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Full text of "Proverbi italiani : ordinati e illustrati"

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PROVERBI ITALIANI 



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PROVERBI ITALIANI 

>y' ORDINATI E ILLUSTRATI 



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ii 



DA 



FRANCESCO D'AMBRA 




PIEENZE 

ADEIANO BALANI, EDITORE 

Via S. Niccolò, 102 

1886 



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Proprietà UUeraria, 



Avvertimento deir Editore 



I proverbi in generale, nati spon- 
taneamente sulle labbra del popolo, con- 
tengono tutti una profonda sapienza 
morale e civile, e sono, come è stato 
detto, un manuale di prudenza pratica. 
Infatti la cura dello stato, della fami- 
glia e della persona, T agricoltura, P in- 
dustria, P amore, il matrimonio, tutti i 
casi insomma che riguardano la vita 
pubblica e privata trovano in essi più 
di un utile insegnamento. 

Mi parve quindi che un volume, che 
li raccogliesse nel loro maggior numero, 
e componesse in belP insieme le loro 
mille varietà, dovesse riuscire graditis- 
simo al pubblico. 

In questo, compilato dal sig. Fran- 
cesco D' Ambra, è dato amplissimo luogo 



6 

non solo ai proverbi della provincia to- 
scana ma anche a quelli che son propri 
di tutta l'Italia, perchè tutti i lettori Ita- 
liani ne ricavassero diletto ed utilità. 

La raccolta si divide in diverse 
categorie, ad ognuna delle quali è pre- 
posta la definizione dei titoli o dei sog- 
getti a cui i proverbi si riferiscono : e 
a ciascun proverbio che non sia troppo- 
evidente, che abbia un' origine lontana 
poco noia» fa seguito una breve spie- 
gazione o illustrazione. 

Come il compilatore non risparmiò 
cure e fatiche perchè l' opera rispondesse 
al suo fine, così io cercai con ogni mio 
potere che questo nuovo volume riu- 
scisse tale da contentare il lettore sia 
per la nitidezza dei tipi come per la cor- 
rezione del testo. 

ADRIANO SALANI 



PROYERBI ITALIANI 



SENTENZE GENERALI. 

Sentenza : Motto breve e arguto, approvato generalmente 
per vero, 

C3ii ha fatto il mondo, lo può mutare. 

Chi fa il carro lo sa disfare. 

Di chi sia padrone del fare o del disfare una cosa. 

Col nulla si fa nulla. 

Col tempo una foglia di gelso divien della seta. 

Di cosa nasce cosa, e il tempo la governa. 

Gli estremi si toccano. 

Il troppo e il troppo poco rompon la festa e il giuoco. 

U mondo di Noè gli è proprio l'arca, 
Di bestie assai, di pochi uomini carca. 

D mondo è bello perchè è vario. 
E si dice anche ironicamente : 
Dove sono uomini, è modo ; ovvero : 
Dove son uomini, ci son dei compensi. 

n fatto non si può disfare. 

Il tempo è galantuomo. 

n tempo passa, e porta via ogni cosa. 

n tempo vien per tutti. 

n tempo doma ogni cosa. 



In cent* anni e cento mesi, torna l'acqua ai suoi paesi. 

La lode propria puzza. 

L^anima a Dio^ il corpo alla terra e la roba a chi 

s'appartiene. 
Le lettere sono degli studiosi ; le ricchezze dei solleciti^ 

il mondo dei presuntuosi; e il paradiso dei divoti. 
Molte cose il tempo oui^a, che la ragion non sana, 
Non tutte le ciambelle rìescon col buco. 
Non fu mai si gran banchetto, che qualcuno non desi- 
nasse male. 
^el mondo c'è da viver per tutti. 
Né bollo nò buono fu mai troppo. 
Niun bene aenza male^ niun male senza bene. 
Ogni diritto ha il suo rovescio. 
Ogni pianta ha la sua radice. 
Ogni effettui ha la sua causa. 
Ogni cosa ha il suo colore. 
Ogni cosa è d'ogni anno, 

In og^nl tempo accadono le stesse cose. 
Ogni frutto vuol la sua stagione. 
Onde viene il peso del sale, colà ritorna. 

Cioè tutta le cose ritornano ai loro principi. 
Per proverbio dir si suole. 

Che tre cose il re non ha : 

Di mangiare il pan condito, 

Come noi, dall' appetito ; 

Di veder levare il sole, 

Di sentir la verità» 
Proverbio non i'alla, misura non cala, superbia non dura. 
Quando Iddio non vuole, i Santi non possono. 
Quando la pera è matura, casca da se. 
Questo mondo è fatto a scale, chi le scende e chi le 

sale. 
Quel che fu, non è. 



Quel che non è stato, può essere. 

Rispetti, dispetti e sospetti guastano il mondo. 

Tanto è darci vicin che non ci pórre. 

Tutti i fiumi corrono al mare. 

Un disordine ne fa cento. 

Uno non fa numero. 

Un fiore non fa ghirlanda. 

Una rondine non fa primavera. 

Voce di popolo, voce di Dio. 



SCHERZI E MOTTEGGI. 

Scherzi : detti o maniere di dire burlevoU ma per lo piii 

innocenti. 
Motteggi : detti o maniere di dire argute e mordaci, 

A far le corbellerie siamo sempre a tempo. 

Quando si teme di far cosa rischiosa non importa affret- 
taci; ma dar luogo alla ragione e al consiglio. 

A farsi canzonare non si perde nulla. 

Motto ironico che si butta in faccia a chi vuol fare una 
cosa dalla quale altri cerca distoglierlo. 

Anche i burlati mangiano. 

Si dice di coloro che danno a vedere di non tener conto 
delle canzonature. 

Chi non ha cura, ha ventura. 

In&tti bene spesso gli spensierati hanno miglior fortuna 
degli altri. 

Chi non ha letto e desco, mangi in terra e dorma al 

fresco. 
Chi ha il nèo e non lo vede, ha il buon anno e non 

lo crede : (o è bello e non lo crede). 

Chi vuol essere stimato, vada tra' rigattieri. 

È giuoco di parole contro chi si lamenta di esser tenuto 
in poco conto. 1 rigattieri sogliono stimare le ciarpe, 
la roba da poco prezzo. 



10 

Da medico indotto^ da carne biscotta e da male femmi- 

nej Libera noa. Domine. 
La poca fatica è sana, 

É ia scusa che adducono i poltroni. 
Sproni proprii e caYalli d'altri fanno corte le miglia. 

Perchè BL fanno galoppare senza riguardi. 
Tal pare de' Catnesecchìj che poi è de* Benciatà- 

Di un onagro che sia gaudente* È un giuoco di parole, 
che non iia alcuna derivazione storica. 

FRASI E MODI PROVÉRBIALL 

Frase proverbiale : unione di due o più voci che dannOt 
a mo^ di proìserÒiOf un significato compiuto^ ma per 
sé stante. 

Modo proverbiale : è anch' esso unione di due o più pa^ 
role le quali esprimono^ a guisa di proverbiOf in 
modo speciale un* idea, che però pi^ significarsi co-- 
Tnunemente in altra fQ7*ma, 

Abbracciar l'orso. 

Toccare T ultimo grado dell* ebrietà. Perchè T ubriaco con 
i suoi trabailanienti pare che pìgli e tenga V orso se- 
guendone ì movimenti scomposti ed irregolari* 

A baon intonditor poche parole* 

Addirizzare i gobbi. 

Comprar fìirtivamente roba minuta dai contadini, e segna- 
tamente dalle massaie, di nascosto a' capi di casa, od 
a* padroni, perché queste con quel guadagno possan far 
fronte a certe sp es ice i noie, rimediare a delle bue her elle, 
sofl disfare a certi capricci» 

Alla carlona. 

Vivere o far le cose alla carlona, vale ; farle grossolana- 
mente e quando e come pare e piace, ali* usanza di 
Cariane, che era, suppone il Biscioni, un uomo sciatto 
e trasandato al maggior segno. 

Al levar delle toode bì vedrà. 

È preso dalle milizie che, accampatesi anche quah amiche 
nelle altrui terre, non possono lasciar ohe danni* Però 
vale: a cosa terminata. 



11 

Amore di tarlo ; che rode i Crocifìssi. 

D' un falso affetto che offende o tormenta. 

Annegar sul lastricato. 

Trovarsi sopraffatto da piccolo impaccio ; perchè sul lastri- 
cato non ci può essere mai tanto fango da affogarci den- 
tro. Si dice anche : 

Affogare in un bicchier d'acqua — e: 

Morir di fame in una madia di pan caldo. 

Andare a gallina. 
Vale: morire. 

Andare alle Ballodole. 

Morire, e anche cadere in ruìna irrimediabile. 
Ballodole è luogo di Firenze, sotto Trespiano dov'è il 

camposanto, che in antico era proprio alle Ballodole. 

Questo modo però non è dei soli Fiorentini. 

Andare come la serpe all' incanto. 

Si adopra in cosa che si fa a malincuore e con sospetto. 
Dalla superstizione degli antichi i quali credettero che 
le serpi s' incantassero col cantò dell' uomo, e che ne 
crepassero per enfiamento di muscoli e di nervi. 

Andar coi pie di piombo. 

CJon circospezione. 

Appoggiar la labarda. 

Mangiare a spese, e in casa altrui. « Labarda, dice il Mi- 
nucci, intendiamo Ferraiuolo o Cappa, perchè in vece 
di quello la portano sulle spalle gli Alabardieri, i quali, 
in occasione d' avere a ire a tavola se ne spogliano, e 
appoggianla alla parete. » 

Avere il capo per bellezza. 

Essere senza cervello. 

Avere il diavolo nell'ampolle. 

Esser furbo matricolato. Derivato dalla credenza super- 
stiziosa agli stregoni e ciarlatani che, facendo vedere il 
diavolo in un' ampolla piena di un liquido e ivi galleg- 
giante, facevan credere al popolo che il diavolo andan- 
do in su e in giù fosse obbediente ai loro cenni. Di qui 
anche l'altro: 

Far vedere il diavolo nell' ampollina. 

Per ingannare, aggirare, allucinare. 



12 
Avere in corpo le BÌtille, 

Dicesi di chi, stralunati gli occhi, a guisa di pazzo e 
gesticolando, parla con enfasi e a mo' di profeta, come 
le sibille facevano. 

Aver la lancia di Monterappolì in mano. 

La quale pungeva da tutt' e due le parti. Si dice per si- 
gnificare che QUO è tra due fuochi, in una condizione 
brutta e priva di ecampo. 

Aver rarm© dei cinqne topi. 

È uno scherzo e vaie esser vecchio, perchè Tarme con 
cinque topi disegnati era dì Casa Vecchietti. 

Aver Tarme di Siena, 

Essere un gran mangiatore» Siena ha per arme una lupa, 
e la lupa divora. 

ATer paglia in Lecco, 

Aver qualche no tizia o promessa segreta, di cui opportu- 
namente uno si vale in qualche negozio. Forse dalla 
colomba che tornò alT arca di Noè con un ramoscello 
(V olivo. 

Aver tre pani per coppia. 

1)1 chi abbia molta sorte in qualche faccenda. 

Aver venduto i pesci. 

Essere sciocco o smemorato. Pesci sono stati detti pen- 
sieri delia mente. 

Baciare il chiavistello. 

Andarsene senza speranza di ritornare. 

Bene, bene ; e la mattina era morto. 

Di cosa che si dice o pare incominciata bene, e che al- 
l' improvviso va in maloi'a. 

Bussare a formica di sorbo. 

Essere, in bene o in male, ostinati. I formiconi di sorbo, 
che fanno la loro tana in queste piante magagnate, per 
quanto vi si dia sopra colla scure non ne escono, anzi 
Vi sì rimpiattano sempre piu^ tinche ne possano uscire 
senza pericolo. 

Caricarsi di legna verde. 

Pigliar brighe inutili, gatte a pelare, faccende fastidiose. 



13 

Carità di monna Candida, che biasciava i confetti ai 

malati; — o 

Carità pelosa. 

Dicesi di coloro che fingendo di giovarq agli altri servono 
all'utile proprio. 

Carta canta e villan dorme. 

Canta, parla, attesta chiaramente. Si dice quando in un 
affare siamo sicuri del conto nostro. 

Cavar di seno e mettere in grembo. 

Dicesi quando si dà del nostro a' parenti per aiutarli. 

Cavar il granchio dalla buca. 

Cenare, o stare, in Apolline. 

Stare a un lautissimo pranzo. Apolline era una delle pìd 
sontuose stanze di LucuUo, famoso per le sue cene. 
Quando egli cenava in questa stanza, spendevasi cin- 
quantamila drammi. 

Chi così vuole, così abbia. 

Quando uno si ostina a voler cosa che gli nuoce. 

Chi non muor, Bi^rivede. 

Si suol dire a chi si incontri dopo molto tempo o a chi 
ci abbia diradato lo visite, e a un tratto si rifaccia vivo 
con noi. 

Chi resta addietro, serri V uscio. 

Chi si sente scottare, tiri a se i piedi. 

Di una parola che altri ferisca. 

Chi si vuol bene si rincontra. 

Come disse la botta all'erpice. 

Dicesi contro qualche briccone o noióso che ci si veda le- 
varsi d' intorno. È favola che la botta essendole passata 
sopra un contadino con 1* erpica gli dicesse : senza ri- 
tomol 

Come i ciechi di Bologna, 

Si dava ad essi un soldo per farli cantare, ma ce ne vo- 
levano due per farli smettere. Dicesi dei ciarloni che 
non la finiscono mai. 

Confortare i cani all'erta. 

Invitare gli altri alla fatica, a lavori e a privazioni per 
risparmiare se stessi. 



Cosi non canta Giorgio. 

« Cosi non dico io; > e s'appropria a quelli che astuta- 
mente si cavano dagl' impicci, fanno k viste di non in- 
tendere, e non convengono alle altrui suggestioni. 

Dare in ciampanelle. 

Dire fkré cose strane' e sciocchissime. 
Dar la benedizione coi piedi. 

Morire impiccato. 

Dar la Berta, e anche: 

Dar la madre d'Orlando (che chiamavasi Berta). 

Canzonare» cucaliare, censurare. 
Dar l'erba cassia. 

Licenziare, mandar via. 
Dar le frutta di frate Alberigo. 

Tradire, assassinare, aggredire a morte. 

Frate Alberigo dell' ordine dei Cavalieri Gaudenti, reso 
terribilmente infame da Dante nel XXXIIL^ Canto del- 
l' Inferno, 

Darsi gì' impacci del Rosso. 

Prendere e far cosa che non ci spelta. 
Darsi il piacere del Magnolino. 

Magnolino dava volentieri da mangiare agli altri, ed egli 
digiuno stava a vedere. Però il proverbio significa pi- 
gliarsi soddisfazioni da grulli. 

Date da bere al prete, il cherico gli ha sete. 

Si dice quando alcuno domanda per altri ciò di cui egli 
pure spera o ha intenzione di approfittarsi. 

Dio ci mandi male che ben ci metta. 

Anche una sciagura può esser cagione di bene. 

Di qui a poco non c'è molto. 

Agr insofferenti d'aspettare quand'anche sia per breve 
tempo. 

Dov'è la buca è il granchio. 

Diceai di cose che ordinariamente non vanno disgiunte. 
E'faran la Bibbia insieme. 

Si usa dire quando un vecchio sposa una giovane, o un 
giovane sposa una vecchia, alludendo al Vecchio, e Nuo- 
vo Testamento di cui la Bibbia si compone. 



15 
È come l'ancora, che sta sempre nel mare, e non im- 
para a nuotare. 
È il soccorso di Pisa (o di Messina). 

Di chi indugiando ad aiutare altri in una necessità non 
arriva a tempo. 

È meglio perderli che acquistarli. 

Intendi: gli amici falsi e i conoscenti importuni. 
Esser badessa di Passìgnano. 

Di persona vecchia, appassita. 

Esser buono alla festa dei Magi. 

A fare il pastor da Presepio; vai quanto dire: non esser 
buono a nulla. 

Essere buon compagno come il Bugnola. 

Mandare a male per un nonnulla il fì*utto delle fatiche di 
pili giorni, affidandolo a persone tristi. Il Bugnola, ma- 
cellaro, segnava sul desco la carne data a credito, e poi, 
quando il venerdì lo ripuliva, mandava il credito in 
raschiatura. 

Essere come il Piovano Arlotto, il quale non sapeva 

leggere altro che nel suo libro. 

Degli ostinati, piìi che degli ignoranti. 

Esser come la mula di Balestracelo. 

Dicesi di chi molto più mangia di quel che sia utile a cui 
mangia. 

Essere come ser Nòferi. 

Essere stordito, senza credito e anche povero in canna. 

Esser decimo. 

Esser di tardo ingegno. Dicono esser tale chi nasca nel 
decimo mese di gravidanza, o che tardi sia venuto alla 
luce. 

Esser come la punta del lino. 

Cattivo; la punta del lino va nel capecchio. 

Esser come la veglia del Padella. 

Si dice quando si discorre e si propone a lungo senza poi 
venire a conclusione di nulla; perchè narrasi che que- 
sta veglia andasse tutta in accordar gì' istrumenti. 



16 
Esser la vigna del Madda. 

Quando uno a chicchessia promette assai, e nel fatto non 
riesce ctie in pociiissimo o nulla. Il Madda, sperando 
aver molt' uva dalla vigna, lasciò molti e lunghissimi 
tolcì alle viti^ e alla raccolta non ebbe quasi punt' uva, 
e invece tutti pampani. , 

Esser nato in Domenica. 

Essere uno sciocco. Perchè di Domenica, essendo le bot- 
teghe chiuse e non potendosi comprar nulla, e perciò 
neanche il sale, dicevano burlescamente che uno battez- 
zato in Dom^enica non aveva avuto il sale, e che era 
sciocco- 
Essere non eBser da Tonda. 

Essere o non essere minchione, tondo, uomo grossolano, 
credulo. 

Essere pia bugiardo delle molle. 

È giuoco scherzoso di parole. Molle, sostantivo plurale 
femminile, è strumento per attizzare il fuoco ; molle, 
aggettivo singolare, vale bagnato. Dunque il sostantivo 
molle è un bugiardo, essendo asciuttissimo e dicendosi 
da sé stesso bagnato. 

Esser più dotto dol can di BurafFa. 

U qual cane mangiò un sacco di lettere che trovò in una 
stanza dove rest^ chiuso. 

Esser più povero di S, Quintino, ed anche di Don Vin- 
cenzio. 

Che sonavano a messa coi tegoli. 
Esser più tondo delì'O di Giotto. 

Stupido e grosso d' ingegno. È notissima la derivazione 
di questo modo proverbiale. 

Essere una zuppa e un pan molle. 

Dicesi di due che sentendone bene tra loro. 
Essere ud Cecco suda. 

Darsi molto moto e non concluder nulla. 
Fare come Berta Ciriegia. 

Che disfaceva i muri per vendere i calcinacci. 

Far come il can di Butrione. 

Dicesi di chi va dietro a chi più gli dà; come appunto 
faceva questo cane. 



17 

Far come il podestà di Sinigaglia. 

Comandare e far da sé. 

Far come il prete Pero, che per vent'anni disse Messa 

e poi diventò cherioo. 

Dicesi di chi studia, studia, e diventa più ciuco che mai. 
E ciò pure vuol significare quest' altro : 

Far come l'uova ; più bollono e più assodano. 

Far come il ranocchio. 

n quale non morde perchè non ha denti. Così un uomo 
da nulla non fa nulla, perchè non può. 

Far come la campana di Manfredonia. 

Andar di male in peggio. 

Fare il becco all' oca. 

Riuscire a fare una cosa piena di difficoltà, o che ci sem- 
bri tale. 

Far il guadagno del Gazzetta, che bruciava gli olivi 

per far la brace. 

Si dice di chi fa cattive imprese per mancanza di cri- 
terio. 

Far il miracolo di Maom^^to. 

Prevenire altrui, ^^ iÌ5)iuttosto che aspettare che altri 
venga a noi. é—*""^ 

Fare il verso del Tasso. 

Il sonno grosso e il russare dormendo è stato espresso con 
un giochetto di parole, od equivoco, preso dal verseg- 
giare del famoso Poeta col tasso animale, che, imbu- 
cato sotterra, credesi dorma lunghissimi sonni. 

Far la cena di Salvino. 

Andare a letto senza mangiare. Dicesi che quest'uomo 
ogni sera, tornato a casa, si lavava le mani e poi an- 
dava a letto. 

Far la gatta di Masino. 

Far lo gnorri, astutamente, ipocritamente. Si dice che 
quella gatta chiudesse gli occhi quando passavano i to- 
pi per non aver T incomodo di pigliarli. 

Far primiera con tre carte. 

Di un bene conseguito senza esserselo con industria o fa- 
tica procacciato. 

2 



18 
Par Roma e tomap 

Significa: far poco o nulla, mentre in apparenza, tal pro- 
verbio dice di far cose ardue, difilcilì, grandi, È ironia- 
Sì dice anche promettere Roma e toma di ctii tutto 
Ijromette, di chi promette mari e monti. Par che toma 
sia corruzione del latino eC omnia che vale tutto- 
Fare una cosa il dì di San Bindo, che Tien tre giorni 

dopo il giorno del Giudizio, 
Gallina Mugellese, ha cent'anni e mostra un mese. 

Di chi all'apparenza mostra naeao anni che non abbia di 
fktto. 

Gente graode^ camicia corta. 

Di chi fk il ricco, e non ha nulla. 
Giusto volevo scendere ! 

Ironicamente si dice di cbi mostra d* aver voluto gli ac- 
cadesse una cosa, o d* averla voluta dire^ mentre in 
fatto la subisce di mala voglia, o V ha detta per balor- 
daggiae. Nato da uno che caduto da cavallo, disse ai 
compagni : giusto volevo acendere. 

Gli avanza il senno come la cresta all'oche. 

A chi non ha giudizio* 
Guardarla in un filar d'embrici. 

Andar dirittOj non deviar mai dalla strada dell' onesto e 
del giusto. 

n cavallo fa andar la sferza- 

Diecsi di cosa che vada a rovescio. 

I monti stanno fermi e gli uomini camminano. 

Dicesi quando si incontrano due venuti da luoghi distanti, 
ed opposti, o quando abbiamo speranza e desiderio di 
rivedersi essendo lontani. 

La tela di Penelope. 

Dicesi di lavoro non solo lungo, ma vano ed inutile. 
La volpe va a Loreto. 

Dicesi dell* ipocrita che tristamente ih il pentito ed il com- 
punto per ingannare vieppiti, atteggiandosi al modo di 
chi per vera d^^vozione va in pellegrinaggio idi a Casa 
di Loreto. 

Lemme lemme. 

Ha io stesso significato di pian piano. Derivato probabil- 
mente da leggermente leggermente, che sincopato e 
troncato alla maniera fiorentina diventò lemtne lemme^ 



19 

Levarsi all'alba di Meino. 

Tardi, perchè questo Meino si levava sempre a mezzo- 
giorno. 

Levarsi la sete col prosciutto. 

Procurarsi una soddisfazione a carissimo prezzo, e che poi 
ti rincresca. 

Mangiare, bere, vestire ecc., a ufo. 

Senza spesa ; ed ecco Y origine probabile di questo modo. 

Nel Pontificato di Leone X i carri e altre cose destinate 
per la fabbrica di S. Pietro in Roma erano segnate con 
le lettere A. U. F. (cid usum fabricae); e i conduttori, 
giunti alla porta della città, dicendo auf eran lasciati 
entrare liberamente senza pagar gabella. 

Molto fumo e poco arrosto. 

Molta apparenza e poca sostanza. 

Morta la bestia (o la serpe), spento il veleno. 

Tolta di mezzo la cagione, ne è pure tolto di mezzo V ef- 
fetto dannoso che deriva da esso. 

Nessuno al mondo ha fatto quanto Nemo. 

È giuoco di parole per canzonare chi si vanta d' aver 
fatto Roma e toma stando a sedere. (Nemo è voce la- 
tina che vuol dire nessuno). 

Niente è troppo poco. 

Non è più il tempo di Bartolommeo da Bergamo. 

È originato dal cognome di Bartolommeo Coglione, can- 
giato poi in CoUeone. 

Non è più il tempo che Berta filava. 

Sta per significare: le cose sono mutate, sia in bene, sia 
in male, ma più spesso in male. 

Non saper far pepe di luglio. 

Non saper fare neanche le cose più facili : esser dappoco. 
Far pepe è riunire o stringere insieme tutte e cinque 
le punte delle dita delle mani ; lo che se, per il freddo 
che aggranchisce, resta difficile a farsi neir inverno, può 
benissimo farsi da tutti nel solleone. 

Nulla nuova, buona nuova, perchè: 
Le cattive nuove si sanno sempre. 



^^ìiSb^.l 



Cesare o Ifiente- 

Vale : o morire o essere qualche cosa di garbo. 

È la sentenza latina Aut Cassar, aut nihil e che da noi, 
dice il M inucci, si proferisce corrottamente, Ceseri o 
Niccolò : ed esprime AiU Rex, aut asinus de' Greci : 
cioè uno de' due estremi. 

Ogni bruscolo gli paro una trave. 

Di cesi di chi mena gran rumore per cose da nulla. 

Pascersi come il cavallo del CioUa. 

Che è lama si pascesse di vento. È detto contro gli 
avari* 

Passare il Rubicone. 

Compiere opera rischiosa e segnalata. 

Perder Terre (R.). 

Si dice degli ubriachi, ai quali ingrossa la lingua e non 
possono piti pronunciare questa consonante. Ma si dice 
anche di uno che nel discorrere perda il filo, e, comec- 
chessia, sragioni* 

Pesa (o costa) più il giunco che la carne. 

Cioè r accessorio più del principale. 
Pigliare ad ammattonare il mare. 

Di fatica vana ed inutile. 

Portar acqua al mulino. 

Far cosa vana, come raccontar cose note, o insegnare o 
dare a chi ne sa più di noi o a chi ha più di noi. 

Prendere il Turco pei baffi. 

Arrivare a vincere una grave difficoltà, ed esser perciò 
pienamente contento. 

Quel che è detto, è detto. — e : 

Quel che è fatto, è fatto. — e: 

Quel che è scritto^ e scritto. 

Di cosa irrevocabile. 
Qui giaco Nocco. 

Qui sta il difficila; questo è il punto scabroso. 
Rimanere in asso. 

Restare abbandonato, senza aiuto: ed anche restare in 
perdita. 



ti 

Salsa di S. Bernardo. 

È la fame. S. Bernardo la dice essere col sale candì mento 
sufficiente e necessario a ogni cibo. 

Saltare in collo a Carlo. 

Dicesi di chi fa o ha {sLtto^mirabilia, di chi tocca la meta 
in un'impresa difficile. È detto pure: 

Far quanto Carlo in Francia. 

Se saran rose fioriranno ; e se saranno spine punge- 
ranno. 

Agli effetti si vedrà. 

Soffiare il naso alle galline. 

È detto per canzonare chi si vanta di saper fare ogni co- 
sa, d' essere addentro a ogni segreto, o per chi pretende 
sentenziare su tutto. ^ 

Stare sull'intonato. 

In sussiego, in superbo contegno. La metafora è presa 
da quello che dà il tono nella musica, il quale fa che 
gli altri lo imitino. 

Tornar colle pive (o colle trombe) nel sacco. 

Andar fallita a uno un'impresa. — Le milizie quando si 
ritiravano per non esser riuscite nei loro assalti, oppure 
per essere state battute, non sonavan le trombe* 

Vender gatta in sacco. 

Darla ad intendere, dare per buona una cosa che tale non 
sia, o celarne i difetti. 




^ 



ABITI (Abitudini) USANZE. 

Abito (o più comunemente, Abitudine) in generale è : Abi- 
lità acquistata per uso frequente di operazioni simili. 
Più ristrettamente poi, come qui, è: Constcetudine 
diventata qvcasi natura, la quale spesso è difficile a 
vincersi. 

Usanza è maniera di vivere e di procedere in alcune cose, 
accettata dai più, 

A usanza nuova non correre. 

Vedi al capitolo Prudenza etc. 

Cavallo vecchio, tardi muta ambiatura. 

Ambiatura, andatura di cavallo, asino o mulo, a passi 
corti e veloci, mossi in contrattempo. 

Chi ha portata la tonaca puzza sempre di frate. 

Chi non è uso a portar le brache, le costure gli danno 

noja. 
Ciò che s'usa non fa scusa. 

Cioè non tutte le cose sono scusabili per dire: così s'usa, 
così fanno gii altri. 



^4 

Coosuetnidiae è una seconda natura. 

E difficile condurre il can vecchio a mano. 

Perdere, cioè, un' abitudine inveterata. 

E meglio ammazzare uno che mettere una cattiva usanza. 

È meglio errar con molti ch'esser savio solo — ed anche : 

Meglio errar con molti che da sé stesso. 

È maglio volta che stravolta. 

Cioè, é meglio prender la vecchia strada, piìi lunga ma 
sicura, che non una che non sai dove riesca, e può con- 
durti a rovina, — Stravolta : slogatura d' un piede fa- 
cile in terreno disuguale. 

"È un cattivo andare contro la corrente. 

H bue mangia il fieno perchè si ricorda che è stato erba. 

Usasi quando alcuno fa da vecchio le medesime cose che 
fece da giovane. 

Il magnano tanto salta con le bolge quanto senza. 

Abituato a portarle sempre è come se non le avesse. Boi- 
ijia, bisaccia, tasca. 

Il vino di casa non ìmbriaca. 

Perché si usa temperatamente. Al contrario gì' intempe- 
ranti dicono : 

Il pan di casa stufa. 
La catena non teme il fumo. 

Perchè ci sta sennpre. 
La moda va e viene — e 

Alla moda vagli dietro. 

I due proverbi sono in contradizione, ma la gente non se 
ne accorge, perchè quando a molti si vede fore una co- 
sa, pare che tutti V abbiano fatta sempre, e che sia la 
cosa più naturale del mondo quando anche sia la piti 
bestiale. 

Le cose rare son le pia care — ovvero: 

Cosa rara, cosa cara. 

Le buone usanze van tutte a perdersi. 

Però si dice; 

Le buone usanze vanno rispettate. 



26 
Le novità duran tre dì, e quando van di trotto 
Le non duran più d'otto. 

Cioè quando sono strepitose o in gran voga. 
L'uso doventa natura. 
L'uso fa legge. 

L'uso serve di tetto a molti abusi. 
Cioè ricopre. 

L'uso vince natura. 

La rana, avvezza nel pantano, se eli' è al monte torna 
al piano. 

Perciò disse il Berni: 

Né per caldo o per freddo o poco o assai 
Si può la rana trar dal fango mai. 

Nessuna maraviglia dura più di tre giorni. 



ADULAZIONE, LODI, LUSINGHE. 

Adulazione è il lodare, il portare a cielo ogni piti brutta 
cosa, malvagia azione di alcuno ; assentire a tutto 
ciò che dice; dire si o no secondo piace a lui, col 
solo fine di trame utile o guadagno. 

Lode è ono7'e e tributo al merito. 

Lusinga è adulazione piic temperata e meno servile; è 
artifizio di parole o d* atti, col quale, sotto colore 
di benignità, d* amicizia ecc., si vuol trarre alcuno 
a cosa che giovi al lusingante, comecché per solito 
mcoccia al lusingato. 

Ad ogni santo la sua candela. 

Proverbio questo che trova la sua esplicazione neir altro: 
A chi piace il bere parla sempre di vino. 
Adulatori e parasiti sono come i pidocchi. 

Perchè campano sulla pelle altrui. 



26 
Anco il cane col dimenar la coda si guadagna le spese. 
Percld abbiamo: 

Fon dar del pane al cane ogni volta che dimena 
la coda. 
Bacio di bocca spesso cuor non tocca — ed anche: 

Tal ti ride in bocca che dietro te l'accocca. 

T'è chi bacia tal mano che vorrebbe veder mozza. 

Tal ti fa il bellin bellino che ti mangerebbe il core. 
Chi ci loda si dee fuggire, e chi c'ingiuria sì dee 

soffrire. 
Chi loda per interesse j vorrebbe esser fratello del 

lodato. 
Chi t'accarezza pia dì quel che suole, o t'ha ingannato 

o ingannar ti vuole. 
Chi ti loda in presenza, ti biasima in assenza — e 

Dio ti guardi da quella gatta che davanti ti lecca e 
di dietro ti graffia. 
Chi ti vuol male ti liscia il pelo. 
Da chi ti dona, guardati. 
Gola degli adulatori, sepolcro aperto. 
In casa dell' amico ricco sempre ammonito; in quella del- 
l' amico povero, sempre lodato. 
I panioni fermano, ma le civette chiamano. 
La carne della lo dola piace ad ognuno — e 

Da Lodi {fmse) passan tutti volentieri- 
Lùdi^ e lodola per lodBy giochetti di parole. 
La lingua unge e il dente punge. 
La lode giova al savio e nuoce al matto. 
La vita deir adulatore poco tempo sta in fiore. 
Yuoi tu un cuore smascherare? sappilo ben lodare. 

Perchè r ubriacato dalla lode dice spesso quello che non 

vorrebbe. 



lli^-^ 



27 



AFFETTI, PASSIONI, GUSTI, VOGLIE. 

Affetto è un sentimento di simpatia che nasce dalla con- 
suetudine e dalla degna valutazione delle bicone qua-- 
lità di una persona^ alla quale perciò desideriamo 
bene e prosperità. 

Passione più intensa dell'affetto, è più spesso tendenza 
disordinata o fuori di regola. 

Gusto è il senso pel quale si discernono i sapori, od è fa- 
coltà di sentire e giudicare del merito d'opere d'in- 
gegno d'arte. 

Voglia è appetito, bramosia, spesso capricciosa^ di avere 
qualche cosa, 

A chi piace il bere, parla sempre di vino — ed anche ; 

L'orso sogna pere, 

H porco sogna ghiande. 

Scrofa magra, ghianda s'insogna. 
Acqua passata non macina più. 

Si dice delle impressioni o degli affetti dimenticati. 
Affezione accieca ragione. 

Un affetto disordinato turba la serenità dei giudizi, 

A gusto guasto non è buono alcun pasto. 

Gli stomachi, gli umori, gli affetti guasti, per non confes- 
sare il puzzo che hanno dentro, lo accusano fuori* — 
Un Contadino, dice il Giusti, dava il tabacco al Padro- 
ne, che avendone preso un poco, e accostato al naso 
poi lo gettò via dicendo : « E' sa di briccone j * e il 
CJontadino: € Lustrissimo, Tenne le dita. » 

Allo svogliato il mèle pare amaro. 

Amor non ha sapienza, e l'ira non ha consiglio. 

A molti puzza l'ambra. 

Animo appassionato non serba pazienza. 

Aspetta il porco alla quercia. 

Se vuoi cogliere l'uomo sul fatto, aspettalo dove egli suole 
capitare, dove lo tirano qualche sua necessità o voglia. 



28 
À Tecchia che mangia polkstrelli^ gli vìea voglia dì car- 
ne salata. 

Dicesi quando alcuna lascia il meglio per attenersi a cosa 
men buona. 

CM ha bocca tuoI mangiare. 

Chi ha buona cantina in casa non va pel vino airoateria. 
Chi maneggia il mèle bì lecca le dita* 
Chi lecca i piatti^ deve leccare in terra- 
Chi non arde, non incende. 

Cioè chi non s' infiamma in un affetto non induce gli ^tri 
a secondario, a imitarlo. 

Chi non può^ sempre vuole. 

Chi più arde più splende* 

1 grandi pensieri e i grandi fatti vengono dal cuore 

Chi più vuolcj meno adopera. 

Le voglie troppo intense riescono talvolta inerti e s* in- 
tricano in Bè medesime come F acqua non sa uscire da 
un fiasco voltato all' ingiìi, perchè il vaso è troppo 
grande e la bocca troppo stretta. L'Ariosto scrisse; 
L'impetuosa doglia entro rimane, 
Cbe volea tutta uscir con troppa fretta, eOi 

Chi sempre beve non ha mai troppa sete — ed ancìie: 

Chi non mangia ha del mangiato. 

Chi non mangia a desco, ha mangiato di fresco. 
Con la voglia, cresce la doglia — e 

Ohi assai desidera, assidera. 

Dagli effetti si conoscono gli affetti* 

La qualità di un affetto si rileva dalle azioni che egli fa 
commettere. 

Dei gusti non se ne disputa. 

Dove la voglia è pronta, le gambe son leggiere. 

All' opposto ; 

Chi va in gogna, non fa il servizio volentieri. 

E' si può fare il male a forza ma non il bene. 

Si dice anche ; 

Per forza si fa Tacete — e 

Cosa per forza non vale scorza. 



29 

Gatto che non è goloso non piglia mai sorcio. — ed anche: 

Se il tuo gatto è ladro, non lo cacciar di casa. 

Proverbio applicabile solamente ai gatti. 

Gli amorì nuovi fanno dimenticare i vecchi. 

A significare che le nuove cose fanno scordare le anti- 
che; gli affetti si consumano. 

H bello (cioè le belle cose) piace a tutti, fino a' min- 
chioni — ed anche: 

Tutte le bocche son sorelle: ed aggiungesi da quella 
del lupo in fuori. 
Perchè questi vuole tutto per sé. 
Il cuore ha le sue ragioni o non intende ragioni — e : 

Cuore malato non sente ragione. 
Il cuore non sbaglia. 

" Lo dicono particolarmente le madri nei presentimenti 
lieti o tristi del loro cuore. 

Il lupo sogna le pecore, e la volpe le galline. 

H diavolo può tentare ma non precipitare. 

Intendi che le tentazioni, le passioni, sono scuse povere, 
e ad ognuno resta la colpa de' propri errori. 

H potestà nuovo manda via il vecchio — e dicesi pure : 
I santi nuovi metton da parte i vecchi. 
I santi vecchi non fanno più miracoli. 
Ai santi vecchi non gli si dà più incenso. 

L'abbondanza genera fastidio. 

La lingua batte dove il dente duole. 

Le cose vano fatte quando se ne sente il bisogno. 

Mal si balla bene se dal cor non viene. 

Nessun divertimento ti fa contento, se non vi hai V animo 
disposto. Male, sta qui per diffìcilmente. 

Non è bello quel eh' è bello, ma è bello quel che piace. 

Non manchi la volontà, che luogo e tempo non man- 
cherà. — e si dice anche: 
Quando c'è la volontà c'è tutto. 
La volontà è tutto (o tutto fa). 



ao 

A buona Yolontà non manca facoltà. 



^ 



Perchè quiuido e' è la volontà e' è il piCi, specialmente se 
nei voleri e nei desi*]eri sappiamo serbar giusta misura. 

Ogni granchio ha la BUa luna. 

Quando la luna è tonda i granchi sou pieni. 

Per fare una cosa bene, bisogna esser tagliati a buona 

luna. 

A bene riuscire in una e osa^ conviene esservi tagliati, cioè 
inclinati. Eissere in buona luna per fare una cosa : vale 
es^re in buona disposizione, averne voglia. 

Più da noi è bramato^ che più ci vien negato. 

È la vecchia storia del frutto proibito ; però suol dirsi : 

Anco Adamo mangiò del pomo vietato. 
Quando è alta la passione 

È bassa la ragione- 
Sdegno e vergogna son pien d'ardire. 
Se i desiderii bastassero, i poveri anderebbero in carrozza. 
Si cambia più spesso di pensiero che di camicia. 
Sotto la bianca cenere, sta la brace ardente. 
Vedere e non toccare, è un bello spasimare. 

Volontà è vita. 



PIACERE, DOLORE. 

Piacere, giocondUd cV animo fiata da occasione di bene 
presente; diletto; consolazione; quiete del desiderio. 

Dolore^ sentimento penoso che crucia e affligge l'anima 
e il corpo. 

Anco tra le spine nascono le rose. 
A palate i guaij e la morte mai. 

Lo dicono i disperati. 
Bocca con dolore non dice bene. 



31 
Chi fece del seren troppo gran festa, 
Avrà doglia maggior nella tempesta. 
Avviso agi' improvvidi. 

Chi ha avuto il gusto, prenda il disgusto. 

Chi perde piacere per piacere non perde niente. 

Delizie temporali portano mille mali — e 

Da diletto temporale temer dèi qualche gran male. 

Di dolore non si muore, ma d'allegrezza sì. 

Dolce vivanda vuol salsa acerba. 

Dopo il dolce ne vien Tamaro. 

Grave è la tristezza che segue l'allegrezza. 

I gran dolori son muti. 

I latini dicevano: Curae leves loquuntur, ingentes stw 
pent 

I guai non son buoni col pane. 

H dolore è sempre asciutto. 

n dolore non invecchia. 
Cioè, muore o uccide. 

D mèle si fa leccare, il fiele si fa sputare. 

n piacere non ha famiglia e il dolore ha moglie e fi- 
gliuoli. 

n piangere è un sollievo. 

n ricordarsi del male raddoppia il bene — e 
Quel che fii duro a patire, è dolce a ricordare. 

E viceversa: « non è maggior dolore, Che ricordarsi del 
tempo felice nella miseria. » 

È un mal fiume V Èra. 

Cioè, la memoria e il desiderio d'un bene perduto, o « il 
misero orgoglio d'un tempo che fu. » Era è un fiu- 
me presso Pisa in Toscana. 

Impara piangendo e riderai guadagnando. 
In cibo soave spesso mosca cade. 
In guerra, nella caccia e negli amori, in un piacer mille 
dolori. 



32 

I travagli fan tornare il cervello a bottega, 
I travagli eoa ladri del sonno. 
I travagli tiran giù Tanno* 

Saint- Vallier, appena ebbe saputo che stia figlia Diana di 
Poitiers era divenuta ramante del re, incanutì d*un 
colpo. Lo stesso avveniva a Maria Antonietta Regina di 
Francia. 

La fine del riso è il pianto — e 
Chi mangia molto riso beve lacrime. 

Lungo piacer fa piangere. 

Mille piacer non vagliono un tormento, 

T^eir allegrezza non si trova fermezza. 

Non è Tamo né la canna 

Ma gli è il cibo che t'inganna — e 
Peace che va all'amo cerca d* esser gramo. 

Ogni uccello conosce il grano. 

Ognuno corre al piacere ; nia perchè il piacevole non è 
il buono, e di rado s'intende vero il bene, si dice 
anche : 

Non ogni uccello conoBce il buon grano. 
Piacer preso in fretta, riesce in disdetta. 
Poco fiele fa amaro molto miele. 
Quel che duole^ sempre noa è scabbia. 
Se i segreti vuoi sapere, 

Cercali nel disgusto o nel piacere. 

Chi è disgustato^ o eccessivamente lieto, chiacchiera e svela 
anche i propri segreti. 

Un torso di pera cascata è la morte di mille mosche, 

Yergogna fa perder piacere. 

Che gran piacer si perde per vergogna. 



33 

FELICITÀ, INFELICITÀ, BENE. 

Felicità : StcUo di chi possiede quanto ptiò farlo contento. 
Il quanto poi è relativo alla natura de'vart uommi 
e a' desidera di ciascuno ecc.; talché ciò che ad altri, 
moderato ne' desideri, seì've a farlo felice ^ può all'in^ 
temperante esser manchevole, non bastare cioè a renr- 
derlo prosperoso o contento. 

Infelicità : L* opposto della felicità. 

Bene : In generale è tutto ciò che è desideràbile o amabile, 
com£ conveniente alla natura umana, e che posseduto 
reca tranquillità e felicità, E anche quello che per 
se stesso si deve scegliere, in quanto è utile all'umano 
consorzio e voluto da Dio. Ma qui si prende ajwhe 
nel senso di prosperità, di ricchezza, di agi ecc. 

A gran speranza il misero non cede. 
Al miser uom non giova andar lontano, 

Che la sciagura sempre gli tien mano. 
A maggior felicità minor fede — e • 

Di gran prosperità, poca sicurtà — e 

Prosperità umana, sospetta e vana. 
Ben tardi venuto, per niente è tenuto. 
Ma più ragionevolmente: 

È meglio una volta che mai. 
Chi portasse al mercato i suoi guai, 

Ognuno ripiglierebbe i suoi. 

Perchè altrimenti facendo gliene toccherebbe più di quelli 
che non ne aveva. 

E meglio essere invidiati che compatiti. 
Felice non è chi d'esser non sa. 
Gramezza fa dir mattezza. 
Il bel tempo non vien mai a noia — e 
H maggio non dura mai sette mesi — e 

3 



34 
Ogni cosa si aa comportare, eccetto che il buon tempo. 

Perchè non ci YÌenc a noia, si comporta male : la felicità 
é un peso, se V uomo crede essergli debita, e quando 
egli Bi figura quello essere il suo stato naturale non 
intende più nulla di nulla, e diviene anche malvagio. 
Laonde si dice che; 

Chi ben siede mal pensa. 

Ed ampliando crudelmente lo stesso concetto alcuni nel- 
le famiglie e nei governi ebbero quest'altro adagio: 

Chi TTiol ben dal popolo, lo tenga scnsao. 
Il buon tempo fa scavezzare il collo. 

Le troppe prosperità mandano gli uomini in rovina — e 

Quando la va troppo bene la superbia salta in piè- 
n male non vien mai tanto tardi, che non sia troppo 

presto. 
Il troppo grasso fa T occhio cieco. 
La bonaccia burraaca minaccia. 
La prim' acqua è quella che bagna. 

1 primi dolori, le prime infelicità, i primi tradimenti sono 
quelli che patentemente ci affliggono. 

La vita deir uomo dipende da tre ben : inteader ben, 

voler ben e far ben. 

Le avversità non adulano nessuno. 

Nelle felicità gli altari uon fumano. 

E peggio: 

Chi chiama Dio, non è contento ; e chi chiama il 

Diavolo è disperato. 

E chi può esser mai contento ? Air infuori iiello stolto, chi 
è disperato mai ? 

Nella felicità ragione, neir infelicità pazienza. 
Nessuno sa il sabato se non chi lo digiuna. 
Non sa che cosa sia il male, chi non ha provato il 
bene — e 
Chi ha provato il male, gusta meglio il bene. 
Non si conosce il bene se non quando s' è perso — e 



À 



35 

L'asino non conosce la coda, se non quando non 
l'ha più. 
Non si sta mai tanto bene che non si possa atar meglio, 

ne tanto male che non si possa star peggio. 
Non v'è maggior nemico della troppa prosperità, 
Non viene mai estate senza mosche. 
Ognuno ha in casa sua il morto da piangere. 

Cioè ognuno ha i suoi dolori. 
Ognuno sa sé, e Dio sa tutti. 
Tristo è quell'uccello che ha bisogno dell'altrui penne 

per volare. 

Infelice chi abbisogna dell' aiuto d' altri. 
Tristo è queir uccello che nasce in cattiva valle. 
Un buon giorno vale un cattivo mese — e 

Chi ha un giorno di bene, non può dire d' esaere stato 
male tutto 1' anno. 
Un' ora di contento sconta cent' anni di tormento. 
Un piccol nuvolo guasta un bel sereno. 
Bene lontano è meglio di male vicino. 
H ben d' un anno va via in una bestemmia. 

Un sol fallo basta a cancellare molte opere buone. 
Il bene è per tutti — ovvero 

n bene fa bene a tutti. 
11 bene è sempre bene, il male è sempre male. 
Il bene bisogna cercarlo, e il male aspettarlo. 
H bene non è mai troppo. 

H bene non fu mai il male e il male non fii mai bene. 
Il bene non fu mai tardi. 
H bene trova il bene. 
Il bene va preso quando si può avere (cimerò quando 

Iddio lo manda). 



a^sà 



m 



AGRICOLTURA, ECONOMIA RURALE. 

Agricoltura : L' arte di coltivare la terra, di seminare, 

piantare ogni sorta d' eròe e di piante, con esser ca- 
gioni di tempo, di luogo, di cose, per ricavarne il 
maggiore e miglior frutto che si piiò. 
Economia rurale : Arte del ìyaon amministrare, applicata 
all' a z icìida agricola. 

Albero che non fa frutto, taglia taglia. 

Air apparir degli uccelli non gettar seme in terra. 

Si può intender anche del non fer cose che poi ti sieno 
guastate, 

A mezzo gennaio metti 1' operaio. 

I buoni coDtadìni pigiiano spesso a mezzo gennaio V ope- 
rante di fuori per affrettare i lavori \ quali è bene sieno 
fktti innanzi la primavera. 

A natale mezzo pane; a Pasqua mezzo vino. 

Significa che il contadino deve procurare d' avere in casa 
a Natale (nei Dicembre) la metà del pane per il suo 
consumo^ ed a Pasqua (verso V aprile) mezzo il vino per 
le imminenti faccende. Dicesi anche: 

A mezzo gennaio, mezzo pane e mezzo pagliajo. 

Andare scalzo e seminar fondo, non arricchì giammai 

persona al mondo. 

Ara co' buoi e semina colle vacche. 

Nel lavorare la terra giova fare il solco profondo, ma non 
tanto poi nella sementa. 

Chi lavora la terra colle vacche va al mulino colla pu- 
ledra {o colle somare). 

Le quali poE'tano poca soma. 

A san Martino ia sementa del poverino — coìne purei 
Sta meglio il grano al campo, che al mulino. 

In quei giorni il grano da seme vuole già essere sotter- 
rato. 



37 
Avaro agricoltor non fu mai ricco. 

Avaro, s'intende nello spender fatica nel concimare. 
Casa fatta e vigna posta, non si sa quel che la costa. 
E si dice anche : 
Casa fatta e vigna posta, mai si paga quanto costa. 
Casa fatta, possession disfatta — ovvero 
Casa fatta, terra sfatta. 

È ben comprare casa in buon essere e podere trasandato. 
Cavol riscaldato e garzon ritornato, non fu mai buono 
— e ancke. 
Serva tornata non fu mai buona. 

Garzoni, diconsi gli opranti fissi nelle case dei contadini, 
quelli che in alcuni luoghi chiamano mesanti, perché 
gli pagano a mese ; ma se una volta gli abbiano licen- 
ziati, non è bene ripigliarli : così della garzona^ o fante, 
o guardiana che non sia della famiglia. Serva è gene- 
rico, e s' intende più spesso di quelle che stanno a ser- 
vizio nelle case. 
Cento scrivani non guardano un fattore, e cento fattori 

non guardano un contadino. 
Chi affitta il suo podere al vicino, aspetti danno o lite 
nial mattino — e 
Chi affitta sfitta — ovvero 
Chi affitta sconficca — e dicesi anche 
Chi alluoga accatta. 

La Toscana è tutta mezzerie: quindi gli affìtti in discre 
dito e non a torto, come speculazione da scioperati o 
da falliti. (Giusti) 

Chi ara da sera a mane, d' ogni solco perde un pane. 

Cioè, da Ponente a Levante, perchè un lato d* ogni porca, 
ossia d* ogni spazio di terra tra solco e solco, rimarreb- 
be senza sole. 

Chi ara il campo innanzi la vernata, avanza dì ricoìta 

la brigata — e 

E meglio una buona e secca scalfittura, che una buona 

e molle aratura. 

Perchè : 

Chi ara terra bagnata per tre anni V ha dissipata. 



38 
Chi ara l'uliTeto addimaoda il frutto — e 

Cfhi Io letamina l'ottiene, chi lo pota lo costringe a 

fruttar bene — ìtm 

Il letame quand' è troppo forte alle piante dà la morte* 
Chi aasai pone e non custode, assai tribola e poco gode. 

Di cesi anche chi lavora o chi semina, e vuol dire che chi 
dopo aver seminato non ha la diligenza necessaria non 
raccoglie il itutto desiderato. 

Chi ben coltiva il moro^ coltiva nel suo campo un gran 

tesoro. 
Chi cava e non mette, le possessioni si disfanno. 

S' ini:ende del concime, ed anche del ripiantare. 
Chi disfà bosco e prà, si fa danno e non lo sa — e 

Chi ha un buon prà^ ha un tesoro e non lo sa. 
Chi disse piano, disse tanto piano, che non ne toccò a 

tutti. 

Nel primo caso piano^ vuol dir pianura^ nel secondo vale 
a voce bassa. Questo gioco di parole sta a significare 
che le terre in pianura sono desiderate da molti. (Giusti) 

Chi dorme d' agosto, dorme a suo costo. 

L' estate non è stagione da oziare pe' contadini avendo 
essi allora le maggiori e più importanti faccende. 

Chi fa (seminar) le fave senza concio, le raccoglie senza 
baccelli. 

Chi ha bachi non dorma. 

Chi ha carro e buoi, fa bene i fatti suoi. 

Chi ha quattrini da buttar via (o Chi ha del pan da ti- 
rar via), tenga 1^ opre e non ci stia. 

Tener V opre^ pigliar gente di fuori per fare un lavoro. 

Fa pia il padrone co' suoi occhi, che V opre col badile. 

Badile^ strumento di ferro simile alla pala per cavar fos- 
sati. 

Chi ha tutto il suo in un loco, l'ha nel foco. 

Cioè in perìcolo. 

Chi ha un buon orto^ ha un buon porco. 



iA_ 



39 
Chi non ha orto e non ammazza porco, tutto Tanno 

sta a mnso torto. 
Chi ha vigna ha tigna. 

Usasi a Roma dove le vigne recano grandi fasti4j. 
Chi ha zolle, stia con le zolle. 
Chi lavora di settembre, fa bel solco e poco rende. 
Chi lo beve (il campo), non lo mangia. 

Nei campi troppo vitati, la sementa rende poco. 
Chi non ha il gatto mantiene i topi e chi V ha mantiene 
i topi e il gatto. 

Usasi nel Veneto e vale che chi tiene il custode dei cam- 

Si per guardarli dai ladri, spesso non fa che ruantenere 
custode ed i ladri. Il che deve render cauti i pro- 
prietari nella scelta di questo custode. 

Chi non semina non ricoglie. 

Chi non sa comprare compri giovane — peìxM 

Sulla gioventii non si fece mai male. 

Riguarda la compra del bestiame più specialmente. 
Chi pianta datteri non ne mangia. 

Credesi che il dattero non dia frutto prima di cent' anni» 
Chi pon cavolo d' aprile, tutto V anno se ne ride. 

Posto in aprile spiga presto, ma non fa grumolo. 
Chi prima nasce prima pasce. 

È detto del grano che seminato per tempo talliBce me- 
glio. 
Chi semina buon grano, ha poi buon pane 5 chi semina 

il lupino, non ha ne pan né vino. 
Chi semina con Facqua, raccoglie col paniere — ed anche : 
Chi semina nella mota raccolta vuota; 
Chi semina nella polvere, faccia i granaj di rovere j 
Le fave nel motaccio, e il gran nel polveraccio» 

Nessuna sementa si fa bene nel terreno molle. Vero è pe- 
rò che l' ultimo di questi proverbi è anche usato di- 
versamente secondo i luoghi; ed in alcuni dispiace la 
sementa troppo asciutta. Tempo sementino chiamano 
quelle giornate coperte, ma non però troppo ft^edde, 
con un po' di nebbia la mattina ed ogni tanto una pìog- 



_!&».; 



40 

gerella, dopo la quale il capoccio esce fuori a seminare 
anche a rischio dì dovere per qualche altra scossetta 
rifarsi piti volte, cogliendo il tempo ed agiatamente, 
come sogliono d' ogni faccenda. (Giusti) 

Chi semina faye, pispola grano. 

La miglior caloria è quella delle fave. 
Chi semina in rompone (o arrompone) raccoglie in bron- 
tolone. 

Chi aspetta a rompere i campi a sementa, oppure, chi 
semina nel campo solamente rotto, e non rilavorato e 
messo a seme, raccoglie poco. (LambruschinL) 

Ohi aemina sulla strada j stanca i buoi e perde la semenza. 

Chi vuol di vena un granajo lo semini di febbraio. 

Chi vuole aver del mosto, zappi le viti d' agosto. 

E un ajtro dice, al contrario: 

Chi pota di maggio e zappa d' agosto, non raccoglie né 

pane uè mosto. 
Chi vuole ingannare il suo vicino, ponga Y ulivo grosso 

e il. fico Piccolino, 
Chi vuole il buon bacato, per San Marco o posto o nato. 

Buon bacato, vale buona raccolta di bachi da seta: e si 
dice anche; 

A San Marco (25 aprile) il baco a processione. 

A San Marco nato, a San Q-iovanni (24 giugno) assetato. 

Chi vuolfì tutte 1' ulive non ha tutto V olio — e 

Chi vuole tutta V uva non ha buon vino. 

Cioè che ad averlo buono vuoisi V uva ben matura e non 
affrettarsi a vendemmiare, come fanno i contadini, per 
la paura che sìa rubata. E chi vuole tutto V olio con- 
viene aspetti 6 si rassegni se qualche oliva gli ca- 
sca, — Ma il p['overbio non tiene più, dacché si è 
visto che le olive con lo stare troppo sulla pianta danno 
olio peggiore* 



Dal fiore al coppo vi è un gran trotto, 

Dicesi deir ulivo quando fiorisce molto, m 
a maturità vi sono di gran pericoli. 

Chi vuole un buon agliaio, lo ponga di gennaio. 



Dicesi deir ulivo quando fiorisce molto, ma prima che sia 
a maturità vi sono di gran pericoli. 



41 
Chi vuole un buon potato, più un occhio e meno un 
capo. 

S'intende della vite, e questo proverbio è spiegato da- 
gli altri : 

Fammi povera, ti farò ricco. 

Samo corto, vendemmia lunga. 
Chi vuole un buon rapuglio, lo semini di luglio — g 

Se vuoi la buona rapa, per Santa Maria (15 agosto) 
sia nata. 
Chi vuole un' oca fina 

A ingrassare la metta a Santa Caterina. (13 Dicembre) 
Chi vuole un pero ne ponga cento, e chi cento susini 

ne ponga un solo. 
Chi vuol vin dolce non imbotti agresto. 

E nel figurato significa, chi vuol vivere tranquillamente 
non metta male. 

Con un par di polli, si compra un podere. 

Lo dicono i contadini della facilità di mutar podere. 

Da San Gallo (16 ottobre) ara il monte e semina la valle. 
Dice il porco, dammi, dammi, né mi contar mesi né anni, 
E dicesi anche: 

Da vivo nessun profitto e da morto tutto. 

Il porco vuol mangiare sporco e dormire pulito. 
Di settembre e d' agosto, bevi il vin vecchio e lascia 

stare il mosto. 

Non t'affrettare alla vendemmia. 
D' ottobre il vin nelle doghe — e 

A vendemmia bagnata la botte è tosto consolata. 
Dove è abbondanza di legne, ivi è carestia di biade. 

Ne' luoghi boschivi, ed anche nei terreni molto piantati ; 
però: 

Piante tante, spighe poche. 
Dove non va acqua {cioè in collina) ci vuol la zappa. 



':>T*a 



42 
Dove passa il campano nasce il grano. 

Il campana pende dal collo del becco, guida deir armento 
che ingrana ì campi. 

È meglio dare e pentire, che tenere e patire. 

Può intendersi d'ogni cosa, ma principalmente del be- 
stiame. Giovano le spesse vendite ancorché si guadagni 
poco, perchè a tenere le bestie lungo tempo nella stalla 
consumano troppo. Tanto è vero che un altro prover- 
1 bìo dice: £e bestie vecchie muoiono nella stalla dei 

contadini minchioni, 

E meglio un beccafico che una cornacchia. 

Intende che s'abbiano a comprare bestie grasse. 

Fammi fattore un anno, se sarò povero mio danno. 
Ed anche: 
Fattore, fatto re. 

Fattor nuovOj tre dì buono. 

FormentOj fava e fieno non si volsero mai bene. 

È difficile che tutti tre vengano bene lo stesso anno. 

Gente aBsai, fanno assai, ma mangian troppo, (o gran- 
de schiamazzo e lavoro mai). 

È rimprovero a chi tiene molti opranti a giornata e dei 
garzoni* 

Giugno, la falce in pugno 5 se non è in pugno bene, lu- 
glio ne viene. 

Di luglio, a segare il grano è tardi ; ma fa poi male anco 
chi anticipa temendo che il sole troppo repente gli dia 
la stretta ; perchè : 

Non v' è la peggio stretta di quella della falce. 
Gran fecondità non viene a maturità. 
Grano e corna vanno insieme. 

Quando il grano è a buon mercato, il bestiame non è 
caro, e viceversa. 

Grano già nato non è mai perso. 

Gran pesto fa buon cesto. 

Il bue lascialo pisciare e saziar di arare. 



Ì.ÀU 



Ijr^rf-^'^'tV- •" 



43 
H buon lavoratore rompe il cattivo annuale. 

Annuale, chiamano i contadini l'insieme delle stagioni, 
o del prodotto di un anno. 

Il gran rado non fa vergogna all'aja. 

Loda seminare il grano rado. Quanto al gran turco di- 
cesi: 

Fatti in là, fratello, se tu vuoi che facciamo uà bel ca- 
stello. 
Cioè una bella pannocchia. 

Scalzami piccolo e incalzami grande. 

È il gran turco che parla: ed è savio consiglio seguito 
dai buoni agricoltori. E si dice anche : 

Del fitto non ne beccan le passere. 

Perchè il grano viene di cattiva qualità. 

H campo con la gobba dà la robba. 

Si dovrebbe scrivere roba e non robba; ma il proverbio 
segue la pronuncia Toscana. Anche il Giusti, seguendo 
questa pronuncia, disse : « Di far la robba » < A suon 
di gobba. » 

Il fieno folto si taglia meglio del chiaro. 

È un buon consiglio per la seminatura dell* erbe. 
H lino per San Bernardino (20 maggio) vuol fiorire alto 

piccino. 
H guadagno si fa il giorno della compra. 

Detto specialmente del bestiame. 
H miglio mantiene la fame in casa. 

Il miglio seminato spesso è a carico, e non leva la fame. 
Il pennato è quello che fa la foglia. 

Il gelso si rinforza tagliandolo per F anno seguente ; ma 
il coltello, dev'essere ben tagliante onde non iscorticare 
quella pianta delicata, che altrimenti ne soffrirebbe as* 
sai, anziché averne vantaggio. 

Il proprietario di campagna trema sei mesi dal freddo 

e sei dalla paura. 

Il sugo non é santo, ma dove casca fa miracoli. 



S^Éfifi^:. 



44 
H vecchio pianta la vigna, e il giovine la vendemmia. 
Il Tino nel sasso, ed il popone nel terrea grasso- 
In campo straccOj dì grano nasce loglio- 
In montagna chi non vi pota non vi magna. 
L- acqua fa V orto. 
La pecora ha Toro sotto la coda. 
Che il suo concimo è buonissimo. 
La pecora sul e, è benedetta e nella bocca maledetta. 
— ovvero 
La pecora sarebbe buona se la bocca T avesse in mon- 
tagna ed il e... in campagna. 

Cioè il suo dente rovina le piante. 
La pecora è per il poverOj non il povero per la pe- 
cora* 

È proverbio veneziano e vale che la pecora rende molto 
ma vuol esser trattata bene- 
La prima oliva è oro, la seconda argento, la terza non 

vai niente. « 

La saggina ha la vita lunga. 

Sta molto sotto terra prima di nascere ; ma con un gioco 
di parole s' adopra pure a significare la felicità del 
saggio. (Giusti) 

La segale nella polverina e il grano nella pantanina. 

La segale vuol terreno piuttosto sottile : il grano ama le 
terre grosse che si chiamano pantani ne, perchè sono atte 
a far pantano. ( Lanibruschini) 

La segale o il segalaio fece morir di fame la comare. 
Lavora o abborraccia, ma semina finche non diaccia* 
Lavoratore buono, d'un podere ne fa due; cattivo ne fa 

un mezzo. 
Loda il monte e tìenti al piano. 
L' orzòla, dopo due mesi va e ricòla. 
Va' e ricoglila, 
molle o asciutto^ per San Luca (18 ottobre) semina- 



1 



45 
Molta terra, terra poca; poca terra, terra molta. 

La molta terra lavorata male, equivale alla poca, e vi- 
ceversa. 

Neanche il contadino ara bene se non s' inchina. 
Non mi dare e non mi tórre ; non mi toccar quando son 
molle. 

È la vite che parla. E dicesi anche : 

Se tu vuoi della vite trionfare, non gli tórre e non 

gli dare, e piii di due volte non la legare j 
L' annestare sta nel legare. 

Le viti si contentano di non esser governate, purché non 
si spolpi il terreno intorno alle barbe con far semente 
che lo dissughino. — Non mi toccare quando son 
molle, appartiene al potare, e così il piii di due volte 
non mi legare, che non avrebbe senso opportuno dova 
le viti vanno su' loppi, ma per le viti basse vuol dira 
che il capo lasciato non sia tanto lungo da doverlo le- 
gare più di due volte. (Lambrtcschini) 

Vangami nella polvere, incalzami nel fango, io ti darò 
buon vino. 
Non s'ara come s'erpica. 

Erpicare dicesi lo spianare o tritar colFerpice la tept-a dei 
campi seminati. Arare come s'erpica farebbe lavoro 
troppo leggiero; ma può valere figuratamente, che ogni 
cosa vuole il suo modo. 

Per arricchire bisogna avvitire. 

Cioè, piantar viti. 
Per fare un buon campo ci vuole quattro m 

Manzi, moneta, merda e mano. 
Per San Gallo (16 ottobre) para via e non fai fallo. 

Para via, conduci 1 bovi aggiogati sul campo per arare. 
Per San Luca chi non ha seminato si speluca. 

Si spelitca, si batte Tanca, si mette le mani ai capelli. 
Perciò bisogna arare la terra sia molle o asciutta. 

Per Sant' Andrea piglia il porco per la sèa (setola) ; se 
tu non lo puoi pigliare, fino a Natale lascialo andare. 



4ti 
Per San Tome, piglia il porco per lo pie. 

I contadini un pò* agiati ingrassano un porco, il quale 
sogliono ammazzare al principio delF inverno, e serve 
poi tutto Tanno pel consumo della casa. 

Per Santa Maria Maddalena (22 luglio) si taglia la yena. 
Per Sant* Urbano {25 maggio) tristo quel contadino che 

ha r agnello in mano. 
Poco moato, vin d' agosto — ovvero : 

Poco Tino Tende vino, molto vino guarda vino. 

Poco TÌnOj vendi al tino ; assai mosto, serba a agosto. 

Poca uva, molto vino; poco grano, manco pane. 

Quando v' è molto vino molto so ne beve, e nell' estate 
rincara; ma quando è poco, si fa, bastare: il pane si 

finisce presto. 

Poni i porri e sega il fieno, a qualcosa la chiapperemo. 
Pota tardi e semina presto, 

Se un anno fallirai, quattro ne assicurerai. 
Presto per naturaj e tardi per ventura. 

Le sementa fatte tardi è gran ventura se corrispondono. 
Chi semina a buon' ora qualche volta falla, e chi semina 

tardi falla quasi sempre. 
Quando canta il Cucco v' è da far per tutto ; o cantare 

o non cantare, por tutto c'è da fare. 
Quando canta il Ghirlindò (o Ghirlingò), chi ha cattivo 

padron mutar lo può. 
Quando canta il Firinguello, buono o cattivo, tientì a 

quello, 

Ghirlingò o Zirlingò, è un uccelletto che canta la pri- 
nciavera; il Fringuello canta il verno. 

Quando canta il Merlo, chi ha padron si attenga a quello. 

Canta di settembre e d' ottobre, nel quale tempo avvi- 
cinandosi l' inverno, è mala cosa ai contadini trovarsi 

senza padrone. 

Quando canta TAsaìolo, contadin, semina il fagiolo. 



•w^lr^"*'^ . 



47 
Quando il grano ricasca, il contadino si rizza. 

Quando il grano ricasca è segno che v'è molta paglia, 
ossia, che il grano è fatto e rigoglioso. E però quando 
pure renda meno, perchè allettato, sempre si raccoglie 
più che quando è misero. (Lambruschini) 

Quando il grano è ne' campi, è di Dio e de' Santi; {o 
è di tutti quanti). 

Cioè è esposto a mille casi. 

Quando è su' granai (o solai) non se ne può arer aen- 
za donai. 

Quando la terra vede la vena, per sett' anni la terra 
trema. 

Smunge il terreno. 

Quando luce e dà (qttando splende e batte) il solcj il pa- 
store non fa parole. 
Cioè esce con le pecore alla campagna. 

Quando mette la querciola, e tu semina la cicerchiola. 
Quando più ciondola, più ugne. 

È detto dell' ulivo. 
Quattrin sotto il tetto, quattrin benedetto — oppure 

Guadagno sotto il tetto, guadagno benedetto. 

Dove son corna, son quattrini. 

Il guadagno della stalla è parte principalissima nella eco- 
nomia del podere. 

Eivoltami, che mi vedrai. 

È la terra che parla chiedendo d'esser vangata. 

La vanga ha la punta d'oro — e dicesi anche: 
Chi vanga non l' inganna. 

In quest' ultimo intendi : chi vanga, chi va molto a fondo 
negli scassi, dal vangare non è ingannato; il vangare 
non lo inganna, non lo tradisce, gli porta frutto. 

Vanga piatta, poco attacca; vanga ritta, terra ricca; 
vanga sotto, ricca al doppio. 



i8 
Vanga e zappa non vuol digiuno. 

Cioè la vanga e la zappa vogliono uomo ben pasciuto 

che lavori forte. Dicesi perciò: Se il coltivatore non è 
pili forte delia sa' terra questa finisce per divorarlo. 

Chi vuol lavoro degno, assai ferro e poco legno. 
Cioè Bla la vangheggiola langa. 
L* aratro ha la punta di ferro; la zappa l'ha d'argento. 
D'oro l'ha la vanga; e quando vuoi far lavoro de- 
gno, metti tra la vanga molto ferro e poco legno. 
Proverbio usato in Sicilia. 
RoTOj in buona terra covo. 

Dove allignano i rovi, i roghi, la terra è buona pel 

grano. ( Lambruschini) 

San Luca, cava la rapa e metti la zucca. 
Se ari malej peggio mieterai. 

Se d' aprile a potar vai, contadino, molt' acqua beverai 
e poco vino — ed anche 
Chi nel marzo non pota la sua vigna, perde la ven- 
demmia. 

Bisogna aver potato prima. 
Sega l'erba a luna nuova, 
E la vacca al bisogno trova. 

Perché allora più prontamente rigermogliano le erbe a 
cagione della maggiore umidità dell* atmosfera nei no- 
vilunii* 

Se tagli un cardo in aprii, ne nascon mille. 

Se tu vuoi empir le tina, zappa il miglio in orecchina. 

Quando il mìglio si fa sulle prode addosso ai filari, con- 
viene nello zapparlo andare a sentita, o quasi stare in 
orecchie, per non offendere le barbe alle viti. 

Solco rado empie il granaio. 

Tante tramuto, tante cadute — e 

Ogni muta, una caduta. 

Contro i padroni troppo facili a mutare i lavoratori e i 
lavoratori troppo facili a mutar padrone. 



Terra bianca, tosto stanca; 

Terra nera, buon grano mena. 
Terra coltivata ricolta sperata. 
Terra magra fa buon frutto. 
Terren grasso villano a spasso. 

Tra mal d' occhio e 1' acqua cotta, al padron non glie- 
ne tocca. 

Dicesi della raccolta delle ih ve. Non gliene tocca, cioè, 
tra '1 maldoccliio o i succiameli che le distruggono, e i 
contadini che le cuociono e se le mangiano innanzi di 
dividerle col padrone. 

Tre cose vuole il campo: buon lavoratore, buon seme e 

buon tempo. 
Vigna al nugolo (non esposta al sole, o durante le annate 

piovose) fa debol vino. 
Vigna piantata da me, moro da mio padre, olivo dal 

mio nonno. 



METEOROLOGIA, STAGIONI. 

Meteorologia : Scienza dei fenomeni che accadono e hanno 
origine neW atmosfera, come pioggia, nevs, gran- 
dine ecc. 

Stagioni : Nome comune alle quattro parti dell" anno^ e 
anche Tempo in cui le cose sono nella loro perfe- 
zione. 

A' cinque d'aprile, il cucco dee venire; se non viene a' 
sette o agli otto, o eh' è preso o che è morto; ae non 
viene ai dieci, egli è perso per le siepi; 
Se non viene ai venti, egli è perso fra i fermenti; 
Se non viene ai trenta, il pastor l'ha mangiato con 
la polenta. 

È proverbio più specialmente usato dai veneti. 
Acqua di maggio, uccide il porco d'un anno. 
4 



50 

Acqua di giugno rovina il mugnaio. 
Acqua o aol, la campagna ya di voi. 

La yegcrtazione ìlorìsce asàaì quando acqua e sola sì av- 
vi cejidano tra loro in giuste proporzioni. 

Agosto ci matura il grano e il mosto. 

Al fare in mare^ al toodo in porto, percliè a^ quindici 

noa ti faccia torto. 

Dice della luna nuova e della luna pìenaf perché questa 
più rischi. 

Alla luna settembrina, sette lune se le inchina* 

Dalla lana di settembre bì può prevedere le sette altre 
che succedono, — e : 

Quando nevica di settembre, nove lune attende. 
Alla prim^ acqua d' agosto cadono le mosche; 

Quella che rimane morde come im cane, 
Alla prim' acqua d'agosto pò ver' uomo ti conosco {ovvero 

il caldo b' è ripoeto). 

Alle prime rinfrescate si mette a prova la sanità. In 

montagna dov'è pili freddo s'intende: io ti conosco 

pò ver* uomo che non hai panni d'inverno da porti in- 
di^go. 

Alleluia, ogni mal fuia. 

Cioè, la Pasqua d' uovo, 
Airescìta, brache e camicia f e all'entrata, la rocca è 
inconnocchiata. 

Credono le donnicciole che a luna calante nascano 1 f gli 
maschi, e a luna nuova le femmine. La rocca è emble- 
ma delle donne sino dai tempi piti remoti: e i conta- 
dini, pongono tuttavia la rocca ia cima al corredo e a 
vista di tutti. 

Al quinto d\ vedrai qual mese avrai. 

Cioè della luna, 

A Natale, freddo cordiale. 

Anno bisesto, anno senza sesto. 

È questo originato dalla superstizione popolare la quale 
vuole che ogni cosa riesca male negU anni bìseettlì* 



51 
Anno ficaio, scarso granaio. 
Anno fungato, anno tribulato. 
Anno ghiandoso, anno cancheroso. 
Anno nevoso, anno fruttuoso. 
Anno di neve, anno di bere, — e il più popolare: 
Sott' acqua fame, e sotto neve pane. 
Dicesi anche: 

Quando la neve è alta un mattone, il gran torna a 

un testone; 
Quando la neve s^inverna in piano, vai più il sacco 

che non vale il grano. 
Anno pecoraio, anno pecchiaio. 

L' anno in cui v' è molta carne, v' è anche molto miele. 

Anno susinaio, poche fastella. 

Aprile, dolce dormire. 

Aprile e maggio son la chiave di tutto l'anno. 

Aprile, esce la vecchia dal covile; 

E la giovane non vuole uscire. 
Aprile fa il fiore e maggio si ha il colore. 
Aprile n'ha trenta, se piove trentuno, non fa male a 

nessuno. 
Aprile, ogni giorno un barile — ed anche: 

Aprile una gocciola il die, e spesso tutto il die. 
Aprile piovoso, maggio ventoso o veneroso (cioè beUo e 

gaio); anno fruttuoso. 
Aprile freddò, molto pane e poco vino. 
Aprile, quando piange e quando ride. 
Aprile suol esser cattivo da principio o al fine. 
Aprile temperato non è mai ingrato. 
A primavera vengon fuori tutte le magagne — ed anche: 

Come marzo s' avvicina, tutti gli umori si risentono. 
Arco da mattina, empie le mulina (o la marina); arco 

da sera tempo rasserena. 



52 
Aria a fette , lampi a saette; 
Ària a ^calelli, acqua a pozzatelli ; 
Aria pecorina, se non piove la sera piove la mattina ; 
Aria a pane, se non piove oggi, pioverà domane. 

AìHa a scalelli, nubi ammontate come i gradini d^una 
scala ; a pani quando si ammonticchiano in forma di 

pani — e 

Quando il cielo è a falde di lana, 

Anche T acqua è poco lontana. 
Aria bassa senz' acqua non passa. 
Aria roaaa da sera, buon tempo mena; 

Ma ae inalza, non le aver fidanza — ed anche 

Sera roBaa e nera mattino, rallegra il pellegrino. 
Aria roeaa^ o piscia o soffia. 
Arno non cresce, se Sieve non mesce. 

La SIeT3 è il maggiore tra gli influenti dell* Arno al di 
sopra di Firenze ed è questo proverbio tutto fiorentino. 
A Roma dicono invece: 

Tevere non cresce, se Nera non mesce. 
A San Barnaba (11 giugno) la falce al prà, o piglia la 

falce e in Maremma va. 
A San Marco le vacche passano il varco — e 

A Santa Caterina le vacche vanno alla cascina. 
Incominciano i pascoli, e le vacche danno latte. 

A Sa*i Martino (11 novembre) ogni mosto è vino, (o è 

vecchio ogni vino). 

Cosi dice chi ha troppa fretta di bere il vin nuovo, sia 
pel minor prezzo, sia pel sapore più piccante. 

A San Martino, si veste il grande e il piccino. 

A San Mattò (21 settembre) l'uccellator salta in pie. 

A San Mattia (24 febbraio) la neve per la via (cioè in 

via d' andarsene). 
A San Michele (29 settembre) il calore va in cielo. 
A San Simone (28 ottobre) il ventaglio si ripone. 
A Ognissanti, manicotto e guanti. 



..A^ 



63 
A Santa Eeparata (8 ottobre) ogni oliva olivata (inoliata). 
Avanti Natale, né freddo ne fame (o per fino a Natale 

il freddo non fa male) : da Natale in là, il freddo 

se ne va. 
Befania, (6 Gennaio) tutte le feste manda via ; e Santa 

Maria, tutte le ravvia. 
Bel lucciolalo, bel granaio (o buon granaio), 

£d anche: 
Molto pulciaio, molto granaio. 
Bianco gelo, d' acqua è messaggero. 
Bruma oscura, tre di dura; se vien di trotto, dura più 

d' otto» 
Buona è la neve che a suo tempo viene. 
Calende (primo di del mese) torbo, mese chiaro, 

E al contrario, 

Calende, tutto il mese attende. 

Cioè il tempo che fa per le calende continuerà tutto il 
mese. 

Carnovale a casa d' altri, Pasqua a casa tua. Natale in 

corte. 

n carnevale porta spesa, la Pasqua si dee &re co' suoi, a 
Natale si oanno le mance. 

Castagne verdi per Natale sanno molto e poi vanno a 

male. 
Cerchio lontano, acqua vicina; e cerchio vicino, acqaa 

lontana. 

S' intende di quel cerchio che fanno i vapori intorno alla 
luna. 

Chi fa il Ceppo al sole, fa la Pasqua al fuoco — ed 

anche: 
Da Natale al gioco, da Pasqua al fuoco. 
Chi va all' acqua d' agosto, non beve, o non vuol bere 

il mosto. 

Andare all' acqua, è andare a bagnarsi e nuotare, il che 



-^7i^9^ 



54 

in Firenze è molto salutifero ne' tempi caldi; ma d'ago- 
sto l'acqua comincia a incrudelire, e chi la A*equ6nta 
di quel mese, corre pericolo di morire innanzi la yen- 
demtnia* (Ser donati) 

Dair otto al nove V acqua non si muove. 

Subito dopo il primo quarto della luna, il tempo non mu- 
ta. Nel Veneto si dice: 

Sete, oto^ e nove V aqua non si move, 
Vinti, vintun e ventidò, V acqua non va né in su ne 
in 2Ò. 

Questo proverbio ebbe origine dalla osservazione fatta 
da' nostri antichi marinari, che i flussi e riflusw sono 
massimi ne* plenilunii e novilunii, e minimi nella qua- 
dratura, cioè nella maggior distanza della luna dal sole, 
come appunto procede nei detti sei giorni lunari. 

Da Natale a Carnevale non e' è vigìlia da osservare, se 

San Mattia non appare. 
Da Ognissanti a Natale i fornai perdono il capitale. 

Forse per it molto pane che si dà in campagna in ele- 
mosina in suffragio dei Defunti, che poi è rivenduto alla 
città. 

D' aprile piove per gli uomini e di maggio per le bestie. 
Ma: 
Yal più un^ acqua tra aprile e maggio, che i buoi con 
il carro. 

Da San Martino a Natale, ogni povero sta male. 

Da San Martino a Sant'André settimane tre, da Sant'An- 
dré a Natal un mese egual. 

Da San Michel© guarda il ciel se gli è sereno, 
E dicesì altrimenti: 

Quando T Angiolo, cioè San Michele, si bagna Tale, 

piove fino a Natale. 
Da Santa Caterina a Natale un mese reale. 
D'està, per tutto é cà. 
D' estate ogni buco fa latte, d' inverno nemmen le buone 

vacche. 



55 
Di Carnevale ogni scherzo vale. 
Dicembre piglia e non rende. 

Cioè, il seme sta sottoterra senza nascere per tutto quel 
mese. (Lustri) 

Di Luna al primo Marte (martedì) si fanno tutte V arte. 

Volgar pregiudizio — e 

Non fu mai martedì senza luna — e 
La luna ai 29 non fa, e ai 30 non arriva. 
Di maggio nascono i ladri. 

Perchè di questo mese comincia ne' campi a esservi robe 
da cogliere; e quando gli alberi sono vestiti e il grano 
è alto, chi vuol far del male si nasconde facilmente. 

Di marzo, chi non ha scarpe vada scalzo, 
E chi le ha, le porti un altro po' più là. 

Ovvero : 

Di marzo, ogni villan va scalzo ; 

D'aprile, va il villano e il gentile. 
Di settembre, la notte e il dì contende. 
Dopo la neve, buon tempo ne viene — e 

La neve non lasciò mai ghiaccio dietro. 
La neve per otto dì è alla terra come mamma, da indi 

in là come matrigna. 
È meglio pioggia e vento che non il mal tempo. 

Mal tempo, burrasca. 

E' non nevica mai bene, se di Corsica non viene. 

Fango di maggio, spighe d' agosto. 

Cioè dovizia di biade, che sono le spighe dell' agoeto o la 
seconda raccolta. 

Febbraio asciutto erba per tutto. 
Febbraio corto (o Ferraiuzzo) peggior di tutti, 
Ferraietto è corto e maledetto. 
Fino ai Santi la sementa è pei campi. 
Dai Santi in là, la si porti a cà. 




56 

A San Martino la si porta al mulino — e cUtrimenti 

Fino a San Martino sta meglio il grano al campo che 
al mulino. 
Fino a Santa Margherita (20 luglio) il gran cresce nel- 
la bica. 
Freddo primaticcio e foglie serotino, ammazzano il vec- 
chio. 
Gennaio e febbraio mettiti il tabarro — e 

Di marzo ogni matto vada scalzo — e 

D' aprile non ti scuoprire, di maggio vai adaggio. 

Di giugno cavati il codigugno, e se non ti pare tor- 
natelo a infilare; di luglio vattene ignudo. 
Per il settembre poi si suol dire: 

Brache, tela e meloni, 

Di settembre non son più buoni. 
A Firenze dìcesi anche : 

Fino ai Santi fiorentini, non pigliare i panni fini. 

Cioè, fino dopo la metà di maggio, nel qual mese cadono 
\é feste di San Zanobi, Santa Maria Maddalena de' Pazzi 
e San Filippo Neri, fiorentini. 

Gennaio e febbraio, empie o vuota il granaio. 
Gennaio forte tutti i vecchi si auguran la morte — 

ed anche : 
Nel mese dì gennar la vecchia sta in tirar (cioè per 
morire) 
Gennaio fa il peccato, e maggio è il condannato {ovve- 
ro) e maggio n' e incolpato) 
Gennaio fa il ponte e febbraio lo rompe — e 

Gennaio mette il diaccio, e febbraio lo strugge — e 

anche : 
Sant* Antonio fa il ponte e San Paolo lo rompe. 
Gennaio ingenera^ febbraio intenera, marzo imboccia, 
aprile apre, e maggio fa la foglia. 

Dicesi piti specialmente della vegetazione dei castagni; 
ma può riferirsi a tutte le piante. 



i^ìMtji 



V^^ff^-.:. 



57 

Gennaio, ovaio — e 
Gennaio non lascia gallina a pollaio — e, più comu- 
ne in Toscana: 
Non v' è gallina né gallinaccia, 
Che dì gennaio uoya non faccia. 

Gennaio secco, lo viUan ricco — e, sempre nel Gennaio : 
Quando gennaio mette erba. 
Se tu ha' grano e tu lo serba. 
Polvere di gennaio, carica il solaio. 
Se gennaio fa polvere i granai si fan di rovere. 

Gennaio zappatore, febbraio potatore, marzo amoroso, a- 
prile carciofaio, maggio ciliegiaio, giugno fruttaio, 
luglio agrestaio, agosto pescaio, settembre fìcaio, ot- 
tobre mostaio, novembre vinaio, dicembre favaio. 
Son proverbi romaneschi. 

Gobba a ponente luna crescente, gobba a levante luna 
calante — e 

Quando la luna è tonda, essa spunta quando il sol tra- 
monta. 
Guai a queir anno che V uccello non fa danno. 

Perché non c'è nulla da beccare. 
Guardati dalla primavera del gennaio — e 
Se gennaio sta in camicia, marzo scoppia dalle risa. 
Cioè, ti canzona, 
n carnevale al sole, la pasqua al foco. 
E altrimenti: 
Carnevale al sole, pasqua molle. 
D carnevale, il povero a zappare. 

Mentre gli altri si sollazzano nel carnevale, a' poveri 
tocca faticare per vivere, perciò : 

A carnevale si conosce chi ha la gallina grassa, 

D fresco della state fa dolere il corpo d' inverno- 

La state fresca promette scarsa raccolta deir anno dopo. 



58 

Il gran freddo di gennaio, il mal tempo di febbraio, il 
vento di marzo, le dolci acque di aprile, le guazze 
di maggioj il buon mieter di giugno, il buon batter 
di luglio, le tre acque d' agosto con la buona sta- 
gione^ yagliono più che il tron di Salomone. 

Il meae di bruma (il novembre) dinanzi mi scalda e di 
dietro mi consuma. 

Perchè suole cominciare caldo e terminar freddo;, e si 
dice poi del susseguente: 

Dicembre^ davanti t'agghiaccia e di dietro t'offende 

{ù vicemrm). 

H sol d' agosto^ inganna la massara nelF orto. 

Brucia gli erbaggi dell' orto. 
H vento non è buono che b mandar navi e mulini. 
In anno pieno il grano è fieno, in anno malo la paglia 

vale quanto il grano. 
La bruma tutte le pezze raguna. 

Cioè il freddo fa trovare le vestimenta. 
L' acqua d' aprile il bue ingrassa, il porco uccide, e la 

pecora ae ne ride. 
L'acqua di marzo è peggio delle macchie ne^ vestiti. 
L' acqua per San Giuan, porta via il vino e non dà pan. 

È proverbio d' origine spagnuola. 
La domenica dell' ulivo, ogni uccello fa il suo nido. 
La grandine non fa- carestia. 

La nebbia di marzo non fa male, ma quella d'aprile to- 
glie il pane e il vino. 
La nebbia lancia il tempo che trova — e 
Nebbia bassa buon tempo lascia. 

Usasi anche d'altre cose, che sono come la nebbia^ la 
quale lascia il tempo che trova. 

La neve Sant' Andrea 1' aspetta; se non a Sant' Andrea, 
a Natale ; se non a Natale, più non 1' aspettare. 



ÙaM 



59 
La pecora e l'ape, nell'aprile danno la pelle. 
La prim' acqua d'aprile vale un carro d'oro con tutto 
r assile. 

Assile, lo stesso che asse. 

La prim' acqua d'aprile, ogni giorno un barile. 

L'ecclissi sia del sole o della luna, 

Freddo la porta e mai buona fortuna. 

L' estate di San Martino dura tre giorni e un pocolino. 

L' estate è la madre de' poveri. 

L'inverno mangia la primavera e l'estate l'autunno. 

Luglio dal gran caldo, bevi ben e batti saldo. 

Nelle lunghe fatiche della state il migliore conforto ed 
aiuto è il vino. 

Luna mercurina tutto il ciel mina. 

Luna nata di mercoledì, cagiona pioggia molta e tem- 
peste. (Serdonati) 

Maggio asciutto ma non tutto, gran per tutto; maggio 

mòlle, lin per le donne. 
Maggio ortolano {cioè acquoso), molta paglia e poco 

grano. ^ ^ 

Maggio giardinaio, non empie il granaio — ed ancfie: 

Se maggio è rugginoso, l'uomo è uggioso, così: 

Arno vuoto granaio pieno. 
Maggio fresco e casa calda, la massaia sta lieta e balda* 

Lodano i contadini il maggio ombroso, e così non troppo 
caldo; ma che però Taria tepida di primavera sìa di 
già venuta e abbia riscaldato la casa. ( Lamhruschini) 
Dicesi anche: 

Se maggio va fresco va ben la fava e anco il fermento. 
Maggio non ha paraggio. 
Marzo alido, aprile umido — e 

Marzo asciutto, e aprii bagnato. 

