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Full text of "Ragusa : cenni storici"

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University  of  Toronto 


http://www.archive.org/details/ragusacennistoriOOsl<ur 


RAGUSA 


CENNI    STORICI 


COMPILATI    DA 


STEFANO  SKURLA 

CANON.  ONOR.  PROFESS.  GINNASIALE. 


ZAGABRIA  1876. 

A  SPESE    DELL'AUTORE. 

TIPOGRAFIA  SOCIALE. 


xVlloraquando  nel  giugno  del  test^  decorso  anno  V  Illu- 
strissimo signor  Consigliere  Imperiale  Luigi  Maschek 
m' invitava  ad  estendere  una  monografia  di  Ragusa,  da  in- 
serirla neir  Album,  che  intendeva  umiliare  a  Sua  Maestà 
il  graziosissimo  Nostro  Imperatore  e  Rè  il  giorno  10 
aprile  1876,  anniversario  in  cui  1'  Augusto  Monarca 
pose  piede  sul  suolo  Dalmata  :  sì  per  aderire  alle  brame 
del  prefato  signore,  il  quale  giustamente  si  acquistò  tutta 
la  simpatia  e  gratitudine  de'  dalmati  per  le  sue  interessanti 
annuali  pubblicazioni  istorico-statistiche  sulla  nostra  pro- 
vincia; SI  per  vedermi  lusingato,  che  un  qualunque  siasi 
lavoro  sulla  mia  patria  possa  aver  1'  alto  onore  di  esser 
umiliato  ai  piedi  del  nostro  Augusto  Sovrano  —  senza 
esitanza,  abbenchè  grave  incarico,  lo  accettai,  estendendo 
alla  meglio  queste  poche  memorie. 

Se  non  che  a  lavoro  compiuto  m'  accorsi,  che  la  mole 
di  queste  memorie,  per  quanto  assai  ristrette  in  rapporto 
alla  Città  che  presi  ad  ilhistrare,  mal  si  adattava  ai  limiti 
d'  un  Album,  in  cui  dovevano  figurare  ben  altre  80  Co- 
muni. D'  altronde  poi,  quand'  anche  a  ciò  si  fosse  ovviato, 
mi  veniva  a  mancare  la  possibilità  di  pubblicarle  con  tal 
mezzo,  per  aver  dovuto  il  prelodato  Signore,  a  motivo  di 
famigliari  dolorose  incidenze,  desistere  dal  suo  nobile  divi- 
samento. 


Mi  tlt'cisi  (jiiiiidi  di  darle  se])arataiuente  alla  luce,  fermo 
nel  desiderio  di  coiiseerarle  a  (quella  l'eliee  ricorrenza,  per 
riii  lietcìineiite  assunsi  la  compilazione,  e  che  rende  ortj^o- 
ij-lioso  ot^ni  cuore  dalmata,  ed  in  particolare  ogni  patriotta 


raguseo. 


Col  pubblicare  però  questi  brevi  cenni  su  una  città, 
che  per  oltre  dodeci  secoli  mantenne  una  vita  politica  ma- 
terialmente assai  niodestn,  ma  moralmente  assai  degna  di 
onorevole  ricordanza;  della  cui  storia  a  gara  se  ne  occu- 
parono illustri  nazionali  e  forastieri,  sì  che  altre  poche 
potrebbero  vantare  tanta  serie  di  storie,  memorie,  ed  illu- 
strazioni, stampate  ed  inedite,  come  dessa  far  lo  potrebbe: 
non  intendo  già  di  presentare  un  lavoro  originale,  meno 
poi   un  lavoro  completo. 

La  città  che  surse  dalle  fumanti  ceneri  d'  una  illustre 
colonia  romana;  che  in  breve  seppe  svolgere  la  propria 
attività  SI,  da  stringere  relazioni  diplomatiche  e  commer- 
ciali con  tutti  i  regni  finitimi,  e  colle  più  discoste  nazioni  ; 
r  amica  della  mezzaluna  ed  il  baluardo  della  cristianità  ; 
r  alleata  dell'  Ungheria  e  della  Spagna,  e  la  negoziatrice 
coir  oriente  ;  la  città  senza  estesa  territoriale,  e  colle  sue 
colonie  sparsa  per  ogni  dove,  e  dominatrice  di  tutti  i  mari  ; 
la  culla  delle  lettere,  e  1'  Atene  della  nazione  Slava  — 
attende  tuttora  una  storia,  quale  si  addice  al  suo  glorioso 
passato. 

Ma  questo  non  si  potrà  raggiungere,  prima  che  il  pre- 
zioso archivio  dell'  ex-repubblica  Ragusea,  ricco  di  migliaja 
d' importantissime  antiche  pergamene,  e  di  una  serie  d' in- 
numerevoli volumi  manoscritti,  non  venga  esaminato  e 
reso  pubblico.  L'  interesse  eh'  esso  ha  per  la  storia  di 
tutte  le  nazioni  slave,  indusse  distinte  persone  ad  occu- 
parsene della  pubblicazione  di  ])arecchi  vohmii  ;  ma  ciò 
non  è  altro  che  una  pietnr/"a  sulla  base  del  vasto  edilizio 
da  erigersi. 


La  sola  munificenza  Sovrana  potrebbe,  come  8Ì  ha  ferma 
fiducia,  accorrervi  in  ajuto,  coli'  affidare  1'  archivio  a  per- 
sone intelligenti  ed  attive,  perchè  poco  a  poco  svegrino 
quel  terreno ,  e  scuoprano  quelF  inesauribile  miniei-a,  che 
giace  lì  da  secoli  sepolta. 

Ed  allora,  oltre  il  vantaggio  comune  che  vi  ridonde- 
rebbe dalle  relative  pubblicazioni,  anche  Ragusa  potrebbe 
ricevere  una  completa  illustrazione  storica. 

Intanto  è  duopo  prevalersi  di  quanto  altri  scrissero. 
E  su  questa  base  ho  compilato  alla  sfuggita  questi  pochi 
cenni,  per  ridestare  nella  gioventù  ragusea  V  amore  allo 
studio  delle  patrie  memorie,  ed  offerire  al  forastiere,  che 
visita  i  sacri  avanzi  di  Ragusa,  una  guida  che  gli  ricordi 
r  augusto  di  lei  passato. 

Ragusa,  nel  gennajo  del  1876. 


p.      jb. 


I. 


Primordi,  sviluppo  e  caduta  della  repubblica 

di  Ragusa. 


JJalmazia;  una  delle  rinomate  Provincie  romane  per  le  illustri 
colonie  che  vi  avean  sede,  e  per  V  interessante  posto  che  occupava 
nel  vasto  impero,  fìi  teatro  spesse  volte  di  barbare  aggressioni, 
ed  in  ultimo  di  sterminio  da  parte  degli  Avari  (sec.  VII.). 

Alla  distruzione  di  Epidauro,  una  delle  più  famose  colonie  ro- 
mane, Ragusa  deve  la  sua  origine.  E  se  non  si  può  con  certezza 
stabilire  la  precisa  epoca  della  di  lei  fondazione,  senza  tema  di 
errare  puossi  asserire,  che  i  superstiti  Epidauritani,  dopo  di  essersi 
per  breve  tempo  stabiliti  nella  vicina  valle  di  Burno  (Breno), 
dove  fabbricarono  a  propria  difesa  due  castella  (Spilan-grad,  e 
Gradaz),  abbiano  ben  presto  abbandonato  quel  luogo  poco  sicuro, 
per  rifuggiarsi  su  d'  uno  scoglio  non  lontano,  in  riva  al  mare,  posto 
alle  falde  del  monte,  probabilmente  abitato  da  famiglie  di  pescatori, 
e  chiamato  Lavve.  Quivi  i  profughi  Epidauritani  posero  stanza, 
appellando  la  novella  patria  col  nome  di  già  trovato,  mutandolo 
poi  dopo  qualche  tempo  in  Lausa;  derivazione  dal  primitivo  nome, 
anziché  dal  greco  Lays,  come  vorrebbe  Porfìrogenito,  e  dietro  di 
lui  quanti  altri  scrissero  di  Ragusa. 

La  primitiva  appellazione  si  mantenne  per  lungo  tempo,  e  nei 
brevi  pontifici  all'  anno  1000  di  Cr.  s' incontrano  i  nomi  di  Lab  usa, 
Labuda,  Labusaedum,  confusi  con  quei  di  Ragusium,  e  Rha- 
gusa  negli  archivi,  e  con  Raugia  e  Rausa  in  parecchi  scrittori 
posteriori. 

Ben  presto  questo  felice  nascondiglio  dalla  natura  fortificato, 
inaccessibile  dalla   parte   del   mare,    e    protetto  dalle  mura  tosto 

1 


tubi) rifate,  attirò  buon  numero  di  emigrati  Salonitani,  e  delle  altre 
colonie  romane  della  Dalmazia,  di  cui  parecchi  si  erano  salvati 
sulle  circonvicine  isole;  divenendo  Ragusa  sin  dalla  sua  origine 
sicuro  asilo  di  (luanti  avevano  bisogno  di  rifugio,  come  lo  fu  mai 
sempre  fino  al  cessar  di  sua  esistenza. 

Né  andò  guari  che  dovette  metter  a  prova  le  proprie  forze,  quando 
per  ben  15  mesi  (8G6)  con  energia  sostenne  l'assedio  della  flotta 
araba,  che  già  aveva  espugnato  Budua,  Cattaro,  Risano  e  Rose; 
liberata  poscia  dì^la  flotta  greca,  a  ciò  spedita  da  Basilio  Macedone, 
alla  quale  si  unirono  le  navi  ragusee  per  trasportare  all'  opposto 
lido  d' Italia  il  contingente  degli  slavi. 

La  città  nascente  venne  in  questo  frattempo  inaugurata  da  Pau- 
limiro  Belo,  principe  slavo,  che  con  un  numeroso  seguito  tornava 
da  Roma,  per  riassumere  il  trono  paterno.  Di  passaggio  si  fermò 
per  qualche  tempo  a  Ragusa,  dove  già  si  rassodava  uno  stato;  e 
per  gratitudine  alla  cordiale  accoglienza,  e  per  acquistarsi  un  asilo 
in  caso  di  sinistra  fortuna,  vi  fabbricò  un  castello,  fece  erigere  una 
chiesa  ai  ss.  Sergio  e  Bacco,  patroni  di  sua  famiglia,  1'  arricchì  di 
reliquie  di  santi  portate  da  Roma,  ed  ingrandì  la  città  da  quella 
parte  che  oggi  si  chiama  Pustierna  (anticamente  Posterrula, 
Postierla). 

In  conseguenza  del  buon  regime  a  cui  eran  di  già  abituati  per 
r  innanzi  gli  Epidauritani  ed  i  Salonitani,  ed  a  motivo  del  com- 
mercio e  dell'  industria,  a  cui  necessariamente  dovevano  dedicarsi 
per  la  ristrettezza  del  proprio  territorio,  che  tutt'  al  più  si  estendeva 
nella  lunghezza  d'  un  miglio  di  Udo  (da  s.  Giacomo  a  Boninovo,  ^ 
detto  vista  di  Gravosa),  questa  popolazione  rapidamente  crebbe,  ed 
aumentossi  per  V  arrivo  di  molti  emigrati  dalla  Dalmazia  e  dai 
finitimi  stati  slavi  ;  laonde  per  ben  quattro  volte,  al  dir  di  Porfiro- 
genito,  furono  anclie  dilatate  le  mura  della  città,  e  costrutti  arse- 
nali per  le  galere,  che  servivano  a  difesa  del  commercio  di  già 
molto  esteso. 

„Gli  Epidauritani  non  sognavano  allora  quello  che  era  per  dive- 
„nire  questa  loro  novella  patria;  una  città  su  d'un  isola  e  sopra 
„un  colle,  che  doveva  dominare  come  Roma,  la  città  dei  sette  colli, 
„e   come  Venezia,   la   città   delle   cento  isole;  una  città  libera  che 

^  Boninovo,  probabilmente  deriva  dal  cognome  del  raguseo  Bonino  de 
Boninis  (Dobroevic  da  Lagosta)  uno  dei  primissimi  tipogratì  in  Italia 
(1478 — DO),  il  quale,  o  vi  si  fermasse  in  quel  punto  nelle  sue  passeggiate. 
0  vi  avesse  dimora,  vi  lasciò  il  suo  nome. 


.,sarebbe  V  asilo  dei  re  ;  una  città  commerciale,  che,  senza  un  porto, 
„ doveva  spedire  i  suoi  bastimenti  in  tutti  i  porti  del  mondo;  una 
„piccola  città  con  un  istoria  superiore  a  quella  de' grandi  stati; 
„una  città  con  poche  miglia  di  territorio,  e  con  tutti  i  mari  della 
„terra;  una  città  con  un  nome  non  perituro."  ^ 

La  città  difiPatti  andava  sempre  più  crescendo  a  mezzo  dei  pro- 
fughi dalla  Bosnia  ed  altri  finitimi  stati  slavi,  che  li  abbandonavano 
per  le  questioni  religiose  che  allora  fortemente  venivano  agitate  in 
quei  regni.  La  porzione  romana  si  separò  da  principio  da  questo 
nuovo  elemento,  cangiando  la  forma  del  governo  democratico,  che 
era  fino  a  queir  epoca,  in  aristocratico  ;  a  capo  del  quale  era  il 
Priore,  che  per  un  anno  sosteneva  la  carica.  In  breve  però  i  due 
elementi  si  fusero,  sparendo  il  primo,  e  rimanendovi  V  elemento 
slavo.  La  lingua  latina  rimase  come  lingua  che  si  scriveva  negli 
offizt,  e  la  slava  qual  lingua  parlata. 

La  difesa  —  questo  naturale  diritto  —  fu  quasi  V  unico  motivo 
che  determinava  i  ragusei  a  dar  di  piglio  alle  armi.  Quanto  fìi 
meno  possibile,  portavano  la  distruzione  sulF  altrui  territorio.  Conscia 
della  propria  missione,  e  persvasa  che  la  sola  pace  e  Y  operosa 
quiete  possano  contribuire  al  benessere  ed  alla  felicità  de'  popoli, 
Ragusa  sin  dal  principio  cercò  di  allontanare  ogni  gelosia  che  il  di 
lei  rapido  sviluppo  poteva  suscitare  nelle  finitime  popolazioni  ;  abil- 
mente quindi  i  di  lei  abitanti  si  diedero  a,  dirigere  gF  interessi 
della  novella  patria,  da  stabilirne  intiuìi  rapporti  coi  vicini  principi, 
assicurandosi  ne'  detti  paesi  la  libertà  de'  fitti,  de'  pascoli,  e  del 
commeriio,  pel  quale  pagavano  —  al  dir  di  Porfirogenito  —  36 
monete  all'  anno  ai  due  Bani  di  Zachulmia  e  Tribunia.  Stabilirono 
inoltre  mutuo  rispetto,  degli  slavi  che  giungevano  a  Ragusa,  e 
de'  ragusei  che  si  recavano  nelle  finitime  provincie. 

In  pari  temi)0  dilatarono  il  proprio  territorio  mediante  donazioni 
dei  finitimi  re  slavi,  od  a  mezzo  di  acquisti.  Da  Stefano  di  Croazia 
(1050),  di  cui  la  seconda  moglie  Margarita,  rimasta  vedova,  si  ritirò 
e  morì  a  Ragusa,  ricevettero  la  valle  di  Breno,  la  parte  meridionale 
di  Gionchetto,  la  valle  di  Gravosa,  Ombla,  e  Malfi,  fino  alla  chiesa 
di  s.  Tecla,  al  confine  di  Yaldinoce.  Silvestro,  per  gratitudine  ai 
benefici  ricevuti,  donò  loro  (1080)  le  isole  di  Daksa,  Calamotta, 
Mezzo,  Giuppana,  Jakljan,  Ruda,  s.  Andrea,  e  altri  vicini  scogUetti.'-^ 

^   IdavonDiiringsfeld  —  Aiis  Dalmatien,  III.  Band,  Prag  1857. 
^   Le  isole  di  Calamotta,  Mezzo   e  Giuppana,   cogli  adjacenti  scogli,  erano 
note  agli  antichi  sotto  il  nome  di  Elaphites,  come  attesta  Plinio.  Sem- 


Bollino  re  di  Servia  (1100)  accrebbe  il  territorio  raguseo  coli  altra 
porzione  della  valle  di  (jionchetto,  che  diede  in  dono  ai  monaci 
benedettini  di  Lacroma.  L' isola  di  Meleda  tutt'  intera  fu  donata  nel 
1151  da  Dessa,  figlio  di  Uroè  e  padre  di  Nemagna,  Signore  della 
Zachulniia,  /enta,  e  Tribunia,  ai  monaci  benedettini,  ai  quali  cento 
anni  prima  (1044)  Oliudovid,  signore  di  Chelmo,  avea  regalato  la 
chiesa  di  s.  Pancrazio  sulF  isola  stessa,  coi  terreni  che  le  apparte- 
nevano ;  e  così  queste  donazioni  fatte  ai  monaci  dello  stato  raguseo, 
diedero  a  mano  a  mano  V  alto  dominio  alla  signoria  di  Ragusa. 
Decusio  di  poi  nel  11G4,  signore  delle  due  giuppanie  di  Canali, 
donò  a  Micaccio  (Mihasio)  cittadino  raguseo,  suo  genero,  il  terri- 
torio di  Zrnavnica,  che  comprendeva  tutto  il  tratto  di  pendio  mon- 
tuoso che  si  estende  dalla  valle  di  Breno,  fino  a  s.  Giorgio  di 
Bielo,  presso  V  antica  Epidauro,  a  cui  probabilmente  era  unito 
r  adiacente  litorale,  dov'  è  oggidì  Ragusavecchia.  Contemporanea- 
mente furono  acquistate  da'  ragusei  le  isole  di  Mercana,  Bobara,  e 
s.  Pietro. 

La  città  dapprima  si  limitava  allo  scoglio  Lavve;  e  nel  secolo 
XII  Bodino  r  aveva  stretta  d'  assedio,  ed  alle  falde  del  monte  per 
sette  anni  tenne  il  proprio  accampamento,  e  vi  eresse  anche  un 
castello,  per  vendicarsi  de'  ragusei,  che  si  rifiutavano  di  consegnargli 
alcuni  suoi  congiunti,  rifugiatisi  nell'  ospitale  città.  Impossessatisi 
però  i  ragusei  del  castello  dopo  la  morte  di  Bodino  (UH),  in 
seguito  a  secreta  cointelligenza  coi  capi  del  presidio,  Gredic  e  Mla- 
scogna,  che  per  fìnta  si  danno  prigioni,  e  son  poi  accolti  fra  la 
nobiltà,  lo  demolirono,  e  sul  luogo  stesso  eressero  la  chiesa  di  s. 
Nicolò;  estendendo  indi  la  città  dalla  parte  di  terraferma,  e  riem- 
piendo il  canale  che  divideva  lo  scoglio  dal  monte  (dov'  è  attual- 
mente lo  stradone),  facendovi  le  mura  di  cinta  anche  da  quella 
parte.  Ragusa  prese  il  quel  torno  di  tempo  il  nome  slavo  di  Du- 
brovnik, dalla  foresta  che  copriva  il  sovrastante  monte. 

Le  relazioni  coi  principi  e  colle  vicine  città  si  andavano  conso- 
lidando per  mezzo  di  utilissimi  trattati  di  commercio.  È  marcato 
il  sec.  XI  negli  annali  di  Ragusa  per  i  privilegi  che  Guglielmo  re 
di  Sicilia,  e  s.  Ladislao  d' Ungheria,  accordarono  alla  repubblica.  Coi 
vicini  re  slavi  di  Bosnia,  Servia,  Bulgaria,  conchiusero  trattati  di 
commercio.    Ottenero  dai  bosnesi  la  privativa  di  estrarre  da  quei 

brerebbe  cbe  nel  porto  di  Giuppana  e  nelle  sua  vicinanze  si  sieno  scontrate 
le  flotte  di  Ottavio  e  di  Vatinio,  come  racconta  Irzio  de  Bello  Alexand. 


ricchi  monti  l'argento,  mescolato  coir  oro,  da  cui  ricavavano  il  250 
per  cento.  E  due  fratelli  ragusei,  che  si  avevano  da  Kulino  bano 
di  Bosnia  F  appalto  delle  miniere,  circa  V  anno  1114  fabbricarono 
presso  Serraglio  un  castello,  chiamandolo  col  nome  della  propria 
patria  Dubrovnik.  Relazioni  commerciali  vennero  strette  colla 
corte  d' oriente  ;  Emmanuele  accordò  loro  la  cittadinanza  di  Costanti- 
nopoli ;  e  con  vantaggiosissime  prerogative  i  negozianti  ragusei,  sotto 
i  Comneni,  Lascari,  Cantacuzeni  ecc.,  spinsero  il  traffico  per  tutta 
r  antica  Tracia,  e  perfino  nelF  Asia  minore.  Colonie  commerciali 
ragusee  si  trovavano  a  Serraglio,  Novipazar,  Belgrado,  Vidin,  Bu- 
karest,  Andrinopoli  ecc.  La  marina  era  già  in  fiore.  Basilio  III. 
avea  chiesto  ai  ragusei  80  piloti,  e  tre  de'  più  intelligenti  fra  i 
nobili,  onde  con  questo  ajuto  umiliare  Venezia,  la  comune  nemica. 
Ai  Normanni  di  Napoli  somministrarono  galere  armate  ;  ed  in  ognuna 
di  quelle  celebri  e  sventurate  spedizioni  pelF  acquisto  di  Terra  santa, 
offrirono  qualche  legno  armato,  e  parecchi  mercantili  pel  trasporto 
della  truppa  e  degli  attrezzi  militari.  Strinsero  trattati  commerciali 
(sec.  XII.)  colle  città  italiane  Malfetta,  Pisa,  Ancona,  Fano;  indi 
(sec.  XIII.)  con  Recanati,  Fermo,  Rimini,  Ravenna,  Ferrara,  Sira- 
cusa, Messina,  Barletta  ecc.  Nel  1240  stipularono  un  trattato  com- 
merciale marittimo  cogli  Alniissani,  da  cui  si  rileva,  come  era 
allora  in  fiore  la  marina  ragusea  per  tutto  V  oriente  ed  occidente 
de'  nostri  mari. 

Tale  prosperamento  della  piccola  repubblica  di  Ragusa  non  an- 
dava punto  a  genio  di  Venezia,  forte  e  potente  rivale.  A  garantirsi 
dalle  di  lei  spiegate  insidie,  i  ragusei  eressero  un  castello  su  di 
una  roccia,  protendentesi  nel  mare,  dalla  parte  occidentale  della 
città,  che  denominarono  caste!  s.  Lorenzo  (1038). 

Da  un  pezzo  i  veneti  avevano  annunziate  le  loro  esclusive  pre- 
tese sul  commercio  generale  nel  golfo.  I  ragusei  avevano  saputo, 
talor  colle  proprie  foi'ze,  talor  unendosi  colla  repubbUca  Narentana, 
di  cui  dirigevano  la  politica  e  le  imprese,  far  fronte  alla  potente 
rivale,  appoggiandosi  alla  protezione  dei  greci  imperatori,  a  cui  era 
soggetta  ancor  la  Dalmazia,  abbenchè  di  nome. 

Le  forze  però  dell'  impero  Orientale  affievolivano,  rinforzandosi 
quelle  di  Venezia.  Ragusa  comprese  allora,  che  la  greca  croce  non 
poteva  esserle  d'  ulteriore  appoggio  ;  né  però  voleva  cercar  rifugio 
sotto  le  ali  del  veneto  leone.  Tentò  allora  un'  alleanza  coi  Normanni, 
coi  quali  al  principio  delle  loro  conquiste  aveva  contratte  amichevoli 
relazioni  ;  alleanza  però  soltanto  all'  estero  e  sui  mari.  Ma  discordie 


interne,  fonitiitate  dalla  scaltra  politica  veneta,  la  posero  nella  dura 
necessitai  (V  invocare  la  di  lei  protezione.  Alleanza  fra  debole  e 
potente,  da  cui  per  un  miracolo  sortì   salva  la  di  lei  indipendenza. 

A  ciò  diedo  occasione  V  attentato  di  Dannano  (iiuda  contro  la 
libertà  dello  stato.  Damiano,  i)atrizio  raguseo,  spirato  1'  anno  del 
suo  priorato,  non  volle  scender  dal  seggio,  né  permise  si  racco- 
gliesse il  senato  per  eleggere  il  priore,  che  avrebbe  dovuto  succe- 
dergli. Spiegò  apertamente  il  carattere  di  tiranno,  sia  che  esso  abbia 
voluto  concentrare  in  se  e  nella  propria  discendenza  tutto  il  potere  ; 
sia  che  —  come  è  più  verosimile  —  inteso  abbia  di  richiamare  in 
vita  le  franchigie  popolari,  che  andavano  deperendo  per  la  prepo- 
tenza del  ceto,  il  quale  da  poco  si  era  costituito  in  compatta  ari- 
stocrazia, e,  profittando  delle  discoidie  de'  vicini  prihcipi  slavi,  d' in- 
grandire la  jiotenza  della  patria. 

Ne  freme  la  nobiltà,  ed  a  capo  del  partito  contrario  si  pone  Pietro 
Benessa,  suo  genero.  Entra  in  secreta  cointelligenza  coi  veneti,  i 
quaU  con  due  galere  fingono  di  portarsi  a  Costantinopoli,  ferman- 
dosi per  breve  tratto  presso  Ragusa.  Damiano  con  magnificenza 
accoglie  e  convita  a  lauta  mensa  i  due  sedicenti  ambasciatori,  e 
niun  inganno  sospettando,  accetta  il  consiglio  del  genero,  di  accom- 
pagnarli alle  loro  navi.  Ma  a])pena  montatovi,  levate  V  ancore, 
salparono  in  alto  mare.  Accortosi  tosto  Damiano  d'  esser  spogliato 
non  solo  del  dominio,  ma  della  stessa  libertà,  si  spacca  il  capo  contro 
r  albero  maestro  della  nave. 

„Onde  poter  sbalzare  dal  seggio  usurpato  l'unico  uomo  che  sopra 
„ quelle  rupi  abbia  agognato  all'  autocrazia,  Ragusa  credette  neces- 
„sario  di  ricorrere  all'  ajuto  veneziano.  Contro  il  proprio  chiamò 
„lo  straniero.  Preferì  esser  debole  sotto  Venezia,  anziché  forte  sotto 
„ Giuda.  E  questo  tu  il  suo  primo  grande  errore  di  stato."  ^ 

Da  quell'epoca  (1204 — 1358)  Ragusa  sogiacque  al  regime  dei 
conti  veneti.  Ed  abbenchè  i  ragusei  nel  1223  avessero  tentato 
di  sbarazzarsene,  col  rimandare  in  patria  il  conte  Giovanni  Dan- 
dolo, il  di  cui  governo  per  16  anni  era  a  loro  addivenuto  oneroso, 
ciò  non  di  meno  le  domestiche  dissensioni,  e  le  minacele  di  Venezia, 
r  indussero  a  ricercar  di  nuovo  la  protezfone  veneta,  accettando 
nuovamente  i  di  lei  conti,  a  condizioni  ben  più  dure. 

Non  trascurano  però  alcun  occasione  di  fare  atti  di  sovranità, 
sia  nel  regolare  gli  articoli  di  pace  e  di  guerra  coi  propri  vicini, 

'   Diiringsfeld  1.  e. 


sia  nel  sostenere  1'  indipendenza  della  loro  interna  amministrazione. 
Pervengono  perfine,  ciò  che  non  può  passar  inosservato;  ad  eludere 
ed  aggiornare  molte  condizioni  le  più  importanti  e  le  più  pesanti 
del  patto  conchiuso  nel  1223;  e  sopratutto  profittano  di  quest'  epoca 
di  transazione  per  migliorare  qualche  forma  amministrativa  e  gover- 
nativa, secondo  la  forma  appresa  da'  veneti.  Ed  a  quel  tempo  rice- 
vono lo  Statuto  (1272),  elaborato,  sotto  il  settimo  de'  suoi  conti 
veneti,  Marco  Giustiniani,  sulla  base  delle  costumanze  che  fino  allora 
facevano  le  veci  di  leggi. 

Alla  fine  di  questo  secolo  (1292)  un  grande  incendio  distrusse 
presso  che  tutta  la  città;  e  nella  rifabbrica  degli  ediffizt,  la  città 
venne  interamente  riordinata  e  ridotta  in  sestieri.  E  pochi  anni 
dopo  (1329)  fu  aggiunta  una  nuova  cinta  alle  mura  della  città,  e 
ristaurate  quelle  dalla  parte  del  sobborgo  Pille,  che  avevano  sofferto 
dal  tempo  ;  e  le  pietre  dovevano  esser  estratte  dallo  spazio  destinato 
pel  fossato.  Contemporaneamente  vennero  estese  le  mura  dall'  an- 
tica porta  presso  la  Dogana,  fino  al  bastione  di  s.  Luca,  ed  aperte 
nuove  porte  alla  Pescheria  e  Ptevellino,  rimanendo  rinchiuso  tra  le 
mura  il  convento  de'  Domenicani,  che  fino  a  quell'  epoca  si  trovava 
al  di  fuori. 

Ragusa  però  non  cessò  di  iottare  contro  la  tendenza  più  o  meno 
potente  di  Venezia,  divenendole  sempre  più  odiosa  e  pesante  la  di 
lei  alleanza.  Studiò  quindi  come  sbarazzarsene.  Notò  con  gioja  il 
progresso  delle  armi  di  Lodovico  il  grande  d'  Ungheria,  ed  al  suo 
ritorno  dalla  vittoriosa  spedizione  di  Napoli  (1349),  fermatosi  nelle 
acque  di  Ptagusa,  il  senato  vi  gettò  le  fondamenta  di  quelle  tratta- 
tive, che  egli  stesso  di  poi  nel  13.58  consolidò  a  Buda,  accettando 
i  Ragusei  sotto  la  clientela  dell'  Ungheria.  Sciolto  quindi  ogni  patto 
oneroso  coli'  alato  leone,  strinsero  de'  nuovi  con  Lodovico  il  grande, 
ben  diversi  da  quei  che  avevan  contratti  con  Venezia. 

I  patti  furono:  1.  che  il  re  li  accogliea  sotto  la  sua  protezione; 
2.  che  i  soli  patrizi  dovessero  avere  la  facoltà  sì  legislativa  che 
esecutiva;  3.  che  i  beni,  o  comperati,  od  acquistati  con  enfiteusi, 
0  con  dono,  pacificamente  potessero  possederli;  4.  che  essendo  il 
re  in  guerra  co'  veneti,  o  cogli  slavi,  fosse  permesso  ai  ragusei  di 
trafficare  con  loro;  5.  che  le  liti  fra  i  sudditi  del  re  ed  i  ragusei 
dovessero  esser  trattate  nel  foro  del  reo.  —  E  dall'  altra  parte 
si  obbligavano  i  ragusei  :  1 .  d'  esser  attaccati  al  re  con  i  più  stretti 
vincoh  di  fedeltà;  2.  di  esborsare  annualmente  al  medesimo  perla 


8 

protezione  accordatli,  zecchini  HOO;^  3.  che  nelle  tre  maggiori 
festività  dopo  il  vangelo  avrebbero  fatto  cantare  le  lodi  e  prosperi 
augiirt  al  re  ;  4.  che  venendo  il  re  a  Ragusa,  V  avebbero  magni- 
ticainente  ricevuto,  e  splendidamente  trattato  col  suo  seguito;  5. 
che  in  mare  ed  in  terra  si  sarebbero  insigniti  dei  regi  vesilli,  e 
quando  il  re  avesse  guerra,  gli  avrebbero  somministrate  quattro, 
od  almeno  due  galere,  od  in  luogo  di  queste,  un'  equivalente  con- 
tiibuzione  in  danaro. 

„l)a  quest'  epoca  la  storia  di  Ragusa  diviene  sempre  più  diplo- 
„matica.  I  tiattati  divengono  sempre  più  frequenti;  gli  ambasciatori 
„  viaggiano  senza  posa.  Essi  parlano  e  scrivono  incessantemente. 
„ Parlano  e  scrivono  i  suoi  dotti  ed  i  suoi  poeti.  La  fama  di  Ragusa 
^sempre  più  s'  accresce,  le  sue  ricchezze  aumentano,  e  s'  estende 
„il  suo  territorio.  Sale  Ragusa  a  sempre  maggior  altezza."  ^ 

Tutta  quest'  epoca  fu  floridissima  pel  commercio  raguseo.  Appo- 
giati  all'  amicizia  e  lega  de'  principi  di  Bosnia,  Servia,  Bulgaria, 
Rascia,  Albania,  ed  a  quella  de'  greci  imperatori,  il  loro  commercio 
si  estendeva  dalle  sponde  dell'  Adriatico,  sino  a  quelle  del  Mar 
Nero,  dove  numerose  colonie  vi  avevan  sede,  e  fra  le  altre  Sofia, 
Procupglie,  Novipazar,  Belgrado,  Ruschik,  Silistria,  Provato,  Adria- 
nopoli,  le  quali  assicuravano  a  Ragusa  una  durevole  prosperità, 
rendendola  lo  scalo  del  traffico  del  Mar  Nero.  E  mercè  il  trattato 
stipulato  nel  1358  con  Lodovico  il  grande,  poteano  commerciare  in 
tutti  i  di  lui  estesi  domini,  ed  anche  in  quei  regni,  i  di  cui  padroni 
erano  in  guerra  coli'  Ungheria. 

