della creazione geniale. Quando
questa pervadente influenza non lo attira ed avvampa
come in un lavacro d' aff"etti incandescenti, tutto è
vano: potete indurlo a sagaci e industriosi tentativi,
ma l'arte se n' è ita, e, per quanti sforzi altri faccia,
in quel clima suo non torna più: riman materia greggia.
Certe forme spariscono così, e allor sorge la critica
delle forme; e questa critica - una forma ella stessa -
vuol dire che quelle forme, che ne sono il contenuto,
son proprio finite. Il De Sanctis, quel geniaiissimo
critico napoletano né letto né inteso da' sacristanelli
e da' manifatturieri mestieranti della spicciola critica
odierna, in un breve e originalissimo suo studio sulla
Scienza e la Vita ricordo che pensava così: la Scienza
vive a spese della Vita: muore l'arte e allor ne sorge
la critica: muore il tumulto eroico de' popoli, e allor
ne sorge l'istoria, e Plutarco interroga le tombe de'
grandi morti: muore la pratica esperienza sociale ed
umana e allor ne sorge la filosofia. Ci siamo. Ago-
nizza il dramma, e i troppi medici non lo vogliono
lasciar morire in pace.
Ancora. Il clima storico d'una determinata forma,
la quale in quel suo dato e attuale momento psico-
logico ha il suo svolgimento e il suo divenire sino a
che maturi alla perfezione suprema per poi neces-
sariamente decadere, non é mai il clima storico di
tutte: ogni forma organica vive sempre a spese di
alcune altre decadenti. È vero che nel 500, come ne'
grandi secoli per eccellenza artistici e universalmente
estetici, posson fiorire tutte quante; ma sempre alcune
o parecchie rimangon la riflessione puramente estetica
e nient'affatto psicologica delle medesime ben vissute
in periodi o climi propri: così la epopea o il romanzo
cavalleresco nel sec. XVI. In questi secoli é sol vivo
il bisogno A^W arte per l'arte, la quale non é certo
una funzione visceralmente organica che abbia con-
tenuto e virtualità in tutte le vere fonti della vita
universalmente vissuta: quegli uomini amano e ricer-
cano il bello in tutte le sue forme, anche nel fanta-
smagorico talvolta, anche nel fattizio e nel conven-
zionale, appunto perchè amano il bello per il bello,
e nuU'altro; e quest' estetico bisogno é anch'esso una
forma, un distintivo peculiare di quell' età, un clima
tutto proprio, un centro in cui si appuntano tutt'i gusti
dell'ambiente. Il bello, così inteso, è in questi periodi
forma e spirito a un tempo; ed é naturale che in essi
prevalgano meravigliosamente le forme a danno del-
l'alto contenuto psicologico. Ma in altri ambienti, se-
condo le particolari manifestazioni della civiltà, cioè
secondo che questa s' inalza o s' abbassa ne' cicli
evolutivi sopravvenienti e trasformantisi in novi or-
ganismi di climi storici, son poche le vere forme che
vi si svolgono. Ne' periodi di transizione scadono
tutte e s'incrociano arruffate e confuse, o, come ap-
punto nel nostro , s' abbattono informi di fronte al
prevalere della scienza, la quale pervade tutte le fonti
della vita e, grado a grado , essicca le vergini sor-
genti dell' arte. Benissimo il Carducci nello scritto
citato : — Tant' è : a certi termini di civiltà, a certe
età de' popoli, in tutt'i paesi certe produzioni cessano,
certe facoltà organiche non operano più. —
Ritorniamo al dramma, che , come tutte le forme
dell' arte, ha il suo divenire e anche il suo disparire
di fronte al risorgimento di altre produzioni. Esso
ha vigore e svolgimento in età nelle quali freme e
turbina la vita, psicologica e reale, de' popoli: allora
questi o s'agitano violenti per colorire e raggiungere
ideali ornai maturi, e s'avventano ribelli al conquisto
della libertà, dell' indipendenza, dell'avvenire econo-
mico, dell'uguaglianza; o si movono animosi nel pu-
gilato vivo e nell'accesa propaganda delle idee e delle
aspirazioni generali da un pezzo escite dal fattizio
cerchio della retorica e dalla ideologica utopia poli-
tica e sociale, e ormai fuse e conflagranti nella con-
scienza universale del tempo. Qui è generale agita-
zione d' idee, e lì è insurrezione d'uomini che, alla
lor volta, alle medesime idee s'abbrancano, operando
fecondi nel conflitto della vita pratica. Il dramma si
svolse in Grecia tra le guerre civili: in Francia e in
Inghilterra tra le guerre quasi fratricide della cristia-
nità, promosse dalla riforma in antinomia col cattoli-
cesimo: in Francia, dopo l'aureo secolo di Luigi XIV,
dopo l'olimpico ciclo d'arte del Corneille, del Molière,
del Racine, del Regnard, l'arte gladiatoria e tribunizia
23
del Diderot, un de' precipui cooperatori della Enci-
clopedia, fé' presentire i brividi della rivoluzione so-
ciale del 1889. Ecco la vita , il clima storico del
dramma.
Or dunque, che c'è mai, oggi, in Italia, che accenni
a un vero movimento d'idee, a una seria agitazione
di principi comuni? Nulla, nulla, nulla. Il popolo ita-
liano — quello che veramente dicesi popolo, — ormai
stracco e indolenzito, assiste quasi impassibile allo
svolgimento della cultura, della politica, di tutto: i po-
chi partiti anarchici, con variopinta leccatura di socia-
lismo , hanno vita e fermento solo in Romagna e in
Lombardia, e, all'infuori dei radissimi crocchi retorica-
mente repubblicani, qua e là disparsi nelle rimanenti
regioni d'Italia, non abbiamo una vera utopia sociali-
stica o anarchica nel cuore della Nazione. Nella stessa
Romagna il movimento si riduce a iftia spiccata e as-
soluta opposizione all'attuale forma di Governo, e non
a un ordine di principi eminentemente sociali ; che
anzi di questi gli anarchici romagnoli si servono per
combattere unicamente il partito dell'ordine: essi mi-
rano diritto allo scopo immediato del loro ideale es-
senzialmente politico e che ha qualche fiammolina
sprizzante dalle nobili tradizioni del gran partito maz-
ziniano, sorpassato dalla evoluzione de' tempi. Sicché
il repubblicanesimo di Romagna non ci rappresenta
un grande veicolo d'intenti comuni a tutta la Nazione;
e anche le poche idee che parrebbero avere qualche
propaganda, sono ancora arruffate, volubili, incerte,
né sono uscite del tutto dal vuoto olimpo delle teo-
riche. È vero che si agitano alcune, ancora intricate,
questioni intorno al capitale e al lavoro, ma anche
esse par che non movano universalmente la coscienza
di tutto il popolo italiano, e solo si vedon conciliate
alla politica dirigente che co' soliti palliativi vorrebbe
24
tradurle nella pratica sociale. (*) E, in fatto di cultura,
non vi fu mai periodo nel quale gli animi si fosser
trovati sì neghittosi e indolenti come nel nostro: quel
piccolo soffio intellettivo che avanza lo respira sol-
tanto la borghesia grassa: in generale, per quel ma-
lessere che tutti pervade dinanzi a' problemi sociali
non bene ancor fermi e sicuri , per quel manco di
bisogno estetico che si manifesta nel tempo , siamo
invasi dalla mania del brutto, dalla febbre del deforme;
e, naturalmente, come all' ebbro ogni sorta di vino
piace, così il popolo italiano, da gran tempo respinto
o deviato da' grandi godimenti intellettuali, si lascia
andare a sùbiti entusiasmi e come a un parossismo
nevrotico di adorazione dinanzi al superficiale e al ca-
duco, dinanzi all'arte, che passa. Un popolo che al-
l'Oie//o di Verdi concede solo un gran successo di
stima, ma batte invece con fremiti convulsi le mani
alla Cavalleria Rusticana , dà il segno più alto della
sua impotenza estetica e del suo senso artistico de-
pravato: è in questi momenti fugaci che salgono re-
pentine alla gloria di capolavori le più grette mani-
festazioni del mediocre. Sola una manifestazione ve-
ramente seria accenna a mantenersi in vita: la critica
nella scienza e la scienza nell'arte e nelle altre umane
discipline sperimentali. Or questo appunto dimostra
che, secondo quello che dianzi dicemmo , la povera
arte, se n'escludi soltanto la lirica individuale, se n'è
ita, ed è follia il volerla risuscitare. Quando nel suo
tempo l'uomo denuda le sue piaghe e, bisognoso di
profondarsi nel suo interiore, diventa il critico e il
medico di sé stesso, allora la produzione spontanea,
la elaborazione disinteressata e immediatamente in-
spirata, cioè non riflessa, non può rivivere più, per la
cotitraddizion che noi consente: arte e scienza son due
termini opposti, contraddittori!. Altro dovrei dire sul
positivismo borghese e sul bottegaio e mercantile
gusto del tempo; ma basta.
(*) Questo io pensava ben sette anni fa: ora devo confessare che il
movimento si ò di mollo dilargato nelT Italia segnatamente superiore.
Or dato questo ambiente sì avverso al dramma, è
impossibile che lo Stato , che comitati permanenti,
che « commissioni di lettura », che giudizii e con-
sigli di critici anche sommi valgano a infondergli
lena e vigore: potete soltanto prolungar la esistenza,
del mediocre, ma è inutile sperare nel classico risor-
gimento e anche nella progressiva vitalità d'una forma
d' arte che muore. Lasciatela morire in pace. Se no
avrete la scienza invece del dramma. Questo lo vedete
da un pezzo. Per opera di Emilio Zola, il romanzo
vien fatturato ne' gabinetti di clinica, e, di tanto in
tanto , ascende agli onori del palcoscenico. Così un
francese molto più illustre, pur ieri morto, il Renan,
volle innestare , con fermo intendimento critico, la
scienza delle religioni al dramma, e scrisse la Badessa
di Jouarre, che, dopo un successo di stima, fini, e fu
l'opera più mediocre di quel felicissimo ingegno. Oggi
abbiamo V Ibsen del quale ha parlato sì bene, su que-
sta medesima rivista, Romolo Prati. Oh ! la smania
di voler drammatizzare la morale e di predicarla su
le scene — cosa unicamente possibile, ma con danno
dell'arte, in tempi nei quali ogni forma di cultura è
un arnese di battaglia morale e materiale , come il
1848 e altri anni di poi in Italia — sarà, nel dram-
maturgo norvegese, un forte tentativo che applaudi-
rete per un pezzo, ma è la morte, la ossessione del
dramma, che sol rugge nel cervello ma non sanguina
nel cuore delle moltitudini. È un pregiudizio che pro-
cede dal difetto de' tempi.
Ma dobbiam chiudere i teatri? No, certo. Tornate
all' antico , e contentatevi. Quando siete impotenti a
far meglio, rinnovatevi ne' lavacri della grande arte,
che non muore. C'è tanto dell'antico ancor vivo I Ma
noi crediamo ancora in qualche cosa: vogliamo pro-
durre! Volete produrre ? Sta bene. Producete! Ma
allora inspiratevi almeno a quel po' di vero che co-
mincia a divenire conscienza nazionale. Ascendete!
Strappate all'anima de' tempi quel po' di luce fioca,
quel barlume di vero che comincia a serpeggiarci
d' intorno , e , senza rinnegare le grandi tradizioni
26
dell' arte sana, scrivete. Avete una questione sul
capitale e sul lavoro? Vivaddio! fatela palpitare su le
scene. E siate benedetti ! Prendete dal tempo quello
ch'è intima conscienza del tempo, e uscite dal brago
e da' gabinetti d'ostetricia. Voi, Camillo Antona-Tra-
versi, che avete gran volontà di fare e vero talento
d' artista , siate incurioso degli altri e dell'avvenire
dell' arte , ma per esclusivo conto vostro, tentate:
potete fare qualche cosa anche superiore alle vostre
meritamente applaudite « Rozeno ». Ognuno che
abbia vera voglia di lavorare, lavori di buzzo buono,
e dimentichi la critica, per carità, dimentichi lo Stato,
dimentichi le Commissioni di lettura, dimentichi tutto:
trovi in sé gl'impulsi e gl'incentivi all'opera propria.
Libero, senza pregiudizio, disinteressato, s'inspiri al
tempo, e ne faccia circolare la vita nell' anima sua,
e dall'anima sua nell'arte. Chi sa allora? Potrà darsi
che, con questo lavorìo indipendente , individuale,
produttivo, avremo trovato uno scorcio di via buona.
Ma intanto l'artista dica a sé stesso: incipit a me vita
nova.
_i==^
III.
Novelle. (*)
i^\^<^/iOTTO questa intitola2ione un artista insigne,
K^^t!Vlì4 Luigi Capuana, nel numero i8 (annata 1887)
v^rt^;^ del « Fanfulla della Domenica », segnalava
alla pubblica lode due giovani novellieri poco noti alle
lettere: Federico De Roberto e il genovese Zena, au-
tore il primo di un libro di novelle che porta il titolo
«La sorte», il secondo di « Storie semplici ».
Ma, sotto la medesima intitolazione, io vo' dire
qualcos' altro: discorrere cioè, ne' limiti d' un breve
articolo, delle vigenti condizioni della novellistica con-
temporanea e dell' indirizzo eh' essa dovrebbe avere
perchè veramente risorga, valendomi de' miei poveri
studii intorno all' argomento.
Pare che, da qualche anno, cominci a scadere l'ab-
bondanza strabocchevole e morbosa degli elzeviri e
delle poesie da alcòva; che anzi, fra' pochi che scrivon
tuttavia de' versi, non mancano di quelli che, come
il Cesareo, il Mazzoìii, il Ferrari, il Marradi e qualche
altro, ci manifestano come un ritorno alle sane tra-
dizioni della vera e grande arte.
Invece le novelle, più e meno insulse o scipite,
se ne togli qualche notevole esempio, non accennano
a finire, ma parmi che, con disdoro non piccolo del-
(*) Questo capitolo fu pensato e composto più che dodici anni fa;
ond'esso — é quasi inutile dirlo — mostra ancora certa leggerezza, cosi
di forma come di pensiero, ch"é della gioventii non ancora ben ferma. Del
resto lo ripubblico, perchè il fondamento critico di esso mi pare ancora
giusto e opportuno.
28
l'arte nostra, sempre più aumentino nella lor produ-
zione quantitativa. Ed è male. Che anzi mi è dato
sorprendere un caso veramente curioso. Nell'atto che
i veri e grandi artisti, come il Verga, il Capuana,
Salvatore Farina e qualche altro, sembra che si vadan
come allontanando dalla produzione, ecco i giovani
italiani — e i ginnasi ed i licei ne forniscono un nu-
mero considerevole — prendere animo dal silenzio dei
loro maestri a scriver vertiginosamente novelle e boz-
zetti su la stampa periodica e pei libri.
Or guardiamo che cosa valgano, e qual parte rap-
presentino dell'arte italiana, queste novelle.
Anzitutto i novellatori odierni, ingenerale, mancano
addirittura d'una qualità artistica grande ed essen-
ziale: la pienezza vigorosa e larga della rappresenta-
zione in una forma elegantemente corretta.
Lo stile, è vero, corre limpido e piano, ma, ne'più,
è un po'troppo svenevole e cascante, stile che rinno-
vella, in tempi che dicono di rigido verismo, le sla-
vature lambiccate de ' peggiori tempi della scuola
romantica allorquando questa, senza nessuno attrito
sociale, divagò dal vero e cercò nella mobile e va-
porosa idealità il contenuto e le forme. Ma questo
stile non ha nulla che ricordi, anche alla lontana^
quella vispa e festiva vivacità briosa e umoristica del
Sacchetti o quell' ondeggiamento largo e ridondante,
nei luoghi e nelle parti sue migliori, della novella
boccaccesca, né quella vigorosa e ben nutrita mor-
bidezza e facilità di qualche grande prosatore o pro-
satrice francese di questi ultimi tempi.
La novella, perchè veramente risorga, ha bisogno,
a parer mio, che si rinsangui di una vera e larga
cultura classica, attingendo dall' antico quelle forme
e quei colori, que' tipi e quelle movenze, que' rilievi
e que' caratteri di rappresentazione che è bene rinno-
vellare, adattandoli al gusto contemporaneo e alle
assuefazioni particolari del presente momento storico
nella vita propriamente nostra, cioè intimamente ita-
liana.
Ora, questa cultura classica è quella che manca ap-
29
punto a' nostri novellatori i quali, come se fosser
disposti sur una falsariga come tanti tipi da marionette,
si rassomigliano tutti, e in tutto: uno è il congegno
meccanico che li tira e li move ne' lor diversi atteg-
giamenti o nelle loro smorfie imitatrici. Messe in un
fascio tutte le novelle italiane dell'ultimo decennio —
salvo, s' intende, alcune eccezioni notevolissime —
è ben difficile trovarne dieci che abbiano, non dico
un po' di originalità, ma quello che può dirsi il ca-
rattere distintivo della tempra d' uno scrittore o la
tonalità di un' opera d' arte. Che anzi, in grandissima
parte, la novellistica italiana contemporanea può dirsi
la rifusione, in mille guise diverse, d'una novella sola,
cucinata con diversi ingredienti e rimaneggiata, con
di più l'appiccico di due o tre movimenti o situa-
zioni convenzionali, da' diversi scrittori italiani i quali
par si pompeggino troppo in questa scimiotteria ste-
reotipata di un medesimo tipo e d'uno stessissimo
modo di rappresentazione.
Di fatti, prendete pure due novelle le quali abbiano,
per ciò ch'è forma e per ciò ch'è contenuto, una tal
quale differenza e diversità; ebbene, non ci vuol molto
a dimostrare che il periodo si snoda allo stesso modo
e coi medesimi ligamenti, che la lingua è, su per
giù, la stessa, cioè poco corretta e punto italiana, e
che il movimento dello stile è, salvo alcune acciden-
tali differenze di composizione, mirabilmente identico.
Non mai com'oggi la stereotipia nell'arte ha raggiunto
proporzioni così alte e paradossali, e non mai come
oggi — è un bel caso! — gli scrittori han gonfiata
la voce sulla originalità, più o meno, d'un'opera d'arte!
Ma veniamo, che n'è tempo, a un altro ordine
d'idee.
É inutile ch'io dimostri come il nostro, in fatto di
produzione artistica, è un periodo di grande scadi-
mento, e come la novella, questo portato fecondissimo
e originalissimo d'oltr'alpe, non è proprio nostro e
poco si attaglia al genio paesano dell'arte nostra. Le
fonti del Decameron — fu dimostrato da molti critici,
insigni, e segnatamente da Marco La?idau — sono
30
tutt'altro che del Boccaccio e italiane, e lo stesso può
dirsi, quasi, del Sacchetti, del Lasca, del Firenzuola
e d'altri molti.
L'italiano non è un popolo nuovo, come quello che
vanta una civiltà troppo antica e tutta sua, una
civiltà esaurita omai più nel campo dell'azione che
in quello ideale; il perchè, prima e dopo il Medioevo,
la nostra arte altro non fu che il rimaneggiamento
di elementi e contenuti non originali, ma che ci ven-
nero dal di fuori. E i nostri grandi novellieri rifog-
giarono italianamente — e dovrei dire toscaìiainente —
cónti , avventure o leggende passate e trascorse di
mezzo a mille redazioni straniere, alle quali altro non
dieder di nostro che la forma, una forma latinamente
classica ed elegante. Potrei meglio dimostrare, con
molti altri argomenti, la inferiorità e la nessuna ori-
ginalità della novella italiana.
La novella ne' popoli colti, è il prodotto, elaborato
e riflesso, di età intimamente artistiche e aristocrati-
camente foggiate, come il Cinquecento in Italia: in
esse r arte non è sempre il rispecchiamento limpido
e fedele della vita attuale, della temporaneità del mo-
mento storico, ma sì uno svago, un semplice svago
dello spirito inteso a cercare gli allettamenti dell'a-
nimo nella riproduzione, un po' grottesca, del reale,
sia questo anche d' altri tempi o d' altre civiltà. —
La novella è fatta unicamente per dilettare società
molli ed oziose le quali, lungi da' grandi rivolgimenti
politici e sociali, amano ricrearsi anche per mezzo
dell'arte, la quale in simili condizioni è veramente
fine a sé stessa: in questi periodi abbiamo ciò che
dicesi appunto V arte per V arte. Ora la novella altro
non è che un semplice ricreamento dello spirito, senza
nessun bisogno etico e morale, e appartiene a mo-
menti storici tranquilli e calmi com'è appunto il no-
stro. Perciò io credo che sia consentaneo al nostro
tempo il voler recare un tal quale rinnovamento in
questa bella e dilettevole manifestazione artistica, che
anzi i tempi le si volgono, più che prima, opportuni.
Ma io penso che, a volerla veramente rinnovellare,
i nostri abbian bisogno di studiare i grandi modelli
stranieri e, con questi, gli esempì dei nostri più grandi
novellatori, riproducendo alla stregua e sotto la guida
de' suddetti esempì e modelli quel po' di vita che
ricircola ne'brevi limiti d'un villaggio, d'una cittaduzza
di provincia, d'una regione, e coi colori, diciam cosi,
locali. La novella, insomma, io la vorrei democratica,
cioè la espressione, viva e immediata, della plebe e della
picciola borghesia de'nostri monti: la vorrei dunque,
per dirlo con una parola d'uso, affatto campagnòla.
E a così farla, e in gran parte v'è riuscito a me-
raviglia, ha pensato quel poderoso ingegno di Gio-
vanni Verga. La costui novella siciliana è la vera
novella campagnòla: quella vigorosa e nervosamente
plastica rappresentazione dei costumi e delle passioni
di que' rozzi isolani, quella grande arte di scolpire,
a tratti rapidi incisivi corti, come in un quadro solo
e con contorni netti e precisi, una moltitudine di
fatti, coloriti e delineati come non si può meglio;
tutto questo, dico, è, nonostante le opinioni contrarie
di molti egregi scrittori, un singolare esempio della
novella locale e propriamente nostra. Ora, il Verga,
pur serbando alle sue novelle il colorito locale, do-
vrebbe essere, per la forma e le dizioni e i costrutti,
men regionale e più italiano, men siciliano e più na-
zionale. Ove la sua novella venisse rinfrescata alle pure
e grandi sorgenti della nostra grande arte antica,
essa sarebbe, a parer mio, sotto tutti gli aspetti ori-
ginalmente perfetta. Il difetto del Verga, cui molti
negano a torto fin la conoscenza della grammatica, è di
voler rappresentare con modi e forme quasi dialettali,
con frasi ed espressioni e ligamenti troppo native,
l'ambiente selvaggio della sua isola. Ma no: dia pure,
il Verga, alla rappresentazione il colorito denso e
crudo della sua Sicilia, rappresenti quella vita colla
nervosità scultoria d'un grande scrittore qual egli è
senza dubbio, ma, più che catanese, si serbi italiano
nella forma, altrimenti la novella sua non sarà nazionale
mai. Questo io penso, e perciò consiglio i giovani
perchè, senza scimiottarsi fra di loro, studino bene
il paese ove son nati e ne rappresentino novellando
i costumi, le tradizioni, le passioni, i caratteri diversi,
ma risalendo — badino bene — a quella rappresen-
tazione ch'è intimamente letteraria e nazionale; e per
questo si fortifichino di larghi e sodi studi classici.
Ma essi, oggigiorno, i classici non li conoscono nem-
meno, e leggon troppo i libri modernissimi e con-
temporanei ; ecco perchè 1' arte loro , fatta sulla
falsariga di alcuni buoni scrittori odierni, è una stam-
piglia; a questo modo non potranno essere artisti
mai , ma , tutt' al più , fotografi, abili copisti. L' e-
sempio da seguire sia per essi il Verga, ma il V^erga,
com' ho detto già, corretto, il Verga finito; e per-
ciò per la parte manchevole della novella del Verga,
io offro loro un raro e mirabile esempio nel Carducci
narratore e prosatore. Leggano, essi, nella Serie se-
conda delle Co/ifessiotii e Battaglie quelle pagine au-
tobiografiche, classicamente mirabili, che si intitolano
« Per S. Miniato al Tedesco »: leggano nella Sei-ie
terza delle Cotifessioni medesime le pagine, non meno
perfette, che si intitolano: // secotido centenario di
L. A. Muratori., Giambi ed Epòdi, pz ira: in esse i gio-
vani italiani potranno osservare quella che può dirsi,
sotto tutti gli aspetti, rappresentazione compiuta d'un
fatto, d'una avventura, d' una realità qualsiasi.
Si paragonino queste prose carducciane colle tante
altre di certi novellatori piccinini che vogliono rus-
seggiare e portare non so che rivoluzione nella novella
nostra, e si ritenga pure che la novella, specialmente
la campagnòla, perchè possa dirsi artistica, deve es-
sere sanamente vigorosa e comprensiva, e, anzitutto,
italiana, italiana, italiana. Siamo ristucchi oramai, per-
chè l'abbiam saggiato in tutte le salse, di questo
rappresentar le cose con una forma civettolamente
svenevole e femminina. — Via gli scrittori evirati!
Dopo tanti sdilinquimenti, un po' di virile nervosità
rappresentativa, a uso Verga e Carducci, non farà
male a' novellieri rivoluzionari: dopo tanta civetteria,
fa bene un po' di serietà, di serietà artistica. Ritor-
33
niamo all' antico , pur restando moderni : ritornia-
moci per apprendervi ciò che è perenne e duraturo
nell'arte, e, più che tutto, quella mirabile euritmia
tra il pensiero e la forma, tra il concetto e l'espres-
sione, tra l'idea e la sua più netta e lucida rappre-
sentazione. Rifacciamo il muscolo, direbbe il Carducci;
e, di fatti, bisogna che l'arte forte e sana trionfi
contro la mollezza sporcacciona della novella odierna,
sia pur cattipagnòla: bandiamo i ninnoli da salotto e
le figurine isteriche: guardiamo al popolo, e rappre-
sentiamone, crudamente ma veramente, le passioni e
gli ideali secondo la maniera del Verga, narriamone
anche le leggende e i costumi , come saprebbe nar-
rarle il Carducci, e descriviamo prendendo a modello,
per esempio, le descrizioni del lago di Garda e del
Valdarno fiorentino , come ci è dato ammirarle nel
p? ira della serie terza delle Confessioni e Battaglie.
Non vo' parlare, e non ve n'è proprio bisogno,
d'altri novellatori buoni, come il Capuana, Salvatore
Farina e qualche altro fra' migliori, non indiziati di
russomanìa, perchè divagherei troppo, e sarei co-
stretto a ripetere le stesse cose. Questo potrà essere
argomento d' un altro articolo: qui ho pensato di
guardare, nelle sue linee capitali, la novellistica ita-
liana contemporanea.
Ed ora altro non ci resta che concluder bene.
La novella dev'essere adunque, come la dicono
oggi , campagnòla e locale, rinfrancata di una larga
cultura, classica e antica, e di forti studi sulla novel-
listica straniera.
Se non che, più innanzi dissi che la novella è
poco consentanea all'indole nostra, ch'è, per dirlo
con parola più propria, punto o poco indigena, per le
ragioni summentovate. Ora, appunto per questo, biso-
gna guardare ai grandi modelli stranieri, antichi e
moderni , senza dimenticare i nostri del Trecento e
del Cinquecento. Da' primi apprenderemo certo j
modi onde la novella s'intreccia e si svolge, il pro-
cesso, insomma, e l'andamento suo artistico: da' se-
condi la rappresentazione tutta nostra, nazionale, ita-
3
34
liana. Ma il contenuto attingiamolo, non più dagli
altri, sì da noi stessi; c'è nelle tante regioni italiane,
tanta vita da rappresentare e da coglier dal vero; c'è
tante tradizioni e costumi e leggende da far rivivere
nell'arte.
Guardiamo al popolo: esso dev'esser per noi la
fonte perenne delle inspirazioni e de' concepimenti
geniali : esso ci dee movere a pensare, a imaginare,
a sentire nell'orbita luminosa della parola. E al popolo
ci guidano tutte le scienze positive odierne, le quali
posson dirsi l'affermazione e l'espressione della demo-
crazìa umana. Ogni artista vero e, fra gli altri, il
novelliere e il romanziere, in questo periodo politi-
camente inerte e tranquillo, debbono ripiegarsi sopra
sé stessi, e, senza lasciarsi menomamente sopraffare
dalla servii maggioranza degli scriventi italiani, rap-
presentare un fatto, una tradizione, una leggenda,
un carattere ch'essi colgono di bocca e fra' costumi
del popolo, rappresentarlo, dico, crudamente, di scorcio
e a contorni netti, riconcentrando in un quadro solo
una folla di fatti o di parvenze diverse. Questo ritor-
nello erotico del romanzo e della novella odierna è
bene che s'amplifichi e si dilarghi co' vigori della
varietà, e, non perdendo d'occhio l'avventura amo-
rosa , bisogna fonderla bene con altre manifestazioni
della vita popolana come c'è dato sorprenderle nella
breve spera d'un villaggio, fra rozzi contadini e popo-
lani, fra montanari, ritraendone la vita rozza e sel-
vaggia negli urti e negli scoppii veementi delle lor
passioni, de' loro sentimenti e ideali. Ma — potreb-
bero dirmi alcuni — allora la novella sarà la rap-
presentazione, non di costumi gentili e raffinati, ma
della rude crudezza della vita plebèa. No: il novella-
tore, pur guardando al popolo, è bene che spazi an-
cora nella borghesia, nell'aristocrazia, che anzi — chi
ben guardi — nelle avventure popolane non mancano
mai, specialmente in fatto di galanterie amorose, il
borghese e l'aristocrate. La novella, anzi, pur ser-
bandosi popolare, dev'essere sempre il rispecchia-
mento della vita di questi tre stati, limitati e circo-
35
scritti nel villaggio, nella città di provincia, nella
regione: fuor di questi limiti non abbiamo più la
novella, la quale, com'abbiam detto, è d'indole rigi-
damente locale.
Con questi criterii, e su questa base, può risorger
veramente la novella, e farsi intimamente italiana, pel
contenuto e per la rappresentazione. Ma non ci di-
mentichiamo che bisogna rinsanguarla d'una cultura
genialmente classica e nostra.
Così essa sarà la riflessione , artistica e vera^ del
nostro popolo ; e ci farà via , a poco a poco e col
metodo istesso, allo svolgimento molto più largo ed
ondeggiante del vero Romanzo italiano.
IV.
L'Arte muore.
^^' CADUTO ornai l'anno (1894) — assai breve in-
.mF^ tervallo nella vita de' secoli — col peso delle
l^-l^L^ sue noie e de'suoi dolori, ma senza il pondo
ascoso dell' avvenire. É caduto e si è spento, sterile,
insoddisfatto, stanco, come l'uomo che chieda al suo
fato anche violento l'ultima infinita pace oltre il dif-
ficile passo della vita. Ma pare che muti qualcosa
nel ritmo del mondo : par veramente che qualcosa
si scolori o ritorni coli' andar delle stagioni anche
fisiche e ne' ricorsi delle età. Ma quanto deve durar
davvero per la sconfinata marèa dei mondi il piccolo
ronzio degli umani su la scomposta argilla di questa
vecchia nebulosa ?
E intanto, ritraendo la stanca pupilla dai foschi
e impenetrabili confini del gran mar dell'essere, vol-
giam rapido lo sguardo sur un punto di questa par-
ticella della terra, e proviamoci a indagare quali segni
di agonia dà presso noi l'ultimo rantolo dell'arte, in
quest'ultimo frammento di secolo che muore.
Ahimè , che deserto ! De' giovani, quali e quanti
han saputo almeno ostentare ne' lor bricioli di sa-
pienza accattata o di morbosa affettività il nòcciolo
d' un' idea o il primo barlume d' una promessa per
l'arte e per la scienza, per il costume e per la vita?
Essi sono ancor lì con i soliti amminicoli di bozzetti,
con i soliti imparaticci di novelline e di romanzi, ove
non sai se più vituperare la inanità e bassezza della
37
invenzione, o la scurrilità della forma, dilagante im-
pura e lasciva per entro la morta gora delle pozzan-
ghere nuove, in cui si crogiola la così detta lingua
dell'uso vivo o manzoniano o del diavolo che la porti.
Anche il 1894 fu ricco e prolifico di molta carta stam-
pata; ma chi ora si ricorda più , anche dopo letture
pazienti , di quella piccola merce infronzolita e fra-
grante come di bacche selvatiche, or tutta raccolta
intorno a' frutici secchi solo attesi da una consolante
vampata nelle ore rigide d' inverno ? Ninno ora più
ricorda, né i nomi ne le cose. Al fuoco, al fuoco, o
bacherozzoli morti , o poveri bachi frulli e frusti, o
sgualciti cenci di Arcadia! Ma intanto, qualcuno vor-
rebbe rinnovar l'arte, la lingua, la prosa, lo stile,
r armonia, 1' idea, la musica, il mondo: tutto; come
se fosse da un solo il consolar l'umanità, tutto d'un
fiato, di tante cose belle e peregrine.
Eccovi là // trionfo della morte , che non è quello
del Petrarca, e nemmeno quello dell' Orgagna nel-
l'antico camposanto pisano. È invece il trionfo della
morte del secolo. Non dirò io — sono omai sazio di
ritornare su certe cose e di riparlare di certe vanità —
non dirò io qui quale e quanta vuotezza, falsità e
pretensione di tecnica e di contenuto è in questo
romanzo , 1' ultima prova provata di una forma e di
una sostanza dell' arte che più non han ragione di
esistere, dentro e fuori della tradizione. Rifacendomi
un po' indietro, e mirando un po' alla storia della
coltura, è bene ricordare che, quando per esaurimento
dell' ultimo portato di una letteratura finita e della
sua rappresentazione ideale, l'arte si affatica impotente
ad esplorare nuovi trovati e nuove elaborazioni, oltre
i confini della tradizione o di ciò che fu il finale svol-
gimento di un lungo periodo e processo estetico,
tutta un' organica forma letteraria, tutto un genere
artistico , tutto un ciclo ideale si è fatalmente esau-
rito. E ciò viene a rivelarsi appunto in quell' ultimo
tentativo che, per opera anche di un genio , riesce
alla più alta esagerazione o deviazione di forme e
contenuti già vecchi, anche se quello possa destare
38
gli entusiasmi del senso guasto in quel confine di
età in che esso appare. Questo proprio dimostra per
me il Trionfo della morte di Gabriele D'Annunzio.
Pace, o ammiratori. Quello che è, convien sia. Nel-
l'ultima opera dannunziana ciò che meglio seduce, lì
dove più sforzatamente splendida è la linea, è roba
già vecchia, voluta intormentire con affinamento arti-
ficioso da un ostinato virtuoso della forma che fa in
arte presso a poco quello che, bella e morta la lette-
ratura greca, fece Simmia da Rodi. E quello poi che
nel Trioìifo parrebbe nuovo o come il primo spunto
d' una via sconosciuta, non è altro che contorci-
mento in una sottile assimilazione di uno svolgimento
finito, insieme con 1' infaticato studio che 1' autore
mette nel moltiplicare, nel distendere, nel diluire ciò
che i classici seppero fare condensando con rilievo
di linee e con semplicità e varietà di disegno. Alla
potente e durevole sintesi dell'arte classica si è voluta
oggi sostituire la tensione snervante e smascolinata
A€iV aìialisi, che m'ha l'aria di chi per indolenzimento
tutto si dilati e si stiri, tra continui e prolungati sba-
digli, nudo e piagato al sole. È avvenuto o sta avve-
nendo al romanzo quello che alla commedia: i molti
medici non la lasciano ?iemmetio morire in pace. Che la
commedia sia morta davvero, lo dicono proprio quelli
che dovrebbero saperne qualcosa. Certo, in quest'ul-
timo anno i parti non sono stati molti , e , tranne i
pochi che piacquero (notevolissimo quello recente del
Martini, Vipera,) o che si fecero piacere, gli altri sono
coselline cosi minuscole, da non valere proprio il costo
di parlarne; benché non manchi — dicono gli inten-
denti — qualche buona prova di qualche giovane di
buona volontà. Ma nessun valoroso , assolutamente
nessuno — sfido io ! chi dovrebbe esser mai? — ose-
rebbe oggi dire che la covimedia batta o sia per bat-
tere una via nuova. Ohibò ! si parla di compagnie
drammatiche e di ruoli, di comitati d'incoraggiamento
e che so io: anche il Ministero della Istruzione premia
e soccorre. Oh! quando si arriva a simili aiuti o pal-
liativi, r arte, eh' è tutta spontanea e disinteressata,
39
non è più moribonda , la è bell'e spacciata. Ma pel
romanzo vo' anche accennare a un fatto notevole e
recente.
Emilio Zola ha compiuto recentemente un viaggio
artistico per V Italia : è stato a Roma, a Napoli, a
Firenze, a Milano, e in ultimo a Venezia per salutar la
patria de'suoi maggiori. Ciò all'intento di por termine
alla promessa trilogia sua con due romanzi, Roma e
Pompei, che continueranno 1' altro già noto e troppo
diversamente discusso, quello di Lourdes. Che sia o
quanto valga questo, non vo' dire, e forse è inutile.
Ma che saranno o quanto varranno gli altri, è facile
prevederlo. E' chiaro. Quando l'artista va ricercando
con industrioso amore i materiali dell'opera sua, come
un amator di fòssili i frammenti dispersi di crani antichi;
quando da una quasi anatomia comparata di fenomeni
e parvenze esteriori si vuol dedurre la sorgente de'
fatti dell'anima e della coscienza, e questa analizzare
e scomporre come fa di un cadavere il notomista:
quando lo scrittore , anzi che lasciarsi prendere da
quanto lo circonda e da quanto con immediato soffio
lo inspira, cerca faticosamente 1* arte, prima o senza
che questa lo inveschi o s'impossessi di lui, facendogli
vibrare tutte le corde dell'anima; quando da tutta una
serie di appunti, d'indagini, di osservazioni, di piccole
conquiste si fa derivare una ingegnosa preparazione
di materiali , a mo' di piccole gemme da incastonar
poi in monili di finissimo lavoro: quando, ripeto, tutto
questo avviene, l'arte è finita. Avrete l'artefice, non
l'artista: 1' artifizio, non l'arte. Questo è avvenuto e
finirà di avvenire a tutta l'opera zoliana e al romanzo
sperimentale, che non riescirà mai né arte né scienza,
né realità ne idealità, in quella quasi ossessione do-
cumentata ch'é l'ultima esagerazione d'una evoluzione
artistica che finisce.
Quando la scienza, rotte le dighe, ha comprese di
sé tutte le forme e tutti gl'instituti sociali; quand'essa
ha inaridite le sorgenti della vita affettiva , è inutile
apportare gli ultimi rimedi alla gran moribonda, che
più non potrà dare que' fiotti di sangue che son la
40
vita , tutta la vita. Allora è già apparso il dominio
della scienza , svoltosi il quale, risorgerà per evolu-
zione storica r arte nuova. Arte e scienza sono nel
precedente periodo due termini contradittorì, ma ben
conciliativi nell'ultimo: allora l'una potrà abbracciare
l'altra. Col romanzo dunque e col dramma finiranno
anche di essere que' mostricini che ne derivano, o
che li preparano: il bozzetto , il piccolo studio de-
scrittivo, la commediola in un atto, la novella , che
paion la dimostrazione più eloquente della impo-
tenza creativa: sono 1' abbozzo del brutto. Ma che
resterà mai in tanta invasione della scienza ? la mu-
sica forse? quella dell'avvenire? Domandatene a Verdi.
Chi dopo lui la farà risorgere? Pietro Mascagni sarà
mai un tùbero o un radicchio o un nutrito pollone
della musica positiva? Ahimè! è anch'ella, la musica,
un' altra gran moribonda, che, mancati i più grandi
maestri del passato, seguiterà a vivere, poveretta, di
soli spettacoli coreografici a luce elettrica o di musi-
chette a soggettini brevi che sembreranno tanti lirici
singhiozzi di un'arte che muore. Ma quale, Dio mio,
sarà mai quella forma che vivrà? La poesia forse? —
Vediamo.
La poesia epica e la gnomica o didascalica, la prima
come elaborazione riflessa e la seconda come insegna-
mento e come satira, finirono col Parini e col Monti:
i posteriori e specialmente gli ultimi tentativi , fra'
quali quelli del Rapisardi, fatti nell' una e neh' altra
forma, ne son l'estremo sbiadito esaurimento, ne son
l'esagerazione voluta e meditata a spese della scienza
o della passione personale. Venti anni fa si diceva
che la sola lirica individuale accennasse a resistere,
purché si fosse mantenuta candida e castigata. Ma,
ahimè , all' infuori di alcuni soli che son vitali ger-
mogli del vecchio tronco carducciano , che gran de-
serto sul morto fogliame della rimerìa odierna 1 Ma
la ròvere resiste , nocchiuta e solitaria , su questa
solitudine, e sott'essa riparano per un po' di ombra
consolatrice quattro o cinque soltanto: Giovanni Mar-
radi, Guido Mazzoni, Giovanni Pascoli, Severino Fer-
41
rari, i quali pur di recente (*), con melodie e inspi-
razioni diverse, liberarono a' venti tali gorgheggi di
strofi e di canti, da parer di vivere sotto altro cielo
e fra maghi sognatori di altra età. E come su da'
cerchi della vita, garrula squittisce la strofettina con-
cettosa del Mazzoni, così per l'aere molle di prima-
vera si dondola e si culla soavemente canòra la me-
lodica strofe del Marradi e la ballata classica e po-
polare del Ferrari, mentre col bulino Giovanni Pascoli
incide sui cammei de' suoi quadretti la natura che
piange e che sospira intorno al suo sepolcro di
famiglia. (O casa di mia gente, unica e mesta!).
Ma a trovare il quarto di quella famiglia mi sento
sgomento. Il Rapisardi è un altro solitario che quando
è veramente poeta e lascia il limo di certe inspirazioni,
ritorna a un romanticismo classico che mormora e
frondeggia in certi cullamenti di endecasillabi e di
ottave di non pochi bellissimi quadri. Le ultime cose
sue {Giobbe, Atlantide) tengon de' medesimi pregi e
de' medesimi difetti. Oltre questi confini od erme
dell' arte nostrana , pe' cui fossili detriti sorge a
quando a quando qualche fiorellino campestre di mezzo
alle acute fraganze delle salvie e de' timi (sono altri
quattro o cinque dalle cui anime escono talvolta per
naturale germoglio gruppi di strofi bellissime per
quanto non suggellate dal magistero dell'arte); oltre
questi confini, ripeto, ciò che luccica non è oro, ma
soltanto un fuggevole saluto di sole su la fanchiglia.
Que' facili e sùbiti entusiasmi intorno i nomi di Eva
Cattermole Mancini {Contessa Lara), di Annie Vivanti,
di Ada Negri e di qualche altra, la cui prosa mèlica
in endecasillabi e sonetti è andata a finire in un fu-
macchio dopo i primi luminosi ondoleggiamenti di
razzi, conservano appena qualche eco lontana in qual-
che anima solitaria invescata, più che dalla poesia,
dal fascino editoriale e dal naturale rombazzo di alcune
gazzette devote. Fortuna per noi che la ròvere resiste.
(*) o. G. Marradi, Ricordi lirici, Treves , 1893. — b. G. Mazzoni,
Voci della vita, Zanichelli, 1893. — e. S. Ferrari, Versi, Modena, E.
Sarasino, 1892. — d. G. Pascoli, Mi/rinae, Livorno, R. Giusti, 1894.
42
Giosuè Carducci è intorno alla storia del risorgimento
italiano e al riordinamento definitivo di tutta l'opera
sua: ancora aspettiamo il commento completo del suo
Petrarca (*), e, da dieci e più anni, il suo poemetto
storico della Canzone di Legnano, di cui soltanto brevi
frammenti saggiammo nella defunta Cronaca Bizantina
del Sommaruga. Guest' anno non abbiamo avuto di
lui l'annuale alcaica che da più anni era uso di pub-
blicare in settembre, ma in quella vece la maschia e
virile prosa intorno alla repubblica di San Marino, a
dispetto de' mille untuosi cenciatorelli manzoniani che,
rifugiandosi sotto l'ombra amica del loro grande mae-
stro, piallatore meraviglioso di stile, si son ridotti a
scrivere colla lingua sboccata de'bamberottoli e de'
ciani , raccogliendo gli avanzi di Mercato Vecchio.
Che dir poi delle arti grafiche , della pittura , della
scultura e dell'architettura? Non ho voglia di dirlo,
e poi uscirei dai segnatimi confini dell' argomento.
Ma, ahimè, che sfacelo in queste altre manifestazioni
dell' arte ! che brutte statue equestri, che miserevoli
macchiette , che fragilità di edifizi che sembran di
cartapesta ! E tutto in grazia di quel vero che de''
vati è tomba, come diceva la buona anima di Vincenzo
Monti.
Il vero ? il vero ? Oh dunque, entriamo nel regno
soleggiante della scienza. O menestrelli e giullari
dell'arte, abbassate il sipario. La Commedia è finita!
(*) Proprio in quest'anno ( maggio 1899) è uscito il Commento inte-
gro del Petrarca, che il gran poeta ha compiuto con gli aiuti di un suo
discepolo, Severino Ferrari.
V
Lingua corrente
e letteratura stagnante.
.^/^^BBiAMO noi veramente, come già le nazioni più
Wf^^^ eulte, come certo la Francia, la Germania,
ttfe^^rM l'Inghilterra, un codice universale, definitivo
e organico della nostra favella? Son già troppi anni
che una manata di brava gente — il meglio dei no-
stri filologi — volsero il pensiero e l'opera a ricom-
porre, o meglio, a rinfrescare il gran Dizionario degli
Accademici della Crusca in quel che avesse di ri-
morto o di men vivo dopo tanto scorrere di tempo e
di forme e d'idee; ma i cruscanti novelli si messero
al lavoro assai lenti, onde il lessico nuovo è ancora
in via di formazione. In qual secolo si potrà mai ri-
scontrare intero? quando forse non ci servirà più?
Manca nel comporlo l'alacrità diligente e animosa con
la unità organica de' criteri e degl'intendimenti me-
todici. Se la lingua è il gran vivaio delle forme
prime, atte poi a comporre 1' ordito dello stile mol-
teplice nelle infinite parvenze del pensiero; duplice
è il bisogno alla difficile compilazione perchè riesca
armonica ed intera: cioè, una piena concordia di la-
voro e di metodo nelle faticose ricerche, e un assi-
curato vaglio di tutte le voci del migliore uso toscano
riflesso da tutti gì' idiomi, politi e greggi, allo spec-
chio del latino e della tradizione classica, e in riscon-
tro a' singoli generi e stili letterari. Sarebbe quindi
necessario che in questo laborioso e paziente lavoro
di crivello, entrasse il parere, il giudizio, la dottrina
di ciascun componente 1' Accademia, perchè da una
44
generale e severa disamina scaturisse il patrimonio
certo della nostra lingua, più che dalle acustiche pre-
dilezioni e dalle monche indagini di un solo. Così
avremmo quel gran testimone dell'autorità nazionale
che lascia paghi gli scriventi di tutte le colture.
Invece ora sembra che questi e quegli procedano
discordi nel lavoro separatamente compiuto. Non è
più logico volta per volta comunicare gli studi sin-
goli a ciascun accademico che li accolga o modifichi
o respinga? Non è egli più esatto il consentimento
de' più in una consapevole comunità di pensiero per
una critica e ferma revisione di accertamento? Im-
proba fatica, ma necessaria. A questo modo soltanto
si potrebbe almeno sperare la unità scritta e parlata
dell'uso, sancita dall'autorità nazionale nel gran Di-
zionario degli Accademici.
Da quando il Manzoni, con esempio mirabile di
gusto e di pazienza, volle detergere con 1' aiuto di
toscani il suo romanzo ne'correnti lavacri della lingua
paesana, credendo così di ridurre ad unità perfetta l'uso
vivo della nostra favella; sorse fra noi un movimento
lessicografico nelle angustie della così detta lingua
paiolata, e si comincio presto a restringere, a impo-
verire, a livellare l'uso classico, stremandolo ne'brevi
confini di una città sola o di una sola regione; onde
l'unità accentratrice della patria geografica parve trar
seco l'unità accentratrice di un solo idioma. Al grande
lombardo ciò servì solo, con fiuto squisitissimo d'arte
e con razionale libertà, a scozzonare e sveltire la fa-
vella in un più mosso atteggiamento di stile e di rap-
presentazione, foggiando il periodo lucidissimo con
facili volute di legamenti e d'incisi, meravigliosamente
interpunti, e con orditura levigata e sapiente, sem-
plice e ricca, uguale e un po' monotona, agile e pa-
cata, ma senza i vigori e gli splendori della prosa
classica.
45
Ma r esempio del Manzoni, così inimitabile nella
sua apparente facilità, divenne parodia o infantile
smorfia in chi si provò emularlo o seguirlo pur di
lontano. Quale de' più culti e ardenti manzoniani
che pur trattarono da par loro come critici e come
filologi la intricata questione della lingua, riuscirono
a darci scrivendo sola una carezza e un tocco di quello
stile? Ma ne' mediocri, falsi interpreti di quella scuola,
quell'armonica struttura si abbiosciò fra le grinze di
forme povere, scolorate e non pure; e quello che fu
finissimo e paziente magistero di tecnica superiore,
venne confuso con la scurrilità del concepire e dello
scrivere e ne derivò una sconsigliata reazione al clas-
sicismo, che non fu aumento di ricchezza, ma steri-
lità. Scrivete come parlate, ecco la massima che vale
a un di presso l'altra: Scrivete come vi piace. E fu a
danno dell'arte.
Intendiamoci. Neil' opera lessicale recente spesso
non manca un avveduto criterio di raffronti, e qua
e là s'incontrano ricche miniere della nata e non fatta
lingua del popolo; com' anche di fronte a' bisogni no-
velli fu opportuno attingere, più largamente che non
si facesse d'avanti, al migliore uso toscano. Fu però
vizio, come analiticamente dimostrerò altrove, l'aver
voluto spingere oltre i termini del possibile questo
troppo sistematico indirizzo, che rattrappì e cristal-
lizzò lo stile e i diversi atteggiamenti dell' arte. Ne
conseguitò come una strettura di pensiero a canto uno
scartamento di più centinaia di vocaboli che se non
vivi nella bocca del popolo, zampillano ancora schietti
e a luogo efficaci nel nobile eloquio de' classici, i
quali durano ancora strumenti fecondi delia nostra
vitale cultura. Ed ora tocchiamo un pò dell' Uso. Ve
n'ha di più ragioni. Primo vien quello che puro e
nativo va per le bocche di tutti, colti e incolti, e serve
a rendere il senso delle cose più comuni alla vita;
se non che in Toscana è assai mondo dalla scoria
46
eh' hanno i dialetti delle altre regioni. Onde per con-
seguire la vantata unità_, è indispensabile la ricerca
di tutte le voci comuni a tutt' i dialetti, i quali vo-
gliono esser ripuliti por mezzo del toscano, che darà
come la brunitura a quella materia greggia.
Ma questo industrioso purificamento dee farsi com-
parativamente al latino e al nostro esempio classico,
poiché l'uno e l'altro ci dan ragione piena della evo-
luzione e della regolarità delle forme, così di quelle
che devon durare tuttavia, come delle altre che la filo-
logia e la linguistica vogliono sentenziate al museo. I
lessicologi han da guardare soprattutto alla necessità
di sostituire una dizione all' altra, quando la prima
è rispetto alla seconda più efficace e colorita, più pla-
stica, più riverberante, come suono a sé, come ar-
monia sintattica, come espressione, come stile. Ma
pure vi é un uso per lo stile mezzano, per lo stile
culto della borghesia che veste a modo e parla ed
opera decentemente, per quello stile insomma onde
sono improntate le opere minori, fatte per la gente
che possiede una coltura generale, e si dirozzò nelle
scuole secondarie o di umanità, come dicevano meglio
i nostri vecchi. Vi é infine un uso più raro e più alto,
cioè quello che informa le opere maggiori; ed ha ra-
dice nel Sublime. Di quest' ultimo uso, che tutte ac-
coglie le forme de' due precedenti, sarà lecito inda-
gare quello che ha di suo proprio rispetto a' diversi
svolgimenti dell'arte. E qui occorre una osservazione.
Uso vivo de' classici di tutti i tempi e di tutte le
migliori età, sarà sempre quello che pur contro la
voga modificatrice del presente decadimento, serberà
ancora la sua vitalità nell'intima struttura delle forme
che il tempo non avrà saputo correggere, né sostituire,
né emulare: peggio se dagli scriventi se ne affetta lo
spregio e l'oblìo, o meglio la ignoranza, quando le
sue linfe pullulano ancor fresche pe'margini dell'arte.
Stare al fiuto di questa o quella frase che i nostri
maestri in quel caso avrebber meglio preferita; attin-
gere dal greco o dal latino quel modo che non offende
il conio paesano, ma giova o bisogna allo stile; e ria-
47
novare, raffinare, levigare sempre una più netta e ri-
levata espressione: ecco il segreto de' nostri vecchi
e di chi vuole educarsi scrittore e stilista. Quanti de'
nostri fanno così? E daremo del vecchiume alle voci
classiche, sol perchè i novellini non le adoperano e
non le sanno, paghi della forma spicciola e vagante,
mentre il pensiero ne richiede un' altra più nobile e
più rara?
Non vollero i filologi recenti mirare all' arte e allo
stile nel ritrovamento o nel disseppellimento della lin-
gua classica: e fu assai male. 11 materiale delle voci
corre vario e diverso, anche se raro e difficile, per
emulare e seguire come per salienti note le molte-
plici parvenze e le adombrature e sfumature del pen-
siero; e dal continuo attrito di questo con la espressione
rispondente, emerge la struttura icastica e riflessa
della nuova forma letteraria, non meno snella ed ele-
gante anche se rara, e pur nell'artificio splendida di
armonia e di rilievo; una forma che il comune serba-
toio del popolo non può certo dare, e non può creare.
Pretendere che il balzello popolare e parlato entri
da per tutto, è lo stesso che ignorare i graduali e
svariati svolgimenti della parola; come 1' andar rac-
cattando il materiale della lingua soltanto per casali
e borghi della Toscana, è da linguaioli, non da scrit-
tori e da artisti. L'effetto è questo: quando questi si-
gnori hanno da mettere insieme i lor vocaboli anche
in una breve prefazione; quando questi magazzinieri
della lingua corrente sentono il bisogno di dare il
volo a qualche pensiero; riescono così miseri, incerti
e rattrappiti che fanno pietà: il lor periodo si muove
con le grucce, né c'è caso, quando non fanno in-
cetta di frasi e di riboboli, che scrivano eleganti o
almeno non pedestri. Lingua corrente oggi è sinonimo
di letteratura stagnante. Mi ricorre in mente una si-
militudine felice di uno scrittore vero e che non ac-
catta vocaboli dai soliti cenciaiuoli di frasi, ma de-
48
riva l'arte da una mirabile fusione del moderno e
dell' antico; e citandola mi piace finire: — E credo
che i manzoniani ridurrebbero l'Italia ad armeggiare
nella prosa con cinquecento vocaboli e uno stile, a
quel modo che i cinesi mangiano il riso con uno stec-
chino. (*)
(*) Carducci G. « Confessioni e Battaglie », pag. 47 — Bologna,
Zanichelli, 1890.
VI.
Vecchi e nuovi retori.
I PRODIGHI E GLI AVARI.
(eri gridavano a nome del realismo, e fu una
vera gazzarra di piccoli novatori per la gial-
lognola e rosea fiorita de' volumettini in el-
zevir. Oggi, minimi iconoclasti delle tradizioni del
passato, bestemmiano a nome della scie7iza, e scrivon
volumi molto più noiosi de' palinsesti. Ma già i vec-
chi romantici se la presero con moti non meno con-
vulsi contro il mitico Olimpo e 1' omerico Parnaso
della civiltà greco-latina; e le lor querule voci acui-
rono nel versatile ingegno del Monti i bellissimi sciolti
in difesa del classicismo. Non c'è che dire: nella evo-
luzione de' tempi è un assiduo far, disfare, rifare di
retorica più o meno bolsa, appiccicaticela, bituminosa.
Ma oggi i ribelli, intinti nel santo crisma del positi-
vismo, tentano demolire le granitiche rocche della
tradizione classica, e di ridurle in macerie , senza
neppure serbarne la memoria. È vero che i vecchi —
ce n'è rimasti ancora molti — sono i laudatores tem-
poris adi; ma i novellini sono anche più accademici
e intolleranti, con questo di meno, che gli uni ci la-
sciaron monumenti veramente degni di sopravvivere
al tempo loro, mentre gli altri, cibandosi soltanto di
sfoglie e tenerume retorico, non ancora hanno trovato
la lor via maestra. Piacemi assomigliarli nelle lor
guerricciole a' prodighi e agli avari della mirabile
4
terzina dantesca nel canto VII e tra il terzo e quarto
cerchio dell ' /«/<?;'«<?.•
Percotevansi incontro, e poscia pur li
Si rivolgea ciascun, voltando a retro.
Gridando: « Perchè tieni? » e: « Perchè burli? »
Così anche si dicon villania gli avari e i prodighi
del tempo nostro. Gli avari custodiscono gelosi il
sacro patrimonio intellettivo del passato , e m' han
l'aria di conservatori: i prodighi, fatto getto degli ideali
più santi e delle memorie più pure de' lor vecchi
maestri^ s'avventano leggeri e pretensiosi all'avvenire,
spesso raccogliendo ortiche e false margherite pe'
campi non ancora ben dissodati dalla giovane .>-cienza
del tempo, e si vantan radicali. Gli uni sono i retori
del passato, gli altri del presente. Ma intanto si questi
che quelli non mirano al graduai divenire de' fatti
umani. Non credon gli avari che vera spilorceria, che
miserevole grettezza è il tenere: non pensano i pro-
dighi che intemperanza e anche miseria è il gettare.
E negli estremi de' lor difetti si riscontrano spesso
sulla medesima via, e si rinfacciano a vicenda. Non
guardano alle immanenti leggi storiche e alla neces-
sità, pe' gradi diversi de' cicli succedenti, della co7i-
servazione e del progresso. Il presente continua il pas-
sato: nulla va perduto nel tempo.
Ora, il voler la soppressione incondizionata e si-
stematica di tutto l'antico, è illusione e audacia che
non iscusa la debolezza e il difetto de' tempi. Rispet-
tate, o ribelli, la tradizione, ma continuatela. Move-
tevi, o avari, verso 1' avvenire, pur mirando al pas-
sato. O prodighi e avari, abbracciatevi! Quando un'
organica evoluzione ideale ha percorsa tutta intera
l'orbita sua, non e' è ricorsi né richiami che la faccian
rigirare intorno a sé stessa: dee moversi in un'orbita
più larga, ma l'ultimo circolo dee comprendere, a sé
concentrici, gli altri tutti. É anche vero che quando
i novi retori si afTacciano, qualcosellina s' é mutato
nell'ordine delle idee e de' sentimenti: ma ancora non
è apparso il primo vagito del nuovo vero, ed é pre-
51
coce la tendenza di volerlo far naturare per forza e
immediatamente. Aspettate, sui confini dell'antico, la
nova incarnazione del Verbo, ma guardate innanzi. I
prodighi deWa. scienza, dell'arte, della poesia, ricordino
che non è l'ultimo germoglio dell'ultimo vero quello
che si manifesta nel primo embrione. Ogni svolgi-
mento ha bisogno d'una gestazione assai lenta. Quan-
do avrete trovato un punto medio ove le due forze
concorrano, cospirino, s'appuntino armoniche e inte-
gre, allora solo avrete trovato l'equilibrio tra il pas-
sato e il presente. Ma è miseria per gli uni e per
gli altri il farsi innanzi o il farsi indietro senza la
•concorrenza delle due forze. Sappiatele unire e conci-
liare, e allora soltanto sarete nel vero. Ma, intanto,
diamo posto, per ora, ai retori; facciam largo , pel
momento, a' prodighi e agli avari: essi son sempre,
■con tutti i lor difetti, i vessilliferi dell'avvenire!
'"^"==^
VII.
Alla ricerca di novi microbi
colerici. (*)
1^
NATURALE che, nel nostro bel secolo bor-
ghese, o, meglio, in quest'ultimo scorcio
di secolo di mercanti, l'utopistico ideale
della vecchia Enciclopedia umanitaria, debba prender
senso e colore nella materialità pratica della vita. I
frenetici Diderot del vecchia Francia son oggi diven-
tati operosissimi bottegai e industriali: al sacro foco
delle grandi battaglie ideali è sottentrato, nella scienza
e neir arte, il puerile fremito della libreria ciompa.
E già tutti, più o men volenterosi e bene intenzio-
nati a moltiplicare la futile ma nitida ed elegante
merce tipografica, si dan briga di offerire la venale
opera loro in soccorso del prossimo, che, secondo il
mosaico Decalogo, dobbiamo amare come noi stessi;
ma alle sante leggi delle dodici tavole si è oggi so-
stituita la farragginosa e nebulosa dottrina di^W al-
truismo. E perciò i nostri produttori altruistici stam-
pano, e i giovani nostri, provando un caro solletico
nella dolce parola, si piacciono più di belle edizioni
e di civettuoli elzeviri che non di ottimo e sano con-
tenuto. E così, dietro i confini dell'arduo e alpestre
monte per la cui china lavorano inosservati pochis-
(*) Il tono un po' troppo vivace di questo breve scritto mi In con-
sigliato sia dalla natura della rivista (Scena Illusirala), dove apparve la
prima volta, sia dalle miserevoli condizioni della giovane e venale gra-
fomania contemporanea.
53
simi Archimandriti del novo pensiero, molto più giù
e molto più lontano, in plaghe fiorite di cavoli marci
e dove son più noiosamente romorosi gli echi della
vita, di mezzo allo scricchiolìo e agli sbattimenti
delle piccole e delle grandi macchine industriali, si
agita, vola, fermenta e si spampana la minutissima
ma diffusissima merce libraria colla quale s'impartisce
il pane della scienza e dell'arte ai piccoli nostri bor-
ghesi, così sitibondi di luce come di assenzio, cosi in-
namorati del vero come di damine galanti e di cipria.
Essi, i produttori, di sulle quarte pagine o piccole
cronache de' giornali, e per le gingillanti vetrine delle
lor ditte dorate, gridano e strombazzano a' quattro
venti: — Avanti, o piccoli operai del pensiero, ve-
nite pure alle nostre officine , e dispensate , a pochi
spiccioli , il pane della cultura molteplice e inno-
vatrice. Venite, venite, o giovani promesse della patria,
e anche voi, o vecchi rimbambiti ma ancor gravi nei
grigi cernecchi della vostra dottrina, e rimpiccinite,
rammeschinite , mantrugiate , quanto più potete , in
minuscoli libricciattoli , la scienza , la poesia , l'ar-
te. Venite : qui troverete non pur la casa ma il
core aperto. — E così questi infiniti produttori uma-
nitari e altruistici fan la chiama pe' ginépri della cul-
tura, e sparnazzano la loro fecondità di mecenati novi,
per quanto non cesarei nemmeno nella forma della
prosa e nel metrico andamento de' versi. Avanti, o
produttori sommarughiani in ritardo, o béceri peri-
niani, o fossili sonzognani, o minerali hoepliani! Non
vedete? tutto il fremito produttivo e disinteressato
del cervello, é diventato un'industria! non per niente
questo scorcio di secolo é il più sfolgorantemente
progressivo di quanti ne vantino le vecchie istorie !
E proprio vero. Sempre lasciando stare quelle ra-
dissime eccezioni di scrittori che pure, di quando in
quando, aiutano del loro nome e di qualche lor librat-
tolo la speculazione librario-economica, oggi, la cultura
nazionale si é veramente convertita nell' infinitesimo
atomico della produttività. E così , col prodigioso
trasformismo dei tempi, ci moviamo verso V Aweriire!
54
Oh! non ricordate quel che dicono i produttori? Sen-
tite come strillano in piazza! Ascoltate: « Avanti, si-
gnori: per pochi baiocchi, eccovi il romanzo dell'Av-
venire. Avanti, signori: per pochi soldi, eccovi la
poesia dell'Avvenire. Avanti , avanti, signori: per
dieci soli centesimi, eccovi qua il gran dramma del-
l'Avvenire. »
Oh! sì, noi ci avviciniamo all' y4vve?izre , ma col
rischio di arrivarci come atomi impercettibili. E chi
sa che potrà diventare l'umanitti ventura nelle ato-
miche combinazioni della nostra povera specie disfatta!
Quali altre forme potremo allora prender noi? in linea
ascendente o discendente? saremo farfalle o sarem
vermi? sarem luce o polviscolo? astri raggianti o ne-
bulose? o rimarremo, per sempre, atomi erranti? Di-
telo voi, o dant'i?tiani, o speiiceriaiii, o evoluzionisti
dell'ultim'ora!
Prima la scienza era l'inestimabile tesoro di radis-
sime menti, e grandeggiava, con iscarsi sorrisi al
volgo degli ignoranti, ne' grandi volumi, negl'im-
mensi palinsesti che a' contemporanei fan venir la
vertigine, tanto li spaventano! E se voi, laboriosi
e indipendenti, li cercate, vi gridano contro: « An-
date là, menti incartapccorite, fossili polverosi, topi
da biblioteca, gente da palinsesti, e chi più n' ha
più ne metta. » Oggi, invece, su pe' detriti melmosi
e lungo il misero tritume delle vecchie scorie sedimen-
tarie della giovane scienza e della giovine arte, ven-
gon su, a miriadi, come nubecole, come infiniti eserciti
d'insetti invisibili, volumettini bacillari, microbi Ko-
ckiani di fogliolini volanti ove la scienza e l'arte
vedonsi trasformate néìV i?ifinitame?ite piccolo.
Qualche scrittore idealista vede qualcosa di questo
sfacelo, e colla fantasia ancor troppo pruriginosa di
solleticanti utopie e d'iridescenti promesse, grida a
nome de\VAvve?iire, e fa inviti all'arte russa, al ro-
manzo tolstoiano, perchè, con vigoroso innesto, ci
purghi e ci rinnovi. Il grido è forse sincero, ma re-
torico anch'esso, e non senza qualche avventataggine
di posa.
55
Oh! l'arte russa è grande, con tutt'i suoi difetti e
con tutte le sue anomalità, ma è grande in Russia, e
in Russia e negli scrittori russi noi l'ammireremo:
ivi è il terreno vergine di quell'arte vigorosa, non
qui. A noi manca ancora, e mancherà per un pezzo,
per più ragioni storiche ed etnografiche, il clima novo
dell'arte: per averlo ci conviene scavare, scavare,
scavare ancora, sinché non abbiam trovato nuove
sorgenti d'acqua nostra in nuovo terreno fecondo.
Allora soltanto, forse, saremo arrivati. Oggi no. Ci
conviene ancora tornare all'antico per mescolarlo alle
pochissime limpide scaturigini del novo, non come
pensiero sterile, non come vero puramente scientifico,
ma come forma d'arte immediata, spontanea, nazio-
nale, tutta nostra, e non mai riflessa, qua e là, da
svolgimenti che non sono e non possono esser no-
stri per leggi storiche. Quando noi eravamo grandi,
la Russia ancora non era nata nell'arte. Ora è nata
e vive d'una vita tutta sua e ben connessa a' suoi
problemi sociali e politici: lasciam dunque che ci
canti o ci narri le sue grandi ribellioni e che con
esse risalga'e ci rivalichi nel luminoso prisma dell'arte.
Noi l'ammireremo, e anche le farem coraggio nelle
rivendicazioni e nelle esplosioni, espresse non dalla
dinamite, che distrugge e non rinnova, ma dall'arte
che ascende e turbina. La cosa è degna di molto
più lungo studio, e noi, se all'ottimo direttore di
questa rivista non spiacerà, ci torneremo subito.
Ora come ora, siamo in fondo alla rupe Tarpea
dell'arte, ove giacciono i traditori della nostra gran
patria classica, quelli che han dimenticato i sommi
uomini nostri, i nostri vecchi, i nobili sognatori e ri-
creatori, che non morranno mai.
Siamo, oggi, proprio nel fondo; e il miserevole e
stopposo contenuto l'orpelliamo col nitor delle edi-
zioni e colla frangia sfolgorante delle novissime ditte.
L'aria è tutta appestata di microbi cholerici, e l'epi-
demia de' megalomani e grafomani giovani, perdura,
e durerà ancora, chi sa per quanto! Oh! non è meglio
che ci risani un buon lavacro di studi e di antiche
56
e sante memorie? O misere carcasse della poesia nova,
o lucciole erranti del romanzo e del dramma dell'Av-
venire, o giovani, o giovani, o giovani, tornate una
volta alle vive fonti del passato glorioso !
Il dottor Kock allarghi pure le sue nuove esperienze;
osservi nello scibile odierno, in questa cholerica epi-
demia intellettuale d'Italia , quanti novi strati bacil-
lari si trovino: ne faccia raccolta e ne riunisca i più
significanti per la scienza, sotto la sua campana di
cristallo; li conservi colla sua gelatina, e ascolti e
noti tutti i battiti di polso di questa povera e inu-
tile arte nazionale, e quanti minuti ancora le avan-
zino perchè raggiunga il finale esaurimento. Avanti,
o editori, o produttori: moltiplicate pure i vostri ba-
cilli, gettateli a' quattro venti, e sollecitate la fine di
questo secolo che muore. O scrittori giovani, sudate
e scervellatevi alla produzione de'microbi, e voi, scien-
ziati kokiani, esaminateli e conservateli. O editori e
produttori, avanti!
vili.
stampa periodica.
(l far gustare a spizzico e a centellini un po'
di cultura paesana , l'offerire a sbrendoli un
;^ zinzin di poesia e di prosa, di scienze e di
lettere, è certo una delle cause più dirette della fri-
vola e leggera grafomania contemporanea. Il giornale,
grande arnese della Riforma, importazione alemanna
e palestra di discussione libera e democratica, fu senza
dubbio un grande trovato del secolo decimottavo; e
in Germania e in Inghilterra, ove prima si svolse nei
fecondi attriti del pensiero e nell'animoso pugilato
della vita, conserva tuttavia la nobile sua tradizione:
informare il pubblico con dignità e sincerità di fatti
e di avvenimenti a lui utili o necessari, per avviarlo
o ravviarlo nell'opinione politica e seriamente erudirlo
nelle nove ricerche della scienza o delle lettere ; raffi-
nargli il gusto con l'arte; fornirgli una cultura gene-
rale a scanso di molti libri intorno a discipline non
proprie, e prepararlo a studi confacenti alle particolari
attitudini o competenze. E per questo difficilissimo
compito esso è affidato, almeno nelle riviste e ne'diarii
più gravi, ad uomini di larga esperienza pratica e,
con grande divisione di lavoro, a speciali studiosi di
materie diverse. In Inghilterra e in Germania il gior-
nale è grande preparazione alla vita politica, letteraria,
scientifica; onde furon giornalisti di professione gli
statisti più insigni e quanti di quelle classiche terre
maneggiarono l'istrumento delle lettere e furon scien-
ziati o poeti. Gladstone, il più grande statista inglese,
58
è un dotto commentatore e traduttore di Dante, come
la Regina Vittoria è una delle più illuminate sovrane
di Europa. In Francia particolarmente ed in generale
in tutte le nazioni latine o romanizzate il giornale ha
sempre avuto caratteri men scrii o temperanti per
essere stato ringhioso e battagliero. Come tale ebbe
però, prima e durante e dopo la rivoluzione, un grande
splendore nella feracissima terra del disquilibrio po-
litico; certo la Eìiciclopedia fu il più gran vivaio del
pensiero latino intorno ai dritti dell'uomo. Noi giun-
gemmo più tardi, e di tradizioni gloriose altro non
vantiamo veramente che la celebre Frusta di Aristarco
Scannabue ( Giuseppe Baretti ), il Politecnico di Carlo
Cattaneo, e la Giovine Italia di Giuseppe Mazzini: tre
meravigliosi focolari della nostra letteratura, della no-
stra scienza e della nostra libertà.
Il giornale ebbe nomi diversi: effemeride, periodico,
rivista, rassegna, monitore, avvisatore, bollettino, dia-
rio, gazzetta. Ora ci contentiamo di chiamarlo rivista
di scie?ize, di lettere e d' arti, con titoli eterocliti o
speciosi accennanti a progresso o a rinnovamento. La
più ghiotta e ricercata in questi ultimi tempi fu V ef-
femeì'ide ebdomadaria, cioè la rivista domenicale che
fu politica o religiosa, economica o educativa, lette-
raria o scientifica, tecnica o sperimentale. Veramente
la denominazione latina fu opera di preti o di frati;
anzi una delle prime origini di questo giornale fu
presso di noi fratesca; e, se vogliamo, que' periodici
che conservano anc' oggi una pedantesca cultura di
seminario, sono almeno più omogenei, certo men di-
sorganici. La Civiltà Cattolica, per esempio, velenoso
semenzaio gesuitico che ogni due sabati stilla a sa-
cerdoti e a chierici l'ombrosa e uggiosa sua cultura,
è scritta assai meglio di troppe riviste nostre, e la
compilano uomini versatili e dotti nell' ordine dei loro
principii. In Italia la cultura periodica non ha avuto mai,
59
air infuori di rarissime eccezioni, alcun vitale nutri-
mento di pensiero e alcuna utilità, che anzi ha spesso
danneggiato gli studi in quella sua facile e prolifica
moltiplicazione di sùbite vanità e di leggerissimi cer-
velletti, annacquati di stupida sapienza e di misero
orgoglio. — Dal '79 cominciammo ad avere la istru-
zione indomenicata per mezzo del Fanfulla, fatto al-
lora assai bene e compilato da gente seria e matura;
e di quello stampo avemmo, a dir vero, diverse do-
meniche letterarie, ma per poche stagioni: l'ultima fu
quella del « Fanfulla », che visse un anno, sotto le
vigili cure di Giuseppe Chiarini. In generale ebber
vita breve tutte: uno o due anni. Unico resiste il
Fanfulla. Povero Fanfullal Passato di mano in mano,
prima dall' Avanzini al Martini, indi dal Martini al
Checchi e ad altri vigilati o curati da lui, ora è diven-
tato un fantoccino a trastullo di giovincelli o di cre-
staie. Se in tutte le domeniche del Signore si voles-
ser contare le frivolezze le untuosità e le sgrammati-
cature di quei giovinotti, ci sarebbe da far penitenza
per molte e molte quaresime.
*
* *
L' Italia, a dir vero, può fare a meno del gionale,
non essendo questo un vero e necessario alimento
della sua cultura. Di fatti, esso ha ucciso il libro, il
quale è piuttosto un estratto più o men largo di ar-
ticoli, che non un geniale ed organico lavoro. E si
pensi che anche i migliori intelletti della Nazione han
facilmente obbedito a questo sminuzzamento del pane
della scienza, onde i libri che oggi si pubblicano m'han
l'aria di botteghe o, meglio, di bazar con più e più ge-
neri assortiti di nozioni e d'idee, a quel modo che
gli artisti mi paion tanti rivenditori di chincaglieria
o di vasi da notte. Le grandi eccezioni naturalmente
non mancano, come non mancano filologi e critici che
pur senza fare il libro producono studi brevi e in-
sieme originali. Ma la grande folla è tutta di chinca-
glieri. — Il periodico ha da noi perduto il vero suo
6o
obbiettivo: da istruttivo è diventato mercantile. Di
fatti, non gli scrittori ma son gli editori quelli che
lo avviano e lo mandano al corso sotto gli occhi e
fra le meraviglie dei cialtroni. Or quando l'interesse
di bottega entra nella cultura, è segno che questa va
esaurendosi o è nulla. E gli editori van cercando uno
scrittore pur che sia, e questi il più delle volte è un
giovine di ginnasio o di liceo già bocciato più volte
nell'italiano e nel latino, e che vuol vendicarsene
sgrammaticando nel giornale a dispetto o in barba dei
suoi professori. E non basta. L'editore cerca 1' articolo
che vada così e così, secondo la moda, cioè l'articolo
strano, arrembato, sbilenco e porco. È proprio così!
E l'impubere giovine lo fa perchè a farlo gli costa
poca fatica, cioè gli costa quella banale ignoranza di
tutto per cui venne mitriato di zeri negli ultimi esa-
mi di licenza. — Tutto codesto sembra uno scherzo,
e pure è la più santa verità. Potrei nominare almeno
almeno una cinquantina di giornalisti che dopo le
bocciature lasciaron la scuola : potrei nominarne pa-
recchi che vennero riprovati appunto nella storia e
nell'italiano. E son proprio costoro che ci ammanni-
scono sicuri e gravi ed insolenti la politica quotidiana,
la letteratura domenicale, la scienza quindicinale e
mensile. Non si può negare che da qualche anno il gior-
nalismo istruttivo vada sempre più decadendo anche
nella quantità della carta stampata: mancano quattrini
e mancano associati. In Italia non si legge più. E' un
gran bene. — Rimangono ancora, piuttosto stentate
ed anemiche, alcune riviste gravi, e forse ce n'è qual-
cuna che vive e si fa leggere. Troppo poco per un
popolo che ha più di trenta milioni di abitanti. Del
resto, tutto questo è un lusso di cui si può fare a
meno: pensiamo a comporre il libro per gli adole-
scenti, pei giovani, per la gente sennata, pei vecchi.
É quello che ci vuole.
Un' altra causa di questo decadimento o decresci-
mento della stampa periodica è la grande sporcizia
6i
od avarizia degli editori. Questi non pagano o pagano
assai male. I più non pagano affatto, onde lo scrit-
tore, poveretto, è costretto, anche se buono, a pregar
r editore di accettar gratuitamente 1' opera sua: egli
è trattato al di sotto del più vile artiere, perchè in
Italia, magna parens frugum, V arte , la cultura, la
scienza son la merce più inutile e più spregevole: un
saltimbanco e un giocator di bussolotti valgono assai
più di un letterato o di un poeta. Ora, non c'è opera
più preziosa di quella dell' ingegno. Ne convengono
tutti, ma son tutti pure d' accordo nel disprezzarla.
Che ne avviene? Lo scoramento in chi produce davvero,
e l'ambizione o vanità in chi produce male. E allora
una vera invasione di gente raccogliticcia si accampa
nella rivista, e scrive e scrive e scrive, per la irre-
quietudine nervosa di versar parole come fa del vino
l'ubbriaco, per la frollaggine cachetica e smaniosa di
chiacchierare e non di pensare, per la satiriasi della
posa, per istintivo egotismo, per vedersi annoverata
nella nobile caterva degli uomini stampati. La colpa
è dunque di chi tiene od alimenta queste case di
cultura: s'egli eleggesse meglio il lavoro e lo pagasse
benissimo, troverebbe disponibili assai pochi scrittori,
ma valorosi ed onesti; e questi , incoraggiati dalla
soddisfazione di vedere altamente apprezzato il loro
ingegno, darebbero il meglio dei loro studi, con pre-
parazione larga e insieme disinteressata, e più che
scrivere pel giornale scriverebbero per sé, e al gior-
nale darebbero quello eh' essi avessero già pronto,
frutto di lunghi studi e di laboriose ricerche. Scrivere
presto più e più cose esclusivamente pei periodici e
a fine di lucro è la cosa più immorale che esista, ed
è quello che abbiamo sempre visto in Italia; la mis-
sione dello scrittore è la più severa cooperazione del
pensiero nella più alta stima del pubblico. Ma è an-
che necessario che 1' opera dell' ingegno venga alta-
mente valutata quanto la più nobile delle professioni
e delle arti, come usa in Francia, in Germania e in
Inghilterra.
62
Dopo ciò tutto, dovrei sconsigliare codesta pubbli-
cazione periodica (*). Io invece amo incoraggiarla per
più ragioni degne, massime per queste. Primieramente
la cultura e serietà di chi la dirige inspira fiducia e
speranza: in secondo luogo, potrà, se compilata bene,
essere un antidoto contro molte altre consimili com-
pilate assai male; e finalmente perchè ogni cosa buona
è sempre utile se non necessaria. Noi vi coopereremo
non per blandire le piccole vanità dei giovani, ma per
farla fruttificare sempre in meglio, volgendo il pen-
siero alle sane tradizioni della patria letteratura. Noi
la vogliamo libera palestra di studi non volgari, pi-
gliando le mosse dall' antico, da quell'eterno vivaio
di pensiero e di sapienza nella luce dell'arte e nello
splendore delle forme, donde si volle in questi ultimi
tempi discendere per ismania di novità e per vii sol-
letico di vuota saccenteria. Vengan pure innanzi i
giovani migliori, con le fulgide fantasie degli anni
loro, col severo e pensato esercizio degl'ingegni baldi,
con l'agile e franco svolgimento degli animi liberi.
Ma innanzi tutto desideriamo sincerità di pensiero,
larga preparazione d' idee, grande educazione delle
forme e dello stile. Tutti i più grandi scrittori fecero
ancor giovanetti le prime loro armi con esperimenti
ancora un po' incerti, ma con le sicure attitudini a
diventar poi schermitori maestri. Però questo non dee
parere un' abile scusa pei mediocri o per quelli che
vogliono fare a mezzo. Ai buoni e ai volenterosi sol-
tanto dee aprirsi questo libero arringo; non agl'impo-
tenti. L'accolta de' vari commensali intorno alla lauta
imbandigione dell'arte dev'essere un libero e geniale
convivio del pensiero e della fede nei più alti destini
della specie: dev' essere un libero scambio di affetti
e di speranze, d'inspirazioni e di fantasmi, di dolori
e di gioie, per entro il ricco ordito della parola, in
una perfetta comunanza di veri e di aspirazioni, nel
(*) Questo studio servi di preludio a una rivista letteraria.
63
comune patrimonio delle lettere e delle arti. E come
gli scrittori eccellenti si cibano del pane intellettuale
e insieme lo dispensano, elargitori munifici, ai piccoli
e a' meno destri, così questi siedono a) medesimo
desco quali baliosi figlioletti sotto gli occhi e i sorrisi
dei padri e delle madri, come operai leggiadri o vispi
garzonetti sedenti a mensa con gli operai maestri. In
questa concordia di lavoro è il sommo dell'arte e della
scienza: tutti dovrebbero mirare con armonica dire-
zione di uffici a comporre i vari legamenti della com-
plicata struttura dell'edifizio intellettuale e morale, ma
con propositi fermi, con volontà vigorosa, con morali
intendimenti, con alacrità di vicendevoli esercizi. Tale
dovrebbe essere l'obbiettivo di una buona rivista. Io
auguro tutto questo all' amico Panbianco, di vero
cuore e con disinteressato amore dell'arte. Oh ! ben
venga intanto 1' opera sua direttrice a portare nelle
menti stracche ed afifralite da troppo lunghi ozi del-
l' anima un sorriso di consolazione e un lampo di
bellezza, òasi benedetta pel gran deserto dell' intelli-
genza. Ebe, la pagana dea della giovinezza, ci apporti
pure da un ignoto e vedovo sito la tanto desiderata
gioventù del pensiero e degli studi.
<\^i
IX.
Del metodo storico - evolutivo
nella Critica Letteraria.
1.
Inche i fenomeni letterari seguono le leggi
darwiniane. La storia contribuisce non poco
alla ricostruzione scientifica degli avvenimenti
o, diciam semplicemente, prodotti artistici. Ma basta
ella, la istoria, a saperci svolger le fila onde un dato
fatto letterario collegasi all'altro? può ella, la istoria,
metterci addentro nel macrocosmo della vita dei po-
poli? ci sa ella spiegare, di fronte al darwinismo, la in-
fluenza modificatrice su date civiltà di alcuni popoli
eh' han diversi e i riti e le costumanze e i caratteri
di razza? E pure, chi consideri l'arte come il reflesso
irraggiamento di tutta la vita psicologica, di tutto lo
spirito collettivo d' un' età, non può fare a meno di
considerarla sotto un aspetto men subbiettivo, men
preconcetto: quegli anche si studierà approfondirla
di fronte a' moderni progressi dell' evoluzionismo
darwiniano.
La teoria dell'evoluzione — nessuno lo nega — è
la più bella ipotesi scientifica di questi ultimi tempi;
ma ancor le manca altro e più ricco corredo di
dati e ricerche e nozioni perchè possa dirsi scienza.
Ma anche questa bisogna intenderla in un senso molto
largo e relativo, non potendo noi positivisti assorgere
mai, come i metafisici, alla dottrina dell'Assoluto. La
nostra scienza è perenne come la natura, e non può
soffermarsi o fissarsi assolutamente, né, come sotto
alcuni aspetti le matematiche, potrà mai dire d'essere
arrivata. La scienza può dirsi, come nota e scrive il
Barzellottì, un assottigliamento della umana ignoranza.
65
E però — io penso — stante queste troppo rigide
condizioni della scienza nostra, bisogna anche accet-
tare quella teorica la quale, più ricca di dati scientifici
o più solida di base, è, o si può dire, l'ultima ascen-
sion dottrinale del tempo. Ora, la teoria che più gi-
ganteggia nel campo delle scienze, è quella della Evo-
luzione: dunque accettiamola anche in Letteratura, e
vediamo se non ci sia dato spiegar con essa tanti fe-
nomeni artistici.
Le linee capitali della complessa dottrina darwiniana
si riassumono tutte in queste principalissime leggi: lotta
per l' esistenza, adattamento, selezione iiaturale, soprav-
vivenza del pili adatto, clima, trasmissiorie ereditaria,
atavismo. Ne tralascio qualche altra che, a parer mio,
appartiene unicamente alla vita zoologico-fisica, come
ad esempio la selezione sessuale, sebbene anche que-
sta, sotto alcuni rispetti, possa venir ammessa nella
scienza critica dell'arte. Ma come — potranno dirmi
alcuni ipercritici novellini — come possiamo noi let-
terati accettar nell' arte queste leggi ? Dobbiamo noi
svisare il carattere della sua storia? dobbiamo anche
noi esporci a' vaneggiamenti di certi filosofi positivi
che, credendo afferrar sempre il vero , vedon luce
dove è ombra? — Non si sgomentino, e vediamo se
ci potrà tornar utile anche nell'arte la teorica darwi-
niana (*).
(*) Gaetano Trezza, uno dei più insigni nostri filosod geniali e che
altri cliiaiuó, con felice appropriazione, il Renan d'Italia, fu il primo, se
non vado errato, che propugnò presso noi la dottrina della Evoluzione
anche nella Critica Letteraria. Le sue pagine della « Critica Moderna »
sono delle più acute, e rivelano un grande intelletto innamorato del vero:
son pagine dotte, brillanti, splendidissime, che si l'anno leggere perchè arti-
sticamente leggiad'^e, e che inducono a pensare. Anche n^lle altre sue
opere su Litcrejio e su Epicuro, nel Commento di Orazio, nei Saggi
critici e nei due bellissimi studi su San Vaolo e snW Origine delle Re-
ligioni, il Trezza fa mostra di tutte le attrattive dell'artista unite alla
arditezza dei concetti ed alla vastità della erudizione. Ingegno veramente
critico aveva pure il rimpianto prof. Ur;o Angelo Canello il quale, dotto
ed erudito, seguiva con giovanile entusiasmo la dottrina dell'evoluzione
anche applicata alle lettere. Peccato che il chiaro professore dell' Uni-
versità padovana ci venne tolto cosi presto mentre che più in alto ten-
deva il suo fervido ingegno!
Che in Italia, da alcuni giovani all'infuora, si cerchi applicare il
metodo darwiniano in Letteratura, non parrebbe: i critici migliori, pur
66
2.
La prima legge, eh' è fondamento delle altre, fu
formulata da Carlo Darwin nella ben nota frase:
lotta per V esistenza. Che per la esistenza — potreb-
bero osservarmi alcuni — lungo la scala zoologica,
lottino gli esseri organizzati , va bene; ma che vi
lottino anche le forme letterarie , ohibò ! nemmeno
per sogno. Oh ! certo, diversa è la lotta degli uni
dalle altre. E pure , anche le forme e i contenuti
letterari, a traverso i vari e diversi periodi della
nostra letteratura, subiscono una lotta, e quale lotta!
Le forme di ieri, esaurite, oggi non tornan più: son
sentenziate al museo; mentre alcune altre, le classiche
ad esempio, dopo lunghi contrasti o resistenze, sono
alfìn trionfate colla estinzione di elementi anche nuovi
o di altre, per dir meglio, funzioni artistiche, « A certi
termini di civiltà — così scrive un solennissimo cri-
tico e poeta, — a certe età dei popoli , in tutti i
paesi, certe produzioni cessano, certe facoltà organi-
che non operano più. La epopea intanto è sotterrata
da un pezzo: violare il sepolcro della gran morta
cancaneggiandovi su, anche se non fosse indizio di
svogliatezza depravata, non diverte. Il dramma ago-
nizza, e i troppi medici non lo lasciano né meno in
pace. La lirica, individuale com' è , par che resista,
e può durale ancora qualche poco, a condizione per
altro che si serbi arte » (*). Lottano, sì o no, le
forme letterarie? altrimenti come intenderne la scom-
parsa? o dobbiamo invece, come già in geologia, am-
mettere anche i cataclismi nell' Arte ?
ìl qui l'Evoluzione, come nota acutamente il Trezza
in un suo bozzetto critico (**), la quale compie il me-
seguendo attentamente il moto delle discipline sperimentali, ancor si at-
tengono al metodo cosi detto sloi-ico, né lascian trapelare, qua e là ne'
loro scritti, qualche accenno, pur menomo, alla dottrina della Evoluzione.
Egli è perciò che io ho stimato opportuno scrivere brevemente intorno
al nuovo metodo col quale studiare le produzioni dell'arte.
(*) Carducci, Confessioni e Battaglie, serie ], pag. 139. Roma 1883,
Editore Sommaruga.
(**) Trezza, Un vi^io nella critica contemporanea « Napoli Lette-
raria », Anno terzo. Nuova serie (numero sesto).
67
todo rigidamente storico, risalendo alle leggi che go-
vernano que' dati fenomeni letterari pei quali, scom-
parse certe forme, quelle che resistono son diversa-
mente atteggiate secondo le differenti condizioni am-
bienti, secondo la momentaneità , vorrei poter dire, del
clima storico, come il Trezza, coniando un'espressione
ardita ma efficacissima , avrebbe detto in tal caso.
Perchè, dunque, la epopea è sotterrata da un pezzo
ed è follia il volerla risuscitare ? perchè agonizza il
dramma? perchè la lirica, la sola lirica individuale,
accenna a resistere ? Debbono esservi leggi che go-
vernano tali mutazioni o scomparse; e quelle non ci
vengono se non dalla dottrina darwiniana: applichia-
mole anche alla Letteratura , e così vedremo o ci
darem ragione di certe apparenti sincopi, di certe
deviazioni, di certi movimenti onde si esplica, più
verso questa che quella parte, il processo storico-
dinamico della realtà umana, dell'evoluzione estetica
nella Scienza della parola. E la lotta per l' esistenza in
Letteratura ha da intendersi così: un lavorìo latente,
incessante, evolutivo, mercè il quale la elaborazione
artistica tende al miglioramento delle sue manifesta-
zioni estetiche, facendo anche getto di forme e con-
tenuti che, dopo non piccioli contrasti , sono stati
sorpassati da altre forme e contenuti più consentanei
al clima storico, all'ambiente attuale dell'arte. Che sia
cosi, porto un esempio: la lotta, storicamente famosa,
tra il Romanticismo e il Classicismo.
Due scuole, con intendimenti opposti , si conten-
deano il primato. La prima, secondata allora dall'am-
biente, non volle che fare un ritorno all' irrazionai
medioevo, ricostruendo i vecchi templi e i vecchi dèi,
e prediligendo forme e caratteri e colori che sono
appunto la negazione dell' arte. La seconda fece an-
che un ritorno al passato, ma all' antichità classica
greco-latina; e, da poi che quelle forme classiche —
sereno e limpido rispecchiamento dell'umanesimo ver-
gine e primitivo dell' uomo pagano — rispondeano
alle tendenze del risorgente ellenismo , esse , dopo
grandi contrasti ma con nuovi alleati, han presente-
68
mente trionfato delle romantiche. Anzi, guardando sotto
questo aspetto la Letteratura nostra, io dico che tutta la
storia del pensiero italiano si riduce alla lotta, poc'anzi
detta, tra il Classicismo e il Romanticismo, e fin dai
primordi di essa Letteratura. E la mia opinione non
parrà strana a chi consideri che i caratteri fonda-
mentali della nostra Arte della parola possono riassu-
mersi in una lotta, tenace e gagliardissima, che pos-
siamo osservare tra il misticismo medioevale e la
classica antichità, tra l'ascetismo e il paiganesimo, tra
il Medioevo e il Risorgimento. E in questa lotta non
vediam trionfare unicamente le forme — a queste sol-
tanto la vera e grande arte non si riduce mai — , ma
e i pensieri, e le aspirazioni sociali, e le passioni po-
litiche e civili, e così via. Sicché a me pare, se non
piglio errore, che la nostra istoria delle lettere può
ben definirsi come il progressivo ed evolutivo svol-
gimento della Rojnaìiità pagana nelle lettere, nelle arti,
nelle scienze, nel reggimento politico, traverso le te-
nebre del Medioevo; e, a seconda dello affermarsi di
essa romanità, 1' arte della parola assunse nuovi ca-
ratteri e forme.
A questo modo studiata la Letteratura, non ci sarà
più dato di osservare tante critiche strambe che vo-
gliono dare all'arte le più paradossali interpetrazioni.
Ma non bisogna esagerar troppo queste linee fonda-
mentali della nostra Letteratura relativamente alla
lotta poc' anzi accennata: limitare ad essa lotta tutto
il nostro movimento artistico, non basta. Di fatti il
darwinismo anche e' insegna che oltre la lotta, v' è
costante la conquista che gli esseri meglio organizzati
fanno nell' adattarsi a nuovi ambienti e nella naturai
selezione d'elementi nuovi. Bisogna anche osservare,
per mezzo della storia, quali elementi ci vennero di fuori
via: quali dal Germanesimo, quali dai provenzali o.
a dir meglio, dalle letterature neolatine in lingua d' Oc
e in lingua d' (9/7; e come queste mischianze forestiere
abbiano modificato in parte la fisonomia dell' arte no-
stra. Ma questi elementi non indigeni e che ci ven-
nero di fuori non ci debbono far perdere di vista il
69
disegno principale della nostra Storia Nazionale Let-
teraria che pur adattandosi, grado a grado e per be-
nefico influsso d'una civiltà nuova, a diverse condi-
zioni etnologiche e fisiopsichiche, prese le mosse prime
appunto dall'antico appropriandosi, lungo la sua via
un po' impacciata da sempre gravi ostacoli, di altre
sorgenti più moderne, più fresche e fecondamente re-
frigeranti. Largo e diffìcile è dunque il compito del
Critico evoluzionista per sorprendere, di mezzo ai la-
birinti del nostro svolgimento artistico, quelle leggi
storico - dinamiche colle quali mtegrare e fissare tutto
intero il disegno dell'Arte nostra,
3.
Selezione naturale, E la seconda legge darwiniana,
e consiste nel processo che ha la natura nella scelta
di quegli esseri i quali meglio cospirano al progres-
sivo ed evolutivo avanzamento della natura istessa.
Così anche in Arte. Le manifestazioni estetiche non
partono imjirovvise — come credono tanti — dal cer-
vello dello scrittore a quella guisa che Minerva, giu-
sta il mito, da quel di Giove, ma sono il portato, la
naturale emanazione dal clima storico dell'arte: sono
il portato spontaneo e incosciente di un dato mo-
mento, etnico e climatico, di civiltà. Che cosa è V Iliade
(V Omero? È la riflessione del sentimento poetico, nel
primo momento della civiltà greca, di un popolo che,
nella collaborazione e molteplicità rapsodica di mille
canti nazionali i quali ci rappresentano lo spirito collet-
tivo di quell'epoca felice, die fuori una poesia popolar-
mente spontanea e primitiva. U Iliade non fu la crea-
zione d' un genio; e i più dotti ellenisti meglio ne
assicurano che quella mirabile opera epica, per manco
di rigida unità nelle parti sue e per molte altre ra-
gioni, è l'opera uscita fuori della cooperazione di tutta,
si può dire, una civiltà, di tutto un popolo. E così
nascono tutte le epopee che segnano, quando primi-
tive, r età prima d' un popolo nuovo. « In questa
prima età, tutto il popolo — scrive un critico insigne —
fa la sua poesia, tutto il popolo la canta: l'epopea è
l'aureola della nazione, è come lo splendore che cinge
il castello de' gloriosi nel limbo di Dante:
un loco
Cii" emisj»erio di tenebre vincìa;
meglio ancora, è la fiamma e la luce che esce dalla
conflagrazione e dalla incandescenza dei vari elementi
del popolo che si fondono in nazione. Quella è l'età
barbara, l'età eroica, l'età divina » ( i ).
Non si può dir meglio. E qui il critico, quasi invo-
lontariamente, si sente come trasportato ad affermare,
senza volerlo, il principio della teorica darwiniana della
selezione naturale. Segno che la teoria è vera. E allora
come possiamo diversamente darci ragione di que-
ste epoche artistiche primitive senza far capo al dar-
winismo? — Dopo, quando la civiltà d' un popolo si
rende men rude e più raffinata, l'arte, come anche le
altre esigenze della vita, si rende riflessa e, sotto varii
aspetti, individuale; ma questa individualità bisogna
intenderla in un senso molto relativo, come, cioè, la
espressione propria e originale di chi scrive, ma che
ciò non ostante piglia dal tempo i caratteri, i tipi e
le mosse prime. È impossibile : o bisogna essere del
proprio tempo, o di nessuno; 1' uscirne è pericoloso,
per gli uomini di scienza e di azione. Il genio è ap-
punto quello che sa valersi delle forze del tempo di-
rigendole per vie migliori; ma non le crea lui/ espli-
care le attività acquisite non vale il crearle: ex nihilo
nihil fit. Dunque, è la natura naturalizzante, come di-
rebbe il De Domìnìcis, che crea gli ambienti e vi di-
rige lo spirito della collettività umana, secondo leggi
immanenti, eterne, durature. L'uomo è mosso, e l'at-
tività sua, originale e propria, non è altro che l'atti-
tudine che ognun di noi ha per incamminarsi più per
questa che per quella via, per respirare più questa
che queir aura del clima storico.
(*) Carducci, "Bo^^elti Crìtici e Discorsi Lelierari, pagg. 445-46.
Livorno, Vigo, 1876.
71
Guardiamo il Trecento. Ognuno, anche di secoli
da quello lontani, si ammira di quelle forme e di quei
pensieri, freschi e agevoli, ingenui e primitivi, sem-
plici e naturalissimi, quali un popolo, spontaneo e
primitivo , potea dar fuori. Oltre quel tempo non
possiamo più aver quel!' arte, quell'ingenua e soave-
mente infantile manifestazione del pensiero umano.
Ora, procedendo nella storia, che cosa osserviamo?
Osserviamo che l'arte, anche quella de' secoli poste-
riori, cerca sempre più di avvicinarsi, per una ten-
denza affatto spontanea, a quelle forme leggiadre,
cerca rinnovellare il gusto , omai guasto , di tempi
posteriori, rinfrancandolo e rinfrescandolo in quelle
chiare fresche e dolci acque. Quanto studio non han
messo i nostri, Alfieri, Parlili, Foscolo, Leopardi,
per produrre, su quegli esempii, come un rinnovamento
della nostra letteratura! quanta industria non si mette
da' migliori scrittori per formarsi su que' classici un
gusto proprio e corretto! Perchè non si son rimessi
in onore certi scrittori del quattrocento? perchè certi
altri del secolo decimosesto? Ecco, anche nell'arte
come nella natura, la selezione naturale, intesa come
la scelta, in tempi o periodi di ottimo gusto, di quelle
forme migliori atte ad essere rinnovellate e, salvo le
debite modificazioni, rimesse in onore.
Anche nella morfologia delle lingue una lettera,
una consonante, una sillaba, non son messe a caso
in quelle date o combinazioni od accoppiamenti, ma
seguono una legge di articolazione fonetica rispon-
dente a quel gusto o a quel senso di armonia che un
popolo, più o men culto, più o men raffinato, si è
andato formando nel corso di molti secoli. Questo
della morfologia delle lingue e della parentela che
esse hanno fra loro , è uno studio fecondissimo di
trovati e di leggi , studio che, per quanto poten-
temente coltivato nella Germania, è presso di noi,
se ne togli l'Ascoli, il Flecliia, il Rajna e qualche
altro, quasi negletto. Ora, se le lettere, le vocali, le
sillabe, le consonanti, hanno una disposizione storica
e naturale nella struttura della parola, che dire di
certe forme più ampie e più larghe, di certe frasi, di
certi costrutti, di certi reggimenti? che dire di tante
forme attinte da lingue straniere e di certi nessi
sintattici che sono inerenti alla intelaiatura del nostro
periodo ? Uno studio comparativo fra le lingue clas-
siche propriamente dette (la greca e la latina) e le
lingue neolatine ( italiana , francese e spagnola ) ,
come fra queste e quelle altre appartenenti al ceppo
propriamente germanico; uno studio comparativo, dico
fatto secondo i dettami della dottrina della Evoluzione,
ci può mettere in grado di disaminare le ragioni mor-
fologiche di costrutti e forme che non seguono af-
fatto i capricci dello scrittore, ma hanno una origine
storica e naturale. Ogni letteratura ha dei processi
evolutivi, e obbedisce a tutte le leggi della Evolu-
zione, non ultima delle quali questa scelta naturale
di forme, dizioni, costrutti e suoni, non che di ele-
menti psicologici, che una civiltà, nella progressione
sua, raccoglie e si assimila nel suo cammino.
4.
La terza legge è quella d^W Adattaviento, anch'essa
importantissima, e dipende e si fonde con quella so-
prammentovata della selezione naturale. Abbiam detto
che le letterature non emergono da' capricci degli
scrittori, ma sì dallo ambiente, e che seguono e per-
corrono diversi periodi secondo che quello diversa-
mente le plasma o ne accomoda la fisonomia.
L'arte — già lo dicemmo — è la riflessione della
vita, di tutta la vita, di un popolo. Ora questa non
è sempre la stessa, salvo i fondamentali caratteri della
medesima. Non è vero adunque ciò. che dice l'Ali-
glliei'i nella sua stupenda terzina:
\on è il monJan rumore altro che flato
Di vento, cli'or vien quinci ed or vien quindi,
K muta nome, perchè muta Iato.
Ne' culti, nelle aspirazioni, nelle tendenze, ne' bi-
73
sogni, ne' reggimenti politici la vita umana, pur re-
stando la stessa ne' fondamenti , prende diversi moti,
si allarga, si espande, si continua sino a tale uno
stadio, che non è più quella di prima. Chi oserebbe
affermare la vita di mill' anni fa, essere la stessa di
quella che trascorriamo oggi? Ora, sorta una nuova
vita, sorgono per necessità esigenze nuove; e lo spi-
rito umano che la investe tutta, perchè si manifesti,
non può essere più contenuto nella breve orbita di
quelle forme e di quelle manifestazioni nelle quali
poteva adagiarsi la vita psicologica del passato.
Il dramma umano si ripete ne'secoli, dicono tanti.
È vero: l'uomo essendo sempre e in fondo lo stesso
ne' suoi vizi e nelle sue virtù, la Commedia umana è
fondamentalmente identica. Ma, se molti alberi hanno
nelle profonde pieghe del terreno le istesse radici,
non perciò tutti distendono i medesimi germogli a'
soli novelli. Bisogna guardare non solo le radici della
vita, ma anche, e più, il suo esplicamento, il suo pieno
svolgimento, il suo continuamento progressivo. Così,
cambiando la vita, anche le forme hanno bisogno di
seguirla nelle permutazioni sue. Pensiero e forma na-
scono a un parto: sono gemelli. Non è vero che il
pensiero si presti solo a essere rappresentato colle
medesime forme, ma ha bisogno di altre meno di-
scordanti da quella organica e primigenia colla quale
esso ci si è andato determinando nella mente. Di qui
il bisogno di forme nuove. Allora, quelle forme an-
tiche che possono adattarsi al nuovo ambiente sociale,
sopravvivono: scompaiono quelle altre che non pos-
sono acconciarsi a un nuovo adattamento. E qui os-
serviamo due specie di adattamenti. Nel primo abbiam
la trasformazione di certe forme già vecchie che pren-
dono diversi atteggiamenti, diverse combinazioni mor-
fologiche nella struttura organica di un' arte nuova.
Nel secondo abbiamo, invece, la genuina riproduzione
di forme già vecchie. Ma non sempre ci bastano i
materiali preesistenti; e allora vengon fuori forme af-
fatto nuove che il pensiero trova oltre i confini del-
l'antico, adattandole, secondo il genio paesano, alla
74
natura del proprio linguaggio , dell' arte nuova e
propria. Questa legge di adattamento venne anche
riconosciuta dagli antichi: ad esempio, da Orazio, nel
suo notissimo: Multa renascentur quae jam cecidere.
Le condizioni d' un nuovo pensiero hanno dunque
bisogno di nuove forme organiche che meglio lo rap-
presentino. Possiamo, alcune volte , rappresentare il
pensiero nostro con forme già vecchie; ma in questo
caso, siam costretti a prendere, non la via più diretta
e più breve, ma la più lunga e meno acconcia alla
rappresentazione artistica , adoperando, cioè, circon-
locuzioni e lungaggini, che il più delle volte lo tra-
visano o ne guastano l'organica espressione.
Il pensiero, nella sua rappresentazione, ha tre valori:
stoi'ico, estetico, musicale. Il valore storico è quello che
determina e raffigura il pensiero individuandolo nello
stampo suo proprio , nelle caratteristiche peculiari
della vita psichica che lo produce. Ogni pensiero
dee avere questo stampo, questo particolare suggello
storico: altrimenti si è fuori dell'attualità artistica di
quel dato periodo letterario che lo plasma e rileva.
Il pensiero latino nell' età augustea ha dei caratteri
che mal si possono ravvisare nelle età posteriori, ca-
ratteri che si delineano nelle predilezioni di colori,
di figure , d' imagini, di fantasmi, di sentimenti, di
costrutti, ecc. 11 valore estetico è insito nelle partico-
lari maniere della rappresentazione artistica , rispon-
dente alle particolari condizioni e attitudini che ha
un'epoca letteraria di guardare il vero secondo le sue
percezioni e intuizioni estetiche. Il valore musicale.,
infine, sta nell' armonia della parola e della forma,
armonia ch'è pur rispondente all'acustica di un dato
popolo, che ha gusti anche speciali nel gustar quella
e nel ricercarla.
Ecco sotto quali manifestazioni molteplici bisogna
considerare 1' adattamento in letteratura. La scienza
della parola dee obbedire, sopra a ogni cosa, alla
legge di adattamento , perchè tutte le arti sono tra-
smutabili per mille e diverse guise: esse rispecchiano
lo spirito, i gusti, i sentimenti, le predilezioni di una
75
data civiltà e di determinate fasi di essa. Senza
questo olimpico sguardo, la letteratura non sarà mai
scienza, ma semplice trastullo e giuoco d'uomini che
vogliono, con diversi materiali ed instrumenti, passar
da questa a quella manifestazione, da questo a quel
rappresentamento del bello e del vero.
E non le sole forme hanno bisogno di adattamento,
ma anche la psicologia, diciam così, ond'è informata
la vita ideale d'un dato clima storico. Quel sostrato
di pensieri, che cade sotto lo incalzare progressivo
e incessante de' tempi, non ha più ragion di esistere,
e l'arte anche lo rigetta, a quel modo che s'ispira a
quel mondo d'imagini, d'intellezioni e di fantasmi che
è bene risuscitare e che desta anche negli uomini
presenti curiosità viva e diletto. Il Risorgimento, che
dall'umanesimo greco e dalla rigidità sana e plastica
del mondo latino molto derivò di pensieri e di forme,
seppe renderci di quella vita, non l'elemento caduco
e transitorio che, sorpassato dalla evoluzione, venne
seppellito colla caduta di quelle due grandi civiltà,
ma sì quegli elementi superstiti che sempre afferma-
rono il perenne loro immanere nella ricomposizione
di civiltà nuove e moderne. Tutta la realtà cosmica
consta, adunque, di conservazione e d' innovazione.
Come nella crosta geologica anche avanzano strati
tellurici che son destinati alla composizione di nuove
agglomerazioni e combinazioni sismiche, e come nella
scala zoologica molti esseri, per ragioni di adatta-
mento , han resistito alla forza di nuovi climi e di
nuova posizione geografica nel globo ; così anche le
manifestazioni artistiche di civiltà passate e tramon-
tate, secondo regolari adattamenti, si possono ancora
conservare e fondere con elementi innovatori che
determinano e acconciano i lineamenti antropologici
di un dato popolo e di una data civiltà. E come non
tutti gli esseri sono suscettibili di adattamento, il
perchè quelli che non lo sono, scompaiono affatto
dalla terra; così anche tutti quelli elementi letterari
che mal si adattano al nuovo clima artistico , spari-
scono pur essi, per essere sostituiti da altri più gio-
venilmente durevoli e più resistenti alle condizioni
cambiate del nuovo ciclo letterario.
5.
La — Sopravvivenza del più adatto — ■ è la quarta
legge darwiniana che anche osserviamo, e in grado
mirabile , in Letteratura. Di fatti — lo abbiamo ac-
cennato di già — non tutti i tipi letterari possono
resistere alle innovate condizioni dell' arte : alcuni
scompaiono e altri resistono secondo la legge succi-
tata di adattamento. Ma in Letteratura v' è sempre
la sopravvivenza del pili adatto F Certamente è fuori
di dubbio. E allora, dopo l'aureo Trecento, con qual
processo evolutivo incontriamo il periodo degli eruditi
e de' classicisti? e come va che, dopo l'elegantissimo
Cinquecento, c'imbattiamo nelle originalità strane del
Seicento? La difficoltà par grave, ma non è. L' un
secolo e 1' altro furono di preparazione: il primo al
fecondissimo ma non originale Cinquecento, e l'altro
al movimento letterario de' secoli di poi. E ognun
sa che nei periodi di transizione o di preparazione,
quando da forme già esaurite si passa ad altre piìi
fresche e più recenti, l'arte accoglie anch'essa, nel-
r embrione delle sue prime faccettature e de' suoi
primi lineamenti , le adombrature non ancora chiare
e determinate del nuovo periodo letterario che sta
per venir fuori. In un altro nostro scritto, anche pub-
blicato su questa « Rivista » (i), accennammo più
largamente a' periodi o cicli storici di fronte all' e-
voluzione; il perchè ci dispensiamo di ripeterci o di
prolungarci qui. Laonde quel regresso in Letteratura
è invece tutto apparente e illusorio, essendo esso la
preparazione di due nuovi e particolarissimi periodi
letterari che, secondo il progresso embriogenico e di
differenziamento dalle passate condizioni letterarie, si
(1) (>HBccHiA, Le fnrma'^ioni storiche e il così detto periodo delle
inlermilten^e secondo i dettami della filosofia. « Rivista di Filosofia
scientifica », marzo-aprile 1884, voi. Ili, n. 5.
n
affermano in forme apparentemente false o balzane.
È inutile sbraitare, come fanno i retori e i pedanti,
intorno al Seicento. Oh, non vedete ancora, di mezzo
alle stranezze di questo secolo, la tendenza del pen-
siero, soffocato e impedito nel passato dalla tirannide
politica e spirituale, ad assorgere a più larghi e liberi
voli? Quella esuberanza di pensiero, di fantasmi e d'ima-
gini, non trovando un acconcio alveo nel quale con-
tenersi, sforzò le forme e, sotto le mentite seduzioni di
originalità, die' nel goffo e nel manierato. Sotto questo
solo aspetto può studiarsi il Seicento. La Riforma,
oltre alle solitarie e ardite speculazioni di Vico e alle
genialità di Gralilei e d'altri nostri, avea svegliato gli
ingegni i quali , nei due secoli precedenti e special-
mente nel pontificato di Leono X, non si erano del
tutto desti; ma liberi alfine dalla servitù ideale, sen-
tirono come il bisogno di espandere prepotente-
mente le attività loro. Ciò che prima fu contenuto,
ruppe gli argini. Anche il popolo italiano sentivasi
libero, quand'anche avesse dinanzi gli occhi il rogo
di Giordano Bruno e una più terribile tirannia spi-
rituale: la Riforma gli aveva rifatto la fibra. E come
la servitù nostra fu più intensa, così nella libertà
ideale si oltrepassarono i limili, e fu la licenza: nel
pensiero e nell' azione. Quest' eccesso di libertà di-
venne addirittura un morbo, come avviene di que'
giovani che, liberi appena da un troppo lungo ritiro,
si sfrenano assai licenziosamente nel piacere e nella
voluttà. Così nel seicento.
Andiamo oltre. Ma v' ha sempre la sopravvivenza
del più adatto? Oh perchè no? E si noti che io am-
metto anche nell'arte, come già in tutto, un perenne
progresso: per me non esistono né sospensioni né in-
termittenze.' la vita si evolve e si continua sempre
progressivamente. La sopravvivenza del più adatto —
dico seguitando — ha da intendersi anche come la
sopravvivenza in arte delle forme migliori e più adatte
al nuovo momento storico - letterario. E allora, furon
migliori le forme dell'Aretino e de' mille petrarcheg-
gianti del secolo che, come disse l 'Alfieri, delirava?
78
Adagio. Migliori, apparentemente, non furono; ma
anche in quel cozzo ibrido d' imitazioni e di rifaci-
menti, di lascivie e di escandescenze, di smancerie e
d' influssi non buoni venutici d'oltr'alpe, l'arte, pas-
sando pel crogiuolo di quegli elementi informi, an-
dava preparandosi a forme men scabre e più pulite,
men diffìcili e più correnti, men fìsse e più moderne,
meno uniformi e più recenti: il che fu vanto dei secoli
di poi. In questo secolo, dunque, balzan fuori i linea-
menti primi di un nuovo periodo letterario nel quale
saran grandi il Gozzi e 1' Alfieri, il Parini e il Fo-
scolo, il Monti e il Leopardi, se ci si potrà permet-
tere di far cominciare dal Ciozzi insino al Manzoni il
momento più saliente del periodo summentovato. Ma
soffermarsi unicamente alle forme — 1' ho detto più
volte in questo scritto — è come considerare la cri-
tica da un solo de' due lati: la critica, vo' dire,
scientifica.
Guardiamo ora il pensiero, la vita psicologica di
quel secolo strano. Fu il trionfo della voluttà, anzi
della brutalità, dicono alcuni. Vo' ammetterlo. Ma que-
sta voluttà è appunto quella che constituisce, fin dal
primo scomparire del medioevo, la scaturigine delle
più vere e delle più grandi ispirazioni artistiche. E
chi sorprende nella storia dell' arte nostra lo svolgi-
mento di questo paganesimo determinandone i carat-
teri e gli stadi evolutivi, quegli ancora saprà darsi
ragione, colle leggi darwiniane, di tanti e così com-
plessi fenomeni letterari. E sappiasi come nel Seicento
quella esagerazione della voluttà che si infiltrò in tutte
le pieghe della vita sociale, la licenza e la sfrenatezza
del pensiero e dell' azione , hanno da considerarsi
come elementi preziosi per meglio determinare le età
storiche posteriori.
A noi pare che anche questa legge della soprav-
vivenza del più adatto possa esserci guida sicura, nella
storia critica, per interrogare le ragioni intime di certi
svolgimenti, di certe forme, di certi tipi e anche di
quei gravi difetti che siam usi osservare nei tempi
di preparazione o di passaggio a un nuovo periodo
letterario.
79
Cosi considerato ogni corso della nostra Letteratura,
essa ci parrà non una serie di piccioli organismi senza
alcun addentellato fra loro, ma un grande, un solo
mirabile organismo che si continua eternamente, e del
quale tanti cicli letterari altro non sono che semplici
sue funzioni in cui circolano le attività complesse di
una vita sola, la vita del genere umano tutto quanto.
6.
L'azione del clima o dell' ambiente sulle forme or-
ganiche non fu forse abbastanza considerato da Carlo
Darwin; ma le ricerche recenti dei naturalisti che ne
seguirono e ne completarono la dottrina, hanno dato
vita ad una scienza nuova, alla Mesologia, che studia
le relazioni degli esseri con le condizioni fisiche ed
organiche, in mezzo alle quali essi vivono. Noi dob-
biamo dunque applicare una quinta legge, quella del
« mezzo esterno », alla genesi ed alla evoluzione delle
forme artistiche. Più sopra abbiam diverse volte par-
lato di « clima storico », di « ambiente letterario »,
e così via. Ora il clima artistico altro non è che l'at-
tualità o, diciam meglio, la temporaneità della evolu-
zione letteraria, mercè la quale il senso estetico di
un popolo, in dato periodo della civiltà sua, si adatta
e atteggia con speciali e differenti caratteri o tipi. La
elaborazione artistica attinge il suo contenuto dalle
particolari condizioni dell' ambiente letterario che i
rivolgimenti politici e sociali, i culti e costumi diversi,
non che le diverse predilezioni o affezioni psichiche,
hanno formato e predisposto. Uno scrittore, che la
materia piglia fuori del proprio tempo e che s' inspira
a fantasmi e a sentimenti che son fuori dell' orbita
di evoluzione che percorre il suo momento di ci-
viltà, non sarà artista mai, né poeta. E come, in
determinati cicli storici, balzano fuori manifestazioni
recenti o anche altre già vecchie, ma diversamente
plasmate o atteggiate; cosi anche certe altre cessano,
non operano più.
So
Certo, alcuni monumenti antichi possono rifarsi, ma
ricopiandoli quali essi sono o ci venner tramandati
dalla più lontana antichità; ma arrogarsi il compito
di costruire, con nuovo e attuale ardimento architet-
tonico, un monumento che pur abbia quei tipi o quelle
linee, non è da noi: farlo, sarebbe come un tra-
visare la grande arte antica, non avendo noi né
quelle predisposizioni estetiche, né quell* intelletto
artistico. Oggi, ad esempio, si vuole ricopiare la eccel-
lente arte pompeiana, e molti edifizi ho visto di stil
pompeiano: ma questi altro non sono che un sem-
plice, nudo, genuino rifacimento di questo genere di
architettura classica. Che sia così, possiam vederlo in
certi restauri di antichi tempii, anche di quelli del
Rinascimento, i quali son così povera cosa e fanno
così grave contrasto con la vera architettura classica,
da non dar luogo a confronti. Se 1' uomo d' oggi —
la ragione è tutta qui — si ostinasse a formare un di-
segno tutto suo in quello stile, non farebbe opera né
antica né moderna. Né ciò dipende solo da inferio-
rità artistica nostra, ma sì da diversità di clima sto-
rico-estetico. Come in tutte le altre arti, così anche
in letteratura.
Ognuno studia ed ammira quel grande capola-
voro dell' arte nostra che é la Divi?ia Commedia. Ora,
provatevi a rifarmi quella poesia della vision teologica
del medioevo! L' uomo d' oggidì potrebbe tollerare
più un viaggio, come quello, nell'Inferno, nel Purga-
torio e nel Paradiso ? potrebbe aver interesse, come
già l'uomo del medioevo, a vedersi sfilar dinanzi e
quei personaggi e quelle fantasmagorie? — Certo,
noi ammireremo sempre la Divifia Coìnmedia come
lavoro d' arte, ma nella olimpica serenità, nella re-
gione elevata della storia letteraria; la leggeremo e
la daremo sempre allo studio de' giovani, ma per ciò
che è permanente e duraturo nell'arte. E però quella
che io direi fisonomia attuale e temporaneità di un'
opera d'arte antica non possiamo tollerarla più: si è
esaurita, si é divelta dalla vita nostra.
Ciò prova, e in modo incomparabimente efficace.
che è il clima storico quello che acconcia, rileva e
trasforma, come sur un rilievo plastico e trasmuta-
bile, la fisionomia nei molteplici prodotti di un dato
periodo di civiltà. Legge immanente, necessaria, im-
portante, senza della quale, ma fuori della fissità e
dell'esclusivo assolutismo della vecchia scuola retto-
rica, non possiamo assorgere mai a quella universa-
lità sintetica che tutte abbraccia, nella immensa orbita
dell'arte, le produzioni estetiche o le riflessioni, in
date epoche della umanità, dello spirito umano e
collettivo nella perenne , evolutivamente progressiva
ascensione sua.
7.
I caratteri e le forme sviluppatesi per relazione
naturale nella lotta per la vita, quando si adattino al-
l'ambiente, vengono trasmesse per la legge di ere-
dità, non si esclusivamente però che non possano
altri caratteri antichissimi resistere lungamente e una
volta scomparsi ricomparire per un ritorno atavico.
