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Full text of "Raccolta di poesie satiriche"

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RACCOLTA 


DI 


POESIE  SATIRICHE 


MILANO 


Dalla  Società  Tipografica  de' Classici  Italiani, 
contrada  di  s.  Margherita,  3S.°  iii8. 

ANNO    1808. 


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PREFAZIONE 

DEGLI    EDITORI. 


o 

\^  nasi  tralcio  avviticchiantesi  al  tronca 
della  Poesia  Lirica  deesi  considerare  la 
Satira.  Furono  i  Greci  gV  inventori  di  tale 
poesia  coi  loro  Giambici ,  o  Siili,  ne  quali 
Archilo  co  ottenne  celebrità*  Primo  poeta 
satirico  italiano  fu  certamente  il  Dante  * 
poiché  secondo  il  Mazzoni  piuttosto  Sati- 
ra che  Commedia  dovevasi  Vopera  sua  in* 
titolare.  Satirici  componimenti  sono  pure 
i  quattro  Sonetti  del  Petrarca ,  che  inco- 
minciano Fiamma  dal  Ciel ,  ec.  Zi' Avara 
Babilonia ,  ec.  Fontana  di  dolóre,  ec*  Del» 
V  empia  Babilonia  .  <&. 


1* 

Divido  fisi  le  Satire  in  serie  e  giocose} 
e  nel  genere  serio  l  Ariosto  è  il  più  celebre 
autor  satirico,  che  sabbia  P  Italia.  La  fa- 
cilità e  la  naturalezza  congiunte  ad  una 
mordacità  spiritosa  rendono  questo  poeta 
degno  imitatore  d  Orazio.  Siamo  superiori 
a  tutti  i  moderni  nelle  Satire  giocose  o 
burlesche ,  genere  che  secondo  Vavasseur 
era  ignoto  agli  antichi  (  i  )  .  DelV  uno  e 
delT  altro  genere  pertanto  noi  diamo  qui 
la  Raccolta.  E  colf  annunciare  appunto 
una  Raccolta  ,  noi  vorremmo  bentosto  av- 
vertiti i  nostri  Lettori ,  che  non  tutte  le 
Satire  degV  Italiani  poeti,  ma  le  migliori 
soltanto,  quelle  cioè  che  più  interessar  pos- 
sono o  per  lo  stile  ,  o  per  la  materia,  aver 
debbono  qui  luogo.  Del  solo  Messer  Lu- 
dovico però  noi  abbiamo  ristampate  le 
Satire  tutte.  Tanto  da  noi  richiedevano  e 
i  pregi  loro,  e  il  nome  stesso  e  la  fama 
deW  immortai  autore  del  Furioso  .  Dopo 
V Ariosto  abbiamo  dato  un  saggio  più  o 
meno  esteso  degli  altri  Poeti,  che  più  si 
distinsero  in  amendue  i  generi  di  satirica 
poesia,  (he  però  seguendo  l'istituto  nostro 
faremo  pure  qualche  cenno  della  Dita  e 
del  carattere  di  ciascuno  de  Po  ti  in  que- 
sta raccolta  compresi ,  ommettendo  per 
altro  di  parlare  di  quelli,  la  vita  de  quali 


(i)  Préfaz.  della    Scelta  di  Poe*.  Ital. 
Stampala  in  Parigi  nel  1783. 


fa  eia  da  noi  pubblicata  nelle  altre  loro 
tipere.  Deli  Ariosto  ancora  nulla  diremo , 
giacché  potrà  leggersi  la  vita  di  lui  nei 
primo  tomo  delV  Orlando  ,  di  cui  daremo 
quanto  prima  V  edizione.  Delt  Alamanni , 
de  IP  Anguillara  ,  e  del  Caro  veggansi  le 
onte  ne1  particolari  volumi  di  nostra  Colle- 
zione ,  ne  quali  pubblicate  abbiamo  le 
altre  loro  Opere,  (i) 

Ercole  Bentivoglio  figlio  di  Annibale 
II.  nacque  in  Bologna  nel  i5o6. ,  ma  si- 
no dalle  fasce  fu  trasportato  a  Mila» 
no  ,  indi  nelT  età  di  sette  anni  a  Ferrara» 
Fu  nipote  del  Duca  Alfonso  I.  ,  ed  ebbe 
perciò  la  sua  educazione  in  corte.  Morì, 
in  Venezia  nel  iSjS.  Alcuni  sono  d'avvi- 
so ,  ctìeqli  abbia  uguagliato  F  Ariosto  nella 
comica  poesia  e  nella  satirica.  Noi  siamo 
di  contraria  opinione  ,  e  i  nostri  lettori 
converranno  forse  con  noi  anche  dal  solo 
confronto  ,  eli  essi  far  possono  delle  Satire 
delt  Ariosto  coW  unica  che  aggiungiamo 
del  Bentivoglio. 

Antonio  Vinciguerra  fu  Segretario  del- 
la Piepubblica  di  Venezia ,  e  fiorì  circa  il 
1480,  Le  sue  Satire  sono  alquanto  rozze  ; 
ma  fa  d*  uopo  avvertire ,  eli  egli  fu  il 
primo  che  in  questo  genere  di  poesia  usas- 
se della  terza  rima. 


(1)  Alamanni  -  Collez.  nnm.  55.    An- 
guillara. Colle/.  N.  75.  Caro.  Collez.  N.  109, 
Poesie  Salir.  a  * 


VI 

Giovanni  Mauro  d'Arcano  nobile  Friu- 
lese  nacque  circa  il  1490.  Grandi  onori 
egli  ebbe  dal  Duca  d^  Amalfi  ,  dal  Car- 
dinaie  G rimani ,  dal  Datario  Filibcrti\  e 
dal  Cardinale  Cesarini.  Fu  di  carattere 
assai  faceto  e  satirico  ,  e  divenne  perciò 
amico  del  Berni .  Morì  in  Roma  nel 
l536.  Le  sue  rime  e  per  lepidezza  e  per 
libertà  stanno  al  pari  con  quelle  del  Berni* 

Bernardino  Giambullaii,  Fiorentino  e 
padre  di  Pier  Francesco  fon  nel  tempo 
di  Leone  X.  Scrisse  Laudi  e  Canti  Carna- 
scialeschi ,  e  continuò  il  Ciri  sto  Calvaneo 
di  Luca  Pulci.  Egli,  come  avverte  Andrea 
Rubi ,  fu  autore  pia  di  lingua  che  di 
poesia. 

Francesco  Coppetta  Perugino  nobile  e 
dottor  di  leggi  fu  uno  de*  pochi  che  nel  suo 
secolo  ardirono  allontanarsi  dalla  petrar- 
chesca pedanteria.  Egli  accoppiò  alla  liri- 
ca ,  la  burlesca  e  la  satirica  poesia.  È 
puro  nello  stile  ,  melodioso  ne  versi,  e  na- 
turale ne  sentimenti.  Morì  d1  anni  44.  nel 
i553.  *■ 

Ludovico  Dolce ,  Veneziano  nacque 
nel  i5o8.  e  cessò  di  vivere  nel  i5ò8.  J\ el- 
le sue  poesie  ebbe  gran  cura  della  lingua 
e  quindi  è  più  noto  ])er  la  sua  filologia  , 
che  per  le  sue  poetiche  composizioni.  Po- 
vero di  fortuna  cercò  di  migliorare  la  sua 
sorte  col  tradurre  dal  greco  e  dal  latino 
i  più  rinomati  scritti.  Le  sue  poesie  burle* 
sche  non  mancano  di  ben  condita  satira , 
e  di  attica  lepidezza. 


vn 

Matteo  Franzesi  Fiorentino  visse  con 
altri  celebri  letterati  nella  corte  Pontificia 
di  Clemente  VII.  e  di  Paolo  III  Esso 
può  stimarsi  al  pari  di  qualunque  altro 
nel  genere  satirico  e  burlesco  per  la  chia- 
ra e  gentile  lepidezza  e  giocondità  dello 
stile ,  e  per  la  graziosa  armonia  de  suoi 
"versi. 

Cesare  Caporali  Perugino  fu  due 
volte  governatore  d?  Atri.  Nacque  nel  i53o 
e  morì  nel  1601.  in  Castiglione  presso  il 
Marchese  Ascanio  della  Corgna.  Nelle 
sue  rime  seppe  unire  la  grazia  colla  mo- 
destia ,  cosa  assai  rara  né*  poeti  di  quel 
secolo.  Scrisse  commedie  in  prosa.  Le  sue 
poesie  burlesche  gli  danno  nome  tra  i 
primi  ;  ?na  la  sua  lingua  lascia  qualche 
cosa  a  desiderarsi  nella  purità  e  nella 
correzione. 

M.  B.  Alcuni  sono  a"  avviso  die  sotto 
queste  iniziali  ,  si  nasconda  Messer  Bino 
Fiorentino,  che  ebbe  gran  parte  nella  Se~ 
gre  la  ria  di  Papa  Clemente  VII.  Esso  fu 
canonico  o  beneficiato  di  qualche  Colle- 
giata in  Roma. 

Pietro  Aretino  fu  figlio  di  un  Gentil* 
uomo  d'  Arezzo  città  di  Toscana.  La 
prima  opera  che  lo  fece  conoscere  sono  i 
Sonetti  ,  co*  quali  accompagnò  le  infami 
stampe  di  Giulio  Romano.  Maldicente , 
empio  ed  osceno  trovò  nella  scorrettezza 
di  que  tempi  ammiratori  tanto  zelanti  che 
lo  proclamarono   divino ,    e    lo    resero  si 


viti 

celebre  che  arrivò  a  farsi  temere  dagli 
Stessi  Sovrani  ;  per  lo  che  fu  per  antono- 
masia chiamato  Flagello  de'  Principi.  So- 
limano Signor  de  'Turchi ,  Federico  Bar- 
harossa  celebre  Coivate  ,  Cromuelìo  gran 
Ciambellano  d 'Inghilterra  ,  e  fino  France- 
sco I.  Re  di  Francia  gli  pagavano  ogni 
anno  una  specie  di  tributo  in  denaro  che 
esigeva  con  sommo  rigore  e  con  insolentis- 
sime  lettele  così  segnateli  Poeta  Aretino 
per  la  grazia  di  Dio  uomo  libero.  Una 
tanta  temerità  ,  che  baldanzosa  insultava 
i  Principi  ,  fu  raffrenata  dal  Franco  , 
Poeta  contemporaneo  delt  Aretino  ,  con 
un  centinaio  di  Sonetti  vigorosi  scritti  in 
disprezzo  delT  impudente  Satirico,  ma  me- 
glio ancora  da  un  Certo  Achille  della 
Torre  a  colpi  di  bastone,  e  con  un  solen- 
ne sfregio  sul  viso.  Salisse  alcune  cornine* 
die  ,  molte  stomachevoli  oscenità  ,  tre 
Canti  intitolati  Marfisa,  Le  lagrime  d'An- 
gelica ,  ed  in  vecchia] a  tradusse  in  Prosa 
i  Sette  Salmi  Penitenziali,  e  compose  qual- 
che altra  Opera  ascetica.  Morì  in  Venezia 
nel P anno   i555.  (i) 

Pietro  Nelli  Sanese  fiorì  verso  la  fine 
del  secolo  XVI.  Egli  pubblicò  le  sue  Sa- 
tire sotto  il  nome  di  Andrea  di  Bergamo, 
intitolandole  Satire  alla  Carlona.  *  Queste  , 
come  avverte  T imboschi,  potrebbero  esser 


(i)   V.  la  già  citata  edii.  di  Parigi.  I 


proposte  come  un  ottimo  modello  di  stile 
satirico,  se  la  troppa  licenza  e  il  poco  rispet- 
to alla  Be licione,  non  le  rendessero  anzi 
degne  di  biasimo, 

Francesco  Sansovino  figlio  del  celebre 
architetto  Jacopo  Sansovino  nacque  irz 
Roma  nel  i52i.  e  *vi  stette  fino  al  1627. 
nel  qual  tempo  ,  dopo  il  funesto  S'acco 
di  quella  città  passò  con  suo  padre  a\ 
Venezia,  Indarno  tentò  il  padre  di  farlo 
attendere  alle  leggi.  Non  avendo  mai  po- 
tuto sorgere  a  miglior  fortuna  ,  si  lusinga 
che  il  papa  Giulio  III.  da  cui  era  stalo 
tenuto  a  battesimo  ,  fosse  per  sollevarlo 
a  qualche  dignità.  No  ne  ottenne  che  il 
vuoto  titolo  di  Cameriere  pontificio,  'lornò 
q  indi  a  Venezia,  ove  aprì  una  tipografia. 
Cessò  di  vivere  nel  i586.  Grandissimo  è  il 
numero  delle  sue  opere ,  ma  grande  del 
pari  non  ne  è  il  pregio.  Le  satire  sono 
forse  le  migliori  di  luì  poesie. 

Ludovico  Paterno  Napolitano  fiorì  ver* 
so  il  i5bo.  Egli  ardì  contendere  col  Can- 
zoniere di  Petrarca  non  solo  nella  forma9 
ma  nel  soggetto  ancora;  poic/iè  scelta  una\ 
tale  Mirzia  ,    o  finta    o    vera    che  ella  si 
■fosse ,    per  iscopo    de  suoi  versi  amorosi  , 
scrisse  un   volume  intorno  ad  essa  simbch 
leggìata  in  un  mirto  ,  siccome  il  Petrarca 
fatto  avea  per  Laura  in  un  lauro  figurata» 
lento    egli    il   primo    le    satire    nel    verso 
sciolto  ,    cui  per  altro    non  ebbe  tempo  di 
abbellire  9  siccome  avrebbe  bramato. 


Lodovico  Adimari  et  illustre  prosapia 
fiorentina ,  ma  nato  in  Napoli  nel  1 644* 
fii  uno  de  pochi  che  nel  suo  secolo  dis* 
prezzando  gli  applausi  popolari  seguì  Forme 
de  grandi  e  degli  antichi  maestri.  Si  distin* 
se  anche  nella  politica  e  dal  Duca  di 
Mantova  fu  onorato  della  carica  di  suo 
Gentiluomo  di  Camera,  Dopo  lunga  ma* 
lattia  cessò  di  vivere  in  Firenze  nel  1708. 
Compose  cinque  satire  -,  nelle  quali  ebbe 
specialmente  di  mira  di  rimproverare  e 
correggere  i  vizj  del  bel  sesso.  Di  lui  scris* 
se  l9  Abate  Regnier  Desmarais  (1) 

Scorgo  quel ,  cui  die  plettro  alto  e  sonoro 
L'Etrusca  Musa,  e  cauto  al  plettro  pari, 
Il  gentile  Adi  mari. 

Salvator    Bosa    nacque    nel    villaggio 
della  Renella   due  miglia  distante  da  No-, 
poli.    Egli  fu    pittore    di    gran    nome    a 
suoi    tempi.    Alla    pittura  univa  la  poesia 
e  la  musica,  e  sopra  tutto  una  comica  sì 
gentile ,    che    deliziosamente  t'atteneva   le 
brigate.  Col  corredo  di  tante  qu  dita    non 
gli  fu    difficile    d' introdursi    nella    grazia 
de*  più  insigni  personaggi.  Morì  in    Romm 
e  fu  sepolto  in  Santa   Maria  degli  /Jngelik 
ove  si  vede  il  suo  deposito ,  nelC  iscrizione! 


(  1  )    Brindisi    all'  Accademia    dell* 
Crusca, 


del  quale  ,  al  dire  del  Crescimbeni ,  circa 
la  qualità  di  poeta  ,  si  parla  con  iperbole 
incredibilmente  strabocchevole  ,  dando  glisi 
il  primato  sopra  tutti  i  Bimotori  Toscani. 
Salvator  Rosa  di  fitti  è  più  celebre  per 
la  pittura ,  che  per  la  poesia.  Le  sue 
satire  sono  piene  di  vivezze  e  di  sali,  ma 
troppo  umili  talvolta  ci  si  presentano 
quasi  striscianti  al  suolo  ;  e  la  sover- 
chia erudizione  le  rende  spesso  difficili 
ed  oscure. 

Quinto  Settano  è  il  nome  sotto  di  cui 
si  nascose  Monsignor  Lodovico  Sergardi 
nato  in  Siena  nel  1660  da  nobili  genitori, 
e  morto  a  Spoleti  nel  Novembre  del  17 26. 
Compose  le  sue  Satire  veramente  sangui* 
nose  contra  il  Calabrese  Gian  Vincenzo 
Gravina,  nascosto  sotto  il  nome  di  Filo- 
demo.  Esse  scritte  furono  dalt  autore  in 
latino  ;  ma  giovaci  il  credere ,  che  a  lui 
pure  deb  basi  la  traduzione  delle  stesse  in 
a>ersi  italiani.  Tanto  è  dessa  piena  di  ori- 
ginali bellezze  a  preferenza  di  un  altra 
traduzione  delle  medesime ,  pubblicata  in 
Palermo  nel  1707.  Quella  che  noi  pubbli- 
chiamo è  forse  la  più  spiritosa  e  la  me- 
glio condotta.  Si  finge  in  essa  che  Settano 
per  singoiar  privilegio 

Dai  luoghi  bui 

Tornato  a  riveder  le  belle  stelle 

racconti  qual  cosa  vi  abbia  veduto  e  ir* 


XII 

teso  di  se  ,  di  Filoderno ,  e  di  molti  altri, 

che  furono  fra  i  vivi,  o    con    lode  o  con 

biasimo.    L,e    Satire  del    Menzini  saranno 

da  noi  unite  alla  Poetica    di   lui,    che   è 

fon  e  la  sola ,  di    cui   si  "vanti    la   lingua 

italiana. 

Tali  sono  i  poeti  delle  cui  satire 
abbiamo  compilata  la  scelta.  In  questa 
edizione  abbiamo  tenuto  il  sistema  di  quel 
la  de  Lirici ,  di  unire  cioè  air  Indice  t ar- 
gomento   di    ciascuna    Satira.    Ci   sembro 

1  I     7  7 

che  questo  'volume  debba  riescire  grate 
al  colto  Pubblico  non  meno  che  a 
cortesi  nostri  Associati ,  contenendo  esse 
una  raccolta  unica  nel  suo  genere ,  giac 
che  nessun  editore  avea  finora  pensato  e 
pubblicare  in  un  sol  volume  quanto  forse 
di  più  interessante  fu  scritto  nel  genere 
satirico  dalV  Ariosto  fino  al  principio  dei 
secolo  XVIII.  Affinchè  poi  questa  edi- 
zione riescisse  ancor  più  pregevole  ,  fu  de 
noi  corredata  di  due  ritratti  ;  //  prime 
deir  Aretino  uomo  tanto  famoso  per  la 
sua  maldicenza  ,  e  l altro  di  Salvator  Lio 
sa  ,  uomo  caro  a  tutte    le  beli  arti  sorelle^ 


LODOVICO  ARIOSTO 

SATIRA 

ad  Alessandro  Ariosto  e  a  Lodovico 
da  Bagno 


Lo   desidero  intendere  da  voi  t 
Alessandro  fratel,  compar  mio  Bagno  , 
Se  la  corte  ha  memoria  più  di  noi  ; 

e  più  il  signor  mi  accusa,  se  compagno 
Per  me  si  leva ,  e  dice  la  cagione 
Perchè  partendo  gli  altri  io  qui  rimagno  . 

1  tutti  dotti  ne  l'adulazione, 
L'  arte  che  più  tra  noi  si  studia  e  cole  , 
L' ajutate  a  biasmarmi  oltre  a  ragione. 

lazzo  chi  al  suo  signor  contraddir  vuole , 
Sebben  dicesse  eh'  ha  veduto  il  giorno 
Pieno  di  stelle,  e  a  mezza  notte  il  sole. 

I  eh'  egli  lodi  ,  o  voglia  altrui  far  scorno  , 
Di  varie  voci  subito  un  concento 
S'ode  accordar  di  quanti  n*  ha  d'  intorno; 
Poesie  Sa  tir.  i 


a  Poesie 

E  chi  non  ha  per  umiltà  ardimento 

La  hocca  aprir,  con  tutto  il  viso  applaude 
E  par  che  voglia  dire:  anch'io  consento: 

Ma  se  in  altro  biasmarmi ,  alnien  dar  laude 
Dovete ,  che  volendo  io  rimanere , 
Lo  dissi  a  viso  aperto  e  non  con  fraude. 

Dissi  molte  ragioni,  e  tutte  vere, 
De  le  quali  per  se  sola  ciascuna 
Essermi  dovea  degna  di  tenere  : 

Prima  la  vita,  a  cui  poche  o  nessuna 
Cosa  ho  da  preferir  :  che  fia  più  breve 
TNon  voglio  che  'ì  ciel  voglia  o  la  fortuna. 

Ogni  alterazione,  ancor  che  lieve, 

Ch'  avesse  il  mal  ch'io  sento,  o  ne  morrei 
O  il  Valentino  e  il  Postumo  errar  deve . 

01  tra  che  '1  dican  essi ,  io  meglio  i  miei 
Casi  d'ogni  altro  intendo;  e  quai  compens 
Mi  sian  utili  so  ,  so  quai  sien  rei  . 

So  mia  natura  come  mal  conviensi 
Co'  freddi  verni:  e  costì  sotto  il  polo 
Gli  avete  voi  più  che  in  Italia  intensi. 

E  non  mi  uocerebbe  il  freddo  solo; 

Ma  il  caldo  de  le  stufe ,  eh'  ho  sì  infesto , 
Che  più  che  da  la  peste  me  gì' involo. 

]Nè  il  verno  altrove  s'abita  in  cotesto 
Paese;  vi  si  mangia,  gioca  e  bee, 
E  vi  si  donne  e  vi  si  fa  anco  il  resto. 

Chi  quindi  vien  ,  come  sorbir  si  dee 

L'aria  che  tien  sempre  in  travaglio  il  fiat< 
De  le  montagne  prossime  rifée? 

Dal  vapor  che  dal  stomaco  elevato 

Fa  catarro  a  la  testa,  e  cala  al  petto, 
Mi  rimarre'  una  notte  soffocato  : 


Satiriche,  3 

E  il  vin  famoso,  a  me  via  più  iuierdeiio, 
Che  il  tosco ,  coslì  a  inviti  si  tracanna  , 
E  sacrilegio  è  non  ber  molto  ,  e    schietto . 

I  cibi  tutti  son  con  pepe  e  canna 

D'  amomo  e  d'  altri  aromati ,  che  tutti 
Come  nocivi  il  medico  mi  danna  . 

Qui  mi  potreste  dir  ch'io  avrei  ridutti  , 
Ove  sotto  il  cammin  sederia  al  foco  , 
Né  pie  né  ascelle  odorerei  né  rutti  ; 

E  le  vivande  condì  ria  mi  il  cuoco 

Come  io  volessi,  ed  innacquarmi  il  vino 
Potre'  a  mia  po&ta ,  e  nulla  berne  ♦    o  poco  * 

Dunque  voi  altri  insieme,  io  dal  mattino 
A  la  sera  starei  solo  a  la  cella  , 
Solo  a  la  mensa  come  un  certosino? 

Bisogneriano  pentole  e  vasella 

Da  cucina  e  da  camera,  e  dotarme 
Di  masserizie  ,  qual  sposa  novella  . 

Se  separatamente  cucinarme 

Vorria  mastro  Pasino  una  o  due  volte , 
Quattro  e  sei  mi  farà  '1  viso  de  T  arme  • 

S'io  vorrò  de  le  cose  ch'avrà  tolte 
Francesco  di  Si  ver  per  la  famiglia  , 
Potrò   mattina  e  sera  averne  molte. 

S' io  dirò  :  spenditor ,  questo  mi  piglia  , 
Che  T  umido  crudel  poco  nudmce  ; 
Questo  no,  che '1  catar  troppo  assottiglia; 

Per  una  volta  o  due  che  mi  obbedisce, 
Quattro  e  sei  se  lo  scorda,  o  perchè  teme 
Che  non  gli  sia  accettato  ,  non  ardisce  . 

Io  mi  riduco  al  pane  ;  e  quindi  freme 
La  collera  ;  cagion  che  a  li  due  motti 
Gli  amici  ed  io  siamo  a  contesa  insieme: 


4  Prt   ESIB 

Mi  potreste  anco  dir  ;  de  li  tuoi  scolti 
Fa  che '1  tuo  fante  comprator  ti  sia; 
Mangia  i  tuoi  polli  a  li  tuo*  alari  cotti  . 

Io  per  la  mala  servi ttide  mia 

Non  ho  dal  cardinale  ancora  tanto , 
Ch'io  possa  fare  in  corte  F  osteria. 

Apollo  ,  tua  mercè ,  tua  mercè ,  santo 
Collegio  de  le  muse  ,  io  non  mi  trovo 
Tanto  per  v*oi ,  eh'  io  possa  farmi  un  manto. 

E  se  '1  signor  m'  ha  dato  onde  far  novo 
Ogni  anno  mi  potrei  più  d'  un  mantello  , 
Che  mi  abbia  per  voi  dato  non  approvo  . 

Egli  T  ha  detto:  io  dirlo  a  questo  a  quello 
Voglio  anco  ,  e  i  versi  miei  posso  a  mia  posta 
Mandar  ai  Culiseo  per  lo  suggello  . 

Opra  che  in  esaltarlo  abbia  composta  , 

Non  vuol  eh' ad  acquistar  mercè    sia  buona: 
Di  mercè  degno  è  i  ir  correndo  in  posta  . 

A  chi  nel  Barco  e  in  villa  segue ,  dona , 
A  chi  lo  veste  e  spoglia  ,  o  pone  i  fiaschi 
Nel  pozzo  per  la  sera  in  fresco  a  nona . 

Vegghi  Ja  notte  in  fin  che  i  Bergamaschi 
Si  levino  a  far  chiodi ,  sì  che  spesso 
Col  torchio  in  mano  addormentato  caschi. 

S*  io  F  ho  con  laude  ne'  miei  versi  messo  , 
Dice  eh'  ia  Fho  fatto  a  piacere ,  e  in  ozio  ; 
Più  grato  fora  essergli  slato  appresso  . 

E  se  in  cancelleria  m'  ha  fatto  sozio 

A  Melan  del  Costabil ,  sì  eh'  ho  il  terzo 
Di  quel  che  al  notar  vieu  d'  ogni  negozio  ; 

Gli  è ,   perchè  alcuna  volta  io  sprono  e  sferzo 
Mutando  bestie  e  guide,  e  corro  in  fretta 
Per  monti  e  balze  ,  e  con  la  morte  scherzo , 


Satiriche.  5 

Fa  a  mio  senno  ,  Marnn  ,  tuoi  versi  getta 
Con  la  lira  in  un  cesso,  e  un'arte    impara, 
Se  benefizio  vuoi  ,  che  sia  più  accetta 

Ma  tosto  che  n'  hai ,  pensa  che  la  cara 
Tua  libertà  non  meno  abbi  perduta , 
Che  se  giocata  te  1*  avessi  a  zara  ; 

E  che  mai  più ,  se  bene  a  la  canuta 
Età  vivi,  e  viva  egli  di  Nestorre  , 
Questa  condizion  non  ti  si  muta  . 

E  se  disegni  mai  tal  nodo  sciorre , 

Buon  patto  avrai ,  se  con  amore  e  pace 
Quel  cbe  t'  ha  dato  si  vorrà  ritorre . 

A.  me  per  esser  stato  contumace 

Di  non  voler  Agria  veder  né  Buda  , 
Che  si  ritoglia  il  suo  già  non  mi  spiace: 

Se  ben  le  miglior'  penne  eh'  a  la  muda 
Avea  rimesse  ,  mi  tarpasse ,  come 
Che  da  1'  amor  e  grazia  sua  mi  escluda  ; 

Che  senza  fede  e  senza  amor  mi  nome, 
E  che  dimostri  con  parole  e  cenni 
Che  in  odio  e  che  in  dispetto  abbia  il  mio  nome: 

E  questo  fu  cagion  eh'  io  mi  ritenni 
Di  non  gli  comparire  innanzi  mai 
Dal  dì  cbe  indarno  ad  escusar  mi  venni  : 

Piuggier,  se  a  la  progenie  tua  mi  fai 
Si  poco  grato  ,  e  nulla  mi  prevaglio  , 
Che  gli  alti  gesti  e  '1  tuo  valor  cantai  ; 

Che  debbo  fare  io  qui,  poich'io  non  vaglio 
Smembrar  su  la  forcina  in  aria  starne , 
Né  so  a  sparvier  né  a  can  metter  guinzaglio? 

Non  feci  mai  tai  cose ,  e  non  so  farne  : 

A  gli  usatli  o  a  gli  spron' ,  perch'  io  son  grande, 
Non  mi  posso  adattar  per  porne  o  trarne. 


C  Poesie 

10  non  ho  molto  gusto  di  vivande, 

Che  scalco  sia  ;  fui  degno  esser  al  mondo 
Quando  viveano  gli  uomini  di  ghiande  .    • 

Non  vo'  il  conto  di  man  torre  a  Gis mondo  : 
Andar  più  a  Roma  in   posta  non  accade 
A  placar  la  grand'  ira  di  Secondo  . 

E  quando  accadesse  anco  ,  in  questa  etade, 
Col  mal  ch'ebbe  principio  allora  forse, 
Non  si  convien  più  correr  per  le  strade. 

Se  far  colai  servigi ,  e  raro  torse 

Di  sua  presenza  de'  chi  d'  oro  ha  sete , 
E  stargli ,  come  Artofilace  a  1'  Orse  ; 

Più  tosto  che  arricchir,  voglio  quiete: 
Più  tosto  che  occuparmi  in  altra  cura 
Sì ,  che  inondar  lasci  il  mio  studio    a  Lete 

11  qual ,  se  al  corpo  non  può  dar  pastura , 
Lo  dà  a  la  mente  con  sì  nobil'  esca  , 
Che  merta  di  non  star  senza  coltura . 

Fa  che  la  povertà  meno  m'  incresca  , 
E  fa  che  la  ricchezza  sì  non  ami , 
Che  di  mia  libertà  per  suo  amor  esca. 

Quel  eh'  io  non  spero  aver,  fa  ch'io  non  brami, 
Che  ne  sdegno  né  invidia  mi  consumi, 
Perchè  Marone  o  Celio  il  signor  chiami . 

Ch'io  non  aspetto  a  mezza  estate  i  lumi, 
Per  esser  col  signor  veduto  a  cena  ; 
Ch'  io  non  lascio  accecarm'  in    questi  fumi . 

Io  men  vo  solo  e  a  piedi  ove  mi  mena 

Il  mio  bisogno  ;  e  quando    io    vo  a  cavallo  , 
Le  bisaccie  gli  attacco  su  la  schiena . 

E  credo  che  sia  questo  minor  fallo , 
Che  di  farmi  pagar ,  s' io  raccomando 
Al  principe  la  causa  d'  un  vassallo  : 


Satiriche. 

O  mover  liti  in  beneficj ,  quando 

Ragion  non  ci  abbia  ;  e  facciami   i  piovani 
A  offerir  pension'  venir  pregando  : 

Anco  fa ,  che  al  ciel  levo  ambe  le  mani , 
Ch'  abito  in  casa  mia  comodamente, 
Voglia  tra'  cittadini  o  tra' villani; 

E  che  ne  ben'  paterni  il  rimanente 

Del  viver  mio,  senza  imparar  nuoy'  arte  , 
Posso,  e  senza  rosso r  far  di  mia  gente  . 

Ma  perchè  cinque  soldi  da  pagarte  , 
Tu,  che  noti,   non   ho,  ritornar  voglio 
La  mia  favola  al  loco  onde  si  parte  . 

Aver  cagion  di   non  venir  mi  doglio; 
Detto  ho  la  prima,  e  s'io  vo' 1' altre  dire, 
IN  è  questo  basterà  né  un  altro  foglio. 

Pur  ne  drò  anco  un'  altra  ,  che  patire 
Non  debbo,  che  levato  ogni  sostegno, 
Casa  nostra  in  ruina  abbia  a  venire. 

Di  cinque  che  noi  siam ,  Carlo  è  nel  regno 
Onde  cacciaro  i  Turchi  il  mio  Cleandro, 
E  di  starvi  alcun  tempo  fa  disegno: 

Galasso  vuol  ne  la  città  di  Evandro 
Por  la  camicia  sopra  la  guarnaccia: 
E  tu  sei  col  signor  ito,  Alessandro. 

Ecci  Gabriel,  ma  che  vuoi  tu  ch'ei  faccia? 
Che  da  fanciul  restò  per  mala  sorte 
De  li  piedi  impedito  e  de  le  braccia. 

Egli  non  fu  né  in  piazza  mai  né  in  corte; 
Ed  a  chi  vuol  ben  reggere  una  casa , 
Questo  si  può  comprendere  che  importe. 

A  la  quinta  sorella  che  è  rimasa , 
E  di  bisogno  apparecchiar  la  dote, 
Che  le  siam  debitori,  or  che  si  accasa. 


8  Poesie 

L'età  di  nostra  madre  mi  percuote 

Di  pietà  il  cor ,  che  da  tutt'  in  un  tratto 
Senza  infamia  lasciata  esser  non  puote. 

10  soa  di  diec' il  primo,  e  vecchio  fatto 

Di  quaranta  quattro  anni ,  e  il  capo  calvo 
Da  un  tempo  in  qua  sotto  la  cuffia  appiatto* 

La  vita  che  mi  avanza,  me  la  salvo 

Meglio  eh'  io  so  :  ma  tu  che  diciotto  anni 
Dopo  me  t' indugiasti  a  uscir  de  l'alvo , 

Gli  Ungheri  a  veder  torna,  e  gli  Alemanni, 
Per  freddo  e  caldo  segui  il  signor  nostro, 
Servi  per  amendue,  rifa  i  miei  danni. 

11  qual  se  vuol  di  calamo  «  d'inchiostro 
Di  me  servirsi,  e  non  mi  tor  da  bomba, 
Digli:  signor,  il  mio  fratello  è  vostro. 

Io  stando  qui  farò  con  chiara  tromba 
Il  suo  nome  sonar  forse  tanto  alto, 
Che  tanto  mai  non  si  levò  colomba . 

A  Filo  a  Cento  in  Ariano  e  a  Calto 
Arriverei,  ma  non  sino  al  Danubio, 
Ch'io  non  ho  pie  gagliardi  a  sì  gran  salto: 

Ma  se  a  volger  di  nuovo  avessi  al  subio 
I  quindici  anni  che  in  servirlo  ho  spesi, 
Passar  la  Tana  ancor  non  stare'  in  dubio. 

Se  avermi  dato  onde  ogni  quattro  mesi 
Ho  venticinque  scudi,  ne  sì  fermi, 
Che  molte  volte  non  mi  sian  contesi, 

Mi  debbe  incatenar,  schiavo  tenermi; 
Obbligarmi  eh'  io  sudi  e  tremi  senza 
Rispetto  alcun;  ch'io  muoja  o  ch'io  m'infermi; 

Non  gli  lasciate  aver  questa  credenza: 
Ditegli  che  più  tosto  ch'esser  servo, 
Torrò  la  povertade  in  pazienza. 


Satiriche. 


Un  asino  fu  già ,  eh'  ogni  osso  e  nervo 
Mostrava  di  magrezza,  e  entrò  per  rotto 
Del  muro ,  ove  di  grano  era  un  acervo  ; 

E  tanto  ne  mangiò,  che  l'epa  sotto 
Si  fece  più  di  una  gran  botte  grossa , 
Fin  che  fu  sazio,  e  non  però  di  botto. 

Temendo  poi  che  gli  sien  peste  Tossa, 
Si  sforza  di  tornar  dond'  entrato  era; 
Ma  par  che  '1  buco  più  capir  noi  possa  * 

Mentre  s'affanna,  e  uscir  indarno  spera, 
Gli  disse  un  topolino  :  se  vuoi  quinci 
Uscir  ,  tratti ,  compar ,  quella  panciera  : 

A  vomitar  bisogna  che  cominci 

Ciò  ch'hai  nel  corpo,  e  che  ritorni  macro; 
Altrimenti  quel  buco  mai  non  vinci. 

Or  conchiudendo  dico  :  che  se'l  sacro 
Cardinal  comperato  avermi  stima 
Con  li  suoi  doni ,  non  mi  è  acerbo  ed  acre 

Renderli,  e  tor  la  libertà  mia  prima. 


io  Poesie 

SATIRA 


a  Galasso  Ariosto. 


p, 


ercb'  ho  molto  bisogno ,  più  che  voglia , 
D'esser  in  Roma,  ora  che  i  cardinali 
A  guisa  de  le  serpi  mutan  spoglia; 

Or  che  son  men  pericolosi  i  mali 

A'  corpi ,  ancor  che  maggior  peste  afiliga 
Le  travagliate  meati  de'  mortali; 

Quando  la  ruota  ,  che  non  pur  castiga 
lsion  rio,  si  volge  in  mezzo  a  Roma 
L'anime  a  cruciar  con  lunga  briga; 

Galasso,  appresso  il  tempio,  che  si  noma 
Da  quel  prete  valente  ,  che  l'orecchie 
A  Malco  allontanar  fé*  da  la  chioma , 

Stanza  per  quattro  bestie  mi  apparecchia, 
Contando  me  per  due,  con  Gianni  mio: 
Poi  metti  un  mulo,  e  un'altra  rozza  vecchia. 

Camera  o  buca  ove  a  stanzare  abbia  io, 
Che  luminosa  sia  ,  che  poco  saglia , 
E  da  far  foco  comoda ,  desio . 

Ne  de' cavalli  ancor  meno  ti  caglia; 
Che  poco  gioveria  che  avesser  poste, 
Dovendo  lor  mancar  poi  fieno  o  paglia. 

Sia  prima  un  materasso  ,  che  a  le  coste 
Faccia  vezzi,  di  lana  o  di  cotone, 
Si  che  la  notte  io  non  abbia  ire  a  l'oste. 

Provvedimi  di  legna  secche  e  buone. 
Di  chi  cucini  pur  cosi  a  la  grossa 
Un  poco  di  vaccina  o  di  montone: 


Satiriche.  ii 

Son  curo  d'un,  che  con  sapori  possa 
Di  varj  cibi  suscitar  la  fame, 
Se  fosse  morta  e  chiusa  ne  la  fossa. 

Jnga  il  suo  schidon  pure ,  o  il  suo  tegame 
Sin  a  l'orecchio  a  ser  Vorano  il  muso, 
Venuto  al  mondo  sol  per  far  letame; 

2he  più  cerca  la  fame  ,  perchè  giuso 
Mandi  i  cibi  nel  ventresche  per  trarre 
La  fame  cerchi  aver  de'  cibi  l'uso . 

1  novo  camerier  tal  cuoco  innarre; 
Di  fame  e  d'aglio  uso  a  sfamarsi,  poi 
Che  riposte  i  fratelli  avean  le  marre, 

Ed  egli  a  casa  avea  tornato  i  buoi  : 
Or  vuol  fagiani  or  tortorelle  or  starne , 
Che  sempre  un  cibo  usar  par  che  l'annoi. 

3r  sa  che  differenza  è  da  la  carne 
Di  capro  e  di  cinghiai  che  pasca  al  monte, 
Da  quel  che  l'Elisea  soglia  mandarne. 

Fa  ch'io  trovi  de  l'acqua,  non  di  fonte, 
Di  fiume  sì ,  che  già  sei  dì  veduto 
Non  abbia  Sisto,  né  alcun  altro  ponte. 

Son  curo  sì  del  vin ,  non  già  il  rifiuto; 
Ma  a  temprar  l'acque  me  ne  basta  un  poco, 
Che  la  taverna  mi  darà  a  minuto  . 

Jenza  molt'  acqua  i  nostri ,  nati  in  loco 
Palustre,  non  assaggio,  perchè  puri 
Dal  capo  tranno  in  giù ,  che  mi  fan  roco. 

Cotesti  che  farian ,  che  son  ne'  duri 
Scogli  de'  Corsi  ladri,  o  d' infedeli 
Greci,  o  d'instabil'  Liguri,  maturi? 

Chiuso  nel  studio  frate  Ciurla  se  li 
Bea,  mentre  fuor  il  popolo  digiuno 
Lo  aspetta  che  gli  esponga  gli  Evangeli: 


12  Poesie 

E  poi  monti  sul  pergamo,  più  di  uno 
Gambaro  cotto  rosso ,  e  romor  faccia , 
E  un  minacciar ,  che  ne  spaventi  ognuno  ; 

Ed  a  messer  Moschin  pur  dia  la  caccia , 
A  fra  Gualengo ,  ed  a'  compagni  loro , 
Che  metton  carestia  'n  la  vernaccia: 

Che  fuor  di  casa  in  Gorgadello  o  al  Moro 
Mangian  grossi  piccioni  e  cappon'  grassi , 
Com'egli  in  cella,  fuor  del  Refettoro . 

Fa  che  vi  sien  de'  libri  con  eh'  io  passi 
Queir  ore  che  comandano  i  prelati 
Al  lor  uscier,  che  alcuno  entrar  non  lassi: 

Com'  ancor  fanno  in  su  la  terza  i  frati , 
Che  non  li  muove  il  suon  del  campanello, 
Poi  che  si  sono  a  tavola  assettati . 

Signor,  dirò  (  non  s'usa  più  fratello. 
Poi  eh'  ha  la  vile  adulazion  spagnuola 
Messo  la  signoria  fin  in  bordello  ) 

Signor ,  (  se  fosse  ben  mozzo  da  spuola  ) 
Dirò,  fate,  per  Dio,  che  monsignore 
Reverendissimo  oda  una  parola. 

Agora  non  se  puede,  et  es  meiore, 

Che  vos  torneis  a  la  magnana .  Almeno 
Fate  eh'  ei  sappia  eh'  io  son  qui  di  f uore. 

Risponde  che  '1  padron  non  vuol  gli  siéno 
Fatte  imbasciate ,  se  venisse  Pietro , 
Paol  Giovanni  e  '1  mastro  Nazareno . 

Ma  se  fin  dove  col  pensier  penetro  f 
Avessi  a  penetrarvi  occhi  lincei, 
O  i  muri  trasparesser  come  vetro  : 

Forse  occupati  in  casa  li  vedrei , 
Che  giustissima  causa  di  celarsi 
Avrian  dal  sol,  non  che  da  gli  occhi  miei. 


Satiriche.  i3 

Ma  sia  a  un  tempo  lor  agio  di  ritrarsi, 
E  a  noi  di  contemplar  sotto  il  cammino 
Pe'  dotti  libri  i  saggi  detti  sparsi . 

uhe  mi  muova  a  veder  monte  Aventino; 
So  che  vorresti  intendere,  e  dirolli: 
E  per  legar  tra  caria  piombo  e  lino  , 

Sì  che  ottener  che  non  mi  siano  tolti     * 
Fossa  pel  viver  mio  certi  bajecchi 
Che  a  Melan  piglio,  ancor  che  non  sian  molti: 

l  provveder  ch'io  sia  il  primo  che  mocchi 
Sant'  Agata ,  se  avvien  eh'  al  vecchio  prete, 
Sopravvivendogli  io,  di  morir  tocchi. 

Dunque  io  darò  del  capo  ne  la  rete , 
Ch'io  soglio  dir  che '1  diavol  tende  a  questi 
Che  del  sangue  di  Cristo  han  tanta  sete? 

Son  è  già  mio  pensier  eh'  ella  mi  resti , 
Ma  che  in  mano  a  persona  si  riponga 
Saggia  e  sciente  e  di  costumi  onesti; 

Zhe  con  periglio  suo  poi  ne  disponga  : 
Io  ne  pianeta  mai  ne  tonicella 
Ne  chierca  vo'  che  in  capo  mi  si  ponga  : 

}ome  ne  stole ,  non  credo  anco  anella 
Mi  leghili  mai^  che  in  mio  poter  non  tenga 
Di  elegger  sempre  o  questa  cosa  o  quella; 

ndarno  è ,  s' io  son  prete ,  che  mi  venga 
Desir  di  moglie  ;  e  quando  moglie  io  tolga, 
Convien  che  d'esser  prete  il  desir  spenga  : 

)r  perchè  so  com'  io  mi  muti  e  volga 
Di  voler  tosto ,  schivo  di  legarmi , 
Donde,  se  poi  mi  pento,  io  non  mi  sciolga 

Jui  la  cagion  potresti  dimandarmi, 
Perchè  mi  levo  in  collo  sì  gran  peso, 
Per  dover  poi  su  *n.  altro  scaricarmi . 


14  Poesie 

Perchè  tu  e  gli  altri  frati  miei  ripreso 
M' avreste ,  e  odiato  forse  }  se  offerendo 
Tal  don  fortuna  ,  io  non  l' avessi  preso. 

Sai  ben  che  '1  vecchio  la  riserva  avendo 
Inteso  d'  un  coétì  che  la  sua  morte 
Bramava  ;  e  di  velen  perciò  temendo  ; 

Mi  pregò  che  a  pigliar  venissi  in  corte 
La  sua  rinuncia  ,  che  potria  sol  torre 
Quella  speranza  onde  temea  sì  forte. 

Opra  feci  io  che  si  volesse  porre 

Ne  le  tue  mani,  o  d'Alessandro,  il  cui 
Iugegno  de  la  chierca  non  abborre. 

Ma  ne  di  voi  ne  di  più  giunti  a  lui 
D'amicizia  ,  fidar  unqua  si  volle: 

10  fuor  di  tutti  scelto  unico  fui. 
Questa  opinion  mia  so  ben  che  folle 

Diranno  molti ,  che  salir  non  tenti 

La  via  ch'uom  spesso  a  grandi  onori  estolle 

Queste  povere  sciocche  inutil  genti, 
Sordide  infami  ha  già  legato  tanto, 
Che  fatte  le  ha  adorar  dai  re  potenti. 

Ma  chi  mai  fu  sì  saggio ,  o  mai  sì  santo  , 
Che  di  esser  senza  macchia  di  pazzia  , 
O  poco  o  molto  dar  si  possa  vanto? 

Ognun  tenga  la  sua,  quesl'è  la  mia: 
Se  a  perder  s'  ha  la  libertà  ,  non  stimo 

11  più  ricco  cappel  che  in  Roma  sia. 
Che  giova  a  me  sedere  a  mensa  il  primo , 

Se  per  questo  più  sazio  non  mi  levo 
Di  quel  eh'  è  stato  assiso  a  mezzo  o  ad  imo 
Come  ne  cibo ,  così  non  ricevo 

Più  quiete  più  pace  o  più  contento , 
Se  ben  di  cinque  mitre  il  capo  aggrevo. 


Satiriche.  i5 

Felicitade  estima  alcun  ,  che  cento 
Persone  t'accompaguino  a  palazzo  , 
E  che  stia  il  volgo  a  riguardarti  intento. 

Io  lo  stimo  miseria  ;  e  son  si  pazzo , 

Ch'  io  penso  e  dico  ,  che  io  Roma  famosa 
Il  signor  è  più  servo ,  che  '1  ragazzo. 

Non  ha  da  servir  questi  in  maggior  cosa , 
Che  d'esser  col  signor  quando  cavalchi: 
L'altro  tempo  a  suo  senno  o  va  o  si  posa  : 

La  ^  maggior  cura  che  sul  cor  gli  calchi, 
È  ,  che  Fiammetta  sia  lontana  ,  e  spesso 
Causi  che  l'ora  dei  linei  gli  valchi. 

A  questo  ove  gli  piace  è  andar  concesso 
Accompagnato  e  solo  ,  a  pie  e  a  cavallo , 
Fermarsi  in  ponte  in  banchi  e  in  chiasso,  appresso 

Piglia  un  mantello  o  rosso  o  nero  o  giallo; 
£  se  non  l'ha  ,  va  in  gnnnellin  leggiero: 
!Nè  questo  mai  gli  è  attribuito  a  fallo. 

Quell'altro ,  per  fodrar  di  verde  il  nero 
Cappel  ,  lasciati  ha  i  ricchi  uffizj  ,  e  tolto 
Minor  util ,  più  spesa  ,  e  più  pensiero. 

Ha  molta  gente  a  pascere  ,  e  non  molto 
Da  spender  ,  che  a  le  bolle  è  già  obbligato 
Del  primo  e  del  secondo  anno  il  ricolto; 

E  del  debito  antico  uno  è  passato 

Ed  uno  ,  e  al  terzo  termine  si  aspetta 
Esser  sul  muro  in  pubblico  attaccato. 

Gli  bisogna  a  san  Pietro  andare  in  fretta; 
Ma  ,  perchè  il  cuoco  o  lo  spenditor  manca  , 
Che  gli  sian  dietro  gli  è  la  via  interdetta. 

Fuori  è  la  mula ,  ohe  o  si  duol  d'  un'  anca  , 
O  che  le  cinghie  o  che  la  sella  ha  rotta. 
O  che  da  Ripa  vien  sferrata  e  stanca. 


16  Poesie 

Se  con  lui  fin  il  guattero  non  frotta , 

Non  può  il  misero  uscir  ,  che  stima    incarco 
Il  gire  e  non  aver  dietro  la  frotta. 

Non  è  il  suo  studio  ne  in  Matteo  ne  in  Marco ] 
Ma  specula  e  contempla  a  far  la  spesa 
Sì ,  che  '1  troppo  tirar  non  spezzi  l'arco. 

D'  uffizj  di  badie  di  ricca  chiesa 
Forse  adagiato  alcun  vive  giocondo, 
Che  ne  la  stalla  ne  il  tinel  gli  pesa  ; 

Ah  che  '1  desio  d'  alzarsi  il  tiene  al  fondo  ! 
Già  il  suo  grado  gli  spiace»  e  a  quello  aspira 
Che  dal  sommo  Pontefice  è  il  secondo. 

Giunge  a  quell'anco,  e  la  voglia  anco  il  tira 
A  r  alta  sedia  che  d'  aver  bramata 
Tanto  indarno  il  Riario  si  martira. 

Che  fia  s'  avrà  la  cattedra  beata  ? 
Tosto  vorrà  suoi  figli  o  suoi  nipoti 
Levar  da  la  ci  vii  vita  privata, 

Non  penserà  d'  Achivi  o  d'  Epiroti 
Dar  lor  dominio;  non  avrà  disegno 
Ne  la  Morea  o  ne  V  Arta  far  dispoli  ; 

Non  cacciarne  Ottoman  per  dar  lor  regno , 
Ove  da  tutta  Europa  avria  soccorso , 
E  faria  del  suo  ufficio  ufficio  degno  : 

Ma  spezzar  la  Colonna ,  e  spegner  1'  Orso 
Per  torgli  Palestrina  e  Tagliacozzo  , 
E  dargli  a'  suoi  ,  sarà  il  primo  discorso  ; 

E  qual  strozzato,  e  qual  col  capo  mozzo 
A  la  Marca  lasciando  e  a  la  Romagna, 
Trionferà  del  Cristian  sangue  sozzo. 

Darà  l'Italia  in  preda  a  Francia  o  Spagna, 
Che  sozzopra  voltandola  ,  una  parte 
Al  suo  bastardo  sangue  ne  rimagna. 


Satiriche.  17 

Le  scomuniche  empir  quinci  le  carte  , 
E  quinci  esser  miuistre  si  vedranno 
L' indulgenze  plenarie  al  fiero  Marte. 

Se  '1  Svizzero  condurre  o  l'Alemanno 
Si  dee,  bisogna  ritrovare  i  nummi, 
E  tutto  al  servitor  ne  vieu  il  danno. 

Ho  sempre  inteso  ,  e  sempre  chiaro  fummi, 
Ch'argento  che  lor  basti  non  han  mai 
Vescovi  cardinali  e  pastor'  swmmi. 

Sia  stolto  indotto  vii ,  sia  peggio  assai  : 
Farà  quel  eh'  egli  vuol  ,  se  posto  insieme 
Avrà  tesoro;   e  chi  bajar  vuol,  bai. 

Perciò  gli  avanzi  e  le  miserie  estreme 
Fansi ,  di  che  la  misera  famiglia 
Vive  affamata  ,  e  grida  indarno  e  freme. 

guanto  è  più  ricco  ,  tanto  più  assottiglia 
La  spesa ,  che  i  tre  quarti  si  delibra 
Por  da  canto  di  ciò  che  l'anno  piglia  . 

3a  F  otto  oncie  per  bocca ,  a  mezza  libra 
Si  vien  di  carne  ,  e  al  pan ,  di  cui  la  veccia 
Nata  con  lui  nò  il  loglio  fuor  si  cribra. 

^ome  la  carne  e'1  pan  ,  così  la  feccia 
Del  vin  si  dà  ,  eh'  ha  seco  una  puntura , 
Che  più  mortai  non  1'  ha  spiedo  ne   freccia  , 

)  eh'  egli  fila  ,  e  mostra  la  paura 
Ch'ebbe  a  dar  volta  ,  di  fiaccarsi  il  collo 
Sì  ,  che  men  mai  saria  ber  l'acqua  pura. 

le  la  bacchetta  pur  levar  satollo 
Lasciasse  il  cappellan  ,  mi  starei  cheto, 
Se  ben  non  gusta  mai  vitel  ne  pollo. 

Juesto  ,  dirai ,  può  un  servitor  discreto 
Patir,  che  quando  monsignor  suo  accresce, 
Accresce  anch'  egli  ,  e  n'  ha  da  viver  lieto. 
Poesie  Satir.  2 


18  Poesie 

Ma  tal  speranza  a  molti  non  riesce  , 

Che  per  dar  luogo  a  la  famiglia  nuova, 
Più  d'un  vecchio  d'ufficio  e  d'onor  esce. 

Camerier  scalco  e  secretano  trova 

Il  signor  degni  al  grado:  e  n'hai  buon  patto, 
Che  dal  servizio  suo  non  ti  rimuova. 

Quanto  ben  disse  il  mulattier  quel  tratto, 
Che  tornando  dal  bosco  ebbe  la  sera 
^uo^a  che  '1  suo  padron  papa  era  fatto  l 

Che  per  me  stesse  cardinal  meglio  era  : 
Ho  fin  qui  avuto  da  cacciar  due  muli, 
Or  n'aviò  tre  :  chi  più  di  me  ne  spera  , 

Compri  pur  quanto  io  n'ho  d'aver,  due  giuli 


Satiriche.  19 

SATIRA 

ad  Annibale   malaguzzo. 


? 


oi  che  ,  Annibale  ,  intendere  Tuoi ,  come 
La  fo  col  duca  Alfonso ,  e  s'  io  mi  sento 
Più  grave  o  men  de  le  mutate  some  ; 

erchè  s'  anco  di  questo  mi  lamento , 
Tu  mi  dirai  eh'  ho  il  guidaresco  rotto , 
E  eh'  io  son  di  natura  un  rozzon  lento; 

enza  molto  pensar  dirò  di  botto  , 
Che  un  peso  e  l'altro  ugualmente  mi  spiace, 
E  saria  meglio  a  nessun  esser  sotto. 

immi  or  ch'ho  rotto  il  dosso,  e  se  ti  piace, 
Dimmi  ch'io  sia  una  rozza  ,  e  dimmi  peggio  ; 
In  somma  esser  non  so ,  se  non  verace. 

he  s'  al  mio  genitor  ,  tosto  eh'  a  Reggio 
Daria  mi  partorì ,  faceva  il  giuoco 
Che  fé'  Saturno  al  suo  n2  1'  alto  seggio , 

l  che  di  me  sol  fosse  questo  poco 
Nel  qual  dieci  tra  i  frati  e  le  sirocchie 
E  bisognato  che  tutti  abbian  loco  ; 

a  pazzia  non  avrei  de  le  ranocchie 
Fatta  già  mai,  d'ir  procacciando  a  cui 
Scoprirmi  il  capo ,  e  piegar  le  ginocchie. 

■a  poi  che  fìgliuol  unico  non  fui  , 
Né  mai  fu  troppo  a'  miei  Mercurio   amico  , 

jE  viver  son  sforzato  a  spese  altrui; 

Leglio  è  s'appresso  il  duca  mi  nutrico  , 
Che  andar  a  questo  e  a  quel  de  l'umil  volgo 
Accattandomi  il  pan  come  mendico. 


So  Poesie 

So  ben  che  dal  parer  dei  più  mi  tolgo  : 
Lo  star  in  corte  stimano  grandezza  ; 
Io  pel  contrario  a  servitù  rivolgo. 

Sliaci  volentier  dunque  chi  1  apprezza: 

Fuor  a'  uscirò  ben  io ,  s'  un  dì  il  tìgli uolo 
Di  Maria  vorrà  usarmi  gentilezza. 

Non  si  adatta  una  sella  o  un  basto    solo 
Ad  ogni  dosso;  ad  un  par  che  non  l'abbu 
A  l'altro  stringe  e  preme  e  gli  dà  duolo. 

Mal  .può  durar  il  rosignuolo  in  gabbia  ; 
Più  vi  sta'l  cardellino,  e  più  il  fanello; 
La  rondine  in  un  dì  vi  muor  di  rabbia. 

Chi  brama  onor  di  sproni  o  di  cappello, 
Serva  re  duca  cardinale  o  papa  ; 
Io  no  ,  che  poco  curo  e  questo  e  quello. 

In  casa   mia  mi  sa  meglio  una  rapa 

Ch'io  cuoco  ,  e  cotta  su  uno  stecco  in  force 
E   moudo  e  spargo  poi  di  aceto  e  sapa  ; 

Che  a  1'  altrui  mensa  tordo  starna  o  porco 
Selvaggio;  e  così  sotto  una  vii  coltre, 
Come  di  seta  o  d'  oro  ben  mi  corco  ; 

E  più   mi  pia^e  di  posar  le  poltre 

Membra,  che  di  va  tarle  che  a  gli  Sciti 
Sian  state ,  a  gì'  Indi  ,  a  gli  Etiopi ,  ed  oltrj 

De  gli  uomini  son  varj  gli  appetiti  : 

A  chi  piace  la  chierca  ,  a  chi  la  spada , 
A  chi  la  patria  ,  a  chi  gli  strani  liti. 

Chi  vuol  andar  attorno  ,  attorno  vada  : 
Ve«ga  Inghilterra  Ungheria  Francia  e  Spagn 
A  me  piace  abitar  la  mia  contrada. 

Visto  ho  Toscana  Lombardia  Romagna, 
Quel   monte  che  divide  ,  e  quel  che  serra 
Italia  5  e  un  mare  e  V  altro  che  la  bagna.  ; 


Satiriche.  21 

lesto  mi  basta  ;  il  resto  de  la  terra 
Senza  mai  pagar  1'  oste  andrò  cercando 
Con  Tolomeo,  sia  il  mondo  in  pace  o  in  guerra; 
tutto  il  mar  ,  senza  far  voti  quando 
Lampeggi  il  ciel  ,  sicuro  in  su  le  carte 
Vedrò,  più  che  su  i  legni  volteggiando, 
servigio  del  duca  ,  d'  ogni  parte 
Che  ci  sia  buona ,  più  mi   piace  in  questa , 
Che  dal  nido  natio  raro  si  parie, 
rciò  gli  studj   miei  poco  molesta  , 
3Sè  mi  toglie  ;  onde  mai  tutto  partire 
Non  posso  ,  perchè  il  cor  sempre  ci  resta» 
irmi  vederti  qui  ridere  ,  e  dire 
Che  non  amor  di  patria  ne  di  studi, 
Ma  di  donne  è  cagion  che  uon  vogF  ire* 
neramente  tei  confesso  :  or  chiudi 
La  bocca  ,  eh'  a  difender  la  bugia 
Non  volli  prender  mai  spada  nò  scudi  . 
el  mio  star  qui  qual  la  cagion  si  sia* 
Io  ci  sto  volentieri:    ora   nessuuo 
Abbia  a  tor  più  di  me  la  cura  mia  . 
io  fossi  andato  a  Roma,  dirà  alcuno, 
!  A  farmi  uccellator  de'  benefici , 
I Preso  a  la  rete  n'avrei  già  più  d'uno 
mto  più  eh'  era  de  gli  antichi  amici 
Del  papa,  innanzi  che  virtude  o  sorte 
Lo  sublimasse  al  sommo  de  gli  uffici  : 
f  prima  che  gli  aprissero  le  porte 
,1   Fiorentini,  quando  il  suo  Giuliano 
Si  riparò  ne  la  feltresca  corte; 
We  col  formator  del  Cortigiano, 
Col  Bembo  e  gli  altri  sacri  al  divo  Apollo 
Facea  1'  esilio  suo  men  duro  e  strano  ; 


22  Poesie 

E  dopo  ancor,  quando  levaro  il  collo 
Medici  ne  la  patria:  e  il  gonfalone, 
Fuggendo  del  palazzo,  ebbe  il  gran  crollo; 

E  fin  eh'  a  Roma  s'  andò  a  far  Leone , 
Io  gli  fui  grato  sempre ,  e  in  apparenza 
Mostrò  amar  più  di  me  poche  persone: 

E  più  volte  Legato,  ed  in  Fiorenza 
Mi  disse ,  che  al  bisogno  mai  non  era 
Per  far  da  me  al  fratel  suo  differenza  . 

Per  questo  parrà  altrui  cosa  leggiera , 

Che  stando  io  a  Roma  già  m'avessi  posta 
La  cresta  dentro  verde,  e  di  fuor  nera. 

A  chi  parrà  ,  così  farò  risposta 

Con  uno  esempio  :  leggilo  ,  che  meno 
Leggerlo  a  te,  che  a  me  scriverlo,  costa. 

Una  stagion  fu  già ,  che  sì  il  terreno 
Arse ,  che  '1  sol  di  nuovo  a  Faetone 
De'  suoi  corsier*  parea  aver  dato  il  freno . 

Secco  ogni  pozzo,  secco  era  ogni  fonte; 
Gli  stagni  i  rivi  e  i  fiumi  più  famosi 
Tutti  passar  si  potean  senza  ponte 

In  quel  tempo  d'  armenti  e  di  lanosi 
Greggi  ,  io  non  so  s' io  dica  ricco    o  grave 
Era  un  pastor  fra  gli  altri  bisognosi  , 

Che  poi  che  1'  acqua  per  tutte  le  cave 
Cercò  indarno,  si  volse  a  quel  Signore 
Che  mai  non  suol  fraudar  chi  in  lui  fede  have 

Ed  ebbe  lume  e  ispirazion  di  core , 
Ch'indi  lontano  troveria  nel  fondo 
Di  certa  valle  il  desiato  umore. 

Con  moglie  e  figli  e  con  ciò  ch'avea  al  mond< 
Là  si  condusse  ,  e  con  gli  ordigni  suoi 
L'  acqua  trovò  ,  né  molto  andò  profondo  : 


Satiriche.  23 

non  avendo  con  che  attinger  poi , 
Se  non  un  vaso  picciolo  ed  angusto, 
Disse  :  che  mio  sia  '1  primo  non  v'  annoi  j 
i  mogliema  il  secondo  ;  e  '1  terzo  è  giusto 
Che  sia  de'  figli  e  il  quarto;  e  fin  che  cessi 
L'  ardente  sete  onde  è  ciascuno  adusto  , 
li  altri  vo'  ad  un  ad  un   che  sien  concessi , 
Secondo  le  fatiche,  a  li  famigli 
Che  meco  in  opra  a  far  il    pozzo  ho  messi  « 
>i  su  ciascuna  bestia  si  consigli; 
Che  di  quelle  che  a  perderle  è  più  danno. 
Innanzi  a  V  altre  la  cura  si  pigli . 
3n  questa  legge  un  dopo  V  altro  vanno 
A  bere  :  e  per  non  esser  i  sezzai, 
Tutti  ivi  grandi  i  lor  meriti  fanno  » 
uesto  una  gaza,  che  già  amala  assai 
Fu  dal  padrone,  ed  in  delizie  avuta. 
Vedendo  ed  ascoltando  >  gridò  :  guai  ! 
►  uon  gli  son  parente,  ne  venuta 
A  far  il  pozzo  ,  ne  di  più  guadagno 
Gli  son  per  esser  mai  eh'  io  gli  sia  suta* 
eggio  che  dietro  a  gli  altri  mi  rimagno  ; 
Morrò  di  sete ,  quando  non  procacci 
I  Di  trovar  per  mio  scampo  altro  rigagno . 
agin  ,  con  questo  esempio  vo*  che  spacci 
;  Quei  che  credon  che  ì  papa  porre  innanti 
|  Mi  debba  a  Neri  a  Vanni  a  Lotti  e  a  Bacch 
(nipoti  e  i   parenti,  che  son  tanti, 
Prima  hanno  a  ber  ;  poi  quei  che  1*  ajutaro 
A  vestirsi  il. più  bel  di  tutti  i  mai>ti  . 
3vu'o  eh'  abbian  questi,  gli  sia  caro 
Che  beano  quei  che  contra  il  Soderino 
Per  tornarlo  in  Firenze  si  le  varo  « 


24  Poesie 

L'  un  dice  :  io  fai  eoa  Pietro  in  Casentiao  , 
E  d'  esser  preso  e  morto  a  risco  venni  : 
Io  gli  prestai  denar'  ,  grida  Brandino  . 

Dice  un  altro  :  a  mie  spese  il  frate  tenni 
Un  anno,  e  lo  rimessi  io  veste  e  ia  arme  ; 
Di  cavallo  e  d'  argento  gli  sovvenni  . 

Se  fin  che  tutti  beano  aspetto  a  trarrne 
La  volontà  di  bere  ;  o  me  di  sete , 
O  secco  il  pozzo  d'  acqua  veder  parme  . 

Meglio  è  star  ne  la  solila  quiete , 

Che  provar  ,  s'  egli  è  ver ,  che  qualunque  erg* 
Fortuna  in  alto  ,  il  tuffa  prima  in  Lete . 

Ma  fia  ver  ,  se  ben  gli  altri  vi  sommerge, 
Che  costui  sol  non  accostasse  al  rivo 
Che  del  passato  ogni  memoria  asterge  . 

Testimonio  son  io  di  quel  ch'io  scrivo: 
Ch'io  non  l'ho  ritrovato,  quando  il  piede 
Gli  baciai  prima  ,  di  memoria  privo . 

Piegossi  a  me  da  la  beata  sede  ; 

La  mano  e  poi  le  gote  ambe  mi  prese, 
E  '1  santo  bacio  in  amen  due  mi  diede  . 

Di  mezza  quella  bolla  anco  cortese 
Mi  fu  ,  de  la  qual  ora  il  mio  Bibiena 
Espedito  mi  ha  il  resto  a  le  mie  spese  . 

Indi  col  seno  e  con  la  falda   piena 

Di  speme  ,  ma  di  pioggia  molle  brutto  , 
La  notte  andai  sin  al  Montone  a  cena  . 

O  sia  vero  che  '1  papa  attenda  tutto 

Ciò  che  già  offerse,  e  voglia  di  quel  seme 
Che  già  tant'  anni  sparsi  or   darmi  il  frutto 

Sia  ver  che  tante  mitre  e  diademe 
Mi  doni  ,  quante  Giona  di  cappella 
A  la  messa  papal  non  vede  insieme  : 


Satiriche.  26 

lia  ver  che  d'  oro  m'  empia  la  scarsella 
E  le  maniche  e  '1  grembo ,  e  se  non  basta , 
M'  empia  la  gola  il  ventre  e  le  budella; 

ara  per  questo  piena  quella  vasta 
Ingordigia  di  aver  ?  Rimarrà  sazia 
Per  ciò  la  sitibonda  mia  cerasta  ? 

)al  Marocco  al  Calai  ,  dal  INilo  in  Dazia , 
Non  che  a  Roma  anderò  ,  se  di  potervi 
Saziare  i  desiderj  impetro  grazia  . 

£a  quando  cardinale ,  o  de  li  servi 
Io.  sia  il  gran  servo,  e  non  ritrovino  anco 
Termine  i  desiderj   miei  protervi  ; 

n  che  util  mi  risulta  essermi  stanco 
In  salir  tanti  gradi  ?  Meglio  fora 
Starmi  in  riposo,  e  affaticarmi  manco. 

fel  tempo  eh'  era  nuovo  il  mondo  ancora , 
E  che  inesperta  era  la  gente  prima  , 
E  non  eran  le  astuzie  che  son  ora  ; 

l  pie  d'un  alto  monte,  la  cui  cima 
Parea  toccasse  il  cielo  ,  un  popol ,  quale 
Nou  so  mostrar  ,  vivea  ne  la  valle  ima  ; 

]he  più  volte  osservando  la  ineguale 
Luna,  or  con  corna  or  senza,  or  piena  or  scema 
Girar  pel  cielo  al  corso  naturale  ; 

l  credendo  poter  da  la  suprema 
Parte  del  monte  giungervi,  e  vederla 
Come  si  accresca,  e  come  in  se  si  prema \ 

]hi  con  canestro  ,  e  chi  con  sacco  per  la 
Montagna  cominciar'  correr  in  su  , 
Ingordi  tutti  a  gara  di  teuerla  ^ 

fedendo  poi  non  esser  giunti  più 
Vicini  a  lei,  cadeano  a  terra  lassi , 
Bramando  in  vau  d'  esser  rimasi  giù  , 


26  P   O   E   9   I   % 

Quei  eh'  alti  li  vedean  dai  poggi  Lassi  f 
Credendo  che  toccassero  la  luna , 
Dietro  venian  con  frettolosi  passi  . 

Questo  monte  è  la  ruota  di  Fortuna  , 
Ne  la  cui  cima  il  volgo  ignaro  pensa 
Ch'  ogni  quiete  sia  ,  ne  ve  n'  è  alcuna  « 

Se  ne  P  onor  contento  o  ne  la  immensa 
Ricchezza  si  trovasse,  io   loderei 
Non  aver  ,  se  non  qui ,  la  voglia  intensa; 

Ma  se  vediamo  i  papi  e  i  re,  che  Dei 

Stimiamo  in  terra,  star  sempre  in  travaglio, 
Che  sia  contento  in  lor  dir  non  potrei. 

Se  di  ricchezze  al  turco,  e  s'io  m'agguaglio 
Di  dignitade  al  papa ,  ed  ancor  brami 
Salir  più  in  a!to ,  e  mal  me  ne  prevaglio  ; 

Convenevole  è  ben  che  ordisca  e  trami 


Di  non  patire  a  la  vita  disagio, 
>iù  di 


Che  più  di  quanto  ho  al  mondo  è  ragio-n  ch'ami; 

Ma  se  P  uomo  è  sì  ricco,  che  sta  ad  agio 
Di  quel  che  dà  natura,  contentasse 
Dovria  ,  se  fren  pone  al  desir  malvagio  . 

Che  non  digiuni  ,  quando  vorria  tiarse 
L'  ingorda  fame  ,  ed  abbia  fuoco  e  tetto  , 
Se  dal  freddo  e  dal  sol  vuol  ripara rse  : 

Ne  gli  convenga  andare  a  pie,  se  astretto 
E  di  mutar  paese  ;  ed  abbia  in  casa 
Chi  la  mensa  apparecchi,  e  acconci  il  letto; 

Che  mi  può  dare  ,  o  mezza  o  tutta  rasa 
La  testa  ,  più  di  questo  ?  Ci  è  misura 
Di  quanto  pon  capir  tutte  le  vasa  . 

Convenevole  è  ancor  che  s'  abbi  cura 

De  V  onor  suo;  ma  tal,  che  non  divenga 
Ambizione  ,  e  passi  ogni  misura  . 


Satiriche.  27 

l  vero  onore  è  eh'  uom  da  ben  ti  tenga 
Ciascuno ,  e  che  tu  sia  ;  che  non  essendo  , 
Forza  è  che  la  bugia  tosto  si  spenga  . 

Ihe  cavaìiero  o  conte  o  reverendo 
11  popolo  ti  chiami,  io  non  t'  onoro  , 
Se  meglio  in  te,  che  il  tilol,  non  comprendo. 

!he  gloria  t' è  vestir  di  seta  e  d'oro, 
E  quando  in  piazza  appari  o  ne  la  chiesa 
Ti  si  levi  il  cappuccio  il  popol  soro  ? 

'oi  dica  dietro:  ecco  chi  diede  presa 
Per  danari  a' Francesi  Porta  Giove, 
Che '1  suo  signor  gli  avea  data  in  difesa. 

hiante  collane  ,  quante  cappe  nuove 
Per  dignità  si  comprano,  che  sono 
Pubblici  vituperi  in  Roma  e  altrove  ? 

restir  di  romaguuolo ,  ed  esser  buono , 
Io  mi  contento  ;  ed  a  chi  vuol  con  macchia 
Di  bareria  ,   Toro  e  la  seta  dono. 

)i verso  al  mio  parer  il  Bomba  gracebia , 
E  dice:  abb' io  pur  roba,  e  sia  l'acquisto 
O  venuto  pel  dado  o  per  la  macchia  : 

lempre  ricchezze  riverir  ho  visto 
Più  che  virtù  ,  poco  il  mal  dir  mi  nuoce  ; 
Si  riniega  anco  e  si  bestemmia  Cristo . 

*ian  piano  ,  Bomba  ,  non  alzar  la  voce: 
Besremmian  Cristo  gli  nomini  ribaldi 
Peggior' di  quei  che  lo  chiovaro  in  croce; 

fla.  ben  gli  onesti  e  i  buoni  dicon  mal  di 
Te,  e  dicon  ver,  che  carte  false  e  dadi 
Ti  danno  i  beni  eh'  bai  mobili  e  saldi  ; 

ì  tu  dai  Jor  da  dirlo  ,  perchè  radi 
Più  di  te  in  questa  terra  stracciati  tele 
D'oro  e  broccati,  velluti  e  zendadi  . 


28  P    d   E   S   I   8 

Quel  che  devresti  ascondere,  rivele; 

A' furti  tuoi  che  star  devrian  di  piatto, 
Per  me'  mostrarli  allumi  le  candele  : 

E  dai  materia  eli'  ogni  savio  e  matto 
Intender  vuol  %  come  ville  e  palazzi 
Dentro  e  di  fuor  in  sì  pochi  anni  hai   fatto: 

E  come  così  vesti  e  così  sguazzi  : 

E  risponder  è  forza  che  a  te  è  avviso 
Esser  grand' uomo,  e  che  dentro  ne  guazzi* 

Pur  che  non  se  lo  veggia  dire  in  viso, 

Non  stima  il  Borno  che  sia  biasmo ,  s'  ode 
Mormorar  dietro  ch'abbia  il  frate  ucciso. 

Se  ben  è  stato  in  bando  un  pezzo ,  or  gode 
L'  ereditate  in  pace  ;  e  chi  gli  agogna 
Mal  ,  freme  indarno,  e  indarno  se  ne  rode 

Quei!'  altro  va  se  stesso  a  porre  in  gogna 
Facendosi  veder  con  quella  aguzza 
Mitra ,  acquistata  con  tanta  vergogna  . 

Non  avendo  più  bel  d'  una  cucuzza , 
Ha  meritato  con  brutti  servigi 
La  dignitate  e  '1  titolo  che  puzza 

A  gli  spirti  celesti  umani  e  stigi  . 


Satiriche.  29 

SATIRA 
a  Sigismondo  Malaguzzo. 


1 


I  ventesimo  giorno  di  febbrajo 

Chiude  oggi  T  anno,  che  da  questi   monti 
Che  danno  a'  Toschi  il  vento  di  rovajo, 

Qui  scesi ,  dove  da  diversi  fonti 

Con  eterno  romor  confondon  I*  acque 
La  Turrite  col  Serchio  fra  duo  ponti  , 

Per  custodir ,  come  al  signor  mio  piacque  , 

II  gregge  grafasmin  ,  che  a  lui  ricorso 
Ebbe  tosto  eh'  a  Roma  il  Leon  giacque  : 

Che  spaventato,  e  messo  in  fuga  ,  e  morso 
L'aveva  dianzi,  e  V  avria  mal  condotto, 
Se  non  venia  dal  ciel  giusto  soccorso . 
questo  in  tanto  tempo  e  il  primo  motto 
Ch'  io  fo  a  le  Dee  che  guardano  la  pianta  , 
De  le  cui  fronde  io  fui  già  così  ghiotto . 

La  novità  del  loco  è  stata  tanta, 

Ch'  ho  fatto  come  augel    che    muta  gabbia  , 
Che  molti  giorni  resta  che  non  canta, 

Sigismondo  cugi -\  ,  che  taciuto  abbia 
Non  ti  meravigliar  ,  ma  meraviglia 
Abbi  rhe  morto  io  non  sia  ormai  di  rabbia, 

Vedendomi  lontan  cento  e  più  miglia , 
E  m'abbian  monti  e  fiumi  e  selve  escluso 
Da  chi  tien  del  mio  cor  sola  la  briglia. 

Con  altre  cause  e  più  degne  mi  scuso 
Con  gli  altri  amici,  a  dirti  il  ver:  ma  teco 
Liberamente  il  mio  peccato  accuso. 


3o  Poesie 

Altri ,  a  chi  lo  dicessi  ,  nn  occhio  bieco 

Mi  volgerebbe  addosso ,  e  un  muso  stretto  : 
Guata  poco  cervel ,  poi  diria  seco . 

Degno  uom  ,  da  chi  esser  debba  un  popol  retto, 
Uom  che  poco  loutan  da  cinquant'  anni 
Vaneggi  nei  pensier'  di  giovinetto . 

E  direbbe  il  vangel  di  san  Giovanni; 
Che  se  ben  erro,  pur  non  son  sì  losco, 
Che  '1  mio  error  non  conosca,  e  ch'io  noi  danni. 

Ma  che  giova ,  s' io  il  danno  e  s' io  '1  conosco  , 
Se  non  ci  posso  riparar ,  né  trovi 
Rimedio  alcun  che  spegna  questo  tosco  ? 

Tu  forte  e  saggio  ,  che  a  tua  posta  muovi 
Questi  affetti  da  te ,  che  in  uom  nascendo 
Natura  affigge  con  sì  saldi  chiovi  ! 

Fisso  è  in  me  questo,  forse  non  sì  orrendo, 
Come  in  alcun  eh'  ha  di  me  tanta  cura  , 
Che  non  può  tollerar  eh'  io  non  mi  emendo: 

E  fa  come  io  so  alcun  che  dice  e  giura, 

Che  quello  e  questo  è  poco  ;  e  quanto  lungo 
Sia  il  cimier  del  suo  capo  non  misura  . 

Io  non  uccido,  io  non  percuoto  o  pungo, 
Io  non  do  uoja  altrui  ;  sebben  mi  dolgo  , 
Che  da  chi  meco  è  sempre  ,  io  mi  dilungo  : 

Perciò  non  dico  ,  ne  a  difender  tolgo 

Che  non  sia  fallo  il  mio  ;  ma    non  si  grave  , 
Che  di  via  più  non  ne  perdoni  il  volgo . 

Con  minor  acqua  il  volgo  ,  non  che  lave 
Maggior  macchia  di  questa ,  ma  sovente 
Al  vizio  titol  di  virtù  dato  bave. 

Ermilian  sì  del  danajo  ardente ,  , 

Come  di  esso  il  Gianfa  ,  e  che*  lo  brama 
Ognora  in  ogni  loco ,  da  ogni  gente  ; 


Satiriche.  3r 


Se  amico  ne  f ratei   né  se  stesso  ama  : 
Uomo  d'  industria,  uom  di  grande  ingegno, 
Di  gran  saper  ,  di  gran  valor  si  chiama  . 

jonfia  Rinieri  ,  ed  ha  il  suo    grado  a  sdegno  ; 
Esser  gli  par  quel  che  non  è  ;  più  innanzi 
Che  in  tre  salt'  ir  non  può ,  si  mette  il  segno, 

fon  vuol  che  in  ben  vestir  altri  Y  avanzi  ; 
Spenditor  scalco  falconiero  e  cuoco 
Vuol,  chi  lo  scalzi,  e  chi  gli  tagli  innalzi. 

)ggi  uno,  e  diman  vende  un  altro  loco; 
Quel  che  in  molt'  anni  acquistar'  gli  avi  e  i  patri, 
Getta  a  man'  piene,  e  non  a  poco  a  poco. 

Costui  non  è  chi  morda  ,  o  chi  gli  latri  ; 
Ma  liberal  magnanimo  si  noma 
Fra  i  volgari  giudiej  oscuri  ed  atri . 

Polonio  di  faccende  sì  gran  soma 
Tolle  a  portar,  che  ne  saria  già  morto 
Il  più  forte  somier  che  vada  a  Roma  . 

Tu  '1  vedi  in  Banchi,  a  la  d<  gaua ,  al  porto, 
In  camera  Apostolica  e  in  castello, 
Da  un  ponte  a  l'altro  a  un  volger  di  occhio  sorto; 

li  stilla  notte  e  dì  sempre  il  cervello  , 
Come  al  papa  ognor  dia  freschi  guadagni, 
Con  dazj  nuovi  e  multe ,  e  con  balzello  . 

lode  fargli  saper  che  se  ne  lagni  , 
E  dica  ognun  che  a  1'  ulil  del  padrone 
Non  riguardi  parenti  ne  compagni  : 

1  popol  T  odia',  ed  ha  d'  odiar  ragione  , 
Se  d'  ogni  mal  che  la  città  flagella, 
Gli  è  ver  eh'  egli  sia  il  capo    e    la  cagione  . 

1  pur  grande  e  magnifico  s' appella  ; 
Né  senza  prima  discoprirsi  il  capo 
Il  nobile  o  '1  plebeo  mai  gli  favella  . 


3z  Poesie 

Laurin  si  fa  de  la  sua  patria  capo  , 
Ed  in  privato  il  pubblico  converte; 
Tre  ne  confina ,  a  sei  ne  taglia  il  capo  : 

Comincia  volpe ,  ed  indi  a  forze  aperte 
Esce  leon  ,  poi  eh*  ha  il  popol  sedutto 
Con  licenza  con  doni  e  con  offerte  : 

GÌ'  iniqui  alzando ,  e  deprimendo  in  lutto 
I  buoni,  acquista  titolo  di  saggio, 
Di  furti  stupri  e  d'  omicidj  brutto  . 

Così  dà  onore  a  chi  dovrebbe  oltraggio  , 
Ne  sa  da  colpa  a  colpa  scerner  1'  orbo 
Giudicio ,  a  cui  non  mostra  il  sol  mai  raggi< 

Estima  il  corbo  cigno  ,  e  il  cigno  corbo  ; 
Se  sentisse  eh'  io  amassi ,  fa  ria  un  viso , 
Come  mordesse  allora  allora  un  sorbo  . 

Dica  ognun  come  vuole  ,  e  siagli  avviso 
Quel  che  gli  pare:  in  somma  ti  confesso  , 
Che  qui  perduto  il  canto,  il  giuoco,  il  rise 

Questa  è  la  prima;  ma  molt' altre  appresso, 
E  molt' altre  ragion  posso  al iegarte  , 
Che  da  le  Dee  m*  han  tolto  di  Permesso. 

Già  mi  fur  dolci  inviti  a  empir  le  carte 
I  luoghi  ameni  di  che  il  nostro  Reggio, 
E  '1  natio  nido  mio  n'  ha  la  sua  parte . 

Il  tuo  Maurizia  11  sempre  vagheggio, 
La  bella  stanza,  e '1  Rodano  vicino 
De  le  Najadi  amato  ombroso  seggio  . 

Il  lucido  vivajo  onde  il  giardino 

Sì  cinge  intorno ,  '1  fresco  rio  che  corre 
Rigando  V  erbe ,  ove  poi  fa  il  molino  . 

Non  mi  si  pon  da  la   memoria  torre 
Le  vigne  e  i  solchi  del  fecondo  Jaco , 
La  valle  e '1  colle  e  la  ben  posta  torre. 


Satiriche.  33 

"ercando  or  questo  ed  or  quel  loco  opaco, 
Qui  in  più  d'una  lingua  e  in  più  d'  un  stile 
Rivi  traea  sin  dal  gorgoneo  laco. 

trailo  allora  gli  anni  miei  fra  aprile 
E  maggio  belli,  ch'or  l'ottobre  dietro 
Si  lasciano,  e  non  pur  luglio  e  sestile. 

la  ne  d'Ascia  potrian  ne  di  Libetro 
Le  amene  valli,  senza  il  cor  sereno, 
Far  da  me  uscir  gioconda  rima  e  metro. 

)ove  altro  albergo  era  di  questo  meno 
Conveniente  ai  sacri  studj,  voto 
D'ogni  giocondità,  d'ogni  orror  pieno? 

La  nuda  Pania  tra  l'aurora  e '1  noto, 
Da  l'altre  parti  il  giogo  mi  circonda 
Che  fa  d'un  pellegrin  la  gloria  noto  : 

)uest'  è  una  falda  ,  ov'  abito ,  profonda  , 
D'onde  non  muovo  pie  senza  salire 

!  Del  selvoso  Appennin  la  fiera  sponda. 

)  starmi  in  rocca,  o  voglia  a  l'aria  uscire, 
Accuse  e  liti  sempre  e  gridi  ascolto , 
Furti  omicidj  odj  vendette  ed  ire  ; 

ì  ch'or  con  chiaro,  or  con  turbato  volto 
Convien  ch'alcuno  prieghi,  alcun  minacci, 
Altri  condanni,  ed  altri  mandi  assolto; 

Ih' ogni  di  scriva,  ed  empia  fogli,  e  spacci 
Al  duca,  or  per  consiglio  or  per  ajuto, 
Sì  che  i  ladron'  eh'  ho  d'  ogn'  intorno  scacci. 

tei  saper  la  licenza  in  eh'  è  venuto 
Questo  paese,  poi  che  la  Pantera, 
Indi  il  Leon  1*  ha  fra  eli  arti«ìi  avuto, 
jui  vanno  gli  assassini  m  sì  gran  schiera, 
Che  un'altra  che  per  prenderli  ci  è  posta, 

!  Non  osa  trar  del  sacco  la  bandiera. 
Poesie  Salir.  3 


34  Poesie 

Saggio  chi  dal  Castel  poco  si  scosta  ; 

Ben  scriva  a  chi  più  tocca,  ma  non  torna 
Secondo  ch'io  vorrei,  mai  la  risposta. 

Ogni  terra  in  se  stessa  alza  le  corna  ; 
Che  sono  ottantatrè  ,  tutte  partite 
Da  la  sedizion  che  ci  soggiorna . 

Vedi  or  se  Apollo,  quando  io  ce  lo  invite, 
Vorrà  venir  lasciando  Delfo  e  Cinto 
In  queste  grotte  a  sentir  sempre  lite. 

Dimandar  mi  potresti,  chi  m'  ha  spinto 
Dai  dolci  studj  ,  e  compagnia  sì  cara , 
In  questo  rincrescevo!  laberinto? 

Tu  dei  saper  che  la  mia  voglia  avara 

Unqua  non  fu;  ch'io  solea  star  contento 
De  lo  stipendio  che  traea  in  Ferrara. 

Ma  non  sai  forse  come  uscii  poi  lento 
Succedendo  la  guerra  ;  e  come  volse 
Il  duca  che  restasse  in  tutto  spento? 

Fin  che  quella  durò,  non  me  ne  dolse; 
Mi  dolse  di  veder  che  poi  la  mano 
Chiusa  restò  ,  eh'  ogni  timor  si  sciolse. 

Tanto  più  che  l'ufficio  di  Melano, 
Poi  che  le  leggi  vi  tacean  fra  l'armi, 
Bramar  gli  affitti  suoi  mi  facea  in  vano. 

Ricorsi  al  duca:  o  voi,  signor,  levarmi 
Dovete  di  bisogno  ,  o  non  v'  incresca 
Ch'io  vada  altra  pastura  a  procacciarmi. 

Grafagnini  io  quel  tempo,  essendo  fresca 
La  lor  rivoluzion,  che  spinto  fuori 
Avean   Marzocco  a  procacciar  d'altr'esca, 

Con  lettere  frequenti  e  ambasciatori 
Replicavano  al  duca,  e  facean  fretta 
D' aver  lor  capi ,  e  loro  usati  onori . 


Satiriche  35 

Fu  di  me  fatta  una  improvvisa  eletta; 
O  fosse  perchè  il  termine  era  breve 
Di  consigliar  chi  pel  miglior  si  metta: 

)  pur  fu  appresso  il  mio  signor  più.  leve 
11  bisogno  de'  sudditi ,  che '1  mio; 
Di  eh'  obbligo  gli  ho  quanto  se  gli  deve. 

obbligo  gli  ho  del  ben  voler,  più  eh'  io 
Mi  contenti  del  dono,  il  quale  è  grande, 
Ma  non  molto  conforme  al  mio  desio. 

)r  se  di  me  a  quest'  uomini  dimande , 
Potrian  dir  che  bisogno  era  di  asprezza, 
Non  di  clemenza  a  l'opre  lor  nefande. 

Come  nò  in  me,  così  né  contentezza 
E  forse  in  lor  ;  io  per  me  son  quel  Gallo 
Che  la  gemma  ha  trovato  ,  e  non  l'apprezza. 

Jon  come  il  Veneziano,  a  cui  il  cavallo 
Di  Mauritania  in  eccellenza  buono 
Donato  fu  dal  re  di  Portogllo: 

il  qual  per  aggradire  il  real  d^io, 
Noti  discernendo ,  che  mestierV  diversi 
Volger  timoni,  e  regger  briglie  sono, 

ìopra  vi  salse  ,  e  cominciò  a  tenersi 
Con  mani  al  legno ,  e  co'  sproni  a  la  pancia; 
Non  vo' ,  seco  dicea ,  che  tu  mi  versi. 

lente  il  cavallo  pungersi ,  e  si  lancia  ; 
E  '1  buon  nocchier  più  allora  preme  e  stringe 
Lo  sprone  al  fianco  ,  aguzzo  più  che  lancia , 

l  di  sangue  la  bocca,  e'1  fren  gli  tinge: 
Non  sa  il  cavallo  a  chi  ubbidir,  o  a  questo 
Che '1  torna  indietro,  o  a  quel  che  l'urta  e  spinge; 

?ur  se  ne  sbriga  in  pochi  salti  presto: 
Rimane  in  terra  il  cavalier  col  fianco 
Con  la  spalla  col  capo  rotto  e  pesto: 


36 


Poesie. 


Tutto  di  polve  e  dì  paura  bianco 
Si  levò  al  fin  del  re  mal  satisfatto» 
E  lungamente  poi  se  ne  dolse  anco: 

Meglio  avrebbe  egli,  ed  io  meglio  avrei  fatto, 
Egl'  iJ  bea  del  cavallo ,  io  del  paese , 
A  dire  :  o  re  signor ,  non  ci  son  alto  : 

Sii  pur  a  un  altro  di  tal  don  cortese. 


Satiriche,  87 

SATIRA 

a  Bonaventura  Pistofilo. 


p 


istofilo  ,  tu  scrivi  che  se  appresso 
Papa  Clemente  ambasciator  del  duca 
Per  un  anno  o  per  due  voglio  esser    messo , 

}h' io  te  ne  avvisi,  acciò  che  tu  conduca 
La  pratica  ;  e  proporre  anco  non  resti 
Qualche  viva  cagion  che  mi  v'  induca  : 

]he  lungamente  io  sia  stato  di  questi 
Medici  amico ,  e  conversar  con  loro 
Con  gran  domestichezza  mi  vedesti  , 

)uando  eran  fuorusciti ,  e  quando  foro 
Rimessi  in  casa  ,  e  quando  in  su  le  rosse 
Scarpe  Leone  ebbe  la  croce  d'oro  : 

}he  oltre  che  a  proposito  assai  fosse 
Del  duca  ,  estimi  che  tirare  a  mio 
Utile  e  onor  potrei  gran  poste  e  grosse  : 

]he  più  da  fiume  grande  ,  che  da  uti  rio 
Posso  sperar  di  prendere  ,  s'  io  pesco. 
Or  odi  quanto  a  ciò  ti  rispond'  io: 

o  ti  ringrazio  prima  ,  che  più  fresco 
Sia  sempre  il  tuo  desire  in  esaltarmi , 
E  far  di  bue  mi  vogli  in  barbaresco  : 

*oi  dico  che  pel  fuoco ,  e  che  per  Y  armi 
A  servigio  del  duca  in  Francia  e  fn  Spagna 
E  in  India,  non  che  a  Roma  puoi  mandarmi» 

la  per  dirmi  che  onor  vi  si  guadagna 
E  facultà ,  ritruova  altro  zimbello  , 
Se  vuoi  che  1'  augel  caschi  ne  la  ragna. 


38  Poesie 

Perchè  quanto  a  l' onor  *  ri'  ho  tutto  quello 
Che  io  voglio  ;  hasta  che  in  Ferrara  veggio 
Da  più  di  sei  levarmisi  il  cappello. 
Perchè  san  che  talor  col  duca  seggio 
A  mensa  ,  ne  riporto  qualche  grazia  , 
Se  per  me  o  per  gli  amici  gliela  chieggio; 
E  se  ,  come  di  onor  mi  trovo  sazia 
La  mente  ,  avessi  facultà  a  bastanza  , 
Il  mio  desir  si  fermeria  ,  ch'or  spazia. 
Sol  tanta  ne  vorrei  ,  che  viver  sanza 
Chiederne  altrui  mi  fosse  in  libertade; 
Il  che  ottener  mai  più  non  ho  speranza  : 
Poi  che  tanti  mie'  amici  potestade 
Hanno  avuto  di  farlo  ;  pur  rimaso 
Son  sempre  in  servitude  e  in  povertade. 
Non  vo'  più  che  colei  che  su  del  vaso 
De  T  incauto  Epi meteo  a  fuggir  lenta  , 
Mi  tiri  com'  un  bufalo  pel  naso. 
Quella  ruota  dipinta  mi  sgomenta  , 

Ch'  ogni  mastro  di  carte  a  un  modo  finge  ; 
Tanta  concordia  non  cred'  io  che  menta. 
Quel  che  le  siede  in  cima ,  si  dipinge 
Un  asinelio  :  ognun  lo  enigma  intende , 
Senza  che  chiami  a  interpretarlo  Sfinge. 
Vi  si  vede  anco  che  ciascun  che  ascende , 
Comincia  a  inasinir  le  prime  memhre  , 
E  resta  umano  quel  che  a  dietro  pende 
Fin  che  de  la  speranza  mi  rimcmbre  , 

Che  coi  fior' venne  e  con  le  prime  foglie, 
E  poi  fuggì  senza  aspettar  settembre  : 
Venne  il  dì  che  la  chiesa  fu  per  moglie 
Data  a  Leone ,  ed  a  le  nozze  vidi 
A  tanti  amici  miei  rosse  le  spoglie. 


Satiriche.  3g 

tVenne  a  calènde  ,  e  fuggì  innanzi  a  gl'idi: 
Fin  che  me  ne  riraembre ,  esser  non  puote 
Che  di  promessa  altrui  mai  più  mi  fidi. 

>La  sciocca  speme  a  le  contrade  ignote 
Salì  dal  ciel  quel  dì  che  '1  Pastor  santo 
La  man  mi  strinse ,  e  mi  baciò  le  gole  : 

iVla  fatte  in  pochi  giorni  poi  di  quanto 
Potea  ottener  le  sperienze  prime  , 
Quanto  andò  in  alto,  in  giù  tornò  altrettanto» 

Fu  già  una  zucca  che  montò  sublime 
In  pochi  giorni  tanto ,    che  coperse 
A  un  pero  suo  vicin  1'  ultime  cime  : 
1  pero  una  mattina  gli  occhi  aperse  , 
Ch'  avea  dormito  un  lungo  sonno  ,    e  visti 
1  nuovi  frutti  sai  capo  sederse  ; 

Le  disse  :  chi  sei  tu  ?  come  salisti 
Qua  su  ?  dove  eri  dianzi ,  quando  lasso 
Al  sonno  abbandonai  questi -occhi  tristi? 

pila  gli  disse  il  nome  ,  e  dove  al  basso 
Fu  piantata  mostrogli  ;  e  che  in  tre  mesi 
Quivi  era  giunta  accelerando  il  passo. 

Sd  io  ,  T  arbor  soggiunse ,  a  pena  ascesi 
A  quest'  altezza ,  poiché  al  caldo  e  al  gelo 
Con  tutti  i  venti  trenta  anni  contesi. 

Via  tu  eh*  a  un  volger  d'occhi  arrivi  in  cielo, 

!|    Renditi  certa  che  non  meno  in  fretta 
Che  sia  cresciuto  ,  mancherà  il  tuo  stelo. 

dosi  a  la  mia  speranza  ,  che  a  staffetta 
Mi  trasse  a  Roma,  potea  dir  chi  avuto 
Per  Medici  sul  capo  avea  l'accetta: 

]Ihe  gli  avea  ne  l'esilio  sovvenuto, 
O  chi  a  riporlo  in  casa  ,  o  chi  a  crearlo 
Leon  d1  umil  agnel  gli  diede  ajuto. 


40  Poesie 

Chi  avesse  avuto  lo  spirto  di  Carlo 
Sosena  allora  ,  avria  a  Lorenzo  forse 
Detto  ,  quando  sentì  duca  chiamarlo  ; 

Ed  avria  detto  al  duca  di  Nemorse, 
ÀI  cardinal  de'  Rossi  ,  e  al  Bibiena , 
A  cui  meglio  era  esser  rimaso  a  Torse. 

E  detto  a  Contessina  e  a  Maddalena  , 
A  la  nuora  a  la  suocera  ed  a  tutta 
Quella  famiglia  d'  allegrezza  piena  : 

Questa  similitudine  sia  indutta 

Più  propria  a  vii ,  che  ,  come  vostra  gioja 
Tosto  montò  ,  tosto  sarà  distrutta  : 

Tutti  morrete ,  ed  è  fatai  che  muoja 
Leone  appresso  ,  prima  che  otto  volte 
Torni  in  quel  segno  il  foirdator  di  Tcoja. 

Ma  per  non  far,  se  non  bisognar»  ,  molte 
Parole  ,  dico  che  fur  sempre  poi 
L'avare  spemi  mie  tutte  sepolte. 

Se  Leon  non  mi  die  ,  che  alcun  de'  suoi 
Mi  dia  noa  spero  :  cerca  pur  questo  amo 
Coprir  d'altra  esca  ,  se  pigliar  mi  vuoi  ; 

Se  pur  ti  par  eh'  io  vi  debba  ire  ,  andiamo  ; 
Ma  non  già  per  onor  ne  per   ricchezza; 
Questa  non  spero,  e  quel  di  più  non  brame 

Più  tosto  dì  ch'io  lascerò  V  asprezza 
Di  questi  sassi,  e  questa  gente  inculta, 
Simile  al  luogo  ov'  ella  è  nata  e  avvezza. 

E  non  avrò  ,  qual  da  punir  con  multa  , 
Qual  con  minacce  ;  e  da  dolermi  ognora , 
Che  qui  la  forza  a  la  ragione  insulta. 

Dimmi  eh'  io  potrò  aver  ozio  talora 
Di  riveder  le  Muse,  e  con  lor  sotto 
Le  sacre  froudi  ir  poetando  ancora. 


Satiriche.  41 

Dimmi  eh'  al  Bembo  al  Sadoleto  al  dotto 
Giovio  al  Cavallo  al  Blosio  al  Molza  al    Vida 
Potrò  ogni  giorno ,  e  al  Tibaldeo  far  motto  : 

Ter  d'  essi  or  uno ,  e  quando  un  altro  guida 
Pe  i  sette  colli ,  che  col  libro  in  mano 
Roma  in  ogni  sua  parte  mi  divida. 

Jui  ,  dica  ,  il  circo ,  qui  il  foro  romano  , 
Qui  fu  suburra  ;  è  questo  il  sacro  clivo  ; 
Qui  Vesta  il  tempio,  e  qui  il  solea  aver  Giano. 

)immi  ch'avrò  di  ciò  eh'  io,  leggo  o  scrivo 
Sempre  consiglio ,  o  da  latin  quel  torre 
Voglia  o  da  tosco,  o  da  barbtto  argivo. 

)i  libri  antiqui  anco  mi  puoi  proporre 
Il  numer  grande ,  che  per  pubblico  uso 
Sisto  da  tutto  '1  mondo  fé'  raccorre. 

roponendo  tu  questo  ,  s' io  ricuso 
L'andata  ,  ben  dirai  che  tristo  amore 
Abbia  il  discorso  razionai  confuso. 

A  in  risposta  ,  come  Emilio,  fuore 
Porgerò  il  pie  ,  e  dirò  :   tu  non  sai  dove 
Questo  calzar  mi  prema  ,  e  dia  dolore, 

)a  me  stesso  mi  tol  chi   mi  rimove 

j  Da  la  mia  terra  :  e  fuor  non  ne  potrei 
Viver  contento,  ancorché  in  grembo  a  Giove. 

I  s'io  non  fossi  d'ogni  cinque  o  sei 
Mesi  stato  uno  a  passeggiar  fra  il  duomo  , 
E  le  due  statue  de'  marchesi  miei  ; 

•a  sì  uojosa  lontananza  domo 
Già  sarei  morto,  o  più  di  quelli  macro  , 
Che  stan  bramando  in  purgatorio  il  pomo. 

B  pur  ho  da  star  fuor,  mi  fia  nel  sacro 
Campo  di  Marte  senza  dubbio  meno  , 
Che  in  questa  fossa ,  abitar  duro  ed  acro. 


42  Poesie 

Ma  se  '1  signor  vuol  farmi  grazia  a  pieno , 
A  se  mi  chiami  ;  e  mai  più  eoa  mi   mandi 
Più  là  d'Argenta  ,  o  più  qua  dal  Bondeno. 

Se  perchè  amo  sì  il  nido  mi  dimandi, 
Io  non  te  lo  dirò  più  volentieri , 
Ch'  io  soglia  al  frate  i  falli  miei  nefandi  ; 

Che  so  ben  che  diresti  :  ecco  pensieri 

D'  uom  che  quarantanove  anni  a  le  spalle 
Grossi  e  maturi  si  lasciò  F  altr'  jeri. 

Buon   per  me  ch'io  m'ascondo  in  questa  valle, 
Ne  F  occhio  tuo  può  correr  cento  miglia 
A  scorger  se  le  guancie  ho  rosse  o  gialle. 

Che  vedermi  la  faccia  più  vermiglia  , 

Bea  eh'  io  scriva  da  lunge ,  ti  parrebbe , 
Che  non  ha  madonna  Ambra  ,    né  la  figlia: 

0  che  '1  padre  canonico  non  ebbe  , 

Quando  il  fiasco  del  vin  gli  cadde  in  piazza, 
Che  rubò  al  frate  oltre  li  dui  che  bebbe. 

S'  io  ti  fossi  vicin ,  forse  la  mazza 
Per  bastonarmi  pigleresti  tosto 
Che  m'udissi  allegar,  che  ragion  pazza 

Non  mi  lasci  da  voi  viver  discosto. 


Satiriche.  4J3 

SATIRA. 

A.  M.  Annibale  Maleg  uccio. 


D 


a  tutti  gli  altri  amici ,  Annibal',  odo 
Fuor  che  da  te,  che  sei  per  pigliar  moglie; 
Mi  duol  che '1  celi  a  me,  che'l  facci  lodo: 

orse  mei  celi  perchè  a  le  tue  voglie 
Pensi  eh'  oppor  mi  debbia ,  com1  io  danni 
3Non  l'avendo  toh'  io  s'altri  la  toglie? 

e  pensi  di  me  questo  tu  t'inganni: 
Benché  senza  io  ne  sia,  non  però  accuso 
Se  Pietro  l'ha,  Martin,  Polo,  e  Giovanni. 

li  duol  di  non  l'avere ,  e  me  ne  scuso 
Sopra  varj  accidenti  che  l'effetto 
Sempre  dai  buon  voler  tennero  escluso. 

la  fui  di  parer  sempre,  e  così  detto 
L'ho  più  volle,  che  senza  moglie  a  lato 
Non  puote  uom'  in  bontad' esser  perfetto, 

[e  senza  si  può  star  senza  peccalo; 
Che  chi  non  ha  del  suo ,  fuori  accattarne 
Mendicando  o  rubandolo  è  sforzato  : 

ì  chi  s'usa  beccar  dell'  altrui  carne 
Diventa  ghiotto,  ed  oggi  Tordo  o  Quaglia, 
Di  man  Fabiani ,  un  altro  dì  vuol  Starne  : 

lon  sa  quel  che  sia  amor,  non  sa  che  vaglia 
La  caritade  ,  e  quindi  avvien  che  i  Preti 
Sono  sì  iugorda  e  sì  crudel  canaglia . 

Jhe  lupi  sieno  e  ch'asini  indiscreti, 
Mei  dovreste  saper  dir  voi  da  Reggio, 
Se  già  il  timor  non  vi  tenesse  cheti; 


44  Poesie 

Ma  senza  che  '1  diciate,  io  me  n'avveggio, 
Dell'  ostinata  Modeua  non  parlo  , 
Che  tutto  che  stia  inai  merla  star  peggio. 

Pigliala  se  la  vuoi ,  fa  se  dei  farlo , 
E  u6n  voler ,  com'  il  dottor  Bonleo 
Air  estrema  vecchiezza  prolungarlo: 

Queir  età  più  al  servigio  di  Lieo 
Che  di  Vener  conviensi  :  si  dipinge 
Giovane  fresco  e  non  vecchio  Imeneo. 

Il  vecchio  allora  che'l  desio  lo  spinge, 
Di  se  presume ,  e  spera  far  gran  eose  ; 
Si  sganna  poi  ,  eh'  al  paragon  si  stringe. 

Non  voglion  rimaner  però  le  spose 
Nel  danno ,  sempre  e'  è  man  adiutrice 
Che  sovviene  alle  pover'  bisognose  : 

E  se  non  fusse  ancor,  pur  ognun  dice 
Ch'egli  è  cosi:  non  pon  fuggir  la  fama 
Più  che  del  ver  del  falso  relatrice  , 

La  qual  patisce  mal  chi  1'  onor   ama: 
Ma  questa  passion  debole  è  nulla 
Verso  un'altra  maggior  ser  Jorio  chiama. 

Peggio  è,  dice,  vedersi  un  ne  la  culla 
E  per  casa  giocand'  ir  duo  bambini  3 
E  poco  prima  nata  una  fanciulla  ; 

Ed  esser  di  sua  età  giunto  a'  confini, 
E  non  aver  chi  dopo  se  lor  inostri 
La  via  del  bene,  e  non  gli  fraudi  e  uncini. 

Pigliala,  e  non  far  com'  alcuni  nostri 
Gentiluomini  fanno,  e   molti  fero 
Cb'or  giaccion  per  le  Chiese  e  per  li  chiostri 

Di  mai  non  la  pigliar  fu  il  lor  pensiero , 
Per  non  aver  figliuoli  che  far  pezzi 
Debbiau  di  quel  eh'  appena  basta  intiero. 


Satiriche.  45 

uel  eh'  acerbi  non  fer,  maturi  e  mezzi 
Fan  poi  con  biasmo:  trovan  ne  le  Ville 
E  spesso  in  le  cucine  a  cbi  far  vezzi  : 

lascono  figli ,  e  crescon  le  faville , 
Ed  al  fin  pusillanimi  e  bugiardi 

!  S'  inducono  a  sposar  villane  e  ancille 

lerchè  i  figli  non  restino  bastardi  ; 

i  Quindi  è  falsificato  di  Ferrara 

:  In  gran  parte  il  buon  sangue,  se  ben  guardi. 

luindi  la  gioventù  vedi  sì  rara , 

;  Cbe  le  virtudi  e  gli  bei  studj ,  e  molta, 
Che  degli  Avi  materni  i  stili  impara. 