Come  Venezia,  e  come  tutti  gli  stati  essenzialmente  commercianti, 
Ragusa  alle  sue  speculazioni  subordinava  le  relazioni  della  sua  po- 
litica. Così  la  si  troverà  simultaneamente  alleata  de'  cavalieri  delle 
grandi  crociate  d'occidente,  e  de' saraceni;  mantenendo  rapporti  di 
commercio  coi  principi  slavi,  e  negoziando  cogl'  imperatori  d'  oriente. 
Coir  avvedutezza  della  sua  politica  essa  seppe  approfittare  con 
corraggio  e  con  prudenza  delle  circostanze  e  de'  tempi,  per  conso- 
lidare la  sua  indipendenza  a  mezzo  di  potenti  alleanze  e  di  van- 
taggiosi trattati;  ed  il  punto  principale  era,  conciliarsi  la  benevo- 
lenza di  Orbane  II,  che  veniva  dalla  conquista  dell'  Asia  minore. 
Gonfio   questi   dell'  omaggio   de'  ragusei,   accordò  loro   un  trattato 

*  L' imperatore  Leopoldo  I.  rilasciò  quest'  annuo  pagamento  tinche  i  ragusei 
avessero  al  confine  il  turco;  ciò  egualmente  fa  confermato  dall' imperatrice 
Maria  Teresa. 

'   Duringsfeld  1.  e. 


9 

di  commercio  esteso  a  Brussa  nel  1359,  verso  F  anmia  contribuzione 
di  500  zecchini,  in  forza  del  quale  ottennero  piena  libertà  e  con- 
siderevoli franchigie  per  trafficare  in  tutti  gli  stati  e  presenti  e  futuri 
del  conquistatore,  garantendo  così  l' indipendenza  nazionale.^  Pri- 
vilegi poco  dopo  (1372)  confermati  da  Amuratte. 

Sotto  il  dominio  veneto  la  navigazione  ragusea  avea  già  fatto 
giganteschi  progressi,  mercè  i  privilegi  stati  accordati  a' bastimenti 
ragusei  —  caso  unico  nella  storia  veneta  —  eguali  a  quelli  che 
avevano  i  suoi  nazionali.  Perduti  poi  alcuni  de'  privilegi  in  terra- 
ferma, nelle  vicine  Provincie  slave,  si  diedero  con  maggior  vigore  al 
commercio  marittimo,  ottenendo  dal  re  d'  Egitto,  di  Soria,  d'Iconio, 
di  Bitinia,  e  da  altri  principi  asiatici,  la  libertà  di  commercio  con 
molte  immunità  e  prerogative  (1365);  e  per  opera  di  Lodovico,  otten- 
nero da  Urbano  V.  la  facoltà  di  negoziare  cogl' infedeli,  che  dopo 
venne  confermata  dal  concilio  di  Basilea,  e  da  Paolo  III. 

Indi  strinsero  patti  commerciali  con  Martino  re  di  Sicilia,  il 
quale  li  accordò  (1387)  grandi  franchigie  ne'  suoi  stati.  Nel  #1397 
gli  ambasciatori  di  Carlo  VI,  re  di  Francia,  di  Luigi  duca  d'  Anjou, 
dei  duchi  di  Milano  e  di  Savoja,  vennero  a  Ragusa  per  sollecitare 
il  senato  a  negoziare  il  riscatto  de'  prigionieri  stati  fatti  alla  batta- 
glia di  Nicopoli  ;  e  per  gratitudine  al  disinteresse  de'  patrizi,  che 
rifiutarono  100  mila  ducati,  loro  offerti  a  titolo  d'indennità  peli' in- 
tervento ufficioso,  il  re  di  Francia  li  accordò  grandi  immunità  com- 
merciali. 

Uno  spiacevole  incidente  poi  in  questo  frattempo  pose  in  appren- 
sione il  governo  della  repubblica.  Alcuni  giovani  della  nobiltà  ave- 
vano cospirato  contro  la  libertà  della  patria,  entrando  in  secreta 
cointelligenza  coi  vicini  bosnesi.  Scoperta  però  la  trama  (1400)  i 
rei  furono  puniti  di  morte,  e  ripristinata  la  quiete  e  la  tranquillità. 

^  E'  celebre  questo  patto  nella  storia  Osmana,  per  aver  da<o  origine  al 
Tughrà,  0  cifra  dei  sultani,  che  apponesi  in  capo  ai  più  solenni  diplomi 
e  documenti  dello  stato.  Orbane,  anziché  sottoscrivere  la  detta  convenzione, 
immerse  la  mano  nell'inchiostro,  e  la  impresse  sulla  pergamena.  Questa 
informe  impressione  della  mano  e  dei  cinque  diti,  fu  di  poi  consecrata 
all'uso,  ed  anche  oggidì  conservata  come  Tughrà,  o  firma  del  sultano. 
Soltanto  venne  col  tempo  ingentilita  dagli  scrivani  la  dimensione  e  l'aspetto, 
ed  inserito  anche,  per  mezzo  di  lettere  intrecciate  a  quelle  aste  o  linee 
principali,  il  nome  dell'  imperatore,  quello  di  suo  padre,  il  qualificativo  di 
Kan,  e  1' epiteto  di  sempre  vincitore,  che  Abdul-Megjid  salito  al  trono 
ha  creduto  bene,  per  le  rotte  antecedentemente  patite  dalle  truppe  otto- 
mane, di  ommetterlo. 


10 

Se  la  politica  dei  ra^aisei  era  più  che  tollerante,  non  per  questo 
scemava  in  essi  il  sentimento  religioso.  Già  nel  XI  secolo  elevarono 
la  propria  sede  vescovile  —  trasportata  da  Epidauro  —  a  metro- 
politana; nel  1023,  in  seguito  a  voto  fatto  neir  occasione  dell'in- 
cendio scoppiato  in  città,  venne  eretto  nell'  attigua  isola  di  Lacroma 
un  monastero  benedettino.  Con  gioja  ricevettero  s.  Francesco 
d'  Assisi,  che  tornando  da  Soria  approdò  a  Ragusa  (1220),  fon- 
dando indi  un  convento  pel  suo  ordine.  Non  molto  dopo  innalzarono 
pure  un'  altro  all'  ordine  domenicano.  Aprirono  quindi  monasteri 
anche  per  le  monache. 

Il  territorio  di  Ragusa  venne  pure  sensibilmente  accresciuto.  Nel 
sec.  XIII  si  fece  acquisto  dell'  isola  di  Lagosta,  che  apparteneva 
al  principato  di  Zac'hulmia,  venduta  alla  repubblica  (1216)  da  Ne- 
magna  II,  gran  giuppano  della  Rassia,  il  quale,  coronato  re  per 
concessione  di  Onoiio  II,  assunse  il  nome  di  Stefano  II,  sovra- 
nominato  Grappalo,  e  conosciuto  sotto  1'  appellativo  di  Prvovjen- 
cani  (primo  incoronato).  Neil  successivo  secolo  XIV,  per  le  ces- 
sioni di  Uros  re  di  Serbia^  i  ragusei  estesero  il  loro  dominio  (1323) 
sui  vicini  villaggi  di  Bossanka,  Bergatto,  ed  Ossoinik;  indi  nel 
1333  ottennero  da  Stefano  di  Serbia,  con  titolo  quasi  di  feudo,  la 
penisola  di  Stagno,  con  tutte  le  isole  situate  presso  la  foce  del 
tìume  Narenta,  e  quelle  adjacenti  alla  penisola  dalla  sua  parte 
meridionale.  Acquistarono  indi  le  terre  di  Primorje,  fra  Valdinoce 
ed  Imotiza  di  Stagno,  da  Ostoja  re  di  Bosnia  nel  1399;  ed  al  prin- 
cipio del  seguente  secolo  comprarono  la  contrada  di  Canali  dai 
vojvode  Sandalj  Hranic,  e  Radoslavo  Pavlovic;  con  che  chiusero 
la  serie  degli  acquisti  territoriali. 

Allora  lo  stato  della  repubblica  raggiunse  l'  estensione  di  120 
miglia  in  lunghezza,  da  oriente  ad  occidente,  e  di  12  miglia  nella 
massima  larghezza  ;  abbracciando  un  circuito  di  340  miglia  tra  isole 
e  continente.  Insigniiicante  estesa  territoriale,  se  a  questa  non  fosse 
unita  una  delle  più  grandi  importanze  storiche  fra  gli  stati  slavi 
di  queir  epoca,  e  dei  secoli  posteriori. 

Nel  prender  però  possesso  dei  territori  suacennati,  la  repubblica 
ha  dovuto  sostenere  seri  conflitti.  I  Lagostani,  dopo  una  generale 
sollevazione  contro  i  nuovi  padroni,  abbandonati  dall'  appoggio  dei 
Rassiani,  si  assoggettarono.  Non  così  facilmente  riesci  alla  repubblica 
di  prender  possesso  di  Primorje;^  poiché  scorgendo  i  gentilotti"  di 

'   Primorje,  ordinariamente  nei  vecchi  documenti  è  chiamato  col  nomo  di 


11 

quelle  contrade,  che  quel  territorio  veniva  diviso  fra  la  nobiltà  e 
la  cittadinanza,  e  che  per  tal  guisa  venivano  spogliati  dei  loro 
terreni,  fecero  vigorosa  opposizione,  appoggiati  alla  giusta  ragione, 
che  la  repubblica  aveva  fatto  acquisto  dell'  alto  dominio  della  con- 
trada, e  non  già  del  dominio  utile  della  medesima.  „Io  scrivo  la 
„ storia  —  dice  Resti  nella  sua  cronaca  mss.  —  ma  non  so  difender 
^il  senato  in  una  così  fatta  azione;  so  bene  che  in  tutte  le  sue 
«procedure  ha  mostrato  rettitudine  e  giustizia.  Negli  archivi  pubblici 
„  nulla  trovo  per  cui  si  de  venne  ad  una  così  violenta  azione,  trovo 
„bensì,  che  per  questo  motivo  fra  poco  tempo  di  poi  non  si  potessero 
^conservare  le  isole  di  Curzola,  Lesina  e  Brazza  sotto  il  dominio 
„della  repubblica  di  Ragusa,  mentre  quei  isolani,  per  timore  che  li 
„ succedesse  come  a  quei  di  Primorje,  operarono  tanto  che  si 
„ sottrassero  dal  di  lei  vassallaggio." 

Ed  infatti,  assoggettati  i  Primorjani,  a  mano  armata,  e  coirajuto 
di  Sigismondo,  ottennero  poco  dopo  i  ragusei  dal  medesimo  re 
le  isole  di  Curzola,  Lesina,  e  Brazza;  ma  dovettero  ben  presto 
evacuarle,  poiché,  sollevatisi  quegF  isolani,  mercè  1'  assistenza  di 
Vladislao  Sachez^  cancelliere  del  regno,  nativo  da  Narenta,  e  favo- 
rito della  regina,  venne  revocata  la  cessione  fatta,  per  istigazione 
della  regina  stessa,  sul  pretesto,  che  i  ragusei  non  avrebbero 
rispettato  in  quelle  isole  la  proprietà  di  quei  possidenti.  Furono 
cedute  quindi  al  favorito  di  Barbara,  il  quale  poco  dopo  le  ven- 
dette ai  veneti. 

Ben  più  serie  difficoltà  trovò  poi  la  repubblica  nel  prender 
possesso  delle  terre  di  CanaU.  Con  Sandalj  Hranic  stipulò  il  con- 
tratto nel  1420  per  la  sua  porzione  di  Yitaghna  fino  al  caste! 
Soko.  Dietro  a  ciò  si  venne  alla  ripartizione  dei  terreni,  il  che 
diede  motivo  ai  Canalesi  ad  un'  aperta  ribelhone.  Venne  sedata 
tosto  a  mano  armata,  e  puniti  i  ribeUi  col  taglio  delle  mani,  de' 
piedi  ecc.  Ottenuta  anche  1'  altra  parte  di  Canali  da  Radoslavo 
Pavlovic  nel  1427,  anche  qui  la  ripartizione  causò  generale  malu- 
more. Fu  mandata  la  truppa,  e  proclamata  la  taglia  di  1000  zecchini 
contro  tre  capi  ;  e  parecchi  consanguinei  del  Pavlovic  furono  espulsi. 
Radoslavo  pretese  allora  di  annullare  il  contratto,  facendovi  delle 
irruzioni  nel  territorio  raguseo  ;  e  la  repubblica  in  questa  circostanza 
fece  fare  delle  fortificazioni  a  Ragusavecchia.  Appena  nel  1432  fìi 
conchiusa  la  pace  col  Pavlovic,  e  sedata  la  ribellione. 

„Terre  nuove",  a  differenza  del  territorio  da  Breno  a  Valdinoce,  che 
per  la  sua  antichità  portava  il  nome  di  „Terre  vecchie"  od  „Astarea". 


Duile  iliscorpie  dei  principi  slavi  prevedevano  i  raj^usei  la  rovina 
di  que'  stati,  né  cessavano  di  darne  opportuni  consigli  in  ogni  in- 
contro, [)er  mantenere  fra  di  loio  la  buona  armonia  e  la  concordia. 
Ra|)presentavano  a  loro,  quanto  erano  pericolose  in  quelle  circo- 
stanze la  disunioni  fra  i  principi  cristiani,  per  non  vedervi  frammi- 
schiate le  armi  turche,  col  pretesto  di  ajutare  taluno  di  essi,  ma 
in  effetto  i)er  opprimere  tutti  ;  e  li  offerivano  la  propria  opera  per 
agevolare  V  unione^  da  cui,  dicevano,  dipendere  la  salute  dei  regni 
slavi. 

Rinunziano  quindi  alla  proposta  del  Pavlovié  di  ricevere  le  ca- 
stella (li  Klobuk  e  Trebinje,  abbencliè  fosse  in  loro  innato  il  desi- 
derio d'  ingrandire  i  propri  stati,  ritenendo  non  esser  prudente 
in  quelle  poco  felici  circostanze  d'  ingerirsene.  Per  atto  pure  di 
prudenza  non  accettano  la  proposta  di  Elisabetta  d'  Ungheria,  di 
prender  possesso  della  città  d'  Almissa,  assediata  da  Cosaccia,  per 
non  entrar  in  aperta  guerra  col  medesimo,  e  dar  motivo  d'  inter- 
vento all'  armata  turca  nei  paesi  finitimi. 

Ed  abbenchè  sotto  la  protezione  ottomana,  i  ragusei,  eredi  della 
pietà  verso  gli  oppressi  e  perseguitati,  non  trascurano  incontro  alcuno 
per  favorire  i  principi  cristiani  contro  la  forza  dei  propri  protettori, 
esponendosi  il  più  delle  volte  a  gravissimi  pericoli. 

Amuratte  si  sdegna  fortemente  pella  buona  accoglienza  fatta  a 
Giorgio  despota  di  Servia,  il  quale,  vedendosi  minacciato  da' turchi, 
approda  a  Ragusa  e  vi  deposita  i  suoi  tesori.  Il  sultano  spedisce 
tosto  un  suo  ministro  per  chiederne  dalla  repubblica  il  tributo. 
Questa  gli  manda  ambasciatori,  dando  loro  la  seguente  commissione. 
Se  li  fosse  dimandato  il  tributo,  dovessero  rispondere:  la  città  di 
Ragusa  esser  stata  sempre  libera  e  franca,  ne'  mai  aver  dato  veruna 
somma  al  padre  suo,  né  ad  alcun  de'  suoi  antenati,  a  riserva  di 
lui  solo,  nove  anni  prima,  per  ringraziarlo  dei  buoni  trattamenti 
che  facea  ai  mercanti,  che  allora  per  sua  grazia  godevano  molti 
privilegi.  Che  se  poi  avesse  voluto  considerare  le  grandi  utilità 
che  dalle  gabelle  pagate  dai  mercanti  ragusei  ricavava  il  suo  erario, 
vedrebbe  pagarglisi  dai  ragusei  più  di  qualsiasi  altra  città  del  suo 
impero.  E  perchè  i  turchi  opponevano  i  tributi  pagati  all'  Ungheria 
ed  alla  Bosnia,  fu  disposto  di  rispondere,  non  esser  tributi,  ma 
piccola  pensione  per  affitto  di  alcuni  terreni  a  loro  appartenenti. 
Così  pure  alcuni  pagamenti  fatti  ai  suoi  antecessori,  da  Sultan  Orhan 
in  poi,  averli  dati  per  la  protezione  de'  mercanti  ne'  paesi  turchi, 
e  non  mai  a  titolo  di  tributo.  Circa  V  accoglienza  fatta  al  despota, 


13 

fu  accomesso  di  rispondere,  che  ciò  era  conveniente;  e  se  anche 
non  l'avessero  conosciuto,  che  avrebbero  dovuto  farlo,  mentre  per 
ripatriare  avea  toccato  Ragusa,  alla  quale  importava  mostrarsi  grata 
ad  ognuno,  giacché  i  suoi  cittadini  praticavano  quasi  tutta  V  Europa, 
ed  erano  da  per  tutto  accettati  con  benevolenza.  Che  se  poi  era 
stato  servito  con  una  galeotta,  il  despota  F  avesse  fatta  armare  per 
sospetto  delle  fuste  Catalane  ed  altri  corsari,  che  infestavano  quei 
mari.  Relativamente  ai  depositi  fatti  dal  despota,  dovesser  rispon- 
dere :  ognun  con  sicurtà  poter  depositare,  e  ciò  esser  seguito  per 
mano  di  un  monaco  basiUano,  in  sacchi  legati  e  sigillati,  che  esso 
despota  poteva  levare  quando  voleva. 

Caduta  indi  la  Servia  sotto  il  giogo  turco,  Giorgio  si  salva  a 
Ragusa,  e  tutto  il  tesoro  raccolto  in  quel  dovizioso  regno  aggiunse 
a  quello  di  già  depositato.  Amuratte  propone  ai  ragusei  perpetua 
pace  e  protezione,  promette  molte  castella  e  città  nei  finitimi  stati 
slavi,  di  più  la  Hbertà  d'  impadronirsene  di  tutti  i  tesori  del  de- 
spota, purché  glielo  consegnassero  nelle  mani.  In  caso  contrario 
minaccia  totale  esterminio. 

Il  senato  in  pieno  consiglio  fa  conoscere  queste  proposte  al'  infelice 
principe.  Ed  abbenché  si  fosse  appena  rimesso  il  pubbhco  erario 
dai  gravi  disastri  della  peste  che  devastava  (1434)  il  territorio  di 
Ragusa,  il  despota  viene  fornito  di  opportuni  mezzi,  per  poter 
co'  suoi  tesori  salvarsi  in  Ungheria,  e  riacquistare  indi  il  perduto 
regno.  Le  truppe  ottomane  erano  sulle  frontiere;  ciò  non  ostante 
il  senato  risponde  all'  intimazione  con  un  rifiuto.  Irritato  Amuratte 
si  vendica  sui  mercanti  ragusei  che  si  trovano  nel  suo  impero;  ma 
non  può  a  meno  di  esclamare:  „uno  stato  che  rispetta  a  questo 
segno  le  leggi  dell'  ospitalità,  non  può  perire."  —  E  gli  amba- 
sciatori speditigli  ottengono  senza  difficoltà  la  continuazione  della 
pace  (1441). 

Due  eroi  cristiani  arrestavano  allora  1'  impetuoso  torrente  delle 
vittorie  ottomane  ;  lo  Skenderbeg,  principe  d' Epiro,  e  Giovanni 
Unniade.  Ragusa  forniva  1'  uno  e  1'  altro,  secondo  la  propria  possi- 
bilità, di  armi  e  munizioni;  anzi  lo  Skenderbeg,  abbandonato  quasi 
da  tutti,  veniva  sostenuto  da'  soli  ragusei  nell'  eroica  sua  intrapresa 
contro  il  turco,  ed  emmissari  spediti  in  Albania  incorraggiavano 
quella  nazione  contro  il  comune  nemico.  Concorsero  alla  squadra 
pontificio-veneta  (1444)  con  due  galere,  e  con  una  nave  di  tra- 
sporto. Disfatta  indi  l' armata  cristiana,  vennero  spedite  navi  in  Al- 
bania per  salvare  gli  eroi  ed  i  loro  commilitoni. 


14  ♦ 

In  ([uesto  frattempo  giavi  peripezie  sofferse  Ragusa  nel  proprio 
territorio.  Cosaccia,  che  sempre  nutriva  un  animo  ostile  contro  la 
repubblica,  invase  il  territorio  di  Canali,  passando  tutto  a  ferro  e 
fuoco.  Ritenendo  indi  la  città  sfornita  di  truppe,  mosse  contr'  essa 
con  16  mila  armati,  e  vi  piantò  sopra  s.  Orsola  la  batteria.  In  tali 
critiche  circostanze  il  senato  (11  sett.  1451)  proclamò  pubblico 
bando  a  suon  di  tromba,  ponendo  la  taglia  contro  Stefano  Cosaccia, 
patrizio  raguseo  —  titolo  che  in  antecedenza  la  republdica  gli 
aveva  conferito,  come  lo  conferiva  pure  ai  i)iù  distinti  vojvode  e 
duchi  vicini  —  senza  nominarlo  duca  di  Chelmo.  Ma  né  così, 
né  con  altre  secrete  mene,  potè  disfarsi  del  proi)rio  nemico,  fino 
a  che  Maometto,  occupata  Costantinopoli,  non  gì' impose  di  rappa- 
cificarsi coi  ragusei,  di  restituir  a  loro  quanto  aveva  occupato,  e  di 
risarcirli  de' danni  arrecatili.  Eguali  ordini  e  più  risoluti  giunsero 
dall'  Ungheria. 

La  repubblica  non  aveva  nulla  ancor  stipulato  colla  Porta  otto- 
mana, che  i  porti  e  territorio  dello  stato  raguseo  sieno  considerati 
come  neutrali,  quando  desse  asilo  a  qualche  famiglia  greca  di  Co- 
stantinopoli, dopo  che  questa  fu  presa  da  Maometto  IL  Ciò  nondimeno 
accorda  generosa  ospitalità  ai  Lascari,  ai  Conmeni,  ai  Cantacuzeni, 
che  sotto  la  porpora  nascondevano  le  miserie  dell'  esilio.  Si  onora 
egualmente  nell'  accogUere  i  dotti  dalla  Grecia,  tra  i  quali  Andrea- 
Giovanni  Lascari,  Demetrio  Calcondilla,  Emanuele  Marulo,  Paolo 
Tarcagnota  (padre  dello  storico  Giovanni),  senza  nominarne  tanti 
altri  distinti  letterati,  che  sparsero  il  buon  gusto  delle  lettere  greche 
in  occidente. 

Otto  anni  dopo  la  presa  di  Costantinopoli  (1462)  le  armi  otto- 
mane assoggettarono  il  regno  di  Bosnia  ;  e  Maometto  si  accinse  alla 
conquista  delle  città  marittime,  avendo  in  particolar  mira  Ragusa. 
Venne  quindi  fortiticata,  atterrati  tutti  gh  edilìzi  nei  sobborghi, 
fatti  pili  profondi  i  fossati,  guernite  le  mura  di  fortificazioni,  ed 
eretto  il  forte  Revelliuo  alla  porta  orientale  della  città.  Ricovratosi 
a  Ragusa  Gismondo  Malatesta,  il  quale,  per  esser  stato  scacciato 
dal  pontefice,  volea  passar  in  oriente  per  condurre  1'  armata  turca 
in  Italia;  venne  persvaso  a  desistere  dal  concepito  progetto,  ed 
indotto  a  fermarvisi  in  quaUtà  di  generale  di  tutto  lo  stato  raguseo. 
Lo  stesso  Pontefice  Pio  li.  si  decise  di  rinchiudersi  fra  le  mura  di 
Ragusa,  per  attirare  i  principi  cristiani  a  collegarsi  contro  gF  infe- 
deh  ;  il  che  non  potè  effettuare  per  la  morte  sopraggiuntagli.  Fortu- 
natamente però  il  sultano,  arrivato  a  Sutjeska,  retrocesse  colla 
truppa,  desistendo  dal  concepito  progetto. 


15 


Distrutti  dalle  armi  ottomane  gli  ultimi  avanzi  del  regno  slavo, 
lo  stato  della  repubblica  rimase  circondato  da  ogni  dove  dal  terri- 
torio turco.  Perduta  quindi  ogni  speranza  d'  ingrandimento,  i  ra- 
gusei si  dedicarono  alla  navigazione^  appoggiati  al  fermano  impe- 
riale che  li  favoriva,  e  che  ogni  bastimento  portava  seco^  insieme 
alla  patente  della  propria  repubblica. 

Sul  finir  del  secolo  XY  ed  al  principio  del  XVI,  Ragusa  giunse 
air  apice  di  benestanza  e  di  floridezza.  In  quest'  epoca  vennero  inal- 
zate magnifiche  fabbriche  di  edifici  pubblici  e  privati,  che  poi  in 
massima  parte  crollarono  nel  grande  terremoto^  rimanendoci  alcuni 
pochi,  per  darci  un'  idea  della  benestanza  di  que'  tempi.  Tutta 
questa  opulenza  proveniva  dal  commercio,  ed  a  questo  Ragusa  deve 
la  sua  principale  istorica  importanza. 

La  repubblica  già  sotto  Urbano  V.  aveva  ottenuta  la  facoltà  di 
negoziare  cogl'  infedeli,  facoltà  the  poi  le  venne  confermata  nel 
concino  di  Basilea  (1433),  ed  indi  da  Paolo  III  (1469).  Ottenne 
di  poi  (1510)  da  Abunassar  Causer  Gauro  re  de' Mamalucchi,  il 
traffico  ed  il  passo  libero  delle  mercanzie  d'  Egitto  e  di  Seria. 
Questo  trasporto  delle  merci  dalle  Indie,  divenne  una  specie  di 
privativa  de'  Ragusei.  E  durante  la  lunga  guerra  de'  veneziani  e 
genovesi  coi  turchi,  tutto  il  ricco  commercio  di  levante  era  nelle 
loro  mani,  avendo  saputo  con  un  tratto  di  fina  politica  destramente 
ottenere  dalla  Porta,  che  le  potenze  in  rottura  col  Gran  Signore, 
potessero  mettere  in  sicuro  i  loro  legni  e  le  facoltà  ne'  porti  della 
repubblica. 

Mancato  poi  il  gran  commercio  della  Soria  e  dell'  Egitto,  i  ra- 
gusei diressero  la  loro  marina  verso  l' occidente,  avendo  di  già 
Ferdinando  V.  ed  Elisabetta  di  Spagna  accordato  loro  molti  privi- 
legi nel  1494,  riconfermati  poi  negli  anni  successivi.  Nel  1508 
Luigi  XII  di  Francia  li  accordò  gli  stessi  privilegi,  diritti  e  libertà, 
che  godevano  i  mercanti  degli  altri  suoi  regni,  provincie  e  domini; 
ed  inoltre  volle,  fossero  riguardati  tutti  ed  ognuno  separatamente, 
come  suoi  fedelissimi,  accolti  e  presi  sotto  speciale  sua  protezione, 
difesa  e  salvaguardia. 

Le  colonie  nella  Turchia  erano  pure  a  quest'  epoca  floridissime. 
Ben  mille  some  cariche  di  diverse  merci  comparivano  a  Ragusa,  ed 
altrettante  venivano  rimandate  a  diverse  piazze  dello  stato  otto- 
mano ;  il  valsente  delle  quali,  massime  dalle  carovane,  passava  200 
mila  talleri  per  volta.  Neil'  ItaUa  pure,  come  si  disse,  vi  erano  in- 
numerevoli colonie,  e  si  rassodò  il  commercio  nelle  città  di  Romagna, 


Marca,  Abbruzzo,  Pugliii,  Calabria,  e  Sicilia,  apportando  immensi 
vantaggi.  Le  due  principali  colonie  che  si  avevano  in  Italia,  e  da 
cui  dipendevano  le  altre,  erano  la  Fiorentina  e  la  Messinese.  La 
prima  —  che  diede  nome  di  strada  de'  ragusei,  ad  una  contrada 
di  Firenze  —  regolava  le  colonie  delle  città  dello  stato  ecclesia- 
stico; e  la  Messinese,  che  era  fissata  in  Siracusa,  ed  in  un  castello 
fabbricato  da'  ragusei  sulle  rovine  di  Camerana,  detto  poi  per  questo 
Ragusa,  aveva  sotto  di  se  quelle  delle  città  della  Calabria,  Puglia, 
ed  Abbruzzo.  I  legni  ragusei  trasportando  ordinariamente  le  merci 
a  Ragusa,  le  trasmettevano  poi  alle  colonie  di  levante,  percependo 
così  doppio  vantaggio. 

Le  arti  e  V  industria  mirabilmente  contribuivano  al  benessere 
della  repubblica.  Pietro  Pantella,  fiorentino,  nel  1490,  v'introdusse 
r  arte  di  far  i  panni.  Nel  1530  Nicolò  Luccari  portò  1'  arte  di  tessere 
i  drappi  e  veluti  di  seta.  La  zecca,  le  tintorie,  la  pesca  de'  coralli, 
la  fonderia  dei  cannoni,  la  fabbrica  de'  vetri,  quella  della  polvere, 
delie  cererie;  delle  conciapelli,  il  traffico  del  sale,  i  cantieri  pella 
costruzione  navale,  le  arti  degU  orefici,  argentieri,  fabbri  ferrai,  cal- 
zolai (che  provvedevano  tutte  le  vicine  Provincie  ottomane  di  pa- 
puzze)  animavano  ogni  ramo  d'industria^  ricchiamandovi  moltissime 
famiglie  forastiere.  Ed  allo  scorcio  del  sec.  XV  Ragusa  coi  sobborghi, 
come  attesta  il  contemporaneo  De  Diversis,  numerava  una  popo- 
lazione di  40,000  abitanti;  e  la  cassa  pubblica,  supplite  l'enormi 
spese  durante  la  peste  (1400),  ascendeva  a  sette  millioni  di  zecchini; 
e  la  dogana,  dopo  le  guerre  tra  Venezia  ed  il  turco,  fruttava  80 
mila  zecchini  all'  anno. 

Delle  facoltà  de'  privati  non  se  ne  parla.  Un  Matteo  Luccari, 
mercante  raguseo  in  Bosnia,  fu  in  grado  di  ospitare  regalmente 
Sigismondo  d'  Ungheria  e  Stefano  despota  di  Servia,  dopo  la  loro 
disfatta  presso  Semendria,  fornendoli  di  15.000  zecchini  al  momento 
della  loro  partenza.  Michele  Prazatto^  legò  alla  patria  l' ingente 
somma  di  200.000  genuine,  collocate  in  Genova;  ed  i  soli  nego- 
zianti della  parte  della  città,    denominata  Prieko,   disponevano 

'  Questi  fìi  quegli,  che  dopo  aver  fatto  parte  con  12  sue  caracche  della  squadra 
di  Carlo  V.  (e  la  caracca  era  nave  della  grandezza  delle  attuali  fregate  di 
primo  ordine),  e  co'  suoi  grandi  bastimenti  portato  ingenti  carichi  di  gra- 
naglie nella  Spagna,  allora  desolata  da  terribile  carestia  e  fame,  chiesto 
da  Carlo,  se  voleva  onori,  titoli,  impieghi,  rispose:  „Sire,  io  sono  abba- 
stanza ricco,  per  non  accettar  l'icchezze;  sono  re  sulle  mie  caracche,  per 
non   cercar  onori;   sono   cittadino   libero   di   Ragusa  mia  patria,  per  non 


17 

del  vistoso  capitale  di  200,000.000  di  ducati.  Tali  erano  le  co- 
lossali fortune  di  Ragusa  alla  fine  del  sec.  XV.,  ed  al  principio 
del  XVI.! 

La  buon'  armonia  della  repubblica  colla  Spagna  faceva  sì,  che 
le  navi  ragusee  mercantili  e  da  guerra  fossero  di  spesso  al  servizio 
di  quella  corona  ;  e  nella  conquista  di  Portogallo  40  navi  ragusee 
erano  a  sua  disposizione.  Intiepiditesi  però  le  relazioni  coli'  Un- 
gheria, collo  estendersi  della  potenza  turca,  e  per  un  incidente 
occorso  ad  una  nave  ragusea  che  portava  un  carico  a  conto  della 
Spagna,  predato  da  un  corsaro;  Carlo  V.,  cintosi  anche  di  quella 
corona,  vivamente  se  ne  risentì,  sospettando  secreti  accordi  colla 
Turchia.  Fece  intender  il  suo  malcontento  alla  repubblica,  e  le 
proibì  (1511)  ogni  commercio  sui  mari  e  ne'  porti  a  lui  soggetti. 
A  placarlo  fu  duopo  accondiscendere  che  tutte  le  navi  ragusee  da 
guerra  e  mercantili,  lo  seguissero  nelle  malaugurate  spedizioni  sulle 
coste  dell'Africa  (1535). 