Trasmissione ereditaria ed Atavismo son dunque due
leggi evoluzionistiche che si completano a vicenda e
s' integrano in una sola. Anche in arte od in lette-
ratura ogni nuovo fenomeno non comparisce come per
incanto, senza avere un addentellato nei fenomeni let-
terari od artistici precedenti. Quel mondo ideale, col
quale l'artista plasma e rileva le figure sue, ha ben
più alte scaturigini che non sian quelle che si van
determinando nel cervello dello scrittore o nel clima
estetico, del tempo suo. Il pensiero non prorompe vi-
sceralmente originale dalla mente di chi scrive come
un prodotto nato per generazione spontanea. Il cre-
dere alla esistenza di uomini provvidenziali, fatali,
olimpici, che abbiano la forza di scuotere e di abbat-
tere fin dalle fondamenta tutto l'edifizio, storico e so-
ciale, del proprio tempo, è una chimera non più cre-
duta anche da quelli che la propugnavano calorosa-
mente molti anni fa. Ammiriamo l'ingegno anche nelle
sue proporzioni colossali, e anche ammettiamo, non
6
82
la fatalità, ma la eccezionalità dell'ingegno istesso. E
insieme ammettiamo pure che questi grandi uomini,
questi uomini provzndeiiziali, come li chiamerebbe con
frase teologizzante Ruggero Bonghi, debbono essere
del proprio tempo e sollevarsi ad una sfera che per
quanto elevatissima, ha pure moti periodici in armo-
nia col proprio centro. Se essa si sposta dal centro
suo, va in dissoluzione. Anzi , quegli uomini che, o
per anormalità psichica o per ambizione soverchia,
si allontanano troppo dall'ambiente nel quale debbono
vivere, sono colpiti presso i contemporanei e presso
i posteri dall'inesorabile oblio. Questi uomini in disar-
monia col proprio tempo si dicono « spostati », anzi
oggi meriterebbero un altro aggettivo felicissimamente
formato dal nostro Lombroso: quello di « mattoidi ».
Tanto è influente la forza del proprio tempo che ci
investe in tutte le pieghe, diciam così , del cuore e
dell'anima! Il perchè tutta la vita psichica d'un tempo
ha le sue predisposizioni nel passato che 1' accomoda
e ne determina le mosse future. Ogni fenomeno si
lega coll'altro: vi si continua, vi si concatena. Se voi
mi togliete, nella vita cosmica tutta quanta , questa
continuità perenne di attività e di moti ; se voi mi
rompete nella connessione necessaria de' differenti
cicli storici, quell'intimo e attuoso legame che coor-
dina una realtà storica coU'altra; la vita, cui interdite
d'andare avanti e di congiungersi nei vari elementi
suoi, non ha più ragion di esìstere.
Ora, questa continuità di bisogni, di ricerche, di
esperienze, di trovati, questa grande e perenne con-
tinuità costituisce la essenza e consistenza psichica
della vita umana. Ciò anche nell'arte. Guardiamo, ad
esempio^ dopo il Mille, i primi vagiti dell'arte nostra,
i quali, dalla sirventese de' provenzali che andavano
ramingando in questa e in quella corte e in questa e
quella regione, insino a' canti erotici che, sull'esempio
della poesia trobadorica, comparivano in rozzo dia-
letto nella Marca Trevigiana e in altre contrade del
settentrione, nella Sicilia, nella Toscana, ci rappre-
sentano il momento primo della storia letteraria ita-
I
83
liana. Discendiamo a' tempi di Dante seguendo la
evoluzione di quell' arte che prendea la inspirazione
dalla voluttà [el gai saber), per quindi assorgere nella
Commedia Divina a quelle forme poetiche, gigante-
sche e colossali, in cui l'umano e il divino, il mistico
e il sensuale, il passionato e l'ascetico doveano in-
trecciarsi mirabilmente in una splendida unione di
fantasmagorie e di voli; seguiamo questa evoluzione,
col processo medesimo, nelle altre provincie della
Letteratura nostra, e ci daremo ragione di questa
grande continuità ereditaria anche nelle estetiche ma-
nifestazioni.
Nulla va perduto nel tempo : pur le più piccole
tracce che, nel lavorìo dell' arte, lascia e trasmette
un' età scadente, anche originaria, hanno una in-
fluenza nella estetica elaborazione delle età posteriori.
Vo' qui riferire le parole di un nostro critico insigne
il quale afferma, come non si potrebbe meglio, questa
importantissima legge della eredità. « Nulla va perduto
nel mondo, scrive Giosuè Carducci: non 1' orma de'
misteriosi augelli primitivi su 1' arena di tanti secoli
che s'è fatta pietra, e né pure, quel eh' è più mira-
bile , lo sfiorar dell' ala della fantasia umana su le
brume del passato sfumanti in vetta alla montagna
dei secoli. Ma 1' uomo non bada. » (*) E a proposito
di quanto noi dicemmo più sopra, come suggello del
nostro dire, vo' anche riportare le parole di così gran
maestro. « Né una lingua , né un sistema di poesia
si trova o si crea da un uomo, e immaginatelo quanto
volete grande e potente. Come l'accozzo degli atomi
nel sistema di Epicuro , una infinità di elementi ap-
pena percettibili , e combinazioni variatissime , ed
esperimenti e mutazioni e innovazioni succedentisi
per lo più senza nome e senza storia , compongono
la prima età di una letteratura: ma le forme ci sono
già tutte , quando viene l'uomo fatale che sebbene
non le abbia create egli, perché nulla si crea, pur le
(') Garducui, « Studi Letterari » pag. 26, Livorno, Vigo, 1870.
84
fa immortali nella sua gloria » (*) Per i darwiniani
(e chi non l'è oggi?) il processo è evidente. In ogni
periodo letterario, per ragioni ataviche od ereditarie,
ogni produzione artistica, risalendo sempre nella storia
dell'arte, può sminuzzarsi all'infinito sino a sorpren-
derne gli elementi, informi e appena percettibili, del
suo momento primo ed embriogenico. Nell'arte, come
in tutte le manifestazioni biologiche, non vi ha cata-
clismi o avvenimenti improvvisti, ma tutto s' esplica
e si determina dopo una lunga e precedente gesta-
zione , per le mille attività trasmesseci dal passato.
Queste, a parer mio, le linee capitali del metodo
storico - evolutivo in Arte del quale fu in Italia valido
propugnatore il Prof. Gaetano Trezza. Se non che —
e qui mi diparto alquanto dal dotto filosofo — a me
non pare che, nelle condizioni vigenti della Critica
nostra, possa ancora applicarsi, con felicità di risul-
tato, a tutte le manifestazioni della vita artistica ita-
liana il metodo summentovato, il quale, perchè possa
felicemente generalizzarsi, ha bisogno di un profondo
sostrato nella ricerca e indagine storica fatta con me-
todo rigidamente critico e scientifico. Lasciamo che
tutto si esplori il campo delle letterature, nostra e
straniere, e che col metodo unicamente storico —
qual è quello che vige tuttora — si scoprano nuovi
documenti, nuovi fatti letterari; e quando questo pa-
ziente e solerte lavorio di ricerche potrà dirsi compiuto
sarà allora il caso di rivolgerci alla costruzione d'un
quadro storico, propriamente darwiniano, di tutta la
complessa produzione letteraria. Ogni scienza, come
anche ogni metodo, ha il suo tempo; e il dare a quella
ed a questo uno sviluppo precoce, è come travisarne
i caratteri e i tipi.
11 concetto darwiniano nella letteratura — non s'il-
luda nessuno — dee poggiare su basi solidamente
(') CARDUCCI, «Studi Letterari» pag. 155, 187G edit. Zanichelli, Bologna.
85
storiche, a quel modo che la filosofia si basa sulle
verità naturali. Come il darwinismo biologico è uscito
dalle ammirabili investigazioni parziali e minute, mor-
fologiche e fisiologiche . così il darwinismo estetico
deve scorgersi mercè l'aiuto di un metodo rigorosa-
mente analitico applicato a tutte le forme artisticlie
e letterarie, e specialmente alla loro genesi e filiazione
successiva. Onde a ragione il Carducci — cito spesso
dalle opere di questo critico insigne, perchè in tal
ragione di studi, vede più acuto, — a tal proposito,
scrive di sé cosi : « I miei studi sono aridi e limi-
tati: un po' di filologia, un po' di paleografia , un
pò di critica , qualche po' più di storia, e ricerche,
ricerche molte e faticose, su molti libri, ecc. Nondi-
meno un ideale 1' ho anch'io, ed è questo di alzare,
col metodo storico più severo, la storia letteraria al
grado della storia naturale » (*)
E non è vero, come pare si dia a credere il Trezza
(1. cit.) , che il metodo storico, com'è inteso oggi,
in altro non consista che in un semplice cumulo di
materiali e di indagini, e che le opere di Pio Rajna
e d' altri molti ad altro non intendano che a questo.
Il metodo storico odierno non si fonda sulla ricerca
soltanto, che altrimenti non sarebbe critico, ma su
molteplici elementi che concorrono tutti a renderla
seriamente scientifica. Critico veramente è colui che
sa osservare, con olimpico sguardo, le ragioni intime —
quali, s' intende, può offerirle il metodo — che tro-
vansi nelle varie relazioni e giunture de' diversi e
immensi materiali letterari che, non bastando accu-
mularli, è necessario unire e fondere insieme come
in un pieno e armonico organismo. E non basta.
Entro le fibre di questo organismo bisogna anche
saper sorprendere la vita estetica de' diversi feno-
meni letterari, non senza una intuizione propria e
una minuta disamina dell'opera artistica meglio rile-
vata, con opportuni raffronti, nelle relazioni e attività
eh' essa ha con altre del proprio o d'altri tempi.
(*) Carducci, « Gontessioni e Battaglie », pag. 126, Serie I. — Roma,
Soinmatiiga, 1883.
86
Non altrimenti avviene del naturalista: questi non
sarebbe uno scienziato né aiuterebbe a fare dell' os-
servazione empirica della natura una vera disciplina
scientifica, cioè a dire un organismo di conoscenze,
se si limitasse a raccogliere fatti staccati e a disporli
in un rigido casellario senza occuparsi dei loro rap-
porti di contiguità e di continuità. L' evoluzionismo
ha per questo riguardo vivificato tutta la biologia;
ma è venuto dopo gli studi parziali di morfologia e
fisiologia comparata.
Il compito, come ognun vede, è grave e diflìcile.
Il metodo darwiniano non dee avere altro intento se
non di meglio lumeggiare, risalendo alle leggi fon-
damentali che governano anche i fenomeni letterari,
la vita artistica tutta quanta, nelle più minute sue
fibre, nelle molecole, anzi negli atomi suoi infinitesi-
mali: essa dee completare, e correggere dov'esso falla,
il metodo storico, avvertendo sempre che l'uno dee
fondersi coH'altro e che il primo dee servir di base
al secondo. Col darwinismo può il critico oggi inter-
rogare, soltanto sotto un aspetto troppo generico e
universale, certi fenomeni; ma scrutarne tutti i labi-
rinti, tutti i meati onde si genera e s' esplica 1' idea
artistica, non può senza evitare, ne' luoghi oscuri e
difl^icili, il paradosso. La storia letteraria analitica è
ancora in via di formazione: una volta che saremo
più innanzi su codesta via , potremo anche con più
agevolezza costrurre una storia letteraria sintetica o
genetica. Seguiamo, per carità, anche nei metodi
quella necessaria graduazione evolutiva: aspettiamo:
natura non facit saltus.
Di fatti, dal Settembrini al Carducci, la Critica in
Italia ha fatto un vero progresso, ha seguito una vera
evoluzione. Laonde io ritengo che non è bene disto-
gliere i giovani dalle minute indagini storiche, poiché
questi sarebbero più lieti di abbracciare un metodo
malsicuro e più brillante — come quello che dà ad
essi una mano perché si sbriglino le fantasie loro
nelle nebulosità d'una nuova metafisica, — anziché
quello storico che ha bisogno di si lunghi confronti.
87
di sì pazienti investigazioni. E d'altra parte è bene
che dagl' ingegni più forti e maturi si cominci a
tentare, almeno ne' punti meno scabri della Lette-
ratura nostra , qualcosa col darwinismo, senza ecce-
dere nell'applicazione delle leggi a fatti un po' difficili
e oscuri. Si ritenga intanto che il metodo darwiniano
è sempre quello che quandochessia correggerà e com-
pleterà il metodo storico , facendo della critica una
vera scienza evolutiva.
Vili.
È morta o è yiya ?
I^^'egregio prof. Policarpo Petrocchi, nel suo
, ^|5, dizionario che a servizio delle scuole ridusse
^Lj'J^J^ da un altro suo più grande e die in luce
pe' tipi Tieves di Milano (*), accumula a pie di pa-
gina un largo e diffuso reliquiario della nostra lingua
morta, perchè i discenti possano più agevoli attin-
gere all'uso vivo. 11 volume ha più pregi, massime
quello delle accurate notizie etimologiche; sebbene
più compitezza volesse il significato delle voci, non
di rado monco o non facile. I giovinetti, specie se
delle classi prime, vogliono essere illuminati assai
largamente; ne' limiti, s' intende, della intelligenza
ed età loro. Eglino, in generale, non sono scaltri né
vaghi di ricerca; amano poi veder tutto senza diffi-
coltà. Onde non parmi metodico offrir loro a briciole
o a spuntini il cibo delle lettere, troppo amaro cibo
se non pòrto abbondante e insieme gustoso e soave.
Neanche parmi felice il Petrocchi nell'escludere che
fa dall'uso vivo più centinaia di voci che rimangon
tuttavia nell'uso eletto dei migliori scrittori, anche
moderni, anche recenti; e inoltre mi sembra si sia in
ciò lasciato lusingar troppo dall'orecchio, dal nativo
gusto e da un assai limitato cerchio di ben parlanti
italiani. Quello che ci avvien di sentire in una re-
gione anche da colti, non ci avvien facilmente di sen-
tirlo in un'altra, per le diverse abitudini e occasioni
e disposizioni degli animi e degl'ingegni. Quella lin-
(*) Novo TUzionàrio scolàstico della lingua italiana dell'uso e fuori
(Vuso. Milano, Treves, 1897.
89
gua correttamente arguta che suona nelle bocche de'
ben parlanti in Napoli più di frequente, può bene in
molte dizioni non esser quella che parlano più spesso
i colti o gli eruditi di Milano, di Bologna, di Roma,
di altrove. Resta la Toscana. Sì; ma quanto è più
difficile scampar dal ribobolo e dagl'idiotismi senza
specchiarsi prima nel ricco vivaio classico! Tanto più
che in Toscana le migliori sorgive del trecento, o,
meglio, le più pure e native, zampillano dalla lingua
di quel popolo che men si conosce da' buongustai
dell'artificio o della scorretta e povera facilità. Nep-
pur dai pochi veri scrittori contemporanei ha diffusa-
mente attinto l'autore. E per darne una qualche prova
m'indugio un po' a farne qualche riscontro con il
Carducci, che tutti gl'intelligenti e gl'imparziali sanno
bene qual maestro di lingua e di stile sia.
Ecco qui un lungo glossario di voci, che il Petroc-
chi nel mentovato lèssico o non riferì o allogò severo
nelle gemonie della lingua morta. Io, invece, ho avuto
la fortuna di riscontrarne l'uso vivo, stilisticamente
opportuno anche se altamente letterario, in due vo-
lumi del Carducci: Storia del Giorno di Giuseppe Pa-
rini [*) e la Libertà perpetua di S. Marino (**); l'uno
e l'altro scritti poi che non si può meglio.
Questo qui è un primo elenco di voci non volute
riportare:
Dalla Storia del Giorno
1. Efiualilurio. sostenitore dell'uguaglianza. Nuovo ed effi-
cace. — Egualitario civile (pag. 20): l'usò anche il Bor-
gognoni. Il Petrocchi noi riporta, ma il Pantani ha
egualità ecc.
2. Realità per realtà (p. 279).
.3. Mascheratura per mascheramento (p. 279).
4. Accontenta ineìito per accomodamento (p. 12). — Il Fanfani
ha accoìitenfature.
h. Sfranchirsi per divenir franco. — Il Parini: .... s'era
sfranchito da vero (p. 61).
(*) Cardccci G. — Storia dui Giorno di G. "Parini. Bologna . Za-
nichelli, 1892.
(**) Idem. — l.a libertà perpetua di S. éMnrino, 30 settembre 1894,
Bologna, Zanichelli,
90
6. Predicatorio, da predica. Terzine predicatorie (p. 103).
7. Gioiellile per giovanile (p. 105).
8. Comutovimento per commozione. Con momentaneo com-
movimento retorico (p- 106j.
9. Impoetico per non poetico (p. 144). — Il Fanfani ha im-
poetarsi e impoetichire.
10. TriMiire per attribuire. Tribuita al Parini (p. 154).
11. Grecanico: che si attiene al greco. Voce filologica; Locu-
zioni f/reconicJie (p. 171).
12. Pantosofo: onnisciente, conoscitore di tutto fp. 171).
13. Vulgare \)er divulgare. È vulgato (p. 200).
Dall'opuscolo La libei'tà perpetua di S. Marino:
14. Acco)>iandare per raccomandare fp. 1). — 11 Petrocchi lia
però accornaìidolare ecc.. d'altro significato.
15. Velivolo: sparso di vele. .4^ velivolo Adriatico (p. 41).
16. Serenatore. Vento serenalore (p. 1).
17. Vendilegge (p. 15) per trafficatore di leggi. — Il Fanl'ani
ha Vendifame.
18. Disservire per servir male o a danno. Da Ini disservito
(p. 15).
19. lenere per dominio, potestà. In mezzo ed tenere ponti-
ficio (p. 19).
20. Scoronare per togliere la corona o la sovranità. .4 scoro-
nar me (p. 21).
Segue quest' altro elenco di voci riportate come
fuori d'uso.
Dalla Storia del Giorno:
21. Intra venire per intravvenire. Intravenne la rivoluzione
(p. 287).
22- Dizione per potestà. Ogni italiana dizione ricchezza e
'memoria degli Este (p. 223).
23. Raggiungere, raggiungersi, per ricongiungere ecc. .S7 rag-
giunse alta spedizione fp. 218),
24. Conto per conosciuto. Inezie conte (p. 62). — Dantesco:...
le tue parole fien conte.
25. Roìnanzatore per romanziere, ma in senso storico (p. 63).
26. Sorvenire per sopravvenire: piìi breve, e più acconcio in
quel luogo fp. 266).
27. Trombalore per sonatore di tromba. In senso ironico e
insieme, nel luogo, efficace (p. 269).
28. Aurigatore per dilettante, amatore di coccia fp. 269). —
Fanfani ha auriga, aurigare.
91
29. ImììiascheraììK'nto per mascheramento (p. 294).
30. ImUff'erente per diverso, non difterente, uguale. Indiffe-
renti.... da quelli (p. 280).
31. Miluogo per mezzo, centro. La Francia fu il miluogo
spirituale di quel secolo (p. 11).
32. Sbricio per vestito miseramente (p. 16).
33. Baroccaggine per goffaggine , in senso artistico. Baroc-
caggini delle Accadeutie (p. 23).
34. Confluire per concorrere. Ove confluiva tutta la nobiltà
milanese (p. 29j.
35. Ire, letterario, e non solo familiare, per andare. Per ire
ad ammirare (p. 33).
36. Poi'tatura per foggia d' abito. Contro le portature delle
donne (p. 106).
37. Affigurazione (p. 107) per raffigurazione, rappresentazione.
38. Coinportaiuento per portamento (p. 143).
39. Stonacarsi per togliersi la tonaca, abbandonare V ordine-
(p. 147). Oggi dicono anche sfratarsi. Però stonacarsi
non è neppure riportato.
40. yomiìiata mente per specialmente (p. 168).
41. Comìitendare Cp. 70) per raccomandare.
Dall'opuscolo La libertà perpetua di S. Marino:
42. Scelleranza (p. 70) per scelleratezza.
43. Figurazione: il figurare. Tesser figurato. Le figurazioni
de' combattiììienti Titani (p. 4). — 11 Petrocchi non dà
neppure raffigurazione, usitatissima.
44. Portendere per minacciai'e, pronosticare. I massi porten-
denti ruina (p. 4).
45. Bramito: fremito di fiera. I bramiti delle belce (p. 5).
46. Monasterio (p. 7) pei' monastero.
47. Riotta per contesa. Le riotte de' vinti (p. li).
48. Oste, nella frase a oste (p. 13).
49. Fellone per feroce (p. 191j.
50. Attelare per mettere in ordinanza i soldati. Erano alle-
iate le milizie (p. 20).
51. Ammantellare per ammantare. Ammantellatoti di Cristo
(p. 21).
52. Piacentiere per adulatore (p. 22). — 11 Fanfani le riporta
tutte, all'in fuori di qualcuna.
Non impolveriamo più i lettori. Basta. L'elenco è
abbastanza lungo, e potremmo seguitarlo.
Ciò abbiamo fatto a dimostrazione della inanità di
certa scoletta contemporanea che si vanta manzoniana
ed è solo pedantesca e saccente. Con essa non ve-
92
gliam certo confondere il Petrocchi, né altri egregi:
Dio ce ne guardi! Però anch'essi si lasciano andar
troppo al mutevole vento che spira.
Meglio diremo in altro scritto come la lingua si
fletta, si varii, si atteggi pe' gradi molteplici dello
stile e de' generi letterari. Ci basti aver ora accen-
nato come pur oggi v'ha scrittori, i più insigni, i
quali mostrano a prova che la nostra lingua classica,
quando a tempo e luogo saputa eleggere ed anco rin-
frescare, non è ancor morta, e che l'uso vivo non è
da attingere alle povere e torbide acque di un gusto
facile e decadente. S'esso è guasto, a chi scrive e a
chi istruisce spetta il dovere di rinnovarlo. Questo è
quello che ci vuole.
Letteratura Domenicale. C
(Ricordi di un brontolone)
I.
^h! begli anni di gloria, sì avidamente cercata
da scrittori novellini e promettenti, all'ombra
de' periodici domenicali, liberati a volo pel
ciel d' Italia nella mentita primavera dell' ultimo de-
cennio. Chi li ricorda più quegli anni? Quante fio-
renti speranze deluse! quante aureole sfumate! quanti
trepidi cuori già spenti nell'acuta febbre d'ideali e di
sogni svaniti! quanti giovanili entusiasmi che non tor-
nano più! Ora è già troppo se neh' edicole di rigat-
tieri di spicciola letteratura, di tra' mucchi di quella
morta vegetazione policroma, anche avanzino alcune
vizze foglioline, alcune povere fronde, ingiallite dal
tempo! E par che occheggieno di quando in quando,
in quel cinereo e polver oso strato di morta flora let-
teraria, alcuni brandelli di elzeviri ne' quali riposan le
mummie di povere anime, di poveri coricini giovanili,
che non ebber mai, o per poco, il forte bacio della
dea, la potente impronta e '1 vigoroso sigillo deirarte.
Un dì correano, correano come farfalle ebbre di pri-
mavera e di sole, per la fiorita di belle aiuole ebdo-
madarie , a cercar le carezze e i facili vezzi delle
damine gentili ne'salotti eleganti, il plauso degli uo-
mini maturi ne' circoli borghesi e nelle accademie
severe, l'adorazione degli studiosi in tutte le palestre
(*) QuHslo sellilo l'u priiiiaiiieute pubblicato Ira l'agosto e il settem-
bre del 1892 nella v^^cena Illustrata » di Firenze; per la qual cosa po-
trebbe dopo sette anni non piacer più certa vivace lepidezza di p-'nsiero
e certo lenocinio di stile che allora corrispondevo alla frivola mondanità
della letteratura domenicale.
94
della gioventù prima. Corsero, come può correre una
farfalletta intorno il lume, e si spensero; corsero, come
poveri viatori che non sepper mai la meta, né la rag-
giunsero mai. Poveri morti!
E que' pochi, i quali nel turbine della rèc/ame, sep-
per trovare qualche truciolo entro la morta gora delle
lettere contemporanee , vi si congiunsero come po-
vere vanità che paion persone, come le anime nel-
r Inferno dantesco; e credettero di non morire, e
illusero tanti della lor vita apparente sol perchè vaneg-
giano su pe' detriti delle ancor vive cricche letterarie
italiane. Ma son morte anch'es?e queste povere anime
purganti ! E, tra una settimana e l'altra, misere ombre,
ci vogliono chiedere il refrigerio della nostra pietosa
memoria, ci voglion chiedere la elemosina della nostra
attenzione o compiacenza, perchè , almen 52 volte
l'anno, lor concedessimo due o tre minuti di tregua.
Poveri morti ! povere ombre !
Ove se' tu, o palmimede e perticale Angelino Som-
marnga?
Se' tu che, profugo dall' Italia dopo uno scandaloso
processo letterario, facesti morir anzitempo tanti gio-
vani cuori; e or godi se, nella faccendiera e positiva
vita di Buenos-Ayres, volgi l'occhio e la memoria al
baratro dantesco da te aperto nella letteratura italiana
contemporanea, ove tante anime in pena, tante ombre,
insistono a non voler movere i passi verso la placida
e inerte palude dell' oblio.
O Farfalla lombarda! o palmipede Angelino! o Cro-
naca bizantina! o Nabab! o Domenica letteraria d' un
tempo !
Ma fra tanti morticini, fra tante vanissime ombre,
giova rammentare i morti gloriosi, di oggi e di ieri.
I più degni, come luminose meteore su 1' orizzonte
letterario, apparivano a brevi o a larghi intervalli, e
quali ogni domenica, quali ogni quindici o trenta giorni:
viveano bene letterariamente o scientificamente, ma
95
finanziariamente assai male, troppo male. Mori la
dotta e severa Rassegna settimanale che fu delle radis-
sime riviste le quali, escludendo ogni germe di pro-
duzione elzeviriana, ci facessero seguire con serenità
e con riposata quiete d'animo, quanto di meglio offe-
risse, nelle indagini erudite e nei razionali raffronti,
la storia letteraria e critica, in Italia e fuori; e vi col-
laboravano i migliori letterati e critici nostri che sono
e saranno ancor vivi, come quelli che proseguono il
sacro e difficile minìsterio delle lettere con dignità e
dottrina, senza impostura, senza ciarlataneria boriosa.
La Domenica del Fracassa visse, vigorosa ed ele-
gante, un anno solo; e la diresse da par suo il Chia-
rini: poca o punta letteratura amena, punti elzeviri e
cianciafruscole, punti ninnoli da salotto: intendeva,
colla collaborazione de' migliori, a far rinsavire i fogli
domenicali d'allora, o a seppellirli tutti. Fu vera illu-
sione: l'Italia, allora com' oggi, disse picche a' gene-
rosi intendimenti, e ancor si piacque delle foglioline
marce ricoperte da una mano d' orpello di quell' ar-
cadia poco pulita che volea parer novità ed era la
tisi dell'arte; e il periodico battagliero morì d'anemia
finanziaria, perchè gli mancavano lettori.
Così pur visse, parecchi anni innanzi, parmi il 72,
il Mare livornese, né il Chiarini stesso e il Carducci
valsero a dargli lena e vigore economico. Chi lo ri-
corda più queir elegantissimo periodico toscano ove
per la prima volta vennero in luce, nella lor classica
fragranza, le Primavere elleniche?
Il romagnolo Preludio., pur sì giovane e fiorente,
fé' male a mutar le sue tende da Bologna ad Ancona:
il Vecchini fé' viver di stenti pochi altri anni ancora
il caro e simpatico suo amorino, e se lo vide morir
fra le carezzevoli braccia con un trepido sospiro e
con un rimpianto accorato. Era letterariamente assai
vegeto e sano, e la critica bibliografica, spesso fatta
dal Renier, era delle migliori fra quante ne apparis-
sero in tutte le altre riviste italiane.
Chi non ricorda le bolognesi Lettere ed arti del
Panzacchi ?
96
Chi non rammemora più , ne' rosei e simpatici
fregi onde in prima pagina si annunziava a' lettori
curiosi, l'elegante periodico domenicale che il delica-
tissimo autor di Lyrica e canzoni, di Ricordi, di Teste
quadre , mandava pe' salottini eleganti e pe' circoli
e le accademie sotto il suo nome e col solletico
della costante opera sua, critica e poetica insieme?
Pareva , a prima vista , elzeviriano , ma contava
poco tra i fannulloni d' Italia, e ammanniva prose e
versi sol fatti pe' lettori di gusto e per gli studiosi o
amatori della vera e solida cultura. E troppo pesante e
ligneo e disameno, dicevano gl'incolti, e lo gettarono
via: è troppo restio e corrivo ad accoglier la nostra
stampiglia sgrammaticata, seguitavano gl'imberbi scrit-
torelli, e gli negarono i lor sorrisetti galanti: c'è poca
cipria, disser le dame, e credettero che quella troppo
seria cultura letteraria guastasse loro il falso profumo
della bellezza e la morbida civetteria, e lo dettero ,
senz'altro, a' lor cagnoli. E così, dopo due anni di
vita feconda pe' pochi lettori serii, passò anch'esso,
l'elegante foglio bolognese, senza rimpianti e senza
rumore, nel gran numero dei più.
E la non meno elegante e seria e accurata Vita
nova di Firenze, che l'Orvieto con amorevoli cure,
tra un sorriso di novelle piacenti e un sospir di rime
gentili, educava e nutriva pel poco culto e civile po-
polo borghese, visse due anni, visse bene, ma morì
permanco di cibo economico. I lettori dissero no alle
classiche volute delle rime di Giovanni Pascoli riso-
nanti trilli di rusignoli ne' fiorenti verzieri dell'antica
poesia naturale; le incipriate damettine non ammicca-
vano spesso e faceano dispettucci alle niente clorotiche
novelle di Fulvia della Cofitessa Lara, di Neera; gli
azzimati vagheggini dell' arte galante arricciarono il
niffolo dinanzi alla prosa critica di troppo disameni
collaboratori, e i soliti e implumi giovincelli videro
sfumare la loro gloriola senz' ali a legger cose del
Menegazzi, del Menasci. E la Vita nova morì darwi-
nianamente, morì per manco d' adattamento: fu sol di
pochi la prevaletiza del piii adatto: nel novo ambiente
GIOSUÈ CARDUCCI
97
del romanzo e della commedia, e i più, per non mo-
rire, andarono lontani , e cercaron altre aure , men
pure certo, ma più per essi spirabili e vitalmente gio-
conde.
E il De Gubernatis, sì mirabilmente produttivo a
schiudere e a rinnovar fogli e riviste, mi par come
Varaba fe?iice della stampa letteraria: l'opera sua ge-
nerativa sempre risorge e dispare, e di trasforma-
zione in trasformazione, di sepolcro in sepolcro, fa
rinverdir le ceneri della morta flora letteraria e par
che le raccolga e le covi di quando in quando.
Prima, o in sulle prime, covò la Rivista Europea,
e la fé' vivere parecchio e non male: la cultura stra-
niera e la parte glottologica aveano in Italia vita e
svolgimento in quella sola rassegna. Morì; e poco di
poi , su quelle ceneri , sorse la mensile Rivista con-
temporanea che visse forse men di due anni, ma che
mostrava segni di lunghissima e vigorosa vita. Ora,
mentre tutto parca morto e desolante, ecco che il de-
cembre del 1891 fa schiudere al De Gubernatis, con
indizi di vita veramente prodigiosi, e poco innanzi al
Natale cristiano, una nuova rassegna: Aratura ed Arte.
Qual sia mai questa novissima qiii?idicina letteraria ,
lo diremo più innanzi.
E la Natura mantegazziana di Casa Treves, la Do-
menica del Pungolo del Fortis, la Napoli letteraria e
il Don Chisciotte bolognese, passarono tutti, dopo una
vita più o men vegeta e fiorente, nel numero de' più,
ma non senza un acerbo rimpianto di alcune anime
buone e generose. E così altri pochi periodici.
Delle grandi e voluminose rassegne venne pur ieri
tumulata la Rivista di filosofia scietitifica del Morselli,
che, per bene un decennio, proseguì con virili e one-
sti intendimenti tutto il moto vivo delle dottrine po-
sitive nelle diverse lor manifestazioni, in Italia e fuori.
E poco prima era ancor scesa nel sepolcro la Ras-
segna critica di opere filosofiche e letterarie, che, fon-
data dal non mai abbastanza rimpianto Andrea An-
giulli, seguitò a venir meno sotto la direzione del
Colozza, il quale, pur valente, non seppe né potè
7
98
prolungarle la esistenza. L'una e l'altra rivista s' in-
tegravano a vicenda: la prima pubblicava soprattutto
ampie e originali monografie scientifiche che poi, rac-
colte in volume, formavan studi novi ed estesi intorno
a' più ardenti problemi della scienza evolutiva; e la se-
conda dava specialmente in luce larghissime recen-
sioni su opere di gran valore, italiane e straniere. La
prima ebbe fra' collaboratori Spencer, Sergi, Ardigò,
Canestrini, Boccardo, e aprì vie gloriose a un fortis-
simo e originale ingegno, al redattore Gabriele Buc-
cola, che, con il libro La legge del tempo né' feno-
meni del pensiero, die alle dottrine psicologiche aspetti
nuovi e inesplorati , e morì giovanissimo , appena
trentenne, quando l'Italia aveva più bisogno di lui ;
e la seconda fu celebre per una lunga e mirabile
critica dell' Ardigò %\x\V Inconoscibile d'Erbert Spencer,
per studi bibliografici importantissimi dovuti a' mi-
gliori filosofi positivi d' Italia, e per articoli sulla
scienza delle religioni, sulla pedagogia scientifica, su le
letterature vèdiche, del Trezza, dell'Angiulli, del prof.
Michele Kerbaker. Passarono entrambe, sotto silenzio,
in un ambiente avverso alle scienze positive, ma ven-
nero rimpiante da non pochi spiriti culti e delle scienze
evoluttive amorosi cultori.
Morì anche il Barelli, l'ottimo periodico scolastico
fondato da Gian Severino Perosino: morì dopo dicias-
sette anni di vita gloriosa e feconda. Sino a che lo
diresse il Perosino, latinista insigne, benemerito inse-
gnante e compilatore di utilissime operette scolastiche,
era fatto assai bene ed era 1' unico organo che in
Italia rappresentasse degnamente le tradizioni delle
lettere latine, sia con istudi critici e originali di lati-
nisti valorosi, sia con ottime versioni latine da capo-
lavori italiani in versi o da poesie di buoni collaborato-
ri. Vi mandavano articoli fra gli altri, insigni latinisti
e molti prelati assai dotti nelle classiche lingue. Giova
citarne alcuni: Diego Vitrioli, Pasqualigo, Iacopo Ber-
nardi, Luigi Goracci, Giuseppe Gando, Giulio Con-
terno, Cesare Beccaria, ecc.
Ultimi a dirigerlo furon l'Allievo e il prof. Rinaldi;
99
ma il Baretti era troppo vissuto per pot(?r vivere
ancora in tempi così avversi alla cultura classica che
fin dalla cattedra non si perita qualcun de' nostri,
qualche melanconico ingegno, di bandirla del tutto
dall' educazion letteraria dei giovani. Ma ancora avan-
zano riviste che non sono ancor morte, o che, almeno,
paion vivere ancora.
Discorriamone con pacatezza e, possibilmente, con
sufficienza.
Una di esse — sembra incredibile! — è il Fanfulla
della domenica, che fu il primo a importar nell' Italia
la letteratura domenicale, nel 1879. E quante ne ha
viste perire il buon Fanfulla! Conta finora quattro pe-
riodi d'esistenza. Nel primo, il più rigoglioso, lo guidò
per mano, con vero aff"etto paterno, un commedio-
grafo illustre: Ferdinando Martini. Chi ricorda più il
1879, il primo anno della letteratura indomenicata in
Italia? Oh! com' era bello scorrazzare, su per le co-
lonne del Fanfnlla, a caccia di poesie o articoli del
Carducci, del Chiarini, del Nencioni, del Panzacchi,
del Trezza, del D'Ancona, del Masi, del Mantegazza !
che fremito vivo di curiosità letteraria in quell'anno,
e che calore battagliero nelle discussioni ! Ma, poco
di poi, il Martini abbandonò il primo e balioso figliolo
alle cure anche amorose dell' Avanzini, direttore del
Fanfulla politico quotidiano, sotto il quale visse pur
bene, ma talvolta con certe moine e carezze come di
femminucce, e non senza qualche scorsa da birichino.
Se non che il Martini ne procreò un altro, forse più
bello e più simpatico del primo, \a. Dome?tica letteraria,
che abbandonò presto, distratto da cure politiche, pas-
sando così di amore in amore. Seguì 1' esempio di
lui l'Avanzini, che affidò il suo amorino alle cure, un
po' fredde e studiate, di Eugenio Checchi, sotto il
quale è vissuto sempre un po' malaticcio, sino a
che — dopo un terzo periodo, di catalessia — ora
vivacchia stentatamente con certe gx-inze e con certi
languori senili; e si prolungherà la sua vecchiaia sino
a che piacerà agli italiani di tollerarlo più.
La diciannovenne Illustrazione italiana di Casa Tre-
ves, ancor s' impunta a rimanere in vita. Seguita an-
cora, con illustrazioni spesso pregevoli e accurate, a
menarci a diporto fra statue e monumenti, fra pro-
motrici di accademie e fra esposizioni nazionali, fra
spettacolosi avvenimenti politici ed artistici; ma si
rimpiangono i tempi d'oro di Gustavo Dorè, il tìnis-
simo illustratore do-W Or la7ido furioso. La parte biblio-
grafica è sempre affidata, per quel che tocca il frivolo
movimento della nostra povera letteratura, a Carlo
Raffaello Barbiera/ ma di rado o non mai vi appare,
come già una volta, lo studio diligente, industrioso,
erudito della critica storica. La letteratura amena,
manco a dirlo, è in decadimento; segno dei tempi.
Cicco e Cola ancor e' intrattiene sulle aneddotiche e
talvolta piccanti curiosità del giorno. Però la rivista
accusa pur certo malessere e indolenzimento che ci
fanno accorti della senilità. Ad ogni modo è nel ge-
nere suo r unico periodico che ricrea i salotti ele-
ganti e i circoli borghesi. Le cure dell' editore non
possono essere migliori; ma che può far mai il bene-
merito cav. Treves per rinsanguare la troppo vuota
e decrepita letteratura nostra ?
Che può far mai un editore, anche illustre, a prò'
di un' arte, quando questa è tuttavia, a dir del Car-
ducci, un ìitero ammalato?
Volete poi qualche cosa di civettuolo e di fine, di
simpaticamente leggiadro ed elegante ? Cercate ancor la
variopinta e policroma venustà piacente di Angelino
Sommaruga? Ecco qua la Scena illustrata di Firenze
che il Pollazzi dirige con studiosa cura e con vero
intelletto d'amore.
Volete l'aneddoto piccante e la festevole e ricercata
curiosità del giorno? amate la caratteristica novità del
costume e la briosa parlantina de' salotti eleganti ? vi
diletta l'erotico sospir delle dame nel profumato bel-
letto e nello stile rococò del sensualismo zoliano ?
vi carezza e seduce la bizzarra e argutissima forma
lOI
€ il querulo cicaleccio scintillante di galanteria, di
raffinatezza, di cipria ? Venite qua e la Scena vi farà
sorbillare, come goccette odorose sugli abiti vostri ,
ogni quindici giorni, tutto che il coricino vostro, un
po' languido , un po' malaticcio, desidera e aspetta
con trepida letizia. E tutto questo con una pinacote-
china d'illustrazioni che, alle volte, sono un vero
bijou.
Volete uscir dal salotto, prendere una boccatina
d'aria, e poi entrare ne' palchetti signorili, nelle mor-
bide poltroncine de' teatri italiani e stranieri ? volete
star tutt' orecchi a gustar un' opera musicale , gor-
gheggiarla poi nel salottino vostro ? Venite qua, e la
Scena, eh' è proprio fatta per questo , vi metterà la
voglia in corpo di abbandonare più spesso il circolo
pel teatro, il salottino di casa per le tornate di mu-
sica, la toilette pe' concerti e i cafè-chantants .
Questa è la rivista: è ben fatta per le donnine el-
zeviriane, pe' giovani zerbinotti incipriati, per le dame
eleganti, per tutti quelli che amano la vita de' circoli.,
de' salons, de' teatri, de' clubs.
II.
Parecchi giornali politici vogliono anche pizzicar di
letteratura, e diventan pure, ogni domenica, letterari
e illustrati. Ecco qua la Tribuna che vuole offrire
un solletico a' lettori suoi e risciacquar loro la bocca
e la lingua, inaridite dalla politica di tutti i giorni,
con una spruzzatina di letteratura mondana. È illu-
strata, e tien più della Sce7ia fiorentina che della grave
rivista ebdomadaria di Casa Treves. É spesso fatta
assai bene, e, se la parte veramente letteraria o arti-
stica lascia qualcosellina a desiderare, la vita aned-
dotica del giorno è resa con certa attrattiva e con
arguta vivezza di forma, che seduce e ricrea vera-
mente. La elegante e caustica amenità di Richel, del
simpatico Richel che tanto esilara e piace nel suo Giro
pel mondo della Tribuna quotidiana, comparisce an-
cora nel giornale domenicale a rapir co' suoi frizzi e
I02
mottetti i lettori che han bisogno del suo nativo e
scintillante umorismo; gli tengon dietro altri festevoli
scrittori , men salaci e divertenti, ma pur cari e gu-
stosi. Conta già quattro anni di vita briosa , e par
che voglia viverne parecchi. Auguri e felicitazioni.
Un altro giornale politico che vuole anche Jiccare il
?iaso in letteratura, è il Secolo, è il democratico e
rabbiosamente anti-carducciano Secolo. Pubblica e il-
lustra novelle, pubblica versi, pubblica qualche volta
prose critiche e scottanti. E conia molto — per dirlo
con le parole d'un nostro grande scrittore — fra gli
svogliati d' Italia , e fra quelli che come per passa-
tempo voglion ivi cominciar a fare le loro prime ar-
mi. Poveri maestri della povera vita delle scuole
elementari, impiegatucci bisognosi di retorica lattigi-
nosa e cascante, studentelli bocciali di Liceo o d'Isti-
tuto tecnico , tutti convengono lì d' ogni paese per
democratizzarsi — mi perdonino il gergo — nel filan-
tropico lavacro della letteratura nazionale moderna a
base di repubblica o di socialismo. E difatti, l'acuto
solletico delle loro novellette illustrate molto li seduce
a occupare un modesto posticino in un de' cerchi o
de' gironi del periodico milanese, il quale non sempre
si mostra severo_, che anzi, da buon democratico, il
più delle volte esclama come già Cristo: Sinite pai~i<u-
los venire ad me. Non è tirannico, ohibò! , neh' acco-
gliere e nel respingere ; ed ha qual motto sulla sua
bandiera letteraria V altruistica parola di S. Francesco
da Paola: Charitas. Sempre cosi vive e vivrà. Oh !
non basta dichiararsi organi della democrazia militante
per allevare le nuove piccole glorie d' Italia, per far
trionfare capolavori musicali novissimi, per esser cer-
cato, e anche, ch'è meglio, per far quattrini in barba
a' troppo grassi borghesi ?
Anche la quotidiana Gazzetta del Popolo vuole, ogni
domenica, convitare al suo desco modesto i sotto-uf-
fìcialelti dell'esercito italiano, appetitosi e ghiotti di
spicciola letteratura amena. E come se la sorseggiano,
gustando, come un biccherino d'assenzio o di rhicm,
tutte le sante domeniche del Signore 1 E non se ne
I03
contentano. Vogliono pure, di quando in quando, dige-
rirla a furia di bozzettucci, di novellette e madrigali che
mandano alla favorita rivistuola, anche a costo di bu-
scarsi qualche indigeribile cesti?iatina. Oh! quanti gen-
tilissimi e correttissimi crucifige nella lunga e troppo
fiorita piccola posta letteraria, nella quale anche figu-
rano tanti martiri borghesi. Oh ! non per nulla si è
italiani , cioè instintivamente istrionici e fecondi. In
Italia è odiata a morte la infecondità. E tutti, scola-
retti negligenti e soldatini poco battaglieri , aman
deporre le lor ova settimanali nel minuscolo organino
torinese, che, di quando in quando, pur si piace farle
covare e schiudere come per burla. Ha dieci anni di
vita, e, povera vecchietta, è ancora senilmente gravida
e procreatrice. Ma oh! quanti degeneri figliuoli essa
nutre all'arte, e quante facili speranze, quante precoci
promesse ella mette in mostra dalle sue colonne do-
menicali!
Anche la Gazzetta letteraria torinese — un altro
giornale politico che fa il suo chilo letterario ogni
domenica e per cinque centesimi lo fa fare a più mi-
gliaia d' italiani — vuol vivere ancora di una sana
vecchiaia. E però, se fa desiderare i tempi d'oro di
Vittorio Bersezio , ora , sotto le amorevoli cure di
Giuseppe Depanis, arzilla e rubiconda vecchietta, pur
si prova a dare qualche consiglio e qualche provvido
ammonimento sull' arte e sul romanzo, sulla lirica e
sul teatro , a' giovani italiani che son troppo deside-
rosi del novo. Essa, un po' sorridente ma grave, un
po' gaia ma appassita, vuole ancora un po' d'arte e un
po' di teatro, un po' di letteratura amena e un po'
di poesia. Oh 1 chi ha mai detto che alla vecchiaia,
quando le restino ancora pochi denti ma buoni, non
sia dato masticare qualche buon pezzo di carne sana,
quando i giovani, che pure hanno denti forti e bene
smaltati , cercano solo manicaretti e salse piccanti?
Lasciamola pur vivere così! Morrà bene, stagionata,
e contentissima del mondo.
Ora vengono i giornali novissimi, i giornali de' gio-
vani o della gente giovenilmente matura.
I04
A Milano squilla a battaglia la settimanale Cronaca
d' arie del forte romanziere Ugo Valcarenghi. Le brilla
nelle vene il buon sangue lombardo, e lombardi sono
i più de' collaboratori.
Mentre tanti confratelli sonnecchiavano in molle e
soporifera nirvana, o nelle piccole necropoli dell' arte
godeano il dolcissimo oblio, essa florida di salute
e di giovinezza, è salita sullo storico arco del Sem-
pione a bandire a' dormienti gì' ideali dell' arte
e i novissimi problemi sociali. E mentre gli altri
pigliavano refrigerio sotto le ombrifere piante della
giovane arcadia a squittir la romanza o il madri-
gale o il ritornello delle false muse silvestri o delle
nuove zampogne pastorali, essa, a braccetto della
scienza, ha voluto indagare e indaga tuttavia, nel cer-
vello di Maupassant, le varie manifestazioni della follia
negli uomini d'' ingegno e di genio. Oh! dunque, in
tempi di si triste decadimento, c'è pur qualche cosa
che sveglia ne' giovani un vivo sentimento della vita,
del vero, degl' ideali umani ?
E ci viva pur così, per molti anni ancora, e sia la
ben vemita, se possiamo con essa provarci a tentare
i problemi sociali e civili, che c'interessano, o qualche
problema di scienza, che ci fa risorgere.
Auff! respiriamo... prendiamo una boccatina d'aria...
entriamo ne' parchi frondosi e negli eleganti verzieri
di Natura ed Arte, a braccetto d'un vecchietto sem-
pre giovine e sorridente, sempre gaio e rubizzo, a
braccetto del conte Angelo De Gubernatis. Più in là
ci attendono Strafìorello, Archinti, Cannizzaro, Boc-
cardo, Cesareo, Salvatore Farina, Bertacchi, Errerà,
Jak la Bolina, Teza, la Contessa Lara...
Osserviamo direttamente questa viva natura, questa
natura ravvivata dall' arte: osserviamola tutta intera
nel vergine suo talamo. Oh! quanta flora e quanta
fauna ne' verdi boschetti, nelle floride oasi e ne* ric-
chi palmizi dell'arte! Tutto è bello e rinfrescante
T
i
IQ5
in questa novissima rivista ne' cui sentieri godremo
la natura ne' viaggi de'fortunati esploratori, nelle sane
inspirazioni de' pittori maestri, negl' incantesimi della
musica e delle muse; nelle cui poetiche aiuole ve-
dremo l'arte ne' capricci fantasiosi della moda, nella
simpatica leggiadria de' disegni e delle vignette, ne'
pubblici monumenti e nella storia degli uomini e de'
geni, de' traffichi, delle industrie, dell'economia, della
ricchezza. Ottima questa Natura ed Arte. Ne abbiamo
sott'occhio i primi sei fascicoli, É ancora una pro-
messa , ma è una promessa che fa sperare e fa au-
gurar bene.
*
Scendiamo un po' verso il Tirreno, e vediamo co-
m' è a Napoli rappresentata, e se degnamente, la let-
teratura domenicale.
Oh! be' tempi, oh! tempi d' oro del buon Martino
Cafiero, che carezzevole e modesto, valente e gentile,
teneva con sì generosa prodigalità a battesimo tanti
buoni o mediocri scrittori novellini.
Oh! bei tempi dell' universitario Giornale napolitano
di lettere e d'arti.
Chi li ricorda più que' tempi? e chi con riconoscente
affetto rammenta il primo Corriere del mattino e il buon
Cafiero al quale tanti devono ancora il loro buon nome
o la loro impostura letteraria? Quanti morti e quanti
dimenticati dopo la immatura dipartita del buon Mar-
tino! Quanti non ebbero neppure la forza di nascere,
e quanti morirono tenerelli dopo la prima covata !
E pur ieri si aprì una tomba recente per seppelirvi
la Cronaca Partenopea, che, dopo lunghissima malat-
tia, morì di contagio, e passò nel numero di que'
confratelli che vissero senza infamia e senza lodo.
De' vecchi si prova a restare in vita , a forza di
pillole ricostituenti , il piccolino e linfatico Fortimio
di Scalinger. Ma con rigermogliamenti di fioriture
novelle ammiccano al pubblico borghese, rosei e ba-
io6
liosi, tre fogli domenicali napoletani: Bios^ D. Marzio
della domenica, Tavola rotonda.
11 primo — conta più di un anno di vita, il che è
già troppo nel fatale languire della vita letteraria na-
poletana — è il grecizzante e piccolo Bios che ha
certo brio di precoce giovinezza. Di primo mattino,
e spesso molto innanzi all'aurora, esce pel mondo: i
lettori avidi lo leggono tre giorni prima della domenica
nella quale promette uscire, cioè ogni venerdì. Molto
gli piace la vita scenica e musicale, 1' arguta notizia
letteraria, l'aneddoto curioso, l'annunzio promettente,
e qualche volta la vignetta illustrativa ; e la critica
imparziale gli fa buon sangue. È un po' restio a covar
novelle rachitiche e stronzolini di bozzetti; e fa bene.
Vuol vita e gioventù : noi glie le auguriamo tutt' e
due, di gran cuore, e per lungo tempo.
Ecco qua il D. Marzio della Domenica, il quale,
affidato alle cure dell' avvocato Sacerdoti, fa un po'
la scimmia al Folchetto e al Don Chisciotte, e dal suo
pollaio politico passa allegramente al pollaio letterario
per far la voce grossa contro il Carducci, per bocca
del signor Oriani, e a favore d' ideali più o meno
democratici o sociali.
Fuori il classicismo! — gridano i suoi accòliti — dateci
arte nova e civile, nuove aspirazioni e nuovi inten-
dimenti letterari: vogliam la politica in versi rivolu-
zionari, lo paea?i.'
Volete finalmente venire in Via Costantinopoli, al
num. 89, poco lungi dal Circolo Filologico di V^ia
S. Sebastiano e poco lungi dal neo-Sommaruga sig.
Luigi Pierro che in Piazza Dante cova edizioni a scrit-
tori vecchi e novellini? Venite con me, ed entriamo:
è un piccolo e modesto cenacolo, che non è certo
quel di Cristo , ma è vecchietto anzi che no : ap-
107
partiene a' cicli della cavalleria medievale, e si chiama
La tavola rotonda. È una vera rotonda, non diversa
da quella del Gambrinus, ove si dan la posta e con-
vengono i fiduciosi e azzimati giovani commensali,
che van poi a smaltire, nel negozio Pierro e nella
ditta Bideri, la loro forbita digestione cavalleresca.
Son tutti cavalieri della Tavola rotonda , e li guida
in capo , schioccando leggero sul sauro nitriente
la sottile e aristocratica frusta, il sig. Gaetano Mi-
randa. Ma, di mezzo al trottetto de' profumati cava-
lieri gentili, sbizzarrisce e s' impenna un mal domo
palafreno, cavalcato da un arcangelo, Gabriele d'An-
nunzio, che, qua e là, ora innanzi e ora indietro,
sosta e scalpita e s'impenna per accorrere su tutti i
passi sdrucciolevoli della breve e agilissima compa-
gnia. E vanno, questi giovani cavalieri , in cerca di
una dama che qualche volta è la prosa dell' avvenire,
spesso la poesia dell' avvertire, tal' altra il romanzo del-
l' avvertire. Andate pure, o cavalieri gentili, e prepa-
rateci l'avvenire dell' arte; ma scendete pur qualche
volta da' troppo sensibili palafrenini vostri, e cogliete,
di tra' rovi della vecchia arte classica, qualche buona
e modesta erba medica, pria di raggiungere la cima
del colle, la vetta estrema del troppo lontano avvenire.
Anche la Vita intima, altro carissimo figliolino del
Mercati , mena a bel tempo , pe' diritti sentieri
dell' arte educativa, i molti lettori suoi , cioè i mae-
stri della civiltà i quali son le prime balie dell'infan-
zia e i miseri paria del lavoro. Oh ! sia pur dato
ad essi un ghiotto bocconcino di letteratura ricreatrice
e utile , dopo le tante ore trascorse pe' banchi di
scuola, e come a refrigerio dell'animo loro sì triste e
si desideroso d' un avvenire migliore. Ma quante di
queste minime cronachette dovrebbero piacere a tanti,
che, pur troppo, nuotano ne'lazzi e nelle pruriginose
correnti della ineducata e lercia arte nostrana!
io8
Dovrei dir pure qualche cosa delle riviste grandi,
come la Nuova Antologia e la Rassegna Nazionale; de'
periodici sociali, come la Rassegna di Scienze sociali e
politiche del Ridolfi e del Rossi, e la battagliera Cri-
tica sociale dell'ottimo Turati; d'organi propriamente
scolastici, quali la succosa Biblioteca delle scuole ita-
liane del Pinzi , molto utile agli istituti secondari!, e
la bolognese Rifor^na dell' insegnamento superiore del
prof. Tullio Martello: dovrei parlare delle settimanali
effemeridi educative , come il Risveglio di Milano
e V Avvenire di Palermo; de' periodici critici e biblio-
grafici, come la Cultura di Bonghi e la Rivista critica
della letteratura italiana; ma d'esse tratterò a lungo
in uno studio speciale, che avrà per titolo: Movimento
generale della cultura itiliana nel giornalismo contem-
poraneo. Con questo scritto ho inteso dar una succinta
notizia de' vari aspetti che finora ha preso la cultura
letteraria italiana ne' piccoli giornali a cinque o dieci
centesimi; e se pure si è parlato di qualche grande
rassegna, lo si è fatto perchè essa mostrava o mostra
caratteri molto affini a questa spicciola letteratura do-
menicale.
III.
Siamo un po' stanchi, e la corsa è stata molto ra-
pida e lunga. Non abbiamo voluto fermarci in tutte le
serre, in tutte le flore, in tutti gli orticini della facile
ed economica letteratura, di quella, cioè, ch'è più in
vista, più popolare, più, come dicono, di consumo.
Avremmo potuto soffermarci pure, qua e là, nel lu-
brico di certi sentieri a osservare i miserrimi germo-
gli di povere pianticelle soffocate dall' afa; avremmo
potuto cogliere qualche basilico ammiccante da cre-
tacee grastoline di vecchie terrazze; avremmo potuto
errare tra ombrelliferi boschetti per vedere come tra
la \-egetazione di salvie e di timi e d' altre erbe
silvestri pur intristisca su non bonificate aiuole l'in-
log
carnatino di alcuni fiori e 1' aromatica verdezza di
alcuni arboscelli: non abbiam voluto né forse potuto:
la via troppo lunga ci sospingeva a mover frettolosi
per vedere il meglio o il men cattivo e nauseante.
Questo credo lo abbiamo fatto con diligenza e con
amore. E, dopo tanto peregrinare, come ci è parsa,
in generale, la letteratura nostra, tra vivi e tra morti,
tra periodici ancor giovani e tra quelli da tempo
passati nel numero de' più ? Oh ! qual desolante
spettacolo. E come scarsi i vigorosi germogli della
letteratura domenicale, che è pur quella che prepara
il libro e la troppo superficiale cultura e istruzion
parolaia del popolo italiano !
A tal proposito mi rifiorisce nella memoria uno
splendido brano delle Anticaglie del Cavallotti, e mi
piace riferirlo qui:
« questo bisogno di rinnovamento che è, direi,
nel sangue e nell'aria, e travaglia gli artisti e via li
porta nella sua rapina, si traduce a' più inconscienti
in una ricerca quasi morbosa del novo e del bizzarro,
come tale. Del processo intimo che la letteratura
attraversa, costoro sentono vagamente il soffio: inten-
dono che qualcosa intorno ad essi, non ne' tipi eterni,
ma nelle forme dell'arte, si modifica, si trasfigura: e
non avendone che una nozione confusa, tementi solo
di rimanere in ritardo, o di parer fuori del movimento,
corrono dietro affannosamente , come i fanciulli alle
farfalle, ad ogni larva non veduta o strana, ad ogni
luccichio che passi loro davanti agli occhi, per l'aria.
Ciò che nell'ingegno dei migliori è un presentimento
gagliardo di nove vie e regioni dell' arte ancor non
note, ch'essi vanno tentando ed esplorando con orme
insieme malsicure ed audaci , aumenta 1' impazienza
smaniosa di quelli che dietro a loro s'affollano a far
coda, aspettando che i nuovi sbocchi s'aprano. Dove
i primi mettono, tastando, il piede, e tutti là corrono;
se uno s'addentra a capriccio in un viottolo, solo per
vedere ove vada a por capo, e tutti dietro, credendo
che egli abbia imbroccato la via: se quello sotto un
andito si mette a cantare per sentire se c'è 1' eco. e
tutti a far eco credendo che sia quella la poesia
nova.
« Quell'altro avrà poi un bel tornare indietro ad
avvertire che il viottolo era chiuso, e che sotto l'an-
dito egli stava solamente provando la voce!...
« S' è detto che l'arte nova aborre i convenziona-
lismi della forma, e vuole idea e forma, nate ad un
parto, una nell' altra compenetrate: forma nova, in
quanto nova l'idea. Ma non essendo da tutti aver lì
pronto un deposito bello e allestito di idee nove ,
cosi — per risparmiare tempo — alla novità intima
della forma si è sostituita una novità eterna di acci-
denti. E visto che 1' arte vecchia cercava alle forme
le linee .euritmiche , si è creduto di sostituirvi la
soppressione pura e semplice dell'euritmia » (*).
E altrove: « Ebbe la Grecia la sua arte grande —
come la sua vita — e ben fu quella del vostro Omero,
del vostro Alceo, di quell' Eschilo vostro: ma quando
queir arte nella vita greca dormiva , allora fu che
Simmia da Rodi si trastullò co' metri a combinare
le figure dell'ovo e della siringa, e dell'ala di uccello
e della scure.
« Che quella tale famosa scure demolitrice fosse
mai per avventura la scure di Simmia? » (**)
E più innanzi: « Torniamo pure all'antico per im-
pararvi la semplicità e la naturalezza squisite, la evi-
denza del disegno, la suprema eleganza della linea,
la precisione nel profilo dell'idea; torniamoci per im-
pararvi la euritmia nascosa, la rispondenza meravi-
gliosa, spontanea, fra la parola e il pensiero (***) »
E l'arte italiana, salve rarissime eccezioni, è sol
comparabile co' metrici trastulli di Simmia da Rodi.
Ma quanti de' novi e giovani scrittori più si ricordano
di quel gioiello di critica scintillante e giudiziosa che
son le Anticaglie del Cavallotti, ov' è tanto sapor
greco di forme vive agevoli spigliate ? E s' io , con
(*) Anticaglie - Roma, tip. del Senato di Forzani e C, pagg. 115-116.
(**) Anticaglie, n. 119.
(***) Anticaglie, n. 67.
questa mia povera prosa, riuscissi a svegliar ne' gio-
vani il vivo desiderio di rifarsi la bocca con quel
libro, mi consolerei di aver giovato in qualche cosa
i lettori miei, non foss' altro, per aver pòrta ad essi
la lettura di un finissimo lavoro di critica polemica
e di stile.
*
Si parla di rinnovamenti, e si è smarrito il senso
di una metrica giusta e nativa, che solletichi l'orec-
chio e lo educhi; e si scrivon versi orribili con sibili
di serpenti e con ringhi di arrabbiati molossi: la forma,
il contenuto, 1' armonia si perdono e confondono in
una vera anarchia di legamenti sintattici e logici, e
di costrutti e dizioni barbarissime. Quello che dicon
novità è un informe e mostruoso accozzo di voci, di
membri, di nessi, di giunture scontrantisi e rincorren-
tisi nelle sbilenche e rachitiche volute di uno stil di-
sarmonico, ostrogoto, tufaceo, bizantino. E il periodo
lascia le grucce e sgambetta e scodinzola come scim-
mie briache di acquavite; e la vii prosa verista si
scompagina ne' rotti suoni, nella ruvidissima orditura
e nella pessima lingua primitiva de' basci-bouzuk. Si
pubblicano come novità letterarie poesie turgide, po-
limetre, policrome, polisense, slegate, con stridori e
rotture di jati, con orgie di pensieri, di fantasmi e
situazioni, con proteiforme asperità convulsa di linee
e contorni; e le chiaman monumenti letterari, e^ le
ammanniscono al pubblico con fulgor di elzeviri, nel
Sanata Sanctoruìn delle effemeridi illustrate, con fregi
e con richiami solleticanti. Siam proprio allo sfacelo!
Volete essere accetto ? volete pur voi aggregarvi
alla nobile schiera ? volete esser proprio imbecille di
gusto? Venite qua e dateci la evirata sensualità delle
baccanti nella cipria e nel belletto delle forme; dateci
l'arcadia nova nei versettini scamiciati e nelle smilze
e clorotiche vacuità delle imagini da alcova e da su-
burra', dateci il minio e l'orpello nella venerea civet-
teria delle strofettine galanti e manierose; dateci la
melletta de' bagordi e il can-can nella estetica diti-
rambica de' clowns; ma , per carità , niente lingua
classica, niente tradizioni letterarie, niente gramma-
tica, niente toscanesimo elegante; ma le forme più
ovvie e più brutte della nostra sboccatissima e triviale
lingua parlata. O Alessandro Manzoni , o Promessi
Sposi, o fra Caldino , voi ramingate invano per le
scuole di Jtalia! O Fanfani e Rigutini, fu un perditempo
la vostra lingua parlata: i nostri giovani, oggi, v'in-
sultano, e vi chiaman pedanti e linguaioli !
Volete esser poi pontefice o sacerdote della poesia
civile, politica, sociale? Venite qua, e dateci i luoghi
comuni della nuova prosa poetica, con libertà massima
di metri e di ritmi, di pensieri e d'immagini, di pe-
riodi e di stile: massima libertà, purché riusciate tu-
ribulari o ico7ioclasti di questa o quell' idea, di questo
0 quel contenuto, di questo o quel crocchio, e basta:
scrivete pure la prosa e la poesia che meglio vi garba,
e siate barbari, siate strani, siate mattoidi, per carità,
nella peggiore, nella più informe , nella più barbara
lingua italiana.
Per portare un esempio, Gabriele d'Annunzio, che
pure ha ingegno versatile e fecondo, che vuol mai rin-
novare coi novissimi suoi versi barbari ? che son mai
le sue elegie romane che fan copia di sé con civet-
tuoli solletichi ne' periodici più sfolgoranti di elzeviri
e d'incisioni? Ma fatevi un po' più in qua, e ditemi
all' orecchio se quella é veramente poesia italiana, e
se veramente possa dirsi tale uno stridulo accozzo di
ritmi orribili ove non e' é barlume di limpide e chiare
idee, non v' é getto immediato d' immagini e fanta-
smi, non v'è forza nutrita di sentimenti e di affetti,
non vi è alata ascensione di pensieri, e d'ispirazioni.
Molte delle liriche sue mi sembran proprio i me-
trici trastulli di Simmia da "^odi ; non son poesia
ma geroglifico. Ma senza farlo sentire agli altri, fatevi
più in qua, e ditemelo a un orecchio; altrimenti, guai!
1 soliti icotioclasti, vigili custodi e perpetui adoratori
del Nume, candide vestali dell'arte per la quale ten-
gon sempre acceso il sacro foco, son sempre pronti
FERDINANDO MARTINI
113
a inveire contro i profanatori del tempio, e di avven-
tarli nelle gemonie del loro disprezzo e delle loro poco
pulite invettive.
Questi i caratteri che a me par di notare nell'arte
italiana quale oggi si atteggia e manifesta specialmente
nella letteratura domenicale ch'io ho voluto studiare,
anche dove ho lodato, in riscontro al rapido decadere
delle lettere nostre nel peggiore degli ambienti che
possa aver mai avuto la storia della cultura italiana.
Torniamo all' antico: ecco il Verbo dell'arte nova,
della vera arte ^&\V avvenire. Questo avvenirismo —
povera parola per più povero contenuto — è il simu-
lacro del decadimento in un secolo, o, meglio, in uno
scorcio di secolo nel quale si sono inaridite ed es-
siccate le fresche e limpide sorgenti della produzione
creatrice. Dissi verbo dell' arte nova, non perchè l'arte
sia nova veramente, ma perchè, ben lontani da' pe-
riodi della classica letteratura, una rinnovazione o
restaurazione dell'antico eterno, è o potrà essere, di
fronte al mutevole clima storico di questo momento
transitorio e caduco, una grande e bene attesa novità.
L' arte ha correnti e sorgive molto antiche, molto
remote; e quando la nuova produzione estetica le
avrà ritrovate per congiungervisi con alvei novelli
ove possano devolversi più freschi rivoli di forme e
contenuti recenti, allora, di su' meati che la scienza
moderna avrà naturalmente predisposti e messi in vi-
sta alle potenze affettive e creative , potremo avere
V arte dell' avvetiire. E avremo la scienza — gran tor-
mento e massima gloria del secolo nostro — transfì-
gurantesi in creazione estetica e ne' novissimi monu-
menti letterari; e a' miseri gingilli da salotto e alle
povere frange del nostro poetico tenerume muliebre,
avremo sostituito il nerbo di forme e rappresentazioni
intentate ne' vigorosi e larghi disegni del contenuto
originale. Il Verbo dell'avvenire sarà: Arte e Scienza;
ma è necessario che prima scada il regno della cipria,
e che, dopo il predominio dei nervi, tenga il campo,
unico e solo, quel dei muscoli. Rifaremo la fibra.
L'arte, nel vario e mobile atteggiarsi delle forme
8
114
e della contenenza, nel progressivo generarsi di germi
e d' elementi novelli, non dee staccarsi dall' antico
per la ragion storica che noi consente, ma deve con-
tinuarlo, sia rispettando quel ch'è eterno, duraturo e
permanente nell'arte, sia obbedendo alle leggi della
evoluzione naturale, la quale non ammette demolizioni
repentine, ma spontanee, graduali, ascendenti trasfor-
mazioni rinnovatrici. Sappiamo trasformare 1' antico,
ma dopo che si saran disseccate le sue vive sorgenti,
e allora avremo innovato; ma sino a quando, quelle
chiare, fresche e dolci acque correranno ancor limpide
di pure e native scaturigini su per la montagna de
secoli, avremo un beli 'innovare: la innovazione potrà
essere trastullo di menti inferme , di poveri ciechi
vagolanti nel buio e, tastando e ritastando, stoltamente
peisuasi di trovare in ogni ginepro e ortica silvestre
come un indizio dell'arte futura: potrà essere vaneg-
giamento di infelici sognatori che han smarrita la lor
via ; non mai lo svolgimento di un lato nuovo nella
evoluzione umana dell'arte.
L'arte, per ciò che si attiene alle leggi sue primi-
genie e fondamentali che son le stesse in Omero,
Dante, Shakespeare e in tutti i grandi o sommi, è
insuscettiva di transformazione, è immobile. Io para-
gonerei l'arte all'empireo nel Paradiso di Dante. Cosi
lo descrive e luminosamente tratteggia il Carducci:
« In contrasto alla vertiginosa rapidità del primo
mobile sta in sua quiete fermo 1' empireo , il cielo
della teologia, ove è Dio, con attorno i nove ordini
delle tre gerarchie: e ciascun degli ordini move con
sua virtù informante quel cielo che a lui spetta e ri-
sponde, e quella virtìi è l'amore, che raggia da Dio,
e compenetra di luce tutto l'universo e vi sveglia la
vita » (*).
Così r arte. Ha come immobile empireo V estetica
primitiva , fatale, immutabile, da cui raggia, in sua
virtù potenziale, il divenire evolutivo del Bello: i nove
(*) Discorsi letterari e storici. — Bologna, Zaniclielli, 1889, pag. 232.
115
ordini delle tre gerarchie sono il fuoco — per dirla
con Dante —
Ch* emisperio di tenebre vincia:
quel fuoco che avvampa di luce vivissima il castello
de' grandi immortali nel Limbo.
Questi ordini sono i numi indigeti dell'arte ne' pe-
riodi suoi migliori , nella sua storia più luminosa e
più viva; essi, questi numi, informano, ciascuno quel
cielo che a lui spetta e risponde, ciascuno quel ciclo
d'arte, quel tipo, quell' orizzonte che meglio illustrò
e scoperse con la virtù sua , con la sua gloria; e i
cicli della vita , eterna, immanente, progressiva, gi-
rano, si movono, si trasformano, ma son sempre in-
formati alla virtù eh' è 1' amore , che raggia dall' itti-
viobile empireo delV arte e compenetra di bice tutto Vn-
niverso e vi sveglia la vita.
Moltissime accidentalità dell'arte si cambiano, mol-
tissime forme spariscono, moltissimi generi letterari
e modi di rappresentazione, singolari per dati tempi
ed età, van tutti al museo: quel che è dinamico svol-
gimento nelle particolari faccettature e nella tipica
fìsonomia di un determinato e distinto clima storico y
quel ch'è svolgimento temporale, circostanziato, ere-
ditario, di razza, quel ch'è stampo fuggevole dell'am-
biente mobile e caduco, ^ va via, sorpassato dall'evo-
luzione, e più non torna ; e a tanti cicli della vita
scomparsa, rispondon tanti cicli dell' arte , che non
funzionano più. Ma quella grande virtù dinamica, pri-
migenia e potenziale, raggiunta dai gloriosi fattisi macri
per l'arte, quel ch'è eterno e immutabile, quel eh' è
r essenza del Bello e che sempre rimane nel fondo
di qualsiasi opera immortale , non può non essere
come il gran fondamento di tutti i possibili periodi
o climi dell'arte. tL morta la divina e teologica Comme-
dia di Dante nella visione ascetica del Medioevo, ma
n'è rimasta, e sempre ne rimarrà, la vita sostanziale,
ciò eh' è dramma o tragedia di passioni , ciò che il
ii6
Poeta ha rappresentato in rispondenza al suo immor-
tale principio:
r mi son un che quando
Amore spira, noto, ed a quel modo
Che detta dentro, vo" signiflcando...
Il verbo dell'arte umana è, per tutti i tempi, questo
che io dirò colle felicissime parole del Barzellotti: la
selezion naturale del buono per via dell' ottimo nel tipo
mentale umano.
È morto da più che cinque secoli il divino, ma è
rimasto, e sempre rimarrà , 1' mnano, almeno sino a
che avrà vita la specie.
Omero, Dante, Shakespeare non sono morti ancora,
non morranno, né potranno mai morire. Innoviamo
pure ma torniam sempre a quei grandi modelli: tor-
niamo all' antico, all' immobile empireo dantesco del-
l'arte; e allora non rappresenteremo soltanto la pic-
cola vita di un ciclo solo , sì la vita eterna dell'
Universo: allora l'arte non sarà d'uno, ma di tutti i
tempi; non d'una ma di tutte le età; non d' una ma
di tutte le nazioni: sarà 1' arte del passato, del pre-
sente, dell'avvenire.
Ma quali più grandi avveniristi di Omero, Pindaro,
Alceo, di Virgilio e Orazio , di Dante, Shakespeare
Goete ?
5-^^;i
XII.
Il Reale nell'Arte.
I.
^OLTi si provarono a definir W4rte, ma ben po-
chi, credo io, seppero farlo con precisione
e con interezza. Che è, innanzi tutto, una
definizione? È, o dovrebbe essere, l'espressione sinte-
ticamente efficace e integralmente esatta del Vero uni-
versale. Or quest'ultimo è il fondamento obbiettivo,
cioè la genesi informatrice delle nozioni e delle idee,
ramificantisi in tante famiglie di verità speciali, deri-
vate, o meglio, propagginate da uno stipite comune.
Onde la definizione di una cosa è propriamente una
idea madre che in sé compendia tutt'i possibili svol-
gimenti delle nozioni particolari nella nozione gene-
rale. Quando dal particolare si risale al generale, ab-
biamo la sintesi: viceversa, scomponendo, 1' analisi.
E quand'essa la definizione non assomma in sé come
r embrione di tutt'i possibili particolari delle cose,
né almeno li adombra, , non è vera , o non é com-
piuta. Ecco perchè quando si è trattato di definire
V Arte o il Bello i soliti retori nostri, o son riesciti
oscuri, o non ci hanno resa della cosa che sola una
parte . Oh ! che amenità di espressioni apodittiche
nelle tante graziose retoriche che oggi svolazzano
per le scuole e si volatilizzano ne' cervelli degli ado-
lescenti. Anche noi con la fiducia di non recar vasi
a Samo o nottole ad Atene, ci vogliamo provare a
definire compiutamente V Arte rispetto al vero.
Ci riusciremo? Forse no; e allora il lettore non
malevolo ci si mostri benigno almeno per le buone in-
tenzioni.
ii8
Noi dunque definiamo V Arie come la rappresetita-
zione attuale, storica e climatica del vero nel bello, idea-
lizzato dalla coscienza e concepito da un temperamento.
E il Bello è la idealità del vero nel buono, in cui si
appaga consapevolmente l' anima umana, atta a compren-
derla e a vagheggiarla.
Ma torniamo alla prima. Essa è dunque rappresen-
tazione, cioè colorito e rilievo del reale od anche di
una particella, di una spera, di un barlume di esso
più intimamente e passionatamente percepito. Ecco.
Tutti possono sorprendere nella vita, interiore o sen-
sibile, morale o psicologica, una mossa o inspirazione
meglio rispondente alle condizioni dell'animo o del sen-
timento, e in un modo che più direttamente consenta
alle attitudini dell' ingegno e più rapidamente susciti
neir anima un movimento originale d' imagini e di
pensieri. Chi sa rendere con la più netta e colorita
espressione questo momento, è artista mero. \J Arte
insomma si può riguardare come un pieno, luminoso,
intellettuale vagheggiamento delle cose più fortemente
e prontamente avvertite, e più fedelmente espresse.
E come non tutti a un modo né con la medesima
intensità o larghezza di relazioni ideali giungono a
percepire il vero, così questo , per differenti gradi,
moltiplica e versa il suo contenuto in temperamenti
d'ingegno, ora sterili o mediocri, ora buoni o discreti,
ora alti e poderosi: il che dà luogo a tre forme al-
meno fondamentali dell'Arte, la propriamente popo-
lare o ciompa, la comune o consuetudinaria e la su-
periore o aristocratica . E pure entro i confini di
queste tre forme v'han gradazioni, variazioni, mani-
festazioni infinite, le quali corrispondono di individuo
in individuo a quel tanto d' irradiazione ideale che
ciascun artista nell'anima sua fa splendere intorno
all'oggetto dell'opera propria; e più d'alimento si dà
alla percezione, e più n' esce un lavoro complesso; più
dal fondo associativo delle facoltà si deriva di no-
zioni, d'impressioni, d'imagini, e più il parto del no-
119
stro ingegno acquista carne e colore, palpiti e sangue.
Onde a quelli che troppo alto mirano il contenuto
ideale delle cose, spetta il diritto e di vagheggiarlo
inaccessibilmente e di renderlo con impronte mal ri-
spondenti al gusto de' più: questi atleti non devono
per essere intesi aver l'oroscopo della ignoranza. A
me verrebbe voglia di comparar 1' arte al rovesciato
imbuto dell' « Inferno » dantesco capovolto in su.
Come di questo nei primi ampissimi gironi soffrono
le anime di coloro che peccarono per fragilità o per
debolezze comuni alla grande maggioranza degli uo-
mini, a quel modo che ne' cerchi più e più digra-
danti e sempre più ristretti si contengono le vanità
di quelli che in assai minor numero più gravemente
effesero Dio nelle leggi sue, onde apparvero più sin-
golarmente ribelli o delinquenti: così i primi gironi
dell'arte abbracciano nelle larghissime volute la grande
maggioranza de' piccoli o comuni scrittori, de' pro-
duttori popolari o borghesi nella forma plateale e con-
suetudinaria. Questa, via via che sale, vien contenuta
in orbite gradatamente più piccole e più ascendenti,
sino al punto più alto dell' ascensione ideale ove la
estetica si può dire il privilegio di pochissimi eletti,
venendo così limitata dall' ultimo e minimo cerchio.
Non che l'arte non possa in alcuni tempi essere o la
diretta collaborazione del popolo, od un bisogno este-
tico di lui, od un mezzo di rinnovamento, o produzione
relativamente democratica per iscambi e contatti di
idee e di forme; ma, sempre che s' intenda nel suo
debito valore la popolarità nell' arte, quest' ultima,
quando riesce alta elaborazione riflessa d' individui e
non dell' intera società, non può essere intesa da
ognuno e spesso anche da molti; e credo anche che
la eccellenza di una grande opera, considerata asso-
lutamente in sé, non possa in ogni età esser gustata
per intero da ciascuno, sì veramente da quelli che
Orazio tanto bene diceva: homines enmnctae naris, cioè
di fiuto squisitissimo.
*
* *
Verremo ora a indicare i diversi aspetti ed elementi
che concorrono armonicamente a produrre un' opera
letteraria in rapporto all' estetica. Essa, vera e indi-
pendente repubblica del bello, sotto qualsiasi forma e
contenuto accoglie fedelmente tutte le manifestazioni
ideali della vita; sia come specchio del reale umano,
comune a tutte le generazioni, reale il quale non passa
anzi si perenna per tutt' i gradi della evoluzione,
proprio come il « mondan rumore » di Dante che
« muta nome perchè muta lato »; sia come specchio
del reale che fugge col venir meno dell'ambiente che
lo produce. Così abbiamo un fondamento di vero il
quale è eterno da quanto l'uomo, e un fondamento di
vero il quale è temporaneo e caduco da quanto l'età: il
primo, riflesso dall'anima creatrice, non muore, e il se-
condo, dopo avere accompagnato un movimento e un
mutamento nella società, cede il posto ad altre forme
e contenuti accompagnanti pur essi un nuovo periodo
della civiltà. Ogni epoca porta con sé queste due ma-
nifestazioni che rispondono a due funzionamenti del
pensiero, 1' assimilazione e la disassimilazione , proprio
come nel fenomeno digestivo; onde le generazioni
novelle, quando non decadono, ritraggono progre-
dendo naturalmente dal primo la propria vitalità. Ne
conseguita che della vita v' hanno nel divenire del
Bello diversi momenti e quindi diverse ombre o fi-
gure ideali: com' è dunque possibile debba esso riu-
scire universalmente identico e ne' limiti di un solo
esclusivo contenuto ? L.\4rte abbraccia tutto il vero di
tutto l'uomo in tutte le età.
Or quali di queste manifestazioni si mantengono
vive anche a traverso il mutevole clima dei popoli,
incontrando così 1' assentimento universale di tutt' i
tempi ? Propriamente quelle che in altissimo grado
conservano nella rappresentazione il primo fonda-
mento del vero, che non passa, cioè il gran dramma
umano che si ripete ne' secoli, o, meglio, 1' eterno
contrasto dell' anima: amore, dolore, tremore; virtù,
abnegazione, eroismo; fiamma di affetti e scoppi di
sentimenti, echi di gioia e rantoli di sdegni, gemiti
di caduti e trionfi di vincitori, la passione che inalza
e quella che abbassa. Tutto questo è perenne e vivo
e presente tanto nella concezione dell' Iliade quanto
in quella dell' Eneide e della Divifia Commedia, così
in Omero che in Virgilio e Dante, vuoi nel Prometeo
di Eschilo vuoi nel Faust di Wolfango Goethe, sia
nelle Trachinie e nei due Edipi di Sofocle sia nel-
V Amleto e nel Macbeth di Shakspeare. Il resto che
fu il mutevole contorno e il temporaneo svolgimento
dell' età, è destinato fatalmente a sparire; e se noi vi
torniamo con senso storico, è per quell'altro vero che
ancora ci abbaglia. Né si creda possa mai 1' artista,
sia pur grande e genialmente assimilatore, evocare
idealizzando un contenuto sorpassato a grande inter-
vallo dalla evoluzione, a meno che e' non si provi
far opera di artificio, ricomponendo con pietruzze di
mosaico tratte dalle necropoli dell'arte un mondo de-
defunto. Quand'egli non si lascia movere a' palpiti
di gloria e di sventura, di virtù e di sacrifizio, che
rapiscono ancora 1' anima de' contemporanei; quan-
d'egli nelle forme possibili dell'ambiente non sa eleg-
gere le circostanze e la inspirazione per l'opera jiro-
pria, potrà in essa versare tutt' i lenocinli e tutte le
carezze della tecnica, ma non riuscirà mai a fondere
nel suo lo spirito del tempo, non saprà cavare dalla
materia greggia pure un alito di vita, né alfine eser-
citare alcuna efficacia sul senso estetico della sua ge-
nerazione, la quale vuole veder riflessa nella rappre-
sentazione solo sé stessa, e di sé tanto quello eh' è
immanente e continuo, quanto quello eh' é caduco;
nelle proporzioni, s' intende, delle varie e anche op-
poste tendenze del presente. Chi si proverebbe, oggi
e sempre, a rifare la vision teologica della Divina
Commedia ? E chi la leggerebbe ? 1 grandi monumenti
del pensiero non s' imitano né si rifanno, se non si
vogliano parodie o bambocciate; il che vale anche per
le cpere minori del passato. Ove manca un intimo
sostrato d' idealità e di sincerità è impossibile avere
creazione vera. Si potrà forse evocare oggettivamente
una grande leggenda o un grande avvenimento sto-
rico che possa tuttavia esercitare nella memoria o
nella fantasia dei contemporanei un grande effetto,
morale o sociale, politico o religioso; ma sempre che
la rappresentazione ne sia colorita e spiccatamente
impersonale. Vi si provò il Carducci nei frammenti
della « Canzone di Legnano » e in quella « Sui campi
di Marengo », nel « ^a Ira » e in « Faida di co-
mune », nella « Torre di Federigo » e in « Comune
rustico ». Vi si provarono raramente anche il Maz-
zoni, il Ferrari, il Marradi e qualche altro. Ma pur
questo, sia come impressione estetica, sia come ricor-
danza, sia come corrispondenza od affinità del senso
storico, è peregrinamente e artisticamente possibile,
purché si sappia eleggere, sobriamente e opportuna-
mente, la materia storica o leggendaria.
IL
Veniamo ora a dire qualche altra cosa dell' univer-
sale contenuto dell'arte.
Come r uomo primitivo, a cui è in gran parte si-
miglievole l' ignorante e il folle nelle civiltà anche più
avanzate, sur un fondo di errori e per effetto di sug-
gestioni esercitate sull' anima dal soprannaturale e
dall' infinito, intravvede e vagheggia la natura con
senso mistico, fingendosi una conoscenza tutta intes-
suta di aberrazioni e di sogni, e concependo in tal
modo quella che a lui pare la verità; così 1' uomo
dotto o almeno dirozzato, in cospetto della medesima
natura che a grado a grado gli si rivela nei feno-
meni e nelle leggi, concepisce la medesima cosa per
suggestioni diverse: or tanto l'una che 1' altra mani-
festazione entrano nell' orbita del Bello. Questo è di
natura sua universale, in quanto che non abbraccia
l'assoluto qual è inteso da una setta, da un partito,
da un crocchio, né si accorcia o si strema entro i
123
confini di sola una dottrina o sistema od utopia: ma
raccoglie il conoscibile di tutte le scuole in ogni
tempo, quale può essere anche per opposte vie idea-
lizzato separatamente e distintamente da tutte le anime
del mondo: cioè quel contenuto che ciascun uomo
sorprende diverso e con originalità propria secondo
la sua particolare intuizione, anche se esso sia il falso
o il sovrannaturale. Or questo contenuto che è tutto
l'uomo e tutto 1' Universo, si moltiplica nell' anima
umana, d'individuo in individuo e di generazione in
generazione, in una serie infinita di realità particolari;
ciascuna delle quali è per lo più rispondente ad una
sola delle diverse tendenze del momento storico, a
quella propriamente che è meglio disposta a compren-
derlo e a vagheggiarlo nel campo del bello; e quegli
che riuscisse, purché ne avesse le attitudini e la pre-
parazione, a rendere con fisonomia propria e con na-
turale consapevolezza quella interiore visione delle
cose a cui consentano e il bisogno estetico dell' età
sua e, pel contenuto fondamentale, il gusto di tutti
i tempi, raggiungerebbe senz'altro i fini supremi del-
l' Arte.
*
Dissi tendenze del momento storico; e, infatti, gene-
ralmente in ogni epoca od anche in ogni breve pe-
riodo della civiltà v' hanno diverse scuole e molte-
plici focolari di coltura a cui non tutti consentono,
all' infuori di sola una parte e spesso ben piccola
della nazione: onde l'artista che vi s' inspira, riesce
gradito solo a quella classe di persone o lettori cui
piace quel dato contenuto, o a pochi spiriti eletti che
sanno impersonalmente ammirarlo nel solo e indipen-
dente mondo dell' estetica. Or questa parte rappre-
senta appunto quello che dissi tendenza del momento
storico . Vi ha bensì un altro contenuto in cui
tutto il genere umano si sente solidale , fuori di
ogni scuola, ed è proprio quello eh' io dissi fonda-
mentale ed eterno; e chi opportunamente e genial-
124
mente lo rendesse, potrebbe piacere a tutti. V'hanno
in fine termini o confini di civiltà ne' quali mancano
queste scuole, o rappresentano il più piccolo numero;
e allora la letteratura è un godimento intellettuale di
tutta la nazione; ma quante volte questa è sul rige-
nerarsi o rinnovarsi, le scuole si moltiplicano pure
intorno ad una tendenza prevalente. Ma generalmente
il molteplice contenuto ideale del tempo spiccia di-
verso da sorgive differenti; onde chi beve ad una,
prova ripugnanza o dispetto e pur centellinare poche
gocciole delle altre. Chi oggi, per esempio, a propo-
sito delle ultime vicende affricane, inneggiasse alla
pace o alla guerra, non troverebbe consenzienti tutti;
laonde il meglio dell' artista è quello di seguire indi-
pendentemente l'eco fedele della sua voce intima e
sincera, e di piacere almeno a quel piccolo nucleo di
eletti che possano giudicarlo od anche ammonirlo
nella sola religione della bellezza.
Ma se questo contenuto è così personale, com' è
mai possibile contentar tutti, o i molti, o i pochi?
Per la semplicissima ragione che altro è il reaie in
sé, in comunicazione con questa o quella corrente
ideale, ed altro è il reale artistico o meglio estetico.
Io posso ammirare anche quella che non mi pare o
non è per me la realità, purché essa pienamente ri-
sponda a quel palpito del cuore e a quel movimento
delle funzioni psichiche, pei quali la mia mente e il
mio gusto lo vedono fedelmente e naturalmente idea-
lizzato. Ecco: io vedo che 1' artista ha concepito il
falso, o quello che a me sembra tale: se riesco a im-
personarmi in lui e ad accorgermi ( questo é deile
conscienze indipendenti e ben temperate dalla natura
e dalla educazione letteraria) eh' egli lo ha rappresen-
tato come in quelle condizioni di animo e di mente
non poteva essere altrimenti, io su le vie del bello
giungerò a gustarlo e ad ammirarlo per mezzo della
luminosa idealizzazione di tutto ciò che é umano.
125
anche del falso, umanamente e sinceramente perce-
pito. Sotto questo aspetto l'arte comprende in sé tutti
i contenuti e tutte le forme, tutt' i climi, tutte le ten-
denze, tutte le età.
III.
Dalle cose sin qui discorse è molto agevole de-
durre i vari elementi eh' entrano concordi e sotto un
certo aspetto simultanei nell' opera letteraria. Sono:
clima, fattore storico, attualità, idealizzazione, tempera-
mento, tendenza. Di questa dicemmo abbastanza, onde
non ci resta che toccare degli altri elementi.
Il clima è il carattere potenziale, o, meglio, 1' im-
pronta creatrice eh' è tutta nella particolare attitudine
e inclinazione di un dato periodo della civiltà, rispetto
alle forme, al procedimento e a' modi di concepire e
di rappresentare il reale, onde risponde a un deter-
minato momento evolutivo della vita de' popoli. Il
che vuol dire che la sostanza o la potenzialità arti-
stica di questa o quella tendenza di un determinato
momento della civiltà è in fondo la stessa così in
Italia che fuori ; e ogni nazione senza alternarne
le linee capitali vi tesse intorno il singolare ordito
dell' anima sua secondo il genio suo particolare
e con i pregi o i vizi che a quest' ultimo si avven-
gono o gli son propri. Una bella poesia d' argo-
mento recente può certo, anzi dee piacere cosi in
Italia che in Germania, tanto in Francia o nell' Inghil-
terra quanto nelle Americhe lontane. In ciò il cosmo-
politismo dell'arte.
Il fattore poi storico di essa è quel complesso effet-
tivo di particolari e di nozioni, di avvenimenti e di
aspirazioni, d' impressioni e d' idee, che in generale
risponde al clima e in particolare alle varie tendenze
del tempo. Non basta cerchi e trovi in questo 1' ar-
tista le fonti del suo contenuto, ma gli bisogna nel-
l'attrito della vita sociale coglierne le occasioni e la
opportunità, il che forma il senso storico dell' opera
sua. Una vittoria od una sconfitta, l'esempio recente
126
di una grande sventura o di una gloriosa impresa, il
vivo ricordo di un nobile sacrifizio o di una disumana
volgarità, l'avvenimento scientifico di una invenzione
o di una scoperta, i trionfi dell'industra o del sapere,
una rivolta, un grido di generale indignazione, una
esplosione di sentimenti comuni, e via dicendo: ecco
la materia storica recente che può esser atta a dar ali al
suo pensiero e lampi al suo cuore. E oltre questa
v' è pure un' altra materia, men generale ma non
meno affettiva, e lo scrittore la trova nel tempio della
famiglia e nel sacrario della sua conscienza, su'campi
ignorati e nelle modeste officine, nell'amore segreto,
nelle piccole gioie e nelle piccole sventure: egli al-
lora, rappresentando sé stesso nel breve e oscuro suo
mondo, inconsapevolmente rappresenta tutti gli altri,
e nel suo particolare quello eh' è generale, e nel brano
dell'anima sua un brano dell'anima universale. E pero
egli osserva questo dal minuto spiraglio e, per così
dire, dalla minima specola del suo osservatorio psico-
logico , cioè da quel fondo di nozioni o di predile-
zioni morali e civili, politiche e religiose, in che ri-
posa r ideale di quella scuola o corrente , alla quale
egli appartiene, e di cui certo veste e adorna la bella
faccia delia sua figura o del suo rilievo. Onde se
egli è atto a rappresentare della sua spera, grande
o piccola che sia, ciò che è più vicino e occasional-
mente opportuno alla suggestione sua ideale, otterrà
certo un grandissimo effetto su l'anima commossa di
colui che lo intende e si sa riconoscere e immedesi-
mare in lui: ciò propriamente è quello che noi di-
ciamo attualità. E non si creda valga solo per l'opera
così detta di occasione, contro la quale noi ci leviamo
austeri quando la é falsa, voluta e convenzionale:
tutte le grandi creazioni sono state ispirate da un solo,
da un grande momento storico di attualità, sia indi-
viduale sia universale.
Idealizzazione. - Questa parola offenderà certo l'orec-
127
chio poco casto de' veristi vecchi e novellini pe' quali
la rappresentazione è copia o fotografia, quasi che
fosse possibile all' uomo commoversi e appassionarsi
a una cosa senza idealizzarla, e quasi che a rappre-
sentare anche il nudo e il puro oggettivo naturale si
possa fare a meno dell'elemento psicologico, senso e
colore. E' assai difficile se non impossibile definire la
idealizzazione, la quale è un che di azzurro, d' impal-
pabile, di etereo e di spirituale, che viene dall'anima
di cui non si palpa né si brancica 1' essenza, come
si fa di un bel seno di donna; e se quest' ultimo atto
risveglia pure una passione, suscita insieme qualcosa
che non è più materia: or come si fa a realizzarla
materialmente, cioè meccanicamente, in poesia o in
prosa ? Si potrà, tutt' al più, materializzare — povera
parola per più povera cosa — il sensibile o l'osceno
che si tocca, non mai l'anima umana: e se quello,
appunto perchè insensibile o inerte, non è nulla;
questa invece, perchè appunto materiata di affetti, è
bellezza. Tutt' i capolavori, antichi e moderni, sono
ideali e insieme reali, a quel modo che i loro autori
sono idealisti e realisti a un tempo: certo perchè nella
rappresentazione concorrono di pari un contenuto del-
l'animo e un contenuto delle cose. Chi più realista e
idealista di Omero e di Virgilio, di Dante e di Shak-
speare, di Donatello e di Michelangelo, di Raffaello
e di Tiziano, di Schiller e di Gòthe, di Shelley e di
Heine, di Byron e di De Musset ? A Raffaello, rac-
contano, fu domandato un giorno qual segreto egli
avesse per far così belle le sue madonne - Nessuno -
rispose — : io sento in me qualcosa che non so espri-
mere e da cui mi viene tutto. — Proprio così. A me pare
sia la idealizzazione un certo novo aspetto, una certa
spiccata fisonomia delle cose che l'anima nostra ricrea
e trasfigura col sole della intelligenza e col calore
dell' affetto: la par quasi un trasumanarsi — i teologi
direbbero anche transustanziarsi — dell' oggettivo o
sperimentale, della materia, del fenomeno, in quel
quasi caleidoscopio di luce che son 1' ingegno e il
genio, la fantasia e la invenzione, la fassione e
128
il sentimento, le quali tutte cose, come pensa il Lom-
broso, diventano, ne' grandi poeti, genio e follia,
quando esse sono nella più alta e accaldata incande-
scenza de' molteplici elementi di fusione o di compe-
netrazione. Allora noi ricomponiamo in noi stessi come
un diverso e assai più vasto mondo entro il quale
osserviamo sotto altri aspetti anche il sensibile, ma
non in modo che se ne alteri o disformi la sostanza
primigenia e la parvenza fondamentale. Se noi vedes-
simo rappresentate la cose proprio cosi, come sono
in natura, pel quale obbietto servono benissimo le
varie discipline didascaliche, che bisogno allora ci sa-
rebbe della poesia, della eloquenza, del romanzo, del
dramma? È arte non la espression nuda del vero nudo,
il che è superficie, ed è il brutto; ma 1' espressione
molteplice e luminosa dell' anima nel vero, il che è
umano e insieme estetico.
*
* *
Temperamento. — É il duplice e quasi immediato
passaggio del reale dalla natura nella conscienza e
dalla conscienza nell'arte, proprio in sull'atto e sotto
r impulso della ispirazione o, come dicono oggi, sug-
gestione creatrice. E questi due momenti paiono con-
temporanei neir anima umana che quasi a un tempo
li accoglie e feconda con la virtù della passione e
col baleno della fantasia: onde si può dire nascano a
un parto intuito e immaginazione, forma e pensiero,
disegno e rilievo: e 1' esercizio industrioso della tec-
nica e il maneggio della pialla retorica non serviranno
poi che a temperare e a riforbire, con lento e pen-
sato equilibrio di lavoro, il puro e semplice ordito
della rappresentazione. É in ciò il particolare carattere
o tipo secondo il quale lo scrittore percepisce, mo-
della, figura o compie l'abbozzo dell'opera sua, nata
dalla fusione o dall' incontro di quei due momenti,
ond' egli vien così ad acquistare una impronta tutta
propria e tutta individuale. E qui hannosi a notare
tre distinte relazioni o coefficienti, i quali si scontrano
129
e si compenetrano inconsapevoli con graduali e omo-
genee differenze, quasi come i cerchi della sfera: di
modo che il primo discende e digrada nel secondo,
e questo nel terzo , 1' uno men particolarmente
abbracciando 1' altro. L'ultimo coefficiente è tutto nel
clima, ed è il più generale: da questo si sale al se-
condo, che è il primo particolare, ed è la tendenza;
e da esso al particolare del particolare che è 1' indi-
viduo, cioè il temperamento; il quale vien così ad es-
sere la spiccata personalità dello scrittore riflessa per
sottoposti gradi dal contenuto specifico della tendenza
e da quello universale di tutto Y ambierite . In altri ter-
mini l'artista, ritraendo sé, specchia pure senza ad-
darsene i pensieri, i sentimenti, gli affetti, le aspira-
zioni di una parte almeno dei contemporanei, e, più
universalmente, il genio caratteristico del tempo.
IV.
Abbiam creduto sotto novi aspetti e con pensato
tentativo indicare i diversi elementi eh' entrano in-
sieme nella vera opera letteraria, e ci siamo anche
studiati di accennarne le relazioni. Certo, dubitiamo
forte non altri ci combatta o ci accusi di sottigliezza:
comunque sia, crediamo essere nel vero affermando
di aver lungamente studiato il difficile e intricato pro-
blema, che, se non ci mancherà 1' approvazione dei
migliori, faremo in seguito oggetto di più maturo e
riposato lavoro. Questo è frattanto un abbozzo o
meglio uno schema che potrebbe diventare disegno
compiuto in un altro nostro studio sul Vero nel Bello,
che fra breve potremo offrire, se ci accorgeremo di
non riescire noiosi, ai lettori di questa rivista.
Se noi miriamo al modo ond'è fatta la critica oggi,
notiamo anzitutto quanto la si diparta da un criterio
generale e da un pieno assentimento di giudizio an-
che intorno ai canoni fondamentali del Bello: è in
essa certo notevole un fecondo risveglio storico, vita-
lissimo elemento a una disamina compiuta; ma spesso
le indagini tolgono al critico la necessaria avvedu-
9
I30
tezza nel risalire pe' gradi dell'estetica a' diversi mo-
menti della elaborazione artistica, e a scoprirvi i vari
flussi e riflussi della circolazione del vero nell'anima
creatrice, e insieme quel fondo di secrete bellezze che
per entro i molteplici contenuti fanno 1' opera lette-
raria. Non mancano alcuni che vi riescono interamente,
ma in generale, o la critica è soltanto opera di sen-
timento, o la è troppo analiticamente fossile. tL sem-
pre cosi. Quando giunge un nuovo indirizzo nelle
cose, son tutti a seguirlo anche oltre la portata sua,
sino a dimenticare quanto de' vecchi indirizzi o av-
viamenti si colleghi al recente. Moltissimi oggi sono
intesi a disseppellire il vecchio e a dimenticare, non
pure il valore dell' estetica, ma anche la classica de-
cenza del comporre, la eleganza e la perspicuità della
forma, i vigori dello stile molteplice e vario, la ricca
e complessa orditura e architettura del grande periodo
veramente italiano: cose codeste che devono entrar
tutte nel lavorio critico il quale mira anche a un raf-
finamento aristocratico dello scrivere e a un esercizio
finissimo e accuratissimo dell' arte con l'arte.
I sapienti rivelatori e illustratori del bello dovreb-
bero essere i primi a farci gustare col bello medesimo
Varie che tutto sa e ìiulla si scopre, cioè il grande pa-
radiso delle forme compenetrate da l'intimo contenuto
delle più riposte bellezze: dovrebbero insomma essere
artisti e inventori eglino medesimi, come, per più
rispetti, parve essere stato quella inesauribile anima
fascinatrice di Francesco De Sanctis, e come fra' vivi
è certo e interamente Giosuè Carducci, mirabile con-
ciliatore della indagine erudita con l'osservazione este-
tica, della storia con l'arte, dell' analisi sperimentale
con gli splendori dello stile. Manca generalmente agli
altri, e soprattutto, l'attitudine alla immedesimazione;
e s'egli è necessario, come con isplendido barbarismo
si espresse Bonaventura Zumbini, che il critico s'intuì
neir artista, è pur bisogno ci dica come concorsero
131
in quell'anima tutt' i momenti della creazione, tutt' i
materiali delle forme. Siam ora tornati ai bizantinismo
de' retori apocalittici, e, se per poco divaghiamo dalla
storia a cui diamo 1' impronta di topi roditori, rie-
sciamo eterocliti e insieme pedanti, monchi ed esclu-
sivisti, più tosto innovatori di formoie che di organe-
simi ideali, più adatti compilatori di elenchi e di
sommarii che formatori plastici e introduttori di av-
viamenti nuovi negli svolgimenti della patria lettera-
tura. Vogliam così instaurare la lingua, riducendo in
tanti minuzzoli di toscanesimo ciompo la materia les-
sicale antica, il ricco e ancor vivo patrimonio dei
nostri avi; vogliam convertire nella così detta unità
della lingua parlata, studio amoroso e costante di
retori fanfaneschi e manzoniani, la mirabile varietà
della lingua classica, armonica e flessuosa, doviziosa
ed agile, nobile, inesauribile, ed elastica e plastica;
come quella che fu sì adatta a rendere nel complesso
organesimo delle forme tutti gli avvolgimenti e le gra-
dazioni dell' anima, tutte le adombrature e sinuosità
del pensiero, tutte le pieghe e rotondità del periodo,
tutte le intricate correnti e diramazioni dello stile, per
tutt' i tasti della grande orchestra della nostra musica
favellata. E ora? Or ci vogliamo impoverire, rimpic-
cinire, esinanire per bamboleggiare senilmente. A
questo si riduce nel nome del Manzoni la smorfìetta
infantile de' novi linguai dell'uso parlato e la spietata
severità de' recenti spazzaturai dell' uso classico sul
ruvido lastrico dello stile contemporaneo. Onde bene,
a proposito degli ultimi lessicografi, scrisse il Car-
ducci: — Ora leggo i dizionari. E credo che i man-
zoniani ridurrebbero l'Italia ad armeggiare nella prosa
con cinquecento vocaboli e uno stile, a quel modo
che i cinesi mangiano il riso con uno stecchino (*) —
Non si può dir meglio.
Ancora: ci proviamo con la medesima lestezza di
spirito a rifar grammatiche, manuali, antologie, trat-
tati didascalici, con angustie di metodi, con monche
(*) Confessioni e battaglie. — Bologna, Zanichelli, 1890, pag. 47
132
restrizioni d'idee e di forme, con sofistiche innova-
zioni di precetti, con manco di unità e insieme di
varietà nello svolgimento organico ed integro della
poesia e della prosa. È necessario restituire alla lingua
l'avito patrimonio classico con razionale aumento di
ricchezza e con iscartamento di voci veramente anti-
cate, e non per capricci di scriventi, ma col concorde
consiglio de' migliori, su' modelli più durevoli della
patria letteratura e del buon gusto. É indispensabile
restituire allo stile, non pur la conente e spigliata fa-
cilità de' nostri, ma tutti insieme i molteplici pregi e
i vigori e gli splendori della elocuzione. Bisogna re-
stituire all'arte, con le varie potenze ideali e con le
diverse rappresentazioni innovatrici, le svariate fonti
del vero e le più nobili e ancor vive tradizioni di
essa. Ma cotesto dee fondarsi su quella universalità
di metodo che in sé abbraccia e raccoglie tutto il
bello e tutto il vero, la parte tradizionale e la rivo-
luzionaria, il fogliame ancor non vizzo delle forme
antiche e la vegetante fioritura del nuovo , ciò ch'è
omogeneo nella varietà e quello anche ch'è graduale
e diverso e distinto nella ricca e complicata armonia
delle invenzioni e dello stile. Anche oggi emergono
dal gran numero de' produttori quelli che mirano a
questo avviamento che non è di demolizione ma di
conciliazione; ed anche oggi, pur tra' grandi lor vizi
o difetti, non mancano metodi e indirizzi che devono
durare nel compiuto rinnovamento letterario; ma è
necessario che conspirino insieme — vo' dirlo darwi-
nianamente — nella lotta per la esistenza ideale tutte
le sopravvivenze delle manifestazioni più adatte. Ma
primi a darcene l'esempio sieno i letterati e gli scrit-
tori con nobile gara di lavoro e con opera concorde
di restaurazione e d'instaurazione a un tempo.
Libro II.
STUDI ANALITICI E MEDAGLIONI (1)
XIII.
L'ultimo romanzo del Guerrazzi. *)
jUESTA del Guerrazzi non è opera destinata a
passare inosservata, come quella che rileva
una tempera di scrittore singolaie e pode-
rosa, e della quale s' è ornai perduto, presso noi, lo
stampo (**). Di mezzo alla quantità così strabocche-
vole di pubblicazioni leggère e scadenti , la forte
prosa dello scrittor livornese vo' sperare sia di utile
ammaestramento alla gioventù italiana per quanto è
in quella di nobile e di puro, eccezion fatta di non
poche oblique sentenze che rasentano ancora il troppo
rigido esclusivismo del grande romanziere. Ma, messi
da banda certi apprezzamenti o ingiusti o eccessivi,
quel ch'è da ammirare non manca, anzi soprabbonda.
Anzitutto campeggia qua e là, ben rilevata da con-
torni netti e da atteggiamenti precisi , la maschia e
vigorosa figura del patriota che, dopo raggiunto quel
che fu il suo ideal supremo , conserva ancora certe
idee e certi sdegni contro le condizioni politiche de'
tempi a' quali è ancor contrario l'animo suo. Anche
di mezzo alle passioni, fortemente sentite e incisiva-
mente espresse, tu ti vedi ritta innanzi la marzial
(*) K. D. Guerrazzi — Il Secolo che muore — voi. 4 — Casa E'iilr.ce
Carlo Verdesi — Roma — ISSó-SG.
(**) Si può di'-e, senza tema d'errare, che la stampa italiana, troppo
intenta a certe pubblicazioni novelline, non si è neanche accorta di questo
romanzo postumo del Guerrazzi. Se ne togli il Bonghi che accennò alla
comparsa del primo volume in una breve pagina della sua Cultura, nes-
suna, ch'io sappia, delle Riviste che sono in voce di autorevoli, si degnò
almeno di annunziarne la venuta al mondo. Vergognai Noi, sebben tardi,
cerchiamo riparare alla oltraggiosa dimenticanza, pubblicando questo no-
stro vecchio scritto sul Pensiero dei Giovani, per dimostrar due cose:
che l'Italia moderata ha troppo presto dimenticato i suoi grandi maestri,
i suoi grandi fattori lìeWUnilà Nazionale, e che i giovani, da --è soli e
senza la ispirazione de' lor viventi maggiori, sanno additare a' loro vec-
chi, nel culto de" grandi uomini, la religione dell'eroismo e dell'ingegno.
Questo lavoro fu pubblicato nel nominato periodico nel iyS7 - Nota dei 1899.
134
figura di un uomo grande, austero, integro , d' una
singolare personalità d'uomo e di scrittore che nulla
ha ancor perduto di quelle qualità che si ebbero ad
ammirare ne' torbidi della Rivoluzione. Vi è ancora
in questa ultima opera sua tutto quel fremito e ribol-
limento di passioni, di astii e di atrocità, che il tempo
non ha per anco sedati; ma insieme tu ammiri sempre
la purezza mirabile degli intendimenti, l'austerità sana
d' un carattere immutabilmente rigido e magnanimo,
l'esempio raro d'un'anima romana che flagella senza
pietà la tristizia de' tempi pe' quali passa. Non deve
far quindi meraviglia se la elocuzione non piegasi
sempre alla forza del concetto, se la frase è quasi
sempre ricercata, se lo stile non procede semplice e
piano, e se ne' giri vari e ne' ligamenti sottili del
periodo la forma si contorce affannosa e molte volte
diflìcile e oscura. Sotto questi aspetti soltanto lo stil
guerrazziano non può offrirsi modello di bello scri-
vere; che anzi, in man de' giovani, le opere del li-
vornese riescirebbero assai nocive al gusto, sempre
per ciò ch'è forma, spessissimo, per ciò ch'è giudizio
d' uomini e di tempi. E così, via via, si andrebbe
in essi formando quell'ombroso e torto giudizio della
vita e della società, e alla punta del sarcasmo mal
saprebbero i giovani conciliare la placida e serena
estimazione delle cose. In ciò il danno artistico e
morale. Il perchè io son di credere che fra le mani
della gioventù studiosa si troverebbero per bene quelle
opere, o que' brani di classiche scritture, nelle quali
all' ottimismo de' pensieri si vegga congiunto quel
gaio sapore di classicità, quella purezza limpida di
linee, quella quasi infantile ingenuità di forma e di
pensiero che rende così primitivi gli scrittori del
nostro aureo trecento. Anche dal cinquecento può il
giovane attingere, in iscuola e fuori, molta parte di
bello, ma, via via, dopo che si è prima imparentato
co' grandi scrittori del secolo summentovato. E di
contemporaneo nulla? — Anche da' contemporanei
può il giovane attingere molto, ma in ciò io credo
si richiegga un ingegno già provetto e ben formato,
135
perchè fra i contemporanei, e specialmente fra i no-
stri, non ancor si han comuni que' sani criterii di
gusto e di estetica bellezza, per seguir questa piut-
tosto che quella via. Ciò dipende dal soverchio cri-
ticismo che invade e tormenta le menti, togliendo ad
■esse la via che le guidi per un sentier comune, fa-
cile e sicuro. Ecco tutto.
Il lettor maturo, che ha uno stil proprio e un suo
originale modo di sentire e di concepire, può leggere
il Guerrazzi , e , a tempo e luogo, ammirarlo: non
tutto in quella viril prosa è da schivare e da fuggire,
né tutto in quei giudizi è torto ed ombroso: che
anzi molto vi è da accogliere, molto v'è da rigettare,
ammirando. Ora questa scelta di elementi formali e
concettivi può farla chi ha potente e maturo il magi-
stèro dell'arte e del giudicare, e non i giovani, e non
altri.
Questa ultima opera del Guerrazzi, ben s' appone
il Chiarini, è migliore delle altre come lavoro d'arte,
perchè i vizi soliti dello scrittore vi si appalesano
meno, e in lor vece spiccano più mirabili le qualità
di quello stile, sempre barocco, ma sempre cosi effi-
cace, sempre così sarcasticamente lingueggianta. Ciò,
per altro, riguarda più la forma dello stile che non
i concetti, i quali pare che da' tempi nuovi abbiano
pure acquistato maggiore acredine e severità. Per-
chè ? — La ragione parmi questa.
Tutto l'ideai suo di politica e di patria non venne
pienamente raggiunto, e così, spinto e amareggiato
dal disinganno, e' molte volte accusa ingiustamente
uomini e cose. Ad esempio , in quel capitolo che
incomincia il volume secondo: Custoza e Montesuello,
e' parmi troppo ingiusto e amaro contro il Cialdini
e il La Marmora , e anche contro 1' Italia politica
d'allora. E' vero che quelli e questa fecero molto di
male, ma è pur vero che i fulmini del Guerrazzi son
troppo violenti ed atroci. Il tórre ogni virtù patriot-
tica e militare a quelli, e a questa ogni attitudine e
sentimento di grandezza e di decor nazionale, anche
per chi fosse all' oscuro di quei fatti intimi, par
136
troppo. Del resto, chi è quei che oserebbe negarmi
che in quelle pagine roventi , in quelle narrazioni e
descrizioni così terribilmente scottanti, non è da am-
mirare , di mezzo alle atrocità della censura, la elo-
quenza del patriottismo che trapela da ogni periodo,
da ogni verso, da ogni parola? — E ciò, in un'opera
che vede oggi la luce, non è poco.
Quale sia lo svolgimento, quale la orditura organica
o, a dir meglio, il sottile e intimo tessuto di tutto il
romanzo, io non dico. Chi ha letto il Guerrazzi nelle
altre opere , saprà intendere bene quest'ultima sua.
Nella quale, con il metodo solito, col solito e rapido
interrompersi , col tramezzar la narrazione di osser-
vazioni politiche e sociali , mena a diporto i perso-
naggi del suo racconto fra cose, uomini e fatti che
si collegano coli' istoria italiana degli ultimi tempi
sino a poco avanti il 1873, anno in che egli morì — .
Perciò credo sia meglio ch'io seguiti a intrattenermi
circa le qualità dell' opera sua letteraria, facendo fin
d'ora intendere che questo ultimo romanzo del Guer-
razzi , come intreccio e svolgimento, è ben povera
cosa.
L'edizione, che ne dà il sig. Carlo Verdesi, è splen-
didissima, e il libro la merita bene. Ma una lode, e
non picciola, spetta anche al Chiarini , il quale la
curò, scrivendone la prefazione, di cui vo' dire qual-
che cosa.
Non parmi giusto ciò che 1' egregio scrittore dice
del tempo nostro. Non so se vi siano uomini straor-
dinari della tempera del Guerrazzi ; ma che, oggi,
altro non si faccia se non che un po' di critica e di
erudizione soltanto, è certo inesatto. Tale pessimismo,
che comincia dall'alto, esercita una non bella influenza
su' giovani scrittori, i quali così s'abituano a giudicar
male de' contemporanei, e a portar fin nelle coscienze
loro un che di arcigno e di duro. Né a me sembra
equo il guardar la nostra vita letteraria in modo da
non scorgervi altro che , solitario autocrate, il Car-
ducci. Di qui ne viene quello sprezzo che affettasi da'
giovani contro tutti gli altri, e il seguir troppo ser-
137
vilmente il movimento carducciano. Tanto più torva
e ingiusta sembrami la sentenza chiariniana, che cioè
in Italia, salvo il Carducci , non sappiasi , come il
Guerrazzi, la lingua italiana, quarito più io reputo
non affatto immeritevoli di nota un Bonghi, uno Zum-
bini, un Comparetti, ed altri.
In tempi, come il nostro, di transizione, è impos-
sibile avere , nel campo dell' arte, quell'alito vivo,
quella forza intimamente geniale, quale può darci un
popolo vigorosamente giovane e fecondo. Il perchè,
relativamente al tempo presente, i nostri tentativi, per
quanto incerti e consuetudinari , sono pur qualche
cosa per l'arte dell' avvenire. E' nella natura intima
dell' ambiente che noi dobbiam giudicare il valore
della produzione letteraria, non mai avendo d'innanzi
que' secoli per eccellenza artistici delle letterature
europee.
Per ciò poi che riguarda la lingua usata dal Guer-
razzi, anche in quest'ultimo romanzo, io sono ricisa-
mente della opinione dell'onorevole Bonghi, il quale
in una pagina della sua « Cultura », affermò con
giusta osservazione che il Guerrazzi conosceva la
lingua più da lessicologo che da artista. Ed è vero.
Quella congerie di vocaboli, molti de' quali non re-
gistrati nel Lessico, tormentano il povero lettore in
quella che egli è meno disposto a ricercarne il signi-
ficato. Ciò è male per un romanzo, il cui fine è ap-
punto quello di dilettare. Ora, qual diletto si produce
neir animo del lettore, il quale è costretto a deviar
l'attenzione sua col riscontrare continuamente i lessici?
Un altro grave difetto, spesse volte rimproverato
al Guerrazzi in occasione di altri romanzi pubblicati
da lui, è questo.
Il filo del racconto, pel brusco interrompersi che
fa lo scrittore, viene a perdere quella che dicono la
vivacità drammatica de' personaggi. Quelle osserva-
zioni, quei giudizi che usurpano la maggior parte del
romanzo, raffreddano lo spirito del lettore più paziente.
E ciò è un difetto di tutti gli altri romanzi , anzi
proprio dell' ingegno del Guerrazzi. Di fatti questi,.
ir.s
giunto, anche per incidenza, a un dato avvenimento,
vi si ferma: e di qui una fuga di pagine sarcastiche,
terribili, brillanti.
Questo temperamento soggettivo, derivato in gran
parte dal Guerrazzi stesso, possiede da noi un grande
artista contemporaneo ancor forte e vigoroso, il Car-
ducci. Ma il soggettivismo carducciano , eminente-
mente artistico, piace, perchè serve a temperare, col
soffio vivo del sentimento , 1' aridità e la freddezza
delle quistioni letterarie ; il soggettivismo guerraz-
ziano, invece, guasta l'interesse e attenua la curiosità
del romanzo. Ma v' ha di più. Il livornese toglie a'
personaggi quel movimento vivo drammatico richiesto
dal carattere proprio di quelli, e insieme le passioni
non si svolgono oggettivamente varie , molteplici,
complesse nell'azion viva di quelle figure umane che
popolano la grande scena del romanzo, nel quale è
da osservarsi 1' intuizione profonda e analiticamente
varia di quelle date passioni svolte in una data mossa
eh' è quella e non altra. Niente di tutto questo: il
Guerrazzi fa vibrare una nota sola: la nota dell'animo,
delle passioni, del cuor suo.
Questi i due difetti magii:iori de' romanzi suoi tutti,
i quali piacquero, solo pel patriottismo che vien fuori
potentissimo da ogni pagina, agli uomini di quella
forte generazione che ci rese la patria e la libertà
La media della vitalità d' un romanzo, a dargliela
lunga, è di 25 anni — scrive il Carducci (*). Di fatti,
chi è quegli che vuol prendere interessamento a cose,
a fatti che non sono più nella viva memoria della
generazione presente? So bene che nella storia nostra
è importante , per quanto non bella, la pagina che
consacra alla memoria i fatti di Lissa e di Custoza;
ma noi allora eravamo ancor fanciulli, ed ora che
Siam giovani maturi amiamo interessarci, ne' romanzi
e in altri lavori d'arte, di fatti di maggiore attualità.
•Quel periodo per l'artista e pel lettore è passato or-
(*) Domenica dbl Fracassa — Anno II. — -N. 12.
139
mai: ora si è — dice ancora egregiamente il Cm'-
ducci — allo stato di posa. Ma, dunque, non si ha da
ammirar nulla, come arte, nelle altre, e segnatamente
in questa nuova opera del Guerrazzi? — Tutt'altro. —
■Ci è da ammirare quella profonda maestria nel rap-
presentare di scorcio, e quasi in alto rilievo, un pen-
siero, una passione, un avvenimento; ci è da ammi-
rare quella potenza meravigliosa e inesauribile di
umorismo che scatta fuori da ogni pagina, ci è da am-
mirare l'impeto del sentimento, la nervosità pode-
rosa dello stile, la forza vigoreggiante del concetto
che fa rèssa in quell'animo, in quell' ingegno cosi
potentemente pugnace e battagliero, come quegli che,
come disse egli stesso, non avendo potuto combattere
una battaglia, scrisse un libro; ci è da ammirare la
grande efficacia delle espressioni, le quali condensano
in poco il raggio di un grande pensiero.
Tutto questo è da ammirarsi, e vi par poco? — Ma
non basta — Tutti — e i giovani in ispecie, quelli,
dico, che possono leggerlo — hanno da ammirare in
queste pagine eloquenti la grande e potente virilità
del pensiero, la nobiltà degl'ideali, la singolare inte-
grità del carattere.
Ma, anzitutto, diceva il Chiarini , bisogna saperlo
leggere; e dicea bene.
XIV.
Da' Juvenilia alle Terze Odi Barbare
/KkSÌ^ME' Juvenilia il Carducci è lo scudiere de' clas-
W^^Ù sici: il poeta è tutto in Orazio e negli altri
^^i2S|y classici latini (frigida pugnabant calidis hu-
mentia siccis), e tra le reminiscenze antiche e le piccole
parvenze letterarie del tempo in cui venner composti
questi primi suoi versi, egli rappresenta le affezioni
e tendenze letterarie di quel ristretto cenacolo d' ar-
tisti e letterati che, tra il 50 e il 60, vollero primi ri-
tornare all'antico e restituire all'arte, con ispirito
battagliero, le sane tradizioni della vera e grande
poesia classica, che sì splendida fé la virilità del Fo-
scolo , del Monti , del Leopardi. Molti , anc' oggi,
son rimasti devoti a questa prima manifestazione poe-
tica, a quel modo che , come nota il Panzacchi , alcuni
pittori meglio si piacciono delle tele peruginesche del
Raffaello, che delle ultime di lui. Ed ecco già una
scuola, che anche oggi non manca all'Italia, la quale
venera a suo modo, e con suoi gusti particolari, questa
prima elaborazione dello spirito poetico del Carducci:
è una scuola e anche un ciclo d'arte che pur giova
oltrepassare.
Ne' Levia- Gravia il Carducci, con in mano le odi
di Orazio e de' poeti stranieri, francesi e alemanni,
anche allarga la sua poesia di contenuto e di forme:
e' comincia a mescolarla alle più larghe correnti delle
(*j Da un mio lun^o Idvoio critico sul Oariliicci, di cui si s-tiidia,
nelle liriche e iielKi prosa, tutta la evoluzione dell'i gegnu sino all'ultima
opera edita: questo franiiriento è poi cavato dal fapitolo intorno alle Ter^e
odi barbare, delle quali partitamente si ragiona nello studio ri edesimo.
141
letterature europee; e, meglio guardando a certe ra-
gioni sociali del tempo suo, la rende men fissa e più
agile e corrente, più ricca di toni, di fantasmi, di
movenze, più grave e decorosa nella men contorta
orditura delle strofi, e anche più recente e immediata
nelle inspirazioni ideali. Il poeta esce meno impacciato
e più libero dal cerchio un po' ristretto dell'arte ri-
flessa, ma non senza alcuni difetti del tempo in che
vennero in luce queste poesie: fa la sua vigilia d' armi.
