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RACCOLTA
DI
POESIE SATIRICHE
MILANO
Dalla Società Tipografica de' Classici Italiani,
contrada di s. Margherita, 3S.° iii8.
ANNO 1808.
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PREFAZIONE
DEGLI EDITORI.
o
\^ nasi tralcio avviticchiantesi al tronca
della Poesia Lirica deesi considerare la
Satira. Furono i Greci gV inventori di tale
poesia coi loro Giambici , o Siili, ne quali
Archilo co ottenne celebrità* Primo poeta
satirico italiano fu certamente il Dante *
poiché secondo il Mazzoni piuttosto Sati-
ra che Commedia dovevasi Vopera sua in*
titolare. Satirici componimenti sono pure
i quattro Sonetti del Petrarca , che inco-
minciano Fiamma dal Ciel , ec. Zi' Avara
Babilonia , ec. Fontana di dolóre, ec* Del»
V empia Babilonia . <&.
1*
Divido fisi le Satire in serie e giocose}
e nel genere serio l Ariosto è il più celebre
autor satirico, che sabbia P Italia. La fa-
cilità e la naturalezza congiunte ad una
mordacità spiritosa rendono questo poeta
degno imitatore d Orazio. Siamo superiori
a tutti i moderni nelle Satire giocose o
burlesche , genere che secondo Vavasseur
era ignoto agli antichi ( i ) . DelV uno e
delT altro genere pertanto noi diamo qui
la Raccolta. E colf annunciare appunto
una Raccolta , noi vorremmo bentosto av-
vertiti i nostri Lettori , che non tutte le
Satire degV Italiani poeti, ma le migliori
soltanto, quelle cioè che più interessar pos-
sono o per lo stile , o per la materia, aver
debbono qui luogo. Del solo Messer Lu-
dovico però noi abbiamo ristampate le
Satire tutte. Tanto da noi richiedevano e
i pregi loro, e il nome stesso e la fama
deW immortai autore del Furioso . Dopo
V Ariosto abbiamo dato un saggio più o
meno esteso degli altri Poeti, che più si
distinsero in amendue i generi di satirica
poesia, (he però seguendo l'istituto nostro
faremo pure qualche cenno della Dita e
del carattere di ciascuno de Po ti in que-
sta raccolta compresi , ommettendo per
altro di parlare di quelli, la vita de quali
(i) Préfaz. della Scelta di Poe*. Ital.
Stampala in Parigi nel 1783.
fa eia da noi pubblicata nelle altre loro
tipere. Deli Ariosto ancora nulla diremo ,
giacché potrà leggersi la vita di lui nei
primo tomo delV Orlando , di cui daremo
quanto prima V edizione. Delt Alamanni ,
de IP Anguillara , e del Caro veggansi le
onte ne1 particolari volumi di nostra Colle-
zione , ne quali pubblicate abbiamo le
altre loro Opere, (i)
Ercole Bentivoglio figlio di Annibale
II. nacque in Bologna nel i5o6. , ma si-
no dalle fasce fu trasportato a Mila»
no , indi nelT età di sette anni a Ferrara»
Fu nipote del Duca Alfonso I. , ed ebbe
perciò la sua educazione in corte. Morì,
in Venezia nel iSjS. Alcuni sono d'avvi-
so , ctìeqli abbia uguagliato F Ariosto nella
comica poesia e nella satirica. Noi siamo
di contraria opinione , e i nostri lettori
converranno forse con noi anche dal solo
confronto , eli essi far possono delle Satire
delt Ariosto coW unica che aggiungiamo
del Bentivoglio.
Antonio Vinciguerra fu Segretario del-
la Piepubblica di Venezia , e fiorì circa il
1480, Le sue Satire sono alquanto rozze ;
ma fa d* uopo avvertire , eli egli fu il
primo che in questo genere di poesia usas-
se della terza rima.
(1) Alamanni - Collez. nnm. 55. An-
guillara. Colle/. N. 75. Caro. Collez. N. 109,
Poesie Salir. a *
VI
Giovanni Mauro d'Arcano nobile Friu-
lese nacque circa il 1490. Grandi onori
egli ebbe dal Duca d^ Amalfi , dal Car-
dinaie G rimani , dal Datario Filibcrti\ e
dal Cardinale Cesarini. Fu di carattere
assai faceto e satirico , e divenne perciò
amico del Berni . Morì in Roma nel
l536. Le sue rime e per lepidezza e per
libertà stanno al pari con quelle del Berni*
Bernardino Giambullaii, Fiorentino e
padre di Pier Francesco fon nel tempo
di Leone X. Scrisse Laudi e Canti Carna-
scialeschi , e continuò il Ciri sto Calvaneo
di Luca Pulci. Egli, come avverte Andrea
Rubi , fu autore pia di lingua che di
poesia.
Francesco Coppetta Perugino nobile e
dottor di leggi fu uno de* pochi che nel suo
secolo ardirono allontanarsi dalla petrar-
chesca pedanteria. Egli accoppiò alla liri-
ca , la burlesca e la satirica poesia. È
puro nello stile , melodioso ne versi, e na-
turale ne sentimenti. Morì d1 anni 44. nel
i553. *■
Ludovico Dolce , Veneziano nacque
nel i5o8. e cessò di vivere nel i5ò8. J\ el-
le sue poesie ebbe gran cura della lingua
e quindi è più noto ])er la sua filologia ,
che per le sue poetiche composizioni. Po-
vero di fortuna cercò di migliorare la sua
sorte col tradurre dal greco e dal latino
i più rinomati scritti. Le sue poesie burle*
sche non mancano di ben condita satira ,
e di attica lepidezza.
vn
Matteo Franzesi Fiorentino visse con
altri celebri letterati nella corte Pontificia
di Clemente VII. e di Paolo III Esso
può stimarsi al pari di qualunque altro
nel genere satirico e burlesco per la chia-
ra e gentile lepidezza e giocondità dello
stile , e per la graziosa armonia de suoi
"versi.
Cesare Caporali Perugino fu due
volte governatore d? Atri. Nacque nel i53o
e morì nel 1601. in Castiglione presso il
Marchese Ascanio della Corgna. Nelle
sue rime seppe unire la grazia colla mo-
destia , cosa assai rara né* poeti di quel
secolo. Scrisse commedie in prosa. Le sue
poesie burlesche gli danno nome tra i
primi ; ?na la sua lingua lascia qualche
cosa a desiderarsi nella purità e nella
correzione.
M. B. Alcuni sono a" avviso die sotto
queste iniziali , si nasconda Messer Bino
Fiorentino, che ebbe gran parte nella Se~
gre la ria di Papa Clemente VII. Esso fu
canonico o beneficiato di qualche Colle-
giata in Roma.
Pietro Aretino fu figlio di un Gentil*
uomo d' Arezzo città di Toscana. La
prima opera che lo fece conoscere sono i
Sonetti , co* quali accompagnò le infami
stampe di Giulio Romano. Maldicente ,
empio ed osceno trovò nella scorrettezza
di que tempi ammiratori tanto zelanti che
lo proclamarono divino , e lo resero si
viti
celebre che arrivò a farsi temere dagli
Stessi Sovrani ; per lo che fu per antono-
masia chiamato Flagello de' Principi. So-
limano Signor de 'Turchi , Federico Bar-
harossa celebre Coivate , Cromuelìo gran
Ciambellano d 'Inghilterra , e fino France-
sco I. Re di Francia gli pagavano ogni
anno una specie di tributo in denaro che
esigeva con sommo rigore e con insolentis-
sime lettele così segnateli Poeta Aretino
per la grazia di Dio uomo libero. Una
tanta temerità , che baldanzosa insultava
i Principi , fu raffrenata dal Franco ,
Poeta contemporaneo delt Aretino , con
un centinaio di Sonetti vigorosi scritti in
disprezzo delT impudente Satirico, ma me-
glio ancora da un Certo Achille della
Torre a colpi di bastone, e con un solen-
ne sfregio sul viso. Salisse alcune cornine*
die , molte stomachevoli oscenità , tre
Canti intitolati Marfisa, Le lagrime d'An-
gelica , ed in vecchia] a tradusse in Prosa
i Sette Salmi Penitenziali, e compose qual-
che altra Opera ascetica. Morì in Venezia
nel P anno i555. (i)
Pietro Nelli Sanese fiorì verso la fine
del secolo XVI. Egli pubblicò le sue Sa-
tire sotto il nome di Andrea di Bergamo,
intitolandole Satire alla Carlona. * Queste ,
come avverte T imboschi, potrebbero esser
(i) V. la già citata edii. di Parigi. I
proposte come un ottimo modello di stile
satirico, se la troppa licenza e il poco rispet-
to alla Be licione, non le rendessero anzi
degne di biasimo,
Francesco Sansovino figlio del celebre
architetto Jacopo Sansovino nacque irz
Roma nel i52i. e *vi stette fino al 1627.
nel qual tempo , dopo il funesto S'acco
di quella città passò con suo padre a\
Venezia, Indarno tentò il padre di farlo
attendere alle leggi. Non avendo mai po-
tuto sorgere a miglior fortuna , si lusinga
che il papa Giulio III. da cui era stalo
tenuto a battesimo , fosse per sollevarlo
a qualche dignità. No ne ottenne che il
vuoto titolo di Cameriere pontificio, 'lornò
q indi a Venezia, ove aprì una tipografia.
Cessò di vivere nel i586. Grandissimo è il
numero delle sue opere , ma grande del
pari non ne è il pregio. Le satire sono
forse le migliori di luì poesie.
Ludovico Paterno Napolitano fiorì ver*
so il i5bo. Egli ardì contendere col Can-
zoniere di Petrarca non solo nella forma9
ma nel soggetto ancora; poic/iè scelta una\
tale Mirzia , o finta o vera che ella si
■fosse , per iscopo de suoi versi amorosi ,
scrisse un volume intorno ad essa simbch
leggìata in un mirto , siccome il Petrarca
fatto avea per Laura in un lauro figurata»
lento egli il primo le satire nel verso
sciolto , cui per altro non ebbe tempo di
abbellire 9 siccome avrebbe bramato.
Lodovico Adimari et illustre prosapia
fiorentina , ma nato in Napoli nel 1 644*
fii uno de pochi che nel suo secolo dis*
prezzando gli applausi popolari seguì Forme
de grandi e degli antichi maestri. Si distin*
se anche nella politica e dal Duca di
Mantova fu onorato della carica di suo
Gentiluomo di Camera, Dopo lunga ma*
lattia cessò di vivere in Firenze nel 1708.
Compose cinque satire -, nelle quali ebbe
specialmente di mira di rimproverare e
correggere i vizj del bel sesso. Di lui scris*
se l9 Abate Regnier Desmarais (1)
Scorgo quel , cui die plettro alto e sonoro
L'Etrusca Musa, e cauto al plettro pari,
Il gentile Adi mari.
Salvator Bosa nacque nel villaggio
della Renella due miglia distante da No-,
poli. Egli fu pittore di gran nome a
suoi tempi. Alla pittura univa la poesia
e la musica, e sopra tutto una comica sì
gentile , che deliziosamente t'atteneva le
brigate. Col corredo di tante qu dita non
gli fu difficile d' introdursi nella grazia
de* più insigni personaggi. Morì in Romm
e fu sepolto in Santa Maria degli /Jngelik
ove si vede il suo deposito , nelC iscrizione!
( 1 ) Brindisi all' Accademia dell*
Crusca,
del quale , al dire del Crescimbeni , circa
la qualità di poeta , si parla con iperbole
incredibilmente strabocchevole , dando glisi
il primato sopra tutti i Bimotori Toscani.
Salvator Rosa di fitti è più celebre per
la pittura , che per la poesia. Le sue
satire sono piene di vivezze e di sali, ma
troppo umili talvolta ci si presentano
quasi striscianti al suolo ; e la sover-
chia erudizione le rende spesso difficili
ed oscure.
Quinto Settano è il nome sotto di cui
si nascose Monsignor Lodovico Sergardi
nato in Siena nel 1660 da nobili genitori,
e morto a Spoleti nel Novembre del 17 26.
Compose le sue Satire veramente sangui*
nose contra il Calabrese Gian Vincenzo
Gravina, nascosto sotto il nome di Filo-
demo. Esse scritte furono dalt autore in
latino ; ma giovaci il credere , che a lui
pure deb basi la traduzione delle stesse in
a>ersi italiani. Tanto è dessa piena di ori-
ginali bellezze a preferenza di un altra
traduzione delle medesime , pubblicata in
Palermo nel 1707. Quella che noi pubbli-
chiamo è forse la più spiritosa e la me-
glio condotta. Si finge in essa che Settano
per singoiar privilegio
Dai luoghi bui
Tornato a riveder le belle stelle
racconti qual cosa vi abbia veduto e ir*
XII
teso di se , di Filoderno , e di molti altri,
che furono fra i vivi, o con lode o con
biasimo. L,e Satire del Menzini saranno
da noi unite alla Poetica di lui, che è
fon e la sola , di cui si "vanti la lingua
italiana.
Tali sono i poeti delle cui satire
abbiamo compilata la scelta. In questa
edizione abbiamo tenuto il sistema di quel
la de Lirici , di unire cioè air Indice t ar-
gomento di ciascuna Satira. Ci sembro
1 I 7 7
che questo 'volume debba riescire grate
al colto Pubblico non meno che a
cortesi nostri Associati , contenendo esse
una raccolta unica nel suo genere , giac
che nessun editore avea finora pensato e
pubblicare in un sol volume quanto forse
di più interessante fu scritto nel genere
satirico dalV Ariosto fino al principio dei
secolo XVIII. Affinchè poi questa edi-
zione riescisse ancor più pregevole , fu de
noi corredata di due ritratti ; // prime
deir Aretino uomo tanto famoso per la
sua maldicenza , e l altro di Salvator Lio
sa , uomo caro a tutte le beli arti sorelle^
LODOVICO ARIOSTO
SATIRA
ad Alessandro Ariosto e a Lodovico
da Bagno
Lo desidero intendere da voi t
Alessandro fratel, compar mio Bagno ,
Se la corte ha memoria più di noi ;
e più il signor mi accusa, se compagno
Per me si leva , e dice la cagione
Perchè partendo gli altri io qui rimagno .
1 tutti dotti ne l'adulazione,
L' arte che più tra noi si studia e cole ,
L' ajutate a biasmarmi oltre a ragione.
lazzo chi al suo signor contraddir vuole ,
Sebben dicesse eh' ha veduto il giorno
Pieno di stelle, e a mezza notte il sole.
I eh' egli lodi , o voglia altrui far scorno ,
Di varie voci subito un concento
S'ode accordar di quanti n* ha d' intorno;
Poesie Sa tir. i
a Poesie
E chi non ha per umiltà ardimento
La hocca aprir, con tutto il viso applaude
E par che voglia dire: anch'io consento:
Ma se in altro biasmarmi , alnien dar laude
Dovete , che volendo io rimanere ,
Lo dissi a viso aperto e non con fraude.
Dissi molte ragioni, e tutte vere,
De le quali per se sola ciascuna
Essermi dovea degna di tenere :
Prima la vita, a cui poche o nessuna
Cosa ho da preferir : che fia più breve
TNon voglio che 'ì ciel voglia o la fortuna.
Ogni alterazione, ancor che lieve,
Ch' avesse il mal ch'io sento, o ne morrei
O il Valentino e il Postumo errar deve .
01 tra che '1 dican essi , io meglio i miei
Casi d'ogni altro intendo; e quai compens
Mi sian utili so , so quai sien rei .
So mia natura come mal conviensi
Co' freddi verni: e costì sotto il polo
Gli avete voi più che in Italia intensi.
E non mi uocerebbe il freddo solo;
Ma il caldo de le stufe , eh' ho sì infesto ,
Che più che da la peste me gì' involo.
]Nè il verno altrove s'abita in cotesto
Paese; vi si mangia, gioca e bee,
E vi si donne e vi si fa anco il resto.
Chi quindi vien , come sorbir si dee
L'aria che tien sempre in travaglio il fiat<
De le montagne prossime rifée?
Dal vapor che dal stomaco elevato
Fa catarro a la testa, e cala al petto,
Mi rimarre' una notte soffocato :
Satiriche, 3
E il vin famoso, a me via più iuierdeiio,
Che il tosco , coslì a inviti si tracanna ,
E sacrilegio è non ber molto , e schietto .
I cibi tutti son con pepe e canna
D' amomo e d' altri aromati , che tutti
Come nocivi il medico mi danna .
Qui mi potreste dir ch'io avrei ridutti ,
Ove sotto il cammin sederia al foco ,
Né pie né ascelle odorerei né rutti ;
E le vivande condì ria mi il cuoco
Come io volessi, ed innacquarmi il vino
Potre' a mia po&ta , e nulla berne ♦ o poco *
Dunque voi altri insieme, io dal mattino
A la sera starei solo a la cella ,
Solo a la mensa come un certosino?
Bisogneriano pentole e vasella
Da cucina e da camera, e dotarme
Di masserizie , qual sposa novella .
Se separatamente cucinarme
Vorria mastro Pasino una o due volte ,
Quattro e sei mi farà '1 viso de T arme •
S'io vorrò de le cose ch'avrà tolte
Francesco di Si ver per la famiglia ,
Potrò mattina e sera averne molte.
S' io dirò : spenditor , questo mi piglia ,
Che T umido crudel poco nudmce ;
Questo no, che '1 catar troppo assottiglia;
Per una volta o due che mi obbedisce,
Quattro e sei se lo scorda, o perchè teme
Che non gli sia accettato , non ardisce .
Io mi riduco al pane ; e quindi freme
La collera ; cagion che a li due motti
Gli amici ed io siamo a contesa insieme:
4 Prt ESIB
Mi potreste anco dir ; de li tuoi scolti
Fa che '1 tuo fante comprator ti sia;
Mangia i tuoi polli a li tuo* alari cotti .
Io per la mala servi ttide mia
Non ho dal cardinale ancora tanto ,
Ch'io possa fare in corte F osteria.
Apollo , tua mercè , tua mercè , santo
Collegio de le muse , io non mi trovo
Tanto per v*oi , eh' io possa farmi un manto.
E se '1 signor m' ha dato onde far novo
Ogni anno mi potrei più d' un mantello ,
Che mi abbia per voi dato non approvo .
Egli T ha detto: io dirlo a questo a quello
Voglio anco , e i versi miei posso a mia posta
Mandar ai Culiseo per lo suggello .
Opra che in esaltarlo abbia composta ,
Non vuol eh' ad acquistar mercè sia buona:
Di mercè degno è i ir correndo in posta .
A chi nel Barco e in villa segue , dona ,
A chi lo veste e spoglia , o pone i fiaschi
Nel pozzo per la sera in fresco a nona .
Vegghi Ja notte in fin che i Bergamaschi
Si levino a far chiodi , sì che spesso
Col torchio in mano addormentato caschi.
S* io F ho con laude ne' miei versi messo ,
Dice eh' ia Fho fatto a piacere , e in ozio ;
Più grato fora essergli slato appresso .
E se in cancelleria m' ha fatto sozio
A Melan del Costabil , sì eh' ho il terzo
Di quel che al notar vieu d' ogni negozio ;
Gli è , perchè alcuna volta io sprono e sferzo
Mutando bestie e guide, e corro in fretta
Per monti e balze , e con la morte scherzo ,
Satiriche. 5
Fa a mio senno , Marnn , tuoi versi getta
Con la lira in un cesso, e un'arte impara,
Se benefizio vuoi , che sia più accetta
Ma tosto che n' hai , pensa che la cara
Tua libertà non meno abbi perduta ,
Che se giocata te 1* avessi a zara ;
E che mai più , se bene a la canuta
Età vivi, e viva egli di Nestorre ,
Questa condizion non ti si muta .
E se disegni mai tal nodo sciorre ,
Buon patto avrai , se con amore e pace
Quel cbe t' ha dato si vorrà ritorre .
A. me per esser stato contumace
Di non voler Agria veder né Buda ,
Che si ritoglia il suo già non mi spiace:
Se ben le miglior' penne eh' a la muda
Avea rimesse , mi tarpasse , come
Che da 1' amor e grazia sua mi escluda ;
Che senza fede e senza amor mi nome,
E che dimostri con parole e cenni
Che in odio e che in dispetto abbia il mio nome:
E questo fu cagion eh' io mi ritenni
Di non gli comparire innanzi mai
Dal dì cbe indarno ad escusar mi venni :
Piuggier, se a la progenie tua mi fai
Si poco grato , e nulla mi prevaglio ,
Che gli alti gesti e '1 tuo valor cantai ;
Che debbo fare io qui, poich'io non vaglio
Smembrar su la forcina in aria starne ,
Né so a sparvier né a can metter guinzaglio?
Non feci mai tai cose , e non so farne :
A gli usatli o a gli spron' , perch' io son grande,
Non mi posso adattar per porne o trarne.
C Poesie
10 non ho molto gusto di vivande,
Che scalco sia ; fui degno esser al mondo
Quando viveano gli uomini di ghiande . •
Non vo' il conto di man torre a Gis mondo :
Andar più a Roma in posta non accade
A placar la grand' ira di Secondo .
E quando accadesse anco , in questa etade,
Col mal ch'ebbe principio allora forse,
Non si convien più correr per le strade.
Se far colai servigi , e raro torse
Di sua presenza de' chi d' oro ha sete ,
E stargli , come Artofilace a 1' Orse ;
Più tosto che arricchir, voglio quiete:
Più tosto che occuparmi in altra cura
Sì , che inondar lasci il mio studio a Lete
11 qual , se al corpo non può dar pastura ,
Lo dà a la mente con sì nobil' esca ,
Che merta di non star senza coltura .
Fa che la povertà meno m' incresca ,
E fa che la ricchezza sì non ami ,
Che di mia libertà per suo amor esca.
Quel eh' io non spero aver, fa ch'io non brami,
Che ne sdegno né invidia mi consumi,
Perchè Marone o Celio il signor chiami .
Ch'io non aspetto a mezza estate i lumi,
Per esser col signor veduto a cena ;
Ch' io non lascio accecarm' in questi fumi .
Io men vo solo e a piedi ove mi mena
Il mio bisogno ; e quando io vo a cavallo ,
Le bisaccie gli attacco su la schiena .
E credo che sia questo minor fallo ,
Che di farmi pagar , s' io raccomando
Al principe la causa d' un vassallo :
Satiriche.
O mover liti in beneficj , quando
Ragion non ci abbia ; e facciami i piovani
A offerir pension' venir pregando :
Anco fa , che al ciel levo ambe le mani ,
Ch' abito in casa mia comodamente,
Voglia tra' cittadini o tra' villani;
E che ne ben' paterni il rimanente
Del viver mio, senza imparar nuoy' arte ,
Posso, e senza rosso r far di mia gente .
Ma perchè cinque soldi da pagarte ,
Tu, che noti, non ho, ritornar voglio
La mia favola al loco onde si parte .
Aver cagion di non venir mi doglio;
Detto ho la prima, e s'io vo' 1' altre dire,
IN è questo basterà né un altro foglio.
Pur ne drò anco un' altra , che patire
Non debbo, che levato ogni sostegno,
Casa nostra in ruina abbia a venire.
Di cinque che noi siam , Carlo è nel regno
Onde cacciaro i Turchi il mio Cleandro,
E di starvi alcun tempo fa disegno:
Galasso vuol ne la città di Evandro
Por la camicia sopra la guarnaccia:
E tu sei col signor ito, Alessandro.
Ecci Gabriel, ma che vuoi tu ch'ei faccia?
Che da fanciul restò per mala sorte
De li piedi impedito e de le braccia.
Egli non fu né in piazza mai né in corte;
Ed a chi vuol ben reggere una casa ,
Questo si può comprendere che importe.
A la quinta sorella che è rimasa ,
E di bisogno apparecchiar la dote,
Che le siam debitori, or che si accasa.
8 Poesie
L'età di nostra madre mi percuote
Di pietà il cor , che da tutt' in un tratto
Senza infamia lasciata esser non puote.
10 soa di diec' il primo, e vecchio fatto
Di quaranta quattro anni , e il capo calvo
Da un tempo in qua sotto la cuffia appiatto*
La vita che mi avanza, me la salvo
Meglio eh' io so : ma tu che diciotto anni
Dopo me t' indugiasti a uscir de l'alvo ,
Gli Ungheri a veder torna, e gli Alemanni,
Per freddo e caldo segui il signor nostro,
Servi per amendue, rifa i miei danni.
11 qual se vuol di calamo « d'inchiostro
Di me servirsi, e non mi tor da bomba,
Digli: signor, il mio fratello è vostro.
Io stando qui farò con chiara tromba
Il suo nome sonar forse tanto alto,
Che tanto mai non si levò colomba .
A Filo a Cento in Ariano e a Calto
Arriverei, ma non sino al Danubio,
Ch'io non ho pie gagliardi a sì gran salto:
Ma se a volger di nuovo avessi al subio
I quindici anni che in servirlo ho spesi,
Passar la Tana ancor non stare' in dubio.
Se avermi dato onde ogni quattro mesi
Ho venticinque scudi, ne sì fermi,
Che molte volte non mi sian contesi,
Mi debbe incatenar, schiavo tenermi;
Obbligarmi eh' io sudi e tremi senza
Rispetto alcun; ch'io muoja o ch'io m'infermi;
Non gli lasciate aver questa credenza:
Ditegli che più tosto ch'esser servo,
Torrò la povertade in pazienza.
Satiriche.
Un asino fu già , eh' ogni osso e nervo
Mostrava di magrezza, e entrò per rotto
Del muro , ove di grano era un acervo ;
E tanto ne mangiò, che l'epa sotto
Si fece più di una gran botte grossa ,
Fin che fu sazio, e non però di botto.
Temendo poi che gli sien peste Tossa,
Si sforza di tornar dond' entrato era;
Ma par che '1 buco più capir noi possa *
Mentre s'affanna, e uscir indarno spera,
Gli disse un topolino : se vuoi quinci
Uscir , tratti , compar , quella panciera :
A vomitar bisogna che cominci
Ciò ch'hai nel corpo, e che ritorni macro;
Altrimenti quel buco mai non vinci.
Or conchiudendo dico : che se'l sacro
Cardinal comperato avermi stima
Con li suoi doni , non mi è acerbo ed acre
Renderli, e tor la libertà mia prima.
io Poesie
SATIRA
a Galasso Ariosto.
p,
ercb' ho molto bisogno , più che voglia ,
D'esser in Roma, ora che i cardinali
A guisa de le serpi mutan spoglia;
Or che son men pericolosi i mali
A' corpi , ancor che maggior peste afiliga
Le travagliate meati de' mortali;
Quando la ruota , che non pur castiga
lsion rio, si volge in mezzo a Roma
L'anime a cruciar con lunga briga;
Galasso, appresso il tempio, che si noma
Da quel prete valente , che l'orecchie
A Malco allontanar fé* da la chioma ,
Stanza per quattro bestie mi apparecchia,
Contando me per due, con Gianni mio:
Poi metti un mulo, e un'altra rozza vecchia.
Camera o buca ove a stanzare abbia io,
Che luminosa sia , che poco saglia ,
E da far foco comoda , desio .
Ne de' cavalli ancor meno ti caglia;
Che poco gioveria che avesser poste,
Dovendo lor mancar poi fieno o paglia.
Sia prima un materasso , che a le coste
Faccia vezzi, di lana o di cotone,
Si che la notte io non abbia ire a l'oste.
Provvedimi di legna secche e buone.
Di chi cucini pur cosi a la grossa
Un poco di vaccina o di montone:
Satiriche. ii
Son curo d'un, che con sapori possa
Di varj cibi suscitar la fame,
Se fosse morta e chiusa ne la fossa.
Jnga il suo schidon pure , o il suo tegame
Sin a l'orecchio a ser Vorano il muso,
Venuto al mondo sol per far letame;
2he più cerca la fame , perchè giuso
Mandi i cibi nel ventresche per trarre
La fame cerchi aver de' cibi l'uso .
1 novo camerier tal cuoco innarre;
Di fame e d'aglio uso a sfamarsi, poi
Che riposte i fratelli avean le marre,
Ed egli a casa avea tornato i buoi :
Or vuol fagiani or tortorelle or starne ,
Che sempre un cibo usar par che l'annoi.
3r sa che differenza è da la carne
Di capro e di cinghiai che pasca al monte,
Da quel che l'Elisea soglia mandarne.
Fa ch'io trovi de l'acqua, non di fonte,
Di fiume sì , che già sei dì veduto
Non abbia Sisto, né alcun altro ponte.
Son curo sì del vin , non già il rifiuto;
Ma a temprar l'acque me ne basta un poco,
Che la taverna mi darà a minuto .
Jenza molt' acqua i nostri , nati in loco
Palustre, non assaggio, perchè puri
Dal capo tranno in giù , che mi fan roco.
Cotesti che farian , che son ne' duri
Scogli de' Corsi ladri, o d' infedeli
Greci, o d'instabil' Liguri, maturi?
Chiuso nel studio frate Ciurla se li
Bea, mentre fuor il popolo digiuno
Lo aspetta che gli esponga gli Evangeli:
12 Poesie
E poi monti sul pergamo, più di uno
Gambaro cotto rosso , e romor faccia ,
E un minacciar , che ne spaventi ognuno ;
Ed a messer Moschin pur dia la caccia ,
A fra Gualengo , ed a' compagni loro ,
Che metton carestia 'n la vernaccia:
Che fuor di casa in Gorgadello o al Moro
Mangian grossi piccioni e cappon' grassi ,
Com'egli in cella, fuor del Refettoro .
Fa che vi sien de' libri con eh' io passi
Queir ore che comandano i prelati
Al lor uscier, che alcuno entrar non lassi:
Com' ancor fanno in su la terza i frati ,
Che non li muove il suon del campanello,
Poi che si sono a tavola assettati .
Signor, dirò ( non s'usa più fratello.
Poi eh' ha la vile adulazion spagnuola
Messo la signoria fin in bordello )
Signor , ( se fosse ben mozzo da spuola )
Dirò, fate, per Dio, che monsignore
Reverendissimo oda una parola.
Agora non se puede, et es meiore,
Che vos torneis a la magnana . Almeno
Fate eh' ei sappia eh' io son qui di f uore.
Risponde che '1 padron non vuol gli siéno
Fatte imbasciate , se venisse Pietro ,
Paol Giovanni e '1 mastro Nazareno .
Ma se fin dove col pensier penetro f
Avessi a penetrarvi occhi lincei,
O i muri trasparesser come vetro :
Forse occupati in casa li vedrei ,
Che giustissima causa di celarsi
Avrian dal sol, non che da gli occhi miei.
Satiriche. i3
Ma sia a un tempo lor agio di ritrarsi,
E a noi di contemplar sotto il cammino
Pe' dotti libri i saggi detti sparsi .
uhe mi muova a veder monte Aventino;
So che vorresti intendere, e dirolli:
E per legar tra caria piombo e lino ,
Sì che ottener che non mi siano tolti *
Fossa pel viver mio certi bajecchi
Che a Melan piglio, ancor che non sian molti:
l provveder ch'io sia il primo che mocchi
Sant' Agata , se avvien eh' al vecchio prete,
Sopravvivendogli io, di morir tocchi.
Dunque io darò del capo ne la rete ,
Ch'io soglio dir che '1 diavol tende a questi
Che del sangue di Cristo han tanta sete?
Son è già mio pensier eh' ella mi resti ,
Ma che in mano a persona si riponga
Saggia e sciente e di costumi onesti;
Zhe con periglio suo poi ne disponga :
Io ne pianeta mai ne tonicella
Ne chierca vo' che in capo mi si ponga :
}ome ne stole , non credo anco anella
Mi leghili mai^ che in mio poter non tenga
Di elegger sempre o questa cosa o quella;
ndarno è , s' io son prete , che mi venga
Desir di moglie ; e quando moglie io tolga,
Convien che d'esser prete il desir spenga :
)r perchè so com' io mi muti e volga
Di voler tosto , schivo di legarmi ,
Donde, se poi mi pento, io non mi sciolga
Jui la cagion potresti dimandarmi,
Perchè mi levo in collo sì gran peso,
Per dover poi su *n. altro scaricarmi .
14 Poesie
Perchè tu e gli altri frati miei ripreso
M' avreste , e odiato forse } se offerendo
Tal don fortuna , io non l' avessi preso.
Sai ben che '1 vecchio la riserva avendo
Inteso d' un coétì che la sua morte
Bramava ; e di velen perciò temendo ;
Mi pregò che a pigliar venissi in corte
La sua rinuncia , che potria sol torre
Quella speranza onde temea sì forte.
Opra feci io che si volesse porre
Ne le tue mani, o d'Alessandro, il cui
Iugegno de la chierca non abborre.
Ma ne di voi ne di più giunti a lui
D'amicizia , fidar unqua si volle:
10 fuor di tutti scelto unico fui.
Questa opinion mia so ben che folle
Diranno molti , che salir non tenti
La via ch'uom spesso a grandi onori estolle
Queste povere sciocche inutil genti,
Sordide infami ha già legato tanto,
Che fatte le ha adorar dai re potenti.
Ma chi mai fu sì saggio , o mai sì santo ,
Che di esser senza macchia di pazzia ,
O poco o molto dar si possa vanto?
Ognun tenga la sua, quesl'è la mia:
Se a perder s' ha la libertà , non stimo
11 più ricco cappel che in Roma sia.
Che giova a me sedere a mensa il primo ,
Se per questo più sazio non mi levo
Di quel eh' è stato assiso a mezzo o ad imo
Come ne cibo , così non ricevo
Più quiete più pace o più contento ,
Se ben di cinque mitre il capo aggrevo.
Satiriche. i5
Felicitade estima alcun , che cento
Persone t'accompaguino a palazzo ,
E che stia il volgo a riguardarti intento.
Io lo stimo miseria ; e son si pazzo ,
Ch' io penso e dico , che io Roma famosa
Il signor è più servo , che '1 ragazzo.
Non ha da servir questi in maggior cosa ,
Che d'esser col signor quando cavalchi:
L'altro tempo a suo senno o va o si posa :
La ^ maggior cura che sul cor gli calchi,
È , che Fiammetta sia lontana , e spesso
Causi che l'ora dei linei gli valchi.
A questo ove gli piace è andar concesso
Accompagnato e solo , a pie e a cavallo ,
Fermarsi in ponte in banchi e in chiasso, appresso
Piglia un mantello o rosso o nero o giallo;
£ se non l'ha , va in gnnnellin leggiero:
!Nè questo mai gli è attribuito a fallo.
Quell'altro , per fodrar di verde il nero
Cappel , lasciati ha i ricchi uffizj , e tolto
Minor util , più spesa , e più pensiero.
Ha molta gente a pascere , e non molto
Da spender , che a le bolle è già obbligato
Del primo e del secondo anno il ricolto;
E del debito antico uno è passato
Ed uno , e al terzo termine si aspetta
Esser sul muro in pubblico attaccato.
Gli bisogna a san Pietro andare in fretta;
Ma , perchè il cuoco o lo spenditor manca ,
Che gli sian dietro gli è la via interdetta.
Fuori è la mula , ohe o si duol d' un' anca ,
O che le cinghie o che la sella ha rotta.
O che da Ripa vien sferrata e stanca.
16 Poesie
Se con lui fin il guattero non frotta ,
Non può il misero uscir , che stima incarco
Il gire e non aver dietro la frotta.
Non è il suo studio ne in Matteo ne in Marco ]
Ma specula e contempla a far la spesa
Sì , che '1 troppo tirar non spezzi l'arco.
D' uffizj di badie di ricca chiesa
Forse adagiato alcun vive giocondo,
Che ne la stalla ne il tinel gli pesa ;
Ah che '1 desio d' alzarsi il tiene al fondo !
Già il suo grado gli spiace» e a quello aspira
Che dal sommo Pontefice è il secondo.
Giunge a quell'anco, e la voglia anco il tira
A r alta sedia che d' aver bramata
Tanto indarno il Riario si martira.
Che fia s' avrà la cattedra beata ?
Tosto vorrà suoi figli o suoi nipoti
Levar da la ci vii vita privata,
Non penserà d' Achivi o d' Epiroti
Dar lor dominio; non avrà disegno
Ne la Morea o ne V Arta far dispoli ;
Non cacciarne Ottoman per dar lor regno ,
Ove da tutta Europa avria soccorso ,
E faria del suo ufficio ufficio degno :
Ma spezzar la Colonna , e spegner 1' Orso
Per torgli Palestrina e Tagliacozzo ,
E dargli a' suoi , sarà il primo discorso ;
E qual strozzato, e qual col capo mozzo
A la Marca lasciando e a la Romagna,
Trionferà del Cristian sangue sozzo.
Darà l'Italia in preda a Francia o Spagna,
Che sozzopra voltandola , una parte
Al suo bastardo sangue ne rimagna.
Satiriche. 17
Le scomuniche empir quinci le carte ,
E quinci esser miuistre si vedranno
L' indulgenze plenarie al fiero Marte.
Se '1 Svizzero condurre o l'Alemanno
Si dee, bisogna ritrovare i nummi,
E tutto al servitor ne vieu il danno.
Ho sempre inteso , e sempre chiaro fummi,
Ch'argento che lor basti non han mai
Vescovi cardinali e pastor' swmmi.
Sia stolto indotto vii , sia peggio assai :
Farà quel eh' egli vuol , se posto insieme
Avrà tesoro; e chi bajar vuol, bai.
Perciò gli avanzi e le miserie estreme
Fansi , di che la misera famiglia
Vive affamata , e grida indarno e freme.
guanto è più ricco , tanto più assottiglia
La spesa , che i tre quarti si delibra
Por da canto di ciò che l'anno piglia .
3a F otto oncie per bocca , a mezza libra
Si vien di carne , e al pan , di cui la veccia
Nata con lui nò il loglio fuor si cribra.
^ome la carne e'1 pan , così la feccia
Del vin si dà , eh' ha seco una puntura ,
Che più mortai non 1' ha spiedo ne freccia ,
) eh' egli fila , e mostra la paura
Ch'ebbe a dar volta , di fiaccarsi il collo
Sì , che men mai saria ber l'acqua pura.
le la bacchetta pur levar satollo
Lasciasse il cappellan , mi starei cheto,
Se ben non gusta mai vitel ne pollo.
Juesto , dirai , può un servitor discreto
Patir, che quando monsignor suo accresce,
Accresce anch' egli , e n' ha da viver lieto.
Poesie Satir. 2
18 Poesie
Ma tal speranza a molti non riesce ,
Che per dar luogo a la famiglia nuova,
Più d'un vecchio d'ufficio e d'onor esce.
Camerier scalco e secretano trova
Il signor degni al grado: e n'hai buon patto,
Che dal servizio suo non ti rimuova.
Quanto ben disse il mulattier quel tratto,
Che tornando dal bosco ebbe la sera
^uo^a che '1 suo padron papa era fatto l
Che per me stesse cardinal meglio era :
Ho fin qui avuto da cacciar due muli,
Or n'aviò tre : chi più di me ne spera ,
Compri pur quanto io n'ho d'aver, due giuli
Satiriche. 19
SATIRA
ad Annibale malaguzzo.
?
oi che , Annibale , intendere Tuoi , come
La fo col duca Alfonso , e s' io mi sento
Più grave o men de le mutate some ;
erchè s' anco di questo mi lamento ,
Tu mi dirai eh' ho il guidaresco rotto ,
E eh' io son di natura un rozzon lento;
enza molto pensar dirò di botto ,
Che un peso e l'altro ugualmente mi spiace,
E saria meglio a nessun esser sotto.
immi or ch'ho rotto il dosso, e se ti piace,
Dimmi ch'io sia una rozza , e dimmi peggio ;
In somma esser non so , se non verace.
he s' al mio genitor , tosto eh' a Reggio
Daria mi partorì , faceva il giuoco
Che fé' Saturno al suo n2 1' alto seggio ,
l che di me sol fosse questo poco
Nel qual dieci tra i frati e le sirocchie
E bisognato che tutti abbian loco ;
a pazzia non avrei de le ranocchie
Fatta già mai, d'ir procacciando a cui
Scoprirmi il capo , e piegar le ginocchie.
■a poi che fìgliuol unico non fui ,
Né mai fu troppo a' miei Mercurio amico ,
jE viver son sforzato a spese altrui;
Leglio è s'appresso il duca mi nutrico ,
Che andar a questo e a quel de l'umil volgo
Accattandomi il pan come mendico.
So Poesie
So ben che dal parer dei più mi tolgo :
Lo star in corte stimano grandezza ;
Io pel contrario a servitù rivolgo.
Sliaci volentier dunque chi 1 apprezza:
Fuor a' uscirò ben io , s' un dì il tìgli uolo
Di Maria vorrà usarmi gentilezza.
Non si adatta una sella o un basto solo
Ad ogni dosso; ad un par che non l'abbu
A l'altro stringe e preme e gli dà duolo.
Mal .può durar il rosignuolo in gabbia ;
Più vi sta'l cardellino, e più il fanello;
La rondine in un dì vi muor di rabbia.
Chi brama onor di sproni o di cappello,
Serva re duca cardinale o papa ;
Io no , che poco curo e questo e quello.
In casa mia mi sa meglio una rapa
Ch'io cuoco , e cotta su uno stecco in force
E moudo e spargo poi di aceto e sapa ;
Che a 1' altrui mensa tordo starna o porco
Selvaggio; e così sotto una vii coltre,
Come di seta o d' oro ben mi corco ;
E più mi pia^e di posar le poltre
Membra, che di va tarle che a gli Sciti
Sian state , a gì' Indi , a gli Etiopi , ed oltrj
De gli uomini son varj gli appetiti :
A chi piace la chierca , a chi la spada ,
A chi la patria , a chi gli strani liti.
Chi vuol andar attorno , attorno vada :
Ve«ga Inghilterra Ungheria Francia e Spagn
A me piace abitar la mia contrada.
Visto ho Toscana Lombardia Romagna,
Quel monte che divide , e quel che serra
Italia 5 e un mare e V altro che la bagna. ;
Satiriche. 21
lesto mi basta ; il resto de la terra
Senza mai pagar 1' oste andrò cercando
Con Tolomeo, sia il mondo in pace o in guerra;
tutto il mar , senza far voti quando
Lampeggi il ciel , sicuro in su le carte
Vedrò, più che su i legni volteggiando,
servigio del duca , d' ogni parte
Che ci sia buona , più mi piace in questa ,
Che dal nido natio raro si parie,
rciò gli studj miei poco molesta ,
3Sè mi toglie ; onde mai tutto partire
Non posso , perchè il cor sempre ci resta»
irmi vederti qui ridere , e dire
Che non amor di patria ne di studi,
Ma di donne è cagion che uon vogF ire*
neramente tei confesso : or chiudi
La bocca , eh' a difender la bugia
Non volli prender mai spada nò scudi .
el mio star qui qual la cagion si sia*
Io ci sto volentieri: ora nessuuo
Abbia a tor più di me la cura mia .
io fossi andato a Roma, dirà alcuno,
! A farmi uccellator de' benefici ,
I Preso a la rete n'avrei già più d'uno
mto più eh' era de gli antichi amici
Del papa, innanzi che virtude o sorte
Lo sublimasse al sommo de gli uffici :
f prima che gli aprissero le porte
,1 Fiorentini, quando il suo Giuliano
Si riparò ne la feltresca corte;
We col formator del Cortigiano,
Col Bembo e gli altri sacri al divo Apollo
Facea 1' esilio suo men duro e strano ;
22 Poesie
E dopo ancor, quando levaro il collo
Medici ne la patria: e il gonfalone,
Fuggendo del palazzo, ebbe il gran crollo;
E fin eh' a Roma s' andò a far Leone ,
Io gli fui grato sempre , e in apparenza
Mostrò amar più di me poche persone:
E più volte Legato, ed in Fiorenza
Mi disse , che al bisogno mai non era
Per far da me al fratel suo differenza .
Per questo parrà altrui cosa leggiera ,
Che stando io a Roma già m'avessi posta
La cresta dentro verde, e di fuor nera.
A chi parrà , così farò risposta
Con uno esempio : leggilo , che meno
Leggerlo a te, che a me scriverlo, costa.
Una stagion fu già , che sì il terreno
Arse , che '1 sol di nuovo a Faetone
De' suoi corsier* parea aver dato il freno .
Secco ogni pozzo, secco era ogni fonte;
Gli stagni i rivi e i fiumi più famosi
Tutti passar si potean senza ponte
In quel tempo d' armenti e di lanosi
Greggi , io non so s' io dica ricco o grave
Era un pastor fra gli altri bisognosi ,
Che poi che 1' acqua per tutte le cave
Cercò indarno, si volse a quel Signore
Che mai non suol fraudar chi in lui fede have
Ed ebbe lume e ispirazion di core ,
Ch'indi lontano troveria nel fondo
Di certa valle il desiato umore.
Con moglie e figli e con ciò ch'avea al mond<
Là si condusse , e con gli ordigni suoi
L' acqua trovò , né molto andò profondo :
Satiriche. 23
non avendo con che attinger poi ,
Se non un vaso picciolo ed angusto,
Disse : che mio sia '1 primo non v' annoi j
i mogliema il secondo ; e '1 terzo è giusto
Che sia de' figli e il quarto; e fin che cessi
L' ardente sete onde è ciascuno adusto ,
li altri vo' ad un ad un che sien concessi ,
Secondo le fatiche, a li famigli
Che meco in opra a far il pozzo ho messi «
>i su ciascuna bestia si consigli;
Che di quelle che a perderle è più danno.
Innanzi a V altre la cura si pigli .
3n questa legge un dopo V altro vanno
A bere : e per non esser i sezzai,
Tutti ivi grandi i lor meriti fanno »
uesto una gaza, che già amala assai
Fu dal padrone, ed in delizie avuta.
Vedendo ed ascoltando > gridò : guai !
► uon gli son parente, ne venuta
A far il pozzo , ne di più guadagno
Gli son per esser mai eh' io gli sia suta*
eggio che dietro a gli altri mi rimagno ;
Morrò di sete , quando non procacci
I Di trovar per mio scampo altro rigagno .
agin , con questo esempio vo* che spacci
; Quei che credon che ì papa porre innanti
| Mi debba a Neri a Vanni a Lotti e a Bacch
(nipoti e i parenti, che son tanti,
Prima hanno a ber ; poi quei che 1* ajutaro
A vestirsi il. più bel di tutti i mai>ti .
3vu'o eh' abbian questi, gli sia caro
Che beano quei che contra il Soderino
Per tornarlo in Firenze si le varo «
24 Poesie
L' un dice : io fai eoa Pietro in Casentiao ,
E d' esser preso e morto a risco venni :
Io gli prestai denar' , grida Brandino .
Dice un altro : a mie spese il frate tenni
Un anno, e lo rimessi io veste e ia arme ;
Di cavallo e d' argento gli sovvenni .
Se fin che tutti beano aspetto a trarrne
La volontà di bere ; o me di sete ,
O secco il pozzo d' acqua veder parme .
Meglio è star ne la solila quiete ,
Che provar , s' egli è ver , che qualunque erg*
Fortuna in alto , il tuffa prima in Lete .
Ma fia ver , se ben gli altri vi sommerge,
Che costui sol non accostasse al rivo
Che del passato ogni memoria asterge .
Testimonio son io di quel ch'io scrivo:
Ch'io non l'ho ritrovato, quando il piede
Gli baciai prima , di memoria privo .
Piegossi a me da la beata sede ;
La mano e poi le gote ambe mi prese,
E '1 santo bacio in amen due mi diede .
Di mezza quella bolla anco cortese
Mi fu , de la qual ora il mio Bibiena
Espedito mi ha il resto a le mie spese .
Indi col seno e con la falda piena
Di speme , ma di pioggia molle brutto ,
La notte andai sin al Montone a cena .
O sia vero che '1 papa attenda tutto
Ciò che già offerse, e voglia di quel seme
Che già tant' anni sparsi or darmi il frutto
Sia ver che tante mitre e diademe
Mi doni , quante Giona di cappella
A la messa papal non vede insieme :
Satiriche. 26
lia ver che d' oro m' empia la scarsella
E le maniche e '1 grembo , e se non basta ,
M' empia la gola il ventre e le budella;
ara per questo piena quella vasta
Ingordigia di aver ? Rimarrà sazia
Per ciò la sitibonda mia cerasta ?
)al Marocco al Calai , dal INilo in Dazia ,
Non che a Roma anderò , se di potervi
Saziare i desiderj impetro grazia .
£a quando cardinale , o de li servi
Io. sia il gran servo, e non ritrovino anco
Termine i desiderj miei protervi ;
n che util mi risulta essermi stanco
In salir tanti gradi ? Meglio fora
Starmi in riposo, e affaticarmi manco.
fel tempo eh' era nuovo il mondo ancora ,
E che inesperta era la gente prima ,
E non eran le astuzie che son ora ;
l pie d'un alto monte, la cui cima
Parea toccasse il cielo , un popol , quale
Nou so mostrar , vivea ne la valle ima ;
]he più volte osservando la ineguale
Luna, or con corna or senza, or piena or scema
Girar pel cielo al corso naturale ;
l credendo poter da la suprema
Parte del monte giungervi, e vederla
Come si accresca, e come in se si prema \
]hi con canestro , e chi con sacco per la
Montagna cominciar' correr in su ,
Ingordi tutti a gara di teuerla ^
fedendo poi non esser giunti più
Vicini a lei, cadeano a terra lassi ,
Bramando in vau d' esser rimasi giù ,
26 P O E 9 I %
Quei eh' alti li vedean dai poggi Lassi f
Credendo che toccassero la luna ,
Dietro venian con frettolosi passi .
Questo monte è la ruota di Fortuna ,
Ne la cui cima il volgo ignaro pensa
Ch' ogni quiete sia , ne ve n' è alcuna «
Se ne P onor contento o ne la immensa
Ricchezza si trovasse, io loderei
Non aver , se non qui , la voglia intensa;
Ma se vediamo i papi e i re, che Dei
Stimiamo in terra, star sempre in travaglio,
Che sia contento in lor dir non potrei.
Se di ricchezze al turco, e s'io m'agguaglio
Di dignitade al papa , ed ancor brami
Salir più in a!to , e mal me ne prevaglio ;
Convenevole è ben che ordisca e trami
Di non patire a la vita disagio,
>iù di
Che più di quanto ho al mondo è ragio-n ch'ami;
Ma se P uomo è sì ricco, che sta ad agio
Di quel che dà natura, contentasse
Dovria , se fren pone al desir malvagio .
Che non digiuni , quando vorria tiarse
L' ingorda fame , ed abbia fuoco e tetto ,
Se dal freddo e dal sol vuol ripara rse :
Ne gli convenga andare a pie, se astretto
E di mutar paese ; ed abbia in casa
Chi la mensa apparecchi, e acconci il letto;
Che mi può dare , o mezza o tutta rasa
La testa , più di questo ? Ci è misura
Di quanto pon capir tutte le vasa .
Convenevole è ancor che s' abbi cura
De V onor suo; ma tal, che non divenga
Ambizione , e passi ogni misura .
Satiriche. 27
l vero onore è eh' uom da ben ti tenga
Ciascuno , e che tu sia ; che non essendo ,
Forza è che la bugia tosto si spenga .
Ihe cavaìiero o conte o reverendo
11 popolo ti chiami, io non t' onoro ,
Se meglio in te, che il tilol, non comprendo.
!he gloria t' è vestir di seta e d'oro,
E quando in piazza appari o ne la chiesa
Ti si levi il cappuccio il popol soro ?
'oi dica dietro: ecco chi diede presa
Per danari a' Francesi Porta Giove,
Che '1 suo signor gli avea data in difesa.
hiante collane , quante cappe nuove
Per dignità si comprano, che sono
Pubblici vituperi in Roma e altrove ?
restir di romaguuolo , ed esser buono ,
Io mi contento ; ed a chi vuol con macchia
Di bareria , Toro e la seta dono.
)i verso al mio parer il Bomba gracebia ,
E dice: abb' io pur roba, e sia l'acquisto
O venuto pel dado o per la macchia :
lempre ricchezze riverir ho visto
Più che virtù , poco il mal dir mi nuoce ;
Si riniega anco e si bestemmia Cristo .
*ian piano , Bomba , non alzar la voce:
Besremmian Cristo gli nomini ribaldi
Peggior' di quei che lo chiovaro in croce;
fla. ben gli onesti e i buoni dicon mal di
Te, e dicon ver, che carte false e dadi
Ti danno i beni eh' bai mobili e saldi ;
ì tu dai Jor da dirlo , perchè radi
Più di te in questa terra stracciati tele
D'oro e broccati, velluti e zendadi .
28 P d E S I 8
Quel che devresti ascondere, rivele;
A' furti tuoi che star devrian di piatto,
Per me' mostrarli allumi le candele :
E dai materia eli' ogni savio e matto
Intender vuol % come ville e palazzi
Dentro e di fuor in sì pochi anni hai fatto:
E come così vesti e così sguazzi :
E risponder è forza che a te è avviso
Esser grand' uomo, e che dentro ne guazzi*
Pur che non se lo veggia dire in viso,
Non stima il Borno che sia biasmo , s' ode
Mormorar dietro ch'abbia il frate ucciso.
Se ben è stato in bando un pezzo , or gode
L' ereditate in pace ; e chi gli agogna
Mal , freme indarno, e indarno se ne rode
Quei!' altro va se stesso a porre in gogna
Facendosi veder con quella aguzza
Mitra , acquistata con tanta vergogna .
Non avendo più bel d' una cucuzza ,
Ha meritato con brutti servigi
La dignitate e '1 titolo che puzza
A gli spirti celesti umani e stigi .
Satiriche. 29
SATIRA
a Sigismondo Malaguzzo.
1
I ventesimo giorno di febbrajo
Chiude oggi T anno, che da questi monti
Che danno a' Toschi il vento di rovajo,
Qui scesi , dove da diversi fonti
Con eterno romor confondon I* acque
La Turrite col Serchio fra duo ponti ,
Per custodir , come al signor mio piacque ,
II gregge grafasmin , che a lui ricorso
Ebbe tosto eh' a Roma il Leon giacque :
Che spaventato, e messo in fuga , e morso
L'aveva dianzi, e V avria mal condotto,
Se non venia dal ciel giusto soccorso .
questo in tanto tempo e il primo motto
Ch' io fo a le Dee che guardano la pianta ,
De le cui fronde io fui già così ghiotto .
La novità del loco è stata tanta,
Ch' ho fatto come augel che muta gabbia ,
Che molti giorni resta che non canta,
Sigismondo cugi -\ , che taciuto abbia
Non ti meravigliar , ma meraviglia
Abbi rhe morto io non sia ormai di rabbia,
Vedendomi lontan cento e più miglia ,
E m'abbian monti e fiumi e selve escluso
Da chi tien del mio cor sola la briglia.
Con altre cause e più degne mi scuso
Con gli altri amici, a dirti il ver: ma teco
Liberamente il mio peccato accuso.
3o Poesie
Altri , a chi lo dicessi , nn occhio bieco
Mi volgerebbe addosso , e un muso stretto :
Guata poco cervel , poi diria seco .
Degno uom , da chi esser debba un popol retto,
Uom che poco loutan da cinquant' anni
Vaneggi nei pensier' di giovinetto .
E direbbe il vangel di san Giovanni;
Che se ben erro, pur non son sì losco,
Che '1 mio error non conosca, e ch'io noi danni.
Ma che giova , s' io il danno e s' io '1 conosco ,
Se non ci posso riparar , né trovi
Rimedio alcun che spegna questo tosco ?
Tu forte e saggio , che a tua posta muovi
Questi affetti da te , che in uom nascendo
Natura affigge con sì saldi chiovi !
Fisso è in me questo, forse non sì orrendo,
Come in alcun eh' ha di me tanta cura ,
Che non può tollerar eh' io non mi emendo:
E fa come io so alcun che dice e giura,
Che quello e questo è poco ; e quanto lungo
Sia il cimier del suo capo non misura .
Io non uccido, io non percuoto o pungo,
Io non do uoja altrui ; sebben mi dolgo ,
Che da chi meco è sempre , io mi dilungo :
Perciò non dico , ne a difender tolgo
Che non sia fallo il mio ; ma non si grave ,
Che di via più non ne perdoni il volgo .
Con minor acqua il volgo , non che lave
Maggior macchia di questa , ma sovente
Al vizio titol di virtù dato bave.
Ermilian sì del danajo ardente , ,
Come di esso il Gianfa , e che* lo brama
Ognora in ogni loco , da ogni gente ;
Satiriche. 3r
Se amico ne f ratei né se stesso ama :
Uomo d' industria, uom di grande ingegno,
Di gran saper , di gran valor si chiama .
jonfia Rinieri , ed ha il suo grado a sdegno ;
Esser gli par quel che non è ; più innanzi
Che in tre salt' ir non può , si mette il segno,
fon vuol che in ben vestir altri Y avanzi ;
Spenditor scalco falconiero e cuoco
Vuol, chi lo scalzi, e chi gli tagli innalzi.
)ggi uno, e diman vende un altro loco;
Quel che in molt' anni acquistar' gli avi e i patri,
Getta a man' piene, e non a poco a poco.
Costui non è chi morda , o chi gli latri ;
Ma liberal magnanimo si noma
Fra i volgari giudiej oscuri ed atri .
Polonio di faccende sì gran soma
Tolle a portar, che ne saria già morto
Il più forte somier che vada a Roma .
Tu '1 vedi in Banchi, a la d< gaua , al porto,
In camera Apostolica e in castello,
Da un ponte a l'altro a un volger di occhio sorto;
li stilla notte e dì sempre il cervello ,
Come al papa ognor dia freschi guadagni,
Con dazj nuovi e multe , e con balzello .
lode fargli saper che se ne lagni ,
E dica ognun che a 1' ulil del padrone
Non riguardi parenti ne compagni :
1 popol T odia', ed ha d' odiar ragione ,
Se d' ogni mal che la città flagella,
Gli è ver eh' egli sia il capo e la cagione .
1 pur grande e magnifico s' appella ;
Né senza prima discoprirsi il capo
Il nobile o '1 plebeo mai gli favella .
3z Poesie
Laurin si fa de la sua patria capo ,
Ed in privato il pubblico converte;
Tre ne confina , a sei ne taglia il capo :
Comincia volpe , ed indi a forze aperte
Esce leon , poi eh* ha il popol sedutto
Con licenza con doni e con offerte :
GÌ' iniqui alzando , e deprimendo in lutto
I buoni, acquista titolo di saggio,
Di furti stupri e d' omicidj brutto .
Così dà onore a chi dovrebbe oltraggio ,
Ne sa da colpa a colpa scerner 1' orbo
Giudicio , a cui non mostra il sol mai raggi<
Estima il corbo cigno , e il cigno corbo ;
Se sentisse eh' io amassi , fa ria un viso ,
Come mordesse allora allora un sorbo .
Dica ognun come vuole , e siagli avviso
Quel che gli pare: in somma ti confesso ,
Che qui perduto il canto, il giuoco, il rise
Questa è la prima; ma molt' altre appresso,
E molt' altre ragion posso al iegarte ,
Che da le Dee m* han tolto di Permesso.
Già mi fur dolci inviti a empir le carte
I luoghi ameni di che il nostro Reggio,
E '1 natio nido mio n' ha la sua parte .
Il tuo Maurizia 11 sempre vagheggio,
La bella stanza, e '1 Rodano vicino
De le Najadi amato ombroso seggio .
Il lucido vivajo onde il giardino
Sì cinge intorno , '1 fresco rio che corre
Rigando V erbe , ove poi fa il molino .
Non mi si pon da la memoria torre
Le vigne e i solchi del fecondo Jaco ,
La valle e '1 colle e la ben posta torre.
Satiriche. 33
"ercando or questo ed or quel loco opaco,
Qui in più d'una lingua e in più d' un stile
Rivi traea sin dal gorgoneo laco.
trailo allora gli anni miei fra aprile
E maggio belli, ch'or l'ottobre dietro
Si lasciano, e non pur luglio e sestile.
la ne d'Ascia potrian ne di Libetro
Le amene valli, senza il cor sereno,
Far da me uscir gioconda rima e metro.
)ove altro albergo era di questo meno
Conveniente ai sacri studj, voto
D'ogni giocondità, d'ogni orror pieno?
La nuda Pania tra l'aurora e '1 noto,
Da l'altre parti il giogo mi circonda
Che fa d'un pellegrin la gloria noto :
)uest' è una falda , ov' abito , profonda ,
D'onde non muovo pie senza salire
! Del selvoso Appennin la fiera sponda.
) starmi in rocca, o voglia a l'aria uscire,
Accuse e liti sempre e gridi ascolto ,
Furti omicidj odj vendette ed ire ;
ì ch'or con chiaro, or con turbato volto
Convien ch'alcuno prieghi, alcun minacci,
Altri condanni, ed altri mandi assolto;
Ih' ogni di scriva, ed empia fogli, e spacci
Al duca, or per consiglio or per ajuto,
Sì che i ladron' eh' ho d' ogn' intorno scacci.
tei saper la licenza in eh' è venuto
Questo paese, poi che la Pantera,
Indi il Leon 1* ha fra eli arti«ìi avuto,
jui vanno gli assassini m sì gran schiera,
Che un'altra che per prenderli ci è posta,
! Non osa trar del sacco la bandiera.
Poesie Salir. 3
34 Poesie
Saggio chi dal Castel poco si scosta ;
Ben scriva a chi più tocca, ma non torna
Secondo ch'io vorrei, mai la risposta.
Ogni terra in se stessa alza le corna ;
Che sono ottantatrè , tutte partite
Da la sedizion che ci soggiorna .
Vedi or se Apollo, quando io ce lo invite,
Vorrà venir lasciando Delfo e Cinto
In queste grotte a sentir sempre lite.
Dimandar mi potresti, chi m' ha spinto
Dai dolci studj , e compagnia sì cara ,
In questo rincrescevo! laberinto?
Tu dei saper che la mia voglia avara
Unqua non fu; ch'io solea star contento
De lo stipendio che traea in Ferrara.
Ma non sai forse come uscii poi lento
Succedendo la guerra ; e come volse
Il duca che restasse in tutto spento?
Fin che quella durò, non me ne dolse;
Mi dolse di veder che poi la mano
Chiusa restò , eh' ogni timor si sciolse.
Tanto più che l'ufficio di Melano,
Poi che le leggi vi tacean fra l'armi,
Bramar gli affitti suoi mi facea in vano.
Ricorsi al duca: o voi, signor, levarmi
Dovete di bisogno , o non v' incresca
Ch'io vada altra pastura a procacciarmi.
Grafagnini io quel tempo, essendo fresca
La lor rivoluzion, che spinto fuori
Avean Marzocco a procacciar d'altr'esca,
Con lettere frequenti e ambasciatori
Replicavano al duca, e facean fretta
D' aver lor capi , e loro usati onori .
Satiriche 35
Fu di me fatta una improvvisa eletta;
O fosse perchè il termine era breve
Di consigliar chi pel miglior si metta:
) pur fu appresso il mio signor più. leve
11 bisogno de' sudditi , che '1 mio;
Di eh' obbligo gli ho quanto se gli deve.
obbligo gli ho del ben voler, più eh' io
Mi contenti del dono, il quale è grande,
Ma non molto conforme al mio desio.
)r se di me a quest' uomini dimande ,
Potrian dir che bisogno era di asprezza,
Non di clemenza a l'opre lor nefande.
Come nò in me, così né contentezza
E forse in lor ; io per me son quel Gallo
Che la gemma ha trovato , e non l'apprezza.
Jon come il Veneziano, a cui il cavallo
Di Mauritania in eccellenza buono
Donato fu dal re di Portogllo:
il qual per aggradire il real d^io,
Noti discernendo , che mestierV diversi
Volger timoni, e regger briglie sono,
ìopra vi salse , e cominciò a tenersi
Con mani al legno , e co' sproni a la pancia;
Non vo' , seco dicea , che tu mi versi.
lente il cavallo pungersi , e si lancia ;
E '1 buon nocchier più allora preme e stringe
Lo sprone al fianco , aguzzo più che lancia ,
l di sangue la bocca, e'1 fren gli tinge:
Non sa il cavallo a chi ubbidir, o a questo
Che '1 torna indietro, o a quel che l'urta e spinge;
?ur se ne sbriga in pochi salti presto:
Rimane in terra il cavalier col fianco
Con la spalla col capo rotto e pesto:
36
Poesie.
Tutto di polve e dì paura bianco
Si levò al fin del re mal satisfatto»
E lungamente poi se ne dolse anco:
Meglio avrebbe egli, ed io meglio avrei fatto,
Egl' iJ bea del cavallo , io del paese ,
A dire : o re signor , non ci son alto :
Sii pur a un altro di tal don cortese.
Satiriche, 87
SATIRA
a Bonaventura Pistofilo.
p
istofilo , tu scrivi che se appresso
Papa Clemente ambasciator del duca
Per un anno o per due voglio esser messo ,
}h' io te ne avvisi, acciò che tu conduca
La pratica ; e proporre anco non resti
Qualche viva cagion che mi v' induca :
]he lungamente io sia stato di questi
Medici amico , e conversar con loro
Con gran domestichezza mi vedesti ,
)uando eran fuorusciti , e quando foro
Rimessi in casa , e quando in su le rosse
Scarpe Leone ebbe la croce d'oro :
}he oltre che a proposito assai fosse
Del duca , estimi che tirare a mio
Utile e onor potrei gran poste e grosse :
]he più da fiume grande , che da uti rio
Posso sperar di prendere , s' io pesco.
Or odi quanto a ciò ti rispond' io:
o ti ringrazio prima , che più fresco
Sia sempre il tuo desire in esaltarmi ,
E far di bue mi vogli in barbaresco :
*oi dico che pel fuoco , e che per Y armi
A servigio del duca in Francia e fn Spagna
E in India, non che a Roma puoi mandarmi»
la per dirmi che onor vi si guadagna
E facultà , ritruova altro zimbello ,
Se vuoi che 1' augel caschi ne la ragna.
38 Poesie
Perchè quanto a l' onor * ri' ho tutto quello
Che io voglio ; hasta che in Ferrara veggio
Da più di sei levarmisi il cappello.
Perchè san che talor col duca seggio
A mensa , ne riporto qualche grazia ,
Se per me o per gli amici gliela chieggio;
E se , come di onor mi trovo sazia
La mente , avessi facultà a bastanza ,
Il mio desir si fermeria , ch'or spazia.
Sol tanta ne vorrei , che viver sanza
Chiederne altrui mi fosse in libertade;
Il che ottener mai più non ho speranza :
Poi che tanti mie' amici potestade
Hanno avuto di farlo ; pur rimaso
Son sempre in servitude e in povertade.
Non vo' più che colei che su del vaso
De T incauto Epi meteo a fuggir lenta ,
Mi tiri com' un bufalo pel naso.
Quella ruota dipinta mi sgomenta ,
Ch' ogni mastro di carte a un modo finge ;
Tanta concordia non cred' io che menta.
Quel che le siede in cima , si dipinge
Un asinelio : ognun lo enigma intende ,
Senza che chiami a interpretarlo Sfinge.
Vi si vede anco che ciascun che ascende ,
Comincia a inasinir le prime memhre ,
E resta umano quel che a dietro pende
Fin che de la speranza mi rimcmbre ,
Che coi fior' venne e con le prime foglie,
E poi fuggì senza aspettar settembre :
Venne il dì che la chiesa fu per moglie
Data a Leone , ed a le nozze vidi
A tanti amici miei rosse le spoglie.
Satiriche. 3g
tVenne a calènde , e fuggì innanzi a gl'idi:
Fin che me ne riraembre , esser non puote
Che di promessa altrui mai più mi fidi.
>La sciocca speme a le contrade ignote
Salì dal ciel quel dì che '1 Pastor santo
La man mi strinse , e mi baciò le gole :
iVla fatte in pochi giorni poi di quanto
Potea ottener le sperienze prime ,
Quanto andò in alto, in giù tornò altrettanto»
Fu già una zucca che montò sublime
In pochi giorni tanto , che coperse
A un pero suo vicin 1' ultime cime :
1 pero una mattina gli occhi aperse ,
Ch' avea dormito un lungo sonno , e visti
1 nuovi frutti sai capo sederse ;
Le disse : chi sei tu ? come salisti
Qua su ? dove eri dianzi , quando lasso
Al sonno abbandonai questi -occhi tristi?
pila gli disse il nome , e dove al basso
Fu piantata mostrogli ; e che in tre mesi
Quivi era giunta accelerando il passo.
Sd io , T arbor soggiunse , a pena ascesi
A quest' altezza , poiché al caldo e al gelo
Con tutti i venti trenta anni contesi.
Via tu eh* a un volger d'occhi arrivi in cielo,
!| Renditi certa che non meno in fretta
Che sia cresciuto , mancherà il tuo stelo.
dosi a la mia speranza , che a staffetta
Mi trasse a Roma, potea dir chi avuto
Per Medici sul capo avea l'accetta:
]Ihe gli avea ne l'esilio sovvenuto,
O chi a riporlo in casa , o chi a crearlo
Leon d1 umil agnel gli diede ajuto.
40 Poesie
Chi avesse avuto lo spirto di Carlo
Sosena allora , avria a Lorenzo forse
Detto , quando sentì duca chiamarlo ;
Ed avria detto al duca di Nemorse,
ÀI cardinal de' Rossi , e al Bibiena ,
A cui meglio era esser rimaso a Torse.
E detto a Contessina e a Maddalena ,
A la nuora a la suocera ed a tutta
Quella famiglia d' allegrezza piena :
Questa similitudine sia indutta
Più propria a vii , che , come vostra gioja
Tosto montò , tosto sarà distrutta :
Tutti morrete , ed è fatai che muoja
Leone appresso , prima che otto volte
Torni in quel segno il foirdator di Tcoja.
Ma per non far, se non bisognar» , molte
Parole , dico che fur sempre poi
L'avare spemi mie tutte sepolte.
Se Leon non mi die , che alcun de' suoi
Mi dia noa spero : cerca pur questo amo
Coprir d'altra esca , se pigliar mi vuoi ;
Se pur ti par eh' io vi debba ire , andiamo ;
Ma non già per onor ne per ricchezza;
Questa non spero, e quel di più non brame
Più tosto dì ch'io lascerò V asprezza
Di questi sassi, e questa gente inculta,
Simile al luogo ov' ella è nata e avvezza.
E non avrò , qual da punir con multa ,
Qual con minacce ; e da dolermi ognora ,
Che qui la forza a la ragione insulta.
Dimmi eh' io potrò aver ozio talora
Di riveder le Muse, e con lor sotto
Le sacre froudi ir poetando ancora.
Satiriche. 41
Dimmi eh' al Bembo al Sadoleto al dotto
Giovio al Cavallo al Blosio al Molza al Vida
Potrò ogni giorno , e al Tibaldeo far motto :
Ter d' essi or uno , e quando un altro guida
Pe i sette colli , che col libro in mano
Roma in ogni sua parte mi divida.
Jui , dica , il circo , qui il foro romano ,
Qui fu suburra ; è questo il sacro clivo ;
Qui Vesta il tempio, e qui il solea aver Giano.
)immi ch'avrò di ciò eh' io, leggo o scrivo
Sempre consiglio , o da latin quel torre
Voglia o da tosco, o da barbtto argivo.
)i libri antiqui anco mi puoi proporre
Il numer grande , che per pubblico uso
Sisto da tutto '1 mondo fé' raccorre.
roponendo tu questo , s' io ricuso
L'andata , ben dirai che tristo amore
Abbia il discorso razionai confuso.
A in risposta , come Emilio, fuore
Porgerò il pie , e dirò : tu non sai dove
Questo calzar mi prema , e dia dolore,
)a me stesso mi tol chi mi rimove
j Da la mia terra : e fuor non ne potrei
Viver contento, ancorché in grembo a Giove.
I s'io non fossi d'ogni cinque o sei
Mesi stato uno a passeggiar fra il duomo ,
E le due statue de' marchesi miei ;
•a sì uojosa lontananza domo
Già sarei morto, o più di quelli macro ,
Che stan bramando in purgatorio il pomo.
B pur ho da star fuor, mi fia nel sacro
Campo di Marte senza dubbio meno ,
Che in questa fossa , abitar duro ed acro.
42 Poesie
Ma se '1 signor vuol farmi grazia a pieno ,
A se mi chiami ; e mai più eoa mi mandi
Più là d'Argenta , o più qua dal Bondeno.
Se perchè amo sì il nido mi dimandi,
Io non te lo dirò più volentieri ,
Ch' io soglia al frate i falli miei nefandi ;
Che so ben che diresti : ecco pensieri
D' uom che quarantanove anni a le spalle
Grossi e maturi si lasciò F altr' jeri.
Buon per me ch'io m'ascondo in questa valle,
Ne F occhio tuo può correr cento miglia
A scorger se le guancie ho rosse o gialle.
Che vedermi la faccia più vermiglia ,
Bea eh' io scriva da lunge , ti parrebbe ,
Che non ha madonna Ambra , né la figlia:
0 che '1 padre canonico non ebbe ,
Quando il fiasco del vin gli cadde in piazza,
Che rubò al frate oltre li dui che bebbe.
S' io ti fossi vicin , forse la mazza
Per bastonarmi pigleresti tosto
Che m'udissi allegar, che ragion pazza
Non mi lasci da voi viver discosto.
Satiriche. 4J3
SATIRA.
A. M. Annibale Maleg uccio.
D
a tutti gli altri amici , Annibal', odo
Fuor che da te, che sei per pigliar moglie;
Mi duol che '1 celi a me, che'l facci lodo:
orse mei celi perchè a le tue voglie
Pensi eh' oppor mi debbia , com1 io danni
3Non l'avendo toh' io s'altri la toglie?
e pensi di me questo tu t'inganni:
Benché senza io ne sia, non però accuso
Se Pietro l'ha, Martin, Polo, e Giovanni.
li duol di non l'avere , e me ne scuso
Sopra varj accidenti che l'effetto
Sempre dai buon voler tennero escluso.
la fui di parer sempre, e così detto
L'ho più volle, che senza moglie a lato
Non puote uom' in bontad' esser perfetto,
[e senza si può star senza peccalo;
Che chi non ha del suo , fuori accattarne
Mendicando o rubandolo è sforzato :
ì chi s'usa beccar dell' altrui carne
Diventa ghiotto, ed oggi Tordo o Quaglia,
Di man Fabiani , un altro dì vuol Starne :
lon sa quel che sia amor, non sa che vaglia
La caritade , e quindi avvien che i Preti
Sono sì iugorda e sì crudel canaglia .
Jhe lupi sieno e ch'asini indiscreti,
Mei dovreste saper dir voi da Reggio,
Se già il timor non vi tenesse cheti;
44 Poesie
Ma senza che '1 diciate, io me n'avveggio,
Dell' ostinata Modeua non parlo ,
Che tutto che stia inai merla star peggio.
Pigliala se la vuoi , fa se dei farlo ,
E u6n voler , com' il dottor Bonleo
Air estrema vecchiezza prolungarlo:
Queir età più al servigio di Lieo
Che di Vener conviensi : si dipinge
Giovane fresco e non vecchio Imeneo.
Il vecchio allora che'l desio lo spinge,
Di se presume , e spera far gran eose ;
Si sganna poi , eh' al paragon si stringe.
Non voglion rimaner però le spose
Nel danno , sempre e' è man adiutrice
Che sovviene alle pover' bisognose :
E se non fusse ancor, pur ognun dice
Ch'egli è cosi: non pon fuggir la fama
Più che del ver del falso relatrice ,
La qual patisce mal chi 1' onor ama:
Ma questa passion debole è nulla
Verso un'altra maggior ser Jorio chiama.
Peggio è, dice, vedersi un ne la culla
E per casa giocand' ir duo bambini 3
E poco prima nata una fanciulla ;
Ed esser di sua età giunto a' confini,
E non aver chi dopo se lor inostri
La via del bene, e non gli fraudi e uncini.
Pigliala, e non far com' alcuni nostri
Gentiluomini fanno, e molti fero
Cb'or giaccion per le Chiese e per li chiostri
Di mai non la pigliar fu il lor pensiero ,
Per non aver figliuoli che far pezzi
Debbiau di quel eh' appena basta intiero.
Satiriche. 45
uel eh' acerbi non fer, maturi e mezzi
Fan poi con biasmo: trovan ne le Ville
E spesso in le cucine a cbi far vezzi :
lascono figli , e crescon le faville ,
Ed al fin pusillanimi e bugiardi
! S' inducono a sposar villane e ancille
lerchè i figli non restino bastardi ;
i Quindi è falsificato di Ferrara
: In gran parte il buon sangue, se ben guardi.
luindi la gioventù vedi sì rara ,
; Cbe le virtudi e gli bei studj , e molta,
Che degli Avi materni i stili impara.
[jgin , fai bene a tor moglier; ma ascolta:
Pensaci prima; noa varrà poi dire
Di no , s'avrai di sì dett' una volta .
I questo il mio consiglio proferire
a Ti vo', e mostrar sebben non lo richiedi,
Quel che tu dei cercar, quel che fuggire.
b ti ridi di me forse? e non vedi
Com' io ti possa consigliar, che avuto
Non ho in tal nodo mai collo ne piedi?
fon hai quando due giocano veduto
jChe quel che sta a vedere ha meglio spesso
Ciò che s' ha a far, che il giocator saputo?
tu vedi che tocchi o vada appresso
Al segno il mio parer, dagli il consenso,
Se no, reputa '1 sciocco, e me con esso.
la prima ca io ti mostri altro compenso ,
T'avrei da dir , che s'amo rosa face
Ti fa pigliar moglier, che segui il senso,
(mi virtute è in lei s' ella ti piace,
So ben che né Ora tor Latin ne Greco
Saria a dissuadertelo efficace.