[jgin  ,  fai  bene  a  tor  moglier;  ma  ascolta: 
Pensaci  prima;  noa  varrà  poi  dire 
Di  no  ,  s'avrai  di  sì  dett'  una  volta . 

I  questo  il  mio  consiglio  proferire 

a  Ti  vo',  e  mostrar  sebben  non  lo  richiedi, 
Quel  che  tu  dei  cercar,  quel  che  fuggire. 

b  ti  ridi  di  me  forse?  e  non  vedi 
Com' io  ti  possa  consigliar,  che  avuto 
Non  ho  in  tal  nodo  mai  collo  ne  piedi? 

fon  hai  quando  due  giocano  veduto 

jChe  quel  che  sta  a  vedere  ha  meglio  spesso 
Ciò  che  s' ha  a  far,  che  il  giocator  saputo? 
tu  vedi  che  tocchi  o  vada  appresso 
Al  segno  il  mio  parer,  dagli  il  consenso, 
Se  no,  reputa '1  sciocco,  e  me  con  esso. 

la  prima  ca  io  ti  mostri  altro  compenso , 
T'avrei  da  dir  ,  che  s'amo  rosa  face 
Ti  fa  pigliar  moglier,  che  segui  il  senso, 

(mi  virtute  è  in  lei  s'  ella  ti  piace, 
So  ben  che  né  Ora  tor  Latin  ne  Greco 
Saria  a  dissuadertelo  efficace. 


46  Poesie 

Io  non  son  per  mostrar  la  strada  a  un  cieco  ; 
Ma  se  tu  il  bianco  e'1  rosso  e'1  ner  comprendi 
Esamina  il  consiglio  ch'io  t'arreco. 

Tu  che  vuoi  Donna,  con  gran  studio  intendi 
Qual  sia  stata  e  qual  sia  la  madre  e  quali 
Sien  le  sorelle,  se  all'onore  attendi. 

Se  in  cavalli  se  in  buoi  se  in  bestie  tali 
Guardiana  le  razze;  che  fa  rem'  in  questi 
Che  son  fallaci  più  ch'altri  animali? 

Di  vacca  nascer  cerva  non  vedesti, 
Né  mai  colomba  d'aquila  ,  né  figlia 
Di  madre  infame  ,  di  costumi  onesti. 

Oltra  che  '1  ramo  al  ceppo  s'assomiglia , 
11  domestico  esempio  ,  che  le  aggira 
Pel  capo ,  sempre  ogni  bontà  scompiglia  : 

Se  la  madre  ha  due  amanti  ,  ella  ne  mira 
A  quattro  a  cinque  e  spesso  a  più  di  sei , 
Ed  a  quanti  più  può  la  rete  tira; 

E  questo  per  mostrar  che  men  di  lei 
]Non  è  leggiadra,  e  non  le  fur  dei  dono 
Della  beltà  men  liberali  i  Dei  . 

Saper  la  balia  e  le  compagne  è  buono, 
S' appress' il  padre  sia  nodrita  o  in  corte, 
Al  fuso  all'ago,  o  pur  in  canto  e  in  suono. 

Non  cercar  chi  più  dote  o  più  ti  porte 
Titoli  e  fumi  e  più  nobil  parenti 
Ch'  al  tu'  onor  si  convenga  o  alla  tua  sorte , 

Che  diffidi  sarà,  se  non  ha  venti 

Donne  poi  dietro  e  staf fiero  e  un  ragazzo 
Che  le  sciorini  il  cui ,  tu  la  contenti. 

Vorrà  la  nana  un  buffoncello  un  pazzo  , 
E  compagni  da  tavola  e  da  giuoco , 
Che  tutto  il  di  la  tengano  in  sollazzo. 


Satiriche  47 

è  tor  di  casa  il  pie  né  mutar  loco 
Vorrà  senza  carretta ,  beneh'  io  stimi 
Fra  tante  spese  questa  spesa  poco  ; 
he  se  tu  non  la  fai ,  che  sei  de'  primi 

[Di  sangue  e  di  ricchezze  iu  la  tua  T^rra, 

\  Non  la  faran  già  quei  che  son  degl'  imi; 

I  se  mattina  e  sera  ondeggi  and'  erra 
Con  cavalli  a  vettura  la  Giannicca  ; 

•  Che  farà  chi  del  suo  gli  pasce  e  ferra? 
a  se  l'altre  n'  han  due,  ne  vuol  la  ricca 
Quattro:  se  le  compiaci  più  che '1  Conte 
Rinaldo  mio,  la  l'inviluppa  e  ficca. 
ì  le  contrasti ,  pon  la  pace  a  monte , 
E  com'  Ulisse  al  canto  tu  l'orecchia 
Chiudi  a  pianti  a  lamenti  a  gridi  ed  onte. 

lai  non  le  dire  oltraggio ,  o  t'apparecchia 
Cento  udirne  per  uno,  e  che  ti  punga 
Più  che  pugner  non  suol  vespe  né  pecchia. 

(ria  che  ti  sia  ugual  teco  si  giunga 
Che  por  non  voglia  in  casa  nuove  usanze, 

iNè  più  del  grado  aver  la  coda  lunga. 

bn  la  vo'  tal  che  di  bellezze  avanze 
L'altre,  e  sia  in  ogn' invito,  e  sempre  vada 
Capo  di  schiera  per  tutte  le  danze. 

la  bruttezza  e  beltà  trovi  una  strada 

|Dov' é  gran  turba,  né  bella  né  brutta; 

IChe  non  t'  ha  da  spiacer ,  se  non  t'aggrada. 

Ili  quindi  esce ,  a  man  dritta  trova  tutta 

!La  gente  bella,  e  dal  contrario  canto 

[Quanta  bruttezza  ha  il  Mondo  esser  ridutta; 

jiinci  più  sozze ,  e  poi  più  sozze  quauto 
Tu  vai  più  innanzi,  e  quindi  trovi  i  visi 
Più  di  bellezza  e  più  tener  il  vanto . 


48  Poesie 

S'ove  dei  tor  la  tua  vuoi  che  t'avvisi. 

Dirò  in  la  stradalo  a  man  ritla  ne  i  campi 
Ma  che  di  là  non  sien  troppo  divisi . 

Non  ti  scostar,  non  ir  dove  tu  inciampi 
In  troppo  bella  moglie,  sì  che  ognuno 
Per  lei  d'amore  e  di  desire  avvampi: 

Molti  la  tenteranno ,  e  quando  ad  uno 
R epugni  a  due  a  tre,  non  star  in  speme 
Che  non  ne  debbia  aver  vittoria  alcuno. 

Non  la  tor  brutta ,  che  lorresti  insieme 
Perpetua  noia:   mediocre  forma 
Sempre  lodai,  sempre  dannai  l'estreme. 

Sia  di  buon'  aria  ,  sia  gentil ,  non  dorma 
Con  gli   occhi  aperti  ;  che  più  l'esser  sciocca 
D'  03 n'  altra  ria  deformità  deforma. 

Se  questa  in  qualche  scandalo  trabocca 
Lo  fa  palese  in  modo,  che  dà  sopra 
Gli  fatti  suoi  faccenda  ad  ogui  bocca. 

L'altra  più  saggia  si  conduce  all'opra 
Secretameli  te ,  e  studia  come  il  gatto 
Che  l'immondizia  sua  la  terra  copra. 

Sia  piacevol,  cortese,  sìa  d'  ogn'  atto 
Di  superbia  uemica,  sia  gioconda, 
Non  mesta  mai,  noti  mai  col  ciglio  attratto; 

Sia  vergognosa,  ascolti  e  non  risponda 
Per  te  dove  tu  sia  uè  cessi  mai, 
Ne  mai  stia  in  ozio,  sia  pulita  e  monda. 

Di  dieci  a ìi ni  o  di  dodici  se  fai 

Per  mio  consiglio  sia  di  te  minore, 
Di  pari  o  di   più  età  non  la  tor  mai  ; 

Perche  passando,  come  fa,  il  migliore 

Tempo  e  i  begli  anni  in  lor  prima  che  in  noi 
Ti  parria  vecchia,  essendo  anco  tu  in  fiore. 


Satiriche.  49 

;rò  vorrei,  lo  sposo  avesse  i  suoi 

I  Treot'  anni:  quell'età  che '1  furor  cessa 

:  Prest'  al  voler ,  prest'  al  pentirsi  poi . 

lima  Dio,  ma  eh'  udir  più  d'  una  Messa 

(Voglia  il  di,  non  mi  piace,  e  vo'  che  basti 
S'  una  o  due  volte  l'anno  si  confessa. 

fon  voglio  che  con  gli  asini  che  basti 
Non  portano  abbia  pratica,  ne  faccia 

j'Ogni  dì  torte  al  confessore  e  pasti. 

balio  che  si  contenti  della  faccia 

liChe  Dio  le  diede,  e  lasci '1  rosso  e'1  bianco 
Alla  signora  del  signor  Ghinaccia . 

luor  che  lisciarsi,  un  ornamento  manco 

i  D'altra  ugual  gentildonna  ella  non  abbia; 

:  Liscio  non  vo' ,  ne  tu  credo  il  vogli  anco* 

£  sapesse  Ercolan  dove  le  labbia 
Pon  quando  bacia  Lidia ,  avria  più  a  schivo 

!  Che  se  baciasse  un  cui  marcio  di  scabbia. 

jon  sa  che  il  liscio  è  fatto  col  salivo 
Delle  Giudee  che  '*  vendon ,  ne  con  tempre 
Di  muschio  ancor  perde  l'odor  cattivo  ? 

ìon  sa  che  con  la  merda  si  distempre 
De'  circoncisi  lor  bambini  il  grasso 
D'orride  serpi  ch'in  pastura  han  sempre? 

>h  quant'  altre  sporcizie  a  dietro  lasso, 
Di  che  s'ungono  il  viso  quando  al  sonno 
S'acconcia  il  fianco  steso  e  il  ciglio  basso  : 

jicchè  quei  che  le  baciano  ben  ponno 
Con  men  schivezza  e  stomachi  più  saldi 
Baciar  loro  anco  a  nova  luna  il  conno. 

1  solimato  e  gli  altri  unti  ribaldi, 
Di  che  ad  uso  del  viso  empion  gli  armari, 
Fan  che  sì  tosto  il  viso  lor  s'affaldi: 
Poesie  Satin  4 


So  Poesie 

O  che  i  bei  denti  che  già  fur  si  cari 
Lascili  la  bocca  fetida  e  corrotta  , 
O  neri  e  pochi  restino  e  inai  pari. 

Segua  le  poche  e  non  la  volgar  frotta , 
IN  è  sappia  far  la  tua  bianco  ne  rosso, 
Ma  sia  del  filo  e  della  tela  dotta. 

Se  lai  la  trovi ,  consigliar  ti  posso 
Che  tu  la  prenda  :  se  poi  cangia  stile 
E  che  si  tiri  alcun  galante  addosso, 

O  faccia  altr'  opra  enorme ,  e  che  simile 
Il  frutto  in  tempo  del  ricor  non  esca 
A  i  molti  fior  eh'  avea  mostrati  aprile  ; 

Delia  tua  sorte  e  non  di  te  t' incresca , 
Che  per  indiligenza  e  poca  cura 
Gusti  diverso  all'appetito  l'esca. 

Ma  chi  va  cieco  a  prenderla  a  ventura, 
O  chi  fa  peggio  assai  che  la  conosce 
E  pur  la  vuol ,  sia  quanto  voglia  impura , 

Se  poi  pentito  si  batte  le  cosce  ; 

Altri  che  se  non  de'  imputar  del  fallo, 
3Xè  cercar  compassion  delle  sue  angosce. 

Poi  che  t'  ho  posto  assai  ben  a  cavallo 
Ti  voglio  an.co  mostrar  come  lo  guidi  , 
Come  spinger  lo  dei,  come  fermali©. 

Tolto  che  moglie  avrai,  lascia  gli  nidi 

De  gli  altri,  e  sta  sul  tuo,  che  qualch' augello 
Trovandol  senza  te  non  vi  s'annidi . 

Falle  carezze  ed  amala  con  quello 

Amor  che  vuoi  eh'  eli'  ami  te  ,  aggradisci , 
E  ciò  che  fa  per  te  pajati  bello. 

Se  pur  tal  volta  errasse  ,  l'ammonisci 
Senz'irà  con  amor;  e  sia  assai  pena 
Che  la  facci  arrossir  senza  por  lisci. 


Satiriche  Si 

Ifeglio  con  la  man  dolce  si  raffrena, 
Che  cou  forza  il  cavallo ,  e  meglio  i  cani 
Le  lusinghe  fati  luoi ,  che  la  catena. 

luesti  animai  che  soa  molto  più  umani 

,  Corregger  non  si  den  sempre  con  slegno , 
Nò  al  mio  parer  mai  con  menar  le  mani: 

(a'  ella  ti  sia  compagna  abbi  disegno, 
E  non  come  comprata  per  tua  serva 
Reputa  aver  in  lei  dominio  e  regno. 

ferea  di  soddisfarle  ove  proterva 
Non  sia  la  sua  dimanda,  e  compiacendo 
Quanto  più  amica  puoi  te  la  conserva. 

the  tu  la  lasci  far  non  ti  commendo 
Senza  saputa  tua  ciò  eh'  ella  vuole, 
Che  mostri  non  fidarti  anco  riprendo. 

((ire  a  conviti  e  pubbliche  carole 
Non  le  vietar,  né  a  gli  suoi  tempi  a  Chiese 
Dove  ridur  la  nobiltà  si  suole. 

Èli  adulteri  ne  in  piazza  né  in  palese  , 
Ma  in  casa  di  vicini  e  di  comadri 
Balie  e  tal  genti  han  le  lor  reti  tese. 

Abile  sempre  a  i  chiari  tempi  e  a  gli  adri 
Drieto  il  pensier  ,  né  la  lasciar  di  vista, 
Che  '1  bel  rubar  suol  far  gli  uomini  ladri» 

Sudia  che  compagnia  non  abbia  trista; 

|  A  chi  ti  vien  per  casa  abbi  avvertenza  , 

i  Che  fuor  non  temi ,  e  dentro  il  mal  cousistaj 

la  studia  farlo  cautamente  senza 
Saputa  sua;  che  si  dorria  a   ragione 
S' in  te  sentisse  questa  diffidenza: 

lavale  quanto  puoi  l'occasione 
DT  esser  puttana;  e  pur  s'avvien  ebe  sia, 
Almeu  eh*  ella  non  sia  per  tua  cagione. 


52  Poesie 

Io  non  so  la  miglior  di  questa  via 
Che  già  t'  ho  detto ,  per    chivar  eh'  in  pre( 
Ad  altri  la  tua  Donna  non  si  dia. 
Ma  s'  ella  n'avrà  voglia ,  alcun  non  creda 
Di  ripararci,  ella  saprà  ben  come 
Far  eh'  al  suo  inganno  il  tuo  consiglio  ced 
Fu  già  un  Pittor,  non  mi  ricordo  il  nome, 
Che  dipignere  il  Diavolo  solea 
Con  bel  viso  begli  occhi  e  belle  chiome; 
Né  pie  d'augel  ne  corna  gli  facea, 
JNà  facea  sì  leggiadro  ne  sì  adorno 
L'Angel  da  Dio  mandato  in  Galilea. 
Il  Diavol  reputandosi  a  gran  scorno 
S'  ei  foss'  in  cortesia  da  costui  vinto, 
Gli  apparve  in  sogno  un  poco  innanz'il  giorni 
E  gli  disse  in  parlar  breve  e  succinto 

Chi  egli  era,  e  che  venia  per  render  merto 
Dell'  averlo  sì  bel  sempre  dipinto. 
Però  lo  richiedesse  e  fosse  certo 
Di  subito  ottener  le  sue  dimande , 
E  d'aver  più  che  non  se  gli  era  offerto. 
Il  ineschili  eh'  avea  moglie  d'ammirande 
Bellezze,  e  ne  vivea  geloso,  e  n'era 
Sempre  in  sospetto  ed  in  angustia  grande  , 
Pregò  che  gli  mostrasse  la  marnerà 
Che  s'avesse  a  tener  perchè  il  marito 
Potesse  star  sicur  della  mogliera. 
Par  che  '1  Diavolo  allor  gli  ponga  in  dito 
Un  anello  e  ponendolo  gli  dica: 
Fin  che  cel  tenghi  esser  non  puoi  tradito. 
Lieto  eh'  ornai  la  sua  senza  fatica 

Potrà  guardar  si  sveglia  il  mastro  e  trova 
Che  '1  dito  alla  mogliera  ha  nella  fica. 


Satiriche,  53 

luest'  anel  tenga  io  dito  e  non  lo  mova 
[Mai  chi  non  vuol  ricevere  vergogna 
Da   la  sua  d'Anna,  e  appena  anco  gli  giova 
lirch'  ella  voglia,  e  farlo  si  dispoglia . 


£<l  Poesie 

SATIRA 


A  M.  Pietro  Bembo  CàrdinàlKc 


B 


embo ,  io  vorrei ,  com'  e  il  comun  desi$ 
De  solleciti  padri,  veder  l'arti 
Ch'esaltali  l'uom  tutte  in  Virginio  mio. 

E  perchè  d'  esse  in  te  le  miglior  parti 
Veggio  e  le  più ,  di  questo  alcuna  cura 
Per  l'amicizia  nostra  vorrei  darli. 

Non  creder  però  eh'  esca  di  misura 

La  mia  domanda,  eh' io  voglia  tu  facci* 
L'ufficio  di  Demetrio  o  di  Musura: 

Non  si  danno  a' par  tuoi  simili  impacci,  * 
Ma  sol  che  pensi  e  che  discorri  teco , 
E  saper  da  gli  amici  anco  procacci , 

S' in  Padova  o'  n  Vinegia  è  alcun  buon  Greci 
Buono  in  scienzia  e  più  in  costumi ,  il  quii 
Voglia  insegnargli  e 'n  casa  tener  seco: 

Dottrina  abbia  e  bontà,  ma  principale 
Sia  la  bontà  ;  che  non  v'  essendo  questa, 
He  molto  quella  a  la  mia  estima  vale^ 

So  beu  che  la  dottrina  fia  più  presta 
A  lasciarsi  trovar  che  la  bontade; 
Sì  mal  l'una  nell'altra  oggi  s'innesta. 

Oh  nostra  male  avventurosa  etade  ! 
Che  le  virtuti  che  non  abbian  misti 
Vizj  nefandi  si  ritrovin  rade. 

Pochi  ci  son  Grammatici  e  Umanisti 
Senza  il  vizio  per  cui   Dio  Sabaot 
Fece  Gomorra  e  i  suoi  vicini  tristi , 


Satiriche.  55 

{]he  mandò  il  foco  giù  dal  Cielo  <  t  quo't 
Eran  tatti  coosunse,  sicché  a  pena 

Campò  fuggendo  un  innocente  Lot. 
lide  il  volgo  se  sente   un  eh*  abbia  vena 

Di  poesia,  poi  dice  è  gran  periglio 

A  dormir  seco  e  volgergli  la  schiena; 

d  oltre  a  questa  nota  il  peccadiglio 

i  Di  Spagna  gli  dann'anco,  che  non  creda. 

i  lu  unità  del  Spirto  il  Padre  e  il  Figlio: 

on  ebe  contempli  come  Fun  proceda 

Da  l'altro  o  nasca,  e  come  il  debol  senso 
!  Ch'  uno  e  tre  possan  essere  conceda  ; 
la  gli  par  che  non  dando  il  suo  consenso 
|  A  quel  cb'approvan  gli  altri/ mostri  ingegno 

Da  penetrar  più  su  ebe  '1  Cielo/  immenso. 
f  '1  Nicoletta  o  fra  Martin  fan  segno 
I  D'infedele  o  d'eretico,  ne  accuso 
!  TI  sottil  studio,  e  men  con  lor  mi  sdegno, 
jerchè  salendo  l'intelletto  in  suso 
1  Per  veder  Dio ,  nou  de'  parerci  strano 

Se  talor  cade  giù  cieco  e  confuso. 
Ja.  tu,  del  qual  lo  studio  è  tutto  umano, 

E  son  li  tuoi  soggetti  i  boschi  i  colli  , 
!  Il  mormorar  d'un  rio  che  rigbi  il  piano  ; 
Cantar  antichi  gesti  e  render  molli 

Con  prugni  animi  duri ,  e  far  sovente 

Di  false  iodi  i  Principi  satolli  ; 
limmi  che  trovi  tu  ,  che  sì  la  mente 

Ti  debba  avviluppar,  sì  torre  il  senno, 

Che  tu  non  creda  come  l'altra  gente? 
\  nome  che  d'Apostolo  ti  denno 
■  O  d'alcun  minor  Santo  i  padri  quancLo 

Cristiano  d'acqua  e  non.  d'altro  ti  fenap. 


56  Poesie 

In  Cosmico  in  Pomponio  vai  mutando, 
Altri  Pietro  in  Pierio,  altri  Giovanni 
In  Jano  o  in  Jovian  va  racconciando; 

Quasi  che'l  nome  i  buon  giudici  inganni, 
E  che  quel  meglio  t'abbia  a  far  Poeta, 
Che'l  studio  e  l'esercizio  di  molt' anni: 

Esser  tali  dovean  quelli  che  vieta 
Che  sian  ne  la  Repubblica  Platone 
Da  lui  con  sì  santi  ordini  discreta. 

Ma  non  fu  tal  già  Febo  ne  Annone 
Ne  gli  altri  che  trovaro  i  primi  versi, 
Che  col  bel  stile  e  più  con  l'opre  buone 

Persuasero  a  gli  uomini  a  doversi 

Ridurre  insieme  e  abbandonar  le  ghiande 
Che  per  le  selve  li  traeau  dispersi; 

E  fer  cbe  i  più  robusti,  la  cui  grande 
Forza  era  usata  a  li  minori  torre 
Or  mogli  or  gregge  or  le  miglior  vivande, 

Si  lasciaro  a  le  leggi  sottoporre , 

E  cominciar  versando  aratri  e  glebe 
Del  sudor  lor  più  giusti  frutti  a  corre. 

Indi  i  Scrittor  fero  a  l' indotta  plebe 
Creder  eh'  al  suon  de  le  soavi  Cetre 
L'un  Troja,  e  l'altro  edificasse  Tebe, 

E  eh' avean  fatto  scendere  le  pietre 

Da  gli  alti  monti ,  ed  Orfeo  tratt'  al  canto 
Tigri  e  Leon  da  le  spelonche  tetre. 

S'  io  mi  corruccio,  Bembo,  e  grido  alquanto 
Più  con  la   nostra  che  con  l'altre  scole, 
Non  è  eh'  in  l'altre  non  vegga  altrettanto  : 

D'altea  correzion  ,  che  di  parole 

Degno,  riè  del  fallir  de'  suoi  scolari 
Non  pur  Quintiliano  è  che  si  duole. 


Satiriche.  57 

da  se  degli  altri  io  vo'  scoprir  gli  altari , 
Tu  dirai  che  rubato  e  del  Pistoja 
E  di  Pietro  Aretino  abbia  gli  armari , 
)egli  altrui  studj  onor  e  biasmo  :  noja 
?  Mi  dà  e  piacer,  ma  non  come  s'io  sento 

Che  viva  il  pregio  de'  Poeti  e  moja. 
kltri menti  mi  dolgo  e  mi  lamento 
j  Di  sentir  riputar  senza  cervello 
I  II  biondo  Aonio  e  più  leggier  che  '1  vento; 
Ohe  se  del  Dottoraccio  suo  fratello 
I  Odo  il  medesmo,  al  quale  un  altro  pazzo 

Donò  l'ori  or  del  manto  e  del  cappello, 
fiù  mi  duo!  ch'in  vecchiezza  voglia  il  guazzo 
j  Placidian  ,  che  giovin  dar  soleva, 
E  che  di  Cavalier  torni  ragazzo  ; 
]he  di  seni  ir  che  simil  fango  aggreva 
11  mio  vicino  Andronico,  e  vi  giace 
Già  settant'  anni  e  ancor  non  se  ne  leva. 
|e  m'  è  detto  che  Pandaro  è  rapace, 
,  Curio  goloso,  Pontico  Idolatro, 
|  Flavio  biastemmator,  viepiù  mi  spiace  ; 
Ihe  se  per  poco  prezzo  odo  Cusatro 

Dar  le  sentenze  false,  o  che  col  tesco 
!  Mastro  Battista  mescoli  il  veratro, 
ij>  che  quel  mastro  in  teologia  eh'  al  Tosco 
I  Mesce  il  parlar  facehin  si  tien  la  scroffa, 
j  E  già  n'ha  duo  bastardi  eh'  io  conosco, 
le  per  saziar  la  gola  sua  gaglioffa 
I  Perdona  a  spesa,  e  lascia  che  di  fame 
|  Langue  la  madre  e  va  mendica  e  goffa  ; 
Joi  lo  sento  gridar  che  par  eh'  ei  chiame 
Le  guardie,  ch'io  digiuni  e  ch'io  sia  casto, 
ì  E  che  quanto  me  stesso  il  prossim'  ame. 


58  Poesie 

Ma  gli  error  eli  quest'  altri  così  il  basto 
De*  miei  pensier  non  gravano,  che  molto 
Lasci  '1  dormire  o  perder  voglia  un  pasto. 

Ma  per  tornar  là  dond'  io  mi  so'i  tolto  ; 
Vorrei  eh'  a  mio  figliuolo  un  precettore 
Trovassi  meno  in  questi  vizj  involto, 

Che  ne  la   propria   lingua  de  l'autore 
GÌ' insegnasse  d'intender  ciò  ch'Ulisse 
Sofferse  a  Troja  e  poi  per  lungo  errore, 

Ciò  che  Apollonio  e  Euripide  già  scrisse, 
Sofocle  e  quel  che  da  le  morse  fronde 
Par  che  Poeta  in  Ascra  divenisse, 

E  quel  che  Galatea  chiamò  da   Y  onde, 
Pindaro  e  gli  altri  a  cui  le  Muse  argive 
Donar  sì  dolci  lingue  e  sì  faconde. 

Già  per  me  sa  ciò  che  Virgilio  scrive , 
Terenzio  Ovidio  Orazio,  e  le  Plautine 
Scene  ha  vedute  guaste  e  appena  vive. 

Ornai  può  senza  me  per  le  latine 

Vestigie  andar  a  Delfo,  e  de  la  strada 
Che  monta  iti  Elicon  vedere  il  fiue. 

Ma  perchè  meglio  e  più  sicuro  ei  vada  , 
Desidero  ch'egli  abbia  buone  scorte, 
E  sien  de  la  medesima  contrada. 

Non  vuol  la  mia  pigrizia  o  la  mia  sorte 
Che  del  tempio  d'Apollo  io  gli  apra  in    Delo 
Come  gli  fei  nel  Palatin  le  porte. 

Ahi  lasso,  quando  ebbi  al  Pegaseo  melo 
L'età  disposta  e  che  le  fresche  guancie 
Non  si  vedean  ancor  fiorir  d'un  pelo  , 

Mio  Padre  mi  cacciò  con  spiedi  e  lance 

Non  che  con  sproni  a  volger  testi  e  chiose,  | 
E  m'occupò  cinqu'  anni  in  quelle  ciance; 


Satiriche*  Sg 

tfa  poi  che  vide  pcco  fruttuose 
L'opere  e  il  tempo  in  van  gettarsi,  dopo 
Molto  contrasto  in  libertà  mi  pose. 

assar  veni'  anni  io  mi  trovava  ed  uopo 
Aver  di  pedagogo ,  eh'  a  fatica 
Inteso  avrei  quel  che  tradusse  Esopo. 

ortuna  molto  mi  fu  allora  amica, 
Che  m'offerse  Gregorio  da  Spoleti, 
Che  ragion  vuol  eh'  io  sempre  benedica: 

'enea  d'ambe  le  lingue  i  bei  secreti, 
E  potea  giudicar  se  miglior  tuba 
Ebbe  il  figliuol  di  Venere  o  di  Teti. 

la  allora  non  curai  saper  d'Ecuba 
La  rabbios'ira,  e  com'  Ulisse  a  Reso 
La  vitali  un  tempo  e  li  cavalli  ruba; 

ih' io  velea  intender  prima  in  ch'avea  offeso 
Enea  Giuncn,  che  1  bel  regno  da  lei 
Gli  dovesse  d'Esperia  esser  conteso. 

bèi  saper  re  la  lingua  degli  Achei 
Non  mi  reputo  onor,  s'io  non  intendo 
Prima  il  parlare  de'  Latini  miei, 
entre  l'uno  acquistando  e  differendo 
Vo  l'altro,  l'occasion  fuggì  sdegnata, 
Poiché  mi  porge  il  crine  ed  io  noi  prendo* 
i   fu   Gregorio  da  la  sfortunata  , 
Duchessa  tolto,  e  dato  a  quel  figliuolo 
A   chi  avea  il  Zio  la  Signoria  levata  ; 
ì  (he  vendetta,  ma  con  suo  gran  duclo, 
Vid'  Ella  presto  :  ahimè  perchè  del  fallo 
Quel  che  peccò  ncn  fu  punito  solo? 

ol     zio  il  nipote,  e  fu  poco  intervallo  , 
Del    stato  e  dell'aver  spogliati  in   tufo 
Prigioni  andar  sotto  il  dominio  Gallo. 


60  Poesie 

Gregorio  a'  prieghi  d'  Isabella  indutto 
Fu  a  seguire  il  discepolo  là  dove 
Lasciò  morendo  i  cari  amici  in  lutto. 
Questa  jattura  e  l'altre  cose  nuove 
Ch'  in  quei  tempi  successero,  mi  fero 
Scordar  Talia  Euterpe  e  tutte  nove. 
Mi  more  il   Padre,  e  da  Maria  il  pensiero 
Dietro  a  Marta  bisogna  eh'  io  rivolga, 
Ch'io  muti  in  squarci  ed  in  vacchette  Omero 

Trovi  marito,  e  modo  che  si  tolga 

Di  casa  una  sorella  e  un' altra  appresso, 
E  che  l'eredità  non  se  ne  dolga  : 

Co'  piccoli  fratelli,  a*  quai  successo 
Era  in  luogo  di  padre ,  far  l'uffizio 
Che  debito  e  pietà  m'avea  commesso: 

A  chi  studio  a  chi  Corte  a  chi  esercizio 
Altro  proporre,  e  procurar  non  pieghi 
Da  le  virtuti  il  molle  animo  al  vizio . 

Ne  quest'  è  sol  eh'  agli  miei  studj  nieghi 
Di  più  avanzarsi,  e  basti  che  la  barca  , 
Perchè  non  torni  a  dietro,  al  lito  leghi; 

Ma  si  trovò  di  tant'  affanni  carca 
Allor  la  mente  mia,  ch'ebbi  desire 
Che  la  cocca  al  mio  fìl  fesse  la  Parca. 

Quel  la  cui  dolce  compagnia  nutrire 
Solea  i  miei  studj  e  stimolando  innanzi 
Con  dolc'  emulazion  solea  far  ire  : 

Il  mio  parente  amico  fratello,  anzi 

L'anima  mia,  non  mezza  no  ma  intiera, 
Senza  ch'alcuna  parte  me  n'avanzi: 

Morì  Pandolfo  poco  dopo;  ah  fera 
Scossa  eh'  avesti  allor,  stirpe  Ariosta 
Di  ch'egli  un  ramo,  e  forse  il  più  bell'era 


Satiriche.  6i 

li  tant'onor  vivendo  t'avria   posta  , 

I  Ch'altro  a  quel  né  in  Ferrara  ne  in  Bologna 

I  Qnd'  hai  l'antiqua  origine,  s'accosta. 

[e  la  vii  tu    dà  onor ,  come  vergogna 

I  11  vizio  ,  si    potea  sperar  da  lui 

Tutto  Toner  che  buon  animo  agogna. 
la  morte  del  Padre  e  de  li  dui 
I  Si  cari  amici  aggiungi ,  che  dal  giogo 
ì  Del  Cardinal  da  Este  oppresso  fui;  ' 

the  da  la   creazione   insino  al  rogo 

Di  Giulio,  e  poi  sett'anni  anco  di  Leo, 

Non  mi  lasciò  fermar  molto  in  un  luogo, 
]  di  Poeta  cavallar  mi  feo  : 

Vedi  se  per  le  balze  e  per  le  fosse 

Io  poteva  imparar  Greco  o  Caldeo, 
[i  maraviglio  che  di  me  non  fosse 

Come  di  quel    filosofo  a  chi  '1  sasso 
!  Ciò  eh'  innanzi  sapea  dal  capo  scosse. 
3embo,  io  ti  prego  in  somma  pria  che  '1  passo 

Chiuso  gli  sia ,  eh'  al  mio  Virginio  porga 
I  La  tua  prudenza  guida  eh'  in  Parnasso , 
Gre  per  tempo  ir  non  sepp'  io,  lo  scorga. 


62 


ERCOLE    BENTIVOGLIO 

SATIRA 

a  Pietro  Antonio  Accuditoli. 


S 


opra  i  bel  colli  che  vagheggiali  Y  Arno, 
E  la  nostra  città  ch'or  duolsi  ed  have 
Pallido  il  viso  e  lagrimoso  indarno  , 

Son  un  di  quei  che  con  fatica  grave 
Al  marz'al  lavoro  armati  tiene 
Quel  che  di  Pietro  ha  1*  una  e  l' altra  chiave 

Qui  vivo  in  mille  guai  disagi  e  pene; 
Onde  forza  è  di  por  Y  arti    in  obblio  » 
Per  cui  famose  son  Corinto  e  Atene: 

Che  invece  di  Catullo  e  Tibui  mio  , 
Del  Mantovano  e  di  colui  d'  Arpino  , 
La  lancia  tutto  il  giorno  in  man  tenga*  io  * 


Satiriche.  63 

Ji  vece  de  V  Albano  e  del  divino 

•  Trebbian  ,  che  ber  costì  solea  ,  gusto  uno  , 

"Vie  più   che  aceto  dis[>iacevTol   vino. 
ti  duro  pane  muffido  e  più  bruuo , 

Che '1  mantel  vostro  amaramente  rodo,, 

E  non  n'avendo  ,  ancor  spesso  digiuno. 
I  dormir  spero  a  mezza  notte ,  i'  odo 
«La  tromba  che  m'invita  a  tor  la  lancia, 

E  la  celata  dispiccar  dal  chiodo . 
li  nemici  talor  con  mesta  guancia 
iiMiro,  vi  dico  il  ver,  tutto  pauroso,     ; 

Che  il  capo  mi  si  fori  o  braccio  o  pancia  . 
Cuante  volte  dico  io  meco  pensoso  : 

Saggio  chi  stassi  dove  non  rimbomba 

D'  archibugio  lo  strepito  no j oso  . 
fe  suon  ori  ibil  d' importuna  tromba , 

Ne  di  tamburo  il  sonno  sbaccia  a  lui , 

Né  teme  ad  or  ad  or  1'  oscura  tomba  . 
D  voi  prudente ,  o  ben  accorto ,  e  vui 

Fortunato  Acciajuol ,  che  lontan  sete 

Dai  perigliosi  casi  ove  siam  nui  ! 
Ekcemi  udir  che  in  sanità  vivete 

Coi  cari  figli  ;  e  vi  dirò  di  queste 

Nuove  ,  che  di  saper  desir  avete . 
Pchi  denari ,  e  gran  timor  di  peste 

Ha  questo  campo  ,  e  sol  gli  archibugi  empi 

Le  scaramucce  fanno  aspre  e  funeste . 
Ciolmi  il  veder  che  i  begli  antichi  esempi 

Non  seguan  questi  capitan'  che  vanno 

Sotto  così  vii  peso  a  questi  tempi: 

I  usan  la  modestia  che  usat'  hanno 

Gli  antichi  capitani,  che  i  palagi 

Le  case  non  volean  eh'  avesser  danno  : 


64  Poesie 

Glie  insino  i  templi  qui,  non  dai  disagi 
Di  legna  astretti  ,  gettati  hanno  a  terra 
Per  porli  al  foco  i  barbari  malvagi  . 
Soleasi  usar  che  il  vincitor  in  guerra 
Spogliava  solo  il  vinto  ;  e  tra  noi  oggi 
Spogliasi,  e  col  pugnai  di  poi  s'atterra. 
Convien  eh'  io  miri  ovunque  scenda  o  poggi  I 
Malgrado  mie  fierezze  acerbe  e  nuove 
Per  questi  vostri  già  sì  ameni  poggi  , 
Atti  orrendi  da  dir  colà  già  dove 

Entrar  la  Sieve  nel  nostro  Arno  io  vidi  , 
Forse  d'  altr'  uom  già  mai  non    visti  altrove 
Da  otto  ,  e  che  Spagnuoli  eran  m'  avvidi 
Dal  parlar  e  dal  volto ,  un  villanello 
Legato  fu  non  senza  amari  gridi: 
Che  partito  dal  suo  povero  ostello 

A  vender  biada  e  fieno    iva  a  Fiorenza, 
Di  eh'  era  carco  un  piccolo  asinelio  . 
Quivi  il  misero  fecer  restar  senza 

Membro  viril  ,  che  gli  tagliar'  di  botto 
Sordi  a  mille  miei  preghi  in  mia  presenza: 
Ne  sazj  fur  di  tal  martir  quegli  otto 
Ladri,  del  sangue  italico  sì  ingordi  , 
Che  1'  arsero  ancor  tutti  col  pilotto  , 
Come  fa  mastro  Anton  le  starne  e  i  lordi 
3Ne  lo  schidone,  e  non  però  puniti 
Dai  capitani  fur  rigidi  e  sordi  . 
E  veggo  altri  crudeli  alti  infiniti  , 

Che  d'  onor  privan  le  captive  donne  , 
Presenti  i  padri  e  i  miseri  mariti . 
E  tolte  lor  anella  e  cuffie  e  gonne  , 
Fannosi  cuoche  e  meretrici  tutte 
Quelle  che  dianzi  fur  caste  e  madonne. 


Satiriche.  65 

vecchie  prendon  o  stroppiate  o  brutte , 
Vi  so  dir  che  le  conciari  col  bastone  , 
Sì  che  non  hanno  mai  le  luci  asciutte. 

i  bella  è  la  prigiona  ,  il  suo  giubboue 

Le  mette  il  tristo,  e  una  berretta  in  testa* 

Poi  T  usa  in  ogni  uffizio  di  garzone  . 

Cfoituuata,  e  non  simile  a  questa  , 
0  degna  d'  ahi  onori  antica  etade  , 

;.Men  acerba  e  crudèl  ,  vie  più  modesta  ! 

Ilor  che  i  capitan'  fur  di  boutade 
D'animo  invitto  e  di  virtù   ripieni, 
E  ogni  atto  rio  fuggir'  di  crudeltade  ! 

lima  pace ,  rimena  i  dì  sereni  , 
E  con  le  spiche  e  cou  V  oliva  in   mano  % 
Col  sen  di  pomi  ornai   ritorna  e  vieni  : 

fcche  tra  noi  spento  il  furor  insano, 
L'  Italia  assai  assai  tiuta  di  sangue 
Riposi  ,  e  '1  tempio  chiudasi  di   Giano . 

Userà   Italia  ,  che  sospira  e  langue  , 

;p  chiede  indarno  a'  suoi  signori  aita  , 
Più  rigidi   ver  lei  ,  che  tigre  od  angue  . 

}e  s' impetro  io  da  la  bontà  infinita 
D'  uscir  di  questi  bellicosi  affanni , 
E  che  ritorni  a  casa  con  Ja  vita; 

\  vo' ,  Acciajuol,  che  più  mi  logri  i  panni 
Spallazzo  ,  ne  che '1  capo  elmo  mi   prema, 
Via  con  le  Muse  e  con  Apol  questi  anni 

f  ere  in  pace  insino  a  F  ora  estrema  . 


Poesìe  Satin 


66 


LUIGI  ALAMANNI 

SATIRA 

ad  Alessandra  Seristora  Consorti  . 


JL  er  quantunque  dolor  in'  astringa  il  core 
Alessandra  gentil ,  consorte  cara , 
Non  può  dramma  scemar  del  nostro  amore 

Ne  far  potrà  V  empia  mia  sorte  avara  , 
•Che  del  santo  Imeneo  Y  invitta  face 
Non  viva  sempre  in  me  più  d'  altra    chiare 

In  memoria  di  lei  qui  vinto  giace 
Ogni  negro  pensier,  per  lei  ritorna 
L'antica  guerra  in  onorata  pace. 

Ben  mi  sovvien  come  fu  sempre  adorna 
L'  alma  vostra  gentil  d'  onesta  fede , 
Cui  par  non  vede  il  sole  ovunque  aggiorna 


Satiriche.  67 

la  mi  sovvien  che  d'  essa  altra  mercede 
[Non  aveste  ancor  mai ,  che  doglia  e  pene  , 
]om'  or  sentite  voi  ,  com'  altri  vede  . 
l  che  possiam  noi  più  ,  se  lei  che  tiene 
>otto  se  il  mondo,  e  noi  chiainiam  Fortuna, 
Con  torta  lance  il  mal  ne  dona  e  '1  bene? 
I  nostro  buon  oprar  sotto  la  luna 
Eterna  povertà  tristezza  e  scherno 
Sol  si  riceve  senza  grazia  alcuna . 
rtiamo  in  pace  ;  che  se  dritto  scerno  , 
Di  più  nobil  tesoro  in  altra  parte 
pi  serva  il  premio  il  gran    Monarca  eterno  . 
tardate  pur  nel  mondo  a  parte  a  parte, 
E  vedrete  virtù  negletta  e  nuda 
Fuor  del  comun  sentiero  ire  in  disparte, 
ìschi  per  lei  seguir  s'  affanna  e  suda  , 
Zoa  V  arme  da  soffrir  da  fame  e  gelo 
Sovente  è  forza  che  si  scherma  ,  e  chiuda  . 
i  non  sa  che  '1  cammin  da  gire  al  cielo 
j£  di  spine  ripien  sassoso  ed  erto* 
Zhe  cangiar  face  innanzi  tempo  il  pelo? 
i^ìtro  è  sempre  a  chi  vuol  piano    ed  aperto  % 
*Che  scende  il  basso  a  la  città  di  Dite  , 
[pnde  i  più  vanno  dietro  al  vulgo  incerto. 
■  questo  andati  son  quei  eh'  han  seguite 
\icchezze  e  pompe,  e  in  altrui  pianto  a  morte 
Le  scellerate  voglie  hanno  compite, 
vadan  pur  con  le  sue  false  scorte 
Tutti ,  che  molto  più  che  altrui  non  pare 
-•ungo  han  1'  amaro ,  e  le  dolcezze  corte  . 
■vero  saggio  e  buon   terrà  più  care 
[Le  nostre  povertà  ,  eh'  oro  e  terreno 
jPien  di  tristezza  ,  se  ben  lieto  appare  • 


68  Poesie 

Tal  ride  in  vista ,  che  81  asconde  fn  seno 
Pianto  influito,  e  spesso  invidia  s'  ha  ve 
Di  tal  eh' è  dentro  di  miseria  pieno  . 

Non  è  vita  più  queta  e  più  soave  , 
Che  '1  sentir  seco  la  sua  mente  pia 
Libera  e  scarea  d'  ógni  culpa  grave  : 

Disprezzando  il   morir  quantu.ujue  sia 
Nel  cor  sicuro,  che  speranza  e  tema 
Non  ne  faccia  lasciar  la  dritta  via  . 

Che  nascer  puote  a  1'  uom  cui  nullo  prema 
Desir  di  cosa  che  nel  tempo  pera  , 
E  nulla  speri  al  mondo  e  nulla  tema  ? 

Questo  è  '1  sicuro  scudo  ,  e  1'  arme  vera 
Contro  a  chi   poco  in  noi  fortuna  vale  , 
Chi-  ad  ogni  colpo  suo  rimane  intiera  . 

Il  viver  qui  come  caduco  e  frale 

Usar  conviensi ,  e  tener  fiso  il  guardo 
A  quel   viver  dappoi  chiaro  immortale  . 

Ahi  secol  pigro  a!   bene  oprar  sì  tardo  , 
Come  or  son  pochi  chea!  divino,  e  al  sempn 
Più  che  al  breve  e  al  mortai  pren  Jan  riguardi 

Quii  è  colu»  eh;  in  disusate  tempre 

Or  non  s'  affanni  in  guadagnare  affanni , 
Ne  con   pena  trovar  la  pena  tempre  ? 

Quello  oggi  spende  saggiamente  gli  anui  , 
Che  col  suo  travagliar   travaglia  il  mondo 
Cercando  I*  util  suo  ne  gli  altrui  danni  . 

O^gi  ouor  porta  a  nuli' altro  secondo, 

Non  chi    giova  e  mautieo,  ma  quel  che   so 
O  1'  amico  o  il  vichi   più  mette  in  fondo . 

lyia  chi  gli  ha  in  pregio?  l'ignorante  stuolo: 
Ed  io  so  ben  che  andar  vilmente  veggio 
Tal  che  più  d'  essi  riverisco  e  colo 


no1 


Satiriche.  69 

Irò  onor,  Giove,  altre  ricchezze  chieggio , 
Che  non  son  queste  che  un  momento  sgombra, 
E  che  van  di  dì  in  di  cangiando  seggio  . 
J  altro  è  ricchezza  poi  ch'una  fals' ombra 
!)'  immaginato  ben  che  lunge  mostra 
)olce,  e  poi  presso  d'ogni  amaro  ingombra? 
froi ,  consorte  pia,  de  l'alta  nostra 
Riseria  estrema  nulla  doglia  abbiate  : 
Mostrisi  al  tempo  rio  la  virtù  vostra  . 
m  è  disnor  la  chiara  povertate  ; 
|nzi  esser  non  potria  fregio  più  bello 
?ra  tanta  nobiltà  tanta  o»-- estate. 
Élmancava  al   venir  1'  empio  flagello , 
!orse  Andromaca  avria  men  chiaro  il  nome, 
Cassandra  e  l'altre  del  trojano  ostello: 
onelia  ,  e  quella  che  con  brevi  chiome 
egnio  il  suo  sposo,  eterna  vita  avranno, 
ciche  sepper  portar  sì  gravi  some  . 
Enpo  ancor  d^e  venir*  s'io  non    m'inganno, 
[he  qual  più  in  cima  per  fortuna  sale  , 
(orterà  invidia  a   1'  onorato  danno  , 
'1  vostro  alto  valor  farà  immortale  * 


7° 

ANTONIO  VINCIGUERRA 

SATIRA 


Uinlnww 


V^  uando  in  esiglio  povere  e  deluse 

Veggio  andar  le  virtuti ,  e  quando  io  pro^ 
In  vii  guadagno  mendicar  le  Muse  ; 

Pien  di  mestizia  a  lagrimar  commovo 
Gli  occhi  languidi  ,  e  vommene  fra  via 
Dicendo  :  ahi  lasso ,  in*  che  stato  mi  trovo! 

Ove  ho  riposto  la  speranza  mia  ? 
Misera  etade ,  secolo  infelice  , 
Ove  cosa  non  è  che  buona  sia! 

Da  F  una  parte  veggio  la  cornice 
Gracchiar  per  li  teatri ,  e  Filomena 
Pianger  ne'  boschi  il  suo  tempo  felice  . 

Da  F  altra  il  tauro  Fallerato  mena 

Sotto  il  giogo  a  F  aratro  i  buon'  corsieri , 
E  questo  è  quel  che  il  mondo  tristo  pena 


Satiriche.  ji 

tosi  seti  vauno  l'arti  e  i  magisteri 

i  Tutti  in  rovina ,  e  non  è  chi  sollevi 
Chiaro  ingegno,  di  cui  fama  si  speri. 

Ira  storditi  pensieri  inculti  e  lievi 
Trastulla  il  mondo,  e  fra  giudizj  falsi» 
Fra  discorsi  imperfetti  avari  e  brevi  . 

|e  mai  del  cieco  error  suo  mi  prevalsi , 

|  Qui  le  pompe  rinunzio ,  e  qui  il  suo  orgoglio, 
Che  scrivo  in  onde  ,  ed  aro  in  lidi  salsi . 
oi  eh'  io  veggo  pien  d' ira  e  di  cordoglio 
Fuggirsi  Apollo  ,  e  pianger  le  pudiche 
Sorelle  che  sa  Parnaso  onorar  soglio. 

15  Marsia  cinto  di  loquaci  piche 
Trionfar ,  e  Minerva  si  distrugge 
Godendo  Aracne ,  e  Y  altre  sue  nemiche* 

on  la  siringa  in  man  Cilleuio  fugge , 
Ch'Argo  è  già  desto,  e  contra  lui  s'affanna^ 
Come  leone  che  per  fame  rugge. 

i  Cherulo  superbo  siede  in  scranna 
Lodato  dal  gran  figlio  di  Filippo,, 
Benché  ogni  altro  giudizio  il  preme  e  danna  . 

otto  è  il  decreto ,  e  venga  ornai  Lisippo 
Con  quant'  arte  si  voglia  ,  e  venga  Apelle , 
Che  tanto  è  in  prezzo  buon*  quant' occhio  lippo* 

hi  può  stipar  più  il  ventre  e  le  mascelle 
Di  pubbliche  rapine ,  oggi  è  più  degno 
D'  abitar  su  nel  ciel  fra  1'  altre  stelle  ; 

ero  convien  eh'  io  canti   per  disdegno , 
Ch'  essendo  sul  fetor  de  la  sentina , 
Non   posso  contener  3'  animo  pregno. 

urga  qui  1'  alta  tuba  venosi na  , 
La  citara  d'  Arunca  ,  e  quel  d'  Aquino 
Che  il  scettro  tiene  in  satira  latina  < 


72  Poesie 

Fulmini  Persio  ,  e  1'  antiquo  Cratino  , 
Su  sa  rion  ,  Men  andrò  e  Filemone 
Con  st il  chiaro  sonante  e  pellegrino  . 

'Poi  che  l'avara  ed  invida  Giunone 

Sbarrato  ha  V  uscio,  e  non  vuol  eh'  entri  a  Giove 
D'  altro  vello  mantel  ,  che  di  montone  ; 

E  da  la  reggia  sua  1'  aquila  move 
Per  annidarvi  1'  affamate  arpie  , 
Ch'  arman  gli  artigli  adunchi  a  tutte  prove  . 

Fra  lor  voglie  crudeli  atroci  e  rie 
Siede  1'  invidia  di  virtù  nemica  , 
Tutta  ripiena  d'  odj  e  gelosie  * 

Questa  è  Ja  fera  livida  che  intrica 
Tutti  i  disegni  gloriosi  e  chiari  : 
Onesta  è  colei  che  i  cor'  gentil'  fatica  . 

Pallida   e  marra  siede  fra  i  preclari 

Scettri  con  gli  occhi  vagabondi  e  torti , 
Che  a  mirar  drillo  par  che  mai  no*  impari. 

Denti  scabri  di  f<  ito  acuti  e  forti 

Fan  siepe  a  quella  sua  lingua  di  serpe  , 
Che  molti  ingegni  tien  sepolti  e  morti . 

Fele  e  cicuta  per  il  petto  serpe  ; 

Ne  ride  s'  altrui  doglia  non  1'  invita  ; 
Brama  1'  error  del  mondo  ,  ed  odia  Euterpe. 

In  lei  non  regna  sonno  ,  ma  vestita 
Di  vigilanti  cure  sempre  mira 
Ne  1'  altrui  bene  con  doglia  infi  iita  . 

Questo  è  il  supplizio  che  1'  ann^ji  e  gira  ; 
Questo  è  quell'  incurabile  letargo 
Che  lei  a   morte  distruggendo  tira  . 

Da  l'altro  canto  più  desta,  che   Argo  , 
Sollecita   la   madre  d'  og'ii   viz'n  , 
Che  un  mar  nel  venire  suo  profondo  e  largo , 


Satiriche.  73 

n  abisso  di  gola  ,  un  precipizio 
Apre  ,  quando  la  mira  il  scellerato 
Danar  ,  eh' è  sempre  d'  ogni  male  inizio, 
lede  furti  rapine  usure  a  lato, 
Servitute  idolatra  ,  ingorde  brame, 

ì  Sono  i  ministri  del  suo  iniquo  stato  . 

fual  più  vago  di  ferro  che  di  rame 

{Struzzo,   costei  d'or  fin  solo  e  d'argento, 

iPar  che  si  strugga  da  rabbiosa  fame  . 

birto  ansioso,  privo  di  contento 
Per  la  fiera  voragine  ebe  prende 
Sue  voglie  ardite  in  ogni  tradimento. 

I  corso  naturai  sola  contende  ; 
Che  quando   ogni  animai  satollo  dorme, 
Lei  dopo  il  pasto  maggior  fame  accende. 

^gile  sempre  con  sue  crude  voglie 
Ringiovenisce  ,  poi   che  il  tempo  invecchia 
L'altre  cose  create  in  varie  forme. 

[jtiesto  è  quel  simulacro  in  cui  si  specchia 
L'umana   cecità,  che  il  sommo  bene 
Perverte    sempre,  e  a  mal  fin  s'apparecchia. 

tiesto  è  il  velen  che  serpe  per  le  vene 
De  le  mitre  superbe  e  de'  tiranni 
Ch*  hanno  posto  in  ricchezze  ogni  lor  spene  . 

laaro  seme  de'    futuri  danni  , 
Che  Italia  impregna  ,  e    languida  sul  parto 
Già  si  comincia  a  torcer  da  gli  affanni. 

fir  te  grida   vendetta  il  sangue  sparto 
De  la  vittima  orrenda  che  '1  gran  manto 
Squarcia  ,  e  non  trova  ad  emendarlo  sarto . 

[palazzo  di  Cristo,  il  tempio  santo 
iFatto  è  un  macel ,  che  di  sì  crudo  e  fiero 
Non  se  ne  dette  mai  Taurica  il  vanto  . 


74  Poesie 

Fame  d'  or  fin  ,  cupidità  d'  impero 
Adulterali  la  sposa  casta  e  ignuda 
Che  congin nge  il  figìiuol  di  Dio  con  Piero, 

Fera  superba  indomita  che  suda 

Sotto  il  gran  giogo  al  carro  de'  mortali, 
Con  la  testa  alta  disdegnosa  e  cruda , 

Viensene  ardita  fulminando  strali 
Di  vana  ambizion  tumida  e  pregna 
Per  dominar  sovra  gli  altri  animali  • 

La  sua  faccia  leonina  par  che  sdegna 
Ogni  placabil  gesto,  ogni  atto  umile, 
Ogni  affabilità  soave  e  degna . 

Due  corna  ha  in  testa  altere  e  signorile 
Qual  cervo  d'  oro  fino  in  rami  sparte, 
Cingendo  al  collo  un  splendido  monile  . 

Di  ferro  il  petto  crudo  ha  più  che  Marte 
Vaga  di  se  ,  come  F  uccel  di  Ghino , 
Che  vagheggia  il  tesor  suo  da  ogni  parte  # 

Questa  insolente  par  che  mai  alcuno 
Lodar  non  possa ,  e  pertinace  vogli 
Farsi  adorar  con  voti  da  ciascuno  . 

Vanità  gloriosa ,  alteri  orgogli  , 
Jattanza  elazion  fasto  alterezza 
Son  de  le  corna  sue  tristi  germogli , 

Puzzale  il  muschio  altrui ,  suo  sterco  apprezza  9 
Cercando  ne  le  pompe  esser  veduta 
Risplender  porporata  in  grande  altezza . 

Questa  ignoraute  bestia  non  saluta  , 

Salvo  con  qualche  maestà  d*  un  cenno  , 
Loquace  in  comandar  ,  in  pregar  muta . 

O  fabbro  eterno  protettor  di  Lenno 
Fabbrica  a  Giove  il  coruscante  dardo 
Che  fulmini  la  belva  senza  senno  . 


Satiriche.  y5 

Lingua  procace ,  petulante  sguardo  , 
Gesti  insolenti ,  esistimar  se  stessa 
Sono  le  tube  innanzi  al  suo  stendardo . 

Dolcemente  a  1'  orecchia  se  le  appressa 
Blanda  adulazion,  che  il  cor  titilla 
Sentendola  prurir  soave  e  spessa. 

Or  vien  colei  che  in  delizie  sortilla  , 
Dolce  velen  fra  il  biasmo  di  coloro 
Ch'  arsero  il  cor  di  sua  trista  favella  : 

tfudrita  in  ozio  in  seta  in  gemme  in  oro , 
Muschj  ,  zibetti ,  acque  odorate  e  fiori 
D'  ogni  spirto  gentil  tristo  divoro . 

Morbida  e  lascivetta  fra  gli  odori 
Siede  cantando  ,  spettorata  e  molle 
Per  invescar  di  gente  vana  i  cori  . 

pome  nel  petto  uman  fervida  bolle  , 
Come  vilmente  in  stretto  groppo  allaccia 
Lo  spirto  che  dal  fango  non  si  estolle  . 

bianca  e  vermiglia  la  lisciata  faccia 
Volge ,  e  queir  occhio  capestrello  >  e  ghiotto 
Ladro  ,  che  sempre  a  depredar  procaccia . 

)1  crespoletto  crino  sparso  e  rotto 

In  mille  vaghe  ondette  ,  in  mille  nodi 
S' inghirlanda  di  perle  e  d'  or  di  sotto  . 

ìarnalità,  lussuria  in  tutti  i  modi 
Par  che  con  cenni  e  con  le  membra  gridi 
Costei  eh'  ha  1*  arte  degli  inganni  e  frodi . 

tei  petto  meretricio  par  che  annidi 

!  Cupidine  con  l'arco  e  con  la  rete , 
Come  insidian  le  mosche  i  ragni  ai  ni  di . 

Trecce  ritorte  in  crespanti  comete  , 

!  Cincinnetti  riccielli  e  calamistri  , 
Sproni  che  accendon  la  venerea  sete . 


: 


j6  Poesie 

Stili  e  mollette  son  fidi  ministri 

Da  inarcar  ciglia,  e  dilatar  la  fronte, 
Ov'  ha  il  gioco  di  Flora  i  suoi  registri . 

Le  ampolle  il   specchio  le  bussoleite  onte 
Di  liscio  ,   bambard  ,  tenaci  gorae  , 
Destri  ruffiani  a  le  fattezze  conte. 

I  carriaggi  ,  le  opulenti  some 

Del  suo  peculio  son  fogge  diverse 

Da  snudar  petti  ,  ed  increspar  le  cbiome  . 

Circe  mai  in  tanti  porci  non  disperse 
I  compagni  di  quel  che  in  sul  telaro 
Lasciò  la  moglie ,  e  dieci  anni  si  perse  » 

Quanti  costei  converte  in  lutto  amaro , 
Quanti  ne  fa  impazzir  ,  quanti  balordi 
Fa  poi  volar  con  gli  stornelli  a  paro  . 

Lievi  pensieri  ,  desiderj  ingordi , 
Mollizie  voluttà  lascivia  e  stupro 
Sono  i  consigli  suoi  fetidi  e  lordi . 

Se  qui  del  dir  la  vena  non  recupro , 

Febo  ,  col  tuo  favor ,  1'  oro  eh'  io  prendo 
Fia  di  men  prezzo ,  che  valor  di  cupro  . 

Qui  non  s'  impara  poetar  dormendo 

Nel  monte  ascreo;  ma  la  mia  cetra  incorda 
L'altra  che  surge,  nuova  trama  ordendo. 

Questa  le  labbra   par  che  lecchi  e  morda 
Turgide  al   mento  torte  e  rubiconde , 
De  le  quai  mai  1'  i  giù  via  non  discorda. 

Non  si  cerca  o  lorar  di  laurea  fronde 
Quegli  aspri  crini  d'ogni  sorte  inculti, 
Ch'  bau  sempre  in  odio  le  pegasid'onde* 

Ma  de'  leccardi  condimenti  esculti 
Sono  conteste  in   nodi  le  ghirlande  , 
Ch'  avrebber  mosso  Apisio  a  novi  insulti* 


Satiriche.  77 

Lucido  il  volto  di  grassezza   paude  , 
Come  il  cuoco  de'  frati  in  Padoliro  , 
Che  suda  sempre  fra  le  torte  grande. 

Duesto  è  il  flagel  la  strage  il  gran   martiro 
Di  starne  di  cappon'  grassi  e  piccioni , 
Che  struggono  in  le  brage  lor  butiro  . 

|)  sfortunati  e  miseri  pavoni  , 
Che  non  vi  seampan  le  dorate  penne 
Da  farvi  in  mensa  sua  ghiotti  bocconi  ! 

Quel  che  in  gran  prezzo  a  Roma  già  sostenne 
Per  diventar  la  contesa  lampreda 
Il  nome  ba  di  costei  eh' allor  ritenne. 

)r  vedi  con  quant'  arte  ella  accoreda 
La  mensa  carca  di  fumanti  piati 
Del  suo  trionfo  coquinana  preda. 

^011  fur  mai  sì  solleciti  pirati 
In  cercar  ogni  golfo  porto  e  spiaggia  , 
Come  F  aere  costei ,  mar'  bosebi  e  prati  . 

fiè  d'  altro  studio  par  che  mai  cura  aggia  , 

;  Salvo  d'  incrudelir  nel  tristo  sangue 
D'  ogni  fera  domestica  e  selvaggia  . 

(uggito  di  leon  ,  sibilar  d'  angue  , 

!  Non  è  di  tanto  orror  ,  quant' è  il  suo  fischio, 

!  Che  per  terror  ogni  animante  langue  . 

Ìon  la   vorace  ingiù  via  or  non  m'  arrischio 
Tesser  più  lunga  tela  ;  or  volgi  il  subb'O 
Per  tramar  nuovo  fil  stroppiato  e  mischio. 

kmara  più  che  mai  fele  o   ma  nibbio 

'  Sga.zza  con  furia  torbida  e  crudele  , 

i  Che  questo  altrui  fa  star  di  vita  in  dubbio  . 

|ue  voci  ,  suo-  muggiti  ,  sue  querele 
Tonan  sì  orrende ,  che  ciascu  1  per  tema 
Par  che  il  sangue  nel  cor  se  gli  congele  . 


\ 


78  Poesie 

Due  serpi  fanno  al  suo  capo  diadema; 

Che  se  morendo  insieme»  e  fuor  del  petto 
Gli  esce  un  vapor  eh'  ogni  altro  foco  scema, 

Questa  arde  di  disdegno  ,  e  da  dispetto 
Stride  co'  denti,  e  sottosopra  solve 
La  terra  il  ciel  con  venenoso  affetto  » 

Le  briglie  di  ragion  spezza  e  dissolve 
Quel  maligno  furor,  che  vive  polpe 
Fa  spesso  convertir  con  poca  polve  . 

De  T  avoltor  che  Giove  per  le  colpe 
Di  Tizio  dette  a  roder  gì'  intestini , 
Non  men  vorace ,  che  affamata  volpe , 

Cede  a  costei  nel  sangue  de'  meschini 
Trasportata  da  Y  ira  che  1'  infiamma 
Con  levità  de'  suoi  moti  festini . 

L'  ultima  bestia  che  sotto  la  mamma 
Di  pigrizia  si  pasce  ignara  e  lenta, 
Che  mai  d'  ardir  non  ebbe  in  terra  dramma, 

Timida  inerte  lorda  e  sonnolenta 
Velisene  col  color  d'  un  polmonazzo 
Flemmatico  che  sempre  in  morbi  stenta. 

L'accidia  seco,  il  vii  torpor,  che  impazzo 
Di  tutti  i  chiari  e  peregrini  ingegai 
Tiene  in  delizie  lei  per  gran  sollazzo  . 

Del  tardo  movimento  involto,  e  cegni 
Mostra  1'  ardir  che  in  V  oziose  piume 
Suol  sbadaechiando  far  vani  disegni  . 

La  forza  di  colei  che  ne  le  spume 
Nacque  del  tristo  seme  di  Saturno 
Fervegli  il  sangue,  e  in  le  midolle    tume . 

Ora  pulsando  col  mio  plettro  eburno 
La  lira  d' Anfion  ,  che  disacerba 
Di  giorno  il  pianto,  e  *1  sospirar  notturno, 


Satiriche.  79 

liggomi  sol  cercando  i  fiori  e  Y  erba , 

[Le  campagne  dipinte  ,  i  folti  boschi 
JPer  uscir  fuor  di  questa  vita  acerba  . 
la  cieca  e  vulgar  gente,  ingegni  loschi, 

Piango  mia  sorte  ,  e  veggio  il  mondo  tutt© 
{Tenebrato  di  vizj  orrendi  e  foschi. 
(ki  potrebbe  tenersi  il  volto  asciutto 
[Di  lagrime,  vedendo  il  scettro  in  mano 

A  F  ignoranza  eh'  ha  ogni  ben  distrutto  ? 
Li  F  indo  Idaspe  e  dall'  Ibero  ispano 

Da  gF  iperborei  monti  a  quei  d'  Etiopia 
j  Sentito  aprir  fu  già  *1  tempio  di  Giano . 
[ilia ,  or  piango  la  tua  estrema  inopia  , 

Che  tremi  al  suon  de  le  barbariche  armi 
fChe  già  domasti,  e  fur  tua  preda  propria, 
lucida  vetustà,  rodenti  tarmi 

Copron  F  insegne  tue  di  gloria  spente , 
{Tal  ch'io  sento  per  doglia  il  cor  scoppiarmi, 
felica  virtù  chiara  e  possente  , 
*Del  cui  splendor  già  stupefatto  il  mondo 

Si  vide,  or  sei  vergogna  de  la  gente 
freudo  il  tuo  valor  scacciato  al  fondo . 


8o 

GIOVANNI    ANDREA 

DALL'  ANGU1LLARA. 

SATIRA 
al  Cardinal  di  Trento. 


T, 


ra  bassi  tra  mezzani  e  tra  gli  eroi  , 
Signor  ,  pastore ,  e  cardinal  di  Trento , 
INon  si  ragiona  d'altro,  che  di  voi. 

S' io  vo ,  s'  io  sto  ,  s'  io  non  ascolto ,  sento 
Dir  del   vostro-  leggiadro  alto  intelletto, 
E  del  raro  giudizio  chi  v' è  drento. 

Da  che  mi  levo  in  fio  ch'io  vado  a  letto, 
Altro  non   mi  vien  detto,  altro  non  s'ode, 
Come  se  non  ci  fosse  altro  soggetto. 

0  Dio ,  come  gioisce  e  come  gode 
L'antico  mio  padron  Leone  Orsino, 
Quando  racconta  qualche  vostra  lode  ! 


Satiriche.  8i 

mostra  scritto  in  volgare  e  in  latino, 
Di  prose  e  versi  ha  sempre  le  man'  piene  , 
Che  vi  scrive  oggi  ognun  ,  come  Pasquino, 
li  studj  e  corti  e  piazze  e  pranzi  e  cene 
Par  che  ognor  partoriscano  qualch*  atto 
Che  fa  di  voi  parlar,  e  sempre  in  bene; 
1  eh'  io  mi  sono  innamorato  affatto  , 
JE  v'ho,  monsignor,  preso  tanto  amore, 
tehe  ne  divento  ogni  giorno  più  matto. 
I  che  son  dolce  e  tenero  di  core  , 
■Di  propria  volontà  voluto  ho   farmi 
[Vostro  perpetuo  schiavo  e  servitore. 
Ese  mezz'  ora  vorrete  ascoltarmi , 
|!Vi  vo'  scriver  in  ciò  F  animo   mio 
In  questi  pochi  e  cosi  fatti  carmi, 
feono  ,  acciò  sappiate  chi  son  io  , 
Dottor  di  leggi  ,  leggente  ,  e  in  che  guisa 
Sia  fatto  ,  il  dirò  poi  piacendo  a  Dio. 
Uh  muse ,  ora  spogliatevi  in  camisa  , 
Sbrachisi  Apollo  e  levisi  la  giuppa  , 
E  fate  tutti  quanti  una  divisa. 
Hate  al  mio  cervel  che  s*  avviluppa  , 
E  di  quel  buon  licor  portate  alquanto, 
Si  che  possa  con  voi  fare  una  zuppa. 
)h  ner  1'  amor  di  Dio  non  state  tanto  , 
uh'  io  son  per  fare  un'  opra  assai  cattiva  , 
|S'  una  di  voi  non  mi  si  mette  a  canto. 
Irti,  qual  fia  l'Apollo,  e  qual  la  Diva, 
Zìi  ora  eh'  io  son  a  l' ordine  disposto 
^orrà  tesser  bordone  o  la  mia  piva? 
■por  ,  io   m'ho  ne   l'animo  proposto 
1\  farvi  servitù,  ma  d'una  sorte, 
the  non  vi  rechi  utilità  né  costo. 
Poesie  Satir.  6 


82  Poesie 

Vo'  corteggiarvi ,  e  non  vo'  star  in  corte , 
E  non  credo  servirvi  in  vita ,  e  giuro 
D'  esservi  servitor  infino  a     morte. 

E  vi  prego  e  vi  supplico  e  scongiuro  , 
Che  vi  degniate  d'accettar  in  dono 
Tutto  il  resto  del  viver  mio  futuro  : 

E  benché  inetto  inutile  e  non  buouo 
Mi  conosca  per  voi  ,  pur  nondimanco 
E  forza  ch'io  sia  vostro  tal  qual  sono. 

Ma  sebben  posso  poco  e  vaglio  manco, 
Ciò  che  v'importa,  già  eh'  io  non  disegno 
Di  provar  se  il  pan  vostro  è  nero  o  biantf 

Una  statua  di  cera  ,  un  uom  di  legno 
Fate  conto  eh'  io  sia  fatto  per  voto 
Da  mastro  che  non  ha  troppo  disegno  , 

Cbe  qualche  eletto  spirito  e  divoto 

Offerisce  ad  un  santo,  a  la  cui  chiesa 
L'  affisse  ,  u' slassi  poi  fermo  ed  immoto: 

Non  ha  quel  tempio  utilità  ne  spesa  ; 
Pur  guarda  il  santo  a  l' animi  di  quello 
Che  di  divozione  è  tutta  accesa. 

Questa  mia  statua  e  questo  mio  modello 
Non  spregiate  ,  signor ,  bench'  io  confesso , 
Ch'  egli  non  è  per  voi  buono  ne  bello. 

Pur  io  vo' dirvi  un'altra  cosa  appresso, 
Che  fra  le  cose  preziose  e  care 
Non  ho  più  cara  cosa  ,  che  me  stesso. 

Se  me  stesso  vi  dono ,  cbe  vi  pare? 

S'  io  vi  do  quello  che  più  stimo  e  pregio, 
Non  si  deve  quest'  animo  accettare? 

Voi  che  di  cortesia  ,  di  splendor ,  fregio , 
Sì  come  intendo  dir,  tulti  avanzate, 
Fatemi  fur  un  ampio  privilegio , 


Satiriche.  83 

Nel  qual  si  veggia  ,  come  m'  accettate 

Fra  vostri  eletti  e  privilegiati 

In  questa  nostra  sfortunata  etate. 
)  quattro  e  cinque  volte  più  beati 

Quei  che  nel  vostro  vago  campo  eliso 

Sono  insieme  da  volti  scelti  e  chiamati; 
Ihe  stanno  in  terra  ,  ed   hanno  il  paradiso 

Ed  ogui  lor  tristizia  via  discaccia 

La  gran  serenità  del  vostro  viso  ! 
ziete  grande  di  corpo ,  e  bel  di  faccia , 
!  E  mentre  ben  tutte  le  cose  esamino  , 

Ogni  parte  eh'  è  in  voi  convien  che    piaccia, 
ìhi  non  contenteriasi  del  vostr'  animo? 

Che  mi  par  impossibil  che  si  possa 

Trovarne  un  più.  sincero,  un  più  magnanimo. 
\l  s'  ogni  scettro ,  ogni  berretta  rossa 

Fosser  locaf  in  simili  soggetti , 

Giriano  tutti  in  gloria  iu  carne  e  in  ossa, 
tton  sol  sarian  felici  i  vostri  eletti, 
\  Ma  stato  avria  ciascun  lieto  e  fecondo  , 

J tifino  quei  che  tanno  dei  sonetti. 
f  che  viver  sarà  lieto  e  giocondo 
!  Quando  sarete  Papa  !  o  Dio  ,  che  festa 

Farassi  al  lor  per  tutto  quanto  il  mondo! 

osse  almen  presto,  e  cancar  da  chi  resta: 

E  forse  che  a  la  vostra  alma  presenza 
i  Non  calzerebbe  ben  quel  regno  in  testa? 
o  ben  che  vi  staria  per  eccellenza, 

E  pur  staravvi  a  quel  che  si  comprende 

Da  qualche  buona  vostra  esperienza, 
the  se  siete  or  soggetto  dn  faccende, 
i  Or  che  sarete  in   età  più  matura  ? 

?Son  farete  alior  voi  cose  stupende  ? 


P    O    E    S    l    E 

Questo  la  musa  ine  1*  afferma  e  giura  , 
E  m'  introna  gli  orecchi ,  e  dice  sollo  : 
Indovinalo  pur  a  la  sicura. 

O  fortunato  tempo,  s'io  vedrollo , 

Quand'ognun  sia  pur  povero  e   mendico 
Si  leverà  da  tavola  satollo  ! 

E  che  sia  il  Ver  quel  eh'  indovino  e  dico , 
Ciascun  eh'  al  vostro  nome  porrà  mente , 
Vederi»  quanto  a  Cristo  siate  amico. 

Cristofor  siete  detto  da  la  gente  , 

Perchè  portate  Cristo  in  core  ,  e  poi 
Ragionate  con  lui  divotamente. 

Voi  parlate  con  lui,  ed  io  con  voi, 

Tal  ch'egli  appar  che  vi  vuol  far  vicario, 
Poi  che  vi  dice  tutti  i  fatti  suoi. 

Gli  basta  che  siate  or  suo  segretario  ; 
Che  siate  poi  locotenente  vuole , 
E  tenghiate  le  chiavi  del  Sacrario. 

O  Mad ruzzo ,  beata  e  chiara  prole, 
Io  ho  pur  gran  speranza  di   vederti 
Essere  al  mondo  più  chiara  che  '1  sole. 

Sì  per  grazia  del  ciel ,  sì  per  li  merti 
Del  mio  signor  ,  e  suoi  progenitori 
Ne  1'  arme  chiari  e  ne  le  cose  esperti , 

Fur  sèmpre  illustri  e  splendidi  signori, 
E  furon  sempre  li  palazzi  loro 
Piicetto  di  soldati  e  di  dottori. 

0  Dio  ,  che  di  dolor  mi  struggo  e  moro  , 
Ch'or  che  dovrei  gir  alto  ,  io  vo  più  basso, 
E  non  posso  servar  ben  il  decoro  ! 

Vorrei  trar  tliecidotto  ,  e  tiro   ambasso  , 
Mercè  di  queste  muse  le  quai  m'hanno 
Portato  aceto  in  vece  d' ippocrasso  : 


Satiriche.  85 

II  oltra  cìòm'han  sì  pieno  d'affanno 
Queste  tante  letture  ,  chiose  e  testi , 
Che  m'  han  messo  il  cervello  a  saccomanno: 

I  coelici  e  paragrafi  e  digesti  , 
Bartoli  e  Baldi  m'hanno  consamato, 
E  tutti  i  sensi  conquassati  e  pesti. 

I  leggo  un  certo  paragrafo  Cato  , 
11  qual  sì  mi  tormenta  e  in*  assassina , 
Chi  non  mi  resta  ne  voce  ne  fiato. 

Lggo  la  sera ,  e  studio  la  mattina  ; 
Al  vitto  il  giorno  vo  fantasticando, 
Che  mi  manca  or  il  vino  or  la  farina. 

Insielerate  dunque  come  e  quando 
Posso  andar  in  Parnaso  a  poetare  , 
Che  non  ho  un  quarto  d'ora  al  mio  comando. 

5: che,  signor,  m'avrete  a  perdonare, 
Se  quel  ch'avrei  da  dir  non  dico  appieno, 
3he  per  più  conti  non  lo  posso  fare. 

Irque  tacer  dovrei  ,  e  nondimeuo 
Tacer  non  posso,  eh'  una  forza  estrema 
y  amor  m'induce  a  far  uè  più  né  meno: 

Lzi  vi  dico  più  ,  eh'  avea  gran  tema , 
Se  pur  non  lo  sborrava  in   questo  foglio  , 
Non  generasse  dentro  una  postema. 

oche  viver  desio  ,  più  tosto  voglio 
Ssser  tenuto  un  uom  di  poco  sale  , 
£he  crepar  di  martello  e  di  cordoglio. 

Utjon  tutto  che  siate  un  cardinale  , 
'  ho  voluto  parlar  d'  està  maniera 
1  meglio  eh'  ho  saputo  o  bene  o  male. 

i  ri  dico  di  nuovo  a  buona  cera  , 
ihe  mi  struggo  mi  moro  e  mi  consumo 
)'  esser  di  quelli  de  la  vostra  schiera. 


86  Poesie 

Io  desidero  al  naso  questo  fumo 

Benché  il  ventre  borbotta  ,  ohe  si  pasce 
D'  altro  che  d*  ambracane  o  di  profumo. 

Si  maraviglia  che  Y  arrosto  lasce  , 

E  brami  il  fumo  ;  ma  non  ben  si  lagna  , 
Che  bisogna  che  viva  ognun  che  nasce. 

Ma  che  viva  di  quel  che  si  guadagna  , 
Mi  par  che  dira  la  scrittura  e '1  testo, 
Di  quel  vivo  sud  or  che  '1  volto  bagna. 

Dunque  s'io  chiedo  il  fumo,  e  poi  mi  resto 
Follo  perchè  s'  altramente  facesse  , 
Non  serberei  ne  '1  giusto  ne  Y  onesto. 

Credete  ,  monsignor ,  s' io  mi  vedesse 
Atto  a  servirvi ,  e  guadagnar  le  spese  , 
Che  servirvi  da  senno  non  chiedesse? 

Or  poi  ch'io  i\on  son  atto  a  tali  imprese, 
lo  vi  domando  quel  che  non  vi  costa, 
E  che  di  poco  mi  siate  cortese. 

Nomine  tantum  star  a  vostra  posta  , 

Ch'  io  non  son  atto  da  senvio  a  servire  , 
E  tutto  '1  giorno  andar  correndo  in  posta. 

Or  ,  monsignor  ,  voi  mi  potreste  dire , 
Ben  ,  chi  sei  tu  che  cerchi  questo  nome? 
Io  mi  vorrei  di  te  meglio  chiarire. 

Io  son  per  dirvi  il  nome  col  cognome, 
E  la  forma  d*  un  uom  di  ventott'  anni 
Di  scriver  quasi  dal  piede  a  le  chiome. 

Son  un    Andrea  congiunto  con  Giovanni  , 
Che  vivo  ogsri  una  vita  così  amara, 
Di   tutu  ì  piacer*  privo  e  pien  d'affanni. 

De  la  stirpe  son  io  da  TAnguilJara, 

Ch'  ha  per  insegna  Tarme  de  l'anguille , 
Ch'  in    molte  parti  de  1*  Italia  è  chiara* 


Satiriche.  87 

ria  producea  guerrieri  a  mille  a  mille  ; 
N'  ha  prodotti  a'  di  nostri  una  decina  , 
Ch'  avrebbon  preso  gatta  eoa    Achille. 

ol  io  lasciato   ho  quella  disciplina  , 
E  mi  son  tutto  volto  ad  altri  studi , 
Sì  come  il  fato  e  Jl  mio  destin  m'  inchina: 

'ove  s'  avvien  che  m'  affatichi  e  sudi , 
Potrei  di  qualche  pregio  esser  fra'  miei , 
E  guadagnarmi  uà  dì  di  matti  scudi. 

bn  nato  u'  fuggì  il  padre  de  gli  Dei  , 
Poi  che  gli  fur  tagliati  que'  cotali 
Ai  quai  spuntano  il  manico  gli  E!~rei. 

*r,  monsignor ,  mettetevi  gli  occhiali, 
Ch'  io  vi  voglio  mostrar  un  corpo  umano  ] 
Di  fattezze  superbe  ed  immortali. 

1  sono  un  uom  fra  i  piccioli  un  mezzano, 
E  fra  i  mezzani  un  picciolo  ,  e  fra  i    graudi 
Mi  si  potrebbe  dir  ch'io  fossi  un  nano. 

I  s' avvien  ch'alcun  grande  mi  domandi 
Per  parlarmi  a  1*  orecchio  cheto  cheto , 
Bisogna  eh'  ei  s'  impiceoii  ,  io  m'ingrandì. 

^so  ordinario  e  di  natura  lieto, 
Se  la  sorte  crudel  noi  fesse  tristo  , 
Che  mi  persegue  in  pubblico  e  in  segreto. 

hr  con  fortezza  d'animo    resisto 
Per  grazia  che  mi  vien  data  di  sopra  , 
E  mi  contento  e  mi  riposo  in  Cristo; 

I  quel  da  cui  dipende  ogni  buon'opra 
Riposerò  fin  che  la  madre  antica 
Questo  corpaccio  mio  divori  e  copra. 

loirò  allor  d'  affanno  e  di  fatica  ; 
Che  nel  regno  di  Cristo  io  spero  certo 
Veder  la  faccia  sua  grata  ed  amica. 


88  Poesie 

Questo  spero  per  grazia ,  e  non  per  merto , 
Che  mi  confesso  peccatore  e  chiamo; 
Pur  veggo  eh' ei  mi  mostra  il  core  aperto. 

E  se  ben  morto  son  nel  padre  Adamo , 
Io  son  poscia  rinato  a  miglior  vita 
Nel  sacrifizio  del  fìgliuol  d'  Abramo. 

Ma  la  mia  musa  è  di  materia  uscita: 
Io  vi  diceva  ,  se  ben  mi  rimembra , 
Com'  io  porti  le  gambe  in  su  la  vita  ; 

E  cominciava  a  distinguer  le  membra  ; 
Dissi  che  '1  viso  mio  comune  e  allegro 
Più  tosto  Giove  ,  che  Saturno  assembra. 

La  fronte  ho  spaziosa  e  V  occhio  ho  negro  , 
E  tutto  il  capo  ne  grasso  ne  asciutto  ,% 
E  grande  e  sano  ,  e  non  picciolo  od  egro 

Vo'  conchiudere  infin  che  il  capo  tutto , 
Ancora  che  non  sia  un  capo  eletto, 
Non  si  può  dir  spiacevole  né  brutto. 

Ma  le  fattezze  eh'  bau  le  spalle  e  '1  petto  , 
Tiziano  non  saria  buono  a  ritraile , 
E  non  le  squadrarebbe  un  architetto  : 

Che  la  pancia  lo  stomaco  e  le  spalle 
Paiono  un  mappamondo  ,  ove  si   vede 
Più  d'un  monte  d'un  piano  e  d'una  valle. 

Messer  Trifon  ve  ne  potrà  far  fede 
Di  tutta  quanta  quest'architettura, 
Che  m'ha  visto  di  fuor  dal  capo  al  piede. 

Il  resto  poi  di  sotto  a  la  cintura 

Ogni  membro  ha  la  sua  proporzione  , 
Eccetto  un  che  non  ha  la  sua   misura. 

Questo  sì  che  noi  sa  messer  Trifone, 
E  poca  gente  ve  ne  può  far  chiaro, 
Che  lo  sanno  per  Dio  poche  persone. 


Satiriche.  89 

n  questo  corpo  stravagante  e  raro 

Stessi  un  animo  libero  e  sincero, 

Che  a  ciaschedun  che  lo  couosce  è  caro. 
Questo  basti  de  1'  animo.  Or  del  vero 

Abito  intendo  dir  che  '1  corpo  veste, 

E  dipingerlo  quasi  intero  intero. 
/  addobba  ,  per  sua  grazia  ,  una  mia  veste 

D'un  panno  già  fu  nero ,  or  pende  in  bajo, 

I  giorni  di  lavoro  e  de  le  feste  ; 
!  d'  aprile  di  luglio  e  di  gennajo  , 
;  Al  tempo  temperato  al  caldo  al  gelo 

Sovra  il  medesmo  mio  giubbone  e  sajo. 
ì  sajo  è  d'  un  cotone  senza  pelo  , 

Ed  ha  la  superficie  sua  sì  netta , 

Che  piuttosto  che  panno,  pare  un  velo. 
Pensate  che  le  calze  e  la  berretta  , 

E  ciascun' altra  parte  corrisponde 

A  queir  architettura  che  vi  ho  detta. 
>r  chi  %  signor  ,  mi  dimandasse  donde 

Procede  eh'  io  non  vo  sì  bene  adorno  ; 

Da  ricchezza  procede  ,  e  non  d'  altronde. 

1  T  • 

.  temo  peggio  andar  di  giorno  tu  giorno; 

|  Poi  eh'  ha  disposto  il  mio  crude!  pianeta 

I  Ch'  io  non  abbia  d'aver  mai  seta  attorno. 

ìsnchè ,  s'io  averò  mai  tanta  moneta 
Ch'  io  possa  dar  assetto  a  gli  altri  guai , 
Vorrò  fasciarmi  anch'  io  tutto  di  seta. 

li  conosco  aver  poco,  e  spendo  assai; 
Giuoco  a  primiera  ,  e  di  buona  cavata  ; 
Tal  eh'  io  non  son  per  riavermi   mai. 

41  caccio  in  ogni  impresa  disperata  ; 
Metto  tutto  l'esercito  a  sbaraglio, 
E  quasi  sempre  perdo  la  giornata. 


go 


P    O    E    S    I    t, 


Ora  per  quel  eh'  io  posso  e  eh'  io  mi  vaglio, 
Io  mi  vi  dono  ,  se  voi  mi  volete  ; 
Voi  mi  accettate ,  se  vi  viene  in  taglio. 

Benché  so  certo  che  m'  accetterete  ; 

Che  mi  vien  detto  a  bocca,  e  mostro  in  scritto, 
Che  voi  foste  signor  prima  che  prete. 

Di  me  già  non  sperate  aver  profitto  : 
Considerale  al  caso  vostro  intanto 
Esaminando  come  m'  ho  descritto. 

Se  ciò  non  basta,  e  che  vogliate  alquanto 

v    Co' vostri  occhi  vedermi  a  la  presenza  , 
Statevene  con  questo  fino  a  tanto 

Ch'  io  vengo  a  Trento  a  farvi  riverenza. 


91 


GIOVANNI  MAURO 

D'  ARCANO. 


CAPITOLO. 


E 


vi  parrà  bizzarra  fantasia, 

Ed  uà  strano  capriccio  di  cervello  , 

Ga.idolfo  ,  il   mio  cantar  la  carestia, 
la  non  fu  mai  puttana  di  bordello  , 

Che  sapesse  sì  ben  far  vezzi   altrui  , 

Com'  ella  mi  lusinga  e  dà  martello. 
1  lodar  mi  vorrei  ,  uè  so  di  cui  , 

Che  la  fa  rinnovar  come  fenice; 

Fors'  egli  è  un  Dio  ,  s'  ha  pur  cura  di  imi, 
ihe  T  abbondanza  ha  svelta  da  radice , 

Per  far  al   mondo  vigilante  e  desto 

Conoscer  meglio  la  vita   felice, 
jitto '1   vin  che  beviarn  dolce,  fu  agresto, 

Le  rose  stecchi ,  e  le  campagne  spine  ; 

Cosi  va  il  mondo ,  e  si  mantien  per  questo.' 


g2  Poesie 

Benché  questo  non  sia  ,  frate  ,  il  mio  fine  ; 
Ma  di  provar  eh*  un  ben  tanto  perfetto 
Tutto  procede  da  I'  opre  divine. 

Nuovo  vi  parrà  certo  il  mio  suggetto  ; 
Ma  non  ,   se   mirerete  saldamente 
Quel  che  scrivendo  altri  poeti  han  detto. 

La  guerra  fu  cantata  anticamente; 
E  un  nuovo  degno  tìorentin  poeta 
Ha  cantato  la  peste  nuovamente. 

Queste  tre  fan  tra  lor  spesso  dieta  , 
E  lega  e  pace  ,  siccome  le  guida 
Legge  del  cielo  ,  o  forza  di  pianeta. 

E  però  la  ragion  nel  cor  mi  grida  9 
E  mi  pareggeria ,  s*  io  stessi  cheto  , 
A  l'animai  che  die  l'orecchie  a  Mida. 

Dunque  voi  che  siete  uom  savio  e  discreto, 
E  dite  a  Y  improvviso  a  paragone 
Di  chi  guidò  le  pecore  d'  Admeto  ; 

Piacciavi  d'  aitar  la  mia  ragione  , 
Sì  eh'  io  la  possa  col  vostro  favore 
Ficcar  ne  l' intelletto  a  le  persone. 

Così  possiate  umiliar  quel  core  , 
E  riscaldar  queir  anima  gelata, 
Che  non  sentì  già  mai  foco  d'amore. 

Io  dico  adunque  che  santa  e  beata 
La  carestia   mi  par  sovr'  ogni  cosa; 
Non  mi  rompa  la  testa  la  brigata; 

Perchè  ogni  alma  crudel  rende  pietosa  , 
Ogni  villano  povero  e  superbo 
Umilia  tanto,  che  par  una  sposa. 

Ogni  umor  purga  a  la  salute  acerbo  , 
E  fa  lieve  ogni  stomaco  gravato 
Più  che  i  bagni  di  Lucca  o  di  Viterbo. 


Satiriche.  9  3 

a  che  Dio  sia  temuto ,  sia  pregiato  ; 
Ch'altramente  noi  siam  sì  buon' figliuoli, 
Che  le  sue  cose  andriano  a  buon  mercato. 

fel  tempo  che  li  Lanzi  e  gli  Spagnuoli 
Con  certi  ladroncelli  italiani 
Saccheggiaron  per  fin  ai  vignaruoli; 

acean  cose  da  far  piangere  i  cani, 
Se  questa  e  la  moria  contra  di  loro 
Non  avesser  menato  ambe  le  mani. 

)r  qual  al  mondo  è  più  nobil  tesoro , 
Se  questo  don  celeste  e  santo  e  raro 
Rinnova  il  tempo  de  1*  età  de  1'  oro  ? 

ioè  quel  tempo  sì  tranquillo  e  caro  , 
Quel  secol  di  Saturno  dolce  e  puro, 
Che  la  malizia  ha  guasto  e  '1  mondo  avaro? 

)uando  ciascun  vivea  lieto  e  sicuro 
Con  non  comprate  e  semplici  vivande  , 
Senza  paura  del  tempo  futuro  ? 

fon  vedete  voi  or  che  Y  alme  ghiande , 
E  tutti  i  fruiti  de  le  sacre  selve 
Son  tanto  in  pregio  ,  eh'  è  una  cosa  grande? 

ar  che  il  mondo  di  nuovo  si  rinselve  , 
E  che  torni  a  quel  primo  antico  stile 
Di  pascer  cou  gli  uccelli  o  con  le  belve. 

'uella  è  la  vita  che  mi  par  gentile  , 
Che  dovrebbe  esser  cara  al  li  mortali  , 

j  E  quest'  altra  mi  par  nojosa  e  vile  , 

he  ne  reca  fastidj  e  mille  mali, 
E  morbi  e  morti  ;  onde  si  vede  espresso  , 
Che  noi  siam  di  uoi  stessi  micidiali. 

>  crudcl  vita  che  si  vive  adesso! 
Vita,  la  qual   mi  par  proprio  la   morte, 
Che  Tuom  sia  vago  d'ammazzar  se  stesso. 


94  Poesie 

La  gola  e  '1  sonno  e  l'oziosa  corte 

Ammorbali  tutto  il  mondo,  e  però  sono 
Le  nostre  vite  tanto  inferme  e  corte. 

Era  in  quel  tempo  antico  ogni  uomo  buono; 
Or  son  mutate  le  nature  in  modo, 
Che  chi  tristo  non  è,  non  ha  del  buono. 

Ed  ora  eh'  io  ragiono  e  canto  e  lodo 
La  santa  carestia  ,  come  colei 
Di  cui  son  schiavo  e  di  cui  sola  godo  ; 

Chi  mi  vuol  ben ,  non  dica  mal  di  lei , 
Ma  la  lodi  com'io,  l'ami  ed  onori, 
Poi  eh'  il  tutto  non  ponno  i  versi  miei . 

Ella  da'  capi  altrui  sgombra  gli  amori; 
Ella  converte  quei  sospiri  a  Dio, 
Che  tormentali  sì  forte  i  nostri  cuori. 

Ella  spira  nel  cuore  alto  desio, 

Che  di  cantar  chiare  fresche  e  dolci  acqui 
O  la  merla  passò  di  là  dal  rio. 

Con  ella  la  prudenzìa  e  virtù  nacque; 

L'ozio  la  gola  e  '1  sonno  andaro  in  bando, 
E  la  poltroneria  sepolta  giacque. 

Egli  è  mestier  eh'  ognun  vada  buscando  ; 
Ogni  grosso  cervello  ella  assottiglia, 
L'ingegno  più  e  più  si  va  aguzzando. 

Non  è  sì  inutil  padre  di  famiglia, 

Che  non  diventi  un'ape,  una  formica, 
Ardente  industrioso  a  maraviglia. 

Ogni  onesla  persona  s'affatica  : 

Chi  è  furfante,  Dio  gli  dà  il  malanno, 
Perchè  non  goda  de  l'altrui  faìica. 

Gli  avari  e  i  liberali  il  lèv  dritto  hanno; 
Mostran  la  lor  grandezza  e  quelli  e  questi 
E  questi  e  quelli  i  lor  piaceri  fanno. 


Satiriche  g5 

Stanno  gli  avari  e  vigilanti  e  desti , 

Votano  gli  granari,  ed  empion  l'arche, 

E  corrono  a'  guadagni  manifesti . 
Conduco  n  di  frumenti  navi  carene 

Di  Puglia  di  Sicilia  e  di  Provenza , 

E  mille  galeoni  e  mille  barche. 
i  fassi  lor  onore  e  riverenza, 

Inchini  e  sberrettate  a  la  spagnuola: 

Beato  chi  può  aver  da  loro  udienza . 
Sempre  al  maggior  guadagno  apron  la  gola  ; 

Cresce  la  roba,  e  più  cresce  la  voglia  ; 

E  così  travagliando  al  fin  si  vola. 
[1  liberal   cortese  più  s'  ir. voglia 

A  scoprir  la  virtù  eh' a  Dio  il  pareggia, 

E  per  donar  altrui  se  stesso  spoglia. 
Kon  puote  egli  aspettar  ch'altri  gli  chieggia; 

Ma  volentieri  e  con  allegra  faccia 

Apre  la  mano  ove  il  bisogno  veggia. 
K  chi  disia  far  cosa  che  gli  piaccia, 

Senza  invito  s'assida  a  la  sua  mensa , 

£  la  casa  di  lui  sua  propria  faccia . 
Non  si  serra  credenza  ne  dispensa; 

La  cucina  sta  «perla  e  giorno  e  notte; 

La  roba  largamente  si  dispensa. 
Vanno  in  volta  vivande  crude  e  cotte  ; 

11  pan  bianco  si  mangia  a  tutto  pasto; 

E  piene  dal  cellajo  escon   le  boite; 
Ma  la  gente  malnata,  il  secol  guasto, 

Mostrati  rari  di  tali   in  questo  mare 

D'ogni  avarizia  tempestoso  e  vasto. 
Di  che  non   mi  par  tempo  di  parlare, 

Però  eh'  io  intendo  d  appressarmi  al  fino 

Di  questo  inusitato  mio  cantare. 


96  Poesie 

Superbi  colli,  e  voi,  sacre  mine, 

Che  co' miti  piedi  indegnamente  calco; 
E  voi,  anime  eccelse  e  pellegrine; 

S'io  men  vo  solo  a  piedi  ,  e  s'  io  cavalco, 
Canto  la  carestia,  e  voi  m'udite  , 
Che  del  suo  vero  onor  nulla  diffalco, 

E  vorrei  che  tra  tante  opre  gradite 
Di  quei  famosi  antichi  e  dei  moderni , 
Ch'  han  data  fama  eterna  a  le  lor  vite; 

Vi  si  ponesse  un  tempio,  onde  più  eterni 
Fosser  di  lei  gli  onori ,  e  che  tra  voi 
Durasser  mille  autunni  e  mille  verni. 

Ebber,  come  vedete,  i  templi  suoi 
La  pace  la  fortuna  e  la  pietate, 
E  ne  veggiam  le  mura  ancora  noi . 

Questa  metta  assai  più,  se  il  ver  mirate, 
Per  gli  alti  effetti  eh'  io  v'  ho  sopra  detti , 
Che  son  maraviglisi  in  veriiate. 

Ed  è  ben  tal,  che  tra  i  romani  tetti 
Se  le  deb  ha  donar  perpetua  sede , 
Ed  adorar  tra  gli  altri  numi  eletti. 

O  sovra  ogni  mortai  di  fama  erede, 
O  glorioso,  e  d'ogni  laude  degno, 
Chi  di  lei  sazio  già  mai  non  si  vede  ! 

Ben  mostra  il  suo  valor  l'arte  e  l'ingegno, 
E  l'eccellenzia  d'ogni  virtù  rara, 
Chi  l'esalta  e  ma  alien  sovra  ogni  regno, 

Chi  l'ama  chi  l'apprezza  e  la  lieo  cara, 
Chi  per  lei  sola  in  questo  mondo  vive, 
Chi  l'insegna  a  la  gente,  e  chi  l'impara, 

Chi  cerca  il  mare  e  tutte  le  sue  rive , 
E  sempre  un  stile  in  seguitarla  tiene. 
Sol  di  lei  pensa,  e  di  lei  parla  e  scrive. 


Satiriche. 

Seatissimi  quei ,  eli'  ogni  lor  bene 
RicoDoseon  da  lèi ,  ponendo  in  ella 
Ogni  lor  desiderio,  ogni  lor  spene! 
laman  da  parente  e  da  sorella, 
Anzi  da  innamorata  e  da  signora; 
Dolce  galante  gentilesca  e  bella , 

^he  quanto  giova  più ,  più  e'  innai 


97 


innamora. 


Poesie  Satin 


90*  Poesie 

CAPITOLO 


T, 


utti  i  volumi  e  tutti  li  quinterni, 
Tutti  i  poeti  e  tutti  quei  che  sanno, 
Tutti  gli  antichi,  infin  tutti  i  moderni 

Quel  eh'  ora  vi  vo'  dir ,  detto  non  hanno, 
Messer  Ghinuccio,  ed  è  ben  cosa  degna 
D'esser  cantata  in  tutti  i  dì  de  Tanno. 

Or  se  vostra  mercè  non  si  disdegna 
Di  prestarmi  l'orecchie  una  mezz'  ora  , 
E  star  attento  quanto  si  convegna  ; 

Io  canterò,  non  la  vermiglia  aurora, 

Ne  '1  gran  carro  di  Febo,  e  i  quattro  venti, 
Ne  i  bei  prati  ch'aprile  mostra  e  infiora; 

Ma  quel  che  va  di  par  con  gli  elementi, 
Che  conserva  e  mantien  l'umana  vita  , 
Senza  cui  spente  già  sarian  le  genti . 

Ben  è  giusto  desio  quel  che  m' invita 
A  ragionar  di  questa  nobil  cosa, 
Che  dal  suo  corso  mai  non  è  smarrita  : 

È  volta  per  lo  mondo ,  e  mai  non  posa , 
Empiendo  le  cittadi  di  se  stessa, 
Ne  mai  stanca  si  vede,  o  giace  ascosa. 

Non  aria  o  terra  o  fuoco  o  acqua  è  dessa, 
Ove  la  naturai  filosofia 
Da  gli  antichi  iuventor  tutta  fu  messa. 

Ma  una  certa  piana  e  dritta  via 
Che  ci  conduce  a  la  vita  beata , 
In  nostra  lingua  detta  la  bugia  : 

Per  la  qual  vive  ogni  persona  nata  , 
E  senza  lei  morremmo  tutti  quanti, 
Come  muojon  le  mosche  la  vernata. 


Sjltirich 


E. 


99 


Or  mirate  gli  antichi  poetanti , 

Quanti  ne  furon  mai  greci  e  latini, 
E  li  moderni  ancor  dotti  e  galanti  ; 

Che  con  le  lor  bugie  pajon  divini, 
Facendo  ragionar  fontane  e  rive 
E  montagne  e  spelonche  e  faggi  e  pini . 

E  prima  il  biondo  Apollo  e  quelle  Dive, 
A  le  quai  noi  faccia m  cotanti  onori, 
Non  furo  al  mondo  mai  morte  ne  vive  ; 

E  quei  Cesari  Augusti  Imperadori, 
E  Messali  ed  Agrippi  e  Mecenati, 
De'  quai  si  fanno  ancor  tauti  romori, 

Per  bocca  di  color  furon  cantali  , 
Che  gli  ornaron  di  fole  e  di  bugie, 
Come  s'ornano  ancor  questi  prelati. 

Attribuendo  loro  opere  pie 

Per  lo  contrario  e  per  altre  cosette, 
Ch'io  faccio  paternostri  e  avemarie. 

Guardisi  d'allacciar  le  fibbie  strette 
Un  poeta  gentil  eh'  abbia  del  buono, 
Quando  egli  indosso  la  giornea  si  mette; 

Perchè  più.  corion  de  la^odé  al  suono 
Questi  eh'  io  dico ,  eh'  a  quel  de  la  piva 
1  Mautovani ,  quando  in  villa  souo. 

Però  s'avvi en  eh'  un  buon  poeta  scriva , 
Alzi  l'antenna  pur,  spieghi  le  vele, 
E  si  dilunghi  da  la  vera  riva. 

Ma  non  ordisca  le  bugiarde  tele 

Con  stame  proprio;  e  sia  un  pittor  discreto 
Che  discopra  il  più  bello ,  e  '1  brutto  cele. 

O  non  dica  covelle,  e  stiasi  cheto; 
Perchè  la  verità  non  piace  mai , 
Benché  sia  molto  il  dicitor  faceto. 


ioo  Poesie 

Sono  in  Italia  de'  poeti  assai 

Che  darian  scaccomatto  a  l'Aretino, 
Ed  a  quanti   Aretini  fur  già  mai; 

Se  volessero  andar  per  quel  cani  mi  no 
Di  scriver  sempre  male,  e  dir  il  vero, 
Come  insegna  la  scuola  di  Pasquino. 

Chi  brama  esser  potea  daddovero, 
Così  vada  dal  ver  sempre  lontano , 
Come  da' scogli  un  provvido  nocchiero. 

L'Aretin ,  per  Dio  grazia,  è  vivo  e  sano; 
Ma  '1  mostaccio  ha  fregiato  nobilmente, 
E  più  colpi  ha,  che  dita  ne  la   mano. 

Questo  gli  avviene  per  esser  dicente 
Di  quelle  cose  che  tacer  si  denno, 
Per  non  far  gir  in  collera  la  gente. 

Egli  ebbe  il  torto,  e  non  quei  che  gli  denno; 
Perchè  dovea  saper  che  ai  gran  signori, 
Senza  dir  altro,  basta  far  un  cenno. 

Altri  che  sono  incorsi  in  tali  errori 
Han  finiti  i  lor  dì  sovra  tre  legni , 
E  pasciuti  li  corvi  e  gli  avohori. 

Ora  vegnamo  a  gli  altri  effetti  degni , 
Che  son  maravigliosi  ed  infiniti, 
E  quasi  da  stancar  tutti  gì'  ingegni . 

Come  farian  le  donne  coi  mariti? 
Sarebbon   come  pecore  scannate, 
E  i  lor  disegni  andrian  tutti  falliti. 

Io  parlo  de  le  donne  innamorate 

Che  sono  ile  a  gran  rischio  de  la  pelle, 
E  poi  con  le  bugie  si  son  salvate. 

Se  avete  letto  le  cento  novelle, 
Vi  dee  pur  ricordar  di   Beatrice, 
Di  monna  Tessa,  e  di  mili' altre  belle; 


Satiriche.  ioì 

Che  svelto  ogni  sospetto  da  radice  , 
Da'  lor  mariti  fur  tenute  in  prezzo, 
E  con  gli  amanti  fer  vita  felice. 

Ma  Ja  moglie  di  Tofano  d'Arezzo , 
E  quella  di  Nicostrato  fer  cose 
Tanto  ingegnose,  che  non  ebber  mezzo* 

Quante  donne  eccellenti  e  valorose 
Andrian  prive  d'onor,  se  questo  velo 
Non  ricoprisse  lor  voglie  amorose  ? 

Amor  si  ficca  dentro  in  ogni  pelo  , 
E  convien  eh'  ubbidisca  a  la  natura 
Ogni  persoua  nata  sotto  il  cielo. 

Madonna,  la  qual  sia  semplice  e  pura  , 
Non  goderà  già  mai  di  quel  piacere , 
Del  qual  non  può  goder,  s'ella  uol  fura* 

Le  bisogna  trovar  mille  chimere , 
Con  mille  finzioni  esser  bugiarda 
Per  ricoprir  altrui  le  cose  vere. 

Ma  non  è  donna  che  non  sia   infingarda  ; 
Questo  è  lor  vizio  proprio  e  naturale , 
Come  del  sol  che  scaldi ,  e  'l  foco  eh'  arda* 

Benché  sia  cosa  antica  universale, 
E  necessaria  sì,  che  senza  lei, 
S'  un  stesse  beo.,  cento  starebbon  male. 

Ella  fu  prima  ne  gli  antichi  Dei  ; 
Che  quelle  donne  sotto  falsi  veli 
Ingannarori   tre  volte  e  quattro  e  sei. 

Quel  vestir  sì  mentiti  e  varj   peli 

Fur  precipuo  argomento  a  li  mortali, 
Quanto  divinamente  il  ver  si  celi. 

Son  de  le  donne  ancor  si  bestiali  , 
Ed  hanuo  alcuna  volta  sì  del  matto, 
Che  sprezzano  i  delitti  naturali. 


102  Poesie 

Con  queste  usar  convien  qualche  bel  tratto  , 
E  saper  figurar  qualche  novella 

la  persuaderle  di  venir  al  fatto 
Con  oro  con  cittadi  e  con  castella; 

E  qui  convien  che  '1  ver  vada  per  terra, 

E  '1  falso  vinca,  e  si  rimanga  in  sella. 
Infin  così  si  vive  in  ogni  terra, 

Che  la  menzogna  tenga  il  primo  loco, 

E  l'avversaria  sua  giaccia  sotterra. 
Quel  che  non  è  bugiardo,  è  uom  da  poco, 

Un  ignorante,  una  persona  vile  , 

Da  men  d'un  mulattier,  da  men,  d'un  cuoco 
Ma  uno  spirto  magnanimo  e  gentile 

Tanto  più  merta  onor,  quanto  ritrova 

Invenzion  più  arguta  e  più  sottile. 
JNon  vi  potrei  mai  dir  quanto  mi  giova 

Famigliarmente  conversar  con  certi 

Che  fingon  sempre  qualche  cosa  nuova, 
In  questa  nobil  arte  gli  più  esperti, 

A  cui  tener  convenga  a  tutte  Tore 

Ambi  li  buchi  de  gli  orecchi  aperti . 
Io  veramente,  non  prendendo  errore, 

Tenuti  ho  sempre  li  napoletani; 

Massimamente  quando  fan  l'amore  ; 
Perch'  hanno  certi  lor  tiri  di  mani , 

Certe  facezie  non  altrove  intese, 

Sì  ghiotte,  che  farian  ridere  i  cani. 
O  gran  felicità  di  quel  paese, 

Al  qual  fu  d'argomenti  e  di  parole 

La  natura  sì  larga  e  sì  cortese  ! 
Che  quanto  cinge  il  mar  e  scalda  il  Sole, 

Pajon  le  genti  senza  lingua,  o  mute, 

A  rispetto  di  quelle  parti  sole. 