E anch' oggi quella poesia piace a moltissimi, e no-
nostante i disgusti per essa dell'illustre poeta, segna-
tamente a quella scuola che ricerca nell'arte un intimo
contenuto sociale. E che questa poesia non possa dirsi
propriamente morta, sperimentalmente lo prova la
mirabile ode-elegia Per l' albo cC una ricca signora, ove
stupenda è la maniera onde l'artista con forme inci-
sive e rende e scolpisce la ricchezza di fronte alla
miseria nell'agonia ultima de' morienti.
Anche questa è una scuola o un ciclo d'arte che
pur bisogna oltrepassare; ed è la seconda evoluzione
poetica dello spirito del Carducci.
Ne* Giambi ed Epodi « dopo i primi colpi di lancia
un po' incerti e consuetudinari, corre le avventure
a tutto suo rischio e pericolo. » Dinanzi a quel tor-
bido agitarsi di avvenimenti intesi a riconquistar Roma
all'Italia, di fronte all'eroismo di Villaglori e Mentana
e alla ferocia della tirannide papale, il Carducci,
che ne' Levia- Gravia anche accennava a un certo
pessimismo già da lui significato col noto vei-so
Torniam nell'ombra a disperar per sempre,
sente commoversi la vigorosa fibra patriottica, e,
dominato quasi repentinamente dal suo spirito bat-
tagliero, lancia nell'agone letterario una fuga di epodi
e di giambi che sono — lo sappiano alcuni pedanti
e arcadi viventi — la miglior poesia giovenalesca che
142
abbia avuto mai l'Italia e quanto di meglio e di più
vegeto e sano essa possa vantare nella lirica patriot-
tica dopo il "60. Il poeta, uscito allora come dal
pelago della grande poesia straniera, e ancor recente
degli studi fatti nella letteratura di Heine, di Hugo
e di Barbier, seppe cogliere il momento più favore-
vole nel quale potè svegliarsi intera, sotto la rapida
manifestazione della poesia giambica, la potenza atle-
tica della sua calda vigoreggiante inspirazione poetica.
É, nel suo genere, la più bella poesia ch'egli abbia
dato all'Italia; la poesia della vera e matura giovi-
nezza; la poesia più esuberante di vigoria, di calore,
d'impeto lirico; la poesia, infine, ove meglio io trovo
fuse la incandescenza del giovenile suo spirito pugnace,
e la versatilità e agilità delle forme e de' motivi.
E quelli che affermano che ciò non è vero, dovreb-
bero sperimentalmente provare, e non colle solite frasi
vuote e agghindate, che, ad esempio, le odi giambiche
che han titoli: Per Edoai'do Corazzini, Nelvigesimo anni-
versario dell' 8 agosto 1848, Per Giuseppe Monti e Gae-
tano Tognetti, In morte di Giovanni Cairoti, Avanti /
Avanti! Per il LXXXÌ^III anyiiversario della proclama-
zione della repubblica francese, ecc., ecc., non sieno,
cogli stessi lor difetti, delle stupende cose.
E anche adesso questa poesia ha piccioli denigratori
e ammiratori grandi; ma d'essa più si piace una chie-
suola politica, la repubblicana e socialista, e se ne
piace tanto, che fuor d'essa non trova porto di salute,
se ne spiace invece, com'è naturale, quella casta po-
litica che fu gran parte de' fatti che in Italia seguirono
entro i termini del decembre che precedette il "70.
E pure questa poesia, che a ogni patto non può
morire perchè fu anzitutto animata da un grande con-
tenuto storico, non forma che la terza fase dello spirito
poetico del Carducci, e una scuola , diciamo pur
così , che dal Carducci iniziata col Carducci si
esaurì senza imitatori; ma pur bisogna, oltre i termini
di essa, trovar altro aere, altra materia e altre forme
a una lirica pe' tempi novissima e che non può non
dispiacere a molti che ancor restano devoti a qualcuna
143
delle prime tre precedenti maniere, forse per manco
di forze o d'intelletto estetico a gustare o a cercare
più in là.
Colle Rime Nuove usciam subito da' confini delle
prime tre maniere, che, come dianzi dicemmo, sono
tre scuole o tre cicli d'arte, e raggiungiamo un quarto
ed ultimo stadio ove il Carducci si rivela artista
finissimo nella piena evoluzione poetica dell'inge-
gno suo.
Come le Terze odi barbare son l'ultimo punto d'a-
scensione dal Carducci raggiunto nella poesia barbara,
cosi della poesia rimata le Rime Nuove. Queste ultime,
per esuberante ricchezza di metri, di forme, di motivi,
or nuovi e or meglio rimaneggiati o rinnovati; per
vigorosa e classica plasticità di espressione lirica; pel
meglio affinarsi dello stil poetico in una più aristo-
cratica eccellenza di contenuto e di rappresentazione,
avanzano di molto le tre precedenti maniere. Inoltre,
per la più perfetta orditura e concinnità della strofe
e de' ligamenti, e, ciò ch'è più, per la potente e
spesso originale assimilazione, con soddisfacimento
di legittima conquista, di quanto v'è di meglio, come
valor concettuale e formale, nella letteratura nostra
e nelle straniere allargano i confini della lirica tradi-
zionale. Per la fusione, adunque, di tutti questi ele-
menti, esse, le Rime Nuove, fanno assorger la lirica
a intentate altezze di contenuto e di esecuzione, sino
a raggiungere i toni e la grandiosità dell'antico canto
epico: esse sono insomma la più veramente ricca e
originai poesia, nel senso montiano ed eclettico, che
in quest'ultimo trentennio sia stata prodotta in Italia.
Questa lirica sorpassa, almen per la tecnica e per
la rappresentazione plastica, tutti i metri e tutti i motivi
più usitati. Rinnova l'agile strofetta de' romantici con
aumento di vigore e di varietà; riprende meraviglio-
samente l'alessandrino con epico andamento in argo-
menti leggendari o storici {Su' Campi di Marengo — La
144
sacra di Enrico V) ; perfeziona l'ottonario rendendolo
discorsivo e drammatico insieme (Faida di Comune —
In Gamia — La Torre di Teodo7'ico) ; riyinova a prova
intentata il vecchio sonetto ne' dodici mirabili sonetti
del pz Ira; nelle Primavere elleniche, con fragranza e
venustà tutta greca, prenunzia alle Odi Barbare; nella
poesia Pel processo Padda ci rende l'aspra cesellatura
oraziana del Parità e anche un'eco lontana de' Jave-
nilia; in Serenata, Mattinata, Disperata, Dipartita, Vi-
gnetta, la inspirazione erotica ha forme e concetti nuo-
vi, e una vaghezza e una grazia che fan ricordare, con
senso moderno, alcune delle antiche ballate classiche
e popolari; traduce, come non si può meglio da Heine,
da Uhland, da Platen, da Goethe; nella AHnna nanna
di Garlo V, rende con metro e con forme mirabil-
mente intentati, il gemito cupo e straziante de' pre-
sentimenti 'iella tirannide; e, infine, colle odi e inni
intitolati: // canto dell' amore. Idillio maremmano , Da-
vanti Sa?i Guido, Notte di maggio. Dalla qual par eh'' una
stella si mova. Ali ' Autore del Mago , Intermezzo
(9 e io). Congedo , la poesia carducciana raggiunge
altezze a cui è difficile andare piìi innanzi: il poeta ,
nella pienezza della personalità sua, si mostra origi-
nalmente tradizionale e rivoluzionario in arte. Siamo
nel regno di Goethe e di Heine, e nella olimpica se-
renità delle inspirazioni; siamo fuor de' marosi e della
vita torbida e tempestosa de' giambi, cioè nel lim-
pido paradiso delle forme e nella placidità oggettiva
■e soggettiva della creazione interiore.
Come ne' diversi periodi in che vennero composte
cioè dal '57 al 1887, le rime carducciane , prima nella
Toscana, indi nell'Emilia e nella Romagna, e infine per
tutta Italia e all'estero, promossero un moto vivo di
critiche e discussioni intorno al nome del poeta sino
a movere in favore di lui anche i più dubbiosi; così
le prime Odi Barbare, in Italia e fuori, promossero il
più potente risveglio intorno a studi già dimenticati,
145
e intorno agli uffici della poesia e della critica, e più
intorno all' ultimo rinnovamento del Carducci nella
metrica nuova. Chi non ricorda come e quanto dis-
sertò su esse la critica straniera? chi anc' oggi non
rammenta le Aìiticaglie del Cavallotti e gli studi del
Chiarini, del Trezza, delio Stampini, del Borgognoni?
Chi anche non pensa a ciò che ne scrisse lo stesso
Teodoro Mommsen? Fu quella come una primavera
letteraria, e fu peccato che troppo breve si volse il pe-
riodo in che essa durò e che ci fé gustare i suoi frutti,
ahi! non sempre maturi e saporosi. Ci fu chi disse che
s'altro vanto non avessero le Odi Barbare, han certo
quello di aver promosso, non senza qualche efficacia,
tanto moto di studi, di ricerche e disquisizioni. Esse
non furon solo un rinnovamento di forme e di metri,
ma anche d'inspirazione e di contenuto: il Carducci,
evocando con senso moderno tutto un passato, ne
derivò fantasmi e pensieri e metri e motivi che, no-
nostante i vecchi saggi del Tolomei e del Chiabrera,
sono un potente e meraviglioso tentativo di originale
e squisitissima poesia che non par destinata a morire.
Esse per me non sono che la ideal trasmutazione
dell'inno a Febo Apolline e dell'inno a Satana in una
inspirazione tutta nuova e fulgidamente immediata e
serena: son la idealizzazione più limpida e tranquilla
dell'antico umanesimo nelle grandi memorie del pas-
sato, rinnovellate o riecheggiate, con moderna con-
cezione, di fronte alla realità del fuggevole pre-
sente: sono il rinnovamento dell' arte classica ne'
metri e nei motivi , i quali han come contenuto il
trionfo dell'antico senso pagano in contrapposto a
quello miticamente teocratico e medioevale; sono, in
fine, nella mirabile plasticità della forma e nella in-
superata eccellenza dei paesaggi , la più splendida
elevazione lirica del naturalismo moderno. Queste
le Odi Barbare. La forma è superbamente aristocra-
tica e, sciolta dalla rima, finamente , interamente ,
classicamente poetica; e 1' armonia , anzi che ricon-
centrarsi o perdersi nelle strette della rima, si move
e ricircola variatissima di suoni e di movenze en-
lO
146
tro il corpo del verso che , libero delle vecchie
frange, dà, per chi sa leggerlo, melodia e accenti
nuovi nella lirica italiana. Questo il segreto di quella
poesia tanto piìi eccellente quanto poco o nulla intesa
da' più.
* *
Le Nuove Odi Barbare continuano, nella inspira-
zione e nelle forme, le prime, e sempre in meglio.
In esse il rimpianto pagano è fuso, con maggior lar-
ghezza di contenuto e con più magistrale opera di rin-
novamento formale e concettuale , colle impressioni
del mondo moderno.
Il poeta ritorna, sì, all' antico , ma ne dilarga la
contenenza ; oltrepassa i confini del mondo greco e
latino, e intesse di reminiscenze vediche alcuna delle
sue odi, quella, per esempio, sW Aìirora; dà alla con-
cezione un sentimento più profondamente umano e
sociale, come nell'Ode per Napoleone Eugenio, nella
quale s'inspira, con intuito altamente filosofico, alle
leggi della storia di fronte alla catastrofe de' na-
poleonidi; e infine fa alitare intorno alle forme an-
tiche un' anima di più pura e di più attuai poesia.
I metri son meglio elaborati, più snelli e disinvolti ,
più ricchi di movenze e di toni ; il paesaggio è
reso con maggior densità e vigoria plastica di co-
lori: più vari e importanti sono gli argomenti, e la
reminiscenza storica meglio si collega al fatto mo-
derno. Insomma il Carducci qui raggiunge , come
artista e stilista un degli ultimi gradi della sua
ascensione poetica. Colle odi All'Aurora, Sirmione ,
Alla Regina d'' Italia , Saluto italico , La Madre , Per
le nozze di mia figlia, il poeta ha vinto definitiva-
mente un' altra grande battaglia neh' arte : ha im-
posto nel metro antico e col classico rinnovamento
delle foime una contenenza e una rappresentazione
tutta nuova nella lirica italiana.
*
* *
Mentre molti credeano che il poeta si fosse come
esaurito con queste odi, e che la gioventù sua do-
147
vesse, quindi innanzi, cominciar a declinare, ecco
venir fuori, come inaspettate, le Terze Odi Barbare.
Accenneremo qui soltanto alcune ragioni di arte e
■di stile che ci par riscontrare in esse.
Il più notevole de' rinnovamenti, come notammo,
compiuti dal Carducci nella lirica italiana, è quello che
si riferisce in gran parte alla tecnica la quale in
questo volume ci pare assai più perfetta che negli
altri due che gli vanno innanzi.
Più che rendere co' soliti luoghi comuni e colle so-
lite astrazioni il pensiero poetico, il poeta si piace
incarnarlo nel tipo plastico della natura, di guisa che
il fantasma vien convertito in una forma geometri
camente sensibile.
L' imagine lirica , anziché perdersi nella evane-
scenza de' traslati e de' tropi, vien come ad appun-
tarsi e determinarsi nel rilievo caratteristico del feno-
meno esterno quale il poeta lo sente e percepisce
vivo e immediato nel momento più attuale e spontaneo
della inspirazione sua; il perchè il reale insensibile,
fantastico, psicologico, diventa oggettivamente ombra
o figura, carne e colore. Non è la semplice e pura
similitudine, mobile e poco determinata, quale ce la
resero gli antichi anche migliori, ma è il fatto esterno
che, nell'azion viva della rappresentazione, transfi-
gura, idealizzandolo, il concetto, il pensiero, il sen-
timento.
Insomma il poeta vuol come farci toccar con mano
e far spicciare dalla natura vergine e viva, nella sua
verità di suoni, di sensi e di colori, il limpido e soave
risvegliarsi delle memorie dal fondo dello spirito, or
triste e gemebondo, e or vigoreggiante d' ideali e
di affetti potenti. Osserviamo il pensiero che moven-
dosi e specializzandosi in quella data raffigurazione
sorpresa e colta nel mondo esterno, attinge altri e
altri motivi che ne formano la piena esplicazione.
Si, anche gli antichi ebbero mirabili personificazioni:
Dante ne ha d' impareggiabili; eppur esse non mi
sembrano così maneggevoli e sensibili senza che qual-
che astrazione o mobilità d' imagini non le guasti o
trascenda.
148
Nel Carducci invece — ed è proprio questa la no-
vità più spiccata di queste ultime odi — è il reale
esterno che parla, che pensa, che imagina, che ride e
folleggia, che piange: è esso proprio che si fa azione,
e da esso spira V anima delle cose: l'eccellenza del poeta
è qui veramente meravigliosa nel sapervisi immedesi-
mare, e nel rendere i palpiti suoi ne' palpiti della
natura. Questo è il segreto del Carducci. Ma si badi
eh' esso non appar qui la prima volta: questo sottil
magistero anche lo notiamo gradualmente negli altri
volumetti; ma qui — è utile affermarlo — come
ci si manifesta nella sua maggior perfezione tecnica,
così anche con alcuni caratteri di vera novità. Il
più importante a noi pare che sia il trasmutarsi del-
lo spirito in un quasi dramma del fenomeno ogget-
tivo , e il convertirsi della visione interiore in una
delle tante scene sensibili, non propriamente come
personificazione o simbolo , ma come rappresenta-
zione diretta e immediata del vero per mezzo del tipo
il quale faccia come per proprio conto 1' ufficio del
poeta che pensa e immagina e sente: il lirico non
dice ciò che scruta o prova lui, ma ciò che scruta
e prova il tipo da lui trovato, e in tale immedesima-
zione oggettiva brancichiamo, come si fa di cosa ma-
terialissima , quell' intimo senso del vero che ci oc-
cupa e strugge dentro: è il massimo e il colmo del
vero e schietto e scientifico realismo moderno.
Chi legge, per citarne soltanto alcune, queste odi,
Miramare, Canto di ìnarzo, Primo vere, Roma, Su
monte Mario, Alessandria, Presso l'urna di P. B.
Shelley, Scoglio di Quarto, a Margherita regina d' Italia,
avverte tutto codesto.
Rileggendo queste poesie, pur fedele alla sempre
progressiva vitalità del poeta, mi vien sempre pensato
che, almeno pel tempo nostro, sarà difficile scoprire
orizzonti più vasti. Ed è sempre dolce, in tanto sca-
dere di classici studi, il felicitarci di un grande poeta
che, di fronte a tante volgarità, non ci sembra proprio,
come altri pur disse, del tempo nostro.
Ricordiamolo, reverenti e grati !
XV.
Rime nuove. (*)
I.
JuESTo del Carducci., come già tutti gli altri
del poderoso e classico poeta, è un gran
libro, una, cioè, di quelle artistiche produ-
zioni geniali che, pur collegandoci alle splendide tra-
dizioni del passato, ci rappresentano un rinnovamento
e, nel tempo stesso, una rivoluzione nell' arte.
Queste Rime Nuove sono il sesto volume della serie
delle poesie carducciane di cui l'editor Zanichelli da
vari anni ci sta dando le edizioni definitive: non son
tutte inèdite e originali; la maggior parte è di poesie
comparse, qua e là, su diversi periodici e riviste
i^JSuova Antologia, Rassegna Settimanale , Illustrazio7ie
Italiaìia, Cronaca Bizantina, Fanfulla della Domenica,
Domenica Letteraria , Domenica del Fracassa ), nelle
Nuove Poesie (ediz. Zan.), nelle Odi Barbare, nelle
Poesie (ed. Barbèra ) e in diversi opuscoletti elzevi-
riani pubblicati dallo Zanichelli. Di nuove e inèdite
non vi sono, parmi, che queste poesie — A un Asiyio^
A una bambina, A Madamigella Maria L., San Gior-
gio di Dotiate Ilo, Primavera ci?iese, Vig?ietta, Mattino
alpestre, Tedio ifivernale, Ballata dolorosa, Davanti
una cattedrale, Era 7in giorno di festa e luglio ardeva,
J due Titafii, Faida di Comuìie, Ninna tianna di Carlo V,
Il Passo di Roìicisvalle, Gherardo e Gaietta, La Lavan-
daia di S. Giovanni. Venti componimenti appena, se
pure del tutto inèditi, de' quali gli ultimi tre sono
traduzioni. Ma ve ne ha tre i quali, già pubblicati a
I") Carducci Giosuè - Rime nuove - Bologna, Zanichelli, 1887. Questo
studio, il precedente e gli altri seguenti, qui ripubblicati senz' altra
•emendazione che di parole, t'uron composti ben dodici anni fa, e di quel
tempo cons<rTvano ancora il troppo acceso entusiasmo e la forma un po'
troppo colorita e sonante: non li ripudio o rifiuto perché, tranne diverse
«sagerazioni o incertezze, han tuttavia un fondo di critica che ano' oggi
mi par vero dopo studi più maturi, più larghi e più ordinati.
150
frammenti, qui ricompaiono compiuti; sono : Inter-
mezzo, Davanti San Guido (lo pubblicò in parte il eh.
prof. Borgognoni nella bella biografia carducciana che
venne apposta al volume delle Poesie di Enotria Ro-
mano èdite dal Barbera), Congedo.
Ma lasciamo queste poco utili minuzzaglie d'erudi-
zione e veniamo, senz' altro, alle « Rime nuove ».
II.
Chi rilegga anche una volta queste poesie già vec-
chie e qui meglio riordinate, prova quel conforto e
quel pieno soddisfacimento che solo le opere degli
artisti e poeti grandi producono nell' animo degli uo-
mini di gusto squisito {emunctae naris), E ci vuole, a
dir vero, gusto finissimo e aristocraticamente educato
nelle difficoltà dell'arte specialmente classica, per in-
tenderle davvero. I parrucchieri — come il Carducci
stesso li chiama — in poesia, quelli, cioè, che non
san movere due passi oltre i confini della rettorica e
dell' arcadia , e quelli che a gustar la poesia non
hanno altro aiuto se non quello delle orecchie, gli orec-
chianti vo' dire non possono intendere la poesia car-
ducciana. Per intenderla è anzitutto necessaria una
larga cultura letteraria e un pieno intendimento delle
due classiche letterature: ciò che manca, quasi affatto,
all' Italia d' oggidì.
La lirica carducciana è il portato, spontaneo e im-
mediato, d'una vigorosa cultura critico- filologica e
d' una vasta e sintetica erudizione storica: è il classi-
cismo sposato alle correnti più mosse e più fresche
del mondo moderno entro una forma incisivamen-
te audace che qua e là s' atteggia, con movenze
o tipi un cotal po' bruschi ma scultorii e vivi,
con rilievi plastici e finiti, nel martellato lavorio delle
strofe àulica e dotta. Non è il tipo della poesietta de-
ìHussettiana, perchè ha più nerbo e più larghezza di
contenuto; non è la fantasiuccia mingherlina dell'é";-^-
iismo contemporaneo, perchè è più maschia e gladia-
151
toria e vigoreggiante anche nella incandescenza del-
l'amore; non è il gèttito di poveri ideali in poveri
metri e forme, ma è la sintesi del pensiero fortemente
nutrito di meditazione e di scienza ed espresso con la
suprema eleganza della linea classica. E una poesia
così finamente elaborata non può accomodarsi all'orec-
chio de' moderni, a quel modo che l'eco potente della
poesia vera, ch'è aristocratica sempre, va come smar-
rita nella strumentazione assordante della rimeria
odierna.
Così la poesia carducciana riman come il lavorìo
solitario, òstico a tutte le imitazioni, d' un siny:olare
e potentissimo ingegno. Oh! chioserebbe rifarmi qual-
cuna di queste Rime Nuove — l'Idillio maremmano,
ad esempio — in quel metro e in quelle forme? chi
si attenterebbe di emular mai la delicatissima arte
delle Primavere Elleniche e la tacitiana ed epica evi-
denza de' 12 perfettissimi sonetti del Ca Ira?
Dinanzi a queste meraviglie è troppo lieve lo
scalfir degli unghioli degli evirati cantori moder-
nissimi. Ecco perchè il Carducci non ha avuto ,
almeno sin' ora, come già lo Stecchetti, imitatori, né
potrà, in tal deficienza di cultura, averne giammai:
gli avran rubato qualche frase, qualche aggiunto,
qualche metro, ma nessuno ha saputo mai rinnovel-
larmi 1' adorabile classicità della men bella delle sue
finitissime poesie: nessuno. E io poi ho sempre pen-
sato che se la poesia leggèra si presta al convenzio-
nalismo delle imitazioni, la poesia r^Z/^: respinge anche
questo: potete metterla in parodia, rifarla non mai.
Oh! che non son parodie le contraffazioni dantesche
del Oiiadriregio e del Dittamondo f
Ammessa la immensurabile differenza tra Dante e il
Carducci, quest' ultimo — è inutile dissimularcelo
dopo tanti trionfi — appartiene alla categoria dei
grandi classici, e la sua lirica già appartiene al ciclo
della poesia alta. Chi ne dubita più?
152
III.
Il Carducci rappresenta stupendamente nelle forme
più varie il mondo moderno riverberato nella viva
luce dell' antico classicismo: dirò meglio, e' rappre-
senta, con vigorosa determinatezza pittorica, tutta
la realtà del vigente momento storico, in un eclettismo
di forme e di contenuti che con una quasi perfetta ar-
monia d'organica struttura ha saputo convertire in un
tipo 'ì:utto suo e originalmente artistico e attuale.
L'arte di Goethe, A' Hugo, di Lamarti?te, l'arte clas-
sica de' greci e de' latini e segnatamente d^ O^'azio,
V arte di Dante, di Parini, di Monti, di Foscolo, di
Leopardi; tutta quest' arte insomma, con molteplice
addentellato e con nesso lucidissimo di giunture,
vive originalmente rinnovellata e con senso di momen-
taneità nella poesia carducciana e, per più rispetti,
specialmente in queste Rime Nuove, nelle quali, almen
per le forme tradizionali, c'è dato osservar le linee
ultime dell'ascensione di questo fervidissimo ingegno.
Co' sonetti Sole e Amore, Qui regna Amore, Visione,
Traversando la maremma pisana, e segnatamente con
quelli intitolati Colloqìii cogli alberi e // Bove; colle
erotiche che han titoli Idillio di Maggio, Pianto a?itico,
Mattino alpestre. Autunno romantico. Primavera clas-
sica. Panteismo, Tedio Invernale, Nostalgia, ecc.; con
questi componimenti, dico, il poeta contempla la na-
tura e r intimo de' sentimenti e degli affetti con in-
tuizione calma e profonda, limpida e serena, del vero
immediatamente percepito , con solennità plastica e
con lucida e decorosa efficacia , a mo' del Goethe.
Qui non è più il poeta de' Giambi ed Epòdi che, col
verso ansante di Archiloco e di Giovenale e coli' im-
peto lirico di Victor Hugo , saetta e flagella , non
senza uno strale di Aìigusto Barbier, i tempi a' quali
è ancor ribelle 1' animo suo. Qui non è più la sacra
bile del cittadino e del patriota il quale dà sfogo alle
punture del patriottismo che trapela lingueggiante da
ogni parola, da ogni verso. Qui invece è il poeta che
contempla con raccoglimento la natura e la riproduce
splendidamente rifatta colla pacata elevazione dell'e-
stro; qui è il poeta che, mosso da sentimento vero e
immediato, rende l'amor suo colla erotica comprcnsi-
vità del panteismo moderno, con largo ondeggiamento
di ritmo poetico e con abbondante vena d'affetto. Si
leggano le Primavere Elleniche e di queste specialmente
la terza (Alessandrina); si legga quel gioiello di saffica
intitolata Una Rama d'alloro; e ogni buongustaio am-
mirerà con quale purezza di linee classiche e con
quale semplicità di disegno son rese la rimembranza
pagana, la passeggiata degli amanti in camposanto e
la mitica fantasia d' una fronda d' alloro a proposito
deir amica risanata. Queste quattro odi sono d' una
leggiadria e d'una venustà tutta greca, e d'un senso
cosi recente e reale che la stessa mitologia non guasta
anzi rende più vivi e salienti i quadri e le concezioni.
E la classica reminiscenza non è nella poesia carduc-
ciana, com'altri crede, un'opera di musaico: tutt'altro;
il Carducci, intimamente pagano per attitudini e tra-
dizioni domestiche e per educazione letteraria, rende
il momento simpatico o antipatico del suo animo con
novità tutta sua e con verità di sentimento, pur attin-
gendone le inspirazioni in un mondo e in una civiltà
ormai sorpassati dalla evoluzione. Ma nota il Trezza,
a proposito delle Odi Barbare, che il ritorno alla sto-
rica antichità, col rimpiangerne quanto di nobile e di
puro ci venne tolto, è, di fronte alla brusca realtà
del presente, di una efficacia tutta recente e moderna.
E questo rimpianto pagano che noi, oltre che nelle
Odi Barbare, osserviamo spesso anche in queste Rime
Nuove, è un de' motivi nuovi- che, se ne togli alcuni
frammenti leopardiani e foscoliani di ben diversa rap-
presentazione, il Carducci ha importato di original-
mente suo nella lirica italiana: che anzi questo è il
più notevole rinnovamento operato dal Carducci nella
lirica nostra.
IV.
In questo volume abbiamo, più che negli altri del
Carducci, una ricca miniera d' argomenti, di metri e
154
generi poetici diversi; e non solo la lirica vi cam-
peggia, ma vi fa capolino anche l'epopea.
V'è il motivo erotico, candido e schietto, del ma-
drigale e della ballata — vedi Serenata, Afattinafa, Di-
partita, Ballata dolorosa — reso con mirabile splendi-
dezza di popolarità riflessa ne' bei metri del quattro-
cento: i due primi sono, nel loro genere, due rari
gioielli, unici nella nostra poesia popolare contempo-
ranea,
V'è il Caìito dell' Amore ch'io direi il capolavoro delle
Rime Nuove se troppo vicino non gli fossero i dodici
mirabili sonetti del Ca Ira. Non so chi disse questo
Caìito nvC iibbriacatiira d' azzurro, ma è certo la poesia
più fortemente inspirata del Carducci, la poesia che
ha voli veramente lirici e, in alcune quartine, un co-
lorito dantesco: essa di fronte alle teoriche e agli
ideali sociali moderni, abbraccia, in un fulgido pan-
teismo di paesaggi meravigliosi, con estatico rapi-
mento la natura e 1' amore. E il poeta che, contem-
plando un paesaggio dell' Umbria, in un dolce oblìo
delle ingiustizie sociali, afferma commosso 1' ugua-
glianza e la fratellanza di tutto il genere umano. È
il più bel canto che abbia il socialismo contempo-
raneo.
Bellissima la chiusa:
Aprite il ^'aticano. Io piglio a braccio
Quel di sé stesso antico prigionier.
^'ieni: a la libertà brmdisi io faccio:
Cittadino Mastai. bevi un bicchier.
Fu tradotto in tedesco dallo Schaiiz e da altri molti—
V'è, parmi, una traduzione anche in boemo; e d'esso
furon lodate alcune quartine {E il Sol nel radiante az-
zurro immenso — Quel eh' io se^itiva e picciol verso or' è)
nientemeno che dalla Civiltà Cattolica.'
De' dodici sonetti del Ca Ira non vo' dir nulla:
son troppo noti in Italia e già troppo ne parlai al-
trove.
Il Carducci ravvivò con essi — son sue parole — a
rappresentazione intentata il vecchio sonetto. Apparten-
155
gono al genere di rapprese7itazione epica come già
molti altri componimenti di questo volume, fra' quali
notevolissimi, per la ricca e varia orditura delle strofi
e per la robustezza della verseggiatura, questi: La
Leggenda di Teodorico, Su' Campi di Marengo, La Sa-
gra di Enrico l\ Faida di Comune.
In questi ultimi anni il Carducci non ha tolto ma-
teria ai suoi canti che dalla erudizione storica; ed è
novità tutta sua, in Italia almeno, dopo i pochi e po-
veri saggi del Prati (Conte Rosso) e del Tomtnaseo
(Contessa Matilde), questa di rendere, a tratti miche-
langioleschi e come in alto rilievo, un brano di leg-
genda o un notevole frammento od episodio di avve-
nimento storico.
V.
Non vorrei dir nulla del pregio delle traduzioni,
perchè non ne ho né la competenza né la facoltà; ma
a leggerle così, senza riscontrarle con l'originale, mi
sembran tutte notevoli, e alcune, anzi, stupende. Vi
si ammira sempre quel fare, riciso e nervoso, delle
poesie originali: della traduzione, da Z(?2X?^rf/r///^ di //.
Heine, de' Tessitori si disse ch'è molto più bella dell'ori-
ginale tedesco. E delle liriche heiniane è peccato che
il Carducci non ci abbia dato una traduzione com-
piuta: egli, come il Chiarini per l'Atta Troll, riesce
insuperabile, e anche orginale, nel render italiani i
lield del poeta tedesco. Ma, più che nelle altre, il
Carducci riesce a meraviglia nelle liriche heiniane d'ar-
gomento o allusioni politiche: di queste nelle Rime
Nuove v'ha tre perfettissime traduzioni; sono: Carlo I
(dal Romanzerò), V Imperatore della Cina e i Tessitori
cit. (da Zeitgedichte). E dal Heine il Carducci qual-
che cosa pur derivò nelle poesie sue originali, e però —
dicono quelli che lo posson sapere — par ne sia ori-
ginata piuttosto una stonatura; ma non sempre, a pa-
rer mio. Il Canto dell' Italia che va in Campidoglio tra-
dotto in tedesco dal Hillebrnnd e da altri, e che ha
un felicissimo movimento heiniano, a me pare riveli
iS6
come al Carducci non è affatto estraneo il cinismo sa-
tirico tanto familiare al Heiiie.
L' italiano s' immedesima nelle liriche heiniatie ri-
spondenti a quei sensi e passioni che gli si movon
per l'anima, e le rende in una forma spiccatamente
classica: è come se, traducendo, anche rendesse un
brano, uno scatto della anima sua di poeta e d'uomo
di libertà. Ma non son da passare inosservate due
altre pregevoli traduzioni da Heine: In Maggio (da
Letze Gedichte) e Lungi lungi [àaW Intermezzo). Nella
prima la terribilità straziante dello sconforto psicolo-
gico è resa con molta evidenza di espressioni e con
molta felicità di ritmo, e ricorda alcune elegie de' Le-
via Gravia; nella seconda il desiderio accorato d' un
soggiorno felice è reso con calma e soavità metrica
nel trotto variato e rapido del decasillabo manzoniano,
metro usato dal Carducci unicamente in questa tra-
duzione.
E le traduzioni di questo volume non son tutte dal
Heiìie: ve ne ha da Goethe, da Uhland (quella bellis-
sima de' Tre Canti), da Herder, da Piateti; sono in
tutto quattordici e tutte fedelmente belle.
VI.
Ritorniamo ancora alle poesie originali.
Volete gustare un amore di sonetto nel quale il
poeta vi mette innanzi e ritrae, con bellissima arte,
i tipi e i caratteri diversi del sonetto italiano quale,
nella verità de' sensi e colori, lo maneggiaron Da?ite,
Petrarca, Torquato, Alfieri, Foscolo ?
Leggete appunto // Sonetto.
Volete deliziarvi nella pace idillica del paesaggio e
della vita beata de' campi, nella elegiaca rimembranza
d'un dolce passato, d'un caro amore perduto, ove la
linea classica vi balza innanzi nell' atteggiamento
scultorio del ritmo e nella vivezza pittorica de' con-
torni, in una poesia ove la parola e il metro e l'or-
ditura armonica della strofe rendono lo errar melan-
conico del pensiero e de' sensi con una vaghezza
157
tutta nova di verso ? Leggete e rileggete Idillio Ma-
remmano, Davanti San Guido , all' Autore del JMago,
Notte di Maggio, Idillio di Maggio.
Volete ammirare la prepotenza dell' ingegno, onde
una pura teorica e l'erudizione storico-letteraria sono
rese, con oggettività d'invenzione e colle impressioni
immediate del fenomeno esterno, in un plastico 7iatu-
ralistno di pensiero e di forme ?
Leggete Classicismo e Romanticismo, Vendette della
Luna., Alla Rima.
Volete gustare, nello stil vigoroso dell'elegia e nella
intentata originalità del metro e dell'ispirazione, un
gener novo di brindisi ove la mesta rimembranza del
figliuolo perduto rievoca, nella torva e accorata mente
del poeta , imagini soavemente tristi e doloranti ,
facendo come rivivere nella vita delle tombe un dolce
passato ?
Leggete Brindisi fiinebre.
Volete, infine, osservare come la realtà storica è
resa, a tòcchi e a sbòzzi e co'rilievi del paesaggio —
la nota paesista nel Carducci non manca mai — nel-
l'aspra cesellatura del verso, che si snoda colla larga
e nervosa comprensività oraziana e cogli splendori
e co' colori del canto epico ?
Leggete i sonetti Ora e sempre, S. Maria degli
A7igeli, Momento epico, Fiesole.
VIL
Riassumiamo ora, per sommi capi, la variatissima
e mirabile fioritura di queste Rime Nuove.
Non mai la poesia italiana, dopo il Monti ^ il Foscolo ,
si era felicitata di tale inesauribile ricchezza d'argo-
menti e motivi lirici, di forme e metri nuovi e inusi-
tati, di reminiscenze e di originalissime assimilazioni
da letterature classiche e da straniere: è l'eclettismo
antico più variamente e classicamente rifatto in un
più armonico e perfetto organismo e in una più larga
rappresentazione di veri e di idealità attuali.
Ha derivato dal Parini e da Orazio , meglio con*
158
temperandola al gusto moderno, la rude asprezza in-
cisiva del verso classicamente tornito, ma dal primo
soltanto la nobile bile e 1' alto disdegno dell' uomo
integro e ribelle alla volgarità dei tempi suoi. Esempio
ne sia, per non uscir da queste Rime, l'ode giambica
A proposito del Processo Padda.
Ha dal Pascolo e dal Leopardi derivate certe pre-
dilezioni di forme e, in diversi tempi, certi intrecci
e orditure e giri levigatissimi di strofi e di stanze;
ma dal primo soltanto il paganesimo tutto greco di
pensieri e d'imagini.
Dal Monti ha imparato il culto del vero variamente
e fortemente percepito in tutte le manifestazioni ed
espressioni sue, guardando l'arte, con olimpico sguar-
do, oltre i confini della letteratura nostra, non senza
mescolarla alle nuove e diverse correnti della poesia
moderna e straniera. Così, rendendo 1' arte cosmopo-
litica quasi, non ha mancato di renderla di genio alta-
mente italiano e paesano.
Ha derivato dal Goethe la limpida euritmia del reale
poeticamente colto ed espresso nella solenne e calma
movenza del verso: esempi inimitabili i sonetti // Bove
e il Colloquii cogli alberi (cit.); da Hugo certa lar-
ghezza, certa smania archilochèa, certo colorito passio-
nato nel riguardare, nella diamantina e lingueggiante
poesia giambica, la questione sociale; da Heine certa
terribilità cinica e satirica, e anche certo movimento
lirico della strofe, ne' versi d'argomento politico.
E questa è la parte intimamente tradizionale del
poeta che, non con rimaneggiamenti servili o tocchi
pedestri , ma ha saputo render nostra con linee e
colori, con rilievi e contorni , con metri e ritmi e
disegni spesso assimilati ma di una caratteristica vigo-
rosa e talvolta strana personalità. Pochi scrittori e poeti
nostri , lo notò anche il Panzacchi, son riconoscibili
come il Carducci ne' suoi versi, non esclusi i giova-
nili, e anche, aggiungo io, nelle sue prose , dove,
forse un pò più che nelle poesie, stampa, con insu-
perabile eccellenza di stile e di forma, il suo indivi-
duale suggello.
159
Vili.
Veniamo ora, ma in breve, alla parte propriamente
rivoluzionaria.
Non solo alla parte tradizionale si limita il rinno-
vamento classico operato dal Carducci nella poesia
italiana: egli ha importato in questa, senza attingerli
altrove, diversi elementi radicalmente nuovi.
Ha sollevato la lirica a una più vasta comprcnsi-
vità di sentimenti e di veri, di realtà storiche e ob-
biettive , d' inspirazioni e di concepimenti, mediante
una simmetria tutta plastica e un'animata rappresen-
tazione che, per lo innanzi, non ancora avea raggiunta
tanta varietà almeno di lavorìo formale e concettuale.
Non ci dà solo il concento dell' ode e dell' inno, ma
e della satira, de' giambi, dell'elegia, del sermone, del-
l'epopea, della commedia, della poesia didascalica e
gnomica; tutti questi vari e diversi elementi, dico, in
una contemperanza non sempre organica ma splen-
dida di colorito e di rilievo, compiono con varietà
inesauribile di motivi e d'argomenti e di metri, tutto,
diciam così, il ciclo, della lirica carducciana.
Da' luvenilia a' Levia- Gravia, da' Giambi ed Epodi
alle Odi e alle Nuove Odi Barbare, da quest' ultime
alle Rime Ntiove il Carducci, con una progressione ar-
tistica notevolissima , dà esempio d' un' evoluzione
d' ingegno piuttosto unica che rara nella letteratura
italiana moderna dopo il Manzoni e il Leopardi, e dopo
il Monti e il Foscolo, a' quali ultimi, per più ragioni
di affinità, bisogna congiungerlo.
Al sonetto ha dato , con nerbo e vigore tacitiano,
un andamento più risoluto e nervoso e vigoreggiante,
sollevandolo sino alle intentate altezze della rappre-
sentazione epica: esempio inimitabile pz Ira.
Ha rifatto e originalmente rinnovato V alessaìidrino,
un bel metro del quattrocento, rendendolo più ser-
rato e armonioso, più sostenuto e ondeggiante, in ar-
gomenti ne' quali il reale storico e il fantastico epico
si fondono insieme in una rude efficacia e genialità
lÒO
rappresentativa : esempi notevolissimi Su' Campi di
Marengo e la Sagra di Enrico Quinto.
Ha reso anche, per argomenti storici e d' indole
epica, in un pieno condensamento di pensiero e di
forma, più vigorosamente vario e ritmicamente armo-
nico l'ottonario: vedi Leggeìida di Teodorico, Faida di
Comune, In Carnia.
Abbiam notato, più innanzi, la novità importata
nella lirica italiana dal Carducci col riprodurre coi
colori e coi tratti epici la materia storica e leggen-
daria; è inutile, quindi, ritornarvi sopra.
Ma r altra nota, veramente originale di plasticità
antica e di senso intimamente moderno, nella poesia
del Carducci, è il paesaggio. Non mai, in tutta la
poesia italiana contemporanea , aveva il paesaggio
raggiunto tale idillica e imitativa vigoria di realismo
naturale , tale nutrita determinatezza pittorica di ri-
lievi e di scorci, tale naturalezza rusticana di scene
campestri. Per limitarci unicamente a questo volume,
ricorderemo soltanto i paesaggi viventi de' componi-
menti intitolati: Il Canto dell' Amore, Davanti San Guido,
Idillio Maremmano.
Abbiamo, spesse volte nel nostro scritto, fatto cenno
dell'attitudine meravigliosa onde il Carducci rende il
pensiero suo, con incisiva densità di getto e imme-
diato: due o tre linee gli bastano, due o tre mosse,
e certe volte una breve apostrofe animata, un' escla-
mazione potente che vi ricorda quel di Stazio: Parvus
videri sefitirique ingens.
Alcuni accusano nel Carducci la terribile astocrazia
dello stile senza ricordare o conoscere che il poeta
se r è proposto per fine. Ne ragiona da par suo in
una pagina delle sue Confessiotii e Battaglie (Serie, i.):
cito:
« Mi ricordo di aver letto non so più in qual libro
che il poeta ha da piacere a tutti o a pochi: garbare
ai molti è cattivo segno. Dura e sconfortante sen-
tenza, ma non per ciò meno vera; su la quale ragio-
nerei così. La poesia oggimai è cosa affatto inutile:
che se anche mancasse del tutto, verun minimo con-
i6i
gegno della macchina sociale ne andrebbe men bene:
il perchè, penso ancora, il poeta non dee tenersi ob-
bligato di obbedire a certe, come si direbbe, esigenze
del tempo. Che se la cetera dell' anima sua, anziché
agitarsi sotto 1' ala della psiche fugace e rispondere
agli echi del passato, agli aliti dell' avvenire, al ru-
more solenne dei secoli e delle generazioni proce-
denti, si lascia carezzare all'auretta che move dai ven-
tagli delle signore e dai pennacchi dei soldati, s' in-
crespa al fruscio della toga professorale o allo spie-
gazzare della gazzetta, guai al poeta, guai al poeta, se
pure è poeta! Affacciarsi alla finestra a ogni variare di
temperatura per vedere quali fogge vesta il gusto della
maggioranza legale, distrae, raffredda, incivettisce l'a-
nima. Il poeta esprima sé stesso e i suoi convinci-
menti morali ed artistici più sincero, più risoluto che
può: il resto non é afifar suo (*). »
E altrove, a proposito della male intesa popolarità
in arte: « Degnamente, il popolo vuoisi rialzare; non
rimpiccolir noi né bamboleggiare senilmente, per man-
tenerlo sempre in condizion di minore (**). »
E, a proposito di queste citazioni, non vo' mancar
di dire che l'unico mezzo d'intendere il Carducci poeta,
é quello appunto di studiarlo in tutte le opere sue di
prosa; bisogna studiare il Carducci col Carducci, il
quale ci offre sufficienti materiali per uno studio sif-
fatto al quale, secondo le mie modeste forze, da pa-
recchi anni mi sono accinto. Sarebbe un lavoro finora
intentato e utilissimo a tanti giovani scrittori che han
sempre in bocca il Carducci e, come scrive il Pan-
zacchi, nel suo nome si esaltano.
IX.
Ma ho finito, dolente di non aver potuto ragionare
di queste J^ime Nuove con maggiore ampiezza ed in-
terezza.
(*) Confessioni e 'Battaglie. Serie I, Roma,'' Sommaruga, 1883, pagine
52-53.
(**) Carducci: Sludi Letterari, Livorno, Vigo, 1874; pag. 50.
II
102
Salutiamo anche una volta, o giovani italiani, que-
sta vigorosa gioventù fiorente cui l'arduo sentiero del-
l'arte par si pieghi sempre docile nel raggiungimento
di sempre nuove e più finite elaborazioni artistiche;
salutiamo anche una volta l'unico nostro vivente poeta
classico nazionale che, ricongiungendoci a tante no-
bili tradizioni di poesia e d'arte e rinnovellando, con
braccia tenaci, il culto di Dante, è, o almeno dovreb-
b'esserci, l'unico maestro in tanto scadimento di clas-
sica cultura. Ho detto che il Carducci ha rinnovel-
lato in Italia il culto di Dante, e con piacere saluto
con vera lode la intenzione del Ministro della Istru-
zione pubblica di invitare il Carducci alla Cattedra
dantesca in Roma. Non si potea fare scelta migliore,
tanto più che il Carducci ha un che di dantesco nella
fibra, nel carattere, nel pensiero, negli ideali — come
dicea, in un vigoroso suo scritto, l'onor. Bovio a pro-
posito di chi dovea esser destinato a quella Catte-
dra — , per potere a Roma far risonare potente nel
mondo civile la sua voce intorno il culto dell' arte,
della poesia, delle tradizioni dantesche. Il Comune di
Bologna ascolti questa volta, non l'eco dei nobili sen-
timenti di glorie locali, ma la volontà imperiosa di
di tutta una Nazione. (*)
E' bisogno de' bene intenzionati di rifarsi, avendo
a guida un grande maestro contemporaneo, dalla in-
continenza artistica d'una modernità malferma col cibo
nutriente e sano della nostra arte antica.
Questa guida è appunto il Carducci, come quello
che ha scosso con braccia di Sansone, per servirmi
d'una bella espressione del Marradi, e con omeri er-
culei e tenaci, 1' edifizio crollante dell' Arcadia, av-
viando r arte, col richiamo delle più belle tradizioni
antiche, sulle sue vie naturali, e mediante un' opera
eflScace, e progressiva, opera che non può dirsi an-
cora, fortunatamente, finita.
(*) Abbiamo accennato altrove come il Carducci rifiutò poi questa G]at-
tedra.
XVI.
Vita di Griosuè Carducci.
I.
Autobiografia del Poeta e la sua fede politica.
JL poeta medesimo, per quel nativo senso di
lotta eh' è sempre congiunto alla più vigo-
rosa affermazione de' suoi ideali, ha sentito
spesso il bisogno di scagionarsi da violente accuse e
da torti e ombrosi giudizi intorno all' opera sua di
scrittore, di cittadino e di uomo, ond' è riuscito a
darci la miglior biografia di sé. Perciò alle sue pro-
prie fonti più che ad altre è bene attingere quella
larga messe di fatti che meglio ci rendon di lui lo
spirito molteplice e vivace il quale compenetra di luce
talvolta sanguigna il progressivo e mutevole ascen-
dere dell' arte sua che così nelle prose come nelle
poesie è guidato armonicamente da un solo processo
critico e da un medesimo indirizzo di formazione. Ma
l'opera che meglio ci mena alla conoscenza intima
del poeta è il celebre volume delle Confessioni e bat-
taglie, a cui bisogna aggiungere un prezioso fram-
mento di un suo studio polemico intitolato « Di al-
cuni giudizi su Alessandro Manzoni » apparso nel
volume de' Bozzetti e scherme, eh 'è il terzo della edi-
zione definitiva che di tutte le opere del Carducci da
oltre dieci anni vien pubblicando lo Zanichelli. Quelli
che studian 1' opera del poeta in frammenti staccati,
non possono coglierne lo spirito in tutte le manife-
stazioni del troppo lungo e industrioso lavoro, né riu-
sciranno mai a ricomporre fedelmente un vivo e com-
piuto ritratto di lui, un ritratto che ci rivelasse un'
anima sempre uguale a sé stessa anche nelle appa-
renti antinomie della fede politica e della letteraria,
104
antinomie determinate dai continui contrasti che do-
verono certo sviare a intervalli le aspirazioni del poeta,
non sen»a turbarle talvolta.
Ed anche dove il Carducci parve mutevole e incoe-
rente, bisogna guardare come e perchè, dopo gli
amari disinganni dell' ideale suo, egli sentisse il bi-
sogno di quel razionale adattamento che non istrane
e impossibili utopie ma solo gli persuase nell' età
matura quel senso profondamente storico che tanta
parte compenetra delle sue varie e mirabili fatiche.
La sua fede politica, se rimase ferma ed integra nella
coscienza, non potè essere la stessa nelle forme di
fronte al mutevole clima storico onde si regge 1' or-
dinamento dello Stato. La sua fede politica è tutta
in queste sue parole, tratte dal discorso pronunziato
agli elettori del collegio di Lugo nel banchetto offer-
togli il 9 novembre 1896, cioè proprio quando egli
era nel fervore del suo repubblicanesimo: — Ma la
repubblica mia non è la repubblica per sorpresa: an-
che questa potrebbe sorgere a certi momenti, ma non
è la più desiderabile ai veri repubblicani, come troppo
difficile a mantenere e ad assodare. E né meno è la
repubblica oligarchica di un partito anche ottimo, e
tanto meno la repubblica dittatoria d' una fazione.
Non per questo io credo che quella della repubblica
sia solamente questione di forma: la repubblica, per
me, è l'esplicazione storica e necessaria e 1' assetta-
mento morale della democrazia nei suoi termini ra-
zionali: la repubblica, per me, è il portato logico
dell' umanesimo che pervade oramai tutte le istitu-
zioni sociali (*). E nel 1882, nella prefazione a' suoi
« Giambi ed Epodi », scrisse: — Con la rivendica-
zione di Roma all' Italia, comunque andasse, il su-
premo ideale della mia politica nazionale fu raggiunto,
e finì la bella età leggendaria della democrazia ita-
liana. Con la riforma elettorale è quasi raggiunto, o
si può agevolmente finir di raggiungere, l'altro ideale
(') Confessioni e 'Battaglie. — Bologna, Zaniclielli, 1890, — Voi. IV,
pagg. 326-27.
i65
della mia politica democratica, il suffragio universale;
e con questo la democrazia, anzi tutta la nazione entra
in una fase d' agitazione e d'evoluzione Io non
debbo né voglio far qui la storia della mia fede e la
storia delle tradizioni repubblicane nella letteratura e
nella educazione politica degl* italiani. Io . . . dico sol-
tanto che in Italia, dopo Cesare Balbo, Camillo di
Cavour, Alfonso La Marmora, Vittorio Emanuele, non
conosco monarchici altro che sentimentali e opportu-
nisti; opportunisti, per amore dell' unità e per timore
del mutamento: io dico . . . che né anche la Maestà
del re Umberto non è un vero e proprio monar-
chico (*'). E altrove, molto più ricisamente: — Io non
ho esitato e non esito di giurarmi obbediente alla
monarchia italiana, anche per la semplicissima ragione
che cotesta monarchia la ho creata un po' anch' io,
co '1 mio voto, nel plebiscito del 1860; in quel glo-
rioso anno in cui Giuseppe Mazzini sollecitò ad ac-
cettarla come segnacolo e suggello dell' unità, in cui
Giuseppe Garibaldi le conquistò 1' Italia e la con-
quistò all' Italia. La monarchia oggi in Italia é la le-
gittima depositaria della rappresentanza della Sovra-
nità popolare.... Giuseppe Mazzini nei mesi ultimi
della sua vita profetò, che, da poi che la monarchia
s' era trasportata a Roma, la ci durerebbe per più
generazioni: il che non arrideva al gran triumviro ;
ma il vero vinceva con la sua forza storica il bandi-
tore e l'assertore dell' idea unitaria (**). Queste son
parole del 19 maggio 1886, tratte dal « Discorso al
popolo nel teatro nuovo di Pisa ». Ma dove il Carducci
toglie di mano agli avversari tutte le armi , é nelle
ultime pagine della sua celebre polemica sul Qa Ira,
documento mirabile d'alta sapienza storica e politica,
che tutti dovrebbero rileggere: in esse egli ragiona
da par suo del ruinoso disfacimento de'partiti in Italia,
facendone una viva e fedelissima pittura.
Non potendo per amor di brevità qui riprodurle
D Op. cit. — Pag. 170, epagfr 172-7?.
(**) Op. et. — Pagg. 482 - 80.
i66
intere, mi contenterò di citar solo questi brevissimi
tratti: — Dopo ciò posso dir francamente che né au-
guro né invoco alla patria una repubblica come la
francese del '92 o dell' og-gi: non come quella del
'92, perché gli uragani non s' imitano né si rifanno;
non come quella dell' oggi, perché essa, per difetto
d' idee e di forza , per abondanza di cupidigie e di
imbrogli, é anche da meno del governo parlamentare
nostro, é un che fra la trapezitarchia e la pornocrazia;
e perché in fine sorse dalla disfatta nazionale, e sa-
rebbe un traditore della patria chi volesse la Ma-
rianna con tale una culla. Dico di più: ora come ora,
io non vorrei in Italia la repubblica per solo amore
della repubblica: perché un tale mutamento nelle con-
dizioni dell'assetto del paese e de' suoi bisogni e con
le forze rispettive de' diversi partiti non potrebbe non
produrre un indebolimento almeno temporaneo al di
dentro e l'isolamento al di fuori; e questo isolamento
e questo indebolim.ento ci darebbero in soggezione
della Francia; e io, tutt' altro che nemico a' Fran-
cesi, non però vorrei per nessuna guisa nessuna
nuova repubblica cisalpina. Dico anche di più: du-
bito forte che ora come ora la repubblica possa riu-
scire o attecchire in Italia. Il partito repubblicano
storico, quello che fu un grande onore e una gran
forza della patria, ha perduto dopo il 1870 molta di
quella sua forza e dell intensità e dell' unione... Ve-
nuta meno con l'acquisto di Roma l'aspettazione delle
eroiche avventure per una compiuta rivendicazione
nazionale, non avverandosi d'altra parte mai l'avve-
nimento delle barricate a scadenza fissa , l'idealismo
dell'azione mancante fermentò in certe teste fino a
volere una inoculatezza italica del comunismo pari-
gino. Passata l'ebrietà tempestosa, spiccò per altro
in secco un partito socialista misto, con parecchie
idee buone e giuste che han da passare prima o poi
nella legislazione, ma con teoriche non accettabili in
solido mai da nessun governo o partito politico (nel
senso greco della parola), con intendimenti e proce-
dimenti per lo meno arruffati, quando non urtanti per
167
istolide e cattive declamazioni... E i socialisti intanto
affrontano il partito repubblicano storico, lo punzec-
chiano, lo assillano, lo urtano, lo sospingono, lo mi-
nacciano. E al caso vorranno molto più di quello che
ora mostrin di chiedere, vorranno tutto, vorranno al-
meno quello che i repubblicani politici non potranno
mai dare. Di che, o la repubblica si farà subito dit-
tatura o si verrà alla guerra civile, e di conseguente
anche alla dittatura di qualunque sia la parte che vinca,
perchè l'anarchia non esclude la dittatura, anzi. A
me la dittatura non par mica abbominevole, come le
porte d' inferno: ma la vorrei dei giusti e dei forti,
e di tali non ne vien su dal detrito delle rivoluzioni
sociali, dopo che l'odio ha fornicato con la cupidigia
nel pattume della licenza (*). — Chi de' partiti an-
che estremi, purché logico ed equanime, non sotto-
scriverebbe queste mirabili e profetiche parole, che,
scritte fin dal 1884, sono state confermate da' fatti
negli ultimi quindici anni ? A scanso di un troppo
lungo discorso, cito qui le fonti che gì' intelligenti e
gli onesti possono con profitto riscontrare nel citato
volume delle Confessioni e battaglie: queste fonti sono
i capitoli così intitolati: — luvenilia ; Levia Gravia ;
Giambi ed Epodi; Per la poesia e per la libertà; Eterno
fenmiiniìio regale; fa ira; Agli elettori del Collegio di
Pisa; e in essi è tutta la storia della fede politica
del poeta, il quale, pur serbandola pura e inconta-
minata nella coscienza, non ha potuto né dovuto,
nell'età della esperienza, farne scudo o vessillo di
parte; e così egli, devoto alla legge del vero storico,
ne ha seguito i necessari svolgimenti al di sopra di
tutt' i partiti. Da ciò alla incoerenza e voltabilità po-
litica corre un abisso, o almen quello che intercede
tra la vuota e faziosa utopia che declama quando
non tumultua, e la logica e riposata affermazione della
evoluzione storica, necessaria, anche se torbida, nella
vita di un popolo, necessaria come la nèmesi fatale
a cui tutti gli uomini ragionevoli e non anòmali pie-
gano sempre il capo.
(*) op. cit. — Pdgg. 455-57.
i68
IL
Priìicìpali critici e biogì'ajì del Poeta.
Molti sono i biografi e i critici del Poeta, o, meglio,
troppi son quelli che a diritto o a rovescio parlarono
o sparlarono di lui , lodando talvolta, e più spesso
maledicendo; vero è che da oltre un trentennio si è
in mezzo a' più fieri contrasti meglio stabilita, in
Italia e fuori, la sua fama letteraria , ma della sua
fede politica si dice ancora male specialmente da
coloro che sempre lo cercano e invano lo ritrovano
nel loro crocchio. Furon tante battaglie quante vit-
torie a cui giunse col feroce accanimento di un atleta
che passa innanzi affaticato e non stanco col vessillo
del suo ideale , ond' egli, critico e artista, prosatore
e poeta, storico e politico, richiamò intorno a sé il
più vario movimento d'idee e di studi, finché impose
coll'insegnamento e coll'esempio l'arte sua a tutta la
Nazione. Per questo egli esercitò, come pochi o nes-
suno innanzi a lui , la più feconda influenza sugli
scrittori e promosse l'unico risveglio nella letteratura
contemporanea che Dio non voglia s'arresti tutta in
lui.
*
* *
Primo suo critico e biografo fu Giuseppe Chiarini
che del '69 inaugurò nella « Rassegna Contempora-
nea », dopo « tante mele fracide che dalle mani de'
suoi concittadini piovvero addosso » al poeta fin dal
1857, un serio e largo movimento d' idee intorno al
contrastato autore. Egli con analisi dotta e acuta ne
ricercò il vario processo di formazione, dalle « luve-
nilia » che col titolo di Rime il poeta stesso pubblicò
pe' tipi Ristori in San Miniato al Tedesco a' 23 lu-
glio 1857, « con r intendimento e 1' ardita speranza
di pagare i suoi debiti », fino a' Levia Gravia che
sotto il mentito nome di Enotrio Romano vennero
primamente in luce del 1868 in elegante volume di
log
228 pagine pe' tipi Nicolai e Quarteroni di Pistoia.
Anzi quest' ultimo volume forni al Chiarini la occa-
sione al citato lavoro il quale è anche ricco di notizie
biografiche. Più larga messe di fatti e di osservazioni
si hanno in questi altri lavori del Chiarini che appar-
vero assai dopo: — / critici italiani e la metrica delle
odi barbare, che il Trezza giudicò uno studio dei piii
dotti e dei pili splendidi della letteratura italiana, e che
prima servì di prefazione alla seconda edizione delle
Odi barbare (*); un importante capitolo che sotto il
titolo « Giosuè Carducci » apparve nel bellissimo
volume delle « Ombre e Figure » (**), e finalmente,
oltre tanti altri disseminati qua e là, un lungo e pre-
zioso articolo pubblicato nella « Nuova Antologia »
il 16 luglio 1899.
Enrico Panzacchi colla prefazione che mise innanzi
alle « Nuove Poesie » nella edizione zanichelliana
del '79, la quale fu poi integralmente riprodotta in
Teste quadre (***), fu anche de' primi a delinearci il
progressivo svolgersi dell'ingegno del Carducci a lui
congiunto da intimi legami d'arte e di affettuosa ami-
cizia. Giova qui riportare un tratto dove il poeta con
grato animo si ricorda del Chiarini, del Panzacchi e
di altri intimi fra i quali crebbe e si esercitò la sua
giovinezza ideale: — E sentirei di essere ingrato se
non ricordassi almeno a me stesso quanto io debbo
al fraterne ingegno di Enrico Nencioni che mi fu
sin dai primi anni eccitatore coll'ardor suo e coU'e-
sempio al culto di tutto ciò che è bello in ogni forma,
al giudizio amorevole di Giuseppe Chiarini che mi
ha spronato a tempo e a tempo infrenato, alla dot-
trina gentile di Emilio Teza che mi ha rafforzato e
fatto allungare il passo , al senso acuto e retto di
Enrico Panzacchi che mi ha emendato. E pure non
dedico a loro questo mio libro, e non lo dedico né
(•) liologna — Z.inichelli — 1878.
(**) G. Chiarini: — Ombre e Figure — Argelo Sominaruga Editore —
1883.
(***) E. Panzacchi:— Té-s^e quadre — Bologoa — Zanichelli — 1880.
I/o
meno al mio editore G. Barbera; il quale a me
ignoto e bisognoso offrì co'l lavoro il mezzo di addi-
mostrarmi, il quale mi ha giovato d'aiuto paterno in
qualche caso difficile della vita (*).
É degno ancora di particolare ricordo Adolfo Bor-
gognoni, il critico valoroso che immaturo ci fu rapito
alle lettere pochi anni dopo che entrò professore nella
Università di Pavia. Egli parlò del poeta con affetto
e con minuta larghezza di notizie nella bella prefa-
zione che mise innanzi alla terza delle quattro edi-
zioni fiorentine ('71, '74, '78 e '80) di Gaspare Bar-
bera; e, durante la clamorosa polemica intorno alle
Odi barbare, anch'egli intervenne con un grave arti-
colo apparso nella Nuova Aìitologia del 1877.
Quarto viene il prof. Leopoldo Barboni che in un
suo volumetto intitolato « Giosuè Carducci e la ma-
remma » (Livorno, R. Giusti, 1875), scrisse preziose
notizie intorno a' luoghi ove crebbe fanciullo e gio-
vinetto il poeta, il quale in una breve nota apposta
al XV libro delle sue Rime Nuove (Bologna, Zanichelli,
'94, p. 320), scrisse amorevolmente di questo volu-
metto , del quale , egli dice , vorrei dir bene se V au-
tore non dicesse troppo bene di me : a ogni modo gli
son grato pel fedele amore onde ritrae i paesaggi ma-
remmani.
Ettore Stampini scrisse anche un pregevole vo-
lume su' metri oraziani e le Odi Barbare, ed altri
molti , come, fra i nostri, F. D. Guerrazzi, Terenzio
Mamiani, Ruggiero Bonghi, Gaetano Trezza, Alberto
Mario, Emilio Teza, Quirico Filopanti, Felice Caval-
lotti , ecc. ecc. , e , fra gli stranieri , Carlo Hille-
brand , Adolfo Pichler , Carlo di Thaler, Teodoro
Mommsen, Marco Mounier , Giulio Schanz, Amedeo
Roux, ecc., tradussero, cementarono, illustrarono la
nova opera carducciana la quale perciò ebbe anche
il merito di restaurare e rinfrescare le più belle tra-
dizioni della cultura umana, allargandola con gì' in-
(') Confessioni e Baltaglie — Pag. 61 — Dalla prefazione della prima
edizione delle "Poesie pe' tipi Barbera di Firenze, anno 1871.
flussi delle lettere straniere , come dopo il Monti
ninno avea fatto prima di lui in Italia, Dopo il Fo-
scolo, il Monti, il Leopardi e il Manzoni, nessun
libro italiano ebbe specialmente fuori un così largo
movimento ideale: le rime e le Odi barbare furon
tradotte in latino, in greco, in francese, in spagnolo,
in tedesco , in inglese , e firn' anco in boemo e in
croato, e, pur difficili, ascesero anche agli onori delle
antologie dove però in Italia si vedono per disgrazia
accomunate a liriche troppo mediocri e prosaiche.
Che dir poi degl'imitatori i quali , specialmente nel
passato decennio, non fecero altro che rimaneggiare
o mantrugiare quelle poesie che sono e rimarranno,
come sempre avviene de' grandi e solitari novatori,
inimitabili.
Dal Borgognoni e un pò più dal Chiarini, quando
non da fonti personali e dirette, abbiamo attinto pel
nostro lavoro notizie e dettagli che riferiamo però e
ricomponiamo con parole nostre e con diverso ordine;
ma più abbiamo attinto alle opere del poeta, e spe-
cialmente alle « Confessioni e Battaglie » , onde ci-
tiamo più spesso e talvolta rimandiamo alle fonti.
III.
Proge7iitori ayitichi — Cenni intorno al nonno, al padre
e alla madre prima educatrice e ispiratrice del Poeta.
Giosuè nacque da Michele Carducci e da Ildegonda
Celli il 27 luglio 1836 in Valdicastello, piccolo borgo
d'origine longobardica nella provincia di Pisa presso
Pietrasanta: questo borgo , ricordato da una carta
dell'anno 855, è noto per un antichissimo monastero
dove secondo la tradizione riparò dopo la battaglia
di Benevento un ministro di re Manfredi, Matteo di
Thermes. La sua famiglia , ridottasi allora a vivere
tra Serravezza e Pietrasanta, è originaria di Firenze,
anzi discende dal gonfaloniere Francesco Carducci,
fatto decapitare dai Medici nel 1529 dopo 1' assedio
di Firenze, e da messer Baldassarri, un'altra piccola
gloria della casa, la quale vanta molti altri fasti gen-
tilizii anche più antichi, e di cui gloriavasi tanto il
nonno di Giosuè, Francesco Giuseppe, un ferdinandèo
in spada e colino, che primo fece dipingere in una
sala del suo palazzo 1' arme di nobiltà: tre liste ifi
cmnpo d' argento, tagliate da una banda d' oro. Francesco
•Giuseppe era anche provveditore della confraternita
della Madonna del Sole, del cui tesoro la vide poi
spogliata nella invasione francese del 1799, con grande
amarezza dell'animo suo.
Intimo del poeta Fantoni, ne pregiava l'ingegno, e
di frequente, ma più spesso del 1801, si trovavano
insieme a Volterra in geniali ritrovi, dove il poeta
improvvisava dei versi, ed egli divertiva la brigata
col violino, che sonava benissimo.
Il padre, il dott. Michele, era un uomo assai buono;
un pò rigido forse, ma di cuore: era poi colto e assai
versato in latino.
All'opposto di Francesco Giuseppe, spirito conser-
vatore e pio, egli avea 1' animo acceso ad ogni più
vivo sentimento di libertà; era anzi carbonaro e co-
spiratore. Or mentre il figliuolo gli crescea d'intorno
con le mille capestrerie di un fanciullo irrequieto, ei
si viveva in maremma, medico d'una società francese
che provvedeva a cavar piombo argentifero dalle mi-
niere allora sorgenti tra Valdicastello e Serravezza.
Eran quelli, tempi rivoluzionari; e il dott. Michele,
di condotta in condotta , passava ramingando non
senza pericoli tra un paesetto e l'altro della maremma.
Fu prima a Bòlgheri, donde poi fuggì, poiché quei
contadini, cui non andava a genio il suo liberalesimo,
un bel giorno ne presero a schioppettate la casa. Da
Bòlgheri andò poi nel '48 a Castagneto, dove 1' aria
politica era troppo accesa, più accesa di quanto a
lui piacesse, onde contro sua voglia dovè capitanarvi
una dimostrazione di rivoluzionari che incendiarono
^ raserò al suolo il palazzo dei conti della Gherar-
173
desca. Nel novembre del '48 si recò a Pisa dove il
Guerrazzi lo fé' capo di una spedizione contro Ca-
stagneto che allora avea proclamato una specie di
Coìnutie, e tornò a Castagneto per arrestarvi i comu-
nardi; ma sùbito dovè fuggire per aver salva la vita.
Andò poi medico interino a Laiatico dove i moderati
ricasoliani lo bastonarono e gli fecero baciare un
busto in gesso di Leopoldo, con parole ignominiose
contro il Guerrazzi, e al grido: — L'infame tricolor....
Viva rimperator. — Fu poi a Firenze fino al 1851,
e da Firenze a Celle nel Montamiata, e da ultimo a
Santa Maria a Monte dove, nel 1858, io mesi dopo
che il figlio primogenito Dante a ventun anno si
suicidò , ne morì di dolore che non avea ancora
cinquant'anni.
*
* *
La signora Ildegonda, la madre del poeta, fu donna
assai eulta e d'alti e nobili spiriti. Egli, ricordandola
con affetto, scrive di lei così: — Oh begli anni dal
"61 al "65 vissuti in pacifica e ignota solitudine tra
gli studi e la famiglia, la quale tu governavi ancora,
o madre veneranda, che m' insegnasti a leggere su
l'Alfieri e non m'inculcasti la superstizione! (*) — E
altrove, a proposito del patriottismo manzoniano raf-
frontato a quello di altri più insigni agitatori di libertà,
scrive anche di lei: — Versi benedetti (Su! nell'irto
increscioso Alemanno ): anche oggi, ripetendoli,
mi bisogna balzare in piedi e ruggirli, come la prima
volta che gl'intesi. E gli intesi da una voce di donna,
dalla voce di mia madre! (**) — É naturale che con
queste origini e con queste tradizioni, con simili bur-
rascose vicende domestiche e così alta e magnanima
educazione materna, dovessero germinare nel cuore
del poeta quegli aff'etti e quei fantasmi, quelle iridi
e quelle folgori di poesia e di prosa, e insieme quel
(■) Confessioni e Battaglie — EJ. cit. — Pag. 56.
(**) 'Boi^elti e Scherme — Bologna, Zanichelli— 1889 — Pag. 180.
174
culto severo delle patrie memorie, che fan di lui lo
scrittore più vigorosamente e sinceramente civile ed
umano che in questo volger di secolo abbia mai avuto
l'Italia. Del nonno Francesco Giuseppe par che nulla
sia giunto nell'anima di lui all'infuori di certo amore
alla poesia del Fantoni che poi dottamente illustro,
non senza derivarne qualcosa nella lirica sua; ma da'
fasti gentilizi della sua nobile famiglia trasse certo
l'aristocratica austerità del carattere e dell' ingegno,
cosi nella forma solitaria e perspicua dello stile come
nella indipendente nobiltà e sanità del pensiero critico
e civile, e forse più che tutto lo spirito agguerrito
nelle battaglie continue per l'ideale.
IV.
Fanciullezza del poeta: primi studi e primi amori, prime
bizzarrie e prime composizioni — Suo amore alle bestie --
// sarto Scalzini.
Le rischiose avventure del dott. Michele si accom-
pagnarono alle torbide irrequietudini del figliuolo,
Giosuè, che, avido fin d' allora di libertà, mostrava
nella precoce fanciullezza quegl'impeti e quelle fero-
cie liberali che maturo gli divamparono nell' anima
al vivo contatto degli avvenimenti da cui trassero la
ispirazione violenta i Giambi ed Epodi. Il selvatico
fanciullo — così lo chiama il Borgognoni — seguì
con qualche interruzione il padre, dal 1838 al 1849,
a Bòlgheri, a Castagneto, a Firenze, a Celle nel Mon-
tamiata; e, a dir vero, fin da' primi anni, ei mostrò
nell'indole qualcosa che potè suggerire al nominato
biografo quell'aggettivo. Di fatti egli, in mezzo ad
avide e segrete letture, rivelava certi strani amori a
uccelli di rapina e a bestie feroci. Il fiero fanciullo
con gelosissima cura allevava un lupacchiotto, un falco
ed una civetta; ma il padre ammazzò il secondo e
donò il primo a un amico di Livorno, onde il figliuolo
addoloratissimo, uscì dispettosamente di casa e andò
errando per più giorni ne' boschi, lungo il mare; ma
175
gli rimase, unico ed ultimo amore, la civetta, per la
cui morte egli ancora decenne scrisse un sonetto. In
quell'anno compose anche delle terzine sulla morte di
Cesare, e alcune ottave sulla presa di Bòlgheri e la
distruzione di Donoratico. In questo torno, tra il
" 46 e il "48, da Bòlgheri il padre lo mandò a Ca-
stagneto presso un suo collega, perchè guarisse di
una violente febbre maremmana che gli durò due
anni, e che, irritatogli il sistema nervoso, gli provo-
cava delirii e visioni; ma, come spesso avviene in
simili nature, gli raccese più fortemente l'ingegno. A
Castagneto il piccolo Giosuè, menando vita più libera
e senza la vigile soggezione paterna, si die in braccio
alle più romorose follie, incitato a ciò da un sarto,
certo Scalzini, un repubblicano rovente, nella cui bot-
tega ei recitava e comentava con feroce entusiasmo
le poesie del Giusti, che dieci anni di poi, nel "59,
pubblicò nella edizione diamante di Gaspare Barbera,
alla quale mise innanzi una lunga ed erudita prefa-
zione al cui nervoso e vivacissimo stile dovè contri-
buir molto il vivo ricordo dell'apostolato letterario
dei suoi undici anni. Al contatto del sarto Scalzini
divampò assai più acceso il suo animo : così egli
passava dal comento democratico delle poesie del
Giusti a pericolose dimostrazioni di piazza; e quando
Carlo Alberto sancì lo Statuto non si peritò di scri-
vere, fra gli altri, questi versi: — Esecrato Carignano —
Va il tuo nome in ogni gente — ; e in altra occasione,
unito a molti dimostranti, gridò: — Abbasso tutti i
re — Viva la Repubblica! — Il demone della poesia
ben presto s'era impossessato di lui, e, di quegli
anni, come seppe della morte dello Chateaubriand,
cominciò a scrivere per l'occasione un'ode saffica che
poi non finì. Ma nell' aprile del 1849, quand'egli era
tanto contento della sua romorosa libertà, il padre lo
richiamò a Firenze, dove lo allogò a studio dagli Sco-
lopi che gl'insegnarono retorica. Anch'egli ricorda i
begli anni della sua fanciullezza e de' primi studi in
alcune pagine di un suo capitolo polemico sul Man-
zoni e i suoi critici o interpetri, e da esse mi piace
176
togliere questo curioso e squisitissimo frammento: — ...
fino a quattordici anni non ebbi quasi altro maestro
che mio padre, il quale altro non m'insegnava che
latino; ma, un pò per l'indole sua, un pò per i do-
veri di medico, mi lasciava molta libertà e molto
tempo per leggere. E io insieme alle opere del Man-
zoni lessi l'Iliade, l'Eneide, la Gerusalemme; e la
storia romana del RoUin, e la storia della rivoluzione
francese del Thiers; i poemi con ineffabile rapimento,
le storie con un serio oblio di tutto il resto: e, aiu-
tato da qualche conversazione di mio padre con certi
amici ed ospiti, per ragazzo ne intendevo anche troppo.
Invasato così di ardore epico e di furore repubblicano
e rivoluzionario, io sentivo il bisogno di traboccare
il mio idealismo nell'azione; e perciò in brigata co'
miei fratelli e con altri ragazzi del vicinato organiz-
zava sempre repubbliche, e repubbliche sempre nuove,
ora rette ad arconti ora a consoli ora a tribuni, pur
che la rivoluzione fosse la condizion normale dell'es-
sere , e cosa di tutti i giorni l'urto tra i partiti e la
guerra civile. La nostra repubblica consisteva di ra-
gunanze tumultuose e di battaglie a colpi di sassi e
bastoni, con le quali intendevamo riprodurre i più bei
fatti de' bei tempi di ?oma e della rivoluzione fran-
cese (*) E, dopo il racconto di un curiosissimo aned-
doto intorno a queste « ragunanze tumultuose » , e
a un certo anacronismo storico di simili scene fan-
ciullesche, seguita così : — Ma il rumore di questi
grandi fatti giungeva qualche volta alle orecchie
del mio manzoniano padre , il quale allora , nulla
commosso dalle mie oneste ferite , mi condannava
pur troppo a lunghe prigionie ; in mezzo alle quali
egli di quando in quando riappariva per rivedermi
il latino , e mi lasciava tre libri sul tavolo , dicen-
domi serio ed asciutto — Leggete qui e persuadetevi
che il taratantara classico non è più per questi
tempi. — I tre libri erano la Morale cattolica di Ales-
(*) Bo^^eiti e Scherme — Ed. cit. — Pag. 144.
177
Sandro Manzoni, i Doveri dell' iiotno di Silvio Pellico,
e la Vita di San Giuseppe Calasanzio scritta da certo
padre Tosetti (parmi) del secolo passato : so che
d'allora in poi per un gran pezzo morale cattolica e
frati , doveri dell'uomo e santini, furono per me la
stessa cosa; e odiai, odiai, quei libri, d'un odio ca-
tilinario (*). — E a chi ancora non lo abbia fatto,
consiglio di rileggere, nel citato volume, il resto di
questa mirabile prosa domestica che dovrebbe trovar
posto in tutte le antologie. E della sua nobile fierezza
di carattere egli dà brevissimo cenno in un altro cu-
rioso aneddoto della prima sua fanciullezza, e proprio
in un capitoletto intitolato « Ricordo d'infanzia ». —
Un grave signore , con gran barba nera e con un li-
bro in mano, e cui molto tempo dopo seppe marito
putativo d' una ynoglie altrui, disturbò lui e una bam-
bina dell'età sua da un giuoco innocente; allora egli,
brandendo la fune , come fosse un flagello , se gli fece
incontro gridandogli: Via , via , brutto, te! Z?' allora
in poi — così seguita — ho risposto sempre cosi ad
ogni autorità che sia venuta ad ammonirmi, con un libro
in mano e un sottinteso in corpo, a nome della inorale.
(**) — E' proprio vero!
V,
Adolescenza — Suoi studi in Firenze e a Pisa. Sue
gra?idi letture — Esami di laurea — Gli amici pe-
danti — Prime polemiche.
Dell'insegnamento allora impartito dagli Scolopi il
Carducci, nel luogo citato, dà questo ricordo: — E
agli Scolopi vidi la venerazione di Manzoni classifi-
cata per iscuole: a grammatichina imparavasi a mente
« Dormi, o fanciul , non piangere »; a grammatica
superiore, « E' risorto, or come a morte »; a uma-
nità, « O tementi dell'ira ventura »; a retorica, « Ma-
(♦) 'Bo^ieia e Scherme — Ed. cit. — Pag. 145-46.
(**) Confesxioni e battaglie — Ed. cit. — Pag. 4^
178
dre dei santi, imagine ». E del Foscolo e del Leo-
pardi, che io avea allora incominciato a conoscere,
non si parlava mai o quasi mai, o con la bocca stretta
e non senza certi epiteti. A me quelle tonache agi-
tantisi per entusiasmo manzoniano richiamavano a
mente la Morale cattolica venutami la prima volta a
mano nella prigione paterna insieme con la vita di
un santo scritta da un frate (*).
*
* *
A Firenze il Carducci, con tutto il naturale suo un
po' scabro e ritroso . si conciliò presto 1' amore e
l'ammirazione di discepoli e di maestri. Un giorno
portò a scuola in vecchia edizione un Quinto Curzio,
e mentre, incurioso della lezione, era tutto intento a
leggerlo, fu sorpreso dal maestro che lo invitò poi a
tradurne alcune pagine; ed ei le tradusse con rara
disinvoltura e con la più grande meraviglia del maestro
e dei compagni. Era buono, cordiale, espansivo verso
chi sapesse prenderlo pel suo verso, e aiutava i com-
pagni che ricorressero a lui , ma guai a chi facesse
contro il suo volere: irrompeva violento allora, anche
con vie di fatto. Un giorno un suo compagno, dai
capelli rossi e ricciuti , insisteva perchè gli facesse
il componimento. — Chetati — gli rispose — se no
ti brucio il pennecchio. — Ma seguitando 1' altro a
infastidirlo, egli accese un fiammifero ed eseguì la
minaccia. Il suo amore a' libri era poi delirio, tanto
più che allora non era facile procurarli. Com' ebbe
un giorno un'edizione del Foscolo, corse a casa tutto
pazzo di gioia; salì ginocchioni le scale, e, vista la
madre, volle s'inginocchiasse anche lei, e che baciasse
il libro; e al Gargani, che il dì seguente fu a trovarlo,
egli, non ancora del tutto vestito, si mise a leggere
con frenesia il volume, e volle che senz'altro anche
l'amico partecipasse alla sua gioia e al suo entusiasmo.
Essendo a scuola di retorica in Firenze, facea grandi
{*) 'Bo^^etti e Sellerine — Ed. cit. — Pag. 147
179
letture, le più varie e disparate, ma in confuso, come
sempre avviene nella prima età degli studi: leggeva,
con gl'incitamenti del Nencioni, innamoratissimo fin
d'allora delle letterature straniere, e romantico ar-
dente, leggeva Victor Hugo e Lamartine, Leopardi e
Foscolo (specialmente le Grazie), il manuale del Nan-
nucci e i prosatori e poeti del 200 che riscontrava
anche su' codici alla Magliabecchiana, Orazio e Fon-
tano, Poliziano (le cose latine) e il Navagero cogli
altri umanisti della Rinascenza. Questa febbre di studi
anche se incerti e tumultuari gli aprì meglio l'ingegno
che a Celle nel Montamiata, ove si recò a raggiunger
la famiglia nel "53, ricevè uno svolgimento più lim-
pido e ordinato. L'aria sana e i dolci e ridenti spet-
tacoli di quei colli e di quelle campagne, la soave
solitudine del luogo addolcita da' conforti e dalle in-
timità della famiglia, e più anche il puro e schietto
parlare, che tanto si avvicina al senese, di quei buoni
montagnoli, infusero ne' suoi studi e ne' continui
esercizi letterari, una pacata e serena freschezza di
pensiero e di espressione. Egli stesso lo ricorda in
queste poche parole: — E confesso che mi giovò molto
l'esser cresciuto e ingiovanito alla campagna, dove il
popolo toscano parla meglio, con purezza vigorosa
di vocaboli, con agilità elegante di scorci nella sintassi.
Venuto a città e a scuola, la natività non mi sarebbe
bastata più; perchè la scuola in Toscana guasta tutto,
e, nelle città, la trascuraggine ciompa e 1' infrancio-
samento da parucchieri (*). E seguita narrando come
gli si rivelasse il Trecento e come, pel fresco vivaio
della lingua francese e coU'assiduo tradurre all'Uni-
versità da Cicerone da Sallustio e da Tacito, riuscisse
a comporsi, avendo sempre di mira il Trecento e ad-
domesticandosi poi co' cinquecentisti, l'esemplare della
sua prosa.
*
* *
V'era allora in Firenze, fra gli scolari degli Sco-
lopi, un'accademia letteraria poetica fondata dal Car-
(*) Confessioni e 'Battaglie — Ed. cit. — Pagg. 45-46.
i8o
ducei e da Giuseppe Torquato Gargani, la quale di
quando in quando invitava alle sue tornate, com'oggi
dicono, tutti i soci che poi venivano in gara di studi e di
esercizi letterari. In una di quelle il Carducci, ch'era
ancora a Celle nel Montamiata, mandò alcuni sciolti
su le Crociate, che piacquero assai a tutti gli astanti,
e fra questi al Cempini, amico del Giusti e che fu
il primo a scrivere la vita onde il Carducci trasse
notizie pel suo citato studio intorno al medesimo
poeta; piacquero anche a certo canonico Sbricia e a
un certo padre Barsottini, sovrintendente dell' Acca-
demia e rettore allora dell'Università pisana, i quali
erano fra gli astanti. Il prof. Barsottini, pregatone
dal canonico Sbricia, consigliò il Carducci a concor-
rere a un posto allora vacante nella scuola normale
di Pisa. Il Carducci sùbito concorse e ottenne il posto.
Egli incominciò a frequentare quella scuola sul finire
del "53 e ne compì il corso nell'estate del "56 che
non avea ancora vent'anni; e n'uscì dottore in lettere
e filosofia. Vi studiò latino col prof. Ferrucci, ma fi-
schiava spesso il prof, di filosofia; e di que' tumulti
universitari egli e il collega Ferdinando Cristiani eran
sempre i capri espiatorii.
Di quell'insegnamento e' ci dà una ben fosca pit-
tura in una sua lettera a un amico nel "56, di cui
riporto queste sole parole: — Se tu vieni qua
avrai, i» un professore ciarlone, che ti stancherà a
forza di citazioni e di date quando fa bene, quando
cioè copia da tutti i libri che può aver nelle mani,
senza mentovar mai nessuno...: e così correranno i
tuoi tre anni di studi sulla letteratura latina, sulla
quale perderai molti giorni senza imparare altro che
date... Per la letteratura greca avrai tre uomini che
il greco lo sanno....; ma della filosofia di cotesta di-
vina letteratura greca,.... nulla, nulla, nulla: che co-
teste menti son nate per declinare verbi, non per sen-
tire e far sentire il bello: guai, guai nella scuola
normale a colui che pensa! Della filosofia razionale
e morale non ti parlo; ti avviso però che della razio-
nale avrai a ripetitore un collegiale,... il quale.... ti
comincerà a dir male delle arti e lettere greche e ti
leverà alle stelle i Goti; e tu fteddamente 1' ammaz-
zerai, e allora ti manderanno in galera... Bandita la
letteratura italiana: già saprai da te come i giovani
usciti fin ora dalla scuola normale adulterano laida-
mente la lingua toscana: imparerai il gergo conven-
zionale, grammatico, rettorico, filosofico: la lingua in
cui scrissero Dante, Machiavelli, Leopardi, fa paura
a questi vili oppressori e castratori degli ingegni
giovanili... — E' un quadro assai livido, ma ispida-
mente brioso e pieno di verità: così, presso a poco,
erano tutte le scuole italiane d'avanti il "59.
Agli esami di laurea gì' intervenne un caso, non
raro, ma abbastanza curioso e strano. Ebbe da svol-
gere questo tema: — Influenza provenzale nella lirica
del secolo XIII. — Nessuno de' suoi compagni avea
come lui intorno all'argomento insolito nozioni più
larghe e più minute, avendo egli letto e riletto le
opere del Fauriel e del Raynouard; e pure ebbe nel-
l'approvazione due voti contrari. Non così pel tema
di filosofia: — Del culto interno ed esterno, — il cui
svolgimento copiò tutto dal Rosmini; ond'ei venne ap-
provato a pieni voti. Anche di questi suoi esami ei
dà notizia vivace in un'altra lettera a un suo amico,
del 3 luglio 1856, con quel suo stile tutto pieno di
sali e di scatti, tutto vibrante di nervosa elettricità: —
Ieri ebbi l'esame, o meglio feci la lezioncetta (*) , e
l'esito ne fu per me più che gradevolissimo. A pena
cominciai, ebbi l'uditorio dei chiarissimi in capelli
bianchi e in toga, e dei chiarissimi in erba, e degli
oscurissimi ancora, contro il costume, attentissimo e
silenzioso per un'ora (e dovevo parlare mezz'ora): e
io lo padroneggiai col portamento e con la voce.
Vi fu chi disse ch'era rimasto spaventato dalle mie
citazioni fatte a memoria. Non potei finire del tutto
il mio ragionamento, perchè il Provveditore mi disse
da ultimo , vedendo che non la finivo più: Debbo
(*) Il tema da lui scelto per la letteratura italiana fu: — Della poesia
cavalleresca o trovadorica.
annunziare al Dott. Carducci , con mio dispiacere,
che il tempo assegnatogli dalla legge è di già scorso
da due quarti d'ora. E sonò il campanellino. E allora
io birichinescamente feci un salto col quale dalla cat-
tedra fui in terra tutto d'un pezzo. E l'uditorio ri-
mase meravigliato anche della mia agilità nel far
salti. Poi vennero i mirallegro, gli abbracciamenti, i
baci dei chiarissimi e non chiarissimi, e tutte le per-
sone della sala mi si raccolsero intorno. Poi andò a
finire in un gran simposio.
Durante il suo soggiorno in Pisa, spesso andava a
Firenze dove lo aspettava a braccia aperte 1' allegra
e romorosa comitiva degli amici pedanti, come volle
intitolarla un d'essi, Giuseppe Torquato Gargani, il
quale, a proposito di alcuni versi di Braccio Bracci
e d' altri simili poetastri , stampò nel '56 contro il
Passatempo, giornaletto umoristico diretto allora da
Pietro Fanfani , un poetico libretto a cui avevano
cooperato lutti gli amici, e che aveva per titolo: —
Diceria su' poeti odiernissimi. — Era la satira atroce
di una conventicola romantica che sotto l'orpello della
forma e del toscanesimo elegante nascondeva l'asso-
luta vuotezza de' pensieri e degl'ideali. Poco di poi,
e nel medesimo anno, uscì fuori, a cura del medesimo
Gargani , un secondo volumetto di 160 pagine, dal
titolo: — Giunta alla derrata: Ai poeti odiernissimi e
ior difensori gli amici pedanti. — Conteneva, fra altri
scritti, quattro lepidissimi sonetti e due discorsi del
Carducci: — Della moralità e italianità de^ nostri poeti
odiernissimi — , che naturalmente furon dall' autore
composti d'accordo coll'allegra comitiva. Quei quattro
sonetti, e più altri non meno lepidi dall'autore com-
posti in quegli anni, fanno ora parte delle luvenilia
quali si leggono nel sesto volume della edizione de-
finitiva dello Zanichelli.
i83
VI.
Vt^a allegra in San Miniato al Tedesco — Vivi ricordi
dei colleghi e degli amici — Suo innamoramento —
Nuovi studi e miove letture.
Tra il novembre del "56 e il settembre del "57 il
Carducci fu in San Miniato al Tedesco dove alla
quarta e quinta classe di quel ginnasio insegnava
retorica, cioè facea tradurre e spiegare a due ragazzi
pili Virgilio e Orazio, piii Tacito e Dante che potessero;
e buttava fuor di finestra gl'inni sacri del Manzoni. La
sua famiglia allora si trovava non molto lontano, cioè
in Santa Maria a Monte nel Valdarno inferiore, dove
il dott. Michele avea trovato un' altra condotta, che
fu poi l'ultima e più dolorosa. Quel primo anno d'in-
segnamento fu pel Carducci assai pieno di scapatag-
gini e di clamorose trovate; fu 1' anno, com' ei dice,
delle risorse. Altro che risorse! Di quella vita romo-
rosamente goliardica agitata in un paesetto di bac-
chettoni e retrògradi, egli ci dà un vivissimo racconto
in un suo capitolo di prosa, intitolato appunto « Le
risorse di San Miniato al Tedesco », e ch'è de' più
freschi e perfetti delle sue « Confessioni e battaglie ».
Questa prosa s' apre d' incanto, tra ricordi greci e
latini, con una meraviglia di descrizione del canto
delle cicale e di tutto ciò che in quell' anno, tra il
polveroso della graìide estate , viveva ardeva fremeva
sotto il regno del sole nel cielo incandescente.
Dopo questa grande ubriacatura di sole e di canti
estivi , cominciano a sfilare i plastici ritratti degli
amici o colleghi: di Pietro, filosofo giobertiano , profilo
di Don Chisciotte e buon senso di Sancio Panza, forte
a disputare dell' ente e a rompere con un colpo della
testa le impòste de W uscio; di Trombino (Ferdinando
Cristiani), così detto, per avere in una ripetizione ai
letteratura latina trasformato allegramente così il severo
Frontino; del professore di grammatichina (prima gin-
nasiale), un vero maestro con cravattona e pancia, C07i
mazza e scatola di tabacco: egli, il poeta, era conosciìito
i84
anche pt'7' Pinini, causa un raddoppiamento spostato ?ietla
co7iiugazio7ie del verbo utv£ v. Seguitano i profili del
sotto-prefetto, del quale vede ancora l'ombra del bm-
ghissimo ìiaso; di Afrodisio, l'oste tassoniano; del Mi-
cheletti, da la ben rasa pulitezza di uìi caffettiere gol
doniano , e del Ristori tipografo piccoletto , bruno e
vivo, come un bel topolino. E poi s'intrecciano, vaghi
e varii di ombre di linee di colori, gli ameni e pia-
cevolissimi ricordi della Toi-re biaìica, cioè la casa de'
maestri, della bergamascata durante la messa nel domo,
e dello scandaloso desinare alla taverna del piano il
venerdì santo del "57; e i lieti rumori degli amici —
Nencioni, Chiarini, Gargani — che nelle belle dome-
niche di aprile, di maggio e di giugno, venivano da
Firenze a trovarlo nella « Torre bianca » che in que'
giorni spargeva intorno strepiti pili gloriosi; e poi le
notturne e poetiche escursioni fatte col Gargani tacitae
per amica silentia lunae, e i giovanili desinari da Gigi
Porco; e poi l'innamoramento accompagnato al canto
infausto del cuculo la cui voce singhiozzava dalla
rocca di Federigo II in utia odorosa sera di viaggio;
e finalmente co' ricordi de' debiti comuni pe' quali
dovettero fuggire, inseguiti da' creditori, segue 1' ul-
tima macchietta su la prima edizione delle Rime, ch'è
il fondo del simpatico racconto, e che insieme l'apre
e lo chiude. Tutto cotesto, che qui solo è un cenno
assai sbiadito, è reso nel citato racconto con tanta
limpidezza di eloquio, con tale perspicuità di scorci
e di rilievi, e con si vispa e festiva arguzia toscana,
che non dubitiamo affermare esser queste le più belle
pagine autobiografiche della letteratura moderna. Di
Torquato Gargani, morto « d'amore e d'idealismo in
Faenza il 29 marzo 1862 », qui l'amico rinnova con
tenerissimo affetto e con efficace dipintura il ritratto
che di lui già dette l'anno stesso che morì, e ch'ora
si legge non senza tristezza nel quinto volume della
definitiva raccolta (*).
(*) Ceneri e Faville — Zanichelli — Bologna — 1891 — Pagg. 501-508.
i85
Bisogna ch'io torni un pò indietro. Fra il settem-
bre e r ottobre del '56 il Carducci avea ripreso con
gran lena i suoi studi: lesse ben quattro volte, capi-
tolo per capitolo e con profonda applicazione , tre
libri del Guicciardini e uno del Machiavelli; tre volte
lesse la Congiura de' Baroni di Camillo Porzio, con
estratti di fatti e di parole; studiò anche la filippica
seconda di Cicerone, il primo libro delle Georgiche,
e tutto Fedro; rilesse Orazio ; e da memorie e da
appunti scrisse 250 osservazioni di lingua e di stile.
Questi forti studi venner solo interrotti dalla vita
giovenilmente strepitosa di San Miniato: fra poco il
poeta, punto dal più acuto bisogno, si darà tutto a
un'aspra vita di sacrifizio e di lavoro.
VII.
Da San Miniato a Firenze, a Pistoia, a Bologna —
Morte del padre e del fratello — Strettezze della fa-
miglia — La moglie e i figliuoli.
Passò parte dell' autunno del "57 in seno alla fa-
miglia in Santa Maria a Monte, e poco prima' del no-
vembre si stabili in Firenze dove per vivere dava
lezioni private, quando all' improvviso fu incolto da
una grave e inattesa sciagura domestica, la morte del
fratello Dante che il 4 novembre si morì di ferro:
tornò allora sùbito in famiglia dove trovò il padre
immerso nel più straziante dolore e già tòcco dal
male che io mesi dopo lo condusse al sepolcro. Dopo
la morte del padre, che, com' egli scrisse, gli lasciò
per tutta eredità io paoli {non importa da vero far la
riduzione in moneta Jiuova), egli, nelle più dure stret-
tezze della vita, rimase unico sostegno della famiglia,
composta della madre, che poi gli morì nel 1870, e
del fratello Valfredo, che fu prima maestro elemen-
tare a Monte San Giuliano, ed ora è da più anni
professore di lettere italiane nella scuola normale
Giosuè Carducci di Forlimpopoli. I dolorosi ricordi
domestici gli acuirono 1' ingegno, e spesso gì' ispira-
i86
rono versi di elegiaca tenerezza e di più immediata
concezione: avea già scritto, fin dal "57, una ben
triste canzone, d' intonazione classica e di profumo
leopardiano, in morte del fratello Dante, e più sonetti,
pregni di quei ricordi, qualche anno dopo: 1' una e
gli altri son raccolti ora nel volume delle Itivenilia e
de' Levia Gravia. Sin da quel tempo un' aura di pes-
simismo avea invaso il forte animo del poeta che
dovè proprio al bisogno e alle sorti della famiglia
povera la salvezza così fisica come morale. Ei lo ri-
corda in questi versi della canzone funebre a suo
fratello Dante:
Ben io vivrò: che a me l'anima avvinta
Di più tenace ci'eta ha la natura,
E oCflcio torse e carità il suade: ....
Sii meco eterno; e nel tuo sangue tinta
Del verso vibrerò l'alta saetta
A far nel mondo reo dolce vendetta (*).
In questi versi è tutto un presentimento della sua
vita letteraria e civile: l'anima sua forte, alimentata
dalla sventura, si chiuse, dirò così, nel passato, e ne
rivisse la vita; onde la sua poesia specialmente, par
tutta nutrita della ispirazione delle tombe e de' ricordi
della fanciullezza e della gioventù, della famiglia sua
e della maremma nativa, della patria eroica e della
patria vile, ispirazione e ricordi che spandono il mi-
glior profumo nella sua lirica patriottica o civile, do-
mestica o storica, giambica o idillica. Eccone saggi:
Idillio viarenmiano e hi morte di Giovanni Cairoli; Per
Eaoarao Corazziiii e Davanti San Giusto ; Per G,
Monti e G. 7 ognetti q XX settembre i88g; Traversaiido
la maremma pisana e Brindisi funebre', Per la morte
di Napoleone Eugenio e La madre; Sogno d' estate e
Pilori alla Certosa di Bologna; Presso l'urna di S/iel-
(*) luvenilia e [.evia Gravia — Bologna — Zanichelli — lS9i —
Pag. 157.
187
ley e Scoglio di Quarto; Miramar e Colli toscani; Era
un giorno di festa e Notte di maggio; Avanti ! Avanti
e II Canto dell' Amore; Intermezzo (3 e 8) e Nostalgia;
Alla rima e Congedo. Ho scelto, così di fuga, un po'
da per tutto.
Cito qui sotto una terzina, 1' ultima del sonetto in-
titolato a punto // sonetto y e dov' è espresso nobil-
mente il suo verbo di fede:
Sesto io no, ma postremo, estasi e pianto
E profumo, ira ed arte, a" miei di soli
Memore innovo, ed a i sepolcri canto.
Nel "58 la famiglia si rimase ancora in S. Maria a
Monte, mentre il Carducci era tuttavia a Firenze,
dove abitava una camera mobiliata in Via Romana:
campava assai poveramente del suo lavoro, improbo
sì ma poco ben remunerato: dava lezioni, riscontrava
codici, pubblicava versi e prose nel « Poliziano »,
nelle « Veglie letterarie » e nella « Rivista con-
temporanea » di Torino; mandava periodicamente alla
Nazione appendici letterarie e in fine curava pel Bar-
bera alcune critiche edizioni di classici che gli veni-
vano pagate a lire 100 il tomo. Con gli aiuti di Vin-
cenzo Salvagnoli, ministro allora del culto in Toscana,
da cui era molto stimato, ottenne nel "59 dal ministro
della Istruzione Ridolfi la nomina di maestro di greco
nel ginnasio di Arezzo, che per concorso avea già
ottenuto l'anno innanzi dal municipio di quella città,
se non che il governo granducale non volle appro-
varla, a incitazione forse di Pietro Fanfani, il linguista,
che avea saputo nel governo della restaurazione con-
servare r ufficio che gli era stato conferito dal go-
verno democratico del Guerrazzi: il Carducci dovè per
ragioni di famiglia rinunciare alla nomina , ma indi
a un mese fu nominato professore di greco nel liceo
di Pistoia, il quale insegnamento gli fu poi mutato
in quello dell' italiano e del latino. Ivi — son sue
parole — ei si viveva contentissimo della sua sorte.
quando venne a trovarlo nel "60 la memore benevo-
lenza di Terenzio Mamiaìii nmiistro del Regno con
r offerta di una cattedra 7iell'' Uìiiversità di Bologna.
Bisogna però fare un passo indietro per dire qualche
altra cosa delle sue condizioni domestiche e dell'opera
di sacrifizio da lui prestata a servigio della famiglia.
Egli, fin dal 1859, avea condotto la famiglia a Fi-
renze, dove abitava una casa in Borg' Ogfiissanti , a
Ufi piaìio molto in su, anzi a una soffitta. Due donne
vivevano allora in quella soffitta con altra ge?ite; . . , e
quelle due donne e quell' altra gente dovea mantenerle
lui. Di quelle due donne l'una era la madre, 1' altra
una giovinetta che aspettava il compimento di una
promessa del poeta che dovea farla sua; e di fatti ei
la sposò poco prima che si recasse a Bologna: fu la
Elvira Celli, che ancora fortunatamente gli vive, e da
cui ebbe come primogenito Dante Bruto Augusto, bel-
lissimo bambino che di soli io anni morì, nel 1870,
e proprio quando i Prussiani stringeano d' assedio
Parigi. Della morte di quel bambino, di precocissimo
ingegno e che ancora arriso di vision leggiadre for-
mava la migliore sua gioia e temperava il rimpianto
del fratello suicida, egli rimase per più anni incon-
solabile, e di quel bambino volle anche dar tenero ri-
cordo in un vaghissimo sonetto (^Funere emersit acerbo)
e nel Brindisi funebre.
Dalla sua buona Elvira, un' ottima e cara signora
che ha per lui un culto e la più tenera affezione, ebbe
anche tre figliuole, affettuose, intelligenti, modeste,
che vissero di lui e per lui, fino a che non il desi-
derio della ricchezza, ma del buon costume e del la-
voro, le unì poi a tre uomini integri e degni del-
l' amor loro e dell' amore del padre che pure avrebbe
potuto più altamente collocarle. La prima è Beatrice,
la pensosa vergine che crescea sotto lo splendore della
musa paterna
quand' ella prese d'assalto intrepida
i clivi dell' arte e piantovvi
la sua bandiera garibaldina.
i89
Il 20 settembre 1880 andò sposa al rimpianto prof.
Carlo Bevilacqua del R. Liceo di Livorno, un uomo
d'ingegno ma soprattutto buono, conterraneo o quasi
di Giosuè, e che nel 1878 fu mio professore di ma-
tematica nel liceo di Lucerà: ei morì, immaturo, due
anni or sono, lasciando inconsolabile la Bice che dovè
tornare dal padre in Bologna, dove forse ripensa i
giorni d' una volta, e insieme s' allegra della gloria
che circonda gli ultimi anni del poeta che già per le
auspicate nozze della figliuola scrisse con l'anima una
bellissima alcaica epitalamica {O nata quando su la
mia povera) eh' è la più cordialmente alata di tutte le
odi barbare. Neil' ottobre del 1899 la signora Elvira
e la figliuola Bice trepidarono, come forse non mai,
per la vita del poeta incolta da inatteso malore che
gli tolse la parola e gl'impedì i movimenti articolari,
per effetto di un lungo ed improbo lavoro che lo
rese instancabile anche negli ozi estivi; ma fortuna-
tamente egli nel mite clima di Firenze si è quasi in-
teramente riavuto, sotto le cure e in casa del dott.
Luigi Billi, vecchio suo amico fin dalla prima giovinezza
e già ammiratore ardente della canzone « Italia e
Vittorio Emanuele » e di tutte le altre cose del poeta.
Le altre due figliuole si chiaman Laura e Libertà
(la Titti del bellissimo idillio Davanti San Guido) an-
ch' esse da più anni maritate, 1' una a un valoroso
ingegnere, che vive in Bologna, e 1' altra a un mo-
desto giovane, che il poeta ebbe per molto tempo
nel suo studio, e a cui trovò poi un ufficio modesto
neir amministrazione delle ferrovie. Mirabile alterezza
d' animo in un uomo che nel fastigio della sua gloria
preferisce alla pompa di un più nobile stato l'onestà
dell' ingegno e la pia gioia del lavoro ! Aristocratico
nella vita del pensiero, e più che democratico nel ci-
vile costume e nelle domestiche abitudini. Ho cono-
sciuto in Monte San Giuliano (Sicilia) un cugino del
poeta, Valerio, che da moltissimi anni si vive colà col
tenue stipendio di maestro elementare; e a me che
lo consigliai di chieder altro con gli aiuti del fratello,
rispose con dignità: — Meglio qui che altrove: in
IQO
questa oscura e lontana solitudine, io mi sento più
libero e perciò più contento, avendo a compagna la
povertà e il solo conforto del lavoro. Giosuè mi scrive
e m' incita a uscire di qui; ma oramai so di non sa-
pere far altro, e mi sento poi troppo legato a questa
terra eh' io considero come seconda mia patria. —
In queste parole sentii meglio, ammirando, quelle ci-
vili virtù che in questa nobile progenie di gonfalo-
nieri e di ribelli son tradizione antica.
Vili.
Vita del poeta a Bologna. Dov egli abitò. Suo studio.
Ricordi patrii.
Giunto così presto e per inattesa ma meritata for-
tuna all'alto ufficio di professore universitario, il Car-
ducci non mutò affatto le sue vecchie abitudini; anzi
pur potendo vivere con signorile agiatezza, ha sempre
preferito un vivere oscuro, parsimonioso e modesto.
Di fatti, dal 1860 fino al 1874 abitò in via Broccain-
dosso, una delle più romite ed oscure della città, una
piccola casa; e dal 1874 al 1889 si avvicinò molto
alle due torri, e abitò in via Mazzini un ultimo piano
del palazzo Rizzoli, finché si ridusse a vivere presso
le mura di porta Mazzini, nel quartiere di un villino
che abita ancora: ivi ha la vista aperta de' colli tante
volte da lui cantati, ha la sana distesa delle campa-
gne solitarie, ed ha un piccolo orto che forse gli ri-
chiama alla mente la idillica vita campestre di Orazio
e di Tibullo. La più gran parte della sua abitazione
è tutta occupata dalla sua immensa biblioteca. La più
ampia e luminosa delle sue camere è quella di lavoro,
in cui s'aprono su la campagna tre larghissime finestre;
è tutta circondata da scaffali dove si ammirano splen-
didamente rilegate più e più edizioni di classici, con
una lunga serie di codici antichi e di palinsesti, e in fine
una collezione, la più ricca forse, di storici italiani e
stranieri, con una infinità di piccole e grandi mono-
grafie, di volumetti, di opuscoli, che si riferiscono spe-
191
cialmente alla storia del risorgimento patrio. In un
angolo, presso una delle finestre, è un gran tavolo,
tutto circondato da grossi volumi che in gran parte
son lèssici di ogni ordine e metodo, antichi e mo-
derni ; e intorno alle pareti più ricordi patrii, del
Mazzini, del Cairoli, di Garibaldi, di Alberto Mario,
del Bertani, di altri molti, e fra questi dentro un
quadretto pende, preziosa reliquia , una bellissima
ciocca di Goffredo Mameli.
Quella tenace prepotenza di lavoro il Carducci non
ismise mai neppure nelle ore e ne' giorni in cui tutti
sentono il naturale bisogno dell' ozio e dello svago.
Finire — così dice a proposito delle sue Rime — era
per me cessazione di godimento, e, come avevo pur
bisogno di godere un poco anch' io, così non finivo
mai nulla. Questo fu il metodo di tutta la sua vita.
Figlio di padre costretto dolorosamente a vivere di
terra in terra col frutto spesso amaro del suo lavoro,
e sostegno unico poi di tutta la famiglia, dovè im-
parar presto co' feroci disinganni dell' esistenza, e
fin dalla più giovane età, le aspre difficoltà del vivere.
E quest' abito di fare e insieme di godere non valse
e non volle dismettere mai più. Egli ha una grande
religione di tutto ciò che sia perfetto o frutto almeno
di ostinato studio e di ritentato lavoro, e, unico forse
dei nostri, è perciò gran nemico della fretta: — Oh,
la fretta - egli scrive -
Che V onestate ad ogni aito dismaga
io non r ho avuta mai se non forse nel mover dei
passi. Quanto al mover dei pensieri, la Musa della
procrastinazione ha salvato 1' Italia da molte opere
mie di verso e di prosa. E come nello scrivere non
mi lascio andar mai né pur mandando tre righe a un
giornale, così di quello che scrivo io sento e voglio
aver l'obbligo di rispondere, quando sia il caso, non
pur dinanzi alla legge, ma e dinanzi al giudizio degli
uomini autorevoli e degli onesti, anche se, anzi spe-
cialmente se, avversari. (*)
(*) Confessioni e battaglie — Ed. cit. — Pag. 434.
192
Queste parole spiegano e illustrano tutto l'uomo e
tutto lo scrittore, ma specialmente il polemista. Ec-
co qui poche altre parole che ci dicono in breve
com' ei viva in Bologna : — Io poi , per rimanere
indipendente affatto e di spirito e di cuore si nella
critica sì nell' arte , mi condannai fin dalla gio-
ventù alla solitudine e alla segregazione, special-
mente dagli scrittori. Per ciò, soffrendo i danni della
condizione che mi feci, intendo goderne almeno i
pochi e magri vantaggi: sono: fare, pensare, scrivere,
combattere di mio moto, a modo mio, senza rispetti
ipocriti, senza vigliacche sentimentalità, dentro i limiti,
s'intende, del giusto, o di ciò che il mio ragiona-
mento mi dice essere giusto. (*j
Altrove, accennando a' primi anni del suo profes-
sorato in Bologna, scrive: — Allora mi levavo, anche
nel gennaio , la mattina alle tre per prepararmi a
trattar del Petrarca dinanzi a scolari dilettanti , che
non lo volevano e non lo potevano capire ; ma di
quella noia mi rifacevo la sera attaccando lite con
questo e quello per il generale Garibaldi ; erava-
mo presso Aspromonte (**i. Era prossimo il periodo
de' Giambi ed Epodi a cui accenneremo fra poco.
IX.
Dal '60 al '70 — Periodi de' Levia Gravia e de'
Giambi ed Epodi — Studi e battaglie — Trasferi-
mento e sospe7isione.
Dopo il '60, e proprio dal '61 al '65, il poeta pare
abbia vissuto i più bei giorni della sua vita letteraria;
ed ei lo ricorda largamente in un elegantissimo ca-
pitolo (Raccoglimenti) delle sue « Confessioni e Bat-
taglie ». In quegli anni, che furon tutti di larga e
profonda preparazione, il Carducci attese quasi uni-
camente allo studio, da cui dopo il '67 derivò poi.
(*) Op. cit. — PagK. 367 - 68.
(**) Op. cit. — Pagg. 47-48.
193
di sotto le ceneri della erudizione, quella meravigliosa
fecondità di poesie e di prose. Nel '62 cominciò a
studiare sotto la guida di Emilio Teza il tedesco, a
cui die opera maggiore nel '68, traducendo e pro-
fondandosi nella lettura de' migliori modelli, ma spe-
cialmente del Goethe e del Heine, i quali certo influi-
rono a una delle manifestazioni più rinnovanti della
lirica sua: de' francesi meglio lo attrassero Victor
Hugo e Andrea Chenier. In quel crogiuolo di ele-
menti così vari e complessi lo spirito suo potè allar-
garsi a più audaci e liberi voli, non senza portarne,
sotto l'urto degli avvenimenti e con lo strappo vio-
lento del suo cuore, qualche fiaccola o almeno qual-
che scintilla. Ma, com' è natura delle grandi anime,
ei riuscì a infondere nelle sue cose tale una spiccata
personalità, da mostrarsi quasi sempre originale, pur
quando sembra aver tolto ad altri qualche linea o
qualche atteggiamento. Fin dal "61, in quel fecondo
periodo della sua esplicazione, egli ebbe in mente
un larghissimo disegno di concezioni poetiche. Eccone
tutto un repertorio, quale ce lo dà il Chiarini. In
quell' anno ei meditava un canto su la Plebe, versi
sciolti sui Martiri, e una marsigliese italiana: pensava
anche poemi filosofici come il Prometeo di cui, come
primo nucleo od embrione, ricordiamo un frammento
che fa parte del libro IV delle luvenilia. Nel "63 pen-
sava canti come questi: Alla guerra; Gli Slavi; La
Polotiia; Il carme secolare della Libertà, e un epodo
satirico « L'Arcadia nuova», caricature dell'Italia uffi-
ciale d' allora con interlocutori bucolici: Titiro , Me-
libeo, Coridone; poi canti contro la società.
Meditava idilli storici, come // campo di Vercelli e
di Aix (rotta de' Cimbri), La sepoltura di Alarico,
Gli ultimi pagani e i primi cristiani, Carlo Magno e i
Paladini, Il calen di maggio del ispo; anche drammi,
come Giano della Bella. Pare che, a seconda de' vari
impulsi che riceveva a quando a quando dagli studi
molteplici e diversi, cioè secondo i flussi e riflussi,
dirò così, della straordinaria dottrina che colle forti
e diuturne letture si andava procurando, provasse
13
194
come un solletico anzi il bisogno di prorompere nel
lavoro proprio ed originale forse infrenato da quella
stessa vita troppo intensa e riflessa di studi, da' quali
venner fuori i Levia Gravia soltanto. Di fatti scrisse
molto più canti nel breve periodo di tre anni ("67-"7o)
che non dal "60 al "67. Dopo Aspromonte il poeta uscì
tutto in armi da quella solitudine, che parea pace ed
era feconda preparazione di battaglie prossime, e dalla
quale di tanto in tanto mandava un' eco potente dello
spirito suo che si levava commosso e non di rado
feroce dal torvo spettacolo delle umane ingiustizie,
come nelle odi Per un albo di bella signora e Carne-
vale; usci, ripeto, da quella solitudine, e si slanciò
come un atleta nelle più atroci battaglie delle riven-
dicazioni morali e nazionali. Questo è il periodo de'
Giambi, la più immediata e affocata delle sue poesie.
Sulle prime odi, Per Edoardo Corazzifii e Per G.
Monti e G. TognelH, si levò un coro di ammirazione
dagl' ingegni più alti. Il Mamiani scrisse che colla
prima il Carducci avea comi?icialo un genere novo, che
era presso alla vera nmsa del secolo decimonono , e che
certe cose Orazio non le avrebbe dette meglio: della
stessa il Panzacchi scrisse eh' era uno de piic insigni
mo7mme7iti della poesia moderna; e di recente il Chia-
rini, a proposito di tutti i Giambi ed Epodi, ha scritto
che si può sentire V amore di patria come il Carducci,
ma no7i piii; e che quei canti si avvicifiano sempre pili
alla perfezione , la qìiale può dirsi quasi raggiunta dagli
ultimi. Tremendo e agitatissimo periodo cotesto, nel
quale il poeta ebbe a soffrir persecuzioni che gli ven-
nero dal Governo moderato nel '68: un decreto di
trasferimento a Napoli con l'insegnamento del latino,
che fu poi revocato per opera specialmente dell' edi-
tore G. Barbèra e de' più autorevoli amici, e ciò per
aver egli fieramente osteggiato la candidatura Min-
ghetti a Bologna; e poco di poi, in seguito a un' in-
chiesta, la sospensione per un anno dall' ufficio e
dallo stipendio per aver partecipato a un banchetto
commemorativo della repubblica romana del "49 e per
avere scritto e firmato un indirizzo al Mazzini; sospen-
195
sione che fu assai fruttifera per le lettere, poiché in
queir anno il poeta preparò in gran parte il celebre
suo comento al Petrarca, che quest' anno, ridotto per
le scuole, ha coli' aiuto di un suo vecchio alunno, Se-
verino Ferrari, pubblicato intero. Di questo il Car-
ducci parla diffusamente in una delle più belle e ca-
ratteristiche prose delle sue Confessio7ii e battaglie, ed
è anche utile leggere, nella prima serie delle Ceneri
e faville, tre lettere di lui all'editore Barbèra, che lo
aiutò, come altrove pur scrisse e noi citammo, in
quel caso difficile della sua vita.
X.
Amicizie del poeta a Bologna — Elezioni politiche e am-
ministrative — Sua sospensione — Cattedra dantesca —
Uffici e cariche.
11 Carducci a Bologna coltivò fervide e nobili ami-
cizie, come quella di Francesco Rocchi, archeologo
insigne, creatura di Bartolommeo Borghesi e già amico
di Vincenzo Monti; di Emilio Teza, che gì' insegnò
il tedesco , che fu compare del suo bambino natogli
nel giugno del 1860 e, come abbiam detto, mortogli
nel settembre del 1870, e col quale si addentrò nello
studio de' tragici greci; di Pietro Ellero e di Enrico
Panzacchi. Fra il "67 e il "73 dalle serene e feconde
amicizie letterarie passò alle ardenti amicizie politiche
di Giuseppe Ceneri, di Quirico Filopanti, di Costanzo
Giani, di Pietro Piazza, dando scritti a giornali de-
mocratici, alla Voce del Popolo, diretta allora da Fran-
cesco Pais, e al Popolo diretto da un giovane avvo-
cato, certo Bordoni, suo grande ammiratore. In questi
anni, pur di mezzo alle più agitate controversie, fé'
studi profondi su ogni lato della letteratura italiana e
delle straniere, alternandoli costantemente con la pro-
duzione originale e propria e con 1' azion viva della
politica; e di fatti politici son quasi tutti i versi di
quel torno; ma nel lavoro critico si mantenne invece
196
profondamente calmo e sereno. Il Chiarini ricorda
che dopo il '63 lesse, fra tante altre cose, la Storia
dell' Asia di Daniello Bartoli, le Vite de' Santi Padri
del Cavalca, le Lettere ed altri scritti del Giordani,
fra' quali il Peccato impossibile che gli parve tuia me-
raviglia di stiipcfida scrittura. Il poeta ha sempre avuto
una certa predilezione per gli scrittori ascetici del
Trecento. Ecco quello che scrive in una pagina della
sua polemica intorno al Ca Ira: — tutte le mat-
tine butto addosso al corpo quanta più posso acqua
fredda, all'anima un'ora o una mezz'ora di lettura di
testi di lingua massime ascetici. Così mi son ripas-
sato i Dialoghi e i Morali di San Gregorio Magno ,
le Meditazioni e V Albero della Croce di San Bonaven-
tura, la Esposiziojie del Pater iioster di Zucchero Ben-
civenni e le Prediche del Beato Giordano da Rivallo:
carissimo frate questo, e scrittore molto più dilette-
vole e garbato e acuto ed arguto che non i direttori
ài^iV Opinione e della Nazione (*). Il Carducci, nell'am-
mirazione dello stile , non guarda né ad ordini
né a scuole: ecco quello che scrisse del Bartoli: —
Che ricchezza spropositata di lingua , di modi , di
colori 1 che padronanza superba di stile in cotesto
magnifico scrittore ! E' ti passa per tutti i tuoni
dal più umile al più alto, senza che tu te ne accor-
ga. E come narra! come descrive! come leva la sua
grande voce nell' alta eloquenza ! Di così grandi
maestri di stile 1' Italia ne ha pochi; di così vari,
forse niuno, oltre lui. E' mi fa il medesimo effetto
di Livio: parmi di andare con gran pace con animo
sereno e sollevato ad alti pensieri per un vasto per
un immenso mare tranquillo, sotto cielo tranquillo,
seminato d' isole verdissime amenissime, rasentando
anche sublimi e selvose scogliere, e di quando in
quando vedere il turbine affollarsi lontano. E questo
grande effetto tutto di scrittore antico, me lo fa
sebbene le cose da lui trattate sieno vili, sciocche,
risibili , quando non sono abominabili . Tremendo
(*) Confessioni e Battaglie — ed. cit. — Pag. 408.
197
uomo che fa leggere con ammirazione le imprese
de' Gesuiti. (*)
Dopo il "74 il poeta cominciò a provare come un
senso di noia e di ripugnanza alla vita, come spesso
avviene a chi, dopo una fierissima lotta, si vede sfio-
rire a poco a poco il compimento dell' ideale pel
quale tanto ha combattuto; onde pensava di farsi mo-
naco o di chiudersi in un solitario convento degli
Appennini. Ma queste non furono che ubbie a cui
presto seguì lo svolgimento di un nuovo e più fe-
condo lavoro. Di fatti nel "76 si volse di proposito
alla politica attiva , e nel luglio del medesimo anno
riuscì con pieno suffragio di voti deputato del colle-
gio di Lugo; ma, sorteggiato poi il nome suo alla
Camera de' deputati fra altri d' impiegati e profes-
sori, fu poi nella seconda votazione eletto un antico
competitore moderato, certo Bonvecini, contro ogni
aspettazione, credo, del Carducci il quale lodò di fer-
mezza e d'indipendenza il popolo romagnolo nel di-
scorso elettorale che lesse, come abbiam visto, a Lugo
prima che avvenisse la prima elezione.
Dopo il "76, finite le lotte letterarie e politiche più
accese, il Carducci si dette a una vita interamente
serena e tranquilla, a una vita solitaria e tutta volta
agli studi più fecondi della maturità: fu questo il pe-
riodo, limpido e classico, delle Odi Barbare, fu il
periodo del suo grande paganesimo in arte, pagane-
simo che ebbe tutta una evoluzione in tutto il pro-
gressivo e svariatissimo lavoro dell'adolescenza e della
giovinezza.
(•j Nuova Antologia — Anno 34. — 16 luglio 1899 — Art. di G. Chia-
rini — Pag. 210.
XVII.
La Guerra.
,vL poeta, come già per le prime sue rime del
'J 1857, potrebbe ripetere di non aver mai cre-
duto che il dolce paese d' Italia gentile poiessQ
produrre ancora tante mele fr acide quante glie ne son
piovute recentemente addosso dalle mani de' conna-
zionali suoi, che, pur ieri, lo salutavan grande e im-
mortale. E la guerra dal poeta cantata come l'affer-
mazione d'una inelutabile legge storica, si è raccesa
ancor più viva nel diviso agone della stampa special-
mente politica. Né l'occasione è mancata: il recentis-
simo e istrionico Congresso della pace l'ha offerta al
poeta, e questi, coll'alcaica sua, l'ha pòrta a' mimi
ed a' giullari della critica bassa.