Oltre  300  capitani,  con  rispettive  navi,^  fecero  parte  a  quelle 
spedizioni,  nelle  quali  miseramente  perirono.  Neil'  impresa  di  Tunisi 
furono  distrutte  18  navi  ragusee,  con  tuttala  gente  di  equipaggio^; 
in  quella  d'  Algeri,  dove  erano  unite  alla  flotta  cesarea  14  navi,  li 
toccò  eguale  sfortuna,  perchè  gettate  a  terra  da  un'  orribile  tem- 
pesta si  sfasciarono  e  la  ciurma  ragusea  fìi  vittima  degli  algerini, 
salvandosi  a  Majorca  quattro  navi  soltanto,  con  pochi  legni  spa- 
gnuoli.  Nella  terza  spedizione  poi  contro  Tripoli,  i  ragusei  perdettero 
sei  navi,  equipaggiate  di  nazionali.  Altre  gravi  perdite  sofferse  Ra- 
gusa nelle  proprie  navi  e  nella  propria  gente,  perite  del  mar  della 
Manica  e  delle  Indie  sotto  i  Filippi  IL,  III.  e  IV. 

cercar  titoU;  qual  memoria  della  Sovrana  Vostra  grazia  cedetemi  quest' 
asciugamano."  —  Carlo  iu  quel  momeuto  si  facea  rader  la  barba.  Stordito 
a  tanta  grandezza  d'  animo,  glielo  porse  ;  e  questo  asciugamano  si  conserva 
tuttora  nel  tesoro  della  chiesa  matrice  dell'  isola  di  Mezzo. 

*  Le  dette  navi  erano  di  grande  portata.  Nella  chiesa  parrocchiale  di  Mezzo 
si  conserva  tuttora  la  fiammola  della  nave  di  Prazatto,  la  cui  larghezza  e 
lunghezza  mostra,  che  queste  navi  erano  smisurate.  Nella  squadra  di  Pietro 
Iveglia  Ohraucevic,  composta  di  12  galeoni,  si  contavano  3200  tra  soldati 
e  marinai. 

*  La  perdita  di  tanti  ragusei  sulla  detta  flotta,  ha  dato  origine  al  detto: 
Trista  Vica  Udovica;  trecento  Vincenze  rimaste  vedove  nel  medesimo 
giorno,  tutte  dell'  Isola  di  Mezzo.  Per  quanto  questo  numero  possa  sembrar 
esagerato,  è  certo  però  che  in  quella  floridissima  epoca  Mezzo  contava 
oltre  14.000  abitanti,  mentre  al  presente  non  ha  che  circa  500. 

2 


18 

La  morte  di  molte  mii^^liaja  di  scelti  j'iovani,  affogatisi  sotto  Tu- 
nisi, Algeri,  Tripoli  e  nell'  Oceano,  mentre  secondavano  le  guerre 
degli  spagnuoli  contro  i  francesi,  gli  olandesi,  ed  inglesi  ;  e  la 
perdita  in  70  anni  di  178  navi,  e  le  rimanenti  fino  alle  800,  che 
contava  la  marina  ragusea  a  queir  epoca,  susseguentemente  distrutte 
nella  squadra  detta  delle  Indie;  l'è  sì,  che  la  marina  ragusea  si 
trovò  quasi  spenta. 

Da  qui  principia  la  decadenza  di  Ragusa,  susseguita,  meno  poche 
eccezioni,  da  un'  illiade  di  disastri. 

La  flotta  pontificia  (1538)  comandata  da  Marco  Grimani,  patriarca 
d' Aquileja,  fa  prigioni  150  isolani  di  Mezzo,  fra  i  quali  quattro 
patrizi,  e  14  capitani,  mettendo  a  sacco  e  case  e  chiese  di  quel- 
l'isola. Ambasciatori  spediti  raggiungono  a  Molonta  la  flotta,  e  si 
dolgono  col  patriarca,  il  quale  là  tutto  restituire  agi'  inviati,  pro- 
promettendo il  rimborso  pei  danni  al  suo  ritorno.  I  prigionieri  otten- 
gono la  libertà,  mentre  alcuni  dell'  isola  di  Mezzo,  Giuppana,  Cala- 
motta  e  Ragusavechia,  che  erano  ottimi  marinai,  vengon  trattenuti 
al  servizio  aell'  armata. 

Dopo  r  infelice  esito  contro  gì'  infedeli,  la  flotta,  al  di  lei  ritorno, 
ripreso  ai  turchi  Castelnuovo,  minaccia  di  saccheggiar  Ragusa  ed 
impadronirsi  di  Stagno.  I  turchi  poi,  insospettitisi  del  soccorso  dato 
ai  veneti,  minacciano  la  repubblica  di  esterminio.  L'  ammiraglio  ve- 
neto Doria  però,  prende  le  difese  de'  ragusei,  ed  invia  il  valente 
ingegnere  Antonio  Ferramolino,  che  vuoisi  fosse  nativo  da  Bergatto 
presso  Ragusa,  per  fortificare  la  città. 

La  corte  di  Francia  stimola  Solimano  ad  invader  il  regno  di 
Napoli,  a  danno  degli  Spagnuoh.  La  flotta  turca  arriva  nelF  Adria- 
tico ,  s' impossessa  abusivamente  di  vari  carichi  de'  bastimenti  ra- 
gusei, e,  scorrendo  per  la  Dalmazia,  fa  moltissimi  schiavi  dell'uno 
e  dell'  altro  sesso,  recando  de'  danni  anche  all'  isole  del  dominio 
della  repubblica  (1566).  Il  senato  in  quest'  occasione  dà  nobil 
esempio  d'  umanità  e  carità  cristiana,  riscattando  le  vittime  verso 
non  indifferente  somma,  e  restituendole  alle  loro  patrie;  ammettendo 
poi  fra  la  propria  figliuolanza  que'  fanciulli ,  de'  quali  s' ignoravano 
la  patria  ed  i  genitori. 

Di  bel  nuovo,  durante  la  guerra  di  Sehmo  (1570)  contro  i  veneti^ 
la  flotta  turca  commette  degli  eccessi  e  fa  molti  schiavi  nel  terri- 
torio raguseo,  vendicandosi  così  dell'  aderenza  della  repubblica  a 
Filippo  II.  I  ragusei  ricomprano,  fra  gli  altri,  V  abate  ed  un  monaco 
di  Giuppana,  fatti  prigioni;  e  nella  tema  di  più  serie  conseguenze 


19 

prendon  al  servìzio  Saporoso  Matteucci,  nobile  dì  Fermo,  già  gene- 
rale e  rinomato  ingegnere,  per  costruire  il  bastione  di  s.  Margarita, 
e  fortificare  di  nuovo  la  città. 

I  corsari,  turchi  infestano  1'  Adriatico  ;  depredano  il  monastero  di 
Lacroma,  e  quindi  quello  *di  Meleda ,  uccidendone  vari  monaci;  ed 
obbligando  gli  abitanti  a  rintanarsi  nelle  caverne.  Dietro  a  ciò 
gli  Uscocchi  da  Fiume  e  Segna  armansi  contro  Ragusa,  per  ven- 
dicare la  uccisione  seguita  nelle  zuffa  di  uno  de'  loro  vojvodi.  Il 
senato  mette  in  armi  la  penisola  (1577).  Vengono  però  per  mo- 
mento placati  mercè  1'  intervenzione  di  Gregorio  XIII;  ma  ricom- 
pariscono poi  nel  1612  a  Ombla.  e  saccheggiano  Trebinje;  pei  quali 
danni  la  corte  di  Costantinopoli  minaccia  ingiustamente  Ragusa. 

Insorta  la  guerra  per  la  morte  di  Francesco  Gonzaga  tra  il  duca 
di  Savoja  ed  i  veneziani  da  una  parte,  e  tra  Filippo  HI.  e  Ferdi- 
nando dall'  altra  ;  la  repubblica  si  dichiara  per  la  Spagna.  La  flotta 
veneziana  costretta  da  una  burasca  si  ritira  a  Gravosa,  e  si  vendica 
della  parzialità  de'  ragusei  verso  la  flotta  del  vice-re  di  Napoli 
duca  d'  Ossuna,  stata  accolta  nei  loro  porti  e  provveduta  del- 
l' occorrente. 

A  ciò  tutto  si  aggiunga  la  ribellione  (1602)  de' Lagostani,  che 
tentarono  di  passare  sotto  il  dominio  veneto.  Sollecitamente,  sco- 
perta la  trama,  furono  spediti  600  armati  per  presidiare  il  castello, 
ed  opporsi  allo  sbarco  delle  navi  veneziane,  che  a  questo  fine  erano 
giunte  in  quelle  acque.  Impossessatisi  però  poco  dopo  i  veneziani 
a  tradimento  della  detta  isola,  la  restituirono  nel  1606,  in  seguito 
a  severe  intimazioni  della  Porta. 

Tutte  queste  calamità  non  furono  che  il  presagio  di  più  tremendo 
disastro. 

Era  il  dì  6  aprile  1667,  giorno  di  mercoledì  santo,  quando  pel 
consueto  si  raccoglieva  il  consiglio  generale  per  accordar  grazie 
ai  delinquenti.  Tutto  ad  un  tratto,  alle  ore  9  antim.,  senza  che  si 
abbia  potuto  minimamente  presentire,  una  breve  ma  forte  scossa 
di  terremoto,  ridusse  due  terzi  della  città  in  un  mucchio  di  rovine. 
A  ciò  si  aggiunse  un  generale  incendio,  che  portò  il  turbamento  e 
la  disperazione  nei  pochi  superstiti.  Per  oltre  5000  persone  rima- 
sero vittime  in  quel  infausto  momento,  e  fra  questi  il  Rettore  della 
repubblica;  Simeone  Ghetaldi,  e  gran  parte  della  nobiltà. 

Un'  orda  di  saccheggiatori  scese  dalle  limitrofe  Provincie  turche 
per  molestare  con  feroce  ingordigia  gì'  infelici  superstiti;  e  Venezia, 
quasi  giubilante  nel  veder  atterrata  1'  antica  sua  rivale,  pose  in 


20 

opra  la  più  scaltra  politica,   per   impedire  che  mai  più  risorga.    Il 
turco  poi  accampò  la  pretesa  deir  albinag^^io. 

Se  fu  UH  miracolo  che  Ragusa  abbia  salvata  la  propria  indi- 
pendenza quattro  secoli  la  dagli  artigli  dell'  alato  leone,  molto 
maggiore  ne  t'ù  in  questa  circostanza,  quando  inerme,  povera  e 
lagrimante  per  la  perdita  de'  suoi  figli,  si  trovò  derelitta,  senza 
ajuto,  priva  di  difesa. 

Sarebbe  stato  allora  finito  per  la  repubblica  senza  il  coraggio 
ed  il  magnanimo  cuore  di  alcuni  cittadini,  che  non  disperando  punto 
della  patria,  osavano  ripromettersi  di  farla  risorgere  sulle  fresche 
ed  ancor  fumanti  rovine,  e  sovra  gli  ancor  palpitanti  cadaveri 
de'  loro  cari.  Si  diedero  quindi  la  caritatevole  cura  di  estrarre  dalle 
lovine  quegl'  infelici,  che  erano  ancor  in  vita,  e  si  opposero  al 
saccheggio,  difendendo  col  sangue  le  dilette  rovine;  talché  sventa- 
rono le  trame  de'  veneti,  che  tentarono  d' impossessarsi  della  città 
e  della  fortezza  di  s.  Lorenzo,  per  finirla  una  volta  con  un  popolo 
che  lor  seppe  costantemente  resistere. 

Per  rimuovere  la  Porta  dalle  sue  pretese  e  dalla  minacciata 
strage  e  rovina,  inviarono  due  ambasciatori  al  pascià  di  Bosnia, 
Nicolo  Bona  e  Marino  Gozze,  i  quali  seppero  farsi  rispettare,  e 
sopportarono  con  animo  nobile  e  forte  ogni  patimento  e  pericolo, 
pagando  V  onorevole  incarico  colla  carcere  in  Silistria,  dove  con  eroico 
coraggio  finì  il  primo  la  benemerita  vita;  coprendosi  di  tal  gloria, 
che  lo  storico  Mtiller  propone  il  quesito  a  tal  proposito,  se  ancor 
possa  qualcosa  richiedersi  da  Nicolò  Bona  e  Marino  Gozze ,  per 
salutarli  come  Regoli  moderni.  Due  altri  campioni  di  magnanime 
patrie  virtù  furono  spediti  a  Costantinopoli,  Marino  Caboga  e  Vla- 
dislao  Succhia,  i  quali,  certi  di  andar  alla  morte,  non  esitarono 
punto  di  farsi  vittime  per  amor  della  patria;  e  rinchiusi  per  ben 
18  mesi  nelle  fetide  e  pestilenziali  prigioni,  in  compagnia  a  200 
malfattori,  rassegnati  alla  morte,  edificanti  consigli  mandavano  al 
senato,  preferendo  un'  onorevole  fine,  anziché  recar  minimo  danno 
alla  diletta  patria.  E  se  d'  un  Bona  e  d'  un  Gozze  tanto  sono  cele- 
brati i  nomi  nelle  patrie  memorie  ;  d'  un  Caboga  e  d' un  Buccina 
si  dovrebbero  scolpire  con  lettere  d'  oro. 

La  morte  però  di  Kara-Mustafa  pece  fine  alle  ingiuste  pretese 
della  Porta,  ed  i  tre  magnanimi  rividero  la  patria;  e  Ragusa  re- 
spirò dopo  tante  disgrazie. 

Il  Pontefice  Clemente  IX,  e  V  imperatore  Leopoldo,  furono  gene- 
rosi di  soccorsi  per  rialzare  questo  baluardo  della  croce  ;  e  la  stessa 


21 

Porta,  mossa  di  poi  a  compassione  ei  disastri  di  Ragusa,  ridusse 
r  annuale  tributo,  al  triennale  (1703),  fino  a  tanto  che  sarebbero 
migliorate  le  di  lei  condizioni  economiche  ;  su  di  che  però  mai  più 
fu  fatta  parola  dalla  Porta.  ^ 

Nuove  angustie  però  sorsero  per  la  rinata  repubblica,  quando 
alcun  tempo  dopo,  insorta  la  guerra  tra  Venezia  e  la  Porta,  si  trovò 
tra  nuovi  pericoli  per  la  sua  indipendenza.  Alla  pace  di  Passarovitz 
(1718)  però  fu  assicurata  da  ogni  mira  ambiziosa  di  Venezia.  Un 
raguseo  (Bandur),  domestico  del  negoziatore  inglese,  che  assisteva 
a  codesta  pace,  ed  era  pure  V  incaricato  della  repubblica ,  ebbe  il 
patriottico  istjpto  di  gettarsi  ai  piedi  del  padrone,  supphcandolo  di 
far  inserire  nel  trattato  una  tale  confinaria  circoscrizione  Ira  Ve- 
nezia e  la  Porta,  che  la  sua  patria  non  fosse  in  contatto  coi  di  lei 
antichi  ed  implacabili  rivali.  In  conseguenza  a  ciò  venne  circondato 
il  territòrio  raguseo  de  ogni  parte  da  terra  ottomana,  colla  cessione 
fatta  al  turco  de'  due  tratti  del  territorio  di  Klek  e  Sutorina. 

Queste  crisi  avevano  fatto  sovvenire  ai  ragusei  i  loro  antichi 
protettori.  Laonde  ricchiesta  la  protezione  dall'  imperatore  in  qua- 
lità di  re  d'  Ungheria,  questa  fìi  loro  solennemente  con  un  trattato 
garantita  (1G84). 

Incalcolabili  sono  state  le  ingenti  perdite  e  gì'  immensi  danni 
cagionati  dal  terremoto.  I  tesori  accumulati  con  un'  onesta  ed  attiva 
operosità  dopo  le  disgrazie  sofferte  al  principio  del  sec.  XVL.  rima- 
sero sepolti  sotto  le  rodine,  distrutti  dall'  incendio,  e  spoghati  da 
ingordi  ed  inumani  saccheggiatori.  Né  il  male  si  hmitò  a  ciò  sol- 
tanto. Il  senato,  per  impedire  che  tutto  il  denaro  non  andasse  fuor 
di  Ragusa,  aveva  decretato,  che  sopra  i  capitaU  investiti  sui  monti 
in  Italia,  ci  dovesse  esser  l' imposta  del  20  per  cento.  Per  eludere 
una  tal  legge,  moltissimi  collocavano  delle  ingenti  somme  sotto 
finti  nomi.  Periti  molti  di  costoro  nel  terremoto;  non  si  potè  avere 
alcun'  idea  del  loro  denaro  così  collocato. 

Le  colonie  in  Turchia,  se  anche  non  così  numerose  come  per 
r  innanzi,  furono  riordinate  sul  pie  di  prima.  Il  traffico  coli'  Italia 
totalmente  cessò,  come  pure  la  sua  marina,  le  sue  fabbriche  di 
panno,  di  seta,  ed  altre. 

'  Il  tributo  annuale,  che  Ragusa  passava  alla  Porta,  ascese  alla  somma  di 
12.500  zecchini,  oltre  i  regali  ai  grandi  della  Corte,  nei  quali  quasi  altret- 
tanto si  spendeva.  Dal  1703  fino  alla  caduta  della  repubblica,  tale  somma 
veniva  esborsata  ogni  tre  anni. 


22 

Dopo  il  terremoto  tutta  la  marina  ra^usea  si  ridusse  a  pochi 
trabaccoli,  che  m)a  uscivano  dalT Adriatico,  e  più  d'un  mezzo  secolo 
vi  passò  in  tale  stato.  Il  commercio  di  terra,  avendo  rii)resa  buona 
piega,  rimise  i  ragusei  di  nuovo  nella  possibilità  di  fabjjricar  legni, 
però  più  i)iccoli  degli  antichi.  Moltiplicatosi  indi  il  numero  de'  ba- 
stimenti, venne  di  nuovo  tentata  la  via  di  levante. 

Rinacque  di  nuovo  V  antica  prosperità  commerciale,  ed  in  parte 
si  riacquistarono  le  perdute  ricchezze,  specialmente  durante  la  guerra 
tra  la  Francia  ed  Inghilterra  per  V  indipend(inza  Americana.  Munite 
le  navi  ragusee  di  firmani  del  Gran  Signore,  navigavano  in  levante 
e  particolarmente  in  Seria,  estendendo  la  navigazione  fino  alle  Indie. 
Le  ricchezze  causarono  il  lusso,  e  mutarono  la  semplicità  de'  co- 
stumi; il  che  fu  causa  di  deplorabili  conseguenze. 

Lo  stato  della  repubblica  di  Ragusa  dopo  il  decadimento  dell'  an- 
tica sua  navigazione,  ed  il  terremoto  del  1007,  non  si  -è  potuto 
mai  più  rimettere  in  quanto  alla  popolazione.  Il  numero  delle  famiglie 
patrizie  era  pure  di  troppo  diminuito  ;  convenne  quindi  aumentarlo, 
col  creare  nuove  famiglie  nobili  dal  ceto  dei  cittadini.  I  bisogni 
pecuniari  obbligarono  il  senato  ad  offrire  la  nobiltà  a'  magior  offe- 
renti. Da  qui  l'origine  dei  due  partiti^  dei  vecchi  e  dei  nuovi; 
partiti  rivali,  appellandosi  i  primi  Salam  anche  si,  ed  i  secondi 
Sorbonesi;  per  quanto  questi  nomi  de' dotti  corpi,  nulla  avessero 
a  che  fare  colle  pretese  di  questi  patrizi.  Non  perciò  era  meno 
reale  la  diffidenza  fra  loro,  che  cordialmente  si  odiavano,  riescendo 
scandaloso  il  disprezzo  de'  primi  verso  i  secondi,  dimentichi  della 
propria  origine.  Frequenti  alterchi,  e  serie  difficoltà  ne'  matrimoni, 
quasi  fosse  ritornata  1'  epoca  feudale.  Gli  stessi  clienti,  la  stessa 
servitù  si  assocciava  alle  pretese  de' loro  padroni;  di  modo  che  la 
città  tutta  era  Salamanchese  o  Sorbonese. 

Fra  le  altre  ingiustizie  ed  umiliazioni  patite  da'  nobili  creati  di 
fresco,  e  chiamati  dai  patrizi  per  disprezzo  nuovi,  era  1'  esclusione 
dei  medesimi  per  un  secolo  dall'  ordine  de'  senatori  e  cariche  corri- 
spondenti. Tutto  ciò  non  poteva  che  sinistramente  influire  sul  senti- 
mento della  popolazione. 

A  ciò  s' aggiunga  un  altro  nuovo  inconveniente.  Il  senato  per 
leggi  antiche  doveva  esser  composto  di  45  membri,  ed  il  consiglio 
generale  procedeva  al  rimpiazzo  de'  posti  vacanti,  che  erano  molto 
ambiti.  Per  la  preponderanza  de'  voti  nelle  pubbliche  decisioni  della 
famiglia  Sorgo,  che  aveva  sette  fratelli  senatori,  nacquero  fra  la 
nobiltà  due  fazioni;   a  capo  di   una  era  Savino  Luca  di  Pozza, 


23 

appoggiato  dai  fratelli  Sorgo,  e  dall'  altra  era  Matteo  Francesco  di 
Gradi,  che  volea  far  stabilire  una  legge,  in  forza  della  quale  nel 
senato  in  appresso  non  vi  potessero  esser  più  di  tre  fratelli,  e  nelle 
stretture^  non  più  di  due,  col  voto  deliberativo.  Tale  proposta  non 
essendo  stata  accettata,  il  partito  Gradi  non  intervenne  più  in  con- 
siglio (1762). 

Giunto  il  decembre,  si  doveva  convocare  il  consiglio  generale  per 
la  creazione  de'  magistrati  ed  offizì  peli'  anno  nuovo  ;  ma  non  potè 
aver  luogo  pel  non  intervento  del  Gradi  co'  suoi  aderenti.  Per  due 
mesi  il  corso  di  tutte  le  facendo  pubbliche  fu  sospeso.  In  due  soli 
punti  si  convenne:  che  durante  il  gennajo  dovesse  a  turno,  per 
anzianità  d' età,  risieder  nel  palazzo  rettorale  per  otto  giorni,  in 
luogo  del  rettore,  il  più  anziano  fra  i  patrizi;  e  che,  per  la  peste, 
la  quale  era  ai  confini,   dovesse  sussistere  il  magistrato  di  Sanità. 

Se  non  segui  allora  la  dissoluzione  dello  Stato,  ciò  proveniva  dalle 
previdenti  leggi,  che  avevano  saputo  già  prima  regolare  simili  even- 
tualità, e  sopratutto  dall'  invariabile  condotta  morale  della  popola- 
zione, allora  più  saggia  che  non  erano  i  suoi  capi  L'  ordine  non  fu 
turbato  menomamente  ;  la  pace  e  1'  abbondanza  furono  più  che  mai 
floride;  ed  il  governo  riprese  regolare  corso,  dopo  una  transazione 
fra  le  parti,  stipulata  per  tema  dell'intervento  turco;  riducendo  il 
numero  de'  fratelli  Sorgo  a  due^  nelle  stretture,  col  voto  delibera- 
tivo, accettando  il  voto  degli  altri  come  consultivo:  e  nelle  non 
stretture,  nelle  quali  pure  la  pluralità  de' voti  decideva,  a  tre  fratelli, 
col  voto  consultivo  per  gli  altri.  In  questa  circostanza,  allo  scopo 
di  non  dar  più  adito  a  partiti,  fu  rimessa  la  creazione  delle  cariche 
al  capriccio  della  pura  sorte,  che  se  fu  sorgente  di  molti  disordini, 
era  necessaria  misura  per  garantirsi  da  disordini  maggiori. 

Non  si  eran  ancor  rimessi,  per  dir  così,  dalle  conseguenze  che 
dovevano  lasciar  dietro  a  se  i  succitati  partiti,  che  nuovi  disastri  si 
presentarono  alla  repubbhca.  La  guerra  'che  si  accese  nel  1768  fra 
la  Russia  e  la  Turchia  scosse  la  sua  esistenza  politica.  Nel  detto 
anno  la  prima  volta  si  vide  la  bandiera  russa  nel  Mediteraneo.  Orloff, 
ammiraglio  russo,  che  aveva  preparato  i  movimenti  insurrezionah 
della  Grecia,  intimò  allo  stato  di  Ragusa  perfetta  neutralità  nel 
corso  della  guerra,  esigendo  inoltre  venisse  permesso  ai  russi  di 
costruire  presso  la  città  una  chiesa  di  rito  orientale,  e  fosse  accet- 

*   Per  strettura  s' intendeva  non  solo  la  pluralità  di  Toti,  ma  tre  quarti,  ed 
anche  sette  ottavi  de'  voti,  nelle  decisioni  del  Senato. 


24 

tato  un  console  di  quella  nazione.  Una  mancanza  di  riguardo  verso 
il  conte,  per  non  avergli  la  rei)ubl)lica  dato  riscontro  alle  sue  pro- 
poste, e  per  esser  stati  alcuni  bastimenti  commerciali  al  servizio 
della  Turchia,  irritò  profondamente  il  favorito  di  Catterina  delle 
Russie,  il  quale  fò  predare  tutti  i  bastimenti  ragusei  in  corso  di 
navigazione,  e  minacciò  la  città  di  bombardarla  nella  prossima  pri- 
mavera. ^ 

In  questi  estremi  il  senato  spedì  ambasciatori  a  Vienna,  Berlino 
e  Pietroburgo ,  per  indurre  Catterina  a  più  miti  consigli.  L' impe- 
ratrice non  volle  riconoscere  l' inviato  Francesco  Ragnina,  e  molto 
meno  farne  calcolo  della  sua  ambasciata.  Lo  fé  rimandare  dal  di 
lei  plenipotenziario  Orloff',  facendogli  tenere  il  regalo  di  500  rubli, 
contro  r  uso  di  quella  coite,  che  gli  ambasciatori  esteri  regalava  di 
vesti  di  preziose  pelliccie.  Ragnina,  sebbene  non  così  abbondante- 
mente provvisto  di  mezzi  di  fortuna,  non  ne  accetta  che  un  sol 
rublo,  facendo  dire  alla  sovrana,  che  gli  bastava  uno  solo,  per  avere 
il  di  lei  ritratto.'-^ 

Intanto  la  repubblica  nelF  attesa  di  soccorsi  dalla  Francia,  a  cui 
pure  aveva  spediti  ambasciatori,  si  occupò  nelF  organizzare,  alla 
meglio  che  poteva,  i  mezzi  di  difesa. 

Clemente  XIV  poi  interpose  buoni  uffici  presso  Leopoldo  di  To- 
scana, perchè  si  cooperasse  a  favore  di  Ragusa  presso  Orloff,  il 
quale  svernava  nella  rada  di  Livorno.  Dopo  V  arrivo  del  Ragnina 
venne  conchiuso  un  trattato  (1775)  coi  tre  seguenti  articoli:  1.  che 
d'  allora  in  poi  in  qualunque  guerra,  che  potesse  insorgere  fra  la 
Russia  e  qualunque  altra  potenza,  la  repubbhca  dovesse  conservare 

^    OrlofF  attribuiva  ai  ragusei   la  direziono  della  difesa  di  Modone,  sotto  cui 
fu  battuto;   e  per  questo  dicesi  che  abbia  giurato  di  bombardare  Ragusa. 

^  Lo  stesse  Ragniua,  il  quale  da  Vienna  nel  recarsi  a  Pietroburgo  si  era 
fermato  a  Berlino,  nell'udienza  avuta  da  Federico  II,  caduto  il  discorso 
sulP  impero  ottomano,  e  richiesto  dal  Re,  quale  delle  potenze,  nel  caso 
venisse  il  turco  ricacciato  in  Asia,  preferirebbe  la  repubblica  come  limi- 
trofa; con  prontezza  d'animo  gli  rispose:  „QuelIa,  o  Sire,  che  il  meglio 
r  avrebbe  trattata."  —  Ragnina,  comecché  saggio  e  dotto,  era  però  per 
nulla  appariscente  della  persona,  come  basso,  storpio,  e  gobbo  eh'  egli  era. 
Spedito  una  volta  in  ambasciata  dal  Vezire  di  Bosnia,  questi  al  vederlo, 
proruppe  in  imprecazioni,  dicendogli:  „o  non  avevano  i  vostri  signori  da 
mandarmi  altri  che  voi,  mostro  che  siete  ?"  —  Il  Ragnina  tranquillo  rispose  : 
jjEccellenza,  ai  migliori  si  mandano  i  migliori,  agi'  inferiori  gì'  inferiori,  ed 
a  voi  buona  cosa  che  sia  toccato  ancor'  io."  —  Il  Vezire  nonché  adirarsi, 
lo  prese  anzi  in  buon  volere,  accordandogli  quanto  desiderava. 


25 

sincera  e  perfetta  neutralità;  2.  che  il  console  di  tutte  le  Russie 
dovesse  godere  a  Ragusa  e  nel  suo  territorio  di  tutti  i  diritti,  onori, 
privilegi,  essenzioni  ecc.,  che  godono  i  consoli  delle  più  distinte  po- 
tenze d'Europa,  nessuna  eccettuata;  3.  che  al  detto  console  impe- 
riale sia  lecito  e  permesso  di  avere  in  casa  propria  una  cappella, 
ove  egli  colla  famiglia  e  tutti  i  sudditi  della  Russia,  che  si  trovas- 
sero a  Ragusa,  potessero  attendere  ai  servizi  divini  del  loro  culto. 

Nulla  potè  sollevare  i  ragusei  da  tante  sventure  sofferte,  quanto 
'  la  guerra  marittima  fra  V  InghilteiTa  e  la  Spagna.  Nella  guerra 
dell'  independenza  Americana,  e  poi  durante  tutto  il  corso  della 
rivoluzione  francese,  Ragusa  quasi  sola  aveva  in  mano  tutto  il 
commercio,  come  nazione  neutrale.  Dal  1762  fino  al  giugno  1806 
la  di  lei  navigazione  fu  oltremodo  prospera;  una  popolazione  di 
30.000  anime,  che  contava  lo  stato  della  repubblica,  vantava  260 
vele  quadre,  e  molti  legni  più  piccoli.  La  benestanza  però  che  an- 
dava aumentando,  faceva  dimenticare  i  consigli  di  una  saggia  pre- 
videnza e  parsimonia. 

Nel  1798  il  commissario  francese  Comeiras ,  con  una  lettera  del 
direttorio  esecutivo,  chiese  dal  senato  un  imprestito  d'un  millione 
di  franchi.  Non  gli  sborsarono  che  600.000,  ricorrendo  ad  un  im- 
posta, misura  finanziaria  non  conosciuta  fino  a  quell'  epoca  dallo 
stato  della  repubblica. 

La  ricca  contrada  di  Canali  si  sollevò  allora  ad  un  tratto,  ecci- 
tata dagli  emissari  di  Cattare,  dove  a  nome  dell'Austria  comandava 
il  maresciallo  Brady.  La  rivolta  organizzata  con  molta  maestria, 
incusse  serio  timore  alla  repubblica.  L' Imperatore  Francesco  esibì 
alla  repubblica  della  truppa  per  contenere  i  rivoltosi.  Il  senato  si 
rivolse  a  Costantinopoli  ;  ed  intanto  cercò  colla  ragione  e  colla  dol- 
cezza di  richiamare  gì'  insorti  all'  obbedienza,  i  quali  non  tardarono  di 
abbracciare  1'  antico  ordine  delle  cose. 

Ma  questo  non  fu  altro  che  il  preludio  d'  una  tempesta  affatto 
distruttiva. 

Nel  1797  le  isole  Jonie  erano  cedute  alla  Francia,  in  base  alla 
stipulazione  fatta  a  Campoformio  ;  e  1'  Austria  in  compenso  de'  suoi 
sacrifizi  in  ItaHa,  ottenne  Venezia,  l' Istria,  la  Dalmazia  e  le  Bocche 
di  Cattare.  Ma  la  pace  di  Presburgo  (1805)  le  tolse  tutti  questi 
territori.  Il  generale  Molitor  giunse  nel  gennajo  del  1806  a  Zara 
per  prender  possesso  della  Dalmazia,  ed  indi  delle  Bocche  di  Cattare. 
Il  senato  mediante  propri  ambasciatori  gli  raccomandò  l'indipen- 
denza della  repubblica. 


20 

Fiapi)Ostosi  intanto  dai  francesi  V  induf^io  di  qualclie  mese  nel- 
r  occupar  le  Bocche,  j^ii  al)itanti  di  quel  territorio  si  sollevarono  contro 
i  nuovi  })adroni,  eccitati  i)articolannente  dal  generale  russo  San- 
kovsky,  che  si  trovava  a  Montenero  per  ordine  dell'  imperatore 
Alessandro.  Chiesto  ([uindi  ajuto  dal  vice-amniira<'lio  russo  Siniavin, 
che  era  colla  squadra  alle  isole,  Jonie,  giunsero  tosto  alcune  navi 
sotto  il  coniando  del  capitano  Belley,  e  poco  stante  vi  arrivò  lo 
stesso  vice-ammiraglio. 

Il  marchese  (ihislieri,  comandante  delle  Bocche,  spedito  dalla  corte 
Austriaca  pella  consegna  del  paese  al  generale  Molitor,  venne  co- 
stretto a  cedere  il  territorio  ai  russi,  e  fuggì  nottetempo,  rifugian- 
dosi a  Ragusa. 

Prevedendo  il  senato  quanto  questa  nuova  prospettiva  delle  cose 
poteva  riescir  funesta  alla  repubblica,  si  maneggiò  col  Sankovsky 
e  con  parecchi  altri,  per  garantirsi  dal  pericolo,  in  cui  la  ponevano 
le  armi  di  due  potenti  imperi.  Ottenne  l'assicurazione,  che  l'eser- 
cito russo-montenegrino  non  sarebbe  entrato  nel  dominio  raguseo, 
fino  a  che  i  francesi,  loro  nemici,  non   vi   avrebbero  posto  piede. 