Beato il villan e' ha seminato — e 

Quando marzo va secco, il gran fa cesto e il lin ca- 
pecchio. 



j-fj^.MBà^^:^^. .. 



■r^rtm 



60 
Marzo ha comprata la pelliccia a sua madre, e tre gior- 
ni dopo e' l'ha venduta. 

Sì riferisce alla incostanza della temperatura di questo 

mese. 

Marzo molle, gran per le zolle. 

Non fa cesto, cresce, e poi ricade per le zolle — ed anche : 
Se marzo butta erba, aprile butta merda. 
Marzo non ha un di come l'altro — e 
Marzo pazzo — e 
Marzo Tuol far le sue. 

E pure: 
Kel marzo un sole e un guazzo — e 
Il sole di marzo, muove e non risolve. 

Che dicesi anche di chi propone le cose e non le conduce 
a Ane. 

Marzo o buono o rio, il bue all' erba e il cane all' ombra. 

Marzo tinge, aprii dipinge, maggio fa le belle donne, e 

giugno fa le brutte carogne. 

lì sole di marzo è il primo che faccia imbrunire, poi vie- 
ne la forza della primaveca. 

Mezzo gennaio^ il sole nel pagginaio ; mezzo ferriere, 
morto è chi non rinviene ; mezzo marzo, chi non 
rinviene è morto affatto. 

Poffginaio e poggino, luogo a bacio : paggino è tuttavia 
usato dai montagnoli. (Lambruschini) 

Natale senza danari, carnevale senz' appetito, pasqua 

senza devozione. 

Si ihnno male. 
Né caldo ne gelo non restò mai in cielo. 
Ni di Venere ne di Marte, non si sposa né si parte. 
Nel febbraio la beccaccia fa il nido, nel marzo tre o 

quattro, nell' aprile pieno il covile, nel maggio tra 

le basche, nel giugno come un pugno, nell' agosto 

non ucciderla al corso. 



rr^ 



61 
Neve marzolina dura dalla sera alla mattina. 

E dicesi anche: 

La neve di gennaio diventa sale, e quella d'aprile 
farina. 

Perchè si strugge subito. 
Kon è bella la pasqua se non gocciola la frasca. 
Non y' è sabato santo al mondo, 
Che la luna non sia al tondo. 

La nostra Pasqua succede per lo più la prima domenica 
dopo il plenilunio di primavera. Se il plenilunio del 
20 e 21 marzo cade prima dell* ingresso del mìe in 
ariete, allora non è più il plenilunio di primavera, e 
si deve aspettare un intero mese lunare, sino air ingres- 
so del primo plenilunio, donde la festa di Pasqua viene 
trasportata alla prossima domenica, lochè può protrarsi 
sino ai 25 aprile che è l'estremo limite pasquale. Per- 
ciò dicesi : 

Non si può veder Pasqua, né dopo San Marco, uè 
prima di San Benedetto — ed anche 

Alte basse nell' aprile son le pasque. 
Non è sì piccola ponzina, che di marzo non sia gal- 
lina — e 

Marzo per le galline, aprile per le pecore, maggio per 
i buoi, giugno per noi. 

È proverbio usato in Lombardia e riguarda V epoca del 
prodotto degli animali qui nominati. Giugno per noi, 
dicono i contadini, alludendo a' bozzoli che sono la loro 
prima e precipua fonte di guadagno e nei quali ripo- 
sano le loro più care speranze d'un migliore avvenire. 

Non fu mai vento senz' acqua ; non fu pioggia senza 

vento. 
Nuvoli verdi o scuretti son tempesta con saetti- 
Nuvolo di montagna non bagna la, campagna — e 

Nuvolo da ponente non si leva per niente. 
Oggi fave, domani fame. 
Raccolta incerta. 



I 



62 
Pasqua di Befana, la rapa perde Y anima. 

Come dicesse, si vuota. I contadini chiamano pasqua tutte 

io fteste maggiori. (Giusti) 

Pasqua taoto desiata, in un giorno è passata. 
Pasqua venga alta o bassa, la vìen con la foglia o con 
la frasca — o 
Venga pasqua quando si voglia, la vien con la frasca 

e con la foglia — o 
Pasqua, voglia o non voglia non fu mai senza foglia 
{o foglia di gelso). 
Per il Perdon (2 agosto) si pone la zappa in un 

canton* 
Per la Santa Candelòra, se nevica o se plora, dell' in- 
verno siamo fuora ; 
Ma s' è sole e solicello, noi siam sempre a mezzo il 

verno — e 
Se nevica per la Candelòra, sette volte la neve 
svola. 

E altrimenti : 

Delle cere la giornata, ti dimostra la vernata: 

Se vedrai pioggia minuta, la vernata fia compiuta; 

Ma se tu vedrai sol chiaro, marzo fia come gen- 
naro — e 

San Paolo e la Ceriola scura, dell' inverno non sì ha 
più paura — e 

Delle candele non me ne curo, 

Purché San Paolo non faccia scuro. 
Per San Barnaba (11 giugno) l'uva viene e il fiore va — e 

Se piove per San Barnaba, l' uva bianca se ne va; 

Se piove mattina e sera, se ne va la bianca e la 
nera — onmro 

Quando piove il giorno di San Vito (15 giugno) 

H prodotto dell'uva va sempre fallito. 
Per San Bastiano (20 gennaio), sali il monte e guarda 



63 
il piano : se vedi molto, spera poco ; se vedi poco, 
spera assai. 

Il grano quando di verno ha sfronzato poco, promette 
buona raccolta, perchè il freddo il quale gli ha impe- 
dito d' andare in rigoglio di foglie, lo ha fatto barbicare 
e accestire. Il magistrato dell'Annona di Firenze spe- 
diva per la Candelaia commissari in provìncia a visi- 
tare i grani, e V istruzione era questa : se poco vedi, 
molto credi; e a rovescio. (Lambrtcschini) 

Ed ugualmente ai precedenti: 

• Se tu vedi del formento per Natale, ammazza il cane. 

Se non lo vedi dagli del pane. 
Per San Clemente il verno mette un dente (23 novembre) 
Per San Cosimo e Damiano (27 settembre), ogni male 

fia lontano. 

Perchè que' due santi erano medici e protettori di Casa 
Medici. 

Per San Donato (17 agosto), V inverno è nato ; per San 

Lorenzo, gli è grosso come un giovenco; per Santa 

Maria, quanto una Badia. 

Non è affatto vero : nel mese d agosto i caldi grandi fi* 
niscono, ma siamo ancora lontani dair inverno. 

Per San Michele (29 settembre), la succiola (o la ginggola) 

nel paniere. 

Per San Pietro (29 giugno), o paglia o fieno. 

Alla fine di giugno sappiamo la nostra sorte intorno al 
grano: ve n'è, o non ve n'è; si miete la paglia, cioè 
il grano, o si mietono le erbe cresciute dove il grano 
non è venuto o è perito. (Lambruschini) 

Per San Simone (28 ottobre), la nespola si ripone. 

Per Santa Caterina (25 novembre), la neve alla collina 

(ovvero o neve o brina o tira fuori la fascina). 
Per Santa Cristina (24 luglio), la sementa della saggina. 
Per Santa Croce (14 settembre), pane e noce — e 

Santa Croce tutte le feste rimette in luce. 

Per Santa Maria, (15 agosto) il marrone fa la cria* 

Anticamente dicevano criare per creare: fa la cria, quasi 
dicesse fa la crea, creazione. (Lambruschini) 



k^i^'. 



64 
Per Sant* Ansano (1 dicembre)^ ubo sotto e uno in mano. 

Intendi un veggio. Si riferisce al rigore dell' inTerno. 
Per Santa Teresa prepara la tesa (degli uccelli). 
Per San' Urbano (25 maggio), il fromento è fatto grano. 
Per San Talentino (14 febbraio), prima vera sta vicino. 
Per tutto aprila^ non ti Booprire — e 

Aprile aprilonCj non mi farai por giù il pelliccione. 

Ma j più rigorosi dicono? 
Né di maggio nfe di maggione, non ti levare il pel-* 

licciooe — e 
Tatto aprile e tutto maggio al verno mi ritraggo. 
Piogga di febbraio empie il granaio — e 

Se dì febbraio corrono i viottoli^ empie di vino e olio 
tutti i ciottoli p 
Ponente, tramontana bì risente. 
E diciamo anche: 
Tramontanin non buzzica^ se il maria non lo stuzzica. 
Quando canta il botto, (quando canta il ranocchio, nel- 
Teatate) rasciuga un di quanto non piove in otto {ov- 
vero rasciuga più in un dì che il verno in otto). 
Quando canta il cuoco (cioè di primavera), un giorno 
molle e l'altro asciutto {ovvero un'ora bagna e l'altra 
è asciutto). 
Quando canta il merlo siamo fuori dell* inverno. 
Quando canta pìgozzo (picchio) di gennaio, tieni a ma- 
no il pagliaio. 

Bisogna campar le bestie con la paglia perchè suol ne- 
vicare* 

Quando Dio vuole, a ogni tempo piove. 

Quando gli armellioi (albicocchi) sono in fiore. 

Il dì e la notte son d' un tenore. 

Quando ha tonato e tonato, bisogna che piova- 

Per modo proverbiale suol dirsi anche di cosa la quale 
giunga molto aspettata, perciò si dice; 

Tanto tonò che piovve. 



65 
Quando il ciel bello varia, convien dargli dell' aria {cioè 

alla casa). 
Quando il fico serba il fico, tu, yillan serba il panico. 

È indizio di cattiva raccolta per Tanno veniente che i tìelii 
rimangano suir albero. Panico, cibo qualunque. DiceBì 
anche: 

I fichi bodoloni, fanno di grandi poveroni. 
Quando il gallo beve di state, tosto piove. 
Quando il gallo canta a pollaio, aspetta 1' acqua sotto il 

grondaie — e 

Se il gallo canta fra le tre e le quattro, il tempo 
è guasto. 
Quando il grano abbonda, il pesce affonda ; e quando 

il grano affonda, il pesce abbonda. 

Il Serdonati spiega questo Proverbio così: che (j ti a rido il 
grano abbonda, il pesce è caro; e viceversa. In Lom- 
bardia dicono : 

Pesce caro, e polenta a buon mercà. 
Quando il mandorlo non frutta, la sementa si perde 

tutta. 
Quando il giuggiolo si veste, e tu ti spoglia ; quando si 

spoglia, e tu ti vesti. 
Quando il sole insacca in Giove, non è sabato che 

piove — e 

Quando il sole si volta (o guarda) in drè. 

Acqua fino ai pie (o la mattina l'acqua ai pie). 

È proverbio milanese e si dice quando dopo il tramonto 
si veda di nuovo l'immagine del sole riflessa dalle 
nubi. 

Quando il sol la neve indora. 
Neve, neve e neve ancora. 

InMti il sereno dopo la neve è segno di freddo persistente 
e presagisce altra neve. 

Quando il sole va rabbioso (rubicondo): 
H giorno di poi non è piovoso. 

5 



ia 



66 
Quando il tempo è diritto, non vai cantare il piccbìo — e 
Quando il tempo è in vela, ogni nuvolo porta sereno. 

Essere in tJe?£t, per eaeere diritto al buono; si dice anco 
essere in filo. Il canto del pìcchio suole essere segano 
d* aequa. 

Quando il tempo è molle, il dente e più folle. 

Quando il totnpo ai muta, la bestia starnuta. 

Quando il verno è nella state, e la state nell' invernata, 
non avrai buona derrata. 

Quando imbrocca d'aprile, vacci col barile ; quando ira- 
brocca di maggio, vacci per assaggio ; quando imbroc- 
ca di giugno, vacci col pugno. 

Il Proverbio riguarda T olivo. Altri invece d* imbroccare 
dice mignolare, che vuol diro mettere quelle cime fio- 
rite le quali hanno nome di mignole o mignoli, (Giusti) 

Quando i nuvoli vanno in su, to' (piglia) una seggiola 
e siedivi su; 
Quando i nuvoli vanno al mare, to' una vanga e va 

a vangare- 

To' una seggiola, perchè la pioggia è sicura ; ed è im- 
prudenza andare al campo/A questo simiglianti sono: 

Quando è seren, ma la montagna scura, 

Non ti fidar cbe non è mai sicura. 

Montagna chiara e marina scura. 

Ponti in viaggio senza paura. 

Quando è chiara la montagna, mangia, bevi e va in 

campagna (non piove). 

Al contrario suona qui^t* altro; 
Quando è chiara la marina^ mangia bevi e sta in 

cucina (piove). 
Quando la canna pugne, la passera giugne; 

Quando la spiga punge^ la rana unge, (diventa un 

boccon ghiotto.) 
Quando V erba non punge, la passera non unge. 

Quando non fa caldo il pesce passera non è buono. 



Iippj^ I ^^^'^ 



67 
Qaando la canavera (cioè la canna) fa il pennaccliio, 
Molta neve e molto ghiaccio. 
È proverbio proprio del Veneto. 
Qaando la festa viene, dimora; quando la va vìa, lavora. 
Quando la luna ha il culo molle, 
Piove, voglia o non voglia. 

Proverbio di marinari ; luna piena ha più rischi della 
nuova. 

Qaando lampeggia da ponente, non lampeggia per niente; 

Quando lampeggia da tramontana è segno di caldana. 
Quando la montagna ride, il piano piange. 

Molte castagne, poco grano. 
Quando 1' anno vìen bisesto, non por bachi e non far 

nesto — e 

Bisesto e Bisestin, o la madre o il fantoHn, 

È superstizione popolare che negli anni bisestili ogni cosa 
riesca a male, ed anche i parti sieno pericoloni* 

Qaando la rana canta, il tempo si cambia. 

Quando la vacca tien su il muso, brutto tempo salta 

suso. 
Quando le fave sono in fiore, ogni pazzo è in vigore. 
Quando le noci vengono a mucchiarelli, 

La va bene pei ricchi e i poverelli. 

Si ritiene che 1* abbondanza delle noci sia bene aocom^ 
pagnata anche dall* abbondanza degli altri raccoUL 

Quando 1' estate passa piovosa, la biada smoggia. 

Cioè abbonda la seconda raccolta, granturco, fògioli ec. 
Quando Marino veglia, o acqua o nebbia. 
Qaando monte Morello ha il cappello, villan prendi il 
mantello — e 

Quando Monte Morello ha il cappello e Fiesole la cap- 
pa, pianigiani, correte, ecco V acqua: 
Proverbi fiorentini. 



Liv. 



■ 

68 I 

Quando Natale vieae m domenÌGa, vendi la tonica per 

comprare la melica. 

Melica, saggina: gii credono anni di carestia, E anche: 
Natale in venerdìj vale due poderi ; se viene in dome- 
nica, vendi i bovi e compra la melica ~ ed anche 
Pasqua in giove vendi la cappa e gettala a' buoi. 
Quando nevica a minuto, la vaol fare insino al buco. 

Cioè, la vuol molto alzare. 

Quando non rischiara a terza^ 

La giornata si può dir persa. I 

Quando piove alla buon' ora prendi i bovi, va e lavora. I 

Perchè non vuol seguitare: ma 
Quando piove e tira vento^ serrai* uscio ^ e stattì drento. 
Perchè al cattivo tempo non si deve entrare ne' campì. 

Quando piove e luce il sole, tutte le vecchie vanno in 
amore — e 

Quando è. sole e piove, il diavolo mena moglie — * 
Quando piove e c'è il sole, il diavolo fa all'amore. 

Quando piove d' agosto, piove miele e piove mosto. 

La pioggia d'agosto giova alle viti, e mantiene in flore 
le piante daUe quali te pecchie cavano il miele. 

Quando piove per San Filippo (26 maggio) 
Il povero non ha bisogno del ricco. 

Che è pioggia preziosa. 

Quando San Giorgio (23 aprile) vien in Pasqua^ ^ 
Per il mondo e' è gran burrasca» 

E proverbio profetico. Nel 1848 San Giorgio avvenne 
(caso assai raro) nella seconda festa di Pasqua, ed il 
mondo fu in gran combustione; nell'anno 1859 cadde 
appunto il dì deila Pasqua: e certamente non si può 
negare esservi stato un gran Airora di burrasche da 
pertutto> 

tjuando acema la luna^ non seminar cosa alcuna. 



69 
Quando si bagnano le Palme si bagnano anche l'oya — e 
Se non piove suU' ulivo piove sull' ova. 

Cioè, se non piove la domenica delle Palme, in cui ba 
luogo la benedizione delF olivo, piove nella Pasqua. 

Quando Siena piange, Firenze ride (e viceversa). 

Ma lo dicevano poi soltanto della pioggia e del sei^no ? 
(Giusti) 

Quando si perdon le prime, le si perdon tutte. 
Quando si sente morder le mosche, le giornate si met- 

ton fosche. 
Quando tira vento, non si può dir buon tempo. 
Quando vedi la nespola e tu piangi, 

Ch' eir è r ultima frutta che tu mangi. 
Quel che leva V alido, 1' umido non lo rende ; 

Quel che leva V umido, V alido non lo rende. 

Allo stesso proposito son questi : 

Secca annata, non è affamata ; 

La secca non fece mai carestia ; 

Quando Dio ce lo vuol dare (il pane) 

Ce lo dà anche sopra una pietra. 
Ma però 

Se non frutta il cielo, non frutta neppur la terra. 
San Barnaba, il più lungo della sta. 
San Bastiano, un' ora abbiamo. 
San Benedetto (21 marzo), la rondine sul tetto. 
San Giovanni non vuole inganni. 
San Luca (18 ottobre), il tordo trabuca — e 

San Luca, la merenda nella buca, e la nespola si spi- 
luca. 
San Marco evangelista, maggio alla vista. 
San Niccolò di Bari (6 maggio), la festa degli scolari. 
Sant'Agata (5 febbraio), conduce la festa a casa. 

Perché siamo sulla fine del carnevale. 



Sant' Agnese (21 gennaio), il freddo è per le siepi. 
U freddo è per andarsene. Ed anche : 
Sant'Agnese le lucertole van per le siepi. 
Sant'Antonio (17 gennaio), gran freddura, San Lorenzo 
(10 Agosto) gran caldura, l'uno e l'altro poco 

dura ^ e 
Sant* Antonio dalla barba bianca. 
Se non piove, la neve non manca. 

E dicesl anche: 
Il barbato (Sanf Antonio), il frecciato (San Bastiano, 
e il pettinato (San Biagio), il freddo è andato. 
Santa Barbera (4 dicembre), sta intorno al fuoco e 

guardala. 
Santa Liberata, perchè non ha l' uscita come 1' entrata. 
Santa Lucia (13 dicembre), il più corto dì che sia. 

Qui ed altrove è da notare che taluno verisimilmente di 
questi Proverbi deve tenersi piii antico della correzione 
gregoriana e che allora le feste de' Santi cadevano n- 
tardate di tutti quei giorni dei quali errava il calenda- 
rio, tliscostandosi via via ogni secolo circa un gior- 
no dai corso vero dell' anno. E per esempio, quando 
compievasì la formazione dell' idioma nostro, poniamo 
a' tempi di Dante, doveva la festa di Santa Lucia ca- 
dere in quei giorno che dopo la correzione è il 20 di- 
cembre o nel solstizio d' inverno : e cosi San Barnaba, 
cadere presso al solstizio di estate, e per San Bastia- 
no, i giorni essere allungati quasi una mezz' ora più 
di quel che sieno al di d'oggi. Talché ora un altro Pro- 
verbio dice: 

Da San Lucia a Natale il dì allunga un passo di cane. 
San Tommè (21 dicembre), cresce il dì quanto il gallo 

alza un pie» 
San Tommè non è guardato né da pan né da bucato. 

Né da teesitora di sul Prato, ma sarà ben digiunato. 

Digiunano ina lavorano, perchè siamo prossimi alle Feste. 
E meglio: 

San Tommaso non sarai guardato, né da pan né da 
bucato, né da Santo affaccendato, né da tessitora 



^55^'^^-??^^- 



71 
di sul Prato, ma sarai ben digiunato^ tu ci vieni 
troppo a lato* 

Sul Prato è il nome di una piazza vicina alla porta 
dello stesso nome, in Firenze, dove abitavano per lo più 
le tessitore. 

San Vincenzo (5 aprile) chiaro, assai grano ; se è oacu- 

ro, pane ninno. 
Se canta la cicala di settembre, non comprare grano 

da vendere. 

Perchè vi è speranza per Tanno dopo. 
Secondo Calendi, a quello attendi. 

Cioè, il secondo di del mese eh' è giorno d* oròscopo. 
Se febbraio non febbreggia, marzo campeggia. 

Se febbraio non è fi'eddo, abbiamo troppe erbe nel marzo; 
e meglio: 

Se febbraio non isferra, marzo mal pensa. 

Se nel febbraio non si hanno le stravaganze e le rigidezze 
invernali si debbono aspettar di sicuro nel mese di mar- 
zo che farà, come suol dirsi, il pazzo. 

Se marzo non marzeggia, aprii mal pensa — e 
Quando marzo marzeggia, aprii campeggia — e 
Se marzo non marzeggia, giugno non festeggia. 

Si chiama marzeggiare T alternativa di pioggia e sole 
che più specialmente si riscontra nel mese di marzo* 

Se ogni mese mangia carne, ogni sterpo mena ghiande* 

U Lambruschini ha una ingegnosa interpretazione di que- 
sto proverbio ora quasi del tutto fuori d' uso. « Una 
volta, quando non si concedeva l'Indulto per la quare- 
sima, avveniva spesso che per un intiero mese (il mese 
di marzo) non si mangiava carne: cioè tutte le volte 
che la Pasqua cadeva dal 1 al 16 d' aprile. Il che av- 
veniva interpolatamente dietro al variare delle lune 
(come mostrano le tabelle pasquali) 16 volte in 3^ anni. 
E questa interpolazione nella sua stessa irregolarità si 
adatta bene alle variazioni delle cause molti plici che 
favoriscono o contrariano il fruttificar delle quercie. 
Cosicché un'osservazione tal quale, e un preconcetto 



72 

possente intorno al potere delle lime, può benissimo 
avere incolpato della mancanza delle ghiande il marzo 
senza carne, i^ 

Se piove per San Gorgonio (9 settembre), tutto 1' ot- 
tobre è un demonio — e 
Se ya tutto il di di San Gal, lo fa bello fino a Natal. 

Se piove per San Lorenzo, la viene a tempo ; se piove 
per la Madonnaj Ve ancor buona; se per San Barto- 
lommè soffiale di drè. 

Se piove per la Pasqua, la susina s' imborzacchia (cioè 
stenta a crescere). 

Se piove per 1' Ascenaa, {per l'Ascensione) metti un pa- 
ne di meno in sulla mensa. — E similmente : 
Se piove per V Ascensione, va ogni cosa in perdizione ; 
Se piove per S. Anna l'acqua diventa manna. 

1 Milanesi quando fa burrasca in quel giorno dicono: come 
r è sana la Bota di S, Ana, cosi da noi Toscani per 
il giorno di S. Iacopo, ed anche : 

Se piove il di di S. Anna piove un mese è una set- 
timana. 
Se piove il di della Pentecoste, tutte l' entrate non son 

nostre. 
Se rannuvola sulla brina, aspetta 1' acqua domattina — e 

Prima il vento e poi la brina, 1' acqua in terra l' altra 
mattina. 
Settembre, V uva e il fico pende — e 

Di settembre o porta via i ponti, o secca le fonti. 
Se vuoi vedere il buon temporale, la mane tramontana 

e il giorno (cioè quella parte del giorno che corre 

dal mezzodì alla sera) maestrale — o 

Quando il tempo è reale, tramontana la mattina, la 
sera maestrale. 
Sole a fìnestrelle; acqua e catinelle — ovvero 

Sole a uscioli, acqua a bigoncioli — e 

Cielo a pecorelle, acqua a catinelle. 



p 



73 
Ciiia mangi pecorelle qua' nuvoletti bianchì e radi che 
danno figura d'un branco di pecore. Finestrelle^ usùìù- 
liy que' Yani tra' nuvoli dove il sole la capolino. 

Sole d'alta levata non è mai di durata. 

Se il sole indugia a mostrarsi, vien coperto presto dai 
nuvoli. 

Tanto bastasse (duraase) la mala vicinaj quanto basta la 

neve marzolina. 
Tempo rimesso (o rifatto) di notte, non vai tre pere 

cotte — (wmro 

Sereu fatto di notte non vai tre pere cotte. 
Temporale di mattina ò per la campagna gran ro- 

vma. 
Temperai di notte, molto fracasso e nulla dì rotto. 
Terzo dì aprilante, quaranta dì durante. 

Cioè il tempo che fa il 3 di aprile continuerà per qua- 
ranta giorni. 

Tra maggio e giugno fa il buon fungo. 

Tramontana torba e scirocco chiaro, tienti all' erta, 

raarbaaro ! 
Tra Pasqua e Pasqua non è vigilia fatta. 

Cioè, tra Pasqua d' Uovo e Pasqua di Rose, 

Trenta di ha norembre, aprii, giugno e settembre ; 

Di ventotto ce n' è unoj tutti gli altri n' han 
trentuno. 
Trist^ a quella state ^ ohe ha saggina e rape. 
Vento senese, acqua per un mese — e 

Il vento senese di buon tempo cattivo lo fece. 



74 



ALLEGRIA, DARSI BEL TEMPO, 

Allegrìa, dimostrazimie vivace d'anùno soddisfatto e abi- 
tualmente contento; è anche; la continua e frequente 
ripetizione di segni di contentezza. 

Darsi bel tempo, pigliarsi dello spasso, oziare j ricrearsi. 

Allegrezza fa bel viso, o, fa lustrare la pelle del tìso. 

Ciii può vivere sempre allegro e contento st^ sano e in- 
grassa. Ma alle persone di cuore questo grai^^o ea di sego 
e rivolta lo stomaco. 

Allegria segreta, candela spenta, 

A fare il vecchio si è sempre a tempo. * 

Animo e cera, vivanda vera. 

È adoperato da chi si scusa dell' essere scarso neir ono- 
rare altrui con vivande scelte. 

Chi gode un tratto, non stenta sempre — e 

Godiamo, cliè stentar non manca mai — e 

Chi si contenta gode e qualche volta stenta : 

Ma è un bello stentar, chi si contenta. 

Si dice ironicamente dal popolo di chi %uol far© a modo 
suo ; al proposito si dice anche ; 

Una voglia non fu mai cara. 

E a questo contradice, per antica esperienza, V altro che 
suona : 

Le voglie si pagano. 
Chi ride e canta, suo male spaventa — oppure 

L'allegria^ ogni mal la caccia via. 
Clii se ne piglia, muore. 
Chi troppo ride ha natura di matto ; e chi non ride è 

di razza di gatto. 

11 rider sempre è segno d'animo leggiero, e un ppover- 
hio latino avverte che < ij riso abbonda sulla bocca 
degli sciocchi » ma Tesser sempre sornioni, accigliati, 
rivela spesso un animo chiuso agli onesti e gentili af- 
Mtu 



75 
Chi vuol vivere e star bene, pigli il mondo come vie- 
ne; — ed anche 
La morte ci ha a trovar vivi. 
Doglia passata, comare dimenticata. 
Faccia chi può, prima che il tempo mute : che tutte le 
lasciate sono perdute — ey più concisamente : 
Ogni lasciata è persa. 

Che suol dirsi piìi di frequente delle occasioni di darsi 
bel tempo, ma anche di altre. 

Fatta la roba,- facciam la persona. 

Godiamocela. 

Gente allegra Iddio l'aiuta. 

Perchè la vera allegria è da coscienza sicura, e ÌL Si- 
gnore protegge ed aiuta chi lo serve in letìzia come 
dice la Bibbia. 

Grave cura non ti punga, e sarà tua vita lunga. 
Il pianger d'allegrezza è una manna. 
II piangere puzza a' morti e fa male a' vivi. 
II riso fa cuore — e similmente : 

Il riso fa buon sangue — e 

Ogni volta che uno ride leva un chiodo alla, bara. 
L'allegria è il primo rimedio della scuola salernitana. 
La roba non è di chi là fa, ma di chi la gode. 
E dicesì per scherzo : 

Chi non consuma, non rinnuova. 
Non è il più bel mestiere, che non aver pensiere» 
Non s'ha se non quello che si gode. 
Palla in bocca e fiasca in mano. 
Para via malinconia, quel ch'ha da essere convien 

che sia. 
Pazzo è colui, che strazia se per dar sollazzo altrui. 
Pensiero non pagò mai debito — o 

Malinconia non paga debito — e 

Un carro di fastidi non paga un quattrin di debito. 



76 
Scrupoli e malinconia, lontan da casa mia. 
Va in piazza, vedi e odi ] torna a casa, bevi e godi 



AMBIZIONE, SIGNORIA, CORTE- 



Ambizlone, soverchia o sfrenata cupidigia d'onore o di 

maggioranza. 
Signoria, dominio, podestà; ed anche nome collettivo di 

gente ricca per possessionif per nobiltà e per denari. 
Corte, palazzo de' principi, e la famiglia e il seguito 

stesso del principe. 



Alla corte del He ognun faccia per %h. 

Chi a molti dà terrore, di molti abbia timore. 

Chi bene e mal non può soffrire, a grande onor non 

può venire — e 

Chi attende a vendicare ogni aua onta, o cade d'alto 
stato o non vi monta* 
Chi è in altOj non pensa mai al cadere. 
Chi è più alto, è il bersaglio di tutti — e 

La saetta non cade in luoghi bassi. 
Chi è vicino alla pignatta, mangia la minestra calda* 
Chi ha prete o parente in corte, fontana gli riaurge- 

Dimostra che si sale di continuo a guadagno* 

Chi in corte è destinato, se non inuor santo, muor di- 
sperato — e 

Chi vive in corte, muore allo spedale — e 
Corte e morte, e morte e corte, fu tutt'uno. 

Chi servo si fa, servi aspetta. 

Oli, qtiantì per giungere a comandare hanno piegato il 
groppone! e non è meraviglia se ci arrivano curvi, e 
se r abitudine dì curvarsi gli rende inabili a fkv cosa 
diritta (Gimti) 




77 
Chi signoroggiaj brameggia, 

È sempre pieno di voglie, non è mai sazio — e 

Chi comincia a andare un po' in bu non vorrebbe fi- 
nirla più. 
Chi tropp'alto monta^ con dolor dismonta — e 
Chi troppo salo dà maggior percossa — e 
Chi monta più alto eh* e' non deve, cade più basso 

eh' e' non crede — e 
Chi troppo in alto sai, cade repente 
Precipitevolissimevolmente. 
È meglio viver piccolo che morir grande. 

Nel senso letterale ò uno scherzo ; ma profondo nel ^nso 
morale* 1 grandi hanno più gravi pesi e maggiori re- 
sponsabiiità in lUccìa a Dio e alia società. 

Fumo, fiore e corte, è tutt*uno* 

I cortigiani hanno solate le scarpe di buceie di coco- 
mero. 

Sulla buccia di cocomero ai sdrucciola facile. 
I ftivori delle corti sono come sereni d'inverno e nnvo- 
li di state. 
Durano poco, 

I gran personaggi o non hanno figliuoli o non eon saggi* 
D campanile aon migliora lo cornacchia. 

Il luogo e il grado non muta la qualità del possessore. 

II cortigiano è la seconda specie dei ribaldi* 
Il gran signor non ode, 

Se non adtilazion^ menzogna e frode. 
La prima scodella piace a tutti — e 

Ognuno vorrebbe il meatolo in mano. 
L'onore va dietro a chi lo fugge. 
L' ono?"^, cioè la celebrità, la fama. 

Meno male ì calci d'un frate, che le carezze d'un óor- 
tigiauo. 



78 

Lontan da^ gìgnori, lontan da* diaonori. 

Nelle corti, la carità è tutta estinta, 
Kè 3Ì trova amicizia se non finta» 

Nelle Btracce e negli straccioni s'allevano di gran ba- 
roni. 

Non è buon anno quando il pollo becca il gallo. 

Quando V inferiore insorge contro al superiore, il debole 
contro al forte. 

Non riposa colui che ha carco d'altrui. 

Purché vi pensi ; il che però Bempre non accade. 

Ogni servo gallonato è un ozioso affaccendato* 

Perchè corre, porta imbasciate ed aspetta risposta od 
altro. 

Paura de' birri, desìo di regnare, fanno ìmpazzare- 

Penitenza senza frutto, epiteto della corte. 

Signor di maggio dura poco. 

Deriva dalle feste o allegrie che sì iàcevano in Firenze 
nel mese di maggio, e delle quali eleggevasj un si- 
gnore- 
Sotto la scuffia spesso è tigna ascosa. 

La scuffia era de* magistrati, dei dottori, dei barbassori, 

prima d'essere delle donne. (Giusti) 



AMICIZIA. 

Amicizia è V affetto scambievole ed operoso che nasce da 
famigliarità, da conformità di natura, e che si tnan- 
tiene e si rafforza per via di stima. 

Al bisogno ai conosce l'amico — e 

Calamità, scnopre amistà. 
Ama l' amico tuo col vezzo e col yizio suo. 
Amici da starnuti, 



79 
Il più che tu ne cavi è un Dio f aititi — e 
Amici di buon giorno, son da mettere in forno. 

Amici di profferta assai si trova. 

Amici, oro e vin vecchio son buoni per tutto. 

Amicizia da bagno, dura pochi dì. 

Amicizia di genero, sole d'inverno. 

Amicizia di grand' uomo e vino di fiasco, la mattina è 
buono e la sera è guasto {e anche: Amor di servitore, 
di donna, e vin di fiasco ec). 

Significano, questi due proverbi, l'amicizia regge poco 
quando non è tra eguali. .«» 

Amicizia riconciliata è una piaga mal saldata — e 
Né amico riconciliato, né pietanza due volte cu- 
cinata. 

Amico certo, si conosce nell'incerto. 

Amico di montagna chi lo perde vi guadagna. 

Amico di tutti e di nessuno, é tutt'uno — e 
Chi ama tutti non ama nessuno. 

Ck)lui che conta dieci amici non ne ha alcuno. 
Amico di ventura, molto briga e poco dura — o 

Amico di buon tempo mutasi col vento — ma 

Ohi sta fermo in casi avversi, buon amico può te- 
nersi. 
Amico e vino vogliono esser vecchi — e 

Amico vecchio e casa nuova — e 

Non c'è migliore specchio dell'amico vecchio. 
Buona amistà è un altro parentà. 
Casa di terra, cavai d'erba, amico di bocca, non va- 

gliono il piede d'una mosca. 
Cattivo amico, pessimo marito. 
Chi è diverso nell' oprare, non può molto amico stare — e 

La musica ne' dissimili, e l'amicizia ne' simili — e 

Pari con pari bene sta e dura. 
Chi è gran nemico, è anche grande amico. 



80 

Chi è misero o mendico, provi tutti e poi l'amico, 

È uno di quei Proverbi disperati che gli uomini fanno 
quando il dolore gV irrita, o quando hanno raggia ad- 
dosso, (Giusti) 

Chi ha il santo ha anche il miracolo. 

Le amicizie, i parentadi vi sono utili al bisogno, r^on 
è sempre vero. 

Chi manca a un sol amico, molti ne perde. 

Chi non ha amico o germano, non ha forza in braccio 

né in mano. 
Chi offende l'amico, non la risparmia al fratello. 
Chi Tisita nelle nozze^ e non nell'infermità, 

Non è amico in verità- 
Chi Tuole amici assai, ne provi pochi. 
Chi vuol conservare un amico ^ osservi tre cose : 

L'onori in presenza, Io lodi in assenza, l'ajati ne' 
bìaogni. 
Cogli amici non bisogna andar co' se in capo. 

Cioè è necessario animo pronto e franchezza risolata. 
Conversazione in giovinezza, fraternità in vecchiezza. 

Anche questo sofifre molte e non onorevoli eccezioni. 
Dove due amici s'incontrano, Dio gli fa da terzo (o 

V* entra per terzo). 
È bene aver degli amici per tutto — e 

Gli amici aon buoni in ogni piazza — e 

Tal più avere amici in piazza 

Che danari nella cassa, 
È male amico chi a se è nemico, 
È meglio imbattersi che andare apposta — ed anche 

È meglio imbattersi che cercarsi apposta. 

Si dice, e si dice bene^ non soltanto déiramicizia noa an- 
che dell'amore. 

Esempi e benefìcj fanno gli amici. 

GHi amici e gli avvisi aiutano fare le faccende. 



j 



81 
Gli amici hanno la borsa legata con un filo di ragna- 
telo. 
Grande amicizia genera grand' odio. 
Iq tempo deifichi non si hanno amici. 

È proverbio toscano. Vuol dire nelle dolcezze, nelle so- 
verchie felicità, non si hanno amici veri. 

I.veri amici son come le mosche bianche. 
L'amicizia si dee sdrucire, non istracciare. 
L'amicizie devono essere immortali, e le inimicizie 

mortali. 
L'amicizie si fanno in prigione. 

Si legano facilmente nella comune sventura. 
L'amico accenna e non balestra. 

Ammonisce e non offende. 
L'amico dev'essere come il denaro. 

Cioè di metallo segnato. 

L'amico non è conosciuto finché non è perduto. 

Ne' pericoli si vede chi d'amico ha vera fede; — simi- 
le all' altro : 
L'oro s'affina al fuoco e l'amico nelle sventure. 

Non da chi tiene, ma da chi vuol bene. 

Cioè si dee stare dalla parte non di chi è ricco ma da^ 
chi ci ama. 

Non si fa mantello per un'acqua sola. 

Non si fa un amico per servirsene una volta sola. 

Per fare un amico basta un bicchier di vino, 

Per conservarlo è poca una botte. 
Prima di scegliere l'amico bisogna averci mangiato il 

sale sett'anni. 
Un nemico è troppo, e cento amici non bastano. 
Val più un amico che cento parenti — e 

Più vale il cuore che il sangue. 
6 



u 



m 



AMORE. 

Amore» in significato g€fè€rico, è w(i sentimettio per cui 
altri si affeziona a ciò che egli stima degno (tessere 
pregiato e benvoliUo e che desidera di possedere. 

Agli amanti fiorai non g^i creder mai. 

A quelli che donano fiori alle donne ; o a coloro che di- 
cono fiorellini, cioè gentilezze accattate, galanterie 
viete. 

Ama chi t'ama, e rispondi a chi ti chiama. 
Ama chi t'ama, e chi non t'ama lascia — e 

Chi t'ama di buon cuore strighi e abbraccia. 
Amare e non essere amato è tempo pefso. 
Amami poco, ma continua. 
Amante non sia chi coraggio non ha. 
Amor che nasce in malattia, quando si guarisce se ne 

passa via. 
Amor dà per mercede gelosia e rotta fede. 
Amor di ganza, fuoco di paglia. 
Amore è cieco, e vede da lontano. 
Amore è orbo, ma vede anche troppo. 
Amore e gelosia nacquero insieme. 
Amore e signoria non soffiron compagnia. 
Amore e tosse (ed anche diced: amore, sonno e rog 

non si nascondono — e 

Amorì, dolori e danari non posson star celati. 
Amore è una pillola inzuccherata. 
Amore fa amore, e crudeltà fa tirannia. 
Amore fa portar le calze vuote. 

Cioè: assottiglia le gambe. 

Amor male impiegato vien mal rimunerato. 



«AAkK^ 



83 
Amore non conosce misura — e 

L'amore passa sette muri. 
Amore non à senza amaro. 

Amore non mira lignaggio né fede né vassallaggio. 
Amore non si compra né si vende 

Ma in premio d'amor, amor si rende. 
Amore non si trova al mercato. 
Amore nuòvo va e viene, ed il vecchio si mantiene — e 

Amore vecchio non fa ruggine. 
Amore onorato né vergogna né peccato. 
Amore vuol fede, e fede vuol fermezza. 
Amori di monaca e fiori di mandorlo 

Presto vengono e presto vanno. 
Bella faccia il cuore allaccia. 

Aristotile osservò che l'amore come V amicizia nasce dal 
piacer della vista, e Plutarco dandogli la medesima ori- 
gine dice degli enetti potenti che vengono dal riguar- 
dare le persone che sono neiretà più fiorita. 

Ben ama chi non oblia. 

Calcio di stallone non fa male alla cavalla. 

Chi ama crede — e 

A chi s'ama si crede. 
Chi ama il forestiero, in capo al mese 

Monta a cavallo, e se ne va al paese. 
Chi ama il ver non vede — ed anche 

Dove regna amore, non si conosce errore. 
Chi ama me, ama il mio cane. 
Chi arde e non lo sente, arder possa infino al dente. 

È proverbio delle ragazze che l'amore poco espresso cre- 
dono essere poco sentito. 

Chi ha r amor nel petto, ha lo (ijHTon ne' fianchi. 
Chi non ama non ha cuore. 
Chi non ha denari non faccia all'amore — 'perchè 
Amore fa molto, il denaro fa tutto. 



84 
Chi non piglia l'amante al laccio, resta in casa a guar- 
dare il catenaccio. 

Si dice delle ragazze che non sanno trovarsi un marito. 

Chi perde la roba perde molto, ma chi perde il cuore 

perde tutto. 
Chi sì volsero bene, non si volsero mai male — e 

Dove è stato il fuoco ci sa sempre di bruciaticcio. 
Ohi si vuol bene, poco luogo tiene. 
Perchè si ha caro lo starsi da presso. 

Chi soffre per amor non sente pene. 

Chi vuol bene a madonna vuol bene a messere. 

Chi vuol bene vede da lontano. 

Chi vuol l'amor celato lo tenga bestemmiato. 

Cioè dica male della cosa amata. 
Chi vuol essere amato convien che ami. 

Amor che a nulla amato amar perdona. (Dante) 

Cicisbei e ganzerini fanno vita da facchini {ovvero iEan 

la vita de' facchini). 
Con la disperazione degli innamorati mai non la volse 

Orlando. 
Contro amore non è consiglio — e 

Al cuore non si comanda. 
Cosa che punge, amor disgiunge 
Crudeltà consuma amore. 
Delle pene d'amore si tribola e non si muore. 
Detto d'amore disarma rigore. 

Una parola della persona amata la vince su tutto. 

Di buone armi è armato chi da buona donna è amato. 
Dove è r amore l' occhio corre — e 
L'occhio attira l'amore. 

Perchè ci fermiamo a guardare sempre l'oggetto del no- 
stro affetto. 



85 

Dove son donne innamorate morte, 

È inutile serrar finestre e porte — e 

Tenere (custodire, guardare) due amorosi, 

E come tenere un sacco di pulci. 

Far la guardia a un sacco di pulci, vale pretendere 
di guardare una cosa difOlcilissima a custodire. 

E lieve astuzia ingannar gelosia. 
Che tutto crede quand'è in frenesia. 

Frenesia, gelosia, eresia, 
Mai son sanate per alcuna via. 

Oelosia viene per impotenza, per opinione o per espe- 
rienza. 

Gli uomini sono aprile quando fanno all'amore, 
Dicembre quando hanno sposato. 

Guardati da tre C, cugini, cognati e compari. 

Gusto pazzo, amor guasto. 

I giuramenti degl' innamorati sono come quelli dei ma- 
rinari. 

D core è il primo che vive e l'ultimo che muore. 

La scienza comprova questo bello e mirabile insegna- 
mento. 

D primo amore non si scorda mai — e 

I primi amori sono i migliori. 

Proverbi veri e gentili. 

La gelosia scuopre V amore. 

La lontananza ogni gran piaga salda. 

E similmente : 

Lontan dagli occhi, lontan dal cuore. 

L'amore a nessuno fa onore a tutti fa dolore. 

È vero degli amori e non dell' amore. 

L'amore del soldato non dura un' ora. 

Dove egli va trova la sua signora. 

E a Venezia dicono : 

L' amor del marinar non dura un' ora 

Per tutto dove '1 va lu s' innamora. 



[ 



86 
L' amore di carnevale muore in quaresima. 
L' amore dinanzi ha il miele e di dietro si attacca il 

fiele. 
L'amore è principio del bene e del male. 
L'amore non fa bollire la pentola — e 

Quando la fame yien dentro la porta, 

L' amore ee ne va dalla finestra. 

Detto del maritarsi ad uomo povero. 

L'amore si nasconde dietro una cruna d'ago. 

L^amore è sottile ed acuto : un nonnulla l)asta agli amanti 
per intendersi. 

L'amore sì trova tanto sotto la lana che sotto la seta. 

11 sentimento dell'amore è eguale per tutti. 
LMmiamorato vuol essere solo, Bavio, sollecito e se- 
greto. 
L'odio è cieco come l'amore. 

L'uomo è fiioco e la donna è stoppa; vien poi il dia- 
volo e glìer accocca. 

Proverbio è poi popolarissimo : 

Uomo e donna in stretto loco, 

Secca paglia appresso al foco. 
Meglio minuzzoli con amore che polli grassi con dolore. 
Nella guerra d' amor vince chi fugge — e 

Chi non fugge, strugge. 
Non è più bell'amor che la vicina; 

La si vede da sera e da mattina. 
Non v'è sabato senza sole, non v'è donna senza amore, 

né domenica senza sapore, (o senza credo) né vecchio 

senza dolore. 
Ogni amore ha la sua spesa. 
Ogni disuguaglianza amore agguaglia. 

Dicesi non solo per la condizione sociale ma anche P^^ 
r ìndole; ma in questo caso conviene che l'amore sia di 
quello buono. 



87 
Quando si vuol bene si ha sempre paura — e 

Coir amore sta il timore — e^ più conciso, 

Chi ama teme. 
Quanto più s'ama, meno si conosce. 
Scalda più amore che mille fuochi. 
Sdegno d'amante poco dura. 

Anzi : 
Sdegno cresce amore. 
Se ne vanno gli amori e restano i dolori. 
Senza Cerere e Bacco è amor debole e fiacco. 
Se occhio non mira cuor non sospira. 
Se tu vuoi che ti ami, fa' che ti brami. 

La troppa fì*equenza porta noja, e la mancanza suscita il 
desiderio che tien sempre desta la fiamma d'amore. 

Se vuoi condurre un uomo a imbarbogire, fallo ingelosire. 
Tanto è morir di male, quanto d'amore. 



ASTUZIA, INGANNO. 

Astuzia : A?'te di giungere per vie simulate e con mezzi 
acconci a un fine molte volte cattivo. 
. Inganno : Artifizio per trarre altrui in eri^ore mostran- 
dogli v/na cosa per un' altra. Ma possiamo anche da 
noi stessi cader in inganno ; e poi, V inganno qualche 
volta tende soltanto a nascondere il vero, senza fine 
di male. Esso può anche venire dall'apparenze e non 
esser vero in fondo. 

A gatto vecchio dagli il topo giovane. 
A gatto vecchio, sorcio tenerello. 

L'astuto cerca il balordo. 

Anco le volpi vecchie si pigliano (o rimangono al lac- 
cio) — e 
Anco le civette impaniano. 




88 
A' sottili caacan le brache. 
A Tolto caccia chi non minaccia. 
Bisogna far lo sciocco per non pagar il sale {ovvero il 
miDchione per non pagar gabella). 

Il contadino che entra in città, quando ha roba sotto che 
vuol nascondere, se ne va dinoccolato e tentennoni, 
sperando così meglio passare d' occhio ai gabellieri. 

Bisogna pelar la. quaglia (o la gazza) senza farla stri- 
dere — ovvero 

Non pelar tanto la gallina che strilli — e 
Baona quella lima che doma il ferro senza strepito. 

Intendi dell' uomo dabbene che, senza mettere il campo 
a rumore, sta all'erta e sa liberarsi dalle insidie dei 
malvagi. 

Buone parole e cattivi fatti ingannano savi e matti — e 

Da' buone parole e friggi. 

Chi cerca fare impiastro, sa dove lo vuol porre. 

Chi fa una trappola, ne sa tender cento. 

È vero nel senso buono e nel senso cattivo. Chi è capace 
d'in gami are una volta può ingannar cento, e chi sa 
essere accorto in un caso sa essere astuto sempre. 

Chi ha rubato la vacca, può rubare il vitello. 

Chi ha accordato Toste può andare a dormire — e 

Placato il cane, facile è rubare. 

Chi s'abbia con doni o per altri modi assicurato il favore 
di quella persona che può dare impaccio a' suoi dise- 
gni, ha (come si dice) accomodato il fornajo. (Gimti) 

Chi ha a dar, domanda. 

Chi non sa fingersi amico, non sa essere nemico. 

Chi non sa fingere, non sa regnare — e 

n finger non è difetto, e chi finger non sa non è 
perfetto. 
Chi non inganna, non guadagna — e 

Con arte e con inganno, si vive mezzo 1' anno ; 

Con inganno e con arte, si vive 1' altra parte. 
Chi tiene il piede in due staffe, spesso si trova fiiora. 



.M_ 



89 
Ohi va per uccellar resta impaniato — e 
L' ingannato è cM inganna — e 
là inganno va a casa dell' ingannatore — e 

Questi son detti per gli eiretti finali dell'inganno. Da ul- 
timo il male vero è per colui che ha ingannato il pros- 
simo suo. 

Chi vuol fare onore all' amico, ciccia di troja e legna 
di fico. 

Chi dice di voler fare onore all'amico per lo più lo in- 
ganna e lo fa star male. La carne di troja è quella 
che cuoce più tardi di tutte, e le legna di lieo son quelle 
che fanno il fuoco più leggero e lento e che arriva 
poco. 

Con la volpe convien volpeggiare. 

Con traditori né pace né tregua. 

Dove manca l'inganno, ivi finisce il danno. 

Dove non basta la pelle del leone, bisogna attaccarvi 

quella della volpe. 
È meglio prendere che esser presi. 
Furbo, vuol dir minchione. 
D consiglio del traditore è come la semplicità della 

volpe. 
D Diavolo dove non può mettere il capo vi mette la 

coda. 
Il Diavolo è sottile e fila grosso, 
n mal del traditore ne va col pelo. 
D mondo è di chi lo sa canzonare. 

I pastori per rubare le pecore si mettono nome lupi. 

II tordo si fa la pania da sé stesso. 

La gatta caro vende, e il cavallo mezzo dona. 

« C'era una volta un uomo molto ricco, il quale venendo a 
morte, volle far testamento; e da buon cristiano che 
egli era, provvide per 1 anima sua, che il cappellano 
avesse materia di ricordarsi di lui; volendo che fosse 
venduto un cavallo che teneva in stalla, e dei denari 
fosse fotta limosina al detto cappellano. L'erede che era 
un villano, non contento del molto che aveva avuto, 
pensò di attaccare una gatta al pie del cavallo, e cosi 



B re 



90 

guidare l'uno e l'altra al mercato, e uno non vendere 
senza l'altra; sicché, molti accostandosi per comprare 
il bellissimo cavallo, il mal villano li volgeva alla gatta 
dicendo loro, che non vendeva l'uno senza l'altra, e che 
voleva cento scudi della gatta, e dieci del cavallo ; gli 
uomini per desiderio di questo, comprarono anche quel- 
la; onde il villano gabbando la sua coscienza e il testa- 
tore, fece limosina del cavallo al cappellano. Da questa 
novella ebbe origine il proverbio. (Gotti) 

L' amore, V inganno e il bisogno insegnano la rettorica. 

La volpe in vicinato non fa mai danno. 

Molto sa il topo, ma però più il gatto. 

Non è traditore senza sospetto. 

Occhio con occhio fa mal riscontro — e 

Tra corsale e corsale non si guadagna se non barili 
vuoti — e 

Tra furbo e furbo mai non si camuffa — e 

Grattugia con grattugia non guadagna 

scrisse un poeta a proposito di. due diavoli i quali non 
potevano farla bene insieme, né l' uno guadagnare su 
l'altro; — e 

In casa de' ladri non ci si ruba — e 
In casa de' sonatori non ci si balla — e 
Un diavolo conosce (o gastiga) l'altro — e 
Tanto sa altri quanto altri. 

Per conoscere un furbo ci vuole un furbo e mezzo. 

Quando la volpe predica, guardatevi, galline — e 
Consiglio di volpi, tribolo di galline — e 
Quando la volpi si consigliano, bisogna chiudere U 
pollajo. 

Suol dirsi particolarmente delle donne ; ma è pur vero 
che quando si veggono a conciliabolo persone fìraiudo- 
lente, è giusto sospettare che macchinino qualche ag- 
guato alla gente di garbo. 

Quel che è fatto è reso. 

Se il serpente, non mangiasse dej serpente, non si fa- 
rebbe drago. 



.cSLm 



91 
Se se n'avvede me Tabbo, se non se n'avvede me la gabbo. 
Si batte la sella per non battere il cavallo — e 
Chi non può dare alF asino dà al basto. 

Chi non se la può pigliare con chi vorrebbe, se la pi- 
glia con chi può. 

Sottil filo cuce bene. 

Chi è onestamente avveduto fa bene le cose sue. 
Tradimento piace jwsai, traditor non piacque mai. 
Tutte le volpi alla fine si riveggono in pellicceria — e 
In pellicceria ci vanno più pelli di volpe che d'asino. 

Perchè i furbi al serrare de' conti capitano peggio degli 
sciocchi. 

Val più aver due soldi di minchione che di molti bravo. 

Torna più conto passar da minchione che aver molto 
plauso da cui nasce V invidia. 



FRODE, RAPINA. 

Frode : inganno occulto alla vicendevole fede. Astuzia 
condotta di soppiatto per ingannare altrui e danneg- 
giarlo, specialmente nell'interesse, e privarlo di qual- 
che bene o profitto* 
Rapina : il tórre violentemente e manifestamente V altrui. 

Acqua chiara non fa colmata — e 

A fiume torbido, guadagno di pescatore ; 
Arno non ingrossa se non intorbida; 
Porco pulito non fu mai grasso. 
Più disperatamente, poi 

Chi non ruba, non ha roba — e 

Chi ha paura del diavolo, non fa roba — ed anche 
Per esser ricco, bisogna avere un parente a casa al 
diavolo — e 



?«T|^T 



Fev arricchire ci vogliono tre r, o redare, o rubare, 

ridire. 

Ridire : far la spia. 

Chi da giovane non fa grippe, da vecchio para mano. 

Far gripìM^ Mi le rubare. Para manOj cioè è in povero 
stato^ cliitìde T elemosina. 

Ohi arricchisco in un anno, è impiccato in un mese — e 
Chi pia che non deve prende, fila la corda che poi 

r appende — e 
Chi dei panni altrui si veste, presto si spoglia. 

Ed anche : 
Chi dell' altrui 3i veste, ben gli sta, ma tosto gli 

esce — e 
Chi ao ne calza, non se ne veste. 

1 rapaci, ben riho da principio paia che se la passino be- 
ne, scoperti poi pagano il fio d'ogni rapina. 

Chi ingins tanni ntc tiene, d'ogni cosa teme. 

Chi ùi contrabhaudo, guadagna non so quando — e 
E' si paga spesgo la gabella e il frodo — e 
Chi mangia Toca alla corte (al fisco), in capo all'an- 
no caca le penne. 

Detto per coloro che frodano all'erario pubblico, perchè 
poi scoperti incorrono nelle pene. 

Chi ha proso resta preso. 

Clii maneggia qnel degli altri, non va a letto senza 

ceDÈì. 
Chi ruba a un buon ladron 

Ha cent'anni di perdon. 

Buoìi ladra ìit^ intendi chi si è impinguato di ruberie. 

Chi ruba per altri è impiccato per sé. 

Crudel per frauJe à peggio che per ira. 

Dal rubare al restituire si guadagna trenta per cento. 

Rare volte avviene che chi restituisce faccia la restitu» 
zione intera- 



93 

Di quel che si ruba ìxon s'ha a sentir grado — e 
Della roba di mal acquisto non ne gode il terzo 

erede — perchè 
La farina del Diavolo va tutta in crusca. 

Dio perdona a chi ofiEende, non a chi toglie e' non 
rende. 

Dov'è interesse non si fa l'ufizio di Dio. 

E meglio andare in paradiso stracciato, che all' inferno 
in abito ricamato. 

È meglio un soldo di buon acquisto, che mille d' im- 
brogli. 

n Diavolo presta i danari per 25 anni al più. 

D ladro dall'ago va all'evo, dall'evo al bue, dal bue 
alla forca. 

Il rubare non fa fruttare. 

Il mondo è un pagliaio, chi non lo pela è un minchione. 
Pelare, per cavar la paglia filo per filo. 

I morti non rubano perchè hanno legate le mani. 

Se Tesperienza ammaestrasse veramente di questo, pove- 
ra la società! Giova ricordare che i proverbi non sem- 
pre sono la sapienza dei popoli, ma bene spesso spro- 
positi di disperati o di sguaiati. 

I bei partiti fanno andare gli uomini in galera — o 
Per vantaggio, si va in galera. 

Ladro piccolo non rubare, che il ladro grande ti fa im- 
piccare. 

La molta cortesia, fa temere che inganno vi sia. 

La roba degli altri consuma la propria. 

La roba degli altri ha lunghe mani. 

Ripiglia tosto la roba sua e di più te medesimo. 
La roba del compagno fa enfiar le gambe. 

Forse perchè ai galeotti si pongono le catene al piede. 

La roba va secondo che la viene — e 
Chi mal tira, ben paga. 



k 



94 
Molti ladri siedon bene. 

Quel che vìeii di rufia in raffa, se ne va di buffa in 
baffa, 

Bi ì*uffà m raffa^ d' imbrogli e di ruberie ; di ìmffa in 
baffa, dal portare il berrettino al metter la barba. 

(Giusti) 

Reputazione e guadagno non istanno quasi mai nello 

Bteaso sacco. 
Roba trovata e non consegnata è mezzo rubata. 
Tre cose faano 1' uomo ricco: guadagnare e non ispen- 

dere, promettere e non attendere, accattare e non 

rendere. 



COSCIENZA, CASTIGO DEI FALLI. 

Coscienza : In generale, è consapevolezza di tutto ciò che 
avviene dentro di noi; ma qui è in particolare per 
quel sentimento interiore e conoscimento che abbiamo 
del bene e del male da noi liberamente operato ; e an- 
che : il giudizio che noi facciamo dei nostri sentimenti 
ed anioni in reazione col nostro dovere o eoUéi legge 
morale e divina. 

Gastìgo : Punizione qicalsia^i per un fallo o azione cai- 
tiua^ commessa per volontà propricu 

A chi è in faHo, V uno par due. 

A obi mal fa, mal va. 

Ogni azione ha il suo pr^nio se buona, o il sao gastì- 
go se cattiva. 

A chi vuol male. Dio gli toglie il senno. 

A significare che la prudenza infine dei conti manca al 
colpevole; non si presuma cuoprire coir arte i felli 
commessi e correggerne i mali effetti. 

Ad ogni tristo il dì suo tristo. 

A veder la Croce da lontano, il ladro si segna. 

La Croce suole porsi a indicare il luogo dove uno è stato 

ammazzato. 






95 
Benedetto chi si gastiga da se stesso. 
Chi altri tribola sé non posa — e 

Chi altri agghiaccia, sé stesso infredda. 
Chi di coltel ferisce, di coltel perisce — omero 

Chi di coltel fere, di coltello pere. 
Chi è cagion del suo mal pianga sé stesso. 

Chi cerca trova. 

E talora quel che non vorrebbe. 
Chi delitto non ha, rossor non sente. 
Chi é giusto, non può dubitare. 
Chi é imbarcato col Diavolo ha a passare in sua com- 

pagnia. 
Chi è in difetto é in sospetto — e 

Chi é in peccato crede che tutti dicano male di 
lui — e 

Chi ha coda di paglia, ha sempre pamra che gli pigli 
fuoco. 
Chi fa, fe a sé. 
Chi fa male odia il lume. 

Perché chi fa male ha bisogno di nasconderlo, sperando 
cosi sottrarsi ai gastighi meritati. 

Chi fa quel che non deve, gli intervien quel che e'non 

crede. 
Chi ha arruffato la matassa la strighi. 
Chi ha fatto il male faccia la penitenea — e 

Chi ha mangiato i baccelli spazzi i gusci — e 

Chi ha fatto la piscia a letto la raseiaghi — e 

Chi imbratta spazzi — e 

Chi é imbrattato si netti. 
Chi ha il cui nell' ortica spesse volte gU f(Hr»iica. 
Chi ha spago aggomitoli. 

Chi é in peccato, scampi fuggendo. 
Chi ha tegoli di vetro, non tiri sassi al vicine — e 

Chi ha testa (o cervelliera) di vetro non faccia a'sassi. 




90 

Chi ha una scheggia nell' òcchio, non biasimi il bru- 
scolo nell'occhio altrui. 

Chi sa di non avere operato sempre bene, non abbia 
la temerità dì accusare altrui, e gli sovvenga ciò che 
occorse ai pifferi di montagna. Suol dirsi anche : 

Tirati in là, paiolo, che la padella non ti tinga. 
Chi la fa, l'aspetti — e 

Ohi mal fa, male aspetta — e 

Quel che si fa, si ria — e 

Chi non falla non teme — e 

Chi non le fa non le teme. 
Chi la fa, la mangi — e 

Chi Tha fatta, si guardi. 
Chi mal semina, mal raccoglie — e 

Chi mal naviga, male arriva. 
Chi mal vive, poco vive. 
Chi mangia il pesce, caca le lische. 
Chi rompe paga, e porta via i ciottoli (ovvero i cocci 

sono auoi). 
Chi ai scusa, s'accusa — e 
Difendere la sua colpa è un'altra colpa — e 

C è chi risponde anco a chi non lo chiama. 

Dinota il sospetto del colpevole, che si scusa anche prima 
di essere accusato. 

Chi non castiga i delitti ne cagiona dei nuovi. 
Chi non ha coscienza non ha vergogna uè scienza» 
Ohi pecca in segreto fa la penitenza in pubblico. 
Ohi soffre^ sei merta. 
Chi sta alle scolte sente le sue colpe. 

Chi sospetta è in fallo. 
Chi sta bene con sé sta bene con tutti. 
Come farai, così avrai. 
Dappertutto c'è un testimonio. 

La coscienza e Dio, se non altri. 



f 



97 
Diavol reca, e diavol porta. 

Dimirii la vita che fai e ti dirò la morte che &rau 
Dio acconsente ma non sempre. 
Dio lascia fare, ma non sopraffare. 
Dio non paga il sabato — ed anche, ma fuori d'uso: 
D giorno che si fa il debito non si ya in prigione. 
Il gastigo può differirsi, ma non si toglie. 
Dove lega la ragione coscienza pugne. • 

Dove il discorso intoppa, non sa trovare argomenti, la 
coscienza t* impedisce; e si dice pure: 

Trist'a quella bocca (o musa) che non sa trovar k 
scusa. 
Gran peccato non può star celato. 
Guai a quel topo che non ha un sol buco per sal- 
varsi ! 

; Guarda alla pena di chi falla. 
Il diavolo le insegna fare, ma non le insegna disfare — e 
n diavolo insegna rubare, ma non nascondere — e 
n diavolo insegna a far le pentole; ma non i coper- 
chi — e 

^ n diavolo la fa e poi la palesa, 
i II fuoco fe saltar le vespe fuori del vespaio. 

Il gastigo fa lasciar la stanza del vizio, e il danno pre- 
sente fa mutar parere. 

n lupo avanti al gridare fugge. 

Dicesi dì quelli che fatto alcun male ibggono prima che 
la giustizia li scuopra. 

Il mondo paga chi ha da avere. 

In bene e in male. 

I pensieri sono esenti dal tributo, ma non dall'inferno. 
La buona vita fa la faccia pulita. 
La coscienza è come il solletico. 
Chi lo cura e chi no. 

7 



i 



98 
La coscienza vale per mille accasatori e per mille te- 
stimoni ; — e 
La coscienza vai per mille prove. 

La voce della propria coscienza, sia che assicuri sia 
ctie accusi è voce infallibile, però vale più che ogni 
altro testimonio di questo mondo. 

La fìne del corsale è annegare. 
La paura guarda la vigna. 

Il timor del gastigo ritiene e raffrena i malfattori. 

La pena è zoppa, ma pure arriva. 

La penitenza corre dietro al peccato. 

La prima si perdona, alla seconda si bastona — e 

Alle tre &i cuoce il pane ed anche : Si corre il palio, 
o ai dà il cavallo. 
La saetta gira gira, torna addosso a chi la tira; — e 

Bimilmente : 

Le saette non son foglie, chi le manda le raccoglie. 
La vendetta di Dio non piomba in fretta. 
Le bestemmie fanno come le processioni. 

Ritornano di dove escono. Così ogni cattiva azione. 

Mal non fare, paura non avere. 

Molti hanno la coscienza sì larga, che avanza una nave 
di chiesa — e 

Molti hanno la coscienza dove i corbelli hanno la 
croce* 
Molti, poi che l'hanno avuto, piangon quel che han vo- 
luto. 
Nò malattia ne prigionia non fece mai buon uomo. 
Nessuno pecca sapendo peccare. 

Intendi, dei tanti che peccano non ve n* è uno che sap- 
pia peccare in modo che gli tomi conto; ohe pecchi 
insomma con giudizio. 

Non bisogna aver paura che de'suoi peccati. 



Vfp.l* 



99 

Non fd fatta mai tanto liscia di notte, che non ai risa- 
pesse di giorno — e 
Quel che si fa all'oscuro apparisce al sole — e 
Non si fa cosa sotto terra, che non si sappia sopra 

terra — e 
Non si caca mai sotto la neve, che non si muo- 

pra — e 
Non nevica e non diaccia, che il sol non la disfac- 
cia — e 
Se non vuoi che si sappia, non lo fare — e 
Tutte le cose vengono al palio — e 
Il tempo scuopre tutto. 
Non importa andare a Roma per la penitenza. 

La portiamo dentro. 
Non passa giubbilèo che ognun non sia gastigato. 

La colpa non si cancella mai senza che prima aia punita» 
Non ride sempre la moglie del ladro. 
Ogni coltello aspetta il suo coltello — e 

Ogni fallo aspetta il suo laccio. 
Ognuno è figliuolo delle sue azioni. 
Peccati vecchi, penitenza nuova. 
Per una volta la si può fare anche a suo padre* 

Anche chi meglio conosce può rimanere per una volta 
ingannato. 

Poca scienza e molta coscienza. 

Qual pane hai, tal zuppa avrai. 

Quando Dio vuol punire un uomo, spesso si serve del- 
l'altr'uomo. 

Quando la lepre perde il passo, convien che cada in boc- 
ca a'cani. 

Bare volte il diavolo giace morto nella fossa* 

Anche dalla Bibbia sappiamo che 1 mali efrettì delle no- 
stre colpe e il castigo che ne consegue non muoiono 
insieme con noi: questo discende nelle famiglie ù con 
esso le maledizioni. 



100 
Tal pensa àalvarsi a pasqua, che h preso a mezza qua- 
resima. 

Il gasti^o delle cattive azioni arriva assai prima di 
quello che non pensiamo. 

Tante volte al pozzo va la secchia, che ella vi lascia il 

manico o 1' orecchia — e 

Tanto va T orcio per l'acqua, che e' si rompe; 

Tanto va la gatta al laudo, che ci lascia lo zampino; 

Tanto va la mosca al miele, che ci lascia il capo; 

Tanto va l'oca al torso, che ci lascia il becco; 

Tanto va la rana al poggio, che ci lascia la p^Ue; 

Tanto va la capra al cavolo, che ci lascia il pelo; 
Tanto vola la farfalla intorno al fuoco, che vi s'abbrucia. 
Tutti i nodi vengono al pettine. 

Tutti questi son detti a significare che ogni male azione 
finalmente ha* il suo gastigo. 

Ugna 'di leone e lingua di gatto guariscoo del matto- 

Cioè il gastigo o il biasimo. 

Una ne paga cento (Una le paga tutte). 
Vergogna è a far male. 

Vale che bisogna vergognarsi delle cattive cose, apn 
delle buone. 



AVARIZIA. 

Avarizia: È il vizio di colui che agogna ^ acquistare ^ che 
mai non si sazia dell'acquistato e si astiene pih che 
può dall' usarlo, temendo sempre gli venga meno. È 
uno dei sette peccati moì^taU, 

All'avaro accade come allo smeriglio. 

Lo smeriglio è un piccolo uccello di rapina, il quale» 
spesso, mentre insidia a uccelli minori di lui, viene 
sopraggitinto da altro maggiore, che gli toglie la 
preda e la vita. (Serdonati) 



Chi accumula e altro ben non fa 

Sparagna il pane e all'inferno va. 
Chi per sé raguna, per altri sparpaglia — ed oncÀe 

À padre avaro (o cupido) figliuol prodigo. 
Chi serba, serba al gatto. 

Avvertasi che questo ed altri de' seguenti proverbi non 
son contrari alla giusta previdenza e a un ordinato ri- 
sparmio ; ma ammoniscono coloro cbe laaciansi patire 
per metter da parte. 

Chi sparagna, vien la gatta e glielo magna. 
Chi serba, Dio non gli dà. 
Chi si mette a stentare, stenta sempre* 
Chi troppo insacca squarcia le sacca. 
Denaro sepolto non fa ^adagno — e 

U vin nel fiasco non oava la sete dì corpo. 
De' vizi è regina l'avarizia. 
Dio ha dato per penitenza all' avaro che né del poco né 

dell'assai si contenti. 
E gran pazzia il viver poco (cioè stentare) per morir 

ricco. 
È meglio un dolor di tasca che di cuore. 
I denari servono al povero di beneficioj e all'avaro di 

supplicio. ^ 

I denari son fatti per ispendere. 
La roba è fatta per i bisogni. 
L'avarizia è scuola d'ogni vizio. 
L'avarizia fa stentare gli altri vizi. 
L' avaro è come il porco, ch'è buono dopo morto. 
L'avaro è come l'idropico; quanto più beve, più 

ha sete. 

Anche in Grecia gli avari erano paragonati a^l* idropici, 
quelli pieni di denaro» questi di acqoa, e gli uni e gli 
altri agognanti, per loro danno, di avere sempre di 
più. Tal detto trovasi poi ripetuto da Orazio e da 
Ovidio. 

L' avaro è procuratore de' suoi beni, e non signora. 



102 
L'avaro non fa mai bene, se non quando tira le calze, 

Cioè quando egli muore. 
L' avaro non dorme. 

L'avaro più che possiede piii è mendico. 
L' avaro spende più che il liberale. 
L' ultimo vestito ce lo fanno senza tasche. 

A significare che nel mondo di là non si porta nulla. 
Masseriaj masseria, viene il Diavolo e portala via. 
Molti fanno prima la roba e poi la coscienza. 
Nella cassa dell' avaro, il diavolo vi giace dentro. 

BELLEZZA E SUO CONTRARIO. 
FATTEZZE DEL CORPO. 

Bfitlezza: Ordine di perfezioni ammirato; od anche: Or- 
dinata concordia e quasi armonia occultamente ri- 
sultante dalla composizione e annessione di più mem- 
hri diversi, e diversamente da sé e in sé, secondo la 
loro propria qualità e bisogno, bene proporzionati. 
Parlandosi del volto umano é: La regolarità e fi- 
nezza di lineamenti, nella freschezza e colorito della 
carnagione. 

Bruttezza: Disconvenienza nelle parti, rispettivamente al 
fine : irregolarità e grossolanità nelle forme e fat- 
tezze o lineamenti, 

A donna biancaj bellezza non le manca — ed andie si dite: 

A donna bianca per esser bella poco le manca. 
A donna di gran bellezza dagli poca larghezza. 
Non la lasciare troppo libera di sé stessa. 

A donna imbellettata voltagli le spalle. 
Allo specchio ne brutta né vecchia. 

Ma anche la brutte e le vecchie ci vanno, e più spesso 
delle altre. 

Bella donna cattiva testa. 



103 

Bella in vista, dentro trista. 

Bella moglie, dolce veleno. 

Bella testa è spesso senza cervello. 

Bella testa è talvolta una malvagia bestia. 

Bellezza di corpo non è eredità. 

Bellezza è come un fiore che nasce e presto muore. 

Bellezza senza bontà è come vino svanito — ma 

Bontà passa beltà. 

Beltà e follìa vanno spesso in compagnia. 

Beltà porta seco la sua borsa. 

Cioè, la donna Isella trova sempre marito » anco sanza 
dote. 

Bratto in fascia, bello in piazza. 

Consolazione alle mamme che abbiano un bambino brut- 
to. Al contrario le fattezze regolari ne' bambini so- 
vente poi si disformano: e perciò abbiamo Taltro pro- 
verbio : 

Bello in fascia, brutto in piazza. 

Carne grassa sempre agghiaccia. 

Cera lustra, non va alla giostra. 

Non va alla giostra, cioè non giunge a vecchia età. 
La pelle lustra indica salute debole. 

Chi bella donna vuol parere, la pelle del viso gli con- 
vien dolere. 

Proverbio ogni giorno più vero. 
Chi è brutta, e bella vuol parere, pena patisce, per 
bella parere. 

E accade spesso che 
Le donne per parer belle si fanno brutte. 
Chi è bella ti fa far la sentinella. 
Chi è bello è bello e grazioso, chi è brutto h brutto e 

dispettoso. 
Chi ha bella donna e castello in frontiera, non ha mai 
pace in lettiera. 

Non dorme mai sonni tranquilli. 



104 
Chi ha bella moglie la non è tutta sua. 
Chi ha buon cavallo e bella moglie, non istà mai sen- 
za doglie. 
Chi mi piglierk di notte, mi lascierà di giorno. 

Si dice di donna brutta. 

Chi nasce bella, nasce maritata* — e 
Le bellezze son le prime spedite. 

Le l>elle facilmente trovan marito; — e 

Ohi naaoe bella, non è in tutto povera. 

Alla fine poi: 

C'è carne da ogni taglio e ogni coltella, 

Le brutte si maritano e le belle — e similmente 
Anche le zoppe si maritano ; 
Anche le mucche nere danno il latte bianco; . 
Se non si maritassero altro che te belle, cHe cosa fa- 
rebbero le brutte ? 
Donna barbata, co' sassi la saluta — ed anche 
Guardati dai cani e dai gatti 
E dalle donne coi mustacchi. 

Di^ a una donna che è bella, e il diavolo glielo ri- 
peterà dieci volte. 
Donna brunetta, di natura netta. 
Donna in treccia, cavallo in cavezza. 

Perchè facciano bella mostra. 

Faccia rara, mente avara. 

Cioè, scarda, gretta, meschina, anche perchè le persone 
beile m appagano delle loro bellezze e credono che que- 
ste possano supplire al difetto delle qualità morali 

G^allo senza cresta è un cappone. 

Uomo senza barba è un minchione. 
Gli alberi grandi fanno più ombra che. frutto — e 

Le case grandi dal mezzo in su non s'abitano — e 




105 
Le spezierie migliori stanno ne' sacchetti piccoli — e 
Nella botte piccola ci sta il vin buono. 

I quali esprimono tutti la nota sentenza : 

Troppo lungo non fu mai buono. 
Oli uomini non si misurano a canne. 
Grasso ventre, grosso ingegno. 
Grossa testa non fa buon cervello — e 

Capo grosso, cervello magro. 
Guancia pulita, fronte ardita. 

Cattivo, accozzo : prima bellezza è il non saper d' aseer 
bella. (Giusti) 

Guardati da' segnati da Cristo. 
H bianco e il rosso va e vien, 

Ma il giallo si mantien ; 

Anzi il giallo è un 'color forte, 

Che dura anche dopo morte. 

Questo proverbio si usa in Lombardia ed in senso ironia 
co contro chi abbia un colorito giallastro* 

n bruno il bel non toglie, anzi accresce le voglie. 
Il fumo va dietro ai belli. 

Cioè, l'albagia, la burbanza, la vanità. 

I magri mangiano più dei grassi. 
La bella donna è un bel cipresso. 

Cioè senza frutto; ma non è sempre vero. 

La bellezza ha belle foglie, ma il frutto amaro. 

La bellezza non si mangia (o non si mette in tavola). 

Si dice a chi si marita senza ricever dote od é senza pa- 
trimonio. 

La beltà senza la grazia è un amo senza V e3ca. 
L'occhio vuol la sua parte (o la sua diritta). 
Mano piccolina, testina fina. * 

Non fu mai guercio senza malizia. 



106 
Non fu mai sì bella scarpa, che non doventaise ima cia- 
batta — e 

Non fu mai sì vaga rosa che non diventasse un grat- 
taculo — 'ina 
Scarpa ben fatta, bella ciabatta — e 
Quando si è belli si è sempre quelli- 

Le belle forme restan sempre anche quando è BYanita la 
fteschezza della gioventù. 

Occhio bello, animo fello ; occhio presto, alma mest^ ; 

occhio ridentCj alma mordente. 

Ogni rana si erede una Diana. 

Onestà e gentilezza sopravanza ogni bellezza. 

Orecchia lunga, vita lunga. 

Sì dice ai bambini ai quali sì suola, e vorremmo poter 
dire si soleva, per gastigo tirare le orecchie; e signi- 
fica che chi fu gastigato da fanciullo, sarà uomo dab- 
bene e vivrà lungamente. 

Poca barba e men colore, sotto il oiel non è il peg- 
giore. 

Roeso^ mal pelo. 

Salute e vecchiezza creano bellezza. 
E altrimenti: 
Bellezza e nobiltà danno ricchezza, 

9e il grande fosse valente e il piccolo paziente e il ros- 
so leale, ognun sarebbe eguale. 

Tanto è dire raperino, quanto ladro e aesaasino — e 
Testa calvaj piazza di pidocchi. 

Tre cose son cattive magre, oche, femmine e capre. 

Una bella porta rifa una brutta facciata. 
Una beUa bocca & da -sé sola od bel viso. 

Un bel naso fa un bell'uomo — e 
Un bel cammino fa una bella stanza. 

Un neo cresce bellezza. 

SI dice spasmo anche nel morale, ma non s' intende poi 
cosi generalmente dagli nomini, i quali per una sgar- 



107 
bataggine, per un leggiero vizio nel conversare, ti pi- 
gliano a noia il più brav' uomo del mondo, e lo stra- 
pazzano e lo calunniano (Giusti), 

Uomo che ha voce di donna, e donna che ha voce d'uo- 
mo, guardatene. 

Uomo peloso, o forca o lussurioso, o matto o avventu- 
roso. 

Uomo piccolo uomo ardito. 

Uomo rosso e cane lanuto, piuttosto morto che oono- 
sciuto — e 

E il ciel ne guardi dalla tosse 
E da quei che ha il pelo rosso 
E dal verme di finocchio 
E da quei ch'hanno un sol occhio. 

Vista torta mal animo mostra; vista all' ingiù tristo e 
non più; vista all' insù o pazzo o tanto savio che 
non si possa di più. 



BENEFICENZA, SOCCORRERSI. 

Beneficenza : è la benevolenza in atto ; abito di giovare a 
chicchessia, e per il qiuile chi ha o può^ dà e fa a 
chi non ha e a chi non può. 

Soccorrere: farsi verso alcuno che sia in grave pericolo ^ 
od oppresso dalla sventura, per liberamelo o per 
rendere meno grave la sua condizione. 

A far servizio non se ne perde — e 
Piacere fatto non va perduto — e 
Chi beneficio fa, beneficio aspetti. 

Migliore assai dell' altro : 
Non far mai bene, che non avrai mai male. 
Al carro rovesciato tutti gli danno mano. 

Tutti soccorrono il caduto, per il sentimento della pietft. 
All'uomo limosiniero Iddio è tesoriere. 



■^t^^ 



. loa 

A sé r&ìuto nega ohi ad altri il nega. 

P&rehè siamo tutti figli dello stesso padre. 
Bisogna fare a giova giova. 
Cavallo non stare a morire che l'erba ha da venire. 

Vane sono le promesse dove son necessari 1 fetti, perchè: 

Chi davvero aiutar vuole, abbia più fatti che parole. 
Chi coi poveri è sgarbato, sarà sempre tribolato. 
Chi dà e ritoglie, il diavolo lo raccoglie. 
Chi dà per ricevere, non dà nulla. 
Chi del ano dona. Dio gli ridona. 
Chi fa carità è ricco e non lo sa — e 

La carità boato chi la fa. 
Chi fa la carità, 

Se non la trova, la troverà. 
Chi fa limosina^ presta e non dona. 
Chi ha carità^ carità aspetti. 
Chi non dà a Cristo, dà al Fisco. 

Chi non fa lim osine, come malvagio diviene reo, e paga 
pene alla giusfizia. 

Chi non dà quello che ama, non riceve quello che 

brama. 

Chi non ha bisogno è in debito. 

Inverso ai molti che hanno bisogno. 

Chi non ha modo, offire la volontà. 

Chi pensa al prossimo, al suo ben s'approssima. 

Chi ti dà un osso, non ti vorrrebbe veder morto. 

Chi ti dona, quando anche sia poco, mostra pure aver di 
te compassione. 

Col dire e col dare tutto s'ottiene. 

Donare è onore, pregare è dolore ; 

Il dare fa onore e il chiedere è dolore; 

Dono molto aspettato è venduto e non donato — e 
Non sa donare ehi tarda a dare — e 
Chi dà presto, è come se desse due volte — t 



^^^> 



109 
Il signor Donato gli è sempre il bene arrÌTato. 

Al contrario: 
n signor Donato è morto allo spedale- 
Di chi dona eccessivamente. 
E meglio un tieni tieni, che cento piglia piglia. 

Contro coloro che donano con malgarbo, però si dice : 
Chi dà per cortesia dà con allegria. . 
Fa bene, e non guardare a cui. 

Gfli uomini son come i tegoli, si danno da bere V un 
coiraltro. 

I beùefizii dei morti van presto in fumo. 

Sono presto dimenticati. 

II caritatevole dà dalla porta, e Iddio mette dentro dalle 
finestre. 

U male unisce gli uomini. 

Nelle comuni sofferenze gli uomini più si stringono, si 
collegano tra loro. 

Il servizio torna sempre a casa col guadagno — e 

Chi serve non erra — o 

Del servir non si pente — e 

Servi, e non badare a chi. 
Quando del ben servir mal si raduna, 

Non si deve incolpar se non fortuna. 

Chi fende servigio al suo simile o piU presto o più tardi 
lo ritrova. 

H titol di più onore è padre e diifensore. 
L'avere non è solamente di chi V ha. 
La limosina non fa impoverire — e 

L'elemosina mantiene la casa; 

La limosina è fatta bene anco al Diavolo. 
La mano che dà, raccoglie. 
Meglio un prossimo vicino che un lontano cugino — e 

Acqua lontana non spegne il fuoco. 



r 



no 

Gli aiuti ùhe non sono pronti air occasione, non giovano 
nulla. 

Meglio un aiuto che cinquanta consìgli. 

Ogni aiuto è buono. 

Ogni dieci anni un nomo ha bisogno dell'altro. 

Quel che ai dona, luce; quel che bì mangia, pute. 

Se il buon prospera, ognun prospera. 

Servigio riaccende amore. 

Se Yuoi piaceri, fanne. 

Solo dir posso eh' è mio, quanto godo e do per Dìg. 

Spesso ai dà per forza quel che si nega per cortesia. 

Una mano lava^ V altra, e tutte due lavano il viso. 

Un barbiere tosa l'altro. 

Val più tacche tacche che Iddio vi aiuti. 

Tacche^ è quel suono che fa la campanella quando sì 
picchia alla porta: diceei dei poveri che chiedono la 
limosina e che son mandati in pace* (Qiustij 

Val pifi una buona faccia che un carro di complimenti. 
Vuoi guardare (custodire) i tuoi frutti, siine oorÈeae a 
tutti. 



BENIGNITÀ, PERDONO. 

Benignità : Inclinazione o abituale disposizione dell* animo 
a far del Òetie e a risparmiare al possibile mali ad 
altri, e ciò con animo volenteroso e modi facili e gra- 
ziosi. 

Perdono : Il rimettere spontaneamente l'offesa rieemtta. 

Al male fatto, prego e perdono. 

Anco i migliori hanno bisogno di perdono. 

Bisogna guardare alle mani e non agli occhi. 

Cioè, perdonarla ai desiderii, ma guardarsi dalle mal* 
opere. 

Carità uage, e peccato punge- 



ut 

Chi non può pagare, preghi. 

Chi perdona senza obliare, non perdona che per metà. 

La dimenticanza è il rimedio dell'ingiuria. 

La maggior gloria del vincere è perdonare al vinto. 

E al contrario: 

Perdonare è da uomini, scordarsene è da bestie. 
Chi più intende, più perdona — e 

Quando si è patito s'inclina a compatire — e 

E meglio compatire eh' esser compatiti. 
Con le buone maniere tutto s' ottiene. 
E meglio essere amato che temuto. 
Gentilezza corre la prima al perdono. 
Il cane s' alletta più colle carezze che colla catena. 
II mèle si fa leccare, perchè è dolce. 

Chi vuol essere amato, gli convien procedere dolcemente* 

L' asino, per tristo che sia, se tu lo batti più del do- 
vere tira calci. 

Le buone parole acconciano i mali fatti. 

Lega più un vezzo che una collana. 

Le buone parole non rompono i denti. 

Perdona a tutti, ma niente a te. 

Piccola acqua fa cessar gran vento; 
Ogni acqua spenge il fuoco; 

La parola unge e la lacrima punge (cioè muove a 
compassione). 

Più vale un pan con amore, che un cappone con dolore. 

Qualche volta si vuol dar passata. 

Bare o darla o farla passata d'una mancanza o il'iino 
sbaglio, vale non lo gastigare, lasciar correre per quella 
volta. (Giusti) 

Quando odi altrui mancamenti, chiudi la lingua &a ì 

denti. 
Si pigliano più mosche in una gocciola di mèle che in 

un barile d'aceto. 



112 
Tira più un filo di benevolenza, che cento para di 

buoi. 
Troppo buonOj troppo minchione. 
Tutti siamo figliuoli d'Adamo — e 

Tutti abbiamo fatto le nostre. 
Una gocciola dì miele concia (acconcia) un mar di fiele. 



BISOGNO, NECESSITÀ. 

Bisogno : Ciò che occorre o è d' uopo : e anche : Appetito 
quasi avviso della natura^ che ci fa sentire la pri- 
vajsione di quel che ci manca e ci porta a ricercar' 
ne U godimento, 
I ecessìtà: Qui vale per : Tuìto ciò di cui non si pvò in 
verun modo far senza, È piii che bisogno. 



A chi è affamato, ogni cibo è grato — e similmente \ 

Ogni trista acqua cava la sete ; 

Anche il Tino c'ha la muffa, s'impara a bere; 

Lupo affamato mangia pan muffato. 
All'uomo meschino gli basta un ronzino. 
Bisogno fa buon fante — e 

Il bisogno fa Vuomo bravo (o l'uomo ingegnoso). 
Chi affoga, grida ancor che non sia udito. 
Chi affoga s'appiccherebbe alle funi del cielo (e dìmi 

anche che s'attaccherebbe ai rasoi) 
Chi è portato gvii dall'acqua, s'attacca a ogni spino. 
Chi ha fame non ha sonno. 
E meglio che mentisca io che il pane. " 
È meglio dir che pane è questo? che non ce n'è. 

Anche cattivo pane è meglio che nulla. 
Fa forame il can per fame. 

Per mangiare, il cane entra anche ne' luoghi chiusi. 



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113 

Fame afifoga fama — ed anche : 

Dalla fame la fama è sotterrata. 

La fame, il bisogno costringono molte volte a fare azioni 
biasimevoli. 

U bisognino fa trottar la vecchia. 

Il bisogno fa dir gran cose. 

In mancanza di cavalli gli asini trottano — e 
Per bisogno di buoi s'ara con gli asini. 

La fame caccia il lupo dal bosco — e 
Cane affamato non cura bastone. 

La fame ha le spie per tutto. 

La fame non conosce legge — e 
Ventre digiuno non ode nessuno. 

La necessità non ha legge — e 
La necessità torna in volontà. 

Non c'è nessun male come il bisogno. 

Per più non potere, l'uomo si lascia cadere. 

Quando l'acqua tocca il culo, s'impara a nuotare. 

Quando il lupo mangia il compagno creder ai dee ste- 
rile la campagna. 

Quando si ha fame il pane sa di carne. 

Anche il pane, quando si ha proprio fame, ha buon sa- 
pore. Dicesi poi a significare che ogni cosa è buona 
quando stringe il bisogno. 

Villano affamato è mezzo arrabbiato. 

BUONA E MALA FAMA. 

Fama: Voce universale che corre tra gli uomini e riferi- 
sce cose fatte o da farsi. Generalmente si piglia in 
buon significato, e vale appunto nome n grido di glo- 
ria, d'onore, di rinomanza^ di credito. 

Ma e' è anche la mala fama, che è cattiva riputazione , 
scredito, disistima. 

Acqua torba non lava. 

Le giustificazioni di chi ha cattivo nome non son cretlute* 



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114 

Chi acquista reputazione, acquista roba — e 
Chi ha nome ha roba. 

Quando si ha nome o credito, s'ha uno dei mezzi più 
efficaci per fare onesti ^adagni ; perciò si dice anche : 

Fa prima il credito e poi va' a dormi — e 

Acquieta reputazione, e ponti a ridere — e 

Fatti buon nome e piscia a letto, e' diranno che hai 

sudato. 

Chi air onor suo manca un momento, non vi ripara poi 

in anni cento. 

Chi cammina un miglio pazzo, non torna a casa (o alla 

porta) savio. 