Due preconcetti a me par di notare nei troppo
assoluti giudizi di questi giorni avventati contro
l'autore delle Odi barbare; il color politico e la pre-
minenza del contenuto; il primo si è anche cercato
confondere colla vita privata del poeta da una chie-
suola politica, la repubblicana; e il secondo è una
reminiscenza del sistema critico settembriniano. Sem-
bra d'esser tornati alle viete quisquilie accademiche
d'un trent'anni fa, quando imperava padrona assoluta
la (-ritica ortodossa in contrapposto alla critica ghi-
199
bellina: 1' una e 1' altra faceano lor idoli diversi e
abbatteano culti ed altari; e in sì torbido sconvolgi-
mento d'ideali e di fedi, si perdea d'occhio il gra-
duale e naturai divenire della evoluzione nell'arte.
E' sempre così: quando l'arte è sparita, su le sue
ceneri si svolge, querula e vana, la critica bilingue,
come a scusar l'impotenza della creazione e della
produzione.
La critica severa e dotta veramente, neanche dopo
la pubblicazione della Guerra ha voluto rompere il
suo silenzio decennale: non cosi la critica politica
che, violenta e rabbiosa, ha voluto gridare V alto là
al poeta, e interdirgli l'andare avanti. E quando la
politica, occasionai portato del mutevole momento
storico, si fa innanzi a occupare i minareti e i batti-
fredi della letteratura, è segno che l'arte è finita o
si va trasformando, o che infine non c'è più tra l'ar-
tista e il pubblico una qualsiasi concordia nell'adora-
zione della bellezza. Tutti tre questi fattori a me par
di notare nella letteratura vigente. Ma ritorniamo
alla Guerra.
É preceduta da un pensiero del Cattaneo che ac-
cenna alla perpetuità della Guerra sulla terra, che,
colla conquista e gli esilii e le colonie e le alleanze,
fa nascer dal contatto delle nazioni più remote nuove
stirpi e lingue e religioni e nazioni civili, ossia più
largamente sociali, fondando il diritto delle genti, la
società del genere umano, il mondo della filosofia. E
invano il Ghisleri si provò a dimostrare con altri
passi dell'insigne filosofo lombardo che questi non
fu rettamente inteso dal Carducci, il quale fé' del
citato pensiero l'argomento e la ispirazione dell'al-
caica sua.
Altri, com'è naturale, ripeterono quel che scrisse
il Ghisleri^ e durò parecchio questa smorfia di ripe-
titori su pe' giornali e le gazzette, sol notevoli pe'
vitupèri addensati contro ii Carducci.
L'ode è di sole venti strofe, e vo' studiarla, sere-
namente e a rapidi tocchi, sotto tre aspetti: metrica,
valore estetico del contenuto, rappresentazione.
* *
Il metro dell'ode è l'alcaica latina, quale può ren-
dersi coll'accoppiamento de' versi italiani risonanti
secondo gli accenti nostri in quei giri e in quelle
volte di strofi cui manca la misura degli antichi
gruppi ritmici — Giova notar subito che a' primi due
versi — decasillabi sdruccioli — nessuna varietà o
innovazione apportò mai il poeta. Non così per gli
ultimi due. Il terzo , nelle prime Odi barbare, è
sempre un novenario con accenti su la seconda ,
quinta e ottava. Nelle seconde è spesso un novenario
con le arsi su la prima o seconda, su la quarta, sesta
ed ottava: risponde benissimo al latino, come si può
notarlo nelle alcaiche: Figurine vecchie, La Madre,
Per la morte del Principe Napoleo7ie. Fu primo, o dei
primi, il Chiarini a plasmarlo così nelle sue Lacry-
mae (v. O vecchi amici, libri carissimi). Talvolta ha
accenti su la prima o seconda, quarta e ottava, e
non su la sesta: tal'altra su la seconda, quarta e
quinta; e qualche volta è un ottonario, come: « fulvi,
i tuoi vespri, o Toscana ». Nelle terze odi e nell'al-
caica alla Guerra il Poeta ritorna al novenario delle
prime odi barbare, e veramente è più armonico e
risonante, e acquista nuovi vigori e varietà di suoni
nell'ode che disaminiamo.
Il quarto verso è un decasillabo, sempre, sdruc-
ciolo o piano. Nelle prime odi ha quasi sempre il
trotto serrato del troppo monotono decasillabo man-
zoniano: nelle seconde, è un decasillabo a due qui-
nari, o un decasillabo formato d'un quinario sdruc-
ciolo e d'un quaternario piano, o un decasillabo colle
arsi su la terza e la settima ; nelle terze o è un
decasillabo a due quinari, o il decassillabo manzo-
niano, in più odi compaiono tutte quattro queste
forme, e in qualcuna il decasillabo ha accenti su la
prima o seconda, su la quinta, settima e nona, come
nell'alcaica delle prime odi: Nel XXI d'aprile del-
l' anìio MMDCXXX dalla fotidazioìie di Roma.
In quest'ultima alcaica rimangono due forme sole:
decasillabo a quinario sdrucciolo e quaternario piano,
e decasillabo con accenti su la terza e su la settima.
Dunque in quest'ode, il rinnovamento metrico manca
del tutto di fronte agli schemi, ma tutta la intelaia-
tura della strofe acquista maggior vigoria e densità.
Salvo che non s'abbia l'orecchio foderato di piombo,
ne' primi tre versi il ritmo squilla rapido e vibrante,
la strofe vola agile e sicura, e nell'alata concinnità
de' toni ascendenti parmi avvertire col passo caden-
zato delle arsi e delle tesi cert'asperità e rudezza di
vibrazioni che mi fan sentire il fremito e l'anelito
della ferocia umana beverata di sangue nel lavacro
delle ve7ie 7iìnane. Ma il quarto verso par stoni tal-
volta, specialmente quando non è sdrucciolo o quando
è formato da un quinario e un quaternario piani ,
con accenti su la seconda o terza, sulla quinta e no-
na, come:
E intorno al sepolcro scoverchiato...
Lungo errare armato, al venturiere.
Qualche volta ha certa efficacia e densità statuaria
che ben si presta a quella evocazione storica di
grande potenza oggettiva e icastica, come in questi
epici due versi:
Dal Pàrtenon grande a la tua
Casa càndida, Wasingtòno.
Par di sentir proprio l'èpico rombo nella sovrana
romanità delle forme.
II contenuto, guardato esclusivamente nel suo va-
lore estetico , è materia da epopèa: tutta la storia
umana! Or potea mai il poeta, in una lirica sola,
abbracciarla e comprenderla tutta? O avrebbe dovuto
darci la rigida enumerazione degli avvenimenti, e
avremmo avuto la storia fuor d'ogni genere lirico; o
avrebbe dovuto darci '1 meraviglioso, il che era im-
possibile, e allora avremmo avuta la epopèa sotter-
rata da un pezzo. Ma non avrebbe potuto darci il
dramma, la commedia, la tragedia? Ma in nessuna
di queste forme è possibile tanta vastità di contenuto.
Non gli rimaneva che la lirica, la lirica sola, e nella
lirica l'alcaica, come quella che più facilmente gli si
prestava a far guizzare con lingueggianti fiammelle,
e come in tanti solchi di vivissima luce, quattro o
cinque punti che son come rilievi e puntelli su cui
si regge tutta la storia degli uomini di fronte alle
battaglie della specie. E doveva uscirne, come n'é
uscita, una sintesi potente. Dal primigenio fango di
Prometeo, al rosso Adamo; dal lavorante primo cre-
sciuto all'esilio, ad Abele; dal Parthe?i07i gratide, aWa.
casa candida di W asÌ7igtÒ7io\ ecco i passi di tutta la
civiltà umana, che forman la cornice dell'immenso
disegno che può dividersi in più quadri.
Primo quadro : dal troglodita che rizzandosi su
l'orso a terra steso brandisce per l'aere la clava, a'
feri figli che acuiscon per la strage la selce che vider
luccicare tra' massi cruenti nel sol rossastro: dagli
abitatori de' palafitti laghi e de' fumidi antri scavati,
a' superstiti che, coi petti aneli verso il dominio e
colle menti accese del vago incognito, guardano dal
superato colle i fiumi vasti, l'Oceano moltisono e le
caliganti alpi; da tutto questo corre la guerra pe-
renne, cavalla indomita, pel mondo.
Secondo quadro: dagli abitatori del fuoco che l'aurea
Persèpoli manda contro gì' idoli, all' inclita storia di
Maratona, al bello Alessandro, ad Aristotile medita-
bondo, si svolge tutta una grande civiltà, la greca,
in un oceano di sangue.
Terzo quadro: nel gran duello per secoli agitantesi
tra '1 falcato ferro dell'arabo profeta e lo scoverchiato
sepolcro del Crocifisso, tra Maometto e Cristo, l'Eu-
ropa e r Asia infiammano la sanguinosa civiltà delle
crociate.
203
Quarto quadro: dal Flavio Autari , al venturiere
spagnòlo Balboa che armato di spada e di scudo cavalca
l'onde nuove terribili a vista del gravide Oceano pel
regio imperio della Spagna, è tutta una marea di vit-
time, è una fatale sublime insania.
Quinto quadro: Bonaparte, su le Piramidi, chiama
quaranta secoli di storia, e parla al musulmano so-
lenne i diritti dell'uomo. Come sfondo è la storia di
Roma resa in due versi e un emistichio:
Oh ! tra le mura che il fratricidio
Cementò eterne, pace è vocabolo
Mal certo.
Son più quadri che ben convengono insieme in un
solo disegno, il quale ha come irradiazione il perenne
conflitto delle schiatte umane, il darwiniano struggle
for life; come cornice, le prime tre strofe, e come
sfondo r ultima. Poche volte la lirica carducciana, e
non mai la poesia degli ultimi tempi , seppe racco-
gliere e condensare con maggiore unità compresiva,
con più scultorio rilievo, una più vasta concezione e
una più solenne evocazione storica: par 1' Universo
scolpito o inciso sur un cammèo antico.
La rappresentazione è, dunque , meravigliosa. Par
di sentire il fiotto del sangue umano gorgogliante
per que' bassorilievi o altorilievi di strofi ne' quali
la forma simula condensa vigorìa l'atrocità e il rombo
delle umane battaglie ne' corsi evolutivi della storia^
Son tante figure , tante drammatiche scene , tanti
quadri ne' quali son resi in tanti abbozzi poderosi i
diversi momenti della umana civiltà nell' incessante
svolgersi de' cruenti conflitti de' popoli. E 1' evoca-
zione non è una pura reminiscenza d'indole gnomica,,
non un'astrazione d'indole riflessa o critica , non un
paradimma di dottrine politiche o civili; ma è il fatto
che appuntandosi in quel dato tipo , eh' è come il
germe o 1' embrione di tutto un divenire di civiltà,.
204
diventa rilievo , persona , figurazione storica. E' il
segreto della grande arte del Carducci. Voi vedete
rizzarsi il troglodita che brandisce la clava: ne vedete
i fieri figli che acuiscono per la strage la selce: voi
vedete le biade verzicanti nel lavacro delle vene
umane; vedete i superstiti che guardan dal superato
colle l'Oceano; vedete su le Piramidi Bonaparte che
chiama ben quaranta secoli di storia: son tanti con-
torni, tanti abbozzi ne' quali si movono le umane
civiltà: son 1' èpico e il lirico fusi insieme con una
potenza di disegno monumentale, statuario. E la forma
è incisiva: senza retorica, senza luoghi comuni, senza
frasi , non colora ma scolpisce , non stèmpera ma
plasma , non dissipa ma condensa o rilèva. Non so
dir meglio, e così ho inteso il Carducci neh' ultima
lirica sua. Il Bonghi scriveva di lui nella Cultura
(15 ott., '87), a proposito delle Rime Nuove: « Il Car-
ducci è grande nella poesia grande; in quella che sa
rivestire di forma supremamente squisita, studiata,
lavorata, intimamente classica concetti di grande va-
lore storico o di viva importanza morale e sociale.
Iddio gli ha negato il talento del piccolo, del min-
gherlino, del ridicolo umano. Ebbène, non se ne di-
spiaccia; e di quello che ha, si contenti. »
Non si può dir meglio, e il giudizio calza benissimo
al nostro proposito: esso ci fa intendere coni' è giu-
dicato il Carducci, spassionatamente e imparzialmente,
pria d' esser Senatore o qualcos' altro , da' migliori
intelletti della Nazione.
E' oscuro: dicono alcuni. Sì , in qualche strofe.
Quelle sole che a prima lettura io non intesi furon
la sesta e la sedicesima. E questo è naturale in una
lirica di cosi potente comprensione e densità. Ma le
altre posson parere oscure per difetto di cultura e di
dottrina specialmente classica. Se non che i bimbi
d Italia S071 tutti Balilla; ma questi bambini — ve n' è
ch'han varcata la settantina — non gustano se non i
ninnoli della letteratura facile e sbilenca.
Si potrà facilmente demolire il poeta coU'agile fan-
tasia degli eunuchi; ma senza una cultura superiore,
205
senza un gran fondamento di storia, di filosofia, di
critica, senza una sufficiente conoscenza di tutta l'o-
pera carducciana in versi e in prosa, non si può in-
tendere assolutamente quella finissima e poderosa ari-
stocrazia di stile e di contenuto. I giudizi de' più
contro di lui, son luoghi comuni.
L'ode alla Guerra è degna del Carducci.
Lasciamo che il Poeta, in tempi di sì torpido oblìo,
nutrito di storia di scienza e filosofia, canti e s' in-
spiri a' più alti ideali umani. Egli è ancor vegeto e
sano, e dalla sua musa l'Italia aspetta molto ancora,
molto spera dalla sua vigorosa e potente virilità nella
quale le forze sono più valide, più omogenei l'inge-
gno e il cuore, più equilibrate le facoltà.
E' l'unico esempio che ci avanzi, in sì rapido de-
cadere d'ideali e di fedi, d'arte e di coltura, di bel-
lezza e di poesia.
XVIII.
La Chiesa di Polenta,
JUASI Ogni anno il Carducci, dopo i salutari e
l^ fecondi riposi alpini, pubblica come per rito
una sua ode barbara che spesso appare tra
l'agosto e il settembre; quest'ultimo mese particolar-
mente è per lui tutto pregno di memorie e di risve-
gli: così la natura ne' dolci tepori dell'estate morente
schiude al corpo ed a' sensi un sereno e sano refri-
gerio di pace e di richiami, coli' ultimo fiorire e ve-
getare dell'anno. Settembre e ottobre son quasi l'ul-
tima primavera della maturità cui sottentra subito
l'inverno della vecchiezza. Cosi apre il poeta l'ode
sua giambica , o meglio 1' epòdo, dal titolo: Per il
LXXVIII anniversario dalla proclamazione della repub-
blica fraìicese, composto appunto il 21 settembre 1870:
Sol di settembre, tu nel cielo stai
Come l'uom che i migliori anni lini
E suarda triste innanzi:
Proprio vero. Il settembre dovè troppo arridere al
cuore del poeta che, tutto chiuso nel passato, volle
spesso evocarne i ricordi , come forti richiami al
tempo in cui meglio riposa 1' animo suo. Cosi nel
Brindisi funebre dirà:
Io giù tra i morti scesi
Ed ho sepolto il cuor.
207
Così altrove, presso l'urna di Percy Bysshe Shelley,
esclamerà:
L"orH presente è invano, non fa che percuotere e fugge:
Sol nel passato è il bello, sol ne la morte è il vero.
Questi versi, a cui molti altri di consimili si po-
trebbero aggiungere, sono il suo verbo di fede che
specialmente si rivela negli ultimi canti, i quali riful-
gono ancora della miglior gioventù cui 1' età decli-
nante non valse a spegnere. Felice giovinezza di un
uomo di cui invano si cerca il tramonto !
E di settembre furon composti: il Cesarismo e Ver-
saglia nel '71, il Canto dell' Italia che va in Campidoglio
nel '72, il pz Ira nel 1887, Per le nozze di mia figlia
nel 1880, // liuto e la lira a Margherita di Savoia
nel '91, ecc. ecc.
Quest'ultima ode fu anch'essa una giovane e forte
concezione di settembre. Anche i mesi, anche le sta-
gioni hanno la lor parte nell'anima de' vati e nel-
r Olimpo della poesia, come nel Pensiero e meteore
pur si prova a dimostrare il Lombroso. E, di fatti,
perchè non dovrebbe al clima della natura non ri-
spondere un clima dell' anima ? alla meteora delle
stagioni la meteora dell' intelletto ? Nella critica re-
cente , cioè quella improvvisa che ogni giorno si fa
ne' diari politici, si vollero tentare a sproposito de'
raffronti; e si volle anche esplorare se quest' ultima
poesia per pregi di tecnica e per valore concettuale
ceda o avanzi le migliori del poeta. Oziosa e avven-
tata ricerca. Chi si piacque compararla a un' altra
ben vecchia, del '68, dal titolo: Agli amici della valle
tiberina; ma è difficile scorgervi alcun contatto di pen-
siero e di stile. Chi poi volle paragonarla alla celebre
ode saffica Alle fonti del Clitumno dove, con qualche
tocco di apparente somiglianza come il mirabile ac-
cenno al medioevo, spicca ben diverso il motivo nel
20S
signorile maneggio della strofe avente una concinnità
tra oraziana e virgiliana, e un senso storico ben dif-
ferente. Chi alfine volle raffrontarla al Piemonte ; ma
dov'è in questa Chiesa di Polenta quella rappresenta-
zione molteplice, intimamente geografica, di tutta una
regione, dove co' rapidi accenni patrii 1' ispirazione
storica alfine si fissa su la regal Torino e su Carlo
Alberto, a cui servon di contorno e di luce le me-
morie gloriose di tante città? Certo anche nel Piemonte
v' ha qualche somiglianza nel paesaggio e qualche
nota , la finale , di senso liturgico; ma è ben diverso
il punto essenziale e l'intimo svolgimento di questa
singolare concezione. E' naturale che ogni ode car-
ducciana qua e là comprenda o raccolga elementi e
forme sparsi in tanti canti di concepimento diverso,
ben fusi in un disegno proprio e distinto; ma il mo-
mento originario e la radice dell'ispirazione ne risul-
tano assai caratteristici, con marchio o impronta as-
solutamente originale.
*
* *
Quest'ultima è un'ode profondamente ieratica come
ve n' è poche o nessuna in tutta la letteratura con-
temporanea, se non forse anche antica. Ma niun certo
intese o rese mai, con animo moderno, con fede di-
versa e con ispirito sereno, un momento storico so-
lenne nel suo intimo significato religioso. In ciò la
grandezza veramente epica di essa.
S'apre, com' è naturale nella poesia del Carducci,
con uno scorcio mirabile di paesaggio. Son cinque
strofe che con equilibrio di linee classiche ritraggono
un riscontro storico geografico tra il passato e il
presente.
Ricordano pel descrittivo il Piemonte , ma forse
r avanzano per sol)rietà e densità, e più anche per
variata orchestra di suoni. Ecco subito un tratto di
209
filosofia morale, in due strofe, di cui non possiamo
non riportare la seconda , tanto è peregrinamente
bella:
Fuga di tempi e barbari silenzi
Vince e dal dotto de le cose emerge
Sola, di luce a' secoli affluenti
Faro, l'idea.
Questi versi fan ripensare per poco a tre strofe
della Bicocca di San Giacomo (Passa 1' istoria opera-
trice eterna, ecc. ecc.); se non che qui è 1' idea che
a traverso la storia non passa.
Che cos'è mai questa idea nella Chiesa di Polenta"?
Il poeta lo dice in ben venti strofe, veramente epiche
di svolgimento e di rappresentazione. La barbarie
interrompe il pensiero latino nella selva selvaggia del
medioevo. Avari ed Unni la invadono per farvi de-
serto; e nelle chiese, pe' sepolcreti, nelle selve quei
servi chiedono pace nel mistero e nell' oblio del
mondo, cioè nella chiesa, patria, casa, tomba. Quivi
chiedono mercè a Dio de Valla stirpe e della gloria
di Roma. Ma in questa duplice barbarie portata dalla
necessità de' tempi pur corre un filo di tradizione
romana, che non muore, che resiste, che avanza; e
questa tradizione è il comune che all' ombra della
chiesa , intorno a cui squilla V Ave Maria, accoglie
insieme, affratellati e liberi, percossi ^ dispogliati, per-
cussori e spogliatori, la civiltà e la barbarie; come la
fervente vendemmia màcera e calpesta 1' uva bianca
e la nera per farne vino comune. E in questa chiesa
di liberi Dante vide da presso Iddio, e lo evocò nel-
l'esilio pensando alla patria e al suo bel Sa?i Giovanni,
mentre giubilava il salmo In exitu Israel de Aegypto;
lo evocò, non più come asceta, ma come uomo che
si sente scorrere nelle vene sangue romano. E a
questo Dio s'inchina anche Aroldo, s'inchinano tutti,
quanti son fratelli desiosi di quiete. Quindi X Ave
14
Maria è il richiamo degli oppressi, di quelli che più
non han fede nel mondo, e sono stanchi; e in quel-
l'asilo di pace cantano, pregano, obliano. Questo sen-
timento, che dura perenne nel mondo pur di contro
alle più opposte fedi, resta sempre un bisogno umano
e una grande realtà storica; e questo sentimento in
una sintesi meravigliosa, che ha sol contatti con la
Gìierra per la rapida comprensività della contenenza,
rende il Carducci in questa ode, innestandovi come
motivo essenziale la evoluzione del comune , della
tradizione romana , della libertà, a traverso la bar-
barie importata dal bieco Settentrione in tutte le ma-
nifestazioni della civiltà latina.
E dovunque splenda questo sogno di libertà. Vitata
gente da le molte vite vede sempre il suo poeta che
la rivendicò nel canto divino. E tutto questo è asso-
lutamente nuovo nella lirica del Carducci e nella li-
rica italiana. Altro che confronti !
Questa quasi perennità del nome e del culto di
Dante nella storia d' Italia il poeta evocò sempre in
tutta l'opera sua, e, poco innanzi, nelle sue classiche
terzine: Treyito a Dante Alighieri , ma specialmente
nell'ultima:
Cosi di tempi e genti in vario assalto
Dante si spazia da ben cinquecento
Anni de l'Alpi sul tremendo spalto.
Ed or s'è fermo, e par ch'aspetti, a Trento.
In quest' ultima saffica quando il poeta risale a
Dante, e quando incide i ricordi nel rilievo della
rappresentazione, la lirica ascende alata in una visione
tra ascetica e storica, tra religiosa ed umana, tra li-
berale e biblica; e il canto n'acquista una freschezza e
una limpidezza tutta drammatica. Anche nella Chiesa
gotica e' vede l'Allighieri; ma ivi è Dante che scruta
Iddio nel gemvieo pallore di una femmina, mentre nella
Chiesa di Pole?ita è il grande fuoruscito che nel pa-
radiso, tra i lucidi faiitasmi, vede disegnarsi tutto un
mondo di gloria e di civiltà entro la breve cerchia
della sua Firenze.
Anche nelle undici strofe intorno agli efferati sogni
del medioevo ricordiamo un tratto dell'ode Alle fonti
del Clitiimno; ma non è altro che un ricordo, perchè
in quest'ultima sua ode il Carducci tenta una quasi
violenta rappresentazione della mistica e politica bar-
barie medioevale, dove forse la forma è troppo risen-
tita e non senza audacia, ma in compenso tutta piena
di vigorìa giambica che rinnova solo la ferocia degli
epòdi. Checché ne dicano i mestieranti, questo a me
pare un avanzamento nell'arte del Carducci; il quale,
con incisione veramente epica e con potenza invidia-
bile di scorci, ritrae ciò che fu veramente quell' età
barbara, nello spirito, nell'arte, nella vita.
In quest'ode il Carducci rende anche allo stile mo-
derno un verbo latino, s?ibsa?mare, un verbo di Persio
e Giovenale, di Tertulliano e San Girolamo; ma come
ben si presta a dar senso icastico e vigore grottesco
agli effetti esteriori della paurosa sguaiataggine sata-
nica nel riso beffardo:
: di dietro al battistero un fulvo
Picciol cornuto diavolo guardava
E subsannava.
Anche le due rime servono all'effetto, che non può
essere più esteticamente orrido; come non può essere
più opportunamente feroce la novità di render così,
personificando, la forza vindice della ragio?ie contro la
barbarie, come già nel Sataìia.
Subito dopo, quattro altre strofe , dov' è nuova e
insieme audace la similitudine tra il tino nella spii-
meggiante vendemmia e la fusione nel comune libero
de' bianchi e de' 7ieri. de' romani e de' barbari. Siamo
finalmente aìVAve. E' la parte più gustata ed intesa,
e più veramente ispirata. Ci dispensiamo citarla, per-
chè tutti l'avran letta ne' giornali politici. Qui finisce
la nostra povera critica, perchè queste sette ultime
strofe sono senz'altro la più bella meraviglia di tutta
la lirica italiana contemporanea , e per ciò stesso
schive d'ogni commento. E' volo, è canto, è musica,
è storia; è tutto questo a un tempo. E il verso vola
come le colombe di Dante. Quando mai dopo l'AUi-
ghieri e il Petrarca, dopo il Tasso e il Manzoni, la
sacra poesia seppe ispirare alle anime una sinfonia
spiritale più nobile, più umana, più ideale di questa?
Quando mai in anima moderna e non cattolica ebbe
la religione una più sana e imparziale interpretazione
storica ? E' fortuna de' tempi il progressivo fiorire
di questo poeta, che, pur avanzando negli anni, nulla
ancora ha perduto della sua più verde giovinezza.
XIX.
Rime e Ritmi. **'
"Jhimè, qual deserto in Italia nella poesia di
quest'ultimo decennio ! I più celebri, cioè
quelli che furon più lodati nel bizantino pe-
riodo sommarughiano e anche d'avanti, o tacciono da
un pezzo , o, se non riescono sterili ripetitori di sé
stessi, cercan quasi per capriccio da piccola e tenue
vena la ispirazione. Che anzi molti, ne' lor soliloqui
idillici e amorosi, meglio si piacciono di fuochi fatui
che d'imagini alate e di forti e durevoli concezioni:
ei mi sembrano più tosto manifattori di chincaglie
che formatori plastici di statue e di gruppi; più tosto
vagheggiatori di ninnoli e gingilli che non del nutrito
e del vigoroso nella tradizione italiana ancor viva.
Altri fan cataloghi o inventari di un naturalismo ba-
rocco; ed altri civettano la natura con ismorfie da
cicisbei e con gerghi da bamberottoli e da ciani. E
i giovani? — Oh, i giovani ! — Amiamo — dicono
essi — l'arte facile, l'arte ciompa, l'arte ch'è più di
consumo; e il lor facile è lo sbilenco nel falso, lo
sguaiato nel futile, l'aspro e il selvaggio nel mingher-
lino umano. Gli altri giovani , per converso, fanno
a rovescio: usano il sibillino nel mostruoso, e questo
chiamano simbolismo.
Questi e quelli, secondo il facile o il difficile del-
l'arte loro, m'han l'aria de' prodighi e degli avari
nella quarta lacca dell'Inferno dantesco: d'ima parte
e d' altra coti grand' urli voltano pesi a forza di poppa
su la frollaggine del pubblico grosso, che spesso am-
mira anche non comprendendo. Indizi questi di ro-
vinoso decadimento, indizi di una forma d'arte e di
►) Bologna, Zanichelli, 1899.
214
poesia che muore. Fortuna che nella breve òasi di
questo deserto non manca un sorriso di verde e un
po' d'ombra riparatrice; fortuna che a ristorarci da
tanta desolazione ci suona a quando a quando con
mònito severo una voce solitaria: è quella del Car-
ducci intorno a cui si raccolgono con amore operoso
e con forte ingegno pochi discepoli insigni. A pro-
posito, pur ieri ci fu dato leggere e ammirare un
saggio potente di lirica patriottica rappresentativa in
terzine mirabili, cioè la Rapsodia garibalditia di Gio-
vanni Marradi {*); il qual saggio è un originale portato
della grande poesia storica del maestro, di quella
poesia ond'è pieno quest'ultimo leggiadro volumetto.
A dispetto di quelli che in grazia di un feticismo
politico e letterario lo dissero da un pezzo retrogrado
e decadente, il Carducci ha voluto in più anni, dal
1888 al '98, prima spargere attorno per le riviste, e
ora accogliere qui in volumetto, questo prezioso ma-
nipolo di canti. Non è il caso di vedere il più o il
meno di queste ultime odi in raffronto alle altre di
lui: la poesia del Carducci è tutta un Parnaso, tanta
è la ricchezza de' tipi, degli atteggiamenti, delle for-
me, che appaiono come tanti vivi e diversi organe-
simi di concezioni le quali si sono in più tempi,
secondo il particolare spirito che le compenetra ,
naturalmente evolute, dirò così, nell'anima del poeta;
onde il ritentarle, dato il corso dell'età e il vario ca-
rattere delle impressioni, è come il provare un arco
già troppo teso e omai rilassato. Resta invece a ve-
dere quali altri spiriti si evolvono ancora nella sua
matura e ancor feconda giovinezza. V'ha più età della
poesia nelle facoltà veramente complesse de' grandi
poeti. Per non dir d'altre, ve n'è una, forse l'ultima,
nella quale l'artista, quasi annoiato della lotta contro
la vita, si riposa forte e sereno nelle grandi memorie
del passato; e in questo riposo, non meno potente di
(*) V Tiivista d'Italia, fascicolo I, 15 gennaio 1899, pagg. 46-52.
215
quella lotta ch'è ozioso ornai ritentare, ei sale sul
monte de' secoli donde spazia, come di su' minareti
dell'arte sua, a contemplare il vero che meglio arride
al suo cuore, il vero delle tombe, il vero che non
passa. In questo periodo il poeta, quando veramente
è grande, riesce a dare nell'ultimo suo canto, ch'è
apoteòsi, il riflesso puro e tranquillo delle origini e
delle glorie della nazione onde usci. Questa è l'età
del Carducci negli ultimi suoi versi ; e già egli ,
quando cominciò a varcarne la soglia, presso l'urna
di Percy Bysshe Shelley scrisse:
L'ora presente è in vano, non ta che percuotere e fuggi ;
Sol nel passato è il bello, sol ne la morte è il vero.
Egli avea detto lo stesso anche prima in più altre
odi, le quali anche specchiano un suo istinto classico
della nobile visione del passato così negli spiriti come
nelle forme.
*
* *
L'autore che fra le altre scrisse le odi Su l'Adda,
A Giuseppe Garibaldi, Presso l'tirna di Percy Bysshe
Shelley , Il liuto e la lira, Sirmione, All' Aurora, Le
due torri, Alessandria, Scoglio di Quarto, Per la morte
di Euge?iio Napoleone, Miramar, già rese da tempo,
variandolo e spesso complicandolo di elementi diversi,
il distinto e rapido passaggio del vero, percepito come
presente e vivo, nel campo della storia e in quello
dell'arte. Ciascuna di queste odi e di molte altre con-
simili, ha un momento, una mossa, un'ispirazione a
sé; tranne le ultime due dove il poeta, con inven-
zione tutta nuova, rappresentò nella visione mitica
fantastica il fatale andare della giustizia e della legge
storica verso il tragico decadere delle tirannidi: queste
due odi ne ricorderebbero un' altra di questi Ritmi,
quella Alle Valchirie, se in essa il finale non ci riportasse
alla contemplazione serenamente classica del mondo
ellenico. Ma questi e quelli son canti che non escono
dal soggettivo umano, dal più stretto campo della lirica,
2l6
quantunque in essi non manchino qua e là echi e
tumulti di fantasia e di azione epica e drammatica.
Molti ricordano male a proposito le prime Odi barbare,
una perfezione monumentale, e che rappresentano un
momento già finito nello spirito del poeta: in esse la
concezione è assolutamente diversa; son meditazione
e rappresentazione lirica nel contrasto tra il mondo
pagano e il medievale; o meglio, sono nel rimpianto
della civiltà classica una grande elegia storica pro-
venuta direttamente ^òW Inno a Satana. Opportuno è
invece il confronto con altre odi più sinceramente
epiche, dove senza alcuna ombra di personalità e senza
alcuno spirito lirico è con fantastici contorni reso al
vivo e con la più fedele espressione un fatto od una
leggenda che di per sé presenta o simula il meravi-
glioso o il solenne del canto epico. Saggi stupendi e
assolutamente nuovi di questa poesia si hanno nelle
rime: Su'' campi di Marengo, Faida di comune, La torre
di Federigo, ma specialmente nei dodici insuperabili
sonetti del p? Ira e in un frammento della Canzone
di Legyiano che da circa un ventennio il Carducci
non ha per anche finita. Ma so che l'autore ha per detta
Canzone studiato a lungo coi Bertolini i piani lombardi
che furon teatro di questo glorioso episodio de' co-
muni italiani: tutti attendiamo in essa forse il finale
capolavoro di lui, a cui deve attendere di certo, an-
che perchè il frammento pubblicato del 1881 non è
compreso in quest'ultimo volumetto.
Ad ogni modo anche queste non sono in tutto com-
parabili con le ultime, tranne forse una sola, Jaiifrè
Rudel; sia perchè in esse v'è solo il racconto di un
fatto singolo e distinto, sia perchè vi manca l'ispira-
zione lirica che anima almeno le più belle di questa
raccolta; ma nel pz Ira, e propriamente ne'sonetti se-
condo, terzo, settimo, decimo, e un po' dappertutto,
il racconto è qua e là avvivato inconsapevolmente
dal colorito e dal sentimento lirico , e il contenuto
storico ha vaste proporzioni epiche. Sono il maravi-
glioso della storia nel maraviglioso delle forme.
Dunque il Carducci ha il maneggio della storia da
217
assai tempo, la quale passa per diversi metri e con-
tenuti, e fra i più vari strumenti dell'arte e della
poesia: ei si è venuto quasi costantemente svolgendo
sino a raggiunger la perfezione delle odi Piemonte,
Chiesa di Polenta, Bicocca di San Giacomo, A Feri'ara,
la Giteri'a, Cadore, Per il monumento di Dante a Trento,
alle quali non credo si possano opporre in meglio,
almeno per l'ampiezza e il carattere specifico della
rappresentazione, le odi precedenti anche più belle.
In questi ultimi canti, con effetti d'arte veramente
mirabili e non di rado inusitati, prevalgono il natu-
ralismo alpino e il naturalismo storico. Anche altrove,
ma più ne' tre volumetti delle Odi barbare, non man-
cano, come abbiamo accennato, saggi di queste me-
raviglie, anzi vi abbondano; ma ivi l'oggettivo pla-
stico della natura come quello della storia restano
sempre più limitati se non meno profondi, certo con
impressione e concezione diversa. In questi Ritmi e
rimeìa. rappresentazione, ch'ha movimento epico, lirico
e drammatico giambico, presenta una più varia e
ricca mistura di elementi diversi e in parte nuovi o
più risentiti: la visione quasi jeratica {Pieìuonte: ul-
time otto strofe); la visione mitica tra greca e nor-
dica {Alle Valchirie); il sospiro idillico e religioso,
di senso quasi liturgico o ambrosiano {Chiesa di Po-
lenta: ultime sette strofe); il racconto erotico passionale
ed elegiaco, eoa movimento tra narrativo e dramma-
tico, in agili e freschi novenari {Jaufrè Riidel); il me-
raviglioso del paesaggio alpino di un pittoresco mo-
numentale e qua e là panteistico (un po' da per
tutto ma più nelle due odi citate: meglio nel Pie-
monte, prima parte); 1' epica solennità dell' eloquio
poetico, in un connubio tra la forma classica, l'arcaica
e la nuova, sempre opportunamente e originalmente
(odi citate, le terzine dantesche Per il moìiumento di
Dante a Trento, tutte le altre odi più veramente sto-
riche); una più profonda intuizione della storia e della
2l8
preistoria intorno a tutto uno svolgimento artistico,
quello della poesia cavalleresca (A Ferrara); l'evo-
cazione di grandi avvenimenti vicini tra lirica, giam-
bica e drammatica [Cadore) ; una più calda fusione
dello spirito lirico colle forme e co' baleni della elo-
quenza (da per tutto).
Qui dunque il poeta mostra una più armonica e vigo
rosa coordinazione della materia storica o leggendaria,
congiunta a una più complessa ampiezza di svolgimento;
mostra, non più il fatto singolo o solo un episodio,
ma la sapiente orditura del gruppo informante tutto
un corso di avvenimenti. Essa brevemente ci dà, per
entro le più ricche forme dell'arte, la fantastica e
lirica evocazione di un gran tratto di storia: il poeta
elegge opportunamente due o più momenti di essa
che dan come il carattere e l'intonazione a tutta un'e-
poca; e in ciò egli ferma il suo disegno con sicurezza
di tocco, con brusca e risentita plasticità di rilievo,
con audacie d'immagini classiche e moderne.
*
■» *
Tutti questi elementi che, come dicemmo, ebbero
sempre nella precedente opera poetica una manifesta
preparazione, qui toccano l'ultimo segno e si trovano
spesso insieme, ma alcuni più spiccatamente in questo
che in quel canto. Nel Carducci l'arte è in continua
fermentazione, ma le note dominanti o meglio le ca-
ratteristiche di essa non è diffìcile sorprenderle in
tutte le progressive variazioni del suo molteplice
lavoro; che anzi più linee e più contorni di quest'ul-
tima produzione, specialmente per certa nervosa con-
cinnità oraziana e per certi insoliti ardimenti, meglio
ci ricordano qua e là i più bei tratti delle luveiiilia.
Qui finalmente tutte le sue simpatie d'arte e rifles-
sioni di vita, andatesi per tanti anni formando nel
triplice vivaio — classico, moderno e straniero — si con-
temperano in una finale concordia di lavoro e di gusto,
senza nulla perdere della forza e ardenza di gioventù.
Come scorgere i segni di decadenza in un poeta che
2 19
si sente ancora nell'anima la violenza di passione e
di lotta che talvolta si sveglia anzi più gagliarda,
come nella stupenda trilogia o rapsodia del Cadore?
Chi non vede progresso tra il medioevo dell'ode Alle
fonti del Clitumno e il medioevo della Chiesa di Po-
lenta? Dove ha mai avuto la poesia recente qualcosa che
ricordi questa pindarica elevazione di canto che tutto
abbraccia nel suo svolgimento un corso lunghissimo di
civiltà, e dove la rappresentazione poetica ascende mol-
teplice dal grottesco pauroso del medioevo alla visione
mistica di Dante, dai terrori delle invasioni barbariche
al primo sorgere del Comune italiano, dagli ardenti
occhi di Francesca temprati al sorriso fino al melo-
dioso rapimento <ìq\V Ave Maria? Dove mai la poesia
contemporanea, fuori dell'oscuro simbolismo, ha po-
tuto sollevarsi alla luminosa concezione ieratica e
storica delle più belle manifestazioni della vita italiana?
Il Carducci, come già tutti i grandi poeti vissuti in
sul confine di un lungo periodo di civiltà , è propria-
mente il vate della Nazione, il quale ha saputo spec-
chiare co' migliori presentimenti dell'avvenire tutto
un passato in un'alta opera di bellezza, la quale ac-
coglie le più durevoli forme e il più sano contenuto
di una lunga evoluzione storica avente per fondamento
tutto il Rinascimento italiano.
*
* *
Prima di finire ci tocca dir qualche altra cosa del
naturalismo alpino di cui tanti saggi abbiamo qui
anche in componimenti a parte. Da più anni usa il
poeta passar l'estate su le Alpi: prima a Courmayeur,
ma ora per ragioni di salute si reca a Medesimo ;
e in quel dolce e sano riposo ei si piace di prendere
un rinfresco di poesia montana, a quel modo che
ama ritemprare la energia del corpo nel consolante
lavacro di quelle acque salutari. E com'è simpatica
e forte la visione di quei luoghi solenni! com'è fre-
sca, trasparente, cristallina la forma che li colorisce
e li specchia! Già nel Piemonte con mirabile perca-
zione icastica della natura avea sentito e reso il ro-
tolar de le valanghe per le selve croscianti e il volo
solenne dell'aquila; già nelle altre odi, // liuto e la
lira e Courmayeur, ci aveva dato in soavissimi nu-
meri e con fantasia nuova l'orrido, il patetico, il
meraviglioso di quelle valli e di quelle scintillanti
vette. Ora qui ama contemplare spettacoli men so-
lenni ma più dolci, in una felicissima concordia del
domestico e del pittoresco, come: 1' esequie della
guida, ch'è una forte elegia alpigiana di senso iera-
tico e democratico; l'effetto del mezzogiorno estivo
sotto la gran caldura d'estate, e l'ostessa di Gaby
che mesce lo scintillante vino; la voce mormorante
del Lys che gl'ispira il ritorno al suo Petrarca, la
festa di Sant'Abbondio, e lo scintillar delle nevate
alpi che han sembianza di anime umaiie da V amor
percosse. É, come si vede, non solo il nudo e crudo
di quei luoghi, ma anche la vita, semplice e bella,
che vi si agita dentro, la vita della natura e della
famiglia, del lavoro e della gioia, del pericolo e del
lutto: è la vita che nessuno de' nostri poeti, tranne
forse Fogazzaro, seppe mai svegliare cosi pura e così
potente per quelle forre e per quei ghiacciai diasprati.
E poi tutto questo ha nel verso la visibile trasparenza
della forma e delle imagini dove spira una selvatica
freschezza di montagna e di campagna. Caratteristica
è la Elegia del monte Spluga dove con singolare ma
un po' studiato panteismo il poeta vede a traverso
tutte le forme della terra e del cielo la imagine della
sua donna che gli è volata fuori della veduta: è come
un pezzo di antica mitologia animata e impressa dal
naturalismo moderno. Un altro bel saggio di natura-
lismo mitologico è la Moglie del Gigante in agilissimi
ottonari, dove è rinverdita una fantasia popolare bo-
lognese con curiosa piacevolezza d'invenzione e con
quel forte e concettoso che spesso manca a' metri
brevi e a simili componimenti; questa odicina mostra
che il poeta sa portare anche nel facile e nella trita
snellezza delle strofette il vigoroso e il peregrino del-
l'arte sua.
Seguono ora componimenti assai brevi, e primi
vogliono esser ricordati i sonetti. Interamente origi-
nali di forma e di concepimento storico panteistico
è un primo gruppo (4), Nicola Pisafio, che però mo-
strano un che di faticoso nell'innesto tra l'elemento
mitico e il cristiano. Sono di squisitissima fattura, e
rappresentano il risorgimento ellenico nell' arte di
Nicola Pisano sorta dallo studio di un'antica scultura
greca che formava il sepolcro della contessa Matilde
nel duomo di Pisa: è la prima rinascenza toscana per
cui passa sotto le sembianze della fede nuova lo spi-
rito dell'umanesimo. Anche un secondo gruppo (4),
Carlo Goldoni, sono una meraviglia, per profonda im-
pressione del vero storico nel fantasma, e per la inci-
sione lapidaria del verso che dà al sonetto come
un'aria nuova; ma forse è un po' soverchia la com-
prensione e la densità. Han di questo stile due so-
netti minori, e tutt'insieme provano che, anche dopo
il pz Ira che rimane inimitabile, il Carducci ha se-
guitato a dare a questo breve e amplissimo carvie un
modo e un carattere di rappresentazione che certo
prima non aveva. Gli altri brevi componimenti rendon
del vero come un attimo psicologico o fantastico,
cioè quel mobile e rapido momento della impressione
poetica che vola e si dilegua dopo un breve sospiro,
dopo un fugace palpito, dopo un ricordo fuggente.
Son due o tre sprazzi, due o tre linee, due o tre
tocchi come di bassorilievo in cui si appunta l'im-
magine, son come 1' abbozzo del vero: talvolta son
come l'ombra di una forte percezione che non può
tutta rompere fuori dell'anima nell'analisi di una pas-
sione o di una rimembranza. Tengono di quest'arte,
ne' lor pregi e difetti, le odicine seguenti: Alla si-
gnoriìia Maria A. (preludio); Nel chiostro del Santo;
In una villa; Ad Aìinie; La mietitura del Turco; Sa-
bato santo; Presso una Certosa; Coìigedo; Alla figlia
di Francesco Crispi, la quale ultima quantunque non
vi manchino strofe alate, fu 1' ode che più die occa-
sione al ripetio de' paperi, e alla chiacchiera imperti-
nente delle a:azzette.
Nel complesso tutte queste odi, ma specialmente
le storiche, segnano un novo progresso. Avendo in-
nanzi tutta l'opera del Carducci, si potrà forse ancora
discutere intorno ad alcuni elementi soggettivi di essa,
che rimangono come le peculiari caratteristiche di un
ingegno cosi vigorosamente originale ed eclettico:
certo alcune forme un po' troppo scabre, alcune ima-
gini un po' troppo audaci , alcune singolarissime
espressioni con alcuni particolari segreti di tecnica,
potranno morire con lui o rimaner solo aderenti al-
l'arte sua; ma di questa resterà sempre un fondu, un
gran fondo estetico, destinato a ravvivar la poesia di
tutt'i tempi e di tutte le scuole. Egli, la cui molte-
plice vena d'ispirazioni offre anche oggi materia per
tutt'i gusti, rimane in Italia esempio mirabile ed unico
di un rinnovamento universale, avendo mescolate a
tutte le correnti dell'arte antica e dell'europea i con-
tinui rivolgimenti del suo progressivo lavoro, il quale
viene ad accogliere in sé tutta la tradizione italiana,
gran parte della straniera, e tutta la vita moderna
specialmente patriottica.
Di lui, fra tante novità di forme, non potrà certo
morire il sublime rinnovamento della grande poesia
storica, del naturalismo nel paesaggio e nella vita,
dello spirito classico infuso a tante meraviglie di me-
trica e di stile. É bene conchiudere col giudizio di
un uomo insigne e non sospetto, del più ricco e ver-
satile ingegno ch'ebbe in questi ultimi tempi l'Italia,
di Ruggero Bonghi, il quale, a proposito delle Rime
nuove, scrisse nella sua Cultura: - Il Carducci é grande
nella poesia grande; in quella che sa rivestire di forma
supremamente squisita, studiata, lavorata, intimamente
223
classica concetti di grande valore storico o di viva
importanza morale o sociale. Iddio ijfli ha negato il
talento del piccolo, del mingherlino, del ridicolo umano.
Ebbène, non se ne dispiaccia; e di quello che ha, si
contenti. (*)
(*) Cullura — IJ ottobre 1S87
XX.
LE OPERE DEFINITIVE
di GIOSUÈ CARDUCCI
Voi. I, II, III e IV (*)
I.
||xo de' pregi più spiccatamente notevoli ch''o
^I^M ^nimiro nell'ingegno del Carducci, è la piena
ed assidua evoluzione che l'arte e il pensier
suo van sempre assumendo, come giorno per giorno,
in opere sempre varie e moltiformi, così pel conte-
nuto come per lo stile.
Chi ben guardi, nessun grande scrittore italiano,
antico o moderno, pur eccellente nella introduzione
e nella innovazione di modi ed elementi nuovi nella
letteratura, ha così variamente e instancabilmente
proseguito, a ondate ora eguali e ora intermittenti
o torbide, i gradi diversi e le complesse manifesta-
zioni dell'arte via via ascendente, su gli esempi stra-
nieri e i nostrani, a un tipo sempre più organica-
mente perfetto. Non che gli altri scrittori cedono al
Carducci, o che questi gli avanzi, no: sarebbe assai
prematuro l'affermarlo oggi; ma non credo possa revo-
carsi in dubbio che nel Carducci, per la versatilità
e molteplicità dell'ingegno suo, per certe ragioni de'
tempi, e anche per la sovrabbondanza degli elementi
tecnici e de* materiali diversi, lo svolgimento più
intimamente artistico accenni sempre a un'opera pro-
gressiva di rinnovamento e anche a una maggior
forza di espansione concettuale e formale verso un
(•) I. Trimi Sogt:!, Bologna. Zanichelli, i880. — II. 'Boz^^tti e
Scherme, Boli^gna, Zanichelli, 1SS9. — III. Confessioni e Battaglie,
Bologna, Zanichelli, 1S90.
225
tipo d'arte più organico e fisso, nazionale, sì, pel
contenuto paesano che vi circola dentro, ma ancora,
per la universalità sua, piuttosto europeo che italiano.
Certo, dopo il Monti, almen pel secolo nostro, è il
Carducci il più industre ed eclettico innovatore del-
l'arte italiana, sì in poesia che in prosa, salvo che
in questa ha ben radi scrittori che lo avanzino.
Si discuta pure di metri barbari e di odi barbare:
quello che non può negarsi è che il Carducci, almen
dopo il Leopardi e il Manzoni, è il più perfetto pro-
satore del secolo; se non che, badando meglio alla
conservazione della tradizione classica , non credo
possa aver molti emuli in tutta la letteratura italiana
che lo sorpassino per la tecnica e vigorosa varietà
dello stile.
II.
Alcuni credono che nel Carducci l'opera del pro-
satore avanzi quella del poeta: il che a me par vero
solo in parte, o sotto certi aspetti e sino a un certo
segno. Per me il poeta e il prosatore procedon di
conserva; se non che più volte il prosatore par che
mova qualche passo innanzi al poeta, sino a che, su
per una via più diritta e più agevole e piana, si ri-
scontrino uguali.
E questa armonia è anche dimostrata dal fatto che
più forme e pensieri e inspirazioni delle prose si ri-
producono e rinnovellano anche nelle poesie. Per
addurne esempi, è utile ricordare quel frammento di
descrizione il quale, nello studio A proposito di certi
giudizi su Alessandro Ma?izo?ii (*), illustra colla dolce
rimembranza del lunedì di Pasqua del 1847 alcune
strofe patriottiche {Su! 7iell'irto increscioso alevianno
etc), raffrontate ad alcune altre del Manzoni {Voi
che a stormo gridaste in que^ gior?ii etc. ). Or quella
ricordanza e quel frammento ritornano non meno
agevoli e opportuni in una elegia delle seconde Odi
(*) "Boi^^etti e Scherme, pagine 179-80.
15
220
barbare, ne! Sogno di estate. In alcune strofe alate
dell'alcaica In una cattedrale gotica delle prime Odi
barbare {^Non io le angeliche glorie né i demoni ),
riappare l'accenno critico di una breve pagina degli
Studi letterari (*j ove si dimostra la influenza del
misticismo su le canzoni dantesche; e il pensiero e
le imagini ritornan gli stessi nell' andamento delle
strofi e nelle movenze dello stile. E l'ode Sirmio
delle seconde Odi barbare anche riecheggia il secondo
bellissimo intermezzo della celebre critica polemica
sul Ca ira.
III.
È pur vero che il Carducci è spesso discorde
dalle concezioni e dagli ideali dei contemporanei
suoi, e che nell'anima sua vibran note potenti ma poco
o niente affini a quelle dell' arte consuetudinaria e
della facile letteratura de' tempi nostri; e però ei
non resta men vero ed umano quando, pur in con-
trasto con le aff"ezioni del suo tempo, rende, incu-
rioso del volgo degli orecchianti, gli echi e i battiti
del solo suo cuor di poeta. Oh! forsecchè ogni grande
scrittore non è sempre un po' discorde dall'età sua?
e cessa di essere men vera l'arte quando, pur pog-
giando sul contenuto storico delT ambiente, ne rende
le impressioni diverse con motivi e innovazioni ai
quali non consentano, sì per lo scadere delle lettere
sì per ragioni politiche o sociali, le simpatie dei
contemporanei ? Tutti quelli che operano qualsiasi
rinnovamento, scientifico o letterario, politico o sociale,
han sempre in sé, per naturai forza propria, attitu-
dini e caratteri che, prima apparentemente soggettivi
e personali, diventano universali in età migliori e
succedenti, quando cioè a que' contenuti e a quelle
forme meglio si trovano adatti gli ambienti futuri.
Quelli che, pur grandi, si rigiran solo torno torno
all'ambiente nel quale vivono senza prenunziar l'av-
venire, rimangon solo gli uomini del lor tempo, ma
non di tutti i tempi; e sia pure eccellente l'opera loro.
(*) Studi letterari. Bologna, Zanichelli, 93, Pag. 62.
227
IV.
Queste considerazioni mi venner dettate rileggendo
i quattro volumi della collezione definitiva che la
benemerita Ditta Zanichelli sta compiendo di tutte
le opere del Carducci; e or ch'è apparso il quarto
volume, quello delle Confessioni e Battaglie , non
credo inutile di parlarne brevemente insieme cogli
altri due che gli vanno innanzi.
Il secondo volume della serie s'intitola dai Primi
Saggi, e contiene in gran parte, novamente èdite con
nuovi ritocchi di stile, le prefazioni che il Carducci
mise innanzi a parecchie edizioni critiche de' classici,
affidate alle sue cure dall'editor fiorentino Gaspare
Barbèra. E come le edizioni de' classici criticamente
curate rimangono pur oggi importanti e necessarie
a quanti vogliono o intendono con nuove ricerche di
codici e di lezioni, migliorarle e renderle più defini-
tive; così questi discorsi mantengono ancora l'attrat-
tiva di veri e notevoli quadri di non piccola parte
della nostra storia letteraria. Lorenzo de' Medici,
Alessandro Tassoni, Salvator Rosa, Alessandro Mar-
chetti, Vittorio Alfieri , Giuseppe Giusti , Gabriele
Rossetti, F. D. Guerrazzi, Luisa Grace Bartolini sono
in questi saggi, quali in tutto e quali in parte, de-
gnamente illustrati nella vita e nelle opere. E come
vari e gradevoli gli argomenti, così sono acute le
osservazioni e finamente elaborati il periodo e lo
stile. Sotto la impressione di questi studi vennero
fuori in massima parte i Juvenilia, i Levia-Gravia e
qualcosa dei Giambi ed Epòdi; ed è utile il notarne
i contatti di pensiero e di forma: così lottano insieme
il critico e l'indagatore, l'erudito e l'artista, il pro-
satore e il poeta. Parlarne minutamente, è impossi-
bile; ma giova il segnalare all'attenzione e alla am-
xnirazione de' lettori lo studio su Lorenzo de' Medici,
il più compiuto sin'ora; quello su Alessandro Tassoni,
anc'oggi necessario agli storici della nostra letteratura;
quello sul Giusti, a proposito del quale è notevole
quanto scrisse il Carducci nei suoi Bozzetti critici e
228
Discorsi letterari in un articolo intitolato Dopo quin-
dici atini; e quello su Alessandro Marchetti, mirabile
per erudizione, e pel quale il Camerini chiamò mae-
stro di critica il Carducci.
In tutti è sempre notevole il finissimo magistero
dello stile, la varia orditura del periodo, lo splendore
delle imagini, il calore della eloquenza, la novità e
originalità delle impressioni e delle osservazioni.
E' vero che spesse volte i legamenti paion troppo
cercati: è pur vero che non sempre svelta e agile e
corrente si snoda la forma, e che talora contorto e
sinuoso procede lo stile periodico; ma chi ricorda
quegli anni e il fervore che metteano negli studi
classici pochi giovani toscani fra' quali il Carducci,
anche penserà che questi difetti dovean procedere
per naturai conseguenza dall' indole stessa dei loro
studi e dall'animo e dal calore col quale li prosegui-
vano indefessi.
Questo volume contiene prose quali vennero in
luce durante tutto un decennio, dal 1857 al 1867:
periodo nel quale vennero pure scritti, come accen-
nammo , i Juveyiilia , i Levia-Gravia e in parte i
Giambi ed Epòdi. Un utile riscontro tra quelle prose
e queste poesie non è inopportuno a dimostrare come
in detto periodo procedono, nel loro primitivo svol-
gersi, quasi sempre di pari passo il poeta e il pro-
satore senza forse diverger mai. Anche altre prose
vennero composte entro i termini di detto decennio;
ma l'Autore, per la lor contenenza, ne farà un volume
a parte. Giova infine osservare come almeno in tre
saggi, quelli sul Marchetti, sulla Bartolini e sulle
Alc2i7ie condizioni della presente letteratura, lo stile
viene ad assumere un'assai maggiore facilità e fran-
chezza e un procedimento più libero ed elegante seb-
bene men vigoroso, procedimento che prenunzia i
Discorsi letterari ; sicché parmi che il primo periodo
possa smembrarsi in due periodi più brevi: quello
che dal 1857 va sino al 1862, e quello che dal 1862
va sino al 1867. Utile a notare a chi vuol seguire,
passo passo e gradualmente, tutta intera la evoluzione
dell'opera carducciana.
229
Bozzetti e Scherme, è il terzo volume della serie e
contiene, adatte a tal titolo, prose dal Carducci pub-
blicate dal 1867 sino al 1889. Sicché questo volume
può benissimo offerirci materia a percorrere i gradi
diversi di tutto il rimanente svolgersi dell' ingegno
carducciano. Ecco gli anni diversi ne' quali furono
pubblicate tutte le prose di questo volume: 1867,
1869, 1872, 1873, 1879, 1880, 1881, 1882, 1884, 1886,
1887, 1889. Quasi tutte queste prose apparvero già
ne' Bozzetti critici e Discorsi letterari, nelle Confes-
sioni e Battaglie e nelle Conversazioni critiche edite
dal Sommaruga: le altre, nella Cronaca Bizantina, nel
Fanfulla della Domenica, nella Nuova Aritologia, etc.
Colla intitolazione Bozzetti qui ricompaiono veri e
proprii studi intorno agli offici della critica e del-
l'arte; e anche se brevi per estensione materiale, con-
servan sempre nella sintesi vigorosa, nutrita, com-
prensiva, materia e contenuto per più diffuse e larghe
monografìe.
La letteratura contemporanea, qual essa si atteggia
e manifesta nella prosa critica e nelle poesie, è in
questi Bozzetti, come profondamente lumeggiata di
scorcio e a tocchi e a sbozzi, così anche studiata in
quel ch'ha di manco per avviarsi o ravviarsi sul di-
ritto cammino della tradizione classica.
S' apre il volume con uno studio su la Dora del
Regaldi, notevole per gli accenni alla preminenza del
descrittivo nell'arte de' nostri, e anche pel modo onde
ci è delineata, tutta intera, la figura del Regaldi pro-
satore, che anche c'induce a presentire quel eh' egli
sarà come poeta.
Lo stile poi di questo studio ha molta parentezza
con quelle prose de' Primi saggi che venner pubbli-
cate dal 1862 al 1867: piana e mormorante la forma,
minor levigatezza ma più maschia e piacente sempli-
cità ne' giri e ne' contorni del periodo, calmo e se-
reno il pensiero rispecchiantesi nel placido andamento
dello stile. Il poeta è uscito dal pugilato letterario,
230
e guarda tranquillo dalle cime del suo ideale alle
diverse manifestazioni dell'arte: ancora un poco, e il
poeta ridiventerà battagliero, ma in altro campo, in
quello della politica di fronte alla libertà e al risor-
gimento nazionale, e in quello, di rimpetto di essa,
della poesia giambica. Questo delle prime prose di
detto volume e delle ultime di quello che immedia-
tamente gli va innanzi, è come il declinare del pe-
riodo cui accenna il Carducci ne' suoi Raccoglimenti,
periodo che comprende i begli aìtni da lui vissuti in
pacifica e ignota solitudine fra gli studi e la famiglia.
Egli è vero che questo periodo il Carducci lo incastra
entro i termini del quinquennio dal 1861 al 1865; ma
sino al 19 gennaio 1868, quando venne pubblicato il
terribile epòdo Per Edoardo Corazzini, io noto sempre
nelle prose e nelle poesie del Carducci, sempre de-
clinante se vuoisi , questa quiete d'animo e questa
serenità. Tal periodo è importantissimo a chi osservi
come la forma della prosa carducciana , sempre più
liberandosi da' contorcimenti del classicismo riflesso,
acquisti sempre più omogeneità e compattezza. Nel
1868, coll'epòdo citato, s'inaugura un altro periodo:
la piena fusione organica tra la vigorosa semplicità
e il tacitiano condensamento del pensiero e dello
stile. E pure, lo studio sul Calderon meglio mi riporta
alla prosa sul Regaldi che alle altre di questi Bozzetti
e Sellerine, nonostante venisse pubblicato del 1869.
I tre studi sul Mameli, sul Muratori e sul Manzoni,
che sono i migliori del volume, e che vanno fra le
più perfette prose del Carducci, ci attestano interi i
caratteri di questa terza evoluzione che assume l'arte
del nostro scrittore. Egli sa di aver combattuto, e
ferocemente combattuto, contro 1' Italia ufficiale, ha
ancora frementi i polsi di vigor battagliero, ha i mu-
scoli forti; e perciò un lampo di quelle lotte, un fre-
mito di quelle battaglie, entra pur esso nella sua prosa
anche quando dovrebbe essere più serena, e lo stile
ne acquista pregi insuperabili di robustezza e di den-
sità. E sotto questo aspetto ritornano in queste prose
alcuni caratteri de' primissimi suoi saggi, ma privi
231
de' lor difetti, perchè allora non erano ben fermi,
come adesso, gì' intendimenti dell' arte e i securi
mezzi per asseguirli: ora abbiamo lo scrittore finito,
che plasma e scolpisce. Il periodo si move co' vecchi
contorni e con levigatissimi giri, ma quelli e questi
son corretti dalla padronanza che ha lo scrittore dello
stile e dalla maestria che ha per maneggiarlo, rivol-
gerlo, variarlo. Ritornano i complicati e spessi liga-
menti, le radissime interpunzioni, le trame sottili e
variatissime de' membri che metton l'anelito e moz-
zano il fiato; ma tutto è mirabilmente fuso colla sim-
metria perfettissima delle parti e colla plastica e stu-
diatissima architettura del periodo, dove s' incontrano
molti generi diversi: il racconto e la descrizione, la
parte didascalica e 1' oratoria, 1' elemento satirico e
l' umoristico, l'elemento discorsivo e il polemico; e
in tutto e da per tutto il pensiero é reso intero e ma-
neggevole, ricco di sfumature di colori di sfondi,
nella piena rispondenza tra il valor concettuale e
quello formale. E questi caratteri meglio si semplifi-
cano e s' integrano in altre prose minori per la con-
tenenza e per lo studio delle forme; ma il tipo unico,
organico, fisso che, più o meno elaborato o palleg-
giato, si riscontra in tutte le prose ulteriori, mi par
sempre quello ch'io non rifinisco di ammirare nelle tre
citate magistralissime prose. Sono ancor notevoli in
questo volume le prose che han titoli: Tibulliana, la
celebre polemica tra il Carducci e il De Zerbi; Dieci
armi addietro, importantissima a chi vuol conoscere
le condizioni della letteratura italiana dal 1870 al
1880; Maria Teresa Serego - Gozzadini, mirabile e per
lo stile e per gli accenni a grandi scrittori co' quali
ebbe relazioni e contatti la Serego; Giovaìini Prati,
il migliore studio che nonostante la brevità sua, ab-
bia r Italia intorno al Romanticismo.
VI.
Adesso ci resta a parlare del quarto volume della
serie, delle Cofifessioni e Battaglie, V opera d'arte mag-
232
giore del Carducci, in prosa. Contiene, in massima
parte, scritti pubblicati ne' tre volumi editi dal Som-
maruga sotto la medesima intitolazione. E però alcune
di quelle polemiche, le quali non riguardano diretta-
mente la difesa degli intendimenti dallo scrittore pro-
seguiti neir opera sua, ma alcuni vizi della critica e
dell'arte contemporanea, vennero pubblicate, sotto il
titolo Scherme, nel precedente volume. Queste prose,
invece, hanno attinenza diretta coli' opera propria e
personale, di cui il Carducci difende le ragioni criti-
che ed estetiche, e sono vere confessioni e battaglie,
molte delle quali, di minor valore, verranno prossi-
mamente pubblicate in altro volume, in Ceneri e
Faville.
Queste prose abbracciano, in grandissima parte, il
medesimo terzo periodo di che più innanzi toc-
cammo; se non che in alcune polemiche di questo
quarto volume, lo stile, pur conservando il medesimo
tipo, s'atteggia nella maggior sua perfezione per la
tecnica delle forme e per la eccellenza del contenuto:
è l'ultimo grado dello svolgimento che raggiunge la
prosa carducciana per quello ch'è determinatezza di
ideali e intendimenti letterari e per quel ch'è personalità
e soggettività di tutto intero l'uomo e lo scrittore. Qui
abbiamo l'artista che, combattute molte battaglie e
ancor tenace nella lotta, ha già, disdegnoso, battute le
porte dell' avve?iire. Lo scrittore ha già fermato il pie
saldo Sili termine ad combattendo valse raggiungere , ha
già preso d' assalto i clivi de ir arte, piantandovi la sua
batidiera garibaldina. Son come le ultime battaglie
campaci che menano all'apoteosi del trionfo, dopo le
quali l'artista, calmo e sereno, si riposa, e ricercale
cime quiete della poesia e della prosa. E però alcune
prose, come le Polemiche Sataniche, risalgono a pe-
riodi anteriori, perchè qui il Carducci, come in altri
volumi, salvo solo i Primi Saggi, non ci dà cronolo-
gicamente i gradi diversi della sua operosità lettera-
ria, ma solo i frammenti dell'opera sua che meglio
si attagliano a questo o a quel titolo: quindi non è
da meravigliare se con prose recentissime anche ne
233
compaiono di vecchie e di primitive. E però 1' arte
maggiore è da ravvisare in quei quattro capolavori di
stile che han titoli: Le Risorse di San Miniato al Te-
desco, Critica e Arte, Eterno Femminino regale , Ca
ira. E capolavori son veramente, per la contenenza
e per la idealità, per il drammatico movimento dello
stile e per la mistura degli elementi più diversi . E
son tali e tanti gli elementi concettuali e i formali,
che ne risulta un'arte tutta soggettiva e classicamente
perfetta, e una prosa, si può dire, senza esempi in
tutta la letteratura almeno contemporanea.
Quello che notammo di tre prose del terzo volume,
può dirsi ancora di queste quattro, se non che qui
è assai più vario e animato il magistero dello stile,
con qualcosa di più: l'umorismo cinicamente lettera-
rio e la plastica e sensibile determinatezza del pae-
saggio nella insuperabile attrattiva della narrazione e
della descrizione.
Quando mai la odierna prosa italiana si mostrò sì
ricca di generi e di forme, sì comicamente aristofane-
sca o terribilmente archilochèa , e con tali impeti
d'eloquenza, come in Critica e Artef
Quando mai la prosa contemporanea, quando mai
la facile letteratura, sollevandosi sulle misere affezioni
di parte, ebbe la idealità e la perfezione dell' Eterno
femminino regale?
Quando mai tra la linea luminosa del paesaggio e
le punture atroci dell'umorismo letterario, la narra-
zione e la descrizione ebbero tanta incisiva comprcn-
sività e magia di colori, tanto vero e schietto reali-
smo, e tanta correttezza di linee e di contorni, come
in tutti questi quattro originalissimi capolavori?
E sì che a considerar sì fatti pregi viene anche a
me il dubbio se non debbasi, qualche volta, preferire
il prosatore al poeta, e se mai il primo non debba
durare più del secondo; tanta e sì ricca è la eccellenza
dell'arte di queste prose!
Intanto felicitiamoci che, in tanto scadere del vivo
senso estetico, in tanto abbassamento di cultura, TI-
talia abbia un grande e inimitabile esempio da com-
234
parare agli antichi, almen per la tenace operosità di
spingere la Nazione Italiana, dimentica del suo pas-
sato e delle sue tradizioni, verso i più alti ideali di
arte e di patria, verso il compiuto rinnovamento delle
lettere e della coltura. Ma P Italia, pur troppo, non si
Piove! E per questo, affettando di parlar di barbarie
a proposito del Carducci, non ci accorgiamo che a noi
manca l'intimo senso e un concetto adeguato di quello
che dicesi cultura superiore.
XXI.
Ferdiiiando Martini.
BIOGRAFIA
Sua nascita - Il padre commediografo - Siici maestri
e primi suoi studi.
i^KACQUE da Vincenzo Martini e da Marianna de'
^s^|y marchesi Gerini il 30 luglio 1841 in Mon-
summano, bella e irrigua terra della Valdi-
nievole , patria di Giuseppe Giusti , e ricca ora di
ricercati stabilimenti termali. Tolse in moglie donna
Giacinta nata contessa Mariscotti e n'ebbe figliuoli.
Una sua figlia , essendo egli ancor ministro per la
pubblica istruzione, andò sposa a un ricco gentiluomo
lombardo ; il che dette il volo a prose , a versi , a
esumazioni storiche onde critici e poeti vollero col
fior della cultura auspicare 1' illustre e felice imenèo.
Suo padre fu commediografo lodato, e scrisse, fra
le altre, queste due commedie: La donna di quaranf
antii e // Cavaliere d'industria, che parvero le migliori
all'autore medesimo, e ad esse, raccolte interamente in
un bel volume uscito nel "56 in Firenze, il figliuolo Fer-
dinando mandò innanzi una prefazione, o, meglio, uno
studio di cui fra le cose sue anche più vantate meglio
si ricorda e compiace. Dunque la famiglia e il paese
nativo, così pregni di aure benefiche, gli aprirono il
passo alla gloria; ma sterili e monchi (l'autore stesso
lo narra) furono i primi studi i quali dagli otto insino
a' dieci anni, in patria, e, per alcun tempo di poi,
dagli Scolopi per la fisica e la filosofia, egli fornì
sotto maestri pedanti e non buoni; all' in fuori del
latino, insegnatogli bene da un prete colto, un tal Ter-
zoni, che davagli vacanza anche il sabato perchè
troppo infervorato nella cabala e nel giuoco del lotto.
236
Sentì allora bisogno di migliore ossigeno, onde scappò
di scuola e riparò in biblioteca, ove intese con assidue e
assai lunghe letture (anch' egli si meraviglia come la
la durasse allora a leggere per sedici o diciotto ore
continue) a studi più geniali e liberi che con tali
esercizi autodidattici lo crebbero scrittore e cittadino.
Le opere sue molteplici, tendenti tutte alla cultura
della scuola e della vita, si possono dividere ne' se-
guenti gruppi: commedie, racconti, prose varie e po-
lemiche.
Le sue commedie e i suoi racconti.
È naturale che su 1' esempio paterno un de' primi
suoi amori fosser le commedie; ed a queste ei volse
r animo con crescente alacrità.
Per consiglio di Gaetano Gattinelli, intorno al 1863,
die con successo una prima sua commediola in due
atti: L' uomo propone e Dio dispo?ie. Sùbito dopo, anche
applaudita, un' altra, / nuovi ricchi, la quale, sebben
premiata al concorso drammatico governativo di Fi-
renze, non più par lodevole all' autore medesimo che
fu sempre troppo severo giudice delle cose sue. Nel "67
altre due: Fede e Un bel matrimonio, eh' ebber suc-
cesso dubbio, o, come oggi dicono, di stima.
Nel "67 il pubblico fiorentino, che per questo a lui
pare il migliore e insieme il più esigente e intellet-
tuale d' Italia, non accolse 1' altra, Z,' elezione d' un
deputato, che, come a dispetto, altrove non dispiacque.
Nel giugno del "71 apparvero due altre commedie,
tutte di un atto e in versi martelliani (l'unico metro
che mai tentasse il Martini), cioè La strada più corta
di squisitissima e arguta leggiadria, recitata nel feb-
braio e per la prima volta in Firenze al Teatro delle
Logge, ^ Il peggio passo è quello de W uscio , il più vivo
e il più nativo de'suoi proverbi, ormai popolarissimo,
e applaudito per la prima volta nel Politeama di Pisa
il 29 giugno del medesimo anno. Finalmente il 27
novembre 1894 nel Teatro Alfieri di Torino si ascoltò
237
per la prima volta un' altra sua commediola, Vipera,
l'ultima e in prosa, anch' essa applauditissima e che
del "95 il Treves raccolse con le tre altre precedenti in
elegantissimo volumetto. Sembrano l'elenco di un re-
pertorio teatrale; e in esse , o almeno nelle più celebri,
non sai se più lodare la vispa e varia spigliatezza
del dialogo con la briosa loquacità de' personaggi e
l'elegante profumo della lingua paesana, o il pronto
e sicuro intuito della vis comica ne' rapidi e felicis-
simi scorci dell'azione scenica.
Dopo le commedie, i racconti e le prose pole-
miche: è naturale. Dopo 1' ignoto libriccino del "62,
dove crede di aver fuso male con la vii prosa de'tra-
duttori da romanzi francesi la cinquecentistica e clas-
sica del Bembo e del Casa, e dopo aver dato in luce
r inedito volgarizzamento della Natura del voto di
Eroìte Alessandrino fatto da Bernardo Davanzati e ci-
tato dalla Crusca; pubblicò del "72 il volume « Pec-
cato e penitenza » che uscì coi tipi della Nazione in
Firenze, e, nel "76, la Marchesa e più altri racconti
che dalle riviste vennero co' primi raccolti in volume
dal Treves. Ne' racconti il Martini come anche in
tutte le sue prose mostra una levigata e garbata con-
cinnità tra il facile discorrere delle conversazioni e
l'acuta e arguta eleganza delle sue prose più raffinate
e peregrine che mal dissimulano l'acconcia politezza
dello stile classico, e dove con una venatura qua e là
del Giusti gli spiccia per più fresche sorgive la cor-
rente dell' humor.
Prose critiche e polemiche.
Ma l'autore seppe anche unire 1' arte alla critica.
E di fatti, l'anno istesso che die al teatro il noto
proverbio: — 77 peggio passo è quello dell' uscio — ,
cioè nel "73, fece una conferenza alla Università di
Pisa su la Morale e il Teatro, che fu una difesa lu-
minosa dell' Arte per V arte, cioè della morale sovra-
nità della Bellezza, dentro e fuori ogni contenuto,
238
e ne' semplici e liberi confini dell' estetica; prin-
cipio questo che primo il De Sanctis impose e propagò
in Italia, ma che oggi, dopo tanti dibattiti e accese
controversie, non par tutto vero, non potendo l'arte
assorgere mai alla ideale sua bellezza senz'accogliere
gli spiriti e le nobili aspirazioni del tempo, in una
severa ed alta comunità di pensieri e di forme
e in una piena concordia di contenuto estetico e di
morale, di fronte al benessere della società e al mi-
glioramento umano.
Dunque dopo i racconti formano un terzo gruppo
le prose varie e polemiche, tutte scintillanti di brio
e d' ironica comicità. Nel ''68, qual segretario della
regia commissione nel 3° concorso per la facciata del
Duomo di Firenze (S. Maria del Fiore), ne scrisse
da par suo la relazione, ottimo documento di quel
tempo per ispirito d' arte e di critica. E di poi, in
più tempi e per giornali molteplici, si seguirono queste
altre prose: La scoperta della Germania, Teofilo Gau-
thier, Pietro Lachambeaudie, La Desclèe, Su l' uscio di
Alontecitorio; e in esse versò il sale dello spirito pronto
e del finissimo gusto critico per argomenti vari e di-
versi. Accusato di plagio, nel "71 compose un'arguta
e brillante prefazione al suo Sosia, Fantasia, mor-
dente saggio di critica ardita ch'ebbe l'onore di più
edizioni. Versatile in tutto, si provò anche nel gior-
nale, e, del 1871, entrò nel Fa7ifulla, ove prese due
motti di arme, Faritasio e Fox\ e scrisse, a lungo
scrisse di questioni gravi e piccine, di politica e di
letteratura, di prose, di poesie, anche di pettegolezzi,
con fuggitivo e improvviso lavoro che non parve da
gazzette ma da uomo di buon gusto; e il meglio, sotto
il titolo « Tra tot sigaro e l' altro », pubblicò di poi
in Milano il 1877, con una prefazione che ci rivela i
palpiti e gli entusiasmi di lui giovinetto quando inco-
minciò a scrivere su pe' giornali. Circa il "79 fé' na-
scere dal Fanfjilla politico il Fanfulla della Domenica,
primo o de' primissimi saggi della facile letteratura a
due soldi, e vi accolse una settimanale covata di scritti
brevi ma variatissimi, dovuti a' migliori ingegni d'I-
239
talia. Poco di poi diresse anche la Domeìiica lettera-
ria., ma questa ben presto si spense sotto la direzione
dello Scarfoglio che passò veloce dall'aringo letterario
al politico col Corriere di Roma e via via con il Cor-
riere di Napoli e col Mattino dove meglio si svolse o
esorbitò quell'ingegno tumido e irrequieto; e 1' altro,
il buon Fanfulla, che durò e dura, in mano d'altri diven-
ne una spugna di ciarle, leggerissima fruttificazione di
giovini. Seguono in quarto gruppo le prose gravi ed
organiche in più volumi: Meìnorie di Giuseppe Giusti,
Il Giusti studente, una conferenza su lo stesso, Nel-
l'Affrica italiana, più altre conferenze letterarie di
cui r ultima fu quella sul Goldoìii, una lunga serie
di scritti che van sotto il titolo Intorno al teatro, e
altri scritti molteplici versati con larga mano su la
Nuova Antologia, nel Corriere di Napoli e qua e là in
tante altre riviste, ebdomadarie, politiche, scolastiche,
letterarie, e che ancora aspettano il volume o più vo-
lumi. Ma gli studi sul Giusti e quelli descrittivi su
l'Affrica italiana son fra le migliori cose da noi pro-
dotte in questi ultimi anni. Il volume su 1' Affrica ei
lo scrisse quando fu segretario d'una Commissione al-
l'Eritrèa, e sempre battè poi su 1' argomento in cui
è molto versato ; e come a premio della sua larga
esperienza politica in questa materia fu da un anno
nominato Governatore della Colonia eritrèa.
L' Inseg?iante, il Ministro e il Pedagogista.
Ora ci resta a dir di lui come insegnante, come
riformatore e come pedagogista. Questa fu la parte
più utile e più sana, a cui mirò sempre anche trattando
di altro, fin da quando incominciò a scrivere e a com-
battere. Io ho sempre riconosciuto nella mirabile ver-
satilità del suo spirito e del suo ingegno una grande
attitudine a convertire e disciplinare in ammaestra-
mento tutto quello che sa, e insieme la facilità ve-
nusta d' illeggiadrire gli argomenti più aridi e di ren-
derli col diletto e con la lucidità dello stile accessibili
a tutti. E.<li nacque in una parola maestro di sé e
24©
degli altri; e già vedemmo come, fuggendo la scuola
dei vecchi retori, tutto fece da sé; egli fu ed è, come
aman dire oggi, un mdodidattico , onde se sa la via
propria, gli riesce agevole anche aprirla altrui. Entrò
pure egli nella scuola, che forse dovea riuscire il suo
più glorioso arringo; e de' ministri che sì vari e di-
versi si seguirono alla Minerva, fu l'unico e solo che
fece le prime armi e s' impratichì nelle scuole infe-
riori, in quelle poi da cui vengono o dovrebbero ve-
nire le fondamentali norme della pratica pedagogia.
E, di fatti, nei tSóg entrò come professore di lettere
italiane e di storia nella R. Scuola Normale femmi-
nile di Vercelli, donde poi passò in quella maschile
di Pisa; ma, nel 1872, incitato da altre cure, lasciò
r insegnamento, di cui serba ancora il più bel ricordo,
onde dedicò a' suoi alunni la sua prima antologia sco-
lastica (Prose italiane moderne) che pe' tipi del San-
soni di Firenze pubblicò nel 1894, la quale ebbe già
una seconda edizione ed altre se ne ripromette. E'
questo un libro veramente degno di lui, com' è anche
un de'testi migliori che vanno tuttavia per le scuole.
L'autore nell'elegante prefazione con che accompagna
il volume, dice la ragione del metodo da lui seguito,
eh' è appunto quello di rinfrescare con prosa cor-
rente e semplice, varia ed amena, e istruttiva e pro-
gressiva, le menti de' nostri giovani, mostrando come
i saggi un po' anticati della classica letteratura, unico
amore delle vecchie antologie, meno si prestino a svel-
tire e rinfrancare gì' ingegni nel primo maturare del-
l' adolescenza. E' un consiglio veramente seguito an-
che da altri; ma in quest' operetta par meglio di-
sposta e ripartita la materia, più sobria e accurata
la scelta, più fresca e più viva nella lingua e nello
stile la succosa novità e utilità de' soggetti. Se non
che a noi parrebbe che più di un brano per questi
rispetti vorrebbe essere sostituito, come pure non si
vorrebbe escludere delle ricche miniere classiche quei
ch'è non meno semplice ma certo più purgato, più
vario e più elegante. Alla prosa recente, non sem^pre
franca e di rado, negli atteggiamenti dello stile e nella
241
lingua, efficace e propria e pura, può benissimo es-
sere accompagnata pur nelle classi inferiori la prosa
ingenua del secolo aureo e 1' altra più complessa e
più organica de' secoli migliori. A questo volume, pur
edito dal Sansoni, seguì presto nel "95 un altro,
quello della Prosa viva d ' ogni secolo della letteratura
italiana, proposto alle scuole complementari e normali,
alle classi superiori de' ginnasi e alle inferiori degli
istituti tecnici. Qui l'autore tenta e indica primo un
metodo nuovo di compilazione; ed è proprio originale
il metodo d'incominciare lo studio della lingua e delle
forme per inversione cronologica, cioè da' più recenti
a' più antichi scrittori, come in alcune scuole si fa o
si fece con la storia: è un' evoluzione retrospettiva
degli svolgimenti naturali della nostra favella, o me-
glio, come dicono i moderni , è una hivoluzione di
metodo. Il quale è almeno discutibile. Resta ancora
a provare se movendo dal De Amicis che, sia detto
di volo, non é così mondo come vivo descrittore ,
per arrivare insino a Dante , cioè dalle forme a
noi più vicine alle più lontane , non vi sia ragion
di noia o di sconforto, non vi sia un certo ina-
ridimento, delle facoltà che si svogliano ben presto
nel faticoso cammino. Meglio con 1' aiuto e 1' av-
vicendamento de' moderni partire da' più antichi, i
quali, se scelti bene, mostrano il naturale cammino e
il progressivo divenire della lingua e dello stile, in
conformità alla scienza della evoluzione, la quale ci
indica la via e il procedimento che tennero a grado
a grado gli scrittori dalle forme più semplici alle
più elaborate . E ciò anche ci fa accorti come più
curiose si volgono le menti a vedere e seguire in
qual guisa si andò di mano in mano e di tem-
po in tempo formando il ricco patrimonio della
nostra favella, e quella organica tradizione che non
è bene interrompere sia ne' corsi inferiori che ne'
superiori, perchè ne risulti poi uno stile più mosso
ed agile sì, ma anche infuso di quegli elementi com-
plessi eh' ebbe la prosa antica e non ha la nuova,
in cui mal si confonde la sofìstica facilità con la fran-
16
!42
chezza e la variata armonia; e perchè infine ne derivi
un' opera concorde di compenetrazione e d' integra-
mento. Un' altra piccola novità di quest' antologia è
quella di aver quasi esumato e offerto allo studio de'
giovani alcune prose spigliate e schiette di scrittori
ignoti e non recenti. Anche questo pare indizio di
quel senso storico attuale che ci mena tutti anche a
viete curiosità di erudizione, Ma, tornando al Martini.
c'era egli bisogno di produrre, ora, scritture ignorate?
Mancava forse di meglio? Ho voluto mostrare mode-
stamente un mio dubbio che nulla toglie alla grande
autorità del compilatore, il cui libro resterà sempre
un saggio originale di antologia scolastica, al quale,
ciò non ostante, molto e bene possono attingere i
maestri, cominciando come credono e con quell'ordine
meglio da essi seguito. Neil' un volume e nell' altro
v' ha note, brevi sì ma nutrite e succose, e forse
meglio avrebbe fatto l'autore a darne di più: infine
li chiude un' accorta e sobria biografia di tutti gli
scrittori di cui si riportano prose e poesie, le quali
ultime, e non solo nel primo volume, vogliono essere
di gran lunga accresciute nelle future edizioni che
auguriamo rapide e molte.
Il Martini scrisse poi molt'altro in materia d'istru-
zione; e se gli svariati articoli che dette per tanti
anni a giornali politici e scolastici, raccogliesse e or-
dinasse in volumi, renderebbe un grande servizio alla
causa della scuola, monito e guida a ministri che
verranno, a professori, a maestri. Di cose pubblicate
in libri non ricordiamo altro che le Lettere aperte a
S. E. il Mbiistro dell'Istruzione Pubblica, ^ Dell' Or di-
7iameìito della Scuola Secondaria; ma son pubblicazioni
non facilmente reperibili.
Da parecchie legislature egli è deputato al Parla-
mento dove è oratore simpatico e ascoltatissimo, come
altrove è conversatore ameno e conferenziere affa-
scinante. Fu sottosegretario di stato sotto il ministro
Ceppino nel i8b6, e, dal i6 maggio 1892 al 14 di-
cembre 1893, ministro per la pubblica istruzione: da
polemista a critico , da scrittore e direttore di gior-
243
nali a conferenziere e orator parlamentare , da com-
mediografo a compilatore di antologie, da modesto
insegnante a ministro, e' fece i passi di Nettuno, sin-
golare esempio in Italia. Alla Minerva die opera a un
largo e illuminato riordinamento di servizi, ed anche
intese a infondere in tutto 1' insegnamento quella sa-
lutare e feconda libertà che mal s'adagia nelle pastoie
dei vecchi metodi e delle vecchie prescrizioni rego-
lamentari. E tutti ricordano in proposito quella sa-
piente e animosa circolare che nel '92 fece il giro di
tutte le scuole: con essa il ministro, osteggiando il
faticoso e inutile lavoro di alunni e di professori, con-
sigliò a questi ultimi sotto la loro responsabilità la libera
ricerca di que' metodi che meglio reputassero adatti
al proprio insegnamento, porgendo così incitamento
alle particolari energie di ciascuno. E fu provvido e
utile consiglio, che già accennava a un disegno di
più larghe e moderne riforme, che per manco di tempo
non potè neppure avviare. E fu lui che promosse l'in-
segnamento facoltativo del greco, che anche dopo
dimostrò utilissimo e opportuno per mezzo della stampa,
svegliando così una grave discussione fra' dotti che
ancora è ardente, e forse lo sarà sempre, o almeno
fino a quando balenerà alle menti di tutti il nome di
Omero con quello di Virgilio e di Dante. Fu anche
sua una riforma organica sul riordinamento della
scuola secondaria che poi deputato presentò in una
dotta relazione alla Camera de' deputati, i quali, per
tutt' altri motivi che scolastici, 1' avversarono prima
che venisse in esame e in discussione dinanzi al Par-
lamento. E pure quella riforma era destinata a vivere,
perchè ad essa in fondo mirava nel suo obliato di-
segno di legge r on. Gianturco. Si tratta della fu-
sione della scuola tecnica col ginnasio, il cui corso
il Martini limitava a quattro anni, come scuola di
preparazione, la quale darebbe adito per due vie di-
verse all' istituto tecnico e al liceo anche quadrien-
nali. Intese pure il Martini , scrittore , deputato e
ministro,a ravvivare 1' insegnamento elementare; e di
fatti egli è un partitante non acceso dell' avocazione
244
di queste scuole allo Stato: fu lui che sempre ne di-
fese il miglioramento economico e morale, come a lui
devono in gran parte i maestri elementari e normali
tutto quello che in questi ultimi anni si fece, perchè
egli aprì ogni varco alla discussione e propagò col-
l'autorevole parola il movimento.
Il Martini è un beli' uomo, roseo, aitante, diritto,
e più tosto alto; se non che una importuna calvizie
gli luccica sul capo, ed egli se ne dispiace. Ha gli
occhi scintillanti d' arguzia e d' intelligenza, è sano
di corpo, di signorile eleganza e garbatissimo di modi;
e tutto questo lo rende simpatico a tutti. E', come di
cemmo, conterraneo del Giusti, e se ne vanta. Ama
gì' ingegni, e ne promove l'avvenire: gli ama e pro-
segue di conforti a quel modo che adora ogni cosa
bella e gentile. Ei serba nell' animo e nell' ingegno
le qualità migliori della nativa regione, ma soprat-
tutto la piacevolezza satirica e l'arguzia morbida e leg-
giadra. Politico di elevato senso pratico, è fra' mi-
gliori oratori parlamentari; e se lasciò presto 1' inse-
gnamento, ha volto sempre alla scuola V animo e il
pensiero, onde l'Università di Padova, con unanime
assentimento, lo nominò dottore honoris causa. E così
questo brillante scrittore , politico , commediografo ,
letterato, rende nella molteplice opera sua il vivo
esempio della varia e luminosa genialità del vecchio
popolo toscano.
xxri.
Griovanni Marradi.
I.
de' giovani lirici italiani, cioè di quei pochi
che intorno alla rovere carducciana creb-
bero e fiorirono vigorosi nel fecondo de-
cennio 1877-87, il più riccamente e naturalmente
poeta. Non vo' dire quel tempo essere stato per la
poesia italiana come un novo rinascimento; che troppo
io credo, pur dinanzi a' radi bagliori di una produ-
zione più sana, a un fatale decadimento delle lettere
patrie. Se però in quel torno apparvero le Rime ?iuove
con le Odi barbare di Giosuè Carducci; le Postuma
e la Nova polemica di Olindo Guerrini; il Lucifero e
il Giobbe di Mario Rapisardi; i versi di Enrico Pan-
zacchi, le Lacrymae e le versioni di Giuseppe Chia-
rini, gli ultimi canti di Giacomo Zanella, le Anticaglie di
Felice Cavallotti, e in fine le poesie di Vittorio Betteloni^
di Aurelio Costanzo, di Domenico Gnoli, di Antonio
Fogazzaro, di Corrado Ricci, di Luigi Pinelli, di Ar-
turo Graf, di Domenico Milelli, di Alessandro Arna-
boldi e di altri molti; se tutto cotesto potè apparire
come una improvvisa e prodiga germinazione su quel
deserto di poesia appena ristorato qua e là da qual-
che òasi aleardiana: si dee pur credere, per le spe-
ciali condizioni de' tempi, a un certo inatteso risveglio
degli animi e degl' ingegni. E questo è forse più
chiaramente dimostrato dal sèguito infinito di pole-
miche e dissertazioni critiche intorno all' opera del
Carducci e a quella del Guerrini. Tutti questi nomi
anche indicano che il movimento fu spesso ineguale
od incerto, e meglio lo direbbero i versi degli ado-
lescenti i quali resero troppo da presso gli echi della
246
lirica carducciana e della stecchettiana, se di loro po-
tesse avanzare un ricordo. Ma intanto non bisogna
dimenticare que' pochi che su 1' esempio o con l'ispi-
razione del Carducci si misero a rinfrescare alcuni
classici motivi di antiche canzoni o ballate, come Se-
verino Ferrari, Giuseppe Picciola e qualche altro; o
alcune forme volute acconciare alla brava con lavorìo
troppo fino di cesello e di tornio, come Giovanni
Pascoli; o alcuni metri latini sul fondo di storiche
leggende, come Guido Mazzoni; o finalmente gli in-
cantesimi del paesaggio con più libero ed espansivo
abbandono dell' anima, come il nostro Marradi. Il
quale, dopo i primi esercizi d' imitazione, e proprio
negli anni che scrisse una lirica al Carducci che io
ricordo cominciare così: — A Te, Sansone, dell'arte
italica... — ; si ritrasse in sé, e, ascoltando i palpiti
dell'anima sua, li specchiò nell'arte con pienezza d'in-
spirazione e con esuberante originalità e spiritualità
di trovate.
*
* *
Ei cercò le cime della poesia nella divina voluttà
del paesaggio e nell' onda larga morbida fluente del
verso melodico. Il poeta si abbandona intero nel pieno
godimento dell' anima sensuale quando ha dinanzi i
più begli aspetti della natura vergine e viva; e al-
lora come dalle intime viscere si bea di quelle fantasie
e di que' sogni che spicciano da quel fondo affettivo
in che ha radice il sentimentale. E tutto questo egli
sveglia con risonanze ritmiche e con echi di sinfonia
melodica che gli mormorano nell'anima proprio come
r indefinito de' sogni. Sentite:
E il sognatore ascolta. Traversano la tenebra
ale di canto, ondate di melodia dispersa,
e a larghi sorsi ei beve 1" indefinihU inurmure
che spira, alito enorme, dall'anima universa (*)
(*) y-Mvl '■"•Iti — Fratelli Treves — Milano — 1891 — pag. 229
(Hannonia).
247
Sembra un commento ch'ei faccia alla poesia sua,
ch'è tutta faccettata così. Ond'e' mira soprattutto alla
superfìcie delle cose sensibili, all'esteriore magnifico,
al magico e luminoso paradiso delle forme che più
versino colore al suo meraviglioso pennello. Sentite
ancora:
Cantino i versi in gloria nell" umbra solitudine
come vibranti corde d"un"arpa eolia al vento...
Prorompano le rime vittoriose, e in echi
metallici di squille rispondansi fra lor...
Oh! che vigor selvaggio di poesia sintonica
dai i-ivoli dai venti dalle boscaglie esala...
É canto il verso, è nota dell'inno musicale
che dalla terra il cielo tumultuando va;
è voce luminosa, che palpita, che sale,
che rideal persegue nell'alta immensità (*)
É poesia ed è musica insieme da cui si levano,
quasi meteore salienti della fantasia e del senso, guiz-
zi di luce tendenti a spegnersi verso le rive mistiche
dell'ideale, come il canto profetico antico. E pensare
che questa poesia qui si andava maturando in quel-
l'anima, proprio quando stagnava in Italia la mefite
del verismo lirico, che fu la negazione di ogni ideale
e di ogni fantasia.
Ecco un altro saggio:
Se' tu. divin silenzio, forse il linguaggio incognito
dell'inlìnita, arcana, pensosa eternità?...
Lente, alla luna intorno, si svolgono le nuvole
e calan, vaporando, diafane, giù, giù.
0 nuvole calanti, siete voi forse i placidi
sogni che al cor dell'uomo discendon di lassù? (*')
0 poesia, del Vero luce ideal, che a^^li uomini
sorridi nel silenzio de' secoli profondo
Tu che dovunque, occulta nel tuo divin sopore.
d'intimo foco avvivi quanto si move o sta
E cinto dai tuoi veli fantasiosi io cada,
si come cade, avvolto nel manto d'oro, un re. ("•).
I*) Nuovi Canti - Fratelli Treves - Milano - 1S91 - pagg. r)3 - 54
(Sintonia umbra)
(**) Nuovi Canti — Pag. 113 (Mistero).
(•'*) Ibidem — Pag. 3-4 (Invocazione).
248
Questi versi che nel ritmo alessandrino trottano
uguali e cadenzati con simpatica monotonia di suoni,
e certo non ricordano il dattilico scalpitare del cavallo
virgiliano:
(Juadrupedante putrein sonitu quatit ungula cainpum,
rendono a pieno nel metro sonnolento che tanto piac-
que a Carlo Martelli, il fantastico ascendere dell' a-
nima, che palpita, che sale, quasi naufraga v\€iV indefi.-
nibil murnmre de' sogni. Ma che musiche in quelle
strofi non sai più se polizianesche o tassiane! Il poeta
è proprio fatto così, come in questi versi si descrive
da sé. Non chiediamogli di più. Contentiamoci in lui
del Bellini, anche a costo di prender le vertigini della
melodia; e gustiamolo a tratti, come chi beve poco,
ma spesso e bene: altrimenti, queir assidua sinfonia
melo'lica stanca 1' orecchio e mortifica un po' il san-
gue che pur deve fluire nelle vene della poesia. Ma
intanto notino i lettori: quegli accenti e que' numeri
neir ordito della strofe, non fanno una grinza, e ne
esce un flusso d' aria che si può bene respirare a
pieni polmoni, dopo aver ?,Q^&r\.o n^W usata poesia ^€'
nostri moltissima caldura od afa soffocante. Ed anche
quell'assidua sinfonia non più si avverte nelle liriche
ultime, che son più severamente melodiche, e spe-
cialmente nella Rapsodia gafibalditia di cui parleremo
fra breve. In esse il pensiero meglio si allarga in
una più forte e comprensiva determinatezza di espres-
sione e di rappresentazione, ed indica chiaramente
l'assiduo progredire del poeta verso la perfezione
che può dirsi quasi raggiunta da qualcuna delle liriche
più largamente storiche.
IL
Veniamo ora ai dettagli. Il poeta accolse in un vo~
lumetto elegante della tipografia Triverio (Poesie, To-
rino, 1887), cui volle dedicare a Ferdinando Martini,
solo una scelta, parca e giudiziosa, di que' versi che
uscirono del '79 pe' tipi Zanichelli di Bologna sotto
249
il titolo di Caii20fd moderne., e dell' '8i a Pistoia in
un altro volumetto intitolato Fa7itasie marÌ7ie.
Forse avrebbe fatto meglio a potare di più; ma il
poeta dice che troppo ristretto ne sarebbe riuscito il
piccolo volume, il che non sarebbe piaciuto all'editore
che lo voleva più denso e ricolmo. Ecco perchè sono
in parte scusabili i sonetti Nox ( pag. 15 ), e Lady
Macbeth (pag. 41), e l'odicina Ricordanza (pag. 18). Ma
bisogna dire che pur fra' tentativi un po' incerti o co-
muni ne' quali fa egli la sua vigilia d'' armi nelle pri-
me due parti del volume, pur fra le strane audacie
della forma e alcuni spacchi delia dizione; fa spesso
capolino una frescura di foresta vergine e il mite ru-
more di acque correnti. Noto qui di volo alcune for-
me, o imagini, o similitudini, che a me pare velino
un poco la determinatezza della idea e la purità del
disegno:
(3ome l'inverno che avviluppa il mondo (Congedo, 13).
Come in ciel plumbeo schiera
di procellose gru (Confìteor, 10).
E a voi ne fuggon gli agili fantasmi
qual nidiata d'aquile dal monte (Nox, pag 15).
E sta greve sull'acque il firmamento
come il coperchio d'ìin'iiumensa tomba (Sul mare,III, p .51).
Fra tanta folla, su cui la musica
passa cova'ampia romba di turbine (Vita Nuova, p. 53)
Con lei soave, con lei bellissima,
con lei che il serpe della calunnia
calpesta col piede regcde
dal suo trono di gloria, e sorride (Vita Nuova, p. 54).
Peggio nelle strofe seguenti ove nella mistica figura
di Magdala il poeta ha immaginato scorgere la donna
del suo cuore, con una strana mistura di paganesimo
o realismo recente e di liturgia, eh' è artificio più
che schietta espressione del vero . Eccovi 1' ultima
strofe:
E come Cristo morrei per gli uomini,
o rediviva santa di Magdala.
se anch'ella il mio forte martirio
consolasse di baci e di pianto.
11 poeta è ancora intorno a' trent'anni; e tra la bi-
richina nota goliardica della romorosa brigata fioren-
tina che intorno alla torre di Arnolfo beve l'assenzio
della vita e dello spirito, e la infinita nostalgia del
suo bel mare toscano, egli indulge alle muse e all'a-
more con ispirazione un po' troppo libera e capric-
ciosa, un po' impertinente e audace; e spesso un'aura
stecchettiana e beaudelairiana, più che non paia a lui
medesimo, viene a turbare quel sereno palpito del
paesaggio che fra poco raggiungerà le cime della per-
fezione.
Perchè il poeta sentisse al cuore un veemente flusso
di sangue, gli era necessario un forte e sano con-
tatto con la vita; quand'ecco la morte immatura della
sorella Itala, fiorente di anni e di amore, e sposa e
madre recente. Per lei scrisse, umide di lagrime e
calde di passione, le splendide elegie. Epicedio e In
ire7io, le migliori gemme del terzo libro , Morhiaria.
Qui il semplice ricamo del paesaggio non è più su-
perficie, ma pianto dell' anima quasi emergente da'
vari aspetti delle cose.
In Nevicata, un'odicina snella ma un po' livida, a
me non piace strofe per strofe 1' artificioso innesto
tra le immagini grottesche della natura e le impres-
sioni dell'anima: e' mi pare che il pensiero elegiaco
non spicci naturale né immediato in quel quasi in-
dentamento meccanico ne' termini e ne' riscontri cor-
rispondenti.
Ma nel Monte alle Croci la lirica ascende, in quel
palpito di storia e di tristezza funerea in cui prendon
luce e movimento le vive imagini della natura e del-
l'arte su quel fiorito e constellato asilo di morte. Se-
guono in meglio i Ricordi fiorentini : non ostante il
monotono e largo ondeggiamento della strofe che si
dondola con ritmo isocrono come di pendolo . con
l'accento che l'endecasillabo de' sonetti ha quasi sem-
pre su la quarta e su l'ottava; vi circola tant'aria e
251
tanta luce di poesia e di musica, che ci par fresca e
presente la visione storica ed estetica de ' mirabili
monumenti fiorentini.
Ne' Ricordi lirici ( '82 - '84) e nelle Rime sfiarse^S^-
'86), se la nota del canto non è così intima, certo
acquista sapore di novità negli argomenti. Qua e là,
come lamento di arpa lontana, anche appare il ricordo
mesto della sorella morta; ma altri echi, più o men
rochi e gementi, giungono al suo orecchio che meglio
si ferma intorno ai martiri di Siberia o della Pampa.
Qui rompe dal cuore del poeta uno schianto di elegia
sociale che, come ne' Drammi moderni e specialmente
ne' sonetti II e VI, lascia profonda una ferita nell'
anima del lettore.
Se i Ricordi lirici ne' quali ultimi il racconto cede
all'impeto lirico (citiamo i Sonetti intivii, i So ?iet ti ele-
giaci, Brumalia, i migliori), non son veramente rim-
petto ai Mortìiaria un avanzamento, ciò si può dire
benissimo di alcuni mirabili pezzi delle Rime sparse,
come i citati Drammi moderni, Lucrezia Borgia, Da-
vanti alla Maiella, Sul Morite Luco, Serenata nuziale.
Dal Motite di Spoleto, Si?ifonia, almeno come condotta
lirica e come finezza di tecnica. Ma su questi ritor-
neremo presto, perchè fan parte di un secondo vo-
lume, Nuovi canti (*). Ma a voler dare un qualche
giudizio del primo, diremo francamente di aver se-
guito con vero conforto l'ideale progredire e matu-
rare di questo elettissimo ingegno, e i tentativi da lui
fatti per francarsi dalla soggezione continua del na-
turale esteriore, il che forma la parte più originale e
più simpaticamente bella della lirica sua e della gio-
vine lirica contemporanea.
III.
Ne' Nuovi canti l'autore volle accogliere quasi tutte
e ) Op. citata.
252
le rime che primamente die in luce nell' ultima
parte delle Poesie. In essi egli mostra di quanta fan-
tasia sappia adornare la bella faccia della natura, con-
ciliando con squisita arte il bello esteriore con il con-
tenuto della storia; e in ciò ha imparato dal Carducci.
Il verso che prima incerto si fissava troppo intorno
alla natura inerte, spopolata, assorbente — rubo questi
tre aggiunti al Carducci — , allarga meglio le ali e
raggia sfavillando in una più larga comprensione
della vita; e nell'estasi in cui s'immerge l'anima sua,
se non rugge sempre la passione con il dissidio in-
teriore, vaneggia assai spesso un certo incantamento
mistico, quasi biblico, nel quale anche 1' evocazione
d'eremi e di frati acquista senso moderno e non di
rado appaga. Certo, se avesse meglio rilevato, in una
realità più intensa e drammatica, quell' incantamento
e quell'estasi, e se avesse infuso in quelle bellezze
marmoree molto più di sangue e qualche tratto mi-
chelangiolesco, sarebbe potuto nel genere suo riescire
men di rado perfetto. Ma pei tempi non è poco quel
colpo d' ala che inalza e quel montiano rapimento,
anche se dia iridi e fosforescenze più che durevoli
bagliori alla poesia.
Si apre il volumetto con un preludio, Invocazione,
che sembra un motivo di Beethoven, a cui tratto tratto
seguono altri canti: Sinfonia umbra. Sinfonia ?iel bosco.
Mistero, Harmonia. Son l'inno moderno che sale vapo-
rando come un canto gregoriano. Sono il misticismo
della scienza che attinge il cielo e l'infinito come un
inno profetico. Questo potrà anche non piacere, ma
di gran lunga è preferibile alla prosa rimata de' no-
stri e alle dissonanze di qualche novatore.
In piroscafo è una descrizione delle navi e del mare,
bella, accurata, elegante, ma lunghetta anzi che no.
Se più tratti, come quello dell'ultima parte, la com-
penetrassero d'intimità soggettiva, piacerebbe di più.
253
Vigilia di nozze è un idillio di una candidezza e di
una leggiadria quasi greca, e vi alita un molle tepore
d' imagini che per le agevoli forme della strofe fan
sentire una freschezza primaverile. Come bene risalta
in quei versi il contrasto tra i sogni migranti con l' ala
gelata, e i sogni della vita e de ir amore ridente i?i fiore
neW anima della giovinetta che il dimani anderà sposa!
Qui il poeta mostra anche di saper a tempo conver-
tire in fantasma il nudo pensiero e l'arido vero.
D'' Oltremare è una poesia, come chi dicesse intima;
e, se ne togli qua e là alcune grinze che fa il verso
o la rima, è veramente bella di sentimento umano e
sociale, specie quando la sobria linea del paesaggio
o il vero esteriore palpita o piange nella mesta e pa-
cata elegia dei domestici ricordi, e nel dolore che si
annida negli angiporti igyioti al sole
da cui scova la fame un volgo affranto
popolato!- della terrestre mole.
Serenata nuziale, composta per le nozze di Severino
Ferrari, che fu al poeta compagno di arte e di scuola,
è fresca e fragrante di una classica primavera di sen-
timento e d'imagini; e vi spira come un'aura del dolce
stil novo e delle musicali ballate del quattrocento. Vi
è nell'eloquio ritmico e nello stile, nel movimento e
nella lingua, ed anche nella nova luce dei fantasmi,
una così molle grazia di toscanesimo elegante, che
sembra quasi una modesta e moderna rifioritura de'dol-
cissimi canzonieri del trecento; e tutto ciò fuso con
una così peregrina nostalgia di ricordi fiorentini, che
la è tutta una meraviglia. E bene il Marradi volle qui
ritornar classico, e intingere nell'antico la sua vena,
poiché la sua ballata e il suo saluto erano per un a-
mico che seppe rinfrescare il verso recente ne' rivoli
di quelle acque che, dice il Carducci, ancora mormo-
ran chiare discendendo a cascatelle dal santo verde monte
delV antichità italiana nei serbatoi del popolo.
In Monte Maiella e in Monte Luco, due meraviglie
254
del genere, il poeta ci porge un aspetto nuovo o ap-
pena tentato da' suoi coetanei. La poesia ha qui un
volo veramente lirico, e la ispirazione raggia in una
intimità tutta storica e naturale. La natura non è più
superficie, ma quasi panteismo: essa tra i forti aspetti
dei monti e i ruderi della rocca spoletana è compene-
trata da una fulgida visione di memorie, le quali, su
le ruine del passato, e da' macri visi degli anacoreti,
si appuntano modernamente nel trionfo della sempre
verde forza della Dea Natura. Paesaggio, sentimento,
storia: ecco i tre elementi di fusione informanti que-
sta mirabile lirica rappresentativa. Quando 1' autore
riesce a variare in tal modo le linee del paesaggio,
si avvicina alla perfezione.
Non così belli invece mi paiono i dieci sonetti sul
jMontenero dove i ricordi storici si succedono senza
contorni gli uni dopo gli altri, come in processione.
Ma quanto è poi vero il concetto che informa i tre
eleganti sonetti. Arte e Poesia, dedicati a Gabriele
D'Annunzio, dov'è resa così bene la falsa poesia, ch'è
... gelido silenzio in quella trista
serenità lunare in cui sorridi
con la freddezza del tuo marino pariol
Col Saluto primaverile, due sonetti squisitamente
sinfonici, si torna all'aere e all'azzurro della poesia sil-
vana, ch'ha un getto largo lento magnifico di epiteti
e di voci musicali, e un molle abbandono dell'anima
per entro le leggiadre e fluide fantasie della giovine
natura: come chi 7iavighi somiolenlo pel ca?ioro e magico
specchio deir acque, il poeta naviga e sogna rapito a
volo dall'ondeggiare della strofe, fuor del senso e della
vita. Ma questa placida onda letèa, di cui lo spirito
degli orecchianti meglio si piace, è chiaror stanco di
luna, non vivo bagliore di sole.
Ma la poesia risorge epica nelle mirabili stanze su
Lucrezia Borgia. E' semplicemente un capolavoro: nel
verso regalmente maestoso rifulge tale una limpida
e serena infusione di fresca fantasia storica, da risen-
tirvi gli echi della rappresentazione epica. É insom-
255
ma una di quelle poesie epico descrittive che moderna-
mente ricordano, se non il p? Ira perchè non vi è
quel getto di sangue e di passione impersonalmente og-
gettiva, alcune altre pur potenti ma tranquille perfezioni
del genere che in metri diversi primo il Carducci im-
portò nella lirica nuova. E nel metallico squillo della
classica ottava del quattro e cinquecento, metro saputo
eleggere con arte e opportunità sapienti, si ritorna col
gusto a lontane rimembranze dell'Ariosto e del Tasso.
Vi si sente un po' di antico anche nella lingua, come
flava bellezza, chioma abbo7idanie , implacata luce, aerea
mole, opima capigliatura, Arce, voce quest' ultima
ringiovanita dal Carducci nel primo verso del sonetto
a Fiesole. Ed esso il Carducci dev'esser lieto che dal
suo fresco vivaio di lirica storica sieno uscite queste
ed altre meraviglie del Marradi, del Mazzoni, del Ferrari,
di altri. Ricordo qui Crepuscolo mari?io e Notte a Fer-
rara. Notevole il primo, in quartine, per la storica
evocazione della Meloria, di Ugolino, di Shelley, del
Guerrazzi^ e più pel bellissimo riscontro tra i due
fari, l'antico e il nuovo, che gli dàn senso e movi-
mento recenti. Nella seconda, in quartine con intreccio
di due settenari tronchi e di due novenari, vi è più
canto, più sentimento, più ala, nella mistura del sog-
gettivo lirico e dell' oggettivo con che si rinfresca la
memoria dell'Ariosto e del Tasso di fronte al palazzo
estense, sotto il mite chiarore della luna che invita
il poeta a sognare e a dimenticar per l'arte e per la
poesia immortali, i vecchi tiranni.
Ridente di serena letizia e di naturale concepimento
è Sabato Sa?tto: il poeta inneggia alla Pasqua di ri-
surrezione con un inno di gloria alla vita; e l'anima
sua, quasi romita aquila che gelate ebbe le penne, dalla
quasi funeraria ombra del mistero leva alto le ali
nella luce del sole rinascente.
Sinfonia nel bosco. Son cinque frammenti di poesia
descrittiva, non tutti belli, specie il terzo dove il
poeta si affatica invano a palleggiare la immagine
nella rassomiglianza fantastica. Meglio ne' primi due;
ma r ultima ottava è un incanto. Noto di passaggio,
^56
a pagina 109, una ripetizione su Veliera: l'immagine
è proprio la stessa nelle due stanze. Ma, a dir vero,
non mi par lirico il succedersi d' impressioni anche
oggettive, come affreschi in tante lunette.
Do fine a questo tritume di dettagli con Epistola
senese e con Silentia lunae. L'una e 1' altra belle per
la comprensione storica del paesaggio rivivente nelle
dolci, nelle care memorie dei luoghi, degli studi, del-
l' infanzia, dell'amicizia ideale. E passo sotto silenzio^
per ragione di brevità, ben poche altre liriche del
volume.
IV.
Eccoci in fine alle Ballate ìuoderne, V ultimo volu-
metto dell'autore impresso in Roma nel 1895, pe' tipi
di Enrico Voghera. Sono anch'esse un'altra ma ori-
ginale emanazione del vivaio carducciano , se non
che , per esser tutte di quattordici versi, m' han più
l'aria di sonetti che di ballate , anche pel minimo
divario delle rime. Io avrei preferito il sonetto anche
contro l'opinione dell'autore, come quello che meglio
si prestava alla vigorosa comprensione lirica della
contenenza storica.
Sono cinquanta, e non tutte ugualmente belle, che
ve n'ha di mediocri per lo spirito lirico e per la forma.
Ma ve n'ha pure di mirabili che segnano un avanza-
mento, specie dove la storia è incisa nel rilievo della
rappresentazione. Per esempio, Passa?ido il Furio è
una perfezione insolita nell'autore. Il verso, non più
molle qui, ha 1' efficacia del grandioso: narra e scol-
pisce, ed ha il fare e qualche rimembranza o eco del
Carducci. E su questo stampo son presso a poco tutti
i Ricordi metaurensi, sette ballate, le migliori o fra le
migliori del volume. Qui la poesia è più forte e im-
mediata, ed ha uno sgorgo di sangue vivido che non
fluisce così altrove. In ciò il progresso sensibile del-
l' autore che abbandona per poco il blando riso di
terre e di marine, per mirar più alto dal lontano oriz-
zonte della storia alle novelle aspirazioni della vita.
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257
A' Ricordi nietaurensi fan degno riscontro parecchie
ballate de' Fantasyni sefiesi, di cui ricorderemo: In
duomo (III. e V. sonetto), Porta Cmnollia, Vittorio Al-
fieri e Santa Caterina, la quale ultima ha un' ispira-
zione quasi ieratica, Nelle Ballate d' inverilo il poeta
ritorna alla natura, ma con altro cuore: dallo squal-
lido aspetto delle cose spicciano gemendo gli affetti
memori della famiglia, dell' infanzia, de' tuguri senza
fuoco e senza pane. Ricordo passando queste gemme:
Fra i campi. Quercia abbattuta. Neve bi campagna,
Martedì grasso. Negli Ozi Apuani la contemplazione
de' monti e delle nevi, delle piante e de' marmi, sve-
glia nell'animo del poeta sentimenti intimi e dal pro-
fondo strazianti quando tocca la corda sociale o quando
risale alla storia, come in Ricordo dantesco, bellissimo,
o finalmente quando il paesaggio melanconico ha il
sospiro di un'elegia, come Neil' oliveta, ch'è una me-
raviglia. Dovrei citare di più, ma termino qui. Il poeta
in parte non è più quello delle Poesie e de' Nuovi
Canti, perchè, pur mirando alla natura, si accosta di
più alla vita, e parla più al cuore che alla fantasia.
Anche ne' citati volumi lo vedemmo discendere dal-
l' alto del suo aere azzurro, ove il suo verso aveva
per lo più un mover di cherubino, più che di uomo.
In questi ultimi versi è più giovine, è più forte, è
più completo. Or non gli resta che allargar la con-
tenenza a' suoi canti in metri men fissi e più varii;
e allora veramente potremo aver da lui, in tanto de-
cadere di studi geniali, il fior maturo e non ultimo
della sua più vitale e rinnovante giovinezza. I tempi
avanzano, e il vero straripa dalle sorgenti della vita.
Dunque avanti!
Questo io scrivevo tre anni fa, ma ora devo con
entusiasmo segnalare all'ammirazione de' migliori un
nuovo e più maturo frutto dell' ingegno di Giovanni
Marradi il quale ci ha dato quest' anno il definitivo
capolavoro suo, la Rapsodia Garibaldina (*), un ma-
(*) Milano— Tipografia Editr ce Veni— Via Annunciata, 8— MDCCCXCIX.
17
258
gico gruppo di terzine, divise in cinque frammenti,
quasi canti di un breve poema eroico.
Dalle mirabili terzine da lui scritte in morte della
sorella Itala circa vent' anni fa, e di cui si adornano
a profitto de' giovani le recenti antologie, a queste
altre che son le seconde e insieme le ultime, il pro-
gresso è assai grande: quelle son forse la più bella
gemma della sua lirica giovanile, e queste il più vero
capolavoro della sua lirica matura. Che ricchezza di
armonia nelle ampie e magnifiche volute del verso
che qui riesce men diffuso e ambizioso e più oppor-
tunamente colorito, fulgido, solenne!
Il poeta s'inspira commosso all' èsodo glorioso dei
profughi garibaldini che, nel 1849, da Roma — fu-
mante ancora di battaglia e rosseggiante del sacrifi-
zio di Mameli e di Montalti, di Manara e di Morosini,
di Masini e di Dandolo, di Daverio e di Pietramel-
lara — s' avviano ramingando, d'agguato in agguato,
verso l'ignoto, s'avviano tra i pericoli della morte e
fra le tenebre notturne per oscuri e difficili sentieri
vigilati dalle soldatesche nemiche che son loro alle
spalle, ma guidati e protetti dalla lucida visione del
loro ideale. Non mai canto di storia ebbe nella gio-
vine lirica contemporanea un'accensione di tinte più
vigorose e un' ala d' imagini più pittoriche intorno a
un contenuto moderno, anzi recente. L'autore ci rap-
presenta passo passo l'Eroe nel suo viaggio fatale; e
q2iel lacero gi-uppo di sconfitti ci balena davanti nella
sua marcia leggendaria, insieme con 1' ardita Donna
dall' Eroe travolta — nel turbinoso voi de la S2ia vita. Noi
vediamo, come vivo e presente, il quadro sanguinoso
di quel mitragliato ava?izo di legionari dovunque s'a-
vanzi o riposi, dovunque passi o bivacchi, così nel
sile7izio di Tivoli come sotto il sole di Luglio per la
verde Umbria solenne e su V eremo Appennifio , così pei
greppi verso r Adria gialli e pe' borri della Marca mo7i-
tuosa come in cima al Titano ne l'ospite suolo di San
Marino, e finalmente per l'Adria sur un palischermo
che arranca Ì7i lotta co7i la grossa marea, finché il
Duce si getta naufrago su le so7inolenti dune, portando
259
sopra le braccia una dontia vwretite. Nel quinto fram-
mento la poesia della morte tocca veramente il su-
blime in una commoventissima scena che inalza il
racconto alla visibile potenza del dramma. É una pro-
fonda elegia tra domestica ed eroica, tutta originale
di concepimento e d'ispirazione; è un quadro superbo,
a grandi linee, a rilievi e contorni vigorosi, e di sem-
plice e finissimo disegno: è un quadro dove io credo
che il Marradi abbia dato la vera misura dell'ingegno
suo. In questo episodio, che s'incastra nella rapsodia
storica e stupendamente la chiude, non so qual sia
più mirabile, se 1' appassionata intimità del sospiro
elegiaco e 1' alta intonazione del patetico, o la dolo-
rante e sostenuta armonia del ritmo, l'una cosa e l'al-
tra degne del soggetto veramente epico. Originalis-
simo è il punto che più mi vince, quello in cui è reso
nella sua grandiosità eroica il primo ed unico pianto
di questo fatale Ulisse della patria sul cereo viso di
Anita a cui morente, mentre si vede impallidire sti la
ra'oegnaiia pineta il cielo e scolorire il mondo, tornano
i ricordi delle interminabili e deserte distese della
Pampa dove conobbe ed amò il suo compagno, biondo
come il sole: par 1' eroismo della vita che si abbracci
dell'ultimo tenace amplesso con l'eroismo della morte.
Il poeta qui veramente si è rivelato intero nelle
forme che avran forse il loro trionfo dopo il secolo
che muore.
V.
Abbiamo voluto brev^emente illustrare la più parte
delle cose migliori del Marradi, dopo una diligente e
riposata lettura. Naturalmente ci siam fermati anche
un po' su qualche truciolo di mende o imperfezioni
che nulla tolgono al pregio intimo di esse; e crediamo
di averlo fatto con animo franco ed onesto. Trattan-
dosi del Marradi, era giusto esprimere candidamente
quella che ci è parsa la verità. Molto di leggieri pos-
siamo esserci ingannati, e ne ringrazieremmo il cielo
se fosse cosi.
200
Or non ci resta che dar 1' ultimo tocco al nostro
studio. 11 Marradi, già lo dicemmo, è poeta mero, ha
cioè la nativa attitudine di versar su le cose il vivo
raggio della idealità con le iridi della fantasia: vede
e sente i colori e i suoni per entro il magico spec-
chio della natura e della storia, le due voci dell'anima
sua, come abbiam visto in più luoghi di questi mu-
sicalissimi canti. Ma troppo ei s'indugia, spesse volte,
intorno al dovizioso ricamo del naturale esteriore; che
anzi lo carezza e lo stanca con la insaziabile voluttà
di un grande amatore. Vero figlio del mare — nacque
egli in Livorno il 1852, — e tratto inconsapevolmente
dal nativo Tirreno alla visione del vago e dell'infinito,
se ne lascia pienamente impossessare per una simpa-
tica illusione del suo spirito, anche dinanzi a lembi
di cielo o aspetti di terre o di marine dove altri vede
una parte appena del suo sogno animatore. Par che
d'altro non si appaghi se non del meraviglioso, e ciò
lo porta anche al mistico e al metafisico, anche al
sovrannaturale e al liturgico . Or questo produce
più effetti non buoni : spesso il descrivere , per
manco d'intimità psicologica , non è che superficie
o fantasticaggine : tal' altra è come un ripetere o
sbozzare un medesimo disegno, onde per ammirarlo
si è talvolta costretti di gustarlo a sorsi e non tutto
d' un fiato. La sua facoltà fantastica nel paesag-
gio mi ha più volte fatto pensare a una grande fon-
tana aurea la quale per moltissimi gorghi versi tutte
in una volta e presto esaurisca le sue acque. Ma in
compenso, quando son veramente belle, le liriche sue
hanno un così superbo zampillo d'imagini vive e non
di rado plastiche, che anche in quella fuga aerea di
razzi pioventi, l'anima prova un crescente bisogno di
contemplazione e di visione. E ciò avviene quando
le son compenetrate da un sentimento vero e distinto
e nettamente rilevato. In più altri componimenti le
scene storiche, per quanto non sempre popolate di
anime e di creature viventi, aggiungono sempre un
lampo di vitalità interiore alle linee ed a' contorni
del paesaggio. Ma sopra tutti i nostri lirici, tranne
201
qualcuno, ha la rara facoltà, non sempre facile anche
ne' grandi poeti, di convertire in fantasma ogni pen-
siero, e di dar sempre ali alla strofe balzante. Pochis-
simi han così ricca e smagliante la tavolozza del pae-
saggio, cosi intonata e musicale la strofe, cosi ima-
ginosa e poetica la rappresentazione del naturale este-
riore; ed anche a por mente a' canti suoi migliori e
recenti, e specialmente ad alcune delle sue Ballate
moderne, è facile accoigersi quanto il poeta mostri di
potere, volendolo, imprimere al pensiero un solco più
profondo, e infondere un che di drammatico al con-
tenuto storico della descrizione. A tutto questo si deve
aggiungere la squisita maestria della tecnica, un fre-
quente odore di classicismo e di buon gusto nella
lingua e nella elocuzione, e, pure accennando imma-
gini e forme e comparazioni non di buona lega, una
gran cura del periodo ritmico e dello stile.