46 Poesie
Io non son per mostrar la strada a un cieco ;
Ma se tu il bianco e'1 rosso e'1 ner comprendi
Esamina il consiglio ch'io t'arreco.
Tu che vuoi Donna, con gran studio intendi
Qual sia stata e qual sia la madre e quali
Sien le sorelle, se all'onore attendi.
Se in cavalli se in buoi se in bestie tali
Guardiana le razze; che fa rem' in questi
Che son fallaci più ch'altri animali?
Di vacca nascer cerva non vedesti,
Né mai colomba d'aquila , né figlia
Di madre infame , di costumi onesti.
Oltra che '1 ramo al ceppo s'assomiglia ,
11 domestico esempio , che le aggira
Pel capo , sempre ogni bontà scompiglia :
Se la madre ha due amanti , ella ne mira
A quattro a cinque e spesso a più di sei ,
Ed a quanti più può la rete tira;
E questo per mostrar che men di lei
]Non è leggiadra, e non le fur dei dono
Della beltà men liberali i Dei .
Saper la balia e le compagne è buono,
S' appress' il padre sia nodrita o in corte,
Al fuso all'ago, o pur in canto e in suono.
Non cercar chi più dote o più ti porte
Titoli e fumi e più nobil parenti
Ch' al tu' onor si convenga o alla tua sorte ,
Che diffidi sarà, se non ha venti
Donne poi dietro e staf fiero e un ragazzo
Che le sciorini il cui , tu la contenti.
Vorrà la nana un buffoncello un pazzo ,
E compagni da tavola e da giuoco ,
Che tutto il di la tengano in sollazzo.
Satiriche 47
è tor di casa il pie né mutar loco
Vorrà senza carretta , beneh' io stimi
Fra tante spese questa spesa poco ;
he se tu non la fai , che sei de' primi
[Di sangue e di ricchezze iu la tua T^rra,
\ Non la faran già quei che son degl' imi;
I se mattina e sera ondeggi and' erra
Con cavalli a vettura la Giannicca ;
• Che farà chi del suo gli pasce e ferra?
a se l'altre n' han due, ne vuol la ricca
Quattro: se le compiaci più che '1 Conte
Rinaldo mio, la l'inviluppa e ficca.
ì le contrasti , pon la pace a monte ,
E com' Ulisse al canto tu l'orecchia
Chiudi a pianti a lamenti a gridi ed onte.
lai non le dire oltraggio , o t'apparecchia
Cento udirne per uno, e che ti punga
Più che pugner non suol vespe né pecchia.
(ria che ti sia ugual teco si giunga
Che por non voglia in casa nuove usanze,
iNè più del grado aver la coda lunga.
bn la vo' tal che di bellezze avanze
L'altre, e sia in ogn' invito, e sempre vada
Capo di schiera per tutte le danze.
la bruttezza e beltà trovi una strada
|Dov' é gran turba, né bella né brutta;
IChe non t' ha da spiacer , se non t'aggrada.
Ili quindi esce , a man dritta trova tutta
!La gente bella, e dal contrario canto
[Quanta bruttezza ha il Mondo esser ridutta;
jiinci più sozze , e poi più sozze quauto
Tu vai più innanzi, e quindi trovi i visi
Più di bellezza e più tener il vanto .
48 Poesie
S'ove dei tor la tua vuoi che t'avvisi.
Dirò in la stradalo a man ritla ne i campi
Ma che di là non sien troppo divisi .
Non ti scostar, non ir dove tu inciampi
In troppo bella moglie, sì che ognuno
Per lei d'amore e di desire avvampi:
Molti la tenteranno , e quando ad uno
R epugni a due a tre, non star in speme
Che non ne debbia aver vittoria alcuno.
Non la tor brutta , che lorresti insieme
Perpetua noia: mediocre forma
Sempre lodai, sempre dannai l'estreme.
Sia di buon' aria , sia gentil , non dorma
Con gli occhi aperti ; che più l'esser sciocca
D' 03 n' altra ria deformità deforma.
Se questa in qualche scandalo trabocca
Lo fa palese in modo, che dà sopra
Gli fatti suoi faccenda ad ogui bocca.
L'altra più saggia si conduce all'opra
Secretameli te , e studia come il gatto
Che l'immondizia sua la terra copra.
Sia piacevol, cortese, sìa d' ogn' atto
Di superbia uemica, sia gioconda,
Non mesta mai, noti mai col ciglio attratto;
Sia vergognosa, ascolti e non risponda
Per te dove tu sia uè cessi mai,
Ne mai stia in ozio, sia pulita e monda.
Di dieci a ìi ni o di dodici se fai
Per mio consiglio sia di te minore,
Di pari o di più età non la tor mai ;
Perche passando, come fa, il migliore
Tempo e i begli anni in lor prima che in noi
Ti parria vecchia, essendo anco tu in fiore.
Satiriche. 49
;rò vorrei, lo sposo avesse i suoi
I Treot' anni: quell'età che '1 furor cessa
: Prest' al voler , prest' al pentirsi poi .
lima Dio, ma eh' udir più d' una Messa
(Voglia il di, non mi piace, e vo' che basti
S' una o due volte l'anno si confessa.
fon voglio che con gli asini che basti
Non portano abbia pratica, ne faccia
j'Ogni dì torte al confessore e pasti.
balio che si contenti della faccia
liChe Dio le diede, e lasci '1 rosso e'1 bianco
Alla signora del signor Ghinaccia .
luor che lisciarsi, un ornamento manco
i D'altra ugual gentildonna ella non abbia;
: Liscio non vo' , ne tu credo il vogli anco*
£ sapesse Ercolan dove le labbia
Pon quando bacia Lidia , avria più a schivo
! Che se baciasse un cui marcio di scabbia.
jon sa che il liscio è fatto col salivo
Delle Giudee che '* vendon , ne con tempre
Di muschio ancor perde l'odor cattivo ?
ìon sa che con la merda si distempre
De' circoncisi lor bambini il grasso
D'orride serpi ch'in pastura han sempre?
>h quant' altre sporcizie a dietro lasso,
Di che s'ungono il viso quando al sonno
S'acconcia il fianco steso e il ciglio basso :
jicchè quei che le baciano ben ponno
Con men schivezza e stomachi più saldi
Baciar loro anco a nova luna il conno.
1 solimato e gli altri unti ribaldi,
Di che ad uso del viso empion gli armari,
Fan che sì tosto il viso lor s'affaldi:
Poesie Satin 4
So Poesie
O che i bei denti che già fur si cari
Lascili la bocca fetida e corrotta ,
O neri e pochi restino e inai pari.
Segua le poche e non la volgar frotta ,
IN è sappia far la tua bianco ne rosso,
Ma sia del filo e della tela dotta.
Se lai la trovi , consigliar ti posso
Che tu la prenda : se poi cangia stile
E che si tiri alcun galante addosso,
O faccia altr' opra enorme , e che simile
Il frutto in tempo del ricor non esca
A i molti fior eh' avea mostrati aprile ;
Delia tua sorte e non di te t' incresca ,
Che per indiligenza e poca cura
Gusti diverso all'appetito l'esca.
Ma chi va cieco a prenderla a ventura,
O chi fa peggio assai che la conosce
E pur la vuol , sia quanto voglia impura ,
Se poi pentito si batte le cosce ;
Altri che se non de' imputar del fallo,
3Xè cercar compassion delle sue angosce.
Poi che t' ho posto assai ben a cavallo
Ti voglio an.co mostrar come lo guidi ,
Come spinger lo dei, come fermali©.
Tolto che moglie avrai, lascia gli nidi
De gli altri, e sta sul tuo, che qualch' augello
Trovandol senza te non vi s'annidi .
Falle carezze ed amala con quello
Amor che vuoi eh' eli' ami te , aggradisci ,
E ciò che fa per te pajati bello.
Se pur tal volta errasse , l'ammonisci
Senz'irà con amor; e sia assai pena
Che la facci arrossir senza por lisci.
Satiriche Si
Ifeglio con la man dolce si raffrena,
Che cou forza il cavallo , e meglio i cani
Le lusinghe fati luoi , che la catena.
luesti animai che soa molto più umani
, Corregger non si den sempre con slegno ,
Nò al mio parer mai con menar le mani:
(a' ella ti sia compagna abbi disegno,
E non come comprata per tua serva
Reputa aver in lei dominio e regno.
ferea di soddisfarle ove proterva
Non sia la sua dimanda, e compiacendo
Quanto più amica puoi te la conserva.
the tu la lasci far non ti commendo
Senza saputa tua ciò eh' ella vuole,
Che mostri non fidarti anco riprendo.
((ire a conviti e pubbliche carole
Non le vietar, né a gli suoi tempi a Chiese
Dove ridur la nobiltà si suole.
Èli adulteri ne in piazza né in palese ,
Ma in casa di vicini e di comadri
Balie e tal genti han le lor reti tese.
Abile sempre a i chiari tempi e a gli adri
Drieto il pensier , né la lasciar di vista,
Che '1 bel rubar suol far gli uomini ladri»
Sudia che compagnia non abbia trista;
| A chi ti vien per casa abbi avvertenza ,
i Che fuor non temi , e dentro il mal cousistaj
la studia farlo cautamente senza
Saputa sua; che si dorria a ragione
S' in te sentisse questa diffidenza:
lavale quanto puoi l'occasione
DT esser puttana; e pur s'avvien ebe sia,
Almeu eh* ella non sia per tua cagione.
52 Poesie
Io non so la miglior di questa via
Che già t' ho detto , per chivar eh' in pre(
Ad altri la tua Donna non si dia.
Ma s' ella n'avrà voglia , alcun non creda
Di ripararci, ella saprà ben come
Far eh' al suo inganno il tuo consiglio ced
Fu già un Pittor, non mi ricordo il nome,
Che dipignere il Diavolo solea
Con bel viso begli occhi e belle chiome;
Né pie d'augel ne corna gli facea,
JNà facea sì leggiadro ne sì adorno
L'Angel da Dio mandato in Galilea.
Il Diavol reputandosi a gran scorno
S' ei foss' in cortesia da costui vinto,
Gli apparve in sogno un poco innanz'il giorni
E gli disse in parlar breve e succinto
Chi egli era, e che venia per render merto
Dell' averlo sì bel sempre dipinto.
Però lo richiedesse e fosse certo
Di subito ottener le sue dimande ,
E d'aver più che non se gli era offerto.
Il ineschili eh' avea moglie d'ammirande
Bellezze, e ne vivea geloso, e n'era
Sempre in sospetto ed in angustia grande ,
Pregò che gli mostrasse la marnerà
Che s'avesse a tener perchè il marito
Potesse star sicur della mogliera.
Par che '1 Diavolo allor gli ponga in dito
Un anello e ponendolo gli dica:
Fin che cel tenghi esser non puoi tradito.
Lieto eh' ornai la sua senza fatica
Potrà guardar si sveglia il mastro e trova
Che '1 dito alla mogliera ha nella fica.
Satiriche, 53
luest' anel tenga io dito e non lo mova
[Mai chi non vuol ricevere vergogna
Da la sua d'Anna, e appena anco gli giova
lirch' ella voglia, e farlo si dispoglia .
£<l Poesie
SATIRA
A M. Pietro Bembo CàrdinàlKc
B
embo , io vorrei , com' e il comun desi$
De solleciti padri, veder l'arti
Ch'esaltali l'uom tutte in Virginio mio.
E perchè d' esse in te le miglior parti
Veggio e le più , di questo alcuna cura
Per l'amicizia nostra vorrei darli.
Non creder però eh' esca di misura
La mia domanda, eh' io voglia tu facci*
L'ufficio di Demetrio o di Musura:
Non si danno a' par tuoi simili impacci, *
Ma sol che pensi e che discorri teco ,
E saper da gli amici anco procacci ,
S' in Padova o' n Vinegia è alcun buon Greci
Buono in scienzia e più in costumi , il quii
Voglia insegnargli e 'n casa tener seco:
Dottrina abbia e bontà, ma principale
Sia la bontà ; che non v' essendo questa,
He molto quella a la mia estima vale^
So beu che la dottrina fia più presta
A lasciarsi trovar che la bontade;
Sì mal l'una nell'altra oggi s'innesta.
Oh nostra male avventurosa etade !
Che le virtuti che non abbian misti
Vizj nefandi si ritrovin rade.
Pochi ci son Grammatici e Umanisti
Senza il vizio per cui Dio Sabaot
Fece Gomorra e i suoi vicini tristi ,
Satiriche. 55
{]he mandò il foco giù dal Cielo < t quo't
Eran tatti coosunse, sicché a pena
Campò fuggendo un innocente Lot.
lide il volgo se sente un eh* abbia vena
Di poesia, poi dice è gran periglio
A dormir seco e volgergli la schiena;
d oltre a questa nota il peccadiglio
i Di Spagna gli dann'anco, che non creda.
i lu unità del Spirto il Padre e il Figlio:
on ebe contempli come Fun proceda
Da l'altro o nasca, e come il debol senso
! Ch' uno e tre possan essere conceda ;
la gli par che non dando il suo consenso
| A quel cb'approvan gli altri/ mostri ingegno
Da penetrar più su ebe '1 Cielo/ immenso.
f '1 Nicoletta o fra Martin fan segno
I D'infedele o d'eretico, ne accuso
! TI sottil studio, e men con lor mi sdegno,
jerchè salendo l'intelletto in suso
1 Per veder Dio , nou de' parerci strano
Se talor cade giù cieco e confuso.
Ja. tu, del qual lo studio è tutto umano,
E son li tuoi soggetti i boschi i colli ,
! Il mormorar d'un rio che rigbi il piano ;
Cantar antichi gesti e render molli
Con prugni animi duri , e far sovente
Di false iodi i Principi satolli ;
limmi che trovi tu , che sì la mente
Ti debba avviluppar, sì torre il senno,
Che tu non creda come l'altra gente?
\ nome che d'Apostolo ti denno
■ O d'alcun minor Santo i padri quancLo
Cristiano d'acqua e non. d'altro ti fenap.
56 Poesie
In Cosmico in Pomponio vai mutando,
Altri Pietro in Pierio, altri Giovanni
In Jano o in Jovian va racconciando;
Quasi che'l nome i buon giudici inganni,
E che quel meglio t'abbia a far Poeta,
Che'l studio e l'esercizio di molt' anni:
Esser tali dovean quelli che vieta
Che sian ne la Repubblica Platone
Da lui con sì santi ordini discreta.
Ma non fu tal già Febo ne Annone
Ne gli altri che trovaro i primi versi,
Che col bel stile e più con l'opre buone
Persuasero a gli uomini a doversi
Ridurre insieme e abbandonar le ghiande
Che per le selve li traeau dispersi;
E fer cbe i più robusti, la cui grande
Forza era usata a li minori torre
Or mogli or gregge or le miglior vivande,
Si lasciaro a le leggi sottoporre ,
E cominciar versando aratri e glebe
Del sudor lor più giusti frutti a corre.
Indi i Scrittor fero a l' indotta plebe
Creder eh' al suon de le soavi Cetre
L'un Troja, e l'altro edificasse Tebe,
E eh' avean fatto scendere le pietre
Da gli alti monti , ed Orfeo tratt' al canto
Tigri e Leon da le spelonche tetre.
S' io mi corruccio, Bembo, e grido alquanto
Più con la nostra che con l'altre scole,
Non è eh' in l'altre non vegga altrettanto :
D'altea correzion , che di parole
Degno, riè del fallir de' suoi scolari
Non pur Quintiliano è che si duole.
Satiriche. 57
da se degli altri io vo' scoprir gli altari ,
Tu dirai che rubato e del Pistoja
E di Pietro Aretino abbia gli armari ,
)egli altrui studj onor e biasmo : noja
? Mi dà e piacer, ma non come s'io sento
Che viva il pregio de' Poeti e moja.
kltri menti mi dolgo e mi lamento
j Di sentir riputar senza cervello
I II biondo Aonio e più leggier che '1 vento;
Ohe se del Dottoraccio suo fratello
I Odo il medesmo, al quale un altro pazzo
Donò l'ori or del manto e del cappello,
fiù mi duo! ch'in vecchiezza voglia il guazzo
j Placidian , che giovin dar soleva,
E che di Cavalier torni ragazzo ;
]he di seni ir che simil fango aggreva
11 mio vicino Andronico, e vi giace
Già settant' anni e ancor non se ne leva.
|e m' è detto che Pandaro è rapace,
, Curio goloso, Pontico Idolatro,
| Flavio biastemmator, viepiù mi spiace ;
Ihe se per poco prezzo odo Cusatro
Dar le sentenze false, o che col tesco
! Mastro Battista mescoli il veratro,
ij> che quel mastro in teologia eh' al Tosco
I Mesce il parlar facehin si tien la scroffa,
j E già n'ha duo bastardi eh' io conosco,
le per saziar la gola sua gaglioffa
I Perdona a spesa, e lascia che di fame
| Langue la madre e va mendica e goffa ;
Joi lo sento gridar che par eh' ei chiame
Le guardie, ch'io digiuni e ch'io sia casto,
ì E che quanto me stesso il prossim' ame.
58 Poesie
Ma gli error eli quest' altri così il basto
De* miei pensier non gravano, che molto
Lasci '1 dormire o perder voglia un pasto.
Ma per tornar là dond' io mi so'i tolto ;
Vorrei eh' a mio figliuolo un precettore
Trovassi meno in questi vizj involto,
Che ne la propria lingua de l'autore
GÌ' insegnasse d'intender ciò ch'Ulisse
Sofferse a Troja e poi per lungo errore,
Ciò che Apollonio e Euripide già scrisse,
Sofocle e quel che da le morse fronde
Par che Poeta in Ascra divenisse,
E quel che Galatea chiamò da Y onde,
Pindaro e gli altri a cui le Muse argive
Donar sì dolci lingue e sì faconde.
Già per me sa ciò che Virgilio scrive ,
Terenzio Ovidio Orazio, e le Plautine
Scene ha vedute guaste e appena vive.
Ornai può senza me per le latine
Vestigie andar a Delfo, e de la strada
Che monta iti Elicon vedere il fiue.
Ma perchè meglio e più sicuro ei vada ,
Desidero ch'egli abbia buone scorte,
E sien de la medesima contrada.
Non vuol la mia pigrizia o la mia sorte
Che del tempio d'Apollo io gli apra in Delo
Come gli fei nel Palatin le porte.
Ahi lasso, quando ebbi al Pegaseo melo
L'età disposta e che le fresche guancie
Non si vedean ancor fiorir d'un pelo ,
Mio Padre mi cacciò con spiedi e lance
Non che con sproni a volger testi e chiose, |
E m'occupò cinqu' anni in quelle ciance;
Satiriche* Sg
tfa poi che vide pcco fruttuose
L'opere e il tempo in van gettarsi, dopo
Molto contrasto in libertà mi pose.
assar veni' anni io mi trovava ed uopo
Aver di pedagogo , eh' a fatica
Inteso avrei quel che tradusse Esopo.
ortuna molto mi fu allora amica,
Che m'offerse Gregorio da Spoleti,
Che ragion vuol eh' io sempre benedica:
'enea d'ambe le lingue i bei secreti,
E potea giudicar se miglior tuba
Ebbe il figliuol di Venere o di Teti.
la allora non curai saper d'Ecuba
La rabbios'ira, e com' Ulisse a Reso
La vitali un tempo e li cavalli ruba;
ih' io velea intender prima in ch'avea offeso
Enea Giuncn, che 1 bel regno da lei
Gli dovesse d'Esperia esser conteso.
bèi saper re la lingua degli Achei
Non mi reputo onor, s'io non intendo
Prima il parlare de' Latini miei,
entre l'uno acquistando e differendo
Vo l'altro, l'occasion fuggì sdegnata,
Poiché mi porge il crine ed io noi prendo*
i fu Gregorio da la sfortunata ,
Duchessa tolto, e dato a quel figliuolo
A chi avea il Zio la Signoria levata ;
ì (he vendetta, ma con suo gran duclo,
Vid' Ella presto : ahimè perchè del fallo
Quel che peccò ncn fu punito solo?
ol zio il nipote, e fu poco intervallo ,
Del stato e dell'aver spogliati in tufo
Prigioni andar sotto il dominio Gallo.
60 Poesie
Gregorio a' prieghi d' Isabella indutto
Fu a seguire il discepolo là dove
Lasciò morendo i cari amici in lutto.
Questa jattura e l'altre cose nuove
Ch' in quei tempi successero, mi fero
Scordar Talia Euterpe e tutte nove.
Mi more il Padre, e da Maria il pensiero
Dietro a Marta bisogna eh' io rivolga,
Ch'io muti in squarci ed in vacchette Omero
Trovi marito, e modo che si tolga
Di casa una sorella e un' altra appresso,
E che l'eredità non se ne dolga :
Co' piccoli fratelli, a* quai successo
Era in luogo di padre , far l'uffizio
Che debito e pietà m'avea commesso:
A chi studio a chi Corte a chi esercizio
Altro proporre, e procurar non pieghi
Da le virtuti il molle animo al vizio .
Ne quest' è sol eh' agli miei studj nieghi
Di più avanzarsi, e basti che la barca ,
Perchè non torni a dietro, al lito leghi;
Ma si trovò di tant' affanni carca
Allor la mente mia, ch'ebbi desire
Che la cocca al mio fìl fesse la Parca.
Quel la cui dolce compagnia nutrire
Solea i miei studj e stimolando innanzi
Con dolc' emulazion solea far ire :
Il mio parente amico fratello, anzi
L'anima mia, non mezza no ma intiera,
Senza ch'alcuna parte me n'avanzi:
Morì Pandolfo poco dopo; ah fera
Scossa eh' avesti allor, stirpe Ariosta
Di ch'egli un ramo, e forse il più bell'era
Satiriche. 6i
li tant'onor vivendo t'avria posta ,
I Ch'altro a quel né in Ferrara ne in Bologna
I Qnd' hai l'antiqua origine, s'accosta.
[e la vii tu dà onor , come vergogna
I 11 vizio , si potea sperar da lui
Tutto Toner che buon animo agogna.
la morte del Padre e de li dui
I Si cari amici aggiungi , che dal giogo
ì Del Cardinal da Este oppresso fui; '
the da la creazione insino al rogo
Di Giulio, e poi sett'anni anco di Leo,
Non mi lasciò fermar molto in un luogo,
] di Poeta cavallar mi feo :
Vedi se per le balze e per le fosse
Io poteva imparar Greco o Caldeo,
[i maraviglio che di me non fosse
Come di quel filosofo a chi '1 sasso
! Ciò eh' innanzi sapea dal capo scosse.
3embo, io ti prego in somma pria che '1 passo
Chiuso gli sia , eh' al mio Virginio porga
I La tua prudenza guida eh' in Parnasso ,
Gre per tempo ir non sepp' io, lo scorga.
62
ERCOLE BENTIVOGLIO
SATIRA
a Pietro Antonio Accuditoli.
S
opra i bel colli che vagheggiali Y Arno,
E la nostra città ch'or duolsi ed have
Pallido il viso e lagrimoso indarno ,
Son un di quei che con fatica grave
Al marz'al lavoro armati tiene
Quel che di Pietro ha 1* una e l' altra chiave
Qui vivo in mille guai disagi e pene;
Onde forza è di por Y arti in obblio »
Per cui famose son Corinto e Atene:
Che invece di Catullo e Tibui mio ,
Del Mantovano e di colui d' Arpino ,
La lancia tutto il giorno in man tenga* io *
Satiriche. 63
Ji vece de V Albano e del divino
• Trebbian , che ber costì solea , gusto uno ,
"Vie più che aceto dis[>iacevTol vino.
ti duro pane muffido e più bruuo ,
Che '1 mantel vostro amaramente rodo,,
E non n'avendo , ancor spesso digiuno.
I dormir spero a mezza notte , i' odo
«La tromba che m'invita a tor la lancia,
E la celata dispiccar dal chiodo .
li nemici talor con mesta guancia
iiMiro, vi dico il ver, tutto pauroso, ;
Che il capo mi si fori o braccio o pancia .
Cuante volte dico io meco pensoso :
Saggio chi stassi dove non rimbomba
D' archibugio lo strepito no j oso .
fe suon ori ibil d' importuna tromba ,
Ne di tamburo il sonno sbaccia a lui ,
Né teme ad or ad or 1' oscura tomba .
D voi prudente , o ben accorto , e vui
Fortunato Acciajuol , che lontan sete
Dai perigliosi casi ove siam nui !
Ekcemi udir che in sanità vivete
Coi cari figli ; e vi dirò di queste
Nuove , che di saper desir avete .
Pchi denari , e gran timor di peste
Ha questo campo , e sol gli archibugi empi
Le scaramucce fanno aspre e funeste .
Ciolmi il veder che i begli antichi esempi
Non seguan questi capitan' che vanno
Sotto così vii peso a questi tempi:
I usan la modestia che usat' hanno
Gli antichi capitani, che i palagi
Le case non volean eh' avesser danno :
64 Poesie
Glie insino i templi qui, non dai disagi
Di legna astretti , gettati hanno a terra
Per porli al foco i barbari malvagi .
Soleasi usar che il vincitor in guerra
Spogliava solo il vinto ; e tra noi oggi
Spogliasi, e col pugnai di poi s'atterra.
Convien eh' io miri ovunque scenda o poggi I
Malgrado mie fierezze acerbe e nuove
Per questi vostri già sì ameni poggi ,
Atti orrendi da dir colà già dove
Entrar la Sieve nel nostro Arno io vidi ,
Forse d' altr' uom già mai non visti altrove
Da otto , e che Spagnuoli eran m' avvidi
Dal parlar e dal volto , un villanello
Legato fu non senza amari gridi:
Che partito dal suo povero ostello
A vender biada e fieno iva a Fiorenza,
Di eh' era carco un piccolo asinelio .
Quivi il misero fecer restar senza
Membro viril , che gli tagliar' di botto
Sordi a mille miei preghi in mia presenza:
Ne sazj fur di tal martir quegli otto
Ladri, del sangue italico sì ingordi ,
Che 1' arsero ancor tutti col pilotto ,
Come fa mastro Anton le starne e i lordi
3Ne lo schidone, e non però puniti
Dai capitani fur rigidi e sordi .
E veggo altri crudeli alti infiniti ,
Che d' onor privan le captive donne ,
Presenti i padri e i miseri mariti .
E tolte lor anella e cuffie e gonne ,
Fannosi cuoche e meretrici tutte
Quelle che dianzi fur caste e madonne.
Satiriche. 65
vecchie prendon o stroppiate o brutte ,
Vi so dir che le conciari col bastone ,
Sì che non hanno mai le luci asciutte.
i bella è la prigiona , il suo giubboue
Le mette il tristo, e una berretta in testa*
Poi T usa in ogni uffizio di garzone .
Cfoituuata, e non simile a questa ,
0 degna d' ahi onori antica etade ,
;.Men acerba e crudèl , vie più modesta !
Ilor che i capitan' fur di boutade
D'animo invitto e di virtù ripieni,
E ogni atto rio fuggir' di crudeltade !
lima pace , rimena i dì sereni ,
E con le spiche e cou V oliva in mano %
Col sen di pomi ornai ritorna e vieni :
fcche tra noi spento il furor insano,
L' Italia assai assai tiuta di sangue
Riposi , e '1 tempio chiudasi di Giano .
Userà Italia , che sospira e langue ,
;p chiede indarno a' suoi signori aita ,
Più rigidi ver lei , che tigre od angue .
}e s' impetro io da la bontà infinita
D' uscir di questi bellicosi affanni ,
E che ritorni a casa con Ja vita;
\ vo' , Acciajuol, che più mi logri i panni
Spallazzo , ne che '1 capo elmo mi prema,
Via con le Muse e con Apol questi anni
f ere in pace insino a F ora estrema .
Poesìe Satin
66
LUIGI ALAMANNI
SATIRA
ad Alessandra Seristora Consorti .
JL er quantunque dolor in' astringa il core
Alessandra gentil , consorte cara ,
Non può dramma scemar del nostro amore
Ne far potrà V empia mia sorte avara ,
•Che del santo Imeneo Y invitta face
Non viva sempre in me più d' altra chiare
In memoria di lei qui vinto giace
Ogni negro pensier, per lei ritorna
L'antica guerra in onorata pace.
Ben mi sovvien come fu sempre adorna
L' alma vostra gentil d' onesta fede ,
Cui par non vede il sole ovunque aggiorna
Satiriche. 67
la mi sovvien che d' essa altra mercede
[Non aveste ancor mai , che doglia e pene ,
]om' or sentite voi , com' altri vede .
l che possiam noi più , se lei che tiene
>otto se il mondo, e noi chiainiam Fortuna,
Con torta lance il mal ne dona e '1 bene?
I nostro buon oprar sotto la luna
Eterna povertà tristezza e scherno
Sol si riceve senza grazia alcuna .
rtiamo in pace ; che se dritto scerno ,
Di più nobil tesoro in altra parte
pi serva il premio il gran Monarca eterno .
tardate pur nel mondo a parte a parte,
E vedrete virtù negletta e nuda
Fuor del comun sentiero ire in disparte,
ìschi per lei seguir s' affanna e suda ,
Zoa V arme da soffrir da fame e gelo
Sovente è forza che si scherma , e chiuda .
i non sa che '1 cammin da gire al cielo
j£ di spine ripien sassoso ed erto*
Zhe cangiar face innanzi tempo il pelo?
i^ìtro è sempre a chi vuol piano ed aperto %
*Che scende il basso a la città di Dite ,
[pnde i più vanno dietro al vulgo incerto.
■ questo andati son quei eh' han seguite
\icchezze e pompe, e in altrui pianto a morte
Le scellerate voglie hanno compite,
vadan pur con le sue false scorte
Tutti , che molto più che altrui non pare
-•ungo han 1' amaro , e le dolcezze corte .
■vero saggio e buon terrà più care
[Le nostre povertà , eh' oro e terreno
jPien di tristezza , se ben lieto appare •
68 Poesie
Tal ride in vista , che 81 asconde fn seno
Pianto influito, e spesso invidia s' ha ve
Di tal eh' è dentro di miseria pieno .
Non è vita più queta e più soave ,
Che '1 sentir seco la sua mente pia
Libera e scarea d' ógni culpa grave :
Disprezzando il morir quantu.ujue sia
Nel cor sicuro, che speranza e tema
Non ne faccia lasciar la dritta via .
Che nascer puote a 1' uom cui nullo prema
Desir di cosa che nel tempo pera ,
E nulla speri al mondo e nulla tema ?
Questo è '1 sicuro scudo , e 1' arme vera
Contro a chi poco in noi fortuna vale ,
Chi- ad ogni colpo suo rimane intiera .
Il viver qui come caduco e frale
Usar conviensi , e tener fiso il guardo
A quel viver dappoi chiaro immortale .
Ahi secol pigro a! bene oprar sì tardo ,
Come or son pochi chea! divino, e al sempn
Più che al breve e al mortai pren Jan riguardi
Quii è colu» eh; in disusate tempre
Or non s' affanni in guadagnare affanni ,
Ne con pena trovar la pena tempre ?
Quello oggi spende saggiamente gli anui ,
Che col suo travagliar travaglia il mondo
Cercando I* util suo ne gli altrui danni .
O^gi ouor porta a nuli' altro secondo,
Non chi giova e mautieo, ma quel che so
O 1' amico o il vichi più mette in fondo .
lyia chi gli ha in pregio? l'ignorante stuolo:
Ed io so ben che andar vilmente veggio
Tal che più d' essi riverisco e colo
no1
Satiriche. 69
Irò onor, Giove, altre ricchezze chieggio ,
Che non son queste che un momento sgombra,
E che van di dì in di cangiando seggio .
J altro è ricchezza poi ch'una fals' ombra
!)' immaginato ben che lunge mostra
)olce, e poi presso d'ogni amaro ingombra?
froi , consorte pia, de l'alta nostra
Riseria estrema nulla doglia abbiate :
Mostrisi al tempo rio la virtù vostra .
m è disnor la chiara povertate ;
|nzi esser non potria fregio più bello
?ra tanta nobiltà tanta o»-- estate.
Élmancava al venir 1' empio flagello ,
!orse Andromaca avria men chiaro il nome,
Cassandra e l'altre del trojano ostello:
onelia , e quella che con brevi chiome
egnio il suo sposo, eterna vita avranno,
ciche sepper portar sì gravi some .
Enpo ancor d^e venir* s'io non m'inganno,
[he qual più in cima per fortuna sale ,
(orterà invidia a 1' onorato danno ,
'1 vostro alto valor farà immortale *
7°
ANTONIO VINCIGUERRA
SATIRA
Uinlnww
V^ uando in esiglio povere e deluse
Veggio andar le virtuti , e quando io pro^
In vii guadagno mendicar le Muse ;
Pien di mestizia a lagrimar commovo
Gli occhi languidi , e vommene fra via
Dicendo : ahi lasso , in* che stato mi trovo!
Ove ho riposto la speranza mia ?
Misera etade , secolo infelice ,
Ove cosa non è che buona sia!
Da F una parte veggio la cornice
Gracchiar per li teatri , e Filomena
Pianger ne' boschi il suo tempo felice .
Da F altra il tauro Fallerato mena
Sotto il giogo a F aratro i buon' corsieri ,
E questo è quel che il mondo tristo pena
Satiriche. ji
tosi seti vauno l'arti e i magisteri
i Tutti in rovina , e non è chi sollevi
Chiaro ingegno, di cui fama si speri.
Ira storditi pensieri inculti e lievi
Trastulla il mondo, e fra giudizj falsi»
Fra discorsi imperfetti avari e brevi .
|e mai del cieco error suo mi prevalsi ,
| Qui le pompe rinunzio , e qui il suo orgoglio,
Che scrivo in onde , ed aro in lidi salsi .
oi eh' io veggo pien d' ira e di cordoglio
Fuggirsi Apollo , e pianger le pudiche
Sorelle che sa Parnaso onorar soglio.
15 Marsia cinto di loquaci piche
Trionfar , e Minerva si distrugge
Godendo Aracne , e Y altre sue nemiche*
on la siringa in man Cilleuio fugge ,
Ch'Argo è già desto, e contra lui s'affanna^
Come leone che per fame rugge.
i Cherulo superbo siede in scranna
Lodato dal gran figlio di Filippo,,
Benché ogni altro giudizio il preme e danna .
otto è il decreto , e venga ornai Lisippo
Con quant' arte si voglia , e venga Apelle ,
Che tanto è in prezzo buon* quant' occhio lippo*
hi può stipar più il ventre e le mascelle
Di pubbliche rapine , oggi è più degno
D' abitar su nel ciel fra 1' altre stelle ;
ero convien eh' io canti per disdegno ,
Ch' essendo sul fetor de la sentina ,
Non posso contener 3' animo pregno.
urga qui 1' alta tuba venosi na ,
La citara d' Arunca , e quel d' Aquino
Che il scettro tiene in satira latina <
72 Poesie
Fulmini Persio , e 1' antiquo Cratino ,
Su sa rion , Men andrò e Filemone
Con st il chiaro sonante e pellegrino .
'Poi che l'avara ed invida Giunone
Sbarrato ha V uscio, e non vuol eh' entri a Giove
D' altro vello mantel , che di montone ;
E da la reggia sua 1' aquila move
Per annidarvi 1' affamate arpie ,
Ch' arman gli artigli adunchi a tutte prove .
Fra lor voglie crudeli atroci e rie
Siede 1' invidia di virtù nemica ,
Tutta ripiena d' odj e gelosie *
Questa è Ja fera livida che intrica
Tutti i disegni gloriosi e chiari :
Onesta è colei che i cor' gentil' fatica .
Pallida e marra siede fra i preclari
Scettri con gli occhi vagabondi e torti ,
Che a mirar drillo par che mai no* impari.
Denti scabri di f< ito acuti e forti
Fan siepe a quella sua lingua di serpe ,
Che molti ingegni tien sepolti e morti .
Fele e cicuta per il petto serpe ;
Ne ride s' altrui doglia non 1' invita ;
Brama 1' error del mondo , ed odia Euterpe.
In lei non regna sonno , ma vestita
Di vigilanti cure sempre mira
Ne 1' altrui bene con doglia infi iita .
Questo è il supplizio che 1' ann^ji e gira ;
Questo è quell' incurabile letargo
Che lei a morte distruggendo tira .
Da l'altro canto più desta, che Argo ,
Sollecita la madre d' og'ii viz'n ,
Che un mar nel venire suo profondo e largo ,
Satiriche. 73
n abisso di gola , un precipizio
Apre , quando la mira il scellerato
Danar , eh' è sempre d' ogni male inizio,
lede furti rapine usure a lato,
Servitute idolatra , ingorde brame,
ì Sono i ministri del suo iniquo stato .
fual più vago di ferro che di rame
{Struzzo, costei d'or fin solo e d'argento,
iPar che si strugga da rabbiosa fame .
birto ansioso, privo di contento
Per la fiera voragine ebe prende
Sue voglie ardite in ogni tradimento.
I corso naturai sola contende ;
Che quando ogni animai satollo dorme,
Lei dopo il pasto maggior fame accende.
^gile sempre con sue crude voglie
Ringiovenisce , poi che il tempo invecchia
L'altre cose create in varie forme.
[jtiesto è quel simulacro in cui si specchia
L'umana cecità, che il sommo bene
Perverte sempre, e a mal fin s'apparecchia.
tiesto è il velen che serpe per le vene
De le mitre superbe e de' tiranni
Ch* hanno posto in ricchezze ogni lor spene .
laaro seme de' futuri danni ,
Che Italia impregna , e languida sul parto
Già si comincia a torcer da gli affanni.
fir te grida vendetta il sangue sparto
De la vittima orrenda che '1 gran manto
Squarcia , e non trova ad emendarlo sarto .
[palazzo di Cristo, il tempio santo
iFatto è un macel , che di sì crudo e fiero
Non se ne dette mai Taurica il vanto .
74 Poesie
Fame d' or fin , cupidità d' impero
Adulterali la sposa casta e ignuda
Che congin nge il figìiuol di Dio con Piero,
Fera superba indomita che suda
Sotto il gran giogo al carro de' mortali,
Con la testa alta disdegnosa e cruda ,
Viensene ardita fulminando strali
Di vana ambizion tumida e pregna
Per dominar sovra gli altri animali •
La sua faccia leonina par che sdegna
Ogni placabil gesto, ogni atto umile,
Ogni affabilità soave e degna .
Due corna ha in testa altere e signorile
Qual cervo d' oro fino in rami sparte,
Cingendo al collo un splendido monile .
Di ferro il petto crudo ha più che Marte
Vaga di se , come F uccel di Ghino ,
Che vagheggia il tesor suo da ogni parte #
Questa insolente par che mai alcuno
Lodar non possa , e pertinace vogli
Farsi adorar con voti da ciascuno .
Vanità gloriosa , alteri orgogli ,
Jattanza elazion fasto alterezza
Son de le corna sue tristi germogli ,
Puzzale il muschio altrui , suo sterco apprezza 9
Cercando ne le pompe esser veduta
Risplender porporata in grande altezza .
Questa ignoraute bestia non saluta ,
Salvo con qualche maestà d* un cenno ,
Loquace in comandar , in pregar muta .
O fabbro eterno protettor di Lenno
Fabbrica a Giove il coruscante dardo
Che fulmini la belva senza senno .
Satiriche. y5
Lingua procace , petulante sguardo ,
Gesti insolenti , esistimar se stessa
Sono le tube innanzi al suo stendardo .
Dolcemente a 1' orecchia se le appressa
Blanda adulazion, che il cor titilla
Sentendola prurir soave e spessa.
Or vien colei che in delizie sortilla ,
Dolce velen fra il biasmo di coloro
Ch' arsero il cor di sua trista favella :
tfudrita in ozio in seta in gemme in oro ,
Muschj , zibetti , acque odorate e fiori
D' ogni spirto gentil tristo divoro .
Morbida e lascivetta fra gli odori
Siede cantando , spettorata e molle
Per invescar di gente vana i cori .
pome nel petto uman fervida bolle ,
Come vilmente in stretto groppo allaccia
Lo spirto che dal fango non si estolle .
bianca e vermiglia la lisciata faccia
Volge , e queir occhio capestrello > e ghiotto
Ladro , che sempre a depredar procaccia .
)1 crespoletto crino sparso e rotto
In mille vaghe ondette , in mille nodi
S' inghirlanda di perle e d' or di sotto .
ìarnalità, lussuria in tutti i modi
Par che con cenni e con le membra gridi
Costei eh' ha 1* arte degli inganni e frodi .
tei petto meretricio par che annidi
! Cupidine con l'arco e con la rete ,
Come insidian le mosche i ragni ai ni di .
Trecce ritorte in crespanti comete ,
! Cincinnetti riccielli e calamistri ,
Sproni che accendon la venerea sete .
:
j6 Poesie
Stili e mollette son fidi ministri
Da inarcar ciglia, e dilatar la fronte,
Ov' ha il gioco di Flora i suoi registri .
Le ampolle il specchio le bussoleite onte
Di liscio , bambard , tenaci gorae ,
Destri ruffiani a le fattezze conte.
I carriaggi , le opulenti some
Del suo peculio son fogge diverse
Da snudar petti , ed increspar le cbiome .
Circe mai in tanti porci non disperse
I compagni di quel che in sul telaro
Lasciò la moglie , e dieci anni si perse »
Quanti costei converte in lutto amaro ,
Quanti ne fa impazzir , quanti balordi
Fa poi volar con gli stornelli a paro .
Lievi pensieri , desiderj ingordi ,
Mollizie voluttà lascivia e stupro
Sono i consigli suoi fetidi e lordi .
Se qui del dir la vena non recupro ,
Febo , col tuo favor , 1' oro eh' io prendo
Fia di men prezzo , che valor di cupro .
Qui non s' impara poetar dormendo
Nel monte ascreo; ma la mia cetra incorda
L'altra che surge, nuova trama ordendo.
Questa le labbra par che lecchi e morda
Turgide al mento torte e rubiconde ,
De le quai mai 1' i giù via non discorda.
Non si cerca o lorar di laurea fronde
Quegli aspri crini d'ogni sorte inculti,
Ch' bau sempre in odio le pegasid'onde*
Ma de' leccardi condimenti esculti
Sono conteste in nodi le ghirlande ,
Ch' avrebber mosso Apisio a novi insulti*
Satiriche. 77
Lucido il volto di grassezza paude ,
Come il cuoco de' frati in Padoliro ,
Che suda sempre fra le torte grande.
Duesto è il flagel la strage il gran martiro
Di starne di cappon' grassi e piccioni ,
Che struggono in le brage lor butiro .
|) sfortunati e miseri pavoni ,
Che non vi seampan le dorate penne
Da farvi in mensa sua ghiotti bocconi !
Quel che in gran prezzo a Roma già sostenne
Per diventar la contesa lampreda
Il nome ba di costei eh' allor ritenne.
)r vedi con quant' arte ella accoreda
La mensa carca di fumanti piati
Del suo trionfo coquinana preda.
^011 fur mai sì solleciti pirati
In cercar ogni golfo porto e spiaggia ,
Come F aere costei , mar' bosebi e prati .
fiè d' altro studio par che mai cura aggia ,
; Salvo d' incrudelir nel tristo sangue
D' ogni fera domestica e selvaggia .
(uggito di leon , sibilar d' angue ,
! Non è di tanto orror , quant' è il suo fischio,
! Che per terror ogni animante langue .
Ìon la vorace ingiù via or non m' arrischio
Tesser più lunga tela ; or volgi il subb'O
Per tramar nuovo fil stroppiato e mischio.
kmara più che mai fele o ma nibbio
' Sga.zza con furia torbida e crudele ,
i Che questo altrui fa star di vita in dubbio .
|ue voci , suo- muggiti , sue querele
Tonan sì orrende , che ciascu 1 per tema
Par che il sangue nel cor se gli congele .
\
78 Poesie
Due serpi fanno al suo capo diadema;
Che se morendo insieme» e fuor del petto
Gli esce un vapor eh' ogni altro foco scema,
Questa arde di disdegno , e da dispetto
Stride co' denti, e sottosopra solve
La terra il ciel con venenoso affetto »
Le briglie di ragion spezza e dissolve
Quel maligno furor, che vive polpe
Fa spesso convertir con poca polve .
De T avoltor che Giove per le colpe
Di Tizio dette a roder gì' intestini ,
Non men vorace , che affamata volpe ,
Cede a costei nel sangue de' meschini
Trasportata da Y ira che 1' infiamma
Con levità de' suoi moti festini .
L' ultima bestia che sotto la mamma
Di pigrizia si pasce ignara e lenta,
Che mai d' ardir non ebbe in terra dramma,
Timida inerte lorda e sonnolenta
Velisene col color d' un polmonazzo
Flemmatico che sempre in morbi stenta.
L'accidia seco, il vii torpor, che impazzo
Di tutti i chiari e peregrini ingegai
Tiene in delizie lei per gran sollazzo .
Del tardo movimento involto, e cegni
Mostra 1' ardir che in V oziose piume
Suol sbadaechiando far vani disegni .
La forza di colei che ne le spume
Nacque del tristo seme di Saturno
Fervegli il sangue, e in le midolle tume .
Ora pulsando col mio plettro eburno
La lira d' Anfion , che disacerba
Di giorno il pianto, e *1 sospirar notturno,
Satiriche. 79
liggomi sol cercando i fiori e Y erba ,
[Le campagne dipinte , i folti boschi
JPer uscir fuor di questa vita acerba .
la cieca e vulgar gente, ingegni loschi,
Piango mia sorte , e veggio il mondo tutt©
{Tenebrato di vizj orrendi e foschi.
(ki potrebbe tenersi il volto asciutto
[Di lagrime, vedendo il scettro in mano
A F ignoranza eh' ha ogni ben distrutto ?
Li F indo Idaspe e dall' Ibero ispano
Da gF iperborei monti a quei d' Etiopia
j Sentito aprir fu già *1 tempio di Giano .
[ilia , or piango la tua estrema inopia ,
Che tremi al suon de le barbariche armi
fChe già domasti, e fur tua preda propria,
lucida vetustà, rodenti tarmi
Copron F insegne tue di gloria spente ,
{Tal ch'io sento per doglia il cor scoppiarmi,
felica virtù chiara e possente ,
*Del cui splendor già stupefatto il mondo
Si vide, or sei vergogna de la gente
freudo il tuo valor scacciato al fondo .
8o
GIOVANNI ANDREA
DALL' ANGU1LLARA.
SATIRA
al Cardinal di Trento.
T,
ra bassi tra mezzani e tra gli eroi ,
Signor , pastore , e cardinal di Trento ,
INon si ragiona d'altro, che di voi.
S' io vo , s' io sto , s' io non ascolto , sento
Dir del vostro- leggiadro alto intelletto,
E del raro giudizio chi v' è drento.
Da che mi levo in fio ch'io vado a letto,
Altro non mi vien detto, altro non s'ode,
Come se non ci fosse altro soggetto.
0 Dio , come gioisce e come gode
L'antico mio padron Leone Orsino,
Quando racconta qualche vostra lode !
Satiriche. 8i
mostra scritto in volgare e in latino,
Di prose e versi ha sempre le man' piene ,
Che vi scrive oggi ognun , come Pasquino,
li studj e corti e piazze e pranzi e cene
Par che ognor partoriscano qualch* atto
Che fa di voi parlar, e sempre in bene;
1 eh' io mi sono innamorato affatto ,
JE v'ho, monsignor, preso tanto amore,
tehe ne divento ogni giorno più matto.
I che son dolce e tenero di core ,
■Di propria volontà voluto ho farmi
[Vostro perpetuo schiavo e servitore.
Ese mezz' ora vorrete ascoltarmi ,
|!Vi vo' scriver in ciò F animo mio
In questi pochi e cosi fatti carmi,
feono , acciò sappiate chi son io ,
Dottor di leggi , leggente , e in che guisa
Sia fatto , il dirò poi piacendo a Dio.
Uh muse , ora spogliatevi in camisa ,
Sbrachisi Apollo e levisi la giuppa ,
E fate tutti quanti una divisa.
Hate al mio cervel che s* avviluppa ,
E di quel buon licor portate alquanto,
Si che possa con voi fare una zuppa.
)h ner 1' amor di Dio non state tanto ,
uh' io son per fare un' opra assai cattiva ,
|S' una di voi non mi si mette a canto.
Irti, qual fia l'Apollo, e qual la Diva,
Zìi ora eh' io son a l' ordine disposto
^orrà tesser bordone o la mia piva?
■por , io m'ho ne l'animo proposto
1\ farvi servitù, ma d'una sorte,
the non vi rechi utilità né costo.
Poesie Satir. 6
82 Poesie
Vo' corteggiarvi , e non vo' star in corte ,
E non credo servirvi in vita , e giuro
D' esservi servitor infino a morte.
E vi prego e vi supplico e scongiuro ,
Che vi degniate d'accettar in dono
Tutto il resto del viver mio futuro :
E benché inetto inutile e non buouo
Mi conosca per voi , pur nondimanco
E forza ch'io sia vostro tal qual sono.
Ma sebben posso poco e vaglio manco,
Ciò che v'importa, già eh' io non disegno
Di provar se il pan vostro è nero o biantf
Una statua di cera , un uom di legno
Fate conto eh' io sia fatto per voto
Da mastro che non ha troppo disegno ,
Cbe qualche eletto spirito e divoto
Offerisce ad un santo, a la cui chiesa
L' affisse , u' slassi poi fermo ed immoto:
Non ha quel tempio utilità ne spesa ;
Pur guarda il santo a l' animi di quello
Che di divozione è tutta accesa.
Questa mia statua e questo mio modello
Non spregiate , signor , bench' io confesso ,
Ch' egli non è per voi buono ne bello.
Pur io vo' dirvi un'altra cosa appresso,
Che fra le cose preziose e care
Non ho più cara cosa , che me stesso.
Se me stesso vi dono , cbe vi pare?
S' io vi do quello che più stimo e pregio,
Non si deve quest' animo accettare?
Voi che di cortesia , di splendor , fregio ,
Sì come intendo dir, tulti avanzate,
Fatemi fur un ampio privilegio ,
Satiriche. 83
Nel qual si veggia , come m' accettate
Fra vostri eletti e privilegiati
In questa nostra sfortunata etate.
) quattro e cinque volte più beati
Quei che nel vostro vago campo eliso
Sono insieme da volti scelti e chiamati;
Ihe stanno in terra , ed hanno il paradiso
Ed ogui lor tristizia via discaccia
La gran serenità del vostro viso !
ziete grande di corpo , e bel di faccia ,
! E mentre ben tutte le cose esamino ,
Ogni parte eh' è in voi convien che piaccia,
ìhi non contenteriasi del vostr' animo?
Che mi par impossibil che si possa
Trovarne un più. sincero, un più magnanimo.
\l s' ogni scettro , ogni berretta rossa
Fosser locaf in simili soggetti ,
Giriano tutti in gloria iu carne e in ossa,
tton sol sarian felici i vostri eletti,
\ Ma stato avria ciascun lieto e fecondo ,
J tifino quei che tanno dei sonetti.
f che viver sarà lieto e giocondo
! Quando sarete Papa ! o Dio , che festa
Farassi al lor per tutto quanto il mondo!
osse almen presto, e cancar da chi resta:
E forse che a la vostra alma presenza
i Non calzerebbe ben quel regno in testa?
o ben che vi staria per eccellenza,
E pur staravvi a quel che si comprende
Da qualche buona vostra esperienza,
the se siete or soggetto dn faccende,
i Or che sarete in età più matura ?
?Son farete alior voi cose stupende ?
P O E S l E
Questo la musa ine 1* afferma e giura ,
E m' introna gli orecchi , e dice sollo :
Indovinalo pur a la sicura.
O fortunato tempo, s'io vedrollo ,
Quand'ognun sia pur povero e mendico
Si leverà da tavola satollo !
E che sia il Ver quel eh' indovino e dico ,
Ciascun eh' al vostro nome porrà mente ,
Vederi» quanto a Cristo siate amico.
Cristofor siete detto da la gente ,
Perchè portate Cristo in core , e poi
Ragionate con lui divotamente.
Voi parlate con lui, ed io con voi,
Tal ch'egli appar che vi vuol far vicario,
Poi che vi dice tutti i fatti suoi.
Gli basta che siate or suo segretario ;
Che siate poi locotenente vuole ,
E tenghiate le chiavi del Sacrario.
O Mad ruzzo , beata e chiara prole,
Io ho pur gran speranza di vederti
Essere al mondo più chiara che '1 sole.
Sì per grazia del ciel , sì per li merti
Del mio signor , e suoi progenitori
Ne 1' arme chiari e ne le cose esperti ,
Fur sèmpre illustri e splendidi signori,
E furon sempre li palazzi loro
Piicetto di soldati e di dottori.
0 Dio , che di dolor mi struggo e moro ,
Ch'or che dovrei gir alto , io vo più basso,
E non posso servar ben il decoro !
Vorrei trar tliecidotto , e tiro ambasso ,
Mercè di queste muse le quai m'hanno
Portato aceto in vece d' ippocrasso :
Satiriche. 85
II oltra cìòm'han sì pieno d'affanno
Queste tante letture , chiose e testi ,
Che m' han messo il cervello a saccomanno:
I coelici e paragrafi e digesti ,
Bartoli e Baldi m'hanno consamato,
E tutti i sensi conquassati e pesti.
I leggo un certo paragrafo Cato ,
11 qual sì mi tormenta e in* assassina ,
Chi non mi resta ne voce ne fiato.
Lggo la sera , e studio la mattina ;
Al vitto il giorno vo fantasticando,
Che mi manca or il vino or la farina.
Insielerate dunque come e quando
Posso andar in Parnaso a poetare ,
Che non ho un quarto d'ora al mio comando.
5: che, signor, m'avrete a perdonare,
Se quel ch'avrei da dir non dico appieno,
3he per più conti non lo posso fare.
Irque tacer dovrei , e nondimeuo
Tacer non posso, eh' una forza estrema
y amor m'induce a far uè più né meno:
Lzi vi dico più , eh' avea gran tema ,
Se pur non lo sborrava in questo foglio ,
Non generasse dentro una postema.
oche viver desio , più tosto voglio
Ssser tenuto un uom di poco sale ,
£he crepar di martello e di cordoglio.
Utjon tutto che siate un cardinale ,
' ho voluto parlar d' està maniera
1 meglio eh' ho saputo o bene o male.
i ri dico di nuovo a buona cera ,
ihe mi struggo mi moro e mi consumo
)' esser di quelli de la vostra schiera.
86 Poesie
Io desidero al naso questo fumo
Benché il ventre borbotta , ohe si pasce
D' altro che d* ambracane o di profumo.
Si maraviglia che Y arrosto lasce ,
E brami il fumo ; ma non ben si lagna ,
Che bisogna che viva ognun che nasce.
Ma che viva di quel che si guadagna ,
Mi par che dira la scrittura e '1 testo,
Di quel vivo sud or che '1 volto bagna.
Dunque s'io chiedo il fumo, e poi mi resto
Follo perchè s' altramente facesse ,
Non serberei ne '1 giusto ne Y onesto.
Credete , monsignor , s' io mi vedesse
Atto a servirvi , e guadagnar le spese ,
Che servirvi da senno non chiedesse?
Or poi ch'io i\on son atto a tali imprese,
lo vi domando quel che non vi costa,
E che di poco mi siate cortese.
Nomine tantum star a vostra posta ,
Ch' io non son atto da senvio a servire ,
E tutto '1 giorno andar correndo in posta.
Or , monsignor , voi mi potreste dire ,
Ben , chi sei tu che cerchi questo nome?
Io mi vorrei di te meglio chiarire.
Io son per dirvi il nome col cognome,
E la forma d* un uom di ventott' anni
Di scriver quasi dal piede a le chiome.
Son un Andrea congiunto con Giovanni ,
Che vivo ogsri una vita così amara,
Di tutu ì piacer* privo e pien d'affanni.
De la stirpe son io da TAnguilJara,
Ch' ha per insegna Tarme de l'anguille ,
Ch' in molte parti de 1* Italia è chiara*
Satiriche. 87
ria producea guerrieri a mille a mille ;
N' ha prodotti a' di nostri una decina ,
Ch' avrebbon preso gatta eoa Achille.
ol io lasciato ho quella disciplina ,
E mi son tutto volto ad altri studi ,
Sì come il fato e Jl mio destin m' inchina:
'ove s' avvien che m' affatichi e sudi ,
Potrei di qualche pregio esser fra' miei ,
E guadagnarmi uà dì di matti scudi.
bn nato u' fuggì il padre de gli Dei ,
Poi che gli fur tagliati que' cotali
Ai quai spuntano il manico gli E!~rei.
*r, monsignor , mettetevi gli occhiali,
Ch' io vi voglio mostrar un corpo umano ]
Di fattezze superbe ed immortali.
1 sono un uom fra i piccioli un mezzano,
E fra i mezzani un picciolo , e fra i graudi
Mi si potrebbe dir ch'io fossi un nano.
I s' avvien ch'alcun grande mi domandi
Per parlarmi a 1* orecchio cheto cheto ,
Bisogna eh' ei s' impiceoii , io m'ingrandì.
^so ordinario e di natura lieto,
Se la sorte crudel noi fesse tristo ,
Che mi persegue in pubblico e in segreto.
hr con fortezza d'animo resisto
Per grazia che mi vien data di sopra ,
E mi contento e mi riposo in Cristo;
I quel da cui dipende ogni buon'opra
Riposerò fin che la madre antica
Questo corpaccio mio divori e copra.
loirò allor d' affanno e di fatica ;
Che nel regno di Cristo io spero certo
Veder la faccia sua grata ed amica.
88 Poesie
Questo spero per grazia , e non per merto ,
Che mi confesso peccatore e chiamo;
Pur veggo eh' ei mi mostra il core aperto.
E se ben morto son nel padre Adamo ,
Io son poscia rinato a miglior vita
Nel sacrifizio del fìgliuol d' Abramo.
Ma la mia musa è di materia uscita:
Io vi diceva , se ben mi rimembra ,
Com' io porti le gambe in su la vita ;
E cominciava a distinguer le membra ;
Dissi che '1 viso mio comune e allegro
Più tosto Giove , che Saturno assembra.
La fronte ho spaziosa e V occhio ho negro ,
E tutto il capo ne grasso ne asciutto ,%
E grande e sano , e non picciolo od egro
Vo' conchiudere infin che il capo tutto ,
Ancora che non sia un capo eletto,
Non si può dir spiacevole né brutto.
Ma le fattezze eh' bau le spalle e '1 petto ,
Tiziano non saria buono a ritraile ,
E non le squadrarebbe un architetto :
Che la pancia lo stomaco e le spalle
Paiono un mappamondo , ove si vede
Più d'un monte d'un piano e d'una valle.
Messer Trifon ve ne potrà far fede
Di tutta quanta quest'architettura,
Che m'ha visto di fuor dal capo al piede.
Il resto poi di sotto a la cintura
Ogni membro ha la sua proporzione ,
Eccetto un che non ha la sua misura.
Questo sì che noi sa messer Trifone,
E poca gente ve ne può far chiaro,
Che lo sanno per Dio poche persone.
Satiriche. 89
n questo corpo stravagante e raro
Stessi un animo libero e sincero,
Che a ciaschedun che lo couosce è caro.
Questo basti de 1' animo. Or del vero
Abito intendo dir che '1 corpo veste,
E dipingerlo quasi intero intero.
/ addobba , per sua grazia , una mia veste
D'un panno già fu nero , or pende in bajo,
I giorni di lavoro e de le feste ;
! d' aprile di luglio e di gennajo ,
; Al tempo temperato al caldo al gelo
Sovra il medesmo mio giubbone e sajo.
ì sajo è d' un cotone senza pelo ,
Ed ha la superficie sua sì netta ,
Che piuttosto che panno, pare un velo.
Pensate che le calze e la berretta ,
E ciascun' altra parte corrisponde
A queir architettura che vi ho detta.
>r chi % signor , mi dimandasse donde
Procede eh' io non vo sì bene adorno ;
Da ricchezza procede , e non d' altronde.
1 T •
. temo peggio andar di giorno tu giorno;
| Poi eh' ha disposto il mio crude! pianeta
I Ch' io non abbia d'aver mai seta attorno.
ìsnchè , s'io averò mai tanta moneta
Ch' io possa dar assetto a gli altri guai ,
Vorrò fasciarmi anch' io tutto di seta.
li conosco aver poco, e spendo assai;
Giuoco a primiera , e di buona cavata ;
Tal eh' io non son per riavermi mai.
41 caccio in ogni impresa disperata ;
Metto tutto l'esercito a sbaraglio,
E quasi sempre perdo la giornata.
go
P O E S I t,
Ora per quel eh' io posso e eh' io mi vaglio,
Io mi vi dono , se voi mi volete ;
Voi mi accettate , se vi viene in taglio.
Benché so certo che m' accetterete ;
Che mi vien detto a bocca, e mostro in scritto,
Che voi foste signor prima che prete.
Di me già non sperate aver profitto :
Considerale al caso vostro intanto
Esaminando come m' ho descritto.
Se ciò non basta, e che vogliate alquanto
v Co' vostri occhi vedermi a la presenza ,
Statevene con questo fino a tanto
Ch' io vengo a Trento a farvi riverenza.
91
GIOVANNI MAURO
D' ARCANO.
CAPITOLO.
E
vi parrà bizzarra fantasia,
Ed uà strano capriccio di cervello ,
Ga.idolfo , il mio cantar la carestia,
la non fu mai puttana di bordello ,
Che sapesse sì ben far vezzi altrui ,
Com' ella mi lusinga e dà martello.
1 lodar mi vorrei , uè so di cui ,
Che la fa rinnovar come fenice;
Fors' egli è un Dio , s' ha pur cura di imi,
ihe T abbondanza ha svelta da radice ,
Per far al mondo vigilante e desto
Conoscer meglio la vita felice,
jitto '1 vin che beviarn dolce, fu agresto,
Le rose stecchi , e le campagne spine ;
Cosi va il mondo , e si mantien per questo.'
g2 Poesie
Benché questo non sia , frate , il mio fine ;
Ma di provar eh* un ben tanto perfetto
Tutto procede da I' opre divine.
Nuovo vi parrà certo il mio suggetto ;
Ma non , se mirerete saldamente
Quel che scrivendo altri poeti han detto.
La guerra fu cantata anticamente;
E un nuovo degno tìorentin poeta
Ha cantato la peste nuovamente.
Queste tre fan tra lor spesso dieta ,
E lega e pace , siccome le guida
Legge del cielo , o forza di pianeta.
E però la ragion nel cor mi grida 9
E mi pareggeria , s* io stessi cheto ,
A l'animai che die l'orecchie a Mida.
Dunque voi che siete uom savio e discreto,
E dite a Y improvviso a paragone
Di chi guidò le pecore d' Admeto ;
Piacciavi d' aitar la mia ragione ,
Sì eh' io la possa col vostro favore
Ficcar ne l' intelletto a le persone.
Così possiate umiliar quel core ,
E riscaldar queir anima gelata,
Che non sentì già mai foco d'amore.
Io dico adunque che santa e beata
La carestia mi par sovr' ogni cosa;
Non mi rompa la testa la brigata;
Perchè ogni alma crudel rende pietosa ,
Ogni villano povero e superbo
Umilia tanto, che par una sposa.
Ogni umor purga a la salute acerbo ,
E fa lieve ogni stomaco gravato
Più che i bagni di Lucca o di Viterbo.
Satiriche. 9 3
a che Dio sia temuto , sia pregiato ;
Ch'altramente noi siam sì buon' figliuoli,
Che le sue cose andriano a buon mercato.
fel tempo che li Lanzi e gli Spagnuoli
Con certi ladroncelli italiani
Saccheggiaron per fin ai vignaruoli;
acean cose da far piangere i cani,
Se questa e la moria contra di loro
Non avesser menato ambe le mani.
)r qual al mondo è più nobil tesoro ,
Se questo don celeste e santo e raro
Rinnova il tempo de 1* età de 1' oro ?
ioè quel tempo sì tranquillo e caro ,
Quel secol di Saturno dolce e puro,
Che la malizia ha guasto e '1 mondo avaro?
)uando ciascun vivea lieto e sicuro
Con non comprate e semplici vivande ,
Senza paura del tempo futuro ?
fon vedete voi or che Y alme ghiande ,
E tutti i fruiti de le sacre selve
Son tanto in pregio , eh' è una cosa grande?
ar che il mondo di nuovo si rinselve ,
E che torni a quel primo antico stile
Di pascer cou gli uccelli o con le belve.
'uella è la vita che mi par gentile ,
Che dovrebbe esser cara al li mortali ,
j E quest' altra mi par nojosa e vile ,
he ne reca fastidj e mille mali,
E morbi e morti ; onde si vede espresso ,
Che noi siam di uoi stessi micidiali.
> crudcl vita che si vive adesso!
Vita, la qual mi par proprio la morte,
Che Tuom sia vago d'ammazzar se stesso.
94 Poesie
La gola e '1 sonno e l'oziosa corte
Ammorbali tutto il mondo, e però sono
Le nostre vite tanto inferme e corte.
Era in quel tempo antico ogni uomo buono;
Or son mutate le nature in modo,
Che chi tristo non è, non ha del buono.
Ed ora eh' io ragiono e canto e lodo
La santa carestia , come colei
Di cui son schiavo e di cui sola godo ;
Chi mi vuol ben , non dica mal di lei ,
Ma la lodi com'io, l'ami ed onori,
Poi eh' il tutto non ponno i versi miei .
Ella da' capi altrui sgombra gli amori;
Ella converte quei sospiri a Dio,
Che tormentali sì forte i nostri cuori.
Ella spira nel cuore alto desio,
Che di cantar chiare fresche e dolci acqui
O la merla passò di là dal rio.
Con ella la prudenzìa e virtù nacque;
L'ozio la gola e '1 sonno andaro in bando,
E la poltroneria sepolta giacque.
Egli è mestier eh' ognun vada buscando ;
Ogni grosso cervello ella assottiglia,
L'ingegno più e più si va aguzzando.
Non è sì inutil padre di famiglia,
Che non diventi un'ape, una formica,
Ardente industrioso a maraviglia.
Ogni onesla persona s'affatica :
Chi è furfante, Dio gli dà il malanno,
Perchè non goda de l'altrui faìica.
Gli avari e i liberali il lèv dritto hanno;
Mostran la lor grandezza e quelli e questi
E questi e quelli i lor piaceri fanno.
Satiriche g5
Stanno gli avari e vigilanti e desti ,
Votano gli granari, ed empion l'arche,
E corrono a' guadagni manifesti .
Conduco n di frumenti navi carene
Di Puglia di Sicilia e di Provenza ,
E mille galeoni e mille barche.
i fassi lor onore e riverenza,
Inchini e sberrettate a la spagnuola:
Beato chi può aver da loro udienza .
Sempre al maggior guadagno apron la gola ;
Cresce la roba, e più cresce la voglia ;
E così travagliando al fin si vola.
[1 liberal cortese più s' ir. voglia
A scoprir la virtù eh' a Dio il pareggia,
E per donar altrui se stesso spoglia.
Kon puote egli aspettar ch'altri gli chieggia;
Ma volentieri e con allegra faccia
Apre la mano ove il bisogno veggia.
K chi disia far cosa che gli piaccia,
Senza invito s'assida a la sua mensa ,
£ la casa di lui sua propria faccia .
Non si serra credenza ne dispensa;
La cucina sta «perla e giorno e notte;
La roba largamente si dispensa.
Vanno in volta vivande crude e cotte ;
11 pan bianco si mangia a tutto pasto;
E piene dal cellajo escon le boite;
Ma la gente malnata, il secol guasto,
Mostrati rari di tali in questo mare
D'ogni avarizia tempestoso e vasto.
Di che non mi par tempo di parlare,
Però eh' io intendo d appressarmi al fino
Di questo inusitato mio cantare.
96 Poesie
Superbi colli, e voi, sacre mine,
Che co' miti piedi indegnamente calco;
E voi, anime eccelse e pellegrine;
S'io men vo solo a piedi , e s' io cavalco,
Canto la carestia, e voi m'udite ,
Che del suo vero onor nulla diffalco,
E vorrei che tra tante opre gradite
Di quei famosi antichi e dei moderni ,
Ch' han data fama eterna a le lor vite;
Vi si ponesse un tempio, onde più eterni
Fosser di lei gli onori , e che tra voi
Durasser mille autunni e mille verni.
Ebber, come vedete, i templi suoi
La pace la fortuna e la pietate,
E ne veggiam le mura ancora noi .
Questa metta assai più, se il ver mirate,
Per gli alti effetti eh' io v' ho sopra detti ,
Che son maraviglisi in veriiate.
Ed è ben tal, che tra i romani tetti
Se le deb ha donar perpetua sede ,
Ed adorar tra gli altri numi eletti.
O sovra ogni mortai di fama erede,
O glorioso, e d'ogni laude degno,
Chi di lei sazio già mai non si vede !
Ben mostra il suo valor l'arte e l'ingegno,
E l'eccellenzia d'ogni virtù rara,
Chi l'esalta e ma alien sovra ogni regno,
Chi l'ama chi l'apprezza e la lieo cara,
Chi per lei sola in questo mondo vive,
Chi l'insegna a la gente, e chi l'impara,
Chi cerca il mare e tutte le sue rive ,
E sempre un stile in seguitarla tiene.
Sol di lei pensa, e di lei parla e scrive.
Satiriche.
Seatissimi quei , eli' ogni lor bene
RicoDoseon da lèi , ponendo in ella
Ogni lor desiderio, ogni lor spene!
laman da parente e da sorella,
Anzi da innamorata e da signora;
Dolce galante gentilesca e bella ,
^he quanto giova più , più e' innai
97
innamora.
Poesie Satin
90* Poesie
CAPITOLO
T,
utti i volumi e tutti li quinterni,
Tutti i poeti e tutti quei che sanno,
Tutti gli antichi, infin tutti i moderni
Quel eh' ora vi vo' dir , detto non hanno,
Messer Ghinuccio, ed è ben cosa degna
D'esser cantata in tutti i dì de Tanno.
Or se vostra mercè non si disdegna
Di prestarmi l'orecchie una mezz' ora ,
E star attento quanto si convegna ;
Io canterò, non la vermiglia aurora,
Ne '1 gran carro di Febo, e i quattro venti,
Ne i bei prati ch'aprile mostra e infiora;
Ma quel che va di par con gli elementi,
Che conserva e mantien l'umana vita ,
Senza cui spente già sarian le genti .
Ben è giusto desio quel che m' invita
A ragionar di questa nobil cosa,
Che dal suo corso mai non è smarrita :
È volta per lo mondo , e mai non posa ,
Empiendo le cittadi di se stessa,
Ne mai stanca si vede, o giace ascosa.
Non aria o terra o fuoco o acqua è dessa,
Ove la naturai filosofia
Da gli antichi iuventor tutta fu messa.
Ma una certa piana e dritta via
Che ci conduce a la vita beata ,
In nostra lingua detta la bugia :
Per la qual vive ogni persona nata ,
E senza lei morremmo tutti quanti,
Come muojon le mosche la vernata.
Sjltirich
E.
99
Or mirate gli antichi poetanti ,
Quanti ne furon mai greci e latini,
E li moderni ancor dotti e galanti ;
Che con le lor bugie pajon divini,
Facendo ragionar fontane e rive
E montagne e spelonche e faggi e pini .
E prima il biondo Apollo e quelle Dive,
A le quai noi faccia m cotanti onori,
Non furo al mondo mai morte ne vive ;
E quei Cesari Augusti Imperadori,
E Messali ed Agrippi e Mecenati,
De' quai si fanno ancor tauti romori,
Per bocca di color furon cantali ,
Che gli ornaron di fole e di bugie,
Come s'ornano ancor questi prelati.
Attribuendo loro opere pie
Per lo contrario e per altre cosette,
Ch'io faccio paternostri e avemarie.
Guardisi d'allacciar le fibbie strette
Un poeta gentil eh' abbia del buono,
Quando egli indosso la giornea si mette;
Perchè più. corion de la^odé al suono
Questi eh' io dico , eh' a quel de la piva
1 Mautovani , quando in villa souo.
Però s'avvi en eh' un buon poeta scriva ,
Alzi l'antenna pur, spieghi le vele,
E si dilunghi da la vera riva.
Ma non ordisca le bugiarde tele
Con stame proprio; e sia un pittor discreto
Che discopra il più bello , e '1 brutto cele.
O non dica covelle, e stiasi cheto;
Perchè la verità non piace mai ,
Benché sia molto il dicitor faceto.
ioo Poesie
Sono in Italia de' poeti assai
Che darian scaccomatto a l'Aretino,
Ed a quanti Aretini fur già mai;
Se volessero andar per quel cani mi no
Di scriver sempre male, e dir il vero,
Come insegna la scuola di Pasquino.
Chi brama esser potea daddovero,
Così vada dal ver sempre lontano ,
Come da' scogli un provvido nocchiero.
L'Aretin , per Dio grazia, è vivo e sano;
Ma '1 mostaccio ha fregiato nobilmente,
E più colpi ha, che dita ne la mano.
Questo gli avviene per esser dicente
Di quelle cose che tacer si denno,
Per non far gir in collera la gente.
Egli ebbe il torto, e non quei che gli denno;
Perchè dovea saper che ai gran signori,
Senza dir altro, basta far un cenno.
Altri che sono incorsi in tali errori
Han finiti i lor dì sovra tre legni ,
E pasciuti li corvi e gli avohori.
Ora vegnamo a gli altri effetti degni ,
Che son maravigliosi ed infiniti,
E quasi da stancar tutti gì' ingegni .
Come farian le donne coi mariti?
Sarebbon come pecore scannate,
E i lor disegni andrian tutti falliti.
Io parlo de le donne innamorate
Che sono ile a gran rischio de la pelle,
E poi con le bugie si son salvate.
Se avete letto le cento novelle,
Vi dee pur ricordar di Beatrice,
Di monna Tessa, e di mili' altre belle;
Satiriche. ioì
Che svelto ogni sospetto da radice ,
Da' lor mariti fur tenute in prezzo,
E con gli amanti fer vita felice.
Ma Ja moglie di Tofano d'Arezzo ,
E quella di Nicostrato fer cose
Tanto ingegnose, che non ebber mezzo*
Quante donne eccellenti e valorose
Andrian prive d'onor, se questo velo
Non ricoprisse lor voglie amorose ?
Amor si ficca dentro in ogni pelo ,
E convien eh' ubbidisca a la natura
Ogni persoua nata sotto il cielo.
Madonna, la qual sia semplice e pura ,
Non goderà già mai di quel piacere ,
Del qual non può goder, s'ella uol fura*
Le bisogna trovar mille chimere ,
Con mille finzioni esser bugiarda
Per ricoprir altrui le cose vere.
Ma non è donna che non sia infingarda ;
Questo è lor vizio proprio e naturale ,
Come del sol che scaldi , e 'l foco eh' arda*
Benché sia cosa antica universale,
E necessaria sì, che senza lei,
S' un stesse beo., cento starebbon male.
Ella fu prima ne gli antichi Dei ;
Che quelle donne sotto falsi veli
Ingannarori tre volte e quattro e sei.
Quel vestir sì mentiti e varj peli
Fur precipuo argomento a li mortali,
Quanto divinamente il ver si celi.
Son de le donne ancor si bestiali ,
Ed hanuo alcuna volta sì del matto,
Che sprezzano i delitti naturali.
102 Poesie
Con queste usar convien qualche bel tratto ,
E saper figurar qualche novella
la persuaderle di venir al fatto
Con oro con cittadi e con castella;
E qui convien che '1 ver vada per terra,
E '1 falso vinca, e si rimanga in sella.
Infin così si vive in ogni terra,
Che la menzogna tenga il primo loco,
E l'avversaria sua giaccia sotterra.
Quel che non è bugiardo, è uom da poco,
Un ignorante, una persona vile ,
Da men d'un mulattier, da men, d'un cuoco
Ma uno spirto magnanimo e gentile
Tanto più merta onor, quanto ritrova
Invenzion più arguta e più sottile.
JNon vi potrei mai dir quanto mi giova
Famigliarmente conversar con certi
Che fingon sempre qualche cosa nuova,
In questa nobil arte gli più esperti,
A cui tener convenga a tutte Tore
Ambi li buchi de gli orecchi aperti .
Io veramente, non prendendo errore,
Tenuti ho sempre li napoletani;
Massimamente quando fan l'amore ;
Perch' hanno certi lor tiri di mani ,
Certe facezie non altrove intese,
Sì ghiotte, che farian ridere i cani.
O gran felicità di quel paese,
Al qual fu d'argomenti e di parole
La natura sì larga e sì cortese !
Che quanto cinge il mar e scalda il Sole,
Pajon le genti senza lingua, o mute,
A rispetto di quelle parti sole.
Satiriche. io3
Questa somma ed altissima virtute
Ne le parti di Grecia al tempo antico
Fé' sì famose quelle genti acute.
Le quai poi di Sicilia al lido aprico
In barca la portaro, ove sempre ebbe
Queir aer dolce, e quel terreno amico.
Ma perchè con la lingua il popol crebbe,
Passò tosto quel stretto a l'altra parte
Che a la gran Grecia ancora il nome debbe.
Per tutte le contrade crebbe l'arte,
E gloriosamente si diffuse
Intorno con le lingue e con le carte
Allor nacque Calliope e le Muse,
E tanti favolosi e vani mostri
Le Megere le Scille e le Meduse .
In cotal modo li paesi nostri
S'empieron di menzogne, e furon soli
Felici a paro de gli greci inchiostri.