Chi fa una volta una pazzìa, sempre è tenuto matto. 

Chi è diffamato, è mezzo impiccato — e 

Uomo condannato, mezzo decollato. 
Chi è tenuto savio di giorno, non sarà mai pazzo di 

notte. 
Chi ha cara la gloria, il corpo ha vile. 
Chi ha 1* onore è un signore. 
Chi mal eerca fama, sé stesso diffama. 
Chi non può viver dopo morte, non è vissuto. 
Chi sprezza l'onore, sprezza Dio. 
Chi tristo non è tenuto, se fa mal non è dreduto. 
È mala coaa esser cattivo; ma è peggio esser conosciuto. 
È meglio morir con onore, che vivere con vergogna. 
È meglio onore cTiè boòcone — e 

È peggio la vergogna che il danno. 
È meglio vestir cenci con leanza (lealtà) 

Che broccato con disonoranza. 

È proverbio lombardo. 

E' non ai grida mai al lupo che non sia in paese. 

Intendi che quando si dice dal popolo una cosa d^uno, OQ 
pò* di vero c'è sempre. 

Il gran tempo a' gran nomi è gran veleno. 



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115 
La buona «fama è come il cipresso. 

Che una volta tronco non rinverdisce mai più. 

La fama è un microscopio. 

Perchè le persone salite in fama sono in vista, e le loro 
azioni son guardate sottilmente. 

L'onore è come il vento, va fuori per tutti i buchi. 

L'onore è di chi sei fa. 

L' onore porta oro, ma non V oro V onore. 

Meglio una sassata nella testa, che un ferita neironore. 

Non si può tenere la lingua a nessuno. 

Ogni bello alfin svanisce, ma la fama mai perisce. 

Quando tutti ti dicono briaco, va a dormire. 

Quando tutti ti diranno che sei asino, e tu raglia^ 

Yal più un' oncia di reputazione che mille libbre d'oro. 



BUONI E AAALVAGI. 

Buono : È Vuomo che mette in atto efflcacemente ogni vir- 
tù. Il buon uomo si astiene dal male ; V uomo buono 
opera il bene. 

Malvagio, o cattivo^ è il contrario; è l'tiomo dedito al 
male, e perciò schiavo delle sue .passioni e de' -suoi 
vizii. 

Al cattivo cane tosto vien la coda — e 
Ogni cattivo cane ha la coda lunga. 

Ogni cattivo si trae dietro degli altri cattivi. 
A cattiva vacca Dio dà corte coma. 

A uomini malvagi Dio dà poche forze; perclié non pos- 
sano fìir male. 

A cattivo cane, corto legame. 

Cioè freno più duro. 

A chi vuol male, né la casa né il focolare. 



Jik.. 



116 
All'uom dabbtìne avanza la metà del cervello, al tristo 

non baeta quello che ha. 
Benché regni, il cattivo sempre serve. 

Serve a sé stesso, eh* è la peggiore delle servitù. 
Ohi è buono, ne fa ritratto. 

Ritrae flrutto traila sua stessa bontà. 

Chi il tristo manda al mare, non aspetti il suo tor- 
nare. 

Chi nasce lupo non muore agnello. 

Chi perdona ai tristi, nuoce ai buoni. 

Col perdonar troppo a chi falla, si fa ingiuria a chi 
non falla. 

Contro i tristi è tutto il mondo armato. 

Dal fuoco ti guarderai, ma da uomo cattivo non po- 
trai. 

Da uom dabbene, non hai che bene. 

L'uomo onesto è incapace di cattive azioni. 

n cuore de' bricconi è un mare in burrasca. 

Il furfante in ogni luogo trova tre cose, osteria, prigio- 
ne e epedale. 

Il lupo d'esser frate ha voglia ardente 
Mentre è infermo ; ma sano se ne pente. 

Il pidocchio non ha faccia, e però sta saldo. 
Dieesi de* furfanti senza vergogna. 

In mille uno, in cento nessuno. 

Cioè, tra mille puoi trovare un galantuomo, ma in cen- 
to no. 

La perversità fa Tuomo guercio. 

L'eloquenza del tristo è falso acume. 

Le tarme stanno nella semola. 

Non è malvagio eguale 

A quel che si compiace del far male. 

Non è chi eguagli in corruzione chi si compiace e ^ 
vanta del male commesso. 



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nr 

sassi pani, 
Bisogna aver qualcosa in man pei cani. 

Quando yien la sera il malvagio si dispera. 

Se lodi il buono, diverrà migliore : 
Biasima il tristo, e' diverrà peggiore — ed anche: 
Batti il buono e'megliora, batti il cattivo e'peggìora. 

Un uomo nuoce a cento, e cento non giovano ad uno. 

Usa col buono, e sta ben col cattivo. 

Cioè, onora il buono perchè t'onori, onora il cattivo per- 
chè non ti disonori. 



CASA. 

Casa : Edifizio murato che serve per abitarvi; ma n pren- 
de anche per la intera famiglia che vi abita. 

Ad ogni uccello suo nido è bello — e similmente: 

Ogni uccello canta meglio nel suo nido che in quello 
degli altri; 

Ogni uccello fa festa al suo nido ; 

Ogni formica ama il suo buco ; 

Ogni volpe ama la sua buca (o la sua tana) 

Ogni tristo cane abbaia da casa sua. 
Beata quella casa che un battitor sol ha. 

Battitore è il martello che si usa alle porte dì casa* 11 
proverbio significa: beata quella famiglia che è unita 
e non ci sono divisioni, e quindi un battitore, o mar- 
tello, serve a una sola famiglia : perciò suol dirai aa- 
che: 

Tutto fai, ma la casa con due porte mai ; 

Se vuoi guardar la casa, fai un uscio solo; 

La porta di dietro è quella che ruba la casa. 
Buona cosa è la messa udire, ma meglio la casa casto- 

dire. 
Capannella dove si ride. 



118 
E non palazzo dove si stride. 
Proverbio lombardo. 
Casa compita, nell'altra vita. 

In questa non se ne viene mai a fine. 
Casa mia^ casa mia, per piccina che tu sia tu mi sem- 
bri una badia. 
Casa mìa, donna mia, pane e aglio vita miai — e 

Casa sua, vita sua. 
Casa mia^ mamma mia. 

In casa sua Tuomo si tiene sicuro, come il bambino sotto 
la mamma : la casa è cara come la mamma, e sono 
quelli 1 migliori aflfetti. (G4usti) Perciò si dice: 

Legami mani e piei, e gettami tra' miei. 
Casa nuova, chi non ve ne porta non ve ne treva. 
Casare, Casaro, suona bene e porta male. 
Cosare^ qui vale metter su casa — e 

A chi fa casa (o s'accasa) la borsa resta rasa. 
Oksa senza abitanti nido di topi. 
Cattivo è queiruccello che rivela il proprio nido. 
Chi è a do2;2:Ìnaj non comanda. 

Chi ha buon catenaccio all'uscio non ha paura dei Birri. 
Chi ha il mal vicino, ha il mal mattutino — e 

Chi ha il buon vicino, ha il buon mattutina — e 

Casa che ha il buon vicino, vai piii qualche fiorino. 
Chi non cura sua magione, non à uomo di ragione. 
Chi non ha casa, l'accatta. 
Chi non ha casa^ non ha contrada. 
Chi vuol la casa monda, non tenga mai colomba. 
Dio ti salvi da un cattivo vicino, e da un principiante 

di violino — e 

Ne mulo, né mulino, ne fiume, né forno, né signore per 
vicino. 
E meglio essere il primo a casa sua, che il secondo a 

casa d^altri. 



119 

E meglio esser capo di lucertola, che* coda di drago- 
ne, (o capo di gatto, che coda di leone ^ o capo di 
Ieccìo, che coda di storione). 

Oli uccelli che sono nel suo nido a tutti si rivoltano* 

In casa sua ciascuno è re — e 
Ognuno è padrone in casa sua. 

Innanzi il maritare, abbi l'abitare. 

La bella gabbia non nutrisce l'uccello. 

Non è la ricchezza della casa che &ccia felice chi rabita, 
ma la pace e Y affetto. 

La casa e la moglie si godono più d'ogni altra cosa. 

La vicinanza è mezza parentela. 

L'ulivo benedetto vuol trovare pulito e netto. 

Accenna alla ftsta dell'ulivo nel qual tempo sogliono 
benedirsi le case. 

Monte, porto, città, bosco o torrente, 
Abbi se puoi per vicino o parente. 
Più vale il fumo di casa mia che l'arrosto deiraltroL 



MUTAR PAESE. 

Albero spesso trapiantato, mai di frutti è caricato* 
Cattivo è quel palo che non può stare un anno in 

terra. 
Chi cambia terra, dee cambiare usanza. 

Perchè ogni paese ha le sue tradizioni e i suoi partico- 
lari. Onde si dice: 

Paese che vai, usanza che trovi. 

Ovunque vai, fa' come vedrai. 
Chi sta a cà, niente sa. 
Chi sta molto in casa d'altri doventa forestiero in casa 

propria. 



120 

Chi sta sotto la Cappa del cammino non puzza che di 

famo. 

Chi mal non andò fUori dal proprio paese non trova il 
buono ctie in casa sua, e si crede essere sopra gli 
altri. 

Chi va e torna, fa buon viaggio. 

Chi vuol far della roba, esca di casa. 

Chi vuol star bene, non bisogna partirsi da casa sua — e 

Dove tu nasci, quivi ti pasci. 
Col mutar paese non si muta cervello. 
Dove 8on uomini è mondo — ed anche: 

Per tutto c'è da fare — e 

Ogni terreno nutrisce Tarte. 
Il bue non domo, in terra aliena si fa mansueto e domo. 

Molti a casa loro fanno il bravo, che poi fìiori son ti- 
midi e trovansi come i pesci fuori dell'acqua* 

La patria h dove s' ha del bene. 

L'uomo fa il luogo, e il luogo Tuomo. 

Mal cova la gallina fuori del nido. 

Cosi rispose Cosimo de' Medici a Rinaldo degli Albizzi, 
che egli aveva mandato in bando. 

Non doventan porri se non quelli che si trapiantano. 

È proverbio antico e vale che non si fa valent'uomo chi 
non esce di casa sua o del proprio nido. 

Ogni paese al galantuomo è patria. 

Pietra mossa non fa musco — e 

Sasso che rotola, non fa muschio. 
Pietra che va rotolando, non coglie mosche — e 

Saaso che non sta fermo, non vi si ferman mosche. 

E tutti intendono a significare che gV irrequieti, i vaga- 
bondi non fanno roba. 

Tanti paesì^ tante usanze. 

Tutto il mondo è paese — e 

Per tutto 81 leva il sole; 

Per tutto è un dosso e una valle ; 

In ogni paese è buona stanza dove si leva il sole. 



.1 



121 



COMPAGNIA BUONA E CATTIVA. 

Compagnia : È consuettuline o lega contratta con qualcu- 
no, segnatamente per conversare^ ricreare ecc, £ si 
piglia anche per le persone stesse buone o cattive 
che si praticano. 

A chi usa collo zoppo, gli se n' appicca — o 
Chi pratica lo zoppo impara a zoppicare — e 
Chi vive tra lupi, impara a urlare — e 
Chi va a letto co' cani, si leva colle pulci — e 
Chi tocca la pece, s' imbratta — e 
Chi si frega al ferro, gli s' appicca la ruggine — e 
Chi s' impaccia (o chi cucina) colle fraschej la mine- 
stra sa di fumo. 

Frasca vale donna vana, civetta; ma il proverbio feri- 
sce anche gli uomini sconclusionati, chiacchieroni come 
le donnicciuole. 

Anco gli apostoli ebbero un Giuda. 

Buona compagnia, mezza la via — e 
Prima cerca il compagno e poi la strada — e 
Nella buona compagnia non ci sta malinconìa. 

La compagnia è buon aiuto, ma quando è buona. 

Cane non mangia cane — e 
Corvi con corvi non si cavano gli occhi* 

Chi accarezza la mula buscherà de' calci. 

Chi disse star con altri, disse star sempre in guai. 

Chi ha compagnia ha signoria — o 
Chi ha compagno ha padrone. 

Chi ha il lupo per compare, porti il cane sotto il man- 
tello — e 
Chi ha la volpe per comare, porti la rete a cintola. 

Chi loda San Pietro, non biasima San Paolo. 



iiMà^, 



122 
Chi meglio ci cuoce, peggio ci maauca, 

Quelli che sono più accosti a noi, ci sono peggiori ne- 
mici: quelli che da principio sono con noi vengono in- 
fine a farci male. (Giicsti) 

Chi molto pratica, molto impara. 

Chi pratica impara, e guadagna sempre. 

Chi sta con fanciulli s'imbratta la camiciap 

Chi va al mulino, s'infarina; 

Chi fugge la mola, scansa la farina. 

Compagnia d'uno, compagnia di niuno; compagnia di 
due, compagnia di Dio; compagnia di tre, compag!aia^ 
di re; compagnia di quattro, compagnia da matti — e 
Due bene, tre meglio, quattro male e cinque peggio. 

Compagno non toglie parte. 

U pigliare un compagno ne' negozi o trafl^ci non scenaa. 
r utile. 

Con un solo bue non si può far buon solco — ed anche, -^ 

Uno da sé non può far nulla; 

Con la sola farina non si fa pane; 

ÀB^aì mane fan presto il pane. 
Cosa comunicata è più amata, — e 

Doglia comunicata è subito scemata. 
Dà del tuo al diavolo, e levatelo di torno. 
Di casa la gatta il topo non esce a corpo pieno. 
Dimmi chi pratichi, e ti dirò chi sei. 
Dio fa gli sciocchi, e loro s' accompagnano, 
Doy'fe popolo è confusione. 

Popolo^ compagnia molta. 

Dove molti galli cantano non si fa mai giorno. 
Dove son molti, son degli stolti. 
Due piedi non istanno bene in una calza. 
Doro con duro non fa buon muro. 



Due volontà ostinate non possono mai convenire insieme 
né far cosa buona. (Serdonati) 



[16 ■ 



123 
Gli storni son magri perchè yanno a storinL 

Dicesi quando essendo molti a fare un medesimo mesti 6^ 
re, tutti fanno poco guadagno. 

I Giudei non istanno bene co' Samaritani. 

Cioè uomini e cose molto disuguali e repugnanti tra 
loro. 

n buono fa camera col buono. 

II cane in chiesa fd sempre il mal venuto, 
n carbone o scotta o tinge. 

n ladro sta bene col malandrino. 

In chiesa co' santi, e air osteria co' ghiottoni. 

I troppi cuochi guastano la cucina (o la minestra) — b 

Due non accesero mai lume. 
La buona compagnia è mezzo pane — e 

Accomp%nati con chi^oa^lì^ di te, e ^gli le apese. 
La camicia che non vuole star teco e tu stracciala, 
La mala compagnia fa cattivo sangue. 
La mala vicina dà Tago senza il filo. 
Le cattive compagnie conducono l'uomo alla forca. 
L'ospite e il pesce in tre giorni puzza. 
Meglio soli ohe male accompagnati. 
Meno siamo a tavola, e più si mangia. 
Non ti far capo della compagnia. 

Perchè è il capo che paga l'osteria. 
Ogni difforme trova il suo conforme. 
Ogni simile appetisce il suo simile. 
Per un peccatore perisce una nave. 
Poca brigata, vita beata. 
Quando i furbi vanno in processione, il diavolo porta 

la croce. 
Saluti di sbirri giustificano la persona. 
Simili con simili, e impacciati co' tuoi. 
Soli non si starebbe bene nemmeno in Paradiso- 
Tal guaina, tal coltello. 

Cioè simile con simile; e si prende in cattiva parte. 



^ 



L 



124 

Taato ò ladro chi ruba che chi tiene il sacco — e 
Anche chi tiene il piede aiuta a scorticare — e 
Tanto è tenere che scorticare. 

Tra '1 cuoco e il canavaccio non è mai nimicizia. 

Tre fili fanno uno spago. 
U unione fa la forza. 

Tre furfanti fanno una forca. 

Trista a quella pecora che ritorna al branco. 

Una pecora infetta n'ammorba una setta — e 

Una pecora marcia (o rognosa) ne guasta un branco. 

Una pera fradicia ne guasta un monte. 
Uno e nessuno è tutt' uno. 

CONDIZIONI E SORTI DISUGUALI. 

Condizione: Qualità morale, od altra; stato^ grado, ean- 
cM professione di una per sema. 

Sorte : Èpik particolarmente lo stato in cui uno si trova 
per nascita o per censo, o anche per disgrazie a 
fortune avute, ma quasi sempre indipendentemente 
dalla volontà suu, e quasi accidentalmente. 

Ai cani e ai cavalli magri vanno addosso le mosche 

— ovvero 

Le mosche ai posano sopra le carogne, 
Ai peggio porci vanno (o toccano) le meglio pere. 
Al leone ata bene la quartana. 

Il forte non teme il male, anzi gli può giovare. 
Al maggiore deesi 1' onore. 
Al più potente ceda il più prudente. 
Altri hanno mangiato la candela, e tu smaltisci lo 

stoppino, 
A nave rotta ogni vento è contrario. 
Anche la moaca ha la sua collera — e 

La mosca tira i calci come può^ 



125 
Anche un pagliaio è grande, e se lo mangia un asino. 
A piccol forno pojca legna basta — e simihmnìe : 
Non si sazia meno una formica per un grane] di grano, 

che si faccia un leofante per dieci stala j 
Gran nave vuol grand' acqua ; 
A gran lucerna grosso stoppino — e 
Grasso monaco, grasso vitello. 

Chi è in alta condizione e non è temperante nei desiderii 
ha bisogno del molto per essere appagato, 

A rubar poco si va in galera — e 
S'impiccano i ladrucci, e non i ladroni. 

Cosi diceva V indiano al magno Alessandro, che di rubarti 
se ne intendeva. 

Cent' oche ammazzano un lupo. 

Chi contender non può spesso ha contesa. 

Perché molti, conoscendo la debolezza e dappocaggine 
sua, gli fanno l'uomo addosso. 

Chi divide la pera (o il mèi) coli' orso, n' ha sempre 

men che parte. 
Chi fa male, guadagna un carro di sale, e chi fa ben© 

guadagna un carro di fieno. 
Chi fila porta una camicia, e chi non fila ne porta due. 
Chi ha buona cappa, facilmente scappa. 

È detto dei ricchi o degli uomini potenti, che trovauo 
spesso delle gretole, e scappano via e non sono gasti- 
gati. Simile agli altri : 

I poveri s'ammazzano, i signori s'abbracciano — ► e 
Gli stracci (o i cenci) vanno all' aria. 

I poveri son quelli che ne toccano, perchè 
Chi ha denari e prati, non son mai impiccati — e 
I poveri sono i primi alle forche, e gli ultimi a ta- 
vola — e 
Chi pratica co' maestri (cioè coi grandi) 1' ultimo a 
tavola e il primo a' capestri. 



itt&a^. 



126 

Chi ha denti, non ha pane; e chi ha pane, non ha 
denti — e 
Il grano va a chi non ha sacca — e 
Chi tanto e chi niente. 
Chi ha il capo di cera, non vada al «ole. 

Chi è debole di forze non s' esponga a' pericoli. 
Chi ha meno ragione grida più forte. 
Per Èoverchìare gli altri ; talché si dice : 
Chi più urla ha più ragione. 
Chi le tocca (le busse) son sue. 
Chi lavora fa la gobba, e chi ruba fa la robba. 
Chi lavora lustra, e chi non lavora mostra. 

Del lavoro dello artefice molte volte si fa bello V uomo 
ozioso. 

CM non ha che perdere, sempre perde. 

I contadini poveri sono spesso comandati a lavori dove 
son mal pagati, e perdono il tempo e le fatiche lora 

Chi non ha forza abbia la pelle dura. 

Sì rìfepiBce anco al morale: chi non ha virtU di soppor- 
tare un affanno, preghi Dio di averne pochi, o non sen- 
tire quelli che ha. (Gitati) 

Chi peggio fa, meglio 1' accomoda. 

Proverbio non sempre vero, ed al quale molti altri ri- 
sponiiono il contrario. 

Chi perde ha sempre torto. 

Uopinione universale piega sempre dalla parte che rinui' 
ne al disopra. Perciò 

Chi perse fu sempre dappoco — e \ 

La colpa è sempre degli offesi — e 

Chi perde, ai gratti. 
Chi più ne fa è fatto priore (ed anche: papa) 
Coda corta non para mosche. 
Comandi chi può e obbedisca ohi deve. 
Contro la forza ragion non vale. 



,'^: r 



127 
Disegno di pover uomo mai riesce. 
Dove molti peccano nessuno si gastiga. 
Dove va il padrone può ire il servitore. 
È più fatica voler fare il signore senza sostanze^ ohe 

lavorar tutto il giorno. 
Gli sfacciati son sempre fortunati. 

I granchi vogliono mordere le balene. 

Si dice quando il debole se la piglia col potente. 

II barbiere non si contenta del pelo. 

Il cuculo fa Tova nel nido della sterpazzuola. 

H ferro lima il ferro. 

D leone ebbe bisogno del topo. 

n piccolo fa il grande, e il grande fa il piccolo, 

H piccolo fa quel che puole, il grande quel che vuole, 

I più buoni son messi in croce. 
H padrone non va per l'acqua. 

Cioè, non si vuole incomodare. 

H pesce grosso mangia il minuto — ovvero 
I pesci grossi mangiano i piccini. 

II più ciuco è fatto prióre. 

Ira senza forza, nulla vale — e 

Corruccio è vano senza forte mano. 
La catena tanto lega il padrone quanto lo guarda* 

Catena qui vale Catenaccio, e significa: che il padrone 
è schiavo delle proprie difese. 

L'aquile non fanno guerra a' ranocchi. 
L'aquila non piglia mosche. 

Il forte, quand' anche è generoso, non se la piglia contro 
a' deboli e non attende a cose vili. 

La capra non contrasta col leone. 

La mosca pungendo la tartaruga si rompe il becco. 

La morte de' lupi è la salute delle pecore. 



128 
La nave non va senza il battello, (o senza il brigan- 
tino), 

lì debole segue il forte, il cliente il protettore. E delle 
cose si dice: 

n più tira il meno — e 

Dove va la nave può ire il brigantino. 

Vale che dove ne va il più, ne può andare anche il 
meno, 

L'elefante non sente il morso della pulce. 
Le leggi sono come i ragnateli. 

Le mosche vi rimangono e i mosconi gli sfondano. 
Le secchie ai mettono a combattere col pozzo, e ne por- 
tano la testa rotta. 
Morso di pecora non passa mai la pelle. 
Non a tutti vola il gufo. 

Non si sente le campane piccole quando suonano le grandi. 
Ogni uomo è uomo, e ha cinque dita nelle mani. 
Ognuno ha da fare nel grado suo. 

Gì sono degli affanni o dei sopraccapi o degl* impicci in 
ogni condizione ed in ogni stato. 

Piccola pietra gran carro riversa — e 

Piccola scintilla può bruciare una villa — e 
Piccola spugna ritiene acqua — e 
Piccolo ago scioglie stretto nodo — e 
Piccole ruote portan gran fasci — e 
Piccolo vento accende fuoco, e il grande lo smor- 
ba — e 
Una piccola catena muove un gran peso. 

Quanti vanno alla forca che non han né mal né col- 
pa ! — ^ 
Il giusto ne soflfre per il peccatore. 

Sapienza di pover' uomo, bellezza di p e forza di 

facchino, non valgono un quattrino. 

Bpada in bassa mano, non è senza taglio. 



Tanto mangia (ha bisogno di mangiare) il povero quan- 
to il ricco. 

Uno fa i miracoli q un altro raccoglie i moccoli — e 
Uno fa le voci e l'altro ha le noci — e 
Uno leva la lepre e un altro la piglia — e 
Uno semina e un altro raccoglie. 

Uno ordisce la tela e l'altro la tesse. 

Un uomo ne vai cento (o mille) e cento non ne va* 
gliono uno. 



MESTIERI, PROFESSIONI DIVERSE- 

Mestiere : Ogni esercizio meccanico fatto per guadagnar 
da vivere. Si dice propriamente dell' operaio , 

Professione : Esercizio di discipline più alte e più nobili^ 
a cui si dà l'uomo per guadagno o per diletto ; come 
il medico, Vavvocato, ecc. 

A fare il fabbro con la barba, e alle lettere con la bava. 

Gli studi bisogna cominciarli presto, le opere manuali 
quando che sia. 

Al cattivo lavoratore or gli casca la zappa ora il mar- 
rone. 

Quando manca la voglia si cerca sempre la scusa in qual- 
che disgrazia. 

Allo sprone i cavalli, al fischio i cani. 

Ed al bastone intendono i villani. 
Al sarto povero gli si torce 1' ago. 

U lavoro gli conclude poco. 
Al villano la zappa in mano. 

Cioè ognuno faccia il suo mestiere. Lo stesso vogliono 
significare i seguenti : 

Chi è uso alla zappa, non pigli la lancia ; 
Chi è uso al campo, non vada alla corte; 

9 



130 

Chi è uso alle cipolle non vada a' pasticci ; 
Non desiderare i sapori de' signori ; 
Won è buono mangiar ciliege co' «signori — e 
Oo' gran signori bisogna usar poche parole. 

Questi due ultimi insegnano a rimanersi nella propria 
condizione. 

Amor di signore, amore di donnola. 

Perchè d' ordinario non ha fondamento ed è traditore. 
Al villan che mai si sazia, non gli far torto né grazia 

— e anche: 

Il villano punge chi 1' unge e unge chi lo punge. 
A mal villano non gli dar bacchetta in mano. 
Aprile e conti per lo più son traditori. 

D'aprile la stagione è variabile e non bisogna fidarsene. 

A voler star pari col contadino bisogna giocar di zero. 
Barca rotta, marinaio scapolo. 

Cìoèj disoccupato : dicesi di ogni artefice a cui per qua; 
lanque motivo mancando gli strumenti sia di mestieri 
stare ozioso. 

Battilano, o unto, o si muor di fame. 
Batti il villano, e saratti amico — e 

Ohi fa il servizio al villano, si sputa in mano. 
Beata quella casa che v'è cherica rasa. 

È proverbio nato allorché credevasi che T avviare m 
ilgliaolo al sacerdozio, a fare il prete, dovesse arric- 
chire la casa. 

Biada di mugnaio, vin di prete e pan di fornaio, non 

fare a miccino. 
Cappuccio e cotta sempre borbotta. 
Cattivo è il mestiere che non nutrisce 1' artefice. 
Cavalier senza entrata e muro senza croce, da tutti è 

scompisciato — e 

Un conte senza contea è come un fiasco 
vino — e 



senza I 



131 
La nobiltà è come lo zero. 

Se non vi si premette qualche altro numero, nulla vale. 

Un luogotenente dell' esercito prussiano, costretto dai de- 
biti ad abbandonare la patria e il servizio si recò in 
America e chiese un' udienza al presidente Lincoln, dal 
quale ottenne un posto di tenente in un reggimento di 
cavalleria. Lieto di ciò, credè accrescere il proprio me- 
rito dichiarando al Presidente com' egli appartenesse 
alla più antica nobiltà prussiana: « Oh, esclamò il vec- 
chio Lincoln, ciò non impedirà che voi facciate pro- 
gresso nell'esercito. » 

Nobiltà poco si prezza, se vi manca la ricchezza ~ 
perchè : 

Necessità abbassa nobiltà. 
Chi bazzica co' preti e intorno ha il medico 

Vive sempre ammalato e muore eretico. 

Chi crede a' sensali diventa sensale. 

Chi dice mal delF arte non sarà de' consoli. 

Cioè de' primi in quell'arte, perchè chi strapazza il me- 
stiere non fa fortuna. 

Chi disse navigare, disse disagio. 

Chi è dell' arte, è sospetto. 

Gli artefici, massime nello stimare i lavori, si favoriscono 
l'un l'altro. 

Chi esce fuor del suo mestiere fa la zuppa nel paniere. 

Chi è in mare navica (naviga) chi è in terra radica — e 

Barca, perdita cavalca. 

Son detti contro il navigare, come l'altro: 

Loda il mare e tienti alla terra. 
Chi è oste fornaio, e fa il barcaruolo, dato gli eia 

d' un mazzuolo. 
Chi è uso a mercanzia non sa che guerra sìa. 
Chi fa un frate fa un ciuco. 
Chi ha da essere zanaiolo, nasce col manico in nmno 

Zana chiamasi una cesta di giunchi dove si ripone i-oba 
da mangiare, e zanaiolo chi, per mercede, va at* 
torno vendendo commestibili. 

Dicesi anche: 

Chi ha da essere facchino, nasce col cercine incapo. 



-j 



I 



182 

CM ha r arte ha uflGicio e heneficio. 

Chi ha un cieco fuori ha un podere in Chianti. 

I ciechi cantando per le vie sogliono fare molti danari. 

Chi muta stato muta fortuna. 

Chi non ha arte medico si faccia — e 

Chi ha mestiere non può perire. 
Chi non sa orare vada in mare a navigare — e 

Chi non naviga non sa cosa sia timor di Dio. 
Chi pesca a canna perde più che non guadagna — e 

Chi va dietro a pesce e penne in questo mondo mal 
ci venne. 

Detto dei cacciatori o pescatori. 
Chi serve all' altare vive d' altare — ed anche : 

H prete dove canta vi mangia ; 

L'entrata del prete vien cantando e va via zufolando. 
Ohi sta a sportello ne vede mezza. 

I mercaati i giorni di festa sogliono aprire solo V uscietto 
del legname che chiude la bottega e donde non si ve- 
dono in parte le mercanzie. 

Chi vuol lavor gentile ordisca grosso e trami sottile. 
A filar fine il cui se ne ride, a filar grosso si riem- 
pie il dosso. 
Chi vuol udir novelle, al harhier si dicon belle. 

Cioè nelle botteghe dei barbieri. 
Ohi vuol provar le pene dell' inferno, d' estate il fabbro 
e r ortolan d' inverno — e al contrario : 
D'inverno fornaio, d'estate tavernaio. 
Contadini e montanini, scarpe grosse e cervelli fini. 
Coacienza di mugnai (o di fornai), coscienza d' osti. 

Cioè si valgono. 
Da ricchi impoveriti e da poveri arricchiti prega Dio 
che t' aiti — ed egualmente : 
Dio ti guardi da villan rifatto e cittadin disfatto ; 



I 



133 

Non è superbia alla superbia uguale, 

D*uom basso e vii che in alto stato sale — e 

Chi vuol veder discortesia metta il villano in si- 
gnoria — e 

Non introdur 1' asino in sala, che poi ti manderà fuo- 
ri e della sala e della camera. 
Tutti questi sono abbastanza dichiarati dall'altro proverbio : 

Quando la merda monta in scanno 

che la puzza o che la fa danno. 
Ebrei e rigattieri spendono poco e gabban volentieri. 
Ebreo, donna e uomo con corona mai la perdona. 
Egli è disgrazia quando i frati s' impiccano. 
Perchè soliti a vivere quietamente. E anche : 

Viene da Dio che i frati s'annegano. 
E meglio la pace de' villani che la guerra de' cittadini. 

Detto in lode dell'abitare in campagna. 
Esser signore e minchione è esser minchione due volte. 
Figliuole d' osti e cavai di mugnai non te n'impac- 
ciar mai. 
Frate che chiede per Dio chiede per due (cioè anche 

per se). 
Frate che fu soldato è più sperimentato. 
Frate sfratato e cavol riscaldato non fu mai buono — e 

Frati osservanti risparmiano il suo e mangiano quel 

degli altri. 
Gallina vecchia senza tetto non fu mai senza difetto. 

Non è senza vizio colui che essendo vecchio va cercando 
il pane ad ogni uscio e non ha niun alloggio. 

Gallo di mugnaio, gatto di beccaio, garzone d' oste, or- 
tolano di frati e fattor di monache. 

Hanno opinione di fortunati — e 
Cavai di monaci, porci di mugnaio e figliuoli di vedove 
non han pari. 
Son ben pasciuti. 



I p. » J l 



134 
Giudice e scrivaEO vuol tenere il piede in mano. 
Fanno con agio, non voglion fretta. 

Grama quella ca' dove soldato o prete va — e 
Non bazzichi prete e soldato chi è maritato — e 
A cherico che ai fa frate non gli fidar la tua comare. 

Guai a quel pescatore che teme dell'acqua fredda. 

DicBSi di coloro che vogliono fare an' arte e poi non vo- 
gliono andar sottoposti agi* incomodi che queir arte 
o wfìacio arreca. 

Guardati da alchimista povero. 

Perchè spinto dal bisogno e dalla brama deir oro, che 
sempre cerca mai non trova, ordisce spesso quaìche 
inganno. 

Guardati dal villano quando ha la camicia bianca. 

Perchè è indizio che non lavora. 

I frati si uniscono senza conoscersi^ etanno uniti senza 
amarsi e muoiono senza piangersi- 

II beccaio non ama il pescatore* 

Perchè gli porta via il guadagno,. 
Il cantante ha la sua bottega nella gola. 
Il tuo nemico è quel dell' arte tua — ed anche ; 

L' astio è tra gli artefici — e 

L'invidia fu sempre maritata tra gli artefici. 

Proverbi antichi e veri per antica esperienza. Ed anche: 
Quello è tuo nemico che è di tuo uiRcio. 
n villano nelle piume vi sta a disagio. 
Il villano nobilitato non conosce suo parentato. 
H villano viene sempre col disegno fatto. 
I mezzani sono i pidocchi del diavolo, 

Suggono ÌL sangue da quelli che Li nutrono, 

I mugnai sono gli ultimi a morire di fame — e 

Trenta mugnai, trenta beccai^ trenta sartori, fan cento 
e venti ladri. 



135 

Invito d'oste non è senza costo. 

La carità de' frati accompagna fino alla porta — e si- 
milmente : 
Carezze di frati t'accompagnano fino alla porta, e te 

la serran dietro — e 
Ne da frati ne da monache non t' aspettar mai niente. 

La roba del villano dura trent' anni e un mese, e poi 
la torna al suo paese. 

La terra non avvilisce 1' oro. 

La bassa condizione non avvilisce i pregi reali ctie altri 
possegga. 

L'avvocato d'ogni stagione miete e d'ognitempo ven- 
demmia. 

L'occhio, la fede e l'onore non toccar mai di signore. 

Loda lo scarpello, attienti al pennello; costa manco e 
par più bello. 

Melensa è quella mano che non mangia a speae del 
villano. 

I contadini fanno le spese a tutti. 

Montanini e gente acquatica, amicizia e poca pratica. 

Nave vecchia, ricchezza del padrone. 

Ne il medico né l'avvocato sanno regolare il fatto 

proprio — e 

La vita de' medici, T anima de' preti e la roba de' le- 
gisti sono in gran pericolo. 
Ninno s' ha da vergognare della sua arte. 

II mestiere non avvilisce Tuomo. 
Non è villano perchè in villa stia. 

Ma villano è chi usa villania. 
Non fu mai villano senza malizi^,. 
Ogni bottega la sua malizia. 
Ogni uomo ha buona moglie e cattiva arte. 

Gli uomini sogliono lodarsi della moglie e lamontarei 
dell'arte che fanno. 



136 
Ognuno parla ben del suo meatiere — e 
' Ognun paiìace del suo meatìere. 

Ognuno trascura per sé l godimenti deirarte sua, quasi 
venutigli a noia pei^hè ci lìa guardato dentro. 

Oste antìcOj nemico moderno — e 

Oste di contado, assa&sino o ladro ^ e 
Oste e nemico è tutt' uno. 

Pazzo è quel prete che biasima le sue reliquie. 

Più vale mestiere che sparviero. 

Lo sparviere in pugno em 1* ozio degli antichi nobili* 

Poeti, pittori, strologi e musici fanno una gabbia di 
matti — e 

Poeti, pittori e pellegrini a fare e a dire sono in- 
dovini. 
Povera quella bocca che mangia con la rocca- 

Accenna ai miseri guadagni delle fìlatrici di lino. 
Prega il villano, il mercato è disfatto. 

Se tu mostri cedere o temere, Taltro rincara la posta. 

Pretej medico e avvocato trovansi in ogni lato. 
Preti, frati, monache e polli non sì trovan mai satolli. 
Promesse di barcaiolo e incontro d' assassini sempre 
costano quattrini. 
• Quando i cavalli ruzzano il padrone stenta- 

•, Si dice dei vetturini che non hanno lavoro. 

' Quando il villano è a cavallo non vorrebbe mai che sì 

! facesse sera, 

I Quando il villano è alla città gli par d' essere il po- 

testà. 
Quando il villan tratta ben, la pioggia secca il fiea. 

È ìmpopsibile che il villano tratti bene, com'è impoasìbUft 
I che la pioggia secchi il fieno* Così suol dirai : 

Il villan porta scritto sulla pancia: villan senza 
creanza — e 



t^ 



* m 

Il villano si conosce sempre — e 

Chi è stato battezzato con 1' acqua del fosso puzza 

sempre di umido. 

che vien di penna e stola tosto viene e tosto vola, 

Se t^ imbianco gli è onor mio ; se ti rompo non t' ho 

fatt' io. 

È un dettato delle lavandaie che strusciano i panni per 
lavarli bene e presto; cosicché spesso avvieaa che sì 
rompano. 

Si spende più a fare un mercante che un dottore. 
Si vive bene alF ombra del campanile. 
Cioè a spese della chiesa — e 
V ombra del convento rende il cento per cento 

— ed anche : 
Nella casa dov' è un buon dottore o un ricco prete 
non si sente né fame né sete. 
Taglia lungo e cuci stretto — e 
Lunga gugliata, maestra sguaiata — e 
Punti lunghi e ben tirati, oggi cuciti e domani strap- 
pati — ma si trova anche: 
(Stanno bene in tutti i lati) — e 
Punto di festa poco dura, ma fa figura — e 
Punto pasquale tura poco e comparisce male. 

Contro il lavorare le feste. Dice il proverbio : mettere un 
punto, cucire in giorno festivo, passi, ma di Pasqua non 
si deve mai. 

Traduttori, traditori. 

Tre cose simili: prete, avvocato e morte. Il prete toglie 

dal vivo e dal morto ; T avvocato vuol dol diritto e 

del torto; e la morte vuole il debole e il forte. 
Tutti i mestieri fanno le spese — e 

Tutti i mestieri danno il pane. 
Un pane dura cento miglia, e cento pani non durano 

un miglio. 

Usano questo dettato i marinari per significare die se- 
condo i venti giungono o presto o tardi. 



.Jli£i^_ 



13é 
Viene aain di monte, caccia cavai di corte — e 
Il can di monte caccia quel di corte. 

CONTRATTAZIONI, MERCATURA. 

Contrattazione: Atto del trattare, del vendere, comperare, 

impegnare e simili. 
Mercatura: L'arte del trafficare a fine di guadagno, 

A bae vecchio campanaccio nuovo. 

Perché faccia miglior figura. 
A buona derrata pensaci — e 

Da' bnon {e da' gran) partiti partiti — e 

La buona derrata cava 1' occhio al villano — e 

Le buone derrate vuotano la borsa. 

Proverbi che trovano la loro spiegazione nell'altro: 

Sotto il buon prezzo ci cova la frode — e 
A chi compra non bastano cent' occhi ; a chi vende ne 

basta uno solo. 

Perchè clji vende è pratico della roba sua. 
A chi fa bottega gli bisogna dar parole ad ognuno — 

perchè : 

Artigiano che non mente non ha mestier fra la gente. 
A chi stima non duole il corpo — perchè: 

Chi stima non compra. 
AJ caro aggiungi danaro o lascialo. 
Buon mercato inganna chi va al mercato. 
Buon pagatore non si cura di dar buon pegno. 
Carta canta e villan dorme — ovvero : 

Carta canti e villan dorma — e 

Chi bene iatrumenta dorme sicuro ; 

Chi ben iatrumenta ben s'addormenta; 

Lettere in carta, denari in arca ; 

Lo scritta non si manda in bucato. 



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139 
Carta vista mal non acquista. 
Chi baratta imbratta — ed anche 

Chi baratta ha rozze; 

Chi barattò lardo per lardo, tutto sa di garanziao. 

Cioè rancido ; perché, trattandosi di bestiame come <r o- 
gni altra merce, sempre si cerca di barattare il disu- 
tile, che non si potrebbe vendere a contanti, ed è me- 
stiere da imbroglioni. (Giusti). 

Chi ben conta mal paga. 

Chi biasima vuol comprare — e 

In casa loda e in mercato biasima. 
Chi buon guadagno aspetta non si stanca. 
Chi compra a tempo vende nove per altri e un per sé. 

Chi compra a debito, se poi rivende, gli tocca sul pmzKO 
pagare il debito e l'usura. 

Chi fa mercanzia e non la conosce i suoi denari diven- 

tan mosche. 
Chi ha denari da ricuperare molte gite ha da fare. 
Chi mette il suo in sangue la sera ride e la mattina 

piange. 

Cioè chi traffica in bestiame si trova a delle perdite im- 
prevedute per malattie o altri casi cui van soggette ìe 
bestie. Se questa però fosse verità indiscutibile sarebbe 
tolta ai contadini una delle migliori industrie. 

Chi non piglia uccelli mangi la civetta. 

Chi non guadagna è costretto a mangiarsi il capitale. 

Chi non fallisce non arricchisce — e 

Quando uno è fallito è in capitale. 

È proverbio scettico e allude ai fallimenti dolosi, E per 
ischerzo si dice: 

Fallire far lire. 
Chi più spende, meno spende — perchè 

La buona roba non fii mai cara. 
Chi sa celare in parte i desir suoi. 

Compra la merce a miglior prezzo assai. 



ikk^:. 



L 



140 
Chi Ba perdere congiuntura non s' adatti a mercatura. 
Chi traffica raffica. 

Chi Ya alla piazza, se ben non v' ha a far, e' ve n' ac- 
oatta. 
Chi va al mercato è ménte la borsa sua I9 sente. 

Alcuni fanno il bravo e dicono d' aver avuto le merci a 
miglior prezzo che di vero non sono costate, e cosi pa- 
gana la gabella delle bugie e nuocciono alla borsa. 

Ohi va in mercato e non è burlato, è sicuro in ogni 

lato* 
Colle lesine bisogna esser punteruolo. 

Cogli avari bisogna essere spilorcio. 

Compra uno e vendi tre; se fai male apponlo a me. 

Cosa cara tenuta, è mezza venduta. 

Cosa troppo vista perde grazia e vista. 

Da' del tuo a chi ha del suo. 

Danari rifiutati non si spendono. 

Dov'ò il guadagno si paga volentieri la pigione. 

È buon comprare quando altri vuol vendere — perchè: 
Eoba profferta, mezzo buttata (0 tirata) via — e 
Chi sì proflferisce è peggio d' un terzo. 

Intendi che profferendo la roba se ne toglie la terza parte 
del valore. Ed è vero anche moralmente. 

Errore non fa pagamento. 

È un cattivo (0 mal) boccone quello che affi)ga — ed 

anche : 

I meglio bocconi son quelli che strozzano ; 

Cattivo quel guadagno che cagiona maggior danno — e 

È meglio non acquistar che perdere. 

I danari fan la piazza. 

Cioè il mercato. 

II cattivo riscuotitore fa il cattivo pagatore. 
Il comprare insegna spendere. 



HI 
il fine del mercante è il fallire ; e il fine del ladro in 
sulle forche morire — e dicesi anche : 
Gli avari ed i falliti facilmente stanno uniti. 
In commercio ed in amore sempre soli. 
In pelago lodato non pescare. 

Le cose che sono stimate buone da tutti sono da molti 
occupate. 

In piazza non aprir mai sacco. 

I quattrini delF avaro due volte vanno al mercato. 

Perchè l'avaro compra cattiva roba ed è costretto a tor- 
narci. 

La bottega non vuole alloggio. 

La bottega non vuol gente che vi si fermino a ci e al a re. 
La buona mercanzia trova presto recapito. 

Si dice anche delle ragazze da marito. 
La roba va dove vale. 

Mercante di vino, mercante poverino; mercante d*olio, 
mercante d' oro — e si dice : 
Mercante di frumento, mercante di tormento ; 
Cera, tela e frustagno, bella bottega e poco gua- 
dagno ; 
Ottone, rame e stagno, assai denari e poco gua- 
dagno ; 
Olio, ferro e sale, mercanzia reale ; 
Pietra, calcina e sabbione, mercanzia da babbione ; 
Legna, fieno e cavalli mercanzia da disperati. 
Mercante litigioso, o fallito o pidocchioso. 
Mercante e porco non si pesa che dopo morto. 
Mercante e porco dammelo morto. 

Ed è vero non solamente detto dei negozianti di ;^tande 
credito in vita e tenuti per danarosi che furono alla lor 
morte trovati come falliti. 

Mercanzia non vuole amici. 

Perchè i negozianti, che tali si protestano spesso, fanno 
pagare la roba piìi cara. 



142 

Misura e pe&a, non avrai contesa. 

Nel mar grosso si pigliano i pesci grossi — e dmil- 
menfe : 

Nelle grandi acque si pigliano i pésci — e 
Yai al mare se ben vuoi pescare. 

Nelle città grandi, nei vasti magazzini sono occasioni di 
maggiori guadagni. 

Né luuli^ né mulini, né compari cittadini, né luoghi 
intorno ai fiumi, né beni di comuni, non te ne im- 
pacciar mai, che te ne pentirai. 

Non bisogna sviare (o spaventare) i colombi dalla co- 
lombaia. 

Cioè gli avventori, i bottegai. 

Non comprare da chi si fa pregare. 

Non rfìgta carne in beccheria per trista che la sia. 

Oggi si perde e doman si guadagna. 

Pioggia in istrada tempesta in bottega. 
La pioggia tiene lontani i compratori. 

Prima scrivi e poi conta; prima conta e poi scrivi. 

Stagione vende merce — ed anch^ 

Il temporale vende merce. 

Temporale, nella sua più antica significazione vale tempo, 
congiuntura, opportunità, occasione. (Giusti) 

Tanto è mercante quello che perde che. quello che gua- 
dagna, 
Yendi in casa e compra in fiera. 



4\J^: 



143 



DEBITI, IMPRESTITI, MALLEVADORIE. 

Debito : È qui particolarmente per il denaro o altra roba 

che uno deve dare o restituire ad altri, 
Imprestìto: L'atto del dare altrui una cosa con animo e 

patto che ce la renda» È anche la roba o il denaro 

stesso prestato. 
Mallevadoria o malleveria: Promessa del mallevadoref o 

V atto di chi promette per altri, obbligando sé e i suoi 

averi. 

Accattare e non rendere è vivere senza spendere. 
Chi crede senza pegno non ha ingegno. 

A chi crede, cioè chi dà a credenza; ma il pro\'erbio po- 
trebbe anche significare che non è da credere a nes- 
suno mai senza il pegno o la prova in mano. 

Chi dà a credenza spaccia assai, perde V amico e denar 
non ha mai — e 

Chi dà a' cattivi pagatori, bestemmia il suo. 
Chi del suo vuol esser signore, non entri mallevadore. 

Perchè avviene spesso che, 
Chi entra mallevadore entra pagatore. 

Chi per altrui promette entra per le larghe e esce per 
le strette. 

Chi sta per altri paga per sé. 

Chi vuol sapere quel che il suo sia non faccia mal- 
leverìa. 

Chi è imbarcato col diavolo ha a passare in sua com- 
pagnia. 

Chi è giusto non può dubitare. 

Chi deve dare sa comandare. 

Perchè da lui dipende il dare o non dare. 
Chi ha da avere può tirare uno zero. 
Cioè cassare la partita. 



JtÀ^ 



144 
Chi ha debito ha credito. 
Chi gioca di pie non paga i suoi debiti — e 
Ohi gioca di pièipaga di boirsa. 

Giocare di pièj cioè andarsene fuggente ed è tratto dal 
gioco della palla, dove il dare col piede è botta ftil- 
&ce ; nel figurato vale andarsene. 

Chi gli ha da avere li vuole. 

Chi non ha debiti è ricco. 

Chi non presta se ne duole ; ma gli ha il auo quando 

Io vuole — e 

Chi presta male annesta — e 

Chi presta tempesta; e chi accatta fa la festa. 

Chi non può di borsa paghi di bocca. 

Chi paga debito fa capitale. 

Chi vuol quaresima corta faccia debiti da pagare a Pasqua, 

Compra il letto d'un gran debitore. 

Perchè avendovi potuto egli dormire con tanto debito» 
Yi doroDÙrai bene anche tu. 

Credenza è morta, il mal pagar l'uccise. 

Da cattivo debitore, o aceto o vin cercone* 

Vin cercone^ vino guasto. 

Da dare a avere ci corre. 

Debito vuol dir credito. 

Detto scherzosamente a significare che se non ti credono 
tu non trovi da far debiti. 

E meglio dare che avere a dare — e 

È meglio pagare e poco avere, che molto avere e 
sempre dovere. 

I debiti e i peccati crescon sempre — e 
I peccati e i debiti son sempre più di quello che ai 
crede, 

I debiti non si scordan mai — e ■ 

Chi è debitore non riposa come vuole — ma 
Finché si è debitori si è nei dolori — e 
Dorme chi ha dolore, e non dorme chi è debitore. 



145 
Il promettere è la vigilia del dare. 
Libri ne cavalli non a' imprestan mai. 
Meglio dieci donare che cento prestare. 
\ Non c'è lettere senz'uso. 

Non c'è debito che si paghi subito. 
Per debiti non s'è ancora impiccato nessuno. 
[ I fatti smentiscono troppo spesso il proverbio. 

Più che il mantello dura l'inchiostro. 
^ Dicesi di roba non pagata, perchè il conto rimane. 

Se il prestare fosse buono si presterebbe anche la 

moglie. 
T'annoia il tuo vicino ? Prestagli uno zecchino. 

Così allora tu non lo vedi più. Ma un altro proverbio 
consiglia : 

A' cattivi vicini non gli prestar quattrini. 

Tanti ha fastidi chi dee avere che chi deve dare. 

Tanto muore chi ha da avere che chi ha da dare. 

Uomo indebitato ogni anno lapidato. 

ECONOMIA DOMESTICA. 

Economia domestica: Arte di bene e saggiamente ammi- 
nistrare e mandar avanti gli affari della casa e della 
famiglia. 

A buon spenditore Iddio è tesoriere. 

A chi fa il pane e staccia non gli si ruba focaccia. 

A chi fa tutto da sé. 
A granello a granello s'empie lo staio e si fa il monte. 
E significano lo stesso i seguenti : 
A quattrino a quattrino si fa il fiorino ; 
Poco e spesso empie il borsello; 
Molti pochi fanno un assai — e 
Un poco e un poco fa un tocco. 

10 



r 



146 
Alle Yolte costa più la salsa che il coniglio. 

Una spesa che da principio ti sembra piccola ne tira die- 
tro poi dollQ altre. 

A pigliar non esser lente, a pagar non esser corrente. 
Perchè dice un altro proverbio: 
Può nascer T accidente che tu non paghi niente. 

Alla morte e al pagamento indugia quanto puoi — ov- 
vero : 
A due cose ò bene indugiare, a morire e a pagare. 

Buon pagatore, dell' altrui borsa è signore — e 
Buon pagatore non si cura di dar buon pegno. 

Buon riscotitore è cattivo pagatore. 

Carestia di piazza è meglio che dovizia di casa. 

Questo è solo vero in una famiglia disordinata e senza 
regola. 

Carestia prevista (o aspettata) non venne mai. 

Perchè si provvede ai modi per attenuarne, almeno, le 
consegueuze, E dicesi di chi sappia più ben governarsi: 

Carestia fa dovizia — e 

La carestia fa buona masseria — perchè: 

L^ economia è una gran raccolta. 

Cavalli, cani, uccelli e servitori 

Guaatan, maugiau, minano i signori. 

Cento testamenti e una sola donazione. 

Che colpa n^ha la gatta^ se la massaia è matta? 

Chi attende al auo non perde mai nulla. 

Chi ben ripone ben trova — e 
Chi ben serraj ben apre. 

Chi compra pane al fornaio, legna legate e vino al mi- 
nuto non fa le spese a se ma ad altri — e 
Chi compra a minuto, pasce i figliuoli d'altri e af- 
fama ì auoi< 

Chi compra ciò che pagar non può, vende ciò che non 
vuole. 



147 
Chi del suo si spodesta, un maglio gli sia dato Bulla 
testa — omero : 

Chi del suo si depodesta, un maglio aa]la tegta. 
Chi fa onore ai panni, i panni fanno onore a lui» 

Cioè chi tien conto della roba. 
Chi di vecchio si veste gode poco e presto n'esce. 

Di vecchio, cioè di roba vecchia. 
Chi veste di mal panno si riveste due volte air anno. 
Chi fila e fa filare buona massaia si fa chiamare — $ 

Il fusaiolo è d' argento e fa le donne sufficientip 
Chi ha casa e podere può tremare e non cadere — e 
Chi ha casa e podere ha più del suo dover© — e 
Casa per suo abitare, vigna peor suo lagorare^ terren 
quanto sì può guardare. 
Cioè custodire. 
Chi mostra i quattrini mostra il giudizio. 

Mostra cioè d'averne poco. 
Chi mura bene, gli perde mezzi; chi mura male gli 
perde tutti — e 

Chi edifica la borsa purifica — e 
H fabbricare è un dolce impoverire — e 
Chi ha denari assai, fabbrica; chi n'ha d'avanzo, 

dipinge — e 
Chi mura, mura sé. 
Ohi non apre ben gli occhi a' fatti ani, 

Stentando va per arricchire altrui. 
Chi non ha denari scartabella. 

Cioè va cercando tra le sue carte qualche titolo, qualclie 
ammennicolo per far danaro; onde suol dirsi: 

Cavalier male arrivato, vecchia carta va cercando. 
Chi non sa rubare muri. 

Avverte i padroni delle frodi che sogliono fkrsi nel ren- 
dimento di conti (ielle fabbriche. 



148 

Chi provvede a tempo la casa, fa una bottega. 

Perchè alla Foba cresce il prezzo. 
Chi sa acquistare e non custodire può ire a morire. 
Chitarra e achioppo fanno andare la casa a galoppo. 

Le feste e la caccia fanno andare in rovina. 

Chi tiene il caTallo e non ha strame, in capo airanno 

si gratta il forame. 
Chi troTa una chiave trova due quattrini, ma chi la 

perde perde due carlini. 
Chi vuol eBser ben servito muti spesso — perchè : 

Granata nuova spazza ben tre giorni — e 

Il gallo e il servitore in un anno perdon vigore. 
Chi vuol trovar la gallina, scompigli la vicinanza. 
Chi vuol vedere il padrone guardi i servitori. 
Yedere per conoscere. 

Chi vuol vedere un uomo (o una donna) da poco, lo 
metta a accendere il lume e il fuoco — ed anco 
dicesi : 
Chi sa far fuoco sa far casa. 

Dalla paglia al legame cresce la fame. 

Vicino alla mèsse» si eleva il prezzo delle biade. 

Danari, boschi e prati, entrate per preti e frati. 
Perchè non vogliono grandi cure. 

Dove sta il cane non cercare il grasso. 

E meglio dar la lana che la pecora, 

E meglio tenere a terra che vendere a calcina. 

Chi ha la mauk di fabbricare case finisce male e biso- 
gna vendere — e 



I terreni non diventan mai vecchi. 

Dicesi anche, a son belle espression 
popolo ha per i suoi campi. 

Nei campi si vive e in casa si muore ; 



Dicesi anche, a son belle espressioni dell' affetto che il 
popolo ha per i suoi campi. 



149 
Casa casca, campi campa — e 
n campo non invecchia mai. 

Patto un certo che, la roba si fa da sé {ed anche la 
roba vien da sé) — e 

Il primo scudo è il più diflBcile a fare — e 
Tutto sta nel fare i primi paoli. 

Gii anni della fame cominciano nella greppia del be- 
stiame. 

È proverbio veneziano, ed ha questa spiegazione: 
Chi riguarda specialmente alle provviste da mangiare por 
r inverno. I nostri contadini fanno troppo assegnamento 
sui loro erbìy, ed in questa speranza stringono la ma- 
no nel fornire le corti e le capanne di secche provvi- 
gioni e segnatamente di fieno. Donde ne viene che gii 
animali insufficientemente pasciuti non danno alcun 
prodotto, o lo forniscono a spese del proprio corpo, di- 
magrando. 

Gli uomini fanno la roba, e le donne la conservano — e 
Il sacco r uomo lo empie e la donna V attacca. 

Cioè, lo conserva. 

I danari non bastano ; bisogna saperli spendere. 
Iddio fa r abbondanza e V uomo la carestia. 
Idee da gran signori ed entrate da cappuccmi — perchè : 
Ricchezza mal disposta a povertà s' accosta. 

I giardini belli vuotano i borselli. 

n danaro viene in casa con lo zoppo e si parte col 
postiglione. ^ 

II guadagnare insegna a spendere. 

Il pie del padrone ingrassa il campo. 

Perchè chi guarda e vigila da sé alle cose proprie è più 
difficile che sia messo in mezzo. Perciò si dice anche: 

Tristo a quell' avere che il suo signor non vede ; 
L' occhio del padrone ingrassa il cavallo ; 
Quando il padrone sta in campagna guarisce 11 cam- 
po e il fattore s' ammala ; 



150 

Il padrone in villa è febbre al contadino e sanità 

al podere — e 

Se compri nn podere oggi 

^a'che domani in città più non alloggi. 

In capo air anno mangia più il morto che il sano. 

Detto delle offerte. 

In caaa stringi^ in viaggo spendi e in malattia spandi. 

L'allegria delle donne è il lino. 

La gatta grassa fa onore alla casa. 

La maasaìa che va in campagna perde più che non 

guadagna ^ e 

La massaia che attende a ca', guadagna cinque soldi^ 

e non lo aa. 

La roba che guarda in su 1' è tutta di Gesù. 

11 grano ed ogni cosa vicina a maturazione ha mille casi 
e mille pericoli. 

La roba sta con chi la sa tenere. 

La tassa {per imposta) non ha misura. 

Mal beata quella scodella dove sette man rastella. 

Che tosto si vuota. 
Massaia piena fa tosto da cena — e 

Se la casa h piena, presto si fa da cena. 
Meglio aver regola che rendita. 
Meglio buon desinare che una bella giubba. 
Meglio vendere che viver senza spendere. 
Metti la roba in un cantone, che viene tempo ch'ella 
ha stagione. 

D qual proverbio ne richiama T altro che lo spiega : 
Non è sì trista spazzatura che non s'adopri una volta 
r anno, né sì cattivo paniere che non s' adopri alla 
vendemmia. 
Molti servitori, molti rumori — e similmente: 
Tanti servitori, tanti nemici — e 
Chi non ha servitori non ha peccati (da scontare). 



151 

Né casa ia un canto, né vigna in un campo. 

La casa perchè è in pericolo se isolata, la vigna perchè 
è facile sia guastata da quelli che pascne. 

Né legna, né carbone non comprar quando piove* 

Pesano di più. 

Nel mese di maggio fornisciti di legne e di formaggio. 
Non lisciare il pelo al servitore. 

Sta' al tuo posto, non dargli troppa coniìdenza. 

Ordine, mezzo e ragione, governi ogni magione — e 

Ragione fa magione. 
Pane e bucata (cioè bucato) fan donna scorriicciata. 

Sono le faccende piii gelose, e per le donne le piii fati- 
cose — ma 

Pane e bucato non duran sempre. 

Sono le due maggiori fatiche della massaia. 
Panno fatto sole attende. 

Bisogna lavarlo ed esporlo al sole. 

Piede alla culla e mano al fuso mostrano la buonti 

massaja. 
Piglia casa con focolare e donna che sappia filare. 
Poco può dare al suo scudiere chi lecca il suo tagliere. 
Quando il marito fa terra, la moglie fa carne. 

Fare^ cioè acquistare terra: Quando il marito fa terra, 
la moglie si fa più prosperosa. 

Quando il padre marita la figlia egli ha casa e vigna — e 
Quando V ha maritata non ha né vigna né casa. 

Per questo si dice anche; 
Debito e fanciulle da maritare guarda la gamba. 
Quando la donna folleggia la fante danneggia. 

Donna vale padrona. 
Quando la mora é nera un fuso per sera; quando Tè 
nera affatto filane tre o quattro — e 



ì 



Quando la saggina rossa mostra il muso, 

È ora da tor su la rocca e il fuso. 
Quando si ha ube piccola villa non patisce di fame la 

famìglia. 
Quel che non va nel manico va nel canestro — e 

Quel che non va nelle maniche va ne' gheroni. 

Quello che non serve ad una cosa serve ad un' altra. 
Segui la formica se vuoi viver senza fatica. 

Seguire vale imitare. 

Seta e raso spengono il fuoco in cucina. 

Chi fa troppo lusso nel vestire mangia poi male. Ed è 
costumanza tanto comune quanto è vero e giusto il pro- 
verbio. 

Se vuoi comprar terra a buon mercato 

Comprala da uno spiantato, 

da figliuolo ch'abbia ereditato. 
Se mala man non prende, canton di casa rende. 

Cioè le cose perdute si ritrovano, se altri non le ha ru- 
bate. 

Tanta bocca ha il barile quanta la botte — e 
Tanto caca un bue quanto un uccellino — e 
Tanto beve l'oca quanto il papero. 

Né molto diversamente: 

Tanto cocchiume vuole una botte piccola quanto una 
grande. 

Ognuno ha bisogno di mangiare : ma il primo s'appropria 
più specialmente ai fanciulli, i quali costano alle volte 
pili dei grandi. 

Trista a quella casa che ha bisogno di puntelli. 
Tristo a quel saldo che peggiora il ducato. 

Contro la fatsa economia, che poi t'obbliga a maggiore 



1 



I, 



153 
Tutti ì cenci vanno in bucato. 

Cioè qualunque pezzo di cencio che paia inservibile pu- 
re viene adoperato fino all' ultimo straccio. 

Un buon servitore vai più d' un buon padrone. 



PARSIMONIA, PRODIGALITÀ. 

Parsimonia: Diligenza è arte t^ata in acquistare^ con- 
servare e distribuire i beni e le sostanze senza pro- 
digalità, né avarizia, ma seguendo l'uso naturale 
quanto conviensi. 

Prodigalità: Eccesso nello spendere e nel donare. Scia- 
lacquamento. Spendere senza prò e senza misura, 

A far bene non v' è inganno, a dar via non e' è gua- 
dagno. 

Distingue bene V uomo benefico dall' improvvido sciaìae- 
quatore. 

Bisogna aprir la bocca secondo i bocconi — e 

Bisogna fare i passi secondo le gambe. 

Bisogna far la spesa secondo V entrata. 

Chi butta via oro colle mani lo cerca coi piedi. 

Cioè, mendicando o esulando. 

Chi compra il superfluo venderà il necessario. 

Chi dà del pane a' cani d' altri spesso viene abbaiato 

da' suoi. 
Chi dà il suo avanti di morire 

Apparecchiasi a ben soffrire. 
Chi della roba non fa stima o cura 

Più della roba la sua vita dura. 
Chi fa tutte le feste povero si veste. 

Rimane povero e non ha poi da rifarsi il vestito. 
Chi getta la sua roba al popolazzo 

Si trova vecchio poi, povero e pazzo. 



154 
Ci ha poco, meno spenda. 

Non consumi neppure il poco che possiede. 

Clii imita la formica la state non va pel pane in pre- 
sto (in imprestito) il verno. 
Chi la mattina mangia il tutto la sera canta il cucco. 

Cucco^ animale di cui si dice che ha più voce che penne, 
Ja quale sembra che suoni < piti, più. » 

Chi la misura la dura — e 
Cliì non sì misura non dura. 

Chi mangia la semenza caca il pagliaio. 

Chi mette la tovaglia mette la casa in isbaraglia — e 
Pranzo di parata, vedi grandinata. 

Chi ha quattro e spende sette non ha bisogno di bor- 
sette* 

Chi non tien conto del poco non acquisti 1' assai. 

Chi scialacqua la festa stenta i giorni di lavoro. 

È detto degli operai che mangiano la domenica il guada- 
gno della settimana e fanno festa anche il lunedi. 

Chi si stende più del lenzuolo si scuopre da piedi — e 
Bisogna stendersi quanto il lenzuolo è lungo — e 
Chi ha poco panno porti il vestito corto. 

Chi tutto donay tutto abbandona. 

Chi tutto mangia tutto caca. 

Detto di chi spende il suo in mangiare. 

Chi va a cavallo da giovane va a piedi da vecchio. 
Chi veste il domenicale, o bene bene, o male male. 

Chi indossa tutti i giorni Fabito delle feste o non ha al- 
tri panni, o può consumarne quanti vuole. 

Chi vuol goder la festa digiuni la vigilia. 
Dal campo deve uscir la fossa. 

Da quel che c'è si vuol prima cavare quel che bisogna; 
dal poci> il necessario» 






l 



155 



i È meglio morir di fame, che di stento. 



A chi spende e dilapida nel mangiare ogni suo avera; 
perciò suol dirsi anche: 

Trista quella ca' che mangia quanto ha. 
È meglio il pan nero che dura, che il bianco che sì 
finisce — e 

Son meglio le fave che durano che i capponi che 
vengon meno. 
È meglio perdere che disperdere. 
È meglio puzzar di porco che di povero. 

Porco, gretto, sordido, meschino. 
Erba che non ha radice muore presto. 

Dicesi contro coloro che vogliono sfoggiare e non posson 
dm»arla per mancanza di mezzi. 

Grassa cucina (o grasso piatto) magro testamento — 

e similmente: 

A grassa cucina povertà vicina — e 

La cucina piccola fa la casa grande. 
Guai a chi gode tutto il suo. 
Guai a quelle feste che hanno la vigilia dopo. 

Vale dal far festa o gozzoviglia un giorno per stentare 
una settimana. 

Il costo fa perdere il gusto — e 

Ciò che gusta alla bocca sgusta alla borsa — e 

Al mangiare gaifdeamuSj al pagare smpiramus- 
Il pazzo fa la festa e il savio se la gode — e 

Chi fa la festa non la gode. 
Il sarto fa il mantello secondo il panno. 
Che se no 

U piti corto torna (o rimane) da pie. 
Cioè da ultimo, 
I quattrini bianchi van serbati pe' giorni neri. 
La povertà gastiga il ghiotto. 



La roba ai fa colle mani e si disfà co' piedi. 
La seta non tiene il nodo. 

Diceei di quei che sfoggiano sopra le forze, e la roba 
Bguscia via, (Giusti) 

he piccole spese son quelle che vuotano la borsa. 
Lo sparagno (il risparmio) è il primo guadagno — e 

Cava e non metti ogni gran monte scema — e 

Ifon mettere e cavare si seccherebbe il mare. 
Non sempre lo spreco è segno d'abbondanza — e 

Allo scialacquatore non mancò mai roba — e 

Ruina non vuol miseria. 

n fallito è prodigo. 

Non si satolla nessuno con l'uova bevute. 

Passata la festa^ il pazzo in bianco resta. 

PiccioD grossi e cavalli a vettura, è bravo chi la dura. 

Prodigo e bevitor di vino non fa né forno, né mulino. 

Quando il padre fa il carnevale, a' figliuoli tocca a far 

!a quaresima. 
Quattrino risparmiato due volte guadagnato. 
Secondo ì beni aia la dispensa ; 

Il savio lo crede, il pazzo non ci pensa. 
Si può amar la salsa verde, senza mangiar le biade in 

erba* 

Mangiare le biade in erba, vale vendere Tentrate o con- 
sumare le rendite prima che sieno maturate. 

Son più ì pasti che i giorni. 

E in Lombardia dicono : 

Vi aon piii di che luganeghe (salsicde). 
Tanto sparpaglia una gallina quanto radunan cento — e 

Fa più uno a spargere che cento a raunare. 
Tristo è quel villano che dà il mangiare a' cani. 

Cioè ai lascia mangiare il suo dai parasiti o dagli imbro- 
glioni. 



Troppa cera gaasta la casa. 

Contro a chi fa buon viso a tutti. 
Velluto a' servitori, e rascia a' gentiluomini. 

Contro il fasto borioso : ed è proverbio antichissimo* 
Viver parcamente arricchisce la gente. 



TEMPERANZA, MODERAZIONE. 

Temperanza: È abito morale di raffrenare ogni disor- 
dinato appetito, È una delle quattro virtù cardipah. 
Si prende anche per moderazione. 

Moderazione: Propriamente è facoltà della ragione di 
contenere l'animo ne' suoi moti al di qua d'ogni trqp* 
pò, È il sapere e il voler recare la giusta misura in 
ogni nostro desiderio od azione. 

Ama il tuo come mortale, usa il tuo come mortale. 

Amalo come cosa che può fuggirti, usalo coma cosa ctia 
si consuma. (Giusti) 

Basta vincere, e non si dee stravincere. 
I Bisogna seminar con la mano e non col sacco. 
Camminare e parlare lo può fare ognuno — e 
Bere e mangiare non lo posson tutti fare. 

'• Due cose insieme non sempre si possono fare né avere. 

Chi non ha discrezione non merita rispetto. 
Chi non si contenta dell'onesto perde il manico ed il 

cesto. 
Chi più boschi cerca, più lupi trova. 
Chi rifiuta pane è peggio d'un cane. 

P Dicesi dei mendicanti indiscreti. 

Chi sta bene non si muova — perchè 
D meglio è nemico del bene — e dicesi anche : 
L'ottimo è nemico del buono ; 




f 



168 

L'uomo non ha il peggìor nemico del meglio — e 

Quando una cosa sta ben che basta, 

Lasciala star, perchè si guasta* 
Chi stra^ non dura; e chi dura» dura poco* 
Chi troppo abbraccia nulla stringe — e smilìnenk : 

Chi pili abbraccia meno stringe. 
Chi troppo intraprende poco finisce- 
Chi troppo mangia scoppia — e 

Chi troppo abbotta sbotta. 
Chi troppo tira, la corda si strappa* 
Chi troppo vuole niente ha — ^ ancìte ; 

Chi tutto vuole tutto perde — e 

Chi tutto vuole di rabbia muore. 
Chi vuol far quel che non puole, 

Gr intervien quel che non vuole. 
Ciò che si può non si deve, 
È meglio qualcosa che nulla. 

tn alcuni luoghi dicono ; 
È meglio Scàlbatra che nulla pesce. 
È meglio tale e quale, che senza nulla stare. 
È meglio un moccolo che andare a letto al buio* 
E meglio risparmiare all' orlo che al fondo- 
Bisogna esser frugali in giovanti), perchè cogli anni cre- 
scono L bisogni e insieme le difficoltà di far nspami. 

È meglio sfornare che bruciar la pala. 

Detto dì chi si brucia la lingua mangiando. 
Il meglio boccone è quello che si lascia nel piatto. 
Meglio vale qui il piìi salutare. Scherzoso proverbia 
Il meglio va aerbato ali* ultimo — ed anche : 
H mangiar bene conduce a mangiar male, 
n sale acconcia (condisce o mj^rkce) le vivande, o p- 

co le guasta. 
Il soperchio rompe il coperchio. 



159 
In capo alla misura finisce ogni buon drappo. 
La migliore è la via di mezzo. 
L'assai basta, il troppo guasta. 

E significano Io stesso : 

Ogni troppo è troppo ; 

Ogni troppo si versa; 

n troppo bene sfonda la cassetta; 

Il troppo rompe il sacco ; 

Il tropp' amen guasta la messa ; 

Il troppo è troppo; 

D troppo, e troppo poco, rompono la festa e il 
giuoco ; 

Il troppo gran ridere fa piangere — e 

Il troppo stroppia. 
Non cercar miglior pane che di grano. 
Non lasciare il poco per V assai. 

Che forse V uno e 1' altro perderai. 
Ogni cosa può essere fuorché fosso senza riva. 

Tutto deve avere un limite. 

Ogni cosa vuol misura — ed anche: 

Ogni eccesso è vizioso ; 

Tutti gli estremi son viziosi, eccetto quelli delle to* 
vaglie ; 

Tanto è il troppo quanto il troppo poco — e 

Il troppo guasta e il poco non basta. 
Per fare vita pura conviene arte e misura. 
Scherzo, riso e gioja, quand' è troppo annoia. 
Va preso quel che si può avere. 



r 



160 

CONTENTARSI DELLA PROPRIA SORTE. 

Contentarsi della propria sorte : Essere soddisfatti, appa- 
gati delle proprie condizioni; o rassegnarsi alla sor- 
te^ comunque meschinissima, che ci è toccata. Sorta 
qui è preso per condizione o stato in cui uno si trova. 

A casa stretta tu ti assetta. 

A chi Dio vuol bene la casa gli piace. 

A fame pane, a sete acqua, a sonno panca. 

La natura si contenta di poco. 

Assai è ricco a chi non manca — ed anche: 
Chi non ha gran voglie è ricco — e 
GM il tutto può sprezzare possiede ogni cosa. 

Intendi i t)eni materiali e le comodità della vita. 

A tutti n' avanza — ed anche : 

Tutto basta per vivere. 
Chi è sano e non è in prigione, se si rammarica non 

ha ragiono. 
Chi ha buon pane e buon vino ha troppo un micolino. 
Chi lascia il vicino per un mancamento va più in là e 

ne trova cento. 
Chi non ha quattrini non abbia voglie. 
Chi non può ber nell' oro beva nel vetro. 
Chi non può far col troppo faccia col poco. 
Chi non può fare come vuole faccia come può. 
Chi non può slungarsi si scorti.. 
Chi più brama piii s' affanna — e 

Povero è quello che desidera assai — e 

Sempre stenta chi mai si contenta. 
Chi 81 contenta al poco trova pasto in ogni loco. 
Chi sì contenta gode. 
Col poco ai gode, e coli' assai si tribola.* 



Idi 

Cuor contento e sacco al collo. 

Anche il mendicante può esser contento del suo stato. 

Cuor contento, gran talento. 

Cuor contento non sente stento. 

Del bene e del mal tórre secondo quel che corre. 

Dio dice : a camparvi non mi sgomento, a contentarvi sì. 

E non è un per cento di sua sorte contento — e si- 
mUmente : 

Nessuno dice che il suo granaio è pieno, 
n contentarsi di poco è un boccone mal conosciuta. 

In tempo di carestia pan vecciato. 

Piglia il bene quando vienp, ed il male quando con- 
viene. 

Poca roba Dio la loda. 

Poca roba poco pensiero. 

Se non puoi portare la seta porta la lana. 

Se tu vuoi viver lieto non ti guardare innanzi raa di 
dietro. 

Guarda quelli che sono in peggiore stato di te. 

Tutti non possono avere la piazza — e 
Non tutti si può stare in Mercato nuovo. 

Non tutti posson trovarsi nel terreno migliore. Firenze 
aveva un tempo le più ricche botteghe in quella loca- 
lità che anche oggi dicesi Mercato nuovo. 

Ogni cosa vede sole. 

Tutti non possono stare a messa vicino al prete. 

Una campana fa a un comune (o a un popolo). 

Una cosa può bastare a molti. 

Val più un buon giorno con un ovo che un maV anno 
con un bue. 



11 



l^ 



PAZIENZA, RASSEGNAZIONE. 

Pazienza : È virtù per la quale si sopporta con rassegna- 
zione e senza rammarico ogni avversità, grave mo- 
lestia od ingiuria. 

Rassegnazione: Yirtio e atto del conform/ir si alla volontà 
di Dio nei dolori e nelle sciagure della vita. 

A questo mondo bisogna o adattarsi, o arrabbiarsi, o 

diaperarsi. 
Beato chi porta il giogo a buon'ora. 

A buon* ora, cioè innanzi d'avere il collo indurito. Intendi 
colai che s'è educato per tempo a soffrire. 

Biaogna fare di necessità virtù. 

Chi luogo e tempo aspetta vede alfin la sua vendetta. 

— ed miche: 

Siedi e sgambetta, e vedrai la tua vendetta. 

Sgambettare^ propriamente è dondolare le gambe a mo- 
do di chi sta in ozio: vendetta non è qui la vendetta 
che ollende altrui, ma è compenso, riparazione. (Giusti) 

Chi è nelle pene Iddio sostiene. 
Chi ha pazienta ha gloria. 

Percliè con essa si vincono le difficoltà. 
Chi ha pazienza ha i tordi grassi a un quattrin l'uno. 

Avere pazienza, per aspettare. 
Chi non ha pazienza non ha niente. 
Chi patisce compatiscOr 
Chi ai lamenta non può guarire. 
Chi vuol giusta vendetta in Dio la metta. 
Col soffrire a' acquista. 
Colla pazienza il gobbo va in montagna* 

Si fanno adagio le cose, ma pure si fanno. ^ 



163 

Colla pazienza s' acquista scienza. 

Colla pazienza si yìnce tutto. 

II. sopportare non nocque mai. 

La pazienza è dei frati e delle donne che han gli uo- 
mini matti -— ed anche: 
La pazienza la portano i frati. 

É uno scherzo sulla parola pazienza, che vaie altresì isca- 
polare, e dicesi a chi non vuole averne; opponendo che 

La pazienza è la virtù degli asini o de' Santi. 
La pazienza è una buon' erba, ma non nasce in tutti 
gli orti — ed anche: 
Della pazienza non ne vendono gli speziali. 

La pazienza non è da tutti, ma solamente è in quelli che 
sanno vincere sé medesimi. 

Lascia fare a Dio, eh' è Santo vecchio. 

La vendetta non sana piaga. 

Né pianto né bruno non suffraga nessuno. 

Non fruttifica chi non mortifica. 

Non v' è mal che non finisca, se si soffre con pazienza. 

Pace e pazienza, e morte con penitenza. 

Pazienza, tempo e denari acconciano ogni cosa. 

Pazienza vince scienza. 

Quel che sarebbe grave fa pazienza lieve. 

Saggio è chi sa soffrire spesa, danno e martire. 

Sai tu com'ella è? come l'uomo se l'arreca. 

Soffri il male e aspetta il bene. 

Sopporta e appunta un mal chi non vuol giunta. 

Chi non vuole tirarsi addosso un altro e peggior male. 

Tempo verrà che il tristo varrà. 

Tristo qui vale meschino. 

Un buon paio d' orecchi stancano cento male lingue. 
Vince colui che soffre e dura. 



■rJ3HUn:.:.-i ' 



164 

CONFORTI NE' MALI. 

Corvforto ne* mali: È l'atto del dar forza altrui con pa- 
role amorevoli ed e^aci a sostenere, a tollerare le 
avversità, e anche dello scemare con giuste riflessioni 
r asprezza dei propri affanni. 

Chi non sa sofiPrire non sa vivere. 

Dietro al monte e' è la china. 

Dio manda il freddo secondo i panni. 

Dio manda l'agnello e poi il suo praticello. 

Dìo manda la neve con la luna. 

Dìo non manda mai bocca che non mandi cibo. 

Dio non manda se non quel che si può portare. 

Dopo il cattivo ne viene il buono. 

D'un male nasce un bene — ed ancJie: 

Non e' è male senza bene. 
È buona quando si può contare. 

Dìcesi dopo una grave disgrazia o dopo scampata una 
malattia pericolosa. 

Gioia e sciagura 

Sempre non dura. 
Gli Bcarpelli la pietra la gli sciupa,, e la pietra la gli 

accomoda. 
Iddio solo può consolare, tutto il resto è un tribolare. 
Il male non istà sempre dove si pone (o si posa) se 

non sopra i gobbi. 
Il sempre sospirare molto consola. 

n Petrarca al contrario dice: « Il sempre sospirar nulla 
rileva. » 

Il tempo sana ogni cosa. 
I temporali più grossi sfogan più presto. 
In fine le s'accomodan tutte — e 
Finimondo è per chi muore. 



La disgrazia ci salva dall' imbarazzo. 

La matassa quanto più è arruffata e meglio B'accomoda» 

La proTvidenza vai più delle rendite. 

Miseria confortata non è miseria* 

Niente g^ asciuga cosi presto come le lacrime. 

Non è mai sì gran moria, che non campi chiccheaaia. 

Non nevica tutto il verno. 

Non si aerra mai una porta ohe hoe se n^ap^a un'al- 
tra—e 
Quando Dio chiude una finestra apre una porta. 

Noe tutto le pecore sono per il lupo. 

Ogni male ha la sua ricetta. 

Pianto per morto pianto corto. 

Poco tossico non attossica. 

Quando il caso è disperato la provvidenza è vicina — e 
Ogni domane porta U suo pane. 

Tutto il male non vieu per nuocere. 

Tutto a'accomoda fuorché l'osso del collo. 

Una pulce non leva il sonao* 

Una volta corre il cane e P altra la lepre. 

Intendi ehti alla fìne la giustizia ha il suo trioni. 

Un'ora di buon sole rasciuga molti bucati. 

SPERANZA- 

Speranza ; Sentimento piacevole che sorge neW animo j^r 
V idea d'un cambiamento futuro ^ pia o meno lonta- 
no, in bene. È pure una delle virtii teologali^ 

Chi esco di speranza esce derapicelo. 
Chi uccella a speranza prende nebbia. 
Chi vive a speranza fa la fresca danza. 
Chi viye di speranza muor cantando. 
Chi si pasce di speranza muor di fame. 



166 
Dove non e la speranza del bene non entra mai la 
paura del male. 

Perciò bisogna guardarsi da' disperati. 

È meglio avere in borsa che stare in speranza. 
La speranza è il pane ne' miseri. 
La speranza in Dio è il patrimonio dei bisognosi. 
La speranza è mal danaro. 

Perchè non si spende. 

La speranza è sempre verde. 

La speranza è una buona colazione, ma una cattiva 
cena. 

La speranza è come il latte, che tenuto un pezzo di- 
venta agro* 

La speranza è un sogno nella veglia. 

La speranza sola accompagna V uomo fino alla morte. 

La troppa speranza ammazza l'uomo. 

L'infermo mentre spira, sempre spera. 

E più brevemente : 

Finché c'è fiato, c'è speranza. 

Che at dice anche in ogni sorta di pericolo. 

Sperando meglio si divien veglio (vecchio) 
Speranza lunga, infermità di cuore. 
Vien più presto quel che non si spera. 



J 



167 



CONSIGLIO, RIPRENSIONE, ESEMPIO. 



Consiglio : Avvertimento che si dà altrui circa ad una 
cosa che egli abbia da fare o da lasciare ; e V indi- 
care ad altri qual è il miglior modo di procedere 
in un dato negozio per far suo prò o fuggir danno. 

Riprensione : Am,m,onizione usata a biasimo parche altri 
abbia fatto cosa non buona né opportuna , o in qua- 
lunque altro modo riprovevole. 

Esempio: Azione buona o viziosa, che si propone altrui 
da contemplare o da imitare, o da fuggire. Ed è an- 
che il nostro stesso tenore di vita onesta, dal quale 
altri possa esser tratto ali* imitazione, operamlo. 

A ben s' appiglia chi ben si consiglia. 
A cattivo consiglio campana di legno. 

La campana chiama a consiglio, e se il coDSiglio dav' es^ 
sere a male meglio la campana non si senta. 

A chi consiglia non gli duole il capo — e 
Il sano consiglia bene il malato. 

Cioè, facilmente, senza fatica. 

Al cieco non si mostra la strada — e 
Buone ragioni male intese sono perle a' porci stese. 

A chi non intende è inutile predicare. 

Al prudente non bisogna consiglio. 

Perché sa consigliarsi da sé. E dicesi anche per iibei'arsi 
dal darne: 

Capo lavato, bicchier risciacquato. 

Lavare il capo ad uno, fargli una lavata di capo, o 
una risciacquata, sono modi frequentissimi che tutti 
significano: fare una sgridata, una strapazzata. Queste 
giovano sovente all'ammonito come al bicchiere giova 
essere risciacquato. (Giusti) 




168 
Chi ben vive ben predica — p^chè : 
Contano più gli esempi che le parole. 

Alle volte però 

Si predica bene e si razzola (o si raspa^ male. — Dicesi 
anche: 

Il frate predicava che non si dovea rubare, e lui avea 
Foca nello scapolare. 
Chi dà retta al cervello degli altri butta via il suo 

(o può friggersi il suo). 
Ohi meglio mi vuole, peggio mi fa — è simile a 
Chi mi vuol bene mi lascia piangendo, e chi mi vuol 

male mi lascia ridendo — ed anche: 
Chi mi vuol bene mi fa arrossire, e chi mi vuol male 
mi fa imbianchire. 

I veri amici dicono il vero, benché talora dispiaccia: ed 
i piaggiatori ungono gli stivali. (Serdonati.) 

■Chi non crede alla buona madre, crede poi alla mala 
matrigna. 

Dicesi di chi non accetta il consiglio de* veri amici. 
Chi non teme il sermone, non teme il bastone. 
Chi predica al deserto, perde il sermone. 
Chi si consiglia da sé da sé si ritrova. 

Perchè facilmente erra e perde la benevolenza degli one- 
sti che Io lasciano solo. 

Ohi segue il prudente mai se ne pente — e 
Chi segue il rospo cade nel fosso — ed anche 
Chi ricorre a poco sapere, ne riporta cattivo parere. 

Chi trovò il consiglio inventò la salute. 

Chi vuol' ire alla guerra o accasarsi non ha da consi- 
gliarsi. 

Le 00^ grandi bisogna farle da sé 

Consiglio di due non fu mai buono. 

Consiglio di vecchio non rompe mai la testa. 



t 169 

Detto popolare spesso è un avviso salutare. 
Dice più un' occhiata che una predica. 
Dono di consiglio più vale che d'oro. 
Dove sta un pane può stare una parola. 

Chi ti dà mangiare ti può consigliare. 

Due teste fanno un quadrello. 

E meglio la musica che la battuta. 

Batter la zolfa^ vale bastonare, neir uso toscano. 

E' sa meglio il pazzo i fatti suoi, che il savio quelli 
degli altri — ovvero: 

Più ne sa un pazzo a casa sua che un savio a caaa 
d' altri. 

È un gran sordo (o cattivo) quello che non vuole inten- 
dere. 

I consigli e il villano pigliali alla mano. 

Se indugi ti scapperanno. 

II consiglio del male va raro invano. 
Il medico pietoso fa la piaga verminosa (o puzzolente). 
Il tignoso non ama il pettine — e 

Cavai rognoso non vuol lasciarsi strigliare. 
La predica fa come la nebbia, lascia il tempo che trova. 
La pulce eh' esce di dietro l' orecchio, col diavolo sì 

consiglia. 

Mettere una pulce nelle orecchie vale mettere un sospet- 
to in cuore altrui. 

Male altrui consiglia chi per sé non lo piglia — e 
Tale dà un consiglio altrui per uno scudo, che noi 
terrebbe per un quattrino. 
Ifon tutte le macchie si nettano con 1' acqua calda. 
Ogni buon detto è fatto retto. 
Ogni pazzo vuol dar consiglio. 
Quando è caduta la scala ognuno sa consigliare. 



17Ó 

Quando il guardiano giuoca alle carte, cosa fEtranno i 
frati ? 

Dei mali esèmpi che vengono dalF alto. 

Quei consigli aou sprezzati che son chiesti e ben pa- 
gati- 
Quel che ti dirà lo specchio non te lo dirà il consiglio. 

Se ciaacuno volesse emendare uno tutti sarebbero emen- 
dati. 

Se un cieco guida V altro tutti due cascano nella fossa. 

Sotto consiglio non richiesto gatta ci cova — e 
Guardati da chi consiglia a fine di bene. 

Stiaffo minacciato non fu mai, dato. 

Suon di campana non caccia cornacchia. 
Dtcesi di chi fa il sordo. 

Uomo avvisato è mezzo salvo — come pure 
Uomo avvertito, mezzo munito. 

Tal più una frustata che cento arri là. 

Cogli asini fk meglio il bastone che la voce o T ammoni- 
Kione. 

Vedono piii quattr' occhi che due — e 

Sanno più un savio e un matto che un savio solo. 

Sa pia il papa e un contadino che il papa solo, 

È leggiadro proverbio veneziano. 

OSTINAZIONE, RICREDERSI. 

Ostinazione: Catti t)a disposizione d'animo ridotto in abito di 
volere star duro e fermo nelle false opinioni del torto 
cono-tciuto. 

Ricredersi : Credere altrimenti da quello che s* è prima cre- 
duto ostinatamente ; desistere dalla propria caparbietà. 

A chi pecca per erro s' ha compassione ; ma chi pecca 

per arri, non merita scusa. 

Per errOt cioè per errore, per ignoranza, per ÌIlaTTe^ 
tanza. Arri, allude alla caparbietà del]' asino. 



:! 



171 
Asino duro, baston duro. 

Cogli ostinati bisogna usare ostinazione. 

Chi è più gentile e più s' arrende — perchè : 

Più il panno è fino e più s' arrende. 
Chi fa alle capate col muro i corni son suoi- 
Chi fa a suo modo non gli duole il capo. 

E parimente in modo ironico, agli ostinati si dice ; 

Governati a tuo modo che non ti dorrà la testa. 
Chi ha sbagliato la strada torni addietro. 
Chi non ode ragione non fa con ragione. 
Cuor determinato non vuol esser consigliato — e 

Animo risoluto non ha orecchi. 
Dove non servon le parole, le bastonate non giovano. 
È meglio corta follìa che lunga. 
E meglio piegar che rompere. r 

E meglio piegarsi che scavezzarsi. 
E meglio pentirsi una volta che mai — e 

Meglio una volta arrossire che mille impatUdire. 