Intanto  tre  legni  russi  giravano  in  crociera  nelle  acque  di  Ra- 
gusa. Proposero  al  senato  di  presidiare  la  città,  per  chiudere  il 
passo  ai  francesi;  ma  non  venne  accettata  la  proposta,  per  poter 
mantenere  una  disarmata  neutralità.  In  tali  critiche  circostanze  nuo- 
vamente venne  interessato  Molitor  a  non  esporre  lo  stato  della  re- 
pubblica ad  un'  irruzione  delle  truppe  russo-montenegrine,  ed  al 
minacciatole  saccheggio. 

Ad  onta  delle  promesse  di  Molitor,  la  truppa  francese,  di  800 
soldati  circa,  comandata  dal  generale  Lauriston,  via  di  terra  arrivò 
nel  dì  27  maggio  dinanzi  alle  porte  della  città;  ed  il  generale 
espose  al  senato  il  desiderio  di  poter  colla  truppa  riposare  per  un 
giorno  entro  le  mura,  promettendo  di  proseguire  indi  la  marcia 
verso  Cattaro. 

Il  senato  fidandosi  sulla  parola  del  generale,  accolse  in  città 
i  francesi.  „ Questo  fu  il  suo  secondo  grande  errore  di  stato,  e 
r  ultimo." 

Lauriston,  circondato  dalla  sua  truppa,  chiese  la  consegna  delle 
chiavi  delle  fortezze,  dispose  le  guardie  alla  custodia  delle  porte 
della  città,  e  de'  forti,  fé  issare  la  bandiera  francese  sul  castello 
s.  Lorenzo,  e  s' impossessò  d'  una  gran  quantità  di  munizione  da 
guerra  ;  ed  il  colonello  Triquenot  spiegò  tutta  V  attività  per  mettere 
in  brevissimo  tempo  in  pieno  ordine  tutta  V  artiglieria. 


27 

Lauristoi)  intanto  emanò  il  seguente  proclama. 

„Le  molteplici  concessioni  fatte  ai  nemici  della  Francia,  hanno 
„  posto  la  repubblica  di  Ragusa  in  uno  stato  di  ostilità,  tanto  più 
„pericoloso,  quanto  era  velato  dalle  apparenze  d'amicizia  e  di  neu- 
„tralità.  L' ingresso  delle  truppe  francesi  in  Dalmazia ,  lungi  dal- 
„r  impedire  una  simile  condotta,  non  è  stato  che  un'  occasione  ai  nostri 
^nemici  di  esercitare  sempre  più  la  loro  influenza  sullo  Stato  di 
„ Ragusa  ;  e  qualunque  siansi  stati  i  motivi  della  condiscendenza  dei 
„magistrati  di  quello  Stato,  V  Imperatore  ha  dovuto  accorgersene,  e 
„gr  importava  di  porre  un  fine  a  de'  maneggi  contrari  alle  leggi  di 
«neutralità. 

„ Conseguentemente  in  nome  e  per  ordine  dell'Imperatore  de'Fran- 
„cesi,  e  re  d'Italia,  io  prendo  possesso  della  città  e  territorio  di 
„  Ragusa. 

«Dichiaro  nullameno,  che  l'intenzione  della  M.  S.  è  di  riconoscere 
^r  indipendenza  e  la  neutralità  di  questo  Stato,  tosto  che  i  russi 
„ avranno  evacuata  l' Albania  ex-veneta,  l' isola  di  Corfù,  e  le  altre 
„isole  ex-venete,  e  che  la  squadra  russa  lascierà  libere  le  coste  della 
«Dalmazia. 

,,Io  prometto  soccorso  e  protezione  a  tutti  i  ragusei;  io  farò 
«rispettare  le  leggi,  le  consuetudini  attuali  e  le  proprietà;  finalmente 
«d' apresso  la  condotta  che  terranno  gli  abitanti,  io  farò  che  non 
^abbiano  che  a  lodarsi  del  soggiorno  dell'  armata  francese  nel  loro 
„paese. 

„L'  attuale  governo  è  conservato  ;  egli  farà  le  stesse  funzioni, 
«avrà  le  stesse  attribuzioni;  le  sue  relazioni  cogli  stati  amici  della 
^Francia  o  neutrali,  resteranno  sullo  stesso  sistema. 

«Il  signor  Bruere,  commissario  delle  relazioni  commerciali,  adem- 
«pirà  presso  il  senato  le  funzioni  di  Commissario  Imperiale.  — 

«Il  generale  di  Divisione,  ajutante  di  campo  dell'  Imperatore  de' 
«Francesi  e  re  d' Italia.  Comandante  delle  truppe  di  S.  M.  nello 
«Stato  di  Ragusa  —  Alessandro  Lauriston." 

Per  otto  giorni  di  poi  continuarono  a  venire  nuove  truppe  ;  e  per 
alloggiarle,  convenne  metter  a  loro  disposizione,  oltre  le  caseniie 
nelle  fortezze,  i  conventi  de'  regolari  di  ambi  i  sessi.  Enormi  somme 
di  denaro  dovette  la  repubblica  passare  alle  loro  mani. 

Intanto  500  uomini,  tra  russi,  bocchesi,  e  montenegrini,  irruppero 
a  Canah  (30  m.  s.),  senza  trovarvii  minima  resistenza  da  parte  di 
quegli  abitanti.  I  francesi  in  numero  di  200  mossero  loro  incontro, 
e  li  costrinsero  alla  ritirata.  Rinforzatosi  però  il  numero  de'  monte- 


28 

iiogrini,  presero  di  nuovo  la  via  di  Canali;  contro  i  quali  marcia- 
rono 500  francesi.  Non  avendo  però  questi  trovato  alcun  appoggio  nei 
Canalesi,  due  giorni  dopo  dovettero  ritirarsi  a  Uagusavecchia  ;  e  per 
timore  di  esser  bloccati  dalla  flotta,  protetti  dall'oscurità  della  notte, 
tragittarono  il  mare,  appostandosi  nella  valle  di  Breno. 

Intanto  la  contrada  di  Canali  è  saccheggiata  ed  in  parte  abbruc- 
ciata.  Uagusavecchia  pure  viene  saccheggiata  e  scelta  per  quartier 
generale  degli  alleati.  Nella  valle  di  Breno  più  volte  vengono  a 
mani  le  due  armate,  e  gli  sbarchi  sono  piotetti  da  cinque  navi  di 
linea,  tre  fregate,  molti  brik  e  barche  cannoniere.  Il  supremo  co- 
mando de'  russi  -  montenegrini  assume  il  general  maggiore  conte 
Wiazemesky,  sostituendo  il  Yladika  di  Montenero  Pietro  L,  che 
fin'  allora  dirigeva  la  truppa.  Per  la  grande  disparità  di  forze,  i 
francesi  sono  costretti  di  trincerarsi  sulle  alture  di  Dubaz  e  Ber- 
gatto. 

Siamo  alla  funesta  giornata  dei  17  giugno.  Forte  combattimento 
venne  attaccato  fra  le  parti.  Le  forze  de'  russi  consistevano  in  200 
soldati  di  linea,  4000  montenegrini,  bocchesi  e  morlacchi,  e  di  un 
buon  numero  di  marinai  russi  ;  mentre  la  truppa  francese  non  oltre- 
passava 1200  soldati.  Il  combattimento  continuò  per  tre  ore  innanzi 
al  mezzogiorno,  ed  i  francesi  presi  alle  spalle,  videro  il  nemico  alle 
loro  trinciere.  Si  diedero  quindi  precipitosamente  alla  fuga,  salvan- 
dosi nella  città,  dopo  d'  aver,  fra  gli  altri,  perduto  nella  mischia  il 
generale  De  la  Gourgè;  la  di  cui  testa  recisa  venne  presentata  a 
Siniavin. 

Piagusa  venne  allora  bloccata  per  mare,  ed  assediate  per  terra. 

La  notte  seguente  al  giorno  dell'  assedio,  i  russi  avevano  tentato 
collo  sbarco  di  1000  soldati  d'  impadronirsi  della  trinciera  di 
Lacroma,  al  di  cui  presidio  stavano  200  francesi  ;  ma  furono  respinti 
con  gravi  perdite. 

Orde  irregolari  di  montenegrini  e  morlacchi  si  sparsero  per  ogni 
dove,  saccheggiando  ed  abbruciando  gli  edifizt. 

Intanto  tre  giorni  dopo,  le  batterie  dalle  alture  del  monte  s.  Sergio 
rinversavano  senza  posa  sulla  città  una  pioggia  di  palle  e  bombe. 
Per  tredici  giorni  continui  seguì  il  bombardamento,  senza  che  la 
città  ricevesse  ajuti  di  sorta.  La  notte  del  primo  luglio  i  francesi 
fecero  una  sortita,  e  guadagnarono  le  cime  del  monte.  Non  riesci- 
rono  nel  progetto,  ma  misero  V  allarme  nel  campo  nemico,  ove  i  russi 
in  isbaglio  si  battevano  fra  loro,  avvedendosi  dell'inganno,  quando 
già  i  francesi  erano  molto   discosti.    Verso  il  mezzodì  un  atroce 


29 

spettacolo  funestò  lo  sguardo  de'  ragusei.  Denso  fumo  solcato  da 
altissime  fiamme  si  era  esteso  in  tutta  la  lunghezza  del  borgo  ;  ed 
il  giorno  dopo  due  terzi  delle  case  si  videro  nelle  rovine. 

Dopo  17  giorni  di  assedio,  e  13  di  bombardamento,  il  dì  6  luglio 
fortunatamente  arrivò  in  ajuto  all'  assediata  città  il  generale  Molitor 
con  1600  soldati.  Usò  egli  di  uno  stratagemma;  fé  in  modo  che  la 
sua  truppa,  girando  una  collina  più  volte,  facesse  credere  al  nemico 
di  aver  vicino  un  grand'  esercito.  Questi,  presi  da  timore,  se  ne 
fuggirono  precipitosi  Parte  ritornò  per  terra  al  proprio  paese,  parte 
calò  a  Gravosa  per  imbarcarsi  su  bastimenti  russi;  e  fra  questi  il 
Vladika  Pietro,  il  quale  poco  mancò  non  fosse  stato  fatto  pri- 
gioniero. 

La  città  si  vide  allora  salva  dall'  estremo  pericolo  in  cui  versava. 

Da  quel  giorno  in  poi  le  truppe  francesi  di  continuo  si  aumen- 
tavano, e  raggiunsero  la  cifra  di  13.000  soldati  in  circa,  con  14 
generali.  Intanto  arrivò  pure  a  Ragusa,  come  supremo  Comandante, 
il  generale  Marmont  (2  agosto);  ed  allora  incominciò  la  funesta 
guerra  per  prender  possesso  delle  Bocche  di  Cattaro. 

Incalcolabili  furono  i  danni  arrecati  durante  1'  assedio  alla  città 
e  suo  territorio.  Fra  gli  altri,  203  edifizi  nei  soli  borghi  e  Gravosa, 
senza  farne  cenno  di  quei  del  contado,  furono  distrutti  dal  fuoco. 
Lo  squero  fu  pure  preda  delle  fiamme;  egualmente  la  celebre  bi- 
blioteca de'  benedettini  di  S.  Giacomo,  che  contava,  fra  le  altre 
opere,  tutti  i  santi  padri  in  pergamena  in  foglio,  colle  iniziali  mi- 
niate. Orrende  crudeltà  furono  commesse  contro  gì'  infelici  abitanti 
delle  contrade  da  Canali  fino  a  Stagno,  per  obbligarli  a  scoprire 
i  tesori,  che  quelle  orde  supponevano  avesser  nascosti.  Diciasette 
vele  quadre  che  si  trovavano  a  Gravosa,  furono  caricate  di  rapine, 
e  condotte  alle  Bocche  di  Cattaro;  senza  far  calcolo  di  coloro, 
che  carichi  di  bottino,  se  ne  recavano  per  terra  al  proprio  paese. 
Giusta  il  calcolo  fatto  dall'  istesso  governo  francese,  il  danno 
arrecato  al  territorio  della  repubblica,  sarebbe  asceso  ad  oltre  20 
millioni;  di  cui  però  non  vennero  mai  risarciti  i  ragusei. 

Intanto  passò  il  1807.  Ai  31  di  gennajo  1808  Marmont  ordinò 
al  senato  di  raccoghersi;  circondò  colla  guarnigione  francese  il 
palazzo  rettorale  ;  puntò  1'  artiglieria  delle  fortezze  contro  la  città^ 
e  mandò  il  proprio  ajutante  con  parecchi  uffiziah,  ed  alcuni  de'  ra- 
gusei del  partito  francese,  perchè  vi  legga  il  seguente  decreto: 

^Le  general  en  chef  de  l'armée  de  Dalmatie,  ordonne  ce  que  suit: 

„Art.  1.   Le  Gouvernement  et  le  Senat  de  Raguse  sont  dissous. 


30 

„Art.  1.    Les  tiibuneaux  civils  et  criinineles  actuelmont  existens 
„soiit  dissous. 

„Art.  3.  Monsieur  Briière  Coiisul  de  France  serA,  pour  le  moment 
„et  provvisoirement  chargé  de  radministration  du  pays. 

„Art.  4.  Les  admiiiistrations  des  dilierentes  parties  de  l'Etat  de 
„Raguse,  resteront  provvisoirement  qu'clles  sont  aiijourdhui. 

„Art.  5.  La  justice  civile  sera  rendile  jusq' à  nonvel  ordre  par 
„un  tribunal  compose  de  M.  Nicolò  di  Nicolò  Pozza,  Giacomo  Natali, 
«Pietro  Stilili,  Antonio  Cliersa,  et  au  nom  de  Sa  Majesté  TEmpe- 
„reur  des  Frangais  Roi  d'Italie,  mais  d'après  les  lois  coùtumes  de 
„Raguse.  La  justice  criminelle  sera  rendue  par  le  méme  tribunal 
„qui  s'adjoindrà  trois  membres  pris  parmi  les  personnes  graduées. 

„Au  Quartier  General  à  Raguse  le  31  janvier  1808.  Le  General 
^en  chef  —  A.  Marmont." 

Così  finì  il  governo  aristrocratico  di  Ragusa,  ed  il  territorio  della 
repubblica  venne  sottomesso  al  regno  d' Italia. 

„Tar  è  la  conquista  di  cui  la  memoria  si  trova  consecrata  dal 
„ titolo  del  Duca  di  Ragusa,  ofterto  più  tardi  al  Maresciallo  Marmont. 
„Ma  ciò  non  ricorda  altro  che  una  grande  iniquità."  ^ 

Venne  quindi  creato  per  Governatore  militare  il  generale  di  divi- 
sione Clausel,  e  Domenico  Garagnini  per  amministratore  civile  di 
Ragusa  e  Cattare.  Le  casse  pubbliche  furono  interamente  esaurite. 

Intanto  la  pace  di  Vienna  (1809)  riunì  alla  Francia  —  sotto  il 
nome  di  Provincie  Illiriche  —  la  Carniola,  il  circolo  di  Willach, 
Gorizia,  il  litorale  Ungarico,  la  Croazia  provinciale  (che  conservò  il 
nome  d' Illiria),  i  circoli  di  Cividale,  Gradisca,  Klagenfurt,  e  la 
Dalmazia,  colla  città  e  territorio  di  Ragusa. 

Una  flotta  inglese  giunse  allora  nell'  Adriatico  per  bloccare  tutta 
la  Dalmazia,  impossessandosi  poco  a  poco  delle  isole.  Nel  1813  i 
ragusei  vennero  eccitati  alla  rivolta  contro  i  francesi,  dandosi  loro 
ad  intendere  che  avrebbero  ricuperato  il  primiero  governo. 

Sursero  tutti  quanti  sotto  il  vessillo  repubblicano,  con  a  capo 
Biagio  Bernardo  di  Caboga,  ed  i  prodi  e  distinti  patriotti  Marchese 
Pietro  Bona,  e  Giovanni  de  Natali,  nonché  Michele  de  Saraca,  Natale 
de  Ghetaldi,  Marchese  Marzio  de  Bona,  Matteo  Milic,  Antonio  Dor- 
delli  e  Pietro  Pericevic. 

Il  generale  francese  Montrichard,  comandante  a  Ragusa,  spedì 
allora  un  corpo  de'  volontari,  sotto  il  comando  del  conte  Michele  de 

'   Joubert:  Illustratiou  4  avril  1857. 


31 

Giorgi,  per  far  rientrare  in  città  tutti  i  patrizi  e  le  loro  famiglie, 
che  villeggiavano  a  Gravosa  e  Lapad.  La  città  venne  quindi  cinta 
d'  assedio  per  terra  dagl'  insorgenti,  e  per  mare  dalla  flotta  inglese. 
AgF  insorti  venne  indi  in  ajuto  con  della  truppa  il  generale  austriaco 
Milutinovic  (3  genn.  1814);  il  quale  dichiarò,  esser  venuto  per 
cacciare  i  francesi,  senz'  alcun  ordine  né  di  togher  la  repubblica, 
né  di  ristabihrla. 

Collegatosi  cogl'  insorti  e  cogl'  inglesi,  vi  piantò  una  batteria,  e 
per  quattro  giorni  venne  bombardata  la  città.  I  francesi  vennero  a 
parlamento  cogli  austriaci  ed  inglesi,  senza  far  calcolo  degF  insorti  ; 
e  Milutinovic,  conchiusa  la  capitolazione,  dichiarò  di  non  poter  rista- 
bilire la  repubblica,  per  non  aver  avoto  alcun  ordine  in  proposito. 
Contemporaneamente  nella  città  si  sollevò  la  popolazione  contro  i 
francesi,  i  quali,  capitolato,  consegnarono  la  città  il  di  28  gennajo 
1814  agli  Austriaci,  e  furono  indi  trasportati  sulle  coste  d'Italia. 
GF  inglesi  ritennero  le  isole,  lasciando  in  pieno  potere  agli  Austriaci 
Ragusa  col  di  lei  continente;  ed  ai  15  febb.  venne  prestato  solenne 
giuramento  nella  mani  del  generale. 

Il  congresso  delle  potenze  europee,  raccoltosi  a  Vienna  nel  1815, 
riducendo  la  Francia  ai  suoi  antichi  confini,  restituì  all'  Austria 
tutto  il  regno  Ilhrico,  fra  cui  la  Dalmazia,  compresa  Ragusa  col 
suo  territorio,  e  le  Bocche  di  Cattare.  Anche  le  isole  vennero  allora 
dagl'  inglesi  consegnate  agli  Austriaci,  e  quindi  tutto  il  territorio 
dell'  ex-repubblica  di  Ragusa  venne  incorporato  all'  impero  Austriaco. 
Nel  1817  al  territorio  raguseo  venne  unita  F  isola  di  Curzola,  e 
formato  così  un  Circolo  provinciale;  e  nel  seguente  anno  Ragusa 
ebbe  la  fortuna  di  vedersi  onorata  da  Sua  Maestà  F  Imperatore 
Francesco  L,  il  quale,  colF  Augusta  imperatrice  Carolina,  si 
compiacque  di  soffermarsi  per  dieci  giorni,  onde  più  davvicino 
conoscere  i  di  lei  bisogni,  e  rimediare  a'  tanti  danni  che  ha  dovuto 
sopportare. 

Con  quest'  epoca  la  storia  di  Ragusa  raggiunge  il  suo  fine.  D'allora 
in  poi  essa  condivide  le  sorti  dell'  impero  a  cui  è  unita. 

^Ragusa  ebbe  fine.  Non  fini  minando,  ma  estinguendosi.  Sopra- 
vvisse a  se  stessa  e  riluce  sul  proprio  mausoleo  sopra  i  purpurei 
^scogli,  e  sul  mare  eternamente  agitato.  Il  mare  e  gli  scogli  riman 
„gono  tuttavia  gli  stessi;  ma  Ragusa  non  é  più  la  stessa.  Le  sue 
„mura  l'abbracciano  come  per  F innanzi,  le  pietre  non  si  distruggono, 
„ma  Ragusa  è  distrutta.  Non  ha  più  bisogno  di  protezione,  perchè 
„non  ha  più  nemici.  Riposa  F  adormentata  repubbhca  tra  il  silenzio 


32 

„  delle  sue  mura,  come  Ivan  Crnoevici  è  il  principe  adormentato  del 
„Montenero,  come  Barbarossa  è  il  principe  adormentato  di  KyfF- 
„haiiser.  Giovanni  e  Barbarossa  possono  risvegliarsi,  Ragusa  non 
„si  risveglierà  mai  più.  Silenziosa,  come  verun  altro  luogo,  e  silen- 
^ziosa  per  sempre,  giace  ricoperta,  quasi  sacra  reliquia,  sotto  la 
„ diafana  campana  dell'  azzurra  volta  del  suo  ridente  cielo.'*  (I. 
Diiringsfeld. 


rv 


II. 

Governo,  legislazione  ed  amministrazione  pubblica. 


Alla  foggia  delle  antiche  città  romane,  Ragusa  si  fondò  ed  ordinò 
da  principio  in  Comune,  e  più  tardi  assunse  il  titolo  di  Re- 
pubblica. 

Il  governo  in  origine  doveva  esser  democratico:  col  tempo,  e 
coir  aumentar  della  popolazione,  si  mutò  in  aristocratico.  Né  poteva 
esser  altrimenti;  poiché  al  dir  del  filosofo  Giovanni  Vico:  ^dove 
abbisogna  attività  per  esistere,  necessariamente  sorge  V  aristocrazia, 
e  si  lascia  spontaneamente  a  pochi  benestanti  di  già,  il  governo 
degli  affari,  come  a  Ragusa  in  Dalmazia." 

Alla  venuta  de'  Conti  Veneti  fìi  adottata  la  forma  del  governo 
di  quella  repubblica,  che  divideva  tutta  la  popolazione  in  tre  cate- 
gorie: dei  nobili,  o  patrizi;  de' cittadini  ;  e  degli  artieri.  Quest'ultimo 
ceto  non  aveva  alcuna  parte  nel  governo.  Quello  de'  cittadini  divi- 
devasi  in  due  confraternite,  di  s.  Antonio  e  di  s.  Lazzaro,  al  quale 
ceto  venivano  aggregate  le  famiglie  degli  artieri,  mediante  un  dato 
fondo  in  beni  stabili,  che  né  potevano  ipotecarsi,  né  alienarsi  vita 
durante  del  cittadino;  ed  a  questi  era  libero  di  concorrere  a  vari 
uffìzi  di  pubblica  amministrazione,  come  a  dire,  nella  cancelleria, 
notarla,  tesoreria,  dogana,  annona,  ai)palto  del  sale,  ecc.  ecc. 

Il  regime  della  repubblica  apparteneva  soltanto  al  ceto  de'  nobili. 
La  durezza  del  Governo  aristocratico  era  temperata  dalla  debolezza 
del  governo,  dallo  spirito  generalmente  occupato  nel  commercio,  e 
sopratutto  dalla  bonarietà  della  razza  slava. 

Esso  era  composto  di  tre  Consigli. 

3 


4 


34 

Al   primo,   cliiaiiiato   Magj^ior  Consiglio ,   appartenevano  tutti 
i  nobili   (lai    \S  anni  in  sii/   sotto  la  liiesidenza  del  Rettore  della 
Repubblica.    I  loro  nomi  erano  iscritti  in  un  registro,   chiamato  lo 
Specchio.    Questo  Consiglio    formava   la  suprema  autorità  dello 
Stato.  Prima  del  terremoto  constava  da  200— 800  membri;  e  negli 
ultimi  tempi   da  70—80.    Quest'  assemblea  sanzionava  le  leggi,  ed 
aboliva  le  vecchie,  quando  era  necessario;  ordinava  le  imposte  ordi- 
narie ed  i  dazi;   esercitava  i  diritti   di  grazia  in  atiari  criminaU,  e 
nel  richiamo  di   esuli;   esaminava  i  debiti  e  crediti  dello  Stato;  ed 
ammetteva  nuove  famiglie  uelF  ordine  de'  nobili.  Ai  15  di  decembre 
d' ogni   anno   si    raccoglieva    per   procedere  alla  nomina  de'  nuovi 
magistrati  peli'  anno  prossimo.    Il  numero  voluto  degli  elettori  era 
rappresentato   da  altrettante   palle  bianche;  mentre  le  altre  erano 
,  nere.    Il  nobile  che  tirava  quest'  ultima,   perdeva  per  queir  anno  il 
diritto  elettorale.  11  corpo  elettorale,  cosi  costituito,  sceglieva  le  ma- 
gistrature per  mezzo  dello  scrutinio,  a  maggioranza  assoluta  di  voti. 
Ai  25  poi  di  ogni  mese  si  raccoglieva  il  consiglio  per  creare  il  nuovo 
Rettore,  nominare  i  Conti  o  Governatori  de'  vari  distretti  della  re- 
pubblica, e  per  altri  aft'ari  dello  stato.  Tutti  i  nobili  di  questo  con- 
siglio, come  pure  quei  del  ceto  civico,  che  avevano  pubblici  impieghi, 
dovevano  per  legge  di   mattina  andar  vestiti  in  abito  di  pubblico 
magistrato,  cioè  in  gran  perucca  sciolta,  ed  in  toga  talare  nera,  a 
cui  d'inverno,  ed  in  pubblica  comparsa,  aggiungevano  una  specie  di 
lungo  mantello  nero,  senza  bavaro.  In  altri  momenti  vestivano  alla 
foggia  comune. 

Il  secondo  Consiglio  era  quello  de'Progati,  ossia  Senatori. 
Prima  e  principale  autorità  dopo  il  gran  consiglio.  Aveva  45  membri, 
chiamati  Senatori,  e  scelti  dal  gran  consiglio.  A  loro  erano  affi- 
dati i  principali  impieghi,  o  magistrati,  tanto  relativi  all'  interna, 
quanto  all'esterna  amministrazione.  Le  loro  deliberazioni  non  ammet- 
tevano appello,  se  non  nell'  unico  caso  che  si  opponesse  1'  autorità 
de' Provveditori,  di  cui  verrà  fatta  parola.  A  questo  consiglio 
spettava  :  trattare  tutti  gli  affari  politici  dello  stato  ;  emanare  norme 
per  l'interna  amministrazione;  stabihre  straordinarie  ed  indirette 
imposte;  preliminare  le  spese  in  affari  pubblici;  approvare  o  meno 
i  conti  delle  amministrazioni  ;  esaminare  il  comportamento  degl'  im- 
piegati, ed  emmettere  sentenze  senza  appello  ;    rivedere  il  più  delle 

'   Fino  all'  epoca  del  gran  terremoto  1'  età  proscritta  per  entrar  nel  Consiglio 
era  dai  20  anni  in  poi. 


35 

volte  le  cause  criminali  :  ricevere  le  intromesse  capitali  e  pecuniarie  ; 
nominare  ambasciatori,  ministri,  consoli,  presso  le  nazioni  estere; 
decidere  in  ultimo  grado  in  cause  civili  ;  preparare  progetti  di  leggi  ; 
in  una  parola:  avea  la  facoltà  di  ordinare  tutto  quello  che  era 
giusto  e  vantaggioso  pel  comune  bene,  tenendosi  sempre  attaccato 
alle  leggi  costituzionali  ed  alle  consuetudini,  rispettando  tutte  le 
passate  proprie  decisioni,  dalle  quali  poteva  soltanto  allontanarsi 
con  tre  quarti,  ed  in  alcuni  casi  con  sette  decimi  di  voti.  Da  prin- 
cipio si  convocava  regolarmente  quattro  volte  alla  settimana,  e  negli 
ultimi  tempi  due  volte  soltanto,  ed  ogni  qualvolta  il  bisogno  lo 
ricchiedeva.  La  carica  di  Senatore  continuava  vita  durante,  e 
soltanto  in  caso  di  morte  di  uno  di  loro,  oppure  di  dimissione,  si 
passava  alla  scelta  del  nuovo.  Ciò  non  ostante  ogni  anno  il  gran 
consiglio  confermava  i  singoli  senatori  nella  rispettiva  carica,  invi- 
gilando in  tal  maniera  sull'  annuale  loro  comportamento. 

Il  terzo  Consiglio  veniva  appellato  Minor  Consiglio.  Era  com- 
posto di  sette  senatori,  con  a  capo  il  Rettore  della  repubblica.  Questo 
consiglio  avea  il  potere  esecutivo  di  quanto  stabiliva  il  gran  con- 
siglio ed  il  senato,^  e  decideva  anche  le  cause  civih,  politiche,  e 
criminali  di  minor  peso.  Nelle  questioni  di  appello  in  affari  marittimi, 
era  la  suprema  istanza.  Estendeva  scritti  alle  estere  potenze  ed  ai 
governatori  dello  stato  proprio,  muiìendoli  del  sigillo,  e  segnandoli 
col  titolo:  Il  Rettore  e  Consiglieri  della  Repubblica  di 
Ragusa.  Riceveva  in  pubblica  e  privata  udienza  gii  ambasciatori 
ed  incaricati  esteri,  i  prelati,  ed  altre  persone  straniere  riguardevoli  ; 
dava  il  salvacondotto  ai  debitori  civili  ;  invigilava  al  buon  ordine 
dello  Stato  ;  ed  era  V  organo  mediante  il  quale  si  potevano  man- 
dare suppliche,  memorandum,  ecc.,  di  competenza  del  gran  consiglio, 
0  del  senato,  per  la  relativa  decisione.  Era  quindi  autorizzato  di . 
chiamare  i  detti  due  consigli  alle  ordinarie  e  straordinarie  sedute. 
L' esecuzione  poi  del  deciso  dell'  autorità  esecutiva,  spettava  al 
più  giovine  senatore,  che  veniva  riguardato  come  ministro  dello 
Stato.  Il  minor  Consiglio  in  ultimo  amministrava  la  cassa  chiamata  : 
Detta  del  Rettore;  dalla  quale  venivano  pagate  le  minute 
-spese  interne,  nell'  annuo  importo  di  circa  ducati  30.000.  Questa 
magistratura  durava  un  anno;  e  nelle  pubbUche  comparse  o  fun- 
zioni rappresentava  col  Rettore  la  sovranità.  Veniva  preceduta 
dalla  musica,  e  da  24  famigU  del  palazzo,  chiamati  zduri,  ve- 
stiti in  abito  talare  rosso,  e  seguita  dagF  impiegati  de'  pubblici 
uffizi. 


36 

Il  Rettore  della  repubblica  era  il  capo  del  governo.  In  origine 
chianiavasi  Priore,  e  durava  la  sua  carica  per  un  anno;  indi 
durante  l'epoca  veneta,  appellavasi  Conte;  ed  in  ultimo  dal  1358 
Rettore.  Lo  sceglieva  il  gran  Consiglio  tra  i  senatori,  coli' asso- 
luta maggioranza  di  voti,  solo  per  un  mese,  durante  il  qual  tempo 
doveva  dimorare  nel  palazzo,  da  cui  non  poteva  escire,  se  non  per 
presiedere  a  qualche  consiglio,  od  intervenire  a  pubbliche  solennità 
0  processioni  ;  il  che  scrupolosamente  annotava  l' almanacco,  con 
queste  parole:  oggi  sua  serenità  si  porta  al  duomo.  Nessuno 
de'  tre  consigli  poteva  legalmente  raccogliersi,  senza  la  presidenza 
del  Rettore.  Spettava  al  medesimo  convocare  il  gran  Consiglio,  e 
quello  de'  Pregati,  proporre  le  materie  che  dovevansi  trattare,  e 
sciogliere  il  consiglio,  terminata  la  discussione.  Il  minor  consiglio 
era  autorizzato  di  presentare  al  Rettore  gli  oggetti  da  trattarsi,  e 
poteva  anche  costringerlo  a  dare  ad  alcune  materie  la  preferenza, 
dopo  le  quali  gli  restava  libero  di  fare  le  proprie  proposte.  Egli 
però  non  aveva  che  un  sol  voto,  come  ciascun  altro  membro.  Po- 
teva però  nel  suo  palazzo  giudicare  su  piccole  quantità  di  denaro, 
se  dirige vansi  a  lui  i  ricorrenti.  Era  pure  sua  incombenza  di  tener 
in  custodia  le  chiavi  delle  porte  della  città,  che  non  potevansi  aprire, 
passate  le  due  ore  di  notte,  senza  che  fosse  convocata  la  maggior 
parte  de'  membri  del  minor  consiglio  ;  così  anche  gli  erano  affidati 
i  sigilli  dello  Stato,  e  le  varie  scritture  pubbliche  le  più  gelose. 

Nelle  solenni  circostanze,  1'  abito  del  rettore  era  una  toga  di  seta 
rossa ^  (paonazza  nell'avvento  e  quaresima)  come  quella  dei  consi- 
glieri del  collegio  di  Venezia,  con  uno  stolone  nero  sulla  spalla 
sinistra,  in  segno  della  suprema  autorità.  Quando  esciva  fuori, 
era  seguito  dal  minor  consiglio,  e  preceduto  dalle  guardie  e  dalla 
musica. 

Vladislao  re  di  Polonia  e  d'  Ungheria,  e  Matteo  Corvino,  gli  accor- 
darono il  titolo  di  Arci-rettore  (1455),  di  cui  però  i  rettori  non 
si  servirono  i)er  più  riguardi;  e  lo  stesso  Mattia  lo  creò  cavaliere 
dello  Speron  d'  oro.  E  se  qualcuno  moriva  nella  carica  di  Rettore, 
nelle  funebri  pompe  gli  venivano  appese  sulla  bara  le  insegne  di 
queir  ordine,  cioè  la  spada,  lo  sperone,  ed  una  catena  d'  oro. 