Satiriche.  io3 

Questa  somma  ed  altissima  virtute 

Ne  le  parti  di  Grecia  al  tempo  antico 
Fé' sì  famose  quelle  genti  acute. 

Le  quai  poi  di  Sicilia  al  lido  aprico 
In  barca  la  portaro,  ove  sempre  ebbe 
Queir  aer  dolce,  e  quel  terreno  amico. 

Ma  perchè  con  la  lingua  il  popol  crebbe, 
Passò  tosto  quel  stretto  a  l'altra  parte 
Che  a  la  gran  Grecia  ancora  il  nome  debbe. 

Per  tutte  le  contrade  crebbe  l'arte, 
E  gloriosamente  si  diffuse 
Intorno  con  le  lingue  e  con  le  carte 

Allor  nacque  Calliope  e  le  Muse, 
E  tanti  favolosi  e  vani  mostri 
Le  Megere  le  Scille  e  le  Meduse . 

In  cotal  modo  li  paesi  nostri 

S'empieron  di  menzogne,  e  furon  soli 
Felici  a  paro  de  gli  greci  inchiostri. 

Ma  vanti  pur  Vinegia  i  suoi  figliuoli, 
E  Fiorenza  gli  suoi,  che  al  lin  saranno 
Quei  marinari ,  e  questi  setajuoli. 

Quei  di  Napoli  tanto  innanzi  andrauno, 

Quant'  il  fumo  a  la  fiamma,  e  gli  altri  tutti 
In  dietro  di  gran  lunga  lasceranno. 

Ma  perchè  la  menzogna  ha  fiori  e  frutti, 
E  li  produce  a  guisa  de  le  piante 
Secondo  li  terreni  o  grassi  o  asciutti  ; 

Intorno  a  questo   è  ben  ragion  ch'io  caute, 
E  eh'  io  descriva  appieno  i  suoi  effetti, 
Non  intesi  già  mai  dal  vulgo  errante. 

Tutti  li  luoghi  ch'io  v'ho  sopra  detti, 
Naturalmente  son  fertili  e  buoni, 
Onde  producon  uomini  perfetti; 


104  Poesie 

I  quai  senz'  altra  industria  e  senza  sproni 
San  poeticamente  ragionare, 
E  trovar  mille  belle  invenzioni . 

Questi  eh*  io  dico  si  denno  agguagliare 
Ai  bei  fiori  d'aprile,  ed  a  le  foglie 
Onde  sì  vaga  primavera  appare 

Solo  al  diletto  de  rumane  voglie: 

Cbe  dal  piacer  in  poi  ebe  pasce  gli  occhi, 
Di  tal  vaghezza  infin  nulla  si  ooglie. 

Ma  chi  d'altro  sguazzar,  che  di  finocchi, 
E  brama  aver  le  man'  piene  di  spiche, 
E  nel  mosto  pescar  sovra  i  ginocchi; 

Venga  volando  a  queste  mura  antiche, 
Ove  de  la  menzogna  il  vero  seme 
Già  mai  non  falle  l'umane  fatiche. 

Questo  è'1  terreno  il  qual  sovra  ogni  speme 
Rinverde  sempre  a  la  stagion  più  acerba, 
E  vento  e  pioggia  e  grandine  non  teme. 

Qui  si  vede  fiorita  e  verde  l'erba, 
I  rami  carchi  di  frutti  maturi, 
E  Roma  trionfar  ricca  e  superba. 

Qui  gli  ingegni  tedeschi  alpestri  e  duri 
Si  fan  sottili,  ed  i  franciosi  foschi 
In  questo  acr  si  fan  lucidi  e  puri . 

I  Genovesi  a  un  tratto  si  fan  Toschi  : 
Qui  s'assottiglia  infine  ogni  persona, 
S'ella  fosse  ben  nata  in  mezzo  ai  boschi. 

L'aer  la  terra  il  ciel  e  l'acqua  suona 

Menzogne ,  e  queste  mura  e  questi  sassi, 
Tutto  è  menzogna  ciò  che  si  ragiona. 

Per  questi  gloriosi  ed  alti  passi 
A  ricchezze  profonde  ed  infinite, 
A  sommi  onor'  dirittamente  vassi . 


Satiriche.  io5 

Non  vederebbe  il  fin  d'una  sua  lite 
Senza  bugie ,  né  d'altro  suo  disegno 
Chi  mille  anime  avesse  e  mille  vite. 

Quell'  è  più  singoiar,  quell'  è  più  degno, 
Che  con  parole  accorte  e  ben  composte 
Sa  con  tra  il  vero  assottigliar  l'ingegno. 

Tal  che  già  fu  pizzicandolo  o  oste , 

Or  è  gentile,  e  tal,  che  già  poch'  anni 
Gridava:  calde  alesse,  e  calde  arroste: 

E  veggio  vestir  drappi  e  ricchi  panni 
Tal  che  vestì  le  mule ,  ed  esser  detto 
Dal  volgo  m esser  Pietro  e  messer  Gianni. 

Onde  si  può  veder  che  un  uom  perfetto 
Non  have  a  la  natura  obbligo  tanto , 
Quanto  a  la  cosa  eh'  io  v'  ho  sopra  detto. 

Natura  senza  cappa  e  senza  manto 
Come  le  bestie  ne  fa  tutti  nudi , 
E  questa  vita  comiuciam  col  pianto. 

Poi  per  viver  convien  che  l'uomo  sudi, 
Che  s'  affatichi  ,  e  già  mai  non  riposi , 
E  che  s'ammazzi  per  aver  de'  scudi. 

Non  dà  pan  la  natura  a  gli  oziosi/ 
E  bisogna  che  gli  uomini  sian  forti, 
E  con  mano  e  con  lingua  industriosi. 

Voi  siete  pur  nudrito  in  queste  corti, 
E  vedete  ogni  dì  quei  che  son  vivi , 
E  vi  dee  ricordar  anco  de' morti. 

Quanti  ricchi  vedete  e  santi  e  divi 
Salir  in  cie>o,  e  quanti  altri  deserti 
Cader  al  fondo  miseri  e  cattivi? 

Quelli  eh' ebber  li  premj  uguali  ai  merti , 
Furon  parecchj  de'vostii  Sanesi, 
Uomini  savj  e  di  natura  esperti . 


ro6  Poesie 

Quegli  altri  sciocchi  fur  de'  miei  paesi. 
Che  non  sanno  adular  ne  dir  menzogna, 
Tanto  son  grossi,  e  d'ignoranza  offesi; 

Che  parria  lor  grandissima  vergogna 
Dire  ad  un  cardinal  parole  false; 
E  non  han  l'arte  di  grattar  la  rogna. 

Mirate  voi  se  son  le  zucche  salse; 
Che  persona  già  mai  di  quelle  bande 
A  questa  rossa  dignità  no  a  salse. 

Ed  io  di  già  con  quelle  bestie  grande 
D'India  venni  sì  allegro  a  questi  paschi, 
Son  porco  magro  ancora  ,  e  non  ho  ghiande 

Qui  bisognano  infine  uomini  maschi; 
Perdonatemi  voi,  gente  di  festa, 
O  uomini  lombardi  e  bergamaschi. 

E  voi ,  Ghinuccio  mio ,  benché  la  testa 
Abbiate  grossa  e  tonda  e  non  aguzza, 
Pur  non  so  che  di  voi  a  dir  mi  resta* 

Cioè,  che  buono  odor  già  mai  né  puzza 
Non  mi  venne  di  voi,  che  fatto  aveste 
Guadagno  alcun  con  qualche  fa  voi  uzza  ; 

Però  vorrei  ch'ornai  vi  disponeste 

Di  mutar  panni,  e  che'l  falso  vestendo, 
11  ver  in  guardaroba  riponeste. 

Perchè  ingegnoso  e  galantuomo  essendo, 
Come  voi  siete,  e  di  buon  naturale, 
Gran  fatto  non  saria,  se  ciò  facendo 

Voi  foste  ancora  Papa  o  cardinale . 


i©7 

BERNARDINO  GIAMBULLARI 

PER  PRENDER  MOGLIE . 


OTTAVE. 


N, 


ori  per  gloria  acquistar  Parnaso  invoco 
Che  m'immolli  a  la  sua  limpida  fonte, 
E  <T  Elicona  ancor  mi  curo  poco , 
Ch'  ardir  non  ho  di  poggiare  al  suo  monte  : 
Sol  bramo  di  smorzar  l'ardente  foco 
Ch'ho  dentro  al  cor,  con  dir  l'ingiurie  e  l'onte 
Che  fan  le  donne  spesso  a'  lor  mariti 
Per  contentar  lor  sfrenati  appetiti . 

Salvando  e  riservando  però  quelle 
Che  con  vera  bontà  menan  la  vita, 
Cercando  d'  apparir  leggiadre  e  belle 
Con  1   onesta  eli  ogni  giovane  invita 
A  prender  per  consorte  tai  donzelle , 
E  di  due  corpi  far  la  voglia  unita  : 
Dunque  a  queste  si  dia  palma  di  gloria  , 
E  sol  de  le  ritrose  sia  F  istoria  . 

Dico  per  raffrenar  la  gran  superba 

Di  queste  triste  don  uè  empie  e  fallace, 

Le  quali  a  comportare  è  cosa  acerba , 

Se  ben  nel  primo  moto  a  ciascun  piace; 

Ma  chi  noterà  ben  ciascuna  verba 

Terrà  quest'opra  una  cosa  verace, 

E  sarà  esempio  a  ciascun  eh'  ha  tor  moglie  , 

Perch'  egli  intenda  prima  ben  chi  toglie  . 


108  P  o  e  s  i  e 

Come  si  trova  in  un  degno  trattato 
Del  filosofo  Silvio  singolare , 
Perchè  gli  fu  già  un  tratto  domandato 
Per  quel  che  moglie  non  volea  pigliare  ; 
Silvio  allor  gli  ebbe  per  risposta  dato, 
Che  più  presto  voleva  casto  stare  , 
Che  mai  per  tempo  alcun  farsi  suggetto 
A  donna,  ch'esser  può  con  gran  difetto. 

Un  suo  amico  di  poi  gli  dimandóe 

Per  suo  consiglio ,  se  dovea  tor  moglie  j 
Non  gli  rispose  di  si  ,  ne  di  noe  ; 
Ma  per  por  freno  alquanto  a  le  sue  voglie 
Sopra  tal  caso  alquanto  egli  pensóe , 
Ed  in  un  sunto  il  suo  parer  raccoglie, 
E  de  le  donne  le  magagne  scrisse  , 
E  le  più  vere  e  manifeste  disse. 

Questo  Silvio  filosofo  fu  dotto, 
E  vide  assai  ne  la  filosofia  , 
Ed  in  ogni  scienza  era  assai  dotto  , 
Fece  de'  libri,  e  non  disse  bugia, 
Tra  i  quai  questo  trattato  ebbe  condol  to  # 
E  poi  al  suo  amico  lo  porgia  , 
Dicendogli:  figliuolo,  ecco  il  consiglio 
Per  iscamparti  da  questo  periglio  . 

Figliuol ,  se  tu  domandi  di  parere  , 
Se  tu  debbi  tor  moglie  o  sì  o  no  , 
Nota  le  mie  parole,  eh' è  dovere, 
E  gusta  bene  se  il  ver  ti  dirò  . 
Se  tu  li  senti  sano ,  e  da  potere 
Fare  il  bisogno ,  questo  non  lo  so  ; 
Nota  le  parti  che  aver  ti  bisogna  , 
Se  non  ne  vuoi  aver  danno  e  vergogna  . 


Satiriche.  109 

Giovane  e  bel  ,  quest'  è  la  prima  parte  : 
Ricco,  e  che  t'amili  tutti  quanti  i  tuoi, 
E  sia  in  tua  patria  ,  e  poi  ne  la  tua  arte 
Forte  e  gagliardo:  così  tor  la  puoi  : 
Ma  se  tu  vien'  leggendo  queste  carte , 
Maraviglia  mi  fo  se  tu  la  vuoi  : 
Se  tutte  queste  parti  in  te  non  hai , 
Per  mio  consiglio  tu  non  la  torrai. 

Se  pur  di  torla  tu  deliberassi , 
Vorrei  che  questo  tu  antivedessi , 
E  ,  prima  che  ti  leghi,  tu  cercassi 
Di  sua  nazione ,  e  Y  essere  intendessi 
De  la  sua  condizione  ,  e  t'  informassi 
S'è  buona,  beila,  e  savia  ancor  sapessi: 
E  se  ogni  parte  in  quella  non  concorre, 
Per  mio  consiglio,  fi^liuol,  non  la  torre. 

E  se  pur  tu  mi  dicessi  :  io  la  voglio  , 
Perchè  son  ricco  ,  e  vo'  dopo  mia  morte 
Avere  a  chi  lasciare;  io  non  li  toglio 
Dal  tuo  volere  :  ben  m'  incresce  forte 
Di  te  ,  figliuolo  ,  e  di  questo  mi  doglio , 
Che  tu  mi  metta  a  sì  dogliose  porte  : 
Chi  t'  assicura  se  figliuoli  avrai  ? 
Né  se  tuoi  sieno  o  d'altri  non  saprai. 

Se  mi  dicessi  :  io  sou  deliberato 
Voler  tor  moglie  per  esser  servito , 
Perchè  la  casa  ed  ic  sia  governato  ; 
E  quando  avessi  male,  a  niun  partito 
"Non  vo'  che  questo  t'  abbia  consigliato  : 
Chi  t'assicura  ,  pazzo  scimunito, 
Che  tu  non  abbia  poi  a  servir  lei  ? 
E  però  non  la  tor  ,  eh'  io  non  vorrei . 


no  Poesie 

Se  tu  dicessi  :  la  vo'  in  ogni  modo , 

Perchè  qualche  figliuolo  ella  mi  faccia  : 
Che  non  manchi  tua  stirpe,  te  ne  lodo  ; 
Ma  d'  aver  mal  per  le  poste  ti  spaccia  , 
Ed  io  di  tua  pazzia  mi  struggo  e  rodo  , 
Se  tu  credi  tua  stirpe  si  dislaccia  : 
Se  t'  abbattessi  ben,  saria  un  piacere  , 
Che  n'  andresti  a  ristio  sempre  a  godere. 

Se  tu  dicessi:  io  ne  son  biasimato  , 

E  sto  pur  male ,  e  vivo  mal  contento  ; 
A  questo  ti  rispondo  :  sei  insensato  : 
Egli  è  me'  fare  una  morte,  che  cento  : 
Tu  starai  ben  mal  poi  sendo  legato  , 
E  parratti  la  donna  un  gran  tormento  : 
Tu  non  se'  '1  primo ,  e  '1  sezio  non  sarai  : 
Per  mio  consiglio  non  la  torrai  mai . 

E  se  tu  mi  dicessi  :  io  credo  certo , 
Che  s*  io  la  tolgo ,  m  abbatterò  bene  ; 
A  questo  ti  rispondo  ben  aperto , 
Che  tu  mi  pari  uscito  fuor  di  tene  ; 
Che  tu  stai  bene,  e  cerchi  esser  diserto; 
Ti  vuoi  legare  in  continue  pene; 
Che  non  è  cosa  sì  diversa  al  mondo  : 
La  donna  è  proprio  un  sacco  senza  fondo: 

Che  mai  non  s'  empie  sua  voglia  insaziabile  : 
Tutte  sue  cose  vanno  a  volontà  ; 
E  non  è  mai  nissuna  voglia  stabile  ; 
Ella  a  vista  si  toglie,  ognun  lo  sa: 
Questa  non  è  già  cosa  molto  amabile  , 
E  non  si  può  per  ni  una  quantità 
D'  oro  o  a  argento  farne  ni  un  contratto  : 
E  però  non  la  tor ,  che  tu  sei  matto  . 


Satiriche.  ìrn 

Ma  non  sai  tu ,  che  s'  un  vuol  comperare 
Asino  o  bue  o  muletto  o  ronzino  , 
Prima  che  '1  paghi ,  lo  vorrà  provare , 
Se  ben  valesse  manco  d'un  fiorino  , 
E  vender  mille  volle  e  barattare 
Lo  puoi  a  tuo  voler  sera  e  mattino  ? 
Se  tu  ti  leghi  qui ,  non  ti  puoi  sciorre  : 
Sì  che  per  mio  consiglio  non  la  torre . 

Ma  io  mi  maraviglio  ben  di  molti 
Che  perdouo  il  lor  senno  naturale  , 
Quai  per  lor  dappocaggin  son  si  stolti  , 
Che  perdono  il  lor  scettro  magistrale: 
Tanto  sono  accecati  e  tanto  involti 
Nel  fetido  amor  loro  micidiale, 
Che  gli  hanno  le  lor  donne  uomini  fatti, 
E  le  ior  femminelle  ciechi  e  matti . 

Ma  tutto  questo  avvien  per  gran  viltade 
De  T  uomo  ,  e  poco  senno  della  moglie  : 
Però  stanno  assai  mal  quelle  contrade  * 
O  quelle  case  dove  questo  incoglie  , 
Che  la  donna  con  sua  sagacitade 
Ministri  ,  e  faccia  tutte  le  sue  voglie: 
Il  bando  da  sua  parte  è  ubbidito , 
E  non  si  prezza  mai  quel  del  marito  . 

il  se  pur  tu  deliberi  volerla  , 
E  che  t'  abbatti  bene ,  eh'  è  incredibile  , 
Di  parentado  e  gran  dote  con  ella, 
E  con  tutte  le  parti  eh'  è  possibile; 
Se  tu  vorrai  aver  pace  con  quella , 
Esser  ti  converrà  molto  arrendibile  : 
Per  aver  pace  con  la  donna  tua, 
Ti  farai  servo  de  la  gente  sua  . 


ii2  Poesie 

Tu  non  avrai  a  contentar  sol  una  , 
Ma  la  suocera  tua ,  e  le  sorelle 
De  la  tua  donna;  e  tua  madre  importuna 
A  te  farassi  con  mille  novelle  , 
Per  esser  poi  tenuta  da  ognuna 
Amorevole  suocera  da  quelle  ; 
E  più  che  T  altre  ti  farà  stranezze 
Per  dimostrare  a  la  nuora  carezze  . 

Se  la  tua  donna  avrà  padre  o  fratelli  , 
O  carnali  o  cugini  o  niun  parente  , 
Se  di  niente  lì  richieggon  quelli, 
E  che  tu  non  gli  serva  pienamente  , 
Dirà  che  tu  non  degni  di  vederli  , 
E  che  non  gli  abbia  in  capital  niente  : 
Il  si  miglia  nte  e  peggio  a'  tuoi  faranno  , 
E  lor  nimica  e  tua  diventeranno . 

Se  tu  hai  donna  ,  ed  hai  un  buono  amico 
Che  per  1'  utile  tuo  ben  ti  consiglia  ; 
Se  parla,  contr' a  lei  mortai  nimico; 
Se  lo  reputa,  borbotta  e  bisbiglia; 
E  non  ne  stima  te,  ne  lui  un  fico, 
Anzi  risponde ,  e  gonfiando  le  ciglia  ; 
E  per  amor  di  lei  tu  lasci  lui; 
E  però  non  la  tor  ,  credi  a  costai  .  ■ 

Se  tu  F  avrai  ,  e  non  faccia  figliuoli , 
Ti  saprà  dir  che  tu  non  sia  da  nulla  ; 
E  per  levarsi  dal  cuor  simil  duoli  , 
Con  altri,  che  con  teco,  si  trastulla 
Con  mille  inganni  ed  altri  brutti  modi , 
E  sempre  pare  a  lei  esser  fanciulla  ; 
Perchè  se  le  mancasse  quel   marito  ,x 
La  non  vuol  parer  vecchia  a  filati  partito . 


Satiriche.  ii3 

le  tu  la  togli ,  e  per  buona  ventura 
Ella  faccia  figliuoli  in  quantità  , 
Ti  parrà  una  cosa  atroce  e  scura  , 
Quanto  per  questo  ti  molesterà  , 
Dicendo:  chi  saria  stata  a  la  dura, 
Quanto  son  io  in  queste  avversità? 
Qual  fante  ,  quale  schiava,  o  qual  amica 
Sopporterebbe  mai  tanta  fatica  ? 

o  t'  ho  condotto  sì  bella  brigata  , 
Ch'una  regina  doveresti  farmi; 
E  peggio  eh'  una  schiava  son  trattata  ; 
Non  ti  vergogni  tu  così  mandarmi? 
Se  tu  non  la  coutenti ,  addolorata 
Si  starà  sempre;  e  però  meglio  parmi , 
Amico  ,  se  non  vuoi  far  mille  morte  , 
Non  ti  condurre  a  così  fatta  sorte. 

>e  tu  la  togli  ,  e  che  n'  abbi  figliuoli  , 
Femmine  o  maschi,  e  tu  veda   lor  male, 
Tu  n'avrai  tauta  pena  e  tanti  duoli, 
Che  mai  in  vita  n'  avresti  altrettale  ; 
E  speuder  ti  convien  più  ebe  non  suoli  ; 
E  se  si  muojon  ,  non  è  duolo  eguale 
Simile  a  quello  ;  e  però  ti    conforto 
Cbe  tu  non  ti  conduca  a  simil  porto. 

se  tu  hai  figliuoli ,  e  sien  cattivi , 
Quanti  dolori  e  pensier'  ti  daranno  ! 
Che  vori  estigli  aver  morti  ,  e  non  vivi  ; 
Ma  per  tua  penitenza  viveranno  : 
Parrà  mill*  anni  a  lor  ,  che  Dio  ti  privi 
Di  vita,  per  mandare  a  saccomanno 
La  roba  che  per  lor  raguni  e  serri  ; 
Però  se  tu  la  togli  mi  par  ch'erri. 
Poesie  Saùir.  8 


Poi»11 

114 


•        ,»  bai  fisima  i  e  che  B  ""T*1"1  ' 
E  se  tu  bai  n0  meaaU 

Di  pochi  mesi  che  1  H 

La  casa  tua  ,  la  qual  nei 
Ì  tuo  dispetto  --.en  che  U  jog 
In  tua  vecchiezza  m  *ua  ttli5l 
%  "ovi  per  aver  -luto  -ogh e 
Però  è  matto  ciascuno  che  ne      g 
ì       Lindi     ed  hai  qualche  fanciulla  , 

t?        i'  »llimahi  ,  «ran  dolore  e  que 
E  se  1  allunai  ,  |  macello. 

Che  spesse  volte  si  marni 

,    •    1  .,„«     e  aualche  mal  la  pig»  » 
Se  tu  hai  donna  ,  e  qu  iato 

Meglio  sana  che  tuW 

Cou  tutta  la  tua ■  ca sa 

Tanti  serventi  ella  vuol  da     g 

E  non  gli  has a  le    «  .£ 

Ch'ella  vuol  tali,    quanto 

11  parentado,  e  più  m  perfelti. 

ChLi  possano^,  e  'PsfJe; 

E  in  poco  tempo  t    vena 

E  se  „o«  fa.  co»  ,  t.  t  J  £ 

Dirà  innanzi   non  g;»  ;ana  sogna  , 

Perchè  ma  mento  ">  a.spiegwii       6 

E'P^nonV^  conato. 


Satiriche.  iiS 

Se  tu  hai  donna  ,  e  ti  trovi  ammalato  , 
Subitamente  ella  fa  suo  disegno , 
E  finalmente  ella  ti  fa  spacciato; 
E  con  sua  arte  e  suo  malvagio   ingegno 
Comincia  a  rassettare ,  ed  ha  trovato 
Se  v'  è  oro  od  argento  sott'  il  legno , 
Ed  ogni  cosa  in  camera  nasconde  ; 
E  poi  fa  gli  occhi  suoi  parer  due  gronde* 

Dolce  marito  ,  cara  compagnia  f 

Come  ti  senti  tu?  Deb  sia  contento 

D'  acconciare  i  tuoi  fatti  ;  e  tuttavia 

Ti  prega  che  tu  faccia  testamento: 

Lassami  almanco  la  camera  mia  , 

Oltre  a  la  dote ,  con  ciò  che  v'  è  drento: 

E  fatto  il   testamento  non  gli  duole; 

E  stia  egli  a  suo  modo,  e  sia  che  vuole  : 

E  milP  anui  gli  par  tu  sia  sepolto  , 

Quand' eli' ha  assetto  bene  il  paneruzzolo; 
E  innanzi  che  tu  muoja  ,  eli*  ha  ritolto 
Nuovo  marito,  e  serbagli  quel  gruzzolo: 
Oh  quante  ce  ne  son  ,  eh'  hanno  già  colte 
Tutto  l'agresto  insino  ad  un  minuzzolo! 
Questo  è  l'amor  ch'ella  porta  al  marito; 
E  però  non  la  torre  a  uiun  partito. 

E  se  tu  manchi  ,  e  lascila  per  guida 
De'  suoi  figliuoli  /  eli'  ha  opinione 
Di  saper  fare  ;  di  nessun  si  fida  , 
E  fa  ciò  eh'  ella  fa  contr'  a  ragione. 
Ora  vo'  ben  che  di  questo  tu  rida  ; 
Che  '1  suo  cervello  è  come  calabrone  : 
Quando  in  un  luogo  tu  lo  vien  serrando  , 
Sempre  s' aggira  d' intorno  ronzando. 


Ii6  Poe  si  e 

Cosi  fa  il  suo  cervel ,  perchè  gli  è  poco  ; 
Com'  ella  move  il  capo  ,  91  diguazza  ; 
E  lien  sempre  la  casa  in  fiamma  e  fuoco, 
E  per  mente  adopera  la  mazza  ; 
E  spesso  dice  che  muterà  loco  , 
E  che  se  n*  uscirà  la  bestia  pazza  ; 
E  se  v'  è  niente  da  menar  le  mani, 
Ruba  a'  figliuoli  ,  e  portalo  a  li  strani. 

Questo  non  vien  se  non  da  poco  amore, 
E  men  cervello  ,  e  manco  teuerezza  ; 
Però  si  vuol  lasciarle  in  grand'onore 
Donna  e  madonna  ben  morbida  e  mezza, 
E  dota  sopra  dota  ;  ma  l' errore 
Per  certo  fa  chi  i  suoi  figliuoli  apprezza; 
Le  fan  larghe  correggie  de  l'altrui; 
E  però  non  la  tor  ,  credi  a  costui. 

Se  tu  la  togli  ,  e  sia  rustica  o  bella  , 
E  che  s'  avvegga  per  la  tua  sciagura 
Che  tu  guardassi  altra  donna ,  che  quella  ; 
Sarebbe  meglio  in  una  sepoltura 
Esser  vivo  sepolto  ,  che  con  ella 
Aver  a  stare  in  vita  tanto  oscura; 
Che  non  è  fiera  sì  aspra  e  ritrosa  , 
Quant'  è  la  donna  ,  quand'  elia  è  gelosa. 

E'  saria  meglio  abitar  ne  l' inferno 
Con  diavoli  e  con  draghi  scatenati  , 
Ch'  esser  d'  una  tal  femmina  in  governo. 
O  poveri  mariti  sventurati  ! 
Queste  son  pene  di  martire  interno , 
Che  hanno  quei  che  son  sì  tormentati  : 
Chi  T  ha  bruita  e  gelosa  ,  non  si  dolga  ; 
Però  consiglio  te  che  non  la  tolga. 


Satiriche.  hj 

Se  tu  la  togli ,  e  eh*  ella  sia  dappoco  , 
E  novelliera  ,  e  poco  sale  in  zucca  , 
Benché  comunemente  in  ogni  loco, 
Così  a  Venezia  son ,  Genova  e  Lucca  , 
Fa  conto  di  star  sempre  in  guerra  e  foco: 
La  non  si  vede  mai  sazia  né  stucca 
Di  cicalare,  e  stu  non  le  dai  fede, 
Che  tu  attenda  ad  un'altra  ella  si  crede. 

E  se  tu  dai  al  suo  dire  udienza , 
A  non  aver  mai  pace  t'  apparecchi  ; 
E  converatti  aver  gran  pazienza  , 
E  chiuder  gli  occhi  ,  e  turarti  gli  orecchi: 
E  però ,  figliuol  mio  ,  abbi  avvertenza  ; 
In  queste  cose  fa  che  tu  ti  specchi  ; 
Che  questa  mercanzia  non  si  può  vendere, 
Ed  è  moneta  che  non  si  può  spendere. 

Se  tu  la  togli  ,  e  sia  di  parentado 
Alquanto  più  di  te,  tu  sei  spacciato; 
Che  te  ,  ne  niun  de'  tuoi  gli  sarà  in  grado , 
E  par  eh*  ognun  gli  puta  in  ogni  lato: 
A  tutte  r  ore  ,  non  dico  di  rado  , 
T'avrà  1'  origin  tua  rimproverato  ; 
E  tanto  ella  si  stima  ,  che  te  annulla  : 
Però  non  la  tor  vedova  o  fanciulla. 

>e  tu  pur  mi  dicessi  :  io  non  so  fare  » 

Nulla  per  casa  ,  e  Se  pur  io  facessi  , 
Non  m'  è  onore  a  voler  solo  stare  ; 
Io  ti  consiglierei  che  tu  tenessi 
Famigli  e  serve  ,  e  con  essi  trattare 
In  modo  tal  ,  qhe  ognun  ben  ti  volessi. 
Questi  a  tua  posta  gli  puoi  mandar  via* 
Ma  non  la  donna  ,  che  saria  pazzia. 


Si8  Poesie 

Se  tu  dicessi  :  io  ne  piglierò  una 

Che  saprà  bea  cucire  e  ben  tagliare  ; 
Se  sarà  tal  ,  sarà  tanto  impoi  tuua , 
Che  sempre  mai  t'avrà  a  rimproverare; 
Se  ti  rassetterà  cosa  nissuna  , 
Mille  panzane  te  gli  convien  dare  : 
Per  sei  quattrin'  eh'  avresti  spesi  altrove  , 
E'  costeratti  più  di  diecinove. 

Se  tu  la  togli  ,  e  che  non  sappia  fare , 
Vorrà  parer  più  de  l'altre  d'  assai  ; 
E  sempre  si  sollecita  a  rubare 
Danari  e  roba ,  e  non  te  n'avvedrai , 
Perchè  fa  fare  altrui,  e  vuol  pagare, 
Poi  dice  aver  fatt'  ella  sempre  mai  ; 
E  tu  per  aver  pace  chiudi  gli  occhi. 
Oh  quanti  ce  ne  sou  di  questi  sciocchi  ! 

Tedi ,  figliuol  ,  se  pur  tu  la  torrai , 
Perchè  tu  intenda  la  lor  condizione , 
IVon  isperar  di  conte  otaria  mai , 
Che  tu  saresti  in  falsa  opinione  ; 
E  mille  volte  ancor  maledirai 
Chi  te  la  dette  ,  e  chi  ne  fu  cagione: 
Tanto  sommerso  sarai  ne  le  pene, 
Senz'  aver  più  sperauza  d'  aver  bene. 

Se  la  toi  magra  ,  eli'  è  come  un  graticcio  ; 
ISel  letto  pare  un  sacco  di  cauocchi  ; 
È  ruvida  ,  che  par  eh'  abbia  il  ciliccio  ? 
E  però  ,  fjgliuol  mio  ,  apri  ben  gli  occhi; 
E  s'  ella  è  grassa  ,  ella  sa  d'un  forticcio  , 
Com'  una  cocitura  di  finocchi  , 
E  dì  siate  e  di   verno  ,  al   sole  al  rezzo  , 
Perchè  U  suda  ,  e  sa  sempre  di  lezzo* 


Satiriche.  119 

Oltre  di  questo  e'  è  uà'  altra  parte  , 

De  la  qual  non  C  ho  ancora  aperto  bocca; 
Benché  non   basterebber  mille  carte  , 
Volendo  eh1  ogni  cosa  fusse  tocca 
De  le  brutture  che  portano  sparte 
Sopra  la  lor  persona  vana  e  sciocca  ; 
Ma  pur  di   Unte  io  ne  dirò  parecchie  , 
E  tien  pur  salde  al  mio  parlar  le  orecchie,, 

Principalmente  per  fare  i  capelli 
Crescer  per  tutto  cou  poco  intervallo, 
E  farli  rilucenti  biondi  e  belli  , 
Usano  spesso  del  et  in  di  cavallo  , 
Mele  stillato,  e  draganti  tra  quelli  , 
Zolfo  stillato  ,  e  del  vero  e  del   giaìio  ; 
Con  grasso  de  la  serpe  ungono  spesso 
La  coda,  che  '1  capei  non  venga  fesso  : 

il  acqua  gomma   con  acqua  di  mezzo  , 
Ed  allume  di  feccia  e  trementina  , 
Che  gettan  tutte  queste  cose  un   Uzzo  ; 
Così  il  fien  greco  ,  e  la  zucca    marina  ; 
Per  esser  bionde  non   istanno  al  rezzo  , 
Ma  sempre  al  sol  da  sera  e  da  mattina; 
E  fanno  lor  gusciate  e  lor  bevute  , 
E  non  vogliono  allora  esser  vedute  : 

il  fan  misUire  di  molte  ragioni 
Per  far  biondi   i  capelli   in   ogni  lato  : 
E  così  usan  di  varj   saponi , 
Ma  sopra  tutto  il   buon  sapon  curato; 
E  perchè  varie  son  l'opinioni, 
In  varj   modi  l'hanno  traslatato; 
Ch'  ognuna  vuol  aver  bionda  la  cima, 
E  d'  uoa  bella  coda  fauno  stima. 


12©  Poesie 

Se  tu  vedessi  una  donna  per  casa 

Quando  P  è  sconcia ,  e  non  è  rassettata , 
L'  è  verde  e  gialla,  ed  è  pelala  e  rasa, 
Che  pare  una  versiera  scatenata  ; 
E  mille  ampolle  e  cartocciui  e  vasa 
Avrà  d' intorno  pien'  d'  acqua  stillata  ; 
Da  la  cintura  in  su  si  spoglia  e  sbraccia 
Per  poter  bene  intonacar  la    faccia. 

Prima  che  si  comincino  a  lisciare 
Per  far  la  carne  rugiadosa  e  fresca  , 
Usano  spesse  volte  masticare 
Mandorle  ,  o  vero  noccioli  di  pesca  ; 
Con  acqua  di  pan  cotto  usan  lavare 
Il  viso  e  '1  collo  ,  e  tutta  la  ventresca  ; 
E  poi  F  ultima  cosa  eh'  ella  trova 
Per  far  rilucer  toglie  albume  d'ova. 

Per  non  esser  veduta  ella  si  serra 

In  luogo  eh'  altri  non  le  vada  appresso. 
Quante  volte  ,  se  '1  mio  parlar  non  erra  9 
W  ho  già  vedute  rinchiuse  nel  cesso  ! 
Che  tanto  gli  altri  puzzi  fan  lor  guerra  , 
Ch'elle  non  san  conoscer  per  se  stesso 
Di  tanti  puzzi  quale  sia  il -maggiore; 
E  quel  del  cesso  gli  pare  il  minore. 

Cominciasi  a  pelar  con  le  mollette 
Prima  le  ciglia  ,  e  poi  le  porcellane  ; 
E  quando  I  han  pelato  ,  ella  vi   mette 
Sangue  di  pipistrello  ,    perchè  gli  hane 
Quelle  punture  rinserrate  e  strette  , 
E  fa  le  carni   calve  e  di   pel   vane. 
Dove  quel  sangue  tocca  ,  nissun  pelo 
Mai  più  vi  nasce  o  per  caldo  o  per  gelo. 


Satiriche:  121 

In  certi  luoghi  fan  con  l'orpimento 
E   verderame  insieme  mescolato  ; 
Che  far  con  le  mollette  è  troppo  stento  , 
E   lascian  de'  peluzzi  in  qualche  lato  : 
Dove  non  hanno  peli ,  a  lor  talento 
De  le  pecchie  arse  sopra  v'  han  posato  ; 
Da  porre  e  da  levare  hanno  rimedio, 
Che  a  raccontargli  tutti  saria  tedio. 

L'  hanno  d'intorno  alberelli  ed  ampolle, 
Tutte  differenziate  di  più  cose  : 
Qual  è  asciutto,  qual  è  morbido  o  molle, 
E  pajon  loro  gemme  preziose  : 
E  non  si  veggion  mai  sazie  o  satolle 
Di  tutte  queste  cose  fastidiose: 
Canfora  con  borace  e  fior  di  preta 
Che  gonfia  il  viso  ,  che  par  la  cometa, 

Sai   gemmo  ,  ariento  ,  solimato  , 
Ed  ariento  acconcio  o  lavatura , 
Salnitro  e  sai  di  vetro  mescolato, 
Ed  ariento  vivo  oltre  a  misura  ; 
E  biacca  alessandrina  a  gran  mercato  , 
E  biacca  cruda ,  e  biacca  che  si  cura  , 
Ed  allume  perfetto  di  rocca  arso, 
Che  sempre  n'hanno  sopra  il  viso  sparso. 

Allume  zuccarino  ,  e  1'  accagliuolo  , 
Ed  allume  di  diurna  ,  e  del  gentile, 
E  bambagello  e  giglio  con  ghiacciuolo  , 
Latte  d'asina  ancor,  pere  h' è  sottile, 
Pezzetta  di  levante,  che  un  lenzuolo 
INon  basterebbe  lor,  se  fusse  vile, 
E   rasano  e   verzino  e  acqua  drana, 
Che  non  ne  basterebbe  una  fontana; 


122  Poesie 

E  giocherò  stillato  ,  e  frassinella  , 

Ed   acqua  di   vitalbe,  e  fior  di  fave, 
E  fiorì   di  ginestra  ,  e  terza  nella 
Con  fior  di  matreselva  eh'  è  soave 
Per  levar  le  lentigini  con  quella  , 
E  cosi  ogni  panno  duro  e  grave, 
Ed  acqua  di  sambuco  e  di   rovistico  , 
Che  quel  che  le  trovò  fu   ben  sofistico. 

Acqua  di  pine ,  e  sugo  di   limoni , 

Acqua  di   fior  d'aranci  ,  e  poiceilette, 
De  le  marine  ,  e  di  più  condizioni  , 
Quale  stillata  ,  e  qual  pura  sì   mette 
Sul   viso  di  que' pessimi  dragoni; 
E  tutte  queste  cose  che  t'  ho  dette  , 
Quando  s' hanno  assettar  tutte  T  adoprano  : 
Oh  guarda  di  che  cose  elle  si  coprano  ! 

Ancor  mi  resta  qualche  cosa  a  dire; 

Mentre  eh'  io  dico  ,  par  che  mi  rammenti; 

Non  so  come  le  posson  sof ferire 

Quei  che  le  adopran  per  far  bianchi  i  denti; 

Corno  di  cervio,  ed  acqua  da  partire, 

Coralli  pesti ,  e  più  carboni  spenti , 

E  matton  pesto  ,  pomice  e  più  polvere  , 

Ch'  ogni  bruttura  fan  da  lor  dissolvere. 

Per  parer  belle  fuori  al  paragone  , 
Sotto  lor  veli ,  ricci ,  e  sciugatoi 
Le  fanno  stufe  e  lor  fomentazione  , 
Certi  bagnuoli  ,  e  più  scorticatoi  , 
Che  a  dirlo  saria  gran  confusione  ; 
E  pero  guarda   come  tu  la  toi  : 
Ma  bene  è  matto  chi  presta  lor  fede , 
Che  gli  è  contrario  di  ciò  che  si  vede. 


Satiriche.  123 

Le  pajcmo  a  vederle  per  la  via 

Umìl' ,  con  gli  occhi  d'  onestade  accesi; 

E  poi  in  casa  par  ciascuna  sia 

Una  versiera  ;  e  sempre  i  giorni  han  spesi 

In  cicalare ,  e  ognor  per  fede  mia 

Treccolan  sempre  per  tutti  i  paesi; 

Nel  letto  non  si  può  star  loro  appresso  , 

Che  le  san  di  zibetto  come  un  cesso. 

La  femmina  è  sì  falsa  e  così  astuta , 
Ch'ogni  uomo  ella  avanza  di  malizia, 
E  mille  volte  in  un'  ora  si  muta  , 
Piena  d' iuganni ,  d'  ira  e  di  nequizia  ; 
E  per  niente  in  un  punto  è  perduta 
La  sua  benevolenza  ed  amicizia; 
Per  poca  cosa  il   marito  nimica  ; 
Sì  che  di  torla  non  pigliar  fatica* 

O  Silvio,  se  tu  fussi  in  questi  lacci 

Ne'  quai  son  io,  uel  mio  gran  labirinto, 
Faresti  mille  pezzi  e  mille  stracci 
Di  questo  tuo  trattato  qui  distinto  : 
Non  creder  che  per  questo  tu  mi  cacci 
Dal  mio  voler,  né  che  tu  m'abbia  vinto; 
Anzi  son  più  che  mai  nei  cuore  acceso 
Di  tor  per  moglie  quella  che  m' ha  preso. 

Non  mi  dir  più  di  loro  acconciatura  , 
Non  biasimar  chi  mi   può  far  contento  , 
Che  col  tuo  dir  non   mi   farai   paura  , 
Che  da  te  non  vo'  creder  quel  «  W  io   sento  ; 
Una  vo' tor  che  sia  di   mente  pura, 
Che  sia  de  la  mia  casa  il  reggimento  ; 
Sperando  averne  ognor  pace  e  quiete  , 
Ed  uscir  dov'  io  sono  avvolto  in  rete. 


124  Poesie 

Oltre  di  questo  ancor  scemerò  spesa  , 

Se  piglio  moglie,  e  vivrò  da   noni  idonio  > 
Perchè  a  le  donne  altrui  non  farò  offesa  , 
3\è  si  dorrà  di  me  Piero  né  Antonio  : 
Se  tu  credessi  tormi  da  l'impresa, 
Reputerei  che  tu  fossi  il  demonio; 
Tanto  le  spregi  ,  vilipendi  ,  e  biasmi  , 
Che  par  contro  di  lor  tu  scoppi  e  spasmi. 

Anzi  chi  non  tol  donna  ,  vive  e  stenta  , 
Com*  una  bestia  mai  si  vede  pieno  , 
E  di  nessuna  cosa  si  contenta  , 
E  pasce  il  corpo  e  1*  alma  di  veleno  ; 
E  però  ,  Silvio  ,  vo'  che  tu  consenta 
Che  la  donna  è  de  1'  nom  timone  e  freno; 
Sì  che  send'  io  disposto  di  volella  , 
Dimmi  che  modi   ho  da  tener  con  ella. 

Figliuol ,  poi  che  tu  sei  deliberato 
Di  voler  perder  la  tua  libertade  ; 
A  me  n' incresce,  ed  botti  ammaestrato, 
Credendomi  di  farti  caritade  : 
Tu  non  conosci  il  tuo  felice  stato  ; 
Ma  tu  '1  conoscerai  ,  come  gli  accade , 
Che  con  tuo  danno  ne  vedrai  la  prova  : 
Ma  il  pentimento  tardo  a  nissun  giova. 

Tu  entri  in  un  diserto  pien  di  spine, 
E  credi  di  goder  la  state  e  '1   verno  ; 
Questo  dolce  principio  innanzi  al  fine 
Ti  parrà  un   tormento  de  l'inferno: 
Ma  se  tu  vu».i  seguir  mie  discipline, 
Segui  il  consiglio  ,  e  tien  questo  governo  ,. 
Principalmente  se  tu  vuoi  onore: 
Tien  la  tua  donna  sempre  con  timore. 


Satiriche»  125 

Secondo  il  grado  tuo  tienla  vestita , 
Cb'  ella  possa  con  l' altre  comparire  ; 
E  fa  eh'  ella  sia  in  casa  riverita 
Come  padrona  da  chi  l'ha  a  servire; 
Ma  nou   permetter  mai  eh'  ella  sia  ardita 
Del  tuo  comandameoto  aver  a  uscire  ; 
Fa  che  ognor  tu  sia  il  perno  e  la  colonna 
Di  casa  tua  ,  e  sia  uomo ,  e  non  donna. 

Non  la  lasciar  mai  vincere  una  prova  ; 
Fa  sempre  che  la  tua  resti  di  sopra; 
E  se  tu  vedi  pur  eh'  ella  si  mova 
Contra  la  voglia  tua  ,  e  tu  adopra 
L'  umiltà  tua  ,   e  se  non  si  rimova  , 
Dornauda  con  prudenza  ,  e  fa  buon'  opra: 
Che  la  bestia  si  doma  con  lo  sprone  , 
E  la  donna  perversa  col  bastone. 

Se  pur  di  torla  ti  contenterai  , 

Fa  che  tu  voglia  Toner  suo  difendere; 
Del  vin  di  casa  non  ti  saziar  mai  ; 
So  che  per  discrejjion  tu  debb' intendere: 
Figli uol ,  sia  savio  ,  e  se  così  farai 
Non  fia  nissim  che  ti  possa  riprendere  ; 
E  tieni  a  mente  quel  che  da  me  odi  : 
Tu  sarai  il  primo  ,  se  tu  te  ne  lodi  : 

E  conservati  questo  a  la  memoria  , 
Se  pur  di  torla  tu  pigli  partito  : 
Se  vuoi  di  tal  impresa  aver  vittoria  , 
Fa  ch'ella  sia  la  donna,  e  tu  il  marito: 
E  s'  ella  ha  il  capo  pien  di  vanagloria  , 
Non  seguitare  il  suo  vano  appetito  : 
Pensa  al  bisogno  tuo  come  prudente , 
Che  chi  tosto  erra,  a  bell'agio  si  pente. 


126 


FRANCESCO  COPPETTA 

CANZONE 


U, 


tile  a  me  sopr'  ogni  altro  animale , 
Sopra '1  bue,  sopra  l'asino  e '1  cavallo, 
E  certo ,  s' io  non  fallo  , 
Utile  più  ,  più  grato  ,  assai  più  caro  , 
Che  il  mio  muletto ,  le  galline  e  '1  gallo  , 
Chi  mi  t'  ha  tolto  ?  O  sorte  empia  e  fatale  , 
Destinata  al  mio  male, 

Giorno  infelice,  infausto  e  sempre  amaro, 
]Nel  qual  perdei  un  pegno  ,  oimè,  sì  caro, 
Che  mi  sarà  cagion  cT  eterne  pene  ! 
Dolce  mio  caro  bene  , 
Animai  vago  e  leggìadretto  e  gajo, 
Tu  guardia  eri  al  grana jo  , 
Al  letto  a'  panni  a  la  casa  al  mio  stato, 
E  insieme  a  tutto  quanto  il  vicinato. 
Chi  or  da  le  notturne  m' assicura 

Topesche  insidie?  o  chi  sopra '1  mio  piede 
Le  notti  fredde  siede  ? 
Già  non  sarà  cantaudo  alcun  che  chiami 
La  notte  in  varie  tempre  più  mercede 


Satiriche.  127 

Attorno  a  queste  abbandonate  mura. 

Ob   troppo  aspra  ventura 

De'  tuoi  più  fidi  e  più   pregiati  dami  ! 

Anzi  cercando  andrà n   dolenti  e  grami 

Te  farse  la  seconda  volta  grave , 

Dolce  del   mio  cor  chiave, 

Ch*  un  tempo  mi  tenesti  in  festa  e  in  giuoco  , 

Or  m   hai  lasciato  in  fuoco  , 

Gridando  sempre  in  voce  così  fatta  : 

Oimè  y  eh'  io   ho   perduto  la  mia  gatta  ! 

Anzi  ho  perduto  1'  amato  tesoro  , 

Che  mi  fea  gir  tra  gli  altri  così  altero, 

Che  ,  s'  io  vo'  dire  il  vero  , 

Non  conobbi  altro  più  beato  in  terra  : 

Or  non  più,  lasso,  ritrovarlo  spero 

Per  quantunque  si  vogli  v>  gemme  od  oro  : 

O  perpetuo  martoro  , 

Che  m'  hai  tolto  di  pace,  e  posto  in  guerra! 

E  chi  m'asconde  la  mia  gatta  in  terra, 

Colma  sì  di  virtude  , 

Ch'  a  dir  tutte  le  lingue  sarian  mule 

Quant'ella  fu  costumata  e  gentile? 

Ne  l'età  puerile 

Imputarsele  puote  un  error  solo , 

Mangiarmi  su  l'armario  un  raviggiuolo. 

Taccio  de'  suoi  maggior'  la  stirpe  antica 
Come  da  Nino  a  Ciro  a  Dario  a  Serse  , 
Il  seme  si  disperse , 

Poi  in  Grecia  ,  indi  a  le  nostre  regioni , 
Allorch'  ei  la  fortuna  mal  s'  offerse 
Ne  le  strette  Termopile  nemica; 
Perchè  il  dolor  m'intrica, 
Nò  lassa  punto  eh'  io  di  lei  ragioni  ; 


128  Poesie 

Però  tua  cortesia  Io  mi  perdoni  , 

S'io  non  parlo  di   lei    tant'  alto  e  scrivo, 

Quanto  a  celeste  divo 

Si  conviea  ;  che  '1  dolore  è  così  forte  , 

Che  mi  conduce  a  morte, 

Non  trovandola  meco  a  passeggiare, 

O  sopra  il  desco  a   cena  o  a  desinare  . 
Miser,  mentre  per  casa  gli  occhi  giro  , 

La  veggio  ,  e  dico:  qui  prima  s'  assise  : 

Ecco  ov'  ella  sorrise  , 

Ecco  ov' ella  scherzando  il  pie  mi  mosse; 

Qui  sempre  tenne  in  me  le  luci  fise  , 

Qui  ste'  pensosa  ,  e  dopo  un  gran  sospiro 

Rivoltatasi  in  giro  , 

Tutta  lieta  ver  me  subito  corse, 

E  la  sua  man  mi  porse; 

Quivi  saltaudo  poi  dal  braccio  al  seno  , 

D'onesti  baci  pieno, 

Le  dicea  infin  :  tu  sei  la  mia  speranza. 

Ahi  dura  rimembranza! 

Sentiala ,  poi  che  il  corpo  avea  satollo, 

Posarmisi  dormendo  sempre  in  collo  . 
Ma  quel  che  avanza  ogni  altra  maraviglia  , 

E  raccolta  vederla  in  qualche  canto  , 

E  quivi  attender  tanto 

Il  suo  nemico,  che  le  arrive  al  varco  : 

AUor  trattosi  l'uno  e  V  altro  guanto 

Da  le  mani,  e  inarcando  ambe  le  ciglia  , 

Sol  se  stessa  simiglia  , 

E  nessun' altra  ;  e  son  nel  mio  dir  parco; 

Che  mai  saetta  sì  veloce  d'  arco 

Uscio  ,  né  cervo  sì  leggiero  e  pardo  , 

Ch'  appo  lei  non  sia  tardo  ; 


Satiriche.  123 

Indi  postogli  addosso  il  fiero  ugaone  , 
Lo  trae  seco  prigione  ; 
Ed  alfin  dopo  molte  e  molte  offese 
E  de  la  preda  a'  suoi  Larga  e  cortese. 
EU*  è  in  somma  de' galli  la  regi  uà  , 
Di  tutta  la  Sorìa  gloria  e  splendore; 
E  di   tanto  valore  , 

Che  i  fier1  serpenti  quaì'  aquila  ancide  : 
Ella  a  chtus'  occhi ,  o  che  grande  stupore! 
Gli  augei  giacendo  prende  resupina  , 
E  de  la  sua  rapina 

Le  spoglie  opime  a*  suoi  più  car"  divide: 
Cosa  che  mortai  occhio  mai  non  vide, 
Vidila  io  sol ,  e  mi  torna  anco  a  mente  f 
Che  con  essa  sovente 
Facevo  grassi  e  delicati  pasti  : 
Or  m'  ha  i  disegni  guasti , 
E  tolto  non  so  qual  malvagio  e  rio 
L1  onor  di  tutto  il  parentado  mio. 
Oiini  bene  ogni  gaudio  ogni  mia  gioja 
Portasti  teco  ,  man  ladra  rapace. 
Quel  dì  che  la  mia  pace 
Sì  tacita  involasti  a  gli  occhi  miei  : 
Da  indi  in  qua  ciò  eh1  io  veggio  mi   spiace, 
Ed  ogni  altro  diletto  sì  m'  annoja  , 
Che  converrà  eh'  io  muoja 
Forse  più  presto  assai  eh'  io  non  vorrei  : 
Or  per  casa  giuocando  almen  di  Jei 
Qualche  tener  gattino  mi  restasse , 
Che  me  la  riportasse 

Ne  l'andar»  ne  la  voce,  al  volto,  ai  panni  9 
Che  certo  li  mie'  affanni 
Non  tenerei  sì  gravi ,  e  le  mie  cose 
Poesie  Salir.  o, 


l3o  P   o   I  $   I   E 

Non  sarebbon  da'  topi  tutte  rosé. 

Io  non  potrei  pensar,  non  che  ridire, 
Quanto  sia  grave  e  smisurato  il  danno 
Che  questi  ogucr  mi  fanno  , 
Senza  licenza  e  senza  alcun  rispetto  : 
Dove  più  ben  lor  mette  ,  di  là  vanno  : 
Cotale  è  lo  sfrenato  loro  ardire, 
Che  in  sui  buon  del  dormire  , 
0  Dio,  che  crudeltà!  per  tutto  il  letto 
Corron  giostrando  a  mio  marcio  dispetto  : 
Sannoi  l'orecchie  e '1  naso  mio,  che  spesso 
Son  morsi  ,  talché  adesso 
Mi  convien  allacciar  sera  per  sera 
L'  elmetto  e  la  visiera , 
Essendone  colei  portata  via, 
Che  tulli  gli  faceva  stare  al  quia  . 

Portata  via  non  già  da  mortai  mano; 
Perchè  dove  la  fosse  qua  fra  noi , 
A  me  ,  eh'  era  un  de'  suoi , 
Saria  tornala  in  tutti  quanti  i  modi  ; 
Ma  tu,  Giove,  fra  gli  altri  furti  tuoi, 
Nel  ciel  de  le  tue  prede  già  profano  9 
Con  qualche  inganno  strano 
L'  hai  su  rapita  ,  e  lieto  te  la  godi  : 
Deh  come  ben  si  veggion  le  tue  frodi, 
Ch'occultar  non  la  puoi  sotto  alcun  velo, 
Perchè  si  vede  in  cielo 

Due  stelle  nuove,  e  più  de  V  altre  ardenti, 
Che  son  gli  occhi   lucenti 
De  la  mia  gatta  tant' onesta  e  bella, 
Che  avanza  il  sol  la  luna  e  ogni  altra  stella. 

Ond'  io  qui  taccio  ;  e  s'  alcun  è  che  voglia 
Intender  la  mia  doglia  , 


.  S  a  t  i  r  i  e  h  e,  i3r 

Digli  :  eli'  è  tal,  che  mi  fa  in  pianto  e  'n  lutto 
Viver  mai  sempre  ,  e  in  tutto 
Divenir  selva  d'  aspri  pensier  folta, 
Poiché  la  gatta  mia  m' è  stata  tolta  . 


i3a 

LODOVICO  DOLCE. 

CAPITOLO 

della.  Speranza. 


F 


ra  tutti  i  cibi,  o  che  trovò  l'usanza, 
O  die  necessità  ,  non  è  il  migliore 
Di  quello  eh'  è  da  voi  detto ,  speranza  • 

Cibo  d' incomparabile  sapore  , 

Cibo  che  non  si  mangia  allesso  o  arrosto, 
Cibo  puro  invisibile,  e  del  cuore. 

Ne  come  gli  altri  si  dilegua  tosto, 
Né  si  compra  per  oro  o  per  castella, 
Ma  puossi  sempre  averne  senza  costo. 

Or  venitevi  a  tome  una  scodella , 

Voi ,  che  servendo  a  l'amorosa  corte , 
Lo  vi  perdeste  ne  l'età  novella. 

Senza  vivanda  di  si  buona  sorte, 

Dei  bel  genere  umano  in  tempo  breve 
Glorioso  trionfo  avria  la  morte. 

Sarebbe  ogni  fatica  al  sol  di  neve , 
Ch'  ella  ne  fa  parer  dolce  Tamaro, 
E  '1  grave  peso  de  la  vita  lieve. 

Il  suo  sudore  a  quel  che  studia  è  caro, 
Sperando  alfin  de  le  fatiche  tante 
Di  farsi  in  vita  e  dopo  morte  chiaro. 


Satiriche.  i£1 

Tutto  il  mal  eh'  è  qua  giù,  soffre  l'amante, 
Solo  perchè  tra  se  divisa  e  spera 
Trovar  mercede  da  due  luci  sante» 

Fra  gente  brava  coraggiosa  e  fiera  , 
Pascendosi  di  lei  fido  soldato, 
Segue  di  capitan  vecchia  bandiera. 

Serve  padron  magnifico  e  onorato 
Buon  servidor,  e  non  si  stanca  mai 
Per  avanzar  alfin  qualche  ducato  . 

Sprezzano  la  fortuna  i  marinai , 

Per  non  parlar  di  quella  gente  grossa 
Che  pestano  le  spezie  nei  mortai  . 

Sprezzano  ogni  minaccia,  ogni  percossa 
Di  lingua,  di  ritorte,  e  legno,  e  mani, 
E  aver  le  carni  travagliate  e  l'ossa. 

Sprezzano  la  fatica  gli  artigiani, 
E  tante  parolacce  e  paroline, 
Che  ci  vendono  in  banco  i  cerretani. 

Vengono  a  le  città  le  contadine, 
E  lasciano  le  valli  e  la  campagna, 
Portando  cacio  latte  uova  e  galline. 

Ne  fanno  stima  se  pioggia  le  bagna, 
Ne  fanno  stima  se  le  cuoce  il  sole, 
Né  romper  le  ginocchia  o  le  calcagna. 

Quel!'  altro  non  si  turba  e  non  si  duole 
Di  consumar  tutta  la  vita  in  corso 
Per  spiar  fatti  e  rapportar  parole. 

Se  vede  da  vicin  nuovo  soccorso , 
Sperando  la  vittoria  in  un  momento, 
Smarrito  capitan  t'assembra  un  orso* 

Con  speme  di  cavar  l'oro  e  l'argeuto 
Cacciasi  alcun,  che  noi  farei  già  io  , 
Per  tutti  i  buchi  de  la  terra  dreuto. 


Né  più  bel  pater  nostro  al  parer  mio 

Si  può  insegnar  a  un  putto  ch'abbi  ingegno 
Che:  soffri,  spera,  e  lascia  far  a  Dio. 

Mai  non  condusse  al  disiato  segno  , 

(  Guardate  s'egli  è  questo  un  bel  tesoro  ) 
Alcun  seo'.a  speranza  il  suo  disegno. 

Con  speme  di  volar  nel  sommo  coro 
Mangian  digiuni  ed  astinenzie  i  frati, 
E  chi  '1  viso  ha  d'argento,  e  chi  1'  ha  d'oro* 

Ma  quanti  si  sarebbono  ammazzati, 
Se  la  speranza  non  gli  avesse  detto , 
Voi  tornerete  ancor  lieti  e  beati  ! 

S'ella  non  l'insegnasse  con  diletto, 
E  promettesse  a  lui  tranquilla  vita  , 
Non  soffriria  la  fame  un  poveretto. 

Saria  del  mondo  ogni  corte  sbandita , 
E  staria  io  ozio  tal,  che  ad  un  cappello 
Quanto  più  può,  col  buon  voler  s'aita. 

Anche  la  cortesia  n'andria  al  bordello, 
Se  colui  che  ve  l'usa  non  sperasse 
Una  mitra  acquistar  per  uno  anello. 

E  non  sarebbe  chi  ti  accarezzasse , 
E  non  sarebbe  chi  ben  ti  volesse, 
Né   chi  d*  un  bagattin  t'accomodasse. 

Non  lascerian  sì  spesso  le  duchesse 
I  duchi  per  andar  fieri  in  battaglia, 
Ne  '1  Turco  tanta  ciurma  da  brachesse. 

Ne  dormiria  sì  spesso  su  la  paglia 
In  grazia  del  suo  re  buon  cavai iero 
Che  o£ni  elmo  rompe,  o»ni  lorica  smn&lia, 
XNon  ci  sana  ne  paggio  ne  scudiero, 
N  >>i  ci  sarebbe  medico  o  dottore, 
£  'i  mondo  avria  bisogno  d'un  cristiero. 


Satiriche,  *35 

Non  ci  saria  architetto  ne  pittore, 
Non  ci  saria  mercato,  ne  mercante, 
Ne  caccia  ci  saria   né  cacciatore. 

Tale  è  signore,  che  saria   un   furfante, 
Se  la  speranza  dirizzando   Tali 
Non  l'avesse  ogni  dì  cacciato  avante. 

Ella  alberga  nel  mezzo  a  gli  spedali 

Non  meno  eh'  ella  alberghi  nei  palazzi  , 
Ne  si  diparte  ancor  da  gli  animali. 

Stanano  freschi  senza  questa  i  pazzi , 
E  senza  questa  anderebbouo  a  spasso 
I  conviti  le  prediche  e  i  sollazzi . 

E  non  si  troverebbe  un  contrabasso , 
Ne  chi  facesse  teuor  nò  sovrano  , 
E  molte  cose  che  in  la  penna  lasso. 

Non  ci  sarebbe  al  mondo  un  Cristiano  , 
Non  ci  sarebbe  Turco  né  Giudeo  , 
Non  ci  saria  raarran  ne  Luterano. 

Il  Papa  non  darebbe  il  giubileo, 
E  senza  speme  di  riscuoter  poi 
Non  correresti  col  pegno  a  lo  Ebreo* 

Or  come  pasceria  pecore  e  buoi , 
Porci  porche  cauaglia  traditora, 
Chi  non  sperasse  l'utile  da  voi  ? 

Per  la  speranza  si  teme  ed  onora  , 
Per  la  speranza  volentier  s'  inchina, 
Per  lei   si  fa  del  ben,  per  lei  s'adora. 

Stilla  il  cervel  la  sera  e  la  mattina 
li  poeta  per  gola  di  due  foglie 
Di  che  ricca  ne  va  là  gclatiua. 
Vorria  più  tosto  un  savio  aver  le  doglie 
Del  mai  francioso  ,  o  il  mal  de  la  moria, 
Che  sofferir  l'angosce  de  la  moglie; 


236  Poesie 

Se  non  fosse  la  speme  tuttavia 
Di  generar  figliuoli  per  semenza 
De  la  quondam  di  lui  genealogia. 

La  formichetta  eh'  ha  tanta  prudenza , 
Coglie  per  questa  il  grano  ne  la  state, 
A  barba  de  la  nostra  provvidenza. 

La  rondinella  le  contrade  amate 
Lascia  ,  ne  teme  così  lunghi  voli , 
Per  far  il  nido  per  le  sue  brigate. 

Senza  questa  avvocati  e  uotajuoli, 
Ne  giudici  sariano,  infino  a  quelli 
Che  vendon  l'insalata  e  i  cetriuoli 

Ed  i  cardi  e  le  pesche  e  i  ravanelli, 
Carciofi ,  e  quei  che  vendon  i  presciuti, 
Fegati  salsiccion'  trippe  e  budelli. 

Non  ci  sariano  rasi  né  velluta 
Nò  panni  lini,  ne  panni  di  lana. 
Ne  intelletti  che  fosser  saputi . 

Non  spcnderia  tutta  la  settimana 

Il  buon  villan,  ne  con  Testate  il  verno, 
A  le  bisogne  de  la  vita  umana. 

E  non  sarebbe  al   mondo  più  governo; 
Morirebbe  ciascun,  com'  io  vi  dissi 
Su  nel  principio  del  primo  quaderno. 

E  perchè  saria  tempo  eh'  io  finissi , 
Dico  che  la  speranza  è  quella  chiave 
Che  v'apre  il  cielo  ,  e  spasima  gli  abissi. 

Ed  è  così  a  ciascun  dolce  e  soave, 

Ch'  accompagna  a  la  forca  i  sciagurati  , 
Che  ben  può  dirsi  il  varco  onde  si  pavé. 

1  poveri  infelici  incarcerati 

Si  pascono  di  lei  più  che  di  pane, 
L  sol  van  ne  l' inferno  i  disperati  ; 


Satirici*  t.  187 

Là  dove  sono  tante  forme  strane  , 

Ch'arram pinate  hanno  le  mani  e  i  piéi, 
Né  mai  si  sente  suono  di  campane, 

£  Satanasso  fa  gridar  oméi» 


i38 

ANNIBAL    CARO 

CORONA. 


SONETTO. 


D 


unque  un  antropogafo,  un  lestrigone, 
Un  mostro  così  rozzo  e  così  fero  , 
Uà  eh'  è  di  lingua  e  d'opre  e  di  pensiero 
Una  sfinge ,  un  Busiri ,  un  Licaone  ; 

Osa  contra  pietà ,  contra  ragione, 
Con  tra  l'uraanitate  e  contra  al  vero  , 
In  dispregio  del  santo  e  del  severo 
Editto  che  la  legge  e  Dio  e'  impone; 

Osa,  dico,  versare  in  faccia  al  sole 

Il  sangue,  oimè  !  d'un  suo  figlio  innocente, 
Ond'  ha  Parnaso  ancor  rose  e  viole? 

E  l'osa,  e  '1  face,  e  vive,  e  non  sen  pente? 
E  c'è  chi  'i  vede,  e  chi'l  pregia,  e  chi '1  cole4 
O  vituperio  de  l'umana  gente! 


8   i   T   I   R   1    fc   R    E.  i3q 

SONETTO 


o 


Vituperio  de  l'umana  gente  ! 
I  sacri  studj  ,  e  l'onorale  scuole, 
Ond'  ha  l'alma  virtù  perpetua  prole, 
Ond' è  simile  a  Dio  la  nostra  mente, 

Contamina  un  profano,  un  impudente 
Veglio,  immaginator  d'ombre  e  di  fole: 
Di  cui  lo  stil ,  gì*  inchiostri  e  le  parole 
Son  la  rabbia  e  '1  veleno  e  '1  ferro  e  '1  dente. 

Questo  empio  veglio  ,  per  far  empio  altrui , 
Coi  caduti  dal  ciel  nostri  avversari , 
E  coi  suoi  vizj  esce  de'  regni  bui . 

Quinci  turba  le  cattedre  e  gli  altari, 

E  i  puri  e  i  saggi  e  i  buoni.  E  tu  da  lui, 
Misera  età,  senno  e  valore  impari? 


M; 


SONETTO. 


isera  eia,  senno  e  valore  impari 
Da'si   malvagio  e  da  sì  folle,  a  cui 
Sembran  follie  da  Cadmo  iusino  a  nui 
Quanti  son,  fuor  de' suoi ,  scritti  più  rari. 

Santi  lumi  <\<A  vero  eterni  e  chiari  , 
Qual  fa  nero  destiu,  che  sì  v'abbui, 
E  vi  spegna  la  nebbia  di  costui  ? 
Tanto  ne  son  del  sol  i  raggi  avari  ? 

Tanto  un  cieco  presume  ?  un  che  la  luce 
Ne  'nvidia?  un  che  da  via  sì  piana  e  trita, 
Per  laberinti  a  Lete  ne  conduce? 

E  presume  guidarne,  e  tor  di  vita 

Chi  non  l'ha  per  un  Argo  e  per  un  duca? 
Arroganza  de  gli  uomini  iuGnila  ! 


I40  P   O    E    8   I   B 

SONETTO. 


A, 


.rroganza  de  gli  uomini  infinita  , 
Che  la  natura  in  servitute  adduce: 
E  lei  eh'  a  tutti  eternamente  luce , 
In  un  sol  lume  ha  già  spenta  e  finita  • 

Anima  santa  ,  al  quarto  ciel  salila , 

Fuor  de  l'error  che  '1  mortai  velo  induce; 
Vedi  quanta  eresia  qua  giù  produce 
Questa  furia  ,  onde  sei  del  mondo  uscita. 

Che  per  far  vero  il  falso ,  e  dubbio  il  certo , 
Ha  te,  spirto  sì  chiaro  e  sì  benigno , 
A  dira  morte  indegnamente  offerto. 

Or  s' io  m'  inaspro,  e  se  da  me  traligno , 
E  perchè  faggio  indarno  assai  sofferto, 
Lingua  ria,  pensier  fello,  oprar  maligno. 


L 


SONETTO. 


ingua  ria,  pensier  fello,  e  oprar  maligno: 
Foli*  ira ,  amor  mal  finto ,  odio  coverto  : 
Biasmar  altrui ,  quando  il  tuo  fallo  è  certo 
E  dar  per  gemma  un  vetro,  anzi  un  macigno 

Far  di  lupo  e  d'arpia  l'agnello  e '1  cigno: 
Fuggire,  e  saettar:  lodar  aperto: 
Chiuso  mal  dir:  gran  vanti,  e  piccìol  merto; 
E  pronto  in  mano  il  ferro,  in  bocca  n  ghigno: 

Dispregiar  quei  che  sono,  e  quei  che  foro 
D'onor  più  degni:  e  solo  a  te  monile 
Far  di  quanto  ha'l  gran  Febo  ampio  tesoro 

Furori  e  frenesie  d'aschio  e  di  bile 

Atra  ;  e  sete  di  sanjiue,  e  fame  d'oro  : 

•         •  •  i 

Queste  son  le  tue  doti,  anima  vile. 


Satiriche.  i4r 

SONETTO. 


o 


ueste  son  le  tue  doti,  anima  vile, 
^  Degne  pur  d"  altra  mitra  ,  e  d' altro  alloro  ; 
Che  non  veston  le  tempie  di  coloro  , 
Ch'  ornan  d'  Apollo  ,  e  di  Gesù  F  ovile . 

Già  secca  aragna ,  il  tuo  buojo  covile 

Ne  hai  per  tomba:  e  per  pompa  il  tuo  lavoro: 
Già  ne  sei ,  qual  Perillo,  entro  il  suo  toro, 
Nel  foco ,  di  cui  fosti  esca  e  focile . 

Già  gufo  abbominevole ,  e  mortale 

Augurio  a  chi  ti  vede,  ed  a  chi  t'  ode: 
Sol  di  notte  apri  il  gozzo  ,  e  spieghi  F  ale . 

Ma ,  perchè  il  tuo  dover  non  ti  si  frode , 
Chi  mi  dà  tosco  al  tuo  veleno  eguale , 
Di  più  lingue  aspe,  e  scorpion  di  più  code? 


D 


SONETTO. 


i  più  lingue  aspe,  e  scorpio  di  più  code; 
Idra  di  mille  teste,  e  d'  una  tale, 
Che  latra  e  morde ,  e  come  sferza  o   strale  f 
Incontra  a  Dio  par  che  s'avventi  e  snode  : 

Chimera  di  bugie  ;  volpe  di  frode  : 
Corvo  nunzio  e  ministro  d'  ogni  male  : 
Verme  che  fila  e  tesse  opra  sì  frale  , 
Che  f  aura  e  '1  fumo  la  disperge  e  rode  : 

Monia  di  sangue  putrido  e  di  seme 
D' orgogliosi  giganti  ;  e  vero  e  vivo 
Cocodrillo ,  che  l'uom  divora,  e  geme: 

E  quanto  abborre,  e  quanto  ha'l  mondo  a  schivo , 
Sembra,  ed  è  veramente  accolto  insieme, 
11  mostro  di  eh'  io    parlo  e  di  eh'  io  scrivo  • 


jfó  F    O    E    S    I    E 

SONETTO. 

Al  mostro  di  eh'  io  parlo  e  di  eh'  io  scrivo  , 
Di  nessun  pregio  ,  e  di  perduta  speme  , 
Non  potendosi  alzar,  s'altri  non  preme, 
Spregia  e  spegne  i  mortali  ,  e  se  fa  divo  • 

Servo  di  vile  affetto;  fuggitivo, 

E  rubel  di  virtù  ;  ben  sei  d'  estreme 
Tu  pene  reo  :  ben  chi  t'  onora  e  teme , 
D'onore  indegno,  e  d'intelletto  è  privo. 

Qual  tratto  da  le  stelle >  e  da  le  tane  , 
E  dal  suo  fango  ,  in  ciel  ripose  il  mago 
Nilo ,  un  cercopiteco  ,  un  serpe  e  un  cane  ; 

Tale,  e  più  fero  e  di  più  sozza  immago  , 
Con  ceraste  d'  intorno  orride  e  strane 
La  nobii  Secchia  ara  per  nume  un  drago  ? 


SONETTO. 


ra  nobil  Secchia  ara  per  nume  un  drago? 
Che  per  far  rospi  d'  innocenti  rane  , 
1  ruscelli  infettando,  e  le  fontane, 
Fatto  ha  d'  averno  ,  e  di  mefite  un  lago  . 

Quinci  rivolta  al  ciel  1'  empia  vorago 

Vome:  e  fischiando,  orribilmente  immane, 
Spira  nebbie  sì  fosche  e  sì  loutane, 
Che  '1  sol  ne  vela  dal  Gefiso    al  Tago  . 

Febo,  com'è,  che  soffri  il  tetro  e  nero 
Fiato  di  questo  nuovo  empio  Pitone, 
Se  sei  padre  di  luce,  e  fai  lf  a  reterò? 

Com'è,  che  teco  il  gran  Giove  non   tuone  : 
Se  d'ambi  incontra  al  sacrosanto  impero 
Osa  un  antropofago ,  un  lestrigone  ? 


i45 

MATTACCINI 

CONTRO  IL  CASTELVETRO 


SONETTO. 


M, 


anelami,  ser  Apollo,  otta  catotta 
Quel  tuo  garzon  con    Y  arco  ,  e  coi  bolzoni , 
Per  batter  di  Vetralla  i  torrioni , 
Ove  il  Gufo  ancor  bujo  e  nebbia  imbotta. 

Da  la  gruccia  1'  ba  sciolto  una  marmotta; 
E  chiamando  assiuoli  e  cornacchioni 
Riduce  il  suo  sfasciume  in  bastioni, 
Per  far  contra  pigmei  nuova  riotta  . 

jià  veggio  su  i  ripari  una  gbiandaja 
Che  grida  a  V  arme  ;  e  i  ragni  e  i  pipistrelli, 
Che  stan  coi  grifi  a  gli  orli  de  le  buche. 

Via  se  vien  monna  Berta  e  monna  Baja  , 
Non  fia  per  sempre  il  giuoco  de  gli  uccelli 
Quel  barbassoro  de  le  fanfaluche? 
Fruga  tanto,  che  sbuche, 
E  rimettilo  in  geti ,  e  se  dà  crollo , 
Senza  remission  tiragli  il  collo. 


c44  Poesie 

SONETTO. 


±1  Gufo  strofinandosi  ha  già  rotta 

La  zucca  ;  e  in  su  la  stanga  spenzoloni 
Per  farsi  formidabile  a'  pincioni , 
Schiamazza  e  si  dibatte  e  sbuffa  e  sbotta . 

Arruota  il  becco  f  infoca  gli  occhi ,  aggrotta 
Le  ciglia,  arruffa  il  pelo,  arma  gli  unghioni, 
E  raggruzzola  paglie,  e  fa  covoni 
Incontrai  sole,  ond'  ha  la  pelle  incotta. 

E  già  V  uccellatojo  e  1'  asina  ja 

In  soccorso  gli  mandano  i  succhielli  9 
Che  impregna  le  ventose  per  le  nuche. 

Già  per  Secchia  mettendo  Arno  in  grondaja, 
Versa  spilli  e  zampilli  e  pispinelli , 
E  ricama  le  carte  per  Y  acciuche  . 
O  naccheri ,  o  sambuche , 
Sparate .  E  tu  che  V  hai  di  piume  brollo  f 
Aprigli  il  capo  ,  e  cavagli  il  midollo  • 


Satiriche.  i4$ 

SONETTO. 


^carica,  Farfanicchio,  un'altra  botta  , 
Da'  ne  le  casematte  e  ne'  gabbioni  ; 
Dove  le  vespe  aguzzan  gli  spunto ui  , 
£  dove  il  calabron  fa  la  paliotta. 

apposta  che  sìan  tutti  in  una  frotta 
Le  zanzare  e  le  lucciole  e  i  mosconi  ; 
Poi  con  pece  con  razzi  e  con  soffioni 
Gli  sparpaglia  gli  abbrucia  e  gli  pillotta  . 

luona  il  cembalo ,  ed  entra  in  colombaja  , 
Ove  covano  i  gheppi  e  i   falimbelli  , 
O  lanciavi  uq  terzuol  che  vi  s' imbuche  . 

31  tu  grida  ,  menando  il  can  per  1*  aja , 
Ai  grilli  che  rosecchia.io  i  granelli  : 
Gitene  al  palio  con  le  tarteruche . 
Ficca  poi  due  festuche 
Nel  becco  al  Barbi  Janni,  e  come  un  pollo 
Fallo  peuder  coi  pie,  fia  che  sia  frollo  , 


Poesie  Saùìr,  io 


\£6  Poesie 

SONETTO. 


i 


JU  Castello  è  già  preso  ;  or  via  forbotta 

La  rocca  ,  e  que'  suoi  vetri,  e  quei  mattoni, 
Ch'  un  sopra  I'  altro  come  i  maccheroni 
Sono  a  crusca  murati  ed  a  ricotta  . 

Già  T  hanno  i  topi  e  le  formiche  addotta 
Per  fame  a  darne  statichi  e  prigioni  : 
Già  si  sente  al  bisbiglìo  de' mosconi 
Che  ▼'  è  romore  e  disparere  e  dotta  . 

Oh  '1  Gufo  n'  esce  :  odi  che  Secchia  abbaja  ; 
Ai  pa*si  %  a  le  parete ,  ai  buccinelli 
Gran  fatto  fia  che  più  vi  si  rimbuche . 

Io  t'  ho  pure  :  o  ve'  ceffo ,  o  che  ventraja  : 
Guat'  occhi ,  se  non  pajon  due  fornelli  ; 
O  sucide  pennaece  irte  e  caduche! 
Or  su  ,  Gufacelo ,  su  ,  che 
Tosto  ti  veggia  e  nudo  e  trito  e  sollo .     » 
Questo  è  ranno  bollente  oy' io  t'immollo. 


Satiriche.  147 

SONETTO. 


u 


a  altro  tuffo ,  infici  che  1'  acqua  srotta  : 
Sbucciagli  l'unghie;  arrostigli  i  peloni; 
Fa  che  a  schianzi  a  bitorzi  a  vescicoui 
Gli  si  fregi  la  cherica  e  la  cotta  . 

Ma  quanto  più  si  tuffa,  più  s'abbotta: 
Senti  che  gli  gorgogliano  ì   polmoni  : 
Vedi  ch'ha  fuor  la  lingua,  ha  fuor  gli  occhioni, 
E  pur  v'  apre  il  beccaccio ,    e  pur  cingotta  . 

O  va  ,  caccialo,  Branco,  in  cappona ja  : 
Strappali  de  le  coscie  i  campanelli  ; 
Ed  acciò  che  1'  umor  gli  si  rasciuche , 

Ordina  da    mia  parte  a  la  massaja  , 
Che  qua  e  là  sul  capo  gli   trivelli , 
E  v'  appicche  parecchie  sanguisuche; 
E  'n  fin  da  le  carruche 
Lo  squassi  in  su  la  fune  ;  e  se  lo  scrollo 
Non  giova ,  o  tu  lo  strozza ,  od  io  l' azzollo. 


148  Poesie 

SONETTO. 


V  e' come  fra  le  gambe  il  capo  ingrotta, 
Come  sta  rannicchiato  e  coeoloni  : 
Certo  o  sente  i  sonagli  de  falconi , 
O  patisce  di  fianco  o  d'  epiglolta  . 

Forse  ha  podagre.  O  dagli  una  dirotta 
Di  strecole  di  sgrugui  e  di  frugoni  : 
Ma   per  guarirlo  da  gli  straugoglioni  ; 
Fa  che  grilli  e  lucerle  e  sorci  inghiotta . 

Fi  fi;  che  gli  s'è  mossa  la  cacaja  ; 

Su,  che '1  cui  gli  si  turi,  e  si  suggelli  , 
Che  più  carte  non  schiccheri  o  impacchi  uche. 

Tornisi   un'  altra  volta  a  la  caldaja  , 
Che  i   fonti  non   intorbidi  e  i  ruscelli 
Più  di  Parnaso,  o  gli  suoi   lauri  imbruche. 
De  le  cui  sante  puche 
Mentr'ìo  gli  occhi  gli  annesto,  e'n  fronte  il  bollo, 
Fagli  tu  di  busecchie  un  bel  cocollo. 


Satiriche.  149 

SONETTO. 


A 


vea  quest'  uccellacelo  ornai  ridotta 
La  musica  io  falsetti  e'  ri  semitoni  : 
Facea  la  musa  a  suon  di  pifferoni 
Singozzare  e  ruttar  come  un'  arlotta  ; 

Andava  quando  annebbia  e  quando  annotta 
Culattaudo  i  colombi  e  i  pernieoui: 
Dava  a  chiunque  vcdea  morsi  e  sgraffioni  ; 
La  volea  fin  con  gì'  ippogrifì  a  lotta  . 

E  come  un  pappagallo  di  Cambaja 

Cinguettando  le  lingue  a'  suoi  stornelli  , 
Dicea  bicbiaccbie  e  bubule  e  bruche. 

Credea  che  la  treggea  fosse  ci  va  j  a  : 
Però  ne  dava  a   macco  a  paperelli  , 
A  sorici  a   ti<>uuole  a  tarli  a  ruche. 
Tenendosi  da  più,  che 
Bacello ,  come  dire  un  Sermagollo , 
Facea  lo  cattabriga  e  '1  rompicollo  . 


i5o  Poesie 

SONETTO. 


T 


u,  che  in  lingua  di  gazza  e  di  merlotta 
Gracchi  la  parlatura  ai  gazzoloni; 
A  che  parti  si  tuoson  quei  povioni  ? 
Con  la  hennola  in  co  de  la  cesto'lta  ? 

Fra  cuccoveggia  e  brontola  e  borbotta , 
Che  differenza  è  ne  gli  tuoi  sermoni? 
Di  che  vetro  si  fanno  i  caraffoni 
Da  tenere  i  siroppi  e  1'  acqua  cotta  ? 

Quante  braccia  di  fondo  ha  la  pescaja 

D'  un  cervel  secco  ?  e  'ntorno  a'  tuoi   capelli 
Che  vuoi  prima  ,  o  le  bietole ,  o  1'  eruche  ? 

Quante  lasagne  il  giorno ,  e  quante  staja 
Fanno  di  crusca  quei  tuoi  molinelli 
Tra  veccia  e  loglio  e  brucioli  e  pagliuche? 
Se  d'  un  che  ne  mauduche, 
Mi  sai  dir  qual   sia  piò  voto  o  satollo  ; 
Quid  eiris  mini?  il  Mangia,  o'I  magno  Apollo» 


Satiriche.  i5i 

SONETTO. 


L 


a  gran  torre  di  vetro ,  ove  corrotta 
La   lingua  si  trasforma  in   farfalloni, 
Portata  inverso  *l  ciel  da'  formiconi 
S'era  fino  a  le  nugole  condotta; 

Quand'  ella  ,  e  quel  suo  mastro  di  nigotta 
Che  *1  Nembrutto  facea  tra  lampi  e  tuoni , 
L'un  cieco,  e  l'altra  in  pezzi  a'suoi  macchioni 
Tornando,  diventare  alocco  e  grotta. 

Allor  gli  fu  d' intorno  a  centinaja 
E  cutrettole  e  sgriccioli  e  fringuelli: 
E  Foche  ne  lasciaron  le  laltuche. 

Ma  per  dar  fine  a  questa  cuccovaja; 
Venga  di  quelli  alati  nanerelii 
Un  che  mei  tragga  fuor  de  le  marruche; 
Un  che '1   naso  gli  buche, 
O  gli  ne  spunti,  e  con  un  buon  rampollo 
Gli  empia  il  teschio  di  menta  e  di  serpoHo. 


i5a  Poesie 

S  O  N  E  T  T  O. 


o 


ueste  son  le  ruine:  e  qui  la  rotta 
Seguì  de  gli  orinali  e  de'fiasconi: 
Qui  cadde  il  mastro  de  gli  svarioni  , 
Ch'  ebbe  quasi  a  storpiar  Febo  di  gotta. 

In  questo  palo  s'infilzò  la  botta 
Gonfia  di  borra  :  a  questi  panioni 
Restar'  bruchi  e  forfecchie  a  milioni  : 
Qui  die  la  Rilla  il  suo  carpiccio  al  Potta, 

Questo  ch'era  castello,  or  è  volpaja; 
Questi  pezzi  d'ampolle  e  d'alberelli , 
Eran  torrazzi  e  cupole  e  verruche. 

Qui  canto  '1  Gufo  :  e  questa  è  la  cuccaja , 
Ov'  or  s'intana.  Orsù,  cigni  e  fanelli, 
Da  le  Canarie  insino  a  le  Moluche 
Cantate  :  e  voi  bizzuche 
Berte,  che  vi  trovaste  al  suo  barcollo, 
Ponete  il  caso  al  vostro  protocollo. 


Satiriche»  i53 

SONETTO. 


-  .  / 

jLJ\ce  che  s'  era  tralto  un  certo  alocco , 
Che  facendo  de  l'aquila  volante, 
Postosi  or  questo  ed  or  quel  libro  innante, 
Fea  di  tutti  gli  uccelli  esca  e  trabocco. 

Ma  per  cbi  ne  scoprì  la  cacca  e  '1  cocco, 
Vistosi  eh'  era  cucco ,  in  uno  istante, 
Il  farsetto  restò  così  bel  fante, 
Come  in  sogno  fu  mostro  a  ser  Fedocco. 

E  mentre  de  la  gruccia  ov'  era  in  gogna, 
Uscir  tentando  in  van  si  becca  i  geti; 
E  s'arrangola  e  stride  e  schizza  e  rece; 

I/anima  gli  svanì  tra  rotti  e  peti . 
E  pur  tanto  pendè  ,  che  di  carogna 
Mummia  al  vento  a  la  polve  al  sol  si  fece  ; 
E  mastro  lavacece 
Per  ciurmar  la  raccolse  e  conservolla  : 
Or  vedetelo  dentro  a  quest'ampolla. 


1S4  Poesie 

SONETTO. 


M 


ostrava,  e  lo  credette  alcun  balocco, 
Tanto  nel  toscanesmo  era  parlante, 
Che  Petrarca   nel  corpo  avesse  e  Dante  , 
E  v*  avea  Scarmiglione  e  Libicocco. 

Con  questi  e  col  suo  sterco  e  col  suo  mocc© 
Turbate  infette  e  secche  avea  già  quante 
Yaghe  pure  gentili  acque  erbe  e  piante 
Son  da  la  sua  vetraja  a  Malamocco. 

Ciò  che  cuccoveggiava,  era  o  menzogna, 
O  covelle  o  cosacce    o  collibeti 
De  le  sue  caccabaldole  a  schimbece. 

Di  ciò  che  si  farnetica  e  si  sogna 
Tenea  certi  fantastichi  alfabeti 
Sgraffignati  da  lui  ne  la  sua  fece. 
Ch'  unto,  bitume  e  pece 
Mischiati  ha'nsieme,  e  vischio  e  boba  e  colla 
Or  vedetelo  dentro  a  quest'  ampolla. 


Sat  irxche.  i55 

SONETTO. 


E 


questi  è  quel  famoso  Barbati  ci  rocco, 
Che  di  Secchia  in  su  l'urna  chiecricante 
Stava  io  petto  e  in  persona;  e  dal  gigante 
Aspettava  tributo,  e  da  Marzocco. 

Questi  è,  che  dava  col  suo  becco  in  brocco 
Botta  botta  nel  grugno  a  l'elefante: 
Quel!*  arcisacrestan  ,  quel  soprastante 
Del  beli'  orto  d'Apolline  e  d'Eoocco. 

Juesti  è  che  or  dal  suo  bujo;  or  d'una  fogna  » 
Traea  quegl'  incredibili  secreti, 
Onde  ridusse  il  milione  a  diece . 

)uesti  con  la  trilingue  sua  cianfrogna 
Spiritò  sì  con  gì'  ipsilonni  i  zeti  , 
Ch*  ancor  de'  cigni  incivittì   la  spece. 
Questi  è  quel  che  disfece 
Parnaso,  e'  mparuasò  di  vetro   un'olla: 
Or  vedetelo  dentro  a  quest'  ampolla. 


*56  Poesie 

SONETTO- 


u 


dite,  scioperati.  Il  Cafagea, 
Quel  famoso  lambicco  di  Vetralla  , 
Se  ne  va  'ti  pezzi  giù  per  Secchia  a  galla, 
Di  sì  buon  loto  avea  la  sua  giornea. 

L'alchimista  de'  stronzoli  volea 

Ch'  un  ticcel  de  le  sei  fosse  Farfalla  : 
Ma  che,   venne  poi  '1  canchero  a  la  falla. 
Perchè  tolse  a  stillar  la  scamonea. 

Dicon  che  torna  al  suo  fornello:  adagio  : 
Per  fissar  ci  vuol  altro  che  M  soffione  : 
Ei  non  debbe  saper  quando  è  san  Biagio. 

Ma  per  uscir  di  puzza  e  di  carbone; 
Ser  Zugo,  ser  Agresto,  ser  Aìbagio 
Suso,  ognun  diaxdi  piglio  al  suo  tizzone. 
Vien  via,  cacamusone , 
Grappa  tu  la  palletta  ,  ed  io  le  molle: 
Diasi  ne  le  stoviglie  e  ne  le  ampolle. 


i5j 

MATTIO   FRANZESI 


CAPITOLO. 

V 

j  Altri  loda  la  peste  e  '1  mal  franzese, 

Quartana  e  g^tte,  io  credo  pur  ch'io  possa, 

Se  '1  mio  cervello  è  buono  a  quest'  imprese, 

;river  qual  cosa  in  lode  de  la  tossa; 

Anzi  lo  debbo  far,  perchè  obbligato 

Lo  sono  e  sarò  sempre  iu  carne  e 'a  ossa. 

*ovar  la  possa  chi   non  F  ha  provato  ; 

Bagnisi,  vada  fuor  spesso  al  sereno, 

Nò  si  curi  di  stare  spettorato; 

into  eh'  e'  s'empia  il  capo  il  petto  e  '1  seno 

Di  quella  che  si  chiama  coccolina, 

Ch'  ò   de  la  tossa  qualche  cosa  meno  : 

ida  di  questo  tempo  la  mattina 

Due  ore  avanti  giorno  a  la  campagna 

Con   molti  cani  e  poca  cappellina; 

questo  mo'  la  tossa  si  guadagna  : 

Ciie  non  pensaste  per  istarvi  iu  agio 

D  averla  per  amica  o  per  compagna  : 

sogua  sopportar  qualche  disagio 

Per  addossarsi  un  così  fatto  bene  , 

Ch'  a  voi  forse  parer  debhe  malvagio  , 


ioS>  Poesie 

Ecci  una  gran  brigata ,  la  qual  tiene 

Che  questa,  come  ogni  altro  ottimo  dono, 
Dal  ciel  nasce,  al  ciei  cresce,  e  si  mantiene, 

Del  qual  parere  anch'  io  del   tutto  sono  ; 
Ma  o  venga  da  noi  o  pur  da'  cieli , 
Io    tutti  i  modi  eli'  ha  sempre  del  buono. 

Forse  ch'accade  mai  eh'  ella   ti  celi 

Ciò  ch'ha  nel  capo,  e  ciò  ch'ha  dentro  al  petto 
O  che  ricopra  il   ver  con  doppj   veli  ? 

Manda  fuor  ciò  eh' eli' ha  quasi  di   netto, 
E  ne  fa  tal  rumor,  che  tu  l'ascolti , 
Quando  ben  non   volessi,  a  tuo  dispetto: 

E  tocca  sempre  là  dove  più  duolti , 
Ed  antivede  dove  l'umor  pecca, 
Lo  qual  par  eh'  ammatassi  e  lo  rivolti. 

Forse  eh'  ella  ha  maniera  punto  secca 
Nel  praticarla,  e  forse  che  con  tutti 
La  non  conversa  senza  alcuna  pecca. 

Vannole  a  grado  e  le  donne  e  li  putti, 
Anzi  son  sempre  intenti   i  suoi   pensieri 
A  far  eh'  ogni  animai  gusti  i  suoi  frutti  , 

Impacciasi  co' vecchi  volentieri, 

Questo  dirò  con  lor  sopportazione  , 

Assai  più  che  gli  occhiali  e  che  i  brachieri. 

E  veramente  ch'ella  u'  ha  ragione, 
Perch'  e'  la  fanno  fortemente  esperta  , 
E  più  eh'  altri  le  dan  riputazione. 

Piacemi  eh'  ella  vuole  star  coperta  ; 
Anzi  si  cruccia  teco  fieramente, 
Se  tu  la  lasci  punto  a  la  scoperta: 

E  soprattutto  ha  sì  del  frammettente, 
Che  non  si  trova  chi  le  tenga  porte  , 
E  dice  ad  alta  voce  ciò  che  sente. 


Satiriche.  i5q 

riovale  disputare,  ed  ha  tal  sorte, 
Ch'  uomo  non  è  che  se  Je  contraddica, 
Ch'  altrimeuti  saria  proprio  uua  morie  . 

>a  musica   l'è  stata  sempre  amica  , 
E  massime  ne' tuoni  e  semituoni, 
E  a  intonar  non   dura  una   fatica. 

>  se  di  verno  fossero  i  poponi, 
Come  di  luglio  e  agosto,  idest  di  state, 
Come  cred'  io  che  Je  parrebbon  buoui  ! 

[a  in  quel  tempo  la  fugge  le  brigate , 
Poi  le  torna  a  veder  in  la  stagione, 
Ch*  altro  non  ha  che  cose  inzuccherate. 

lissemi   un  non  so  chi  già  la  cagione 
Perchè  la  tossa  il  verno  solameute 
Pratica  volentier  con   le  persone  : 
parmi  eh'  e'  dicesse ,  che  ia  gente 
Dormiria  troppo  ,  se  non  fusse  questa , 
Sendo  le  notti  luughe,  e  i  dì  niente: 

>a  qual  tien  la  brigata  assai  ben  desta  , 
Ma  non  sì,  che  non  sgombri  e  mandi  fuora 
Ogni  materia  e  cosaccia  indigesta  ; 
se  ti   raddormenti  pur  talora  , 
Che  mortai   nemica  de  le  piume 
Ti  rompe  il  sonno,  e  sveglia  allora  allora. 

a  io  che  per  un  certo  mio  costume 
Me  la  sono  incappata  ,  molto  sana 
Me  la  ritrovo  al  scuro  ed  al  barlume  ; 
oè  (  ma  questo  qui  va  per  la  piana  ) 
Ch'  ella  vuol  eh'  io  mi  carichi  leggiere 
Un  qualche  giorno  de  la  settimana  ; 
svegliato  mi  tien  le  notte  intere, 
E  la  mente  m' innalza,  e  fa  schizzare 
Cose  eh'  un  cieco  le  vorria  vedere  : 


i6o  Poesie 

Tanto  che  per  sua  grazia  singolare 

Par  ch'io  abbi  nel  capo  una  sequenza, 
Una  fontana  un  fiume  un  lago  un  mare, 

Idest  un  pantanaccio  d'eloquenza. 


i6r 

CESARE  CAPORALI. 


CAPITOLO. 


M 


esser  Matteo  ,  ho  da  gli  amici  udito 
Che  voi  bramate  di  vedermi  ognora , 
Come  chi  paté  in  mar  ,  e  brama  il  lito# 

[o  sto  di  voi  a  quel  medesmo  ancora  , 
E  n'  ho  un'  ardente  e  strabocchevol  voglia  p 
Com'  uom  che  per  martello  amando  mora. 

2  ben  che  cerimonie  far  non  soglia  , 
Ne  profferte  maggior'  di  quel  ch'io  vaglio  , 
Come  chi  questo  e  quel  di  frappe  invoglia; 

ur  se  mi  viene  un  galantuomo  in  taglio  , 
Gli  fo  da  gli  altri  sempre  differenza  , 
Come  si  fa  dal  cinnamomo  a  l'aglio. 

ero  se  avvien  eh'  io  vi  veggia  in  presenza , 
Vi  farò  di  berretta  e  di  ginocchio , 
Come  si  fa  a  prelati    riverenza. 

jhe  se  le  vostre  qualitadi  adocchio , 
Conosco  chiaro  che   valete  in  Roma  , 
Come  in  terra  di  ciechi  vale  un  occhio» 

Questo  mi  move  a  scaricar  la  soma 
Del  debito  cou  voi,  che  m'urta  e  spinge, 
Come  cozzou  talor  bestia  non  doma. 
Poesie  Saùir.  n 


i6s  Poesie 

E  quello  ch'or  per  me  vi  si  dipinge» 
Toglietelo  per  me  ,  eh'  io  non  farei 
Come  chi  poetando  adula  e  fìnge. 

Quel  eh'  io  io  ,  solo  il  fo  ,  che  non  vorrei 
Che  voi  patiste  di  vedermi  affanno  , 
Come  patiscon  pel  Messia  gli  Ebrei. 

Benché  voi  fate  a  voi  medesmo  inganno , 
E  resterete  a  conoscermi  poi  , 
Come  chi  V  util  cerca  é  trova  il  danno. 

Danno  non  già  ,  eh'  io  dimandassi  a  voi 
In  presto  cosa  per  non  render  mai  , 
Come  da  molli  s'  usa  oggi  fra  noi. 

Che  ben  eh'  io  sia  in  pover  stato  assai  , 
Dove  oggi  vengo  ,  vo'  poter  tornare  , 
Come  biscanta  Ja  cornacchia  crai. 

Voglio  inferir  che  potrete  imparare 
Poco  da  me  ,  che  nel  sapere  io  sono 
Com'  è  senza  lucerna  un  bacalare. 

Potreste  dirmi  :  egli  è  pur  sparso  un  suono 
Del  tuo  comporre;  è  ver,  ma  quest'adopra 
Come  a  l'orecchio  de' fanciulli  il  tuono; 

Di  cui  non  rispondendo  *d  rumor  Y  opra  , 
Lo  stupor  cessa  ,  e  vo  tra  buoni  ingegni, 
Come  uccel  ch'abbia  più  falconi  sopra. 

Or  perchè  il  vostro  orecchio  non  si  spegni 
Col  mio  lungo  proemio  ,  io  vengo  al    fatto 
Com'uom  che  adombra  e  incarna  i  suoi  disegui 

In  questa  carta  vi   mando  un  ritratto 

Di  me  medesmo  ,  e  vo'  che  mi  veggiate  , 
Come  chi  in  vece  d'  occhio  usa  del   latto. 

Qui  del  volto,  del  corpo  e  de  J'ctale, 
Senza  vedermi,  intenderete  il  vero, 
Come  si  dice  i*i  confessione  al  fiale. 


Satiriche,  i63 

oi  gli  affetti  de  1'  animo  ,  e  '1  pensiero 
Vi  scoprirò  ,  che  li  vedrete  a   punto 
Come  per  bianca  neve  un  bufai  nero. 
e  gli  anni  a  mezzo  del  cammin  sou  giunto 
Di  nostra  vita  ,  e  vo  correndo  a  gli  anta, 
Come  corre  per  mar  legno  ben  unto, 
luesto  è  quanto  a  l'età:  quanto  a  la  pianta 
Del  corpo  poi,  io  son  grande  e  cresciuto, 
Come  io  magro  terren  mal  eulta  pianta, 
on  uel  composto  mio  scarno  e  membruto; 
Hj  le  gambe  sgarbate,  e '1  ventre  piano  , 
Com'  ha  ne  1'  esser  suo  proprio  un  leuto. 
e  membra  tutte  poi  di  mano  in   mano 
Corrispondono  al  tronco,  e  fan  concerto  , 
Come  il  parlar  di  Bergamo  e  '1  toscano. 
e  mi  vedeste  un  tratto  discoperto  , 
Volli  dir  nulo ,  io  pajo  più   ne  meno 
Come  a  veder  Macario  nel  deserto, 
pereh'  abfr*!Vce  informazione  a  pieno  , 
Volgo  il  capriccio  a  dirvi  de  la  faccia  , 
Come  si  volge  ogni  cavai  per  freno, 
[a  la  rima  vuol  dirvi  de  le  braccia  , 
Ch'io  ho  sottili  ;  e  man  ruvide  e  grosse  , 
Come  chi  il  pau  con  la  zappa  procaccia. 
a  qual  tornando  onde  prima  si   mosse, 
Desta '1  cervello  a  ciò  che  dirvi  intendo, 
Come  la  tromba  il  barbar  su  le  mosse, 
opre  la  barba  dal  mento  cadendo 
Qael  groppo  ch'è  il  boccon  d'Adam  chiamato, 
Come  il  grembial  da  cintola  pendendo. 
uesto  ho  io  ne  la  gola  rilevato, 
E  la  barba  i"  asconde  ,  come  ho  detto  , 
Come  ia  buffa  in  giostra  a  l'uomo  armato. 


164  Poesie 

Non  la  porto  però  lunga  giù  al   petto  , 

Ma  tondo  in  quadro,  e  quasi  è  il  suo  model! 
Come  siepe  cimata  per  diletto. 

La  bocca  non  mi  fa  brutto  uè  bello  ; 
Ma  ho  straziato  per  disgrazia  il  naso  , 
Come  Etiopo  tratto  di  pennello. 

Questo  per  accidente  m'è  rimaso  ; 
Nel  resto  è  la  figura  del  mio  viso, 
Com'un  di  quegli  uomacci  fatti  a   caso. 

La  fronte  ho  crespa  ,  il  ciglio  aspro  e  diviso  , 
Orecchio  collo  crin  guance  mascelle, 
Com'ha  il  proprio  riverso  di  Narciso. 

Ho  gli  occhi  negri ,  e  pallida  la  pelle, 
Aspetto  fosco  ,  e  porto  il  capo  chino 
Come  chi  attende  od  ha  triste  novelle. 

Con  tutto  questo  ho  per  mio  buon  destino 
San  per  natura  e  schietto  il  corpo  tutto , 
Come  un  ducato  venezian  zecchino. 

E  ben  eh'  io  papi  contraffatto  e  brutto 
Com'  io  vi  scrivo  ,  e  che  in  effetto  sia 
Come  T  autunno  ogni  arbor  senza  frutto  ; 

Pur  perch'  io  so  che  cosa  è  leggiadria  , 
Mi  diletto  d'  andare  assettatuzzo  , 
Come  il  Zima  vestito  a  smanceria. 

Ne  l'andar  fo  de  l'alto  e  de  1'  aguzzo  , 
Mi  pavoneggio  e  contrappeso  i   passi 
Come  cornacchia  o  sguassacoda  o  struzzo.. 

E  se  per  me  farsetto  o  calza  fassi  , 

Fo  empir  di  borra  petto  fianco  ed  anca  , 
Come  s'  empion  di   lana  i  materassi. 

Ma  voi  dovete  aver  1'  orecchia  stanca  j 
O  dovete  esser  dal  cianciumc  stracco 
Come  corner  tra  via  se  il  cibo  manca. 


Satiriche.  i65 

*er  tutto  ciò  la  penna  non  distacco; 
Ch'  a  forza  n  esce  la  seconda  parie  , 
Com'  esce  il  gran  quand'è  sdrucito  il  sacco. 

o  v'  ho  detto  del  corpo  a  parte  a  parte , 
E  eh'  io  mi  fo  coi  panni  la  persona  y 
Come  chi  ajuta  natura  con  arte. 

!om'  ai  di  dentro  l'alma  affrena  o  sprona 
Gli  affetti  miei,   ho  da  narrarvi  appresso,  ; 
Come  chi  a  doppio  le  campane  suona. 

u  prima  io  cerco  conoscer  me  stesso  , 
E  T  esser  mio  fra  gli  uomini  figuro  , 
Com'  è  proprio  tra  gli  alberi  il  cipresso. 

to  paziente  al  pover  stato  e  duro  , 
E  sto  con  la  fortuna  e  con  la  sorte 
Come  colui  che  sta  tra'  calci  e  '1  muro. 

ivo  de  l'arte  mia  ;  e  soldo  e  corte 
Fuggo  ,  come  cagion  di  molti  danni  , 
Come  si  fuggon  ì'  arme  de  la  morte. 

on  ho  sete  di  roba  che  m'affanni  , 
Perch'  io  so  che  difendon  l'acque  e  'I  vento  , 
Come  le  sete  e  gli  ostri  ,  i  grossi  panni. 

a  libertà  mi  fa  viver  contento  ;  / 

La  qual  cara  mi  fu  fin  da  fanciullo  , 
Com'  è  caro  a  Y  avar  1'  oro  e  1'  argento, 
mangiar  bene  e  mal  non  stimo  un  frullo , 
Perchè  Fabrizio  con  le  rape  valse  } 
Come  co'  suoi  fagian'  valse  Lucullo. 

\  vani  onor' mondan' mai  non  mi  calse; 
Ed  ambizion  si  spende  tra  miei  gesti 
Come  tra  banchi  le  monete  false. 

on  ho  invidia  che '1  cor  mi  roda  o  infesti; 
Non  ira  onde  a  vendetta  il  desir  s'erga  , 
Com/  han  gli  orsi  rabbiosi  e  i  can'  molesti. 


i66  Poesie 

Sonno  o  pigrizia  meco  non  alberga  ; 
Anzi  sto  desto  nel  mondan  faggio  , 
Come  suol  star  pigro  animai   per  verga, 
Tra  spirto  e  carne  pace  in  me  non  aggio  ; 
Onde  al  piacer  d'  amor  mi  piego  e  movo  , 
Come  le  biade  al  ventolin  di  maggio. 
Converso  nobilmente  e  cerco  e  provo 
D'aver  sotto  conforme  ne  gli  umori, 
Com'acqua  ad  acqua,  e  come '1  novo  al  nov 
Io  fui  nimico  ognor  de'  frappatori , 

E  fuggo  gli  alchimisti  e  i  negromanti  , 
Come  fugge  un  fallito  i  creditori. 
E  credo  in  Dio  ,  ne  la  Madre  ,  e  nei  Santi  ; 
Ne  vo'  spiccarmi  da  la  destra  sponda , 
Come  Martin,  Filippo,  e  gli  altri  erranti. 
Nel  resto  vo  pel  mezzo  ed  a  seconda; 
Ne  mi  fido  in  parabole  o  'ti  chimere , 
Come  ch'in  aria  i  suoi  castelli  fonda. 
Mi  piace  assai  più  1'  esser  _,  che  '1  parere  ; 
E  de  l'ipocrisia  fuggo  l'errore, 
Come  soglion  dal  can  fuggir  le  fiere. 
Nuove  del  turco  o  de  1'  imperadore 
Abuso  tengo  ,  e  capital  ne  faccio , 
Come  una  meretrice  de  1'  onore. 
Nel  conversar  io  odo  vedo  e  taccio  , 

Travaglio  a  tempo,  e  fommi  il  fatto  mio. 
Come  formica  il  vitto  mi  procaccio. 
Sbrichi  ,  bravi  ,  bestemmia  y  e  giuoco  rio 
Mi  spiacquer  sempre  ,  e  le  brutte  parole, 
Come  a'  furfauti   il  dir  :  vaiti  con   Dio. 
Con   l'amico  fo  sempre  quel  che  vuole  ; 
E '1  non  poter  mi  strugge  sì,  ch'io  vegoo 
Come  neve,  o  pruina  incontro  '1  sole. 