Intanto, a confortare il mio giudizio, mi giova ri-
portar quello che il Carducci espresse in una bella
pagina de' suoi Bozzetti e Scheryne: — Il Ferrari avrebbe
più d'una volta bisogno della facilità corretta del Maz-
zoni; e il Mazzoni, pure serbando la sua piana ele-
ganza, dovrebbe alle volte cercare la piena intona-
zione di canto che ha sempre un altro di quel grup-
petto d'amici, Giovanni Marradi.
Il Marradi, un altro toscano, e, se mal non ricordo,
livornese, ha la fervida prontezza delle impressioni
che si manifesta nel largo e rumoroso parlare di quel
popolo.
E rivedrò la mia città nativa,
La mia bella città romoreo-<iiante.
E il mar diffuso e l'incantata riva
Che di freschi misteri ombran le piante:
E rivedrò la darsena giuliva
Che su dall'oleosa acqua stagnante
Una foresta inalbera d'antenne
In faccia all'orizzonte am[iio e solenne.
Proprio vero, e come francamente detto, anzi can-
tato! E come è sentito e reso in questi altri otto versi
il colore delle primavere fiorentine!
>Ó2
Ecco sui colli e sui fastigi il sole,
Ecco sui marmi il sul di primavera
Nel cui sorriso esaltasi la mole
Di Brunellesco, olimpica e severa.
Neiraria calda, aulente di viole,
11 campanil meravic;lioso impera,
E al pieno odor delle vicine aiole
Si spalanca fìammando ogni vetriera.
In somma, il verso ha da cantare insieme e volare
gittando lume. Non dico che il verso del Marradi sia
sempre così: qualche volta suona soltanto e suona
troppo. É un difetto della natura toscana, faconda,
abondante, colorita; ma poco poetica, o almeno poco
lirica, nel sentimento e nella imaginazione. Dopo il
quattrocento la Toscana non ebbe poesia, salvo qual-
che semipoeta o artefice di versi finissimi e forti,
il Rucellai, per esempio, ed il Casa. Dopo il Filicaia
poi, nel concetto che il toscano generalmente si fa
della poesia prevale la rotondità delle forme, la so-
norità del verso, la fluidità numerosa , la sentimenta-
lità colorata, il lirismo: oppose il Fantoni al Parini, il
Niccolini al Manzoni. Tornando al Marradi, egli ha
il verso dal pieno petto, ha 1' inspirazione della me-
lodia: ma gli bisogna non lasciarsi vincere alla natura
toscana; gli bisogna, avventiam la parola, pensare più
forte. Tanto più ch'egli è da natura poeta mero: im-
possibile a lui mortificare l'ingegno nella vii prosa, sì
della critica e della filologia, sì del bozzetto e della
novella. Canti dunque e canti le intuizioni profonde
della vita e della storia: ha dato prova di poterlo
bene. Dal suo libro {^Ricordi lirici, Sommaruga, 1884),
che ha ormai due anni di vita ed è passato tra di-
verse lodi, non posso citare: il tempo stringe e manca
lo spazio: accenno i sonetti fiorentini e quelli su le
relegazioni in Siberia. E ricordo, non so più in qual
giornale, altri sonetti; uno su la Rocca di Spoleto,
bellissimo, per la comprensione del sentimento storico
nella impressione del paesaggio (*).
(*) Boz-{eUi e Scherme, Bologna, Zanichelli, 1889, pag. 435-37
203
Benissimo. Se non che mi par severo il giudizio
sulla natura toscana, tanto più perchè espresso da un
toscano il quale mi sembra immune da quei difetti.
E' dolce a ripensare con quanta sincerità di con-
vincimento e con quale fedeltà d' intendimenti il no-
stro poeta volle seguir poi il consiglio benevolo del
suo autorevole maestro. E di fatti, de' non pochi suoi
compagni d'arte e di studi, fra i quali il Mazzoni, il
Biagi, il Casini, il Della Giovanna, il Ferrari, il Brilli,
lo stesso Pascoli, usciti quasi tutti dalla palestra car-
ducciana dentro e fuori 1' Ateneo bolognese, egli fu
il solo che non volle mortificare 1' ingegno nella vii
prosa si della critica sì della filologia, ma volle invece
obbedire alle voci dell' anima sua, le quali dalla co-
scienza onesta uscirono ad animare, non una volta,
le intuizioni della vita e della storia. Ben rade prose,
che non siano brevi prefazioni a' suoi versi o fugge-
voli cenni di arte, un de' quali ricordo essere apparso
nella Domenica del Fracassa del '95, egli pubblicò fin
da giovinetto; e ciò prova quanto ei sia consapevole
dell'arte sua alla quale non reputa opportune le inda-
gini della critica o della filologia. E per questo la
poesia, non turbata o intormentita da studi fossili o
grinzosi anche se utili, gli prorompe dal core sincera,
immediata, quasi primitiva. Ciò non toglie che non
gusti e non ami la cultura, che non segua e non in-
tenda il ricco movimento della critica intorno alla
storia dell' arte nostra. E come sa immedesimarvisi!
Sia che parli o che reciti, sia che legga o che con-
versi, ei riesce sempre artista o sognatore , riesce
a commovervi e allettarvi, perchè ha sempre l'attitu-
dine di comunicarvi fedelmente e simpaticamente l'a-
more e il fascino d' ogni bellezza. In somma egli è
tutto quale si descrive in questi mirabili versi, che
son tutta la storia dell'anima sua:
odi: Se a te (la Poesia) sereno sempre elevai lo spirito
e i sogni che m'impenna d'ali sonore il verso,
204
se lungamente, pago d'altera solitudine,
t'interrogai nel giro del limpido universo,
illumina di lampi la mia solinga strada,
di visioni accendi questi occhi ebri di te,
e cinto da' tuoi veli fantasiosi io cada.
sì come cade, avvolto nel manto d'oro, un re (').
Proprio cos'i! — Pago d'altera soliiudine, egli non
cerca né aspetta, come tanti altri anche più popolari
di lui , né la lode venale , né uffici più alti , né il
plauso delle turbe. La sua vita sempre ci apparve
semplice e modesta, tra gli studi e la famiglia, senza
episodi mondani, senza aneddoti piccanti, senza ru-
mori e senza battaglie. La sua poesia arrivò al cuore
di tutti senza contrasti, e sùbito venne ammirata: le
sue liriche parvero come tante ghirlande di fiori colti
in un ricco verziere. Giovinetto, compì i suoi studi a
Pisa e all'Istituto di studi superiori in Firenze, dove
insieme con altri amici diede alla luce una rivista giove-
nilmente battagliera. l7iuovi Goliai^di, la quale a quando
a quando accoglieva gli echi e le inspirazioni di quella
forte ondata di poesia che veniva da Bologna. Pub-
blicò di poi, a grado a grado, i seguenti volumi: Caìi-
Z071Ì moderne di G. M. Labronio, tutte pregne degli
effluvi della nuova lirica carducciana; Poesie; Ricordi
lirici (Sommaruga 1884); Episodio; Fantasie mariìie. Il
meglio e il definitivo di tutti questi volumetti, meglio
accolto dall' autore , si raccoglie e condensa ne' tre
volumi da noi qui disaminati.
Fece intanto una splendida carriera nell' insegna-
mento liceale per le lettere italiane, e lo compiè in
Siena, dove attinse più d' una inspirazione pe'suoi
canti e per le sue ballate. Nel 1893 fu Provveditore
a Pesaro, donde l'anno di poi venne trasferito col
medesimo ufficio a Massa, ed ora si trova a Pisa,
dove si vive contento e tranquillo, perché vicino ha
il suo mare, la sua darsena giuliva, i suoi cari con-
giunti, i testimoni de' primi suoi affetti e delle prime
sue inspirazioni. E come adora la famiglia! Adora tutto,
la musica e la poesia, l'amicizia e il valore, la giu-
(*) Nuovi Canti. Treves 1891 — Pag. 4.
265
stizia e la pietà; adora gli oppressi de' quali più e più
volte si ricordò ne'suoi canti; adora in fine tutto che
gli schiuda un raggio della bellezza e un gemito della
sociale ingiustizia; ma il suo mondo migliore è lì,
neir incantato paradiso della natura che nessuno sa
rappresentare meglio di lui. E questa poesia della
natura ei non la cerca di forza, fantasticando o leg-
gendo ; ma la sorprende immediata su'luoghi che
contempla con lo stesso bisogno e con lo stesso
sfogo eh' egli mostra cantando . E come li cerca
questi luoghi benedetti dell' anima sua! Dovunque
egli è stato spontaneamente o per ragioni di ufficio,
ha lasciato un brano dell' anima sua buona e fanta-
siosa, lo me lo immagino come un di quei nuovi cro-
ciati e sognatori della idea, che soli pel mondo, e
verso le cime più alte dell' ideale, salgono, salgono,
contemplando giù in terra ciò che s' inalza e ciò che
si abbassa; e vergini e puri in quella loro olimpica
ascensione, chiamano e invitano lassù altre anime
contemplanti, lungi da questa se/va selvaggia ed aspra
e forte.
Seguita, o poeta, a salire; che i buoni ed i mo-
desti ascenderanno con te verso 1' alma luce ideale:
in tanto inaridire di animi, la tua voce ci scenderà
dall' alto come la più bella promessa dell' avvenire.
Il poeta, come abbiam visto, ha di molto allargato
il contenuto, 1' inspirazione e le forme ai suoi canti,
ha raggiunto ormai quel tipo di poesia in cui riposa
tutta intera la sua personalità. Lo attendiamo quindi
con fiducia ad altre prove che certo non saran le ul-
time del suo fervido ingegno il quale ci mostra an-
cora la fecondità rinnovatrice della sua matura gio-
vinezza. Intanto ei resta sempre il poeta più since-
ramente umano e più fantasticamente originale fra
tutti quelli della sua generazione. Può dunque dire
con franchezza, e senza consiglio altrui: Incipit a me vita
7iova,, perchè egli, oh! lui fortunato, è in cima del
monte a cui mirano invano dalle rad'ci tanti e tanti
altri che giù nella valle trovansi ancora tra i cardi e
le ortiche dell' a7'ido vero, che dei vati è tomba.
XXIII.
0 riuiioyarsi, o morire.
^ josi esclama il D'' Annunzio al principio dell'ul-
*|?^^ timo suo volume (*). Bene. Nelle vigenti
condizioni dell'arte è proprio indispensabile
un pieno e radicale rinnovamento.
Dunque, o rinnovarsi, o morire. Non recente è la
massima, ma noi contemporanei la invochiamo spesso
a designar le mentite apparenze di quello che ci par
novità. Ma quale potrà esser mai questo rimwvanientof
Lo dice l'autore di Giovaìiìii Episcopo, il quale scrive
così: — bisogna studiare gli uomini e le cose diretta-
meìiie, senza transposizioìie alcuna — . Forse lo scrittore
ha voluto significare che 1' artista dee proporsi sol-
tanto di espi'imere — vo' dirlo con le parole del Car-
ducci — « con la maggiore sincerità ed efficacia pos-
sibile certe fantasie e certe passioni... e di rappresen-
tarle proprio col colore e con l'attitudine del momento
in cui le sente e le vede lui, e non coi colori e le
attitudini d' ieri l'altro o di domani, e non coi colori
e le attitudini in cui altri voglia dargli a credere che
piacerà meglio agli altri di vederle o in cui gli altri
possano vederne o sentirne di consimili. » E però
questo non può avvenir mai senza transposizione al-
cuna , senza che 1' artista s'' oggettivi e a un tempo
s* inlui — è un felicissimo verbo dello Zumbini —
in un' anima per sorprenderne la passione intima ,.
drammatica, tragica. Può egli mai avvenire che un'a-
nima entri in un'altra anima senza uscirne un cotal
po' ricreata dalla soggettività dello scrittore? Oh! ci
sia dato il vero che sgorghi da tutte le vergini sor-
(*) Giovanni Episcopo. Napoli, I>uigi Pieiro editore, 1892.
207
genti della vita e che penetri le anime per uscirne
verità e fantasma, luce e passione, verme e farfalla,
materia greggia ed arte , reale ed ideale. L'arte è
oggettiva e soggettiva insieme, non fotografica; e il
diretto e immediato studio delle cose e degli uomini
è decrepito da quanto Omero e più. Non e' è rap-
presentazione senza immedesimazione , senza tran-
sposizione.
Ma veniamo a Giovanni Episcopo.
*
Giovanni Episcopo è un' anima complessa. Ama po-
tentemente, e sente svegliarsi, dagl'intimi sostrati pel
cuore, l'adorazione per una giovinetta, una cameriera
d'osteria, ch'ei non conosce e che sente nominare ap-
pena; odia mortalmente la prepotenza, ma la solletica
e carezza perchè la teme; ha un culto per l'onestà e
per la virtù, e istintivamente e in segreto abomina
gli uomini che ne affettano lo spregio, ma ad essi fa-
cilmente e' si sottomette, e soffre, e ubbidisce: ha un
senso di ribellione e di ripulsione contro gli uomini
volgari, ma nel tempo stesso ha un che di triviale e
di servile nell' anima e nel cuore: è oltraggiato, ma
soffre l'oltraggio, e coll'oltraggio la servitù che gl'im-
pone l'ofiFensore. Ei passa da una servitù all'altra, da
una ad altra vergogna, da Giulio Wanzer a Ginevra-.
è forte ed è debole, è padrone ed è servo, è ribelle
ed è vile: solo in ultimo, di ricontro a Wanzer e per
amore di Ciro dalle cui palpitanti viscere pur insorge
l'istinto della vendetta, l'anima sua esplode, ei diventa
uomo, si vendica e si rivendica, uccide.
Questo, se bene l'ho reso, è tutto il carattere dì E-
piscopo, ed è r intima trama del monologo con che
comincia e finisce il libro.
L'autore ha voluto rinnovarsi, per non morire. Ma,
ha voluto soltanto rinnovar sé stesso, o ha pur voluto
rinnovar un'arte? Giovcmni Episcopo accenna forse a
una rivoluzione nell'arte, o ad una nuova fase di un
268
forte ingegno? E lo scrittore è mai riuscito nell' una
cosa e nell'altra?
Sarà quello che vedremo.
Vediamo se mai è riuscito a rinnovare un'arte.
Giovanni Episcopo racconta il suo passato, le vicis-
situdini, le sciagure, gli atroci dolori della vita e del-
l'animo suo. Ei narra, fedelmente, cinicamente, spie-
tatamente, le sue passioni, la sua servitù, le sue ver-
gogne: denuda e fa sanguinar le piaghe del suo cuore:
senza pietà, senza veli, senza incertezze, fa la più
minuta ed efferata notomia di sé stesso. Questo può
darsi, ma solo in parte, in un' anima superiore, che
da' casi della vita risalga al minuto e difficile studio
degli uomini e delle cose: è sol possibile in un animo
grande saputosi esercitare ed affinare alla cote delle
grandi e sublimi sventure; ma, in un povero martire
e servo ch'è mezzo uomo e mezzo imbecille, non par
troppo inverosimile un sì complesso e molteplice ca-
rattere? Ed è poi possibile, nei casi più occorrenti
della vita, un sì feroce e spietato cinismo? Giovanili
Episcopo fa il dramma di sé stesso: e' sogghigna e
folleggia, ricorda ed irride, rammemora e piange:
pensa infine da filosofo e medita da moralista, e vuol
fiutare, disaminare, penetrare l'intimo suo e l'intimo
di altre anime che lo tormentano. Oh! non é troppo
inverosimile, o almen difficile ad accadere ? Ma il
fatto — ci si potrà dire — é verissimo: lo scrittore
lo ha sorpreso nella vita. Ancora: chi non si sente ri-
mescolare il sangue, chi non dà un grido d'indigna-
zione contro l'efferate sevizie onde, nella Siberia e in
Russia, tanti uomini e tanti servi, tanti martiri e tante
vittime, sono inesorabilmente colpiti e schiacciati sotto
la più dura e tirannica schiavitù? Chi non si commuo-
ve alla lettura di romanzi slavi? Ora il d'Annunzio che
pur ha viscere d'uomo pietoso, ha voluto farne ri-
percòtere gli occhi dolorosi anche nell' arte nostra.
Gaetano Miranda, in un numero della Tavola Rotonda
(anno II, N.° 5), scrive a tal proposito così: « Epi-
scopo ricorda certi malfattori e certi infelici di Tol-
stoi e di Dostoiewsky che non hanno volontà propria,
269
non hanno mai neppur pensato di averne una. Agi-
scono ciecamente e cadono nel delitto e nel fango
come un cieco che, lasciato solo, dopo aver invano
brancolato nelle tenebre, precipita in un burrone, e vi
muore. Un grido di grande compassione ci viene ora
dalla Russia; e questo grido è gittato da' più grandi
romanzieri slavi, che hanno visto il popolo russo sof-
frire e morire in Siberia. Di là si è levato potente il
grido della umanità afflitta ed infelice. E questo ge-
mito si è ripercorso nobilmente nel cuore del d'An-
nunzio, e gli ha forse suggerito di scrivere Giovanni
Episcopo, la storia dolorosa ed obbrobriosa di questo
padre, di questo marito, di questo infelice rassegnato.
Mai miseria umana fu crudamente e semplicemente
narrata. Episcopo ha qualche cosa del Giobbe biblico.
La sua rassegnazione mi ricorda quella dell' antico
servo del Signore , poiché Episcopo è il servo di
Wanzer ».
Se me lo permetterà l'egregio e giovine critico , a
me pare che un tale giudizio, certo dettato con con-
vincimento e colle intenzioni migliori, sia privo al-
l'intutto di solido fondamento. Tra' romanzi slavi e
Giovanni Episcopo non vi è, né vi può essere assolu-
tamente, affinità o simiglianza: qui é un carattere com-
plesso ed eccezionale che si svolge in ambiente non
suo, e lì son caratteri e tipi informanti tutta una so-
cietà, tutto un ambiente d'oppressione e di schiavitù:
qui è il rantolo doloroso di un'anima sola fra tante
anime diverse, e lì é il ràntolo funereo di tutte le
anime e di tutte le coscienze ribelli e forzatamente
servili: qui é un uomo che si fa servo per naturale
svolgimento di un carattere morboso, e lì son uomini
voluti servi: quest'ultimo ha sol valore eccezionale e
staccato, e i primi, più che altro, han valore sociale
e anche politico; e perciò i romanzi slavi possono
piacer solo in romanzieri slavi che direttamente os-
servino il reale. Che c'è mai in Italia che pur adom-
bri il viver servile e la società di Russia e di Siberia?
Che c'è mai nella nostra nazione che possa giustifi-
care e rendere interessante un libro come questo del
270
D'Annunzio? può esso aver mai, in Italia, uno scop-
pio d'anime che si riscontrino nell'anime di Giovanni
Episcopo? Poteva mai lo scrittore , che pure vuole
osservar le cose senza h-ansposizione alcuna, uscir da
un ambiente per rappresentarne un altro da lui
non direttamente osservato? e possono gl'italiani, che
pur credono d'essere ritratti in quel libro, riconoscer-
vi sé stessi? Queste domande — com' è naturale —
includono tante risposte, e avrei caro se alcuno si
provasse a dissipare i dubbi miei. Ancora: tra il Giob-
be biblico ed Episcopo c'è un abisso; l'uno è un ca-
rattere umano e nel tempo stesso universale, sublime,
purissimo: l'altro un carattere, complesso sì, ma sin-
golare, disorganico, morboso; l'uno, nella tradizione,
rappresenta l'individuo nell'Universo che tutto gli so-
miglia nel dolore, la virtù paziente nella completa one-
stà di tutta la vita, l'uomo che è solo servo di Dio,
padrone del Creato; mentre l'altro è l'individuo epi-
demico di una società affatto diversa, ed è 1' uomo
che si fa servo di tutti gli uomini, che sdrucciola nel
vizio e vi riposa per necessità, che ha continui con-
trasti di vizi e di virtù in una coscienza scompagi-
nata e anormale. Pur dando importanza a' giudizi di
tanti valorosi intorno a Giovanni Episcopo, a me pare
che questi sia un carattere fuori della vita, di quella
vita studiata, come si deve, non solo nelle più risal-
tanti manifestazioni e nella fisonomia tipica di tutto
un ambiente sociale, ma ancora nel suo dato e par-
ticolare momento storico.
Ma dove sarebbe allora il colore dell'ambiente, la
immediata e paesa?ia oggettività del reale, la italianità
dei tipi e delle anime? Oh! ma l'arte è cosmopolitica:
non dee circoscriversi... Sta bene, ma anche l'artista
dee proporsi per fine o l'ambiente in che vive lui, o
l'ambiente in che vivono altri; e s'egli non avrà in-
telletto né disposizioni a far questo miracolo , stia,
per carità, in Italia, e ci rappresenti l'Italia, ma non
risalga alla Russia o alla Siberia per farne contenuto
dell'arte nostra: quelle ce le rappresentino Tolstoi
e Dostoiewsky, e noi, nel loro ambiente, li ammire-
remo.
271
Giovanni Episcopo sarà russo, ma italiano non è.
E se mi diceste ch'è un eccezionale carattere sì, ma
che l'autore l'abbia sorpreso in Italia, si risponde che
un fatto isolato, eccezionale, singolare, non può esser
mai soggetto d'arte, né può esser materia d'arte quello
che non ispiega e denuda anche una menoma parte
dell'ambiente ne' caratteri suoi più spiccati e più in
vista. La eccezionalità del reale è sol materia di sto-
ria. Giovanni Episcopo sarà storia, ma, certo, romanzo
italiano non è.
*
* *
Ma non per questo l'ultimo libro del D' Annunzio
è da gettarsi ai cani: è una nuova rivelazione d' un
forte ingegno. Studiamo il carattere d' Episcopo nella
rappresentazione e nella tecnica delle forme e dello
stile.
L'analisi è sottile, anatomica, minuta. L'artista s'è
provato a scrutar l'intime pieghe di quest' anima in
pena, per farla vibrar nell'arte con rilievi nervosi di
scorci e con rapidissimi scatti di stile il quale stride
e lingueggia come la passione che scoppia e rugge
dentro in rantoli e fremiti strazianti. E i periodi squil-
lano e s' inseguono , un dopo 1' altro, agili , brevi ,
vibranti: son tanti bassorilievi. Qui tutt'i pregi e qui
tutt'i difetti del D'Annunzio.
Ma quest'analisi nutrita, spietata, nervosa gli anti-
chi , e in sommo grado Omero, Dante, Shakspeare,
l'ebbero più meravigliosa e più intensa. De' moderni
il Foscolo e il Leopardi pur la resero insuperabilmente
soggettiva: il primo, nelle prose, con brividi e con
scoppii di passioni procellose e violente, e il secondo
con la mentita quiete della classica , impeccabile ,
serena arte greca. E dei contemporanei chi meglio del
Verga, con originalissime e atletiche forme, esplorò
e ritrasse l'intimo dramma psicologico non di una,
ma di più anime , ne' selvaggi contrasti e co' fortis-
simi colori dell'ambiente paesanoì
Ma quando mai la forma — questa povera dimen-
ticata dell' arte — si piegò sì agile e nervosa, sì rapi-
272
da ed efficace ? Ma il D' Annunzio, oltre che il Verga,
potea avere dinanzi a sé il Carducci, il quale, pur non
essendo né romanziere né novelliere, è un finissimo
e perfettissimo artista in prosa. Chi prima del Car-
ducci, nella seconda metà di questo secolo, fé' squil-
lare a battaglia la prosa italiana con più nutriti
vigori di rappresentazione, con più meravigl'osa tecnica
di stile, con più plastico rilievo di forme?
Lasciateci dunque ammirare anche Giovanni Epi-
scopo del D'Annunzio ma a patto che non più ci par-
liate, a questi chiari di luna, né di rinnovamenti né
di rivoluzioni in arte.
Or vediamo se l'autore ha rinnovato sé stesso.
A me pare che il D'Annunzio mostri nelle prose
un moto ascendente, e un moto declinante nella poe-
sia. Tra il Primo vere (il primo suo volumettino di
liriche èdito a Lanciano dal Carabba innanzi al ro-
moroso e lilipuziano periodo sommarughiano) e il Canto
Novo , tra 1' Isottèo e Chimera e le ultime liriche
(V annunziane delle quali son constellati tanti periodici
settimanali e letterari, parmi che progresso non vi
sia, ma piuttosto decadimento. Nelle prime, nonostante
l'assidua imitazione carducciana, sfolgora e brilla una
più immediata percezione del vero e un più alato e
giovenil movimento di pensieri e di forme: nelle ulti-
me la strofe é troppe volte oscura e prosastica, troppo
riflessa o cercata l'inspirazione, e men lucido il pen-
siero: tal'altra i versi non hanno guizzi e lampi di
vera poesia , plumbeo e troppo strascicato è- il me-
tro antico, specialmente l'elegiaco, e manca quasi in-
teramente il disegno o la linea sicura. E' par che lo
scrittore, senza fare spicciar spontanea la sua vena
da prossime sorgenti, sol si piaccia ricercare e rin-
correr la imagine e il fantasma con isforzo delle fa-
coltà e con la smania di riescire o di parere origi-
nale. Diro meglio intorno a ciò ad una prossima
pubblicazione di rime del d' An?iutizio. Non così tra
P. AGOSTINO DA MONTEFELTRQ
273
Terra Vergine e il Piacere, e tra '1 Piacere e Gio-
vanni Episcopo: un rinnovamento c'è. Lo stile è più
rapido, più immediato, più denso: più organica l'or-
ditura e più propria e pura la forma; meno ambiziosa
riluce la imagine, la similitudine, l'epiteto , la frase,
ed è men ricercato lo strano e il paradossale. Il pro-
gresso è evidente. Se non che in Giovarmi Episcopo
la nervosità rappresentativa mi sembra in più luoghi
soverchia. Lo stile mi par spesso sciupato o strozzato
da quei periodettini che si rincorrono, di proposizione
in proposizione, con singhiozzi e con iscatti di lega-
menti minuscoli e talvolta monchi, e che mi tolgono
il gusto di quella complicata e magistrale euritmia
del periodo carducciano in cui è perspicua e meravi-
gliosa la sobria efficacia e il giusto e lucidissimo
rilievo nella quasi matematica distribuzione delle linee,
de'profili, de'contorni.
L'anima umana ha e deve avere certi complicati e
variatissimi svolgimenti che richiedono una ricca e
molteplice architettura di stile: questo perciò dee con-
torcersi di quando in quando per entro meandri di
giunture e di ligamenti e di membri nella lucidissima
trama del periodo. Quel che ci rugge dentro dee spic-
ciar fuori in tutte le sinuosità e in tutti gli avvolgi-
menti delle umane passioni: dee simulare le intrica-
tissime fila del sentimento, i continui ondeggiamenti
e scabrosità del pensiero
Qualcos'altro potremmo dire intorno a Giova?ini Epi-
scopo in rapporto all'ambiente e al genere letterario,
intorno alla verità di quel carattere complesso , in-
torno allo svolgimento di quell ' anima ne ' forti e
cupi contrasti della vita. Certo, è un romanzo quello
di Giovanni Episcopo. Dirò meglio : non è tutto il
romanzo, ma un abbozzo, uno schizzo vigoroso di ro-
manzo. Altrimenti che cosa è mai? Un bozzetto? Non
può essere; non ne ha né i limiti né 1' indole. Una
novella? Neppure: il monologo non può essere una
l8
274
novella. Un dramma, una tragedia in prosa? Nem-
meno: il dramma e la tragedia han bisogno di più
anime che si movano sulla scena. Non si può uscire
dal romanzo: Giovarmi Episcopo fa il romanzo di sé
stesso. E però quel monologo è il dramma d'un'ani-
ma sola che accorcia e sopprime tante altre anime
che le appartengono. E' l'embrione del romanzo, ma
è il romanzo nella materia sua greggia , direbbe lo
Zumbini. L'autore ha cominciato a rinnovarsi. Quan-
d'egli ci avrà dato il romanzo intero , quando avrà
compiuto il rinnovamento di sé stesso, é facile spe-
rare che avremo anche il rinnovamento d' un'arte, del-
l'arte contemporanea. Giova^ini Episcopo è una bella
promessa. Il D'Annunzio é fjrte, non ha compiuto
ancora la sua evoluzione, e può farlo intcr') questo
rinnovamento.
Questo l'augurio nostro. Intanto, fiduciosi , aspet-
tiamo.
XXIV.
^ L'Innocente „
In acre sapore d'adulterio, un venefico senso
^ ^//^M *^' innaturale e morbosa voluttà esala, irrita
'■^e punge tra linea e linea , tra pagina e pa-
gina di questo monologo , che , con cruda ed ispie-
tata analisi, pel filtro sottile delle più torbide passioni
scovre e denuda, notomizza e disamina l'intimo agi-
tarsi di un'anima eccezionalmente depravata, e gl'im-
piari stimoli sensuali d'una natura posticcia e bestiale.
Se non impossibile , è assai difficile ricercar nella
letteratura russa, da cui pur l'ultima opera d'annun-
ziana più o men direttamente deriva, una più strana
e mortificante anormalità di carattere , e un più pu-
trido senso di libidine , acuta e nauseante, come di
fogna: 710/1 voglio essere che quello che sono : fango nel
fango. Puah ! Evidentissimo nell' autore lo sforzo di
trasf jndere nel carattere di Tullio Hermil , quasi a
partito preso , istinti e sensazioni e impulsi impossi-
bili a sorprendere nella vita. Tutto il romanzo é come
l'apoteosi della più falsa e disumana corruzione, sog-
gettivamente voluta : è come lo sforzo d'un forte e
scompaginato ingegno tendente smaniosamente , col
solletico d'una forzata e convenzionale originalità, a
snaturare e smascolinare l'indole sua colla ricerca as-
sidua e sottile di creature che sono , per usare un
S'UO barbaro neologismo, irreali.
E lo sfjrzo è notevolissimo dappertutto : nelle di-
zioni e nella frase , nelle situazioni e nell'intreccio,
nelle giunture, nello stile , nello svolgimento organi-
co, E anche dove meglio apparisce 1' opera del ce-
sello e del tornio , anche ne' più bei quadri sfolgo-
ranti di colore e d' anima lirica , anche nei rilievi e
negli agili contorni onde è resa la natura viva , il
reale intitaaniente oggettivo s'appanna, l'intimo senso
della vita , veramente vissuta , sparisce ; il dramma
interiore vien come strozzato nelle sottili disquisizioni
del pensatore e nella marmorea rigidità della forma
che par funeraria. Siam lungi dall' ambiente , e nel
mondo dall' autore voluto l'anima si trova a disagio,
e il cuore sente i pizzicori d' una voluttà sì corrotta
e brutale , che instintivamente, tra brividi di aborri-
mento e di schifo, irrompe e si ribella. Vediamo.
Tullio Hermil é una natura posticcia e insieme per-
versa; egli é nmltanime, è, com'ei si crede, uno spi-
rito raro: sorbilla e deliba , come tante goccioline di
veleno, le più crude e opposte seduzioni , gli incita-
menti più diversi e più impuri , le voluttà più mor-
bose e brutali. E' passa , cinicamente , da una brut-
tura all' altra , da uno ad altro disegno , dal più ri-
buttante tradimento per una donna eroica, Giuliana,
al più disumano e meditato delitto, alla soppressione
violenta del morticino in fasce, del povero innocente:
l'idea fissa lo dirige allo scopo come su per una Luna
d'acciaio, chiara, rigida , senza fallo. È un malvagio
singolare e stranamente complesso , diverso da tutti
gli altri, e come tale ha un diverso concetto della
vita; e come crede che il suo spirito raro abbia ra-
rità d'azioni, che ciascun suo atto lo distingua dal-
l' universale , così pensa potersi egli sottrarre alla
legge comune, disprezzar l'opinione altrui, viver nel-
l'assoluta sincerità della sua natura eletta : come ri-
conosce la superiorità della sua intelligenza , cosi
crede giustificabili i disordini della sua vita , perchè
scusati da dottrine morali opposte a quelle professate
apparentemente dalla maggioranza degli uomini. Così
egli diventa un raffinatissimo calcolatore dei sentimenti
e degli affetti, un mostruoso egoista , un ragionator
demoniaco, che , colle acute sottigliezze del sofisma,
provasi equilibrare al proprio pensiero perverso la
pravità del sentimento, l'ignominia della morale con-
dotta; vuol come legittimare l'opera propria alla stre-
gua di principii paradossali e sfuggenti al senso co-
mune. La grandezza morale risultando dalla violenza
dei dolori superati, perchè ella avesse occasione d'es-
277
sere eroica era necessario che soffrisse quel che le
ho fatto soffrire: ecco il suo raro principio, cosi im-
morale che rompe tutte le dighe del sentimento uma-
no. Essere costantemente infedele a U7ia donna costan-
temente fedele: ecco la illazione nefanda. Bella equa-
zione, davvero, di principio morale 1
Egli è dunque multa7iime. Dopo la luna di miele,
dopo il dolcissimo idillio nuziale di Villalilla, dopo i
primi atti d'intima vita coniugale, Tullio, per la prima
volta, si dà in braccio di due amiche della moglie e
specialmente di Teresa Raffo ; e Giuliana tutto sa e
tollera con eroico sacrificio. Dopo, e' torna a lei ma
per cominciare una vita nova, non più coniugale,
ma fraterna e senza turbamenti di sensi , una vita
tutta sentimentale e mistica : Giuliana , ora , gli fa
rivivere 1' adorata imagine di Costanza, della povera
sorellina di lui, che gli ha lasciato nell'anima un irie-
sauribile tesoro , il tesoro della tenerezza , e un do-
lore quasi mistico. Giuliana si transfigura di moglie
in sorella, e ricorda, in arte, la convenzionale Statua
di cai'ìte di Teobaldo Cicconi. Ma questo amor soro-
rale non gli impedisce di raggiunger Teresa a Fi-
renze, e di abbandonare la mistica sorella. Ancora
un poco, e Tullio ritornerà, per la seconda volta , a
Giuliana; ma oh! come la ritrova mutata e sofferente.
Poco di poi e' dubita di lei : il libro di Filippo Ar-
borio, // segreto, a lei dedicato con un motto amaro,
turris eburnea, gli acuisce il dubbio. E' troppo tardi,
forse ? — e'rimugina in mente. Sì : prima la madre,
indi l'eroica martire, candidamente, gli confessano il
vero: sconto, dice l'adultera, coìi guest 'inferno, u?i mi-
nuto di debolezza. Cerca , in Roma , Arborio , ma
si consola quando lo sa gravemente ammalato di
paralisi bulbare progressiva. Quel che ha primo
presentito , ora è un fatto , ed è ancora un fatto il
frutto adulterino di quell'amore impuro; ma e' sente
il bisogno di amar Giuliana anche nell'impurità. Mon-
dino sarebbe nato : e già in quel cuore sorge e si
matura l'idea del delitto. Mondino nasce , ma come
è roseo e vivo e promettente ! Quel morticino in fa-
27S
sce dee morire; e lì , all'aria gelata, il povero Mon-
dino coglie i brividi della morte: V Innocente muore.
Chi può mai sorprendere in questo racconto sola
una nota che gli paia vibrare fra*^ concenti della vita,.
o un episodio nel protagonista che non paia esalar
dal fango ? Non voglio essere che qìiello che sono: fango
nel fango: così dice di sé Tullio Hermil!
Tra Giovanni Episcopo e 1' Innocente — nessuno»
ch'io mi sappia , 1' ha notato — può bene instituirsi
un confronto. Son due caratteri diametralmente op-
posti ma pur convergenti in un comune principio.
Giovanni Episcopo , questo Chrislus patiens di una
società corrotta, è uno spirito raro nella servitù, nella
morale abiezione, nella impostagli e subita infelicità:
è la vittima rassegnata di ognuno che lo domini e
deprima, è la morbosa singolarità d'un carattere im-
possibile nella vita, e per ciò stesso è un'anima eroica
nell'abnegazione. Tullio Hermil è invece uno spirito
raro nella malvagità deprimente, attiva, sensuale, alla
quale obbedisce , pur vittima rassegnata, un' anima
eroica. Il primo è una natura eletta, da tutte le altre
diversa, nella passività, nel dominio altrui; il secondo
è una natura privilegiata , distinta, nell' azione, nel-
l'altrui sacrificio. Giovanni Episcopo si scontra con
Giuliana: Giulio Wanzer e Ginevra con Tullio Her-
mil. Episcopo alfine si ribella e uccide Wanzer : Gi-
nevra, non meno ribelle , tradisce Tullio. Tullio ed
Episcopo s' abbattono infine nel rappresentare, l'uno
l'anormalità degradante nella servitù eroica , 1' altro
l'anormalità deprimente nella nequizia e nell' adulte-
rio, ed operante in anime non meno eroiche la me-
desima servitù ed abnegazione. L'uno e l'altro, spi-
riti rari ed eletti , son fuori del circolo della vita; e
tutti e due appartengono al medesimo processo psi-
cologico, il quale fu proprio voluto dall'autore. Questi,
anziché far procedere dall' inspirazione immediata e
dalla intuizione inconsciente il mondo delle sue ani-
me non {sfuggenti alla vita, ha tentato di animare la
povera argilla , la greggia materia delle sue note ed
osservazioni, delle sue disamine e ricerche , col vio-
279
lento tentativo di crear nature posticce pur di farle
rispondere al preconcetto suo , a quello eh' egli ha
voluto, a quanto gli si è andato, prima, determinando
nella mente come studio psicologico: altro che studio
diretto e senza transposizione alcuna ! Ammettiamo,
per poco, la esistenza, nella vita, di questi spiriti rari.
Tradurli però nell'arte vai come trar questa a ritroso
della sua naturalità. L' arte non rappresenta una co-
scienza sola, eccezionale , distinta : essa è il riflesso
luminoso d'infinite conscienze in una sola conscienza,
del particolare nel generale , dell' individuo nell'uni-
verso. L'anima è un mondo di anime , e 1' arte dee
rappresentar questo mondo. Il resto appartiene alla
storia. Di Giovanni Episcopo io scrivevo: « Che c'è
mai nella nostra nazione che possa giustificare e ren-
dere interessante un libro come questo del D' An-
nunzio ? può esso aver mai , in Italia , uno scoppio
d' anime che si riscontrino nell' anima di Giovanni
Episcopo ? Poteva mai lo scrittore , che pure vuole
osservar le cose senza transposizione alcuna , uscir
da un ambiente per rappresentarne un altro da lui
non direttamente osservato ? e possono gì' italiani,
che pur credono d' essere ritratti in quel libro, rico-
noscervi sé stessi ? » Può dirsi lo stesso dell' « In-
nocente » ch'è. a senso mio, la prepotenza del falso
e del convenzionale studiato e lambiccato nell'arte da
un prepotente ingegno, il quale quelle nature non le
ha viste e sentite, ma sol pensate e, dirò così , sil-
logizzate; e perciò ha snaturato l'arte. Mi piacerebbe
assimieliar 1' « Innocente » a un camposanto dell'anima
tutto sparso di bellissime tombe, e constellato di verdi
aiuole, d'alberelle, di fiori, e ove l'aere balsamico non
inondi o purghi che il lezzo de' cadaveri. Questa ima-
gine sempre mi rifiorisce in mente quante volte mi
avvenga d'abbattermi, qua e là nel romanzo, in bel-
lissimi quadri ove alita e respira la natura vera , la
natura viva; ed ove l'aereato cilestrino del cielo ha
magici riflessi nel ciel cristallino dell'arte.
28o
Ciò che anche uccide il romanzo, è quel monologo,
quel continuo e monotono soliloquio che non può dar
anima diversa a tanti tipi, né coglierli vivi vivi e
immediati, cioè sorprenderli in atto e balzanti su nella
vita, né, infine, renderli con arte oggettiva e imper-
sonale. E' impossibile che il protagonista s'oggettivi
e si distingua in tante anime , eh' e' sia 1' attore di
tanti attori. E lo stile , pur nella cristallina tersità
della forma, si scolora, o certo perde di vivezza, di
vigore e varietà: l'intreccio, la rappresentazione e il
contenuto psicologico si dimezzano, s'accorciano, spa-
riscono entro i viluppi e gì' intricati labirinti d' un
solo dramma interiore mentre ve n' é tanti ; e infine
il dialogo — parte essenziale — impallidisce e si snerva,
perchè non può render tratto tratto 1' anima intima,
e come il flusso e rifluseo di più conscienze in per-
sone diverse. E il romanzo , per necessità , diventa
soggettivo. Neil' Innoceìite chi non avverte , sempre,
anche nelle mosse liriche onde ridonda , anche nei
quadri e nelle scene naturali di per sé così splendide,
e più in quella minuta penetrazione dell' analisi psi-
cologica, l'anima, la coscienza, le impressioni, lo stil
personale di Gabriele d' Annunzio ? Chi dubita non
sia lui Tullio Hermil? Oh! come, nella quasi marmo-
rea rigidità dello stile , irrita e stanca , pe' meandri
di una troppo sottile analisi patologica , quel mono-
tono, sillogistico e arido ragionamento che par lezione
accademica di filosofo , più che coscienza intima e
persona facentesi dramma e operante sulla scena della
vita. Oh! come , tranne dove il fior della poesia lo
avviva e colora, tranne dove l'aspetto delle più pure
e limpide scene campestri lo innalza e fa sfolgorare;
oh! come agghiaccia quello stile, così monoritmo e
uniforme, che dà sempre un senso di freddo. Bellis-
sime e terse quelle forme — la lingua però dovrebbe
essere men ricercata e più fresca in molti luoghi — ,
ma sembrano i lineamenti e profili di un bellissimo
28 I
cadavere non ancora disfatto: peccato che quei sim-
metrici e spesso classici periodi sien foggiati . quasi
sempre, sur uno stampo!
Ancora: la scena del romanzo, né può essere altri
menti, è assai ristretta: vi tornan sempre , con assi-
dua noia, due persone sole: Tullio Hermil e Giuliana.
•Gli altri tipi, Federico, Filippo Arborio, Giovanni di
Scòrdio, vi appaion si , ma come ombra : il dramma
s'appunta li, in quei due caratteri soli , mentre gli
altri, a tratti, vi s'intravvedon solo alla sfuggita e di
lontano, come figure vaporose e sfumanti che l'occhio
più a lungo vorrebbe seguire con cara illusione. Che
anzi la figura di Filippo Arborio, pur si importante,
non vi appare affatto se non come fuggevole ricordo,
o sol nella conscienza dubbiosa di Tullio. Due son
dunque gli attori che vediamo, e sono, a dir vero, i
men belli e possibili: il primo è assai falso e ribut-
tante, e il secondo, non meno innaturale, è una nova
■Signora dalle camelie nella spasmodica voluttà e nel
mortale languore di una povera e sofferente itterica,
di cui più non iscorgiamo gli ultimi palpiti e aneliti,
l'ultima crisi, dopo la morte dell' « Innocente». Quelli
che veramente illuminano del sereno dell' innocenza
e del patetico della vera sventura lo sfondo del romanzo,
e che insieme fan dimenticare tanto fango che sale,
son due, Federico e Giovanni di Scòrdio. Ma di Fe-
derico, di questo Gesii della gleba — creazione tutta
tolstoiana — son pochi i tratti che, in conspetto della
vera natura avvivata dal beato idillio d'una innocenza
primitiva e rusticana, ce 1q fanno benedire ed amare;
e' presto ci sfugge come nube vaporosa sulla mefite
d'una marcia palude. E dell'altro, del povero martire
della gleba , del paziente lavoratore , eh' è un novo
Christns patiens , una seconda incarnazione di Gio-
vanni Episcopo, e che tiene a battesimo e di affetto
paterno poi prosegue 1' innocente Mondino, il morti-
cino in fasce, di questo povero martire non sorpren-
diamo neppur di lontano , neppur com' ombra , la
simpaticafigura che ci si appanna quando meglio c'indu-
giamo a cercarla, dopo il lezzo, neh' aere vergine e
282
puro dell'innocenza e della sublime pietà. Manca al
romanzo la tela, e alla tela la sottil trama fatta di
creature vive e possibili. Da una parte la innaturalità
de' principali caratteri e dall' altra il monologo rom-
pono quella ricca, varia e vigorosa unità, quel lucido
organesimo di forme viventi, quell'intreccio e quello
svolgimento derivanti da un sano concetto della vita.
E la inevitabile conseguenza di questo violento ten-
tativo è quella di crear nature fìnte e, a ritroso del
vero e delle tradizioni letterarie migliori, tratte a forza
nel falso olimpo dell'arte riflessa. Questo 1' Inìiocente
che ci Siam provati a studiare con diligente impar-
zialità.
Il D' Annunzio è un ingegno esclusivamente sog-
gettivo e assimilatore: gli manca il talento della og-
gettività, della impersonale genialità inconsciente, ma
tutta spirante dall'anima delle cose. Per lui non fa il
romanzo , né altri generi affini. E il suo torto è di
volere, a ogni costo, ritorcer la sua via, andar contro
natura ; e mentre e' tenta rinnovarsi , ecco eh' ei si
trova nelle mani non altro che forme , bellissime se
vuoisi, ma pure, rigide forme, senza un gran conte-
nuto vitale , senza un sano e profondo intuito del
mondo , degli uomini e delle cose. E quando più e'
si prova a superare colla forza dell'ingegno tutti gli
altri, a sorpassarli con un'opera d'arte originale, più
si contorce nelle spire di contenuti innaturali e riflessi.
Vorrebb'essere un caposcuola, ma per questo e' scom-
pagina l'arte sua, mentre, imitando, e mantenendosi
ne' generi soggettivi, potrebbe darci qualcosa di men
brutto, o certo di assai più fresco e peregrino. Il suo,
veramente, è un poderoso ingegno assimilatore; egli
è un adoratore della forma, un colorista potente: può
dunque trar profìtto da queste qualità pur grandi, per
darci una poesia assai men brutta delle Elegie l'omane^
e una prosa tutta propria e, in dati generi, personale,
rendendoci le impressioni sincere dell'anima sua, del
283
suo cuore: allora il colore sarà più giusto, più armo-
nico e uguale lo stile, e la forma, avvivandosi di un
contenuto vero, sarà più limpida e naturale. Ma è
bene che si liberi dalle camarille letterarie , che di-
mentichi il pubblico e la lode eccessiva, che si ripieghi
sopra di sé: così solo potrà rinnovarsi, per non mo-
rire. Allora di gran cuore noi pei primi godrem sa-
lutarlo come — così scrive il Capuana — /' autore
covipiiitameute liberato da ogni tabe patologica e corrotta
che ora ispira le sue creazio7ii , rinnovato addirittura,,
schietto italiano, e degnanietite trionfante. A questo patto
soltanto potrà avverarsi l'augurio nostro , in questa
stessa rivista (*i espresso a proposito di Giovanni Epi-
scopo, di ricever da lui quel rinnovamento tanto ne-
cessario in sì rapido scadere di alti studi e di cultura
virile. Lo aspettiamo ancora alla prova , con fiducia,
perchè ne ammiriamo l'ingegno, ma senza encomio
o assentimento codardo.
Vorrà egli rinnovarsi così?
(*) Scena Illuslrala di Firenze — Fase, di Luglio — Agosto 1892;
XXV.
" La Città Morta „ *'
\\E non si guardi al facile applauso di un suc-
"i'k^x>''/(( cesso, come dicono, dissima, questa trasredia,
ۓf^^^ rappresentata di recente a Parigi, fu, come
il Sogno di ìoi mattino di pì-imavera , una vera acca-
demia pel teatro, e una nuova disillusione per l'arte.
Quel che si disse trionfo, fu certo, come spesso av-
viene di cose inattese o studiosamente lanciate al-
l'applauso , un vanto , quasi unico e solo , di Sarah
Bernhardt: con altra attrice non dubito che questa
tragedia si sarebbe rivelata in tutti i suoi difetti. Ag-
giungi quel senso di appagamento che nel più delle
anime desta il sentimentale del lirismo, cioè quel ra-
pimento affettivo e fantasioso che in tutti produce la
meteora dell'amore quando mova da una poesia anche
barocca purché recitata bene. La critica italiana, l'alta
■e la bassa, ne ha detto tutto il male possibile , con
ragioni spesso giuste ma troppe volte avventate ; e
però non posso non ricordare in proposito un bel-
lissimo articolo di un frate (M, Pier Leon de Gistille)
che ne discusse con molta eleganza e con molta ve-
rità in uno degli ultimi fascicoli della Rassegna Ara-
zionale di Firenze.
Ecco il racconto triste, quasi mistico , anzi fatale.
Sembra un tragico episodio del fato antico.
Siamo in Grecia, fra le rovine di Micene, la città
morta. Quivi, in cospetto di quelle tombe e di quegli
avanzi funerei, tra le fosche memorie di quel passato
solenne , si svolge e si compie , come nella trilogia
eschilèa e nell'Antigone di Sofocle, una tragedia ne-
fanda, una tragedia che vorrebbe parere antica, ma che
non può essere né antica né moderna. Due famiglie.
(*) Fratelli Treves, Milano. H" migliaio.
285
avvinte da fraterna amicizia , sognano e folleggiano
tra quelle meste ruine: Leonardo, l'archeologo , con
la sorella Bianca Maria; e Alessandro, il poeta , con
la moglie cieca, Anna, la quale è vigilata e assistita
dalla nutrice che la crebbe bambina.
Non altri. Pochissime persone in assai brevi confini
di azione; e pur tra esse sorgono e divampano pas-
sioni tragiche che non sembrano umane: 1' adulterio
e l'incesto, e quindi il suicidio nel pensiero di Anna,
e in ultimo il delitto vero, il delitto fraterno, freddo,
meditato, sceneggiato con la più torva crudezza. Siamo
nell'ambiente degli spiriti rari, de' superno mmi: crea-
ture tutte dannunziane. — Bianca Maria e Alessandro
si amano , si adorano , prima tacendo , poi con un
senso che vorrebbe parer di purezza ma è di passione
furente: quella mutua rivelazione è un idillio, un po'
greco e un po' moderno, perchè quelle due ani-
me si manifestano 1' amore cantando. La povera
cieca, la martire, tutto vede, tutto sa , tutto soffre:
eroica nella sventura fisica e nella morale , sa che
non può dare la felicità al suo Alessandro, ma vuole
che quelle due creature elette e privilegiate si amino
perchè da natura han diritto alla felicità ; e perciò
ella, consapevole vittima del suo destino , medita il
sacrificio di sé medesima, il suicidio: così allora que'
due cuori saran liberi e felici. Ma il suicidio non av-
viene, perchè Leonardo uccide la sorella , anche lei
vittima del ferreo destino , per serbarla pura , per
non farle amare quell'uomo, ma più forse per allon-
tanare da sé il pensiero tremendo di un amore ince-
stuoso , concepito là , accanto al fuoco , quando un
giorno la vide assopita , e co' piedi nudi. Anna , la
cieca, esterrefatta, alla vista del cadavere che bran-
colando tocca, ha una strana apparizione, e prorompe:
— Ah!.. Vedo! Vedo! — Così la tragedia finisce. Quale
tragedia!
Basterebbe solo questo cenno per dimostrar falsi
e impossibili, nella società nostra e nell'antica, anime
e creature come quelle. Se non che e' vorrebbe rifare
la tragedia greca con lo spirito greco. Ma come ? Si
286
potrà forse intendere anc'oggi Nausicaa con Ulisse,
Agamennone con Ifigenia, Egisto con Clitennestra, Ore-
ste con Elettra, Antigone con Ismene e Polinice, Me-
dea con Giasone , pur circonfusi da' miti ; ma ne'
tempi eroici dell'antica Grecia, con quel culto , con
quella vita, con quel clima storico: materia alla epo-
pea di Omero e di Esiodo, sostanza alla tragedia di
Eschilo, di Sofocle, di Euripide, Quelle son creature
stupendamente belle e meravigliosamente vere; e un
folle scoperchiatore di tombe può anche ammirarle.
Ma come ei fa a imitarle, a immedesimarsene l'azione,
a sdoppiarle nella vita, nella passione , nel delitto,
nell'incesto? Siamo fuori del secolo, della vita , del
momento ond'emana una vera opera d'arte; né il ri-
torno al passato, quando non sia d'anime durature e
perenni, può mai produrre opera di rinnovamento:
similmente la rigidità aristotelica dell'unità di tempo
e di luogo ( povero Manzoni! ) come qui ha fatto il
d'Annunzio, non può mai dar movimento a un dramma,
^ una tragedia, a un'a'.ione qualsiasi , sceneggiata o
no. Al d'Annunzio, visceralmente soggettivo, manca
il temperamento drammatico, manca l'attitudine alla
5cena: o in prosa o in versi egli si àzzima, s' imbel-
letta, si agghinda, e poi canta. E accademico sempre.
Taluno mette innanzi lo stile; e, pur di recente, un
Oietti marzocchiano ha predicato che quello è il più
alto stile italiano di tutto il secolo, è un perfeziona-
mento di quello regale del Carducci. Ha ragione, per-
chè chi scrive male, cioè con forma greve, flaccida,
arcaica, slombata, può anche non intendere altro stile
che quello. Le son baie di gente che non sa leggere
nel Leopardi e nel Manzoni, nel Carducci e in altri
pochi, men regali ma più semplici e chiari: il Mar-
tini, ad esempio. E l'Oietti, mentre tanto si accalora
contro la peste dannunziana degl'imitatori, parla pro-
prio di corda in casa dell'impiccato. Meno male che
se n'accorge egli medesimo, e finisce esclamando: —
Vertite in me arma Riduli (veramente Virgilio dice:...
in me convertite ferriim, — RiitiiW).
Ecco. Ciò che in questa tragedia meglio seduce gl'in-
2S7
cauti, è l'addobbo nel cercato lenocinlo del paesaggio;
è l'effetto ingombrante di luce e di colori; è il sospiro
dell'idillio o dell'elegia nelle continue evocazioni della
Grecia antica, fra i ruderi della città morta ; è certa
studiata vaghezza nel disegno di alcuni quadri : è
tutto questo in alcuni luoghi dell'opera frammentaria,
non mai nel complesso, nella interezza organica, cioè
nel dramma intimo che anima 1' azione e illumina la
scena. E anche quello studio della parola nel blandito
ritmo della poesia, quella smaniosa ricerca della mu-
sica favellata nel voluttuoso giro della frase e nel le-
vigato ordito del periodo; tutto questo potrà piacere,
ma per poco; tutto questo non può esser mai la prosa
che scatta improvvisa dal cuore commosso e che me-
glio rende l'impeto della passione. Qui le anime so-
gnano e cantano; non operano: qui, ne' quasi mono-
loghi della rappresentazione, spesso lunghi , freddi,
monotoni, i personaggi si scambiano squarci lirici,
un po' anche metastasiani, e ricamano l'idillio co' tra-
punti della elegia. E' arte qujsta qui? è stile? è rai)-
presentazione?
Sotto tale aspetto anche questo lavoro resta artifìcio,
un mirabile artifìcio, come svolgimento e come ese-
cuzione. Da ben altri rivi può scaturire l'opera vera
di 1 innovamento; ma questa qui, con tutta la pompa
dello strano e del decoramentale, con tutte le veneri
di uno stile aureo , come i cadaveri che Leonardo
scruta nelle tombe, di uno stile fatto a scatti, a sospiri,
a singhiozzi, a ripetizioni, a punti sospensivi , con
tutto il sovrano magistero della bellezza barocca, que-
sta qui, ripeto, è arte fossile e morta.
<r=^^^^
XXVI.
" La Gioconda „ ('
(l volume, impresso a grandi caratteri e coi so-
|( liti eleganti elzeviri de' fratelli Treves, ha la
copertina di color fragola vivo, quasi san-
guigno. Dopo il titolo è un verso di Francesco Pe-
trarca (**) guasto da Leonardo da Vinci: « Cosa bella
mortai passa, e non d'arte ». Dentro è questa dedica
breve: « Per Eleonora Duse — dalle belle mani ».
Sùbito dopo, una indicazione latina: Dramatis perso-
nae. In fine alla tragedia, una parola greca (tsXo;).
Ultima segue una versione di un frammento della
Iliade (raps. Ili) dove si parla de' principi Troiani
assai trepidi del pericoloso incanto di Elena, simiglie-
vole in bellezza alle iddie immortali, da cui certo l'au-
tore vuol trarre una peregrina rassomiglianza alla sua
Gioconda. Così la protagonista non dee simboleggiare
la donna della vita, sì quella dell'Olimpo, cioè d' un
mondo, com'ei direbbe, irreale, e che si pone a studio
d'una faticosa bellezza archetipa. Tutto è qui sottil-
mente ricercato: copertina, colore, tipi, motto, dedica,
nota. Amminicoli questi o meglio inezie che anche
rivelano le strane qualità di un raffinato dell' arte il
quale vuol essere o parer prezioso in tutto, anche nel
piccolo, anche ne' ritagli del suo industrioso lavoro.
La favola della tragedia è assai breve. Lucio Set-
tala, scultore, s' innamora perdutamente di Gioconda
Dianti, donna di animo imperioso che gli serve da
(*) Milano, Fratelli Treves, editori, 1S99. — Seconlo migliaio.
(**) Sonetto GXC-210 (Ed. Rigutini, Hoepli, '90). Ultimo verso delia
seconda quartina: « Cosa bella mortai passa e non dura «Vedi «Sonetti
in vita di madonna Laura ».
289
modella, e in cui vede la necessaria e consapevole
ispiratrice delle sue statue: per questo ella esercita
un dominio irresistibile che l'amante non sa vincere.
Questi ama meno ardentemente la moglie Silvia, da
cui ha un tesoro di figliuola, la piccola Beata. Silvia
è una donna di animo forte e tutta fremente di pas-
sione: odia mortalmente la rivale, ma, povera martire,
adora il suo Lucio per cui soffre le più amare torture
di queir abbandono. Neil' animo dell' infedele sorge
sùbito un fiero dissidio tra i più santi vincoli della
famiglia e le più strane seduzioni di quella maliarda,
onde un bel giorno, nel suo studio in Firenze, tenta
uccidersi per estinguer colla morte quella duplice mor-
bosa passione. Feritosi gravemente, trova nelle cure
affettuose della moglie la sua guarigione. É ancora
convalescente che già la Dianti gli manda una lettera
per invitarlo alla vita di una volta, alla vita dell'amore
e dell'arte. Essa lo attende lì, nel solito studio in cui
ha diritto di entrare come assoluta padrona, perchè
quello è il tempio dell'arte e non della famiglia; ivi
sorge ancora quella statua ch'ella crede sua, quasi
una creatura della sua bellezza ispiratrice, anzi della
sua conquista. Lucio si lascia vincere ancora da quella
passione; ma la moglie a nome del marito e ad insa-
puta di lui si reca impavida nello studio per cacciarne
la rivale: ivi l'attende, ivi s' incontrano a faccia a
faccia e si contendono quell'uomo, l'una in nome del-
l'amore e dell' arte, l'altra in nome dell'amore e della
famiglia. Divampano di sdegno e si slanciano violente
contro la statua la quale finalmente cade e si rompe,
ma stritola anche le bellissime mani di Silvia. Sùbito
dopo sopraggiunge Lucio che, vista la statua muti-
lata e quella straziante scena, riman di sasso, ma non
si ravvede, poiché non sa resistere al fascino di quella
donna a cui di nuovo si abbandona. La povera mar-
tire si divide dal marito e si reca alla casa paterna
in Pisa dove ha luogo l'ultima scena, la più bella e
la più vera, cioè l'arrivo della piccola Beata che,
inconsapevole, vuol baciare alla madre le mani, le
tronche mani, che questa le nasconde; e, in quell' in-
19
290
contro, la povera mutilata non sa resistere al pianto
perchè sente nell'anima il più crudo tormento, forse
più crudo della morte. La piccola innocente, com-
mossa, le dice: « Piangi? piangi? » Così la tragedia
finisce.
* *
Che v'ha di tragico in questo racconto? Nulla, ve-
ramente, all' infuori di due sole scene di grande po-
tenza drammatica. L'intreccio è assai breve, o, meglio,
monco, e senza compatta unità; anzi non lascia neppur
trasparire il nodo intricatissimo di fatti, di situazioni,
di scene cospiranti all'organico svolgimento della vera
azione tragica. Non vi appare 1' ingegnosa combina-
zione dei particolari, i quali qui non si concatenano, poi-
ché procedon disgiunti, slegati, disuguali. Di fatti,
non v'è nell' unità del procedimento la proporzione
delle parti: quella della protagonista è messa in mi-
nor luce, poiché la vediamo in una scena sola dei
quattro atti: e la figura di Lucio è anch'essa avvolta
nell'ombra, perchè di lui sappiamo sol quello che ce
ne dicono gli altri personaggi, i quali hanno maggior
movimento: il carattere più determinato e più svolto
è quello di Silvia, perchè il più vero. Ma soprattutto
manca il midollo della tragedia, cioè il fatto: o meglio,
quel grandioso nel patetico, quel meraviglioso nel fa-
tale, quel doloroso nel terribile, in cui si sviscera la
rappresentazione tragica, la quale, per ampiezza, me-
glio si avvicina alla epopea. Qui il fatto è troppo
piccolo in sé per essere veramente tragico. Per esem-
pio, niun de' personaggi muore, niuno ricorda quella
terribilità d'azione che forma il nòcciolo della tragedia
di tutt' i tempi e di tutt' i popoli. Invano questa ter-
ribilità s' incontra nella lotta delle due rivali dinanzi
alla statua, la quale è solo una scena che per impor-
tanza e per effetto non è cosi profondamente discorde
da tante altre più o meno violente rivendicazioni co-
niugali. E la catastrofe invano si cerca nell'altra più
mirabile scena, quella dell' incontro della figliuola in-
291
nocente colla madre tradita che si sente morir di do-
lore; come la fatalità tragica non può esser quella di
una donna che avvince a sé profondamente un uomo
sol perchè il suo amore è congiunto a quello del-
l' arte.
Ma che v' è di vero in questo lavoro ? o meglio,
che v' è in esso della vita contemporanea ? Dubito
forte vi possano oggi esser nature come quella di
Lucio; di un artista che crudelmente tradisce anche
nel momento supremo della gratitudine e della sven-
tura, che rinunzia proprio allora agli affetti più santi
della famiglia, che dimentica di esser padre, dimen-
tica una donna che lo ha salvato, lo ha guarito, si è
mutilata per lui; e ciò per una statua che si rompe, e per
una audace donna che glie la ispira, quasi che un capo-
lavoro dipenda unicamente dal fascino di una modella!
Ho voluto domandare a un grande scultore italiano
se mai nella vita dell' arte sia possibile una natura
come questa, e se vi sia mai stata. La risposta pie-
namente negativa mi conferma che il carattere di
Lucio è falso, o, se mai, non rappresenta un ambiente.
Come tanti altri personaggi d'annunziani, come, ad
esempio, Tullio Hermil nell' Imiocente, Lucio Settala
è anch'egli uno spirito raro e vmltanime, un raffinato
della vita e del pensiero; anch' egli ha una sen-
sibilità morbosamente squisita e superiormente e-
stetica, per la quale nulla di lui ha da esser si-
miglievole alla comune degli uomini . Or questo
carattere nel procedimento della tragedia può esser
mai la espressione individua di tutto un ambiente, di
tutta una classe, di tutto un gruppo, anche se cor-
rotto e degenerante ? Date pure la più ampia libertà
allo scrittore, dategli pure ogni contenuto non sano;
s' egli non riesce a improntar nel tipo suo la realità
molteplice della vita, egli é fuor di essa e anche del-
l'arte. Questo sforzo anzi lenocinlo del singolare e del
raro come vero e come rappresentazione, anche se
2 92
riveli un simbolo od una idealità superiore, è la parte
più manchevole e più falsa dell'opera d' annunziana
e della sua scuola; poiché in questi tipi manca il ca-
rattere sostanziale dell' arte, ch'è il riconoscimento e
il riscontro del vero della vita nel vero idealizzato,
cioè la espression diretta del particolare nel generale
e viceversa, fondamento di ogni opera letteraria ma
segnatamente oggettiva, come il romanzo, la tragedia,
il dramma; se non che la seconda è da tempo finita
né può risorgere per la co7itraddizion che noi con-
sente.
A quei critici che dicono non esser questo un la-
voro scenico ma solo estetico per sé, più adatto alla
lettura che al teatro, noi rispondiamo che non é pos-
sibile concepir la bellezza oltre i cancelli di quelle
forme dove vuol porla chi la produce.
Ridir poi ai lettori della Scena quello che sempre
ci é parso della tecnica d'annunziana, è proprio ozioso:
questo nuovo lavoro ha tutt' i difetti e tutt' i pregi
de' precedenti, se non che vi apparisce qualche mu-
tamento che lo strano simbolismo della Città morta
non ha. Più d' una scena alla lettura piace molto per
verità, per efficacia, per potenza drammatica ed anche
per istile; e la diremmo perfetta se non ne turbasse l'eu-
ritmia certa prolissità idillica o patetica che ha più del
lirismo che della rappresentazione. Troppe altre cose
avrei a dire del d'Annunzio e dell'opera sua, ma la
brevità dello spazio m' induce a finire. L' autore po-
trebbe, se volesse, ritrovar la via a cui lo richiamano
r ingegno e gli studi, poiché, quando vuole, sa far
scaturire dalla viva fonte del bello più d' un rivo di
freschezza e di spontaneità. Ma gli bisogna coi pre-
giudizi di scuola abbandonar lo studio del falso e del
peregrino, lo studio di quello che, adir del Carducci,
è stento d' inezie laboriose; e anche dovrebbe accogliere
il mònito di quei maestri che, presentandolo ancor
giovinetto all' Italia, primi additarono in lui una nova
promessa dell'arte e della patria.
XXVII.
Luigi Tinelli .
I.
di quei veneti che, come l'abate Zanella, infu-
sero nell'ingegno e nelle facoltà una sana e
fresca nutrizione classica la quale veniva dalle
scuole di Padova ancora illustrate dalla tradizione del
Porcellini; ed è un superstite della generazione che
venne su dopo la morte del Leopardi in quel torno
di tempo che il classicismo era per dare la volta o
per sviarsi dietro le nuove manifestazioni della scuola
romantica, ma che finì poi, per più rivi o tendenze,
pessimismo leopardiano o manzoniano, enfasi eroica
■e patriottica, accademia scolastica e manierismo ideale,
sottigliezza filosofica e più spesso biblica. Questo
r aere intellettivo che spirò fanciullo e giovinetto il
Pinelli, nato 1' 8 maggio 1840 in S. Antonio sul Sile,
luogo ameno e ridente che torna spesso , fresco di
memorie, nelle sfumanti linee del paesaggio di alcuni
suoi canti. La lirica vera di quegli anni bolliva tutta
nell'azione ; e, quando non era 1' inno del Mameli o
il fiotto sanguigno del Berchet e del Rossetti , era
artificio retorico o lenocinlo di scuola : onde la più
bella lirica giovenilmente patriottica del Pinelli furon
le battaglie della Indipendenza a cui prese parte: di
fatti egli, ancora studente in Venezia, combattè a S.
Martino, e di poi, professore in Sondrio, a Bezzecca
nel 1866.
Si laureò in lettere e storia nella Regia Scuola
Normale Superiore di Pisa , e insegnò successiva-
mente, oltre che nel liceo di Sondrio , in quelli di
Caltanissetta, di Como e di Udine: ora è preside amato
del regio liceo di Treviso. É un celibe sereno, anzi
stoico; e pure ha tanto fior di poesia per la famiglia,
pe' bambini, per la donna! La sua vita si svolse tutta
fra la scuola e gli studi, libera, indipendente, mode-
sta; senza fremiti di gare, senza curiosità di avven-
294
ture, senza quelle studiate e procurate occasioni a
cui molti devono la loro effimera popolarità.
E' più tosto ignorato ne' soliti cerchi della saccen-
teria contemporanea, perchè fugge sempre ogni con-
venticola, ogni chiesuola, ogni sacrario della vanità.
E per questo anche, è più degno di affetto, di lode e
di ricordanza.
Ora diremo con informata coscienza e con ispirilo
indipendente di tutta l'opera sua, ch'è quasi interamen-
te lirica, e della quale, in più tempi e con diverse lodi,
si occuparono di proposito Giosuè Carducci, Gaetano
Trezza, Tito Vignoli, e altri molti nella Vùa //alzana,
nel Fanfiilla della Domenica, nella Gazzetta Ufficiale
del Regno, nella Opinioìie Liberale. neW Ateneo Ve7ieto,
nel Giornale di Udine, nella Gazzetta di Treviso, nel-
V Adriatico , nella Perseveranza, nel Comune di Padova^
ne' Fiori d' iìiverno, r\.€[V Emporio pittoresco, ecc., ecc.
Noi in questo studio avremo sott'occhio que' volu-
metti che, se non tutta l'opera, ne comprendon certo
la miglior parte.
IL
Più momenti io riconosco nella molteplice poesia
del Pinelli. Il primo, reminiscenza patriottica del 1848
e degli anni di poi , ha suo libero svolgimento dal
1860 al 1876, e comprende le vere primizie dell' au-
tore , il quale ancor giovinetto si arrolò , come ve-
demmo, volontario milite della patria. Il secondo corre
dal 1876 all' 80, e rispecchia quel movimento scien-
tifico che risonò nell' agile strofetta classica dello
abate Zanella; ma veramente il poeta attinse la inspi-
razione e il contenuto dall'opera di Gaetano Trezza
il quale tenne ambo le chiavi del cuor di lui. Terzo e
ultimo periodo fu quello che si svolse di poi, e rap-
presenta nel maturo vigore degli anni una maggior
franchezza e gioventù di pensiero : furon materia e
forma a' suoi canti il rinnovamento metrico del Car-
ducci, cui spesso mirò il nostro anche d'avanti , e il
così detto verismo lirico che parve novità neir opera
295
di Lorenzo Stecchetti; al che giova congiungere più
di un motivo che ruppe fuori dell' agitazione sociale
degli ultimi tempi. Più metri ne' vari suoi voluny ha
seguiti o introdotti l'autore, ma non è un virtuoso in
rima o in barbarie ritmica.
Io credo sia meglio riuscito nel sonetto specie
quando vigoreggia nel rilievo del paesaggio o della
rappresentazione oggettiva. Anche ne' metri brevi,
se non efficacia, mostra spesso rapidità e facilità ; e
se sapesse a tempo schivar la monotonia , avrebbe
orecchio a temperar meglio le alcaiche, le saffiche e
i distici che trae dalla vecchia maniera del Carducci,
senza curarsi di modellarli con la progressiva varietà
delle combinazioni metriche. Diremo qui appresso
quello che ci è apparso di peregrino o di men bello
nella varia fiorita de' molti canti suoi.
*
I canti patriottici occupano quasi intero il quarto
libro delle Poesie varie (*) , e ve n' ha sparsamente
anche in altri, ma i più recano la data del 1860 che il
poeta era ancora ventenne, nel succhio dell' età più
che dell'inspirazione. E di fatti paiono più frementi
di passione e di calor giovanile i versi che scrisse
intorno ai quarant'anni che non quelli intorno a' venti:
anche nell'amore il celibe maturo e impenitente in-
dulge alle grazie e alle veneri quando 1' arco degli
anni è per discendere o piegare oltre il mezzo cam-
mino della vita. Il metro eletto per tal contenuto è
la canzone , eco lontana della elegia petrarchesca e
più immediato riflesso della disperata lirica leopar-
diana; ma al Leopardi il Pinelli non badò né per la
movenza della strofe , né per la insensibilità tutta
greca del canto, né per la classica trasparenza e sem-
plicità della linea; sì veramente per qualche elemento
o truciolo di tecnica: non altro. Queste sue canzoni
sono la parte men bella della raccolta : manca in
(*) Bologna — Zanichelli — 1888.
296
esse, o almeno non vi abbonda , quel soffio caldo e
quell'impeto di sentimento che dan fiamma ed ala al
pensiero lirico e che tu senti anche nelle forme rudi,
ma vivide e balzanti , della nostra vera poesia pa-
triottica.
Gli è che l'immagine non spiccia sempre libera o
immediata negli avvolgimenti spesso affannosi di quei
settenari ed endecasillabi, tra quelle zeppe della me-
ditazione e della riflessione filosofica o sociale , tra
quelli incagli delle sottigliezze gnomiche in cui mal
si adagia il fantasma. Onde avviene che a danno della
chiarezza e della semplicità abbiamo non di rado l'ar-
tificio che rende ombroso il pensiero e turba la lu-
cidezza dei disegno; e a stento vi scorgi quel palpito
interiore e quel guizzo della passione che solo riescono
a commovere chi legge.
Era cotesta la educazion letteraria del tempo la cui
parte migliore divampò tutta, come notammo , nella
lirica d'azione; e il poeta istesso mostrò farla così
quando prese il fucile e corse sui campi di battaglia.
Altro clima ci voleva ed altro campo perchè egli
schiudesse all'arte la vera sua natura di poeta , e si
francasse a poco a poco da questa servitù di forme
e di maniera oltre i cancelli della rigidità scolastica.
Ma intanto è d'uopo ricordare che anche le altre can-
zoni patrie da lui composte assai tardi, ne' termini
deirSo, sono il più fedele riflesso delle prime, poiché
non gli riuscì agevole liberarsi da quella sua vecchia
abitudine di modellar la canzone che volle soprattutto
gnomica e non liberamente affettiva. Ma, dopo quella
eroica epopea garibaldina di sacrifizio per la patria,
potè raccogliere di su la coltura libera del tempo
quel contenuto e quegl'ideali che meglio arrisero alla
sua coscienza di artista e di poeta. Natura intima-
mente psicologica e meditativa, fantasia molteplice e
raccolta, spirito disposto a fruttificar dentro anzi che
al di fuori, si trovò nel suo mondo quando gli arri-
297
varono gli echi di quelle scienze positive che furon
così gran parte della stessa generazione venuta su
nel 1848 o poco innanzi, e se ne imbevve tutto, sino
alla vertigine. Ancora: in quel torno di tempo erano
apparsi, quasi meteore improvvise alle nature giovani,
la Critica moderna, il Lucrezio ed altre opere di Gae-
tano Trezza che riuscirono a sbalordire gli animi
teneri; e il nostro se ne innammoro tanto , che da
esse derivò non solo un culto assiduo per l'idolatrato
maestro, ma la ispirazione della più parte delle sue
rime. Da un capo all'altro d'Italia era tutto un risve-
glio scientifico; era, per dirla col Trezza istesso , il
clima novello dell'età. Gl'Italiani erano allora inebriati
di scienza come prima lo furono della patria e della
libertà; tanto che anche le anime pie e timorate, an-
che gli abati e i contemplanti, ne furon tocchi come
da un contagio; che altri gittò la tonaca o la divisa
sacerdotale, come l'Ardigò; altri scese dal pergamo
dove prima aveva predicato di Dio , per propagare
in altro arringo il verbo della scienza nuova , come
€sso il Trezza; ed altri, pur fedele a' suoi santi, cantò
la patria e la scienza con un senso di conciliazione
con la religione '1e' padri, come il vicentino Zanella.
E di quest'ultimo piacque molto in quegli anni, tra
le classiche reminiscenze di Virgilio e di Orazio , di
Catullo e di Lucrezio, la mite e vereconda intonazione
di una lirica quasi muliebre , semplice ed elegante,
decorosa e spesso ardita, con echi o risonanze che
parvero nuove dopo la lirica del 1848, e con un con-
tenuto sano e pacato che parea diffondere le ali in-
torno al vero nuovo. Chi non ricorda ancora di quegli
anni la spirale movenza , la sdrucciolevole e breve
leggiadria e il volubile intarsio della Conchiglia fossile'^
Eran questi gli anni, gli elementi , i ricordi fra'
quali crebbe il Pinelli e si corresse e riusci finalmente
poeta.
III.
Già egli avea saputo dare, nel 1864 e nel 1869, un
movimento novo alla sua lirica con le Memorie di
298
Pisa, dove nella classica ottava è fuso con le storiche
reminiscenze un palpito della vita recente , e con il
Pensiero, un'ode settenaria alata, piena di slancio e
d'intonazione rapida e concitata, che canta i nuovi
ideali e le nuove aspirazioni dell' umanità. Del 1878
è l'ode A mia noìina, un primo bel saggio di elegia
domestica che più in là, negli anni maturi, avrà una
più libera e calda effusione di sentimento in alcuni
sonetti: qui il settenario piano imprime nelle care
memorie del vedovo nido materno il dolce e risognato
idillio domestico di queir amato capo canuto eh' era
de' penati il piii caro antico simulacro venerato ogni
sera.
Del 1870 è il suo Canto del falegname, notato anche
dal Carducci: è un'odicina audace anche nel metro,
ma un po' balzana e contorta, un po' livida, un po'
oscura; poiché mostra nel bieco umorismo sociale una
studiata sottigliezza di personificazioni e d' imagini,
che turba troppo la naturale sorgente dell' humor; e
perciò la trovata originale cade nell'artificio. Ma in-
tanto è un segno dello spirito che riceve un'aura nuova
anche se non spirabile.
Pace^ del 1874, in strofe intessute di endecasillabi
e settenari belli di numero e di armonia, è un altro
idillio di famiglia nella nativa casetta, tutta popolata
di ricordi e consacrata alla religione del cuore, e in
cui splendono le assise del povero martire fratello
morto di ferite nella campagna romana. Con questi
versi il cuore del poeta si apre meglio alla vita ed
al vero, e meglio sente l'uomo e la natura nella inef-
fabile e secreta comunanza del dolore e degli affetti.
Egli è passato per più vive ispirazioni e per molte-
plici prove dall' artificio retorico alla espressione su-
bitanea della verità sentita e provata, la quale spira
una idealità più umana e più universale. Così nel
1876, anno in che si schiuse la sua fiorente prima-
vera ideale, potè darci il più ricco manipolo di canti
che meglio ci dimostrano la sua esuberante fecon-
dità. Fu quello per lui un degli anni più intimamente
poetici.
299
Ricordo il Canto de' morti, pur lodato dal Carducci
come lavoro d'arte; la qual poesia nella breve com-
prensione della storia umana inalza l'animo e il senso
con spiritale fulgidezza alle ascendenti armonie della
vita, dietro i richiami del passato, verso le novelle
età. Seguono: Ad Anacreonte , A le montagne. Insazia-
bilità, Credo, diversi d'arte, d'impeto, di movimento,
e che dalla limpida reminiscenza anacreontica e dal
sereno naturalismo de' greci risalgono, or con pen-
siero meditativo, or con varietà di metri e di conce-
pimento, al riflesso panteismo moderno, spirando un
senso d' intimità oggettiva intorno a' vari aspetti
delle cose che di forma in forma passano rinnovel-
landosi,
\J Inno agi' illustri veterani de IV arte superstiti, citato
dal Carducci e dal Vignoli, in istrofe di endecasillabi
e di settenari alternati, è una delle più belle poesie
del volume , per finitezza d' arte , per forza di senti-
mento, per nobiltà di affetti, e specialmente per l'ac-
cenno al Leopardi, mirabile di verità e di espres-
sione critica e lirica insieme. L'autore s'inchina con
entusiasmo e con sincerità di devozione civile alla
grandezza di que' superstiti, di que' sacri canuti che
ci affidarono il retaggio glorioso della prosa viva e
del giovin verso; ma più è notevole il canto per quella
nota recente che il poeta trae dal progresso umano
anche nel culto dell'antica gloria.
Seguono Canto notturno di donna e Abisso. Notevole
il primo, di senso leopardiano, per la mesta elegia
de' ricordi compenetrati dal pensiero filosofico intorno
alla infinita armonia dell'Universo; ma qua e là viene
a turbarne l'ispirazione 1' aridità meditata del verso
scientifico. Più originale e più bello è invece il secondo,
in cui la simbolica personificazione dell'abisso ha una
caratteristica mistura di fantasmi che ritraggono lumi-
nosamente e con eflfìcaci contrasti l'umanità che vive e
quella ch'è trapassata, aggiungendo all' invenzione un
che di drammatico e di fantasmagorico insieme, il
che non è frequente nell' usata poesia.
Fu lodato dal Carducci e dal Vignoli. Pure del 1876
appaiono molti componimenti erotici che non son tutti
né in tutto belli, né per la trovata, né pel metro, né
per le forme; ma i migliori mi sembrano quelli che
recano le date dall' 80 in poi, e che attestano nel-
l'uomo maturo di età e di esperienza, con un certo
anacronismo, una più fervida gioventù di pensiero
anche nell' amore.
Di poesia amorosa in Italia si è fatto oggi tale un
consumo ed un abuso in tutti i capricci e in tutte le
sensualità, da non sentirne veramente né bisogno né
allettamento. Anche il nostro ne fa di capricciosa e
di sensuale: pur egli cede a certe avventataggini le-
ziose della nudità contemporanea; ma rispetto agli
altri può anche parere castigato. Spesso il vero è più
cercato e meditato che non sentito: ama anch' egli
talvolta indulgere al tempo più che al sentimento;
tal' altra non sa fermare il fantasma sur una diretta
realtà particolare e plastica dell'affetto e dell' adora-
zione, o questi non tralucono con quelle lingueggianti
fiammelle che sprizzano sempre dalle vere meteore del-
l'amore, ma in fondo, più che non paia al Carducci,
egli idealizza 1' amore convertendolo più d' una volta
in una madonna Laura moderna, a quel modo ch'e-
gli riesce più gradevole quando si prova a va-
gheggiare con tutta r anima la natura. E' inutile: al
poeta riesce meglio l'amor della natura e delle cose
alte, con una penombra di verità sillogizzate e riflesse.
Restano ad ogni modo belle queste poesie: Gusto
semplice. Ovunque, Messaggio furtivo., Sera di giugno,
Tramonto, A te. Farfalle, Catulliana, Ritorno, almeno
per qualche tocco di panteismo ben reso o accon-
ciamente derivato, e per la impressione del fantastico
nel descrittivo, non ostante qualche evidente imita-
zione dal Carducci e da altri.
30I
IV.
Eccoci al terzo e ultimo periodo, quello della ma-
turità ideale. Già ne toccammo più innanzi. Tutti i
componimenti di questo periodo son compresi in più
volumi: nelle Poesie citate e in gran parte disaminate,
nelle Reliquie e negli Epigrammi e satire, i quali ul-
timi appaiono composti in più tempi. Delle Poesie
giova più ricordare, dell'80, Al fiumicello del mio vil-
laggio, Paesaggio fimeslo, Coìitemplando utia fotografia
di mia sorella morta, La bara; tutti sonetti, variamente
belli per espressione e per sentimento, ma più forse
pel sobrio ed efficace rilievo del descrittivo nel quale
è fusa con le memorie l'imagine ancor viva dei luo-
ghi. Qui il ricordo accorato della sorella morta è più
passionale che nell'ode a lei dedicata del 1875.
Eccone un altro gruppo: Gli uccelli, ode lodata dal
Vignoli, e mirabile di verità e di fantasia naturale;
1 malevoli , poesia schietta di umorismo impresso
nel divino senso della natura; // poeta vecchio, un po'
come la precedente e che ha un sano intuito di quelle
fonti di piacere e di gioia che più al poeta vecchio
non possono rendere l'anima della giovinezza; Saluto
nel bosco, ove la storia e la natura son congiunte in-
sieme da una nota di panteismo; Frate Alberto, ca-
ratteristica, curiosa e a un tempo arguta nel racconto
del frate innamorato nella pace del chiostro; Al Sonno,
che spira nelle morbide strofe una soave elegia di
ricordi. Con due mirabili sonetti chiudiamo il volume:
Temporale fra' monti e Rivedendo un vecchio castagno.
Son forse i più belli dell'autore, per rilievo di linea,
per densità rappresentativa, per comprensione icastica.
E qui tralascio di rilevare intorno a queste Poesie più
difetti o audacie di forma e di elocuzione.
*
Eccoci alle Reliquie (*}, venute in luce che non
sono ancora due anni.
{*) Seconda edizione — Treviso — Tipografia di Luigi Zoppelli — 1896.
302
Le odi elegiache In riva al Sile e // Canzoniere di
Peirarca le credo composte ad imitazione e dopo la
bellissima del Carducci nelle Rime 7iuove, dal titolo:
Notte di maggio. Son due componimenti a sestine pe-
trarchesche, trecentisticamente leggiadre di armonia
e di senso. Sono anche monoritme, cioè tornano per
tutte le sei strofe le sei rime della prima, come la
saliente nota de' ricordi mesti balza e torna nel cuore
di chi sente rivivere un passato lontano. Noto di volo:
Ora gioiosa (distici), Elegia (sestine), Notturni (ende-
casillabi, settenari e novenari), Giove toìiante (nove-
nari), Sogno e A mia madre (sonetti), Cimitero alpe-
stre (saffica). V ha indizi di arte più sicura, di più
diretta comprensione del vero, di più agevole varietà
di metri, e il contenuto è men turbato o interrotto
dal pensiero meditativo, come la natura raggia in una
più musicale leggiadria di ritmo e in una più mossa
semplicità di svolgimento e d'ispirazione.
XJ astro di Venere è, s'io non m'inganno, il primo
o de' primi tentativi di un'ode distica in rima, il che
aggiunge alla strofe una più naturale armonia; ed ha
tm sapor classico di forma e di concepimento, e in-
sieme una fragranza quasi greca. I sonetti patriottici
mi sembrano anche qui la parte men bella del vo-
lume: non vi è soffio né ala. Non così gli altri, fra'
quali mirabile di armonia e di rappresentazione è
quello, musicalissimo, A Tarcento, a canto al quale
bisogna ricordare una splendida elegia latina: Tar-
■centi laiides — Vengono dopo, pur leggiadri di va-
rietà, di amor rusticano e d'idillici ricordi, gli altri:
Da Sxmmar degna. La mia villeggiatura, Fiorella, A
■Sappada, Colloqui fra'' monti. Di sera, A Norina. I
silenzi sono come chi dicesse tre miniaturine in qua-
dretti, le quali infondono anche nella tenue semplicità
del piccolo verso un senso nostalgico della vita e del-
l'amore, del Creato e dell'Infinito. Anche le epigrafi,
in rime, efficaci per storica e incisiva concettosità ed
eleganza, sono una bella novità della raccolta. Se poi
volete gustare nella piccante snellezza del quinario e
inelle ridenti linee del paesaggio un inno cordialmente
303
convivale, frizzante di buon umore e di spirito e,
pieno di certa grazia casalinga, di certa confidente fe-
stevolezza, e in fine animato dallo storico e funebre
ricordo à^gV meliti di Lissa vinti, leggete la Sagra di
JVimis, Sono pur degne di nota l'ode alcaica A Giii-
* seppe Verdi, fluida e scorrente, e piena d' impeto e
d' armonia, e le saffiche barbare: A un amico poeta,
umoristica ed originale; Montecanino, un bassorilievo,
di senso e movimento carducciano; e Altri tetnpi, di
squisitezza classica ne' domestici ricordi e nel vigore
scultorio del paesaggio. E taccio di altre. La raccolta
ha pur versioni da Lucrezio, da Catullo, da altri, fe-
delissime; ma il metro elegiaco, il più ostico e diffi-
cile, quando non è reso con finissima arte musicale
e variato nel ricco ordito de' distici, è da posporre
alla prosa specie nelle traduzioni.
*
E siamo agli Epigrammi e alle Satire {*). Ve n'ha
di belli e di mediocri; molti anche potevano bene non
esser tratti in luce. Ad ogni modo, quando il vero
scatta vivido ed efficace, e quando le allusioni son
comprensibili, non mancano i sali, che spesso paion
più cercati che naturali. Ce n' è di tutt' i metri e di
tutte le salse, per ogni ordine di persone, e, si può
dire, su tutti gli argomenti; ma il verso non è spesso
caustico: talvolta non mostra neppure la punta. No-
tiamo di volo, delle Satire: Invito, Il pubblico. Una
caricatura. Chi vieti dopo. Ad un prete emancipato, La
famiglia di due epoche (dialogo con scene), Dialogo.
Degli Epigrainmi citeremo: Per 7in libro uscito in mal
punto, A un invidioso della fama altrui. Fotografia e
poesia, Per una donna di spirito, Un nuovo figurino.
Apologo, Le età della vita umana, E' antica e la mo-
derna fama, L'uomo quaV è. Pensiero d'uno scettico. Lo
stile è V ìiomo. La sorte di molti, Per uoyno vano, Un
(*) Treviso — Luigi Zoppelli, editore — 1896.
304
ìiiercante in riposo. Contemplando un vecchio, Dialogo,
Il mio epigramma. Ne ho voluto dare una serqua di
diverso valore, e fra' più felici; ma devo anche dire
che non di rado il vero spirito manca, o sprizza a
centellini come sugo da frutto immaturo. Vi si sente
lo sforzo e lo stento, o, meglio, più i palliativi del- '
l'ingegno letterario che tenta con le risorse della cul-
tura o della erudizione di colmar le lacune della vena,
che non l'umore di buona lega. Ma, ad ogni patto,
queste qui citate si leggono non senza diletto. E qui
infine ricordo, di passaggio, un ultimo volumetto del
Pinelli, ma di prose: Ritagli di tempo (*j. Ed è un
libriccino veramente pregno di pensieri e di verità,
e insieme utilissimo alle famiglie e alle scuole per le
sane e concettose osservazioni intorno all'anima umana,
alla natura, alla vita. I.o raccomando anche ai pro-
fessori di lettere perchè ne ritraggano temi, e la messe
vi è abbondante, in servizio de' loro alunni.
V.
Abbiam visto ne' vari volumetti qui disaminati quanto
ricca sia la tavolozza del Pinelli, e quanto versatili
sieno le sue attitudini che non poterono pienamente
esplicarsi per colpa forse de' tempi o delle sue cure
scolastiche. Alla poesia vera, disinteressata, artistica
occorre molto più tempo che non paia agli orecchianti
novelli: vuole essa tutto l'uomo a sé; né sempre ab-
bondano all' anima i felici momenti di calda ispira-
zione per versar su le cose un luminoso getto d'ima-
gini e di colori. Tuttavia il Pinelli é, almeno per arte
se non per impeto, un de' migliori fra' più lodati
poeti contemporanei della sua e della presente gene-
razione. Non ha certo attitudini e facoltà per le alte
creazioni, com'è ben lungi dall'emulare solo un tòcco
di quel grandioso che spesso vive ne' suoi celebrati
maestri. Il suo mondo è, almeno come soggettivo con-
cepimento, assai più modesto, ma pur vario di aspetti.
(*) Gividale — Tipografia di Giovanni Folvire — 1893.
305
La patria e la libertà, la scienza e la natura, l'amor
della donna, della famiglia, di tutte le cose: ecco le
sfere del suo mondo ideale, abbastanza vasto, inter-
minabile anzi; ma il poeta vi si raccoglie entro brevi
confini, e leva poco alto il volo spesso interrotto dalle
scogliere della filosofia. Con tutto questo, quando la
vena gli abbonda, anche intorno a quel piccolo volo
sa scoprir delle cose un aspetto, una linea, un con-
torno che imprimono nell' anima un palpito, un'ima-
gine, un risveglio di ricordi da cui fluisce un' onda
calda di poesia; e a chi legge piace riguardare com-
mosso quelle miniaturine di luoghi, quei quadretti
della vita semplice, quelle piccole scene di terra ver-
gine. Com'è bello e sereno quel lembo di cielo e di
terra che splende sopra e intorno al suo nativo Sile!
e come palpita e ride il paesaggio su Tarcento e da-
vanti alla sagra di Nimis !
Quanto sospiro di elegia e di ricordi non alita nelle
odi e ne' sonetti per la sorella Carlotta! e quale pu-
rezza greca non rinnova 1' Astro di Venere! Il poeta
è sempre più immediato quando ci rappresenta le
gioie e i dolori della famiglia e dell'amicizia, il riso
della natura, il pianto degli oppressi, o quando ci dà
un' imagine del classico mondo. Già dicemmo degli
elementi che a grado a grado concorsero al suo svol-
gimento lirico, da quando un po' retore attinse forme
e ispirazioni dalla scuola che precesse e seguì il 1848,
un po' arcaica, un po' latineggiante, insino alle più
naturali e più semplici manifestazioni del pensiero
moderno a cui giunse per mezzo di Lucrezio e del
Trezza intorno alle migliori fonti classiche. E appunto
questa infusione di antico e di recente rende preferibili
i suoi canti alla prosa rimata e slombata dell' usata
poesia. Disposto da natura ad assimilare ogni rinno-
vamento, fini imitatore del Carducci su 1' esempio
delle Odi barbare;^ riuscì a darci in que' metri, — il
fior più puro della sua maturità, — anche un senso
musicale e ritmico che manca in quasi tutti gli altri
imitatori, temperando essi metri o con la rima o con
una più regolata concinnità e mistura di suoni non
20
3o6
ostante la monotonia che pur si osserva qua e là. Per
tutto questo il Pinelli va degnamente ricordato fra'
più veri poeti contemporanei; e da lui, che appar di-
menticato fra tanti versaioli che accattano la falsa po-
polarità, possiamo attenderci ancora una più ricca e
più matura messe di canti.
E' pur vero che, in tanto debaccare di prosa e di
poesia giovane o dell'avvenire, si dee mirare ancora
a' superstiti della generazione che anche concorse a
fare l'Italia. Fra que' superstiti è certo il Pinelli.
XXVIII.
Padre Agostino da Moutefeltro ^"*
u^NTORNO a questo frate, la cui vita ha più tratti
^f^i veramente caratteristici o curiosi, si è for-
mata, nella conscienza degl' increduli e dei
credenti, una strana leggenda. E come tutte le anti-
che leggende, ancor questa è come circonfusa da un'
aureola mistica, da un fantastico miraggio di vapo-
rosa idealità.
Questa del frate parmi la storia commovente di un'a-
nima che dagli amori e dai traviamenti mondani si
levi e si purghi nel lavacro della fede, che alla fede
vigorosamente s' abbranchi , e per la fede ragioni e
combatta. E come intorno a queste povere anime pec-
catrici, le quali resesi a vita di spirito voglion pu-
rificare con una vita di mistico sacrifizio il lor pec-
cato di terrena fragilità, nel cuor de' credenti e nel-
l'agile fantasia del popolo si vien come tessendo una
fulgida tela d' imaginose e iridescenti credenze ; così
intorno a Padre Agostino , nella quasi idolatria dei
fedeli e nella dolce venerazione degli scettici , si è
venuta componendo una curiosissima istoria tutta in-
tessuta di vaghi ma falsi racconti, di amori strani e
di duelli, di reminiscenze patriottiche e guerresche e
anche di peggio , coi tenui sfumanti contorni d' un
romanticismo ascetico. Strana apparizione davvero in
questo volger di secolo sì crudamente scettico. Non
parrebbe credibile, in chi lo ignorasse per saper solo
di lui ciò che ne dicono i giornali , quel quasi re-
(•) Questo studio fu inspirato dal troppo acceso entusiasmo che troppi
anni fa provocò in tutti la parola di Padre Agostino. Ora è debito d'impar-
zialità l'aggiungere qui in nota che mollo si d.-ve attenuare delle lodi che
qui vengon tributate all'oratore, la cui eccellenza non esce di troppo dai
puri confini delle forme estf-riori e della mimica sacra, chi' anch'essa va
perdendo cogli anni l'attrattiva di una volta da cui sommamente dipen-
deva la generale suggestione degli ascoltatori entusiasti , suggestioue di
cui vengono in questo medesimo studio additate le cagioni.
5oS
li.u:ioso commovimento, quella febbrile curiosità, quel-
r instintivo senso d' ammirazione che il solo aspetto
del frate comunica a tante anime, a tanti ascoltatori
di fede diversa, sia che se lo sentano vicino, sia che
pur di lontano n' odano il lieve calpestio degli agili
passi.
* *
Innanzi tutto, un pò di storia.
La storia , com' io la narrerò , è breve , ma vera.
Proprio il frate la riferì all'illustre benedettino Padre
Tosti; ed io la seppi da un frate riformato , dello
stesso ordine francescano al quale appartiene Padre
Agostino. Il nome suo vero che lo Stato Civile re-
gistra, il nome suo secolare non è, naturalmente, Ago-
stino , ma « Luigi Vicini. » Il frate ha 60 anni : eì
nacque il i. marzo del 1839 da Giambattista Vicini
e da Orsola Mariani in S. Agata di Montefeltro, ch'è
un piccol comune (ab. 4765) della provincia di Pe-
saro, ed è capoluogo di mandamento del circondario
di Urbino. La prima sua educazione fu religiosa, ed e'
l'ebbe nel vicino seminario di Pennabili, altro piccol co-
mune del circondario medesimo; ma ne uscì presto, as-
sai prima di compiervi gli studi. Il padre, che era un
onesto fabbro ferraio, volea farne un sacerdote; ma, a
corto di mezzi, fu costretto richiamarselo, per fargli ap-
prendere l'arte sua. Ed egli, ancora adolescente, stiè
nell'officina del padre, non d'altro desideroso che di
riescire un buono e onesto operaio. Ma per solo un
anno ei l'ebbe nella modesta officina sua : il figliolo
ben presto ritornò, per la generosità del vescovo dio-
cesano e pe' consigli d' un mecenate sacerdote , nel
seminario di Pennabili, ove si segnalò per la mitezza
dell'indole buona, per certa muliebre soavità e gen-
tilezza tenera d'animo, e più per l'ingegno acuto con-
giunto a un grande amore agli studi ecclesiastici.
Certa voluttuosa mobilità della dolce natura , certa
mollezza di sentire, certa squisita sensibilità di cuore
lo portavano inconsciamente a un mistico sentimen-
309
talismo, al sovrasensibile e a una idealità d' inspira-
zioni non mai spoglie d'una cotal debolezza tutta uma-
na, tutta mondana, non mai prive di quel non so che
di tenero, di carezzevole, di piacente ch'è sempre in
fondo alle anime sol fatte per l'amore, per la pietà.
Queste qualità rivivono eloquentissime nella parola
sua d'oratore mirabile e seducente.
Forniti gli studi ecclesiastici , venne ordinato sa-
cerdote; e poco di poi, primeggiando per le non co-
muni qualità dell'ingegno, fu nominato canonico del
Duomo.
In questo tempo prese a educare e istruire un'av-
venente giovinetta, e, solleticato irresistibilmente dal
dolce peccato, ei l'amò: in ogni umana instituzione,
in ogni anima teneramente voluttuosa , anche nella
mistica spiritualità della religione , e' é il fiore della
poesia, e, terrena seduttrice, la donna. Dunque l'amò,
e n' ebbe una figliuola. Sùbito dopo fuggì , inosser-
vato, in un eremo della Toscana: ivi si diede a vita
di spirito, e scelse l'ordine dei Riformati: solo nella
pace del poverello d' Assisi poteva trovar confor-
to, potea purgarsi, povera anima ! Così visse, igno-
rato, per parecchi anni. Ma quando tutto parca av-
volto come nella penombra dell' oblio, egli apparve,
come una visione, sui migliori pergami d' Italia, nel
santo apostolato della fede e della compunzione ; e
dal commovente episodio di un amor peccaminoso egli
ci è apparso, luminosa meteora, nel fulgido orizzonte
dell'arte.
Ma pur troppo ei sa congiungere all'arte la carità.
E' a Pisa un pio istituto, da lui fondato, di povere
orfanelle: lì educò e crebbe alla pietà la figliolina sua,
€ per queir instituto il simpatico fraticello chiede e
accetta l'obolo dei fedeli: ivi è tutto il suo mondo e
l'avvenire. Egli ama instintivamente gli sventurati.
Quando fu a Milano a farvi il quaresimale nella chiesa
di San Marco , spesso fu visto andare a visitare e a
soccorrere una povera giovinetta nel Pio Istituto dei
Ciechi, il che dette luogo a una curiosa leggenda ch'è
bene tacere. E qui tralascio molti altri particolari della
3IO
sua vita, i quali dettero il volo a troppe invenzioni
romanticamente leggiadre.
Dunque , anche i fatti , in parte avventurosi , di
Luigi Vicini , canonico della collegiata di Pennabili,
maestro e amante di una gentil giovinetta, e poi pro-
fugo e frate e oratore , molto si prestano a colorire
una romantica leggenda , che ha sì gran parte nel-
l'animo di quei fedeli che provano come un sussulto
di trepida venerazione dinanzi alla bella persona e
alla fascinatrice parola del padre. La breve storia del
frate è per sé sola fantasticamente caratteristica e ha
un non so che di potenza ammaliatrice , non vera-
mente per la novità e singolarità dei casi , non per
gli episodi che le dian sfumature come di romanzo,
ma perchè ha seduzioni in quel senso d' umanesimo,
di terrena fragilità , vorrei dir di carnalità e di sen-
sualismo, che fa amare , che fa idoleggiare le anime
che peccarono per amore, e che poi vollero purgare
il peccato facendone ammenda nello spirabil aere della
fede. E questo, che pure avviene in ispiriti volgari,
provoca seduzioni di gran lunga più intense in quelle
anime superiori che, sia con opere d'ingegno che di
mano, più fecondamente operarono dentro di noi.
Tutto questo diventa idealità e insieme leggenda,
culto e poesia, miraggio e venerazione ; è il mistici-
smo del sentimento nella pietà pei grandi caduti, nel-
l'adorazione della bellezza.
Come allora spiegar diversamente que' fremiti di
entusiasmo che in tutti trasfonde la bella parola e
l'attraente persona del Padre dovunque e' vada a por-
tare l'ideale di Dio e della fede?
La dolce figura del frate mi fa rifiorire in mente e
più nel cuore l'angelicata e spirituale sembianza del
Beato Angelico che alla festa de' colori conciliava
quella dello spirito nel simultaneo rapimento della
fede e dell'arte. Ma il nostro frate ha pure qualcosa
che a quelle care imagini mancava o appena appariva,
com'ombra, di tra i vaporosi veli che le avvolgevano
tutte nella immobilità dell' estasi : ha qualcosa che
311
nell'Angelico cedea all'ascetica visione della fede an-
che nelle belle movenze e nelle delicatissime minia-
ture delle sue madonne. Padre Agostino coli' alata
parola anche dipinge e colora con quella trepida e
soave dolcezza che invade le anime pie sotto la inef-
fabile e inebriante impressione della fede: dipinge e
colora come se un'altra mano movesse la sua, come
se la voluttà di Dio imprimesse inconsciamente la vo-
luttà dell'arte. E pure non parmi così immobile l'arte
di quest'oratore che ha ancora certa accensione e certo
fremito interiore che valgon più di quel rapimento e
di quell'estasi. L'anima sua in cospetto di Dio s'agita
e rugge con gli stessi turbamenti che hanno le umane
passioni ne' loro contrasti i quali si fanno arte e fede,
idealità e palpito, commozione e adorazione.
Il frate a Dio sale , non angelo o fantasma , ma
uomo, non sovrasensibile farfalla, ma peccatore, nel-
l'azzurro mistico della religione e nella mondanità
dell'arte. Ma la fede si umanizza in Dio su per le vie
dell'ascetismo.
E dove il Segneri — salvo la grande differenza del-
l'ingegno e dell'arte — pur si abbandona a certo le-
vigato paludamento di forme e a certo contenuto in-
timamente metafisico e trascendentale ; e dove altri
insigni oratori lasciano perdere la lor parola in circon-
locuzioni evanescenti; Padre Agostino ha solo un so-
spiro che gli vien dall'anima e che si desta in tutte
le anime, ha solo un palpito che gli vien dal cuore
e che si sveglia in tutt'i cuori: ha, nell'incrociamento
quasi voluttuoso delle braccia, ne' morbidi e delicati
profili dell' acceso volto, ne' misurati e composti at-
teggiamenti della bella persona , agile , diritta, slan-
ciala, un acuto profumo di poesia che di terra si leva
come un'ala verso il cielo, con dolce e umano rapi-
mento , nella insinuante parola del perdono e della
preghiera. E' sente Iddio e insieme il mondo, il pec-
cato e la sua purificazione : sente il desiderio e il
palpito delle anime nel desiderio e nel palpito della
fede. La sua parola ha 1' elevazione del canto e la
soavità dell' idillio , ha il misticismo del sovrannatu-
312
rale sfumante da' ripostigli della conscienza umana e
il senso del paganesimo nel contenuto della liturgia:
par che la terra si perda e vanisca nell' azzurro e
che il divino concento delle cose aliti e attinga il cielo
su l'ali dell'inno; ma da quell'olimpica visione eterea
anche traspare la terra, la umanità caduca, come nel
Paradiso dell'Alighieri la flagellante e passionale pa-
rola di Pietro contro la corruzione mondana dei pon-
tefici.
Tutto questo par nuovo nell'oratoria sacra moder-
na; e tutto questo piace, commuove, seduce. Niente
di quel ringhio rabbioso e declamatorio de' soliti la-
ceratovi di ben costrutti orecchi: il frate, tenero e com-
mosso, piange e ragiona, maledice e ricrea, conforta e
ciba di speranza buona le anime. Non si divincola con-
vulso sbatacchiando le nocche della mano sul pergamo,
come energumeno; egli incrocia amorosamente le brac-
cia, e trepido e accorato volge al popolo e al croci-
fisso le mani supplichevoli , la pia faccia lacrimosa,
e, in quel dolce e fervoroso abbandono , prega , so-
spira, medita, canta.
L'arte sua, per me, è in quel gorgheggio come d'usi-
gnuolo, in quel trillo come d'allodola, in quel quasi
cinguettio di voce che risona gì' intimi concenti del-
l'anima commossa: é in quel volgere , or pio e sor-
ridente, or lacrimoso e accorato, il bel volto a' fedeli,
in quel lieve e tremulo dondolar del capD e dell'agile
persona, in quell'intrecciar delle belle dita affusolate
e candidissime, cioè in tutti que' moti i quali colla pa-
tetica dolcezza della voce, che par canto, producono
il fascino e la commozione.
L'arte sua è tutta di sentimento, tutta umana, tutta
vera.
Il frate adunque sa sposare sempre al contenuto teo-
logico uno squisito senso di puro e vergine umane-
313
Simo, e in ciò è il maggior segreto dell'arte sua. Ma
quando lo coglie una sùbita ira o un grande ideale
morale e civile, la sua parola diventa canto inspirato,
e corre e si snoda velocissima nelle duttili e fluidis-
sime spire delle articolazioni e dei suoni che impe-
discono di seguirlo e spesso di comprenderlo: allora
e' tutto si accende nel volto , e 1' uditorio si sente
scosso come da elettrica scintilla: gli tremano in quel
momento le vene e i polsi, e il suo accento diventa
meraviglioso, sia che benedica, sia che maledica; sia
che scoppi in singhiozzi di disperazione, sia che rom-
pa in enfasi di adorazione.
Non si propone di dire verità astruse o altamente
teologiche, e perciò incomprensibili: dice cose spesso
umili, ma le comunica originalmente, rendendole col
fior dell'arte, col fior della poesia, accessibili a'
fedeli, a tutt' i fedeli. Sale per poco nel cam-
po delle astrazioni, ma subito ne discende per toc-
car da vicino il cuore del popolo. Non sempre com
batte con accanimento la incredulità , ma spesso la
respinge, commosso, umile, persuasivo: la sua parola,
pur quando è polemica, risuona sempre nell'anima
di tutti, financo de' nemici della chiesa, come una dolce
e voluttuosa carezza che consola, anche non persua-
dendo, e con un'arte che lascia soddisfatti, anche senza
convincere. E questo come idillio di pace ha di quella
carità serafica, di quel socialismo cristiano, che fu del
poverello d'Assisi. Ecco perchè, anche nel suo mondo
di fede, spesso si sente il dolcissimo nome di patria,
di libertà. E come si accende e si eleva il nobile frate
quando nel suo cuor d'uomo moderno sente palpitare
quella carità che sotto la tonacella di francescano gli
fa fremere la parola col santo ideale della patria e
della fede nel simpatico apostolato patriottico della
religione e della umanità civile 1
XXIX.
Doineuico 3Iilelli,
_(j\V)j^^ERO figlio delk forte Calabria, di cui soprat-
fr^^'fSÉ) tutto rivela la fierezza dell'animo e l'accesa
'*S^^^^ vigorìa dell'ingegno, ei nacque in Catanzaro
il 25 febbraio 1S41 da Caterina de Siena e da Giu-
seppe Milelli di stirpe nobile e antica. Neil' agosto
del 1888 tolse in moglie la cosentina Antonietta Mar-
tire da cui ha finora avuto due figliuoli, Guido ed
Ugo, il quale ultimo, di pronto e vivacissimo ingegno,
lo accompagna sempre nelle sue continue peregrina-
zioni artistiche. Compì i primi suoi studi nel semi-
nario di Catanzaro dove i genitori vollero per tempo
mandarlo con la pia intenzione di avviarlo al sacer-
dozio; ed ivi ebbe i migliori fondamenti nel greco e
nel latino che seguitò poi a studiare da sé, sotto gl'in-
flussi de' tempi nuovi e della nuova filologia che ap-
prese altrove col vivo contatto d'insigni maestri. Ebbe
anche una grande inclinazione all'arte del disegno di
cui giovinetto fu innamoratissimo, ma dovè poi mu-
tarne gli amori con lo studio e con 1' esercizio con-
tinuo della poesia ove trasportò la fantastica vivezza
e lo smagliante colore del divino paesaggio meridio-
nale.
Nel 1864, essendo ancora in Calabria, scrisse e pub-
blicò un inno al Foscolo che un anonimo tradusse poi
in inglese. Per una di quelle curiose e insieme strane
contingenze, non insolite nella nostra letteratura e
nelle straniere, avvenne questo singolarissimo fatto:
lo stesso fu poi tradotto in italiano da un tale che si
firmò con le iniziali F. U. (Felice Uda?) e che lo cre-
dette di fonte inglese! Quando poi, nel 1865, lasciò
la sua nativa regione, ei patria 7ion conobbe altra che
il cielo', e fino al 1873 andò peregrinando per tutta
315
l'Italia avendo solo a geniale compagna la poesia, a
cui spesso non mancarono i sorrisi della gloria in
mezzo alla più dura e travagliata esistenza che non
di rado gli negò lo scarso e amaro pane che ramingo
andava cercando. Fu dei pochi, se non forse il solo,
che dalla immeritata sventura e dalla nobile povertà
attinse in questi ultimi tempi col valido ingegno forza
e alimento di pensieri alti e di aspirazioni magnanime.
L'unico suo rifugio è quello dell'Arte e della Poesia.
Tutt' i colti lo conoscono e lo ammirano come uno
de' più forti e ispirati poeti della sua generazione; e
se, più per colpa del bisogno e delle agitate vicende
che non sua, si mostra talvolta ombroso e rude per
un che di selvatico del carattere e dell'ingegno, a
chi sa prenderlo pel suo verso e intimamente lo co-
nosce appar più di frequente assai buono di fondo,
cordiale, espansivo, e non di rado generoso. Turpe
leggenda, com'è sorte di tutti quelli che menan vita
irrequieta e vagabonda, ne perseguita la fama, e lo
ritrae come un uomo volgare, ingrato, nequitoso, sui-
cida morale, odiatore della famiglia. Non è vero, o
tutto questo può solo parere da certi impeti selvaggi
che ne offendono 1' esteriore ma non 1' intimo, eh' è,
come abbiamo accennato, ruvidamente e bruscamente
buono. Egli ama potentemente la famiglia, e per essa
non ha mai pace sotto un sol tetto, sotto un mede-
simo cielo; l'ama sino al segno di vederlo fremere od
insorgere come leone ferito al solo pensiero di non
aver nuove di lei, che in parte si vive a Catanzaro:
quivi è la sua Antonietta con l'altro figlio Guido.
Ecco ora in breve i diversi passi del peregrino suo
ingegno. Nel 1873 pubblicò, non senza contrasti, il
primo suo volume di versi, dal titolo « In giovi-
nezza »; nel '75 la Gioconda; nel '76 nuove liriche,
Hyenialia, e sino al '79 altri versi pei giornali e prose
critiche e polemiche, finché, nel '79, vennero fuori
le sue Odi pagane ch.Q gli aprirono il primo vero passo
i6
alla gloria e che meglio segnarono i caratteri e la
forza della vera sua facoltà poetica. Nel 1880 lo vidi
a Napoli, dove lo conobbi in un bel cerchio di ani-
mosi giovani repubblicani che anche indulgeano ne'
facili e troppo liberi ozi alle muse e all' amore: era-
vamo presso il periodo inaugurato da Angelo Som-
maruga nel cui cenacolo non entrò o non volle mai
entrare il nostro amico che proprio in quell'anno in-
tendeva alla composizione di un suo primo e origi-
nale poemetto, il Kokodé, di cui durante una splen-
dida notte di agosto da noi romorosamente trascorsa
sul mare incantato di Posillipo cominciò a leggere a
me, all' amico Farnese, a Giuseppe Mezzanotte e ad
altri molti, alcuni bellissimi canti. Dal 1880 insino al
'97 ei si visse come appartato dal mondo e lungi da
quel covo di pappagalli lusingatori che dal « Corriere
del Mattino » di Napoli passarono poi a schiamazzare
nella « Cronaca bizantina » di Roma, in quella men-
tita primavera di poesia che parve insolito risveglio
di gioventù: da qualche tempo, costretto a vivere in
piccole città per tutt' altro bisogno che della gloria,
e' volse l'animo e l'ingegno a un ordine più alto di
poesia, alla poesia storica, nella quale infuse, con san-
guigni e accesi colori^ quella parte del suo spirito
ribelle che non ancora si era tutto rivelato, e che a
grado a grado usciva impetuoso dal primitivo invo-
lucro. Era questa la poesia de' suoi poemetti che da
soli due anni e' va recitando qua e là per tutta l'I-
talia, e che ovunque desta intorno a lui un crescente
palpito di ammirazione: è l'ultimo stadio, forse, della
più vera e della più compiuta e organica sua perso-
nalità. Mentre, quasi fino a ieri, tutti lo credeano
fioco per lungo sile?izio, eccolo apparire, come lumi-
nosa meteora, più bello, più vivo, più raggiante, sul
pallido orizzonte dell' arte contemporanea. Innanzi a
quest' ultimo definitivo svolgimento dell' arte sua, si
andava man mano preparando a più sicure e più fran-
che elaborazioni e a più recenti e immediati conce-
pimenti attinti alle vive fonti dello spirito moderno;
e cosi intorno all' '80 ei scrisse tre odi su la Povertà,
317
e via via il Novo Canzoniere , il Rapimento di EleJia,
i Diporti letterari e finalmente il Verde antico, ricco
manipolo di versioni ammirate dal Bonghi e da altri
insigni e che anc' oggi rivelano la profonda sua cul-
tura classica di cui non danno esempio i più de' no-
stri giovani rimatori ed anche alcuni fra' più lodati.
E taccio di tanti altri versi e prose e versioni che
quasi alla chetichella e come inavvertite apparvero
per più anni in riviste anche minori.
Tanto lavorìo di preparazioni quasi continue, da
lui fatto per bisogno di pane che non mai gli abbondò,
ci fa presentire quell'aura nuova e più accesa del-
l' epica sua trilogìa di cui fan parte tre poemetti, il
Prometeo, già pubblicato in edizione elegantissima (*),
e il Laocoonte e V Ercole tuttora inèditi, che tutti in-
sieme vengono a comporre una originale rappresen-
tazione di quasi tutta la mitica e storica evoluzione
umana, percorsa da una continua iliade di dolori, di
lotte e di trionfi in cui fin'oggi si agitò 1' anima ap-
passionata di tutt'i popoli e di tutt'i tempi. Tema va-
sto e superbo, e insieme vero e presente, tema finora
intentato fra noi con si profonda larghezza e con sì
audace concepimento. Il poeta lo affronta, e a un
tempo, ebbro di fede e d'ideali, lo conquista e lo im-
pone all'ammirazione degli ascoltatori, i quali si sen-
tono anche attratti dalla mirabile poesia della sua pa-
rola viva. Un altro poemetto, il Kokodè, già da noi
ricordato, e i Poemi de la Notte, pubblicati pochi
mesi fa (**), son due manifestazioni di arte diversa: il
primo, più sinceramente umano di contenenza, è certo
men forte e poderoso de' primi , ma di più limpida
e schietta inspirazione democratica e domestica, e di
forme più classicamente spigliate e correnti; e gli ul-
timi son come tante miniature della natura tutta com-
penetrata dal dolore umano, son come tanti abbozzi
o quadretti, di semplice e purissimo disegno, dove,
se desiderasi maggiore unità e una più larga deter-
(') Salvatore Marino, Caserta, 1899.
(■*) Salvatore Manno, editore — Caserta, 1899.
3i8
minatezza di linee e di scorci, è pur notevole quel
patetico nel vaporoso e sfumante del pianto delle cose
infuso alla infinita tristezza degli animali e degli uo-
mini, al dolce lume della luna, ne' calmi e pur do-
loranti chiarori della notte.
*
* *
Raccogliamo ora in rapido riassunto quello che a
noi pare di tutta l'arte del Milelli.
Assai luminoso è dunque il suo ingegno, il quale
particolarmente si rivela nella mirabile attitudine di
dar vita fantastica alle più simpatiche idealizzazioni
del vero, e meglio risplende nel tenace vigore nativo
che dà al canto la immediata freschezza e 1' acuto
profumo come di terra vergine. De' poeti giovani
ninno è più schietto, più forte e più vivo di lui: de'
men giovani forse il Marradi lo avanza per melodia
e per ala se non per impeto e per forza di fantasia
pittrice, e per nervo di poesia ha eguali ben pochi
della sua generazione e di quella di poi; per gusto
classico non molti lo superano, ed ha col Rapisardi
più contatti d'animo e d'ingegno. Fu il solo o almeno
de' pochi che seppe schivar bene la fanghiglia del così
detto verismo, e non imbozzacchirsi dopo nella gof-
faggine smorfiosa de' superuomini simbolici e dei ma-
nipolatori di geroglifici. A dir vero, non sempre il
colore è sobrio, non sempre la inspirazione è imme-
diata; ma, nella selvaggia esuberanza de' sentimenti
e delle passioni, negl' impeti mal repressi d' ire mal
dome e di amari disinganni, nelle irruenti aspirazioni
a' nuovi ideali della vita, la rappresentazione acquista
tale potenza giambica e tal nobile ferocia d' ispira-
zione, da non saperle trovare molti riscontri in si-
mili concezioni politiche e sociali d' altri lirici con-
temporanei, dopo l'autore de' Giambi e dopo il poeta
del Lucifero, delle Odi religiose e di Justitia.
Di lui scrissero o parlarono con vera ammirazione
così il Carducci come il Rapisardi, così il Guerrini
come il Marradi, così il Pessina come il Bovio, e al-
I
319
tri e altri dì questo stampo; ed a' tempi del Som-
maruga gli furono intorno per accattar fama o pro-
tezione molti dei giovani che ebbero od han tuttavia
qualche lampo di celebrità. Il Cavallotti, nelle sue fa-
mose Anticaglie , fu il primo a dargli il battesimo di
gloria; e a gara scrittori italiani e stranieri lo addi-
tarono fin d' allora come una delle più belle manife-
stazioni della poesia giovine e ribelle. Ne' migliori
anni della sua vita romorosa e vagabonda, girò tutte
le città italiane ove conobbe i più chiari ingegni e
coltivò le più ambite amicizie. Andò pure ramingando
qua e là come professor di lettere o direttore di gin-
nasi comunali; ma questa vita non deve piacergli
troppo, o gli piace solo con molta libertà e indipen-
denza. Non per nulla egli è un poeta ribelle. Ma
sembra incredibile come in tempi così grigi per l'arte
e per gì' ideali, ei possa destare da per tutto tanto
desiderio di sé. E' il vero tipo dell'antico rapsodo.
Il Milelli è anche un mirabile conferenziere: ha la
parola fervida e ricca, colorita e vigorosa, onde av-
viene che chi l'ascolta rimane come sedotto sino alla
fine da un continuo e crescente senso di meraviglia
sempre nuova e inaspettata. Non mai poeta italiano,
tranne forse il Giacosa che in verità non è poeta vero,
e il musicalissimo e soavissimo Marradi insuperabile
cantore della natura, die pubblica lettura di versi con
tanto successo, e niuno de' nostri dicitori anche più
celebri provocò mai così larga corrente di simpatie
fra gli ascoltatori di tante regioni, pur così diverse
di civiltà, d'animo e di coltura.