I  Provveditori,  o  custodi  della  giustizia,  formavano  un 
magistrato  superiore  a  tutti  gli  altri,  se  si  eccettui  il  gran  Consiglio 
e  quello   de'  Pregati.    Li   sceglieva  ogni  anno  il  gran  consiglio  dal 

*   Un  vestilo  letterale  viene  conservato  nel  Museo  del  locale  Municipio. 


37 

gremio  de'  senatori  ;  ed  erano  tre  di  numero.  Nelle  sedute  del  gran 
consiglio  e  del  senato.  la  loro  autorità,  ed  anche  di  un  membro 
solo,  poteva  sospendere  1'  esecuzione  di  qualunque  deciso,  quando 
veniva  dimostrato  esser  contrario  alla  legge.  Potevano  assistere  a 
tutte  le  sedute  del  min.  Consiglio,  esaminare  ogni  decisione,  e  so- 
spendere r  esecuzione  per  24  ore,  fino  a  tanto  che  venisse  presentato 
il  ricorso  al  senato,  e  da  questo  emmessa  la  definitiva  sentenza. 
Era  loro  offizio  che  nulla  si  faccia  contro  i  buoni  ordinamenti  della 
repubblica;  e  la  carica  durava  per  un  anno. 

In  nessuno  dei  detti  consigli  potevano  entrare  altri  che  i  rispet- 
tivi membri.  Soltanto  ciò  era  permesso  ai  Secretar!  di  stato, 
come  a  protocollisti.  Il  più  anziano  fra  loro  si  chiamava  gran  se- 
cretarlo, e  gii  altri  vice-secretarl.  In  tutti  i  tre  consigli 
tenevano  protocolli,  e  custodivano  gli  archivi;  sotto  la  loro  perso- 
nale custodia  stavano  i  testamenti  ;  tenevano  doppia  chiave  di  tutti 
gli  uffizi  e  scrittoi  delle  pubbliche  amministrazioni  ;  potevano  sosti- 
tuire nel  servizio  qualunque  scrittore  o  notaio  dello  Stato,  ed  anche 
più  alte  cariche  ;  erano  in  ultimo,  per  le  costituzioni  vigenti  a  quel 
r  epoca,  ufficiosi  coadjutori  presso  ogni  ambasciata,  pubblica  rappre- 
sentanza, ecc.  ;  anzi,  eglino  stessi  venivano  talvolta  spediti  come  am- 
basciatori sì  in  aff'ari  politici,  che  amministrativi.  Appartenevano  al 
ceto  de'  cittadini,  e  spesse  volte  erano  forastieri^  al  servizio  della 
repubblica. 

Il  giudizio  criminale  era  composto  di  quattro  membri  del 
senato^  col  titolo  di  giudici,  scelti  ogni  anno  a  maggioranza  di 
voti.  A  loro  apparteneva  sentir  le  querele,  assumer  i  testimoni,  e 
condannar  i  rei  anche  a  morte,  a  tenore  degli  statuti  della  repub- 
blica. Il  reo  se  si  trovava  aggravato;  poteva  ricorrere  ai  tre  prò  v- 
v e  di  tori,  che  esaminata  la  causa,  la  portavano  al  senato.  Spesse 
volte  gli  stessi  giudici,  se  ritenevano  1'  affare  molto  intrigato,  lo 
riferivano  al  senato.  Questo  giudicio  decideva  pure  nelle  difterenze 
civili  tra  i  forastieri,  quando  si  esigeva  sollecito  disbrigo.  Avevano 
a  propria  disposizione  4  scrittori,  4  guardie  (zduri),  ed  alquanti 
soldati. 

Il  tribunale,  detto  dei  Consoli  delle  cause  civili,  era 
pure  formato  da  quattro  senatori  per  la  durata  d'  un  anno.  Trat- 
tava cause  civili,  ed  aveva  il  2  per  cento  sulla  somma  che  giudi- 
cava; la  quale  legge,  chiamata  sp  or  tuia,  pare  sia  stata  fatta  a 
por  freno  alle  liti  ingiuste.  Si  radunava  tre  volte  alla  settimana,  e 
sentiti  gli  avvocati,    ed   esaminate  le  allegazioni,  date  in  iscritto, 


38 

emniettevii  la  relativa  sentenza.  La  parte  perdente  poteva  appellare 
al  senato  entro  8  giorni,  altrimenti  la  sentenza  passava  in  giudi- 
cato; e  se  appellava,  il  senato  (esclusi  i  parenti  de' giudici,  degli 
avvocati,  e  delle  parti  litiganti,  se  erano  nobili)  pronunziava  V  ultima 
definitiva  sentenza. 
*^^^  La  repubblica  aveva  due  avvocati,  chiamati  del  Comune,  e 
scelti  dal  gremio  del  gran  consiglio.  Rappresentavano  gV  interessi 
dello  stato,  trattavano  le  cause  de'  Provveditori,  ricordavano  ai  giu- 
dici del  Criminale  T  esatta  osservanza  delle  leggi,  riscuotevano  le  pene 
pecuniarie,  fissate  ai  rei,  e  prendevano  possesso  dei  beni  de'  fo- 
restieri, che  moiivano  senza  disposizione  testamentaria,  e  senza 
eredi. 

Ogni  anno  venivan  pure  scelti  quattro  avvocati  detti  de'  pri- 
vati, che  dovevano  assumere  la  difesa  de' poveri,  o  di  quelli  che 
non  potevano  trovare  chi  gliela  assumesse.  In  ogni  lite  le  parti 
avevano  diritto  di  scegliere  de'  giudici  arbitri,  evitando  il  foro  ordi- 
nario; ed  ognuno  poteva  anche  da  se  difender  la  propria  causa, 
senza  prendersi  un  avvocato.  L' esercizio  dell'  avvocatura  era  esclu- 
sivamente nelle  mani  de'  nobili.  Le  cause  venivano  perorate  nella 
gran  sala,  chiamata  de' Consoli;  ed  era  libero  1' accesso  ad  ognuno. 
Le  cause  di  grido,  e  specialmente  d'  appello,  venivano  tiattate  con 
maggior  pompa,  ed  il  concorso  era  grandissimo. 

Tutto  lo  Stato  della  repubblica  poi  era  diviso  in  12  giudizi  o 
contee,  a  capo  dei  quali  erano  i  nobili,  scelti  dal  maggior  con- 
siglio; giudicavano  tutti  gii  affari  criminaU  e  civih  nel  proprio 
distretto,  e  le  loro  decisioni  erano  soggette  al  giudizio  appellatorio 
di  Ragusa. 

I  ragusei  fino  dalla  prima  epoca  della  loro  libertà,  ebbero  una 
propria  legislazione,  per  lo  più  fondata  su  consuetudini,  che  poco 
a  poco  venivano  scritte  su  pergamene,  e  riguardate  come  altrettante 
leggi.  Buona  parte  di  questi  pochi  monumenti,  dai  quali,  se  esistes- 
sero, si  verrebbe  a  rilevare  lo  spirito  della  primaria  legislazione, 
andarono  perduti  a  motivo  di  replicati  incendi.  Vuoisi  poi  che  i 
superstiti  sieno  scomparsi  per  mahzia  de'  conti  veneti,  nello  scopo 
^  di  toglier  ogni  traccia  di  libertà  antica,  e  per  fissare  solide  basi  al 
dominio  Veneto  a  Ragusa.  Il  che  sembra  poco  verosimile,  poiché 
appunto  sulla  base  di  consuetudini,  che  fin'  allora  facevano  veci  di 
leggi,  tolto  quanto  era  di  supeifluo,  aggiunto  il  mancante.  Marco 
Giustiniani,  settimo  conte  veneto  a  Ragusa,  elaborò  il  codice  di 
leggi,  che  presentò  nel  1272  peir  approvazione  ai  tre  consigli.  Tale 


39 

codice   accettato,   ebbe   per  titolo:    Liber    Statutorum    Civi- 

tatis  Ragusii.  . 

Questo  Statuto  è  diviso  in  otto  libri,  ed  ogni  libro  in  capitoli. 
Il  primo  riguarda  l'elezione  de' magistrati  ;  nel  secondo  viene  pre- 
scritta la  forma  de' giuramenti  ;  il  terzo  tratta  delle  materie  giuri- 
diche ;  il  quarto  riguarda  i  beni  dotali  ;  il  quinto  si  occupa  intorno 
alla  polizia  interna,  rapporto  alle  case,  strade,  e  piazze  della  città; 
il  sesto  tratta  su  materie  criminali;  il  settimo  verte  sul  buon  rego- 
lamento della  marina;  e  nell'ottavo  finalmente  vi  sono  raccolte 
diverse  materie,  che  hanno  relazione  colle  precedenti,  ed  altre^  di 
cui  non  si  potevano  formare  libri  a  parte. 

Le  dette  leggi  estese  in  quel  tempo,  in  cui  ferveva  in  Europa  il 
genio  legislativo,  e  di  cui  furon  frutto  i  codici  di  Arrigo  per  la 
Svezia,  di  Alfonso  X.  per  la  Castigha,  e  di  Lodovico  per  la  Francia, 
onorano  altamente  la  civilizzazione  de'  ragusei,  e  l' epoca  in  cui 
furono  scritte. 

Coir  andar  del  tempo  lo  statuto  solo  non  era  sufficiente;  non 
tutte  le  leggi  ed  ordinazioni  erano  fatte  per  tutti  i  tempi  e  circo- 
stanze. Perfezionandosi  sempre  più  la  legislazione,  nasceva  il  bisogno 
di  nuove  leggi.  E  quindi  si  cominciò  a  riformarlo  in  qualche  punto 
dal  minor  Consiglio,  senza  derogare  alla  sua  sostanza.  Da  qui  il 
libro  delle  Re  formazioni,  che  ebbe  principio  nel  1306,  appro- 
vato da'  diversi  consigh,   e  che  riguarda  il  regime  politico  e  civile. 

Al  cessar  dei  conti  veneti  ebbe  origine  un  altio  codice  legisla- 
tivo, che  venne  chiamato  Verde,  dalla  sua  legatura,  in  cui  sono  state 
raccolte  le  leggi  dall'anno  1357  al  1460;  indi  un  altro,  chiamato 
Croceo,  per  esser  legato  in  giallo,  nel  quale  si  andavano  regi- 
strando tutte  le  leggi  approvate  dai  tre  consigh,  dal  1460  al  1574. 

Ai  succitati  codici  si  devono  aggiungere  in  ultimo  le  determina- 
zioni del  senato,  comunemente  chiamate  parti  de' Pregati,  accet- 
tate dalla  pluralità  de'  voti. 

Nel  foro  quindi  tanto  gli  avvocati,  che  i  giudici,  si  regolavano 
secondo  le  ordinazioni  contenute  nei  codici  succitati.  Conveniva 
però,  che  chi  trattava  le  cause  avesse  buona  memoria  e  grande 
pratica,  e  continuamente  si  consigUasse  coi  più  pratici  nelle  pro- 
cedure de'  giudizi. 

Simeone  Benessa  nel  1581  aveva  esteso  un'opera  necessaria 
ed  assai  utile  in  proposito,  col  titolo:  Praxis  Curiae  ad  for- 
mamlegum,  etconsuetudinemReipublicae  Ragusinae, 
in  qua  exacte   agitur  de  modo  tam  in  Curia  Consulis, 


40 

qua  111  in  ap  pollati  onibus  servandis  a  principio  litis 
usque  ed  executionem  sententiae,  quatuor  libris  di- 
slincta,  auctore  D.  Simeone  Matthaei  Benessae  filio, 
et  patritio  Rag.  an.  1581,  cui  accessit  etiam  practica 
diversarum  rerum  ad  dictam  Curiam  attinentium, 
nec  non  ad  alios  magistratus,  cum  indice  materiarum. 

Anche  Francesco  Gondola,  coetaneo  di  Benessa,  si  occupò  in 
detta  materia,  col  lavoro  :  D  i  s  e  r  t  a  t  i  o  de  e  i  v  i  1  i  u  m  M  a  g  i  s  t  r  a- 
tuum  jure  immobilia  religiosorum  bona  judicandi.  Esso 
è  unito  ad  uno  de'  codici  delle  leg:i;i  ragusine.  Elaborò  inoltre  le 
seguenti  opere  :  Scholia,  summaria,  et  indices  legum  Ra- 
gusinarum;  —  Index  alphabeticus  Senatus  consulto- 
rum;  —  anibidue  inedite. 

Nicolò  Bona  in  fine  scrisse  la:  Praxis  ju di  ciarla  juxta 
stylum  Curiae  Ragusinae  etc.  1671;  che  serviva  di  norma  fino 
alla  caduta  della  repubblica,  e  che  venne  stampata  a  Ragusa  dal 
tipografo  Carlo  Occhi. 

Il  senato  di  Ragusa  non  aveva  mai  ricevuto  né  ammesso  con  alcun 
decreto  le  leggi  di  Giustiniano  e  della  Rota  Romana.  Gli  avvocati 
le  studiavano,  e  se  ne  servivano  solamente  quando  non  vi  era  alcuna 
legge  patria  loro  contraria,  pronunziando  il  giudizio  secondo  i  loro 
principi,  senza  però  mai  citarle  in  causa.  Nei  casi  particolari,  dove 
non  ci  era  alcuna  legge  speciale,  si  richiamavano  a  sentenze  ante- 
riori, emanate  in  simiU  circostanze  sia  sulla  base  delle  consuetudini, 
0  secondo  le  decisioni  del  giudizio  romano  o  della  rota. 

L'  amministrazione  pubblica  era  divisa  in  diverse  sezioni. 

La  suprema  autorità  finanziaria  era  affidata  alle  mani  di  sei  se- 
natori, scelti  ogni  terz' anno,  ed  appellati:  Tesorieri,  e  Procu- 
ratori di  santa  Maria  Maggiore,  nel  dialetto  chiamati: 
testavljeri.  Ad  essi  incombeva  l'incarico  di  raccogliere  tutti 
gì'  introiti  dello  Stato,  provvedere  la  città  de'  necessari  importi  per 
le  differenti  spese,  tener  esatto  conto  delF  introito  ed  esito,  impie- 
gare, 0  serbare  in  cassa  i  capitah,  secondo  la  volontà  del  senato. 
Era  pure  di  loro  spettanza  amministrare  i  beni  de'  pii  istituti,  inve- 
stendo i  legati  m  beni  stabili  o  sui  monti  in  Italia;  il  cui  reddito 
veniva  impiegato  in  soccorso  de'  poveri  e  degli  ospitali,  nelle  mari- 
tazioni,  nel  riscatto  degli  schiavi,  ed  in  altre  opere  pie.  Anche  le 
chiavi  della  capella  delle  reliquie  nella  cattediale,  e  le  scritture  di 
somma  importanza,  erano  sotto  la  loro  custodia.  Avevano  per  coadiu- 
tori quattro  impiegati,  scelti  dal  ceto  cittadino. 


41 

La  cattedrale,  la  collegiata,  e  le  altre  principali  chiese,  con  ammi- 
nistrazione propria,  avevano  pure  i  così  detti  Procuratori,  dal 
ceto  de'  nobili. 

All'amministrazione  finanziaria  appartenevano  i  Cassieri  dello 
Stato,  uffizio  composto  di  tre  senatori.  Questi  non  maneggiavano 
col  denaro,  erano  una  specie  di  controllori,  e  tenevano  soltanto  il 
registro  dello  stato  della  cassa.  Sicché  ogni  emmissione  del  denaro 
pubblico,  era  iscritto  presso  quattro  uffizi:  nel  senato,  che  dava  il 
relativo  ordine  ;  presso  i  cassieri  che  emmettevano  i  relativi  assegni  ; 
nel  minor  consiglio  che  li  approvava;  ed  in  ultimo  presso  i  teso- 
rieri che  esborsavano  l' importo. 

Dopo  i  tesorieri  il  più  importante  uffizio  amministrativo  era  quello, 
così  detto,  delle  Cinque  Ragioni;  composto  di  cinque  nobiU  del 
maggior  consiglio,  che  amministravano  i  beni  dello  stato  (Demanio). 
Rivedevano  i  libri  e  le  partite  di  tutti  quelh  che  maneggiavano  denaro 
pubblico,  e  tenevano  il  giornale  delle  spese  sì  dello  Stato,  che  delle 
pubbliche  ambasciate. 

La  Zecca  era  sotto  la  sorveglianza  di  tre  senatori,  detti  of fi- 
zi  ali  zecchieri,  la  di  cui  principale  mansione,  era  di  curare 
che  le  monete  coniate  abbiano  il  reale  valore  che  annunciavano. 
Vi  appartenevano  diversi  fonditori,  aggiustatori,  ed  ore- 
fici. Quest'officio  si  occupava  pure  del  cambio  monetario,  che  recava 
vantaggio  allo  Stato  ed  ai  negozianti. 

E'  ignoto  quando  s' incominciò  a  Ragusa  coniare  la  moneta.  E'  vero- 
simile che  abbia  avuto  principio  nelF  ottocento. 

Le  prime  monete  erano  chiamate  Oboli,  Folla  ri,  oBagat- 
tini,  volgarmente  minze.  Erano  di  rame,  e  di  varie  impronte  e 
diverso  peso.  Queste  monete  si  mantennero  in  corso  fino  al  sec.  XVII; 
e  li  successero  i  soldi,  pure  di  rame;  e  sul  finir  del  secolo  XVUI 
veniva  coniata  una  terza  moneta  di  rame,  chiamata  mezzanino, 
0   mezzo   grosso. 

Le  prime  monete  d'  argento  vengono  comunemente  riferite  alla 
fine  del  sec.  XIII.  La  lega  era  composta  di  un  oncia  d' argento  fino, 
con  36  caratti  di  rame.  La  più  antica  era  chiamata  grosso  o 
denaro,  e  vi  erano  21V2  ^^  un  oncia.  Indi  dal  1370  si  cominciò 
a  coniare  il  mezzanino  d'argento,  e  vi  erano  36  in  un  oncia. 
Poi  il  grosso  leggiero,  0  grossetto,  che  incominciò  ad  esser 
coniato  al  principio  del  sec.  XVII,  del  peso  da  07  gr.,  a  04.^  La 

'    Il  peso  delle  diverse  monete  è  portato  in  termine  medio,  e  secondo  la  miglior 
0  meno  buona  conservazione  dei  singoli  esemplari. 


42 


quarta  moneta  argentea  era  il  così  detto  artiluk,  di  cui  la  prima 
emissione  ebbe  luogo  nel  1627,  del  peso  di  gr.  2'43.  Il  per  pero 
0  l'ipperpero  data  dall'anno  1G83,  ed  è  del  peso  di  car.  27- 
Il  mezzo  per  pero  fu  coniato  soltanto  nel  1801,  e  pesava  37  gr. 
Lo  scudo,  coniato  sulla  metà  del  sec.  XVIII.,  aveva  80  car.  di 
peso.  Il  mezzo  scudo  di  queir istessa  epoca,  40  car.  Il  ducato, 
che  cominciò  a  battersi  nella  seconda  metà  del  secolo  passato,  73  car. 
Il  vi  si  ino  nel  1725,  pesava  114  car.  Il  mezzo  vis  lino  di  car. 
54  dal  1735.  Il  tallero  rettorale  dal  1725,  pesava  car.  137 
Il  mezzo  rettorale  fìi  coniato  negli  anni  1747  e  1748.  In  ultimo 
la  libertina  di  car.  117,  di  cui  le  prime  furono  battute  nel  1791, 
e  le  ultime  nel  1795.^ 

Nel  ragguaglio  delle  succitate  monete,  il  grosso,  o  denaro 
d'argento,  corrispondeva  a  30  follari;  e  più  tardi  a  5  soldi,  e  poi 
a  2  mezzanini;  un  artiluko  era  eguale  a  3  grossi;  un  per  pero 
a  12  grossi;  uno  scudo  a  36  gr.;  mezzo  scudo  a  18  gr.;  un 
ducato  a  40  gr.;  un  vi  sii  no  a  60  gr.  ;  mezzo  vis  li  no  a  30 
gr.;  il  tallero  rettorale  agr.  60;  il  mezzo  rettorale  a  gr. 
30;  la  libertina  a  80  gr.  Ducati  due  ed  undeci  grossi  rag.  di 
allora  corrisponderebbero  all'  attuale  tallero  di  fiorini  due  crescenti. 

Oltre  le  suaccennate  specie  di  monete,  vennero  pure  fatte  alcune 
medaglie  commemorative  e  d'  occasione. 

Monete  d'  oro  non  furono  coniate,  abbenchè  fosse  stata  decretata 
l'emissione  nel  1515.  Due  unici  esemplari  di  monete  d' oro  raguseo 
si  conservano  nel  gabinetto  numismatico  della  corte  di  Vienna  ;  ma 
probabile  però  che  sieno  soltanto  modelli,  o  pezzi  di  saggio. 

La  Dogana  era  affidata  a  quattro  nobili  del  maggior  consiglio, 
i  quali  presiedevano  al  ricevimento  del  dazio,  che  secondo  il  prezzo 
fisso  veniva  pagato  nell'  entrata  e  nell'  uscita  dei  generi.  Essi  pure 
giudicavano  in  tutte  le  contese  che  potevano  nascere  durante  il 
carico  0  discarico  delle  merci.  L' annuo  introito  al  principio  di  questo 
secolo  era  di  circa  23.000  due. 

Al  consumo  del  vino  in  città  e  ne'  borghi  erano  preposti  tre 
nobili,  che  vi  riscuotevano  il  dazio  consumo,  e  giudicavano  in  affari 
di  contrabando  di  questo  genere.  A  quest'  uffizio  spesse  volte  il 
senato  aggiungeva  tre  altri  senatori  ;  ed  allora  in  tutte  le  sentenze 
che  emettavano  nell'argomento  del  contrabando,  non  v'era  appello. 
L' introito  negli  ultimi  tempi  era  di  due.  41.750  circa. 

'   La  migliore  e  più   completa  collezione  delle  monete  ragusee  fu  fatta  dal 
Cons.  antico  Paolo  Cav.  de  Reèetar,  Capitano  distrettnale  ili  Ragnsa. 


43 


L'offizio  del  sale  era  composto  di  tre  senatori,  chiamati 
s  0  p  r  a  s  a  1  i  n  a  r  i ,  che  si  cambiavano  ogni  tre  anni.  Amministravano 
colle  saline  di  Stagno,  e  con  tutte  le  vendite  del  sale  in  città.  Ave- 
vano sotto  di  se  un  cassiere,  due  agenti  d'  uffizio,  ed  altri  impie- 
gati pel  monopolio  del  sale  a  Stagno  ed  a  Kagusa.  L' annuo  introito 
era  di  circa  30.700  due. 

L'offizio  della  navigazione  era  composto  di  cinque  nobili, 
che  sorvegliavano  al  mantenimento  del  buon  ordine  nella  naviga- 
zione nazionale.  Sbrigavano  le  liti  marittime,  tenevano  il  catalogo 
di  tutti  i  comproprietari  ne'  bastimenti,  e  stabilivano  la  relativa  con- 
tribuzione che  si  doveva  alla  cassa  dello  Stato.  L' introito  annuale 
dalle  contribuzioni  de'  bastimenti  di  lungo  eorso,  era  di  due.  54.260; 
e  dalle  tasse  della  fabbricazione  12.280. 

L'offizio  consolare  pel  levante  aveva  tre  nobili,  ed  era 
in  corrispondenza  immediata  coi  consoli  nazionali  in  oriente,  riti- 
rando da  loro  le  tasse,  che  riscuotevano  sulla  roba  caricata  sui 
bastimenti  ragusei,  e  passando  la  somma,  detratte  le  spese  consolari, 
alla  cassa  dello  stato.  Introitava  annualmente  circa  9.210  due. 

L'  offizio  della  direzione  de'  viveri  era  istituito  a  pre- 
venire e  por  rimedio  alla  carestia,  perchè  non  abbia  a  soffrire  la 
popolazione.  Fìi  eretto  quindi  un  granajo,  che  veniva  riempiuto  di 
grano,  asportato  dall'  Ungheria  e  dalla  Puglia,  e  distribuito  indi  al 
popolo,  a  secondo  del  bisogno.  In  tempo  di  fame  veniva  pure  pre- 
parato del  pane,  e  gratuitamente  distribuito  ai  poveri.  Tuttora  si 
ammira  il  vasto  edifizio  una  volta  ad  uso  del  pubblico  granajo,  ora 
magazzeno  militare,  e  volgarmente  appellato  col  suo  nome  antico 
di  Ruppe. 

Anche  dell'  olio  venivano  fatti  depositi  pei  bisogni  della  città. 
Ogni  proprietario  doveva  rimettere  nei  pubblici  depositi  il  duodi- 
cesimo  dell'  entrata ,  verso  prezzi  inferiori  a  quelli  che  erano  in 
corso.  Veniva  poi  rivenduto  alla  popolazione  a  prezzi  miti;  e  per 
compensare  i  proprietari,  era  loro  permessa  l' introduzione  e  l' estra- 
dazione  senza  dazio. 

Relativamente  al  vino.  Il  senato  dopo  la  vendemmia  stabiliva  il 
prezzo  pel  consumo;  ed  i  proprietari  dovevano  fra  loro  combinare, 
quanto  vino  ognuno  dal  proprio  doveva  versare  nelle  pubbliche  can- 
tine ;  e  se  ciò  non  bastava,  spettava  ai  villici  di  riempierle  al  colmo. 
Era  proibita  l' introduzione  del  vino  forastiero,  per  esser  stato  il  vino 
nazionale  il  più  importante  ricolto.    E  quando  lo  Stato  era  sicuro 

4* 


44 

della  quiintità  lìell'iiiimuile  consuino,  allora  permetteva  anche  Testra- 
(lazioiie. 

Mentre  Marmont  «la  despota  ispezionava  tutti  questi  pubblici 
luoghi  di  saggia  e  i)rovvida  patria  amndnistrazione,  non  potè  a  meno 
di  esclamare:  „(iuesto  fu  un  governo  veramente  paterno";  ripe- 
tendo molto  più  tai'di  a  Vienna,  egli  pure  infelice,  al  conte  Ber- 
nardo de  Caboga  le  stesse  parole  col  dirgli:  „le  nostre  follie  di 
allora  hanno  rovinato  la  vostra  patria,  coli'  abolire  il  di  lei  paterno 
governo." 

A  sorvegliare  i  pesi  e  le  misure,  e  a  stabilire  i  prezzi  de' vi- 
veri, ogni  aimo  il  gran  consiglio  nominava  dal  suo  gremio  tre  membri 
chiamati  giustizieri  della  città. 

Vi  erano  inoltre  deputati  alle  acque,  ed  ai  molini,  ed  i  così 
detti  Signori  della  notte;  magistrati,  che  prevenivano  la  carestia 
dell'  acqua,  che  invigilavano  al  buon  ordine  ed  alla  pubblica  sicu- 
rezza, coir  impedire  le  risse,  le  uccisioni,  i  furti,  ed  altri  disordini 
che  potevano  succedere,  ed  aprivano  le  porte  della  città,  e  le  chiu- 
devano all'  ora  assegnata. 

Di  grand' importanza  e  vantaggio  era  poi  l'autorità  Sanita- 
ria. A  motivo  della  vicinanza  dei  confini  ottomani,  ed  a  causa  del 
giornaliero  commercio  de'  ragusei  con  quelle  regioni,  erano  neces- 
sarie forti  misure  sanitarie  e  contumaciali  per  evitare  la  peste,  che 
di  spesso  infestava  1'  oriente,  ed  ogni  20  anni  s' introduceva  nelle 
vicine  contrade  di  Bosnia,  Erzegovina,  Servia,  ed  Albania.  A  tal 
fine  venne  istituita  a  Ragusa  l'autorità  sanitaria,  composta  da 
cinque  senatori,  che  avevano  sotto  di  se  scrittori,  nunzt,  capitani  di 
porto,  ispettori  di  lazzaretti,  cursori,  soldati,  ed  una  cassa  sufficien- 
temente provveduta  per  sopperire  ai  relativi  bisogni. 

Quando  si  manifestava  la  peste  in  qualche  finitima  regione,  allora 
venivano  aggiunti  tre  altri  nobili,  e  messo  il  cordone  sanitario  al 
confine. 

Tutto  il  territorio  della  repubblica  veniva  diviso  in  8  circondari  ; 
ed  in  ogni  singolo  capoluogo  risiedeva  un  nobile,  con  piena  auto- 
rità giudiziaria  in  oggetti  sanitari,  per  tutti  i  villaggi  dipendenti 
da  quel  circondario. 

Ogni  villaggio  poi  aveva  un  capo  del  ceto  de'  cittadini,  dipen- 
dente dal  capo  distrettuale.  Né  potendo  romper  ogni  communica- 
zione  colla  Turchia,  pel  vivo  commercio  che  vi  era  fra  gli  uni  e 
gU  altri  ;  due  volte  per  settimana  erano  permesse  le  fiere  nei  prin- 
cipali villaggi,  sotto  rigorosa  sorveglianza  contumaciale. 


45 

Le  merci  provenienti  da  luoghi  infetti,  venivano  assoggettate  alla 
contumacia  da  6  ad  8  giorni  nei  pubblici  lazzaretti 

Se  la  peste  si  manifestava  nel  litorale  Dalinato,  venivano  attivate 
misure  sanitarie  nella  Penisola;  e  tutti  i  capi  dei  villaggi  dipende- 
vano da  quello  di  Stagno. 

Lo  stesso  si  faceva  sulle  isole,  e  nei  porti  di  Ragusavecchia  e 
Vitaglina,  dove  vi  era  un  personale  sanitario.  I  bastimenti  infetti 
venivano  trasferiti  a  Gravosa;  ed  i  marinai,  nonché  le  merci,  al 
lazzaretto  in  città,  dove  scontavano  la  contumacia.  Il  bastimento 
veniva  forato,  e  lasciato  sott'  acqua  pei  20  giorni.  I  legni  infetti  di 
febbre  gialla  erano  spediti  per  scontar  la  contumacia  a  Meleda,  nel 
porto  Palazzo. 

Tutte  le  spese  sosteneva  F  erario,  in  fuori  di  quelle,  che  s' impie- 
gavano attorno  il  bastimento,  e  che  stavano  a  carico  del  pro- 
prietario. 

In  seguito  al  permesso  di  Roma  1'  Opera  Pia  e  le  confraternite 
dovevano  dare  il  20  per  100  sugi'  introiti,  per  le  spese  che  s' in- 
contravano durante  la  peste. 

V'erano  poi  molti  istituti  pii;  1.  l'ospitale  Domus  Christi, 
per  tutti  gli  ammalati  poveri  ;  che  assorbiva  1'  annua  spesa  di  8000 
ducati  circa,  sopperendo  il  pubblico  erario  al  mancante  dell'  introito 
di  due.  6000.  Tre  senatori  ne  sorvegliavano  1'  amministrazione  ed 
il  buon  andamento;  2.  Casa  di  ricovero  pei  trovatelh, .  detto 
della  Misericordia,  dove  vi  erano  in  medio  180  ragazzi  ille- 
gittimi, mantenuti  dall'  erario,  e  pei  quali  spendeva  annualmente 
circa  15.000  due,  non  avendo  avuto  l'istituto  alcun  proprio  reddito; 
3.  Casa  di  ricovero  pei  poveri,  dove  ricevevano  gratuito  alloggio 
e  limosino  in  certi  determinati  giorni  durante  l'anno;  4.  1'  Istituto 
dell'  Opera  Pia,  che  amministrava  i  legati  pii,  a  capo  del  quale, 
come  si  disse,  erano  i  Tesorieri  dello  stato;  il  di  cui  reddito,  unito 
a  quello  di  diverse  altre  pie  corporazioni,  ascendeva  annualmente 
a  circa  800.000  ducati,  che  venivano  erogati  a  poveri  vergognosi, 
in  celebrazione  di  messe,  nel  riscatto  degli  schiavi,  ed  in  dote  nelle 
maritazioni  delle  donzelle:  5.  Monte  di  Pietà,  che  accettava 
capitali  a  mutuo  verso  il  4  per  cento,  per  somministrare  degi'  im- 
porti, verso  pegni,  a  que'che  abbisognavano,  e  così  schivare  l'usura 
de'  privati. 

Per  particolari  ragioni  politiche,  finanziarie  e  di  stato,  e  per  la 
ristrettezza  territoriale,  la  repubblica  non  permetteva  ai  villici  di 
possedere  beni  immobili.    Erano  quindi  coloni  de'  proprietari  torri- 


46 

toriali,  ai  quali  i  padroni  erano  in  obl)li«»o  di  fabbricar  la  casa;  e 
la  famiglia  del  colono,  di  quahuKiue  numero  fosse,  doveva  al  pa- 
drone 90  giornate  di  lavoro  all'  anno,  verso  abbondante  giornaliero 
mantenimento.  Il  colono  poteva  offrire  un  sostituto,  oppure  scom- 
prarsi per  una  parte  o  per  tutto  il  tempo  del  lavoro,  mediante  un 
pagamento,  secondo  il  mutuo  accordo.  Attorno  alla  casa,  il  padrone 
territoriale  dava  al  colono  400  passa  quadrate  di  terreno;  e  questi 
doveva  annualmente  al  padrone  alquante  uova  e  polastri  (poklon). 
Né  il  padrone  poteva  a  capriccio  cacciar  dalla  casa  il  colono,  né 
questi  capricciosamente  abbandonare  il  padrone.  Nel  caso  di  mutuo 
accordo,  il  padrone  pagava  al  colono  tutti  i  miglioramenti  che  si 
trovavano  sul  terreno;  altrimenti,  in  caso  di  abbandono,  il  colono 
perdeva  ogni  diritto  a  relativi  indenizzi,  a  meno  che  non  vi  fossero 
stati  particolari  contratti.  I  prodotti  delle  terre  erano  divisi  fra  il 
proprietario  ed  il  colono,  a  tenore  del  contratto  stipulato.  Ogni 
questione  era  decisa  dal  relativo  giudizio,  con  molta  equità. 