Satiriche.  167 

Spendo  liberalmente  quanto  tegno  ; 
E  vanno  le  mie  robe  e  i  miei  guadagni 
Coni'  acqua  schiusa  ebe  non  ba  ritegno. 

Sto  sempre  allegro  e  lieto  fra  compagni  ; 
Ma  solo  in  braccio  de  gli  umori  casco 
Come  cascan  le  mosche  in  man  de' ragni. 

La  speme  di  promesse  mai  non  pasco  ; 
Che  di  cangiarsi  stan  sempre  in  periglio  , 
Come  l'amor  di  donna  e  '1  vin  di  fiasco. 

A.  Ghibellino  o  Guelfo  non  m'  appiglio  ; 
Fuggo  le  gare  i  garbugli  e  le  liti  , 
Come  gru  fugge  di  falcon  1'  artiglio. 

)r  tutti  i  miei  progressi  avete  uditi  , 
Co'  quai  stato  vi  son  forse  molesto 
Come  chi  va  a  le  nozze  senza   inviti. 

ro  fine ,  ed  al  servigio  vostro  resto 
Pront'a  le  squille  a  vespro  a  nona  a  terza, 
Coni'  al  fischio  in  galea  schiavo  ben    presto  , 

)  come  al  suo  signor  paggio  per  sferza. 


pfft 

M.  B. 


CAPITOLO 


IN      LODE    DEL  L' ASINO. 


E' 


vi  parrà  capriccio  daddovero, 
Compar  mio  caro,    a  dirla  qui  tra  noi  , 
S'  k>  canto  quel  che  di  cantare  spero  . 

Già  non  saran  bugie  di  strani  eroi  , 
Come  di  dire  Orlando  o  Carlo  Mano, 
Anzi  cose  che  s'  usano  tra  voi . 

Ma  perch'io  penso  eh' e'  vi  parrà  strano, 
Io  vi  dico  che  quel  che  vi  ho  da  dire  f 
Ancor  toccar  ve  lo  farò  con  mano . 

E  innanzi  eh*  io  vi  voglia  altro  scoprire  , 
Perchè  pigliate  la  cosa  più  intera  , 
Mi  vi  bisogna  un  certo  caso  aprire  ; 

11  qual  per  dirvi  appunto  come  egli  era 
Fu  di  notte  venendo  un   martedì  , 
Era  di  maggio,  era  la  primavera. 

Send' io  addormentato  presso  al  dì, 
Dove  non  era  bene  il  dormir  tanto, 
Un  asin  col  ragghiar  mi  risentì. 


Satiriche.  169 

Né  bisognava  star  più  tanto  o  quanto  , 
Senza  altro  dir,  voi  crederete  bene 
Ch'io  lo  ringraziassi  com'  un  santo. 

E  poich'  io  giunsi  a  casa  fuor  di  pene , 
Cominciai  a  pensar  di  compensarlo  , 
Come  conviensi  a  gli  uomini  da  bene  . 

Onde  venuto  m' è  nel  capo  un  tarlo , 
INon  potendo  maggior  servizio  farli , 
Che  di  pigliar  la  penna ,  e  di  lodarlo  . 

E  per  maggior  affezion  mostrarli , 
Questi  suoi  versi  i'  ho  voluto  poi 
Al  mio   più  caro  amico  indirizzarli. 

Così  comincerò  ,  e  'ntanto  voi 
Che  le  Muse  tenete  pe'  capelli , 
Non  le  stooliete  ora  da'  fatti  suoi  . 

Perchè  bisogneria  mille  cervelli 
A  tal  soggetto,   e  dubito  non  poco 
Non  creda  messer  asin  eh'  io  Y  uccelli . 

Ma  pur  sentendo  che  le  Muse  invoco 
Che  m*  ajutia  narrare  ogni  sua   loda  , 
Creder  dovrà  che  ci  sia  carne  a  fuoco  • 

Or  la  parola  un  dubbio  qui  mi  annoda, 
Ch'  io  non  so  dov'  io  debba  cominciare , 
Dal  capo,  da  gli  orecchi,  o  da  la  coda. 

Egli  è  per  tutto  tanto  singolare, 

Ch'  io  per  me  vo'  lodarlo  intero  intero  ; 
Poi  pigli  ognun  qual  membro  più    gli  pare . 

Prima  del  nobil  suo  lignaggio  altero 
Non   fa   mestier  che  nulla   ve  ne  dica , 
Sapendo  ognun  che  fu  innanzi  a  san   Piero  • 
Ne  meno  spenderò  tempo  o  fatica 
Ove  eh'  il  nome  suo  derivar  voglia , 
Come  facevau  gli  uomini  a  1'  antica . 


170  Poesie 

Mia  musa  in  frutti,  e  non  in  fior  s'invoglia; 
E'I  dir  T  antichitade  o'I  suo  cognome, 
E  come  dir  :  poca  uva  ,  e  molta  foglia  . 

Però  comincerommi  da  le  some  , 

Che  più  eh'  altro  animai  ne  porta  quello  : 
Legga  Priscian  chi  vuol  saper  del  nome  . 

Venite  qua  ,  brigata  ;  questo  è  bello  ; 
Che  portereste  le  some  da  voi  , 
Se  non  ve  le  portasse  1*  asinelio . 

Che  T  altre  bestie  che  s'  usan  tra  noi , 
Non  son  sì  adatte,  ne  a  bastanza  ancora, 
Mettendo  co'  cavai  bufoli  e  buoi  . 

Egli  '1  giorno  e  la  notte  ognor  lavora  , 

E  sempre  a  un  modo  ,  a'  caldi  tempi  e  freschi 
E  s' adopra  in  Firenze  come  fuora. 

Iu  ogni  cosa  par  eh'  egli  rieschi  ; 
E  de  l'utile  il  conto  uon  faria 
In  dodici  anni  Raffael  Franceschi . 

E  quel  eh'  ei  porta  non  racconteria 
Venti  donne  cicale  de  le  buone, 
Né  1'  inventario  d'  una  spezieria . 

Basta  che  mentre  eh*  a  portar  si  pone , 
Lo  può  guidare  un  minimo  bambino 
Senz'uno  scioperio  d'altre  persone. 

Egli  è  poi  sì  cortese  e  sì  divino  , 

Che  come  dice  quel  proverbio  antico, 

Per  se  bee  1'  acqua,  e  porta  a  gli  altri  '1  vino. 

Forse  eh'  egli  diventa  tuo  nemico , 
Benché  tutto  il  dì  l' abbi  bastonalo  ? 
Non  se  ne  cura,   e  non  Io  stima  un  fico. 

Egli  è  di  un  altro  dono  ancor  dotato 

Questo  animai,  quant*  altro  dir  mai  posso, 
Tal  eh'  a  gli  uomini  stessi  ndn  è  dato  ; 


Satiriche.  171 

Ed  è  che  mai  non  si  genera  addosso 
Di  quegli  animaletti  bianchi  e  "neri 
Che  rodono  la  carne  insino  a  Tesso. 
Chi  vuol  di  pulitezza  or  vie  più  veri 
Segni  di  questo ,  ne  cerchi  fra  quante 
Corti  fur  mai,  né  di  trovarne  speri. 
Forse  (he  come  il  cavai  da  furfante 
Tuffa  '1  ceffo  nel  bere  ?  Tocca  appena 
L'acqua,  tant'  è  costumato  e  galante. 
Poi  cou  che  grazia  mangia  e  con  che  lena , 
Filemon  cel  potrebbe  raccontare  ; 
Ma  ridendo  morì  seuz'  altra  pena  : 
E  fu  eh'  ei  vide  un  asino  mangiare 

De'  fichi  a  la  sua  mensa  apparecchiata, 
E  tal  fu  'l  riso,  che  lo  fé' crepare. 
Ma  prima  disse  a  la  fante  ,  che  stata 
Era  troppo  a  venir  portargli  bere, 
Che  la  prima  vivanda  ha  già  mangiata  . 
O  s'è'  potesse  anche  l'asino  avere 

Lingua,  che  come  gli  uomini  parlassi! 
E'  ci  farebbe  il  suo  cervel  vedere; 
Ma  con  1'  opere  savio  tener  fassi  ; 

E  dove  e' cade  in  questo  luogo  o 'n  quello, 
Mai  non  vi  torna  ,  se  lo  scorticassi  . 
Beu  mostran  gli  Empolesi  aver  cervello 
Quanto  conviensi  ad  ogni  uomo  dabbene , 
Che  1' asin  diventar  fanno  un  uccello. 
Certo  eh*  a  1' asin  Tali  si  conviene, 
A  voler  farlo  una  solenne  cosa  ; 
Ma  senz'  esse  p;ù  ut  il  ce  ne  viene  . 
Forse  bisogna  fornimenti  a  josa 

Per  suo  p«  rt.  r  ,  com'  una  mula  vuole, 
Che  ha  più  abbigliamenti,  ch'una  sposa. 


172  Poesie 

Il  basto  ad  ogni  dì  gli  basta ,  e  sole  ! 

Le  feste  l?i  bardella  qualche  volta  ; 
E  pare  un  Tallio,  come  dir  si  suole. 
Porla  le  legne  e  frutte  e  la  ricolta  , 

Che  noi  può  far  bestia  che  sella  porti  , 
3Nè  men  portar  sempre  i  cestoni  in  volta  • 
Noi  abbiam  veramente  mille  torti 

A  non  lo  ringraziar,  quando  ci  nette 

Le  strade  e  i  cessi,  e  poi  ne  'ugrassa  gli  orti  ; 
Che  doveremmo  fargli  di  berretta, 

Com'a  persona  dabben  si  conviene; 

Ma  T  usanza  fu  sempre  nua  civetta  . 
Erano  gli  asin'  come  uomin'  dabbene 

Già  riveriti,  e  chi  gli  molestava 

Si  puniva  secondo  le  lor  pene  . 
Onde  Mida  che  gli  asini  oltraggiava, 

Da  Bacco  fu  con  sua  vergogna  e  danno 

Gastigato  ,  siccome  e'  meritava  . 
L'  asin  non  ci  fa  mai  tristizia  o  'nganno , 

Come  la  volpe  e '1  lupo  o  altra  tale 

Bestia,  che  ci  assassinan  tutto  l'anno  . 
Egli  non  brava  punto  a  la  bestiale  ; 

Talché  a  cavalcarlo  è  un  piacere  , 

E  di  guerra  è  nemico  capitale  . 
Va  dì  ,  che  questo  tu  lo  possi  avere 

Da  cavalli  giaunetti,  turchi  o  sardi, 

Ch'o  ti  straccano,  o  fannoti  cadere. 
Ora  veggio,  dicea  Maffio  Bernardi, 

Per  quel  che  '1  cavalcò  volentier  Cristo , 

Quest' animai  ,  da  gli  altri  Dio  mi  guardi; 
Io  mi  ricordo  già  scoparsi  un  tristo , 

Ch'andava  adagio  quanto  più  poteva  , 

Solo  per  esser  su  quell'asili  visto. 


Satiriche»  173 

3nde  un  saccente ,  che  non  lo  doveva 
Conoscer  ben  ,  gli  disse  :  poveretto  , 
Cammina  presto  ,  e  di  pena  ti   leva  : 

li  volto  disse    a  lui  pien  di  dispetto: 
Va  a  modo  tao  quando  sarai  scopato  , 
E  me  lascia  ora  andar  a   mio  diletto  . 

JuelT  andar  sì  soave  e  riposato 
Gli  andava  a  fantasia,  e  forse  innante 
Tanta  dolcezza  non  avea  provato. 

L'asino  ha  da  natura  un  buon  portante^ 
E  in   Alessandria  per  il  cavalcare 
Del  gentiluom  non  s*  usa  altro,  e  'n  levante. 

Ma  noi  non  ci  vogliam  mai  contentare  ; 
Che  l'italico  sen  l'ha  per  natura 
Cercar  delun'  ne'  monti ,  e  golpe  in  mare  ; 
ome  dir  fuoco  freddo ,  ed  acqua  dura  , 
E  simiF  cose,  le  quai  l'han  condotta 
Come  vuol  suo  destino  e  sua  ventura  . 

Or  vedete  pazzia  che  ci  ha  ridotta  - 
L' usanzaccia ,  per  cui  sempre  ci  avviene 
Che  il  ben  si  fugge ,  e  al  mal  dietro  si  trotta. 

Son  pochi  quelli  ,  e  ricchi  bene  bene  , 
Che  tenghino  un  cavai  come  si  debbe, 
E  con  fatica  un  sol  anco  si  tiene  . 

Zhe  se  si  usasse  ,  come  si  dovrebbe , 
Gli  asini  ,  o  questa  sì  che  saria  bella! 
Almeno  o«oun  cavalcatura  avrebbe  : 
non  ti  avresti  a  trar  de  la  scarsella 
Cento  fiorine  come 'n  un  buon  cavallo, 
Che  s'  ei  si  muor ,  ti  riman  sol  la  sella . 
Meno  di  dieci  costa  ,  e  ciascun  sallo; 
Ed  è  tanto  cortese  per  natura , 
Che  porta  insino  a  la  merda  a  cavallo  • 


174  *-,  Poesie 

E  se  e'  si  muor  per  quii  e  he  sua  sciagura  9 
La  carne  per  salsiccia  o  «alla   vendi. 
La  pelle  un  vaglio  che  cent'  anni  dura  . 
Se  in  cornamusa  o  zufol  piacer  prendi  , 
Son  le  sue  ossa  a  bella  posta  falle  , 
E  ne  puoi  dadi  far,  s'  a  giuoco  attendi. 
Ad  ogni  cosa  iufia  par  che  si  adatte  ; 
E  più  bisogno  anbiam  d'  un  asinino  , 
Che  de  la  ciarla  uà  che  venda  o  baratte  * 
Tu  te  ne  servi  la  sera  e '1  mattino: 
Cacciagli  pure  addosso  quel  che  vuoi  ; 
E  paglia  ed.  acqua  son  suo  pane  e  vino  . 
Gli  è  sano  e  pronto  a  la  fatica  poi 

Vie  più  eh'  altro  animale ,  e  ne  dà  saggio 
Col  generar  ne  gli  ultimi  anni  suoi  : 
li  che  non  fa  se  non  il  suo  lignaggio  ; 
Onde  supera  vivo  questo  e  quello  , 
E  morto  col  formar  lo  scarafaggio  . 
Questi  è  un  animai  più  buon,  che  bello  , 
Ch' è  come  aver  bruita  borsa,  e  moli*  oro 
Che  chi  così  non  yuoI  ,  non  ha  cervello. 
Ed  io  per  me  non  bramo  altro  tesoro: 
Così  volesse  chi   può  farne  prova  ; 
Ch'  è  come  dire  avere  un   asin   cT  oro  . 
Io  mi  ricordo  or  <T  una  lode  nuova 
Degna  di  papi  duchi  e  imperadori , 
Ch'  asino  esser  un  libro  anco  si  trova  . 
S'  io  vi  dicessi  or  cose  vie  maggiori , 
Come  di  dir  eh'  ei  si  trova  in  effetto 
Asini  in  uomo,  xi  fors'  anco  dottori; 
Voi  mi  direste  che  questo  soggetto 
Ve  lo  sapete;  onde  non  dico  niente  : 
Farete  conto  eh'  io  non  V  abbi  detto , 


Satiriche.  17J 

>  credo  ancor  che  chi  ponesse  mente  f 
Ed  osservasse  i  suoi  gesti ,  vedria 
Che  egli  è  matematico  eccellente. 

erchè  senza  imparar  astrologia  , 
Fra  gli  altri  primavera  egli  si  vede 
Col  canto  annunziarla  tuttavia  . 
quando  pasce ,  e  che  zappa  col  piede , 

0  tien  gli  orecchi  a  terra ,  è  chiaro  segno 
Ch'  allor  vicina  pioggia  egli  prevede . 

1  un  asino  ancor  di  tanto  ingegno  , 
Ch'attentissimo  udia  Ja  sapienza 

D'  Amonio ,  eh'  era  filosofo  degno . 
redo  eh'  ei  leggerebbe  con  prudenza 
In  accademia;  ma  infiniti  quello 
Uffizio  fan  per  lui  per  eccellenza . 
ice  Marco  Varron  ,  eh'  un  asinelio 
Fu  visto  sì  gran  prezzo  comperare, 
Che  e'  non  valse  mai  bestia  più  di  quello  . 
Igli  del  sermollin  non  suol  mangiare 
I  Per  non  uè  privar  noi ,  perchè  ha  notato 
l  Che  per  la  salsa  ne  soglia m  cercare  . 
j>  mi  ricordo  che  mi  fu  contato 
I  Una  cosa  che  debba  esser  intesa  , 
I  Ond'  ei  sarà  col  tempo  più  lodato  : 
I  uest'  è  ,  eh*  ancora  gli  resta  sospesa 
I  Quel  che  l'anima  sua  facci  posimorte, 
!  Mi  ben  ne  sta  con  isperanza  accesa  : 
lerchè  quando  che  Giove  fece  accorte 
!;  Alcune  anime  d' immortalitate , 
|  Era  presente  1'  asine!  per  sorte; 
pregò  Giove  con  parole  ornate 
■  Ch'immortalasse  lor  l'anime  ancora 
jl  Per  essergli  anco  dopo  morte  grate: 


176  Porsi  e 

E  seguitò  senza  più  far  dimora  : 

Giove  noi  sarem  tuoi  senz'  alcun  fallo, 
E  'n  vita  e  in  morte  servirei! ti  ognora  • 

Farem  cantando  talvolta  un  bel  ballo  , 
Ed  a  le  feste  che  dona  il  tuo  coro 
Potrem  portar  qualcheduoo  a  cavallo. 

AUor  si  ricordò  Giove ,  che  loro 

Gli  fer  vincer  la  guerra  coi  giganti , 
Quando  in  suo  ajuto  coi  Silvani  andoro  : 

I  cui  meriti  allor  furono  tauti  , 

Ciie  nel  più  alto  segno  in  ciel  ne  prese 
Giove  memoria  fra'  suoi  numi  santi . 

Ed  ancor  oggi  si  mostra  palese: 

Certe  stelle  del  granchio  in  ciel   compreso 
Si  chiaman  asin'  per  ogni  paese  « 

Ma  ritornando  a  Giove  ,  eh'  avea  inteso 
Quanto  V  asino  aveva  addimandato  , 
E  di  servirlo  s'  era  tutto  acceso  j 

Ei  gli  rispose  :  ei  non  è  radunato 
Il  gran  collegio  :  a  la  prima  tornata 
Quel  eh'  addomandi  allor  ti  sarà  dato  ^ 

E  quando  1*  alma  avrete  immortalata  , 
Io  vi  darò  questo  segnai  per  peguo  , 
Ch'  un  di  voi  piacerà  acqua  rosata  . 

E  di  qui  nasce  che  1'  asin  eh'  ha  ingegno  , 
Fiuta  ogni  piscio  che  per  terra  trova, 
Poi  alza  il  capo,  e  dice  :  è  questo  il  segno 

Ma  ecco  d'  eccellenza  maggior  prova , 
La  qual  si  doveria  scriver  in  guanti; 
E  vi  parrà  cosa  bizzarra  e  nuova  . 

Que'  cappelli  che  son  cappe  di  tanti  , 
Che  portan  per  misterio  i  cardinali  , 
Di  pel  d'  asin  si  fanno  tutti  quanti 


Satiriche.  177 

)ueste  son  cose  degne  ed  immortali, 
E  non  co9acce  che  certi  han  lodato  , 
La  peste  ,  il  mal  francese  ,  e  gli  orinali  . 

orse  che  non  durarono  imbondato  , 
Che  s'  un  asin  volevano  lodare  , 
Sarebbe  ognun  di  loro  immortalato. 

ra  tutti  gii  animai  ,  sol  il  parlare 
A  messer  asino  è  stato  concesso  ; 
E  quel  di  Bilaam  lo  può  mostrare  . 

i  s*  or  vi  pare  eh'  insieme  abbi  messo  , 
Come  si  dice  ,  il  ceppo  e  la   mannaja  , 
A  me  non  par  d'avere  errato  adesso  . 

erebè  s'io  dico  il  vero,  ei  non  è  baja  : 
E  '1  ver  per  tutto  può  dirsi  scoperto  ; 
Dunque  il  mio  canto  strano  non   vi  paja  . 

ant'  è  di  messer  asiuo  il  gran  merto  , 
Ch'  Agrippa  mostra  che  con  sommo  onore 
Tal  nome  a' .  .  .  .  debba  dirsi  aperto  . 

eston  de  l' asinin  bigio  colore 

Uomini  e  donne  eh'  abbian  buona  mente  a 

Per  qual  cosa  parere  umil  di  core . 

quaudo  Cristo  nacque  ,  immantinente 

Voile  questo  animale  avere  accanto  , 

E  sempre  il  suo  cavai  fu  parimente  . 

oi  par  che  gli  uomia'se  ne  adirin  tanto , 
Quando  che  gli  è  detto  asino  a  qualcuno  t 
Ch' è  propio  come  dirgli  mezzo  vanto  • 

ille  altre  cose  a  giudizio  d*  ognuno 

Lascio,  che  saria  lunga  tartafera 

A  contar  simil  casi  ad  uno  ad  uno  . 

è  men  racconterò  la  luuga  schiera  , 
Dioscoride,  Plinio,   ad  altri  tali 
Ch'  ebbon  del  medicar  notizia  vera  : 
Poesie  Satin  i£ 


178  Poesie 

Cd'  hanno  scritto  di  lui  cose  bestiali  y 
In   medicina  quanto  vaglia  e  possa  ; 
Ma  gli  lasso  per  cose  da  speziali  . 
m  Lascio,  che  '1  sa  ogni  persona  grossa, 
Che  di  musica  ancor  dir  si  potrebbe 
Ch1  ei  suona  vivo  e  morto,  in  carne  e  in  oss 

In  fatti,  a  fine  mai  non  si   verrebbe 
Di  questa  bestia  tanto  uiile  al  mondo, 
Che  più  virtù  che  li  bettonica  ebbe . 

Questo  è  un   mar ,  che   non   ha  riva  o  fondo 
E  la  mia  Musa  ,  a  tal  soggetto  indegna  , 
Mi  dice  eh'  entro  troppo  nel  profondo. 

Se  mai  andrò  per  qualche  cosa  degna 
In  campo  tra  soldati ,  veramente 
Io  voglio  un  asinel  per  la   mia  insegna . 

Sarà  la  coda  un  pennacchio  eccellente, 
De  la  pelle  armerommi  petto  e  rene 
Qual  Rodomonte  il  spoglio  del  serpente. 

É  così  parrò  proprio  un  uom  dabbene  , 
Come  son  quei  che  per  le  corti  stanno  , 
O  chi  'n  qualche  grandezza  oggi  ci  viene  < 

Par  eh' abbian  questi   da  natura,  ed  hanno 
Conformità  con  l'asino,   e  tal  sia, 
Ch'essere  altro  che  asini  non  sanno. 

E  chi  pur  altrimenti  esser  disia, 
E  vilipeso,  perchè  il  mondo  istesso 
Anch'  egli  inasinisce  tuttavia. 

Sia  che  si  vuole,  io  l'ho  pur  detto  adesso; 
E  chi  cattiva  lingua  mi   vuol  dire, 
S'  io  dico  '1  ver,  sarà  1'  asino  ei  desso  . 

Sditomi  or  nuovamente  sovvenire, 

Ch*  a  Bacco  era  sagrato,  e  ad  altri  Dei 
E'  si  solea  per  vittima  offerire  • 


Satiriche.  179 

Come  Sansone  vinse  i  Filistei 

Con  una  sua  mascella,  e  d'un  suo  dente 
Fé*  nascere  acqua;  ed  altro  dir  potrei. 

Ma  come  mille  sue  lodi  eccellente 
Lascio  per  esser  breve  ,  or  questi  tali 
Capi  basti  aver  tocchi  solamente. 

Non  tigri  ,  non  leoni ,  orsi  o  cinghiali 
Che  di  dauno  nel  mondo  sempre  sono, 
Dunque  hanno  il  vanto  de  gli  altri  animali  ; 

Ma  quel  degno  asinel  di  eh"  io  ragiono, 
Si  debbe  sopra  tutti  incoronare , 
Come  vie  più  di  loro  utile  e  buono. 

Ei  sol  d'  ogni  animai  dee  trionfare 

Da'  freddi  popoli  a  gli  ardenti  e  neri , 
E  da  F  ircano  a  1*  atlantico  mare. 

Ma  perchè  pure  a  chi  non  ha  pensieri 
Vo'  lasciar  qualche  campo ,  io  ho  pensato, 
Ch'  andar  più  innanzi  sia  cosa  leggieri  • 

Poi  bisogna  eh9  io  pigli  un  po'  di  fiato  . 


i8o 


PIETRO  ARETINO 

CAPITO   LO 
AL  RE  DI  FRANCIA. 


e 


istianissimo  Re,  dopo  i  saluti, 
Ed  il  baciarvi  eoa  l'animo  il  piede, 
Che  vi  coavien  più  che  a'  Papi  cornuti , 
Supplico  di  Francesco  la  mercede 
Che  facci  sì,  che  la  sua  maestà  de 
Mi  dia  gli  scudi  che  a  Nizza  mi   diede. 

10  gli  ebbi  in  quanto  a  la  vostra  boutade  , 
La  qual  peasa  che  io  gli  abbia  imborsati  , 
Come  gli  ho  spesi  con  la  volontade. 

Certo  il  gran  Coatestabil  me  gli  ha  dati 
Col  pr  >metter  di  dar  megli,  talch'  io 
Senza  l'obbligo  sou  tra  gli  obbligati. 

Ho  mandato  a  la  corte   Ambrogio  mio 
Già  tre  volte  per  essi;  e  se   sai  costa, 
Ve  lo  può  dir  messer   13  >meaeddio. 

Udite  questa  :   uà  goffo  mi  s'accosta 
Diceudomi  piaa  pian,  che  mi  stimate 
Più  che  di  luglio  il  veato  d'una   rosta. 

11  caso,  Sire,  è  dar  quando  voi  date; 
L'altre  cose  soa   bije  cortigiane 
Che  si  piglian  piacer  de  le  brigate. 


Satiriche.  i8r 

Ma  perchè  non  è  uora  che  vegga  un  cane 
Abbajargli  d'  intorno  da  dovero, 
Che  non  Io  cacci,  o  non  gli  dia  del  pane; 

Chiariscami  il  sì  schietto,  e  il  no  sincero, 
Circa  il  secento  che  mi  prometteste 
Ne  lo  abboccarvi  con  Papa  Cristero» 

Date  la  luoga  a  certi  guardafeste, 
Trofei  de  le  tavole  dilette, 
E  non  ad  un  poeta  c/ue  pars  este* 

Sfamate  di  speranze  maladette 

1  giorueoni  che  v'  abbassan,  come 
V  innalzano  le  Muse  poverette. 

Roma,  che  valse  per  dumila  Rome, 
Allorché  non  patì  d'essere  schiava 
E  de'  muli  e  de  gli  asini  da  some, 

Stiasi  menando  a'  Franceschi  la  fava* 
Né  vada  conferendo  i  benefici 
De  l'alma  Francia  magnanima  e  brava  : 

Diasi  a  par'  miei  de' gradi  e  de  gli  uffici, 
Ed  a  chi  non  divora  tuttavia 

I  fagiani  i  pavoni  e  le  pernici  . 
vaca  pieve,  commenda,  o  badia, 

Non  l'abbian  quelle  bestie  che  non  sanno 

II  pater  nostro,  né  l'ave  maria. 

o  lo  vo'dir;  s' ci  l'ha  per  mal,  suo  danno: 
Parvi  che  Gaddi  pazzo  da  catena 
Debba  scroccar  sì  grossa' entrata  l'anno? 

hieti ,  che  drieto  sì   gran   coda   mena, 
Che  cose  de  la  Bibbia  ha   fatte  o  ditte  , 
Qual   libreria  de  le  sue  opre  è  piena? 

5ou   mie   fatiche  i  salmi  di   Davitte, 
E  di  Mosè  il  Genesi;  io  di  Cristo, 
E  di  Maria  le  impresse  vite  ho  scritte- 


182  Poesie 

Non  basta  dire:  egli  è  dotto,  egli  ha  visto.9 
Bisogna  che  il  teologo  chietioo 
Si  vegga,  e  legga  come  il  papalisto. 

Paolo  scrisse,  Gregorio,  Agostino, 
Girolamo,  Grisostomo,  Bernardo, 
Bonaventura,  e  Tommaso  d'Aquino  ; 

Ma  se  Garaffa   ipocrito  infingardo , 
Che  tien  per  coscienza  spirituale, 
Quando  si  mette  del  pepe  in  sul  cardo  ; 

Fer  gracchiar  dal  concilio  è  cardinale, 
È  dottor  de  la  chiesa  ,  è  vangelista , 
E  de  l'anime  nostre  piviale; 

Se  rinascesse  san  Gioambattista, 

Non  fingendo  l'astuzie  del  volpone, 
Si  porrìa  de'  ribaldi  in  su  la  lista. 

E  però,  Sire,  senza  paragone 

Di  fé  di  senno  e  di  gloria  prestante, 
Moderno  redentor  de  le  persone  ; 

Porghìno  a  me  le  vostre  grazie  sante 
Spacciatamente  l'adiutrice  mano, 
A  la  barbaccia  del  clero  furfante. 

Be  buono,  re  cortese,  re  umano, 
Re  dabben,  re  dabben,  re  grazioso, 
Io  vi  son  e  voglio  esser  partigiano. 

Adunque  il  cor  mettetemi  in  riposo: 
Ch'  ancorché  mi  facciate  spedalieri, 
Vedrete  come  rimo  e  come  proso. 

S* a  Roma  son  de'  sarti  e  de*  bnibieri, 
Frati   dal   Piombo,  e  cavalier' di  R«>dit 
A   ingrandir  ine  non   vi   mette  pensieri. 

Manucano  a   Gesù  la  croce  e  i  chiodi, 
E  gli  beono  il  sangue  alcune  arpie, 
Che  a  mentovargli  infamai ian  le  lodi. 


Satiriche.  i83 

osse  pur  che  io  dicessi  le   bugie, 

E  che  sempre  mentisse  per  la  gola 

La  verità  de  le  croniche  mie. 
)r  lasciam  ir  la  turba  mariuola, 

E  ritoraiam  a  quando  mi  farete 

Un  monsignor  di  qualche  terriceiuola* 
)atemi  prima  i  dauar'  che  dovete , 

Rifacendomi  i  danni   e  gì*  interessi , 

E  poi  del  fatto  mio  consulterete, 
fon  islette  a  formar  brevi  e  processi 

Il  vostro  gran  cognato  Ferrandino, 

Ne  aspettò  il  replicar  de'  messi. 
)ugento  venti  ungari  d'or  fino 

Poco  fa  mi  mandò,  con  dire:  io  parto 

Teco  la  cappa,  come  san  Martino  . 
ja  pension  dì  Cesar  non  iscarto, 

Che  motti  propio  ne  venne  battendo 

A  sostentar  de  le  mie  spese  il  quarto  * 
!  ancor  il  duca  Ercole  commendo  $ 

Che  dar  mi  fece  più  che  di  galoppo 

Un  presente  al  di  d'  oggi  arcistupendo  t 
\  se  alcun  altro  non  gli  verrà  doppo , 

Darò  la  colpa  a'  tempi   traditori 

Che  non  comportan  che  s'allarghi  troppo  « 
fanno  ben  caro  che  facci  gli  amori 
;  Con  le  montagne  di  quei   milioni 

Che  danno  a'  preti   tanti   batticori  • 
la  il  ciarlar  come  le  digressioni, 
|  Non  fa  per  noi ,  perchè  per  bontà  lord 

Potrei  scordare  le  mie  orazioni: 
|)nde  ritorno  a  quei  ducati  d'oro  , 

Che  mi   darete  ,   visto  la   presente  , 
I  Non  perchè  io  1  merti,  ma  perch*  io  vi  adoro* 


184  Po    E    S    I    E 

Il  vescovo  di  Nizza  veramente 
De  le  virtù  di  poi  predicatore, 
Ed   uomo  onestissimo  e  prudente; 

Perch'  egli  intende  i  duhbj  del  mio  core, 
Giurar  vi  può  che  voi  ci  sete  drento , 
Come  in   quel  de  l'Oreno  è  Dio  d'amore. 

Quando  dal  mondo  celebrar  vi  sento, 
Ne   godo,  qual  si  gode  un  elefante 
Allorché  è  fimbriato  d'arìento. 

De  l'eccellenze  vostre  io  sono  amante, 
E   n'  ho  il  martello,  honue  la  gelosia 
Che  ha  Paol  terzo  di  non  so  che  fante. 

Io  sempre  inchino  con  la  fantasia 
Quel!'  affabilità,  quella  dolcezza, 
Quel  largo  andar,  quella  galanteria, 

E  quella  chiara  e  nobile  allegrezza  , 
Che  fa  risplender  voi,  che  ritrovaste 
In  conversare  ,  e  la  piacevolezza  . 

Quel  parlar  con  ognun,  che  sempre  usaste  , 
Mi  dà  la  vita  ,  perchè  V  atto  è  grato, 
Come  al  fin  del   mangiar  le  pere  guaste . 

Impara  tu  ,  Pierluigi  ammorbato, 
Impara,  ducarel  da  sei  quattrini, 
Il  costume  d'  un  re  sì  onorato  . 

Ogni  signor  di  trenta  contadini  , 
E  d'  una  bicoccuzza  usurpar  vuole 
Le  cerimonie  de'  culti  divini  . 

Ora   per  rappiccar  le  mie  parole, 
Col  proposito  nostro  ;  dico  :  Sire , 
Che  sete  più  domestico  che  il  Soie, 

Perlaqualcosa  dovrei  comparire 

A   ini  «attener  tutta  la   vostra  corte, 
E  in  Je  sue  braccia  vivere  e  morire; 


Poesie  i85 

Mi  vengono  i  sudori  de  la  morte, 
Solo  a  pensarci ,  perchè  son  bestiali 
Gli  aggirami  nti  che  gli  dà  la  sorte; 
E  '1  praticar  co'  cervi  e  co'  cinghiali , 
Di   Fauni  e  di  Satiri  natura, 
Che  de  la  specie  son  de  gli  animali. 

a  piuma  de  la  terra  è  troppo  dura, 
E  '1  fieno  de  le  stalle  è  propio  letto 
De' cavalli  da  basto  e  da  vettura: 
De  lo  'nfangarmi  non  piglio  diletto  , 

E  col  pioveimi  addosso  non  m'impaccio, 
Mi  acceca  il  fumo  d'un  povero  tetto: 

}ome  butiro  al  caldo  mi  disfaccio  , 
O  \ogliam  dir,  cerne  la  gelatina; 
Al  freddo  poi  cerne  fa  il  brodo    agghiaccio. 

Von  mi    piace  la  neve,  né  la  brina, 
Ne  la  borea  crudel  ,  né  la  tempesta  , 
ISè  il    pasto  mendicar  sera  e  mattina: 

foglia   non   ho  d'accrescervi  la  festa, 
Mentre   vedete  i  grami  forestieri 
Come  Zingari  errar  per  la  foresta. 

^on  so  s'  è  meglio  esser  uomo  o  forzieri. 
Quando  due  o  tre  ore  innanzi  giorno 
S'  entra  in  viaggio,  che  non  ha  sentieri: 

)nde  a  suono  di  lingua,  o  a  tuon  di  corno 
Si   va  cercando  se  stesso ,  ed  altrui 
Sopra  un  ronzin  con  le  bagaglie  intorno; 

Intanto  s'urta  costui  e  colui, 
Con   dir:  canchero  venga  al  punto,  e  all'ora, 
Ch'io  venni  in  questa  corte,  e  ch'io  ci  fui. 
I  se  non  fusse  ,  che  il  dì  sbuca  fuora  , 
Onde  apparisce  la  vasta  sembianza  , 
Che  ognun  consola,  e  ricrea,  e  rincora. 


i86  Poesie 

Coloro  ,  che  per  forza  ,  e  per  usanza 
Vi  seguono  alle  cacce  brontolando  , 
Farebbero  le  fiche  alla  speranza  . 

In  somma  io  non  son  uom ,  che  cincischiando 
Vada  la  vita  in  queste  selve  e  in  quelle, 
U  agio  con  il  disagio  barattando . 

E'  basta  a  me ,  che  Tiziano  Apelle , 
Che  sempre  mai  nelle  figure  mostra 
Spirito  sangue  vigor  carne  ossa  e  pelle ? 

Per  carità  dell'  amicizia  nostra 
Dipinto  m'  abbi  con  mirabil  fare 
La  immagin  sacra  dell'  Altezza  Vostra  . 

L'  ha  cinta  d'  ornamento  singolare 
Quel  serio  Sebastiano  Architettore  , 
Che  il  suo  bel   libro  mandovvi  a  donare* 

Egli  vi  porta  e  Tiziano  amore, 

E  sebbene  accettaste  il  lor  presente  , 
Non  dicon  che  gli  siate  debitore  . 

Ma  io  genuflesso  umilemente 

Il  vostro  esempio  sacrosanto  adoro 
Con  V  anima  col  core  e  con  la  mente  : 

In  cotal  atto  pajo  un  di  coloro, 
Che  a  San  Giobbe  abbotisconsi  di  cera, 
Quando  del   mal  comune  hanno   il  martore  « 

Io  dico  :  O  somiglianza  viva  e  vera 
Del  Re  Francesco,  cavami   una  volta 
Della  necessità,  che  mi  dispera  . 

E  perchè  veggo  eh'  ella  pur  mi  ascolta , 
Soggiungo:  Idolo  mio,  fa  meco  un  patto, 
Che  mi  dia  mille  scudi  alla  ricolta. 

Ma  perch'  io  mi  consumo  affatto  affatto 
Per  il  miracol  ,  che  non   può  far  ella  , 
Supplisca  il  vivo,  du'  manca  il  ritratto. 


Satiriche.  187 

>r  nel  conchiuder  di  questa  novella  , 
E  del  parlar ,   eb'  ho  fatto  alla  bestiale , 
Per  ghiribizzo  delle  mie  cervella  , 

i  mando  la  mia  effigie  naturale , 
Acciò  vediate  ,  con  cbe  core  io 
So  dir  bene  del  bene,  e  mal  del  male. 

d  ogni  altra  persona  pone  Iddio 

Il  core  in  seno  ,  a  me  1'  ba  posto  in  fronte; 

Qual  potete  veder,  rifugio  mio. 

tdle  giovani  mani  egregie  e  conte 
Di  Francesco  Salviati  esce  il  disegno , 
Ch'  ha  nel  suo  stil  le  mie  fattezze  pronte . 
igliate  il  din  del  vostro  servo  indegno  : 
Pigliatel ,  Re  generoso  e  benigno  , 
Della  Immortalità  più  ch'altro,  degno* 
senza  il  grugno  far  del  viso  arcigno  , 
Speditemi  in  un  tratto  ,  se  volete  > 
Che  io  diventi  di  cicala  cigno  . 
on  altro:  state  san,  bene  valete. 
Di  Vinegia  ,  il  Decembre  a'  non  so  quanti. 
Nel  trentanove  ,  eh'  ha  fame  ,  e  non  sete . 
ietro  Aretino ,  che  aspetta  i  contanti . 


i88 


CAPITOLO 


all'  Albicante 


s 


'alve  ineschiti  ,  volsi  dire  Albicante, 
Delle  Muse  Pincerna  ,  e  Patriarca  , 
Di  Parnaso  aguzzino,  ed  Aniostante  . 

Vada  in  bordello  l' una  e  l'altra  Parca, 
Circa  il  tagliarvi  a  pezzi  col  morire  , 
E  sia  ruffiano  lor  Dante,  e '1  Petrarca; 

E  altro  che  '1  cantar  del  Dies  ire  , 

E  :  Pecorar,  quando  anderastù  al  monte  , 
Il  bestialaccio  umor  del  vostro  dire. 

Voi  spolverate  i  gesti  del  Piemonte 
Con  un  romor  di  stanze  sì  feroce, 
Che  ammazza  i  serpi  di  Laocoonte. 

Io  mi  feci  il  segno  della  Croce , 

Leggendo  i  due  strambotti,  che  gli  fate  , 
Oad'  esclamai  con  Pasquinesca  voce: 


Satiriche.  189 

fra  Porro  Poeta   da  scazzate  , 

Che  in    Milano  t'  aftibbi   la  ghirlanda 

Dì   boldoni ,  busecchie  ,  e  cervellate: 

fama  all'Albicante  dà  la  banda, 

>a  gloria  gli  promette  il  colonnello, 
l  la  Immortalità  se  gli  accomanda  . 

per  tornare  al  mandato  libello  , 
3  cronica,  o  leggenda  eh'  ella  sia, 
Perchè  pm-e  vi  scappa  del  cervello  # 

ringraziarne  tanta  cortesia 
Vii  cougratulo  centomila  volte 
jon   lo  aguzzo  di  Vostra  Signoria  . 
to  ho  di  voi  opre  legate,  e  sciolte, 
nfino  a  quella ,  che  avanza  1'  Ancroja  : 
aoò  trilame,  trimarte,  e  trivolte. 

questa  sola  vi  trarrà  la  foja 

er  infinita  secula  del   nome , 

b'  ogni  giorno  c'impicca  il  tempo  boja. 
ete  ormai  caricarvi  le  some 

ella  laude  propria,  e  infrascarvi 
vostro  beneplacito  le  chiome  : 
il  Jovio  e  '1  Molza  potete  piantarvi, 
L  poi  del  Portai  nieri  al  dispetto 
ìon  il  dì  del  Giù  licio  imparentarvi . 
Ielle  rime  eroico  architetto, 
)  de'  versi  stupendo  Prospettivo, 
1  vostro  libro  ho  tutto  quanto  letto  : 
;erto  in  grado  egli  è  superlativo  ; 
la  si  vorrebbe  che  non  fusse  tale , 

vendol  fatto  V  Albicante  Divo  . 
>ciate  pur  abbajar  le  cicale  , 
}he  il  Bojardo  ,  il  Pulci  e  1'  Ariosto 
\.  petto  a  voi  un  bagaro  non  vale  . 


igo  Poesie 

Ma  se  *n  un  cantoncin  m'  aveste  posto 
D'  un  Romanzuccio  ,  ci  trionferei  , 
C«  m'  un  che  alla  taverna  afferra  agosto. 

Confessi   pur  d'  esser  caduta  a  piei 
La  turba  degli  eroi,  che  immortalate 
Col  vostro  stil  proprio  da  Semidei. 

In  estasi  il  mio  fegato  mandate  , 
Con  alcuna  sentenza  traditora, 
Che  a  tempo  ,  e  ne'  suoi  luoghi  sguainate. 

L'anima  e '1  cor  m'imbertona,  e  innamora 
Quella  ,  che  dice  con  suon  mariuolo: 
Un  bel  servir  tutta  la  vita  onora  . 

Fate  sì  ben  campeggiar  Ficaruolo 
Suso  la  coda  d'  una  desinenza , 
Che  sene  sbraca  F  uno  e  1'  altro  polo . 

Mi   dà  la  vita   il   leggere  Fidenza  , 
Non  mìga  detto  dal  Decamerone, 
Ma  dall'  Albicantissima  licenza  . 

Quel  che  vi  tien  compositor  coglione  , 
Ha  un  gran   torto;  perchè  sete  in  fatti 
Di  Febo  piva,  cornetto  e  trombone  . 

H< n no  del  simulardo  come  i  gatti, 
Dite  voi,  ragionando  de'  Tedeschi: 
Coinparazion ,  che  ci   ha  tutti  disfatti. 

I  poveri   Poeti  stanno  freschi, 

Nel  ritrovarsi  un  tal   bravo  alle  spalle  , 
Cagione  che  ni  un  sa  ciò  che  si  peschi. 

Se  la  rotta  ,  che  fu  di  R  oacisvalte  , 
Avesse  avuto  voi  per  iscrittore  , 
Volereste  ora  come  le  farfalle . 

Voi  sgargagliate  le  paci  d'Amore  , 
E  vomitate  le  guerre    li   Marte  » 
Come  il  Fattoi,  dell' Orchessa  inventore, 


Satiriche.  191 

bandendo  va  e  la   natura,  e  l'arte, 
Che  il  loro  culo  diventa  beato, 
Quando  si  netta  colle  vostre  carte  . 

E  perciò,  sncio  mio  laureato  , 
Sia  benedetto  il  lunatico  inchiostro, 
Col  qual  T  istoria  a\ete  abbeverato: 

^'ermafrodito,  e  dabben  secol  nostro 
Glorifichi  ed  esalti    tuttavia 
In  vocem  magnani   ciò  che  e'  è  di  vostro  • 

)alla  sua  lingua  celebtato  sia 
Il  cohel,  che  temprò  le  penne  isnelle,  - 
Che  di  Cupido  fer  la  notomia. 

fui  avete  più  obbligo  alle  Stelle, 
Che  in  capo  vi  pisciarono  lo 'ngegno  , 
Che  i  Milanesi  a  chi   trovò  le  offelle  . 

la  se  in   rame  intagliato  ,  e  non  in  legno 
Fosse  la  maestà  del  vostro  viso, 
Cbe  '1  sa  Dio  quanto  egli  ba  grazia,  e  disegno  ; 

le  incachereste  da  dover  Narciso  , 
E  quella  bardassuola  di  Jacinto  , 
E   1  paggio,  che  tien  Giove  in  Paradiso. 

lenchè  il  vivo  ,  ch'è  in  voi,  paja  dipinto, 
Se  vi  ritraesse  messer  Tiziano  , 
Sareste  uom  ver,  non  barbagianni  finto, 
vostro  ingegno  ,  de'  savi  decano  , 
Il   vostro  stil ,  de'  dotti  maggiordomo, 
II    vostro  andar,  de' secoli  scrivano, 

lerta  la  statua  su'  tetti  del  Duomo  , 
Anzi  nn  colosso  lavorato  al  trono  , 
E  dedicato  nel  lago  di  Como.. 

'erchè   il  Burchiel  ,  che  sta  nel  ciel  del   forno, 
Non  farebbe  quel   verso  ,  ove  diceste  : 
Che  vinse,  e  poi  fu  vinto  al  far  del  giorno. 


*92  Poesie 

Seoza  alcua  dubbio  io  ascendente  aveste 
Madama  Calliope  ,  e  Mona  Clio  ; 
Onde  sete  uomo  dal  di  delle  feste  . 

Per  esser  voi  amico  e  padron  mio  , 
Ne  son  tanto  superbo  ,  che  mi  tegno, 
Quasi  che  non  ho  detto  ,  un  mezzo  IdJio  • 

Per  voi  all'  armi  spesso  spesso  vengo  , 
Bontà  della  tristizia  de'  pedanti  , 
A  cui  la  rabbia  con  gli  sguardi  spengo  . 

Chi  è  costui  |  che  canonizzi  e  vauti , 

Che  solo  a  mentovarlo  impazzo  e  spirto? 

%    Mi  dimani;!   un  di  tali  asini  erranti  • 

E  un  subb  etto  da  lauro  e  da   mirto , 

Un   profumato  ingegno  ,   un  gentil  bue  9 
Diss' egli,  in  quel  ch'io  volea  dire,  spirto. 

Se  non  che  '1  braccio  tenuto  mi   fue  , 
Di  un  prete  sehiercato  sodomito  , 
Ad  ogni  m  >d  >  gli  dava  le  sue. 

Fratello,  ancorché  mi  abbiate  chiarito, 
Addosso  a  chi  vi  morde,  mi  squinterno  , 
E  in  ciel  vi  pongo  calzato  e  vestito  . 

Che  a  dir  la  verità,  io  non  discerno, 
Ch'impellicci  e  spellicci  versi  e  prose, 
Sì  come  voi  nella  state  e  nel  verno  . 

Le  vostre  fantasie  lussuriose 

Usano  i  grevi  epiteti  e  i  leggieri 
Secondo  il'tempo  ,  le  gè  iti  e  le  cose  . 

Di   Pinarol  ,  di  Turino  e  di  Cheti 
Bilanciate  1'  onor  dandolo  a  peso 
All' uom  >  d' aroie  ,  al  fante,  al  cavalieri. 

Poi  dal  furor  del  ghiribizzo  acceso  , 
Duchi  ,   marchesi  ,  conti  e  capitani  , 
Per  tutto  il  mjndo  portate  di  peso  . 


Satiriche.  *g3 

la  le  fatiche  son  gittate  a*  cani, 
Che  non  che  un  zugo,  Vergilio  in  persona, 
Col  porgli  in  del,  non  gli  trarrla  duo  pani. 

opra  de'  grandi  non  piove  e  non  tona  , 
E  in  lode  di  colui ,  che  ha  qualche  soldo  % 
Senza  tirarla  ogni  campana  suona  . 

o  ho  de'  campi  diceva  il  Mainoldo , 
Ed  illustrava  con  quella  parola 
Tutto  il  gaglioffo  del  suo  manigoldo. 

dmen  quando  cinguetta  una  gazzuola , 
Se  le  dà  della  zuppa  ,  e  s>  accarezza  , 
OikT  ella  in  giù  e  in  su  salticchia  e  vola  ; 
'1  versitìcator  si  caccia  e  sprezza  , 
Come  la  povertà  ,  e  '1  dire  il  vero  : 
Perch'  or  la  villanìa  è  gentilezza, 
r  per  fornirla  ,  fatevi  un  cristero 
Di  foglie  di  speranza  ,  digestendo 
Fino  all'  affez'ion,  ch'avete  al  Clero. 

enete  sempre  in  bocca  :  in  convertendo  » 

Quando  parlale  ad  un  signor  ribaldo  , 

O  dite  :  a  longe  me  vobis  commendo  . 

1  questo  mezzo  all'  ottimo  castaido 
Del  concetto,  in  cui  F  ho  toccato  un  tasta  * 
Sebben  lo  legge  nella  stampa  d'  Aldo  ; 

Ila  luce  d' ognun,  non  che  del  vasto, 
Contar  ,  com'  io  V  adoro  ,  non  bisogna  , 
Perchè  la  fede  mia  conosce  al  tasto . 
i  man  baciate  al  cavai ier  Cicogna 
Da  parte  mia  ,  poiché  il  catenino 
Ha  tolto  al  suo  prometter  la  vergogna» 

vedete  il  Marchese  di  Sonzino  , 
Che  le  virtù  colle  promesse  infregia  % 
Diretegli  :  il  vostrissimo  Aretino 
Poesie  Satin  i3 


ig4  P   0   K   S   I  S 

fi  quel  9  che  il  volto  a  tutti  i  nomi  sfregia  5 
Però  a  s<»jar  lui  vadasi  adagio. 
INotì   altro:  state  sano.  Di  Vinegia, 

Sei  treutaaove  ,  il  dì  dopo  San  Biagio  « 


*# 


CAPITOLO 

A.   L 

DUCA    01    FIORENZA. 


mmm 


ignor  Cosimo  Duca  di  Fiorenza  » 
E  per  grazia  e  per  merito  e  per  sorte 
Bacio  le  mani  di  Vostra  Eccellenza  ; 

qual  forse  mi  vuole  un  mal  di  morte , 
Tuttavia  parendole  f  che  io 
Badi  più  all'  altrui ,  che  alla  sua  Corto  • 
lesse  Gesù  Cristo,  padron  mio, 
be  nel  modo ,  che  sete  nel  mio  core  t 
i  fosse  il  nome  di  Doraeneddio  • 
è  in  Cielo  andrei  gratis  et   amore , 
ome  andrà  in  Paradiso,  gratta   Dei, 
uelT  uom  dabbene  di  Nostro  Signore  « 
ì  rifinisti  i  Monsignor  plebei 
n  morberello  a  cavallo  a  cavallo. 
Come  v'  ho  dedicato  i  fatti  miei. 


196  Poesie 

Certo  io  vi  son  per  fortuna  vassallo , 

E  per  volontà  schiavo  ;  e  questo  è  noto, 
Come  costì  la  porta  di  San  Gallo  . 

V  odio  Michelagnol  Bonarruoto  , 

Perchè  non  caccia  i  Pretacci  ai  bordello. 
Facendovi  di  se  debito  voto  . 

Doverebbe  uno  spirto  come  quello 
Far  miracoli  in  voi,  che  simigliate 
La  signoria  dell'  Angel  Gabriello  : 

Colla  fronte  le  turbe  rallegrate, 
Come  1'  attrista n  certi  ceffi  grigi 
Proprio  subbietti  da  sfatar  le  Fate. 

S'  avesse  a  trasformarsi  Malagigi 

In  piattola  ,  in  zecca  ed  in  zanzara  , 
La  cera  piglieria  di  Pierluigi . 

Non  favello  del  Duca  di  Ferrara, 
Ch'  alla  presenza  sua  diminutiva 
La  grandezza  dell'  animo  ripara  • 

Il  Re  di  Francia    ha  viso  d'  una  Diva, 
Par  ser  Cupido  il  nostro  Imperatore, 
Ed  il  Papa    una  vita  transitiva . 

E  qualche  dì  ,  eh*  io  non  vidi  Signore , 
Che   non  avesse  V  aria  e  le  fattezze , 
Di  birro,  di  mugnajo  e  di  pistore  : 

Salvo  V  esterne  e  l' interne  bellezze 

Del  mio  Marchese  del  Vasto  dabbene, 
Che  mi  fa  ogni  dì  mille  carezze. 

Or  perebè  ognuno  a  proposito  viene  , 
Quando  vuol  raccontar  qualche  sciagura, 
Se  già  non  è   un  cervel  da  catene. 

Dico ,  che  '1  ciel ,  Je  stelle  e  la  natura, 
Per  isfregiar  i  Principi  graziani  , 
Vi  fer  con  una  gran  manifattura  . 


Satiriche.  197 

rciò  gli  andari  vostri  jnuy  galani 
Lodabilmente  tengono  a  stecchetto 
£  la  brachetta  e  la  lingua  e  le  mani  . 
)i  aprite  la  bocca  con  rispetto  , 
Né  impregnate  al  prossimo  le  figlie, 
Dandogli  poi  d'  un  pugnale  nel  petto  : 
>i  non  rubate  le  ricche  famiglie  , 
INè  vi  piace  di  por  guinzagli  a'  buoni  , 
INè  d'allentar  a' cattivi  le  briglie: 
)i   fate  corte  le  cavillazoni 
Della  Giustizia  lunghissima  ,  dando 
Torto  a'  torti ,  e  ragione  alle  ragioni  . 
vete  adunque  felice  regnando, 
D  acche  la  roba  ,  1'  onore  e  la  vita 
Gite  a' sudditi  vostri  conservando: 
1  per  esser  la  cosa  inaudita , 
I    piagnoni  fra  lor  vanno  dicendo  t 
Che  ci  fate  una  brava  riuscita  <. 
Dio  vero  ,  eh'  io  ascolto  godendo 
bene ,  che  ciascun  dice  di  voi  , 
lo  desino,  il  ceno,  e  lo  merendo: 
imbriaca  il  mio  cor  gli  spiriti  suoi  , 
d  ei  n'  ha  quei  piacer  ,  col  qual  biscanta 
1  villanel  eh'  ha  ritrovati  i  buoi  . 
cotal  mezzo  Mona  Fama  pianta 
kgli  altri  gran  maestri    un  porro  dreto  , 
JVantando  sol  la  vostra  vita  santa  : 
la  vi  dà  il  titol  di  discreto  , 
Di  savio,  di  gentile  e  di  cortese, 
Jpi  pio,  di  liberal,  di  mansueto  : 
idi  poi  giura  per  ogni  paese  , 
|Che  al  vostro  nome  ,  fiacbè  dura  il  Mondo , 
Vuole  meritamente  far  le  spese  . 


IO*  POE$lI 

Permette  Cristo  a  Cosimo  Secondo  , 

Perchè  Dio  teme  ,  il  viver  quanto  brama  r 
Così  bel  4  così  bianco  e  così  biondo  . 
Consente  ancor  ,  che  1'  inclita  Madama  , 
Lampana,  torcia  ,  fiaccola  e  lucerna 
Di  Spagna,  di  Toscana  e  di  chi  Vania, 
Di  voi  procrei  ,  con   grazia  superna  , 
11  tremendo  e  magnanimo  Giovanni, 

Simulacro  di  gloria  sempiterna  . 
Son  T  armi  sue  gli  scettri  e  gli  scanni 

Della  Casa  de1  Medici  divina  , 

Che  il  senno,  il  lucco  è  come  un  barbagianni. 
Ma  perciocché  saria  la  mia  rovina, 

Se  voi  lodando,  me  dimenticassi, 

Io  vengo  via  a  mettermi  in  dozzina  : 
Con  dir  ,  che  qui  non  si  mangiano   1  sassi , 

Ne  si  veste  di  carta  Fa bbriana  , 

E  non  &    alloggia  di  fuora   ne' chiassi. 
S'io  fossi  sogno  o  fantasima  vana, 

Ovver  Camaleonte  spirituale , 

Tre  lire  mi  farian  la  settimana  ; 
Ma  essendo  io  un  pazzacon  morale  , 

E  ualo  per  purgare  i  miei  peccati 

Con  animo  di  Re  nello  spedale  ; 
Quei  cento  scudi  nuovi  e  profumati , 

Che  T  altro  dì   mi  mandaste  a  donare  r 

Furo  un  piatto  di  micca  a  venti  frati  . 
Duca  ?  voi  fate  altrui  trasecolare, 

Non  col  non  farmi  un  rilevato  bene, 

Ma  col  non  darmi  del  pan  da  mangiare . 
Appresso  a  me  una  vostra  si  tiene  , 

Che  dice  :  io  ti  vo'  dar  ciò  che  ti  diede 

Mio  padre  già  ,  come  destro  mi  viene. 


Satiriche.  a.g'jf 

Égli ,  che  meco ,  per  la  sua  mercede  , 

Non  aveva  spartita  cosa  alcuna  ; 

Qual  informar  sene  può  chi  no!  crede, 
Sotto  Milan  dieci  volte  ,  non  eh'  una  , 

Mi  disse  :  Pietro ,  se  di  questa  guerra 

Mi  scampa  Dio ,  e  la  buona  fortuna  , 
Ti  voglio  impadronir  della  tua  terra: 

Ma  piace  al  destin  ladro ,  eh'  io  pur  sia 

Povero  e  vecchio  ,•  ed  ei  morto  e  sotterra, 
Oltra  di  ciò  la  Signora  Maria, 

Splendor  del  grado,  u' le  virtù  1'  han  posta* 

Non   riconosce  più  la  fede  mia  : 
Ch'  ella  abbia  molti  disturbi  mi  costa  , 

Perchè  chi  regge  un  Dominio  sì  degno, 

Non  può  mangiar,  ne  dormire  a  sua  posta» 
Pur  il  mostrarmi  un  caritevol  segno , 

Ne  più  ne  meno  la  disconcerebbe, 

Che  quel  che  presta  a  usura  in  sul  pegno* 
Dicon  gli  amici ,  che  far  lo  dovrebbe  , 

Ma  quando  sia  che  non  ci  pigli  sesto  , 

Mi  appellerò  al  marito ,  eh'  ella  ebbe. 
"Ira  i  Cardinali  saria  disonesto 

11  mio  avere  fino  all'Olio  Santo 

A  tener  lo  sperare ,  e  a  pollo  pesto. 
Signor  mio  dolce  ,  1'  acaor  passa  il  guanto  ,! 

Però  trapeli  al  vostro    intendimento 

La  lealtà  del  mio  servir  cotanto. 
Quanti  scannapagnotte  a  tradimento 

Isguazzauo  ciò  che  hanno  i  Padron  loro  9- 

Ed  io  da  voi  una  miseria  stento. 
E  di  qui  vien  ,  eh'  io  non  servo  il  decoro 

Della  mia  devozion  ,  ne  v'  intertengo  , 

Come  eh'  io  faccio  costoro  ,  e  coloro. 


200  Poesie 

Facilissimamente  mi  ritengo  , 

Quando  f o ,  quando  orino,  e  quando  tosso, 
Ed  anco  quando  vado  ,  e  quando  vengo. 

Ma  quasi  quasi  y  che  tacer  non  posso 
Il  vedermi  trattar  da  scopettieri  > 
Ed  in  vostro  servigio  me  n'  arrosso. 

Se  date  agli  stroszieri ,  e  a'  canattieri 
Vitto  e  vestito ,  e  la  provvisione 
A  questo  e  quello  errante  cavalieri  ; 

Dovete  aver  di  me  compassione, 

Che  per  esser  in  uggio  all'avarizia  , 

Mi  mangiari  l'ossa  un  monte  di  persone. 

Ma  s'io  vivacchio,  quando  è  la  divizia; 
Che  dehbo  fare  or,  che  la  carestia 
Strascina  tutta  Italia  ,  e  la  giustizia? 

Ho  pegno  a  quei ,  che  aspettano  il  Messia  , 
Omnia  bona,  e'n  pubblico  e  *n  privato 
Sto  come  vuole  il  mio  Duca  eh'  io  stia. 

Or  voi  potreste  dir  :  tu  hai  fondato 
Ne'  casi  miei  ogni  tua  contentezza  , 
Poi  in  me  speri  come  in   un  Prelato. 

Perdonate,  Signor,  alla  vecchiezza  , 
La  qual  difficilmente  si  confida 
Nel  trascurato  della  giovinezza. 

L*età  sbarbata  va  presa  alle  grida  , 

Non  della  gran  virtù  ,  ma  del  sollazzo  , 
E  ha   caro  che  intorno  se  le  rida  : 

Ella  veste  un  bnffon  ,  dona  ad  un  pazzo 
Ed  iu  quella  bqaccia  si  trastulla, 
Che  si  tira  dirieto  il   popolazzo. 

Onde  la  occasion   mentre  le  frulla  , 

Si  sforza   di  grappar  quel   tosto  tosto  , 
Che  allora  allora  si  risolve  in  nulla  . 


Satiriche.  201 

Padron  ,  sebbene  ho  due  parole  esposto 
Circa  la  verde  età  ,  non  tasso  miga 
La  prudenza  ,    di  cui  sete  composto. 
A  lei,  che  sa  gir  ritto  senza  riga, 
Il   grillo  giovanil   bizzarro  e  duro  , 
Non  è  per  dar  giammai  punto  di  briga. 

Garzone  illustre,  anzi  colombo  puro, 
Per  tutto  è  manifesto ,  che  voi  sete 
Di  corpo  acerbo,  e  d'animo  maturo; 

er  la  qual  cosa  non  sopporterete  , 
Che  mi  assassini  sei  mesi  alla  fila 
La  stizza    il  freddo  la  fame   e  la  sete  . 

Se  a  questi  tempi  ogni  puttana  fila  9 
Di  sgomentarsi  le  Muse  ban  ragione  , 
Poiché  drietogli  alcun  non  se  gli  infila. 

)r  nel  venirne  alla  conclusione  , 
Ponga  mente  alla  mia  grande  speranza 
La  grandissima  vostra  discrezione. 

Ubò  amicizia  non  fu ,  ma  fratellanza 
Quella  ,  eh'  ebbi  col  vostro  Genitore  : 
Di  propria  man  di  voi  n*  ho  la  quetanza. 

>o  ben  eh'  io  gli  era  inutil  servidore  ; 
Ma  piacque  alla  bontà  ,  che  vi  fa  tale , 
Scrivermi  ciò  per  rallegrarmi  il  core. 

Dhe  vi  par  della  lettera  Imperiale 
Che  già  mandovvi  la  sua  Maestad«, 
Perchè  voi  mi  tenessi  in   sulle  gale  ? 

7inaliter  la  vostra   umanitade 

Facci  ora  sì  ,  che  non  1'  esca  di  mente 
La   mia  straordinaria  povertade. 
i  Vinegia  ,  rifugio  d'  ogni  gente  , 
Nel  mese  di  Novembre  a  giorni  doi , 
L'anno  affamato  troppo  bestialmente; 
A  r  et  in  servo  de' servi  di  voi. 


2Ó2 


CAPITOLO 

AL 

PRINCIPE  DI  SALERNO, 


Illustrissimo  Principe,  per  Dio, 

Che  voi  fate  uà  gran  carico  a  Voi  stesso  * 
A  non  vi  ricordar  del   fatto  mio: 

Sta  bene  di  mancar  ciò,  ch'ha  promesso 
Al  Cardinal  de'  Gaddi  verbigrazia  ; 
E  non  so  ancora,  se  gli  fosse  ammesso. 

Imputerei  la  mia  mala  disgrazia, 
Circa  la  pensione,  che  s'impose 
La  Eccellenza  vostra  per  sua  grazia, 

Se'l  non  dare  a  persone  virtuose 
Non  tosse  così  proprio  de'  Signori 
Prodighi  $n  tutte  quante  l'altre  cose. 


Satiriche.  2o3 

©nel'  io,  ebe  son  un  uom  degli  altri  fuori , 

Dico,  che  l'avarizia  de' Padroni 

E  privilegio  de' buon  servidori. 
Però  le  zoppe  altrui  provvisioni 

In  tutta  la  lor  vita  son  pagate 

Una  o  due  volte  a'  Poeti  coglioni  : 
I  quali  dovrian  far  le  scampanate 

In  gloria  del  Sofi  e  del  Soldano  , 

Non  di  voi  altre  etiliche  brigate, 
Diventa  più  che  buon,  più  che  Cristiano, 

Quando  senza  pensarci  punto  punto, 

Fin  de'  Re  canta  ogni  cervel  balzano. 
Pare  ed  un  grande,  manucar  panunto 

Mentre  che  offende  un  dotto  poverello, 

Che  per  disperazion  gli  ha  'I  nome  punto, 
Debbe  un  Signor  rimunerar  di  bello, 

Non  pur  colui,  che  ne  ha  fatto  istoria, 

Ma  chi  non  suona  i  suoi  vizj  a  martello. 
Se  il  Fiosso  buffon,  buona  memoria, 

Che  nel  gridare  sol,  viva  Salerno, 

Vi  può  spegner  le  forze  della  gloria , 
Ha  tante  veste  da  state  e  da  verno, 

Puntali,  anella,  medaglie,  e  catene, 

E  danari  da  spender  in  eterno  ; 
Perchè  quello,  che  al  Mondo  vi  sostiene, 

Per  viva  forza  delle  sue  scritture, 

Con  qualche  preseutiu  non  si  mantiene? 
Date,  Duchi  e  Marchesi,  date  pure 

A  poltroni,  a  ribaldi,  a  parassiti, 

E  doletevi  poi  delle  sciagure. 
Per  opra  -di  sì  fatti  favoriti 

Medici  Cardinal,  Fiorenza,  e  Urbino, 

la  pochi  dì  abbiam  visto  baiiti» 


204  Poesie 

Mi  si  scordava  di  Francia  il  Delfino, 
Ma  non  i  cento  ducati,  che  ogni  anno 
V'obbligaste  mandare  all'Aretino. 

I  soldi  a  Pasqua  altrettanti  saranno, 
Cioè  dugento  per  due  paghe  scorse; 
E  se  vi  fo  arrossire,  vostro  il  danno. 

Non  si  debbe  prometter  senza  forse 

Quello  che  non  si  vuole,  o  non  si  puote, 
Né  a  me  di  lungherie  empier  le  borse. 

Io  ch'ho  il  cervello  in  bilichi,  ed  in  ruote, 
Sotterro  poi  le  turbe  vive  vive, 
Ch'  è  altro  che  '1  cacciar  delle  carote. 

Non  son  di  queste  bestie  positive, 
Che  si  van  consumando  passo  passo 
Dirieto  al  culo  delle  spettative. 

Con  voi  tratto  averei  sino  o  ambasso, 
Se  alla  stizza  cinque  mesi  sono 
Non  s'opponea  quel  frappator  del  Tasso. 

Egli  mi  dice:  fratellin  mio   buono, 
Infallanter  fra  venti  giorni ,  o  trenta 
Per  lettere  di  cambio  verrà  il  dono. 

O  cb'  egli  più  di  me  non  si  rammenta  , 

O  ch'hanno  in  voi  le  sorli  ladre  e  sporche 
La  partita  del  mio  credito  spenta  : 

Anzi  il  mal  vien  dalle  speranze  porche, 
Che  si  pigliano  spasso  di  vedere 
Il  mio  d'oggi  in  domane  in  sulle  forche* 

Conchiudiamola  qui:  egli  è  dovere, 
Ch'  una  servitù  presa  fedelmente 
Si  debbe  come  gli  occhi  mantenere  : 

Ond' io  ch'avverto  all'umor  della  gente, 
Con  tutto  quel  che  sono,  e  quel  che  pajo, 
Della  promessa  vi  faccio  un  presente. 


Satiriche.  2o5 

Non  altro.  Pietro,  che  gitta  il  danajo, 
Con  riverenza  a  scrivervi  si  move: 
Di  Venezia,  l'ottavo  di  Gennajo , 

Nel  mille  cinquecento  trentanove . 


2qG 

CAPITOLO 


A.  L 


DUCA  di  MANTOVA  . 


s 


tando  un  miglio  l'altr'  ier  di  là  da  male, 
Vi  porsi  un  boto  con  quella  speranza, 
Cb'  ba  d'esser  Papa  ciascun  Cardinale. 

E  stando,  un  mese  all'aspettar  m'avanza  , 
Meco  pensando  a  tutte  le  cagioni , 
Che  fan  zoppa  de'  Principi  l'usanza. 

So  cb'  i  Signori  ban  grand'  occupazioni 
Con  Re,  con  Papi,  e  con  Imperadorij 
Io  so,  cbe  son  di  Venere  stalloni . 

So  cb'banno  arcistoppati  i  servidori; 

So  eh'  a  lor  piace,  cbe  in  piazza  si  dica, 
Cbe  sian  ladri,  furfanti,  e  pescatori: 

Io  so,  cbe  niun  non  vuol  durar  fatica 
In  dir:  Signor,  la  servitù  del  tale 
Del  testamento  vecebio  è  più  antica  : 


Satiriche  207 

'o  so  eh'  un  virtuoso  ò  un    orinale , 
Dove  piscia  ogui  bestia,  e  la  brigata , 
Ch' è  goffa,  ba  gran  piacer  di  dirne  male; 

50  che  la  vostra  voglia  spensierata 
Tanto  pensa  a  un  dotto  bisognoso, 
Quanto  il  Turco  e  madama  Crociata. 

osi  venga  alla  sorte  il  mal  francioso, 
Com'  io  penso,  eh'  a  Principi  un  par  mio 
Peggio  che  dire  il  ver  è  fastidioso. 

)f  a  noi  dico  per  voi  ,  corpo  di  Dio , 
Che  sete  assai  più  noto  per  divino 
Cb'  all'  alfabeto  il  Cba,  il  Zeta,  el  Fio  : 

l  se  fusse  altrimenti,  l'Aretino, 
Che  vi  tien  per  suo  Cristo,   vi  porria 
Dove  l'anima  ba  posto  fra  Martino. 

Sapete  ben,  che  la   mia   Poesia 
Scimia  è  de' vostri  merti ,  e  più  v'ho  caro, 
Che  '1  Paternostro,  e  che  l'Avemaria ,    - 

l  chi  volesse  dir,  che  sete  avaro, 
Dica,  ch'osservi  il  Duca  dell'anguille, 
In  vender  verze  il  grado  d'un  suo  paro. 

Ma  lascìam  ir  le  prediche  da  ville, 
E  circa  il  fatto  mio  io  vi  vo'dire 
Due  cose,  cb'  ho  pensato  in  più  di  mille. 

ron  so,  se  l'indugiar  tanto  al  venire 
Quella  faccenda,  il  causasse  il  nome, 
Che  '1  Marchese  ebbe  in  Duca  a  convertire. 
Certo  il  mal  vien  di  qui  :  e  se  io  come 
Supplicai  al  Duca  ,  chiamava  il  Marchese, 
Venivano  le  grazie  a  carri ,  e  a  some. 
Quel  nome  Ferrarese  ,  e  Milanese 
V  ara  per  rovinarmi  trasformato 
In  Alfonso  e  Francesco  buone  spese. 


208  Poesie 

Son  in  un  altro  farnetico  entrato  , 

Ed  ho  paura  ,  perch*  io  disio,  oh  Dio  , 
Che  come  lui   non  siate  addormentato. 

Se  quest'  è,  arcifallito  è 'I  fatto  mio, 
Venuta  è  l'ora,  che  pe'  miei  peccati 
Ho  di  freddo  e  di  sete  a  morirmi  io. 

Che  dirò?  che  farò?  Oh  Preti,  oh  Frati, 
Datemi  la  ricetta  da  destare 
Un,  ch'ha,  per  non  m'udir,  gli  usci  serrati, 

Dice  '1  Predicator,  che  '1  bestemmiare, 
E  trarsi  via  nella  disperazione, 
Suol  con  Dio,  e  col  diavolo  giovare: 

Allegando  la  fola  di  Simone, 

Che  per  mostrare  il  viso  a  mastro  Giove, 
Cavonne  il  Giubileo,  e  la  stazione  . 

Che  se  si  stava  in  casa,  quand' et  piove, 
Con  mona  Pazienza  sua  fantesca, 
Mai  ne  cavava  un  par  di  scarpe  nuove. 

Gli  è  buono  adunque,  ch'io  del  manico  esca, 
E  dica  a  grau   pataffi  da  speziale 
QuaKhe  prefazio  in  lingua  Pasquinesca; 

E  avendo  vinto  a  cantar  le  cicale , 
Sotterrerò  ognuno ,  eccetto  quello 
Magnanimo   Batista  di  Natale: 

Se  non  fuss1  egli,  a  quest'  ora  in  bordello 
Sarien  le  Muse  ;  ma  sua  cortesia 
Tenute  l'ha  fin  adesso  io  cervello  : 

E  in  fuor  eh*  air  alta  Vostra  Signoria , 
A  lui  sono  più  stiavo,  e  ordinato. 
Che  i  Giudei,  se  venisse,  al  [or  Messia. 

O  secolo  plebeo,  goffo,  e  sfacciato! 
Alla  barba  de'  Principi  un  mercante 
Sarà  da  me  più  che  'l  vespro  lodato. 


Satiriche.  30£ 

q  f  t  q   /    «n 

Torniamo  al  bestemmiar  le  cose  sante 
E  a  dir  benben  mal  di  questo  e  quello; 
E  in  prima  il   mio   Padron  facciasi   innante; 

E  comincio  a  bravare  :  il  buono  e  '1   bello 

uri  i 

Marchese  manderammi   presto  presto 
Una  valigia  inzeppata  d'orpello; 

Con  quello  ancor,  die  poco  fa  gli  bo  chiesto, 
E  or  glielo  ricorda  un  tal  bisogno, 
Che  fa  ria  San  Francesco  disonesto. 

S'uu  Prete  si  vergogna,  io  mi  vergogno 
A  cbiedere  uua  cosa  a  un  Signore, 
Che  li   vai   men  ,  ebe  alfimbriaco  un  sogno* 

Ma  perchè  io  sento  il  presente  all'  odore , 
Un'  operetta  in  quel  cambio  galante 
Vi  mando  ora  in  stil  ladro  e  traditore; 

Intitolata:  la  Puttana  Errante, 

Dai  Venieto  composta  mio  creato , 

Che  m'è  in  dir  mal  quattro  giornate  innante; 

E  se  Virgilio,  il  Dottrinale,  e  Cito 

In  questo  andar  componevano  i  versi, 
Ognun  se  ne  sarebbe  il  cui  nettato. 

Per  Dio,  Signor,  se  fossero  sommersi 
In   piauto  i  risi ,  in  tal  piacevolezza 
Scoppierien  d'allegrezza  in  tutti  i  versi . 

Non  aspettate  veder  la  lindezza 

Dell'andar  Petrarchevole  a  sollazzo , 
Ch'  a  ricamar  fiori  e  viole  è  avvezza  : 

E'  dice  pane  al  pane,  e  cazzo  al  cazzo, 
Ed  abbi  chi  l'ha  a  schifo  pazienza  ; 
Che  Dio  non   da  ria  legge  a   un  cervel  pazze. 

Non  altro:  stiavo  alla  Vostra  Eccellenza. 


Poesie  Satin 


*4 


210 

CAPITOLO 

DELLA  QUARTANA 

AL    DUCA     DI    FIRENZE 


A 


1  tempo  che  volavano  i  .pennati , 
A   Taranto  di  Cana  Galilea 
Par  due  sozj  dabben  ,  matti  spacciati , 

Ch' a  tavola  si  mison  la  giornea 

A  cantar  cose  del  Re  Messer  Piro  , 
Che  merlavano  almanco  un  galea. 

Accadde  pi  ,  eh'  un  de'  cervelli  in  giro, 
Spinto  'Celi  celorum  dal  bicchiere. 
Che  *l  fé'  la  notte  russar  come  un  ghiro  ; 

Ando  a  lui  per  chiedergli  un  piacere, 
Scordato  del  briaco  suo  dir  male  ; 
Ch'  u'  milizia  non  è  ,  non  vai  pensiere. 

Ma  con  ceffo  di  porco  cardinale  , 
Gridò  l'amico:  sei  tu  qui,  mastino, 
Che  sfuni  i   denti  sul  nome  reale  ? 

Seri  desso  gli  rispose  il   Paladino  , 

Ma  d*  altro  ranno  il  capo  ti  lavavo  , 
Se  nel  più  bel  non  ci  spariva  il  vino. 


Satiriche.  air 

Inteso  ciò  il  Capitano  bravo  , 

Rise  ,  dicendo  :  tu  hai ,  fratel  ,  ragione , 
E  lo  punì  col  diventargli  stiavo. 

Come  anco  me  troppo  buon  cicalone 
Diventerà  ,  pigliandola  pel  verso  , 
L'  Eccellenza  gentil  del  mio  Padrone. 

Non  is ma lt ito  nel  letto ,  ma  perso 

Ero  ,  Signor  ,  quando  fui  ,  giuro  a  Dio  , 
Per  rinnegar  San  Paolo  converso. 

L*  esser  io  quasi  di  Caronte  al  rio 

Senza  un  quattrin,  con  venti  bocche  addo$so5 
Ch'  ognor  fan  notomia  del  fatto  mio  ; 

E  '1  cuocermi  due  febbri  arrosto ,  e  lesso  , 
E  '1  non  poter  mangiar  mai  9  ne  dormire  , 
E  '1  vedermi  da  voi  tutti  in  un  cesso  % 

Del  manico  mi  fer  la  lingua  uscire  : 
E  se  '1  Demon  non  ci  pigliava  sesto  , 
Peggio  che  peggio  mi  s'  udiva  dire. 

Perchè  m'  ha  fatto  correre  il  bisesto 
Il  più  crudel  maniuconico  umore, 
Che  non  riguarderia  1'  in  die  festo. 

Poco  mancò,  che  con  l'Imperadore, 
Sebben  1'  adoro  sfegatatamente  , 
Non  feci  a  che  Y  è  dentro  ,  e  che  l'è  fuore: 

E  guai  a  lui  se  mi  veniva  a  mente 
11  Cornua  ,  col  lume  d'  Inghilterra , 
Che  impicca  le  mogliere  per  niente. 

Al  Clero ,  che  al  Concilio  andrà  sotterra  , 
Sol  hanno  detto  le  mie  frenesie  , 
Ch'  è  nimico  di  Dio  in  Cielo  e  'n  terra. 

Il  Papa  sa  ,  eh'  io  non  dico  bugie, 

E  sallo  un  Piero  Arma  ,  virumque  cano , 
Ch'  ha  speso  il  suo  in  far  mille  pazzie. 


2IÌ  P    O    E    5   T    2 

Al  Re  di  Francia  ho  bacialo  la  esano  , 
Ed  alla  Maestà  di  quel  Marchese, 
Che  lasciò  i  sitai  ricami  a  Carignano  » 
Ferrara  ancor  due  paroline  ha  intese 
Circa  1  asineria  del_  sormontare 
Le  cavalle  di  tutto  il  suo  paese. 
Salerno  inver  non  doveva  toccare; 

imperocché  non   è  ,  dice  il  suo  cuoco, 
IVè  da  cuocere  buon  ,  né  da  serbare. 
Infiu  chi   perde  ,   e  non  si  stizza  a  giuoco, 
E  un   Mdchisedeeh  ipoerhino  > 
Un  besiiuolò,  un  aloeeo,  un  uom  da  poco. 
Ma  se  il  Principe  Cosimo  divino, 

Ch'ha  il   Mondo  in  pegno    ed  è  sì  mansueto, 
Avendo  i!  mal  ,  che  ..prova  T  Aretino  , 
Strameggia  seco  in  pubblico  e  'n  'segreto  » 
E  ne  n  darebbe  ai.  Messia  uudienza  , 
E  ruggisce  se  parla   o  lsc  sia  cheto  ; 
Non  trova  luogo  in  ''Villa  ne  in  Fiorenza, 
E  in  Arabico  pare  un   Alchimista  , 
Ch'  arrabbia  al  f il  ino  della  quintessenza; 
Che  mirac  Jo  ,  s  io  bestia  solista 

Ho   mentovato  invailo  il   vostro  onore, 
Crocifiggendo  me  fa  sorte  trista? 
Se'l  Satanasso  à*\  centro  almansore 

Piantava  in   Giobbe  uri  ti   doppia  quartana, 
Spenderà  in   farlo  suo   rnen  di  tre  ore. 
Se  (j  jcl  suo  freddo,,  e  quella  sua  scalmana 
Gli  dava  su,  si  shatr  zzava  certo, 
Un  venticinque  vohe  la  stimatici. 
Chi  se  l'arreca  in  pace  ,  e  di  più  merto 
In   frualìtò  a  se,  e  quanto  agli  altri  ancora, 
Ch*  un  Chietino  esdamantis  in  Deserto. 


S   A   T   U   I   C   H   8,  2l3 

«ors*  olla  ,  qnal  fortuna  tradì  torà  , 
Che  smagra  ,  guasta  ,  cìncistia  ,  e  scotenna 
La  turba,  che  la  piglia  in  la  malora, 
arpina  via  ,  quando  arrancare  accenna  ? 
Gracchi  a  suo  modo  il  chiacchieron  Galeno, 
E  quanto  può '1  cerretano   Avicenna: 
h'  altro  è  a  saper  dare- all'Oche  il  fieno, 
E  altro  a  traccannar  l'acqua  del  Legno, 
E  altro  è  lo  scarcare  un  corpo  pieno, 
^sser  potria  eh'  un  maladetto  sdegno  y 
Una  paura  scappata  improvviso  , 
Un  canchero  che  mangi   chi  n'è  degno, 
Jsurpasse  il  guarirle  ab  Paradiso  : 
Ma  chi  *1  crede  d*  averne  pelle  pelle , 
Ne  ch'io  sol  guardi  chi  sei  ponga  in  viso^ 
^ol  ritrarrebbe  Tiziano  Apelle  , 
Né  '1  farebbe  Esculapio  a  rei  furfante  , 
Che  non  lo  scrisse  in   le  sue  bagattèlle, 
nsomma  ho  preso  il  dirieto  e '1  dinante 
Più  polvere  .  più  acque  ,  e  pili  merdate  , 
Che  non  infama  cuji^si  un   pedante. 

Farieno  ,  se  non   più  ,  dieci   insalate 
Le  foglie  ,  che   ngmottìte  *ho  giuso  via  ? 
Come  lettre  di  cifre  spiritate. 

Hommi  al  collo  attaccato  un'Osterìa  , 
D'  Incanti  ,  d'  lntroibi  ,  e  d'  Agnusdei , 
E  '1  dar  ^ede  al   malan  che  Dio  lor  dia. 

Taccio  de*  medicastri  farisei  , 

Ch'  han   proceduto  canonicamente 
In  far  i  fatti   lor  meglio  eh'  i  miei. 

Dicovi  bene,  eh' un  Frate  pezzente, 
Che  pizzicava  di  Predicatore, 
In  dirgli  :  Padre  ,  ìq  vi  faccio  un  presente 


214  Poesie 

D'  una  Quartana  ,  che  mi  spunta  il  core  ; 
Udito  ciò  ,  per  mia  va<xa  sciagura  , 
La  diede  a  gambe  come  un  traditore. 
Non  ha  pel  tra  le  cosce  la  natura , 
Che  spermentato  non  abbi  di  punto  , 
Siuo  al  furor  d'  uu'  imbriacatura. 
Eccomi  là  cadavero  defunto, 

Sopra  un  sacco  di  semola  arrostita, 
Ad  un  gran  focarone  unto  e  bisuuto. 
S' una  Crocetta  fatta  con  le  dita 

Mette  in  fuga  il  Diavol  che  sei  porti; 
Ma  tu  Quartana  sfacciata  e'ncagnita, 
A  non  te  n'  ire  avresti  mille  torli , 

Per  tante  croci,  che  m'hanno  incrociato  , 
Con  crocion  ,  che  s' incrociano  li  morti. 
Vero  è  ,  che  una  bianca  di  bucato 

Venne  ,  per  segnar  me ,  e  io  segnai  lei , 
Alzando  il  fianco ,  Ja  penna  ,  e  '1  peccato  ì 
Gustato  un  tal  raspato  degli  Dei  , 
Dissi  sul  suon  del  Chirielleisonne, 
Muoja  Sanso n  con  tutti  i  Filistei  : 
Poi  air  odor  del  ca  ,  del  cu  ,  del  conne , 
Mi  posi  a  trastullar  fra  vespro  e  nona 
Con  le  Fanti  ,  eh'  io  tengo  per  Madonne, 
In  quel  che  l'ora  e '1  paraoismo  suona, 
Per  un  dispetto,  che  suol  fulminare, 
Sulla  pancia  montai  d'una  Sehiavona  : 
E  sprono,  ed  ella  comincia  a  trottare, 
E  nel  fioccar  del  freddo  ,  che  veniva  , 
Lo  spinger  riscaldavamo.  e'\  menare. 
La  gioventù,  che 'n  lei  calda  bolliva, 
M'andò  nell'ossa  così  ben  ficcando 
La  morbidezza  sua  penetrativa  ; 


S   A   T    I    R$I    CHE.  2x5 

[Che  rumor  giù  per  la  minchia  anfanando, 
Lasciando  in  secco  le  sue  congiunture  , 
M'  ha  sano  e  salvo  ,  ed  al  vostro  comando. 
Dunque,  chi  paté  a  torto,  e  non  de  jura 
L'  accidente  ,  eh'  ognun  fa  disperare , 
Sehben  non  tresca  tra  le  sepolture, 

III  suo  caparbio  più  che  '1  dire  e  '1  fare  , 
Con  F  ostinato  più  che '1  fare  e  '1  dire, 
Che  va,  che  vien  ,  secondo  che  gli  pare; 

Da  se  sbandisca ,  col  tosto  scarpire 
L'  approvata  chiavabile  ricetta  , 
La  cui  virtù  consiste  nel  compire. 

Ma  chi  vuol  dargli  a  un  tratto  la  stretta, 
E  che  gli  facci  il  rimedio  un  ben  grand* , 
E  che  'mbertoni  V  uccel  la  civetta  ; 

Calate  a  mezzo  stinco  le  mutande , 
Grappi  su  la  Signora  cuciniera  , 
Guazzabuglio  di  tutte  le  vivande, 

L'  anno ,  in  la  sella  della  Primavera  , 
Pur  chi  cavalca  cosi  belle  rozze, 
E  la  mattina  la  st reggili ,  e  la  sera. 

Chi  becca  su  le  mature    mattozze  , 
Per  saper  d'  ogni  cibo  ;  ogni   massara 
La  sosta nza  a   se  trae  d'  un  par  di  nozzt. 

Orsù   a   darla  nel  tarantantara  , 

Or  grappandole  a  sorte,  e  ora  a  caso, 
Poiché  così  la   Quartana  si    spara. 

Stradino  intanto  inorpellato  vaso 

Di  bontà  senza  fin  ,  che  'n  prosa  sciolta 
IVJerta  d'esser  Castaldo  di  Parnaso, 

Col  far  per  me  orazlon  qualche  volta, 
Sarà  camion  ,  che  *l  sempiterno  Duca. 
Mi  restituirà  la  grazia  tolta, 


!i6  Poesie 

Acciò  non  vada  all'  enenos  induca  ; 
Perchè  il  parermi  d'avervi  tradito 
Mi  sbrana  ,  mi  divora ,  e  mi  manuca  * 

Come  la  speranzaccia  un  fuoruscito. 


217 


SATIRE 

D  I 

M.    PIETRO    NELLI. 


M 


esser  Gentil  gentil,  ben  ch'io  v'esorti 
A  darvi  pace,  io  giovo  appunto  a  voi 
Come  fa  il  fumo  dell'incenso  a' morti. 

Ne  san  Fantin,  né  i  confortanti  suoi 
.Avrian  poter  d'informarvi  il  cervello 
Che'l  pianger  puzza  a' morti,  e  nuoce  a  noi, 

jSe  i  pianti  puon  tornar  nostro  fratello 
In  vita,  diamvi  dentro,  eccovi  un'opra, 
E  direni  poi  che  '1  pianto  è  buono  e  bello. 

Ma  che  spendere  l'olio  e'1  tempo  e  l'opra , 
Se  questa  legge  ne  fa  star  per  filo 
Che  chi  va  sotto  mai  non  torna  sopra? 

2he  vai  se  bene  il  Po,  il  Danubbio,  e  '1  Nilo 
Uscisser  de'  vostri  cechi?  Fia  per  questo 
Che  la  vecchia  che  '1  tronca,  aggroppi  il  filo? 

Zhì  vola  al  ciel  vorria   trar  seco  il  resto 
Non   pur  non  cura  più  tornar  qua  giuso, 
E  forse  il  pianger  nostro  gli  è  molesto. 


ij8  P  o  i  s  i  i 

Non  lascia  Satanasso  venir  suso 

Alcun  di  quei  che  rovinano  al  basso 
Perchè  a   le  stride,  e  a'  pianti  ha  fatto  Fu 
Se  si  movesse  il  Re  del  centro  basso 
A  lasciar  l'alme  per  grida,  e  lamenti, 
Resteria  tosto  nel  suo  regno  un   asso. 
E  ritornando  al  mondo  tante  genti 
Ne  converria  stivar  come  sardelle, 
Ne  quei  eh'  hanno  a  venir  sarian  contenti. 
Perchè  siamo  sì  a  stretto  senza  quelle, 
Che  in  Venezia  a'  perdoni,  e  su  le  feste 
A  gran  pena  portate  fuor  Ja  pelle. 
E  pur  la  guerra,  in  più  parti,  e  la  peste 
Fan  largo  con  la  falce  de  la  morte, 
Per  dar  luogo  a  chi  vien  dietro  a  le  peste 
Conchiudendo,  chi  gode  in  l'alta  coite 
Non  cura  a  noi  tornar,  l'altro  non  puote 
Ch'  ha  messo  il  pie  ne  le  Tartaree  porte. 
Dunque  a  che  più  baguar  tanto  le  gote? 
Che  se  ben  prima  fu  di  scusa  degno, 
Or  non  è  in  un  par  vostro  senza  note? 
L'affetto  umano,  ove  non  passa  '1  segno  , 
È  chiamato  vertù,  ma  tenghi  il  morso 
Chi  disia  lode,  o  eh'  ha  dramma  d' ingegno 
Perchè  ove  oltre  la  meta  sia  trascorso 
O  mbia  nome,  e  divien  pazzo  solenne; 
Che  in  mille  preci pizj  piglia  il  corso. 
Quando  del   <\qso  rio  la  fama  venue 
(Juel  dolervi  parve  atto  santo  e  pio, 
E  ribfccitho  un  fra  lei  dolce  vi  tenne. 
Ma  il   vedervi  or,  eh'  esser  dovreste  al  Y 
Anrora  a  l'A,   fa  creder  forse  a  molti 
Che  voi  vorreste  contrapporvi  a  Dio. 


Satiriche.  21$ 

Soglion  dir  quei  che  i  libri  hanno  rivolti 
Di  quel  Cristian  che  Cristo  non  conobbe  , 
Ma  s'appressò  più  al  ver  che  gli  altri  stolti, 

>he  '1  nostro  spirto  in  queste  membra  piobbe 
Da  Dio  mandato,  come  il  Peranzone 
Da  voi  in  villa,  a  guardar  le  vostre  robbe, 

i  cui  se  voi  che  ne  sete  il  padrone 
Diceste  oggi  o  doman  eh'  ei  torni ,  deve 
Tosto  ubbidir,  né  chieder  la  cagione 

Noi  villani  di  Dio.  Ciascun  riceve 
Da  lui  casetta  o  palagio  in  governo, 
C^me  a  lui  piace,  o  tempo  lungo  o  breve. 

E  tutti  quei  che  resistenza  ferno, 
O  faranno  al  tornar  quando  a  lui  piaccia, 
Avran  di  casa  sua  bando  in  eterno. 

Credo  ancor  che  non  poco  gli  dispiaccia  , 
Se  richiamandone  un  gli  altri  villani, 
Torcon   la  schiena,  e  increspano  la  faccia, 

Perchè  dimostran  che  s'oggi  o  domani 
Chiamasse  lor,  l'avriano  a  dispetto, 
E  si   tenian  co'  piedi  e  con  le  mani. 

Or  per  non  dar  di  voi  questo  sospetto 
Al  padron  grande  de  la  casa  vostra, 
Non   più  gridar,  non  più  battervi  il  petto. 

E  fumo  ed  ombra  questa  vita   nostra  , 

Dobbiam   tenerla   per  fumo  e  per  ombra, 
E  a   la   vera  aspirar  che  '1   Ciel   ne  mostra. 

Ma  r  intelletto  che  tal  fumo  adombra 
Non   s'avvicina  a  quella,  e  non   la  vede 
Fin   ebe  da   questo  fumo  non  si  sgombra. 

Or  se  Dio  noi ,  o  alcun  de'  nostri  chiede 
Non  sia  la  mente  dal  fumo  impedita, 
Ma  diamo  allegri  quel  ch'egli  ne  diede, 


220  Poesie 

Certi  che  (  com'  io  dissi  )  questa  vita 

Passa  com' ombra,  e  a  quell'altra  n'invia, 
Ch'  è  vera,  eh' è  durabil ,  eh' è  infinita. 
Diciara  che  morte  a  noi  mortali  sia 

Un  Buon  amiro,  un  comodo,  un  favore, 
Che  d'arrivar  ne  fa  corta  la  via. 
Arriva   tosto  a  casa  sua  chi  muore , 

E  inganna  noi ,  ebe  ancor  nebbia  sì  spessa 
Acceca  in  questa  via  piena  d'errore. 
Ma  par  eh'  oggi  )a  pena   si  sia   messa 
La  giornea  di  voler  parlarvi  in  Chiesa , 
E  fa  rider  di  lei  la  morte  islessa, 
A  cui  non  pur  del  nostro  duol  non  pesa. 
Ma  poi  ch'ha  tolto  a  chi  '1  frate,  a  ch'il  figlie 
Ride  de'  fatti  nostri  a  la  dislesa . 
Non  già  del  nostro  far  grinzoso  'I  ciglio, 
La  bocca  torta,  perchè  a  queste  mende 
Mona  Tessa  va  al  specchio  per  consiglio. 
Ma  si  ride  che  '1  pianto  oggi  si  vende 
A  contanti ,  e  con  l'ago ,  e  con  Ja  rocca 
La  femminuccia  a  piagner  morti  appreude, 
Calabria,  e  Puglia  han  questa  usanza  sciocca, 
Di  tor  le  donne  a  vettura,  a  contanti, 
Che  piangano  del   mal  che  non  le  tocca  ; 
E  non  lo  Regno  solo,  ove  son  tanti 
Altri  costumi  senza  sai ,   ma  ancora 
Voi  Lombardi  talor  comprate  i  pianti . 
Sendo  io  costi  in   passaggio,  e  sendo  allora 
Morto  un  o\e' vostri  grandi,  mi   voleste 
Mostrar  fra  voi  come  uh  morto  s'  onora. 
Vidi  trentatrè  donne  in   bruna   veste, 
Pur  tolta  a   nolo  ,  che  a   mirarle  in  viso 
Avrian  potuto  apaventar  la  peste. 


Satiriche»  221 

Intorno  al  corpo  faceano  improvviso; 
L'armonia  de' bastardi  in  processione, 
Oliti'  io  fra '1   piantò  non  contenni  ii  riso. 

Voi  spianaste  l'usanza,  e  la  cagione 
Che  r indusse,  e  diceste  questi  onori 
Si  £anuo  a   genie  di  condizione: 

E  che  il   morto  già  fu  de'  Sanatori , 
Uomo  ri  co  ,  uomo  saggio,  uomo  compito , 
Con  altre  circostanze  dentro  e  fuori  : 

)r  mentre  il  figlio  al  soriano  era  impedito, 
Queiie  gazze  pagate  Peano  un  verso, 
D'aguzzare  a  Caronte  l'appetito. 

Credete  che  per  lungo  ,  e  per  traverso 
Morte  mostrasse  i  denti  a  bocca  aperta  9 
Udendo!  compro  pianto,  e  tutto  perso? 

S  rider  di  nascoso,  e  stare  in  berta 
Chi  sa  spender  sì  ben  quel  male  acquisto, 
Di  cui  l'alma  del  padre  era  riferta? 

£  che  più?  in  testamento  era  provvisto 
Che  il  pianto  sia  che  d'  ogni  intorno  si  oda 
Come  se '1  pianto  lo  mandasse  a  Cristo. 

!he  tanti  beccamorti  faccia n  coda 
Ai  mortorio,  che  innanzi  al  suo  palazzo 
Sia  dispensato  un  tinaccio  di  broda  , 

^!on  milf altre  pazzie,  che  al  volgo  pazzo 
Torcesser  gli  occhi  in  ver  la  sepoltura, 
Che  tutte  a  morte  eran  riso  e  sollazzo, 
intanto  non  si  tolse  molta  cura 
De  la  cura  de  l'alma,  forse  piena 
D'ogni  vizio,  e  sentina  di  bruttura. 

ria  non  fé  quasi  scoppiar,  per  la  pena 
Del  rider  troppo,  la  morte  un  Todesco 
Sepolto  in  San  Domenico  di  Siena. 


222  Poesie 

Che  lasciò  in  testamento  al  ber  fratesca 
Una  vigna  cui  paltò,  che  ogni  giorno 
Fosse  a  lui  dato  un  boccal  di  vin  fresco, 
Q&al  volea  che  sul  caldo  a  mezzo  giorno 
Per  un  spillo  che  in  bocca  gliel   porgesse 
Fosse  colato  fin  che '1  ciel  va  intorno, 
E  ancor  si  vede  il  buco  onde  si  messe 

Quel  vino  un  tempo,  poi  il  Papa  gliel  tol 
Perchè  morte  più  brinzi  non  facesse. 
Morendo  un  Capitan  le  membra  involse 
Ne*  panni  bigi,  e  cinsesi  una  corda 
E  farsi  frate  in  l'altro  mondo  volse. 
Ma  quando  con  la  vita  non  concorda  » 
Se  voi  vestiste  ben  da  cappuccino  : 
Non  lava  abito  santo  anima  lorda  . 
Un  barba  ceppo ,  uno  spazza  cammino 
Candido  dentro ,  ha  luogo  in  Paradiso 
Come  il  bianco  vestir  d' un  Certosino. 
Parmi  veder  quel  sardonico  riso, 

Cha  fé  Morte,  al  veder  far  frate  un    moi 
Poi  che  l'arbitrio  ella  gli  avea  reciso. 
Or  se,  (come  assai  fanno)  egli  di  corto 
Fosse  uscito  de'  frati,  e  de  le  spoglie 
Avesse  fatto  un  spauracchio  in  Torto. 
O  volesse  salvarsi  col  tor  moglie , 
Come  si  vede  far  modernamente , 
Chi  senza  il  Papa  dal  voto  lo  scioglie 
Si  beccano  il  cervel  soleunemente 

Quei  che  speran  che  un  abito  lor  vaglia, 
Da  cui  la  vita  in   lutto  è  differente . 
Ride  la  Morte  quando  la  frataglia 

Grida  a  Tarme,  e  disGda  il   Parrocchiano 
Mentre  ella  il  crin  vital  cincistia,  e  taglia 


Satiriche.  2a3 

Quei  ne  la  veste  vogliono  por  mano, 
Questo  la  vuol  veder  con  lor  de  jure, 
E  scopronsi  gli  aitar  di  mala  mano, 
t  frati  eh'  lian  pel  becco  le  scritture 
Ti  danno  al  primo  in  faccia  un,  via  ignorante, 
Scandalo  al  mondo  con  le  tue  brutture. 

Non  si  sa  che  tu  dormi  con  la  fante? 
Non  n'hai  bastardi?  adunque   tu  ne  vuoi 
Tor  quel  eh' è  nostro?  Asinaccio  arrogante? 

E  il  buon  Prete:   che  importa  questo  a  voi, 
Porci  impastati  ?  Io  lor    faccio  le  spese. 
Sono  iguoraute?   Io  pur  conosco  i  buoi. 

Ma  non  e  a  tutio  il  mondo  ornai   palese 
La  vita  vostra?  E  come  voi  trattate 
Le  vostre  sagrestie,  non   pur  le  Chiese? 

Dual  terzo  abito  ,  o  monaebe  velate 
Non  appropiate  a  voi?  non  vi  togliete 
Le  vedove?  e  talor  le  maritate  ? 

E  con  sappon  più  aspro  il  santo  prete 
Lava  la  cinerea  a'  frati ,  e  spesso  quello 
Che  muore,  ode  armonie  sì  dolci  e  liete. 

E  bene  spesso  a  spartir  tal  duello 

Convien  eh'  egli  medesino  dica ,  io  voglio 
Dar  le  candele  al  prete,  e  a  voi  il  mantello. 

Così  restano  quei  queti  com'  oglio 

E  il  vinto  prete,  a  la  parzial  sentenza 
Perde  le  sue  ragioui,  e  non  l'orgoglio. 

Se  terminava  ogni  tal  differenza 

Quel  Signor  Veneziano  al  Zio  sepolto 
Avria  forse  le  veste,  ov' ora  è  senza. 

Che  avendo  i  Frauceschini  il  carco  tolto 


Di  farli  compagnia  col  Dies  ire , 
Voltano  l'alto  basso  in  ch'era  in 


nvolto  è 


224  9   O    E    S    I    E 

Or  quandi  Morte  uìì  quel  difiinire 
Del  qualiter  la  veste  saria  loro, 
Per  troppe  risa  fu  presso  al  morire. 

Arrivati  ove  uà  altro  concistoro 
Tor  dovea  il  corpo  si  fecero  avanti 
Con  le  mani  al  cordo  ri  molti  di  loro. 

E  qui- la  veste  intendiamoci,  inoanti 

Ch'  andiam  più  oltre,  o  qui   fuor  la  lasciam 
O  vòstra  sia  per  danari  a  contanti  : 

Seguasi  pur  l'uffizio,  non  rompiamo 
Silenzio  (  disse  l'altra  parte  )  e  s'ella 
Fia  vostra  ,  sia  con  Dio ,  noi  ve  la  diam  o. 

Qualche  pazzo  il  fa  ria ,  rispose  quella 
Turba  da  le  gallozze,  o  voi  contate, 
O  il  morto  a  voi  verrà  senza  gonnella. 

Altri  dicean  dividisi  ,  ma  un  frate 
Più  discreto,  gridò,  gettisi  in  sorte, 
Sì  bella  veste,  e  non  la  dissipate. 

Pensate  voi  che  rider  fac^a  Morte 

Vedendo  quivi  in  mezzo  un  cataletto, 
E  intorno  incensi ,  e  salmi  di  tal  sorte. 

Al  fin  messo  in  gallozza  ogni  rispetto , 
Tolser  la  veste  i  Zoccolanti  accorti, 
E  diero  a  gli  altri  il  suo  morto  in  farsetto 

E  al  mio  giudizio  egli  ebber  mille  torti  , 
Perchè  oli  era  nel  cuor  dell'invernata. 
E  ridean  con  la  morte  gli  altri  morti. 

Vedendo  una  persona  si  stimata 

In  ordin  da  attediar,  come  la  vesta 
Avesse  in  Ghetto,  o  in  Frezzaria  lasciata. 

Furono  spettatori  de  la  festa 

Le  pizzochere  dolci,  e  i  Gesuati  , 
Gente  al  mondo  né  grata,  né  molesta. 


Satiriche,  225 

bigi  andaron  lieti,  e  consolati 

Gli  altri,  a  cui  il  morto  rimase  in  giubbone, 

Rimasero  stivali  infarinati . 

Quando  le  fraterie  fanno  questione 
Nel  metter  le  lor  croci  in  ordinanza, 
Davanti  al  cataletto  in  processione , 

h'  ognun  cerca  a  la  sua  la  maggioranza, 
Non  dee  rider  la  morte  a  criepacuore 
De  la  fratesca  bestiale  arroganza? 

)he  porta  con  superbia  ,  ira  e  furore 
Quel  santo  Segno  in  cui  tanta  umiltade 
INe   mostra  il  nostro  pio  Ricompratore? 

jrià  vidi  ,   non    avendo  lum  e ,  o  spade 
Da  maneggiar,  por  mano  a  pie  di  legno, 
Con  cui  fer  darsi  i  buon  h\>A  le  strade, 

-«'asta  che  porta  il   trionfante  segno 
Fece  largo  a  se  stessa,  che  altrimenti 
11  grado  de'  suoi  frati  era  men  degno» 

fidi  le  chierche  rosse  forse  a  venti  ; 
E  la   Morte  per  rider  troppo,  allora 
Smascellò ,  e  perde  quasi  tutti  i  deuti. 

da  quel  far  porsi  in  terra,  e  su  la  stora, 
Che  usan  per  cerimonia  i  saturnini 
Quand'un  muor,  perchè  muora  avanti  l'ora, 

fon  credete  che  dia  sei  bagattini 
Di  riso  a  Morte ,  a  cui  togliou  fatica , 
Le  forbici  a  troncar  di  vita  i  crini? 

j&  grande  spesa,  e  pompa  a  Dio  nemica 
De'  sontuosi  marmi ,  in  cui  si  serra 
Una  vii  puzza  che  i  vermi  nutrica, 

ion  trarrebbe  per  fin  di  sotto  terra 
Le  risa  della  Morte,  o  pazzia  grande, 
Dare  alle  tarme  quel  che  è  della  terra, 
Poesie  Satir,  i5 


2z6  Poesie 

Ho  udito  dir  che  fu  non  so  in  qual  Lande 
lina  donna  ,  che  '1  morto  suo  marito 
Usava  come  spezie  in  le  vivande. 

L'avea  ridotto  in  cartocci  ben  trito 

E '1  mettea  in  le  focacce,  in  le  frittelle, 
E  nel  vino,  e*l  facea  più  saporito. 

Ciò  dicea  far  perchè  membra  si  belle 
i  ]Non  dìvcntasser  morona,  o  prosciutto, 
O  terra  da  far  pentole  e  scodelle. 

Ma  io  giurerei ,  che  avendolo  distrutto 
Mentre  che  visse,  al  fin  si  bebbe'l  resto, 
Pei  che  in  vita  noi  potè  bever  tutto. 

Morte  condotta  anch'  ella  a  pollo  pesto 
Per  troppe  risa,  ancor  ne  bebbe  un  sorso 
Poi  tornò  a   rider  di  quello ,  e  di  questo. 