Ma vanti pur Vinegia i suoi figliuoli,
E Fiorenza gli suoi, che al lin saranno
Quei marinari , e questi setajuoli.
Quei di Napoli tanto innanzi andrauno,
Quant' il fumo a la fiamma, e gli altri tutti
In dietro di gran lunga lasceranno.
Ma perchè la menzogna ha fiori e frutti,
E li produce a guisa de le piante
Secondo li terreni o grassi o asciutti ;
Intorno a questo è ben ragion ch'io caute,
E eh' io descriva appieno i suoi effetti,
Non intesi già mai dal vulgo errante.
Tutti li luoghi ch'io v'ho sopra detti,
Naturalmente son fertili e buoni,
Onde producon uomini perfetti;
104 Poesie
I quai senz' altra industria e senza sproni
San poeticamente ragionare,
E trovar mille belle invenzioni .
Questi eh* io dico si denno agguagliare
Ai bei fiori d'aprile, ed a le foglie
Onde sì vaga primavera appare
Solo al diletto de rumane voglie:
Cbe dal piacer in poi ebe pasce gli occhi,
Di tal vaghezza infin nulla si ooglie.
Ma chi d'altro sguazzar, che di finocchi,
E brama aver le man' piene di spiche,
E nel mosto pescar sovra i ginocchi;
Venga volando a queste mura antiche,
Ove de la menzogna il vero seme
Già mai non falle l'umane fatiche.
Questo è'1 terreno il qual sovra ogni speme
Rinverde sempre a la stagion più acerba,
E vento e pioggia e grandine non teme.
Qui si vede fiorita e verde l'erba,
I rami carchi di frutti maturi,
E Roma trionfar ricca e superba.
Qui gli ingegni tedeschi alpestri e duri
Si fan sottili, ed i franciosi foschi
In questo acr si fan lucidi e puri .
I Genovesi a un tratto si fan Toschi :
Qui s'assottiglia infine ogni persona,
S'ella fosse ben nata in mezzo ai boschi.
L'aer la terra il ciel e l'acqua suona
Menzogne , e queste mura e questi sassi,
Tutto è menzogna ciò che si ragiona.
Per questi gloriosi ed alti passi
A ricchezze profonde ed infinite,
A sommi onor' dirittamente vassi .
Satiriche. io5
Non vederebbe il fin d'una sua lite
Senza bugie , né d'altro suo disegno
Chi mille anime avesse e mille vite.
Quell' è più singoiar, quell' è più degno,
Che con parole accorte e ben composte
Sa con tra il vero assottigliar l'ingegno.
Tal che già fu pizzicandolo o oste ,
Or è gentile, e tal, che già poch' anni
Gridava: calde alesse, e calde arroste:
E veggio vestir drappi e ricchi panni
Tal che vestì le mule , ed esser detto
Dal volgo m esser Pietro e messer Gianni.
Onde si può veder che un uom perfetto
Non have a la natura obbligo tanto ,
Quanto a la cosa eh' io v' ho sopra detto.
Natura senza cappa e senza manto
Come le bestie ne fa tutti nudi ,
E questa vita comiuciam col pianto.
Poi per viver convien che l'uomo sudi,
Che s' affatichi , e già mai non riposi ,
E che s'ammazzi per aver de' scudi.
Non dà pan la natura a gli oziosi/
E bisogna che gli uomini sian forti,
E con mano e con lingua industriosi.
Voi siete pur nudrito in queste corti,
E vedete ogni dì quei che son vivi ,
E vi dee ricordar anco de' morti.
Quanti ricchi vedete e santi e divi
Salir in cie>o, e quanti altri deserti
Cader al fondo miseri e cattivi?
Quelli eh' ebber li premj uguali ai merti ,
Furon parecchj de'vostii Sanesi,
Uomini savj e di natura esperti .
ro6 Poesie
Quegli altri sciocchi fur de' miei paesi.
Che non sanno adular ne dir menzogna,
Tanto son grossi, e d'ignoranza offesi;
Che parria lor grandissima vergogna
Dire ad un cardinal parole false;
E non han l'arte di grattar la rogna.
Mirate voi se son le zucche salse;
Che persona già mai di quelle bande
A questa rossa dignità no a salse.
Ed io di già con quelle bestie grande
D'India venni sì allegro a questi paschi,
Son porco magro ancora , e non ho ghiande
Qui bisognano infine uomini maschi;
Perdonatemi voi, gente di festa,
O uomini lombardi e bergamaschi.
E voi , Ghinuccio mio , benché la testa
Abbiate grossa e tonda e non aguzza,
Pur non so che di voi a dir mi resta*
Cioè, che buono odor già mai né puzza
Non mi venne di voi, che fatto aveste
Guadagno alcun con qualche fa voi uzza ;
Però vorrei ch'ornai vi disponeste
Di mutar panni, e che'l falso vestendo,
11 ver in guardaroba riponeste.
Perchè ingegnoso e galantuomo essendo,
Come voi siete, e di buon naturale,
Gran fatto non saria, se ciò facendo
Voi foste ancora Papa o cardinale .
i©7
BERNARDINO GIAMBULLARI
PER PRENDER MOGLIE .
OTTAVE.
N,
ori per gloria acquistar Parnaso invoco
Che m'immolli a la sua limpida fonte,
E <T Elicona ancor mi curo poco ,
Ch' ardir non ho di poggiare al suo monte :
Sol bramo di smorzar l'ardente foco
Ch'ho dentro al cor, con dir l'ingiurie e l'onte
Che fan le donne spesso a' lor mariti
Per contentar lor sfrenati appetiti .
Salvando e riservando però quelle
Che con vera bontà menan la vita,
Cercando d' apparir leggiadre e belle
Con 1 onesta eli ogni giovane invita
A prender per consorte tai donzelle ,
E di due corpi far la voglia unita :
Dunque a queste si dia palma di gloria ,
E sol de le ritrose sia F istoria .
Dico per raffrenar la gran superba
Di queste triste don uè empie e fallace,
Le quali a comportare è cosa acerba ,
Se ben nel primo moto a ciascun piace;
Ma chi noterà ben ciascuna verba
Terrà quest'opra una cosa verace,
E sarà esempio a ciascun eh' ha tor moglie ,
Perch' egli intenda prima ben chi toglie .
108 P o e s i e
Come si trova in un degno trattato
Del filosofo Silvio singolare ,
Perchè gli fu già un tratto domandato
Per quel che moglie non volea pigliare ;
Silvio allor gli ebbe per risposta dato,
Che più presto voleva casto stare ,
Che mai per tempo alcun farsi suggetto
A donna, ch'esser può con gran difetto.
Un suo amico di poi gli dimandóe
Per suo consiglio , se dovea tor moglie j
Non gli rispose di si , ne di noe ;
Ma per por freno alquanto a le sue voglie
Sopra tal caso alquanto egli pensóe ,
Ed in un sunto il suo parer raccoglie,
E de le donne le magagne scrisse ,
E le più vere e manifeste disse.
Questo Silvio filosofo fu dotto,
E vide assai ne la filosofia ,
Ed in ogni scienza era assai dotto ,
Fece de' libri, e non disse bugia,
Tra i quai questo trattato ebbe condol to #
E poi al suo amico lo porgia ,
Dicendogli: figliuolo, ecco il consiglio
Per iscamparti da questo periglio .
Figliuol , se tu domandi di parere ,
Se tu debbi tor moglie o sì o no ,
Nota le mie parole, eh' è dovere,
E gusta bene se il ver ti dirò .
Se tu li senti sano , e da potere
Fare il bisogno , questo non lo so ;
Nota le parti che aver ti bisogna ,
Se non ne vuoi aver danno e vergogna .
Satiriche. 109
Giovane e bel , quest' è la prima parte :
Ricco, e che t'amili tutti quanti i tuoi,
E sia in tua patria , e poi ne la tua arte
Forte e gagliardo: così tor la puoi :
Ma se tu vien' leggendo queste carte ,
Maraviglia mi fo se tu la vuoi :
Se tutte queste parti in te non hai ,
Per mio consiglio tu non la torrai.
Se pur di torla tu deliberassi ,
Vorrei che questo tu antivedessi ,
E , prima che ti leghi, tu cercassi
Di sua nazione , e Y essere intendessi
De la sua condizione , e t' informassi
S'è buona, beila, e savia ancor sapessi:
E se ogni parte in quella non concorre,
Per mio consiglio, fi^liuol, non la torre.
E se pur tu mi dicessi : io la voglio ,
Perchè son ricco , e vo' dopo mia morte
Avere a chi lasciare; io non li toglio
Dal tuo volere : ben m' incresce forte
Di te , figliuolo , e di questo mi doglio ,
Che tu mi metta a sì dogliose porte :
Chi t' assicura se figliuoli avrai ?
Né se tuoi sieno o d'altri non saprai.
Se mi dicessi : io sou deliberato
Voler tor moglie per esser servito ,
Perchè la casa ed ic sia governato ;
E quando avessi male, a niun partito
"Non vo' che questo t' abbia consigliato :
Chi t'assicura , pazzo scimunito,
Che tu non abbia poi a servir lei ?
E però non la tor , eh' io non vorrei .
no Poesie
Se tu dicessi : la vo' in ogni modo ,
Perchè qualche figliuolo ella mi faccia :
Che non manchi tua stirpe, te ne lodo ;
Ma d' aver mal per le poste ti spaccia ,
Ed io di tua pazzia mi struggo e rodo ,
Se tu credi tua stirpe si dislaccia :
Se t' abbattessi ben, saria un piacere ,
Che n' andresti a ristio sempre a godere.
Se tu dicessi: io ne son biasimato ,
E sto pur male , e vivo mal contento ;
A questo ti rispondo : sei insensato :
Egli è me' fare una morte, che cento :
Tu starai ben mal poi sendo legato ,
E parratti la donna un gran tormento :
Tu non se' '1 primo , e '1 sezio non sarai :
Per mio consiglio non la torrai mai .
E se tu mi dicessi : io credo certo ,
Che s* io la tolgo , m abbatterò bene ;
A questo ti rispondo ben aperto ,
Che tu mi pari uscito fuor di tene ;
Che tu stai bene, e cerchi esser diserto;
Ti vuoi legare in continue pene;
Che non è cosa sì diversa al mondo :
La donna è proprio un sacco senza fondo:
Che mai non s' empie sua voglia insaziabile :
Tutte sue cose vanno a volontà ;
E non è mai nissuna voglia stabile ;
Ella a vista si toglie, ognun lo sa:
Questa non è già cosa molto amabile ,
E non si può per ni una quantità
D' oro o a argento farne ni un contratto :
E però non la tor , che tu sei matto .
Satiriche. ìrn
Ma non sai tu , che s' un vuol comperare
Asino o bue o muletto o ronzino ,
Prima che '1 paghi , lo vorrà provare ,
Se ben valesse manco d'un fiorino ,
E vender mille volle e barattare
Lo puoi a tuo voler sera e mattino ?
Se tu ti leghi qui , non ti puoi sciorre :
Sì che per mio consiglio non la torre .
Ma io mi maraviglio ben di molti
Che perdouo il lor senno naturale ,
Quai per lor dappocaggin son si stolti ,
Che perdono il lor scettro magistrale:
Tanto sono accecati e tanto involti
Nel fetido amor loro micidiale,
Che gli hanno le lor donne uomini fatti,
E le ior femminelle ciechi e matti .
Ma tutto questo avvien per gran viltade
De T uomo , e poco senno della moglie :
Però stanno assai mal quelle contrade *
O quelle case dove questo incoglie ,
Che la donna con sua sagacitade
Ministri , e faccia tutte le sue voglie:
Il bando da sua parte è ubbidito ,
E non si prezza mai quel del marito .
il se pur tu deliberi volerla ,
E che t' abbatti bene , eh' è incredibile ,
Di parentado e gran dote con ella,
E con tutte le parti eh' è possibile;
Se tu vorrai aver pace con quella ,
Esser ti converrà molto arrendibile :
Per aver pace con la donna tua,
Ti farai servo de la gente sua .
ii2 Poesie
Tu non avrai a contentar sol una ,
Ma la suocera tua , e le sorelle
De la tua donna; e tua madre importuna
A te farassi con mille novelle ,
Per esser poi tenuta da ognuna
Amorevole suocera da quelle ;
E più che T altre ti farà stranezze
Per dimostrare a la nuora carezze .
Se la tua donna avrà padre o fratelli ,
O carnali o cugini o niun parente ,
Se di niente lì richieggon quelli,
E che tu non gli serva pienamente ,
Dirà che tu non degni di vederli ,
E che non gli abbia in capital niente :
Il si miglia nte e peggio a' tuoi faranno ,
E lor nimica e tua diventeranno .
Se tu hai donna , ed hai un buono amico
Che per 1' utile tuo ben ti consiglia ;
Se parla, contr' a lei mortai nimico;
Se lo reputa, borbotta e bisbiglia;
E non ne stima te, ne lui un fico,
Anzi risponde , e gonfiando le ciglia ;
E per amor di lei tu lasci lui;
E però non la tor , credi a costai . ■
Se tu F avrai , e non faccia figliuoli ,
Ti saprà dir che tu non sia da nulla ;
E per levarsi dal cuor simil duoli ,
Con altri, che con teco, si trastulla
Con mille inganni ed altri brutti modi ,
E sempre pare a lei esser fanciulla ;
Perchè se le mancasse quel marito ,x
La non vuol parer vecchia a filati partito .
Satiriche. ii3
le tu la togli , e per buona ventura
Ella faccia figliuoli in quantità ,
Ti parrà una cosa atroce e scura ,
Quanto per questo ti molesterà ,
Dicendo: chi saria stata a la dura,
Quanto son io in queste avversità?
Qual fante , quale schiava, o qual amica
Sopporterebbe mai tanta fatica ?
o t' ho condotto sì bella brigata ,
Ch'una regina doveresti farmi;
E peggio eh' una schiava son trattata ;
Non ti vergogni tu così mandarmi?
Se tu non la coutenti , addolorata
Si starà sempre; e però meglio parmi ,
Amico , se non vuoi far mille morte ,
Non ti condurre a così fatta sorte.
>e tu la togli , e che n' abbi figliuoli ,
Femmine o maschi, e tu veda lor male,
Tu n'avrai tauta pena e tanti duoli,
Che mai in vita n' avresti altrettale ;
E speuder ti convien più ebe non suoli ;
E se si muojon , non è duolo eguale
Simile a quello ; e però ti conforto
Cbe tu non ti conduca a simil porto.
se tu hai figliuoli , e sien cattivi ,
Quanti dolori e pensier' ti daranno !
Che vori estigli aver morti , e non vivi ;
Ma per tua penitenza viveranno :
Parrà mill* anni a lor , che Dio ti privi
Di vita, per mandare a saccomanno
La roba che per lor raguni e serri ;
Però se tu la togli mi par ch'erri.
Poesie Saùir. 8
Poi»11
114
• ,» bai fisima i e che B ""T*1"1 '
E se tu bai n0 meaaU
Di pochi mesi che 1 H
La casa tua , la qual nei
Ì tuo dispetto --.en che U jog
In tua vecchiezza m *ua ttli5l
% "ovi per aver -luto -ogh e
Però è matto ciascuno che ne g
ì Lindi ed hai qualche fanciulla ,
t? i' »llimahi , «ran dolore e que
E se 1 allunai , | macello.
Che spesse volte si marni
, • 1 .,„« e aualche mal la pig» »
Se tu hai donna , e qu iato
Meglio sana che tuW
Cou tutta la tua ■ ca sa
Tanti serventi ella vuol da g
E non gli has a le « .£
Ch'ella vuol tali, quanto
11 parentado, e più m perfelti.
ChLi possano^, e 'PsfJe;
E in poco tempo t vena
E se „o« fa. co» , t. t J £
Dirà innanzi non g;» ;ana sogna ,
Perchè ma mento "> a.spiegwii 6
E'P^nonV^ conato.
Satiriche. iiS
Se tu hai donna , e ti trovi ammalato ,
Subitamente ella fa suo disegno ,
E finalmente ella ti fa spacciato;
E con sua arte e suo malvagio ingegno
Comincia a rassettare , ed ha trovato
Se v' è oro od argento sott' il legno ,
Ed ogni cosa in camera nasconde ;
E poi fa gli occhi suoi parer due gronde*
Dolce marito , cara compagnia f
Come ti senti tu? Deb sia contento
D' acconciare i tuoi fatti ; e tuttavia
Ti prega che tu faccia testamento:
Lassami almanco la camera mia ,
Oltre a la dote , con ciò che v' è drento:
E fatto il testamento non gli duole;
E stia egli a suo modo, e sia che vuole :
E milP anui gli par tu sia sepolto ,
Quand' eli' ha assetto bene il paneruzzolo;
E innanzi che tu muoja , eli* ha ritolto
Nuovo marito, e serbagli quel gruzzolo:
Oh quante ce ne son , eh' hanno già colte
Tutto l'agresto insino ad un minuzzolo!
Questo è l'amor ch'ella porta al marito;
E però non la torre a uiun partito.
E se tu manchi , e lascila per guida
De' suoi figliuoli / eli' ha opinione
Di saper fare ; di nessun si fida ,
E fa ciò eh' ella fa contr' a ragione.
Ora vo' ben che di questo tu rida ;
Che '1 suo cervello è come calabrone :
Quando in un luogo tu lo vien serrando ,
Sempre s' aggira d' intorno ronzando.
Ii6 Poe si e
Cosi fa il suo cervel , perchè gli è poco ;
Com' ella move il capo , 91 diguazza ;
E lien sempre la casa in fiamma e fuoco,
E per mente adopera la mazza ;
E spesso dice che muterà loco ,
E che se n* uscirà la bestia pazza ;
E se v' è niente da menar le mani,
Ruba a' figliuoli , e portalo a li strani.
Questo non vien se non da poco amore,
E men cervello , e manco teuerezza ;
Però si vuol lasciarle in grand'onore
Donna e madonna ben morbida e mezza,
E dota sopra dota ; ma l' errore
Per certo fa chi i suoi figliuoli apprezza;
Le fan larghe correggie de l'altrui;
E però non la tor , credi a costui.
Se tu la togli , e sia rustica o bella ,
E che s' avvegga per la tua sciagura
Che tu guardassi altra donna , che quella ;
Sarebbe meglio in una sepoltura
Esser vivo sepolto , che con ella
Aver a stare in vita tanto oscura;
Che non è fiera sì aspra e ritrosa ,
Quant' è la donna , quand' elia è gelosa.
E' saria meglio abitar ne l' inferno
Con diavoli e con draghi scatenati ,
Ch' esser d' una tal femmina in governo.
O poveri mariti sventurati !
Queste son pene di martire interno ,
Che hanno quei che son sì tormentati :
Chi T ha bruita e gelosa , non si dolga ;
Però consiglio te che non la tolga.
Satiriche. hj
Se tu la togli , e eh* ella sia dappoco ,
E novelliera , e poco sale in zucca ,
Benché comunemente in ogni loco,
Così a Venezia son , Genova e Lucca ,
Fa conto di star sempre in guerra e foco:
La non si vede mai sazia né stucca
Di cicalare, e stu non le dai fede,
Che tu attenda ad un'altra ella si crede.
E se tu dai al suo dire udienza ,
A non aver mai pace t' apparecchi ;
E converatti aver gran pazienza ,
E chiuder gli occhi , e turarti gli orecchi:
E però , figliuol mio , abbi avvertenza ;
In queste cose fa che tu ti specchi ;
Che questa mercanzia non si può vendere,
Ed è moneta che non si può spendere.
Se tu la togli , e sia di parentado
Alquanto più di te, tu sei spacciato;
Che te , ne niun de' tuoi gli sarà in grado ,
E par eh* ognun gli puta in ogni lato:
A tutte r ore , non dico di rado ,
T'avrà 1' origin tua rimproverato ;
E tanto ella si stima , che te annulla :
Però non la tor vedova o fanciulla.
>e tu pur mi dicessi : io non so fare »
Nulla per casa , e Se pur io facessi ,
Non m' è onore a voler solo stare ;
Io ti consiglierei che tu tenessi
Famigli e serve , e con essi trattare
In modo tal , qhe ognun ben ti volessi.
Questi a tua posta gli puoi mandar via*
Ma non la donna , che saria pazzia.
Si8 Poesie
Se tu dicessi : io ne piglierò una
Che saprà bea cucire e ben tagliare ;
Se sarà tal , sarà tanto impoi tuua ,
Che sempre mai t'avrà a rimproverare;
Se ti rassetterà cosa nissuna ,
Mille panzane te gli convien dare :
Per sei quattrin' eh' avresti spesi altrove ,
E' costeratti più di diecinove.
Se tu la togli , e che non sappia fare ,
Vorrà parer più de l'altre d' assai ;
E sempre si sollecita a rubare
Danari e roba , e non te n'avvedrai ,
Perchè fa fare altrui, e vuol pagare,
Poi dice aver fatt' ella sempre mai ;
E tu per aver pace chiudi gli occhi.
Oh quanti ce ne sou di questi sciocchi !
Tedi , figliuol , se pur tu la torrai ,
Perchè tu intenda la lor condizione ,
IVon isperar di conte otaria mai ,
Che tu saresti in falsa opinione ;
E mille volte ancor maledirai
Chi te la dette , e chi ne fu cagione:
Tanto sommerso sarai ne le pene,
Senz' aver più sperauza d' aver bene.
Se la toi magra , eli' è come un graticcio ;
ISel letto pare un sacco di cauocchi ;
È ruvida , che par eh' abbia il ciliccio ?
E però , fjgliuol mio , apri ben gli occhi;
E s' ella è grassa , ella sa d'un forticcio ,
Com' una cocitura di finocchi ,
E dì siate e di verno , al sole al rezzo ,
Perchè U suda , e sa sempre di lezzo*
Satiriche. 119
Oltre di questo e' è uà' altra parte ,
De la qual non C ho ancora aperto bocca;
Benché non basterebber mille carte ,
Volendo eh1 ogni cosa fusse tocca
De le brutture che portano sparte
Sopra la lor persona vana e sciocca ;
Ma pur di Unte io ne dirò parecchie ,
E tien pur salde al mio parlar le orecchie,,
Principalmente per fare i capelli
Crescer per tutto cou poco intervallo,
E farli rilucenti biondi e belli ,
Usano spesso del et in di cavallo ,
Mele stillato, e draganti tra quelli ,
Zolfo stillato , e del vero e del giaìio ;
Con grasso de la serpe ungono spesso
La coda, che '1 capei non venga fesso :
il acqua gomma con acqua di mezzo ,
Ed allume di feccia e trementina ,
Che gettan tutte queste cose un Uzzo ;
Così il fien greco , e la zucca marina ;
Per esser bionde non istanno al rezzo ,
Ma sempre al sol da sera e da mattina;
E fanno lor gusciate e lor bevute ,
E non vogliono allora esser vedute :
il fan misUire di molte ragioni
Per far biondi i capelli in ogni lato :
E così usan di varj saponi ,
Ma sopra tutto il buon sapon curato;
E perchè varie son l'opinioni,
In varj modi l'hanno traslatato;
Ch' ognuna vuol aver bionda la cima,
E d' uoa bella coda fauno stima.
12© Poesie
Se tu vedessi una donna per casa
Quando P è sconcia , e non è rassettata ,
L' è verde e gialla, ed è pelala e rasa,
Che pare una versiera scatenata ;
E mille ampolle e cartocciui e vasa
Avrà d' intorno pien' d' acqua stillata ;
Da la cintura in su si spoglia e sbraccia
Per poter bene intonacar la faccia.
Prima che si comincino a lisciare
Per far la carne rugiadosa e fresca ,
Usano spesse volte masticare
Mandorle , o vero noccioli di pesca ;
Con acqua di pan cotto usan lavare
Il viso e '1 collo , e tutta la ventresca ;
E poi F ultima cosa eh' ella trova
Per far rilucer toglie albume d'ova.
Per non esser veduta ella si serra
In luogo eh' altri non le vada appresso.
Quante volte , se '1 mio parlar non erra 9
W ho già vedute rinchiuse nel cesso !
Che tanto gli altri puzzi fan lor guerra ,
Ch'elle non san conoscer per se stesso
Di tanti puzzi quale sia il -maggiore;
E quel del cesso gli pare il minore.
Cominciasi a pelar con le mollette
Prima le ciglia , e poi le porcellane ;
E quando I han pelato , ella vi mette
Sangue di pipistrello , perchè gli hane
Quelle punture rinserrate e strette ,
E fa le carni calve e di pel vane.
Dove quel sangue tocca , nissun pelo
Mai più vi nasce o per caldo o per gelo.
Satiriche: 121
In certi luoghi fan con l'orpimento
E verderame insieme mescolato ;
Che far con le mollette è troppo stento ,
E lascian de' peluzzi in qualche lato :
Dove non hanno peli , a lor talento
De le pecchie arse sopra v' han posato ;
Da porre e da levare hanno rimedio,
Che a raccontargli tutti saria tedio.
L' hanno d'intorno alberelli ed ampolle,
Tutte differenziate di più cose :
Qual è asciutto, qual è morbido o molle,
E pajon loro gemme preziose :
E non si veggion mai sazie o satolle
Di tutte queste cose fastidiose:
Canfora con borace e fior di preta
Che gonfia il viso , che par la cometa,
Sai gemmo , ariento , solimato ,
Ed ariento acconcio o lavatura ,
Salnitro e sai di vetro mescolato,
Ed ariento vivo oltre a misura ;
E biacca alessandrina a gran mercato ,
E biacca cruda , e biacca che si cura ,
Ed allume perfetto di rocca arso,
Che sempre n'hanno sopra il viso sparso.
Allume zuccarino , e 1' accagliuolo ,
Ed allume di diurna , e del gentile,
E bambagello e giglio con ghiacciuolo ,
Latte d'asina ancor, pere h' è sottile,
Pezzetta di levante, che un lenzuolo
INon basterebbe lor, se fusse vile,
E rasano e verzino e acqua drana,
Che non ne basterebbe una fontana;
122 Poesie
E giocherò stillato , e frassinella ,
Ed acqua di vitalbe, e fior di fave,
E fiorì di ginestra , e terza nella
Con fior di matreselva eh' è soave
Per levar le lentigini con quella ,
E cosi ogni panno duro e grave,
Ed acqua di sambuco e di rovistico ,
Che quel che le trovò fu ben sofistico.
Acqua di pine , e sugo di limoni ,
Acqua di fior d'aranci , e poiceilette,
De le marine , e di più condizioni ,
Quale stillata , e qual pura sì mette
Sul viso di que' pessimi dragoni;
E tutte queste cose che t' ho dette ,
Quando s' hanno assettar tutte T adoprano :
Oh guarda di che cose elle si coprano !
Ancor mi resta qualche cosa a dire;
Mentre eh' io dico , par che mi rammenti;
Non so come le posson sof ferire
Quei che le adopran per far bianchi i denti;
Corno di cervio, ed acqua da partire,
Coralli pesti , e più carboni spenti ,
E matton pesto , pomice e più polvere ,
Ch' ogni bruttura fan da lor dissolvere.
Per parer belle fuori al paragone ,
Sotto lor veli , ricci , e sciugatoi
Le fanno stufe e lor fomentazione ,
Certi bagnuoli , e più scorticatoi ,
Che a dirlo saria gran confusione ;
E pero guarda come tu la toi :
Ma bene è matto chi presta lor fede ,
Che gli è contrario di ciò che si vede.
Satiriche. 123
Le pajcmo a vederle per la via
Umìl' , con gli occhi d' onestade accesi;
E poi in casa par ciascuna sia
Una versiera ; e sempre i giorni han spesi
In cicalare , e ognor per fede mia
Treccolan sempre per tutti i paesi;
Nel letto non si può star loro appresso ,
Che le san di zibetto come un cesso.
La femmina è sì falsa e così astuta ,
Ch'ogni uomo ella avanza di malizia,
E mille volte in un' ora si muta ,
Piena d' iuganni , d' ira e di nequizia ;
E per niente in un punto è perduta
La sua benevolenza ed amicizia;
Per poca cosa il marito nimica ;
Sì che di torla non pigliar fatica*
O Silvio, se tu fussi in questi lacci
Ne' quai son io, uel mio gran labirinto,
Faresti mille pezzi e mille stracci
Di questo tuo trattato qui distinto :
Non creder che per questo tu mi cacci
Dal mio voler, né che tu m'abbia vinto;
Anzi son più che mai nei cuore acceso
Di tor per moglie quella che m' ha preso.
Non mi dir più di loro acconciatura ,
Non biasimar chi mi può far contento ,
Che col tuo dir non mi farai paura ,
Che da te non vo' creder quel « W io sento ;
Una vo' tor che sia di mente pura,
Che sia de la mia casa il reggimento ;
Sperando averne ognor pace e quiete ,
Ed uscir dov' io sono avvolto in rete.
124 Poesie
Oltre di questo ancor scemerò spesa ,
Se piglio moglie, e vivrò da noni idonio >
Perchè a le donne altrui non farò offesa ,
3\è si dorrà di me Piero né Antonio :
Se tu credessi tormi da l'impresa,
Reputerei che tu fossi il demonio;
Tanto le spregi , vilipendi , e biasmi ,
Che par contro di lor tu scoppi e spasmi.
Anzi chi non tol donna , vive e stenta ,
Com* una bestia mai si vede pieno ,
E di nessuna cosa si contenta ,
E pasce il corpo e 1* alma di veleno ;
E però , Silvio , vo' che tu consenta
Che la donna è de 1' nom timone e freno;
Sì che send' io disposto di volella ,
Dimmi che modi ho da tener con ella.
Figliuol , poi che tu sei deliberato
Di voler perder la tua libertade ;
A me n' incresce, ed botti ammaestrato,
Credendomi di farti caritade :
Tu non conosci il tuo felice stato ;
Ma tu '1 conoscerai , come gli accade ,
Che con tuo danno ne vedrai la prova :
Ma il pentimento tardo a nissun giova.
Tu entri in un diserto pien di spine,
E credi di goder la state e '1 verno ;
Questo dolce principio innanzi al fine
Ti parrà un tormento de l'inferno:
Ma se tu vu».i seguir mie discipline,
Segui il consiglio , e tien questo governo ,.
Principalmente se tu vuoi onore:
Tien la tua donna sempre con timore.
Satiriche» 125
Secondo il grado tuo tienla vestita ,
Cb' ella possa con l' altre comparire ;
E fa eh' ella sia in casa riverita
Come padrona da chi l'ha a servire;
Ma nou permetter mai eh' ella sia ardita
Del tuo comandameoto aver a uscire ;
Fa che ognor tu sia il perno e la colonna
Di casa tua , e sia uomo , e non donna.
Non la lasciar mai vincere una prova ;
Fa sempre che la tua resti di sopra;
E se tu vedi pur eh' ella si mova
Contra la voglia tua , e tu adopra
L' umiltà tua , e se non si rimova ,
Dornauda con prudenza , e fa buon' opra:
Che la bestia si doma con lo sprone ,
E la donna perversa col bastone.
Se pur di torla ti contenterai ,
Fa che tu voglia Toner suo difendere;
Del vin di casa non ti saziar mai ;
So che per discrejjion tu debb' intendere:
Figli uol , sia savio , e se così farai
Non fia nissim che ti possa riprendere ;
E tieni a mente quel che da me odi :
Tu sarai il primo , se tu te ne lodi :
E conservati questo a la memoria ,
Se pur di torla tu pigli partito :
Se vuoi di tal impresa aver vittoria ,
Fa ch'ella sia la donna, e tu il marito:
E s' ella ha il capo pien di vanagloria ,
Non seguitare il suo vano appetito :
Pensa al bisogno tuo come prudente ,
Che chi tosto erra, a bell'agio si pente.
126
FRANCESCO COPPETTA
CANZONE
U,
tile a me sopr' ogni altro animale ,
Sopra '1 bue, sopra l'asino e '1 cavallo,
E certo , s' io non fallo ,
Utile più , più grato , assai più caro ,
Che il mio muletto , le galline e '1 gallo ,
Chi mi t' ha tolto ? O sorte empia e fatale ,
Destinata al mio male,
Giorno infelice, infausto e sempre amaro,
]Nel qual perdei un pegno , oimè, sì caro,
Che mi sarà cagion cT eterne pene !
Dolce mio caro bene ,
Animai vago e leggìadretto e gajo,
Tu guardia eri al grana jo ,
Al letto a' panni a la casa al mio stato,
E insieme a tutto quanto il vicinato.
Chi or da le notturne m' assicura
Topesche insidie? o chi sopra '1 mio piede
Le notti fredde siede ?
Già non sarà cantaudo alcun che chiami
La notte in varie tempre più mercede
Satiriche. 127
Attorno a queste abbandonate mura.
Ob troppo aspra ventura
De' tuoi più fidi e più pregiati dami !
Anzi cercando andrà n dolenti e grami
Te farse la seconda volta grave ,
Dolce del mio cor chiave,
Ch* un tempo mi tenesti in festa e in giuoco ,
Or m hai lasciato in fuoco ,
Gridando sempre in voce così fatta :
Oimè y eh' io ho perduto la mia gatta !
Anzi ho perduto 1' amato tesoro ,
Che mi fea gir tra gli altri così altero,
Che , s' io vo' dire il vero ,
Non conobbi altro più beato in terra :
Or non più, lasso, ritrovarlo spero
Per quantunque si vogli v> gemme od oro :
O perpetuo martoro ,
Che m' hai tolto di pace, e posto in guerra!
E chi m'asconde la mia gatta in terra,
Colma sì di virtude ,
Ch' a dir tutte le lingue sarian mule
Quant'ella fu costumata e gentile?
Ne l'età puerile
Imputarsele puote un error solo ,
Mangiarmi su l'armario un raviggiuolo.
Taccio de' suoi maggior' la stirpe antica
Come da Nino a Ciro a Dario a Serse ,
Il seme si disperse ,
Poi in Grecia , indi a le nostre regioni ,
Allorch' ei la fortuna mal s' offerse
Ne le strette Termopile nemica;
Perchè il dolor m'intrica,
Nò lassa punto eh' io di lei ragioni ;
128 Poesie
Però tua cortesia Io mi perdoni ,
S'io non parlo di lei tant' alto e scrivo,
Quanto a celeste divo
Si conviea ; che '1 dolore è così forte ,
Che mi conduce a morte,
Non trovandola meco a passeggiare,
O sopra il desco a cena o a desinare .
Miser, mentre per casa gli occhi giro ,
La veggio , e dico: qui prima s' assise :
Ecco ov' ella sorrise ,
Ecco ov' ella scherzando il pie mi mosse;
Qui sempre tenne in me le luci fise ,
Qui ste' pensosa , e dopo un gran sospiro
Rivoltatasi in giro ,
Tutta lieta ver me subito corse,
E la sua man mi porse;
Quivi saltaudo poi dal braccio al seno ,
D'onesti baci pieno,
Le dicea infin : tu sei la mia speranza.
Ahi dura rimembranza!
Sentiala , poi che il corpo avea satollo,
Posarmisi dormendo sempre in collo .
Ma quel che avanza ogni altra maraviglia ,
E raccolta vederla in qualche canto ,
E quivi attender tanto
Il suo nemico, che le arrive al varco :
AUor trattosi l'uno e V altro guanto
Da le mani, e inarcando ambe le ciglia ,
Sol se stessa simiglia ,
E nessun' altra ; e son nel mio dir parco;
Che mai saetta sì veloce d' arco
Uscio , né cervo sì leggiero e pardo ,
Ch' appo lei non sia tardo ;
Satiriche. 123
Indi postogli addosso il fiero ugaone ,
Lo trae seco prigione ;
Ed alfin dopo molte e molte offese
E de la preda a' suoi Larga e cortese.
EU* è in somma de' galli la regi uà ,
Di tutta la Sorìa gloria e splendore;
E di tanto valore ,
Che i fier1 serpenti quaì' aquila ancide :
Ella a chtus' occhi , o che grande stupore!
Gli augei giacendo prende resupina ,
E de la sua rapina
Le spoglie opime a* suoi più car" divide:
Cosa che mortai occhio mai non vide,
Vidila io sol , e mi torna anco a mente f
Che con essa sovente
Facevo grassi e delicati pasti :
Or m' ha i disegni guasti ,
E tolto non so qual malvagio e rio
L1 onor di tutto il parentado mio.
Oiini bene ogni gaudio ogni mia gioja
Portasti teco , man ladra rapace.
Quel dì che la mia pace
Sì tacita involasti a gli occhi miei :
Da indi in qua ciò eh1 io veggio mi spiace,
Ed ogni altro diletto sì m' annoja ,
Che converrà eh' io muoja
Forse più presto assai eh' io non vorrei :
Or per casa giuocando almen di Jei
Qualche tener gattino mi restasse ,
Che me la riportasse
Ne l'andar» ne la voce, al volto, ai panni 9
Che certo li mie' affanni
Non tenerei sì gravi , e le mie cose
Poesie Salir. o,
l3o P o I $ I E
Non sarebbon da' topi tutte rosé.
Io non potrei pensar, non che ridire,
Quanto sia grave e smisurato il danno
Che questi ogucr mi fanno ,
Senza licenza e senza alcun rispetto :
Dove più ben lor mette , di là vanno :
Cotale è lo sfrenato loro ardire,
Che in sui buon del dormire ,
0 Dio, che crudeltà! per tutto il letto
Corron giostrando a mio marcio dispetto :
Sannoi l'orecchie e '1 naso mio, che spesso
Son morsi , talché adesso
Mi convien allacciar sera per sera
L' elmetto e la visiera ,
Essendone colei portata via,
Che tulli gli faceva stare al quia .
Portata via non già da mortai mano;
Perchè dove la fosse qua fra noi ,
A me , eh' era un de' suoi ,
Saria tornala in tutti quanti i modi ;
Ma tu, Giove, fra gli altri furti tuoi,
Nel ciel de le tue prede già profano 9
Con qualche inganno strano
L' hai su rapita , e lieto te la godi :
Deh come ben si veggion le tue frodi,
Ch'occultar non la puoi sotto alcun velo,
Perchè si vede in cielo
Due stelle nuove, e più de V altre ardenti,
Che son gli occhi lucenti
De la mia gatta tant' onesta e bella,
Che avanza il sol la luna e ogni altra stella.
Ond' io qui taccio ; e s' alcun è che voglia
Intender la mia doglia ,
. S a t i r i e h e, i3r
Digli : eli' è tal, che mi fa in pianto e 'n lutto
Viver mai sempre , e in tutto
Divenir selva d' aspri pensier folta,
Poiché la gatta mia m' è stata tolta .
i3a
LODOVICO DOLCE.
CAPITOLO
della. Speranza.
F
ra tutti i cibi, o che trovò l'usanza,
O die necessità , non è il migliore
Di quello eh' è da voi detto , speranza •
Cibo d' incomparabile sapore ,
Cibo che non si mangia allesso o arrosto,
Cibo puro invisibile, e del cuore.
Ne come gli altri si dilegua tosto,
Né si compra per oro o per castella,
Ma puossi sempre averne senza costo.
Or venitevi a tome una scodella ,
Voi , che servendo a l'amorosa corte ,
Lo vi perdeste ne l'età novella.
Senza vivanda di si buona sorte,
Dei bel genere umano in tempo breve
Glorioso trionfo avria la morte.
Sarebbe ogni fatica al sol di neve ,
Ch' ella ne fa parer dolce Tamaro,
E '1 grave peso de la vita lieve.
Il suo sudore a quel che studia è caro,
Sperando alfin de le fatiche tante
Di farsi in vita e dopo morte chiaro.
Satiriche. i£1
Tutto il mal eh' è qua giù, soffre l'amante,
Solo perchè tra se divisa e spera
Trovar mercede da due luci sante»
Fra gente brava coraggiosa e fiera ,
Pascendosi di lei fido soldato,
Segue di capitan vecchia bandiera.
Serve padron magnifico e onorato
Buon servidor, e non si stanca mai
Per avanzar alfin qualche ducato .
Sprezzano la fortuna i marinai ,
Per non parlar di quella gente grossa
Che pestano le spezie nei mortai .
Sprezzano ogni minaccia, ogni percossa
Di lingua, di ritorte, e legno, e mani,
E aver le carni travagliate e l'ossa.
Sprezzano la fatica gli artigiani,
E tante parolacce e paroline,
Che ci vendono in banco i cerretani.
Vengono a le città le contadine,
E lasciano le valli e la campagna,
Portando cacio latte uova e galline.
Ne fanno stima se pioggia le bagna,
Ne fanno stima se le cuoce il sole,
Né romper le ginocchia o le calcagna.
Quel!' altro non si turba e non si duole
Di consumar tutta la vita in corso
Per spiar fatti e rapportar parole.
Se vede da vicin nuovo soccorso ,
Sperando la vittoria in un momento,
Smarrito capitan t'assembra un orso*
Con speme di cavar l'oro e l'argeuto
Cacciasi alcun, che noi farei già io ,
Per tutti i buchi de la terra dreuto.
Né più bel pater nostro al parer mio
Si può insegnar a un putto ch'abbi ingegno
Che: soffri, spera, e lascia far a Dio.
Mai non condusse al disiato segno ,
( Guardate s'egli è questo un bel tesoro )
Alcun seo'.a speranza il suo disegno.
Con speme di volar nel sommo coro
Mangian digiuni ed astinenzie i frati,
E chi '1 viso ha d'argento, e chi 1' ha d'oro*
Ma quanti si sarebbono ammazzati,
Se la speranza non gli avesse detto ,
Voi tornerete ancor lieti e beati !
S'ella non l'insegnasse con diletto,
E promettesse a lui tranquilla vita ,
Non soffriria la fame un poveretto.
Saria del mondo ogni corte sbandita ,
E staria io ozio tal, che ad un cappello
Quanto più può, col buon voler s'aita.
Anche la cortesia n'andria al bordello,
Se colui che ve l'usa non sperasse
Una mitra acquistar per uno anello.
E non sarebbe chi ti accarezzasse ,
E non sarebbe chi ben ti volesse,
Né chi d* un bagattin t'accomodasse.
Non lascerian sì spesso le duchesse
I duchi per andar fieri in battaglia,
Ne '1 Turco tanta ciurma da brachesse.
Ne dormiria sì spesso su la paglia
In grazia del suo re buon cavai iero
Che o£ni elmo rompe, o»ni lorica smn&lia,
XNon ci sana ne paggio ne scudiero,
N >>i ci sarebbe medico o dottore,
£ 'i mondo avria bisogno d'un cristiero.
Satiriche, *35
Non ci saria architetto ne pittore,
Non ci saria mercato, ne mercante,
Ne caccia ci saria né cacciatore.
Tale è signore, che saria un furfante,
Se la speranza dirizzando Tali
Non l'avesse ogni dì cacciato avante.
Ella alberga nel mezzo a gli spedali
Non meno eh' ella alberghi nei palazzi ,
Ne si diparte ancor da gli animali.
Stanano freschi senza questa i pazzi ,
E senza questa anderebbouo a spasso
I conviti le prediche e i sollazzi .
E non si troverebbe un contrabasso ,
Ne chi facesse teuor nò sovrano ,
E molte cose che in la penna lasso.
Non ci sarebbe al mondo un Cristiano ,
Non ci sarebbe Turco né Giudeo ,
Non ci saria raarran ne Luterano.
Il Papa non darebbe il giubileo,
E senza speme di riscuoter poi
Non correresti col pegno a lo Ebreo*
Or come pasceria pecore e buoi ,
Porci porche cauaglia traditora,
Chi non sperasse l'utile da voi ?
Per la speranza si teme ed onora ,
Per la speranza volentier s' inchina,
Per lei si fa del ben, per lei s'adora.
Stilla il cervel la sera e la mattina
li poeta per gola di due foglie
Di che ricca ne va là gclatiua.
Vorria più tosto un savio aver le doglie
Del mai francioso , o il mal de la moria,
Che sofferir l'angosce de la moglie;
236 Poesie
Se non fosse la speme tuttavia
Di generar figliuoli per semenza
De la quondam di lui genealogia.
La formichetta eh' ha tanta prudenza ,
Coglie per questa il grano ne la state,
A barba de la nostra provvidenza.
La rondinella le contrade amate
Lascia , ne teme così lunghi voli ,
Per far il nido per le sue brigate.
Senza questa avvocati e uotajuoli,
Ne giudici sariano, infino a quelli
Che vendon l'insalata e i cetriuoli
Ed i cardi e le pesche e i ravanelli,
Carciofi , e quei che vendon i presciuti,
Fegati salsiccion' trippe e budelli.
Non ci sariano rasi né velluta
Nò panni lini, ne panni di lana.
Ne intelletti che fosser saputi .
Non spcnderia tutta la settimana
Il buon villan, ne con Testate il verno,
A le bisogne de la vita umana.
E non sarebbe al mondo più governo;
Morirebbe ciascun, com' io vi dissi
Su nel principio del primo quaderno.
E perchè saria tempo eh' io finissi ,
Dico che la speranza è quella chiave
Che v'apre il cielo , e spasima gli abissi.
Ed è così a ciascun dolce e soave,
Ch' accompagna a la forca i sciagurati ,
Che ben può dirsi il varco onde si pavé.
1 poveri infelici incarcerati
Si pascono di lei più che di pane,
L sol van ne l' inferno i disperati ;
Satirici* t. 187
Là dove sono tante forme strane ,
Ch'arram pinate hanno le mani e i piéi,
Né mai si sente suono di campane,
£ Satanasso fa gridar oméi»
i38
ANNIBAL CARO
CORONA.
SONETTO.
D
unque un antropogafo, un lestrigone,
Un mostro così rozzo e così fero ,
Uà eh' è di lingua e d'opre e di pensiero
Una sfinge , un Busiri , un Licaone ;
Osa contra pietà , contra ragione,
Con tra l'uraanitate e contra al vero ,
In dispregio del santo e del severo
Editto che la legge e Dio e' impone;
Osa, dico, versare in faccia al sole
Il sangue, oimè ! d'un suo figlio innocente,
Ond' ha Parnaso ancor rose e viole?
E l'osa, e '1 face, e vive, e non sen pente?
E c'è chi 'i vede, e chi'l pregia, e chi '1 cole4
O vituperio de l'umana gente!
8 i T I R 1 fc R E. i3q
SONETTO
o
Vituperio de l'umana gente !
I sacri studj , e l'onorale scuole,
Ond' ha l'alma virtù perpetua prole,
Ond' è simile a Dio la nostra mente,
Contamina un profano, un impudente
Veglio, immaginator d'ombre e di fole:
Di cui lo stil , gì* inchiostri e le parole
Son la rabbia e '1 veleno e '1 ferro e '1 dente.
Questo empio veglio , per far empio altrui ,
Coi caduti dal ciel nostri avversari ,
E coi suoi vizj esce de' regni bui .
Quinci turba le cattedre e gli altari,
E i puri e i saggi e i buoni. E tu da lui,
Misera età, senno e valore impari?
M;
SONETTO.
isera eia, senno e valore impari
Da'si malvagio e da sì folle, a cui
Sembran follie da Cadmo iusino a nui
Quanti son, fuor de' suoi , scritti più rari.
Santi lumi <\<A vero eterni e chiari ,
Qual fa nero destiu, che sì v'abbui,
E vi spegna la nebbia di costui ?
Tanto ne son del sol i raggi avari ?
Tanto un cieco presume ? un che la luce
Ne 'nvidia? un che da via sì piana e trita,
Per laberinti a Lete ne conduce?
E presume guidarne, e tor di vita
Chi non l'ha per un Argo e per un duca?
Arroganza de gli uomini iuGnila !
I40 P O E 8 I B
SONETTO.
A,
.rroganza de gli uomini infinita ,
Che la natura in servitute adduce:
E lei eh' a tutti eternamente luce ,
In un sol lume ha già spenta e finita •
Anima santa , al quarto ciel salila ,
Fuor de l'error che '1 mortai velo induce;
Vedi quanta eresia qua giù produce
Questa furia , onde sei del mondo uscita.
Che per far vero il falso , e dubbio il certo ,
Ha te, spirto sì chiaro e sì benigno ,
A dira morte indegnamente offerto.
Or s' io m' inaspro, e se da me traligno ,
E perchè faggio indarno assai sofferto,
Lingua ria, pensier fello, oprar maligno.
L
SONETTO.
ingua ria, pensier fello, e oprar maligno:
Foli* ira , amor mal finto , odio coverto :
Biasmar altrui , quando il tuo fallo è certo
E dar per gemma un vetro, anzi un macigno
Far di lupo e d'arpia l'agnello e '1 cigno:
Fuggire, e saettar: lodar aperto:
Chiuso mal dir: gran vanti, e piccìol merto;
E pronto in mano il ferro, in bocca n ghigno:
Dispregiar quei che sono, e quei che foro
D'onor più degni: e solo a te monile
Far di quanto ha'l gran Febo ampio tesoro
Furori e frenesie d'aschio e di bile
Atra ; e sete di sanjiue, e fame d'oro :
• • • i
Queste son le tue doti, anima vile.
Satiriche. i4r
SONETTO.
o
ueste son le tue doti, anima vile,
^ Degne pur d" altra mitra , e d' altro alloro ;
Che non veston le tempie di coloro ,
Ch' ornan d' Apollo , e di Gesù F ovile .
Già secca aragna , il tuo buojo covile
Ne hai per tomba: e per pompa il tuo lavoro:
Già ne sei , qual Perillo, entro il suo toro,
Nel foco , di cui fosti esca e focile .
Già gufo abbominevole , e mortale
Augurio a chi ti vede, ed a chi t' ode:
Sol di notte apri il gozzo , e spieghi F ale .
Ma , perchè il tuo dover non ti si frode ,
Chi mi dà tosco al tuo veleno eguale ,
Di più lingue aspe, e scorpion di più code?
D
SONETTO.
i più lingue aspe, e scorpio di più code;
Idra di mille teste, e d' una tale,
Che latra e morde , e come sferza o strale f
Incontra a Dio par che s'avventi e snode :
Chimera di bugie ; volpe di frode :
Corvo nunzio e ministro d' ogni male :
Verme che fila e tesse opra sì frale ,
Che f aura e '1 fumo la disperge e rode :
Monia di sangue putrido e di seme
D' orgogliosi giganti ; e vero e vivo
Cocodrillo , che l'uom divora, e geme:
E quanto abborre, e quanto ha'l mondo a schivo ,
Sembra, ed è veramente accolto insieme,
11 mostro di eh' io parlo e di eh' io scrivo •
jfó F O E S I E
SONETTO.
Al mostro di eh' io parlo e di eh' io scrivo ,
Di nessun pregio , e di perduta speme ,
Non potendosi alzar, s'altri non preme,
Spregia e spegne i mortali , e se fa divo •
Servo di vile affetto; fuggitivo,
E rubel di virtù ; ben sei d' estreme
Tu pene reo : ben chi t' onora e teme ,
D'onore indegno, e d'intelletto è privo.
Qual tratto da le stelle > e da le tane ,
E dal suo fango , in ciel ripose il mago
Nilo , un cercopiteco , un serpe e un cane ;
Tale, e più fero e di più sozza immago ,
Con ceraste d' intorno orride e strane
La nobii Secchia ara per nume un drago ?
SONETTO.
ra nobil Secchia ara per nume un drago?
Che per far rospi d' innocenti rane ,
1 ruscelli infettando, e le fontane,
Fatto ha d' averno , e di mefite un lago .
Quinci rivolta al ciel 1' empia vorago
Vome: e fischiando, orribilmente immane,
Spira nebbie sì fosche e sì loutane,
Che '1 sol ne vela dal Gefiso al Tago .
Febo, com'è, che soffri il tetro e nero
Fiato di questo nuovo empio Pitone,
Se sei padre di luce, e fai lf a reterò?
Com'è, che teco il gran Giove non tuone :
Se d'ambi incontra al sacrosanto impero
Osa un antropofago , un lestrigone ?
i45
MATTACCINI
CONTRO IL CASTELVETRO
SONETTO.
M,
anelami, ser Apollo, otta catotta
Quel tuo garzon con Y arco , e coi bolzoni ,
Per batter di Vetralla i torrioni ,
Ove il Gufo ancor bujo e nebbia imbotta.
Da la gruccia 1' ba sciolto una marmotta;
E chiamando assiuoli e cornacchioni
Riduce il suo sfasciume in bastioni,
Per far contra pigmei nuova riotta .
jià veggio su i ripari una gbiandaja
Che grida a V arme ; e i ragni e i pipistrelli,
Che stan coi grifi a gli orli de le buche.
Via se vien monna Berta e monna Baja ,
Non fia per sempre il giuoco de gli uccelli
Quel barbassoro de le fanfaluche?
Fruga tanto, che sbuche,
E rimettilo in geti , e se dà crollo ,
Senza remission tiragli il collo.
c44 Poesie
SONETTO.
±1 Gufo strofinandosi ha già rotta
La zucca ; e in su la stanga spenzoloni
Per farsi formidabile a' pincioni ,
Schiamazza e si dibatte e sbuffa e sbotta .
Arruota il becco f infoca gli occhi , aggrotta
Le ciglia, arruffa il pelo, arma gli unghioni,
E raggruzzola paglie, e fa covoni
Incontrai sole, ond' ha la pelle incotta.
E già V uccellatojo e 1' asina ja
In soccorso gli mandano i succhielli 9
Che impregna le ventose per le nuche.
Già per Secchia mettendo Arno in grondaja,
Versa spilli e zampilli e pispinelli ,
E ricama le carte per Y acciuche .
O naccheri , o sambuche ,
Sparate . E tu che V hai di piume brollo f
Aprigli il capo , e cavagli il midollo •
Satiriche. i4$
SONETTO.
^carica, Farfanicchio, un'altra botta ,
Da' ne le casematte e ne' gabbioni ;
Dove le vespe aguzzan gli spunto ui ,
£ dove il calabron fa la paliotta.
apposta che sìan tutti in una frotta
Le zanzare e le lucciole e i mosconi ;
Poi con pece con razzi e con soffioni
Gli sparpaglia gli abbrucia e gli pillotta .
luona il cembalo , ed entra in colombaja ,
Ove covano i gheppi e i falimbelli ,
O lanciavi uq terzuol che vi s' imbuche .
31 tu grida , menando il can per 1* aja ,
Ai grilli che rosecchia.io i granelli :
Gitene al palio con le tarteruche .
Ficca poi due festuche
Nel becco al Barbi Janni, e come un pollo
Fallo peuder coi pie, fia che sia frollo ,
Poesie Saùìr, io
\£6 Poesie
SONETTO.
i
JU Castello è già preso ; or via forbotta
La rocca , e que' suoi vetri, e quei mattoni,
Ch' un sopra I' altro come i maccheroni
Sono a crusca murati ed a ricotta .
Già T hanno i topi e le formiche addotta
Per fame a darne statichi e prigioni :
Già si sente al bisbiglìo de' mosconi
Che ▼' è romore e disparere e dotta .
Oh '1 Gufo n' esce : odi che Secchia abbaja ;
Ai pa*si % a le parete , ai buccinelli
Gran fatto fia che più vi si rimbuche .
Io t' ho pure : o ve' ceffo , o che ventraja :
Guat' occhi , se non pajon due fornelli ;
O sucide pennaece irte e caduche!
Or su , Gufacelo , su , che
Tosto ti veggia e nudo e trito e sollo . »
Questo è ranno bollente oy' io t'immollo.
Satiriche. 147
SONETTO.
u
a altro tuffo , infici che 1' acqua srotta :
Sbucciagli l'unghie; arrostigli i peloni;
Fa che a schianzi a bitorzi a vescicoui
Gli si fregi la cherica e la cotta .
Ma quanto più si tuffa, più s'abbotta:
Senti che gli gorgogliano ì polmoni :
Vedi ch'ha fuor la lingua, ha fuor gli occhioni,
E pur v' apre il beccaccio , e pur cingotta .
O va , caccialo, Branco, in cappona ja :
Strappali de le coscie i campanelli ;
Ed acciò che 1' umor gli si rasciuche ,
Ordina da mia parte a la massaja ,
Che qua e là sul capo gli trivelli ,
E v' appicche parecchie sanguisuche;
E 'n fin da le carruche
Lo squassi in su la fune ; e se lo scrollo
Non giova , o tu lo strozza , od io l' azzollo.
148 Poesie
SONETTO.
V e' come fra le gambe il capo ingrotta,
Come sta rannicchiato e coeoloni :
Certo o sente i sonagli de falconi ,
O patisce di fianco o d' epiglolta .
Forse ha podagre. O dagli una dirotta
Di strecole di sgrugui e di frugoni :
Ma per guarirlo da gli straugoglioni ;
Fa che grilli e lucerle e sorci inghiotta .
Fi fi; che gli s'è mossa la cacaja ;
Su, che '1 cui gli si turi, e si suggelli ,
Che più carte non schiccheri o impacchi uche.
Tornisi un' altra volta a la caldaja ,
Che i fonti non intorbidi e i ruscelli
Più di Parnaso, o gli suoi lauri imbruche.
De le cui sante puche
Mentr'ìo gli occhi gli annesto, e'n fronte il bollo,
Fagli tu di busecchie un bel cocollo.
Satiriche. 149
SONETTO.
A
vea quest' uccellacelo ornai ridotta
La musica io falsetti e' ri semitoni :
Facea la musa a suon di pifferoni
Singozzare e ruttar come un' arlotta ;
Andava quando annebbia e quando annotta
Culattaudo i colombi e i pernieoui:
Dava a chiunque vcdea morsi e sgraffioni ;
La volea fin con gì' ippogrifì a lotta .
E come un pappagallo di Cambaja
Cinguettando le lingue a' suoi stornelli ,
Dicea bicbiaccbie e bubule e bruche.
Credea che la treggea fosse ci va j a :
Però ne dava a macco a paperelli ,
A sorici a ti<>uuole a tarli a ruche.
Tenendosi da più, che
Bacello , come dire un Sermagollo ,
Facea lo cattabriga e '1 rompicollo .
i5o Poesie
SONETTO.
T
u, che in lingua di gazza e di merlotta
Gracchi la parlatura ai gazzoloni;
A che parti si tuoson quei povioni ?
Con la hennola in co de la cesto'lta ?
Fra cuccoveggia e brontola e borbotta ,
Che differenza è ne gli tuoi sermoni?
Di che vetro si fanno i caraffoni
Da tenere i siroppi e 1' acqua cotta ?
Quante braccia di fondo ha la pescaja
D' un cervel secco ? e 'ntorno a' tuoi capelli
Che vuoi prima , o le bietole , o 1' eruche ?
Quante lasagne il giorno , e quante staja
Fanno di crusca quei tuoi molinelli
Tra veccia e loglio e brucioli e pagliuche?
Se d' un che ne mauduche,
Mi sai dir qual sia piò voto o satollo ;
Quid eiris mini? il Mangia, o'I magno Apollo»
Satiriche. i5i
SONETTO.
L
a gran torre di vetro , ove corrotta
La lingua si trasforma in farfalloni,
Portata inverso *l ciel da' formiconi
S'era fino a le nugole condotta;
Quand' ella , e quel suo mastro di nigotta
Che *1 Nembrutto facea tra lampi e tuoni ,
L'un cieco, e l'altra in pezzi a'suoi macchioni
Tornando, diventare alocco e grotta.
Allor gli fu d' intorno a centinaja
E cutrettole e sgriccioli e fringuelli:
E Foche ne lasciaron le laltuche.
Ma per dar fine a questa cuccovaja;
Venga di quelli alati nanerelii
Un che mei tragga fuor de le marruche;
Un che '1 naso gli buche,
O gli ne spunti, e con un buon rampollo
Gli empia il teschio di menta e di serpoHo.
i5a Poesie
S O N E T T O.
o
ueste son le ruine: e qui la rotta
Seguì de gli orinali e de'fiasconi:
Qui cadde il mastro de gli svarioni ,
Ch' ebbe quasi a storpiar Febo di gotta.
In questo palo s'infilzò la botta
Gonfia di borra : a questi panioni
Restar' bruchi e forfecchie a milioni :
Qui die la Rilla il suo carpiccio al Potta,
Questo ch'era castello, or è volpaja;
Questi pezzi d'ampolle e d'alberelli ,
Eran torrazzi e cupole e verruche.
Qui canto '1 Gufo : e questa è la cuccaja ,
Ov' or s'intana. Orsù, cigni e fanelli,
Da le Canarie insino a le Moluche
Cantate : e voi bizzuche
Berte, che vi trovaste al suo barcollo,
Ponete il caso al vostro protocollo.
Satiriche» i53
SONETTO.
- . /
jLJ\ce che s' era tralto un certo alocco ,
Che facendo de l'aquila volante,
Postosi or questo ed or quel libro innante,
Fea di tutti gli uccelli esca e trabocco.
Ma per cbi ne scoprì la cacca e '1 cocco,
Vistosi eh' era cucco , in uno istante,
Il farsetto restò così bel fante,
Come in sogno fu mostro a ser Fedocco.
E mentre de la gruccia ov' era in gogna,
Uscir tentando in van si becca i geti;
E s'arrangola e stride e schizza e rece;
I/anima gli svanì tra rotti e peti .
E pur tanto pendè , che di carogna
Mummia al vento a la polve al sol si fece ;
E mastro lavacece
Per ciurmar la raccolse e conservolla :
Or vedetelo dentro a quest'ampolla.
1S4 Poesie
SONETTO.
M
ostrava, e lo credette alcun balocco,
Tanto nel toscanesmo era parlante,
Che Petrarca nel corpo avesse e Dante ,
E v* avea Scarmiglione e Libicocco.
Con questi e col suo sterco e col suo mocc©
Turbate infette e secche avea già quante
Yaghe pure gentili acque erbe e piante
Son da la sua vetraja a Malamocco.
Ciò che cuccoveggiava, era o menzogna,
O covelle o cosacce o collibeti
De le sue caccabaldole a schimbece.
Di ciò che si farnetica e si sogna
Tenea certi fantastichi alfabeti
Sgraffignati da lui ne la sua fece.
Ch' unto, bitume e pece
Mischiati ha'nsieme, e vischio e boba e colla
Or vedetelo dentro a quest' ampolla.
Sat irxche. i55
SONETTO.
E
questi è quel famoso Barbati ci rocco,
Che di Secchia in su l'urna chiecricante
Stava io petto e in persona; e dal gigante
Aspettava tributo, e da Marzocco.
Questi è, che dava col suo becco in brocco
Botta botta nel grugno a l'elefante:
Quel!* arcisacrestan , quel soprastante
Del beli' orto d'Apolline e d'Eoocco.
Juesti è che or dal suo bujo; or d'una fogna »
Traea quegl' incredibili secreti,
Onde ridusse il milione a diece .
)uesti con la trilingue sua cianfrogna
Spiritò sì con gì' ipsilonni i zeti ,
Ch* ancor de' cigni incivittì la spece.
Questi è quel che disfece
Parnaso, e' mparuasò di vetro un'olla:
Or vedetelo dentro a quest' ampolla.
*56 Poesie
SONETTO-
u
dite, scioperati. Il Cafagea,
Quel famoso lambicco di Vetralla ,
Se ne va 'ti pezzi giù per Secchia a galla,
Di sì buon loto avea la sua giornea.
L'alchimista de' stronzoli volea
Ch' un ticcel de le sei fosse Farfalla :
Ma che, venne poi '1 canchero a la falla.
Perchè tolse a stillar la scamonea.
Dicon che torna al suo fornello: adagio :
Per fissar ci vuol altro che M soffione :
Ei non debbe saper quando è san Biagio.
Ma per uscir di puzza e di carbone;
Ser Zugo, ser Agresto, ser Aìbagio
Suso, ognun diaxdi piglio al suo tizzone.
Vien via, cacamusone ,
Grappa tu la palletta , ed io le molle:
Diasi ne le stoviglie e ne le ampolle.
i5j
MATTIO FRANZESI
CAPITOLO.
V
j Altri loda la peste e '1 mal franzese,
Quartana e g^tte, io credo pur ch'io possa,
Se '1 mio cervello è buono a quest' imprese,
;river qual cosa in lode de la tossa;
Anzi lo debbo far, perchè obbligato
Lo sono e sarò sempre iu carne e 'a ossa.
*ovar la possa chi non F ha provato ;
Bagnisi, vada fuor spesso al sereno,
Nò si curi di stare spettorato;
into eh' e' s'empia il capo il petto e '1 seno
Di quella che si chiama coccolina,
Ch' ò de la tossa qualche cosa meno :
ida di questo tempo la mattina
Due ore avanti giorno a la campagna
Con molti cani e poca cappellina;
questo mo' la tossa si guadagna :
Ciie non pensaste per istarvi iu agio
D averla per amica o per compagna :
sogua sopportar qualche disagio
Per addossarsi un così fatto bene ,
Ch' a voi forse parer debhe malvagio ,
ioS> Poesie
Ecci una gran brigata , la qual tiene
Che questa, come ogni altro ottimo dono,
Dal ciel nasce, al ciei cresce, e si mantiene,
Del qual parere anch' io del tutto sono ;
Ma o venga da noi o pur da' cieli ,
Io tutti i modi eli' ha sempre del buono.
Forse ch'accade mai eh' ella ti celi
Ciò ch'ha nel capo, e ciò ch'ha dentro al petto
O che ricopra il ver con doppj veli ?
Manda fuor ciò eh' eli' ha quasi di netto,
E ne fa tal rumor, che tu l'ascolti ,
Quando ben non volessi, a tuo dispetto:
E tocca sempre là dove più duolti ,
Ed antivede dove l'umor pecca,
Lo qual par eh' ammatassi e lo rivolti.
Forse eh' ella ha maniera punto secca
Nel praticarla, e forse che con tutti
La non conversa senza alcuna pecca.
Vannole a grado e le donne e li putti,
Anzi son sempre intenti i suoi pensieri
A far eh' ogni animai gusti i suoi frutti ,
Impacciasi co' vecchi volentieri,
Questo dirò con lor sopportazione ,
Assai più che gli occhiali e che i brachieri.
E veramente ch'ella u' ha ragione,
Perch' e' la fanno fortemente esperta ,
E più eh' altri le dan riputazione.
Piacemi eh' ella vuole star coperta ;
Anzi si cruccia teco fieramente,
Se tu la lasci punto a la scoperta:
E soprattutto ha sì del frammettente,
Che non si trova chi le tenga porte ,
E dice ad alta voce ciò che sente.
Satiriche. i5q
riovale disputare, ed ha tal sorte,
Ch' uomo non è che se Je contraddica,
Ch' altrimeuti saria proprio uua morie .
>a musica l'è stata sempre amica ,
E massime ne' tuoni e semituoni,
E a intonar non dura una fatica.
> se di verno fossero i poponi,
Come di luglio e agosto, idest di state,
Come cred' io che Je parrebbon buoui !
[a in quel tempo la fugge le brigate ,
Poi le torna a veder in la stagione,
Ch* altro non ha che cose inzuccherate.
lissemi un non so chi già la cagione
Perchè la tossa il verno solameute
Pratica volentier con le persone :
parmi eh' e' dicesse , che ia gente
Dormiria troppo , se non fusse questa ,
Sendo le notti luughe, e i dì niente:
>a qual tien la brigata assai ben desta ,
Ma non sì, che non sgombri e mandi fuora
Ogni materia e cosaccia indigesta ;
se ti raddormenti pur talora ,
Che mortai nemica de le piume
Ti rompe il sonno, e sveglia allora allora.
a io che per un certo mio costume
Me la sono incappata , molto sana
Me la ritrovo al scuro ed al barlume ;
oè ( ma questo qui va per la piana )
Ch' ella vuol eh' io mi carichi leggiere
Un qualche giorno de la settimana ;
svegliato mi tien le notte intere,
E la mente m' innalza, e fa schizzare
Cose eh' un cieco le vorria vedere :
i6o Poesie
Tanto che per sua grazia singolare
Par ch'io abbi nel capo una sequenza,
Una fontana un fiume un lago un mare,
Idest un pantanaccio d'eloquenza.
i6r
CESARE CAPORALI.
CAPITOLO.
M
esser Matteo , ho da gli amici udito
Che voi bramate di vedermi ognora ,
Come chi paté in mar , e brama il lito#
[o sto di voi a quel medesmo ancora ,
E n' ho un' ardente e strabocchevol voglia p
Com' uom che per martello amando mora.
2 ben che cerimonie far non soglia ,
Ne profferte maggior' di quel ch'io vaglio ,
Come chi questo e quel di frappe invoglia;
ur se mi viene un galantuomo in taglio ,
Gli fo da gli altri sempre differenza ,
Come si fa dal cinnamomo a l'aglio.
ero se avvien eh' io vi veggia in presenza ,
Vi farò di berretta e di ginocchio ,
Come si fa a prelati riverenza.
jhe se le vostre qualitadi adocchio ,
Conosco chiaro che valete in Roma ,
Come in terra di ciechi vale un occhio»
Questo mi move a scaricar la soma
Del debito cou voi, che m'urta e spinge,
Come cozzou talor bestia non doma.
Poesie Saùir. n
i6s Poesie
E quello ch'or per me vi si dipinge»
Toglietelo per me , eh' io non farei
Come chi poetando adula e fìnge.
Quel eh' io io , solo il fo , che non vorrei
Che voi patiste di vedermi affanno ,
Come patiscon pel Messia gli Ebrei.
Benché voi fate a voi medesmo inganno ,
E resterete a conoscermi poi ,
Come chi V util cerca é trova il danno.
Danno non già , eh' io dimandassi a voi
In presto cosa per non render mai ,
Come da molli s' usa oggi fra noi.
Che ben eh' io sia in pover stato assai ,
Dove oggi vengo , vo' poter tornare ,
Come biscanta Ja cornacchia crai.
Voglio inferir che potrete imparare
Poco da me , che nel sapere io sono
Com' è senza lucerna un bacalare.
Potreste dirmi : egli è pur sparso un suono
Del tuo comporre; è ver, ma quest'adopra
Come a l'orecchio de' fanciulli il tuono;
Di cui non rispondendo *d rumor Y opra ,
Lo stupor cessa , e vo tra buoni ingegni,
Come uccel ch'abbia più falconi sopra.
Or perchè il vostro orecchio non si spegni
Col mio lungo proemio , io vengo al fatto
Com'uom che adombra e incarna i suoi disegui
In questa carta vi mando un ritratto
Di me medesmo , e vo' che mi veggiate ,
Come chi in vece d' occhio usa del latto.
Qui del volto, del corpo e de J'ctale,
Senza vedermi, intenderete il vero,
Come si dice i*i confessione al fiale.
Satiriche, i63
oi gli affetti de 1' animo , e '1 pensiero
Vi scoprirò , che li vedrete a punto
Come per bianca neve un bufai nero.
e gli anni a mezzo del cammin sou giunto
Di nostra vita , e vo correndo a gli anta,
Come corre per mar legno ben unto,
luesto è quanto a l'età: quanto a la pianta
Del corpo poi, io son grande e cresciuto,
Come io magro terren mal eulta pianta,
on uel composto mio scarno e membruto;
Hj le gambe sgarbate, e '1 ventre piano ,
Com' ha ne 1' esser suo proprio un leuto.
e membra tutte poi di mano in mano
Corrispondono al tronco, e fan concerto ,
Come il parlar di Bergamo e '1 toscano.
e mi vedeste un tratto discoperto ,
Volli dir nulo , io pajo più ne meno
Come a veder Macario nel deserto,
pereh' abfr*!Vce informazione a pieno ,
Volgo il capriccio a dirvi de la faccia ,
Come si volge ogni cavai per freno,
[a la rima vuol dirvi de le braccia ,
Ch'io ho sottili ; e man ruvide e grosse ,
Come chi il pau con la zappa procaccia.
a qual tornando onde prima si mosse,
Desta '1 cervello a ciò che dirvi intendo,
Come la tromba il barbar su le mosse,
opre la barba dal mento cadendo
Qael groppo ch'è il boccon d'Adam chiamato,
Come il grembial da cintola pendendo.
uesto ho io ne la gola rilevato,
E la barba i" asconde , come ho detto ,
Come ia buffa in giostra a l'uomo armato.
164 Poesie
Non la porto però lunga giù al petto ,
Ma tondo in quadro, e quasi è il suo model!
Come siepe cimata per diletto.
La bocca non mi fa brutto uè bello ;
Ma ho straziato per disgrazia il naso ,
Come Etiopo tratto di pennello.
Questo per accidente m'è rimaso ;
Nel resto è la figura del mio viso,
Com'un di quegli uomacci fatti a caso.
La fronte ho crespa , il ciglio aspro e diviso ,
Orecchio collo crin guance mascelle,
Com'ha il proprio riverso di Narciso.
Ho gli occhi negri , e pallida la pelle,
Aspetto fosco , e porto il capo chino
Come chi attende od ha triste novelle.
Con tutto questo ho per mio buon destino
San per natura e schietto il corpo tutto ,
Come un ducato venezian zecchino.
E ben eh' io papi contraffatto e brutto
Com' io vi scrivo , e che in effetto sia
Come T autunno ogni arbor senza frutto ;
Pur perch' io so che cosa è leggiadria ,
Mi diletto d' andare assettatuzzo ,
Come il Zima vestito a smanceria.
Ne l'andar fo de l'alto e de 1' aguzzo ,
Mi pavoneggio e contrappeso i passi
Come cornacchia o sguassacoda o struzzo..
E se per me farsetto o calza fassi ,
Fo empir di borra petto fianco ed anca ,
Come s' empion di lana i materassi.
Ma voi dovete aver 1' orecchia stanca j
O dovete esser dal cianciumc stracco
Come corner tra via se il cibo manca.
Satiriche. i65
*er tutto ciò la penna non distacco;
Ch' a forza n esce la seconda parie ,
Com' esce il gran quand'è sdrucito il sacco.
o v' ho detto del corpo a parte a parte ,
E eh' io mi fo coi panni la persona y
Come chi ajuta natura con arte.
!om' ai di dentro l'alma affrena o sprona
Gli affetti miei, ho da narrarvi appresso, ;
Come chi a doppio le campane suona.
u prima io cerco conoscer me stesso ,
E T esser mio fra gli uomini figuro ,
Com' è proprio tra gli alberi il cipresso.
to paziente al pover stato e duro ,
E sto con la fortuna e con la sorte
Come colui che sta tra' calci e '1 muro.
ivo de l'arte mia ; e soldo e corte
Fuggo , come cagion di molti danni ,
Come si fuggon ì' arme de la morte.
on ho sete di roba che m'affanni ,
Perch' io so che difendon l'acque e 'I vento ,
Come le sete e gli ostri , i grossi panni.
a libertà mi fa viver contento ; /
La qual cara mi fu fin da fanciullo ,
Com' è caro a Y avar 1' oro e 1' argento,
mangiar bene e mal non stimo un frullo ,
Perchè Fabrizio con le rape valse }
Come co' suoi fagian' valse Lucullo.
\ vani onor' mondan' mai non mi calse;
Ed ambizion si spende tra miei gesti
Come tra banchi le monete false.
on ho invidia che '1 cor mi roda o infesti;
Non ira onde a vendetta il desir s'erga ,
Com/ han gli orsi rabbiosi e i can' molesti.
i66 Poesie
Sonno o pigrizia meco non alberga ;
Anzi sto desto nel mondan faggio ,
Come suol star pigro animai per verga,
Tra spirto e carne pace in me non aggio ;
Onde al piacer d' amor mi piego e movo ,
Come le biade al ventolin di maggio.
Converso nobilmente e cerco e provo
D'aver sotto conforme ne gli umori,
Com'acqua ad acqua, e come '1 novo al nov
Io fui nimico ognor de' frappatori ,
E fuggo gli alchimisti e i negromanti ,
Come fugge un fallito i creditori.
E credo in Dio , ne la Madre , e nei Santi ;
Ne vo' spiccarmi da la destra sponda ,
Come Martin, Filippo, e gli altri erranti.
Nel resto vo pel mezzo ed a seconda;
Ne mi fido in parabole o 'ti chimere ,
Come ch'in aria i suoi castelli fonda.
Mi piace assai più 1' esser _, che '1 parere ;
E de l'ipocrisia fuggo l'errore,
Come soglion dal can fuggir le fiere.
Nuove del turco o de 1' imperadore
Abuso tengo , e capital ne faccio ,
Come una meretrice de 1' onore.
Nel conversar io odo vedo e taccio ,
Travaglio a tempo, e fommi il fatto mio.
Come formica il vitto mi procaccio.
Sbrichi , bravi , bestemmia y e giuoco rio
Mi spiacquer sempre , e le brutte parole,
Come a' furfauti il dir : vaiti con Dio.
Con l'amico fo sempre quel che vuole ;
E '1 non poter mi strugge sì, ch'io vegoo
Come neve, o pruina incontro '1 sole.
Satiriche. 167
Spendo liberalmente quanto tegno ;
E vanno le mie robe e i miei guadagni
Coni' acqua schiusa ebe non ba ritegno.
Sto sempre allegro e lieto fra compagni ;
Ma solo in braccio de gli umori casco
Come cascan le mosche in man de' ragni.
La speme di promesse mai non pasco ;
Che di cangiarsi stan sempre in periglio ,
Come l'amor di donna e '1 vin di fiasco.
A. Ghibellino o Guelfo non m' appiglio ;
Fuggo le gare i garbugli e le liti ,
Come gru fugge di falcon 1' artiglio.
)r tutti i miei progressi avete uditi ,
Co' quai stato vi son forse molesto
Come chi va a le nozze senza inviti.
ro fine , ed al servigio vostro resto
Pront'a le squille a vespro a nona a terza,
Coni' al fischio in galea schiavo ben presto ,
) come al suo signor paggio per sferza.
pfft
M. B.
CAPITOLO
IN LODE DEL L' ASINO.