È meglio arrossire una volta confessando un fallo, che 
stare sempre in pensiero che non sia scoperto» 

E meglio tornare in sé che esserci stati sempre. 

Per r esperienza che abbiamo fatta. 

Gran nemico all' rfomo è il parer proprio. 
Guai a colui che morte lo corregge. 

Cioè che aspetta di morire. 

Il leopardo non muta le macchie. 

Di chi vive pertinace nella propria opinione e in cose vi- 
ziose. 

Il peccare è da uomini, V ostinarsi è da bestie — e 

Chi vive ostinato muore disperato. 
Un buon pentirsi non fu mai tardi. 



m 



COSTANZA, FERMEZZA. 



Costa nra : È virtù o abito per cui Vuomo non si rimuom dal 
buon proposto né per lusinghe, né per minaccie, né 
per dolori. La costanza viene in parte dalle qualità na- 
turali. 

Fermezza: Anck* e^$a è costanza nei propositi; ma Vuomo 
fermo non abbandona, né si rimuove da una risoluzio- 
ne^ anche quaìido essa non é pienamente buona o conve- 
niente. 

Al pan duro dente acuto. 
Buona mcudine non teme martello — e 
Dura più V incudine che il martello. 

Qui H martello significa la violenza, e V incudine la re- 
sistenza. 

Chi è fortificato non è turbato. 
Chi indura vale e dura. 

Chi sta saldo e costante nel proposito vince ogni diffi- 
coltà. 

Chi non e' è non e' entri ; e chi e' è non si sgomenti. 

Chi non ha sentimento riman senza frumento. 

Chi non sa dir qualche volta di no, cosa buona oprar 

non può. 
Chi non soflFre non vince. 

Non vinctì gli ostacoli né sé stesso. 
Cuor forte rompe cattiva sorte. 

È un farai maggior male il lasciarsi vincere dal male* 
Fa' il dovere e non temere — e 

Fa che devi e sia che può. 
Il buon marinaro si conosce al cattivo tempo. 
La virtù sta nel difficile. 
Mente intera, virtù vera — e 

Mente sicuraj banchetto continuo. 



173 
ITon arriva a godere chi sa sostenere. 
Non è buon re chi non regge sé. 
Non s'incorona se non chi combatte. 
Ogni vento non scuote il noce. 
Se fortuna travaglia un nobil core, 
Raro è che alfine non gli dia favore. 

CUPIDITÀ, AMOR DI SÉ STESSO, 

Cupidità: Sfrenato desiderio di ciò che sembra esser bene: 

appetito disordinato. 
Amor di sé stesso : È V affetto smodato che un uomo ha per 

sé, per la propria persona e per tutto ciò che ad essa 

appartiene ; come anche per la troppo alta opinione che 

un uomo ha di sé, della sua abilità, ecc. 

A chi ti porge il dito tu piglia il dito e la mano. 

Ad albero che cade dagli dagli — ed anche : 
Sopra r albero caduto ognuno corre a far legna — e 
Quando la casa brucia tutti si scaldano. 

Ad altare minato non s' accende candela. 

Alle volte si dà un uovo per un bue. 

Amato non sarai se a te solo penserai. 

A nessuno piace la giustizia a casa sua — e 
Ognuno ama la giustizia a casa d' altri. 

A san Donato fagli sempre buon viso. 

È uno scherzo sul valore della parola donato e il nome 
stesso. Dieesi anche : 

Ben venga chi ben porta — e 

Porta teco, se vuoi viver meco — ed anche: 

Porta aperta per chi porta ; e chi non porta, parta. 
Chi ha il mestolo in mano fa la minestra a modo 

suo — e 

Chi fa le parti non parte. 

Non parte, non si fa una parte eguale a quella degli 
altri. 



I 



174 
Chi ha preso mal sa lasciare — e si dice: 

A laaciar sì è sempre a tempo. 
Chi Vha a mangiare la lavi — e 

A chi dole il dente se lo cavi. 

Si dice da chi non vuol pigliarsi brighe per altri. 
Chi mangia solo crepa solo. 
Chi non dà quel che ha, non ha quel che vuole. 
Chi non ha, darebbe; e chi n'ha ne vorrebbe — e 

Chi più Ti*ha più ne vorrebbe. 
Ciò oh' è utile non è vergogna — e 

Chi è vergognoso vada straccioso — e 

E meglio cento befife che un danno — e 

AbbAasati e acconciati. 

R peggio dicasi: 
Meglio aver delle corna che delle cróci. 
Ci aon più cani che lepri — e 

Ci sono più sparvieri che quaglie — e 
Ci sono più trappole che topi. 

Dicesi a chi cerca uffici o guadagni. 

Colai fe mio 2Ìo che vuole il ben mio. 
Colui è provvisto di poco sapere 

Che s'ammazza per quel che non può avere. 

Ammazzarsi, faticar molto. 

Contento io contento il mondo — e 
Morto io morto il mondo. 

Proverbi da egoisti vilissimi. 
Corpo satollo non crede al digiuno. 
Del cuoio d* altri si fanno le Correggio larghe. 

Intendi ch& del denaro e della roba d'altri si spende senza 
risparmio* 

Del mal d'altri Tuomo guarisce e del proprio muore. 
Dov*è cupidità non cercar carità. 



ita 

I desidèrii non empiono nn sacco. 

II cane abbaja dove si pasce. 

n fornaio inforna sempre mai, ma non mal sé. 
Il lupo mangia ogni carne, e lecca la sua. 

Vale che ognuno risparmia sé e i suoi. 

Il malato porta il sano. 

Perché le case dei poveri sono allora pìii assistite. 

n primo prossimo è sé stesso — e 

E più vicino il dente che nessun parente. 
H ventre insegna il tutto. 
La fiera par bella a chi vi guadagna. 

E in altro modo: 

Ognuno loda il proprio santo. 
L'interesse è figliolo del diavolo. 
L'utile fa pigliar parte. 
Nel pigliar non si falla. 
Non istanno bene due ghiotti a un tagliere e — 

Non istanno bene due galli in un pollaio. 
Ogni cane lecca la mola, mal per quel che vi si 

trova. 
Ogni gallina raspa a sé — e 

Ogni grillo grilla a sé. 
Ogni prete loda le sue reliquie. 
Ognuno auzza i suoi ferri. 
Ognuno tira l'acqua ai suo molino. 
Ognuno per sé e Dio per tutti — e 

Ognun dal canto suo cura si prenda — tf 

Ognun si pari le mosche con la sua coda. 
Ognun vuol meglio a sé che agli altri. 

Suole anche, dirsi che San Francesco prima si faceva la 
barba per sé, poi la faceva a' suoi frati, (ilmsti) 

Per i buon bocconi si fanno le questioni. 

Quando è poco pane in tavola, tienti il tuo in mano. 



176 
Quando il villano è sul fico non conosce ne parente 

né amico. 
Quando puoi aver del bene pigliane. 
Si balla bene nelle sale degli altri. 
Tanto è il mal che non mi nuoce quanto il ben che 

non mi giova. 
Tanto è l'amore quanto è l'utile. 
Tutti vogano alla galeotta. 

Cioè tirando a sé. 
Un po' per uno non fa male a nessuno. 



DILIGENZA, VIGILANZA. 

DiHgenza : U attendere assiduo ad una disciplina o ad altra 
cosa qualsiasi, non solo con buona volontà, ma con sod- 
disfazione del proprio cuore e per amore della cosa. 

Vigilanza : È lo studio che si pone per conoscere ciò che conr 
vien fare e ciò che convien fuggire mentre si attende 
ad un' opera, È pure lo stare continuo in gvxirdia contro 
% mali usi ed abusi. 

A chi veglia tutto si rivela. 

Chi sta vigilante scuopre e risa tutte le cose. 
Chi campa d'un punto campa di mille — ed anche: 

Chi ne scampa una ne scampa cento ; 

Chi fece un fece mille; 

Chi fa il buon mese fa il buon anno — e al contra- 
rio m dice: 

Quando scappa un punto ne scappan cento — ed anche' 

Preso per uno preso per mille — e proverbialmente: 

Per un punto Martin perse la cappa. 



Martino fu abate d'un monastero, e per un punto 
fuor di posto in un'iscrizione pei^e la cappa abbaziale. 

Chi cerca trova e chi dorme si sogna. 



J 



r^?T?^-r^-^ 



177 
Chi erra nelle diecine, erra nelle migliaia. 
Chi fa quel che può non fa mai bene. 

Fo quel che posso, è la scusa dell' indolente : non basta ; 
i nostri contadini con rozza sapienza dicono: farò i" im- 
possivole, (Giiùsti) Ma per consolazione di ehi metta 
in conto del potere anche l'intensità del volere abbia- 
mo questi altri : 

Chi fa quel eh' e' può non è tenuto a far di più. 
Quel che non si può non si deve. 
Ognuno fa quel che può. 
Air impossibile nessuno è tenuto. 
Di là dal podere npn ci si va. 
Chi ha da fare non dorme — e 
Chi vuol fare non dorme. 

Questi due voglion significare i danni o l' ansia dell' in- 
dugio. 

Chi non fa il nodo perde il punto — ed anche: 
Legala bene e poi lasciala andare. 

Tolti ambedue dall'opera dei sarti e delle cucitrici. 
Chi non guarda non vede — e 
Chi non ci bada non se n' avvede — e 
Chi non rassetta il buchino, rassetta il bucoìie ^ ed 

anche : 
Chi non tura bucolin tura bucone — e 
Dove non si mette l' ago si mette il capo. 

A significare che chi non ripara un piccolo danno trova- 
sene presto uno maggiore: e in questo senso abbiamo 
l'altro: 

Chi corre col punto non corre colla toppa. 
Chi si guarda dalla prima si guarda da tutte. 
Chi veglia più degli altri più vive. 
Diligenza passa scienza. 
D negligente la fame lo fa diligente. 
La buona cura scaccia la mala ventura — ed anche : 

Buona guardia schiva ria ventura — e 

12 




e 



178 
Buono studio rompe rea fortuna. 

Cioè la cura, T impegno che si mette nell'opera vince 
l'av versta fortuna. 

La donna alla finestra, la gatta alla minestra. 

La donna da casa non perde mai tempo. 

Ogni dì è noatro : — ma ricorda gli altri : 

Ogni dì ne passa uno ; 

Ogni di ne va un dì — e 

U ore non tornano indietro. 
Per un chiodo ai perde un ferro, e per un ferro un 

cavallo. 
Tanto razzola la gallina che trova la sua pipita. 
Cioè la troppa diligenza è spesso dannosa. 

RISOLUTEZZA, SOLLECITUDINE, 
COGLIERE LE OCCASIONI. 

Risolutezza: Razionale prontezza deir animo nel pigliare 
una risoluzione dopo aver ben ponderato q'uel che è 
da farH o no in quella data occasione. 

Sollecitudine: Cura efficace per la quale l'animo non siac- 
quieta sinché la cosa non abbia avuto il suo effetto. È 
pure diligenza, premura, assiduità. 

Cogliere \e occasioni: È quando, guidati dalla prudenza e 
dalla accortezza, facciamo una data cosa opportuna- 
mente^ e sappiamo afferrare le occasioni per recare ai 
effetto un nostro disegno. 

A chi Tuole non manean modi. 

A tela ordita Dio manda il filo. 

Ben diremo^ ben faremo ; mal va la barca senza remo. 

Bisogna che la lettera aspetti il messo, non il messo 

la lettera — ed anche 

Lettera fatta j fante aspetta. 

Questi due insegnano che l'occasione, quando viene, devJ 
trovare le cose belle allestite. Fante servo; mewo, po^ 
talettere, procaccino. 



179 
Chi è primo al mulino primo macini — e più popolar- 
mente: 

Chi prima arriva, prima macina — ed anche: 
Beati i primi ! 
Chi guarda a ogni penna non fa mai letto — e 
Chi guarda a ogni nuvolo non fa mai viaggio* 

Chi tien dietro a tutte le minuzie perde il modo di trat- 
tare le cose in grande. 

Chi ha te mpo non aspetti tempo — perchè : 

Chi tempo ha e tempo aspetta, tempo perde» 
Chi in tempo tiene, col tempo s'attiene. 
Chi non comincia non finisce — e similmente : 

Chi ben comincia è alla metà dell'opra; 

Tutto sta nel cominciare ; 

Chi ha la prima non va senza — e 

Chi prima rileva non va senza. 
Chi non dà fine al pensare non dà principio al fare. 
Chi non fa prima fa dopo. 
Chi non fa quando può, non fa quando vuole. 
Chi non vuol quando può, non può quando vuole — e 

Chi tardi vuol non vuole. 
Chi non sollecita perde l' occasione — ed anche : 

Bisogna macinare finché piove — e 

Batti il chiodo quando è caldo — ovvero 

H ferro va battuto quando è caldo. 
Chi piange il morto, indarno s' affatica — ed anche : 

Dove non è rimedio il pianto è vano ; 

Dopo morte non vai medicina; 

À naso tagliato non bisognano occhiali ; 

A causa perduta parole assai; 

A danno fatto guado chiuso — e 

Il sospirar non vale. 
Chi può guazzar l'acqua non vada al ponte. 

Chi può far da sé, del suo, con le proprie forze, non cer- 
chi ripieghi. 



..^s; 



180 
Chi tardi arriva male alloggia — ed anche: 
Capra zoppa non soggiorna all'ombra — e 
L'ultima pecora piscia nel secchiello. 

Perchè Io trova già vuotato dalle altre che vi hanno 
bevuto. 

Chi tardi fa i suoi lavori tardi raccoglie i suoi licori. 

Chi teme il dire di far non ha ardire. 

Chi teme il biasimo. 

Chi troppo pensa nulla fa — e 

Chi pensa è ripentito. 

Si può inteadere in bene e in male. — Ma correggendo 
insieme gli eccessi opposti, un solo proverbio dice: 

Chi troppo pensa perde la vittoria — o 

E chi non pensa perde la vittoria. 
E nello stesso senso abbiamo: 
Chi troppo a' assottiglia si scavezza — e 

La troppa gran diligenza spesso diviene negligenza. 
Come la cosa indugia, piglia vizio. 
Cosa fatta, capo ha. 

Mosca degli liberti, o come altri vogliono dei Lamberti, 
nel consiglio che si tenne dagli Amidei e loro parenti 
per trovare modo di vendicare Toffesa fatta loro da 
Buon del monte, col rifiutare la fanciulla cui avea dato 
]a sua fede, propose d'ucciderlo, conchiudendo : Cosa fat- 
ta capo ha ; 
<t Che fu '1 mal seme per la gente tosca. » 

Di buone volontà è pien l' inferno — che trova sua spie- 

gaziom nelV altro : 

Il voto senza 1' opra non basta. 
E meglio un uccello in gabbia che cento per aria — d 

anche: 

Un uccello in mano ne vai due nel bosco — e 

Val più squincione in man che tordo in frasca. 

SquìncionE si chiama il filunguello o fringuello, da un 
verso che fa nel cantare, squin squin : ma in alcuni 
luoghi ho udito pronunziare spincione, (Crimti) Dicea 
pure: 



181 

Meglio un oyo oggi che una gallina domani — ed 
anche: 

Meglio avere in borsa che stare a òperanza — e 

Piuttosto in man che in diman. 
È meglio fare una cosa che desiderarla fatta. 
È meglio un presente che due futuri — e 

È meglio un papa vivo che dieci morti. 
Pare oggi quel che s' ha a far domani. 
H caso non riceve consiglio. 
D dente va cavato quando duole. 

D'un affare spinoso bisogna uscirne subito. 

Il maggior disagio per i barberi è star sulle mosse. 
D mondp è di chi se lo piglia — ed anche : 

Di questo mondo ciascuno n' ha quanto se ne toglie. 
Il mondo è de' solleciti (ovvero degli impronti). 

Nel che lodando sino al vizio si giunge a dire: 

Chi ha poca vergogna tutto il mondo è suo. 
Il passo più difficile è quello dell' uscio — o 

H peggior passo è quel dell' uscio. 
D peggio partito è quello di non averne nessuno. 
H tempo buono viene una volta sola. 

Cioè, bisogna coglierlo e usarlo. 

Inj&n che il vento è in poppa bisogna saper navigare. 

In nave persa tutti son piloti. 

In un'ora nasce il fungo. 

La festa va fatta il giorno che corre (ovvero che cade) — e 

Chi non fa la festa quando viene, non la fa poi 
bene. 
La fortuna non vuol fare anticamera — e 

La fortuna (o V occasione) ha i capelli dinanzi. 

È proverbio anche degli antichi Romani. In Fedro rOcca- 
sione è figurata in un uomo nudo sopra un rasoio colla 



182 

itonte chiomata e calvo di dietro. Anche Niccolò Ma- 
cJiiavelli la dipinse nel medesimo modo e le pose ai 
piedi le ali. 

L' avaro buono è 1' avaro del tempo. 

• * Di chi sa farne buon uso. 

Le cose langhe diventali serpi. 

L' occasione fa la barba di stoppa alle persone* 

Gli canzona se Fhanno lasciata scappare. 

L' ore non sono legate co' bastoni* 

Mal chi vaj peggio chi rimane — e 

Meglio essere a Roma senza padrone, che per la 
strada senza quattrini. 

Mentre il cane si gratta la lepre va via — e simUmejiU '• 
Mentre il cane piscia la lepre se ne va — e 
Mentre il lupo caca la pecora acappa. 

Mentre l'erba cresce muore il cavallo. 

Dìcesi anche di promessa a tempo lungo, tanto che poi 
riesce inutile. 

Né alla messa ne al mulino non aspettare il tuo vicino- 

Non bisogna dormire tutti i suoi sonni. 

Non bisogna ristare, per le passere, di seminar panico. 

Ognuno fàccia quello eh' è debito e che è buono per sé 
stesso, né si ritragga pel timore eh' altri sopravvenga 
e glielo guasti. (Giusti) 

Non e' è cosa che vendichi più che il tempo. 

Non ha il palio se non chi corre. 

Non lasciar per un poco di fare un bel mazzo. 

Pazzo chi perde il volo per lo sbalzo. 

Pigliar vantaggio, cosa da saggio. 

Preso il partito, cessato l'affanno. 

Quando è tempo è tempo. 

Cogliere le opportunità e a quelle servire, 

1^ Quando il fiume corre broda lavati il viso. 



183 
Quando il pesoe viene a riva, chi noi prende ' e' torna 
via — e 
Una volta passa il lupo. 

Bisogna far buona guardia. 

Quando l'aria è turbata e il cielo è tinto 
È meglio camminar eh' essere spinto. 

Quando soprasta un pericolo, è meglio esser de' primi a 
ritirarsi, che aspettar la piena quando tutti se ne fufr- 
gono B.f[m2^( Giusti). 

Quando la radice è tagliata, le foglie se ne vanno — e 
Nel bosco tagliato non ci stanno assassini. 

Insegna di togliere via la causa a un tratto perche ^lì 
effetti spariscano. 

Quand'uno è in ballo bisogna ballare — e 
Chi non vuol ballare non vada alla festa. 
Quanto più presto se n'esce e meglio è. 

D' un affare, d' un impegno, d' una faccenda qualunque, 
specialmente se reca dubbio, fastidio o pena. 

Se non ci fosse il ^ e il ìyui si sarebbe ricchi. 

Perchè, il popolo dice, < il 5^ e il ma sono il patrimonio 
de'minchioni. » 

Tardi è la mano al messere, quando il peto è fuora. 
Tardi s'avvede il ratto, quando si trova in bocca al gatto* 
Tempo perduto mai non si racquista. 

€ Pensa che questo dì mai non raggiorna. » 

(Dante, Purg. XIL) 

Tempo perduto, ridotto a memoria, dà più noia che gloria. 
Tentare non nuoce. 

Tien la ventura mentre 1' hai, se la perdi mai più l' avrai. 
Uno sprone nella testa ne vai due ne' calcagni. 
Uomo sollecito, mezzo indovino (0 non fu mai povero) 
Val più una cosa fatta che cento da fare. 



184 



PERSEVERANZA. 



Perseveranra : Virtù che fa l'tcomo permanente' nel bene ope» 
rare, sen^a perdersi d* animo o spaventarsi delle diffl- 
coUd e degli ostacoli. 

A goccia a goccia s' incava la pietra. 

Alla fin del salmo si canta il Gloria — ed anche : 
Al levar delle nasse si vede la pesca — e 
Allo sfrascar si vede quel che hanno fatto i bigatti. 

Nasse, diconsi le reti da pescare e bigatti i bachi da seta. 
Abbiamo nello stesso senso dei precedenti: 

Al levar delle tende si conosce la festa. 

Alle prime minestre non s'ingrassa. 

Al primo colpo non cade 1' albero. 

A nullo luogo viene, chi ogni via che vede tiene. 

Chi di dieci passi n' ha fatti nove è alla metà del cam- 
mino. 

Chi la dura la vince. 

Il buon nocchiero muta vela, ma non tramontana. 

Il palio si dà da ultimo. 

Il palio cioè il premio. 

Imprendi e continua. 

La coda è la più cattiva a scorticare — e 
Nella coda sta il veleno. 

La fine è la parte più difficoltosa delle cose ; gli affari si 
lasciano dietro sé una coda malagevole a venirne a ca- 
po, perchè impensata o non curata da. principio. 

La fatica promette il premio e la perseveranza lo porge. 

L' importuno (o l' impronto) vince l'avaro. 

Per un miracolo non si va suU' altare. 

Eide bene chi ride V ultimo. 

Sotto piombo si trovano le vene d'oro. 



|?^C^.^; ''.-.■ 



185 
Tristo a quel bifolco che si volta indietro a guardare 

il solco. 
Troppo voltare fa cascare. 
Tutti i principii sòn deboli. 

Ma poiché perseverando s' afforzano, dicesi anche ; 
Niun principio fu mai debole. 

DONNA, MATRIMONIO. 

Donna: Nome generico della femmina della spedo umana. 
Per coloro che stanno sulla proprietà è appellativo no- 
bile ; dove la voce femmina indica puramente il sesso, e, 
applicata alla persona di cui si parla, talvolta è quasi 
appellativo di dispregio. 

Matrimonio: Unione legittima dell'uomo e della donna con 
vincolo comitale. 

Abbi donna di te minore se vuoi essere signore. 

A chi prende moglie ci voglion due cervelli. 

Acqua, fumo e mala femmina cacciano la gente di casa. 

A donna imbellettata voltagli le spalle. 

A giovane assennato, la donna a lato. 

Alla conocchia anche il pazzo s' inginocchia. 

Nota bene, la conocchia è la donna casalinga, la donaa 
di Salomone. 

Alla prima moglie ci si mette del^suo, alla seconda si 

sta in capitale, alla terza si guadagna. 

Vuol dire che una dote non serve ad arricchii e il marito, 
ma che ve ne vogliono piìi d' una, perchè ia moglie in 
generale costa piU di quel che porti. (Giusti) 

Alle donne che non fanno figli 

Non ci andar né per piaceri, ne per consigli. 
Al molino (o alla vigna) e alla sposa manca sempre 

qualche cosa. 

La donna ha molte necessità, e uno sposalizio molte spe- 
se: cosi la vigna ed il molino costano a fare e poi co- 
stano a mantenere. 



186 
Airuomo moglie, al putto verga — dkesi miche: 

Chi vuol gastìgare nn matto gli dia moglie. 
Amor, dispetto, rabbia e gelosia 

Sul core d' ogni donna bau signoria. 
Ancora aon è nata e vediamola maritata, 

Dìceei alle ragazze impazientì ^1 maritarsi. 
Astuzia di donno le vince tutte ~ e 

La donna ne sa un punto più del diavolo — e 

Se la donna voi, tutto la poi. 
Camera adorna, donna savia* 

Adorna di figliuoli; ma dicesi anclie casa adorna a li- 
gnificare che le donne savie non trascurano «li teners 
in online perfetto la casa. 

Chi disse donna disse danno, 

A cui le donne rispondono: 

Chi disse uomo disse malanno. 
Chi disae donna disse guai. 
E in contraria parte: 

E chi disse nomo disse peggio che mai* 
Chi donne pratica, giudizio perde. 
Chi è geloso è becco — ma in contrario: 

È meglio esser geloso che becco. 
Chi ha buon marito^ lo porta in viso. 

Nota, o lettoi'e, la forma graziosa di quelito e d'altri 1^ 
verbi, che sou fatti dalle donne; ed ò peccato che ne 
facciano pochi, perchè avrebbono che rispondere a molti 
di questi dove sono maltrattate ; si maltrattano, perchè 
sono care, e si vor irebbero tutte perfe?iune. (Giusti) 

Chi ha guidato la sposa a casa sa quanto dura il 

pianto d'una femmina. 
Chi ha le buche nelle gote si marita senza dote. 

Buche, pozzette. 
Chi ha male al dito sempre Io mira. 

Chi ha mal marito sempre sospira. 



il 




187 
Chi ha moglie, ha doglie — e similmente : 
Chi ha moglie allato sta sempre travagliato — e 
Chi non sa quel che sia malanno e doglie^ 
Se non è maritato, prenda moglie. 
Chi ha quattrini conta e chi ha bella moglie canta. 

Perché, come dice uno stornello popolare : 

E quando canto non pensate a bene, 
I' canto dalla rabbia che mi viene. 

Chi ha rogna da grattare e moglie da guardare, non 
gli manca mai da fare. 

Chi incontra buona moglie ha gran fortuna — e 
Chi cattiva donna ha, l' inferno nel mondo ha — e 
Chi ha cattiva donna, ha il purgatorio per vicino. 

Chi le porta è V ultimo a saperlo. 

Chi mal si marita non esce mai di fatica — ed anche 
Chi si marita male non fa mai carnevale — e 
Chi asino caccia e p.... mena, non esce mal di pena. 

Chi mena la sua moglie a ogni festa e dà bere al ca- 
vallo a ogni fontana, in capo all'anno il cavallo è 
bolso e la moglie 

I Veneziani dicono: 

Tre calighi fa una piova, tre piove una brentana, e tre 
festini una 

Brentana, alluvione della Brenta o d'altro fiume. Dicesi 
pure: 

Né d'erba febraiola né di donna festaiola non ti fi- 
dare — e 

Femmine e galline, per girellar troppo, si perdono — e 
La donna girellona é acqua in un vaglio — é 
Pecore e donne a casa a buon' ora. 

Chi resta in casa e manda fuor la moglie. 
Semina roba e disonor raccoglie. 

Chi per amor si piglia, per rabbia si scapiglia* 



1Ùìi:SL-*i^^ . 



188 
I Chi BÌ marita per amore, di notte ha piacere e di 

f, giorno ha dolore. 

* Chi piglia r anguilla *per la còda e la donna per la pa- 

rola può dire di non tener nulla. - 
Chi piglia moglie e non sa V uso, 

Àasottiglia le gambe e allunga il muso. 
Chi piglia moglie per donai spesso sposa liti e guai. 
Ohi prende moglie perde la metà del cervello ; l' altra 

metà m ne va in radici. 
Chi prende una moglie merita una corona di pazienza; 

ehi ne prende due merita una corona di pazzia. 
Chi si ammoglia non sa che ben si voglia. 

Non sa qual sorta di bene prepari a sé. 

Chi si divide di letto divide 1' affetto — e 

La tavola e il letto mantiene l'affetto. 
Chi si marita fa bene, e chi no meglio — e 
Chi si marita si pone in cammino per far penitenza; 
Chi ai marita in fretta, stenta adagio ; 
Chi ai somiglia si piglia — e 
Chi spera col tor coglie uscir di guai, 

I^on avrà ben mai mai, mài mai, mai mai. 
Chi toglie moglie per la roba, la borsa va a marito. 
Come uno piglia moglie egli entra nel pensatoio. 
Da' moglie al tristo, da' marito alla dolente, 

Fatto il mercato ognuno se ne pente. 
Dal mare sale e dalla donna male. 
Delle mogli è più dovizia che de' polli. 
Di buona terra to' la vigna, di buona madre to' la figlia. 
Di' una volta a una donna che è bella, e il diavolo 

glielo ripeterà dieci volte. 

Una gran dama andava a perire nel più bel flore di sua 
vita : un sacerdote la invitò a confessarsi. Ella rispose: 
— La mia confessione è presto fatta : sono giovane, 
sono etata beUa, mi è stato detto ; potete indovinare il 
resto, (Giusti) 



fr- ÈMtM 



189 
Doglia di moglie morta dura fino alla porta. 

E al contrario: 

Alla morte del marito poca cera e molto lucignolo. 

E a Venezia : 

Quattro lagrimette, quattro candelette, 

Yoltà el canton, passa el dolor. 

Accenna al duolo di vedovella ; e al medesimo proposito : 

L'abito della vedova mostra il passato, 
Gli occhi piangono il presente, 
E il cuore va cercando l'avvenire. 
Donna buona vale una corona. 
Donna che dona di rado è buona. 
E al contrario : 

Ne lettere né doni rifiutan le donne. 
Donna che ha molti amici, ha molte lingue mordaci. 
Donna che per amor si piglia si tenga in briglia. 
Donna che regge all' oro vai più d' un gran tesoro — ma 

Donna che piglia è nell' altrui artiglia. 
Donna che ti stringe e le braccia al collo ti cinge, 

Poco t' ama e molto finge, 

E nel fine ti abbrucia e tinge. 
Donna danno, sposa spesa, moglie maglio. 
Donna di monte, cavalier di corte. 

Accenna all'ardita robustezza delle donne montanine. 
Donna di quindici e uomo di trenta. 
Donna e fuoco toccali poco. 
Donna e luna, oggi serena domani bruna. 
Donna e vino imbriaca il grande e il piccolino. 
Donna iraconda, mare senza sponda. 
Donna oziosa non può essere virtuosa. 
Donna, padella e lume sono gran consumo. 
Donna pregata nega e trascurata prega. 
Donna prudente è una gioja eccellente. 



Ìs8 

Donna Bavia e bella è preziosa anche in gonnella. 
Donna vecchia, donna proverbiosa. 
Donna specchiante, poco filante. 

Quelle che consumano assai tempo attorno allo specchio 
iknno poche faccende in casa — e 

Donna adorna tardi esce e tardi torna. 
Donna e popone beato chi se n' appone — e 

Chi sa ben trovar meloni, trova buona moglie. 
Donna ai lagna, donna si duole, 

Donna a^ ammala quando la vuole — e 

Le donne eon malate tredici mesi dell' anno — e 

Le donne hanno quattro malattie all' anno, e tre bei 
me8Ì dura ogni malanno. 
Donne, asini e noci voglion le mani atroci. 
Donne e buoi de' paesi tuoi — e similmente: 

Moglie e ronzino pigliali dal vicino — perchè 

Chi di lontano si va a maritare sarà ingannato o 
vuol ingannare — wa 

Ohi 3Ì marita con parenti corta vita e lunghi tor- 
menti. 
Donne danno, fanno gli uomini e gli disfanno. 
Donne e sardine son buone piccoline. 
Dove donna domina tutto si contamina — e 

Dove la donna domina e governa, 

Ivi sovente la pace non sverna — e 

Chi ai governa per consiglio di donne non può dn- 
rare- 
Dove son femmine e oche non vi son parole poche —* 

Donne e oche tienne poche. 
Due di gode il marito la sua metà, 

n di che la porta a casa e quello che la se ne va. 
E meglio esaere mezzo appiccato che male ammO' 

gliato. 



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191 
È meglio una cattiva parola del marito che una buona 
del fratello. 

Lo dicono, e non sempre dando prova di senno, le ra- 
gazze che hanno voglia di maritarsi ad ogni coatOj ed 
aggiungono: 

Pane di fratello, pane e coltello : 

Pane di marito, pane ardito. 
Femmina d' abito adorno balestra attorno. 
Femmina piange da un occhio e dall'altro ride. 
Femmine, vino e cavallo, mercanzia di fallo — e 

Comprar cavalli e tor moglie ; serra gli ocgM e rac- 
comandati a Dio. 
Fiume, grondaia e donna parlatora, mandan V uom di 

casa fuora. 

Anche Salomone ne" Proverbi rassomiglia la donna ciar- 
liera e litigiosa a una grondaia. 

Giovane ritirata, giovane desiderata. 
Gran dote gran baldezza — e 

Dov' entra dote esce libertà — e 

Dote di donna non arricchì mai casa. 
Il campanello di camera è il peggio suono che si possa 

avere negli orecchi. 

Cioè i rimbrotti della moglie importuna. 

Il contento di bella moglie poco ti dà e molto ti toglie. 

Il cuor delle donne è fatto a spicchi come il popone* 

Il matrimonio non è per tutti, chi fa belli e chi fa brutti. 

Il parentato dev' esser pari. 

Il prim' anno che V uomo piglia moglie o a' ammala o 
s' indebita. 

Il prim' anno s' abbraccia, il secondo s' infascia^ il terzo 
s' ha il mar anno e la mala pasqua. 

I matrimoni sono non come si fanno, ma come rie- 
scono. 

La buona moglie fa il buon marito. 



JiH^A^^ 



>*l» 



192 
La donna è come la castagna ; bella di fuori e den- 
tro è la magagna. 
La donna è come l'appetito, va contentata a tempo. 
La donna e 1' orto vuole un sol padrone. 
La donna guarda più sott' occhio che non fa V uomo a 

diritto filo. 
La donna ha più capricci che ricci. 
La donna, il fuoco e il mare fanno Tuom pericolare. 
La donna, per piccola che la sia, 

La vince il diavolo in furberia. 
La donna sa dove nasce e non sa dove muore. 
La gallina che sta nel pollaio 

È se^no che vuol bene al gallo . 
Lagrime di donne, fontana di malizia. 
La madre da fatti fa la figliuola misera. 

Sì dice contro alle donne faccendiere. 

La moglie è la chiave di casa. 

La moglie, lo schioppo e il cane non si prestano a nes- 
suno. 

La padella e la lucerna consumano molto olio ; la don- 
na se è cattiva, altro che olio ! 

La prima è moglie, la seconda compagnia, la terza 
eresia — ma diversamente : 
La prima è asinélla, la seconda tortorella — e in 

modo più ruvido : 
La seconda non gode se la prima non muore. 

La savia femmina rifa la casa, e la matta la disfà. 

Le buone donne non hanno ne occhi né orecchi. 

Le donne arrivano i pazzi e i savi. 

Le donne dicono sempre il vero ; ma non lo dicono 
tutto intero. 

Le donne e le ciliege son colorite per lor proprio danno. 

Le donne hanno lunghi i capelli e corto il cervello. 

Le donne hanno sette spiriti in corpo — ed anche 



mw^^^^^p^^^' 



193 

Le donne son come i gatti; finché non battono il 

naso non muoiono ; 

Le donne hanno l'anima attaccata al corpo con la 

colla cerviona — e 

La gatta ha sette vite e la donna sette più. 

Le donne piglian bene le pulci. 

Le donne quando son ragazze han sette mani e una 

lingua sola ; e quando son maritate han sette lingue 

e una mano sola. 

Le ragazze si studiano di lavorare per farsi il corredo e poco 
si arrischiano a parlare. 

Le donne quasi tutte per parer belle le si fanno brutte. 

Le donne s' attaccano sempre al peggio. 

Le donne son segrete come il dolor di corpo — e 
Le donne se le tacciono le crepano — e 
Le donne tacciono quello che non sanno — e 
Quel che alla donna ogni segreto fida, 
Ne vien col tempo a far pubbliche grida. 

Le donne son figliuole dell' indugio. 

Le donne son sante in chiesa, angeli in istrada, dia- 
vole in casa, civette alla finestra, e gazze alla porta. 

Le femmine calano come la cassa de' mercanti. 

Le mogli si tolgono a vita, non a prova. 

Le ragazze piangono con un occhio, le maritate con 
due, e le monache con quattro. 

Marito minchione mezzo pane. 

Marito vecchio e moglie giovane assai figliuolij — e 

Una giovane e un vecchio empion la casa e il tetto- 
Marito vecchio meglio che nulla. 

Matta è la donna che noli' uomo crede, che ne' calzoni 
si porta la fede. 

Meglio è vedova sedere, eh' essere maritata e male 
avere — e 

Quando la vedova si rimarita la penitenza non è 
finita. 

13 



194 

Meglio il marito senza amore che con gelosia. 

Non é vero. 

Moglie grassa, marito allegro ; moglie magra, marito 

addolorato. 

Moglie perfidiosa e marito pertinace non vivon mai in 

pace. 

Monaca di San Pasquale 

Due capi sopra un guanciale. 

Dieesi a certe santocchie che sempre ripetono volersi far 
monache, mentre hanno altro pel capo — e 

Occhi bassi e cuor contrito la bizzoca vuol marito. 

Mostrami la moglie, ti dirò che marito ha. 

Nel marito prudenza, nella moglie pazienza. 

Kel matrimonio un mese di miele e il resto di fiele. 

Né nozze senza canti, ne mortorii senza pianti. 

Non bisogna contentar le donne se non del lino. 

Non dare i calzoni alla moglie — perchè 

Le brache all' uomo e alla donna il camiciotto. 

Non segue matrimonio che non e' entri il demonio — e 
Non si fecero mai nozze che il diavolo non ci volesse 
far la salsa. 

Non vi è pentola sì brutta che non trovi il suo co- 
perchio. 

Nozze e magistrato dal cielo è destinato — e 
Il maritare e l'impiccare è destinato. 

Ogni gatta ha il suo gennaio. 

Ogni gatta vuole il sonaglio. 

Si dice delle donne, quando, o belle o brutte che sieno, 
vogliono gli adornamenti che hanno tutte le altre. 

Ogni Vito vuole il suo palo — e 

Il Signore quando creò la zappa, creò anche il ma- 
nico. 
Dicesi alle ragazze che disperano di maritarsi. 

Pere e donne senza romori sono stimate le migliori. 
La cattiva pera stride a mangiarla. 



195 

Per le donne in convulsione è un gran recipe il ba- 
stone. 

Pigliar moglie suona bene e poi sa male. 

Più vale una savia donna filando, che cento triste ve- 
gliando. 

Cioè, facendo veglia, o andando a veglia. 

Povera la donna che si pente d' essere stata buona! 

Putto in vino e donna in latino non fece mai buon 
fine. 

Qual figlia vuoi, tal moglie piglia — oppure 
Secondo vuoi la famiglia, la moglie piglia. 

Quando si maritan vedove, il benedetto va tutto il gior- 
no per casa. 

Benedetto quel pover'uomo che non c'è più! benedetto 
quella povera anima del mio primo marito! benedetto 
quell'altro, almeno..., E qui paragoni odiosi sempre al 
secondo. (Giusti) 

Quest'anno fignolosa, e quest' altro anno sposa. 

Ragazza vecchia fortuna aspetta. 

Savie all'impensata e pazze alla pensata. 

S'è grande, è oziosa; s'è piccola, è viziosa; s'è bella, 
è vanitosa ; s' è brutta, è fastidiosa. 

Se il matrimonio durasse un anno tutti si maritereb- 
bero. 

Se la donna di gran beltade non ha angelica onestade, 
non gli far veder le strade. 

Se l'avessi conosciuta prima, non l'avrei sposata dopo — e 
Spesso l'uomo ingannato si trova che piglia donna 
a vista e non a prova. 

Se le donne fossero d' oro non varrebbero un quattrino. 

Perchè non reggerebbero al martello. 
Senza il pastore non va la pecora. 

La donna ha bisogno della guida dell'uomo. 



196 
Senza moglie a lato l'uomo non è beato. 

....Senza moglie a lato 
Non puote uomo in bontade esser perfetto. 
Non sa quel che sia amor, non sa che vaglia 
La caritade.... 

(Ariosto, Satire). 

Sette a' accordano in una scuffia, e due non s'accordano 

in un lenzuolo. 
Se v^ è in paese una buona moglie, ciascuno crede che 

Bla la sua. 
Sposare una vedova è fatica doppia — e 

Dio ti guardi da donna due volte maritata. 
Tal castiga la moglie che non 1' ha, 

Cho quando V ha, castigar non la sa — e 

Chi non ha moglie ben la batte, chi non ha figliuoli 
ben gli pasce. 
Tra moglie e marito non mettere un dito. 
Tre coae cacciano Tuomo di casa, il fumo, la casa mal 

coperta e la ria femmina. 
Tre cose non si possono tener nascoste, 

Donne in casa, fusi in sacco e paglia nelle scarpe. 
Tre donne fanno un mercato, e quattro fanno una fiera. 

In Toscana: 

Tre donne e un magnano 
Fecero la fiera a Dicomano. 

E n Venezia: 

Due donne e un' oca fanno un mercato — e 

Più facile trovar dolce l'assenzio. 

Che in mezzo a poche donne un gran silenzio. 
Tutti i peccati mortali son femmine. 
Una giovine in mano a un vecchio, un uccello in mano 

a un ragazzo, un cavallo in mano a un frate son 

tre cose strapazzate. 
Un signor che il tuo ti toglie, mal francese con le do- 



r^ff^ • 



197 
glie, assassin che ti dispoglie, è men mal che l'aver 
moglie. 

Un uomo di paglia vuole un donna d' oro. 

Uomo ammogliato, uccello in gabbia. 

Uomo senza moglie, è mosca senza capo. 

Val più una berretta che cento cuffie. 



FAMIGLIA. 

Famiglia: È Vinsieme delle peì^sone che vivono sotto il me- 
desimo tetto, legate da vincoli di sangue, e che hanno 
per capi il padre e la madre. Ma nel senso genealogi- 
co è l'aggregato de' parenti più prossimi, 

A chi Dio non dà figliuoli il diavolo gli dà dei nipoti. 

Aiata i tuoi e gli altri se tu puoi. 

Al bambin che non ha denti freddo fa di tutti i tem- 
pi — ed anche 
Chi vuol vedere il bel figliuolo, sia rinvolto nelcen- 

ciuolo — e 
Latte e vino ammazza il bambino — e 
Quando il bambino sta a sedere la poppa la gli è bere. 

Alle nozze e a' mortori si conoscono i parenti. 

Alleva i tuoi figli poveretti, se tu li vuoi ricchi e be- 
nedetti. 

All'orsa paion belli i suoi orsacchini. 

Alla madre i suoi figli: e più generalmente, airuomo le 
opere sue, anche brutte. 

Amici a scelta, e parenti come sono {ovvero come uno 

gli ha). 
A sangue rimescolato il bambin non va addormentato. 
Asina col puledrino non va diritta al mulino. 

Tina mamma ha sempre da fare. 



198 
Aver cura de' putti non è mestier da tutti. 

SulJa custodia e sulla sanità de'bambini, abbiamo : 

Di mezz'anno il cui fa da scanno. 

Cioè il bambino incomincia a pigliar forza e a reggersi 
in sulla vita. 

Bambin d' un anno rigetta il latte dal calcagno. 

Non abbisogna più del latte e comincia a camminare — e 
Chi vuol vedere il bambin fiorito, non lo levi dal 

pan bollito — e 
Uccellin che mette coda, mangia ogn'ora ogn' ora — e 
RagazTio crescente ha la lupa nel ventre. 
Babbo e mamma non campano sempre. 

Però i giovani devono pensare a farsi uno stato. 
Basta un padre a governare cento figliuoli, e cento fi- 
gliuoli non bastano a governare un padre. 
Batti lillo, quando è piccirillo — perchè 
, Figlio troppo accarezzato non fu mai bene alle- 
vato — e 
Chi il suo figlio troppo accarezza n.on ne sentirà al- 
legrezza. 
Beata quella casa che di vecchio sa. 
Beata quella casa dov' è carne secca. 
Beata quella sposa, che fa la prima tosa — perchè: 
La putela fa la mamma bella. 
Dicono i Veneziani e i Toscani. 
Chi vuol far la bella famiglia incominci dalla figlia. 

Questo dicesi per consolare le spose che incominciano 
dal partorire femmine, e credono porti sventura. 

Air uomo affortunato gli nasce prima la figlia. 

Perchè é grande quando nascono i maschi ed aiuta a ri- 
levarli — e 

In casa de' galantuomini nasce prima la femmina e 
poi gli uomini. 






199 
Ben conta la madre, ma meglio quello che ha nascere. 

Si dice quando le donne indugiano a partorire. 
Casa il figlio qnando vuoi e la figlia quando puoi. 

Casa, accasa, dai moglie. 
Gasare suona bene e porta male. 

Qui vale metter su casa. 
Chi ama bene, gastiga bene. 

Propriamente dei genitori. 
Chi batte la moglie batte tutta la casa. 
Chi disse figliuoli, disse duoli. 
Chi fa la figliuola vezzosa la sente adulterosa. 
Chi fila grosso si vuol maritar tosto ; 

Chi fila sottile si vuol maritar d' aprile. 
Chi ha figliuoli, tutti i bocconi non son suoi. 
Chi ha matrigna di dietro si sìgna — e 

Matrigna, ceSbn torce e bocca ti digrigna. 
Chi ha un figliuolo solo lo fa matto ; chi un porco lo 

fa grasso. 
Chi ha un sol figlio spesso se k ricorda — e 
Chi ha un occhio solo spesso se lo netta. 

n quale però si dice anche di altre cose. 
Chi i suoi somiglia non traligna. 

È detto in mal senso. 
Chi l'altrui famiglia non guarda. 

La sua non mette barba. 
Chi ne ha cento 1' alloga, chi ne ha una 1' affoga. 

Delle ragazze da maritare. 

Chi n^ ha due (de^ figliuoli) n' ha uno ; e chi n' ha uno 
non n' ha punti. 

Per dire che ci possono morire da un momento all'altro. 
Uno, nessuno; due come uno; tre così così; quattro 
il diavolo a quattro — e 



...,irù^^^ \ - 



200 
Chi non ne ha ha un dispiacere solo — perchè: 
Madre vuol dir martire. 

E quale felicità può stare senza i suoi martini? (Giusti) 
Chi ne ha in cuna non dica di nessuna. 

Madre, non sparli d'altre madri. 
Chi non ascolta il padre in giovinezza, udirà il boia in 

vecchiaia. 
Chi non gastiga culino non gastiga culaccio. 
Chi non ha figliuoli non sa che sia amore. 
Chi non ha poveri o matti nel parentato, è nato o di 

lampo di tuono. 
Chi non sa rammendare (o rassettare) non sa né partorire 
né rilevare. 

Il lavoro è la salute ed è la scuola della donna com' è di 
tutti. 

Chi più fascia meno sfascia. 

Si diceva quand'era usanza generale fasciare i bambini. 

Chi si taglia il naso s' insanguina la bocca. 

Cioè, non si devono scoprire le piaghe della propria fa- 
mìglia. 

Chi vuol male ai suoi non può voler bene agli altri. 
Chi vuol vivere e star sano dai parenti stia lontano — e 

dmilììiente : 

Molti parenti, molti tormenti ; 

Se il parente non è buono, fuggilo come il tuono — e 

Parentà fatti in là. 
Corruccio di fratelli fa più che due flagelli — e 

Eratelli, flagelli. 
Costa più un viziolo che un figliuolo. 

Con quel che si mantiene un vizio si posson mantenere 
du3 figliuoli. 

Da una mucca a una donna ci corre un par di coma. 

l contadini intendono che alla balia è necessario il man- 
giare assai. 



201 
De' sua se ne vorrebbe dire, e non se ne vorrebbe aentir 
dire — e 

Tutti voglion vedere i matti in piazza/ ma ncaauao 
della sua razza. 
Dio ti dia figliuoli, e diateli grandi. 

Perchè piccini danno troppo da fare — e 
La famiglia piccola mette la casa in rovina. 
Dove sono molti bambini — e 

Quando si è rilevata, la casa è rovinata, 
Donne per casa, una in figura e una in pittura. 
Dove e' è la pace ci è Dio. 

Detto principalmente della famiglia. 

Dove ci son ragazze innamorate, 

E inutile tener porte serrate. 
Dove vi son figliuoli non vi son parenti ne amici. 

Non si hanno riguardi ad altri. 
È meglio allegare che fiorire. 

Dei figliuoli (come degli alberi) non importa che mostrino 
ì fiori ; importa che abbiano buona fibra. 

E meglio che stia uno solo bene, che tutti male — e 
È meglio dir poveretto me che poveretti noi. 

Questi due Proverbi sono usati da chi, avendo pochi as- 

gnamenti i quali non bastino nemmeno a lui solo, o 

che gli bastino per V appunto, non vuole accasarsi, per 

non fare stentare anche gli altri insieme con sé, en- 

* trando in famiglia. (Giusti) 

EanciuUi angeli ; in età son diavoli. 

Cioè quando principiano a farsi grandicelli. 

Fazzoletti che si tengono a mostra non si vendono. 

Dicesi alle madri che portano qua e là le loro figliuole 
per desiderio di collocarle presto. 

Figlie da maritare, fastidiose da governare^ ovvero^ oasi 

duri da rosicare. 
Figlie, vigne, e giardini, guardale dai vicini. 



1 



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202 
Figli d'uà ventre, non tutti d'una mente. 

Onde anche si dice : 
Tre fratelli, tre castelli. 
Figliuole e frittelle; quante più se ne fa, più vengon 

belle. 
Figliuoli da allevare, ferro da masticare. 
Figliuoli e lenzuoli non sou mai troppi. 
Figliaoli matti, uomini savi. 

Matti, cioè vivaci. 
Figlioli piccoli, fastidi piccoli ; figliuoli grandi, fastidi 
grandi — e 
Figliuoli piccoli, dolor di testa; fanciulli grandi, dolor 

di cuore — ed anche 
1 figliuoli quando son piccoli pestano sui pie e quando 

son grandi pestano sul capo — e 
I figliuoli succhiano la madre quando son piccoli, e il 
padre quando son grandi. 
Figlio senza dolore, madre senza amore. 
Fila buona tela chi allatta il suo figliuolo. 
Grastiga la cagna e il cane starà a casa. 
Gaudio di piazza tribolo di casa. 

Detto delle donne che piacciono e amano piacere. 
Guai a quella casa dove la famiglia s' accorda. 

Ogni casa vuole un capo ; se i domestici o anche i fi- 
^ li e le donne si accordano tra loro a soverchiare l'auto- 
rità, quella famiglia non può essere mai bene ordinata.* 
(Giusti) 

Guardati da chi ti leva la cappa in casa tua. 

Da chi ti fa il padrone in casa. 

Guardati dagli occhi piccini. 

1 fanciulli pongono mente a ogni cosa e la ridicono sem- 
plicemente; guardarsi da loro chi non vuole che «na 
cosa si risappia. E però si dice : 

Quando il piccolo parla, il grande ha parlato — « 

Chi vuol sapere la verità, lo domandi alla purità. 



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203 

I fanciulli mettono ogni giorno un' oncia di carne e una 
libbra di malizia. 

D male del parto è un male smemorato — perchè* 
Doglia passata, comare dimenticata — ina 
Mal di parto non parte. 

Bisogna, cioè, continuare a tenersi come infei^rae. 

II padre deve fare la tavola tonda. 

Essere eguale con tutti. 
D primo servizio che faccia il figliuolo al padre^ ò il tUrlo 
disperare. 

Dargli brighe e inquietudini. 
I paperi cacciano V oche fuori di casa. 

Detto dei cattivi fratelli che tirano a mandar via le so- 
relle. 

I ragazzi son come la cera, quel che vi s' imprime resta, 

I vicini le maritano e il padre dà la dote. 

La buona madre fa la buona figliuola. 

La carne dell' affinità tira. 

L' acqua lava e il sangue stinge — e 
Il sangue non è acqua — e 
Stringe più la camicia che la gonnella. 

Si dice dei legami di parentela. 

La giovane com' è allevata, la stoppa com' è filata. 
La madre non può dire che sia suo il figliuolo finché 
non ha avuto il vainolo. 

Perchè ha un pericolo sempre innanzi. 

La ragazza è come la perla, men che si vede o più e 

bella. 
La madre misera fa la figlia valente. 

La figlia che ha sofferto nell* assistere la madre. 

La madre pietosa fa la figliuola tignosa. 



204 

La pecora guarda sempre se ha dietro l'agnello. 

La mamma se ha dietro il figliuolo. 

La pianta che ha molti fratti non li matura tutti. 

Qualcuno ne muore, ed anche vuol dire che ove sieno 
molti qualcuno fuorvia. 

Le bellezze duran fino alla porta. 
Le bontà fino alla morte. 

Ricordo delle buoni madri alle figliuole che vanno a ma- 
rito. 

Le donne sono una mercanzia da non le tener troppo 

in casa. 

Devono a suo tempo essere maritate — e 

La gallina che resta in casa sempre becca: 

Detto delle ragazze che tardano a maritarsi e divengono 
dispettose, ma dovrebbero consolarsi pensando che 

Chi aspetta, Dio Y assetta — e 

Ragazza che dura non perde ventura. 

L'uovo ne vuol saper più della gallina. 

Lo dicono le mamme alle figliuole. 

Madre che fila poco, i suoi figliuoli mostrano il culo. 

Cioè non hanno vestito addosso. 

Madre morta, padre cieco. 

Per il governo della casa, ma piii per l'educazione delle 
figlie. 

Mamma, cosa vuol dire accasare ? (entrare in famigli) 

Filare, figliare e sentir berciare. 
Maritati e vedrai ; perderai i sonni e più non dormirai. 
Marito disamorato, matrimonio rammaricato. 
Marito e figli come Dio te gli dà così te gli piglia. 
Marito e moglie della tua villa, compari e comari lontan 

cento miglia — e 

Parente da presso e compar dalla lunga. 
Mazze e panelli fanno i figli belli. 



m 

Morta l'ape non si succia più miele. 

Morto il capo di casa, mancano molti comodi aJLa fa- 
miglia. 

Morte di suocera, dolor di gomito. 

Passa presto. 
Non curano i fratei della soror se non è da più di lor, 
Non è peggior lite che tra sangue e sangue. 
Non ogni bestia che va in fiera si vende. 

Detto alle fanciulle che si mettono troppo in mostra. 
Non può aver cosa buona chi non liscia la padrona* 
Non sprezzar la dottrina del parente; 
E chi la sprezza ne riman dolente. 

Parente, padre, o maggiore, a modo latino- 
Nutritura passa natura. 

Nutritura, per modo d'allevare o d'educare. 
Ogni gravidanza ha la sua usanza. 

Accenna ai varj effetti che in donna produce gravidanza. 
Ognuno dà pane, ma non come mamma — ed anche 
Chi mi fa più di mamma, sì m' inganna j 
Chi ha mamma non piange ; 
Mamma, mamma, chi l'ha la chiama e chi non l'ha 

la brama — e 
Mamma mia sempre, ricca o povera che tu sia. 
Padre che ha figliuoli grandi, fuor li mandi. 

In casa impoltroniscono. 
Pan di figliuoli, pene e duoli. 

Male stanno i genitori che vivono a spese del Agli* 
Pecora mal guardata, da agnello è poppata. 
Per tutto bene, ma in famiglia meglio. 
Più si sente un taglio di rasoio che dieci di spada* 

Taglio di rasoio, ferita domestica. 



h(C!^^tfbfit^« 



206 
Più vale un padre che cento pedagoghi — e 
Chi è del figliuol pedante, non è furfante. 
Povera quella casa dove non rientra cappello. 
Povero quell'uomo che sa quanto sale vuole la pentola. 

Cioè, dove la donna non è buona a nulla, ed a kii tocca 
fare ogni cosa da sé. 

Quale il padre, tale il figlio; qual la madre, tal la 
figlia — e lo stesso dicono i segtimti: 
11 ramo somiglia il tronco. 
La scheggia ritrae dal ceppo. 
Il lupo non caca agnelli. 
D* aquila non nasce colomba. 
Di vacca non nasce cervo. 
Di meo nasce meo. 

Chi di gallina nasce convien che razzoli. 
Chi nasce mulo bisogna che tiri calci. 
Chi nasce gatta piglia topi al buio. 
Chi di gatta nasce sorci piglia, se non gli piglia, non 
è sua figlia. 

I figliuoli de' gatti pigliano i topi. 

II mal corvo fa mal uovo. 

Ma incontro a questi stanno gli altri :" 
Alle volte, dei cattivi nocchi si fanno di buone 

schegge. 
Dal mar salato nasce il pesce fresco. 
D' un uovo bianco pulcin nero. 
Qual è la signora tal è la cagnola. 
Quando duol la scianca, la femmina non manca — o 
Quando la pancia è aguzza, 1' ago e la rocca — e 
Quando è larga sul fianchetto 
M^aace un bel maschietto. 
Pregiudizi sulle donne incinte. 
Quando ì ragazzi stanno fermi cattivo segno — e 
Quando i ragazzi stan cheti han fatto qualche malestro. 



207 

Quando la capra ha passato il poggiolo non ai ricorda 

più del figliuolo. 

Detto delle donne che ripigliano marito. 

Quando la gatta non è in paese i topi ballano. 

I ragazzi sogliono ruzzare alla libera e far casa del dia- 
volo, quando non sono presenti i genitori od il maestro* 

Quando nascono (i figliuoli) son tutti belli, 

Quando si maritano, tutti buoni, 

E quando muoiono son tutti santi. 
Ragazzi e bicchieri, mercanzia leggeri. 
Ragazzi e polli imbrattan le case — ed anche; 

Cani, polli e putti imbrattan per tutto. 
Ragazzi e polli non si trovan mai satolli. 
Roba che mangia non si perde. 

Detto dei figliuoli. 
Se vuoi che il tuo figlio cresca, lavali i pie e rapagli 

la testa. 
Suocera e nuora, tempesta e gragnuola — e 

Suocera cieca, nuora avventurata — e 

Tuoi tu farti creder donna beata. 

Parla ben di tua cognata. 
Tal susina mangia il padre che allega i denti al fi- 
gliuolo. 

Dei disordini e degli errori del patire ne tocca a far pa- 
nitenza il più delle volte a' figliuoli. 

Tra carne e ugna, non sia uom che vi pogna — etf 
anche: 
Tra moglie e marito non mettere un dito. 

Insegnano che negli affari de* parenti o amici li ti gai iti fta 
loro non è bene intromettersi. 

Tra parente e parente, tristo a chi non ha niente, 
f Tre figlie e una madre, quattro diavoli per un padre. 

Trist' a quelle case, dove gallina canta e gallo tace ^- 
I ovvero : 



208 
In casa non c'è pace, quando gallina canta e gallo tace. 

Cioè, quando la moglie comanda al marito. 

Trulli truUij chi se li è fatti se li culli (ovvero chi gli 

ha fatti li trastulli). 

De' figliuoli. 

Una aiuta a maritare 1' altra — ed anche 

Con una figliuola si fanno due generi. 

Che pure vale per l'obbligarsi con un sol servigio due 
persone. 

Una figliaj una meraviglia. 

Perchè lo ragazze a fine di maritarle sono dai padri van- 
tate quasi maraviglie. 

TJomini, sanità e fuori — e 

Ai ragazzi pane e scarpe. 

Le donne in casa ; i mariti e i ragazzi fuori. 



ERRORE, FALLACIA DEI DISEGNI, 
INSUFFICIENZA DEI PROPOSITI. 

Errore: Trasgressione e deviamento dal bene operare a cui 
l'uomo ò tenuto. Si prende anche per l'operare, il poT- 
larBf lo .'scrivere contro le 7^egole dell* arte ; e anche per 
una falsa interpretazione ed opinione formatasi per igno- 
ranza ^ per leggerezza o per ispirito fazioso, 

Fallacfa dei disegni : La facile e frequente loro manchevolezza^ 
il non corrispondere essi nel fatto alla nostra aspetta- 

ziOTW. 

Insufficienza dei propositi : Il non servire talvolta i nostri pro- 
positi a conseguire un bene o ad evitare un male, 

A far dei castelli in aria tutti siam buoni. 
Alle volte ai crede trovare il sole d' agosto e si trova 
la luna dì marzo. 

C insegna a non disporre di alcuna cosa prima eh' ella 
non sia in nostro potere. 



t^?f:- 



Altro è correre altro è arrivare. 
Altro è tendere altro è pigliare — e 

È un di più tender bene se la rete non tiene. 
A tutti i poeti manca un verso. 
Chi cammina inciampa — e 

Chi è ritto può cadere — e 

Cade anche un cavallo che ha quattro gambe. 
Chi conta sul futuro sovente s' inganna — e 

Buon cane non trova buon orso (o non trova lepri)* 
Chi erra nell'elezione erra nel servigio. 
Chi fa falla, e chi non fa sfarfalla — e 

Chi non fa, non falla ; e fallando s*' impara. 

guasto, fallo. 
Chi fa i conti avanti 1' oste gli convien farli due volte. 
Chi favella erra. 
Chi ne fa, ne fa di tutte. 

Cioè delle buone e delle cattive — e 
Chi ne ferra ne inchioda. 
Chi non conta non erra — oppure: 

Ogni cattivo conto si può rifare. 
Chi non fa mai nulla di nulla si confessa. 
Chi sbaglia il primo cerchiello li sbaglia tutti- 
Dalia mano alla bocca spesso si perde la zuppa — e 

Tra la bocca e il boccone mille cose accadono. 

I francesi dicono: tra la bocca e il bicchiere e* è posto 
per una disgrazia. 

Error non è frodo. 

Il giudizio viene tre giorni dopo la morte — ed anche: 

Si vede il fine della nostra vita, ma non biella no- 
stra pazzia. 
Il giusto cade sette volte al giorno. 
Il primo fallo ha nome miseria, 

Il secondo ha nome mattia. 
I pensieri vanno falliti. 

14 



ì 



210 
I sogni non son veri, e i disegni non riescono — e 

Noe bisogna fidarsi dei sogni. — perchè 

I sogni son sogni. 
L' acciaio si rompe e il ferro si piega. 
L' albero pecca e i rami si seccano. 
L' uomo propone e Dio dispone. 
Muore piti uomini pregni che donne gravide. 

È proverbio còrso che il Tommaseo illustra così: Pregni 
di desideri vani, di concetti immaturi, di ambiziosi di- 
segni; gravidanze incomode. 

Nessuno è piìi che uomo. 

Ninna persona senza difetti, niun peccato senza rimor- , 
so — perchè 
Solo Dìo senza difetti. 

Non c'è uomo che non erri, 
Né cavallo che non sferri. 

Non è buon bifolco che faccia sempre diritto il solco. 

Non ruinan le case fatte in carta, ma murate in ter- 
ra sì. 

Le cose poste in disegno non sempre riescono, benché 
ne* modelli appariscano riuscibili. 

Non sempre sta il giudice a banco. 

Non si sta sempre in proposito. 
Non tutte vanno a un modo — ed anche' 

Le eoe si foran tutte diritte. 
Non v'è uovo che non guazzi. 

Non si trova alcuno senza vizio o mancamento. 

Ogni buon cotto a mezzo torna. 

I decotti a regola d' arte devono tornare la metà di quel 
che si è messo : e il proverbio dicesi per iscusare quw; 
do rassegnamento fatto di alcuna cosa riesce minore di 
quello elle si sperava. 

Ogni secchia non attinge acqua. 

Più si ha cura d' una cosa, più presto si perde — « 

Pecore contate il lupo se le mangia — q 



211 

Pecore conte lupo le mangia — e 

Il lupo non guarda che le pecore sieno conte. 
Sbaglia il prete all' altare {e il contadino air aratro). 
Sul più bello dell'uccellare muore la civetta* 
Tal bue crede andare a pascere che poi ara- 
Tanto è darci vicin che non ci córre. 
Tutte le ciambèlle non riescon col buco — e 

Tutte le palle non riescon tonde — e 

Tutte le botte non van giulive. 
Una ne pensa il cuoco, una il goloso — ^ simlbmnte: 

Una ne pensa il ghiotto, un' altra il tavernaio (o 
l'oste) — e 

Sette cose pensa 1' asino e otto 1' asinaio. 

Dinotano più specialmente che chi ha le roani in pasta 
fa a suo modo e gli altri restano a denti asciutti. 

Un sacco di disegni verdi non tornano una libbra secchi. 



MISERIE DELLA VITA, CONDIZIONI 
DELLA UMANITÀ. 

Miserie della vita : Tribolazioni fisiche, economiche e morali^ 
che accompagnano il vivere umano. 

Condizioni della umanità: Stati o m^odi varii in cui gli uo- 
mini più facilmente e frequentem,ente si trovano. 

A biscottini non si campa. 

Beva la feccia chi ha bevuto il vino — e 

Chi ha goduto sgoda. 
Bisogna comprare fino il sole. 
C'è più guai che allegrezze. 
Capelli (o peli) e guai non mancan mai ^ e 

Guai e maccheroni si mangiano caldi — e 

I guai vengono senza chiamarli. 



J^_ 



212 
Chi casca in mare e non 8Ì bagna, paga la pena. 

— Chi scampa quando altri patiscono danno, si trova infine 

t aver di peggio. 

Chi da Dìo è amato da lui è visitato. 
Chi disse uomo disse miseria. 
Chi è savio non è sempre sicuro. 
Chi fugge maggio non fugge calende. 

Una usanza fiorentina imponeva certo scotto per le alle- 
grezze di maggio, e chi avesse trapassato senza pagare 
tutto quel mese, era costretto poi soddisfare per altro 
modo alla brigata. (Serdonati,) Si dice ancora: 

La ai può ben prolungare, ma fuggir no. 
Chi gode muore e chi patisce stenta — e 

Quando siam contenti (o si sta bene) si muore. 
Chi ha capre ha corna — e 

Chi ha polli ha pipite — e 

Chi vuol r uovo deve soffrire lo schiamazzo della 
gallina. 
Chi non ha piaghe se le fa. 
Chi non 1' ha all' uscio V ha alla finestra — e 

Disgrazie e spie son sempre pronte. 
Come la va la viene. 

Da Dio vengon le grazie e da noi le disgrazie. 
Dio non fa mai chiesa, che il diavolo non ci vogUa (o 

non ci fabbrichi) la sua cappella. 

Dieesi per dare ad intendere che il diavolo non vede far- 
si alcun bene senza cercare di mettervi o farvi nascere 
alcun male. 

Dopo un meglio ne viene un peggio. 

Dove non può entrare il diavolo e' entra la versiera. 

Dove stringe la scarpa non lo sa altro che chi l' ha in 

piede. 
Facendo male, sperando bene, il tempo va e la morte 

viene, 



213 

Fin eh' uno ha denti in bocca non sa quel che gli toc- 
ca — perchè 
Fino alla morte non si sa la sorte. 

Il bel tempo non dura sempre. 

In questo mondo meschino, quando si ha tanto per il 
pane, non si ha tanto per il yino. 

I pensieri fanno mettere i peli canuti. 

L'allegrezze non durano. 

Le avversità riducono a segno. 

Le disgrazie non si comprano al mercato. 

Cioè vengono a nostro malgrado. 
Le disgrazie son come le tavole degli osti. 
Sempre apparecchiate. 

Le rose cascano e le spine rimangono. 
Malanno e donna senza ragione si trovano in ogni luo- 
go e d' ogni stagione. 
Nido fatto, gazzera morta. 

In questo mondo, tosto che uno ci si è bene accomodato, 
muore. 

Non e' è altare senza croce. 
Non e' è casa senza topi — e 
Ogni casa ha solaio, cesso, fogna e acquaio. 

Delle cose incomode e disgustose ve n'è per tutto. 
Non e' è pane senza pena. 

Non è lin senza resta, né acqua (o donna) senza pecca* 
Non sempre la luna sta in tondo. 
Non serve dire : per tal via non passerò, né di tal ac- 
qua non beverò. 
Non si fece mai bucato che non piovesse. 

La pioggia dà noia quando si vuol tendere ì panni per 
asciugarli. 

Non si può avere de'pesci senza immollarsi — ovvero : 
Chi vuole il pesce bisogna che s'ammolli; 



214 

Non si può avere il mèle senza le mosche; 

Non bì può avere la carne aenz' oaso ; 

Non ai può avere la rosa senza la spina — j^iercM 

Ogni rosa ha la sua spina — e 

Non bì può ayere le pere monde ■ 

Non si può avere i pani a piede ; 

Non ai può avere le viti legate colle Bahiccie — & 

Non si può avere la botte piena e la moglie briaca. 
Non ai sa mai per chi si lavora, 
Nou v' è cosa ohe sia sicura. 
Oggi a mOj domani a te- 
Si dice del morire e anco di qualche bene conseguito. 
Oggi creditore^ domani debitore — e 

Oggi mercante^ domani viandante. 
Oggi in canto, domani in pianto. 
Ogni bocca ha il suo morso. 
Ogni cuore ha il suo dolore. 
Ogni dì non è festa ^ e 

Tutti i mesi non bou di trentuno — e 

Natale viene un sola volta V anno. 
Ogni di yien aera. 

Ogoi vita invecchia, ogni felicità tramonta. 
Ogni erba divien paglia. 
Ogni grano ha la aua semola. 

In tutto e in tutti t'è qualcosa da scartare. 
Ogni legno ha il ano tarlo. 

Ognuno ha le sue magagne occulte ; ed anche : ognuno ha 
gente che campano alle sue spalie. 

Ogni magìono ha la sua passione. 

Passione, per affanno, travaglio ; e nota chis per magio- 
ne s'intende propriamente le case grandi; ma vaia per 
tutte. (Giusti) E dicesi: 

In ogni casa ai trova «gualche mattone rotto. 



2lb 

Ogni male vien dalla testa. 

DalFavere poco cervello: ma si riferisce anche al capo 
della casa o di uno Stato. 

Ogni momento è grazia. 

Cioè, ogni momento di bene, perchè non siamo nel mon- 
do per godere. 

Ogni monte ha la sua valle. 

Ogni nave fa acqua; quale a mezzo, quale a proda e 

quale in sentina. 
Ogni pelo ha la sua ombra. 
Ogni porta ha il suo batocchio — e 

Maggior porta, maggior battitoio. 

Battitoio è parte delFim posta d'un uscio o d'una finestra, 
ma qui ha doppio senso, e sta per signitlcare battito 
che è tremito, tremore. 

Ogni prun fa siepe. 

Ogni ostacolo, abbenchè minimo, reca impedimento: ma 
con significato più generico, ogni cosa fk qualcosa. 
(Giusti), 

Ogni vin fa tartaro. 
Ognuno c'è per la parte sua — e 
Ognuno e' è per 1' ossa e per la pelle. 

Si dice quando tutti insieme corriamo un qualche peri- 
colo. 

Ognuno ha il suo diavolo (o il suo impiccato) all'u- 

scio — e 

Ognuno ha la sua croce. 
Ognuno sa dov'è, ma nessuno sa dov'ha da andare. 
Per la pecora è lo stesso che la mangi il lupo, o che 

la scanni il beccaio. 

Il male da qualunque parte ci venga è sempre male. 

Per tutto v^ è guai. 

Per un dì di gioia se ne ha mille di noia — e 
Non v'è gioia senza noia. 



216 

Quando crediamo d' essere a eavallo siamo per terra. 

Quanti giorni cominciano col sole che finiscono col mal 
tempo. 

Se la vita fosse intesa, nessuno l'accetterebbe. 

Sempre ne va il meglio. 

Seren d' inverno e pioggia d' estate, e vecchia prosperi- 
tate, non durano tre giornate. 

Servire e non gradire, aspettare e non venire, stare a 
letto e non dormire, aver cavallo che non vuol ire e 
servitore che non vuole obbedire, esser in prigione e 
non poter fuggire, essere ammalato e non poter gua- 
rire, smarrir la strada quando un vuol ire, stare alla 
porta quando un non vuol aprire, avere un amico 
che ti vuol tradire, son dieci doglie da morire. 

Tanto razzola la gallina che scuopre il coltello che T am- 
mazza. 

Tempo, vento, signor, donna, fortuna, 
Voltano e tornan come fa la luna. 

Tra la culla e la bara ogni cosa è incerta. 

Tristo a quel dente che comincia a crollare. 

Tutti ai naac© piangendo e nessuno muore ridendo. 

Un male tira 1' altro — e 
Al malo fagli male — e 
Le disgrazie non vanno mai sole — e 
Le disgrazie sono come le ciliege. 

Una tira Faltra — e 
Un male e un frate rade volte soli — e 
Non ai rompe mai un bicchiere che non se ne rem- 
pan tre — e 
Ogni male vuol giunta. — ed anàte: 
Quando si comincia male si finisce peggio. 

E proverbialmente: 
Agli zoppi grucciate. 

Diceai quando a chi si trova in cattive condizioni capi- 
tano nuovi malanni. 



217 

ESPERIENZA. 

Esperienza : Conoscimento delle cose, acquistato o per la pro- 
va fattane da noi stessi o per averla veduta fare ad 
altri: od anche per le nostre riflessioni ed altrui con- 
sigli. 

Assai sa chi viver sa. 

Bisognerebbe essere prima vecchi e poi giovauL 

Bue vecchio, solco diritto. 

Si dice anche delFuomo — e * 

Solo il bue vecchio muove le carra arreatate — e 
Imparano dai buoi vecchi ad arare i giovani. 

Can vecchio non abbaia invano. 

Chi e' è stato la può contare. 

Chi è deir arte ne può ragionare — e 
Ninno riprenda che non intenda. 

E proverbialmente, il vecchio sperimentato dice al gio- 
vine presuntuoso : 

Quando il tuo diavolo nacque, il mio andava ritto al- 
la panca (di scuola). 
Chi è scottato una volta l'altra vi sof&a su. 
Chi è stato de' Consoli sa che cosa è* 1' arte. 

I CJonsoli presiedevano a* magistrati delie arti, ed i pLìi 
vecchi e capaci si sceglievano a queir uMzio. Dicesi a 
chi vuole dare ad intendere una cosa a tale che la fa 
meglio di lui; ed è simile a quell'altro: 

Chi vien dalla fossa sa che cosa è morto. 

Chi falla la seconda volta merita un cavallo. 

Chi ha buona lancia la provi al muro. 

Chi ha fatto il più può fare il meno — e 
Chi fa trenta può far trentuno — e 
Chi ha bevuto al mare può bere alla pozza — e 
Chi ha bevuto tutto il mare ne può bere una sco- 
della. 



218 

Chi ha passato il guado sa quant' acqua tiene. 

Chi lascia la via piana va poi per la sassosa — e 
Chi lascia la via vecchia per la nuova, 
Sa quel che lascia, non sa quel che trova. 

Chi le fa, le sa. 

Ohi maneggia non braveggia. 

Chi sa fare una cosa ne conosce le difficoltà. 

Ohi non &a fare non sa comandare — e 

Chi non fu buon soldato non sarà buon capitano — e 
Bìaogaa prima esser garzone e poi maestro. 

Ohi non aa scorticare intacca la pelle. 

Chi non va non vede; chi non prova non crede. 

Ohi pon mèle in vaso nuovo provi se tiene acqua. 

Chi sa la strada può andar di trotto. 

Ohi si è guardato in uno specchio solo non può dire 
di cono9€ersi — ma 
È miglior mercato di specchi che di zolfanelli. 

Specchi, le conseguenze dei falli che ti ritornano in sul 
viso, le occasioni che Fuomo ha di conoscere se stesso: 
Zolfanelli, merce vile. (Giusti) 

Chi tocca con mano va sano. 

Chi vuol conoscere un buono scrittore gli dia la penna 

in mano. 
Con r error d' altri il proprio si conosce. 
Del primo giorno scolare è il secondo — e 

Un giorno è maestro dell' altro. 
Dopo il fatto ognuno è savio. 
E meglio star sotto barba, che sotto bava. 

È meglio dipendere da un uomo fatto che da un barn- 
bino. 

Esperienza, madre di scienza — e 

L' eaperìenza è una maestra mutola. 
Guastando s' impara — e 

Ognuno impara a sue spese — e 



219 

Chi air altrui spese sa imparare felice si può chia- 
mare — e 
L'errare insegna e il maestro si paga. 

Perchè le conseguenze di un errore sono dannose. 

Il fare insegna fare, 
n mangiare insegna bere, 
n nemico ti fa savio. 

I proverbi li facevano i vecchi, e stavan cent'anni e 
li facevan sulla comoda. 

Proverbio che pure si trova in quest* altra forma : 

I nostri vecchi istavan cent'anni col culo a la piova 

prima di fare un proverbio. 
La pratica vai più della grammatica. 
La prova del testo è la torta. 

Testo vale qui tegame o altro vaso. 

Lascia colui parlare che suol saper ben faro. 

Lascia fare i fusi a quei che sono usi. 

L'asino dov'è cascato una -volta non ci casca più. 

L^ esperienza e la prudenza sono indovine. 

Molte volte i nocumenti sono agli uomini documenti. 

Molto più fanno gli anni che i libri — o 

Gli anni sanno più dei libri — e 

Ne sanno più due villani che un dottore» 
Nessuno nasce maestro — e 

Non si doventa maestri in un giorno. 
Non mordere se non sai se è pietra o pane. 
Per andare avanti bisogna voltarsi addietro — e 

Chi vuol vedere quel che ha da essere, veda quello 
che è stato. 
Per parlare di giuoco bisogna aver tenute lo carte in 

mano. 
Più si vive e più se ne sente. 



.^tì^.^ 



220 
Presto e bene tardi (o raro) avviene. 

Per giungere alla felicità nel bene operare 8i richiede 
lungo esercizio e lunghe prove non senza errori. 

Rete nuova non piglia uccello vecchio. 

Savio è colui che impara a spese altrui. 

Scienza, casa, mare, molto fan l' uomo avanzare — ov- 
vero: 
Tre cose fan 1' uomo guadagnare, scienza, corte e mare. 

Se devi morire cerca un boia pratico. 

Se le cose si facessero due volte V asino sarebbe nostro. 

Cioè si avrebbe dell'asino a non farle bene la seconda. 

Se lo strumento non è tocco non si sa che voce abbia. 

Tre cose fan V uomo accorto, lite, donna e porto. 

Un uccello ammaliziato non dà retta alla civetta. 

Tal più un vecchio in un canto che un giovane in un 

campo. 

Tento al visaggio rende 1' uomo saggio. 

Qui vento è per contrarietà, contrasti, contradizioni, o- 
etacoli. 

Vivendo s'impara — e 

S* impara a vivere sino alla morte — e 
Fino alla bara sempre se ne impara. 



FALLACIA DEI GIUDIZI. 

Fallacia dei giudizt : Facilità di cadere in errore nel senten' 
ziare intorno a cose, a fatti e a persone. 

A ohi non duole giudica bene i colpi — e 
Obi ha male non può misurar bene — e 
Se tu vuoi giudicar bene, mettiti sempre ne' suoi pie. 
Cioè di quello che tu giudichi. 

Àmìoi e muli falliscono nell' adoprarli. 



221 

Chi dice male V indovina quasi sempre. 

Chi fosse indovino sarebbe ricco — ovvero: 
Fammi indovino ti farò ricco — e 
Chi sapesse tutto innanzi sarebbe presto ricco. 

Chi pon suo naso a consiglio T un dice bianco e T altro 
vermiglio. 

Chi ruba pecca uno, e chi è rubato pecca cento. 

Perchè sospetta di molti e fa giudizi temerari e fallaci. 
Col Vangelo si può diventare eretici. 

Ogni cosa può torcersi a male. 
Dal conto sempre manca il lupo. 

I pastori quando contano le pecore non pensano al lupo 
che viene poi a scemare il branco. 

D'opinioni (o d'idee) e sassi ognun può caricasai. 

Idea, nel linguaggio familiare è ghiribizzo o disegno, ma 
per lo più vano: le sono idee, è come dire le son cose 
chevoVi figurate voi, sono estri, son fantasie, ^Giw^ffJ 

Dove non si crede l'acqua rompe. 

Dove si pensa cacciare si riman cacciati. 

II libro del perchè è molto grande. 

E si dice anche comunemente : 

Il libro del perchè stampato ancor non è. 
E aggiungono canzonando : 

Quando si stamperà a voi si donerà. 
Il pensare è molto lontano dall' essere. 
Il santo è grande e il miracolo è piccolo. 
I matti e i fanciulli indovinano — e 

I più matti di casa a volte son quelli che s'appon- 
gono. 
I ragazzi e i pazzi credono che vent'anni e venti lire 

non debban mai finire. 
La peggio carne a conoscere è quella dell' uomo. 
La più stretta è la via del vero. 



^^.:^ai»Àdi. 



» 



222 

La prosperità ti nasconde la verità. 

Le cose non sono come sono ma come si vedono — e 

È meglio esser cieco che veder male. 

Le gioie valgono quanto s'apprezzano. 

LMmmaginazione fa caso. 

Fa parere quel che non è. 

Lo atolto credendo segnarsi con un dito si dà nell'occhio. 

Lo stolto anche nel bene operare può recar danno a sé 
ed altrui. 

Molti parlan d' Orlando che non vider mai il suo brando. 

cioè parlan di cose di cui non hanno conoscenza alcuna. 

Né forse né mi parse non si scrisse mai in carte — e 

Col ma e col se non si fa niente di ben — e 

Il se e il ma son due minchioni da Adamo in qua — e 

Il parere non si scrive — e 

Delle cose incerte non si fa legge. 
Ogni uccello d'agosto è beccafico. 

Quando una cosa è in voga, tutto ciò che le rassomigli 
è tenuta quella stessa. 

Ognun créde quel che desidera. 
Opinion non è sì stolta, che da volgo non sia tolta. 
Prima di vender la pelle bisogna aver ferito l'orso. 
Un cattivo cane rode una buona corda. 



FALSE APPARENZE. 

False apparenze : Apparenza è tutto ciò che si mostra a' no- 
stri occhi sotto una forma od aspetto. Qtiando questa 
forma od aspetto non corrispondono alla realtà, o sono 
in qualunque modo discordi dall' essere delle cose, ab- 
biamo allora le false apparenze. 

Alle volte con gli occhi aperti si fan dei sogni. 
Altre coac in presenza, altre in apparenza. 



w^v-^ 



223 

Bella vigna, poca uva. 
Chi dipinge il fiore non gli dà V odore. 
Chi ha contenti gli occhi, non si sa quel che il cor 
faccia. 

Non sempre il riso è segno d'allegrezza, perciò si dice : 

Quando si ride senza esser contenti, è un riso che non 
passa i denti — e 

A chi troppo ride gli duole il cuore. 
Dal falso bene viene il vero male. 
Danari di poveri e arme di poltroni si veggono spesso. 
Guardati dalla donna di festa e dalla bandita di grazia. 

Bandita, nel Senese è pascolo riservato ; bandita di gra- 
zia è un pascolo troppo lussureggiante, un* apparenza 
ingannevole coma la donna vestita a festa. (Giusiij 

Il desiderio fa parer bello quel che è brutto. 

Il diavolo non è brutto quanto si dipinge. 

Il drappo corregge il dorso e la carne concia l'osso. 

H fatto de' cavalli non istà nella groppina — e 

Mal si giudica il cavallo dalla sella. 
Il miracolo non fa il santo. 
In guaina d'oro coltello di piombo. 

Dicesi di un fiacco nobilmente armato, d* un Catone nel 
quale sia poca virtù, di belle parole che non abbiano 
gran sugo. 

I santi non mangiano — e 

Geli angioli non pisciano. 
L'abito non fa il monaco — e 

La croce non fa il cavaliere — e 

La veste non fa il dottore — e 

La barba non fa il filosofo. 
La castagna di fuori è bella e dentro ha la magagna. 
La fama e il suono fan le cose maggior di quel che 

sono. 
L' apparenza inganna. 



224 
La virtù sta di casa dove meno si crede. 
L^uomo 81 giudica male alla cera. 

Alla cera, air aspetto. 

Non è tutt'oro quel che riluce. 

Non ogni verde fa fiore, non ogni fiore fa frutto. 

Kon sempre fugge chi volta le spalle. 

Ogni lucciola non è lume. 

Ognun e' ha gran coltello non è boia. 

Ognun vede il mantello, nessun vede il budello. 

Si vede il di fuori, non V interno dell' uomo. 

Parere e non essere, è come filare e non tessere. 

Quel che si vede non è di fede. 

Hiso di signore, sereno d' inverno, cappello di matto e 

trotto di mula vecchia, fanno una primiera di pochi 

punti* 
EosBore non è sempre colpa. 

L*ingenuo arrossisce di cosa indegna di lui, o si mostri a 
lui di fuori, o se la senta brulicare in fondo *air animo 
non volente ; e le donne e i giovani arrossiscono molte 
volte senza perchè. 

Se il lupo sapesse come sta la pecora guai a lei. 

Quante povere donnucce non avranno avuto in cuore que- 
sto proverbio ! e buon per loro, se riuscirono a che il 
lupo non se ne accorgesse. (Giusti) 

Se la capra si denegasse, le corna la manifesterebbero. 

Se la pillola avesse buon sapore. 
Dorata non sarebbe per di fuore. 

Tal pare Orlando che poi è una pecora. 

Tutti i ilo ri non sanno di buono. 

Tutto il bianco non è farina. 

Tutto il rosso non è buono e tutto il giallo non è cat- 
tivo — e 
Tutto il rosso non son ciliege. 

Tutto quol che ciondola non cade. 



221 



Un fucile scarico fa paura a due. 
Vesti un ciocco, pare un fiocco — e 
Vesti un legno, pare un regno. 



REGOLE DEL GIUDICARE. 

Regole del giudicare : Norme colle quali poter fare giusta 
stima delle cose, degli uomini e delle loro azioni* 

Ai segni si conoscon le balle. 

Al batter del martello si scuopre la magagna. 

Alla prova si scortica l'asino 

Alla vista si conosce il cuore. 

Al paragone si conosce 1' oro. 

Al pelo si conosce l'asino — e 

Gli asini si conoscono al basto. 
Al ragliare si vedrà che non è leone. 
A pazzo relatore savio ascoltatore. 
A sentire una campana sola si giudica male. 
Bisogna guardare a quello che si fa, non a quello che 

si dice — e 

Fate quel che dico e non quel che faccio. 
Chi non è buon turco non è buon cristiano. 
Chi non mi vuole non mi merita. 
Chi non sa di male non sa di bene. 

Non sa di nulla ; mancanza d'affetti è principio di mal- 
vagità. 
Chi ode non disode. 

Chi ode dir male non ode il più delle volte la difesa e 
crede quel che si dice. 

■ Chi tosto giudica tosto si pente. 

Chi vuol dell'acqua chiara vada alla fonte. 

\ Chi vuol conoscer bene una cosa, vada alla sorgente; 

i ne dimandi alla persona che piti la sa. 

I 15 



226 

Chi vuol troppo provare nulla prova. 

Dal frutto si conosce l'albero. 

Dall'unghia si conosce il leone. 

Dell'albero non si giudica dalla scorza. 

Delle coae die tu vedi sbattine tre quarti ; e di quelle 
che tu senti sbattine più. 

Danari e aantitày metà della metà — e 

Denarij senno e fede, ce n' è manco l'uom crede —e 
Quattrini e fede, meno eh' un si crede. 

Di cose fuor di credenza non fare esperienza. 

Dietro il fumo vien la fiamma. 

Dimmi chi fosti e ti dirò chi sei. 

Dimmi chi sono e non mi dir chi ero. 

Gli uomini vanno veduti in pianelle e le donne in cuffia. 

Il buon dì si conosce da mattina. 

Dai loro principii si conoscono le cose; e suol dirsi an- 
co dei giovani che bene incominciano. 

H diavolo non istà sempre in un luogo — e 

Il diavolo non letica mai solo. 
Il fine dimostra la cosa. 
E mercante si conosce alla fiera — e 

Al toccar de' tasti si conosce il buon organista — ^ 

Al suono si conosce il campanello. 
Il panno al colore, il vino al sapore. 
Il veroaimìle è nemico del vero. 
I pazzi ai conoscono a' gesti — e 

Al bere e al camminare si conoscon le donne — ^ 

Al pisciar si conoscon le cavalle. 
Ija buccia ha da somigliare al legno. 
La vista non si misura con gli occhiali. 

Ma le virtù o le qualità d'un uomo vogliono essere gin* 
dicato a nudo, senza ammennicoli né rincalzi. (Giusti) 

la volpe si conosce alla coda — e 

La troppa coda ammazza la volpe — e 



i 



227 
La volpe ha paura della sua coda. 

Perchè la fa distinguere da lontano, e perchè rimane fa- 
cile alla tagliola. 

Le cattive nuove volano — e 
La mala nuova la porta il vento — e 
Lunga via, lunga bugia. 

Delle cose lontane non si può sapere il vero. 

Lo sbadiglio non vuol mentire, 
eh' egli ha sonno, o che vorrìa dormire, 
eh' egli ha qualcosa che non può dire. 

L'uomo si conosce in tre congiunture : alla collera, alla 
borsa ed al bicchiere. 

Neil' oscuro si vede meglio con uno che con due oc- 
chi — e 
Vede più un occhio solo, che cento uniti insieme. 

Non creder lode a chi suo cavai vende, né a chi dar 
moglie intende. 

Non dir quattro, finche non è nel sacco. 

Come origine del proverbio si narra il fatto di un frate 
mendicante che mentre sta vasi sulla via ad rispettare 
la carità, venne alla finestra una donna con d<H pani, 
a ricevere i quali il frate apri il suo sacco numerando 
ciascuno che vi cadea dentro. Al quarto ch'era per aria^ 
il frate, disse: e quattro. Ma il pane invece di cadere 
nel sacco gli battè sulla testa. 