Ma  io  con  queste  risa  son  trascorso 
Fin  alle  Bebé,  e  sono  uscito  fuori 
Di  quel  mio  primo,  e  mal  salso  discorso, 

Qual  fu  di  medicar  vostri  dolori, 

Ed  ho  riso  con  Morte  vuoi  non  vuoi. 
Or  voi,  col  mio  temprate  i  vostri  umori, 
Che  la  Morte  non  rida  anco  di  voi. 


%2J 

SATIRA 

A  M.  GIUSTIN1AN  NELLI. 


S 


'io  avessi  '1  spirto  di  Pietro  Aretino, 
Del  Bernia,  o  d'  un  di  questi  semidei 
Che  rompon  tutto  '1  di  1  culo  a  Pasquino , 

Verrei  a  star  per  quattro  mesi  o  sei 
Costì  a  Piombiu  per  cavarmi  la  rabbia , 
Per  dir  de'  fatti  d'altri,  e  far  de'  miei. 

Può  fare  '1  Ciei  che  la  fortuna  m'abbia 
Per  eh'  io  non  canti  ingabbiato  a  cantare, 
E  sia  contrario  a  ogn'  altro  ucceì  di  gabbia  ? 

M  sogliono  a  contanti  comperare 
Le  scotte,  e  corvi,  non  ad  altro  effetto, 
Se  no  che  in  gabbia    imparino  a  parlare  ; 

i  quel  corvo  ingabbiato  è  più  perfetto , 
Ch'  è  più  loquace,  o  bene  o  mal  che  soglia 
Gracchiar  un  nome  dalla  fame  astretto. 

>e  tace ,  tosto  il  signor  se  ne  spoglia , 
Ma  se  sia  linguacciuto,  ognun  lo  brama , 
Né  del  suo  dir  mordace  è  chi  si  doglia. 


2,z8  -  Poesie 

Anzi  talor  che  più  spedito  chiama 

Becco,  e  puttana  i  suoi  padroni  in  faccia, 
E  nodrito  del  cibo  che  più  ama. 
Ed  io  che  (  grazie  a  questa  naturaccia  ) 
Cinguetterei  quant'  altro  barbagianni , 
Son   in  gabbia  pasciuto  acciò  eh'  io  taccia . 

Or  se  l'Aretin  fosse  ne'  miei  panni, 
O  io  ne'  suoi  vorrei  venirvi  appresso 
Per  cantarvi '1  vangel  di  San  Giovanni. 

E  se  volete  ch'io  vi  dica  espresso 

Qnel  ch'io  direi ,  rendetevi  pur  certo 
Che  non  mal  ne  di  voi  né  di  me  stesso, 

]Non   direi  don  Abate  bene  merlo 

Che  fa  i  monachi  suoi  morir  di  fame  , 
Prrehò'l  fra tei  tenga  '1  fondaco  aperto 

3Mè  che  sin   a  i  facehin  bascia  '1  forame, 
Pagai   Mal   Mia,  per  tener  in  bando 
Quei  ehe  san   la  sua  vita,  e  le  sue  trame. 

E  in   tanto  è  tolta ,  non  por  va  mancando 
La   limosina  a'  poveri  di  Cristo, 
E  delle  messe  il  rito  venerando. 

Perchè  pei    mille  speiicnze  ho  visto 

ìNon'far-  ni.  i   casa  a   tre  palchi  i  nepoti 
Che  de'  ben   de  la  cinerea  han  fatto  acquisto, 

Già  gli    antichi   buoni  uomini  e  di  voti 

Lascia van  ricche  le  Chiese,  e  i  Conventi, 
Per  mantenervi  i  casti  sacerdoti , 

Per  dar  J  avanzo  alle  povere  genti, 
Ma  non  già  perchè  tolto  uso  sì  pio 
Un   prelato  ne  ingrassi  i  suoi  parenti . 

Ma   non  vedeste  mai  né  voi  ,  né  io 

Arrivar  quel  guadagno  al  terzo  erede. 
Però  di  ciò  non  sana  il  parlar  mio. 


Satiriche.  229 

Par  senza  eh'  io  ne  parli ,  og^i  si  vede 
L'ombra  del  campami   far  grande  tale  , 
Che  altro  più  su  che  '1  campami  non  crede. 

Tal   pnr  jeri  era  quasi  alf  ospedale 

Che  in  virtù  di  queir  ombra  oggi  sperona 
Mule  e  già unetti  di  stalla  reale. 

Or  co  ne  hi  udendo  ,  assai  se  ne  ragiona 

Senza  me  in  corte,  e  sa  trovarli?  !1  guado 
Se  ben  la  corte  vostra  è  bella  e  buona. 

Estimate  un  uom  degno  di  quel  grado  , 
Che  sa  tener  la  via  de'  gran  prelati , 
Spogliar  Cristo,  e  vestire  '1  parentado» 

Pur  domandando  a  questi  tali  Abati, 
Perchè  vendono  i  Calici,  e  la  Croce, 
Perchè  lascian  morir  di  fame  i  frati, 

Vi  rispouderan  tutti  ad  una  voce, 
La  Santità  del  Papa  n*  è  cagione, 
L'avarizia  de'  preti  a'  fiati   nuoce. 

Sua  Santità  mette  ogn' anno  un  taglione, 
Decime,  e  annate,  e  altre  gravezze  strane, 
E  fa  pel  Turco  gran  provvisione. 

Nou  vi  diranuo  io  vendo  le  campane 

Per  far  mercante  e  ricco  un   mio  fratello, 
Che  già  pativa  carestia  del  pane. 

Non  vi  vorrei  travagliar  il   cervello 
(  S' io  coslì  fossi  )  del  costume  santo 
Che  'I   mondo  vuol   tornar  più   ciie  inai  bello» 

Voi  altri  dotti  sempre   fate   1   pianto 
All'ita   «Si    Saturno,   e   della    moglie, 
E  affermate  che  d'oro  avrà  '1   malo. 

Or  io  cercando  ove  un   dotlo   raccoglie 
Quella  felicità  de'  tempi ,  trovo 
Ch'alior  pctea  ciascun  trarsi  le  voglie. 


s3o  Poesie 

Ch'  essendo  rato  il  mondo  allor  di  nuovo 
Gl'uomini  andava  a  dietro  a  un  viver  lieti, 
Né  cercavan  veder  busche  nel!'  uovo. 

Non  eran  leggi ,  canoni ,  decreti , 
Clementine,  e  statuti,  o  decretali, 
Scomuniche,  e  interdetti,  arme  da  Preti. 

Kon  Bartoli ,  non  Baldi ,  o  questi  tali 
Venuti  con  paragrafi,  e  con  chiose 
A  torbidar  l'acqua  chiara  a'  mortali. 

Ma  potean  quelle  genti  avventurose 
Senza  tema  d' infamia  o  di  censura 
Amare,  e  trarsi  le  voglie  amorose. 

E  perchè  il  dover  vuol  ,  vuol  la  natura 
Che  più  s'ami  chi  è  più  parente  stretto, 
E  di  colui  si  debba  aver  più  cura , 

In  queir  etade,  in  quel  viver  perfetto 
Era  virtù  l'amar  fratel,  sorella, 
Non  pur  d'ogn' altro  grado  oggi  interdetto. 

Venne  l'età  d'argento,  e  dopo  quella 
11  rame ,  e  poi  questo  tempo  scipito , 
Quest'  età  che  di  ferro  ha  la  gonnella , 

Nel  qual  si  mostra  come  un  boja  a  dito , 
Un  che  seguendo  queir  usanza  antica 
Sazia  con  le  parenti  ogni  appetito. 

Quando  merta  che  ognun  lo  benedica 

Perch'  egli  ama  '1  suo  sangue,  e  gli  compiac 
Senza  incorrer  pericoli ,  o  fatica. 

Però  s' io  ben  conosco  un  che  si  giace 
Con  la  cognata  }  e  che  stanno  in  riposo, 
Tre  in  carne  una,  in  caritade  ,  e  in  pace, 

Noi  direi,  che  uri  amor  tanto  succhioso 
Chiama  due  mila  miglia  di   lontano, 
Quel  secol  d'oro  santo  e  glorioso. 


Satiriche;  23i 

E  niun  eh*  abbia  la  mente,  e  '1  cervel  sano 
Dovria  biasmar  sì  intera  fratellanza, 
Raro  esempio  d'amor  vero  e  cristiano. 

Ben   hanno  tolta  su  tal  dolce  usanza 

Quei  nostri  in  Siena ,  ove  a  comune  entrata 
Abitan  più  fratelli  in  una  stanza . 

Non  direi  eh'  una  donna  maritata 
In  cortigiani ,  il  capo  sì  gli  adorna , 
Che  si  scorge  assai  men  la   Montumiata. 

Perchè  un  buon  cortigian   non  teme  corna. 
Anzi  si  pavoneggia,  e  n'ha  favore, 
Oltra  che  util  non  poco  gliene  torna , 

Or'  al   Papa ,  ora  a  Cesare  oratore 

Va  per  tal  mezzo ,  per  tal  mezzo  è  fatto , 
Nobile   e  ricco  ,  e  socio  del  Signore. 

Ne  direi  del  miracol  contraffatto 

Di  molti  vostri  che  per  maneggiarsi 
Con  la  lupa,  son  ricchi  sì  in  un  tratto. 

Non  vi  direi  ebe  sogliono  vantarsi 
Tanto,  quissi  Cupidi  dello  Regno 
Di  quel  che  mai  non  fer,  n'è  mai  per  farsi, 

Con  quel  parlar  cacascio  ognora  preguo  , 

Con  quei  sospir  d'un  vecchio  ch'abbia  l'asma* 
Da  far  crepar  di   risa   un    uora   di  legno. 

Quisso  che  Chilla  traditola  spasma  , 

Quello  fa  il  gìorgio ,  un  altro  lo  sdegnoso 
A  coda  ritta  come  la  fantasma. 

E  che  più?  fin  quél   goffi  ohe'l   Francioso 
S'ha  comprato  a  gli  orbachi  ha  chi  lo  prega, 
(  Udendo  lui  )  che  faccia   l'amoroso. 

La  saria  ben  come  le  gatte  in  frega , 
Quella  ch'avesse  sì  strani  appeiiti, 
O  eh'  a  sì  sciocca  gente  gli  occhi  piega. 


232  Poesie 

Ma  di  grazia  sieurinsi   i  mariti  , 

Clie  in  ciò  si   mosti  a  ,  quei  trarsi  le  Toglie 
Coinè  i   furbi 4  all'  odor  de'  lor  conviti. 

Se  (  come  soj>Ìion  dir  )  godou  la   moglie 
Di  questo  e  di   quell'altro  gentiluomo, 
Ond' esce  il  mal  fra  nei  oso  con  le  doglie? 

Il    Papa   fa   scoprii  le  bolle  al  Domo 

Francia  non   già  ,  perocché  Borgo  Franco 
E  san    Marlin,  grideriano  accorr' uomo , 

Ma   per  seguire,  io  non   vi   direi  anco 
Che  questi   bravi  a'  conventi   fan   guerra 
Per  dar  di   punta  e  di   taglio  aì  pan  bianco 

Né  vi  direi  che  in  questa   vostra  terra 

Sou  cagion  venti,  al  più,  giovani  ,  o  trenta 
Che  la  giustizia  è  due  miglia  sotterra. 

Io  temo  (  e  voglia  il  Ciel  pur  eh'  io  ne  menta  ] 
Che  Dio, ch'or  dorme,  o  a  maggior  cosa  è  intento, 
Con   mal   di  lutti  un  dì  non  si  risenta  : 

L'ira  sua  ben   procede  a  passo  lento, 
Non  sempre  paga  il  sabato,  ma  poi 
La  tardezza  compassa  col   tormento. 

Questo  ,  perchè  mi  spiace ,  e  so  che  a  voi 
Spiace  non   meno,  io  noi  direi  ;  piuttosto 
Vo'  tacer,  che  dir  cesa  che  v'annoi. 

Non  direi  quel  che  disse  l'Ariosto 
Che  il  dormir  co'  Poeti  sia  periglio, 
E  tener  lor  le  schiene  troppo  accosto, 

Che  messer  Cassio  mio  turberia  il  ciglio 
E  direbbe  eh'  io  ho  '1  dir  troppo  arrogante 
Come  fosse  in  lui  sol  quel  peccadiglio. 

Di  grazia,  Messer  Cassio  mio  galante, 
Non  crediate  eh*  a  Parma  sol  si  giostri 
Cou  sopravveste  l'addieiro  dinante. 


Satiriche.  233 

he  non  pur  gli  uorain  dotti  a'  tempi  nostri  , 
Ma  in  Siena ,  fin  a'  vii  pizzicaroli  , 
Seguono '1  slil  de'  Parmigiani  vostri. 

To  fallito,  volea  dir  cerajuoli  , 
Ne  son  passati  ancor  sei  giorni,  ch'uno 
Morì  per  troppo  amar  gli  altrui  figliuoli. 

1  se  ben  il  morir  duole  a  ciascuno  , 
Non  molto  dolse  a  lui,  non  fé'  querele 
Già  eh*  il  morir  fu  al  vivere  opportuno. 

/ape  desia  finir  suoi  dì  nel   mele; 
Nel  buco  il  grillo,  sotto  Tonde  il  pesce, 
La  pulce  in  sen  di  donna  empia  e  crudele. 

il  calabrone  il  morir  meno  incresce, 
Se  nel  sterco  gli  vien  l'ultima  sera  , 
Ove  sol  gode ,  si  nodrica  ,  e  cresce. 

]osì  non  dee  parer  gran  fatto  fiera 
La  morte,  uscendo  a  un  ceraiuolo  il  fiato 
Nella  propria   bottega,  e  nella  cera. 

3redo  eh'  il  caso  a  voi  fosse  narrato 
Tosto  che  voi  foste  arrivato  a  Siena, 
E  so  eh' anco  a  Piombino  è  divolgato, 

Però  non  vel  direi ,  basta  che  piena- 
Mente  visse ,  e  morì  nella  sua  arte 
Ed  ebbe  i  degni  frutti  alla  sua  cena. 

)r   volendo   pur  dirvi  in  qualche  parte 
Quel  ch'io  direi,  direi  cose  da  spasso 
Senza  notar  gli  altrui  difetti  in  carte  . 

le  pur  avessi  a  trar  quel  rider  grasso 
De'  denti  al  Signor  nostro  per  tal  via, 
Noterei  '1   maggior  domo  Babuasso  . 

Direi   che  tien  in   Piombino  osteria 
Per  terza   mano  e  perchè  abbia  gran  corso, 
A  viva  fame  i  cortigiani  invia. 


234  Poesie 

Com'  escori  di  Tinello  hanno  '1  soccorso 
Di  suoi  segreti  agenti,  che  a  minuto 
Vendono  a  chi  ne  vuol  razzese  ,  o  corso  • 

Così  il  vino  che  in  Corte  hanno  bevuto, 
Acqua  tinta,  cercone,  o  muffo  trova 
Ver  l'anima  de*  soldi,  qualche  ajuto. 

Ma  il  dir  mal  non  mi  piace  e  non  mi  giova 
Però  direi  del  venerabìl  piombo , 
Mostrando  che  può  star  cou  loro  a  prova. 

Celebrerei  le  triglie ,  i  polpi,  e  il  rombo, 
Le  murene,  le  rauste  ,  e  le  sardelle, 
Già  eh'  io  non  gusto  quaglia,  uè  colombo, 

Informerei  '1  Signor  talvolta  delle 
Negromanzie  di  Damiano,  e  prove 
Che  Pier,  d'Abano  mai  non  fé'  più  belle. 

Col  pulirsi  'una  calza  (  o  rare ,  e  nuove 
Isperienze  )  a  questa  donna,  e  a  quella 
Fa  grattar  gli  occhi  ove  lor  prude  altrove. 

No  so  s'avete  udito  che  il  Gonella 

Sapea  quest'  arte,  e  mmpea  con  un  cenno 
Più  d' un  boccale,  e  più  d'  una  scodella. 

Ma  l'opre  sue  comparar  nou  si  denno 
A  queste:  egli  col  trarsi  la  berretta 
Faeta  far  le  pazzie,  questo  dà  il  senno  . 

Che  s'  a  caso  pulisse  la  brachetta 

Come  la  calza  ,  e  fosse  alla  presenza 
Dì  donne,  gratterian  con  tanta  fretta 
Gli  occhi ,  che  forse  rimarrebber  senza. 


*35 

SATIRA 

SIGNOR    AMAKANCO. 


o  mi  vi  scuso  avanti  eh'  io  vi  scriva  , 
Ch'  io  volea  un  fascio  far  di  mie  fatiche , 
Ma  sono  un  mar  che  non  ha  fondo  o  riva  • 

Ìli  era  un  volervi  dir  quante  formiche 
Abbia   la  state,  o  stelle  il  ciel  sereno, 
0   Aprile,  e  Maggio  fiori,  o  Luglio  spiche. 

Stracciò  la  mia  penna  in  un  baleno 
Va  di  trasto  in  sentina  ,  e  a  mio  dispetto 
Scompiscia  altrui,  riè  a  mio  voler  raffreno. 

*erò  quelle  serbandomi  nel  petto 
Vi  scrivo  '1  mio  rimedio ,  e  vi  dimostro 
A  medicar  (  s'  avete  alcun  difetto  ) 

\nzi  n'avete,  anzi  abbiam  tutti '1  nostro 
(Come  suol  dirsi)  impiccato  alla  porta, 
E  vel  farò  veder  con  questo  inchiostro. 

?u  al  tempo  antico  una  persona  accorta 
Che  fece  un  uomo  ,  e  V  impastò  di  smalto 

!    E  lo  fé'  viver  eh'  era  cosa  morta  • 


236  Poesie. 

Il  quale  andò  poi  coti  le  donne  in  salto 
E  ne  fé  nascer  tanti  ,  che  s'  arrabbia 
Talora  andar  da  snn   Marco  a  .Rialto . 
Or   perchè  chi   Pavea  fatto  di  sabbia, 
Per  riscaldarlo  furò  '1  fuoco  a]  Sole, 
Fu  ca  gioii  che  gli  venie  rogna  e  scabbia, 
Ferzo,  latti  me ,  vermini  e  varòle, 
Fèbbre     fianchi  ,   renella  e  gelosia  , 
Marte]  d'  amor  pelat.iua  e  caròle  . 
E  quei   mali  che  stanno  in   fantasia, 
Che  per  molto  mirar  nel  l'orinale 
Non -li  conosce  1'  Abioso  o  il  Pavia. 
Quali   essendo  rinchiusi  in  un  boccale, 
Non   pria   Y  aperse  1'  uom  falto  di  creta, 
Che  saltar  fuor  come  mosche  o  zeuzale, 
E  l'ossa  marce,  e  fer  la  pelle  vieta 

Air  uom  terrigno  ,  onde  al  buon  Foruacia 
Ch'  era  cagion  del  mal  ne  venne  pietà  , 
E  a  tutti  mali  usò  qualche  riparo, 

Diede  unzioni,  empiastri ,  erbe  e  sciloppi, 
E  i  clisteri  anco  da  lui  incominciaro  . 
Gli  occhiali  a'  loschi  e  die  le  croci  a'  zoppi,. 
Le  becche  a'  gobbi,  e  '1  brachier  a'  dulosi  , 
Niente  diede  a'  par  miei  perdi'  eran  tropp 
Trovò  un  rimedio  ancor  a'  mal  franciosi , 
Di  cui  gli  animi  nostri  sono  infetti. 
Non  per  sanar,  ma  far  manco  nojosi. 
Ne  die  due  sacchi  ,  un  grande,  in  cui  i  di  fé 
Suoi  ciascun  porti  i  più   graudi  e  i  più  grossi 
Quali   per  non  veder  dietro  si  getti . 
Vuol  che  dopo  le  spalle  ognun  s'  addossi 
1  suoi  vizj  ,  e  così  parranno  un  pelo , 
Anzi  esser  ne  parrà  leggieri  e  scossi. 


Satiriche.  237 

aitro  un  i     .netto  picciol ,  ma  d'  un  velo 
Trasparente,  che  mostra  F  altrui   mende 
Come  lanterna  un  acceso  candelo . 
uesto  davanti  agli  occhi  nostri  pende, 
Questo  ne  fa  sudar,  questo  ne  impaccia, 
Questo  dal  nostro  carco  ne  difende  . 
nde  a  chi  salta  in  hestia  ,  a  chi  minaccia 
Perch'ai  sacchetto  suo  son  troppo  intento, 
E  che  quasi  del  mio  perdo  la  traccia  , 
ia  detto  eh'  io  fo  pi  t ima  e  fomento 
Al   mio  mal  con  l'  altrui  ,  che  se  li  piace 
Facciala  al  suo  de!   mio,  ch'io  son  contento, 
r  voi  (sei  vostro  v'aggrava,  o  dispiace). 
Tenete  gli  occhi  in  T  aitruì  sacco  intenti, 
E  porterete  ogni  gravezza  in  pace, 
erhigrazia  le  lingue  maldicenti 
Vi  tassano,  che  voi  per  parer    dotto 
Non  credete  più  alto  che  i  correnti  • 
[uesi'  è  gran  soma ,  e  restereste  sotto 
Se  non  avesse  avanti  per  un  specchio 
Almen  de'  venti ,  il  sacco  de'  diciotto, 
on  pur  nell' Alemagna,  ove  gli  è  vecchio 
!  Questo  peso,  onde  il  fratacchion  Lutero 
|  Messe  ai  mondo  tal  pulce  nelT  orecchio  • 
f.a  nelF  Italia  ancor ,  (  ne  v'  è  mestiero 
I  Molto  andar  lungi  )  ria  chi  vi  riscuota, 
Chi  faccia  1  vostro  carco  atto  e  leggiero 
on  parrebbe  oggidì  saper  un  Jota 
A  qual  dottor  si  sia,  se  non  dimostra 
Che  openion  lo  stimoli  o  percuota  . 
,  non  pur  gli   uomin  dotti  all'  età  nostra  , 
Ma  il  barcaruolo  e  1  fabbro  e  1  marangone 
y  aj  ulano  a  portar  la  soma  vostra. 


235  Poesie 

Il  facchin ,  la  fantesca  e  la  sciita von e 
Fan  del  libero  arbìtrio  anatomia , 
E  torta  della  predestinazione  . 
Quello  il  vuol  zoppo ,  e  questo  vuol  che  sia 
Carro  da  buoi ,  eh'  a  trarlo  in  su  si  stenta 
3Nè  può  tenersi,  ov' all' ingiù  s'invia. 
E  cosi  la  Teologia  diventa 

Parlamento  del  forno,  e  un  porta  il  cesto 
Ne  fa  strazio ,  la  pela  e  la  tormenta . 
Ben  voi  sapete  onde  procede  questo 
Senza  eh'  io  il  dica ,  i  pergoli    moderni 
Han  condotta  la  fede  a  pollo  pesto  ; 
Perchè  quando  dovrian  de'  ben  superni 
Esserne  tromba,  o  de  gl'inferni  danni, 
E  dimostrarne  come  1'  uom  s*  eterni  , 
Oggi  pur  eh'  un  predicator  s'  affanni 
In  parlar  tosco,  in  parer  boccaccesco, 
E  in  questo  abbia  sudato  gli  anni  e  gli  an 
Pur  che  1'  abbia  chiamato  sotto  il  desco 
Quintiliano  ,  o  Tullio  seco  a  cena  , 
INon  cederia  quel  erado  a  San  Francesco  . 
Pur  eh  et  vi  sappia,  or  con  voce  alta  e  piei 
(  Senza  bisogno  ),  or  con  parlar  si  basso 
Cli'  egli  stesso  che  parla  s'  ode  a  pena , 
Con  bella  barba ,  interpretarvi  un  passo 
Della  scrittura ,  onde  vJ  alienti  il  morso , 
O  vi  gratti  1'  orecchia ,  o  vi  dia  spasso , 
Questo  sarà  vero  appoggio  e  soccorso 
Di  santa  Chiesa,  ch'anderia  in  mina 
S'egli  a  porvi  la  mait  non  fosse  accorso. 
Pur  che  '1  mal  uso ,  eh'  al  peccar  n'  inchinai 
Sappia  trar  di  nascoso  in  violenza, 
E  questioneggi  di  lana  caprina  , 


Satiriche/  a3g 

>uesto  avrà  più  concorso  e  più  udienza 
Che  se  f  sse  un  San  Paolo,  e  da  tutti 
Sarà  tenuto  un  fonte  di  sticuza. 

I  in  tanto  son  di  sue  prediche  i  frutti , 
Che  con  sue  sottigliezze  aite  e  fastose 
Mette  in  dubbi»  '1  cerve!  per  fin  a'  putti. 

>r  per  tornar  ,  se  gravi  e  ponderose 
Sou  l'opinion    vostre,  abbiate  avanti 
L'  altrui ,  e  fien  le  vostre  fiori  e  rose  . 

e  il  volgo  vi  tenesse  un  graltiasanti 
Di  fuora  via  ,  come  sono  oggi  molti 
Che  non  sei  toccherian  se  non  co*  guanti, 

oi  dentro  hanno  i  pensieri  e  i  sensi  involti 
In  mille  e  più  bruttezze,  e  nel  segreto 
Meriteriano  vivi  esser  sepolti, 

iettate  pur  il  vostro  sacco  a  drieto 
Che  '1  viver  spiritai  de'  tempi  nostri 
Di  mille,  o  più  vi  farà  1'  occhio  lieto. 

)uanti  pur  jeri  andavano  pe'  chiostri 
De'  conventi  infilzando  ave  marie 
Biasciando  e  barbottando  pater  nostri , 

Juali  oggi  per  provar  se  per  più  vie 
S' ascende  in  Ciel ,  godon  con  la  mogliere, 
E  ridonsi  or  delle  fratil  pazzie, 
guanti  del  suo  non  dariau  un  bicchiere 
D'acqua  fredda,  e  fan  trar  1' altrui  scarsella, 
Oltra  '1  suo  grado  oltr'  ogni  suo  potere  , 
®er  mantener  quest'  ospedale  ,  e  quella 
Chiesa ,  per  farsi  a  fanciulle  la  dote 
E  di  lor  carità  sol  si  favella; 
i  cento  argani  grossi ,  e  cento  ruote 
Non  trarrebbero  un  soldo  in  csnt'  uà  anno 
Da  queste  genti  sì  «ante  e  divote  , 


14&  Poesie 

Basta  che  s'  affaticano  ,  e  che  vanno 

PeJaudo  questo,  e  quel  per  l'opre  sante* 
E  dell'  altrui  nome  immortai  si  fanno  . 

Intanto  al  prete ,  al   famiglio  ,  alia  fante 
Negano  il  suo  salario ,  e  il  ben  servito 
Che  dien'  aver  già  dodici  anni  innante. 

Ma  quel  che  è  peggio  ,  tal  si  mostra  a  dito 
Maritator  di  fanciulle,  che  spesso 
Fa  la  credenza  di  quelle  al   marito. 

E  tanto  ha  lor  l'Ipocrisia  permesso, 

Che  i  vostri  occhi  vedrà u   far  mille  mali  , 
Né  '1  crederete  a'  vostri  occhi  voi    stesso. 

Come  già  avvenne  d'un  di  questi  tali 

Non  sono  ancora  mili'  anni ,  il  qnale  aveva 
Più  scrupoli  che  tutti  gli  speziali, 

Bene  a  mirarlo  in  viso  mi  diceva 
Non  ti  fidar  ,  ma  poi  col   collo  torto 
Avria  fatto  saltar  Anton  da  Leva. 

Questo  per  carità  tutto  arso,  e  morto 
D'  un'  orfa nella  ,  aveale  per  tal  via 
Furfantata  gran  dote  in  tempo   corto. 

Ma  perchè  non   pigliasse  mala  via 

Tenea  Alibecche  notte  e  giorno  seco , 
Contemplando  quel  ben  eh'  al  Ciel  n'  invia, 

Vuolse  al  fin  la  disgrazia  ,  e  '1  desti n   cieco 
Che  '1  dolce  contemplar  lor  fu  interdetto  , 
Di  eh'  egli  rinnegò  quasi  il  pax  teco. 

Pur  vie  più  santo  che  ser  Ciapelletto 
Giura  averla  tenuta  casta  e  pura  , 
Gli  anni ,  non  pur  i  mesi,  a'  fianchi  in  leti 

E  la  sua  dote  di  cui  egli  avea  cura  , 
Per  consolar  la  perduta  dolcezza  , 
Fu  resa  alla  fanciulla  con  T  usura  • 


Satiriche.  241 

'orse  in  mezzo  tenean  per  sicurezza 
La  sbarra ,  come  alcune  sette  nuove  , 
Che  in  letto  sperimentau  lor  fortezza. 

)orme  insieme  uomo  e  donna  ,  e  al  far  le  prove 
Senocratesche ,  è  testimonio  un  legno 
Che  non  vede ,  non  parla  ,  e  non  si  muove* 

arvi  che  il  mondo  abbia  trovato  ordegno 

D'andare  al  Ciel  ?  da  vincer  gli  appetiti? 

Da  far  le  fiche  al  tenebroso  reeno  ? 

1  •  1  •     •  • 

ener  un  legno  ìu  mezzo  che  ne  inviti 

A  contenenza ,  e  in  quei  furori  dica  : 

Non  parate,  io  son  qui,  siate  avvertiti» 

que^  i  santa  al  viver  santo  amica  , 
Che  prova  i  suoi  soldati  in  tal  duello, 
Mettesse  in  mezzo  un  ramuscel  d'  ortica, 
)  direi  eh'  eli'  avesse  più  cervello  , 
Ma  né  ortica  ,  né  spiedi  ,  o  s'  ivi  fosse 
Il  fuoco  ,  terria  a  segno  questa  o  quello, 
on  frenan  quel  furor,  mar,  fiumi,    o  fosse, 
Non  si  ritien  con  tetti ,  porte  ,  o  mura  : 
E  nel  letto  starem  forti  alle  mosse  ? 
a  figlia  appresso  1  padre  è  mal  sicura 
In  camera ,  non  pur  sotto  lenzuola , 
E  un  baston  farà  forza  alla  natura? 
eh  perchè  dunque  a  così  dolce  scuola 
3Non  concorrono  a  gara  le  persone  , 
Già  che  per  simil  prove  al  Ciel  si  vola  ? 
a  per  dir  la  mia  ferma  opinione, 
Io  ho  volto  un  magazzin  di  carte ,  e  trovo 
Cb'  un  spiritai  può  saltar  un  bastone. 

e  sia  il  vero  ,  un  santon  dal  tempo  nuovo 
Che  diceva  ogui  giorno  il  Verbum  caro  , 

Che  conoscea  V  altrui  busca  nelF  uovo  , 

Poesie  Siici r.  16 


242  Poesie 

Gì*  a  quanti  sono  scritti  in  calendari 
Dicea  T  intemerata  ,  e  apria  le  porte 
Del  paradiso  col  suo  breviaro  : 
Ch'era  forier  delia  celeste  corte, 

Che  ove  udiva  qualcun  parlar  d'  amore , 
Volea  seco  vederla  in  fin  a  morte  : 
Chi  avesse  alla  commar  tocco  1*  onore  ? 
Guarda  la  gamba,  il  fuoco  aspro  e  penao 
L'  avria  bruciato  vivo  infin  al  cuore. 
Un  cane  ,  un  orso  ,  un  fier  lupo  rapace  , 
Che  un  sottocchio  a  una  vergine  volgesse 
Mai  seco  non  avea  triegua,  ne  pace. 
Udiva  a  san  Fantin  tutte  le  messe  , 

Sempre  era  in  orazion,  sempre  in  preghici 
Che  la  figliozza  buona  sorte  avesse. 
La  commar  eh'  era  vedova  ,  e  leggiera 
Lo  tenea  in  casa ,  adorava  per  santo  , 
Parealé  aver  1'  arra  del  Cielo  intera. 
Alla  fiae  il  compar  lupo  col  manto 
D'  Agnello  *  alla  figl  tozza  di  nov'  anni 
Fece  di  due  stanze  una,  a  sangue,  e  a  piani 
Bel  tratto  da  compar  di  San  Giovanni , 
Da  santole  divoto  ,  o  Cielo  ,  o  cosa 
Da  far  luterà narsi  il  Pietegianni. 
Or  s*  affanna  la  sua  commar  pietosa 
A  medicar  la  figlia  ,  e  si  lamenta 
Ch'  egli  tal  tentazion  tenne  nascosa , 
Ch'  ella  sa  ben  che  Y  avversiera  tenta 
Gli  uomini  santi ,  e  forse  gli  averebbe 
Senza  dolor  Ja  tentazione  spenta. 
"Pensate  voi  se  stato  al  quia  sarebbe 

Sotto  il  caldo  del  letto  il  buon  compare  , 
Se  a  quel!'  età  rispetto ,  e  a  Dio  non  ebbe 


Satiriche.  2^ò 

Dento  altri  sacchi  vi  potrei  mostrare 
Di  simil  mercanzia ,  se  pur  bisogna 
Più  peso  a  farvi  dei  vostro  ingannare. 

Voi  sapete  del  santo  da  Bologna 
Che  seudo  vecchio  ,  e  per  santo  adorato 
Tolse  moglier  ,  ne  sei  tenne  in  vergogna; 

Ma  non  per  questo  era  men  santo,   e  grato. 
Se  fosse  stata  una  moglie  a  bastanza  , 
Se  almen  fosse  di  donne  contatalo. 

Quel  che  '1  privò  d'  onor  ,  di  nominanza  , 
Che  '1  fé'  bandir ,  fu  che  al  fin  fu  scoperto 
Andar  dietro  alla  bolognese  usanza. 

I  eh'  egli  avea  per  forza  un  uscio  aperto , 
Come  '1  prete  che  in  piazza  di  san  Marco 
Ardeste  in  questi  di  per  beuemerto. 

Questo  può  far  sì  lieve  il  vostro  carco  , 
Che  iprocresia  non  vi  darà  più  noja  , 
E  però  leggiermente  me  ne  varco. 

Ma  vi  resta  un  gran  peso  che  r  annoja , 
Per  cui  tanto  sudor  talor  vi  cola, 
Che  voi  potreste  mi  dì  lasciar  le  cuoja  : 

Questo  è  il  peasier  di  quella  vostra  mola  , 
Certo  non  mola  da  molin  da  vento  , 
Cui  bastar  debba  la  vostra  acqua  sola. 

^ual  (se  ben  voi  macinate  frumento 
Secondo  il  poter  vostro)  non  per  questo 
Sente  mai  pieno  il  suo  largo  palmento  y 

Questo  peso  di  iei  v'  è  sì  molesto, 
Che  (a  quel  che  voi  l'altr'ier  me  ne  scriveste) 
Chi  non.  v'  ajuta  farete  del  resto. 

Però ,  per  darvi  medicine  preste 
E  liberarvi  da  sì  grave  pena 
O  lasciarvi  col  sacco  nelle  peste, 


244  Poesie 

Gettate  il  sacco  suo  dietro  la  schiena, 
Che  senz*  altro  farà  leggiero  il  peso 
L;*   mia  valente  vedova  da  Siena. 
Quale  avendo  di  se  buon  conto  reso  , 
E  rotte  ottanta  lance  a  botta  salda, 
È  degna  che  il  valor  di  lei  sia  inteso. 

Quesla  vicina  a  cinque  croci ,  e  calda 
Del  suo  marito  ,  in  lei  passo ,  e  sepolto , 
Senza  il  pan  unto  non  potea  star  salda. 

Un  giovan ,  che  pur  or  mutava  il  volto  , 
Nervoso  e  forte,  e  eh' anco  a  Messalina 
Averia  il  pizzicor  sopito,  o  tolto, 

Tolse  a  saldar  le  piaghe  alla  meschina  , 
Ma  era  (quantunque  magro  divenuto) 
Un  giugner  olio,  e  legna  alla  fucina. 

Come  i  medici  fanno  tolse  ajuto 

Di  cinque  uguali  a  lui  ,  valenti  in  giostra 
Ciascuu  di  lor  ben  lombato  x  e  membruto. 

Riuscirò  meglio  in  campo,  che  alla  mostra, 
Ma  dopo  rotte  aver  trentasei  lance  , 
Quella  quintana  ancor  salda  si  mostra. 

Vedendo  alfin  eh*  altro  volea  che  ciance 
A  spuntar  tal  potenza,  a  suon  di  corno 
Si  venne  a  pareggiar  queste  bilance. 

Quarantaquattro  li  giostranti  forno  , 

Le  botte  ottanta ,  ed  ella  ognor  più  franca 
Si  dolea  che  sì   tosto  venne  il  giorno , 

Che  aifin  non  sazia  Ih  trovò,  ma  stancai 


245 

SATIRA 

A  M.  FRANCESCO   FILETTO. 


o  vorrei  pur ,  padron,  che  questa  mia 
Carta  arrivasse  a  un'  ora  accomodata  f 
Ch'ella  non  vi  trovasse  in  quarantia, 

h'  ancor  non  fosse  la  turba  adunata 
Per  li  consulti  ,  o  madonna  primiera 
Non  impedisse  il  messo,  e  l'ambasciata. 

è  avesse  a  fare  il  sommario  la  sera 
Per  tor  la  mattina  un  di  mano  al  boja§ 
O  per  far  parer  mio  quel  che  non  era, 

!  a  quest'  ore  venisse  il  Re  di  Troja 
Guido  risponderà  col  grugno  torte* , 
Gli  è  occupato  messer,  non  gli  dar  noja, 

rtuanto  più  a  me?  che  sa  ch'io  non  vi  porte 
Starne  ,  o  fagiani  ?  anzi  parer  vi  soglio 
Al  dar.  gravezze  vivo  ,  al  pagar  morto? 

la  se  per  buona  sorte  questo  foglio 
Vi  trova  alla  Giudecca  ,  o  alla  Pasina  , 
V  avrà  proprio  nel  tempo  eh'  io  vi  voglio. 


246  Poesie 

Chi  ha  da  parlar  con  voi  ,  se  Y  indovina 
Di  trovarvi  qui ,  o  lì,  scrivila  pure 
Per  ventura  ,  e  Battezzila  per  fina. 

Perchè  udite  le  sue  disavventure 

Con  F  animo  in   un  pezzo  ,  e  non  troncate 
Il  tempo  e  il  dir  con  sì   brevi  misure, 

Come  nel  studio  ,  ove  udienza  date 

Con  le  bilance ,  e  per  far  parte  a  tutti 
Le  parole  col  tempo  balestrate. 

Onde  un  eli'  avrà  da  basso  ne'  ridutti 
Stillatosi  il  cervello  otto  ore  ,  o  dieci 
Spesso  i  fior  se  ne  porta  senza  i  frutti. 

Sena'  io  costì  ,  più  volte  pensier  feci 

Di  far  pisciar  questa  mia  penna  inchiostro 
E  far  versacci  ,  non  latini ,  o  greci , 

Ma  in  questo  dir  bernesco  ,  anzi  pur  nostro , 
Da  nessun  tolto  in  presto  ,  e  un  di  mostrar 
Quanto  sia  faticoso  il  viver  vostro. 

Per  far  che  quei  che  si  gravano  a  darvi 
Cinquanta  scudi  d'  una  ringa  ,  e  cento 
Sian  più  cortesi,  e  più  pronti  a  pagarvi, 

Io  ho  provato  gli  affanni ,  ed  il  tormento 
De'  litiganti ,  e  la  pena  e  il  dolore , 
E  un  giorno  ne  vo'  dar  le  vele  a]  vento, 

Ma  quelli  han  solo  ad  una  causa  il  cuore  ; 
Voi  in  cento  parti  il  pensier  dividete , 
Tal  che  il  fastidio  vostro  è  assai  maggiore. 

Hon  mai  un  giorno  ,  un'ora,  o  un   punto  ave 
Che  sia  vostro  ,  anzi  voi  sete  prigioni 
Di  quei  prigioni ,  e  rei  che  difendete. 

Non  vi  lascia  mangiar  quattro  bocconi, 
Non  dormir  ,  la  cateiva  più  nojosa 
Che  zenzare  ,  che  mosche  ,  o  calabroni , 


Satiriche.  347 

ìhe  fa  inessere  ?  el  desina,  el  si  posa  , 
L1  inquieto  Cliente  soffia  e  geme, 
Passeggia,  scraccbia  ,  sputa  e  non  ha  posa, 

Eccone  un  altro  e  un  altro  e  venti  insieme, 
Ciascun  vuol  farsi   udir  ,  ciascun  la  porta 
Qual  nemica  mortai  percuote  e  preme  . 

fnde  V  è  forza  andar  per  la   più  corta 
A  spedir  lor,  torvi  spesso  da  mensa 
Prima  che  venga  1*  arrosto  o  la  torta, 
/esser  d'un  avvocato,  chi  ben  pensa, 
È  un  mulino ,  ove  a   macinar  concorra 
D'ogni  sorte  di  genti,  copia  immensa, 
lorae  sente  '1  tintin  che  snona  e  scorre 
Su  per  le  mole,  lascia  la  merenda, 
E  con  mani  unte  il  moli.iaro  accorre, 
redo  che  forse  a  quel  tinti  no  intenda 
Che'l  frumento  ch'ei  frange,  è  presso  ai  fine, 
Che  non  si  scordi  il  toglier  la  molenda. 
ro\  al  soffiar  delle  genti  meschine 
Sentite 't  segno,  e  con   fretlosi  passi 
Calate  al  bas^o  a  uiolendar   farine, 
errino  a  mezza  notte  i  vostri  spassi 
Sono  i  consulti  ,  e  quel  tempo  che  resta, 
Con  la  Ringa  e  col  sonno,  al  sonno  da$sj. 
i  pena  avete  posata  la  testa, 
Ecco  T  alba  ,  ecco  la  perduta  gente  , 
Ecco  la  tuiba  ad  altri,  e  a  se  molesta. 
/  è  mezza  terza  patrone  eccellente, 
Noi  sarem  troppo  tardi  ,  patron  caro, 
Dice  quel  che  vi   fa  '1  giorno  eminente,, 
rolge  carte  e  processi ,  e  d*  un  migliaio 
Di   ricordi  v'intriga  m  il  cervello, 
Che  rinnegate  '1  credo  e  '1  «alendaro . 


348  Poesie 

Il  Zane  m'  è  padron  ,  padre  e  fratello  ; 
Pur  meco  perse  un  dì  la  pazienza , 
E  in  bel  collegio  mi  cacciò  in  bordello. 

E  die  il  cancaro  a'  frati  in  mia  presenza, 
Tutto  per  cu'  io  diceva  io  vi  ricordo 
La  tal  cosa ,  alla  tal  fate  avvertenza  : 

Un  litigante  è  del  vincer  sì  ingordo 

Che  non  dà  a  se,  o  altrui  pace  o  riposo  , 
Ma  ad  ogn'altro  piacer  è  cieco  e  sordo. 

Voi  partite  di  casa  pensieroso  , 

Or  quel  vi  tiene,  or  quel  vi  si  attraversa 
Or  questo  chiama,  or  quell'altro  appojoso. 

Che  farò  ?  son  citato  alla  roversa 

Dice  un  ,  F  altro ,  inesser  venite  or  ora 
Se  non  la  nostra  causa  è  più  che  persa; 

A  tal  cbe  spesso  maladite  1'  ora 

Che  vi  fece  avvocati  ,  e  or  quello  or    questi 
Impanzanate,  e  mandate  in  malora. 

Se  messcr  Malaguzzo  esce  del  sesto , 

Se  gli  ha  perduto  del  cervel  gran  parte 
Mi  maraviglio  cu'  ei  non  perde  il  resto. 

Non  per  troppo  voltar  Birtoli,  o  carte, 

(Sendo  egli  un  dottor  nuovo»  un  bello  in  banca 
Ma  perch' è  deboluzzo  in  quella  parte,, 

Anch' egli  ha  nella  testa  vana  e  stanca 
Citazioni,  e  processitanti  ,  o  quanti, 
Se  ben  talor  col  sale  il  pan  gli  manca. 

Arrivate  a  san  Marco  ,  eccovi  avanti 
Un'altra  schiera  che  v'  aspetta  al  passo  , 
Per  farvi  rinnegar  di  nuovo  i  santi. 

Col  capo  nudo,  e  col  ginocchio  busso 
Dice  un  caro  messer  ,  se  Dio  guarenta 
Vostro  figlio ,  affrettate  un  poco  il  passo* 


Satiriche  24g 

In  altro,  ancor  la  quarantia  non  senta, 
Di  grazia  una  parola  a  signor  Cai , 
Un  altro ,  andiamo ,  ei  ▼'  aspettano  ai  trenta. 

)uesto  alla  Avogaria  vuol  dir  suoi  guai, 
Quel  piange  al  proprio ,  e  per  la  turba  folta 
Vi  trae  ,  vi  spigne  ,  e  non  vi  lascia  mai  , 

fon  mai  cosa  piacevol  vede ,  o  ascolta 
Un  par  vostro  ,  anzi  udite  in  parte  il  piantt 
Della  gente  nel  baratro  sepolta. 

hazi  purgate  in  questa  vita  tanto 
Altri  e  voi  ,  che  qualuiaque  volta  io  dico 
Un  avvocato ,  intendo  un  mezzo  santo. 

>ome  a  dir  confessor  ,  martir  pudico  , 
Vergine,  e  simil  nome  appellativo, 
Voi  intendete  d'un  uom  del  Cielo  amico. 

Così  s'an  avvocato  io  dico,  e  scrivo, 
Nel  nome ,  e  in  quattro  sillabe  comprendo 
Un  che  fa  santi,  e  un  mezzo  santo  vivo, 

Son  martiri  volendo  ,  e  non  volendo 
Qiu'i  ch'hanno  a  far  con  avvocali,  ed  io 
L'  affermo ,  che  per  prova  me  n'  intendo. 

31i  è  ver  che  un  mezzo  bestemmiare  Dio 
Gli  tien  che  al  Ciel  non  si  levano  a  volo, 
E  un  volere  il  suo  tutto  ,  e  mezzo  il  mio, 

Tanta  è  oggi  1*  ingordigia,  che  il  figliuolo 
Fa  lite  al   padre ,  alla  madre  ,  alla  figlia  ? 
D'  una  lente,  d'un  cece  e  d'un  fagiuolo. 

2ostì  vengon  lontan  due  mila  miglia 
I  Greci  avari  a  litigare  ,  e  in  Ghetto 
Impegnan  fino  i  peli  delle  ciglia  , 

!E  al  far  del  conto  poi  resta   in'  farsetto 
Sì  il  vincitor  ,  come  colui  che  ha  perso  , 
Dal  vostro  purgo  ognun  lavato  e  netto. 


zBo  Poesie 

Or  conie  al  Ciel  questi  anderian  pel  verso 
Ma  li   tien  fuor  l'avarizia,  e  la  rabbia; 
Cosi  a  voi  ,  certo  chi  vien  per  traverso. 
Vn  avvocato  che  1'  arte  non  abbia 

Ri   ben   piantar  carote  ,  a  vera  in  vano 
Bagnato  il  volto  ,  e  asciutte  lingua,  e  labbia 
Esohine  *  Ciceron  ,  Quintiliano 

Vadano  al  bagno,  ch'oggi  ha  più  concorso 
Chi  di  piantar  carote  ha  miglior  mano. 
Onde  co»» vien  ,  eh'  ogni  vostro  discorso 
Sia  di  carote ,  con  carote  al  torto 
Ora  premele  ,  ora  allentate  il  morso. 
Ma  perchè  non  s'appiccano  in  ogni  orto, 
Quest' è  l'opera  ,  questa  è  la  fatica 
Che  lega  un  avvocato  lungo,  o  corto  . 
Chi  sa  piantarle  in  terra  dolce  ,  aprica  , 
Averà  mille  concorrenti  al  pari  , 
Ch'  ognun  vi  pianta  ,  ognun  ve  le  nutrica. 
Però  son  molti  gli  avvocati  ,  e  rari 
I  Buonfigli ,  i  Filetti ,  e  i  Trivisani , 
0»a tori  oggidì  celebri  e  chiari. 
Perchè  ne'  luoghi  asciutti ,  e  nei  pantani , 
Al  sole,  all'ombra,  alla  pioggia,  al  sereno, 
Piantan  con  grazia,  e  son  buoni  ortolani. 
Or  conchiudtndo  ,  i  par  vostri  andarieno 
Volando  al  Ciel ,  se  non  pigliaste  in  uso 
Di  porre  al  ver  con  le  carote  il  freno. 
Ma  parmi  di  veder  torcere  il  muso 

A  messer  Melio,  e  al  mio  padron  Pasino 
Alzar  la  gobba  tre  dita  più   suso; 
Con  dir  che  questo  mio  scriver  canino 
Tien  d'  ortica  ,  e  mal  salso ,  e  tien  di  fele 
E  un  concio  di  molt'  acqua ,  e  poco  vino. 


Satiriche.  z5t 

Juesta  mìa  penna  ha  un  costume  ,  che  de  le 
Quattro  volte  le  tre  drizza  il  timone 
A.  Pa\a  ,  e  a  Chiozza  la  portan  le  vele, 

^osì  or  eh'  io  volea  dir  sol  cose  buone , 
Sol  de'  vostri  disagi  far  parole , 
Entra  in  carote  ,  e  punge  le  persone. 

la  è  vostro  officio ,  e  di  qualunque  suole 
Difender  altri,  o  per  torto ,  o  per  dritto, 
Scusarla  ,  e  dir  eh'  ella  va  per  viole. 

0  non  so'  in  colpa,  e  quel  ch'ella  v'ha  ditto, 
O  quel  eh'  ella  dirà  che  sia  mordace , 
La  penna  ,  e  non  il  Bergamo  1'  ha  scritto. 

Jn  altro  difettuzzo  mi  dispiace , 
Che  non  vi  lascia  far  miracolosi, 
E  andar  sopra  ogni  santi  in  santa  pace  : 
consulti  ,  uovo  mondo  agli  oziosi  , 
Il  pau  cotidiano  agli  avvocati , 
Pelatine  ,  a'  clienti ,  e  mal  franciosi. 

Come  hanno  un  asso  fermo  i  preti ,  e  i  frati 
Nel  centuplo  ,  quand'  han  giocati  i  bezzi  $ 
Così  voi  ne  consulti  sfaccendati. 

1  sono  alcuni  cosi  male  avvezzi , 
Che  consultan  dormendo  a  bocca  chiusa, 
Se  1*  oro  in  man  non  sentono  in  più   pezzi. 

-«a  parte  è  presa  ben  ,  ma  oggi  non  s'  usa 
Servar  le  parti  in  questa  parte ,  usanza 
E  l'altrui  dubitar  vi  copre,  e  scusa. 

Ma  pur  dell'arte  sua   se  alcuno  avanza, 
Non  è  grau  mal,  gli  è  il  mal  che  non  risponde 
L'opera  al   premio  ,  e  assai  v'è  gran  distanza, 

u  un  con  parole  assai  gonfiate  e  tonde 
Tocca  i  punti  difficili ,  e  gli  passa 
Di  sopra  via ,  come  la  barca  l' onde. 


252  P    O    E    S    T    E 

L'  altro  fa   il  pensieroso  a  testa  bassa, 

Che  voi  direte,  or  vuol  toccar  nel  fondo, 
Poi   palpa  ,  e  la  postema  addietro  lassa. 
Questo  si  pavoneggia  e  sputa  tondo  , 
Poi  partorisce  ,  il  caso  è  sì  importante, 
Che  s*  io  meglio  noi  veggio  non  rispondo. 
Io  par  farei  così  ,  dice  il  Gigante, 

Queir  altro  ,  non  sarebbe  error  espresso  , 
Ne  opinione  intera  fia  di  tante. 
Così  il  consulto  parte  bene  spesso , 

Col  peusier  più  intrigato  eh'  ei  non  venne , 
E  ha  spesi  i  soldi  ,  e  gettati  in  un  cesso. 
Quest'  erroruzzo  a  voi  tronca  le  penne 
Che  non  volate  sopra  i  cherubini  9 
E  non  si  fa  di  voi  festa  solenne. 
Un  altro  error  che  vai  due  bagattini 
Nota  questa  pennaccia  mal  salata  , 
Se  ben  assai  n  ha  da  notar  più  fini. 
Di  tre  cose  fa  il  Diavolo  insalata  , 
Di  lingue  d'avvocati  ,  e  delle  dita 
De'  notari  ,  la  terza  è  riservata. 
Ognun  porta  per  bocca  ,  ognuno  addita 
Un  avvocato  ,  ohe  di  lungi  s'  oda  , 
Ch'abbia  gran  fianco,  e  lingua  atta  e  spedita, 
Bartol  ,   Paol  da  Castro ,  uomin  da   broda 
Portino  al  destro  li  volumi  suoi  t 
Che  più  un  Bran?oti  che  aloun  di  lor  si  loda. 
Quanti  veggiamo  (eooettnando  voi 

E  assai  par  vostri)  armati  sol  di   grida  , 
Star  in  Rin^a,  e  gridar  qual  tori  o   buoi. 
Quali  non  arre  non  so'ienza  affida. 
Ma   sol  la  voce  altitonante,  e  Toro 
Che  trarrien  de  gli  stinchi  a  Crasso,  e  a  Mida, 


8  A  f  I   l  I   C   H  1,  253 

pupilli  infelici ,  che  a  costoro 
Den  trar  la  fame  ,  e  alle  cui  grasse  spese 
Vogiion  ville  acquistar ,  uome  e  tesoro. 
3me  da  questi  tali  sian  difese 
Le  cause  ,  Dio  'i  sa  egli  ,  e'1  s^nno  quelle 
Geuti  eh' all' ospedal   vanno  dislese. 
*è  ancora  un  peccadigho  in  pelle  in  pelle, 
11  qual  se  non  vi  fosse  ,  i  vostri  scanui 
Sarieno  posti  in  ciel  sopra  le  stelle, 
vrà  stentalo  un  litigante  gli  anni 
Per  aver  un'  udienza  ,  e  voi  in  quel  punto 
Date  un1  anchetta  ,  e  '1  tornate  iu  affanni, 
ueir animai  con  cui  fanno  il  hrodo  unto 
I  Certosini  ,  e  voi ,  ved'  io  più  volte 
Esser  con  stenti  a  capo  un  greppo  giunto, 
poi  che  dopo  molli  affanui ,  e  invite 
Fatiche ,  la  testudiue  era  in  cima  , 
Rovinar  con  le  eambe  in  su  ri v ohe. 
In  pover    uomo  intenerisce ,  e  urna 
In  dieci  anni  un  acciaro  duro  e  forte  , 
E  un  or  non  possa  '1   torna  come  prima, 
che  pena  ,  o  che  spasimo  ,  o  che  morte, 
O  che  rabbia  ,  che  pianto  ,  o  che  dolore , 
Che  T  inferno  non  ha  di  peggior  sorte  , 
edersi  avere  spesi  gli  occhi  ,  e  il  cuore, 
Tolti  alla  vita  sua  dieci  anni  ,  o  ve/ili  , 
Fruste  l'entrate,  gli  amici,  e  l'onore, 
quando  a  spedir  lui  giudici  intenti , 
Quand'ha  sul  schioppo  il  polverino  e  il  fuoco, 
Il  suo  avvocato  ha  mille  impedimenti, 
nde  avvien  ciò  ?  se  non  che  piace  il  gioco 
Ei  hallo  alle  puttane  ?  or  io  farei 
Nome  a  chi  già  in'  offese  in  ciò  non  poco  , 


254  Poesie 

Ma  per  non  vi  parlar  de' fatti  miei, 
Se  in  voi  non  fosser  simili  erroruzzi , 
V  accenderemmo  le  candele  a'  piei . 

Dirò  pur  questa  ancor  che  alquanto  puzzi 
Il  calzar  da  due  bande  uno  stivale. 
E  da  por  co'  già  scritti  i  pecca t uzzi. 

Se  nel  ciel  s'ascendesse  per  le  scale 
Larghe  e  patenti ,  come  quelle  sono 
Onde  dal  bollo  ai  collegio  si  sale  , 

Nessun  di  questi  tali  che  ad  un  suono 
Fanno  due  dan*e  vi  potria  salire  , 
Ben  che  fosse  nel  resto  santo  e  buono. 

Un'  altra  busca  ancor  suole  impedire 

La  via  del  Cielo  ad  un  par  vostro   dotto, 
E  perchè  la  fuggiate  io  la  vo'  dire. 

Avrò  tenuto  sette  mesi ,  ed  otto 

Le  mie  scritture  in  man  d'  un  avvocato  , 
Perchè  faccia  un  sommario  crudo  ,  o  cotte 

E  dieci  volte  P  avrò  ricordato 

Con  due  scudi  per  volta  ,  o  padron  caro, 
11  sommario  vi  sia  raccomandato. 

10  ho  studiato  il  caso,  io  ne  son  chiaro , 
Togli  pur  T  udienza,  io  l'ho  più  iuteso 
Che  il  zane  Y  arte  d'  un  buon  moliuaro. 

Quando  poi  credo  esser  da  lui  difeso  , 
Trovo  le  mie  scritture  ov'  io  1'  ho  poste  , 
Polverose,  e  d'un  banco  intuii  peso. 

11  sommario  si  fa  correndo  in  poste  , 
Dovendo  andare  in  renga  ,  e  in  tal  perigli 
Le  cause  importantissime  son  poste. 

V'avrei  da  dir  qualeh' altro  peccadiglio  , 
Ma  non  vo'  scriver  Satire  ,  e  non  lodo 
Quel  ne  gli  altrui  difetti  por  l'artiglio. 


S    1  T  I   RI   C    H  S,  255 

Ida  queste  cosette  che  del  brodo 
Del  vetriol  ▼'  ha  pisciato  la  penna , 
Veder  lontano  voi  m'  allegro ,  e  godo, 
wuzi  voi  sete  V  arboro  e  1*  antenna , 
Anzi  il  timon  della  turba  avvogara , 
Che  scortica  i  Clienti  e  gli  scodenna , 
chi  ha  virtù  o  bontà,  da  voi  l'impara. 


aSS 


SATIRE 

DI  M. 

FRANCESCO  SANSOVINO. 


s 


ignor,  se  questa  è  vostra  fantasìa, 
Ch'  il  saper  dominar  non  sia  da  tutti , 
Voi  siete  fuor  de  la  diritta  via. 
Quei  eh'  a  grado  onorato  son  condutti 
Per  danari  o  per  sorte ,  presto  sanno 
Ciò  che  lor  si  convien,  se  ben  son  putti. 

10  vi  giuro  per  Dio,  ch'in  men  d'  un  anno 
S*  io  fussi  Archimandrita  imparerei 

A  far  meglio  di  lor  quel  eh'  essi  fanno. 
Per  la  prima  cinquanta  gabbadei, 
Anzi  cinquanta  bestie  sfaccendate  , 
Col  dar  lor  mezze  spese  in  casa  avrei . 

11  Verno  una  sol  volta,  e  due  la  State 
Vorrei  che  si  mangiasse  ;  che  la  dieta 

È  molto  utile  a  l'uom,  se  voi  il  provate. 


S  A  T   I  R  I    e   !f  E.  25f 

|  alcun  fesse  il  Filosofo  o  il  Poeta , 
O  che  avesse  nel  capo  qualche  umore, 
Lo  vorrei  ne  la  camera  secreta. 
i  sarebbe  più  caro  un  traditore, 
Che  un  uom  da  ben,  e  al  ruffo,  e  al  parassito 
Farei  con  fatti  e  con  parole  onore, 
rasso  nel  cor,  nel  volto  scolorito 
Mi  mostrerei,  psrch' il  mondo  credesse, 
;  Ch'  io  fussi  ne  gli  studj  imbalordito. 
h  gli  officj  non  parlo,  e  de  le  messe, 
, Ch'io  sarei  in  apparenza  mezzo  santo, 
Se  bene  in  cosa  alcuna  non  credesse, 
lìrca  al  donar,  io  ne  farei  quel  tanto 
(Che  si  convien,  ma  con  fermo  disegno 
[pi  torre  a  un  altro  poi  più  d'altrettanto» 
In  darei  già  a  chi  esercita  l'ingegno 
In  prosa,  in  verso,  in  musica,  in  pennello, 
in  bronzo,  in  marmo,  in  piombo,  in  rame  o  in  le- 
b  a  chi  fusse  il  più  morbido,  e  il  più  bello,    (gno; 
E  eh*  i  fatti  d'altrui  mi  raccontasse , 
£  che  avesse  il  mio  umor  giusto  a  capello. 
I colui  ch'in  un  tratto  m' insegnasse 
Venerar ,  chi  a  gli  onor  meco  concorre, 
E  che  anco  in  eseguir  s'adoperasse, 
fc  chi  sapesse  altrui  la  roba  torre , 
perchè  mia  fusse;  e  che  per  me  venisse 
A  ogn'atto,  chedaogu'uom  buono  s'abborre. 
Prrei ,  eh'  un  beneficio  si  partisse 
•  In  quaranta  persene,  acciò  eh' un  solo 
Premio  del  suo  servir  mai  non  sentisse. 
Esenza  più  guardar  Piero,  che  Polo, 
Farei  talor,  eh' un  servidore  antico 
Fosse  posposto  a  un  tristo,  a  uu  mariuolo  , 
Poesie  Satin  17 


258  Poesie 

Àilor  eh'  io  era  povero  e  mendico, 

Chi  mi  avesse  ajutato,  a  rei  per  niente, 
E  renderei  per  ben  mal  a  l'amico. 

Nel  dar  pasto  in  parole  a  uno  eccellente, 
A  un  orator ,  a  un  Duca,  io  sarei  il  caso  , 
E  saprei  riuscir  divinamente . 

Ogni  piccia  la  cosa  arei  sul  naso 
Col  mostrarmi  fantastico  e  bestiale 
Da  che  si  lieva  il  Sol  fino  a  l'occaso. 

S'  un  mi  rompesse  un  piatto  ,  un  orinale 
Gli  terrei  le  prebende,  e  i  benefici 
Col  trattarlo  da  goffo  e  d'animale . 

A  l'ammalato  in  casa  erbe  e  radici 
E  pan  muffo  darei  per  medicina, 
E  per  pollastri,  nottole  e  cornici. 

In  somma  la  mia  vita  a  la  cucina  , 
A  le  cose  lascive,  a  l'ozio,  al  giuoco 
Sarebbe,  a  le  menzogne,  a  la  rapina: 

Ma,  a  quel   molto  ch'avanza,  questo  è  poco 
Bastivi,  ch'io  saprei,  Signor  mio  caro, 
Osservar  il  decoro  a  tempo  e  luoco. 

Voglio  inferir,  che  oggi  nou  è  fornaro , 
Ciurmadóre  cavadenti,  o  ciabattino, 
Che  non  v<  glia  de'  grandi  andar  a  paro. 

Pensa  il  plebeo ,  eh'  il  pan  de'  grandi  e  '1  vin 
Abbia  un  altro  sa  por,  e  non  s'  avvede  , 
Ch'  egli  è  fnor  del  verissimo  cammino. 

Non   con  la  mente ,  ma  con  Y  occhio  vede 
Quel  «he  mostra  il  grand' uomo  in  apparenz; 
Però  le  sue  miserie  poi  non  crede. 

Non  sa,  ch'il  ricco  è  inquieto,   e  che  mai  sen 
Ambizion  non  si  trova  ,  e  che  uon  brama 
Altro,  che  monti  d'oro  e  preminenza: 


S    U    I   E    I    C   H   K,  259 

che  tal  un  felice  il  mondo  chiama , 
Che  chi  vedesse  poi ,  qual  è  il  suo  stato, 
Amerebbe  ciò  eh*  ei  prima  disama, 
ella  voce  è  io  effetto  il  dir  beato, 
3V1a  a  far  ch'ella  sia  vera  altro  bisogna, 
Ch'esser  da  tutto  un  popolo  onorato. 

00  è  dotto  colui ,  che  sta  a  Bologna , 

O  a   Padova,  ma  chi  del  mondo  prende 

11  ver,  che  spesso  ha  faccia  di  menzogna, 
iosì  non  è   beato  chi  rispleude 

Per   titoli,  per  oro,  o  per  famiglia; 

Ma  chi  da   le  passioni  si  difende, 
ibi   «nette  a  gli  appetiti  suoi  la  briglia , 

Chi  dà  quel  che  bisogna  a  la  natura  , 

E  eh/ al  dover,  non  al  voler  s'appiglia; 
hi  ne  l'avversità  non  ha  paura  , 

E  che  nell'allegrezza  ha  fermo  il  volto, 

E  chi  viver  quetissimo  procura  : 
Ohtui  cred'  io  beato ,  e  che  sia  sciolto 

Da  i  capricci  bestiali ,  e  da  gli  umori 

Ne'  quai  si  trova  Tuoni  ben  spesso  involto. 

plebeo,  che  nou  ha,  non  dee  a  gli  onori 
|  Aspirar  vanamente,  o  contraffarsi  ; 

Ma  metter  il  suo  lìn  ne'  suoi  lavori, 
^lcun  col  biscantar,  O  passi  sparsi, 
ì  Vuol  mostrar,  che  sia  musico ,  e  eh'  intenda, 

E  eh'  anco  ad  Adrian  possa  agguagliarsi. 

altri  con  qualche  iperbole  stupenda 

1  Racconta  altrui,  eh'  in  campo  ei  fece,  ei  disse, 
Acciò  che  l'umor  suo  l'uomo  comprenda  . 

:Jn  altro  sarai  poi,  che  se  venisse 
|  L' Imperador,  non  cederebbe  uu  dito, 
Perchè  una  volta  un  Vescovo  gli  scrisse. 


260  Poesie 

Vorrà  qualcun,  essendo  parassito, 

Che  si  creda ,  eh'  un  uom  sia  d' importanza 
Ma  per  cose  di  stato  fuora  uscito. 

Così  ciascun  ne'  suoi  pensier  s'avanza  ; 
E  volendo  imitar  l'altrui  fortuna, 
Di  vanità  si  pasce  e  di  speranza. 

Io  non  credo  che  uom  sia  sotto  la  Luna, 
Ch'il  suo  ingegno  cambiasse  con  Platone, 
Quantunque  egli  non  sappia  cos'  alcuna. 

Perch'  a  ciascun  par  esser  Salomone  ; 
E  in  essenza  si  giudica  da  tanto, 
Che  meriti  ogni  onor  da  le  persone. 

Ma  in  caso  poi  di  gradi,  io  non  so,  quanto 
Gli  bastasse ,  perch'  ei  fosse  contento  , 
11  titolo  di  Re,  di  Padre  santo. 

In  fin  l'uom  per  parer  ogni  argomento 
Adopra  e  ne'  costumi,  e  nel  vestire, 
Cose ,  che  poi  son ,  come  fumo  al  vento. 

Se  la  mia  donua  è  pregna,  anco  io  so  dire, 
Mi  verranno  i  capponi  di  Romagna , 
E  farò  da  Vicenza  il  vin  venire. 

E  un  altro,  che  ha  ne  l'ossa  una  montagna 
O  un  mar  di  mal  francese  ;  eh'  ei  sia  pieno 
Di  gotte,  con  ogni  uom  spesso  si  lagna. 

Dica  in  malora  sua  l'uom  di  se,  meno 

Di  quel,  ch'egli  è  in  effetto;  e  seco  goda, 
Pur  eh'  abbia  il  cor  e  l'animo  sereno. 

Se  ha  qualche  ben  non  faccia  eh' ognun  loda, 
Ch'il  corbo  per  gracchiar  perse  il  suo  pasto 
Onde  conyien,  che  poi  l'ossa  si  roda. 

Hon  corra  a  giudicar ,  ma  vada  a  tasto  ; 
Perchè  talor  una  sfacciata  fronte 
Avrà  sotto  di  se  l'animo  casto. 


Satiriche.  2©i 

Dia  di  quell'acqua  altrui,  eh' è  del  suo  fonte; 
Cioè  stia  uel  suo  stato ,  e  s'è  un  agnello  , 
Non  sia  ne  le  parole  un  Rodomonte. 

Xon  pensi  che  ciascun  gli  sia  fratello, 
Perchè  i  lupi  rapaci  vanno  intorno, 
E  chi  vuol  ingannar,  fa  il  buono  e  il  bello. 

ral  un  si  mostra  in  Cbiesa  un  santo  il  giorno; 
Che  s'egli  occorre  poi,  che  altrove  il  veggia  , 
Mi  fa  restar  per  maraviglia  storno. 

D  beato  colui,  che  signoreggia 
Questo  ingordo  voler,  che  ne  gli  obbietti 
Del  mondo  incerti,  e  stabili  vaneggia. 

/eramente  beati  gì'  intelletti , 
Che  sciolti  da  pensier  fallaci ,  e  bassi 
Hanno  altri  desiderj ,  altri  concetti. 

j'uom  prudente  non  move  in  vano  i  passi, 
Ma  dando  a  la  ragion  quel  ch'ei  dar  suole  , 
Lieto  e  contento  in  se  medesmo  stassi  ♦ 

Conforma  i  suoi  pensier  con  le  parole; 
E  misurando  in  se  ciò  eh'  egli  puote , 
Quel  tanto,  e  niente  più  del  mondo  vuole. 

Jcherne  i  furor  fantastici ,  e  le  ruote 
De  la  sorte,  e  al  piacer  non  porge  mano, 
E  in  van  l'animo  suo  dolor  percuote. 

\9  è  Vicentin ,  non  vuol  parer  Romano , 
E  senza  immascherar  il  proprio  stato, 
Se  gli  par  corre,  e  se  vuol  ir,  va  piano; 

£  questo  è  il  vero  vivere,  e  lodato. 


262 


SATIRA 

A   GIULIO   DOFFI, 


s 


e  tu  eleggi  per  ben  la  poesia, 
Giulio,  tu  intendi  malamente  il  mondo, 
E  la  tua  si  può  dir  una  pazzia  . 

Qual  è  quell'intelletto  così  tondo, 

Che  non  veggia,  che  a  l'uom  bisogna  il  pane 
Se  non  vuol  imitar  il  nostro  Biondo? 

I  Pceti  somiglian  le  puttane, 

Di  quegli  è  il  fin  andar  a  l'ospedale  ; 

Di  queste  in  capo  a  un  tempo  esser  ruffiane 

Magramente,  per  Dio,  si  fa  immortale 

Colui ,  che  non  ha  pan  :  che  far  non  puote 
Quel,  che  Tuoi  l'appetito  naturale: 

Non  ci  danno  sostanza  le  carote, 
E  Virgilio  tra  noi  non  vai  un  soldo 
Rispetto  a  quel,  che  il  Buon  Tanno  riscuote 

to  ho  de'  campi ,  diceva  il  Mainoldo  ; 
E  ricopriva  con  quella  parola 
Tutto  quel,  ch'egli  avea  di  manigoldo. 


Satiriche  263 

Il  dir  io  ho,  gli  animi  altrui  consola, 

Ma  i!  dir  io  so,  s'altro  non  hai,  non  giova  » 
Torna  pur  a  imparar,  va  pur  a  scuola. 

Cb' Orazio  insegni,  ch'eì  diletti  e  mova, 

Poco  mi  vai,  quando  io  non  abbia  in  dosso 
Una  veste  almen  buona ,  se  non  nuova. 

Terenzio  mi  è  io  fastidio,  e  non  lo  posso 
Veder  ,  s' io  non  ritrovo  pane  in  casa , 
E  al  fuoco,  se  non  cai  ne,  almeno  un  osso. 

D'ogni  altra  cosa  l'uom  pur  se  la  passa, 
Ma  il  pan  quotidian  del  pater  nostro 
La   Poesia  di  gran  luug*  trapassa. 

jL 'anima  de'  Poeti  è  ne  l'inchiostro, 

Ma  quella  de'  grand'  uomini  è  ne  l'oro  : 
Che  vaglion  dunque  i  versi  a  par  de  l'ostro? 

Così  dico  io  ,  così  dicon  coloro 

À' quali   par,  ch'il  mondo  sia  corrotto, 
Poi  che  a  l'oste  e  al  bucato  va  l'alloro. 

E  quasi  infamia  esser  tenuto  dotto, 

Che  come  vuoi  parlar,  odi  uu,  che  sbrocca, 
Questo  lo  disse  già  il  Piovano  Arlotto. 

11  calepin  nel  tal   luogo  ne  tocca 
Una  parola:  è  cosa  nota  a  tutti; 
Tal  che  bisogna  poi  chiuder  la  bocca. 

E  i  grandi  hanno  più  caro  due  prosciutti, 
O  un   marzapan,  che   cento  mila  versi 
Pieni  di  belle  cose  e  ben  ridutti. 

D  che  bestie  son  quei ,  che  sono  immersi 
In  lodar  questo  e  quello  indegnamente, 
E  pur  un  tempo  anco  io  già  lo  soffersi  • 

lOggì  chi  scrive ,  è  favola  a  la  gente  : 
Dice  colui,  non  sa  ciò  che  si  dica; 
L  quell'  altro  egli  uccella  ha  uu  bei  presente. 


264  Poesie 

In  tanto  perdi  l'olio  e  la  fatica  ; 

Che  la  persona,  che  cantando  lodi, 
Per  non  dar  ,  ti  si  fa  tosto  inimica  . 

L'altra,  se  per  ventura  dir  mal  odi 

De  l'opre  tue,  ne  prendi  ira  e  dispetto: 
E  se  ben  ,  a  l'incontro  assai  ne  godi  . 

Tal  eh'  il  dolor  pareggia  anco  il  diletto; 
E  se  guardi  poi  al  fin  quel  che  n'avanzi, 
L'onor  tuo  si  risolve  in  un  Sonetto. 

Ecco  ti  vien  uno  scrittore  innanzi 
Pallido  in  volto,  affumicato  e  secco , 
E  mezzo  ignudo,  come  vanno  i  lanzi: 

Per  la  prima  ti  affronta  ,  e  vuol  eh'  a  steccò 
Tu  stia,  fin  che  ti  recita  qualcosa, 
Che  forse  è  sua ,  come  la  voce  d'Ecco. 

Or  che  fa  ei  leggendo?  si  riposa, 
E  Discantando  adagio  si  stupisce , 
E  gì*  intelletti  suoi  comenta  e  chiosa. 

Mal  per  colui ,  che  non  sta  cheto ,  o  ardisce 
Dirgli ,  fermati  un  poco ,  a  me  non  piace 
La  tal  cosa  ,  o  che  d'altro  l'ammonisce. 

Lo  guarda  con  mal  occhio,  non  vuol  pace, 
E  gli  apparecchia  contra  inchiostri  e  carie: 
Tanto  de  l'umor  suo  l'uom  si  compiace. 

Tu  come  hai  detto,  gran  mercè,  si  parte, 
3NTè  altro  porta  con  lui ,  eh'  un  van  pensiero 
D'esser  tra  gli  altri  sol  d'ingegno  e  d'arte. 

O  povero,  o  infelice  Ovidio,  e  Omero  ! 
Poi  che  l'un  si  morì  colà  tra  ghiacci, 
E  l'altro  a  l'osteria ,  se  pur  è  vero. 

Non  si  trovano  al  mondo  più  gli  omacci 
Buoni,  quei  vecchi  antichi  ,  che  co  i  fatti 
Cavavan  la  virtù  fuor  de  gli  stracci . 


S   A   T   I   H   l  C   H    E,  265 

Si  dauno  oggi  buon  tempo  i  ladri ,  i  inatti , 
Le  bagasce ,  i  buffoni ,  i  parassiti , 
E  chi  mette  la  maschera  a'  contratti; 

Quei  che  di  bigio  e  da  cbietin  vestiti 
Hanno  in  governo  vedove  e  donzelle , 
E  che  son  dentro  lupi ,  e  fuor  romiti  • 

1  Poeti  si  pascon  di  novelle, 
Ma  i  ladri  ha  uno  le  tavole  abbondanti 
Di  cappon  ,  di  fagian ,  di  papardelle . 

[  detti  si  battezzan  per  pedanti, 
E  i  matti  vanno  altrui  da  la  man  destra, 
E  passan  per  accorti  e  per  galanti. 

k\  dotto  si  dà  il  pan  con  la  balestra  , 
Ma  al  Cinedo  si  donan  case  e  campi, 
Perchè  meglio,  eh'  il  dotto,  a  Tuoni  s'addestra* 

E  in  vero  a  noi  cb'  importa ,  che  si  stampi 
Dante,  il  Boccaccio,  e  che  messer  Francesco 
Per  madonna  Lauretta  in  foco  avvampi? 

2h\  mette  studio  in  lor  per  Dio  sta  fresco, 
Che  quando  scriva  poi ,  sovente,  unquanco, 
Uopo  ,  guari ,  e  testé ,  scrive  in  Todesco . 

Non  credo ,  che  si  trovi  canta  in  banco , 
Che  non  sappia  compor  qualche  cosetta, 
Che  volesse   il  Petrarca  al  lato  manco: 

E  eh'  a  ciascun  non  chieda  la  berretta, 
E  che  non  vada  gonfio,  e  dritto  in  schiena; 
Ma  il  pan  è  poi  quel ,  che  gli  dà  la  stretta. 

&ltro  a  mangiar  ci  vuol,  che  la  Comena 
O  il  Biondo  Apollo  ,  che  ben  spesse  volte 
Se  desinato  ara,  non  ha  da  cena. 

Non  giovano  in  quel  caso  rime  sciolte 
O  legate,  che  Tuoni  lo  beffa  e  scherne, 
Onde  a  Y  Ebreo  bisogna  che  si  volte  • 


266  Po    E  S  I  X 

Àllor  si  prova  il  danno,  e  si  discerne, 
Che  le  parole  son  pasto  da  libri, 
E  eh'  i  soldi  son  buoni  a  chi  può  averne. 

Però  ,  Doffi  gentil ,  vo'  che  delìbri 

Di  esser  un  uom ,  se  ti  darai  al  guadagno, 
E  a  stimar  l'oro  più ,  che  gli  Arni  e  i   Tibri 

Vo'  che  tu  faccia  sempre  il  buon  compagno 
Di  quel  d'altri  :  eh'  al  tuo  metla  riguardo 
Col  darti  a  l'avarizia ,  e  a  lo  sparagno. 

Vo'  eh'  al  rubar  sia  presto ,  e  al  render  tardo, 
Che  la  bocca  piena  abbia  di  promesse, 
Ma  a  l'osservarle  poi  fatto  infingardo. 

Ti  conforto,  eh/  ascolti  il  di  due  messe, 
E  facendo  limosina  per  boria 
Vorrei,  che  tutto  il  mondo  ti  vedesse. 

S'un  tuo  amico  è  in  vergogna,  fanne  istoria 
Col  raccontar  a  ogn' uom,  l'andò,  la  stette, 
Perciocch'il  mal  altrui  ti  torna  in  gloria. 

Ingegnati  d'un  cinque  far  un  sette, 

Quando  hai  da  aver:  ma  se  hai  da  dar,faun  tratte 
Sì  eh'  il  tuo  creditor  mille  anni  aspette . 

Ove  puoi  guadagnar  facendo  il  matto, 
Sforzati  d'invitar  Giorgio,  e  vedrai 
Riuscir  a  buon  fin  ogni  tuo  fatto. 

Parla  sempre  di  quel  che  tu  non  sai  , 
Fa  profession  di  nobile  e  di  grande, 
E  ragiona  di  aver,  se  ben  non  hai  : 

Se  tu  mangi  per  sorte  rape  o  ghiande, 

Dì  ohe  tu  sguazzi  sempre  guaglie  e  starne, 
E  che  tu  vuoi  mutar  spesso  vivande. 

Mof  ra  di  dar  altrui  li  propria  carne, 

Mentre  c\\e  con  l'accetta  in   man  t'ingegni 
Di  fargli  q\ialche  danno,  o  guadagnarne. 


Satiriche.  267 

io*  che  ne'  ruffianesmi  anco  tu  tegni 
Le  man,  cbe  questa  parte  assai  s'apprezza, 
E  di  piacer  altrui  sempre  disegni. 

n  somma,  cerca  pur  d'aver  ricchezza, 
Ch'  ella  gli  altrui  pensier  maligni  acqueta, 
E  il  cor  empie  di  gioja  e  d'allegrezza. 

E  allor  sarai  Filosofo,  e  Poeta. 


268 


SATIRA 

À  M. 

ALESSANDRO  CAMPESANO. 


IT  oi  eh*  è  giunto  al  suo  fin  1'  amico  nostro, 
Alessandro  gentil,  piangon  le  genti, 
Ma  di  che  sorte  genti,  io  non  vel  mostro; 

Buffoni ,  meretrici  e  cavadenti , 

Alcuni  a' quali  è  sommo  Dio  la  sola, 
Distruttor  de  passati  e  de  presenti . 

Questi  chiamano  il  Lusco  a  ogni  parola, 
E  van  cantando  ogni  suo  fatto  e  detto , 
Cominciando  dal  dì  eh'  egli  andò  a  scuola . 

Finalmente  conchiudon,  che  in  effetto 
Fu  buono,  e  che  non  ebbe  un   altro  pari 
Di  gentilezza,  d'arte  e  d'intelletto. 

O  come  son  i  buon  giudizj  rari: 
Come  spesso  la  turba  stolta  apprende  , 
L'  estremo  in  ogni  cosa,  o  insegni,  o  impari 


Satiriche.  269 

leco  un,  che  d'un  suo  amico  vero  intende 
Il  bisogno,  e  di  lui  punto  non  cura, 
Perch'  il  volgo  ignorante  uol  riprende. 

7eme  cbe  non  si  dica,  ei  presta  a  usura, 

|  Egli  ha  visto  colui  ridotto  a  tanto, 

,  Ch'ajutaudol  guadagna  oltre  misura. 

)utir  altro ,  che  non   pensa  al  come,  e  al  quanto, 
Mangia  ciò.  ch'i  suoi  pndri  gli  lasciaro, 
E  gli  duo! ,  che  non  abbia  anco  altrettanto  : 

)ice  ei,  per  non  parer  misero  e  avaro 

I  E  d'animo  si  vii ,  e  così  basso , 
Che  si  abbia,  come  un  Dio,  fatto  il  danaro. 

/uno  e  l'altro  è  lodato ,  oltre  eh'  io  passo 
Di  raccontarvi  di  che  guisa  lode , 
Che  se  l'udiste,  credo  areste  spasso  . 

tfa  che  di  rem  di  Lia ,  che  ricco  gode, 
E  mentre  presta  a  usura  a  questo  e  quello  f 
Mal  volentier  dir  ben  de  l'usura  ode? 

ntanto  vuol  un  quattrino ,  un  capello 
Del  guadagno,  e  si  cruccia,  e  il  debitore 
Spesso  cou  suo  piacer  manda  al  Bargello. 

I  uccella,  a  chi  per  morte  o  per  errore 
Si  resta  ancor  fanciullo  senza  padre  , 
Per  farsi  con  lor  danno  assai  maggiore. 
Forse  voi  mi  direte,  egli  ha  le  squadre 
De' virtuosi  in  casa,  egli  è  ripieno 
Di  mille  cose  belle,  alte  e  leggiadre: 
Egli  non  può  per  questo  far  di  meno 
Di  non  prestar ,  perchè  la  spesa  è  assai, 
E  scemarla  nou  sa ,  nò  porle  freno. 
Io  vi  rispondo  ,  che  non  vide  mai 

Un  buon  boccou  ,  e  la  virtù  gli  è  noja  , 
Come  a  chi  è  in  allegrezza  i  pianti  e  i  guai. 


370  Poesie 

Vive  da  can ,  e  nei  vestire  il  boja 
Lo  trapassa  di  mollo  ,  e  sa  la  paglia 
Dormendo  ha  il  piacer  e  la  sua  gioja  . 

Voglio  adunque  inferir,  che  la  canaglia 
Mentre  crede  fuggir  un  vizio  estremo, 
Nel  contrario  ben  spesso  s' abbarbaglia . 

Voi  costà  Jo  sapete,  e  noi  il  vedemo  , 
Ch'il  Gondi  porta  una  vestaceia  lunga, 
Onde  più  volte  insieme  riso  a  verno . 

Un'  altra  ne  ha ,  eh'  a  pena  che  gli  aggiunga 
A  la  fin  de  la  schiena  il  serre!  Ione , 
E'  non  vuol  che  nessun  lo  tocchi  o  punga. 

Antonio  si  dà  a  Y  ozio ,  e  fa  il  poltrone  : 
Giovanni  è  tutto  spirto,  e  tutto  attivo: 
L'  un  sa  di  muschio  ,  e  F  altro  di  castrone . 

Io  non  veggio  alcun  mezzo  ,  chi  è  cattivo 
Sì  crede  esser  astuto  ;  e  chi  è  balordo , 
Si  stima  per  un  gran  contemplativo  ■ 

Altri  con  appetito  strano  e  ingordo, 
Vuol  che  la  donna  sia  tutta  scoperta  , 
E  l'orecchio  uon  abbia  a'  preghi  sordo. 

E  altri  la  vuol  da  capo  a  pie  coperta  , 

Onesta  in  fatto  e  in  detto,  e  che  abbia  a  mente 
Di  non  dar  mai  con  l'occhio  altrui  la  berta, 

Una  volta  un  galant'  uomo  e  prudente 
Vide  uscir  del  postribolo  un  suo  amico  , 
Che  s'arrossì  come  gli  fu  preseote; 

Cui  disse:  poi  che  l'aspro  tuo  inimico 
Disio  carnai  in  chiasso  ti  strascina  , 
Per  questo  non  ti  avrò  per  impudico. 

La  tua  giovane  elade  a  ciò  t' inchina  ; 
E  assai  meglio  è  che  ricercar  le  mogli 
D'altri,  con  tua  gran  spesa  e  con  rovina 


Satiriche.  271 

k  questo  il  nostro  Serafino ,  or  togli 
Dice,  ch'io  non  mi  curo  di  tal  lode, 
Che  le  nobili  avrò,  pur  ch'io  le  vogli . 
!hi  vuol  le  meretrici  ,  trova  frode , 
Inganni,  tradimenti  e  volti  finti. 
Otre  che  sol  non  è  colui  che  gode , 
erafin,  tu  sei  sciocco,  e  son  dipinti 
I  tuoi  argomenti,  se  vedrai  coloro 
Che  per  nobili  amar,  furono  estinti, 
u  sai ,  che  ciò  che  luce  non  è  oro , 
Però  bisogna  aver  giudizio  intero  , 
Si  ch'io  non  biasmi  quel  ch'altrove  onoro. 

|)uaoti  fuor  del  verissimo  sentiero  , 
Volgendo  i  passi  a  fin  pessimo  andaro, 
Tra  lor  pensando  d'  abbracciar  il  vero  ? 

Jcun  fu  ,  che  stimò  d'  esser  più  caro 
A  la  sua  donna  del  suo  cor,  che  poi 
Contra  il  pugnai  non  ebbe  alcun  riparo . 

litri  dolci  menando  i  giorni  suoi, 
Trovato  dal  marito  in  casa  ascoso, 
Di  se  morendo  diede  esempio  a  noi . 

Tal  un  per  esser  ricco  e  danaroso 
Si  scosse  ,  e  altri  in  altri  modi  offeso  , 
Restò  infame  a  le  genti  e  vergognoso  : 

l  ben  gli  stette,  ch'assai  volte  ho  inteso, 
Che  chi  procura  altrui  danno  o  vergogna , 
Cade  nel  laccio  ,  eh'  egli  ad  altri  ha  teso  . 

jasciar  adunque  a  ogni  uomo  il  suo  bisogna, 
E  volendo  sforzar  voglia  lasciva , 
Andare  da  la  Sarra,  o  da  la  Mogoa  . 

ja  prima  nel  parlar  tutta  attrattiva 
Vi  fa  mille  carezze,  e  mette  in  sugo 
La  bestia  ,  eh'  in  colai  ciance  s'  avviva. 


Z-/2  Poesie 

L'altra,  sebben  talor  somiglia  un  dugo, 
Ch'  importa  molto  a  voi,  purché  si  sfame 
De  la  sua  brama  naturale  il  zugo? 

È  ben  ver ,  eh'  io  non  voglio ,  eh'  ella  chiame 
Mentre  parla  con  voi,  Toste  o  il  Giudeo, 
Per  cavarsi  col  vostro  de  la  fame . 

Né  che  diate  per  lei  oro  a  P  Ebreo  , 

Impegnando  e  vendendo  in  quella  guisa , 
Che  fa  per  la  sua  Betta  il  nostro  Orfeo. 

Egli  che  ha  i  suoi  pensieri  a  la  divisa , 
Misurando  se  stesso  faria  bene, 
Senza  eh'  alcun  di  lui  fesse  le  risa . 

Son  contento,  e  a  un  suo  pari  si  conviene 
Che  secondo  il  suo  grado  ne5  diletti 
Spenda  con  modo ,  e  non  sempre  a  man  piene. 

Da  questo  nascerebber  mille  effetti, 

Perchè,  avendo  riguardo  al  suo  interesse, 
Savio  saria  tenuto  in  fatti  e  in  detti. 

Ma  ei  fa  tutto  il  contrario,  e  bene  spesse 
Volte  gli  ho  udito  dir,  basta  io  non  prezzo 
Le  nobili,  se  Sira ,  o  ogni  altra  avesse. 

E  in  questo  invita  il  Torso,  eh' è  sì  avvezzo 
A  dar  il  suo ,  quell'  uom  eh'  a  la  Catella 
Donò  tutto  un  podere  a  pezzo  a  pezzo. 

Con  dir  non  pesco  ne  F  altrui  scodella  , 

Lascio  star  l'altrui  donna,  e  chiudo  gli  occhi, 
E  sia  quanto  si  voglia  vaga  e  bella. 

Tu  dici  il  ver  (dico  io  )  che  da  i  finocchi 
È  differente  il  cardo  :  ma  tu  spendi 
A  quel  modo,  che  fanno  anco  i  capocchi. 
Mentre  il  tuo  onor  a  le  bagasce  vendi, 

Tu  non  ti  accorgi  che  il  tuo  male  è  grave  , 
Se  ben  a  1'  altrui  donne  non  attendi. 


Satiriche.  373 


Qual  sa  rà  Y  acqua ,  che  la  macchia  lave 
Allor  che  il  patrimonio  in   fumo  mandi 
Dietro  a  la  vista  d'  un  guardo  soave  ? 

-Tanto  è  s'  il  tuo  con  la  Catella  spandi, 
Quanto  se  ciò  con  la  Duchessa  fesli , 
(i  con  altre  di  lei  più  ricche  e  grandi  • 

In  fin  la  roba  ,  che  dal  padre  avesti , 
Consumata  con  nobile  o  con  bassa  , 
Mal  saggio  del  tuo  ingegno  al  Mondo  desti, 
ÀTu  mi  dirai,  chi  altri  riprende  o  tassa, 
Bisogna  poi  che  dica  il  suo  parere  , 
Altrimenti  Y  uom  ride  e  se  la  passa. 

Io  tei  dirò,  poiché  tu  '1  vuoi  sapere  : 
A  me  piace  la  donna  da  partito 
Senza  eh'  io  getti  via  però  il  mio  avere . 

Non  ho  paura  alcuna  del  marito  , 

E  00 a  mi  avvien  cosa  ,  che  mi  dia  affanno, 
0  che  faccia  d'  altrui  mostrarmi  a  dito. 

Non  temo  di  vergogna,  ne  di  danno, 

Sono  il   padron  mentre  eh'  io  sto  in  possesso, 
E  sto,  se  ben  volessi  star  un  anno  . 

Non  mi  bisogna  ascooder  in  un  cesso, 

0  sotto  il  letto,  o  in  altro  luogo  accolto, 
In  quel  eh'  a  prender   spasso  io  mi  sia  messo» 
*  Le  bacio  a  modo  mio  la  gola  e  il  volto , 
Le  faccio  mille  segni,  ove  mi  pare  , 
Ruzzo  con  lei  per  casa  a  freno  sciolto: 
>'  Sto  eh'  ogni  uom  vede,  s' io  vi  voglio  stare  ; 
La  meno  intorno,  in  barca,  in  Chic  sì,  in  villa; 
E  dico  e  fo  con  lei  quel  ch'io  vo'  fare. 

Non  sto  a  menarmi  tutto  il  di  la  rilla 

Per  vederle  una  mauo,  un  braccio,  un  piede, 
Come  se  fosse  la  savia  Sibilla. 
Poesie  Satir.  18 


$74  Poesie 

La , meretrice  a  ogni  uom  che  la  richiede, 
E  pronta;  e  mostra  a  chi  la  vuol  il  tutto, 
E  a  tua  riquisizion  or  lieva  or  siede. 

Non  cela  con  inganni  quel  eh'  è  bruito  , 
Mostra  a  ciascun  la  merce  ch'ella  spaccia; 
Chi  poi  non  la  discerné,  è  ben  un  putto  . 

Sogliono  i  grandi  (  acciò,  ch'altrui  non  spiaccia 
Vender  i  lor  cavalli  sì  coverti, 
Che  non  si  vede  a  pena  lor  la  faccia. 

Fannol  perch'ai  balordi,  a  gl'inesperti, 
Venga  disio  di  veder  tutto  il  resto , 
Del  qual  s'  è  bello  o  no  si  stanno  incerti . 

Tu,  se  tu  vedi  un  bel  viso  modesto, 
D'  una  di  queste  nobili ,  fai  stima , 
Che  F  altre  parti  sian  simili  a  questo. 

Ma  tu  t' inganni ,  eh'  ella  è  secca  e  gì  ima , 
Ha  T  una  gamba  corta  ed  è  sfiancata, 
E  la  sua  pelle  è  simile  a  una  lima  . 

Le  va  dietro  e  d' intorno  la  brigata 

De  le  serve  e  de'  fanti ,  e  da  ogni  parte 
Or  da  questo,  or  da  quello  è  circondata. 

Ella  s'ajuta   poi  con  cotai  arte, 

Che  conoscer  non  sai  qual  vizio  ella  abbia  ; 
Sì  ben  l'ingegno,  e  il  camminar  comparte. 

Non  ti  inarcar,  non  stringer  più  le  labbia 
Adunque,  e  non  stupir,  che  quel  che  duol 
Par  ben  talor,  ma  non  è  sempre  scabbia. 

Ogni  splendor  che  yed\^  non  e  Sole, 
Ogni  rosa  che  senti  non  è  suono , 
E  le  voci  dei  can   non  sori   parole  . 

Seguir  quel  che  natura  diede  ,  è  buono  , 
E  a   V  ni  ile  attenersi  ,  che  diletta  : 
L'  afieltazion  a  chi  la  vuol  la  dono  . 


Satiriche.  375 

Son  certo  che  chi  ha  sete,  non  aspetta 
Di  aver  un  tazzon  d'  oro  o  di  cristallo  , 
Ma  bee ,  s'  altro  non  ha  ,  eoa  la  berretta  : 

E  chi  non  puote  andar,  monta  a  cavallo, 
Se  ben  non  ha  1'  Ubino  o  la  Chinea  , 
Su  T  asin  che  mai  pie  non  mette  in  fallo  • 

Una  donna  voglio  io,  non  una  Dea, 

E  pur  eh'  io  dia  il  suo  dritto  a  questa  carne, 
Non  caro  più  Diana  ,  che  Medea . 

Buon  sapor  ,  e  gentil  hanno  le  Starne  , 
Ma  s'io  va  empio^la  pancia  di  lasagne, 
A  me  eh'  importa  questo  ,  e  che  ho  da  farne  ? 

Matto  è  chi  per  aver  diletto  piigne , 
E  chi  dal  cammin  dritto  s'  allontana , 
Vada  pur  con  le  bestie  a  le  montagne, 

Ch'esser  trovato  in  fallo  è  cosa  strana  . 


276 


SATIRA 

DI  M. 
LODOVICO  PATERNO. 


J 


er  venne  da  tua  parte  Arsenio  e  Bulla 
A   pregarmi,  eh'  io  scriva  alcun   precetto, 
Perchè  cresca  in  onor  la  tua  fanciulla . 

Piegai,  madre  mia  cara,  e '1  mio  difetto 
Scoverai  lor  ,  cu'  ov'  io  figli uo'  giammai 
Non  ebbi  al   mondo,  né  d'aver  più  aspetto, 

Veisi  e  prose  di  ciò  poco  voltai  . 

Ultra  che  mi  parrebbe  un  torto  espresso  , 
A  volerti  insegnar  quel   che  tu  sai. 

Arrogo,  che  a  guidar  solo  me  stesso: 

Poiché  da  me  non  posso,  i'  '1  dirò  chiaro, 
Di  vero  e  saggio  amico  uopo  ho  già  spesso. 

Una  ed  un'  altra   volta  iucominciaro 
A,  ripregar  più  forte,  ch'ogni  scusa 
Lasciata  indie» ro  ,  non  mi   mostri  avaro  . 

Per  obbedir:  così  tra   nostri  s'usa: 

Più,  che  per  voglia,  or  questa  penna  stanca 
Movo,  ogni  altro  a  rigar  più  di  questo  usa. 


Satiriche.  277 

Prima,  non  far,  che  da  man  destra,    o  manca 
Mai  ti  si  parta,  in  tal  sicuro  avviso 
Il   veloce  intelletto  alza  e   ri  ri  fianca  ; 

Fa,  che  '1  pensier  e  1  urcbio  mai  diviso 
Non  sia  da  lei  ;  perchè  da!   vizio  rio 
Il  molle  animo  poi  non   venga  inciso. 

Principio  del  saver:    fa,  ch'ella    Dio 
Ed  ami  e  tema  sovr'  ogni  altra   cosa, 
Preponga  questo  ad  0£>ni  suo  desio. 

A  Chiesa  vada  qual  novella  sposa 

Con  occhi  a  terra  chini ,  in  atto  umile 
Fra  le  compagne,  e  onesta  e  vergognosa. 

Ivi ,  non  variando  ordine  e  stile  , 
Devota  ascolti  le  parole  sante  , 
Nel  cor  le  segni ,  e  non  le  tenga  a  vile . 

Quando  l'altre  indi  muovon  le  sue  piante 
Verso  l'albergo  ,  essa  non   reste  in  Chiesa, 
Come  suol   sempre  far  d'  Albio  la  fante. 

Che  ivi  più  d'una  messa  oda,  mi  pesa, 
Più  d'una  udir  potraune  la  vecchia ja, 
S'  anzi  da  morte  non  riceve  offesa . 

Fa,  che  sia  buona,  e  non  che  buona  paja: 
Che  1'  esser  e  Jì  parer  son  differenti , 
Come  son  bionda  e  bruna ,  o  mesta  e  gaja  - 

Confessisi  al  buon  padre  in  fra  le  genti , 
Non   in  cella  secreto,  o  sola  in  casa  , 
Pecchi  tu  più  di  lei  se  gliel  consenti. 

Fusj£;a  quanto  più  può  la  cinerea   rasa  , 
Né  per  far  pasti  dilicati  al  prete, 
Addoppi  intorno  al  fuoco  e  legna  e  vasa . 

Spenga  di  carità  cotanta  sete  : 

Per  fera  giovinetta  i   lacci  stanno  , 
Augello  vecchio  non  è  colto  in  rete  . 


378  Poesie 

Fa  ,  eh'  ella  s*  affat  ichi  a  Y  ago ,  al  panno  , 
Per  fuggir  gli  ozj   perigliosi ,  i  quali 
Al  corpo,  e 'nsieme  a  1*  anima  fan  danno. 

Femmina  spensierata  è  china  a'  mali, 
Come  sarebbe  a  dire  a' risi  a*  giuochi, 
E  a  tutti  gli  appetiti  irrazionali  . 

Imbriga,  ovunque  arriva,  in  quanti  luoghi 
Va,  zizanie  risemina,  e  raccende 
A  suo  potere  i  mezzo  estinti  fuoghi . 

Però  fia  necessario  ,  a  chi  si  prende 
Cura  dell' onor  suo,  darsi  a  quell'arte, 
Che  ciascun  loda  assai,  nessun  riprende, 

Che  è  1'  ago  e  il  fuso:  e  aver  di  gloria  parte 
Con  la  moglie  d'  Ulisse  e  Bruto,  e  mille. 
Che  celebrate  sono  in  varie  carte. 

Non  cerchi  assomigliarsi  a  le  Ca mille  , 
Lasci  T  arme  e  i  cavalli:  altro  mestiero 
Conveniva  a  Brìseida,  altro  ad  Achille. 

Non  va'  eh'  a  poetar  metta  pensiero  : 
Basti  che  legger  sappia  un  poco  poco 
Per  entro  gli  atti  di  Giovanni  e  Piero  .    ' 

Chi  la  terrà,  se  l'entra  in  petto  il  fuoco 
De  Y  Ariosto  o  del  Boccaccio ,  eh'  ella 
Su  gli  amor  non  se  n*  entri  a  poco  a  poco? 

Esser  pretenderà  leggiadra  e  bella , 

Com'  è  dotta  e  saccente  :  Amore  in  tanto 
Prende  le  faci ,  e  Y  auree  sue  quadrella  • 

Farà  Sonetti,  e  sol  per  darsi  vanto 
Di  rara  e  di  famosa,  e  spesso  ancora 
Risponderà  per  lettre  a  scritto  pianto. 

Ovver  essa  con  lettre  ,  e  questo  fora 
11  peggio:  a  lagrima*  sarà  la  prima: 
Eccoti  pudicizia  in  campo  fuora. 


Satiriche.  279 

L*  aspo  il  subbio  e  la  rocca  abbia  per  rima: 
Sprezzi  quella  virtù,  ch'in  donna  è  infame, 
In  maschio  laude  oggidì  nulla  stima  . 

Non  yo'  che  porga  orecchio  a  1'  altrui  trame, 
Che  '1  mal  esempio  imprime,  e  spesso  un  egro, 
Veggendo  altri  mangiar,  desta  a  se  fame. 

Che  rida  sempre  nel  commercio  allegro 
De  la  furfanteria  de  gì'  Istrioni  , 

10  non  approvo,  se  vuol  nome  integro  . 
Non  mai  Lucrezia  udì  pazzi  e  buffoni  ; 

Che  gl'inonesti  detti,  a  chi  gli  ascolta, 

Corrompono  i  costumi  onesti  e  buoni. 
Liberamente  affermo  uno  tal  volta 

Gioco,  una  parolina,  un  molto  a' scherzo, 

In  verissimo  senso  poi  si  volta. 
Il  primo  eh'  Amor  vibra,  è  il    dir  da  scherzo, 

11  praticar  domestico  il  secondo  , 
Quello  poi  da  dover  giace  nel   terzo  . 

Non  però  vo'  che  sembri  un  tutto  pondo  , 
Gelido  sasso,  un  infelice  intoppo, 
Un  ingegno  fantastico  e  profondo. 

Ne  molle  troppo  sia,  ne  dura  troppo; 
Scegliane  il  mezzo,  e  diligente  mire, 
Non  esser  lenta  o  correr  di  galoppo. 

E  periglioso  il  ritornare,  il  g»re 

A  tutte  nozze  sempre,  a  tutte  feste, 
E  con  chi  P  ammonisce,  alzarsi  in  ire. 

Donna  pudica,  e  dritta  in  casa  reste, 
La  turba  noce,  e  quindi  vien  che  vuole 
Og^i  carretta  ,  e  di  man  altra  veste  . 

Per  far  poi  forse  concorrenza  al  Sole, 
Provvisioo  d'  unguenti  fa  da  grande, 
Nò  giovan  contra  ciò  buste  e  parole  . 


28q  Poesie 

Il  calcinato  viso  a  rughe  spande 

Repente  il  piano  avorio  ;  e  quelle  perle* 
Ch'  a   la  lingua  facean   \rghe  ghirlande  , 

Quanto  or  vi  sono  orribili  a  vederle 
Fetide  e  negre  ?  ed  uopo  è  di  tanaglia  9 
INon  di  rimedio  più  per  sostenerle  . 

E  forse  che  non  sa  la  femminaglia , 

Che  gli  unti  fanno ,  e  i  lisci  de  le  gote  > 
Quel  ch'acceso  carbon  d'arida  paglia? 

Ma  tanto  il  cieco  vizio  in   tutte  or  puote, 
E  l'ignoranza  madre  d'ogni  errore, 
Che  son  riprese,  e  pur  si  stanno  immote. 

Moglier  dimmi:  non  piaci  al   tuo  signore 
Sì  senza  biacca,  e  quale  il  ciel  ti  fece? 
Or  come  incorri  in  sì  sfacciato  umore? 

Dirol  per  te ,  dappoi  che  a  te  non  lece  : 
O  per  vaccanterie,  ma  pur  col  tempo  , 
Via  se  n'andrien,  temo  io  di  più  ria  fece. 

Evadne  e  Marzia  ,  chiare  in  ogni  tempo , 
Ed  altre  ,  ed  altre  de  la  prima  etate 
Schivar  questi  sospetti  in  quel  buon  tempo. 

Prime  di  tutte,  et* a  portar  beltate 
Sudassero  a  beltà ,  fur  le  Sirene , 
Invide  ,  ftiribonde ,  e  scellerate. 

Stinsi  entr'  al  nido  suo  ,  questo  conviene  ; 
IN  è  qua  uè  là  per  usci  e  per  finestre 
Corra  guatando  ognor  chi  va,  chi  viene; 

O  file  o  tessa  o  conci  le  minestre 

Col  suo  demonio,  e  fuor  de  la  ragione  , 
Per  l'appetito  non  si  discalpestre. 

A   mollissìuii  amor  caldo  balcone 
E  ruffiano  ;  apportan   le  vedette 
A  cento  mila  colpe  occasione . 


Satiriche.  281 

E  s'avverrà,  che  un   Giorgio  le  dilette, 
Non  ti  fidar,  ch'essa  giammai  si  stanchi, 
Fin  che  da  quel  non   giunge  a  cinque,  à  sette. 

O  che  cac  iar  di  segni  or  negri  or  bianchi  : 
Che  favellar  co*  diti,  e  con  la  fronte: 
Che  bel  menar  di  braccia,  e  gambe  e  fianchi. 

Col  senso  ponga  e  tregua  e  pace  a  monte: 
Affreni  l'occhio,  d'ogni  infamia,  e  d'ogni 
Mala  operazión  principio  e  fonte. 

Di  se  stessa ,  e  del  mondo  si  vergogni; 
Pensando  che  i  piacer  poc'  anzi  avuti, 
Fien  lunghe  penitenze  e  brevi  sogni . 

Non  faccia  come  fan  gli  animai  bruti, 

A  quai  manca  intelletto  ;  a  se  provveggia  , 
Che  '1  naturai  difetto  in  legge  muti. 

Agevol  questo  fia ,  se  non  l'assedia, 
E  impedisce  1'  età,  che  non  sì  tosto 
Docile  si  travolve  e  signoreggia  . 

Un  fresco  ramo  assai  chino  e  disposto, 

A  gabbia,  ad  arco  avrem:  l'altro  si  rompe, 
Che  di  soverchio  è  contumace,  e  tosto. 

Or  eh'  è  fanciulla,  sprezzar  può  le  pompe  , 
Il  buffoneello,  il   canto,  il  sonno,  il  vino, 
Ciascun  de'  quai  nel  ben  poi   la  'nten  ompe  . 

L'  arte ,  s'  ha  mal   ingegno,  e  '1  buon  cammino, 
Che  tu  le  mostri,  formeralla  in  tutto 
D'  un   animo  gentile  ,  e   pellegrino: 

Non  altramente,  che  terreno  asciutto, 
E  da  se  magro  ,  con  versar  letame  , 
Grasso  di  ve. ita  ,  ed  atto  a  produr  frutto  . 