E'
vi parrà capriccio daddovero,
Compar mio caro, a dirla qui tra noi ,
S' k> canto quel che di cantare spero .
Già non saran bugie di strani eroi ,
Come di dire Orlando o Carlo Mano,
Anzi cose che s' usano tra voi .
Ma perch'io penso eh' e' vi parrà strano,
Io vi dico che quel che vi ho da dire f
Ancor toccar ve lo farò con mano .
E innanzi eh* io vi voglia altro scoprire ,
Perchè pigliate la cosa più intera ,
Mi vi bisogna un certo caso aprire ;
11 qual per dirvi appunto come egli era
Fu di notte venendo un martedì ,
Era di maggio, era la primavera.
Send' io addormentato presso al dì,
Dove non era bene il dormir tanto,
Un asin col ragghiar mi risentì.
Satiriche. 169
Né bisognava star più tanto o quanto ,
Senza altro dir, voi crederete bene
Ch'io lo ringraziassi com' un santo.
E poich' io giunsi a casa fuor di pene ,
Cominciai a pensar di compensarlo ,
Come conviensi a gli uomini da bene .
Onde venuto m' è nel capo un tarlo ,
INon potendo maggior servizio farli ,
Che di pigliar la penna , e di lodarlo .
E per maggior affezion mostrarli ,
Questi suoi versi i' ho voluto poi
Al mio più caro amico indirizzarli.
Così comincerò , e 'ntanto voi
Che le Muse tenete pe' capelli ,
Non le stooliete ora da' fatti suoi .
Perchè bisogneria mille cervelli
A tal soggetto, e dubito non poco
Non creda messer asin eh' io Y uccelli .
Ma pur sentendo che le Muse invoco
Che m* ajutia narrare ogni sua loda ,
Creder dovrà che ci sia carne a fuoco •
Or la parola un dubbio qui mi annoda,
Ch' io non so dov' io debba cominciare ,
Dal capo, da gli orecchi, o da la coda.
Egli è per tutto tanto singolare,
Ch' io per me vo' lodarlo intero intero ;
Poi pigli ognun qual membro più gli pare .
Prima del nobil suo lignaggio altero
Non fa mestier che nulla ve ne dica ,
Sapendo ognun che fu innanzi a san Piero •
Ne meno spenderò tempo o fatica
Ove eh' il nome suo derivar voglia ,
Come facevau gli uomini a 1' antica .
170 Poesie
Mia musa in frutti, e non in fior s'invoglia;
E'I dir T antichitade o'I suo cognome,
E come dir : poca uva , e molta foglia .
Però comincerommi da le some ,
Che più eh' altro animai ne porta quello :
Legga Priscian chi vuol saper del nome .
Venite qua , brigata ; questo è bello ;
Che portereste le some da voi ,
Se non ve le portasse 1* asinelio .
Che T altre bestie che s' usan tra noi ,
Non son sì adatte, ne a bastanza ancora,
Mettendo co' cavai bufoli e buoi .
Egli '1 giorno e la notte ognor lavora ,
E sempre a un modo , a' caldi tempi e freschi
E s' adopra in Firenze come fuora.
Iu ogni cosa par eh' egli rieschi ;
E de l'utile il conto uon faria
In dodici anni Raffael Franceschi .
E quel eh' ei porta non racconteria
Venti donne cicale de le buone,
Né 1' inventario d' una spezieria .
Basta che mentre eh* a portar si pone ,
Lo può guidare un minimo bambino
Senz'uno scioperio d'altre persone.
Egli è poi sì cortese e sì divino ,
Che come dice quel proverbio antico,
Per se bee 1' acqua, e porta a gli altri '1 vino.
Forse eh' egli diventa tuo nemico ,
Benché tutto il dì l' abbi bastonalo ?
Non se ne cura, e non Io stima un fico.
Egli è di un altro dono ancor dotato
Questo animai, quant* altro dir mai posso,
Tal eh' a gli uomini stessi ndn è dato ;
Satiriche. 171
Ed è che mai non si genera addosso
Di quegli animaletti bianchi e "neri
Che rodono la carne insino a Tesso.
Chi vuol di pulitezza or vie più veri
Segni di questo , ne cerchi fra quante
Corti fur mai, né di trovarne speri.
Forse (he come il cavai da furfante
Tuffa '1 ceffo nel bere ? Tocca appena
L'acqua, tant' è costumato e galante.
Poi cou che grazia mangia e con che lena ,
Filemon cel potrebbe raccontare ;
Ma ridendo morì seuz' altra pena :
E fu eh' ei vide un asino mangiare
De' fichi a la sua mensa apparecchiata,
E tal fu 'l riso, che lo fé' crepare.
Ma prima disse a la fante , che stata
Era troppo a venir portargli bere,
Che la prima vivanda ha già mangiata .
O s'è' potesse anche l'asino avere
Lingua, che come gli uomini parlassi!
E' ci farebbe il suo cervel vedere;
Ma con 1' opere savio tener fassi ;
E dove e' cade in questo luogo o 'n quello,
Mai non vi torna , se lo scorticassi .
Beu mostran gli Empolesi aver cervello
Quanto conviensi ad ogni uomo dabbene ,
Che 1' asin diventar fanno un uccello.
Certo eh* a 1' asin Tali si conviene,
A voler farlo una solenne cosa ;
Ma senz' esse p;ù ut il ce ne viene .
Forse bisogna fornimenti a josa
Per suo p« rt. r , com' una mula vuole,
Che ha più abbigliamenti, ch'una sposa.
172 Poesie
Il basto ad ogni dì gli basta , e sole !
Le feste l?i bardella qualche volta ;
E pare un Tallio, come dir si suole.
Porla le legne e frutte e la ricolta ,
Che noi può far bestia che sella porti ,
3Nè men portar sempre i cestoni in volta •
Noi abbiam veramente mille torti
A non lo ringraziar, quando ci nette
Le strade e i cessi, e poi ne 'ugrassa gli orti ;
Che doveremmo fargli di berretta,
Com'a persona dabben si conviene;
Ma T usanza fu sempre nua civetta .
Erano gli asin' come uomin' dabbene
Già riveriti, e chi gli molestava
Si puniva secondo le lor pene .
Onde Mida che gli asini oltraggiava,
Da Bacco fu con sua vergogna e danno
Gastigato , siccome e' meritava .
L' asin non ci fa mai tristizia o 'nganno ,
Come la volpe e '1 lupo o altra tale
Bestia, che ci assassinan tutto l'anno .
Egli non brava punto a la bestiale ;
Talché a cavalcarlo è un piacere ,
E di guerra è nemico capitale .
Va dì , che questo tu lo possi avere
Da cavalli giaunetti, turchi o sardi,
Ch'o ti straccano, o fannoti cadere.
Ora veggio, dicea Maffio Bernardi,
Per quel che '1 cavalcò volentier Cristo ,
Quest' animai , da gli altri Dio mi guardi;
Io mi ricordo già scoparsi un tristo ,
Ch'andava adagio quanto più poteva ,
Solo per esser su quell'asili visto.
Satiriche» 173
3nde un saccente , che non lo doveva
Conoscer ben , gli disse : poveretto ,
Cammina presto , e di pena ti leva :
li volto disse a lui pien di dispetto:
Va a modo tao quando sarai scopato ,
E me lascia ora andar a mio diletto .
JuelT andar sì soave e riposato
Gli andava a fantasia, e forse innante
Tanta dolcezza non avea provato.
L'asino ha da natura un buon portante^
E in Alessandria per il cavalcare
Del gentiluom non s* usa altro, e 'n levante.
Ma noi non ci vogliam mai contentare ;
Che l'italico sen l'ha per natura
Cercar delun' ne' monti , e golpe in mare ;
ome dir fuoco freddo , ed acqua dura ,
E simiF cose, le quai l'han condotta
Come vuol suo destino e sua ventura .
Or vedete pazzia che ci ha ridotta -
L' usanzaccia , per cui sempre ci avviene
Che il ben si fugge , e al mal dietro si trotta.
Son pochi quelli , e ricchi bene bene ,
Che tenghino un cavai come si debbe,
E con fatica un sol anco si tiene .
Zhe se si usasse , come si dovrebbe ,
Gli asini , o questa sì che saria bella!
Almeno o«oun cavalcatura avrebbe :
non ti avresti a trar de la scarsella
Cento fiorine come 'n un buon cavallo,
Che s' ei si muor , ti riman sol la sella .
Meno di dieci costa , e ciascun sallo;
Ed è tanto cortese per natura ,
Che porta insino a la merda a cavallo •
174 *-, Poesie
E se e' si muor per quii e he sua sciagura 9
La carne per salsiccia o «alla vendi.
La pelle un vaglio che cent' anni dura .
Se in cornamusa o zufol piacer prendi ,
Son le sue ossa a bella posta falle ,
E ne puoi dadi far, s' a giuoco attendi.
Ad ogni cosa iufia par che si adatte ;
E più bisogno anbiam d' un asinino ,
Che de la ciarla uà che venda o baratte *
Tu te ne servi la sera e '1 mattino:
Cacciagli pure addosso quel che vuoi ;
E paglia ed. acqua son suo pane e vino .
Gli è sano e pronto a la fatica poi
Vie più eh' altro animale , e ne dà saggio
Col generar ne gli ultimi anni suoi :
li che non fa se non il suo lignaggio ;
Onde supera vivo questo e quello ,
E morto col formar lo scarafaggio .
Questi è un animai più buon, che bello ,
Ch' è come aver bruita borsa, e moli* oro
Che chi così non yuoI , non ha cervello.
Ed io per me non bramo altro tesoro:
Così volesse chi può farne prova ;
Ch' è come dire avere un asin cT oro .
Io mi ricordo or <T una lode nuova
Degna di papi duchi e imperadori ,
Ch' asino esser un libro anco si trova .
S' io vi dicessi or cose vie maggiori ,
Come di dir eh' ei si trova in effetto
Asini in uomo, xi fors' anco dottori;
Voi mi direste che questo soggetto
Ve lo sapete; onde non dico niente :
Farete conto eh' io non V abbi detto ,
Satiriche. 17J
> credo ancor che chi ponesse mente f
Ed osservasse i suoi gesti , vedria
Che egli è matematico eccellente.
erchè senza imparar astrologia ,
Fra gli altri primavera egli si vede
Col canto annunziarla tuttavia .
quando pasce , e che zappa col piede ,
0 tien gli orecchi a terra , è chiaro segno
Ch' allor vicina pioggia egli prevede .
1 un asino ancor di tanto ingegno ,
Ch'attentissimo udia Ja sapienza
D' Amonio , eh' era filosofo degno .
redo eh' ei leggerebbe con prudenza
In accademia; ma infiniti quello
Uffizio fan per lui per eccellenza .
ice Marco Varron , eh' un asinelio
Fu visto sì gran prezzo comperare,
Che e' non valse mai bestia più di quello .
Igli del sermollin non suol mangiare
I Per non uè privar noi , perchè ha notato
l Che per la salsa ne soglia m cercare .
j> mi ricordo che mi fu contato
I Una cosa che debba esser intesa ,
I Ond' ei sarà col tempo più lodato :
I uest' è , eh* ancora gli resta sospesa
I Quel che l'anima sua facci posimorte,
! Mi ben ne sta con isperanza accesa :
lerchè quando che Giove fece accorte
!; Alcune anime d' immortalitate ,
| Era presente 1' asine! per sorte;
pregò Giove con parole ornate
■ Ch'immortalasse lor l'anime ancora
jl Per essergli anco dopo morte grate:
176 Porsi e
E seguitò senza più far dimora :
Giove noi sarem tuoi senz' alcun fallo,
E 'n vita e in morte servirei! ti ognora •
Farem cantando talvolta un bel ballo ,
Ed a le feste che dona il tuo coro
Potrem portar qualcheduoo a cavallo.
AUor si ricordò Giove , che loro
Gli fer vincer la guerra coi giganti ,
Quando in suo ajuto coi Silvani andoro :
I cui meriti allor furono tauti ,
Ciie nel più alto segno in ciel ne prese
Giove memoria fra' suoi numi santi .
Ed ancor oggi si mostra palese:
Certe stelle del granchio in ciel compreso
Si chiaman asin' per ogni paese «
Ma ritornando a Giove , eh' avea inteso
Quanto V asino aveva addimandato ,
E di servirlo s' era tutto acceso j
Ei gli rispose : ei non è radunato
Il gran collegio : a la prima tornata
Quel eh' addomandi allor ti sarà dato ^
E quando 1* alma avrete immortalata ,
Io vi darò questo segnai per peguo ,
Ch' un di voi piacerà acqua rosata .
E di qui nasce che 1' asin eh' ha ingegno ,
Fiuta ogni piscio che per terra trova,
Poi alza il capo, e dice : è questo il segno
Ma ecco d' eccellenza maggior prova ,
La qual si doveria scriver in guanti;
E vi parrà cosa bizzarra e nuova .
Que' cappelli che son cappe di tanti ,
Che portan per misterio i cardinali ,
Di pel d' asin si fanno tutti quanti
Satiriche. 177
)ueste son cose degne ed immortali,
E non co9acce che certi han lodato ,
La peste , il mal francese , e gli orinali .
orse che non durarono imbondato ,
Che s' un asin volevano lodare ,
Sarebbe ognun di loro immortalato.
ra tutti gii animai , sol il parlare
A messer asino è stato concesso ;
E quel di Bilaam lo può mostrare .
i s* or vi pare eh' insieme abbi messo ,
Come si dice , il ceppo e la mannaja ,
A me non par d'avere errato adesso .
erebè s'io dico il vero, ei non è baja :
E '1 ver per tutto può dirsi scoperto ;
Dunque il mio canto strano non vi paja .
ant' è di messer asiuo il gran merto ,
Ch' Agrippa mostra che con sommo onore
Tal nome a' . . . . debba dirsi aperto .
eston de l' asinin bigio colore
Uomini e donne eh' abbian buona mente a
Per qual cosa parere umil di core .
quaudo Cristo nacque , immantinente
Voile questo animale avere accanto ,
E sempre il suo cavai fu parimente .
oi par che gli uomia'se ne adirin tanto ,
Quando che gli è detto asino a qualcuno t
Ch' è propio come dirgli mezzo vanto •
ille altre cose a giudizio d* ognuno
Lascio, che saria lunga tartafera
A contar simil casi ad uno ad uno .
è men racconterò la luuga schiera ,
Dioscoride, Plinio, ad altri tali
Ch' ebbon del medicar notizia vera :
Poesie Satin i£
178 Poesie
Cd' hanno scritto di lui cose bestiali y
In medicina quanto vaglia e possa ;
Ma gli lasso per cose da speziali .
m Lascio, che '1 sa ogni persona grossa,
Che di musica ancor dir si potrebbe
Ch1 ei suona vivo e morto, in carne e in oss
In fatti, a fine mai non si verrebbe
Di questa bestia tanto uiile al mondo,
Che più virtù che li bettonica ebbe .
Questo è un mar , che non ha riva o fondo
E la mia Musa , a tal soggetto indegna ,
Mi dice eh' entro troppo nel profondo.
Se mai andrò per qualche cosa degna
In campo tra soldati , veramente
Io voglio un asinel per la mia insegna .
Sarà la coda un pennacchio eccellente,
De la pelle armerommi petto e rene
Qual Rodomonte il spoglio del serpente.
É così parrò proprio un uom dabbene ,
Come son quei che per le corti stanno ,
O chi 'n qualche grandezza oggi ci viene <
Par eh' abbian questi da natura, ed hanno
Conformità con l'asino, e tal sia,
Ch'essere altro che asini non sanno.
E chi pur altrimenti esser disia,
E vilipeso, perchè il mondo istesso
Anch' egli inasinisce tuttavia.
Sia che si vuole, io l'ho pur detto adesso;
E chi cattiva lingua mi vuol dire,
S' io dico '1 ver, sarà 1' asino ei desso .
Sditomi or nuovamente sovvenire,
Ch* a Bacco era sagrato, e ad altri Dei
E' si solea per vittima offerire •
Satiriche. 179
Come Sansone vinse i Filistei
Con una sua mascella, e d'un suo dente
Fé* nascere acqua; ed altro dir potrei.
Ma come mille sue lodi eccellente
Lascio per esser breve , or questi tali
Capi basti aver tocchi solamente.
Non tigri , non leoni , orsi o cinghiali
Che di dauno nel mondo sempre sono,
Dunque hanno il vanto de gli altri animali ;
Ma quel degno asinel di eh" io ragiono,
Si debbe sopra tutti incoronare ,
Come vie più di loro utile e buono.
Ei sol d' ogni animai dee trionfare
Da' freddi popoli a gli ardenti e neri ,
E da F ircano a 1* atlantico mare.
Ma perchè pure a chi non ha pensieri
Vo' lasciar qualche campo , io ho pensato,
Ch' andar più innanzi sia cosa leggieri •
Poi bisogna eh9 io pigli un po' di fiato .
i8o
PIETRO ARETINO
CAPITO LO
AL RE DI FRANCIA.
e
istianissimo Re, dopo i saluti,
Ed il baciarvi eoa l'animo il piede,
Che vi coavien più che a' Papi cornuti ,
Supplico di Francesco la mercede
Che facci sì, che la sua maestà de
Mi dia gli scudi che a Nizza mi diede.
10 gli ebbi in quanto a la vostra boutade ,
La qual peasa che io gli abbia imborsati ,
Come gli ho spesi con la volontade.
Certo il gran Coatestabil me gli ha dati
Col pr >metter di dar megli, talch' io
Senza l'obbligo sou tra gli obbligati.
Ho mandato a la corte Ambrogio mio
Già tre volte per essi; e se sai costa,
Ve lo può dir messer 13 >meaeddio.
Udite questa : uà goffo mi s'accosta
Diceudomi piaa pian, che mi stimate
Più che di luglio il veato d'una rosta.
11 caso, Sire, è dar quando voi date;
L'altre cose soa bije cortigiane
Che si piglian piacer de le brigate.
Satiriche. i8r
Ma perchè non è uora che vegga un cane
Abbajargli d' intorno da dovero,
Che non Io cacci, o non gli dia del pane;
Chiariscami il sì schietto, e il no sincero,
Circa il secento che mi prometteste
Ne lo abboccarvi con Papa Cristero»
Date la luoga a certi guardafeste,
Trofei de le tavole dilette,
E non ad un poeta c/ue pars este*
Sfamate di speranze maladette
1 giorueoni che v' abbassan, come
V innalzano le Muse poverette.
Roma, che valse per dumila Rome,
Allorché non patì d'essere schiava
E de' muli e de gli asini da some,
Stiasi menando a' Franceschi la fava*
Né vada conferendo i benefici
De l'alma Francia magnanima e brava :
Diasi a par' miei de' gradi e de gli uffici,
Ed a chi non divora tuttavia
I fagiani i pavoni e le pernici .
vaca pieve, commenda, o badia,
Non l'abbian quelle bestie che non sanno
II pater nostro, né l'ave maria.
o lo vo'dir; s' ci l'ha per mal, suo danno:
Parvi che Gaddi pazzo da catena
Debba scroccar sì grossa' entrata l'anno?
hieti , che drieto sì gran coda mena,
Che cose de la Bibbia ha fatte o ditte ,
Qual libreria de le sue opre è piena?
5ou mie fatiche i salmi di Davitte,
E di Mosè il Genesi; io di Cristo,
E di Maria le impresse vite ho scritte-
182 Poesie
Non basta dire: egli è dotto, egli ha visto.9
Bisogna che il teologo chietioo
Si vegga, e legga come il papalisto.
Paolo scrisse, Gregorio, Agostino,
Girolamo, Grisostomo, Bernardo,
Bonaventura, e Tommaso d'Aquino ;
Ma se Garaffa ipocrito infingardo ,
Che tien per coscienza spirituale,
Quando si mette del pepe in sul cardo ;
Fer gracchiar dal concilio è cardinale,
È dottor de la chiesa , è vangelista ,
E de l'anime nostre piviale;
Se rinascesse san Gioambattista,
Non fingendo l'astuzie del volpone,
Si porrìa de' ribaldi in su la lista.
E però, Sire, senza paragone
Di fé di senno e di gloria prestante,
Moderno redentor de le persone ;
Porghìno a me le vostre grazie sante
Spacciatamente l'adiutrice mano,
A la barbaccia del clero furfante.
Be buono, re cortese, re umano,
Re dabben, re dabben, re grazioso,
Io vi son e voglio esser partigiano.
Adunque il cor mettetemi in riposo:
Ch' ancorché mi facciate spedalieri,
Vedrete come rimo e come proso.
S* a Roma son de' sarti e de* bnibieri,
Frati dal Piombo, e cavalier' di R«>dit
A ingrandir ine non vi mette pensieri.
Manucano a Gesù la croce e i chiodi,
E gli beono il sangue alcune arpie,
Che a mentovargli infamai ian le lodi.
Satiriche. i83
osse pur che io dicessi le bugie,
E che sempre mentisse per la gola
La verità de le croniche mie.
)r lasciam ir la turba mariuola,
E ritoraiam a quando mi farete
Un monsignor di qualche terriceiuola*
)atemi prima i dauar' che dovete ,
Rifacendomi i danni e gì* interessi ,
E poi del fatto mio consulterete,
fon islette a formar brevi e processi
Il vostro gran cognato Ferrandino,
Ne aspettò il replicar de' messi.
)ugento venti ungari d'or fino
Poco fa mi mandò, con dire: io parto
Teco la cappa, come san Martino .
ja pension dì Cesar non iscarto,
Che motti propio ne venne battendo
A sostentar de le mie spese il quarto *
! ancor il duca Ercole commendo $
Che dar mi fece più che di galoppo
Un presente al di d' oggi arcistupendo t
\ se alcun altro non gli verrà doppo ,
Darò la colpa a' tempi traditori
Che non comportan che s'allarghi troppo «
fanno ben caro che facci gli amori
; Con le montagne di quei milioni
Che danno a' preti tanti batticori •
la il ciarlar come le digressioni,
| Non fa per noi , perchè per bontà lord
Potrei scordare le mie orazioni:
|)nde ritorno a quei ducati d'oro ,
Che mi darete , visto la presente ,
I Non perchè io 1 merti, ma perch* io vi adoro*
184 Po E S I E
Il vescovo di Nizza veramente
De le virtù di poi predicatore,
Ed uomo onestissimo e prudente;
Perch' egli intende i duhbj del mio core,
Giurar vi può che voi ci sete drento ,
Come in quel de l'Oreno è Dio d'amore.
Quando dal mondo celebrar vi sento,
Ne godo, qual si gode un elefante
Allorché è fimbriato d'arìento.
De l'eccellenze vostre io sono amante,
E n' ho il martello, honue la gelosia
Che ha Paol terzo di non so che fante.
Io sempre inchino con la fantasia
Quel!' affabilità, quella dolcezza,
Quel largo andar, quella galanteria,
E quella chiara e nobile allegrezza ,
Che fa risplender voi, che ritrovaste
In conversare , e la piacevolezza .
Quel parlar con ognun, che sempre usaste ,
Mi dà la vita , perchè V atto è grato,
Come al fin del mangiar le pere guaste .
Impara tu , Pierluigi ammorbato,
Impara, ducarel da sei quattrini,
Il costume d' un re sì onorato .
Ogni signor di trenta contadini ,
E d' una bicoccuzza usurpar vuole
Le cerimonie de' culti divini .
Ora per rappiccar le mie parole,
Col proposito nostro ; dico : Sire ,
Che sete più domestico che il Soie,
Perlaqualcosa dovrei comparire
A ini «attener tutta la vostra corte,
E in Je sue braccia vivere e morire;
Poesie i85
Mi vengono i sudori de la morte,
Solo a pensarci , perchè son bestiali
Gli aggirami nti che gli dà la sorte;
E '1 praticar co' cervi e co' cinghiali ,
Di Fauni e di Satiri natura,
Che de la specie son de gli animali.
a piuma de la terra è troppo dura,
E '1 fieno de le stalle è propio letto
De' cavalli da basto e da vettura:
De lo 'nfangarmi non piglio diletto ,
E col pioveimi addosso non m'impaccio,
Mi acceca il fumo d'un povero tetto:
}ome butiro al caldo mi disfaccio ,
O \ogliam dir, cerne la gelatina;
Al freddo poi cerne fa il brodo agghiaccio.
Von mi piace la neve, né la brina,
Ne la borea crudel , né la tempesta ,
ISè il pasto mendicar sera e mattina:
foglia non ho d'accrescervi la festa,
Mentre vedete i grami forestieri
Come Zingari errar per la foresta.
^on so s' è meglio esser uomo o forzieri.
Quando due o tre ore innanzi giorno
S' entra in viaggio, che non ha sentieri:
)nde a suono di lingua, o a tuon di corno
Si va cercando se stesso , ed altrui
Sopra un ronzin con le bagaglie intorno;
Intanto s'urta costui e colui,
Con dir: canchero venga al punto, e all'ora,
Ch'io venni in questa corte, e ch'io ci fui.
I se non fusse , che il dì sbuca fuora ,
Onde apparisce la vasta sembianza ,
Che ognun consola, e ricrea, e rincora.
i86 Poesie
Coloro , che per forza , e per usanza
Vi seguono alle cacce brontolando ,
Farebbero le fiche alla speranza .
In somma io non son uom , che cincischiando
Vada la vita in queste selve e in quelle,
U agio con il disagio barattando .
E' basta a me , che Tiziano Apelle ,
Che sempre mai nelle figure mostra
Spirito sangue vigor carne ossa e pelle ?
Per carità dell' amicizia nostra
Dipinto m' abbi con mirabil fare
La immagin sacra dell' Altezza Vostra .
L' ha cinta d' ornamento singolare
Quel serio Sebastiano Architettore ,
Che il suo bel libro mandovvi a donare*
Egli vi porta e Tiziano amore,
E sebbene accettaste il lor presente ,
Non dicon che gli siate debitore .
Ma io genuflesso umilemente
Il vostro esempio sacrosanto adoro
Con V anima col core e con la mente :
In cotal atto pajo un di coloro,
Che a San Giobbe abbotisconsi di cera,
Quando del mal comune hanno il martore «
Io dico : O somiglianza viva e vera
Del Re Francesco, cavami una volta
Della necessità, che mi dispera .
E perchè veggo eh' ella pur mi ascolta ,
Soggiungo: Idolo mio, fa meco un patto,
Che mi dia mille scudi alla ricolta.
Ma perch' io mi consumo affatto affatto
Per il miracol , che non può far ella ,
Supplisca il vivo, du' manca il ritratto.
Satiriche. 187
>r nel conchiuder di questa novella ,
E del parlar , eb' ho fatto alla bestiale ,
Per ghiribizzo delle mie cervella ,
i mando la mia effigie naturale ,
Acciò vediate , con cbe core io
So dir bene del bene, e mal del male.
d ogni altra persona pone Iddio
Il core in seno , a me 1' ba posto in fronte;
Qual potete veder, rifugio mio.
tdle giovani mani egregie e conte
Di Francesco Salviati esce il disegno ,
Ch' ha nel suo stil le mie fattezze pronte .
igliate il din del vostro servo indegno :
Pigliatel , Re generoso e benigno ,
Della Immortalità più ch'altro, degno*
senza il grugno far del viso arcigno ,
Speditemi in un tratto , se volete >
Che io diventi di cicala cigno .
on altro: state san, bene valete.
Di Vinegia , il Decembre a' non so quanti.
Nel trentanove , eh' ha fame , e non sete .
ietro Aretino , che aspetta i contanti .
i88
CAPITOLO
all' Albicante
s
'alve ineschiti , volsi dire Albicante,
Delle Muse Pincerna , e Patriarca ,
Di Parnaso aguzzino, ed Aniostante .
Vada in bordello l' una e l'altra Parca,
Circa il tagliarvi a pezzi col morire ,
E sia ruffiano lor Dante, e '1 Petrarca;
E altro che '1 cantar del Dies ire ,
E : Pecorar, quando anderastù al monte ,
Il bestialaccio umor del vostro dire.
Voi spolverate i gesti del Piemonte
Con un romor di stanze sì feroce,
Che ammazza i serpi di Laocoonte.
Io mi feci il segno della Croce ,
Leggendo i due strambotti, che gli fate ,
Oad' esclamai con Pasquinesca voce:
Satiriche. 189
fra Porro Poeta da scazzate ,
Che in Milano t' aftibbi la ghirlanda
Dì boldoni , busecchie , e cervellate:
fama all'Albicante dà la banda,
>a gloria gli promette il colonnello,
l la Immortalità se gli accomanda .
per tornare al mandato libello ,
3 cronica, o leggenda eh' ella sia,
Perchè pm-e vi scappa del cervello #
ringraziarne tanta cortesia
Vii cougratulo centomila volte
jon lo aguzzo di Vostra Signoria .
to ho di voi opre legate, e sciolte,
nfino a quella , che avanza 1' Ancroja :
aoò trilame, trimarte, e trivolte.
questa sola vi trarrà la foja
er infinita secula del nome ,
b' ogni giorno c'impicca il tempo boja.
ete ormai caricarvi le some
ella laude propria, e infrascarvi
vostro beneplacito le chiome :
il Jovio e '1 Molza potete piantarvi,
L poi del Portai nieri al dispetto
ìon il dì del Giù licio imparentarvi .
Ielle rime eroico architetto,
) de' versi stupendo Prospettivo,
1 vostro libro ho tutto quanto letto :
;erto in grado egli è superlativo ;
la si vorrebbe che non fusse tale ,
vendol fatto V Albicante Divo .
>ciate pur abbajar le cicale ,
}he il Bojardo , il Pulci e 1' Ariosto
\. petto a voi un bagaro non vale .
igo Poesie
Ma se *n un cantoncin m' aveste posto
D' un Romanzuccio , ci trionferei ,
C« m' un che alla taverna afferra agosto.
Confessi pur d' esser caduta a piei
La turba degli eroi, che immortalate
Col vostro stil proprio da Semidei.
In estasi il mio fegato mandate ,
Con alcuna sentenza traditora,
Che a tempo , e ne' suoi luoghi sguainate.
L'anima e '1 cor m'imbertona, e innamora
Quella , che dice con suon mariuolo:
Un bel servir tutta la vita onora .
Fate sì ben campeggiar Ficaruolo
Suso la coda d' una desinenza ,
Che sene sbraca F uno e 1' altro polo .
Mi dà la vita il leggere Fidenza ,
Non mìga detto dal Decamerone,
Ma dall' Albicantissima licenza .
Quel che vi tien compositor coglione ,
Ha un gran torto; perchè sete in fatti
Di Febo piva, cornetto e trombone .
H< n no del simulardo come i gatti,
Dite voi, ragionando de' Tedeschi:
Coinparazion , che ci ha tutti disfatti.
I poveri Poeti stanno freschi,
Nel ritrovarsi un tal bravo alle spalle ,
Cagione che ni un sa ciò che si peschi.
Se la rotta , che fu di R oacisvalte ,
Avesse avuto voi per iscrittore ,
Volereste ora come le farfalle .
Voi sgargagliate le paci d'Amore ,
E vomitate le guerre li Marte »
Come il Fattoi, dell' Orchessa inventore,
Satiriche. 191
bandendo va e la natura, e l'arte,
Che il loro culo diventa beato,
Quando si netta colle vostre carte .
E perciò, sncio mio laureato ,
Sia benedetto il lunatico inchiostro,
Col qual T istoria a\ete abbeverato:
^'ermafrodito, e dabben secol nostro
Glorifichi ed esalti tuttavia
In vocem magnani ciò che e' è di vostro •
)alla sua lingua celebtato sia
Il cohel, che temprò le penne isnelle, -
Che di Cupido fer la notomia.
fui avete più obbligo alle Stelle,
Che in capo vi pisciarono lo 'ngegno ,
Che i Milanesi a chi trovò le offelle .
la se in rame intagliato , e non in legno
Fosse la maestà del vostro viso,
Cbe '1 sa Dio quanto egli ba grazia, e disegno ;
le incachereste da dover Narciso ,
E quella bardassuola di Jacinto ,
E 1 paggio, che tien Giove in Paradiso.
lenchè il vivo , ch'è in voi, paja dipinto,
Se vi ritraesse messer Tiziano ,
Sareste uom ver, non barbagianni finto,
vostro ingegno , de' savi decano ,
Il vostro stil , de' dotti maggiordomo,
II vostro andar, de' secoli scrivano,
lerta la statua su' tetti del Duomo ,
Anzi nn colosso lavorato al trono ,
E dedicato nel lago di Como..
'erchè il Burchiel , che sta nel ciel del forno,
Non farebbe quel verso , ove diceste :
Che vinse, e poi fu vinto al far del giorno.
*92 Poesie
Seoza alcua dubbio io ascendente aveste
Madama Calliope , e Mona Clio ;
Onde sete uomo dal di delle feste .
Per esser voi amico e padron mio ,
Ne son tanto superbo , che mi tegno,
Quasi che non ho detto , un mezzo IdJio •
Per voi all' armi spesso spesso vengo ,
Bontà della tristizia de' pedanti ,
A cui la rabbia con gli sguardi spengo .
Chi è costui | che canonizzi e vauti ,
Che solo a mentovarlo impazzo e spirto?
% Mi dimani;! un di tali asini erranti •
E un subb etto da lauro e da mirto ,
Un profumato ingegno , un gentil bue 9
Diss' egli, in quel ch'io volea dire, spirto.
Se non che '1 braccio tenuto mi fue ,
Di un prete sehiercato sodomito ,
Ad ogni m >d > gli dava le sue.
Fratello, ancorché mi abbiate chiarito,
Addosso a chi vi morde, mi squinterno ,
E in ciel vi pongo calzato e vestito .
Che a dir la verità, io non discerno,
Ch'impellicci e spellicci versi e prose,
Sì come voi nella state e nel verno .
Le vostre fantasie lussuriose
Usano i grevi epiteti e i leggieri
Secondo il'tempo , le gè iti e le cose .
Di Pinarol , di Turino e di Cheti
Bilanciate 1' onor dandolo a peso
All' uom > d' aroie , al fante, al cavalieri.
Poi dal furor del ghiribizzo acceso ,
Duchi , marchesi , conti e capitani ,
Per tutto il mjndo portate di peso .
Satiriche. *g3
la le fatiche son gittate a* cani,
Che non che un zugo, Vergilio in persona,
Col porgli in del, non gli trarrla duo pani.
opra de' grandi non piove e non tona ,
E in lode di colui , che ha qualche soldo %
Senza tirarla ogni campana suona .
o ho de' campi diceva il Mainoldo ,
Ed illustrava con quella parola
Tutto il gaglioffo del suo manigoldo.
dmen quando cinguetta una gazzuola ,
Se le dà della zuppa , e s> accarezza ,
OikT ella in giù e in su salticchia e vola ;
'1 versitìcator si caccia e sprezza ,
Come la povertà , e '1 dire il vero :
Perch' or la villanìa è gentilezza,
r per fornirla , fatevi un cristero
Di foglie di speranza , digestendo
Fino all' affez'ion, ch'avete al Clero.
enete sempre in bocca : in convertendo »
Quando parlale ad un signor ribaldo ,
O dite : a longe me vobis commendo .
1 questo mezzo all' ottimo castaido
Del concetto, in cui F ho toccato un tasta *
Sebben lo legge nella stampa d' Aldo ;
Ila luce d' ognun, non che del vasto,
Contar , com' io V adoro , non bisogna ,
Perchè la fede mia conosce al tasto .
i man baciate al cavai ier Cicogna
Da parte mia , poiché il catenino
Ha tolto al suo prometter la vergogna»
vedete il Marchese di Sonzino ,
Che le virtù colle promesse infregia %
Diretegli : il vostrissimo Aretino
Poesie Satin i3
ig4 P 0 K S I S
fi quel 9 che il volto a tutti i nomi sfregia 5
Però a s<»jar lui vadasi adagio.
INotì altro: state sano. Di Vinegia,
Sei treutaaove , il dì dopo San Biagio «
*#
CAPITOLO
A. L
DUCA 01 FIORENZA.
mmm
ignor Cosimo Duca di Fiorenza »
E per grazia e per merito e per sorte
Bacio le mani di Vostra Eccellenza ;
qual forse mi vuole un mal di morte ,
Tuttavia parendole f che io
Badi più all' altrui , che alla sua Corto •
lesse Gesù Cristo, padron mio,
be nel modo , che sete nel mio core t
i fosse il nome di Doraeneddio •
è in Cielo andrei gratis et amore ,
ome andrà in Paradiso, gratta Dei,
uelT uom dabbene di Nostro Signore «
ì rifinisti i Monsignor plebei
n morberello a cavallo a cavallo.
Come v' ho dedicato i fatti miei.
196 Poesie
Certo io vi son per fortuna vassallo ,
E per volontà schiavo ; e questo è noto,
Come costì la porta di San Gallo .
V odio Michelagnol Bonarruoto ,
Perchè non caccia i Pretacci ai bordello.
Facendovi di se debito voto .
Doverebbe uno spirto come quello
Far miracoli in voi, che simigliate
La signoria dell' Angel Gabriello :
Colla fronte le turbe rallegrate,
Come 1' attrista n certi ceffi grigi
Proprio subbietti da sfatar le Fate.
S' avesse a trasformarsi Malagigi
In piattola , in zecca ed in zanzara ,
La cera piglieria di Pierluigi .
Non favello del Duca di Ferrara,
Ch' alla presenza sua diminutiva
La grandezza dell' animo ripara •
Il Re di Francia ha viso d' una Diva,
Par ser Cupido il nostro Imperatore,
Ed il Papa una vita transitiva .
E qualche dì , eh* io non vidi Signore ,
Che non avesse V aria e le fattezze ,
Di birro, di mugnajo e di pistore :
Salvo V esterne e l' interne bellezze
Del mio Marchese del Vasto dabbene,
Che mi fa ogni dì mille carezze.
Or perebè ognuno a proposito viene ,
Quando vuol raccontar qualche sciagura,
Se già non è un cervel da catene.
Dico , che '1 ciel , Je stelle e la natura,
Per isfregiar i Principi graziani ,
Vi fer con una gran manifattura .
Satiriche. 197
rciò gli andari vostri jnuy galani
Lodabilmente tengono a stecchetto
£ la brachetta e la lingua e le mani .
)i aprite la bocca con rispetto ,
Né impregnate al prossimo le figlie,
Dandogli poi d' un pugnale nel petto :
>i non rubate le ricche famiglie ,
INè vi piace di por guinzagli a' buoni ,
INè d'allentar a' cattivi le briglie:
)i fate corte le cavillazoni
Della Giustizia lunghissima , dando
Torto a' torti , e ragione alle ragioni .
vete adunque felice regnando,
D acche la roba , 1' onore e la vita
Gite a' sudditi vostri conservando:
1 per esser la cosa inaudita ,
I piagnoni fra lor vanno dicendo t
Che ci fate una brava riuscita <.
Dio vero , eh' io ascolto godendo
bene , che ciascun dice di voi ,
lo desino, il ceno, e lo merendo:
imbriaca il mio cor gli spiriti suoi ,
d ei n' ha quei piacer , col qual biscanta
1 villanel eh' ha ritrovati i buoi .
cotal mezzo Mona Fama pianta
kgli altri gran maestri un porro dreto ,
JVantando sol la vostra vita santa :
la vi dà il titol di discreto ,
Di savio, di gentile e di cortese,
Jpi pio, di liberal, di mansueto :
idi poi giura per ogni paese ,
|Che al vostro nome , fiacbè dura il Mondo ,
Vuole meritamente far le spese .
IO* POE$lI
Permette Cristo a Cosimo Secondo ,
Perchè Dio teme , il viver quanto brama r
Così bel 4 così bianco e così biondo .
Consente ancor , che 1' inclita Madama ,
Lampana, torcia , fiaccola e lucerna
Di Spagna, di Toscana e di chi Vania,
Di voi procrei , con grazia superna ,
11 tremendo e magnanimo Giovanni,
Simulacro di gloria sempiterna .
Son T armi sue gli scettri e gli scanni
Della Casa de1 Medici divina ,
Che il senno, il lucco è come un barbagianni.
Ma perciocché saria la mia rovina,
Se voi lodando, me dimenticassi,
Io vengo via a mettermi in dozzina :
Con dir , che qui non si mangiano 1 sassi ,
Ne si veste di carta Fa bbriana ,
E non & alloggia di fuora ne' chiassi.
S'io fossi sogno o fantasima vana,
Ovver Camaleonte spirituale ,
Tre lire mi farian la settimana ;
Ma essendo io un pazzacon morale ,
E ualo per purgare i miei peccati
Con animo di Re nello spedale ;
Quei cento scudi nuovi e profumati ,
Che T altro dì mi mandaste a donare r
Furo un piatto di micca a venti frati .
Duca ? voi fate altrui trasecolare,
Non col non farmi un rilevato bene,
Ma col non darmi del pan da mangiare .
Appresso a me una vostra si tiene ,
Che dice : io ti vo' dar ciò che ti diede
Mio padre già , come destro mi viene.
Satiriche. a.g'jf
Égli , che meco , per la sua mercede ,
Non aveva spartita cosa alcuna ;
Qual informar sene può chi no! crede,
Sotto Milan dieci volte , non eh' una ,
Mi disse : Pietro , se di questa guerra
Mi scampa Dio , e la buona fortuna ,
Ti voglio impadronir della tua terra:
Ma piace al destin ladro , eh' io pur sia
Povero e vecchio ,• ed ei morto e sotterra,
Oltra di ciò la Signora Maria,
Splendor del grado, u' le virtù 1' han posta*
Non riconosce più la fede mia :
Ch' ella abbia molti disturbi mi costa ,
Perchè chi regge un Dominio sì degno,
Non può mangiar, ne dormire a sua posta»
Pur il mostrarmi un caritevol segno ,
Ne più ne meno la disconcerebbe,
Che quel che presta a usura in sul pegno*
Dicon gli amici , che far lo dovrebbe ,
Ma quando sia che non ci pigli sesto ,
Mi appellerò al marito , eh' ella ebbe.
"Ira i Cardinali saria disonesto
11 mio avere fino all'Olio Santo
A tener lo sperare , e a pollo pesto.
Signor mio dolce , 1' acaor passa il guanto ,!
Però trapeli al vostro intendimento
La lealtà del mio servir cotanto.
Quanti scannapagnotte a tradimento
Isguazzauo ciò che hanno i Padron loro 9-
Ed io da voi una miseria stento.
E di qui vien , eh' io non servo il decoro
Della mia devozion , ne v' intertengo ,
Come eh' io faccio costoro , e coloro.
200 Poesie
Facilissimamente mi ritengo ,
Quando f o , quando orino, e quando tosso,
Ed anco quando vado , e quando vengo.
Ma quasi quasi y che tacer non posso
Il vedermi trattar da scopettieri >
Ed in vostro servigio me n' arrosso.
Se date agli stroszieri , e a' canattieri
Vitto e vestito , e la provvisione
A questo e quello errante cavalieri ;
Dovete aver di me compassione,
Che per esser in uggio all'avarizia ,
Mi mangiari l'ossa un monte di persone.
Ma s'io vivacchio, quando è la divizia;
Che dehbo fare or, che la carestia
Strascina tutta Italia , e la giustizia?
Ho pegno a quei , che aspettano il Messia ,
Omnia bona, e'n pubblico e *n privato
Sto come vuole il mio Duca eh' io stia.
Or voi potreste dir : tu hai fondato
Ne' casi miei ogni tua contentezza ,
Poi in me speri come in un Prelato.
Perdonate, Signor, alla vecchiezza ,
La qual difficilmente si confida
Nel trascurato della giovinezza.
L*età sbarbata va presa alle grida ,
Non della gran virtù , ma del sollazzo ,
E ha caro che intorno se le rida :
Ella veste un bnffon , dona ad un pazzo
Ed iu quella bqaccia si trastulla,
Che si tira dirieto il popolazzo.
Onde la occasion mentre le frulla ,
Si sforza di grappar quel tosto tosto ,
Che allora allora si risolve in nulla .
Satiriche. 201
Padron , sebbene ho due parole esposto
Circa la verde età , non tasso miga
La prudenza , di cui sete composto.
A lei, che sa gir ritto senza riga,
Il grillo giovanil bizzarro e duro ,
Non è per dar giammai punto di briga.
Garzone illustre, anzi colombo puro,
Per tutto è manifesto , che voi sete
Di corpo acerbo, e d'animo maturo;
er la qual cosa non sopporterete ,
Che mi assassini sei mesi alla fila
La stizza il freddo la fame e la sete .
Se a questi tempi ogni puttana fila 9
Di sgomentarsi le Muse ban ragione ,
Poiché drietogli alcun non se gli infila.
)r nel venirne alla conclusione ,
Ponga mente alla mia grande speranza
La grandissima vostra discrezione.
Ubò amicizia non fu , ma fratellanza
Quella , eh' ebbi col vostro Genitore :
Di propria man di voi n* ho la quetanza.
>o ben eh' io gli era inutil servidore ;
Ma piacque alla bontà , che vi fa tale ,
Scrivermi ciò per rallegrarmi il core.
Dhe vi par della lettera Imperiale
Che già mandovvi la sua Maestad«,
Perchè voi mi tenessi in sulle gale ?
7inaliter la vostra umanitade
Facci ora sì , che non 1' esca di mente
La mia straordinaria povertade.
i Vinegia , rifugio d' ogni gente ,
Nel mese di Novembre a giorni doi ,
L'anno affamato troppo bestialmente;
A r et in servo de' servi di voi.
2Ó2
CAPITOLO
AL
PRINCIPE DI SALERNO,
Illustrissimo Principe, per Dio,
Che voi fate uà gran carico a Voi stesso *
A non vi ricordar del fatto mio:
Sta bene di mancar ciò, ch'ha promesso
Al Cardinal de' Gaddi verbigrazia ;
E non so ancora, se gli fosse ammesso.
Imputerei la mia mala disgrazia,
Circa la pensione, che s'impose
La Eccellenza vostra per sua grazia,
Se'l non dare a persone virtuose
Non tosse così proprio de' Signori
Prodighi $n tutte quante l'altre cose.
Satiriche. 2o3
©nel' io, ebe son un uom degli altri fuori ,
Dico, che l'avarizia de' Padroni
E privilegio de' buon servidori.
Però le zoppe altrui provvisioni
In tutta la lor vita son pagate
Una o due volte a' Poeti coglioni :
I quali dovrian far le scampanate
In gloria del Sofi e del Soldano ,
Non di voi altre etiliche brigate,
Diventa più che buon, più che Cristiano,
Quando senza pensarci punto punto,
Fin de' Re canta ogni cervel balzano.
Pare ed un grande, manucar panunto
Mentre che offende un dotto poverello,
Che per disperazion gli ha 'I nome punto,
Debbe un Signor rimunerar di bello,
Non pur colui, che ne ha fatto istoria,
Ma chi non suona i suoi vizj a martello.
Se il Fiosso buffon, buona memoria,
Che nel gridare sol, viva Salerno,
Vi può spegner le forze della gloria ,
Ha tante veste da state e da verno,
Puntali, anella, medaglie, e catene,
E danari da spender in eterno ;
Perchè quello, che al Mondo vi sostiene,
Per viva forza delle sue scritture,
Con qualche preseutiu non si mantiene?
Date, Duchi e Marchesi, date pure
A poltroni, a ribaldi, a parassiti,
E doletevi poi delle sciagure.
Per opra -di sì fatti favoriti
Medici Cardinal, Fiorenza, e Urbino,
la pochi dì abbiam visto baiiti»
204 Poesie
Mi si scordava di Francia il Delfino,
Ma non i cento ducati, che ogni anno
V'obbligaste mandare all'Aretino.
I soldi a Pasqua altrettanti saranno,
Cioè dugento per due paghe scorse;
E se vi fo arrossire, vostro il danno.
Non si debbe prometter senza forse
Quello che non si vuole, o non si puote,
Né a me di lungherie empier le borse.
Io ch'ho il cervello in bilichi, ed in ruote,
Sotterro poi le turbe vive vive,
Ch' è altro che '1 cacciar delle carote.
Non son di queste bestie positive,
Che si van consumando passo passo
Dirieto al culo delle spettative.
Con voi tratto averei sino o ambasso,
Se alla stizza cinque mesi sono
Non s'opponea quel frappator del Tasso.
Egli mi dice: fratellin mio buono,
Infallanter fra venti giorni , o trenta
Per lettere di cambio verrà il dono.
O cb' egli più di me non si rammenta ,
O ch'hanno in voi le sorli ladre e sporche
La partita del mio credito spenta :
Anzi il mal vien dalle speranze porche,
Che si pigliano spasso di vedere
Il mio d'oggi in domane in sulle forche*
Conchiudiamola qui: egli è dovere,
Ch' una servitù presa fedelmente
Si debbe come gli occhi mantenere :
Ond' io ch'avverto all'umor della gente,
Con tutto quel che sono, e quel che pajo,
Della promessa vi faccio un presente.
Satiriche. 2o5
Non altro. Pietro, che gitta il danajo,
Con riverenza a scrivervi si move:
Di Venezia, l'ottavo di Gennajo ,
Nel mille cinquecento trentanove .
2qG
CAPITOLO
A. L
DUCA di MANTOVA .
s
tando un miglio l'altr' ier di là da male,
Vi porsi un boto con quella speranza,
Cb' ba d'esser Papa ciascun Cardinale.
E stando, un mese all'aspettar m'avanza ,
Meco pensando a tutte le cagioni ,
Che fan zoppa de' Principi l'usanza.
So cb' i Signori ban grand' occupazioni
Con Re, con Papi, e con Imperadorij
Io so, cbe son di Venere stalloni .
So cb'banno arcistoppati i servidori;
So eh' a lor piace, cbe in piazza si dica,
Cbe sian ladri, furfanti, e pescatori:
Io so, cbe niun non vuol durar fatica
In dir: Signor, la servitù del tale
Del testamento vecebio è più antica :
Satiriche 207
'o so eh' un virtuoso ò un orinale ,
Dove piscia ogui bestia, e la brigata ,
Ch' è goffa, ba gran piacer di dirne male;
50 che la vostra voglia spensierata
Tanto pensa a un dotto bisognoso,
Quanto il Turco e madama Crociata.
osi venga alla sorte il mal francioso,
Com' io penso, eh' a Principi un par mio
Peggio che dire il ver è fastidioso.
)f a noi dico per voi , corpo di Dio ,
Che sete assai più noto per divino
Cb' all' alfabeto il Cba, il Zeta, el Fio :
l se fusse altrimenti, l'Aretino,
Che vi tien per suo Cristo, vi porria
Dove l'anima ba posto fra Martino.
Sapete ben, che la mia Poesia
Scimia è de' vostri merti , e più v'ho caro,
Che '1 Paternostro, e che l'Avemaria , -
l chi volesse dir, che sete avaro,
Dica, ch'osservi il Duca dell'anguille,
In vender verze il grado d'un suo paro.
Ma lascìam ir le prediche da ville,
E circa il fatto mio io vi vo'dire
Due cose, cb' ho pensato in più di mille.
ron so, se l'indugiar tanto al venire
Quella faccenda, il causasse il nome,
Che '1 Marchese ebbe in Duca a convertire.
Certo il mal vien di qui : e se io come
Supplicai al Duca , chiamava il Marchese,
Venivano le grazie a carri , e a some.
Quel nome Ferrarese , e Milanese
V ara per rovinarmi trasformato
In Alfonso e Francesco buone spese.
208 Poesie
Son in un altro farnetico entrato ,
Ed ho paura , perch* io disio, oh Dio ,
Che come lui non siate addormentato.
Se quest' è, arcifallito è 'I fatto mio,
Venuta è l'ora, che pe' miei peccati
Ho di freddo e di sete a morirmi io.
Che dirò? che farò? Oh Preti, oh Frati,
Datemi la ricetta da destare
Un, ch'ha, per non m'udir, gli usci serrati,
Dice '1 Predicator, che '1 bestemmiare,
E trarsi via nella disperazione,
Suol con Dio, e col diavolo giovare:
Allegando la fola di Simone,
Che per mostrare il viso a mastro Giove,
Cavonne il Giubileo, e la stazione .
Che se si stava in casa, quand' et piove,
Con mona Pazienza sua fantesca,
Mai ne cavava un par di scarpe nuove.
Gli è buono adunque, ch'io del manico esca,
E dica a grau pataffi da speziale
QuaKhe prefazio in lingua Pasquinesca;
E avendo vinto a cantar le cicale ,
Sotterrerò ognuno , eccetto quello
Magnanimo Batista di Natale:
Se non fuss1 egli, a quest' ora in bordello
Sarien le Muse ; ma sua cortesia
Tenute l'ha fin adesso io cervello :
E in fuor eh* air alta Vostra Signoria ,
A lui sono più stiavo, e ordinato.
Che i Giudei, se venisse, al [or Messia.
O secolo plebeo, goffo, e sfacciato!
Alla barba de' Principi un mercante
Sarà da me più che 'l vespro lodato.
Satiriche. 30£
q f t q / «n
Torniamo al bestemmiar le cose sante
E a dir benben mal di questo e quello;
E in prima il mio Padron facciasi innante;
E comincio a bravare : il buono e '1 bello
uri i
Marchese manderammi presto presto
Una valigia inzeppata d'orpello;
Con quello ancor, die poco fa gli bo chiesto,
E or glielo ricorda un tal bisogno,
Che fa ria San Francesco disonesto.
S'uu Prete si vergogna, io mi vergogno
A cbiedere uua cosa a un Signore,
Che li vai men , ebe alfimbriaco un sogno*
Ma perchè io sento il presente all' odore ,
Un' operetta in quel cambio galante
Vi mando ora in stil ladro e traditore;
Intitolata: la Puttana Errante,
Dai Venieto composta mio creato ,
Che m'è in dir mal quattro giornate innante;
E se Virgilio, il Dottrinale, e Cito
In questo andar componevano i versi,
Ognun se ne sarebbe il cui nettato.
Per Dio, Signor, se fossero sommersi
In piauto i risi , in tal piacevolezza
Scoppierien d'allegrezza in tutti i versi .
Non aspettate veder la lindezza
Dell'andar Petrarchevole a sollazzo ,
Ch' a ricamar fiori e viole è avvezza :
E' dice pane al pane, e cazzo al cazzo,
Ed abbi chi l'ha a schifo pazienza ;
Che Dio non da ria legge a un cervel pazze.
Non altro: stiavo alla Vostra Eccellenza.
Poesie Satin
*4
210
CAPITOLO
DELLA QUARTANA
AL DUCA DI FIRENZE
A
1 tempo che volavano i .pennati ,
A Taranto di Cana Galilea
Par due sozj dabben , matti spacciati ,
Ch' a tavola si mison la giornea
A cantar cose del Re Messer Piro ,
Che merlavano almanco un galea.
Accadde pi , eh' un de' cervelli in giro,
Spinto 'Celi celorum dal bicchiere.
Che *l fé' la notte russar come un ghiro ;
Ando a lui per chiedergli un piacere,
Scordato del briaco suo dir male ;
Ch' u' milizia non è , non vai pensiere.
Ma con ceffo di porco cardinale ,
Gridò l'amico: sei tu qui, mastino,
Che sfuni i denti sul nome reale ?
Seri desso gli rispose il Paladino ,
Ma d* altro ranno il capo ti lavavo ,
Se nel più bel non ci spariva il vino.
Satiriche. air
Inteso ciò il Capitano bravo ,
Rise , dicendo : tu hai , fratel , ragione ,
E lo punì col diventargli stiavo.
Come anco me troppo buon cicalone
Diventerà , pigliandola pel verso ,
L' Eccellenza gentil del mio Padrone.
Non is ma lt ito nel letto , ma perso
Ero , Signor , quando fui , giuro a Dio ,
Per rinnegar San Paolo converso.
L* esser io quasi di Caronte al rio
Senza un quattrin, con venti bocche addo$so5
Ch' ognor fan notomia del fatto mio ;
E '1 cuocermi due febbri arrosto , e lesso ,
E '1 non poter mangiar mai 9 ne dormire ,
E '1 vedermi da voi tutti in un cesso %
Del manico mi fer la lingua uscire :
E se '1 Demon non ci pigliava sesto ,
Peggio che peggio mi s' udiva dire.
Perchè m' ha fatto correre il bisesto
Il più crudel maniuconico umore,
Che non riguarderia 1' in die festo.
Poco mancò, che con l'Imperadore,
Sebben 1' adoro sfegatatamente ,
Non feci a che Y è dentro , e che l'è fuore:
E guai a lui se mi veniva a mente
11 Cornua , col lume d' Inghilterra ,
Che impicca le mogliere per niente.
Al Clero , che al Concilio andrà sotterra ,
Sol hanno detto le mie frenesie ,
Ch' è nimico di Dio in Cielo e 'n terra.
Il Papa sa , eh' io non dico bugie,
E sallo un Piero Arma , virumque cano ,
Ch' ha speso il suo in far mille pazzie.
2IÌ P O E 5 T 2
Al Re di Francia ho bacialo la esano ,
Ed alla Maestà di quel Marchese,
Che lasciò i sitai ricami a Carignano »
Ferrara ancor due paroline ha intese
Circa 1 asineria del_ sormontare
Le cavalle di tutto il suo paese.
Salerno inver non doveva toccare;
imperocché non è , dice il suo cuoco,
IVè da cuocere buon , né da serbare.
Infiu chi perde , e non si stizza a giuoco,
E un Mdchisedeeh ipoerhino >
Un besiiuolò, un aloeeo, un uom da poco.
Ma se il Principe Cosimo divino,
Ch'ha il Mondo in pegno ed è sì mansueto,
Avendo i! mal , che ..prova T Aretino ,
Strameggia seco in pubblico e 'n 'segreto »
E ne n darebbe ai. Messia uudienza ,
E ruggisce se parla o lsc sia cheto ;
Non trova luogo in ''Villa ne in Fiorenza,
E in Arabico pare un Alchimista ,
Ch' arrabbia al f il ino della quintessenza;
Che mirac Jo , s io bestia solista
Ho mentovato invailo il vostro onore,
Crocifiggendo me fa sorte trista?
Se'l Satanasso à*\ centro almansore
Piantava in Giobbe uri ti doppia quartana,
Spenderà in farlo suo rnen di tre ore.
Se (j jcl suo freddo,, e quella sua scalmana
Gli dava su, si shatr zzava certo,
Un venticinque vohe la stimatici.
Chi se l'arreca in pace , e di più merto
In frualìtò a se, e quanto agli altri ancora,
Ch* un Chietino esdamantis in Deserto.
S A T U I C H 8, 2l3
«ors* olla , qnal fortuna tradì torà ,
Che smagra , guasta , cìncistia , e scotenna
La turba, che la piglia in la malora,
arpina via , quando arrancare accenna ?
Gracchi a suo modo il chiacchieron Galeno,
E quanto può '1 cerretano Avicenna:
h' altro è a saper dare- all'Oche il fieno,
E altro a traccannar l'acqua del Legno,
E altro è lo scarcare un corpo pieno,
^sser potria eh' un maladetto sdegno y
Una paura scappata improvviso ,
Un canchero che mangi chi n'è degno,
Jsurpasse il guarirle ab Paradiso :
Ma chi *1 crede d* averne pelle pelle ,
Ne ch'io sol guardi chi sei ponga in viso^
^ol ritrarrebbe Tiziano Apelle ,
Né '1 farebbe Esculapio a rei furfante ,
Che non lo scrisse in le sue bagattèlle,
nsomma ho preso il dirieto e '1 dinante
Più polvere . più acque , e pili merdate ,
Che non infama cuji^si un pedante.
Farieno , se non più , dieci insalate
Le foglie , che ngmottìte *ho giuso via ?
Come lettre di cifre spiritate.
Hommi al collo attaccato un'Osterìa ,
D' Incanti , d' lntroibi , e d' Agnusdei ,
E '1 dar ^ede al malan che Dio lor dia.
Taccio de* medicastri farisei ,
Ch' han proceduto canonicamente
In far i fatti lor meglio eh' i miei.
Dicovi bene, eh' un Frate pezzente,
Che pizzicava di Predicatore,
In dirgli : Padre , ìq vi faccio un presente
214 Poesie
D' una Quartana , che mi spunta il core ;
Udito ciò , per mia va<xa sciagura ,
La diede a gambe come un traditore.
Non ha pel tra le cosce la natura ,
Che spermentato non abbi di punto ,
Siuo al furor d' uu' imbriacatura.
Eccomi là cadavero defunto,
Sopra un sacco di semola arrostita,
Ad un gran focarone unto e bisuuto.
S' una Crocetta fatta con le dita
Mette in fuga il Diavol che sei porti;
Ma tu Quartana sfacciata e'ncagnita,
A non te n' ire avresti mille torli ,
Per tante croci, che m'hanno incrociato ,
Con crocion , che s' incrociano li morti.
Vero è , che una bianca di bucato
Venne , per segnar me , e io segnai lei ,
Alzando il fianco , Ja penna , e '1 peccato ì
Gustato un tal raspato degli Dei ,
Dissi sul suon del Chirielleisonne,
Muoja Sanso n con tutti i Filistei :
Poi air odor del ca , del cu , del conne ,
Mi posi a trastullar fra vespro e nona
Con le Fanti , eh' io tengo per Madonne,
In quel che l'ora e '1 paraoismo suona,
Per un dispetto, che suol fulminare,
Sulla pancia montai d'una Sehiavona :
E sprono, ed ella comincia a trottare,
E nel fioccar del freddo , che veniva ,
Lo spinger riscaldavamo. e'\ menare.
La gioventù, che 'n lei calda bolliva,
M'andò nell'ossa così ben ficcando
La morbidezza sua penetrativa ;
S A T I R$I CHE. 2x5
[Che rumor giù per la minchia anfanando,
Lasciando in secco le sue congiunture ,
M' ha sano e salvo , ed al vostro comando.
Dunque, chi paté a torto, e non de jura
L' accidente , eh' ognun fa disperare ,
Sehben non tresca tra le sepolture,
III suo caparbio più che '1 dire e '1 fare ,
Con F ostinato più che '1 fare e '1 dire,
Che va, che vien , secondo che gli pare;
Da se sbandisca , col tosto scarpire
L' approvata chiavabile ricetta ,
La cui virtù consiste nel compire.
Ma chi vuol dargli a un tratto la stretta,
E che gli facci il rimedio un ben grand* ,
E che 'mbertoni V uccel la civetta ;
Calate a mezzo stinco le mutande ,
Grappi su la Signora cuciniera ,
Guazzabuglio di tutte le vivande,
L' anno , in la sella della Primavera ,
Pur chi cavalca cosi belle rozze,
E la mattina la st reggili , e la sera.
Chi becca su le mature mattozze ,
Per saper d' ogni cibo ; ogni massara
La sosta nza a se trae d' un par di nozzt.
Orsù a darla nel tarantantara ,
Or grappandole a sorte, e ora a caso,
Poiché così la Quartana si spara.
Stradino intanto inorpellato vaso
Di bontà senza fin , che 'n prosa sciolta
IVJerta d'esser Castaldo di Parnaso,
Col far per me orazlon qualche volta,
Sarà camion , che *l sempiterno Duca.
Mi restituirà la grazia tolta,
!i6 Poesie
Acciò non vada all' enenos induca ;
Perchè il parermi d'avervi tradito
Mi sbrana , mi divora , e mi manuca *
Come la speranzaccia un fuoruscito.
217
SATIRE
D I
M. PIETRO NELLI.
M
esser Gentil gentil, ben ch'io v'esorti
A darvi pace, io giovo appunto a voi
Come fa il fumo dell'incenso a' morti.
Ne san Fantin, né i confortanti suoi
.Avrian poter d'informarvi il cervello
Che'l pianger puzza a' morti, e nuoce a noi,
jSe i pianti puon tornar nostro fratello
In vita, diamvi dentro, eccovi un'opra,
E direni poi che '1 pianto è buono e bello.
Ma che spendere l'olio e'1 tempo e l'opra ,
Se questa legge ne fa star per filo
Che chi va sotto mai non torna sopra?
2he vai se bene il Po, il Danubbio, e '1 Nilo
Uscisser de' vostri cechi? Fia per questo
Che la vecchia che '1 tronca, aggroppi il filo?
Zhì vola al ciel vorria trar seco il resto
Non pur non cura più tornar qua giuso,
E forse il pianger nostro gli è molesto.
ij8 P o i s i i
Non lascia Satanasso venir suso
Alcun di quei che rovinano al basso
Perchè a le stride, e a' pianti ha fatto Fu
Se si movesse il Re del centro basso
A lasciar l'alme per grida, e lamenti,
Resteria tosto nel suo regno un asso.
E ritornando al mondo tante genti
Ne converria stivar come sardelle,
Ne quei eh' hanno a venir sarian contenti.
Perchè siamo sì a stretto senza quelle,
Che in Venezia a' perdoni, e su le feste
A gran pena portate fuor Ja pelle.
E pur la guerra, in più parti, e la peste
Fan largo con la falce de la morte,
Per dar luogo a chi vien dietro a le peste
Conchiudendo, chi gode in l'alta coite
Non cura a noi tornar, l'altro non puote
Ch' ha messo il pie ne le Tartaree porte.
Dunque a che più baguar tanto le gote?
Che se ben prima fu di scusa degno,
Or non è in un par vostro senza note?
L'affetto umano, ove non passa '1 segno ,
È chiamato vertù, ma tenghi il morso
Chi disia lode, o eh' ha dramma d' ingegno
Perchè ove oltre la meta sia trascorso
O mbia nome, e divien pazzo solenne;
Che in mille preci pizj piglia il corso.
Quando del <\qso rio la fama venue
(Juel dolervi parve atto santo e pio,
E ribfccitho un fra lei dolce vi tenne.
Ma il vedervi or, eh' esser dovreste al Y
Anrora a l'A, fa creder forse a molti
Che voi vorreste contrapporvi a Dio.
Satiriche. 21$
Soglion dir quei che i libri hanno rivolti
Di quel Cristian che Cristo non conobbe ,
Ma s'appressò più al ver che gli altri stolti,
>he '1 nostro spirto in queste membra piobbe
Da Dio mandato, come il Peranzone
Da voi in villa, a guardar le vostre robbe,
i cui se voi che ne sete il padrone
Diceste oggi o doman eh' ei torni , deve
Tosto ubbidir, né chieder la cagione
Noi villani di Dio. Ciascun riceve
Da lui casetta o palagio in governo,
C^me a lui piace, o tempo lungo o breve.
E tutti quei che resistenza ferno,
O faranno al tornar quando a lui piaccia,
Avran di casa sua bando in eterno.
Credo ancor che non poco gli dispiaccia ,
Se richiamandone un gli altri villani,
Torcon la schiena, e increspano la faccia,
Perchè dimostran che s'oggi o domani
Chiamasse lor, l'avriano a dispetto,
E si tenian co' piedi e con le mani.
Or per non dar di voi questo sospetto
Al padron grande de la casa vostra,
Non più gridar, non più battervi il petto.
E fumo ed ombra questa vita nostra ,
Dobbiam tenerla per fumo e per ombra,
E a la vera aspirar che '1 Ciel ne mostra.
Ma r intelletto che tal fumo adombra
Non s'avvicina a quella, e non la vede
Fin ebe da questo fumo non si sgombra.
Or se Dio noi , o alcun de' nostri chiede
Non sia la mente dal fumo impedita,
Ma diamo allegri quel ch'egli ne diede,
220 Poesie
Certi che ( com' io dissi ) questa vita
Passa com' ombra, e a quell'altra n'invia,
Ch' è vera, eh' è durabil , eh' è infinita.
Diciara che morte a noi mortali sia
Un Buon amiro, un comodo, un favore,
Che d'arrivar ne fa corta la via.
Arriva tosto a casa sua chi muore ,
E inganna noi , ebe ancor nebbia sì spessa
Acceca in questa via piena d'errore.
Ma par eh' oggi )a pena si sia messa
La giornea di voler parlarvi in Chiesa ,
E fa rider di lei la morte islessa,
A cui non pur del nostro duol non pesa.
Ma poi ch'ha tolto a chi '1 frate, a ch'il figlie
Ride de' fatti nostri a la dislesa .
Non già del nostro far grinzoso 'I ciglio,
La bocca torta, perchè a queste mende
Mona Tessa va al specchio per consiglio.
Ma si ride che '1 pianto oggi si vende
A contanti , e con l'ago , e con Ja rocca
La femminuccia a piagner morti appreude,
Calabria, e Puglia han questa usanza sciocca,
Di tor le donne a vettura, a contanti,
Che piangano del mal che non le tocca ;
E non lo Regno solo, ove son tanti
Altri costumi senza sai , ma ancora
Voi Lombardi talor comprate i pianti .
Sendo io costi in passaggio, e sendo allora
Morto un o\e' vostri grandi, mi voleste
Mostrar fra voi come uh morto s' onora.
Vidi trentatrè donne in bruna veste,
Pur tolta a nolo , che a mirarle in viso
Avrian potuto apaventar la peste.
Satiriche» 221
Intorno al corpo faceano improvviso;
L'armonia de' bastardi in processione,
Oliti' io fra '1 piantò non contenni ii riso.
Voi spianaste l'usanza, e la cagione
Che r indusse, e diceste questi onori
Si £anuo a genie di condizione:
E che il morto già fu de' Sanatori ,
Uomo ri co , uomo saggio, uomo compito ,
Con altre circostanze dentro e fuori :
)r mentre il figlio al soriano era impedito,
Queiie gazze pagate Peano un verso,
D'aguzzare a Caronte l'appetito.
Credete che per lungo , e per traverso
Morte mostrasse i denti a bocca aperta 9
Udendo! compro pianto, e tutto perso?
S rider di nascoso, e stare in berta
Chi sa spender sì ben quel male acquisto,
Di cui l'alma del padre era riferta?
£ che più? in testamento era provvisto
Che il pianto sia che d' ogni intorno si oda
Come se '1 pianto lo mandasse a Cristo.
!he tanti beccamorti faccia n coda
Ai mortorio, che innanzi al suo palazzo
Sia dispensato un tinaccio di broda ,
^!on milf altre pazzie, che al volgo pazzo
Torcesser gli occhi in ver la sepoltura,
Che tutte a morte eran riso e sollazzo,
intanto non si tolse molta cura
De la cura de l'alma, forse piena
D'ogni vizio, e sentina di bruttura.
ria non fé quasi scoppiar, per la pena
Del rider troppo, la morte un Todesco
Sepolto in San Domenico di Siena.
222 Poesie
Che lasciò in testamento al ber fratesca
Una vigna cui paltò, che ogni giorno
Fosse a lui dato un boccal di vin fresco,
Q&al volea che sul caldo a mezzo giorno
Per un spillo che in bocca gliel porgesse
Fosse colato fin che '1 ciel va intorno,
E ancor si vede il buco onde si messe
Quel vino un tempo, poi il Papa gliel tol
Perchè morte più brinzi non facesse.
Morendo un Capitan le membra involse
Ne* panni bigi, e cinsesi una corda
E farsi frate in l'altro mondo volse.
Ma quando con la vita non concorda »
Se voi vestiste ben da cappuccino :
Non lava abito santo anima lorda .
Un barba ceppo , uno spazza cammino
Candido dentro , ha luogo in Paradiso
Come il bianco vestir d' un Certosino.
Parmi veder quel sardonico riso,
Cha fé Morte, al veder far frate un moi
Poi che l'arbitrio ella gli avea reciso.
Or se, (come assai fanno) egli di corto
Fosse uscito de' frati, e de le spoglie
Avesse fatto un spauracchio in Torto.
O volesse salvarsi col tor moglie ,
Come si vede far modernamente ,
Chi senza il Papa dal voto lo scioglie
Si beccano il cervel soleunemente
Quei che speran che un abito lor vaglia,
Da cui la vita in lutto è differente .
Ride la Morte quando la frataglia
Grida a Tarme, e disGda il Parrocchiano
Mentre ella il crin vital cincistia, e taglia
Satiriche. 2a3
Quei ne la veste vogliono por mano,
Questo la vuol veder con lor de jure,
E scopronsi gli aitar di mala mano,
t frati eh' lian pel becco le scritture
Ti danno al primo in faccia un, via ignorante,
Scandalo al mondo con le tue brutture.
Non si sa che tu dormi con la fante?
Non n'hai bastardi? adunque tu ne vuoi
Tor quel eh' è nostro? Asinaccio arrogante?
E il buon Prete: che importa questo a voi,
Porci impastati ? Io lor faccio le spese.
Sono iguoraute? Io pur conosco i buoi.
Ma non e a tutio il mondo ornai palese
La vita vostra? E come voi trattate
Le vostre sagrestie, non pur le Chiese?
Dual terzo abito , o monaebe velate
Non appropiate a voi? non vi togliete
Le vedove? e talor le maritate ?
E con sappon più aspro il santo prete
Lava la cinerea a' frati , e spesso quello
Che muore, ode armonie sì dolci e liete.
E bene spesso a spartir tal duello
Convien eh' egli medesino dica , io voglio
Dar le candele al prete, e a voi il mantello.
Così restano quei queti com' oglio
E il vinto prete, a la parzial sentenza
Perde le sue ragioui, e non l'orgoglio.
Se terminava ogni tal differenza
Quel Signor Veneziano al Zio sepolto
Avria forse le veste, ov' ora è senza.
Che avendo i Frauceschini il carco tolto
Di farli compagnia col Dies ire ,
Voltano l'alto basso in ch'era in
nvolto è
224 9 O E S I E
Or quandi Morte uìì quel difiinire
Del qualiter la veste saria loro,
Per troppe risa fu presso al morire.
Arrivati ove uà altro concistoro
Tor dovea il corpo si fecero avanti
Con le mani al cordo ri molti di loro.
E qui- la veste intendiamoci, inoanti
Ch' andiam più oltre, o qui fuor la lasciam
O vòstra sia per danari a contanti :
Seguasi pur l'uffizio, non rompiamo
Silenzio ( disse l'altra parte ) e s'ella
Fia vostra , sia con Dio , noi ve la diam o.
Qualche pazzo il fa ria , rispose quella
Turba da le gallozze, o voi contate,
O il morto a voi verrà senza gonnella.
Altri dicean dividisi , ma un frate
Più discreto, gridò, gettisi in sorte,
Sì bella veste, e non la dissipate.
Pensate voi che rider fac^a Morte
Vedendo quivi in mezzo un cataletto,
E intorno incensi , e salmi di tal sorte.
Al fin messo in gallozza ogni rispetto ,
Tolser la veste i Zoccolanti accorti,
E diero a gli altri il suo morto in farsetto
E al mio giudizio egli ebber mille torti ,
Perchè oli era nel cuor dell'invernata.
E ridean con la morte gli altri morti.
Vedendo una persona si stimata
In ordin da attediar, come la vesta
Avesse in Ghetto, o in Frezzaria lasciata.
Furono spettatori de la festa
Le pizzochere dolci, e i Gesuati ,
Gente al mondo né grata, né molesta.
Satiriche, 225
bigi andaron lieti, e consolati
Gli altri, a cui il morto rimase in giubbone,
Rimasero stivali infarinati .
Quando le fraterie fanno questione
Nel metter le lor croci in ordinanza,
Davanti al cataletto in processione ,
h' ognun cerca a la sua la maggioranza,
Non dee rider la morte a criepacuore
De la fratesca bestiale arroganza?
)he porta con superbia , ira e furore
Quel santo Segno in cui tanta umiltade
INe mostra il nostro pio Ricompratore?
jrià vidi , non avendo lum e , o spade
Da maneggiar, por mano a pie di legno,
Con cui fer darsi i buon h\>A le strade,
-«'asta che porta il trionfante segno
Fece largo a se stessa, che altrimenti
11 grado de' suoi frati era men degno»
fidi le chierche rosse forse a venti ;
E la Morte per rider troppo, allora
Smascellò , e perde quasi tutti i deuti.
da quel far porsi in terra, e su la stora,
Che usan per cerimonia i saturnini
Quand'un muor, perchè muora avanti l'ora,
fon credete che dia sei bagattini
Di riso a Morte , a cui togliou fatica ,
Le forbici a troncar di vita i crini?
j& grande spesa, e pompa a Dio nemica
De' sontuosi marmi , in cui si serra
Una vii puzza che i vermi nutrica,
ion trarrebbe per fin di sotto terra
Le risa della Morte, o pazzia grande,
Dare alle tarme quel che è della terra,
Poesie Satir, i5
2z6 Poesie
Ho udito dir che fu non so in qual Lande
lina donna , che '1 morto suo marito
Usava come spezie in le vivande.
L'avea ridotto in cartocci ben trito
E '1 mettea in le focacce, in le frittelle,
E nel vino, e*l facea più saporito.
Ciò dicea far perchè membra si belle
i ]Non dìvcntasser morona, o prosciutto,
O terra da far pentole e scodelle.
Ma io giurerei , che avendolo distrutto
Mentre che visse, al fin si bebbe'l resto,
Pei che in vita noi potè bever tutto.
Morte condotta anch' ella a pollo pesto
Per troppe risa, ancor ne bebbe un sorso
Poi tornò a rider di quello , e di questo.
Ma io con queste risa son trascorso
Fin alle Bebé, e sono uscito fuori
Di quel mio primo, e mal salso discorso,
Qual fu di medicar vostri dolori,
Ed ho riso con Morte vuoi non vuoi.
Or voi, col mio temprate i vostri umori,
Che la Morte non rida anco di voi.
%2J
SATIRA
A M. GIUSTIN1AN NELLI.
S
'io avessi '1 spirto di Pietro Aretino,
Del Bernia, o d' un di questi semidei
Che rompon tutto '1 di 1 culo a Pasquino ,
Verrei a star per quattro mesi o sei
Costì a Piombiu per cavarmi la rabbia ,
Per dir de' fatti d'altri, e far de' miei.