Non si vende la pelle prima che s'ammazzi Torso, 

Non d'onde sei, ma d'onde pasci. 

Di dove trai il necessario per vivere. 1! proverbio è an- 
tico ma la domanda imbarazzerebbe molti anclie oggirij. 

Non giudicar la nave stando in terra. 
Non giudicar l'uomo nel vino, senza gustarne sera e 
mattina. 

Non giudicar le passioni se tu non le hai provate. 
Novelle di Banchi (o di mercato), promeese di fuoru- 
sciti, favole di commedianti. 

Banchi era la via più frequentata di Roma, ed il ritro- 
vo dei novellisti. 



1 



^ 



i 



228 

OgDi cosa che senti non è saono — ma 

La campana non suona se qualcosa non c'è. 

Se lìn rumore nasce, un qualche motivo ve n'è sempre. 
Ogni stadera ha il suo contrappeso. 
Pallidezza nel nocchiero, di burrasca segno vero. 
Quando Foste è sull'uscio 1' osteria è vuota. 
Quando passano i Canonici la processione è finita. 
Sacco legato fu mal giudicato. 

È risposta delle donne gravide a chi promette loro ma- 
schio o femmina. 

Sempre si dice più che non è. 

Tale è il fiore qual è il colore. 

Tre cose son facili a credere : uomo morto, donna gra- 
vida e nave rotta. 

Yal più un testimone di vista che mille d'udita — e 
Aver sentito dire è mezza bugia. 

L'ho sentito dire è la scusa dei maldicenti molte volte. 
Vedendo uno il conosci mezzo ; e sentendolo parlare 
U conosci tutto — e 
Apri bocca e fa' eh' io ti conosca — e 
Non ti maneggio se non ti pratico. 



REGOLE DEL TRATTARE E DEL CONVERSARE. 

Regole del trattare e del conversare : Norme più necessarie 
ed utili per sapersi governare nelle varie ì^elazioni che 
abbiamo cogli altri uomini, nel conchiudere con essi 
qualsivoglia negozio, o anco semplicemente, nel parlare 
con loro. 

A cavai donato non gli si guarda in bocca. 
Ambasciatore non porta pena. 



229 

A star troppo con la gente bc gli yiene a noia — e 

Si sta più amici a stare un po' lontani 
A tavola e a tavolino si conosce la gente. 

Cioè a desinare ed al gioco. 
Bisogna fare il muso secondo la luna. 

Cioè a seconda delle circostanze. 
Burlando si dice il vero — e 
Non v'è peggior burla che la vera. 

In burla diciamo cose che dette sul serio mà iarebbero 
tollerate. 

Cani e villani lascian sempre Fascio aperto* 

Per ischerzo s'aggiungeva : e nobili VenezianL la Fran- 
cia : e Italiani ; i quali vuol dire o che non hanno freddo 
che non si guardana (Giusti) 

Chi ben non usa cortesia la giiasta. 

Chi canta a tavola e a letto è matto perfetto > 

Chi dà spesa non dia disagio. 

Chi è convitato a casa altrui non si faccia asj)ettare. 

Chi dona il dono, il donator disprezza. 

Chi ha creanza se la passa bene, 

Chi non ne ha se la passa meglio. 
È uno scherzo. 
Chi non rispetta non è rispettato. 
Chi non si ricorda spesso discorda. 
Chi parla per udita aspetti la mentita. 
Chi scrive a chi non risponde o è matto o ha bisogno. 
Chi si scusa senz'essere accusato 

Fa chiaro il suo peccato. 
Chi sta discosto non vuol giostrare. 

Chi sta a sé non vuole troppa dimestichezza, perchè è ri- 
masto scottato. 

Chi sta in ascolteria sente cose che non vorria. 
Chi tace acconsente ; e chi non parla non dice niente- 
Chi va alle nozze e non è invitato, 



230 

Ben gli sta se n' è cacciato (o torna a casa sconso- 
lato). 
Dare che non dolga, dire che non dispiaccia — e 

Non dar che dolga, e non ischerzar sul vero. 
Dimmi quel ch'io non so e non quel ch'io so. 
Di quel che non ti cale non dir né ben né male. 
È meglio esser cortese morto che villan vivo. 
È più caro un no grazioso che un sì dispettoso. 
Gioco di manOj gioco di villano — e 

II giocar di mani dispiace fino a' cani — e 

Tasto di mano, sta' lontano. 
Guardati da chi ride e guarda in là. 

Ch'è atto di beffa — e 
Da quei tai che non ridon mai, 
Sta' lontan come da' guai. 
Guardati in tua vita di non dare a niun mentita — e 

La mentita non vuol rispetto. 
Il dire fa dire — e 
Una parola tira l'altra. 

Il discorrere fa discorrere : ma più sovente quest' ultimo 
suole accennare al provocarsi con lo scambio di paro- 
le che offendono, e nelle quali andando innanzi vien 
sempre fatto di rincarare. 

E domandare è lecito, il rispondere è cortesia — ma 

Cortesìa schietta, dimanda non aspetta. 
n tacere è rispondere a chi parla senza ragione — ma 

Molto vale e poco costa, 

A mal parlar buona risposta. 
In casa d'altri loda tutti 

Pino i figli cattivi o brutti, 

Fino al gatto che ti graflSgna, 

Pino al can che ti mordigna. 
In chiesa e in mercato ognuno è licenziato. 

S'arriva e si parte senza bisogno di salutare nessuno. Ed 
anche: 



231 
In chiesa ne in mercato non andar mai accompagnato. 

In chiesa per starci quanto ci pare, in mercato per com- 
prare a piacimento. 

I paragoni son tutti odiosi. 

La burla non è bella se la non è fatta a tempo — ma 

Burla con danno non finisce Tanno. 
La carta non doventa rossa. 

Negli affari scabrosi, quando la parola offende, scrivere è 
miglior partito. Anche si dice del chiedere, al clie uno 
s'arrischia meglio per lettera. 

La parola non è mal detta se non è mal presa. 
La ragione vuol l'esempio. 
L'aspettare rincresce — e 

Ogni ora par mill'anni a chi aspetta. 
Le buone parole ungono e le cattive pungono* 
Le lettere non ridono. 

Cioè, delle parole scritte si valuta più il peso che é1 
tono. 

Le licenze son cento e 1' ultima è Vaiti con Dio — e 
Si dà licenza in più modi. 

A disfarsi d' uno si hanno più modi : o spiattellargli la 
cosa chiara, o fargli brutto viso, o adoperarsi perch'e- 
gli'si disgusti di te. 

Lo sciocco parla col dito. 

Meglio è non dire che cominciare e non finire. 

Ne occhi in lettere, ne mani in tasca, ne orecchi in 
segreti d'altri. 

Ne in tavola né in letto si porta rispetto. 

Son bisogni della vita, non si fa complimenti. 

Non domandare all'oste se ha buon vino. 

Non metter bocca dove non ti tocca. 

Non nominare la fune in casa dell' impiccato — e pa- 
rimente : 
Rammentare il boia, rammenta la fune. 

Non rammentar la croce al diavolo. 



332 

D'ozi bì rammentano i morti a tavola. 

Ogni bel gioco dura un poco — e 
Scherzo lungo non fu mai buono. 

Ogni parola non vuol risposta — e 

Non bisogna ripescare tutte le secchie che cascano — e 
Non ai vuol pigliare tutte le mosche che volano. 

Contro coloro che fanno caso d'ogni minima contrarietà, 
d'ogni parola a traverso. 

Ogni vero non è ben detto. 

Onestà di bocca assai vale e poco costa — e 
Onor di bocca assai giova e poco costa — e 
A parole lorde, orecchie sorde — perchè 
Le parole disoneste vanno attorno come la peste. 

Onestà sta bene anche in chiasso. 

Parola di bocca e pietra gettata, 
Chi la rìcoglie perde la giornata. 

Parole di complimento non obbligano. 

Per un bel detto si perde un amico — e 
I bei detti piacciono, ma non chi gli dice. 

Intendi le spiEÌtosaggini, gli epigrammi, i motti che fon- 
no rìdere a spese altrui. Si dice anche: 

Meglio perder l'amico che un bel detto. 

Ma ^ la natura de'motti è cotale, scrive il Boccaccio, che 
essi come la pecora morde devono cosi mordere rudito- 
re e non come il cane: perciocché se come cane mor 
desse, il motto non sarebbe motto, ma villania. » 

Per un brutto viso, si perde una buona compagnia. 

Peu uno Bgarbo. 

Più vale r ultimo che il primo viso. 

Più conto si tiene del viso che ti fa 1' amico alla par- 
tita, che di quello che ti fa all' arrivo. 

Prima di domandare pensa alla risposta — e 
Chi domanda ciò che non dovrebbe, 
Ode quel che non vorrebbe. 



L. 



233 
Quel che tu vuoi dire in fine dillo da principio. 

A chi va troppo per le lunghe. 
Salutare è cortesia, rendere il saluto è obbligo. 
Sotto nome di baia cade un buon pensiero. 
Tanto è dir pietra in uscio come uscio in pietra. 
Una berretta manco o più e un quattrino di carta l'anno 
Poco ti costano e amici ti fanno. 

Salutare e scriver lettere mantengono quelle relazioni di 
urbanità che si chiamano amicizie. 

Una parola imbratta il foglio. 
Una cortesia è un fiore — e 

Cortesia di bocca, mano al cappello, 

Poco costa ed è buono e bello. 
Zucchero non guastò mai vivanda — e 

Zucchero e acqua rosa non guastò mai alcuna cosa. 

Accennano a quella dolcezza di modi la quale esprime 
bontà vera ; ma de' piaggiatori, degli sdolcinati, de'mel- 
liflui si dice al contrario : 

H troppo zucchero guasta le vivande — e 
Il troppo dolce stomaca. 



REGOLE VARIE PER LA CONDOTTA 
PRATICA DELLA VITA. 

Regole e Norme generali e più utili per sapersi governa- 
re nelle varie congiunture in cui ci possiamo piii fa- 
cilmente trovare. 

A barba folle rasoio molle. 

Barba folle, è barba debole, poco resistente. Con le per- 
sone mansuete non occorre far uso di grandi sforzi. 
Al contrario: 



\ 



A barba di pazzo rasoio ardito 




234 
A ciccia di lupo zanne di cane. 

Significano che a' temerari si deve mostrare i denti. E 
poco diversamente: 

A un pazzo un pazzo e mezzo — e 

A popolo pazzo prete spiritato — e 

A cavai che corre non abbisognano sproni — omero : 

A buon cavallo non occorre dirgli trotta — ma 

A cavallo mangiatore capestro corto. 
A cavallo, dinanzi ; ad archibuso, di dietro ; a tavola, 

a mezzo ; a quistione, lontano — e 

Dal bue, dinanzi ; dal mulo, di dietro; e dalla donna, 
da tutte le parti. 
Al fabbro non toccare, al manescalco non t'accostare, 

allo speziale non assaggiare. 
A chi ti può tòr tutto dagli quel che ti chiede. 

È proverbio da compromettere la pazienza dell' asino. 
A fare i poveri non si spende nulla. 

Chi non ha da spendere non corre pericoli. 
A gran sole grand' occhio — e 

A gran notte gran lanterna. 

Insegna che devonsi accomodar gli strumenti alla qualità 
delle cose. 

A incudine di ferro martello di piombo — e 

Chi mangia il ferro deve avere le budella di piombo. 

Chi vuol persuadere gli ostinati deve andare adagio. 

Alla pace si può sacrificar tutto. 

La pace è la maggiore passione dell'uomo, ma quanti sa- 
crifizi per ottenerla ! 

Al mal coperto rasoio aperto. 

Al male è bene stare in proda e al bene nel mezzo. 

Al ricco non promettere, al povero non gli mancare. 

A nemico che fugge ponte d'oro — e 

Non correr dietro a chi fugge. 

Attacca 1' asino a una buona caviglia — e 




■5^1? ■»;'« ' 



235 
Chi a buon albero s'appoggia, buon' ombra lo ri- 
cuopre. 

Giova la protezione dei potenti, ma sappi scegliere il 
protettore. Non insegna bene Taltro: 

Quando il sole ti splende non ti dei curar della lanap 

E neppure questo: 
Chi ha un buon Dio ha in tasca i Santi, 

Ad ogni modo: 
Abbi piuttosto il piccolo per amico che il grande 

per nemico — perchè 
Piuttosto un asino che porti che un cavallo che butti 

in terra — e 
E meglio il puntello della trave — e 
A muraglia cadente non s'appoggi chi è prudente — e 
A donne e a preti non gliene dare un tantino^ che 

e' se ne pigliano un tantone. 

Accenna ali* indiscretezza dei preti e delle donne. 

Armi e denari vogliono buone mani. 
A volte convien bere per non affogare — e comnneìmnte 
bere o affogare. 

Accettare il minor male per evitarne uno piii grosso. 

Bisogna darsi (o accomodarsi) ai tempi. 
Bisogna rispettare il cane del padrone. 

Cioè non offendere le affezioni degli altri. 
Chi cerca i fatti altrui poco si cura de' sui — o 
Chi cerca sapere quel che bolle nella pentola d'altri 

ha leccate le sue — e 
Pazzo è colui che bada a' fatti altrui ^ e 
Chi sta troppo in .sulle chiacchiere torna a casa pien 

di zacchere — e 
Chi s' impaccia de' fatti altrui di tre malanni gliene 
tocca dui. 
Chi discioglie la vela a piii d'un vento. 



.-'.sV'Si 



236 

Arriva spesso a porto di tormento — e poco diversa- 
mente : 

Chi due lepri caccia, l'una non piglia e l'altra la- 
scia — e 

Chi vuol essere in più luoghi non è in nessafio. 
Chi esce di commissione paga del suo. 

Cioè, chi oltrepassa il mandato, Finearìco ricevuto. 

Chi ha bisogno del fuoco paletta porti. 

Chi ha le corna in seno non se le metta in capo — o 

L'ingiuria non pubblicare che non vuoi vendicare. 
Chi non vuol l'osteria levi la frasca — o 

Chi non vuole la festa levi l'alloro. 
Chi per piacere a uno dispiace a un altro, perde cento 

per cento. 
Chi s'impaccia col vento si trova con le mani pien 

d'aria — e si dice: 

Pigliare il vento con le reti. 
Chi si ripara sotto la frasca ha (quella che piove e 

quella che casca. 
Chi sta in agio non cerchi disagio. 
Chi ti schifa sgrifa, chi ti abbraccia dislaccia. 

Sgrifare, fare il grifo, fare brutta faccia. (Giusti) 

Chi troppo s' impaccia non è senza taccia — e 

Chi cerca briga l'accatta — e 

Chi ha da perdere fugge le brighe — e 

Chi cerca rogna rogna trova — e 

A chi va cercando rogna non mancò mai da fare — 
e in modo più assoluto : 

Dove non s'appartiene, né male ne bene. 
Chi uccella a mosche morde l' aria. 
Chi un ne gastiga cento ne minaccia. 
Chi vince la persona guadagna la roba- 
Chi vuole aver bene un dì, faccia un buon pasto; cki 



237 
una settimana, ammazzi il porco ; chi uà raeae, pigli 
moglie ; chi tutta la vita, si faccia prete. 
Chi vuole aver sempre che fare, compri un oriuolo, pi- 
gli moglie, bastoni un frate. 

L'oriuolo facilmente si guaata, e chi irrita un frate si tira 
addosso una comunità. (Strozzi) 

Chi vuole della carne vada in beccheria. 

Chi vuole una cosa la cerchi dov' è. 
Chi vuol vita convien che cangi vita. 
Cinque dita in una mano alle volte fanno bene^ alle 

volte male. 
Col latino, con un ronzino e con un fiorino si gira il 
mondo. 

La lingua latina si fa intendere dappertutto. 
Con i fiori non si va al mulino. 

Questo è certo uno dei più bei proverbi che il senno dei 
nostri padri ci abbia tramandato. Non sì deve correr 
dietro alle vanità e alle frottole e trascurare T orna- 
mento di sode virtù e di virili propositi. Chi all'utile an- 
tepone il piacere e le fuggevoli alle durevoli cose non 
andrà al molino mai. 

Di promesse non godere, di minaccie non temere. 

Di' pur sempre mai di no, se non vuoi passar da bò. 

Dio ti guardi da furia di vento, da frate fuor di con- 
vento, da donna che parla latino, e da nobile pove- 
rino {omero e dagli uomini a capo chino) — e 
Di amico menzognero e di frate senza monastero non 
ti curare. 

Dio ti guardi da ricco impoverito e da un povero quan- 
do è arricchito. 

Domandando si va per tutto — e 
Domandando si va a Koma. 

Due gatti e un topo, due mogli in una casa, e due 
cani e un osso non vanno mai d'accordo. 

E buon donare la cosa che non si può vendere. 



L 



238 
È male giudicar V unghie a' gatti. 

Perchè ti graffiano se ti ci provi, 

È meglio ciga ciga, che miga miga. 

È meglio si che no — oppure : 

È meglio poco che nulla. 
È meglio perdere il dito che la mano — e 

È meglio perder la pelle ohe il vitello (o k sella 
che il cavallo). 
Fa più un cappellaccio, un pastranaccio, una scarpet- 
taccia, che un cappellinOj un pastraninOj una scar- 
pina. 
Guardati da medico ammalato, da matto attizzato, di 
uomo deliberato, da femmina disperata, da cane che 
non abbaia, da uomo che non parla, da chi sente 
due meBse la mattina, da giocar danari, da praticare 

con ladri, da osteria nuova, da p vecchia, da 

far quistione di notte, da opinione di giudici, da du- 
bitazione di medici, da recipe di speziali, da eccetere 
di notaj, da spacci d'usurai, da lacrime di moglie, 
da bugie di mercanti, da ladri di casa, da nimico 
vecchioj da serva ritornata, da furore di popolo, da 
cavai che scappucci (p inciampi) da odio di signori, 
da compagnia di traditori, da uomo giuocatore, da 
lite con tuo maggiore — e 

Da donna di bordello, da frate di mantello, da barcaiolo 
di traghetto, da prete da grossetto, da barbiere sa- 
lariato, da vescovo senza entrata, da Ostro e da Grar- 
bino, da donna vestita di berrettino, da bastonate 
d^orbo, da beccature di corbe e da gioco di tre dadi, 
Dio ci tenga liberati. 
Guardati da un nemico solo. 
Il carro non va con cinque rote. 

L' adoperare troppi mezzi o strumenti guasta le fac- 
cende. 



239 
In tempo di poponi non prestare il coltello. 

Non bisogna disfarsi d'una cosa quando è il momento di 
usarne. 

La botta che non chiese non ebbe coda — ^ 

Non e' è intoppo per avere più che chiedere e te- 
mere — e 

Chi vuole assai non domandi poco — e 
Chi vuole impetrare, la vergogna ha da levare — e 
Fra Modesto non fu mai priore. 

L'anima a Dio, il corpo alla terra, e la roba a chi si 
appartiene. 

La sferza al cavallo, la cavezza all' asino. 

Non si può adoperare con tutti i medesimi mezzi, o ma- 
niere eguali. 

La state innanzi e il verno di dietro. 

Detto per chi viaggia in carrozza; Testate dinanzi, per 
schivare la polvere; il verno di dietro, per vedere il 
fango, e scuoprire le fitte e i pericoli. (Giusti) 

Le disgrazie quando dormono non bisogna svegliarle. 
Lega l'asino dove vuole il padrone ; e se ai rompe il 

collo, suo danno. 
Le generalità confondono i negozi. 
Le siepi non hanno occhi, ma hanno orecchi. 

Quando alcuno è presso le siepi, deve guardare come 
parla, perchè può trovarsi dietro ad esse taluno die 
oda e non sia veduto. (Ser donati) — e 

Lo scorpione dorme sotto ogni lastra. 
Loda e conforta e non t'obbligare — e 

Loda, commenda, saluta, conforta, oflfera, proffera, 
ma non t'obbligare. 
Mal si contrasta con chi non ha da perdere. 
Meglio è scampa scampa, che tienlo tienlo. 
Meglio esser moro che noce. 

Meglio esser brucato che bacchiato. 



rBi-iì^-f '-•?-- 



240 

Misura il tempo farai buon guadagno. 

ì^k eayallo, né moglie, né vino, non li lodare a nes- 
suno. 

Porcile altri può sentirsi invogliato a farne esperì menta 

Né moglie^ né acqua, né sale, a chi non te ne chiede 
non gliene dare. 

Né per ogni male al medico, né per ogni lite all'M- 
voeata, né per ogni sete al boccale, 

Nessuno Tuole appiccare il sonaglio alla gatta, 

Non bisogna metter tanta carne al fuoco. 

Non bìaogua metter calcina senza quadrello* 

Non consumare i mezzi o le forze senza utilità, 
Tfon bisogna metter mai 1' esca (o la paglia) accanto ai 

fiioco — e 

Stoppa e fuoco non stan bene in un loco — e 

Le ortiche non fan buona salsa. 
Non stan bene due pie in una scarpa, 

Ne due amanti stan bene in un loco. 

Né la stoppa sta bene accanto al fuoco- 
Non bisogna mostrare i cenci al popolo. 

Procura che non si sappiano i fatti tuoi, che non ti 
veggano le tue magagne. 

Non eotri tra fuso e rocca chi non yuole esser filato. 

Di contese fra donne non t'irnpacclara 

Non dir quanto sai, non giudicar quanto Tedij e in 

pace viver ai. 
Non far ber V asino quando non ha sete. 
Non far ciò che tu puoi, non spender ciò che hai 

Non creder ciò che odi, non dir ciò che tu sai* 
Non mostrar mai il fondo della tua borea né del ino 

animo. 
Non si fa fascio d'ogni erba^ ma si ghirlanda d^ogni 

fiore, 

Non raccattare ogni cosa, iJia pigliare il fiore d*ogni cosa. 



241 

Non si può attendere alla casa e a' campi — e 

Non si può bere e zufolare — e 

Non si può tenere la farina in bocca e soffiare — e 

Non si può portar la croce e cantare (o suonar le 
campane) — e 

Non si può strigliare e tener la mula. 
Non si può dar soddisfazione o piacere a tutti — o 

Non si può fare a modo di tutti. 
Non si può entrare in Paradiso a dispetto de' Santi, 
Non si può raddirizzare le gambe ai cani. 
Non si può servire a due padroni. 
Ogni campo è strada. 
Ogni dato vuole il mandato. 
Ogni scusa è buona purché vaglia. 
Ognuno ha da pensare a casa sua — e 

Di quel che tu non dei mangiare lascialo pur cuo- 
cere. 

Non occuparti di ciò che non ti riguarda. 

Ovo d' un' ora, pane d' un giorno, vino d' un annoj pe- 
sce di dieci, donna di quindici e amico di trenta. 
Parla come il comuno^ ma tieni e odi com' uno. 

Saziarsi del segreto suo è da malvagi; nutrirsene, ma- 
turarlo, prima di metterlo in piazza è cosa da fortu 

Pelle che non vuoi vendere non la scorticare — e 
Chi non mi pettina non voglio che mi graffi ^ e 
Donde non mi vien caldo non voglio che mi venga 

nò anche freddo — e 
Il fuoco che non mi scalda non voglio che mi acotti. 

Per una pecora non si guasta la forma. 

Propriamente vale che la forma del cacio rìroaQe la 
stessa per una pecora di più o di meno; ma nel ilga- 
rato, che bisogna tirare innanzi benché uno manchi alla 
compagnia, o all'opera qualche mezzo. 

Piuttosto cappello in mano che mano alla borsa. 

16 



242 
Prega Dio di tre cose : di nascere in buona parte, di 

non cominciar trist' arte, di non prender ria moglie. 
Protestare e dare il capo (o del capo) nel muro lo 

può fare ognuno. . 

Protestare senza riparare a nulla conduce. 
Qual ballata, tal suonata. 

Yale ; dare secondo che si riceve. 
Qual bucOj tal cavicchio. 
Qual cervello, tal cappello — e 
Qual gamba, tale calza — e 
Qual piò, tale scarpa. 
Quando il gallo si mette le brache, tutte se le sporca. 

Forse è per coloro i quali escono o vogliono uscire dal 
loro mestiere, dalla loro professione. 

Quando il lupo ci vuol mangiare, aitiamci co' cani. 
Quando la ti dice buono al palèo, non giocare alla trot- 
tola. 

PaUo^ giuoco da fanciulli ; quando la ti va bene in un 
affare, non ti mettere a farne un altro. 

Quando non danno i campi non l'hanno i Santi. 

Lo dice il contadino nella scarsità di grasce per non pa- 
gare le tasse o la decima alla Chiesa. 

Quattro cose sono a buon mercato, terra, parole, acqua 

e profferte. 
Quattro madri buone fanno figliuoli cattivi: La Verità 

r OdiOj la Prosperità il Fasto, la Sicurtà il Pericola 

la Familiarità il Dispregio. 
Quel che ci va ci vuole. 

Non bisogna esser troppo avari di quello chs ci ynote ^ 
fare una cosa. 

Riguardati dai matti, dai briachi, dagl' ipocriti e dai 
minchioni. 



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3 



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243 

Senza l'occhiello non s'afl&bbia il bottone {oppure non 
si ferma il bottone). 

E mi par meglio, perchè affibbiare è una cosa^ abbotto- 
nare un'altra : non ti mettere ad operar so prima tu 
non abbi acconci i modi. (Giusti) 

Se tu hai meno il naso ponviti una mano. 

Cerca di ricuoprire i tuoi difetti. 
Se ti vergogni a dir di sì, crolla la testa e fa' così» 
Tant' è ficcare che mettere. 

Tante volte si tira al cane per fare insulto al padrone. 
Temi i vivi e rispetta i morti. 

Terren che voglia tempo e uom che voglia modo non 
te n' impacciare. 

Uom che voglia modo, uomo scabroso e col quale sia ne- 
cessario stere airerta. (Giusti) 

Tra V incudine e il martello man non metta chi ha 

cervello. 
Tre cose lascia da per se, l'occhio, la donna e la fé. 
Tre molti rovinan 1' uomo : 

Molto parlare e poco sapere, 

Molto spendere e poco avere, 

Molto presumere e poco valere. 
Tristo a quel barbiere che ha un sol pettine. 

Si debbono variare i consigli, come variano le neces- 
sità. 

Tristo a quel topo che ha un buco solo. 

Che ha un luogo solo dove ripararsi, un solo modo a 
provvedere. 

Tutte le grandi faccende si fanno di poca cosa. 

Quando è venuto il tempo loro, le cose grandi si tra va- 
no fatte come da sé; la mossa è un atto semplicissimo, 
ed alle volte colui stesso che Tha data poco se ne ac- 
corge. 

Tutte le strade conducono a Roma — ovvero 
Per più strade si va a Roma. 



244 

** Una HOC© in un sacco non fa rumore. 

Voce di uno, voce di gnuno. 

(Un diavolo scaccia l'altro. 
Si dice quando si cerca di riparare a un disordine con 
I un altro. 

' Il veleno ai spenge col veleno — e 

Chiodo leva chiodo. 
Un sì intriga^ un no distriga. 

Lo dicono le ragazze d'un partito poco buono. 

i Yivi e lascia vivere — ovvero 

I Bisogna vivere e lasciar vivere. 

FATTI E PAROLE. 

I Fatti : A zioni o buone o malvagie , utili o dannose. 

I Parole : Qui è un* antitesi a' fatti, e vale : disegni, pro- 

messe ^ quelli non eseguiti, queste non mantenute. 

Acquerello e parole se ne fa quant'un vuole. 
A dire si fa presto. 

Al mal fatto si rimedia, al mal detto no — e 
{ H mal detto non si cancella, il mal fatto sì. 

Altro è direj altro è fare — ed afiche: 

Dal detto al fatto e' è un gran tratto (ovvero e' è un 
bel tratto) 

Dal fare al dire c'è che ire; 

Il dire è una cosa, il fare è un'altra — e 

Fra dire e fare si consumano di molte scarpe* 
Ben dire vai molto, ben fare passa tutto. 
Can che abbaia poco morde — e 

Can che morde non abbaia. 
Can che abbaia non fa caccia (o non prese mai caccia)» 
Can da pagliaio abbaia e sta discosto — e 

Abbaio, abbaio j e dì vento empio lo staio. 



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2i5 

Chi le vuol fare non le dice — e 
Chi far di fatti vuole, suol far poche parole. 

Chi meglio parla peggio fa. 

Chi minaccia non vuol dare — e 
Chi lo dice non lo fa. 

Chi molto profferisce poco mantiene. 

Chi parla deve fare anche volentieri. 

Chi sa favellare impari a praticare. 
Praticare, qui sta per fare. 

Dalle grida ne scampa il lupo. 

Si dice di quelli che non hanno de' lor falli altra puni- 
zione che grida, delle quali e' si fanno belle, e ritor- 
nano di nuovo al male. (Giusti) 

Detto senza fatto ad ognun par misfatto. 

Di' di no, e fa' di sì. 

- Di' quel che vuoi, ma fa' quel che voglio. 

Dove bisognan fatti le parole non bastano — e 
Il bel del giuoco è far de' fatti e parlar poco — e 
Lingua cheta e fatti parlanti. 

Dove son donne e gatti son più parole che fatti. 

Gran vantatore, piccol facitore. 

I detti son nostri e i fatti son di Dio. 

II ventre non si sazia di parole. 

I maestri son quelli che fanno le cose bene. 

L' esempio ammaestra meglio delle parole. 

L' amore e la fede dall' opere si vede. 

Le parole son femmine e i fatti son maschi — e 

Parole non fanno fatti. 

Lunga lingua, corta mano. 

Chi fa molte parole riesce al fatto da nulla, non vale un 
fico: come dice un altro proverbio. 

Mano fredda e cuor sincero. 

Di chi promette poco e mantiene assai. 

Sol di parole amico non vale un iSco. 



246 



PARLARE, TACERE. 

Parlare : Far uso della parola senza rispetto al come ; 
sicché parlare può essere discorrere, favellare, ragio- 
nare òene o male^ con giustizia o senza. 

Tacere : E il contrario, e può anche questo esser buono o 
cattivo, giunto od ingiusto, vizio o virtii. 

A cattivo parlatore discreto ascoltatore. 

A chi parla poco basta la metà del cervello — ed anche 

Assai sa chi non sa, se tacer sa; 

Chi assai ciarla spesso falla; 

Chi non sa tacere non sa parlare ; 

Chi poco sa presto parla ; 

Il tacere adorna l' uomo ; 

la bocca chiusa non e' entra mosche ; 

Nessuno si pentì mai d' aver taciuto ; 

Parla poco e ascolta assai, e giammai non fallirai; 

Per la lingua si langue ; 

Siedi e taci, e avrai pace — e 

Troppo grattar cuoce e troppo parlar nuoce. 
A discorrer troppo si muore. 
Al canto V uccello, al parlare il cervello. 

Sottintendi si conosce. 
Allo Bchìamazzo del gallo si desta la volpe. 
Chi schiamazza dà armi all'astuto. 

Bel parlare non scortica ma sana — e 

lì bel parlare non scortica la lingua. 
Bisogna guardare non a quello che entra, ma a quello 

che egee. 

11 Vangelo dice : non contamina Tuomo ciò ch'egli mangia, 
ma ciò che viene dal suo cuore. 



247 

Capo senza lingua non vale una stringa. 

Chi a troppi parla a pochi dà consiglio. 

Chi dice quel che vuole, ode quel che non vorrebbe. 

Chi dice quel che sa e dà quel che ha non gli resta 

nulla — e 

Chi dice tutto e niente serba 
Può andar con V altre bestie a pascer 1' erba. 
Chi è segreto in ogni terra 

Mette la pace e leva la guerra. 
Chi ha difetto e non tace 

Ode sovente quel che gli dispiace. 
Chi ha lingua in bocca può andar per tutto. 

Chi sa parlare è bene, purché lo faccia con senno. 

Chi ha molte parole spesso si duole. 
Chi non parla Dio non 1' ode. 

Insegna che anche a Dio bisogna chiedere. Questo ed altri 
proverbi biasimano T eccesso del silenzio. 

Chi non sa tacere non sa godere — e 

Chi sempre tace brama la pace. 
Chi parla rado è tenuto a grado. 
Chi parla semina e chi tace raccoglie 
Chi parla troppo adagio, a chi V ascolta dà disagio. 
Chi scopre il segreto perde la fede. 
Chi sta col becco aperto ha V imbeccata di vento — e 

Chi troppo abbaia s' empie il corpo di vento — e 

Asino che ragghia mangia poco fieno. 
Chi vuol ben parlare ci deve ben pensare. 
Chi vuol esser discreto celi il suo segreto. 
Chi vuol far bene i suoi fatti 

Stia zitto e non gracchi. 
Di' air amico il tuo segreto, e' ti terrà il pie sul collo. 
Di crai in crai si pasce la cornacchia. 
Dolce parlare fa gentilezza. 
Dove è manco cuore ivi è più lingua. 



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I 



248 
È meglio mangiare quanto s'ha che dire quanto si sa. 

Mangiare per consumare ; s' intende della roba, degli 
averi. 

È meglio morire che ridire. 

Ridire vale riportare i fatti d'altri. 

È meglio sdrucciolar co' piedi che colla lingua. 

Gli uomini si legano per la lingua e i buoi per le corna. 

Il gallo prima di cantare batte V ali tre volte. 

Dicesi a chi apre bocca e lascia andar parole senza pen- 
sarci. 

Il male che non ha riparo è bene tenerlo nascosto. 
II poco mangiare e poco parlare non fece mai male — e 

Poche parole e caldo di panni non fecero mai danno. 
Il tacere non fu mai scritto — ovvero 

Un bel tacer non fu mai scritto. 
In bocca chiusa non cade pere — e in senso contraria 

dicesi : 

In bocca chiusa non c'entra mosche. 
I eaggi hanno la bocca nel cuore e i matti il cuore 

in bocca. 
I segreti più importanti non son pasto da ignoranti. 
La cicala canta canta che poi schianta. 
La lingua è la peggior carne del mondo. 

E ih detto anche la lingua essere la migliore e la peg- 
gior parte deir animale. 

La lingua sta bene dentro i denti. 

La pecora per far bè perde il boccone. 

La peggior rota è quella che cigola. 

Le chiacchiere non fanno farina. 

Le ciancio riescon lancio. 

Le parole piglian poco posto — e 
Le parole non fanno lividi — e 
Le parole non pagan dazio — ed anche : 




249 
La bocca non paga gabella. 

Questi usa chi ha voglia di discorrere a ogni modo. Ma 
chi è seccato dei discorsi suol dire in via di lamento^ 

Se si pagasse dazio di parole e' se n' avrebbe meno 
e manco. 
Lingua bordella per sette favella. 

Bordello in adiettivo non è usato: ma far bordello eì 
dice per far chiasso, rumore. (Giusti) 

Non ricever la rondine sotto il tetto. 

Contro i troppo ciarlieri. 

Non tagliarti la gola con la tua lingua. 
Ogni tua guisa non sappia la tua camicia. 
Parola detta e sasso tirato non fu più suo. 
Parole fan mercato, e danari pagano. 
Per tacere si muore. 
Quando non dice niente, 

Non è dal savio il pazzo differente — e 

Ogni pazzo è savio quando tace. 
Segreto confidato non è più segreto — e 

Servo d' altri si fa 

Chi dice il suo segreto a chi noi sa — e 

Segreto di due, segreto di Dio; segreto dì tre, se- 
greto d' ognuno — e 

Quel che tre sanno tutti sanno. 
Sentire e non ridire è buon servire — e 

Udente e non dicente non è mancante. 
Si dura più fatica a tacere che a parlare. 
Uccello che non canta non dà augurio. 

Uomo che non si spiega non dà augurio buono rii sé. 

Una testa savia ha la bocca chiusa. 



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250 



FIDUCIA, DIFFIDENZA. 

Fiducia : /-; r atto del credere o dell* affidare sé e i pro- 
pina negozi a persona stimata, leale ed integra, e che 
si dice: persona degna dì lidacia. È comune alle cose 
tanto commerciali, quanto alle morali. È, poi, certa 
speranza di venire a fine della cosa incominciata. 

Diffidenza : Il timore d* essere ingannato da persona che 
ìmie non si conosce, 

A clii crede Dio provvede. 

A creder al compagno vai bel bello. 

Ascolta tutti, parla franco, 

Credi a pochi, a te poi manco. 
Chi cammina a buona fede i pidocchi se lo mangiano. 
Chi d' altri è sospettoso è di se mal mendoso — e 

Chi è in sospetto è in difetto — e 

Sospetto e difetto comprarono la casa insieme. 
Chi non sa mentire crede che tutti dicano il vero. 
Chi pia guarda meno vede. 
Chi si dà in man del ladro bisogna che se ne fidi a 

suo dispetto. 
Chi 9i fida è l' ingannato {ovvero rimane ingannato). 
Chi tosto crede tardi si pente — e 

Chi to^to crede ha V ale di farfalla. 
Chi troppo si fida spesso grida. 

Un'antica Sentenza insegna che la forza e il fondamento 
della sapienza stanno nel fidarsi con molto riserbo. 

Chi vuol esser discreto conosca bene altrui. 
Con gli scredenti si guadagna — e 

11 rubare è con gli scredenti — e 

Consiglio scappato consiglio trovato. 

Chi agli amici non crede gliene incontra male, ed altri 
poi s'approfitta del consiglio rigettato. 



251 

Con ognun fa patto, coli' amico fanne quattro — 

Conti spessi, amicizia lunga — e 

Amici cari, patti chiari e borsa del pari. 
Da chi mi fido mi guardi Dio, da chi non mi fido 

mi guarderò io — e 

Dagli amici mi guardi Dìo, che dai nemici mi guar- 
derò io. 
Di chi non si fida non ti fidare — perchè 

Gli uomini sfiduciati non furono mai buoni, 

Sfidiudati, diffidenti — e 

A chi non crede non prestar fede. 

Di pochi fidati, ma da tutti guardati. 

Dove son molte mani, chiudi. 

Fidarsi è bene, non si fidare è meglio — Oiyvero 
Fidati era un buon uomo, Non ti fidare era meglio — 

ed anche 
Fidati e Nontifidare eran fratelli — e 
Fidati più de' poveri poveretti che dei signori. 

Gabbato è sempre quel che più si fida. 

Gli uomini non si conóscono alla prima. 

n credere e il bevere inganna le donne e i cani. 

Il cuore non si vede. 

In terra di ladri la valigia dinanzi. 

La fede degli uomini, il sogno e il vento son cose fal- 
laci. 

Matta è quella pecora che si confessa al lupo. 

Molti hanno insegnato a ingannare temendo d'essere 
ingannati. 

Non dir le cose tue 
Né ad uom senza barba, né a donna senza petto. 

Non si crede al santo finche non ha fatto il mira- 
colo. 

Non ti fidare se puoi farne a meno o (se puoi far di 
meno). 



252 
Farla all'amico come se avesBe a diventar nemieo. 

Ma sii prudente, perchè 

Il nemico pensa che può diventarti amico. 
Penaa ben per non peccare ^ 

Pensa mal per non sbagliare. 
Per amistà conservare, muri bisogaa piantare. 
Prima di conoscere uno bisogna conaumare un mog- 
gio di sale. 

E di uomo cupo, il quale non lasci ben conoecere di qual 
natura si sia, suol dirsi: 

Bisogna star con lui un verno e un'està chi vuol 
saper di quel eh' e' sa. 
Quanto più si vede e meno ai crede — ovv&ro 
Com'più si vede manco si crede — e 
Quel che vedi poco credi; quel che senti non cre- 
der niente — perchè 
Ìj esperienza genera sospetto — e 
Chi più sa meno crede. 
Quel che 1' occhio non vede il cuor non crede. 
Se tu hai caro il ben che godi guarda con chi Io 
lodi. 

Che ne farai venir troppa voglia. 

Tra gente sospettosa conversare h mala cosa — e 
Guardati da can rabbioso e da 'uomo sospettoso» 
Trist' e guai, chi crede troppo e chi non crede mai. 

Questo ed altri avvertono che nel credere V uomo deve 
guardarsi dal troppo e dal poco, perchè la troppa con- 
fidenza lo fa incauto e il troppo diffidare lo rende in- 
soffribile. 

TJacio aperto guarda casa, 

Val più un pegno nella cassa che fidanza nella 
piazza. 



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253 



FORTUNA. 

Fortuna : Essere immaginario al quale il volgo attribui- 
sce gli effetti e gli avvenimenti improvvisi, inaspetta- 
ti, contrarii ancora all'aspettazione e senza cagione 
manifesta. — Si prende anche per avvenimento t/uo- 
no e felice, e anche per averi e ricchezze. 



A buona seconda (o alla china) ogni santo aiuta — e 
Ognuno sa navigare col buon vento — e 
Al buon tempo ognun sa ire. 

A chi è disgraziato gli tempesta nel forno. 

Gli vengono addosso le disgrazie più incredibili. 

A chi la va destra par savio — e 

Chi ha ventura poco senno gli basta. 
A chi sorte, a chi sporte. 

Alla fortuna bisogna lasciar sempre una finestra aperta. 
Assai ben balla a chi fortuna suona. 
Beni dì fortuna passano come la luna. 
Chi comincia a aver buon tempo l'ha per tutta la 

vita. 
Chi confessa la sorte nega Dio. 

I piti dei sapienti e molti dettati di ogni paese insegna- 
no che la povertà e gli altri mali della vita non ven- 
dono dalla cieca fortuna ma dalla debolezza, dall' iner- 
zia, dalla follia; e che i beni quasi sempre sono tigli 
dell'ingegno, del senno, del buon governo e deir opera 
nostra. Quindi abbiamo: 

Chi non è savio, paziente e forte 

Si lamenti di sé, non della sorte ; 
La sorte è come uno se la fa ; 
Quando Dio ci dà la farina il diavolo ci toglie il 

sacco — e 



254 
La fortuna, il fato e il destino non vagliono un 
quattrino. 

E un proverbio chinese dice : € La mala ventura non en- 
tra che per la porta che da noi le si apre. » 

Chi è disgraziato non vada al mercato — e 
Chi è sfortunato non vada alla guerra. 

Si dice d'ogni cosa che abbia difficoltà e pericoli. 
Chi è felice, chi sa se è buono ? 
Chi è nato di carnevale non ha paura dei brutti mu8Ì. 
Ohi ha a morir di ghiandosa (peste) non gli vale far 

caBotti in campagna. 
Chi ha ad aver bene dormendo gli viene. 
Chi ha a rompere il collo trova la strada al buio — e 

Quando s'ha a rompere il collo si trova la scala. 

Chi ha da morir di forca può ballar sul fiume. 

Non affoga, perchè gli è destinata un'altra morte. 

Chi ha delle pecore può far del latte. 

Chi ha molti beni di fortuna può facilmente fare ciò che 
gli piace. 

Chi ha ventura e chi ha ventraccio. 
Ci vuole un' oncia di fortuna e un diavol che porti. 
Come la fortuna toglie così dà. 
Contro sorte avversa ogni buon carrettier versa. 
Dove la fortuna giuoca più che il senno la gente vi 
corre. 

Il giuoco del lotto informi. 
È meglio nascer senza naso che senza fortuna. 
Finche tu hai la detta, sappila conoscere. 

Detta, sorte, e propriamente buona fortuna nel gioco. 
(Giiùsti) 

Fortuna cieca i suoi accieca. 

Fortuna e dormi. 

Gli uomini son la palla della fortuna. 



255 
Il diavolo caca sempre sul monte grosso. 

Dov* è gran cumulo di danaro il diavolo ha cura di man- 
darne sempre. 

La fortuna aiuta i matti e i fanciulli. 
La fortuna è vaga de' bei tiri. 

La fortuna è una vacca, a chi mostra il davanti^ e a chi 
il di dietro. 

La vacca quando non vuol lasciarsi m ugnare mostra la corna. 

La fortuna vien tre volte (e non più). 

Bisogna coglierla e usarla. Sancio Pausa aveva sentito 
dire dal suo nonno che chi non sa servirsi della for- 
tuna quando viene, non deve lamentarsi quando ella 
va via. 

La rota della fortuna non è sempre una. 

La sorte non sa sedere. 

Le cose vanno a chi non sa apprezzarle. 

L'uomo ordisce e la fortuna tesse. 

Non comincia fortuna mai per poco, 
Quando un mortai si piglia a scherno e gioco. 

Non vale levarsi a buon' ora, bisogna aver ventura. 

Non vai sapere a chi fortuna ha centra. 

Quando fortuna dona all' uom ricetto 
Gli dà favore e aiuto a suo dispetto. 

Quando la palla balza ciascun sa darle — e 
Quando cadono i maccheroni in bocca tutti sanno 
mangiare. 

Quando uno ha disgrazia gli va sul cotto V acqua bol- 
lita — e 
Chi è nato disgraziato anche le pecore lo mordono, 

E chi è nato sfortunato suol dire : 
Se fossi cappellaro gli uomini nascerebbero senza 
capo. 

Quel che vien di salti va via di balzi. 

Tutto è bene che riesce bene. 

Val più un' oncia di sorte che cento libbre di sapere. 



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256 
Yentura vieni e dura. 
Virtù e fortuna non istanno di casa assieme. 



GIUOCO. 

Giuoco : Tutto ciò che si fa per divertirsi, ^ anche per 
sete di giLoctagno, gareggiando in cose dove operi 
V ingegno, la destrezza o la sorte. 

Al giuoco si conosce il galantuomo — e 

Il tavolino è la pietra di paragone. 
Al balordo mutali giuoco. 

Perchè l'antico ha imparato a mente, ma il nuovo non 
indovina. 

Assai vince chi non gioca. 

Carta che venga, giocator si vanti — perchè 

Ognun sa giocare quando la gli dice bene. 
Carta para, tienla cara. 
Chi dal Lotto spera soccorso mette il pelo come un 

oreo — e 

Chi gioca al Lotto è un gran merlotto — e 

Chi gioca al Lotto in rovina va di botto ; 

Chi dà vantaggio perde. 

Dare vantaggio nel gioco, o dare dei punti e simili, vale 
lar giocare V avversario a migliori condizioni, e trat- 
tandolo come da meno rendergli più facile la vincita. 
(Giusti) 

Chi è più vicino al sussi (o al lecoro) fa sei. 

Sitasi (o lecoro secondo i giuochi e secondo i luoghi), la 
carta o segno qualunque dove si raccolgono tutti i de- 
nari che formano il banco. (Giusti) 

Chi gioca a primiera e non va a primiera, perde a 

primiera. 

Andare a primiera è tenersi in mano quelle carte che 
poi conducono a far primiera — e 



25T 
A primiera i due assi menano a spasso. 

Fanno perdere. 

Chi gioca per bisogno perde per necessità. 
Chi gioca non dorme. 

per non essere ingannato, o perchè perde la tranquil- 
lità e il riposo. 

Chi ha buono in mano non rimescoli (le carte) 
Vale anche che chi sta bene non cerchi altro. 

Chi ha fortuna in amor non giochi a carte. 
Perchè l'innamorato è disattento, distratto. 

Chi non può dare alla palla, sconci. 

Cerchi mandare all'aria il gioco. Così dei negozi (iuando 
non possono riuscire a bene — e 

Chi non può giocare metta al punto. 
Chi non vuol perdere non giochi. 
Chi perde giocherà, se V altro vuole. 
Nella speranza di vincere. 

Chi presta sul gioco piscia sul fuoco. 

Chi sa il gioco non V insegni. 

Chi si vuol riaver non giochi più — e 

Egli è molto da pregiare chi ha perduto e lascia 
andare. 
Chi va al gioco perde il loco. 
Chi vince da prima male indovina (o perde da aez- 

zo) — e 

Chi vince da sozzo empie il sacchetto — e 

Chi vince la prima perde il sacco e la farina — e 

Chi vince poi perde il sacco e i buoi. 
Chi vince non dileggi, e chi perde non s' adiri. 
Denari di gioco, oggi te li do domani te li tolgo. 
Giocare e perdere lo sanno tutti. 
H gioco è guerra. 

17 



I 



258 
Il gioco ha il diavol nel coro — e 

Dove 8Ì gioca il diavolo vi si trastulla. 
j II perdere fa Riattivo sangue — e 

Il gioco vien dall' ira, uno paga e 1' altro tira. 
I Non bisogna giocare con chi propone i giochi. 

Perchè ne sa troppa. 

Non si deve far torto al gioco. 

Non ti mettere a giocare se non vuoi pericolare — e 

Il gioco risica la vita e rosica la roba. 
Quando è perduto il re è finito il gioco. 
Tolto dagli scacchi. 

Si gioca per vincere — e 

Non sì può vincer sempre. 
31 perde molto per essere stolto. 
Terno, il duol dell' inferno. 

Perchè quello non viene mai, e questo è eterno. 

Che tu possa vincere un ambo al lotto ! 

È imprecazione, perchè chi ha vinto un ambo seguita a 
giocare e si rovina. 11 vero giuoco che dà vincite prò- 
tìeud è insegnato da quest' altro : 

Ambo lavorar, terno seguitar, 
Quaderna e cinquina 
Lavorar dalla sera alla mattina. 
Lavorare, lavorare e lavorare. 

GIORNO, NOTTE. 

Chi fa di notte si dipar di giorno — e 
Opra di notte vergogna di giorno — e 
Lavoro fatto di notte non vai tre pere cotte. 




I due primi dicono le donne più specialmente dei cncltii 
d'altro lavoro fatto a veglia, che non riesce mai 
bene, e le magagne si veggono poi di giorno. (Giusti 



259 

Di giorno tingi e di notte fingi. 

La mattina è la madre de' mestieri e la notte de' pen- 
sieri. 

La notte assottiglia il pensiero — e 
La notte è madre de^ consigli. 

La notte è fatta per gli allocchi — e 
All'ave Maria, o a casa o per la via — e 
Tra vespro e nona non è fuor persona buona — e 
Cani, lupi e bòtte vanno fuori di notte — e 

Da nona alla campana esce fuora la 

Chi va di notte ha delle bótte o (va alla morÈe) — e 
Sta' sul fuoco quando è sera a grattar la sonagliera^ 
se aver vuoi la pelle intera. 

Le ore della mattina hanno 1' oro in bocca. 

Né donna né tela non guardare al lume di candela — 

Al lume di lucerna ogni rustica par bella — t dicesi 

anche: 
Alla candela la capra par donzella — e 
Ogni cuffia per la notte è buona — e 
* Al baio la villana è bella quanto la dama — e 
Al buio tutte le gatte son bigie. 

Lo dicono le donne quando la sera escono vestita alla 
buona. 

Parole da sera il vento se le mena. 

Le chiacchiere delle conversazioni non portano a conse- 
guenze. 

Quando vìen la sera la vecchia si dispera. 

Il cadere della sera accresce malinconia : la tristez^ di- 
venta disperazione, massime nelle donne vecchie e prive 
di conforti e di passatempi. 

Vegliare alla luna e dormire al sole non fa né prò né 
onore. 



260 



GIOVENTÙ, VECCHIEZZA. 

Oioventù : Propriamente é gialla parte della vita tra 
V adolescenza e l'età virile. Ma qui è in un senso 
alquanto più lato, ed è pure adoprato a significare 
i giovani in generale. 

Vecchiezza : Propriamente è V età dell* uomo tra la viri- 
lità e la decrepitezza ; ma anche questa parola è 
usata qui in senso più, lato, e per dinotare i vecchi 
in generale. 

A cane che invecchia la volpe gli piscia addosso. 

Al gran vivere la morte è beneficio. 

Al vecchio non manca mai da raccontare né al sole né 

al focolare — e 

Il vecchio ha V almanacco in corpo. 

Amicizia e nimistà non sta ferma in verde età. 

Angelo nella giovanezza, diavolo nella vecchiezza. 

A testa bianca spesso cervello manca. 

Beata chi di vecchio pazzo s' innamora. 

Bue fiacco stampa più forte il pie in terra. 

I vecchi, quando non è per dissennata ostinazione, sono 
più saldi e più fermi e costanti nelle rìsolazioni. 

Chi barba non ha e barba tocca, 

Si merita uno schiaffo nella bocca. 

Allude al rispetto dovuto a chi è maggiore d' età. 
Chi dà una giovane per moglie a un vecchio, gli dà la 

culla per dote. 
Chi ha cinquanta carnevali si può metter gli stivali. 
Cioè mettersi in ordine per l'ultimo viaggio — e 

Dai sessanta in su non si contan più. 
Chi mangia la midolla con i denti mangia la crosta con 

le gengive. 

Usasi per dire che chi ha fuggito la Éitica da giovane 
stenta da vecchio. 



261 
Chi non £ei le pazzie in gioventù le Iq. U vecchiaia — e 
Chi non s' innamora da giovane s^ innamora da vec- 
chio. » 
Chi più vive più muore. 

Un poeta ha scritto: € si muore un pò* per giorno. » 

Chi ride in gioventù piange in vecchiaia. 

Ciò che la vecchiezza guasta non c'è maestra che la 

raccomodi. 
Consiglio di vecchio e aiuto di giovane. 
Credi agli anni. 
Dal vitello si conosce il bue. 
De' giovani ne muor qualcuno, de' vecchi non ne campa 

ninno. 
Da novello tutto è bello; da stagione tutto è buono. 
Di puledro scabbioso alle volte hai cavallo pressìoso. 

Dicesi di quelli che da giovani fanno delle scappate e poi 
riescono galantuomini. 

È gran saviezza risparmiar la vecchiezza. 

E più facile arrovesciare un pozzo che riformare un 

vecchio. 
Gastiga il cane, gastiga il lupo, non gastigare 1' nomo 

canuto — 

Gastiga il cane e il lupo, ma non il pel canuto. 
Giovane assestato roba porta. 
Giovane chi è sano. 

Giovane invidiato, o virtuoso o innamorato. 
Giovane ozioso, vecchio bisognoso — e 

Giovane senza esercizio ne va sempre in precipi- 
zio — e 

Chi non fa bene in gioventù stenta in vecchiaia* 
Gioventù in olio, vecchiezza in duolo — e 

In gioventù sfrenato, in vecchiezza abbandonato — e 

Gioventù disordinata fa vecchiezza tribolata — e 

Bravure da giovani, doglie da vecchi. 



i 



262 
Gli uomiai hanno gli anni eh' e' sentono e le donne quel- 
li che mostrano. 
Guardisi d'invecchiare chi non vuol tornar fanciullo — e 

I vecchi e i briachi sono due volte fanciulli, 

I capelli grigi sono i fiori dell'albero della morte. 

I diciott'anni non sono mai stati brutti. 
TI diavolo è cattivo perchè è vecchio. 

V esperienza, il tempo, crescono la malizia. 

II mal de' cent' anni vien troppo presto — e 

II vecchio che si cura cent'anni dura. 

Il peso degli anni è il maggior peso che l'uomo possa 

portare — e 

Chi è vecchio e d' esser non lo crede al saltar della 
fossa e' se n' avvede. 
Il vecchio rimbambisce e il giovane impazzisce. 
In gioventù bisogna acquistare 

Quel che in vecchiezza ti può giovare. 
I poliedri non abboccan la briglia. 
I vecchi son lepri, dormono con gli occhi aperti. 
La gioventù è il pregio dell' asino. 
La gioventù è una bellezza da sé. 
La malizia viene avanti gli anni. 
La morte non guarda solamente al libro de' vecchi — e 

Coai presto muoion le pecore giovani come le vec- 
chie — e 

Non ha più carta 1' agnello che la pecora. 

Non ha maggior sicurezza della vita il giovane che il vec- 
chio : per carta s' intende scritta, obbligo, promessa. E 

Al macello va più capretti giovani che vecchi. 
L'arcolaio quanto più è vecchio e meglio gira. 
Quando il pagliajo vecchio piglia fuoco si spenge male. 

Le mattìe de' vecchi sono più vistose di quelle de' gio- 
vani. 

La sapienza non sta nella barba — e 



263 
I peli non pensano. 

La vecchiaia viene con tutti i malanni — e 
Chi ha degli anni ha de' malanni — e 
Con gli anni vengon gli affanni. 

La vecchiezza è un male desiderato da tutti : la gioven- 
tu un bene non conosciuto da nessuno. 

La vecchiezza è da ognuno desiderata ; quando s' acqui- 
sta viene odiata. 

La vergogna in un giovane è buon segno. 

Le cane son vane, e le rappe son certane. 

La canutezza non è sicuro indizio della vecchiaia, ma le 
grinze o crespe o pie d' uccellino sono più certe. Rap- 
pe y le screpolature della pelle; pe' medici, ragadi. Cano 
per canuto è della lingua più antica, e quindi piti pros- 
sima al latino. (Giusti) — Dicesi anche: 

Barba canuta non è creduta, s' egli è rapa e' dice la veri- 
tà — perchè: 
I capelli bianchi son testimonj falsi. 

Le marmeggie (i vermi) stanno sempre nella carne secca. 

I vecchi hanno sempre qualche malanno, qualche inco- 
modo. 

Le poma ai putti e il libro ai vecchi. 

Le ricchezze in mano d' un giovane sono come raaojo 
in mano di un bambino. 

Lo impacciarsi con bestie giovani è sempre bene. 

Maledetto il giovane di cento anni, e benedetto il vec- 
chio di venti. 

II vecchio che air esperienza degli anni aggiunga la gio- 
ventù degli affetti. Ma 

Ragazzi savi e vecchi matti non furon mai buoni a 
nulla. 
Nella vecchiaia la vita pesa e la morte spaventa. 
Nessun vecchio Spaventa Dio. 

Che lo sa trovare. 



Bék,.^.... 



264 
Non c'è cosa peggiore 

Che in vecchie membra il pizzicor d' amore. 
Non c^ è il peggior frutto di queUo che non matura mal 
Non tutte Tetà son buone per un esercizio. 
Non v' è giovane che non sia bella, ne vecchia che 

non sia brutta. 
Ogni poliedro vuol rompere la sua cavezza. 

La gioventù ne vuol &r sempre qualcuna delle sue. 

Ognuno ha la sua vecchiezza che si prepara. 

Panno vecchio presto schiantato. 

Più che vecchi non si campa. 

Quando ì vecchi pigliano moglie, le campane suonano 

a morto. 
Quando il capello tira al bianchine lascia la donna e 

tìeuti ai vino — e 

Quando V uomo n' ha cinquanta 

Bisogna che salvi la midolla (o il sugo) per la pianta. 
Quanto più l'uccello è vecchio tanto più malvolentieri 

lascia le piume. 

Qui lasciar le piume può significare, o dipartirsi dalla 
vita, più strettamente, alleggerirsi di panni. Ed è 
vero in&tti che i vecchi sono contrari ^sai più dei gio- 
vani e a morire e a lasciare il mantello. E può anche 
significare che il vecchio più malvolentieri s'alza dal 
letto. (Giusti) 

Quanto più s' invecchia e più cresce la soma. 

n peso dei mali, o degli errori, dei vizi, delle colpe. 

Quel eh' è permesso in gioventù non è permesso in 

vecchiaia. 
Se il giovane sapesse e se il vecchio potesse, e' non 

e' è cosa che non si facesse. 
Be non vuoi viver vecchio appiccati giovane. 
Sì muore giovani per disgrazia e vecqjii per dovere. 
Tutto cala in vecchiezza, fuorché avarizia, prudenza e 

saviezza. 



265 
Un asin di yent' anni è più yecchio d' un uomo di aea- 

santa. 

Lo dicono 1 vecchi ai giovani millantatori. 
Vecchio che non indovina non vale una sardina. 
Vecchio è chi muore — e 

Il morire è il pane de' vecchi. 
Vecchio in amore, inverno in fiore — e 

Vorrebbe il vecchio ringiovanire, 

Ma ciò che gli riesce è il rimbambire. 

GIUSTIZIA, LITI. 

Giustizia : È virtù morale per la qicale si rende a ciascu- 
no il suo. Si prende qui anche per V amministraj^e 
giuridicamente o applicare dai magistrati le leggi e 
le loro sanzioni alle azioni ed obbligazioni dei cit- 
tadini. 

Lite : Piato dinanzi ai tribunali^ da' quali si reclama la 
giustizia contro chi abbia violato qualche ttostro di* 
ritto. 

Alla porta dell'avvocato non ci vuol martello. 

Dev' essere sempre aperta. 
Al litigante si voglion tre cose : aver ragione, saperla 

dire e trovar chi la faccia. 
Chi a piati s' avvicina a miseria s' incammina. 

Le liti impoveriscono. 

Chi compra il magistrato vende la giustizia. 

Chi è in teputa Iddio 1' aiuta. 

Cioè, in possesso : ed il concetto medesimo si suole espri- 
mere in quest'altro modo: 

A cacciare un morto ce ne vuol quattro ; a cacciare 

un vivo ce ne voglion ventiquattro. 

Altri dichiarano il concetto in questo modo ; 
A cavar di casa un morto ce ne vuol quattro dei vivi. 



^.' 'IWtip ' 



266 
Chi fugge il giudizio si perde — e 

Chi non compare si perde. 
Chi ha la sentenza contro e se n' appella, 

A casa porta due triste norelle. 

Quella cioè di aver perso la lite e quella d' essersi impe- 
lagato nel mare dei tribunali. 

Chi ha ragione teme, chi ha torto spera. 

Chi negozia con scrittore e con notare litiga di raro. 

Chi mette in carta ogni cosa e procede legalmente. 
Chi perde a ragione non perde nulla. 

Cioè, chi perde giustamente, avendo già il torto. 

Chi si giustifica dalla legge cade dalla grazia. 
Chi troppo prova nulla prova. 
Colle mani in mano non si va da' dottori. 
Con le leggi si fa torto alle leggi. 
Con ragione patisce chi senza ragione piatisce. 
Da giudice che pende giustizia invan s' attende. 
Di tre cose il diavolo si fa insalata, di lingua d'avvo- 
cati, di dita di notaj, e la terza è riservata. 
È meglio esser martire che confessore. 

Meglio, per coloro che sono in forza della giustizia 'patire 
i tormenti, che confessare i delitti commessi. (Sei'dfì- 
nati) 

È meglio una mano dal giudice 
Che un abbraccio dall' avvocato. 

Perchè l'avvocato ti dà ragione sempre. 
Finché la pende, la rende. 

Finché la lite pende porta guadagno a procuratori, av- 
vocati e notai. 

Gran giustizia, grande offesa. 

È detto vero e antichissimo. 

Il buon giudice, spesso udienza, raro credenza — e 

Il buon giudice tosto intende e tardi giudica. 



267 
Il litigare è uno smagralitigatori e ingrassavvocati — e 
La penna dell' avvocato è un coltello di vendem- 
mia — e 
Piatire e litigare all' avvocato è un vendemmiare. 
I patti rompon le leggi. 
La giustizia è fatta come il naso, che dove tu lo tiri 

viene. 
La giustìzia catalana 
Mangia la pecora e la lana. 

Proverbio nato nei tempi della dominazione spagnuola. 
La legge effetto, e la grazia affetto vuole. 
La limosina si fa colla borsa e non col bossolo. 

Vale che per compassione non si dee offendere la giusti- 
zia in favor de' poveri. Il bossolo è 1* urna che va at- 
torno per i partiti. (Giusti) 

La lite vuol tre cose, pie leggiero, poche parole e boraa 
aperta. 

La propria roba si può prendere dove si trova. 

La veste de' dottori è foderata dell' ostinazione de* clien- 
ti — e 
GHi sciocchi e gli ostinati fanno ricchi i laureati. 

L'inferno e i tribunali son sempre aperti. 

Lite intrigata, mezza guadagnata. 

Meglio assolvere un peccatore che dannare un giusto. 

Vero dei giudizi degli uomini quanto delle sentenze dei 
tribunali. 

Meglio la corte che la croce.- 

Meglio un magro accordo che una grassa sentenza. 

Muovi lite, acconcio non ti falla. 

Detto di chi muove liti spallate per istrapparne, in via 
d'accordo, qualcosa. 

Né a torto né a ragione non ti lasciar mettere in pri- 
gione. 

E anticamente si diceva: 
Dio mi guardi dalle prigioni del Duca. 



i 



2^8 
Nessun buono ayyocato piatisce mai. 
Fon c'è cattiya causa che non trovi il suo avvocato. 
Non trescar co' ferri di bottega. 

Per ferro di bottega s* intende la gente di tribunale — e 

Notai, birri e messi, non t' impacciare con essi — e 

Birro, potestà e messo, tre persone e un birre stesso. 
Piatirej dolce impoverire. 
Procuratori, pelatori, piluccatori, pericolatori. 
ProtGate e serviziali non fan bene né male. 
QaatÈrIni e amicizia rompon le braccia alla giustizia. 
E con un gioco di parole: 

Donato ha rotto il capo a Giusto. 
Se tu hai torto fa' causa. 

Se tu hai ragione accordati. 
Son più i casi delle leggi. 
Tra due litiganti, il terzo gode. 

L'avvocato per gli atti, il tribunale per le sentenze e 11 
governo colla carta bollata. 



GOVERNO, LEGGI, RAGION DI STATO. 

Governo : È la forma politica stabilita in uno stato ; e 
anche la persona stessa individua o collettiva posta 
a capo di una nazione. Dicesi anche V atto del gover- 
nare. 

Leggi : E complesso delle norme generali^ permanenti e 
positive che regolano le azioni e le obbligazioni dei 
cittadini d'uno stato^ e che sono sotto tutela dei di- 
ritti comuni. 

Air ufficio del Comune tristo o buono, ce ne vuol uno. 
A popol sicuro non bisogna muro. 
Beata quella città che ha principe che sa. 
Biasimare i principi è pericolo, e il lodarli è bugia. 
Chi comanda non suda. 



Chi dice parlamento dice guastamento. 

Antico proverbio fiorentino dei tempi della Repubblica : 
fare parlamento allora significava chiamare il popolo 
in pìa^a ; il che ogni volta portava seco qualche mu- 
tazione nello Stato ed era ogni volta cagione di gcan- 
dali. (Giusti) 

Chi disse ragion di Stato disse un tristo ; 

E chi disse ragion di confino disse un assassino. 
Chi fa la legge servarla degge. 
Chi fonda in sul popolo fonda in sulla rena. 
Chi mangia la torta del comune paga lo scotto in 

piazza. 
Chi non ha visaccio non vada in Palazzo. 

Chi non è sfacciato, chi non ha il viso inverniciato, non 
si metta a stare in corte. (Serdonati) 

Chi più edifica più distrugge. 

Segnatamente quando si tratta di ordinamenti civili o 
politici. 

Chi serve al comune non serve a nessuno. 
Chi troppo mugne ne cava il sangue. 

Si dice delle troppe gravezze. 
Con poco cervello si governa il mondo. 

È antica sentenza, ma sempre vera. 
Dio ci manda la carne e il diavolo i cuochi. 
Dov'è il Papa ivi è Roma, 
Dove parlano i tamburi taccion le leggi. 
D'un disordine nasce un ordine. 
Duro a vecchia licenza nuova legge. 

Dura cosa è frenare con leggi la licenza passata in abito. 
E' si danno gli ufficii, ma non la discrezione. 
Fatta la legge, pensata la malizia. 
Porca vecchia, spia nuova. 

Forca si dice ad un uomo degno di forca. 
Garbuglio fa pe'male stanti. 



L^ 



270 
GV inconvenienti degli Stati sono come i funghi. 

Nascono in una notte. 
Guai quando i giovani comanderanno e che le botte- 
ghe si toccheranno. 

È antichissimo a Venezia. 
Guelfo non son né Ghibellin m'appello; 
Chi mi dà più io volterò mantello — o 
Ohi mi dà da mangiar, tengo da quello. 
I biiTi pigliano e il popolo impicca. 

Quando alcuno è preso, il popolo subito giudica della pena 
che dee patire. (Serdonati) 

I cervi non comandano a' leoni, ma ì leoni a' cervi, 
n buono a nulla è assistito dalla legge di tutti. 

Nel che sta il bene e la ragione delle società civili. 

II buon pastore tosa, ma non iscortica. 

n buon ufficiale vuol aver due cose, mano larga e 
brachetta stretta. 

Chi è a governo d' altri, né avaro né libertino. (Seró^ 
nati) 

Il fisco è come l'idropico. 

Cresce il corpo e impiccolisce le membra. 
Il governo che arricchisce sempre a' sudditi gradisce. 
Il magistrato è paragon dell'uomo. 

Ed il Guicciardini disse stendendo il proverbio alla forma 
del suo scrivere : « 11 magistrato fa manifesto il valore 
di chi lo esercita. » {Giusti) 

Il peccato del signore fa piangere il vassallo — e 

De' peccati de' signori fanno penitenza i poveri. 

Spesso i principi fanno eccessive spese, e non bastando 
loro le proprie entrate, si rinfhincano con balzelli. (Ser* 
donati) 

H pesce comincia a putir dal capo — e 
Dal capo vien la tigna. 

Spesso il male viene da' governanti. 



.Ti-ia 



271 

n popolo, quando falla, dev'esser gastigato j ma il 

principe, se erra, dev' essere avvisato, 
n re va dove può, non dove vuole. 

Anch* egli, guardandoci, è servo dei servi ; niuiio ha mag- 

fiori obbligazioni, e ninno dipende da maggior numero 
i persone; dipende da tutti. 

I principi confettano gli stronzi. 

Cioè indorano gl'inetti, gì' inabili. 

I principi hanno le mani lunghe — e 

Un gran principe sempre bave 

Lunghe mani ed ira grave. 

I principi sono come i contadini, ogni anno ingrassano 

un porco e poi se lo mangiano. 

Io credo che qui si debba intendere dei favoriti ; e il pro- 
verbio sia nato sotto il governo spagnuolo, dove ogni 
re aveva i suoi creati e i suoi privati che un tempo 
ingrassavano e per il solito facevano mala fine. (Giusti) 

I sudditi dormono cogli occhi del principe. 

L'acqua e il popolo non si può tenere. 

La legge nasce dal peccato — e 
Dai mali costumi nascono le buone leggi. 

L'altissimo di sopra ne manda la tempesta, 
L'altissimo di sotto ne mangia quel che resta, 
E in mezzo a' due altissimi restiamo poveriBsimi. 

Questo proverbio nacque al tempo di Napoleone 1; e ati- 
cora lo ripetono i veneti. 

La pietra del ministro al reo non giova. 
Cioè che il ministro sia lapidato. 

L' avarizia de' re peste dei regni. 

Le leggi si volgono dove i regi vogliono. 

L'ordine è pane e il disordine è fame. 

L'unione alla città è gran bastione. 

Mai sbandito fé' buona terra. 

Meglio un buon re che una buona legge. 



272 
Miseri quei tempi che hanno le leggi nelle mani. 

Che hanno cioè per legge la forza. 
Né di tempo né di Signoria non ti dar malinconia. 

Questo proverbio fu trovato a' tempi della Repubblica, 
essendoché i Priori, che insieme col Gonfeloniere erano 
fletti comunemente la Signoria, intra due mesi finivano. 
(Strozzi) 

Itegli ordini pari i pareri son dispari. 
Ordùie^ consiglio, magistrato. 

Itegli Stati il sospetto si punisce per V effetto. 

Nel governo piii importa saper comandare che obbedire. 

W^ella terra del tiranno trist' a quelli che vi stanno — e 
n popolo piange quando il tiranno ride. 

]Non cercar mai d' udire 

Da' Principi quel eh' e' non voglion dire. 

Non si piglia il vento alla vela senza licenza del noc- 
chiero. 

Nuovo signore, nuovo tiranno — e 
Dio ti guardi, signore, 

Che dopo questo ne verrà un peggiore. 

Usansi quando si tratta dell'elezione di un superiore o di un 
magistrato. È notissimo il detto d'una vecchiarella che 
piangeva la morte di Caligola. 

Pane e feste tengon il popol quieto. 

Detto del magnifico Lorenzo de' Medici. Traduzione del 
latino: Panem et circenses. In altro modo: 

Pane in piazza, giustizia in palazzo, e sicurezza per 
tutto. 
Papa per voce, Re per natura, Imperatore per forza. 
Quando i mugnai gridano, corri alla tramoggia. 

Taluni imbroglioni fingono di leticare per fer nascere 
confusione, e s'approfittano di quella per fare altrui 
danno, o rubare. 

Quando il cieco porta la bandiera guai a chi vìen dietro! 
Quel eh' è di Cesare è di Cesare. 



( 



San Magno supera San Giusto. 

È detto per certi giudici che si lascian comprare. 

Sogni de' Principi, ricchezze di poveri. 

Sogni di banditi, fantasie di storpiati, disegni di 

falliti. 
Tale abate, tali monaci — e 

Qual è il rettore, tale sono i popoli. 

Tale, indeclinabile, è idiotismo fiorentino — e 

Quel che fa il signore fanno poi molti. 
Tirannia, tumulto e farina, delle città son la rovina. 
Tra la briglia e lo sprone consiste la ragione. 
Tumulto presente, rigor pronto. 
Tutte le cose che> fanno i Principi son ben fatte. 

Cioè devono stare come sono. 

Tutti adorano il sole che nasce — e 

Il sole che nasce ha piii adoratori di quel che tra- 
monta. 
Un noce in una vigna, una talpa in un prato, un legista 

in una terra, un porco in un campo di biada, e un 

cattivo governatore in una città, sono assai per guastare 

il tutto. 
Val piii uno a fare che cento a comandare. 
Vivano le berrette e muoiano le foggette. 

Era in antico come grido di guerra del popolo grasso 
contro al minuto. 



18 



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274 



GRATITUDINE, INGRATITUDINE. 



Gratitudine : Sentimento dell'animo per cui altri conserva 
buona memoria del beneficio ricevuto^ e si sente cara- 
mente obbligato al benefattore. 

Ingratitudine : Malignità propria d* un animo rozzo e vile, 
che rende Vuoìno sconoscente del benefizio ìHcevuto. 



All'uom che è grato tutto va creduto. 
Amico beneficato, nemico dichiarato. 

A molti vili r obbligo della gratitudine pesa come una 
specie di servitù. 

Avuta la grazia gabbato lo santo. 

Di cesi di chi molto promette per ottenere qualcosa e poi 
non mantiene. 

■Ben per male è carità, mal per bene è crudeltà. 
Boccone rimbrottato (o rimbrontolàto) non affogò mai 

nessuno. 

Di cesi per fare intendere non essere da sdegnarsi se ta- 
Iota alcuno adirato ti rinfaccia i benefizi che t* ha fatti 

Chi ben dona caro vende, se villan non è chi prende. 

Se il beneficato non è villano e sconoscente può il bene- 
fiattore ricevere da lui prezioso contraccambio di fa- 
vori. 

Chi fa del bene agi' ingrati Dio l' ha per male — e 
A far del bene alle carogne (o agli asini) Sant'Antonio 
r ha per male. 

Chi fa del bene agli ignoranti fa onta a Cristo — e 
Fate del bene al villano dirà che gli fate del male — e 
A far del bene ci facciamo dei nemici. 

Chi ringrazia non vuol obblighi. 

Grazie, è formula di chi non accetta. Dicesi sovente per 
isclierzo. 



275 

Comun seryigio ingratitudin rende — e 

Chi dona al volgo inimicizia compra. 

Dispicca l'impiccato, impiccherà poi te. 

Ed anche più disperatamente : 

Non far mai bene non avrai mai male. 
Fa' bene a' putti se lo dimenticano, fa' bene a' vecchi 

muoiono. 
Fate del bene al lupo, che il tempo l'ha ingannato. 

Dicesi del far del bene a chi non lo merita. (Serdoìiati) 

Fatta la festa, non v' è chi spazzi la sala, 
n ben far non porta merito. 

Ma è un debito che si paga, un dovere che ciascuno ha, 

II dono dee chiuder la bocca a chi lo fa ed aprirla a 
chi lo riceve. 

n ringraziar non paga debito. 

L' asino quando ha mangiato la biada tira calci al cor- 
bello. 

L' ingrato colle bestie si conviene, 
Che non sa se non render mal per bene. 

Maledetto il ventre che del pan che mangia non ai ricorda 
niente. 

Non e' è schiavo più legato che all' amico 1' obbligato. 

Nutri la serpe in seno ti renderà veleno — o 
Nutri serpe in seno ci lascerà veleno — e 
Nutrisci il corbe e' ti caverà gli occhi. 

Opera fatta, maestro in pozzo. 

Perchè tutti ne dicono male. 

Quanto più si frega la schiena al gatto, più rizza la coda. 

D'alcuni, che quante più carezze loro si fanno, piii imbiz* 
zarìscono. 

Se ben tu fai, sappi a chi lo fai. 

Val più un piacere da farsi. che cento di quelli fatti. 



276 



GUADAGNO, MERCEDE. 

Guadagno : Il profitto che V uomo trae da un traffico^ da 
un' arte^ dalle sice fatiche o dalla sita industria. 

Mercede : È propriamente quel tanto di denaro che V ope- 
raio riceve per il lavoro fatto, 

A cavallo che non porta sella, biada non si crivella. 

Non ai fa le spese a bocche inutili. Crivellare è nettare, 
pulire col crivello o vaglio. 

Altro che fischio vuol la pecora. 

Chiede buon pascolo, erba fresca. 
Assai domanda chi ben serve e tace. 
Afiaai va al molino chi' ci invia V asinino. 

Chi mette la roba è come se mettesse la persona. 
Bocca unta non può dir di no — e 

Come l'anguilla ha preso Famo bisogna che vada 

dov^è tirata. 
Buona via non può tenere quel che serve senza avere. 

Chi serve a ufo, o è male remunerato, è un miracolo se 
non Mia. 

Chi è a opra è a oprare — ma 

Secondo la paga il lavoro. 
Chi mal paga un'opera non può chiederne un'altra. 
Chi sta sotto alla piccionaia casca sempre qualche 

penna» 

Chi pratica persone ricche e potenti ricava sempre qual- 
che cosa. 

Col solo grazie non si mangia. 

Da una sola vacca non si cava due pelli. 

Cioè, non bisogna troppo pretendere. 

Dove Toro parla la lingua tace. 



277 
È meglio indarno stare che indarno lavorare. 
E meglio servire un ricco avaro che un povero liberale. 
Giornata di mare non si può tassare — e 
Viaggio cominciato nolo guadagnato. 

Proverbi usati da marinai noleggiatori di bastimenti. 

Il mare fa fortuna, non le fonti. 

Il molino non macina senz'acqua — e 

Ogni molino vuol la sua acqua. 
Il quattrino fa cantare il cieco — e 

A ufo non canta il cieco — e 

Uomo digiuno non canta — e 

Senza danari non si hanno i paternostri — e 

Senza suono non si balla. 

Intendi il suono della monete — e 

I danari fan correre i cavalli. 
Invan si pesca se 1' amo non ha Y esca. 
L' agnello è buono anche dopo pasqua. 

Si vuole intendere delle mancie, come d'ogni altro gua- 
dagno. 

Ogni fatica merita ricompensa. 

Ogni poco che si guadagni è me' che starai. 

Perchè vada il carro bisogna unger le ruote — e 

A voler che il carro non cigoli bisogna unger le 
mote — più concisamente : 

Unto alle ruote — e 

La carrucola non frulla se non è unta — e 

II canapo è unto con 1' argento. 

Poco cacio (o poco pane) poco Sant' Antonio — e 
Poco cacio fresco, poco San Francesco. 

È detto che si attribuisce ai frati cercatori ; chi poco' ha 
dato poco rimerita, sia dai santi, sia dagli uomini — ed 
anche 

Tanto pane, tanto Sant' Antonio. 



\ 



278 

Tanti ne nasce tanti ne muore. 

Detto di quelli che mangiano o consumano quanto gua- 
dagnano- 

Quei che secca gli è quei che becca. 

Pel solito i meno meritevoli ma i piìi importuni son quelli 
che «tt^-'ii trono maggiori servigi e favori. 

Senza mercede non s' insegna. 

Si fa prima V opera e poi si paga — e 
Chi paga innanzi è servito dopo — e 
Chi vuol lavor mal fatto lo paghi innanzi tratto. 

Tanto, a servir chi non conosce, vale 
Chi serve ben quanto chi serve male. 

Chi 3Ì071 conosce, chi non ricompensa il buon servigio. 



OZIO, INDUSTRIA, LAVORO. 

Ozio : Stato di chi non fa nulla o per riposarsi dalle 
fatiche (nel qual caso ozio veramente non è, ma ri- 
poso) per aborrimento della fatica ; e allora è pi- 
grizia. In questo senso è qui tolto e considerato. 

Industria : Disposizione d'un uomo o d' un popolo a darsi 
a quelle arti ed esercizi atti a migliorare comecches- 
sia la .su(f condizione ed accrescere la sua prospe- 
rità. Si prende anche per V esercizio e per V arte im- 
demmin 

Lavoro : È qualsiasi opera manuale e intellettuale, e 
r atto xte.vso col quale questa si compie, 

A buona lavandaia non mancò mai pietra — e 
A buon cavalier non manca lancia. 

Quando si vuol fare una cosa si trova il mezzo di farla. 
A buon cavallo non manca sella. 

Quando una cosa è buona, non manca mai chi Vaidoprl 
A cattivo lavoratore ogni zappa dà dolore — e 
Cattivo lavoratore a ogni ferro pon cagione. 



279 
A chi non ha da far Gesù gliene manda. 
A chi non pesa ben porta. 

Ben fa una cosa chi la fa volentieri. 

A fare i fatti suoi uno non s' imbratta le mani. 

Affaticati per sapere e lavora per avere. 

A gloria non si va senza fatica. 

A lavoratore trascurato i sorci mangiano il seminato. 

Al tramontar del sole il bue caca nel timone. 

È stanco di lavorare. 
A porco pigro (o peritoso) non cadde (o non tocco) 

pera mezza. 
A roba fatta non manca compratore — e 

Lavoro fatto denari aspetta. 
Asino punto convien che trotti. 
A star fermi si fa la muffa. 

Chi avesse quel che non ha farebbe quel che non fa. 
Chi ci va ci lecca chi non ci va si secca — e 

Chi va lecca, e chi sta si secca. 

Chi si sta ozioso, non approda nulla; ma chi s' apatica 
busca qualcosa. (Serdonati) 

Chi d' estate non lavora nell' inverno perde la coda» 

Chi dorme non piglia pesci — e 
Chi dorme grassa mattinata va mendicando la gior- 
nata — e 
Chi dorme quanto può non dorme quanto vuole — e 
Chi si cava il sonno non si cava la fame — e 
Volpe che dorme vive sempre magra — e 
Il sonno è parente della morte. 

Il sonno è veramente, qual' uom dice, Parente della morte. 

(Petrarca) 

Chi è avvezzo a fare non si può stare. 

Chi è lungo a mangiare è lungo anche a lavorare. 

Chi è ozioso è dubbioso. 

Chi fa bella gamba non fa bella testa. 



280 

Chi fa per sé fa per tre — e 
Chi fa da se fa per tre — o 
Chi vuol presto e bene faccia da sé — e 
Comanda e fai da te. 

Come faceva il podestà di Sinigaglia — e 
Chi per altrui mano s' imbocca tardi si satolla — e 
Chi Vuol vada, e chi non vuol mandi — o 
Non v'è più bel messo che se stesso — ed andie: 
Quel che tu stesso puoi e dire e fare, 
Che altri il faccia mai non aspettare. 

Chi fatica non pecca. 

Chi fugge fatica non fa la casa a tre solai. 

Chi ha arte ha parte — e 

Arte dà parte, chi da lei non si parte. 

Tutta la città di Firenze è descritta in arti; onde chi è 
scritto in alcuna può partecipare al governo; e sMn- 
t/cnde anche che chi sa fare un' arte è ricapitato e può 
campare da per tutto. (Serdonati) 

Chi ha voglia di fare non ha bisogno di pungolo. 
Chi lavora da beffe stenta daddovero. 
Chi lavora si rimpannucia, 

Chi non lavora si gratta la buccia. 
Chi mi dà a fare mi sciopera. 

Jiiolto di chi ha sempre molte cose alle mani. 
Chi non ha entrata (o mestiere) e va a spasso ne va 

allo spedale passo passo. 
Chi non ha pane lavorato agosto diventa maggio. 
Chi non ha voglia di lavorare perde V ago e il ditale. 
Chi non maneggia grameggia — e 

Chi non suda non ha roba — e 

Pane di sudore ha gran sapore. 
Chi non è alle sue nozze, 

che son crude o che son troppo cotte — e 

Tristo a colui che non si trova alle sue nozze. 
Che non è presente quando si fanno i fatti suoi. 



281 
Chi non sa che fare pettini i cani. 
Chi non vuol durar fatica in questo mondo, non ci 

nasca. 
Chi s' aiuta Iddio 1' aiuta — e 

Aiutati eh' i' t' aiuto — e al contrario : 

Chi non s' aiuta s' annega. 
Chi sa menare tutt' e due le mani è da più de^li altri. 
Chi sa zappare zappa con la zappa di legno. 
Chi se ne sta con una man sopra l' altra il diavolo 

balla nel grembiule. 

La tentazione è figlia dell* ozio. 

Chi si vergogna di lavorare abbia vergogna di man- 
giare. 
Chi vuol riposare convien travagliare. 
Chi vuol viver senza pensieri ne ha più degli altri. 
Fare e disfare è tutto un lavorare. 
Oatta inguantata non prese mai topo. 

È contro il lusso delle vesti. 
Giammai col bramare il sacco puoi colmare. 
Iddio dà r ali alla formica perchè vada più presto. 

I giorni spesi bene sono i meglio impiegati. 

Spesi, usati; impiegati, messi a frutto. 

II fuoco e r amore non dicon mai vanne al lavoro. 
Il lavorare è un mezzo orare. 

n libro serrato non fa V uomo letterato. 

Bisogna studiarli i libri, non contentarsi di possederli. 

n mèle non si fa senza le pecchie. 

Cioè, nulla si ha senza fatica e capacità d' industria, ed 
è analogo all'altro: 

Col nulla non si fa nulla. 
Il miglior podere è un buon mestiere. 
Il perder tempo a chi più sa più spiace. 



>-^-^^MmL^ 



282 
n pigro è sempre in bisogno — e 
La pigrizia è la chiave della povertà — e 
Non fece mai prodezze la pigrizia. 
Il sangue de' poltroni non si muove — ed anche : 

Poltroneria non fece mai figliuoli (o non ha eredi). 
H tempo bene speso è un gran guadagno. 
In amoroso stato non dura 1* occupato. 
La fatica genera la scienza, comedi' ozio la pazzia. 
L* ago e la pezzetta mantien la poveretta — e 
A voler che il mento balli, alle man gna fare i calli. 
Qna per bisogna. 
L'aiuto mangia tutto. 

Se puoi, fa' tutto da te. 
La malattia de' sani è una festa che non si trova nel 
lunario. 

Dì chi si finge malato per non lavorare. 
La ruggine mangia il ferro. 
L'ozio consuma. 

La a orna la bestia doma — e 

La peggior soma è il non averne alcuna. 
La testa dell' ozioso è V officina del diavolo. 
La vecchia mal raddotta sulla sera la piglia la rocca. 
Lavora come avessi a campare ognora ; 

Adora come avessi a morire allora. 
Lavoro è sanità. 
Lavoro non ingrassò mai bue. 
L' erba non nasce sulla strada maestra. 
Letto e fuoco fanno V uom dappoco — e 

Il letto caldo fa la minestra fredda — o anche 

li caldo de'lenzuoli non fa bollire la pentola. 
Lo stare indarno non è il fatto nostro. 
L' ozio è il padre di tutti i vizi. 
L' ozio è la sepoltura d' un uomo vivo. 



«r^f^ 



283 

L'ozio non fa con la virtù lega. 

L' ozioso è sempre bisognoso — e 

Meglio il rognoso che 1' ozioso. 

Meglio diventar mori che rossi. 

Meglio abbrunirsi al sole lavorando, che arrossire delle 
male azioni consigliate dairozio. (Pasqualigo) 

Molte volte si perde per prigrizia 
Quel che s' è guadagnato per giustizia. 

Niente facendo s' impara a far male, 
Come facendo male s' impara a far bene. 

Non e' è la peggior minestra che quella de' frati. 

Perché è data per carità e si mangia senza guadagnar- 
sela. 

Non mancò giammai da fare a chi ben vuol trafficare. 
Non s' apprezza ben redato quanto ben da aè aeqai> 

stato. 
Paesi fecondi rendon molti vagabondi. 

Perchè nutriscono anche l'ozio. 
Per dimenar la pasta il pan s' affina. 
Per i poltroni è sempre festa — oppure 

A casa Poltroni è sempre festa. 
Per istar bene si fa delle miglia. 
Per non saper fare un cartoccio fu impiccato un uomo 

a Firenze. 
Per via (o via facendo) s' acconcian le some, 

E mal per l' asino che le porta. 

Vale che in operando s'impara a vincere le difficoltà. 
Quando facciam del male, il diavolo ci tenta. 

Quando non facciamo niente, noi tentiamo lui* 
Quando il filo e in istanga non tenere il culo in 

panca. 
Se non ci fosse il va' con Dio, bel mestior sarebbe 
il mio. 

Lo dicono i mendicanti viziosi. 



284 

Sonno mena sonno — t 
Un sonno tira l'altro — e 
Troppo dormire fa impoverire — e 
Uomo poltrone, nonio povero ne. 

Un uomo ozioso è il capezzale del diavolo. 