Il Milelli è di piccola statura, ma vegeto e sano
di corpo; ha gli occhi un po' torvi, ma scintillanti
d'intelligenza e di arguzia: ampia la fronte, le soprac-
ciglia aggrondate, calvissimo il capo, e quasi sempre
un cinico sorriso su le labbra. Nelle conversazioni è
genialissimo parlatore e sempre destro a tener viva
per lunghe ore la brigata con una inesauribile mi-
320
niera di allegre trovate e di aneddoti piccanti, che
sa cavare colla più spedita disinvoltura insieme con
gli infiniti ricordi d' arte e di artisti, di cui conosce
fino i pettegolezzi, dalla sua fertilissima e tenace me-
moria.
È socialista convinto e pugnace, tutto acceso a
diffondere e a propagar le idee e i principii del partito
a cui è ascritto; e in lui il socialismo italiano vanta
il più fedele e il più forte rappresentante artistico.
Fu garibaldino ardente e fé' parte alle battaglie della
indipendenza e della libertà; e oh! come s' accende
al richiamo di quelle memorie e de' più alti ideali
umani e civili che avvivano di tanta luce i più bei
quadri de' suoi poemetti.
Questo l'uomo, il cittadino, il poeta, che vive po-
vero, e a cui la società non ha saputo dare, non la
gloria, ma il pane, la pace e il lavoro, o meglio i
mezzi di un vivere più riposato e tranquillo, e co'
quali egli, a preferenza di tanti istrioni della cattedra
e de' più ambiti uffici, avrebbe potuto produrre più
feconde e più nobili cose a incremento della cultura
e dell'arte.
320 - A
XXX.
Angelo Sommar uga. (*)
(RICORDI d'arte)
Wo vidi la prima volta a Napoli, dell' Si, nei
..^ lim Piccolino ed elegante cenacolo editoriale di
iScrT^^ I-uigi Pierro, lì a Piazza Dante , num. 76.
Numeri e date e uomini, pel tempo a cui si riferiscono
i ricordi, assai importanti. Luigi Pierro è ancor vivo
e, nella medesima piazza e nel negozio segnato dal
numero istesso, fa 1' arte sua di sommarughino ope-
roso e di ricercato mecenate. Gli fan codazzo i gio-
vani e tutti que'pochi che soprannuotarono nel gran
naufragio di Angelino. Ed egli, munifico elargitore di
notorietà e di minuscola fama, prosegue d'amorevoli
cure le gloriole sue e ne assiste da buon ostetrico i
parti, addestrandoli con studioso amore nell' aringo
del quarto stato, sotto una biancicante nevicatina di
nitidi elzeviri e di libercolini volanti. E' un omarino
perticale ancor lui, e ha nel volto grinzoso, tra ruga
e ruga, cert' ombra di mistero che dà un senso di
freddo.
E' Angelino in persona, o meglio, nacquero en-
trambi da una medesima covata, editoriale e fisiolo-
gica; se non che quegli ha nell'osseo sviluppo perti-
cale del flessibile corpo, un più rapido movimento di
articolazioni: gli corron fremiti di vita per le misere
polpe, e, su le labbra, è un alito maliziosetto e sar-
(•) Questo medaglione, pubblicato nel 1893 dalla «Scena Illustrata»
eli Kii-cnze, fu scritto sotto la viva inipiessione degli ultimi scandali som-
marugliiaiiì clie l'urono in parte smentiti da alcuni diarii, e insieme sotto
l'acceso risveglio de' giovanili ricordi di quell'ambiente d'arte che andò
sotto il nome di Angelo Soinmaruga: a ciò si deve il caustico e il crudo
dello stile il quale non fa che rendere tedelniente e con immediata fran-
chezza 1' intimo spirito e i vizi e gli etfetti di quella cultura leziosa the
sotto mentite apparenze potò sembrare rinnovamento e fervore di gio-
ventù.
20 a
320 - B
donico di cinico riso, come d' un gran burlone che
la sa lunga e che si ride del mondo. Proprio così!
*
* *
Quand' io lo vidi un fugace lampo di pensiero rav-
vivava, con fosforescenza di troppo libera vita e di
più libera arte, un eletto manipolo di giovani napo-
letani, che poi in gran parte migrarono a Bisanzio,
guidati per mano da lui.
Allora il buon Martino Cafìero, anima di galan-
tuomo e cuore d'artista, avea aperto nella terza pa-
gina del Corriere del Mattino, eh' era in quel tempo
letterariamente il più educato diario meridionale, un
covo quotidiano di novelline, di poesie, di bozzetti.
Che un giornal politico desse ogni giorno questo caro
solletico a' lettori suoi, parve e fu veramente una me-
raviglia. Oh quanti pigolii di pulcini ancora implumi
allora allora esciti dalla covata! e oh quanti quoti-
diani starnazzamenti d'allodole, in quel caro e tepido
nido, che tubava d'amore! Come si rincorreano gar-
ruli e festivi gli uccellini mattinieri ! e oh quanti
cuculi facevano schiudere le loro ova da pennuti uc-
celli e assai poco mattutini . Come squittivano i
richiami ! Ma, in genere, era una covata quotidiana
assai passabile. Martino Cafiero vi portava la politezza
azzimata della sua prosettina elegante: Federigo Ver-
dinois la verve del suo molteplice ingegno; Matilde
Serao lo scintillante cinguettio del bozzetto coli' idil-
lica e femminina spiritualità, e la fantastica luce del
divino paesaggio meridionale; Domenico Ciampoli, fra
tocchi e sbozzi del paesaggio abrutino, facendo scor-
rerie nel territorio slavo, anglo - sassone e greco mo-
derno, russeggiava, e parca il Mezzofanti risorto di
tutte le letterature europee: Gabriele D'Annunzio, un
promettente germoglio del giovane e forte Abruzzo ,
era ancora nell' involucro, e dal suo guscio covava,
nel R. Liceo Cicognini di Prato, il Primo vere, e tra-
duceva Orazio. Salvatore di Giacomo, Vittorio Pica,
Vincenzo della Sala, Nicola Misasi, Francesco Cim-
32Ó - e
mino, Giuseppe Mezzanotte , Onorato Fava e cento
altri ivi arrotavano le loro prime armi. Nel 1881 tutti,
o quasi, erano letterariamente trasmigrati a Roma,
duce Sommaruga: dagli uffici del « Mattino » parte-
nopeo eran passati in Via due Aface//t deWa città, eterna:,
da un Mecenate all'altro. Veramente, eran prima an-
dati in Via dell' Umiltà, e se la memoria non mi falla,
al n. 79: subito dopo, in Via due Macelli che rimase
il loro Pantheon di gloria. Cominciò immediatamente
il gerarchico pellegrinaggio letterario nazionale: da
Bologna, da Milano, da Napoli, da Firenze, da Ge-
nova, da Catania, da Livorno, da Palermo, da Mes-
sina, da tutta Italia, i fratelli come per incanto s'uni-
rono a' fratelli, e, attratti dagl'incantesimi del mago,
fecero tutti comunione insieme, e la conventicola sù-
bito fu fatta.
Angelino avea già aperto un Olimpo, di dèi mag-
giori e di minori, d'evie e di ninfe, di fauni e di sa-
tiri. Ma chi dovea consacrarlo? Allora egli, cacciatore
lungo e feroce , andò sùbito a cercarlo , e colle
seduzioni del suo libertino e irresistibile fascino edi-
toriale lo adocchiò a Bologna , lungo le logge del
Pavaglione e dinanzi al cenacolo di Nicola Zanichelli,
all' ombra del monumento marmoreo del Galvani, e
l-o invescò. Il gran mago editore si unì presto al gran
mago poeta. E la consecrazione fu fatta. I giovani,
dèi minori e semidei , s' inchinarono al loro Giove.
Il tempio fu battezzato: Cronaca bizantina. Sul frontone
moresco inscrissero:
Impronta Italia dimandava Roma
Bisanzio essi le lian dato.
I versi gli avevan scalpellati da un bassorilievo di
ode giambica carducciana, ed erano gli ultimi due
versi dell'ode ultima del volumetto: Giambi ed Epodi.
Era intitolata : Per l^incenzo Caldesi. E il senso ripo-
320 - D
sto rispondea benissimo a' tempi e agi' intendimenti
de' novissimi vati. La Cronaca bizantina era la mensa
comune, come gli uffici del giornale n' erano il più
gradito epicurèo ritrovo. Lì, pe' gironi salienti dell'
Olimpo letterario ch'era come il CÌ7-co massimo dell'
arte novissima, davan tutti, per gradi, l'opera loro ;
ivi sedean tutti in circolo, epuloni chiacchierini e le-
pidi e lascivi, al culto di Bacco e di Venere Anadio-
mène ; e il trionfale fiasco di Chianti facea scoppiet-
tare la frizzante allegria e il salacissimo humor de' sa-
cerdoti olimpi! e delle procaci sacerdotesse le quali
non avean voluto dedicarsi al virgineo culto di Ve-
sta. Ma poi ciascuno, amante di certa autonomia,
producea da sé : meglio, eiaculavan tutti, in forma
più o men libera e scurrile, il novo verbo della scuola,
la quale volea parer bolognese o carducciana, ma in
fondo riesciva tutto l'opposto di quegl'indirizzi d'arte
che il poderoso poeta, pur dando del suo alla rivista
e alla collezione sommarughiana, proseguiva con li-
bero animo e con intendimenti sicuri, ma quasi sem-
pre non intesi da quelli che si provarono educarsi
alla religione sua. Nel bizantino Olimpo sùbito creb-
bero gli altari, e vi si canonizzarono novi santi.
Primo di tutti, tenuto a battesimo di gloria dal
Chiarini, Gabriele D'Annunzio. Sùbito dopo, Edoardo
Scarfoglio e Giulio Salvadori, i quali, un dopo 1' al-
tro, per turno, reggeano il pastorale o tenean la coda
agli Dei massimi, i quali ogni quindici o trenta giorni
vi dicean messa solenne : tenean poi bordone a' ca-
nonici mitrati e a' cantori che, nel coro augusto, in-
tonavano le lor salmodie. Il D' Annunzio, dopo un
bagno di sole carducciano, s'era gettato a capofitto
nella morta gora delle più lubriche nudità veriste,
che gli valsero i rimbrotti dello stesso Chiarini che
si dolse poi d'averlo tenuto a battesimo di gloria ;
Giulio Salvadori, poi convertito, dicono, al misticismo,
facea sermoni bizantini su 1' arte nova, e, qualche
volta, novellava tra un sacrilegio e l'altro commesso
dinanzi l'ara delle muse : Edoardo Scarfoglio vomi-
tava fiele contro tutto e tutti, e, or doìicìiisciottava
320 -E
prosaicamente, or poeticamente papaz'ereg-^'tava. Era un
convocio in quella torre di Babele dell'arte. Fuor di
chiesa, nidificavano. Com' eran chiacchierini e lasci-
vetti quei nidi ! Poi nidi s' aggiungeano a nidi, al-
l' ombra di frondosi alberi solenni da' ben nocchiuti
tronchi.
Nell'Olimpo la folla si pigiava, e gli altari più non
bastavano. Sotto il volo delle aquile roteanti squitti-
vano i cuculi, le allodole, i passeri, i fringuelli e più
i pappagalli lusingatori ; e mesceano le lor voci squil-
lanti e le variopinte penne nel gran parco sommaru-
ghiano, che parca il bosco incantato di Armida. Come
fulgeano civettolamente svenevoli que' libercolini in
elzevir ! Ogni giorno novissimi voli, nuovi canti, nuove
penne, nuovi colori.
Eran solleticanti bagliori di carta fragrante, solcata,
qua e là, da ninnoli tipografici che venian dalle offi-
cine àeW Arte della stampa di Firenze : eran fulgidi
ricami variopinti che incorniciavan soavemente di gè
roglifici e di frange le bellissime lettere delle testate
smaglianti : eran seducenti fogliolini d'orpello ove il
giallo, il roseo, il violaceo, il turcliino e il verde con-
fondevano le lor malie tentatrici : era tutta una fiorita
di miniaturine appetitose e di filagrane sgargianti. E
così, tutta questa processione di gingilli barocchi riem-
piva le dorate vetrine sommarughiane, ammiccanti
con sorrisetti muliebri all' uzzolo de' curiosi. — Gli
elzeviri paiipii lavano , colle lor variegate penne di pa-
vone, gl'incipriati ripostigli e le voluttuose bacheche
bizantine, e pareano tante odorose bomboniere di
quella galante pasticceria letteraria.
*
* *
Oltre i citati scrittori, moltissimi altri, grandi e pic-
cini, concorreano all'industrioso lavoro.
Ruggero Bonghi , il platonico puttin pieno d'ingegni,
lasciati in disparte Platone e le tormentose cure della
320 - F
politica, volle indulgere ne' brevi ozii all'arte bizan-
tina col dare il volo alle sue Horae subsecivae : En-
rico Panzacchi, appisolandosi al rezzo di quel tenero
fogliame, accarezzava figurine mondane nella cipria
della novellina e del bozzetto ; Vittorio Imbriani, il
livido misantropo e il famoso ghigliottinatore delle
fame KSìirpate, avea lasciato la poesia del canape per
avventurare alla pubblicità — chi '1 crederebbe ? —
un volumettino elegante : Dìo 7ie scampi dagli Orse-
iiigo ; Emma Ivon, l'atletica eroina d'un processo ce-
lebre, abbagliò mille lettori e mille lettrici avidissime
delle sue memorie : Rocco De Zerbi, il brillante scrit-
tore or ora scomparso dalla scena della vita, il pole-
mista tibulliano che osò cimentarsi col Carducci e lo
sfolgorante direttore del Piccolo di Napoli, lanciò in
quell'agone due romanzi saturi di romanticismo emo-
zionante : Pietro Sbarbaro, con « Regina o Repub-
blica ? », col « Re Travicello », con « Medico e Mi-
nistro », già facea presentire i brividi delle ^w^ For-
che caudine imminenti. E Gaetano Trezza, Giovanni
Marradi, Giovani Pascoli, Giuseppe Chiarini, Guido
Mazzoni, Ugo Fleres, Cesario Testa (Papiliunculus),
Carlo Pisani (Carlo Dossi), Giovanni Verga, Luigi
Capuana, e altri cento, quali con articoli e quali con
libercolini mondani, fornian leccornie e intingoli alla
bizantina imbandigione. Alla Cronaca tenne subito
dietro la Domenica letteraria, la seconda figliuola del
Martini , la quale divenne una seconda palestra pe'
giovani animosi : era un supplementino all' organo
magno, un piccolo oratorio nel Sancta Sanctorum del-
l'Olimpo. Ma, quando la capelluta cometa stava per
disparire dall' orizzonte economico sommarughiano,
ecco sopraggiungere , con fremiti di focosissime ca-
valle nitrienti e con satanici squilli di battaglia , le
Forche cavdine. Furono un fuggevole ristoro al crac
finanziario di Angelino : furono il diabolico giudizio
universale sull' Italia adultera : furono un infernale
tribunale di accusa contro uomini puri voluti confon-
dere, non senza impunità, con satiri corruttissimi e
con famigerati lenoni. La cometa era riapparsa più
320 - G
fulgida e crinita su l'orizzonte bizantino, ma questa
volta era sanguigna. — Facea presentire cose tristi
sotto l'influsso di stelle maligne. E quando, di scan-
dalo in scandalo, neppur la parola di Sbarbaro valse
a ristorare la povera finanza di Angelino, questi, con
novo ardimento, procreò, prima il Messaggero illu-
strato., indi il Nabab, diretto da Enrico Panzacchi. Ma
gl'italiani non voleano più saperne né di cronache
e cronacatori né di dometiiche né di messaggeri né di
Nahab : eran fracidi seccati.
Scomparsa la cometa, ecco subito due scandalosi
processi: quel di Pietro Sbarbaro e quello di A. Som-
maruga. Di costui si potè dire: cadde, risorse e giac-
que. Ma il mago avea detto:
:^ie^lractij.s illabatur orbis 0.^c^ '
Impavidum &fìferient riiinae.
E fuggì in America. E mentre Pietro Sbarbaro con-
fortava l'animo suo col brevissimo e illusorio trionfo
di Pavia, Angelo Sommaruga, a Buenos-Ayres, creava
un emporio, una Banca e la Patria italiana: fondava
un novissimo Olimpo letterario-editoriale: giocava au-
dacemente alla Borsa. Ogni tanto ci giungea dal Nuovo
Mondo l'eco di qualche sua nuova magia. Un giorno
si disse che avea vinte alla Borsa non so più quante
centinaia di migliaia di lire. Ma, pochi giorni or sono,
con un laconico telegramma di tacitiana evidenza,
l'Agenzia Stefani annunziava: — La Banca, l'emporio e
la Patria italiana, in Buenos-Ayres, hanno sospeso i
pagamenti. Sommaruga é fuggito — E, qualche giorno
di f)oi, ci giungea dal Nuovo Mondo un'altra notizia:
Sommaruga avea portate con sé anche nove mila lire,
frutti di una sottoscrizione da lui promossa in soc-
corso d'una povera famiglia italiana. Angelino avea
tentato anche un tranello di borghese filantropia. E
così questo Dottor Pertica (era il bizantino pseudo-
nimo suo), questo palmipede dell' imbroglio, questo
istrione dell'industria, questo cospiratore delle borse,
incarna, anche nella singolarità del belluino suo corpo,
320 - H
le forme e i caratteri di un perniciosissimo Falstaff
moderno. Colla Farfalla di Milano, organino dome-
nicale fatto da ottentotti, arrotava le prime sue armi.
Colla Cronaca bizaìitbia creava il Sancta Sa?ictoriim del-
l'industria. Vi si trafficavano le anime e i cuori, sotto
l'egida impura di dèi tenebrosi. Cattedre universita-
rie, classiche e tecniche; concorsi ed esposizioni; uf-
fici e gradi e onorificenze, tutto, tutto, tutto dipondea
da quella casa del diavolo orpellata da fogliolini in ei-
zeinr. Ma si dovea prima pagare assai caramente, non
senza una trafitta al cuore, il pedaggio della celebrità
e degl'impieghi, altissimi e infimi. Il \^oto di Michetti
informi. Colle Forche caudine inaugurava il regno de-
gli attentati all'onore qual cespite d'industria. A Bue-
nos-Ayres, transfuga audacissimo, ha la forza di ri-
sorgere colle mentite apparenze di giovare alla colonia
italiana. E cade per l'ultima volta, e fugge, e lascia
sul lastrico mille famiglie, ma prima ha voluto, tanto
per parere più audacemente e ingegnosamente ne-
fando, servirsi della carità cittadina come sorgente di
nuove rapine.
Dove sarà andato, ora, e che cosa farà, questo ven-
turiere dell'immoralità? Non dubitate. Il vecchio e il
novo mondo più non gli basteranno. Andrà e saprà
scovarne un altro, per lui! Ma di che non è capace
questo Ebreo errante del ladroneccio e delle più strane
e audaci avventure?
(Tiri®
Libro III.
QUELLI CHE FURONO
Kiiggero Bonghi.
I.
li^tóox era ancor vecchio. Aveva di poco varcato
- fc^'^ '^ sessantasette anni, e pur ne mostrava ot-
iASkl^© tanta. Nato in Napoli di padre Incerino il 20
marzo 1S28, dei sessantasette anni che visse, certo
cinquanta li visse fortemente pensando. Egli era già
noto che non aveva ancora vent'anni, quando, cioè,
fu a Roma segretario della Commissione guidata da
Pietro Leopardi, per promuovere una lega nazionale
contro l'Austria.
Una meravigliosa e infaticabile operosità intellet-
tuale, che non gli die pace fino agli ultimi momenti,
ne avea spezzato la fibra tenace, la quale produsse
tanta mole di lavoro, che la parrebbe incredibile avesse
potuto resistere cosi a lungo. Egli si è spento come
un filosofo antico e come un antico eroe, avendo an-
cor fiso il pensiero ai più alti ideali della nazione, e
sempre vividi e pronti l'ingegno e il sentire al pugi-
lato della vita. Quanto fulgido lume di molteplice cul-
tura avvivò quella mente e quel cuore! quanta veloce
e svariata esuberanza di contenuto ideale seppe egli
assimilare e raccogliere con ispirito acuto e con fiuto
squisitissimo da tutte quante le discipline umane !
Son forse ancor troppo vive nel cuor dei contem-
poranei le acri e velenose punture di quelle sue pole-
miche, perchè si conservi intatto e puro il fiore lacri-
mato della tomba: ma, di qui a poco, quando di questo
uomo, così ostico a molti vivi, non rimarrà che la
324
vergine memoria e 1' ideale astrazione, quando alfin
taceranno le bizze piccine della politica e qualche
spunto della sua vita privata, ninno oserà dissimulare
che con lui è mancato all' Italia il più vasto e illu-
minato intelletto. Certa volubilità della sua elastica
natura, e insieme la troppo ricca e non sempre salda
compagine della sconfinata erudizione, voluta rapida-
mente attingere a discipline disparate o discordi, non
fermarono in quel così versatile intelletto un orga-
nesimo durevole di convinzioni e di principii, ai quali
gli fosse agevole di attenersi almen lungamente.
Quindi egli passava con passo troppo spedito, se-
condo le ultime rapide impressioni del sempre nuovo
contenuto ideale, da una ad altra incoerenza, da questa
a queir affermazione che mal gli riesciva di conca-
tenare anche per sofistiche e ingegnose elaborazioni
della mente con quanto gli venia detto d'innanzi. Non
ebbe pari alla pronta e smisurata conquista dello sci-
bile in tutt' i continenti delle lettere, delle scienze e
delle arti, il fermo sigillo di una personalità propria
e omogenea.
Ei pare che il vario e progressivo pensiero del
tempo si stampasse nella sua mente come sur una
cera che sotto altro fuoco perdesse la vecchia im-
pronta per lasciarvene un' altra anche mutevole dopo
il primo raffreddamento; e così in quella mente quasi
eteroclita avevan posto tutte le idee, tutti i principii,
tutte le scuole, tutte le idealità, per disfarsi e sosti-
tuirsi a vicenda. Ma la sua vera grandezza era in
questo: che, cioè, anche lungi da quelle dottrine che
avea professate d' avanti, recava intorno alle nuove
un possesso sicuro della materia e una dialettica vi-
gorosa se non scintillante, e se non atta a convincere,
certo a maravigliare; di guisa che, in seno alle mede-
sime dottrine di cui si faceva rispetto alle precedenti
come un diverso clima intellettuale, ragionava abba-
stanza diritto, con discorso lucido e filato, e con in-
tuito originalissimo e perspicace. Si poteva spesso
convenir con lui, purché si fosse dimenticato o affatto
sconosciuto lo scrittore di prima: sempre, si intende.
325
secondo 1' ordine delle dottrine di cui si fosse stati
seguaci.
In una parola egli, sotto qual luce si mettesse, sa-
peva farla mirabilmente riverberare da per tutto. E que-
sto fu indizio di un cervello multanime e di un compli-
catissimo congegno delle funzioni psichiche, alle quali
molto nocque la continua diversità dell' apprendere, e
la grande eccitabilità di quella ricca natura. In questo
il segreto di quella mirabile incoerenza, che fu insieme
il suo difetto e la sua grandezza.
Ma se pur si guardi oltre la prima pelle, egli ebbe
sempre un fondamento di fede a principii e indirizzi,
politici o sociali, scientifici o letterari, religiosi od
etici, che non mai violò od ismentì, in questo inces-
sante fluttuare e naufragare di veri che han spesso
fatto tremar la coscienza di molti uomini anche grandi
ed integri.
Ho piacere che sia di questa opinione anche 1' il-
lustre scrittore, avvocato Benedetto de Luca, che ne
discorre da par suo nel bellissimo studio che ha pub-
blicato sul Bonghi nelle sue Cronache minime. (*) —
Come politico e' fu sempre moderato, e prosegui
rigido e intollerante una certa aristocrazia tradizionale
e conservatrice di un forte Stato italiano; né oscillò
mai di fronte a una probabile conquista del potere e
verso una certa mobilità di trasformismi o arrapina-
menti politici contro cui scatenò spesso la sua ful-
gida ira, la quale infine lo ridusse a far parte da
sé, lungi da tutt' i partiti.
Ma con ciò troppo sovente dovè lottare anche con-
tro sé stesso, e, di opposizione in opposizione, rom-
pere gli argini della misura e della opportunità; anzi che
temperarli o correggerli, sorpassò sempre tutt'i partiti o
li molestò, anche quando fé getto di una teoretica sapien-
za politica e di una dialettica stringente, veramente pre-
(*) Lucerà - Stamperia editrice - 1899 - Pagg. 70-71.
326
ziosa e degna di un grande statista, del quale ebbe, come
forse nessuno, la prepotenza, quantunque non geniale e
gradevole, delle argomentazioni sottili, e la mirabile
attitudine a menar l'avversario per vie delle quali egli
solo conosceva 1' uscita. Ei fu un singolare tempera-
mento politico eh' ebbe 1' Italia in questo suo periodo
di transizione, nel quale mal si concilia la febbre del
nuovo con le persistenti simpatie dell' antico. Incli-
nato per istinto alla opposizione, e consapevole della
sua grandezza, tentò di soverchiare tutti, ma nessuno
e' seppe aggiogare al carro della sua onnipotente dot-
trina sofistica; e, mancatagli ogni egemonia, tutti fe-
cero un vuoto intorno a quella che fu una vox cla-
mayitis in deserto. Di politica scrisse come nessuno de'
nostri, anche su riviste straniere, ma più, fra le ita-
liane, sulla Perseveranza, sulla Nuova Antologia e sulla
sua Cultura, nella quale ultima fu meraviglioso come
egli, quasi unico collaboratore, potesse parlar con dif-
ficile competenza di tutte le pubblicazioni che a lui
arrivavano, in tutt' i rami dello scibile, da ogni plaga
del mondo.
Forse non vi fu argomento, dall' economico al fer-
roviario, dal militare all' educativo, eh' egli non isvi-
scerasse con arguzia e con dottrina temibile. Se, non
ostante le molte disparità delle idee, si raccogliessero
i tanto sparsi materiali, si otterrebbe una vera biblio-
teca politica, che molto conferirebbe alla storia cri-
tica degli ultimi tempi ; e sarebbe opera degna che
la promovesse il Governo italiano ad aumento di quel-
la molta coltura che ancora ci manca.
Come filosofo, fu rosminiano convinto. Il Rosmini
ei conobbe a Stresa nelle dubbie prove dell' esilio,
quand' era ancora nella fiorente giovinezza del cuore
e del pensiero; e ne fu ospite graditissimo. In quel
torno la sua grande cultura versatile si formò con i
vivi contatti eh' ebbe, non pure col Rosmini, ma con
altri grandi del tempo e specialmente col Manzoni,
di cui fu ospite dal '54 al '60.
327
E dalla grande familiarità con l' illustre lombardo
anche attinse il culto di quella filosofia gloriosa e in-
sieme cattolicamente razionale che gli s'insinuò nella
mente non senza una certa lar;^hezza e deviazione
libera, venutagli dal pensiero democratico ramificante
dal validissimo tronco della Enciclopedia. E l'esempio
di quel grande ebbe nella formazione della mente di
lui una non piccola parte.
Cito a proposito queste parole: « Sì, in quell'ampia
organatura della testa di Alessandro Manzoni il ra-
zionalismo giacobino dei primi suoi anni seguitò a
ramificare per entro la superedificazione cattolica, scal-
zandola e fendendo qua e là di crepacci la incrostatura
o intonacatura rosminiana. » (* ' A questa scuola
crebbe con influenze diverse il vasto ingegno del
Bonghi: e, tra il Manzoni e il Rosmini che insieme
confluirono come in un sol vivaio di libera e geniale
cultura, egli, vivido ingegno meridionale e spirito po-
tentemente eclettico, profuse nelle elastiche sue facoltà
una troppo ricca propaggine di contenuto ideale: onde
nella sua mente duttile e pronta si andarono formando
come tanti stili diversi che spesso nocquero a quel-
l'unità di studi e d' indirizzi per entro i quali lasciò
libero il passo a tutte le discipline. Il Prati, in un
satirico suo sonetto, lo chiamò « platonico puttin
pieno d'ingegni »; e non senza umorismo espresse con
senso del vero il tipo dell' uomo e dello scrittore.
Ma pur derivando da questo e da quello 1' in-
gegnosissimo e ricco assortimento, dirò così, del
suo sapere, ebbe sempre dinanzi il Manzoni ed il Ro-
smini, i quali informarono la parte men labile e fugace
delle sue convinzioni. Se risalì a Platone per istudio
di filologia e di critica com' anche di filosofia; se non
potè liberarsi interamenie dalle nuove dottrine, come
nella Vita di Gesii, che non lasciò paghi né i cre-
denti, né gli eterodossi; se nell' intricato campo della
politica volle assorbire tutte le influenze del dottri-
(*) Carducci — « Confessioni e battaglie » — pag. 101 — Bologna,
Zanichelli, 189J.
328
narismo parlamentare, egli fu costretto di poi a tem-
prare l'ingegno nelle purissime linfe dell' opera man-
zoniana e nella profusa enciclopedia dottrinale dello
insigne filosofo di Rovereto. Ma divagò sempre tra
l'antico ed il novo, e finì per ispiacere ai seguaci
dell' uno e dell' altro: troppo egli era credente per
assentire al positivismo dei tempi, e fu troppo libero
razionalista per accogliere in sé tutta la fede dei padri.
Onde si generò in lui un feroce dissidio che lo mise
in antinomia con tutti gli uomini e con tutte le cose:
fenomeno, questo, che incontra spesso di notare
in cicli o periodi di grande transizione ideale. E
perciò il Bonghi può dirsi il più largo rappre-
sentante di questo scadere di età, in cui nelle troppo
varie manifestazioni trasformatrici la cultura dei tempi
ondeggia fra le più opposte correnti; ond' egli nel
vasto organismo della sua mente, V assomma tutta e
la raccoglie. Ingegni, codesti, indisciplinati, ma grandi;
assimilatori plastici, e instancabili e irrequieti produt-
tori; essi, luminose meteore fuggenti, appaiono per
lo più nella storia dell' arte o della scienza quando
dalla vecchia scorza sta per romper fuori l'ultimo ma-
turo getto ideale. Tale il Bonghi.
Qui cade in acconcio riprodurre il mirabile rilievo
che, due anni dopo la pubblicazione di questo studio
apparso nel Diritto di Roma (13 e 14 novembre "95),
dette il Carducci del Bonghi nel fascicolo del 16 marzo
1897 della Vita Italiana (pag. 580): — Non dico fosse
una testicciuola Ruggero Bonghi: tutt'aitro: ei fu, nel
miglior senso, una testa forte, acuta, secca. Ma, non
so perchè, a me non vien fatto di raffigurarmi la fisio-
nomia letteraria del Bonghi altro che in un busto di
rubizzo sofista acerbamente freddo. Ampia coltura, se
non sicura sempre: pronta facoltà d' assorbire, anche
non digerendo subito: grande facoltà di aggirare il
volubile discorso nelle forme del ragionamento; forte
e agguerrita audacia nell'occupare gli argomenti; di
un territorio ideale o dottrinale gli bastava aver ve-
duto le frontiere perchè gli bastasse la voglia a cor-
rerlo tutto per suo: non cercava sempre la verità, ma
spesso la soddisfazione de' suoi capricci, o un eser-
cizio ginnastico nel contraddire: eloquenza negativa,
senza accensione, senza espansione, senza cordialità:
antipatico per divertimento — .
Un po' rigido forse ma tutto vivo e palpitante di
verità è questo ritratto che risponde benissimo, salvo
qualche contorno, a quello che ne abbiamo dato. noi.
II.
Ma dal Manzoni anche derivò, insieme con i fonda-
menti delle lettere e della storia , quell'umor vivo e
salace, quella finissima arguzia che seppe poi inne-
stare a certa nativa comicità tutta napoletana, la quale
non fu l'ultimo pregio del suo carattere complesso. E
come il grande lombardo seppe versare intorno all'ope-
ra sua, di su le fonti della Enciclopedia, sobriamente
e con serena castigatezza, il nutrito e sintetico sapere
di molte discipline e di molte arti; così egli, pur senza
quella mirabile omogeneità, avviò il suo spirito allo
apprendimento e allo studio di tutto lo scibile umano,
onde pare che troppo spesso la dottrina sua dilaghi
oltre i margini di una larga e ben fissata mèta di
studi. E dovè a questa prolifica ed animosa fecondità
dottrinale la mobilità del sentire e del concepire ; e
ad essa anche dovè i sommi onori; onde, come l'Ate-
neo romano l'ebbe professore emerito, così l'Associa-
zione della stampa lo vantò suo presidente; e, oltre
che deputato, fu consigliere di Stato, cavaliere e con-
sigliere del merito civile , grande ufficiale dei SS.
Maurizio e Lazzaro, gran Croce della Corona d'Italia,
accademico cruschevole e linceo, membro di tutte le
migliori Accademie italiane e straniere, ed in fine,
come lo vezzeggiò il Carducci, professore di tutte le
cose in tutte le Università del Regno. Oh quanto
deve l'Italia a lui !
Ho di questi giorni letto in molti periodici che tutto
di lui anderà perduto, allo infuori di una temporanea
ricordanza; ed è vaniloquio degno di gazzettieri, co-
>30
stretti a scrivere di tutto. Ma quanti di questi lo han
letto veramente anche in menoma parte ?
Io mi limiterò a dire che, come letterato e filologo,
ebbe la forza e l'utile costanza di promuovere e diffon-
dere dentro e fuori la scuola, anche di contro ad una
validissima voce che opportunamente e non senza acre
dine si levò contro certe esagerazioni postume , lo
studio del Manzoni, specialmente per quello che tocca
lo stile e r unità della lingua. Chi meglio di lui co-
nosceva il Manzoni ? e quanti libri abbiamo noi che
valgano quello del Bonghi : Perchè la letteratura ita-
liana 7ion sia popolare in Italia ? Fu delle opere sue
quella che meglio ne ritrasse l'ingegno e che più lar-
gamente lo fé conoscere ed apprezzare al di fuori; la
pubblicò che era ancor giovane, pieno ancora la mente
della conversazione e dell' amicizia di quel grande,
non ultimo frutto della quale fu quella sentenza ce-
lebre che va per le bocche di tutti in tutte le scuole:
« Pensaci su » , a proposito del miglior mezzo per
iscrivere bene.
Dalla Vita e i tempi di Valentino Pasini, ai Dialoghi
di Platone tradotti; dalla Tempesta di W. Shakespeare
e il Calibano di Ernesto Rèìian, a Pio IX ed il papa fu-
tiiro] dai Discorsi e saggi sulla pubblica istruzione, a
Leone XIII ed il governo italiano] dall' Alleanza pinis-
siana e l' acquisto di Venezia, alla Roma pagana; dalla
Storia di Roma , a Francesco di Assisi ; dalla Storia
Orientale e Greca, alla Perequazione fondiaria ; dalla
Vita di Gesti , alle Horce subsecivos ; da Cavour , Bi-
smarck e Thiers, a Disraeli e Gladstone, al Coìigresso
di Berlino, al Coficlave, ai Partiti aìiarchici, alla Co7i~
ciliazione , alle Questioni del giorno : dal Filebo , dai
primi sei libri della Metafisica di Aristotile tradotti, e
dalle Lezio7ii di Logica, alle centinaia di articoli e studi
sparsi su tutti i giornali di Europa: da tutto codesto
noi abbiamo lo svolgimento di un moltiforme e ve-
locissimo pensiero che trascorre con la medesima si-
331
carezza e competenza dagli argomenti politici ai re-
ligiosi, dalla filologia al diritto, dall' estetica alla po-
litica, dalla storia all' educazione , con tale agilità e
plasticità d' ingegno, da riconoscere in lui più e più
eruditi del Cinquecento che rivivano moderni , fusi
insieme in un solo inesauribile intelletto.
Oh qual passo, e quanta fecondità, dal suo vecchio
e modesto maestro di greco, il Margaris , ai geniali
suoi studi su Platone e Aristotile; dall'acuto suo pro-
fessore di diritto, il Bavarese, alle dotte sue opere in
materia di politica e di legislazione; dal suo vigoroso
insegnante di scienze naturali e di filosofia, l'illustre
e ancor vivente Luigi Palmieri , alle più alte specu-
lazion ideali nella scuola rosminiana e manzoniana !
Furon passi da gigante, come proteiforme fu la fecon-
dità.
Com'è mai possibile dimenticare e non aver sempre
presente un uomo che, come porta la grazia e il sor-
riso e l'arguzia ne' più alti salotti mondani, così reca
l'acredine mordace e l'anelito battagliero nella poli-
croma e sofistica discussione parlamentare; che, mentre
all'estero e in Italia dirige congressi , promove isti-
tuzioni, inaugura convegni, presiede tutte le associa-
zioni, tutti i circoli, tutti i meetings ^ trova anche il
tempo a correggere, per esempio, le bozze di Pla-
tone, a scriver lettere e indirizzi per gli orfani
e le orfanelle di Assisi e di Anagni, a preparare ar-
ticoli omnibus a riviste nazionali e straniere, a entrar
contemporaneamente in tutti i labirimti della chiac-
chiera e della scienza quotidiana, religiosa, politica,
economica, letteraria, sociale ?
Come si può mai dissimulare la grandezza di un
uomo che nel corso di 24 ore fa più cose diverse, e
dopo aver vegliato la notte seguente a una giornata
di continuo lavoro, viaggia con la fresca suppellettile
de' suoi libri, e scrive anche in ferrovia articoli, ap-
punti, osservazioni; che, mentre attende a minuscole
332
cure domestiche o a piccinerie elettorali, balza subito
a improvvisar discorsi di circostanza; che, infine, come
per congegni e lambicchi diversi, distilla sottigliezze
ed arguzie e verità amare come da una perenne sor-
gente da cui scorrano o si moltiplichino tutte le acque
e tutte le correnti ? Ingegno veramente fenomenico e
universale, che potrebbe anche parer leggendario. Ma
intanto tre grandi cose veramente durevoli egli lascia
legate a un nome immortale : la fondazione di due
Istituti altamente educativi ed umanitari , quel d'As-
sisi e quel d'Anagni; la « Società Dante Alighieri »,
associazione nobilissima e degna veramente di un
grande patriotta, per la conservazione della lingua e
della tradizione latina; e, come dicemmo, l'unità della
lingua secondo l'avviamento manzoniano verso la sem-
plicità omogenea della parola , per liberare il nostro
idioma da quegl' impacci e da quei nodi che spesso
ebbe, all'infuori dei moltissimi pregi, la vecchia forma
letteraria classica.
E con tutto questo ci dette, in tempi di così grande
scadimento intellettuale, l'esempio mirabile di uno stu-
dio e di una cultura veramente superiore, conciliata
ad un'intima religione del sapere, onde egli fu il più
grande degli ultimi nostri che seppe all' estero im-
porre riverenza e culto al nome d'Italia.
Ma il suo principale e più tenero amore fu pei con-
vitti di Assisi e di Anagni ; e come Garibaldi, negli
umili ozi di Caprera, si ridusse a vivere come un ro-
mano antico neir idillica pace dei campi ; così egli
rasserenava il suo spirito in quella fiorita di orfani e
di orfanelle che lui chiamavano padre, ed a lui tesero
testé le mani benedicenti. V^iveva sempre in mezzo
ad essi, ma più si piaceva delle orfanelle di Anagni,
e quivi trascorreva gran parte dell' ultima sua vita: era
commovente il vederlo baciare da quel tesoro di fan-
ciulle orbate di padre, ma che sapevano di trovarne
un altro in lui.
333
« Papà Bonghi » lo chiamavano tutte. Nessuno più
di lui intese e protesse la missione alta del maestro:
nessuno come lui approfondi i più alti problemi della
istruzione e della educazione. In queste, come già in
tutte le cose, ei mirava alto, troppo alto, e idealizzava.
Desiderava, su l'esempio dell'Inghilterra, che cono-
sceva benissimo e a cui avrebbe voluto somigliasse
in ogni cosa l'Italia , un' istruzione e un' educazione
intimamente nazionale, aristocratica, potentemente in-
spiratrice. Ma l'Italia non lo ascoltò, o meglio gli rise
in faccia. Come ministro ei non lasciò molte vive sim-
patie, ma certo la sua non era una legislazione sco-
lastica bambagina ed inefficace; la voleva alta, fecon-
dissima e rinnovante. Come sarebbe utile oggi vi si
ritornasse !
Non credo possa avere per molto tempo l'Italia chi
ne colmi il vuoto. Con lui, che non passa nella me-
moria dei superstiti, manca imo che fu veramente più
che un uomo, fra tanti e tanti, pur vecchi, che forse
non sono neppur uomini, e che son passati, o certo
passeranno, prima del tempo.
Salute, o nobile italiano ; possa 1' Italia coglier da
te, che fosti 1' ultimo dei grandi rimasti fra gli eroi
del pensiero, oggi che è il mesto giorno de' morti e
delle memorie , il fiore , non della morte , ma della
ideale e morale tua risurrezione!
II.
Giacomo Zanella.
^'l maggio del iS88, nella sua patria nativa, morì
^ 1^^ l'abate Giacomo Zanella, l'illustre poeta vicen-
tino e il classicissimo autore della Conchiglia
Fossile e della Veglia; l'autore delle più belle traduzioni
da poeti stranieri, e di Astichello. Morì nella placida se-
renità di chi ha compiuto la sua giornata, senza rumor di
rimpianti e senza scalpore di camarille letterarie, quasi
inavvertito: morì in seno a' suoi , fra' cordiali e gen-
tili vicentini, ch'ei tanto amava. La sua dipartita la-
sciò a parer mio una grave lacuna nella letteratura
contemporanea.
Egli fu r ultimo fedel rappresentante del neo-clas-
sicismo guelfo, rifatto a novo, e, come sotto clima più
sano, animato dalle patrie libertà e mescolato alle
più mosse e fresche correnti della cultura moderna.
Egli, liberale schietto e nobile anima di patriota,
fu un prete un cotal po' mondanetto, fu uno scrittore
classico ed erudito quale i seminarii veneti, ancor rifio-
renti tra la filologia del Porcellini e lo studio intenso
degli antichi, poteano dar fuori. E amò la patria e la
libertà, amò 1' Indipendenza Nazionale , amò l'Italia,
colla dolcezza dell' amor suo gentile , aborrente dal
fluttuar delle passioni e de' contrasti umani; e proseguì,
mitemente sereno, le più schiette tradizioni dell'arte
antica, senza audacie ma con purità d'intendimenti,
senza impeti e ire ma con profumata morbidezza di
linee e colori, in poesie c'han volute e ondeggiamenti
così squisitamente classici, che rimarranno tra le più
belle cose della letteratura nostra.
Chi limita la più bella lirica dell'abate Zanella uni-
335
camente a due odi, la Veglia e la Conchiglia Fossile,
non è giusto, né onesto; a quella guisa che non può
esser sincero chi lo dice traìisigente in politica. Ap-
parentemente , certo , lo fu , come lo fu il Manzoni
cui la schietta fede religiosa e cattolica non tolse di
esser poeta e liberale insigne.
Come artista e poeta, sentì profondamente le bel-
lezze antiche, specialmente latine, e nobilmente le rese
nei suoi versi che, se per lo più senza vita e senza
passione, son belli sempre per splendore di forma e per
delicatezza, quasi muliebre, di affetti e di sensi; e in
ciò ha certi contatti — salva sempre la immensura-
bile distanza dell'ingegno — coU'autor suo prediletto,
il Manzoni.
Spirito candidamente eclettico , sentì e riprodusse
poeticamente la scienza contemporanea , con alata e
virginea candidezza d'inspirazioni e con gradevole pla-
cidità di ritmo.
Animo liberale , dovè aborrire dal gesuitesimo
e dal ringhiare minaccioso della corte papale, e così
ei fu l'uomo de' tempi novi, de' tempi della libertà e
della costituzione patria cui , pur disobbedendo a
Pietro, ricisamente non volle negare. Non dee dunque
far meraviglia s' egli , poeta e patriota, liberi a volo
versi squisitissimi a Vittorio Emanuele e a Pio, e se,
morti entrambi, in un'ode sua finisca così:
E senil man levarsi
Benedicendo, e palme
Giungersi a palme, e l'alme
In Dio baciarsi.
E a questi sensi venne informato un carme suo la-
tino, da lui composto nel 1887, quando parlavasi d'una
conciliazione tra il Vaticano e il Quirinale , e in cui
invitava il Papa a benedir l'Italia.
Noi abbiam pure altri obblighi con lui per le tra-
duzioni ch'ei fece fedelissime dal greco e dal latino,
dal tedesco e dall'inglese, dal francese e dall' ameri-
cano. E le sue traduzioni , specie dal latino , sono
delle più belle , delle più finite. Peccato che , come
già il Maflei, non ci abbia fatto gustar più largamente
la poesia d'oltr'alpe!
Fu anche critico e, a volte, originalissimo e acuto;
e fu dei pochi che conoscessero addentro le lettera-
ture straniere, delle quali è un grande peccato non
ci abbia lasciato de' saggi critici. Ma errò spesso nel giu-
dizio ch'ei diede delle cose nostre, e ciò dipese dal sa-
cerdozio che assai volte lo preoccupò, e, più ancora,
dal troppo mite animo suo, che rifuggiva , come ab-
biam detto, dalle passioni.
Sentì e rese la natura da vero, da grande artista,
e anche con certo elegiaco profumo virgiliano; e l'ul-
timo bell'esempio che ci diede, è la splendida corona
di sonetti, che intitolò: Astichello. E dopo dato un
amplesso alla natura, ch'egli amò tanto, Giacomo Za-
nella, ultimo glorioso superstite d'una pleiade di neo-
classici guelfi , e l'unico vero classico , dopo il Car-
ducci, che a noi restasse oggi, ci fuggi dinanzi
quale colomba dal disio chiamata , placidamente come
visse, e senza lasciare accorger l'Italia , a ben altro
intesa, della dipartita sua. Grave davvero per chi, di
fronte allo scadere dell'arte nostra, amò nel poeta vi-
centino, animo pie e soave, il culto vero delle clas-
siche tradizioni, greche e latine.
i
$
III.
Felice Cavallotti. (*)
MORTO SU l'arena come un eroe antico, con
(73 t^Vi»^ l'arma formidabile dell'ingegno e con quella
'i^^L^i.^ non meno temibile del braccio : la sorte av-
versa, come per fatale destino, non ha più voluto ri-
sparmiarlo alla patria , anzi l'ha crudelmente trafìtto
proprio in quella bocca da cui fluirono sempre fiotti
veementi di passioni e di pensieri , come i fiotti di
sangue che lo spensero.
E' morto come un eroe di Eschilo o di Sofocle que-
sto Cinegiro dell'Italia contemporanea , che somigliò
tanto, nel pensiero e nella vita, a que' poeti dell'an-
tica Grecia che fra un inno e una battaglia cadevano,
pieni la mente e il cuore di nobili visioni; ed egli, il
cantor di Tirleo, di Alcibiade e de' Messeni, egli che
ebbe in petto tanta poesia ed anima ellenica , non
seppe né volle disparire dal mondo senza gioventù di
pensiero, senza 1' impeto e la poesia delle antiche
battaglie.
Natura intimamente greca e spirito schiettamente
pugnace, nacque troppo tardi perchè la virtù sua po-
tesse diventare feconda; onde quello che parve difetto
a coloro che dell' uomo mirano soltanto 1' apparente
debolezza di carattere non fu altro che il prepotente
bisogno di espandere la propria forza , la quale fu
veramente grande in confini di azioni o di circostanze
che spesso furono esigui per difetto de' tempi.
Sia che davanti avesse un' ombra anzi che una fi-
gura, sia che volgesse il pensiero a un più alto segno,
(*) Questo medaglione tu pubblicato nel num. del 13 Marzo 1S9S del
Foglietto <ii Lucerà qualche giorno dopo la morte dell' insigne patriota,
ed é qui riprodotto integraiment>i senza alcuna aggiunta e senza alcun
ritocco.
338
egli era sempre su la breccia, fortemente agguerrito
di cultura molteplice e di fede incontaminata ne' più
santi ideali della Nazione; ed anche dove a molti parve
aver egli oltrepassato i limiti del giusto, porto sempre
nell'anima un senso puro di rettitudine, ravvivato da
baleni di fulgida ira e di vergine poesia. Fu in lui,
come in tutte le anime riccamente dotate di virtù e
di sai)ienza, un feroce dissidio tra la conscienza sua
e quella dell'ambiente politico o sociale , pubblico o
privato; e, a castigo de' malvagi o de' vili, credè sin-
ceramente esser suo dovere lo smascherarli con tutti
gli stili e con tutte le arti del combattimento. E' na-
turale che a queste tempere d' ingegni nati per la
lotta nel bene, manchi spesso il senso della misura e
la saggia opportunità delle occasioni. A torto un diario
della capitale, forse mosso da personali e intime ra-
gioni, nel recente lutto ha detto che in lui non fu
pari alla grandezza della mente la bontà del cuore.
Ebbe cuore di forte e di lottatore , non d'uomo pa-
cifico e contemplativo; la sua vita fu una pugna con-
tinua, la quale apparve come un bisogno di quell'animo
e di quell'ingegno: laonde ogni causa, anche piccola,
che a lui paresse giust?, ogni uomo, anche oscuro, che
gli sembrasse nocivo, ogni lieve e anche futile offesa
al suo amor proprio , erano per lui scintille di com-
battimenti, in cui si lanciava collo stesso ardore col
quale si batteva per le cause grandi. Questo il suo
difetto e insieme la sua forza. Ad ogni modo , qua-
lunque giudizio si possa mai portare intorno a' lati
anche manchevoli della sua vita, questo credo resterà
immutabile nella storia : ei fu soprattutto un grande
uomo di azione, un vero atleta dell'ideale, con inge-
gno prepossente e con vasta e temibile cultura: spirito
antico redivivo in cuor di leone. E tutto questo è an-
che provato dal fatto che, non ostante le verità amare
da lui dette a tutti, ben pochi ebbero così universale
e spontaneo suffragio di ammirazione in tutta Italia e
fuori. Tanta virtù in tempi migliori avrebbe esercitato
nella vita italiana una influenza assai più durevole e
feconda, se non meno gagliarda. Certo egli valse nella
339
politica a infondere forza e vitalità al suo partito, e
a dar movimento, dentro e fuori della Cameia , alle
più alte e più difficili questioni morali contro uo-
mini e contro cose.
La sua vita fu complessa come la sua ricca natura.
Nel '60 e nel '66 fu insieme con Garibaldi sui campi
di battaglia, e questa continuò animoso dal '67 al '73,
fra processi e duelli, per mezzo della stampa, contro
tutte le turpitudini del tempo e contro le instituzioni,'
onde fu esule in Isvizzera, e poi per tre mesi in car-
•cere. Come deputato seguitò ancora a combattere, e,
se non fosse morto, neppur vecchio si sarebbe ritirato
dall'agone. Infierendo il colera a Napoli nel 1884, e a Pa-
lermo nel 1885, vi accorse intrepido con una schiera di
volontari toscani, volendo cosi cementare la italianità
del Mezzogiorno con quella del Settentrione. Anima
essenzialmente lirica , infuse ne' drammi e ne' canti
patrii la stessa passione e lo stesso accanimento che
spiegava nella lotta di tutti i giorni; e, se per manco
■di quiete non riuscì perfetto, si rivelò sempre poeta,
un vero e sincenssimo poeta ideale che per più con-
tatti parve rendere o rinnovare il romanticismo del
Mìmeli, del Berchet , del Rossetti , sur un fondo di
cultura classicamente greca. La sua poesia , special-
mente quella degli anni per lui più tempestosi, non ha
sempre colla varia e sobria concinnità della strofe il
plastico rilievo e la determinatezza organica: vi si de-
sidera spesso più pensata levigatezza di forme e più
sapiente maestria di tecnica ; ma , in compenso , ha
sempre impeto ed ala, e una esuberante vena di fan-
tasia e di passione , proprio quello che manca alla
simbolica barbarie di tanti rimatori odierni , pur ce-
lebri. Ma se n'avesse avuto il tempo, avrebbe certo
raggiunto la cima della perfezione, come ce ne assi-
curano molti stupendi frammenti e molti squarci di
liriche meravigliosamente belli. La sua prosa poi, spe-
■cialmente quando è un pò temperata dal lavorio della
lima come quella che scriveva sino a dieci anni fa,
è limpida e perspicua, agile e corrente, con impasto
■di classico e di moderno, e non senza qualche linea
340
di fattura greca. Fu ellenista insigne , cioè dell' arte
greca ebbe un fiuto squisitissimo e un fine sentimento,
e seppe mostrarlo in certi saggi che pubblicò a dispetto
de' metri barbari, e forse meglio ne' drammi; ed ebbe,
col sicuro intuito di ogni cosa, una dottrina molteplice
e salda compenetrata sempre da una forte passione e
da una idealità tutta sua. Come polemista, fu un velite
brillante , insuperabile : forte , indomito , aggressivo,
come ne' duelli. Come orator parlamentare, non ebbe
uguali se non forse quelli dell'antico parlamento su-
balpino, e forse di lui rimarranno nella storia delle
lettere, con diversi canti patriottici e con alcuni dram-
mi, non pochi de' moltissimi discorsi che pronunziò
alla Camera e un pò da per tutto.
Di recente in un album aveva scritto:
E più s'abbuia il cielo
[liu chiaro ti discerno
bel sogno del passato
marciando all'avvenir !
Che il cor dà il tuo sembiante
all'ideale eterno
per cui mi è oscuro Fato
combattere e morir !
Questi versi, che chiudono una splendida poesia in
morte di una sua figlia, sembrano un vaticinio della
immatura sua fine !
Tanta luce d'ingegno, di cuore e di vita, nel vigore
de' suoi 56 anni, si è spenta improvvisamente, dopo
32 altri duelli, per un colpo di punta e per mano di
un oscuro, di Ferruccio Màcola.
Oh ! s'egli fosse morto come Pindaro, inneggiando
alle grandezze della Patria !
IV.
Gaetano Trezza.
3^ Pl^^o precede nel sepolcro ventisei giorni innanzi
Ernesto Renan. — Gaetano Trezza, per ine-
luttabile malore che da più anni insistente
lo tormentava, morì il 28 ottobre 1S92, in Firenze,
ov' era illustre professore di letteratura latina in quel-
r Instituto regio di studi superiori e di perfeziona-
mento: avea soli sessantaquattro anni. Già cinque anni
innanzi ei mi scriveva che un perverso mal di ven-
tricolo lo toglieva agli studi prediletti, ma non mi
faceva disperare del prossimo suo ritorno alla vita
del pensiero: qualche giorno prima della morte gli
avevo dedicato un mio lavoro sulla morte del Re-
nan; e quando ancora da lui mi attendevo una risposta,
ch'era sempre un pensiero un consiglio un conforto,
me ne giungeva improvvisa 1' eco dolorosa della
immatura dipartita che mi trafisse il cuore. Dovè pur
troppo essere assai acerba a quelli che ne amavano
e seguivano le dottrine, e ne adoravano l' ingegno.
*
* *
Provocò, libero, animoso, costante, nel campo della
cultura scientifica, un gran dibàttito d'idee, quali favo-
revoli e quali avverse alla scienza sua; ma, dopo il
discorso commemorativo su Giordano Bruno da lui
pronunziato in Roma nel giugno 1889 — fu 1' ultima
cosa sua eh' io lessi e ch'egli pubblicò — , si era fatto
grande silenzio intorno a questo insigne filosofo ve-
ronese, che, non ostante le invettive degli avversari,
fu in Italia g'"an parte del movimento positivo nella
scienza di quest' ultimo trentennio. Fu milite e apo-
stolo, e prosegui di tenace alacrità tutto quello che
342
dalle sorgive del darwinismo a lui pareva si dovesse
derivare in ogni ramo delle umane discipline: s' inte-
ressò d'arte, di religione, di critica letteraria, di storia,
di tutto, e in ogni caso mostrò, anche dove fu poco
sobrio o nel falso, il fecondo e geniale suo spirito di
polemista e di pensatore.
Qualcuno lo chiamò, non ingiustamente a parer mio,
il Renan d' Italia: ringhiarono i bòtoli, ma, con le
debite distanze e differenze, non sou pochi i contatti
che il nostro ebbe col grande filosofo francese; l'uno
e l'altro, spesso procedendo concordi, si riscontrarono
qualche volta faccia a faccia sul medesimo terreno di
combattimento. Furono sotto alcuni aspetti, simiglievo-
li: simiglievoli, ci s'intende, non per la profondità delle
intuizioni, ma pe' caratteri sostanziali onde da natura
eran disposti a studiare i grandi problemi della scienza:
entrambi, ravvivati da un grande apostolato e mossi
da un vivo soggettivismo ideale, andarono più in là,.
varcarono i confini de' metodi e quasi li annebbia-
rono, solleciti e premurosi dell' estetica conciliata alla
scienza nel sovrano olimpo dell' arte. Furono artisti
e poeti veri; ma si sviarono, come sospinti da una
forza che m più spirabil aere li traesse, nel paradiso
delle forme e in certo spiritualismo, spesso nebuloso
nel nostro, della propria dottrina di positiva ascen-
dente quasi a metafisica. Perciò ne esagerarono il con-
tenuto, e ne sostituirono le lacune con un eccesso
quasi trascendentale d' intellezioni e d' intuizioni per-
sonali spesso sfuggenti al misurato tràmite della og-
gettività. Ma il francese, com' ebbe più largo campo
nello studio delle religioni, così anche, meno infervo-
rato nelle nuove dottrine sperimentali, mirò più diritto
alla sua meta, e, con più largo corredo di ricerche e
d'indagini proprie, fu profondamente omogeneo, equi-
librato, geniale: l'italiano, evoluzionista più visceral-
mente convinto, sorpassò di troppo i confini e i pos-
sibili portati della scienza, e, meno organico e più
esclusivista, toccò le rive dell' ateismo.
Ma, pur ammesso tanto divario, idealizzarono en-
trambi e, se mi si permetta dirlo, spiritualizzarono le
343
proprie dottrine, e divagarono nell'arte. II Renan fu
un positivista un po' conservatore: il Trezza fu ^n
positivista radicale, e rappresentò quasi la estrema si-
nistra della filosofia; e i suoi studi si aggirarono, seb-
bene con una esegesi molto più ristretta e con un
contenuto storico assai meno analitico, intorno a sva-
riatissimi problemi, molti dei quali non vennero nep-
pur tòcchi dal grande francese. Ma come questi fu
il gran propagatore della scienza delle religioni in
tutto il mondo e insieme l'apostolo convinto, il Trezza"
lo fu in Italia delle dottrine darwiniane applicate al-
l' arte, alla filosofia, alla critica estetica, alle religioni,
a tutte le manifestazioni della vita moderna ideale.
Avendo accennato alla natura e all' indirizzo scien-
tifico del nostro filosofo, molto è agevole delinearne
la simpatica figura di scrittore. Fu prete e insieme
ardentissimo oratore sacro; e perciò dalla vita sua
religiosa derivò, anche quando si convertì alla scienza,
un afflato quasi dommatico e una forma iridescente
e vaporosa, nonché certo sentimentalismo, certo calor
battagliero che dà alla sua prosa un po' d' artifizio,
un ondeggiamento spesso tronfio, un rombo quasi fru-
goniano di epiteti, e, infine, un fulgor d' immagini e
di frasi che ricordano 1' accademico paludamento del-
l'oratoria sacra. Ma questi difetti ci fanno amar lo
scrittore in quella così luminosa venustà di forme an-
che agghindate onde illustra e idoleggia il favorito
soggetto, al quale trascina con seduzione fin'anco il
più scettico lettore. Ha la grande virtù di farsi
leggere, virtù ben ignota alla più parte de' filosofi
nostri, de' quali ben pochi possono stargli accanto per
pregi di forma e di stile. Fu polemista: combattè per la
scienza sua con quell'istesso accanimento onde parlava
di Dio a' fedeli quand'era prete, e quando, democratico
e patriota, fulminò lo straniero con parole che gli val-
sero l'onor del carcere per la libertà. Ed è proprio vero
che i rinnegatori convinti d' una fede sono i più ra-
344
dicali e ferventi sostenitori dell' altra che, dopo una
grande disillusione, abbracciano di poi. Chi legge le
sue mirabili « Confessioni d' uno scettico » non può
non sentire i brividi che induce nell' anima il fiero
passaggio da una fede ad un' altra. E' un bellissimo
libro, e non si può leggerlo senza commozione. E' la
storia vera d' una grande anima in pena. E perciò fu
indomito apostolo della sua nova fede scientifica; ed
è naturale che questi intrepidi militi del vero, che
tutto il core consacrano al loro ideale, nell'ardor del
combattimento trasmodino per eccesso di fede, quasi
rompendo le dighe dello stesso ideale che propugnano.
Sono i grandi utopisti della scienza, ma di quella
scienza che non è pura ricerca, ma convinzione fer-
vente, quasi religione, e che perciò si converte in
pugilato, in arnese di battaglia. In ciò la grandezza
vera del Trezza, la cui opera, a preferenza di altre
tante anche più dotte e originali, avvampò di con-
venzione ne' novi veri l'animo di quest' ultima gene-
razione che, per cooperazione specialmente sua, si
convertì all' evoluzionismo. Uno di questi convertiti
son proprio io, e perciò adorai sempre quest' uomo
che anche mi proseguì di quei conforti e consigli che
non isgagliardano ma solleticano a farsi innanzi. Que-
sti operai del pensiero non solo illuminano la mente,
ma educano il cuore: sono educatori e pensatori a un
tempo.
La sua operosità fu veramente grande. Nel « Lu-
crezio » e neir « Epicuro e 1' epicureismo » ei pre-
sentì nell'antichità, non senza qualche paradosso, gli
antesignani del positivismo contemporaneo. E furono
le prime sue cose che ne fecero levare alto il nome
fra credenti e ribelli , fra seguaci ed avversari. Con
la « Critica moderna », il suo libro d' oro, portò in
Italia una quasi rivoluzione scientifica nell' àmbito
della letteratura , e fu il primo che fra noi si provò
ad applicare la grande ipotesi darwiniana a'diversi e
345
molteplici fenomeni letterari, onde la critica estetica ne
subì una vera trasformazione radicale; è un'opera ori-
ginalissima e degna di studio anche dove riesce un
po' troppo paradossale, ed è pure un libro d'arte: le
felici intuizioni su' climi storici furon quasi una ri-
velazione. Col « San Paolo », che è il libro suo che
meglio lo avvicina al Renan, studiò profondamente
le ragioni intime del delirio religioso ; e gli tenne
dietro un altro preziosissimo libro : Origini delle re-
ligioni, nel quale, con una erudizione veramente me-
ravigliosa e con isplendido intelletto artistico, di sul
vivaio della diversa cultura positiva , riunì e organò
in corpo di solida dottrina tutto quello che all'argo-
mento si atteneva e che rifluì da sparse ricerche e da
parziali studi intorno al difficile problema delle reli-
gioni. Ne' « Saggi Critici » e in altre opere minori
mostrò grande penetrazione e un originalissimo in-
tuito nello studiare il meglio dell'arte contemporanea:
pochissimi meglio di lui intesero la importanza delle
Odi barbare che provocarono una vera insurrezione
d'idee nel campo della critica letteraria. Nel « Com-
mento di Orazio » si fé conoscere insigne latinista e
de' maggiori: lo studio ch'ei fece de' metri nelle odi
oraziane è de' più acuti , eruditi ed originali che noi
abbiamo, e gli valse lodi da illustri filologi tedeschi:
era codesta tutta materia sua, che insegnava con onore
nell'Istituto di studi superiori in Firenze; ma da essa,
per instintivo bisogno del vero, volle risalir sempre,
anche su' classici esemplari che avea tra mani , alla
investigazione de' più astrusi problemi della scienza.
Fu uno de' principali cooperatori alla dottissima «Ri-
vista di Filosofia Scientifica » fondata e sempre di-
retta dal Morselli, e alla « Rassegna di opere scien-
tifiche e letterarie » fondata dall'insigne pedagogista
Andrea AngiuUi; e v' ebbe a compagni 1' Ardigò, il
Sergi, il Boccardo, il Canestrini, l'Herzen, il Buccola
ed altri grandi scienziati. Ora queste due ottime riviste,
uscite dal cervello e dal cuore di due veri scienziati,
non sono più, perche gl'italiani, ahimè, non son mu-
nifici e generosi per la cultura veramente superiore !
>40
Da quello che abbiam detto è chiaro dedurre quanto
lume di svariata dottrina si assommava nell'anima e
nel cuore di Gaetano Trezza, latinista e filologo in-
signe, erudito luminoso , critico acuto , filosofo ge-
niale, artista e apostolo di verità: con lui disparve,
della precedente generazione che anche cooperò alla
grandezza d'Italia , un dei pochi intelletti superiori
che ci fossero veramente rimasti: chi ne colmerà, via
via, i vuoti e le lacune che la morte ogni anno va
inesorabilmente producendo?
Ricordiamolo, o giovani, o militi dell'Italia risorta,
o generazione novella; ricordiamolo riconoscenti e
animosi, ma sempre col pensiero rivolto all'avvenire.
<^S5#>
Pietro Siciliani.
?opo le feste commemorative di Pietro Siciliani
\a. Firenze, volli aggiungere poche parole ir>-
Itorno al filosofo e al pedagogista, che, sebben
tardi, non è inopportuno pubblicare qui. (*)
L'inscrizione che, a lettere d' oro, leggesi dinanzi
al busto nella cappella gentilizia del rimpianto filosofo
in San Miniato , ha questa linea : Inauguratore della
Pedagogia Scientifica.
La iscrizione potrebbe parer bella, se più vera; ma
quando trattasi d'iscrizioni onorarie, il più delle volte
la storia è serva dell' entusiasmo, e la retorica non
manca mai. In quanto a me, avrei consigliate queste
parole, più romanamente efficaci: A Pietro Sicilia7ii —
i maestri d'' Italia. — E così forse si sarebbe evitato di
dare un tuffo nella esagerazione.
Dunque : Inauguratore della Pedagogia Scientifica.
Non mi par vero, né vi si acquieterebbero i più
dei positivisti italiani e stranieri.
11 Siciliani, certo, fu grande, ma non cotesta fu la
grandezza sua.
Altri prima e meglio di lui, in Italia e fuori, inau-
gurarono la scienza dell' educazione. Ed eccone al-
cune prove.
Negli sgoccioli, diciam così, della scuola classico pe-
dagogica, della scuola di Erasmo, di Montaigne, di
Rabelais, di Loke e di Rousseau, di Kant e di Pe-
stalozzi, di Basedow e di Fròbel, di Gioberti e di Ro-
smini, di Rayneri, di Aporti, di Lambruschini; quando,
cioè, codesta scuola gloriosa stava per dar la volta,
(*) V. Avvenire Educativo di Paleuiio — Cd. R«iino Sandron —
Direttore Gabriele Clabrif-lli — Annata del 1888.
348
cominciò a venir su, come dalle sorgive della espe-
rienza non ancora allor darwiniana, il primo abbozzo
della scienza nova della educazione. Ma il fatto spe-
rimentale avea suoi limiti nella esperienza puramente
razionale , nella logica pura. E però quando , anche
prima di Carlo Daiwin, il fatto sperimentale cominciò
a scorgersi anche nello studio degli esseri inferiori ;
quando, dopo l'apparizione della Origine della Specie,
la Sociologia seguì via via lo svolgersi e 1' esplicarsi,
lungo tutta la scala zoologica, del concetto dinamico
della evoluzione; quando fu certezza il postulato che
l'uomo fin dai suoi stadi embrionali, non fa che ri-
fare il cammino della specie; fu allora che, assai pri-
ma del Siciliani e della scuola positivista italiana, co-
minciò a sorgere, per la necessità che l'imponeva,
nei trattati sperimentali di medici e zoologisti, di chi-
mici e antropologi , in Germania e in Inghilterra , la
nuova scienza della educazione, la quale ha una fa-
lange d'inauguratori, come quella che emerse dall' a-
zione collettiva di mille scienziati e di mille indagini
antropo -biologiche.
Fu Herbert Spencer, il più gran filosofo de' tempi
novi, quegli che, ne' Primi Principi e nella Introdu-
zione allo Studio della Sociologia, ci die' come le linee
maestre e fondamentali d' una vera Sociologia educa-
tiva; fu lui che, innanzi a tutti, inaugurò splendida-
mente il grande principio : la educazione dev' essere,
ed è, funzione immediata dell' organismo sociale, a
quel modo ch'essa s'esplica e move secondo le leggi
dell'evoluzione. E ciò prima di Alessandro Bain e di
Perez, di Badestock e di Re?iouvier, di James Sully e
d'altri molti, per non uscir dal territorio straniero.
In Italia, prima e meglio del Siciliani, avea lumeg-
giato, su per le riviste e ne' libri, il problema peda-
gogico in rapporto alla famiglia e alla società, un al-
tro pugliese illustre, il Prof. Andrea Angiulli della R.
Università di Napoli. E il Prof. Emmanuele Latino e
il Prof. De Dominicis per una via, e il Prof. Sergi
per l'altra, avean gettato, su le orme sperimentali,
luce maggiore e più nova intorno al medesimo prò-
349
blema; e nel suo libro su la Paura il prof. A. Mosso,
pur fisiologo, era risalito a indagini e osservazioni
originalissime intorno al fatto sperimentale à.&W lìifan-
zia. E così altri ancora.
Il Siciliani ebbe un merito grande, anzi in Italia
singolare : quello d' essere stato come 1' inoculatore
ne'maestri italiani della febbre pedagogica; quello di
aver avviato, colla parola e coli' esempio, la vera
Scuola positiva; quello d'esser stato, meglio di tutti,
anche nella cattedra , il vero maestro della Scuola
laica e nazionale. E questo nobile apostolato, come lo
rende benemerito dei maestri italiani, così lo racco-
manda alla memoria de' posteri. Egli, più che scien-
ziato, fu Educatore ; più che professore, fu, nel senso
antico della parola, maestro ; più che novatore di si-
stemi nuovi o di dottrine proprie, fu un brillante, e-
clettico assimilatore degli altrui.
Ingegno vigorosamente meridionale, avea 1' animo
espansivo, e così ancora le facoltà : e perciò tutto
che da noi o d'oltralpe giungeva a lui, egli, ape in-
dustre, raccoglieva e mettea insieme nell' organismo
della dottrina sua, che voleva esser conciliatrice delle
opposte tendenze filosofiche. Non sentiasi però la
forza d' imbroccare una via maestra, e di seguirla
sempre, no. Oggi all'animo suo parea schiudersi un
sentiero ignoto, e giù per quella via; domani, solle-
ticato dalla vegetante rifioritura di una vecchia via,
vedeasi costretto a retrocedere, come doman 1' altro,
per una scorciatoia , prendea lena a farsi innanzi.
Nato con abitudini metafisiche, e trasportato a sentir
bene, più che a percepire, le dottrine nove e posi-
tive , Pietro Siciliani non potè avere una coscienza
sicura, e divenne come il caposaldo del giusto mezzo.
Ma il giusto mezzo — me lo perdonerà il prof. Tocco
— non è la scienza. E così il filosofo di Galatina ri-
man come il superstite del passato, che ancora bran-
cola tra il vecchio e il nuovo, e morì senza aver po-
tuto aver di quest' ultimo una intuizione netta e
geniale.
Così fu, a parer mio, il Siciliani. — E però noi Ita-
350
liani, che tanto ci sentiamo a lui legati, non possia-
mo non rammemorare che egli delle dottrine nuove
fu gran parte, e che, assai meglio di tutti, ne fu l'a-
postolo e il banditore.
Unico ed utile esempio, in tanto vociar di retorica
curiale e accademica, che avanzasse all' Italia dell'
antico maestro. E non fu poco.
Ricordiamolo riconoscenti, o italiani e maestri !
VI.
Andrea AiigiuUi. (*)
I.
I quest'illustre pensatore, non è guari rapito
yfjji immaturamente alle scienze filosofiche e alle"
- -^^ pedagogiche, par che la stampa autorevole,
o quella che va per la maggiore, appena siasi accorta:
salvi pochi cenni biografici, qua e là apparsi sur ef-
femeridi scolastiche che non vanno per le mani di
tutti, nessuna grande rivista o periodico quotidiano,
ch'io mi sappia, ha sin'ora parlato degnamente di lui,
come filosofo e pedagogista. Neanche in alcune grandi
riviste ho letto un cenno pur fuggitivo della morte
soltanto. E non senza accoramento sempre più si è
spettatori di quell'inesorabile oblio, onde vengon fatti
segno uomini anche sommi, quand'essi non si dipar-
tono dalla scena politica o da alcune fattizie institu-
zioni dello Stato.
Ed è proprio vero che la filosofia, questa povera e
nuda disciplina, come invocavala il Petrarca, non me-
riti neppure il rimpianto o una pia ricordanza pe'
cultori immortali che sonosi fatti macri per lei?
Par che zXV Aìigiulli sia seguito quel che al Secchi
nel 1878, molto il primo f'Oco innanzi ad Amedeo di
Savoia , e il secondo ne' recenti lutti di Vittorio E-
mauuele II e di Pio IX: la piccola eco della lor dipar-
tita passò come inosservata di mezzo alle funebri
commemorazioni — mi si perdonino queste brutte
parole — del trono e dell'altare.
Eppure Andrea Aìigiulli non mori come Emilio Lit-
irè, cui negli ultimi istanti il cattolicismo rapì apo-
stata alla scienza sua; non come Augusto Vera, che
(*) Publilicato nell" oAvvenire Educativo di Palermo. — Annata flel
1890. — Ediinre Remo Sandron. — Direttore Gabriele Gabiiell:.
352
chiuse gli occhi tra' conforti della religione: mori come
Vittore Hugo, come Terenzio Mamiani, come altri in-
signi: morì qual visse, lasciando ai giovani non pe-
rituro documento di vita e di opere; né il rombazzo
del cattolicesimo clericale andò movendosi intorno alla
sua bara recente, mormorando nenie d'oltretomba.
II.
Di lui, come pensatore, mi proverò a dare, come
in agile profilo, netta e determinata la figura, ma ne'
limiti da questo volume consentiti.
Andrea Anginlli è come conterraneo di Pietro Sici
liani, cioè l'uno e l'altro appartengono a due Provin-
cie della regione pugliese: quella di Bari e quella di
Lecce. Entrambi dalle pure e rigide speculazioni filo-
sofiche, passarono alla scienza della scuola, alla Pe-
dagogia: entrambi esercitarono in Italia, per vie di-
verse e talvolta anche opposte, una grande e fecon-
dissima influenza sulla scuola italiana, primaria e po-
polare soprattutto: entrambi mossero alfine e risolle-
varono, con iscrollamento vigoroso, i maestri elemen-
tari verso i più alti ideali dell'educazione moderna.
III.
Egli è vero che, qualche volta, l'un fu in apparenza
come aborrente dalla dottrina dell'altro: è vero che,
pochi anni addietro, alcuni contrasti o torbide anti-
nomie di dottrina, che sempre sono in fondo a ogni
metodo o scienza, vennero a turbare 1' asciutta sere-
nità della lor mente; ma salvi, qua e là, alcuni ten-
tennamenti o indeterminazioni della disciplina da lor
professata, essi si riscontrarono securi nell'ideale me-
desimo e nel medesimo apostolato : essi furono, in
generale, i più liberi interpreti, in Italia , della cul-
tura positiva avente per fine il rinnovamento della
scuola nazionale.
Il
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353
IV.
Il Siciliani, anima ribollente e incuriosa di qualsiasi
giogo, intelletto libero e pugnace, assentiva con se-
cura e facile compiacenza a tutto il moto che, oltre
Alpi, andavasi determinando e diffondendo nel campo
della scienza positiva. Raccoglitore ecletticamente in-
dustre delle varie parvenze del pensiero europeo, ne
assommava nell'anima sua d' idealista fervido ed en-,
tusiasta la sintesi suprema come in un connubio d'una
sola e universale disciplina, che, non sempre francata
dalle esagerazioni diverse di questo o quel portato
filosofico, non sempre dispogliata di alcuni anche gravi
errori che pur rimangono in fondo a ogni particolare
speculazione scientifica, veniva ad assumere in Italia
una manifestazione, nuova sì, ma indeterminata ed
oscillante.
Niente di tutto questo nell' AngiuUi. Il quale, spi-
rito rigido e più seriamente organico, miglior disco-
pritore del reale nelle attinenze diverse tra la storia
e la critica, tra il divenire del fatto psicologico e la
trasformazione e mutabilità dell'ambiente, tra gli ele-
menti informi e quelli resistenti ancora al clima sto-
rico, come il Trezza direbbe, dello spirito moderno,
sapea fondere insieme, in una visione tutta propria e
originale, quel che delle dottrine diverse meglio si
affaceva al metodo suo, alla sua ricerca.
E cosi l'Angiulli rimase in Italia lo scienziato più
armonico e più integro ne' confini della Pedagogia
scientifica. Ed esplorò, sereno, impassibile, tenace, non
con divinazioni oltrepassanti il limite del conoscibile,
come Spencer direbbe, cioè del reale storico ultima-
mente asseguito dalla ricerca scientifica, non con so-
stitìdivi ideali intesi a colmar le lacune della scienza
o del metodo, ma con riposata quiete d' animo, con
moderazione; esplorò, ripeto, quel dato della specu-
lazione positiva, che meglio rispondeva alle esigenze
del tempo e al determinato grado o ascendente della
evoluzione sua. Insomma, come i grandi filosofi o ri-
23
354
cercatori, tedeschi e inglesi, discoprì quel tanto che
solo fu possibile come universalmente accetto nella
filosofia contemporanea.
Non che ravvivò la scienza, non che scoprì in essa
orizzonti nuovi o vie inesplorate, no, ma seppe, con
sapiente e mirabile elezione, derivare dal grande la-
vorio della cultura scientifica moderna quel che me-
glio conferiva a render la ricostruzione sua più or-
ganica e determinata, come metodo e come ricerca.
Seppe in altri termini conquistare l'altrui, e dell'al-
trui il meglio, ricreandolo con intuizione originale e
propria nella coscienza sua di filosofo, non eclettico
e sistematico, ma solidamente ed organicamente spe-
culativo.
V.
E s'anco è vero, come credo io, che l'idea ha bi-
sogno d' una forma gemella colla quale essa ci si va
determinando nella mente, questo anche trovo nello
stile del nostro filosofo. Difatti chi legge le opere sue,
e specialmente l'ultimo volume (La filosofia e la Scuola)
che dovea darne le linee ultime della sua evoluzione:
chi legge, ripeto, ogni scritto del celebre filosofo di
Castellana, si sente come attratto da uno spirito fe-
condamente rinfrescatore , il quale aleggia entro uno
stile limpido, uguale, tranquillo; e, nella correttezza
e italianità della forma, che non sempre trovi nel Si-
ciliani e in altri nostri, anche fiuti la lucidezza e in-
sieme la profondità del pensiero, dell' analisi e della
meditazione.
I ricercatori più propriamente sperimentali, quelli
cioè che meglio si abbandonano alla ricerca che alla
sintesi ideale, alla disgregazione che alla ricostruzione,
alla raccolta industre di materiali scientifici tratti da
discipline diverse ed affini, che alla induttiva e dedut-
tiva derivazione psicologica interiore; tutti questi ri-
cercatori, vo' dire, si riscontrano bene con i nostri
storici della Letteratura, anche attesi troppo esage-
ratamente alla pura e rigida ricerca e assai poco alla
355
ricomposizione: si riscontrano, ripeto, anche in que-
sto, che scrivono pedestri e barbaramente scorretti,
con poca o nessuna chiarezza e con aridità mortifi-
cante: parrebbe che quella materia ancor greggia e
materialmente rude, anche si conciliasse colla rudezza
della forma e — perchè non dirlo? — del pensiero.
L' Angiulli invece, come pochi nostri e come in ge-
nerale gli scienziati francesi, pur tenendo conto di
que' materiali, ricostruisce, e ricostruisce bene, e in
ciò, ch'è il temperamento vero del filosofo vero, egli
anche, forse senza addarsene, si mostra scrittore pur-
gato e corretto se non sempre elegante: scrive certo
meglio di alcuni bozzettisti e romanzieri del giorno.
VI.
Questo r Angiulli. Forse, come ammiratore entu-
siastico del reale filosofico, come inoculatore e pro-
pagatore degli alti veri della scienza moderna, gli va
innanzi il Siciliani, che virilmente educò, in questi
ultimi tempi, tutta una generazione di maestri, de-
viandoli sensibilmente dalla vieta tradizione meccanica
della scuola e dell'educazione antica; ma, come scien-
ziato e filosofo intero, come fedele interprete della
scienza moderna, lo avanza di mille tanti. E per aver
meglio affinato l'ingegno cogli studi che fé' in Ger-
mania, la terra classica della filosofia, e un tempera-
mento più omogeneo e un più armonico e sereno in-
telletto, non si lasciò trasportare, come il Siciliani,
dalla rapina, dirò così, delle tante dottrine che sor-
sero e si svolsero sul tronco del metodo positivo;
però entrambi attinsero largamente alle fonti della fi-
losofia sperimentale, ed entrambi venner mossi dal
medesimo impulso, quello di rinnovare, con impavido
coraggio, la scuola della propria nazione.
VII.
Così ho io intese e seguite le diverse manifesta-
zioni filosofiche di quest'insigne filosofo pugliese, che
350
non isdegnò circondarmi di consigli e di incoraggia-
menti, e che tanto rai rincorò a fare e a proseguire.
A lui spetta un luogo luinÌ7ioso fra' migliori intelletti
della nazione in quest'ultimo trentennio; e chi ne ha
studiato con sereno animo le opere, come si dorrà
della repentina e immatura disparizione di un così
acuto ingegno, così dee cercare in lui, meglio che
in altri egregi, le mosse e la inspirazione nel culto
della disciplina da lui così nobilmente professata.
Neir opera Lo Stato, la Famiglia e la Scuola, dì
mezzo ai clamori del clericalesimo ignorante, oppose
al beato servilismo d' ideali vecchi e cadenti, la ri-
forma della scuola nazionale sopra solide basi mo-
derne, e su le ruine del vecchio.
Al ringhiare impotente della frolla e anemica so-
cietà napoletana, che raccogliea nel domo di S. Gen-
naro le inspirazioni e le idealità, religiose e civili,
rispose col proseguire, impavido e sereno, noncurato
professore dell'Ateneo, su la via della scienza posi-
tiva, il suo nobile apostolato di educatore e maestro.
Avvertì il bisogno di risvegliare, presso noi, un vivo
focolare di cultura positiva, e primo nell'Italia, nella
terra di Bruno e Campanella, di Vico e Romagnoli,,
lanciò nell'agone scientifico per più e più anni, la sua
Rassegna di opere filosofiche, scientifiche e letterarie,.
la quale, poco di poi, venne seguita dalla Rivista del
Morselli.
Dopo aver pubblicato 1' ultimo suo volume, la più
bell'opera degna di lui, la Filosofìa e la Scuola, e dopo
aver lasciato il verbo di fede della sua scienza fra.
non pochi discepoli degni, chiuse immaturo gli occhi
alla luce.
Ecco come si assomma la vita del nostro filosofo,,
che visse e meditò combattendo ed educando.
Vili.
Ma — dicono alcuni — perchè l'AngiuUi non ebbe
quel lampo di popolarità e di ammirazione universale
3 57
che prosegui, in suo vivente, il rimpianto filosofo di
Galatina?
Ecco. Io, che conobbi di persona l'AngiuUi, e che
instintivamente l'amai, so eh' egli era un' anima sin-
ceramente e candidamente schiva e modesta, deside-
rosa di pace e di quiete, rifuggente dalle pubbliche
lodi e dagli accattati entusiasmi, tutta chiusa nello
studio e nella meditazione. — Così l'Angiulli fu come
appartato da quella plejade di scrittori e filosofi an-
che celebri, che continuarono 1' opera loro su verdi
sentieri e in mezzo a nimbi di fiori; egli, tacito e inos-
servato, segui per la sua via; e gli onori non li cercò,
né li attirò all' amo della sua gloria: gli ebbe non
chiesti né procurati. — Perciò egli ci rimane ancora
quel che dicesi un carattere, cioè un uomo onesto, un
galantuomo, un cavaliere: e non fu poco in tanta bas-
sezza di tempi falsi e servili.
IX.
Infine come 1' Ateneo napolitano perde un profes-
sore insigne che, colla facile e limpida parola, infor-
mava alla scienza nova una gioventù di promettenti
cultori, così r Italia rimpiangerà uno dei più illustri
e liberi propagatori di quelle scienze che, oggi o do-
mani, abbatteranno del tutto il giogo del vecchio
domma o della vecchia metafisica.
Morì sulla breccia, come un eroe antico: mori sul-
r aprirsi dell' ultimo decennio di questo secolo così
fortunoso e così grande; morì nell'Olimpo della scienza,
reduce da Roma, ove venne primamente colpito da
quel morbo che doveva ucciderlo; da Roma, ove erasi
recato a compiere nel Ministero della Pubblica Istru-
zione il suo dovere di Educatore e di Italiano.
VII.
Diego Yitrioli. <*)
I.
Pi
mi
ANTi mai in Italia, anche fra quelli che più
sono in voce di critici e di artisti, conoscono
pur di nome Diego Vitrioli, l'insigne latinista
calabrese? e quanti in Italia, in quest'ultimo scadere
del secolo decimonono, si recano a pregio d'ingegno
il dar vita a fantasie originali nelle classiche forme,
greche e latine? e quanti poi son quelli che sanno
intendere bene , oggi, un esametro di Lucrezio o di
Virgilio ?
Ciò eh' io sostengo, è propriamente questo: i più
in Italia, anche fra quelli che scrivono più spesso,
non hanno veruna intelligenza della lingua e dello
stile negli esemplari greci e latini, né sanno coglierne
lo spirito interiore nella plastica varietà delle forme,
né san fiutarne le riposte bellezze con opportuni ri-
scontri: il criticismo filologico , che in fondo vien
risolvendosi in disamine di puro e meccanico morfo-
logismo d' elementi sterili, tende a dissociar sempre
più il gusto degli studiosi da' vivi contatti de' classici
nostri. E pure il ritornare alVantico, sentenza troppo
ridetta ma da nessuno o da pochissimi intesa, sarà
sempre il bisogno ideale di un popolo che, su l'e-
sempio de' maggiori suoi, vorrà realmente e degna-
mente rinnovarsi. Il grido della Nazione italiana non
sarà mai quello de' giovani licealisti napoletani di
parecchi anni fa: Morte a Senofonte, né l'ideale nostro
sarà quello di ricercare se, in tempi sì diversi, valga
dimostrare inopportuno lo studio del latino. Crediamo
(*) Pubblicato il 189i) nella Biblioieca Je'le Scuole Italiane diretta
dal Pi-of. Giuseppe Pinzi.
.59
di affermar grandi cose mentre sarebbe molto oppor-
tuno l'accorgerci che è indizio di decadenza il divel-
lere dalla nostra coscienza la tradizione classica e
quello spirito di conservazione che nessuna dottrina
meglio delle sperimentali ed attuali dimostra neces-
sario e immanente alla evoluzione di qualsiasi idea e
di qualsiasi civiltà.
Ma parliamo del Vitrioli.
II.
Quest' illustre latinista reggino è, dunque, quanto
in Italia men noto tanto più celebre all' estero, ove
gli studi classici, se non sempre proseguiti con opere
originali fatte nelle lingue morte, son certo assai bene
intesi. Il Vitrioli, anima fervidamente sensibile e na-
tura intimamente classica , appartiene alla plejade
degli umanisti che s'onorano co' nomi di Fracastoro,
di Flaminio, di Vida, di Sannazzaro, di Fontano; ed
è l'unico umanista che, nella metà seconda di questo
secolo, abbia avuto 1' Italia da comparare a' grandi
del 400 e de' secoli di poi ; che anzi e' ti sembra
uomo d'altri tempi in opere le quali, come sono abor-
renti dalla popolarità della facile letteratura, cosi non
ti pajono adatte a trovar diffusione e fortuna mercan-
tile a chi le ha date in luce. Di fatti, qual mai rivista
odierna pubblica scritti del Vitrioli? e quale ne parla?
e qual mai casa editrice, in edizioni più o meno el-
zeviriane, ne fa, come dicesi, la reclame'?
Il Vitrioli è uno spirito singolarmente solitario per
quanto libero e gentile: come ideale domestico , ha
la patria sua, Reggio di Calabria, di dorè non si move
mai per volgere più in là lo sguardo su per una più
vasta distesa di terre e di marine. Tutto chiuso negli
studi suoi, onorato e amato da' conterranei , cono-
sciuto e ammiratissimo all' estero, e' si piace della
solitudine per revocare nell'anima sua di poeta quel
mondo sereno di fantasie e di miti ellenici che la
greca fenice de' lidi nativi gli richiama a quando a
quando nella mente. In quel confine Calabro che ha
36o
come termine l'Italia e, di rincontro, la costa sicula,
in quella terra promessa di memorie e di fantasmi,
vi è tutta una poesia di leggende o di miti antichi ,
vi è tutta una sorgente di umanesimo greco che non
può non esser risognato e vagheggiato da chi conosce
quella vita e quell'istoria. Fra que' monti e su quelli
scogli , fra Lipari caliginosa e Didime e Termessa,
fra i gioghi di Kricòde e il Peloro e la riviera sicula,
lo spirito sereno de' greci intravide o sorprese, con
purezza e venustà di sensi umani, un popolo di fan-
tasie e di leggende: il revocar quelle memorie del-
l'antico culto nella storia ancor viva de' luoghi, può
essere indizio d'inspirazione non antica, ma moderna,
anzi, recente.
IH.
E tutto questo ottiene il Vitrioli nell' opera sua
maggiore, lo Xifia (*), poemetto latino premiato dal
Reale Istituto Belga di Amsterdam. Quante volte ri-
leggo, il che mi avviene spesso, questo elegantissimo
poemetto latino , sempre mi ricordo di un vecchio
mio maestro, un prete, che primo me lo fé conoscere
e gustare: dolce n è la memoria. E anche ripenso a'
be' giorni che, nella scuola di questo prete, venivamo
in gara a bella prova di latino , non senza alcune
nerbate che scoppiettavano tra un esametro e l'altro,
eh' era un bene di Dio ! Quel eh' io trovo in questo
poemetto, è ciò che noi moderni diciam Vanima delle
cose: è certo senso vivido e plastico della natura
vergine, è certa freschezza palpitante d'imagini vive
e colte — con icastica storica — dalla visione de' luoghi;
è infine certa pagana reminiscenza delle antiche fan-
tasie elleniche ringiovanite coli' intimo senso della
realità vivente. E questo non è meno moderno di quel
che ammiriamo nelle Odi Barbare, almeno per certa
fusione, in un panteismo storico e cosmico, dell'ele-
(*) Reggio di Calabria. Voi. I delle opere scelte di D. Vitrioli. 18S9,
presso la libreria di D. D'Angelo.
301
mento psicologico e del naturale, senso e colore. E
il ritmo latino procede così ben fuso col metro, e
con sì varia peregrinità di forme, che il poeta non
mi par così musicalmente virgiliano eh' io , qualche
volta, noi riscontri con Lucrezio e con altri antichi,
come Catullo, Orazio. E la novità di questo carme?i
è, più ch'altro, nella tenuità dell'argomento: la pesca
del pesce spada. Come un argomento sì semplice
possa al poeta dare il volo a bellissimi episodi, non
par possibile; e pure il Vitrioli ottiene tutto questo
con ispontaneità mirabile e con ispirazione non vo-
luta , non cercata. Il poemetto è diviso in 3 parti,
intitolate dal nome di tre Grazie: Aglaja, Talia, Eu-
frosine. Nella prima parte (Aglaja) si descrive , con
evidenza pittorica meravigliosa e con senso moderno,
la pesca che del pesce fanno i marinaj reggini, e la
descrizione mette capo al mirabile episodio, — una
classica fioritura virgiliana nello stil dell'Eneide, —
della Fata morgana. La seconda parte (Talia) è tutta
un episodio ove si ringiovanisce nella poesia de' luo-
ghi la mitica fantasia di Glauco. Scilla e Circe. La
terza (Eufrosine) è alfine uno stupendo convivale ove
alcuni de' pescatori, assisi intorno al pesce come in
àgape fraterna, narrano e descrivono la lor valentìa
e i pericoli della pesca pe' mari lontani, dall' Eliade
alla Britannia e a' Paesi Bassi, e insieme la vita di
tanti altri pesci, di tanti altri luoghi corsi e osservati,
facendo rivivere tutto un passato di memorie e di
sogni , e rinfrescando il bellissimo ricordo di Saffo
e di Paone; e questa terza parte alfine si chiude con
la trionfale apostrofe ultima colla quale Meronte,
qui munere divae
Indigenae, Xiflam trifldà mactaverat hastà,
inaugura a Scilla divina il trofeo del pesce da lui
mortalmente colpito nel dorso con trisulca punta.
Questo il celebre carme del Vitrioli, il quale incom-
parabilmente anche lo traduce in isciolti ; e giova
anche ricordare la bella ed elegante traduzione che
302
ne die V onor. Michele Ceppino, più volte Ministro
dell'Istruzione in Italia.
Molte altre opere latine die in luce il Vitrioli: no-
tevolissime fra queste le Elegie latine e le Elegie
pompeja7ie in distici, alcune delle quali vennero pub-
blicate dal Perosino, nel Barelli. Ma l'opera sua mag-
giore, anche a giudizio dell'autore, riman sempre lo
Xifia ; e sarebbe utile che qualche Antologia latina
non trascurasse di offerirne a' giovani come saggio
di classica eleganza qualche importante frammento,
come, ad esempio, la descrizione della pesca o l'epi-
sodio della Fata morgana della parte prima (Aglaja).
Era un debito di noi italiani il parlare, oggi che
con nuove correzioni ritorna in luce con tipi nuovi,
di questo poemetto prezioso, documento a' giovani
italiani che , nella terra di Cicerone e di Virgilio,
anche in tempi come i nostri , non manca qualche
singolare e peregrino esempio vivente della nostra
grande arte antica, non foss' altro , come antidoto
alle ingiurie che ci fanno gli stranieri dotti i quali
cercano storicamente dimostrare nientemeno che la
oscurazione delle stirpi latine !
exrn--^^^^
vili.
Enrico Neiicioni.
JORI giovane, a 56 anni. Era egli nato il 1840
in Firenze, ove quasi sempre visse ed ebbe
offici, ed ove immaturo e quasi inavvertito
disparve il 27 agosto 1896. Non a Firenze veramente,
ma morì ad Antignano, presso Livorno. Visse sobrio
e modesto, né la patria gli largì alte cariche ed o-
nori : fu solamente professore di lettere italiane all'
Istituto normale femminile superiore di Firenze, e am-
mirato scrittore di riviste : la più parte della vita la
consumò studiando e adorando. Ma quanto di lui
ci venne meno, per manco di alimento e di clima, e
d'aere e di luce intellettiva, che dovevano venirgli
da' tempi ! Peccato ! Ei non si svolse e non si esaurì,
e morì giovane d'età come sempre fu giovane di pen-
siero. In questi ultimi anni lo spirito suo taceva, o
almeno non si manifestò più nella stampa periodica :
il momento suo più fecondo, la sua vera primavera,
si schiuse e fiorì tra il '79 e l'SS, in quello che parve
un novo rinascimento italiano nelle lettere, e che si
fuse o s'incastrò nel periodo bizantino, il quale fu la
svariata fecondazione sommarughiana. Fu il tempo
delle Poesie e de' Medagliorii.
Egli, in Italia, fu il più accolto e applaudito rap-
presentante del femminino nell' arte e nella critica,
onde la sua prosa meglio piacque alle dame; e 1' a-
nimo suo si aprì sempre, almeno esternamente, gen-
tile come un fiore, e fresco e sereno come un mattino di
aprile: avea sempre una carezza per tutti e per tutte
le cose, una dolce carezza che parve blandimento
mondano e garbo di eleganza, e fu invece tenerezza
di cuore e soavità di costume; ma pure internamente
ebbe spesso baleni di passione e fulgori di sentimenti
in tempesta quando era a contatto della grande vita
564
riflessa dall'arte. In quella ideale accensione dell' a-
nima sua, non era più lui.
Fu come il De Sanctis un grande adoratore e so-
gnatore della bellezza. — Ma il napoletano impresse
nella critica nostra un solco più profondo e pene-
trante di genialità estetica; non cosi il toscano che
meglio riuscì a idealizzare con improvviso spirito di
ammirazione tanta parte dell' arte straniera nella
quale più del meridionale fu certo versato. Anima
candida e verginalmente aperta a tutte le idealità, di-
venne in letteratura più squisitamente e intimamente
poeta che non in rima : i suoi Medaglioni son più
poetici delle stesse sue Poesie di cui meno si piac-
quero i più caldi ammiratori di lui. Fu in critica
quello che oggi direbbero un impressionista : fu il vo-
luttuoso crociato d' ogni cosa grande e gentile nelle
moltiformi manifestazioni dell'arte e della poesia mo-
derna, nostrana e straniera. E, come i crociati medie-
vali, ebbe un culto e una fede, una quasi religione
della bellezza, sotto qualunque forma o contenuto od
estensione ; sia che ella spargesse l'arte di fiori e di
primavere, sia che la compenetrasse d' impeti e di
bagliori ideali, sia che la svegliasse alle grandi pas-
sioni con forti nitriti di battaglia : l'arte e la poesia
d'ogni colore, d'ogni calore e d'ogni svolgimento.
Fu anche come il De Sanctis un grande innamo-
rato dell'arte, ma non un artista, che l'uno e l'altro
furono come aborrenti da ogni cura della lima e dal
fine lavorìo della forma e dello stile.
Potete voi leggere in entrambi squarci stupendi di
prosa calda ed animata, molte volte più vivida e più
lirica di un idillio o di un'ode da essi commentata;
potete ammirarvi 1' anima fascinatrice la quale, tutta
rapita dallo stesso momento d'inspirazione, s' imme-
desima tanto nell'opera dello scrittore , che senza
365
addarsene spesso ne rimane come abbagliata, e ne
varca i limiti e la trascende : è cotesta più tosto
un'estasi intellettiva che non una tranquilla e razionale
contemplazione del vero idealizzato col sigillo del-
l'arte. Ma come avviene in costoro , se non il di-
sprezzo, certa spensieratezza della forma e una cer-
ta incuria dello stile e della rappresentazione ? A
me non par difficile spiegarlo. V'hanno anime e na-
ture di scrittori che per certi impeti o furie di sen-
timenti, per certo irrefrenabile trasporto verso la
contemplazione ideale, si lasciano vincer la mano alla
passione estetica, si lasciano interamente assorbire da
quasi un miraggio di bellezza ; e, sotto quell' impeto
o quell'assorbimento di tutte le facoltà, obbediscono
pur non volendo a uno sfogo dell' anima, la quale
non riesce a fermarsi o a temperarsi intorno alle per-
fezioni della tecnica o allo studio paziente delle in-
dagini nella compiuta disamina critica. Ricordate, per
esempio, il Farinata di Dante ne' Nuovi saggi critici
del De Sanctis, e lo studio intorno aXV Umorismo, un
de' più letti, di Enrico Nencioni. É difficile trovare
oggi in Italia più pagine di critica che valgano per
la estetica le pagine luminose del primo ; e neppure
è comune rispetto all'argomento la intelligenza ne'
nostri dei tanti scrittori stranieri che il secondo di-
samina o ricorda di scorcio, trattando una questione,
superficialmente sì, ma appena tócca o tentata da al-
tri. Ma quanta, e nell'una e nell' altra prosa, incer-
tezza o vaporosità nella locuzione, indeterminatezza e
improprietà nello stile , mancanza di freschezza di
agilità elegante nel periodo !
* *
Nel De Sanctis anche prevalse un sentimento di
smodata reazione al rigido purismo del Puoti, la quale,
come ogni prima reazione, degenerò ne' vizi opposti:
e fu male. Così per altra via sull'anima del Nencioni
influì per poco, non 1' esempio del Manzoni, ma la
scuola che con infelici deviazioni ne derivò rispetto
366
alla unità della lingua e dello stile ; e ciò in effetti
non pure fu impotenza e oblio del culto intellettivo
di quella novissima arte, ma irrazionale disprezzo di
ogni lingua e di ogni stile letterario. E pure il Nen-
cioni fé' parte di quell' allegra brigata toscana cui
appartennero il Carducci e il Chiarini, di quel ge-
nialissimo gruppo di giovani ammirati dal Guerrazzi,
i quali intorno al '59, sotto le impressioni della fre-
mente prosa del livornese, per ispontanea ribellione
alla tradizione guelfa nel culto del paganesimo, tem-
perarono e sveltirono l'ingegno con lo studio e con
la imitazione non di rado servile de' classici. Era il
periodo carducciano delle Iiiveìiilia quand'egli appunto,
il grande poeta, si disse scudiero de' classici. Ma quel-
li furon pochi anni di studio fra le scuole di uma-
nità e l'Ateneo, che presto, dopo il '59, gli amici o
i commilitoni si divisero ; e di essi il Carducci solo
prosegui da Bologna col medesimo fervore quella ten-
denza, e un po' tepidamente il Chiarini da Livorno.
Un altro di quella brigata , Torquato Gargani, che
forse avrebbe saputo continuare, era morto giovane,
troppo giovane, con la sua edizione di Esopo ; gli
altri, sbalestrati qua e là dagli uffici, si dispersero
infecondi o discordi. Ho voluto rinfrescare questi
dolci ricordi di arte perchè forse ci aiutano a inten-
der meglio la prosa e la poesia del nostro. Il quale
tien molto di quella scuola, e certo quella larghezza e
quella fiamma nell'ammirar l'arte, come dicemmo, in
ogni contenuto e in ogni forma, iti ogni tempo e in
ogni nazione. Ma egli più s'innamorò de' poeti stra-
nieri specie inglesi, di Shelley e di Swinburne, di
Browning e del Tennison, e risali a Pope, a Shake-
speare, a Marlowe : e su essi versò tutta la poesia
del suo cuore, tutta la gentilezza del suo animo, tutti
i fiori della sua gioventù che sino agli ultimi momenti
gli arrise gioiosa come nella prima età. — Ma la sua
quasi biblica suggestione del bello, d' ogni bello, di
tutto il bello, e più lo studio che assiduo prosegui
sui poeti stranieri, e un certo distacco o interruzion
di contatto con la tradizione più veramente classica,
non gli dierono lena e tempo e desiderio di curar
meglio lo stile, d'illustrar 1' arte con 1' arte, come i
vecchi suoi compagni d'arme, il Carducci ed il Chia-
rini.
Per lui lo sfogarsi come meglio seppe e potè, così
alla buona, senza nobiltà e senza gala, senza misura,
senza preparazione critica e specialmente storica, in-
torno alle recenti impressioni delle svariate letture
che lo inebriavano e lo abbagliavano, fu un grande
bisogno ideale come ogni vero bisogno umano: cosi, "
il pensiero e l'ammirazione gli fluivano dall'anima come
una visione aurea , come dal libero estro di un poeta
improvviso una irrompente vena di poesia tutta di
getto. Se avesse avuto sicuro e pieno il maneggio
della tecnica e ferma intenzione di divenir poeta, sarebbe
veramente riuscito un grande poeta, un poeta inglese,
tipo Shelley : di fatti, pochi più di lui mostrano di
saper ammirare la infinita poesia della Natura , di
cui v' è come un'ombra, come una sfumatura un po'
nebbiosa e vaporante nelle sue Poesie , brevi e ge-
menti ritmi di un'anima appassionata, nata per amare
e per isvolgersi in orbita molto più spaziosa di quella
in che troppo si restrinse e che forse fu costretta a
vivere.
Ond'egli a parer mio rimane come un simpatico e
brillante improvvisatore estetico, come un De Sanctis
toscano, e perciò anche uno scrittore di finissimo
gusto. E fu uomo di gran cuore e di grande bontà :
di lui ne' Raccoglimenti si ricorda il Carducci, quando
scrive : « E sentirei di essere ingrato se non ricor-
dassi almeno a me stesso quanto io debbo al fraterno
ingegno di Enrico Nencioni che mi fu sin dai primi
anni eccitatore coll'ardor suo e coll'esempio al culto
di tutto ciò che è bello in ogni forma (*) ». E' il
migliore elogio che rimarrà di Enrico Nencioni.
(*) Confessioni e Tiatla<jlie. Bologna, Zaiichelh, ISOO. Pag. 61
3Ó8
Più che i Ricordi di Giaìi Battista Niccolitii., utilis-
simi e a torto dimenticati, il più noto e popolare li-
bro di lui sono i Medaglioni, storiche miniaturine che
contengono, parmi, troppo piccola parte di quell' in-
gegno e di queir animo, i quali meglio sì rivelano
ne' moltissimi saggi, in gran parte splendidi di acume
critico e di penetrazione estetica, che per più anni
e' diffuse qua e là nelle riviste maggiori e special-
mente su la Nziova Aìitologia.
Sarebbe opera provvida ed utile agli studi nostri
raunare con indulgente animo tutte queste fronde
sparte, e comporre un libro, il più bel libro di En-
rico Nencioni, e l'unico libro che ci faccia accorti in
Italia della esistenza di una vera letteratura straniera
moderna; in Italia, ove per difetto d' ingegno o me-
glio di buona volontà, troppe cose mancano per un'
alta e sana cultura.
Salute, o nobile morto : con te si diparte da noi
anche un altro di q^uel ristretto covo di anime che
nelle vigilie dell'arte, scolte animose, sognarono 1' I-
talia risorta, ma non questa età, dal cui grembo rom-
pono ora troppo sterili germi per appagare il vostro
sogno, per sanare almeno una ferita dell' animo no-
stro. E a noi non resta ora che il rimpianto di voi,
nostri padri e maestri, e solo il culto de' morti e
delle tombe !
_2^k^
IX.
Michele Lessona.
\i lui , nella celebre sua polemica sul pz Ira,
cosi scriveva il Carducci : — Michele Lessona,
che io, se mi fosse lecito contaminare una
qualificazione rigidamente moderna con un'antica ele-
ganza, direi scienziato di molte arti, ed è amico buono
e collega utile, specialmente in certe gravi sessioni,
per le tante storie allegre e le tante persone ralle-
granti che ei sa con efficacia riimovatrice raccontare
e imitare, scotendo l'ampia capelliera grigiastra con
tutta la testa scultoria, con tali impeti e scatti di riso
da parere un Padre eterno che faccia in un momento
d'allegria un terremoto sussultorio; il Lessona, dico,
nell'aprile scorso, mi raccontava d'un amico suo pie-
montese, un capitano in riposo, il quale a ogni motto
che un gli facesse dei casi più spesso occorrenti, un
marito tradito, un banchiere fallito, un ministero ca-
duto o un pollaio derubato, soleva, puntando forte il
piede sinistro, avanzando il destro, con le braccia in-
crociate su '1 petto, e caracollando leggermente o-
bliquo il viso abbronzato tra i folti mustacchi, uscire
in questa esclamazione interrogativa : Sas in e' al è
fori f Pochi giorni dopo, in una di quelle date ses-
s,eni, io, tra una discussione e l'altra, mi attentai di
passare al Lessona i famosi sonetti nelle prove di
stampa, un dopo l'altro, come pillole o ciliege a un
bambino. L'amico abboccava, e ne chiedeva tuttavia.
Dunque eran ciliege. Finito che ebbe, — E che titolo
metti a questa diavoleria ? — pz Ira — Sas tu e' al è
fortf — Sì, fu proprio forte, o Michele Lessona (*).
(•) Carducci, Confessioni e battaglie. Pag. 389. Bologna , Zani.
chelli, 1S90.
24
37»
In queste brevi linee è tutto un profilo dell' uomo
e dello scrittore. Fu veramente il Lessona uno scien-
ziato di molte arti. Egli, pur facendo professione di
scienza come scrittore e come insegnante, volle dif-
fondere, spesso tra '1 riso e le allegre facezie, la vo-
lubile assimilazione delle sue facoltà lucide e serene
sur un più largo campo di discipline o di arti che pur
svariate e diverse si afifaceano tutte allo spirito suo
limpido e quieto; e in esse facea circolar sempre quel
nativo senso di bonomia leggiadra e di arguta piace-
volezza che ne rendevano ricercata l'opera da editori
e giornalisti, i più vari e diversi. E' fu una di quella
anime temperate e insieme candidamente miti e soavi
le quali paion disposte a mirar delle cose tutto che
è piacente e gentile, attratte come sono da un così
largo e benefico ottimismo che riescono a temperare
anche il tristo e l'amaro con un dolce e vago senso
di compatimento e di rimpianto. Così egli, instinti-
vamente buono, rifuggiva sempre dal male, o lo scu-
sava ; dolce e pacato, non aspirava alla lotta e a dis-
sidi civili o intellettivi : laborioso e modesto, ma un
po' trepido e diflSdente, non sentì il pungolo della
gloria né cercò per essa, o forse non potè, altre vie
e nuovi orizzonti : in una parola, e' fu molto ligio
alla vita che circondava benefico di una simpatica
carezza ; e se non volle andare più in là, valse però
a raccogliere e assimilare fecondamente tutte le par-
venze e tutti gli spiriti del tempo. Fu dunque un in-
gegno assimilatore, ma fortemente e luminosamente
organico e chiaro; e se gli mancò \2l follia del genio ,
come la chiama il nostro Lombroso, ebbe per altro
ciò che manca a molti uomini di genio nella scienza,
la facoltà nitida della esposizione, il brio e la vivacità
della forma, la simpatica attrattiva dello stile e 1' or-
dine mirabile con l'omogeneità delle idee e delle ri-
cerche. La genialità sorprendente e la divinazione
precoce e superiore non furono possibili in uno spi-
rito e in un temperamento placido ed uguale come il
suo ; ma ebbe un così trasparente senso di misura e
di equilibrio che riesci molto più efficace sulle molti-
371
tudini, di parecchi altri scienziati novatori; popolarizzò
co' suoi libri e col suo insegnamento molta parte
delle nove dottrine che paiono spesso avvolte da troppi
veli e da troppe nebbie ne' nostri, anche sommi. Fu
meno smagliante e colorito del nostro Mantegazza,
ma certo più di lui serio e ordinato, e non fu mai
.fantastico o vago.
Se lo avesse voluto, sarebbe riescito un artista non
volgare, al che molto gli avrebbe giovato la molte-
plice versatilità dell'ingegno. Di fatti com'egli narra,
:studiò troppe cose da giovine, musica, disegno , lin-
gue : pensò anche a tentar le scene e a intraprendere
la carriera militare. E di queste arti od uffici cosi
diversi, e di quella varia lettura a cui lo abituò Se-
bastiano Canavesio, allor chierico ed or padre con
famiglia in Mondovì, rende spesso esempio nelle sue
variatissime scritture apparse con sì mirabile fecon-
dità di aneddoti e racconti in tanti fogli domenicali,
in tante riviste e in tanti libri e libercolini fatti pel
pubblico che legge.
Fan sorridere que' cosi detti critici che lo dicon
povero di lingua e d' idee, quasi che oggi in Italia,
all'infuori di due o tre eccezioni, gli scienziati scri-
vano bene e si manifestino originali ; e quasi che
anche coloro che fan solo professione di lettere come
critici o come produttori di arte, ci si rivelino puri
e immacolati nella italianità della forma. Il Lessona
fu scienziato veramente e nel più largo senso della
parola, come quegli che ebbe con solo pochissimi de'
nostri una vivida e chiara percezione e insieme una
facile e comunicante rappresentazione del moderno
pensiero scientifico, il che appunto lo rese ricercato
e popolare. Certo, e' dovè anzitutto questa sua grande
popolarità a quell'aureo volume uscito vittorioso da
un concorso bandito molti anni fa dal geniale editore
Gaspare Barbèra, cioè al fortunatissimo suo Volere è
potere che per 1' Italia ebbe il successo che nell' In-
ghilterra e di poi in tutto il mondo un altro assai
più celebre libro, di Samuele Smiìes : Aiutati che Dio
f aiuta. Ma questo che nella storia delle lettere e delle
scienze è un fenomeno che sempre si ripete, costi-
tuendo esso la prima e più salda radice della cele-
brità d'uno scrittore, non dee farci dimenticare quanto
l'Italia è al nostro autore obbligata per moltissimi al-
tri libri, i quali, pur non essendo originalissimi, re-
stano ancora eccellenti saggi o manuali nelle nostre
scuole e nelle mani di adulti avidi di buone e utili
letture. E della sua svariata e copiosa produzione è
necessario attingere le cause o le prossime occasioni
dalle curiose e diverse vicissitudini della prima sua
educazione e della sua gioventù, ma specialmente dai
viaggi ch'e' fece attraverso l'Europa e le altre parti
del mondo, in Egitto, in Turchia, in Persia. Frutto
di que' viaggi e di ulteriori studi rimangono le se-
guenti opere : // mare. Gli acquari, Sulla riproduzione
delle parti in molti atiimali, Sulla resistenza vitale delle
vwsche nel vino, e la veramente utile e magistrale tra-
duzione A€iV Origine dell'uomo di Carlo Darwin che
con quella fatta dal Canestrini, àeW 07'igi7ie della spe-
cie, riman tuttavia una delle più importanti e ricer-
cate pubblicazioni scientifiche di quest'ultimo venten-
nio in Italia.
Fin qui dello scrittore e dell'uomo; ma ancora ci
resta a dire del maestro e dell'educatore. In ciò e'
potè subito guardare alle belle tradizioni domestiche,,
al cui proposito scrive : — Figlio, nipote, fratello, co-
gnato, padre, zio d'insegnanti , nacqui e crebbi in
una scuola, magari prima di sapere, come quel cotale
del Gii Blas che, mentre insegnava a leggere, impa-
rava a scrivere. — Cotesto fu uno de' lati migliorìi
della sua vita onde più vivo è il rimpianto. Più che
dottrinario o cattedrante, e' fu maestro nel senso an-
tico, e dovrei dir latino, della parola : all'aridità ver-
bosa o alla pompa dell' eloquio togato, alla preten-
zione enfatica e alla saccente gravità dell'accademia,
e' sostituì, come usa in Germania anc' oggi e come
solo pochissimi de' nostri fanno, la cordiale e acces-
sibile efficacia diretta dell'insegnamento pratico e quel-
J'apostolato dell'anima che forma il nerbo della edu-
cazione vera. Egli non formò omuncoli o mestieranti,,
373
né accademici o dottrinari, ma uomini savi e probi ,
utili per la vita e per la patria. Fu per questo che
con sentimento concorde lo amarono tutti , amici e
colleghi d'ogni disciplina e facoltà, giovani e scrittori,
padri di famiglia e giornalisti, industriali, operai, di-
pendenti. Ricordo che il giorno proprio della sua
morte, trovandomi nella Pitiacoteca dell' Accademia delle
Scienze in Torino, lo sentii ricordare colle lagrime
agli occhi da piccoli impiegati e da persone del po-
polo; ed io, cui fu spesso consigliere benevolo ed ef-
ficace inspiratore, e che speravo poterlo conoscere per-
sonalmente vivo, così come l'avevo conosciuto in i-
spirito, non potei se non accompagnarne la salma al
cimitero, al quale trasse tutta la migliore e più di-
versa cittadinanza torinese.
Le Confessioni d'un rettore sono il secondo suo li-
bro d'oro che attesterà quant' anima di lui rimarrà
nella fida memoria di chi lo conobbe e nella storia
dell' insegnamento superiore. Amò i giovani e pei
giovani scrisse questi altri libri : Storia Naturale ad
uso de' Licei, Traduzione della filosofia zoologica del
Van der Hoeven, Adozioni elementari di zoologia, Con-
versazioni scientifiche, ecc., che seguitano a fare in
parte il giro delle nostre scuole. Così con lui dispare
un carattere nobile e incorrotto, un'anima buona, un
esempio di vita intemerata, di costanza e di fede, uno
spirito de' più benefici e utili alla società fra cui
visse. Nato appiè delle Alpi, in Venaria Reale, ebbe
de' monti nativi la tenacia de' propositi e la instan-
cabilità del lavoro; si spezzò quasi improvviso, paci-
fico e sereno come visse, in mezzo alle famiglie che
amò tanto; morì, securo paladino della verità e del
dovere, su la breccia poco più che settantenne (e'
nacque nel 1823). Poco innanzi di trarre l'ultimo re-
spiro, al dottore Tibone che gli disse: — Ma lei, pro-
fessore, abusa troppo delle sue forze, lavora troppo,
si logora troppo; lei non ascolta che la voce del do-
vere — e' rispose, quasi esamine, così : — É l'unica
voce che mi resta ancora !
X.
Pietro Sbarbaro.
o conobbi a Roma in una fulgida serata di
lì a Piazza Colonna. Venni
fedeli. Dalla
rude e foltissima barba, grigiastra e intonsa, e dalla
scompigliata capelliera traspariva un non so che, tra
di Prometeo e di Màrsia, tra di protervia leonina e di
neroniana ferocia, paurosa ed imbelle. Avea nelle li-
vide occhiaie due luci torbide e sinistre, che parean
rivelare il fiotto di un'anima già dòma, ma ancora in
tempesta. Le vesti avea troppo umili e disadorne, una
gran tuba in testa, e al collo una povera cravatta
nera.
Avrei voluto parlargli a lungo e stuzzicare un poco
la sua ringhiosa vanità; ma forse non potei, o me ne
mancò il tempo. Avevo conosciuto abbastanza, anche
nel fisico, l'uomo e lo scrittore; e mi parve temerità
o provocazione il sospingerlo in quel momento a qual-
che sùbito sdegno mal represso. Quella sera mi parve
assai sereno, anzi molto corretto e gentile. Solo mi
disse che adorava i napoletani per l'indole loro espan-
siva e virilmente e nobilmente schietta. Altro non
ricordo personalmente di lui. Poco di poi ci conge-
dammo , ma ho ancor viva fra' nervi 1' impronta
vigorosa della sua mano fremente . Fin d' allora
queir uomo mi parve quasi finito nel pugilato della
vita: mi parve stremo di forze fisiche e morali; avea
troppo combattuto quando la sua voce altro non era
che il solletico della curiosità plebèa. Ora egli è morto,
quasi improvviso, come una metèora da più tempo
già spenta. I debaccatori della facile sua gloria di ieri
oggi non ne hanno neppure accompagnata la povera
salma al cimitero: è morto povero, e senza voce, quando
gli ultimi scandali bancari parea volessero risuscitare la
375
sua coscienza tribunizia, o i suoi terribili appelli, che ri-
mangono ancora nella fida memoria di quelli che un
giorno lessero le Forche caudine. La Penna d' oro e i
primi numeri della Libera parola i\ixon\'w\\ÀV!\o ^\\\zzo
di fiamma. Era già stanco, come stanche furono le
plebi di troppo applaudirlo. Fu il Fetonte d' un' ora
nel plebiscito di Pavia: poco innanzi era stato il Robe-
spierre della moralità nelle Forche caudine; indi fu il
quatriduano Lazzaro risorto neh' ultima libertà, lar-
gitagli dalla clemenza di un Re magnanimo, che, lui
morto, donò l'ultimo ausilio alla martire vedova; ma,
prima e dopo, fu il Sisifo della nova Italia risorta-r-
almeno dicono così! — condannato a sospingere e a ro-
tolare il sasso — a diletto o a scudiscio di volghi o
d' oligarchi — della bizantina vigliaccheria nazionale.
Dinanzi a quel sasso, ancor vivo e vegeto e sano di
corpo e' si corrose e si spense prima che la terribile
dea desse un asilo di pace, e non più una tregua ,
all' anima sua irrequieta.
*
* *
Cerchiamo ora dir di lui quello veramente che fu.
Quanti conobbero lo Sbarbaro, quand' era profes-
sore di Università, lo ricordano entusiasti e con af-
fetto di discepoli; ma rammemorano ancora qualche
tratto od episodio del suo spirito ribelle.
Nessuno direbbe ora eh' egli sortisse da natura, in-
sieme con la tèmpera forte e gagliarda, un sano equi-
librio delle facoltà. Natura essenzialmente nevrotica,
non avea la calma necessaria perchè il molteplice in-
gegno suo riposasse limpido e sereno su' molti pro-
blemi di scienza specialmente filosofica che meglio si
affaceano alle sue attitudini speculative e alle parti-
colari sue ricerche. Era egli veramente un carattere
nient' affatto organico e speculativo, ma rapidamente
e instintivamente assimilatore. Dotato di una feno-
menale memoria, riesciva sùbito a immagazzinare nel
suo cervello tutto che da molteplici e troppo rapide
letture veniva man mano derivando; ma, nel tempo
2>1^
stesso, non valeva a organare e a dare assetto nella
sua mente a questi, per discipline non proprie, quasi
minùzzoli e ritagli di cultura e di erudizione. Quella
convulsa irrequietudine nervosa — forse gli fu ere-
ditaria— che lo rendea mutabile nelle idee e ne' sen-
timenti, nelle afifezioni politiche e nelle morali, negli
odi e negli amori d'uomini e di cose, sconvolse* e scom-
paginò quella forte e complessa tèmpera di scrittore
e di polemista che, più sano e più sereno, avrebbe
saputo dare un vitale e durevole organesimo a tutta
una dottrina sua propria. E' poteva dire, come dì sé
in una fortissima strofe il Carducci:
Io sento in me (lualeosa di Nerone.
Ma più puro e Giocondo:
Non sangue o teste, io voglio, in conclusione,
\'vi' schiaffeggiare il mondo.
E' potea essere lo schiaffeggiatore giambico della
novissima Italia, o, meglio, di quel breve periodo nel
quale fiorirono di scandali le sommarughiane Forche
caudine; ma sempre che fosse stato — il che gli era
impossibile — più organico, più circoscritto, più sodo.