Può fare '1 Ciei che la fortuna m'abbia
Per eh' io non canti ingabbiato a cantare,
E sia contrario a ogn' altro ucceì di gabbia ?
M sogliono a contanti comperare
Le scotte, e corvi, non ad altro effetto,
Se no che in gabbia imparino a parlare ;
i quel corvo ingabbiato è più perfetto ,
Ch' è più loquace, o bene o mal che soglia
Gracchiar un nome dalla fame astretto.
>e tace , tosto il signor se ne spoglia ,
Ma se sia linguacciuto, ognun lo brama ,
Né del suo dir mordace è chi si doglia.
2,z8 - Poesie
Anzi talor che più spedito chiama
Becco, e puttana i suoi padroni in faccia,
E nodrito del cibo che più ama.
Ed io che ( grazie a questa naturaccia )
Cinguetterei quant' altro barbagianni ,
Son in gabbia pasciuto acciò eh' io taccia .
Or se l'Aretin fosse ne' miei panni,
O io ne' suoi vorrei venirvi appresso
Per cantarvi '1 vangel di San Giovanni.
E se volete ch'io vi dica espresso
Qnel ch'io direi , rendetevi pur certo
Che non mal ne di voi né di me stesso,
]Non direi don Abate bene merlo
Che fa i monachi suoi morir di fame ,
Prrehò'l fra tei tenga '1 fondaco aperto
3Mè che sin a i facehin bascia '1 forame,
Pagai Mal Mia, per tener in bando
Quei ehe san la sua vita, e le sue trame.
E in tanto è tolta , non por va mancando
La limosina a' poveri di Cristo,
E delle messe il rito venerando.
Perchè pei mille speiicnze ho visto
ìNon'far- ni. i casa a tre palchi i nepoti
Che de' ben de la cinerea han fatto acquisto,
Già gli antichi buoni uomini e di voti
Lascia van ricche le Chiese, e i Conventi,
Per mantenervi i casti sacerdoti ,
Per dar J avanzo alle povere genti,
Ma non già perchè tolto uso sì pio
Un prelato ne ingrassi i suoi parenti .
Ma non vedeste mai né voi , né io
Arrivar quel guadagno al terzo erede.
Però di ciò non sana il parlar mio.
Satiriche. 229
Par senza eh' io ne parli , og^i si vede
L'ombra del campami far grande tale ,
Che altro più su che '1 campami non crede.
Tal pnr jeri era quasi alf ospedale
Che in virtù di queir ombra oggi sperona
Mule e già unetti di stalla reale.
Or co ne hi udendo , assai se ne ragiona
Senza me in corte, e sa trovarli? !1 guado
Se ben la corte vostra è bella e buona.
Estimate un uom degno di quel grado ,
Che sa tener la via de' gran prelati ,
Spogliar Cristo, e vestire '1 parentado»
Pur domandando a questi tali Abati,
Perchè vendono i Calici, e la Croce,
Perchè lascian morir di fame i frati,
Vi rispouderan tutti ad una voce,
La Santità del Papa n* è cagione,
L'avarizia de' preti a' fiati nuoce.
Sua Santità mette ogn' anno un taglione,
Decime, e annate, e altre gravezze strane,
E fa pel Turco gran provvisione.
Nou vi diranuo io vendo le campane
Per far mercante e ricco un mio fratello,
Che già pativa carestia del pane.
Non vi vorrei travagliar il cervello
( S' io coslì fossi ) del costume santo
Che 'I mondo vuol tornar più ciie inai bello»
Voi altri dotti sempre fate 1 pianto
All'ita «Si Saturno, e della moglie,
E affermate che d'oro avrà '1 malo.
Or io cercando ove un dotlo raccoglie
Quella felicità de' tempi , trovo
Ch'alior pctea ciascun trarsi le voglie.
s3o Poesie
Ch' essendo rato il mondo allor di nuovo
Gl'uomini andava a dietro a un viver lieti,
Né cercavan veder busche nel!' uovo.
Non eran leggi , canoni , decreti ,
Clementine, e statuti, o decretali,
Scomuniche, e interdetti, arme da Preti.
Kon Bartoli , non Baldi , o questi tali
Venuti con paragrafi, e con chiose
A torbidar l'acqua chiara a' mortali.
Ma potean quelle genti avventurose
Senza tema d' infamia o di censura
Amare, e trarsi le voglie amorose.
E perchè il dover vuol , vuol la natura
Che più s'ami chi è più parente stretto,
E di colui si debba aver più cura ,
In queir etade, in quel viver perfetto
Era virtù l'amar fratel, sorella,
Non pur d'ogn' altro grado oggi interdetto.
Venne l'età d'argento, e dopo quella
11 rame , e poi questo tempo scipito ,
Quest' età che di ferro ha la gonnella ,
Nel qual si mostra come un boja a dito ,
Un che seguendo queir usanza antica
Sazia con le parenti ogni appetito.
Quando merta che ognun lo benedica
Perch' egli ama '1 suo sangue, e gli compiac
Senza incorrer pericoli , o fatica.
Però s' io ben conosco un che si giace
Con la cognata } e che stanno in riposo,
Tre in carne una, in caritade , e in pace,
Noi direi, che uri amor tanto succhioso
Chiama due mila miglia di lontano,
Quel secol d'oro santo e glorioso.
Satiriche; 23i
E niun eh* abbia la mente, e '1 cervel sano
Dovria biasmar sì intera fratellanza,
Raro esempio d'amor vero e cristiano.
Ben hanno tolta su tal dolce usanza
Quei nostri in Siena , ove a comune entrata
Abitan più fratelli in una stanza .
Non direi eh' una donna maritata
In cortigiani , il capo sì gli adorna ,
Che si scorge assai men la Montumiata.
Perchè un buon cortigian non teme corna.
Anzi si pavoneggia, e n'ha favore,
Oltra che util non poco gliene torna ,
Or' al Papa , ora a Cesare oratore
Va per tal mezzo , per tal mezzo è fatto ,
Nobile e ricco , e socio del Signore.
Ne direi del miracol contraffatto
Di molti vostri che per maneggiarsi
Con la lupa, son ricchi sì in un tratto.
Non vi direi ebe sogliono vantarsi
Tanto, quissi Cupidi dello Regno
Di quel che mai non fer, n'è mai per farsi,
Con quel parlar cacascio ognora preguo ,
Con quei sospir d'un vecchio ch'abbia l'asma*
Da far crepar di risa un uora di legno.
Quisso che Chilla traditola spasma ,
Quello fa il gìorgio , un altro lo sdegnoso
A coda ritta come la fantasma.
E che più? fin quél goffi ohe'l Francioso
S'ha comprato a gli orbachi ha chi lo prega,
( Udendo lui ) che faccia l'amoroso.
La saria ben come le gatte in frega ,
Quella ch'avesse sì strani appeiiti,
O eh' a sì sciocca gente gli occhi piega.
232 Poesie
Ma di grazia sieurinsi i mariti ,
Clie in ciò si mosti a , quei trarsi le Toglie
Coinè i furbi 4 all' odor de' lor conviti.
Se ( come soj>Ìion dir ) godou la moglie
Di questo e di quell'altro gentiluomo,
Ond' esce il mal fra nei oso con le doglie?
Il Papa fa scoprii le bolle al Domo
Francia non già , perocché Borgo Franco
E san Marlin, grideriano accorr' uomo ,
Ma per seguire, io non vi direi anco
Che questi bravi a' conventi fan guerra
Per dar di punta e di taglio aì pan bianco
Né vi direi che in questa vostra terra
Sou cagion venti, al più, giovani , o trenta
Che la giustizia è due miglia sotterra.
Io temo ( e voglia il Ciel pur eh' io ne menta ]
Che Dio, ch'or dorme, o a maggior cosa è intento,
Con mal di lutti un dì non si risenta :
L'ira sua ben procede a passo lento,
Non sempre paga il sabato, ma poi
La tardezza compassa col tormento.
Questo , perchè mi spiace , e so che a voi
Spiace non meno, io noi direi ; piuttosto
Vo' tacer, che dir cesa che v'annoi.
Non direi quel che disse l'Ariosto
Che il dormir co' Poeti sia periglio,
E tener lor le schiene troppo accosto,
Che messer Cassio mio turberia il ciglio
E direbbe eh' io ho '1 dir troppo arrogante
Come fosse in lui sol quel peccadiglio.
Di grazia, Messer Cassio mio galante,
Non crediate eh* a Parma sol si giostri
Cou sopravveste l'addieiro dinante.
Satiriche. 233
he non pur gli uorain dotti a' tempi nostri ,
Ma in Siena , fin a' vii pizzicaroli ,
Seguono '1 slil de' Parmigiani vostri.
To fallito, volea dir cerajuoli ,
Ne son passati ancor sei giorni, ch'uno
Morì per troppo amar gli altrui figliuoli.
1 se ben il morir duole a ciascuno ,
Non molto dolse a lui, non fé' querele
Già eh* il morir fu al vivere opportuno.
/ape desia finir suoi dì nel mele;
Nel buco il grillo, sotto Tonde il pesce,
La pulce in sen di donna empia e crudele.
il calabrone il morir meno incresce,
Se nel sterco gli vien l'ultima sera ,
Ove sol gode , si nodrica , e cresce.
]osì non dee parer gran fatto fiera
La morte, uscendo a un ceraiuolo il fiato
Nella propria bottega, e nella cera.
3redo eh' il caso a voi fosse narrato
Tosto che voi foste arrivato a Siena,
E so eh' anco a Piombino è divolgato,
Però non vel direi , basta che piena-
Mente visse , e morì nella sua arte
Ed ebbe i degni frutti alla sua cena.
)r volendo pur dirvi in qualche parte
Quel ch'io direi, direi cose da spasso
Senza notar gli altrui difetti in carte .
le pur avessi a trar quel rider grasso
De' denti al Signor nostro per tal via,
Noterei '1 maggior domo Babuasso .
Direi che tien in Piombino osteria
Per terza mano e perchè abbia gran corso,
A viva fame i cortigiani invia.
234 Poesie
Com' escori di Tinello hanno '1 soccorso
Di suoi segreti agenti, che a minuto
Vendono a chi ne vuol razzese , o corso •
Così il vino che in Corte hanno bevuto,
Acqua tinta, cercone, o muffo trova
Ver l'anima de* soldi, qualche ajuto.
Ma il dir mal non mi piace e non mi giova
Però direi del venerabìl piombo ,
Mostrando che può star cou loro a prova.
Celebrerei le triglie , i polpi, e il rombo,
Le murene, le rauste , e le sardelle,
Già eh' io non gusto quaglia, uè colombo,
Informerei '1 Signor talvolta delle
Negromanzie di Damiano, e prove
Che Pier, d'Abano mai non fé' più belle.
Col pulirsi 'una calza ( o rare , e nuove
Isperienze ) a questa donna, e a quella
Fa grattar gli occhi ove lor prude altrove.
No so s'avete udito che il Gonella
Sapea quest' arte, e mmpea con un cenno
Più d' un boccale, e più d' una scodella.
Ma l'opre sue comparar nou si denno
A queste: egli col trarsi la berretta
Faeta far le pazzie, questo dà il senno .
Che s' a caso pulisse la brachetta
Come la calza , e fosse alla presenza
Dì donne, gratterian con tanta fretta
Gli occhi , che forse rimarrebber senza.
*35
SATIRA
SIGNOR AMAKANCO.
o mi vi scuso avanti eh' io vi scriva ,
Ch' io volea un fascio far di mie fatiche ,
Ma sono un mar che non ha fondo o riva •
Ìli era un volervi dir quante formiche
Abbia la state, o stelle il ciel sereno,
0 Aprile, e Maggio fiori, o Luglio spiche.
Stracciò la mia penna in un baleno
Va di trasto in sentina , e a mio dispetto
Scompiscia altrui, riè a mio voler raffreno.
*erò quelle serbandomi nel petto
Vi scrivo '1 mio rimedio , e vi dimostro
A medicar ( s' avete alcun difetto )
\nzi n'avete, anzi abbiam tutti '1 nostro
(Come suol dirsi) impiccato alla porta,
E vel farò veder con questo inchiostro.
?u al tempo antico una persona accorta
Che fece un uomo , e V impastò di smalto
! E lo fé' viver eh' era cosa morta •
236 Poesie.
Il quale andò poi coti le donne in salto
E ne fé nascer tanti , che s' arrabbia
Talora andar da snn Marco a .Rialto .
Or perchè chi Pavea fatto di sabbia,
Per riscaldarlo furò '1 fuoco a] Sole,
Fu ca gioii che gli venie rogna e scabbia,
Ferzo, latti me , vermini e varòle,
Fèbbre fianchi , renella e gelosia ,
Marte] d' amor pelat.iua e caròle .
E quei mali che stanno in fantasia,
Che per molto mirar nel l'orinale
Non -li conosce 1' Abioso o il Pavia.
Quali essendo rinchiusi in un boccale,
Non pria Y aperse 1' uom falto di creta,
Che saltar fuor come mosche o zeuzale,
E l'ossa marce, e fer la pelle vieta
Air uom terrigno , onde al buon Foruacia
Ch' era cagion del mal ne venne pietà ,
E a tutti mali usò qualche riparo,
Diede unzioni, empiastri , erbe e sciloppi,
E i clisteri anco da lui incominciaro .
Gli occhiali a' loschi e die le croci a' zoppi,.
Le becche a' gobbi, e '1 brachier a' dulosi ,
Niente diede a' par miei perdi' eran tropp
Trovò un rimedio ancor a' mal franciosi ,
Di cui gli animi nostri sono infetti.
Non per sanar, ma far manco nojosi.
Ne die due sacchi , un grande, in cui i di fé
Suoi ciascun porti i più graudi e i più grossi
Quali per non veder dietro si getti .
Vuol che dopo le spalle ognun s' addossi
1 suoi vizj , e così parranno un pelo ,
Anzi esser ne parrà leggieri e scossi.
Satiriche. 237
aitro un i .netto picciol , ma d' un velo
Trasparente, che mostra F altrui mende
Come lanterna un acceso candelo .
uesto davanti agli occhi nostri pende,
Questo ne fa sudar, questo ne impaccia,
Questo dal nostro carco ne difende .
nde a chi salta in hestia , a chi minaccia
Perch'ai sacchetto suo son troppo intento,
E che quasi del mio perdo la traccia ,
ia detto eh' io fo pi t ima e fomento
Al mio mal con l' altrui , che se li piace
Facciala al suo de! mio, ch'io son contento,
r voi (sei vostro v'aggrava, o dispiace).
Tenete gli occhi in T aitruì sacco intenti,
E porterete ogni gravezza in pace,
erhigrazia le lingue maldicenti
Vi tassano, che voi per parer dotto
Non credete più alto che i correnti •
[uesi' è gran soma , e restereste sotto
Se non avesse avanti per un specchio
Almen de' venti , il sacco de' diciotto,
on pur nell' Alemagna, ove gli è vecchio
! Questo peso, onde il fratacchion Lutero
| Messe ai mondo tal pulce nelT orecchio •
f.a nelF Italia ancor , ( ne v' è mestiero
I Molto andar lungi ) ria chi vi riscuota,
Chi faccia 1 vostro carco atto e leggiero
on parrebbe oggidì saper un Jota
A qual dottor si sia, se non dimostra
Che openion lo stimoli o percuota .
, non pur gli uomin dotti all' età nostra ,
Ma il barcaruolo e 1 fabbro e 1 marangone
y aj ulano a portar la soma vostra.
235 Poesie
Il facchin , la fantesca e la sciita von e
Fan del libero arbìtrio anatomia ,
E torta della predestinazione .
Quello il vuol zoppo , e questo vuol che sia
Carro da buoi , eh' a trarlo in su si stenta
3Nè può tenersi, ov' all' ingiù s'invia.
E cosi la Teologia diventa
Parlamento del forno, e un porta il cesto
Ne fa strazio , la pela e la tormenta .
Ben voi sapete onde procede questo
Senza eh' io il dica , i pergoli moderni
Han condotta la fede a pollo pesto ;
Perchè quando dovrian de' ben superni
Esserne tromba, o de gl'inferni danni,
E dimostrarne come 1' uom s* eterni ,
Oggi pur eh' un predicator s' affanni
In parlar tosco, in parer boccaccesco,
E in questo abbia sudato gli anni e gli an
Pur che 1' abbia chiamato sotto il desco
Quintiliano , o Tullio seco a cena ,
INon cederia quel erado a San Francesco .
Pur eh et vi sappia, or con voce alta e piei
( Senza bisogno ), or con parlar si basso
Cli' egli stesso che parla s' ode a pena ,
Con bella barba , interpretarvi un passo
Della scrittura , onde vJ alienti il morso ,
O vi gratti 1' orecchia , o vi dia spasso ,
Questo sarà vero appoggio e soccorso
Di santa Chiesa, ch'anderia in mina
S'egli a porvi la mait non fosse accorso.
Pur che '1 mal uso , eh' al peccar n' inchinai
Sappia trar di nascoso in violenza,
E questioneggi di lana caprina ,
Satiriche/ a3g
>uesto avrà più concorso e più udienza
Che se f sse un San Paolo, e da tutti
Sarà tenuto un fonte di sticuza.
I in tanto son di sue prediche i frutti ,
Che con sue sottigliezze aite e fastose
Mette in dubbi» '1 cerve! per fin a' putti.
>r per tornar , se gravi e ponderose
Sou l'opinion vostre, abbiate avanti
L' altrui , e fien le vostre fiori e rose .
e il volgo vi tenesse un graltiasanti
Di fuora via , come sono oggi molti
Che non sei toccherian se non co* guanti,
oi dentro hanno i pensieri e i sensi involti
In mille e più bruttezze, e nel segreto
Meriteriano vivi esser sepolti,
iettate pur il vostro sacco a drieto
Che '1 viver spiritai de' tempi nostri
Di mille, o più vi farà 1' occhio lieto.
)uanti pur jeri andavano pe' chiostri
De' conventi infilzando ave marie
Biasciando e barbottando pater nostri ,
Juali oggi per provar se per più vie
S' ascende in Ciel , godon con la mogliere,
E ridonsi or delle fratil pazzie,
guanti del suo non dariau un bicchiere
D'acqua fredda, e fan trar 1' altrui scarsella,
Oltra '1 suo grado oltr' ogni suo potere ,
®er mantener quest' ospedale , e quella
Chiesa , per farsi a fanciulle la dote
E di lor carità sol si favella;
i cento argani grossi , e cento ruote
Non trarrebbero un soldo in csnt' uà anno
Da queste genti sì «ante e divote ,
14& Poesie
Basta che s' affaticano , e che vanno
PeJaudo questo, e quel per l'opre sante*
E dell' altrui nome immortai si fanno .
Intanto al prete , al famiglio , alia fante
Negano il suo salario , e il ben servito
Che dien' aver già dodici anni innante.
Ma quel che è peggio , tal si mostra a dito
Maritator di fanciulle, che spesso
Fa la credenza di quelle al marito.
E tanto ha lor l'Ipocrisia permesso,
Che i vostri occhi vedrà u far mille mali ,
Né '1 crederete a' vostri occhi voi stesso.
Come già avvenne d'un di questi tali
Non sono ancora mili' anni , il qnale aveva
Più scrupoli che tutti gli speziali,
Bene a mirarlo in viso mi diceva
Non ti fidar , ma poi col collo torto
Avria fatto saltar Anton da Leva.
Questo per carità tutto arso, e morto
D' un' orfa nella , aveale per tal via
Furfantata gran dote in tempo corto.
Ma perchè non pigliasse mala via
Tenea Alibecche notte e giorno seco ,
Contemplando quel ben eh' al Ciel n' invia,
Vuolse al fin la disgrazia , e '1 desti n cieco
Che '1 dolce contemplar lor fu interdetto ,
Di eh' egli rinnegò quasi il pax teco.
Pur vie più santo che ser Ciapelletto
Giura averla tenuta casta e pura ,
Gli anni , non pur i mesi, a' fianchi in leti
E la sua dote di cui egli avea cura ,
Per consolar la perduta dolcezza ,
Fu resa alla fanciulla con T usura •
Satiriche. 241
'orse in mezzo tenean per sicurezza
La sbarra , come alcune sette nuove ,
Che in letto sperimentau lor fortezza.
)orme insieme uomo e donna , e al far le prove
Senocratesche , è testimonio un legno
Che non vede , non parla , e non si muove*
arvi che il mondo abbia trovato ordegno
D'andare al Ciel ? da vincer gli appetiti?
Da far le fiche al tenebroso reeno ?
1 • 1 • • •
ener un legno ìu mezzo che ne inviti
A contenenza , e in quei furori dica :
Non parate, io son qui, siate avvertiti»
que^ i santa al viver santo amica ,
Che prova i suoi soldati in tal duello,
Mettesse in mezzo un ramuscel d' ortica,
) direi eh' eli' avesse più cervello ,
Ma né ortica , né spiedi , o s' ivi fosse
Il fuoco , terria a segno questa o quello,
on frenan quel furor, mar, fiumi, o fosse,
Non si ritien con tetti , porte , o mura :
E nel letto starem forti alle mosse ?
a figlia appresso 1 padre è mal sicura
In camera , non pur sotto lenzuola ,
E un baston farà forza alla natura?
eh perchè dunque a così dolce scuola
3Non concorrono a gara le persone ,
Già che per simil prove al Ciel si vola ?
a per dir la mia ferma opinione,
Io ho volto un magazzin di carte , e trovo
Cb' un spiritai può saltar un bastone.
e sia il vero , un santon dal tempo nuovo
Che diceva ogui giorno il Verbum caro ,
Che conoscea V altrui busca nelF uovo ,
Poesie Siici r. 16
242 Poesie
Gì* a quanti sono scritti in calendari
Dicea T intemerata , e apria le porte
Del paradiso col suo breviaro :
Ch'era forier delia celeste corte,
Che ove udiva qualcun parlar d' amore ,
Volea seco vederla in fin a morte :
Chi avesse alla commar tocco 1* onore ?
Guarda la gamba, il fuoco aspro e penao
L' avria bruciato vivo infin al cuore.
Un cane , un orso , un fier lupo rapace ,
Che un sottocchio a una vergine volgesse
Mai seco non avea triegua, ne pace.
Udiva a san Fantin tutte le messe ,
Sempre era in orazion, sempre in preghici
Che la figliozza buona sorte avesse.
La commar eh' era vedova , e leggiera
Lo tenea in casa , adorava per santo ,
Parealé aver 1' arra del Cielo intera.
Alla fiae il compar lupo col manto
D' Agnello * alla figl tozza di nov' anni
Fece di due stanze una, a sangue, e a piani
Bel tratto da compar di San Giovanni ,
Da santole divoto , o Cielo , o cosa
Da far luterà narsi il Pietegianni.
Or s* affanna la sua commar pietosa
A medicar la figlia , e si lamenta
Ch' egli tal tentazion tenne nascosa ,
Ch' ella sa ben che Y avversiera tenta
Gli uomini santi , e forse gli averebbe
Senza dolor Ja tentazione spenta.
"Pensate voi se stato al quia sarebbe
Sotto il caldo del letto il buon compare ,
Se a quel!' età rispetto , e a Dio non ebbe
Satiriche. 2^ò
Dento altri sacchi vi potrei mostrare
Di simil mercanzia , se pur bisogna
Più peso a farvi dei vostro ingannare.
Voi sapete del santo da Bologna
Che seudo vecchio , e per santo adorato
Tolse moglier , ne sei tenne in vergogna;
Ma non per questo era men santo, e grato.
Se fosse stata una moglie a bastanza ,
Se almen fosse di donne contatalo.
Quel che '1 privò d' onor , di nominanza ,
Che '1 fé' bandir , fu che al fin fu scoperto
Andar dietro alla bolognese usanza.
I eh' egli avea per forza un uscio aperto ,
Come '1 prete che in piazza di san Marco
Ardeste in questi di per beuemerto.
Questo può far sì lieve il vostro carco ,
Che iprocresia non vi darà più noja ,
E però leggiermente me ne varco.
Ma vi resta un gran peso che r annoja ,
Per cui tanto sudor talor vi cola,
Che voi potreste mi dì lasciar le cuoja :
Questo è il peasier di quella vostra mola ,
Certo non mola da molin da vento ,
Cui bastar debba la vostra acqua sola.
^ual (se ben voi macinate frumento
Secondo il poter vostro) non per questo
Sente mai pieno il suo largo palmento y
Questo peso di iei v' è sì molesto,
Che (a quel che voi l'altr'ier me ne scriveste)
Chi non. v' ajuta farete del resto.
Però , per darvi medicine preste
E liberarvi da sì grave pena
O lasciarvi col sacco nelle peste,
244 Poesie
Gettate il sacco suo dietro la schiena,
Che senz* altro farà leggiero il peso
L;* mia valente vedova da Siena.
Quale avendo di se buon conto reso ,
E rotte ottanta lance a botta salda,
È degna che il valor di lei sia inteso.
Quesla vicina a cinque croci , e calda
Del suo marito , in lei passo , e sepolto ,
Senza il pan unto non potea star salda.
Un giovan , che pur or mutava il volto ,
Nervoso e forte, e eh' anco a Messalina
Averia il pizzicor sopito, o tolto,
Tolse a saldar le piaghe alla meschina ,
Ma era (quantunque magro divenuto)
Un giugner olio, e legna alla fucina.
Come i medici fanno tolse ajuto
Di cinque uguali a lui , valenti in giostra
Ciascuu di lor ben lombato x e membruto.
Riuscirò meglio in campo, che alla mostra,
Ma dopo rotte aver trentasei lance ,
Quella quintana ancor salda si mostra.
Vedendo alfin eh* altro volea che ciance
A spuntar tal potenza, a suon di corno
Si venne a pareggiar queste bilance.
Quarantaquattro li giostranti forno ,
Le botte ottanta , ed ella ognor più franca
Si dolea che sì tosto venne il giorno ,
Che aifin non sazia Ih trovò, ma stancai
245
SATIRA
A M. FRANCESCO FILETTO.
o vorrei pur , padron, che questa mia
Carta arrivasse a un' ora accomodata f
Ch'ella non vi trovasse in quarantia,
h' ancor non fosse la turba adunata
Per li consulti , o madonna primiera
Non impedisse il messo, e l'ambasciata.
è avesse a fare il sommario la sera
Per tor la mattina un di mano al boja§
O per far parer mio quel che non era,
! a quest' ore venisse il Re di Troja
Guido risponderà col grugno torte* ,
Gli è occupato messer, non gli dar noja,
rtuanto più a me? che sa ch'io non vi porte
Starne , o fagiani ? anzi parer vi soglio
Al dar. gravezze vivo , al pagar morto?
la se per buona sorte questo foglio
Vi trova alla Giudecca , o alla Pasina ,
V avrà proprio nel tempo eh' io vi voglio.
246 Poesie
Chi ha da parlar con voi , se Y indovina
Di trovarvi qui , o lì, scrivila pure
Per ventura , e Battezzila per fina.
Perchè udite le sue disavventure
Con F animo in un pezzo , e non troncate
Il tempo e il dir con sì brevi misure,
Come nel studio , ove udienza date
Con le bilance , e per far parte a tutti
Le parole col tempo balestrate.
Onde un eli' avrà da basso ne' ridutti
Stillatosi il cervello otto ore , o dieci
Spesso i fior se ne porta senza i frutti.
Sena' io costì , più volte pensier feci
Di far pisciar questa mia penna inchiostro
E far versacci , non latini , o greci ,
Ma in questo dir bernesco , anzi pur nostro ,
Da nessun tolto in presto , e un di mostrar
Quanto sia faticoso il viver vostro.
Per far che quei che si gravano a darvi
Cinquanta scudi d' una ringa , e cento
Sian più cortesi, e più pronti a pagarvi,
Io ho provato gli affanni , ed il tormento
De' litiganti , e la pena e il dolore ,
E un giorno ne vo' dar le vele a] vento,
Ma quelli han solo ad una causa il cuore ;
Voi in cento parti il pensier dividete ,
Tal che il fastidio vostro è assai maggiore.
Hon mai un giorno , un'ora, o un punto ave
Che sia vostro , anzi voi sete prigioni
Di quei prigioni , e rei che difendete.
Non vi lascia mangiar quattro bocconi,
Non dormir , la cateiva più nojosa
Che zenzare , che mosche , o calabroni ,
Satiriche. 347
ìhe fa inessere ? el desina, el si posa ,
L1 inquieto Cliente soffia e geme,
Passeggia, scraccbia , sputa e non ha posa,
Eccone un altro e un altro e venti insieme,
Ciascun vuol farsi udir , ciascun la porta
Qual nemica mortai percuote e preme .
fnde V è forza andar per la più corta
A spedir lor, torvi spesso da mensa
Prima che venga 1* arrosto o la torta,
/esser d'un avvocato, chi ben pensa,
È un mulino , ove a macinar concorra
D'ogni sorte di genti, copia immensa,
lorae sente '1 tintin che snona e scorre
Su per le mole, lascia la merenda,
E con mani unte il moli.iaro accorre,
redo che forse a quel tinti no intenda
Che'l frumento ch'ei frange, è presso ai fine,
Che non si scordi il toglier la molenda.
ro\ al soffiar delle genti meschine
Sentite 't segno, e con fretlosi passi
Calate al bas^o a uiolendar farine,
errino a mezza notte i vostri spassi
Sono i consulti , e quel tempo che resta,
Con la Ringa e col sonno, al sonno da$sj.
i pena avete posata la testa,
Ecco T alba , ecco la perduta gente ,
Ecco la tuiba ad altri, e a se molesta.
/ è mezza terza patrone eccellente,
Noi sarem troppo tardi , patron caro,
Dice quel che vi fa '1 giorno eminente,,
rolge carte e processi , e d* un migliaio
Di ricordi v'intriga m il cervello,
Che rinnegate '1 credo e '1 «alendaro .
348 Poesie
Il Zane m' è padron , padre e fratello ;
Pur meco perse un dì la pazienza ,
E in bel collegio mi cacciò in bordello.
E die il cancaro a' frati in mia presenza,
Tutto per cu' io diceva io vi ricordo
La tal cosa , alla tal fate avvertenza :
Un litigante è del vincer sì ingordo
Che non dà a se, o altrui pace o riposo ,
Ma ad ogn'altro piacer è cieco e sordo.
Voi partite di casa pensieroso ,
Or quel vi tiene, or quel vi si attraversa
Or questo chiama, or quell'altro appojoso.
Che farò ? son citato alla roversa
Dice un , F altro , inesser venite or ora
Se non la nostra causa è più che persa;
A tal cbe spesso maladite 1' ora
Che vi fece avvocati , e or quello or questi
Impanzanate, e mandate in malora.
Se messcr Malaguzzo esce del sesto ,
Se gli ha perduto del cervel gran parte
Mi maraviglio cu' ei non perde il resto.
Non per troppo voltar Birtoli, o carte,
(Sendo egli un dottor nuovo» un bello in banca
Ma perch' è deboluzzo in quella parte,,
Anch' egli ha nella testa vana e stanca
Citazioni, e processitanti , o quanti,
Se ben talor col sale il pan gli manca.
Arrivate a san Marco , eccovi avanti
Un'altra schiera che v' aspetta al passo ,
Per farvi rinnegar di nuovo i santi.
Col capo nudo, e col ginocchio busso
Dice un caro messer , se Dio guarenta
Vostro figlio , affrettate un poco il passo*
Satiriche 24g
In altro, ancor la quarantia non senta,
Di grazia una parola a signor Cai ,
Un altro , andiamo , ei ▼' aspettano ai trenta.
)uesto alla Avogaria vuol dir suoi guai,
Quel piange al proprio , e per la turba folta
Vi trae , vi spigne , e non vi lascia mai ,
fon mai cosa piacevol vede , o ascolta
Un par vostro , anzi udite in parte il piantt
Della gente nel baratro sepolta.
hazi purgate in questa vita tanto
Altri e voi , che qualuiaque volta io dico
Un avvocato , intendo un mezzo santo.
>ome a dir confessor , martir pudico ,
Vergine, e simil nome appellativo,
Voi intendete d'un uom del Cielo amico.
Così s'an avvocato io dico, e scrivo,
Nel nome , e in quattro sillabe comprendo
Un che fa santi, e un mezzo santo vivo,
Son martiri volendo , e non volendo
Qiu'i ch'hanno a far con avvocali, ed io
L' affermo , che per prova me n' intendo.
31i è ver che un mezzo bestemmiare Dio
Gli tien che al Ciel non si levano a volo,
E un volere il suo tutto , e mezzo il mio,
Tanta è oggi 1* ingordigia, che il figliuolo
Fa lite al padre , alla madre , alla figlia ?
D' una lente, d'un cece e d'un fagiuolo.
2ostì vengon lontan due mila miglia
I Greci avari a litigare , e in Ghetto
Impegnan fino i peli delle ciglia ,
!E al far del conto poi resta in' farsetto
Sì il vincitor , come colui che ha perso ,
Dal vostro purgo ognun lavato e netto.
zBo Poesie
Or conie al Ciel questi anderian pel verso
Ma li tien fuor l'avarizia, e la rabbia;
Cosi a voi , certo chi vien per traverso.
Vn avvocato che 1' arte non abbia
Ri ben piantar carote , a vera in vano
Bagnato il volto , e asciutte lingua, e labbia
Esohine * Ciceron , Quintiliano
Vadano al bagno, ch'oggi ha più concorso
Chi di piantar carote ha miglior mano.
Onde co»» vien , eh' ogni vostro discorso
Sia di carote , con carote al torto
Ora premele , ora allentate il morso.
Ma perchè non s'appiccano in ogni orto,
Quest' è l'opera , questa è la fatica
Che lega un avvocato lungo, o corto .
Chi sa piantarle in terra dolce , aprica ,
Averà mille concorrenti al pari ,
Ch' ognun vi pianta , ognun ve le nutrica.
Però son molti gli avvocati , e rari
I Buonfigli , i Filetti , e i Trivisani ,
0»a tori oggidì celebri e chiari.
Perchè ne' luoghi asciutti , e nei pantani ,
Al sole, all'ombra, alla pioggia, al sereno,
Piantan con grazia, e son buoni ortolani.
Or conchiudtndo , i par vostri andarieno
Volando al Ciel , se non pigliaste in uso
Di porre al ver con le carote il freno.
Ma parmi di veder torcere il muso
A messer Melio, e al mio padron Pasino
Alzar la gobba tre dita più suso;
Con dir che questo mio scriver canino
Tien d' ortica , e mal salso , e tien di fele
E un concio di molt' acqua , e poco vino.
Satiriche. z5t
Juesta mìa penna ha un costume , che de le
Quattro volte le tre drizza il timone
A. Pa\a , e a Chiozza la portan le vele,
^osì or eh' io volea dir sol cose buone ,
Sol de' vostri disagi far parole ,
Entra in carote , e punge le persone.
la è vostro officio , e di qualunque suole
Difender altri, o per torto , o per dritto,
Scusarla , e dir eh' ella va per viole.
0 non so' in colpa, e quel ch'ella v'ha ditto,
O quel eh' ella dirà che sia mordace ,
La penna , e non il Bergamo 1' ha scritto.
Jn altro difettuzzo mi dispiace ,
Che non vi lascia far miracolosi,
E andar sopra ogni santi in santa pace :
consulti , uovo mondo agli oziosi ,
Il pau cotidiano agli avvocati ,
Pelatine , a' clienti , e mal franciosi.
Come hanno un asso fermo i preti , e i frati
Nel centuplo , quand' han giocati i bezzi $
Così voi ne consulti sfaccendati.
1 sono alcuni cosi male avvezzi ,
Che consultan dormendo a bocca chiusa,
Se 1* oro in man non sentono in più pezzi.
-«a parte è presa ben , ma oggi non s' usa
Servar le parti in questa parte , usanza
E l'altrui dubitar vi copre, e scusa.
Ma pur dell'arte sua se alcuno avanza,
Non è grau mal, gli è il mal che non risponde
L'opera al premio , e assai v'è gran distanza,
u un con parole assai gonfiate e tonde
Tocca i punti difficili , e gli passa
Di sopra via , come la barca l' onde.
252 P O E S T E
L' altro fa il pensieroso a testa bassa,
Che voi direte, or vuol toccar nel fondo,
Poi palpa , e la postema addietro lassa.
Questo si pavoneggia e sputa tondo ,
Poi partorisce , il caso è sì importante,
Che s* io meglio noi veggio non rispondo.
Io par farei così , dice il Gigante,
Queir altro , non sarebbe error espresso ,
Ne opinione intera fia di tante.
Così il consulto parte bene spesso ,
Col peusier più intrigato eh' ei non venne ,
E ha spesi i soldi , e gettati in un cesso.
Quest' erroruzzo a voi tronca le penne
Che non volate sopra i cherubini 9
E non si fa di voi festa solenne.
Un altro error che vai due bagattini
Nota questa pennaccia mal salata ,
Se ben assai n ha da notar più fini.
Di tre cose fa il Diavolo insalata ,
Di lingue d'avvocati , e delle dita
De' notari , la terza è riservata.
Ognun porta per bocca , ognuno addita
Un avvocato , ohe di lungi s' oda ,
Ch'abbia gran fianco, e lingua atta e spedita,
Bartol , Paol da Castro , uomin da broda
Portino al destro li volumi suoi t
Che più un Bran?oti che aloun di lor si loda.
Quanti veggiamo (eooettnando voi
E assai par vostri) armati sol di grida ,
Star in Rin^a, e gridar qual tori o buoi.
Quali non arre non so'ienza affida.
Ma sol la voce altitonante, e Toro
Che trarrien de gli stinchi a Crasso, e a Mida,
8 A f I l I C H 1, 253
pupilli infelici , che a costoro
Den trar la fame , e alle cui grasse spese
Vogiion ville acquistar , uome e tesoro.
3me da questi tali sian difese
Le cause , Dio 'i sa egli , e'1 s^nno quelle
Geuti eh' all' ospedal vanno dislese.
*è ancora un peccadigho in pelle in pelle,
11 qual se non vi fosse , i vostri scanui
Sarieno posti in ciel sopra le stelle,
vrà stentalo un litigante gli anni
Per aver un' udienza , e voi in quel punto
Date un1 anchetta , e '1 tornate iu affanni,
ueir animai con cui fanno il hrodo unto
I Certosini , e voi , ved' io più volte
Esser con stenti a capo un greppo giunto,
poi che dopo molli affanui , e invite
Fatiche , la testudiue era in cima ,
Rovinar con le eambe in su ri v ohe.
In pover uomo intenerisce , e urna
In dieci anni un acciaro duro e forte ,
E un or non possa '1 torna come prima,
che pena , o che spasimo , o che morte,
O che rabbia , che pianto , o che dolore ,
Che T inferno non ha di peggior sorte ,
edersi avere spesi gli occhi , e il cuore,
Tolti alla vita sua dieci anni , o ve/ili ,
Fruste l'entrate, gli amici, e l'onore,
quando a spedir lui giudici intenti ,
Quand'ha sul schioppo il polverino e il fuoco,
Il suo avvocato ha mille impedimenti,
nde avvien ciò ? se non che piace il gioco
Ei hallo alle puttane ? or io farei
Nome a chi già in' offese in ciò non poco ,
254 Poesie
Ma per non vi parlar de' fatti miei,
Se in voi non fosser simili erroruzzi ,
V accenderemmo le candele a' piei .
Dirò pur questa ancor che alquanto puzzi
Il calzar da due bande uno stivale.
E da por co' già scritti i pecca t uzzi.
Se nel ciel s'ascendesse per le scale
Larghe e patenti , come quelle sono
Onde dal bollo ai collegio si sale ,
Nessun di questi tali che ad un suono
Fanno due dan*e vi potria salire ,
Ben che fosse nel resto santo e buono.
Un' altra busca ancor suole impedire
La via del Cielo ad un par vostro dotto,
E perchè la fuggiate io la vo' dire.
Avrò tenuto sette mesi , ed otto
Le mie scritture in man d' un avvocato ,
Perchè faccia un sommario crudo , o cotte
E dieci volte P avrò ricordato
Con due scudi per volta , o padron caro,
11 sommario vi sia raccomandato.
10 ho studiato il caso, io ne son chiaro ,
Togli pur T udienza, io l'ho più iuteso
Che il zane Y arte d' un buon moliuaro.
Quando poi credo esser da lui difeso ,
Trovo le mie scritture ov' io 1' ho poste ,
Polverose, e d'un banco intuii peso.
11 sommario si fa correndo in poste ,
Dovendo andare in renga , e in tal perigli
Le cause importantissime son poste.
V'avrei da dir qualeh' altro peccadiglio ,
Ma non vo' scriver Satire , e non lodo
Quel ne gli altrui difetti por l'artiglio.
S 1 T I RI C H S, 255
Ida queste cosette che del brodo
Del vetriol ▼' ha pisciato la penna ,
Veder lontano voi m' allegro , e godo,
wuzi voi sete V arboro e 1* antenna ,
Anzi il timon della turba avvogara ,
Che scortica i Clienti e gli scodenna ,
chi ha virtù o bontà, da voi l'impara.
aSS
SATIRE
DI M.
FRANCESCO SANSOVINO.
s
ignor, se questa è vostra fantasìa,
Ch' il saper dominar non sia da tutti ,
Voi siete fuor de la diritta via.
Quei eh' a grado onorato son condutti
Per danari o per sorte , presto sanno
Ciò che lor si convien, se ben son putti.
10 vi giuro per Dio, ch'in men d' un anno
S* io fussi Archimandrita imparerei
A far meglio di lor quel eh' essi fanno.
Per la prima cinquanta gabbadei,
Anzi cinquanta bestie sfaccendate ,
Col dar lor mezze spese in casa avrei .
11 Verno una sol volta, e due la State
Vorrei che si mangiasse ; che la dieta
È molto utile a l'uom, se voi il provate.
S A T I R I e !f E. 25f
| alcun fesse il Filosofo o il Poeta ,
O che avesse nel capo qualche umore,
Lo vorrei ne la camera secreta.
i sarebbe più caro un traditore,
Che un uom da ben, e al ruffo, e al parassito
Farei con fatti e con parole onore,
rasso nel cor, nel volto scolorito
Mi mostrerei, psrch' il mondo credesse,
; Ch' io fussi ne gli studj imbalordito.
h gli officj non parlo, e de le messe,
, Ch'io sarei in apparenza mezzo santo,
Se bene in cosa alcuna non credesse,
lìrca al donar, io ne farei quel tanto
(Che si convien, ma con fermo disegno
[pi torre a un altro poi più d'altrettanto»
In darei già a chi esercita l'ingegno
In prosa, in verso, in musica, in pennello,
in bronzo, in marmo, in piombo, in rame o in le-
b a chi fusse il più morbido, e il più bello, (gno;
E eh* i fatti d'altrui mi raccontasse ,
£ che avesse il mio umor giusto a capello.
I colui ch'in un tratto m' insegnasse
Venerar , chi a gli onor meco concorre,
E che anco in eseguir s'adoperasse,
fc chi sapesse altrui la roba torre ,
perchè mia fusse; e che per me venisse
A ogn'atto, chedaogu'uom buono s'abborre.
Prrei , eh' un beneficio si partisse
• In quaranta persene, acciò eh' un solo
Premio del suo servir mai non sentisse.
Esenza più guardar Piero, che Polo,
Farei talor, eh' un servidore antico
Fosse posposto a un tristo, a uu mariuolo ,
Poesie Satin 17
258 Poesie
Àilor eh' io era povero e mendico,
Chi mi avesse ajutato, a rei per niente,
E renderei per ben mal a l'amico.
Nel dar pasto in parole a uno eccellente,
A un orator , a un Duca, io sarei il caso ,
E saprei riuscir divinamente .
Ogni piccia la cosa arei sul naso
Col mostrarmi fantastico e bestiale
Da che si lieva il Sol fino a l'occaso.
S' un mi rompesse un piatto , un orinale
Gli terrei le prebende, e i benefici
Col trattarlo da goffo e d'animale .
A l'ammalato in casa erbe e radici
E pan muffo darei per medicina,
E per pollastri, nottole e cornici.
In somma la mia vita a la cucina ,
A le cose lascive, a l'ozio, al giuoco
Sarebbe, a le menzogne, a la rapina:
Ma, a quel molto ch'avanza, questo è poco
Bastivi, ch'io saprei, Signor mio caro,
Osservar il decoro a tempo e luoco.
Voglio inferir, che oggi nou è fornaro ,
Ciurmadóre cavadenti, o ciabattino,
Che non v< glia de' grandi andar a paro.
Pensa il plebeo , eh' il pan de' grandi e '1 vin
Abbia un altro sa por, e non s' avvede ,
Ch' egli è fnor del verissimo cammino.
Non con la mente , ma con Y occhio vede
Quel «he mostra il grand' uomo in apparenz;
Però le sue miserie poi non crede.
Non sa, ch'il ricco è inquieto, e che mai sen
Ambizion non si trova , e che uon brama
Altro, che monti d'oro e preminenza:
S U I E I C H K, 259
che tal un felice il mondo chiama ,
Che chi vedesse poi , qual è il suo stato,
Amerebbe ciò eh* ei prima disama,
ella voce è io effetto il dir beato,
3V1a a far ch'ella sia vera altro bisogna,
Ch'esser da tutto un popolo onorato.
00 è dotto colui , che sta a Bologna ,
O a Padova, ma chi del mondo prende
11 ver, che spesso ha faccia di menzogna,
iosì non è beato chi rispleude
Per titoli, per oro, o per famiglia;
Ma chi da le passioni si difende,
ibi «nette a gli appetiti suoi la briglia ,
Chi dà quel che bisogna a la natura ,
E eh/ al dover, non al voler s'appiglia;
hi ne l'avversità non ha paura ,
E che nell'allegrezza ha fermo il volto,
E chi viver quetissimo procura :
Ohtui cred' io beato , e che sia sciolto
Da i capricci bestiali , e da gli umori
Ne' quai si trova Tuoni ben spesso involto.
plebeo, che nou ha, non dee a gli onori
| Aspirar vanamente, o contraffarsi ;
Ma metter il suo lìn ne' suoi lavori,
^lcun col biscantar, O passi sparsi,
ì Vuol mostrar, che sia musico , e eh' intenda,
E eh' anco ad Adrian possa agguagliarsi.
altri con qualche iperbole stupenda
1 Racconta altrui, eh' in campo ei fece, ei disse,
Acciò che l'umor suo l'uomo comprenda .
:Jn altro sarai poi, che se venisse
| L' Imperador, non cederebbe uu dito,
Perchè una volta un Vescovo gli scrisse.
260 Poesie
Vorrà qualcun, essendo parassito,
Che si creda , eh' un uom sia d' importanza
Ma per cose di stato fuora uscito.
Così ciascun ne' suoi pensier s'avanza ;
E volendo imitar l'altrui fortuna,
Di vanità si pasce e di speranza.
Io non credo che uom sia sotto la Luna,
Ch'il suo ingegno cambiasse con Platone,
Quantunque egli non sappia cos' alcuna.
Perch' a ciascun par esser Salomone ;
E in essenza si giudica da tanto,
Che meriti ogni onor da le persone.
Ma in caso poi di gradi, io non so, quanto
Gli bastasse , perch' ei fosse contento ,
11 titolo di Re, di Padre santo.
In fin l'uom per parer ogni argomento
Adopra e ne' costumi, e nel vestire,
Cose , che poi son , come fumo al vento.
Se la mia donua è pregna, anco io so dire,
Mi verranno i capponi di Romagna ,
E farò da Vicenza il vin venire.
E un altro, che ha ne l'ossa una montagna
O un mar di mal francese ; eh' ei sia pieno
Di gotte, con ogni uom spesso si lagna.
Dica in malora sua l'uom di se, meno
Di quel, ch'egli è in effetto; e seco goda,
Pur eh' abbia il cor e l'animo sereno.
Se ha qualche ben non faccia eh' ognun loda,
Ch'il corbo per gracchiar perse il suo pasto
Onde conyien, che poi l'ossa si roda.
Hon corra a giudicar , ma vada a tasto ;
Perchè talor una sfacciata fronte
Avrà sotto di se l'animo casto.
Satiriche. 2©i
Dia di quell'acqua altrui, eh' è del suo fonte;
Cioè stia uel suo stato , e s'è un agnello ,
Non sia ne le parole un Rodomonte.
Xon pensi che ciascun gli sia fratello,
Perchè i lupi rapaci vanno intorno,
E chi vuol ingannar, fa il buono e il bello.
ral un si mostra in Cbiesa un santo il giorno;
Che s'egli occorre poi, che altrove il veggia ,
Mi fa restar per maraviglia storno.
D beato colui, che signoreggia
Questo ingordo voler, che ne gli obbietti
Del mondo incerti, e stabili vaneggia.
/eramente beati gì' intelletti ,
Che sciolti da pensier fallaci , e bassi
Hanno altri desiderj , altri concetti.
j'uom prudente non move in vano i passi,
Ma dando a la ragion quel ch'ei dar suole ,
Lieto e contento in se medesmo stassi ♦
Conforma i suoi pensier con le parole;
E misurando in se ciò eh' egli puote ,
Quel tanto, e niente più del mondo vuole.
Jcherne i furor fantastici , e le ruote
De la sorte, e al piacer non porge mano,
E in van l'animo suo dolor percuote.
\9 è Vicentin , non vuol parer Romano ,
E senza immascherar il proprio stato,
Se gli par corre, e se vuol ir, va piano;
£ questo è il vero vivere, e lodato.
262
SATIRA
A GIULIO DOFFI,
s
e tu eleggi per ben la poesia,
Giulio, tu intendi malamente il mondo,
E la tua si può dir una pazzia .
Qual è quell'intelletto così tondo,
Che non veggia, che a l'uom bisogna il pane
Se non vuol imitar il nostro Biondo?
I Pceti somiglian le puttane,
Di quegli è il fin andar a l'ospedale ;
Di queste in capo a un tempo esser ruffiane
Magramente, per Dio, si fa immortale
Colui , che non ha pan : che far non puote
Quel, che Tuoi l'appetito naturale:
Non ci danno sostanza le carote,
E Virgilio tra noi non vai un soldo
Rispetto a quel, che il Buon Tanno riscuote
to ho de' campi , diceva il Mainoldo ;
E ricopriva con quella parola
Tutto quel, ch'egli avea di manigoldo.
Satiriche 263
Il dir io ho, gli animi altrui consola,
Ma i! dir io so, s'altro non hai, non giova »
Torna pur a imparar, va pur a scuola.
Cb' Orazio insegni, ch'eì diletti e mova,
Poco mi vai, quando io non abbia in dosso
Una veste almen buona , se non nuova.
Terenzio mi è io fastidio, e non lo posso
Veder , s' io non ritrovo pane in casa ,
E al fuoco, se non cai ne, almeno un osso.
D'ogni altra cosa l'uom pur se la passa,
Ma il pan quotidian del pater nostro
La Poesia di gran luug* trapassa.
jL 'anima de' Poeti è ne l'inchiostro,
Ma quella de' grand' uomini è ne l'oro :
Che vaglion dunque i versi a par de l'ostro?
Così dico io , così dicon coloro
À' quali par, ch'il mondo sia corrotto,
Poi che a l'oste e al bucato va l'alloro.
E quasi infamia esser tenuto dotto,
Che come vuoi parlar, odi uu, che sbrocca,
Questo lo disse già il Piovano Arlotto.
11 calepin nel tal luogo ne tocca
Una parola: è cosa nota a tutti;
Tal che bisogna poi chiuder la bocca.
E i grandi hanno più caro due prosciutti,
O un marzapan, che cento mila versi
Pieni di belle cose e ben ridutti.
D che bestie son quei , che sono immersi
In lodar questo e quello indegnamente,
E pur un tempo anco io già lo soffersi •
lOggì chi scrive , è favola a la gente :
Dice colui, non sa ciò che si dica;
L quell' altro egli uccella ha uu bei presente.
264 Poesie
In tanto perdi l'olio e la fatica ;
Che la persona, che cantando lodi,
Per non dar , ti si fa tosto inimica .
L'altra, se per ventura dir mal odi
De l'opre tue, ne prendi ira e dispetto:
E se ben , a l'incontro assai ne godi .
Tal eh' il dolor pareggia anco il diletto;
E se guardi poi al fin quel che n'avanzi,
L'onor tuo si risolve in un Sonetto.
Ecco ti vien uno scrittore innanzi
Pallido in volto, affumicato e secco ,
E mezzo ignudo, come vanno i lanzi:
Per la prima ti affronta , e vuol eh' a steccò
Tu stia, fin che ti recita qualcosa,
Che forse è sua , come la voce d'Ecco.
Or che fa ei leggendo? si riposa,
E Discantando adagio si stupisce ,
E gì* intelletti suoi comenta e chiosa.
Mal per colui , che non sta cheto , o ardisce
Dirgli , fermati un poco , a me non piace
La tal cosa , o che d'altro l'ammonisce.
Lo guarda con mal occhio, non vuol pace,
E gli apparecchia contra inchiostri e carie:
Tanto de l'umor suo l'uom si compiace.
Tu come hai detto, gran mercè, si parte,
3NTè altro porta con lui , eh' un van pensiero
D'esser tra gli altri sol d'ingegno e d'arte.
O povero, o infelice Ovidio, e Omero !
Poi che l'un si morì colà tra ghiacci,
E l'altro a l'osteria , se pur è vero.
Non si trovano al mondo più gli omacci
Buoni, quei vecchi antichi , che co i fatti
Cavavan la virtù fuor de gli stracci .
S A T I H l C H E, 265
Si dauno oggi buon tempo i ladri , i inatti ,
Le bagasce , i buffoni , i parassiti ,
E chi mette la maschera a' contratti;
Quei che di bigio e da cbietin vestiti
Hanno in governo vedove e donzelle ,
E che son dentro lupi , e fuor romiti •
1 Poeti si pascon di novelle,
Ma i ladri ha uno le tavole abbondanti
Di cappon , di fagian , di papardelle .
[ detti si battezzan per pedanti,
E i matti vanno altrui da la man destra,
E passan per accorti e per galanti.
k\ dotto si dà il pan con la balestra ,
Ma al Cinedo si donan case e campi,
Perchè meglio, eh' il dotto, a Tuoni s'addestra*
E in vero a noi cb' importa , che si stampi
Dante, il Boccaccio, e che messer Francesco
Per madonna Lauretta in foco avvampi?
2h\ mette studio in lor per Dio sta fresco,
Che quando scriva poi , sovente, unquanco,
Uopo , guari , e testé , scrive in Todesco .
Non credo , che si trovi canta in banco ,
Che non sappia compor qualche cosetta,
Che volesse il Petrarca al lato manco:
E eh' a ciascun non chieda la berretta,
E che non vada gonfio, e dritto in schiena;
Ma il pan è poi quel , che gli dà la stretta.
<ro a mangiar ci vuol, che la Comena
O il Biondo Apollo , che ben spesse volte
Se desinato ara, non ha da cena.
Non giovano in quel caso rime sciolte
O legate, che Tuoni lo beffa e scherne,
Onde a Y Ebreo bisogna che si volte •
266 Po E S I X
Àllor si prova il danno, e si discerne,
Che le parole son pasto da libri,
E eh' i soldi son buoni a chi può averne.
Però , Doffi gentil , vo' che delìbri
Di esser un uom , se ti darai al guadagno,
E a stimar l'oro più , che gli Arni e i Tibri
Vo' che tu faccia sempre il buon compagno
Di quel d'altri : eh' al tuo metla riguardo
Col darti a l'avarizia , e a lo sparagno.
Vo' eh' al rubar sia presto , e al render tardo,
Che la bocca piena abbia di promesse,
Ma a l'osservarle poi fatto infingardo.
Ti conforto, eh/ ascolti il di due messe,
E facendo limosina per boria
Vorrei, che tutto il mondo ti vedesse.
S'un tuo amico è in vergogna, fanne istoria
Col raccontar a ogn' uom, l'andò, la stette,
Perciocch'il mal altrui ti torna in gloria.
Ingegnati d'un cinque far un sette,
Quando hai da aver: ma se hai da dar,faun tratte
Sì eh' il tuo creditor mille anni aspette .
Ove puoi guadagnar facendo il matto,
Sforzati d'invitar Giorgio, e vedrai
Riuscir a buon fin ogni tuo fatto.
Parla sempre di quel che tu non sai ,
Fa profession di nobile e di grande,
E ragiona di aver, se ben non hai :
Se tu mangi per sorte rape o ghiande,
Dì ohe tu sguazzi sempre guaglie e starne,
E che tu vuoi mutar spesso vivande.
Mof ra di dar altrui li propria carne,
Mentre c\\e con l'accetta in man t'ingegni
Di fargli q\ialche danno, o guadagnarne.
Satiriche. 267
io* che ne' ruffianesmi anco tu tegni
Le man, cbe questa parte assai s'apprezza,
E di piacer altrui sempre disegni.
n somma, cerca pur d'aver ricchezza,
Ch' ella gli altrui pensier maligni acqueta,
E il cor empie di gioja e d'allegrezza.
E allor sarai Filosofo, e Poeta.
268
SATIRA
À M.
ALESSANDRO CAMPESANO.
IT oi eh* è giunto al suo fin 1' amico nostro,
Alessandro gentil, piangon le genti,
Ma di che sorte genti, io non vel mostro;
Buffoni , meretrici e cavadenti ,
Alcuni a' quali è sommo Dio la sola,
Distruttor de passati e de presenti .
Questi chiamano il Lusco a ogni parola,
E van cantando ogni suo fatto e detto ,
Cominciando dal dì eh' egli andò a scuola .
Finalmente conchiudon, che in effetto
Fu buono, e che non ebbe un altro pari
Di gentilezza, d'arte e d'intelletto.
O come son i buon giudizj rari:
Come spesso la turba stolta apprende ,
L' estremo in ogni cosa, o insegni, o impari
Satiriche. 269
leco un, che d'un suo amico vero intende
Il bisogno, e di lui punto non cura,
Perch' il volgo ignorante uol riprende.
7eme cbe non si dica, ei presta a usura,
| Egli ha visto colui ridotto a tanto,
, Ch'ajutaudol guadagna oltre misura.
)utir altro , che non pensa al come, e al quanto,
Mangia ciò. ch'i suoi pndri gli lasciaro,
E gli duo! , che non abbia anco altrettanto :
)ice ei, per non parer misero e avaro
I E d'animo si vii , e così basso ,
Che si abbia, come un Dio, fatto il danaro.
/uno e l'altro è lodato , oltre eh' io passo
Di raccontarvi di che guisa lode ,
Che se l'udiste, credo areste spasso .
tfa che di rem di Lia , che ricco gode,
E mentre presta a usura a questo e quello f
Mal volentier dir ben de l'usura ode?
ntanto vuol un quattrino , un capello
Del guadagno, e si cruccia, e il debitore
Spesso cou suo piacer manda al Bargello.
I uccella, a chi per morte o per errore
Si resta ancor fanciullo senza padre ,
Per farsi con lor danno assai maggiore.
Forse voi mi direte, egli ha le squadre
De' virtuosi in casa, egli è ripieno
Di mille cose belle, alte e leggiadre:
Egli non può per questo far di meno
Di non prestar , perchè la spesa è assai,
E scemarla nou sa , nò porle freno.
Io vi rispondo , che non vide mai
Un buon boccou , e la virtù gli è noja ,
Come a chi è in allegrezza i pianti e i guai.
370 Poesie
Vive da can , e nei vestire il boja
Lo trapassa di mollo , e sa la paglia
Dormendo ha il piacer e la sua gioja .
Voglio adunque inferir, che la canaglia
Mentre crede fuggir un vizio estremo,
Nel contrario ben spesso s' abbarbaglia .
Voi costà Jo sapete, e noi il vedemo ,
Ch'il Gondi porta una vestaceia lunga,
Onde più volte insieme riso a verno .
Un' altra ne ha , eh' a pena che gli aggiunga
A la fin de la schiena il serre! Ione ,
E' non vuol che nessun lo tocchi o punga.
Antonio si dà a Y ozio , e fa il poltrone :
Giovanni è tutto spirto, e tutto attivo:
L' un sa di muschio , e F altro di castrone .
Io non veggio alcun mezzo , chi è cattivo
Sì crede esser astuto ; e chi è balordo ,
Si stima per un gran contemplativo ■
Altri con appetito strano e ingordo,
Vuol che la donna sia tutta scoperta ,
E l'orecchio uon abbia a' preghi sordo.
E altri la vuol da capo a pie coperta ,
Onesta in fatto e in detto, e che abbia a mente
Di non dar mai con l'occhio altrui la berta,
Una volta un galant' uomo e prudente
Vide uscir del postribolo un suo amico ,
Che s'arrossì come gli fu preseote;
Cui disse: poi che l'aspro tuo inimico
Disio carnai in chiasso ti strascina ,
Per questo non ti avrò per impudico.
La tua giovane elade a ciò t' inchina ;
E assai meglio è che ricercar le mogli
D'altri, con tua gran spesa e con rovina
Satiriche. 271
k questo il nostro Serafino , or togli
Dice, ch'io non mi curo di tal lode,
Che le nobili avrò, pur ch'io le vogli .
!hi vuol le meretrici , trova frode ,
Inganni, tradimenti e volti finti.
Otre che sol non è colui che gode ,
erafin, tu sei sciocco, e son dipinti
I tuoi argomenti, se vedrai coloro
Che per nobili amar, furono estinti,
u sai , che ciò che luce non è oro ,
Però bisogna aver giudizio intero ,
Si ch'io non biasmi quel ch'altrove onoro.
|)uaoti fuor del verissimo sentiero ,
Volgendo i passi a fin pessimo andaro,
Tra lor pensando d' abbracciar il vero ?
Jcun fu , che stimò d' esser più caro
A la sua donna del suo cor, che poi
Contra il pugnai non ebbe alcun riparo .
litri dolci menando i giorni suoi,
Trovato dal marito in casa ascoso,
Di se morendo diede esempio a noi .
Tal un per esser ricco e danaroso
Si scosse , e altri in altri modi offeso ,
Restò infame a le genti e vergognoso :
l ben gli stette, ch'assai volte ho inteso,
Che chi procura altrui danno o vergogna ,
Cade nel laccio , eh' egli ad altri ha teso .
jasciar adunque a ogni uomo il suo bisogna,
E volendo sforzar voglia lasciva ,
Andare da la Sarra, o da la Mogoa .
ja prima nel parlar tutta attrattiva
Vi fa mille carezze, e mette in sugo
La bestia , eh' in colai ciance s' avviva.
Z-/2 Poesie
L'altra, sebben talor somiglia un dugo,
Ch' importa molto a voi, purché si sfame
De la sua brama naturale il zugo?
È ben ver , eh' io non voglio , eh' ella chiame
Mentre parla con voi, Toste o il Giudeo,
Per cavarsi col vostro de la fame .
Né che diate per lei oro a P Ebreo ,
Impegnando e vendendo in quella guisa ,
Che fa per la sua Betta il nostro Orfeo.
Egli che ha i suoi pensieri a la divisa ,
Misurando se stesso faria bene,
Senza eh' alcun di lui fesse le risa .
Son contento, e a un suo pari si conviene
Che secondo il suo grado ne5 diletti
Spenda con modo , e non sempre a man piene.
Da questo nascerebber mille effetti,
Perchè, avendo riguardo al suo interesse,
Savio saria tenuto in fatti e in detti.
Ma ei fa tutto il contrario, e bene spesse
Volte gli ho udito dir, basta io non prezzo
Le nobili, se Sira , o ogni altra avesse.
E in questo invita il Torso, eh' è sì avvezzo
A dar il suo , quell' uom eh' a la Catella
Donò tutto un podere a pezzo a pezzo.
Con dir non pesco ne F altrui scodella ,
Lascio star l'altrui donna, e chiudo gli occhi,
E sia quanto si voglia vaga e bella.
Tu dici il ver (dico io ) che da i finocchi
È differente il cardo : ma tu spendi
A quel modo, che fanno anco i capocchi.
Mentre il tuo onor a le bagasce vendi,
Tu non ti accorgi che il tuo male è grave ,
Se ben a 1' altrui donne non attendi.
Satiriche. 373
Qual sa rà Y acqua , che la macchia lave
Allor che il patrimonio in fumo mandi
Dietro a la vista d' un guardo soave ?
-Tanto è s' il tuo con la Catella spandi,
Quanto se ciò con la Duchessa fesli ,
(i con altre di lei più ricche e grandi •
In fin la roba , che dal padre avesti ,
Consumata con nobile o con bassa ,
Mal saggio del tuo ingegno al Mondo desti,
ÀTu mi dirai, chi altri riprende o tassa,
Bisogna poi che dica il suo parere ,
Altrimenti Y uom ride e se la passa.
Io tei dirò, poiché tu '1 vuoi sapere :
A me piace la donna da partito
Senza eh' io getti via però il mio avere .
Non ho paura alcuna del marito ,
E 00 a mi avvien cosa , che mi dia affanno,
0 che faccia d' altrui mostrarmi a dito.
Non temo di vergogna, ne di danno,
Sono il padron mentre eh' io sto in possesso,
E sto, se ben volessi star un anno .
Non mi bisogna ascooder in un cesso,
0 sotto il letto, o in altro luogo accolto,
In quel eh' a prender spasso io mi sia messo»
* Le bacio a modo mio la gola e il volto ,
Le faccio mille segni, ove mi pare ,
Ruzzo con lei per casa a freno sciolto:
>' Sto eh' ogni uom vede, s' io vi voglio stare ;
La meno intorno, in barca, in Chic sì, in villa;
E dico e fo con lei quel ch'io vo' fare.
Non sto a menarmi tutto il di la rilla
Per vederle una mauo, un braccio, un piede,
Come se fosse la savia Sibilla.
Poesie Satir. 18
$74 Poesie
La , meretrice a ogni uom che la richiede,
E pronta; e mostra a chi la vuol il tutto,
E a tua riquisizion or lieva or siede.
Non cela con inganni quel eh' è bruito ,
Mostra a ciascun la merce ch'ella spaccia;
Chi poi non la discerné, è ben un putto .
Sogliono i grandi ( acciò, ch'altrui non spiaccia
Vender i lor cavalli sì coverti,
Che non si vede a pena lor la faccia.
Fannol perch'ai balordi, a gl'inesperti,
Venga disio di veder tutto il resto ,
Del qual s' è bello o no si stanno incerti .
Tu, se tu vedi un bel viso modesto,
D' una di queste nobili , fai stima ,
Che F altre parti sian simili a questo.
Ma tu t' inganni , eh' ella è secca e gì ima ,
Ha T una gamba corta ed è sfiancata,
E la sua pelle è simile a una lima .
Le va dietro e d' intorno la brigata
De le serve e de' fanti , e da ogni parte
Or da questo, or da quello è circondata.
Ella s'ajuta poi con cotai arte,
Che conoscer non sai qual vizio ella abbia ;
Sì ben l'ingegno, e il camminar comparte.
Non ti inarcar, non stringer più le labbia
Adunque, e non stupir, che quel che duol
Par ben talor, ma non è sempre scabbia.
Ogni splendor che yed\^ non e Sole,
Ogni rosa che senti non è suono ,
E le voci dei can non sori parole .
Seguir quel che natura diede , è buono ,
E a V ni ile attenersi , che diletta :
L' afieltazion a chi la vuol la dono .
Satiriche. 375
Son certo che chi ha sete, non aspetta
Di aver un tazzon d' oro o di cristallo ,
Ma bee , s' altro non ha , eoa la berretta :
E chi non puote andar, monta a cavallo,
Se ben non ha 1' Ubino o la Chinea ,
Su T asin che mai pie non mette in fallo •
Una donna voglio io, non una Dea,
E pur eh' io dia il suo dritto a questa carne,
Non caro più Diana , che Medea .
Buon sapor , e gentil hanno le Starne ,
Ma s'io va empio^la pancia di lasagne,
A me eh' importa questo , e che ho da farne ?
Matto è chi per aver diletto piigne ,
E chi dal cammin dritto s' allontana ,
Vada pur con le bestie a le montagne,
Ch'esser trovato in fallo è cosa strana .
276
SATIRA
DI M.
LODOVICO PATERNO.
J
er venne da tua parte Arsenio e Bulla
A pregarmi, eh' io scriva alcun precetto,
Perchè cresca in onor la tua fanciulla .
Piegai, madre mia cara, e '1 mio difetto
Scoverai lor , cu' ov' io figli uo' giammai
Non ebbi al mondo, né d'aver più aspetto,
Veisi e prose di ciò poco voltai .
Ultra che mi parrebbe un torto espresso ,
A volerti insegnar quel che tu sai.
Arrogo, che a guidar solo me stesso:
Poiché da me non posso, i' '1 dirò chiaro,
Di vero e saggio amico uopo ho già spesso.
Una ed un' altra volta iucominciaro
A, ripregar più forte, ch'ogni scusa
Lasciata indie» ro , non mi mostri avaro .
Per obbedir: così tra nostri s'usa:
Più, che per voglia, or questa penna stanca
Movo, ogni altro a rigar più di questo usa.
Satiriche. 277
Prima, non far, che da man destra, o manca
Mai ti si parta, in tal sicuro avviso
Il veloce intelletto alza e ri ri fianca ;
Fa, che '1 pensier e 1 urcbio mai diviso
Non sia da lei ; perchè da! vizio rio
Il molle animo poi non venga inciso.
Principio del saver: fa, ch'ella Dio
Ed ami e tema sovr' ogni altra cosa,
Preponga questo ad 0£>ni suo desio.
A Chiesa vada qual novella sposa
Con occhi a terra chini , in atto umile
Fra le compagne, e onesta e vergognosa.
Ivi , non variando ordine e stile ,
Devota ascolti le parole sante ,
Nel cor le segni , e non le tenga a vile .
Quando l'altre indi muovon le sue piante
Verso l'albergo , essa non reste in Chiesa,
Come suol sempre far d' Albio la fante.
Che ivi più d'una messa oda, mi pesa,
Più d'una udir potraune la vecchia ja,
S' anzi da morte non riceve offesa .
Fa, che sia buona, e non che buona paja:
Che 1' esser e Jì parer son differenti ,
Come son bionda e bruna , o mesta e gaja -
Confessisi al buon padre in fra le genti ,
Non in cella secreto, o sola in casa ,
Pecchi tu più di lei se gliel consenti.
Fusj£;a quanto più può la cinerea rasa ,
Né per far pasti dilicati al prete,
Addoppi intorno al fuoco e legna e vasa .
Spenga di carità cotanta sete :
Per fera giovinetta i lacci stanno ,
Augello vecchio non è colto in rete .
378 Poesie
Fa , eh' ella s* affat ichi a Y ago , al panno ,
Per fuggir gli ozj perigliosi , i quali
Al corpo, e 'nsieme a 1* anima fan danno.
Femmina spensierata è china a' mali,
Come sarebbe a dire a' risi a* giuochi,
E a tutti gli appetiti irrazionali .
Imbriga, ovunque arriva, in quanti luoghi
Va, zizanie risemina, e raccende
A suo potere i mezzo estinti fuoghi .
Però fia necessario , a chi si prende
Cura dell' onor suo, darsi a quell'arte,
Che ciascun loda assai, nessun riprende,
Che è 1' ago e il fuso: e aver di gloria parte
Con la moglie d' Ulisse e Bruto, e mille.
Che celebrate sono in varie carte.
Non cerchi assomigliarsi a le Ca mille ,
Lasci T arme e i cavalli: altro mestiero
Conveniva a Brìseida, altro ad Achille.
Non va' eh' a poetar metta pensiero :
Basti che legger sappia un poco poco
Per entro gli atti di Giovanni e Piero . '
Chi la terrà, se l'entra in petto il fuoco
De Y Ariosto o del Boccaccio , eh' ella
Su gli amor non se n* entri a poco a poco?
Esser pretenderà leggiadra e bella ,
Com' è dotta e saccente : Amore in tanto
Prende le faci , e Y auree sue quadrella •
Farà Sonetti, e sol per darsi vanto
Di rara e di famosa, e spesso ancora
Risponderà per lettre a scritto pianto.
Ovver essa con lettre , e questo fora
11 peggio: a lagrima* sarà la prima:
Eccoti pudicizia in campo fuora.
Satiriche. 279
L* aspo il subbio e la rocca abbia per rima:
Sprezzi quella virtù, ch'in donna è infame,
In maschio laude oggidì nulla stima .
Non yo' che porga orecchio a 1' altrui trame,
Che '1 mal esempio imprime, e spesso un egro,
Veggendo altri mangiar, desta a se fame.
Che rida sempre nel commercio allegro
De la furfanteria de gì' Istrioni ,
10 non approvo, se vuol nome integro .
Non mai Lucrezia udì pazzi e buffoni ;
Che gl'inonesti detti, a chi gli ascolta,
Corrompono i costumi onesti e buoni.
Liberamente affermo uno tal volta
Gioco, una parolina, un molto a' scherzo,
In verissimo senso poi si volta.
Il primo eh' Amor vibra, è il dir da scherzo,
11 praticar domestico il secondo ,
Quello poi da dover giace nel terzo .
Non però vo' che sembri un tutto pondo ,
Gelido sasso, un infelice intoppo,
Un ingegno fantastico e profondo.
Ne molle troppo sia, ne dura troppo;
Scegliane il mezzo, e diligente mire,
Non esser lenta o correr di galoppo.
E periglioso il ritornare, il g»re
A tutte nozze sempre, a tutte feste,
E con chi P ammonisce, alzarsi in ire.
Donna pudica, e dritta in casa reste,
La turba noce, e quindi vien che vuole
Og^i carretta , e di man altra veste .
Per far poi forse concorrenza al Sole,
Provvisioo d' unguenti fa da grande,
Nò giovan contra ciò buste e parole .
28q Poesie
Il calcinato viso a rughe spande
Repente il piano avorio ; e quelle perle*
Ch' a la lingua facean \rghe ghirlande ,
Quanto or vi sono orribili a vederle
Fetide e negre ? ed uopo è di tanaglia 9
INon di rimedio più per sostenerle .
E forse che non sa la femminaglia ,
Che gli unti fanno , e i lisci de le gote >
Quel ch'acceso carbon d'arida paglia?
Ma tanto il cieco vizio in tutte or puote,
E l'ignoranza madre d'ogni errore,
Che son riprese, e pur si stanno immote.
Moglier dimmi: non piaci al tuo signore
Sì senza biacca, e quale il ciel ti fece?
Or come incorri in sì sfacciato umore?
Dirol per te , dappoi che a te non lece :
O per vaccanterie, ma pur col tempo ,
Via se n'andrien, temo io di più ria fece.
Evadne e Marzia , chiare in ogni tempo ,
Ed altre , ed altre de la prima etate
Schivar questi sospetti in quel buon tempo.
Prime di tutte, et* a portar beltate
Sudassero a beltà , fur le Sirene ,
Invide , ftiribonde , e scellerate.
Stinsi entr' al nido suo , questo conviene ;
IN è qua uè là per usci e per finestre
Corra guatando ognor chi va, chi viene;
O file o tessa o conci le minestre
Col suo demonio, e fuor de la ragione ,
Per l'appetito non si discalpestre.
A mollissìuii amor caldo balcone
E ruffiano ; apportan le vedette
A cento mila colpe occasione .
Satiriche. 281
E s'avverrà, che un Giorgio le dilette,
Non ti fidar, ch'essa giammai si stanchi,
Fin che da quel non giunge a cinque, à sette.
O che cac iar di segni or negri or bianchi :
Che favellar co* diti, e con la fronte:
Che bel menar di braccia, e gambe e fianchi.
Col senso ponga e tregua e pace a monte:
Affreni l'occhio, d'ogni infamia, e d'ogni
Mala operazión principio e fonte.
Di se stessa , e del mondo si vergogni;
Pensando che i piacer poc' anzi avuti,
Fien lunghe penitenze e brevi sogni .
Non faccia come fan gli animai bruti,
A quai manca intelletto ; a se provveggia ,
Che '1 naturai difetto in legge muti.
Agevol questo fia , se non l'assedia,
E impedisce 1' età, che non sì tosto
Docile si travolve e signoreggia .
Un fresco ramo assai chino e disposto,
A gabbia, ad arco avrem: l'altro si rompe,
Che di soverchio è contumace, e tosto.
Or eh' è fanciulla, sprezzar può le pompe ,
Il buffoneello, il canto, il sonno, il vino,
Ciascun de' quai nel ben poi la 'nten ompe .
L' arte , s' ha mal ingegno, e '1 buon cammino,
Che tu le mostri, formeralla in tutto
D' un animo gentile , e pellegrino:
Non altramente, che terreno asciutto,
E da se magro , con versar letame ,
Grasso di ve. ita , ed atto a produr frutto .
0 come sterile arbore, che brame
Innestarsi col fertil , cangia usanza ,
E di fruttificar tien miglior brama.
282 Poini
S' ha buon ingegno, con Y esempio avanza,
E col buon uso, entrandone pian piano
De la virtute a Y onorata stanza .
Non altramente , che fecondo piano ,
Volto da buoi , con geminate usure
Rende quanto vi sparse incuta mano.
0 come vite , che da se mature
Manda le solite uve, nondimeno
Bisognosa è di falci e di colture.
Non aspettar , che si raccolga in seno
L'attempate malizie in quel veratro,
Che le scuote di bo= ca il giusto freno.
L'aspro bifolco al dì sereno , a l'atro ,
11 tenero giuvenco addestra , e doma
Sotto l' incurvo e faticoso aratro.