I  prodotti  dello  stato  di  Ragusa  erano  insignificanti.  Del  terri- 
torio, che  abbracciava  soltanto  450  miglia  quad.,  comprese  le  isole, 
solo  la  quarta  parte  poteva  esser  coltivata;  il  rimanente  era  sassoso 
ed  infruttifero.  Di  grano  non  si  poteva  avere  che  per  tre  mesi,  e 
quindi  lo  Stato  faceva  provvista  dall'  estero.  Il  principale  prodotto 
era  1'  olio  ed  il  vino.  Delle  70.000  barila  di  vino,  che  in  termine 
medio  si  ricavavano  annualmente ,  la  quarta  parte  si  smerciava  al- 
l'estero.  Dell'  olio  oltre  3000 barila  ed'  aquavita  750.  Per  3500  barila 
di  sardelle  salate  venivano  esportate.  Questi  tre  principali  prodotti 
fruttavano  a  Ragusa  420.000  ducati. 

Da  ciò  si  vede  che  i  prodotti  della  terra  erano  ben  limitati.  Col 
commercio  e  colla  navigazione  però  Ragusa  potè  raggiungere  l'apice 
della  bene  stanza,  ed  al  commercio  era  addetto  ognuno^  anche  il 
nobile.  Per  i  propri  bisogni  venivano  importati  dalla  Turchia  diversi 
generi  di  prima  necessità,  nell'  importo  annuo  di  due.  1^800.000. 
In  Bosnia  ed  Albania,  veniva  importato  il  sale,  caffè,  zucchero  ed 
altri  generi;  mentre  si  esportava  pellame,  lana,  cera,  ferro  crudo, 
anguille  salate,  diverse  frutta  secche,  ecc.;  e  dal  solo  commercio  e 
trasporto  che  si  faceva  su'  bastimenti  ragusei,  si  ricavava  annual- 
mente un  utile  netto  di  590.000  due,  abbenchè  quasi  il  terzo  del 
guadagno  venisse  dato  alle  autorità  del  confine  turco,  per  la  sor- 
veglianza delle  strade  da  ladri  ed  assassini. 

La  navigazione  costituiva  il  più  importante  nerbo  delle  risorse. 
Ragusa  aveva  per   270  bastimenti  mercantili   (di  circa  250  tonnel- 


47 

late  uno  coli'  altro),  nei  quali  era  investito  il  capitale  di  13,500.000 
ducati.  Questo  capitale,  dettratto  il  deperimento  de'  bastimenti,  frut- 
tava per  lo  meno  il  15  per  cento,  e  dava  il  complessivo  importo 
annuale  di ducati  2,025.000 

A  questo  si  ha  da  aggiungere  il  salario  dei 
3000  marinai  ragusei,  che  rimettevano  annual- 
mente in  patria „      1,000.000 

La  sola  navigazione  fruttava  quindi   ....     ducati  3,025.000 

Perduta  la  navigazione,  con  essa  si  perdettero  tutti  i  detti  capi- 
tan di  circa  14  millioni,  ed  inoltre  tutto  il  guadagno  che  la  marina 
ne  ricavava. 

L'  ordinario  reddito  dello  stato  di  Ragusa  negli  ultimi  anni  di  sua 
amministrazione  repubblicana,  era  il  seguente: 

Dai  capitali  dello  stato  investiti  sui  monti  di 
Roma,  Vienna,  Venezia,  e  Napoli,  e  dalle  tasse 
su  capitali  de'  privati due.     63.752 

Dal  consumo  del  vino,  spiriti,  carne,  nella  città 
e  borghi:  dalle  tasse  sull'  estradazione  dell'  olio, 
vino;  dalla  macinatura  del  grano „       26.613 

Da  affitti  di  terre  e  stabili,  che  appartenevano 
allo  Stato „         2.763 

Dai  diritti  di  dazio,  annuo  reddito  .     .     .     .     „       23.025 

Annua  contribuzione  dei  bastimenti  a  lungo 
corso  ;  dalla  fabbrica  dei  bastimenti  e  dalle  tasse 
consolari  in  oriente „       75.750 

Dalla  vendita  del  sale 30.700 

Totale  dell'  ordinario  introito due.  252.613 

L'  esito  annuale  era  il  seguente  : 

Per  r  emolumento  al  ministro  della  repubbhca 
a  Vienna,  ed  agli  incaricati  a  Napoli,  Parigi, 
Roma;  nonché  ai  consoli  a  Costantinopoli,  Smirne, 
Solunichi,  Alessandria due.     24.658 

Per  r  istruzione  pubblica  ai  Piaristi      .     .     .      „         7.500 

Salario  agli  impiegati  pubbUci,  ed  ai  capitani 
delle  contee  del  distretto „       46.100 

'Agi'  impiegati  miUtari.  e  per  l' occorrente  delle 
fortezze „       27.700 


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Per  r  ainniiiiistrazione  interna,  e  polizia  citta- 
dina—  chiamata  „Detta" due.  36.840 

Per  r  Orfanotrofio „  15.000 

Sconto  sui  capitali  delle  Confraternite  .     .     .      „  3.800 

Tributo  triennale  alla  Porta  colle  spese  annesse 
portava  all'  anno „       25.470 

Spese  straordinarie  presso  la  Porta      .     .     .     „       15.350 

Pel  mantenimento  del  buon  accordo  colla  Bar- 
barla   „       20.000 

Pegli   ordinari  e  straordinari  messi  ed  inter- 
preti che  venivan  spediti  ai  Pascià  di  Bosnia    .     „         4.000 
Totale  dell'annuo  esito due.  226.818 

Riporto  —  introito due.  252.613 

„  esito „     226.818 

annuo  civanzo  due.     25.795 

La  popolazione  ragusea  era  cattolica;  aveva  un  proprio  arci- 
vescovo, col  suo  capitolo.  Il  vescovo  di  Stagno,  con  parecchi  altri 
delle  finitime  regioni  nella  Turchia,  gli  erano  suffragane!.  I  beni 
della  mensa  fornivano  all'  arcivescovo  1'  annuo  reddito  di  circa  400 
zecchini  ;  e  se  questo  non  gli  bastava,  ad  ogni  sua  ricchiesta  il  go- 
verno vi  accorreva  con  nobile  generosità.  Le  prebende  canonicaH 
in  origine  erano  di  600  oncie  d' argento  ognuna  ;  ed  i  canonici  erano 
tutti  quanti  dal  ceto  de'  nobili. 

Numeroso  era  il  clero  secolare.  Al  medesimo  erano  affidate  le 
parrocchie;  e  tutti  assieme  i  sacerdoti  secolari  formavano  la  con- 
fraternita chiamata  „  C  o  n  g  r  e  g  a  z  i  o  n  e  dei  Preti",  presso  cui  vi 
era  una  ricca  amministrazione  di  pii  legati,  per  celebrazione  di 
messe,  e  sussidi  a  sacerdoti  poveri. 

Vi  erano  in  città  tre  conventi  di  regolari;  francescani^  domeni- 
cani e  piaristi.  A  quest'  ultimi  era  affidata  l' istruzione  pubblica. 
Vi  erano  pure  tre  conventi  di  mon  ache  ;  mentre  prima  del  terre- 
moto ne  esistevano  cinque.  Nello  stato  raguseo  poi,  oltre  una 
quantità  di  conventi  de'  detti  ordini,  vi  erano  anche  quelli  de'  be- 
nedettini. La  i)opolazione  della  città,  secondo  le  diverse  arti,  si 
divideva  in  altrettante  confraternite.  Tutto  lo  stato  territoriale 
della  repubblica  negli  ultimi  anni  numerava  per  30.000  anime;  — 
meno  dunque  di  quanto  conteneva  la  sola  città  coi  sobborghi  nel 
XV  secolo! 


49 

La  repubblica,  cui  stava  più  a  cuore  la  pace  che  la  guerra,  non 
prendeva  le  armi,  che  nel  solo  caso  di  giusta  difesa.  D'  ordinario 
non  manteneva  corpi  armati^  se  non  un  piccolo  presidio,  per  la 
custodia  delle  porte  della  città  e  delle  fortezze,  e  pel  mantenimento 
dell'  ordine  pubblico.  Si  riduceva  quindi  ad  un  centinajo  di  soldati, 
i  quali  air  epoca  della  protezione  dell'  Ungheria,  fino  al  sec.  XVII, 
erano  ungheresi,  misti  ad  alcuni  nazionali;  e  venivano  appellati  col 
nome  di  barabanti. 

A  capo  di  questo  piccolo  presidio^  vi  erano  sei  nobili  (dai  30  ai 
50  anni)  scelti  dal  maggior  consiglio,  che  dovevano  fare  a  vicenda 
la  ronda  notturna  con  un  drappello  di  armati,  chiudere  ed  aprire 
la  città  a  suo  tempo,  ed  invigilare  che  di  notte  i  negozi  e  le  case 
sieno  chiuse.  Anticamente  per  tutto  il  tempo  che  la  nobiltà  stava 
raccolta  nel  maggior  consiglio,  usavano  due  di  loro  ti-attenersi  con 
delle  guardie  armate  alla  porta  del  palazzo;  uso  che  cessò  nel 
sec.  XVI. 

Negli  ultimi  tempi  della  repubblica^  vi  era  una  compagnia  di  200 
soldati  d' infanteria,  ed  un'  altra  di  100  cannonieri,  con  a  capo  un 
comandante  d'artiglieria,  che  veniva  chiamato  Capo  bombar- 
diere, militare  graduato,  che  dietro  dimanda  della  repubblica 
veniva  spedito  dal  vice-re  di  Napoli,  all'  epoca  del  dominio  spa- 
gnuolo  in  Italia.  Una  parte  di  questa  mihzia  faceva  guardia  al 
palazzo  Kettorale^  alle  porte  della  città,  ed  alle  fortezze;  l'altra 
poi  stava  agli  ordini  delle  differenti  autorità  civili  ed  amministra- 
tive, peli'  esecuzione  dei  rispettivi  ordini.  L'  officialità  era  composta 
del  detto  capo  comandante,   nonché   d'  un   capitano   e  due  ufficiali. 

Cinque  nobili  erano  capitani  d'  onore.  Una  sezione  di  tre  membri 
del  senato  aveva  l' incarico  di  osservare  che  le  fortezze  sieno  in 
pieno  ordine,  due  dei  quah,  chiamati  Castellani,  erano  addetti 
al  forte  s.  Lorenzo,  e  si  davano  reciproco  scambio;  il  terzo  poi 
aveva  la  custodia  del  baluardo  s.  Giovanni  (forte  Molo)  e  gU  erano 
accomesse  le  chiavi,  i  soldati,  le  munizioni,  e  la  custodia  delle  for- 
tezze della  città. 

In  casi  di  bisogno,  veniva  ingaggiata  truppa  estera,  per  lo  più 
italiana,  con  a  capo  persone  graduate  nel  servizio  militare. 

Negli  estremi  bisogni,  in  caso  di  nemiche  aggressioni,  si  armava 
la  popolazione.  E  per  tenerla  addestrata  nel  maneggio  delle  armi, 
ancora  nel  1383  fu  deciso,  che  ogni  mese  si  dovessero  fare  esercizi 
di  manovre,  oltre  quelle  dei  3  febbrajo  e  5  luglio,  giorni  sacri  a 
s.  Biagio,   patrono   della  città.  Dal  1418  si  dovevano  tenere  mensil- 

4 


ÓO 

mente  due  manovre  ;  e  vi  erano  i  rispettivi  premi.  In  questa  ma- 
niera i  sudditi  si  avvezzavano  al  maneggio  delle  armi,  senza  disca- 
pito delle  loro  occupazioni ,  risparmiando  allo  stato  la  spesa  del 
mantenimento  di  uno  stabile  corpo  di  trupi)a. 

Alle  dette  manovre  non  solo  erano  obbligati  per  turno  i  villici, 
ma  sibbene  ancora  tutti  i  cittadini,  e  gli  stessi  nobili,  dai  14  ai  36 
anni;  e  le  assenze,  non  giustificate,  venivano  punite  con  multe  e 
castigbi.  Gli  esercizi  si  facevano  alle  Pillo,  nel  luogo  cbiamato 
Bersaglio. 

Ancbe  la  marina  veniva  rappresentata.  Quando  la  navigazione  era 
in  fiore,  e  quando  vi  era  pericolo  de'  corsari,  la  repubblica  teneva 
galere  armate  per  la  difesa  de'  propri  legni  nelF  Adriatico,  e  per 
garantire  da  attacchi  le  isole.  Aveva  pure  l'arsenale,  dove  venivano 
fabbricate,  e  dove  si  riparavano  le  galere.  In  seguito  gli  stessi  ba- 
stimenti mercantili,  equipaggiati  da  nazionali,  ed  armati  a  seconda 
del  bisogno ,  facevano  all'  occorrenza  le  veci  di  navi  da  guerra.  In 
questa  guisa  la  flotta  di  Carlo  V.  e  suoi  successori,  contava  molti 
navigli  della  repubblica,"  equipaggiati  da  nazionali,  e  comandati  da 
ammiragli  ragusei. 

La  carica  di  ammiraglio  della  repubblica,  continuava  fino  alla 
caduta  della  medesima;  e  nelle  comparse  pubbliche  vestiva  alla 
spagnuola  un  abito  rosso,  ricamato  in  oro,  ed  era  a  capo  della  ma- 
rineria ragusea. 

Ragusa  fu  tra  le  prime  potenze  che  abbia  introdotto  l' uso  della 
polvere  ed  i  cannoni;  e  vi  istituì  tosto  le  rispettive  fabbriche.  Già 
nel  1417  vi  era  il  maestro  per  fare  le  bombarde.  E  dal 
1455  in  poi,  si  riscontrano  parecchi  fabbricatori  nazionali  ed  esteri, 
al  servizio  della  repubblica.  Da  una  decisione  del  detto  anno  si 
rileva,  che  un  certo  maestro  Mario,  era  incaricato  di  fonder  una 
bombarda,  appellata  s.  Biagio,  che  doveva  portare  palle  di 
pietra  del  peso  di  300  libbre,  e  da  50  a  60  libbre  di  polvere: 
un'altra  di  nome  Vittoriosa,  del  peso  di  7500  libbre,  per  palle 
di  200  libbre,  e  polvere  da  30 — 40  libbre,  e  doveva  esser  fatta  in 
due  pezzi,  fermati  a  vite;  una  terza.  Furiosa,  del  peso  di  lib. 
5000,  per  palle  di  hb.  130,  e  polvere  da  20 — 25,  anche  in  due 
pezzi;  e  cosi  di  seguito  di  maggior  o  minor  calibro,  sotto  diversi 
altri  fonditori,  ed  in  diverse  epoche. 

Le  palle  da  principio  erano  di  pietra,  e  per  fazione,  senza 
compenso,  ogni  maestro  greggio  doveva  settimanalmente  fornire  una 


51 

da  4  ad  8  libbre;    mentre  per   settimana   ogni  singolo  maestro  di 
scarpello  doveva  fra  queste  fornire  una  completa. 

Alla  fine  del  secolo  passato  la  repubblica  aveva  altre  400  can- 
noni^ alcuni  allogati,  ed  altri  negli  arsenali;  ed  erano  in  massima 
parte  di  ottima  lega.  Uno  di  questi,  chiamato  Gusterica  (lucer- 
tola), e  che  apparteneva  al  forte  s.  Lorenzo,  attualmente  si  trova 
neir  arsenale  di  Vienna,  su  cui  si  legge  la  seguente  iscrizione  : 

A.  S.  M.D.XXXVII. 
Jupiter  omnipotens  iterum  si  perdere  vellet 

Crudelem  gentem  viribus  ipse  suis, 

Nempe  ego  tunc  Jove  saevirem  crudelius  ipsa 

Vi,  quam  Baptista  praebuit  arte  manus. 

Opus  Baptistae  Arbensis 

In  arce  s.  Laurentii. 

Un  altro  cannone  di  S.  Lorenzo,  che  pure  si  voleva  trasportare 
a  Vienna,  cadde  nel  mare,  e  vi  restò. 

Riporteremo  due  altre  iscrizioni  che  si  leggevano  su  due  cannoni  ; 
e  sono  le  seguenti  : 

Mulciber  haec  cernens  quaerit,  quis  finxerit  ?  et  mox 

Baptista  est,  inquit,  vincor,  et  erubuit. 

Opus  Baptistae  Arbensis 

A.  S.  M.D.XXXV. 

Renovata  Foenix. 


Sum  bombarda  pavor  mortalibus,  aether  et  omnis 

Fulmine  terra  meo  vel  sine  nube  tonat. 

M.D.XXVIIL 

La  bandiera  repubblicana  aveva  sul  fondo  bianco  V  effigie  di  s. 
Biagio  in  abito  pontificale,  mitra  in  capo,  col  pastorale  e  la  città 
nella  manca,  benedicendo  colla  destra.  Lo  stemma  poi  della  città 
era  quello  dell'  Ungheria,  accordato  alla  repubblica,  quando  ottenne 
la  di  lei  protezione.  Il  fondo  era  rosso  attraversato  da  tre  fascia 
d'  argento.  Col  tempo  incorse  un  grosso  errore  araldico,  essendo 
state  mutate  le  fascie  argentee,  in  color  cilestro  ;  sicché  anche  adesso 
i  colori  municipali  sono  rosso,  cilestro.  Sul  sigillo  della  repubblica 
v'  era  V  affigie   intera   di  s.  Biagio,  e  dal  1482,  per  ordine  del  se- 


52 


nato,  sui  sigilli  degli  altri  uffizi  subalterni  vi  doveva  esser  mezza 
figura  del  Santo.  All'intorno  vi  era  l'iscrizione  seguente:  S.  Bla- 
sius  protector  Civitatis  Ragusii.  Altri  sigilli  portano  in 
mezzo  tre  torri,  come  le  antiche  monete  ragusee,  ed  all'  intorno 
l'iscrizione:  S.  Blasius  Protector  Ragusii;  oppure:  S.  Bla- 
sius  Protector  Reipublicae  Ragusiuae;  od  anche:  Si- 
gillum  Reipublicae  Ragusinae.  Nella  torre  di  mezzo,  in 
alcuni  sigilli,  avvi  in  piccolo  1'  effigie  di  s.  Biagio.  In  alcune  pa- 
tenti, sotto  lo  stesso  manto,  da  un  lato  è  1'  effigie  di  s.  Biagio,  e 
d'  apresso  lo  scudo  succitato. 


>^^ 


III. 

Cultura  e  civilizzazione. 


lopolata  da  coloni  romani,  che  sfuggirono  all'  esterminio  de' barbari, 
Ragusa  sin  da  bel  principio  conservò  nel  proprio  seno  il  sacro  fuoco 
delle  arti,  delle  lettere,  e  della  morale  pubblica.  L'  estese  relazioni 
poi  dei  ragusei  colle  nazioni  colte  europee,  sì  per  ragioni  di  Stato, 
come  per  rapporti  commerciali,  erano  un  potente  mezzo  a  promuo- 
vere ed  accellerare  la  loro  cultura  e  civilizzazione,  che  manifestarono 
e  colla  mitezza  de'  costumi,  e  colla  pratica  delle  virtù  sociali,  e 
particolarmente  poi  coli'  ospitalità  che  accordavano  a  tutti,  e  spe- 
cialmente ai  profughi.  E  già  nel  1000  erano  ammirati  per  i  loro 
talenti  politici  e  militari,  e  pella  cultura  nelle  belle  lettere. 

Emanuele  Comneno  nel  1170  aveva  fatti  i  ragusei  cittadini  di 
Costantinopoli;  ed  a  spese  della  camera  imperiale  manteneva  vari 
giovani  agli  studi  in  Grecia,  e  nella  propria  capitale.  E  prima  che 
fosser  state  introdotte  pubbliche  scuole  a  Ragusa^  già  nell'  undecime 
secolo  vi  esisteva  presso  i  monaci  benedettini  a  Lacroma  un  con- 
vitto, dove  la  gioventù,  durante  1'  educazione,  indossava  le  divise 
dell'  ordine.  Nel  sec.  XIV  vennero  aperte  pubbliche  scuole,  ed  a 
spese  dell'  erario  venivano  condotti  maestri  dall'  Italia.  Si  ritiene 
che  qui  abbia  istruito  Giovanni  da  Ravenna  (Tirab.  V.)  ;  mentre 
consta  di  Nicolò  de  Vateno,  Antonio  da  Fermo,  e  di  certi  Andrea 
e  Pietro.  Nel  1434  poi  venne  preso  a  maestro  di  Rettori ca  Filippo 
de  Diversis  de  Quartigianis  da  Lucca,  e  nel  seguente  anno  fu  ela- 
borato lo  statuto  scolastico  (29  junii  1435  maj.  cons.  Or  do  prò 
magistris  scola  rum  et  scolaribus.)- 


54 

Coir  avvicinamento  del  turco,  vart  dotti  della  Grecia  e  da  Costan- 
tinopoli passarono  per  Ragusa,  fra  i  quali  fuvvi  il  rinomato  Deme- 
trio Calcondilla.  Nel  1490  venne  questi  invitato  ad  assumere  la  cattedra 
a  Ragusa,  e  senza  dubbio  a  di  lui  merito  i  ragusei  presero  di 
buon  ora  affetto  al  greco  idioma  ed  alla  nazionale  letteratura. 

Al  Calcondilla  successero:  Marino  Becichemo  da  Scutari,  profes- 
sore indi  air  Università  di  Padova  ;  Daniele  Clario  di  Parma  ;  Ste- 
fano Flisco;  Girolamo  Calvo  di  Vicenza;  Nicolò  Poterlo;  Giovanni 
Musonio;  Nascimbeno  de  Nascimbeni  da  Ferrara  (1560 — 70),  che 
dedicò  al  senato  le  sue  annotazioni  sui  libri  dell'  Invenzione  di  Cice- 
rone; Francesco  Serdonato  da  Firenze,  e  parecchi  altri. 

Nel  sec.  XVII  poi  venne  eretto  il  collegio  convitto,  e  T  istruzione 
affidata  alle  cure  dei  padri  della  Compagnia  di  Gesù;  i  quali,  dopo 
la  soppressione  dell'ordine  nel  1773,  furono  sostituiti  dai  pp.  delle 
Scuole  Pie. 

Tale  era  la  severità  dell'  educazione,  e  la  fama  che  aquistossi  in 
tale  riguardo  Ragusa,  che  Stefano  Imperatore  di  Rassia  vi  collocò 
vart  giovani  baroni  del  regno^  perchè  sieno  educati  nel  costume  e 
nelle  lettere,  facendo  al  Senato  il  dono  di  moltissimi  e  preziosi 
codici  latini  e  greci,  comperati  a  caro  prezzo  per  ogni  dove  (sec. 
XIV.).  Ed  il  celebre  Aldo  Manuzio  voleva  mandare  agli  studi  a 
Ragusa  il  suo  figlio  Paolo,  per  insinuazione  e  consiglio  senza 
dubbio  dell'Arcivescovo  di  Ragusa  Lodovico  Beccatello  di  Bologna 
(1556 — 64);  e  Palladio  Fosco  (de  situ  ore  Illyr.  1.  I.  p.  454)  già 
per  questo  riguardo  aveva  lodati  i  ragusei  nei  seguenti  termini: 
„Longum  foret  si  omnia  commemorare  vellem;  unum  tamen  non 
„praetermittam,  quo  intelligatur,  quanta  sit  rachusinorum  severitas, 
„et  in  literis  educandis  diligentia.  Non  enim  sinunt  in  sua  urbe 
„ludos  esse,  nisi  literarios;  si  gladiatores,  saltatoresve  advenerint, 
«subito  ejiciuntur,  ne  Juventus,  quam  literis  dumtaxat  aut  merca- 
„turae  vacare  volunt,  hujusmodi  foeditatibus  corrumpatur.''  —  Questo 
pubblico  provvedimento  fé  sì,  che  le  prime  commedie  slave  si  reci- 
tassero nella  riunione  di  parecchi  amici,  i  quali  le  componevano  e 
le  rappresentavano  in  luogo  aperto,  nel  tempo  di  carnovale. 

Le  persone  si  riunivano  esclusivamente  in  famiglia,  o  fra  un  cer- 
chio ristretto  d' intimi  amici.  Non  vi  erano  né  casini,  né  teatri,  né 
caffè,  né  società  pubbliche.  Ogni  festa  di  ballo  era  privata.  Negli 
ultimi  tempi  appena  venne  eretto  un  teatro,  per  cui  facevano  ve- 
nire dall'  Italia  delle  compagnie  di  comici  e  cantanti.  I  giovani  non 
conversavano   che  co'  parenti,  e  co'  famigliari  amici  della  propria 


55 

casa,  sempre  a  fianco  del  maestro,  o  del  padre  ;  e  le  ragazze  erano 
educate  con  sommo  rigore  dalle  proprie  madri,  né  potevan  lasciarsi 
vedere,  che  da  parenti  strettissimi. 

L'  amore  e  la  cultura  della  lettere  rapidamente  si  propagò  presso 
ogni  classe ,  talmente  che  già  nel  sec.  XV  e  XVI  non  y'  era  fami- 
glia, in  cui  non  vi  fosse  qualche  letterato. 

Nello  studio  della  lingua  greca  tali  progressi. si  fecero,  che 
Vetrani,  Lampridio  Cervino,  Ragnina,  Zlataric:,  Palmotta,  Luccari, 
Bona,  Gradi,  e  molti  altri  appassionati  cultori  dalla  greca  favella, 
ci  lasciarono  diverse  traduzioni,  emulando  gli  stessi  originaH. 

Alla  lingua  latina  in  ispecial  modo  si  erano  consecrati  ;  e  nel  1470 
venne  stabilito,  che  nelle  pubbliche  aringhe  si  dovesse  parlar  in 
latino.  Troviamo  quindi  un  EHo  Lampridio  Cervino  sotto  Sisto  IV 
incoronato  a  Roma,  quale  elegante  poeta  latino  ;  un  Giacomo  Bona, 
distinto  poeta  alla  corte  di  Leone  X  ;  Stay,  Kunic  e  Zamagna,  tutti 
e  tre  filosofi  e  poeti  che  fiorirono  a  Roma  verso  la  fine  del  sec. 
XVIII  ;  ed  in  fine,  ommettendone  tanti  altri,  V  abate  Gagliuffi,  che 
ebbe  non  ha  guari  in  Italia  ed  in  Francia  numerosi  ed  appassionati 
ammiratori  de'  suoi  dotti  e  spiritosi  versi  estemporanei. 

In  ispecial  modo  poi  la  slava  favella  era  coltivata;  e  Ragusa 
offrì  una  letteratura,  che  dal  XV  secolo,  a  tutto  il  XVIII,  ha  il 
vanto  di  portar  il  di  lei  nome. 

A  Ragusa,  città  libera,  poteva  molto  bene  svolgersi  la  vita  lette- 
raria ;  ed  a  quella  guisa  che  a  Bizanzio  ed  in  Itaha,  anche  a  Ragusa 
se  ne  formarono  società  letterarie,  appellate  Accademie,  le  prime 
ch'ebbero  vita  fra  le  nazioni  slave;  dei  Concordi  (sloznih)  l'una, 
fondata  nel  1585;  e  degh  Oziosi  {danguhnih)  l'altra  nel  sec.  XVII; 
e  delle  quali  lo  scopo  era  di  coltivare  la  nazionale  letteratura. 

Appoggiata  su  quella  della  Grecia  e  di  Roma,  la  letteratura  ra- 
gusea  in  breve  ebbe  uno  sviluppo  straordinario,  facendo  riflettere 
nella  lingua  nazionale  le  bellezze  de'  greci ,  e  de'  romani  ;  creando 
forme  slave ,  e  rivaleggiando  co'  geni ,  che  faceva  nascer  il  cielo 
dell'  Italia  sull'  opposta  sponda  dell'  Adriatico.  Così  nacque  il  clas- 
sicismo slavo:  ed  in  quella  guisa  che  i  greci  seppero  servirsi  di 
ogni  dialetto,  e  classicamente  modularlo  ;  così  nelle  opere  ragusee 
si  ammira  un'  atticismo  tradotto  da  un  felice  e  studiato  accoppia- 
mento di  ogni  dialetto  slavo,  per  cui  le  loro  opere  servono  e  ser- 
viranno di  modello  e  studio  ad  ogni  scrittore  nazionale. 

Al  classicismo  ben  presto  si  unì  il  romanticismo;   principi  fra 


5fi 

loro  o[)posti,  che  pur  si  svolsero  nella  letteratura  ragusea  senza 
contrasto  di  sorta.  * 

I  primi  che  si  segnalarono  nel  campo  letterario  furono  Driic, 
e  Mini^etic;  indi,  mutata  forma,  Vetrame,  Cubranovic,  Naljcb^kovid, 
e  Zlataric,  che  sono  salutati  quai  padri  della  letteratura  nazionale. 

Nel  sec.  XVII  la  letteratura  ra<^giunse  il  suo  apice  colle  immor- 
tali produzioni  del  Gundulic,  Palmotta,  e  (iiorgi,  senza  nominarne 
quella  miiiade  di' letterati  slavi,  che  rendono  illustre  il  nome  di 
Ragusa. 

La  lirica  del  sec.  XVI  fu,  a  dir  il  vero,  una  prova;  però  pren- 
deva il  carattere  della  lirica  nazionale.  Nel  seguente  secolo  giunse 
alla  sua  piena  forma;  e  nel  decimottavo  il  Giorgi  la  elevò  all'apice 
della  perfezione,  potendosi  riguardare  la  di  lui  lirica,  come  un  per- 
fetto modello.  La  drammatica  non  poteva  a  meno  di  non  svolgersi 
e  progredire  rapidamente  per  le  società  letterarie  a  tal  fine  già 
istituite.  Traduzioni  di  drajtnmi  classici,  ed  un  gran  numero  di 
lavori  originali  possiede  la  letteratura  ragusea.  L'  epica  si  fondava 
su  quella  dell'  Italia.  Il  più  importante  poema  è  1'  Osmanide  del 
Gondola,  che  puossi  metter  a  confronto  con  qualunque  epopea  di 
altra  nazione.  In  questo  genere  si  distinsero  pure  Vetrame,  Pai- 
motta,  Giorgi,  e  molti  altri.  Del  Gondola  però  si  deve  dire,  che 
egli  solo  ha  compreso  lo  spirito  di  tutta  la  nazione,  e  come  aquila 
sorpassò  quanti  hanno  tentato  finora  in  questo  ramo. 

Questa  piccola  terra  poi  ha  fornito  maggior  numero  di  uomini 
eminenti  in  ogni  conoscenza  umana,  che  non  altri  stati,  i  quali, 
e  per  estensione  e  per  potenza  figurarono  nel  teatro   della  storia. 

Un  Nicolò  Naie  venne  proposto  da  Gregorio  XIII  per  la  corre- 
zione del  calendario  ;  e  Marino  Ghetaldi,  chiamato  dall'  acuto  Paolo 
Sarpi  ,5 angelo  di  costumi  e  demonio  in  matematica",  fu  il  primo 
che  abbia  applicata  1'  algebra  alla  geometria.  La  prima  opera  sulla 
scienza  commerciale,  pubblicata  a  Venezia  nel  1573,  fìi  scritta  dal 
raguseo  Benedetto  Cotrugli  110  anni  prima.  Un  Anselmo  Banduri, 
bibliotecario  del  rè  d'  Orleans,  fu  il  primo  che  abbia  data  alla  luce 
r  opera  sulla  numismatica  latina  e  greca,  tanto  dai  dotti  apprezzata. 
Ed  un  Ruggero  Boskovic  sorprese  V  Europa  in  un  tempo ,  in  cui 
diffusa  per  ogni  dove  la  luce  delle  scienze  matematiche,  rimaneva 
appena  la  speranza  di  potersi  distinguere  e  farsi  qualche  nome; 
né  fuvvi  pontefice,  né  potentato,  che  non  lo  abbia  ricolmo  di  onori. 

Non  v'era  Università  di  grido,  presso  cui  in  ogni  epoca  non  vi 
fosse  stato  a  precettore  qualche  raguseo.  A  rettori  del' Università 


57 

di  Padova  riscontriamo:  Ragnina  (1397),  Rosa  (1492),  Zlatarié 
(1579),  e  Crasso  (1609). 

A  professori  di  teologia:  a  Padova;  Giovanni  raguseo 
(1415),  Serafino  Bona  (1408),  Tralasso  (1480),  Giorgi  (1492),  Bas- 
segli  (1511).  A  Sorbona;  Stojkovic  (1421).  A  Buda  d'Ungheria; 
Bona  e  Bassegli;  a  Parigi,  Bondemalic  (XV.  sec.)  e  Gozze  (1564); 
a  Roma,  Matteo  Bona  (sec.  XVII.)  e  Zuzzeri  Bernardo  (1762).  A 
Lovanio,  il  citato  Gozze;  a  Wittemberga,  Frankovic  Mattia,  sovra- 
nominato  Flaccus  Illyricus  (1544). 