Uomo lento non ha mai tempo. 



GUERRA, MILIZIA. 

Guerra : Combattimento pubblico tra due a piic eserciti 
intrapreso per causa pvòblica^ giunta e onesta. 

Mi tizia : Arte della guerra^ ed esercito di gente armata e 
disciplinata a combattere. 

Alla guerra non ne nasce. 

Si usa per significare che vi è rischio di morire. 

Alla guerra si va pieno di danari e si torna pieno di 

vizi e di pidocchi. 
Allo stendardo tardi va il codardo. 
Arme certa alla bandiera. 

Cioè soldati che non tradiscano. 

Arme lunga fa buon fante. 
A tempo di guerra con le bugie si governa. 
A tempo di guerra ogni cavallo ha soldo. 
Bandiera vecchia (o rotta) fa onore al capitano. 

Perchè non gli è stata tolta mai: e dicesi poi di chiunque 
abbia quasi consumati gli istrumenti della sua arte per 
averli molto adoperati. (Giusti) 

Chi ben guerreggia ben patteggia — e 
Chi fa buona guerra ha buona pace. 
Chi è povero di spie è ricco di vitupero. 

In guerra, s* intende. 



m 

Chi guida imprese persuada e faccia. 

La persuasione e T esempio son necessari a chi governa, 
a chi ha molti sotto di sé. 

Chi ha V armi in mano è padrone d' ogni cosa. 

Chi porta spada e non l'adopra ha bisogno di chi la 

cuopra. 
Chi va alla guerra mangia male e dorme in terra* 
Città affamata, città espugnata. 
Della pace ognun ne gode. 
Dov'è guerra non fu mai dovizia. 
Gli errori nelle guerre divengono pianti. 
Gran vittoria è quella che si vince senza sangue. 
Guerra cominciata, inferno scatenato. 
D buon soldato esce dal prato. 

I contadini riescono i migliori soldati perchè avvezzi a 
due cose : alla fktica e alla parsimonia, e perchè sono 
fra tutti gli ordini di persone i meno corrotti. 

Il fine del soldato è V essere ammazzato. 

Il mondo senza pace è il danaro del soldato. 

In chiesa per devozione, alla guerra per necesaità, 

I neutrali sono come chi sta al secondo piano ^ che ha 

il fumo del primo e il piscio del terzo. 
I pochi fanno buona prova, ma i più vincono. 
I soldati fanno come i cavalli che annitriscono a chi lì 

governa e tiran calci al padrone. 
La guerra cerca la pace — e 

L'armi portan pace. 
La guerra molti atterra. 
La guerra non è fatta per i poltroni — e 

1 bravi alla guerra e i poltroni alla scodella. 
La guerra fa i ladri e la pace gì' impicca. 
La guerra fa per i soldati. 

Si dice agli attaccabrighe. 
La lancia vai più delle carte. 



^^"^w 



286 
Nella pace i giovani seppelliscono i vecchi ma nella 

guerra i vecchi seppelliscono i giovani. 
Nemico diviso mezzo vinto. 
Non a tutti è lecito chiamarsi soldato. 
Non conosce la pace e non la stima, 

Chi provato non ha la guerra prima. 
Non è viaggio senza polvere, ne guerra se&Ka lacrime. 
Pace e vittoria son giudici in guerra. 
Per la ragion di Stato e di confini, 

Son rovinati ricchi e poverini. 
Sole in vista, battaglia perduta. 

Fu artificio d'Annibale che l'esercito dei Romani avesse 
a Canne il sole negli oochi. 

Tra pace e tregua guai a chi rllieva. 

Perchè l' esercito sconfitto vicino alla paca non Im poi 
tempo di rivalersi. 

Triste è quel gioco dove si teme il fuoco, 
Un bel morir tutta la vita onora. , 

Venere dorme se Marte veglia, 
Se Marte dorme Venere veglia* 



INGIURIE, OFFESE, 

Ingiuria: O/fesa ingiusta commessa con mala intensióne 
a danno o dolore altrui, con parole o con fatto. 

Offesa: può riguardarsi come semplice effetto delV in- 
giuria. L'offesa può essere involontaria, V ingiuria 
no, ma anche volontaria è men grave. 

A chi te la fa fagliela. 

A chi vuol far del male non gli manca mai occasione» 

Alle volte col torto si fa V uomo diritto. 

Spesso dopo un'ingiuria subita con danno Vmmo di- 
venta accorto. 



:^i^>?^r:'7^:' 



287 
Amico riconciliato e non vendicato è bastone dopo 
(o dietro) l'uscio. 

Cioè nascosto e che ti minaccia. 
A voler fare un valente convien fargli villania* 
Chi il suo can vuole ammazzare 
Qualche scusa sa pigliare — ed anche: 
Tosto si trova il bastone per dare al cane. 

Quando vogliamo offendere alcuno troviamo sempra da 
apporgli qualche colpa o qualche difetto. 

Chi non vuol briga con alcuno offenda ognuno — e 

Chi vuol esser solo stracchi gli altri. 
Chi la fa se la dimentica; ma non chi la riceve — e 

Si perdona, ma non si scorda — perciò 

Chi offende non dimentichi; 

Chi offende non perdona; 

Chi offende scrive nella rena, chi è offeao, nel marmo. 
Con la pelle del cane si sana la morditura. 
Di chi mal fai di lui non ti fidar mai. 

Cioè di quello al quale hai fatto male, perchè egli mai 
piti te la perdona. 

E più facile far le piaghe che sanarle. 

Facciami ben, facciami mal, in cent' anni saremo e- 

gual. 
Frego non cancella partita. 

D'offesa perdonata, ma non obliata. 

La mano tira e il diavol porta (o coglie) — e 

I colpi non si danno a patti. 
Mal per chi le dà, peggio per chi le riceve. 
Non e' è tizzone che non abbia il suo fumo. 

Non bisogna offendere né provocare alcuno. 

Non si può mordere il cane senza esserne rimorsi. 
Odio ricominciato è peggio che prima. 



288 
Quando si va per dare bisogna portar due sacchi. 

Uno per dare, l'altro per ricevere. 

Vendetta di cent'anni ha ancora i lattaioli. 
Ha ancora i primi denti, è sempre giovane. 



IRA, COLLERA. 

Ira: Movimento disordinato delV animo, onde siamo vio' 
lentemente eccitati contro chi ci offende o ciha fatto 
dispiacere come che sia, È uno dei sette peccati mor- 
tali. 

Collera, invece^ è meno violenta dell' ira, ed è un movi- 
mento interno che pttò durare lungo tempo. Betta 
cosi peì^chè s* immagina esser cagionata dall' umore 
bilioso; e però, quando è istantanea o passeggiera, 
suol chiamarsi bile. 



Acqua che corre non porta veleno — e 

Chi tosto s'adira tosto si placa — e 

Chi s' adira non si ricatta — ed anche diciamo : 

Fiume furioso tosto rischiara — e 

Tosto scaldato, tosto raffreddato — e 

L^ acqua scaldata, più tosto gelata. 
A pùntola che bolle gatta non s' accosta — e 

Al legno mentre ardendo fa remore 

I^iiino si levi in pie per fargli onore. 

Mentre il superiore è alterato, non bisogna importunarlo, 
ma dai tempo al tempo finché passi Tira. (Serdonati) 

A sangue caldo nessun giudizio è saldo. 

Botte di buon vino, cavallo saltatore e uomo rissatole, 

daran poco col lor signore. 
. Oan ringhioso e non forzoso, guai alla sua pelle. 
Chi è collerico è amoroso. 



I 



m 

Chi ooa ha sdegQo non ha ingegno. 
Chi s'adira ha il torto — e 

Chi s* adira non è consigliato — e 

Chi va in collera perde la scommessa. 
Di cani rabbiosi non si fece mai schiappo — e 

In forno caldo non può nascer erba. 
Guardati da aceto di via dolce. 

Cioè daU' ira de' mansueti. 

La collera della sera va serbata alla mattina. . 

Bisogna dormirci sopi-a, dar tempo alla riflessione. 

La rabbia è tra' cani. 

Le minacele aon arme del minacciato. 

L' ira fa il ricco odiato e il povero disprezzato. 

L'ira placata non rifa l'offese. 

Lo sdegno fa far di gran cose. 

B"on t' adirare a tuo danno, 

Kon tagliare il fuoco col ferro. 

Non ti opporre a chi è neir ira ed ha abbandonato la ra- 
gione. 

Per isdegno ogni cosa è lecita. 

Cioè, piii agevolmente perdonata. 

Quando la cornamusa è piena, comincia a suonare. 

Lo dice chi ha taciuto per molto tempo e a un tratto si 
sfoga. 

Tempra la lingua quando sei turbato, 

Acciò che non ti ponga in malo stato, 
Val più un' arrabbiata che una bastonata . 



il 




290 



LIBERTÀ, SERVITÙ. 

Libertà 1 Potestà di fare o non fare una cosa; facoltà 
morale e giuridica di operare, purché non si offenda 
i diritti altrui. Qui però è più in senso politiw, e 
vale : indipendenza opposta a servitic, e potestà che 
ha una nazione di governarsi colle proprie leggi, senza 
essere soggetta all' arbitrio di chicchessia. 

Servitù : La condizione di chi dipende o è soggetto ad' 
altrit moralmente e politicamente. 

Al servo pazienza, e al padrone prudenza. 
Asino di molti ì lupi lo mangiano. 
Bel eeryirfìj bel partire. 

Meglio HcenKÌarsi dal padrone mentre s' è in grazia, che 
aspettare d'esser mandato via. 

Bue sciolto lecca per tutto. 
Chi ben serve bene è provvisto — ma 
Chi ben serve non sarà mai ricco. 

Se il servo sarà galantuomo. 

Chi dell' altrui prende sua libertà vende — e anche 

Sùlaìnente : 

Chi prende si vende. 
Chi di libertà è privo ha in odio d' esser vivo. 
Chi è io altrui balìa bisogna che ci stia. 
Chi ha da esser servito ha da esser sofferito. 
Chi non è in grazia serve per nulla. 
Chi non ha libertà non ha ilarità. 
Chi non vuol essere in libertà possa essere schiavo w 
i Barberìa. 
Chi si lascia mettere in spalla la capra indi a poco i 

sforzato a portar la vacca. 
Chi VITO in libertà non tenti il fato. 



I 



2yi 

Dove non è re non lo cercare, 

È meglio esser uccel di bosco che ucoel di §;abbia, 

È meglio esser padrone di un testone che servo dì 

un milione. 

Testone, vecchia moneta del valore di una Ura e 63 cen- 
tesimi. 

E meglio sentir cantare il rusignolo che rodere il topo, 

È meglio stare al bosco strutto che stare in carcere 

ben ridutto — ed anche dicono: 

È meglio stare aj bosco e mangiar pignoli che eta- 
re in Castello con gli Spagnoli. 
Felice colui che non passa porta altrui — e 

Il pane degli altri ha sette croste — e 

Il pane degli altri è troppo salato — € 

Più prò fa il pane asciutto a casa sua che 1' arro- 
sto a casa d'altri. 
Gatto rinchiuso do venta leone. 
I fastidì dei padroni sono i conviti dei servitori. 
Ingratitudine ne' signori, invidia tra i Bervitori, 
I servitori non sono altro che ventre* 
I servitori sono come il tamburo, che snona ad altri 

ed ha le battiture. 
La carne dell' asino è avvezza al bastone. 
L' asino porta il basto e non lo sente ; 

Se non lo sente, egli è asssai valente. 

La troppa libertà scavezza il collo. 

Mal senza libertà si gusta il bene. 

Meglio un' oncia di libertà che dieci libbre d' oro. 

Non è scappato chi si strascina dietro la catena. 

Cosi dalla tirannia degli uomini, come da quella delle 
passioni. 

Non portar basto. 

Non portar groppa, o non tener groppa. 

Non ti lasciar sopraffare. 

servi come servo, o fuggi come cervo. 



292 
Baiarlo non arricchì mai giovane. 
Sanità e libertà vaglion più d'una città. 
Servi a principe e a signore, e saprai cos'è dolore. 
Servi il nobile ancorché sia povero — e aggiungono: 

Perchè verrà il tempo che ti pagherà. 
Se tu vuoi ubbidire, non fare più quello che ti vien 

comandato. 
Tristo quel cane che si lascia prender la coda in mano. 



MALDICENZA, MALIGNITÀ, INVIDIA. 

Maldicenza: Lo sparlare d'altrui, senza intenzione di 
nìwcere, ma piti per leggerezza e consv^tudine. Tal- 
volta però^ senza volerlo, il maldicente può essere 
anche detrattore, diffamatore e calunniatore. 

Malfgnità : Malvagità d' animo, disposto per propria «a- 
tura a nuocere altrui, ancorché non vi sia rutile 
proprio, e a tirare al peggiore ogni detto o faUo 
altrui. 

Invidia: Dolore o tristezza che provano alcuni al vedere 
V altrui bene e felicità, desiderando anche il m&k 
dell' invidiato. 

Air assente e al morto non si dee far torto — e 
Non flagellare il morto, non litigare il torto. 

Al mordace tutto dispiace. 

A lunga corda tira chi morte altrui deaira — e 
Morte desiderata, cent' anni per la casa. 

A^fcio e invidia non morì mai — e 

Jj invìdia nacque e morirà con gli uomini — e 
Se r invidia fosse febbre tutto il mondo n' avreb- 
be—e 
L'invidia regna fin ne' cani. 

Can deir ortolano non mangia la lattuga e non la 
lascia mangiare agli altri. 
Dicesi degl'invidiosi. 



^ 



293 
Chi altri giudica sé condanna. 
Chi burla lo zoppo badi d' essere diritto — e 

Chi vuol dir mar d'altrui pensi prima di lui\ 
Cioè di sé — e 

Se d'altrui parlar vorrà, guardi se stesso e tacerà. 
Chi fa la casa in piazza o F è troppa alta o troppo 

bassa. 

Chi fa le cose in pubblico non può soddisfare a tutti. 
Chi ha dentro amaro non può sputare dolce — e 

Chi ha in bocca il fiele non può sputar miele. 
Chi mal fa mal pensa. 
Chi mal pensa Dio gli dia male — e 

Chi mal pensa mal abbia. 
Chi mal pensa mal dispensa. 
Chi mal ti vuole mal ti sogna. 
Chi mi dice mal dietro me lo dice al e... 
Chi non può benedire non può maledire. 
Chi ride del mal d' altri ha il suo dietro V usoìo — e 

Chi desidera il male ad altri il suo sta vicino. 
Chi semina spine non vada scalzo. 
Chi si fa Argo dell'onore altrui riesce talpa del suo< 
Chi vuole il malanno abbia il mal' anno e la mala pa- 
squa. 
Ci è chi vede male e vorrebbe veder peggio. 
Colpo di forbici ognun due. 

La maldicenza e la calunnia fanno anche piii male che 
non si vorrebbe. 

Dall'invidioso guardati come dal tignoso. 
Di quella misura che misurerai gli altri sarai misura- 
to tu. 
Dove non è malizia non è peccato. 
E male avere il male, ma esser burlato è peggio. 
E più facile fare il memo che il mimo. 

Fare il momo, criticare, dir male di alcuno* 



294 
E meglio esBere dì maa battuto che di lingua ferito- 
E vizio essere tristo, ed è peggio non conoscere che 

un altro sia buono. 
Il cane rode T osso perchè non lo può inghiottire — ^ 

La ranocchia non morde, perchè non ha denti — e 

Domeneddio fece bene a non fare i denti a'ranoccE 
Il casco (il cascare) vuole il riso. 
n ladro crede che tutti sien compagni a lui. 
Il male degli altri non guarisce il nostro. 
Il male è male a farloy ma peggio a pubblicarlo. 
Il male è presto creduto. 
La calunnia offende tre, ehi la dice, a chi la si dice, e 

di chi la si dice» 
La cattiva volontà non disse mai bene. 
La lingua non ha osso e sa rompere il dosso {ma .^t 

dice anche e fa rompere il dosso). 
La luna non cura V abbaiar de' cani. 
La mala lingua è peggio che tigna. 
La spina cresce pungendo. 
La tigna e il maldicente è peggio di tutta la gente. 

Tigna si dice all'avaro, (GiiLsti} 
Lingua sagace sempre b mordace, 
L' invidia fa agli altri la fossa e poi vi casca dentro — & 

L' invidia fa del male, ma sta peggio. 
L'invidia rode se stessa — e 

L'invidioso si rode e T invidiato se la gode -- e 

All'invidioso gli si affila il viso e gli cresce rocchio. 
Col fare altrui mal' occhio strugge eé. 
Mal comune mezzo gaudio. 
Malizia mai non caccia malizia. 
Mula che rìgna o donna che sogghigna. 

Quella ti tira e questa ti sgraffigna, 
Non dir di me quel che di me non sai, 

Di' pria di te, e poi di me dii-ai. 



295 

Non fu mai gloria senza invidia. 

Non ti rallegrar del mio duolo, che quando il mio earà 

vecchio il tuo sarà nuovo. 

Occhio maligno, alma sventurata. 

Peggio è r invidia dell' amico che l' insidia del nemico. 

Se direm d'altri, altri dirà di noi. 

Sempre par più grande la parte del compagno. 

Insegnavano bene 1 Greci dicendo <c abbi cura della tua 
vigna e non avrai bisogno d' invidiare quella del tuo 
vicino. » Gli spagnuoli hanno, al proposito, questo gra- 
zioso proverbio: « La gallina della mia vicina fa più 
uova che della mia. > I Turchi dicono : * l.a gallina 
del vicino ci pare un'oca. » Bene osserva per6 uu pro- 
verbio toscano: 

L' invidia è un peccato da minchioni. 

Se ognuno spazzasse da casa sua, tutta la città sareb- 
be netta. 

Si crede più il male del bene — e 'però corre quesf altro: 
A pensar male ci s' indovina. 

Si dice (cioè si deve dire) il peccato, ma non il pec- 
catore. 

Tutto finisce, fuorché l' invidia. 

Un quattrin di carta, una penna e un danaro d'inchio- 
stro fanno apparire d'un uomo un mostro. 

Uom che ha invidia ha doglie. 

ORGOGLIO, VANITÀ, PRESUNZIONE. 

Orgoglio : Alterezza cagionata da soverchia confidenza nei 
ineriti proprii. 

Vanità : Difetto di chi si perde in cose da nulla e di chi 
fa pompa di qualche sua qualità ìmona o reputata 
tale, per esser lodato e ammirato; ed anche di chi 
si abbiglia, con troppo studio per bene apparire. 

Presunzione: È 7'eputar sé abile, dotto e avì^eduto sopra 
il vero. 

Ad orgoglio non mancò mai cordoglio. 

L'umiliazione va dietro al superbo, la gloria abbfaccierà 
l'umile, dice Salomone. 



Bel colpo DOQ ammazzò mai uccello. 

Ckìsì i cacciatori (ma non i cacciatori soli) quando hanno 
fallito il segno. 

Benché V aqaila voli alto il falco V uccide. 
Chi è asino e cervo si crede 

AI saltar della fossa se n' avvede — ed anch 

Il trotto dell'asino dura poco. 
Chi fa il saputo stolto è tenuto — e 

Chi vuole soprassapere per bestia ai fa teBcre. 
Chi misura sé stesso misiira tutto il mondo — e 

Chi non si misura vien misurato — ma 

Molti san tutto e di sé stessi nulla. 
Ohi non stima altri che se è felice quanto un re. 

Sarà vero, ma è sciocco chi così pensa. 

Chi ognun riprende poco intende. 

Questo si che è vero, e molti pseudo-critici ce ne dimo- 
strano tutto giorno la verità. 

Chi più fa meno presume — e 

E più facile presumere che sapere. 
Chi più saper si crede manco intende — e 

Chi più crede sapere (o potere) più erra. 
Chi ai battezza savio s* intitola matto — ed anche 

Chi non crede esser matto è matto spacciato. 
Chi si loda s' imbroda — e 

Chi 8Ì vanta si spianta. 
Chi troppo in sé confida pazienza non tiene. 
Con r amor proprio é sempre V ignoranza. 
Credi al vantatore come al mentitore. 
Del cervello ognuno si pensa d^ averne più che pa^ 

te ^ — e 

Del giudizio ognun ne vende, 
È assai comune usanza 

Il crederai persona d'importanza. 



t 



297 

È più facile filosofare che laconizzare. 

È proverbio antico. Intendi che il pr^icare ad altri è 
più facile del viver bene. 

E' va più d'un asino al mercato. 

Dicesi a chi si creda esser unico a sapere o a potere qual- 
che cosa. 

Frasche, fumo e vanità è tutt' uno. 

Gloria mondana, gloria vana, fiorisce e non grana. 

n buon vino non ha biiaogno di frasca — e 

La roba buona si loda da se stessa . 
n fumo va air aria e 1' acqua alla valle. 

L' albagia sfuma, le cose seguono il corso loro — é 

I cammini più alti sono quelli che fanno meno fumo. 
Il vero nobile non ha albagia. 
Il male ha chi lo comporta, ma il bene non v' è chi 

lo sopporta, 
n primo grado di pazzia è tenersi savio^ il aecoodo 

farne professione, il terzo sprezzare il consiglio. 
I più savi meno sanno. 
L'agnello umile succhia le mammelle della propria 

madre e quelle degli altri. 
La lode propria puzza. 
La presunzione è figlia dell' ignoranza e madre della 

mala creanza. 
La pretensione non regna. 
La superbia andò a cavallo e tornò a piedi. 
La superbia mostra V ignoranza. 
La troppa umiltà vien da superbia. 
Le lodi umane son cose vane. 
L' orgoglio va adoperato come il pepe. 
Lo spillo volendo fare a cucir con l'ago s'avvide eh' egli 

aveva il capo grosso. 
Mal riputar si può chi non ha il modo. 
Non e' è vantatore che parli senza errore. 



298 
Non istà bene gran berretta a poco oervello. 
Non mai a' intende V uom saggio e perfetto. 

Se non ha di se atesso umil concetto. 
Non sia Buperbo cbì il suo albero vede fiorire. 

Perchè i frutti poi non sempre allignano. 

Non si pnò volare senz' ale. 

Ognun dà la colpa al cattivo tempo. 

Ognuno si crede senza vizio perchè non' ha quelli de- 
gli altri. 

Prosopopea dì pedanti e andicinme dì fanti, ne soa 
pieni tutti i caoti* 

Quando il pidocchio casca nella tramoggia si pensa d^es- 
sere il mugnaio. 

Quando un dappoco è cbiamato per caso ad un ufficio 
di qualche importanza spampana e tiranneggia più as- 
sai del principale. 

Quando la superbia galoppa, la vergogna siede in 

groppa. 
Quanto più la rana gonfia più presto crepa. 
Se r orgoglio fosse un' arte vi sarebbero molti maestri 
Sospbo e pianto è nel vanto. 
Tutte le chiavi non pendono a una cintui'a. 

Nessuno può da sé solo aprire ogni poi'ta, sciogliere ogiu 
nodo, vincere ogni difficoltà. (Giusti) 

Tutte le stringhe rotte vogliono entrare in dozzina— ^ 
Tutti i cenci vogliono entrare in bucato. 

Dicesi a quei presuntuosi che vogliono intrometterai ii 
eose che ad essi non convengono. 

Tutto il cervello non è in una testa — e 

Tutti gli nomini sanno ogni cosa, ma non uno sob^ 



■j^ÈM 



299 



PAURA, CORAGGIO, ARDIRE. 

Paura : Forte commozione d* animo ond'esso si smarrisce 
e cerca di fuggire cosa o pericolo che reputa mici- 
diale, spesso senza cagione. 

Coraggio : Disposizione dell'animo generoso a imprendere 
cose ardite e grandi, ad affrontar pericoli^ a soffrire 
sventure e dolori. 

Ardire: Sentimento e moto dell'animo per cui^ vincendo 
ogni perplessità e timore, V uomo opera sicuro e 
pronto^ s' avventura a imprese difficili e anche in- 
certe nella loro riuscita, come quelle commerciali. 

Ai mali estremi estremi rimedi. 

A can mansueto lupo nel salceto. 

Bene fatto per paura non vai niente e poco dura. 

Cane scottato dall' acqua calda ha paura della fred- 
da — e 

Chi è inciampato nelle serpi ha paura delle lucer- 
tole — e 
Al tempo delle serpi le lucertole fanno paura. 

Carico di ferro, carico di paura. 

Chi molto si guarda molto teme. 
C è una pazzia che è un gran giudizio. 
Ardire a tempo è prudenza. 

Chi corre, corre, e chi fugge vola — e 
Benché la volpe corra i polli hanno V aie. 

Chi fugge il lupo incontra il lupo e la volpe — e 
Chi si guarda dal calcio della mosca tocca quel del 
cavallo. 

Chi fugge mal minaccia. 

Chi guarda i nemici li grida più di quelli che sono. 

Chi ha paura d' ogni jBgura spesso inciampa nell' ombra. 



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300 
Chi ha paura non vada alla guerra — e 

Chi teme acqua e vento non si metta in mare. 
Chi ha paura si faccia sbirro. 
Chi ha paura si guardi le brache. 
Chi non risica non rosica — o 

Chi non s'arrischia non acquista — {e anche: non 
perde e non acquista) — e 

Chi non arrischia il suo non acchiappa quel d'altri. 
Chi non s' avventura non ha ventura — e 

Chi nulla ardisce nulla fa. 
Chi teme è in pene — e 

Le paure e le sciagure fanno sudar di gennaio. 
Chi teme la morte non stima la fama. 
Del mal che si teme di quello si muore — e 

La paura del morire è peggio della morte. 
E^non sono tatti uomini quelli che pisciano al muro. 

Non tutti gli uomini son bastanti a rispondere e a stare 
a tu per tu con altr'uomo. 

Fortuna i forti aiuta e i timidi rifiuta. 

Fuor del pericolo ognuno è bravo. 

Gambe mia, non è vergogna di fuggir quando bisogna. 

Gli spaventi sono peggio dei mali. 

Però dic^i proverbialmente quando s'è scampato un dan- 
no rinvenuto più lieve che non si pensava: la paura 
è stata maggiore del male. 

Gran pericolo, gran guadagno. 

Il bastone fa fuggire il cane dalle nozze. 

L^ armi de' poltroni non tagliano né forano. 

La paura non ha ragione. 

La va male, quando si chiama a soccorso. 

Lo pitture e le battaglie si veggon meglio da lontano. 

Mal delibera chi troppo teme — e 

La paura scema la memoria. 
Ifeanche Orlando ne voleva più d' uno — e 



301 

Contro due non la potrebbe Orlando — e 
Contro due fratelli non ne ToUe il diavolo. 
NTon bisogna fasciarsi il capo prima di romperselo. 

Non bisogna perdersi d'animo prima della prova, 

Ifon bisogna fare (o farsi) il diavolo più nero che non è. 
Non tutte le volte che si veggono i denti s' ha paura 

de' morsi. 
Ogai timidità è servitù — e 

Per timore non perder T onore. 
Per ogni civetta che si senta cantare sul tetto non bi- 

flogna metter bruno* 
Si presta V armi ma non il braccio. 
Tftl minaccia che vive con paura — e 

Chi più teme minaccia. 
Tal piglia leoni in assenza che teme un topo in pre- 
senza. 
Tra due poltroni il vantaggio è di ehi prima conosce 

l'altro. 
Tutte Tarmi di Brescia non armerebbero la paura d^un 

poltrone. 
Tutti son bravi quando il nemico fugge — e 

A can che fugge dagli dagli. 
Un furfante governa cento poltronij e cento poltroni non 

governano un furfante. 



TEMERITÀ, SPENSIERATEZZA, 

Temerità: Ardire soverchio, imprudente, senza ordine e 

ragione della mente. 
Spensieratezza : Traseuraggine dei proprii interessi* 

Cavallo scappato da se si gastiga, 

C è chi corre alla morte e non se n' adda* 



Obi ride in venerdì, e non ha cherica^ 

Sospira il sabato e piange la domenica — e 

Chi ride in sabato piange la domenica ^ e 
11 Tenerdi ammazza il sabato. 

Chi soffia nella polvere se n* empie gli occhi. 

Chi tocca il can che giace ha qualcosa che noQ gli 
piace — e 
Non istuzzicare l' orso quando gli fuma il naso — e 
Non ischerzar coli* orso se non vuoi esser morso. 

Chi vuol morire non chiede aiuto (o non cerca com- 
pagno). 

E' dà talora uccel nella ragna che è fìiggito di gabbia. 

Folle ardimento dà pentimento. 

Il principio è spazioso e il fine precipitoso. 

Il riso abbonda nella bocca de* pazzi. 

Non bisogna imbarcarsi senza biscotto — e 

Chi va a caccia senza cani torna a casa senza lepri. 

Parlar eenza pensare è come tirare senza mirare — e 
Chi mal parla abbia pazienza alla risposta. 

Tal che gli duole il capo si medica il calcagno. 



POCHEZZA D'ANIMO. 

Pochezza d'animo è contrario a fortezza e coraggio^ se- 
gnatamente morale ; quando, cioè, V uomo a ogni lieve 
ostacolo si smarrisce e avvilisce ; ad ogni di Realtà o 
intimidimento che altri gli faccia si turba e cede. 



Chi non vuol piedi sul collo non s' inchini. 
Chi pecora si fa lupo la mangia — e 

La pecora che dice esser del lupo bisogna che la m. 
Chi si mette tra la semola gli asini se lo mangiano — e 

Chi canto ai fa tutti i cani gli pisciano addosso. 
Chi ai sputa addosso non vale un grosso. 



303 
Chi troppo scende con fatica rimonta. 

Cosi colui che cada al basso, corno quagli che troppo si 



Non sL offre, non si dà nulla a chi non paga, o paga 
male. 



Chi va dietro agli altri noti passa mai avanti, 
Ck>ndanna gV imitatori. 

Chi vaol esser stimato stimi se stesso ^ e 
Tanto vale V uomo quanto si stima — perchè 
Chi non rispetta se non rispetta nemmeno gli altri» 

Non bisogna buttarsi fra i morti. 

Non bisogna far troppo palla di se stesso. 

Non bisogna lasciarsi sbatacchiare da tutti. 

Povero né minchione non ti far mai {ovvero Povero 
ne poltrone, ecc.) 

POVERTÀ, RICCHEZZA. 

Povertà : Stato di colui che è scarsa ù mancante del òiso- 
g ne Dote. 

Ricchezza ; Abbondanza dei beni di fortuna; copia di chec- 
chessia e segnatamente di denari. 

Abbi pur fiorini che troverai cugini — e 
Chi ha della roba ha de' parenti. 

Quand' alcuno è riuscito a migliorare la sua condizione 
ed aver qualche cosa trova dappertutto chi si dice suo 
parente. 

A granaio vuoto formica non frequenta* 

All'uomo ricco berretto torto. 

Al nascer delle doppie {cioè del danaro) il mondo ha 

finito d^ esser semplice. 
A scrigno sghangherato non ei crolla sacco, I 



i 



i 



304 

A yeste logorata poca fede TÌen prestata, 

n povero Don ha credito. 

Buono è r amico e buono iì parente, 

Ma trista la casa dove non si trova niente* 
Chi del buono ha in cassa può portare ogni straccia — * 

Chi ha buon cavallo in stalla può andare a piedi. 
Chi dice a un povero uom dabbene gli fa una grande 

ingiuria. 

Uomo dabbene^ qui e nel mondo, è V uomo che il mondo 
stima (Giusti) — e 

Sacco rotto non tien miglio, 
Pover uom non va a consiglio ; 
Se parla ben non è inteso 
Se parla mal e'vien ripreso* 

Sacco roiiù^ si flico poi anche di coloro che non sanno 
conservare un segreto. 

Chi è ricco ha ciò che vuole. 

Chi è povero ognun lo fugge — - e 

Dove non è roba anche i cani se ne vanno — t 
Chi cade in povertà perde ogni amico. 

Chi ha buon vino in casa ha sempre i fiaschi alla porta* 

Perchè gli amici mandano a chiederne; e parìmanta si 
dice: 

Ognuno è amico di chi ha buon fico. 
Chi ha de^ ceppi può far delle schegge. 
Chi ha della roba è viato volentieri. 
Chi ha del pepe ne mette anche sul eavolo. 
Chi ha del panno può menar la coda. 

Perchè la rìcuopre sotto air ampiezza delle vesti; e dicasi 
di efii può nascondere alcuni difetti o con belle Tnrtii 
o col danaro. 

I denari son come le brache degli stufaìuoli ; cuo- 

prono le vergogne — e 
La roba fa stare il tignoso alla finestra. 



i 



àÓ5 
Chi ha del pane mai non gli manca cane. 
Chi ha pane e vino sta me' che il suo vicino» 
Chi ha più bisogno più s'arrenda — e 
Chi abbisogna non abbia vergogna. 

Quando la necessità stringe non si possono avere falsi 
ritegni. 

Chi ha quattrini ha tutto. 

Ma si dice meglio: 
I quattrini non sono ogni cosa. 
Chi ha quattrini non ha cuore. 

Così anche il Vangelo parlando del ricco. 
Chi ha terra ha guerra. 

Chi la fa (la roba) chi la disfa e chi la trova fatta. 
Chi leva muro leva muso. 

Chi arricchisce doventa superbo. 

Chi n' ha ne semina, e chi non n' ha ne raccatta - e 

Chi non ne ha non ne versa. 
Chi non ha del suo patisce carestia di quel d^ altri — 

perchè: 

La roba va alla roba e i pidocchi alle costure — 
solamente: 

La roba alla roba — e 

Ogni acqua va al mare — e 

I più tirano i meno. 

Chi non ha non è (o non sa). 
Chi perde la roba perde il consiglio — e 
Chi perde il suo perde il cervello — e 

II danno toglie il consiglio. 
Chi più n' ha più n' imbratta. 

Cioè, chi ha più roba più ne consuma. 

Chi poco ha poco dà — o 

Nessuno dà quel che non ha. 
Chi si porta dietro la casa può andar per tutto* 

20 



"V'T-?^p?^t.;?5 



306 
C è il povero di Dio e quello del Diavolo. 

C è chi chiede V elemosina per vero bisogno, chi per so- 
disfare al vizio. 

Col pane tutti i guai son dolci — e 
Tutti i dolori col pane son buoni. 

Oom' è grande il mare è grande la tempesta. 

Con poco si vive, con niente si muore. 

Dalla rapa non si cava sangue. 

Della superbia de' poveri il diavolo se ne netta il se- 
dere — e 
Superbia senza avere mala via suol tenere. 

Dove non n' è non ne toglie neanche la piena. 

Dove più ricchezza abbonda più di lei voglia s' affonda. 

Due itern fan l'uomo beato. 

Item ti dono, item ti lascio, com' è stile dei testamenti. 

Oli errori de' medici sono ricoperti dalla terra, quelli 
dei ricchi dai danari. 

CBi stracci medicano le ferite. 

La povertà fa dimenticare ogni altro male. 

Olì uomini fanno la roba, non la roba gli uomini. 
L*uomo non si deve stimare secondo ricchezza. 

Gran nave, gran pensiero — e ' 
Ha più il ricco quando impoverisce 
Che il povero quando arricchisce. 

I denari cavan le voglie. 

Questo può anche valere che Tuomo desidera meno quan- 
to è piti avvezzo a soddisfarsi. 

I denari hanno sempre i lattaioli. 

Cioè, son sempre giovani, e non vengoa mal tardi 
J danari sono il secondo sangue. 
1 danari stan sempre con la berretta in mano — eiV 
Per andarsene — e 
I danari vanno e vengono — e 



307 
I danari vengono di passo e se ne vanno via di ga- 
loppo e 

I danari son tondi e ruzzolano — e 

I quattrini non hanno gambe ma corrono — € 

I danari vanno via come 1' acqua benedetta. 

Perchè molti ci tuffano la mano. 

I debiti de' poveri fanno gran fracasso- 

Se dovessero far rumore quelli de* cosici etti ricchi, in breve 
il mondo diventerebbe sordo. 

II bene de' poveri dura poco. 

Il martello d' argento spezza le porte di ferro — e 
L'argento tondo compra tutto il mondo 
V argento tondo, l'argento coniato — ^ 

Colle chiavi d'oro s' apre ogni porta ^ e 

II suon dell' oro frolla le più dure colonnG — e 
I chiavistelli s' ungon con 1' oro. 

É storia antica che con Toro può aprirsi qualunque 
porta. 

Il mendicante può cantare dinanzi al ladro. 

Il molto fa l'uomo stolto. 

Il pane del povero è sempre duro. 

Il pan solo fa diventar muti. 

Il più ricco è il più dannoso. 

Il tribolato va dietro al condannato. 

Tribolato, povero. 
n povero mantiene il ricco. 

Col lavoro mantiene se stesso e mantiene tutti ; e tutti 
siamo poveri, perchè tutti bisogna lavorare in qual- 
che modo. Un altro Proverbio dice: 

Chi lavora fa la roba a chi si sta. 

A chi si sta in ozio ; ma il proverbio non è sempre vero. 
Il pover' uomo non fa mai ben : 

Se muor la vacca gli avanza il fien; 



30B 

Se la vacca scampa il fien gli mancap 
Il veleEO bì bere nell'oro. 
I migliori alberi sono i più battuti. 
Perchè danno maggior frutto* 

In panno fino sta la tarma — e 

Neil© belle muraglie si genera il serpe. ' 

In povertà è sospetta la lealtà. 

I poveri cercano il mangiare per lo stomaco^ ed i ric- 
chi lo stomaco per il cibo* 

I poveri hanno le braccia corte. 

I poveri mantengono la giustizia. 

Perchè contraessi si procede severamente, e sono gasti- 
gali, (Seì^donatL) 

I poveri non hanno parenti, 

I ricchi hanno il paradiso in questo mondo e nell* al- 
tro, se lo vogliono. 

L'abbondanza foriera è d'arroganza — e 
Prima ricco e poi borioso. 

La pecunia^ se la sai uaare^ è ancella \ se no, è doims. 

La povertà è fedel servitore. 
Non ti abbandona mah 

La povertà è il più leggero di tutti i mali. 

La povertà mantiene la carità. 

La ricchezza non s'acquista senza fatica, uon si pos- 
aiede senza timore, non ai gode aenza peccato, non 
si laicia senza dolore. 

La roba ruba l'anima. 

La troppa carne in pentola non si cuoce. 
La sovrabbondaniMi degli averi non fa prò. 

Le facoltà fanno parere ardito ohi non è, e savio chi 
non sa. 

Le ricchezze hanno T ali. 

Le ricchezze son come il conciOj ammassato puzMj e 
sparso fertilizza il campo. 



309 
L^ora del deamare, pe'ricolil quand'hanno appetito, pei 

poveri, quand' hanno da mangiare. 
L'oro presente cagiona timore, e assente dà dolore. 
Meglio star vicini a un crudo che a un nudo. 

Meglio aver per vi ciao un ricco, benché avaro, che un 
povero <ìal quale non può venir onila ^ ovvero 

Meglio con un avaro che ne ha 

Ohe con un prodigo disperà. 
Miseria rincorre miseria. 
Né cavalli ne giardini non aon pe' poverini. 
Kon fu mai sacco sì pieno che non v' entrasse ancora 

un grano. 
B^on si può dire abbondanza se non n' avanza, 
Ifon sì può dire a uno peggio che dirgli povero. 
Ogni ricchezza corre al euo fine. 
Per ben parlare e assai sapere 

Non sei stimato senza T avere. 
Pignatta vuota e boccale asciutto guasta il tutto- 
Povero è chi ha bisogno ^ e 

Povero è il Diavolo. 
Povertà fa viltà (ovvero fa V uomo vile). 
Povertà madre di sanità- 
Povertà non è vizio ^ e 

Povertà non guasta gentilezza — o 

H povero non guasta il galantuomo. 
Quando il bisogno picchia all' uscio V onestà si butta 

dalla finestra — e 

I^on v'è pensier penoso quanto onore e povertà. 
Quando il povero dona al riccOy il diavolo se la ride. 
Quanto più manca la roba tanto più cresce lo strepito* 

E con più mite significazione : 
Taso vuoto suona meglio. 
Quei c'han ducati signori aon chiamati. 
Ricchezza e scienza insieme non hanno residenza — o 



310 

I signori non possono avere due cose, giudizio e quat- 
trini. 

Ricchezza e sopruso son fratelli.* 
Ricchezza non fa gentilezza. 
Ricchezza poco vale a quel che V usa male. 
Sacco pieno rizza V orecchio. 

Orecchio^ T estremità del sacco chiuso che sopravanza la 
legatiu^. 

Sanità senza quattrini è mezza malattia. 
Se i signori avessero giudizio i poveri morirebbero di 
fame. 

Signori^ vale ricchi. Aver giudizio, parlando d'economia, 
significa mettere da parte: se chi ha danari non gli 
Ependesse non vi sarebbe lavoro. 

Se ti trovi dal bisogno stretto, 
Prima che dagli altri vai dal poveretto. 

In lui trovi più facilmente soccorso. 

Tutti i guai son guai, ma il guaio senza pane è il più 
grosso. 

Tutto w fumo e vento fuorché V oro e V argento. 

Uomo senza quattrini è un morto che cammina — e 
Uomo senza roba è una pecora senza lana — e 
Se vuoi veder un uom quanto gli è brutto, 
Un uom senza danar guardalo tutto — ma 

II denaro fa Y uomo intero. 
Un ricco solo impoverisce molti. 
Vita d' entrata, vita stentata. 



311 



PROBITÀ, ONORATEZZA. 

Probità : Doutd di co 'il urne per coscienza e persuasiùii^^ 
del buono come quello eh' è onesto naturalmmte. È 
pure : virtù sociale per cui V uomo .ù astiefie dal far 
cose disdicevoli, e che lo fa da tutti tentare per degno 
della approvazione e della .stima comune. 

Onoratezza : È qualiln inerente a chi è probo ed omsto^ 
per cui è degno e ha diritto alla riverenza degli altri. 

Al peso elle si compra bisogna vendere, 
A mani itionde Dio gli dà da mangiare. 
Chi hfi ragione Iddio V aiuta — e 

La ragione Iddio V ama. 
Chi non ha fede non ne paò dare. 
Chi non vuol rendere fa male a prendere. 
Chi promette in debito si mette — e 

Ogni promeBsa è debito. 
Clii promette nel bogeo deo mantenere in villa» 

Chi ha promesso nel pericolo, mantenga poi quando è in 
sicuro. 

Chi tarda a dar quel che promette, del promesso si 

ripeote. 
Chi va diritto non fallisce strada. 
Chi vuol ben pagare non si cura di bene obbligare. 

E per lo contrario riicesi : 
Il promettere è la vigilia del non attendere — e 
Chi scrive non ha memoria* 
Chi vuole che il suo conto gli tomi faccia prima 

quello del compaj^no. 
Chi vuole ingannare il comune paghi le gabelle. 

Perchè andando sinceri non si paga la multA^ che è mag- 
giore dui dazio* 



312 

Col Btìo sì salva V onore e eoa quel d' altri si ] 

Dei giudizi non mi curOj che le mie opere mi faQiio 

sionro. 
Dove non c'è onore non c'è dolore. 

Lo svergognato non prova dolore, 
È meglio mendicare che euUa forca sgambettare. 
Gli avventori non mancano a casa Dabbene. 
n bel rendere fa il bel prestare. 
n ben fare è guerra al tristo, 
n galantuomo ha peloso il palmo della mano. 
Il galantuomo ha piacere di veder chiudere. 
La vigna pampinosa fa poca uva. 

Cioè chi promette molto attiene poco — e dicm ^fJ^he 

Assai pampani e poca uva — e 
Le parole legano gli uomini e le funi le corna ai 

buoi — e 

Il bue per le corna e 1' uomo per la parola. 
Le parole non empiono il corpo — e 

Le parole non sMnfìlzano. 

Non se ne può far capitale, perchè non sì eoaservano co^ 
me le scritture, le quali si sogliono tenere insieme infil- 
zate — e 

Le parole son pasto da libri. 

T^on ai cava mai la sete se non col proprio vino. 
Non ai dee dar tanto a Pietro che Paolo resti indietra. 

A ciascuno il suo. 
TSon toccare il grasso colle mani unte. 

Non ti s'attacchi alcuna cosa. 

Ognuno faccia col suo. 

Pesa giusto e vendi caro — e 

Caro mi vendi e giusto mi misura» 

Cosi il compratore; ma il venditore poco onesto: 
Dieci once a tutti j undici a qualcuno e dodici a 
nessuno. 



313 

Piuttosto pecora giusta che lupo grasso. 

Cosa giusta è cosa mezzana j giusto^ né grasso né magro, 
né grande né piccolo, ecc. 

Pochi denari e molto onore. 

Promessa ingiusta tener non è giusto. 

Promettere e non mantenere è villania. 

Promettere è una cosa, e mantenere è un' altra — 
ovvero : 

Altro è promettere, altro è mantenere — ma 
Chi promette e non attiene, 
L^ anima sua non va mai bene. 

Quel eh' è di patto non ò d^ inganno. 

Tra galantuomini una parola è un iatrumendo. 
Un istrumento, un contratto legale. 

Tal pid un pugno di buona vita che un sacco di sa- 
pienza. 

Vuoi vendicarti de' tuoi nemici ? Governati bene. 



VIRTÙ, ILLIBATEZZA. * 

virtù : È abito inorale di Heono^cerE e. di amare il bene 
nelVùrdine suo. L" operare abituale secondo la legge 
naturale^ divina ed umana ^ Eccellenza morale. 

Illibatezza : Integrità di costumi e di vita. 

Alla porta chiusa il Diavolo volta le spalle — ina 
Castello che dà orecchia si vuol rendere. 
Dicasi alle donne civette. 

Anche il sole paasa sopra il fango e non s' imbratta. 

Chi di virtà non ha lo scudo, mancatagli la roba re- 
sta nudo. 

Chi £a bene ha bene (o fa bene a se) — e 
Chi vuol del bene non dee fare nemmeno male. 

Non solo bisogna fare del bene, ma anche astenersi dai 
fare del male. 



314 
Chi giustamente vive non muor mai. 
Chi inciampa e non cado avanza cammino. 

Perchè apprende a procedere piti cautamente; e dicsBi an- 
che: 

Ogni adrueciolo non è una caduta. 
Chi semina virtù fama raccoglio. 
Chi vìve netto muore da mal netto. 
Chi vuol salvar 1' onore, sdegno in fronte e fuoco in 

core. 

E si ricordi che « La sommersa onestà non torna ama. 
*t E poi che è estinta piti non si ravviva. » 

Dove e' è innocenza vi è provvidenza. 
È pia difficile far male che far bene. 
Il ben dire s' appartiene a pochi, ma il ben vivere si 

conviene a tutti. 
La castità è la prima beltà. 
La virtù è sempre bella. 
La virtù poco luogo ingombra. 
Le radici della virtù sono amare, ma i fratti dolci. 
L'oro luce, la virtù riluce e il vizio traluce. 
L' oro non prende macchia. 
Mano bianca è assai lavata. 
Mano dritta e bocca mouda può andar per tutto il 

mondo. 
Non fare agli altri quello che non vorresti che fosae 

fatto a te. 
Poca macchia guasta una bellezza — e 

M'el latte si conoscono meglio le mosche. 
Quel che si fa per il bene non dispiace a Dio» 
Una virtù chiama V altra. 




315 

PRUDENZA, ACCORTEZZA, SENNO. 

Prudenza: Virtù o abito morale che ci rende atti a ben 
giudicare delle cose da farsi o da furjgirsi nelle va- 
rie congiunture della vita. Per essa, riservati e cau- 
ti, Siam trattenuti da parlare od operare male a 
proposito e fuori di opportunità. 

Accortezza : Abilità di conoscere^ ne IV operare e in ogni 
atto, tutto ciò che può riuscirci dannoso, e per la qua- 
le, da un lievissimo indizio comprendiamo V altrui 
pensiero, volontà e disegni. Nel furbo precale la ma- 
lizia, nell'accorto il senno. 

Senno : Sentimento di prudenza pratica, per cui V uomo 
sa condursi e condurre con giudizio e giustizia. 

Accerta il corso e poi spiega la vela. 
Assai avanza chi fortuna passa. 

Chi supera le contrarietà, le sventure. 
Bisogna guastare il male con le punte delle ditii. 
Bisogna essere più furbi che santi. 
Bisogna navigare secondo in vento — e 

Chi piscia contro il vento si bagna la camicia. 
Bocca chiusa e occhio aperto 

Non fé' mai nessun deserto. 
BesertOy misero, derelitto. 
Buona la forza, meglio V ingegno. 
Chi ben congettura bene indovina. 
Chi ben giudica bene elegge. 
Chi ben si guarda scudo si rende — e 

Chi si guarda, Dio lo guarda. 
Chi è avvisato è armato. 

Chi è accorto, avveduto, savio. 
Chi è minchione suo danno — e 

Chi è minchione resta a casa — e 



i 



A 



316 
La parte del minchione è la prima mangiata — e 
L' ultima rendita è quella dei minchioni. 

Chi è savio si conosce al mal tempo. 

Chi ha fatto la pentola ha aapnto tare anche il manico, 

Chi nasce tondo non muor quadro. 

Chi non guarda innanzi rimane indietro — e 

Chi dinanzi non mira di dietro sospira. 
Chi non ha giudìzio perde la cappella e il beneficio. 
Chi non ha testa (o giudizio) abbia gambe. 
Chi non vede il fondo non pasai V acqua. 
Chi piglia la lancia par la pnnta, la spezza o non la 

leva di terra. 
Chi sta a casa non si bagna — e 

Chi va a caaa non si bagna, 

IL primo dicesi dell' uomo cauto ; il secondo signiflca chfl 
e poco male pigliare la pioggia quando tornando a ca- 
sa tu puoi mutarti tutto o scalciarti. 

Chi teme il cane si assicura dal morso. 
Chi sta a vedere ha due terzi del giuoco. 

Perchè non corre il rischio di perdere. 

Chi vive contando vive cantando. 

Chi ben ragiona i fatti suoi se la passa bene. 

Ohi vuol saldar piaga non la maneggi. 

Con un po' di cervello si governa il mondo — e 
A chi ha testa non manca cappello. 

Cosa prevista mezza provvista — ed anche: 
Il male previsto è mezza sanità. 

Dalla prudenza viene la pace, e dalla pace viene V ab- 
bondanza. 

Di notte parla piano, e dì giorno guardati d' intorno. 

Disavvantaggio muta pensier nel saggio» 

Donasi TuiScio e la promozione^ e non la prudenza 
ne la discrezione. 



lu 



8W 

Dove non è ordine è disordine — e 

Doto non è regola non ci sta frati. 
È meglio aver la paura che la paura « il danno — e 

Chi non teme pericola — e 

Chi non teme non si guarda ; chi non ei guarda . 
si perde. 

Paura e timore si pigliano qui per T antiveggenza del 
pericolo. 

È meglio cader dal piede che dalla vetta — o 

Meglio cascar dall'uscio che dalla finestra. 
Guarda che tu non lasci la coda nell' uscio. 

Mentre credi di averla scampata. 
Guarda il tuo coltello dall'osso. 

U coltello si rompe o si stila quando incontra rosso; e così 
la volontà dell* uomo, quando vuol dar^ di punta con- 
tro a certe difficoltà, le quali è meglio scansare, ^G^wa^^ìj 

D bello è star nel piano e confortare i cani all' erta. 
H minchione di quest' anno se n' accorge qiiest' al- 
tr' anno — e 

Chi non si governa bene un anno sta cinque che 
non ha allegrezza. 
j n mondo è come il mare, 

E' vi s' affoga chi non sa nuotare — e ^ 
Mondo rotondo, chi non sa nuotar vassene a fondo. 
Il piano ha occhi e il bosco orecchi. 

Nel piano ti scuoprono gli occhi altrui ; nel bosco gli o- 
rocchi altrui. 

H vedere è facile, e il prevedere è difficile» 
I minchioni si lasciano a casa. 
In letto stretto mettiti nel mezzo. 
I piselli son sempre nelle frasche. 

Piselloni son detti gli uomini semplici che sempre vi- 
vono impacciati. 

La briglia regge il cavallo e la prudenza l'uomo- 



Fji • mr 



i 



31d 
La prudenza non è mai troppa. 
Mal va la barca senza remo. 
Non sì fa più lunga strada 

Ohe quando non si sa dove si vada. 
Ogni cosa va presa per il suo verso. 
Quando brucia nel vicinato porta 1' acqua a casa tua. 
Quando tu puoi ir per la piana non cercar V erta ne 

la scesa — anzi: 

Per andare a piano si scendon molte niiglia. 
Quando tu vedi il lupo non ne cercar le pedate. - 
Senno vince astuzia. 

Si può imporre la legge, ma non la prudenza. 
Temperanza t' affreni, e prudenza ti meni. 
Un occhio alla pentola e uno alla gatta — e 

Occhi che veggono non invecchiano — ma 

Per i ciechi non è mai giorno. 
Uomo nasuto di rado cornuto. 

Nasuto, latinamente, avveduto accorto. 

Tal più un moccolo davanti che una torcia di dietro. 



RIFLESSIONE, PONDERATEZZA. 

Riflessione : qui vale : Attenta consideì^azione che si fa so- 
pra un disegno prima di recarlo ad atto, o sopra qual- 
che fatto f affine di trarne utile norma ed ammaestra' 
mento per V avvenire. 

Ponderatezza ; ^wa5^ pesamento morale, meditazione ferma^ 
profonda^ e consultazione accurata intorno a una co-' 
sa da farsi. 

Adagio a' ma' passi — e 

A cattivi passi onora il compagno. 

Cioè fallo andare innanzi, e sta a vedere come n'esce. 
Alla prima non s'indovina. 



B19 

Air entrar ci vuol disegno, all' uscir danari o pegno. 

Al pan si guarda prima che s' inforni- 

A ogni paaso nasce na pensiero. 

A penna a peana ai pela Y oca — e 
A uno a uno ai fanno le fuaa. 

Bisogna prima pensare e poi fare — e 
Bisogna pensare un pezzo n quello che s' ha a fare 
una Tolta aola. 

Chi non pensa prima sospira dopo. 

Chi air uscir di casa pensa quello che ha da fare quando 
torna ha finito V opera. 

Chi aspettar puole ha ciò che vuole. 

Chi a tempo vuol maugiarCj innanzi gli convien pen- 
sare — e 
Chi non vi pensa non mangia — e 

Chi vuol moglie a pasqua, la quaresima se 1' accatti. 

Bisogna pensare alle cose avanti. 

Chi coglie il frutto acerbo si pente d* averlo guasto. 
Chi corre non può fermarsi per V appunto dove vuole* 
Chi fa in fretta ha disdetta — s 

Chi falla in fretta piange adagio — e 

Chi erra in fretta a beir agio ai pente — e 

Il pentirsi è una morte. 
Chi fa bene quel che ha da fare non è mai tardi — e 

Chi fa bene fa presto ^ e 

Troppo sta chi non fa bene. 
Ohi ha fretta indugi ^ e 

Se tu hai fretta siedi. 
Chi ha tempo ha vita. 
Ohi ha un' ora di tempo non muore impiccato — e 

Si dà tempo tre dì a uno che s' abbia ad impiccare. 
Chi non dubita di nulla non sa mai nulla — e 

Chi non sa non dubita, e chi non dubita non intende. 
Chi non pesa non porta bene. 



320 
Chi pensa innanzi tratto gran savio yien tenuto : 
Poco vale il pensare, se il male è intravenuto. 
Chi può andar di passo per l' asciutto non trotti per il 

fango. 
Chi taglia taglia e chi cuce ragguaglia. 

Detto contro gli acciarponi che fanno le cose a caso. 
Chi va piano va sano e va lontano. — e 

Ohi va forte va alla morte. 
Col tempo e colla paglia si maturacn le sorhe e la ca- 
naglia — perchè 
Non vi sono frutti sì duri che il tempo non matarL 
Comincia, che Dio provvede al resto. 

In tutte le cose il difficile sta nel cominciarle. 

Consìglio veloce pentimento tardo — e 

Chi tosto si risolve tardi si pente. 
Cosa non pensata non vuol fretta — e 

Chi presto crede ben non vede. 
Dai tempo al tempo — e 

Col tempo una foglia di gelso divien seta. 
Del senno di poi ne son piene le fosse — e 

De' secondi consigli son piene le case, e de' primi ve 
n'è carestia. 
Di un gran cuore è il soflFrire, e di un gran senno è 

r udire. 
Dove non vedi non ci metter le mani. 
Guardati dall' imbarcare. 

Cioè dair imprendere sconsigliatamente negozi o fiiccende 
alle quali non possono bastarti le forze o la capacità. 

Guardati dal Noncipensai — e 
Brutta cosa dire : non la pensai. 

Il ben detto è presto detto — ovvero: 
Presto è detto quel che è ben detto — e 
Le cose non son mal dette quando non sono mal pen- 
sate. 



J 



321 

Il mondo non fti fatto in un giorno — o 

Roma non fu fatta in un giorno, . - 
li tempo dà consiglio. 
Il tempo è buon amico — e 
Il tempo Tiene per ohi io aa aspettare — e 
II tempo non viene mai per chi non V aspetta- 
la poche ore (o in un' ora) Iddio lavora. 
Ma gli uomini hanno bisogno del tempo. 
I secondi pensieri aon i migliori. 

Perchè i primi molte volte son falsi o precipitatL 
La fretta fa romper la pentola — e 
La gatta frettolosa fece i gattini ciechi — e 
ì^on far nulla in fretta se nmi ohe pigliar le pulci- 
La furia vuol V agio. 

ifolto tardare chi vuole assai acquistare — e 
Piattoato moro che mandorlo. 

Cioè, è buona cosa quando g^li uomini si risolvono tanli. 
H mandorlo fio ri sce prima delle altre piante, il moro è 
tra le ultime» 

Nei pericoli con giudizio, al rimedio col tempo. 

Non fu mai frettoloso che non fosso pazzo. 

Non pesa bene chi non cootrappe&a. 

Pensa molto, park poco e sorivi meno. 

Pensa oggi e parla domani, 

Penaaroi avanti, per non pentirai poi — perchè 

Di cosa fatta male il ripentir non vale — e 
Di tutto quello che vuoi fare o diro, pensa prima ciò 

che ne può seguire — nm 
k. pensar troppo non si fa nulla. 
Piano si lavora bene. 
Presto e bene non stanno insieme. 
Prima consigliati e poi fai. 

hmanzi al fatto deve andare il consiglio. 
Quando pigli un'impresa pensa prima aUa spesa, 
21 



322 
Rivedi quello che sai. 
Tristo a quel consiglio che non ha sconsiglio. 

SAPERE, IGNORANZA. 

Sapere: È ciò che Vuomo ha imparato, o che può , secon- 
do le facoltà sue, imparare. 

Ignoranza : E il suo contrario. Difetto di cognizioni; ma 
come e* è il vero e il falso sapere, cosi e' è la vera e 
la falsa ignoranza, 

A chi sa non manca nulla — e 

Dal sapere vien Y avere — e 

L'ignoranza è madre della miseria. 
Air asino non istà bene la sella ~ e 

Chi mette all' asino la sella, la cigna va per terra. 
All' uomo grosso dagli del macco. 

Macco è vivanda grossa di fave sgusciate e ridotte in 
tenera pasta. Intendi che gli uomini di cervello duro 
hanno bisogno che le cose sieno loro spiattellate gros- 
solanamente e non con molta sottigliezza. E si dice 
anche : 

La treggèa non è da porci. 

Treggea, confetti minuti — e 
L' orzo non è fatto per gli asini. 
Chi acquista sapere acquista dolere — ovvero 
Chi aggiunge sapere aggiunge dolere — e 
Chi men sa men si duole — perchè: 
La candela alluma, e se stessa consuma — e 
Il non saper nulla è dolce vita. 
Chi asin nasce, asin muore — e 

Chi di venti non n' ha, di trenta non n' aspetti — e 

Chi di venti non è, di trenta non sa e di quaranta 

non ha, né mai sarà, ne mai saprà, né mai avrà — e 

L' asino che non ha fatto la coda in trent' anni non 

la farà mai piti. 



323 

Chi di scienza è amatore a lungo andare avrà onore — p. 
Chi di scienza è amatore, di essa h ^ià professore. 
Chi fa quel che sa, più non gli è richieato. 
Chi ha spirito di poesia merita ogni compagnia, 

or improvvisatori sono graditi sempre al popolo, il quu- 
le ama il pensiero condensato in poesìa od é capace 
d' intenderlo. 

Chi lava il capo all' asino perde il ranno e il sapone. 

Ninno può dare ad altri ciò che la natura gli nega. 

Chi male intende peggio risponde. 
Chi non sa fare lasci stare — o 

Chi non sa fare lasci fare, o lasci fare altri o se 
ne stia. 
Chi non sa T arte serri la bottega. 
Chi non sa niente non è buono a niente. 
Chi più capisce, più patisce. 
Chi sa è padrone degli altri — e 

La gamba f^ quello che vuole il ginocchio. 
Chi sa ha dieci occhi, chi non sa è cieco affatto. 
Chi studia molto impara poco; chi studia poco impara 

nulla — e 

Presto imparato presto dimenticato. 

Bisogna studiare con diligenza e con senno. 

Chi troppo sa poco sa — e 

Per troppo sapere l'uomo la sbaglia — e 
Dio ci guardi da error di savio. 

Perchè i savi sono creduti ed hanno seguito. 

Chi troppo studia matto diventa. 
Chi niente studia mangia polenta, 
Com' asino sape così minuzza rape. 

Ognuno opera o pensa secondo la propria capacità* 

Dall' asino non cercar lana. 



r 



324 
Da San Luca a Natale tutti studiano uguale, da car- 
nevale a Pasqua, chi studia e chi studiacchia (o chi j 
studia e chi lascia). j 

É proverbio che corre nelle Università. 

È asino di natura chi non sa leggere la sua scrittura, i 

È bene sapere un po' di tutto. 

È meglio esser mendicante che ignorante. 

È meglio non nato che non insegnato — e 

Ogni ignorante è cattivo. 
È meglio un garofano che un gambo di pera — e 

Val più un grano di pepe che uno stronzolo d'a- 
sino. 
È meglio un libro corretto che bello. 
E cieco non giudichi dei colori. 
Il re non letterato è un asin coronato. 
H sapere è il bastone della vita. 
II sapere ha un piede in terra e V altro in mare. 

Si appoggi sul vero, sul fermo, sul sodo, perchè V un pie- 
de è spesso in falso. 

H savio non è mai solo. 
Impara Tarte e mettila da parte. 

ha vicende della vita sono tante che può tornar conto 
anche ai grandi signori di saper fare qualche cosa. 

In terra di ciechi chi ha un occhio è signore. 

In latino: Beati monoculi in terra coecorum. Il prover- 
bio è di origine greca. 

I pazzi per lettere sono i maggiori pazzi. 
La libreria non fa V uomo dotto. 
La maraviglia, dell'ignoranza è figlia. 
La merda dell' oca brucia il suolo delle scarpe. 
La scienza è follìa, se senno non la governa. 
Leggere e non intendere, è come cacciare e non pren- 
dere. 



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T^^^cr^-*?;-'^- 



325 

Lettera e lettiera non si confondono insieme. 

Lettiera^ dove si poltrisce. 

L'opera loda il maestro. 

Molti ingegni fa restare gelosia dell' insegnare. 

Purché abbia il maestro di che essere geloso, caso in og- 
gi non troppo frequente. 

Molti vanno a studio Messeri e tornano a casa Seri, 

Messere^ titolo eh' era dei dottori e de' cavalieri ; Sere^ 
dei notaiuzzi, ec e spesso usato in dileggio, {Giu- 
sti) — e 

Molti vanno a studio vitelli e tornano a casa buoi — e 

Meglio esser dotto che dottore. 
Non e' è avere che vaglia sapere — e 

Ricchezze senza lettere sono un corpo senz' anima. 
Non tutti quelli che hanno lettere son savi — o 

Non tutti quelli che leggono intendono. 
Non v' è maggior ladro d' un cattivo libro. 

Ruba le due migliori proprietà dell' uomo, il tempo ed il 
senno — e 

Un cattivo libro è anche più cattivo perchè non si 
può pentire — e 

Un cattivo libro ha il peggio di non potérsi pentire. 
Ogni bue non sa di lettere. 
Pazzo per natura, savio per iscritttura. 
Quando non sai, frequenta in dimandare. 
Raglio d' asino non arrivò mai in cielo. 
Sapienza occulta, tesoro riposto. 
Tutti non possono esser dottori — e 

Se tutti gli uomini fossero dotti finirebbe il mondo. 
Un asino gratta 1' altro . — ovvero 

Un asino trova sempre un altr' asino che lo ammira. 

A burlare quelli che tra loro si ammirano e s'Incensano- 
Eppure nella città di Cadmea il grattarsi reciprocamen- 
te le orecchie è chiamato il grande atto della carità 
fraterna, E di questa pratica Michele Colombo nella 



326 

sua Repubblica de' Cadmiti, cap. 9, divisa gli strumenti 
e i modi, e dice che ciascuno ci trova il suo conto, e che 
tra quei difficili repubblicani nascono querele e nimistà 
solo quando alcuno, come spesso accade, non si crede 
grattato abbastanza, o con dolcezza pari al suo merito. 

Tal più un'ape che cento mosche. 

Val più un asino vivo che un dottore morto. 

Lo fanno dire a chi non vuole ammazzarsi con lo studio. 
Yal più un colpo del maestro che cento del manovale. 



SAVIEZZA, MATTIA. 

Saviezza : Senno ^pratico del governarsi nel vivere per sé 
e cogli altri, non uscendo mai da quella equanimità 
e padronanza dei proprii giudizii che è condizione e 
guarentigia di ben risolversi e di meglio operare. 

MaXìia: Alterazione speciale del raziocinio, la quale con- 
duce ad atti sconsigliati e a sragionare stranamente. 
Pigliasi anche per leggerezza e volubilità di carat- 
tere nel giudicare e nelV operare. 

A consiglio di matto campana di legno. 

Col matto bisogna adoperare il bastone per levarselo di- 
nanzi, e non si dee porgergli gli orecchi, intesi per la 
campana (Serdonati,) 

Ai pazzi e a' fanciulli non si vuol prometter nulla. 
AUfì barbe de' pazzi il barbiere impara a radere. 
Allo scapestrato mai gli manca un cencio. 
Al savio poche parole bastano. 
Alza il matto e fallo salire. 

Perché si scopra la sua mattia — e 

Loda il matto e fallo saltare ; se non è matfco, il fo- 
rai doventar©. 
Basta un matto per casa. 
Bisogna che il savio porti il pazzo in ispaìla — e 

Chi ha più giudizio più n' adoperi — e 



d 



Chi più n' ha, più n^ adopri. 
Chi fugge un matto ha fatto buona giornata. 
Chi nasce matto non guarisce mai. 
Chi si governa da pazzo, da savio si duole. 
Chi usa i matti alle persiche, ci corrono colle pertiche. 

Chi avvezza gli scioperati a cosa che gli alletti, gli trova 
indiscreti nell' usarla, come chi invitato a coglier pe- 
sche da un albero, andasse invece con la pertica a but- 
tarle giù. (Giusti) 

Commetti al savio e lascia fare a lui. 

Con i pazzi poco si guadagna. 

Dio aiuta i fanciulli e i pazzi — ed anche: 

I bambini e i pazzi non si fanno mai male — perchè 

I matti e i fanciulli hanno un angelo dalla loro» 
Dio dà il giudizio e poi dice adopralo. 
D'uh matto piangi, e d'un briaco ridi. 
E' vi sono de' matti savi e de' savi matti. 
Dei quali ultimi si dice : 

Savio a credenza e matto a contanti. 
Gli stolti non hanno mezzo. 
Gh uomini savi fanno le savie cose. 
il giudizio non si vende a braccia — e 

Del giudizio non ne vendono gli speziali* 
Il matto non crede s'ei non riceve. 
I matti mordono e i savi se n' accorgono. 
I pazzi crescono senza innaffiarli. 
I pazzi e i fanciulli posson dire quello che vogliono — e 

Pazzi e buffoni hanno pari libertà. 
La mattìa torna in capo al matto. 
La roba de' matti è la prima a andarsene. 
Metti il matto da se (o da per sé) diventerà savio. 
Metti il matto in banca, o e' mena i piedi o o' canta, 
Ninno è savio d'ogni tempo. 

Non è sempre savio chi non sa esser qualche volta pazzo-. 
È dolce folleggiare a tempo. 



328 

Kon mettere il rasoio in mano ad iia pazzo* 

Non perde il cervello se non chi V ha, 

Non tutti i matti stanno allo spedale. 

Ognuno ha opinioue, ma non discrezione- 
Passera il folle colla sua foUia^ 
E passa il tempo, ma non tuttavia. 

Quando matto vuole, matto non può. 

Se i matti non matteggiano perdono la stagione. 

Se i savi non errassero, i matti a' impiccherebbero. 

Se la pazzia fosse dolore, in ogni casa si sentirebbe 
stridere. 

Se tutti i pazzi portassero una berretta bianca si par- 
rebbe un branco d' oche — e 

Non sono tutti pazzi quelli che vedi andare in 
zucca. 

Sogno di briaco e gravità di pazzo fanno un bei 
mazzo. 

Testa di pazzo non incanutisce mai. 

Tutti i matti tirano a unu. 

Sono tutti eguali. 

Un matto ne fa cento. 

Un pazzo getta una pietra nel pozzo, che poi ci vo- 
glion cento savi a cavarla fuori. 

Detto soprattutto degli ^^(^amiali, degli scompigli. 



329 

SCHIETTEZZA, VERITÀ, BUG*A, 

Schiettezza : Qualità morale per cui si manifesta lealmente^ 
seti za rispetti umani e garbatammite^ il nostro pensiero 
e r animo nostro^ artche se dà può non tornare gra- 
dito a chi ascolta^ 

Verità : L' essere delle cose conosciuto dalla mente^ E an- 
che il dire le cose quali esse sono, senza alterazione* 

Bugìa; Il dire il falso, il non dire la verità. Tramenio- 
gna e bagia è questa differenza: che menzoffna e vo- 
ce da pì^e ferir si a biigia^ ogni volta il mentire abbia 
alto motivo o nobil fine. Menzogna è pili nobile di 
augia. 



Ai bugiardo non è creduto il vero. 

Colui che mentendo grida al lupo^ e per burla chiede soc^ 
corso ai vicini, quando il iupo Tiene davvero^ rimane 
senza soecoreo. 

Al cotifeesore, medico e avvocato, non tenere il ver 
celato. 

Al vero corrisponde aenipre ogni cosa. 
Bisogna parlare col core in mano. 

Col core aperto, quasi offrendolo al compagno tuo per- 
chè egli possa tutto conoscerlo. 

Chi burla sì confessa. 

Spesso dalle parole che son dette come per burla ed in- 
volontarie la verità tmsparisce. 

Chi dice il vero non s* affatica» 

Chi è bugiardo, è ladro. 

Chi ha vissuto, chi ha letto e chi ha veduto 
Può dire le bugie ed è creduto* 

Chi non si mostra oom* è va con inganno — e 
Chi sempre ménte vergogna non sente — e 
La menzogna sempre resta con vergogna. 



^ 



330 

Ohi ai contessa è fuor d' obbligo. 
Ohi bì fida in bugia col ver perisce. 
Chi teme di dire non è degno di fare. 
Chi tutto nega tutto confessa. 

Chi viene senza esser chiamato non sarà mai buon 
testimone. 

Perché si mostra interessato o almeno prevenuto. 
Consentire è un confessare, 

« E però conciossiacosaché consentire è un confessare, vil- 
lanìa fa chi loda o chi biasima dinanzi al viso alcuno. » 
(Dante, Convito.) 

Credeai il falso al verace, negasi il vero al mendace. 
Dal bugiardo mi guardi Dio, 

Perchè non me ne posso guardar io. 
Fai parlare un bugiardo e l'hai cólto. 

I ghiotti i bugiardi sono i primi giunti. 

II bugiardo vuole avere buona memoria. 
Il diavolo è padre di menzogna. 

Il male si vuol portare in palma di mano. 

Volendo aiuto bisogna manifestare tutto il male. 

Il mentire non paga gabella. 

Il vero Ila il morbo in casa. 

È fuggito come gli appestati — e 

Il vero punge e la bugia unge — e 

Di' il vero a uno ed è tuo nemico — e 

Il servire acquista amici e il vero nemici — e 

Del vero s'adira l'uomo — e 

Chi dice la verità è impiccato. 

In generale se a tutti quelli che chiedono schiette paro- 
le tu francamente dici cosa che tocchi i loro difetti o 
oficnda i loro pregiudizi, quanto più hai colto nel vero 
pm gli vedrai voltarsi contro di te. Non potendo, co- 
me gli antichi tiranni, impiccarti, si raffreddano apoco 
a poco, ti abbandonano e ti fanno ricordare che; 

Il vero non ha risposta. 



sai 

La bugia corre su per il naso dì chi la* dice. 

Cioè, si vede in faccia. 

La bugia è madre dell' inganno. 

La bugia ha le gambe corte — ovvero 

Le bugie sono zoppe — e 

Dio ti guardi da bugia d' uomo dabbene. 
La novella non è bella se non e' è la giuntaroUa. . 
La verità è figliola del tempo — e 

Il tempo scuopre la verità — e 

H tempo è buon testimone. 

Beniamino Franklin si compiaceva pensando essere im- 
possibile che un uomo, anche coir astuzia del diavolo, 
dopo una vita da tristo riesca a portare nella tomt>a 
la riputazione di galantuomo. 

La verità è madre dell'odio. 
La verità è una sola. 
La verità è verde. 

È sempre giovane e piena di vita. 

La verità ha una gran foraa. 

La verità non è mai troppa. 

La verità ha una buona faccia, ma cattivi abiti. 

La verità qualche volta può uscire dalla bocca del dia- 
volo. 

La verità vien sempre a galla — e 

L' olio e la verità tornano alla sommità — e 
Il cuore è come il vino ha il fiore a galla — e 
La verità può languire, ma non perire — e 
Le bugie non invecchiano. 

Le bugie son lo scudo dei dappoco. 

Mille probabilità non fanno una verità. 

Non si può sapere il vero dal naso alla bocca. 

Ogni bugiardo si pone in caffo. 

Le verità si pareggiano, i veritieri s' accordano e il bu- 
giardo riman fuori. 



r 



B$2 

Parla por natura e non per impostura. 
Peccato confessato, è mezzo perdonato. 
Per amor del non conviene nasce molto male e poco 

bene. 
Qua! è il nodo tal sia il conio. 
9i conosce prima un bugiardo che uno zoppo. 
Un poco di vero fa creder tutta la bugia. 



SIMULAZIONE, IPOCRISIA. 

Srmulazrone: Aì'te usata con a studia dal V uomo in mostra- 
re negli atti e nelle paroìe tutto il contrario che ha 
nel pnìisiero a di bene a di male. 

Ipocrisia; È simulazione di bontà, di virtù e santità ; o 
arte d'ingannare altrui sotto specie di santità, devo- 
zione e virtii, avente il cuor pieno d*ùgni rea e vitu- 
perosa passione. 

Acqua cheta rovina i ponti — e 
Acqua cheta non mena ciocchij 
Se gli mena, gli mena grossi — e 
Acqua cheta vermini mena — e 
Acque quote, fan le cose e stansi chete — e 
Dair acqua cheta mi guardi Dio, 
Che dalla corrente mi guarderò io — e 
L'acque chete son quelle che immollano. 

Questo è detto tìguratamente ma quando si dice; 
Da fiume ammutito fuggi ; 

Vale più specialmente nel proprio. 

Acqua torbida non fa specchio. 
Alle lacrime di un erede 

È ben matto chi ci crede. 
Bacchettoni e colli torti, tutti il diavol se H porti 

Baciapile e leccasanti, se li porti tutti quanti. 



, 



(i33 
Ben dire e mal fare, non è che sé con la sua voce 

dannare. 
Bocca schifa non bee mai vino, 

Ma va alla botte col catino. 
Cavai che suda, uomo che giara e donna piangentej 

non gli creder niente. 
Dio ti guardi da chi inghiotte lo sputo — g 

G^atta piatta, chi non la vede graffia — e 

Guardati dalla peste e dalla guerra, e dai musi che 
guardano per terra. 
Guardati da chi giura in coscienza — e 

Chi giura è bugiardo. 
Guardati da' soldati che abbiano i paternostri a cintola. 
D coccodrillo mangia 1' uomo e poi lo piange — e 

Il corvo piange la pecora e poi la mangia. 
Il diavolo quand' è vecchio si fa romito (o sì ia cap- 
puccino) — e 

Quando non si può più si torna al buon Gesù — e 

Porta stanca diventa santa — e 

Quando la carne diventa frusta, anco l'anima s'ag- 
giusta. 
I giuri degli uomini sono i traditori delle doline, 
I travestiti si conoscono al levar della maschera. 
La colpa è sempre fanciulla. 
Perchè nessuno se la piglia. 
La coscienza è come la trippa, e' ne vien da tutte le 

parti. 
La molta cortesia fa temer che inganno vi sia. 
La gallina che canta (o che schiamazza) ha fatto l* ovo. 

Chi s'affatica per iscusarsi si dimostra colpt3v ole- 
La pietà, l'ipocrisia, salva il ladro e più In spia. 
La santità sta nelle mani (cioè ne^atti) non nelle parole. 
Molti si fanno coscienza di sputare in chiesa che poi 

cacano sull' altare — e 



ì 



334 

Mangiano santi e cacano diavoli. 
Non lava abito santo anima lorda. 
con verità o con bugia, 

Bisogna mantener la masseria. 
Quando il diavolo prega tien d'occhio a una preda — e 

Quando il diavolo fa orazione ti vuole ingannare. 
Quando la gatta non può arrivare il lardo dice che sa 

di rancido. 

Quando il bene e il buono non si possono negare si cor-' 
re subito a calunniarli. 

Santo per la via, diavolo in masseria. 

Tal vi sputa su che ne mangerebbe. 

Tutti in Israel non sono Israeliti. 

Uom che ghigna, can'che rigna, non te ne fidare. . 

Vicino alla chiesa, lontan da Dio. 

Yiata mesta e mal modesta il ruflSano e il tristo desta. 

Volpo che dorme, ebreo che giura, donna che piange; 

malizia sopraffina con le frange. 
Volto di mèle, cor di fiele. 



RELIGIONE. 

Religione: Il complesso dei doveri che ci legano a Dio^ e 
dei suoi comandamenti. Si prende pure per quella 
sommissione abituale dell' animo a credere in Dio, o 
quel timore dal quale nascono la riverenza e il cul- 
to che ad Esso tributiamo, 

A chi ben crede Dio provvede. 

A chi crede non duole la morte. 

A chi è in disgrazia di Dio le capre il cozzano (ovvero 

rompe il collo per una pagliucola) — e al contrario: 

Quando Dio aiuta, ogni cosa riesce. 
Al ben far non far dimora, perchè presto passa Torà. 



( 
I 



^!>'-*z:*'* 



HH5 
Ama Dio e non fallire ; fa del bene e lascia dire — 

ovvero : 

Ama Dio di cuore e lascia dir chi vuole. 
A quel che vien di sopra non è riparo — e 

Contro Dio non è consiglio — e 

Dove Dio pon la mano ogni pensiero è vano — e 

Quel eh' è disposto in cielo convien che aia. 
A tempo viene quel che Dio manda. 
Beato quel corpo che per 1' anima lavora. 
Bisogna voler quel che Dio vuole. 
Chi contro Dio gitta pietra, in capo gli torjia — e 

Chi sputa in su, lo sputo gli torna smì viso. 
Chi crede d' ingannare Iddio inganna se stesso. 
Chi digiuna, e altro ben non fa, avanza il pane e a 

casa il diavol va — e 

Chi digiuna è buono ; e chi perdona è migliore. 
Chi fugge il peccato cerca Dio. 
Chi invecchia ne' peccati non si cura del Paradiso. 
Chi mira Dio presente, dalla colpa sta lontano» 
Chi non anderà di qua, anderà di là. 
Chi non crede in Dio crede nel Diavolo. 
Chi non digiuna la vigilia di Natale, 

Corpo di lupo e anima di cane — e 

Per la vigilia di Natale digiunano anche gli ufìcelli 
senza becco — e > 

Quando il cielo è stellato il digiuno è terminato. 
Chi per altri óra, per sé lavora. 
Chi perde la fede nessuno gli crede. 
Chi sa senza Cristo non sa nulla — e 

Chi vuol sapere, sappia Cristo. 
Chi serve Dio ha buon padrone — e 

Chi sta con Dio non gli manca pane — e 

Chi sta con Dio, Dio sta con lui. 
Chi vuol Cristo se lo preghi. 

Dicesi a chi molto vorrebbe, standosene colle mani iti mano. 



l 



336 
Chi vuol contento il core ami il bug Creatore, 
Confessione senza dolore, amico senza fede, orazione 

senza intenzione, è fatica perduta* 
Con gallo e senza gallo. Dio fa giorno. 
Con ]a fatica delle feste il diavol ci ai veste. 
Da Dio il bene e dalle pecchie il miele. 
Dal tetto in su nessuno sa quanto ci sìa. 
Dio accetta il buon cuore. 
Dio guarda o vede il cuore. 
Dio non ha padrone. 

Dio non mangia, ne beve, ma giudica ciò che vede. 
Dio promette il perdono a chi ai pente j non promette 

il domani a chi 1' offende. 
Dio ragguaglia il tutto. 
Dio sa quel che fa — e 

Quel che Dio fa è ben fatto. 
Dio solo non può fallire. 
Dio vuole il cuore e lo vuole tutto intero, 
Domeneddio non ha da far debiti per comprar noi. 
D' ora in ora Dio ci migliora. 
Dove non è pietà non può star felicità* 
Dove sta Dio sta ogni cosa- 
È meglio quel che Dio manda che quel che Tuom 

dimanda. 
E meglio ubbidire che santificare ^^ e 

Chi ubbidisce santifica — e 

L' ubbidienza è santa. 
È una bella scienza quella de' Santi di Cripto, 
Gesù piglia tutti. 

Jì giudizio di lassù non la sbaglia mai. 
Il mondo non tien conto con ninno ^ ma Dio tien con- 
to di tutti. 
Il sapone lava le mani a chi lo adopra. 

Dicesi della preghiera che giova a chi la fa. 



337 

In Paradiso non ci si va in carrozza — e 
Non ci sono ventagli nell'Inferno. 

Non si può acquistare alcun bene senza, fetica. 

I veri Predicatori danno frutti e non fiori. 

La benedizione di Dio è quella che fa bollire la pen* 

tela. 
La breve orazione è quella che sale al cielo. 
La preghiera dovrebb' essere la chiave del giorno e la 

serratura della notte. 
La Provvidenza quel che toglie rende. 
L'eternità non fa i capelli grigi. 
Martello d'oro non rompe le porte del cielo — e 

Bisogna aver buona chiave per entrare iti Faradiao, 
Cioè, bisogna avere delle virtù. 

Messa né biada non allunga strada. 

Neil' altra vita si vive senza pericolo della vita. 

Non bisogna entrare in Sagrestia- 

Non si dee parlare a caso di cose sacre. 
Non bisogna tentar Dio. 
Non è buon cristiano chi non è stato buon ebreo. 

D' un ebreo fatto cristiano che sia stato sempre cattivo e 
dicesi per qualunque apostasia. 

Non fare scrupolo dove non è peccato. 

Non sa il tempo se non chi lo foce. 

Non si comincia ben se non dal cielo. 

Non si fa cosa in terra che prima non sia scritta in 

cielo. 
Non si muove foglia che Dio non voglia. 
Non si porta seco all' altro mondo ae non il bene che 

s' è fatto. 
Non ti lasciar condurre al passo estremo, 

Che molti n'ha ingannati il Benf aremo. 
Prima era ogni cosa di Dio. 

22 



• 338 
Quando tu senti nominar Maria, 
Non domandare se vigilia aia. 

Perchè ogni festa di Maria è preceduta da un giorno 
di digiuno. 

Quel che non si conviene da Dio mai non s' ottiene. 
Roba di campagna se fiorisce non grana« 

Roba acquistata a danno della Chiesa. 

Scherza co' fanti e lascia stare i Santi, 

Fanti per parlanti, dal latino fati^ come T usò V Ali- 
ghieri : ed anche Omero distingue gli uomini con rag- 
giunto di parlanti, che aveva presentito nella parola 
e^ere V uomo. Ma bene ha notato il sig, Pasqualigo che 
fanti può anche inteadersì per la minutaglia* (Gitisti) 

Se dal cìel vuoi parte bi&ogna affaticarte e il mal la- 
sciar da parte. 
Sopra il sai non è sapore, aopra Dio non è Signore. 
Terra innanzi e terra poi. 
Tosto viene quel che Dio manda. 
Tutti Siam di creta, e Dio è il vasellaio. 
Tal più una messa in vita che cento in morte. 

E trovasi anche: 

Cita cita, chi vuol del ben sei faccia in vita. 
Yera felicità senza Dio non sì dà. 



389 



VIZI, MALI ABITI. 

Vizio ; Contrario di virtù : è Vaòito morale di disconoscere 
praticamente il bene. DisposizioTie a fuggire il bene 
e a fare il male, I vizi sono appunto abiti cattivi: 
e quando uno cade, ìton abituato^ in anione riproce- 
rìole^ diremo che ha commesso un" a:; ione viziosa e 
malvagia, ma non potremo dire che egli ha quel tal 
mzìOr perchè di quella azione non ha V abito, Biconsi 
però 

Abiti, mali o cattivi, anche le usanze o consuetudini dan- 
nose ^ non giovevoli cioè alla salute, all' ecotiomia ecc, 
quantunque non offensive alla legge divina e morale, 

A can che lecca cenere non gli fidar farina — e 
M gatto ohe lecca spiede non gli fidare arrosto. 

Agio e disagio fanno girar il capo alle donne» 

Air osteria, o si balla o si mangia o si fa la spia. 

Area aperta giuato vi pecca — percM 
La comodità (o T occasione) fa Y nomo ladro, 

A Yoler guarire bisogna cavare il puzzo dalla piaga. 

Cioè togliere via la causa deir infezione. Inventa morbi 
causa, facilis curatio^ dicevano gli antichi. 

Chi ama donna maritata la sua vita tien prestata — e 
Chi è buono per dama non è buono per consorte — e 
Chi guarda alla moglie del compagno cozza con le 
corna degli altri. 

Chi casca nel fango, quanto piìl vi bì dimena, tanto pia 
a' imbratta. 

Chi comincia male finisce peggio. 

A mangiare e a bestemmiare tutto sta nel comin- 
ciare* 

Chi due bocche bacia, V una convìen che gli pota. 

Chi d'un vizio si vuole astenere preghi Dio di non 
l'avere — e 



Chi da giovine ha un vizio, in Tecchiaia fa sempre 

quell'Ilario — jìerckè 
Vizio per natura fino alla fossa dura. 

Ohi è neir inferno non aa ciò che sia nel cielo. 

Chi è immerso nel vìzio non sente il pregio della vjftii. 

Chi ha buttato via una volta la vergogna, non la ripi- 
glia più. 

Chi ha un pie in bordelloj ha V altro allo spedale* 

Chi imbianca la casa la vuole appigionare — e 
Chi s'orna si vuol vendere. 

Si dice delle donne che senza ragione si adornano. 

Chi serve al vizio attende al supplizio — e 

Nessun vizio senza supplizio — e 

Chi vive carnalmente non può viver lungamente — e 

Uomo carnale nulla vale. 

Chi vive col vizio muore nella vita. 

Con donna disonesta si fanno cento vigilie. 

Dall'avaro se non rìcaTi oggi ci ricavi domanij 
Ma dal ghiotto non avrai nulla mai. 

Dal mal uso è vinta la ragione. 

Dov' è la civetta sempre cala qualche uccello. 

Fuggi donne, vino, dado ; se no il tuo fatto è spac- 
ciato. 

Gran fortuna passa chi p».,.. lassa — e 

Carezze di cani, cortesia di p...... e inviti d' osti, noa 

puoi far che non ti costi. 

Giurare, giocare e pitoccare è duro a lasciare. 

Guardati dal primo errore — e 
Dalie cose piccole si viene alle grandi. 

Il gioco, il letto, la donna e il fuoco non si contentali 
mai di poco. 

Il grano si netta al vento, e i vizi si nettano al tor- 
mento. 

Il lupo perde il pelOj ma il vizio niaì. 



^ 



I 



Sèi 

U mortaio sa sempre d' aglio. 
Il vizio è nemico della vergogna. 
Il vizio non fu mai virtù, 

I porri, per iatar troppo aotto il letame, fanno la zaz- 
zera. 

Di chi invecchia in qualche vizio. 

II vizio s' impara preato — e 

I vizi a* imparano anche aenza maestri. 

I vizi Bon come i puzzi, chi gli ha non li sente. 

La carne di vacca a volte costa più di quella di fa- 
giano. 

La gola tira in malora. 

La mala femmina è come il vìschio, non lo tocca 'ne- 
cello che non ci lasci le penne {oirvero come Tellera, 
disfà il muro che abbraccia). 

L'anima in corpo al vizioso non serve altro che di 
sale. 