Il contadi o a la matura soma
Il lascivetto insolito polletro ,
D'occhi grifagni, e di pendente chioma,
Qual in più parti si divide il vetro,
Tal la semplice età di biondo pelo,
Di duro ferro è l'altra , che vien dietro.
Quando fie giunto a' nubili anni il velo
Corporeo , eleé^a , o de la terra meglio
Le tede , o gli imenei sacri del cielo.
Se desia tonicellà , animo veglio
Abbia , e rivolto a Dio la notte e il giorno.
Stracci le cuffie d'or , franga lo Speglio.
Se vuol marito, e nosco far soggiorno ,
Cresca in bontafe al capo , che l'è dato ,
E in prudenza maggior di giorno in giorno
Tanto a lei piaccia, qnanto a Ini vien grato;
Non sia ritrosa , ne loquace sia ,
Ch* entri a tutl* ore in ghiribizzò , in piato.
Satiriche. 283
Voglioti ricordar , madre , una mia
Sentenza , e non perchè da me l'impari,
Che ben so , che notissima a te fia.
Chi si vuol maritar , giungasi a pari :
Né per sangue , o per soldi , atro disegno
Faccia avvinchiarsi da partiti amari.
Chi fa d'altra maniera , è senza ingegno ,
Troverassi mai sempre in ira , doglia ,
Maniucooia , rancor, noja e disdeguo ;
Spegnerà del ben far tutta la voglia :
Però t'avviso , che d'affetto accendi
Giusto l'anima tua , d'altro dispoglia .
Se tu fai compagnia , se compri o vendi,
Voler e disvoler senior' è in tua possa :
Puoi dir con libertate, o lascia o prendi.
Sia s' una volta in matrimonio hai mossa
La lingua a quello , Io voglio ; è forza poi t
Che porti quel voler fin a la fossa .
Spendi qui , prego, e desta i pensier tuoi,
Che non per sormontar tutte le stelle ,
Ne T infermo mini , ove non vuoi .
Chi non ha panno , cingasi di pelle 9
Trovisi un merlo, chi non ha calandra,
Merlo, che in giù e in su gracchi, e saltelle.
Se non puoi porla in ck di Creso o d' Andra m
Poula in cà d' Irò: i' lodai sempre oguuna
Di rustica bontà composta mandra .
La nobiltà per dono di fortuna ,
Scende a' mortai ; ma la virtù per dono
Alto di Dio, dove ogni ben s'aduna.
Di questa ferma opinione io sono,
Che non ad uom. di robe si dia donna,
Ad uom si dia, che robe far sia buono.
284 Po BUI
Peggiore è il pazzo , eh' una avvolta in gonna 9
Serva rozza, e fanatica, nel saggio
vSano giudioio , e stabile s'indonna.
Ecco per obbedir, quanto scritto aggio,
In parole plebee , resta , che in opra
Si metta a lo spuntar del nuovo raggio .
Ma mi protesto che non poggia sopra
Natura alcun consiglio o piaccia o spiaccia r
Se ben la forza col consiglio s' opra .
Se tua fanciulla , che Dio mai no' 1 faccia ,
Di nature sarà maligne e prave,
Ogni calda avvertenza in lei s'agghiaccia.
0 vecchia rancia, o giovane soave,
Muli paese e pelo e stato e sorte ,
Acqua non hai, che sì gran macchia lave.
Quel eh' or Formica è detto , uom fu già forte*
Dato a l'agricolture, a le fatiche.
Per monti e valli e per vie lunghe e corte »
Ma uon contento de le proprie spiche ,
N' iva rubando senz' alcun riguardo
Per spelunche domestiche e nemiche .
Sdegnossi Giove nel drizzar Io sguardo
Verso le terre , e in anima] cangiollo,
Qual ne si mostra , e piccioletto e tardo,
E ne 1' antico nome suo lasciollo ;
Che Formica è chiamalo anco al dì d' oggi,
Fin da quella stagion che trasformollo .
Serba 1' affetto per campagne e poggi ,
Benché perduto abbia le prime forme ,
Che ladro in quel d* altrui sempre s' appoggi,
Or guarda come quelle escono a torme .
Rubando , e tiran dentro a I* ime grotte;
Né Jascian de' lor pie mai le fati.' orme;
Satiriche. aS5
Se fosser qui tutte le lingue dotte ,
Non potrienmi negar eh' è vana forza,
Come del chiaro dì far tetra notte,
Volger dal cammin suo natura a forza .
286
SATIRA
AL S.
^GIROLAMO SFORZA
>!. osto che '1 ben oprar fu posto a terra
Da le genti maligne e tralignate,
Sorse fra noi la maladetta guerra .
Quel mìo, quel tuo d' una in un' altra etate
Crebbe sì, ch'alti imperj, onori eterni
S'acquistar l'arine ingiuste e scellerate.
Puossi veder ne' tempi più moderni
Tra Bracci e Sforzi, ed altri mille e mille,
Che nulla fur , non dico bassi esterni .
Lasciamo star, perchè cantato è Achille
Da la Meonia tromba , e 'nsieme Ulisse ;
Se non eh' arsero tempj , uomini e ville?
Lor questi alzò metalli , e quel ne scrisse ,
Furo adorati ancor per buoni e santi,
E Dio sa, come 1' uno e l'altro visse.
Satiriche. 287
Facciansi qui , facciansi , prego , innanti
Cesare, ed Alessandro: e venga Augusto
Un de* più cari a la Fortuna amanti .
E forse Alcide anch' ei non fu sì giusto,
Come le greche mentitrici carte
Lasciar per bizzarria , disser per gusto .
Guardiamlo in Carlo Quinto , in cui ver' arte
Dicon fu di milizia , e qualche volta
Perde, e pur vien chiamato invitto, e Marte.
Apre uom 1' orecchia, e in ogni lato ascolta,
Cb' ei dal soverchio non fu mosso mai :
Ma ciò, perchè al contrario non si volta?
Quantunque, a dire il vero, ei fu d' assai,
E men de gli altri ignobile imperfetto..
Ornando questa età di nuovi rai .
Ogni mortale ha in se qualche diletto
O per natura, o pratica di tristi :
E solamente Dio tutto perfetto.
Sono i dritti pensier confusi e misti
Co' torti , e i torli vanno in un co' dritti:
Tu ferro d' avarizia il cor 11* apristi •
Armasi '1 Guelfo d' argomenti fitti,
Il Ghibellin le sue ragioni allega ,
Iberi e Franchi n' han del tutto afflitti .
Mentre i Principi fan or guerra or tregua ,
Il Tiranno infedel empio e funesto ,
Nel mar Tirreno oscure insegne spiega .
Ab giù del Ciel discenda ajuto presto,
Movasi alta pietale a ferma voce,
In pericol sì grande e manifesto .
Sia '1 segno di salute , e quella croce
Da questo e quel si spesso eretta, e tinta ,
Nel sangue nostro, or più che mai veloce.
288 Poesie
La , Padre , di pallor faccia dipinta ,
Lacera ed egra, alzi Je ciglia un poco
A la sua sposa languida e discinta.
Col sangue de le spine estingua il foco ,
Con la dolce parola a se richiami
L'errante plebe , e renda al primo loco.
Torniamo a casa Ognun , che 'I troppo brami ,
Cerca la guerra , e tal proprio fa Chini ,
Che innamorato par la segua ed ami.
Se bee, se mangia, o resti egli, o cammini,
Ed ancor guerra guerra in sonno grida,
Alto sì, che l'intendono i Ticini.
Con un qui briga prende , un altro i sfida
E pettoruto, ha forti nervi, ha sode
Ossa , ove tutto il gignnton si fida.
Braveggiar anco temerario s'ode:
Veste ferro lassù celesti membre _,
E Palla e Marte il Dio gagliardo e prode.
Par che de' tuoni ognor Giove si membre ,
Ma non di Tauro farsi , rispond' io,
Uccello , o cosa liquida o bimembre.
Evvi sotto l'insegna , Adonio mio
(D rogliela in sul viso , e mi perdone)
Faluon di preda fuggitivo e rio;
E Furio condottier dempie pi rsone ,
Mortai nemico di riposo e pace ,
Cui l'alma sta per sale in quel corpone:
Ed a cui tanto una mal' opra spiace,
Quanto a Ronchetto ipocrita l'errore ,
Che fa con la matrigna, e'1 padre tace.
Uom , che non ha riguardo al proprio onore,
Il buon creato dice a questo , a quello ,
Che per vizio noi fa , ma per amore.
Satirici! v. 289
Cosi cieco seti passa il poverello ,
Pubblico vituperio di sua casa,
Ch' oggi non è più casa, anzi bordello k
Barbagianni infelice, in cui s' invasa
La torta guancia, e "I ciglio, eh' addolora v
Fin a cagnuol, che quinci e quindi annasa,
Quel eh* è di deutro appar per quel di f uora ;
Seguon del corpo suo la tempratura
I costumi dell' animo ad ogni ora .
Oltra questo erroruzzo , uccide , e fura ,
Ma tanto destro, eh' a scoprirlo è forza
Andar con Astrolabio, e con misura.
Bai botta pater nostri a poggia , ad orza ,
E con pelle d' agnello iugordo lupo
Tutto '1 genere umano inganna, e sforza •
Non ha fiume sì largo, né sì cupo
Antonin , 1' uom de 1' arme da Novara 9
Ne si può far con lui sconcio dirupo.
Scortica gì sempre ove alloggi» amara-
Mente, fin a le mura de 1' albergo ,
Man torta, fronte atsiccia, e bocca amara.
Non ben ha volto a la sua Lidia il tergo ,
Che, non che '1 manto, i peli de le ei^lia
Giocasi , e sta , qual sotto T acque uu niergo*
E la meschina abbandonata figlia
Aspetta invano i debiti Imenei ,
E sospirando tuttavia s'ingiglia,
O secolo ripieo d'uomini rei,
Che le Megere incrudelite e tetre,
E i Pluti già t' bai fatto idoli e Dei ,
Né giovan de gli Orfei 1" antiche cetre ;
Ne di quel!' Anfion, che mosse al suono 9
Tiensi per certo ie Tebane petre .
Poesie Satin 19
ago P o s e i fc
Or solo il suoni de' soldi è grato e buono ,
E de le trombe , e de i tamburi , quando
Preda F imprese, e latrocinj sono .
Se rinascesse il Ser d* Auglante Orlando ,
Coi dodici robusti di Parigi,
Per uno scoppio andria di ▼ita in bando .
$è gioveria che tanti a' laghi Stigi
Mandato avesse la sua Durindana ,
E ? oti andrian gì' incanti a Malagigi #
Lascia, lascia soldato , ir via 1" Alfana ;
L' elmo e la lancia a la fucina rendi ,
Ch' ogni armatura incontra '1 fuoco è vana.
O tosto un archibugio in spalla prendi ,
Se vuoi rubar con gli altri e case , e tempi
Esser decritto in rollo, aver stipendi .
Tutto di polve e fumo il capo t' empi,
Ch' altro guerra or uon è che fumo, e polve
E ten potrei narrar cotanti esempi*
Ogni buou alto in ombra si risolve,
Combattere a steccato, o dare assalto
A rotte mura, ove più d'un si dolve .
Se vinci , io ti glorifico ed esalto
0 per ingegno vinci , o per fortuna :
Co' pie, se perdi poi, sovra ti salto.
Piobe, e danari a dritto a torto aduna ,
Vesti da cavalier , fa del galante ,
Vantati a giorno chiaro, a notte bruna.
Movi con sprezzatura ambe le piante ,
Guarda con occhi biechi , abbi le cose
Tutte egualmente indomito incostante.
A questi dì le virtù stansi ascose,
1 vizj hanno il dominio, e '1 tutto ponno*
Mojon le gentilezze favolose .
Satirica i. 291
Ahi dato in preda tutto al mentre, al sonno
Già glorioso, e bel paese Esperio,
A tal condotto ornai eh' ognun t' è donno »
Ora il Gallico t'arde, ora Tiberio;
Ne per te sorge più Scipio e Camillo,
Né Cesare , o il figliuolo , o pur Tiberio ;
D' alta montagna sei fatto un lapillo _,
Per le discordie tue, per le tue colpe
Squarciato e preso è il trionfai vessillo.
Altro certo che te non ho , che'ncolpe.
E qual lingua verrà , qual sarà penna ,
Che d' infiniti error mai ti discolpe ?
Ancor so , ten ricordi : ecco Ravenna ,
E Roma , non più Roma , a sacco posta ,
E 1' Isola , il cui mezzo è 1* antiqu' Enna.
a ciascun barbaresco insulto opposta
Napoli, sempre a la propinqua Epiro ,
Sempre, e ad Alger, sempre e ad Algerbe esposta:
1 peggio è y quando lacrimoso miro
Data a 1* unghie de* suoi la bella Siena :
O de le umane cose instabil giro .
anta Concordia , i Soli tuoi rimena
Più sereni e tranquilli a gli occhi nostri 9
E leva Italia ornai di lunga pena .
)eh lieta Pace , a che tu non ci mostri
Le verdi olive, e le vivaci palme ,
E voi eterni fuochi i lumi vostri?
'overa Italia sotto sì gran salme ,
Languendo a terra cade ; e seco iosiemt
Ne I* innocenza lor tante e tanf alme .
irudo fatai destin l'affligge , e preme
Prega le stelle , invoca i tardi figli j
E non udita, ne sospira , e geme •
2§t Poesie
JNessun, dice, di me si meravigli:
Nessun dietro mi pianga : a me par troppo
Se non più fansi i campi miei vermigli #
Se non ritrovo altr' ira ed altr' intoppo .
X
ag3
SATIRA
A M .
PORFIRIO TESTA.
he cortigian ti facci , eh chi l'approva?
Anzi fatti un Bnsiri , un Licaone .
Ne la corte ogni danno, ogni mal cova,
Il torto vince , e perde la ragione .
l'I dico, e'1 posso io dir per fatta provaf
Non per particolare opinione .
Fatti un pistor, fatti un Poeta vano,
O fatti uu birro, ma non cortigiano.
Qual fallir tuo, qual fallir già de' tuoi,
Qual giudicio divin, qual celeste ira,
Qual ignoranza, o chiamar pazzia vuoi,
A disperazion l'anima tira?
Ch'ami ora quel, che odiare avrà* dappoi,
Quel che mortai veleno accoglie e spira:
Ch' altro mostra di fuor, altro tieu dentr#
D'ogni infelicitate abisso e centro.
Sg4 Poesie
E fu già un tempo, che nome ebbe Morte:
Non è favola questa , apri l'ori echi a.
Ma perchè 'I nome era troppo agro e forte ,
E'1 cor pungea più, ch'attizzata pecchia;
Queir M caugiato in C, le fé' dir Corte,
Che importava; oggi ad ogni usanza vecchia
Verrà contraria, e farà corte e liete
Le sperauze lunghissime inquiete.
Non ti fidare : ella oggi è più , che mai
Lunga, ipocrita, avara y empia, e crudele,
E se ben col servir, ciò che vuol, fai,
Forz' è che alfin t'inganni e ti dipele.
Fuggila , per Dio frate , e fiete assai
In altr' arte succhiar men duro fele •
E credi , che se n' odi il comun pianto»
Sordo sarai di tal Sirena al canto.
La qua!, s'a pochi, come il ciel destina,
Benigna fassi ; non però ne viene,
Che non fallace sia, ncn sia meschina,
Inferno di travagli , e mar di pene .
Essa de' buon, de' rei fatai mina,
Ne carità mai tien , ne mai fé tiene.
Sola speranza par le reste in tutto,
Che spunta fiori , e non raggiugne a frutto.
Ma, perchè da la lettra che mi mandi ,
Comprendo, ch'osiinato l'ami e cerchi:
Mentre mi comi ad uno ad uno i grandi
Dignissimi di Mete, e Moli , e Cerchi .
Né fai parola del mi' Anselmo d'Andi .
Di Cinna d'Agrio d'Alchi d'Esbio e d'Erchi ;
Che stanchi e bianchi, accesi d'odio e scorno.'
Pentiti invan ne piango» notte e giorno»
,
Satiriche. 295
perchè so , eh* ogni opra saria nulla
A volerti ritor da questa impresa,
Per quel di più, che me n'ha detto il Rulla,
Cui gravissamente ancor ne pesa ;
Qual chi con pargoletto si trastulla ,
Dice, che vada, e gli ha la via contesa,
Farò , poi che men preghi , e in parte forse
Il mal torrò, se 'n tutto non può torse.
Prima sappi, che due le virtù sono
In Corte necessarie, e principali,
Pazienza , ed astuzia ; or se vuoi buono
Parer , s'un dì voltarten* con destr' ali ,
Queste seguir convien , con prego e dono
Queste impetrar da' numi alti, e immortali;
Senza le quai somiglio ogni fatica
Ad inarata campagnuola aprica,
Non por fede in padron; sia, quanto voglia,
Santo e dabben: che le speranze porche,
Che quella tua sì calda e ferma voglia
Non ti conduca a le meschine forche.
Mostra por fede, aociochc e* non si doglia,
Se 'n te scorgesse di f fidanze sporche.
Cerca ognor, che '1 cercar ti fia concesso,
Suda sempre d'aver, guarda a te stesso.
De' padroni l'amor s'appropria al vino ,
Ch'oggi è qual ier, ma diman poi non tale*
Però sia sempre a l'util più vicino ,
E '1 tuo timor sia '1 fosso, o lo spedale .
Non imparar ne Greco, ne Latino:
Contentati restar qua giù mortale
Senza i famosi nomi, e l'ampie fame;
Pur che a morir non t'abbi egro di fame.
/
sg6 F o e a i e
Giunge a pessimo fin, chi 'n corte vive,
E non vuol traviar giammai dal dritto.
Questi '1 dice a colui , quegli lo scrive :
Ma nessun motto è, che non sia già ditto»
Se F inventrice de le prime olive ,
Se chi primo portò l'uve in Egitto,
Vivesser oggi in corte , e fosser giusti ,
N' avriano a uscir sul fin d'infamia onusti.
D'un buon si dice: o che balorda fera,
Ha servito gran tempo , e pur che ha fatto?
Quanto è più scaltro il Petronin Dolvera ,
Che sovra '1 ciel de F auro ito n* è ratto?
Oh tu dirai : ne la giustizia spera ,
Non t' adirar s' ha beneficj un matto .
Ti rispondo , che sei mozzo da spola ,
Torna pur a imparar , va pur a scuola.
Faria in altra stagion quel che tu dici
De la giustizia, or son Fetà cangiate,
E cener quei Serran , Curii e Fabrici
Di quella chiara avventurosa etate.
Allora eran più ricchi i più mendici ,
Men freddo il verno, e calda men la state.
Il viver d'oggidì sott' empi lumi,
Altri modi richiede, altri costumi.
Non por fede ne' tuoi cari conservi;
Pensa che quegli in te non pongan fede;
Sii doppio: in ciò sangue ossa carne e nervi
Adopra, e petto e mano e lingua e piede.
S' a me non credi, e più non ti conservi,
Che se con mille combattessi a piede,
Ahi , quanto dappoi vecchio, e fuor di corte
Del tuo poco saper ti dorrà' forte.
Satiriche. 397
À te son que' nemici , a lor se' tu .
Fermati, e non cercarne, o frate, il quia.
La tavola rotonda , e 'J capo Artù
Stansi oltra il campo, che mantiene Elia.
Pipino, e Carlo ancor si stan lassù,
Noi poveri, e mal vivi siam per via.
Torneran forse, ma non sassi il quando,
Frattanto intorno il ciel sen va rotando.
Vuo' che ti dica , come corre il mondo :
L'alma de' gran Maestri è ne gli onori,
L'alma de' Mercatanti è ne l'or biondo,
L'alma de' Cortigiani è ne' favori,
L'alma de' Marziali scorre a tondo,
Ve l'alma altrui l'alma è de gli amatori,
Quella de* Marinari è per le sarte,
Quella di voi Poeti è su le carte.
Il mondo è stolto , e chi ci vive è stolto ,
Son le cose di lui favole tutte.
Non voglio il poco, e 'nsieme fnggo il molte,
Come le strade o più fangose, o asciutte.
Nel mezzo siede il mezzo: avere il volto
Magro, e le guance a la miseria instrutte:
O quel grasso, e quell'erte fuor di modo,
Socrate non approva , ed io non lodo.
Il far sempre da grande, il non mostrare
Bisogno; per celata , e per panciera
Servati prontamente: e l'adulare
Per scudo e lancia a la battaglia fiera.
Veuir vuoi ricco, e ti convien usare
La lingua a la menzogna , a la chimera ;
Dir, rotei padroni ben fosse un Ser Cariaggio:
Sia liberale e sauto, e giusto e saggio.
298 PRESTE
Cui non per ozio mai cantare il cielo
Come s'aggire , il mar come si turbi:
Perchè fuor esca il caldo appresso il gielo,
Perchè un luogo si lasci, uu poi s'inurbi.
In udir questo gli s'arriccia il pelo,
Col suon de le scienzie tu '1 conturbi .
Me' digli, come rubi, e come uccida,
Prenda , e tradisca chi di lui si fida .
Già per questa cagion poco a me piace
A' moderni Signor molto servire.
Ti potrian far, dirai, che? più loquace,
Ladro e ribaldo, il vizio ognor seguire.
Sia maladetto a chi non spiacque, e spiac©
In servitù tirannica morire.
Non so , ne voglio dir quel ch'è peccato,
E però mi contento or del mio stato.
Non so, né voglio dir, che dindio è parco
S' egli è cortese a tutti : e che cortese
È quel tanaglia mariuol d'Alarco,
Che si fa così strette, e lorde spese.
Non so, né voglio dir, che Clutilarco
Da fanciulletto a la virtù s'accese;
Dov' ei col vizio nacque empio, e bastardo
Di Raffaella, e padre arcibastardo.
Non so, né voglio dir, che questo è dotto,
E quel sa nulla , ove M contrario appaja.
E dove non ho visto sopra e sotto,
Che Gesolmina è sconcia, Ardelia è gaja.
E dove di cucina ho '1 gusto indotto ,
Dir che mastro Pj.squin vince TArpaja ,
E cose , che non fansi al genio mio ,
E piacciono al padron, ma non a Dio.
Satiriche. 295
Non so, ne voglio dire, o far quel latito,
Che Scita non faria , non di ria Moro.
Indurre un poverello a fin di pianto,
Per di man torgli un ramoscel d'alloro;
E per invidia, tal biasmar da canto,
Che più di tutti gli altri meco onoro.
Moja più tosto, che s'intenda mai,
Che a torto abbia uom per me fastidi, e guai»
Marmi di Sparto , e vasi di Corinto ,
Orsi, e colonne, o Italia, e novi scettri
T' han disonestamente il viso tinto ,
Mozzi i capelli, e tolti via gli elettri.
Conti, Marchesi, e Duchi baa quegli estinta
Conosc itor de' tuoi celesti plettri .
O non avesser mai lasciato a noi ,
Chilperico il Messer, Cesare il voi.
Io mi contento star quivi fra Clima,
E Baja, in santa e solitaria vita,
Mirando il Leucogeo , quando più fuma ,
O ver Lucrino andrò s'Araor m' invita :
O col remo aprirò la salsa spuma,
S' a Nisida vo' far dolce salita,
E dir : Questa fu Ninfa , eh' altrui piacque;
Or è piacevol sasso in mezzo l'acque •
Così per variar luogo, in A verno
Rotando il pie, vedrò l'antiche mura,
Donde il Trojan calò giù ne l'inferno
Con la Sibilla , per la notte oscura.
Ivi ammirando il gran valor superno,
Dirò fra me : Quest'onda è di figura
Nee;ra , e col fiuto uccidea, che stran* opra?
Volanvi «ani oggi gli augei di sopra.
3oo Poesie
E se men verrà voglia, in piaggia al monte
Andrò, che nome ancor tien di Miseno :
O volgerò l'insaziata fronte
A quel , che Circe ebbe tant' anni in seno.
Al nocchier canterò l'opre a lui conte,
Che col possente e magico veneno
Dei rombi e segni , al suon de le parole
TV la bella e crude] figlia del Sole.
Sorsero alti palazzi , dov' or l'erbe
Cresco n pia folte, mostrerò col dito:
1 sac»i boschi qui tenean l'acerbe
Gabbie del popolaccio egro, e schernito*
Orsi, Lupi e Leon, fere superbe,
Tutto d'intorno fean sonare il lito
Di miseri urli e d'angosciosi pianti,
Forme cangiate d' infelici amanti .
Talor andrò là Ve Tifon sospira,
E '1 gemito n' udrò più da vicino;
Quando avvien, che si cruccia, e che s'adira
Del grave peso, che gli è sovra chi.no.
Griderò: Qui più dolce, o vento , spira,
E dì : Qui fece angelico , e divmo
Spirito, stanza un tempo illustre e chiara ,
Gloriosa Marchesa di Pescara.
Questi luoghi mi godo in pare, e senza
Travagliarmi il cervello in Corte , o frate;
Ne di Signor magnifica presenza
Mi risospinge a sciocca vanitate. ,
L'anima non m'asseggia aspra temenza
Di venenose lingue scellerate;
Né sento invidia, che giù basso io scenda,
E che un di me peggior su in alto ascenda*
Satiriche. 3or
Farai meglio a venir , dietro lasciando
L'ambizioni al tuo vicin BoJdaro;
E tutte metter l'avarizie in bando ,
Che intorbidan sì tosto animo chiaro.
O vieni, o va: non ir troppo indugiando;
Segui quel che di te gli ahi ordinaro
Fati , acciocché ne segua o buono , o rio
Fin : qui posar mi vo' , rimanti a Dio.
3oa
SATIRA
DI M.
LODOVICO PATERNO.
M
al può guidare un cieco un altro cieco.
Cieco se' tu, che senza moglie a lato
Vieni a me cieco per consiglio ; il quale
Moglie non ho , ne desio d'aver moglie.
Or che consigliar posso in così grave
Dubbio importante? Il maritai si loda
Giogo , e la vita libera si loda.
Ma qual è il meglio? s'io dirò, eh1 è il meglio
Non ammogliarti; mostrerò, eh* a forza
Da dura passion sia tratto , e spiaccia
Quello a me, che a ragione in comuu piace,
E piacque, e piacerà sempre a le genti.
Prendila, s'io ti dico; e tu, soggiungi,
Perchè non la prendesti , o non la prendi?
Dunque iie più eecuro io pria dimandi :
Satiriche. 393
Piace a te donna? se dirai sì , tosto
Risponda : or su, va preudila , se no , vi-
Vi, com'io, contento e fuor d'impaccio.
Ma perchè al tutto ragionar bisogna,
Senza più scuse i' detterò quel tanto ,
Che panni , e dal dir mio sen trarrà quello
Sol, che s'assesti a l'umor proprio, e l'altro
Farem, detto non sia. Prima consiglio
Or che diciott' anni hai fresco e polito,
A la notturna guerra de le piume
Provi la schiena , il braccio : e che non lasci
Marcire il fior di questa età novella
In grembo a l' invide ore, a i tempi avari.
I trent' anni aspettare è grave errore ,
Come aspettato ben , che tardi viene.
Or maturo di Vener cogli il frutto:
Che se certi non siam d'aver dimane
Vivi a vestirci, come in così lungo
Spazio assicureremo il viver nostro?
Oltra che in quell' età mezza è trascorsa
La vita, in quell'età sorgo n pensieri,
Che dal regno d'Amor vanno in disparte.
I figli, che allor nascon, vecchio e stanco
Trovano il padre , ed essi ancora in viso
Pajon donzelle: in tanto muore il padre ,
Ne giocar può col dolce nipotino,
E vedersi da quello esser chiamato
Con blesa lingua , e la canuta barba
Tocca, e la cnioma e la rugosa fronte
Da la man tenerella : e tu vedrai
I figli, e potrai dir, che ti sien JiYati,
E vedrai lieto ancor de* figli i figli,
Se '1 corso naturai non ti si tronca»
3o4 Poesie
Se vuoi tor Fulvia , il saper onde sorse,
Approvo; ma quel far genealogia
Efo: ma quei far processa , e il sempre moli*
Tempo in cercar, chi di lei fu nutrice,
Chi sono le vicine e le compagne,
Opra, che partorisce ira e disdegno,
Come ingiusta e soverchia, e biasmo e danno*
A tal forse ne spii, che fia nemico,
E 1 vero celeratli : o forse a tale ,
Che amico, per affetto incontra '1 vero
Anch' ei verrà. Cousumerassì '1 tempo
Più comodo a' piacer grati e soavi:
E questa rifiutando , t'apparecchi
Processar l'altra, e l'altra; e così passi
A la vecchiezza , uè torraine alcuna
Passere solitario, e rancio e freddo.
Ma posto, che Cornelia la sorella,
O Suipizia la madie, o la balia
Ne desse a tutti ; non però conchiudo
Che Fulvia sia puttana . Visto ho spesso
Di m-idre disonesta figlia onesta;
Di stolto padre nascer figlio saggio.
E per contrario, spesse volte ho visto
Di madre onesta disonesta figlia;
Di padre saggio nascer figlio stolto.
E in due frati osservato, uno esser buono,
Un esser pravo; un seguitar la guerra,
Un seguitar la pace: è differente
Dal forte il saggio, e l'anima da i membri.
Arbor non fassi d'uom, né uom d'arbor fassi;
D'orso non nacque mai destrier , nò mai
Gazza da destrier nacque: Legge eterna
E di natura . Non cosi de' nostri
Satiriche. 3o5
Costumi, che con noi varian mai sempre:
Tu'l ben sai: ladro fu cinqu' anni, e cinque,
Ed altri cinque, oggi non è più ladro,
Ma pio, buono e civile Oglarifondo.
Fra Petronio fu giusto in gioventute ,
Apostata in vecchiezza, e bestia infame*
Rimira , che col tempo ogni creata
Cosa iu giro si volta, il cielo intorno,
Intorno rota al polo ; or che di noi
Quasi fronda volubili incostanti?
Bella hai da torla , non mai bruita : e lascia
Dir , che sarà tentata , e se sta salda
Ad uno, a due, forz' è, che al terzo, o al quarto
Vinta si renda: è favola; se dritta
E in effetto, non fia eh' uom mai la tenti ^
E s'uom pur mai la tenti, ella qual torre
Fermo al vento starà, ferma a la pioggia
De le lagnme insieme, e de1 sospiri ,
Senza piegarsi da man destra, o manca.
Ma se non dritta , ella tenterà forse
Vana e lasciva , e senza legge e senno ,
Co' risetti , e co' motti a luogo, a tempo
Di raccendere or questo or quel galante.
Femmina brutta col guatar n' uccide ,
E induce a bramar altra: essa , che poi
Si trova abbandonata , in preda almeno
Darassi a vii sergente : eccoci novi
Cittadin fatti di Corneto . Alfardo
Grida , ne brutta sia , né bella sia ,
Ma tenga il mezzo. Alfardo , in che bottega
Si vendono, per grazia ora m'insegna,
Ch'io possa, come fo ne' vasi , averne
Una a mio gusto? Odi di più: par brutta
Poesie Satin 20
Soft Poesie
A me Lavina, a te par bella. Olinda,
Ch'a te par brutta, a gli occhi miei par belli
La torrei brutta in un sol caso, quando
Mi levasse di mano a povertade
Con grossa dote. Povertà conduce
Gli uomini anco a morir, che meraviglia
S* a menar brutta moglie ? Io per me poco
Mi curerei, che fosse Ja Scanfarda,
Vituperio al paese, ov' ella nacque,
Barbuta, d'ottantanni e senza un occhio
Sdentata e zoppa ; o fosse pur Megera ,
Tisifone, ed Aletto: e per finirla.
Fosse la morte e la fame e la peste ,
O tutte unite insieme in un &ol corpo ;
Ma ben ricca , e provvista de* contanti.
Poi che la poverlate , ira di Dio ,
Ogni supplici® agguaglia , ogni gran cosa
Vince d'assai , Quando la casa è piena
Di porpora e d'argento, un corpicciuolo
Nero e sgarbato a tanta luce è nulla.
Già , se la povertà non ti flagella ,
Pon modo a l'appetito ; una a te pari
S'aggiunga; ne cercar molta ricchezza,
Ne bramar fumi , e titoli da pazzo
Per aver molto affanno. Poi che in caga
Ti s* è condotta , dei pensar che Dio
Te T ha data compagna , e fatto , eh' una
Alma in due corpi alberghe; però guarda
Non la tradir, però mai sempre fa le
Carezze e festa : Ne per piccioi fallo
Dar di piglio al baston , correre a l'arme,
Come fa sempre il Baroncin Panaccia.
Tieqla \a paura, acciocché t'obbedisca
S i r i x i e r i, 3o7
Da capo e da maggiore in quel, che pronta
Deve obbedir. Non Je lasciar il freno
Tutto in arbitrio suo: donna è, le donne
Son donne al fin ; ma non mostrar, che n'abbi
Soverchia gelosia , soverchia ambascia.
Noi sempre ci sforziamo oprare il peggio;
Corre al vietato la natura umana:
E spesse volte in quel non gir, non fare,
S1 insegna a fare, a gir. Disegna un cerchio,
Onde non esca; chiamala, e dì: cara
Moglie , io non vo\ che per balconi aperti
Tessi , e ritessi da mattino a sera .
Non vo', che strada di Lisetta , e Carda
Ruffiane frequenti. Io vo' , non vieto,
Ch' entri a' sacrati tempi , e di parente
A nozze amo talora . Sovra tutto
Non far, che questa fronte , e queste guance.
Da natura sì belle, e ben composte,
Per solimato sien rugate e tinte,
E per quegli unti pessimi, e si sporchi
Di Monna Palistilla; assai ti basti,
Ch' a me sol piaci ; qui ti ferma , e questi
Ricordi fa che serbi eternamente.
Pur s'alcun difettuccio in lei scorgessi;
O che garrula fosse, ed importuna
Alquanto, con prudenza la sopporta:
Pensa, ch'ella è consorte; e pensa, che
Le rose hanno le spine , e i pesci l'hanno,
Le carni han Tossa; il piacer , e la nota
Così vuol Dio, concatenati stanno.
)a l'altra parte, se vuoi ch'ella t'ami ,
Ch'ella dal tuo voler mai non si parta %
Mostrale iu fatti queir amor, che sola
3o8 P O E 8 I E
Discopre altri in parole ; è medicina ,
Che giova in lutt' i mali : adopra il chiodo
Che strettamente unisca i petti insieme.
Fu già vedova ricca , e assai leggiadra ,
Ch' una vecchiotta sua pregar soleva
Con infinite lagrime e preghiere ,
Che trovato Je avesse alcun marito;
11 qual non per desio di caldo letto ,
Pìon per abbracciamenti , ella giurava
Desiderar , ma sol che guardia e capo
Fuss' ei delle sue robe, in tante parti,
E distratte da tanti : la vecchiotta
Promise, ed indi a pochi giorni allegra
Tornando , espose : come un tal da bene ,
Ed \ regger prudente avea trovato ,
Qual proprio essa voJea freddo , ed eunucc
Fiamma crebbe alla vedova in sul viso ,
Poi che udì quel che non aria voluto,
E gridò : Mala bestia , te con lui
Mando a le forche; eh che vuo'tu eh' io face
D'un che non sia marito? io non per lori
Ischi fezza il cercai ; ma pur qualora ,
Come suole avvenir tra donna e uomo,
Scendiamo a briga ; chi potrà le nostre
Menti conciliar? Dunque bisogna,
Se fuor d' infamia vuoi , se fuor di risse
Viver con la compagna, giorno e notte
Oprar quel chiodo sì miracoloso ;
Quel chiodo , che pacifica e congiugno ,
Fora , sana , diletta, giova e pasce.
O non possendo , o non volendo , è sempr
Più sicuro , e da farsi , a non tor moglie.
3og
SATIRA
A M.
GIROLAMO GIRALDI »
E
ch* altri dica : è troppo acerbo e nuoto
Il di costui parlar : non però cesso
Satireggiar, come a me paja meglio,
Piaccia o dispiaccia : o pedagogo iniquo ,
O sviato ucceilone , amaro aspetto ,
Asino errante , o feccia d* intelletto ,
Chiudi le labbra : e farò tuo malgrado
Ch' al sol de le mie carte in uu momento
Resti quasi figura in prospettiva.
Io pensava por fine a la giust' ira ,
Fermarmi in tutto; ma dolente e grama
Donna mi viene incontro, e si lamenta
A sospiri, a signozzi , e dice : Io fui ,
Ch' or non sou più, poscia che mille e mille
Monstri m' han violata . O Dio , che tardi
3io Pomi
A mandar tanti Bruti al fin incontro
A tant' altri Tarquinj ? o se t* aggrada
Di far vendette debite, che tosto,
Tosto tu non ripurghi un'altra volta
O con acqua o con fuoco il mondo errante?
Piansi di cor , poiché ne seppi il nome.
Poverella Virtù mi chiamo, or vedi ,
Come trattata son dal secol vostro ,
E come infellonisce a mio sol danno.
Quando altri suda al vento , al sol io tremo:
Quando altri abbonda di soverchio, io manco:
E quando altri è in silenzio , io mi querelo.
Qual fanciul, eh' è trovato in qualche fallo,
Arrossa, imbianca e i gravidi occhi abbassa ;
Tal io , di nostra instabile , e proterva
Età , poi che n' intesi un sì gran torto „
E proposi fra me dir ne' miei sdegni
Male dei male, e ben del bene: e questo 9
Perchè ne' fati è fisso , a viva forza
Convien si segua . Che lasciato , ond' io
Tanto sperava in più superbo verso ,
Accompagnato dal furor di Marte ,
11 cantar cose eroiche e sublimi :
Ora per poche frondi , e per vile irco
In Stanza, e in Rima sciolta satireggi
Primo d1 ogni altro ; e questo premio , e questa
Laude, se può veuirmen premio, e laude,
Che metto in forse, o dotta o bella o dolce
Napoli mia t' aggiunga . È grave e duro
Tacere il vero, affoga il dolor chiuso.
Poi so che spesso da l'assenzio fassi
Rimedio, eh' a salute induce un egro.
Io dirò pur , chi può tenersi ? quando
S A T I R I « H 8. 3ll
Veggio Bricaldo, il pallido Bricaldo ,
CIoìuì , che per lo dado , e per la macchia
E pervenuto a titolo supremo ,
Essere a la sua patria Epaminonda •
Pannunzio, eh9 è nemico a spada tratta
D' ogni buou* opra , al suo signor è caro >
Cui dianzi era discaro, perchè a Turchi,
Ad Africani , a Babilonii, a Medi
Die la città , eh' egli in custodia aveva :
Dove, o tremendo evento! i nudi figli
Sol con le braccia difendean le madri;
E sol col pianto , e col gridare i figli
Eran difesi da P a fili ite madri •
Dove in su gli occhi de' mariti servi
Servian serve le mogli, or gode, or carco
Di ricchezze e d'onor può far, può dire,
E gli è sua colpa cancellata in tutto.
Eccoti Alicorno ; quanto Auconio il vecchio ,
Non visse cervo mai, serpe o cornice,
Che de f infame scorza or si riveste ,
Onde da Febo fu già Marsta tratto.
Pur non è rocca sì ben posta e salia ,
Che per tempo e per arte altin noncaggiat
Che dirò del figliuoi d' Aulo ? non esce
L'Armellin da la Simia , il Lupo manda
I Lupiccini; or quanto l'ardir vaglia,
Spartaco, e gli altri ne fanno ampia fede
Ne* tempi antichi ; e ne* moderni Altirro ,
Nato del sangue per obliquo d' Aulo .
Molto può la fortuna : egli trovato
Ha viva vita eterna in vivi inchiostri
D' alto Poeta ; a che meravigliarci ,
S' Enea bastardo , e traditore ed empia
Sii Poesie
Fusse degnata celebrar la chiara
Musa del gran Marone, e porlo in cielo
Dal Numicio? Non sia, chi qui desperi
Nome toccar , che gli altri nomi opprima „
Mentre la rota sempiterna voi ve .
Armodio , e Bastian perchè son ricchi,
Pajon belli e prudenti; e pur Tersità
E r uno e Y altro ; e non è pazzo alcuno
Che di lor duo più non conosca , e sappia ,
Queste ricchezze gli assassini espressi
Han laut' alto cresciuto : or non si parla ,
Come venute sian, godonle in pace.
Donde abbi, nessun cerca, e solo importa
Ch' abbi , e possiedi . Armodio , e Bastiano
Eran prima nemici, or son fratelli.
Lor quel , che a duo corsier di novo in stalla
Posti , avvenne che isbuffan tutta sera ,
Si rimirano bieco ; e taccion poi
Che conoscenza, V altro dì che segue ,
D' amore e di concordia è lor ministra .
Sia trascurato, ed ignorante e brutto
Uomo , e sia vile , e sia maligno , e peggio
Sia terza specie tra la bestia e V uomo ,
O sia pur bestia in tutto ; abbia ricchezze,
Che terza specie fia tra l'uomo e Dio.
E si dirà , eh' egli è nobile e puro
Più di cristallo ; e ch* egli è saggio e dotto ,
E sovra gli altri più famoso e grande:
E faranseli ancor fiu a gli onori
Alti e divini. Alberto ha tanti Sagri >
Astori , Pellegrini e Girifalchi ,
Cani, e cavalli in quelle eterne cacce;
Dona senza ritegno ; ed a chi dona?
Satiriche. 3i3
A ruffiani, a parassiti, a gente
Simile a lui : Teste ora buffon magro,
Or investe di feudo villan rozzo.
Ma non si trovò mai , eh' essi pur uno
Mezz' arso pan donasse a un poverello
Dotto, che tutto dì scrive, e biscanta.
Quanto fa, quanto dice, e quanto pensa,
Scema con la virtù , col vizio cresce ,
E allora, allora in nulla si risolve.
Il suo maggior intento è , come possa
Fuor di scoverta infamia il suo Lombardo
Putlanino aggrandire, e un dì farallo.
0 Italica virtù negletta , e guasta !
Che barbari costumi ? io miro Arnoldo
Metter guinzagli a' buoni , assolver empi y
Spogliar d'onore i sudditi , e di roba.
L'una fuggita si rinnova , e l'altro
Non imita la Luna : il sa Polinda,
Quando a ìa più dolente , e trista notte
Fu da trenta , e un altro in giro volta.
Odo che '1 popol suo levonne il muso :
Ma rAncille dal ciel mandate a, tempo
Difesero il tiranno. E non è solo;
Ha de' compagui assai , ma perchè faccia
Così , dirollo : che non crede in Paolo,
Luca, Marco e Matteo , ne crede in chi già
Gli altissimi secreti in Patmo scrisse,
Ne a eli altri d'Israel , eh' ebber Dio amico.
Ch'è proprio un dir non crede,e spera in Cristo,
Arnoldo è pravo , e può cadérsi in peggio:
Il popol per lui prega; è deguo esempio
Tra noi , che non sol una , ed una vecchia,
Ma preghin per tua vita e mille , e mille,
3i4 Poesie
A che condotto è '1 mondo? ei più s*allcg«a„
Che quel vada in esilio , abbia quell' altro
11 capo mozzo , o perda casa , ed orto ;
Ch'aver nuovi trionfi, e nuovi regni.
Ma perchè tema sempre, e tremi, io forte
Mi meraviglio ; e questa meraviglia
Manca in pensar che fu proverbio antico ,
Chi fa temere ogni uom, poi d' ogni uom teme*
Basti d' Arnoldo. Or farem nuova uscita
Con nuovo manto nel proscenio . E sono
Le donne ancor, chi '1 crederia ? ribalde f
Arroganti, eteroclite, insolenti,
Mentitrici , omicide e senza legge .
Lidia sdentata, e pazza dopo i venti ,
Tenti e venti anni in ordin la cerusa
Mette , e la pelle si stroppiccia : ah putta f
Ecci birro , e pistore , ecci bifolco ,
Che non t' abbia forato ; ancor che l' alta
Origin tua d' alto principio attorci ?
Tu sol m'intendi, o Lidia , io son colui
Che ti lodai , nò tu conosci : io sono
Colui , che ti dislodo , ingrata , avversa
Al proprio sangue , e vituperio espresso
Del sesso , de la patria e di te stessa .
Giustina ingiusta : o nome in bestia tale
Del lutto sconcio : è meretrice , è sporca»
Si diletta d* usure, e ruffianesmi .
Com' è 1' ombra col corpo, e '1 corpo aggiunto
Con r ombra è ; cosi aggiunti i vizj sono
Con quella, e aggiunta ancor co* vizj è quella
La di rubin così fregiata vesta ,
Che sen porta , il aibetto e 1* ambracane
De la figliuola è prezzo: a bei contanti
Satiriche. . 3iS
L' ha venduta a Chirsigno : il vecchio pazzo
Per vergine ha comprato una vaccaccia ,
Pisciatojo del vulgo; o ser Chirsigno,
Mettetevi gli occhiali un* altra volta.
autilia al mondo ornai perpetua fede
Fatto ha, ch'essa è bisaccia a quanto puossi,
O a piano smonti, o ad alta cima poggi;
Sì finché bagni il fuoco , e l'acqua scaldi 9
Resteranne memoria ; or lieta godi
Cautilia d* un tal pregio : ancor per torta f
Ed illicita strada può venirsi
A F immortalità. Colui , che '1 tempio
Arse per tale effetto , il mostra a noi .
Chi per la porta intrar non può , s* ingegna
Per la 6nestra intrare; altri che dice
11 contrario s' inganna ; a te fia molto ,
Che di malizia cedi a nessun' altra.
3r conchiudamJa qui: femmine, e maschi
Iufernal rabbia sono. 11 mondo è posto
Tutto in maligno : e chi comanda altero ,
E chi umil serve a prezzo, di ciò solo
Son cagione Avarizia , e la sorella
Ambizion, che dolce il cor titilla.
Queste , a guisa di due pieni torrenti f
Han d' Italia sommerso ogni valore ,
E le sacre distrutte , acerba imago ,
E le profane cose indegnamente.
Queste hanno oprato quel , che visto ho spesso
In due con trai j venti, i quai di forze
Eguali , e d' ira , 1' un l'altro spingendo
Alto tiran con fosco orribil giro
Ciò che si giace a lor arbitrio in mezzo.
q per me, poi che scorgo il tutto un gogna
3i6 Poesie
Presto , e fallace, a miglior vita i giorni
Mi serbo in queta villa , e me stesso ergo ,
Malgrado d'avarizia, in libertate.
E qual fuggito da prigion maligna
Con la memoria del passato , il poco
Presente estima molto: tal io, ch'ora
Conosco quel che lungo tempo ascoso
Stato da gioventii m'era, e da sorte;
Qui leggo , e scrivo : e se di mia spelunca
Esco mai fuori al ciel, qui Tereo, e Progne
Li Cigno veggio, e Pico e cotant' altri,
Che fur già, come noi, ma su per 1' ombre
Verdi , e fronzute or volti in augei vanno .
Qui seggio a 1' erba, altrove a passi tardi
Cantando l'amorose tue querele
Ruvide e calde , o Pan , le selve insegno
Nel suoli, che di Siringa esce , l'amata
Siringa risonare , e i fiumi , e 1 monti
Soavemente. Ah cruda, ah bella Ninfa
Ferma i fugaci pie: chi fuggi? aspetta,
Non muover sì veloce , e si proterva.
Ah bella, ah cruda Ninfa, almen per quest<
Paludi, allor ch'in te sospira il vento ,
Se ti rimembra de l'amante , un poco
Sospira il Dio, che t'ama; ed al sospiro
Mostrin letizia i poggi , e festa l'onde.
Poi, quando a casa torno, il mio Grecillo
Meco al fuoco sedendosi mi conta
De le sue favolette. Or perchè sai , ,
Dicemi , il Rosignuol più forte canta
Nel veder l'uomo? Il Rosignuolo , a 'nsleme
Il Cuculo v a contesa venner tanto >
Che de' lor cauti l'Asino s'elesse
#Ci.
S ATI HI CH E. 3l7
Giudice, come quel ch'ha grandi orecchie.
L'asino, che d'estrema inezia è padre,
Negando di conoscer l'armonia
Del Rosignuol , senza pensarvi sopra
Pronunciò, che'I Cuculo avea g°rga,
E dolcezza migliore , il Rosignuolo
Da l'iniqua sentenza e dura e sciocca
N'appellò tosto a Tuom ; e quinci guarda,
Che innanzi a l'uom sì dolce ei canta, e piagne:
Che si ricorda di quel tempo andato ,
E del parer del giudice incapace,
Che accostossi al suo simile imperfetto.
Questa finita , a l'altra s'apparecchia :
Ne la stagion , eh' era novello il mondo ,
£ senza le malizie, che sono oggi,
Quasi tutti gli augelli un giorno andaro
A la Nottola, augel notturna, e sola:
E lei pregar* con oratorj giri ,
Che lascwte le cave oscure, e sozze,
Si conducesse a far di usati nidi
Fra gli arbori , e goder vita serena ,
E le mostrerò una poc' anzi sorta
Quercia , dove potea volendo ombrosa
Slanza fare a tutt' ore , e sola e grama.
La Nottola negò , dappoi soggiunse :
Da questi arbori ancor nascerà male
Che distruggerà tulli : io vi cousiglio
A far com' io. Sprezzaro i vani e stolti ,
Leggieri ed incostanti il sano e buono
Consiglio de la saggia : nato il visco
Tardi seppero il danno: e però sempre
Che miran lei , corroule a piene squadre
3i8 Possi*
Intorno intorno , per saper di nuovo
Da la prudente, raa quel tutto è indarno;
Ch'ella sta ferma, ne per pianti e preghi
Si piega a dir. Greeillo oltra via passa,
Finche gli occhi cadenti il sonno adombra ,
E a poco a poco occulta i carbun vivi
La ccner frodolente insidiosa
Dentr* al suo grembo; e le sorgenti stelle
Ckiuan le fiamme sue verso l'Occaso.
3i9
SATIRA
DELL' AD1MARI.
Alcinoo e Menippo
Aìcindo .
^orgi , Menippo, ornai , che dormi ancora ?
Già già l'Alba novella il bianco velo
Cangia in rosato ammanto, e fassi Aurora:
Grià le brine notturne, e il freddo gielo
Scioglie suH' alpi in liquidi cristalli
La gran face del dì, che s'alza al cielo;
Grià dall' Ìndico mar sferza i cavalli
L' apportator del lume, e l'aurea lampa
Guida a gran passi in ver gli eterei calli ;
fedi, che al muro intorno il Sol già stampa
Per le finestre mal commesse alquanto
Lucide righe, e agli occhi tuoi divampa.
Sorgi , che tardi ancor? Bea sai , che tanto
Di vita ha I" uom, quanto d* oprar s' affretta;
Che mentre ei dorme più, meo vive intanto.
320 Poesie
Son questi i panni tuoi , vestili in fretta ;
Convien , che meco peregri n tu scenda
Dal monte al pian , che la Città n' aspetta .
Menippo .
Che giova a me , che il dì novel risplenda,
Se vuol T empio destili, che il suo bel raggic
Torbido, e grave agli occhi miei si renda ?
Ecco che sorto io son ; lieto il viaggio
Prendi pur tu , se di partir ti piace,
Ch*io rimango a goder 1' ombra d'un faggio .
Pria queste balze avran perpetua pace
Co' nembi accesi , Austro e Aquilon col mare.
Nido il Colombo col Faicon rapace :
Vedrassi pria ciò , che impossibil pare ,
Dai Grifo , e dal Cavai nascer tal prole,
Che l'uno il correr dia, l'altro il volare :
Uscir dal bosco ombroso al chiaro Sole
La Damma, e in mezzo a' veltri i puri argent
Lambir del rio, che dissetar la suole:
Pascer le torme de' lanosi armenti
Le molli erbette, e gli affamati Lupi
Seder non lungi a lor custodia intenti:
Pria sovra i gioghi dell'alpestri rupi
Voleranno i Delfin , e i Capri snelli
Neil' acque noteran tra' fondi cupi :
Pria senza neve il Verno , e gli arboscelli
Senz' alcun verde allo spuntar d'Aprile,
Che un sol momento io Cittadiu m' appelli •
Credimi, Alcindo, è la Città sì vile,
Son tanti i vizj suoi, che men periglio
E lo star fra' giumenti entro un fienile.
S a t i m e su, Su
)i nobìl padre io non ignobil figlio
Già nacqui in essa, e v' abitai molti anni »
Povero di ragione, e di consiglio .
Scorsi 1' opre malvagie, e i torti inganni ,
Le malizie, le frodi e i certi segni
De' mal presenti , e de' futuri affanni/
fanto , ebe sazio alfin de' modi io degni,
Scbivo del basso oprar de1 guasti affetti ,
Del gran torpor degli avviliti ingegni ,
IT elessi d' abitar gli ermi ricetti
Di selva annosa, ove a me sia concesso,
Che il fin dovuto a mortai corso aspetti.
Dove volgendo ognora entro me stesso
La memoria crudel degli altrui scorni f
Il mio giusto furor sempre ho dappresso •
jilcìndo
3en m' avveggio, frate), che tu ritorni
All' uso antico ; e se dir mal vorrai ,
Non sia mai ver , che il desir tuo distorni .
>ediam dunque a quel fonte, e dimmi ornai,
Qual sia della Città V arte, e il costume ;
Che tu per lunga prova il ver ne sai.
3ià comincia a tacer Y onda del fiume ,
Sol per udirti , e il venticel , che freme ,
Raccoglie anch'esso in grembo ai fior le piume.
Soi parlerem sino al meriggio insieme :
Che T opra d' oggi io compirò dimane ;
Tempo non manca , e il differir non preme.
Menippo .
?on basta il giorno intero , che rimane ,
La minor parte a ricordar di tutti
Gli enormi eccessi de le menti umane.
Poesie Satin ai
322 Poesie
E come invan dell' Oceano 1 flutti
Stringer si ponno io piccola conchiglia ,
E ? arene contar de' lidi asciutti ;
Cosi non dee parer gran meraviglia ,
Se di giugner dispero all' alto oggetto ,
Che lungi è al po-ter mio cento, e più miglia.
Perciò l'ira , e il furor , che accoglio in petto ,
Sfogherò sulle Donue a mio talento :
A più Satire basta un lor difetto .
^4.lcindo .
Mi piace, e a dirti il vero, io son contento ,
Che tu risparmi agli uomini la frusta :
Comincia a tuo piacer, eh' io taccio, e sento.
Menippo.
Sarebbe, il redo anch'io, cosa più giusta
Condurli entrambi alla medesma festa ;
Che se Gambero è 1' un, l'altro è Locusta;
Ma treppo fia quel, che il mio dir t'appresta,
Mordendo sol la femminil licenza ;
Che gran materia a gran discorso è questa .
La Donna in se diversa è all'apparenza,
Ha lieve intendimento, e moto grave,
Morbida pelle, e ruvida coscienza .
Di fuor ne' grati accenti ha miei soave ,
Ha dentro il tosco, è nel risolver tarda,
Sempre dubbiosa, e timidetta pavé;
Ma neìr interno poi , s' altri ben guarda ,
Fiacca, e debil si scuopre in oprar bene,
E nel far mal più d' Ercole è gagliarda.
Or qual de' vizj suoi priniier mi viene
Da raccoular, se i vizj suoi son tanti,
Quante foglie ha V Ardeana, il Gange arene?
Satiriche, 3aS
Monta Y eccelse moli, e torreggiane
Sparse in Citlade, e gli umili abituri ,
Quindi al novero lor giugni altrettanti ;
lei immagina poi, che alberghi oscuri
Sieno di mostri orribili, e di fiere,
Tane, e covili di serpenti impuri :
uiò, che Lussuria sia, ciò, che piacere
Di Venere esser puote, in ogni stanza
Semiramide insegna, e il fa vedere.
Scordata in tutto la modesta usanza
Del secolo primier, studia ogni Donna
La morbidezza , il brio , 1* ozio e la danza •
JnH, che di sozzo appena, allor che assonna»
Tania ignuda oserebbe, oggi commette
Inesperta Donzella, ancor che in gonna .
>be giova al senno uman molte ristrette
Tenerne in chiusa torre? esse dall'alto
Giuocau d' occhio col vago, e son civette •
^e Virginie moderne al primo assalto
Cadono in braccio agli Appj, e non mai tinto
Resta il terrea di sanguinoso smalto •
)i castitade il nome è vano, o finto ;
Che ugualmente lasciva oggi è ciascuna ,
Per la malizia altrui, pel proprio istinto.
I se in pregio d' onesta odon taluna
Ricordar, qual fur Marzia, e Medullina ,
Ne ridoa tutte, e non le applaude alcuna.
Consente a pudicizia esser regina
Sol per ischerzo il secolo nefando ,
Ma poi stracciato ha il manto, e va tapina .
>al uostro Cielo le Sofronie hau bando,
Le Timoclie, e le Dulie iu altri liti
Ne vaa con Ippo solitarie errando .
324 Poesie
Non v' è chi F orme d' Eufrosina additi ,
Di Biblia, e Fara in più lontana parte
Seguon gli esempli i Tartari , e gli Sciti .
Dican l'istorie pur, spieghin le carte,
Come serbaro intatto il proprio onore
Le vergini Alemanne, e con quai arte ;
Che offrir la gola ai lacci, al ferro il cuore ,
Per non vivere impure , a' dì presenti
Sembra ardir disperato, e non valore .
Le femmine di Scio furo imprudenti,
Perchè fedeli, temperanti e forti ,
Ritrose agli adulterj, ai tradimenti .
Ferma, crudel, dove il mio cor ten porti ?
Febo a Dafne dicea , sparso il cria d' oro
Di polve, umido il ciglio, e i labbri smorti :
Ferma, bella sdegnosa : io non ignoro,
Che sempre unito a gran beltà si vede
Fasto, alterezza, e raro amor con loro ;
Ma se valor d' alta costanza, e fede,
Merto di calde lagrime, e sospiri
Non vaglion teco ad implorar mercede ,
Volgiti al mio pregar, tanto che miri
Manco irata, e superba il morir mio ,
E almen contento d' un tuo sguardo io spiri
Ne invan parlai, se di spirar diss' io :
Che ben potrà morir Nume immortale,
Se viver può fra tante pene un Dio -
Lasso ! pur fuggi, e men veloci ha 1* ale
Sul mattutino albor l'aura, che vola,
Men lardo ha il mover suo Partico strale;
Ma fuggi, ingrata, al desir mio t' invola ;
AITardor del mio fuoco il petto indura;
Sprezza un sì fido amante, e noi consola :
Satiriche. 325
Cbe se non manca all'ardir mio ventura ;
T'avrò ben tosto a tuo mal grado in braccio,
Tanto Amor mi promette e m' assicura .
Già t' incalzo, ti prendo , e già t' abbraccio ,
Pur nel tuo grembo a riposar m'accingo:
Misero, a qual portento ardo ed agghiaccio !
O cbe m'inganna il senso, o al senso io tìngo:
La mia Dafne si cangia in rami, e in fronde
Di verdeggiante lauro, e un lauro io stringo:
Dafne, ove sei, chi agli occhi miei t' asconde ?
Piangendo esclama il garzon mesto, e 1' Eco
Del suo dolor pietosa al duo! rispoude.
Sciocca Donzella, or sia la gloria teco
D' esser cara a Diana, e al par li vanta
In pregio d' onestà contender seco :
Tienti la dura scorza, che t' ammanta ,
Senza invidia d'altrui; me non tsorta
Stimol di lode a tramutarmi in pianta.
Senno miglior cred' io, saggia ed accorta
Viver d' Ermia e di Metra al paragone ,
Che somigliarsi a Dafne, ed esser morta.
Tal parla oggi la Donna, e con ragione ,
Se d'Aspasia e Timandra più lasciva
Vince Clunie e Sinope, Afre e Chione .
Sarra la fama antica, e a noi ravviva
La memoria d' un tal nato in Megara
!Nobil città della contrada Argiva .
Pagò costui, cosa inaudita e rara,
Due talenti un sol bacio, in queir etade
Men corrotta dal vizio, e manco avara.
Lo stesso in oggi di continuo accade :
Che Avarizia, e Lussuria al par contende
Del maggior grado in feinminil bellade .
3^6 Poesie
Un solo sguardo un gran tesor si vende f
Più caro un riso, e 1' ultima dolcezza
Non mai godrà chi tutto il sno non spende
Ben e ver, cbe la Donna al male avvezza ,
Se la fame dell' or pascer 1' è tolto ,
Ne' fomiti del senso usa larghezza ;
E V amator mendico in grembo accolto
Dona il piacere infame a chi noi puote
Per f inopia comprar poco, ne molto •
Non ha vergogna, che ciascun la note,
Se maucano opportune al suo diletto
Camere occulte, e agli occhi altrui remote
Dovunque, al colle, ai piano, il cielo è tetto ;
Non teme prostituta da' Lenoni
Stringer E amato, e V erba aver per letto ;
Onde dirai, se V opre sue ragioni
Che di viltà non cede Italia folls
Ai Massageti, agP Indi e agli Asamoni .
Alcindo.
Sento, che in me lo sdegno avvampa, e bolle,
Nel pensar, che alla Donna si consenta
Vita così lasciva, e così molle .
Come dal Tribunal non si presenta
Ai Carnefice ia man flagello, e spada?
Forse nella Città Giustizia è spenta ?
Ma segui il ragionar qual più t' aggrada ,
E lasciamo che il vizio ognor più saglia ,
Se il fallo è spesso, e la vendetta è rada .
Menippo9
Sin qui di queste; e a te saper non caglia
Quel più, che adopta nel tugurio augusto
La volgar Donna» e in traviar che vaglia •
Satiriche, 827
Passa ai marmorei spaldi , ove il vetusto
Sangue alberga di Fiesoli, e di Roma,
D'onpr già colmo, or sol d'infamia ouusto:
Vedrai la nobil Donna i lisci a soma
Stender sul volto, ed in ritorte anelìa
O in vaghe trecce scompartir la chioma :
Rader con soltil vetro ogni novella
Lanugine dal volto, e il pel non scabro,
Per comparir più morbidetta, e bella:
Col minio stemperato, e col cinabro
Far, che rubin dell* Iride celeste
Sembri in fulgor l'estremità del labro :
Con ricche gemme in ricchi drappi inteste
Cingersi il petto, e a guisa di lumaca
Portar la casa addosso in una veste:
Come ad ognor conservi ella s' indraca,
Cerne fassi ritrosa al suo consorte,
Come infierisce , ne giammai si placa.
Le strade di virtù per lei son torte ;
Che ad ogni vizio al cuor vano, e leggiero
Superbia , ed ignorauza apron le porte.
Quel, che narrai tìuor, non conta un zero,
E iu paragoti di mille error più gravi ,
Rispondon questi , come il bianco al nero.
La gola, il sonno, ed i costumi pravi,
L'ozio, le piume, il tracotar frequente
Souo i pregi, che aggiugne a quei degli avi.
Quanto di reo può immaginar la mente,
Quanto di brutto ha la nequizia istessa,
Non fia, che usar noi voglia, o almen 1^ tente.
Lecito, onesto è quel, che piace *d essa,
Basta solo il voler qualunque cosa,
Perchè sia di ragione a lei concessa.
3a8
O E S I E
Quando in tempo miglior Roma famosa
Tolse i consoli suoi dal curvo aratro ,
E a nobil man die pregio esser callosa;
Fattosi il Tebro a gran virtù teatro ,
Tanto in vero alle femmiue Latine
Delle leggi il rigor fu grave , ed atro ,
Che il solo bisbigliar due paroline
Di segreto a una serva; aver per via
Scoperto il capo, e non velato il crine;
Gir talvolta alle feste, e non tor pria
Licenza di goder coli' altre in schiera
Le pompe della pubblica allegria,
Era tenuto allor colpa sì fiera ,
Ch' altri poteva ripudiar Ja moglie ,
O darle col baston l'ultima sera.
Oggi la donna empir può le sue voglie ,
Passar da errore a error senza intervallo ,
Ne' costumi , negli atti , e nelle spoglie.
Vada in pace Sempronio, Antistio , e Gallo,
Che coir esilio fuor de' Patrj lari
Nella moglie punirò un piccol fallo.
Altri tempi, altre cure; i Cieli avari
Volgeausi al Tebro , e in queir età si ranci*
Gli uomini avvezzi al solco erano ignari»
Per tutto è noto ornai 1 uso di Francia ,
Che a Madama permette esser cortese
D' un bacio per saluto in sulla guancia.
La Donna oggi è tra noi più che Francese,
E* lascia oltre la bocca ancor baciarsi
11 petto, il ventre, e il più segreto arnese.
Nudi il suo brando Astrea , venga a provarsi
Di sottopor » st puote , a legge antica
I nuovi abusi radicati % e. sparsi.
S A T IR I'C H E. 3^9
Non saria piccol frutto a gran fatica ,
Mentr' ella ha il cuor d'impurità macchiato,
Far , che sembri nel volto almen pudica.
Ma ciò si spera indarno : essa al suo lato
Yuol de' vizj il corteggio aver non manco,
Che quel de* servi in pubblico, e in privato.
La gran beltà non le varrebbe unquanco,
Se non avesse attorno i Ganimedi ,
L' un davanti, Pan dietro, e l'altro al fianco.
Ciò, che di vago in lei contempli e vedi,
Tutto è lussuria , e gran lussuria spira
La chioma il ciglio il sen le mani e i piedi.
Se l'occhio intorno lampeggiando aggira ,
D' impurissimo ardor sempre sfavilla ,
E dov' è più mirata , ivi più mira.
Quanto in niolt' anni adulterò Drusilla ;
Quanto d'osceno espose al Roman polo
Pompea , Muzia , Terenzia, e Terentilla ;
O pur quel più, che nell'Argivo suolo
Potè di sozzo Antia , e Criteida oprare ,
Basta ad essa per farlo un giorno solo.
Sovente al corso in aureo cocchio appare
Fastosa Donna , ed ala a lei davanti
S'odon d' intorno i suoi Lacchè gridare.
Or chi fia questa, che in superbi ammanti
Giunon rassembra? io Giulia in lei ravviso
Alla vaua alterezza, a' bei sembianti.
Oh qual fulgido Sol porta diviso
Ne' due begli occhi ! oh qual tesoro immense
D'ostri , e di perle ha nel tesor del viso !
Ma ciascun sa , eh' ella inj balìa del senso ,
Celando in petto un cuor libidinoso,
Arde impudica, ed è l'arder sì intenso»
33o Poesie
Ch' or l'Adon vago , or 1'Atide vezzoso
"Vuol godersi a vicenda , e non l'affretti
Riverenza di padre, amor di sposo.
Sol basta a lei , che a declinar la pena
Dell'adulterio per l'incerta prole,
Prenda il nocchier , cj uando la nave è piena-
Ài pai' di questa ogn9 altra opra qual vuole;
Ne' teatri, al passeggio, ed a' festini
Bandita han l'onestà fin le parole.
Vogliono in casa aver cento Amorini,
Per le stanze il bagordo , e spalancato
L'uscio ai doni, ai messaggi, e ai letterini.
Ma quel, eh' è peggio, un viver sì stacciato
Chiamau maniere nobili , e cortesi ,
Tratto affabil, gentile, e delicato.
jiìcindo.
Non più, Menippo; io da un sol vizio appresi ,
Qual sia degli altri il calcolo infinito:
Tu pur troppo dicesti, io troppo intesi.
Menippo.
Sciocco, se vuoi, eh' io debba aver finito,
Quando appena incomincio, ancor non giunsi
A grattarmi di voglia ove ho prurito.
Molte di lor sin qui ben lieve io punsi;
Restan talune da squarciar coli' ugna ,
E alfin vedrai, che neppur l'osso aggiunsi.
Allindo.
Or via, che indugi ornai? tu l'armi impugna;
Che il furar del tuo genio io già comprendo,
E spetta tor sarò d'uoa tal pugna.
Già col pensiero alle tue voci intendo ,
E se logora non basta, alopra il dente;
Ch' io di saper chi sien costoro attende.
Satiriche. 33i
Menippo.
Son queste il fango , che air età presente
Tolto ha di ferro il nome, e par che mostri
Fatto il vizio per lor grande, e possente.
Queste d'Averno son le Furie, i mostri,
Le Pandore de! mal dispensatrici ,
Le ingordissime Arpie de' tempi nostri :
Volli dir le malvage Cantatrici,
L'incendio, che l'Italiche contrade
Divora , ardendo i campi lor felici :
La peste, che flagella ogni cittade,
La grandine mortai , che rovinosa
Fulmina i campi, e fa perir le hiade:
La forbice affilata , e sanguinosa,
Che il misero uman gregge e fora, e taglia,
Sì spesso il rade , e tanto avara il tosa :
Il funesto vapor , che il suol sbaraglia ,
Che i superbi palagi urlando scuote,
E l'alte rocche all' urnil piano uguaglia.
Io per sempre vivrei fra balze ignote,
Del Worvego fra i ghiacci, e del Britanno,
Pria che un momento udir musiche note.
L'inventor di tal' arte abbia il malanno,
E tanti più, quanti ha cantori il Mondo,
Che son del Mondo irreparabil danno.
Ogni virtù sublime han posto al fondo
L'opre loro imprudenti, e i vizj rei
Han guasto ogni ce slume alto, e giocondo*
A le indo,
Parmi veder, che tu disposto sei
Col biasmo ad avvilir le melodia :
Io pel contrario in suo favor direi*
332 Poesie
Gran lode un tempo all' alme grande offria
La musica tra' Greci , anzi talvolta
Pretti o sol degli eroi fu l'armonia ;
Ne ancor la fama è in fosco oblìo sepolta ,
Che sul Tebro JNeron , benché la chioma
D'alloro imperiai pollasse avvolta,
Pur di cantar gli piacque in Grecia, e in Roma
Qciindi è, che a un tempo istesso avrai sentito
Ch'ei gran monarca, e gran cantor si noma.
Menippo.
Fu cantando Neron pazzo spedito ,
E in lui fece il cantar gli stessi effetti,
Che il prender mosche nel fratel di Tito,
Che illustre esempio a' popoli soggetti
Veder , che in palco il Cesare Romano
Plauso di buon cantor dal volgo aspetti!
Che ponendosi al sen la destra mano,
Con gli occhi a terra , e con la testa china
Chieda pregando un titolo sì vano !
Ch'ei si conlenti aver sera > e mattina,
Per conservar flessibile la voce ,
Bevanda d'acqua, e iu cibo una pappina !
Ch'ei renda il passeggiar chiaro, e veloce,
Di piombo armando, e non d'acciaro, il petto,
Musico imbelle , e non guerrier feroce !
£he infin di morte acerba al passo astretto
Si dolga col destin , che il suo morire
Involi al mondo un musico perfetto !
Chi per cotanta infamia avrà giust' ire ?
£ quale immaginar follia maggiore
Pon le menti più sciocche, o mai soffrire?
Satiriche. 333
phe agli Argivi guerrier dopo il sudore
Del campo Marzial poi non spiacesse
Seder cantando al suon d'Arpi sonore,
Dirò , che se fra' dumi or non giacesse
L'Attica eccelsa Donna, e quel, che sono
1 moderni cantor, scerner potesse*
N^obil vergogna avrebbe del non buono
Costume de' suoi duci, e di tal fallo
Pentita, e umil ne chiederla perdono.
Dica chi vuol: già noto è a tutti, e sallo
L' Eufrate , il Gange , il Nilo , e la D uinoja,
L'Indo, lo Scita, il Mauritano, e il Gallo,
he il canto il tutto ammorba, il tutto annoja:
Che l'arte del cautar fatta è sì vile,
Ch' è lo stesso oggidì Musico , e Boja.
osa in esso non è, che sia gentile;
Grazioso pensier , mente leggiera ,
Alma di donna in abito maschile.
1 numero infinito è di lor schiera,
Né tutte T aritmetiche ragioni
Ne potrian rilevar la somma intiera.
S'odon sì spesso ornai trilli, e canzoni ,
Che ogni Città d' Italia ha più castrali ,
Che non ha Puglia, e Barberia castroni.
?u gran madre l'Ausonia a' tempi andati
Di Mamerchi , di Fulvj , e d'Aquilini,
Fecondissima ancor d'Ortenzj , e Cati .
)r di musici esperti , e sopraffini
Fatta sol genitrice, ha per suoi vanti
I Rivani, i Safaci , e i Cavagnini .
avvilita così con suoni, e canti,
Gode de' nuovi figli , e contrappone
A molti, e prischi eroi pochi birbanti.
334 Pessts
Ella provvede di coiai persone
La terra tutta dall' Occaso all' Orto ,
Dal torrid' Austro al gelido Aquilone;
E pure ovunque alcun di lor sia scorto ,
Dovunque il caso, o il suo voler lo guidi,
Sempre dalla fortuna il crin gli è porto.
Sempre ha gli astri del Ciel benigni , e fidi ,
Placidissime a lui ruotan le Stelle
Tanto irate al valor de' grandi Aloidi.
Ma torniamo alle perfide , e rubelle
Can latrici odierne ; e a' rei cantori
Bastiti le poche sferze avute in pelle.
Sien queste unico oggetto a' miei furori ,
E tante lingue ad uopo tal vorrei ,
Quante erbette ha l'Aprile, il Maggio ha fiori
La Cantatrice è Donna; e tu ben dei
Saper , che basta la viltà del sesso
Per far, che abbondi ogni difetto in lei.
Ai vizj di natura aggiugui appresso
Gli altri dell'arte, e computa, se puoi,
Quanto , e qual sia de' vizj suoi l'eccesso.
Che vai per fiere aver serragli , e poi
Lasciar, che queste vadano disciolte
Sazie del sangue, che sticchiaro a noi?
Fra le presenti , che son multe , e molte ,
Saggia, e discreta esser non può veruna,
Vane, finte, ritrose, audaci, e stolte.
Non albergano in lor virtude alcuna ;
Per questo avvien , che in qualità risponda
L'indole al sangue, e l'opere alla cuna.
jdlcindo.
Veggio , che l'ira tua scorre qual' onda
Di rapido torrente; e a dirla schietta,
Satiriche. 335
Ragion contro tal forza è debil sponda,
lessi il furor , diasi al parlar meii fretta ,
Ed i miei sensi ascolta ad uno ad uno ;
Che il Sol bion alto ancora i rai saetta.
)he il cantar sia virtude il crede ognuno,
E già n empie la fama ogni confino
Dal mar d'Egitto al Baltico Nettuno,
Lnzi qual sovruman pregio divino
L'arte del cauto in palco è al par famosa
Del senno Argivo , e del valor Latino,
l tal, che in oggi una medesma cosa,
Per quanto vuol Tuoiversal credenza ,
È Tesser cantatrice , e virtuosa.
Menippo,
ciocchis5Ìma pazzia, stolta imprudenza,
Sproposito solenne , e madornale ,
Vanità, che trapassa a impertinenza:
'ir, eh' è virtude il canto, è un dir, che uguale
Sia la Jura fatica al fral diletto,
Le tenebre alla luce, al bene il male,
la virtù nell* alma abito eletto ,
Che Tuona per uso a bene oprar avvezza ,
E il rende poi nelT opre sue perfetto.
ia pur grande in giustizia, ed in fortezza,
Affabile, modesto, e temperante,
Adorno di civil piacevolezza:
»el ver si mostri, e dell'amico amante,
L'ardor dell' ira mansueto affreue ,
Sia magnanimo ai torti, e non curante j
iberal , quanto puote , e qual conviene ,
Magnifico con legge, e con misura
Al grado , e qualità , eh' egli sostiene :
336 Poesie
Ampie virtù son queste , e per natura
Sospingou l'altrui fama a estranio lido,
Dove immortai seu viva, e non oscura;
Ma che il cantar di Donna in mezzo al grido
D' effeminato stuol , che cieco applaude ,
Atto sia virtuoso , il sento , e rido.
Ha menzognero il labbro, e pien di fraude,
Chiunque il dice, e puossi in tal maniera
Ogni gran vizio incoronar di laude.
Nobil virtude in Donna , e gloria intera
È il sottopor nell'alma ogni rubella
Voglia del senso alla ragion, che impera:
Serbar viva nel sen l'antica , e bella
Fiamma del morto sposo; al nome caro
Alzar grand' urna , ed eternarlo in quella :
Gravar la chioma di pesante acciaro,
Yestir d'usbergo il petto , e in faccia al Sol<
Dar nuovi esempj di valor ben chiaro :
Seder maestra nelle dotte scuole ,
Per insegnar la Sapienza , in cui
Fassi l'uomo terren qual Dio , se vuole :
Ornar d'indole eccelsa i figli sui ,
E lo splendor di quelli oppor sovente
Allo splendor delle ricchezze altrui ;
Non il molle cantar , non il frequente
Atteggiar ne' teatri , onde cotanto
Biasmo ha la nostra etade, e pur noi sente
Che se virtù fosse in tai Donne il canto,
Vestir vedriasi insiem con sprezzo, e riso,
Il vizio , e la virtù l' istesso ammanto ;
E n'avverrebbe ancor , s' io ben diviso ,
Che Pasquin mandeiia per istaffetta
Al Canceliier di Pindo ordiu preciso :
Satiriche. 337
Zhe Barbara in quei fasti al par si metta
Colla madre de' Gracchi, e che sia fatta
Con Zenobia seder Mante, e Trombetta;
]he il pregio antico a Teodora abbatta,
E d'Artemisia adombri il prisco lume
L'Elena di Bologna , e la Mignatta.
Alcindo.
> stolta Italia, che a' suoi dì presume
Di rinnovar la cecità Romana ,
Dando anch'essa allo sterco onor di Nume!
)h quanto in ciò travia la mente umana!
Oh quanto è cieca a uon veder l'abuso!