Per  le  belle  lettere  e  filosofia  furono  a  Padova:  Giorgio 
raguseo  (1622)  e  Cerva  (1631);  a  Siena,  Zuzzeri  (1746);  a  Roma 
e  Firenze  Kunic  (1794);  a  Bologna,  Remedelli  (XVIII  sec);  a 
Roma  Stay   (1801);    a  Siena  e  Milano  Bernardo   Zamagna  (1820). 

Nelle  matematiche;  a  Roma,  Bartolomeo  Boskovic  (1770);  e 
Ruggero  suo  fratello  a  Roma,  Parigi,  e  Milano  (1787). 

Nella  medicina:  a  Bologna,  Galeotti  (1394 — 1422);  a  Padova 
Belleo  (1601);  e  Baglivi  a  Roma  (1705). 

Se  al  pari  di  questi  giganteschi  progressi,  le  belle  arti  non  pro- 
gredivano a  Ragusa,  non  è  a  stupirsi  ;  perchè  in  uno  stato,  a  cosi 
dire  microscopico,  non  ci  potevan  essere  Mecenati,  dove  F  esistenza 
era  una  lotta  continua  per  conservar  l' indipendenza,  unita  alla  se- 
verità de'  principi  morali,  poHtici  e  religiosi.  I  ragusei  quindi  pre- 
ferentemente  si  occupavano  intorno  al  cosi  detto  bello  ideale,  cioè 
alla  poesia  ed  alle  lettere  —  applicazione  pratica  dello  spirito  ;  an- 
gichè  alle  arti  plastiche,  come  la  pittura,  scultura,  archittettura  — 
la  materia  cioè  spiritualizzata.  Ciò  non  ostante  anche  le  arti  belle 
venivano  rappresentate  ;  la  pittura  nello  Stay,  e  nel  Mattei  ;  1'  ori- 
ficeria  nel  rinomato  Progonovic  ;  V  archittettura  in  Paolo  di  Michele  ; 
la  tipografia  in  Bonino  de  Boninis  (Dobroevic);  la  musica  in  Bru- 
gnoli,  Tampariza,  Babi(5,  Gaudenzio,  e  Francesco  Gozze  ;  senza  farne 
cenno  di  tanti  altri  distinti  artisti. 

11  commercio,  le  arti,  e  le  lettere  ,  si  ajutavano  a  vicenda  nello 
sviluppare  la  civiltà  ragusea.  E  senza  qui  numerare  le  diverse  arti 
ed  industrie,  che  esistevano  a  Ragusa  nel  sec.  XVI,  e  di  cui  altrove 
si  fece  cenno  ;  basti  avvertire,  che  nel  sec.  XV  vi  esisteva  pure  una 
fabbrica  di  strumenti  matematici  ed  astronomici,  come  ce  lo  attesta 
Giudo  Pannonio  in  una  sua  lettera  a  Gazzoli  matematico  raguseo  ; 
e  che  Carlo  IX  di  Francia  spedì  a  Ragusa  un'  apposita  commissione, 
per  far  apprendere  ai  propri  la  maniera  di  tesser  i  panni  ;  né  potè 
altrove  rinvenire  più  capaci  artigiani  che  a  Ragusa,  per  introdurre 


58 

nel  suo  re^nio  V  arte  perfezionata  della  costruzione  de'  vascelli, 
nella  quale  occasione  quel  rti  di  spontaneo  moto  accordò  a' ragusei 
la  cittadinanza  francese. 

Pervenuti  a  così  avvanzato  grado  di  cultura  intellettuale,  ed  a 
tanta  gentilezza  di  costumi,  fra  la  barbarie  che  da  ogni  lato  li 
circondava,  venivano  considerati  come  un  popolo  singolare.  Né  era 
illusione  di  patrio  affetto,  che  faceva  esclamare  al  Palmotta: 

Sciat  Itala  tellus 

Haud  ragusinis  vicinam  serpere  terris 

Barbariem,  ingenuas  sed  libera  stare  per  artes 

Moenia 

E  gli  stranieri  stessi  ne  convenivano.  L' inglese  Tommaso  Watk in s 
così  ne  parla:  —  „Io  non  posso  scrivere  abbastanza  favorevolmente 
„de'  ragusei,  che,  generalmente  parlando,  hanno  tutte  quelle  buone 
„ qualità,  le  quali  conferir  possono  un  virtuoso  esempio  ed  una  raf- 
^finata  educazione.  Essi  hanno  più  dottrina  e  meno  ostentazione 
„di  qualunque  popolo  che  io  conosca;  più  urbanità  l'uno  verso 
„r  altro,  e  meno  invidia.  La  loro  ospitalità  verso  gli  stranieri  non 
„può  in  alcun  modo  superarsi;  in  una  parola  il  loro  carattere  ge- 
^nerale  ha  in  sé  così  pochi  difetti^  eh'  io,  per  quanto  la  mia  espe- 
„rienza  sugli  altri  popoli  me  lo  permetta,  non  esito  di  dichiararli, 
„per  il  più  saggio,  il  migliore,  ed  il  più  felice  degli  Stati." 

Ed  in  epoca  più  recente  il  croato  conte  Draskovic  ne  tessè 
r  elogio  con  queste  lusinghiere  parole  :  —  «Allorché  dopo  la  malaugu- 
„rata  giornata  di  Kossovo  (15.  giugno  1389)  caddero  sotto  la  turca 
„ dominazione  la  Bulgaria,  la  Serbia,  e  la  Erzegovina,  donde  venne 
„a  quelle  sventurate  Provincie  sciagura  immensa,  e  per  cui  le  loro 
^fertili  pianure  furono  campo  per  secoli  di  atroci  battagUe,  che  di- 
^strussero  ogni  germe  di  cultura;  la  piccola  provincia  di  Ragusa, 
^pari  alla  greca  Atene,  conservò  illesa  la  propria  libertà,  ed  indi- 
„pendenza.  Coli'  avvedutezza  della  sua  politica  essa  seppe  approfit- 
„tare  con  coraggio  e  con  prudenza  delle  circostance  e  dei  tempi, 
„consoHdando  la  sua  indipendenza  per  via  di  potenti  alleanze  e  di 
^vantaggiosi  trattati,  particolarmente  colla  Porta  Ottomana.  Sotto  la 
„ protezione  di  questa,  che  premeva  con  dispotico  giogo  le  altre 
„provincie  dell'  lllirio  inferiore,  sviluppò  le  sue  forze  fisiche  ed  in- 
„tellettuali  in  grado  così  luminoso,  da  gareggiare  ne' rapporti  com- 
^merciali  coi  primi  stati  europei  di  quel  tempo,  e  da  superarli 
^presso  che  tutti  nella  cultura  morale." 
Non  v'  ha  poi  molti  anni  che  la  Revue  de  Monde  (nel  maggio 


59 

1838)  tributò  a  Ragusa  la  seguente  testimonianza  :  —  „A  Ragusa  i  co- 
„stumi  erano  semplici  e  dolci;  il  villano  attivo,  onesto  e  religioso 
jjConsumava  la  sua  vita  fra  la  navigazione  e  1'  agricoltura,  ed  ac- 
„quistò  un  grado  di  politezza  e  di  cultura  poco  comune  fra  i  villici 
„ nelle  altri  parti  dell'  Europa.  La  città  offeriva  uno  spettacolo  poco 
„ comune  ;  ancora  sì  scorgeva  da  ogni  parte  un'  aria  di  severità  che 
„rende  Genova  sì  triste  ad  onta  de'  suoi  numerosi  abitanti.  L'  origi- 
^nalità  di  forme  e  di  carattere  non  aveva  nulla  di  aspro,  e  ciò  per 
„la  bellezza  del  clima.  Una  terra  tutta  aperta  a  mezzogiorno,  fa- 
„ceva  che  il  sole  versasse  i  suoi  torrenti  di  luce  su  tutto  questo 
„ paese,  ornato  senza  interruzione  da  ogni  sorta  di  fiori  naturali; 
„e  formando  uno  de'  più  bei  porti  del  mondo,  intramezza  fra  la  ver- 
5,  dura  lussureggiante  un  mare  calmo  e  trasparente.  Una  natura 
„così  bella  animava  ed  inspirava  intieramente  questo  popolo,  ad  onta 
„ dell'  austerità  de'  suoi  principi  ideali  e  morali,  causati  dalla  forma 
«religiosa  ed  amministrativa.  L'  aria,  il  sole,  la  terra  verdeg- 
„giante  esaltava  questo  popolo  ;  tutto,  perfine  le  forme  del  corpo,  su- 
„bivano  il  felice  influsso  della  natura  estei-na,  del  benessere  generale. 
„Si  riconoscevano  facilmente  i  ragusei,  come  nella  letteratura,  così 
^nelle  fatezze,  esser  un  misto  delle  forme  greche,  che  sono  gaje  e 
^raggianti,  colle  slave,  che  sono  robuste  e  snelle.  Dalla  bellezza 
^del  corpo  trasparivano  il  vigore  e  le  grazie  greco-slave  dello  spi- 
„rito.  Tutte  queste  circostanze  davano  ai  ragusei  1'  aria  d'  un  in- 
„teressante  alveare  di  api.  Ma  gii  sciami  di  api  sono  deboh,  ed  i 
^deboli  dovevano  perire  nella  distribuzione   politica  dell'  Europa". 

L'illustre  conte  Francesco  Borelli,  Zaratino,  membro  del  Con- 
siglio ristretto  dell'  impero,  F  anno  1860  taceva  risuonare  in  quelle 
aule  questi  lusinghieri  accenti:  —  „E  che  diremo  di  Ragusa,  che  in 
„mezzo  alla  barbarie  ottomana  e  all'  invidia  veneta,  seppe  conser- 
„vare  la  sua  indipendenza  e  civiltà,  formandosi  una  storia  politica, 
„letteraria,  e  commerciale,  da  far  onore  a  qualunque  delle  più  colte 
^nazioni  dell'  Europa?" 

E  r  illustre  Tommaseo,  parlando  di  Ragusa,  così  ebbe  ad  espri- 
mersi: —  «Ragusa  è  forse  1'  unica  città,  che  ad  un  tempo  coltivò  tre 
„lingue;  1'  italiana,  da  parlarla  meglio  che  in  molte  città  d'  Italia; 
^la  slava,  da  formarsi  una  propria  letteratura;  e  la  latina,  da  pro- 
„ durre  più  famósi  scrittori  che  tutta  insieme  1'  Italia."  —  Ed  al- 
trove :  —  „I1  raguseo  per  diventare  genio ,  non  ha  bisogno  di  sortir 
„ dalla  patria,  gli  basta  imitar  i  propri." 

Colla  loro  cultura  e  civiUzzazione,  in  tempi  quando  le  finitime 


(io 

nazioni  versavano  presso  che  nella  barbarie,  e  mentre  molte  altre 
ancora  non  avevano  raggiunto  quel  grado  a  cui  si  elevò  Ragusa; 
i  ragusei  seppeio  ovun(iue  esercitare  la  propria  influenza,  e  coi 
loro  lumi  apportare  vantaggio  anche  alle  colte  nazioni. 

Stefano  Imperatore  di  Rassia  spedì  inviati  alla  repubblica  per  ot- 
tenere 20  giovani,  ai  quali  affidare  le  prime  cariche  dell'  impero. 
11  senato  però,  a  motivo  della  mortalità  che  poco  prima  ne  aveva 
fatto  strage,  gliene  speaì  soli  tre  di  grandi  talenti  e  speranze;  i 
quali,  ammessi  ai  regi  secreti,  e  ricolmati  di  doni,  titoli,  e  ricchezze, 
ebbero  poi,  con  vantaggio  della  loro  patria,  grande  influenza  nelle 
cose  di  governo. 

Non  v'  era  Corte  fra  i  re  slavi  dove  non  ci  fosse  stato  qualche 
raguseo,  occupato  nelle  più  alte  cariche.  Domagna  di  Volzo  Bobali 
(1300)  fìi  primo  ministro  del  bano  Stefano  Cotromano  di  Bosnia. 
Vito  Bobali^  Matteo  Cerva,  e  Giovanni  Pozza  (1315)  furono  alla 
corte  di  Vladislao  ed  Urossio,  figlio  di  Uros  il  santo  di  Rassia. 
Alla  corte  di  Giorgio,  despota  di  Servia,  fu  un  Sorgo,  un  Giorgi, 
un  Resti;  ed  un  Caboga  protovestiario  del  duca  Hervoje. 

La  stessa  corte  pontificia  se  ne  prevalse  di  un  buon  numero  di 
ragusei.  Senza  Elio  Saraca  nella  Curia  pontificia  di  Avignone  nulla 
di  grave  si  decideva  (1340);  e  fatto  indi  arcivescovo  di  Ragusa, 
adempì  importantissime  missioni  pontificie.  Un  Giovanni  Stojko, 
insieme  al  cardinale  Cesarini  aprì  a  nome  di  Eugenio  IV  il  con- 
cilio di  Basilea.  Mariano  Bondauello,  dopo  di  aver  insegnato  teolo- 
gia all'  università  di  Parigi,  da  Sisto  IV  fu  creato  suo  cappellano 
domestico  e  consigliere  secreto  (sec.  XV.).  Pietro  Benessa  sostenne 
r  incarico  di  secretano  di  Stato  (1510).  Bonifazio  de  Stefanis,  ve- 
scovo di  Stagno,  fu  nunzio  di  Pio  V.  a  Filippo  IL  di  Spagna  (sec. 
XVI).  Radulovic  Nicolò,  secretano  della  congregazione  dei  vescovi 
e  regolari,  fu  poscia  cardinale,  eletto  da  Innocenzo  XII  (1699).  E 
senza  citarne  altri,  Stefano  Gradi,  bibliotecario  della  Vaticana  sotto 
Urbano  VIII  ed  Alessandro  VII,  veniva  consultato  come  oracolo 
dai  letterati. 

L'  Ungheria  se  prevalse  pure  in  ogni  incontro  dei  dotti  di  Ra- 
gusa. Sigismondo  dopo  la  rotta  di  Golubaz,  presso  Semendria,  es- 
sendo stato  splendidamente  ricevuto  da  Matteo  Luccari,  e  fornito 
di  mezzi  per  salvarsi,  avendo  scoperta  in  lui  una  straordinaria  abi- 
lità nel  maneggio  de'  grandi  atfari,  lo  impiegò  prontamente  nelle 
cose  del  regno,  e  lo  creò  Bano  della  Slavonia,  signore  di  Toljevaz, 
e  tesoriere  del  regno;   il  di  lui  fratello  Pietro  fé  conte  di  Zetigna 


61 

e  Bano  di  Croazia;  nominò  Francesco  in  Bano  della  Croazia  rossa; 
ed  a  Giovanni  Cavaliere  di  Eodi  offrì  il  Priorato  di  Avrana.  Que- 
st'  ultimo,  essendo  comandante  di  Belgrado  (1400);  s'immortalò  contro 
Amuratte,  costringendolo  alla  ritirata  colla  perdita  di  80,000  uomini. 
Sotto  il  re  Alberto^  Matteo  ebbe  grande  influenza  negli  aff'ari  del 
regno;  e  dopo  la  di  lui  morte  (1438)  si  fé  capo  di  coloro  che  ade- 
rivano a  Vladislao  Jagelone  di  Polonia,  ed  egli  stesso  fìi  alla  testa 
di  coloro  che  lo  accompagnarono  dalla  Polonia  in  Ungheria.  E  la 
felice  riuscita  di  Giovanni  Unniade,  dichiarato  poscia  Vicario  del 
regno,  è  interamente  dovuta  all'impegno  ed  alle  cure  del  Luccari, 
il  quale  lo  educò  ancor  giovane,  e  lo  produsse  innanzi  alla  Corte 
ed  alla  Dieta.  E  lo  stesso  Unniade  dovette  ai  due  ragusei  Pasquale 
Sorgo  e  Damiano  Giorgi  la  propria  liberazione  dalle  mani  dell'  in- 
grato Giorgio  Despota  di  Serbia ,  quando ,  rotto  sotto  Semendria, 
fu  preso,  e  sulla  supposizione  di  far  cosa  grata  al  Turco,  per  or- 
dine del  despota  doveva  esser  affogato  nel  fiume  Resava.  Damiano 
Giorgi  poi,  succeduto  a  Pasquale  Sorgo  in  qualità  di  primo  ministro 
della  Serbia,  procurò  la  libertà  ai  di  lui  due  figli,  Vladislao  e  Mattia, 
lasciati  in  ostaggio  al  despota.  Da  qui  il  grande  amore  che  il  re 
Mattia  Corvino  portava  ai  ragusei,  memore  che  ad  essi  doveva 
r  esaltamento  della  propria  famiglia,  e  conscio  dei  grandi  servigi  da 
loro  resi  al  proprio  padre  ed  a  lui  stesso.  E  per  corrispondere  ai 
ricevuti  benefizi,  ricchiamò  alla  sua  corte  Damiano  Giorgi,  ed  accolse 
in  qualità  di  paggi  i  di  lui  cinque  figli,  Nicolò,  Pasquale,  Girolamo, 
Giugno  e  Manno,  facendo  aggiungere  al  loro  stemma  la  propria  in- 
segna del  Corvo,  e  dandoli  ricchi  feudi,  baronie  ed  impieghi.  Li 
donò  due  città  nella  Croazia,  ed  il  relativo  diploma  è  registrato  nel 
libro  pubbHco  di  Zagabria  del  1483;  e  nel  territorio  di  Segna  la 
baronia  di  Vinodò  e  di  Ledenice,  di  cui  uno  era  governatore  ed 
un  altro  capitano ,  col  privilegio  d' innalzare  la  propria  arma  sul 
palazzo  della  città,  e  sulle  di  lei  porte.  Giugno  poi  fìi  distinto  ge- 
nerale, che  riportò  tante  vittorie  contro  il  turco  (1462),  e  che 
Maometto  II,  giunto  a  conoscenza  della  di  lui  fama  e  gran  va- 
lore, ricchiese  al  senato  per  averlo  nelle  mani;  ma  ottenne  in  ri- 
sposta, non  poter  di  lui  disporre,  per  appartenere  desso  totalmente 
air  Ungheria.  Mattia  Corvino  poi  in  contrassegno  di  speciale  attac- 
camento ai  ragusei,  oltre  a  tanti  altri  favori,  fé  loro  avere  il  pro- 
prio stendardo,  che  religiosamente  veniva  custodito  nella  cattedrale, 
ed  esposto  nelle  principali  solennità;  perito  di  poi  nel  terremoto 
del  1667. 


62 

Al  servizio  dell' Austria  si  segnalarono,  fra  molti,  nel  1600  il  co- 
lonello  Draso,  e  Milli,  nonché  Francesco  a  Matteo  Gondola,  il  qua- 
r  ultimo  raggiunse  il  grado  di  maresciallo  (f  1700),  ed  una  contrada 
a  Vienna,  dove  vi  era  il  di  lui  palazzo,  si  chiamò  Gundulstrasse. 
Ed  un  Gondola  tu  pure  generale  ajutante  di  Eugenio  di  Savoja 
air  assedio  di  Belgrado,  dove,  dopo  inauditi  tratti  di  valore,  poco 
prima  della  vittoria,  mortalmente  ferito,  vi  morì. 

La  Russia  ebbe  anche  distinti  ragusei  al  proprio  servizio;  e  fra 
gli  altri    Florio  Beneveni,   Girolamo  e  Pietro  Natali    (sec.  XVIII). 

La  Spagna  in  special  modo  se  ne  prevalse.  Benedetto  Cotrugli 
fu  primo  ministro  a  Napoli  sotto  Alfonso  e  suo  figlio  Ferdinando; 
e  più  volte  fu  loro  ambasciatore  a  diverse  corti.  E  Matteo  Vo- 
dopié,  accettissimo  a  Carlo  III.,  morì  nell'  impiego  di  Direttore  ge- 
nerale delle  regie  fabbriche  dei  regni  di  Murcia  e  Valenza,  e  de' 
presidi  di  Barberia,  nella  seconda  metà  del  sec.  XVIII.  Le  sue 
principali  opere  furono  le  fortezze  ed  il  porto  di  Cartagena;  e  la 
di  lui  vedova,  in  segno  di  onore,  aveva  alle  porte  del  suo  palazzo 
un  corpo  di  guardia. 

La  tiotta  spagnuola  poi,  oltre  la  gran  quantità  di  navi  ragusee 
che  le  venivano  somministrate,  ebbe  ne'  ragusei  eccellenti  condot- 
tieri di  legni  armati,  ed  ottimi  ammiragli  di  squadre  nelle  spedi- 
zioni di  Algeri  e  Tunisi  sotto  Carlo  V.,  ed  in  quelle  di  Gerbi, 
Lisbona,  delle  isole  Terzere  ecc.,  sotto  Filippo  IL  ed  i  suoi  suc- 
cessori, fino  alla  metà  del  1600.  Il  capitano  Marulino  Sfrondati 
vedendo  la  galera,  su  cui  era  Filippo  IL  (nel  1571  presso  Li- 
sbona), pel  gran  flusso  del  mare  in  gran  pericolo  di  perdersi,  get- 
tatosi in  mare  salvò  a  nuoto  sulle  spalle  il  re,  portandolo  sano 
e  salvo  al  lido  con  indicibile  sorpresa  degli  astanti.  Ricolmotolo 
di  doni,  Filippo  gli  offrì  il  comando  di  una  squadra  spagnuola, 
che  Marulino  non  volle  accettare.  I  nomi  de'  Prodanelli  e  Prazatto 
sono  ben  conosciuti.  Parecchi  della  famiglia  Ohmuòevic  furono 
capitani  di  nave,  ed  altri  generali  di  squadre.  Il  capitano  Giorgio, 
dopo  molte  prodezze,  mori  conducendo  ISOO  uomini  sulla  sua  nave 
dalla  Spagna  in  Italia.  Pietro  fu  general  comandante  di  una  squadra 
di  12  grosse  navi  a  tre  alberi  (sei  erano  sue,  e  sei  de'  suoi  pa- 
renti), equipaggiate  di  3200  ragusei,  e  per  ben  26  anni  battè  sempre 
le  acque  dell'  Oceano,  ed  acquistò  alla  sua  squadra  il  nome  di  S  q  u  a- 
dra  delle  Indie  e  dell'Oceano.  Egli  si  distinse  in  parecchi 
incontri,  e  segnatamente  nel  1596,  trionfando  di  parecchie  grosse 
navi    ingU'si.     Filipi)0  II   lo  creò  Cavaliere    di  s.  Giacomo   di  Ga- 


63 

lizia,  con  una  commenda  di  3200  pezze  all'  anno.  Agli  Ohmucevié 
successero  nel  comando  della  flotta  ispano-ragusea  i  Dolisti,  ed 
i  Maèibradié,  ad  uno  dei  quali  il  re  di  Spagna  conferì  un  ricco 
marchesato;  poi  i  Balacchi,  i  Palmotta,  i  Martilossi^  fra  i  quali 
ultimi  si  crede  che  vi  fosse  stato  qualche  abile  pilota  nella  sco- 
perta delle  Americhe. 

E  tanta  era  la  stima  e  la  simpatia  che  godeva  Ragusa  presso 
quel  regno,  che  Vincenzo  Bune,  dell'  isola  di  Mezzo,  benemerito 
della  religione  che  sostenne  nel  Belgio  e  propagò  nelle  Indie,  illu- 
stre per  nobih  imprese  a  prò  della  Spagna,  venne  investito  del 
carattere  di  Vice-re  del  MessicO;  e  governò  quel  paese  sotto  i  due 
Filippi,  secondo  e  terzo  ;  poscia  ad  latus  del  vice-re  di  Napoli 
tenne  le  redini  di  quel  regno,  e  in  quella  città^  in  età  ancor  fresca, 
vi  morì  nel  1612.  Per  sua  disposizione  testamentaria  la  di  lui 
salma  venne  trasferita  in  patria  e  collocata  nel  sepolcro  fattosi 
già  prima  fabbricare  nella  sua  capella  della  ssma  Trinità. 

Le  cause  di  questa  sorprendente  prosperità  intellettuale,  morale, 
e  materiale,  conviene  cercarle  nella  saviezza  del  governo  repub- 
blicano, e  nelle  benedizioni  che  il  cielo  a  larga  mano  vi  versava 
per  le  grandi  opere  umanitarie  che  quel  governo  ebbe  fondate. 

Già  nel  1347  la  repubblica  adottò  la  legge  per  la  fondazione 
d'un  ospitale  ad  co  nsolationem  et  suffragium  paupe- 
rum  cunctorum;  e  nel  1540  vi  destinava  ad  ospitale  la  casa  di 
ricovero  delle  povere,  per  raccogliere  i  poveri  infermi  di 
medicabili  infermità;  appellandolo  Hospitale  Domus 
Christi,  ed  approvando  il  relativo  Ordo  super  erectionem 
novi  hospitalis  et  ejus  regimine.  Oltre  alle  generose  somme 
dal  governo  elargite,  vi  contribuirono  poscia  all'  aumento  del  suo 
patrimonio  abbondanti  importi  di  pii  lasciti. 

Contemporaneamente  vennero  erette  delle  case  di  ricovero  per 
ambi  i  sessi.  Questi  ricoveri  consistevano  in  ciò,  che  i  poveri,  in 
piena  libertà  lungo  la  giornata,  trovavano  poi  alla  notte  dove  ri- 
posare tranquillamente,  ricevendo  in  stabilite  giornate  sussidi  anche 
dal  fondo  pubblico. 

La  pietosa  ospitalità  poi ,  creazione  del  cristianesimo ,  accordata 
alle  creature  esposte  ed  abbandonate  dalle  proprie  genitrici,  è  ben 
vero,  ha  trovato  sin  dal  principio  eco  nella  carità  di  molte  private 
persone.  Ciò  non  ostante  ospitali  pubblici  a  ricoverar  i  trovatelli, 
appena  troviamo  nel  sec.  XIV,  e  questi  pure  eretti  da  privati.  Ci 
si  voleva  la  carità  di  un  s.  Vincenzo  di  Paolo   per  erigerlo  a  Pa- 


64 

rigi  nel  1541'.  Ma  la  sua  esistenza  legale  in  quella  stessa  città 
ai)pena  data  dal  1G70.  A  Ragusa  invece  si  decretava  l'  erezione 
di  un  ospizio  pe' trovatelli  ai  0  di  febbrajo  del  143:^  „co  usi  do- 
rando di  quanta  abboni  inazione  et  in h umanità  era  il 
gettar  delle  creature  huniane  piccole,  le  quali  molte 
fiate  non  erano  raccolte,  nò  secondo  T  Immanità  et  bi- 
sogno sovvenute."  Venne  appellato  Ospitale  della  Miseri- 
cordia, ed  in  pari  tempo  fu  esteso  il  relativo  Or  do  et  prov- 
vedimentum  hospitalis  i)ro  creaturis,  quae  abjiciuntur 
in  human  iter. 

Ad  ogni  caritatevole  scopo  venne  poi  provveduto  colla  fonda- 
zione dell'istituto  aft'idato  alle  mani  de' così  detti  Tesorieri  di 
s.  Maria  (che  adesso  porta  il  titolo  di  Opera  pia),  il  quale 
data  ancora  dal  1300,  ed  è  costituito  di  capitali  lasciati  da  pii 
testatori,  che  per  cinque  secoli  andavano  aumentando.  Investiti 
i  capitali  sui  beni  stabili  e  sui  Monti  di  Roma,  Genova  e  NapoU, 
costituivano  un  complessivo  di  sei  millioni  di  ducati  ragusei  ;  il  cui 
reddito  veniva  erogato  ai  poveri,  agli  ospitali,  in  sussidio  nelle  ma- 
ritazioni  di  donzelle  di  qualunque  ceto,  in  riscatto  de'  schiavi,  in 
sussidio  alle  chiese,  in  celebrazione  di  messe,  ed  in  ajuto  alle  fa- 
miglie decadute,  discendenti  da'  legatari. 

A  solUevo  de'  sacerdoti  impotenti,  e  per  celebrazione  di  messe, 
fìi  pure  istituita  nel  1391  la  così  detta  Congregazione  dei 
Preti,  di  cui  gli  statuti  furono  approvati  dai  pontefici  nel  1483, 
e  1595;  alla  quale  apparteneva  di  diritto  ogni  sacerdote  diocesano, 
e  diveniva  compartecipe  dei  frutti  della  medesima.  Ebbe  perfino 
un  ospizio  per  i  sacerdoti  poveri  ed  ammalati. 

Fu  pure  posto  dalla  repubblica  un  freno  alle  usure,  ed  offerto 
un  mezzo  facile  a  prestiti  di  determinate  somme  di  danaro,  coli'  isti- 
tuzione del  Monte  di  Pietà,  uno  de'  primi  eretti  in  Europa. 
Ebbe  origine  nel  1671  e  fìi  amministrato  da  tre  senatori  ed  un 
computista.  In  seguito,  dallo  stesso  governo  fu  dotato  con  3000 
zecchini ,  aumentabili  ogni  anno  secondo  i  bisogni  e  le  ricerche 
della  popolazione. 

Nulla  dico  dell'  amministrazione  che  dal  1306  era  in  mano  de' 
Procuratori  di  s.  Maria,  per  provvedei'e  a  tutti  i  bisogni  della 
cattedrale,  coi  redditi  de'  capitali  investiti  sulle  case ,  campagne,  e 
Monti  d'  Italia;  né  di  quella  della  chiesa  di  s.  Biagio,  che  aveva 
pure  propri  Procuratori. 


65 

Non  faccio  cenno  di  quelle  tante  istituzioni,  dalle  quali  traspira 
un'  avvanzata  cultura,  come  a  dire  delle  Confraternite  di  s.  Antonio 
e  s.  Lazzaro,  alle  quali  apparteneva  il  ceto  de'  cittadini,  né  di 
quelle  tante  altre  confraternite  de'  popolani  delle  diverse  arti, 
erette  per  la  manutenzione  delle  chiese,  e  pel  sostegno  ed  ajuto 
de'  poveri  e  degli  ammalati  de'  rispettivi  ceti;  istituzioni  che  fun- 
gevano r  offizio  delle  attuali  società  di  mutuo  soccorso,  e  delle 
così  dette  casse  di  risparmio.  Non  parlo  dell'  organizzazione  delle 
varie  arti  a  Ragusa,  che  meriterebbe  un'  apposito  studio,  e  farebbe 
conoscere  1'  alto  grado  di  cultura  e  civihzzazione,  di  cui  ogni  ceto 
potea  vantarsene.  E  non  ne  parlo  nemmeno  delle  leggi  sanitarie, 
emanate  per  evitare  i  contagi,  e  che  potrebbero  servir  di  modello 
a  tutte  le  istituzioni  presenti  in  questo  ramo. 

Quello  poi  che  sovra  ogni  altro  nobilita  la  repubblica  di  Ragusa 
in  cospetto  della  civile  Europa,  è  V  atto  dell'  abolizione  della 
schiavitìi,  che  solennemente  decretava  nel  141G  ai  27  gennajo:  „ri- 
„ guardando  quel  mercimonio  come  turpe,  nefario,  abbominevole, 
„e  contro  ogni  umanità,  e  giudicando  che  ridondava  a  gravame 
„non  piccolo  e  ad  infamia  della  città,  che  1'  umana  specie,  fatta  ad 
„imagine  ed  a  similitudine  del  creatore,  si  debba  convertire  in  uso 
„mercimoniale,  e  si  venda,  come  si  smerciano  gli  animali  bruti; 
„ stabilì  perciò  ed  ordinò  —  che  in  avvenire  nessun  distrettuale 
„o  forese,  abitante  nella  città  di  Ragusa,  o  nel  suo  distretto, 
„o  chiunque  altro  eziandio,  che  chiamisi  raguseo,  non  possa  per 
„nessun  modo,  pretesto  od  intendimento,  ardire  e  presumere  di 
^comperare  né  vendere  alcun  schiavo,  né  alcuna  schiava,  né  esser 
^mediatore  in  siffatta  mercanzia,  come  nemmeno  tenere  società 
„a  parte  con  chicchesia,  né  cittadino  né  forese,  il  quale  facesse 
„o  mantenesse  tale  esercizio;  decretando  per  pena  al  contravventore 
„per  ogni  volta  sei  mesi  nelle  carceri  profonde  di  Ragusa,  e  per 
%  „ogni  capo  0  persona,  che  avesse  venduto  o  comperato,  o  per  cui 
„si  fosse  fatto  mediatore  o  partecipe,  che  doveva  pagare  25  ipper- 
„peri,  e  mai  cominci  il  termine  di  sei  mesi  di  carcere,  finché  non 
„soddifaccia  la  pena  pecuniaria.  Ordinò  parimenti  che  nessun  fo- 
„rastiere,  di  qualsisia  condizione,  in  nessun  modo  osi  o  presuma 
„di  fare  o  esercitare  siffatto  mercato  entro  il  distretto  di  Ragusa, 
„  sotto  le  pene  comminate  di  sopra.  Parimenti  che  nessuna  barca, 
„nave,  o  vascello  dello  Stato  di  Ragusa  in  verun  modo  osi  o  pre- 
„sunia  trasportar  tali  schiavi  e  schiave,  sotto  pena  al  capitano  di 
„ stare  sei  mesi  nelle  carceri  profonde  per  ogni  singola  contravven- 

5 


6t) 


^zione,  ed  ai  inannai  di  star  siuiil mente  ciascuno  nelle  stesse  car- 
„ceri  profonde  tre  mesi." 