0  come  sterile  arbore,  che  brame 
Innestarsi  col   fertil  ,  cangia   usanza  , 
E  di  fruttificar  tien  miglior  brama. 


282  Poini 

S'  ha  buon  ingegno,  con  Y  esempio  avanza, 
E  col  buon  uso,  entrandone  pian  piano 
De  la  virtute  a  Y  onorata  stanza  . 
Non  altramente ,  che  fecondo  piano  , 
Volto  da  buoi ,  con  geminate  usure 
Rende  quanto  vi  sparse  incuta  mano. 

0  come  vite  ,  che  da  se  mature 
Manda  le  solite  uve,  nondimeno 
Bisognosa  è  di  falci  e  di  colture. 

Non  aspettar ,  che  si  raccolga  in  seno 
L'attempate  malizie  in  quel  veratro, 
Che  le  scuote  di  bo=  ca  il  giusto  freno. 

L'aspro  bifolco  al  dì  sereno ,  a  l'atro , 
11  tenero  giuvenco  addestra ,  e  doma 
Sotto  l' incurvo  e  faticoso  aratro. 

Il  contadi  o  a  la  matura  soma 
Il  lascivetto  insolito  polletro  , 
D'occhi  grifagni,  e  di  pendente  chioma, 

Qual  in  più  parti  si  divide  il  vetro, 
Tal  la  semplice  età  di  biondo  pelo, 
Di  duro  ferro  è  l'altra ,  che  vien  dietro. 

Quando  fie  giunto  a'  nubili  anni  il  velo 
Corporeo ,  eleé^a  ,  o  de  la  terra  meglio 
Le  tede  ,  o  gli  imenei  sacri  del  cielo. 

Se  desia  tonicellà  ,  animo  veglio 

Abbia  ,  e  rivolto  a   Dio  la  notte  e  il  giorno. 
Stracci  le  cuffie  d'or  ,  franga  lo  Speglio. 

Se  vuol  marito,  e  nosco  far  soggiorno  , 
Cresca  in  bontafe  al  capo ,  che  l'è  dato , 
E  in  prudenza  maggior  di  giorno  in  giorno 

Tanto  a  lei  piaccia,  qnanto  a  Ini  vien  grato; 
Non  sia  ritrosa  ,  ne  loquace  sia  , 
Ch*  entri  a  tutl*  ore  in  ghiribizzò  ,  in  piato. 


Satiriche.  283 

Voglioti  ricordar ,  madre  ,  una  mia 

Sentenza  ,  e  non  perchè  da  me  l'impari, 
Che  ben  so  ,  che  notissima  a  te  fia. 

Chi  si  vuol  maritar ,  giungasi  a  pari  : 

Né  per  sangue ,  o  per  soldi ,  atro  disegno 
Faccia  avvinchiarsi  da  partiti  amari. 

Chi  fa  d'altra  maniera  ,  è  senza  ingegno  , 
Troverassi  mai  sempre  in  ira ,  doglia , 
Maniucooia  ,  rancor,  noja  e  disdeguo  ; 

Spegnerà  del  ben  far  tutta  la  voglia  : 
Però  t'avviso  ,  che  d'affetto  accendi 
Giusto   l'anima  tua ,  d'altro  dispoglia  . 

Se  tu  fai  compagnia  ,  se  compri  o  vendi, 
Voler  e  disvoler  senior'  è  in  tua  possa  : 
Puoi  dir  con  libertate,  o  lascia  o  prendi. 

Sia   s'  una  volta  in  matrimonio  hai  mossa 
La  lingua  a  quello ,   Io  voglio  ;  è  forza  poi  t 
Che  porti  quel  voler  fin  a  la  fossa  . 

Spendi  qui  ,  prego,  e  desta  i  pensier  tuoi, 
Che  non  per  sormontar  tutte  le  stelle  , 
Ne  T  infermo  mini ,  ove  non  vuoi  . 

Chi  non  ha  panno  ,  cingasi  di  pelle  9 

Trovisi  un  merlo,  chi  non  ha  calandra, 
Merlo,  che  in  giù  e  in  su  gracchi,  e  saltelle. 

Se  non  puoi  porla  in  ck  di  Creso  o  d'  Andra  m 
Poula  in  cà  d'  Irò:  i'  lodai  sempre  oguuna 
Di  rustica  bontà  composta  mandra  . 

La  nobiltà  per  dono  di  fortuna  , 

Scende  a'  mortai  ;  ma  la  virtù  per  dono 
Alto  di  Dio,  dove  ogni  ben  s'aduna. 

Di  questa  ferma  opinione  io  sono, 

Che  non  ad  uom.  di  robe  si  dia  donna, 
Ad  uom  si  dia,  che  robe  far  sia  buono. 


284  Po    BUI 

Peggiore  è  il  pazzo ,  eh'  una  avvolta  in  gonna  9 
Serva  rozza,  e  fanatica,  nel  saggio 
vSano  giudioio ,  e  stabile  s'indonna. 
Ecco  per  obbedir,  quanto  scritto  aggio, 
In  parole  plebee  ,  resta  ,  che  in  opra 
Si   metta  a  lo  spuntar  del  nuovo  raggio  . 
Ma  mi  protesto  che  non  poggia  sopra 

Natura  alcun  consiglio  o  piaccia  o  spiaccia r 
Se  ben  la  forza  col   consiglio  s'  opra  . 
Se  tua  fanciulla  ,  che   Dio  mai  no' 1  faccia  , 
Di   nature  sarà   maligne  e  prave, 
Ogni   calda  avvertenza  in   lei  s'agghiaccia. 
0  vecchia   rancia,  o  giovane  soave, 
Muli   paese  e  pelo  e  stato  e  sorte , 
Acqua  non   hai,  che  sì  gran   macchia  lave. 
Quel  eh'  or  Formica  è  detto  ,  uom  fu  già  forte* 
Dato  a  l'agricolture,  a  le  fatiche. 
Per  monti  e  valli  e  per  vie  lunghe  e  corte  » 
Ma  uon  contento  de  le  proprie  spiche , 
N'  iva  rubando  senz'  alcun   riguardo 
Per  spelunche  domestiche  e  nemiche  . 
Sdegnossi  Giove  nel  drizzar  Io  sguardo 
Verso  le  terre  ,  e  in  anima]  cangiollo, 
Qual  ne  si  mostra  ,  e  piccioletto  e  tardo, 
E  ne  1'  antico  nome  suo  lasciollo  ; 

Che  Formica  è  chiamalo  anco  al  dì  d'  oggi, 
Fin  da  quella  stagion  che  trasformollo . 
Serba  1'  affetto  per  campagne  e  poggi , 
Benché  perduto  abbia  le  prime  forme  , 
Che  ladro  in  quel  d*  altrui  sempre  s'  appoggi, 
Or  guarda  come  quelle  escono  a  torme  . 
Rubando  ,  e  tiran  dentro  a  I*  ime  grotte; 
Né  Jascian  de'  lor  pie  mai  le  fati.'  orme; 


Satiriche.  aS5 

Se  fosser  qui  tutte  le  lingue  dotte , 
Non  potrienmi  negar  eh'  è  vana  forza, 
Come  del  chiaro  dì  far  tetra  notte, 

Volger  dal  cammin  suo  natura  a  forza . 


286 


SATIRA 

AL  S. 

^GIROLAMO  SFORZA 


>!.  osto  che  '1  ben  oprar  fu  posto  a  terra 
Da  le  genti  maligne  e  tralignate, 
Sorse  fra  noi  la  maladetta  guerra . 

Quel  mìo,  quel  tuo  d'  una  in  un'  altra  etate 
Crebbe  sì,  ch'alti  imperj,  onori  eterni 
S'acquistar  l'arine  ingiuste  e  scellerate. 

Puossi  veder  ne'  tempi  più  moderni 

Tra  Bracci  e  Sforzi,  ed  altri  mille  e  mille, 
Che  nulla  fur ,  non  dico  bassi  esterni  . 

Lasciamo  star,  perchè  cantato  è  Achille 
Da  la  Meonia  tromba  ,  e  'nsieme  Ulisse  ; 
Se  non  eh'  arsero  tempj ,  uomini  e  ville? 

Lor  questi  alzò  metalli  ,  e  quel  ne  scrisse  , 
Furo  adorati  ancor  per  buoni  e  santi, 
E  Dio  sa,  come  1'  uno  e  l'altro  visse. 


Satiriche.  287 

Facciansi  qui ,  facciansi ,  prego  ,  innanti 
Cesare,  ed  Alessandro:  e  venga  Augusto 
Un  de*  più  cari  a   la   Fortuna  amanti  . 

E  forse  Alcide  anch'  ei  non  fu  sì  giusto, 
Come  le  greche  mentitrici  carte 
Lasciar  per  bizzarria  ,  disser  per  gusto  . 

Guardiamlo  in  Carlo  Quinto  ,  in  cui  ver'  arte 
Dicon  fu  di  milizia  ,  e  qualche  volta 
Perde,  e  pur  vien  chiamato  invitto,  e  Marte. 

Apre  uom  1'  orecchia,  e  in  ogni  lato  ascolta, 
Cb'  ei  dal  soverchio  non  fu  mosso  mai  : 
Ma  ciò,  perchè  al  contrario  non  si  volta? 

Quantunque,  a  dire  il  vero,  ei  fu  d'  assai, 
E  men  de  gli  altri  ignobile  imperfetto.. 
Ornando  questa   età  di  nuovi  rai . 

Ogni  mortale  ha  in  se  qualche  diletto 
O  per  natura,  o  pratica  di   tristi  : 
E  solamente  Dio  tutto  perfetto. 

Sono  i  dritti  pensier  confusi  e  misti 

Co'  torti ,  e  i  torli  vanno  in  un  co'  dritti: 
Tu  ferro  d'  avarizia  il  cor  11*  apristi  • 

Armasi '1  Guelfo  d' argomenti  fitti, 
Il  Ghibellin  le  sue  ragioni  allega  , 
Iberi  e  Franchi  n'  han  del  tutto  afflitti . 

Mentre  i  Principi  fan  or  guerra  or  tregua , 
Il  Tiranno  infedel  empio  e  funesto  , 
Nel  mar  Tirreno  oscure  insegne  spiega  . 

Ab  giù  del  Ciel  discenda  ajuto  presto, 
Movasi  alta  pietale  a  ferma  voce, 
In  pericol  sì  grande  e  manifesto  . 

Sia  '1  segno  di  salute ,  e  quella  croce 

Da  questo  e  quel  si  spesso  eretta,  e  tinta  , 
Nel  sangue  nostro,  or  più  che  mai  veloce. 


288  Poesie 

La  ,  Padre ,  di  pallor  faccia  dipinta  , 
Lacera  ed  egra,  alzi  Je  ciglia  un  poco 
A  la  sua  sposa  languida  e  discinta. 

Col  sangue  de  le  spine  estingua  il  foco  , 
Con  la  dolce  parola  a  se  richiami 
L'errante  plebe  ,  e  renda  al  primo  loco. 

Torniamo  a  casa    Ognun ,  che  'I  troppo  brami , 
Cerca  la  guerra  ,  e  tal  proprio  fa  Chini  , 
Che  innamorato  par  la  segua  ed  ami. 

Se  bee,  se  mangia,  o  resti  egli,  o  cammini, 
Ed  ancor  guerra  guerra  in  sonno  grida, 
Alto  sì,  che  l'intendono  i  Ticini. 

Con  un  qui  briga  prende ,  un  altro  i sfida 
E  pettoruto,  ha  forti  nervi,   ha  sode 
Ossa  ,  ove  tutto  il  gignnton  si  fida. 

Braveggiar  anco  temerario  s'ode: 
Veste  ferro  lassù  celesti  membre  _, 
E  Palla  e  Marte  il   Dio  gagliardo  e  prode. 

Par  che  de'  tuoni  ognor  Giove  si  membre  , 
Ma  non  di  Tauro  farsi  ,  rispond'  io, 
Uccello  ,  o  cosa  liquida  o  bimembre. 

Evvi  sotto  l'insegna  ,  Adonio  mio 

(D  rogliela  in  sul  viso  ,  e  mi  perdone) 
Faluon  di  preda   fuggitivo  e  rio; 

E  Furio  condottier  dempie  pi  rsone , 
Mortai  nemico  di  riposo  e  pace  , 
Cui  l'alma  sta  per  sale  in  quel  corpone: 

Ed  a  cui  tanto  una  mal' opra  spiace, 
Quanto  a  Ronchetto  ipocrita  l'errore  , 
Che  fa  con  la   matrigna,  e'1  padre  tace. 

Uom  ,  che  non  ha  riguardo  al  proprio  onore, 
Il   buon  creato  dice  a  questo ,  a  quello  , 
Che  per  vizio  noi  fa  ,  ma  per  amore. 


Satirici!  v.  289 

Cosi  cieco  seti  passa  il  poverello  , 
Pubblico  vituperio  di  sua  casa, 
Ch'  oggi  non  è  più  casa,  anzi  bordello  k 

Barbagianni  infelice,  in  cui  s'  invasa 

La  torta  guancia,  e  "I  ciglio,  eh' addolora  v 
Fin  a  cagnuol,  che  quinci  e  quindi  annasa, 

Quel  eh*  è  di  deutro  appar  per  quel  di  f uora  ; 
Seguon  del  corpo  suo  la  tempratura 
I  costumi  dell'  animo  ad  ogni  ora  . 

Oltra  questo  erroruzzo  ,  uccide ,  e  fura  , 
Ma  tanto  destro,  eh'  a  scoprirlo  è  forza 
Andar  con  Astrolabio,  e  con  misura. 

Bai  botta  pater  nostri  a   poggia  ,  ad  orza , 
E  con  pelle  d'  agnello  iugordo  lupo 
Tutto  '1  genere  umano  inganna,  e  sforza  • 

Non  ha  fiume  sì  largo,  né  sì  cupo 

Antonin  ,  1'  uom  de  1'  arme  da  Novara  9 
Ne  si  può  far  con  lui  sconcio  dirupo. 

Scortica  gì  sempre  ove  alloggi»  amara- 
Mente,  fin  a  le  mura  de  1'  albergo , 
Man  torta,  fronte  atsiccia,  e  bocca  amara. 

Non  ben  ha  volto  a  la  sua  Lidia   il  tergo , 
Che,  non  che '1   manto,  i   peli  de  le  ei^lia 
Giocasi  ,  e  sta  ,  qual  sotto  T  acque  uu  niergo* 

E  la  meschina  abbandonata  figlia 
Aspetta  invano  i  debiti  Imenei  , 
E  sospirando  tuttavia   s'ingiglia, 

O  secolo  ripieo  d'uomini  rei, 

Che  le  Megere  incrudelite  e  tetre, 
E  i  Pluti  già  t'  bai  fatto  idoli  e  Dei , 

Né  giovan  de  gli  Orfei  1"  antiche  cetre  ; 
Ne  di  quel!'  Anfion,  che  mosse  al  suono  9 
Tiensi  per  certo  ie  Tebane  petre  . 
Poesie  Satin  19 


ago  P  o  s  e  i  fc 

Or  solo  il  suoni  de'  soldi  è  grato  e  buono  , 
E  de  le  trombe ,  e  de  i  tamburi ,  quando 
Preda  F  imprese,  e  latrocinj  sono  . 

Se  rinascesse  il  Ser  d*  Auglante  Orlando , 
Coi  dodici  robusti  di  Parigi, 
Per  uno  scoppio  andria  di  ▼ita  in  bando  . 

$è  gioveria  che  tanti  a'  laghi  Stigi 
Mandato  avesse  la  sua  Durindana  , 
E  ? oti  andrian  gì'  incanti  a  Malagigi  # 

Lascia,  lascia  soldato  ,  ir  via  1"  Alfana  ; 
L'  elmo  e  la  lancia  a  la  fucina  rendi , 
Ch'  ogni  armatura  incontra  '1  fuoco  è  vana. 

O  tosto  un  archibugio  in  spalla  prendi  , 

Se  vuoi  rubar  con  gli  altri  e  case  ,  e  tempi 
Esser  decritto  in  rollo,  aver  stipendi . 

Tutto  di  polve  e  fumo  il  capo  t' empi, 

Ch'  altro  guerra  or  uon  è  che  fumo,  e  polve 
E  ten   potrei  narrar  cotanti  esempi* 

Ogni  buou  alto  in  ombra  si  risolve, 
Combattere  a  steccato,  o  dare  assalto 
A  rotte  mura,  ove  più  d'un  si  dolve  . 

Se  vinci ,  io  ti  glorifico  ed  esalto 

0  per  ingegno  vinci  ,  o  per  fortuna  : 
Co' pie,  se  perdi  poi,  sovra  ti  salto. 

Piobe,  e  danari  a  dritto  a  torto  aduna  , 
Vesti  da  cavalier ,  fa  del  galante , 
Vantati  a  giorno  chiaro,  a  notte  bruna. 

Movi  con  sprezzatura  ambe  le  piante  , 
Guarda  con  occhi  biechi ,  abbi  le  cose 
Tutte  egualmente  indomito  incostante. 

A  questi  dì  le  virtù  stansi  ascose, 

1  vizj  hanno  il  dominio,  e  '1  tutto  ponno* 
Mojon  le  gentilezze  favolose  . 


Satirica  i.  291 

Ahi  dato  in  preda  tutto  al  mentre,  al  sonno 
Già  glorioso,  e  bel  paese  Esperio, 
A  tal  condotto  ornai  eh'  ognun  t'  è  donno  » 

Ora  il  Gallico  t'arde,  ora  Tiberio; 
Ne  per  te  sorge  più  Scipio  e  Camillo, 
Né  Cesare  ,  o  il  figliuolo  ,  o  pur  Tiberio  ; 

D'  alta  montagna  sei  fatto  un  lapillo  _, 
Per  le  discordie  tue,  per  le  tue  colpe 
Squarciato  e  preso  è  il  trionfai  vessillo. 

Altro  certo  che  te  non  ho  ,  che'ncolpe. 
E  qual  lingua  verrà ,  qual  sarà  penna  , 
Che  d' infiniti  error  mai  ti  discolpe  ? 

Ancor  so ,  ten  ricordi  :  ecco  Ravenna  , 
E  Roma  ,  non  più  Roma  ,  a  sacco  posta , 
E  1'  Isola ,  il  cui  mezzo  è  1*  antiqu'  Enna. 
a  ciascun  barbaresco  insulto  opposta 
Napoli,  sempre  a  la  propinqua  Epiro , 
Sempre,  e  ad  Alger,  sempre  e  ad  Algerbe  esposta: 

1  peggio  è  y  quando  lacrimoso  miro 
Data  a  1*  unghie  de*  suoi  la  bella  Siena  : 
O  de  le  umane  cose  instabil  giro  . 
anta  Concordia ,  i  Soli  tuoi  rimena 
Più  sereni  e  tranquilli  a  gli  occhi  nostri  9 
E  leva  Italia  ornai  di  lunga  pena . 
)eh  lieta  Pace  ,  a  che  tu  non  ci  mostri 
Le  verdi  olive,  e  le  vivaci   palme  , 
E  voi  eterni  fuochi  i  lumi  vostri? 
'overa  Italia  sotto  sì  gran  salme  , 
Languendo  a  terra  cade  ;  e  seco  iosiemt 
Ne  I*  innocenza  lor  tante  e  tanf  alme  . 
irudo  fatai  destin  l'affligge  ,  e  preme 
Prega  le  stelle ,  invoca  i  tardi  figli  j 
E  non  udita,  ne  sospira ,  e  geme  • 


2§t  Poesie 

JNessun,  dice,  di  me  si  meravigli: 

Nessun  dietro  mi  pianga  :  a  me  par  troppo 
Se  non  più  fansi  i  campi  miei  vermigli  # 

Se  non  ritrovo  altr'  ira  ed  altr'  intoppo . 


X 


ag3 


SATIRA 

A  M . 

PORFIRIO  TESTA. 


he  cortigian  ti  facci ,  eh  chi  l'approva? 
Anzi  fatti  un  Bnsiri ,  un  Licaone . 
Ne  la  corte  ogni  danno,  ogni  mal  cova, 
Il  torto  vince ,  e  perde  la  ragione . 
l'I  dico,  e'1  posso  io  dir  per  fatta  provaf 
Non  per  particolare  opinione . 
Fatti  un  pistor,  fatti  un  Poeta  vano, 
O  fatti  uu  birro,  ma  non  cortigiano. 

Qual  fallir  tuo,  qual  fallir  già  de' tuoi, 
Qual  giudicio  divin,  qual  celeste  ira, 
Qual  ignoranza,  o  chiamar  pazzia  vuoi, 
A  disperazion  l'anima  tira? 
Ch'ami  ora  quel,  che  odiare  avrà*  dappoi, 
Quel  che  mortai  veleno  accoglie  e  spira: 
Ch'  altro  mostra  di  fuor,  altro  tieu  dentr# 
D'ogni  infelicitate  abisso  e  centro. 


Sg4  Poesie 

E  fu  già  un  tempo,  che  nome  ebbe  Morte: 
Non  è  favola  questa  ,  apri  l'ori  echi  a. 
Ma  perchè  'I  nome  era  troppo  agro  e  forte  , 
E'1  cor  pungea  più,  ch'attizzata  pecchia; 
Queir M  caugiato  in  C,  le  fé'  dir  Corte, 
Che  importava;  oggi  ad  ogni  usanza  vecchia 
Verrà  contraria,  e  farà  corte  e  liete 
Le  sperauze  lunghissime  inquiete. 

Non  ti  fidare  :  ella  oggi  è  più ,  che  mai 
Lunga,  ipocrita,  avara y  empia,  e  crudele, 
E  se  ben  col  servir,  ciò  che  vuol,  fai, 
Forz' è  che  alfin  t'inganni  e  ti  dipele. 
Fuggila ,  per  Dio  frate ,  e  fiete  assai 
In  altr'  arte  succhiar  men  duro  fele  • 
E  credi ,  che  se  n'  odi  il  comun  pianto» 
Sordo  sarai  di  tal  Sirena  al  canto. 

La  qua!,  s'a  pochi,  come  il  ciel  destina, 
Benigna  fassi  ;  non  però  ne  viene, 
Che  non  fallace  sia,  ncn  sia  meschina, 
Inferno  di  travagli ,  e  mar  di  pene . 
Essa  de' buon,  de' rei  fatai  mina, 
Ne  carità  mai  tien ,  ne  mai  fé  tiene. 
Sola  speranza  par  le  reste  in  tutto, 
Che  spunta  fiori  ,  e  non   raggiugne  a  frutto. 

Ma,  perchè  da  la  lettra  che  mi  mandi , 
Comprendo,  ch'osiinato  l'ami  e  cerchi: 
Mentre  mi  comi  ad   uno  ad  uno  i  grandi 
Dignissimi  di   Mete,  e  Moli ,  e  Cerchi . 
Né  fai  parola  del   mi' Anselmo  d'Andi . 
Di  Cinna  d'Agrio  d'Alchi  d'Esbio  e  d'Erchi  ; 
Che  stanchi  e  bianchi,  accesi  d'odio  e  scorno.' 
Pentiti  invan  ne  piango»  notte  e  giorno» 


, 


Satiriche.  295 


perchè  so ,  eh*  ogni  opra  saria  nulla 
A  volerti  ritor  da  questa  impresa, 
Per  quel  di  più,  che  me  n'ha  detto  il  Rulla, 
Cui  gravissamente  ancor  ne  pesa  ; 
Qual  chi  con  pargoletto  si  trastulla , 
Dice,  che  vada,  e  gli  ha  la  via  contesa, 
Farò ,  poi  che  men  preghi ,  e  in  parte  forse 
Il  mal  torrò,  se 'n  tutto  non  può  torse. 

Prima  sappi,  che  due  le  virtù  sono 
In  Corte  necessarie,  e  principali, 
Pazienza  ,  ed  astuzia  ;  or  se  vuoi  buono 
Parer ,  s'un  dì  voltarten*  con  destr'  ali , 
Queste  seguir  convien ,  con  prego  e  dono 
Queste  impetrar  da' numi  alti,  e  immortali; 
Senza  le  quai  somiglio  ogni  fatica 
Ad  inarata  campagnuola  aprica, 

Non  por  fede  in  padron;  sia,  quanto  voglia, 
Santo  e  dabben:  che  le  speranze  porche, 
Che  quella  tua  sì  calda    e  ferma  voglia 
Non  ti  conduca  a  le  meschine  forche. 
Mostra  por  fede,  aociochc  e*  non  si  doglia, 
Se  'n  te  scorgesse  di f fidanze  sporche. 
Cerca  ognor,  che  '1  cercar  ti  fia  concesso, 
Suda  sempre  d'aver,  guarda  a  te  stesso. 

De'  padroni  l'amor  s'appropria  al  vino  , 

Ch'oggi  è  qual  ier,  ma  diman  poi  non  tale* 

Però  sia  sempre  a  l'util  più  vicino , 

E  '1  tuo  timor  sia  '1  fosso,  o  lo  spedale . 

Non  imparar  ne  Greco,  ne  Latino: 

Contentati  restar  qua  giù  mortale 

Senza  i  famosi  nomi,  e  l'ampie  fame; 

Pur  che  a  morir  non  t'abbi  egro  di  fame. 


/ 


sg6  F  o  e  a  i  e 

Giunge  a  pessimo  fin,  chi  'n  corte  vive, 
E  non  vuol  traviar  giammai  dal  dritto. 
Questi  '1  dice  a  colui  ,  quegli  lo  scrive  : 
Ma  nessun   motto  è,  che  non  sia  già  ditto» 
Se  F  inventrice  de  le  prime  olive  , 
Se  chi  primo  portò  l'uve  in  Egitto, 
Vivesser  oggi  in  corte  ,  e  fosser  giusti , 
N'  avriano  a  uscir  sul  fin  d'infamia  onusti. 

D'un  buon  si  dice:  o  che  balorda  fera, 

Ha  servito  gran  tempo ,  e  pur  che  ha  fatto? 
Quanto  è  più  scaltro  il  Petronin  Dolvera , 
Che  sovra  '1  ciel  de  F  auro  ito  n* è  ratto? 
Oh  tu  dirai  :  ne  la  giustizia  spera  , 
Non  t'  adirar  s'  ha  beneficj  un  matto . 
Ti  rispondo ,  che  sei  mozzo  da  spola  , 
Torna  pur  a  imparar ,  va  pur  a  scuola. 

Faria  in  altra  stagion  quel  che  tu  dici 
De  la  giustizia,  or  son  Fetà  cangiate, 
E  cener  quei  Serran  ,  Curii  e  Fabrici 
Di  quella  chiara  avventurosa  etate. 
Allora  eran  più  ricchi  i  più  mendici  , 
Men  freddo  il  verno,  e  calda  men  la  state. 
Il  viver  d'oggidì  sott' empi   lumi, 
Altri  modi  richiede,  altri  costumi. 

Non  por  fede  ne' tuoi  cari  conservi; 
Pensa  che  quegli  in  te  non  pongan  fede; 
Sii  doppio:  in  ciò  sangue  ossa  carne  e  nervi 
Adopra,  e  petto  e  mano  e  lingua  e  piede. 
S' a  me  non  credi,  e  più  non  ti  conservi, 
Che  se  con  mille  combattessi  a  piede, 
Ahi ,  quanto  dappoi  vecchio,  e  fuor  di  corte 
Del  tuo  poco  saper  ti  dorrà'  forte. 


Satiriche.  397 

À  te  son  que'  nemici  ,  a  lor  se'  tu . 

Fermati,  e  non  cercarne,  o  frate,  il  quia. 
La  tavola  rotonda  ,  e  'J  capo  Artù 
Stansi  oltra  il  campo,  che  mantiene  Elia. 
Pipino,  e  Carlo  ancor  si  stan  lassù, 
Noi  poveri,  e  mal  vivi  siam  per  via. 
Torneran  forse,  ma  non  sassi  il  quando, 
Frattanto  intorno  il  ciel  sen  va  rotando. 

Vuo'  che  ti  dica ,  come  corre  il  mondo  : 
L'alma  de' gran  Maestri  è  ne  gli  onori, 
L'alma  de'  Mercatanti  è  ne  l'or  biondo, 
L'alma  de'  Cortigiani  è  ne'  favori, 
L'alma  de'  Marziali  scorre  a  tondo, 
Ve  l'alma  altrui  l'alma  è  de  gli  amatori, 
Quella  de*  Marinari  è  per  le  sarte, 
Quella  di  voi  Poeti  è  su  le  carte. 

Il  mondo  è  stolto ,  e  chi  ci  vive  è  stolto , 
Son    le  cose  di  lui  favole  tutte. 
Non  voglio  il  poco,  e  'nsieme  fnggo  il  molte, 
Come  le  strade  o  più  fangose,  o  asciutte. 
Nel  mezzo  siede  il  mezzo:  avere  il   volto 
Magro,  e  le  guance  a  la  miseria   instrutte: 
O  quel  grasso,  e  quell'erte  fuor  di  modo, 
Socrate  non  approva ,  ed  io  non  lodo. 

Il  far  sempre  da  grande,  il  non  mostrare 
Bisogno;  per  celata  ,  e  per  panciera 
Servati  prontamente:  e  l'adulare 
Per  scudo  e  lancia  a  la  battaglia  fiera. 
Veuir  vuoi  ricco,  e  ti  convien  usare 
La  lingua  a  la  menzogna ,  a  la  chimera  ; 
Dir,  rotei  padroni  ben  fosse  un  Ser  Cariaggio: 
Sia  liberale  e  sauto,  e  giusto  e  saggio. 


298  PRESTE 

Cui  non  per  ozio  mai  cantare  il  cielo 
Come  s'aggire ,  il  mar  come  si  turbi: 
Perchè  fuor  esca  il  caldo  appresso  il  gielo, 
Perchè  un  luogo  si  lasci,  uu  poi  s'inurbi. 
In  udir  questo  gli  s'arriccia  il  pelo, 
Col  suon  de  le  scienzie  tu  '1  conturbi . 
Me' digli,  come  rubi,  e  come  uccida, 
Prenda ,  e  tradisca  chi  di  lui  si  fida . 

Già  per  questa  cagion  poco  a  me  piace 
A'  moderni  Signor  molto  servire. 
Ti  potrian  far,  dirai,  che?  più  loquace, 
Ladro  e  ribaldo,  il  vizio  ognor  seguire. 
Sia  maladetto  a  chi  non  spiacque,  e  spiac© 
In  servitù  tirannica  morire. 
Non  so ,  ne  voglio  dir  quel  ch'è  peccato, 
E  però  mi  contento  or  del  mio  stato. 

Non  so,  né  voglio  dir,  che  dindio  è  parco 
S'  egli  è  cortese  a  tutti  :  e  che  cortese 
È  quel  tanaglia  mariuol  d'Alarco, 
Che  si  fa  così  strette,  e  lorde  spese. 
Non  so,  né  voglio  dir,  che  Clutilarco 
Da  fanciulletto  a  la  virtù  s'accese; 
Dov'  ei  col  vizio  nacque  empio,  e  bastardo 
Di  Raffaella,  e  padre  arcibastardo. 

Non  so,  né  voglio  dir,  che  questo  è  dotto, 
E  quel  sa  nulla ,  ove  M  contrario  appaja. 
E  dove  non  ho  visto  sopra  e  sotto, 
Che  Gesolmina  è  sconcia,   Ardelia  è  gaja. 
E  dove  di  cucina  ho  '1  gusto  indotto  , 
Dir  che  mastro  Pj.squin  vince  TArpaja  , 
E  cose ,  che  non  fansi  al  genio  mio  , 
E  piacciono  al  padron,  ma  non  a  Dio. 


Satiriche.  295 

Non  so,  ne  voglio  dire,  o  far  quel  latito, 
Che  Scita  non  faria ,  non  di  ria  Moro. 
Indurre  un  poverello  a  fin  di  pianto, 
Per  di  man  torgli  un  ramoscel  d'alloro; 
E  per  invidia,  tal  biasmar  da  canto, 
Che  più  di  tutti  gli  altri  meco  onoro. 
Moja  più  tosto,  che  s'intenda  mai, 
Che  a  torto  abbia  uom  per  me  fastidi,  e  guai» 

Marmi  di  Sparto ,  e  vasi  di  Corinto , 

Orsi,  e  colonne,  o  Italia,  e  novi  scettri 

T'  han  disonestamente  il  viso  tinto , 

Mozzi  i  capelli,  e  tolti  via  gli  elettri. 

Conti,  Marchesi,  e  Duchi  baa  quegli  estinta 

Conosc  itor  de'  tuoi  celesti  plettri . 

O  non  avesser  mai  lasciato  a  noi  , 

Chilperico  il  Messer,  Cesare  il  voi. 

Io  mi  contento  star  quivi  fra  Clima, 
E  Baja,  in  santa  e  solitaria  vita, 
Mirando  il  Leucogeo ,  quando  più  fuma  , 
O  ver  Lucrino  andrò  s'Araor  m' invita  : 
O  col  remo  aprirò  la  salsa  spuma, 
S' a  Nisida  vo'  far  dolce  salita, 
E  dir  :  Questa  fu  Ninfa ,  eh'  altrui  piacque; 
Or  è  piacevol   sasso  in  mezzo  l'acque  • 

Così  per  variar  luogo,  in  A  verno 

Rotando  il  pie,  vedrò  l'antiche  mura, 
Donde  il  Trojan  calò  giù  ne  l'inferno 
Con  la  Sibilla ,  per  la  notte  oscura. 
Ivi  ammirando  il  gran  valor  superno, 
Dirò  fra  me  :  Quest'onda  è  di  figura 
Nee;ra  ,  e  col  fiuto  uccidea,  che  stran*  opra? 
Volanvi  «ani  oggi  gli  augei  di  sopra. 


3oo  Poesie 

E  se  men  verrà  voglia,  in  piaggia  al  monte 
Andrò,  che  nome  ancor  tien  di  Miseno  : 
O  volgerò  l'insaziata  fronte 
A  quel  ,  che  Circe  ebbe  tant'  anni  in  seno. 
Al  nocchier  canterò  l'opre  a  lui  conte, 
Che  col  possente  e  magico  veneno 
Dei  rombi  e  segni ,  al  suon  de  le  parole 
TV  la  bella  e  crude]  figlia  del  Sole. 

Sorsero  alti  palazzi  ,  dov'  or  l'erbe 
Cresco n  pia  folte,  mostrerò  col  dito: 
1  sac»i  boschi  qui  tenean  l'acerbe 
Gabbie  del  popolaccio  egro,  e  schernito* 
Orsi,  Lupi  e  Leon,  fere  superbe, 
Tutto  d'intorno  fean  sonare  il  lito 
Di  miseri  urli  e  d'angosciosi  pianti, 
Forme  cangiate  d' infelici  amanti . 

Talor  andrò  là  Ve  Tifon  sospira, 
E  '1  gemito  n'  udrò  più  da  vicino; 
Quando  avvien,  che  si  cruccia,  e  che  s'adira 
Del  grave  peso,  che  gli  è  sovra  chi.no. 
Griderò:  Qui  più  dolce,  o  vento ,  spira, 
E  dì  :  Qui  fece  angelico ,  e  divmo 
Spirito,  stanza  un  tempo  illustre  e  chiara  , 
Gloriosa  Marchesa  di  Pescara. 

Questi  luoghi  mi  godo  in  pare,  e  senza 
Travagliarmi  il  cervello  in  Corte ,  o  frate; 
Ne  di  Signor  magnifica  presenza 
Mi  risospinge  a  sciocca  vanitate.  , 
L'anima  non  m'asseggia  aspra  temenza 
Di  venenose  lingue  scellerate; 
Né  sento  invidia,  che  giù  basso  io  scenda, 
E  che  un  di  me  peggior  su  in  alto  ascenda* 


Satiriche.  3or 

Farai  meglio  a  venir ,  dietro  lasciando 
L'ambizioni  al  tuo  vicin  BoJdaro; 
E  tutte  metter  l'avarizie  in  bando  , 
Che  intorbidan  sì  tosto  animo  chiaro. 
O  vieni,  o  va:  non  ir  troppo  indugiando; 
Segui  quel  che  di  te  gli  ahi  ordinaro 
Fati ,  acciocché  ne  segua  o  buono ,  o  rio 
Fin  :  qui  posar  mi  vo' ,  rimanti  a  Dio. 


3oa 

SATIRA 

DI  M. 

LODOVICO  PATERNO. 


M 


al  può  guidare  un  cieco  un  altro  cieco. 
Cieco  se'  tu,  che  senza  moglie  a  lato 
Vieni  a  me  cieco  per  consiglio  ;  il  quale 
Moglie  non  ho ,  ne  desio  d'aver  moglie. 
Or  che  consigliar  posso  in  così  grave 
Dubbio  importante?  Il  maritai  si  loda 
Giogo ,  e  la  vita  libera  si  loda. 
Ma  qual  è  il  meglio?  s'io  dirò,  eh1  è  il  meglio 
Non  ammogliarti;  mostrerò,  eh*  a  forza 
Da  dura  passion  sia  tratto ,  e  spiaccia 
Quello  a  me,  che  a  ragione  in  comuu  piace, 
E  piacque,  e  piacerà  sempre  a  le  genti. 
Prendila,  s'io  ti  dico;  e  tu,  soggiungi, 
Perchè  non  la  prendesti ,  o  non  la  prendi? 
Dunque  iie  più  eecuro  io  pria  dimandi  : 


Satiriche.  393 

Piace  a  te  donna?  se  dirai  sì ,  tosto 
Risponda  :  or  su,  va  preudila  ,  se  no ,  vi- 
Vi,  com'io,  contento  e  fuor  d'impaccio. 
Ma  perchè  al  tutto  ragionar  bisogna, 
Senza  più  scuse  i'  detterò  quel   tanto , 
Che  panni ,  e  dal  dir  mio  sen  trarrà  quello 
Sol,  che  s'assesti  a  l'umor  proprio,  e  l'altro 
Farem,  detto  non  sia.  Prima  consiglio 
Or  che  diciott'  anni  hai  fresco  e  polito, 
A  la  notturna  guerra  de  le  piume 
Provi  la  schiena ,  il  braccio  :  e  che  non  lasci 
Marcire  il  fior  di  questa  età  novella 
In  grembo  a  l' invide  ore,  a  i  tempi  avari. 
I  trent'  anni  aspettare  è  grave  errore  , 
Come  aspettato  ben ,  che  tardi  viene. 
Or  maturo  di  Vener  cogli  il  frutto: 
Che  se  certi  non  siam  d'aver  dimane 
Vivi  a  vestirci,  come  in  così  lungo 
Spazio  assicureremo  il  viver  nostro? 
Oltra  che  in  quell'  età  mezza  è  trascorsa 
La  vita,  in  quell'età  sorgo n  pensieri, 
Che  dal  regno  d'Amor  vanno  in  disparte. 
I  figli,  che  allor  nascon,  vecchio  e  stanco 
Trovano  il  padre ,  ed  essi  ancora  in  viso 
Pajon  donzelle:  in  tanto  muore  il  padre , 
Ne  giocar  può  col  dolce  nipotino, 
E  vedersi  da  quello  esser  chiamato 
Con  blesa  lingua ,  e  la  canuta  barba 
Tocca,  e  la  cnioma  e  la  rugosa  fronte 
Da  la  man  tenerella  :  e  tu  vedrai 
I  figli,  e  potrai  dir,  che  ti  sien  JiYati, 
E  vedrai  lieto  ancor  de*  figli  i  figli, 
Se  '1  corso  naturai  non  ti  si  tronca» 


3o4  Poesie 

Se  vuoi  tor  Fulvia  ,  il  saper  onde  sorse, 
Approvo;  ma  quel  far  genealogia 
Efo:  ma  quei  far  processa ,  e  il  sempre  moli* 
Tempo  in  cercar,  chi  di  lei  fu  nutrice, 
Chi  sono  le  vicine  e  le  compagne, 
Opra,  che  partorisce  ira  e  disdegno, 
Come  ingiusta  e  soverchia,  e  biasmo  e  danno* 
A   tal  forse  ne  spii,  che  fia   nemico, 
E  1   vero  celeratli  :  o  forse  a  tale , 
Che  amico,  per  affetto  incontra  '1  vero 
Anch' ei  verrà.  Cousumerassì '1  tempo 
Più  comodo  a' piacer  grati  e  soavi: 
E  questa  rifiutando  ,  t'apparecchi 
Processar  l'altra,  e  l'altra;  e  così  passi 
A  la  vecchiezza  ,  uè  torraine  alcuna 
Passere  solitario,  e  rancio  e  freddo. 
Ma  posto,  che  Cornelia  la  sorella, 
O  Suipizia  la  madie,  o  la  balia 
Ne  desse  a  tutti  ;  non  però  conchiudo 
Che  Fulvia  sia  puttana  .  Visto  ho  spesso 
Di  m-idre  disonesta  figlia  onesta; 
Di  stolto  padre  nascer  figlio  saggio. 
E  per  contrario,  spesse  volte  ho  visto 
Di  madre  onesta  disonesta  figlia; 
Di   padre  saggio  nascer  figlio  stolto. 
E  in  due  frati  osservato,  uno  esser  buono, 
Un  esser  pravo;  un  seguitar  la  guerra, 
Un  seguitar  la   pace:  è  differente 
Dal   forte  il  saggio,  e  l'anima  da  i  membri. 
Arbor  non  fassi   d'uom,  né  uom  d'arbor  fassi; 
D'orso  non  nacque  mai  destrier ,  nò   mai 
Gazza  da  destrier  nacque:  Legge  eterna 
E  di  natura  .  Non  cosi  de'  nostri 


Satiriche.  3o5 

Costumi,  che  con  noi  varian  mai  sempre: 
Tu'l  ben  sai:  ladro  fu  cinqu' anni,  e  cinque, 
Ed  altri  cinque,  oggi  non  è  più  ladro, 
Ma  pio,  buono  e  civile  Oglarifondo. 
Fra  Petronio  fu  giusto  in  gioventute , 
Apostata  in  vecchiezza,  e  bestia  infame* 
Rimira ,  che  col  tempo  ogni  creata 
Cosa  iu  giro  si  volta,  il  cielo  intorno, 
Intorno  rota  al  polo  ;  or  che  di  noi 
Quasi  fronda  volubili  incostanti? 
Bella  hai  da  torla  ,  non  mai  bruita  :  e  lascia 
Dir  ,  che  sarà  tentata ,  e  se  sta  salda 
Ad  uno,  a  due,  forz'  è,  che  al  terzo,  o  al  quarto 
Vinta  si  renda:  è  favola;  se  dritta 
E  in  effetto,  non  fia  eh' uom  mai  la  tenti ^ 
E  s'uom  pur  mai  la  tenti,  ella  qual  torre 
Fermo  al  vento  starà,  ferma  a  la  pioggia 
De  le  lagnme  insieme,  e  de1  sospiri , 
Senza  piegarsi  da  man  destra,  o  manca. 
Ma  se  non  dritta ,  ella  tenterà  forse 
Vana  e  lasciva ,  e  senza  legge  e  senno , 
Co'  risetti  ,  e  co'  motti  a  luogo,  a  tempo 
Di  raccendere  or  questo  or  quel  galante. 
Femmina  brutta  col  guatar  n'  uccide , 
E  induce  a  bramar  altra:  essa  ,  che  poi 
Si  trova  abbandonata ,  in  preda  almeno 
Darassi  a  vii  sergente  :  eccoci  novi 
Cittadin  fatti  di  Corneto  .  Alfardo 
Grida ,  ne  brutta  sia ,  né  bella  sia , 
Ma  tenga  il  mezzo.  Alfardo ,  in  che  bottega 
Si  vendono,  per  grazia  ora  m'insegna, 
Ch'io  possa,  come  fo  ne'  vasi ,  averne 
Una  a  mio  gusto?  Odi  di  più:  par  brutta 
Poesie  Satin  20 


Soft  Poesie 

A  me  Lavina,  a  te  par  bella.  Olinda, 
Ch'a  te  par  brutta,  a  gli  occhi  miei  par  belli 
La  torrei  brutta  in  un  sol  caso,  quando 
Mi  levasse  di  mano  a  povertade 
Con  grossa  dote.  Povertà  conduce 
Gli  uomini  anco  a  morir,  che  meraviglia 
S*  a  menar  brutta  moglie  ?  Io  per  me  poco 
Mi  curerei,  che  fosse  Ja  Scanfarda, 
Vituperio  al  paese,  ov'  ella  nacque, 
Barbuta,  d'ottantanni  e  senza  un   occhio 
Sdentata  e  zoppa  ;  o  fosse  pur  Megera , 
Tisifone,  ed  Aletto:  e  per  finirla. 
Fosse  la  morte  e  la  fame  e  la  peste , 
O  tutte  unite  insieme  in  un  &ol  corpo  ; 
Ma  ben  ricca ,  e  provvista  de*  contanti. 
Poi  che  la  poverlate ,  ira  di  Dio , 
Ogni  supplici®  agguaglia  ,  ogni  gran  cosa 
Vince  d'assai ,  Quando  la  casa  è  piena 
Di  porpora  e  d'argento,  un  corpicciuolo 
Nero  e  sgarbato  a  tanta  luce  è  nulla. 
Già  ,  se  la  povertà  non  ti  flagella  , 
Pon  modo  a  l'appetito  ;  una  a  te  pari 
S'aggiunga;  ne  cercar  molta  ricchezza, 
Ne  bramar  fumi ,  e  titoli  da  pazzo 
Per  aver  molto  affanno.  Poi  che  in  caga 
Ti  s*  è  condotta ,  dei  pensar  che  Dio 
Te  T  ha  data  compagna ,  e  fatto ,  eh'  una 
Alma  in  due  corpi  alberghe;  però  guarda 
Non  la  tradir,  però  mai  sempre  fa  le 
Carezze  e  festa  :  Ne  per  piccioi  fallo 
Dar  di  piglio  al  baston  ,  correre  a  l'arme, 
Come  fa  sempre  il  Baroncin  Panaccia. 
Tieqla  \a  paura,  acciocché  t'obbedisca 


S  i  r  i  x  i  e  r  i,  3o7 

Da  capo  e  da  maggiore  in  quel,  che  pronta 
Deve  obbedir.  Non  Je  lasciar  il  freno 
Tutto  in  arbitrio  suo:  donna  è,  le  donne 
Son  donne  al  fin  ;  ma  non  mostrar,  che  n'abbi 
Soverchia  gelosia  ,  soverchia  ambascia. 
Noi  sempre  ci  sforziamo  oprare  il  peggio; 
Corre  al  vietato  la  natura  umana: 
E  spesse  volte  in  quel  non  gir,  non  fare, 
S1  insegna  a  fare,  a  gir.  Disegna  un  cerchio, 
Onde  non  esca;  chiamala,  e  dì:  cara 
Moglie ,  io  non   vo\  che  per  balconi  aperti 
Tessi ,  e  ritessi  da  mattino  a  sera . 
Non  vo',  che  strada  di  Lisetta ,  e  Carda 
Ruffiane  frequenti.  Io  vo' ,  non  vieto, 
Ch'  entri  a'  sacrati  tempi ,  e  di  parente 
A  nozze  amo  talora  .  Sovra  tutto 
Non  far,  che  questa  fronte ,  e  queste  guance. 
Da  natura  sì  belle,  e  ben  composte, 
Per  solimato  sien  rugate  e  tinte, 
E  per  quegli  unti  pessimi,  e  si  sporchi 
Di  Monna  Palistilla;  assai  ti  basti, 
Ch'  a  me  sol  piaci  ;  qui  ti  ferma ,  e  questi 
Ricordi  fa  che  serbi  eternamente. 
Pur  s'alcun  difettuccio  in  lei  scorgessi; 
O  che  garrula  fosse,  ed  importuna 
Alquanto,  con  prudenza  la  sopporta: 
Pensa,  ch'ella  è  consorte;  e  pensa,  che 
Le  rose  hanno  le  spine ,  e  i  pesci  l'hanno, 
Le  carni  han  Tossa;  il  piacer ,  e  la  nota 
Così  vuol  Dio,  concatenati  stanno. 
)a  l'altra  parte,  se  vuoi  ch'ella  t'ami , 
Ch'ella  dal  tuo  voler  mai  non  si  parta % 
Mostrale  iu  fatti  queir  amor,  che  sola 


3o8  P    O    E    8    I    E 

Discopre  altri  in  parole  ;  è  medicina  , 
Che  giova  in  lutt'  i  mali  :  adopra  il  chiodo 
Che  strettamente  unisca  i   petti  insieme. 
Fu  già  vedova  ricca  ,  e  assai  leggiadra , 
Ch'  una  vecchiotta  sua  pregar  soleva 
Con  infinite  lagrime  e  preghiere  , 
Che  trovato  Je  avesse  alcun  marito; 
11  qual  non  per  desio  di  caldo  letto  , 
Pìon  per  abbracciamenti ,  ella  giurava 
Desiderar ,  ma  sol  che  guardia  e  capo 
Fuss'  ei  delle  sue  robe,  in  tante  parti, 
E  distratte  da   tanti  :   la   vecchiotta 
Promise,  ed  indi  a  pochi  giorni  allegra 
Tornando ,  espose  :  come  un  tal  da  bene , 
Ed  \  regger  prudente  avea  trovato  , 
Qual  proprio  essa  voJea  freddo  ,  ed  eunucc 
Fiamma  crebbe  alla  vedova  in  sul  viso  , 
Poi  che  udì  quel  che  non  aria  voluto, 
E  gridò  :  Mala  bestia  ,  te  con  lui 
Mando  a  le  forche;  eh  che  vuo'tu  eh'  io  face 
D'un  che  non  sia   marito?   io  non  per  lori 
Ischi  fezza  il  cercai  ;   ma  pur  qualora  , 
Come  suole  avvenir  tra  donna  e  uomo, 
Scendiamo  a  briga  ;  chi  potrà  le  nostre 
Menti  conciliar?   Dunque  bisogna, 
Se  fuor  d'  infamia   vuoi  ,  se  fuor  di  risse 
Viver  con  la  compagna,  giorno  e  notte 
Oprar  quel  chiodo  sì  miracoloso  ; 
Quel  chiodo  ,  che  pacifica  e  congiugno  , 
Fora  ,  sana  ,  diletta,  giova  e  pasce. 
O  non  possendo  ,  o  non  volendo  ,  è  sempr 
Più  sicuro  ,  e  da  farsi ,  a  non  tor  moglie. 


3og 


SATIRA 

A  M. 

GIROLAMO  GIRALDI  » 


E 


ch*  altri  dica  :  è  troppo  acerbo  e  nuoto 
Il  di  costui  parlar  :  non  però  cesso 
Satireggiar,  come  a  me  paja  meglio, 
Piaccia  o  dispiaccia  :  o  pedagogo  iniquo  , 
O  sviato  ucceilone  ,  amaro  aspetto , 
Asino  errante  ,  o  feccia  d*  intelletto  , 
Chiudi  le  labbra  :  e  farò  tuo  malgrado 
Ch'  al  sol  de  le  mie  carte  in  uu  momento 
Resti  quasi  figura  in  prospettiva. 
Io  pensava  por  fine  a  la  giust'  ira  , 

Fermarmi  in  tutto;  ma  dolente  e  grama 
Donna  mi  viene  incontro,  e  si  lamenta 
A  sospiri,  a  signozzi  ,  e  dice  :  Io  fui  , 
Ch'  or  non  sou  più,  poscia  che  mille  e  mille 
Monstri  m'  han  violata  .  O  Dio ,  che  tardi 


3io  Pomi 

A  mandar  tanti  Bruti  al  fin  incontro 
A  tant'  altri  Tarquinj  ?  o  se  t*  aggrada 
Di  far  vendette  debite,  che  tosto, 
Tosto  tu  non  ripurghi  un'altra  volta 
O  con  acqua  o  con  fuoco  il  mondo  errante? 
Piansi  di  cor ,  poiché  ne  seppi  il  nome. 
Poverella  Virtù  mi  chiamo,  or  vedi  , 
Come  trattata  son  dal  secol  vostro , 
E  come  infellonisce  a  mio  sol  danno. 
Quando  altri  suda  al  vento ,  al  sol  io  tremo: 
Quando  altri  abbonda  di  soverchio,  io  manco: 
E  quando  altri  è  in  silenzio ,  io  mi  querelo. 

Qual  fanciul,  eh' è  trovato  in  qualche  fallo, 
Arrossa,  imbianca  e  i  gravidi  occhi  abbassa  ; 
Tal  io  ,  di  nostra  instabile  ,  e  proterva 
Età ,  poi  che  n'  intesi  un  sì  gran  torto  „ 
E  proposi  fra  me  dir  ne'  miei  sdegni 
Male  dei  male,  e  ben  del  bene:  e  questo 9 
Perchè  ne'  fati  è  fisso ,  a  viva  forza 
Convien  si  segua .  Che  lasciato ,  ond'  io 
Tanto  sperava  in  più  superbo  verso , 
Accompagnato  dal  furor  di  Marte  , 
11  cantar  cose  eroiche  e  sublimi  : 
Ora  per  poche  frondi ,  e  per  vile  irco 
In  Stanza,  e  in  Rima  sciolta  satireggi 
Primo  d1  ogni  altro  ;  e  questo  premio  ,  e  questa 
Laude,  se  può  veuirmen  premio,  e  laude, 
Che  metto  in  forse,  o  dotta  o  bella  o  dolce 
Napoli  mia  t'  aggiunga  .  È  grave  e  duro 
Tacere  il  vero,  affoga  il  dolor  chiuso. 
Poi  so  che  spesso  da  l'assenzio  fassi 
Rimedio,  eh' a  salute  induce  un  egro. 

Io  dirò  pur ,  chi  può  tenersi  ?  quando 


S    A    T    I    R    I    «   H    8.  3ll 

Veggio  Bricaldo,  il  pallido  Bricaldo , 
CIoìuì  ,  che  per  lo  dado ,  e  per  la  macchia 
E  pervenuto  a  titolo  supremo  , 
Essere  a  la  sua  patria  Epaminonda  • 

Pannunzio,  eh9  è  nemico  a  spada  tratta 
D'  ogni  buou*  opra  ,  al  suo  signor  è  caro  > 
Cui  dianzi  era  discaro,  perchè  a  Turchi, 
Ad  Africani  ,  a  Babilonii,  a  Medi 
Die  la  città  ,  eh'  egli  in  custodia  aveva  : 
Dove,  o  tremendo  evento!  i  nudi  figli 
Sol  con  le  braccia  difendean  le  madri; 
E  sol  col  pianto  ,  e  col  gridare  i  figli 
Eran  difesi  da  P  a  fili  ite  madri  • 
Dove  in  su  gli  occhi  de'  mariti  servi 
Servian  serve  le  mogli,  or  gode,  or  carco 
Di  ricchezze  e  d'onor  può  far,  può  dire, 
E  gli  è  sua  colpa  cancellata  in  tutto. 

Eccoti  Alicorno  ;  quanto  Auconio  il  vecchio , 
Non  visse  cervo  mai,  serpe  o  cornice, 
Che  de  f  infame  scorza  or  si  riveste , 
Onde  da  Febo  fu  già  Marsta  tratto. 
Pur  non  è  rocca  sì  ben  posta  e  salia  , 
Che  per  tempo  e  per  arte  altin  noncaggiat 

Che  dirò  del  figliuoi  d'  Aulo  ?  non  esce 
L'Armellin  da  la  Simia ,  il  Lupo  manda 
I  Lupiccini;  or  quanto  l'ardir  vaglia, 
Spartaco,  e  gli  altri  ne  fanno  ampia  fede 
Ne*  tempi  antichi  ;  e  ne*  moderni  Altirro  , 
Nato  del  sangue  per  obliquo  d'  Aulo  . 
Molto  può  la  fortuna  :  egli  trovato 
Ha  viva  vita  eterna  in  vivi  inchiostri 
D'  alto  Poeta  ;  a  che  meravigliarci , 
S'  Enea  bastardo ,  e  traditore  ed  empia 


Sii  Poesie 

Fusse  degnata  celebrar  la  chiara 
Musa  del  gran  Marone,  e  porlo  in  cielo 
Dal  Numicio?  Non  sia,  chi  qui  desperi 
Nome  toccar  ,  che  gli  altri  nomi  opprima  „ 
Mentre  la  rota  sempiterna  voi  ve  . 

Armodio  ,  e  Bastian  perchè  son  ricchi, 
Pajon  belli  e  prudenti;  e  pur  Tersità 
E  r  uno  e  Y  altro  ;  e  non  è  pazzo  alcuno 
Che  di  lor  duo  più  non  conosca ,  e  sappia , 
Queste  ricchezze  gli  assassini  espressi 
Han  laut'  alto  cresciuto  :  or  non  si  parla , 
Come  venute  sian,  godonle  in  pace. 
Donde  abbi,  nessun  cerca,  e  solo  importa 
Ch'  abbi ,  e  possiedi  .  Armodio  ,  e  Bastiano 
Eran  prima  nemici,  or  son  fratelli. 
Lor  quel ,  che  a  duo  corsier  di  novo  in  stalla 
Posti ,  avvenne  che  isbuffan  tutta  sera  , 
Si  rimirano  bieco  ;  e  taccion  poi 
Che  conoscenza,  V  altro  dì  che  segue  , 
D'  amore  e  di  concordia  è  lor  ministra . 

Sia  trascurato,  ed  ignorante  e  brutto 

Uomo ,  e  sia  vile  ,  e  sia  maligno  ,  e  peggio 

Sia  terza  specie  tra  la  bestia  e  V  uomo  , 

O  sia  pur  bestia  in  tutto  ;  abbia  ricchezze, 

Che  terza  specie  fia  tra  l'uomo  e  Dio. 

E  si  dirà  ,  eh'  egli  è  nobile  e  puro 

Più  di  cristallo  ;  e  ch*  egli  è  saggio  e  dotto , 

E  sovra  gli  altri  più  famoso  e  grande: 

E  faranseli  ancor  fiu  a  gli  onori 

Alti  e  divini.  Alberto  ha  tanti  Sagri > 

Astori  ,  Pellegrini  e  Girifalchi , 

Cani,  e  cavalli  in  quelle  eterne  cacce; 

Dona  senza  ritegno  ;  ed  a  chi  dona? 


Satiriche.  3i3 

A  ruffiani,  a  parassiti,  a  gente 
Simile  a  lui  :  Teste  ora  buffon  magro, 
Or  investe  di  feudo  villan  rozzo. 
Ma  non  si  trovò  mai  ,  eh'  essi  pur  uno 
Mezz'  arso  pan  donasse  a  un  poverello 
Dotto,  che  tutto  dì  scrive,  e  biscanta. 
Quanto  fa,  quanto  dice,  e  quanto  pensa, 
Scema  con  la  virtù ,  col  vizio  cresce , 
E  allora,  allora  in   nulla  si  risolve. 
Il  suo  maggior  intento  è ,  come  possa 
Fuor  di  scoverta  infamia  il  suo  Lombardo 
Putlanino  aggrandire,  e  un  dì  farallo. 
0  Italica  virtù  negletta ,  e  guasta  ! 

Che  barbari  costumi  ?  io  miro  Arnoldo 
Metter  guinzagli  a'  buoni ,  assolver   empi  y 
Spogliar  d'onore  i  sudditi ,  e  di  roba. 
L'una  fuggita  si  rinnova  ,  e  l'altro 
Non  imita  la  Luna  :  il  sa  Polinda, 
Quando  a  ìa  più  dolente ,  e  trista  notte 
Fu  da  trenta ,  e  un  altro  in  giro  volta. 
Odo  che  '1  popol   suo  levonne  il   muso  : 
Ma  rAncille  dal  ciel  mandate  a,  tempo 
Difesero  il  tiranno.   E  non  è  solo; 
Ha  de'  compagui  assai ,  ma  perchè  faccia 
Così  ,  dirollo  :  che  non  crede  in    Paolo, 
Luca,  Marco  e  Matteo  ,  ne  crede  in  chi  già 
Gli  altissimi  secreti   in   Patmo  scrisse, 
Ne  a  eli  altri  d'Israel  ,  eh'  ebber  Dio  amico. 
Ch'è  proprio  un  dir  non  crede,e  spera  in  Cristo, 
Arnoldo  è  pravo  ,  e  può  cadérsi  in  peggio: 
Il  popol  per  lui  prega;  è  deguo  esempio 
Tra  noi ,  che  non  sol  una ,  ed  una  vecchia, 
Ma  preghin  per  tua  vita  e  mille  ,  e  mille, 


3i4  Poesie 

A  che  condotto  è '1  mondo?  ei  più  s*allcg«a„ 
Che  quel  vada  in  esilio ,  abbia  quell'  altro 
11  capo  mozzo ,  o  perda  casa  ,  ed  orto  ; 
Ch'aver  nuovi  trionfi,  e  nuovi  regni. 
Ma  perchè  tema  sempre,  e  tremi,  io  forte 
Mi  meraviglio  ;  e  questa  meraviglia 
Manca  in  pensar  che  fu  proverbio  antico , 
Chi  fa  temere  ogni  uom,  poi  d'  ogni  uom  teme* 

Basti  d'  Arnoldo.  Or  farem  nuova  uscita 
Con  nuovo  manto  nel  proscenio  .  E  sono 
Le  donne  ancor,  chi  '1  crederia  ?  ribalde  f 
Arroganti,  eteroclite,  insolenti, 
Mentitrici ,  omicide  e  senza  legge . 
Lidia  sdentata,  e  pazza  dopo  i  venti , 
Tenti  e  venti  anni  in  ordin  la  cerusa 
Mette ,  e  la  pelle  si  stroppiccia  :  ah  putta  f 
Ecci  birro  ,  e  pistore ,  ecci  bifolco , 
Che  non  t'  abbia  forato  ;  ancor  che  l' alta 
Origin  tua  d'  alto  principio  attorci  ? 
Tu  sol  m'intendi,  o  Lidia  ,  io  son  colui 
Che  ti  lodai  ,  nò  tu  conosci  :  io  sono 
Colui ,  che  ti  dislodo  ,  ingrata  ,  avversa 
Al  proprio  sangue ,  e  vituperio  espresso 
Del  sesso ,  de  la  patria  e  di  te  stessa  . 

Giustina  ingiusta  :  o  nome  in  bestia  tale 
Del  lutto  sconcio  :  è  meretrice ,  è  sporca» 
Si  diletta  d*  usure,  e  ruffianesmi  . 
Com'  è  1'  ombra  col  corpo,  e  '1  corpo  aggiunto 
Con  r  ombra  è  ;  cosi  aggiunti  i  vizj  sono 
Con  quella,  e  aggiunta  ancor  co*  vizj  è  quella 
La  di  rubin  così  fregiata  vesta  , 
Che  sen  porta ,  il  aibetto  e  1*  ambracane 
De  la  figliuola  è  prezzo:  a  bei  contanti 


Satiriche.    .  3iS 

L'  ha  venduta  a  Chirsigno  :  il  vecchio  pazzo 
Per  vergine  ha  comprato  una  vaccaccia , 
Pisciatojo  del  vulgo;  o  ser  Chirsigno, 
Mettetevi  gli  occhiali  un*  altra  volta. 

autilia  al  mondo  ornai  perpetua  fede 
Fatto  ha,  ch'essa  è  bisaccia  a  quanto  puossi, 
O  a  piano  smonti,  o  ad  alta  cima  poggi; 
Sì  finché  bagni  il  fuoco ,  e  l'acqua  scaldi  9 
Resteranne  memoria  ;  or  lieta  godi 
Cautilia  d*  un  tal  pregio  :  ancor  per  torta  f 
Ed  illicita  strada  può  venirsi 
A  F  immortalità.  Colui ,  che  '1  tempio 
Arse  per  tale  effetto ,  il  mostra  a  noi . 
Chi  per  la  porta  intrar  non  può ,  s*  ingegna 
Per  la  6nestra  intrare;  altri  che  dice 
11  contrario  s' inganna  ;  a  te  fia  molto  , 
Che  di  malizia  cedi  a  nessun'  altra. 

3r  conchiudamJa  qui:  femmine,  e  maschi 
Iufernal  rabbia  sono.  11  mondo  è  posto 
Tutto  in  maligno  :  e  chi  comanda  altero  , 
E  chi  umil  serve  a  prezzo,  di  ciò  solo 
Son  cagione  Avarizia ,  e  la  sorella 
Ambizion,  che  dolce  il  cor  titilla. 
Queste ,  a  guisa  di  due  pieni  torrenti  f 
Han  d' Italia  sommerso  ogni  valore , 
E  le  sacre  distrutte ,  acerba  imago , 
E  le  profane  cose  indegnamente. 
Queste  hanno  oprato  quel ,  che  visto  ho  spesso 
In  due  con  trai  j  venti,  i  quai  di  forze 
Eguali ,  e  d' ira  ,  1'  un  l'altro  spingendo 
Alto  tiran  con  fosco  orribil  giro 
Ciò  che  si  giace  a  lor  arbitrio  in  mezzo. 

q  per  me,  poi  che  scorgo  il  tutto  un  gogna 


3i6  Poesie 

Presto ,  e  fallace,  a  miglior  vita  i  giorni 
Mi  serbo  in  queta  villa  ,  e  me  stesso  ergo  , 
Malgrado  d'avarizia,  in  libertate. 
E  qual  fuggito  da  prigion  maligna 
Con  la  memoria  del  passato  ,  il  poco 
Presente  estima  molto:  tal  io,  ch'ora 
Conosco  quel  che  lungo  tempo  ascoso 
Stato  da  gioventii  m'era,  e  da  sorte; 
Qui  leggo  ,  e  scrivo  :  e  se  di  mia  spelunca 
Esco  mai  fuori  al  ciel,  qui  Tereo,  e  Progne 
Li  Cigno  veggio,  e  Pico  e  cotant'  altri, 
Che  fur  già,  come  noi,  ma  su  per  1'  ombre 
Verdi ,  e  fronzute  or  volti  in  augei  vanno  . 
Qui  seggio  a  1'  erba,  altrove  a  passi  tardi 
Cantando  l'amorose  tue  querele 
Ruvide  e  calde ,  o  Pan ,  le  selve  insegno 
Nel  suoli,  che  di  Siringa  esce  ,  l'amata 
Siringa  risonare  ,  e  i  fiumi  ,  e  1  monti 
Soavemente.   Ah  cruda,  ah  bella  Ninfa 
Ferma  i  fugaci  pie:  chi  fuggi?  aspetta, 
Non  muover  sì  veloce  ,  e  si  proterva. 
Ah  bella,  ah  cruda  Ninfa,  almen  per  quest< 
Paludi,  allor  ch'in  te  sospira  il  vento  , 
Se  ti  rimembra  de  l'amante  ,  un  poco 
Sospira  il  Dio,  che  t'ama;  ed  al  sospiro 
Mostrin  letizia  i  poggi  ,  e  festa  l'onde. 
Poi,  quando  a  casa  torno,  il  mio  Grecillo 
Meco  al  fuoco  sedendosi  mi  conta 
De  le  sue  favolette.  Or  perchè  sai ,  , 
Dicemi  ,  il  Rosignuol  più  forte  canta 
Nel  veder  l'uomo?  Il  Rosignuolo  ,  a  'nsleme 
Il  Cuculo  v  a  contesa  venner  tanto  > 
Che  de'  lor  cauti  l'Asino  s'elesse 


#Ci. 


S   ATI    HI    CH   E.  3l7 

Giudice,  come  quel  ch'ha  grandi  orecchie. 
L'asino,  che  d'estrema  inezia  è  padre, 
Negando  di  conoscer  l'armonia 
Del  Rosignuol  ,  senza  pensarvi  sopra 
Pronunciò,  che'I  Cuculo  avea  g°rga, 
E  dolcezza  migliore ,  il  Rosignuolo 
Da  l'iniqua  sentenza  e  dura  e  sciocca 
N'appellò  tosto  a  Tuom  ;  e  quinci  guarda, 
Che  innanzi  a  l'uom  sì  dolce  ei  canta,  e  piagne: 
Che  si  ricorda  di  quel  tempo  andato , 
E  del  parer  del  giudice  incapace, 
Che  accostossi  al  suo  simile  imperfetto. 
Questa  finita ,  a  l'altra  s'apparecchia  : 

Ne  la  stagion ,  eh'  era  novello  il  mondo , 
£  senza  le  malizie,  che  sono  oggi, 
Quasi  tutti  gli  augelli  un  giorno  andaro 
A  la  Nottola,  augel  notturna,  e  sola: 
E  lei   pregar*  con  oratorj   giri , 
Che  lascwte  le  cave  oscure,  e  sozze, 
Si  conducesse  a  far  di  usati  nidi 
Fra  gli  arbori ,  e  goder  vita  serena , 
E  le  mostrerò  una  poc'  anzi  sorta 
Quercia  ,  dove  potea   volendo  ombrosa 
Slanza  fare  a  tutt'  ore  ,  e  sola  e  grama. 
La  Nottola  negò  ,  dappoi  soggiunse  : 
Da  questi  arbori  ancor  nascerà  male 
Che  distruggerà  tulli  :  io  vi  cousiglio 
A  far  com'  io.  Sprezzaro  i  vani  e  stolti  , 
Leggieri  ed  incostanti  il  sano  e  buono 
Consiglio  de  la  saggia  :   nato  il  visco 
Tardi  seppero  il  danno:  e  però  sempre 
Che  miran  lei  ,  corroule  a  piene  squadre 


3i8  Possi* 

Intorno  intorno  ,  per  saper  di  nuovo 

Da  la  prudente,  raa  quel  tutto  è  indarno; 

Ch'ella  sta  ferma,  ne  per  pianti  e  preghi 

Si  piega  a  dir.  Greeillo  oltra  via  passa, 

Finche  gli  occhi  cadenti  il  sonno  adombra , 

E  a  poco  a  poco  occulta  i  carbun  vivi 

La  ccner  frodolente  insidiosa 

Dentr*  al  suo  grembo;  e  le  sorgenti  stelle 

Ckiuan  le  fiamme  sue  verso  l'Occaso. 


3i9 


SATIRA 

DELL' AD1MARI. 


Alcinoo  e  Menippo 
Aìcindo . 

^orgi  ,  Menippo,  ornai ,  che  dormi  ancora  ? 
Già  già  l'Alba  novella  il  bianco  velo 
Cangia  in  rosato  ammanto,  e  fassi  Aurora: 

Grià  le  brine  notturne,  e  il  freddo  gielo 
Scioglie  suH'  alpi  in  liquidi  cristalli 
La  gran  face  del  dì,  che  s'alza  al  cielo; 

Grià  dall'  Ìndico  mar  sferza  i  cavalli 
L'  apportator  del  lume,  e  l'aurea  lampa 
Guida  a  gran  passi  in  ver  gli  eterei  calli  ; 

fedi,  che  al  muro  intorno  il  Sol  già  stampa 
Per  le  finestre  mal  commesse  alquanto 
Lucide  righe,  e  agli  occhi  tuoi  divampa. 

Sorgi  ,  che  tardi  ancor?  Bea  sai  ,  che  tanto 
Di  vita  ha  I"  uom,  quanto  d*  oprar  s'  affretta; 
Che  mentre  ei  dorme  più,  meo  vive  intanto. 


320  Poesie 

Son  questi  i  panni  tuoi ,  vestili  in  fretta  ; 
Convien  ,  che  meco  peregri n  tu  scenda 
Dal  monte  al  pian ,  che  la  Città  n'  aspetta  . 

Menippo . 

Che  giova  a  me  ,  che  il  dì  novel  risplenda, 
Se  vuol  T  empio  destili,  che  il  suo  bel  raggic 
Torbido,  e  grave  agli  occhi  miei  si  renda  ? 

Ecco  che  sorto  io  son  ;  lieto  il  viaggio 
Prendi  pur  tu  ,  se  di  partir  ti  piace, 
Ch*io  rimango  a  goder  1'  ombra  d'un  faggio . 

Pria  queste  balze  avran  perpetua  pace 

Co'  nembi  accesi ,  Austro  e  Aquilon  col  mare. 
Nido  il  Colombo  col  Faicon  rapace  : 

Vedrassi  pria  ciò ,  che  impossibil  pare  , 
Dai  Grifo  ,  e  dal  Cavai  nascer  tal  prole, 
Che  l'uno  il  correr  dia,  l'altro  il  volare  : 

Uscir  dal  bosco  ombroso  al  chiaro  Sole 

La  Damma,  e  in  mezzo  a'  veltri  i  puri  argent 
Lambir  del  rio,  che  dissetar  la  suole: 

Pascer  le  torme  de'  lanosi  armenti 
Le  molli  erbette,  e  gli  affamati  Lupi 
Seder  non  lungi  a  lor  custodia  intenti: 

Pria  sovra  i  gioghi  dell'alpestri  rupi 
Voleranno  i  Delfin  ,  e  i  Capri  snelli 
Neil'  acque  noteran  tra'  fondi  cupi  : 

Pria  senza  neve  il  Verno  ,  e  gli  arboscelli 
Senz'  alcun  verde  allo  spuntar  d'Aprile, 
Che  un  sol  momento  io  Cittadiu  m'  appelli  • 

Credimi,   Alcindo,  è  la  Città  sì  vile, 
Son   tanti  i   vizj   suoi,  che  men  periglio 
E  lo  star  fra' giumenti  entro  un  fienile. 


S  a  t  i  m  e  su,  Su 

)i  nobìl  padre  io  non  ignobil  figlio 
Già  nacqui  in  essa,  e  v'  abitai  molti  anni  » 
Povero  di  ragione,  e  di  consiglio . 

Scorsi  1'  opre  malvagie,  e  i  torti  inganni , 
Le  malizie,  le  frodi  e  i  certi  segni 
De'  mal  presenti ,  e  de'  futuri  affanni/ 

fanto  ,  ebe  sazio  alfin  de'  modi  io  degni, 
Scbivo  del  basso  oprar  de1  guasti  affetti , 
Del  gran  torpor  degli  avviliti  ingegni , 

IT  elessi  d'  abitar  gli  ermi  ricetti 
Di  selva  annosa,  ove  a  me  sia  concesso, 
Che  il  fin  dovuto  a  mortai  corso  aspetti. 

Dove  volgendo  ognora  entro  me  stesso 
La  memoria  crudel  degli  altrui  scorni  f 
Il  mio  giusto  furor  sempre  ho  dappresso  • 

jilcìndo 

3en  m' avveggio,  frate),  che  tu  ritorni 
All'  uso  antico  ;  e  se  dir  mal  vorrai , 
Non  sia  mai  ver  ,  che  il  desir  tuo  distorni  . 

>ediam  dunque  a  quel  fonte,  e  dimmi  ornai, 
Qual  sia  della  Città  V  arte,  e  il  costume  ; 
Che  tu  per  lunga  prova  il  ver  ne  sai. 

3ià  comincia  a  tacer  Y  onda  del  fiume  , 
Sol  per  udirti ,  e  il  venticel  ,  che  freme , 
Raccoglie  anch'esso  in  grembo  ai  fior  le  piume. 

Soi  parlerem  sino  al  meriggio  insieme  : 
Che  T  opra  d'  oggi  io  compirò  dimane  ; 
Tempo  non  manca ,  e  il  differir  non  preme. 

Menippo . 

?on  basta  il  giorno  intero ,  che  rimane  , 
La  minor  parte  a  ricordar  di  tutti 
Gli  enormi  eccessi  de  le  menti  umane. 
Poesie  Satin  ai 


322  Poesie 

E  come  invan  dell'  Oceano  1  flutti 
Stringer  si  ponno  io  piccola  conchiglia  , 
E  ?  arene  contar  de'  lidi  asciutti  ; 

Cosi  non  dee  parer  gran  meraviglia , 
Se  di  giugner  dispero  all'  alto  oggetto , 
Che  lungi  è  al  po-ter  mio  cento,  e  più  miglia. 

Perciò  l'ira  ,  e  il  furor ,  che  accoglio  in  petto , 
Sfogherò  sulle  Donue  a  mio  talento  : 
A  più  Satire  basta  un  lor  difetto  . 

^4.lcindo . 

Mi  piace,  e  a  dirti  il  vero,  io  son  contento  , 
Che  tu  risparmi  agli  uomini  la  frusta  : 
Comincia  a  tuo  piacer,  eh'  io  taccio,  e  sento. 

Menippo. 

Sarebbe,  il  redo  anch'io,  cosa  più  giusta 
Condurli  entrambi  alla  medesma  festa  ; 
Che  se  Gambero  è  1'  un,  l'altro  è  Locusta; 

Ma  treppo  fia  quel,  che  il  mio  dir  t'appresta, 
Mordendo  sol  la  femminil  licenza  ; 
Che  gran  materia  a  gran  discorso  è  questa . 

La  Donna  in  se  diversa  è  all'apparenza, 
Ha  lieve  intendimento,  e  moto  grave, 
Morbida  pelle,  e  ruvida  coscienza  . 

Di  fuor  ne'  grati  accenti  ha  miei  soave  , 
Ha  dentro  il  tosco,  è  nel  risolver  tarda, 
Sempre  dubbiosa,  e  timidetta  pavé; 

Ma   neìr  interno  poi ,  s'  altri  ben  guarda  , 
Fiacca,  e  debil  si  scuopre  in  oprar  bene, 
E  nel  far  mal  più  d'  Ercole  è  gagliarda. 

Or  qual  de' vizj  suoi  priniier  mi  viene 
Da  raccoular,  se  i  vizj  suoi  son  tanti, 
Quante  foglie  ha  V  Ardeana,  il  Gange  arene? 


Satiriche,  3aS 

Monta  Y  eccelse  moli,  e  torreggiane 
Sparse  in  Citlade,  e  gli  umili  abituri  , 
Quindi  al  novero  lor  giugni  altrettanti  ; 

lei  immagina  poi,  che  alberghi  oscuri 
Sieno  di  mostri  orribili,  e  di  fiere, 
Tane,  e  covili  di  serpenti  impuri  : 

uiò,  che  Lussuria  sia,  ciò,  che  piacere 
Di  Venere  esser  puote,  in  ogni  stanza 
Semiramide  insegna,  e  il  fa  vedere. 

Scordata  in  tutto  la  modesta  usanza 
Del  secolo  primier,  studia  ogni  Donna 
La  morbidezza  ,  il  brio ,  1*  ozio  e  la  danza  • 

JnH,  che  di  sozzo  appena,  allor  che  assonna» 
Tania  ignuda  oserebbe,  oggi  commette 
Inesperta  Donzella,  ancor  che  in  gonna  . 

>be  giova  al  senno  uman  molte  ristrette 
Tenerne  in  chiusa  torre?  esse  dall'alto 
Giuocau  d'  occhio  col  vago,  e  son  civette  • 

^e  Virginie  moderne  al  primo  assalto 
Cadono  in  braccio  agli  Appj,  e  non  mai  tinto 
Resta  il  terrea  di  sanguinoso  smalto  • 

)i  castitade  il  nome  è  vano,  o  finto  ; 
Che  ugualmente  lasciva  oggi  è  ciascuna , 
Per  la  malizia  altrui,  pel  proprio  istinto. 

I  se  in  pregio  d'  onesta  odon  taluna 
Ricordar,  qual  fur  Marzia,  e  Medullina  , 
Ne  ridoa  tutte,  e  non  le  applaude  alcuna. 

Consente  a  pudicizia  esser  regina 
Sol  per  ischerzo  il  secolo  nefando  , 
Ma  poi  stracciato  ha  il  manto,  e  va  tapina . 

>al  uostro  Cielo  le  Sofronie  hau  bando, 
Le  Timoclie,  e  le  Dulie  iu  altri  liti 
Ne  vaa  con  Ippo  solitarie  errando  . 


324  Poesie 

Non  v'  è  chi  F  orme  d'  Eufrosina  additi , 
Di  Biblia,  e  Fara  in  più  lontana  parte 
Seguon  gli  esempli  i  Tartari ,  e  gli  Sciti  . 

Dican  l'istorie  pur,  spieghin  le  carte, 
Come  serbaro  intatto  il  proprio  onore 
Le  vergini  Alemanne,  e  con  quai  arte  ; 

Che  offrir  la  gola  ai  lacci,  al  ferro  il  cuore  , 
Per  non  vivere  impure  ,  a'  dì  presenti 
Sembra  ardir  disperato,  e  non  valore . 

Le  femmine  di  Scio  furo  imprudenti, 
Perchè  fedeli,  temperanti  e  forti , 
Ritrose  agli  adulterj,  ai  tradimenti . 

Ferma,  crudel,  dove  il  mio  cor  ten  porti  ? 
Febo  a  Dafne  dicea  ,  sparso  il  cria  d'  oro 
Di  polve,  umido  il  ciglio,  e  i  labbri  smorti  : 

Ferma,  bella  sdegnosa  :  io  non  ignoro, 
Che  sempre  unito  a  gran  beltà  si  vede 
Fasto,  alterezza,  e  raro  amor  con  loro  ; 

Ma  se  valor  d' alta  costanza,  e  fede, 
Merto  di  calde  lagrime,  e  sospiri 
Non  vaglion  teco  ad  implorar  mercede  , 

Volgiti  al  mio  pregar,  tanto  che  miri 
Manco  irata,  e  superba  il  morir  mio  , 
E  almen  contento  d'  un  tuo  sguardo  io  spiri 

Ne  invan  parlai,  se  di  spirar  diss'  io  : 
Che  ben  potrà  morir  Nume  immortale, 
Se  viver  può  fra  tante  pene  un   Dio  - 

Lasso  !  pur  fuggi,  e  men  veloci  ha  1*  ale 
Sul  mattutino  albor  l'aura,  che  vola, 
Men   lardo  ha  il   mover  suo  Partico  strale; 

Ma  fuggi,  ingrata,  al  desir  mio  t' invola  ; 
AITardor  del  mio  fuoco  il  petto  indura; 
Sprezza  un  sì  fido  amante,  e  noi  consola  : 


Satiriche.  325 

Cbe  se  non  manca  all'ardir  mio  ventura  ; 
T'avrò  ben  tosto  a  tuo  mal  grado  in  braccio, 
Tanto  Amor  mi  promette  e  m'  assicura . 

Già  t'  incalzo,  ti  prendo ,  e  già  t'  abbraccio  , 
Pur  nel  tuo  grembo  a  riposar  m'accingo: 
Misero,  a  qual  portento  ardo  ed  agghiaccio  ! 

O  cbe  m'inganna  il  senso,  o  al  senso  io  tìngo: 
La  mia  Dafne  si  cangia  in  rami,  e  in  fronde 
Di  verdeggiante  lauro,  e  un  lauro  io  stringo: 

Dafne,  ove  sei,  chi  agli  occhi  miei  t'  asconde  ? 
Piangendo  esclama  il  garzon  mesto,  e  1'  Eco 
Del  suo  dolor  pietosa  al  duo!  rispoude. 

Sciocca  Donzella,  or  sia  la  gloria  teco 
D'  esser  cara  a  Diana,  e  al  par  li  vanta 
In  pregio  d'  onestà  contender  seco  : 

Tienti  la  dura  scorza,  che  t'  ammanta  , 
Senza  invidia  d'altrui;   me  non  tsorta 
Stimol  di  lode  a  tramutarmi  in  pianta. 

Senno  miglior  cred'  io,  saggia  ed  accorta 
Viver  d'  Ermia  e  di  Metra  al  paragone  , 
Che  somigliarsi  a  Dafne,  ed  esser  morta. 

Tal  parla  oggi  la  Donna,  e  con  ragione , 
Se  d'Aspasia  e  Timandra  più  lasciva 
Vince  Clunie  e  Sinope,  Afre  e  Chione  . 

Sarra  la  fama  antica,  e  a  noi  ravviva 
La  memoria  d'  un  tal  nato  in  Megara 
!Nobil  città  della  contrada  Argiva  . 

Pagò  costui,  cosa   inaudita  e  rara, 
Due  talenti  un  sol  bacio,  in  queir  etade 
Men  corrotta  dal  vizio,  e  manco  avara. 

Lo  stesso  in    oggi  di  continuo  accade  : 
Che   Avarizia,  e  Lussuria  al  par  contende 
Del  maggior  grado  in  feinminil  bellade  . 


3^6  Poesie 

Un  solo  sguardo  un  gran  tesor  si  vende  f 
Più  caro  un  riso,  e  1'  ultima  dolcezza 
Non  mai  godrà  chi  tutto  il  sno  non  spende 

Ben  e  ver,  cbe  la  Donna  al  male  avvezza  , 
Se  la  fame  dell'  or  pascer  1'  è  tolto , 
Ne'  fomiti  del  senso  usa  larghezza  ; 

E  V  amator  mendico  in  grembo  accolto 
Dona  il  piacere  infame  a  chi  noi  puote 
Per  f  inopia  comprar  poco,  ne  molto  • 

Non  ha  vergogna,  che  ciascun  la  note, 
Se  maucano  opportune  al  suo  diletto 
Camere  occulte,  e  agli  occhi  altrui  remote 

Dovunque,  al  colle,  ai  piano,  il  cielo  è  tetto  ; 
Non  teme  prostituta  da'  Lenoni 
Stringer  E  amato,  e  V  erba  aver  per  letto  ; 

Onde  dirai,  se  V  opre  sue  ragioni 
Che  di  viltà  non  cede  Italia  folls 
Ai  Massageti,  agP  Indi  e  agli  Asamoni . 

Alcindo. 

Sento,  che  in  me  lo  sdegno  avvampa,  e  bolle, 
Nel  pensar,  che  alla  Donna  si  consenta 
Vita  così  lasciva,  e  così  molle . 

Come  dal  Tribunal  non  si  presenta 
Ai  Carnefice  ia  man  flagello,  e  spada? 
Forse  nella  Città  Giustizia  è  spenta  ? 

Ma  segui  il  ragionar  qual  più  t'  aggrada , 
E  lasciamo  che  il  vizio  ognor  più  saglia , 
Se  il  fallo  è  spesso,  e  la  vendetta  è  rada  . 

Menippo9 

Sin  qui  di  queste;  e  a  te  saper  non  caglia 
Quel  più,  che  adopta  nel   tugurio  augusto 
La  volgar  Donna»  e  in  traviar  che  vaglia  • 


Satiriche,  827 

Passa  ai  marmorei  spaldi ,  ove  il  vetusto 
Sangue  alberga  di   Fiesoli,  e  di  Roma, 
D'onpr  già  colmo,  or  sol  d'infamia  ouusto: 

Vedrai  la  nobil  Donna  i  lisci  a  soma 
Stender  sul  volto,  ed  in  ritorte  anelìa 
O  in  vaghe  trecce  scompartir  la  chioma  : 

Rader  con  soltil  vetro  ogni  novella 

Lanugine  dal  volto,  e  il  pel  non  scabro, 
Per  comparir  più  morbidetta,  e  bella: 

Col  minio  stemperato,  e  col  cinabro 
Far,   che  rubin  dell*  Iride  celeste 
Sembri  in  fulgor  l'estremità  del  labro  : 

Con  ricche  gemme  in  ricchi  drappi  inteste 
Cingersi   il   petto,  e  a  guisa  di  lumaca 
Portar  la  casa  addosso  in   una  veste: 

Come  ad  ognor  conservi  ella  s'  indraca, 
Cerne  fassi  ritrosa   al  suo  consorte, 
Come  infierisce  ,  ne  giammai  si  placa. 

Le  strade  di  virtù  per  lei  son  torte  ; 

Che  ad  ogni  vizio  al  cuor  vano,  e  leggiero 
Superbia ,  ed  ignorauza  apron  le  porte. 

Quel,  che  narrai  tìuor,  non  conta  un  zero, 
E  iu  paragoti  di  mille  error  più  gravi , 
Rispondon  questi ,  come  il  bianco  al  nero. 

La  gola,  il  sonno,  ed  i  costumi  pravi, 
L'ozio,  le  piume,  il  tracotar  frequente 
Souo  i  pregi,  che  aggiugne  a  quei  degli  avi. 

Quanto  di  reo  può  immaginar  la  mente, 
Quanto  di  brutto  ha  la   nequizia  istessa, 
Non  fia,  che  usar  noi  voglia,  o  almen  1^  tente. 

Lecito,  onesto  è  quel,  che  piace  *d  essa, 
Basta  solo  il  voler  qualunque  cosa, 
Perchè  sia  di  ragione  a  lei  concessa. 


3a8 


O   E    S    I   E 


Quando  in  tempo  miglior  Roma  famosa 
Tolse  i  consoli  suoi  dal  curvo  aratro , 
E  a  nobil  man  die  pregio  esser  callosa; 

Fattosi  il  Tebro  a  gran  virtù  teatro  , 
Tanto  in  vero  alle  femmiue  Latine 
Delle  leggi  il  rigor  fu  grave ,  ed  atro , 

Che  il  solo  bisbigliar  due  paroline 
Di  segreto  a  una  serva;  aver  per  via 
Scoperto  il  capo,  e  non  velato  il  crine; 

Gir  talvolta  alle  feste,  e  non  tor  pria 
Licenza  di  goder  coli'  altre  in  schiera 
Le  pompe  della  pubblica  allegria, 

Era  tenuto  allor  colpa  sì  fiera  , 

Ch'  altri  poteva  ripudiar  Ja  moglie , 
O  darle  col  baston  l'ultima  sera. 

Oggi  la  donna  empir  può  le  sue  voglie  , 
Passar  da  errore  a  error  senza  intervallo  , 
Ne'  costumi ,  negli  atti ,  e  nelle  spoglie. 

Vada  in  pace  Sempronio,  Antistio  ,  e  Gallo, 
Che  coir  esilio  fuor  de'  Patrj  lari 
Nella  moglie  punirò  un  piccol  fallo. 

Altri  tempi,  altre  cure;  i  Cieli  avari 

Volgeausi  al  Tebro  ,  e  in  queir  età  si   ranci* 
Gli  uomini  avvezzi  al  solco  erano  ignari» 

Per  tutto  è  noto  ornai  1  uso  di  Francia , 
Che  a  Madama  permette  esser  cortese 
D'  un  bacio  per  saluto  in  sulla  guancia. 

La  Donna  oggi  è  tra  noi  più  che  Francese, 
E*  lascia  oltre  la  bocca  ancor  baciarsi 
11  petto,  il  ventre,  e  il  più  segreto  arnese. 

Nudi  il  suo  brando  Astrea  ,  venga  a  provarsi 
Di  sottopor  »  st  puote ,  a  legge  antica 
I  nuovi  abusi  radicati  %  e.  sparsi. 


S    A    T    IR    I'C   H   E.  3^9 

Non  saria  piccol  frutto  a  gran  fatica , 

Mentr' ella  ha  il  cuor  d'impurità  macchiato, 
Far ,  che  sembri  nel  volto  almen  pudica. 

Ma  ciò  si  spera  indarno  :  essa  al  suo  lato 
Yuol  de'  vizj  il  corteggio  aver  non  manco, 
Che  quel  de*  servi  in  pubblico,  e  in  privato. 

La  gran  beltà  non  le  varrebbe  unquanco, 
Se  non  avesse  attorno  i   Ganimedi , 
L' un  davanti,  Pan  dietro,  e  l'altro  al  fianco. 

Ciò,  che  di  vago  in  lei  contempli  e  vedi, 
Tutto  è  lussuria ,  e  gran  lussuria  spira 
La  chioma  il  ciglio  il  sen  le  mani  e  i  piedi. 

Se  l'occhio  intorno  lampeggiando  aggira  , 
D' impurissimo  ardor  sempre  sfavilla  , 
E  dov'  è  più  mirata  ,  ivi  più  mira. 

Quanto  in  niolt'  anni  adulterò  Drusilla  ; 
Quanto  d'osceno  espose  al  Roman  polo 
Pompea  ,  Muzia  ,  Terenzia,  e  Terentilla  ; 

O  pur  quel    più,  che  nell'Argivo  suolo 
Potè  di  sozzo   Antia ,  e  Criteida  oprare , 
Basta  ad  essa  per  farlo  un  giorno  solo. 

Sovente  al  corso  in  aureo  cocchio  appare 
Fastosa  Donna  ,  ed  ala  a  lei  davanti 
S'odon  d' intorno  i  suoi  Lacchè  gridare. 

Or  chi  fia  questa,  che  in  superbi  ammanti 
Giunon   rassembra?  io  Giulia  in  lei  ravviso 
Alla  vaua  alterezza,  a' bei  sembianti. 

Oh  qual  fulgido  Sol   porta  diviso 

Ne'  due  begli  occhi  !  oh  qual  tesoro  immense 
D'ostri ,  e  di  perle  ha    nel  tesor  del  viso  ! 

Ma  ciascun  sa  ,  eh'  ella  inj  balìa  del  senso , 
Celando  in  petto  un  cuor   libidinoso, 
Arde  impudica,  ed  è  l'arder  sì  intenso» 


33o  Poesie 

Ch'  or  l'Adon  vago ,  or  1'Atide  vezzoso 
"Vuol  godersi  a  vicenda  ,  e  non  l'affretti 
Riverenza  di  padre,  amor  di  sposo. 
Sol   basta  a  lei ,  che  a  declinar  la  pena 
Dell'adulterio  per  l'incerta  prole, 
Prenda  il  nocchier ,  cj uando  la  nave  è  piena- 
Ài  pai'  di  questa  ogn9  altra  opra  qual  vuole; 
Ne'  teatri,  al  passeggio,  ed  a' festini 
Bandita   han   l'onestà  fin  le  parole. 
Vogliono  in  casa  aver  cento  Amorini, 
Per  le  stanze  il   bagordo ,  e  spalancato 
L'uscio  ai  doni,  ai  messaggi,  e  ai  letterini. 
Ma  quel,  eh' è  peggio,  un  viver  sì  stacciato 
Chiamau  maniere  nobili ,  e  cortesi  , 
Tratto  affabil,  gentile,  e  delicato. 

jiìcindo. 
Non  più,  Menippo;  io  da  un  sol  vizio  appresi , 
Qual  sia  degli  altri  il  calcolo  infinito: 
Tu  pur  troppo  dicesti,  io  troppo  intesi. 

Menippo. 
Sciocco,  se  vuoi,  eh'  io  debba  aver  finito, 
Quando  appena  incomincio,  ancor  non  giunsi 
A  grattarmi  di  voglia  ove  ho  prurito. 
Molte  di  lor  sin  qui  ben  lieve  io  punsi; 
Restan  talune  da  squarciar  coli'  ugna  , 
E  alfin  vedrai,  che  neppur  l'osso  aggiunsi. 

Allindo. 
Or  via,  che  indugi  ornai?  tu   l'armi   impugna; 
Che  il   furar  del  tuo  genio  io   già  comprendo, 
E  spetta tor  sarò  d'uoa   tal   pugna. 
Già  col   pensiero  alle  tue  voci   intendo  , 
E  se  logora  non   basta,  alopra  il  dente; 
Ch'  io  di  saper  chi  sien  costoro  attende. 


Satiriche.  33i 

Menippo. 

Son  queste  il  fango ,  che  air  età  presente 
Tolto  ha  di  ferro  il  nome,  e  par  che  mostri 
Fatto  il  vizio  per  lor  grande,  e  possente. 

Queste  d'Averno  son  le  Furie,  i  mostri, 
Le  Pandore  de!  mal  dispensatrici , 
Le  ingordissime  Arpie  de'  tempi  nostri  : 

Volli  dir  le  malvage  Cantatrici, 

L'incendio,  che  l'Italiche  contrade 
Divora ,  ardendo  i  campi  lor  felici  : 

La  peste,  che  flagella  ogni  cittade, 
La  grandine  mortai ,  che  rovinosa 
Fulmina  i  campi,  e  fa  perir  le  hiade: 

La  forbice  affilata  ,  e  sanguinosa, 

Che  il  misero  uman  gregge  e  fora,  e  taglia, 
Sì  spesso  il  rade  ,  e  tanto  avara  il  tosa  : 

Il  funesto  vapor ,  che  il  suol  sbaraglia , 
Che  i  superbi  palagi  urlando  scuote, 
E  l'alte  rocche  all'  urnil  piano  uguaglia. 

Io  per  sempre  vivrei  fra  balze  ignote, 

Del  Worvego  fra  i  ghiacci,  e  del  Britanno, 
Pria  che  un  momento  udir  musiche  note. 

L'inventor  di  tal' arte  abbia  il  malanno, 
E  tanti  più,  quanti  ha  cantori  il  Mondo, 
Che  son  del  Mondo  irreparabil  danno. 

Ogni  virtù  sublime  han  posto  al  fondo 
L'opre  loro  imprudenti,  e  i  vizj  rei 
Han  guasto  ogni  ce  slume  alto,  e  giocondo* 

A le indo, 

Parmi  veder,  che  tu  disposto  sei 
Col  biasmo  ad  avvilir  le  melodia  : 
Io  pel  contrario  in  suo  favor  direi* 


332  Poesie 

Gran  lode  un  tempo  all'  alme  grande  offria 
La   musica   tra'  Greci ,  anzi  talvolta 
Pretti o  sol  degli  eroi  fu  l'armonia  ; 

Ne  ancor  la  fama  è  in  fosco  oblìo  sepolta  , 
Che  sul  Tebro  JNeron ,  benché  la  chioma 
D'alloro  imperiai  pollasse  avvolta, 

Pur  di  cantar  gli  piacque  in  Grecia,  e  in  Roma 
Qciindi  è,  che  a  un  tempo  istesso  avrai  sentito 
Ch'ei  gran  monarca,  e  gran  cantor  si  noma. 


Menippo. 

Fu  cantando  Neron  pazzo  spedito , 

E  in  lui  fece  il  cantar  gli  stessi  effetti, 
Che  il   prender  mosche  nel  fratel  di  Tito, 

Che  illustre  esempio  a'  popoli  soggetti 
Veder ,  che  in  palco  il  Cesare  Romano 
Plauso  di  buon  cantor  dal  volgo  aspetti! 

Che  ponendosi  al  sen  la  destra  mano, 

Con  gli  occhi  a  terra ,  e  con  la  testa  china 
Chieda  pregando  un  titolo  sì  vano  ! 

Ch'ei  si  conlenti  aver  sera  >  e  mattina, 
Per  conservar  flessibile  la  voce , 
Bevanda  d'acqua,  e  iu  cibo  una  pappina  ! 

Ch'ei  renda  il  passeggiar  chiaro,  e  veloce, 
Di  piombo  armando,  e  non  d'acciaro,  il  petto, 
Musico  imbelle ,  e   non  guerrier  feroce  ! 

£he  infin  di  morte  acerba  al  passo  astretto 
Si  dolga  col  destin ,  che  il  suo  morire 
Involi  al  mondo  un  musico  perfetto  ! 

Chi  per  cotanta  infamia  avrà  giust'  ire  ? 
£  quale  immaginar  follia  maggiore 
Pon  le  menti  più  sciocche,  o  mai  soffrire? 


Satiriche.  333 

phe  agli  Argivi  guerrier  dopo  il  sudore 
Del  campo  Marzial  poi  non  spiacesse 
Seder  cantando  al  suon  d'Arpi  sonore, 

Dirò  ,  che  se  fra'  dumi  or  non  giacesse 
L'Attica  eccelsa  Donna,  e  quel,  che  sono 
1  moderni  cantor,  scerner  potesse* 

N^obil  vergogna  avrebbe  del  non  buono 
Costume  de' suoi  duci,  e  di  tal  fallo 
Pentita,  e  umil  ne  chiederla  perdono. 

Dica  chi  vuol:  già  noto  è  a  tutti,  e  sallo 
L'  Eufrate ,  il  Gange ,  il  Nilo ,  e  la  D  uinoja, 
L'Indo,  lo  Scita,  il  Mauritano,  e  il  Gallo, 
he  il  canto  il  tutto  ammorba,  il  tutto  annoja: 
Che  l'arte  del  cautar  fatta  è  sì  vile, 
Ch'  è  lo  stesso  oggidì  Musico ,  e  Boja. 
osa  in  esso  non  è,  che  sia  gentile; 
Grazioso  pensier  ,  mente  leggiera , 
Alma  di  donna  in  abito  maschile. 

1  numero  infinito  è  di  lor  schiera, 
Né  tutte  T  aritmetiche  ragioni 
Ne  potrian  rilevar  la  somma  intiera. 

S'odon  sì  spesso  ornai  trilli,   e  canzoni , 
Che  ogni  Città  d'  Italia  ha  più  castrali , 
Che  non  ha  Puglia,  e  Barberia  castroni. 

?u  gran  madre  l'Ausonia  a'  tempi  andati 
Di  Mamerchi ,  di  Fulvj  ,  e  d'Aquilini, 
Fecondissima  ancor  d'Ortenzj ,  e  Cati  . 

)r  di  musici  esperti ,  e  sopraffini 
Fatta  sol  genitrice,  ha  per  suoi  vanti 
I  Rivani,  i  Safaci ,  e  i  Cavagnini . 

avvilita  così  con  suoni,  e  canti, 
Gode  de'  nuovi  figli ,  e  contrappone 
A  molti,  e  prischi  eroi  pochi  birbanti. 


334  Pessts 

Ella  provvede  di  coiai  persone 

La  terra  tutta  dall'  Occaso  all'  Orto  , 
Dal  torrid'  Austro  al  gelido  Aquilone; 

E  pure  ovunque  alcun  di  lor  sia  scorto  , 
Dovunque  il  caso,  o  il  suo  voler  lo  guidi, 
Sempre  dalla  fortuna  il  crin  gli  è  porto. 

Sempre  ha  gli  astri  del  Ciel   benigni  ,  e  fidi , 
Placidissime  a  lui  ruotan  le  Stelle 
Tanto  irate  al  valor  de'  grandi  Aloidi. 

Ma  torniamo  alle  perfide ,  e  rubelle 
Can latrici  odierne  ;  e  a'  rei  cantori 
Bastiti  le  poche  sferze  avute  in  pelle. 

Sien  queste  unico  oggetto  a'  miei  furori , 
E  tante  lingue  ad  uopo  tal  vorrei , 
Quante  erbette  ha  l'Aprile,  il  Maggio  ha  fiori 

La  Cantatrice  è  Donna;  e  tu  ben  dei 
Saper  ,  che  basta  la  viltà  del  sesso 
Per  far,  che  abbondi  ogni  difetto  in  lei. 

Ai  vizj  di  natura  aggiugui  appresso 

Gli  altri  dell'arte,  e  computa,  se  puoi, 
Quanto ,  e  qual  sia  de'  vizj  suoi  l'eccesso. 

Che  vai  per  fiere  aver  serragli ,  e  poi 
Lasciar,  che  queste  vadano  disciolte 
Sazie  del  sangue,  che  sticchiaro  a  noi? 

Fra  le  presenti ,  che  son   multe ,  e  molte  , 
Saggia,  e  discreta  esser  non  può  veruna, 
Vane,  finte,  ritrose,  audaci,  e  stolte. 

Non  albergano  in  lor  virtude  alcuna  ; 

Per  questo  avvien ,  che  in  qualità  risponda 
L'indole  al  sangue,  e  l'opere  alla  cuna. 

jdlcindo. 

Veggio ,  che  l'ira  tua  scorre  qual'  onda 
Di  rapido  torrente;  e  a  dirla  schietta, 


Satiriche.  335 

Ragion  contro  tal  forza  è  debil  sponda, 
lessi  il  furor ,  diasi  al   parlar  meii  fretta , 

Ed  i  miei  sensi  ascolta  ad  uno  ad  uno  ; 

Che  il  Sol  bion  alto  ancora  i  rai  saetta. 
)he  il  cantar  sia  virtude  il  crede  ognuno, 

E  già  n  empie  la  fama  ogni  confino 

Dal  mar  d'Egitto  al  Baltico  Nettuno, 
Lnzi  qual  sovruman  pregio  divino 

L'arte  del  cauto  in  palco  è  al  par  famosa 

Del  senno  Argivo ,  e  del  valor  Latino, 
l  tal,  che  in  oggi  una  medesma  cosa, 

Per  quanto  vuol  Tuoiversal  credenza , 

È  Tesser  cantatrice ,  e  virtuosa. 

Menippo, 

ciocchis5Ìma  pazzia,  stolta  imprudenza, 
Sproposito  solenne  ,  e  madornale  , 
Vanità,  che  trapassa  a  impertinenza: 

'ir,  eh'  è  virtude  il  canto,  è  un  dir,  che  uguale 
Sia  la  Jura  fatica  al  fral  diletto, 
Le  tenebre  alla  luce,  al  bene  il  male, 
la  virtù  nell*  alma  abito  eletto , 
Che  Tuona  per  uso  a  bene  oprar  avvezza , 
E  il  rende  poi  nelT  opre  sue  perfetto. 

ia  pur  grande  in  giustizia,  ed  in  fortezza, 
Affabile,  modesto,  e  temperante, 
Adorno  di  civil  piacevolezza: 

»el  ver  si  mostri,  e  dell'amico  amante, 
L'ardor  dell'  ira  mansueto  affreue  , 
Sia  magnanimo  ai  torti,  e  non  curante  j 

iberal ,  quanto  puote  ,  e  qual  conviene , 
Magnifico  con  legge,  e  con   misura 
Al  grado ,  e  qualità ,  eh'  egli  sostiene  : 


336  Poesie 

Ampie  virtù  son  queste ,  e  per  natura 
Sospingou  l'altrui  fama  a  estranio  lido, 
Dove  immortai  seu  viva,  e  non  oscura; 
Ma  che  il  cantar  di  Donna  in  mezzo  al  grido 
D'  effeminato  stuol ,  che  cieco  applaude , 
Atto  sia  virtuoso  ,  il  sento  ,  e  rido. 
Ha  menzognero  il  labbro,  e  pien  di  fraude, 
Chiunque  il  dice,  e  puossi  in  tal  maniera 
Ogni  gran  vizio  incoronar  di  laude. 
Nobil  virtude  in  Donna  ,  e  gloria  intera 
È  il  sottopor  nell'alma  ogni  rubella 
Voglia  del  senso  alla  ragion,  che  impera: 
Serbar  viva  nel  sen  l'antica ,  e  bella 

Fiamma  del  morto  sposo;  al  nome  caro 
Alzar  grand'  urna ,  ed  eternarlo  in  quella  : 
Gravar  la  chioma  di  pesante  acciaro, 

Yestir  d'usbergo  il  petto ,  e  in  faccia  al  Sol< 
Dar  nuovi  esempj  di  valor  ben  chiaro  : 
Seder  maestra  nelle  dotte  scuole , 
Per  insegnar  la  Sapienza ,  in  cui 
Fassi  l'uomo  terren  qual  Dio ,  se  vuole  : 
Ornar  d'indole  eccelsa  i  figli  sui , 

E  lo  splendor  di  quelli  oppor  sovente 
Allo  splendor  delle  ricchezze  altrui  ; 
Non  il  molle  cantar ,  non  il  frequente 
Atteggiar  ne'  teatri ,  onde  cotanto 
Biasmo  ha  la  nostra  etade,  e  pur  noi  sente 
Che  se  virtù  fosse  in  tai  Donne  il  canto, 
Vestir  vedriasi  insiem  con  sprezzo,  e  riso, 
Il  vizio ,  e  la  virtù  l' istesso  ammanto  ; 
E  n'avverrebbe  ancor ,  s' io  ben  diviso , 
Che  Pasquin  mandeiia  per  istaffetta 
Al  Canceliier  di  Pindo  ordiu  preciso  : 


Satiriche.  337 

Zhe  Barbara  in  quei  fasti  al  par  si  metta 
Colla  madre  de'  Gracchi,  e  che  sia   fatta 
Con  Zenobia  seder  Mante,  e  Trombetta; 

]he  il  pregio  antico  a  Teodora  abbatta, 
E  d'Artemisia  adombri  il  prisco  lume 
L'Elena  di  Bologna  ,  e  la  Mignatta. 