Oh quanto è al ben ritrosa, al ver lontana!
la che far può chi neii* error confuso ,
Della ragione a' folgoranti rai
L'occhio non apre, e l'intelletto ba chiuso?
Menippo.
ja cantatrice intanto, o poco, o assai,
Che il ver ne sappia, al proprio merto ascrive
Quel , che tu stolto per viltà le dai.
ulte d' Italia le città festive
Alzan trofei pomposi, empion di fiori
Le strade ovunque una tal Donna arrive:
inventan nuovi applausi , e nuovi onori ,
Si preparali gì' incontri , e i trattamenti
Cnn dispendio profuso e dentro , e fuori :
fanno in volta forier, cuochi , e serventi,
Stanghe, barrocci a lunghe file, e ceste,
Carovane d'arredi e apprestamenti ,
?anto , che ognor per ville e per foreste
Vedrai sparger delizie a larga mano ,
Perrhè fastoso alloggio a lei s'appreste;
Poesie Satir. 22
838 Poesie
Se per l'Alpi è il cammin,seil tempo è stran
Stau più lettighe in pronto al suo partire,
Calessi 9 e mute, ove il terrea sia piano:
Le guardarobe vuotansi a fornire
Di tappeti finissimi, e d'arazzi
Gli alberghi destinati al suo venire;
E perchè giunta pui goda , e sollazzi ,
Dassi allo scalco premurosa cura,
Che la dispensa del miglior si spazzi :
Ciò, che in vago giardin J'arJor matura
Del Sole estivo , e cbe all' algenti brume
Serbar con arte il buon cultor procura:
Il nettar, che sì dolce aver presume
L'aura in Care^gi, o pur l'Ambrosie care,
Che bau di beli' ostro in Àrtimin le spumi
Gli augei, le fiere più pregiate, e rare
Per distanza di luogo, e di stagione;
Ciò, che di uobil guizza in fiume, in man
Tutto avrà nella mensa, e tanto impone
L'obbligo di regal magnificenza ,
Per onorar sì nobili persone.
Noti v' è digiun per lei, non astinenza;
Che a' dì vietati, in grazia di sua voce,
Ha della carne amplissima licenza:
Quasi che giusto sia per fato atroce,
Che ogni freno di legge a lei si toglia ,
Quando il fren della legge al cantor nuoce.
Or vada a ricercar ohi n' ha più voglia
Quel che senta il Toledo sulle carte
Dtl rigido Bubosa, e il dubbio sciogli»:
Se dal rentier della ragion si parte ,
Se del digiuno inosservanza piena
Commette , o pur lieve trascorso in parte,
Satiriche. 33g
uel sacro dicitor , che pon la cena
Sulla libbra in balancia , e il cioccolatte
Prende al matti ti per rinforzar la lena;
e uni genìa di Donne così fatte
Può ristorarsi ancor ne' giorni santi
Con uova in brodo di cappon disfatte.
Alcindo.
h come il vizio è ornai trascorso avanti!
Oh miseria fatai de' giorni nostri !
Oh sventura crudel degna di pianti!
dotti fogli , ed i purgati inchiostri,
Lo studio della guerra, e della pace f
Il sudor delle cattedre, e de' rostri,
assi oggetto sì vii , che a' Re non piace ,
E chi tra lor più sorge , è più restìo
Nel sollevar l'egra virtù, che giace.
ève oppressa virtù l'acque del rio,
Di povertade il peso ha sulle spalle ,
Che le ritarda ogni più bel desio.
i per alpestre inaccessibil calle
Di notturne vigilie al più sublime
Pulpito ascende il Casalino, e il Valle:
3 di gentil facondia alle erte cime
Il Dollera s' innalza , e già possiede
Nell'arte del ben dir le glorie prime;
on aspettin per questo ampia mercede,
Non ricchi doni, o tolleri a migliaja;
Che stolto affatto è chi di lor sei crede.
!a se nel palco baldanzosa , e gaja
S^ìe una Mima, a lei fortuna in grembo
Versa con larga man le doble a staja.
34o Poesie
Ella del manto suo scuotendo il lembo ,
Sparge sulla virtude i beni a stilla ,
Piove sul vizio le ricchezze a nembo.
Menippo,
Fratel, cbe parli? il senno tuo vacilla»
Quhl colpa è di fortuna, e della sorte,
Se »\V uom saggio non spira aura tranqui
Procede il ma) , perchè nel!' ombre assorte
Stati le menti de' Regi, ed ogni strada
Chiusa è del lutto alla virtude in Corte.
Dindio ornai per non tenerti a bada :
L'ignoranza de grandi è quel destino,
Cbe il mondo scuote, onde convien, cbe ca
Ad un facondo ingegno, e peregrino,
Mentre ne spiega in pulpito il Vangelo t
Drtssi il pan secco, ed inforzato il vino.
Sul tenen nudo, a discoperto cielo
Vedrai Livio, Platone, Auarreoute
Pascer le ghiande, e assiderarsi al gelo ;
Ma star le mense apparecchiate, e pronte
Per la rea Cautatrice, e i lauti pranzi
Vincer F Kgizie cene a noi sì coule.
Cosa rara non Da, che non avanzi
JNel careggiar costei : molle qua! cigno
Fassi quel cuor, che sì crude] fu dianzi
Si mostra il volto docile, e benigno,
La borsa a' desir suoi non è mai chiusa ,
Aperto a suo piacer sempre è lo scrigno:
Piubm , perle, adamanti alla rinfusa
Se le presenta bene a, ed il messaggio
Del piccol don con umiltà fa scusa.
Satiriche. 341
il* or più fino il pallidetto raggio
Steso da mano esperta in bel ricamo
ende al suo letto un luminoso omaggio,
nda ali arnesi in secol così gramo
er la credenza sua puri , e splendenti
? Indico suol, non il terren di Samo .
nta è la copia poi de' tersi argeuti ,
Che del metallo istesso ha sino il vaso,
3ve depone i fetidi escrementi .
yiìcinclo.
sì, che il tuo parlar mi dà nel naso ,
Tanto , che sentir parmi in mezzo al petto
)a caldissimo sdegno il cuore invaso .
testaudo per sempre , e maladetto
'insano ardir, V i domito pensiero,
^a voglia ingorda, e il non temprato affetto
Ligure Giason, dell' uom primiero,
[)he sprez'ator de' nembi il Più volante
Sciolse a gran corso dal terreno Ibero;
per senlier di spume in mar sonante
^olta la prora all' Indiche maremme,
Fé' lieta Europa di ricchezze tante ;
ntre a veder 1' esperienza or diemme ,
Ch'egli per opra tanto abbietta, e vile
Trovò l'uso dell'oro, e delle gemme.
che il donar conviensi a un cor gentile ,
[!he il mostrarsi cortese, e liberale
ran vanto è d'alma illustre, e signorile;
1 che una razza perfida, e brutale,
Fiera, instabil, malvagia e ingannatrice,
3ispettissima al Cielo, all' uom fatale,
1 vizio in terra abbominanda altrice,
84* Poesie
Cagione irreparabile, ed infesta
D' alte sventure, e d" ogni mal radice:
Che una vii femminuccia, e disonesta
Si regali per tutto in larga copia ,
Stolta ignoranza, e non virtude è questa.
Opra d' alma rea! ben degna e propia
E il sovvenir oobil valor, che agogna
D'alzarsi invan per la soverchia inopia:
Che usar larghezza , dove non bisogna ,
È imprudenza de' grandi, e il dono istesso
Mal dispensato è al donator vergogna.
Menippo.
Tu qual Seneca parli, io tei confesso :
Ma che prò, se un tal vizio ai tempi d'ogj
Sia malizia o destino, è grande e spesso ?
Or vediam dove scorra, e quanto poggi
L' insolenza di lei, perchè si mira
Di mille pompe adorna, e mille sfoggi •
Non così maestosa unqua s'ammira
Premer 1' altezza del gemmato soglio
Donna real, uè tal superbia spira,
Com' ella enfiata di sprezzante orgoglio
Ciò che le aggrada a suo piacer comanda,
E basta ad ottener che dica : io voglio »
Dove alberga costei , per ogni banda
La casa tulla è in un baleu commossa ;
Par, che ne' servi alto terrore spanda:
Questi, ogni cura a tal cagion rimossa,
Sempre hanno gli occhi a' cenni suoi ben desi
Han sempre il piede ad eseguirli in mossa
Altri convien che vada, altri che resti,
Che l'ambasciate partano in istante,
Che i messaggieri al ritornar sien presti :
Satiriche. 343
he ritto un paggio, e con immote piante
Assista alla portiera, il più fornito
D' aspetto ameno, e bizzarri* galante,
'uando al sommo del cielo è il dì salito,
Male allo scaleo, ed assai peggio al cuoco,
Se il pranzo è indietro, o tarda alcun servito:
gni frapposto indugio è un bruito gioco,
Che grava entrambi di mortai delitto,
E al grave fallo ogni gastigo è poco:
orta la notte poi corre un editto,
Che l'ombra sia d'alto silenzio pieua,
Che per le stanze non si ascolti un zitto:
onsi in capo alla via ferrea catena ,
Che \ieti a' carri , ed a' cavalli il passo,
E quel consenta ad uom pedestre appena,
erchè lontan da strepito e fracasso ,
Chiuda ella i lumi in placido sopire,
E ristori col sonno il corpo lasso :
è dee mancar chi dentro a tutte l'ore
L' opre di fuori vigilando squatri,
Onde al sentir d'un piccolo rumore,
llor con volli minacciosi, ed atri
Escon le guardie armate di bastone
Contro un fanciul che pianga, od un che latri.
anlo è forza eseguir, quant' ella impone;
Che il sol voler di lei senz' altro esame
Sta in luogo di giustizia, e di ragione .
jzza, e malvagia età, secolo infame.
Per cui trovar non so titol si brutto.
Che i vizj tuoi pareggi, e le nne brame!
ome senza gra maglia, e fuor di lutto
Scoperta ardisci di portar la fronte,
Se il cantar di tai Donne in te può tutto?
344 Poesie
Che se fatte costoro ardite, e pronte
Oltrepassauo i segni a Jor do\uti,
E tuo T error, Ki d' ogni ma! sei fonte .
In qiial altro giammai furori veduti
A femmina si vii cotanti eccessi
D' accoglienze , d' applausi, e di saluti?
Comunque ogni gran donna a lei s* appressi,
Le dimostranze affettuose allora
Cominciano da' baci e dagli amplessi .
Quindi tratta la man dal guanto fuora
Le prende a careggiar sì dolce il viso 9
Che men faria Zeifiro amante a Flora ;
E con lo sguardo attentamente fiso
Le creste osserva , i nastri , i sottanini ,
Le gale, gli atti, il portamento, il riso.
Poi nel partir con moli pellegrini
Accompagna il tenor de' complimenti
A mille baciabassi , a mille inchini .
Tali non dieron già le prische genti
A noi gli esempli, e nelF oprar diverse
Furon le scorse etadi alle presenti :
L' etadi, in cui 1' orto e la greggia offerse
Su le mense agli Eroi vivande alpestri ;
Tanto a' piaceri ebber le menti avverse ;
In cui meu delicate e più silvestri
Vissero a Sparta in sen le Donne antiche
Madri, e Nutrici a' Semidei terrestri .
Cinte d' asprezza, e di viltà nemiche
Non avriao queste in pubblico baciate
Le congiunte, le figlie, e men l'amiche*
Ma non curiam , che il faccian le private,
Se l'altre il fan, che in porpora regale
Splendun sul trono, e vaa di serto ornate*
Sa.tib.icii E. 345
applaudita per gii atrj, e per ie scale
Entra Israenia in Pai «zzo, e tosto giunta,
Si spalancano a lei camere e sale :
flon aspetta l'udienza, e non l'appunta,
Viene , parte, e ritorna ognor che vuole,
Quando in mar cade il giorno, e quando spunta»
\. costei non si pesan le parole,
E un bel vestito immantinente arriva.
Pria che giunga a cantar due note sole .
nasi pur ver , che su F eccelsa riva
Del Manzanar superbo in un tal giorno
Sacro a colei, che dell' Empireo è Diva,
Dell' lbera Regina il manto adorno
La Contessa di Palmi aspetti in dono ,
E per suo pregio se lo cinga intorno:
5i fatta gloria in oggi è un deb il suono :
Le Cautatrici anch'esse han quest'onore
Dall' Auguste d' Italia, ovunque sono .
^nzi la sorte lor tanto è maggiore ,
Quanto che spesso una cotal derrata
E della giunta al paragon minore ;
he il don di regia veste a lei maudata
Sembra cosa volgar, mentre non sia
Da ricchissime gemme accompagnata,
^rciò vedrai, che pien d' idropisìa
Ventosa ha il capo, e gonfia ha fin la pelle
D' ambizion superba , e di pazzia .
^lustre augello osa tentar le stelle ,
Fabbrica nel suo cuor maccbine vane ,
Inventrice di ciance, e di novelle:
]rede esser dotta nelle scienze umane,
Come ne' vizj , e iu nobile palestra
Vuol T istorie trattar Greche e Romane .
S46 Poesie
Vago h il mirar costei sì scaltra, e destra
Farsi allo stuol de' numerosi amanti
Nuova Licinia del ben dir maestra;
Che se talun di lor fra Unti e tanti
Senno erudito in favellar dimostra ,
E a quello unisce di facondia i vanti ,
Entra allor baldanzosa anch' ella in giostra;
E perchè vuol d' Areta , e Afasia al pari
D' alto saper, d' alta virtù far mostra ,
Ponsi a narrar quanto impensati , e amari
I casi fur del pellegrino Ulisse
Per terre ignote , e per diversi mari :
Che a grave error degli Attici s' ascrisse
II consentir, che un Socrate in prigione
Fosse qua] reo dannato, e tal morisse ;
Aggiugne qual magnanimo sermone ,
Del viver suo nell' ultimo momento ,
Dal moribondo vecchio U'dl ditone :
Che non fu visto in Roma ugual spavento ,
E già il popol volea muover tumulto ,
Correndo al ferro più leggier che il vento 9
Quando Serapronia ( oh detestando insulto ! )
Die morte a lui , che vendicar poteva
Dell' un cognato il sangue, e il volle inulto:
Ch' alto fulgor di maestà splendeva
Del gran Pompeo nel volto, e un rossor grata
Sopra T uso mortai bello il rendeva ;
E pel contrario a Cesare fu dato
Torvo sembiante, minaccioso il guardo,
Scarne le guance, e mezzo il crin pelato :
Vanta saper qual pr>vido riguardo
]Nel campeggiar mostrasse il Duce Albano,
Onde prudente apparve, e non codardo:
Satiriche 347
Qua! incontro al furor dell' Oceano
L'Olanda opponga ampio riparo e forte,
Perchè il terrea soggetto assaglia in vano :
S'è ver, che quante in Tebe eran le porte,
Traendo il Nilo da principio ignoto ,
Con tante bocche i flutti al mar traporte :
Come sotterra in grembo al suol più vuoto
Si concentri il vapore, e si racchiuda ,
Che poi volendo uscir faccia il tremuoto:
Perchè nel cerchio opposto, allor che cruda
Gela T aria fra noi , faccia vedersi
Sotto un torrido ciel Ja gente ignuda :
Dirà qual vasto impero ebbero i Persi,
Quanto durò la monarchia de' Medi,
Larghissimo soggetto a prose, e versi :
Che poi furon d' entrambi i Greci credi,
Sin che il Roman valor con lunga guerra
Restò vinceute in sella , e ogn' altro a piedi •
Muove col ragionar di terra iu terra ,
Pone in concordia il Turco, e l'Alemanno,
L' Africa unisce io pace all' Inghilterra,
llla ornai già prevede in chi cadranno
D' (beria i tanti regni, e quai litigi
L' Istro e la Senna a tal cagione avranno :
Se quai schiere, quai navi in sul Tamigi
Quel Re disponga, e quai pensier non meno
Volga nella gran mente il gran Luigi:
?er qual segreto oggetto, o il crede almeno ,
Sue squadre il Mosco, e il Sarmata apparecchie:
Dove scorra 1' Arasse, il Savio e '1 Meno .
Sì fatte Istorie, ed altre ancor parecchie
Trarrà per tutto, ed è sì lungo il tedio,
Che storditene porti ambe 1' orecchie •
348 Poesie
Ma soffrir tu dovrai più stretto assedio,
S'entri a parlar di sua bella: ohe in essa
La vanitade è un mal seuza rimedio .
Ponendosi sul gr ve , e con sommessa
Voce dirà , che non è altrui vietata
La propria lode con modestia espressa :
Ch'ella è dal Ciel di tai sembianze ornata,
Che la mente più salda, e adamantina
^e resta ai primo sguardo innamorala:
Che nella fresca guancia, e porporina
Ha tal poter, che di spezzar confida
Ogni cuor di diaspro, ogni alma alpina:
Che se giunger poteva anch' ella in Ida ,
Allor che le tre Dive ebber fra loro
Per gara di beltà mortai disfida ,
Eia ben d' uopo subito a coloro
Confuse e mute in un canton ritrarsi,
E cederle a buon patto il pomo d' Oro :
Ben è ver, che tenlata a dinudarsi
L* avrebbe indarno il Pastorel scaltrito:
Quel, che vieta onestà, non dee mai farsi;
E se ciò feo delle Sirene al lilo
Sposa real per acquistarsi un regno ,
Fu pensier poco saggio, e troppo ardito:
Che alla bellezza in lei pari è il contegno,
Del contegno non meri la leggiadrìa,
La grazia e F avvenenza oltre ogni segno •
Alcinoo,
Dunque siam giunti ad una tal follìa ,
Che per Fenice prendesi il Grifagno,
L'Asprino per Falerno, o Malvagia?
S A T I A I C H !, 34g
Per ampio fiume un piccolo rigagno ;
Pei chiaro umor di cristalliu ruscello
Le torbid' acque di fangoso stagno ?
Menippo.
Tu senti ; il Mondo è privo di cervello
Più, che non credi : ma venghiamo al resto,
Ch* è molto ancora, ed or comincia il bello.
Venghiamo al giorno orribile, e funesto,
Che debbe in palco comparir la sera;
Che importa il tulto, e gran negozio è questo»
Oh cjual battaglia strepitosa, e fiera
Prende co' servi, che le stan d'intorno,
E più con P infelice cameriera !
Se un sol capello è fuor del suo contorno ,
Se nou avran le trecce egual compasso ,
Ed ogni anello non sia latto al torno :
3' alto il carton sia collocato, o basso,
Se la cresta le cade o innanzi, o indietro ,
Né immobil stia, quai contro a B >rea un masso;
foleran senza legge, e senza metro
DO '
Spessi colpi di legno, o di sugatto;
Minacce d' altro mal più grave, e tetro.
Arra l'occhio infuocato, e sempre in atto
Di fulminar col guardo ovunque il volga ;
Sempre il flagello alle percosse adatto.
uardisi il Sarto, ebe il destio noi colga
A far , che il busto sia troppo accollato ,
Stretto ne' fianchi , e che premendo dolga :
}he il sottanin le penda in qualche lato ,
Ch'abbia la falbalà pochi sgoniletti,
O lo strascico sia mal divisato ;
35o Poesie
Questi in tal caso ogni sciagura aspetti ,
E non fi* poco , se la b >c,ca tuona ,
Senza che a' danni suoi la man saetti •
Così dal bel mattili fi io alla nona,
E dalla nona ai sormontar dell' ombra
Urla , grida , atterrisce o-ni persona .
Vestila al tutto poi, ma pur non sgombra
D'affanni e brighe, anzi in que' aui)vi ammanti
D' altri pen-ùer, di nuove cure ingombra ,
Tacita, e sola a un ampio specchio avauti
Chiama i gesti a consulta, affiu che osserve
Come al vivo imitar sospiri, e pianti:
Come esprimer si può 1' ira , che ferve
Dentro del cuor, qual esser dee l'aspetto,
Ch'amor palesi, e maestà conserve :
Dove con grazia uguale, e «guai diletto
Adoprar le convenga il gestir sciolto,
Proprio dell' uomo, e il femminil ristretto :
Quando crudel , quando pietosa il volto
Mostri all' amante, e in qual maniera vaga
Si passeggin le scene or poco , or molto .
Tai cose , ed altre ancor la trista masa
Da genio vii , da gran malizia indotta
INel cristallo concerta, e in lui s'appaga.
Compiuta l'opra de' suoi studj allotta,
Verso il Teatro in cocchio il cammin prende
Quasi al trionfo in maestà condotta .
Quivi all'alzar dell'interposte tende
S' apron le scene, e grave ella in sembiante
Il grande ufficio a se commesso imprende.
Il grande ufficio in tante leggi e tante
Pubblicalo per vile, ancor ne' rei
Tempi, che il vizio iu Roma era gigante •
Satiriche. 35i
Josa orrenda a pensar, quanto a costei
Debba lussuria, e quai saette avventi
Ne' cuori altrui colf atteggiar di lei \
Ila in mezzo al fulgor di torchj ardeati ,
Di ricche gemme adorna, e d'auree vesti,
Corteggiata da' musici stromeoti,
ibra i fiati canon or lieti, or mesti,
E colia dolce voce unisce appieno
Non meo dolci gli sguardi, e dolci i gesti,
a guisa tal, che d'armonie ripieno
Tutto il corpo rassembra, e par che ancora
Canlin co' labbri il cria, le guance, e il seno,
bi potrà mai ridir, come innamora
L'artifizio ammirando e la vaghezza,
Ond' ella esprime ciò , che imita allora ?
ome l'alme rapisce la fierezza
Che finge a tempo, e come la pi età de
Tormenta col piacer della dolctz/a ?
)me riscalda il raggio di behade ,
Che sebben poco, apparir molto il fumo
La scena , il canto , e la fiorita elade ?
rider vago, il dilettoso affa u no ,
Il pianger dolce, ìe lusinghe, e i vezzi
Han più poter, che le magìe non buono.
lindi avvien poi, eh' oltre il peusir s'apprezzi
La perfil'arte, e che si fatta razza
Di ciascun s' applaudisca, e s' accarezzi*
inegsjiando il Teatro urla , e schiamazza ,
Par, che d1 allo rimbombo il ciel risuoni
ÀI grati rumor del popolo , che impazza .
)voa Souetti impressi a letteroni ,
Versi da celebrar col suon di piva ,
Rime da cornamuse , e da sveglioni .
352 Poesie
Batte uu passaggio appena , o un trillo avvivi
Che a quelle note amabili, e canore
Rispond'Hi tutti replicando il viva.
Vegli il paterno, e non mai stanco amore,
Perchè il tenero figlio il pie lontano
Torca dal volgo, e da lussuria il cuore:
Provveda ad uopo tal con larga mano
Maestri esperti , ed il faneiul ne apprenda
Famosi esempli di valor sovrano :
Chiaro iu tal guisa per beli' opra il renda,
Sicché nel fior di giovanezza amena
Cosa non trovi in lui degna d'emenda;
E poi non vieti , che a notturna scena
Rivolga il passo ad ascoltar furtivo
Le voci infide d'una tal Sirena;
Che ciò sol basta , perché al tutto privo
D'ogni virtù rimanga, e al proprio tetto,
Donde casto parli , torni lascivo .
Cingasi pur guardingo, e in se ristretto,
Di saldo bronzo , d' infrangibil smallo ,
D'aspro macigno, e d' adamante un petto:
Sia robusto, e veloce al corso, e al salto;
Ma 1 uom non speri d' uu cantar soave
Vincer la forza , o declinar 1' assalto .
Vuol d' ogni seno a sno piacer la chiave
La Cantatrice aver , che per nequizia
Si fa lecito il tutto, e nulla pavé.
Maestra in sommo grado è di malizia ,
Empia scuoia di frode e di bugia,
Sozza cloaca, e vii d'impudicizia.
Ne creder dei, che maldicente io sia;
Che l'assunto dal ver non s'allontana,
E la logica il prova a voglia mia .
Satirici* i. 353
}mmcia il sillogismo in forma piana :
Pudica esser non può Donna vagante;
La Cantatrice è tal ; dunque è puttana .
Alcindo*
?r mia fé mi ti scuopri in un istante
Qual Argo occhiuto, ed io t'avrà per Hppo;
Porfirio stesso è al senno tuo distante.
un argomento tal convien, Menippo ,
|Che ceda ornai 1' argomentar sì forte,
Che nella prisca età facea Crisippo •
Menippo.
ssin gli scherzi , e pria che il Sol ne porte
Diù caldi 1 lampi , segnitiam i' impresa :
iusto allor fia , che il ragionar si scorte .
esla, che ad invaghir sta sempre intesa ,
Mal puote in altri dispensar F arsura,
^.he non rimanga al fuoco istesso accesa :
\ il vigor dell' etade anco immatura,
caldi ossequj , i teneri favori ,
tesser fragil per abito, e natura ;
continuo trattar , vezzi , ed amori ,
sensi affettuosi, i molli versi,
Mantici son , che softìan negli ardori .
è ver, eh1 ella sa poi contenersi
ol fervido amatore, e scaltra adopra
Diretti ad un sol fin modi diversi.
isso avverrà, che ii desir suo ricopra,
jhe supplicata invan più volte nieghi
Juel che più brama, e salda in ciò si scuopra#
Poesie Satin 2 3
354 Poesii
Poi mostra , che addolcita ai pianti , ai pre
Qual donzellata semplice, ed ignara ,
Vinta da forza dolce inchini, e pieghi.-
E quel 9 che importa più , l'arte è sì rara ,
Che nel teuor de' variati affetti ,
Sia crudel , sia pietosa, è sempre avara.
Se la mercè d'un bacio aver t'aspetti,
Oltre il fastidio immenso , ed infinito
D' aggiramenti , e di fallaci delti :
Quando il consenta all' ultimo partito ,
E voglia air amor tuo mostrarsi grata ,
Sciocco che sei , né pur V avrai compito
Vorrà 1' astuta Donna esser baciata ,
]Non bacialrice , e non saran tai baci
Quei del colombo alla colomba amata .
Gli avrai mn dolci, e molli, e non vivaci
Dalla fiera crudel , che più s' impingua
De' doni tuoi , più che in bramar ti sfa<
E perchè il fuoco in te non mai si estingi
Lara lua brama più de' baci ingorda ,
Senza scoppio baciando , e senza lingua ;
Nò in darla, a leggier prezzo unqua s' acce
Per un mistero suo da ciance, e fole;
Che se fia mai, che tu lo stringa, o mo
Verrebbe a cincischiar poi le parole ,
E il Teatro n'andrebbe in precipizio,
Non potendo cantar ben, come suole.
A questa, che fioezza è di giudizio,
E se frode esser debbe , è poco , o nulla
Aggiugni ancora un più nefando vizio :
Ch* essa qualor col vago si trastulla ,
E vinla da' gran doni in sen l'accoglie,
Si spaccia per castissima fanciulla»
Satiriche. 35$
iura con smanie vezzosette , e doglie ,
Esser lui quel primier, che dall' intatto
Grembo il bel cinto virgiual le scioglie;
[entr* ei dal puro sen le invola a un tratto
Quel fior di purità, che seco crebbe,
Qual prima fu dal matern' alvo estratto :
he a somma gloria , e rara ascriver debbe
Sì fatto acquisto, in rammentar tal volta,
Che invan molti il tentaro, e solo ei 1* ebbe,
osi ragiona la malvagia , e stolta ,
Che Vendesi a più d' uno per donzella ,
Quando madre già fu più d' una volta .
r proprio è il tempo a ragionar di quella
Malizia estrema , e scellerata usanza ,
Per cui 1' inganno colorisce e abbella .
itra ne' tetti suoi: per ogni stanza
Vedrai stillar dalle campane a fiume
L' umor d'erbe diverse, e la sostanza :
isehiar le galle peste, e il trito allume
Col nero inchiostro, e conservar non vieto
li grasso dell'Auge), che aborre il lume,
ire il decotto in ranno , in forte aceto
Bollir le gomme, che il ciriegio spande,
Con le frondi di mirto , e dell' ameto ;
jrchè a forza d' impiastri , e di lavande
Stringa , qual può , la parte vergognosa ,
Che per tropp'uso è larga troppo, e grande*
chiunque non sa la fraude ascosa ,
Fetid' erba cogliendo , involar crede
Negli orti di quel sen bel giglio , e rosa .
a più caro è a saper, «piando succede,
Che pien le resti il ventre , a tal rovina
Con quale industria ia un bàlen provvede:
356 Poesie.
Va l'ambra grigia, e il dittamo a rapina,
Di fior si spoglia il zafterao dorato ,
D'ogni fronda il Puleggio, e la Sabina ;
Di Venere il capei si strappa al prato ,
L'appio, l'assenzio, e 1* artimisia all'ori
Il fot mento si prende in vin stemprato;
E se eotai rirotdj il passo han corto ,
INon bastando al grand' uopo uniti, o spai
A sciorre il sangue, e provocar l'aborto
Si Aolge allora etile più perfid' arti ,
Col £ir$i rea d' infanticidio orrendo,
Con ferro , o laccio ne' suoi proprj parti ,
Quanto udisti finor, s' io b*m comprendo ,
Son gravi eccessi, e pur quel che rimane
Ad ascoltar da sezzo , è più tremendo.
Àò opre ti malvage , ed inumane
Elia accoppia i pensier più schifi e lordi ,
Sensi più enormi, e fantasie più strane.
Finge a se stessa in Ciel JNumi balordi,
Che per bontà soverchia al suo mal fare
Sien ciechi in tutto, e al suo pregar non sor
Onde qualor si prostra al sacro altare,
Vomita affetti sì protervi ed empj,
Che ridir non si ponno, e non tremare.
Le sue calde preghiere in mezzo ai Tempj
Son bestemmie sacrileghe, ed impure,
Di sozza acidità perfidi esempj.
Chiede al Giove immortai, che non si oscur
Da' suoi be<di occhi il rac^io ardente e viv<
TV ' i ^ OO _
l>e alcun sinistro la beltà le fure:
Che Tamator non fastidito e schivo
Paria mai de' suoi vezzi , e l'idolatri
Con amor più costante, e più corrivo:
Satiriche. 357
pe all' Italia impazzita infausti , ed atri
Non girin »li astri , e con vicenda allegra
Al cader de' Licei s' alzin Teatri.
le fate , o sommi Dei , che in veste negra
Non ricuoprite il Ciel , perchè rinnuove
L' orribil scempio già veduto in Flegra ?
jal non giusta pietà vuol che si trove
In voi T ira sì lenta , o qual più degna
Cagion dall' alto a fulminar vi muove ?
; Cautatriei in oggi (ahi sorte indegna!)
Così de' vizj lor piena han la terra,
Che solo il vizio vi trionfa , e regna.
iocipi, chi di voi primier disserra
L' ire del cuor coutro il cornuti nemico ?
Chi per l'eccelsa impresa il brando afferra?
an vergogna d'Italia! ogni suo vico
Ha più superbi , e maestosi i palchi ,
2he non ebbe i suoi Templi il Lazio antico.
ci dorrem che V uomo in se defalchi
' uso del bene oprare , e che fra noi
Padan tante colombe in preda a' falchi?
iti la Donua in scena , e dimmi poi ,
he nel cuor di chi 1' ode alcun lavoro
faccia virtude usa a produr gli Eroi,
ser gl'ingegni Achei, che il Nume loro,
'reso nel cuor da smoderato affetto
(libasse Europa, col mutarsi in Toro.
giusta il creder mio, dico ili effetto,
fon esser questa mai favola stracca,
la veritiero , e istorico soggetto :
atre vergiamo a nostra età sì fiacca ,
Ih* ogni vii Cantatrice a suo talento
accheggia Italia, tramutata in Vacca.
358 Poesie
Ogni suo dolce , armonioso accealo
E un Mongibel , che in vomitar faville ,
Col piacere invaghisce, e col tormento.
I faretrati amori a mille a mille
Senza riguardo al modo, al tempo, al loc
Volan per le cittadi , e per le ville.
Per tutto avvampa di lascivia il fuoco ,
Scorre per tutto il flebil pianto , e molle ;
S' ode per tutto un sospirar non fioco.
Alcinclo.
Grande insania dell' alme ! io contro il folle
Vaneggiar degli amanti or mi delibero
Teco T ira a sfogar, che in sen mi bolle.
Chi da' lacci d' amor porta il pie libero ,
Vedrà fatta immortai la sua memoria
Gir da' lidi del Gange al suol Celtibero.
Domar gli uomini armati è grau vittoria ;
Ma calpestar d' un Dio Tarco invincibile,
Rintuzzando i suoi strali, è maggior gloria
L' alto Nume d'Amor troppo è terribile ,
In terra e in Ciel la sua faretra adorasi ,
Teme i suoi dardi il Re di Sti^e orribile.
Dal reo fanciullo in van pietade implorasi/
\ Strugge il suo fuoco i cor più verdi in cene
E ottien strazio maggior chi più innamora
Ah che non mai di Dea le mamme tenere
Nutrirò Amor padre crude! d' insidie,
]\è lui produsse in Cipro il sen di Venere
L'arti del suo regnar son le perfìdie,
Col freddo gelo ardenti fiamme accendere
Non dispensar piacer , eh' altri 1' invidie :
Satiriche. 35g
hi gli è più fido , a viso aperto offendere,
Esser presto a legar, ben tardo a sciogliere,
Tutto prometter sempre, e nulla attendere;
irrighi tormenti in breve gioja accogliere,
Pochi favi accoppiar con molto assenzio,
Il ben già dato in un balen ritogliere;
egli affanni più gravi impor silenzio ,
L/alme più afflitte ristorar col piangere,
Passar di crudeltà Siila, e Mezenzio;
2tto di bronzo qual cristallo frangere,
Negar sdegnoso all'altrui mal rimedio,
Star presente a chi muore, e noi compiangere ;
ir premio a nobil fé disprezzo , e tedio ,
Con Tarma fral d'un volto, e d'un cria debile
Prender le menti iu pertinace assedio;
brar da un occhio arcier piaga indelebile ,
Fondar suo pregio nel totale esizio
Dell' uom già fatto miserando e flebile;
rinnovar negli amanti il duol di Tizio,
Di Prometeo infelice il fato asprissimo,
Di Sisifo il gran sasso , e il precipizio ;
llevar la speranza a grado altissimo ,
Perchè poi cada , e la rovina stabile
Giunga pena al dolor del voi brevissimo ;
mder noi servi di beltà, eh' è labile,
Dispor quindi che sia, per più deridere,
L'effetto odioso , e la ca^ioue amabile ;
iler che 'I troppo ardor l'ingegno assidere ,
Che il ghiaccio abbruci, e condennar d'insania
Lingua, che astretta è per tormento a stridere;
liamar gioja il martir, piacer la smania,
Dolcissimo favor l'amara ingiuria,
Vita, chi '1 nostro cuore ognor dilania;
36o Poesie
Offrir titol di Nume a un' erapir* Furia v
Sforzar gli affetti a tirannia di femina >
Che adorata viepiù, viepiù s'infuria;
Che per fierezza il male accresce e gemina ,
Col pagar di feri le i cuor, che l'amano,
Col mieter scorni a chi favor le semina:
Queste son l'opre, che il gran regno infaman
D'Amor tiranno; e niente men pur gli uomii
Luce, ed autor dell'universo il chiamano.
Oh fatai cecità, che in noi predomini!
Qual INume opponsi, onde di te non vedasi
Che un mostro adori, e Deitade il nomini?
Ma cortese licenza al ver concedasi;
Semhra Amor sì vezzoso e lusinghevole,
Che raro avvien , che a' vezzi suoi non credas
Al desir degli amanti appar pieghevole,
E al primo aspetto a quei, che lungi il miram
Il canNnin per cui guida, è dilettevole.
L'aure del Ciel fiati d'odor vi spirano ,
Seggi d'erbette e fior tutto il circondano,
Canori augelli intorno a' fior s'aggirano:
Rivi d'argento il bel terreno inondano ,
Ricchi di spesse frondi al suol verdeggiano,
E di frutti maturi i tronchi abbondano.
Duce è la speme, e dietro a lei passeggiano
Il placido sentier gioje , che additano
L'entrata aperta, e il Peregrin vezzeggiano.
Ma se colà t'innoltri, ove t'invitano
Le bugiarde lusinghe e non durevoli,
Che indarno e tardi al pentimento incitano
Allor palese avrai cfuanto ingannevoli
Sien le sembianze, onde il malvagio adornas
Quanto i suoi doni or sien mendaci, or fievoli
Sjltiricii«. 36i
erchè si muore, ed a morir poi tornasi:
Tra quali affanni in aspettar delizie
Per lunga etade in suo poter soggiornasi :
•uanfe alberabino in lui frodi, e tristizie,
Quant'egli goda in aggravare e premere,
Quant' ei s'allegri dell'altrui mestizie;
►uivi s'impara orribilmente a gemere ,
E qual fiera d' Ircania , e di Pamfilia ,
Con voce umana per gran doglia a fremerei
. non curar giammai sonno e vigilia,
A sopportar quanto già fer di strazio
Neron sul Tetro, e Falari in Sicilia.
lui l'amator non mai di pianger sazio
Prova, com' esser può, eh' una stess' anima
Abbia tempre or di vetro, or di topazio:
Òme il soverchio ardir talor disanima,
Come avvilito un cor tra le miserie
Prende vigor, se il van sperar l'inanima:
lome mentre freddar sente l'arterie,
E d'incendio amoroso il petto ha calido,
Chiuda di fuoco e gel strana congerie:
Iome divenga a un punto acceso e palido ,
E il sembiante adorato il faccia immobile,
Qual fa ria di Megera il volto squalido :
ome vii schiavitù sia vanto nobile,
Come ugualmente ad un legame stringesi
Coronato Monarca , e servo ignobile :
ome grato il penare a noi dipingesi ,
Perchè men sente il mal chi più n'è carico;
Come in mezzo a' singulti il riso fingesi:
3me sembra dolcezza ogni rammarico ,
Come il pianto consola, e come prendesi
Col nome di pietà rigor barbarico.
362 P O £ • I E
Felice il cuor, che in libertà difendesi
Dal Garzon fiero, e alla faretra Idalia
Tal forza oppon, che in sua balia non rendesi
Felicissima tu, Signora Italia ,
S' ogni tua Donna per beltà mirabile,
È Diva ugual nell'opre all' Acidalia!
Già in pregio d'onestà visse laudabile
L'alto nome di Porzia, e di Sulpizia ;
Or la fama di lor non è stimabile.
Ha sembianza d'orror la pudicizia ;
E tu sfacciata ardisci , e non ti periti
Di prender gloria dall' altrui stoltizia ?
Son questi i pregi tuoi , questi i tuoi meriti ,
Che non possa mostrarti una Veturia
Qual castitade usasse a' dì preteriti ?
L'Insubria , la Romagna , e la Liguria ,
L'Arno , il Tebro , TAufido , ed il Sebeto
D' un novello Spurina in gran penuria :
Per questo in Cielo il primo lor decreto
Cangiaro i Fati , e ad immaturo occaso
Giunsero i giorni del tuo viver lieto.
Per questo il tuo gran lume è alfin rimaso
Neil' ombre assorto di perpetua notte ;
E il suo cader fu colpa tua , non caso.
Ove le genti or son fugate e rotte
Da' tuoi gran Duci ; ove i tesor n'andaro ,
E le Provincie a' tuoi trionfi addotte?
Io rimirando in te dall'Adria al Varo,
Altro che ceppi a' piedi tuoi non veggio ,
A' piedi tuoi , che tanti Re calca ro :
E pur se l'avvenir lontan preveggio,
Del valor prisco il seme è in te sì spento ,
Che il male è grave» e puoi temer di peggio.
S a t i n i e h k, 363
Menijypo.
fm il ver dicesti; ai detti tuoi consento,
Posciachè a' detti tuoi disdir non lice ,
E in ascoltargli son pago e contento.
er quanto io credo, e a me la prova il dice,
Dovrà l'Italia l'obbligo maggiore
Alla nefanda e sozza Cantatrice.
I fonte è questa d'ogni cieco errore,
Quello scoglio fatai più duro e fermo,
Dove rompe virtude in mar d'amore:
>uel secreto malor , che senza schermo
Consuma a poco a poco il naturale
Vigor del corpo, e fa morir l'infermo:
hiel continuo soffiar del vento Australe,
Che ne* dì più focosi, e più cocenti,
Par che rinfreschi il volto , ed è mortale :
hielia Tigre crudel, che agli occhi intenti
A contemplarla è vaga , e niuno scampo
Promeite altrui, se può ferir co' denti:
Juel lucido seren d'estivo lampo,
Che abbrucia e splende ; quella vii cicuta ,
Ch'è al Tuoni veleno, e verde erbetta al campo:
)gni presente angoscia, ogni temuta
Sventura, che ne preme, e ne sovrasta,
Da lei sola deriva, è a lei dovuta.
iegi d' Europa , alla cui saggia e va*ta
Mente die spettro il Ciel , mirate ornai
La bella Italia da qus»i piaghe è guasta!
Jdite i sospir mesti , i pianti , i lai ,
E se pictade in regal petto alberga,
Diasi pronto rimedio a tanti guai.
364 Poes ii i
Pria die dal centro de' suoi mali emerga
L'ultima irreparabil sua rovina,
Che l'abbatta per sempre, e la disperga,
Fate , che dalla morte a lei vicina
Ritorni in vita la famosa ^ altera
Donna , che fu del mondo alta Regina.
Non chiede già, che a men sublime sfera
Scenda il Sovra n , che per soverchia altezza
S'arma talor di maestà severa :
Che ristringa la man pur troppo avvezza
A profonder tesori , e adoprar voglia
Più giustizia ne' doni , e meo larghezza:
Che ad ingrandir col suo favore ei toglia
La virtù de' soggetti , e non s dleve
Sozzo vapor , che in turbine si sciogliti :
Che sappia non voler quel che non deve;
Che nell' impor le tributarie some,
Quant' egli può , vada guardingo e lieve.
Tanto Italia non vuol: dalle sue chiome
Cadde il diadema, e riverente adora
Le leggi altrui, perchè d'ancella ha il nome.
A salute di lei basta per ora ,
Che da' terreni suoi per sempre in bando
Vadan le Cantatrici alla malora.
Alcindo.
Non più, Menippo : io vo fra me pensando,
Che non saresti di mal dir satollo ,
Se tutto intiero il dì stessi ascoltando.
Troppo furor t' inspira il sacro Apollo ,
E l'aspra tua maledicenza infesta
Ti fa correr da cieco a rompicollo.
Satiriche 365
Prendi miglior consiglio : il corso arresta
A libero sermone. Angue mortale
Muove ratto a ferir chi lo calpesta.
Per sua grandezza in oggi il vizio è tale ,
Che abborre il ripreusor chiaro ed aperto,
Né sicura intrapresa è il dirne male.
Menippo,
ialtin le Cantatrici : io so per certo ,
Che quel eh' io dico , è men di quel che fauno,
E il biasmo è poco a paragon del merto.
Vendano l'armi pur tutte a mio danno ;
S'unisca in favor loro a pugnar meco
Forza palese con secreto inganno:
l'udran le valli, il rio, Tal pi , e lo speco
Sempre ridir , che in sollevar gì' indegni ,
Più che s'aggira il Mondo , appar più cieco .
I ire , che avvisi , e i minacciosi sdegni
Paventar non saprei ; clpi di gelo
INon fan paura agi' infuocati ingegni .
•uando rabbia malnata avventi il telo ,
Vedrà , mentre il ferir vano si rende ,
Che a giusta causa è difensore il Cielo.
ilo e pietà, non reo livor m'accende,
Né l'aspro stil per biasmo altrui coltivo ;
Ma sol perchè dal male oprar s' ammende,
Contro chi mal s'adopra io parlo , e scrivo.
366
SATIRA
LA
MUSICA.
DI SALVATOR ROSA
Ai
_bbia il vero, o Priapo, il luogo suo,
Se gli Asini a te sol son dedicati,
Bisogna dir che il Mondo d'oggi è tuo.
Credimi che si son tanto avanzati
I tuoi vassalli , che d'un Serse al pari
Tu potresti formar squadroni armati.
S'ergono al nome tuo Templi ed Altari,
Che nelle Corti ai primi onori assuuti
Da un influsso bestiai sono i Somari,
Che s'io non erro al calcolar de' punti,
Par cb'asinina stella a noi predomini,
E '1 Somaro , e '1 Castron si sian congiunti.
11 tempo d'Apulejo più non si nomini ,
Che se allora un sol uom sembrava un asin(
Molti asini a' miei dì rassembran uomini.
Satiriche* 56j
Magino e Tolomeo la causa annasino,
Che in domicilio de* moderni Giovi
Fa che tanti Somari oggi s'accasino.
Italia , il nome che ti diero i bovi ,
Or che d'Asini sei fatta sentina
Necessario sarà che tu rinnuovi,
E così folta ornai questa asinina
Turba , che ovunque in te gli occhi rivolgo,
Arcadia raffiguro, e Palestina ,
Quando '1 pensiero a contemplargli io volgo,
Col gran numero lor fan eh' io trasecolo
Gli asini del Senato , e quei del volgo.
Se le Cronologìe più non ispecolo ,
Mi forza a dire al paragone il saggio ,
Che questo sia di Balaam il secolo,
Moltiplicato è il Marchigian lignaggio,
E per dirla in pochissime parole,
L'anno si è convertito tutto in maggio.
Più che in Leone arde in Somaro il Sole,
E acciocché meglio inasinisca il mondo ,
S' apron per tutto del ragghiar le scuole.
guanto gira la terra a tondo a tondo
Luogo alcuno non v* ha, che di schiamazzi 9
E di zolfe non sia pieno, e fecondo.
Sppur si vedon ir peggio che pazzi
I Principi in cercar questa canaglia
Scandalo delle Corti, e de' Palazzi.
firtude oggi nemmeno ha tanta paglia
Per gettarsi a giacere, e a borsa sciolta
Spende l'oro dei Re turba che raglia.
te si vede altra gente andare in volta
Che Feline, e Falecri innanzi e indietro,
E le reggie un di lor yolta, e rirolta.
368 Poesie
E (ale influsso è sì maligno , e tetro ,
Che appestalo ne resi a in ogni parte
Il bel Cielo di Marco, e quel di Pietro.
li modesto piacer rotto ha il compasso , •
E a propagar la musica semeuza
Ave i suoi Missionari ancora il chiasso.
Chiama in Roma più gente alla sua udienza
L'&rpa duna Licisca eantatrice ,
Che la campana della Sapienza.
Ad un Musico bello il tutto lice:
Di ciò ch'ei fa, ch'ei brama, ottiene il vanto,
Che un bel volto, che canta, oggi è felice.
Io non biasimo già l'arte del canto,
Ma sì bene i cantori viziosi,
Ch' hanno sporcato alla modestia il manto, v
So ben eh' era mestier da virtuosi
La Musica una volta, e 1' imparavano
Tra gli uomini i più grandi, e i più famosi.
So che Davidde , e Socrate cantavano ,
E che l'Arcade, il Greco, e lo Spartano
D'ogni altra scienza al par la celebravano.
E Temistocle già l'eroe sovrano
Fu stimalo assai men d'Epaminonda,
Per non saper cantar come il Tebano.
So che fu di miracoli feconda,
E che sapea ritor l'Anime a Lete,
Benché fossero quasi in sulla sponda.
So che di Creta discacciò Talete
La peste colla musica , e Peone
Guai ia le malattie gravi, e secrete.
So che Asclepiade con un suo trombone
I sordi medicava, e de' lunatici
L'agitante furor sopìa Damone.
S i t i n e i i, 3Sg
So che Anfione agli uomini salvatici
Colia lira insegnò l'umanità,
E che un altro sanava i mali aquatici.
Ma chi mi addita in questa nostra età
Un cantor, che a Pittagora simile,
La gioventù riduca a castità?
E la Musica odierna indegna , e vile ,
Perchè trattata è sol con arroganza
Da gente viziosissima, e servile.
Sente albergo d'obbrobrio, e d'ignoranza,
Sordida torcimanna di lussurie,
Gente senza rossor , san za creanza.
Dì si fatta genia non son penurie ;
Sol di becchi, e castrati Italia abbonda,
E i cornuti e i cantor vanno a centurie.
Birba da saltambanchi vagabonda
Fatta vituperosa in sulle scene,
D'ogni lascivia e disonor feconda.
>ol di Sempronio le Città son piene,
Che con maniere infami e vergognose
Danno il tracollo agli uomini dabbene,
)ove s' udiron mai sì fatte cose?
Dirsi il canto virtude , e le puttane
Il nome millantar di virtuose?
arrossite al mio dir , Donne Romane x
Le vostre profanissime ariette
Han fatto al disonor le strade piane.
^e vostre Chitarriglie , e le Spinette
De' postriboli son base, e sostegno
Aperti ruffianesmi alle brachette.
o sgrido, io sgrido voi , Maestri indegni,
Voi , che al mondo insegnaste a imputtanirsi
Senza temer del Ciel l'ire, e gli sdegni.
Poesie Sa tir. * 24
370 Poesie
Dall' opre vostre ognor miro ammollirsi
Anco i più forti , e l'anime relasse
Languire al sospirar di Fille, e Tirsi*
Musica fregio vii d'anime basse ,
Salsa de' lupanari, ond'è ch'io strillo,
Arte sol da puttane, e da bardasse.
Queste han trovato il candido lapillo,
Con cui veggio segnar fin dalle culle
Felicissimi i dì Taide , e Batillo.
Questi son ciurmator di tue fanciulle,
Roma , che fan cangiare ai dì nostrali
Le Porzie in Nine, e le Lucrezie in Ciulle.
Questi, o Padri, son quei, che alle Vestali
Di vostra casa tolgono il primiero
Pregio de' sacri fiori verginali.
Questi son quei che insegnano il mestiero
Di popolare, e d'erudire i Chiassi,
Mascherar di virtude il vitupero.
Agamennone mio, se tu lasciassi
O^gi per guardia alla tua moglie un Musicc
Quanti Egisti cred'io, che tu trovassi.
Dal Peruviano suolo al lido Prusico
Alcun non è che abbia avvezzato il cuojo
Più di costoro all' ago del Cerusico.
Dalle risa talor quasi mi muojo
In veder divenir questi arroganti
Calamita del legno, e del rasojo.
E nondimeno son portati avanti,
E favoriti dalla sorte instabile
Per la dolce malìa di suoni, e canti.
Solo in un caso il Musico è prezzatole,
Che quando intuona a* Principi la Nenia,
Se ne cava uà diletto impareggiabile.
S 1 T I IV I C II E. S7I
Ma del restante poi già l' Antisten ia
Sentenza grida, ch'ha per impossibile
Che sia buon uomo, e sia cantore Ismenia.
Fanno il mezzano alla concupiscibile
Senza temer di Dio gli occhi severi ;
Che il Cielo appresso lor fatto è risibile.
Son lenocinj i canti agli adulterj ,
E le Vergini prese a quest' inganni
Si fan bagasce almen co* desiderj .
Van sempre unite e serenate, e danni,
Perchè son giusto il canto , e l'onestade
Il Carbonar d'Esopo, e '1 Nettapanni .
Di Cresippo oggidi calca le strade
Il Musico lascivo, e son promossi
Solo i canti del Nilo , e quei di Gade,
Io non dico bugie , né paradossi ;
Corre dietro al cantar l'incontinenza,
Come farfalla al lume, e il cane agli ossi,
Chi ha pratica di questi , e conoscenza
Può dir se della Musica è compagna
La gola, l'albagia , l'impertinenza.
Per questa razza nulla si sparagna ;
I sudditi s'aggravano , e i vassalli ,
Per aprire ai cantor grassa cuccagna.
Per costoro non han spazi , o intervalli
Una grazia dall' altra , e versa il corno
La copia in grembo al fomite de' falli.
Non si terrebbe di corona adorno ,
Se non avesse un Re più d'un Iopa ,
Che tutto il dì gli gorgheggiasse attorno :
Ed è cotanto imbrodolata Europa
In questa feccia, che a nettarne il guazza
Invan Catone adopreria la scopa.
Era l'odio di Roma, e lo strapazzo
La Musica una volta : or mira il La?.io
Se dietro a quella è divenuto pazzo !
Quanti Tigelli conterebbe Orazio
In questo secolaccio iniqui , e sciocchi ,
Che non han mai di mal l'animo sazio.
E fin dentro alle Chiese a quelli Allocchi
S'aprono } nidi: i profanati Tempj
Scemano in parie il vitupero ai socchi.
Eppure è ver, che con indegni esempj
Diventano bestemmie ai giorni nostri
Di Dio gl'inni, ed i salmi in bocca agli empj,
Che scandalo è il sentir ne' sacri Rostri
Grugnir il Vespro ed abbajar la Messa ,
Ragghiar la Gloria, il Credo, e i Pater no s Crii
Apporta d'urli , e di muggiti impressa
L'aria agli orecchi altrui tedj , e molestie;
Che udir non puossi una sol voce espressa.
Sicché pieu di baccano , e d'immodestie
Il Sacrario di Dio sembra al vedere
Un' Arca di Noè fra tante bestie.
E si sente per tutto a più potere
(Ond' è ch'ogn'uom si scandalizza, e tedia)
Cantar su la ciaccona il Miserere :
E con stili da sfarzi, e da commedia
E gighe , e sarabande alla distesa ;
Eppure a un tanto mal non si rimedia.
Chi vide mai più la modestia offesa?
Far da Filli un castron la sera in palco ,
E la mattina il Sacerdote in Chiesa.
So che un sentier pericoloso io calco ,
Ma in dir la verità costante io sono,
]>è ci voglio a ri oprar velo , nò tajc
S A f I R 1 C H I, #7$
ÀlT orécchio di Dio più grato è il tuono
D' un cor che taccia , e si confessi reo,
Che di cento Arioni il cauto , e il suono.
Chi vuol cantar segua il Salmista Ebreo j
Cd imiti Cecilia , e non Talìa ,
Dietro all'orme di Giobbe, e non d'Orfeo»
Penetra solo il Ciel queir armonia ,
Che invece d' intuonar canto, che nuoce,
Piange le cólpe sue con Geremia.
il Ciel s' adora con portar la Croce ,
Con bontà di costumi, e non di mano ?
Purità di coscienza, e non di voce.
Vergognosa follia d' un petto insano !
IN ci tempo eletto a prepararsi il core
Si sta nel Tempio con le Solfe in mano.
Quando stillar dovria gli occhi in umore
L5 impazzito Cristian , gli orecchi intenti
Tiene all' arte di un fiasso , ò di rin Tenore:
L in mezzo a mille armonici slru menti
De' Profeti santissimi una Lamia
Mette in canzone i flebili lamenti.
Oh del prescito Mondo atroce infamia !
Tu più di Bettelemme in prezzo sei ,
Per l'autor delle nòte, Isola Sauna.
Affermar con certezza io non saprei ,
Se il Mondo sia più pien à\ Pittagoriei y
O d'Ateisti, ovver d'Epicurei.
ÌO dico il ver senza color Rettorici :
Tutti i canti oggi mài sonò immodesti ,
E Missolidi , e Frigi , e Lidi , e Dorici.
Musica mia , non so se sì molesti ,
Come son ora i Professori tuoi f
Éran già quti Martelli onde nascest:.
374 Poesie
Tu senza colpe ne venisti a noi ,
E se adesso ne vai piena di errori
È, perchè capitasti in man de' Buoi.
Eppure a questi sol si fan gli onori ;
Questi cercati son da teste esperte,
E pronti a* cenni lor stanno i tesori.
Questi trovan per tutto ampie 1' offerte ,
Gli stipendi, i salari, a man baciata
Erarj , scrigni , e guardarobe aperte.
Ed a questa progenie interessala
Si dan le prime cariche , e gli nfizi ;
Tanto la vanifade oggi è stimata.
E sebben servon di fomento ai vizi ,
Lor piovon sempre mai in grembo ai spassi
Entrate , pensioni , e benefizi.
Così fatti in un tratto tondi , e grassi ,
Scordati de* natali , e del principio
Fanno da Sacripanti e da Gradassi.
Ed un stronzo animato, un vii mancipio
Avvezzo alla portiera, ed al tinello
Starebbe a tu per tu con Mario , e Scipio.
Un baron rivestito , un bricconcello
Per quattro note ha tal temei itade ,
Che vuol col galantuom stare a duello.
Oh quanto si può dir con veritade ,
Che con la pelle del Leone ardisce
Di coprirsi oggidì V Asinitade !
E si gonGa , e si vanta , e insuperbisce f
E per farlo cantar si suda , e stenta ,
Ma se iucomincia poi, mai la finisce.
Ciurma , che mai si sazia , o si contenta :
Quanto più se le dà , più se le dona,
Scellerata divien , peggior diventa.
Satiriche. 3^5
Plebe , che altro non pensa , e non ragiona f
Che a passar l'ore in crapule, e sbadigli f
Che al vivere alla peggio , alia briccona.
In questi tempi muterìa consigli
L' Ape , qnal disse al Culice una volta ,
Che insegnar non volea musica, ai figli.
Poich' altro non si stima , e non si ascolta
Fuor d' un cantor v o suonator di tasti ;
E questa razza è sol ben vista , e accolta.
Bella Legge Cornelia , ove n' andasti
In quest' età , che per castrare i putti
Tutta Norcia per Dio non par che basti?
I Caligoli , i Veri indegni , e brutti
Son ritornati a fabbricare encomj
A questi vili, e sordidi Margutti.
A che serve compor volumi , e tomi ,
Se in tutti i tempi inclinano le Stelle
Degli Aristoni al canto , e degli Euuomj?
La fola del Monton di Friso , e d' Elle
Verificala vo' mostrarvi a dito ,
Se d' oro ogni Caslron porta la pelle.
Quindi mi disse un Cortigian forbito ,
Che in Roma sj era fatto il pel canuto ,
E Jograto vi avea più d'un vestito,
Che in Corte chi vuol esser ben voluto
Abbia poco cervello in testa accolto ,
Sia musico, o rufnan, ma non barbuto.
Di poca bile , ma di livor molto ,
E fugga come il foco i Personaggi,
Chi non ha più d'un core, e più d'un volto.
Soli miracoli usati entro i Palaggi, .
Che un Musico sbarbato co' suoi vezzi
Cavalcato scavalchi anco i più saggi.
3j6 Poesie
Oh quanto degni faro i tuoi disprezzi ,
Gran Solimano , allòr che a queste sporche
Razze facesti gli stromenti in pezzi.
Tu , tu, Sarmata , al fremito dell'Orche
Avvezze là sul faretrato Oronte
Le Sirene mandasti in sulle forche.
E Pirro ad un , che con audace fronte
Un Musico lodò , nulla rispose;
Ma si messe a lodar Poliperconte.
Ed Anallio già disse ,. e il ver depose ,
Che al par di Libia il canto al nostro orecchie
Manda Fiere ogni dì più mostruose.
Sia benedetto pur quel Santo Vecchio,
Che di questi sacrileghi , e perversi
In Chiesa non volea Tempio apparecchio»
E benedetti siano i Medi , e i Persi ,
Che i parassiti, musici, e buffoni
IXon stimaron giammai molto diversi.
Benedette le Donne de' Ciconi ,
Che fero al canto d' Orfeo la battuta
Co' cromatici lor santi bastoni.
Oggi nessun gli scaccia , o gli rifiuta ,
Anzi in casa de' Principi , e de' Regi r
Questa genìa sol' è la benvenuta :
E cresciuti così sono i suoi pregi ,
Che per le Reggie serpe , e si distende
L'arte di questi pantomimi egregi.
Alla musica in Corte ognuno attende:
Do, Re , Mi9 Fa, Sol9 La, canta chi sale,
La , Sol , Fa , Mi , Re , Do , canta chi scende
Usa in Corte una musica bestiale.
Par che a fare il soprano ognuno aspiri,
Ma nel fare il falsetto ognun prevale.
Satiriche. 377
Cantano in lei benissimo i Zopiri ,
1/ adulatore, iì pazzo, e lo spione,
L'ajutaute del letto e de' raggiri.
Ma mi par troppo gran contraddizione
Cu' abbia sorte con lei solo il Castralo f
S' ba fortuna con lei solo il C
Principi, il canto è da voi tanto amato,
Cbe non \i vola il sonno al sopraccilio,
Se da quello non v' è pria lusingato.
La quiete da voi vola in esilio _
Senza il letto gemmato, e senza il Coro
Dì Saulle ad esempio, e di Carbilio.
Da se del sonno il placido ristoro
Manda Natura , aliar cbe il cielo è fosco ,
E Voi , pazzi , il comprate a peso d1 oro.
Letto più prezioso io non conosco ,
Cbe farmi di vitalbe una trabacca ,
Coltrice il prato , e padiglione il bosco.
E quando iì souno agli ocebi miei s' attacca ,
Un dolce oblio santo Morfeo mi presta ,
Cbe mi tura le luci a cera lacca.
Io non invidio 110 la vostra testa ,
Cbe non ba requie mai quand' ella dorme r
E tutta è sogni poi quand'ella è desta.
Se voi \olete un sonno al mio conforme ,
Vegliate della notte una gran parte,
Studiando ben di governar le forme.
Ma si cerchi da voi 1' uffizio , e Y arte ,
Cbe deve usare un Prence giusto, e prò
Ne* libri, e non del gioco in sulle carte.
E in vece d'un castrato ingordo, e rio,
Tenete un Ruosignol , cbe nulla chiede 9
E forse i canti suoi son Inni a Dio,
378 P o
JC S I E
Quel Popolo , che a voi giurò lo fede ,
Per le vie seminudo , ed a migliaja
Mendicando la vita andar si vede.
E pur gettate I' oro, e non è baja,
Dietro ad una bagascia , a un castratili o
Alla cieca , a man piene , a centinaja :
E ad uno scalzo poi nudo e ineschino,
Che casca dal bisogno e dalla fame,
Si niega un miserabile quattrino.
A che vuotar gli erari in Paggi e Dame,
E spender tanto in guardie a capo d'anno
In un branco venal di gcnfe infame?
Non sa temere un Giusto offese , o danno ;
Ch' argomento è il timor d1 occulti falli ,
E gran segno è in un Pie d* esser tiranno.
A che serve tener fanti e cavalli,
Se la guardia maggior ch'abbia un Piegnante
E l'amor de' soggetti , e de' vassalli ?
A che giova nudrir squadra volante
Di sparvieri e falcon sì grande e varia ,
E buttar via tante monete e tante ?
La vostra naturacela al ben contraria
Sazia non è di scorticar la terra ,
Che va facendo le rapine in aria.
Deh quell' alma real che in voi si serra ,
Lasci una volta questi abusi indegni ,
E la memoria lor giaccia sotterra.
Generosa superbia in voi si sdegni
Di servire agli affetti , e vi ricordi ,
Che siete nati a dominare i regni.
Le passioni indomite e discordi
Sia voslra cura in armonia comporre,
E far che il sen*o alla ragion s'accordi»
Satiriche, 379
Questa musica in voi si deve accorre ,
E non queir altra , il di cui vanto è solo
Accordar cetre , e l'animo scomporre.
Teslimonio bastante , e non già solo
Il Cinico mi sia, che già nel Foro
Tutto accusò de* Musici lo stuolo.
Non è virtù d'un animo , e decoro
Trattar chitarre, cimbali e Jeuti ,
Ne diletto è da Re musico coro;
Ma ben d'animi molli e dissoluti t
Da persone lascive, e da impudichi,
Da spirti di piacer solo imbevuti.
Ma che occorre che tanto io m'affatichi,
Se di quei detti , che il furor m'inspira
Non mi lascian mentire i tempi antichi?
Parli Anligou per me, che colmo d'ira
Ad Alessandro un dì , che al canto attese,
•Furibondo di man strappò la lira;
E con voci di sdegno , e zelo accese
Fatto volare in mille pezzi il suono ,
11 musico suo Re così riprese :
Queste adunque son l'arti , e questi sono
I nobili esercizi , ond' io credei
Al tuo genio crescente angusto il trono ?
Sono questi gli studj , ond' io potei
Argomenti ritrae d'indole altera,
Che di te promettea palme e trofei ?
Questo ò adunque il sudor d'alma che impera?
Questo è dunque il desio , che porta impresso
Una mente magnanima e guerriera ?
Alessandro, Alessandro: oh da te stesso
Troppo diverso , e da' principj tuoi ,
Da qual vana follia ti vedo oppresso !
S^O P O E tf i fi
Cosi non vassi e debellar gli Eoi :
Pfè soii questi i sentici , in cui stampare
Orme di gloria i trapassati Eroi.
Ségni d'opere grandi in te mostralo
Le tue virtù , la maestà fanciulla
Un raggio di valore illustre e chiare.
Appena Tesser tuo partì dal nulla,
Che portò seco iti sul Calale impressa
L'espettazioni a insuperbir la culla.
Tremava il piede infante, aliar che lesse
In quei vestlgj il genitor deluso
Una serie immortai d'alte promesse.
Della tenera man l'uffìzio e Fuso,
Che sol godea del brando, in te scopila
Un uou so che di più d'umano infuso.
Oh tradite speranze, oh della mia
Stolta credulità peosicr fallace !
Ecco del vostro Re la monarchia.
Ecco l'Ercole vostro , il vostro Ajace ,
11 vostro Teseo , il presagito Achille 4
Dell' Asia deplorata ecco la face.
Questi è colui, che trionfar di mille
Regni doveva , e su stranieri liti
Versar dal crine cenerose stille.
r<on son tali, Alessandro, 1 itili avitu
E non deve un Eroe nato a"li scettri
Star sulle corde ammaestrando i diti.
Ifou convengono insieme i brandi e i plettri
Son contrarj tra lor porpora e cetra:
Non fu il canto giammai degno di elettri.
Principe, clic desia d'alzarsi all'etra,
In vece di trattar corde nefaude,
Della tromba di fama il suono ioipel.
Satirici!*. 35 1
Questo non è mestier d'anima grande,
Chi dietro a fole e vanitadi agogna
Non fa cose immortali e memorande.
Rinfacciarti di nuovo a me bisogna ,
Che Filippo tuo padre un dì ti disse:
Che il saper ben cantar è gran vergogna.
Tolgi un poco la mente, e mira Ulisse
Tu , che logrando vai sopra le corde
L'ore , che ai tuoi trionfi il Ciel prefisse.
Mira quel saggio in suo voler coucorde ;
Che s'incera l'orecchie, i canti impuri
Per non sentir delle Sirene ingorde.
Allettar ti dovrian sistri e tamburi.
Anima , che di fama e gloria ha sete ,
Così lascia il suo nome ai dì futuri.
Son le musiche corde armi di Lete,
Grand' incanto de' vili e de' melensi ,
E di femmineo cor fascino e rete.
Chi torpe ne) piacer , volar non pensi
Alle Stelle giammai, che sempre furo
Del bel Ciel della gloria Icari i sensi.
È*}
dell' onore il calle alpestre e duro ;
Fugge sol de l'eia l'ire omicide
Chi fa dell' opre sue virtù l'Arturo.
Co' fatti eccelsi immortalossi Alcide :
Ne colla lira mai si fece illustre ,
Ma bensì colla spada il gran Pelidc*
Trarrà dal nome suo l'aura palustre
il Mondo tutto a rimirare intento
Un Re mutato in un cantore industre.
$è t'ingombra la mente alto spavento?
Né vola ratto a ricoprirti il volto
Travestito a rossori il pentimento7
332 Poesie
Cangia , cangia pensier sì vano e stolto ,
E non si tardi a discacciare in fretta
Questa enorme magia, che a te ti ha tolto.
Buono sempre non è quel che diletta ,
Ne il canto è meta mai d'opere eccelse,
Se le menti più forti adesca e alletta .
Sol quello è vero Re, ch'elesse e scelse
La strada de' sudori , e che dall' alma
Mentre nascean , le voluttà divelse.
Prudenza è il non dar fede a lieta calma;
Ed è follia , se credi , e se presumi ,
Che siili' Ebano tuo spunti la palma.
Ah che dell' empia Circe i rei costumi
Delle menti più tenere e più molli
S'ingegnaci sol d'addormentare i lumi !
Non siano i tuoi di vigilar satolli ,
Che deve aver cent' occhi un Re com'Argo
Perchè l'Idra de' vizj ha cento colli.
Né senz' alta cagione i detti io spargo;
Perchè so , che d'un petto , ancor che forte
Fu la musica sempre un gran letargo.
Grand' esempio li sia d'Argo la sorte,
Che d'un canto soave ai dolci inganni
Serrò le luci , e ritrovò la morte.
Chi si vuol eternar sudi, e s'affanni;
Che un nome non si può torre ad A verno
Senza lottar col vorator degli anni.
Degli interni desìi specchio è l'esterno ,
Chi fatica nel ben non rauor , se muore ;
Che virtude è del cor balsamo eterno .
Vizio, o virtù mai diventò minore,
Perch' a mostrar che de' g'ganii è figlia ,
Studia la fama in d^nir maggiore.
Satirici* *. 383
L'usata maestà de in te ripiglia ,
E con la tua prudenza , e la fortezza
Te medesmo componi, e ti consiglia.
Gli usi, che noi pigliamo in giovinezza,
Se non vi s' ha riguardo e gao premura,
Si strascina no ancor nella vecchiezza.
Piaga , che non si tratta, e non si cura ,
Maraviglia non è che poi marcisca $
Che il mutar vecchia usanza è cosa dura.
Quanto gli animi grati illanguidisca
Questa mentita attossicata gioja ,
Ettore te lo dica , e ti ammonisca.
Sentilo come sbeffa, e come annoja
Pari , che già si procacciò cantando
L'amor d' Elena , e la caduta a T roja,
Mira Palla colà, che sta gettando
Gli strumenti del canto in mezzo all'onde,
Per mandarlo da se mai sempre in bando.
Ma l'antiche memorie io lascio altronde ;
Mira in che stima sia chi canta, o suona
E del Tebro e del Nilo in sulle sponde.
La Musica non sol , come non buona ,
Alcibiade sprezzò , ma la chiamava
Cosa indegna di libera persona.
Scaccia scaccia da le voglia si prava,
E vada 'l'alma a ricalcar veloce
Il sentier deli' onor, che pria calcava.
Prendi iu grado, che sia questa mia voce
Uno sprone pungente al tuo desio ;
Che virtù slimolata è più feroce.
Parla teco cosi l'affetto in io ,
Che si ti alassi ornai, che si posterghi
Questo morbo de* sensi , e quest' oblio.
^84 P O E S I E
Se l'Istoria di te vuoi che si vergili ,
Ricordarti tu dei , che non si tratta
Nelle corde diacciar, ma negli usberghi.
Eterna è Troja , ancorché sia disfatta ;
Che per quei, che pugnarla presso Atandro,
Una fama immortai Tali le adatta.
Queste molli armonie lascia a Tepandro ,
E di sola virtù gli affetti onusti,
Ad Alessandro ornai rendi Alessandro.
Così del canto ai Secoli vetusti
Antigono il suo Re sgrida, e rappella
A pensieri più saggi , e più robusti .
Dall' Antigono mio, dal Re di Pella,
Principi del mio tempo , alzate il velo
Che il mistico mio dir con voi favella.
Antigono son io , che vi querelo ,
E voi siete Alessandri; io vi sgridai,
Tocca adesso l'emenda al vostro zelo.
Augusto anch' egli si Compiacque assai
E del canto e del suon, ma dagli amici
Ripreso un dì non vi tornò più mai .
Col canto non si vincono i nemici;
Anzi, benché rassembri un scherzo, un giuoco,
Eventi partorì strani , e infelici .
Sempre nel suo principio il vizio è poco;
Ma vi sovvenga che un incendio immenso
Da una breve favilla attrasse il fuoco.
Creder non vuole effeminato il senso,
Che da questa malia così soave
Possa poi derivarne un male intendo.
Ma se disponga il canto a cose prave ,
Con maggiore evidenza a voi l'accenne
Del superbo Neron l'esito grave.
Satiriche» S85
Egli a fatica il Principato ottenne >
Che dopo cena il Musico Tirreno
Cteni sera a cantar seco ritenne.
Or chi mai crederla , che dentro un s?no
Questo piacer, che così buono appare,
Dovesse partorir tanto veleno ?
A poco a poco ei cominciò a suonare ;
E potè tanto in lui questo diletto,
Che si diede alla fin tutto a cantare.
Quindi per farsi un Musico perfetto,
E cercando di far voce argentina ,
La notte il piombo si tenea sul petto.
In osservare il cantero , e l'orina ;
In vomitoli, pillole, e brachieri,
Ebbe a fare impazzir la Medicina.
E perchè sempre avea volli i pensieri
Della voce a fuggir tutti i pericoli,
Si faceva ogni dì far de' cristieii.
E se dei Re non fosse infra gli articoli,
Che non stian mai senza ( . . . . aliato
Si facea cavar forse i testito i.
Lo vide il Mondo alfin tanto impazzalo.
Che passò sui teatro , e sulla scena
Dal domestico cauto, e dal privato.
E credendosi ormai d'esser Sirena ,
Poco gli parve aver delle sue glorie
Napoli e Roma , e tutta Italia piena.
Ond'a cercar del cinto alte vittorie
Se n'andò nella Grecia, e quivi affatto
Finì di svergognar le sue memorie.
S' io volessi narrar ogni opra , ogn' atto
Che solo per cantar costui facea ,
Dell' istesso Neron sarei più matto.
Poesìe Satir. a 5
386 Poesie
Bastimi dir , che quando Roma ardea ,
Cantando ci se ne stava , e in fin morendo
Disse, che iJ Mondo un gran Cautor perde?
Quanto d'infamità, quanto d'orrendo
Per la musica fé' questo Demonio,
Mostri se il canto a gran ragion riprendo.
Tutta la vita sua fa testimonio
Del gran danno del canto, e chi noi crede
In Tacilo lo legga, ed in Svetonio.
Principi , al parlar mio porgete fede :
11 tempo di Nerone, a quel ch'io veggio,
Vuoi nel secolo mio trovar l'erede.
Apre egnuno di voi la destra , e il seggio
Per innalzar la Musica , e frattanto
Il Mondo se ne va di male in peggio.
Io mai non vidi in tanta stima il canto ;
Ma gli è ben anco ver , che mai non vidi
11 vizio ai giorni miei grande altrettanto.
Quanti e quanti oggidì ne' vostri lidi
Uomini infami se ne stanno in nozze ,
Che del Prossimo lor vuotano i nidi.
Quante gentacce scimunite, e sozze ,
Le più indegne di vita, i più vigliacchi
Han palazzi , livree , ville , e carrozze.
Oh quanti Licaoni , oh quanti Cacchi ,
Di moni» a cui mai la fortuna scappa,
Con i sudori altrui s'empiono i sacchi !
Quanti han velluto indosso , e spada , e cappi
E maneggiali la lancia, e fan da primi,
Che in mano starla lor meglio la zappa!
Quanti radono il suolo, e bassi ed imi,
Cui la sorte troncò dell' ali i nervi ,
Che han pensieri magnanimi, e sublimi!
Satiriche. 387
E quanti in questi secoli protervi
Da^ Signor compariscon nelja scena ,
Ch' essi meriteriau d'essere i servi ;
Servi però da remo, e da catena.
383
SATIRA
LA PITTURA."
DI SALVATOR ROSA
G
rosi va il Mondo oggi dall' Indo al Maurc
INè a guarir tauto mal saria bastante
Il Medico di- Timbra, o d' Epidauro.
Cade il Mondo a tracollo, e invano Atlante
Spera gli Aloidi ; ah chi m' addita uu Giov<
Or che il vizio quaggiù fatto è gigante?
Tutti gli sdegui suoi grandiua , e piove
Sopra gli Acrocerauni , e poi su gli empj
Le neghittosa destra il Ciel non muove.
Quali norme ne date, e quali esempj ,
Sulle, che in vece di punire i rei.
Fulminate le torri, e i vostri Tempj.
Yoi saettate ognor gli Antri Rifei ,
E ri ma liete di rossore accese ,
Se Diagora poi non crede ai Dei,
Satiriche. 889
Ihe voi siate schernite e vilipese ,
Non è sto por. L'invendicata ingiuria
Chiama da luuge le seconde offese.
carenata d' .4 verno esce ogni Furia ,
E regna sol sopra la Terra immonda
Gola , invidia, pigrizia , ira , e lussuria.
ol d' avarizia , e di superbia abbonda
Il corrotto costume , e il tempo indegno
Nella piena del mal corre a seconda.
la giacché in voi 1* addormentato sdegno
Alcun senso non ha, tentare io voglio
S' anco i fulmini suoi vanta Y ingegno.
rt dissi furibondo , e preso il foglio ,
Già g'à scrivea del secolo presente
Vuoto d' ogni valor , pieno d' orgoglio.
Juan do sugli occhi miei nascer repente
Vidi un fantasma in disusato aspetto ,
Che richiamò dal suo furor la mente.
Klirabil mostro , e mostruoso oggetto ,
Donna giovin di viso , antica d' anni ,
Piena di maestade il viso e il petto.
L lei d' Aquila altera uscian due vanni ;
Dall' una all' altra tempia il crin disciolto
Cadea sul tergo a ricamarle i panni»
*area che il Sol negli occhi avesse accolto,
E superbo splendea nel mezzo all' Iride
D'attortigliati bissi il capo avvolto.
y Isi nel Tempio là dentro a Busi ride
Con simil benda adorna il crine , e stringe
L' antico Egitto al favoloso Osiride.
Ma I' Edra , il Pesco , e il Lauro intreccia , e cing*
Quelle bianche ritorte, e in mezzo usciva
11 simulacro dell' Aonia Stinge*
Sgo Poesie
Della veste il color gli occhi scherniva
Variando in se stesso , e dalla manica
A finissimo lino il varco apriva..