Cioè, lo mantiene, lo conserva come fa il sale ad un ca- 
davere, 

m 

La pazzia ve il mette, la vergogna ve lì tiene. 
La roba va, i eoa turni rimangono * 

La p e la lattuga una stagione dura. 

Le p hanno le parole di pece. 

Le p hanno più trappole che topi. 

Le smarrite si trovano, ma lo perdute no. 
Molto male sta fra le delizie la castità. 

Sta sempre in pericolo. 

Jfou gira il nibbio che non sfa yicina la carogna — e 
Dove son carogne son corvi, 

E diceBL anche: 

Vicino alla serpe e' è il biacco. 
Non insegnare ai gatti a rampicare. 



r 



342 
Povero dispettoso, vecchio lussurioso e donna lisciata, 

dispiace alla brigata. 
Processo, taverna e orinale mandaE l'uomo allo spe- 
dale. 

P e cavai di vettura air uomo poco dura. 

Quanto lascivia più dissidio mesce, 

Tanto la voglia più aumenta e cresce. 
Se il dìavol trova un vizioso tosto gli dà da Èire. 
Sulla pelle della serpe nessuno guarda alle maccliie — ? 

Il fumo non tinse mai caligine. 
Tanto se ne sa a mangiare uno spicchio (guanto m 

capo d' aglio — e 

Tanto s' imbratta la madia per dieci pani quanto 
per venti. 

Tra p e bertone non si tien ragione. 

Tre D rovinan V uomo : diavolo, danaro e donna. 
Tristo a colui che dà V esempio altrui — e 

Uno fa male a cento — e 
La vipera morta non morde seno, ma pure fa male 

coir odor del veleno, 

11 malo esempio porta i suoi tristi effetti anche dopo I* 
morte di colui che rha dato. 

Un vìzio chiama T altro, 1 

Yizio non punito cresce in infinito — e " 

Quando si piglia un vìzio ai stenta a perderlo. 
Vizio rinato, vizio peggiorato. 



I 



343 



TAVOLA, CUCINA. . 

Tavola: Qui vale per Mensa, e anche per modo di trat^ ^ 

tarsi in quanto a vitto. i 

Cucina: Propriament& è il luogo dove si prepara e si cuo- | 

ce la roba da mangiare; ma sì prende anche, come ' 

quif per le vivande s tesse f e per tutto ciò che si ri fé- , 
risce all' arte del far da cucina^ 

A boccon restio stimolo dì vino — e 

A mangiar male o bene, tre volte bisogna bere.' 

A buon' ora in pescheria, tardi in beccheria. , 

Insegna che il pesca deve esser fresco e la carne frolla 
— ed anche 

Il peace va mangiato quando è fresco. 

Si dice anche fìguratamenta 1 

Acqua e pano, vita da cane. 
Pane e acqua, vita da gatta — e 
Pane e coltello {cioè pane asciutto) non empie mai il 

budello ^ e 
Pane caldo e acqua fredda non furon mai buon pasto, 

Aggiugai acqua e farina^ farem frittelle sino a domat- 
tina. 

Ai conviti né per amore né per forza. 

Ala di cappone, schiena di castrone, aon buoni boc- 
coni — e 

Cappone V inverno e pollastrotti V estate — e 
Cappone non perde mai stagione. 

Al contadino non gli far sapere 

Quanto sia buono il cacio colle pere — e 
Il villano venderà il podere per mangiar cacio^ pa- 
ne e pere — e J 
Formaggio, pere e pane, pasto da villane — e 



Formaggio pane e pere, pasto da cavaliere — e 



1 



344 
Quattro G vuole il formaggio: grande, grasso, grave 
e gratis dato. 
Al fìco r acqua e alla pera (o alla pèsca) il vino. 
Air amico monda il fico ; al nemico la pèsca- 
Amaro, tienlo caro. 
A pancia piena si consulta meglio. 

Motto che suole ripeterei scherzosamente nelle brille, 
ma che non è senza verità. 

Assai digiuna chi mal mangia. 

A tagliare il formaggio ci vuole uu matto e un saggio. 

A tavola sì diventa giovine. 

Perchè ognuno vi si rallegra — e dicesi aftehe: 

A tavola non e' invecchia. 

Bevi sopra V uovo quanto sopra un bue. 

Bisogna levarsi da tavola con la fame. 

Burro di vacca, cacio di pecora, ricotta di capra. 

Cacio, barca ; pane, San Bartolommeo. 

La forma del cacio si vuota^ e il pane si scortica lasciane 
done la midolla. 

Carne al sole e pesce all'ombra. 

Dell' animale terrestre è migliore la parte che sta espo- 
sta a! sole, come la schiena ; del pesce quella the sta 
airomhra, come la pancia (Giusti) 

Carne di gallo, carne di cavallo* 

Carne cruda e pesce cotto. 

Carne fa carne, pan fa sangue^ vin mantiene, peace fa 
vesce, erba fa merda — ■ ed anche: 
Una carne fa 1' altra^ e il vino fa la forza. 

Carne giovane e pesce vecchio. 

Carne tirante fa buon fante, 

I cibi grossi e non delioati fenno complessione più ^ 
busta. 

Cavolo lonzo e cìccia pigiata. 

Insegna la cottura dell'erba, che vuol molt* acqua, e M.^ 
la carne, che ne vuol poca. 




345 

Chi compra bae, bue ha; logm le legne e cai-iie 

non ha. 
Chi dWate secca serpi, neir inverno mangia anguille. 
Molte cose, vili nell'estate, serbale ali* inverno* 

Chi disse vitella disse vita* 

Chi dopo la polenda beve V acqua 

Alza la gamba e la polenda scappa* 
Chi è pigro nelle mani non vada a tinello. 

Tinello^ tavola comune. 
Chi ha pesce cammim. 

S'affretti a cucinarlo, altrimenti il pesce sì guasta. 
Ohi ha Timore non ha sapore. 

DJcesi delle fratte acquose. 
Chi mangia cacio e pesce la vita gli rincresce. 
Chi mangia le dure non mangerà le mature. 

Dicesì delle fhitte. 

Chi mangia in pie mangia per tre. 

Detto forse di chi porta via la roba e la mangia di sop- 
piatto, o perché mangia in fretta. 

Chi mangia lepre ride sette giorni. 

Chi mangia pane in panata fa rider la brigata. 

Chi non carneggìa non festeggia* 

Chi non sa cuocere il pesce V arrostisca. 

Chi flpellnzziea non digiuna. 

Chi troppo mangia la pancia gli duole^ 

E chi non mangia lavorar non puole. 
Chi vuol fare buona torta vada con un pie solo nel- 

Torto. 

Cioè, vi metta poche erbe. 
Corpo satollo j anima consolata. 
Corpo unto e panni strappati. 

Importa più il mangiare che il vestir bene. 



Caciiia aenza sale, credenza senza pane, cantina senza 

vino si fa un mal mattino. 
Dair arancia quel che vuoi, 

Dal limone quel che puoi. 

Dal limoncello quanto avrai. 
Della gallina, la nera. 
Dell^ oca, la bigia. 
Della donna, la lentigginosa. 
Della vacca magra, la lingua e la zampa. 
Del merlo e del tordo, quel che non ti piace fai da 

sordo. 
Dell' oca mangiane poca. 
Dio mi guardi da mangiator che non bee — o solamenie: 

Dio mi guardi da chi non bee. 
Dio mi guardi da chi non ha denti. 
Dopo bere ognuno vuol dire il suo parere — e 

In principio (del desinare) silentium, 

In medio strider dentium, in fine rumor gentium. 
Due polendo insieme non furono mai viste. 

Una polenta vien cotta bene sia quanto mai grossa si 
vuole, sicché non importa farne due. 

È meglio aspettare 1' arrosto che trovare il diavolo nel 
catino. 

Meglio arrivare presto ed aspettare, che tardi e trovar 
tutta consumato. 

Erba cruda, fave cotte ; si sta mal tutta la notte. 

Fame pìccola, fame vispa ; fame grande, fame trista. 

Finche il villan cena, il fuoco pena. * 

Formaggio non guasta sapore. . • 

Gennaio e febbraio, tienti al pollaio ; marzo e aprile, 
capretto gentile ; maggio e giugno, erbette col gru- 
^ gno (^nmoletto) ; luglio e agosto, piccioni arrosto ; set- 

tembre e ottobre buone lepri col savore; novèmbre 

* e dicembre, buon vitel sempre. 
^k Gola affamata, vita disperata. 



34.7 

I gamberi son buoni nei mesi coli' R. 

II cacio è sano se vien di scarsa mano. 

Non conviene mangiarne molto. 
Il corpo piglia quel che gli dai, o sia poco o aia assai. 
Il fico yuole aver due cose, collo d' impiccato e cami- 
cia di furfante. 

Perchè quando il fico è ben maturo torce il collo e sì 
piega, e la pelle screpola sì che ha la camicia strac- 
ciata. (Giunti) 

Il fuoco aiuta il cuoco — o 

Buon fuoco fa buon cuoco. 
Il mandorlato una volta^ l'anno, chi non lo mangia suo 

danno. 

Il mangiare non s' appicca se non si distende la trippa. 

H meglio boccone è quel del cuoco. 

Il pane affettato è buono alla febbre. 

Il pane di casa è sempre buono. 

Il pane non vien mai a noia. 

Il riso nasce nell'acqua e ha da morire nel vino. 

\uol esser digerito con buon vino. 

Il variar vivande accresce 1' appetito. 

Molti simili proverbi usansi anche al figurato ; come que- 
sto che è vero anche fuori del cibo.. 

Insalata ben salata, ben lavata, poco aceto, ben oliata, 

quattro bocconi alla disperata. 
I primi brodi sono i migliori. 
La Buccolica va innanzi a tutto. 
La fame è il meglio cuoco che vi sia. 
La gallina senza denti di morti fa viventi. 
L' aglio è la spezieria de' contadini. 
La meglio carne è quella d' intorno all' oaao. 

E si dice anche" a consolazione dei magri* 
La tavola è mezza confessione. 
A tavola si parla volentieri. 



^lafetj 



348 

La midolla satolla, e la corteccia fa o empie la peceia. 

La minestra è la biada dell' uomo. 

La pentola è la pace di caaa. 

La pernice è perduta ae calda non è pasciuta. 

L' appetito non vuol salsa — e 

La più beir ora pel deiinare è quella della fame — e 
La salsa di San Bernardo {cioè la fmne) fa parere i 

cibi buoni — e 
Àsino che ha fame mangia d' ogni strame. 

Lasagne e maccheroni, cibo da poltroni. 

La salsiccia senza- il pan unto è come festa senza al- 
loro, casa senz'orto e lasagne senza cacio. 

La tavola invita — e 

Mangiare e grattare, tutto sta nel cominciare. 

La tavola ruba più che non fa un ladro. 

Latte eopra vino è veleno. 

La zucca è sempre zucca, falla come vuoi. 

Le frutte son buone due volte V anno, quando le ven- 
gono e quando le si partono. 

Gioco di parole tra ì partir© col coltello le frutte e ran- 
ci arse ne. 

L' erba non fa collottola. 

LMnsalata non è bella, se non v 'è della novella (o della 

salvastrella), 
LMnsalata non ha sapore quando manca il primo 

fiore, 
L' insalata non vai nulla se non è rivoltata da una lìan- 

ciulla. 
L' insalata vuole il sale da un sapiente, V aceto da un 

avaro, V olio da un prodigo, rivoltata da un pazzo e 

mangiata da un affamato — e fià sempUcenimite : 
Per condir l' insalata ci vuole un pazzo e un savio. 
Mangia da sano e bevi da malato- 
Mangiare e vuotare non voglìon fretta —ed con- 

trario : 



U9 

Al mangiare e al c.re l'uomo si dee spicciai^e* 

Mangiare senza bere, murare a secco. 

Metti i pani spessi dove sono le barbe rade. 

Cioè dove sono molti fanciulli è necessario moito pane. 

Né al capretto ne all' agnello non s'adopera coltello, 
Né il re, né il desinare non si fa mai aspetèare. 
Neil' estate, o tirare o annusare — e 

D' estate la carne se è fresca è dura, se è frolla puzza 
in tal caso si dice: 

È meglio tirare che annusare. 
Né polli senza lardo, né sermone 
Senza (citare) S. Agostino. 

Le sentenze di Sant' Agostino sono citate da tutti. 

Niente non vuol sale. 

Noci e pane, pasto da villano ; pane e noci, pasto da 

spose. 
Non si campa d' aria — e 

Il grasso non vien dalle finestre. 
cotto crudo il fuoco l'ha veduto. 

È scusa dei cuochi. 
di pàglia di fieno, purché il corpo sia pieno. 
Olio, aceto, pepe e sale, sarebbe buono uno stivale. 
Olio dapprima, vino del mezzo, e miele di fondo. 

S'intende della parte più perfetta di tali generi quando 
si traggono dai vasi. 

Ogni dolore è dolore, ma quel della tavola è mag- 
giore. 
Ovo senza sale non fa né ben né male. 
Pane alpestre e vin sorbitico cibo di !>anditi. 

Sorbitico, cioè di sorbe, o aspro come di sorbe, 
Pan bollito in un salto è già smaltito. 
Pane cogli occhi e cacio senz' occhi ~ (o pane allumi- 



350 

nato e cacio cieco) e tìe che cari gli occhi (o che 
schizzi negli occhi — ovvero 
Cacio aerrato e pan bucherellato. 
Pan di grano, saltami in mano. 

Pan di legno vin di nugoli, e chi vuol mugolar mu- 
goli. 

Mangiar castagne e bever acqua* 
Pan di miglio non .vuol consiglio. 

Mettilo nel brodo e tallo su se puoi, (Serdonati} 

Pan d'un giorno vin d* un anno — e 

A pane di quindici giorni fame di tre settimane. 

Pan noci e fichisecchi, ne mangerei parecchi. 

PepOj noce moscada e sapa fa buona la rapa. 

Per la bocca si scalda il forno — e 
La bocca porta le gambe — e 
Sacco vuoto non istà ritto. 

Per la gola bì pigliano 1 pesci. 
Vaia nel figurato. 

Pippion da prima, cappono a mezzo, arrosto a sezzo. 

Poco e buono empie il tagliere. 

Porco d' un mese, oca di tre^ mangiar da re* 

Quando è poco pane in tavola mettine assai nella sco- 
della. 

n pane nella minestra cheta V appetito. 

Quando il gatto sta sul fuocOj 

La fa magra anche il cuoco. 
Quando il pesce fa binnco V occhio, è aegno che gli e 

cotto. 
Quando V albero fiorisce il frutto patisce. 

A primavera i frutti delF anno innanzi vanno a male. 
Quando V erba non punge j la papera non unge. 
Quando non fa caldo il pesce impera non è buoao. 



Quando il sole è nel leone, buon pollastro col piccio- 
ne e buon vino con popone. 
Quanto pesce è in mare non farebbe una candela di sego. 

Detto a mostrare come a confronto della carne il pesce 
nutrisca poco. 

Quattro cose vuole il pesce: fresco, fritto, fermo e freddo. 
Quattro sono i buoni bocconi, pesco, fico, fungo e po- 
poni. 
Quel che non ammazza ingrassa. 

Motto de' ghiottoni. 

Quel che piace non fa male. 

Rane, mal sane. 

Se il villano sapesse il sapore della gallina in gennaio, 

non ne lasceria nessuna nel pollaio. 
Sette cose fa la zuppa : 

Cava fame e sete attuta. 

Empie il ventre e netta il dente. 

Fa dormire, fa smaltire, 

E la guancia fa arrossire. 
Se volasse il castrone sarebbe miglior dol cappone. 
Si deve mangiar per vivere, non vivere por mangiare. 
Si sta meglio in cucina che in camera. 

Ma dicesi anche quando passa una brutta padi-ona che 
mena seco una bella serva. 

Su' pesci mesci, sul macco non restare, sn' maccheroni 
non bere, se tu non vuoi restare. 

Restare^ cioè smettere di bere o di mangiare ; sul macco 
o sulle fave bevere assai; su macclieroni da ultimo. 
(Giusti) — E dicono anche : 

Fava e mela coli' acqua allega. 
Tavola e bicchiere tradisce in più maniere. 
Tavola senza sale, bocca senza saliva. 
Tinca di maggio e luccio di settembre. 



352 
Tinca (mangiala) in camicia (cioè d' estate) (luccio in 

pelliccia) (cioè d' inverno) 
Tura la gola che passa l'ora. 

Non indugiarti troppo a tavola. 
Una buona insalata è principio d' una cattita cena. 

L'insalata non si mangia mai da principio: un'insalata 
sola i'B. cattiva cena. 

Un è nulla, due una frulla, tre un che, quattro è un 
fattOj e cinque un tratto. 
S' intende dell* uova. 
Uno da cento bocconi, o cento da un boccone. 

Del pesce. 

Un uovo appena nato vaia un ducato. 
Un uovo vuol sale e fuoco. 

Un pezzo di pane è un buon sigillo allo stomaco. 
Un sol gusto non determina sapore. 
Yin che salti, pan che canti, formaggio che pianga. 
Perchè sien buoni. 

VINO. 

Vrno : Qui è preso in un senso più lato di quello che ha 
ordinariamente come bevanda tratta dal frutto détta 
vite. Sta inoltre per tutte le bevande acooliche e spi- 
ritose^ laddove si discorre dell' ebrietà e d'ogni effett(p 
pernicioso per l'abuso di esse. 

A chi non piace vino, Dio gli tolga V acqua. 

A trincar senza misura moltoo tempo non ai dura 

Bevi del vino e lascia andar Y acqua al mulino. 

Bianco e nero : conducimi a casa. 

La mescolanza de' due vini produce facilmente F ubria- 
chei!za. 

Buon fuoco buon vino mi scalda il mio cammino* 

Buon vino fa buon sangue. 



36a 

Buon vino, favola (o fiaba) lunga. 

Il buon vino induce a ciarlare lungamente. 
Chi bee al boccale bea quanto gli pare» 
Chi beve nero guadagna il colore — e 

Chi bee vermiglio avanza il colore. 
Chi del vino è amico, di se stesso è nejìiico. 
Consiglio in vino non ha mai buon fine. 
Con un bicchier di vino si fa un amico. 
Dov' entra il bere se n' esce il sapere, 

Aristofane diceva satiricamente che il vino era la malat- 
tia dei valentuomini, e che i cittadini, pazzi a digiuno, 
dopo aver bevuto divenivano savi. 

Dove può il vino non può il silenzio. 

Il buon vin fa gromma e il cattivo mufFa. 

D mangiare è da facchino e il bere è da. gentiluomo. 

Il vino al sapore il pane al colore. 

Il vino ammazza i vermini. 

Il vino è la poppa de' vecchi — e 

H vino a' vecchi e il latte a' bambini. 
Il vino che tardi bolle si conserva fino al nuovo. 
Il vino è mezzo vitto, 
n vino non ha timone. 

Cioè r uomo ubriaco non ha guida — e 

L' ubriaco dice al vino : io ti perdono il mal che mi 
fai per il ben che mi sai, o per I' amor del buon 
gusto che tu hai. 
In vaso mal lavato il buon vino è tosto guastato. 
Vale anche al figurato. 

La buona cantina fa il buon vino. 

L' acqua fa male e il vino fa cantare — e 

La verità è nel vino. 
L' acqua fa marcire i pali. 

Lo dicono i bevitori contro air annacquare 11 vino — r ma 
L'acqua non ammala, né indebita, ne ubriaca. 
23 



354 

L' acqua rovina.. (o rompe) i ponti, e il vino la testa. 

Ifeirava son tre vinaccioli ; ano dì sanità, uno di deli- 
zia e uno di ubriachezza. 

Pane un tantino, e viao un tino — ornerò 

Ud fiasco di vino, e tanto pane che turi un fiasco. 
Chi beve molto poco mangia. 

Quando Bacco trionfa il pengier fugge — e 
La sera leoni e la mattina babbioni. 

Quel che con T acqua mischia e guasta il vino 
Merfca di bere il mare a capo chino. 

Quel che non va in vino va in lacrime e soapho. 

Sopra ogni vino il greco è divino. 

Una buona imbriacatura nove giorni dura. 

Uomo di vino non vale un quattrino (o cento a quattritto). 

Narrasi che sotto Tiberio fu titolo agli aiti onori di 
Stato l'aver continuato a bevere intrepida me ató pi» 
giorni e più notti, e poscia Tn predetto che il b^v^e 
molto si chiamerebbe virtiì, 

Vin battezzato non vale un fiato. 
Yin col Baie fa impazzare. 
Vino amaro tienlo caro — e 

Al vin dolce le brache leste. 
Vino e sdegno fan paleae ogni disegno. 
Vino non è buono che non rallegra Tuomo, 



SOLLIEVI, RIPOSI. 

Sollievo : È alleviamento di cure^ distrazione benefica^ con^ 
forto segnatamente morale per affanni che d vppri^ 
mano. 

Riposo : /'' quiete d'animo e di corpo per cessazione di fa- 
tlcaf affine di rinnovare le forze smarrite* 

Arco sempre teso perde forza (o si rompe). 
Ad ognuno è necessario un po' di riposo. 



355 
Bel discorso accorcia giornata — e 

Compagno allegro per cammino ti serve per ronzino. 
Chi ben dorme non sente le pulci. 
Chi dorme non pecca. 
Chi mal balla ben sollazza. 

Chi si diverte per divertirsi, senza secondi fini, colui si 
diverte meglio. 

Cinque il viandante, sette lo studiante, otto il mercan- 
te e undici ogni furfante. 

Intendi delle ore del dormire. E si dice anche ; 

Quattro o 'cinque al viandante, cinque o Bei al mer- 
cante, sei sette allo studente, sette o otto all' al- 
tra gente, otto o nove al signorone, nove o dieci 
al gran poltrone. 
Dice il foco : sta qui un poco ; dice il letto: sta qui un 

pezzo. 
Il letto è buona cosa, chi non può dormir riposa. 
Ogni pisciata è una posata. 
Piccola giornata e grandi, spese 
Ti conducono sano al tuo paese. 

Poco affaticarsi e viver bene. 

Torta di villa, porta di vita. 

È in lode della vita rustica. E dicesi anche : 

Chi ama la quiete gode la villa. 
S' io dormo, dormo a mi ; s' io lavoro, non so a chi. 

È uno scherzo veneziano. 



356 



SANITÀ, MALATTIE, MEDICI, 



Sanità : Costituzione di corpo »enza dolore e senza impe- 
dimento d' operazione^ o anche : Stato del corpo ani^ 
male in cui tutte le funzioni si fanno senza impedi^ 
menti e con perfetta regola. Lo star bene ; il non es- 
sere afflitti da nessuna rnalattia. 

Malattia ; Condizione anormale del corpo e delle sue fm^ 
zioni: qualunque alterazione nelV esercizio di una 
o piii funzioni del corpo organato. 

Medico: Colui che cura le malattie t o che possiede la 
scienza e V arte del consertyare la sanità o di resti- 
tuirla^ facendo cessare le cagioni che V alterano, 

A chi aalva la pelle la carne rimette. 

Tutto sta nel salvare la pelle. 
Acqua di cisterna ogni mal governa. 
Acqua, dieta e serviziale^ ai guarisce d' ogni male. 
Acqua di gelsumini è buona a' bambini. 

Perchè ammazza i vermini. (Serdonati) 

Acqua di ramerino al corpo del bambino. 

Leva i dolori ai bambini, bagnando loro con essa il ctì^ 
pò. (Serdonati) 

Acqna fredda genera rogna. 

Acqua minuta bagna e non è creduta — e 

Acqua minuta gabba il villano; 

Par che non piova e si bagna il gabbano ^e 

Son tre cose che gabbano il villano; 

Il piacer, la credenza e il piover piano. 

Cioè il ricevere da altri un piacere, un favore, un servi- 
zio, il quale sembri, ma non sia poi fatto gratis, ed ìl 
comprare a credenza, e quelle acquerugiole minute, ecte 
ci si attaccano addosso sen^a che uno se ne avvegga* 
(Giusti) 



ì 



357 

Accjua sopr* acquaj non vale aver né saio né cappa, . 

A male pìccolo gran fascia. 

Aria da finestra, colpo di balestra — e 

Sole di vetro e aria di fessura mandano in sepoltura. 
Asciutto il piede e calda la testa^ e ne! reato vivi da 

bestia* 

Calda la testa^ cioè difesa dalle intemperie: onde: 

Buoni zoccoli e buon cappello, 

Di molti denari e poco cervello — e 

Pie di j stomaco e teata, tieni il reato come una 
bestia — e 

Scarpa larga e biccbier pien, 
Togli il mondo come vien — e 
Bocca umida e piede asciutto. 
Assai migliora chi non peggiora^ 
I Detto nelle malattie. 

Astinenza é prima medicina — ma 

Astinenza soverchia, infermità volontaria. 
Bacco, tabacco e Yenerc riduoon l'uomo in cenere. 
f Basta più una conca fessa che una sana — ovvero 
Dura più una pentola fessa che una nuova. 
Talora vive piii un malsano che uno sano* 

I Bevi r acqua come il bue e il Tino come il re. 

Quella in copia, questo a sorsi. 
Bevi poco, mangia assai, dormi in palco e viverai» 
In palcQ^ cioè a piano, ne' piani superionj imperocché, 
Camera terrena corta vita mena» 

II Per le mura spesso umide e per l'aria colata delle fi- 

nestre. 

Braccio al petto (o al collo) gamba al letto. 
Brutta cosa quando V osso lascia la carne. 

Quanijo si perdono i denti. 



358 
Caldo di panno non fé' mai danno. 
Cantone non perde mai stagione. 

Il canton del fuoco. 

Cattivo segno quando non sì eente il male — Qvm'Q 
Mal che non duole guarire non puole. 

Quando il dolore manca, sta per flnire la vita. 

Olii a letto con la sete ae ne va, 

Si leva la mattina con sanità. 
Chi a medici si dà a sé si toglie. 

Il nostro Pananti scrisse: 

« In mano di tre medici é il malato, 

« Sonate a comunion, queir uomo è andato 1 > 

Chi cavalca la notte convien che posi il giorno. 
Chi desidera sanità non mangi frutti in quantità- 
Chi dorme nel lato manco e il cuore è franco : 

E chi nel lato dritto il cuore è afflitto. 
Chi è al coperto quando piove è ben matto ae ai muoye ; 

8e 9i muove e se si bagna, è ben matto ae si Ugna. 
Chi fa de' cattivi sogni 

Di mangiar non ha bisogno. 

Perchè spesso provengono da cattiva digestione* 
Chi ha cattiva cera fa cattive candele. 
Chi ha cattivo aspetto. 

Chi ha la sanità è ricco e non lo aa — e 

Chi è sano è da più del Sultano. 
Chi ha la tosse o la rogna altro mal non gli bisogiifl« 
Chi ingrassa la vecchiaia gode due gioventù- 
Chi mangia finché s' ammala^ 

Digiuna finché non risana. 
Chi mangia, beve, dorme e caca, sta meglio del Papa* 
Chi non fa come V oca, la sua vita è breve e poca- 

L'oca scarica spesso il veutre. 



359 
Chi più mangia niaaco mangia — e 
Poco yìvg chi troppo sparecchia. 
Gatta frisa non fece mai bella coda. 
Frimt ghiotta. 

Chi siede su la pietra fa tre danni : 

Infredda, agghiaccia il culo e guasta i panni. 

Chi sta sano quando il sole è in Leone guadagna cin- 
que soldi al dì» 

Chi tosto cresce tosto manca — e 

Chi tosto viene (o tosto vìts) tosto se ne va* 

È vero delle piante come degli animali, E dei bambini 
si dice: 

Chi presto indenta presta sparenta — e 
Chi presto inossa presto in fossa. — e al contrario: 
Chi tardi mette i denti vede morire tutti ì suoi pa- 
renti. 

Le mamme poi erodono clie il mettere prima i denti di 
sopra sìa cattivo segno ; il che esprimono a questo modo : 

Chi mette prima il tetto e poi il fondo gli sta poco 
in questo mondo — e 

Quando la creatura indenta, la morte la tenta. 
Chi piglia medicina senza male 

Consuma l'interesse e il capitale. 
Chi va a letto senza cena tutta notte ai dimena — e 
Chi ben cena ben dorme. 

Chi vuol morire si lavi il capo e vada a dormire. 
Chi vuol viver sano e lesto mangi poco e ceni presto — e 

Chi cena a buon' ora , non cena in malora. 
Da mattina alla montagnetta, da sera alla fontanetta 

— ùvvero 

La mattina al monte^ la aera al fonte. 
De' mesi errati (colTR) non seder sopra gli erbati- 
Di giorno quando vuoi, di notte quando puoi» 
Del tenere coperto il capo. 



I 



S60 
Doglia di dente, doglia di pai-ente- 

GraYd come i travagli ctie a noi vendono dai parenti. 
Doglia di fianco, la pietra in campo. 
Per la sepoltura. 

Doglia di testa vuol minestra — e 

Doglia di testa, doglia da bestia — ovvero 
Diiol di capo vuol mangiare o vuoi votare. 

Dopo desinare non camminare ; dopo cena con dolce 
lena. 

Posi prandium staòu, aut Unto pede ambulaìfi^, inse- 
gna la scuola salernitaua. 

Donna primaiola partorisce quando la vuole. 
Due dita dì vino prima della minestra» la è per i! me- 
dico una tempesta — e 
Due dita di vino e una pedata al medico. 
Intendi uella convalescenza. 
Donna sconcia presto si racconcia. 
CLoè, donua che si sia sconciata^ 

È meglio conaumare le acarpe ohe le lenzuola — ^ 

È meglio che venga il fornaio che il medico» 
È meglio pascer febbre che pascer debolezza. 

Può valere anche net morale. 

È meglio sudare ohe tremare — percM 
Si nasce caldi e ai muore freddi — e 

Il caldo è la vita, il freddo è la morte. 

È peggio il ricadere che il mal di prima — o 

La ricaduta è peggio della caduta» 

E un gran medico chi conoace il suo male. 

Febbre autunnale o è lunga o è mortale. 

Febbre di maggio^ salute per tutto V anno. 

Febbre nervina non vuol dottori né medicina — t 
Per la nervina non vai dottrina. 



3^1 

Febbre quartana il vecchio uccide^ e il giovane ri- 
sana. 

Febbre terzana non fé' mai saooar campana. 

Freddo e fame fan brutto pelame. 

(rabbano e ativali difendon da molti mali. 

Giaci la notte, sediti la mattina^ Bta ritto a mezzodì e 
la sera cammina. 

Giugno, luglio, e agoato, né acqua né donna né mosto. 
GiugnOj luglio» agosto ; moglie mia (o donna mia) 

atammi discosto — e 
San Vito (lo giugno) la moglie batte il marito — e 
Tutti i mesi che non hanno V E^ 
Lascia la donna e prendi il bicchier. 

Guai all'ammalato che si crede sano, 

I denti cavali, ì calli tagliali. 

I dottori non voglìon auperiori. 

D bambino piange per suo bene e il vecchio pel suo 

male. 
H dolce deir osteria mena airamaro della apezieria. 

II formaggio a merenda è oro, a desinare argento, a 
cena è piombo* 

Il giovane dormendo guarisce, il vecchio si rifinisce. 
Il letto è una medicina. 

« Il caldo deMenzuoli confetta la vita. * Cosi ]a pensava 
l'Aretino. 

Il male viene a carrate e va vìa a oncie — e 
Il male viene a cavallo e se ne va a piedi. 
Il male vien dal male. 

Propriamente delle malattie, benché s' adoprl anche nel 
morale. 

Il sangue una volta V anno, il bagno una volta al mese 
il mangiare una volta al giorno. 

Ma un altro proverbio dice ; 
Il sangue sta bene neUe vene. 



362 
11 ventre pieno fa la^ testa vuota. 
I malati non mangiano nulla, ma mangiano tutto. 

Cioè le malattie consumano le economie e indebitano h 
famiglia. 

I mali non vanno coperti. 

I modici e la guerra spopolan la terra. 

I medici son come i ciechi giocano alle bastonate. 

I poveri muoiono di troppo mangiare, i ricchi difame, 

' e ì preti di freddo. 

Ognuno si crede patire a questo mondo d' un male solo. 
I poveri credono ogni malattia venga da poco cibo, e 
i ricchi da troppo. De' preti si dice che muoion di 
freddo, perchè avendo eredi- non del sangue loro, questi 
tirano via la coperta prima che sieno spirati. (Giusti) 

L' acqua fa venire i ranocchi in corpo, e il vino ammaz- 
za i vermini. 
La febbre si nutrica di se stessa. 

E si dice anche delle passioni. 
La febbre continua ammazza V uomo» - 

Vale anche per le contrarietà, per le noie, per Je molestie 
incessanti, come sono le domestiche; e si u^a poi delle 
continue spese per dire che le t'impoveriscono. 

La gotta non vuol nigotta — e 

Gotta nell'ossa dura fino alla fossa, 
L* ammalato disubbidiente fa il medico crudele. 
Lana sulla pelle, erba nell' orto e brodo nelle bu- 

delle — e 

Veste di lana tien la pelle sana. 
La rosolia in tre di secca e va via. 
La salute non si paga con valuta. 
La tosse è il tamburo della morte. 
La tosse a non curarla dura cento giorni, e a curarla 

cent' uno — e 

Per l'infreddatura ci vuole il sugo di lenzuola — f 

Se la tosse non si cava la fossa si scava — e 



363 

Toaae d* inverno vuol governo — e 

Tosse d' estate conduce al sagrato. 
Le malattie sono avvisi — e 

Le malattie ci dicono quel che siamo, 
L* infermo per guarir promette assai — e 

L'ammalato per guarir tutto promette. 

Ma fuori del tetto torna a fare 11 suo buon piacere. 
L'infermo usi regola^ il medico grazia. 
L' inverno al foco e V estate alP ombra, 
L' ipocondrìa è la più triata malattia. 
Lontan da città, lontan da sanità. 

Nella città sono molte coraotlìtà p«r conservare la salute, 
che non sono in campagna. 

L' orina fa onore al medico, 

Percht^ il medico ila quella conosce presto il male — e 
Piscia chiaro e abbi in tasca il medico. 
Malattia che dura viene a noia alle mura — e 
Malattia lunga^ morte sicura. 
Male alla pelle, salute alle budclle. 

Perchè dicono che i cattivi umori vengon fuori — ma 
Malcj uè fuori ne dentro, allora san contento. 
Mangia bene e caca forte^ e non aver paura della 

morte. 
Mangia poco e bevi meno, a lussuria poni il freno. 
Mangiar molto e bever bene, e urlar quando la viene. 

Sì dice della gotta. 
Medico giovine fa la gobba al cimitero. 

Sulle fosse aperte di fresco la terra smossa fa rialto —e 
Medico vecchio e barbiere giovane. 
Meglio un medico fortunato che uno dotto. 
Ne ammazza più la gola che la spada — e 

Ne ammazza (o vai) più la penna del medico che la 
spada del cavaliero. 



364 
Nò di state ne . di verno non andar senza mantello — t 

Siroppo di cantina, pillore di gallina e bnon maBtel- 

lo, e manda il medico al bordello* 
Nessun buon medico piglia mai medicinep 
Noce Yien da nuocere. 

Una noce è abbastanza, insegna la Fcuola Salernitana, 

Non c'è malattia senza ricetta. 

Non e' è erba che guarda in aUj 
Che non abbia la sua yirtù. 

Non è male vero se non va via il pelo. 

Non mangiar crudo, non andar col piede ignudo. 

Non ti mettere in cammino se la bocca non sa di 
vino — e 

Suola e vino fanno far cammino — € 
Fa come il pappagallo^ che non leva il piede, se pri* 
ma non ha appiccato il becco. 

Nulla, fa bene agli occhi — e 

Quando duole l'occhio ugnilo col calcagno — e 
Gli occhi s' hanno a toccar con le gomita — e 
Ohi vuol tener V occhio sano leghisi la mano — e 
Ne r occhio ne l' ugna vuol niente che pugna. 

Occhio, gomito, ginocchio, fan vergogna al medico. 

Ogni mal fresco si sana presto. 

E dicesi anche nel morale. 

Ogni male vuol cagione — e 

Non va giù la voce il di che si mangia la noce. 

Le malattie non ci assalgon sempre appena ilopo lo stra- 
vizio o il disordine fatto. 

Pan bollente, molto in mano e poco nel ventre — e 

Roba calda il corpo non salda. 
Pane finché dura, ma il vino a misura. 
Pancia piena, piede addormentato. 

A pancia piena si cammina male.. 




365 
Più vuoto che pieno, più caldo che freddo, più ritto 

che a sedere. 
Pizzica e gratta, rogna fatta — e 

Chi scalda (o gratta) rogna accatta. 
Ma in contrario trovasi : 

Chi ha rogna e non la gratta, un peccato accatta, 
Poco ciba e nullo afifanno sanità nel corpo fanno — e 

Chi vuol viver sanamente viva sobrio e allegramente. 
Povero queir uomo che di trent' anni non guarisce i 

suoi malanni. 
Quando il vecchio non vuole bere, nell' altro mondo 

vallo a vedere. 
Quando la barba fa bianchine lascia la donna e tìenti 

al vino. 
Quando viene {il sole) serragli le fiuestre in contro ; 

quando parte aprigliele. 
Quando la febbre caca su' labbri è buon segno. 

Quando dopo una febbriciattola compare un'eruzione sulle 
labbra, si riguarda dal popolo come segno di buon augurio» 

Quando si è in traspirazione scansa il vento e abbot- 
tona il pelliccione. 

Quando la milza cresce il corpo dimagra. 

Quel che mangia e non riposa^ non fa bene alcuna cosa. 

Salvia, salva. 

Sangue presto, malattia guarita — e 
Sangue chiama sangue. 

Se ti vuoi mantener sano, 
Caccia vìa il rispetto umano. 

Se tu vuoi star sano (o Chi vuol aver le membra sane), 
piscia spesso come il cane — e 
Se vuoi viver sano e lesto^ fatti vecchio un po' più 
presto. 

Testa digiuna, barba pasciuta- 
La testa si deve lavare o tosare a digiuno, e la barba 
dopo pasto. (Serdonati) 



366 
Tigna dji vergognoso e mal francese di goloso noii^ua- 

rì mai. 
Una pillola formentina, una dramma sermentìna e la 

giornata d'una gallina, fanno una buona medicina. 

Un po' di pane, un uovo fresco e un sorso di vino: il 
sermento è delle viti. 

Un buon pasto e un mezzano tengon If.uomo sano. 
Ungi e frega ogni male si dilegua — e 

Olio di lucerna ogni mal governa — e 
Unguento pei calli, suola grossa e larghi stivali — e 

Scarpa stretta fa bel pie, ma presto o tardi il cal- 
lo c'è. 
Uomini emorroidari, uomini ottuagenari. 
Vino spesso, pan caldo e legna verde, 

E non si lagni 1' uomo se si perde. 
Vita quieta, mente lieta, moderata dieta. 
VitellOj pollastro e pesci crudi iiigrassano i cimiteri. 



MORTE. 

Morte ; Cessazione della vita ; separazione dell' anima dal 
corpo. 

Al fin pensa sovente avrai sana la mente. 
Alla fin del gioco tanto va nel sacco il re quanto la 
pedina. 

La morte agguaglia tutti — e 

Dì qui a cent'anni tanto varrà il lino quanto la 
stoppa. 
Al mazzier di Cristo non si tien mai porta — e 

Quando la campana ha suonato è inutile dir di no. 
Al serrar degli occhi si saldano i conti ^ e 

Ognuno va al mulino col suo sacco. 
A mal mortale uè medico né medicina vale. 



r^r^;r 



367 

Ape morta non fa mèle. * : 

A tutto c'è rimedio fuorché alla morte, 

Avanti la morte nessun e' entra. i 

Beato quel corpo che in sabato è morto. j 

Lo dicono le donnicciuole devote della ^'ergine, i 

Bello, sano, in corte, ed eccoti la morte, 

Chi ben vive ben muore. "j 

Chi muore esce d' affanni. • 

Chi muor giace e chi vive si dà pace. 

Chi nasce convien che muoia. I 

Chi pensa di viver sempre, vive male, 1 

Dio ti guardi dal giorno della lode. 

€ Dio ti guardi dal di della lode, I 

che ogni labbro, ogni cor ti rammentf. » 1 

Così scriveva il Prati. La lode degli uomini non viene cbe | 

dopo la morte. i 

Di sicuro non e' è che la morte. 

Errpr di medico, volontà di Dio. 

Fanno del male i vivi, ma non i morfei. | 

Il cataletto acquistar fa intelletto — e 

Non s'impara mai a vivere sino alla morte. ' 

L'uomo non conosce mai bene se stesso, finché non ab- 
bia la morte in faccia. * ; 

Il male è per chi va, chi campa st rifa. 

Il viaggio alla morte è più aspro che la morte* 

I morti aprono gli occhi ai vivi. 

Le loro fortune dovrebbero ammaestrarci. 

I morti e gli andati presto sono dimenticati. 

I morti non tornano. 

I vecchi vanno verso la morte e ai giovani la gli va 

incontro. 
La morte altri acconcia, altri disconcia. 
La morte è di casa Nonsisà — e \ 

La morte viene quando meno s' aspetta — e j 

J 



__JXl^t> 



368 

Si ea dove si naace, ma non sì sa dove si muore. 
La morte è una cosa che non si può fare due volte. 
La morte è un debito comune- 
La morte non guarda la fede di battesimo — e 

La morte non guarda in bocca, 

Cioè, non guaHa a giovani né a vecchi. 
La morte non ha lunario. 

Viene a tutte T ore. 

La morte non perdona al forte. 

La morte non sparagna re di Francia nò di Spagna- 

Ija morte non vuol colpa. 

La morte paga i debiti e V anima li purga. 

La morte pareggia tutti — e 

Dopo morti tutti si puzza a un modo — e 
Sei pie di terra ne uguaglia tutti (o non si negano 
a nessuno). 

La vita cerca la morte ^ e 

11 primo passo che ci conduce alla vita ci conduce alla 
morte. 

La vita e la morte sono in mano di Dio* 

L'ultima cosa che ai ha da fare è il morire. 

L' ultimo male e il peggìor di tutti. 

M^on v' è termine pììi certo e meno inteso della morte- 
Oggi in figura^ domani in sepoltura. 

In figura^ in carne e in ossa* 

Ogni cosa è meglio che la morte. 
Piuttosto can vivo che leone morto. 
Tutto è meglio della morte. 
Una volta per uno tocca a tutti — & 

Una volta per un, figliuola ci tocca — e 

Tutti aiam nati per morire- 
Uomo morto non fa guerra — e 

Cane morto non morde. 



md 



VESTI, ADDOBBI. 

Veste; Abito che ci ricuopre o ci adorna. 
Addobbo : È masserizia e arnese per lo piU di uxo e or- 
namento alle stanze. 

Chi non può far pompa faccia foggia- 
Se il vestito non è ricco, sia ben aggt listato alla persona. 
Chi porta il fiore sente d' amore (o sa d' amare) 
Chi porta il mazzo sente (o sa) di pazzo — ovvero 
Chi ne porta uno sente d' amore ; chi ne porta due * 

sente da più ; chi ne porta tre o quattro sente da 

matto. 
Chi veste un zoccarello e' pare un fanterello (e dicono 

anche un furfantello) 

Zoccarello è un pezzo di legno, e il motto ha il medesimo 
senso dell'altro: 

I panni rifanno le stanghe — e anche d dice : 
Vesti una colo-nna la pare una bella donna — e 
Vesti una fascina la pare una regina- 

: Chi vuol vedere il diavolo vero, metta il rosso insieme 
col nero. 
Chi vuol vedere un bel visino, lo guardi nel verde o 
nel turchino. 

Son colori che fanno spiccare le bellezze femminili. 
Guasta la figura di Dio chi troppo s' orna. 

I vestiti il primo anno si portano per amorej ed il se- 
condo per forza. 

II bel vestire son tre n : nero, nuovo, netto. 
Il freno d' oro non fa cavai migliore. 

Cioè, gli addobbamenti ricchi non fanno T nomo virtuoso, 
n rosso ed il caffè fan bello chi non e — e 

II verde ed il turchino vuole un bel viaioo. 

24 



1 



n 



370 

La donna dev' esser bruttacela, che sul verde la non si 
rifaccia. 

La Bcimmia è sempre scimmia, anco vestita di aeta. 

Mangiare a modo suo, vestire a mo^ degli altri. 

Mantello, cuopre il brutto e il bello. 

Né guanto, ne berretta, né calzetta, non fu mai stretta. 

Tal ti guarda la cappa che non ti vede la borsa. 

Tre cose belle in questo mondo : prete paratOj cava- 
liere armato, donna ornata. 



NAZIONI, CITTÀ, PAESI. 

Nazione : V insieme dei cittadini d* un dato paese, che 
parlano la medesima lingua ^ ed obhediscoìw alle me^ 
desime leggi. E anche V intero territorio dello stato 
sottoposto alla medesima autorità politica. 

Città: È grande adunamento di case abitate da gente plU 
meno numerosa, diviso in vie, piazze^ quartieri e 
per lo più cinto da mura, fossi j bastioni, — Prendesi 
pure per cittadinanza. 

Paese : Regione, provincia. 

Al Francese un'oca, allo Spagnuolo una rapa. 
Lo Spagnuolo è più frugale del Francese. 

Chi si fida di greco non ha il cervel seco — e 
Greco in mare. Greco in tavola^ Greco non aver a 
far seco. 

Scherza sul vento greco e sul vin greco. 
Chi vuol vincer l' Inghilterra comÌDci dall' Irlanda. 
Dal giudici galliziani vacci coi piedi nelle mani. 

E uno scherzo sulla parola galliziani, e per piedi inteiHÌi 
itccelli o polli da regalare — e 

Venite piando e tornerete cantando. 
Intendi anche qui con le galline in mano. 



I^fjf^vi 



371 
Da Spagnoli e Imperiali, da Francesi e Cardinali, lìbe- 
ra nos Domine. 

Dove stanno de' Tedeschi non vi può atare Italiani. 
Faremo di Roma, adesso adesso di Firensse, a la magna- 
na di Spagna, By and hy d'Inghil terra, I warrant 
you di Scozia, Glekh d' Alemagna^ TaniU dì Francia^ 
son tutte ciancio. 

Francese furioso, Spagnuolo assennato, Tedesco sospet- 
toso. 

Francese per la vita, Tedesco per la bocca. 

Fiorentini innanzi al fatto : veneziani sul fatto ; senesi 
dopo il fatto ; tedeschi alla stalla ; franceai alla cuci- 
na ; spagnuoli alla camera ; italiani ad ogni cosa ; 
pisantin pesa l'uovo; milanese spanchiarol, veronese 
cavoso ; fiorentin cieco ; bolognese matto ; manman 
bulhar; ferrarese gambamarze; romagnuolo d' ogni 
pelo; spagnuolo bianco; lombardo roaao; tedesco ne- 
gro; schiavone piccolo; genovese guercio; veneziano 
gobbo. 

Gli Spagnoli s' accordano a bravare, i Franceai a gri- 
dare, gl'Inglesi a mangiare, i Tedesci a sbevazzare 
e gì' Italiani a pisciare. 

or Italiani piangono, gli Alemanni gridano, i Franceai 
cantano. 

Guardati da Mattutin di Parigi e da Vespri Siciliani. 

Allude il primo alla notte di San Bartolomraeo, — Quan- 
do Arrigo IV poco innanzi al morire disegnava muovere 
guerra agli Spagnuoli che allora tenevano la Lombar- 
dia e le Sicilie, disse un giorno air ambasciatore di 
quella nazione: — Se mi vien voglia una mattina d' u- 
scire di casa, farò la colazione a Milano e il pranzo a 
Napoli. — A cui rispose T ambasciatore : — V, M. po- 
trà esser pe' vespri in Sicilia. — (Giusti) 

Guerra con tutto il mondo e pace con V Inghilterra, 
Guerra spagnuola, grande assalto e poi buona ritirata. 
I don di Spagna, i conti d'Alemagna^ i monaieur di 



372 
Francia, i vescovi d'Italia, i cavalier di Napoli, i 
lordi di Scozia, i fidalghi di Portogallo, i minori fra- 
telli d' Inghilterra e i nobili d' Ungheria, fanno una 
povera compagnia. 
I Francesi non dicono come voglion fare, non leggono 
come scrivono, non contano come notano. 

I Giudei in pasqua, i Mori in nozze, i Cristiani in pia- 
tire, sanno impoverire. 

II Francese per amico, ma non per vicino, se tu puoi. 
II medico di Valenza, lunghe falde e poca scienza. 

Questo è tradotto tal quale dallo spagnuolo « Medicos 
de Valencia, haldas largas y poca ciencia. » 

Inglese italiano è un diavolo incarnato. 

I Tedeschi hanno V ingegno nella mano. 

Accenna ai lavori di squisita diligenza che vengono di Ge^ 
mania. 

II Tedesco lo beve (il dolore) il Francese lo mangia, lo 
Hpagnuolo lo piange, e l'Italiano lo dorme. 

La fame in Inghilterra comincia dalla mangiatoia del 
cavallo. 

La Spagna è una spugna. 

L' Inghilterra è il paradiso delle donne, il purgatorio 
degli uomini e l' inferno dei cavalli. 

L' Italiano è saggio prima di fare una cosa, il Tedesco 
quando la fa, e il Francese quando è beli' e fatta. 

Nel colonizzare un'isola, la prima fabbrica eretta da 
uno Spagnuolo sarebbe una chiesa, da un Francese 
un forte, da un Olandese un magazzino, e da un In- 
glese una bottega di birra. 

Non conosce l'Italia e non la stima 
Chi provato non ha la Spagna prima. 

Salamanca alcuni sana e ad altri manca. 

Signore spagnuolo e pasticciere francese. 

Spagna magra, Francia grassa, Germania la passa. 



373 

Tedeschi intendono più che non sanno esprimere. 

Uomo di Spagna ti fa sempre qualche magagna — e 

Uomo asturiano, vino puro e lancia nella mano. 

Gli asturiani, per esser la terra piuttosto fredda, sona 
amanti del vino, e perchè anche montuosa, tui'bolenti 
e faziosi. 



Motti e Scherni Italiani. 

A Loreto tanto va lo zoppo che il diritto, 
A Padova i giudici danno la ragione ad ambe le partì, 
A Roma ci vogliono tre cose: pane, panni e pazienza, 
E dicevasi anche, parlando della Roma dei papi: 

Chi lingua ha a Roma va. 

Che è vero anche adesso — e ' ^ 

Chi va a Roma e porta un buon borbotto 

Diventa abate o vescovo di botto — e 

Chi va a Roma, né mula zoppa, ne borsa floscia. 
Chi Roma non vede nulla non crede. 
A Roma dottori, a Napoli ladroni, a Genova scavezzi, 

a Milan tagliacantoni, a Venezia foreatieri, a Fiorenza 

scarda ssieri. 
A Verona bisogna andare a letto quando le galline. 

È lamento de' Veneziani, soliti ìhVG dì notte giorno. 
A Vinegia, chi vi nasce mal si pasce ; 

Chi vi viene per ben viene. 

Vi stanno meglio quelli che vengono dì fLìori^ che quei 
che vi nascono. 

Bando bolognese dura trenta giorni meno un mcae. 
Bergamaschi, Fiorentini e passere, n' è pieno tutto il 

mondo. 
Bologna è grassa per chi ci sta, non per chi ci paeaa — e 

Bologna la grassa, ma Padova la pasaa* 
Brescia può e non vuole. 



374 

Yerona vuole e non può. 

Vicenza può e vuole. 

Padova né può né vuole. 

L* origine isterica di questo dettato^ eh' era vivo nel cin^ 
quecento, non si è potuta finqui rintracciare per molte 
indagini fatte in quelle città e nelle altre ci reo ri vi ci ne* 
Cosi gli ampi latori dei Prooerbi dei Giusti. 

Castroni pugliesi, mannarini pistoleai, gran siciliano, zuc- 
chero di Candia, cera veneziana, magli romaneschi^ 
sproni viterbesi, cacio di Creta, raviggioli fiorentini- 
Chi passa Stra e non v' inciampa, va sano sìna in 
Francia. 

Stra borgo tra Venezia e Padova. Un tempo era inasta- 
to dai ladri. 

Chi volta il culo a Milan lo volta al pan. 
Chi vuol provar le pene dell' Inferno, 

La state in Puglia e all' Aquila di verno. 
Compar di Puglia, V un tiene e V altro spoglia. 
Corsica, morsica. 
Dove son due Monfin {cioè Monferratesi o Monferrini)^ 

due ladri e un assassin. 
Detto usato in Lombardia. 

Genova, aria senza uccelli, mare senza pesce, monti 

aenza legna, uomini senza rispetti- 
Genova prende e non rende. 
Genovese aguzzo piglialo caldo — e 
A fare un genovese ci vogliono sette ebrei e tm fio* 
rentino. 

Hanno nome di accortissimi. 
Gente di confini, o ladri o assassini, ^ 
Guardati da Toscan rosso, da Lombarda nero, da Ro- 

magnuol d' ogni pelo. 
II Bergamasco ha il parlare grosso e V ingegno BOttile, 
n bianco e il nero han fatta ricca Tinegia. 
Cioè, il cotone e il pepe. 



375 
D Po non sarebbe Po se V Adda e il Ticin non ci 

mettesser co' (capo)- 
Il prira' anno che uno va a Bologna, la febbre o la 

rogna. 
In Italia troppe feste, troppe teste, troppe tempeate, 

E aatLchìssimo. 
In Eoma più vale la cortigiana che la donna romana. 

Anche questo è ed tic bissi mo, g sl registra qui perchè è notis- 
sima Ja storia dei tempi in cui deve esser nato il pro- 
verbio- 
In Sardegna non vi son serpenti, né in Piemonte be- 
atemmie. 

È antica lode ilei Piemontesi. 

In Tirolo si semina fagioli e nascono sbirri, 

I Ro magn noli por ta no la fé de in gr emb o . 

€ E però non é da maravigliare qnando i tiranni di Ro- 
magna mancano di fede» conciossiachè sìeno tiranni e 
Romagnoli, » {Ma lieo Villani.) 

I Romaneschi nascono co' sassi in mano. 

I Salernitani ingannano il Diavolo, 

I Veneziani alla mattina una measetta, dopo desinare 

una basaettaj e la sera una donnetta. 
I Yicentini qnaiido pisola uno piscian tutti. 

Allude alla concordia di quei cittadini- 
La Corte Romana non vuol pecora senza lana — e 

Corte romana non vuol pecora sana. 
Lago di Garda e Bocca di Celina porta spesso la ro- 
vina. 

Lo dicono nelle provincie di Treviso e d^ Udine ove sono 
paventati i temporali che vengono dal laj*o di Garda, 
Colina è torrente die scende dalle Alpi Carnicbe. 

La Lombardia è il giardino del mondo. 
Leggo vicentina darà dalla sera alla mattina — e 
Legge di Verona dura da terza a nona. 



376 
Le Treutlne vengono giù pollastre e se ne vanno su 
galline* 

Con la stessa malignità dice vasi in Toscana delle ragazze 
ehe andavano per le campagne a cantare il maggio: le 
maggiaiole vengono in due e tornano in tre. 

Milano la grande, Vinegia la ricca, Genova la superba, 

Bologna la grassa, Firenze la bella, Padova la dotta, 

Ravenna 1' antica, Roma la santa. 
^N^apoletano, largo di bocca e stretto di mano. 
Nave genovese, e mercante fiorentino. 
Nel monte di Brianza senza vin non si danza. 
Non ha Vinegia tanti gondolieri. 

Quanti Vicenza conti e cavalieri. 
Non aono in Arno tanti pesciolini 

Quanti in Venezia gondole e camini. 
Norcino di sette faccio, e otto se bisognano. 
Pan Padovano, vin vicentino, carne furlana, trippe tri- 

vigìanc. 
Pantalou paga per tutti. 

I Veneziani erano tenuti per ricchissimi. Ma perchè le 
tasse piti gravavano il popolo basso, usavano dire ve- 
nezianamente: 

Scarpa grossa, paga ogni cessa. 
Parma bell'arma, Reggio gentile e Modena un porcile. 
Parte veneziana non dura una settimana. 
Parte vale legge. 

Pugliese cento per forca e un per paese. 

Quando Fermo vuol fermare, tutta la Marca fa tremare. 

Roma caput mundi, Venezia secundL 

Roma dona — o meglio: 

Roma Roma ogni pazzo doma, e ai cuori non per- 
dona, 

Roma a chi nulla ih cent' anni, a chi molto in tre di. 
Itoma, s'intende la Curia Romana. 



377 

Romagnuol della mala Romagna, 

ti giunta ti fa qualche magagna. 

Romaneschi non son buoni ne freschi, 

Roma non fu matrigna a nessuno. 

Roma travagliata, che chi ha bella moglie vive d' en- 
trata. 

Sicilia dà i Covelli, Francoliao i Q-raziani^ Bergamo 
gli Zanni, Venezia i Pantalonìj e Mantova i buffoni. 

Soldati del Papa, otto a cavai-tì una rapa ; 
Senza il s argento non son buoni a niente. 

In Roma si usa ancora tìguratameirte. 

Trieste pien de peste: 

Città nova chi non vi porta non vi trova ; 

Rovigo pien de ingegno, i spacca i sassi come il 

legno; 
Capodistria pedocciosa ; Isola famosa ; 
A Piran buon pan ; 

Umago, tre preti e un zago (ragazzo che serve messe) 
Una femmina da ben e il pievan che la niantien, 
Udine, giardini senza fiori, caatel senza cannoni, fontane 

senz^ acqua, nobiltà senza creanza. 
Vedi Napoli e poi muori — e 

Venezia bella, Padova so' sorella, Treviso forte, Ser- 
raval campagna, Ceneda villana, Coneglian cac- 
ciator, Belluno traditor, Frata disfatta, Brugnera 
per terra, Sacil crudel, Pordenon aelcià, e Porzia 
innamora. 

Su questo proverbio storico nuli' altro posso dire se non 
che Treviso venne fortillcato nei primi del secolo XVI, 
e sarebbe da ritenersi questa T epoca in cui esso nac- 
que. Il castello di Prata venne iiitoramento tlìst inulto 
dai Veneziani nel primo quarto del secolo XV, guerreg- 
giando cogli Ungheresi e Sigismondo Imperatore. [Por- 
denone poi era selciato anche nel medio evo, ed in quel 
tempo potè essere questa una circostanza notabile ai 
vicini. (Pasqualigo, Race. Ven.J 



378 
Veneziani, gran Signori, 

Padovani, gran dottori: - 

Vicentini, magna gatti. 

Veronesi, tutti matti: 

Udinesi, castellani. 

Col cognome di Purlani: 

Trevisani, pane e trippe, 

Rovigotti, Bacco e pippe: 

Cremaschi, fa cogioni, 

I Brescian, tagliacantoni: 

Ne volete de' più tristi ? 

Bergamaschi brusa-Cristi. 
Veronese, bella mano. 
Vinegia chi non la vede non la pregia. 
E il Serdonati aggiunge: 

Ma chi va a vederla ben gli costa — e 

Più rara cosa il mondo non 'possiede, 

Che la città dove il Leon risiede. 

Motti e Scherni propri della Toscana. 

A Firenze per avere ufizii bisogna avere bel 

e stare a bottega. 

Dicevasi anticamente, quando la repubblica era governata 
da un patriziato di bottegai. 

Alla Certosa è un cert'uso, chi vi va e non ha fretta 

tocca un pane e una mezzetta. 

A Marradi seminan fagioli e nascon ladri. 

Le ingiurie a città nobilissime, a Provincie e a borgate, 
che nelle pagine precedenti e qui riferiamo, s'intende 
che non hanno valore se non storico o in quanto pos- 
sono servire a tutti d'insegnamento. 

Andare a Scarperia la non mi torna, 

Son tutti birri e spie e limacorna. 

A Scarperia è manifattura di coltelli e temperini, clifi 
hanno i manichi di corno. 



379 
A Ortignano chi non è birro non è cristiano. 
A Prato e' è più preti che a Pistoia etaia. 
A San Miniato o tira vento o suona a magistrato* 
Bandi di Siena (o di Poppi) per chi sì e per chi no. 
Bando di Ciompi durava tre dì. 
Brezzi (o Sesto) Peretola e Campi 

Son la peggio genia che Cristo stampi, 

E si dice proverbialmente: 

La compagnia del Ponte a Eifredi, pochi e mal d'ac- 
cordo — e 
La compagnia di Campi passi e non baci. 

Perchè un di loro baciando 1' altare s' empi la bocca di 
quattrini ch'erano nel vassoio. 

Campiglia ingrassa il porco e poi lo piglia. 

L'aria di Maremma ingrassa chi fa gozzoviglia, ma poi 
r uccide. 

Chi ha a far con Tosco non vuol esser losco. 
Chi non ha moneta non vada all'Impriineta, 

Dov'è una fiera in antico molto celebit;. 
Chi sta a' marmi di Santa Maria del Fiore o è pazzo 
o sente d' amore. 

Era il ritrovo de' Fiorentini le sere d* estate. 

Chi va a San Biagio perde V agio ; chi va a Santa 
Maria Nuova lo ritrova. 

San Biagio era uno spedaluzzo suburbano nel borgo di 
Monticelli, presso Firenze, chiamato per antonomasia lo 
spedale dei poveri ; quello di Santa Maria Nuova fu re- 
putato sempre meglio provvisto tra gli spedali di quel- 
la città. 

Chi vuol ben principiare alcuna cosa, vada al Fioren* 

tino. 

Così dicono alcuni, volendo mostrare che i nostr-i uomini 
sono ingegnosi nel cominciare l'imprese, ma poi poco 
concordi nel condurle a fine. (Serdonati) 



^ 



380 i; 



'i 



l 



Fiorentini ciechi, Senesi matti, Pisani traditori, Luc- 
chesi signori 

Pisani traditori, perchè donarono affuocate le colonne -j 

che stanno tuttavia alla porta della Chiesa ù. San Gio- "l 

vanni e perchè Firenze cento anni ebbe grande gelosia } 
di Pisa, ed altri cento anni grande sete di pigliarsela. 

Fiorentin per tutto, Roman distrutto. 

Firenze non si muove se tutta non si duole. 

Antico proverbio indicante certa longanimità per la qua- 
le i Fiorentini erano tardi alle sommosse; e non man- 
cano esempi a provare che la loro natura non è cam- 
biata. 

Grosseto ingrossa, Batignano fa la fossa, Paganico sot- 
terra l'ossa. 

Tre paesi maremmani- — e 
In maremma si arricchisce in un anno e si muore 
in sei mesi. 

I Fiorentini son cattive doghe da botte, ed i Veneziani 

buone. 

Quelli difficilmente s' uniscono, e questi (come le buone 
doghe) si combaciano molto bene insieme, così da fare 
la città forte. 

II Fiorentino mangia sì poco e sì pulito. 
Che sempre si conserva V appetito. 

Un tempo fu proverbiale la frugalità fiorentina. 
I Sanesi hanno sei nasi. 

Legge fiorentina, fatta la sera e guasta la mattina. 
Lingua senese e bocca pistoiese. 

Proverbio che indica che buona è la lingua parlata a 
Siena ; ma che la pronunzia eccellente è la pistoiese. 
Si dice anche : 
Lingua toscana in bocca romana. 
Lotto, lusso, lussuria e Lorenesi; 
Quattro L han rovinato i miei paesi. 

Motto fiorentino al tempo della Reggenza Lorenese. E di- 
cevano anche; 
Co' Medici un quattrin facea per sedici : 
Dacché abbiamo la Lorena, se si desina non si cena. 



m 

Maremmani, Dio ne scampi i cani. 
Massa, saluta e passa; 

Chi troppo ci sta la pelle ci lassa. 
Intende di Massa maremmana. 

Montaione e Montaio, 
Ne penna né calamaio. 

Luoghi di Toscana sterili, che non vi si tu faccende. (Ser- 
donati) 

Wq muli, ne mulini, ne compari dell' Isola (d* Elba) 
né moglie di Piombino. 
Palle e gruccia beato chi le succia. 

Le palle insegna de' Medici ; la graccia dello Spedale dì 
Santa Maria Nuova. Detto degli aderenti e fìivoriri di 
casa Medici, e di chi avea mano in pasta nelle ammi- 
nistrazioni degli Ospedali. Si registra perchè lo abbia- 
mo sentito ripetere anco a nostri giorni. 

Panno senese si rompe prima che si metta in dosso, 
Pisa, pesa per chi posa. 

Allude alla pesantezza dell'aria pisana. 
San Geminiano dalle belle torri e dalle belle campane, 

Gli uomini brutti e le donne befane. 
Tanto é a dir pennecchio quanto ladro di Fucecehio. 

Nella terra di Fucecehio è grande industria di lini. 
Tre cose son difficili a fare: cuocere un uoto, fare il 
letto ad un cane, ed insegnare a un Fiorentino. 

NATURE DIVERSE. 

Nature diverse : Indoli, genii, costumi, caratteri partico- 
lari e differenti tra' varii uomini. 

Alle volte più vale la feccia che il vino. 
Cattiva è quella lana che non si può tingere. 
Cattivo é quel sacco che non si può rappezzare* 



ÉtóSÌL^ 



382 
Chi fa bene per paura, niente vale e poco dura — e 

Chi fa bene per usanza, se non perde, poco avanza. 
Da continuo riso raro hai buon avviso. 
Dalla neve o cotta o pesta, non caverai altro che acqua. 
Del inatto, del medico e del cuoco, ognuno n'ha un 

poco. 
Dio ti guardi da chi legge un libro solo — e 

Dio ti guardi da chi non ha altro che una faccenda 
sola. 
Di stoppa non si fa velluto. 
Dove manca natura arte procura. 
È meglio vin torbe che acqua chiara — e 

La buona carne fa di molta schiuma — e 

Non c'è carne che non faccia qualche oncia di schiuma. 
Le nature vigorose hanno anche i loro difetti. 
La botte dà del vin che ha — e 

Neasueo può dar quel che non ha — e 

Ogni campanile suona le sue campane. 
La natura può più dell' arte. 
La pulce salta perchè 1' è vergognosa. 
La quercia non fa limoni — o 

11 leccio non fa olive — e 

I castagni non fecero mai aranci. 

La zucca non sa di cedro. 

Non c'è vizio peggiore di quello che per bontà. 

Non è mai gran gagliardia senza un ramo di pazzia. 

Non fii mai gatta che non corresse a' topi. 

Non tutti i piedi stanno bene in una scarpa. 

Ogni creatura ha la sua natura. 

Ogni uccello è buon pel becco suo. 

Ognuno attende alla sua bocca e al suo gusto. (Serdo- 
nati) — e 

L'uccello dal becco grosso non può cantar fine. 

Ciascuno parla o tratta secondo la sua natura, il che è 
(letto anche dalF altro : 



.,j 



383 
Ogni uccello fa il suo verso. 
Ogni uccello non canta. 
Ognuno a suo modo, e gli asini air antica. 

Lo dice chi vuol fare a suo modo, contro il volere al- 
trui. 

Ognuno è buono a qualcosa. 

Ognuno può far della sua pasta gnocchi — e 

Ognuno fa del suo ferro mannaia — e 

Ognuno è libero di far quel che vuole. 
Ognuno sa quanto corre il suo cavallo — e 

Ognuno legge le sue carte — e 

Ognuno sa sé. 
Ognuno va col suo senno al mercato. 
Pulito amante, cattivo litigante. 
Quando 1' uomo è incudine, gli bisogna soffrire ; quan- 

d' è martello, percuotere. 
Taglia la coda al cane e' riman cane — e 

Quando è vizio di natura fino alla fossa dura. 

Grande è il potere della natura. 
Tante teste, tanti cervelli. 

I latini dicevano quot homines, tot sententiae, I francesi 
scherzosamente dicono: les gens du meme avis ne soni 
Jamais d* dccord. 

Tra asino e asino non corron se non calci. 

Tutte le dita non son pari. 

Una ghirlanda costa un quattrino, e non iata bene in 

capo a ognuno. 
Un basto solo (o una sella sola) non ^ adatta ad ogni 



Un buon naturale vai più di quante lettere sono al 

mondo. 
Uomo zelante, uomo amante. 
Uomo solitario, o bestia o angiolo. 
Varii sono degli uomini i capricci: 



^ 



384 
A chi piace la torta, a chi i pasticci — oppure 
Varii sono degli uomini i cervelli: 
A chi piace la torta, a chi i tortelli. 



ANIMALI. 

Animale : In generale, è ogni essere organato che ha vita, 
senso e movimento, come anche V uomo che è defi- 
nito : Animale ragionevole. Qui però è detto dei soli 
animali irragionevoli, o bruti, 
h- 

A cavalli tristi e buoni porta sempre gii sproni — e 
^ meglio: 

: Buon cavallo e mal cavallo vuole sprone — ed ag- 

; giungesi scherzosamente: 

Buona femmina e mala femmina vuol bastone. 
t Al cavallo biada e strada — - e 

' Briglia e biada, striglia e strada. 

%i Balzan da uno noi dare a nessuno ; 

I Balzan da tre tienlo per te (o cavai da re); 

^I Balzan da quattro, tu lo vendi o tu ne fai baratto — « 

^ più semplicemente: 

^^ Balzan da quattro cavai da matto. 

p Bue, cavallo e porco vogliono aver gran corpo. 

Bue lungo e cavallo corto. 
Sono reputati i migliori. 
Bue moro, merda o oro. 

Cioè, validissimo o invalidissimo. 
Cane amoroso sempre velenoso. 

Il cane quand'è in amore è cattivo. 
Cane mogio e cavallo desto. 

Perchè il cane ove sia troppo vivace serve male al cac- 
ciatore, e il cavallo con la stessa vivacità dello sguardo 
annunzia la sua gaglìardia. 



a85 

Cane e gatta tre ne porta e tre ne allatta. 

Della quantità dei mesi che portano in corpo i nati. 

Capra vecchia bene sbrocca — e 
La capra giovine mangia il sale e la vecchia il sale 
e il sacco. 

Si dice anche de' vecchi mangiatori. 

Cattivo sparviero quello che non torna al logoro. 

Lógoro, il richiamo dello sparviero ntìlla caccia che ^ 
faceva anticamente con questi animali, (Giusti) 

Cavai bianco e donna bella non è mai senza martello. 
Cavai d' Olanda buona bocca e cattiva gamba. 
Cavai dusolino o da piazza o da molino* 

Cioè o da comparsa o da soma. Dusolino^ color di topo. 

Cavaliere senza sproni, cavalier de' miei cordoni. 
Cavai melato, cavai malato. 

Cioè debole. Melato, invece di pomato o pomellato. 

Cavai morello, o tutto buono o tutto fello — e 
Morel senza segno, non te ne fidar col pegno. 
Cavai restìo, fallo con Dio. 
Cavallo che inciampa e non cade è buon segnale. 

Dicesi anche, figuratamente, degli uomini e delle donne. 

Cavallo e cavalla cavalcali su la spalla ; 

Asino e mulo cavalcali sul culo. 

Cioè, siedi indietro sulla groppa, perchè a stare loro sul 
collo o inciampano o imbizzarriscono. E anche questo 
può applicarsi in molti casi. 

Chi addottrina i pulledri in dentatura. 
Tener li vuole mentre eh' ella dura. 

Detto per Y affezione che si porta alle bestie quando si 
sono prese da piccole, e che vogliono tenersi Anche 
hanno denti in bocca, cioè sempre. Ma si può intendere 
anche d'altre affezioni più nobili. (Ghirstij 



386 
Chi ammazza il marzuolo^ ammazza il padre e il fi- 
gliuolo. » 

Condanna Y andare a caccia nel marzo quando è prossima 
la cova. 

Chi cavalca alla china, non è saa la bestia o non la 

stima. 
Chi corre in posta scherza con la morte — e 

Uomo a cavallo sepoltura aperta — e 

È meglio pie bagnato che tegta rotta. 
Chi cresce in capelli e in ugna no a cresce in nulla. 
Dicesi per le bestie cavalline. 

Ohi non ha amore alle bestie non 1' ha neanche ai cri- 
stiani — e 
CM ammazza cani e gatti non fa bene i suoi fattir 

Chi non ha travagli tenga de' cavalli. 
Che gli sarà facile averne. 

Dal becco vien 1' uovo — o 

Le galline fanno Tuova dal becco — e 

La gallina è bella e buona^ di pel becco la fa V uova- 

Per similitudine vale che gli nomini solamente qoando sod 
ben pasciuti o ben pagati lavorano — e 

3e alla gallina tu apri il pugno essa ti aprirà il culo. 

Cioè ti farà uova se le darai da mangiare. 

Dal cane la cagna e dalla cagna il cane. 

Cioè, se vuoi buona cagna, sceglila somigliante al padre; 
e se vuoi buon cane, somigliante alla madre. 

Di can che molto abbaia trista la pelle. 

Perchè può incontrare facilmente olii lo percuota o Tue- 
cida. 

Dodici galline e un gallo mangiano quanto un caTallo* 
Finche la cresta non gli cuopre 1' occhio la gallina non 

fa il cocco. 
Gallina per fare uova, e la vecchia per covarle. 



387 
Grallina pelata {cioè vecchia) non fa uova. 

Ma sono buone da ammazzare, laonde dicesi; 
Vecchia gallina ingrassa )a cucina — e 
Gallina vecchia fa buon brodo. 
Gallina secca ben hecea (o epeaso becca), 

E si dice dì donna o d'uomo magri e maDgiatori» 
Gallina vecchia vuol galletto giovine — e per lo eon- 
trario : 
A gallo vecchio gallina tenerella, 

I cani abbaiano a chi non conoscono. 

II cane del fabbro dorme al rumor del martello e bì 
desta a quello delle ganasce. 

Può dirsi dei pigri. 

Il cavallo tanto va tanto vale. 

Il cavallo vnol biada in corpo, e il mulo nelle gambe. 

n mulo ha poco bisogno di mangiare, ma vuol molto fa- 
ticare* 

II gallo è r oriuolo della villa, 
n gatto È una tigre domestica. 

Il Raiberti nei suoi umoristici cenni iìsiologlco morali sul 
gatto^ lo disse uua piccola tigre ingentilita dal conver- 
sare coli" uomo. Una gattA ebÌ3e V immortalità dal suo 
alletto al Peirarca. 

H porco grufola alF innanzi^ e il gallo razzola air in- 
dietro. 
La buona greppia fa la buona beatia- 
Lettere al culo, cavalli da tamburo. 

Cavalli bollati o mai'chiatl con lettere, cioè di razza* 
!BIulo, buon mulo^ ma cattiva bestia. 
Né per galla né stienella non restar di metter sella. 

Son malattìe de' cavalli. 
Non e' è buon cavallo che non diventi una rózza. 

E qui abbandonano le simili tudìm. 



L 



ì 



388 
Non fu mai vista capra morta di fame. 

Le capre mangiano d*ogni cosa. 
Ogni becco torto vive di preda. 

Si usa figuratamente. 
Ogni cattivo cane ha la coda lunga — e 

Al cattivo cane tosto vien la coda. 
Orzo e paglia fanno cavai da battaglia — e 

Cavai da paglia, cavai da battaglia. 
Pecora cornuta, vacca panciuta, mai non la muta. 
Pecora salata, pecora sanata. 

Credesi che il sale sia efficacissimo preservativo per al- 
lontanare dalle pecore un* infinità di mali. . 

Primo porco, ultimo cane. 

De* porci i primi che nascono son creduti i migliori, e 
de' cani gli ultimi. (Serdonati) 

Quando il bue non vuole arare tu puoi cantare, tu puoi 
cantare — e 

Quando i bovi non vogliono arare, non serve fischiare, 
non serve fischiare. 

Si dice anche degli uomini svogliati o restii. 
Quando il leone è morto, le lepri gli saltano addosso. 

I pusillanimi e i paurosi fanno i bravi e inveiscono contro 
chi non può più ad essi nuocere o resistere e quando 
il pericolo è scomparso. 

Quando il sol tramonta 1' asino si penta. * 

Quando nevica il lupo predica. 
Rana, o salta o piscia, e non sbrana. 
Schiena di mulo, corso di barca, buon per chi n'ac- 
catta. 

Portano assai roba. 
Scorpione, umido è tutto ove si pone. 
Se il cavallo è buono e bello non guardar razaa o 
mantello. 



389 
Se il porco volasse non ci sarebbe uccel che lo pa&- 
sasBe. 

Pel sapore delie sue caroi. 
Testa di lucertola, collo di gru e, gambe dì ragno, pan- 
cia di vacca, groppe di baldracca. 
Sono le buone qualità della mula. 

Tondi V agnello e lascia il porcello* 

Tre anni dura una siepe, tre aiepi dura un canep tre 

cani dura un cavallo, tre cavalli dura un uomo^ e tre 

uomini un corvo- 
Tristo a quel cavallo cbe va contro allo aprone. 
Usasi anche nel figurato. 



COSE FISICHE. 

Cose fìsiche: Pia particolurtnente gli elcrnenti deìUi na- 
tura j ma poi, anche ogni altra cosa appartenente 
a' tre regni della natura stessa. 

Acqua e fuoco presto si fan loco — e 

L'acqua e il fuoco soo buoni aervitori, ma cattivi 
padroni. 

La natura ha nei due contrarli estremi i più potenti suoi 
ministri ; dell' uno e delF altro ci è bisogrio sempre, ma 
Dio ti acampi quando uno so)o predomina. (Giusti) 

Acqua versata, non tutta radunata. 

Non riesce mai riavere tutto quello che si disperde. 
L'acqua, Varia e il fuoco hanno la testa sottile. 

Sanno entrare da per tutto. 
Andar per il fango è come andar per la morte. 
Barba bagnata è mezza fatta (o mezza rasa), 

E figuratamente vale: chi ben comincia ha mezzo fatto. 



390 

Camrain torto, cesso diritto. 

Chi ben non torce i panni non s'asciugano in tre 

aniiì. 
Chi di paglia fuoco fa piglia fumo e altro non ha. 
Chi lava al nugolo e asciuga al fumo non lava nulla — e 

L'acqua lava e il sole acciuga. 

Di cesi quando si fanno macchie nei panni. 

Chi mura a secco mura spesso. 

Muro a secco è muro senza calcina, e che perciò sidis^ 
facilmente. 

Chi mura d'inverno mura in eterno (o fa le mura di 
ferro). 

Le muraglie fatte d' inverno sono pih durabili, a motiva 
che le pioggie, spesso bagnandole, son cagione clie ia 
calcina fa miglior presa. (Giusti) 

Con ferro e con aceto sì fa buona tinta. 
Criaolièi e amatiste tra le gioie le pia triste. 
Bella legna verde e' non si vede allegrezza. 
Della noce il fico è buon amico. 
Dove può andar barca non vada carro ; dove può an- 
dar carro non vada cavallo* 
Dove si fa fuoco nasce del fumo. 

Può avere molte applicazioni. 
Fondamenti di casa e botti bisogna accomodarli bene. 
Fuoco che arde in cima non ne fare stima — e 
Quando il fuoco piglia in vetta è segno che non ha 

fretta — e 
Fuoco che arde in vetta non l'aspettar con fretta — # 
Chi vuole impoverire il ricco metta le legna per lo 
ritto. 

Bruciano piìi presto, e il fUoco va su per il cammina*! 
non serve a cuocere né a scaldare. 

Fuoco di cammino non fé' mai nessun meschino. 

È il pili salubre. 



i 



891 
Fuoco j lume e oriolo non ti fanno star solo — e 

Il lume è una mezza compagnia» 
Grossa aria, grossa acqua. 
Il prim' anno a neasnno, il secondo al nemico, il terzo 

air amicOj il quarto por sé. 

S* intende la casa nuova, appena fabbricata- 
li 8ole dà lume anche dietro i nuvoli. 

Cosi a nelle la Yorità ; ma può dirsi degli amanti, degli 
adulatori e dei vanagloriosi, 

U vento non entra mai in luogo di dove non poasa 

uscire. 
Impiastro grosso e unguento sottile. 
La luna fa lume ai ladri. 

Ma poco serve a chi lavora. 
La pietra dura mangia la tenera. 

11 proverbio avverte che rion si debbono commettere nei 
pavimenti pietre di diversa durezza, perchè si lo^^ora- 
no ineg-iialmérite : è nato a Venezia dove si fanno quei 
bei pavimenti di commesso che hanno nome terrazzi. 

Legno di noce fa disperare la massaia. 

È duro ad ardere. 
Legna scompigliate il fnoco lo racconcia. 
Le navi temono più il fuoco che V acqua. 

Chi vive in mezzo ad un pericolo, da quello si guarda. 

Mano di barbiere, ginocchio di ecardassiere e batocchio 

di campana j son sempre freddi. 
Muro bianco, carta pe' pazzi. 

Gli sciocchi e gli scioperati scrivono sulla miu^a* 
Muro vecchio e muro nuovo non si voller mai bene- 

Cioè, s'appiccano male insieme. 
Uon è la pii gran pena che mangiar ritto e camminar 
su rena. 



392 
Non si può fare (o non si può tanto cuoprire il fuoco) 

che il fumo non ascenda. 
Nuova camminata è presto affumicata — e 

Cammin che teme il fumo è cattivo da abitare. 
Ogni fiore piace, fuorché quello della botte. 
Oro non guasta lavoro — ed andw: 

Azzurro e oro non guastan lavoro. 
Piccola fiamma non fa gran lume. 

Più spesso adoprasi figuratamente. 
Quando tu vedi un ponte fagli piìi oaor che tu non 
fai a un conte. 

Cioè : va' di passo e guardingo. 
Quel che ripara lo freddo ripara lo caldo. 

È proverbio degli Spagnuoli, i quali portano il mantello 
tutto Tanno. Pare un paradosso, eppure è vero per ra- 
gion fisica. Una casa colle mura grosse è buona egual- 
mente per l'inverno e 'per Testate; cbi porta lana ad- 
dosso sente meno freddo T inverno e meno caldo l'e- 
state. (Giusti) 

Quel che vai molto esce di sotto terra. 

Cioè, i metalli, le pietre preziose* 
Rosso di fuoco dura poco. 
Saliva d' uomo ogni serpe doma. 
Sopra il nero non v' è colore. 
Triaca vecchia, confezione nuova. 

Triaca o teriaca, medicamento. Confezione ; conserre eJ 
anche confetti. 

Una macina di sotto ne consuma cento di sopra. 

Un pezzo non fa fuoco, due ne fanno poco, 
Tre un focherello, e quattro lo fanno bello. 

Ma pe' meno freddolosi o scialacquoni : 
Un legno non fa fuoco, due ne fanno poco, 
Tre lo fanno tale che ognun si può scaldare. 



393 



VOCI DI PARAGONE, 

Voce di paragone: Similitudine e confronto di tmù. cosa 
éon un' altra diversa^ fatto giudiziosamente nel fine 
di ri iettare con maggior evidenza la natura o qualittì 
della prima. 

Abbarbagliato come un barbagianni. 

Affamato come un lupa, mangia come un lupo. 

Affilato come un raaoìo. 

Agevole come un agnellino. 

Allegro come una apoaa. 

Air improvYÌgo come un fulmine. 

Amaro come il veleno, come il fiele j come V assenzio. 

A piedi come un birbone. 

Appuntato (o fino) come un ago. 

Asciutta come un^ aringa, 
D' una donna magL^a. 

Asciutto come V esca. 

Di chi è rimasto senza daniiri. 

Astuto come una volpe. 

A tempo come un'acqua d'agosto, come il cacio su' mac- 
cheroni. 

A testa ritta come un gallo. 

Avido come una spugna, beve come una espugna, a' in* 
zuppa come una spugna. 

Barba lunga come quella d' un cappuccino, lapida come 
un cardo, morbida come la seta. 

Barbuto come un caprone. 

Bastonato come un asino. 

Bello come un angelo. 

Bestemmia (o eagra) come un turco, come un vetturino, 
come un luterano. 



"▼^ 



394 
Beve come un lanzo. 
Bianco come la neve, come il latte, come la farina, 

come la camicia, come un panno lavato ^ come il geaso^ 

come la carta, come rarmellino. 

Boccheggia come un pesce, come una tineii. 

Bolle come un paiuolo, come una pentola. 

Detto di chi brontola o borbotta. 

Braccia come le stanghe^ 

Brucia come la paglia, come V esca. 

Brutto come il peccato, o come la versiera. 

Bugiardo come un epitaffio. 

Baio come di notte, come in cantina, come in tasca. 

Buono come oro rotto. 

Da contarvi su, da fidarsene, ed anche da trarne sempre 
guadagno. 

Buono come un' acqua d' agosto. 

Cioè, opportuno. 

Caldo come un fornO; come un bagno, corno un piscio 

d' asinO; come la lana, come una brace. 
Calza come un guanto. 
Si dice delle scarpe. 
Cammina come il pensiero (veloce)* 
Cammina come se avesse le pastoie (tento)* 
Cammina come un passero (lesto) come una testuggine 

(piano) come la processione ((gravemente). 
Canta, urla come una calandra. 
Capelli come stoppa, come capecchio, come lische. 
Casca come una pera mezza, o come una pera cotta. 

Di chi si lascia indurre a fkv cosa die non vorrebbe, e lii 
chi si innamora facilmente. 

Casc6 come un cencio. 

C entra come san-buco in cielo, come papa sei nelle 
minchiate, come Pilato nel Credo, come il cavolo a 
merenda, come il prezzemolo nelle polpette. 



I 



395 
Cieco come una talpa- 
Ci si cammina come in casa. 

Cioè, facile, piano. 
Ci gì sdrucciola come sul sapone, come sull' olio, come 

sul ghiaccio. 
Ci si sta come nel letto. 

Cioè, bene. 
Cheto come un olio. 
Chiaro come il sole, come la luce del giorno, come 

Tambra, come il cristallo. 
Cola come un paniere. 
Col muso nero come un magnano, come uno spazzacam- 

mino. 
Corre come un barbero, come il vento, come la for- 
tuna. 
Correre dietro come la gatta al fuso. 

Correre dietro s.d alcuno molto sveltamente. 
Cosce come colonne» 
Cotto come un tegolo. 

Per ubriaco. 
Cova nel nido degli altri come il cuculo. 
Cova sotto il tetto come le rondini. 
Denti come lesine. 
Digerisce ogni cosa come lo struzzo. 
Diligente come Tape. 
Diritto come un fuso, come un cipresso. 
Dita come uncini. 

Dolce come lo zuccherOj come la sapa, come il giuleb- 
be, come il rosolio, come il miele. 
Doppio come le cipolle. 
Dorme a occhi aperti come la lepre. 
Dorme come un ghiro, come un tasso, come una mar- 
motta, come un masso, come un orso, o come un 
ciocco. 



396 
Dotto come uno scafiEale. 

Cioè, tutto degli altri e nulla del proprio. 

Duro come un corno o come il cuoio — e in altri 
casi : 
Duro come un macigno, ritto come un piolo. 

È come San Tommaso, se non vede non crede. 

Enfiato come una bòtta. 

Esce a buio come un pipistrello, come le bòtte. 

Facile come bere un ovo. 

Fa come il gambero. 

Fa come le campane, che chiamano gli altri e non en- 
trano in chiesa. 

Fa come l'asino, che porta il vino e beve l'acqua. 

Fatto che pare colato addosso. 
D' un vestito. 

Fermo come un muricciolo, come una rupe. 

Feroce come una tigre. 

Fine come un capello, come un fil di seta. 

Fine come un grillo, come un gambo di finocchio, come 
uno stecco. 

Fischia come il vento. 

Forte come un Ercole, come un leone. 

Freddo come un marmo, come un diaccio, come il naso 
d'un gatto, come un cadavere, come un ferro. 

Fresco come una rosa. 

Frulla come una trottola. 

Fu come metter l'olio nel lume (o nella lucerna). 

Fugge come avesse l'ale, come avesse 1' ale a' piedi, 
come il vento o come un razzo, come se avesse i birri 
dietro. 

Fugge come il cane dall' acqua bollita, come il dlatolo 
dall'acqua santa. 

Fuma come un cammino, come d' inverno una mano ba- 
gnata. 



^ 



397 
Giallo come un morto, come un popone, come la feb- 
bre, come r oro di zecchino, come una frittata^ come 
lo zafferano, come un rigogolo. 
Gira come una mosca senza capo. 

Senza sapere quel eh' e' fa. 

Gira come una ventaruola. 

Gira (e anche frulla) come un arcolaio, come una ruota, 

come una trottola. 
Gli gira d' intorno come la farfalla al lume. 
Gli tirò il collo come a un pollo. 
Grande come una montagna, come una casa. 
Grandine grossa come le noci. 
Grasso come un tordo, come un beccafico, come una 

quaglia, come un ortolano, come una pernice. 
Grosso come un pagliaio, come un elefante, come una 

balena. 
Guarda come il nibbio. 
Ha il cervello come un' oca. 
Ha il collo lungo come un fiasco, come una cicogna, 

come la grue, come un papero, come una giraffa. 
Ha il muso lungo come un luccio. 
Imbrogliato (o impastoiato) come un pulcino tra la 

stoppa. 
Intenerito come un torsolo. 
Intrepido come se non dicessero a lui. 
Largo come la misericordia di Dio, come la via mae- 
stra, come un'aia. 
Legato come un Cristo. 
Leggero come una gatta, come una mosca. 
Lesto come un gatto. 
Liscio come il palmo della mano, come la seta, o come 

la cipolla, come 1' ovo. 
Lo schiacciò come un uovo^ come una noce. 
Lo tenne come un cane da presa. 