Alcindo. 

>  stolta  Italia,  che  a' suoi  dì   presume 

Di   rinnovar  la  cecità  Romana  , 

Dando  anch'essa  allo  sterco  onor  di  Nume! 
)h  quanto  in  ciò  travia  la  mente  umana! 

Oh  quanto  è  cieca  a  uon   veder  l'abuso! 

Oh  quanto  è  al  ben  ritrosa,  al  ver  lontana! 
la   che  far  può  chi  neii*  error  confuso , 

Della  ragione  a'  folgoranti  rai 

L'occhio  non  apre,  e  l'intelletto  ba  chiuso? 

Menippo. 

ja  cantatrice  intanto,  o  poco,  o  assai, 
Che  il  ver  ne  sappia,  al  proprio  merto  ascrive 
Quel  ,  che  tu  stolto  per  viltà  le  dai. 

ulte  d' Italia  le  città  festive 
Alzan   trofei  pomposi,  empion   di  fiori 
Le  strade  ovunque  una  tal    Donna  arrive: 

inventan  nuovi  applausi  ,  e  nuovi  onori , 
Si  preparali  gì'  incontri  ,  e  i  trattamenti 
Cnn  dispendio   profuso  e  dentro  ,  e  fuori  : 

fanno  in  volta  forier,  cuochi  ,  e  serventi, 
Stanghe,  barrocci  a  lunghe  file,  e  ceste, 
Carovane  d'arredi  e  apprestamenti , 

?anto  ,  che  ognor  per  ville  e  per  foreste 
Vedrai  sparger  delizie  a  larga  mano  , 
Perrhè  fastoso  alloggio  a  lei  s'appreste; 
Poesie  Satir.  22 


838  Poesie 

Se  per  l'Alpi  è  il  cammin,seil  tempo  è  stran 
Stau  più  lettighe  in  pronto  al  suo  partire, 
Calessi  9  e  mute,  ove  il  terrea  sia  piano: 

Le  guardarobe  vuotansi  a  fornire 
Di  tappeti  finissimi,  e  d'arazzi 
Gli  alberghi  destinati  al  suo  venire; 

E  perchè  giunta  pui  goda ,  e  sollazzi , 
Dassi  allo  scalco  premurosa  cura, 
Che  la  dispensa  del  miglior  si  spazzi  : 

Ciò,  che  in  vago  giardin  J'arJor  matura 
Del  Sole  estivo ,  e  cbe  all'  algenti  brume 
Serbar  con  arte  il  buon  cultor  procura: 

Il  nettar,  che  sì  dolce  aver  presume 

L'aura  in  Care^gi,  o  pur  l'Ambrosie  care, 
Che  bau  di  beli'  ostro  in   Àrtimin  le  spumi 

Gli  augei,  le  fiere  più  pregiate,  e  rare 
Per  distanza  di  luogo,  e  di  stagione; 
Ciò,  che  di  uobil  guizza  in  fiume,  in  man 

Tutto  avrà  nella  mensa,  e  tanto  impone 
L'obbligo  di  regal  magnificenza  , 
Per  onorar  sì  nobili  persone. 

Noti  v' è  digiun  per  lei,  non  astinenza; 
Che  a'  dì  vietati,  in  grazia  di  sua  voce, 
Ha  della  carne  amplissima  licenza: 

Quasi  che  giusto  sia   per  fato  atroce, 
Che  ogni  freno  di   legge  a  lei  si  toglia , 
Quando  il  fren  della  legge  al   cantor  nuoce. 

Or  vada  a  ricercar  ohi  n'  ha  più  voglia 
Quel  che  senta  il  Toledo  sulle  carte 
Dtl  rigido  Bubosa,  e  il  dubbio  sciogli»: 

Se  dal  rentier  della  ragion  si  parte  , 
Se  del  digiuno  inosservanza  piena 
Commette  ,  o  pur  lieve  trascorso  in  parte, 


Satiriche.  33g 

uel  sacro  dicitor ,  che  pon  la  cena 
Sulla  libbra  in  balancia ,  e  il  cioccolatte 
Prende  al  matti  ti  per  rinforzar  la  lena; 
e  uni  genìa  di  Donne  così   fatte 
Può  ristorarsi  ancor  ne'  giorni  santi 
Con  uova  in  brodo  di   cappon  disfatte. 

Alcindo. 

h  come  il  vizio  è  ornai  trascorso  avanti! 
Oh  miseria  fatai  de'  giorni  nostri  ! 
Oh  sventura  crudel  degna  di  pianti! 
dotti  fogli  ,  ed  i  purgati  inchiostri, 
Lo  studio  della  guerra,  e  della  pace  f 
Il  sudor  delle  cattedre,  e  de'  rostri, 

assi  oggetto  sì  vii ,  che  a'  Re  non  piace , 
E  chi  tra  lor  più  sorge ,  è  più  restìo 
Nel  sollevar  l'egra  virtù,  che  giace. 

ève  oppressa  virtù  l'acque  del  rio, 
Di  povertade  il  peso  ha  sulle  spalle , 
Che  le  ritarda  ogni  più  bel  desio. 

i  per  alpestre  inaccessibil  calle 
Di  notturne  vigilie  al  più  sublime 
Pulpito  ascende  il  Casalino,  e  il  Valle: 

3  di  gentil  facondia  alle  erte  cime 
Il   Dollera  s' innalza  ,  e  già  possiede 
Nell'arte  del  ben  dir  le  glorie  prime; 

on  aspettin  per  questo  ampia  mercede, 
Non  ricchi  doni,  o  tolleri  a  migliaja; 
Che  stolto  affatto  è  chi  di  lor  sei  crede. 

!a  se  nel  palco  baldanzosa  ,  e  gaja 
S^ìe  una  Mima,  a  lei  fortuna  in  grembo 
Versa  con  larga  man  le  doble  a  staja. 


34o  Poesie 

Ella  del  manto  suo  scuotendo  il  lembo , 
Sparge  sulla  virtude  i  beni  a  stilla  , 
Piove  sul  vizio  le  ricchezze  a  nembo. 

Menippo, 

Fratel,  cbe  parli?  il  senno  tuo  vacilla» 
Quhl  colpa  è  di  fortuna,  e  della  sorte, 
Se  »\V  uom  saggio  non  spira  aura  tranqui 

Procede  il  ma) ,  perchè  nel!'  ombre  assorte 
Stati  le  menti  de'  Regi,  ed  ogni  strada 
Chiusa  è  del  lutto  alla  virtude  in  Corte. 

Dindio  ornai  per  non  tenerti  a  bada  : 
L'ignoranza  de  grandi  è  quel  destino, 
Cbe  il  mondo  scuote,  onde  convien,  cbe  ca 

Ad   un   facondo  ingegno,  e  peregrino, 
Mentre  ne  spiega  in   pulpito  il  Vangelo t 
Drtssi   il  pan  secco,  ed  inforzato  il  vino. 

Sul  tenen   nudo,  a  discoperto  cielo 
Vedrai   Livio,  Platone,  Auarreoute 
Pascer  le  ghiande,  e  assiderarsi  al  gelo  ; 

Ma  star  le  mense  apparecchiate,  e  pronte 
Per  la  rea  Cautatrice,  e  i  lauti  pranzi 
Vincer  F  Kgizie  cene  a  noi  sì  coule. 

Cosa   rara  non  Da,  che  non  avanzi 

JNel  careggiar  costei  :  molle  qua!  cigno 
Fassi  quel  cuor,  che  sì  crude]  fu  dianzi 

Si   mostra  il  volto  docile,  e  benigno, 

La  borsa  a'  desir  suoi  non  è  mai  chiusa , 
Aperto  a  suo  piacer  sempre  è  lo  scrigno: 

Piubm  ,  perle,  adamanti  alla  rinfusa 
Se  le  presenta  bene  a,  ed  il  messaggio 
Del  piccol  don  con  umiltà  fa  scusa. 


Satiriche.  341 

il*  or  più  fino  il  pallidetto  raggio 
Steso  da  mano  esperta  in  bel   ricamo 
ende  al  suo  letto  un  luminoso  omaggio, 
nda  ali  arnesi  in  secol   così   gramo 
er  la  credenza  sua  puri ,  e  splendenti 
?  Indico  suol,  non  il  terren  di  Samo  . 
nta  è  la  copia  poi  de'  tersi  argeuti , 
Che  del  metallo  istesso  ha  sino  il  vaso, 
3ve  depone  i  fetidi  escrementi . 

yiìcinclo. 

sì,  che  il  tuo  parlar  mi  dà  nel  naso  , 
Tanto  ,  che  sentir  parmi  in  mezzo  al  petto 
)a  caldissimo  sdegno  il  cuore  invaso  . 
testaudo  per  sempre  ,  e  maladetto 

'insano  ardir,  V  i   domito  pensiero, 
^a   voglia   ingorda,  e  il  non  temprato  affetto 

Ligure  Giason,  dell' uom  primiero, 
[)he  sprez'ator  de'  nembi  il   Più  volante 
Sciolse  a  gran  corso  dal  terreno  Ibero; 
per  senlier  di  spume  in  mar  sonante 
^olta  la  prora  all'  Indiche   maremme, 
Fé'  lieta  Europa  di  ricchezze  tante  ; 
ntre  a  veder  1'  esperienza   or  diemme  , 
Ch'egli  per  opra   tanto  abbietta,  e  vile 
Trovò  l'uso  dell'oro,  e  delle  gemme. 

che  il  donar  conviensi  a  un  cor  gentile  , 
[!he  il  mostrarsi  cortese,  e  liberale 

ran  vanto  è  d'alma  illustre,  e  signorile; 
1  che  una  razza  perfida,  e   brutale, 
Fiera,  instabil,  malvagia  e   ingannatrice, 
3ispettissima  al  Cielo,  all'  uom   fatale, 
1  vizio  in  terra  abbominanda  altrice, 


84*  Poesie 

Cagione  irreparabile,  ed  infesta 

D'  alte  sventure,  e  d"  ogni  mal  radice: 

Che  una  vii  femminuccia,  e  disonesta 
Si  regali  per  tutto  in  larga  copia  , 
Stolta  ignoranza,  e  non  virtude  è  questa. 

Opra  d'  alma  rea!  ben  degna  e  propia 
E  il  sovvenir  oobil  valor,  che  agogna 
D'alzarsi  invan  per  la  soverchia  inopia: 

Che  usar  larghezza  ,  dove  non  bisogna , 

È  imprudenza  de'  grandi,  e  il  dono  istesso 
Mal  dispensato  è  al  donator  vergogna. 

Menippo. 

Tu  qual  Seneca  parli,  io  tei  confesso  : 

Ma  che  prò,  se  un  tal  vizio  ai  tempi  d'ogj 
Sia  malizia  o  destino,  è  grande  e  spesso  ? 

Or  vediam  dove  scorra,  e  quanto  poggi 
L'  insolenza  di  lei,  perchè  si  mira 
Di  mille  pompe  adorna,  e  mille  sfoggi  • 

Non  così  maestosa   unqua  s'ammira 
Premer  1'  altezza  del  gemmato  soglio 
Donna  real,  uè  tal  superbia  spira, 

Com'  ella  enfiata  di  sprezzante  orgoglio 

Ciò  che  le  aggrada  a  suo  piacer  comanda, 
E  basta  ad  ottener  che  dica  :  io  voglio  » 

Dove  alberga  costei  ,  per  ogni  banda 
La  casa  tulla  è  in  un  baleu  commossa  ; 
Par,  che  ne' servi  alto  terrore  spanda: 

Questi,  ogni  cura  a  tal  cagion  rimossa, 

Sempre  hanno  gli  occhi  a'  cenni  suoi  ben  desi 
Han  sempre  il   piede  ad  eseguirli  in   mossa 

Altri  convien  che  vada,  altri  che  resti, 
Che  l'ambasciate  partano  in  istante, 
Che  i    messaggieri  al  ritornar  sien  presti  : 


Satiriche.  343 

he  ritto  un  paggio,  e  con  immote  piante 
Assista  alla  portiera,  il   più  fornito 
D'  aspetto  ameno,  e  bizzarri*  galante, 

'uando  al  sommo  del  cielo  è  il  dì  salito, 
Male  allo  scaleo,  ed  assai  peggio  al  cuoco, 
Se  il  pranzo  è  indietro,  o  tarda  alcun  servito: 

gni   frapposto  indugio  è  un  bruito  gioco, 
Che  grava  entrambi  di  mortai  delitto, 
E  al  grave  fallo  ogni  gastigo  è  poco: 

orta  la  notte  poi  corre  un  editto, 
Che  l'ombra  sia  d'alto  silenzio  pieua, 
Che  per  le  stanze  non  si  ascolti  un  zitto: 

onsi  in  capo  alla  via  ferrea  catena  , 
Che  \ieti  a' carri ,  ed  a' cavalli  il  passo, 
E  quel  consenta  ad  uom  pedestre  appena, 

erchè  lontan  da  strepito  e  fracasso  , 
Chiuda  ella  i  lumi  in  placido  sopire, 
E  ristori  col  sonno  il  corpo  lasso  : 

è  dee  mancar  chi  dentro  a  tutte  l'ore 
L'  opre  di  fuori   vigilando  squatri, 
Onde  al  sentir  d'un   piccolo  rumore, 

llor  con   volli   minacciosi,  ed  atri 

Escon  le  guardie  armate  di   bastone 

Contro  un  fanciul  che  pianga,  od  un  che  latri. 

anlo  è  forza  eseguir,  quant' ella  impone; 
Che  il  sol  voler  di  lei  senz'  altro  esame 
Sta  in  luogo  di  giustizia,  e  di  ragione  . 

jzza,  e   malvagia  età,  secolo  infame. 
Per  cui  trovar  non  so  titol   si  brutto. 
Che  i  vizj  tuoi  pareggi,  e  le  nne   brame! 

ome  senza  gra maglia,  e  fuor  di  lutto 
Scoperta  ardisci  di  portar  la  fronte, 
Se  il  cantar  di  tai  Donne  in  te  può  tutto? 


344  Poesie 

Che  se  fatte  costoro  ardite,  e  pronte 
Oltrepassauo  i  segni  a  Jor  do\uti, 
E  tuo  T  error,  Ki  d'  ogni  ma!  sei  fonte . 

In  qiial  altro  giammai  furori   veduti 
A  femmina  si  vii   cotanti  eccessi 
D'  accoglienze  ,  d'  applausi,  e  di  saluti? 

Comunque  ogni  gran  donna  a  lei  s*  appressi, 
Le  dimostranze  affettuose  allora 
Cominciano  da'  baci  e  dagli  amplessi  . 

Quindi   tratta  la  man   dal   guanto  fuora 
Le  prende  a  careggiar  sì  dolce  il  viso  9 
Che  men  faria  Zeifiro  amante  a  Flora  ; 

E  con  lo  sguardo  attentamente  fiso 

Le  creste  osserva  ,  i  nastri ,  i  sottanini , 
Le  gale,  gli  atti,  il  portamento,  il  riso. 

Poi  nel  partir  con  moli   pellegrini 

Accompagna  il  tenor  de'  complimenti 
A  mille  baciabassi ,  a  mille  inchini  . 

Tali  non  dieron  già  le  prische  genti 
A  noi  gli  esempli,  e  nelF  oprar  diverse 
Furon  le  scorse  etadi  alle  presenti  : 

L'  etadi,  in  cui  1'  orto  e  la  greggia  offerse 
Su  le  mense  agli  Eroi  vivande  alpestri  ; 
Tanto  a'  piaceri  ebber  le  menti  avverse  ; 

In  cui  meu  delicate  e  più  silvestri 

Vissero  a  Sparta  in  sen  le  Donne  antiche 
Madri,  e  Nutrici   a'  Semidei  terrestri  . 

Cinte  d'  asprezza,  e  di  viltà  nemiche 
Non  avriao  queste  in  pubblico  baciate 
Le  congiunte,  le  figlie,  e  men  l'amiche* 

Ma  non  curiam  ,  che  il   faccian   le  private, 
Se  l'altre  il  fan,  che  in    porpora  regale 
Splendun  sul  trono,  e  vaa  di  serto  ornate* 


Sa.tib.icii  E.  345 

applaudita  per  gii  atrj,  e  per  ie  scale 
Entra  Israenia  in   Pai  «zzo,  e  tosto  giunta, 
Si  spalancano  a  lei  camere  e  sale  : 

flon  aspetta  l'udienza,  e  non  l'appunta, 
Viene  ,  parte,  e  ritorna  ognor  che  vuole, 
Quando  in  mar  cade  il  giorno,  e  quando  spunta» 

\.  costei  non  si  pesan  le  parole, 
E  un  bel  vestito  immantinente  arriva. 
Pria  che  giunga  a  cantar  due  note  sole  . 

nasi  pur  ver  ,  che  su  F  eccelsa  riva 
Del  Manzanar  superbo  in  un  tal  giorno 
Sacro  a  colei,  che  dell'  Empireo  è  Diva, 

Dell'  lbera  Regina  il  manto  adorno 
La  Contessa  di   Palmi  aspetti  in  dono  , 
E  per  suo  pregio  se  lo  cinga  intorno: 

5i  fatta  gloria  in  oggi  è  un  deb  il  suono  : 
Le  Cautatrici  anch'esse  han  quest'onore 
Dall'  Auguste  d'  Italia,  ovunque  sono  . 

^nzi  la  sorte  lor  tanto  è  maggiore  , 
Quanto  che  spesso  una  cotal  derrata 
E  della  giunta  al   paragon  minore  ; 
he  il  don  di  regia  veste  a  lei  maudata 
Sembra  cosa  volgar,  mentre  non  sia 
Da  ricchissime  gemme  accompagnata, 
^rciò   vedrai,  che  pien  d' idropisìa 
Ventosa   ha  il  capo,  e  gonfia  ha  fin  la  pelle 
D'  ambizion  superba  ,  e  di  pazzia  . 
^lustre  augello  osa  tentar  le  stelle  , 
Fabbrica  nel  suo  cuor  maccbine  vane , 
Inventrice  di   ciance,  e  di  novelle: 
]rede  esser  dotta  nelle  scienze  umane, 
Come  ne'  vizj ,  e  iu  nobile  palestra 
Vuol  T  istorie  trattar  Greche  e  Romane . 


S46  Poesie 

Vago  h  il  mirar  costei  sì  scaltra,  e  destra 
Farsi  allo  stuol  de'  numerosi  amanti 
Nuova   Licinia  del   ben  dir  maestra; 

Che  se  talun   di  lor  fra  Unti  e  tanti 
Senno  erudito  in  favellar  dimostra  , 
E  a  quello  unisce  di  facondia  i  vanti  , 
Entra  allor  baldanzosa  anch'  ella  in  giostra; 
E  perchè  vuol  d' Areta  ,  e  Afasia  al  pari 
D'  alto  saper,  d'  alta  virtù  far  mostra  , 
Ponsi  a  narrar  quanto  impensati  ,  e  amari 

I  casi  fur  del  pellegrino  Ulisse 

Per  terre  ignote ,  e  per  diversi  mari  : 
Che  a  grave  error  degli  Attici  s'  ascrisse 

II  consentir,  che  un  Socrate  in  prigione 
Fosse  qua]  reo  dannato,  e  tal  morisse  ; 

Aggiugne  qual   magnanimo  sermone  , 
Del  viver  suo  nell'  ultimo  momento  , 
Dal  moribondo  vecchio  U'dl  ditone  : 

Che  non  fu  visto  in  Roma  ugual  spavento  , 
E  già  il  popol  volea  muover  tumulto  , 
Correndo  al  ferro  più  leggier  che  il  vento  9 

Quando  Serapronia  (  oh  detestando  insulto  !  ) 
Die  morte  a  lui  ,  che  vendicar  poteva 
Dell' un  cognato  il  sangue,  e  il  volle  inulto: 

Ch'  alto  fulgor  di  maestà  splendeva 

Del  gran  Pompeo  nel  volto,  e  un  rossor  grata 
Sopra  T  uso   mortai   bello  il  rendeva  ; 

E  pel  contrario  a  Cesare  fu  dato 

Torvo  sembiante,  minaccioso  il  guardo, 
Scarne  le  guance,  e  mezzo  il  crin  pelato  : 

Vanta  saper  qual  pr>vido  riguardo 

]Nel  campeggiar  mostrasse  il   Duce  Albano, 
Onde  prudente  apparve,  e  non  codardo: 


Satiriche  347 

Qua!  incontro  al  furor  dell'  Oceano 

L'Olanda  opponga  ampio  riparo  e  forte, 
Perchè  il  terrea  soggetto  assaglia  in  vano  : 

S'è  ver,  che  quante  in  Tebe  eran  le  porte, 
Traendo  il  Nilo  da  principio  ignoto  , 
Con  tante  bocche  i  flutti  al  mar  traporte  : 

Come  sotterra  in  grembo  al  suol  più  vuoto 
Si  concentri  il  vapore,  e  si  racchiuda  , 
Che  poi  volendo  uscir  faccia  il  tremuoto: 

Perchè  nel  cerchio  opposto,  allor  che  cruda 
Gela  T  aria  fra  noi ,  faccia   vedersi 
Sotto  un  torrido  ciel  Ja  gente  ignuda  : 

Dirà  qual  vasto  impero  ebbero  i  Persi, 
Quanto  durò  la  monarchia  de'  Medi, 
Larghissimo  soggetto  a  prose,  e  versi  : 

Che  poi   furon   d'  entrambi  i   Greci  credi, 
Sin  che  il  Roman   valor  con   lunga  guerra 
Restò  vinceute  in  sella  ,  e  ogn'  altro  a  piedi  • 

Muove  col  ragionar  di  terra  iu  terra  , 

Pone  in  concordia  il  Turco,  e  l'Alemanno, 
L'  Africa  unisce  io  pace  all'  Inghilterra, 
llla  ornai  già  prevede  in  chi  cadranno 
D'  (beria  i   tanti  regni,  e  quai  litigi 
L' Istro  e  la  Senna  a  tal  cagione  avranno  : 

Se  quai  schiere,  quai  navi   in   sul  Tamigi 

Quel   Re  disponga,  e  quai  pensier  non   meno 
Volga  nella  gran   mente  il   gran   Luigi: 
?er  qual  segreto  oggetto,  o  il  crede  almeno  , 
Sue  squadre  il  Mosco,  e  il  Sarmata  apparecchie: 
Dove  scorra  1'  Arasse,  il  Savio  e  '1   Meno  . 
Sì  fatte  Istorie,  ed  altre  ancor  parecchie 
Trarrà  per  tutto,  ed  è  sì   lungo  il   tedio, 
Che  storditene  porti  ambe  1'  orecchie  • 


348  Poesie 

Ma  soffrir  tu  dovrai  più  stretto  assedio, 
S'entri  a   parlar  di  sua  bella:  ohe  in  essa 
La   vanitade  è  un   mal  seuza  rimedio  . 

Ponendosi  sul  gr  ve  ,  e  con  sommessa 
Voce  dirà  ,  che  non  è  altrui  vietata 
La   propria  lode  con   modestia  espressa  : 

Ch'ella  è  dal  Ciel  di  tai  sembianze  ornata, 
Che  la   mente  più  salda,  e  adamantina 
^e  resta  ai   primo  sguardo  innamorala: 

Che  nella  fresca  guancia,  e  porporina 
Ha  tal  poter,  che  di  spezzar  confida 
Ogni  cuor  di  diaspro,  ogni  alma  alpina: 

Che  se  giunger  poteva  anch'  ella  in  Ida  , 
Allor  che  le  tre  Dive  ebber  fra  loro 
Per  gara  di  beltà  mortai  disfida  , 

Eia  ben  d'  uopo  subito  a  coloro 

Confuse  e  mute  in  un  canton  ritrarsi, 
E  cederle  a  buon   patto  il  pomo  d' Oro  : 

Ben  è  ver,  che  tenlata  a  dinudarsi 

L*  avrebbe  indarno  il  Pastorel  scaltrito: 
Quel,  che  vieta  onestà,  non  dee  mai  farsi; 

E  se  ciò  feo  delle  Sirene  al  lilo 

Sposa  real  per  acquistarsi  un  regno  , 
Fu  pensier  poco  saggio,  e  troppo  ardito: 

Che  alla  bellezza  in  lei  pari  è  il   contegno, 
Del  contegno  non  meri  la  leggiadrìa, 
La  grazia  e  F  avvenenza  oltre  ogni  segno  • 

Alcinoo, 

Dunque  siam  giunti  ad  una  tal  follìa  , 
Che  per  Fenice  prendesi  il  Grifagno, 
L'Asprino  per  Falerno,  o  Malvagia? 


S  A  T  I  A  I   C   H   !,  34g 

Per  ampio  fiume  un   piccolo  rigagno  ; 
Pei    chiaro  umor  di  cristalliu   ruscello 
Le  torbid'  acque  di  fangoso  stagno  ? 

Menippo. 

Tu  senti  ;  il  Mondo  è  privo  di  cervello 

Più,  che  non  credi  :  ma  venghiamo  al  resto, 
Ch*  è  molto  ancora,  ed  or  comincia  il  bello. 

Venghiamo  al  giorno  orribile,  e  funesto, 
Che  debbe  in  palco  comparir  la  sera; 
Che  importa  il  tulto,  e  gran  negozio  è  questo» 

Oh  cjual  battaglia  strepitosa,  e  fiera 

Prende  co' servi,  che  le  stan   d'intorno, 
E  più  con  P  infelice  cameriera  ! 

Se  un  sol  capello  è  fuor  del  suo  contorno  , 
Se  nou  avran  le  trecce  egual  compasso  , 
Ed  ogni  anello  non  sia  latto  al   torno  : 

3'  alto  il  carton  sia  collocato,  o  basso, 
Se  la  cresta  le  cade  o  innanzi,  o  indietro  , 
Né  immobil  stia,  quai  contro  a  B  >rea  un  masso; 

foleran  senza  legge,  e  senza  metro 

DO     ' 

Spessi  colpi  di  legno,  o  di  sugatto; 

Minacce  d'  altro  mal  più  grave,  e  tetro. 
Arra  l'occhio  infuocato,  e  sempre  in  atto 

Di  fulminar  col  guardo  ovunque  il  volga  ; 

Sempre  il  flagello  alle  percosse  adatto. 

uardisi  il  Sarto,  ebe  il  destio   noi  colga 

A  far ,  che  il  busto  sia  troppo  accollato  , 

Stretto  ne'  fianchi ,  e  che  premendo  dolga  : 
}he  il  sottanin  le  penda  in  qualche  lato  , 

Ch'abbia  la  falbalà  pochi  sgoniletti, 

O  lo  strascico  sia  mal  divisato  ; 


35o  Poesie 

Questi  in  tal  caso  ogni  sciagura  aspetti  , 
E  non  fi*   poco ,  se  la   b  >c,ca   tuona  , 
Senza  che  a'  danni  suoi  la   man  saetti  • 

Così  dal   bel  mattili  fi  io  alla   nona, 

E  dalla  nona   ai   sormontar  dell'  ombra 
Urla ,  grida  ,  atterrisce  o-ni   persona  . 
Vestila  al  tutto  poi,  ma  pur  non  sgombra 
D'affanni  e  brighe,  anzi  in  que'  aui)vi  ammanti 
D'  altri  pen-ùer,  di  nuove  cure  ingombra  , 

Tacita,  e  sola  a  un  ampio  specchio  avauti 
Chiama  i  gesti  a  consulta,  affiu  che  osserve 
Come  al  vivo  imitar  sospiri,  e  pianti: 

Come  esprimer  si  può  1'  ira ,  che  ferve 

Dentro  del  cuor,  qual  esser  dee  l'aspetto, 
Ch'amor  palesi,  e  maestà  conserve  : 

Dove  con  grazia  uguale,  e  «guai  diletto 
Adoprar  le  convenga  il  gestir  sciolto, 
Proprio  dell'  uomo,  e  il  femminil  ristretto  : 

Quando  crudel  ,  quando  pietosa  il  volto 
Mostri  all' amante,  e  in  qual  maniera  vaga 
Si  passeggin  le  scene  or  poco  ,  or  molto . 

Tai  cose ,  ed  altre  ancor  la  trista  masa 
Da  genio  vii  ,  da  gran  malizia  indotta 
INel  cristallo  concerta,  e  in  lui  s'appaga. 

Compiuta  l'opra  de' suoi  studj  allotta, 

Verso  il  Teatro  in  cocchio  il  cammin  prende 
Quasi  al  trionfo  in  maestà  condotta  . 

Quivi  all'alzar  dell'interposte  tende 

S' apron  le  scene,  e  grave  ella  in  sembiante 
Il  grande  ufficio  a  se  commesso  imprende. 

Il  grande  ufficio  in  tante  leggi  e  tante 
Pubblicalo  per  vile,  ancor  ne' rei 
Tempi,  che  il  vizio  iu  Roma  era  gigante • 


Satiriche.  35i 

Josa  orrenda  a  pensar,  quanto  a  costei 
Debba  lussuria,  e  quai  saette  avventi 
Ne'  cuori  altrui  colf  atteggiar  di  lei  \ 
Ila  in  mezzo  al  fulgor  di  torchj  ardeati , 
Di  ricche  gemme  adorna,  e  d'auree  vesti, 
Corteggiata  da'  musici  stromeoti, 
ibra  i  fiati  canon  or  lieti,  or  mesti, 
E  colia  dolce  voce  unisce  appieno 
Non  meo  dolci  gli  sguardi,  e  dolci  i  gesti, 
a  guisa  tal,  che  d'armonie  ripieno 
Tutto  il  corpo  rassembra,  e  par  che  ancora 
Canlin  co' labbri  il  cria,  le  guance,  e  il  seno, 
bi  potrà  mai  ridir,  come  innamora 
L'artifizio  ammirando  e  la  vaghezza, 
Ond'  ella  esprime  ciò  ,  che  imita  allora  ? 
ome  l'alme  rapisce  la  fierezza 
Che  finge  a  tempo,  e  come  la  pi  età  de 
Tormenta  col  piacer  della  dolctz/a  ? 
)me  riscalda  il  raggio  di  behade , 
Che  sebben  poco,  apparir  molto  il   fumo 
La  scena ,  il  canto  ,  e  la  fiorita  elade  ? 
rider  vago,  il  dilettoso  affa u no  , 
Il  pianger  dolce,  ìe  lusinghe,  e  i  vezzi 
Han  più  poter,  che  le  magìe  non   buono. 
lindi  avvien  poi,  eh' oltre  il  peusir  s'apprezzi 
La  perfil'arte,  e  che  si  fatta  razza 
Di  ciascun  s'  applaudisca,  e  s'  accarezzi* 
inegsjiando  il  Teatro  urla  ,  e  schiamazza  , 
Par,  che  d1  allo  rimbombo  il  ciel  risuoni 
ÀI  grati  rumor  del  popolo  ,  che  impazza  . 
)voa  Souetti  impressi  a  letteroni  , 
Versi  da  celebrar  col  suon  di  piva  , 
Rime  da  cornamuse  ,  e  da  sveglioni  . 


352  Poesie 

Batte  uu  passaggio  appena  ,  o  un  trillo  avvivi 
Che  a  quelle  note  amabili,  e  canore 
Rispond'Hi   tutti  replicando  il   viva. 

Vegli  il  paterno,  e  non   mai  stanco   amore, 
Perchè  il  tenero  figlio  il  pie  lontano 
Torca  dal  volgo,   e  da  lussuria  il  cuore: 

Provveda  ad  uopo  tal  con  larga  mano 

Maestri  esperti  ,  ed  il  faneiul  ne  apprenda 
Famosi  esempli   di   valor  sovrano  : 

Chiaro  iu  tal  guisa   per  beli'  opra  il  renda, 
Sicché  nel  fior  di  giovanezza  amena 
Cosa  non  trovi  in  lui  degna  d'emenda; 

E  poi  non   vieti  ,  che  a  notturna  scena 
Rivolga  il   passo  ad   ascoltar  furtivo 
Le  voci   infide  d'una  tal  Sirena; 

Che  ciò  sol  basta ,  perché  al  tutto  privo 
D'ogni   virtù  rimanga,  e  al   proprio  tetto, 
Donde  casto  parli  ,  torni  lascivo  . 

Cingasi  pur  guardingo,  e  in  se  ristretto, 
Di  saldo  bronzo  ,  d'  infrangibil  smallo  , 
D'aspro  macigno,  e  d'  adamante  un  petto: 

Sia   robusto,  e   veloce  al  corso,  e  al  salto; 
Ma  1    uom  non  speri  d'  uu  cantar  soave 
Vincer  la  forza  ,  o  declinar  1'  assalto  . 

Vuol  d'  ogni  seno  a  sno  piacer  la  chiave 
La  Cantatrice  aver  ,  che  per  nequizia 
Si  fa  lecito  il  tutto,  e  nulla  pavé. 

Maestra  in  sommo  grado  è  di  malizia  , 
Empia  scuoia  di  frode  e  di  bugia, 
Sozza  cloaca,  e  vii  d'impudicizia. 

Ne  creder  dei,  che  maldicente  io  sia; 
Che  l'assunto  dal  ver  non  s'allontana, 
E  la  logica  il  prova  a  voglia  mia . 


Satirici*  i.  353 

}mmcia  il  sillogismo  in  forma  piana  : 
Pudica  esser  non  può  Donna  vagante; 
La  Cantatrice  è  tal  ;  dunque  è  puttana . 

Alcindo* 

?r  mia  fé  mi  ti  scuopri  in  un  istante 
Qual  Argo  occhiuto,  ed  io  t'avrà  per  Hppo; 
Porfirio  stesso  è  al  senno  tuo  distante. 
un  argomento  tal  convien,   Menippo  , 
|Che  ceda  ornai  1'  argomentar  sì  forte, 
Che  nella  prisca  età  facea  Crisippo  • 

Menippo. 

ssin  gli  scherzi ,  e  pria  che  il  Sol  ne  porte 
Diù  caldi  1  lampi  ,  segnitiam  i'  impresa  : 

iusto  allor  fia ,  che  il   ragionar  si  scorte . 
esla,  che  ad  invaghir  sta  sempre  intesa  , 
Mal  puote  in  altri  dispensar  F  arsura, 
^.he  non  rimanga  al  fuoco  istesso  accesa  : 
\  il  vigor  dell' etade  anco  immatura, 

caldi  ossequj  ,  i  teneri  favori  , 
tesser  fragil   per  abito,  e  natura  ; 
continuo   trattar ,  vezzi  ,  ed  amori  , 

sensi  affettuosi,  i  molli  versi, 
Mantici  son  ,  che  softìan  negli  ardori . 
è  ver,  eh1  ella  sa  poi  contenersi 

ol  fervido  amatore,  e  scaltra  adopra 
Diretti  ad  un  sol   fin  modi  diversi. 
isso  avverrà,  che  ii  desir  suo  ricopra, 
jhe  supplicata  invan  più  volte  nieghi 
Juel  che  più  brama,  e  salda  in  ciò  si  scuopra# 
Poesie  Satin  2  3 


354  Poesii 

Poi  mostra ,  che  addolcita  ai  pianti  ,  ai  pre 
Qual  donzellata  semplice,  ed  ignara  , 
Vinta  da  forza  dolce  inchini,  e  pieghi.- 

E  quel  9  che  importa  più ,  l'arte  è  sì  rara , 
Che  nel  teuor  de'  variati  affetti , 
Sia  crudel ,  sia  pietosa,  è  sempre  avara. 

Se  la  mercè  d'un  bacio  aver  t'aspetti, 
Oltre  il  fastidio  immenso  ,  ed  infinito 
D'  aggiramenti ,  e  di  fallaci  delti  : 

Quando  il  consenta  all'  ultimo  partito  , 
E  voglia  air  amor  tuo  mostrarsi  grata  , 
Sciocco  che  sei ,  né  pur  V  avrai  compito 

Vorrà  1'  astuta  Donna  esser  baciata  , 
]Non  bacialrice  ,  e  non  saran  tai  baci 
Quei  del  colombo  alla  colomba  amata  . 

Gli  avrai  mn  dolci,  e  molli,  e  non  vivaci 
Dalla  fiera  crudel ,  che  più  s' impingua 
De'  doni  tuoi ,  più  che  in  bramar  ti  sfa< 

E  perchè  il  fuoco  in  te  non  mai  si  estingi 
Lara  lua  brama  più  de'  baci  ingorda  , 
Senza  scoppio  baciando ,  e  senza  lingua  ; 

Nò  in  darla,  a  leggier  prezzo  unqua  s'  acce 
Per  un  mistero  suo  da  ciance,  e  fole; 
Che  se  fia  mai,  che  tu  lo  stringa,  o  mo 

Verrebbe  a  cincischiar  poi  le  parole , 
E  il  Teatro  n'andrebbe  in  precipizio, 
Non  potendo  cantar  ben,  come  suole. 

A  questa,  che  fioezza  è  di  giudizio, 

E  se  frode  esser  debbe ,  è  poco ,  o  nulla 
Aggiugni  ancora  un   più  nefando  vizio  : 

Ch*  essa  qualor  col  vago  si  trastulla  , 

E  vinla  da' gran  doni  in  sen  l'accoglie, 
Si  spaccia  per  castissima  fanciulla» 


Satiriche.  35$ 

iura  con  smanie  vezzosette ,  e  doglie , 
Esser  lui  quel  primier,  che  dall'  intatto 
Grembo  il  bel  cinto  virgiual  le  scioglie; 

[entr*  ei  dal  puro  sen  le  invola  a   un  tratto 
Quel  fior  di  purità,  che  seco  crebbe, 
Qual  prima  fu  dal  matern'  alvo  estratto  : 

he  a  somma  gloria  ,  e  rara  ascriver  debbe 
Sì   fatto  acquisto,  in  rammentar  tal  volta, 
Che  invan  molti  il  tentaro,  e  solo  ei  1*  ebbe, 

osi  ragiona  la  malvagia  ,  e  stolta  , 
Che  Vendesi  a  più  d'  uno  per  donzella  , 
Quando  madre  già  fu  più  d'  una  volta . 

r  proprio  è  il  tempo  a  ragionar  di  quella 
Malizia  estrema  ,  e  scellerata  usanza  , 
Per  cui  1'  inganno  colorisce  e  abbella  . 

itra  ne'  tetti  suoi:  per  ogni  stanza 
Vedrai  stillar  dalle  campane  a  fiume 
L'  umor  d'erbe  diverse,  e  la  sostanza  : 
isehiar  le  galle  peste,  e  il  trito  allume 
Col  nero  inchiostro,  e  conservar  non  vieto 
li  grasso  dell'Auge),  che  aborre  il  lume, 
ire  il  decotto  in  ranno ,  in  forte  aceto 
Bollir  le  gomme,  che  il  ciriegio  spande, 
Con  le  frondi  di  mirto  ,  e  dell'  ameto  ; 
jrchè  a  forza  d'  impiastri ,  e  di  lavande 
Stringa  ,  qual  può  ,  la  parte  vergognosa  , 
Che  per  tropp'uso  è  larga  troppo,  e  grande* 
chiunque  non  sa  la  fraude  ascosa  , 
Fetid'  erba  cogliendo  ,  involar  crede 
Negli  orti  di  quel  sen  bel  giglio ,  e  rosa  . 
a  più  caro  è  a  saper,  «piando  succede, 
Che  pien  le  resti  il  ventre ,  a  tal  rovina 
Con  quale  industria  ia  un  bàlen  provvede: 


356  Poesie. 

Va  l'ambra  grigia,  e  il  dittamo  a  rapina, 
Di  fior  si   spoglia   il  zafterao  dorato  , 
D'ogni  fronda   il    Puleggio,  e  la  Sabina  ; 
Di   Venere  il   capei  si  strappa  al   prato  , 
L'appio,  l'assenzio,  e  1*  artimisia  all'ori 
Il   fot  mento  si   prende  in  vin  stemprato; 

E  se  eotai  rirotdj  il  passo  han  corto  , 

INon   bastando  al  grand'  uopo  uniti,  o   spai 
A   sciorre  il  sangue,  e   provocar  l'aborto 

Si  Aolge  allora  etile  più  perfid' arti , 
Col  £ir$i  rea  d'  infanticidio  orrendo, 
Con  ferro  ,  o  laccio  ne'  suoi  proprj   parti  , 

Quanto   udisti   finor,  s'  io  b*m  comprendo  , 
Son   gravi  eccessi,  e  pur  quel  che  rimane 
Ad  ascoltar  da  sezzo ,  è  più  tremendo. 

Àò   opre  ti  malvage ,  ed  inumane 

Elia  accoppia  i   pensier  più  schifi  e  lordi  , 
Sensi  più  enormi,  e  fantasie  più  strane. 

Finge  a  se  stessa  in  Ciel  JNumi  balordi, 
Che  per  bontà  soverchia  al  suo  mal  fare 
Sien  ciechi  in  tutto,  e  al  suo  pregar  non  sor 

Onde  qualor  si  prostra  al  sacro  altare, 
Vomita  affetti  sì   protervi  ed  empj, 
Che  ridir  non  si  ponno,  e  non  tremare. 

Le  sue  calde  preghiere  in  mezzo  ai  Tempj 
Son  bestemmie  sacrileghe,  ed  impure, 
Di  sozza  acidità  perfidi  esempj. 

Chiede  al  Giove  immortai,  che  non  si  oscur 
Da' suoi  be<di  occhi  il    rac^io  ardente  e  viv< 

TV  '  i  ^  OO  _ 

l>e  alcun  sinistro  la  beltà  le  fure: 
Che  Tamator  non  fastidito  e  schivo 
Paria  mai  de'  suoi  vezzi ,  e  l'idolatri 
Con  amor  più  costante,  e  più  corrivo: 


Satiriche.  357 

pe  all'  Italia  impazzita  infausti  ,  ed  atri 

Non  girin   »li  astri  ,  e  con  vicenda  allegra 

Al  cader  de'  Licei  s'  alzin  Teatri. 

le  fate ,  o  sommi   Dei  ,  che  in  veste  negra 

Non  ricuoprite  il  Ciel  ,  perchè  rinnuove 

L' orribil  scempio  già  veduto  in  Flegra  ? 

jal  non  giusta  pietà  vuol  che  si  trove 

In  voi  T  ira  sì  lenta  ,  o  qual  più  degna 

Cagion  dall'  alto  a  fulminar  vi   muove  ? 

;  Cautatriei  in  oggi  (ahi  sorte  indegna!) 

Così  de' vizj  lor  piena  han  la  terra, 

Che  solo  il  vizio  vi  trionfa  ,  e  regna. 

iocipi,  chi  di  voi   primier  disserra 

L' ire  del  cuor  coutro  il  cornuti  nemico  ? 

Chi  per  l'eccelsa  impresa  il  brando    afferra? 

an   vergogna  d'Italia!  ogni  suo  vico 

Ha  più  superbi  ,  e  maestosi  i  palchi , 

2he  non  ebbe  i  suoi  Templi  il  Lazio  antico. 

ci  dorrem  che  V  uomo  in  se  defalchi 

'  uso  del  bene  oprare ,  e  che  fra  noi 
Padan  tante  colombe  in  preda  a' falchi? 
iti  la  Donua  in  scena  ,  e  dimmi  poi  , 

he  nel  cuor  di  chi  1'  ode  alcun  lavoro 
faccia  virtude  usa  a  produr  gli  Eroi, 
ser  gl'ingegni  Achei,  che  il  Nume  loro, 
'reso  nel  cuor  da  smoderato  affetto 
(libasse  Europa,  col   mutarsi   in  Toro. 

giusta  il  creder  mio,  dico  ili  effetto, 
fon  esser  questa  mai   favola  stracca, 
la  veritiero  ,  e  istorico  soggetto  : 
atre  vergiamo  a   nostra  età  sì   fiacca  , 
Ih*  ogni  vii  Cantatrice  a  suo   talento 
accheggia  Italia,  tramutata  in  Vacca. 


358  Poesie 

Ogni  suo  dolce ,  armonioso  accealo 

E  un  Mongibel ,  che  in  vomitar  faville , 
Col  piacere  invaghisce,  e  col  tormento. 

I  faretrati  amori  a  mille  a  mille 

Senza  riguardo  al  modo,  al  tempo,   al  loc 
Volan  per  le  cittadi  ,  e  per  le  ville. 

Per  tutto  avvampa  di  lascivia  il  fuoco  , 
Scorre  per  tutto  il  flebil  pianto ,  e  molle  ; 
S'  ode  per  tutto  un  sospirar  non  fioco. 

Alcinclo. 

Grande  insania  dell'  alme  !  io  contro  il  folle 
Vaneggiar  degli  amanti  or  mi  delibero 
Teco  T  ira  a  sfogar,  che  in  sen  mi  bolle. 

Chi  da'  lacci  d'  amor  porta  il  pie  libero  , 
Vedrà  fatta  immortai  la  sua  memoria 
Gir  da'  lidi  del  Gange  al  suol  Celtibero. 

Domar  gli  uomini  armati  è  grau  vittoria  ; 
Ma  calpestar  d'  un  Dio  Tarco  invincibile, 
Rintuzzando  i  suoi  strali,  è  maggior  gloria 

L'  alto  Nume  d'Amor  troppo  è   terribile  , 
In  terra  e  in  Ciel  la  sua  faretra  adorasi , 
Teme  i  suoi  dardi  il  Re  di  Sti^e  orribile. 

Dal  reo  fanciullo  in  van  pietade  implorasi/ 
\      Strugge  il  suo  fuoco  i  cor  più  verdi  in  cene 
E  ottien  strazio  maggior  chi  più    innamora 

Ah  che  non  mai  di   Dea  le  mamme  tenere 
Nutrirò   Amor  padre  crude!  d'  insidie, 
]\è  lui  produsse  in  Cipro  il  sen  di    Venere 

L'arti  del  suo  regnar  son   le  perfìdie, 

Col  freddo  gelo  ardenti   fiamme  accendere 
Non  dispensar  piacer ,  eh'  altri  1'  invidie  : 


Satiriche.  35g 

hi  gli  è  più  fido  ,  a  viso  aperto  offendere, 
Esser  presto  a  legar,  ben  tardo  a  sciogliere, 
Tutto  prometter  sempre,  e  nulla  attendere; 
irrighi  tormenti  in  breve  gioja  accogliere, 
Pochi  favi  accoppiar  con  molto  assenzio, 
Il  ben  già  dato  in  un  balen  ritogliere; 
egli  affanni  più  gravi  impor  silenzio  , 
L/alme  più  afflitte  ristorar  col  piangere, 
Passar  di  crudeltà  Siila,   e  Mezenzio; 
2tto  di  bronzo  qual  cristallo  frangere, 
Negar  sdegnoso  all'altrui  mal  rimedio, 
Star  presente  a  chi  muore,  e  noi  compiangere  ; 
ir  premio  a  nobil  fé  disprezzo ,  e  tedio , 
Con  Tarma  fral  d'un  volto,  e  d'un  cria  debile 
Prender  le  menti  iu  pertinace  assedio; 
brar  da  un  occhio  arcier  piaga  indelebile , 
Fondar  suo  pregio  nel  totale  esizio 
Dell'  uom  già  fatto  miserando  e  flebile; 
rinnovar  negli  amanti  il  duol  di  Tizio, 
Di  Prometeo  infelice  il  fato  asprissimo, 
Di  Sisifo  il  gran  sasso  ,  e  il  precipizio  ; 
llevar  la  speranza  a  grado  altissimo  , 
Perchè  poi  cada ,  e  la  rovina  stabile 
Giunga  pena  al  dolor  del  voi  brevissimo  ; 
mder  noi  servi  di  beltà,  eh' è  labile, 
Dispor  quindi  che  sia,  per  più  deridere, 
L'effetto  odioso ,  e  la  ca^ioue  amabile  ; 
iler  che 'I  troppo  ardor  l'ingegno  assidere  , 
Che  il  ghiaccio  abbruci,  e  condennar  d'insania 
Lingua,  che  astretta  è  per  tormento  a  stridere; 
liamar  gioja  il  martir,  piacer  la  smania, 
Dolcissimo  favor  l'amara  ingiuria, 
Vita,  chi  '1  nostro  cuore  ognor  dilania; 


36o  Poesie 

Offrir  titol  di  Nume  a  un'  erapir*  Furia  v 
Sforzar  gli  affetti  a  tirannia  di  femina  > 
Che  adorata   viepiù,  viepiù  s'infuria; 

Che  per  fierezza  il  male  accresce  e  gemina  , 
Col  pagar  di  feri  le  i  cuor,  che  l'amano, 
Col  mieter  scorni  a  chi  favor  le  semina: 

Queste  son  l'opre,  che  il  gran  regno  infaman 
D'Amor  tiranno;  e  niente  men  pur  gli  uomii 
Luce,  ed  autor  dell'universo  il  chiamano. 

Oh  fatai  cecità,  che  in  noi  predomini! 

Qual  INume  opponsi,  onde  di  te  non  vedasi 
Che  un  mostro  adori,  e  Deitade  il  nomini? 

Ma  cortese  licenza  al  ver  concedasi; 

Semhra  Amor  sì  vezzoso  e  lusinghevole, 
Che  raro  avvien ,  che  a'  vezzi  suoi  non  credas 

Al  desir  degli  amanti  appar  pieghevole, 

E  al  primo  aspetto  a  quei,  che  lungi  il  miram 
Il  canNnin  per  cui  guida,  è  dilettevole. 

L'aure  del  Ciel  fiati  d'odor  vi  spirano  , 
Seggi  d'erbette  e  fior  tutto  il  circondano, 
Canori  augelli  intorno  a'  fior  s'aggirano: 

Rivi  d'argento  il  bel  terreno  inondano , 

Ricchi  di  spesse  frondi  al  suol  verdeggiano, 
E  di  frutti  maturi  i  tronchi  abbondano. 

Duce  è  la  speme,  e  dietro  a  lei  passeggiano 
Il  placido  sentier  gioje ,  che  additano 
L'entrata  aperta,  e  il  Peregrin  vezzeggiano. 

Ma  se  colà  t'innoltri,  ove  t'invitano 
Le  bugiarde  lusinghe  e  non  durevoli, 
Che  indarno  e  tardi  al  pentimento  incitano 

Allor  palese  avrai   cfuanto  ingannevoli 

Sien  le  sembianze,   onde  il  malvagio  adornas 
Quanto  i  suoi  doni  or  sien  mendaci,  or  fievoli 


Sjltiricii«.  36i 

erchè  si  muore,  ed  a  morir  poi  tornasi: 

Tra  quali  affanni  in  aspettar  delizie 

Per  lunga  etade  in  suo  poter  soggiornasi  : 

•uanfe  alberabino  in  lui  frodi,  e  tristizie, 
Quant'egli  goda  in  aggravare  e  premere, 
Quant' ei  s'allegri  dell'altrui  mestizie; 

►uivi  s'impara  orribilmente  a  gemere , 
E  qual  fiera  d' Ircania  ,  e  di  Pamfilia , 
Con  voce  umana  per  gran  doglia  a  fremerei 

.  non  curar  giammai  sonno  e  vigilia, 
A  sopportar  quanto  già  fer  di  strazio 
Neron  sul  Tetro,  e  Falari  in  Sicilia. 

lui  l'amator  non  mai  di  pianger  sazio 
Prova,  com'  esser  può,  eh'  una  stess'  anima 
Abbia  tempre  or  di  vetro,  or  di  topazio: 

Òme  il  soverchio  ardir  talor  disanima, 
Come  avvilito  un  cor  tra  le  miserie 
Prende  vigor,  se  il  van  sperar  l'inanima: 

lome  mentre  freddar  sente  l'arterie, 
E  d'incendio  amoroso  il  petto  ha  calido, 
Chiuda  di  fuoco  e  gel  strana  congerie: 

Iome  divenga  a  un  punto  acceso  e  palido , 
E  il  sembiante  adorato  il  faccia  immobile, 
Qual  fa  ria  di  Megera  il  volto  squalido  : 

ome  vii  schiavitù  sia  vanto  nobile, 
Come  ugualmente  ad  un  legame  stringesi 
Coronato  Monarca ,  e  servo  ignobile  : 

ome  grato  il  penare  a  noi  dipingesi  , 
Perchè  men  sente  il  mal  chi  più  n'è  carico; 
Come  in  mezzo  a'  singulti  il  riso  fingesi: 

3me  sembra  dolcezza  ogni  rammarico , 
Come  il  pianto  consola,  e  come  prendesi 
Col  nome  di  pietà  rigor  barbarico. 


362  P   O   £   •   I   E 

Felice  il  cuor,  che  in  libertà  difendesi 
Dal  Garzon  fiero,  e  alla  faretra  Idalia 
Tal  forza  oppon,  che  in  sua  balia  non  rendesi 
Felicissima  tu,  Signora   Italia  , 

S' ogni  tua  Donna  per  beltà  mirabile, 
È  Diva  ugual  nell'opre  all' Acidalia! 
Già  in  pregio  d'onestà  visse  laudabile 
L'alto  nome  di  Porzia,  e  di  Sulpizia  ; 
Or  la  fama  di  lor  non  è  stimabile. 
Ha  sembianza  d'orror  la  pudicizia  ; 
E  tu  sfacciata  ardisci  ,  e  non  ti  periti 
Di  prender  gloria  dall'  altrui  stoltizia  ? 
Son  questi  i  pregi  tuoi ,  questi  i  tuoi  meriti , 
Che  non  possa  mostrarti  una  Veturia 
Qual  castitade  usasse  a'  dì  preteriti  ? 
L'Insubria  ,  la  Romagna ,  e  la  Liguria  , 
L'Arno ,  il  Tebro ,  TAufido ,  ed  il  Sebeto 
D' un  novello  Spurina  in  gran  penuria  : 
Per  questo  in  Cielo  il  primo  lor  decreto 
Cangiaro  i  Fati ,  e  ad  immaturo  occaso 
Giunsero  i  giorni  del  tuo  viver  lieto. 
Per  questo  il  tuo  gran  lume  è  alfin  rimaso 
Neil'  ombre  assorto  di  perpetua  notte  ; 
E  il  suo  cader  fu  colpa  tua  ,  non  caso. 
Ove  le  genti  or  son  fugate  e  rotte 

Da'  tuoi  gran  Duci  ;  ove  i  tesor  n'andaro , 
E  le  Provincie  a'  tuoi  trionfi  addotte? 
Io  rimirando  in  te  dall'Adria  al  Varo, 
Altro  che  ceppi  a'  piedi  tuoi  non  veggio , 
A'  piedi  tuoi ,  che  tanti  Re  calca ro  : 
E  pur  se  l'avvenir  lontan  preveggio, 

Del  valor  prisco  il  seme  è  in  te  sì  spento , 
Che  il  male  è  grave»  e  puoi  temer  di  peggio. 


S  a  t  i  n  i  e  h  k,  363 


Menijypo. 

fm  il  ver  dicesti;  ai  detti  tuoi  consento, 
Posciachè  a'  detti  tuoi  disdir  non  lice , 
E  in  ascoltargli  son  pago  e  contento. 

er  quanto  io  credo,  e  a  me  la  prova  il  dice, 
Dovrà  l'Italia  l'obbligo  maggiore 
Alla  nefanda  e  sozza  Cantatrice. 

I  fonte  è  questa  d'ogni  cieco  errore, 
Quello  scoglio  fatai  più  duro  e  fermo, 
Dove  rompe  virtude  in  mar  d'amore: 

>uel  secreto  malor ,  che  senza  schermo 
Consuma  a  poco  a  poco  il  naturale 
Vigor  del  corpo,  e  fa  morir  l'infermo: 

hiel  continuo  soffiar  del  vento  Australe, 
Che  ne*  dì  più  focosi,  e  più  cocenti, 
Par  che  rinfreschi  il  volto ,  ed  è  mortale  : 

hielia  Tigre  crudel,  che  agli  occhi  intenti 
A  contemplarla  è  vaga ,  e  niuno  scampo 
Promeite  altrui,  se  può  ferir  co' denti: 

Juel  lucido  seren  d'estivo  lampo, 
Che  abbrucia  e  splende  ;  quella  vii  cicuta , 
Ch'è  al  Tuoni  veleno,  e  verde  erbetta  al  campo: 

)gni   presente  angoscia,  ogni  temuta 
Sventura,  che  ne  preme,  e  ne  sovrasta, 
Da  lei  sola  deriva,  è  a  lei  dovuta. 

iegi  d'  Europa  ,  alla  cui  saggia  e  va*ta 
Mente  die  spettro  il  Ciel ,  mirate  ornai 
La  bella  Italia  da  qus»i  piaghe  è  guasta! 

Jdite  i  sospir  mesti  ,  i   pianti ,  i  lai , 
E  se  pictade  in  regal  petto  alberga, 
Diasi  pronto  rimedio  a  tanti  guai. 


364  Poes  ii  i 

Pria  die  dal  centro  de'  suoi  mali  emerga 
L'ultima  irreparabil  sua  rovina, 
Che  l'abbatta  per  sempre,  e  la  disperga, 

Fate  ,  che  dalla  morte  a  lei  vicina 
Ritorni  in  vita  la  famosa  ^  altera 
Donna  ,  che  fu  del  mondo  alta  Regina. 

Non  chiede  già,  che  a  men  sublime  sfera 
Scenda  il  Sovra n ,  che  per  soverchia  altezza 
S'arma  talor  di  maestà  severa  : 

Che  ristringa  la  man  pur  troppo  avvezza 
A   profonder  tesori ,  e  adoprar  voglia 
Più  giustizia  ne'  doni ,  e  meo  larghezza: 

Che  ad  ingrandir  col  suo  favore  ei  toglia 
La  virtù  de'  soggetti ,  e  non  s  dleve 
Sozzo  vapor ,  che  in  turbine  si  sciogliti  : 

Che  sappia  non  voler  quel  che  non  deve; 
Che  nell' impor  le  tributarie  some, 
Quant'  egli  può ,  vada  guardingo  e  lieve. 

Tanto  Italia  non  vuol:  dalle  sue  chiome 
Cadde  il  diadema,  e  riverente  adora 
Le  leggi  altrui,  perchè  d'ancella  ha  il  nome. 

A  salute  di  lei  basta  per  ora , 

Che  da'  terreni  suoi  per  sempre  in  bando 
Vadan  le  Cantatrici  alla  malora. 

Alcindo. 

Non  più,  Menippo  :  io  vo  fra  me  pensando, 
Che  non  saresti  di  mal  dir  satollo , 
Se  tutto  intiero  il  dì  stessi  ascoltando. 

Troppo  furor  t' inspira  il  sacro  Apollo , 
E  l'aspra  tua  maledicenza  infesta 
Ti  fa  correr  da  cieco  a  rompicollo. 


Satiriche  365 

Prendi  miglior  consiglio  :  il  corso  arresta 
A  libero  sermone.  Angue  mortale 
Muove  ratto  a  ferir  chi  lo  calpesta. 

Per  sua  grandezza  in  oggi  il  vizio  è  tale , 
Che  abborre  il  ripreusor  chiaro  ed  aperto, 
Né  sicura  intrapresa  è  il  dirne  male. 

Menippo, 

ialtin  le  Cantatrici  :  io  so  per  certo  , 
Che  quel  eh'  io  dico  ,  è  men  di  quel  che  fauno, 
E  il  biasmo  è  poco  a  paragon  del  merto. 

Vendano  l'armi  pur  tutte  a  mio  danno  ; 
S'unisca  in  favor  loro  a  pugnar  meco 
Forza  palese  con  secreto  inganno: 

l'udran  le  valli,  il  rio,  Tal  pi ,  e  lo  speco 
Sempre  ridir ,  che  in  sollevar  gì'  indegni , 
Più  che  s'aggira  il  Mondo ,  appar  più  cieco . 

I  ire ,  che  avvisi ,  e  i  minacciosi  sdegni 
Paventar  non  saprei  ;  clpi  di  gelo 
INon  fan  paura  agi'  infuocati  ingegni . 

•uando  rabbia  malnata  avventi  il   telo , 
Vedrà  ,  mentre  il  ferir  vano  si  rende , 
Che  a  giusta  causa  è  difensore  il  Cielo. 

ilo  e  pietà,  non  reo  livor  m'accende, 
Né  l'aspro  stil  per  biasmo  altrui  coltivo  ; 

Ma  sol  perchè  dal  male  oprar  s' ammende, 

Contro  chi  mal  s'adopra  io  parlo ,  e  scrivo. 


366 


SATIRA 

LA 
MUSICA. 

DI    SALVATOR    ROSA 


Ai 


_bbia  il  vero,  o  Priapo,  il  luogo  suo, 
Se  gli  Asini  a  te  sol  son  dedicati, 
Bisogna  dir  che  il  Mondo  d'oggi  è  tuo. 

Credimi  che  si  son  tanto  avanzati 

I  tuoi  vassalli ,  che  d'un  Serse  al  pari 
Tu  potresti  formar  squadroni  armati. 

S'ergono  al  nome  tuo  Templi  ed  Altari, 
Che  nelle  Corti  ai  primi  onori  assuuti 
Da  un  influsso  bestiai  sono  i  Somari, 

Che  s'io  non  erro  al  calcolar  de'  punti, 
Par  cb'asinina  stella  a  noi  predomini, 
E  '1  Somaro ,  e  '1  Castron  si  sian  congiunti. 

11  tempo  d'Apulejo  più  non  si  nomini  , 

Che  se  allora  un  sol  uom  sembrava  un  asin( 
Molti  asini  a'  miei  dì  rassembran  uomini. 


Satiriche*  56j 

Magino  e  Tolomeo  la  causa  annasino, 
Che  in  domicilio  de*  moderni  Giovi 
Fa  che  tanti  Somari  oggi  s'accasino. 

Italia ,  il  nome  che  ti  diero  i  bovi , 
Or  che  d'Asini  sei  fatta  sentina 
Necessario  sarà  che  tu  rinnuovi, 

E  così  folta  ornai  questa  asinina 
Turba ,  che  ovunque  in  te  gli  occhi  rivolgo, 
Arcadia  raffiguro,  e  Palestina  , 

Quando '1  pensiero  a  contemplargli  io  volgo, 
Col  gran  numero  lor  fan  eh'  io  trasecolo 
Gli  asini  del  Senato ,  e  quei  del  volgo. 

Se  le  Cronologìe  più  non  ispecolo , 
Mi  forza  a  dire  al  paragone  il  saggio  , 
Che  questo  sia  di  Balaam  il  secolo, 

Moltiplicato  è  il  Marchigian  lignaggio, 
E  per  dirla  in  pochissime  parole, 
L'anno  si  è  convertito  tutto  in  maggio. 

Più  che  in  Leone  arde  in  Somaro  il  Sole, 
E  acciocché  meglio  inasinisca  il  mondo , 
S' apron  per  tutto  del  ragghiar  le  scuole. 

guanto  gira  la  terra  a  tondo  a  tondo 
Luogo  alcuno  non  v*  ha,  che  di  schiamazzi  9 
E  di  zolfe  non  sia  pieno,  e  fecondo. 

Sppur  si  vedon  ir  peggio  che  pazzi 
I  Principi  in  cercar  questa  canaglia 
Scandalo  delle  Corti,  e  de' Palazzi. 

firtude  oggi  nemmeno  ha  tanta  paglia 
Per  gettarsi  a  giacere,  e  a  borsa  sciolta 
Spende  l'oro  dei  Re  turba  che  raglia. 

te  si  vede  altra  gente  andare  in  volta 
Che  Feline,  e  Falecri  innanzi  e  indietro, 
E  le  reggie  un  di  lor  yolta,  e  rirolta. 


368  Poesie 

E  (ale  influsso  è  sì  maligno ,  e  tetro , 
Che  appestalo  ne  resi  a  in  ogni  parte 
Il  bel  Cielo  di  Marco,  e  quel  di  Pietro. 

li  modesto  piacer  rotto  ha  il  compasso ,     • 
E  a  propagar  la  musica  semeuza 
Ave  i  suoi  Missionari  ancora  il  chiasso. 

Chiama  in  Roma  più  gente  alla  sua  udienza 
L'&rpa  duna  Licisca  eantatrice , 
Che  la  campana  della  Sapienza. 

Ad  un  Musico  bello  il  tutto  lice: 

Di  ciò  ch'ei  fa,  ch'ei  brama,  ottiene  il  vanto, 
Che  un  bel  volto,  che  canta,  oggi  è  felice. 

Io  non  biasimo  già  l'arte  del  canto, 
Ma  sì  bene  i  cantori  viziosi, 
Ch'  hanno  sporcato  alla  modestia  il  manto,  v 

So  ben  eh'  era  mestier  da  virtuosi 

La  Musica  una  volta,  e  1'  imparavano 

Tra  gli  uomini  i  più  grandi,  e  i  più  famosi. 

So  che  Davidde ,  e  Socrate  cantavano  , 
E  che  l'Arcade,  il  Greco,  e  lo  Spartano 
D'ogni  altra  scienza  al  par  la  celebravano. 

E  Temistocle  già  l'eroe  sovrano 

Fu  stimalo  assai  men  d'Epaminonda, 
Per  non  saper  cantar  come  il  Tebano. 

So  che  fu  di  miracoli  feconda, 
E  che  sapea  ritor  l'Anime  a  Lete, 
Benché  fossero  quasi  in  sulla  sponda. 

So  che  di  Creta  discacciò  Talete 
La  peste  colla  musica  ,  e  Peone 
Guai ia  le  malattie  gravi,  e  secrete. 

So  che  Asclepiade  con  un  suo  trombone 
I  sordi  medicava,  e  de' lunatici 
L'agitante  furor  sopìa  Damone. 


S  i  t  i  n  e  i  i,  3Sg 

So  che  Anfione  agli  uomini  salvatici 
Colia  lira  insegnò  l'umanità, 
E  che  un  altro  sanava  i  mali  aquatici. 

Ma  chi   mi  addita  in  questa  nostra  età 
Un  cantor,  che  a  Pittagora  simile, 
La  gioventù  riduca  a  castità? 

E  la  Musica  odierna  indegna ,  e  vile , 
Perchè  trattata  è  sol  con  arroganza 
Da  gente  viziosissima,  e  servile. 

Sente  albergo  d'obbrobrio,  e  d'ignoranza, 
Sordida  torcimanna  di  lussurie, 
Gente  senza  rossor ,  san  za  creanza. 

Dì  si  fatta  genia  non  son  penurie  ; 
Sol  di  becchi,  e  castrati  Italia  abbonda, 
E  i  cornuti  e  i  cantor  vanno  a  centurie. 

Birba  da  saltambanchi  vagabonda 
Fatta  vituperosa  in  sulle  scene, 
D'ogni  lascivia  e  disonor  feconda. 

>ol  di  Sempronio  le  Città  son  piene, 
Che  con  maniere  infami  e  vergognose 
Danno  il  tracollo  agli  uomini  dabbene, 

)ove  s' udiron  mai  sì  fatte  cose? 
Dirsi  il  canto  virtude ,  e  le  puttane 
Il  nome  millantar  di  virtuose? 

arrossite  al  mio  dir  ,  Donne  Romane  x 
Le  vostre  profanissime  ariette 
Han  fatto  al  disonor  le  strade  piane. 

^e  vostre  Chitarriglie  ,  e  le  Spinette 
De'  postriboli  son  base,  e  sostegno 
Aperti  ruffianesmi  alle  brachette. 

o  sgrido,  io  sgrido  voi ,  Maestri  indegni, 
Voi ,  che  al  mondo  insegnaste  a  imputtanirsi 
Senza  temer  del  Ciel  l'ire,  e  gli  sdegni. 
Poesie  Sa  tir.  *  24 


370  Poesie 

Dall'  opre  vostre  ognor  miro  ammollirsi 
Anco  i  più  forti ,  e  l'anime  relasse 
Languire  al  sospirar  di  Fille,  e  Tirsi* 

Musica  fregio  vii  d'anime  basse , 

Salsa  de'  lupanari,  ond'è  ch'io  strillo, 
Arte  sol  da  puttane,  e  da  bardasse. 

Queste  han   trovato  il  candido  lapillo, 
Con  cui   veggio  segnar  fin  dalle  culle 
Felicissimi  i  dì  Taide ,  e  Batillo. 

Questi  son  ciurmator  di  tue  fanciulle, 
Roma  ,  che  fan  cangiare  ai  dì  nostrali 
Le  Porzie  in  Nine,  e  le  Lucrezie  in  Ciulle. 

Questi,  o  Padri,  son  quei,  che  alle  Vestali 
Di  vostra  casa  tolgono  il  primiero 
Pregio  de' sacri  fiori  verginali. 

Questi  son  quei  che  insegnano  il  mestiero 
Di  popolare,  e  d'erudire  i  Chiassi, 
Mascherar  di  virtude  il  vitupero. 

Agamennone  mio,  se  tu  lasciassi 

O^gi  per  guardia  alla  tua  moglie  un  Musicc 
Quanti  Egisti  cred'io,  che  tu  trovassi. 

Dal   Peruviano  suolo  al  lido  Prusico 

Alcun  non  è  che  abbia  avvezzato  il  cuojo 
Più  di  costoro  all'  ago  del  Cerusico. 

Dalle  risa  talor  quasi  mi  muojo 
In  veder  divenir  questi  arroganti 
Calamita  del  legno,  e  del  rasojo. 

E  nondimeno  son  portati  avanti, 
E  favoriti  dalla  sorte  instabile 
Per  la  dolce  malìa  di  suoni,  e  canti. 

Solo  in  un  caso  il  Musico  è  prezzatole, 
Che  quando  intuona  a*  Principi  la  Nenia, 
Se  ne  cava  uà  diletto  impareggiabile. 


S    1    T    I    IV    I    C    II    E.  S7I 

Ma  del  restante  poi  già  l' Antisten  ia 
Sentenza  grida,  ch'ha  per  impossibile 
Che  sia  buon   uomo,  e  sia  cantore  Ismenia. 

Fanno  il  mezzano  alla  concupiscibile 
Senza  temer  di  Dio  gli  occhi  severi  ; 
Che  il  Cielo  appresso  lor  fatto  è  risibile. 

Son  lenocinj  i  canti  agli  adulterj  , 
E  le  Vergini  prese  a  quest'  inganni 
Si  fan  bagasce  almen  co*  desiderj . 

Van  sempre  unite  e  serenate,  e  danni, 
Perchè  son  giusto  il  canto ,  e  l'onestade 
Il  Carbonar  d'Esopo,  e '1  Nettapanni . 

Di  Cresippo  oggidi  calca  le  strade 
Il  Musico  lascivo,  e  son  promossi 
Solo  i  canti  del  Nilo ,  e  quei  di  Gade, 

Io  non  dico  bugie ,  né  paradossi  ; 

Corre  dietro  al  cantar  l'incontinenza, 
Come  farfalla  al  lume,  e  il  cane  agli  ossi, 

Chi  ha  pratica  di  questi ,  e  conoscenza 
Può  dir  se  della  Musica  è  compagna 
La  gola,  l'albagia ,  l'impertinenza. 

Per  questa  razza  nulla  si  sparagna  ; 
I  sudditi  s'aggravano ,  e  i  vassalli , 
Per  aprire  ai  cantor  grassa  cuccagna. 

Per  costoro  non  han  spazi ,  o  intervalli 
Una  grazia  dall'  altra  ,  e  versa  il  corno 
La  copia  in  grembo  al  fomite  de'  falli. 

Non  si  terrebbe  di  corona  adorno , 
Se  non  avesse  un  Re  più  d'un  Iopa , 
Che  tutto  il  dì  gli  gorgheggiasse  attorno  : 

Ed  è  cotanto  imbrodolata  Europa 

In  questa  feccia,  che  a  nettarne  il  guazza 
Invan  Catone  adopreria  la  scopa. 


Era  l'odio  di  Roma,  e  lo  strapazzo 

La  Musica  una  volta  :  or  mira  il  La?.io 
Se  dietro  a  quella  è  divenuto  pazzo  ! 

Quanti  Tigelli  conterebbe  Orazio 

In  questo  secolaccio  iniqui  ,  e  sciocchi  , 
Che  non  han  mai  di  mal  l'animo  sazio. 

E  fin  dentro  alle  Chiese  a  quelli  Allocchi 
S'aprono  }  nidi:  i   profanati  Tempj 
Scemano  in  parie  il  vitupero  ai  socchi. 

Eppure  è  ver,  che  con  indegni  esempj 
Diventano  bestemmie  ai  giorni  nostri 
Di  Dio  gl'inni,  ed  i  salmi  in  bocca  agli  empj, 

Che  scandalo  è  il  sentir  ne'  sacri  Rostri 
Grugnir  il  Vespro  ed  abbajar  la  Messa  , 
Ragghiar  la   Gloria,  il  Credo,  e  i  Pater  no s Crii 

Apporta  d'urli  ,  e  di  muggiti  impressa 

L'aria  agli  orecchi  altrui  tedj ,  e  molestie; 
Che  udir  non  puossi  una  sol  voce  espressa. 

Sicché  pieu  di  baccano ,  e  d'immodestie 
Il  Sacrario  di  Dio  sembra  al  vedere 
Un'  Arca  di  Noè  fra  tante  bestie. 

E  si  sente  per  tutto  a  più  potere 

(Ond' è  ch'ogn'uom  si  scandalizza,  e  tedia) 
Cantar  su  la  ciaccona  il  Miserere  : 

E  con  stili  da  sfarzi,  e  da  commedia 
E  gighe ,  e  sarabande  alla  distesa  ; 
Eppure  a  un  tanto  mal  non  si  rimedia. 

Chi  vide  mai  più  la  modestia  offesa? 

Far  da  Filli  un  castron  la  sera  in  palco  , 
E  la  mattina  il  Sacerdote  in  Chiesa. 

So  che  un  sentier  pericoloso  io  calco  , 
Ma  in  dir  la   verità  costante  io  sono, 
]>è  ci   voglio  a  ri  oprar  velo  ,   nò   tajc 


S    A    f    I    R    1    C    H    I,  #7$ 

ÀlT  orécchio  di   Dio  più  grato  è  il  tuono 
D'  un  cor  che  taccia  ,  e  si  confessi  reo, 
Che  di  cento   Arioni   il  cauto  ,  e  il  suono. 

Chi  vuol  cantar  segua  il  Salmista  Ebreo  j 
Cd  imiti  Cecilia  ,  e  non  Talìa  , 
Dietro  all'orme  di  Giobbe,  e  non  d'Orfeo» 

Penetra  solo  il  Ciel  queir  armonia , 

Che  invece  d' intuonar  canto,  che  nuoce, 
Piange  le  cólpe  sue  con  Geremia. 

il  Ciel  s'  adora  con  portar  la  Croce  , 

Con  bontà  di  costumi,  e  non  di  mano ? 
Purità  di  coscienza,  e  non  di  voce. 

Vergognosa  follia  d'  un  petto  insano  ! 
IN  ci  tempo  eletto  a  prepararsi  il  core 
Si  sta  nel  Tempio  con  le  Solfe  in  mano. 

Quando  stillar  dovria  gli  occhi  in  umore 
L5  impazzito  Cristian ,  gli  orecchi  intenti 
Tiene  all'  arte  di  un  fiasso  ,  ò  di  rin  Tenore: 

L  in  mezzo  a  mille  armonici  slru menti 
De'  Profeti  santissimi  una  Lamia 
Mette  in  canzone  i  flebili  lamenti. 

Oh  del  prescito  Mondo  atroce  infamia  ! 
Tu  più  di  Bettelemme  in  prezzo  sei  , 
Per  l'autor  delle  nòte,  Isola  Sauna. 

Affermar  con  certezza  io  non  saprei , 

Se  il  Mondo  sia  più  pien  à\  Pittagoriei  y 
O  d'Ateisti,  ovver  d'Epicurei. 

ÌO  dico  il  ver  senza  color  Rettorici  : 
Tutti  i  canti  oggi  mài  sonò  immodesti , 
E  Missolidi  ,  e  Frigi ,  e  Lidi  ,  e  Dorici. 
Musica  mia  ,  non  so  se  sì  molesti , 
Come  son  ora  i  Professori  tuoi  f 
Éran  già  quti  Martelli  onde  nascest:. 


374  Poesie 

Tu  senza  colpe  ne  venisti  a  noi  , 
E  se   adesso  ne  vai  piena  di  errori 
È,  perchè  capitasti  in  man  de' Buoi. 

Eppure  a  questi  sol  si  fan  gli  onori  ; 
Questi  cercati  son  da  teste  esperte, 
E  pronti  a*  cenni  lor  stanno  i  tesori. 

Questi  trovan  per  tutto  ampie  1'  offerte , 
Gli  stipendi,  i  salari,  a  man  baciata 
Erarj  ,  scrigni  ,  e  guardarobe  aperte. 

Ed  a  questa  progenie  interessala 

Si  dan  le  prime  cariche  ,  e  gli  nfizi  ; 
Tanto  la  vanifade  oggi  è  stimata. 

E  sebben  servon  di  fomento  ai  vizi , 

Lor  piovon  sempre  mai  in  grembo  ai  spassi 
Entrate  ,  pensioni  ,  e  benefizi. 

Così  fatti  in  un  tratto  tondi ,  e  grassi  , 
Scordati  de*  natali ,  e  del  principio 
Fanno  da  Sacripanti  e  da  Gradassi. 

Ed  un  stronzo  animato,  un  vii  mancipio 
Avvezzo  alla  portiera,  ed  al  tinello 
Starebbe  a  tu  per  tu  con  Mario  ,  e  Scipio. 

Un  baron  rivestito  ,  un  bricconcello 
Per  quattro  note  ha  tal  temei itade  , 
Che  vuol  col  galantuom  stare  a  duello. 

Oh  quanto  si  può  dir  con  veritade  , 
Che  con  la  pelle  del  Leone  ardisce 
Di  coprirsi  oggidì  V  Asinitade  ! 

E  si  gonGa  ,  e  si  vanta ,  e  insuperbisce  f 
E  per  farlo  cantar  si  suda  ,  e  stenta  , 
Ma  se  iucomincia  poi,  mai  la  finisce. 

Ciurma  ,  che  mai  si  sazia  ,  o  si  contenta  : 
Quanto  più  se  le  dà  ,  più   se  le  dona, 
Scellerata  divien  ,  peggior  diventa. 


Satiriche.  3^5 

Plebe ,  che  altro  non  pensa ,  e  non  ragiona  f 
Che  a  passar  l'ore  in  crapule,  e  sbadigli  f 
Che  al  vivere  alla  peggio  ,  alia  briccona. 

In  questi  tempi  muterìa  consigli 

L'  Ape  ,  qnal  disse  al  Culice  una  volta  , 
Che  insegnar  non  volea  musica,  ai  figli. 

Poich'  altro  non  si  stima  ,  e  non  si  ascolta 
Fuor  d' un  cantor  v  o  suonator  di  tasti  ; 
E  questa  razza  è  sol  ben  vista  ,  e  accolta. 

Bella  Legge  Cornelia  ,  ove  n'  andasti 
In  quest'  età ,  che  per  castrare  i  putti 
Tutta  Norcia  per  Dio  non  par  che  basti? 

I  Caligoli  ,  i  Veri  indegni ,  e  brutti 
Son  ritornati  a  fabbricare  encomj 
A  questi  vili,  e  sordidi  Margutti. 

A  che  serve  compor  volumi  ,  e  tomi  , 
Se  in  tutti  i  tempi  inclinano  le  Stelle 
Degli  Aristoni  al  canto  ,  e  degli  Euuomj? 

La  fola  del  Monton  di  Friso ,  e  d'  Elle 
Verificala  vo'  mostrarvi  a  dito  , 
Se  d'  oro  ogni  Caslron  porta  la  pelle. 

Quindi  mi  disse  un  Cortigian  forbito , 
Che  in  Roma  sj  era  fatto  il  pel  canuto  , 
E  Jograto  vi  avea  più  d'un  vestito, 

Che  in  Corte  chi  vuol  esser  ben  voluto 
Abbia  poco  cervello  in  testa  accolto  , 
Sia  musico,  o  rufnan,  ma  non  barbuto. 

Di  poca  bile  ,  ma  di  livor  molto  , 
E  fugga  come  il  foco  i  Personaggi, 
Chi  non  ha  più  d'un  core,  e  più  d'un  volto. 

Soli  miracoli  usati  entro  i  Palaggi,  . 
Che  un  Musico  sbarbato  co' suoi  vezzi 
Cavalcato  scavalchi  anco  i  più  saggi. 


3j6  Poesie 

Oh  quanto  degni  faro  i  tuoi  disprezzi , 

Gran  Solimano  ,  allòr  che  a  queste  sporche 
Razze  facesti  gli  stromenti  in  pezzi. 

Tu  ,  tu,  Sarmata  ,  al  fremito  dell'Orche 
Avvezze  là  sul  faretrato  Oronte 
Le  Sirene  mandasti  in  sulle  forche. 

E  Pirro  ad  un  ,  che  con   audace  fronte 
Un   Musico  lodò  ,  nulla  rispose; 
Ma  si  messe  a  lodar  Poliperconte. 

Ed  Anallio  già  disse  ,.  e  il  ver  depose , 

Che  al  par  di  Libia  il  canto  al  nostro  orecchie 
Manda  Fiere  ogni  dì  più  mostruose. 

Sia  benedetto  pur  quel  Santo  Vecchio, 
Che  di  questi  sacrileghi ,  e  perversi 
In  Chiesa  non  volea  Tempio  apparecchio» 

E  benedetti  siano  i  Medi ,  e  i  Persi  , 
Che  i  parassiti,  musici,  e  buffoni 
IXon  stimaron  giammai  molto  diversi. 

Benedette  le  Donne  de'  Ciconi  , 

Che  fero  al  canto  d'  Orfeo  la  battuta 
Co'  cromatici   lor  santi  bastoni. 

Oggi  nessun  gli  scaccia  ,  o  gli  rifiuta  , 
Anzi  in  casa   de' Principi ,  e  de' Regi  r 
Questa  genìa  sol'  è  la  benvenuta  : 

E  cresciuti  così  sono  i  suoi  pregi  , 

Che  per  le  Reggie  serpe ,  e  si  distende 
L'arte  di  questi  pantomimi  egregi. 

Alla  musica  in  Corte  ognuno  attende: 

Do,  Re ,  Mi9  Fa,  Sol9  La,  canta  chi  sale, 
La  ,  Sol ,  Fa ,  Mi  ,  Re ,  Do ,  canta  chi  scende 

Usa  in  Corte  una  musica  bestiale. 

Par  che  a  fare  il  soprano  ognuno  aspiri, 
Ma  nel  fare  il  falsetto  ognun  prevale. 


Satiriche.  377 

Cantano  in  lei  benissimo  i  Zopiri  , 
1/  adulatore,  iì  pazzo,  e  lo  spione, 
L'ajutaute  del  letto  e  de'  raggiri. 

Ma  mi   par  troppo  gran  contraddizione 
Cu'  abbia  sorte  con  lei  solo  il  Castralo  f 
S'  ba  fortuna  con  lei  solo  il  C 

Principi,  il  canto  è  da  voi  tanto  amato, 
Cbe  non  \i  vola  il  sonno  al  sopraccilio, 
Se  da  quello  non  v'  è  pria  lusingato. 

La  quiete  da  voi  vola  in  esilio  _ 

Senza  il  letto  gemmato,  e  senza  il  Coro 
Dì  Saulle  ad  esempio,  e  di  Carbilio. 

Da  se  del  sonno  il  placido  ristoro 

Manda  Natura ,  aliar  cbe  il  cielo  è  fosco  , 
E  Voi  ,  pazzi ,  il  comprate  a  peso  d1  oro. 

Letto  più  prezioso  io  non  conosco , 
Cbe  farmi  di  vitalbe  una  trabacca  , 
Coltrice  il  prato  ,  e  padiglione  il  bosco. 

E  quando  iì  souno  agli  ocebi  miei  s'  attacca  , 
Un  dolce  oblio  santo  Morfeo  mi  presta  , 
Cbe  mi  tura  le  luci  a  cera  lacca. 

Io  non  invidio  110  la  vostra  testa  , 

Cbe  non  ba  requie  mai  quand' ella  dorme  r 
E  tutta  è  sogni  poi  quand'ella  è  desta. 

Se  voi  \olete  un  sonno  al  mio  conforme  , 
Vegliate  della  notte  una  gran  parte, 
Studiando  ben  di  governar  le  forme. 

Ma  si  cerchi  da  voi  1'  uffizio  ,  e  Y  arte  , 
Cbe  deve  usare  un  Prence  giusto,  e  prò 
Ne*  libri,  e  non  del  gioco  in  sulle  carte. 

E  in  vece  d'un  castrato  ingordo,  e  rio, 
Tenete  un  Ruosignol  ,  cbe  nulla  chiede 9 
E  forse  i  canti  suoi  son  Inni  a  Dio, 


378  P  o 


JC    S    I    E 


Quel  Popolo ,  che  a  voi  giurò  lo  fede  , 
Per  le  vie  seminudo  ,  ed  a  migliaja 
Mendicando  la  vita  andar  si  vede. 

E  pur  gettate  I'  oro,  e  non  è  baja, 

Dietro  ad  una  bagascia  ,  a  un  castratili o 
Alla  cieca ,  a  man  piene  ,  a  centinaja  : 

E  ad  uno  scalzo  poi  nudo  e  ineschino, 
Che  casca  dal  bisogno  e  dalla  fame, 
Si  niega  un  miserabile  quattrino. 

A  che  vuotar  gli  erari  in  Paggi  e  Dame, 
E  spender  tanto  in  guardie  a  capo  d'anno 
In  un  branco  venal  di  gcnfe  infame? 

Non  sa  temere  un  Giusto  offese ,  o  danno  ; 
Ch'  argomento  è  il  timor  d1  occulti  falli  , 
E  gran  segno  è  in  un  Pie  d*  esser  tiranno. 

A  che  serve  tener  fanti  e  cavalli, 

Se  la  guardia  maggior  ch'abbia  un  Piegnante 
E  l'amor  de'  soggetti ,  e  de'  vassalli  ? 

A  che  giova  nudrir  squadra  volante 

Di  sparvieri  e  falcon  sì  grande  e  varia  , 
E  buttar  via  tante  monete  e  tante  ? 

La  vostra  naturacela  al  ben  contraria 
Sazia  non  è  di  scorticar  la  terra  , 
Che  va  facendo  le  rapine  in  aria. 

Deh  quell'  alma  real  che  in  voi  si  serra , 
Lasci  una  volta  questi  abusi  indegni , 
E  la  memoria  lor  giaccia  sotterra. 

Generosa  superbia  in  voi   si  sdegni 
Di  servire  agli  affetti  ,  e  vi   ricordi  , 
Che  siete  nati  a  dominare  i  regni. 

Le  passioni  indomite  e  discordi 

Sia  voslra  cura   in  armonia  comporre, 
E  far  che  il  sen*o  alla  ragion  s'accordi» 


Satiriche,  379 

Questa  musica  in  voi  si  deve  accorre , 
E  non  queir  altra  ,  il  di  cui  vanto  è  solo 
Accordar  cetre ,  e  l'animo  scomporre. 

Teslimonio  bastante  ,  e  non  già  solo 
Il  Cinico  mi  sia,  che  già  nel  Foro 
Tutto  accusò  de*  Musici  lo  stuolo. 

Non  è  virtù  d'un  animo  ,  e  decoro 
Trattar  chitarre,  cimbali  e  Jeuti , 
Ne  diletto  è  da  Re  musico  coro; 

Ma  ben  d'animi  molli  e  dissoluti  t 
Da  persone  lascive,  e  da  impudichi, 
Da  spirti  di  piacer  solo  imbevuti. 

Ma  che  occorre  che  tanto  io  m'affatichi, 
Se  di  quei  detti  ,  che  il  furor  m'inspira 
Non  mi  lascian  mentire  i  tempi  antichi? 

Parli  Anligou  per  me,  che  colmo  d'ira 

Ad   Alessandro  un  dì  ,  che  al  canto  attese, 
•Furibondo  di  man  strappò  la  lira; 

E  con  voci  di  sdegno ,  e  zelo  accese 
Fatto  volare  in  mille  pezzi  il  suono  , 
11  musico  suo  Re  così  riprese  : 

Queste  adunque  son  l'arti ,  e  questi  sono 
I  nobili  esercizi ,  ond'  io  credei 
Al  tuo  genio  crescente  angusto  il  trono  ? 

Sono  questi  gli  studj  ,  ond'  io  potei 
Argomenti  ritrae  d'indole  altera, 
Che  di  te  promettea  palme  e  trofei  ? 

Questo  ò  adunque  il  sudor  d'alma  che  impera? 
Questo  è  dunque  il  desio ,  che  porta  impresso 
Una  mente  magnanima  e  guerriera  ? 

Alessandro,  Alessandro:  oh  da  te  stesso 
Troppo  diverso  ,  e  da'  principj  tuoi  , 
Da  qual  vana  follia  ti  vedo  oppresso  ! 


S^O  P    O    E    tf    i    fi 

Cosi  non   vassi   e  debellar  gli  Eoi  : 

Pfè  soii  questi  i  sentici  ,  in  cui  stampare 
Orme  di  gloria  i  trapassati   Eroi. 

Ségni  d'opere  grandi  in  te  mostralo 
Le  tue  virtù  ,  la  maestà  fanciulla 
Un  raggio  di  valore  illustre  e  chiare. 

Appena  Tesser  tuo  partì   dal   nulla, 

Che  portò  seco  iti  sul  Calale  impressa 
L'espettazioni  a  insuperbir  la  culla. 

Tremava  il  piede  infante,  aliar  che  lesse 
In  quei  vestlgj  il  genitor  deluso 
Una  serie  immortai  d'alte  promesse. 

Della  tenera  man  l'uffìzio  e  Fuso, 

Che  sol  godea  del  brando,  in  te  scopila 
Un  uou  so  che  di  più  d'umano  infuso. 

Oh   tradite  speranze,  oh  della  mia 
Stolta  credulità  peosicr  fallace  ! 
Ecco  del  vostro  Re  la  monarchia. 

Ecco  l'Ercole  vostro  ,  il  vostro  Ajace , 
11  vostro  Teseo ,  il  presagito   Achille  4 
Dell'  Asia  deplorata  ecco  la  face. 

Questi  è  colui,  che  trionfar  di  mille 
Regni  doveva  ,  e  su  stranieri  liti 
Versar  dal  crine  cenerose  stille. 

r<on  son  tali,  Alessandro,  1  itili  avitu 
E  non  deve  un  Eroe  nato  a"li  scettri 
Star  sulle  corde  ammaestrando   i  diti. 

Ifou  convengono  insieme  i  brandi  e  i  plettri 
Son  contrarj  tra  lor  porpora  e  cetra: 
Non  fu  il  canto  giammai  degno  di   elettri. 

Principe,  clic  desia  d'alzarsi  all'etra, 
In  vece  di   trattar  corde  nefaude, 
Della  tromba  di  fama  il  suono  ioipel. 


Satirici!*.  35 1 

Questo  non  è  mestier  d'anima  grande, 
Chi   dietro  a  fole  e  vanitadi  agogna 
Non  fa  cose  immortali  e  memorande. 

Rinfacciarti   di   nuovo  a  me  bisogna  , 
Che  Filippo  tuo  padre  un  dì  ti  disse: 
Che   il  saper  ben  cantar  è  gran  vergogna. 

Tolgi  un  poco  la  mente,  e  mira  Ulisse 
Tu  ,  che  logrando  vai  sopra  le  corde 
L'ore ,  che  ai  tuoi  trionfi  il  Ciel  prefisse. 

Mira  quel  saggio  in  suo  voler  coucorde  ; 
Che  s'incera  l'orecchie,  i  canti  impuri 
Per  non  sentir  delle  Sirene  ingorde. 

Allettar  ti  dovrian  sistri  e  tamburi. 

Anima  ,  che  di  fama  e  gloria  ha  sete  , 
Così  lascia  il  suo  nome  ai  dì  futuri. 

Son  le  musiche  corde  armi  di  Lete, 
Grand'  incanto  de'  vili  e  de'  melensi  , 
E  di  femmineo  cor  fascino  e  rete. 

Chi  torpe  ne)  piacer  ,  volar  non  pensi 
Alle  Stelle  giammai,  che  sempre  furo 

Del  bel  Ciel  della  gloria  Icari  i  sensi. 

È*} 
dell'  onore  il  calle  alpestre  e  duro  ; 

Fugge  sol  de  l'eia  l'ire  omicide 

Chi  fa  dell'  opre  sue  virtù  l'Arturo. 

Co'  fatti  eccelsi  immortalossi  Alcide  : 
Ne  colla  lira  mai  si  fece  illustre  , 
Ma  bensì  colla  spada  il  gran  Pelidc* 

Trarrà  dal  nome  suo  l'aura  palustre 
il  Mondo  tutto  a  rimirare  intento 
Un  Re  mutato  in  un  cantore  industre. 

$è  t'ingombra  la  mente  alto  spavento? 
Né    vola  ratto  a   ricoprirti  il  volto 
Travestito  a  rossori  il  pentimento7 


332  Poesie 

Cangia ,  cangia  pensier  sì  vano  e  stolto  , 
E  non  si  tardi  a  discacciare  in  fretta 
Questa  enorme  magia,  che  a  te  ti  ha  tolto. 

Buono  sempre  non  è  quel  che  diletta , 
Ne  il  canto  è  meta  mai  d'opere  eccelse, 
Se  le  menti  più  forti  adesca  e  alletta . 

Sol  quello  è  vero  Re,  ch'elesse  e  scelse 
La  strada  de'  sudori ,  e  che  dall'  alma 
Mentre  nascean  ,  le  voluttà  divelse. 

Prudenza  è  il  non  dar  fede  a  lieta  calma; 
Ed  è  follia ,  se  credi  ,  e  se  presumi , 
Che  siili'  Ebano  tuo  spunti  la  palma. 

Ah  che  dell'  empia  Circe  i  rei  costumi 
Delle  menti  più  tenere  e  più  molli 
S'ingegnaci  sol  d'addormentare  i  lumi  ! 

Non  siano  i  tuoi  di  vigilar  satolli  , 

Che  deve  aver  cent' occhi  un  Re  com'Argo 
Perchè  l'Idra  de'  vizj  ha  cento  colli. 

Né  senz'  alta  cagione  i  detti  io  spargo; 

Perchè  so  ,  che  d'un  petto ,  ancor  che  forte 
Fu  la  musica  sempre  un  gran  letargo. 

Grand' esempio  li  sia  d'Argo  la  sorte, 
Che  d'un  canto  soave  ai  dolci  inganni 
Serrò  le  luci ,  e  ritrovò  la  morte. 

Chi  si  vuol  eternar  sudi,  e  s'affanni; 

Che  un  nome  non  si  può  torre  ad  A  verno 
Senza  lottar  col  vorator  degli  anni. 

Degli  interni  desìi  specchio  è  l'esterno , 
Chi  fatica  nel  ben   non  rauor ,  se  muore  ; 
Che  virtude  è  del  cor  balsamo  eterno  . 

Vizio,  o  virtù  mai  diventò  minore, 

Perch'  a  mostrar  che  de'  g'ganii  è  figlia  , 
Studia  la  fama  in  d^nir  maggiore. 


Satirici*  *.  383 

L'usata  maestà  de  in  te  ripiglia  , 

E  con  la  tua  prudenza ,  e  la  fortezza 
Te  medesmo  componi,  e  ti  consiglia. 

Gli  usi,  che  noi  pigliamo  in  giovinezza, 
Se  non   vi  s'  ha  riguardo  e  gao  premura, 
Si  strascina  no  ancor  nella  vecchiezza. 

Piaga  ,  che  non  si  tratta,  e  non  si  cura  , 
Maraviglia  non  è  che  poi  marcisca  $ 
Che  il  mutar  vecchia  usanza  è  cosa  dura. 

Quanto  gli  animi  grati  illanguidisca 
Questa  mentita  attossicata  gioja  , 
Ettore  te  lo  dica ,  e  ti  ammonisca. 

Sentilo  come  sbeffa,  e  come  annoja 
Pari  ,  che  già  si  procacciò  cantando 
L'amor  d' Elena  ,  e  la  caduta  a  T roja, 

Mira  Palla  colà,  che  sta  gettando 

Gli  strumenti  del  canto  in  mezzo  all'onde, 
Per  mandarlo  da  se  mai  sempre  in  bando. 

Ma  l'antiche  memorie  io  lascio  altronde  ; 
Mira  in  che  stima  sia  chi  canta,  o  suona 
E  del  Tebro  e  del  Nilo  in  sulle  sponde. 

La  Musica  non  sol ,  come  non  buona , 
Alcibiade  sprezzò  ,  ma  la  chiamava 
Cosa  indegna  di  libera  persona. 

Scaccia  scaccia  da  le  voglia  si  prava, 
E  vada  'l'alma  a  ricalcar  veloce 
Il  sentier  deli' onor,  che  pria  calcava. 

Prendi  iu  grado,  che  sia  questa  mia  voce 
Uno  sprone  pungente  al   tuo  desio  ; 
Che  virtù  slimolata  è  più  feroce. 

Parla  teco  cosi  l'affetto  in  io , 

Che  si  ti  alassi  ornai,  che  si  posterghi 
Questo  morbo  de*  sensi ,  e  quest'  oblio. 


^84  P   O  E   S   I   E 

Se  l'Istoria  di  te  vuoi  che  si  vergili , 
Ricordarti  tu  dei ,  che  non  si  tratta 
Nelle  corde  diacciar,  ma  negli  usberghi. 

Eterna  è  Troja  ,  ancorché  sia  disfatta  ; 

Che  per  quei,  che  pugnarla  presso  Atandro, 
Una  fama  immortai  Tali  le  adatta. 

Queste  molli  armonie  lascia  a  Tepandro  , 
E  di  sola  virtù  gli  affetti  onusti, 
Ad  Alessandro  ornai  rendi  Alessandro. 

Così  del  canto  ai  Secoli  vetusti 

Antigono  il  suo  Re  sgrida,  e  rappella 
A  pensieri  più  saggi ,  e  più  robusti . 

Dall'  Antigono  mio,  dal  Re  di  Pella, 
Principi  del  mio  tempo  ,  alzate  il  velo 
Che  il  mistico  mio  dir  con  voi  favella. 

Antigono  son  io ,  che  vi  querelo  , 
E  voi  siete  Alessandri;  io  vi  sgridai, 
Tocca  adesso  l'emenda  al  vostro  zelo. 

Augusto  anch'  egli  si  Compiacque  assai 
E  del  canto  e  del  suon,  ma  dagli  amici 
Ripreso  un  dì  non  vi  tornò  più  mai . 

Col  canto  non  si  vincono  i  nemici; 

Anzi,  benché  rassembri  un  scherzo,  un  giuoco, 
Eventi  partorì  strani  ,  e  infelici . 

Sempre  nel  suo  principio  il  vizio  è  poco; 
Ma  vi  sovvenga  che  un  incendio  immenso 
Da  una  breve  favilla  attrasse  il  fuoco. 

Creder  non  vuole  effeminato  il  senso, 
Che  da  questa  malia  così  soave 
Possa  poi  derivarne  un   male  intendo. 

Ma  se  disponga  il  canto  a  cose  prave , 
Con   maggiore  evidenza  a  voi  l'accenne 
Del  superbo  Neron  l'esito  grave. 


Satiriche»  S85 

Egli  a  fatica  il  Principato  ottenne  > 
Che  dopo  cena  il  Musico  Tirreno 
Cteni  sera  a  cantar  seco  ritenne. 

Or  chi  mai  crederla ,  che  dentro  un  s?no 
Questo  piacer,  che  così  buono  appare, 
Dovesse  partorir  tanto  veleno  ? 

A  poco  a  poco  ei  cominciò  a  suonare  ; 
E  potè  tanto  in  lui  questo  diletto, 
Che  si  diede  alla  fin  tutto  a  cantare. 

Quindi  per  farsi  un  Musico  perfetto, 
E  cercando  di  far  voce  argentina , 
La  notte  il  piombo  si  tenea  sul  petto. 

In   osservare  il  cantero ,  e  l'orina  ; 
In  vomitoli,  pillole,  e  brachieri, 
Ebbe  a  fare  impazzir  la  Medicina. 

E  perchè  sempre  avea  volli  i  pensieri 
Della  voce  a  fuggir  tutti  i  pericoli, 
Si  faceva  ogni  dì   far  de'  cristieii. 

E  se  dei  Re  non  fosse  infra  gli  articoli, 
Che  non  stian  mai  senza  (  .  .  .  .  aliato 
Si  facea  cavar  forse  i  testito  i. 

Lo  vide  il  Mondo  alfin  tanto  impazzalo. 
Che  passò  sui  teatro ,  e  sulla  scena 
Dal  domestico  cauto,  e  dal   privato. 

E  credendosi  ormai  d'esser  Sirena  , 
Poco  gli  parve  aver  delle  sue  glorie 
Napoli   e  Roma  ,  e  tutta  Italia  piena. 

Ond'a  cercar  del  cinto  alte  vittorie 

Se  n'andò  nella  Grecia,  e  quivi  affatto 
Finì  di  svergognar  le  sue  memorie. 

S' io  volessi  narrar  ogni  opra  ,  ogn'  atto 
Che  solo  per  cantar  costui  facea  , 

Dell'  istesso  Neron  sarei  più  matto. 
Poesìe  Satir.  a  5 


386  Poesie 

Bastimi  dir ,  che  quando  Roma  ardea  , 

Cantando  ci  se  ne  stava ,  e  in  fin  morendo 
Disse,  che  iJ   Mondo  un  gran  Cautor  perde? 

Quanto  d'infamità,  quanto  d'orrendo 
Per  la  musica  fé'  questo  Demonio, 
Mostri  se  il  canto  a  gran  ragion  riprendo. 

Tutta  la  vita  sua  fa  testimonio 

Del  gran  danno  del  canto,  e  chi  noi  crede 
In  Tacilo  lo  legga,  ed  in  Svetonio. 

Principi ,  al  parlar  mio  porgete  fede  : 

11  tempo  di  Nerone,  a  quel  ch'io  veggio, 
Vuoi  nel  secolo  mio  trovar  l'erede. 

Apre  egnuno  di  voi  la  destra ,  e  il  seggio 
Per  innalzar  la  Musica ,  e  frattanto 
Il  Mondo  se  ne  va  di  male  in  peggio. 

Io  mai  non  vidi  in  tanta  stima  il  canto  ; 
Ma  gli  è  ben  anco  ver ,  che  mai  non  vidi 
11  vizio  ai  giorni  miei  grande  altrettanto. 

Quanti  e  quanti  oggidì  ne'  vostri  lidi 
Uomini  infami  se  ne  stanno  in  nozze , 
Che  del  Prossimo  lor  vuotano  i  nidi. 

Quante  gentacce  scimunite,  e  sozze , 
Le  più  indegne  di  vita,  i  più  vigliacchi 
Han  palazzi ,  livree ,  ville ,  e  carrozze. 

Oh  quanti  Licaoni ,  oh  quanti  Cacchi , 
Di  moni»  a  cui  mai  la  fortuna  scappa, 
Con  i  sudori  altrui  s'empiono  i  sacchi  ! 

Quanti  han  velluto  indosso  ,  e  spada ,  e  cappi 
E  maneggiali  la  lancia,  e  fan  da  primi, 
Che  in  mano  starla  lor  meglio  la  zappa! 

Quanti  radono  il  suolo,  e  bassi  ed  imi, 
Cui  la  sorte  troncò  dell'  ali  i  nervi , 
Che  han  pensieri  magnanimi,  e  sublimi! 


Satiriche.  387 

E  quanti  in  questi  secoli  protervi 
Da^  Signor  compariscon  nelja  scena , 
Ch'  essi  meriteriau  d'essere  i  servi  ; 

Servi  però  da  remo,  e  da  catena. 


383 


SATIRA 


LA    PITTURA." 


DI    SALVATOR    ROSA 


G 


rosi  va  il  Mondo  oggi    dall'  Indo  al  Maurc 
INè  a  guarir  tauto  mal  saria   bastante 
Il  Medico  di- Timbra,  o  d'  Epidauro. 

Cade  il  Mondo  a  tracollo,  e  invano  Atlante 
Spera  gli  Aloidi  ;  ah  chi  m'  addita  uu  Giov< 
Or  che  il  vizio  quaggiù  fatto  è  gigante? 

Tutti  gli  sdegui  suoi  grandiua  ,  e  piove 
Sopra  gli   Acrocerauni  ,  e  poi  su  gli  empj 
Le  neghittosa  destra  il  Ciel  non  muove. 

Quali   norme    ne  date,  e  quali  esempj , 
Sulle,  che  in  vece  di   punire  i  rei. 
Fulminate  le  torri,  e  i   vostri  Tempj. 

Yoi  saettate  ognor  gli   Antri   Rifei  , 
E  ri  ma  liete  di   rossore  accese  , 
Se  Diagora  poi  non  crede  ai  Dei, 


Satiriche.  889 

Ihe  voi  siate  schernite  e  vilipese  , 
Non  è  sto  por.  L'invendicata  ingiuria 
Chiama  da  luuge  le  seconde  offese. 

carenata  d'  .4 verno  esce  ogni  Furia  , 
E  regna  sol   sopra  la  Terra  immonda 
Gola  ,  invidia,   pigrizia  ,  ira  ,  e  lussuria. 

ol  d'  avarizia  ,  e  di  superbia  abbonda 
Il  corrotto  costume  ,  e  il  tempo  indegno 
Nella  piena  del  mal  corre  a  seconda. 

la  giacché  in  voi  1*  addormentato  sdegno 
Alcun  senso  non  ha,  tentare  io  voglio 
S'  anco  i  fulmini  suoi  vanta  Y  ingegno. 

rt  dissi  furibondo  ,  e  preso  il  foglio  , 
Già  g'à  scrivea  del  secolo  presente 
Vuoto  d'  ogni  valor ,  pieno  d'  orgoglio. 

Juan  do  sugli  occhi  miei  nascer  repente 
Vidi  un  fantasma  in  disusato  aspetto  , 
Che  richiamò  dal  suo  furor  la  mente. 

Klirabil  mostro  ,  e  mostruoso  oggetto  , 
Donna  giovin  di  viso  ,  antica  d'  anni , 
Piena  di  maestade  il  viso  e  il  petto. 

L  lei  d'  Aquila  altera  uscian  due  vanni  ; 
Dall'  una  all'  altra  tempia    il  crin  disciolto 
Cadea  sul   tergo  a   ricamarle  i  panni» 

*area  che  il  Sol   negli  occhi   avesse  accolto, 
E  superbo  splendea  nel   mezzo  all'  Iride 
D'attortigliati   bissi   il   capo  avvolto. 

y  Isi   nel  Tempio  là  dentro  a   Busi  ride 

Con  simil   benda   adorna   il  crine  ,  e  stringe 
L'  antico  Egitto  al   favoloso  Osiride. 

Ma  I'  Edra  ,  il  Pesco ,  e  il  Lauro  intreccia  ,  e  cing* 
Quelle  bianche  ritorte,  e  in   mezzo  usciva 
11  simulacro  dell'  Aonia  Stinge* 


Sgo  Poesie 

Della  veste  il  color  gli  occhi  scherniva 
Variando  in  se  stesso  ,  e  dalla  manica 
A  finissimo  lino  il  varco  apriva.. 

Non  tessè  mai  con  più  sotti!  meccanica 
Tela  più.  *aga  in  sulla  Mosa  ,  e  l'Oderà 
La  fatica  Olandese  ,  o  la  Germanica, 

Lo  sventolar  de'  panni  unisce ,  e  modera 
11   manto,  che  affibbiato   sulla  spalla 
Di  più  pelli  dì  Scimmia  avea  la  fodera. 