Invece e' fu un vituperatore antropofago e spesso un
calunniatore bilioso di notissimi uomini e di persone
non sospette eh' ebbero sempre incontaminata la vita:
tolse da' bagordi e andò raccattando pe' trivi una
manata di fango, per bruttarne la faccia dei diso-
nesti pe' quali fu scusa e forse lode il luogo o la
persona onde quell' ira mosse, e de' purissimi galan-
tuomini dinanzi a' quali e' si chiarì delinquente for-
sennato e pazzo da catena. Quel fango piacque solo
alle plebi sitibonde di scandali, e da esse gli venne
quella facile gloria e quel lampo di celebrità che sol-
tanto gli valse a render paga per brevi momenti l'in-
nata follia e la grandissima vanità, e, insieme, a sem-
pre più disquilibrarne 1' ingegno. La sua prosa, né
meditata né psicologicamente ordinata anche nelle in-
vettive e nelle accuse, fu essa stessa uno scandalo
della moralità e del buon senso. Ma giova risalir prima
alle cause più immediate e più recenti di questo feno-
377
meno — diciamolo cosi — patologico. Di un povero
morto è bene toccar pure la parte sua d' irresponsa-
bilità morale.
Quand' egli cominciò ad apparire ribelle dalla cat-
tedra e in pubbliche concioni sociali, allorché, colpito
forse ingiustamente nell' amor proprio, volle bollare
d' infamia uomini e tempi, come per isgravio della
sua coscienza offesa; fu allora che ricorsero plaudenti
alla concitata sua facondia libellatrice quanti furono
amatori di scandali; e quanti, per fini politici, lo cre-
derono docile strumento di partigiani rancori e di vol-
garissime ire. A lui, allora allora esonerato brutalmente'
dall' ufficio di professore e per conseguenza bisognoso
di lavoro, ricorse l'audace Somtnaruga affin di rialzare
con uno scandaloso giornale la sua piccola fortuna
economica, ormai scossa da troppo fugaci industrie
librarie e Ja troppo ambiziosi disegni.
Quel carattere, ormai guasto e invelenito, non avea
bisogno d'altro che di un' occasione o di un' offerta
come questa; e così, come tutti sanno, esso esplose
veemente, come instrumento atto a dar suoni confusi
e strappi violenti e vari secondo la frenetica mano
di chi lo tocca. Da un lato queste prossime cagioni,
e dall'altro le troppo facili lodi del volgo che legge,
insorsero insieme a far sì che quel torrente, ornai
gonfio, rompesse le dighe e dilagasse. Così fu, E av-
venne che quello avvenne. Dalle Carceri nuove di Roma
per un colpo improvviso di vento benefico e' passò
al trionfo quasi nazionale di Pavia; quell'avvenimento
fu per lui come l'intimo risvegliarsi della conscienza
popolare che volea giustizia; ma la gloria non diffuse
così durevoli come abbaglianti le larghe sue ali ,
e gli lasciò nella mente e più nel cuore l'efficacis-
sima impronta di quella follia morale che i frenologi
chiamano megalomanìa: questa impronta fu per lui
così salda che non lo lasciò nemmeno nell'agonia,
quando, perchè lo sapessero i giornali per accennare
a lui, volle far propagare anzi tempo la voce ch'e'
moriva, e che voleva a un tempo un postumo ricordo.
Ma duole a me dir male ancora d'un povero morto.
37«
Egli fu onesto, rudemente e instintivamente onesto;
e questa è per quel povero perseguitato e persegui-
tante la lode migliore. Quell'impavida fibra dovè per
colpa de' tempi spezzarsi: dovè, anche quando mirò
direttamente a fini nobilissimi, quasi movere a ritroso
del senso morale per voglia o libidine di chi seppe a
tempo deviare un'indole onesta e un uomo, in fondo,
nato e fatto bene. Egli non fu un malvagio, ma un
infelice, non un rèttile o un rinnegato, ma un illuso;
non un lenone o un vii carabiniere dell' onestà, ma
un animo sano, guasto e tormentato dall' altrui ne-
quizia e malvagità.
Morì povero e incontaminato, come povero e in-
contaminato visse; e pazzo o folle morale lo fecero
gli altri, consiglieri fallaci, laudatori volgari, editori
venali. Fu — checché altri ne dica — una mente assai
eulta: forse le molteplici idee e gli opposti sentimenti
la irraggiavano come con riverberi di troppe luci di-
verse dalle quali egli rim^nea quasi abbagliato — in ciò
il disorientamento suo psicologico e morale; — ma fu
certo un'intelligenza non volgare e di gran lunga su-
periore a tanti istrioni della cattedra che usurparono
il luogo che vacava all'onestà e all'ingegno.
Troppo egli scrisse, e, se ne togli qualche prmio
lavoro — giova per esempio almeno ricordare il dotto suo
studio su la Libertà — nulla per avventura rimarrà dure-
vole, perchè la sua prosa, così ricca ed esuberante
di erudizione, non ebbe mai, o quasi, un organico e
temperante concentramento logico né un lucido dise-
gno ideale e formale; e perciò essa parve l'opera ete-
roclita d' un megalomane. Ma, nella conscienza degli
onesti, egli lascia il vivo rimpianto che onora oltre
la tomba un forte ingegno, un' anima nativamente
buona e una vera vittima de' tempi i quali altro non ci
danno che scandali e falsissime glorie, e, per di più,
una condennenda gioventù degenere cui bene è di-
retto lo squillante grido del Carducci che la imprecò
insuperabilmente così: «generazioncelluccia di stoppa,
ricoperta d'una mano di gesso tinta a color di ferro >■>.
Libro IV.
TOCCHI E SBOZZI
La donna nella musica e nella poesia. (*)
SOMMARIO
Saffo — Vittoria Colonna e altre poetesse o donne eulte nelle
lettere e nelle scienze dal 1500 al 1848 — Erminia Foà Fusinato —
Giannina Milli — Beatrice Bugelli del Pian degli Ontani — Vittoria
Aganoor — Olinda Bonacci -Brunamonti — Clelia Bertini — Attilj
— Eva Cattermole Mancini — Elda Gianelli — Ada Negri ^- Grazia
Modesani - Deledda.
JKANTA miniera di affetti non chiude in se il cuore della
donna? Qual mirabile orchestra di suoni e di vocali me-
lodie non è in quell'ugola squillante che ha tanta malia
e tanto imperio su l'anima delle moltitudini ? Quanta bellezza e
quanta grazia, quanto riso e quanta pietà, quanto dolore e quanta
passione non è mai nel seno di quella fragile natura in cui si cova
il seme della specie e il frutto della vita { Par ella fatta a schiu-
dere dell'essere tutti quanti i tesori e tutte le debolezze, madre e
maestra, seduttrice ed amante, farfalla e genio, ministra di gioie
e di sventure : anche par nata a largire fra' doni suoi più rari non
sol quello del canto ma anche l'altro, ugualmente meraviglioso,
della poesia. — E pure essa — sembra incredibile! — non ci ha dato
musica mai, in tutt'i tempi e presso tutt'i popoli: non mai da quel
cuore ch'è tutto una musica d'incanti sgorgò l'armonico ordito di
un dramma lirico, ne sola una nota che pur di lontano ricordasse
ì&yonna o la Lucia, il Guglielmo Teli o la Traviata, il Fausto il
Mefistofele. Qual mai opera muliebre fu cantata in su le scene ? —
Questa nobile figlia della Grazia non si provò una volta neppur
nella musica minore. Di fatti, qual popolare e celebre motivo di
lei corse mai per le bocche di tutti ?
Lo stesso, per la poesia.
(*) Questo breve mio studio servi per una pubblica conferenza, e di essa ha.
il colore e il calore ed anche la leggerezza.
382
Erra ancora fra le memorie delle più leggiadre fantasie dell'El-
iade, più tosto simbolo o ideale che storico e vivo retaggio, l'eterno
femminino dell'amore nel fulgido genio di Saffo un cui divino fram-
mento, in una breve saffica celebre, il Foscolo rinverdì di forme
liriche nostre, dove spira mirabilmente soggettivo il greco suo spi-
rito zacintio, nato cresciuto allevato sotto i materni soli. Molti
credono che. come Omero, sia pur Saffo un mito , un di que' miti
fulgidamente sereni che invescarono per secoli la florida giovinezza
pura del popolo ellenico, di quel popolo che inebriato di umanesimo
senti virginalmente e impresse nell'arte della parola e del disegno
tutta la poesia della natura, tutta l'estetica della vita. Niente di
più facile 0 credibile che in quella rinnovante primizia del genere
umano, in quella felice e feconda verdezza di pensiero e di senso,
il divino fantasma del verso sbocciasse come un flore anche dall'a-
nima delle donne, e spargesse fra gli uomini i suoi colori, le sue
fragranze, i suoi profumi, a continuare e a flnire le ultime linee di
quel meraviglioso quadro della bellezza.
Tuttavia anche nella leggenda altro non rimane che il nome e
questo frammento della grande poetessa di Lesbo ; il che a senso
mio prova che la poesia non arrise munifica al cuore e all'anima
di questa fida compagna dell'uomo, né cosi spesso come nei maschi
spiegò e diffuse in lei la sua moltivola ala dalle penne dorate e
iridescenti. Potè sempre la donna delibare della musica e del canto
le più secrete armonie : potè suggerne tutto il fascino e tutta la
voluttà; ma rado o non mai seppe accoglierne e fecondarne 1' ani-
ma creatrice. Se ella forse più dell'uomo riesce a versare a piene
mani su' cuori tutt' i divini concenti della musica polifonica e della
favellata; s'ella può imbeverne come attraverso tutt' i filtri dell'a-
nima tutte le melodie e tutti gli accordi ; se vale ad assimilarne
tutti gli echi, tutte le sfumature, tutti i motivi : par d" altro canto
non inclini a trovarli e a comporli di per sé, mancandole in ciò la
libera signoria del genio. Questa grande maliarda degli affetti, que-
sta divina creatura della Grazia, ha 1' instrumento solo ma non
l'aria, il trillo ma non il segreto della melodia, il gorgheggio ma
non la nota primigenia del suono ; ha la corda ma non il canto
intimo, ha l'eco, ma non la voce : è più tosto la mirabile esecutrice
di orchestra che non la maestra: è meglio la sapiente alunna di
Orfeo, 0 la fantasiosa modulatrice della strofe, che non la geniale
poetessa. Essa rifa, o ripete, o riflette ; non crea.
383
Quante volte non ci è avvenuto di sentir recitare, in qualclie
salottino mondano o in un gradito ritrovo di conversazione ele-
gante, una lirica bella, modulata soavemente e melodicamente ar-
peggiata dalla rosea bocca di una vergine o di una freschissima
sposa? Con qual dolce passione e con quanta spiritale melodia
non ci è parsa risentire per virtù altrui un'ode, una romanza, una
canzone, parto invidiato della nostra mente e sfavillante guizzo del
nostro cuore I E li sotto il verone l'ammirato maestro come spesso
si è fermato estatico a gustar la sua musica breve, gorgheggiata
da un'ugola canora di donna con freschezza vellicante di trilli ! E
ne' grandi o ne' piccoli teatri, i più splendidi olimpi in cui la donna
è veramente sovrana, quanta frenesia di anime e qual folle rapi-
mento di cuori non ha fra gli echi ripetuti degli applausi circon-
fuso come di un'aureola quel frin-frin di voce, quel cantante
flautetto di vocali melodiev Ma si può dire siasi dileguata da
tempo anche l'eco di tante eroine di teatri, superbe conquistatrici
di cuori e di fortune invidiate o di onori : della Pasta e della Ma-
libran, della Frezzolini e della Lablanche, della Ungher e della Te-
scher , e , fra le viventi , della Bellincioni e della medesima Patti.
Ma ancora son vivi e giovani e ammirati il Paisiello, il Donizetti, il
Mercadante e il Petrella. Ei mi pare sia 1' artista di canto come
una iridata farfalla, che gira e gira e gira, e poi si spegne intorno
al vivido lume della sua gloria; ma il maestro e il canto restano .
Mi pare come un fiore che dopo avei*e dal calice odorato diffuso in-
torno tutta la sua poesia di odori, prima sotto il rorido bacio del-
l'aurora e poi del fulgido sole, reclina su lo stelo il vergine capo,
avvolto da' rosei tepori del sole morente, nel cui ultimo bacio av-
vizzisce e muore. Cosi il fugace trionfo, tutto fatto di arpeggi e di
trilli, nella gorgia di una donna, dopo l'ultimo bacio della gloria,
della gloria caduca dell'attimo. L'anima sua non resta.
Ma per la poesia la Donna — sento spesso ripetermi — fece
qualcosa di più: creò veramente talvolta. Ecco: rimane assai poco
a dir di lei come poetessa. Scrisse versi, potè certo piacere , ma
non creò: nessun canto di donna ci è durato ne' cuori. Certo an-
ch'ella, meraviglia del tempo in che visse, si esercitò largamente
in più discipline e in più arti: lettere umane e dottrine teologiche,
prosa e poesia, filosofia, matematiche, diritto; e in esse potè anche
rivelare precocità e vivezza d'ingegno, cultura vasta e acuta, eru-
dizione varia e attitudini molteplici, le quali doti si videro spesso
congiunte a virtù domestiche e civili, ad amor di patria e di li-
bertà, ad azioni nobili e generose, e a più altre manifestazioni che
384
appunto perchè emanazioni di donna furono dai contemporanei ce-
lebrate oltre il segno. Ma con questo non deve dirsi che tali donne
improntarono Topera loro di un durevole suggello di originalità e
di un'intima forza psicologica destinata a perpetuarsi, a cementarsi
nel comune patrimonio de" secoli, col lume eternamente vivo del
Genio: 1" opera loro, a scrutarla veramente addentro, non uscì, né
forse poteva, dalla debole e duttile natura della donna: in poesia,
fu rapido baleno di facili fantasie, o fosforescenza d'imagini, o lan-
guore di affettività, di mollezza sentimentale, di voluttuosa tene-
rezza domestica, senza vigore di analisi, senza nutrimento di pen-
siero, senza quel novo e quel profondo della vera creazione; e ciò
tutto perché ella senti, imaginó, inventò fuori del grande dissidio
della vita, politica, civile, sociale, a cui direttamente non partecipò,
e senza della quale non e* é forza d" ingegno che crei o che rin-
novi.
Volendo restare in casa nostra noi ricorderemo innanzi tutto
Vittoria Colonna (1490-1547) di cui si piacque il divino Michelangelo
e a cui l'Ariosto contribuì a dare la immortalità. Ebbene, amerei
sapere qual canto di lei ancor viva fra noi. E s'ella dovè a' due
celebri artisti il niondan ro,no>-f della sua grande e non breve no-
minanza, non potè affidare alla storia il nome onorato se non per
virtù dell' illustre famiglia onde uscì e soprattutto del suo ideale
amatore; ma la sua poesia non si legge e non s' recita più neppur
da' raccoglitori d'inventari. Divina la disse il secolo suo; e certo
l'essere nata di famiglia che tra i fasti gentilizii vantava un papa,
molti cardinali, un precettore di re, e fra' duci gloriosi ^Slarcanto-
nio e Fabrizio del quale ultimo era figliuola, dovè movere principi,
scultori, poeti intorno al nome di lei che a' vanti di gentildonna,
di baronessa, di marchesa congiungeva con quello della bellezza
il dono della poesia, e insieme il pregio della dottrina elegante,
della virile bontà, del vivo sentimento religioso e quasi mistico.
Virtù iiueste che doverono meritamente influire a celebrarla: sto-
ricamente però il suo ricordo migliore è assai più di donna che di
poetessa. Ma la poesia è poesia, e quando zampilla da un cuore di
donna, la è sempre cosa divina. Non è guari un critico illustre. Bo-
naventura Zumbini, volle rinverdirne la fama in una sua mirabile
prosa (*) eh' è tutta pregna della divina poesia dell' isola d' Ischia
sul cui castello la gran donna visse e poetò. Sarebbe assai vero
quello che il critico dice o meglio canta di lei, se 1* ammirazione
(♦) Studi di Litleratura Italiana — Firenze — Suf;ce$sori Lo Monnier —
1S94 — Pagg. 3-31.
385
non ci paresse un pò" eccessiva, se dopo rilette le Rime (*) della
Colonna non pensassimo ancora che ben poco è in esse che ricordi
la immortale poesia, e se non credessimo tuttavia che dal Petrarca
molto essa derivò d'inspirazioni, di trovate, di movenze, di pensieri,
di forme, pur dove parve a" suoi o può pareri; anc'oggi si delinei una
flsonomia tutta propria e personale. Certo la Colonna — e qui siamo
collo Zumbini — resta nella vita e nelle lettere italiane il più sin-
golare spirito femminile, a quel modo che la sua poesia, pur pro-
venuta dal Petrarca, si serba sincera e mostra quello che lo Zum-
bini istesso dice leopardianamente il pensiero dominante di lei; il
che di fronte a tante bambocciate di poeti e poetesse petrarcheg-
gianti del 500 e de' secoli di poi potè certo parere genialità — Ma
con tutto questo seguiteremo a credere che le sue Ri/ìie, appunto
perchè infuse di quel misticismo che annebbia troppo la natura e
la vita, non hanno e non possono avere l'eterno sir/iUo della poesia
geniale, la quale è appunto la poesia della vita e delle cose; onde
la Colonna porta solo la impronta del secolo onde usci e nel quale
si chiuse la sua dicinilà.
Ma le altre poetesse del 500 non si ricordano oggi neanche di
nome: morirono anch'esse con le lor corti d'amore. E cosi tutte le
altre de" secoli successivi. Però il tempo nel quale vissero le glo-
i-ificò co' più insigni e iperbolici nomi. Cassandra Fedele nata in
Venezia nel 14G5 e morta nel 1558, la quale su la sua cetra improv-
visava in musica versi latini, era detta la Decima Musa — Tullia
d' Aragona, discendente da una superba dinastia di re e figlia na-
turale di un cardinale, l'arcivescovo Pietro di Palermo, bellissima
e lasciva giovinetta morta poi come una santa nel 1550, fu amata,
adorata, corteggiata come nessun'alti'a mai prima e dopo di lei; in
gioventù scrisse versi di provocante voluttà, ma datasi matura a
una rigida vita di spirito, corresse la non virginale bellezza de'
canti giovanili con rime assai men belle ma più pudiche; e Jacopo
Nardi, il traduttore di Livio, la disse erede di Cicerone per la ele-
ganza della sua cultura latina.
Gaspara Stampa, nata a Padova nel 1523 e morta di amore il
1554, fu detta la Saffo rediviva; e finalmente di Teresa Benedettini,
nata in Lucca il 1763 e morta il 1837, bellissima donna e ballerina
(*) liime e lettere di Vittoria Colonna — Firenze, G. Barbera, 1800.
25
386
proi-ace e improvvisatrice in tutt'i generi di poesia, si disse che
cantarci come una Musa, e danzava come una Grazia: scrisse più
poemi. V Adone, la Teseide, Viareggio (quesf ultimo, didascalico),
e. come già il Petrarca, fu incoronata in Campidoglio.
Eccone altre in più tempi e delle più diverse regioni italiane:
Tarquinia Melza {1542 - 1G17), di Modena, scrisse versi italiani e
latini di spontanea concezione, e pur imitatrice del Petrarca, tu
quella che meno se ne lasciò mA\xem».ve; Laura Maria Bassi (\~t\l-
1778) di Bologna, dottissima in filosofia e profonda in greco e in
latino, arcade, cattedratica, poetessa, verseggiò in italiano e die
con ammirabili successi anche pubblici esperimenti di sé e in con-
troversia con insigni professori parlando latino; Diodala Salti zzo
Itoi'ro (1764- 1849), nata in Torino, scrisse in terza rima un poema
filosofico. Ipazia, e insieme novelle e altre prose ; la napolitana
Giuseppina Guacci, nata povera e vissuta tra il 1800 e il 1848. di
precocissima vena poetica, cantò con viva ispirazione meridionale,
lasciandoci versi che quando non dettati pel bisogno e a richiesta
di tanti conservano ancora la freschezza della miglior gioventù e
insieme forti sensi di patria e di libertà; e finalmente Giuseppina
Turrisi Colonna (1822-1848), palermitana, versata in greco e in la-
tino, scrisse canti patrii pieni di fede e di calore, e mori giovanis-
sima, a 26 anni : il Byron la conobbe e la celebrò.
Ecco una terza lista di donne, non poetesse, ma profondamente
esercitate nelle lettere e nelle scienze.
Per la eloquenza si segnalò Costanza di Varano, nata in Ca-
merino il 1428 e morta diciannovenne nel 1447. Come protettrice
delle lettere e delle arti si ricorda Giulia Gonzaga, morta a Man-
tova nel 1550: di nobil sangue antico e di elegantissimo ingegno,
fu delle più ammirate gentildonne dell" aristocrazia italiana. Per le
lettere greche e latine, per le discipline filosofiche, per la poesia
fu celebre Olimpia Morato (1526 - 1555), educata e istruita alla Corte
estense: fu il più vasto ingegno e il più forte animo femminile del
600, come quella che non pure insegnò con gloria lettere greche e
latine nella università di Eidelberga, ma abbracciò ancora e ani-
mosamente propugnò in Germania la dottrina della Riforma.
Anche nel diritto erano versate quelle donne, onde ricorderemo
Pellegrina Amoretti nata ad Oneglia il 1756 e mortali 1786: fu au-
trice di un libro celebre. Diritto delle doti, e il Parini. in occasione
della laurea da lei conseguita in ambe le leggi nella Università di
Pavia l'anno 1777, la celebrò con la canzone la quale è appunto
intitolata La Laurea [Quell'ospite gentil die tiene ascoso...) — Un"
altra donna di molteplice ingegno e versata nelle lettere classiche,
nella filosofia e soprattutto nelle matematiche che, per invito di
387
Benedetto XIV, inseminò con tanta fama nella Università di Bolo-
gna, è Maria Gaetana Agnesi nata a Milano nel 1718 e morta nel
1779, la quale ci lasciò le Istituzioni analitiche. — Finalmente ricorde-
remo un'altra donna, di attica bellezza e pur greca di spirito e di
nascimento, la Isabella Teutochi Albiriozi, nata a Corfù nel 1763
•e morta nel 183(i. Versatissima nelle scienze sociali, ci lasciò i
Ritratti, che son tanti quadri viventi della vita di allora. Fu am-
mirata e idolatrata da' più celebri scrittori e artisti del tempo :
l'Alfieri la ricordò nella sua Vita, il Byron la conobbe e la sublimò,
■e il Canova ne ritrasse nel marmo la viva e bellissima ima^ine.
Tanto lume di svariata cultura e di nobile animo clie la donna
italiana ditt'use dal 500 al 1848, non credo brilli oggi ugualmente
nelle prose e ne" versi delle nostre donne le quali non hanno in
generale né quel nutrimento di studi, né quella decorosa nobiltà
di sentire, né quella potenza d'ingegno che tu allora tanto più pro-
digioso quanto più si rivelò nelle angustie della servitù. Le nostre
scrittrici coetanee dimostrano solo quelle qualità che son più tosto
S(jontanea irradiazione della natura che non di un saldo carattere
e di una torte e sana educazione letteraria specialmente clas-
sica , quantunque oggi non manchino mezzi e instituti dove pos-
sono esse molto più facilmente formarsi. Noi ammiriamo le antiche,
•e c'inchiniamo riverenti dinanzi a cosi insigni esempi di virtù
operosa, di virile bontà , di versatile cultura , di spirito pronto e
precoce ; ma esse, pur avendo un ricordo nella storia, non hanno
tuttavia quella i dì mortalità che è solo serbata alle manifestazioni
<li quel vero che dura eterno nelle progressive evoluzioni dei secoli
succedenti, di quel vero il quale ha in sé queir intima gioventù
di pensiero che né innovazioni o mutamenti varranno a spegnere
mai nel cuore di tutte le generazioni , in cui resterà sempre du-
revole il solco profondo del Genio, del Genio che non passa. Que-
st'unico vanto spetterà pur troppo al maschio, tinche egli rimarrà
il solo lottatore nella vita.
Veniamo un po' al tempo nostro in cui vedono alcuni un rin-
novamento della donna anche nella poesia. E cominciamo da Er-
minia Foà Fusinato che insieme con Arnaldo rinfrescò di un rivolo
pratiano di poesia l'ultima stagione del romanticismo decadente. Ma
se del marito anche avanzano, tra quel morto fogliame che vegetò
rigoglioso di ubertà sua in quell'albore lunare di sentimentalismo
lirico che fu l'età innanzi al '<30, avanzano intrecci di strofe mira-
388
bili ed eclii di poesia veia con liyunanze classiclie; della Fucinato
non si legge né si declama più neppure la più bella e simpatica
ballata de" nostri primi anni : la è appena un ricordo.
Emula di lei fu Giannina Milli che versò peregrina per tutta
Italia il suo canto, e che molto visse in Firenze, la quale institui
per lei honoris causa una pensione vitalizia come alla prima poe-
tessa della penisola. Multo si può certo perdonai-e alla donna ma
non alla Milli, all'infuori di una molto facile vena, la eccessiva
leggerezza di tocco, il manco di vitalità nel pensiero affettivo e nel
fantasma lirico, e la poco nutrita efficacia della rappresentazione;
senza poi nulla dire della forma, spesso incerta e prosastica, sem-
pre un po' cedevole e slegata. Di lei che attrasse la passata ge-
nerazione non resta che il ricordo , e anche questo non vivo e
durevole. Poiché siamo in Toscana cade qui in acconcio nominare
Beatrice Bugelli del Pian degli Ontani, la fantasiosa e illetterata
pastorella di Cutigliano nel Pistoiese, morta ottuagenaria e poe-
tando : di lei nel 1885 Renato Fucini rinfrescò la memoria in una
bella pagina della Domenico, del Fracassa. Ma que' canti freschi e
inspirati, quelle numerose ottave, son di quelle grazie rusticane
che saltellano allegre passando pel ritmo popolare senza lasciar
traccia di sé : son la superficie anche leggiadra «Ielle cose e del
sentimento, ma non la passione della vitale poesia.
Abbiamo le viventi: Vittoria Aganoor. Alinda Bonacci - Bra-
naiHonti, Clelia Berlini- Attili, Eva Cottermole - Mancini, Annie
Viranti, Elda Gianelli, Ada Negri, la più celebre. Grazia Madesani-
Deledda. La prima, veneto-armena di sangue e di sentimento, già
alunna dell" abate Giacomo Zanella, ha dal Vicentino attinto più
di un tocco, cioè un pò" di (luelTonda snella, fresca, mormorante: e
ostenta, a preferenza delle altre, una maggior varietà di contenuto,
di forza, d" inspirazione; ma la sua lirica non esce da" margini della
femminilità : é di quelle che passano. Un'altra poetessa, fedele a-
lunna e poi amica di Giacomo Zanella col quale e col MafFei ebbe
già un'assidua dimestichezza ideale, é la perugina Alinda Bonacci
-Briinamonti, che di que' due maestri rende appunto ne' suoi versi il
profumo della espressione e la gentilezza del pensiero : ha del pri-
mo una certa larghezza, o meglio ridondanza, dell'eloquio poetico,
più discorsivo che lirico, e del secondo un certo tepore d' imagini
e un pò" di quella fresca e limpida vena d"inspirazioni calme e de-
licate. Ma con tutto questo la lodata autrice de" Canti, de" Canti
389
n&zionali, della Roccia, de' Versi campestri, della Polonia, della
Esule, ecc., non pare che schiuda dall'animo, insieme co' pensieri
•e cogli affetti compenetrati dai dolori della vita, quel soffio, queir
impeto, quell'ala, che e il vdro carattere della grande e durevole
poesia, né quella classica leggiadria di torme che ancora ci fa am-
mirare ed amare le pia care, le più belle, le più alate poesie del
lirico vicentino.
Clelia Bertini - Attili nelle liriche sue, che son varie e di ama-
bile contenuto, non ha né la forza ne la vena della Brunamonti.
ma tuttavia mostra una sana e corretta facilità di concezioni e di
trovate le quali non son comuni alla più parte delle nostre giovani
poetesse che tormentano o sciupano molto il motivo erotico e pas-
.sionale. Donna assai eulta nelle lettere e nelle arti, conferenziera
applaudita, educatrice e insegnante valorosa, ha meritamente ao-
•qiiistato cogli studi gentili e col versatile ingegno una bella nomi-
nanza fra le nostre più lodate scrittrici. E se nel verso, che troppe
volte procede un po' scolorato e dimesso, quasi prosastico, sapesse
infondere un pò più di vita e di efficacia, saprebbe darci una più
alata poesia ; e forse per questo ella riesce più ammirevole nella
decorosa e piana agilità della prosa, eh' è nutrita di più fecondi
pensieri e di più accesi sentimenti. Chi non ricorda ai be' tempi
d'oro di Angelo Sommaruga, il Cesare Augustolo della giovane let-
teratura italiana, un dodici o quindici anni fa, con qual coro di
laudi vennero accolti i versi della Contessa Lara in cui parve sdop-
piarsi l'anima lirica di Lorenzo Stecchetti? Or mi dicano gli editori
quante altre edizioni di quelle tenui rime vennero in luce ? Già i
lettori accolsero un po' stanchi e dubbiosi un secondo volume di
versi della medesima autrice, la quale ne prima ne poi seppe uscire
dal circolo riflesso del maestro di cui la fama sempre più cede e
dilegua; che anzi di poi la signora Mancini , la poetessa infelice,
si die a scrivere sempre novelline e bozzetti o prosa critica, e non
più poesie, pe' fogli letterari; a quel modo che al maestro, tranne
le rade volte che si abbandona alle strane fantasie di Argia Sbo-
lenfi, ora da tempo piace più il segreto nido di una pubblica biblio-
teca, che non un lembo del Parnaso o le placide linfe d'Ippocrene.
Chi ricorda più Annie Vivanti che una breve prefazione del Car-
ducci fé' presto celebre i Chi di quella scapigliata forma erotica,
in cui parve impressa nella mistura del sangue sassone e dell' ita-
lico un'anima molteplice e geniale, sa eleggere oggi pur un fram-
mento anche pe' salotti eleganti ì
La triestina Elda Gianelli parrebbe avere più coi'de alla sua
vergine lira: è certo delle nostre, se non la più forte e inspirata,
|a più ideale e composta nella delineazione e comprensione del fan-
390
tasma lirico e del contenuto affettivo; ma pur ammirando ne" suoi
versi la mite e serena purezza del concepire e del sentire, le manca
spesso il vigore risentito e la ori<i:inalità delle trovate, onde ha ben
pochi componimenti da poter consacrare alle Grazie e alle Muse le
quali, si sa, concedono severe il lor .sorriso solo all'arte che dura
e che rimane. Trionfa invece oggi la lirica virile di Ada Negriy.
lodigiana, alunna di Paolo Tedeschi, già maestra in Motta Visconti
e poi nella R. Scuola normale Gaetana Agnesi di Milano: fu vinci-
trice del concorso Milli in F'irenze, e dal 10 marzo del volgente
anno (1897) compagna felice del signor Gaetano Garlanda, ricco indu-
striale di Strona nel Biellese. Cosi Fumile vita da lei cantata in
versi che piacquero, la sollevarono su le ali della poesia alla for-
tuna e alla felicità della gloria e della famiglia: esempio codesto-
assai raro, anzi curioso contrasto della vita e dell' umano destino.
Canterà ancora, la fortunata poetessa, le lacrime degli oppressi, o
almeno lo farà con quel naturale impeto di inspirazione che la rese
cosi celebre \ Non avrei dillicoltà di assegnare una sede fra gl'immor-
tali dell' Olimpo alla rinomata autrice di Fatalità e di Tenrpi'sie se, per
tacer di altro, la sua non mi paresse più tosto una forte narra-
zione o descrizione lirica della doglia sociale, che non una ricca-
mente alta e rinnovante poesia, sul cui facile successo molto intìui
la scottante novità del contenuto e, più ch'altro , V opera industre
di un noto editore lombardo. Ma se lirica vera non è soltanto la
rappresentazione o la narrazione pur singhiozzante e gagliarda del
gemito moderno, manca in essa sul fondo storico od oggettivo il
colpo d'ala, e, nella irradiazione del fantasma, l'ètere 1' azzurro, il
volo dell'estro, errante con sigillo proprio e con flusso e riflusso
di tutte le correnti affettive per Veplacordo dell' anima.
Sorvoliamo su molte altre verseggiatrici, fra le quali ricordiamo
passando la llachele Botti- Binda, versata cosi nella inusica come
nella poesia, e per manco di spazio terminiamo con Grazia De-
ledda, la quale di recente ò andata sposa al signor Palmiro
Madesani nella sua Xuoì'o dove si vive delle più accese e calde
memorie dell' isola nativa. Nelle poesie, nelle novelle, ne" romanzi
ci rende la vita della Sardegna con quella forza che, tranne la
Negri, non ci par notare nelle emule sue. C è nel suo spirito un
che di novo, di virile, di selvatico, di vivo che dà alle sue prose e
a" suoi versi come la espressione vergine di una terra abbando-
nata ma pur feconda di vigore e di gioventù. Ninno meglio di lei,
o almeno cosi largamente, ci ha cantato o descritto la selvaggia e
rude bellezza di quelle terre; ma ci aspettiamo da lei molto ancora
di più. perchè ella è giovanissima, di soli 27 anni, ci aspettiamo di
veder congiunta questa sua forza nuova a un' arte molto più ela-
borata e Hnita.
391
Si, la poesia della donna fu sempre monocorde: ahimè, oltre la
suiierficie delle cose e al di là del gemito o del sospiro ch"è come
uno zèffiro dell'anima, essa non squilla e non canta più nella mi-
rabile polifonia de* concenti. La poesia è in fondo lo stesso che la mu-
sica come la concepì e la eseguì Riccardo Wagner, ma più vasta, più
complessa, più riverberante. La lirica femminile e, in gran parte,
quella maschile dell" oggi, è tutta qui: facilità facilità facilità, con
un pizzico d'arcadia, e narrare e descrivere a un tempo: non altro.
E non si vuol capire che tutto codesto è la morte, è la ossessione
della lirica, la quale è tutta un' orchestra di suoni nel molteplice
ordito dell'anima, è il rapidissimo scorcio di tutto un draunua psi-
cologico nei rapimento fantastico e nel momento passionale di un
solo. Ma il maschio tutto questo, che può solo in alcuni tempi non
avvenire per manco d'arte o di vita, lo ha sempre nella complicata
natura sua; e anch'oggi non manca in alcuni pochi. In lei no. per
quello che già dissi : qual Divina Coinniedia o Iliade fu mai ten-
tata nel corso dei secoli da uno spirito di donna ? E purè questa
ha la sua propria poesia e in più alto grado che il maschio. Que-
sta poesia è la famiglia, la figliolanza, la maternità. La donna è
una grande poetessa di azione. Qual musica melica o favellata può
mai d'intorno alle innocenti cune superar di lei la infinita malia
del cuore, superar quello che sì bene espresse il Giusti nella sua
celebre lirica; Affetti di una madre? Come il maschio per istinto
creativo è tutto intorno alle creature della sua mente, di cui si
strugge su la cote deU'arte proprio come la madre fa coi baci sul
bambino, cosi questa fila e compone la sua poesia in un continuo
struggimento di sé stessa per la naturale e viva creaturina sua,
frutto dell'amore e delle sue viscere. Ancora : per la vera poesia è
necessario il dissidio, il grande dissidio dell'anima nel dissidio della
vita, che manca alla donna la quale, tutta chiusa nel candido suo
nido, non conosce altro martirio oltre quello, per lei dolcissimo .
della maternità. Molti oggi la chiamano su l'agone della vita, su la
tempestosa palestra dell'ambiente, più letterata ciie madre, più dot-
trinaria che massaia, meno educatrice e più poetessa. Ah ! no: la-
sciamola vivere li, nell'unico suo terrestre paradiso, in quel pla-
cido covo di anime, in ((uell'aereato e luminoso asilo di bellezze e
di promesse crescenti, donna, signora, madre, maestra ; non chie-
diamole di più : è lì ch'ella, operaia di affetti e inspiratrice di ani-
me, tesse e ritesse la più bella, la più vergine, la più vera poesia
del mondo e della specie.
11.
Le tradizioni classiche nella prosa
de' critici contemporanei **'
Video ìiieliora proboque, deteriora seqiior
Ovidio^
mjvu l'argomento e degno, più che a prima vista non paia,
di miglior trattazione, certo, di più larga e accurata di-
I^^^Ìa samina. Vorrei invitare a studiarlo — ed è questo che,
più ch'altro, propongomi fare in questo articolo — quelli che della
cultura odierna han più minuta conoscenza o più pratica esperienza.
Diam dunque uno sguardo, rapido e fuggente , alla cultura no-
stra quale si atteggia e manifesta, non nei lavori d' arte, ma in
quelli soltanto di critica e prosa.
I critici contemporanei — quelli, almeno, che son reputati più
insigni — possono andar distribuiti, secondo la maggiore o minor
importanza dell'opera loro, in due distinte e spiccate categorie :
Dii tìiaiorum et Dii ìiiinorum gentium, come Petr uccelli della Gat-
tiìia, il celebrato e versatile scrittore non mai abbastanza rimpianto,
studiò gli uomini parlamentari dei tempi nostri.
Fra i primi, Dii maiorum genti nìiì, piacerai segnalar questi: (rio-
suè Carducci, Emilio Teza, Ruggiero fìonghi, Alessandro d' Ancona,
Pio Ragna, Isidoro del Lungo, Ernesto Monaci, Ernesto Masi, Bo-
naventura Zunibini, Tulio Massarani, Domenico Comparetti, Gra-
ziadio Ascoli, Adolfo Bartoli.
{') Questo giovanile tentativo di critica spicciola e minuta l'u composto circa
venti anni fa, ma ben tardi, cioè nel Luglio - Agosto 1892, venne primamente in
luce nel "Pensiero italiano di Milano; e di quegli anni ha certi vizi o difetti e
certa facilità o letrgerezza di giudicare e di sentire la critica e 1' arte. Dovendo
parlare qui de' critici nostri maggiori, di cui più a lungo discorreremo altrove o
in un secondo volume, riportiamo per intero questo nostro studio, ma non senza
avvertire che la sostanza di esso ci pare ancora in gran parte vera o ahneno plau-
sibiJp. Vien però riprodotto con giunto e correzioni.
393
E tra" secondi questi altri : Giuseppe Chiarini, Arturo Graf\
Adolfo Borgognoni, Olindo Guerrini , Guido Mazzoni, Gaetano
Trezza, Corrado Ricci, Enrico Panzacchi. Enrico Nencioni, Felice
Cavallotti, Rodolfo Renier.
E altri ancora vorrei notare, ma è bene mi fermi a considerar
questi, come quelli che, se non tutti più letti, son forse \ni\ auto-
revoli, 0 quasi.
Certo, l'Italia ha obblighi grandi segnatamente coi primi. Quanto
debbasi al Carducci, al Bonghi, al Teza, è inutile dire. Ad Ales-
sandro d'Ancona dobbiam certo — è pur utile ricordarlo — la ge-
niale ed eruditissima ricostruzione storica del nostro Teatro popo-
lare; a\ Rayna, le origini e le fonti dell'Orlando Furioso: ìa, Cronaca
di Dino Compagni, meglio e più profondamente studiata ne' tempi
e nella autenlicità sua, a Isidoro del Lungo ; a Ernesto Masi gli
studi su la Riforma : al Monaci, importanti ricerche storiche e pa-
leografiche intorno al periodo delle Origini: al Comparetti uno stn-
dio originalissimo e intentato su le fantasie leggendarie onde il
Medio Evo, come di un'aureola tradizionale e superstiziosa, incoronò
la maggiore opera virgiliana, 1' Eneide : allo Zinabini, una critica
dotta e in più punti meravigliosa intorno al Boccaccio, e studi com-
parativi da noi affatto novi e peregrini circa i nostri messi a ri-
scontro con poeti d'oltr'alpe, fra' quali il Monti riscontrato col
Klopstok, e intorno a' due poeti inglesi, puritani di sentimento e
di concezione, Bunyan e Milton; studi, infine, glottologici al me-
raviglioso ingegno dell'Accodi, e una mirabile e voluminosa rico-
struzione storica della letteratura italiana, ancor da finire, e attinta
da ricerche proprie e dalle altrui, all'acutissimo « brillante ingegno
di Adolfo Bartoli. E agli altri, e segnatamente al Massarani, al
Chiariììi, al Graf, al Mazzoni, nuovi obblighi che io non dico,
sebbene minori.
Ma all'opera critica, o a dir meglio storica, mal corrispondono
quasi in tutti la forma e lo stile, che risentono troppo spesso la
fretta che, come dicea Dante, l'onestate ad ogni atto dismaga, e an-
che, ch'è peggio, la trascuratezza o negligenza.
E fa meraviglia che scrittori cosi insigni, i quali riusciron fe-
lici a indagare e a penetrar bene il lavorio artistico degli altri, non
riusc'sser buoni — e veramente non si curarono o non si propo-
394
sero Tarlo — a conservare o a proseguire, integre e finite, le tra-
dizioni classiche, delle quali è troppo se in essi, tranne radissime
eccezioni , si possano sorprendere come un indizio e un presen-
timento.
Nelle bolognesi Lettere e Arti del Panzacchi (Anno IL n.° 40,
pag. ()33 - 35) disaminai largamente la questione della prosa con-
temporanea ne' nostri scrittori di novelle, romanzi e bozzetti, e a
pagina 634 scriveva, ricavandole da un mio scritto altrove venuto
in luce, queste testuali parole :
« Anzi tutto, che sono mai codeste tradizioni classicJi''. nella
forma e nello stile ?
Lo diro subito.
Le tradizioni classicìie si comprentlon tutte in queste parole
sole: culto della forma, cli'è quanto dire, lavorio industre e. accu-
ratissimo dello stile, o, ch'e meglio, educazione aristocratica nel
portamento e negli abiti del proprio pensiero. — È il limae labor,
come diceva Orazio, dell'opera letteraria, critica o artistica che siasi.
E, cos'i, esse possono scorgersi nell'orditura squisitamente ela-
borata del periodo che, non con mosse comuni o consuetudinarie,
ma, senza innaturati contorcimenti, s'atteggia e si snoda agile e
multiforme, denso e vigoroso, scultorio e vibrante, nelle opportune
trasposizioni e ne' sottili e levigatissimi giri e contorni e ligamenti
tlella frase, delle proposizioni, de' membri.
Questo fecero gli antichi, e a questo sarebbe riescito, se non
l'avesse distratto la politica de" tempi tumultuosi, quell'atletico in-
gegno di Francesco Domenico Guerrazzi, e a questo è alfine riu-
scito un solo vivente prosatore: Giosuè Carducci.
Certo, anche nelle opere del Bonghi, del Teza, del Graf, dello
Zumbini, del Cornparetti, àeì Massarani, àel Chiarini, y\e\ Mazzoni,
del Bartoli, del D' Ancona, ecc., non mancano alcuni tocchi e certe
linee di fattura classica; ma anch'essi, al pari degli altri, aman la
forma corrente e consuetudinaria che sol qualche volta, se ne togli
i primi cinque ora citati, danno al loro stile uno stampo spiccatis-
simo di classica personalità. Rado o non mai la formasi snoda e si
atteggia nelle varie e marcatissime volute de' membri e delle tran-
sposizioni leggiadre; nella elegante e maschia concinnità dei rilievi,
de* contorni, de' chiaroscuri, degli sfondi; nelle industriose e agevoli
sinuosità e nei lucidi e complicati ondeggiamenti ch'ha la classica
architettura dell'antico stil periodico. Tutti dàn sempre al loro pe-
riodo certa nativa e spontanea peregrinità o sdrucciolevole corren-
tezza di forme men scabre ma più liquidamente correnti, men ric-
che e vigorose ma più facilmente naturali, men gravi e solenni ma
più access'ibili e comuni; e in alcuni soli, e soprammodo nello Zum-
395
bini, anche noti e fiuti con gusto e diletto la cristallina tersità e
l'aristocratica trasparenza dello stil manzoniano: e però quasi tutti
non sempre aman conciliare alla paesana popolarità delle forme la
doviziosa e magistrale intelaiatura e 1' impeccabile e signorile fi-
nezza del classico stile.
Enrico Xencioni ("), che l'u pure il favorito scrittore dei salotti
eleganti e, nel gener suo. il più letto e gradevolmente ricercato,
non sempre alla smagliante lucentezza e alla simpatica idealità
della disamina estetica te" andar congiunto il tornio di uno stile fi-
nitissimo e leggiadro; non sempre all'imaginosa e magica attrattiva
delle sue calde e cordiali impressioni su le letterature straniere,
delle quali fu fervidissimo ammiratore e cultore studiosissimo,
seppe 0 volle accoppiare la sapiente orditura di quelle forme ch'e '
si piace ammirar tanto nelle prose del Carducci. Certe sue criticiie
mirabili che . quali colombe dal disio chiamate , gli volavano e
rompevano immediate dal cuore nobilissimo, oh I come conquiste-
rebbero meglio l'ammirazione sincera degli uomini di seria cultura se
avessero il magistero sapiente della forma eh' è dell'arte grandis-
sima parte. E pure egli, il prosatore poeta, il critico artista, fu
parte di quel ristretto cenacolo di scrittori toscani giovanissimi
che intorno al 57, tra Pisa e Firenze, si affermarono solidali a rom-
pere le loro lance e a non risparmiare le loro frecce in favore del-
l'arte classica e contro i Facci filologi del tempo: allora il Carducci in-
neggiava a Diana Trivia e a Febo Apolline, e gli amici Tribolati,
(rargani. Cristiani, Chiarini e Xencioiii votavano loro e orterivan
libagioni a furia di tappi saltanti. Dolci questi ricordi a chi vuole
studiare fin da quel tempo le origini dell'opera carducciana e d'al-
tri scrittori contemporanei ancor vivi nell'arte o nella critica.
Ed Enrico Panzacchi, che può dirsi un altro di ([uella brigata
sebben giunto un po' dopo, è critico acuto e artista finito. — Adora
la musica, e sa intenderla anche nelle opere di Riccardo Wagner.
Non so se sia pittore. Ma è certo che la pittura e' 1" ama . e
sa ammirarla con isquisito senso d'uomo di buon gusto. 11 suo è
un temperamento molto alfine a quello del Nencioni ; ma questi è
femminilmente geniale, e più serio e non meno acuto l'altro : en-
trambi . senza le ortiche della critica storica , più col cuore che
e*) Vedi a proposito nel libro III il nieilaglione che gli abbiamo dedicato.
396
•col cfirvello amano e studiano l'arte, e fan bene. Se non che il Pan-
zacciii è poeta in rima.
Il Nencioni anche scrisse de' versi, ma farei torto a lui se di-
cessi ch'egli è buon rimatore come critico buono.
Dunque, il Panzacchi, che pure è gran conferenziere, die pure
ammira la prosa del Carducc'i ed è col Nencioni un de' pochi che
Ja sappiano intendere bene, par che ne rifugea nell'opera sua cri-
tica più che ne' bozzetti e nelle novelle, e anche pare che, se vo-
lesse, e' potrebbe darci qualcosa di men corrente e di più signoril-
mente peregrino, poiché il Panzacchi è, soprattutto, uomo di gusto
superiore. Sembra incredibile : pare che il materialismo del tempo
che ci brancica tutti e tutti c'investe, a poco a poco vada sottra-
endo anche ne' migliori quanto loro anche avanza delle più belle
tradizioni, classiche e antiche. Secoi si rinnova : dicono tanti. Ma
— potrebbe domandarsi — ci è mai rinnovamento senza instaura-
zione dell'antico più eletto e ancor vigente nel china storico no-
vello \ 0 non ò più giusto il dire: Inìioviamo rinnovando ì
Giuseppe Chiarini, un altro della brigata toscana, e Guido
Mazzoni, clie può dirsi un buon alunno di quella scuola, amano e
sentono altamente l'arte classica, e come la rendono assai bene
nelle lor traduzioni metriche da classici latini e greci, cos'i la pro-
seguono spesso nelle lor poesie originali. E però non può dirsi che
non la dimentichino mai nelle opere di prosa criticra, che il primo,
pur lucido e castigatissimo nella forma e nello stile, par che riesca
più volte un po' monotono e disadorno nella troppo rigida sempli-
cità dei suoi studi e delle sue conversazioni letterarie: ed il secondo.
pur forbito ed elegante, non ci sa rendere, almeno in parte, il fre-
sco profumo e l'agile intarsio delle Voci della Fifa in que' finissimi
saggi di critica non impolverati o inariditi dai fossile tritume della
erudizione stantia.
Gaefaìio Trezza fu dei critici nostri il più smagliante e imagi-
noso nell'accademica venustà della sua prosa letteraria, ma poco
v' ha di classico in certo fruf/oìiisaéii del suo stile il quale spesso
dà in ismancerie, e che troppe volte ricorda certe predilezioni d'o-
ratoria sacra, nella quale dovè essere valente ne' migliori anni del
suo sacerdozio da cui, con utile grande delle lettere e della filoso-
fia, inaspettatamente fece poi divorzio (').
(*) Vedi inedaglione nel libro IIF.
397
Olindo Guerrini e Corrado liicci sono due bell'anime di artisti,
ed entrambi, uomini di gusto squisito, si piacciono d" illustrare la
lor nativa Romagna con opere d'erudizione. Tutti due poeti, tutti
due cultori della forma ; e però la troppo semplice facilità loro, co-
me toglie alle lor poesie la densità e il rilievo plastico, cosi alla
prosa che scrivono, quella piacevolezza profumata ed elegante de-
gli stessi loro versi. E d'intimamente classico pare che ci abbiano
dato nulla, o ben poco, non ostante le influenze dell' arte carduc-
ciana che qua e là si avvertono spesso nell'opera loro.
Quegli che possedeva davvero il gusto dell'antico, era un illu-
stre professore dell'atenèo pavese, e già egregio avvocato di Ra-
venna e chiaro insegnante di quel Liceo: Adolfo Borgognoni.
Forse le consuetudini che ebbe frequenti col Carducci, e l'esser
egli nato in R,omagna. la quale è forse una delle poche regioni
d'Italia che abbia recenti memorie e tradizioni classiche, danno alla
sua prosa un ondeggiamento latineggiante; e se le cure del foro
cui attese, o cure altre maggiori, non lo avesser troppo distratto
nella miglior gioventù, e se alla sottile critica sua avesse voluto
infondere anche un'anima di poesia su l'esempio del maestro suo,
il Carducci, certo avrebbe saputo finire.
Domenico Comparetti e Isidoro del Lungo son certo due fra i
più perspicui prosatori e critici nostri; ma riuscirebbero forse i più
genialmente perfetti se alla peregrina novità del contenuto dell' o-
pera loro originalissima avesser voluto dare , 1' uno il frutto delle
studiose ricerche su' classici esemplari dell' aureo trecento volute
mettere a profitto dell'autenticità della Cronaca di Dino Compagni ^
e l'altro la eccellenza degli studi suoi sulla letteratura greca e sulla
latina ; che il primo ha certo sapor greco nella squisitezza del suo
attico ingegno, e il secondo certo nerbo e certi portamenti vari nella
elegante orditura del periodo. Ma e l'uno e l'altro sono fra le più
pure glorie del secolo che cade.
Qualità grandi si trovano certo nella prosa di Bonaventura Zum-
hini, di Ernesto Masi, di Ernesto Monaci, di Alessandro D'Ancona,
di Pio Ragna, di Tulio Massarani, di Rodolfo Renier, di Adolfo
Bartoli ; ma se il primo tutto consecrato alla critica estetica più
che alla storica, ha un che di classico nella spontanea lucidità del
suo stile, agli altri la troppo assidua e vorrei dir polverosa ricerca
storica toglie spesso le occasioni di far prosa, non dirò classica,
ma almeno snella e luminosamente elegante.
39«
Bonaventura Zurtibini è de" critici nostri quegli che meglio
segue, uiigliorandole assai e profondamente dilargandole, le buone
tradizioni di Francesco De Sanctis; e se non ha la incomparabile e
fervida penetrazione del maestro, se non la forza e 1" arte molte-
plice del Carducci, certo sa ristorare d'un fresco alito di mite e ri-
creante poesia il contenuto critico dell' opera sua. E lo stile, com'è
agevole e piano, cosi pure ha certa euritmia che par trecentistica
certa limpida perspicuità e una soave e muliebre morbidezza di for-
me correnti e spigliate che ti fan ricordare 1' arte del Manzoni, e
infine certo greco lepore, più naturale che assimilato, d' imagini e
di sensi, particolarmente dove la sua prosa è men calma e più
poetica.
Ernesto Masi è uno di que" pochi che pur tra le cure noiose
dell" ufficio trova il tempo di volger 1" ingegno a' più geniali studi
di storia e di letteratura, senza vaghezza di polverose ricerclie o
di erudizione mortificante, ma con acuto senso dell'arte e del vero.
Autore di studi non ponderosi, ma di agile e sicura dottrina, in-
torno al Savonarola e al Giusti^ al (ro:rzi e a Napoleone, al Goldoni
e alla Monarchia di Savoia, a Renata d' Este, &' Burlanincchi , a
Giovanni di Gamorra e i drammi lacrimosi . egli meritamente ò
ritenuto uno de' critici più autorevoli fra noi. Prosatore garbato e
piacente, ei ti fa avvertire a quando a quando certa sdrucciolevole
e mormorante fluidità di forme che ti fan presentire il conferen-
ziere simpatico e l'artista non volgare: ma ohi come piacerebbero
meglio que' troppo liquidi suoni dello scriver corrente se un po'
più di nerbo e di varietà dessero alla prosa sua, almeno più spesso,
qualche aria o qualche tocco del grande e aristocratico stile.
Alessandro D'Ancona. Pio Rayna ed Ernesto Monaci son tre
dottissimi e infaticabili ricercatori; e s' essi potessero o volessero
scotere da' lor codici e palinsesti la vecchia polvere delle antiche
biblioteche, farebbon opera veramente degna della lor grave dot-
trina; che il primo riuscirebbe grave e poderoso stilista come spesse
volte mostra parerlo in alcuni tratti delle sue eruditissime prose;
il secondo avviverebbe di un qualche lume d' arte le sue ricche e
nutrite esumazioni su le origini e le fonti della poesia ariostesca,
il cui contenuto anche greggio è pur pieno d'imagini e di fantasmi;
e in fine il terzo detergerebbe l'arido contenuto delle sue indagini
paleografiche con un profumo di poesia da cui non parrebbe alieno
il suo spirito che ci si rivela cosi fresco e cosi vivo in que" saggi
che sono men tormentati dall'accidiosa polvere della erud'izione.
Non si può non almeno accennare alla grande efficacia che
questi tre maestri, ma specialmente il primo, hanno esercitato su
più generazioni di giovani, de' quali alcuni sono ormai celebri per
!
1
399
gravi e onorevoli fatiche. Alessandro D' Ancona ha, si può dire,
compenetrato di sé tutto il moto vivo della critica storica contem-
poranea, con gl'insuperati suoi studi su le Sacre rappresentazioni
de' secoli .YiT', .YFe XVI, su' Precursori e su la Vita Nuova di
Dante, su Attila flagellum Dei, su le Origini del Teatro in Italia,
sui primi secoli della letteratura italiana, su Tommaso Campanella
e su tanti altri argomenti, ricchi di acume, di dottrina, di con-
quiste. e a cui altri non potè forse andare innanzi almeno per
la sconfinata larghezza de* materiali raccolti e con accurato esame
riordinati.
Gli studi poi del liai/aa e di Ernesto Monaci, quelli su tutte le
fonti ariostesche e questi su svariate e originalissime questioni
intorno a' poeti provenzali, intorno alle origini della nostra lingua
e della nostra letteratura e intorno alle più antiche scritture me-
dievali, hanno ricreato anche presso di noi il vasto campo della
storia e della filologia romanza e della cultura paleografica.
Tulio Massaratii ha forse, appunto perchè poeta vero, mag-
giore genialità di tutti gli altri or ora nominati. Egli appartiene
alla buona scuola lombarda, e ne prosegue le tradizioni migliori.
E se al signorile e ampissimo paludamento del suo stile difl'uso e
ridondante, se alla piacente venustà di quelle forme un po' agghin-
date ma sempre lussuriosamente peregrine, volesse infondere un
che di classica simmetria o di plastico rilievo nella trama sottile del
risonante periodo, e' riescirebbe uno di quegli scrittori più adatti a
rendere co' materiali nostrani l'ampiezza togata e la romana gran-
diosità di Livio e Cicerone : pregi codesti da' cui contatti sempre
più ci divide, e con violenza, la voluta bambolaggine e la puerile
semplicità de' contemporanei novatori. Veramente nobile nell'esem-
pio del benefizio e in quello dell'operoso ingegno, pensatore ed ar-
tista, critico e poeta, politico e pittore, sembra che accolga in so
come le anime di più cittadini o scrittori del Cinquecento , con
questo di più, che allo spirito molteplice di quel secolo gran le nel-
l'arte e infelice nella vita congiunge i più liberi e magnanimi sensi
di un popolo nuovo, di un popolo restituito a quell'ordinamento a
cui lo richiamavano le tradizioni romane e più secoli di lotte ani-
mose e di sacrifizi eroici.
Adolfo Barloli fu de' critici propriamente eruditi il più fecondo
e imaginoso. Instancabile a proseguir di dotte ricerche la nostra
letteratura tutta quanta, e' tenne dietro con studioso amore al vital
movimento della vigente critica storica nelle minute indagini de'
letterati nostrani e degli stranieri; ed anche intese, con istudi suoi
propri e cogli altrui, a darci un'opera magistrale e ricostruttrice in -
torno alla storia documentata delle lettere patrie, con una lunga
400
serie (li vulutni la (juale per la morte immatura di lui non potè es-
sere compiuta ma clie forma tuttavia una vera Vjiblioteca che
sarà sempre come uno de' piii ricercati codici dell'arte nostra-
ni sapeva trasfondere nell'opera sua vasta uno spirito profonda-
mente geniale e un'artistica idealità die alla produzione monogra-
fica de" nostri manca in generale, o certo non abbonda, da pochis-
simi esempi all'infuora. E s' egli non si fosse lasciato andar spesso
alla rapina e alla smania frettolosa a cui la soverchia via lo so-
spingeva, avrebbe potuto conferire alla sua prosa critica anche
quella classica idealità di stile che l'esempio degli scrittori sottil-
mente disaminati avrebbe potuto dettargli o inspirargli: 1" industre
lavorio della lima gii mancò, e fu peccato, perchè pochi o nessuno
avevano iti massimo grado conciliata, coU'acuto senso critico e con
la pazienza della ricerca, una cosi esuberante facoltà artistica e
imaginosa.
.Ma un altro breve manipolo di scrittori geniali vogliono esser
tratti in un canto, e sono sei : Giosui' Carducci, Arturo Graf, Fe-
lice Cavallotti, Emilio leza, Ruggiero Bonghi e Graziadio Ascoli.
Però tre soli restano veramente in disparte e come appartati, nella
lor vita solitaria, dal movimento cui cooperano gii altri tutti: Gio-
suè Carducci, Emilio Teza e Ruggiero Bonghi.
Del primo dissi assai in diversi miei lavori (*), e, per brevità,
non ne vo' dir altro; tanto più che molti anche ne discorsero , e
meglio di tutti il Panzacchi e il Chiarini. Del resto, nel secondo libro
io ne studio largamente la vita e le opere. Restami, infine, a par-
lare degli altri.
Chi non conosce Y Ascoli pe' lavori suoi di glottologia'^ Ma Tes-
ser egli nato nel Trentino imbarbarito da mischianze forestiere ,
e il viver troppo in mezzo a elementi formali e tecnici e morfolo-
gici de" suoi studii prediletti, tolgono alla sua prosa spesso la ele-
ganza, talvolta la correttezza: il nerbo, mai. E però parmi risentire
I
(') la) Vita nuova, Firenze 1890, numeri 14 e 23.
(h) Pensiero dt' Giovani, anno 11 (1887), n. 16, 5 agosto.
(e) Rivista Contemporanea di Fuenze, anno I, voi. III. tas.
glie 1838.
(d) Scena illustrala — V. annate 1897 e 1899.
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in alcuni tratti delle opere sue cosi dotte e originali corto martellar
vigoroso e statuario, certo rude rilievo, che più di una volta mi
fa pensare alla maschia efficacia del classico stile. E veramente a
desiderarsi da questi grandi nosti-i maestri quel culto delle forme
e insieme quell'arte a cui potrebbero guidarli gli studi profondi
ch'essi con tanto amore fanno intorno alla evoluzione defili spiriti
e delle manifestazioni estetiche della civiltà andatasi formando su
l'immenso detrito delle alluvioni de' popoli.
Ruggero Bongln (*), ingegno versatile e arguto, ha 1' animo
classico e, in arte, tendenze platoniche. E se non fosse che molte
opere sue, di politica in ispecie, risenton troppo spesso la fretta,
e' ci avrebbe data senza dubbio, forse pe' contatti che ebbe assidui
coir autor suo prediletto , una prosa tutta greca. Non sempre
platonica, perchè il suo autore è, per lo più, largamente diffuso ;
ma greca sempre per certe movenze efficaci del suo periodo il quale
ha molto anche del latino per quella determinatezza concisa che
conferisce allo scriver suo molta densità e vigorìa nervosa. Una
delle opere che mi paion meglio riuscite, è la mirabile prefazione
ai dialoghi di Platone tradotti. Le lettere critiche, poi, manifestano
uno stile addirittura platonico. Bello ingegno davvero e singolare
temperamento assimilatore, in tempi, come i nostri, cosi ostili alle
belle e classiche lettere.
Eììiilio Teza è un ingegno mirabilmente sintetico. Il suo stile
laconico e scultorio ha tale potenza di rilievi e di scorci, ha tale
icastica incisiva e rude e stridente di linee e di contorni, e vibra e
lingueggia con iscatti si rapidi e squillanti nel brevissimo giro del
periodo, che è proprio da rimpiangere la natura de' troppo aridi
studi suoi che non gli permettono di far prosa erudita e artistica
insieme: è proprio da rimpiangere la eccessiva brevità di quei
periodi smozzicati e dirugginiti in troppo sobrie giunture, e non nelle
ampie volute del periodo antico. Fu lui che addestrò il Carducci
alla rappresentazione gladiatoria dell'aristocratico stile, fu proprio
lui che dopo la edizion critica del Poliziano, consigliò 1' amico a
contenere, a reprimere, a frenare ne' duttili e serrati confini della
prosa tacitiana la imaginosa attrattiva e il troppo ampio paludamento
della sua prosa oratoria e discorsiva.
E s'egli, troppo inteso a lavori morfologici e glottologici intorno
alle lingue slave, pensasse a darci un organismo di studi novi ed
estetici su' più importanti e poetici strati della letteratura nostra.
(') Vedi relativo medaglione nel libro III.
26
402
riescirebbe di gran lunga superiore al discepolo suo che, in latto
di stile, pur tanto lo avanza. Certo egli e il Carducci restan sempre
i più nervosi e vigorosamente concisi prosatori che meglio si
avvicinino, correggendola e sgrafliandola d'ogni esagerazione e da
ogni convenzionalismo paradossale, alla gran prosa stilistica di
Francesco Doiitenico Guerrazzi.
Quante volte mi ricorre in mente i^e^tce Cai:«ZZof<i, provo sempre
un senso di rammarico e come di sdegno. Nessuno forse, meglio
di lui , avrebbe potuto darci un' opera intimamente artistica e
geniale : nessuno, meglio dell'autore del Tirteo, avrebbe potuto in
si rapido scadere degli studi nostri , darci un vero monumento
letterario di poesia e di prosa. È proprio da compiangere nel fiero
e indomito repubblicano la vita parlamentare, che lo distrasse fin
troppo, e il preconcetto politico ch'ei mise a fondamento dell'opera
sua, e clie, piii ch'altro, gli fé' cogliere allori nella tribuna e d' in
su le scene.
Il Cavallotti mi parve più valoroso e atletico polemista che non
commediografo . più fulgido lirico e oratore che non politico. Fu
prosatore squisitissimo e uno splendido e attico ingegno. La sua
prosa polemica non ti fa sempre avvertire 1' ardente battagliero
sotto le maglie tenuissime e a traverso la trasparente lucidezza
del greco suo stile, ch'or procede e si move con fulgori d' imagini
smaglianti e di nervosissimi rilievi, or sdrucciola elegantissimo
come un rivolo corrente, or scoppia e vigoreggia tra baleni di
sentimenti e tra lampi di fulgidissima ira. Nella prosa critica e
polemica, e particolarmente in alcuni luoghi delle Aìiticaglie, piacque
talvolta quel cristallino e quel trasparente del suo stile, il quale
dava al pensiero, quando non era troppo agguerrito , una certa
aristocratica finezza e la viva imagine dell'anima sua buona.
Peccato ch'ei non intese a lasciare il teatro per la poesia e per
la prosa letteraria: peccato ch'e* non si concesse più lunghi e più
sereni momenti per far cose più durevoli e consistenti ! peccato
che nelle battaglie democratiche e peggio nei duelli personali si
consumò e si spense !
Arturo Graf (*), l'autore di Dopo il traitionto, de Le Danaidi,
(*) Son proprio lieto che il Prof. G. Alfredo Cesareo, nalfasc. del 1° tebbraio
1900 della « Nuova Antologia », espose intorno al Graf un giudizio quasi identico
al mio, già da me dato molti anni fa, e apparso nel fascicolo di Luglio- Agosto
1S92 del « Pensiero Italiano » insieme con questo studio che lo conteneva. Ma
il giudizio del Cesareo si avvantaggia sul mio di osservazioni piti larghe e più
peregrine, espresse poi con quello stile ciré cosi imaginoso e cosi vivo ed
efficace.
4o:
di Medusa, è anch' egli poeta , e spesso di vena ; ed è insieme
uno de' più geniali e profondi critici nostri. E' ancor giovine , e
dalla vita sua un po' forse melanconica e triste , e anche da' suoi
studi 0 indagini faticose, ha potuto derivare nelle poesie certa
ombra di mistico pessimismo, certa mentita serenità o dolorante
compostezza dell'animo suo buono.
Ha nello stile cosi della prosa come della poesia certa classica
simmetria e certo euritmico riposo die lo fa indugiar spesso . tra
membro e membro, e talvolta tra frasi e parole, ne' geometrici
ligamenti del periodo ciie di tanto in tanto sosta e respira colle
interpunzioni frequentissime ma ben adoperate. — E' par che il
pensiero si volga intorno e si specchi, trepido, dubitoso, inquieto:
a mo' dello scettico, che non crede a nulla, ma pur tastasi e si
cerca, non e' fosse vanissima ombra, e tasta e ricerca il mondo
che gli è intorno, e tatto esamina e pondera a quella guisa che di
tutto dubita e teme. Farmi avvertire nel tersissimo stile del Graf
una decorosa compostezza, che mi par manzoniana , un equilibrio
meraviglioso delle facoltà in forme sobrie e misurate, eh' ha del
classico, una lucidezza penetrante e serena ma come velata da un'
ombra di pessimismo, che sembra leopardiana, e una lingua corret-
tissima e purgata, che, tranne pochissimi, non è di nessun de'
nostri. E se quello stile non procedesse un po' monotono e uni-
forme, un po' anemico e incolore, un po' melanconico e triste , e
avesse tutti i suoni della classica orchestra di que' grandi scrittori
che sì profondamente disamina e conosce , egli , senza dubbio ,
riescirebbe un prosatore perfetto.
Certo, è de" pochissimi che vanti tra' migliori la troppo povera
letteratura contemporanea.
Dovrei ora parlare de' giovani, che son molti e tutti nutriti di
larga cultura e insieme solerti nelle indagini faticose; ma vo' fer-
marmi per ora a Rodolfo lìenier, un trevigiano di colto ingegno e
di lettere eleganti. E' condirettore del « Giornale storico della Let-
teratura Italiana », ed autore di pregiati studi di erudizione intorno
alle cose nostre più oscure del medioevo e del secolo di Dante.
Scrive facile e spigliato, e alla spigliatezza delle parole risponde
ancora la lucidezza delle idee e delle sobrie ma sicure indagini eru-
dite. La sua non è quella spigliatezza consuetudinaria eh' hanno i
più de' nostri, ma è la risultante di un ben nutrito pensiero in una
forma che talvolta è anche trasparente e luminosa. Ora se un po'
più di colore e di calore sapesse o volesse infondere a quelle forme,
e s' anche intendesse variarle e condensarle con efficaci movenze
e atteggiamenti di periodi, riuscirebbe forse a far prosa compiuta
o almeno quella prosa elegante e colorita che su l'esempio degli an-
404
tiolii tanto studiati da cotesti giovani, dovrebbe esser complemento di
ciò ch'ha di meglio lo scrivere parlato s corrente de' contemporanei,
troppo agile talvolta ma troppo monotono e scolorato e disadorno,
come certo non era lo scrivere peregrino de' grandi scrittoi'i.
Da quanto abbiam detto nella nostra rapida disamina di alcune
condizioni della letteratura vigente, quale si manifesta ne" critici e
prosatori, è facile indurre un convincimento e un giudizio quasi
air intutto negativi e mortificanti. Gloriosi gli studi de'critici nostri,
ma sterili pur troppo di fronte al valore artistico e anche stilistico
dell' opera loro. E pure son essi i soli che dalla natura di quelle
indagini sul territorio della classica letteratura, potrebbon derivare
opere di erudizione e di arte insieme. Quelli che credon di produrre
in quest' ultima, vi si accingono con una ben misera suppellettile
di classica cultura, paghi di una superficiale preparazione e di
un valore ideale solo attinto all'ingegno loro e ad una naturale
genialità: nessuna nutrita educazion letteraria hanno essi veramente.
Quanti degli scrittori che più son popolari o ricercati, — e son gio-
vanissimi i più — si ricordano di Dante o del Petrarca, di Boccaccio
e del Caro, degli elegantissimi cinquecentisti o de' trecentisti puris-
simi, usciti appena dalle lor scuole di ìinianesimo ora bestemmiate
col brutto nome di secondarie ì La vera scuola umanistica, oggi,
di tra le sterili esumazioni della scienza morfologica e della glotto-
logica, la vera scuola umana del Rinascimento, va di giorno in
giorno disparendo nel classico insegnamento e nel personale e
domestico lavorio degli scrittori in formazione. Certo clemocratlcisino
di forme scabre e plateali, di vilissime dizioni e di lingua cianesca,
or tiene il campo col pretesto di voler guardare al popolo soprattutto:
l'arte si è fatta ciompa e la borghesia letteraria si è fatta, non
popolana, ma scurrile. Della vecchia scuola umanistica assai pociù
avanzano, e i più sono morti. Oh! qual vuoto lasciarono il Correnti,
il Minghetti, lo Stoppani, lo Zanella, che, pur votati a discipline
od uffici disparatissimi, furono artisti e prosatori veramente invi-
diabili. Quanti oggi fan ricordare la peregrina e manzoniana ele-
ganza del primo, la lucidissima e tersìssima organicità stilistica del
secondo, la smagliante e poetica dottrina del terzo , e la piena e
mite e decorosa classicità dell' ultimo % Quanti, per addurre anche
un esempio in un vivente scrittore di quella scuola si educata nella
forma, scrivono con la elegante e forbita italianità A\ Augusio Conti'
E pure cotesti non fecero tutti professione veramente di letterati;^
chi fu politico, quale sociologo o storico, e quale massimo seien-
405
ziato. Ora, in tanto decadimentu di generi letterari e di scrittori, in
tanto insorgere di democrazia letteraria, a me pare che possa, anzi
debba aver vita un genere più utile e consentaneo a" tempi nostri,
un genere aristocratico, il genere gnomico. E a produrlo non vi
sarebbero altri che gli eruditi critici nostri i quali dal grembo di
quell'alta cultura classica ch'essi studiano, possono proporsi di
trarre opera di erudizione e di arte a un tempo.
E poicliè eglino, attesi a staccate monografìe, scrivon solo pei
dotti, sarebbe necessario che ravvivassero di un" anima di poesia
le squallide ceneri e i polverosi avanzi della morta tiora letteraria,
a quel modo che fa il Carducci il qual riesce e dotto ricercatore e
prosator grande, e critico e stilista, ed erudito e poeta insieme. E
ne' confini del genere gnomico tre forme almeno potrebbero essere
nobilitate: la rappresentazione estetica, la eloquenza critica, e la
storica esposizione discorsiva, le quali potrebbero anclie essere
avvivate dagl' impeti e dagli spendori della polemica.
Cosi il greggio materiale delle ricerche diverrebbe il contenuto
artistico di nuove manifestazioni, e il genere gnomico, quando rin-
novato da letterati cosi insigni, potrebbe, nel!' olimpo dell'alta let-
teratura, seppellire una volta per sempre la morbosa fecondità de'
romanzi e delle novelle dell'arte novissima, e de' bozzetti e de'mo-
nologhi de' nostri più o men giovani fecondatori. Elaborando noi
adunque in tal modo questa manifestazione aristocratica, riusci-
remmo forse a fare scienza ed arte insieme.
Non sarebbe mai codesto un salutare consiglio contro la mor-
tificante e impotente ciarlataneria letteraria de' nostri ciurmadori ?
Vorrei che alcuno dei nostri critici grandi ripensasse la cosa la quale
a me pare almeno un preservativo se ad altri non voglia parere
rimedio. Che ne diranno il D' Ancona, il Rayna, il Del Lungo, il
Monaci ?
Ma, potrebbe dirmi il lettor malevolo, in die mai la prosa
corrente si differenzia dalla classica e antica? Molti, che si affer-
mano manzoniani e sono pedanti, credono che la prosa corrente
altro non faccia che render gli echi della manzoniana. Ma non
vorrei ricordar qui ciò che acutamente scrisse il Borgognoni nel
primo numero della Domenica del Fracassa (1885) intorno al-
l'Autore de' Promessi Sposi.
Quello che ò certo si è che la prosa contemporanea è nuli' af-
fatto inanzoniana, se è vero che la puerilità delle espressioni e la
improprietà delle parole, la mancanza assoluta di lucidezza e di
perspicuità, ili accuratezza ostinata e di finissimo studio, di colo-
rito e di disegno, che sono le pecche maggiori della prosa odierna,
non lo furon mai della manzoniana. E però, se il Maìizoni. al
4o6
contrario degli scrittori contemporanei, ebbe cura assidua e amo-
revole del suo stile, se lo rese più paesano e moderno, più agile e
corrente, gli mancò, non dirò l'attitudine, ma l'intenzione di finirlo,
di ripulirlo, di educarlo co' colori e co' vigori deli' antico periodo,
e colle movenze e cogli atteggiamenti della grande prosa classica
latina e del nostro bel Rinascimento. E a tal proposito vo' qui
riferire, per quanto si attiene al ritorno all' antico e all' arte del
Manzoni, e come a suggello del mio dire, questo che io scrissi al-
trove (*).
« Ora un logico e non esclusivo ritorno al Manzoni e, con sem-
pre in mano questo prezioso modello, agli esemplari migliori de'
classici nostri, non senza una sana nutrizione di greco e di latino;
un ritorno, dico, al Manzoni, che scaltri di movenze nuove e più
correnti questa lingua italiana che al Bj'ron parve come una musica
favellata, e, nel tempo istesso, alle tradizioni più intimamente clas-
siche de' secoli o periodi migliori della nostra letteratura, un tale
ritorno, io dico, sarà certo un grande bisogno del nostro avvenire
letterario.
Il Manzoni solo, non basta. Il grande lombardo, ancor pieno la
mente delle influenze umanitarie e filantropiche della cultura fran-
cese, dedusse dalla letteratura di Francia quel che all'arte classica
mancava o non prevaleva, cioè un più libero e spedito andamento
dello stile nell'arte; ma, si pel carattere suo, si per l'ideale religioso
che proseguiva costante, si per colpa de" tempi, non trasfuse nell'arte
quell'anima e quella vita, quell'orchestra di suoni e di armonie,
quella varia e sottil compagine dello stil classico antico: egli, simi-
glievole in ciò a ogni grande novatore — vo' dirlo colle parole
efficaci del primo pensatore vivente — come xi fu impossessato di
'/nello stile, lo stancò colle furie delle carezze di un primo amore.
Or quale sarebbe invero l'ideale da raggiungere in fatto di stile?
Mi si permetta eh" io lo dica colle parole d' un altro novator
grande, del Carducci, che ce ne dà esempi mirabili e viventi.
Il Carducci scrive: « Ne parrà audace per avventura il conget-
turare che l'Italia fosse per tenere dell'industre e sapiente eclettismo
romano, della contemperazione artistica che 1" Italia tutta fece nel
secolo decimoquarto e decimosesto tra V antichità e il medio evo.
Ella sarebbe chiamata a trovar la .s-o/)-o.vùie classica delle letterature
surte 0 rinnovate dalla rivoluzione » (**).
(*) Lettere e Arti. n. 40, pagg. 034-035, Bologna, 15 ottobre IS.iO.
(**) Carducci, Discorsi letterari e storici. i>agg. 317-lS, Bologna. Zani.lielli,
18S9.
J
407
Non si può dir meglio!
E nella prosecuzione di tale ideale, soggiungo io. non avrebbe
parte ultima, per quel che concerne lo stile moderno, la ellicace
influenza dell'immortale autore dei Promessi Sposi.
Cosi potrà esserci dato di aspettare il T'erfto dell" arte futura,
nella poesia e nella prosa.
Ma per raggiungere, almeno in parte, un tale ideale, è pur bi-
sogno di rialzare di molto, nelle nostre scuole e segnatamente ne"
nostri instituti secondari il troppo basso livello della cultura classica
e nazionale.
Potremo almeno sperarlo?
E non si dica che i tempi sien contrarli alle tradizioni greche
e latine, quando il culto d' esse non manca a" più grandi critici
nostri.
Limitiamo un poco queste indagini storiche, e, usciti dalle pol-
veri degli archivi all'aure sane del cielo latino, educhiamo il nostro
^usto alle vere bellezze antiche, che son la parte integrante della
rappresentazione del reale.
E facciamo si che le lettere umane, più che patrimonio di poche
menti solitarie, addivengano la eredità di tutti, nella scuola, nel-
Taccademia, nel Parlamento.
In ciò le ragioni intime e vere d' un radicale rinnovamento
classico, inteso con senso moderno, nelle esplicazioni varie e mol-
tiformi delle arti e delle scienze.
Non lo dimentichiamo!
III.
L' arte della Prosa
iiella filologia e nella critica contemporanea
M.giJEi. precedente studio, composto troppi anni la e pubblicato
soltanto nel "92 ('), abbiamo dato appena un assaggio ,
non ordinato né compiuto, di alcune qualità de' critici
nostri in raffronto alle buone tradizioni della prosa classica. In
questo e ne* seguenti capitoli daremo appunti intorno ad alcune
condizioni o meglio manifestazioni della cultura filologica o
scientifica di pochi nostri scrittori che meritano almeno qualche
ricordo per quello ch'essi valgono, non pure nella chiara e facile
esposizione ma ancora in certi spiccati caratteri dell' opera loro.
Ecco intanto questi pochi i quali vengono a delinearci nella
ricca varietà delle attitudini anche qualche atteggiamento o impronta
diversa.
Fra' napoletani, o meglio meridionali, cito de' morti il Ih'
Sanclis, il Tari, V Imbriani. e de' viventi il Kerhaker^W D'Ovidio,
Francesco Torraca, il Viilari : fra' marchigiani il Mestica : fra gli
emiliani il Casini; fra gli umbri il Morandi.
Di Francesco De Sanctis è quasi una ingiuria il dar qui non
altro che un appunto : intorno a lui abbiamo già pronto più che
uno studio che pubblicheremo in altro volume; a ogni modo ne
parlarono ben altri i quali poterono farlo tanto meg'io di noi che
l^ure qua e là in questa raccolta di bricciche lo abbiamo piìi di una
volta ricordato.
Antonio Tari e Vittorio Imbriani furono i più originali e biz-
zarri spiriti del Mezzogiorno. Il primo, scrittore faticoso ed oscuro»
e spesso eteroclito ed informe, non ebbe pari alla grande penetra-
zione soggettiva e alla mirabile suggestione divinatrice nelle i)iù
alte espressioni dell'arte — prosa e poesia, musica e statuaria,
pittura e architettura — la pienezza e limpidezza dello stile ; e al
buon gusto del pensiero critico non mai rispose il buon gusto della
{*) Fascicoli XIX -X (Luglio - Agosto 1S92) del «Pensiero Italiano» —
Milano — Tipografia cooperativa Insubria.
409
forma quantunque il suo discorso parlato fosse cosi facile e luminoso
nelle celebri lezioni che dava con tanto plauso nella Università di
Napoli. Fu insomma parlatore genialissimo e cattedratico eloquente,
e con lui si chiuse, si può dire, tutta la serie de' cultori di questa
importante disciplina, a proposito della quale giova qui nominare
un giovane ricco d'ingegno e versato con uguale attitudine nelle
più disperate branche, cioè il Prof. Mario Pilo, che pur naturalista
ci ha dato il primo e miglior trattato elementare e scientifico di
estetica (*) il quale dovrebbe richiamar meglio 1" attenzione de'
colti.
L'altro, ispido e selvatico ingegno, fu de" più strani ed eccen-
trici scrittori, un critico acerbo e spesso ingiusto, ma dotato su'
più vasti e svariati confini della cultura moderna e- dell'antica di
una maravigliosa dottrina nella quale infuse uno spirito cosi impul-
sivo e incomunicabile da rimanere il più solitario fra' nostri lette-
rati anche nelle forme della prosa, astiosa rugginosa nervosa, tutta
a scatti a interruzioni a singiiiozzi, una prosa rigida stecchita e
pure stridente, una prosa che punge e stuzzica come un vespaio.
Il feroce autore delle Fame usurpate e l'erudito e cervellotico
disquisatore dell'opera dantesca, pur venuto di nobile e antica
famiglia di patrioti, si rimase singolarissimo anche nella politica e
nelle aspirazioni sociali e civili; e fra' due altri fratelli, Giorgio e
Matteo Renato, clie tanto cooperarono al risveglio della libertà, si
mantenne, nel pensiero e nel sentimento, il vero autore dell' Iiìììo
al canape in cui tutto si specchia l'uomo e lo scrittore.
A questo gruppo anche appartiene Pasquale Villari, amoroso
compagno e dotto ammiratore del De Sanctis, di cui forse è il
miglior critico ed interprete. De' napoletani è colui che più sere-
namente e signorilmente ha schiuso le fonti sterminate del vero
storico in cui forse per copia di notizie gli va solo innanzi il sici-
liano Michele Amari. Ci ha dato lavori ampi e insieme organici in
cui alle dotte e minute indagini vedi congiunto lo spirito più calmo
se non meno profondo dell'incomparabiie amico; ond'ei dotò l'Italia
di almeno due opere che valgon da sole a illustrare tutto un secolo
di letteratura storica, e clie son degne veramente di esser compa-
rate alle migliori fra le straniere : Storia di Gerolamo Savonarola.
e de' suoi tempi, e Xiccolò Machiavelli. L'altro suo volume intito-
lato « Arte storia e filosofia » rivela in lui un ingegno molteplice
e una versatile cultura, un ingegno che dalle profonde disamine
organiche passa animosamente alle più varie dissertazioni anche
(*) Milano — Editoie Ulrico Iloepli — 1894.
410
spicciole eli letteratura e di fllosofla; e in Une con le Lettere meri-
(Uoiiali ei tocca o sviscera le questioni più ardenti intorno alle
tristi condizioni del Mezzogiorno d'Italia di cui primo e con libero
animo additò le piaghe e i mezzi per curarle, onde queste Lettere
dovrebbero essere Ira le cose piij lette dagli uomini anche pii^i culti
delle nostre regioni.
Michele Kerbaker e Francesco 1)' Ovidio sono fra i più degni
rappresentanti della scienza filologica e critica in Italia; ma il primo
è per lo più inteso a' più larghi studi intorno alle lingue e alle
letterature orientali, e Taltro alla critica storica delle lettere patrie
quantunque con più pronto e versatile ingegno spazi di sovente sui
più vari e più nuovi argomenti.
Michele Kerbaker non è veramente napoletano se non per vec-
chia consuetudine di animo e di vita. Ei nacque in Torino nel 1S3G,
e della regione conserva 1' operosa tenacia nell" assiduo lavoro ,
eerta rigida gravità del carattere e l'amore ardente a discipline un
pò" troppo aride per altre tempere d'animi e d'ingegni; ma queste
(jualità son poi illeggiadrite e come incalorite sotto griuflussi del
bel cielo partenopeo da cui forse ha attinto la pura e serena luci-
dezza della bella sua prosa, cosi agile e dotta, e cert'ala o movi-
mento nel facile verso delle sue mirabili versioni dal vedico con le
quali ei si mostra l'unico rimatore della numerosa e pallida scliiera
de' ricercatori e degli eruditi. Ila pubblicato, fra tante altre cose
anche su argomenti biblici, il Bhagavad gita (versione); La morte
del re Dacaratha ; La Storia di Xalo; l'Inno a Soma; V Hermes -
- Saramei/a ; La filosofia comparata e la filosofia classica; Varnuna
e gli Aditga ; Sopra un luogo dello Shakespeare, imitato da Vin-
cenzo Monti ; Il Carrnccio d'Argilla (versione), etc. Di lui scrisse
il Carducci : — 11 canto degli Aria fu a posta ritessuto con parec-
chie rimembranze degl' inni vedici, de' quali il professore Kerbaker
va da qualche tempo pubblicando versioni metriche, dove non sai
se più ammirare la larga e forte dottrina o la corretta e varia
facilità e felicità del verseggiare italiano. Di codeste versioni e
dell'altra pur bellissima in ottava rima d'un episodio del Maliàbhà-
rata, è un torto della critica giornaliera essersi a pena avveduta...
(•) (v'ueste parole sono più che un giudizio intorno al critico e
intorno al traduttore, il quale ci richiama alla mente un altro
orientalista insigne, il prof. Emilio Teza, il più grande poliglotta
che oggi vanti l'Italia, e di cui innanzi abbiamo pur detto qualche
cosa in particolare ; e dobbiamo anche ricordare in questo hiogo
(■) «Confessioni e Battaglie» — Bologna, Zanichelli, 1S90 — Pag. 362.
411
la maravigliosa erudizione filologica del rimpianto Giacomo Lignana,
già decoro della Università di Roma, dove gli è succeduto il pro-
fessore Angelo De Gubernatis, il più facile e proliflco autore in
tutte, si può dire, le provincie della cultura umana, dalla mitologia
alla storia, dalla prosa alla poesia, dalla compilazione scolastica
elementare al giornalismo ! Cade qui in acconcio almeno accennare
la recente e ancor viva controversia incominciata appunto dal
Kerbaker e dal D'Ovidio, e seguitata poi da altri, intorno al vigente
ordinamento classico secondario, che il primo vorrebbe limitato alla
libera scelta de' discenti entro i naturali confini delle proprie atti-
tudini, e l'altro invece conservato secondo gli attuali programmi i
quali aiuterebbero sensibilmente la cultura e la intelligenza de'
giovani che non son poi, come si crede, fuorviati o danneggiati da*
medesimi programmi ; ma pare che la questione non appaia ancora
definitivamente risoluta, se pure lo sarà mai.
Interamente napoletano di origini e di studi, di animo e d'in-
gegno, è invece Francesco D'Ovidio, vero figlio del Molise. E de"
più forti e levigati intelletti d'Italia. Larga e molteplice la cultura,
sempre avvivata da uno spirito pronto e da un intuito proprio di
ricerche e di raffronti; forbitissimo e luminoso lo stile, pieno di
nerbo e di vivacità, e insieme limpido e corrente negli agili e tal-
volta ridondanti legamenti del periodo; disamina accorta, spesso
minuta, de' luoghi anche più scabri della critica, di cui sa sco-
prire con queir acume che molti gì' invidiano ciò che non di rado
sfugge anche a' più celebri nella ricerca è sobrio, non pesante o
tedioso; nella critica è intero; nelle comparazioni, originale o almeno
ingegnoso; e alla pazienza in altri inerte o sola del ricercatore
congiunge sempre il lume della osservazione estetica.
Uscito dalla scuola del De Sanctis, l'ha corretta o certo temperata
con il più diretto studio delle fonti; manzoniano fervente, ne ha
promosso forse un po' troppo il culto che ne" seguaci e specialmente
ne' mediocri diventa per lo più quisquilia di chiacchiere sottili più
che sapiente avvedutezza di dottrina organica. Con tali doti ei con-
cilia mirabilmente le più sane qualità del Settentrione con quelle,
in lui più corrette, del Mezzogiorno.
Ultimo Francesco Torraca è un altro fedele e nobile alunno
del De Sanctis: ha studi più modesti «la che son forse i soli sulla
nostra letteratura napoletana, alla quale dà veramente un molto
prezioso contributo d' indagini e di osservazioni. Appartengono ad
essi queste opere: — Iacopo Sannazzaro: Gl'imitatori del Sannazzaro:
Studi di storia letteraria napoletana. Un'altra utile opera ei pubblicò
a servizio delle scuole, ed è il Manuale di letteratura italiana, una
delle più accurate compilazioni, acuì non manca di apportar mano
412
mano i maggiori e più opportuni ritocclii secondo i lumi e i pro-
gressi della critica storica contemporanea. E in fine, oltre tanti
altri studi ed articoli sparsi nelle riviste, compose un libro su
V FAÌìtcazione moderna e le scuole tecniche, il quale è, si può dire,
un argomento tutto proprio, frutto maturo della sua larga espe-
rienza cosi nella scuola, di cui fu uno de' migliori ornamenti, come
negli uffici che da più anni riveste nel Ministero della istruzione
dove è uno de* più provetti e competenti funzionari. Spirito ealmo,
studioso, diligente, osservatore spesso acuto, ei porta nella prosa
critica, se non l'ardenza e l'elevatezza della scuola onde uscì, una
parca ma utile efficacia di ammaestramenti, congiunti a una piana
e facile naturalezza di espressione in cui parrebbe spirare come
un' aura e un fresco alito degli studi manzoniani in cui tanto è
versato.
Giovanni Mestica, il lodato autore delle Istituzioni di letteratura
italiana nel secolo decimonono non clie d'altre assai pregevoli com-
posizioni originali, è un vero marchigiano d'animo e di cultura, di
tradizioni e di abitudini. E per questo, forse meglio di tutti, ei volse
particolarmente l'animo e l' ingegno allo studio della vita e dell'o-
pera leopardiana che amorevolmente illustrò e commentò con
minuta diligenza di ricerche e con acuto intelletto di critico. Frutto
de'suoi lunghi studi intorno all'autore prediletto sono questi ricercati
lavori: Le poesie di Giacomo Leotjardi, da qualche anno assai più
compiutamente riordinate secondo le più recenti indagini; (x^i fn^o?';
di Giacomo Leopardi; Il verismo nella poesia di Giacomo Leopardi:
Le hiUioteca leopardiana a Recanaii.
A questo proposito, oltre i più insigni quali il Carducci e lo
Zumbini , vogliono qui esser meritamente ricordati questi altri
ricercatori o comentatori: Giuseppe Chiarini, Alfredo Straccali, ¥ì-
lippo Sesler, Raffaello Fornaciari, Alfonso Cerquetti, Alfredo Cesareo,
Licurgo Pieretti, Giuseppe l^iergili , Ildebrando della Giovanna.
Nicola Zingarelli, t^ilippo Marietti ( per qualche recente documento
prodotto in occasione del centenario leopardiano), e, per le indagini
faticose anche se non criticamente appurate o collazionate, il non
avventurato commediografo, ora profugo dopo un processo dal-
l'Italia, Camillo Antona Traversi. Oltre alle Quattordici fìlipjpiche
di Cicerone, con tanto buon gusto tradotte, ed altre opere degli anni
giovanili e de'maturi, restano pur notevoli queste altre; Federigo li
in relazione con lo- civiltà italiana, Vittorio Enianuele eia lettera-
tura politica, non che le due prime citate, cioè le Istituzioìii e il
Manuale, che son veramente i più bei libri che su l'argomento si
siano pubblicati in Italia. Scrittore limpido, facile, elegante; critico
largo, sereno, luminoso: compilatore accurato, minuto, metodico;
413
osservatore perspicace e prosatore di squisitissimo fiuto classico,
riesce uno de" più gradevoli e simpatici letterati anclie per le veneri
dello stile che conserva qualcosa delle migliori tradizioni letterarie
della nativa regione, non che una certa freschezza che attinse alle
fonti, non pure del Leopardi, ma ancora del Manzoni del quale è
anche intenditore finissimo, e non soltanto, come tanti manzoniani,
per la sola eterna questione, ornai sistematica, della lingua.
Tommaso Casini, nativo di Bazzano in quel di Bologna, è uno
de' più fedeli alunni del Carducci, nel'a cui scuola crebbe all' arte
e alla vigorosa e compiuta genialità del metodo critico nelle misu-
rate indagini e negli acuti raffronti dell'opera storica. E per certa
almeno apparente affinità di educazione letteraria, forse meglio di
tanti altri discepoli pur valenti, da quella solitaria scuola di buon
gusto ha derivato un vivo spirito di arte che dà spesso al suo siile
un odore di peregrinità nella elocuzione, una certa movenza clas-
sica ne' costrutti e insieme un qualche lepore della grande prosa
del maestro con un che di flessuoso e di luminoso ne' facili e ricchi
avvolgimenti del periodo. E per questo de' giovini critici nostri è
forse il più felice artista della parola, certo è de' pochi che da' forti
studi di erudizione nelle più varie branche della letteratura deriva
qualche lume di ben assimilata nutrizione estetica. Oltre a brevi
ma dotte monografìe su argomenti diversi, ed oltre a' suoi lunghi
studi su l'opera dantesca, egli ha dato alle scuole compilazioni
veramente preziose, come il Manuale di letteratura italiana, e il
Commento della Divina Commedia; e in fine, per la natura degli uffici
eh' ha spesso esercitati anche nel Ministero della Istruzione, mostra
una matura e pratica esperienza della scuola e dell' insegnamento.
Luigi Morandi, un umbro di agevole e versatile cultura, e già
precettore del Principe di Napoli, è conterraneo ili Fra' lacopone;
e della grande, austera, verde Umbria, che tanto piacque al Carducci,
illustrò amorosamente cosi i luoghi come i proverbi e le leggende-
Vecchio garibaldino e patriota di azione, fu nel 1867 a Monterotondo,
ma di ricordi patri non ci ha lasciato che solo un libro, Mazzini
educatore. Manzoniano troppo acceso e troppo intollerante, intese
e intende a diffondere, coU'opera e coll'insegnamento, l'adorazione
incondizionata più che il libero studio del Manzoni nelle scuole: al
che si oppose da par suo il Carducci che volle, prima che il Morandi
la risollevasse, ridurre ne' debiti confini la questione manzoniana
e temperarne le dommatiche esagerazioni che riescono a una quasi
tirannide pedantesca dell' uso vivo della lingua parlata. Effetto di
questo pedantismo è l'ostinata imposizione della scuola e de' precetti
manzoniani, senza varietà e larghezza d' intendimenti, senza lumfr
e vigore di stile, senza rispetto alla tradizione classica; il che tutto
414
diventa nel Morandi conae una fissazione di tutta l'opera sua, rigida,
intransigente , sistematica. Un altro manzoniano, il pistoiese prof.
Policarpo Petrocchi, 1" autore del Xnovo Dizionario della Lingua
Italiana dell' uso e fuori d" uso e del Commento storico, estetico f
filologico de' Promessi Sposi, segue questo falso indirizzo con anche
maggiore angustia e rigidità di metodo, lo segue sino all' intonti-
mento, e con danno assai grave della libertà veramente geniale del
concepire e dello scrivere. Ma quando il Morandi si libera da queste
pastoie ed è tutto lui, come ne' Saggi critici, nelle Corti e sentenze
d'amore e specialmente nell'utilissima Antologia della nostra, critica
letteraria moderna, allora riesce un critico e un compilatore giudi-
zioso e a volte di larghe e simpatiche vedute. Ad ogni modo tanto
egli che il Petrocchi son certo pregevoli anche nella illustrazione
e nella intelligenza dell' opera manzoniana quando non si lasciano
adescare dalle preoccupazioni del loro sistema, le quali spesso ne
turbano il giudizio e la serenità della osservazione.
Dovrei ora parlare, a lungo e degnamente, di più altri, ma in
particolare di Pietro Fanfani, di Giuseppe Bigutini e di Augusto
Conti, che furono gli educatori di più generazioni di studiosi; e Io
farei volentieri se i confini di questo volume me lo permettessero.
e se quelli non fossero già troppo noti a tutti. D' altra parte
essi non son propriamente novatori o importatori di modi nuovi
nella nostra lingua e nella nostra arte: artisti o stilisti, se non
forse un po' il Conti, non mai si rivelano, ma dispensatori munifici
del vivo tesoro della lingua paesana o meglio toscana: sono più
tosto insigni filologi o linguisti che non veramente e compiutamente
prosatori. Ad ogni modo restano sempre fra' più limpidi e pui-gati
.scrittori, e fra' compilatori o illustratori più utili e più ricercati.
Il primo, morto da venfanni, fu, come volle vezzeggiarlo sati-
ricamente il Carducci, V Epulone e il Trimalcione de' lacchezzi e
bocconcini gJnotti, che spazzava via di c/iiando in quando colla
salvietta delle sue eleganze dalla imbandigione del bel parlare. Fu,
penso io, quello che un gesuita quasi a lui contemporaneo, Antonio
Bresciani, che l'autore del Dizionazio de' pretesi francesismi. Pro-
spero Viani, chiamò cosi bene il patricello vezzoso. II secondo,
-compilatore e lessicografo, traduttore e accademico della Crusca,
con più opere notabili e meglio col Vocabolario della lingua parlata
composto con l'aiuto del Fanfani, diffuse e popolarizzò, non senza
profitto delle scuole, l'idea manzoniana sull'unità della lingua, non
dividendo per altro le strane e morbose utopie de' discepoli. Il
■terzo, più toscano degli altri due e quasi fiorentino, pur non essendo
propriamente un filologo od un letterato di professione, fa sentire
nelle sue prose castigatamente morali e frescamente educative quel
415
tepore di eleganza e quell' aura di buon gusto di' egli attinse pur
giovinetto alle più belle tradizioni della scuola toscana classica.
Dovrei ora parlare assai diffusamente di Terenzio Mamiani,
erudito, critico, poeta, prosatore, filosofo; una delle più pure glorie
dell' ultimo rinascimento italiano nelle scienze e nelle arti, nella
vita politica e nelle agitazioni patriottiche. Marchigiano di animo e
d'ingegno, fu l'ultimo fedel rappresentante di quel vivo lume di cultu-
ra classica che intorno al Monti e al Leopardi meglio si allargò e si
diffuse, e fu in istretta comunione di pensiero col grande Recanatese
che nella Ginestra riporto di lui con amore intellettivo alcuni versi
che son parte cos'i vitale di quella mirabile poesia tra lirica e di-
scorsiva, tra giambica e gnomica, tra immediata e riflessa: l'ultimo
vero canto uscito da quel petto spezzato dal dolore. Ma di lui come
di altri molti mi occuperò a lungo in un secondo volume: in questo
mi bastano qui alcune linee per dire qualcosa de' vivi soltanto,
poiché de' grandi trapassati sol per incidenza si parla.
Potrei dunque seguitare in questi appunti, ma io non ho voluto
indugiarmi se non su que' critici o filologi che han pure nominanza
di buoni prosatori o iniziatori almeno di qualche movimento lette-
rario, falso 0 vero che sia. Intanto, pur vari e diversi ne' pregi
dello scrivere o nelle ricerche erudite o nell' una cosa e nell'altra,
ecco qui, per branche diff'erenti, cinque gruppi di scrittori che io cito
di fuga e come mi vengono in mente:
De' critici, e fra' morti: — Cesare Guasti, Giovanni Battista Giu-
liani, Pio Ferrieri; — fra' vivi: — Dino Mantovani, Antonio Fradeletto
(conferenziere), Vittorio Fiorini, Adolfo Venturi. Gaetano Negri,
Francesco Flamini, Vittorio Gian, Michele Sciierillo, Alberto Ron-
dani. Angelo Solerti, Guido Biagi. Ugo Brilli, Vincenzo Crescini,
Cesare de Lollis, Carlo Raffaello Barbiera, Giovanni Battista Giorgini,
Francesco Novati, Orazio e Vittorio Bacci, Valentino Giachi, Albino
e Oddone Zenatti, Giulio Salvadori, Francesco Colagrosso, Antonio
Zardo, Corrado Corradini. Raffaello Giovagnoli, Giuseppe Cugnoni,
Vito Fornari il quale ultimo è da soli pochi giorni morto. De" com-
pilatori 0 comentatori: — Francesco Zambaldi, Gustavo Strafforello
( ha scritto di tutto ) , Paolo Tedeschi , Felice Martini , Giuseppe
Puccianti , Raffaello Fornaciari , Francesco Salveraglio, Francesco
Trevisan, Giovanni Federzoni, Antonio Ronzon, Guido Falorsi, Giu-
seppe Finzi , Giovanni Targioni Tozzetti , Alfonso Bertoldi , Italo
Pizzi.
De' latinisti o ellenisti, e fra' morti: — Tommaso Vallauri, Giu-
seppe MuUer, Onorato Occioni, Eugenio Ferrai — : fra' vivi: — Giam-
battista Gandino, Giovanni Pascoli, Felice Ramorino. Pietro Gavaz-
za, Ettore Stampini, Luigi Michelangeli, Vigilio Inama, Antonio Ci-
4i6
pollini, Antonio Cima, Carlo Fumagalli, Fausto Gherardo Fumi,
Enrico Cocchia, Pelliccioni Gaetano, Fraccaroli Giuseppe, Stefano
Grosso , Enea Piccolomini , Remigio Sabbadini , Flechia Giovanni,
Carlo Giussani, Cortese Giacomo. —
De' critici di arti belle, fra' morti: — Filippo Filippi, Francesco
D'Arcais e Giuseppe Alessandro Biaggi — ; fra' vivi: — Pompeo
Gherardo Molmenti, Luigi Chirtani, Aurelio Gotti, Camillo Boito,
Alfredo Melani. Vittorio Pica, Ugo Fleres, Benedetto De Luca.
Degli storici; fra' morti: — Celestino e Nicomede Bianchi. Ercole
Ricotti. Nicola Marselli, Giuseppe Massari, Marco Tabarrini, Cesare
Albicini, Alberto Mario, Gabriele Rosa, Giovanni De Castro; — fra'
vivi: — Augusto Franchetti, lessie Withe vedova Mario, Iginio Gentile,
Carlo Conte Cipolla, Ettore Pais, Ariodante Fabretti, Francesco
Bertolini, Giuseppe Carlo Abba, Luigi Alberto Ferrai, De Leva Giu-
seppe, Giuseppe Schiaparelli, Luigi Frati, Amedeo Crivellucci. An-
tonio p4,olando.
In questo lungo e incompleto rosario di nomi, messi alla rinfusa
e senza ordine di metodo e di merito (a che mai servirebbe, qui ?),
non sono compresi quelli citati o disaminati altrove: de' morti son
citati alcuni soli, quelli di cui è ancor viva la memoria o la influenza
su gli studi contemporanei; e si de* morti che de" vivi non mancano
diversi che non han vero pregio di prosatori, che anzi alcuni scrivon
assai male e non di rado contro la sintassi; del resto non si è cre-
duto tacerli per 1' utile che lia tuttavia l'opera loro la quale è ricca
di un largo e prezioso corredo di notizie e d' indagini, storiche,
letterarie, artistiche, nelle lettere umane, nelle arti belle, nella critica
erudita o comparata.
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IV.
L'arte della Prosa
nel bozzetto, nella novella, nel romanzo
eco pochi tratti di soli alcuni fra' nostri più popolari o
più nominati scrittori, cioè di quelli che mostrano rispetto
all'arte, se non un vero indirizzo novo, forse un parti-
colare 0 spiccato carattere di rappresentazione: certo influiscono
alcun poco su l'animo de' giovini e di molti de' nostri instancabili
e assai facili produttori.
Cominciamo dal più popolare e avventurato di essi, da quello
che fu il nostro più caro amore della prima gioventù, cioè da Ed-
mondo De Aniicis. A chi mai anche fra gli alunni delle scuole pri-
marie è ignoto il celebrato autore del Cuore di cui furono tratte in
luce circa 200 edizioni ? Qual mai opera italiana fu più fortunata
di questa, ch'è un lavoro di scuola e insieme di arte ? Egli , come
tutti sanno, è il gran mago della parola e il più ricco signore delle
imagini ; e per questa sua privilegiata potenza, più nativa che acqui-
sita, più spontanea che disciplinata da una compiuta educazione
letteraria, egli é veramente il più letto, anche perchè, come direb-
bero oggi i coniatori di frasi fresche, è il più suggestionante. Ed
è proprio cosi. Il De Amicis è una di quelle nature cosi largamente
dotate di un'intima forza psicologica e affettiva che non possono
essere interamente corrette e temperate dal freno dell'arte; una, cioè,
di quelle nature prepotenti e insieme indipendenti che sentono per
questo il bisogno di espandersi, di allargarsi, senza limiti, senza
l'itegno, ma gettando sempre barbagli di luce in ogni manifesta-
zione del naturale esterioi'C; e da ciò gli derivano con pregi assai
notevoli difetti grandi : piemontese di nascita, è poi tutto meridio-
nale d'anima e di concepimento. E allo svolgimento di questa sua
facoltà molto conferirono i lunghi viaggi da lui minutamente de-
scritti, e gli aspetti meravigliosi dei luoghi che doverono secondare
pienamente e spesso a danno della osservazione serena e calma e
perciò più profonda quella fantasia cosi ricca e quel cosi vivo sen-
timento.
Ecco la ragione della immensa diffusione de' suoi libri che per
questo rispetto gareggiano co' più diffusi di Francia e d' altrove ;
27
4i8
elle anzi l)en pochi volumi stranieri possono vantare le edizioni dei
Cuore.
E' naturale quindi che un'anima cosi fervidamente appassionata
del molteplice e del vago, che un cuore tanto sensibile a' più attraenti
spettacoli della terra, del mare e del cielo, che una fantasia cosi
esuberante e vivace, lo aiutassero a divenir sùbito, fin da" primi
libri che son molti e di contenuto vario e descrittivo, il pittore più
luminoso e il colorista più diffuso della natura : fu anche poeta, o
meglio, scrisse dei versi di ridondante e monotona sonorità, ma egli
è assai più poeta in prosa che in rima.
Ninno in Italia ha la magica tavolozza del De Amicis, e ninno
più di lui sa versar su le cose, su tutte le cose, tanta dovizia di
luce e di colori, d'ombre e di chiaroscuri, di sfumature, di grada-
zioni, di sfondi, che ci rendono del sensibile le apparenze più vaghe,
i toni più vari e diversi. Ma questo vizio di descrivere per solo
amore del descrivere, che parmi l'unica preoccupazione degli odierni
scrittori; questo smanioso aggirarsi intorno all' oggettivo puro e
nudo senza infondervi la vita psicologica de' caratteri umani a cui
la natura dovrebbe solo servir da contorno e da scena; questo sen-
suale attaccamento alla materia col solo bisogno di leccarla e non
di osservarla per introdurvi o riflettervi tipi di anime nella loro azio-
ne più mossa e più feconda; tutto codesto, ripeto, è lusso, è pompa,
è vanità ; tanto è vero che l'abito del descrivere, come quello del
secolo XVIII, segnò sempre il decadimento dell' arte anche presso
le nazioni più eulte; e solo il Parini fra noi potè valersene per farne
mezzo o strumento della sua mirabile ironia satirica tra epica e
didascalica, senza i quali elementi quella poesia non rimarrebbe
altro che mirabile prodigio di tecnica. La descrizione è mezzo a-
dunque, non fine.
Tornando al De Amicis, ninno, credo, vorrà negare che troppo
spesso il colore non è sobrio, non uguale o proporzionato il disegno,
non limpida e netta la elocuzione , non opportuna o temperata la
fantasia che anzi si sfrena a imagini strane , direi quasi parados-
sali, a similitudini ambiziose, a figure secentistiche o di conio troppo
personale, onde gli effetti ne riescono falsi o poco naturali. Troppe
volte , più che rapire abbaglia , più che allettare seduce , più che
sollecitare il gusto dei buoni sorprende e non di rado stordisce.
Egli, non appena l'anima lirica lo attrae verso un punto qualsiasi,
verso un aspetto di luoghi anche poco bello e seducente , verso
fenomeni anche non lieti o poco adatti in altri al rapimento o alla
inspirazione, vi si abbandona con tutto io slancio e con tutta la
passione di un grande, di un fervido amatore, finché lo spirito suo
non se ne stanchi o non versi il suo pennello tutte le tinte e tutti
419
i colori; e allora, se avviene che seduca gl'incauti Ano alla vertigine,
lascia un po' incerti o ristucchi i lettori di buon gusto che non
sempre son vaghi di seguirlo in que'continui giochi di luce e di ab-
bagliamenti spesso ritornanti in altri quadri e in altre scene dove
l'esausta tavolozza non ha più colori per nuove trovate e per nuovi
disegni, perché ornai stemperati troppo nelle descrizioni precedenti.
Ma con tutti questi difetti , provenuti necessariamente dalle
particolari attitudini del suo ingegno, il De Amicis resta sempre il
più geniale e il più naturalmente artista o poeta fra tutti i prosa-
tori contemporanei. Ne' molti suoi libri s'incontrano spesso qua e
là quadri e scene che con gli stessi lor vizi di composizione sono
d'incomparabile bellezza descrittiva e di straordinaria fantasia pit-
trice : in essi le imagini o le parvenze delle cose si moltiplicano ,
s'inseguono, si confondono rapide, improvvise, inconsulte, come in
un magico prisma di colori, come in un caleidoscopio inesauribile
di bagliori.
E alle fantasie risponde benissimo lo stile, cosi ridondante di
tropi audaci, di costrutti ambiziosi, di frasi caratteristiche, di le-
gamenti liberi e capricciosi. Alcuni credono che il De Amicis renda
nelle sue prose l'arte e lo stile de' Promessi Sposi. Niente di più
avventato, che non v'ha artista oggi in Italia più antimanzoniano di
lui, nella lingua, nella interpunzione e nella costruzione o model-
latura del periodo, il quale ha un'orditura tutta sua propria e un
movimento non di rado sbrigliato : esso procede a tratti, a scatti,
a sbalzi, breve e stretto, e come a saltellini di giunture e di membri,
onde può ricordar solo la prosa francese e non sempre in quello,
che questa ha di più trasparente, di più fresco e peregrino E' vero
che lo stile del De Amicis mostra in più d'un luogo qualche fiuto
della prosa manzoniana in cui egli ha certo profondamente studiato,
ma non oltre qualche truciolo di tecnica sparsa o di meccanica
linguistica; non altro. Di fatti dov'è un tratto ne' molti volumi del
De Amicis che accenni o ricordi alla lontana quel magnifico nel
vario, quel largo nel misurato, quell'uguale nell'armonioso, ch'è la
perfetta architettura del periodo manzoniano, cosi lucido e perspi-
cuo nella linea, nel rilievo, ne' contorni, in tutta la mirabile sim-
metria delle parti. Forse il De Amicis ha qualcosa che non è frequente
ne' Promessi Sposi: il color vivo e l'impeto della passione. Di uno
scrittore cosi celebre e che va per le mani di tutti ma specialmente
de'giovani studiosi, abbiamo voluto in mezzo al coro troppo uni-
forme delle laudi notar pure i difetti, che del resto, se sminuiscono,
non tolgono que' grandi pregi che in parte scusano i difetti mede-
simi e insieme rivelano una maravigliosa e singolarissima tempra
di scrittore e di uomo.
420
Tale dunque mi è parso il celebrato autore dei Bozzetti e
delle Novelle, della Spagna e del Marocco, deli' Olanda e di Costan-
tinopoli, deir Oceano e de' Ricordi di Londra, delle Porte d'Italia
e delle Pagine Sparse, degli Atuici e delle Poesie, de' Ricordi di
Parigi e de' Ritratti letterari, del Cuore e del Romanzo di un
'maestro, del libro Fra scuola e casa e del Vino (conferenza), della
Carrozza 'per tutti, delle Memorie, Speranze e glorie, e il futuro
autore di Bambini e scolari e di Pagine pai-late.
Di Giovanni Verga abbiamo già discorso innanzi (*) ; onde qui
ci limitiamo a ricordare ch'egli è il più poderoso rinnovatore del
romanzo oggettivo e della novella di costume o, come già dicemmo,
campagnola.
Non corretto, anzi talvolta ruvido e pedestre nello stile , ha
però la mirabile attitudine a dar vita psicologica e movimento
insolito ai suoi personaggi, e di ritrarli nella brusca e non di rado
selvaggia crudezza locale; onde spesso ne risulta un cosi bieco
realismo anche delle più basse passioni, che 1' animo del lettore
ne risente come una irritante impressione. Ma ninno più e meglio
di lui possiede il magistero finissimo di variare con abili scorci la
trama del romanzo, di sorprendere nella vita e modellar poi sul
teatro o ne' libri scene originalissime e vive e immediate, e in fine
di crear tipi e combinare e atteggiar situazioni con sicurezza di
tocco, con rapido intuito de' caratteri, con profonda percezione e
visione del vero.
Cosi fatto è l'autore di Eros e di Eva, de' Malavoglia e del
Marito di Elena, di Per le vie e della Storia d'una capinera, della
Tigre reale e della Cavalleria rusticana, di Mastro -doti Gesualdo
e de' Ricordi del Capitano d'Arce, di doìi Candeloro e C. e di Xedda^
del Vagabondaggio e delle Novelle rusticane, de' Drammi iritimi e
di più altri romanzi o novelle.
Luigi Capuana è un prosatore vario e di molteplice ingegno r
poeta e novelliere, romanziere e critico, commediografo e autore di
libri ameni per bambini, direttore della Cenerentola e professor di
lettere italiane nella Scuola Superiore di magistero femminile in
Roma.
Come poeta de' Semiritmi, delle Parodie e de' Paralipomeni
al Lucifero di Mario Rapisardi, che non ostante il metro novo e
assai libero pur mostrano qua e là qualche vena di schietto umo-
rismo, non pare sia stato molto ammirato; e neanche pare abbia
avuto fortuna col teatro in cui novamente e di recente si è provato;
(•) Nel capitolo « Novelle »
421
ma con la Giacinta, clie passò con grandi lodi e non senza un
qualche contrasto, volle primo in Italia importare il crudo realismo
zollano su basi sperimentali. Questo fu il solo vero romanzo che
egli avesse composto e di cui a torto si è dileguata la memoria.
Fu anche più fortunato nelle novelle, ne' bozzetti e in altri piccoli
lavori, ma forse un po' meglio in que' vivi e allegri racconti pieni
di care e di soavi fantasie, da lui composti per l'infanzia e per la
fanciullezza, come, C'era una volta: Il regno delle fate ; Fanciulli
allegri: Le paesane: Il drago.
Un altro breve nucleo di composizioni han questi titoli : Storio,
fosca. Homo, Ribrezzo, Fumando, Garibaldi, Vanitas vanitatum.
Il piccolo archivio. Profili di donne, ecc. ecc. Scrisse anche alcune
opere intorno all'arte odierna, come. Il teatro italiano contempora-
neo. Studi su la letteratura conte>iiporanea. Per l'arte, ecc. ecc.; e
in esse, se non rivela la fossile ricerca de' soliti esumatori di bric-
ciche storiche, si mostra spesso critico acuto ed arguto su argomenti
che meglio rispondono al suo vero esercizio di scrittore e di artista.
e insieme un uomo di molto fine buon gusto e intenditore di molti
segreti che a tanti teorici dotti o sfuggono o son veramente ignoti:
se queste opere non sono interamente profonde e dense di spirito
nuovo e di cultura classica, son però piene di largo senso estetico
•e di osservazioni proprie e opportune.
Scrittore facile, spigliato , talvolta elegante e magnifico, è uno
de' più lodati fra' nostri prosatori e un de' critici più autorevoli in
materia d'arte contemporanea.
11 romanziere più veramente e variamente fecondo è Anton
Giulio Barrili , ligure ( nacque a Savona il 14 dicembre 1836 ). E
come vario lo scrittore cosi varia e avventurosa è stata la sua vita.
Si laureò in legge nella Università di Genova ; fu nel "59 volon-
tario nell'esercito regolare , e tra il '60 e il '67 garibaldino ; fu
giornalista, deputato al Parlamento nella XIII legislatura, e consi-
gliere comunale e provinciale di Genova nel cui Ateneo insegna
dal 1889 letteratura italiana. E romanziere e novelliere, verseggia-
tore cosi latino come italiano, articolista e conferenziere applaudi-
tissimo. Ha finora scritto circa60 volumi tra di novelle e di romanzi,
di commedie e di discorsi, di studi letterari e di versi, di articoli
€ di conferenze. De' romanzi citiamo, fra' più lodati. Il tesoro di
Golconda, il Capitan Dodèro, L' Olmo e V Edera, La donna di Picche,
Fior di Mughetto, Il Conte Bosso, Arrigo il Savio, La bella Gra-
ziana, Amori alla macchia, L'undecimo comandamento; delle com-
medie. La legge Oppia e Lo Zio Cesare ; de' racconti , Uomini e
bestie: dei discorsi commemorativi o patrii, Giuseppe Garibaldi e
Vitlor Hugo.
422
E dei nosti'i novellieri e romanzieri più celebri un de' poclii se
non forse il solo che sa conciliare alla mirabile l'acilità delle trovate
uno spirito calmo e rinl'rescatore, un contenuto sano e insieme
arguto e festivo, ma soprattutto la spigliata purezza e lucidezza
della espressione che ha spesso un sapore di classica venustà e di
gioiosa leggiadria, a cui certo hanno contribuito i larghi studi che
ha fatti quasi da solo intorno alle letterature antiche e moderne.
Ma la sua prosa più eletta nella tecnica dello stile è certo quella
de" discorsi per circostanze solenni come quella su Garibaldi e su
THugo : ha nervosa e vigorosa efficacia quel periodo vibrato e rac-
colto nel vivo e ben modellato rilievo del costrutto e della rappre-
sentazione.
Spirito sereno ma di briosa piacevolezza, animo benefico e
soave, ingegno pronto, luminoso, versatile, aspetto pieno di grazia,
di vita, di bontà, egli riesce lo scrittore più attraente e simpatico
de' nostri salotti eleganti e l'autore più letto nelle nostre famiglie,
anche nelle più schive alla lettura di libri moderni, poiché non mai
egli si mostra volgare, né licenzioso. É anclie ammirato per le più
amabili qualità : è conversevole e faceto, compiacente agli amici»
caro a tutti ; è , in fine , uno de' ben radi esempi di prosatori
che non han voluto cercar fama e originalità nelle studiate esage-
razioni e nella pozzanghera del verismo recente o nelle nebbie del
simbolismo patologico , ben pago delle buone tradizioni della nostra
vera arte e della nostra vera cultura.
Ecco ora due cari tipi di prosatori toscani, lorick (Pietro Fran-
cesco Leopoldo Coccoluto Ferrigni), da due anni rimpianto, e Neri
Tanfucio (Renato Fucini): l'uno già avvocato e giornalista e più
innanzi garibaldino di valore, ferito a Milazzo e decorato della
medaglia al valor militare; e l'altro — chi mai lo crederebbe se
non lo sapesse ^ — regio ispettore delle scuole elementari in
S. Miniato ! L'autore della Storia de' burattini, del Su e giù per
Firenze, del Vedi Napoli e poi . . . , della Festa de' fiori, della
Morte di una musa e di molte altre simili pubblicazioni, di viaggi»
di critica, di arte, non che di molte centinaia di articoli e relazioni
artistiche mandati a molteplici diarii italiani, fu lo scrittore più
genialmente brioso ed arguto che in questi ultimi tempi abbia avuto
l'Italia.
Memoria maravigliosa, erudizione assai larga, spirito pronto e
vivace, cuore appassionatissimo di tutte le cose belle, fantasia lucida
e ricca, fronte ampia e aspetto simpaticamente sereno sotto il cui
sorriso brillava sempre la più fine ironia, egli ebbe del toscano le
qualità migliori e tutte le seppe versare a piene mani ne' quadri
viventi de'suoi racconti e delle sue descrizioni che vanno fra le più
423
belle cose delia recente letteratura. Qual mai scrittore (parlo de'più
giovini) può vantare una prosa cosi fresca, così alata, cosi viva co-
me quella intitolata AW istituto de'ciechi {nel su e fjii'c per Firenze)
che noi facciamo anche leggere nelle nostre antologie ? Men forte
del De Amicis, non ne ebbe però tutt' i difetti.
Renato Fucini è invece temperamento ben diverso di artista ;
è un serio e limpido rinfrescatore della vita campagnola nella pura
schiettezza del dialetto nativo in cui compose i suoi Sonetti che
sono quanto di più grazioso e di più immediato abbia la nostra
poesia popolare contemporanea, la quale nel Fucini, quantunque
studiata e riflessa , è però colta con agile purezza dalla viva
bocca e dal cuore del popolo ; e questo spirito consolatore e sano
di campagna e di montagna, questa naturale e quasi voluttuosa
rappresentazione di scene casalinghe, di paesaggi, di figure rusti-
cane, meglio forse rivelasi nelle sue prose, certo vive e belle di
squisita toscanità di forme, ma sempre un po' compenetrate e quasi
imbevute del dialetto pisano e del pistoiese.