393 
Lo trattò come un pellaio. 

Cioè, lo trattò male, lo caricò di vituperj. 

Lunga come la fame. 

D' uomo lungo e scarno. 

Lungo come uno stollo, come un campanile. 

Lustra come, uno specchio. 

Manevole come la pasta. 

Mansueto come un agnellino. 

Mi fa una testa come un tamburlano, come un cestone, 
come una campana. 

Cioè, mi confonde, m' imbroglia il capo. 

Minuto come il panico. 

Morbido come la sugna, come il velluto. 

Mugghia come un toro. 

Muta come il vento. 

Nero come l'inchiostro, come la pece, come un cala- 
bronej come la filiggine, come il carbone, come la 
cappa del cammino, come il culo del paiolo, come 
un corvo, come un moro o mora. 

Koìoao come una zanzara. 

Nudo come Dio V ha fatto ; come un'anima. 

Occhi che brillano in testa come due stelle, che ri- 
splendono come due fiamme, accesi come due carbo- 
ni, bianchi come quelli del gatto, rossi come foderati 
di scarlatto (p di prosciutto), vivi (o acuti) come un 
falco, grandi e tondi come quelli d' un bue, di fuoco 
come quelli d' un drago. 

Ombroso come un cavallo. 

OstinatOj caparbio come un mulo. 

Paga come un banco. 

Cioè prontamente, sicuramente. 

Pare un diavolo giù per un canneto. 

Di chi faccia un gran rumore sfrusciando e sgomitando 
dove passa 



899 

Parla che pare un baratto. 

Farla come un libro stampato , come un oracolo* 

Parla come un vecchio* 

Passa come un lampo* 

Pauroso come una lepre y come un coniglio. 

Pelato come il culo delle scimmie. 

Peloso come un orso. 

Peso come il piombo. 

Piange (p geme) come una vite tagliata. 

Piantato come un palo, come un piolo. 

Picchiare come dare in terra. 

Cioè senza ritegno, ganza misericordiap 
Pieno come un ovo, come un otre. 
Pieno di vento o gonfio come un pallone- 
Pietoso come il pellicano. 
Piglia fuoco come V esca, come la polvere, come uno 

atoppino. 
Pugni come balle di lana. 
Pulito come un dado. 
Pulito come un bastone da pollaio. 

Per ironia. 
Punge come V ortica. 
Puro come una colomba* 

Puzza come un avello, come una lapide, come un bot- 
tino. 
Recide (o taglia) come una falce. 

Nel figurato sì dica dell' uomo maledico. 
Bieco come una badia. 
Ricerchiato come una botte. 
Ride come un matto. 

Riluce come d' argento, come uno spiraglio, 
Ripara V acqua oome un vaglio. 

Per ironia. 
Ronza come una mosca in un fiasco^ come un calabrone. 



400 

KoBso come un peperone, come una ciliegia, come un 
gambero, come il carbonetto, come lo scarlatto, come 
un ferro rovente, e come una rapa (d' un viso pallido). 

Rovente come una fornace. 

Bussa come un porco (o come un ghiro). 

Saldo come un acciaio, come una torre, come una roc- 
cia, come un diamante. 

Salta come un basilisco. 

Sanguina come un Ecce-omo. 

Sano come un pesce, come una lasca. 

Savio (o mansueto) come un agnello. 

Scacciato di qua e di là (o per ironia : fortunato) come 
un cane in chiesa. 

Schiamazza come una gallina. 

Schizza come un razzo. 

Scipito come una pappa senza sale, o come la bietola, 
come la zucca. 

Scorticato come un San Bartolommeo. 

Scrive come una gallina. 
Cioè, male. 

Secco come un uscio, come un chiodo, come uno zolfa- 
nello, come un rastrello, come uno stecco, come un 
osso, come un picco, come uno stizzo, come la morte. 

Secco (o smunto) come un' arpia. 

Semplice come una colomba. 

Senza capo come 1' acciughe. 

Serrato (o sodo, e ironicamente: largo) come una pina, 
(o come una pina verde). 
Quest' ultimo dicesi degli avari. 

Sguiscia di mano come un' anguilla. 

S' avventa come un cane arrabbiato. 

Sì disfece come una pera cotta. 

Si divincola come una serpe troncata. 

Si riebbe come da morte a vita. 



m 

Si rivolta come un serpente. 

Si rompe come il ghiaccio. 

Si somigliano come due gocciole d' acqua» 

Si spense come un lume, come un moccolino. 

Dicesi di chi muore di consumazione. 
Si stritola come il vetro. 
Si strusse come la cera. 

Smorto come una pezza lavata, come la cenere. 
Soffia come un mantice, come un istricej come uà 

bufalo. 
Sordo come una campana. 
Sottile come un ragnatele. 
Spacca come un' accètta. 
Spaccato di dietro come una tinca. 
Spalle come un facchino. 
Sparge i quattrini come rena. 
Sta a galla come il sughero. 
Sta come un papa, come un priore - 

Cioè, bene, in felicità, in agiatezza, 
Sta lì come un pulcin bagnato. 

Cioè, Umile, pauroso. 
Sta su per i tetti come una civetta, come un gatto. 
Stanno tra loro come pane e cacio (cioè bem)^ come 

cani e gatti (cioè male). 
Stare stretti come le sardine. 
Stette ritto come se ci fosse piantato. 
Strapipato come un povero. 
Stretto come una cruna d'ago. 
Stride come una faina, come un' aquila. 
Striscia come una serpe. 
Suda di gennaio (ironicamente). 
Sudicio come il porco. 
Suona come un campanello. 

Si dice d' un vaso di terra che sia saldo. 
26 



_m.. 



n 



402 
Superbo coniG un pavone, o come il gallo. 
Taglia come una spada, come un rasoio. 
Tedioso come una cicala. 
Testardo come un* asino. 
Tiene come una botte sfondata. 

Per iroDia. 

Timido come il cervio. 

Tondo come 1' O di Giotto, come una mela, come la 

luna in quintadecima. 
Trema come una canna, o una foglia, come tocco da 

uà fulmine. 
Triato come il diavolo. 
Troncato come un giunco. 
Una bocca come quella del forno. 
Una casa grande come una magona, piccola come un 

bucOf sudicia come una stalla. 
Una gola come un acquaio. 
Una lìngua come una tanaglia, come un rasoio, come 

un par di forbici. 
Una strada come un biliardo, come un pallottolaio. 
Una trippa come un guardiano, come una botte, come 

un cocomero. 
Un capo piccolo che pare un pentolino sopra uno stollo 

da pagliaio. 
Un cavallo come quello dell' Apocalisse. 

Cioè, magro. 

Unghie come artigli, come zappe, come quelle della gran 
beatia. 

Un mento auzzo come un coccio, come un lume a miano. 

Un naso come un peperone, come un petonciano, come 
un montone, come un becco, come un uccello di 
rapina, come una civetta, come un ponticello di vio- 
lino^ voltato all' insù come una trombetta. 



r. 

403 
Un par di gambe come un archetto, come un iccas- 

se (x). 
Un par d' orecchi come un cìuco^ come due manichi 

di pentola. 
Un par di piedi come due atiacciej come due mestolo. 
Unto come un topo. 
Vale bagnato. 

Urla come un matto, come un disperato, come un' anima 

dannata. 
Va all' aria come una foglia, corno un foglio di carta. 
Va a salti come un ranocchio, come le bòtte. 
Va come un uccello, come una palla di schioppo, come 

un veltro. 
Va giù come 1' acqua. 

Cioè, facilmente. 
Va via come una saetta. 
Variabile come la luna. 
Veloce come una rondine. 

Verde come un aglio, come un ramarro, come una ruta. 
Vispo come un uccello, come una quaglia codrettola. 
Vuoto come una zucca. 



« . ^1 



n 



APPENDICI 



L'esemplare unico da cui fu tratta la copia dei proverbi 
seguenti si conserva nel Museo Britannico in Londra. Il Roma- 
gnoli di Bologna ne dette un'esatta ristampa nella sua Scelta di 
CariosUfi IHterarie^ ma T edizione di pochi e numerati esemplari 
è divenuta rapissi ma > Stimo pgrò che al iettora non riuscirà discaro 
trovarli qui riprodotti. 



I 

i 



Proverbi | attiladì novi 1 et belli, quali I' huomo 
non se ne debbe mai fidare ] et aggiuntovi | 
altri ventotto proverbi belilssimì | In Vemtia^ 
In Frezzaria al segno \ della Regina lo8G^ 

• Seren de inverno 

e nembo de inatà 
Legno rotondo 

e herba senza prà 
Occhio de bagassa 

e volta de dà 
Archi mista pouero 

e medico amala 
Komitto grasso 

e mato stizk 
Zudio battizà 

e Christian renegà 
Negro Todesco 

e bianco Catelan 
Zùdese avaro 

e verzo Venetiau 
Vecchio lusso l'io 90 

e signoria de vilan 
Feuiena barbuta 

e denari in libertà 

Furia de cani 

e furia de vilani 
Fuogo in chà 

e da ean rabià 



408 

Cavai che acapuza 
e fameglio ritorna 

Compare Poìeae 

e RufRan palese 
Pietra pendente 

e d' acqua corrente 
' Fuga de nemiai 

e strada de asBassìni 
Biffa mordente 

e avaro parente 
Casa morbà 

e un matto per cha 

Homo disposto 
e femeha deaperà 

Putana maridà 
e becche de volontà 

Trotto de aaino 
e promesse de vilau 

Homo fallido 

e signor per amico 

Nóse buse 
e vin volta 

Salto di fosso 
e cavallo a re dosso 

Subita richeza 

e de povertà estrema 
Vin in bena 

e spina de scarpina 

Odio de signor 

e compagnia de t rad iter 
Da troppo manzar 

e da troppo cagar 



4oy 



Da TÌa topoBa 
da femena stizosa 

Da homo boia 

e femena fruetriY 
Da ladro de cha 

e da pozo fuor de dia 
Da huomo zugador 

e da lite col to mazor 

Da homo obstinà 
e imbriago per cha 

Da carne mal cotta 
e vivanda riscalda 

Da caaa senza porte 
G da scurità di notte 

Da furatole e bastie 

e da male compagnie 
Da conscentia de diafatti 

e da Zildcai matti 
Da cavai corrente 

e da doglia de dento 
Da carne che puza 

e vin eh' abbia la miitfa 

Da molin per contìn 

e porzi per vcgiti 
Da calzo de mulo 

e da marouelle al culo 
Da falsi ducati 

e adunantia de matì 
Da tavcrnar novello 

e da putane dei bordello 

Da male lingue 
e da false lusÌDjrhe 



iViVii 



410 



Da furia (te Mar 

e da Don poter cagar 
Da homini gobbi 

'e da f emene zoppe 
Da hom che uou parla 

e da can che aoii baia 
Da cascare in acqua 

e da femina mata 
Da hom senza barba 

e da femina ruffiana 
Da fiol mal alevà 

e da oche per cha 
Da schiavo compra 

e da can desligà 
E da promessa incerta 

e da scarpa stretta 
Da fuoco aperto 

e da nemico aperto 
Da zugài'o denari 

e praticar con lari 
Da caualcare in rena 

e da doglia de achena 
Da mangiare a l' hosterie 

e far de notte longhe vie 
De costion de notte 

e Dio te capi da panocohie 

Questi altri sono di nuouo aggionti. 

Da carezze de cani 

e zanze de villani 
Da putane vechie 

e da mal de pettecchie 



411 



Da vm de spina 

e da cativa farina 
Da legna ligà 

e carno insacca 
Da iniuido dì ho&to 

e fumo senza resto 
Da rogna eenza ungie 

e da spino che punge 
Da Lombardo rosso 

e cavallo spaventoso 
Da bella castagna 

e da brutta campagna 
Da vieto tira 

e cattino parentà 
Da moglie ritrosa 

e gatta rognosa 
Da pouero euperbo 

e da signor protemo 
Da furia di fuogo 

e da cattivo cuogo 
Da un segna da Dio 

a da un Christian zudio 
Dio ti dia riposo 

e guardi da mal fràcioso 



Il Fine. 



I 



^^m^mF 



SAGGIO D' ILLUSTRAZIONI 



i 



> ^ ^ w 

■ «4^ «^ 1^ 




I. 

Dar la berta. 

Raccontano le nostre donne, che un villano nomi- 
nato Campriano, del quale diremo più gotto ^ essendo 
venuto in mano della giustizia per le sue cattive opere. 
fu condannato ad esser messo in un sacco e buttato in 
mare : in esecuzione di che fu mesao dentro al sacco 
e consegnato a' famigli che lo buttassero in mare. Nel- 
r andar costoro ad eseguire gli ordini imposti, furono 
per istrada assaliti da alcuni masnadieri i quali si cre- 
derono che in quel sacco fosse roba di valore ; onde i 
famigli per iscampar là vita, lasciato quivi il sacco con 
Campriano, si fuggirono. Campriano piangendo ai do- 
leva della sua disgrazia : il che sentito da uno dì quei 
masnadieri, gli domandò perchè piangeva ed a qual tìne 
era stato messo in quel sacco. Il sagace Campriano gli 
rispose : Io piango di quel che altri gioirebbe : ed è 




410 
che questi signori voglion darmi per moglie Berta, 
unica figliuola del Re nostro : ed io non la voglio, co- 
noscendomi inabile a tanto grado, per essere un povero 
villìino. E perchè essi dicono che se ella non si marita 
a me, Y oracolo ha detto che questo regno andrà sot- 
tosopra, mi hanno messo in questo sacco per condurmi 
a farmela pigliare per forza : e questa è la causa del 
mio pianto. Il masnadiere, credendo alle parole di costui, 
sì concertò co'compagni d'andare esso a pigliare questa 
buona fortuna, o ripartirla con essi; onde fattosi mét- 
ter dentro al sacco da Campriano, che non restava di 
pregarlo a volergli far del bene quando fosse poi Re, 
fece allontanare i compagni, e serrajiolo entro al sacco 
stette aspettando che ritornassero coloro, i quaU non 
stettero molto a comparire con nuova gente : e veduto 
quivi il sacco abbandonato, lo ripresero, ed essendo 
giunti alla riva del mare ve lo precipitarono, e cosi 
sposarono a Berta il balordo masnadiere. E di qui vwine 
Dar la heHa o la figliuola del Re, che vuol dire bur- 
lare, minchionare, come abbiamo accennato. Si dice an- 
che Dar la madre d^ Orlando, perchè da alcuni si crede 
che la madre d' Orlando Paladino avesse nome Berta. 

Questo Campriano fu un contadino molto astuto, come 
B^ è veduto, e come apparisce dalla sua favolosa storia 
stampata col titolo Storia di CampriaìWj il quale per 
far denari trovò diverse invenzioni di gabbare le perso- 
ne semplici ; e fra le altre quella d'una pentola che bol- 
liva senza fuoco, perchè da esso levata, mentre gagliarda- 
mente bolliva, e portata in mezzo a una stanza, la fece 
vedere al corrivo, a cui voleva venderla. Costui, veda- 
tala veramente bollire, senz'aver fuoco avanti, subito ne 
ne invaghì, ed accordossi di comprarla pel prezzo che 
convennero. Giunto poi questo tale a casa colla pentola 
^3 volendo senza fuoco farla bollire, e non gli riu&cen* 
do, si querelò con Campriano, dicendogli che TaTefa 



417 
ingannato. Campriano chiamò la moglie e \sl agridò, di- 
cendo che non potev' essere, se non eh' ella V avesse 
cambiata. La donna fingendo un gran timore^ con gran 
lacrime confessò che per averla inavverte nteraente rotta, 
glien' aveva data un' altra simile, per la paura che avea 
del marito. Di che Campriano mostrandosi fieramente 
adirato, cavò fuori un coltello e con esso feri la moglie 
nel petto, dove ella avea ascosa sotto i panni una gran 
vescica piena di sangue, il quale sgorgando pareva che 
uscisse dalla ferita fattale da Campriano, per la quale 
fingendo la donna d' esser morta, cascò in terra. Il 
gonzo si doleva che Campriano per causa così leggiera 
avesse commesso un delitto così grave ; ma Campriano 
* con faccia allegra gli disse : Sebben la donna ò morta, 
io saprò risuscitarla, e quando vorrò ; perchè basta che 
io suoni questa trombetta : e stimolato dal semplice a 
farlo, gli compiacque : e sonata la tromba^ la donna si 
rizzò, mostrando di resuscitare, onde il semplice con 
grand' istanza chiese la tromba a Campriano, il quale 
dopo molte preghiere a gran prezzo gliela vendè. Co- 
stui andato a casa prese occasione di gridar eolla mo- 
glie, ed infine la diede una pugnalata, colla quale l'am- 
mazzò, e poi si messe a sonar la tromba; ma quella 
infelice, essendo veramente morta, non resuscitò altri- 
menti. Per questa causa e per altre sue sciagurataggi- 
ni fu Campriano condannato alla morte. 



II. 
Fare il becco all'oca. 

Dice Francesco Cieco da Ferrara nel suo Poema 
intitolato il Mambriano, opera nota per esser l'origine 
ed antefatto deW Orlafido innamorato del Boiardo, ed 

27 



418 
in conseguenza dell' Orlando furioso di Lodovico Ario- 
sto) al Canto II che fu ' già nel Regno di Cipri un 
Re chiamato Licanoro, il quale aveva una sola figliuola, 
nominata Alcenìa : la quale amando egli al pari di se 
stesso, volle sapere se buona o ria fortuna ella fosse 
per avere. Fatti però chiamare alcuni Astrologi fece 
fare la natività alla medesima sua figliuola: e tutti con- 
cordarono che ella sarebbe prima stata madre, che mo- 
glie. Onde il Re, per evitare il presagito vituperio, fece 
fabbricare un giardino, contiguo al suo palazzo reale: 
e dentro al detto giardino edificò una fortissima ed 
altissima Torre con molte stanze, e con tutte le como- 
dità, ma senza finestra alcuna che riuscisse fuori della 
Torre. Dentro a questa messe la figliuola con alcune 
matrone e damigelle, assicurandosi dell' ingresso della 
medesima non solamente col tenere egli proprio le chiavi 
della porta, ma con aver deputate accuratissime, e rad- 
doppiate, guardie di soldati intorno, ed alla porta della 
Torre ed alle mura del giardino : né altri entrava nella 
Torre che una sola donna, della quale il Re si fidava: 
e le dava la chiave ogni volta che a lei occorreva an- 
dare alla Torre con provvisioni di vitto o d' altro. In 
questo tempo morì un tal Conte Giovanni di Famagu- 
sta, uomo ricchissimo, ed alquanto parente del Re : e 
lasciò erede delle sue immense facultà Cassandre unico 
suo figliuolo. Questo giovane fece fabbricare un palazzo 
sontuosissimo, in cui teneva corte bandita con tanta 
splendidezza che sino al medesimo Re venne voglia 
d'andarvi, e lo messe ad efifetto. Andatovi dunque, fa 
dal giovane invitato a cena ed il Re accettò T invito, 
credendo fargli conoscere che non era in grado di ban- 
chettare decentemente un Re all' improvviso. Ma tutto 
il contrario avvenne, perchè il Re fu così ben servito, 
e di vivande e di musiche, e d' ogni altra cosa conve- 
nienti ad un banchetto regio, che gli parve che Gas- 



419 
Sandro avesse maggior possanza che non aveva egli ; 
onde cominciò ad avergli invidia, ed a pensare come 
potesse mortificarlo. Avendo però veduto sopra ad una 
maravigliosa fonte, che era nel giardino, un moÈto che 
diceva Omnia per pecuniam facta sunt ; si voltò a Cas- 
sandre e disse : Quel motto è troppo presuntuoso es- 
sendoci molte cose che non si possono fare col danaro: 
Al che rispose Cassandre : Sire, io ho posto quivi quel 
motto, perchè mi son sempre creduto che il danaro apra 
la strada anche all' impossibile, e fino a ora mi è riu- 
scito come appunto mi son figurato. Orsù (replicò U Re) 
giacché ti dà il cuore di poter fare ogni cosa col de- 
naro, io ti do tempo un anno a procurare, per le stra- 
de che vorrai, di godere la mia figliuola, che io tengo 
nella Torre guardata, come tu sai, e se dentro a questo 
tempo ti verrà fatto, sarà tua moglie.: quando nò, la 
tua testa pagherà la pena. E questo fece il Re, perchè 
essendo entrato in sospetto della potenza di Casaandroj 
voleva sotto qualche pretesto levarselo davanti. Il po- 
vero Cassandre rimasto sbalordito di tal proposta me- 
ditava di pigliarsi bando dalla patria ; quando Euripide 
sua Balia, saputa la cagione del suo disgusto, gli disse 
che si consolasse perchè ella aveva un suo nipote do- 
tato di così grande ingegno, che assolutamente gli 
avrebbe aperta la strada all' ingresso nella Torre, Que- 
sto nipote della Balia Euripide fabbricò un'Oca di le- 
gname, grande tanto che potesse agiatamente asconder- 
sele in corpo un uomo, che v' entrava e usciva per di 
sotto r ali : e per via di certi ordinghi faceva fare a 
tal' Oca tutte 1' operazioni e moti, come se fosse stata 
viva, ed era del tutto perfetta, se non che le manoara 
il becco. Cassandre fece sparger voce che era andato 
in lontani paesi, ed intanto avendo fatto portare occul- 
tamente la detta Oca in un luogo remoto entrò nella 
medesima : ed Euripide sua Balia in abito moresco la 



420 
guidava, fingendo di venire dal Cairo (dove era vera- 
mente nata ed allevata detta Euripide) e parlando in 
quella lingua ben intesa da Cassandre, toccava con una 
bacchetta l'oca: ed era il concerto, che Cassandre per 
via di certe zampegne facesse cantar 1' Oca. L' astuta 
Balia, accennate appena V operazioni dell' Oca, andava 
dicendo che a volerla vedere operar cose galanti e 
maravigliose bisognava spendere, e però il popolo, messa 
insieme buona somma di monete, le diede alla Balia, 
la quale fece fare all'Oca diverse belle operazioni. Ar- 
rivò la fama di quest' Oca all' orecchie del Re e della 
Regina; onde fattala venire a sé, dopo averla veduta 
operare, regalata Euripide, la mandarono ad Alcenia 
loro figliuola, per farle pigliare qualche spasso e diver- 
timento ne' giuochi dell' Oca : la quale condotta nella 
Torre, il negozicnandò in maniera, che, per via de'trat- 
tati della Balia, Cassandre, nello stare in camera d'Al- 
cenia ascoso in quell' Oca, si godè Alcenia, e si diedero 
la fede di sposi. Patto questo, Cassandre accomodò al- 
l' Oca il becco, e colla Balia, ascosto nell' Oca, se ne 
uscì della Torre : e presentatasi la Balia coli' Oca da- 
vanti al Re ed alla Regina per domandar licenza, il 
Re disse: Quest'Oca ha il becco e prima non Favea? 
E la Balia rispose : Non se le era messo, perchè non 
era ancor fatto : e vostra Maestà tenga a memoria quel 
che ora ho detto. Fra pochi giorni spirò il termine den- 
tro al quale Cassandre dovea aver goduta Alcenia ; onde 
il Re se lo fece condurre avanti, e Cassandre disse: 
Sire, V. M. faccia venire Euripide mia Balia. H Re lo 
compiacque: e comparsa Euripide coli' Oca fu dal Re 
subito riconosciuta : ed ella gli disse : Y. M. si ricordi 
che è fatto il becco cdV Oca : e fatta quivi condurre 
l'Oca, fece entrarvi dentro Cassandre, e lo fece fare le 
solite operazioni ; acciocché il Re conoscesse che quella 
era la stessa Oca, che in quella stessa maniera era di- 



421 

morata più giorni con Alcenia nella Torre» Onde il Re 
conosciuta 1' astuzia di Cassandre, e saputo più preci- 
samente il fatto, e che Alcenia era gravida, ed avea 
data la fede di sposa a Cassandre, confermò il di atri - 
monio, per osservar la parola, contentandosi di cedere 
alla disposizione del fato. 

E da questa travestita trasformazione dì Giove in 
Cigno è nato il proverbio : È fatto il becco aW Oca^ che 
significa : Il negozio è fatto, o perfezionato. Questa o 
simile novella leggesi in quelle di Giovanni, detto il 
Pecorone. 

m. 

È scritto sui boccali di Montelupo. 

I vasi da Montelupo furono un tempo in gran fa- 
ma ; perchè l'arte ceramica e figulina di quel paeae^ 
che oggi è ridotta soltanto 9. quella parte rozza delle 
terre cotte invetriate servienti agli usi della cucina, fa- 
ceva bella mostra di se per tutta Italia in quella più 
gentile, più nobile e più artistica delle terre cotte 
invetriate e delle majoliche; ed a proposito dell* uso e 
del prezzo di quest'ultime mi piace qui riferire il se- 
guente ricordo che si legge in un giornale Debitori e 
Creditori del Dott. Claudio Boissin, conservato nel no- 
stro Archivio Centrale di Stato : „ A dì 19 dicembre 
1669. Credenza di piatti di majolica di Montelupo vale 
lire quaranta con l'arme mia e della mia Signora Con- 
sorte, e consiste in 100 pezzi, cioè : Tondini 60, Frut- 
tate 10 da guazzetto, 12 mezzi realij 10 realij 8 cati- 
nelle con sue mesciroba. „ 

Soprattutto però erano di Montelupo rinomati i 
suoi Boccali ; dei quali si soleva far uao per mescere 
e per bere il vino a mensa, finché il costume dei vasi 



422 
di vetro non prevalse a quelli di terra, e per servire 
ancora ad altri usi della vita, come per semplice orna- 
mento delle stanze, ritenendo così diverse forme ed una 
maggiore grandezza secondo il loro uso. Questi Boc- 
cali, dei quali oggi non rimangono che pochi esemplari, 
eran formati di una terra sottile, non più conosciuta, 
che dava loro una superficie levigata e risplendente e 
dipinti con bellissimi meandri di fiorami a vivaci colori, 
fra i quali il turchino cupo e l' azzurro erano quelli 
che più prevalevano ; ed oltre a ciò avevano il pregio 
di riunire l' utilità con l' istruzione, in quanto che nel 
corpo di essi, e specialmente fra i più comuni, si sole- 
vano scrivere dei motti sentenziosi e degli utili pro- 
verbi : alcuni dei quali se ne trovano riportati nel- 
r erudita operetta : I Boccali di Monteltipo, Memorie 
relative a tali perduti monumenti, raccolte dal Dott. 6io. 
BoUi. 

Né solamente proverbi e sentenze si scrivevano in 
questi vasi e boccali, ma si dipingevano altresì a figure 
allegoriche e mitologiche, e vi si ritraevano ancora per- 
sone note, come ci vien confermato da Filippo Baldi- 
nuoci nelle sue Notizie dei Professori del disegno, e da 
Domenico Maria Manni nelle sue Veglie piacevoli, ove 
ci lasciarono ricordo della solenne burla fatta dal nostro 
pittore Baldassarre Franceschini, detto il Volterrano, al 
buffone di Corte Tommaso Trafedi : il quale, per essere 
ne' favori del suo padrone Don Lorenzo de' Medici, fi- 
glio del Granduca Ferdinando I, avendo preteso un bel 
giorno d'insolentire contro il Volterrano, questi fece le 
sue vendette col ritrarre al vivo il nano superbo e lin- 
guacciuto in uno di questi boccali, segnandovi sotto il 
nome e cognome di lui con questa leggenda : 

Se il cavalier dipinto nel Boccale 

Brutto e goffo apparisce, anziché bello. 



m 



423 

Non si accusi il pennello^ 

Perchè la colpa è dell' originale* » 

Anche a tempo degli Etruschi, i vaaai dipingeva- 
no nei loro vasi figure ed emblemi allegorici, e tutti 
sappiamo che la pittura è stata pure scrittura preaso 
gli antichi ; ma soprattutto vi scrivevano motti e sen- 
tenze che in questo modo venivano n divulgarsi. Cosi 
avvenne dei vasi e dei boccali di MontelupOj che an- 
dando per le mani di tutti, resero quei motti, quelle 
sentenze e quei proverbi popolari ; e conseguentemente 
cominciò fin d' allora a dirsi, volendo significare una 
cosa notissima : Gli è scritto ne' Boccali di Montelupo, 
il qual proverbio, di padre in figlio e di generazione in 
generazione, pervenne fino a noi, ed ancora oggi è uno 
dei più comuni che si usino nel diseorao famigliare, 
come ne avverte lo stesso Botti, che si pose a rintrac- 
ciare le memorie dei boccali di Moatelupo, per ^ aver 
sempre ed in ogni tempo inteso dire e dai dotti e 
dalle persone volgari, parlando di alcuna verità o av- 
vertenza utile : Oh! è cosa scritta nei Boccali di Monte- 
lupo! „ 

IV. 

Per un punto Martin perse la cappa. 

Proverbio e motto piacevolissimo, adoperato a de- 
ridere, piuttosto che a compiangere, colui il quale fosse 
stato sull' undici oncie di ottenere qualche cosa avida- 
mente desiderata e singolarmente utile, e che sul pia 
bello, per un' inezia, gli sia andato tutto in malora o 
svanito, forse perchè un altro più ardito o più fortunato 
di lui gliene abbia impedito il conseguimento pel pro- 
prio tornaconto. 



424 

L'origine del proverbio è la seguente : 

Frate Martino, priore del convento della Cappa, 
aveva letto scritto sopra la soglia del suo Monastero: 
Porta patens esto. Nulli claudatur honesto (Stia aperta 
la porta. A niun uomo onesto si chiuda) levò il punto 
di là dov' era, dopo esto, e lo messe dopo nuUi, e fece 
leggere : Porta patens esto mdli. Claudatur honesto. (La 
porta non stia aperta a nessuno. Si chiuda in faccia 
air uomo onesto. 

La cosa fece tanto orrore, che 1' abate Martino fii 
mandato via dal convento. 

I Francesi hanno eguale proverbio, ma con una 
variante : Pour un point Martin perdit son àne ; nar- 
rando essi che un monaco Martino perde per un punto 
l'Abbazia d' Asello in Italia, e che, scacciatone Martino 
come s' è detto, il successore di lui aggiunse all' iscri- 
zione primitiva corretta quest' altro verso : 

Uno prò puncto caruit Martinus AseUo, 

(Per un punto Martino perse l'Abbazia d' Asello) e il 
latino asellus significando asino, fu detto che Martino, 
pour un point perdit son àne. 



V. 

Non è più il tempo die Berta flLlaTa. 

Pensano alcuni che questo adagio avesse origine 
da Berta figliuola di Lotario II re di Lorena, e mo- 
glie di Teobaldo II, poi madre di Ugo Re d'Italia e 
di Guido Duca di Toscana. 

Altri gli danno un' origine differente, e raccontano 
che nel 1081 Berta moglie di Arrigo IV lo accompa- 



r 

I 425 

I gnò in Italia, e che passando per Montiigmmaj una pò* 
, vera donnieciuola, per nome Berta, le andò incontro fì- 
l landò ; che avendola interrogata e saputone il nome, 
k sentì un forte interesse per quella poveretta e ne ac- 
cettò il fuso pieno di filato ; che ordinò al comune di 
Montagnana di assegnare alla vecchiarella un quadrato 
di terra arabile, prendendo quel filo a misura della 
estensione de' lati, dando debito dell' acquiate alla reale 
sua persona ; che saputosi quel fatto accorsero a Pa- 
dova molte altre persone ad ofi^erire air angusta Berta 
chi un fuso, chi una matassa, chi un gomitolo ecc>f e 
che n' ebbero in ricambio un sorriso, il rifiuto del dono, 
una moneta, ed il ricordo : Non è più il tem}^ cìie Bertu 
filava. 



VI. 
Ambasciatore non porta pena. 

"^ Così vuole il diritto delle genti, d' istituzione an- 
tichissima ; ma mille volte questo sacro diritto k stato 
calpestato. Per rallegrare la materia, giacché di dolori 
non e' è carestia, i fatti terribili faccian posto a questi 
due che hanno del bernesco. 

Papa Urbano V, avendo guerra nel 1370 con Ber- 
nabò Visconti Signore di Milano, uomo spregiatore e 
violento, lo scomunicò com' era d' uso, e gli mandò le 
Bolle d' interdizione per mezzo del Cardinale di Bei- 
forte e dell'Abate di Parfa. Bernabò fece finta di pren- 
derla in buona parte, finché nel congedarli giunto con 
essi sul ponte del Naviglio di mezzo, si fermò ad un 
tratto, e disse risoluto : 

— Signori, volete mangiare, o volete bere? 



I 



426 

I Legati sorpresi non sapevano che cosa rispondere : 
ma Bernabò insistè, e più minaccioso che mai : 

— Vi dico se volete mangiare o se volete bere: 
non vi lascerò andare senza che abbiate o mangiato o 
bevuto in modo da ricordarvi di me. 

Trovandosi lì in mezzo alle guardie, e vedendosi 
Inacqua sotto, uno di loro, vinto lo sbigottimento, ri- 
spose : 

— Tant' acqua davanti non fa voglia di bere; man- 
geremo. 

— Ebbene, disse Bernabò, ecco le Bolle ; non si 
esce di qui senza averle mangiate, cartapecora, corda, 
piombo, ogni cosa. 

E bisognò striderci. 

Nel 1829, quando i Russi presero Vama, nessuno 
s'attentava di darne la nuova a Mahmoud. Il Visir 
Khosrew, allora seraschiere (che in Turchia corrisponde a 
generale d' armata) dovette incaricarsene, portando ciò 
la dignità del suo grado. Giunto al cospetto del Sul- 
tano, vide il tempo torbe, e non gli parendo quella 
r ora, discorse del più e del meno e si licenziò. Nello 
andarsene incontra Abdullah Effendi, protomedico dr 
Corte che gli domanda di che umore l'aveva lasciato. 

— Grazie a Dio, rispose subito Khosrew, l'ha 
presa meglio che non avea creduto. 

L' Archiatro appena entrato : 

— Signore, cominciò a dire dandosi Taria e il 
tono consolatorio, quel che Dio fa è ben fatto, e biso- 
gna rimettersi. 

— Che è stato ? — disse Mahmoud nn po' sorpreso. 

— Per un pelo strappato alla criniera del Leone 
non si canta vittoria... 

— Che intendi di dire ? Spiegati ! — interruppe 
impazientito il Sultano. 

— Era scritto.... 



427 

— Parla, ti dico ! — gridò Mahmoud, con una 
voce terribile. 

— Signore^ sebbene gli Infedeli abbiano presa 
Varna.... 

— Presa Varna! — urlò il Sultano; — presa Yar- 
na!... — e con un calcio rovesciò Abdullah per le terre. 

Il Visir malizioso ridendo poi del buon esito della 
sua astuzia, se n' era sbrigato con dire che il ro&ignolo 
non porta altro che le buone nuove; le cattive, tocca 
al barbagianni. 

VII. 
liO schiaTO delle riccliezze* 

A cose enormi va V avaro chineee nella commedia 
intitolata Lo schiavo delle ricchezze, Ku-gen mendico ma- 
nuale di muratori promette agli Dei che, se gli viene 
un po' di fortuna, fabbricherà pagode e sarà largo be- 
nefattore di ogn' infelice : e per miracolo ad im tnitto 
diviene ricco in modo che ha V oro a sacca, e tutti lo 
chiamano il signor Ku-gen; ma oblia subito tutte le 
promesse già fatte, e non può risolversi a spendere né un 
denaro né un picciolo. Chiedergli un soldo sarebbe come 
rompergli i nervi. Quindi tutti lo chiamano sordidìssinio 
avaro, ma egli non fa caso di ciò che altri dice di lui. 
In questo il signor Ku-gen somiglia l'avaro di Orazio j 
che, beato nel contemplare le casse d'oro, ride delle fi- 
schiate del popolo. 

Disperato di non aver figli, ne fa comprare uno, 
pel quale, dopo molti cavilli, paga un' oncia d' argento, 
cioè sette lire e cinquanta centesimi \ e al suo maestro 
di casa, dopo questo straordinario servigio, regala un 
boccone di schiacciata mezza muffata^ perchè la mangi 
col thè ! 



428 

In questa sconcia vita, senza spendere per sé nep- 
pure un denaro, dura più anni, e poi si vede estenuato, 
oppresso dai mali e disperato per causa del figlio adot- 
tivo, che tiene il denaro come strumento atto a procu- 
rarsi belle vesti e buoni bocconi, e pel resto lo stima 
meno del fango. Il vecchio avaro racconta che la ma- 
lattia, per cui è moribondo, la prese per una gran col- 
lera cagionatagli dalla sua sordidezza. Avendo voglia di 
un tacchino arrosto, un giorno andò per comprarlo alla 
vicina bottega : ma vedutone uno che grondava del sugo 
più ghiotto, lo prese in mano, vi applicò le sue cinque 
dita finche non furono bene imbevute di quel sugo, e 
poi, senza comprarlo, corse a casa, e mangiò riso cotto 
neir acqua, succiando un dito a ogni cucchiaiata. Dopo 
la quarta fu preso istantaneamente dal sonno, e men- 
tre dormiva, un cane traditore venne a leccargli il 
quinto dito. Allo svegliarsi, accorgendosi di questo fur- 
to, andò in tanta furia che ne divenne malato : e ora- 
mai sente che si avvicina il suo fine. Ma dice che pri- 
ma di morire si vuol dare a spendere, e per cavarsi la 
voglia d' un poco di sugo di fave, ordina al figlio di 
comprargliene un picciolo, e gli fa un gran rumore in 
capo come a scialacquatore quando sente che ne ha 
comprato per dieci piccioli. Poi domanda al figlio in 
qual feretro conta di metterlo, quando sarà morto. 

— Se ho la disgrazia di perder mio padre, gli 
comprerò il più bel feretro d'abete che si possa tro- 
vare. 

— Non fare questa follia; il legno d'abete è troppo 
caro. Quando siam morti non si distingue più il legno 
d' abete da quello di salcio. Non e' è dietro la casa un 
vecchio truogolo da stalla? Sarà eccellente per farmi 
la bara. 

— Ti pare ! questo truogolo è più largo che lungo, 
non potresti entrarvi, tu sei di troppo lunga statura. 



f^^W- 



42<J 

— Ebbene se il truogolo è troppo corto, nulla è 
più facile che scorciare il mio corpo. Prendi uà' accetta 
e dividilo in due parti. Quindi metti le due metà V una 
sopra r altra, che e' entreranno benissimo. Ho anche 
un' altra cosa da raccomandarti : non adoprare la mia 
accetta buona per tagliarmi in due parti, ma chiedi in 
prestito quella del nostro vicino. 

— Ma quando ne abbiamo una a casa nostra. 
perchè andare dal vicino ? 

— Tu devi sapere che io ho le ossa durissime : 
se tu intacchi la mia accetta, bisognerà spendere qual- 
che picciolo per farla affilare. 

— Come vorrai, padre mio. Io desidero di andare 
al tempio a offrirvi incenso per te : dammi denaro. 

— Piglio mio, non mette conto : non bruciare in- 
censo per ottenere la prolungazione dei miei giorni, 

— È un pezzo che ho fatto questo voto r non 
posso tardar più a scioglierlo. 

— Ah ! ah ! tu hai fatto un voto. Voglio darti un 
denaro. 

— E troppo poco. 

— Due. : 

— È troppo poco. 

— Te ne dò tre. E basta.... è troppo^ è troppo è 
troppo. Piglio mio, la mia ultima ora si appressa i 
quando non sarò più. non dimenticarti di andare a ri- 
chiedere quei cinque piccioli che ti deve il mercante di 
sugo di fave. 

Vili. 

Adagio Biagio. 

Modo di dire usitatissimo e particolarmente dei 
fanciulli, e il Minucci crede si dica per causa della 



430 
rima e del bisticcio, e che il nome Biagio sia super- 
fluo air espressione, valendo tanto il dir solamente Ada- 
ght quanto Adagio Biagio. Sebbene ci è una favola 
notiasima d'un certo contadino nominato Biagio, il 
quale, perchè non gli fossero rubati i suoi fichi, se ne 
stava tutta la notte a far loro la guardia; onde alcuni 
giovanotti, per levarlo da tal guardia, e poter a lor 
gusto corre i fichi, fintisi demonj, una notte, s'accosta- 
rono al capannetto di Biagio, mentr' era dentro, e di- 
acorrendo fra loro di portar via la gente, ciascuno nar- 
rava le sue bravure ; ed uno di costoro disse ad alta 
voce : Se vogliamo fare un' opera buona entriamo nella 
capanna e portiamo via Biagio. Biagio ciò udito, scappò 
dal capannetto tutto pieno di paura, gridando : Adagio, 
adagio. E di qui può forse avere avuto origine il pre- 
sente dettato Adagio, Biagio o Adagio^ disi^ Biagio. 



IX. 
Baciare il chiaTistello, 

Vuoisi questo fondato sulla superstizione che ave- 
vano gli antichi Gentili, i quali stimavano di non po- 
tere far bene cosa alcuna, se nell'entrare e uscire di 
casa avessero inciampato nella soglia dell* uscio : e per- 
ciò, particolarmente, le spose si guardavano di toccar 
detta soglia quando entravano per la prima volta nella 
casa dello sposo, stimando così di sopravvivere al 
marito, come pare che accenni Plauto nella Gasim, 
Atto IV: 

Sensim super attuile limen pedes nova nupta : 

Sospes iter incipe hoc, ut viro tuo semper sis stiper^e^- 



yr-7.- 



431 

E di tale superstizione ne rende k ragione Isi- 
doro, lib. IX cap. 8, dicendo : TJxores ideo vetahantur 
Umina calcare, qicod illic januae coeant et separentur. Per 
questo i medesimi Gentili le baciavano umilmente come 
si legge in Tibullo, lib. I Eleg. 5 : 

Et dare sacratis oscula liminibus. 

E questa superstizione pare sia derivata dall' ul- 
time dipartenze che si sogliono fare fra gli amici; poi- 
ché in esse il bacio pare che sia il sigillo d' ogni com- 
plimento. Ed infatti questo amorevolissimo atto ne suc- 
cede, quasi il piti delle volte, naturalmente ; perciocché 
per la tenerezza interrompendosi il parlare, gli amplessi 
e i baci sono V ultimo termine delle sincere espressioni 
d' affetto. I^Totisi adunque quanto bene sia adattata la 
prosopopea di questo nostro detto, col riflettere di ve- 
dere uno, scacciato per sempre da naa casa, nella 
quale praticava di tutto suo genio, fare le convenienze 
col chiavistello, e dirgli 1' ultimo addio con un cordia- 
lissimo bacio. Una similissima espressione ci rappresenta 
Plauto nel Mercante, Atto V, ove introduce CarinOj il 
quale andandosene disperato in volontario esilio, per aver 
perduto i suoi amori, cosi fa le smorfie coli' uscio della 
casa paterna : 

„ soglia e architrave di casa mia, vi saluto e 
insieme vi dico addio ! Oggi per 1' ultima volta questi 
piedi toccano la mia paterna abitazione. Ormai m' è 
disdetto^ m' è impedito, m' è tolto V usare e il godere 
di questa casa, il conviverci, l' abitarci. È finita. Numi 
penati de' padri miei, o Lare, sostegno della mia fami- 
glia, raccomando a voi di proteggere gF interessi dei 
miei genitori. Io per me andrò a cercarmi altri Dei 
penati, altro Lare, altra città, altri cittadini : cogli Ate- 
niesi non ci posso più stare „ 



432 



X. 
Essere al Terde. 

Alcuni fanno derivare questo modo proverbiale dai 
porri, i quali hanno il capo bianco, e verde la parte 
posteriore, che Fuomo o non vuol mangiare, o man- 
giandola la fa l'ultima; ma secondo i migliori e più 
pratici delle nostre costumanze viene dal tingersi che 
si faceva anticamente di verde nella parte loro inferiore 
le candele, onde sul finire d'ardere si bruciava il verde, 
e ciò maggiormente si comprova dal fatto che quando 
il pubblico vendeva all' incanto si sosteneva la mercan- 
zia, per chi volesse dirvi su, fintanto che una candela 
accesa durasse, donde nacque quel detto : Chi vuol divy 
dica, la candela è al verde. 

„ Se la prima derivazione fosse la vera e non anzi 
quest' ultima non si potrebbe con essa spiegare, osserva 
il Manni nelle sue Lezioni di Lingtia Toscana, quei due 
luoghi de' poeti nostri 1' uno del Petrarca (Son. 26) 

;, Quaììdo mia speme già condotta al verde „ 

e r altro di Dante (Purg. Canto HI) 

;, Mentre che la speranza hu fior del verde. , 

che così si dee leggere secondo i migliori testi, (1) e 
non fuor del verde, mentre Fiore significa Punto puniOj 
cioè Qualche pochino ; onde chi ha fior W ingegno vale 

vm/1^* -^ ^^^^ ^®^^® ^^ "^^^ edizione della mvina Commedia 
voiiata in prosa, col testo a fronte, per cura di Mario Foresi e 
Francesco d'Ambra. (Nota dell'Editow) 



-^*rLj 



pnT«f?» ^^ 



43J 
chi ha punto punto di giudizio. Ma, tornando al pro- 
posito mio dico che prendendosi V etimologia da! verde 
del porro, non si potrebbero spiegar col mezzo di essa 
i luoghi di Dante e del Petrarca, come ^i spiegano col 
verde delle candele : imperciocché esser condotta la 
speranza al verde parrebbe che volesse dire^ alla sua 
perfezione, giacche e' fu detto che 

„ D color verde è di speranza segno ^ 

lo che si vide chiaro essere tutto 1' oppoaito di ciò che 
intesero di esprimere quegli autori. ^ 



XI. 



Andare in Yisibilio, 
Oaudeamus, Sperpetua, ed altri. 

Nel popolo minuto è stato sempre universale il 
costume di storpiare alcune voci LatinCj e molto più dì 
quelle che assai frequentemente suole ascoltare nella 
recita degli. Ufizi Divini, adattandolo a spiegare un'al- 
tra cosa affatto dal loro significato. 

Tralasciandone moltissimi, tra quelli che si sentono 
ancora pronunziare, adduco qui alcuni esempi convali- 
dati dall'autorità di celebrati scrittori* 

Orazio Marrini, nelle note al Lamento di Cecco da 
Varlungo di Francesco Baldovini, dichiarando i versi 

. . . quel vedersi tor di mano il suo 
Farebbe dar la balta al BegnontuOj 

scrive.: „ Vuol dire il nostro Cecco che qud radersi 
toglier di mano la stia roba farebbe mettere in rovina un 

28 



'- ».•*«,•(?" 1^. 



4B4 
Eegno ; ma perchè egli ai ricorda del Regnonhiù che 
recita nell' Orazione Domenicale^ per sua maggiore en- 
fasi ponendo l' articolo al vuole individuare appunto 
quclloj figurandoselo nel aao capo un Regno maggior 
degli altri, come in fatti lo è, „ 

Francesco Redi nelle Note al Ditiramhù ani verino: 

E fatto estatico vo in risthìUo 

ayyerte che „ la plebe iMorentina da InjMihilimn parola 
del Simbolo Niceno, da lei, siccome molte altrej male 
intesa e storpiata, ha fatto Invmbilimn^ e poi. come se 
fossero due parole, In mùhilio^ n Nel MaìmantUe si leg- 
ge ; mandare in visibile^ cioè tanto lontano, che ^n si 
fcma vedere^ in imnsiMUoj come h detto nelle Note. 

Dalla parola GaudeatnuSy colla quale la Chiesa in 
più solennità dell'anno comincia l'introito della Messa, 
il popolo n'ha fatto lo stare in gaudeamus o in gatdeaìm. 
e con maggiore storpiamento stare in galdemm^ come 
sostantivamente, in' senso d'allegria, 1' ha il Firenzuola 
Jie' Lucidi, e il citato Baldovini nel Cartello per umi 
Mascherata intitolato : Maso da Lecare^ che mena a cma 
la spasa. 

Similmente il popolo per sperpetua intende la di- 
sgrazia maggiore di tutte ^ voce tratta dalla Requiem at- 
termini, che ei dice in suffragio de'morti ; e dal Dks ma- 
gna et amara valde, che parimente si cauta in Chiesa 
in suffragio de'Defunti, formò Vandure a maravalk, còme 
ai legge nella Tancia del Buonarroti : 

Cecco, i' mi muoio e vonne a Maravalle^ 

Dal salmo 42, che giornalmente si dice nel princi- 
pio della Messa, il popolo sentendo quelle parole yuart 
me repulisti, ha presa la voce repulisti in senno di ri- 



4'ób 
pulire, rubare, far pulito: e di qui è che di uno^ che 
ha rubato alcuna cosa, auol dirsi anche oggi ; ha fatto 
repulisti. Nel Malnmntlk troviamo : 

E in un momento iece repulkii. 

Dalle voci latine aicut end che si cantano alla line 
d'ogni salmo nel Gloria Pairi^ ai formò la parola i^tcuts- 
ra, e la plebe dicendo gli ì^ tornato al si^utera intendo 
è tornato daccapo a far /^ ìmdtsima eom^ o r t or mito 
quello che era prima; e in qutìsti sensi l'usarono diversi 
poeti Berneschi. 

Talvolta il popolo prende alcune voci Latine, sen- 
za punto storpiarle, adattandole però a spiegare quel 
sentimento che a lui auggerlace il snono delle parole, 
dicendo, per esempio j fare, o parer e^ il santificetur, per 
fare il santo, o parere un santo, come lo disse il Firen- 
zuola in una delle sue novelle. Similmente mi mare nui- 
gnum di cose, cioè una gran quantità j sì sente comune- 
mente in bocca dei più. Dalla voce in cymhalh bene .so* 
nantìbus del salmo 150 derivò lo stare in cimbali, per 
vivere in allegria : e per dire di lontano si usò da fini- 
bus terre e, aver il cmn quihits^ per avere il denaro. 

Taccio, per non tediare il lefetorOj di molte altre 
voci simiglianti, che ora non sono piii dell'usOj ina che 
sparsamente si trovano adoperate dai poeti toscani, co- 
me : essere in salvurnmefacoìie^ cioè essere in salvo ; anda- 
re in oga magoga, per andare a casa maledetta, dalle 
voci Og et magog; e mare vidit et fugU del salmo 11 5, 
che nella commedia Gli Slraccmii di Annibal Caro è 
così adoperato nell'Atto I. Scena I. — Messer Giordano 
è morto? — Messer Giordano^ — In mare'^ — In 
mare. — Mare viditte e non fugltte, Giordano non è con- 
verso retrorso ; e forse che h Scrittura non io diceva ? 



436 



xn. 

Le parole son femmine 
e i fatti son maschi. 

Secondo alcuni questo detto deriva da ciò che rac- 
conta il Gigli nel suo Diario Sanese: „ Tornava la 
Santità sua (Clemente VII) dall' abboccamento tenuto 
a Marsilia col re di Francia, dove si erano celebratele 
nozze fra la nipote sua e '1 secondogenito reale : e nel 
ripassare a Roma pe '1 dominio sanese fu dagli oratori 
della Repubblica pregato che volesse passare per la 
città. Ma egli scusandosene, chiese solamente il comodo 
di desinare il giorno seguente al Castelluccio, fortilizio 
e possessione dello Spedale di Siena, a Val d'Orcia; 
per lo che fu spedito il Commissario che facesse Tini- 
posta commissione. La mattina poi pensando il Papa 
portarsi a riposare a mezzogiorno in quella Fortezza, 
non volle il Granciere che vi era aprire a nessun fatto 
la porta : onde convenne a Clemente, con molto disagio 
suo, passare a Montepolciano. Gli ambasciadori, capo 
de' quali era Niccolò Sergardi, vi si portarono per chia- 
rirsi del fatto, con proponimento di punire l' insolenza 
del Granciere, ma questi neppure a loro volle aprire per 
sospetto, come si disse, che non fosse occupata quella 
fortezza. E di fatti non facendo la Balìa alcuna dimo- 
strazione per tale accidente, fece restare nelle menti 
degli uomini diverse opinioni. Non restarono i sopra- 
detti ambasciadori, malissimo sodisfatti del seguito, di 
portare le più umili scuse al Pontefice, il quale s'infinse 
di accettarle : ma in ultimo disse loro, nel liceEiziarsi che 
fece, quel detto memorabile : Le parole son femmine e i 
fatti son maschi, „ 



43T 

Così il Gigli; ma il proverbio è antichiagimOj e 
Clemente doveva saperlo fin da ragazzo nella casa pa- 
tema De Medici, dove temprava V animo a parlar poco 
e a operar molto. Come molti altri, è venuÈo a noi per 
eredità dai Latini, i quali V ebbero dai Greci. 

Il Pagiuoli nel Gap. ad Anna Luisa di Toscana^ 
nel ragguagliarla di una commedia e dei comici che 
saliti sul palco avevano dimenticato la parte imparata, 
conclude : 



« Quelle tavole insomma faa paura; 

Scottali benché sian fredde; o in passegg^iarle 

Vien de' brividi ancora alla Paura, 

Son maschi i fatti q femmine le ciarle* ^ 



xrii. 
li* occhio Yuol la sua parte. 

Quantunque il proverbio più spesso si riferisca a 
cose artistiche, ed insegni che bisogna pur tener conto 
dell'apparenza, non mi pare fuor dì luogo riferire 1^ ar- 
guta novella che su di esao è stata tessuta. 

Raccontano che un sartore, eccellentìssimo ìmndie- 
rajOy alla stanza o bottega, dove tagliava i panni o cu- 
civa le vesti, aveva annesso uno stanzino, chiuso sem- 
pre a chiave, e in cui esso aolo entrava; sopra T uscio 
del quale aveva fatto aprire un foro o finesÈrino di 
forma ellittica, uno di quelli appunto che, per aver la 
figura deir occhio, si dicono Occhi, Il sartore tutte le 
volte che aveva tra le sue mani un bel panno, o drap- 
po, o altra stoffa, sapea far cosi bene i suoi tagli che 
la bandiera n' esciva sempre ; e questa appena spiccata 
lanciava entro quell'occhio che non stava mai chiuso. 



tS8 
Avvenne che uno de^ suoi avvenÉori, il quale gli aveva 
dato a a gai più panno che non bisognava per un mù 
vestito, quando ei a' ebbe questo ben lavorato ^ senza lì 
pezzo d' avanzo eh' egli aspettava, andò sulle furie e 
corse al sartore» Questi con V usata sua franchezza etese 
sopra il suo bancone altro panno presa' a poco della 
quantità del suddetto ; e facendovi sopra i suoi seguii 
dimostrò che tanto n' era andato per la vlta^ tanto per 
1? maniche^ tanto per questo e tanto per quest'altro: e ' 
poij conclude ndoj disae : l'occhio vuole la sua patie. E ciò 
dicendo con la coda dell* occhio suo accennava s\V occhio 
deir uscio. 

Il povero avventore non seppe più che si dire e 
concluse anch* egli rassegnato: vorrà aotìk' esiH} rocdiiù 
la parte sucn 



XtT- 

Tra la l>occa e il Loccone. 

A suo luogo (Pag. 2 OD) abbiamo notato come^ nello 
stesso senso che questo proverbio ^ i francesi dicano :^ra 
/(/ boccu e il bicchkre c^ è luogo per una disgrazia. Ora 
qui mi piace al proposito riferire una novella Greca^ 
che fu tradotta da F, Serdonati in volgare dal libra 
delle Palilie di Eraelide^ e che si legge nelle sue Ghinte 
al Uh* de' Casi degli nomini illmtri di m, Giotjanni Bof> 
caccio : „ Anceo re di Sanio affaticava fuor di misura i 
suoi schiavi a piantare una vigna, onde uno di essi gli 
disse che non occorreva che facesse tanta fretta, perchè 
non era per bere del vin di essa. Crebbe poi la vigna 
e produsae di molte uve : e Anceo, fatta la vendemmiaf 
si fece trar del mosto del tino, e fece chiamar quel 
servo che gli aveva fatto tale annun/.io ; e tu quella 



-g^mr-^)- 



439 
eh' egli era per porsi la coppa piena di vino alla bocca, 
eccoti un messo, che dà nuova che uà grau cinghiale 
era entrato nella vigna e vi faceva gran danno, tal che 
egli posò incontanente la coppa e corso per ammazzare 
il cinghiale, e da lui per lo contrario fu morso, e ai 
morì; e quindi nacque un proverbio appo gU antichi; 
Molte cose cadono tra la coppa e Ib labbia^ che i nostri 
padri fecero lor proprio , traducendolo in questo verso : 

Multa cadunt inter calicem supreniaque ìabra. „ 

W ebbero però i latini un altro, nato in cosa del 
significato niedesimOj e che si attribuisce a Catone il 
Censore, ed è: Inter o$ et offam^ che è tradotto alla let- 
tera dal nostro tra la bocca e il boccone ^ 



XV. 
Zara a chi. tocca (Bazza a chi tocca), 

Zara a chi toc^a è modo di dire tuttora in uso iu 
molte Provincie ; in Toscana però dicono per corruzione : 
bazza a chi tocca, 

Zara era detto un antichissimo giuoco che ai faceva 
con tre dadi, giuoco in cui tutto è fortuna e caso. La 
voce vuoisi derivata appunto dal brettone hazard, di cui 
zara sarebbe sincope, e dice vasi mettere a zara^ cioè 
arrischiare, mettere a risico: nel qual senso l'usò anche 
il Davanzati. 

Zara a chi tocca vale: se 1' abbia cui tocca, co- 
me se lo merita. E un dettato diep rezzante, dispet- 
toso, e per lo meno ardito, come apparisce dai seguenti 
esempi. 



*5'/.vftftfc5: 



440 

Nel Mor gante Maggiore del Pulci al C. XVIII coal 
parla il bestialissimo Margutte: 

1 sacramenti falsi g gli aperg-iuri 

Mi sdrucciolan jitÌìi proprio poi- la bocca, 

Come i fichi sampie r qaa* ben maturi, 

le lasagne o fiualcJie cosa scioccai 

Ne ve' che tu credessi ch'io mi curi 

Contro a questo o colui: zara a ehi tocca; 

Ed ho commesso ^là scompiglio o scàadolo, 

Che mai non s'ò poi ravviato il bandolo. 
1 

E nel Toìracchione del Corsi nì^ il cartello di sfida del 
Conte dì Mangone a Lazztsraccio finÌTa cosi; 

Altro non aspettare in scritto o a bocca, 
vieni, aspetta me. Zara a chi tocca^ 

Vuol dire avrà il danno quegli che se lo avrà meritato. 



XTT. 

Non si -rende la pelle 
prima clxe s' ammazzi 1* orso. 

Di origine tutto italiana, perchè Italiana è la no* 
velia da cui si vuole formato, è questo proverbio, il 
quale significa quel che V altrOj pure dell' uso vivente, 
fare l confi senza roste. 

La indicata novella è preas' a poco narrata così 
dai Novellisti : Dette un oste da mangiare a credenza 
a tre giovani, che avevano deliberato d' andare alla 
caccia d'un terribile orso, che in quella contrada faceva 
grati danno : ed essi, non avendo denaro, promisero al- 
1 oste, che preso ch'avessero T or&o e vendutane h 
pelle, il soddisfarebbono interamente, I giovani andati, 



441 
subito che videro V orso, n' ebbero paura e la dettero a 
gambe. Uno si salvò sopra un albero, l'altro che avea 
migliori gambe si trasse in luogo sicuro, e il terzOj 
raggiunto dall' orso^ non vedendo altro mezzo di scam- 
pare, si gittò in terra con la faccia in giii, e sì fìnse 
morto, perchè avea saputo essere 1' orso di questa na- 
tura, che quando e' crede che 1' animai eh' egli ha rag- 
giunto sia morto, non gli dà più noia. L' orso per chia- 
rirsi se egli era veramente morto, accostatogli il grifo 
all'una delle tempia, s'ingegnava di voltarlo sottosopra 
per veder se alitava , e poiché si fu in ciò affaticato un 
pezzo indarno, finalmente, credendolo affatto morto^ sa 
n'andò. Ora, disceso quel che sull'albero era aalitOj e 
raggiunto il compagno che, partito l'orso s^era avviato 
verso la città, gli domandò che cosa la bestia gli aveva 
detto nell'orecchio mentre egli era disteso in terra. 
Quegli, guardandolo fiso fiso : Mi ha dato, rispose, due 
consigli: l'uno- eh' io non debba più vendere niuna 
pelle d'orso, se prima non l'ho preso; e l'altro di non 
andar più a caccia con persone paurose e vigliacche. 

Altre se ne raccontano, e molti altri proverbi ab- 
biamo che significano lo stesso; la multiplicità delle no- 
velle, e quindi la varietà della forma proverbiale, di- 
mostra quanto sia antica ed universale, chiamiamola 
così, la debolezza nostra di lavorare di fantasia acco- 
modandoci le cose secondo il nostro gusto e desiderio. 



XVII. 

Salvar capra e cavoli. 

Senza un po' d'astuzia non isiuggiròmmo noi al 
maggior numero dei pericoli e de' danni cui siamo 



442 

soggetti, e senz' essa non sarebbe nato il proverbio so- 
prascritto, derivato dalla seguente novella tradizionale. 
Un contadino faceva viaggio a piedi tenendo con 
la mano destra stretta una funicella a corto, a coi era 
legato il lupo ; e con la sinistra in simil modo la ca- 
pra ; reggeva inoltre sotto V ascella un buon fascette di 
cavoli. Quando meno e' sei credeva giunge ad un fiume 
che non potea passarsi a guado, ma sopra un ponti- 
cello di un' asse sola stretta, stretta, che pie innanzi 
pie, con molto giudizio, poteva appena passarsi da una 
persona. Visto il caso, il buon uomo disse a sé stesso: 
E che si fa qui ? Più d' una cosa per volta non si può 
tragittare : bisogna far doppio viaggio. Se prima porto 
di là i cavoli, che mi danno il maggior fastidio, e la- 
scio in questa sponda il lupo e la capra, povera questa! 
il lupo se la mangia. Se lascio la capra e i cavoli, e 
traggo meco il lupo, la capra farà man bassa di quelli; 
e io voglio salvarli. Potrei condurre prima la capra, 
che il lupo di cavoli non ne mangia : ma poi mi tro- 
verei air altra sponda nello stesso imbroglio per venire 
a riprendere il lupo e i cavoli. Fatto questo ragionare 
da sé a se si mette a pensare ; e dopo un poco di tem- 
po, scuote il capo, levandolo in su, e sorridendo dice: 
L' ho trovato, 1' ho trovato : salverò capra e cavoli. Que- 
sto villano non ti sembra, o lettore, una piccola con- 
trafifazione del grande Archimede quando esclamò: Eu- 
reca ? Si accinge egli all' opra : ed ecco come fa. Prende 
la capra, lasciando lupo e cavoli, e la mena all'altra 
sponda. Ritorna di qua, prende il lupo e passa. Lo lega, 
come avea fatto della capra, a un bastoncello che a caso 
avea trovato lì fitto in terra, e scioglie la capra per 
ricondursela indietro. Ritornato, piglia i cavoli lasciando 
la capra e ripassa con essi. Da ultimo riÉortia a ripigliar 
la capra, e fa con essa il finale tragitto, aalvando, eoo 
alquanto suo disagio, è vero, capra e cavoli. 



■•■ >5?R"-^ 



443 
A chi ode raccontar la novella pare facile, dopo 
eseguito; il modo tenuto dal villano, com' era facile a 
far stare diritto l'ovo di Colombo, o di BrunelleacOj co- 
me si voglia. 



XVIIL 
Clxi più dura la Tince, 

A significare che le grandi imprese vogliono gran- 
di, ripetuti e lunghissimi sforzi gli antichi diasero chej 
tentando^ i Greci entrarono in Troia^ come gli Spa- 
gnuoli hanno che Zainora non fu presa in im^ ora. Si 
disse anche che in mi giorno non fu edificata V alta 
Corinto, come noi applichiamo il motto a Roma, che 
Francesi e Tedeschi applicano alle loro città, dicendo 
che Parigi, Colonia e Aquisgrana non furono fahhriade 
in un giorno. 

La volontà è nei fatti nostri la più potente di tutte 
le leve, e chi sa bene usarla, trova modo a smovere 
tutti gli ostacoli che gì' ingombrano la via* Anche la 
povertà, sostenuta dalla perseveranza diventa un efficace 
e favorevole eccitamento alla riuscita dei nostri pro- 
positi. 

Il Perugino, allorché cominciò i suoi primi pasai 
neir arte, aveva per letto una cassa. 11 Tiziano pitturò 
la sua prima Madonna sul muro della sua stanzaccia^ 
adoperando sughi d' erbe spremute. 

Coir annegazione e colla perseveranza il Canova da 
scalpellino divenne scultore immortale. Il Tintoretto, 
così chiamato dal suo mestiere, diventò per la perseve- 
ranza uno dei pittori più insigni. La vita del Buffon 
non è altro che una conferma di una sentenza che egli 



■ ,7rr^iw't.^>lijk«- .^mr 



444 
stesso aveva sovente sul labbro : il genio non è che 
pazienza. Di tardo comprendere e indolente per natura, 
sciupò gli anni suoi giovanili, che avrebbe potuto oc- 
cupare in studii e in acquisti intellettuali ; ma ricuperò 
colla pazienza e colla perseveranza il tempo perduto. 
Vinta con artifizi curiosi la sua inerzia abituale, ei di- 
venne uno de' più scrupolosi apprezzatori del tempo, 
uno dei suoi più utili spenditori. Numerava ì minuti 
con r avarizia stessa d' un banchiere nel computare il 
danaro, e li metteva ad un frutto esorbitante. Per qua- 
rant' anni di seguito, scrive il biografo del Buffon, egli 
durò, vinto così se medesimo, a lavorare a tavolino 
tutte le mattine dalle nove alle due, tutte le sere dalle 
cinque alle nove. La sua assiduità fu così costante da 
diventargli una necessità della vita. Suo unico diletto 
eran gli studii : tantoché in fine di vita andava ripe- 
tendo sperare di consacrare ad essi ancora tre o quattro 
anni. Il suo libro intitolato U Epoche della Natura è 
frutto di cinquantanni di meditazioni, e non pertanto 
lo scrisse undici volte, prima di esserne soddisfatto. 

II Bagnòli, povero fanciullo di San Miniato, ebbe 
a maestro di lettura un barbiere, ma a sua guida la 
perseveranza; tantoché ad otto anni scrisse un poe- 
metto, a undici ne cominciò uno più vasto ; fu poi 
chiamato istitutore ai figli del Granduca di Toscana, e 
diventò scrittore insigne. 

Vittorio Amedeo II re di Sardegna, girando la notte 
per Torino, affine di conoscere meglio il suo popolo, 
vedeva ad ora tardissima un lumicino nella soffitta d'una 
casa posta in via degli Stampatori. Curioso vi sali, col 
pretesto che gli si era spento il lanternino ; e trovò 
che quel lumicino era dell'avvocato Caissotti nizzardo, 
il quale, occupato nella giornata come procuratore, di- 
sbrigava altre incombenze la notte. Piacque a Vittorio 
Amedeo questa assiduità ; affidò al Caissotti alcuni affa- 



un 

ri, e presto lo fece procuratore generale, ne] quale uf- 
ficio egli si segnalò. 

Antonio Rosmini dovè principalmente alla tenacità 
dei propositi il suo grado sommo nelle discipline filo- 
sofiche. Imperocché avveniva che spesso la madre od 
altri della famiglia lo volessero distogliere dai suoi li- 
bri prediletti, per soverchio timore che la salute di lui 
ne soffrisse. Ma egli, perseverando, con industrie e ar- 
tificii seppe mandare a vuoto quello premure, alle quali 
se avesse prestato facile orecchio^ non avrebbe forse 
conseguita 1' eccellenza. 

Tutti i più celebri inventori nelle industrie, nelle 
scienze, nelle arti, ci offrono altrettanti modelli di sin- 
golare perserveranza. Lo Stepheason, parlando ai gio- 
vani, conchiudeva sempr^e con queste parole ; Fate come 
ho fatto io, perseverate. Dai biografi di lui sappiamo 
che, per aver modo d' acquistarsi qualche libro, spen- 
deva le ore della notte, invece che a dormire, a rattop- 
pare le scarpe dei suoi compagni di lavoro. Ei s' affaticò 
per quindici anni intorno la sua locomotiva indefessa- 
mente, prima di poterla considerare come perfetta. 

E Vatt spese all' incirca trent* anni nel fare e ri- 
fare la sua macchina condensatrice, innanzi di chiamarsi 
contento. 

Linneo, svedese, non potò prendere la laurea del- 
l' Università per mancanza del denaro occorrente ^ e 
nondimeno colla persistenza seppe così bene addirizzare 
il suo ingegno, che venne presto salutato come il più 
famoso botanico del mondo. I Caracci, pittori illustri^ 
erano muratori, e Giotto un pecoraio. Giovan Battista 
Lutti, esimio compositore di musica, era sguattero alla 
Corte di Francia ; Luca della Robbia un povero vasaio, 
E tutti questi riuscirono famoaì per opere d' ingeg'no 
e di arte, perseverando ne' loro propositi, educando 



446 
Tigorosaraente se stessi, e provvedendo con cento espe- 
dienti alla propra istruzione. 

XIX. 
A Lucca ti Tidi. 

Antichissimo è il dettato a Lucca ti pidij cni ai so- 
leva aggiungere: e a Pisa ti conobbi^ L'orìgine ce la 
dà il Perdonati, così : „ Dicono che un Lucchese alber 
gò m casa sua, in Lucca, un Pisano, e gli fece aisai 
carezze stimandolo un galantuomo. Ma poi, essendo egli 
andato in Pisa, visitò il suo ospite, il quale si fece h 
meraviglie mostrando di non conoscerlo ; onde il Luc- 
chese disse : A Lucca ti vidi e a Pisa ti conobbi j che poi 
passò in proverbio. „ 

Lo stesso dice Tommaso Buoni, ma il Miuncci av* 
visava che i Pisani rivoltano il proverbio, applicandolo 
ai loro vicini. 

Ebbe il proverbio diversi significati dagli autori to- 
scani che l' usarono. In principio ebbe quello di Lasciare 
fuggire uno sgarbatamente y e quindi, per facilissima 
e&tengione, di essere ingrato. Ora vale quanto: cìd s'^ 
visto ^ s' è visto, 

XX. 
n CMccliiriUò- 

— Barbino, arrecami qualcosa* 

— Sì, un gambero ìa sur un as3e^ o un 

chicchiriUò legato co' un filo* 
Cecchi, Rappr. di Toh. Atto E *f* 

Il Chicchirillò non è più in uso, ma la voce è re- 
gistrata dalla Crusca, e tuttora suol ripeterai ai ragazzij 



r 



447 
che insiste ntem ente vi chieggono dì qualche regalo : Sie, 
sìe, ti darò un chicckìrUlò infilato nel filo. 

Questo era una ciambella^ o altra cosa simile, le* 
gata ad un filOj così descritto da Modesto RastrelU nel 
Palio degli asini ^ là dov' eace in questa similitudine del 
ChicchiriUò del Fìglia-lQ-chiccoy corn' ei dice : 

Tid suol vedersi, allor che Berlingaccio 
Conduce il carnovale airagonie, 
Pig!ia-lo -chicco corpi) di pagliaccio 
Trar correndo i ragasi^i per le vie^ 
Che ìsOnza alcun timor d'acqua o dì ghiiweiOi 
AUa ciambella intorno fan pazzie. 
Saltali senza toccar, apron la bocca, 
E a chi ^ più bravo la ciambella tocca. 

E il Rastrelli annota da se : ^ Si descrive un costume 
buflEònesco di una maschera del Carnevale, come sì usa 
qui in Firenze (1791), Consiate questa in un nomo con 
un camiciotto da stallone in dosso, colla pancia ingros- 
sata a forza di paglia, e con in testa una cuffia o pa- 
racqua da cavalli. Tiene nella sinistra una lunga canna, 
dalla cui cima pende uno spago, lungo a proporzione, 
ed in fondo vi è legata una ciambella: nella destra poi 
ha una bacchetta o scudiscio. In questa guisa raduna 
un monte di ragazzi che gli si affollano dintorno, ed 
egli ponendo in mezzo de' medesimi la ciambella so- 
spesa air altezza della loro teata dice : Piglia lo chicco 
con la bocca e non con le niani^ ed i ragazzi saltano, 
ballano, fanno mille scorci per prenderla con la bocca, 
e a chi tentasse di allungar la mano vi è la bacchetta 
che percote; e cosi vanno girando tutta la città sen^a 
timore d'acqua o di ghiaccio, „ 



XXI. 
Essere alla porta co' sassi. 

Pirro Giacchi nel Borghini, anno I fase. 4, dice che 
nacque a Firenze da questo : che una volta i cittadini, 
quelli specialmente vicini alle porte, uscivano di città 
alla sera di estate per godere il fresco ad aria aperta. 
Air un' ora si serravano le porte ; ed il GàbelloUo di 
guardia per risparmiare la crazia a chi era di fuori av- 
vertiva della chiusura battendo con un sasso sopra una 
imposta della porta medesima. E quegli allora per essere 
a tempo a rientrare la dava a gambe. 

Ad alcuni non piace 1' origine assegnata dal Giac- 
chi al dettato, ed ammettono più ragionevole questa : 
che le città (s' intende prima dell' invenzione della pol- 
vere e del cannone) non potute difendere a campo 
aperto, si difendevano da una parte e si espugnavano 
dall' altra con lanciar sassi. I difensori, chiuse le porte 
o la porta, ne salivano le mura, e da esse e da' merli 
insieme con altre armi adoperavano i sassi, al che qua- 
lunque cittadino era buono. Gli espugnatori poi, oltre 
ad approcciar le macchine atte a lanciarli di contro alle 
muraglie e alle porte, si avvicinavano anch' essi co' sassi, 
e di forza gli scagliavano contro i difensori, cosicché gli 
uni e gli altri facevano le ultime prove. Ma quando il 
nemico era giunto co' sassi alla porta, ossia fin presso 
ad essa, per lo pia era vana ogni difesa non mancando 
che l'atterrarla. 

Infatti il modo proverbiale surriferito adoperasi a 
significare piuttosto essere air ultimo punto^ all' estremo, che 
essere ultimo a fare il fatto suo. 



^r* 



449 



xxn. 
l»a pace di Marcone. 

— « L' è aiidftca lì lì, eli' i' un gli 

ho staccac' un orecchio co' denti, 

Per me r è staca la pace di Mar- 

cone, » 

Zannoni, Il ritroìjame'nto del 

figlio, Att, III, &C. ult. 

Alcuni d'indole stizzosa, che si scorrucciano per 
un nonnulla; fanno poco dopo la pace ; ma è la pace 
di cui abbiamo il celebre dettato : Far la ^ce di 
Marcane. 

Chi fu costui ? e che pace fu la sua ? 

Ne raccontano varie ; ma la più verosìmile è questa, 

Marcone fu un uomo plebeo, di carattere bestiale 
e bizzarro, però di cuore non duro. Quando alcuna 
cosa gli andava a traverso, se la prendeva con la mo- 
glie ; ma passato V impeto tornava in aè. Taroccava e 
bastonava la moglie, e poi la pettinava. II giorno ap- 
presso tornava a far lo stesso ; e il vicinato che assi- 
steva a queste scene lo messe in proverbio. La pace 
non cementata dall' affetto e dal pentimento aincero è 
la pace di Marcone. 

Per seconda si narra che un certo Marcone, fiera- 
mente sdegnato contr' uno che V aveva offeso, voleva 
vendicarsi. Intromessisi gli amici, disse di far la pace, 
e quelli gli credettero. Venuto il nemico per dare e 
ricevere il bacio di pace, la fiera di Marcone gli staccò 
il naso netto netto con un morso. 

La terza novelletta è la seguente. Marcoue era uno 

29 



1 



450 
scimunito d'un villaggio in Toscana, dove, essendo alcune 
private nimicizie, il buon Pievano volle adoperarsi a met- 
ter le parti d'accordo fra di loro, e preparò una predica 
in forma sulla Pace. Fra gli altri argomenti volle figu- 
rasse questo, ohe anche le persone sciocche amano stare 
in pace col prossimo; e perchè l'argomento non patisse 
eccezione, e facesse l'effetto suo in modo sorprendente, 
chiamò a sé Marcone e segretamente gli disse che 
avrebbe fatto la domenica appresso una predica così e 
cosi, e che a un certo punto avrebbe detto : E tu, Mar- 
cone che vuoi ? Rispondi franco : la Pace, la Pace. Fe- 
cer le prove e la cosa parve dovesse riuscire a mera- 
viglia. Venuta la domenica e andato in chiesa tutto il 
villaggio, il buon Pievano attaccò a predicare, e via 
via accalorandosi, quando venne al forte argomento, il 
quale dovea come si dice tagliaT la testa al toro, con 
voce altitonante esclamò: E tu Marcone che vuoi? Mar- 
cone disgraziatamente sonnecchiava. Si riscuote a quel 
grido, e tutto insonnolito non risponde Pace, Pace, ma 
una parolaccia strana che fé' sganasciar dalle risa tutto 
il popolo. Così la pace di Marcone andò in proverbio 
per Pace ridicola, che non ha fondamento sodo, ed an- 
che per la Pace dì chi non si dà un pensiero al mon- 
do, vive e lascia vivere. 



XXIII. 

Cavar la castagna 
con la zampa del gatto. 

Questo è tuttora d'uso comune, e non si dice e 
non si trova scritto altrimenti, quantunque il Serdonati 
non nomini il gatto, ma metta con la zampa d' aUri. 



r 



M 

Lo stesso Serdonati che ne dà l'origine apiega U 
dettato con dire : „ Cercare il comodo buo col peri* 
colo d' altri. Il proverbio fu tolto da tale accidente, 
Era un gentiluomo al fuoco e appresso a lui era una 
scimia e un cane da esso molto favoriti e amati j ed egli 
mise delle castagne nel fuoco ad arrostirsi ; e poi, com'è- j!j 

rane cotte, le traeva fuori del fuoco con una mazza, e se 
le mangiava. E in quella gli occorse di andare in camera 
per sue faccende, onde la scimia ivi rimasa volle an- 
cor essa cavare le castagne e mangiarsele, o mettendo 
oltre la zampa sentì cuocersi, e la tirò subito a sé ; 
ma volendo imitare il padrone, e non avendo mazza 
più pronta, afferrò la zampa del cane, eli e gli era ap- 
presso, e con essa trasse fuori le castagne con suo 
comodo e con gran rumore e dolore del povcrollo 
cane. „ 



XXIV. 
Lia carità di QioTanni da S. OtiOTauni. 

Asìnus asinum fricat 



I 

Giovanni Mannozzi (1592-1636) conosciuto piìi co- » 

munemente nella storia della Pittura sotto il nome ' 
di Giovanni da S. Giovanni, fu artista bizzarro e uomo 

di cervello balzano, come può vedersi dalla aua vita * 

scritta dal Baldinucci nelle Notizie dei Professori del j I 

Disegno da CinKjAìie in qua. (*) ,,| 

(*). Il Baldinucci pone il natale di Giovanni neW anno di 
nostra salute 1590, nel giorno di venerdì santOf ma dal così 
detto Libro dell" età esistente nel nostro archivio centi'alo tli Stato 
si ha r autentica notizia che il natale di lui fu invece ai 20 di 
Marzo del U92. 







452 

Richiesto una volta dal P. Maestro Tommaso Cac- 
cini Domenicano di dipingere un quadro per il Con- 
vento di Santa Maria Novella che rappresentasse la 
Carità, Giovanni accettò subito il partito, ne prese la 
caparra, e mise mano all' opera ; ma ogni qualvolta era 
sollecitato da chi ne aveva l'incarico, rispondeva che 
gtava operando, e che ben presto avrebbe mandato al 
Convento il quadro bello e finito ; sicché mentre da un 
lato otteneva che in quei Frati si accrescesse sempre 
più la curiosità di vedere e di possedere quel quadro, 
dair altro pigliava il maggior gusto del mondo a far 
saltare la muffa al naso del P. Caccini, che Giovanni, 
corno la maggior parte dei Fiorentini d'allora, aveva 
in uggia per le sue accanite persecuzioni contro T im- 
mortale Galileo. 

La lungaggine però di Giovanni si spinse tant' ol- 
tre, che il P. Caccini ebbe ricorso al Granduca ; e Gio- 
vanni chiamato ai Pitti fu dal Granduca ammonito, che 
oramai era tempo che dovesse sodisfare all'obbligo suo; 
ond' egli tornato a bottega mandò poco dopo il quadro 
al Convento. Riuniti tutti i Frati e buona parte dei 
loro amici, che se ne stavano in grande aspettazione, 
fìi scoperto il quadro dal P. Caccini: ma quale fu la 
loro meraviglia e dispetto vedendo che Giovanni aveva 
dipinto su quella tela tre Asini, uno nero, uno bigio, 
ed uno nero e bianco, che si grattavano la rogna ? Il 
rumore e le grida furono assai per questa insolente 
burla del Pittore; il P. Caccini se ne andò a dolere 
col Granduca, il quale, per aggiustare la faccenda, rese 
la caparra al P. Caccini e prese per se il quadro, sbor- 
sando a Giovanni cento scudi. Questo fatto avrebbero 
voluto ì Frati che non si risapesse per Firenze ; ma 
invece se ne fecero tante dicerìe, che, volendosi parlare 
di certe carità o finte o interessate che fannosi talvolta 



;!:*i^à hkJ 



453 
da alcuni, ne nacque il proverbio \ U è la Carità di 
Giovanni da San Giovanni. 



XXV. 
Tanto tonò clie pioTre. 

Il proverbio è antichissimo, e lo avevano i Greci,* 
come dalla storiella di Socrate e di Santippe sua mo- 
glie, da cui si vorrebbe far derivare. 

Povera Santippe ! Da Platone agli scrittori dei 
nostri giorni fu una gara per dipingerla una vera me- 
gèra. Eppure Socrate non fu uno stinco di santo. Oltre 
a esser vecchio e bruttissimo, mentre intendeva a ren- 
der migliori e più savi gli altri, non pensava a nutrir 
la famìglia e la moglie; e a questa dava ragione di 
gelosia intrattenendosi con Aspasia, che al filosofo di- 
rigeva poetici ed erotici versi, conversando con Diotina, 
sapiente donna di Mantinea, la quale egli dice che fu 
sua maestra d'amore, ed insegnando alla cortigiana 
Teodote V arte di allettare gli uomini. Che poi non fosse 
un troppo affettuoso marito lo dice egli stesso, dichia- 
rando di non correggere l'umore stizzoso della moglie 
per avvezzarsi con questo esercizio a sopportare la pe- 
tulanza e le ingiurie degli uomini, e lo provò quando 
ella andata a visitarlo piangente nel carcere, si mostrò 
duro con lei e non le permise di assisterlo negli ultimi 
istanti. 

Fu appunto per uno di quei silenzi, coi quali il più 
sapiente di tutti i mortali rispondeva alle male parole 
della moglie inasprita, che questa corsa in cucuia e 
preso un secchio d'acqua glielo rovesciò addosso. So- 
crate, senza scomporsi, rivolto agli amici avrebbe allora 



454 

esclamato ; „ Lo sapevo che dopo il tuono viene la 
pioggia» „ Dal qual motto sarebbe poi derivato il nostro 
proverbio. 

Tanto tonò che piovve suol dirsi — insegna il Fan- 
fani nel euo Vocabolario della lingtia italiana — quando 
finalmente o giunge o si vede o si ode cosa lunga- 
mente aspettata. 

Io però bramerei che non lo dicesse il lettore, ve- 
dendo^ ee pure vi giunse, l'ultima parola del libro. 



FINE. 



INDICE ALFABETICO DEI CAPITOLI 



Avvertimento dell' Editore Pag, 5 

Abitudini — Usanze 3> 23 

Adulazione — Lodi — Lusinghe . , p . > 25 

Affetti — Passioni — Voglie ..... » 27 

Agricoltura — Economia rurale . . . , » 36 

Allegria — Darsi bel tempo > 74 

Ambizione — Signoria — Corti .... ^16 

Amicizia * 78 

Amore . j^ 82 

Astuzia — Inganno > 87 

Avarizia » 100 

Bellezze e suo contrario — Fattezze del corpo . » 102 

Beneficenza — Soccorrersi > 107 

Benignità — Perdono 5^ HO 

Bisogno — Necessità j* 112 

Buona e mala fama > 113 

Buoni e Malvagi s^ 115 

Casa . , ^ UT 

Compagnia buona e cattiva » 121 

Condizioni è Sorti disuguali » 124 

Conforti ne' mali * 164 

Consiglio — Riprensione — Esempio , , * 107 



456 

Contentai^i della propria sorte .... Pag, 160 

Contrattazioni — Mercatura » 138 

Coscienza — Castigo dei falli » 94 

Costanza — Fermezza » 172 

Cupidità — Amor di sé stesso .... » 173 

Debito — Imprestiti — Mallevadorie . . . » 143 

Diligenza — Vigilanza » 176 

Donna — Matrimonio » 185 

Economia domestica » 145 

Errore — Fallacia dei disegni — Insufficienza dei 

propositi » 208 

Esperienza > 217 

Fallacia dei giudizi » 220 

False apparenze . • » 222 

Famìglia » 197 

Fatti e parole » 244 

Felicità — Infelicità — Bene > 33 

Fiducia — Diffidenza > 250 

Fortuna > 253 

Frasi e Modi proverbiali > 10 

Frode — Rapina » 91 

Giuoco . » 256 

Giorno — Notte » 258 

Gioventù — Vecchiezza » 260 

Giustizia — Liti » 265 

Governo — Leggi — Ragion di Stato ... » 268 

Gratitudine — Ingratitudine >► 274 

Guadagno — Mercede » 276 

Guerra — Milizia » 284 

Ingiurie — Offese » 286 

Ira — Collera ........ » 288 

Libertà — Servitù » 290 

Maldicenza — Malignità — Invidia ... » 292 

Mestieri — Professioni diverse .... » 129 

Meteorologia — Stagioni » 49 

Miserie della vita — Condizioni dell*Umanità . » 211 

Morte » 366 

Mutar paese » 119 

Nature diverse » 381 

Nazioni — Città — Paesi » 370 

Orgoglio — Vanità — Presunzione ... > 295 

Ostinazione — Ricredersi » 170 



Ozio — Industria — Lavoro ..... 

Parlare — Tacere 

Parsimonia — Prodigalità . , . . , 
Paura — Coraggio — Ardire . . . , . 

Pazienza — Rassegnazione 

Perseveranza 

Piacere — Dolore 

Pochezza d'animo , 

Povertà — Ricchezza 

Probità — Onoratezza 

Prudenza — . Accortezza — Senno , - . . 

Regole del giudicare 

Regole del trattare e del conversare . 

Regole varie per la condotta pratica della vita . 

Religione 

Riflessione — Ponderatezza . ^ . . . 
Risolutezza — Sollecitudine — Cogliere le occa- 
sioni 

Sanità — Malattie — Medici 

Sapere — Ignoranza 

Saviezza — Mattia 

Scherzi — Motteggi 

Schiettezza — Verità — Bugia . . * , 

Simulazione — Ipocrisia 

Sollievi — Riposi 

Speranza 

Tavola — Cucina ....... 

Temerità — Spensieratezza . , , » , 

Temperanza — Moderazione 

Vesti — Addobbi 

Vino . * , 

Virtù — Illibatezza , 

Vizi — Mali abiti 

Animali ......... 

Cose fisiche 

Sentenze generali ..,.,.. 
Voci di paragone - 

Appendice 

Saggio d' Illustrazioni 



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INDICE BELLE ILLUSTRAZIONI 

(etimologie, novellette, leggende) 



L Dar la Berta. ...... Pag. 415 

n. Fare il becco all' oca » 417 

ni. E scritto sui boccali di Montelupo . . » 421 

IV. Per un punto Martin perse la cappa . » 423 

V. Non è piti il tempo che Berta filava, . » 424 

VI. Ambasciatore non porta pena ...» 425 
VIL Lo schiavo delle ricchezze . ...» 427 
VIIL Adagio Biagio » 429 

IX. Baciare il chiavistello » 430 

X. Essere al verde » 432 

XI. Andare in visibilio, Gatcdeamus, Sperpe- 

tua, ed altri » 433 

XII. Le parole son femmine e i fatti son maschi. » 436 
XIIL U occhio vuol la sica parte . ... i^ 437 
XIV. Tra la bocca e il boccone . . , . » 438 

XV. Zara a chi tocca (Bazza a chi tocca) , . » 439 

XVI. Non si vende la pelle prima che s' am- 

mazzi V orso > 440 



XVII. Salvar capra e cavoli . 

XVIII. Chi più dura la vince . 

XIX. A Lucca ti vidi 

XX. Il Ckicchirillò 

XXL Essere alla porta co' sassi 

XXIL La pace di Marcane . 

XXin. Cavar la castagna con la zampa del gatto, 

XXIV. La carità di Giovanni da San Giovanni 

XXV. Tanto tonò che piovile . , , , 



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