Vestìa  la  sopravveste  azzurra  ,  e  gialla  , 
E  V  immagin  del  Mondo  ,  e  delle  Sfere 
Sostenea  sotto  il  braccio  entro  una  palla. 

Con  fantastiche  rote  in  folte  schiere 
Rapidi  intorno  a  lei  F  ali  batteano 
Simulacri  di  larve,  e  di  chimere. 

I  Pennelli,  e  i  color  le  si  vedeano 
Ad  una  canna  che  teneansi ,  e  lenti 
Con  verdi  anelli  i  pampini  stringeano. 

Io  restai  senza  moto  a  quei  portenti; 
Ed  ella  in  me  fissando  i  lumi  attesi, 
Disdegnosa  parlo  mini  in  questi  accenti  : 

Che  vaneggi  insensato  ?  Ove  hai  sospesi 

I  tuoi  pensieri  ?  E  da  qual  folle  ardire 
Si  sono  in  te  questi  furori  accesi  ? 

Sgridar  tu  vuoi  V  universal  fallire  , 

E  non  t'accorgi  ancor  che  tu  consumi 
Senza  profitto  alcun   gl'impeti,  e  Tire? 

Torre  il   vizio  alla  Terra   invan  presumi  ; 
Dunque  lo  sdegno  tuo  s'accheti ,  e  cessi, 
E  a  quel  che  tocca  a   te  rivolgi  i  lumi. 

Mira  c(mì  quanti  obbrobrj  ,  e  quanti  eccessi 
Dagli  artefici   propri   oggi   s'oscura 

II  più  chiaro  mestier,  che  si  professi. 


Satiriche.  £  j  ; 

Parlo  dell'arte  tua  ,  della  Pittura  , 

Che  divenuta  iufanae  in  mano  a  molti, 
Gli  Dei  s'irrita  contro,  e  la  Natura. 

E  in  vece  di  punir  gli  audaci  ,  e  stolti 
Professori  di   lei  con  dente  acerbo  , 
Tu  verso  il  Mondo  i  tuoi  favor  rivolti. 

E  tanto  empio  il  penne!,  tanto  è  superbo, 
Che  sol  tra  i  vizi  si  trastulla  ,  e  scherza , 
E  degli  sdegni  tuoi  tu  fai  riserbo  ? 

Sotto  la  destra  tua  provò  la  sferza 
Musica  ,  e  Poesia  ;  vada  del  pari 
Coir  altre  due  sorelle  anco  la  terza. 

E  se  dai  tuoi  flagelli  aspri ,  ed  amari , 
Alcun  percosso  esclamerà  ,  suo  danno  ; 
Dalle  voci  d'  uu  solo  il  resto  impari. 

So  che  la  rabbia  ,  e  il  concepito  affanno 
Farà  dire  a  costoro  in  tuo  disprezzo 
Quanto  inventar  ,  quanto  sognar  sapranno, 

ru  ,  come  scoglio  alle  procelle  avvezzo  , 
JNon  t'alterar  giammai:  noto  è  per  tutto, 
Che  suol  r  odio  del  vero  essere  il  prezzo. 

Della   virtù  maledicenza  è  frutto  , 
Ma  col  tempo  alle  Furie  escon  le  chiome," 
E  s'  accheta  il  livore  orrendo ,  e  brutto. 

Le  calunnie  una  volta  oppresse,  e  dome, 
Confesseran  che  con  ragion  gli  emendi*  j 
Che  alfin  la  verità  trova  il  suo  uouk* 

Su  ,  su  desta  gli  spirti  ,  e  Y  ira  accendi  ; 
E  pieno  il  cor  d'  un  nobile  ardimento , 
Questi  artefici  rei  sgrida  ,  e  riprendi. 

Dosi  diss'  ella  ,  e  suìT  estrema  accento 
Con  quella  canna  sua  c:nta  di   pam/>i#no 
Tocco m mi  ii  capo  ,  e  dileguossi  *n  vento. 


3g2  P  o  e  s  i  i 

Da  quel  momento  in  qua  par  che  m'  avvampine 
Le  fibre  interne ,  e  che  le  Furie  unite 
ISeir  agitato  sen  tutte  s'  accampino. 

Divenne  il   petto  mio  novella  Dite; 

Dunque  dal  cor,  pria  che  si  cangi  in  cenere 
Uscite  pur ,  chiusi  pensieri ,  uscite. 

Di  voci  in  cambio  adulatrici  >  e  tenere , 
S*  armi  Io  stil  senza  sapere  il  cui , 
Ma  sgridi  i  vizi  ,  ed  i  difetti  in  genere,     - 

Chi  sarà  netto  degli  errori  altrui , 

Riderà  su  i  miei  fogli  ;  e  chi  si  duole  , 
Dimostrerà  che  la  magagna  è  in  lui. 

Purché  si  sfoghi  il  cor  ,  dica  chi  vuole  : 
A  chi  nulla  desia  soverchia  il  poco: 
Sotto  ogni    ciel  padre  comune  è  il  Sole. 

La  State  ali*  ombra ,  e   il   pigro  Verno   al  foci 
Tra  modesti  desìi  Y  anno  mi  vede 
Pinger  per  gloria  ,  e  poetar  per  gioco. 

Delle  fatiche  mie  scopo ,  e  mercede 

E  soddisfare  al  genio,  al  giusto,  al  vero; 
Chi  si  sente  scrtiar  ritiri  il  piede. 

Dica   pur  quanto  sa  rancor  severo  : 

Contro  le  sue  saette  ho  doppio  usbergo  ; 
!Non  conosco  interesse  ,  e  son  sincero. 

I^o\»   ha  l'invidia   nel  mio   petto  albergo, 
SoV*  y.elo   lo  stil   m'adatta  in   mano, 
E  per  util  Cimine  i  fogli  vergo. 

Tutto  il  Mondo  è  Pittore  ;  ond'  il  Toscano 
Paolo   fé'  itiie  a   «erti   ambasciatori  , 
Che  chiedeanv»  o"  estrar  non  so  ohe  grano  j 
*-*v  Ei    non    volea  <-he   il   grano  uscisse  fuori  , 
•Ma  ~he   in   quel   «-ambio  avrìa  loro  concessa 
Di  Preifct;  UDa  tratu,  o  di  Pittori. 


Satiriche.  3g3 

L' arena  dell'  Egeo  non  è  sì  spessa , 
Sull'  Egitto  non  fur  tanti  ranocchi , 
Le  f<  'miche  in  Tessaglia,  i  Mori  in  Fessa. 

Il  granfi' Argo  del  Ciel  non  ha  tant'  occhi; 
Sono  meno  le  spie  ,  meno  i  pedanti , 
Né  vide  Crcsr»  mai  tanti  baiocchi. 

Tutto  Pittori  è  il  Mondo  :  e  pur  di  tanti  1 

Non  saran  due  uell'  infinito  coro  , 
Che  non  sian  delle  Lettere  ignoranti. 

Filosofo,  e  Ptttor  fu  Metrodoro  , 

E  i  costumi  ,  e  i  color  sapea  correggere  ; 
E  scrisse  1'  Arte  in  versi  Àpollodoro. 

Questo  raesliero  ognun  corre  ad  eleggere  , 
Ma  di  costor  ,  che  a  lavorar  s'  accingono*1, 
Quattro  quinti  ,  per  Dio  ,  non  sanno  leggere* 

Stupir  «li  Antichi,  se  però  non  fingono, 
Perchè  scriveva  un  Elefante  in  Greco; 
Ma  che  direbbero  or  che  i  Buoi  dipingono? 

Arte  alcuna  non  v'  è  ,  che  porti  seco 
D^lle  scienze  maggior  necessità  : 
Che  de'  color  non  può  trattare  il  cieco. 

Che  tutto  quel  _,  che  la  natura  fa  , 

O  sia  soggetto  al  senso  ,  o  intelligibile 
Per  oggetto  al    Piltor  propone  ,  e  dà. 

Che  non  dipinge  sol  quel  eh' è  visibile, 
Ma    necessario  è  che  talvolta  additi 
Tutto  quel   eh'  è  incorporeo,  e  eh' è  possibile. 

Bisogna  che  i    Pittor  siano  eruditi  , 

Nelle  Scienze  introdotti  ,  e  sappian  beue 
Le  Favole  ,  1*  Istorie  ,  i  tempi  ,  e  i  Bi^- 

Ne   fare  come   un  tal   Pittor  dabbene , 

Che  fece  un'  Eva,  e  poi  vi   pinse  uu  bisso  , 
Per  nou  far  apparir  le  parti  oscene. 


3p4  Poesie 

E  un  Castrone  assai  più  di  quel  di  Frisse» 
Un'  Annunziata  fece  ,  orni'  io  n'esclamo, 
Che  diceva   l' Oftmo  a  un  Crocifisso. 

E  r'»me  compatii*,  scusar  potiamo 
Un    rWfFàel   Pittor  raro  ,  ed  esatto 
Far  di   ferro  una  Zappa  iu  man  d'Adamo? 

E  cento  ,  e  mille  ignorali  toni  affatto 

Con  barba  vecchia  ,  e  con  virtù  fanciulla 
I  Panfili   sfidar  prendono  a   patto. 

E  come  la  Pittura  entro  la  culla 

D'ogni  minuzia  stia  gli  avesse  istrutti, 
Credon  d'esser  maestri  ,  e  non  san  nulla» 

Dipinger  tutto  il  dì  zucche,  e  presciutti, 
Rami,  padelle,  pentole,  e  tappeti. 
Uccelli  ,  pesci  ,  erbaggi  ,  e  fiori  ,  e  frutti. 

E  presumeran   poi  quest'  indiscreti 

D'esser  Pittori,  e  non  voler  che  adopra 
La  sferza  de' Satirici  Poeti? 

Che  se  hanno  a  mettere  altre  cose  in  opra  , 
Non  si  vede  mai  far  nulla  a  proposito  , 
E  il  costume  ,  e  Y  idea  va  sottosopra. 

Gli  Sciti  nel   vestir  fanno  all'  opposito  , 
E  perchè  V  ignoranza   hanno  per  sposa, 
Non  danno  colpo,  che  non  sia  sproposito. 

Perdoni  il  Cielo  al  Cigno  di  Venosa , 

Che  ai  Poeti  ,  e  ai   Pittori  aprì   la  strada 
Di  tare  a  modo  lor  quasi  ogni  cosa. 

Ccn  questa  autorità  più  non  si  bada  , 
Che  con  il  vero  il   simulato  implichi , 
E  the  dall'  esser  suo  l'arte  decada. 

Più  Ttle  ha  il  Tebro  ,  che  non   ha    lombrichi, 
E  fan  piu  quadri   certi   capi   insani  , 
Che  non  Sp.ce  Agatarco  ai  tempi  antichi  : 


S  a  t  i  r  i  g  n  i,  3g5 

Onde  dissero  alcuni  oltramontani , 

Che  di  tre  cose  è  l'abbondanza  ih  Roma, 
Di  quadri ,  di  speranze  e  baciamani. 

Escon  dal  Lazio  le  Pitture  a  soma , 
jE  tanta  de' Pittori  ò  la  semenza, 
Che  infettato  ne  resta  ogn'  idioma. 

Non  conoscono  studio  ,  o  diligenza  , 
E  in  Roma  nondimen  questi  cotali 
Sono  i  Pittori  della  Sapienza. 

Altri  studiano  a  far  solo  animali, 
E  senza  rimirarsi  entro  agli  specchi  ^ 
Si  ritraggono  giusti  e  naturali. 

Par  che  dietro  al  Bassan  ciascuno  invecchi , 
Rozzo  Pittor  di  pecore  e  cavalle  , 
Ed  Eufranore  e  Alberto  han  negli  orecchi. 

E  son  le  Scuole  loro  mandre  e  stalle , 
E  consumano  in  far,  l' etadi  intiere , 
Bisce  ,  rospi  ,  lucertole  e  farfalle. 

E  quelle  bestie  fan  sì  vive  e  fiere, 

Che  fra  i  quadri  e  i  Pittor  si  resta    in  forse 
Qnai  sian  le  bestie  finte,  e  quai  le  vere. 

Vi  è  poi  talun  che  col  pennel  trascorse 
A  dipinger  faldcni  e  guitterìe  , 
E  facchini  e  monelli  e  tagliaborse. 

Vignate,  carri,  calcate,  osterie, 

Stuolo  <T  imbriaconi  e  genti  ghiotte, 
Tignosi,  tabaccare  e  barberìe: 

Nigregnacche  ,  Bracon  ,  Treutapagnotte  : 
Chi  si  cerca  pidocchi,  e  chi  si  gratta, 
E  chi  veude  ai  baron  le  pere  cotte. 

Un  che  pìscia,  un   che  caca,  un   che  alla  gatta 
Vende  la  trippa:   Gimignau   che  suona, 
Chi  rattoppa  un  boocal,  chi  la  ciabatta. 


396  Poesie 

Né  crede  oggi  il  Piftor  far  cosa  buona, 
Se  non   di  finge   un   gruppo  di  stracciati, 
Se  la    Pittura   sua   n<  n   è  barena. 

E  questi  quadri  s<»n   tanto  apprezzati, 
Che  si   \edon   de' Grandi  entro  gli  studj 
Di  superbi   orna  menti   incorniciati. 

Così  vivi  mendichi  afflitti  é  nudi 

Non   trova n  da  coloro  un  sol  danaro, 
CI  e  ne'  dipinti  poi  spendon  gli  scudi. 

Cos;  ancor  io  da  quelli  stracci   imparo  , 
Che  dei   moderni  Principi  l'istinto 
Prodigo  è  ai  lussi,  alla  pietade  avaro. 

Quel  che  abborriscon   vivo  >  aman  dipinto, 
Perchè  ornai  nelle  Corti  è  vecchia  usanza 
Di  aver  in  prezzo  solamente  il  finto. 

Ma  chi  sa  ,  che  quel  eh'  io  chiamo  ignoranza  9 
Non  sia  de' Grandi  nn'invenzion  morale, 
Per  fuggir  la  superbia  e  l'arroganza? 

Che  se  Agatocle  già  dì  terra  frale 
Usava  i  piatti  de'  miglior  bocconi 
Per  ricordarsi  ognor  del  suo  natale  : 

I/immagin  de' Villani  e  de' Baroni 
Forse  tengon  costo r  per  ricordarsi , 
Che  gli  antenati  lor  furon    Guidoni. 

Ma  non  credo  che  mai   possa   trovarsi  , 
Che  della  veritade  il  canto  e  il   suono 
Abbia  sentito  Y  uom  senza  adirarsi, 

Già  rispose  quel  Grande  in   grave  tuono 
A  chi  gli  ricordò  certo  accidente  : 
Non  vo' saper  quak   fui,  mi   quel   ch«  sona. 

Fu  mostrato  a  un  Tedesco  anticamente 
Un  quadro,  in  cui  l'artefice  ritrasse 
Tutto  intiero  un  pastor  vile  e  pezzente. 


Satiriche.  397 

[nterrogato  quanto  ei  lo  stimasse , 
Rispose,  che  uemmen  voluto  avrebbe, 
Che  vivo  un  uomo  tal  gli  bi  donasse. 

Principi ,  perchè  a  voi  mai  nou  increbbe 
Questo  dipinger  sordido,  e  plebeo, 
Nell'arte  la   viltà  s'apprese,  e  crebbe* 

Dall'  Atlantico   Mare  air  Eritreo 
II   decoro  non   ba  dove  ricoveri  : 
Ognun  s'è  dato  ad  imitar   Pi»  reo. 

Sol    bambocciate  iu   ogui  parte  annoveri , 
INè  vengouo  ai  Pittori  altri   concetti  , 
Che  piuger  sempre  accattatozzi  ,  e  poveri. 

Ma   non   sou  tutti   lor  questi   difetti , 
Poiché  cercando  il  suolo  a  Ionio    a   tou  lo. 
Fuor  che  pezzenti   uou   hanno  altri  oggetti. 

Ogni  luogo  di  poveri  è   fecondo , 

Perchè  i  Principi  ornai  con  le  gibclle 
Hanuo  ridotto  a  mendicare  il   Mondo. 

Se  tosano  un  po'  più  le  pecorelle  , 

Gli  uomini  in  breve  si  potran  dipingere 
3\on  senza  panni  no,  ma  sensà   in  ile. 

Principi ,  ad  esclamar  mi  sento  spingere  : 
Ma  mi  dicon  pian  pian  Chto  ,  e  Coniato, 
Che  bisogna  con  voi  tacere,  o  fi  ìgere. 

Dunque  di  voi  1'  esame  ,  e  lo  scrutinio 

Faccia  chi  solo  a  grandi  imprese  è  dedito  , 
Ch'io  torno  a  censurar  la  biacca  ,  e  il  minio. 

Con  mio  grave  stupor  contemplo,  e  melilo, 
Che  quasi  sempre  ogni   Pitior  peggiora  , 
Quando  comincia  ad  acquistare  il  credito. 

Perchè  vedendo  che  più  d'un  l'onora, 
E  eh'  banno  facilmente  esilo  ,  e  spaccio 
Le  cose  ebe  dipinge  ,  e  che  lavora, 


3^3  Poesie 

Del  faticar  più  non  si  prende  impaccio  , 
E  presa   la   pigrizia  in    Enfiteusi  , 
Dolcemente  diventa  un  Minacciò. 

Così  non   fece  ii  nominato  Zensi  , 

Al  cui  studio  indefesso  aprì   le  porte 
Colui  che  nacque  là  presso  ad   Èleti&i. 

Chi  di  Nicia  fra   noi  segue  le  scotte, 
Che  spesso  il  ciba  si  scordò;  cotanto 
Era  lo  studio  suo  tenace ,  e  forte  ? 

Chi  nella  nostra  età  pervenne  al  vanto 
Di  Timante  ,  di  Ludio  o  di  Nicomaco  t 
E  chi  puoi'  ire  a   Polignoto  accanto  ? 

Non  è  pagato  alcun  come  Timnmaco  , 
Ma  chi  per  isludiar  quei  Canno  imita  , 
Che  di  lupini  sol  pascea  lo  stomaco. 

Oggi  1'  antichità  da  noi  s'  addita 
Oziosi  sedendo  entro  le  carte, 
Ma  la  prisca  virlude  erra  smarrita. 

Furon  le  Donne  ancor  chiare  in  quest'  arte  ; 
Or  qual  femmina  sia  ,  che  a  lor  rassembri  , 
E  possa  andar  delle  sue  glorie  a  parte? 

Ma  che  1'  antiche  in  ciò  nessun  rimembri  , 
Poiché  le  nostre  son  più  dotte,  e  deste 
Nel  porre  in  opra  la  natura  ,  e  i  membri. 

Fra  i  Pittori  vi  son  genti  sì  leste  ; 

Cou  uu  certo  liquor  che  non  si  scerne 
Fanno  antiche  apparir  certe  lor  teste. 

Degno  d'applausi,  e  di  memorie  eterne 
Delle  Donne  il  pennel  scaltro ,  ed  astuto 
Le  teste  antiche  fa  parer  moderne. 

Ma  in  qual  digression  son    io  caduto  ? 
il  mio  Ronzino  appunto  sul  più  bello 
Di  strada  uscì  delle  Cavalle  al  liuto. 


Satiriche.  399 

Dietro  alle  Donne  ognun  perde  il  cervello , 
E  le  cose  con  lor  tutte  a  gran  passo 
Per  certa  simpatìa  vanno  in   bordello. 

jasciam  dunque  le  Donne  andar  in  chiasso  , 
E  torniam  fra  i  Pittori,  ove  trascorre 
La  superbia  per  tutto  a  gran  fracasso. 

Ipelle  il  gran   Pittor  soleva  esporre 
Le  sue  fatiche  al  pubblico  ,  e  nascosto  , 
Per  emendarle  ,  i  detti  altrui  raccorre. 

Jueslo  costume  adesso  usa  all'  opposto  : 
Per  riportarne  solo  encomio,  e  lode, 
E  da'  nostri  Pittori  un  quadro  esposto. 

fegli  applausi  ciascun  si  gonfia,  e  gode, 
Ma  se  qualche  ceusor  la  sfeiva  adopra  , 
Di  sdegno  ,  e  di  furor  s'infuria  ,  e  r>  de. 

xià  Cimabue  quando  mostrava   un'  (_).>ra  , 
Se  alcun  lo  riprendea  ,  montato  va  rabbia 
Gettava  in  pezzi  il  quadro  ,    e  sottosopra. 

la  tutta  1'  albagìa  non  credo  eh*  abbia 
Un  fatto  più  superbo,  e  più  bestiale 
Di  quel ,  eh*  ora  mi  viene  in  sulle  labbia. 

•coperse  il  suo  Giudizio  Universale 
Michel  Angelo  al  Papa ,  e  ognun  che   v'  era 
Lo  celebrava  un'Opera  immortale. 

olo  un  tal  Cavalier  con  faccia  austera  , 
E  con  parole  di  rigor  ripiene 
Favellò  col  Pittore  in  tal  maniera: 

)uesto  vostro  Giudizio  espresso  è  bene  , 
Perchè  si  vedon  chiare  in  questo  loco 
Della  vita  d'  ognun  le  parti  oscene. 

liehel  Angiolo  mio,  non  parlo  in  gioco; 
Questo  che  dipingete  è  un  gran  Giudizio, 
Ma  del  giudizio  voi  n'  avete  poco. 


400  Poesie 

Io  non  vi  tasso  intorno  all'  artifizio  , 

Ma  parlo  del  cosinole,  in  cui   mi  pare, 
Che  il  vostro  gran  saper  si  cangi  in   vizio. 
Dovevi  pur  distinguere,  e  pensare, 

Che  dipingevi   in  Chiesa  ;  in  quanto  a   me 
Sembra  una  stufa  questo  vostro  Altare. 
Sapevi  pur  che  il  figlio  di  Noè , 

Perchè  scoperse  le  vergogne  al  Padre  , 
Tirò  T  ira  di   Dio  sovra  di  se. 
E  voi  senza  temer  Cristo,  e  la  Madre, 
Fate  che  mostrili  le  vergogne  aperte 
Infin  dei  Santi  qui  V  intiere  squadre. 
Dunque  la  dove  al  Gel  porgendo  offerte 
Il  Sovrano  Pastore  i  voti  scioglie, 
S'  hanno  a  veder  V  oscenità  scoperte? 
Dove  la  Terra ,  e  il  Ciel  lega  ,  e  discioglie 
li  Vicario  di  Dio  ±  staranno  esposte 
E  natiche,  e  cotali  ,  e  culi,  e  coglie? 
In  udire  il  Pittor  queste  proposte  , 
Divenuto  di  rabbia,  e  rossor  nero, 
Non  potè  profferir  le  sue  risposte. 
Né  potendo  di  lui  l'orgoglio  altero 
Sfogar  il  suo  furor  per  altre  bande  , 
Dipinse  nelF  Inferno  il  Cavaliero. 
E  pur  era  un  errar  sì  brutto  ,  e  grande  , 
Che  Daniele  dipoi  fece  da  Sarto 
In  quel  Giudizio  a  lavorar  mutande. 
L'arroganza,  e  i  Pittor  nacquero  a  un  parto 
Di  questi  esempi  va  pieni  ogni  Cronica  , 
E  ne  vede  ogni  dì  l'Esperò,  e  l'Arto. 
Cleside  uscendo  dalla  Terra  Jonica  , 
Perchè  non  ebbe  in   l^feso  accoglienze  , 
In  braccio  a  un  Pescator  pinse  Stratonica, 


Satiriche.  401 

! 

li  Parrasio  si  san  1'  imperli neuze, 
Che  dicea  che  d'Apollo  era  figliuolo  , 
E  vantava  dal  Gel  le  discendenze. 

redea  Zeusi  ,  che  il  Gange  e  che  il  Pattolo 
Non  avessero  insieme  oro  abbastanza 
Per  potergli  pagare  un  quadro  solo. 

1  per  quest'albagia  pose  iu  usanza 
Di  donar  l'opre  sue:  così  guastava 
La  liberalità  coli'  arroganza. 

d  in  tutte  le  feste  ,  ov'  egli  andava  , 
Tutto  d' oro  intessuto  a  letteroni 
Il  nome  suo  nel  Ferraiol  portava. 

luco  ai  miei  dì  certi  Pittor  C 

Che  fanno  i  Raffaella,  e  se  l'allacciano, 
Portan  sul  Ferraiol  cento  crocioni. 

'er  Satrapi  dell'arte  ognor  si  spacciano, 
Ma  la  fame  alla  fé  te  gli  addomestica  , 
E  co'  barbieri  a  lavorar  si  cacciano. 

|  alterigia  così  fatta  domestica 
Per  la  necessità  della  Panatica , 
Si  riducono  a  dare  inGu  la  mestica, 
mitigata  T  arabizion  lunatica, 
Perch'  han  di  ciabattin  la  man  e  il  genio 
Di  Scarpinelli  han  conoscenza  e  pratica 
a  scorsi  i  più  begli  anni  ,  e  giunti  al  senio  ; 
Fra  la  prigione  e  i' ospedal  si  mirane, 
INon  ostante  il  lor  fumo  e  il  ior  ingenia 

9sì  per  Roma  tutto  il  dì  si  ammirano 
Certi  cavalli  indomiti  e  feroci , 
Che  dalle  gonfie  nari  it  fumo  spirano. 

atton  la  terra  ,  e  co'  nitriti  atroci 
Sfidando  l'aure  e  le  saette  al  corso, 
Della  superbia  lor  spiegaa  le  voci. 
Poesie  Satin  26 


402  Poesie 

Rifiuta  il  labro  altero  il  freno  e  il  morso , 
E  fastosi  d'addobbi  e  di  bei  fregi 
Sdegnali  lo  sprone  al  fianco,  e  l'uom  sul  dors 

Ma  con  tutto  il  lor  fasto,  e  tutti  i  pregi, 
In  breve  tempo  vedonsi  a  Ripelta 
Pieni  di  guidaleschi  ,  e  di  dispregi. 

Quindi  cangiata  in  trotto  la  cornetta , 
Ed  in  cavezza  il  fren  ,  la  sella  in  basto , 
Si  riducono  in  fine  alla  carretta. 

Ma  conosco  ben  io,  che  sol  non  basto 
Contro  i  Pittori ,  e  che  non  ho  favella 
Per  un  soggetto  così  grande  e  vasto» 

La  vita  lor  d'  ogni  bruttura  ancella 
Per  me  faccia  palese  alle  persone 
Un*  istoria  ,  eh'  è  vera  ,  e  par  novella. 

Fu  nei  tempi  trascorsi  un  Bertuccione  , 
Che  stanco  ornai  di  star  legato  in  piazza  , 
Di  diventar  Pittore  ebbe  opinione. 

Tenia  dal  ceppo  dell'  antica  razza 

Di  quel,  cui  già  in  Arezzo  a  Buffalmacco 
Fé'  quella  burla  stravagante  e  pazza. 

Or  questo  un  dì  di  state,  allor  che  stracco 
Ciascun  dormìa ,  si  sciolse,  e  di  pedina 
Alla  sua  schiavitù  diede  lo  scacco. 

Fuggì  fin  che  la  sera  al  dì  declina  , 
E  in  una  Casa  con  suo  gran  diletto 
ì*er  la  ferriata  entrò  d'  una  cantina. 

Perchè  dal  finestrone  accanto  al  tetto  , 
E  dall'  altre  finestre  ,  o  chiuse  o  rotte , 
Che  vi  stesse  un  Pittor  fece  concetto. 

Rè  si  scostò  dal  vero;  onde  in  tre  botte 
Fatta  la  scala  ,  arrivò  sopra  ,  e  disse  : 
Maestro  ,  il  Ciei  vi  dia  la  buona  notte. 


Satiriche.  4q3 

'arve  che  sulF  orecchio  il  tuoa  ferisse 
L' atterrito  Pittor ,  che  uà  gran  portento 
Su  queir  ora  stimò  che  gli  apparisse. 

e  n'  avvide  la  Scimia  ,  e  in  un  momento 
Ripigliando  il  parlare,  olà,  soggiunse, 
Sbandeggiate ,  Maestro  ,  ogni  spavento. 

.'amor  della  vostr' Arte  il  cuor  mi  punse, 
E  col  di  lei  color  1*  affetto  mio 
Un  genio  ereditario  in  un  congiunse. 

,a  Pittura  imparar  da  voi  desìo  ; 
E  sebben  io  son  bestia,   ho  tanto  ingegno, 
Che  n'  han  pochi   Pittor  quanto  n  ho  io. 

t  arte  dei  colorito  e  del  disegno 
E  pura  imitazione,  e  voi  sapete, 
Che  dell'  imitazion  la  Scimia  è  segno  , 

Inde  se  coltivare  in  me  vorrete 
Questa  disposizione ,  io  vi  predico  , 
Che  per  me  glorioso  un  dì  sarete. 

u  mio  bisavo  quel  Scimione  antico  , 
Che  con  modo  sì  nobile ,  e  sì  saggio 
Quell'opra  ritoccò  di  Buonamico. 
rgomentate  or  voi ,  se  gran  passaggio 
Farà  chi  sente  un  triplicato  istinto 
D'  analogìa ,  di  genio  ,  e  di  lignaggio. 

il  vostro  volto  di  pallor  dipinto 
Congetturar  mi  f a  ,  che  il  cor  vi  trema 
Per  sentirmi  parlare  in  suon  distinto, 
cacciate  lo  stupor  ,  cessi  la  tema  , 
Ch'  io  non  son  qualche  larva  a  voi    nemica  , 
Ne,  ch'io  vi  parli ,  è  maraviglia  estrema, 
ariano  il  Corvo  ,  il  Pappagal  ,  la  Pica  , 
E  noi  sappia  m  parlare  quanto  un    Teologo  , 
Ma  non  parliam  ,  per  non  durar  fatica. 


4.04  Poesie 

Per  saper  questo  non  ci  vuol  Astrologo  : 
In  quell'Autor,  che  in   Frigia  tanto  valse  * 
Troverete  di  noi  più  d'un   Apologo. 

Mi  getterò  per  voi  nelT  onde  salse  ; 

Basta  che  m'insegniate  ,  e  poi  del  resto 
Vi  prometto  di  far  monete  false. 

Sì  disse  lo  Scimiotto  agile,  e  lesto, 

E  tanto  s'adoprò,  che  alfin  d'accordo 
Di  Bestia  ,  e  di  Pittor  fece  un  innesto. 

Ai  suoi  preghi  il  Pittor  non  fece  il  sordo, 
Ed  all' ii  contro  l'animale  accorto 
Di  ben  servii*  si  dimostrava  ingordo  : 

Sul  principio  andò  ben  ,  ma  in  tempo  corto 
Il  Mastro  l' insegnar  lasciò  da  canto  , 
E  strapazzava  lo  scolare  a  torto. 

Ma  quanto  era  schernito,  egli  altrettanto 
Paziente  soffriva  ,  un  dì  sperando 
Di  riportar  colla  costanza  il  vanto. 

Così  dieci  anni  intieri  andò  penando  ; 
Ma  visto  che  lograva  il  tempo  in  vano  , 
Alfin  mandò  la  sofferenza  in  bando. 

E  detestando  di  quell'  uomo  insano 

Le  maniere  deformi ,  e  1'  alma  ingrata  , 
Risolvè  di  lasciar  cerve!  sì  strano. 

Onde  chiesta  licenza  una  giornata, 
Sulla  vita  di  lui  vile ,  e  plebea 
Gli  fece  una  solenne  ripassata. 

E  possibil  maestro  ,  egli  dicea  , 

Che  chi  solo  ha  per  norma  il  bello  e'J  buone 
Abbia   un'anima  poi  sì  brulla,  e  rea? 

Non  star  sospeso  no  ,  leco  ragiono  : 

Or  raenhe  il  vizio  in  le  danno,    e  discern 
Tu  che  cosa  sarai,  se  bestia  io  sono? 


Satiriche.  4<o5 

[Vaiaselo  il  viver  tiio  senza  governo: 
Il  vestir  da  guidon  scomposto  ,  e  sporco 
Dimostrando  di  fuor  l'abito  interno. 

lolla  chioma  arruffata  a  guisa  d'  Orco 
Avere  un  sito  ,  che  da  lungi  ammorba  , 
Ed  in  tutte  le  cose  esser  un  porco. 

!on  una  faccia  accidiosa  ,  e  torba 
Dormire  in  un  casson  pieno  di  paglia  , 
Quasi  giusto  tu  sia  Nespola  ,  o  Sorba. 

1  usar  cartone  in  vece  di  tovaglia 
Sulla  tua  mensa  ,  in  cui  giammai  satolla 
Non  vinsi  con  la  fame  una  battaglia. 

*er  la  pigrizia  ,  eh'  hai  nella  midolla, 
Mangiar  sempre  ova  sode,  e  a  un  tempo  istesso 
Cuocere  in  un  paiuol  1'  uova ,  e  la  colla. 

rapasso  che  da  lunge,  e  che  da  presso 
La  casa  tua  con  il  fetore  annoia 
Per  tante  anatomìe  ,  che  tu  ci  hai  messo. 

utta  apparata  ornai  d'  ossa  ,  e  di  cuoia 
Con  tante  teste  intorno ,  e  tanti  quarti 
Fa  da  forca  la  casa  ,  e  tu  da  boia. 

e  la  mente  ,  e  1'  idea  solo  impregnarti 
Da'  cadaveri  fai  ,  con  qual  motivo 
Credi  che  possan  poi  viver  i  parti  ? 
chi  sarà  sì  sciocco  ,  e  sì  corrivo  , 
Che  voglia  ire  a  comprar  nei  cimiteri 
Quel  che  non  vai  ,  se  non  somiglia    al  vivo  ? 

asso  sotto  silenzio  i  mesi  intieri , 
Che  consumai  di  State  intorno  ai  forni 
A  compor  olj  per  trovare  i  neri  ; 

he  m'  hai  fatto  passar  le  notti  e  i  giorni 
A  cavar  d'  ogni  tomba  ,  e  d'  ogni  fossa 
Ugne  ,   costole  ,  stinchi ,  teste  e  corni  ; 


406  Poesie 

Che  più  la  vita  adoperar  non  posso  , 
Che  per  model  servendoti  di  me, 
Tutte  le  mie  giunture  hanno  soprosso. 

Taccio ,  che  alfin  per  la  tua  gran  mercè 
Nulla  posso  vantar  che  mi  riesca  , 
E  son  dieci  anui  ormai  che  sto  con  te. 

E  pur  questa  vitaccia  alla  turchesca 
Degna  sol  di  galera  ,  e  di  legnami 
Voi  chiamate  una  vita  Pittoresca  ? 

Taccio  fin  qui ,  ma  1'  altre  cose  infami 

Non  mi  permetton  no,  che  stia  più  immobile 
Ma  fan  che  strilli,  e  che  altamente  esclami, 

Che  per  lo  geo  io  tuo  pedestre ,  e  ignobile 
Io  t'  ho  veduto  fare  infino  all'  Oste  , 
Stufo  cV  esercitare  arte  sì  nobile. 

Per  non  vederti  correrìa  le  poste 

Di  là  dal  Tile ,  e  chi  può  star  più  saldo 
All'  azioni  tue  pazze  ,  e  scomposte  ? 

Maraviglia  non  sia  s' io  mi  riscaldo  , 
Perchè  di  te  non  fu  sotto  la  Luna 
Né  più  baggiano  mai ,  ne  più  ribaldo. 

Ogni  vizio  più  tetro  in  te  s'aduna  , 
Maledico  tu  sei,  matto  e  bugiardo, 
Superbo  e  giuocator  fin  dalla  cuna. 

Ti  si  legge  Y  invidia  entro  lo  sguardo  ; 

Quand'  è  ,  che  tu  non  morda  ,  e  non  abbai 
Senza  rispetto  alcun ,  senza  riguardo  ? 

Che  se  pur  tu  lodasti  alcun  giammai 
Di  questi  altri  Pittori  ,  in  quelle  cose 
Lo  celebrasti  sol,  che  tu  non  fai. 

Tentar  per  mezzo  di  persone  ascose 

Di  levar  tutto  il  dì  Y  opre  al  compagno 
Con  invenzioni  indegne  e  vergognose: 


Satiriche.  407 

ja  coscenza  tener  sotto  il  calcagno , 
Voler  presto  il  danai* ,  dar  l'opra  tardi: 
Riconoscer  per  Dio  solo  il  guadagno: 

fon  aver  d'amistà  legge  o  riguardi  : 
Un  trattar  peggio  assai  che  contadino  : 
E  eh*  io  faccia  il  Pittor  ?  Dio  me  ne  guardi. 

Gabbare  il  forestiero ,  e  il  cittadino  , 
E  spacciar  ,  quando  viene  il  sempliciotto , 
Lo  smalto  per  azzurro  oltramariuo. 

'inger  1'  uomo  dabbene  ,  e  1'  incorrotto  , 
E  la  parola  poi  non  osservare  : 
Vendere  un  quadro  istcsso  a  sette,  o  otto: 

Fon  voler  esser  visto  lavorare  , 
JNè  insegnarmi  già  narrai  la  tua  impietate 
Qualche  facile  modo  all'  operare  ; 

)  con  biasmo  dell'arte,  e  tua  viltate 
Peggio  ebe  un  zappator  gire  affamato 
A  lavorare  a  carne,  ed  a  giornale: 

e  caparre  truffare  in  ogni  lato: 
Tu  non  ti  lodi  mai,  che  altrui  non   sprezzi: 
E  s' io  faccio  il  Pittor  ?  che  sia  frustato. 

u  P  opre  altrui  1  itocebi  ,  a  grossi  prezzi 
Le  vendf  per  man  tua  senza  rossore  , 

E  le  tue  per  man  d'  altri  ognor  rappezzi. 

ffumicar  le  tele ,  ed  il  colore  ; 

Empir  le  Gallerie  de'  tuoi  capricci , 

Ficcandogli   per  man  di  grand'  Autore. 

naltir  per  di  Tizian  cento  impiastricci  : 

Irabriacar  gì'  Inglesi  ,  e  gli  Alemanni  , 

Con  il  vino  non  già,  ma  coi  pasticci. 

jnder  pastocchie ,  ed   esitare  inganni  : 

Non  contentarsi  mai  de'  prezzi  onesti, 

E  trattenere  un  quadro  otto  o  dieci  anni . 


408  Poesie 

Lamentarsi  ad  ognora,  e  far  protesti, 

Cbe  il  Secolo  è  corrotto ,  e  che  fra  i  Grandi 
Non  v' è  chi  la  virtù  non  prema,  e  pesti. 

Sparlar  che  soft  poltroni,  e  son  uefandi, 
Ch'  ha  a  l'animo  di  pulce,  e  di  formicola, 
Che  per  i  vizj  sol  son  memorandi  ; 

E  con  adulazion  vile  e  ridicola 

Ritrar  gli  armati  poi  presso  alla  gloria, 
Che  il  nome  lor  con  il  trombone  articola. 

E  per  gonfiarli  d'ambizione,  e  boria, 
Rappresentargli  come  Augusto,  e  Pirro, 
Colle  Muse  d'intorno,  e  la  Vittoria. 

Aver  nell'alma  il  canchero,  e  lo  scirro, 
Non  mantener  la  fé  p?r  quattro  soldi  : 
Oh  s'io  faccio  il  Pittor,  ch'io  faccia  il  birro, 

Conversar  con  bricconi,  e  manigoldi, 
E  radunare  il  cicaleccio ,  e  il  crocchio 
Di  Gotinelli  e  d'Arlotti  e  di  Bertoldi. 

Mormorare,  e  gracchiar  com^  il  ranocchio; 
Ed  è  cotal  la  tua  superbia  interna , 
Che  nulla  rimirar  sai  con  buca  occhio. 

Andar  con  quei  Fiamminghi  alla  taverna , 
Che  profanando  in  un  la  Terra,  e  l'Etera, 
Han  trovato  un  Battesmo  alla  moderna. 

Peggiorar  sempre  quanto  più  s'invetera, 
Far  di  ragazzi  ,  e  femmine  un  serraglio 
Per  farlo  stare  al  naturale,  e  cetera. 

S' io  fo  il  Pittor ,  che  mi  sia  dato  un  taglio 
Sopra  il  mostaccio;  se  mai  più  ci  torno, 
Mi  sia  battuto  sulla  testa  un  maglio. 

Prima  ch'esser  Pittor,  sia  fitto  in  forno, 
Prima  ch'esser  Pittor,  il  cui  m'impegoli, 
Prima  ch'esser  Pittor,  m'impali  un  corno. 


Satiriche,  409 

Così  diss'  egli ,  e  sii  per  certi  regoli 
Ver  la  finestra  a  rampicar  si  ines*e  , 
Sfondò  la  carta ,  e  si  salvò  su  i  tegoli. 

Sì  disse  il  Bertuccione:  e  il  Ciel  volesse, 
Che  lo  stil  de'  Pittori  empio  ,  ed  atroce 
Le  bestie  solo  ad  esclamar  muovesse. 

Chi  può  soffrir,  chi  può  tener  la  voce, 
Mentre  si  vede  che  il  peunello  osceno 
Quanto  diletta  più,  tanto  più  nuoce? 

Di  lascive  pitture  il  mondo  è  pieno, 
E  per  le  vie  degli  occhi  il  cuor  tradito 
Dal  nefando  color  beve  il  veleno. 

à.ltro  ne'  quadri  non  si  mostra  a  dito , 
Che  le  lussurie  de'  fallaci  Dei , 
Perchè  l'uomo  a  peccar  si  faccia  ardito. 

La  libidin  per  tutto  alza  i  trofei, 
E  riempiendo  va  più  d'un  Tiberio 
Di  sfacciate  pitture  i  Genesei . 

Non  è  più  sol  d'  Orazio  il  desiderio , 
Che  in  più  modi  dipinte  ove  si  dorme 
Le  attitudin  volea  del  vituperio. 

Le  positure  oscene  in  varie  forme 

Scolpì  Giulio  Romano,  e  l'empie  immagini 
Espose  in  versi  un  Poetacelo  enorme. 

Così  disonestade  ha  le  propagini 
Sotto  la  terra  de'  color  ruffiani  ; 
Eppur  non  s'  apre  il  suol  tutto  in    voragini  ! 

GÌ'  impudichi  Caracci  ,  e  i  Tiziani 
Con  figure  da  chiassi  han  profanati 
I  palazzi  de'  Principi  Cristiani. 

Sol  di  femmine  iguude  i  Re  fregiati 

Hanno  i  lor  Gabinetti  ,  e  quindi  nasce , 
Che  divengono  anch'  essi  effeminati. 


410  P  o  e  s  i  a 

Delle  Vergini  ognor  1'  occhio  sì  pasce 
Tra  Veneri  ,  Saimaci  ,  e  Bersabee  ; 
Qaal  maraviglia  è  poi  ,  che  sian  bagasce? 
Fuor  che  Giacinti  ,  Satiri  e  Napee , 
Per  i  musei  moderni  altro  non  vedi  , 
E  Psichi  ,  e  Lede  ,  e  Danai ,  e  Galatee. 
Mirre  ,  Europe,  Diane  ,  e  Ganimedi , 
E  le  Pasife  adultere  ,  e  bestiali  , 
Son  delle  Gallerie  pregiati  arredi. 
Le  pompe  di  Cottilo,  e  de' Florali 
Degl'  Itifalli  i  riti  ,  e  dei  Luperci , 
E  le  feste  Vinarie  ,  e  i  Baccanali. 
0  Padri,  o  Madri  ammaliati,  e  guerci, 
La  vostra  vigilanza  ov'  è  rimasa  , 
Che  comprate  ogui  dì  quadri  sì  lerci? 
Ciascun  di  voi  la  provvidenza  annasa; 
Ma  che  vi  giova  custodir  la  soglia  , 
Se  corrompon  le  tele  i  figli  in  casa? 
Queste  pitture  ignude  ,  e  senza  spoglia 
Son  libri  di  lascivia  ;  hanno  i  pennelli 
Semi ,  da  cui  disonestà  germoglia. 
L'uva  antica  di  Zeusi  a  voi  favelli, 
E  vi  dimostri  senz' alcun  velame, 
Se  le  pitture  san  tirar  gli  uccelli. 
Di  Parrasio  tornò  Io  stile  infame  , 
E  chiaraan  le  fischiate,  e  la  berlina 
Egualmente  le  te^e,  il  legno,  e  il  rame* 
Questi  ritrae  la  Druda,  e  tanto  inclina 
A  dimostrarsi  imputtanito  affatto  , 
Che  fa   il  suo  nome  in  seno  alla  sgualdrina. 
Quel  della   moglie  sua  forma  il  ritratto, 
E  le  di  lei  bellezze  orna  ,  ed  addobba  : 
Così  due  mercanzie  spaccia  ad  un  tratto. 


Satiriche,  41 1 

Ihe  se  il  quadro  non  è  da  Guardaroba, 
Alraen  palesa ,  che  per  farsi  amici , 
Se  non  ha  buon  pennel,  ha  buona  roba. 

)h  questi  può  vantar  gli  Astri  felici  : 
Che  spesso  per  ornare  un  quadro  solo , 
Fabbricate  a  lui  son  cento  cornici. 

'oich'è  ben  noto  allo  scaltrito  stuolo, 
Che  chi  la  copia  fuor  d'esporre  ha  in  uso, 
Vuol  dir,  che  dà  l'originale  a  nolo. 

Ha  del  ritrarre  il  vaneggiar  diffuso 
Qui  non  finisce  no,  peggio  s'impiega 
La  sacrilega  industria,  e  l'empio  abuso. 

Ihe  nelle  Chiese,  ove  s'adora,  e  prega, 
Delle  Donne  si  fanno  i  ritrattini, 
E  la  Magion  di  Dio  divien  bottega, 
ella  fé,  del  timor  rotti  i  confini, 
In  faccia  a  Dio  fomentano  i  colori 
Gli  adulterj,  e  gli  stupri  agli  Zerbini. 

Jignor,  se  chi  vendea  giovenchi,  o  tori, 
Dal  Tempio  vilipeso,  e  profanato 
Colle  frustate  già  cacciasti  fuori  ; 

)eh  torna  in  terra  col  flagello  usato, 
Che  per  man  de'  Pittori  entro  le  Chiese 
Delle  vacche  ogni  dì  fassi  il  mercato. 

I  tu  non  sol  dissimuli  l'offese, 
Ma  comporti ,  che  sian  di  questi  porci 
Sull'are  tue  le  frenesie  sospese? 
quelle  il  guardo  tuo  rivolgi,  e  torci, 
E  mira  quali  entro  le  sacre  Istorie 
Fan  fare  ai  Santi  e  positure,  e  scorci, 

)unque  de'  Giusti  tuoi  l'eccelse  glorie 
Vedrai  sprezzar  ,  né  manderai  burrasche 
A  tor  via  de'  Pittor  l'empie  memorie  ì 


j 


4i3  Poesie 

Non  son  questi,  Signor,  scherzi  da  frasche, 
Ma  falli  da  punir  con  gravi  angosce, 
I  Santi  incoronar  di  Tinche,  e  Lasche. 
Per  vantarsi  più  d'un  che  ben  conosce 
Di  lutto  il  corpo  le  minuzie  e  i  bruscoli, 
Fa  mostrar  alle  Sante  e  poppe,  e  cosce. 
E  per  farsi  tener  fra  i  più  majuscoli, 

Spogliando  i  Santi  vuol  mostrar,  che  intendi 
I  propri  siti,  ed  il  rigar  de' muscoli. 
Le  attitudini  sì,  che  son  tremende! 

Qual  fa  corvette,  qual  galoppa,  o  traina 
Con  cento  smorfie ,  o  torciture  orrende. 
Ne  qui  l'enorme  ardir  le  vele  ammaina 
Nello  scherzar  coi  Divi ,  e  non  gli  basta  , 
Che  faccian  la  Lucìa  con  la  sfessaiua. 
Più  talvolta  non  v' è  che  almen  sia  casta; 
Che  per  i  Tempj  la  pittura  insana 
La  Religion  col  puttanesmo  impasta. 
0  quanti  Arrelli  in  quest'  età  profana 
Di  Numi  in  cambio  nelle  sacre  tele 
Dipingono  il  bardassa,  e  la  puttana! 
Onde  tradito  poi  lo  stuol  fedele 
Con  scellerata,  e  folle  idolatria 
Porge  i  voti  all'Inferno,  e  le  querele. 
Che  d'un  Angelo  io  vece  e  di  Maria , 
D'Ati  il  volto  s'adora,  e  di  Medusa, 
L'effigie  d'un  Batillo,  o  d'  un'Arpia. 
Sbaglio  questo  non  è  degno  di  scusa  ; 
Che  d'  una  Taide  prostituta ,  e  nota 
La  sfacciata  sembianza  il  chiasso  accusa. 
E  sempre  a  qualchedun  rimane  ignota; 
Con  che  scandalo  poi  resta  atterrita 
Da  quei  volti  impudichi  Alma  divota! 


Satiriche.  4i3 

L'error  del  saggio  Ebreo  ciascuno  addita, 
E  con  alto  rossor  narran  Je  stampe  , 
Che  la  Druda  incensò  lo  Stagirila. 

Ma  sparso  adesso  in  odorose  vampe 
A  onor  de'  lupanari  arde  l'incenso 
Ne'  turriboli  nostri ,  e  nelle  lampe. 

Come  al  peccar  si  negherà  l'assenso, 

S'entro  ai  lini  sacrati  anco  s'apprendono 
Allettamenti  di  lussuria  al  senso? 

Quindi  in  saggi  divieti  a  noi  discendono 
De'  Pontefici  accorti  i  santi  Oracoli, 
Che  a  questi  quadri  il  celebrar  sospendono. 

Quindi  è ,  che  sol  ne'  prischi  Tabernacoli 
Dalla  pietà  di  Dio  grazie  s'aspettano, 
E  in  questi  d'oggidì  non  fa  miracoli . 

Quindi  è,  che  quanti  tuuni  in  giù  s'affrettano 
Sopra  gli  altari,  e  sulle  Chiese  a  gara 
Le  giuste  fiamme  lor  tutte  saettano. 

0  Pittori,  o  Pittori,  il  Ciel  prepara 
Forse  al  vostro  fallir  le  pene  ultrici, 
E  la  tardanza  ad  aggravarle  impara. 

Da  voi  di  zelo ,  e  di  pietà  mendici , 
Ne'  dì  festivi  a  lavorar  s' indugia» 
E  si  lascian  le  Messe ,  e  i  sagri  Officj . 

lo  non  so  come  il  suol  non  vi  trangugia , 
Mentre  in  quel  ch'alia  Fé  s'aspetta,  e  all'Alma, 
Imitato  è  da  voi  quel  di  Perugia. 

Voi  della  Religion  la  bella  calma 
Ajutate  a  turbare ,  e  l'eresie 
In  gran  parte  da  voi  vantan  la  palma. 

Le  cose ,  che  faceste  inique ,  e  rie 
Taccio  incise  nei  rami,  e  coi  colori, 
Per  non  inorridir  l'anime  pie. 


4*4  Poesie 

Troppo  evidenti  sono  i  vostri  errori» 

10  più  di  voi  qui  favellar  non  oso, 
Delle  scuole  infernal  muti  oratori. 

Meglio  è  che  faccia  punto,  e  dia  riposo 
All'  animo  agitato ,  e  so  che  suole 

11  mestier  d'Aristarco  essere  esoso. 
Chi  delle  colpe  altrui  troppo  si  duole, 

Poco  pensa  alle  sue,  ma  so  ben  auco , 
Che  immagine  del  cuor  son  le  parole. 

Scrissi  i  sensi  d'un  cuor  sincero  e  bianco  , 
Che  se  in  vaghezza  poi  manca  lo  stile, 
Nel  zelo  almeno,  e  nell'  amor  non  manco. 

Sia  pur  lo  stile  mio  sublime ,  o  vile , 
A  color  che  sferzai  so  che  non  gusta; 
Sempre  i  palati  amareggiò  la  bile. 

Corra  la  vena  mia  frale,  o  robusta, 
Nulla  curo  l'oblio  :  sospendo  il  braccio 
Dalla  penna  egualmente ,  e  dalla  frusta. 

Il  voler  censurare  è  un  grand'  impaccio; 
No,  no,  per  l'avvenir  meglio  è  ch'io  finga: 
Musica,  Poesia,  Pittura,  io  taccio. 

Gli  abusi  un  altro  a  criticar  si  accinga, 
Per  me  da  questa  peste  alzo  le  mani  : 
Caati  ognun  ciò  che  vuol,  scriva    o  dipinga 
Ch'io  non  vo'  dirizzar  le  gambe  ai  cani. 


4i5 


SATIRA 

DI  SETTANO. 


JLj  sei  pur  desso  quel  che  ora  i'  vedo  , 
Or]   una  falsa  immagine  m'inganna? 
Dammi  la  man,  che  appena  agli  occhi  io  credo. 

Deh  sbandisci  il  timor  ,  che  sì  t*  affanna  , 
O  Ligurino ,  e  frena  ornai  la  doglia  , 
Ch'  i  tuoi  be'  lumi  a  lagrimar  condanna. 

Io  son  Settano,  a  cui  la  fragil  spoglia 
Tolse  già  morte  acerba ,  e  pur  ritorno 
Del  gran  Tarpéo  a  calpestar  la  soglia. 

A  chi  porta  di  lauro  il  crine  adorno 
Perdona  il  fato  ,  e  le  spietate  Suore 
Raddoppian  nuove  lane  al  fuso  intorno. 

Ma  tu  di  averno  il  tenebroso  orrore 
Come  scampasti  ,  e  de'  sulfurei  fiumi  ♦ 
£  delle  crude  Eumeni  di  il  furore  ? 


416  *    Poesie 

Sa  parla  presto ,  e  di'  ;  quali  i  costumi 
Sou  dell'  Inferno  ,  e  di  che  gente  mai 
E  pien?  Quando  mi  chiuse  a  forza  i  lumi 

Eterna  notte  ,  nudo  spirto  entrai 
In  oscuro  sentier  per  calli  angusti , 
E  alla  riva  d'  un  fiume  alfin  posai  : 

Quivi  lacere  membra,  e  tronchi  busti 
Stavan  confusi  in  su  la  terra  nuda, 
E  trofei  del  valor  de' brandi  Augusti; 

Vidi  giacer  più  d'  una  salma  ignuda 
Con  ferite  ♦  di  cui  men  grandi  ancora 
Bastato  avrian  per  una  morte  cruda. 

Delle  stragi  l'autor  domando ,  e  allora 

Sento  all'orecchie  mie  giunger  più  d'una 
Yoce  immortai ,  che  il  Veterani  cuoia  : 

Quel  duce  invitto,  eh'  all'  Odrisia  Luna 
Fiaccò  le  corna  ,  e  con  le  sue  sventure 
Dell'Austria  stabili  V  alta  fortuna. 

Ma  il  canuto  Nocchiero  alme  sì  impure 
Prendi r  non  volle  entro  il  fatai  naviglio, 
Per  tragittarle  alle  paludi  oscure. 

Io  che  tutto  tremante  ,  e  fisso  il  ciglio 
Tenea  ,  ne  di  chiamar  per  il  timore 
Il  uero  barcarol  prendea  consiglio; 

Sentiva  intanto  dallo  stagno  fuore , 
Mentre  dallo  spavento  era  di  ghiaccio, 
Le  narici  ferirmi  un  tristo  odore  ; 

Come  quel ,  ohe  dà  al  naso  un  grande  impaccio 
Quando  qualche  sgualdrina  a  piana  terra 
Brugia  roso  da  cimici  il  pagliaccio  ; 

Ma  il  fumo,  che  al  respiro  il  varco  serra , 
Tossir  mi  fece  ,  e  disse  il  vecchio  :  olà  , 
Chi  sei?  che  vuoi  da  i  regni  di  sotterra? 


Satiriche,  417 

on  io  ,  risposi ,  che  da  gran  città 
Vengo  dell'altro  inondo  ,  e  son  Settano  : 
Settano  ?  il  gran  Settano!  entra  pur  qua. 

fon  mai  di  sì  bel  peso  ,  e  più  sovrano 
Fu  carco  il  legno  mio  ;  sino  all'  Inferno 
Giunsero  i  carmi  tuoi  dal  ciel  Romano. 

Jma  di  te  maggior  1*  onda  d*  Avtrno 
Uncrua  varcò ,  poiché  Lucilio  mio 
Alle  spiagge  approdò  del  pianto  eterno. 

lolcava  gii  di  Flegetonte  il  rio 
La  sdrucii  barchetta  ,  e  udissi  intanto 
Di  sospiri  e  }[  prieghi  un  mormorio. 

*endtan  dall'  aitt  rupi  in  fosco  ammanto 
Mille  di  gelid'  ornare  orride  schiere 
Con  mani  alzate  ,  e  aq  le  luci  il  pianto* 

osi  di  strada  Giulia  alle  severe 
Carceri  condannato  dal  destino 
Un  debitor  per  le  ferrate  nere 

?ien  sospeso  alla  canna  il  cappellino  % 
E  domanda  pietoso  a  ognun  che  passa 
Con  flebil  voce  un  misero  quattrino. 

la  noi  ,  che  disprezziam  gente  sì  bassa  , 
Facciam  le  fiche  alla  canaglia  rea  , 
E  il  sordo  marinar  voga,  e  trapassa. 

>oichè  il  vecchio  Caronte  mi  dicea  , 
E  magra  ,  e  smunta  ,  e  senza  veste  intorna 
Quella ,  che  miri  là ,  folta  semblea , 

ettan ,  son  quei,  che  il  simulacro  adorno 
Dell'  oro  in  vita  ad  incensar  si  diero 
Con  isfrenato  ardir  del  Cielo  a  scorno. 

da  di  Goto  poiché  taglio  severo 
Troncò  gli  stami  lor ,  la  borsa  piena 
Del  giudice  non  vince  il  genio  altero, 
Poesie  Satin  27 


4i8  t  o  E  8  I  2 

Ivi  di  freddo  eterno  orrida  pena 

Soffrono  ,  ed  hanno  per  saziar  la  faine 
Una  minestra  di  poJenda  appena. 

3Nc  giova  il   posseder  vasto  reame, 

(J  un  ricco  erario  pien  d'  oro  e    d*  argento 
Ne  più    non  serve  per  l'ingorde  brame. 

Ancor  che  un  lasciasse  in   testamento 
L'intiera  credila,  come  oggi  s'usa, 
A  qualche  Juogo  pio  che  muor  di  stento  ; 

L'  esecranda  pietà  vuol  Dio  confusa  , 
E  tutti  i  patrimonj  in  conclusione. 
Che  puzzano  d'usura,  il  Ciel  ricusa; 

Benché  il  buon  Confessor  cou  ?  opinione 
Probabile  convince  1'  intelJ*£l°  » 
E  non  isteuta  a  dar  1'  «soluzione. 

Oh  quanto  l'interesse  maladetto 

V'inganna,  avari  ì  i  Tempj  sontuosi, 
Che  fabbricate  voi  di  marmo  eletto  , 

Stillano  ancor  di  sangue  ,  e  rugiadosi 
Son  di  pianto  innocente,  che  versaro 
Da  sinjunte  vene,  ed  occhi  lacrimosi 

I  pupilli ,  e  le  vedove ,  e  non  raro 
Avvien  perciò,  che  fulminare  il  ciglio 
De5  suoi  delubri  al  gran  tonante  è  caro. 

Deh  con  più  saggio  e  provido  consiglio 
Gli  altari  ergete  a  lui  nel  vostro  cuore, 
Se  volete  ,  che  mai  ne  prenda  esiglio. 

Di  Stige  intanto  il  pai  idoso  umore 
Mancava  a  poco  a  poco  ,  e  cu»i   vicino 
Lido  un  vento  spirò  ,  qua!  nell*  ardore 

Del   fervido  leon  su  1'  Esquilino 
Placido  sofQa  ;  allor  senza  d 
Stanco  mi  pose  a  terra,  e  il  curvo  pino 


Satiriche.  4ig 

ohe  altrove  il  nocchier  ;  ma  pria  ,  ristora  , 
Mi  disse,  il  cuor  per  queste  piagge  amene, 
Ove  il  riso  innocente  unqua  scolora 

tra  nube  di  duol  ,  ma  ogoor  serene 
Godonsi  l'ore,  e  lieto  stuol  beato 
Le  danze  alterna  in  su  fiorite  scene. 

>  mentre  vo  pel  colle  ,  e  il  verde  prato 
Movendo  il  pie  ,  veggo  a  sinistra  mano 
Democrito  ,  Epicuro  ,  e  seco  a  lato 

juello,  che  visto  fu  bever  pian  piano 
Il  velen  con  intrepido  sembiante  , 
Come  vino  di  Creta  ,  o  di  Genzano  : 
Platone,  e  Pittagora  ,  che  innante 
Non  vuol  le  fave  ,  e  Diogene  austero  , 
Senofonte ,  Zenoue  ,  e  '1  gran  Cleante. 

utti  insieme  gridar:  dal  vostro  impero, 
Bandite  pure ,  o  cittadin  ,  X  ignaro 
Empio  blittrista  odioso  al  mondo  intiero  ; 

è  permettete  ,  o  Dio  ,  che  un  vii  somaro 
Venga  a  turbar  la  pace ,  e  i  troppo  grati 
Studj ,  e  questo  silenzio  a  noi  sì  caro, 
non  sol  di  parole  ,   e  gesti  armati , 
Ma  si  provaron  di  venirmi  addosso 
Per  minacciarmi  co'  baston  nodati  ; 
ode  da  gente  tal ,  che  a  più  non  posso 
Facea  da  bravo ,  e  chi  sarebbe  uscito 
Senza  aver  rotto  della  testa  ogn' osso  ? 
a  nella  mischia  valoroso  ,  e  ardilo 
Arvèo  si  pose ,  e  fece  nel  mio  cuore 
Il  coraggio  tornar,  ch'era  smarrito; 
)sto  Baile  ,  Borello  in  mio  favore  , 
Leonardo  Capuano  ,  e  '1  Galileo  , 
E  '1  gran  Cornelio  corsero  al  rumore. 


42©  P    O   E    g    T    K 

Mille  altri  ancor,  fra' quai  nobil  trofeo 
Il  Malpìghi,  e  cal(T  ombra  ancor  di  morte, 
Che  varcò  non  è  guari  il  ìio  Leteo; 

Di  nuovo,  disse,  alle  tartaree  porte, 

Sellau ,  che  rechi  mai  dal  Ciel  Romano  : 
L'amiche  Muse  tue  son  vive,  o  morte? 

Roma  è  lieta ,  risposi ,  che  il  Sovrano 
Prence  non  sente  dell'  età  senile 
I  danni  ancora;  anzi  robusto,  e  sano 

1/ incendio  unqua  provò  d'ardor  febrile, 
E  filando  al  vigor  degli  anni  il  peso, 
Ha  i  serviziali ,  e  le  vostr'  erbe  a  vile. 

Arse  a  tai  detti  allor  di  sdegno  acceso, 
E  l'uovo  rotto,  come  alla  berlina, 
Mi  die  sul  muso,  e  ne  restai  sorpreso; 

L'uovo  che  pria  del  cui  d'una  gallina 
Tratto  avea  caldo  caldo  per  vedere, 
Come  nasce  il  pollastro,  e  la  pulcina. 

Ed  ecco  Tullio  il  saggio  di  maniere 
Gravi  in  atto  feroce,  e  disdegnoso 
Con  viso  brusco  alzarsi  da  sedere, 

E  da  lungi  mostrarmi  un  curioso 
Libro,  che  a  sorte  nelle  man  tenea 
INuovo  di  zecca,  e  dì  lettor  bramoso; 

Cazzo,  chi  è  questo  Bion,  dicea  , 

Che  mutatosi  nome  or  Gian  s'appella , 
E  d'esser  pari  a  noi  ha  nell'idea? 

Che  con  volto  superbo  ,  e  voce  fella 
Tenta  maligno  di  scemare  il  vanto 
D'Omero  ai  carmi,  e  l'opera  sì  bella 

Condanna  ardito  del  cantor  di  Manto? 
Poi  tre  carte  racchiude,  e  sette  titoli 
la  un  sol  libro,  ov'ei  distese  intanto 


Satiriche.  421 

Di  sua  sciocca  pazzia  mille  capitoli, 
Ch'  io  non  so  come  sia  sì  facilmente 
Tanto  di  frenesìa  dal  capo  uscitoli. 

Grand'  opra  invero  ad  o«tcurar  possente 
Dell'  oralor  d'Arpino  il  pregio  eterno; 
Tu  cui  espresso  con  eccelsa  mente 

Del  secolo  d'Augusto  io  ben  discerno 
Il  dolce  stil  che  da  gran  penna  uscio: 
Se  io  ne'  Campi  Elìcj  &  neìV  Inferno 

Sceso  non  fossi,  giurerei  per  Dio, 

Cotanto  ha  ben  gli  antichi  sensi  espresso, 
Ch'  egli  fosse  vissuto  a  tempo  mio. 

Se  cancella  il  millesimo,  eh' e  impresso, 
Si  vedrà  ch'il  mio  stile  prò  Milone, 
Con  quello  di  Bion  sembra  l'istesso; 

Anzi  per  fare  alla  virtù  ragione , 
Egli  le  mie  carriere  ha  trapassate: 
Se  ciò  dunque  fia  vero ,  è  pur  coglione 

Chi  seguita  ad  ogn'  or  le  mie  pedate  : 
Pazzi  son  Giovio,  Bembo  e  Sadolelo, 
Gli  Scaligeri  pazzi  da  sassate 

Con  il  detto  Budéo;  perciò  sta' cheto , 
Settan ,  che  contro  quei  non  sol  si  prese 
Questo  Greco  bastardo  il  suo  faceto 

Libro  a  stampar,   ma  temerario  iutese 
Di  sprezzare  anche  noi,  e  alla  Romana 
Lingua  ardisce  antepor  la  Calabrese. 

Ma  che  dirò,  se  trae  con   voce  strana 
Dalla  gola  parole  con  gli  uncini, 
Come  i  moni   fanciulli  la  mammana? 

0  quando  cauta  i  versi  a  bocconcini, 
Che  con  le  labbra  sue  sempre  bavose, 
Par  che  biasci  la  pappa  a'  ragazzini  ; 


422  P   O   I    S   I  E 

Ed  ha  concetto  poi  di  dir  gran  cose, 
O  cento  volte  matto  da  catena , 
Che  i  broccoli  confonde  con  le  rose. 

Anch'  io ,  se  dagli  Elisj  alla  serena 
Àura  vital  tornassi,  e  nuovamente 
Potessi  i  rostri  risalir  ,  la  vena 

Muterei  del  parlare  immantinente  , 
E  Cicerone  senza  tanti  affanni 
Tullio  correggerebbe  apertamente. 

Tutto  si  cangia  col  girar  degli  auni, 
E  le  colonne  ancor  di  saldo  bronzo 
Provati  senza  pietà  del  tempo  i  danni. 

Forse  ti  pensi  tu  naso  da  stronzo , 

Che  duri  sempre  un  modo  di  parlare  ? 
Non  è  così  ;  se  '1  credi ,  oh  sei  pur  gonzo  ! 

Deve  il  saggio  orator  sempre  adattare 

Ai  tempi,  al  genio  il  dire,  ed  alle  norme 
Del  giovami  pensiero,  e  non  cavare 

Dalle  memorie  rancide  le  forme 
Degli  antichi  sermoni  ,  e  senza  sale 
Dentro  i  sepolcri  risvegliar  chi  dorme. 

Neil'  arte  del  ben  dir  quello  prevale , 
E  del  gallico  Alcide  è  più  felice, 
Che  a  dominar  gli  umani  affetti  vale. 

Leccar  lo  sterco  d'Ennio  ah  che  disdice 
A   latiuo  orator;  sia  gloria  vana 
Ciò  d'un  pedante  sciocco,  ed  infelice. 

Ma   tu,  se  a  respirar  l'aura  sovrana 
Vai  di  nuovo,  d'aceto  e  sai  lo  storto 
Cervello  spargi,  e  quella  zucca  insana; 

SrJcr'fìoio  maggior  per  mio  conforto 

Off»  ir  non   puoi,   bench'io  cader  vedessi 
Antonio  di  tua  mai]  trafitto,  e  morto. 


Satiri€iib.  428 

Io  tanto  da  te  spero,  a  cui  concessi 

Fur  da  Apollo  virtude,  ingegno,  ed  arte. 
Perchè  felice  poi  Untar  potessi 

Ogn' ardua  impresa;  ma  correi  pregarte  » 
Anzi  il  comando,  che  le  greche  Fole, 
Come  ben  cominciasti ,  in  su  le  carte 

Sferzi  con  maggior  Iena.  11  Greco  suole 
Cantar  le  strane  favole  ai  ragazzi , 
E  a  distinguer  le  lucciole  dal  Sole 

Ai  semplici  insegnar;  siete  ben  pazzi 
Roma  a  beffar:   merlate,  attiche  genti, 
Voi  dalla  plebe  vile  onte,  e  strapazzi. 

Sì  disse;  ed  io,  poiché  frenò  gli  accenti, 

Mentre  ver  la  grand'  ombra  affretto  il  passe 
Per  darle  e  baci,  e  cari  abbracciamenti p 

Si  sciolse  in  fumo,  ed  io  restai  di  sasso; 
Timido  poscia  in  su  la  strada  ombrosa 
Con  tardo  piede  oltre  m'avanzo,  e  passo. 

Ed  ecco  da  lontan   turba   festosa  , 

Cui  circondava   il  ci  in  serto  d'alloro, 
Lieta  insieme  intrecciar  danza  amorosa 

Con  cetre  eburne  in  mano,  e  plettri  doro: 
Più  da  presso  m'accosto,  che  quei  segni 
Ben  a  veder  mi  davan   che  costoro 

Eran  gente  a  Dio  cara  ,  ed   io  li   di-gni 
Antichi  amici  di   veder  bramavo  ; 
Gran  gusto  i'  n'ebbi,  o   Ligurino;  i  sdegni 

Or  lodava  Nason  d'Orlando  il  bravo, 

Or  di  quei   fonti   il  gran   Virgilio  amante 
Torquato   per  le  man  condur  miravo; 

E  quivi  intanto  infra  l'ombrose  piante 
Le  lagrime  d'  Erminia,  e  '1  caso  strano 
Godea  d'udir  per  quelle  selve  errante. 


424  P  O  X  0  I  E 

Ma  dì  sangue  civil  tìnto  Lucano, 
Ivi  poc'anzi  era  Tenuto  al  fonte, 
E  col  vago  Catullo  anco  il  Pontano; 

E  il  buon  Petrarca,  a  cui  la  nobil  fronte 
Cinger  di  sacro  allor  fu  dato  in  sorte; 
Egli  di  sì  bei  fior  le  rare  e  conte 

Spoglie  di  Laura  ricopria  ,  che  morte 
Bella  parca,  e  il  dolce  canto  unìa 
L'ira  a  placar  della  tartarea  corte: 

Folto  stuol ,  che  dall'  Arno  ancor  venia, 
Formava  a  lui  bella  corona  intorno, 
E  i  versi  suoi  per  imitarli  udìa. 

Cert'  altre  facce  poi ,  che  ingiuria ,  e  scorno 
Fanno  alle  Muse,  e  avean  per  gran  favore 
Di  sparagi,  e  cicerchie  il  crine  adorno; 

Questi  a  caccia  di  mosche  a  tutte  l'ore 
Givan  perduti,  e  nella  terra  smossa 
Prendean  de' campi  i  grilli  or  dentro,  or  fuore. 

Mentre  caccio  la  testa  in  ogni  fossa 
Per  veder  tutto  ,  io  sento  Giovenale, 
Che  da  lungi  mi  chiama  a  tutta  possa. 

Amico,  egli  mi  dice,  se  il  mortale 
Caduco  vel  già  deponesti,  e  vieni 
Questo  d'ombre  a  bear  regno  immortale; 

Qui  menerai  felice  i  dì  sereni, 
E  proverai  quanto  grande  sia 
II  reciproco  amor  de'  nostri  geni  ; 

Anzi  oltre  ancora  alla  persona  mia 

Perseo,  Orazio,  e  Marziale  avran  per  gloria 
Di   ritrovarsi  teco  in   compagnia* 

Se  poi  di  Filodemo  la  memoria 

Ti  punge  il  core,  e  vuoi  lornar  dov'eri 
Per  proseguire  la  famosa  istoria^ 


Satiriche.  425 

Va' pure  ardito,  e  con  i  spirti  alteri 
Passeggia  tutta  Roma  impunemente, 
E  di  bella  virtù  calca  i  sentieri. 

Tu  solo  al  vizio  puoi  guerra  posseute 

Far  co' tuoi  carmi,  e  già  l'invidia  freme, 
E  alla  cote  dell'  ira  arruola  il  dente. 

Discuopri  il  volto ,  e  il  vero  nome  insieme; 
La  causa  ti  difei.de,  e  la  virtude, 
Che  in  così  giusto  Impero  onta  non  teme. 

Roma,  a  torto  ti  lagni,  e  se  dischiude 
Il  satirico  labbro  il  gran  Settano, 
Molto  gli  devi;  in  su  la  nera  incude 

Se  gli  strali  talor  temprò  Vulcano 

Gli  errori  a  saettar,  fu  pur  gran  sorte 
De' tuoi  scrittori,  o  Popolo  Romano. 

Peccò,  tu '1  sai,  di  Claudio  la  consorte, 
Ma  sferzata  da  noi  l'esempio  diede 
Di  tener  chiuse  d'onestà  le  porte 

Alle  donne  latine,  e  la  lor  fede 

Al  marito  serbar:  ma  su '1  mostaccio 
Calata  la  visiera,  o  degno  erede 

Dell'  estro  mio,  con  nerboruto  braccio 
Vorrei  pur  che  prendessi  i  bruiti  modi , 
E  i  costumi  a  sferzar  del  popolaccio. 

Canta  poi  Burro,  e  al  libro  suo  da' lodi; 
DlÌ  geloso  marito  i  due  rettori, 
Della  Mancina  il  matrimonio,  e  godi; 

D'un  bacchettone  i  scrupolosi  amorì, 

Che  alla  camicia  ha  fatto  un   buco  apposta 
Per  cui  s'  affaccia  alla  finestra  fuori 

L'innocente  cotale,  e  non  accosta; 
Di  Nasica  le  rane  poetesse, 
E  degli  uccelli  la  favella  ascosta. 


426  P   O   E   8    I    15 

Con  queste  sol  coglionerie  si  tesse 
Un  intiero  volume,  e  tu  n'avrai 
Per  la  tua  penna  un'  abbondante  messe. 

Se  satiro  perfetto  esser  vorrai , 
Poni  all'  amaro  la  dolcezza  unita , 
E  Orazio  per  maestro  aver  dovrai . 

Così  dice,  e  mi  sforza  a  far  partita, 

Bendi'  io  d'udirlo  mai  non  mi  stancassi , 
E  la  strada  m' insegna  con  le  dita  : 

Ma  per  quei  calli  tenebrosi,  e  bassi 

Mentre  or  spedito  ,  or  lento  il  pie  raggiro , 
Un'  incognita  via  tradisce  i  passi. 

Ecco  d'eterna  notte  un  luogo  io  miro, 
Cui  la  serie  de'  fatti  e  nuda,  e  pura 
Fa  corona  nell'orrido  ritiro. 

Filan  tre  brutte  vecchie  la  testura 
Di  nostra  etade,  e  i  stami  lor  sottili 
Torco n  su  '1  fuse  con  saliva  impura. 

Allor  sott' occhio  degl'ignoti,  e  vili 
Poi  eh*  io  vidi  le  tele  più  volgari, 
Cercai  de'  regi  i  preziosi  fili  ; 

I  bei  fili  di  porpora  sì  chiari, 

Che  di  linfe  odorose ,  e  vaghi  fiori 
Sparsi  crescono  ognor  più  eccelsi  e  rari. 

Uno  stame  fra  questi ,  che  i  colori 
Dell'oro  avea  ,  cinto  di  rose  intorno 
Bianche  qual  neve  io  vidi ,  e  mille  odori 

Spargea  per  l'aura,  e  l'orrido  soggiorno, 
Cui  veste  sempre  di  dens'  ombre  il  manto, 
Con  la  luce  vincea  del  più   bel  giorno. 

A  lavoro  sì  bel  del  Tèoro  intanto 
Il  genio  assiste,  e  di  piegare  in  atto 
Cerca  placar  le  sord<?  Dee  col  pianto; 


Satiriche.  427 

Poìcbè  da  quel  gran  fil  dipende   in  fatto 
La  fortuna  d'Italia ,  e  Ja  salute , 
Ed  i  voti  del  mondo  ornai  disfatto. 

A.Jlor  con  sovrumana  alta  virtute 
Sciolsi  la  voce,  e  dissi:  ordite  pure 
La  gran  tela  immortai,  suore  canute, 

Zoì  guardo  attento  ,  e  con  le  man  sicure, 
E  nuove  lane  somministri  ogn'  ora 
Propizio  il  fato,  sempre  bianche  e  pure, 

Finché  per  mille,  e  mille  lustri  ancora 
Da   voi  si  vuoti ,  e  si  riempia  il  fuso, 
E  Roma  invecchi  col  pastor,  che  adora. 

)opo  eh'  ebbi  sì  detto,  al  fin  qua  suso 
Venni  per  picciol  foro ,  che  mirai 
Con  dubbia  luce  timido,,  e  confuso; 

l  in  te,  mio  Ligurino,  m'incontrai, 

Che  l'esequie  a  Settano  preparasti 

Con  pianto  amaro,  e  dolorosi  lai. 

la  io  lieto  ti  dissi ,  amico  ,  errasti , 
Le  lagrime  asciugar  non  ti  rincreschi , 
Eccomi  vivo  e  verde,  e  tanto  basti. 

ilolte  cose  da  te  che  al  fondo  peschi 
Mi  resta  da  saper:  dimmi,  che  fanno 
Giù  nell'Inferno  i  nostri  Romaneschi? 

liacchè  mi  persuado,  e  fuor  d'inganno, 
Che  tu  il  naso  cacciato  avrai  per  tutto , 
Per  veder  di  quel  luogo  ogni  malanno, 

-he  fan  color  nella   m&gion  del  lutto? 
Allenta   pur  la  fibbia  del   calzone 
Per  crepar  delle  risa ,  e  senti  il  tutto. 

Home  a  Sisifo  il  sasso,  e  ad  Issione 
La  ruota  consegnò ,  perchè  sovente 
Senza  pietà  gli  girino,  Plutone; 


4^3  Poesie 

Così  a  costoro  il  Diavolo  prudente 

Di  strigliare  i  cavalli  ha  dalo  in  pena, 
E  di  batter  la  frusta  eternamente; 

Chi  fra  di  lor  con  più  perizia  mena 
La  birozza  correndo,  e  da  gradasso 
Esclama,  ohe,  con  maggior  forza  e  Iena, 

Sarà  primo  cocchier  di  Satanasso, 
Pe'  campi  di  Sicilia  scarrozzare 
Se  a  caso  egli  volesse  a  sciolto  passo, 

E  con  furto  novello  riparare 

I  dauni  del  suo  letto.  A  gran  ragione 
Questo  solo  da  lor  si  può  sperare , 

Perchè  Bruto,  Cammil,  Fabio,  Catone 
Gli  chiamano  bastardi,  e  Cavalieri 
Di  star  con  quei  di  Sutri  in  paragoue. 

E  in  ver  non  merta  de  i  Roman  primieri 
Discendente  chiamarsi,  ed  immortale 
Successor  dei  gran  Nume  de' guerrieri, 

Chi  dal  fodero  il  ferro  virginale 

Unqua  non  trasse ,  anzi  lo  tien  legato , 
Perchè  fuori  non  esca  a  far  del  male. 

O  gran  porci  !  o  poltron  !  dal  vostro  lato 
Sciogliete  pur  la  spada  vii ,  che  rea 
Non  fu  convinta  mai  d'alcun  peccato; 

E  la  conocchia  poi  di  Monnamea 

Adattatevi  al  fianco.  Oggi  al  bordello 
La  gioventù  Romana  si  ricrea 

Al  gioco  di  tre  setie;  ivi  il  più  bello 
Si  passa  dell'  età  le  notti  intiere, 
E  in  scalessar  per  questo  chiasso  e  quello. 

Ma  di  tali  sporchissime  maniere 

Piacesse  al  Cielo  che  conlenta  fosse, 
Perchè  resta  anco  peggio  da  vedere. 


Satiriche.  429 

Quel   vizio  radicato  infici   nelP  osse 

[V  aver  1'  odio   nel   cuore  ,  il  riso  in  bocca 
Fa  eh'  io  non   possa  star  saldo  alle  mosse. 

Con  quel   finto  parlare  che  trabocca 
Dal   labbro  adulatore,  e  a  tutto  pasto 
Gabbar  1*  amico,  ed  a  chi  tocca  tocca: 
piò  vd  servi  ossequiar  con  fasto  f 
Lodar  gli  schiavi,  e  le  più  sozze  ancelle, 
Salutar  tulli  gli  asini  da  basto. 

Ma  che  ?  se  a  oueste  ,  e  nobili  donzelle 
Ordiste  non  è  guari  ,  o  gente  ingrata  , 
Mille  per  ingannar  fraudi  rubelle  ? 

Troppo ,  oh  Dio  ,  lo  dimostra  alla  giornata 
Il  vel  nuzial,   r anello  di  costoro, 
E  la  fede  alla  sposa  non  serbata. 

Ahi  ,  eh*  in  pensarlo  sol  tanto  m'accoro, 
Che  al  ginocchio  m'  arrivano  i  coglioni: 
Se  non  basta  a  legar  un  cerchio  d'oro 

Quel  che  fa  d'Imeneo  le  promissioni , 
Voi  fa  bri  ,  in  avvenir  presto  inchiodate 
Con  catena  di  ferro  i  matrimoni. 

Che  giova  il  raccontar,  che  hau  scialacquate 
Le  pingui  eredità  del  lusso  i  fregi 
Con  le  statue  di  marmo  consagrate 

Per  eterna  memoria  agli  avi  egregi? 

Non  sol  ville ,  e  poderi  a  voi  su  gli  occhi 
Si  vendono  all' incanto  (oh  Dio,  che  sfregi!) 

Ma  fin  T  ombrella ,  ed  il  e  usci  n  co1  fiocchi 
Spesso  al  lume  veggiam   de' candelini 
Pagar  le  frenesie  de'  vostri  stocchi. 

E  delle  vesti  tue  ,  de*  tuoi  più  fini 
Bissi ,  o  signore  ,  che  portavi  addosso 
Si  fan  brache,  fodrette  ,  e  berrettini; 


43o  Poesie 

Se  il  guercio  Ebreo,  che  non  ha  panni  indosso, 
E  d'esser  preferito  ha  l'ambizione, 
Cresce  solo  all'offerta  un  mezzo  grosso. 

E  che  non  cangia  il  fato  ,  o  la  stagione 
Con  istrane  vicende!  E  giunto  a  un'ora 
Del  mondo  il  mal,  che  muove  a  compassione» 

Prima  l'aratro  suo  poslo  in  buon'ora, 
Stringeva  i  fasci  il  Console  Romano 
L'Impero  a  governar  senza  dimora; 

Or  da  Prence  che  fu ,  riede  villano , 
E  la  spada  real  messa  io  non  cale  , 
Torna  la  vanga  ad  incallir  la  mano. 

Se  vede  il  poverin  che  metton  l'ale 

Troppo  contro  sua  voglia  i  mesi  e  gli  anni, 
E  che  il  frutto  consuma  il  capitale  ; 

Allora  oh  che  gran  caldo ,  oh  quanti  affanni , 
Che .  rumor  di  carrozze  !  e  camminare 
Non  si  può ,  che  la  polve  imbratta  i  panni. 

Quindi  si  sta  con  gusto  a  villeggiare , 
Piace  la  parca  mensa  ,  e  i  servitori 
Si  fanno  in  questo  mentre  licenziare. 

Allor  lascian  le  crapule  ,  e  gli  amori  , 
E  i  tempi  laudati  di  Caton.  Ma  quali 
Cene  farian  ,  se  i  bruiti  creditori 

Se  n'  andasse r  neh"  Indie  ,  o  a  tanti  mali 
Crescesse  loro  la  moneta  in  cassa  , 
Per  non  girne  a  morir  su  gli  ospedali! 

E  pure ,  oh  grande  ambizion  che  passa 
Ogni  confine  ,  e  gli  occhi   netti  e  puri 
Dal  fumo  di  superbia  a  noi  non  lassa  ! 

In  Roma  niun  vedrai  ,  se  bene  oscuri 
Trasse  i  natali  ,  che  la  mano  avara 
Stender  ai  primi  doni  non  procuri; 


Satiriche.  401 

cìnto  il  cria  della  maggior  Tiara 
3Non   pretenda  vederci  ,  indi  ogni  stella 
Si  consulta  nel  ciel ,  perchè  la  cara 

felicità   riveli.  Orsù  la  bella 
Tua  genitura  al   tron  di  Giove  esclude 
Ogi ii  Juce  malefica  ,  e  rubella  : 

il  se  il  desìo  la  speme  non  delude, 
Ti  daran  per  Ja  testa  del  bealo  , 
E  le  ciglia  volgendo  altiere  e  crude  , 

\a  '1  seggio  maestoso  ricamato 
Fra  le  turbe  sarai,  che  applauso  fanno, 
Da  quattro  é  quattro  tuoi  scudier  portato. 

er  te,  Signore,  alle  finestre  ogn' anno 
Si  faranno  i  lumiui  con  gran  festa  , 
E  le  putride  botti  brugieranno. 

)  poveretti  voi  ,  a  cui  la  testa 
Mai  non  sta  salda  ,  e  gira  come  ruota 
D'un  calesse  di  Roma  il  dì  di  festa , 

ìite  pure  a  veder  la  tanto  nota 
Sciocca  superbia  di  Particulone  , 
Che  senza  fare  a  voi  spendere  un  jota, 

ara  presto  vedervi  quel  coglione, 
Che  iu  mirar  quelle  porpore  ,  e  poi  queste  , 
La  vista  gli  fa  perder  V  ambizione. 

avvero  a  udir  le  frottole  moleste 
Di  Ghitto  Marchigian  ,  che  iu  Quirinale 
Entra  con  scarpe  lorde  ,  e  sporca  veste , 

leso  oggetto  di  riso  alla  Papale 
Anticamera  tutta,  e  pur  pretende 
Di  meritar  la  Mitra  ,  e  '1  Pastorale. 

e  fra'  magnati  alcuno  il  giusto  intende, 
A  te;  Ghitto ,  daran  da  governare 
Più  tosto  le  galliue  ,  che  ti  rende 


432  Poesie 

IMaculone  obbedienti  in  sol  mostrare 

Lor  la  verga ,  onde  van  per  Roma  in  volta 
Come  le  pecorelle.  Ah  di  stancare 

1  sediJi  vergognati  una  volta , 

E  il  sagro  liminar  ,  cui  sentinella 

Fa  T  Elvetica  guardia,  e  stretta,  e  folta. 

Forse  non  sai ,  che  più  d'  una  scodella 
Umida  ancor  di  brodo  emiliano 
Vuol  ,  che  la  barba  tua  polita  e  bella 

Venga  a  leccarla  ?  A  che  rammenti  in  vano 
Le  domestiche  guerre  ,  e  quasi  in  scena 
Travestito  conduci  il  Prete  Ispano? 

Vi  sono  ancor  più  pazzi  da  catena , 
Che  poi  che  i  stami  lungamente  orditi 
Troncò  la  Parca  di  lor  vita  appena  , 

Voglio n  d'  un  sacco  ruvido  vestiti , 
E  di  grosso  cordone  il  fianco  cinto  , 
Passar  dal  mondo  di  Caronte  ai  liti  ; 

Quasi  che  possa  mansueto  ,  e  vinto 
Render  V  Inferno  un  abito  da  Frate 
Postumo  ,  che  si  mette  ad  un  estinto. 

Ipocritoni ,  oh  quanto  v'  ingannate 

Fra  mense  ,  e  letti  ,  e  nabatei  profumi 
Se  vita  dissolula  voi  menate , 

E  poi  credete  di  placare  i  Numi 
Con  queste  metamorfosi  innocenti  ? 
Sgombrate  pure  della  testa  i  fumi  : 

Della  vita  mortai  dopo  gli  eventi 

Spera  invan  di  trovare  e  questo,  e  quello 
A  casa  calda  i  monaci  ,  e  i  conventi  ; 

Ivi  non  sta  alla  porta  il  fraticello , 
Che  tien  V  orecchie  tese  ad  ascoltare 
Ogni  volta  che  suona  il  campanello  : 


Satiriche.  433 

le  vaii  l'alme  la  cella  ad  abitare, 

Ma  di  liquido  solto  ampia  fiumana; 

E  laghi  ancor  di  fuoco  han  da  passare, 
ja  morte  è  specchio  della  vita  umana , 

Se  vivo  un  uomo  fu  alla  gola  inteso, 

Morto  affettar  digiuni  è  gloria  vana: 
allora  allora  che  più  bolle  acceso 

Il  sangue  nelle  vene,  e  guidi  unita 

La  bella  coppia  de  i  destrier,  già  reso 
diriga  di  te  stesso  ;  allor  che  ardita 

Vibri  la  face  nel  mirar ,  ne  passi 

Dalle  finestre  mai  senza  ferita; 
Jlor  ti  dei  ne'  perigliosi  passi 

Deir  ore  estreme  provveder  d'ajuto, 

Che  ti  sostenga,  ne  perir  ti  lassi. 
'  infelice  nocchier  ,  che  destituto 

Si  trova  a  nuoto  senza  scorta  e  duce 

In  mezzo  al  mar  col  segno  suo  perduto, 
1  vano  alla  memoria  si  riduce 

La  dotta  carta,  che  alle  note  insegna 

I  bei  lumi  di  Castore,  e  Polluce, 
è  men  di  riso ,  e  vituperio  degna 

A  me  pare  talor  la  gran  pazzia  , 

Ch'  al  giorno  d'oggi  in  questo  mondo  regna; 
luel  di  titoli  far  lunga  omelìa 

Sovra  i  sepolcri,  e  imbalsamare  i  morti 

Mi  sembra  pur  la  gran  coglioneria, 
io  sol  profuma  il  naso  a  i  beccamorti , 

E  ingrassa  bene  i  sorci ,  e  le  tignuole , 

Ma  all'alma  non  darà  pace  e  contorti: 
lui  sepolto  è  un  dottore  %  che  alle  scuole 

Dell'  una  e  l'altra  legge  fu  diletto  ; 

Fé'  quest'  urna  l'erede >  e  ancor  si  duole* 
Poesie   SaCir.  s.R 


434  Poesie 

Citiso  quivi  giace  il  giovinetto, 

Cbe  sciolse  d'undici  anni  il  volo  all'etra, 
Pria  di  delizie,  ed  or  di  duolo  oggetto 

Alla  madre  infelice.   Eli  della  pietra 

Cancella  pur  quelle  menzogne    o  stolto, 
E  scrivi  (  se  al   felor  già  non  si  arretra 

Il  piò  dal  naso  instrutto  o  poco,  o  molto) 
Qui  fur  riposti  sol  cenere  e  polve 
Trofeo  di  morte  ,  che  la  vita  ha  tolto. 

O  uman  pensier,  che  si  raggira,  e  volve 
Intorno  a  cose  frivole  !  un  gelato 
Cadavero,  che  in  nulla  si  risòlve, 

Sdtgniam,  miseri  noi,  che  sia  portato 

Senza  pompa  al  sepolcro,  e  niun  si  sente 
Che  cerchi  dove  al»1  alma  preparato 

L'albergo  sia  ;  e  pur  della  gran   mente 
Del  Sovrano  Fattore  ella  è  porzione 
Creata  per  godere  eternamente  ; 

E  il  volgo  insano  senza  riflessione 

Stima  beato  un  uom  ,  cui  su  l'avello 
Si  Jeg^e  una  magnifica  iscrizione; 

Se  appeso  sovra  lui  pende  il  cappello  , 
E  in  mano  effigialo  il  suo  ritratto 
Della  prudenza  a  un  lato  abbia  il  modello, 

E  all'  altro  quel  della  pietade  in  atto 
Di  porger  amorosa  alla  sua  prole 
Le  mammelle  a  succhiar  del  seno  intatto. 

Ma  lascio  queste  cose  a   chi  le  vuole  : 
Con  dolore  imprestato  agitin  pure 
I  neri   serviior  le  ventarole  , 

In  cui  dipinte  sono  le  figure 

Dell'Aquila,   del    Pardo,   o  del   Leone, 
Del  Bue,  del  Cervo,  o  d'alti  e  bestie  impure 


Satiriche.  435 

Von  perciò  fugge  mai  Ja  corruzione 

Il  corpo  immondo  ,  e  su  '1  tappeto  d'  oro 
Piscia  Ja   Morte  senza  soggezione. 

Con   fole  sì  ridicole  costoro 

Il  saggio  lasci  ,  e  pensi  per  conforto 
Al  gaudio  eterno  dell*  empireo  coro. 

Faccin  dell'ossa  mie,  quando  son  morto, 
Tutto  quel  che  lor  piace  ;  e  purché  allora 
Non  vada  a  seppellirmi  a   muro  torto, 

Jn  nudo  sasso  io  non   ricuso  ancora  , 
E  vo' che   terra  cuoprasi  con   terra. 
O  quanto  è  folle  chi  la  tomba  onora 

-•on  titoli  sì  vani ,  ove  si  serra 

L'umana  ambizion,  che  nou   ha  posa, 
Che  chi  bugie  chiamò  dal   ver  non  erra. 

•fon  perciò  mai  l' erede  con  pietosa 
Mano  d'  acqua  lustrale  asperge  il  sasso  , 
O  fa   volar  d'  incenso  -aura  odorosa; 

Via  su  cenere  fredda  il  grave  passo 
Scordato  ei   muove.  Io  dall' Inferno  appresi 
Documento  si  bel  ,  né  più  mi,  lasso 

Gabbar  dal  volgo  ignaro.  Ah  ben  compresi 
Il   poter  della  Morte ,  e  sotto  il   piede 
L'  urna  fatale  io  già  tremare  intesi. 

?osto  il  fior  dell'età  mancar  si  vede  , 
E  alla  vita  si  tolgono  quegli  anni, 
Che  vive  ognun  sol  di   miseria  erede. 

!on  falso  nome  ,  e  con  veraci  affanni 
Di    morte  il  lento  gir  vita  si  chiama  , 
Che  alata  pur  si  pinge  a'  nostri   danni. 

Mentre  accostiam  con  sitibonda  brama 
Al  nettare  d'Alban  le  labbra  pronte, 
E  prepariam  la  mirra ,  ed  il  timiama  ; 


436  Poesie 

Mentre  di  rose  incoroniam  la  fronte , 
E  al  dolce  suon  d'armoniose  note 
Le  vivande  gustiam  più  rare  e  conte, 

Mortifero  pallor  tinge  le  gote, 

Gin  canuto  sul  capo  il  crin  diviene: 
Ecco  la  Parca  rea  le  mense  scuole , 

E  di  man  fa  cader  le  tazze  piene. 


437 

INDICE 

DELLE  SATIRE. 


.ODOVICO  ARIOSTO. 

Ad  Alessandro  Ariosto ,  e  a  Lodovico  da 
Bagno.  Condizione  di  coloro  che  voglio* 
no  far  acquisto  nelle  Corti,  Debole  ri- 
compensa del  suo  divino  Poema,  pag.  i. 

Io  desidero  intendere  da  voi 

A  Galasso  Ariosto .  Che  la  natura  è  di 
poco  contenta  .  Quanto  debba  apprez- 
zarsi la  libertà,  pag.   io. 

Perdi   ho  molto  bisogno ,  più  che  voglia 


438 


Ad  Annibale  Malaguzzo.  Duolsi  delle  pro- 
messe a  lui  dal  Pontefice  nou  osservate, 
pag.   j9. 

Poi  che ,  Annibale ,  intender  vuoi ,  come 

A  Sigismondo  Mabguzzo.  Per  cerio  gover- 
no datogli  dal  Duca  ,  dimostra  quanto 
egli  fosse  mal  atto  ad  altro  esercizio,  che 
a  quel  delle  Muse  ;  ed  aggiugne  ,  che 
Tessere  innamoralo  è  pessima  cosa,  p.  29. 

//  ventesimo  giorno  di  f ebbra jo 

A  Bonaventura  Pistofiio.  Che  gli  uomini 
col  migliorar  di  fortuna  cangiano  di  co- 
stumi ,  e  diventano  ingrati  ;  e  eh'  egli  e 
amante  della  mediocre  vita  e  tranquilla, 
pag.  37. 

Pistojilo  tu  scrivi ,  che  se  appresso 

Ad  Annibale  Malaguzzo.  Esser  buona  cosa 
il  maritarsi ,  ma  difficile  il  conservar  la 
moglie  pudica,  pag.  43. 

Da  tutti  gli  altri  amici  ,  AnnibaV  odo 

A  M.  Pietro  Bembo  Cardinale.  Dimostra  U 
parti ,  che  si  ricereauo  in  coloro  ,  che 
debbono  esser  posti  alla  cura  d'instituin 
i  giovani  ne  Ile  buone  lettere,  pag    54. 

Bembo  io  vorrei ,  coni  è  il  coni  un  desio 


43g 
ERCOLE  BEINTIVÓGLIO. 

A  Pietro  Antonio  Acciainoli.  Loda  la  pace. 
Descrive  la  crudeltà  della  guerra  ,  e  com- 
piange l'Italia  sempre  travagliata,  pag.  62. 

Sopra  i  bei  colli  che  vagheggiati  V Arno 

LUIGI  ALAMANNI. 

Ad  Alessandra  Serristora  consorte.  Essere 
più  soave  la  libertà  congiunta  con  la 
virtù ,  che  la  ricchezza  accompagnata  dal 
vizio,  pag.  66. 

Per  quantunque  dolor  m  astringa  il  core 

ANTONIO  VINCIGUERRA. 

Descrive  i  sette  peccati  mortali,  e  con 
belle  figure  dimostra  ,  che  gli  uomiui  so- 
no involti  ne'  piaceri  del  mondo  abban- 
donando le  operazioni  virtuose  che  si 
convengono  a'  nobili  ingegni,  pag.  70. 

Quando  in  esigilo  povere  e  deluse 

GIOVANNI  ANDREA  DALL'ANGUtLLARA, 

Al  Cardinal  di  Trento.  Che  gli  uomini  vir- 
tuosi oggi  sono  in  poco  pregio ,  e  che 
se  vogliono  vivere  bisogna  che  usino  ter- 


44o 


mini  non    convenienti    alla  nobiltà    del- 
l'uom  gentile,  pag.  80. 


Tra  bassi  ,  tra  mezzani  e  tra  gli  eroi 

GIOVANNI  MAURO  D'ARCANO. 

La  Carestia.  A  M.  Gandolfo.  pag.  gì. 

ZT  vi  parrà  bizzarra  fantasia 

In  lode  della  Bugia.  A  M.  Ghinuccio .  pa- 
gina 98. 

Tutti  i  volumi  e  tutti  li  quinterni 

BERNARDINO  GIAMBULLARI. 

Per  prender  moglie.  Ottave,  pag.  107. 

Non  per  gloria  acquistar  Parnaso  invoco 

FRANCESCO  COPPETTA. 

Nella  perdita  di  una  Gatta.    Canzone,  pag. 
126. 

Utile  a  me  sopr  ogn  altro  animale 

La  Speranza.  Capitolo,  pag.   i32. 

Fra  tutti  i  cibi ,  che  trovò  V usanza 


ANNIBAL  CARO. 

Corona  di  Sonetti,  pag.  i38.  e  segg. 
I  Mattaccini  contra  il  Castelvetro.  Sonetti, 
pag.  143.  e  segg. 

MATTIO  FRANZESI. 

In  lode  della  Tossa.    Capitolo    a  M.  Bene- 
detto Busi  no.  pag.  167. 

S'altri  loda  la  peste  é*l  mal  franzese 

CESARE  CAPORALI. 

Ritratto  di  se  stesso  .    Capitolo    a    Matteo . 
pag.  161. 

M esser  Matteo ,  ho  da  gli  amici  udito 
M.  B.  In  lode  dell'Asino.  Capitolo,  pag.  168. 

£'    vi  parrà  capriccio  daddovero 
PIETRO  ARETINO. 

Al  Re  di  Francia.  Capitolo,  pag.  180. 

Cristianissimo  Re>  dopo  i  saluti 

All'  Albicante.  Capitolo,  pag.  188. 


44*    „  . 

Salve  meschin ,  l'o/^i  6?/7e   Albicante 

Al   Duca  di  Fiorenza.  Capitolo,  pag.    ig5. 

Sig.  Cos'uno  Duca  di  Fiorenza 
Al    Principe  di  Salerno.  Capitolo  20^. 

Illustrissimo  Principe ,  per  Dio 
Al  Duca  di  Mantova.  Capitolo,  pag.  206. 

Stando  un  miglio  l'altr  ier  di  là  da  male 

f 

Al  Duca  di  Firenze.  Capitolo  della  Quar- 
tana, pag.  210. 

Al  tempo  die  volavano  i  pennati 
PIETRO  NELLI. 

A  M.  Gentile  Aldobrandi.  Non  doversi  di- 
sperare per  la  morte  degli  amici  e  de' 
parenti  ;  doversi  anzi  ridere  della  vita 
umana.  Cori  burlevoli  racconti  conchiu- 
de che  le  pompe  de'  mortorj  sono  paz- 
zie,  pag.   217. 

Messer  Gentil  gentil ,  ben  di  io  v'esorti 

A  M.  Giusliniau  Nelli.  Riprende  con  vario 


443 

i 

discorso  diverse  qualità  di  persone  ,  tassa 
l'avarizia  ,  e  loda  l'età  de'  passati  allora 
ch'era  il  secolo  d'oro,  pag.  227. 

S'io  avessi  7  spirto  di  Pietro  aretino 

Al  S.  Amaranco.  Non  doversi  da'  rozzi  e 
dagP  ignoranti  ragionare  delle  cose  della 
Religione  ;  non  esservi  un  uomo  più  da 
rimproverarsi  dell'  ipocrita,  pag.  235. 

Io  mi  vi  scuso  avanti  ch'io  dì  scriva 

A  M.  Francesco  Filetto.  Contra  gli  Avvo- 
cati ,  i  quali  usano  ogni  tradimento,  ogni 
ingiustizia  ,  ed  ogni  sceleraggine  contra 
gli  uomini,  e  contra  Dio.  pag.  245. 

Io  vorrei  pur ,  padron ,  che  questa  mia 
FRANCESCO  SANSOVINO. 


A  M.  Urbano  Morlupino.  Contra  i  perversi 
modi  di  alcuni  posti  in  dignità.  Doversi 
seguire  una  vita  libera  e  naturale  pro- 
pria veramente  dell'uomo  da  bene,  pa- 
gina 256. 

Signor ,  se  questa  è  vostra  fantasia 


444 

A  Giulio  Doffì.  Che  le  virtù  non  sono  oggi  in 
pregio,  e  che  i  poeti  la  fanno  magra- 
mente non  avendo  altro  che  li  pasca 
fuori  de'  versi,  pag.  262. 

Se  tu  eleggi  per  ben  la  poesia 

A  M.  Alessandro  Campesano.  Che  l'uomo 
non  può  essere  felice  fuorché  schivando 
l'ambizione,  e  seguendo  ciò  che  gli  detta 
la  natura,  pag.  268. 

Poi  cti  è  giunto  al  suo  fin  V amico  nostro 

! 

LODOVICO  PATERNO. 


Alla  S  Marzia  Foscara .  Precetti  intorno 
all'  onesta  instituzione  di  una  fanciulla, 
pag.  276. 

Jer  venne  da  tua  parte  Arsenio  e  Rulla 

Al  Sig.  Girolamo  Sforza.  Che  ogni  gran- 
dezza è  nata  da  poco  giusto  principio, 
pag.  286. 

Tosto  che  7  ben  oprar  fu  posto  a  terra 

A  M.  Porfirio  Testa.  Utili  avvertenze  a 
chi  brama  di  vivere  nelle  corti,  pag.  rg3. 


445 
Che  cortigian  ti  facci,  eh  chi  V approva? 

Al  S.  Antonio  Rota.  Come,  e  quando  deb- 
basi  prender  moglie  ;  e  che  bisogni  fare, 
poiché  è  condotta  a  casa.  pag.  3o2. 

Mal  può  guidare  un  cieco  uri  altro  cieco 

A  M.  Girolamo  Giraldi.  Dice  che  vuole 
servirsi  di  nuove  regole  ,  da  poi  che  ha 
trovato  un  nuovo  stile  alla  Satira.  Ri- 
prende gli  uomini  di  varj  peccati,  e  con- 
chiude non  esservi  al  mondo  che  vani- 
tà, pag.  309. 

E  eli  altri  dica  :  è  troppo  acerbo  e  nuovo 

LODOVICO  ADIMARI. 

Contra  le  donne,  pag.  319. 

Sorgi ,  Menippo,  ornai,  che  dormi  ancora? 

SALVATOR  ROSA. 

La  Musica,  pag.  366. 

bibbia  il  vero  9  o   Priapo  ,  il  luogo  suo 

La  Pittura,  pag.  388. 

Così  va  il  Mondo  oggi  dalV  Indo  al  Mauro, 


446 

QUINTO  SETTANO. 

Finge  di  ritornare  dall'  Averne  Dimostra 
d'  esser  egli  V  autore  delle  Satire  contro 
di  Gravina  ,  attribuite  da  alcuni  ad  un 
certo  Grammatico  morto  in  criie'  tempi 
in  Roma.  pag.  4i5. 

E  sei  pur  desso  quel  che  ora  i    vedo , 


ERRORI 

a.  lin. 

16   ia  Pontefice 
ai   17  Faetone 
58  29  guancie 
73    16  voglie 
75     9  favella 
79    i5  propria 
83     b  volti 

94  16  alto 

95  32  fino 
[oz  21   aperti, 
ti  1    25  volerla 

i3  vederli 
29  modi 
9  fu 
12  rotti 

8  nette 
29  tartafera 

9  Spirito 


112 

III 

i53 

172 
177 
l8£ 


CORREZ. 

1 

Pontefice 

Faetonte 

guance 

norme 

favilla 

propia 

voi 

altro 

fine 

aperti , 

voJelfa 

vedelli 

doli 

fur 

rutti 

netta 

tantafera 

Spirto 


ERRORI    CORREZIONI 
Pa.  lin. 
189     9  vi 

191  29  al  trono 

192  5  tegno 
240  14  ancora 
259  3 1  sarai 
263     8  casa 
278     7  luoghi 


j  fuoghi 
281  ul.  brama 
287  ?,5  tregua 
2ÌP     4  gravissa- 

mente 
3o5   17  Fermo 
3(7     2  inezia 
385  21  facea 
40  5  32  fossa 
411 


mi 

al  torno 
tengo 
ancor 
sarà 
cassa 
luochi 
fuochi 
brame 
trega 

gravissima- 
mente 
Ferma 
inerzia 
faceva 
fosso 


1  GuardarobaGuardarobba 
3  roba  robba 


190?   -i 


PQ       Raccolta  di  poesie  satiriche 

4223 

S2R3 


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