Chi legge le Veglie di Neri e i Paesaggi e figure della campagna
toscana può ammirare tutto questo. Ma chi pur voglia seguire que-
sto caro autore in racconti di più larga e di più accesa rappresen-
tazione, dove meglio si allarga il suo spirito e la sua osservazione,
legga 'Napoli a occhio nudo. E insomma uno de' più ameni e de'
più nativi scrittori nostri, o forse quello che meglio ricorda, senza
esserselo proposto per fine, qualcosa del Trecento a cui tanto è
accostevole il popolo semplice della campagna toscana.
Segue ora un novo tipo di scrittore vario e simpatico in Giu-
seppe Giacosa, narratore, descrittore, poeta, commediografo, con-
ferenziere. E' un piemontese, e nacque a Colloretto Parella in quel
d' Ivrea il 21 ottobre 1847. Come il De Amicis, anch' egli non con-
serva delle Alpi native quel non so che di rigido e di smorto nello
spirito eh" è invece tutto vivo e luminoso e che in entrambi ha più
tosto del meridionale che del piemontese, almeno per gli accesi
colori della loro cosi ricca tavolozza. Ciò non ostante tra 1' uno e
r altro non corre alcuna linea di contatto o di somiglianza. E il
Giacosa noto innanzi tutto come un signorile e affascinante con-
ferenziere: ha r atteggiamento grave e insieme elegante, ha la
parola agile, armoniosa, perfettamente modulata, ha l'aspetto fina-
mente aristocratico e piacente. Tale il prosatore: morbido e luminoso,
fluido ed efficace, profumato e decorosamente mondano. Si rivelò
buon artefice di versi e commediografo geniale con la Partita a
scacchi che troppo aspramente il Carducci condannò per alcune
scorse di storia letteraria provenzale , ma che tuttavia ci risona
ancora all' orecchio per quel!' onda carezzevolmente musicale onde
424
non l'u mai maneggiato in questi ultimi tempi, tranne che dal Ca-
vallotti, con tanta facilità e con tanta bravura. Negli altri lavori,
Trioìifo iV aìHore, Tristi muori. Resa a discrezione. Fratello cV ar-
mi. Il Conte Itosso, Affari di banca. La signora di Clwllant, Diritti
deU'aniìua, è sempre lui: il più fine e ridente e quasi lezioso cesel-
latore della prosa, fra' nostri commediografi, anche dove manchi il
forte o il profondo degl" intrecci e delle situazioni; e finalmente nei
Castelli della Valle d'Aosta è un descrittore e raccontatore magnifico
come ne ha pochi la letteratura contemporanea. Che serena e gio-
iosa pienezza di sentimento e di fantasia è in quella piana e armonica
leggiadria di .stile eh' è a un tempo limpido e uguale, senza mai
stancare il lettore più schivo e insieme di buon gusto! Ricordiamo
passando 1' ultimo suo dramma , Coute le foglie , applaudito viva-
mente , non è guari, a Milano ed altrove: è forte l'opera sua più
originale e compiuta, e quella che meglio ne rappresenta la matura
evoluzione dell'ingegno.
Vittorio Bersezio è un altro piemontese che ha dato alla nostra
letteratura uno svariato assortimento, dirò cosi, di libri in ogni
ordine di contenuto e in ogni genere di arte. Patriota e soldato ,
andò come volontario alle battaglie del 1848-49, e fu anche depu-
tato al Parlamento Nazionale.
Come scrittore è stato adunque de* più versatili e laboriosi:
giornalista e commediografo, novelliere e romanziere, storico e
biografo. F'ra le novelle e i romanzi ebbero voga ed anc'oggi sono
in parte ricordati il Novelliere conteui foraneo. La mano di neve.
La Plebe, Il piacere della vendetta. La carità del prossimo, Cava-
lieri, anni ed amori. Gli angeli della terra. Il debito paterno. Povera.
Giovanna ! Il beniamino della famiglia; fra le sue commedie ricor-
diamo La bolla di sapone, Da galeotto a marinaio. Due contendeìiti,
1 mettimale. Zio milionario, I violenti. Fratellanza artigiana. Il
perdono, e le veramente celebri che van sotto i titoli di Miserie di
Monsignor Travetti e Le prosperità di Monsignor Travetti le quali
ultime furon veramente una rivelazione e rimarranno forse come
la cosa più viva del teatro comico contemporaneo.
De" suoi lavori storici sono degni di particolare osservazione
Massimo d'Azeglio e il Regno di Vittorio Emanuele; e fra le sue
memorie, Note autobiografiche e le f isioni del passaAo. Quanta lar-
ghezza e quanta fecondità!
De' molti che pure si provarono in molti generi di prosa è forse
il solo che. Sii non la originalità delle invenzioni, mostra quasi sem-
pre una esperienza sicura nel vario maneggio dell'arte e nell'uso dei
mezzi per conseguirla o almeno adattarla al gusto de' contemporanei.
In questi ultimi anni è men ricordato di prima, forse perchè nulla
425
più ci ha dato di suo, essendo vezzo o leggerezza de' critici novelli
il far chiasso intorno all'opera fresca e recente a cui donano sol-
tanto un giorno di gloria o di dannazione; ciò non ostante il Ber-
sezio rimarrà forse e non per poco come uno di que' felici e ardenti
spiriti del Settentrione che dopo la dura e agitata vita delle antiche
battaglie sostenute per la indipendenza e per la libertà esercitarono
poi in tempi calmi e tranquilli quella medesima forza operosa e
onesta nel campo non meno agitato degli studi e dell' arte dove
esplicarono con la virtù dell' ingegno il frutto maturo della loro
esperienza civile e patriottica. {*)
Anche la Sardegna, insieme col poeta Felice UJa, col fratello
Michele, giornalista e romanziere, e ultimamente con Grazia Deledda,
giovane poetessa e giovane sposa, e scrittrice di novelle e romanzi,
anche la Sardegna ci ha dato uno de" più vantati novellieri nostri
in Salvatore Farina , nato a Sorso in provincia di Sassari il 10
gennaio 1846. Egli è degno di esser comparato anche ad alcuni fra
gli stranieri di bella fama, com' è uno de' pochi fra' nostri meglio
conosciuti al di fuori. Viaggiò e peregrinò molto per l'Italia e per
l'Europa, ma da gran tempo dimora in Milano dove giovinetto si legò
di fraterna amicizia con Iginio Ugo Tarchetti, il doloroso poeta,
ammalato di passione e morto di amore, il sentimentale poeta di cui
scrisse anni fa con memore affetto alcune pagine che ce ne raccon-
tano non senza lacrime 1' animo infermo e la vita infelice. Povero
Tarchetti, ultimo delicato tìore di una generazione di forti!
Il Farina fu chiamato una volta il Dickens italiano, il che non
mi par vero per lo spiccatissimo divario se non forse contrasto
tra la natura dell' Inglese e quella dell' Italiano in cui non vedo
splendere quel vivo lume di schietto, urbano, incomunicabile umo-
rismo, e quella fine, inesauribile, morbidissima genialità d'invenzioni
sempre nuove e di forme squisitamente peregrine. Ma il Farina,
se non ha lo spirito inventivo del Dickens, se non ha del Verga la
forza e la violenza efficace della rappresentazione, se non del Bar-
rili la facilità e fecondità degli svolgimenti, se non di altri l'acceso
colore e la fervida immaginazione , con più altre doti del genio
paesano, originalmente assimilatore e vario; forse avanza i nostri
per quella muliebre tenerezza e per quella elegiaca e serena spiri-
tualità infusa di dolce e sano umorismo, che alitano con voluttuosa
e signorile pacatezza e con sobria euritmia di disegno per entro
la rappresentazione più umile ma più casalinga, più limitata ma
(') Il Rersezio mori il 30 gennaio di quest'anno ( 1900) in Torino, quando
cioè era già composta questa breve raccolta di mìniaturine degli scrittori con-
temporanei.
426
l)iù democratica dell' ambiente domestico. Fra i più celebrati suoi
lavori , molti dei quali furon pure tradotti in più lingue straniere,
van ricordati i seguenti: Due amori; Un segreto'^ Fiamma vagabonda;
Il romanzo d'un vedovo; Il tesoro di Donnina; Amore bendato; Un
tiranno ai bagni di mare; Oro nascosto; Mio figlio; Il signor Io;
Caporal Silvestro; L'ultima battaglia di Padre Agostino; Carta bol-
lata; Il mimerò 13. Osservatore fino, accurato, non minuzioso; animo
dolce e pieno delle più gentili sensazioni; ingegno alacre ma non
vigoroso, ei si piace di ritrarre, senza sforzo di originalità, senza
eccessiva vivezza di colori, senza impeti o slanci di passione, scene
brevi ma pur care per certa pura e serena letizia di anime e di
azioni, avventure simpatiche non per la novità ma per la grazia del
racconto, luoghi e paesi e figure che, sia pe' soggetti sia per gl'in-
trecci di semplicissima orditura e condotta, destano e rinnovano
nel lettore buono le più grate e le più amabili impressioni. E tutto
questo non solo piace ma è quasi nuovo nel nostro romanzo; e il
Farina insieme col Barrili riesce perciò, o dovrebbe almeno riuscire,
il romanziere più accetto alle nostre donne, più caro alle nostre
famiglie, più profittevole a' nostri giovani che dovrebbero oramai
esser sazii di quel crudo e di quel turpe onde son pieni i romanzi
e le novelle anche de' nostri più insigni e ricercati scrittori.
Gerolamo liovetta, nato a Brescia nel 1850, è uno di quelli in
cui brilla, per dirla col Manzoni, il buon sangue lombardo; e della
città natale, la leonessa d' Italia, ha l' impeto e il fuoco e la forza
nella ispirazione e nello stile. Ejdi fatti, la sua prosa é tutta sangue,
nella lingua, nella frase, nel periodo, nella rappresentazione calda
e animata; e fra i giovani romanzieri e commediografi è quegli che
senza avventataggini di ricercate novità, ed anche senza il polso
della maschia e rude prosa del Verga, dà il più vitale movimento
e la più larga e intrecciata orditura alla ricca e colorita trama de'
suoi romanzi. Mentre il Verga par tutto ristretto nella vita selvaggia
dell" isola sua, il Rovetta i-isale invece ai cerchi della vita gentilizia
di cui ritrae il fasto e la mondanità, la vita spendereccia e il lusso
vano , i capricci , le più sfrenate volgarità , le più accese e inve-
reconde passioni, non senza discendere alle lacrime, alle miserie,
alle ingiustizie crudeli de' più bassi e ignorati ordini sociali.
Cos'i egli è l'analizzatore e il rappresentatore di quella società
tra mercatante e aristocratica, tra nobile e spiantata, tra borghese
e titolata, tra impiegata e quattrinaia, tra operaia e plebea, di cui
fa specchio con quanto vide particolarmente nella capitale morale
d'Italia,. Per questo l'arte sua riesce più vigorosa, più mossa, più
informata al vivo senso delle cose presenti, che non sia l'altra de'
suoi coetanei, troppo intesi al torpido, al molle e anzi all' evirato
I
427
del miserevole pessimismo de" tempi, sempre che non imitino o
derivino o copiino 1' opera non sana degli altri. Tale mi è parsa
essere l'arte de' suoi celebrati lavori. Fra i romanzi giova ricordare:
Mater dolorosa (una delle più originali e notevoli opere sue); Un
volo dal nido; Gli Zulù nella letieratura; La moglie di iJon Gio-
vanni; La contessa Maria; Ninnoli; Tiranni minimi; 1 Barbaro o
Le lagrime del prossimo; Sott'acqua; Il primo amante: Labaraonda;
e, fra le sue commedie più applaudite, La Trilogia di Dorina; Gli
uoiìiini pratici; Collera, cieca...
Il Senatore Giovanni Faldella ci dà Analmente 1' esempio del-
l'uomo politico e insieme dell'artista, come già il Cavallotti, ma con
tal differenza, che questi fu sempre l'acceso milite dell'idea dentro
e fuori del Parlamento, mentre l'altro rivolge alla politica quella
piena e austera e calma serietà d'intendimenti pratici che ne fanno
uno de' più degni e autorevoli rappresentanti. Nacque a Saluggia
nel Piemonte il 2(5 settembre 1846, e nel '(& si laureò in giurispru-
denza nella R.^ Università di Torino; ma in Saluggia, presso i vec-
chi e venerati genitori che tanto 1' adorano, trascorre il più bel
tempo della vita. Quivi, sotto il calore degli affetti domestici, ei
scrisse la più gran parte de' suoi lavori che ben presto ne rileva-
rono l'ingegno forte ed ardente. Pur nato sotto le Alpi, non è al-
pigiano se non in alcune tinte vigorose e rubeste della sua origi-
nalissima prosa, piena di difetti e di pregi, bizzarra, eccentrica,
paradossale, nella elocuzione, ne'neologismi, nelle rischiose imagini
figurate, nel contenuto, in tutto. Si vede che il suo è uno spirito di
vergine forza mal frenata dal pieno impeto di gioventù; e il suo
ingegno mi par come una potenza nuova e fresca, piena di rigoglio,
la quale vuol tutta uscire dal giovine involucro e romper quasi di
schianto la ruvida e tenace scorza non senza lasciar qualche vio-
lenta rottura nella compagine ancor greggia e nodosa. E cosi fatto
è il suo stile che ha qualche affinità con quello smisuratamente
singolare e caratteristico eh' ebbe già Petruccelli della Gattina, il
più strano e inimitabile esempio di prosatoi'e moltiforme, cioè di
giornalista, di polemista, di romanziere, di storico, di politico, di
tutto ciò insomma eh' ei si provasse a scrivere e a tentare. Ecco
intanto, come chiusa di questo mio abbozzo, quel che ne pensava il
Carducci nel frammento di una sua lettera a lui; — Ma ella ha (dolce
e invidiabile colpa) difetti di giovane; aggruppa, condensa, epigram-
mateggia un po' troppo : certe sue pagine paiono cataloghi di bei
motti, 0 di eleganze classiche, o di ardiri popolareschi.
Molte altre sono miniate, disegnate, scolpite, tornite, finite come
io vorrei fosse sempre la imaginosa e giovane prosa italiana. Ad
ogni modo, ove ella anche, a parer mio, pecoa, pecca per altro
428
sempre da buon italiano : che é molto bene .... — Tutto questo si
osserva sùbito in tutti i suoi lavori eh" ò bene ricordare almeno in
parte :
A Vienna, gita con il lapis; Figurine; Yerhanine; Un viaggio
a Roma senza vedere il Papa ; Un serpe ; La contessa de Ritz ;
RoHia borghese; Ammaestramenti de' moderni; Clericali; Il tempio
del Risorgimento italiano; Madonna di fuoco e di neve ; La salita
di Montecitorio ; La dinamica del Velocipede ; Male dell' Arte ; Ro-
vine; Conquiste; Storia d'Italia, ecc. ecc.
Dovrei ora parlare de' commediografi se non credessi meglio di
farne oggetto in più capitoli che vedran la luce in un altro volume,
e se anche non mi paresse che la prosa delle commedie e de' drammi
moderni è poco o nulTaffatto degna d'ammirazione per veri pregi di
stile e di arte all'in fuori degli effetti unicamente scenici. Ho però
accennato in più luoghi di ([uesto volume ma più particolarmente
in un capitolo speciale (Per l'Avvenire del Teatro Nazionale) ad
alcune manifestazioni recenti della commedia contemporanea. Per
tutte queste ragioni chiudo qu'i la breve serie de' miei appunti,
non potendo per manco di spazio dire di più : come altrimenti si
potrebbe parlare di tutti ? Ad ogni modo ho qui voluto toccar solo
di quegli scrittori, ciascun de' quali indica o accenna, come già
dissi in principio, un proprio e spiccato atteggiamento di stile , e
quasi un tipo sostanzialmente diverso d" ingegno, d' indirizzo, di
rappresentazione; e senza mirare se non per incidenza agli scrit-
tori morti anche da poco. Notevoli i pregi di molti altri, come del
Fogazzaro, del Fambri, del Mantovani, del Molmenti, del Vecchi ,
della Serao, della Sperani, di Elena Zuccaro Radius, di alti-i e di
altre; ma essi od esse in generale non rivelano, tranne forse il Fo-
gazzaro, nulla 0 ben poco di singolarmente proprio e peregrino, che
anzi i più possono facilmente riscontrarsi in questo o quel modello
da noi offerto dinanzi.
Di loro, come più largamente di quelli già da noi brevemente
ritratti, mi occuperò bene ne" volumi che seguiran presto, come mi
auguro, a questo primo, ov'esso incontrerà la fortuna e 1' acco-
glienza de" lettori buoni e imparziali.
V.
Filosofi e Prosatori
[iccx in Italia tra' viventi la messe de' filosofi special-
mente positivi alcuni de" quali, come il Vignali, il Bovio,
il Sergi, lì Barzellotti, V Asturaro,\\ De Dominicis, il La-
briola , son veramente autorevoli per efficace assiduità di lavoro e
per geniale potenza di pensiero : de' non positivisti , o meglio fra
quelli che sono oscillanti fra il vecchio e il novo , v' è anche una
eletta schiera, fra cui giova nominar IMcri, il Tocco, Carlo Cantoni,
il Masci, il Ragnisco , il Paoli, V Allievo, il Turbiglio; degli orto-
dossi veri ma non illiberali ci resta ancora Augusto Conti. Ma il
fior fiore della nova scienza è in ben altre discipline , e meglio si
mostra nelle branche speciali, onde nominiamo soltanto di esse i più
illustri 0 i novatori: per la fisiologia a base filosofica e dovrei dire
artistica , Angelo Mosso ; per la diffusione potente delle dottrine
dai'winiane, il Canestrini, morto da qualche mese; pel diritto e le
scienze economiche e sociali , il Lombroso , il Ferri , il Loria , il
Cognetti - De Martiis , il De lohannis , il Puglia , il Colaianni ;
per la psichiatria, il Lombroso, innanzi a tutti, il Morselli, il Ta-
MASSiA, il Tamburini; per le altre scienze naturali, Giuseppe Can-
toni, il Delpino, il Marinelli, il Maitirolo, il Regalia, il Romiti.
Non è compito nostro di parlar qui, come pure vorremmo, de'
filosofi e degli scienziati rispetto al valore della loro dottrina, sia
perchè sarebbe questo un tema assai vasto e superbo e perciò asso-
lutamente superiore alle povere nostre forze, sia perchè il presente
volume ha un fondamento quasi esclusivamente letterario. Accen-
neremo soltanto a que' pochissimi i quali, come più noti o popolari,
così pure sono limpidi e corretti e imaginosi nella forma e nel det-
tato delle rispettive dottrine. Non è vanto de' nostri filosofi lo
scriver agile e peregrino, ma ve n'ha alcuni che sia per istudi di
arte sia per naturale genialità riescono notevoli anche per alcune
qualità della loro prosa scientifica. Fra questi ha un luogo assai
notevole il Prof. Giacomo Barzellotti. Nato in Firenze il 7 luglio
del 1844, si laureò in lettere e filosofia nella R.^ Università di Pisa,
e giovinetto si esercitò largamente nell' arte della poesia e della
prosa; ma se vi avesse durato sarebbe certo riuscito uno de' nostri
più insigni artisti o geniali rappresentatori della natura psicologica
e della sensibile.
430
Tanto lume di educazione e di sentimento ei lo porta nel campo
della filosofia a cui dopo volse Tanimo e l'ingegno come ultima e
definitiva sua meta : vi divenne celebre, ed ora è vanto ed orna-
mento delle Università italiane. Dotato adunque di una veramente
profonda cultura letteraria e scientifica, come delle nuove dottrine
positive ci rende 1* indirizzo più sanamente organico ed eclettico ,
temperandolo genialmente con le piìi durevoli tradizioni dell'antico
le quali ad alcuni danno come un'aria del sistema metafisico; cos'i
in letteratura ei resta quasi il solo de' filosofi che il contenuto
dottrinale e psicologico sa rendere co' vigori delle forme classiche
meglio avvivate e rinfrescate con senso recente dal toscanesimo
elegante che gli è proprio e nativo.
Egli dunque, come una volta ne lo lodò il Bonghi nella sua
Cultura, si rivela anche stilista animoso e artista squisito ; è sti-
lista nel sottile e spesso intricato ricamo del periodo, e nelle larghe
e lussuriose volute de' contorni, che non son pregi comuni a' nostri
prosatori più vantati; ed è artista nella fedele e viva rappresenta-
zione del naturale esteriore ed anche nella fine analisi di un fatto
psicologico 0 patologico. L'una cosa e l'altra si vedono congiunte
specialmente nel suo capolavoro letterario e ad un tempo scienti-
fico, ch'è intitolato : — David Lazzaretti di Arcidosso detto il Santo,
i suoi seguaci, la sua leggenda — , e di cui già largamente e a suo
tempo ci occupammo altrove ("). Quando mai, prima di questo piccolo
libro, la scienza antropologica e la psichiatrica, non che la lettera-
tura storica, era stata mai sollevata a una cos'i luminosa e plastica
idealizzazione e insieme rappresentazione del vero umano ?
Tali pregi veramente insoliti ne' nostri scienziati si rivelano
pure nel volume intitolato Santi, solitari e filosofi, il quale accoglie
anche lo studio mentovato , e ne' suoi Studi e ritratti, vivi e sal-
tanti rilievi dell' anima e delle cose , venuti in luce nel 1893. Le
precedenti opere. Delle dottrine filosofiche dei libri di Cicerone, del
1867, e La morale nella filosofia -positiva, del 1871, c'indicano i passi
sempre più veloci e sicuri ch'egli progredendo mosse dalla vecchia
ideologia alla scienza nuova in cui ha stampato un'impronta pro-
pria anche se un po' conciliante. Oltre questi lavori nomineremo
l'ultimo suo, dal titolo « Ippolito Adolfo Taine », prima pubblicato
nella Nuova Antologia e poi in volume nel 1893 : libro cotesto ve-
ramente grave di forma e di dottrina, e che non esitiamo ritenere
come uno de' più profondi saggi fra i pochi che intorno alla let-
teratura straniera abbiamo oggi in Italia.
(•) Rivista di Filosofia Scientifica — Milano - Anno 18S6 - Voi. V . Fasci-
colo di settembre - Serie II - pagg. 561 - 67.
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Un altro filosofo che anche in letteratura mostra qualità forse
non inferiori a quelle dello scienziato, è Giovanni Bovio , il più
simpatico, il più popolare e il più poderoso filosofo del Mezzogiorno.
Animo franco, indole pugnace , spirito indipendente, egli senza
scuola e senza indirizzi o precetti altrui, riusci da solo e con auto-
didattico esercizio a creare tutta una scuola intorno a sé. Scrittore
magnifico, concettoso, originalissimo, come V animo e il pensiero
cosi pure ha lo stile, il quale, con tutt' i difetti e certe oscurità
volute a torto esagerare, è davvero mirabile : l'autore con esso si
piace di cogliere a volo il pensiero, e, più che riverberarlo ne'
particolari più minuti, ha cura di renderlo di scorcio e quasi di
inciderlo in una di quelle sentenziose e ricise espressioni sotto le
quali lo condensa e spesso lo adombra. Ei pare che non si contenti
0 non si quieti se il suo discorso nella forma togata della elocu-
zione non prenda un atteggiamento tutto proprio e un marcatissimo
rilievo ; e ne risulta uno stile quasi magniloquente che spesso
avvicina il nostro filosofo al Carducci il quale per altro ha un
risalto più naturalmente classico e più seriamente organico. Tale
lo scrittore che forse per effetto di questa quasi supremazia del
suo pensiero su l'animo de' più, è riuscito a conquistare quell'af-
fettuosa ammirazione e quella cordiale popolarità che gì' invidiano
molti di quelli che ne affettano lo spregio o ne ostentano la non-
curanza colla insidiosa tortura del silenzio. Di lui già scrissi altrove
cosi : — Ma quanti, d'altra parte, han come lui , non dirò 1' arte
che spesso è maravigliosa come in niuno de' nostri scienziati, ma
la potenza d'integrare dopo un rapido processo di fatti tutta una
legge storica nel rilievo scultorio d'una definizione ? e chi come lui
ha la forza di veder profondo e con sintesi immediata per entro i
più intricati rapporti della filosofia e della storia, di scoprire il se-
me più recondito di una controversia , di formular questioni diffi-
cili e accumularsele con aria di trionfo sul campo della sua terribile
dialettica ?
Il Bovio, nella terra del Bruno, del Telesio, del Vico, del Cam-
panella, è l'ultimo fedel rappresentante della metafisica positiva, a
quel modo che il suo ingegno, per educazione e per attitudini, è
schiettamente speculativo. È tutt'altra natura da quella del Lom-
broso, spirito analitico quant'altri mai, e, nel campo positivo delle
indagini, un de' più forti e levigati intelletti d'Italia ; ma bastano
le sue ricerche a integrare tutta una dottrina intorno al Genio,
senza una profonda intuizione del fattore estetico, indispensabile e
vital fondamento di un'opera creatrice specialmente artistica e sto-
k
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rica ? ha egli la penetrazione e l'intuito del Bovio nell' assorgere
alle leggi supreme di una dottrina dell' arte e del genio ì Alle
scienze positive è avvenuto quel che alle lettere: come in quelle lo
studio faticoso de' fatti si restringe e si strema entro le pure e
sistematiche indagini antropologiche che non bastano a dar vita e
piena organicità a una dottrina; cosi in queste le ostinate e fossili
esumazioni de" rigidi documenti storici, che tormentano ingegni
anche vigorosi, non riescono a ricomporre, a coordinare, a rico-
struire r intimo spirito d'un' opera d'arte, che richiede in noi non
pur la preparazione e T esercizio estetico, come 1' ebbe profondis-
simo il De Sanctis, ma soprattutto quella naturale e geniale potenza
d' immedesimazione e divinazioue intorno a quelle che io direi le
acclimazioni del vero idealizzato dentro di noi. (')
Paolo Mantegazza e Paolo Lioy fra i vecchi o maturi, e Fer-
ruccio Ritratti e Mario Pilo fra i giovani — noto caratteri e ten-
denze diverse, e per manco di spazio taccio d'altri pochi — son quelli
che aspirano all' ideale di popolarizzare la scienza o almeno d' in-
fondere uno spirito d'arte nel contenuto scientifico dell'opera loro.
Il celebrato e genialissimo autore di Un giorno a Madera^ della
Fisiologia deWamore, del dolore^ del piacere e delV odio, delle Tre
Grazie, deW India, dell'arte di esser felici e di altri simili volumi,
è come un romanziere della scienza, nella quale importa una facile
ma non sempre profonda varietà di contenuto, con una grande
vaghezza degli effetti di luce e di colore a cui non sempre risponde
il vivo lume dell'idea e il rigoroso metodo della scienza. Ma in
compenso ne'libri migliori ci dà il conforto di tanta luminosa idealità
e di tanta succosa e suggestionante attrazione, che, non ostante i
molti difetti di lingua e di stile, è preferito a tanti altri, accumu-
latori di scienza gravida e ponderosa. Come il De Amicis pe'viaggi
e pe' bozzetti cosi fra gli scienziati egli è il più letto e ricercato in
Italia, quantunque non abbia incontrato fortuna negli ultimi libri
che non han de' primi né l'opportunità, né la sostanza. Meno ima-
ginoso e men fecondo ma più corretto e formato scrittore è il Lioy,
conterraneo dell'abate Zanella e del Fogazzaro, co' quali pare abbia
comuni alcune qualità e soprattutto il senso dell'arte nella idealiz-
zazione del vero, e già cospiratore audace per la libertà. E" autore
di questi volumi: Escursione nel cielo; Escursione sotterra; In
'montagna; Neil' Omhra; La Vita nelV Universo, e di parecchi altri
(•) Scena Illustrata di Firenze, anno 1899, num. 15, 1." agosto.
PAOLO MANTEGAZZA
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studi, ne" quali tutti sembrano fuse insieme la sobria freschezza
dell'arte veneta e la voluttuosa e fantastica leggiadria de' meri-
dionali. Egli dunque, come pure il Mantegazza, non accumula, non
ricerca, non diluisce, ma si piace di scrivere a diletto de" più come
tanti bozzetti di scienza, da cui spira una tal quale mollezza di
espressione pittrice, e, tranne un pò" di abuso qua e là di certa
tavolozza che sa di maniera, un garbo d'invenzione e una corret-
tezza di linea che solo i buoni studi letterari gli fanno conseguire
e insieme un sentimento finissimo della natura e delTarte.
Ferruccio Rizzatti e Mario Pilo, l'uno emiliano e i" altro lom-
bardo, s' incontrarono nella medesima scuola ed ebbero quasi il
medesimo lievito di coltura e di studi a Bologna, ed entrambi dal
mondo della scienza risalgono talvolta o meglio ritornano a' buoni
studi di letteratura; onde l'uno e l'altro, con versatile applicazione,
han tentato il bozzetto e la novella, il racconto autobiografico e la
poesia, l'osservazione letteraria e la scientifica. Il primo, spirito
certo più versatile e imaginoso, dopo i lunghi viaggi fatti in Ame-
rica ed altrove, si formò un corredo assai ricco di osservazioni
proprie che studi più severi valsero a nutrir meglio e a fecondare,
onde con meravigliosa facilità passa rapidamente da un argomento
all'altro, da uno ad un altro ordine di studi o discipline; e di questi
molteplici frutti del suo ingegno, son pieni, si può dire, tutt'i diarri,
tutt' i periodici, tutte le riviste, non pur gravi ma ancora mediocri
0 futili. Ma s" egli volesse contenere un po' tanta smania o tanta
pompa di lavoro diffuso in centinaia di articoli brevi e mondani,
riuscirebbe certo uno scienziato sodo e insieme un artista di grande
valore. L'altro, meglio oi'ganico e forse più nutrito anche se meno
imaginoso, studia il fatto estetico in rapporto colla scienza speri-
mentale, e dopo la pubblicazione del suo manualetto già da noi
ricordato in altro capitolo, ha seguitato a darci altri brevi ma suc-
cosi articoli intorno al difficile argomento che niuno aveva studiato
cosi largamente prima di lui. Ma forse gli sarà bisogno di non av-
venturarsi troppo nelle chimeriche spiegazioni di alcuni fenomeni
estetici che subordinati soltanto alla scienza non riescono che in-
dovinelli 0 paradossi.
Enrico Morselli e Leonardo Bianchi, due fra i nostri più larghi
e luminosi spiriti nell' àmbito della scienza, san congiungere ancora
alla profonda osservazione e al vasto contenuto delle dottrine psi-
chiatriche un'agevole e piana freschezza e limpidezza di espressione,
che anzi il secondo mostra talvolta con un acuto profumo di poesia
qualche lume di signorile e squisita eleganza; e l'uno e l'altro, pur
diversi d'anima ricreatrice e di temperamento scientifico, riescono
a dare all'opera loro, sempre spoglia dello strano e del paradossale,
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un armonico e sobrio equilibrio dottrinale . un organesimo vero
di osservazioni, d" induzioni e di ricerche. Certo, Cesare Lombroso
gli avanza di larghezza e facilità d' intuizioni potenti e di ricostru-
zioni genialissime e inaspettate , ma non ha di quelli né la luci-
dezza, né lo stile e l'educazione letteraria, né la sobrietà, né intìne
la misura o la vera proporzione tra il l'atto sperimentale e la legge
che ne deriva.
Enrico Ferri è almeno Ira" giovani il più fervido e vigoroso
diffonditore delle nove dottrine cosi antropologico- criminali come
sociologiclie e politiche; e in esse egli, anima entusiastica e spirito
molteplice, porta sempre queir impeto di lotta , quel fuoco di gio-
ventù e quello splendore d'imagini e di sentimenti, che lo rendono lo
scrittore più suggestivo o, come dicono oggi, più brillante. Spirito
largo, aeile. vivo; animo audace, libero, franco; ingegno plastico,
assimilatore, potente, ha in sé tutte le qualità di un vero, di un
grande artista della parola, e di un efficace e luminoso propagan-
dista d' idee e di principii. E tutto questo, congiunto a una cultura
vasta e leuiibile, &i vede ritie.sso in uno stile rapido , naturale,
immediato, e pur tanto più attraente di quello di cui si piacciono
molti de" nostri pretesi artisti, cioè bozzettisti e descrittori, più
glorificati dalla servii maggioranza de' lettori. Accanto a lui nomino
passando tre altri giovani che portano nella lor prosa scientifica
quella vita e quell'anima che tanto manca nell'opera letteraria ed
artistica dei nostri, e cioè Guglieluio Ferrerò, Francesco Saverio
Xitti e Napoleone Colaianni: ma de" men giovani o già maturi è
onesto ricordare anche di fuga per certo senso di arte che spira
dall' opera loro Ferdinando Puglia e Raffaele ScJiiattarella, cosi
efficaci cooperatori al movimento positivo delle dottrine giuridiche e
sociologiche in Italia. E a proposito di sociologia mi si conceda che,
per un senso di onesta franchezza, citi anche il nome di un mio con-
giunto, il nome di un solitario che vive in un lontano eremo delia
Calabria, solo forse arriso dalle divine bellezze del cielo e del mare,
cioè il nome del Prof. Antonino de Bella, il quale, come dicono
tutti i competenti, si è cimentato da qualche tempo alla più diffi-
cile prova che in materia di scienze sociali sia sorta in Italia, cioè
quella di dare un corso intero ed organico di sociologia in cinque
grossi volumi, de' quali son venuti in luce i primi due che gì' in-
tendenti, anche se discordanti dal metodo, dicono assai gravi di
dottrina e di ricerche. Egli è anche noto pe' Prolegomeni di filosofia
scientifica, l'unico manuale completo che a servizio del'e scuole sia
stato composto con criterii interamente positivi, e degno di esser
nominato dopo quello del Sergi che però tratta della sola Psicologia.
A confortare le mie parole che a" malevoli potrebbero parere iute-
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ressate, cito alcuni giudizi de" pivi insigni scrittori: Lombroso lo
disse libro stupendo e geniale; il Ferri, opera eccellente sotto tutt' i
rapporti; Alimena, volume magistrale. Lo lodarono senza riserve
Richel, Bibot, Benedikt, Lubbock, Asturaro, Bovio, Morselli... E noi
conchiudiamo col dire che altri riconoscono nelle opere del de Bella
una lucidezza di pensiero congiunta a una grande perspicuità di
espressione, più naturale che acquisita, e che non ci pare sia la
qualità migliore di tanti altri scienziati i quali per acume e per
larghezza lo avanzano; onde i suoi libri, degni di assai miglior for-
tuna, s'intendono da tutti e si leggono d'un flato.
P'ra i pili celebri naturalisti o meglio fisiologi è noto in Italia
il prof. Angelo Mosso, della R." Università di Torino. Di lui già il
Nencioni ebbe a darci un fedele e amoroso profilo in un fascicolo
della ?\uova Antologia nel 1884. Degli scienziati propriamente detti,
o meglio de' naturalisti, è il più schietto e vivo esempio di prosatore
e il più vero artista della parola. E non solo nell'anima e nel sen-
timento della natura, ciie alcuni altri hanno forse da quanto lui,
ma ancora nella felice e armonica rappresentazione di essa mostra
attitudini e qualità che non è facile riscontrare negli stessi nostri
descrittori e romanzieri. Osservatore limpido e calmo, e simpatico
e attraente espositore della dottrina fisiologica, ei trova, pur senza
cercarla e riforbirla con lo studio, la parola corretta, animata,
lucida. Ha sobrio e bene intonato il colore, fresca e nativa la im-
magine, e vergine e schietta l' espressione: questi singolarissimi
effetti gli scaturiscono tutti dal vero profondamente osservato e
spontaneamente percepito; e ciò senza pompa o lusso di descrizione
come spesso fa il De Amicis, senza eccesso di fantasia, senza sforzo
di stile, senza sproporzione e senza maniera. Cosi, pur non avendo
diretti e larghi studi di critica e veri e pensati esercizi di lettera-
tura, ha la spontanea consapevolezza di tutto quello che propria-
mente dicesi arte, e della quale viene in possesso col solo aiuto
della osservazione propria, fedele, pronta, genialissima, fuori d'ogni
lenocinlo di scuola ed oltre ogni abuso di mezzi tecnici od ogni
preoccupazione di scienza. Questo il Mosso almeno nelle sue opere
meglio riuscite e più fresche, fra le quali hanno il miglior luogo
quelle intitolate La Paura e Su le Alpi.
Fra i giuristi che spendono anche il tempo in esercizi letterari,
e non senza bravura, è il prof. Salvatore Cognetti de Martiis della
Università di Torino dove insegna con onore economia industriale,
di cui è cultore dottissimo. Egli, versato com'è anche nelle lettere
436
antiche, ha tradotto i Captivi di Plauto in versi martelliani, della
qual traduzione ecco quello che scrive il Carducci: — Il Cognetti, che
pure ha studiato il suo testo con la rigidità di un dotto, rende poi
il senso di Plauto accostevole ai lettori non inculti con abilissimo
maneggio di artista. Certa scioltezza nella dicitura e nella verseg-
giatura gli è scusata dalle troppe maggiori libertà che l'autor suo
si piglia in latino; pur tuttavia qualcuno desidererà forse nelle
future traduzioni un po' più d' elezione nell' uso e un po' meno di
certe sineresi ne' versi. Il resto e il più, benissimo...: oggi è un
professore di economia,... che traduce Plauto, in versi tutti mo-
derni; domani sarà un diplomatico, il conte Costantino Nigra, che
tradurrà e illu.strerà, con ricchezza di filologia e d' arte, Catullo.
Deh fosse vero, e 1' Italia tornasse alle gloriose tradizioni, della
letteratura cioè accordata con la scienza, della politica conciliata
all'arte (*). Questo giudizio ci dispensa dal dir altro sia del Cognetti
de Martiis che d'altri simili.
Prima di chiudere questi rapidi cenni devo anche ricordare
alcuni che ci rappresentano in Italia il miglior movimento nella
storia della filosofia e nella storia critica del Cristianesimo: fra'
primi nominiamo Alessandro Chiappelli, dell' Università di Napoli,
e l'elice Tocco, dell' Istituto Superiore di Firenze; e, fra' secondi,
Raffaele Mariano, dell' Ateneo di Napoli , e Baldassarre Labanca,
di quello di Roma. I primi due sono i più celebri, per sicurezza di
dottrina agile e varia, per acume e originalità d'ingegno, per vivezza
di stile e per larga conoscenza delle migliori tradizioni letterarie,
e per più altre doti; se non che il Chiappelli, giovanissimo di età
ma più che vecchio di senno e di dottrina, ha, forse pe" contatti
assidui co' greci scrittori, un che di attico nella cristallina fulgi-
dezza del suo stile, di guisa che talvolta non sai se il letterato
avanzi lo scienziato. Gli altri due son più tosto eruditi che novatori
0 almeno originali assimilatori; ma il Mariano, più corretto dell'altro
nella forma, più imaginoso, più vivace, è forse meno moderno per
certa ortodossia delle sue idee; mentre il prof. Labanca, che può
dirsi il solo che tratti in Italia su basi scientifiche la storia critica
del Cristianesimo, ha più larghezza d' idee e più bontà di metodo,
quantunque egli pure oscilli tra 1' antico e il novo, e non sempre
appaia dove campeggi la storia e dove la psicologia od antropologia
de' fatti 0 meglio de' processi etico-religiosi.
Dovrei parlare di tanti altri che pure han qualche pregio come
prosatori: tali il Labriola, il Marinelli, il Loria , 1' Asturaro, il De
(') Carducci — Studi saggi e discorsi — Bologna — Zanichelli — 1898 —
Pagg. 304 - 305.
437
Dominicis, il Fornelli, il Valdarnini, il Colozza, il Cantoni, ed altri
ed altri; ma d'essi avrò occasione di parlar degnamente nel secon-
do 0 nel terzo volume di questi miei saggi, dove con più agio po-
tremo ritornare a discorrere degli altri filosofi o scienziati di cui
qui per via d'appunti non abbiamo dato clie un assaggio, il quale
per manco di spazio non possiamo più oltre continuare.
VI.
La lirica di due generazioni
nel secolo che muore
oj^O iNQUE altri anni mancano ancora a questa fin di secolo:
^^1^ (la frase è ormai di moda per significare le innovatrici
futilità del tempo, e trova degno riscontro nella vuota
linguetta contemporanea), la quale precipita a valle proprio come
il masso manzoniano: batte sul fondo e sta. E pure, quanto fece,
vide e tentò, ne' primi sessanta anni, il fortunoso secolo decimo-
nono ! La libertà, nutrita di cospirazioni e splendida di martirio ;
la indipendenza, sorta dalla scuola, dal pensiero, dalle armi e dallo
eroismo : lo abbattimento di queir idra medievale, il feudalesimo,
che, sentenziato dall' Enciclopedia, venne compiuto dal più gran
genio militare della storia; e, banditrice, la scienza, un rinnova-
mento quasi radicale in tutte le umane instituzioni. Ma, in questi
ultimi trentacinque anni che sono secondo il salmista il messo del
cammin di nostra vita {dies annoruia nostrorum .... septiiaginta
anni : salmo LXXXIX, 10), qual nova luce han fatto riverberare le
generazioni novelle ? che di durevole ed eterno han prodotto nella
scienza, nelle lettere, nelle arti, nella vita ? quali veri monumenti
hanno esse fatto sorgere a canto a quelli che ci vennero tramandati
da' prossimi nostri maggiori ?
Che ci ha dato nella p(>esia, questa divina allettatrice de' cuori
e delle azioni magnanime, la fecondissima terra di Francia, dopo
la morte del grande Vittore ì Par che dopo l'ultimo suo cigno abbia
la irrequieta nazione fatto deserto intorno a sé medesima, grande
messaggera una volta degl'ideali e della libertà. La Germania fé'
troppo presto silenzio fin dal 1832 colla morte del Goethe; e i
pochissimi altri che vennero di poi furon più tosto esercitanti di
filologia che non veramente vati, che meglio si piacquero di ver-
439
sioni da lingue straniere che di un proprio e fecondo lavoro; ma
certo, dopo il grande autore del Faust, non ebbe la dotta Ger-
mania solo un poeta che oltre il circolo della nazione fosse escito
con ispirito rinnovante a migrare pel mondo.
E l'Inghilterra, la privilegiata e classica terra dell' equilibrio
nella scienza, nella politica, nella vita, dopo il Lonyfelloic, un ame-
ricano fattosi inglese di coscienza e di sentimento, il Tenmjson, lo
Swinbhurne , i Broioìiinrj, par che smetta interamente anche la
cetra di Bacchilide.
La Russia, la grande simpatica terra de' grandi sventurati e
de' grandi ribelli, con la lunga pleiade che splendidamente si chiude
col Turgheniew, sembra ch'abbia cessato dal tessere e ritessere le
liriche fila alle sorti della libertà e all'avvenire della naziune. Che
dir poi della Grecia, dell'Olanda e del Belgio, della Spagna e del
Portogallo ì I pochissimi rimasti son proprio i fra Guittone e i
Cecchi rì' Ascoli della lor nazione.
Resta r Italia. Quivi soltanto pare che si conservi ancora su
l'ara delle muse un po'di foco alimentatore. Col Manzoni si chiude
quasi interamente l'ultimo svolgimento del romanticismo classico -
-guelfo COI felici presentimenti di una forma più semplicemente
moderna, e con una matura e originale opera, nutrita di osserva-
zioni peregrine e limpida di stile agile e mosso; il perchè il grande
lombardo parve inaugurare, tanto nel celebre romanzo quanto nella
lirica, una scuola rinnovante cosi nelle forme dello stile come nella
intima omogeneità e genialità del contenuto, psicologicamente ana-
litico e vitale.
Con lui — è inutile dissimularlo — abbiamo il più compiuto e
quasi marmoreo equilibrio nell'arte, con assenza di passione, con
misurata e serena elezione e perspicuità di elementi e di orditura,
con mirabile uguaglianza di parti, con profonda ricerca quasi spe-
rimentale dei fenomeni più complessi dell'anima umana ; e tutto
questo si rivela stupendamente in un saggio di stile aristocratico e
finissimo pur quando si mostra apparentemente umile e dimesso.
E pure da cosi preziose manifestazioni ruppe fuori, già principe
V Aleardi, il romanticismo borghese, che si può dire ben morto per
opera dell'odierno democraticismo alluvionale, anarchico, slombato,
eteroclito dell'usata poesia verista.
Si, dopo il Manzoni, è mancata all'Italia una lirica intimamente
organica, una lirica ben fusa e signorilmente temperata dall'equi-
librio delle forme e del contenuto.
440
Cosi anche, dopo il classico trecento, il gran secolo che secondo
l'Altieri parlava, più non avemmo quella poesia primigenia e come
per sé stessa mossa per entro i purissimi laySievì del dolce stil novo,
nò quella semplice e naturale armonia, prorompente dalle più sane
sorgive del cuore con un getto spontaneo di motivi, di effetti e di sen-
si. Bisogna ritornare a que' primitivi nostri maggiori per saggiar
delle strofe ch'escano dall'anima con un volo come di colombe, si-
mili a quelle di Dante le quali
dal desio chiamate
con l'ali aperte e ferme al dolce nido
Volan per l'aer dal voler portate.
Questa poesia è inutile cercarla anche nel Manzoni, oltre qualche
facile ricordo di pure e semplici forme, e fuori de' soavissimi can-
zonieri di Dante e di Gino , del Guinizelli e del Petrarca. E però
dopo il Manzoni slam troppo a capofitto caduti, qui nella lirica
meditata e riflessa, e li nell' erotica discinta e liberamente scapi-
gliata e lasciva.
L'una e l'altra, anche quando risalgono, quella alle perenni
fonti classiche, e questa a certa immediata e spontanea ispirazione,
vengon come circonvolgendosi, per vi'ghezza di novità, di troppo
disformi materiali ed elementi, di troppo innaturali fusioni ed in-
nesti, onde procedono sempre a tentoni di motivo in motivo, senza
mai cercare e trovar definitivamente anche nel medesimo poeta una
forma ultima e propria.
Per la qual cosa in questo continuo peregrinare di metri, di
motivi e di forme, l'anima ben di rado s'appaga, e spesso il lettore
domanda a sé stesso : or dove siamo ? ad oriente o a tramontana ?
e per quali novi sentieri ci sarà dato di toccare l'ultima vetta del
colle, 0 l'ultimo varco di uscita 'J Questi in fondo i difetti e le incer-
tezze della recente lirica italiana, la quale, come dissi, mi sembra
corra insistente all'assidua ricerca di sé stessa e mai non si trovi
in quel suo faticoso disorientamento.
Ma sarebbe ingiusto il disconoscere come prima o dopo il "73,
anno che mori Alessandro Manzoni, non abbia avuto l'Italia su
l'innesto o troncone classico una veramente alta e durevole lirica
riflessa, per opera forse esclusiva del Carducci, il quale sembra che
più sempre si avvicini a una forma decisiva e finale, in cui s' in-
tegri con industrioso e mirabile lavoro di fusione l'ancor vergine e
viva tradizione classica, cioè quello che di quel tempo è tuttavia
fresco e zampillante, con le migliori e le più libere e vitali manife-
.stazioni dell' arte nuova e recente. Si può dire che il geniale autore
441
delle Odi barbare e delle lìime nuove inauguri veramente una scuola:
è certo che quasi tutti i giovani, pur quelli che attinsero al Guer-
rini, derivano da lui direttamente e originalmente cosi i metri e le
forme come l'indirizzo artistico, i motivi e certe predilezioni este-
tiche; ma un ben eletto manipolo, di cui diremo qui appresso , si
può dire che molto più da vicino e fedelmente lo segua in generi
di lirica che prendon le mosse dall'antico, e in agili trovate o brevi
quadretti della vita individuale o della sociale in cui spira benefico
il soffio del pensiero moderno.
Quindi egli, a traverso il limo de' moltissimi pappagalli lusin-
gatori, apre libero un varco e un asilo sicuro alla felice del latin
metro reiìia, e pel contenuto nuovo alla lirica barbara compene-
trata di senso classico; e cosi forse avverrà che manterremo il filo
della tradizione anche oltre il secolo che cade, sino a che, compiuto
r ultimo svolgimento di questa mirabile opera di fusione , sorgerà
luminosa e più densa di contenuti sani e vigorosi l'arte dell'avve-
nire. Ma è necessario lumeggiare questi cenni con una rapida no-
tizia intorno alle due ultime generazioni della lirica nostra.
II.
Ma ricorderemo innanzi tutto i morti, quelli cioè che mori-
rono poco innanzi o poco dopo il Manzoni, il quale quasi quarant'
anni prima della sua morte avvenuta il 22 maggio 1S73 avea chiuso
tutto uno svolgimento d'arte e di pensiero che parve inaugurare fra'
superstiti un periodo novo; ricorderemo, ripeto, quelli che noi
ci siamo visti disparire davanti tra il primo sbocciare della fan-
ciullezza e lo sterile maturare della gioventù : gran corso cotesto
di tempo clie comincia colla morte di Angelo Brofferio (25 maggio
186G) e finisce con quella di Carlo Baravalle (11 febbraio 1900),
Ecco intanto tutto un repertorio di nomi che ci richiamano con
manifestazioni diverse a quel vivo rinascimento delle lettere patrie
che fluttuò nell'azione della vita e in quella del pensiero tra il
romanticismo classico e quello sentimentale e mistico, tra il roman-
ticismo naturale e democratico e quello spettrale o accademico, tra
il romanticismo patriotico e quello borghese. E noi giovinetti tra
gli spumoni della lirichetta borghese, in un ambiente saturo di
facili godimenti e di retorica trionfale, ci vedemmo a poco a poco
mancare, senza forse neppure scorgerla di lontano, 1' ultima viva
luce che ci sembrava piovere dalle appassite memorie del "48; ci
vedemmo ad uno ad uno mancare, quasi inconsapevoli della loro
grandezza, queste ultime meteore del pensiero e della libertà:
Angelo Brofferio che nelle sue dialettali Canzoni piemontesi, non
442
ancora obliate, facea rivivere in Italia le piacevoli e argute fanta-
sie del Bèranger [(tre anni innanzi era anch'esso sparito un altro
poeta dialettale, un poeta genialissimo che colle più saporite tro-
vate le" strazio per molti anni della Corte pontificia, il poeta roma-
nesco Giuseppe Gioaccìiiiio Belli (7 settembre 1791 - 21 dicembre
1863)J; Luigi Cibrario (1802-1)S70), patriota insigne e valido cooperatore
alla politica di Camillo Benso di Cavour, storico illustre della
Dinastia Sabauda e insieme poeta civile e de' migliori del tempo
suo per vigorosa e calda genialità d'ispirazione e di vena; Fran-
cesco Dall' Ongaro (1808 - 1873), poeta e soldato, già prete e poi
libero insegnante a Trieste, autore di drammi fra' quali celebre il
Fornaretto ma dopo assai più lodato per le sue Ballate e meglio
pe' suoi Stornelli, vivi e fresclii di spirito rusticano o d' impeto
patriottico, specialmente alcuni che corsero per le bocche de' volon-
tari che combatterono contro l'Austria; Niccolò Tommaseo (1802 -
- 1873), il dalmata illustre che del suo molteplice ingegno e della
sua sconfinata dottrina riempi quasi tutto un secolo di cultura, e
che scrisse anche delle poesie le quali se non sempre infuse di vera
anima creatrice restano tuttavia di mirabile eleganza e di classico
lepore (juando non le turba o non le sciupa il troppo riflesso ma-
neggio delle reminiscenze letterarie; il veronese Aleardo Aleardi
(4 novembre 1812 - 16 luglio 1878) che nell'ebbrezza del canto e nel
troppo levigato lenocinlo della strofe meglio sedusse gli animi della
generazione venuta dopo il 60, ma che poi fln'i, per la blandita e
leccata vacuità del contenuto, come il più fedel rappresentante del
verso che suona e che non crea, onde oggi è interamente dimenti-
cato; il romano Pietro Cossa (1829 - 1881), l'autor celebre del Nerone
e della Messalina, il quale, tutto pieno dell' antico spirito quirite,
sbalordi per molti anni il pubblico italiano per le tragiche rappre-
sentazioni della vita romana imperiale a cui infuse un feroce e
sanguigno vigore che fu la nota che meglio le fece applaudire, ma
che poi finirono anch'esse, perchè troppo estranee alla vita contem-
poranea, finirono dimenticate dopo la morte dell'ultimo fedel rap-
presentante del teatro classico; Giuseppe Cocc/a (14 novembre 1813-
-20 ottobre 1881), da Todi, autore di poesie sacre, politiche e varie,
d'isjìirazione calma e vereconda, e di spontanea e facile vena nella
squisita e flessuosa musicalità del ritmo; Giuseppe Regalai (1809-
-1883), di Novara, il poeta che riprovato per colpe forse di riiua
in un esame di legge passò laureato in poesia dal plauso popolare,
il poeta che dalle corti di Parma e di Modena andò sempre pere-
grinando per tutta la terra, in Italia, in Francia, in Egitto, diffon-
dendo ovunque il suo canto improvviso , il più bel canto che tra
la prima e la seconda metà del secolo sia mai uscito dal petto di
443
un vero cantore , ond" egli certo avrebbe diritto alla immortalità
se quell'infinita ricchezza di fantasie avesse avuto un più durevole
suggello neir arte adamantina della parola ; Giovanni Prati (27
gennaio 1815 - 9 gennaio 1884), 1' irredento poeta di Dasindo. il
fantasioso e melico signore del verso e della rima, che in tutti i
toni dell'antico romanticismo e del nuovo, nel canto popolare e
nella romanza, nella leggenda e nella ballata, nell'ode patria e nel
racconto cavalleresco ed epico, accolse per oltre cinquanfanni entro
le più varie e libere forme tutti gli echi e tutti gli spiriti del suo
tempo colle fluide e carezzevoli risonanze della sua vera musica
favellata; il pesarese Terenzio Maiìiiani (1799 - 1885), mente limpida
e larga , filosofo insigne , prosatore calmo e perspicuo , autore di
inni sacri , d' odi patrie e di morali poesie belle , di signorile ele-
ganza e pregne di pensiero alto e civile, e reso poi celebre nel canto
della Ginestra dal cugino suo Giacomo Leopardi il quale delle pa-
role di lui formò il notissimo verso « Le magnifiche sorti e pro-
gressive » ; il triestino Giuseppe Revere ( 1812 - 1889) , patriota ,
esule , combattente , nelle cinque giornate milanesi, ingegno com-
plesso , mentre ricca e versatile , prosatore e poeta di pari valore
e non senza originalità mal voluta disconoscere in questi ultimi
anni cosi falsi e servili negli ideali d" arte o di patria ; e a com-
piere questo primo elenco ricordo passando Francesco Paolo Par-
zanese (1810-1857), di Ariano , 1' unico vero sacerdote che cantanto
pensasse al popolo, e l'autor celebre della Cieca, la più schietta e
sentita poesia popolare del Mezzogiorno d' Italia ; e ricordo Giam-
battista Maccari (nato a Prosinone il 19 ott. 1832 e morto a Roma
il 19 ott. 18G8), il poeta Paolo Emilio Castagnola, critico arguto ed
acuto pur ieri morto , ricordò con affetto , e che fece alitare nelle
sue castissime rime la verginità del pensiero e della espressione
non senza un fiuto dell'arte classica.
E Iginio Ugo Tarchetti, il poeta infelice che sognò e visse di
amore, ed Emilio Praga, anch'egli ammalato nel fisico e tutto pieno
de' languori dell'ultimo parossismo romantico, e in fine Ippolito
Nievo, il poeta soldato, cara e simpatica schiera di dolci anime con
tutti i loro difetti, ci han lasciato profondo il rimpianto di quella
vera e vissuta poesia della vita e dell'anima anche se inferma, da
cui ci ha dissociati questo misero e infecondo lenocinlo di simbo-
lismo barocco, d'artifizio nebuloso, di meccanismo degenerante •
essi furon gli ultimi forse a farci sentire gli echi, o di quella malattia
del secolo che dal pessimismo leopardiano classico passò e si esaurì
nell'ultimo romanticismo sentimentale, o di quell'intima vita d'azione
anche intinta di romanticismo ma che si agitò con eroico sacrificio
dal 1848 in poi.
444
E più da vicino abbiamo visto disparire questi altri : Bernar-
dino Zendrini (nato a Bergamo il 6 luglio 1839 e morto a Palermo
il 2 agosto 1879), il quale col faticoso esercizio delle sue facoltà non
poetiche e con l'ostinata forza della volontà si sforzò e non riusci
veramente poeta, ma che tuttavia ci lasciò un mirabile e singolare
esempio di tentativi infecondi si ma nobilmente e lungamente durati
verso una meta che non ostante i forti studi da lui fatti nella
letteratura nostra e nelle straniere la ribelle ed ostica natura non
gli fece raggiungere; Vincenzo Riccardi di Lantosca, di cui un
poeta gentile e un critico valoroso, Guido Mazzoni, ha pur di
recente voluto rinfrescar la memoria, riunendone in volume le
sparse e obliate poesie da cui spira queir acuto profumo di affetti
puri e delicati verso la patria, la libertà, la famiglia, e insieme
quell'accensione alata anche se un po' retorica di spiriti e di sensi
che nutr'i le forti anime di quella generazione che ci die la indi-
pendenza e l'unità; Eliodoro Lombardi, un altro poeta che visse
aXVoinhra di fama occulta e bruna, ma che ci rese nel ritmo sonante
ma imaginoso ed animato uno degli episodi più belli della eroica
vita italiana nel poema polimetro Culataflmi, che piacque tanto a
Francesco Perez, l'uom dotto e profondo anche dove un po' fanta-
stico e paradossale, l'autore quasi dimenticato della Beatrice svelata:
e da pochi giorni un ultimo superstite della bella scuola patrio-
tica del '48, Carlo Baravalle, un di que' retori di azione, come il
chiamerebbe il nostro popolo borghese, un di que' retori che, noto
sotto lo pseudonimo di Ascanio Bonsenso, ci fé' gustare quella lirica
la quale tutta compenetrata di pensiero civile e di sentimento acceso,
ruppe fresca e immediata dal polline fecondo onde ci venne l'eroismo
dell'idea e quello della vita.
E cosi pure Carlo Gargiolli, un altro di quella brigata, Vittorio
Xalmini, l'autore del Polichordon, Carmelo Enrico, il giovine poeta
de* Convolvoli che cominciò a rivelarsi nel periodo sommarughiano,
Leopoldo Marenco, non veramente poeta ma commediografo, e che
volle esumare negli ultimi anni suoi alcuni versi, piccolo e retorico
ricordo di gioventù; e cosi altri ed altri ne sono gli uni dopo gli
altri mancati, e non senza qualche rimpianto. Dell' abate Giacomo
Zanella, di Enrico Nencioni e di Felice Cavallotti abbiamo innanzi
detto abbastanza, e di questi ultimi daremo pure un cenno nelle
jiagine seguenti : essi ci sono i-imasti ancora nell'anima ne ci pare
di scontrarli spesso ne' superstiti e ne' nostri compagni di lavoro.
Ahi! questo è un vero camposanto di morti su le cui aiuole la nuova
generazione, da pochi esempi all'infuora, non fa germinare né quella
luce di pensiero, né quel fervore di vita, né quello spirito di arte,
anch' essi caduchi forse in gran parte, ma già fecondi nel tempo
I
445
in cui si svolsero. E se i fatti maf;nanimi e le azioni generose, a cui
quella poesia si congiunse, non è ancor morta nella storia, potranno
i buoni tornare a quelle sante e nobili memorie da cui dovrebbe
venirci quel benefico frutto della vita che non ancora si vede
apparire nelle generazioni novelle.
Dopo dato questo postumo tributo di memorie a quelli che fu-
rono, ci tocca ora parlare de' superstiti cosi della vecchia come
della nuova generazione.
III.
Dunque una velocissima corsa sul vigoroso terriccio della vecchia
tradizione poetica e anche a traverso 1" incomposto seminato della
cosi detta lirica verista^ gioverà meglio a ritrarre nei due eletti
manipoli delle due generazioni, l'una apparsa intorno al ' 30 e che
seguitò a sbocciare in sino al "45, e l'altra venuta su tra il "50 e il "65,
i caratteri e quasi la flsonomia di questi e di quelli: gli uni, i più
vecchi , ebbero il succhio dalle migliori memorie del Monti e del
Foscolo, del Leopardi e del Manzoni, del Prati e del Berchet, tra*
brividi della rivoluzione e della tirannide ; e gli altri , i più
giovani, apriron gli occhi alla luce in età strema di vita, indolente,
flaccida, sbadigliante. Parleremo, s' intende, degli uni e degli altri.
Cominciamo dal primo manipolo che in ordine di età è formato da
questi nomi: Alessandro Arnalboldi (nato il 19 novembre 1827), Fe-
lice Uda (nato il 25 febbraio 1832), Giuseppe Chiarini (nato il 1833),
Domenico Gnoli (nato il 1836), Tommaso Cannizzaro (nato il 1838 ),
Enrico Nencioni (nato il 1840), Vittorio Betteloni (nato il 1840), En-
rico Panzacchi (nato il 1841), Milelli Domenico (nato il 1841), Fogaz-
zaro Antonio (nato il 1842), Cavallotti Felice (nato il 1842), Boito
Arrigo (nato il 1842), Giuseppe Aurelio Costanzo (nato il 6 marzo
1844, Mario Rapisardi (nato il 1845), Olindo Guerrini (nato il 4 ot-
tobre 1845). Gli ultimi due e il Carducci per vie ben differenti, ma
tutti tre essenzialmente moderni, inaugurano o dirigono tre diverse
manifestazioni di lirica, seguite parzialmente o interamente dal
manipolo che vien dopo. Gli altri seguono tre distinte scuole pre-
cedenti; la classica (Arnalboldi, Chiarini, Gnoli, Milelli, Costanzo),
la romantica mista (Uda, Nencioni, Cannizzaro, Betteloni, Panzac-
chi, Fogazzaro, Boito) e la romantica patriottica (Cavallotti). E però
é bene osservare che alcuni di questi, come il Milelli e il Chiarini,
pur conservando certa originale libertà e un che de' pregi e de'
vizi delle relative scuole, tendono sempre verso il rinnovamento
operato dal Carducci.
Chi ricorda, o meglio, chi mai ha letto i Versi e i Nuovi versi
446
dell' Avìiaboldi, il quale sa infondere, pur tra le ricordanze clas-
siche, un senso alto della vita e della patria, e uno squisito e
peregrino lavorio di versi, per entro gli avvolgimenti della vecchia
strofe? So che piacquero assai a Bonaventura Zumbini, l'illustre
critico cosentino, a preferenza di molta lirica contemporanea. Giu-
seppe Chiarini nelle originali liriche sue, ma specialmente nelle
Lacryinae — un vero gioiello e il più prezioso saggio di elegia o
meglio tragedia domestica — ci rende con perspicua semplicità e
con tibulliana finezza anche le più tenere sfumature dell' afifetto e
l'intimo strazio della passione paterna, dandoci pur saggi mirabili
di metrica barbara con ellicace maestria di tecnica ; come anche
ci porge nelle relative versioni il finissimo spirito della satira hei-
niana e il complicato atteggiarsi del pensiero straniero in una pla-
stica e disinvolta leggiadria e facilità di verseggiatura. Domenico
Gnoli, lirico caldo e inspirato, ci fa gustare nelle Odi tiberine e
nelle Elegie romane un grato effluvio delle memorie classiche,
mescolate non senza toni recenti alle più belle memorie patrie. Il
Milelli è forse più moderno de' primi, e con industrioso e spesso
felice intarsio di forme antiche e di nuove, fa spirare ne' metri
bai-bari e ne' rimati un senso di paganità e i brividi della vita
sociale: e cosi in Giovinezca, in Iliemalia, nelle Odi pagane, ne'
frammenti del Kokodé, nel Xuovo Canzoniere, pur da altri deri-
vando scorci e movimenti lirici, ci porge una certa concordia tra
la colorifrice esuberanza meridionale e la nervosa concinnità car-
ducciana. Il Costanzo co' molti suoi canti ma specialmente con Gli
eroi della soffitta sta di mezzo a questa brigata e a quella che
comincia col Ra[)isardi: natura vivamente siciliana, stempera un
po' le forme e le amplifica, e, attratto dal miraggio della fantasia
e della facile vena, chiude questo piccolo ciclo con una più impen-
sata e spontanea inspirazione, ma anche con certa leggerezza di
svolgimento, più presto procedente dalla facoltà fantastica che
non da una riposata elaborazione artistica.
Felice Uda, questo sardo animoso dall' animo nobile e gentile,
non ha sempre pari alla soprabbondanza della immaginazione e
alla forza del sentimento, il simmetrico ordito della strofe, la quale
sia ne' pregi che ne' difetti ricorda 1' ondeggiante e lusinghevole
indeterminatezza del romanticismo pratiano, più tosto che il sobrio
e misurato movimento della serena ed uguale compostezza della
lirica manzoniana.
Tommaso Cunnizzaro è una di quelle nature meridionali troppo
447
vive e fantastiche, troppo naturalmente poetiche, si che possano
essere infrenate dal sobrio magistero dell'arte o corrette e levi-
gate dal forte equilibrio del senso estetico; onde gli manca la cal-
lida iunctìira e il lucidus ordo tra gl'impeti della facile e ricca ispira-
zione e la concisa e ben rilevata efficacia delle forme. Cosi l'autore di
tanti libri di versi in francese e in italiano, come La voir! A pro-
pos de l'insurrectioìi de Candle, Ore segrete. In solitudine, Carmina,
Spine e rose, ecc. ecc., se mostra spesso la bizzarra fecondità del-
l' ingegno, l'esuberante varietà delle imagini e de' fantasmi, la
creazione larga e suggestiva anche se scapigliata o paradossale,
sembra d'altra parte si prenda giuoco della tecnica eh' egli muta,
rivolge, trasforma, stempera o restringe, in mille modi, in tutt" i
sensi, co' pivi audaci ma scorretti congegni; onde la potenza inven-
tiva, che pur gli si snoda così duttile e pronta, si rivela gonfìa,
verbosa, inestetica, in metri novi ma strani, in ritmi sbilenchi e
in troppo libere forme, ambiziose, slombate. E pure quel vivo senso
della natura e quella percezione profonda del vero, quanta vita
di schietta poesia non darebbe, se fosse domata dal fine lavorio
della strofa e dal martellato rilievo della espressione! Con tutto
ciò egli resta nel fondo uno de' più nativi, de' più singolari e ori-
ginali poeti; ma la sua lirica non è arte, e resta sol bella couie
essenza primigenia, come forza naturale, materia greggia. Ciò non
toglie eh' egli talvolta, pur senza volerlo, non ci dia strofe ed anche
poesie mirabili insieme e d'arte e d" ispirazione.
A questo proposito cito passando un altro poeta, non meridio-
nale, ma toscano e giovine, Camillo Checcucci, autore di un poema
in quindici canti nel vecchio metro della canzone maneggiata a
piacere, dal titolo Vita. (')
E' questo un poema di forte concezione naturalistica, originale,
impressionante; ma vi è tale audacia di fantasie e tanta scompigliata
libertà di orditura, di locuzioni, di stile, che sembra abbia il poeta
voluto crearsi una sintassi, una lingua e un' arte tutta sua, e in-
sieme sfrenarsi a tutti gli ardiri della immaginazione, a tutte le
sti'anezze delle trovate, a tutte le capricciosità delle forme, si che
ne risulta un insieme come di geroglifico e di grottesco, di brut-
ture e di meraviglie, di splendido e di goffo. E pure l'autore avea
saputo trovare un argomento e un disegno nuovo e maraviglioso;
e s' egli fosse riuscito a congiungere il sapiente magistero del-
l'arte co' preziosi doni della sua grande facoltà poetica e fantastica,
ci avrebbe dato quasi certamente un capolavoro.
(*) Firenze — Fratelli Bocca, editoii. 1891.
448
Enrico Xe))ciù)n,{'} il sentimentale e favorito scrittore delle donne,
è più veramente poeta nelle prose critiche su le letterature straniere
che non fosse nelle pochissime liriclie dove ci dà il voluttuoso fevi-
niinino dell' arte come impregnato da una morbida e seducente
idealità. Ma di lui abbiamo innanzi parlato abbastanza , onde qui
ci dispensiamo dal dirne altro.
Di Vittorio Betteloni già dette il Carducci, in una forte sua
prosa apparsa la prima volta nel Fanfulla della Dometnca del 22
febbraio e 22 marzo 1880 (**), un giudizio assai lusinghiero che per
manco di spazio non riporto qui nemmeno in parte.
In fondo egli disse che il poeta veronese fu il primo in Italia
a uscire e a liberarsi dal romanticismo pur componendo in versi un
romanzo d'amore, che senti e rese con pura freschezza e con sin-
cerità immediata più che l'esteriore delle cose o la superficie della
passione l' intimo e pieno svolgimento di essa, e che in fine, cosi
nelle prove originali come nelle derivate o tradotte, mostrò quasi
sempre finezza di gusto e una larga e nutrita educazione classica.
Fra' giudizi del Carducci questo , a dir vero, è quello che non mi
ha mai persuaso con tutta la buona intenzione di gustare e ammi-
rare la poesia del Betteloni a cui non mancheranno forse buone
qualità di rimatore e certa spontaneità e verginità di affetti e di
espressione , non mancheranno delle cose che negli anni, a cui si
riferiscono le lodi del Carducci, potevano sembrare, e forse furono,
buone promesse di arte e di poesia, ma certo mancò l'originalità
e la vena. Di fatti a molti , con tutte queste lodi , non pare che
l'autore del libro « In primavera », de' N^uovi versi, di alcune no-
velle verseggiate (L' ombra dello sposo , Stefania , ecc.) , della ver-
sione in ottava rima del Don Juan del Byron e dell'altra in versi
sciolti àeW Ahasver in Rom di Roberto Hamerling, ecc., meriti un
luogo degno fra" veri poeti, mancandogli soprattutto la forza del-
l'ispirazione e l'ala della fantasia non che l'eloquio spiccatamente
poetico; e d'altra parte il fatto che il suo nome è quasi oscuro a'
I)iù, e che intorno a lui la stessa parola del Carducci non valse a
diffondere neppure un' eco fievole e accetta , viene a provare qual
virtù abbia quella poesia e da quale anima la sia uscita.
Enrico Panzacchi nelle tenui rime d'amore, più per musica da
camera che per biblioteca, dà la prima tenacissima carezza alla
variopinta e profumata mondanità dell' arte, con romantico velli-
camento di suoni e di facili e vaporose melodie, con graziosi ma
(*) Questo studio Cu in gran parte scritto assai prima della morte del Nen-
cioni e del Cavallotti.
(**) « Bozzetti e Scherme » — Bologna, Zanichelli, 1889 — Pagg. 282-287.
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piccoli voli, con soavi ma sottilissimi sgorghi di affetti, con leggeri
impennamenti di fantasmi, senza urti di passioni e senza foga e
impeto di sentimenti: quelle musicali rime m'han l'aria di candide
tortore, clie vadan quasi radendo la terra, ben lontane da' culmini
alti e dall' ampie volute dell' aquila. "
Arrigo Boilo, il solitario poeta e il forte compositore musicale,
nel Re Orso e nel Libro dei Versi, e talvolta anche nei libretti per
musica, gode e si sforza di riforbire la strofe , martellandola con
nei'vosità tra nordica e romantica, e spesso la morde con rude e
selvaggia armonia di suoni aspri o pedestri, ma non senza vigorosa
e fantastica genialità, la quale è però guasta talvolta da una scor-
retta e strana scapigliatezza di tecnica.
Col Fogazzaro torniamo alla diffusa, evanescente idealità del
romanticismo; e nelle fantastiche odi, sature di spirituale e quasi
liturgico sentimentalismo, e' si piace di veder errare il fantasma in
una quasi biblica elevazione di affetti e di sospiri che van come
avvolgendosi d' ombra e di mistero, in un al di là di sogni. E per
tutto questo e' dà la mano al Werner e al Thiek.
Conterraneo e discepolo amoroso dell' abate Giacomo Zanella,
ci reca nel verso e nella prosa, non già quel pacato o quel mite e
gemente sospiro dell' anima, ma un po' di quel tenero e virgineo
sentimento che con classica freschezza spira nelle morbide e ries-
suose strofe del vicentino. Il quale, pur prete, ebbe però, forse per
efì'etto della sua nutrizione classica che fu meglio avvivata ed
allargata dalla sicura conoscenza delle letterature straniere, un
senso, più umile si, ma più misurato, più sensibile, più umano,
cosi delle cose terrene come delle divine; fu, in una parola, un idea-
lista più pratico e un credente più positivo e mondano. Il Fogazzaro
alla sua volta , spirito più fervido, anima più entusiastica , cuore
più mobile alle seduzioni del soggettivo e del fantastico, per una
spiccata inclinazione alle parvenze eteree della vita, si lascia mag-
giormente attrarre dagl'incanti del sovrasensibile e dell'infinito,
con un più acceso rapimento verso le spirituali impressioni della
natura, della scienza e dell'arte e con una più esaltata adorazione
dell'uomo e di Dio. Egli insomma è un idealista vaporoso e un
sognatore quasi mistico della bellezza, e perciò riesce a trasfondere
nel lettore un senso di ammirazione , fugace si , ma più spirituale
e confortante E' uno de'più veri poeti cosi della rima come della
prosa, dove però non sempre è pari a quello della ispirazione lo
splendore dell'arte. Cosi dunque mi è parso il suggestivo autore
di Miranda e di Valsolda, di Malombra e di Daniele Cortis , di
Profumo e del Mistero del poeta.
Felice Cavallotti non è punto della sua brigata: egli aspira al
29
450
fumo delle battajrlie; e nella venustà quasi greca de'suoi canti,
splendidi di passione e di verità, porge invece la raano al Korner
e al Mameli.
Mario lìapisardi è un romantico classico, e il più naturalmente
poeta di tutti nel senso più vaporoso della parola, e in ciò ch'ha più
d* etereo e d'azzurro la poesia. Di fatti nella parte più bella del-
l'opera sua, e specialmente quando non è guasta e ritorta dalla
cercata inspirazione polemica e giambica, egli ci rappresenta un
certo connubio non sempre felice tra le concezioni e le forme clas-
siche e i motivi dell'arte romantica pur rendendo con signorile
pompa di stile e con ampiezza proteiforme di verso un contenuto
intimamente moderno. Per tali rispetti il geniale poeta del Lucifero
par che faccia parte da se. e che all'infuori del Cesareo e di qual-
che altro non abbia dato movimento a quel che si dice una scuola.
Gioi^aiini Alfredo Cesareo è fra' meridionali quello che fra'
toscani è il Marradi, salvo, s'intende, le differenze d'insegno, d'in-
dirizz.j e di regione. Anche il Cesareo ha da natura la fervida e
piena, e facile e feconda, vena della ispirazione; anch' egli ha quel
getto largo e fluido di agevoli fantasie e di naturali trovate; anche
egli infine ha senza bisogno di studio e di lungo e faticoso esercizio
di tecnica quell'immediato e quel vivo nel magico e luminoso prisma
dell' anima creatrice, cioè quel!' intimo sofiio dello spirito lirico dove
soltanto può il poeta trovare il vero suo clima estetico.
Di veramente e naturalmente poeti è ben difticile trovarne fra'
giovani un terzo; che negli altri, anche fra quelli che più sono lodati,
non s'incontra se non quella poesia la cui vena vien come spillata
a forza e a fatica da un tenue rivo d'ispirazione, con gli strumenti,
troppo alla lunga maneggiati, della cultura minuta e della critica
erudita. Non cosi il Cesareo a cui forse non si addice, o si addice
assai meno , 1' improba fatica della dottrina letteraria sia pur lu-
minosa e riverberante come la sua; che a simili nature nuoce assai
il sottile magistero della ricerca, o almeno toglie ad esse quel sog-
gettivo e queir incomunicabile della vera creazione lirica, eh' ha
da essere tutta spontanea e nuli' affatto mantrugiata e riflessa. Se
l'autore lodato delle Occidentali, del Don Juan, de'Canti della culla.,
del mirabile lìmo alV Uomo, avesse come il Rapisardi e il Marradi
voluto seguitar poeta e lasciar le ortiche della critica e le spine
dell'insegnamento, avrebbe saputo trovar certamente in un più
geniale e definitivo lavoro d'arte l'ultima nobile voce dell'anima
sua; ed è peccato il non averla cercata.
Una scuola veramente, con un determinato indirizzo o avvia-
mento d'arte, comincia col Carducci e col Guerrini, rispetto al con-
tenuto e alle forme; e sembra la si adagi sur un fondo d' imagini
451
e di spiriti e di armonie risonanti gli echi dell' antico paga-
nesimo, rinnovato da tutta la passione moderna. Ma anche qui
giova distinguere due maestri e due scuole. Il Carducci, visceral-
mente classico d" animo e di studi, con prodigioso e assiduo lavorio
di stile e di rappresentazione, e con insuperabile maestria di tecnica,
tenta ed elabora tutte le forme, versandovi il molteplice contenuto
attinto da tutte le fonti del pensiero antico e del moderno. Ond"egli
riesce un poderoso eclettico nel senso montiano della parola. Ma
rimane sempre nella mutevole opera sua un gran fondo tradizio-
nalmente classico e un forte e nutrito contemperamento di conser-
vazione e di rinnovazione. E in questa sua continua e progressiva
ricerca de"migliori e più adatti elementi artistici par che si avvicini,
e specialmente nelle ultime sue produzioni , come dissi di già, ad
una finale e decisiva opera di fusione, che potrà diventare come
il tipo unico deir arte dell" avvenire.
Non cosi il Gueri'ini. Egli non elabora e non rinnova nulla,
cosi nella forma come nella contenenza. Anzi, con buona pace dei
poeti veristi, accoglie in effetti e forse inconsapevolmente 1" opera
del Manzoni che i poeti della seconda generazione devono consi-
derare, come avverti il Carducci medesimo, il loro più aitine rap-
presentante artistico. Lorenzo Stecchetti è un vero e proprio ro-
mantico. Non è forse un novo aspetto del vecchio romanticismo
quella pur lasciva notomia dell'anima, vinta dalia nevrosi dell'amore,
e quell'assiduo rifrugare nella coscienza erotica per distillarne a parte
a parte tutt' i sospiri, tutf i vaneggiamenti, tutta la voluttà? Ora
il Guerrini con ciò non fé" altro che importare il De Musset di
Francia in Italia entro le agevoli e spontanee e facili volute del
verso che spira una lontana eco dell'opera manzoniana in fatto di
forme e di stile. Ecco le due diverse correnti che lusingai-ono aper-
tamente l'animo dei giovani. Se non par che taccia da tempo il
tanto favorito autore delle Postuma, e col maestro sembra che tac-
ciano pure i mille imitatori che anni fa gli furono intorno come un
vespaio. Fra tanti pappagalli lusingatori mi trovo sgomento a tro-
vare una diecina di buoni nomi, e mi fermo a Ulisse Tanganelli, il
simpatico autore di Auiurnnalia, di Aestiva, di Botia Dea, il quale
sa cosi bellamente sposare sul fondo stecchettiano la prontissima
vena della sempre poetica inspirazione con la nativa e originale
mollezza e freschezza dell'eloquio toscano. Ma intorno al Carducci
si raccoglie e lavora un bel nucleo di giovani: Giovanni Marradi,
Severino Ferrari, Guido Mazzoni, Giovanni Pascoli, Giuseppe Pic-
ciola, Alfredo Baccelli, Gabriele d'Annunzio, e son essi il più vitale
germoglio della seconda generazione.
452
IV.
Giovanni Mai-radi, vera anima toscana e temperamento livornese,
è il più idealmente e sinceramente poeta della sua scliiera; e con
quel largo e risonante giro di strofe, con quel munifico e musicale
rapimento verso i piìi begli aspetti della natura e intorno a' più
disperati casi della elegia sociale, ei ci fa gustare una voluttuosa
e nobile poesia ricca di toni se non sempre densa di passione,
morbida, carezzevole, mormorante per quei metri agevoli, semplici,
scorrenti, pieni tutti di una certa malia classica. E' vero che spesso
ci rende come la sola superficie delle cose: è vero che per la molle
ridondanza dell'eloquio e delTimmaginazione ricorda i meridionali ;
ma, come i meridionali, in quel libero e fantastico volo, trascina,
palpita e canta.
Severino Ferrari, il simpatico autore tlel Mai/o e dei Bordatini,
non è poeta ammaliatore come il Marradi , ma , lolle innamorato
del trecento, ne rende gli echi ne' suoi madrigali e nelle sue ballate,
che piacciono si, ma come un rinnovato saggio della lirica antica,
come un felice restauro di quella dolce poesia, come un profitte-
vole esercizio di finita arte riflessa.
Molto prossimo a lui, emiliano di Alberino, è il fiorentino Guido
Mazzoni, meraviglioso schermitore di metri, anche a detta del maestro
suo, il Carducci, al quale lontanamente somiglia solo in questo,
eh' egli si esercita in tutti i metri, in tutte le forme e in tutti i
contenuti. Nel sicuro maneggio degl' instrumenti classici, è il mi-
gliore alunno di quella scuola, e conosce tutti i segreti della me-
trica antica; come fu col Chiarini il più gustoso e sapiente imitatore
0 meglio prosecutore dell'Odi barbare. Ne' primi suoi esperimenti
ben di rado la sua poesia, cosi vaga e oscillante tra le moltiformi
imitazioni e versioni e rimaneggiamenti, ascende alto con vt;ro
afflato lirico e con caldo soffio d' inspirazione propria; ma nelle
f'oci della vita sa infondere tanta musica, tanto spirito recente e
tanta originalità nell'onda snella del quinario e d'altri metri brevi
e insieme tanta semplicità di linee e di contorni, che ci pare sia
egli uscito dal greco mondo e dal latino per versare a piene mani
r intimo fluire dell'anima nelle agili e perspicue forme di Ana-
creonte e di Catullo. Con questo generino di odi, ond* egli mi pare
come un Chiabrera odierno, si può dire abbia trovato e si sia aperta
una via tutta sua; veramente cominciò ad aprirsela fin da quando
ci fé' saggiare 1" idillica inspirazione domestica, così riboccante di
affetto e di verità, e di cui restano saggi insigni le odi: La niac-
cìtina da cucire, e Un mazzo di chiavi. Più pel contenuto che per
453
le forme va ricordato a canto a lui il romano Alfredo Baccelli,
l'inspirato autore di Germina, di Diva Natura, delle Leggemie del
cuore, delle Vittime e ribelli', anzi egli, con ispirito veramente ro-
mano che nella sua famiglia è tradizione, sa mettere nelle metriche
forme del Carducci, 1" ideale scientifico del tempo; e in ciò ha pur
egli a lato una poetessa, la lodata autrice di Fatalità, Ada Negri,
la quale, senza nulla derivare dai classici nuovi e da" vecchi, e
anche senza la originalità che molti le danno, mira solo al più
simpatico contenuto sociale , in che pare più si accosti a Filippo
Turati che nella prima giovinezza volle mettere nelle forme del
Guerrini la passione e il fremito del socialismo contemporaneo.
Giovanni Paacoli, il solitario e ignorato poeta latino, è il più
originale di tutti nell'incidere la dolorante anima sua e la più stra-
ziante passione domestica in quelle celliniane cesellature di strofi,
brevi, scultorie, classicissime, come tanti rilievi di cuori che spic-
cino sangue. E poiché, per esser egli il più sapiente modellatore di
antiche figurine, ha certi scoi'ci di rappresentazione di gusto troppo
aristocratico, molti non l'intendono, non lo leggono e non lo ricor-
dano; ond' egli è il men lodato e ricercato fra tutti quelli che ap-
partengono alla giovine pleiade carducciana.
Col Picciola, il simpatico lirico triestino, ritorniamo a gustare
nel circolo riflesso dell' arte , come già notammo a proposito del
Ferrari, 1' antico marmoi'eo luccicore della sestina, della ballata e
del madrigale del trecento, nelle cui forme spira cosi bene il fan-
tasma a traverso il dolce rosato di vesperi, di aurore, di tramonti.
E col d' Annunzio, di cui spesso e a lungo abbiamo parlato
in questo volume, siamo nel regno dell' artifìcio: uno splendido e
meraviglioso mosaico, nient" altro, ma un mosaico nel quale — qui
alludo soltanto alle i^rime poesie e specialmente al Canto novo —
prevalgono le più belle pietre raccolte nelle miniere carducciane.
Ma nelle ulteriori composizioni, e più in quelle nelle quali questo
grande virtuoso del verso e della prosa s' impunta a voler essere
originale, passiamo dal mosaico al geroglifico, eh' è tutto dire. Ci
fermeremmo qui se a meglio delineare il gruppo carducciano non
ci venisse in mente un tentativo oscuro ma notevole e insieme ori-
ginale, cioè il primo ed unico saggio di una rappresentazione sce-
nica in esametri barbari, saggio offertoci ben dieci anni fa da
Annibale Fasiani nelle sue Scene romane dal titolo Lucilla {'), nelle
quali il metro elegiaco antico si mostra e si atteggia con più vigo-
roso rilievo che in tanta barbarie ritmica di molti e assai meno
(*) Genova — Stabilimento tipografico genovese — Piazza S. Giorgio N. 33,
1889. —
454
ignoti imitatori. Un altro novo e più originale tentativo fu quello
di Cesare Pascarella che si provò con vero ardimento a sollevare
il dialetto romanesco nativo a rappresentazione intentata col suo
celeljre poemetto Villa Gloria (*), nel quale ci rese co' più vivi co-
lori epici e come in altorilievo uno de' più eroici episodi del Risor-
gimento italiano. E del periodo sommarughiano ricordiamo qui,
quasi a compiere i contorni della bella scuola carducciana, questi
altri pochi, già fedeli compagni del d'Annunzio: Edoardo Scarfoglio,
de' cui Papaveri il Carducci scrisse che ve .n' ha di fioriti bene;
Giulio Salvadori, il più serio e studioso della brigata; Cesario Testa,
l'arguto e simpatico Papiliunculus\ Uyo Fleres, che spesso spesso
nel verso, nel romanzo, nella novella e nella critica d' arte ci fa
risentire gli echi o rinnovare i ricordi di quel goliardico e ameno
convegno di cultura e di arte, pieno troppo di strepiti forse ma
tutto ardente di gioventù e di liete promesse: tranne quest'ultimo,
gli altri si tacciono da un pezzo come poeti, poiché d'essi chi è
distratto dal giornalismo pugnace, chi dalla burocrazia e chi dal-
l' insegnamento. Un po' di quella brigata, ma con poca o nessuna
influenza carducciana, fu Giuseppe Mantica, giovine di arguto e
acuto ingegno, di varia e larga cultura, di ricca fantasia e di vivo
spirito meridionale. Egli è calabrese, anzi reggino, e della sua regione
di cui furon lulia e Padula e a cui appartiene il nostro Mileìli,
reca ne' versi e nelle prose, se non sempre l'impeto e la forza,
certo la freschezza delle imagini e de' sentimenti nelle più native
e spontanee sue composizioni. E" critico, traduttore, poeta, roman-
ziere, e , fra tante altre cose, ci ha dato Lo Scanderheij , poema
tutto pieno di vita e di umorismo. Le rime gaie, A me i bimbi, La
coda della gatta, la versione del Geistercher dello Schiller, e più
altre traduzioni da Heiìie, da Goethe da Holdalin. Ultimamente
ci ha dato il Figurinaio, bellissimo saggio di prosa umoristica.
Scrive anche cose amene e gaie per la fanciullezza, e con facile
e pronto intuito passa dagli argomenti più gravi a' più tenui o gio-
cosi, mostrando sempre quel fine e signorile umorismo ch'è il pregio
migliore delle cose sue più belle. Se le cure non lievi dell' uflìcio
non lo distraessero troppo, saprebbe darci ancora di più. Dovrei
discorrere ancora di altri; ma, a voler parlare di tutti, troppo ci
vorrebbe, e poi non ci sarebbe nò il bisogno ne 1' opportunità. \d
ogni modo bastano questi pochi, che in effetto sono i più nominati,
addarci i lineamenti e i contorni dello svolgimento lirico nella ge-
*) Roma — Forzarli, 1SS6.
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455
nerazione sorta tra il "50 e il "70. Intanto diamo qui di passaggio
un brevissimo elenco di altri nomi: Corrado Corradini, autore di
versi eleganti, di pregiate opere critiche e di applaudite conferenze;
Fernando Fontana^ autore del Canto dell'Odio, scritto in risposta
al Canto delV Amore del Carducci, del Convento, ù.e\ie Nuove poesie,
di Hellenia moderna , di libretti per musica e ballo e di note
commedie anche in dialetto; Arturo Colautti, autore di versi e prose
scintillanti di verve ma di forme troppo audaci e bizzarre; Giorgio
Stia velli autore del Serraglio e di Dogali: Edouì-do Boìier, autore
di versi e prose e versioni di grave ma un po' troppo rigido
contenuto forse derivatogli dalle letterature nordiche in cui è
molto versato ; Guido Menasci, autore di notevoli versi italiani e
francesi e di pregiate opere critiche su argomenti di letteratura stra-
niera; Angelo Orvieto, autore della Sposa mistica e d' altri versi;
Renato Fucini, autore di fresche e vive poesie dialettali toscane;
Gerolamo Ragusa - Moleti, autore di prose e versi ricchi di fan-
tasia e di originale e spesso sbrigliata invenzione; Edmondo De
Amicis, che pur non uscendo dalla ridondante sonorità della vec-
chia abitudine arcadica, reca qualche volta anche nelle rime il
colorito, il lume e il sentimento delle bellissin^e sue prose; e in fine
a dar come un assaggio de' vari e curiosi passaggi che fa la poesia
recente dall' agile vena di alcuni buoni o mediocri verseggiatori al-
l' imparaticcio scolastico od accademico, fra vecchi e fra giovani,
fra uomini di scienza e di lettere, fra insegnanti, giornalisti, dram-
maturghi, filologi od anche pedagoghi, eccone qui un' altra serqua:
Achille Torelli, Francesco Prudenzano, Francesco Trevisan, Pier
Enena Guarniero, RatfasUo Giovagnoli, Augusto Berta, Oscar Pio,
Cosimo Bertacchi, Mario Pilo, Ferruccio P^izzatti, Giuseppe Finzi,
Vincenzo Morello, Luigi Conforti, Ettore Strinati, Diego Garoglio,
Pietro Mastri, Luigi Grilli, Ettore Sanfelice, Nicola Marchese, Guido
Chialvo, Cesare Ugo Posocco ecc. ecc. A ripensare un po' molti e
molti versi di questi verseggiatori mi rifiorisce in mente la nota
terzina dantesca del canto XIII dell' Inferno:
Non fiondi verdi, ma di color losco;
Non rami schietti, ma nodosi e involti;
Non pomi v'eran, ma stecchi con tosco.
Ahimè! — E pure di recente due egregi scrittori, l'uno poeta e
critico e l'altro poeta e romanziere, Arturo Graf e Luigi Capuana,
han tenuto a battesimo di gloria e di poesia due giovani, Giovanni
Cena e Antonio rfa.'to Porto. Voglia il cielo che questo battesimo ci
schiuda alfine fra tante steppe un rivolo anche tenue di poesia vera
e non artificiosa.
456
Ecco intanto un ultimo gruppo: ò un gruppo d'oscuri clie a di-
spetto di tanta [loesia simbolica e saccente e grinzosa, vo' ricordare
alla flne di questo mio volume, già troppo grosso si che io mi di-
lunghi a presentare molti altri. Son essi Auc/usf.o Serena, Guglielmo
Capitelli. Gaetano Panhianco, Giuseppe Gigli e Vincenzo Marano
Attanasio, i quali indicano tendenze o leggerezze diverse.
Più veramente poeta è Augusto Serena, un giovine che il vario
e acutissimo ingegno esercita largamente cosi nel vasto campo della
dottrina filologica e critica come in quello, assai piii geniale e con-
sentaneo alle sue facoltà, della poesia, che gli si move agilissima e
fresca da ogni contenuto della vita, da ogni spiraglio delle impres-
sioni affettive e delle fantasticlie. È anch' egli uno di quelli in cui
lo studio troppo riflesso della critica sperimentale ed erudita nuoce
assai alle potenze creative che non vogliono esser troppo, lo ripe-
tiamo, tormentate dallo studio e. peggio, dalla ricerca polverosa. É
autore di parecchi saggi critici e storici ne' quali porta anche un
po' della sua poesia e un molto vivido lume di analisi estetica, come,
per citarne alcuni, le illustrazioni o ricerche sulla nativa Monte-
belluna, su le Rime a stampa di Francesco Va7ino:zo da Voipago,
sul Parini. su Giuseppe Revere e altrettanti argomenti. 11 primo
suo libro di versi è quello intitolato Sogni buoni, a cui seguirono
le Epistole, le Rime nuove, le Fantasie vespertine; e da per tutto,
in ogni argomento, e quasi in ogni genere di lirica, ei mostra faci-
lità volubilità varietà d' ispirazione e di vena, e a un tempo un
certo tepore di forme classiche quasi sempre bene assimilate. A
darne in complesso e assai brevemente un più determinato e im-
parziale giudizio, diremo qui ciò che qualche anno fa scrivemmo
altrove. — Il Serena ha dalla natura e dagli studi tutto quello che
ci vuole a essere veramente poeta: dalla natura, la pienezza del
canto, la ricca vena della ispirazione, la pronta e viva facilità delle
trovate; e dagli studi, la spirale movenza e fiessibilità della strofe,
il largo possesso delle forme, la doviziosa agilità della espressione.
Tutto questo, s" intende, ne" componimenti migliori. Ha molto im-
parato da' classici, di cui rende tra linea e linea anclie quel che
non è bene rinnovare: ma più mostra seguire nel movimento della
imagine, e meglio nella frase, la intluenza i>otente e assorbente del
Carducci. La poesia è per lui talvolta, com' è tendenza di anime
assai nobilmente liriche, una tentatrice pericolosa: tutto che se gli
afìacci alla osservazione, cosi lo sterile o il minuto come il grande
e il molteplice, cosi la vista di un asino come quella di un gabel-
liere, ciò insomma che nella greggia materia del vero ha o non ha
la essenza virtuale della poesia affine al suo temperamento sen-
suale e fantastico: tutto codesto lo move non di rado a cercare fuori
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AUGUSTO SERENA
457
di se la vena del canto, clie non sempre gli spiccia vergine e imme-
diata. E lo noti, qua e là, in certo errar di parole e di ritmi, in
certi giri levigati di emistichi, in certi avvolgimenti ambiziosi di
strotì secondarie, a cui talvolta non risponde il guizzo della idea.
Ma quando trova in sé, non stuzzicata, l'ala della ispirazione, quando
un improvviso aspetto di luoghi gli cercano Tanima, allora egli ha
r arte forte, e fa scorrere ne" versi un getto d' immagini e un volo
di fantasie veramente liriche. Tutte le sue poesie son la rivelazione
di una balda gioventù di pensiero, e una lieta promessa dell' arte:
l'autore anche tra le imperfezioni mostra il progressivo divenire
dell'arte sua verso una più spiccata e personale fisonomia: egli
avanzando sempre, saprà finalmente raggiungerla. Ma forse gli è
necessario comprendere in più brevi spire un più raccolto raggio
di pensiero, meglio temperando l'ardenza del sentimento e l'eccesso
della fantasia colla plastica densità delle strofe e colla forte sobrietà
della linea.
Ad ogni modo, in tanto dilagare di barbarie nuova, il Serena
appartiene al solitario manipolo di quei pochi che intorno alla ro-
vere carducciana ci fan risentire ancora, su 1' innesto dell' antico
col nuovo, un'eco sincera dell'arte sana e vigorosa.
Il conte Guglielmo Capitelli è forse l'unico esempio in Italia di
un vecchio burocratico il quale è anche autore di ver.si, e di versi
non volgari, certo migliori di quelli manifatturati da tanti facili
istrioni della poesia molto più noti o celebrati di lui. Nato in Napoli
da Domenico, giureconsulto e patriotta venerando, il quale nel "48
fu presidente del Parlamento napoletano, continuò degnamente le
più belle tradizioni del suo casato; e, di fatti, nel 1860, non a pena
laureato in lettere e in legge, fu parte di quel manipolo di patrioti
che prepararono nel Mezzogiorno il risorgimento nazionale; e, con-
stituita la patria, occupò subito, e giovanissimo, le più alte e am-
bite cariche: fu prima consigliere comunale, a soli 22 anni, indi
Sindaco di Napoli a 26, e a 32 Prefetto del Regno. Di diplomatici
poeti abbiamo qualche altro esempio in Costantino Nigra, ma di
prefetti nessuno innanzi o dopo il Capitelli, il quale rimane in questo,
singolarissimo esempio in Italia. Tutt'i suoi versi in sul finire dello
scorso anno ei raccolse in un elegantissimo volume (ed. Le Mounier)
dal doppio titolo Erato-Humana, ma essi vennero prima già editi
in altre ediziopi anch' esse eleganti: segno questo che le cose del
Capitelli son lette in Italia; ma è torto della critica alta l'aver dis-
simulata la importanza di esse su cui troppo fugacemente si fermò o
non si fermò affatto, come doveva. E' ancora per questo ch'io qui amo
darne un cenno breve ma sufficiente. Il Capitelli è veramente un
poeta dell'anima e del sentimento: è un poeta della vita e insieme
458
del verso. Questa ricca raccolta di canti mostra in lui più qualità
veramente buone: agilità schietta d'invenzione, certo garbo e certo
profumo di eleganza cosi nella parola come nel pensiero, gentilezza
e castigatezza squisite di affetti e di sensi, onda melodiosa e ridon-
dante di ritmo, largo cedevole scorrente, come il romoroso e vo-
luttuoso eloquio del suo popolo. La sua i^oesia in generale mi
ricorda quella, un po' troppo diffusa un po' troppo piena e anche
un po' troppo accademica, de' nostri padri, cioè di quelli che, tra
la scuola e la rivoluzione , levavano alto la voce contro i vecchi
tiranni: mi ricorda anche quella de' nostri padri retori, forse un
po' più orecchianti che artisti, che amavan troppo il discorso togato
e sonante e che amavano mostrarsi in dovizioso e quasi regale pa-
ludamento. Sonava troppo quel verso come suona ti'oppo il verso
del Capitelli, il quale però non di rado è animato da un vivo soflio
di creazione veramente geniale. Al Capitelli manca, non l'ingegno,
ma il tempo di far poesia veramente artista, elaborata, finita,- ciò
non ostante quella che ci dà è naturalmente vera, schietta, mor-
morante, onde la venne lodata da Matilde Serao, da Rocco De Zerbi,
da Ruggero Bonghi, da Felice Cavallotti, da Giuseppe Giacosa, da
Gabriele D' Annunzio, da Giovanni Marradi, da Guido Mazzoni, da
Tommaso Cannizzaro, da iMario Rapisardi. Questi nomi mi dispen-
sano dal dire altro.
Parliamo ora di un poeta che in un remoto paese degli Abruzzi
(Loreto Aprutino in provincia di Teramo) consacra alle muse e alla
famiglia l'animo e l'ingegno, quasi incurioso del gridio assordante
delle cricche letterarie tanto sollecite di lodi venali a verseggiatori
mediocri od impuri. E questi Gaetano Panhianco , un giovine che
sorti da natura una facile vena d' inspirazioni e di fantasmi, e che
con esempio non certo comune ha saputo in essi infondere una
fresca e consolante fragranza di affetti intimi e dolci, di sensi cor-
diali e delicati, che han spesso radice ne' puri e soavi ricordi di
famiglia. L'autore fin da' primi tentativi mostra buoni studi classici,
de" quali non è orma in molti de' nostri anche lodati; e ci è con-
forto il venire notando come 1' armonia che prima procede un po'
brusca e discorde, sempre più acquisti di motivo in motivo un'onda
più snella e corrente di ritmo; e come, quanto più il poeta si ap-
pressi alle scerete gioie domestiche, più libera e spesso gemente
gli spicci la vena. Ha in più anni pubblicato i seguenti volumetti:
Primi versi; Canti lirici; la Amaritudine; Cuor di padre; Alcune
elegie di Alhio Tibullo voltate in distici italiani, ecc. — Giova integrar
meglio il giudizio intorno a tutta 1' opera lirica di lui. Ecco: egli è
nato poeta, cioè ha genialmente sortito da natura la potenza incon-
scia di trasfigurare in fantasma il reale percepito, ma troppo ei si
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459
piace immergerlo in quell'onda azz.urra, sovrasensibile, eterea in che
lia radice il fantastico e il sentimentale; il perchè, oltre quello che
è canto, etere, volo, poco avanza alla determinatezza plastica, intima,
piena della rappresentazione artist'ca. E quando «li viene dal naturale
suo la facilità di quell'abbandono e di quel quasi vellicamento de'
sensi e delle facoltà, verso quella plaga superiore entro la quale
nuota ed annega l'anima umana quando è vinta dalla dolce infinita
malia de* fantasmi, ei non cura l'ermar con V arte netto e distinto
il contorno del quadro.
Onde carezza fantasie per enumerazion(!, aspetti e scene che
s'inseguono ratte, linee fuggenti, profili e ombre che talora appan-
nano 0 scolorano 1" unità piena d' un intimo svolgimento. Anche
inchina al patetico, anzi è questa la prima radice di tutte le sue
inspirazioni; ma non osa rendere a tratti rapidi e bruschi il dolore
che sanguina, sì quello che gli risponde con un gemito che consoia,
con la molle voluttà di quel sentimentale che è come un soave
strazio di che 1' anima struggendo sé stessa troppo si piace: a lui
ridono sempre le lucide linfe onde emergono fantasie soavi che son
poi singhiozzi di anime in pena, ma che non lasciano durevole come
la lusinga di quell'abbandono ritmico un solco profondo nell'anima.
Veramente ei qualche volta brancica una lama luccicante come per
insorgere, ma tosto ritorna al suo sospiro. — Nella forma è sempre
corretto se non sempre proprio ed elegante, e, all'infuori di alcuni
spacchi di dizione o rotture di periodi o d' incisi, la lingua e la
sintassi procedono regolarmente, né mancano qua e là buone prove
di coltura classica, che non dispiace mai quando non si regge sol-
tanto su poco opportune reminiscenze o poveri trucioli non voluti
lasciar via alla relorica pialla. — Ancora: nello stile gli è forse
necessario infondere qualche varietà per liberarlo da ogni monotonia:
come pure certe imagini come appiccicate deono dar luogo alla de-
terminatezza classica della linea e alla compiuta euritmia delle parti
e de' contorni. Ed è pure desiderabile che alla sua tavolozza si
aggiunga altro colore, il color vivo e risentito eh' è una parte si
larga della rappresentazione. Ma intanto è da notare fra altre qualità
buone quella quasi lusinga mormorante di verso che scorre pe' tasti
delle ottave, delle quartine e di altri metri, e insieme quello spirito
rinfrescatore che placido e melodioso rende in più luoghi il fremito
interno con una mentita quiete elegiaca, che finirà di piacere inte-
l'amente ov'essa verrà di tanto in tanto variata ma non turbata da
maggior forza di sentimento. E una consolante serenità e certa
blanda melodia di strofe è il pregio maggiore specialmente degli
ultimi canti. Questo pregio e altri molti da noi detti, e specialmente
quello di saper maneggiare con maestria i metri diversi e in par-
460
ticolare l'ottava e il distico, non son poca cosa nella lirica elegiaca
di Gaetano Panbianco, che in tutte queste sue prove, alle quali
certo altre seguiranno di gran lunga migliori, ha saputo darci un
esempio di poesia, sincera, affettuosa, di vena, e in più luoghi in-
timamente e originalmente elegiaca, quando cioè e' rende gli affetti
e i dolori di famiglia come pochissimi de' nostri sanno: una poesia,
ripeto, nobile e sovente inspirata, che l'arte poi saprà senza dubbio
compiere e perfezionare.
Giuseppe Gigli è un altro giovine che con un vario assortimento
di libri — poesie, romanzi, studi di critica letteraria e storica, con-
ferenze, ecc. — , ci ha dato finora saggi notevoli 0 abbastanza lodati.
Egli è soprattutto un aìitodidattico. e, di fatti, deve a sé solo e alla
costante sua operosità tutto quello che nel corso di piii anni ha
quasi senza interruzione prodotto. È autore di piii libri, fra' quali
citiamo i seguenti: Scrittori manduriani: Superstizioni, pregiudizi
e tradizioni in terra d." Otranto: Atti de' solenni parentali di Luigi
avelli; Rime: Satana innamorato: Le Sorelle, romanzo. Paolo
Bourget, che fu suo ospite nella nativa Manduria (Lecce^, lo nomina
e loda nelle Sensations d.' Italie. Come poeta, egli non mostra certo
ne originalità nò impeto e forza d'imagini e di sentimenti, ma piace
tuttavia per un che di tenero e di voluttuoso che spira ne' tenui
contorni delle sue liriche amorose e gentili: gli affetti ha puri e
carezzevolmente soavi, delicate tutte le impressioni della natura
che a lui risponde con un sorriso blando come di fanciulla vereconda,
pacata la invenzione che ha piccoli voli ma franchi e sicuri, e infine
un temperamento mite, affettuoso, molle 0 quasi femmineo. E con
tutto questo ei sa rendere con molta sincerità e con candida fre-
schezza quel breve lembo di cielo e quell'ameno angolo di terra che
meglio arride al suo cuore, e lo rende anche con trepido abbandono
dell' anima, con accorato sospiro, con vaghezza d' imagini lievi e
sfumanti. Ma l'autore pur volle cimentarsi a una prova assai difficile
col Satana innamorato che ricordo esser piaciuto tanto al Barrili.
Ma non mi pare gli sia veramente riuscito il tentativo, sia perchè
questo eterno prototipo di poesia fu già da troppi insigni poeti
levato alla maggior perfezione, e quindi esaurito; sia perchè manca
alla concezione del nostro cosi 1' epico delle forme e specialmente
della verseggiatura sciolta assai manchevole quando non addirittura
prosastica, come la sapiente e organica mistura tra la sostanza leg-
gendaria antica e quella psicologica contemporanea, se pur da essa
potrà mai la poesia recente derivare il meraviglioso della epopea
antica. Potrà il Gigli esercitare l' ingegno suo nel genere lirico e
specialmente nell' elegiaco, come spesso ha fatto non senza alcun
vantaggio delle facoltà sue e dell'arte.
461
Nominiamo in fine Vincenzo Mai-ano Attanasio che mi piace
presentare a' lettori anche per alcune doti veramente caratteristiche
o curiose. È un siciliano di precoce e versatile operosità. Nato in
Acireale nel 1872, ben presto ei volse 1" animo e 1" ingegno a più
cose diverse, onde riuscì insieme giornalista, polemista, poeta, no-
velliere , romanziere. A 18 anni diresse in Acireale un vecchio
giornale settimanale, politico e amministrativo, X« Patria: a venti,
pubblicò un primo volume di versi. Foglie appassite: nel 1894 ritornò
al giornalismo, suo primo amore, dirigendo una rivista quindicinale
di lettere ed arti, dal titolo Pensiero ed arte; ne' primi del ""95
ritornò poeta, e pubblicò in R,oma un secondo volume di versi.
Fiori sparsi; tra il "96 e il '"97 diresse il « Corriere della Domenica »,
periodico settimanale illustrato della casa Ferino; nel "97 cominciò
romanziere con un romanzo psicologico illustrato, dal titolo Perduto;
nel "98 pubblicò un terzo volume di versi , Istantanee, e da tre
anni dirige in Roma II Gran Mondo, una bella rivista mondana,
illustrata a colori: nel l" giugno 1899, come a premio di tante fatiche,
fu insignito della onorificenza di Cavaliere della Corona, d' Italia.
È questo un vero inventario di pubblicazioni le quali provano a
Ijunlo quella precoce versatilità di cui dissi più innanzi, congiunta
a quella esuberante pienezza dell'indole meridionale ma più special-
mente siciliana, forza e difetto di tutte le cose sue.
Il nostro autore, sia dal giornalismo che tanto seduce Tanimo
e turba l'ingegno de" giovani, sia dalla celerità del molteplice lavoro,
trasse una certa incuria dello scrivere e del concepire, incuria che
egli ha comune con quasi tutti gli scrittori giovanissimi. Non che
gli manchi la preparazione che nelle sue prose particolarmente mi
semVjra assai buona, ma la temperante pazienza del correggere e
dell" aspettare: lo studio costante della lima insomma e quello de"
più sani modelli non mi pare che lo guidino sempre alla perfezione;
egli, dunque, ha vaghezza di far presto e di far troppo. Ed è peccato,
poiché trovo nelle sue composizioni tant' agilità di pensiero, tanta
freschezza d'inspirazioni, tanti tratti di vera arte, che potrebbe
riuscir meglio di molti a trovar bene la sua via e a superarla, non
di scorcio 0 a salti, ma con lena vigorosa e con sobria misura degli
effetti più durevolmente artistici. La fantasia egli ha veramente
poco fulgida e calda; non ricca la vena, ne sempre immediata; non
agile r ispirazione , né varia ; non piena 1' armonia , ne colorita e
raccolta. Il contenuto è tenue , troppo tenue forse ; la passione è
sincera, ma senza impeti: ha invece una semplicità di linea e una
limpidezza d' imagini che non è di tutti: spesso rivela qualche tic
di originalità, con la prontezza delle trovate e la purezza del motivo.'
ha infine più d'una volta la parsimonia della elocuzione e la euritmia
462
del disegno: non ambizione, non avventataggine, non ricercatezza
di parole, di colori, di numero. Così la sua poesia come la sua prosa
non hanno, si può dire, sentore di artificio e di nebulosità; e questo,
oggi, è un pregio assai notevole ne' giovani. Non so veramente se
il novo ufficio che ha nel Ministero delle Poste gli possa concedere
ozi suillcienti a far dell'arte; certo è dotato di un' attività maravi-
gliosa, onde potrà di leggieri correggersi, allargarsi, tentare, riuscire:
noi lo auguriamo a lui e insieme all'arte.
Questi gli oscuri, che fin da principio ho nominato cosi perchè
non sono messi troppo in vista da' clamori della piazza, e di cui,
senza far torto a tanti miglioi'i già ricordati da altri , ho voluto
dare qui un piccolo ricordo, poiché è pur debito del critico trarre
al sole pur tra' ginepri di un campo selvatico 0 incolto qual-
che margheritina degna di appartenere alla ricca ghirlanda della
bellezza.
Già vedemmo che dal '30 al '70 le tre forme , la classica, la
romantica mista e la romantica patriottica, influirono su 1' animo
e sulle facoltà della precedente generazione; anzi spesso si mesco-
larono insieme, e, pur attirando ciascuna entro il nativo confine i
poeti disposti più all'una che all'altra forma, riescirono a comporre
un quasi eteroclito individualismo poetico. Onde tutti sono sempre
un po' pagani, un po' classici, un po' rossettiani, un po' pratiani,
un po' manzoniani, e cosi via. In nessuno di essi spicca limpida e
distinta un' evoluzione organica: accolsero di qua, raccattarono di
là, e diedero primi 1' esempio di quello che può essere una poesia
senza un sicuro e concorde indirizzo d'arte e di scuola.
E questo esempio è pur quello che ha imitatori in quasi tutti i
poeti della seconda generazione, i quali, appunto perchè liberi di
sé, guastano e dilagano anarchicamente, secondo 1' umore e il ca-
priccio, tutte le forme e tutti i generi; ma , ali 'infuori dell' eletto
manipolo carducciano, scrivono senza nessun freno d'arte e senza nes-
suna educazione letteraria. Forse avremo colla fine del secolo anche
la fine de' tre scadimenti: il classico, il romantico misto e il roman-
tico patriottico; e su le loro ceneri è bene almeno augurarsi rimanga
l'ultimo e definitivo svolgimento della lirica carducciana e della re-
lativa scuola, ma con più aereata semplicità ed unità di forme, con
maggiore e decisiva concordia d'indirizzo, con quella sofrosine clas-
sica cKò, come dice il Carducci, non pure presentimento , nato do,
asinità, del hello classico, ina vera affinità elettiva con quello spirito
463
d'intelligente e discreta lìroporzione in tutte le cose che è l'essenza
fondamentale di esso bello. (') Altrove il medesimo critico scrive:
Ella (l'Italia) sarebbe chiaìuata a trovare la sofrosine classica delle
letterature surte e rinnovate dalla rivoluzione (**). E in questa com-
piuta forma organica definitiva speriamo di veder riflessa la più alta
lirica dell'avvenire, compenetrata di tutte le passioni e di tutte le
idealità presenti.
(*) Carducci. Discor;i letterari e storici, p. 114. Bologna, Zanichelli, 1889.
(") Id. Opera citata, p. 318.
INDICE DE' CAPII OLI
Dedica Pag. 5
Ai lettori » VII-XVI
LIBRO I.
Cap. I. — Proso, contemporanea (Prima com-
posizione, anno 1885; ultima pub-
blicazione nella rivista Lettere ed
Arti di Bologna, anno II. n. 40.
18 ottobre 1890 .... Pag. 8-17
» II. — Per l'avvenire del Teatro Nazionale
(pubb. nella Scena Illustrata di Fi-
renze, anno xxviii, n. 23,, 1. decem-
bre 1892) . , . . . . » 18-26
» III. — Novelle [(Prima composizione, anno
1880; ricorretta e pubblicata nella
Napoli Letterario, del 15 maggio
1887, n. 19, anno iv. (nuova serie)] » 27 - 35
» IV. — L'Arte ninore (Prima composizione,
anno 1880; rifatta e pubblicata nella
Scena Illustrata, anno xxxi num. 4,
15 febb. 1895) » 36-42
» V. — Lingua corrente e letteratura sta-
gnante ( Pubb. nella Rassegno,
Scolastica di Firenze, anno ii, fase.
VI, 16 dicembre 1896) . . . » 43-48
» VI. — Vecchi e novi retori. — I prodighi
e gli avari- (Imparaticcio del 1877,
ricorretto e pubb. nella Scena, Illu-
strata, anno xxix num. 3, 1. febb.
1893) » 49-51
* VII. — Alla, ricerca de' novi microbi colerici
(Imparaticcio del 1878, ricorretto e
pubblicato nella Scena Illustrata,
anno XXIX, num. 2, 15 gennaio 1893) » 52-56
466
Cap. Vili. — Sta lìi'pa periodica (Dal giornale Sbe,
che si pubblicava a Loreto- Apru-
tino\ anno 1. 1 giugno 1896) . . Pag. 57-63
> IX. — Del metodo storico - evolutivo nella
Critica Letteraria (Dalla Rivista di
Filosofìa Scientifica di Milano ,
anno vi, voi. vi, gennaio 1887). . » 64-87
». X. — E' morta, o è viva? (Dalla Rassegna
Scolastica, anno 2, fase, xa^ii, 16
giugno 1897 ) » 88-92
s> XI. — Letteratura Domenicale — Ricordi
di un brontolone (Dalla Scena Il-
lustrata, fascicoli del 1. e 15 agosto
e del 1. sett. del 1892) ...» 93-116
s> XII. — U Reale nell'Arte (Dal Pensiero Ita-
liano di Milano, anno vii, aprile
1897) » 117-132
LIBRO II.
» XIII. — L' ultimo romando del Gnerrazti
(Prima composizione, anno 1886;
prima pubb. nel Pensiero de' gio-
vani di Campobasso, anno ni, nu-
mero 5, 16 aprile 1888) ...» 133-139
j> XIV. — Dalle Juvenilia alle Terze Odi Bar-
bare {Fvhmmento di un lungo studio
accomodato poi con più ritocchi ed
emendamenti per un articolo ve-
nuto la prima volta in luce nella
Vita \uova di Firenze, anno ii,
n- 23, 8 giugno 1890) ...» 140-148
» XV. — Rime Nuove { Composto su vecchi
materiali il 1881, ma poi rifatto e
pubblicato nel Pensiero de' giovani
anno ii. n. 15, 7 agosto 1887) . » 149-162:
» XVI. — Vita di Giosuè Carducci ( Fu com-
p('Sta espressamente pel volume il
gennaio del 1900) .... » 163-197
» XVII. — La (T?<e)Ta (Prima pubblicazione nel
Bios di Napoli, anno ii, n. 17, 21
febbraio 1892 » 198-205-
» XVIIl. — La chiesa di Polenta ( Dalla Scena
467
Illustrata, anno xxxiii, n. 22, 15 no-
vembre 1897) Pag. 206-212
€ap. XIX. — Rime e Ritmi {Bciììa. Scena Illustrata,
anno xxv, n. 8, 15 aprile 1899) . » 213-223
» XX. — Le Opere definitive di Giosuè Car-
ducci - Volumi ir, IH e iv (Dalla
Vita Nuova di Firenze, anno 11,
n. 14, 6 aprile 1890) ...» 224-234
» XXI. — Ferdinando 3/ar^wn - Biografia (In
parte inedita e in parte pubblicata
nel Dizionario ili. di Pedagogia;
ed. Vallardi) » 235-244
» XXII. — Giovanni Marradi (Prima composi-
zione, nel 1892; ultima composi-
zione definitiva pubblicata neir-4-
spasia di Bari, I. e 16 novem-
bre 1899) . . . . . . » 245-255
» XXIII. — 0 rinnovarsi, 0 morire ( In parte
nella Scena Illustrata, num. 4, 15
febbraio 1892; e in parte nel Bios
di Napoli, num. 8, 28 febb. 1892) » 266-274
» XXIV. — L' Innocente (Dalla Scena Illustrata
anno xxviii, n. 13-14, 1-15 luglio
1892) » 279-283
» XXV. — La Città morta ( Dalla Scena Il-
lustrata, anno xxxiv ( n. 61 ), 15
mar/o 1898) » 284-287
» XXVI. — La Gioconda ( Dalla Scena Illu-
strata, 1. febbraio 1899) . . » 288-292
» XXVII. — Luigi Pinelli ( Dal « Pensiero Ita-
liano » voi. XX, anno vii, maggio
1897 ) » 293-306
» XXVIIl. — Padre Agostino da Montefeltro —
(Prima composizione, nell'anno
1891; prima pubblicazione, nella
Scena del 1. aprile 1893) . . » 307-313
» XXIX. — Domenico Milelli — ( Dalla rivista
« Scienza e Diletto » di Cerignola,
24 dicembre 1899) ...» 314-320
» XXX. — Angelo Sommaruga, Ricordi d'Arte,
(Dalla Scena Illustrata del 15 marzo
1893, anno xxix, num. num. 6) . » 320A-H
468
LIBRO III.
Quelli che furono.
Capitolo I. — Rugtjiero Bongln ( Dal Diritto di
Roma, anno lxii, n. 317-18, 13-14
novembre 1895) .... Pag. 323-333
» II. — Giacomo Zanella (DàìVA-pìdia di San
Severo, 27 maggio 1888 . . » 334-336
5> III. — Felice Cavallotti ( Dal Foglietto di
Lucerà, n. 12, 13 marzo 1898) . » 337-340
» IV. — Gaetano Trezza ( Dal periodico Ebe
(li Loreto Aprutino, anno i, num. 3
1. luglio 1896: fu però coinposto il
il 29 ottobre 1892) .... » 341-346
» V. — Pietro Siciliani (DaAVAvvenire edu-
cativo di Palermo, 15 nov. 1888; '
ed. R. Sandron) .... » 347-350
» VI. — Andrea AngiuUi (DM' Avrenire edu-
cativo, ecc, 15 otiobre 1890) . » 351-357
» VII. — Diego Vitrioli (Dalla Biblioteca delle
Scuole Italiane, dir. Pinzi, Verona,
16 giugno 1890) .... » 358-362
» VIII. — Enrico Nencioni ( Dalla scena Illu-
strata, 15 settembre 1896 . . » 363-368
» IX. — Michele Lessona (Dalla Scena Illu-
strata, 15 settembre 1894) . . » 369-373
» X. — Pietro Sbarbaro (Dalla Tavola Ro-
tonda di Napoli, 25 decembre "93-
1. gennaio "94} .... » 374-378
LIBRO IV.
Capitolo I. — La donna nella musica e nella poe-
sia (Fu prima una breve confe-
renza pubblicata dalla Scena Illu-
strata del 1. ottobre 1896; ma con
molti ritocchi e con aggiunte il
lavoro è stato quasi interamente
rifatto per questo volume) . . » 381-391
» II. — Le tradizioni classiche nella prosa
de' critici contemporanei ( Questo
studio, qui in gran parte rifatto,
469
venne prima in luce, sotto il titolo
« Critici e prosatori », nel Pensiero
Italiano di Milano, fascicoli xix e
XX (luglio-agosto 1882; ma la pri-
ma composizione risale al 1880) . Pag. 392-407
Capitolo III. — L'Arte della prosa nella filologia e
nella critica contemporanea (Questo
e i seguenti studi furono espres-
samente composti 0 rimaneggiati
pel volume, e l'assoluta mancanza
di spazio e di tempo ha impedito
all' autore di far quello che pure
avrebbe potuto e voluto) . . » 408-416
» IV. — L'Arte della Prosa nel bozzetto, nella
novella e nel roìuanzo ...» 417-418
» V. — Filosofi e prosatori . . . . r> 429-437
» VI. — La lirica di due generazioni nel
secolo che muore (Fu solo in parte
pubblicato dalla Scena Illustrata
ne' fascicoli del 1 febbr.-15 marzo
1896: vien qui ripubblicato con
molti emendamenti e con moltis-
sime aggiunte) .... » 438-463
■iliH
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