Non tessè mai con più sotti! meccanica
Tela più. *aga in sulla Mosa , e l'Oderà
La fatica Olandese , o la Germanica,
Lo sventolar de' panni unisce , e modera
11 manto, che affibbiato sulla spalla
Di più pelli dì Scimmia avea la fodera.
Vestìa la sopravveste azzurra , e gialla ,
E V immagin del Mondo , e delle Sfere
Sostenea sotto il braccio entro una palla.
Con fantastiche rote in folte schiere
Rapidi intorno a lei F ali batteano
Simulacri di larve, e di chimere.
I Pennelli, e i color le si vedeano
Ad una canna che teneansi , e lenti
Con verdi anelli i pampini stringeano.
Io restai senza moto a quei portenti;
Ed ella in me fissando i lumi attesi,
Disdegnosa parlo mini in questi accenti :
Che vaneggi insensato ? Ove hai sospesi
I tuoi pensieri ? E da qual folle ardire
Si sono in te questi furori accesi ?
Sgridar tu vuoi V universal fallire ,
E non t'accorgi ancor che tu consumi
Senza profitto alcun gl'impeti, e Tire?
Torre il vizio alla Terra invan presumi ;
Dunque lo sdegno tuo s'accheti , e cessi,
E a quel che tocca a te rivolgi i lumi.
Mira c(mì quanti obbrobrj , e quanti eccessi
Dagli artefici propri oggi s'oscura
II più chiaro mestier, che si professi.
Satiriche. £ j ;
Parlo dell'arte tua , della Pittura ,
Che divenuta iufanae in mano a molti,
Gli Dei s'irrita contro, e la Natura.
E in vece di punir gli audaci , e stolti
Professori di lei con dente acerbo ,
Tu verso il Mondo i tuoi favor rivolti.
E tanto empio il penne!, tanto è superbo,
Che sol tra i vizi si trastulla , e scherza ,
E degli sdegni tuoi tu fai riserbo ?
Sotto la destra tua provò la sferza
Musica , e Poesia ; vada del pari
Coir altre due sorelle anco la terza.
E se dai tuoi flagelli aspri , ed amari ,
Alcun percosso esclamerà , suo danno ;
Dalle voci d' uu solo il resto impari.
So che la rabbia , e il concepito affanno
Farà dire a costoro in tuo disprezzo
Quanto inventar , quanto sognar sapranno,
ru , come scoglio alle procelle avvezzo ,
JNon t'alterar giammai: noto è per tutto,
Che suol r odio del vero essere il prezzo.
Della virtù maledicenza è frutto ,
Ma col tempo alle Furie escon le chiome,"
E s' accheta il livore orrendo , e brutto.
Le calunnie una volta oppresse, e dome,
Confesseran che con ragion gli emendi* j
Che alfin la verità trova il suo uouk*
Su , su desta gli spirti , e Y ira accendi ;
E pieno il cor d' un nobile ardimento ,
Questi artefici rei sgrida , e riprendi.
Dosi diss' ella , e suìT estrema accento
Con quella canna sua c:nta di pam/>i#no
Tocco m mi ii capo , e dileguossi *n vento.
3g2 P o e s i i
Da quel momento in qua par che m' avvampine
Le fibre interne , e che le Furie unite
ISeir agitato sen tutte s' accampino.
Divenne il petto mio novella Dite;
Dunque dal cor, pria che si cangi in cenere
Uscite pur , chiusi pensieri , uscite.
Di voci in cambio adulatrici > e tenere ,
S* armi Io stil senza sapere il cui ,
Ma sgridi i vizi , ed i difetti in genere, -
Chi sarà netto degli errori altrui ,
Riderà su i miei fogli ; e chi si duole ,
Dimostrerà che la magagna è in lui.
Purché si sfoghi il cor , dica chi vuole :
A chi nulla desia soverchia il poco:
Sotto ogni ciel padre comune è il Sole.
La State ali* ombra , e il pigro Verno al foci
Tra modesti desìi Y anno mi vede
Pinger per gloria , e poetar per gioco.
Delle fatiche mie scopo , e mercede
E soddisfare al genio, al giusto, al vero;
Chi si sente scrtiar ritiri il piede.
Dica pur quanto sa rancor severo :
Contro le sue saette ho doppio usbergo ;
!Non conosco interesse , e son sincero.
I^o\» ha l'invidia nel mio petto albergo,
SoV* y.elo lo stil m'adatta in mano,
E per util Cimine i fogli vergo.
Tutto il Mondo è Pittore ; ond' il Toscano
Paolo fé' itiie a «erti ambasciatori ,
Che chiedeanv» o" estrar non so ohe grano j
*-*v Ei non volea <-he il grano uscisse fuori ,
•Ma ~he in quel «-ambio avrìa loro concessa
Di Preifct; UDa tratu, o di Pittori.
Satiriche. 3g3
L' arena dell' Egeo non è sì spessa ,
Sull' Egitto non fur tanti ranocchi ,
Le f< 'miche in Tessaglia, i Mori in Fessa.
Il granfi' Argo del Ciel non ha tant' occhi;
Sono meno le spie , meno i pedanti ,
Né vide Crcsr» mai tanti baiocchi.
Tutto Pittori è il Mondo : e pur di tanti 1
Non saran due uell' infinito coro ,
Che non sian delle Lettere ignoranti.
Filosofo, e Ptttor fu Metrodoro ,
E i costumi , e i color sapea correggere ;
E scrisse 1' Arte in versi Àpollodoro.
Questo raesliero ognun corre ad eleggere ,
Ma di costor , che a lavorar s' accingono*1,
Quattro quinti , per Dio , non sanno leggere*
Stupir «li Antichi, se però non fingono,
Perchè scriveva un Elefante in Greco;
Ma che direbbero or che i Buoi dipingono?
Arte alcuna non v' è , che porti seco
D^lle scienze maggior necessità :
Che de' color non può trattare il cieco.
Che tutto quel _, che la natura fa ,
O sia soggetto al senso , o intelligibile
Per oggetto al Piltor propone , e dà.
Che non dipinge sol quel eh' è visibile,
Ma necessario è che talvolta additi
Tutto quel eh' è incorporeo, e eh' è possibile.
Bisogna che i Pittor siano eruditi ,
Nelle Scienze introdotti , e sappian beue
Le Favole , 1* Istorie , i tempi , e i Bi^-
Ne fare come un tal Pittor dabbene ,
Che fece un' Eva, e poi vi pinse uu bisso ,
Per nou far apparir le parti oscene.
3p4 Poesie
E un Castrone assai più di quel di Frisse»
Un' Annunziata fece , orni' io n'esclamo,
Che diceva l' Oftmo a un Crocifisso.
E r'»me compatii*, scusar potiamo
Un rWfFàel Pittor raro , ed esatto
Far di ferro una Zappa iu man d'Adamo?
E cento , e mille ignorali toni affatto
Con barba vecchia , e con virtù fanciulla
I Panfili sfidar prendono a patto.
E come la Pittura entro la culla
D'ogni minuzia stia gli avesse istrutti,
Credon d'esser maestri , e non san nulla»
Dipinger tutto il dì zucche, e presciutti,
Rami, padelle, pentole, e tappeti.
Uccelli , pesci , erbaggi , e fiori , e frutti.
E presumeran poi quest' indiscreti
D'esser Pittori, e non voler che adopra
La sferza de' Satirici Poeti?
Che se hanno a mettere altre cose in opra ,
Non si vede mai far nulla a proposito ,
E il costume , e Y idea va sottosopra.
Gli Sciti nel vestir fanno all' opposito ,
E perchè V ignoranza hanno per sposa,
Non danno colpo, che non sia sproposito.
Perdoni il Cielo al Cigno di Venosa ,
Che ai Poeti , e ai Pittori aprì la strada
Di tare a modo lor quasi ogni cosa.
Ccn questa autorità più non si bada ,
Che con il vero il simulato implichi ,
E the dall' esser suo l'arte decada.
Più Ttle ha il Tebro , che non ha lombrichi,
E fan piu quadri certi capi insani ,
Che non Sp.ce Agatarco ai tempi antichi :
S a t i r i g n i, 3g5
Onde dissero alcuni oltramontani ,
Che di tre cose è l'abbondanza ih Roma,
Di quadri , di speranze e baciamani.
Escon dal Lazio le Pitture a soma ,
jE tanta de' Pittori ò la semenza,
Che infettato ne resta ogn' idioma.
Non conoscono studio , o diligenza ,
E in Roma nondimen questi cotali
Sono i Pittori della Sapienza.
Altri studiano a far solo animali,
E senza rimirarsi entro agli specchi ^
Si ritraggono giusti e naturali.
Par che dietro al Bassan ciascuno invecchi ,
Rozzo Pittor di pecore e cavalle ,
Ed Eufranore e Alberto han negli orecchi.
E son le Scuole loro mandre e stalle ,
E consumano in far, l' etadi intiere ,
Bisce , rospi , lucertole e farfalle.
E quelle bestie fan sì vive e fiere,
Che fra i quadri e i Pittor si resta in forse
Qnai sian le bestie finte, e quai le vere.
Vi è poi talun che col pennel trascorse
A dipinger faldcni e guitterìe ,
E facchini e monelli e tagliaborse.
Vignate, carri, calcate, osterie,
Stuolo <T imbriaconi e genti ghiotte,
Tignosi, tabaccare e barberìe:
Nigregnacche , Bracon , Treutapagnotte :
Chi si cerca pidocchi, e chi si gratta,
E chi veude ai baron le pere cotte.
Un che pìscia, un che caca, un che alla gatta
Vende la trippa: Gimignau che suona,
Chi rattoppa un boocal, chi la ciabatta.
396 Poesie
Né crede oggi il Piftor far cosa buona,
Se non di finge un gruppo di stracciati,
Se la Pittura sua n< n è barena.
E questi quadri s<»n tanto apprezzati,
Che si \edon de' Grandi entro gli studj
Di superbi orna menti incorniciati.
Così vivi mendichi afflitti é nudi
Non trova n da coloro un sol danaro,
CI e ne' dipinti poi spendon gli scudi.
Cos; ancor io da quelli stracci imparo ,
Che dei moderni Principi l'istinto
Prodigo è ai lussi, alla pietade avaro.
Quel che abborriscon vivo > aman dipinto,
Perchè ornai nelle Corti è vecchia usanza
Di aver in prezzo solamente il finto.
Ma chi sa , che quel eh' io chiamo ignoranza 9
Non sia de' Grandi nn'invenzion morale,
Per fuggir la superbia e l'arroganza?
Che se Agatocle già dì terra frale
Usava i piatti de' miglior bocconi
Per ricordarsi ognor del suo natale :
I/immagin de' Villani e de' Baroni
Forse tengon costo r per ricordarsi ,
Che gli antenati lor furon Guidoni.
Ma non credo che mai possa trovarsi ,
Che della veritade il canto e il suono
Abbia sentito Y uom senza adirarsi,
Già rispose quel Grande in grave tuono
A chi gli ricordò certo accidente :
Non vo' saper quak fui, mi quel ch« sona.
Fu mostrato a un Tedesco anticamente
Un quadro, in cui l'artefice ritrasse
Tutto intiero un pastor vile e pezzente.
Satiriche. 397
[nterrogato quanto ei lo stimasse ,
Rispose, che uemmen voluto avrebbe,
Che vivo un uomo tal gli bi donasse.
Principi , perchè a voi mai nou increbbe
Questo dipinger sordido, e plebeo,
Nell'arte la viltà s'apprese, e crebbe*
Dall' Atlantico Mare air Eritreo
II decoro non ba dove ricoveri :
Ognun s'è dato ad imitar Pi» reo.
Sol bambocciate iu ogui parte annoveri ,
INè vengouo ai Pittori altri concetti ,
Che piuger sempre accattatozzi , e poveri.
Ma non sou tutti lor questi difetti ,
Poiché cercando il suolo a Ionio a tou lo.
Fuor che pezzenti uou hanno altri oggetti.
Ogni luogo di poveri è fecondo ,
Perchè i Principi ornai con le gibclle
Hanuo ridotto a mendicare il Mondo.
Se tosano un po' più le pecorelle ,
Gli uomini in breve si potran dipingere
3\on senza panni no, ma sensà in ile.
Principi , ad esclamar mi sento spingere :
Ma mi dicon pian pian Chto , e Coniato,
Che bisogna con voi tacere, o fi ìgere.
Dunque di voi 1' esame , e lo scrutinio
Faccia chi solo a grandi imprese è dedito ,
Ch'io torno a censurar la biacca , e il minio.
Con mio grave stupor contemplo, e melilo,
Che quasi sempre ogni Pitior peggiora ,
Quando comincia ad acquistare il credito.
Perchè vedendo che più d'un l'onora,
E eh' banno facilmente esilo , e spaccio
Le cose ebe dipinge , e che lavora,
3^3 Poesie
Del faticar più non si prende impaccio ,
E presa la pigrizia in Enfiteusi ,
Dolcemente diventa un Minacciò.
Così non fece ii nominato Zensi ,
Al cui studio indefesso aprì le porte
Colui che nacque là presso ad Èleti&i.
Chi di Nicia fra noi segue le scotte,
Che spesso il ciba si scordò; cotanto
Era lo studio suo tenace , e forte ?
Chi nella nostra età pervenne al vanto
Di Timante , di Ludio o di Nicomaco t
E chi puoi' ire a Polignoto accanto ?
Non è pagato alcun come Timnmaco ,
Ma chi per isludiar quei Canno imita ,
Che di lupini sol pascea lo stomaco.
Oggi 1' antichità da noi s' addita
Oziosi sedendo entro le carte,
Ma la prisca virlude erra smarrita.
Furon le Donne ancor chiare in quest' arte ;
Or qual femmina sia , che a lor rassembri ,
E possa andar delle sue glorie a parte?
Ma che 1' antiche in ciò nessun rimembri ,
Poiché le nostre son più dotte, e deste
Nel porre in opra la natura , e i membri.
Fra i Pittori vi son genti sì leste ;
Cou uu certo liquor che non si scerne
Fanno antiche apparir certe lor teste.
Degno d'applausi, e di memorie eterne
Delle Donne il pennel scaltro , ed astuto
Le teste antiche fa parer moderne.
Ma in qual digression son io caduto ?
il mio Ronzino appunto sul più bello
Di strada uscì delle Cavalle al liuto.
Satiriche. 399
Dietro alle Donne ognun perde il cervello ,
E le cose con lor tutte a gran passo
Per certa simpatìa vanno in bordello.
jasciam dunque le Donne andar in chiasso ,
E torniam fra i Pittori, ove trascorre
La superbia per tutto a gran fracasso.
Ipelle il gran Pittor soleva esporre
Le sue fatiche al pubblico , e nascosto ,
Per emendarle , i detti altrui raccorre.
Jueslo costume adesso usa all' opposto :
Per riportarne solo encomio, e lode,
E da' nostri Pittori un quadro esposto.
fegli applausi ciascun si gonfia, e gode,
Ma se qualche ceusor la sfeiva adopra ,
Di sdegno , e di furor s'infuria , e r> de.
xià Cimabue quando mostrava un' (_).>ra ,
Se alcun lo riprendea , montato va rabbia
Gettava in pezzi il quadro , e sottosopra.
la tutta 1' albagìa non credo eh* abbia
Un fatto più superbo, e più bestiale
Di quel , eh* ora mi viene in sulle labbia.
•coperse il suo Giudizio Universale
Michel Angelo al Papa , e ognun che v' era
Lo celebrava un'Opera immortale.
olo un tal Cavalier con faccia austera ,
E con parole di rigor ripiene
Favellò col Pittore in tal maniera:
)uesto vostro Giudizio espresso è bene ,
Perchè si vedon chiare in questo loco
Della vita d' ognun le parti oscene.
liehel Angiolo mio, non parlo in gioco;
Questo che dipingete è un gran Giudizio,
Ma del giudizio voi n' avete poco.
400 Poesie
Io non vi tasso intorno all' artifizio ,
Ma parlo del cosinole, in cui mi pare,
Che il vostro gran saper si cangi in vizio.
Dovevi pur distinguere, e pensare,
Che dipingevi in Chiesa ; in quanto a me
Sembra una stufa questo vostro Altare.
Sapevi pur che il figlio di Noè ,
Perchè scoperse le vergogne al Padre ,
Tirò T ira di Dio sovra di se.
E voi senza temer Cristo, e la Madre,
Fate che mostrili le vergogne aperte
Infin dei Santi qui V intiere squadre.
Dunque la dove al Gel porgendo offerte
Il Sovrano Pastore i voti scioglie,
S' hanno a veder V oscenità scoperte?
Dove la Terra , e il Ciel lega , e discioglie
li Vicario di Dio ± staranno esposte
E natiche, e cotali , e culi, e coglie?
In udire il Pittor queste proposte ,
Divenuto di rabbia, e rossor nero,
Non potè profferir le sue risposte.
Né potendo di lui l'orgoglio altero
Sfogar il suo furor per altre bande ,
Dipinse nelF Inferno il Cavaliero.
E pur era un errar sì brutto , e grande ,
Che Daniele dipoi fece da Sarto
In quel Giudizio a lavorar mutande.
L'arroganza, e i Pittor nacquero a un parto
Di questi esempi va pieni ogni Cronica ,
E ne vede ogni dì l'Esperò, e l'Arto.
Cleside uscendo dalla Terra Jonica ,
Perchè non ebbe in l^feso accoglienze ,
In braccio a un Pescator pinse Stratonica,
Satiriche. 401
!
li Parrasio si san 1' imperli neuze,
Che dicea che d'Apollo era figliuolo ,
E vantava dal Gel le discendenze.
redea Zeusi , che il Gange e che il Pattolo
Non avessero insieme oro abbastanza
Per potergli pagare un quadro solo.
1 per quest'albagia pose iu usanza
Di donar l'opre sue: così guastava
La liberalità coli' arroganza.
d in tutte le feste , ov' egli andava ,
Tutto d' oro intessuto a letteroni
Il nome suo nel Ferraiol portava.
luco ai miei dì certi Pittor C
Che fanno i Raffaella, e se l'allacciano,
Portan sul Ferraiol cento crocioni.
'er Satrapi dell'arte ognor si spacciano,
Ma la fame alla fé te gli addomestica ,
E co' barbieri a lavorar si cacciano.
| alterigia così fatta domestica
Per la necessità della Panatica ,
Si riducono a dare inGu la mestica,
mitigata T arabizion lunatica,
Perch' han di ciabattin la man e il genio
Di Scarpinelli han conoscenza e pratica
a scorsi i più begli anni , e giunti al senio ;
Fra la prigione e i' ospedal si mirane,
INon ostante il lor fumo e il ior ingenia
9sì per Roma tutto il dì si ammirano
Certi cavalli indomiti e feroci ,
Che dalle gonfie nari it fumo spirano.
atton la terra , e co' nitriti atroci
Sfidando l'aure e le saette al corso,
Della superbia lor spiegaa le voci.
Poesie Satin 26
402 Poesie
Rifiuta il labro altero il freno e il morso ,
E fastosi d'addobbi e di bei fregi
Sdegnali lo sprone al fianco, e l'uom sul dors
Ma con tutto il lor fasto, e tutti i pregi,
In breve tempo vedonsi a Ripelta
Pieni di guidaleschi , e di dispregi.
Quindi cangiata in trotto la cornetta ,
Ed in cavezza il fren , la sella in basto ,
Si riducono in fine alla carretta.
Ma conosco ben io, che sol non basto
Contro i Pittori , e che non ho favella
Per un soggetto così grande e vasto»
La vita lor d' ogni bruttura ancella
Per me faccia palese alle persone
Un* istoria , eh' è vera , e par novella.
Fu nei tempi trascorsi un Bertuccione ,
Che stanco ornai di star legato in piazza ,
Di diventar Pittore ebbe opinione.
Tenia dal ceppo dell' antica razza
Di quel, cui già in Arezzo a Buffalmacco
Fé' quella burla stravagante e pazza.
Or questo un dì di state, allor che stracco
Ciascun dormìa , si sciolse, e di pedina
Alla sua schiavitù diede lo scacco.
Fuggì fin che la sera al dì declina ,
E in una Casa con suo gran diletto
ì*er la ferriata entrò d' una cantina.
Perchè dal finestrone accanto al tetto ,
E dall' altre finestre , o chiuse o rotte ,
Che vi stesse un Pittor fece concetto.
Rè si scostò dal vero; onde in tre botte
Fatta la scala , arrivò sopra , e disse :
Maestro , il Ciei vi dia la buona notte.
Satiriche. 4q3
'arve che sulF orecchio il tuoa ferisse
L' atterrito Pittor , che uà gran portento
Su queir ora stimò che gli apparisse.
e n' avvide la Scimia , e in un momento
Ripigliando il parlare, olà, soggiunse,
Sbandeggiate , Maestro , ogni spavento.
.'amor della vostr' Arte il cuor mi punse,
E col di lei color 1* affetto mio
Un genio ereditario in un congiunse.
,a Pittura imparar da voi desìo ;
E sebben io son bestia, ho tanto ingegno,
Che n' han pochi Pittor quanto n ho io.
t arte dei colorito e del disegno
E pura imitazione, e voi sapete,
Che dell' imitazion la Scimia è segno ,
Inde se coltivare in me vorrete
Questa disposizione , io vi predico ,
Che per me glorioso un dì sarete.
u mio bisavo quel Scimione antico ,
Che con modo sì nobile , e sì saggio
Quell'opra ritoccò di Buonamico.
rgomentate or voi , se gran passaggio
Farà chi sente un triplicato istinto
D' analogìa , di genio , e di lignaggio.
il vostro volto di pallor dipinto
Congetturar mi f a , che il cor vi trema
Per sentirmi parlare in suon distinto,
cacciate lo stupor , cessi la tema ,
Ch' io non son qualche larva a voi nemica ,
Ne, ch'io vi parli , è maraviglia estrema,
ariano il Corvo , il Pappagal , la Pica ,
E noi sappia m parlare quanto un Teologo ,
Ma non parliam , per non durar fatica.
4.04 Poesie
Per saper questo non ci vuol Astrologo :
In quell'Autor, che in Frigia tanto valse *
Troverete di noi più d'un Apologo.
Mi getterò per voi nelT onde salse ;
Basta che m'insegniate , e poi del resto
Vi prometto di far monete false.
Sì disse lo Scimiotto agile, e lesto,
E tanto s'adoprò, che alfin d'accordo
Di Bestia , e di Pittor fece un innesto.
Ai suoi preghi il Pittor non fece il sordo,
Ed all' ii contro l'animale accorto
Di ben servii* si dimostrava ingordo :
Sul principio andò ben , ma in tempo corto
Il Mastro l' insegnar lasciò da canto ,
E strapazzava lo scolare a torto.
Ma quanto era schernito, egli altrettanto
Paziente soffriva , un dì sperando
Di riportar colla costanza il vanto.
Così dieci anni intieri andò penando ;
Ma visto che lograva il tempo in vano ,
Alfin mandò la sofferenza in bando.
E detestando di quell' uomo insano
Le maniere deformi , e 1' alma ingrata ,
Risolvè di lasciar cerve! sì strano.
Onde chiesta licenza una giornata,
Sulla vita di lui vile , e plebea
Gli fece una solenne ripassata.
E possibil maestro , egli dicea ,
Che chi solo ha per norma il bello e'J buone
Abbia un'anima poi sì brulla, e rea?
Non star sospeso no , leco ragiono :
Or raenhe il vizio in le danno, e discern
Tu che cosa sarai, se bestia io sono?
Satiriche. 4<o5
[Vaiaselo il viver tiio senza governo:
Il vestir da guidon scomposto , e sporco
Dimostrando di fuor l'abito interno.
lolla chioma arruffata a guisa d' Orco
Avere un sito , che da lungi ammorba ,
Ed in tutte le cose esser un porco.
!on una faccia accidiosa , e torba
Dormire in un casson pieno di paglia ,
Quasi giusto tu sia Nespola , o Sorba.
1 usar cartone in vece di tovaglia
Sulla tua mensa , in cui giammai satolla
Non vinsi con la fame una battaglia.
*er la pigrizia , eh' hai nella midolla,
Mangiar sempre ova sode, e a un tempo istesso
Cuocere in un paiuol 1' uova , e la colla.
rapasso che da lunge, e che da presso
La casa tua con il fetore annoia
Per tante anatomìe , che tu ci hai messo.
utta apparata ornai d' ossa , e di cuoia
Con tante teste intorno , e tanti quarti
Fa da forca la casa , e tu da boia.
e la mente , e 1' idea solo impregnarti
Da' cadaveri fai , con qual motivo
Credi che possan poi viver i parti ?
chi sarà sì sciocco , e sì corrivo ,
Che voglia ire a comprar nei cimiteri
Quel che non vai , se non somiglia al vivo ?
asso sotto silenzio i mesi intieri ,
Che consumai di State intorno ai forni
A compor olj per trovare i neri ;
he m' hai fatto passar le notti e i giorni
A cavar d' ogni tomba , e d' ogni fossa
Ugne , costole , stinchi , teste e corni ;
406 Poesie
Che più la vita adoperar non posso ,
Che per model servendoti di me,
Tutte le mie giunture hanno soprosso.
Taccio , che alfin per la tua gran mercè
Nulla posso vantar che mi riesca ,
E son dieci anui ormai che sto con te.
E pur questa vitaccia alla turchesca
Degna sol di galera , e di legnami
Voi chiamate una vita Pittoresca ?
Taccio fin qui , ma 1' altre cose infami
Non mi permetton no, che stia più immobile
Ma fan che strilli, e che altamente esclami,
Che per lo geo io tuo pedestre , e ignobile
Io t' ho veduto fare infino all' Oste ,
Stufo cV esercitare arte sì nobile.
Per non vederti correrìa le poste
Di là dal Tile , e chi può star più saldo
All' azioni tue pazze , e scomposte ?
Maraviglia non sia s' io mi riscaldo ,
Perchè di te non fu sotto la Luna
Né più baggiano mai , ne più ribaldo.
Ogni vizio più tetro in te s'aduna ,
Maledico tu sei, matto e bugiardo,
Superbo e giuocator fin dalla cuna.
Ti si legge Y invidia entro lo sguardo ;
Quand' è , che tu non morda , e non abbai
Senza rispetto alcun , senza riguardo ?
Che se pur tu lodasti alcun giammai
Di questi altri Pittori , in quelle cose
Lo celebrasti sol, che tu non fai.
Tentar per mezzo di persone ascose
Di levar tutto il dì Y opre al compagno
Con invenzioni indegne e vergognose:
Satiriche. 407
ja coscenza tener sotto il calcagno ,
Voler presto il danai* , dar l'opra tardi:
Riconoscer per Dio solo il guadagno:
fon aver d'amistà legge o riguardi :
Un trattar peggio assai che contadino :
E eh* io faccia il Pittor ? Dio me ne guardi.
Gabbare il forestiero , e il cittadino ,
E spacciar , quando viene il sempliciotto ,
Lo smalto per azzurro oltramariuo.
'inger 1' uomo dabbene , e 1' incorrotto ,
E la parola poi non osservare :
Vendere un quadro istcsso a sette, o otto:
Fon voler esser visto lavorare ,
JNè insegnarmi già narrai la tua impietate
Qualche facile modo all' operare ;
) con biasmo dell'arte, e tua viltate
Peggio ebe un zappator gire affamato
A lavorare a carne, ed a giornale:
e caparre truffare in ogni lato:
Tu non ti lodi mai, che altrui non sprezzi:
E s' io faccio il Pittor ? che sia frustato.
u P opre altrui 1 itocebi , a grossi prezzi
Le vendf per man tua senza rossore ,
E le tue per man d' altri ognor rappezzi.
ffumicar le tele , ed il colore ;
Empir le Gallerie de' tuoi capricci ,
Ficcandogli per man di grand' Autore.
naltir per di Tizian cento impiastricci :
Irabriacar gì' Inglesi , e gli Alemanni ,
Con il vino non già, ma coi pasticci.
jnder pastocchie , ed esitare inganni :
Non contentarsi mai de' prezzi onesti,
E trattenere un quadro otto o dieci anni .
408 Poesie
Lamentarsi ad ognora, e far protesti,
Cbe il Secolo è corrotto , e che fra i Grandi
Non v' è chi la virtù non prema, e pesti.
Sparlar che soft poltroni, e son uefandi,
Ch' ha a l'animo di pulce, e di formicola,
Che per i vizj sol son memorandi ;
E con adulazion vile e ridicola
Ritrar gli armati poi presso alla gloria,
Che il nome lor con il trombone articola.
E per gonfiarli d'ambizione, e boria,
Rappresentargli come Augusto, e Pirro,
Colle Muse d'intorno, e la Vittoria.
Aver nell'alma il canchero, e lo scirro,
Non mantener la fé p?r quattro soldi :
Oh s'io faccio il Pittor, ch'io faccia il birro,
Conversar con bricconi, e manigoldi,
E radunare il cicaleccio , e il crocchio
Di Gotinelli e d'Arlotti e di Bertoldi.
Mormorare, e gracchiar com^ il ranocchio;
Ed è cotal la tua superbia interna ,
Che nulla rimirar sai con buca occhio.
Andar con quei Fiamminghi alla taverna ,
Che profanando in un la Terra, e l'Etera,
Han trovato un Battesmo alla moderna.
Peggiorar sempre quanto più s'invetera,
Far di ragazzi , e femmine un serraglio
Per farlo stare al naturale, e cetera.
S' io fo il Pittor , che mi sia dato un taglio
Sopra il mostaccio; se mai più ci torno,
Mi sia battuto sulla testa un maglio.
Prima ch'esser Pittor, sia fitto in forno,
Prima ch'esser Pittor, il cui m'impegoli,
Prima ch'esser Pittor, m'impali un corno.
Satiriche, 409
Così diss' egli , e sii per certi regoli
Ver la finestra a rampicar si ines*e ,
Sfondò la carta , e si salvò su i tegoli.
Sì disse il Bertuccione: e il Ciel volesse,
Che lo stil de' Pittori empio , ed atroce
Le bestie solo ad esclamar muovesse.
Chi può soffrir, chi può tener la voce,
Mentre si vede che il peunello osceno
Quanto diletta più, tanto più nuoce?
Di lascive pitture il mondo è pieno,
E per le vie degli occhi il cuor tradito
Dal nefando color beve il veleno.
à.ltro ne' quadri non si mostra a dito ,
Che le lussurie de' fallaci Dei ,
Perchè l'uomo a peccar si faccia ardito.
La libidin per tutto alza i trofei,
E riempiendo va più d'un Tiberio
Di sfacciate pitture i Genesei .
Non è più sol d' Orazio il desiderio ,
Che in più modi dipinte ove si dorme
Le attitudin volea del vituperio.
Le positure oscene in varie forme
Scolpì Giulio Romano, e l'empie immagini
Espose in versi un Poetacelo enorme.
Così disonestade ha le propagini
Sotto la terra de' color ruffiani ;
Eppur non s' apre il suol tutto in voragini !
GÌ' impudichi Caracci , e i Tiziani
Con figure da chiassi han profanati
I palazzi de' Principi Cristiani.
Sol di femmine iguude i Re fregiati
Hanno i lor Gabinetti , e quindi nasce ,
Che divengono anch' essi effeminati.
410 P o e s i a
Delle Vergini ognor 1' occhio sì pasce
Tra Veneri , Saimaci , e Bersabee ;
Qaal maraviglia è poi , che sian bagasce?
Fuor che Giacinti , Satiri e Napee ,
Per i musei moderni altro non vedi ,
E Psichi , e Lede , e Danai , e Galatee.
Mirre , Europe, Diane , e Ganimedi ,
E le Pasife adultere , e bestiali ,
Son delle Gallerie pregiati arredi.
Le pompe di Cottilo, e de' Florali
Degl' Itifalli i riti , e dei Luperci ,
E le feste Vinarie , e i Baccanali.
0 Padri, o Madri ammaliati, e guerci,
La vostra vigilanza ov' è rimasa ,
Che comprate ogui dì quadri sì lerci?
Ciascun di voi la provvidenza annasa;
Ma che vi giova custodir la soglia ,
Se corrompon le tele i figli in casa?
Queste pitture ignude , e senza spoglia
Son libri di lascivia ; hanno i pennelli
Semi , da cui disonestà germoglia.
L'uva antica di Zeusi a voi favelli,
E vi dimostri senz' alcun velame,
Se le pitture san tirar gli uccelli.
Di Parrasio tornò Io stile infame ,
E chiaraan le fischiate, e la berlina
Egualmente le te^e, il legno, e il rame*
Questi ritrae la Druda, e tanto inclina
A dimostrarsi imputtanito affatto ,
Che fa il suo nome in seno alla sgualdrina.
Quel della moglie sua forma il ritratto,
E le di lei bellezze orna , ed addobba :
Così due mercanzie spaccia ad un tratto.
Satiriche, 41 1
Ihe se il quadro non è da Guardaroba,
Alraen palesa , che per farsi amici ,
Se non ha buon pennel, ha buona roba.
)h questi può vantar gli Astri felici :
Che spesso per ornare un quadro solo ,
Fabbricate a lui son cento cornici.
'oich'è ben noto allo scaltrito stuolo,
Che chi la copia fuor d'esporre ha in uso,
Vuol dir, che dà l'originale a nolo.
Ha del ritrarre il vaneggiar diffuso
Qui non finisce no, peggio s'impiega
La sacrilega industria, e l'empio abuso.
Ihe nelle Chiese, ove s'adora, e prega,
Delle Donne si fanno i ritrattini,
E la Magion di Dio divien bottega,
ella fé, del timor rotti i confini,
In faccia a Dio fomentano i colori
Gli adulterj, e gli stupri agli Zerbini.
Jignor, se chi vendea giovenchi, o tori,
Dal Tempio vilipeso, e profanato
Colle frustate già cacciasti fuori ;
)eh torna in terra col flagello usato,
Che per man de' Pittori entro le Chiese
Delle vacche ogni dì fassi il mercato.
I tu non sol dissimuli l'offese,
Ma comporti , che sian di questi porci
Sull'are tue le frenesie sospese?
quelle il guardo tuo rivolgi, e torci,
E mira quali entro le sacre Istorie
Fan fare ai Santi e positure, e scorci,
)unque de' Giusti tuoi l'eccelse glorie
Vedrai sprezzar , né manderai burrasche
A tor via de' Pittor l'empie memorie ì
j
4i3 Poesie
Non son questi, Signor, scherzi da frasche,
Ma falli da punir con gravi angosce,
I Santi incoronar di Tinche, e Lasche.
Per vantarsi più d'un che ben conosce
Di lutto il corpo le minuzie e i bruscoli,
Fa mostrar alle Sante e poppe, e cosce.
E per farsi tener fra i più majuscoli,
Spogliando i Santi vuol mostrar, che intendi
I propri siti, ed il rigar de' muscoli.
Le attitudini sì, che son tremende!
Qual fa corvette, qual galoppa, o traina
Con cento smorfie , o torciture orrende.
Ne qui l'enorme ardir le vele ammaina
Nello scherzar coi Divi , e non gli basta ,
Che faccian la Lucìa con la sfessaiua.
Più talvolta non v' è che almen sia casta;
Che per i Tempj la pittura insana
La Religion col puttanesmo impasta.
0 quanti Arrelli in quest' età profana
Di Numi in cambio nelle sacre tele
Dipingono il bardassa, e la puttana!
Onde tradito poi lo stuol fedele
Con scellerata, e folle idolatria
Porge i voti all'Inferno, e le querele.
Che d'un Angelo io vece e di Maria ,
D'Ati il volto s'adora, e di Medusa,
L'effigie d'un Batillo, o d' un'Arpia.
Sbaglio questo non è degno di scusa ;
Che d' una Taide prostituta , e nota
La sfacciata sembianza il chiasso accusa.
E sempre a qualchedun rimane ignota;
Con che scandalo poi resta atterrita
Da quei volti impudichi Alma divota!
Satiriche. 4i3
L'error del saggio Ebreo ciascuno addita,
E con alto rossor narran Je stampe ,
Che la Druda incensò lo Stagirila.
Ma sparso adesso in odorose vampe
A onor de' lupanari arde l'incenso
Ne' turriboli nostri , e nelle lampe.
Come al peccar si negherà l'assenso,
S'entro ai lini sacrati anco s'apprendono
Allettamenti di lussuria al senso?
Quindi in saggi divieti a noi discendono
De' Pontefici accorti i santi Oracoli,
Che a questi quadri il celebrar sospendono.
Quindi è , che sol ne' prischi Tabernacoli
Dalla pietà di Dio grazie s'aspettano,
E in questi d'oggidì non fa miracoli .
Quindi è, che quanti tuuni in giù s'affrettano
Sopra gli altari, e sulle Chiese a gara
Le giuste fiamme lor tutte saettano.
0 Pittori, o Pittori, il Ciel prepara
Forse al vostro fallir le pene ultrici,
E la tardanza ad aggravarle impara.
Da voi di zelo , e di pietà mendici ,
Ne' dì festivi a lavorar s' indugia»
E si lascian le Messe , e i sagri Officj .
lo non so come il suol non vi trangugia ,
Mentre in quel ch'alia Fé s'aspetta, e all'Alma,
Imitato è da voi quel di Perugia.
Voi della Religion la bella calma
Ajutate a turbare , e l'eresie
In gran parte da voi vantan la palma.
Le cose , che faceste inique , e rie
Taccio incise nei rami, e coi colori,
Per non inorridir l'anime pie.
4*4 Poesie
Troppo evidenti sono i vostri errori»
10 più di voi qui favellar non oso,
Delle scuole infernal muti oratori.
Meglio è che faccia punto, e dia riposo
All' animo agitato , e so che suole
11 mestier d'Aristarco essere esoso.
Chi delle colpe altrui troppo si duole,
Poco pensa alle sue, ma so ben auco ,
Che immagine del cuor son le parole.
Scrissi i sensi d'un cuor sincero e bianco ,
Che se in vaghezza poi manca lo stile,
Nel zelo almeno, e nell' amor non manco.
Sia pur lo stile mio sublime , o vile ,
A color che sferzai so che non gusta;
Sempre i palati amareggiò la bile.
Corra la vena mia frale, o robusta,
Nulla curo l'oblio : sospendo il braccio
Dalla penna egualmente , e dalla frusta.
Il voler censurare è un grand' impaccio;
No, no, per l'avvenir meglio è ch'io finga:
Musica, Poesia, Pittura, io taccio.
Gli abusi un altro a criticar si accinga,
Per me da questa peste alzo le mani :
Caati ognun ciò che vuol, scriva o dipinga
Ch'io non vo' dirizzar le gambe ai cani.
4i5
SATIRA
DI SETTANO.
JLj sei pur desso quel che ora i' vedo ,
Or] una falsa immagine m'inganna?
Dammi la man, che appena agli occhi io credo.
Deh sbandisci il timor , che sì t* affanna ,
O Ligurino , e frena ornai la doglia ,
Ch' i tuoi be' lumi a lagrimar condanna.
Io son Settano, a cui la fragil spoglia
Tolse già morte acerba , e pur ritorno
Del gran Tarpéo a calpestar la soglia.
A chi porta di lauro il crine adorno
Perdona il fato , e le spietate Suore
Raddoppian nuove lane al fuso intorno.
Ma tu di averno il tenebroso orrore
Come scampasti , e de' sulfurei fiumi ♦
£ delle crude Eumeni di il furore ?
416 * Poesie
Sa parla presto , e di' ; quali i costumi
Sou dell' Inferno , e di che gente mai
E pien? Quando mi chiuse a forza i lumi
Eterna notte , nudo spirto entrai
In oscuro sentier per calli angusti ,
E alla riva d' un fiume alfin posai :
Quivi lacere membra, e tronchi busti
Stavan confusi in su la terra nuda,
E trofei del valor de' brandi Augusti;
Vidi giacer più d' una salma ignuda
Con ferite ♦ di cui men grandi ancora
Bastato avrian per una morte cruda.
Delle stragi l'autor domando , e allora
Sento all'orecchie mie giunger più d'una
Yoce immortai , che il Veterani cuoia :
Quel duce invitto, eh' all' Odrisia Luna
Fiaccò le corna , e con le sue sventure
Dell'Austria stabili V alta fortuna.
Ma il canuto Nocchiero alme sì impure
Prendi r non volle entro il fatai naviglio,
Per tragittarle alle paludi oscure.
Io che tutto tremante , e fisso il ciglio
Tenea , ne di chiamar per il timore
Il uero barcarol prendea consiglio;
Sentiva intanto dallo stagno fuore ,
Mentre dallo spavento era di ghiaccio,
Le narici ferirmi un tristo odore ;
Come quel , ohe dà al naso un grande impaccio
Quando qualche sgualdrina a piana terra
Brugia roso da cimici il pagliaccio ;
Ma il fumo, che al respiro il varco serra ,
Tossir mi fece , e disse il vecchio : olà ,
Chi sei? che vuoi da i regni di sotterra?
Satiriche, 417
on io , risposi , che da gran città
Vengo dell'altro inondo , e son Settano :
Settano ? il gran Settano! entra pur qua.
fon mai di sì bel peso , e più sovrano
Fu carco il legno mio ; sino all' Inferno
Giunsero i carmi tuoi dal ciel Romano.
Jma di te maggior 1* onda d* Avtrno
Uncrua varcò , poiché Lucilio mio
Alle spiagge approdò del pianto eterno.
lolcava gii di Flegetonte il rio
La sdrucii barchetta , e udissi intanto
Di sospiri e }[ prieghi un mormorio.
*endtan dall' aitt rupi in fosco ammanto
Mille di gelid' ornare orride schiere
Con mani alzate , e aq le luci il pianto*
osi di strada Giulia alle severe
Carceri condannato dal destino
Un debitor per le ferrate nere
?ien sospeso alla canna il cappellino %
E domanda pietoso a ognun che passa
Con flebil voce un misero quattrino.
la noi , che disprezziam gente sì bassa ,
Facciam le fiche alla canaglia rea ,
E il sordo marinar voga, e trapassa.
>oichè il vecchio Caronte mi dicea ,
E magra , e smunta , e senza veste intorna
Quella , che miri là , folta semblea ,
ettan , son quei, che il simulacro adorno
Dell' oro in vita ad incensar si diero
Con isfrenato ardir del Cielo a scorno.
da di Goto poiché taglio severo
Troncò gli stami lor , la borsa piena
Del giudice non vince il genio altero,
Poesie Satin 27
4i8 t o E 8 I 2
Ivi di freddo eterno orrida pena
Soffrono , ed hanno per saziar la faine
Una minestra di poJenda appena.
3Nc giova il posseder vasto reame,
(J un ricco erario pien d' oro e d* argento
Ne più non serve per l'ingorde brame.
Ancor che un lasciasse in testamento
L'intiera credila, come oggi s'usa,
A qualche Juogo pio che muor di stento ;
L' esecranda pietà vuol Dio confusa ,
E tutti i patrimonj in conclusione.
Che puzzano d'usura, il Ciel ricusa;
Benché il buon Confessor cou ? opinione
Probabile convince 1' intelJ*£l° »
E non isteuta a dar 1' «soluzione.
Oh quanto l'interesse maladetto
V'inganna, avari ì i Tempj sontuosi,
Che fabbricate voi di marmo eletto ,
Stillano ancor di sangue , e rugiadosi
Son di pianto innocente, che versaro
Da sinjunte vene, ed occhi lacrimosi
I pupilli , e le vedove , e non raro
Avvien perciò, che fulminare il ciglio
De5 suoi delubri al gran tonante è caro.
Deh con più saggio e provido consiglio
Gli altari ergete a lui nel vostro cuore,
Se volete , che mai ne prenda esiglio.
Di Stige intanto il pai idoso umore
Mancava a poco a poco , e cu»i vicino
Lido un vento spirò , qua! nell* ardore
Del fervido leon su 1' Esquilino
Placido sofQa ; allor senza d
Stanco mi pose a terra, e il curvo pino
Satiriche. 4ig
ohe altrove il nocchier ; ma pria , ristora ,
Mi disse, il cuor per queste piagge amene,
Ove il riso innocente unqua scolora
tra nube di duol , ma ogoor serene
Godonsi l'ore, e lieto stuol beato
Le danze alterna in su fiorite scene.
> mentre vo pel colle , e il verde prato
Movendo il pie , veggo a sinistra mano
Democrito , Epicuro , e seco a lato
juello, che visto fu bever pian piano
Il velen con intrepido sembiante ,
Come vino di Creta , o di Genzano :
Platone, e Pittagora , che innante
Non vuol le fave , e Diogene austero ,
Senofonte , Zenoue , e '1 gran Cleante.
utti insieme gridar: dal vostro impero,
Bandite pure , o cittadin , X ignaro
Empio blittrista odioso al mondo intiero ;
è permettete , o Dio , che un vii somaro
Venga a turbar la pace , e i troppo grati
Studj , e questo silenzio a noi sì caro,
non sol di parole , e gesti armati ,
Ma si provaron di venirmi addosso
Per minacciarmi co' baston nodati ;
ode da gente tal , che a più non posso
Facea da bravo , e chi sarebbe uscito
Senza aver rotto della testa ogn' osso ?
a nella mischia valoroso , e ardilo
Arvèo si pose , e fece nel mio cuore
Il coraggio tornar, ch'era smarrito;
)sto Baile , Borello in mio favore ,
Leonardo Capuano , e '1 Galileo ,
E '1 gran Cornelio corsero al rumore.
42© P O E g T K
Mille altri ancor, fra' quai nobil trofeo
Il Malpìghi, e cal(T ombra ancor di morte,
Che varcò non è guari il ìio Leteo;
Di nuovo, disse, alle tartaree porte,
Sellau , che rechi mai dal Ciel Romano :
L'amiche Muse tue son vive, o morte?
Roma è lieta , risposi , che il Sovrano
Prence non sente dell' età senile
I danni ancora; anzi robusto, e sano
1/ incendio unqua provò d'ardor febrile,
E filando al vigor degli anni il peso,
Ha i serviziali , e le vostr' erbe a vile.
Arse a tai detti allor di sdegno acceso,
E l'uovo rotto, come alla berlina,
Mi die sul muso, e ne restai sorpreso;
L'uovo che pria del cui d'una gallina
Tratto avea caldo caldo per vedere,
Come nasce il pollastro, e la pulcina.
Ed ecco Tullio il saggio di maniere
Gravi in atto feroce, e disdegnoso
Con viso brusco alzarsi da sedere,
E da lungi mostrarmi un curioso
Libro, che a sorte nelle man tenea
INuovo di zecca, e dì lettor bramoso;
Cazzo, chi è questo Bion, dicea ,
Che mutatosi nome or Gian s'appella ,
E d'esser pari a noi ha nell'idea?
Che con volto superbo , e voce fella
Tenta maligno di scemare il vanto
D'Omero ai carmi, e l'opera sì bella
Condanna ardito del cantor di Manto?
Poi tre carte racchiude, e sette titoli
la un sol libro, ov'ei distese intanto
Satiriche. 421
Di sua sciocca pazzia mille capitoli,
Ch' io non so come sia sì facilmente
Tanto di frenesìa dal capo uscitoli.
Grand' opra invero ad o«tcurar possente
Dell' oralor d'Arpino il pregio eterno;
Tu cui espresso con eccelsa mente
Del secolo d'Augusto io ben discerno
Il dolce stil che da gran penna uscio:
Se io ne' Campi Elìcj & neìV Inferno
Sceso non fossi, giurerei per Dio,
Cotanto ha ben gli antichi sensi espresso,
Ch' egli fosse vissuto a tempo mio.
Se cancella il millesimo, eh' e impresso,
Si vedrà ch'il mio stile prò Milone,
Con quello di Bion sembra l'istesso;
Anzi per fare alla virtù ragione ,
Egli le mie carriere ha trapassate:
Se ciò dunque fia vero , è pur coglione
Chi seguita ad ogn' or le mie pedate :
Pazzi son Giovio, Bembo e Sadolelo,
Gli Scaligeri pazzi da sassate
Con il detto Budéo; perciò sta' cheto ,
Settan , che contro quei non sol si prese
Questo Greco bastardo il suo faceto
Libro a stampar, ma temerario iutese
Di sprezzare anche noi, e alla Romana
Lingua ardisce antepor la Calabrese.
Ma che dirò, se trae con voce strana
Dalla gola parole con gli uncini,
Come i moni fanciulli la mammana?
0 quando cauta i versi a bocconcini,
Che con le labbra sue sempre bavose,
Par che biasci la pappa a' ragazzini ;
422 P O I S I E
Ed ha concetto poi di dir gran cose,
O cento volte matto da catena ,
Che i broccoli confonde con le rose.
Anch' io , se dagli Elisj alla serena
Àura vital tornassi, e nuovamente
Potessi i rostri risalir , la vena
Muterei del parlare immantinente ,
E Cicerone senza tanti affanni
Tullio correggerebbe apertamente.
Tutto si cangia col girar degli auni,
E le colonne ancor di saldo bronzo
Provati senza pietà del tempo i danni.
Forse ti pensi tu naso da stronzo ,
Che duri sempre un modo di parlare ?
Non è così ; se '1 credi , oh sei pur gonzo !
Deve il saggio orator sempre adattare
Ai tempi, al genio il dire, ed alle norme
Del giovami pensiero, e non cavare
Dalle memorie rancide le forme
Degli antichi sermoni , e senza sale
Dentro i sepolcri risvegliar chi dorme.
Neil' arte del ben dir quello prevale ,
E del gallico Alcide è più felice,
Che a dominar gli umani affetti vale.
Leccar lo sterco d'Ennio ah che disdice
A latiuo orator; sia gloria vana
Ciò d'un pedante sciocco, ed infelice.
Ma tu, se a respirar l'aura sovrana
Vai di nuovo, d'aceto e sai lo storto
Cervello spargi, e quella zucca insana;
SrJcr'fìoio maggior per mio conforto
Off» ir non puoi, bench'io cader vedessi
Antonio di tua mai] trafitto, e morto.
Satiri€iib. 428
Io tanto da te spero, a cui concessi
Fur da Apollo virtude, ingegno, ed arte.
Perchè felice poi Untar potessi
Ogn' ardua impresa; ma correi pregarte »
Anzi il comando, che le greche Fole,
Come ben cominciasti , in su le carte
Sferzi con maggior Iena. 11 Greco suole
Cantar le strane favole ai ragazzi ,
E a distinguer le lucciole dal Sole
Ai semplici insegnar; siete ben pazzi
Roma a beffar: merlate, attiche genti,
Voi dalla plebe vile onte, e strapazzi.
Sì disse; ed io, poiché frenò gli accenti,
Mentre ver la grand' ombra affretto il passe
Per darle e baci, e cari abbracciamenti p
Si sciolse in fumo, ed io restai di sasso;
Timido poscia in su la strada ombrosa
Con tardo piede oltre m'avanzo, e passo.
Ed ecco da lontan turba festosa ,
Cui circondava il ci in serto d'alloro,
Lieta insieme intrecciar danza amorosa
Con cetre eburne in mano, e plettri doro:
Più da presso m'accosto, che quei segni
Ben a veder mi davan che costoro
Eran gente a Dio cara , ed io li di-gni
Antichi amici di veder bramavo ;
Gran gusto i' n'ebbi, o Ligurino; i sdegni
Or lodava Nason d'Orlando il bravo,
Or di quei fonti il gran Virgilio amante
Torquato per le man condur miravo;
E quivi intanto infra l'ombrose piante
Le lagrime d' Erminia, e '1 caso strano
Godea d'udir per quelle selve errante.
424 P O X 0 I E
Ma dì sangue civil tìnto Lucano,
Ivi poc'anzi era Tenuto al fonte,
E col vago Catullo anco il Pontano;
E il buon Petrarca, a cui la nobil fronte
Cinger di sacro allor fu dato in sorte;
Egli di sì bei fior le rare e conte
Spoglie di Laura ricopria , che morte
Bella parca, e il dolce canto unìa
L'ira a placar della tartarea corte:
Folto stuol , che dall' Arno ancor venia,
Formava a lui bella corona intorno,
E i versi suoi per imitarli udìa.
Cert' altre facce poi , che ingiuria , e scorno
Fanno alle Muse, e avean per gran favore
Di sparagi, e cicerchie il crine adorno;
Questi a caccia di mosche a tutte l'ore
Givan perduti, e nella terra smossa
Prendean de' campi i grilli or dentro, or fuore.
Mentre caccio la testa in ogni fossa
Per veder tutto , io sento Giovenale,
Che da lungi mi chiama a tutta possa.
Amico, egli mi dice, se il mortale
Caduco vel già deponesti, e vieni
Questo d'ombre a bear regno immortale;
Qui menerai felice i dì sereni,
E proverai quanto grande sia
II reciproco amor de' nostri geni ;
Anzi oltre ancora alla persona mia
Perseo, Orazio, e Marziale avran per gloria
Di ritrovarsi teco in compagnia*
Se poi di Filodemo la memoria
Ti punge il core, e vuoi lornar dov'eri
Per proseguire la famosa istoria^
Satiriche. 425
Va' pure ardito, e con i spirti alteri
Passeggia tutta Roma impunemente,
E di bella virtù calca i sentieri.
Tu solo al vizio puoi guerra posseute
Far co' tuoi carmi, e già l'invidia freme,
E alla cote dell' ira arruola il dente.
Discuopri il volto , e il vero nome insieme;
La causa ti difei.de, e la virtude,
Che in così giusto Impero onta non teme.
Roma, a torto ti lagni, e se dischiude
Il satirico labbro il gran Settano,
Molto gli devi; in su la nera incude
Se gli strali talor temprò Vulcano
Gli errori a saettar, fu pur gran sorte
De' tuoi scrittori, o Popolo Romano.
Peccò, tu '1 sai, di Claudio la consorte,
Ma sferzata da noi l'esempio diede
Di tener chiuse d'onestà le porte
Alle donne latine, e la lor fede
Al marito serbar: ma su '1 mostaccio
Calata la visiera, o degno erede
Dell' estro mio, con nerboruto braccio
Vorrei pur che prendessi i bruiti modi ,
E i costumi a sferzar del popolaccio.
Canta poi Burro, e al libro suo da' lodi;
DlÌ geloso marito i due rettori,
Della Mancina il matrimonio, e godi;
D'un bacchettone i scrupolosi amorì,
Che alla camicia ha fatto un buco apposta
Per cui s' affaccia alla finestra fuori
L'innocente cotale, e non accosta;
Di Nasica le rane poetesse,
E degli uccelli la favella ascosta.
426 P O E 8 I 15
Con queste sol coglionerie si tesse
Un intiero volume, e tu n'avrai
Per la tua penna un' abbondante messe.
Se satiro perfetto esser vorrai ,
Poni all' amaro la dolcezza unita ,
E Orazio per maestro aver dovrai .
Così dice, e mi sforza a far partita,
Bendi' io d'udirlo mai non mi stancassi ,
E la strada m' insegna con le dita :
Ma per quei calli tenebrosi, e bassi
Mentre or spedito , or lento il pie raggiro ,
Un' incognita via tradisce i passi.
Ecco d'eterna notte un luogo io miro,
Cui la serie de' fatti e nuda, e pura
Fa corona nell'orrido ritiro.
Filan tre brutte vecchie la testura
Di nostra etade, e i stami lor sottili
Torco n su '1 fuse con saliva impura.
Allor sott' occhio degl'ignoti, e vili
Poi eh* io vidi le tele più volgari,
Cercai de' regi i preziosi fili ;
I bei fili di porpora sì chiari,
Che di linfe odorose , e vaghi fiori
Sparsi crescono ognor più eccelsi e rari.
Uno stame fra questi , che i colori
Dell'oro avea , cinto di rose intorno
Bianche qual neve io vidi , e mille odori
Spargea per l'aura, e l'orrido soggiorno,
Cui veste sempre di dens' ombre il manto,
Con la luce vincea del più bel giorno.
A lavoro sì bel del Tèoro intanto
Il genio assiste, e di piegare in atto
Cerca placar le sord<? Dee col pianto;
Satiriche. 427
Poìcbè da quel gran fil dipende in fatto
La fortuna d'Italia , e Ja salute ,
Ed i voti del mondo ornai disfatto.
A.Jlor con sovrumana alta virtute
Sciolsi la voce, e dissi: ordite pure
La gran tela immortai, suore canute,
Zoì guardo attento , e con le man sicure,
E nuove lane somministri ogn' ora
Propizio il fato, sempre bianche e pure,
Finché per mille, e mille lustri ancora
Da voi si vuoti , e si riempia il fuso,
E Roma invecchi col pastor, che adora.
)opo eh' ebbi sì detto, al fin qua suso
Venni per picciol foro , che mirai
Con dubbia luce timido,, e confuso;
l in te, mio Ligurino, m'incontrai,
Che l'esequie a Settano preparasti
Con pianto amaro, e dolorosi lai.
la io lieto ti dissi , amico , errasti ,
Le lagrime asciugar non ti rincreschi ,
Eccomi vivo e verde, e tanto basti.
ilolte cose da te che al fondo peschi
Mi resta da saper: dimmi, che fanno
Giù nell'Inferno i nostri Romaneschi?
liacchè mi persuado, e fuor d'inganno,
Che tu il naso cacciato avrai per tutto ,
Per veder di quel luogo ogni malanno,
-he fan color nella m&gion del lutto?
Allenta pur la fibbia del calzone
Per crepar delle risa , e senti il tutto.
Home a Sisifo il sasso, e ad Issione
La ruota consegnò , perchè sovente
Senza pietà gli girino, Plutone;
4^3 Poesie
Così a costoro il Diavolo prudente
Di strigliare i cavalli ha dalo in pena,
E di batter la frusta eternamente;
Chi fra di lor con più perizia mena
La birozza correndo, e da gradasso
Esclama, ohe, con maggior forza e Iena,
Sarà primo cocchier di Satanasso,
Pe' campi di Sicilia scarrozzare
Se a caso egli volesse a sciolto passo,
E con furto novello riparare
I dauni del suo letto. A gran ragione
Questo solo da lor si può sperare ,
Perchè Bruto, Cammil, Fabio, Catone
Gli chiamano bastardi, e Cavalieri
Di star con quei di Sutri in paragoue.
E in ver non merta de i Roman primieri
Discendente chiamarsi, ed immortale
Successor dei gran Nume de' guerrieri,
Chi dal fodero il ferro virginale
Unqua non trasse , anzi lo tien legato ,
Perchè fuori non esca a far del male.
O gran porci ! o poltron ! dal vostro lato
Sciogliete pur la spada vii , che rea
Non fu convinta mai d'alcun peccato;
E la conocchia poi di Monnamea
Adattatevi al fianco. Oggi al bordello
La gioventù Romana si ricrea
Al gioco di tre setie; ivi il più bello
Si passa dell' età le notti intiere,
E in scalessar per questo chiasso e quello.
Ma di tali sporchissime maniere
Piacesse al Cielo che conlenta fosse,
Perchè resta anco peggio da vedere.
Satiriche. 429
Quel vizio radicato infici nelP osse
[V aver 1' odio nel cuore , il riso in bocca
Fa eh' io non possa star saldo alle mosse.
Con quel finto parlare che trabocca
Dal labbro adulatore, e a tutto pasto
Gabbar 1* amico, ed a chi tocca tocca:
piò vd servi ossequiar con fasto f
Lodar gli schiavi, e le più sozze ancelle,
Salutar tulli gli asini da basto.
Ma che ? se a oueste , e nobili donzelle
Ordiste non è guari , o gente ingrata ,
Mille per ingannar fraudi rubelle ?
Troppo , oh Dio , lo dimostra alla giornata
Il vel nuzial, r anello di costoro,
E la fede alla sposa non serbata.
Ahi , eh* in pensarlo sol tanto m'accoro,
Che al ginocchio m' arrivano i coglioni:
Se non basta a legar un cerchio d'oro
Quel che fa d'Imeneo le promissioni ,
Voi fa bri , in avvenir presto inchiodate
Con catena di ferro i matrimoni.
Che giova il raccontar, che hau scialacquate
Le pingui eredità del lusso i fregi
Con le statue di marmo consagrate
Per eterna memoria agli avi egregi?
Non sol ville , e poderi a voi su gli occhi
Si vendono all' incanto (oh Dio, che sfregi!)
Ma fin T ombrella , ed il e usci n co1 fiocchi
Spesso al lume veggiam de' candelini
Pagar le frenesie de' vostri stocchi.
E delle vesti tue , de* tuoi più fini
Bissi , o signore , che portavi addosso
Si fan brache, fodrette , e berrettini;
43o Poesie
Se il guercio Ebreo, che non ha panni indosso,
E d'esser preferito ha l'ambizione,
Cresce solo all'offerta un mezzo grosso.
E che non cangia il fato , o la stagione
Con istrane vicende! E giunto a un'ora
Del mondo il mal, che muove a compassione»
Prima l'aratro suo poslo in buon'ora,
Stringeva i fasci il Console Romano
L'Impero a governar senza dimora;
Or da Prence che fu , riede villano ,
E la spada real messa io non cale ,
Torna la vanga ad incallir la mano.
Se vede il poverin che metton l'ale
Troppo contro sua voglia i mesi e gli anni,
E che il frutto consuma il capitale ;
Allora oh che gran caldo , oh quanti affanni ,
Che . rumor di carrozze ! e camminare
Non si può , che la polve imbratta i panni.
Quindi si sta con gusto a villeggiare ,
Piace la parca mensa , e i servitori
Si fanno in questo mentre licenziare.
Allor lascian le crapule , e gli amori ,
E i tempi laudati di Caton. Ma quali
Cene farian , se i bruiti creditori
Se n' andasse r neh" Indie , o a tanti mali
Crescesse loro la moneta in cassa ,
Per non girne a morir su gli ospedali!
E pure , oh grande ambizion che passa
Ogni confine , e gli occhi netti e puri
Dal fumo di superbia a noi non lassa !
In Roma niun vedrai , se bene oscuri
Trasse i natali , che la mano avara
Stender ai primi doni non procuri;
Satiriche. 401
cìnto il cria della maggior Tiara
3Non pretenda vederci , indi ogni stella
Si consulta nel ciel , perchè la cara
felicità riveli. Orsù la bella
Tua genitura al tron di Giove esclude
Ogi ii Juce malefica , e rubella :
il se il desìo la speme non delude,
Ti daran per Ja testa del bealo ,
E le ciglia volgendo altiere e crude ,
\a '1 seggio maestoso ricamato
Fra le turbe sarai, che applauso fanno,
Da quattro é quattro tuoi scudier portato.
er te, Signore, alle finestre ogn' anno
Si faranno i lumiui con gran festa ,
E le putride botti brugieranno.
) poveretti voi , a cui la testa
Mai non sta salda , e gira come ruota
D'un calesse di Roma il dì di festa ,
ìite pure a veder la tanto nota
Sciocca superbia di Particulone ,
Che senza fare a voi spendere un jota,
ara presto vedervi quel coglione,
Che iu mirar quelle porpore , e poi queste ,
La vista gli fa perder V ambizione.
avvero a udir le frottole moleste
Di Ghitto Marchigian , che iu Quirinale
Entra con scarpe lorde , e sporca veste ,
leso oggetto di riso alla Papale
Anticamera tutta, e pur pretende
Di meritar la Mitra , e '1 Pastorale.
e fra' magnati alcuno il giusto intende,
A te; Ghitto , daran da governare
Più tosto le galliue , che ti rende
432 Poesie
IMaculone obbedienti in sol mostrare
Lor la verga , onde van per Roma in volta
Come le pecorelle. Ah di stancare
1 sediJi vergognati una volta ,
E il sagro liminar , cui sentinella
Fa T Elvetica guardia, e stretta, e folta.
Forse non sai , che più d' una scodella
Umida ancor di brodo emiliano
Vuol , che la barba tua polita e bella
Venga a leccarla ? A che rammenti in vano
Le domestiche guerre , e quasi in scena
Travestito conduci il Prete Ispano?
Vi sono ancor più pazzi da catena ,
Che poi che i stami lungamente orditi
Troncò la Parca di lor vita appena ,
Voglio n d' un sacco ruvido vestiti ,
E di grosso cordone il fianco cinto ,
Passar dal mondo di Caronte ai liti ;
Quasi che possa mansueto , e vinto
Render V Inferno un abito da Frate
Postumo , che si mette ad un estinto.
Ipocritoni , oh quanto v' ingannate
Fra mense , e letti , e nabatei profumi
Se vita dissolula voi menate ,
E poi credete di placare i Numi
Con queste metamorfosi innocenti ?
Sgombrate pure della testa i fumi :
Della vita mortai dopo gli eventi
Spera invan di trovare e questo, e quello
A casa calda i monaci , e i conventi ;
Ivi non sta alla porta il fraticello ,
Che tien V orecchie tese ad ascoltare
Ogni volta che suona il campanello :
Satiriche. 433
le vaii l'alme la cella ad abitare,
Ma di liquido solto ampia fiumana;
E laghi ancor di fuoco han da passare,
ja morte è specchio della vita umana ,
Se vivo un uomo fu alla gola inteso,
Morto affettar digiuni è gloria vana:
allora allora che più bolle acceso
Il sangue nelle vene, e guidi unita
La bella coppia de i destrier, già reso
diriga di te stesso ; allor che ardita
Vibri la face nel mirar , ne passi
Dalle finestre mai senza ferita;
Jlor ti dei ne' perigliosi passi
Deir ore estreme provveder d'ajuto,
Che ti sostenga, ne perir ti lassi.
' infelice nocchier , che destituto
Si trova a nuoto senza scorta e duce
In mezzo al mar col segno suo perduto,
1 vano alla memoria si riduce
La dotta carta, che alle note insegna
I bei lumi di Castore, e Polluce,
è men di riso , e vituperio degna
A me pare talor la gran pazzia ,
Ch' al giorno d'oggi in questo mondo regna;
luel di titoli far lunga omelìa
Sovra i sepolcri, e imbalsamare i morti
Mi sembra pur la gran coglioneria,
io sol profuma il naso a i beccamorti ,
E ingrassa bene i sorci , e le tignuole ,
Ma all'alma non darà pace e contorti:
lui sepolto è un dottore % che alle scuole
Dell' una e l'altra legge fu diletto ;
Fé' quest' urna l'erede > e ancor si duole*
Poesie SaCir. s.R
434 Poesie
Citiso quivi giace il giovinetto,
Cbe sciolse d'undici anni il volo all'etra,
Pria di delizie, ed or di duolo oggetto
Alla madre infelice. Eli della pietra
Cancella pur quelle menzogne o stolto,
E scrivi ( se al felor già non si arretra
Il piò dal naso instrutto o poco, o molto)
Qui fur riposti sol cenere e polve
Trofeo di morte , che la vita ha tolto.
O uman pensier, che si raggira, e volve
Intorno a cose frivole ! un gelato
Cadavero, che in nulla si risòlve,
Sdtgniam, miseri noi, che sia portato
Senza pompa al sepolcro, e niun si sente
Che cerchi dove al»1 alma preparato
L'albergo sia ; e pur della gran mente
Del Sovrano Fattore ella è porzione
Creata per godere eternamente ;
E il volgo insano senza riflessione
Stima beato un uom , cui su l'avello
Si Jeg^e una magnifica iscrizione;
Se appeso sovra lui pende il cappello ,
E in mano effigialo il suo ritratto
Della prudenza a un lato abbia il modello,
E all' altro quel della pietade in atto
Di porger amorosa alla sua prole
Le mammelle a succhiar del seno intatto.
Ma lascio queste cose a chi le vuole :
Con dolore imprestato agitin pure
I neri serviior le ventarole ,
In cui dipinte sono le figure
Dell'Aquila, del Pardo, o del Leone,
Del Bue, del Cervo, o d'alti e bestie impure
Satiriche. 435
Von perciò fugge mai Ja corruzione
Il corpo immondo , e su '1 tappeto d' oro
Piscia Ja Morte senza soggezione.
Con fole sì ridicole costoro
Il saggio lasci , e pensi per conforto
Al gaudio eterno dell* empireo coro.
Faccin dell'ossa mie, quando son morto,
Tutto quel che lor piace ; e purché allora
Non vada a seppellirmi a muro torto,
Jn nudo sasso io non ricuso ancora ,
E vo' che terra cuoprasi con terra.
O quanto è folle chi la tomba onora
-•on titoli sì vani , ove si serra
L'umana ambizion, che nou ha posa,
Che chi bugie chiamò dal ver non erra.
•fon perciò mai l' erede con pietosa
Mano d' acqua lustrale asperge il sasso ,
O fa volar d' incenso -aura odorosa;
Via su cenere fredda il grave passo
Scordato ei muove. Io dall' Inferno appresi
Documento si bel , né più mi, lasso
Gabbar dal volgo ignaro. Ah ben compresi
Il poter della Morte , e sotto il piede
L' urna fatale io già tremare intesi.
?osto il fior dell'età mancar si vede ,
E alla vita si tolgono quegli anni,
Che vive ognun sol di miseria erede.
!on falso nome , e con veraci affanni
Di morte il lento gir vita si chiama ,
Che alata pur si pinge a' nostri danni.
Mentre accostiam con sitibonda brama
Al nettare d'Alban le labbra pronte,
E prepariam la mirra , ed il timiama ;
436 Poesie
Mentre di rose incoroniam la fronte ,
E al dolce suon d'armoniose note
Le vivande gustiam più rare e conte,
Mortifero pallor tinge le gote,
Gin canuto sul capo il crin diviene:
Ecco la Parca rea le mense scuole ,
E di man fa cader le tazze piene.
437
INDICE
DELLE SATIRE.
.ODOVICO ARIOSTO.
Ad Alessandro Ariosto , e a Lodovico da
Bagno. Condizione di coloro che voglio*
no far acquisto nelle Corti, Debole ri-
compensa del suo divino Poema, pag. i.
Io desidero intendere da voi
A Galasso Ariosto . Che la natura è di
poco contenta . Quanto debba apprez-
zarsi la libertà, pag. io.
Perdi ho molto bisogno , più che voglia
438
Ad Annibale Malaguzzo. Duolsi delle pro-
messe a lui dal Pontefice nou osservate,
pag. j9.
Poi che , Annibale , intender vuoi , come
A Sigismondo Mabguzzo. Per cerio gover-
no datogli dal Duca , dimostra quanto
egli fosse mal atto ad altro esercizio, che
a quel delle Muse ; ed aggiugne , che
Tessere innamoralo è pessima cosa, p. 29.
// ventesimo giorno di f ebbra jo
A Bonaventura Pistofiio. Che gli uomini
col migliorar di fortuna cangiano di co-
stumi , e diventano ingrati ; e eh' egli e
amante della mediocre vita e tranquilla,
pag. 37.
Pistojilo tu scrivi , che se appresso
Ad Annibale Malaguzzo. Esser buona cosa
il maritarsi , ma difficile il conservar la
moglie pudica, pag. 43.
Da tutti gli altri amici , AnnibaV odo
A M. Pietro Bembo Cardinale. Dimostra U
parti , che si ricereauo in coloro , che
debbono esser posti alla cura d'instituin
i giovani ne Ile buone lettere, pag 54.
Bembo io vorrei , coni è il coni un desio
43g
ERCOLE BEINTIVÓGLIO.
A Pietro Antonio Acciainoli. Loda la pace.
Descrive la crudeltà della guerra , e com-
piange l'Italia sempre travagliata, pag. 62.
Sopra i bei colli che vagheggiati V Arno
LUIGI ALAMANNI.
Ad Alessandra Serristora consorte. Essere
più soave la libertà congiunta con la
virtù , che la ricchezza accompagnata dal
vizio, pag. 66.
Per quantunque dolor m astringa il core
ANTONIO VINCIGUERRA.
Descrive i sette peccati mortali, e con
belle figure dimostra , che gli uomiui so-
no involti ne' piaceri del mondo abban-
donando le operazioni virtuose che si
convengono a' nobili ingegni, pag. 70.
Quando in esigilo povere e deluse
GIOVANNI ANDREA DALL'ANGUtLLARA,
Al Cardinal di Trento. Che gli uomini vir-
tuosi oggi sono in poco pregio , e che
se vogliono vivere bisogna che usino ter-
44o
mini non convenienti alla nobiltà del-
l'uom gentile, pag. 80.
Tra bassi , tra mezzani e tra gli eroi
GIOVANNI MAURO D'ARCANO.
La Carestia. A M. Gandolfo. pag. gì.
ZT vi parrà bizzarra fantasia
In lode della Bugia. A M. Ghinuccio . pa-
gina 98.
Tutti i volumi e tutti li quinterni
BERNARDINO GIAMBULLARI.
Per prender moglie. Ottave, pag. 107.
Non per gloria acquistar Parnaso invoco
FRANCESCO COPPETTA.
Nella perdita di una Gatta. Canzone, pag.
126.
Utile a me sopr ogn altro animale
La Speranza. Capitolo, pag. i32.
Fra tutti i cibi , che trovò V usanza
ANNIBAL CARO.
Corona di Sonetti, pag. i38. e segg.
I Mattaccini contra il Castelvetro. Sonetti,
pag. 143. e segg.
MATTIO FRANZESI.
In lode della Tossa. Capitolo a M. Bene-
detto Busi no. pag. 167.
S'altri loda la peste é*l mal franzese
CESARE CAPORALI.
Ritratto di se stesso . Capitolo a Matteo .
pag. 161.
M esser Matteo , ho da gli amici udito
M. B. In lode dell'Asino. Capitolo, pag. 168.
£' vi parrà capriccio daddovero
PIETRO ARETINO.
Al Re di Francia. Capitolo, pag. 180.
Cristianissimo Re> dopo i saluti
All' Albicante. Capitolo, pag. 188.
44* „ .
Salve meschin , l'o/^i 6?/7e Albicante
Al Duca di Fiorenza. Capitolo, pag. ig5.
Sig. Cos'uno Duca di Fiorenza
Al Principe di Salerno. Capitolo 20^.
Illustrissimo Principe , per Dio
Al Duca di Mantova. Capitolo, pag. 206.
Stando un miglio l'altr ier di là da male
f
Al Duca di Firenze. Capitolo della Quar-
tana, pag. 210.
Al tempo die volavano i pennati
PIETRO NELLI.
A M. Gentile Aldobrandi. Non doversi di-
sperare per la morte degli amici e de'
parenti ; doversi anzi ridere della vita
umana. Cori burlevoli racconti conchiu-
de che le pompe de' mortorj sono paz-
zie, pag. 217.
Messer Gentil gentil , ben di io v'esorti
A M. Giusliniau Nelli. Riprende con vario
443
i
discorso diverse qualità di persone , tassa
l'avarizia , e loda l'età de' passati allora
ch'era il secolo d'oro, pag. 227.
S'io avessi 7 spirto di Pietro aretino
Al S. Amaranco. Non doversi da' rozzi e
dagP ignoranti ragionare delle cose della
Religione ; non esservi un uomo più da
rimproverarsi dell' ipocrita, pag. 235.
Io mi vi scuso avanti ch'io dì scriva
A M. Francesco Filetto. Contra gli Avvo-
cati , i quali usano ogni tradimento, ogni
ingiustizia , ed ogni sceleraggine contra
gli uomini, e contra Dio. pag. 245.
Io vorrei pur , padron , che questa mia
FRANCESCO SANSOVINO.
A M. Urbano Morlupino. Contra i perversi
modi di alcuni posti in dignità. Doversi
seguire una vita libera e naturale pro-
pria veramente dell'uomo da bene, pa-
gina 256.
Signor , se questa è vostra fantasia
444
A Giulio Doffì. Che le virtù non sono oggi in
pregio, e che i poeti la fanno magra-
mente non avendo altro che li pasca
fuori de' versi, pag. 262.
Se tu eleggi per ben la poesia
A M. Alessandro Campesano. Che l'uomo
non può essere felice fuorché schivando
l'ambizione, e seguendo ciò che gli detta
la natura, pag. 268.
Poi cti è giunto al suo fin V amico nostro
!
LODOVICO PATERNO.
Alla S Marzia Foscara . Precetti intorno
all' onesta instituzione di una fanciulla,
pag. 276.
Jer venne da tua parte Arsenio e Rulla
Al Sig. Girolamo Sforza. Che ogni gran-
dezza è nata da poco giusto principio,
pag. 286.
Tosto che 7 ben oprar fu posto a terra
A M. Porfirio Testa. Utili avvertenze a
chi brama di vivere nelle corti, pag. rg3.
445
Che cortigian ti facci, eh chi V approva?
Al S. Antonio Rota. Come, e quando deb-
basi prender moglie ; e che bisogni fare,
poiché è condotta a casa. pag. 3o2.
Mal può guidare un cieco uri altro cieco
A M. Girolamo Giraldi. Dice che vuole
servirsi di nuove regole , da poi che ha
trovato un nuovo stile alla Satira. Ri-
prende gli uomini di varj peccati, e con-
chiude non esservi al mondo che vani-
tà, pag. 309.
E eli altri dica : è troppo acerbo e nuovo
LODOVICO ADIMARI.
Contra le donne, pag. 319.
Sorgi , Menippo, ornai, che dormi ancora?
SALVATOR ROSA.
La Musica, pag. 366.
bibbia il vero 9 o Priapo , il luogo suo
La Pittura, pag. 388.
Così va il Mondo oggi dalV Indo al Mauro,
446
QUINTO SETTANO.
Finge di ritornare dall' Averne Dimostra
d' esser egli V autore delle Satire contro
di Gravina , attribuite da alcuni ad un
certo Grammatico morto in criie' tempi
in Roma. pag. 4i5.
E sei pur desso quel che ora i vedo ,
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mi
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faceva
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1 GuardarobaGuardarobba
3 roba robba
190? -i
PQ Raccolta di poesie satiriche
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