Ragusa  adunque  abolì  il  nefando  e  turpe  mercato  della  schiavitù 
già  nel  sec.  XV,  mentre  a  ciò  nemmeno  si  pensava  dalle  altre 
colte  nazioni.  Appena  nel  1807,  a  mezzo  dell'  energica  protesta 
del  primo  ministro  Fox,  presentata  alla  Camera  dei  Comuni  in 
Inghilterra,  dopo  gì'  inutili  sforzi  della  santa  crociata,  iniziata  dal 
1780  in  poi  da  Tom.  Clarkson,  Gugl.  Wilberforce,  e  dal  gran  Pitt, 
fìi  sancita  la  legge  che  aboliva  il  traffico  degU  schiavi  sui  basti- 
menti inglesi,  che  annualmente  trasferivano  a  torture  morali  e  fìsiche 
da  60.000  esseri  umani,  nelle  loro  colonie!  Ciò  non  ostante  il  go- 
verno tollerava  tuttora  la  schiavitù  nelle  proprie  colonie,  ed  appena 
nel  1834  il  parlamento  la  abolì. 

„Ciò  che  la  grande  Inghilterra  con  giubilo  della  umana  fa- 
„miglia  deliberava  nel  1807,  la  piccola  repubblica  di  Ragusa 
^ aveva  deliberato  nella  sua  cerchia  di  giurisdizione  trecento  no- 
„vantaun  anno  prima! 

„Nè  vi  sia  chi  sorrida  al  paragone  dell'  influenza  che  ottenne 
„ nella  colta  Europa  la  legge  della  grande  Inghilterra,  su 
„ quella  dell'umile  repubblica  slava,  la  quale,  quando  vogliasi riguar- 
„dare  nei  suoi  possessi,  appena  si  trova  sulle  carte  geografiche; 
^ma  quando  si  consideri  che  questa  aveva  nelle  più  commerciali 
,j città  del  mondo  le  sue  colonie,  le  quali  avevano  diritto  e  dovere 
jjdi  reggersi  a  leggi  patrie;  che  specialmente  le  coste  dell'Asia 
^al  Mediteraneo ,  ove  la  repubblica  aveva  istituito  i  più  ricchi  ed 
„i  più  fiorenti  suoi  fondachi,  avevano  duopo  di  tale  mercato;  che 
^i  suoi  quatrocento  vascelli,  falchi  del  mare,  come  li  chiama 
„un  poeta,  solcavano  a  quell'epoca  i  mari  in  tutte  le  direzioni, 
„ specialmente  le  coste  della  Spagna,  dell'Africa,  dell'Arcipelago, 
y^e  del  Mar  nero;  e  finalmente  che  tutte  e  colonie  e  navi  soggia- 
„  ce  vano  alla  sua  giurisdizione  —  le  proporzioni  non  sono  poi  tanto 
„a  dismisura  inconfrontabili;  quanto  sembra  al  primo  aspetto. 

„Di  quanto  nella  civihzzazione  vera  ha  precorso  la  piccola  re- 
^pubblica  di  Ragusa  non  solo  la  grande  Inghilterra,  ma 
„tutte  le  altre  contrade  dell'Europa!  Ed  i  molti  legati  pel  riscatto 
^degli  schiavi,  le  rendite  dei  quali  ora  si  versano  nella  cassa  era- 
„riale,  sono  testimonianza  dell'  umanità,  che  da  secoU  professano  i 
«ragusei."  (Manuale  della  Dalmazia  III.) 


IV. 


Stato  attuale  di  Ragusa. 


Uhi  si  porta  a  visitare  la  città  del  passato,  e  si  sbarca  nel 
vicino  porto  di  Gravosa,  non  può  a  meno  di  non  restar  tosto  col- 
pito dalla  grata  impressione  d'  un  magico  panorama.  Seminati  fra 
il  verde  allegro  d'  una  lussureggiante  vegetazione ,  ed  il  cupo  de' 
cipressi  e  degli  ulivi,  vede  dapertutto  signorili  casinetti,  e  gentili 
abitazioni,  che  si  specchiano  nelle  onde  d'  un  placido  mare.  Ovunque 
passa  gli  si  affacciano  ameni  giardini,  sepolti  sotto  un  lusso  quasi 
tropicale  di  piante;  e  giunto  alla  cima  del  colle,  spazia  coli' occhio 
a  destra  la  collina  che  con  ripido  declivio  discende  al  mare;  ed  alla 
sinistra  un  dolce  pendio  su  cui  fanno  mostra  di  se  e  belle  case  e 
vaghi  giardini.  Prosegue  in  mezzo  ad  una  collina,  intersecata  da 
mille  viuzze ,  dall'  una  e  dall'  altra  parte  abbellita  da  signorili  pa- 
lazzotti, e  geniah  abitazioni,  e  vaghi  giardini,  adorni  di  olezzanti 
fiori,  di  aloè,  cacti,  fichi  d' india,  palme,  cipressi,  pini,  mirti,  ulivi, 
mandorli,  fichi  —  l'esotico  in  somma  ed  il  nostrano,  1'  utile  ed 
il  dolce,  con  tutto  il  pittoresco  che  magicamente  s'impossessa 
de'  suoi  occhi. 

Egli  è  alle  P  i  1 1  e  —  sobborgo  occidentale  di  Ragusa  —  dove  la 
natura  profuse  quanto  di  bello  aveva.  Innanzi  vi  scorge  la  città, 
tutta  quanta  cinta  da  grandiose  medievali  muraglie,  circondata  da 
parte  di  terraferma  di  ampio  e  profondo  fossato;  dietro  a  cui, 
nuove  abitazioni ,  nuovi  giardini  uniscono  il  borgo  Pille  all'  altro 
sobborgo  ad  oriente ,  chiamato  P 1  o  e  e  e ,  più  erto  e  meno  vago  del 
primo,  ma  non  perciò  meno  interessante.  Fra  una  lussureggiante 
verdura,  si  scorge  in  fondo  il  romantico  or  soppresso  monastero 
benedettino  di  s.  Giacomo,  eretto  nel  1222,  fiorente  una  volta  d'illustri 


68 

personaj^f»i ,  dove  giacciono  le  mortali  spoglie  del  'rtiberone  e  del 
Giorgi;  quindi  la  vasta  e  profonda  spelonca  di  Bete  (spila  Be- 
tina),  ove  il  celebre  matematico  Marino  Glietaldi  scendeva  coi  suoi 
specchi  ustori  a  rinnovare  le  esperienze  di  Archimede  e  di  Proclo. 
Gli  danno  poi  un'  aria  di  grave  interesse  i"  vasti  edifizi ,  eretti  nel 
sec.  XV.  sulla  riva  del  mare  ad  uso  de'  lazzaretti  e  fondaci,  a  de- 
posito ed  espurgo  delle  \iierci,  come  pure  1'  esteso  recinto  del  baz- 
zarro  e  carovane  turche,  dove  a  memoria  della  presente  generazione, 
si  atlollavano  ed  atfacendavano  genti  di  tante  stirpi,  di  tante  lingue, 
di  tante  foggie  di  vestito,  per  cui  una  spiritosa  viaggiatrice  tedesca^ 
ebbe  ad  esprimersi,  che  il  mondo  orientale  incomincia  precisamente 
dal  sobborgo  P lecce.  Infine  lo  anima  il  vago  aspetto  della  vicina 
isola  di  Lacroma ,  prediletto  soggiorno  una  volta  dell'  Arciduca 
Massimiliano. 

Sì  r  uno  che  1'  altro  sobborgo  più  volte  erano  presso  che  distrutti 
per  ordine  della  repubblica  stessa  ne'  pericoli  di  nemiche  aggres- 
sioni; ed  al  principio  di  questo  secolo  non  poco  ebbero  a  soffrire 
neir  invasione  russo-montenegrina.  Erano  una  volta  molto  più  po- 
polati; e  tuttora  si  osservano  in  alcune  locahtà  de'  ruderi,  dove 
altre  volte  vi  erano  copiosi  edifizi. 

Fra  i  due  sobborghi  è  la  città,  posta  al  pendio  del  monte  e  sullo 
scoglio,  fra  i  gradi  di  latitud.  42  :  39'  e  di  longitud.  orientale 
35  :  50',  aprendosi  con  due  porte,  ad  occidente  e  ad  oriente.  A  di 
lei  diffesa  sta  sulla  vetta  del  monte  s.  Sergio,  alto  1200  piedi,  il 
forte  Imperiale,  eretto  da' francesi,  all'epoca  della  loro  domi- 
nazione a  Ragusa,  e  dilatato  indi  dall'  attuale  governo  ;  un  secondo, 
sulla  cima  dell'  isola  di  Lacroma ,  fabbricato  pure  da'  francesi ,  ed 
ampliato  dagli  Austriaci;  ed  un  terzo,  s.  Lorenzo,  su  una  roccia 
protendentesi  nel  mare,  ad  occidente  della  città,  nel  sobborgo  Pille, 
fabbricato  dalla  repubblica  ragusea  nel  1038.  Alla  fabbrica  di 
quest'ultimo,  dicesi,  avesse  dato  occasione  il  secreto  progetto  de' 
veneziani,  per  impadronirsene  della  detta  rupe,  ed  erigervi  un  forte, 
da  cui  dominare  la  città.  Avvertiti  di  ciò  i  ragusei,  con  prodigiosa 
sollecitudine  cinsero  di  mura  la  roccia,  munendola  di  stromentt  di 
difesa.  Al  giunger  della  flotta  veneta,  il  forte  s.  Lorenzo,  surto 
quasi  per  incanto,  eludeva  ogni  loro  progetto  di  sorpresa;  laonde 
istizziti  pel  fallito  colpo,  presero  la  via  di  levante,  e  per  risarcirsi 
delle  spese  inutilmente  incontrate,  scemarono  di  un  quarto  la  paga 
ai  galeotti,  i  quali,  d'allora  in  poi,  chiamavano  questa  fortezza  col 

*  Ida  V.  D  ii  r  i  11  g  s  f  e  1  d. 


69 

nome  di  Mal  paga.  Compresane  l'importanza  strategica,  i  ragusei 
la  ingrandirono  com'  è  al  presente.  Alla  porta  vi  posero  la  seguente 
iscrizione: 

Si  nova  vis  Superum  urgeret  Thiphoea  teuentum 
Haec  habeant  illum  moenia,  tutus  erit. 

E  nel  1750  circa,  la  sostituirono  col  seguente  verso:  » 

Non  bene  prò  toto  libertas  venditur  auro. 

Ed  intorno  al  labbro  d'un  pozzo  del  castello,  si  leggeva: 

Quas  natura  negat^  dat  aquas  custodibus  arcis 
Ars;  jam  pelle  sitim,  quisquis  amicus  ades. 

Tutta  r  archittettura  di  Ragusa  consiste  nelle  mura.  Queste  sono 
grandiose;  quindi  belle.  Furono  fabbricate  dal  sec.  XII  in  poi,  e 
munite  d' una  seconda  cinta  da  parte  di  borra  e  d'  un  profondo 
fossato  neir  anno  1453,  quando  il  turco  invase  l' impero  orientale. 
E  poco  dopo  (1463)  venne  eretto  da  parte  di  levante  il  colossale 
forte  Re  V  eli  in  0;  chiamato  pure  Fortezza  Pia,  per  aver  il  pon- 
tefice di  questo  nome  secondo,  sussidiata  per  tale  scopo  la  repub- 
blica, avendo  voluto  render  Ragusa  punto  centrico  delle  operazioni 
strategiche  centra  il  turco.  E'  un  baluardo  quasi  triangolare,  isolato 
ed  imminente  alla  porta  orientale  della  città,  e  che,  secondo  1'  uso 
delle  antiche  fortificazioni,  ha  più  piani,  sostenuti  da  pilastri,  e 
masiccie  volte.  Nel  1538  vi  vennero  fatte  nuove  aggiunte  sotto  la 
direzione  dell'  ingegnere  Antonio  Ferramolino  ;  e  sulla  porta  della 
città  venne  inciso  il  seguente  distico: 

Este  procul  saevi,  nullum  haec  per  saecula  Martem 
Castra  timent,  quae  fovet  aura  Senis. 

Suir  angolo  delle  mura  da  parte  di  borra-tramontana  ergesi  una 
maestosa  torre  rotonda ,  chiamata  Mincetta  (dal  cognome  della 
nobil  famiglia  Menze  o  Mincetic)  che  in  proporzioni  relativamente 
minori  rassomiglia  a  quella  di  s.  Angelo  a  Roma;  e  fabbricata  sul 
luogo  dove  già  anteriormente  v'  era  un  piccolo  forte-  d' istesso 
nome,  sul  modello  presentato  dal  maestro  Mchelozzi,  e  compiuta, 
con  alcune  riforme,  da  Giorgio  Matajevic  da  Sebenico  (1464),  allora 
al  semzio  della  repubblica  pella  fabbrica  del  palazzo  Rettorale.  Suc- 
cessivamente nel  1538  fìi  ampliata  dall'ingegnere  Ferramolino. 

A  difesa  dalla  parte  del  porto ,  dirimpetto  al  Revellino ,  avvi  il 
forte  Molo,  detto  pure  di  S.  Giovanni,  attaccato  alle  mura  della 
città.  Esso  venne  eretto  nella  forma  attuale  1'  anno  1485,  sotto  la 
direzione  dell'  ingegnere  raguseo  Pasquale  di  Michele,   che  fece 


70 

pure  la  scogliera  a  riparo  de' navigli  nel  porto;  come  lo  attesta 
un'  analoga  iscrizione  collocata  nella  sacristia  de'  domenicani. 

Molti  altri  baluardi  e  bastioni  quìi  e  là  si  ergono  sulle  mura. 

Un  ponte  ad  arcate,  eretto  nel  1403,  fiancheggiato  da  ambi  i  lati 
da  alti  pioppi  che  si  elevano  dal  fossato,  in  cui  s' insinuano  le  spu- 
manti onde  del  mare ,  che  talvolta  s' inalzano  sovra  i  bastioni, 
conduce  dal  borgo  Pille  alla  città.  Passando  il  ponte,  e  discendendo 
per  la  tortuosa  strada  lungo  le  mura,  si  apre  innanzi  un  lungo, 
regolare  e  vasto  stradone,  alla  foggia  de'  corsi  in  Italia,  che  taglia 
pel  mezzo  la  città,  e  si  estende  dall'  una  all'  altra  porta.  Alla  destra 
si  presenta  un  antico  e  grande  bacino ,  da  cui  costantemente  zim- 
pilla  l'acqua,  e  dietro  allo  stesso  l'Arsenale  d'Artiglieria,  vasto 
edifìzio,  una  volta  convento  delle  Clarisse.  A  sinistra  vi  si  osserva 
un  elegante  tempio  dedicato  all'  Ascensione  di  N.  S.,  indi  la  chiesa 
coir  annesso  convento  de'  francescani. 

Tanto  a  destra  che  a  sinistra,  in  tutta  la  lunghezza  dello  stradone, 
si  vedono  semplici  ma  eleganti  edifizt,  di  pietre  quadre,  da  due  a 
tre  piani,  presso  che  di  uguale  altezza  e  forma,  fabbricati  in  tal 
guisa  dopo  il  terremoto  per  ordine  del  Senato ,  ond'  evitare  nuovi 
disastri,  in  caso  di  nuove  scosse  di  terremuoto. 

Lo  stradone  fu  anticamente  un  canale  di  mare,  che  separava  lo 
scoglio  Lavve  dal  pendio  del  monte,  e  che  nel  sec.  XIII  venne 
livellato  a  piazza. 

Innanzi  all'  epoca  del  terremoto  lo  stradone  era  molto  più  largo, 
e  fiancheggiato  da  ambi  i  lati  da  superbi  edifizì  alti  da  quattro  o 
cinque  piani ,  simili  ad  alcuni  superstiti  che  ancor  si  ammirano  in 
altri  punti  della  città;  ed  in  tutta  la  lunghezza  a  man  sinistra  vi 
erano,  dinanzi  agli  edifizt,  loggie  con  sottopostivi  negozi;  ed  in 
mezzo  allo  stradone  dal  lato  stesso,  una  chiesa  dedicata  ai  ss.  Mar- 
tiri Cattarini,  Pietro,  Lorenzo  ed  Andrea. 

In  fondo  allo  stradone,  a  man  sinistra,  si  ammira  un  massiccio 
ed  elegante  edifizio,  con  davanti  una  superba  loggia  alla  veneziana, 
sostenuta  da  colonne;  edifizio  una  volta  della  zecca  e  dogana,  ora 
dell'  Intendenza  con  annessa  Dogana  e  Demanio. 

D'  appresso  avvi  1'  altra  porta  della  città,  che  conduce  lungo  la 
chiesa  ed  il  convento  de'  domenicani ,  attraverso  il  forte  Revel- 
lino,  all'  altro  sobborgo  di  Plocce. 

Sopra  la  porta  stessa  ergesi  un'  alta  torre  coli'  orologio ,  e  di 
sotto  vi  è  r  antica  loggia  per  la  guardia  militare.  A  destra  si  estende 
un  altro  piazzale,   che  fa  angolo  retto  collo  stradone;   e  da  una 


71 

parte  si  ammira  l'elegante  tempio  di  s.  Biagio,  ed  a  sinistra  il 
palazzo  Municipale,  indi  quello  del  Rettore  della  repubblica,  ora 
del  Capo  politico  del  distretto,  chiudendo  tale  braccio  di  strada  la 
chiesa  cattedrale. 

La  città  oltre  allo  stradone,  che  la  divide  in  due  parti,  ha  due 
altre  calli  principali,  che  lo  fiancheggiano  paralellamente.  Indi  oriz- 
zontalmente una  quantità  di  calli  secondarie  la  tagliano  con  regolarità. 

Palazzo  ducale.  —  Il  più  importante  edifizio  è  il  palazzo  una 
volta  del  Rettore  della  repubblica,  costruito  dal  1412  al  1424. 
Guasto  dall'incendio  appiccatosi  al  contiguo  arsenale  nel  1435,  venne 
rifabbricato  dall'  architetto  Onofrio  Giordano  della  Cava,  napohtano 
il  quale  ornò  la  parte  inferiore  del  palazzo  con  colonne  e  bellis- 
simi capitelh.  Rovinato  da  nuovo  incendio  (1463),  venne  ristaurata 
la  parte  superiore  da  Giorgio  Matajevic,  da  Sebenico ,  1'  architetto 
della  magnifica  Cattedrale  nella  sua  patria,  dopo  che  per  qualche 
tempo  innanzi  era  affidato  il  disegno  a  Michelozzi,  e  l'ispezione 
della  fabbrica  a  Marino  da  Rugia.  Nel  grande  terremoto  ebbe  pure 
a  soffrire  non  indifferenti  danni ,  e  fìi  ristaurato  dall'  ingegnere 
GiuHo  Cerutti,  spedito  a  tal  fine  pei  bisogni  della  città  dal  ponte- 
fice Clemente  IX. 

E'  di  stile  italiano,  dell'  epoca  di  Renaissance;  poggia  sopra  volte 
sostenute  da  colonne  con  capitelli  superbamente  lavorati,  ed  adorni 
di  magnifici  rilievi  ed  imniaginart  simboK.  Il  De  Diversis,  contem- 
poraneo al  lavoro  eseguito  dopo  il  1435,  descrivendo  le  sculture 
di  cui  sono  ornati  i  capitelli  delle  colonne  che  sostengono  il  portico, 
ci  racconta,  che  il  concetto  di  quel  capitello  rappresentante  Esculapio 
co' suoi  emblemi,  sia  dovuto  a  Nicolò  Lazziri,  nobile  cremonese, 
cancelliere  della  repubblica,  di  cui  è  pure  la  seguente  iscrizione, 
incastrata  nel  muro  sotto  il  portico^  sopra  la  porta  dell'  antica  Te- 
soreria, dappresso  al  capitello  della  colonna,  in  cui  fa  cenno  della 
tradizione  che  Esculapio  fosse  nativo  da  Epidauro: 

Munera  diva  Patris,  qui  solus  ApoHinis  artes 
Invenit  mediceas,  per  saecula  quinque  sepultas, 
Et  docuit  gramen  quod  ad  usum,  quodque  valeret, 
Hic  iEsculapius  caelatus  gloria  nostra 
Ragusii  genitus,  voluit  quem  grata  relatum 
Esse  Deos  inter  veterum  Sapientia  patrum, 
Humanas  laudes  superaret  rata  quod  omnes 
Qua  melius  toti  nemo  quasi  profuìt  orbi. 


72 

Sotto  il  portico  inedecimo,  a  mano  sinistra,  si  lej,^ge  pure  la  se- 
guente iscrizione,  incisa  in  una  forando  lapide,  ed  incastrata  nel 
muro  : 

Civitati  —  Ragusei  nobiles  providentissimique  —  Cives  —  Blasii 
martyris  pontifi.que  Praecl.  hujus  Epidaurae  —  RagusaeCivitatis 
patroni  auspicante  Nuniine  —  Ad  prid.  iduum  sextilium  aug. 
faustum  feliciss.que  diem  —  Ex  S.  C.  et  amplissimi  or- 
dinis  decreto  —  Atrium  Praetorianum  hoc  insigne  ut  pubi. 
Civit.  Aulam  et  —  Senatoriam  aedem  Aed.  optumis  Curanib. 
V.  Vir.  optimm.  in  omnem  —  oportunumq.  praesentem  et  po- 
steritatis  —  Usum  aere  publico  —  Dicandum  exornandumque 
d  edere. 

K.  A. 

A.D.  M.CCC.XXXV.  Sigismundo  Imp.  A  II. 

Tutto  il  palazzo  forma  un  quadrilatero.  I  lati  interni  poggiano 
su  volte  sostenute  da  semplici  ma  solide  colonne.  Nell'atrio  inteiiio, 
un  piedestallo  quadrilatero  di  pietra  sostiene  una  statua  in  mezzo 
busto,  ricoperta  di  lastra  di  rame;  monumento  eretto  dalla  repub- 
blica alla  memoria  del  benemerito  cittadino  Prazatto ,  come  lo 
attesta  la  relativa  iscrizione  sulla  faccia  anteriore  della  base: 

Micliaeli  ~  Prazatto  —  Benemerito  —  Givi  ex  S.  C.  — 
A.  M.DC.XXXVm. 

E  sulla  faccia  laterale  a  sinistra  si  legge  : 

Conlapsa  maximo  —  Terraemotu  —  A.  M.DC.LXVII  — 
Erecta  qua  —  Superstes  —  A.  M.DCC.LXXXIII.  — 

Quest'  è  r  unica  statua  che  la  repubblica  abbia  eretta  ad  un 
proprio  suddito. 

Sopra  la  porta  interna  poi,  che  conduce  nel  palazzo  ducale,  in 
una  nicchia  avvi  un  angelo,  e  sulla  fascia  che  tiene  fra  le  mani, 
si  legge  la  seguente  iscrizione: 

Pio.  Justo.  Providoq.  Rag.  Senatui.  Vicio.  Vacanto. 
Caeteris.  Specimen. 

Nella  sala  di  ricevimento  si  ammirano  parecchie  pitture  ad  olio, 
tra  le  quali  un  Adone  e  Venere  di  Paris  Bordone. 

Statua  d'Orlando.  —  In  un  cantuccio  nell'atrio  interno  del 
detto  palazzo  si  trova  steso  per  terra  un  colossale  pilastro,  12  piedi 
vienn.  circa  di  lunghezza,  su  una  faccia  del  quale  è  rappresentato 
in  rilievo  un  guerriero  ricoperto  di  armatura,  colla  spada  sguainata 


73 


nella  destra.  Questo  pilastro,  collocato  su  un  apposita  base,  e  mu- 
nito alla  parte  superiore  d'un  parapetto  di  ferro,  stava  dinanzi  la 
chiesa  di  s.  Biagio,  la  loggia,  e  l'arsenale  ;  e  serviva  di  sostegno  all'asta, 
su  cui  sventolava  il  gonfalone  della  repubblica.  A  pie  di  questo 
pilastro,  ne'  tempi  andati,  solevano  frustare  e  bruciare  la  barba  ai 
condannati  per  conpartecipazione  a  delitti;  e  sulla  base  stessa 
v'  era  segnata  la  misura  del  braccio  raguseo  (51  centim.)  ad  uso 
di  coloro  che  vendevano  lì  i  tessuti. 

Questo  pilastro  era  chiamato  col  nome  di  Orlando;  anzi  era 
in  proposito  coniata  una  leggenda,  ripetuta  da  molti  cronisti.  Nar- 
ravano, qualmente  il  prode  nipote  di  Carlo  Magno,  il  paladino  Or- 
lando, avesse  sbaragliato  su  una  galera  ragusea,  presso  Lacroma, 
un  corsaro,  di  nome  Spucento;  e  che  la  repubblica  gli  abbia  inal- 
zato per  gratitudine  questo  monumento.  Simili  pilastri  battezzati 
pure  col  nome  di  Orlando,  e  destinati  ad  egual  uso  come  questo 
a  Ragusa,  si  trovano  a  Brema,  e  nelle  altre  città  libere  della 
Germania,  come  anche  a  Venezia  il  piedestallo  Lomhardis,  eretto 
nel  1505. 

Ai  sei  di  gennajo  del  1825  un  tremendo  uragano  atterrò  questa 
patria  memoria,  ed  allora  fu  trovata  nelle  sue  fondamenta  una 
lamina  di  rame,  colla  seguente  iscrizione   in   carattere  semigotico: 

M.CCCC.  .  .  Ili  di  maggio  —  Fatto  nel  tempo  di  Papa  Martino 
quinto  —  e  nel  tempo  del  signor  nostro  —  Sigismondo  impe- 
rator  Romanorum  —  et  semper  augustus  et  re  d'  Ongaria  — 
e  Dalmatia  et  Croatia  etc.  fò  messa  —  questa  pietra  et  sten- 
dardo qui  —  in  honor  di  Dio  e  di  santo  Biasio  —  Nostro 
Gonfalon.  Li  officiali 

Alcune  cifre  del  millesimo  sono  consumate;  ma  congetturando 
dall'  epoca  in  cui  regnarono  Sigismondo  e  Martino  V.,  e  calcolato 
lo  spazio  del  vacuo,  questo  potrebbe  riempiersi  o  col  XV,  e  formare 
il  1418,  ovvero  col  XX,  e  risultare  il  1423.  Due  linee  che  segui- 
vano all'  ultima  parola,  sono  oramai  assolutamente  indecifrabih.  La 
detta  lamina  è  attualmente  nel  Museo  comunale. 

Questo  pilastro,  da  queir  epoca  in  cui  fìi  atterrato  dall'  uragano, 
a  tutt'  oggi,  giace  nell'  atrio  del  palazzo  ducale,  ora  del  Capitanato, 
attendendo  una  mano  che  lo  sollevi  dall'  obblio. 

Archivio  della  repubblica  di  Ra'jusa.  —  Presso  il  Capitanato 
distrettuale  sono  conservati  in  apposite  due  stanze  gli  atti  dell'an- 
tico  archivio  politico  dell'  ex-repubblica  di  Ragusa,  e  formano  un 


74 

complessivo  di  1450  volumi  circa,  di  i^.Of)  regolari  fascicoli,  oltre  a 
molti  involti  di  documenti  turchi. 

Fra  i  volumi  che  presentano  maggiore  interesse,  sono  quelli  delle 
Riformazioni,  e  del  Consiglio  de' Pregati,  per  gli  anni  dal 
130G  tino  al  1802;  quelli  del  Maggior  Consiglio  dal  1415  fino 
al  180G;  quelli  del  Minor  Consiglio  dal  1415 — 1805;  volumi 
138  di  Lettere  e  Commissioni  di  levante,  cioè  lettere  regi- 
strate, scritte  agli  agenti,  consoli,  ed  incaricati  d'  aftari,  dal  1339 
al  1802;  volumi  135  di  Lettere  e  Commissioni  di  Ponente 
(come  sopra)  dal  156G  al  1802;  volumi  22  di  lettere  e  rela- 
zioni di  vari  nobili  ragusei  ed  altri  soggetti  illustri,  da  Roma, 
Vienna,  Madrid,  Napoli,  Venezia,  ecc.  ecc.,  dall'anno  1605  al  1699; 
ed  il  grosso  volume  in  pergamena,  detto  Matica,  dove  sono  de- 
scritti i  confini  e  la  divisione  della  maggior  parte  continentale  del 
già  territorio  di  Ragusa,  ceduta  alla  repubblica  per  vendita  ad  al- 
tro titolo  dai  baroni  e  re  della  Bosnia. 

I  volumi  sopraccennati  dei  tre  Consigli  della  repubblica  mancano 
però  in  parte  d' indici,  e  quei  pure  che  esistono  sono  stati  compi- 
lati in  modo,  da  non  otìVire  sempre  la  possibilità  di  rinvenire  fa- 
cilmente le  terminazioni,  di  cui  per  avventura  si  va  in  cerca. 
I  volumi  poi  delle  Commissioni  di  levante  e  ponente,  e  cosi  pure 
quelli  delle  lettere  e  relazioni  dirette  alla  repubblica,  non  hanno 
indici,  e  conviene  scorrerli  per  sapere  il  contenuto  ;  molto  più,  che 
in  una  medesima  commissione  venivano  in  regola  devoluti  agli  agenti 
della  repubblica,  e  da  quest'  ultimi  per  conseguenza  trattati,  parec- 
chi e  svariati  incarichi.  Talché  è  assai  difficultato  lo  studio  sulla 
legislazione,  sulF  amministrazione  in  generale,  sulle  relazioni  poli- 
tiche, commerciali  ecc.,  di  questo  piccolo,  ma  fiorente  Stato  di  una 
volta.  ^ 

I  rimanenti  volumi  poi  dell'  archivio  politico  della  repubblica  per 
(juauto  sieno  di  minore  interesse,  potrebbero  ciò  non  ostante  offrire 
utili  dati  statistici  sui  redditi  e  sulle  spese  del  governo,  sulle  pri- 

'  Fra  i  più  distinti  cultori  della  patria  istoria,  è  il  nostro  esimio  Consi- 
gliere Aulico  Paolo  cav.  de  Re  s  e  t  a r ,  il  quale  durante  tutto  il  tempo  dacché 
in  patria  presiede  all'amministrazione  civile,  con  particolare  premura  se 
ne  occupò  dell'  archivio,  impegnandone  in  quello  studio  tutte  le  ore  libere 
che  i  molteplici  affari  del  suo  ministero  gli  consentivano.  (ìiova  sperare 
%  che  questo  intelligente  e  zelante  magistrato  vorrà  compiere  anche  V  altra 
parte  delle  sue  premurose  e  patriottiche  cure,  col  publicare  quanto  prima 
le  preziose  memorie  che  ha  estratte  da  una  quantità  di  volumi;  per  le 
quali  0  la  patria,  o  la  nazione  gli  saranno  riconoscentisBirao. 


75 

vative  riservatesi,  sulle  speculazioni  per  conto  pubblico  intraprese, 
suir  azienda  di  pubblici  istituti  e  simili. 
Non  sarà  fuor  di  proposito  far  cenno  anche  di  questi. 

I.  Libri  che  trattano  sopra  diverse  materie:  1.  Specchio  del  mag- 
gior Consiglio,  in  carta  pecora^  dell'  anno  1440,  1500,  1600,  1783. 

—  2.  Un  libro  in  carta  pecora  sui  maritaggi  del  ceto  nobile 
dall'anno  1400  in  poi.  —  3.  Un  libro  in  carta  pecora  contenente  un 
compendio  di  libri  degli  statuti,  e  di  quelli   del  maggior  consiglio. 

—  4.  Un  libro  -di  privilegi  in  caratteri  serviani.  —  5.  Copia  de' 
privilegi  dei  re  di  Spagna  e  Sicilia.  —  6.  Un  indice  de'  privilegi 
pontifici,  e  di  diversi  principi.  —  7.  Un  libro  :  Ricordanza  di  minor 
Consiglio  del  1608.  —  8.  Due  volumi  legati  in  pelle  riguardanti  le 
magistrature  e  cariche  pubbliche  della  repubblica,  nonché  una  tela 
degli  stemmi  di  nobiltà.  —  9.  Uno  specchio  di  nobili,  di  Giacomo 
Miorinis  del  1786.  —  10.  Un  libro  in  carta  pecora  in  cui  sono  re- 
gistrati gli  obblighi,  i  crediti  e  debiti  della  Comune  dell'  anno  1449, 
1582.  —  11.  Un  libro:  Cambi  d'uffizi  di  fuori,  del  1545  e  1600.  — 
12.  Un  libro  di  lamenti  politici  dell'  anno  1417,  1441,  1519,  1537. 

—  13.  Processus  secreti  minoris  Consilii,  dell'  a.  1547. 

II.  Libri  dell'  Uffizio  delle  cinque  ragioni;  —  di  Salinada  etc. 
dall'  a.  1419,  al  1808. 

in.  Miscelanea.  1.  Istrumenti  per  i  magistrati,  per  procedere  a 
norma  degli  statuti  e  provvedimenti.  ■ —  2.  Un  libri ciuolo  di  vari 
provvedimenti  e  terminazioni  dell'  anno  1667,  —  3.  Parti  de'  Pre- 
gati concernenti  la  cassa  pubblica  dall'  anno  1667 — 1785.  —  4.  Prov- 
vedimenti del  senato  della  repubbhca  concernenti  1'  uffizio  di  Sali- 
naria.  —  5.  Un  libro  sull'  elezione  dei  capitani  di  Notte  dell'  anno 
1619.  —  6.  Un  libro  di  esami  delle  famigUe  dei  Conti  di  fuori,  del 
1619 — 1645.  —  7.  Un  libro  d' inventari  di  robe  esistenti  nei  pa- 
lazzi de'  Conti  e  capitani  di  fuori,  dell'  anno  1638.  —  8.  Delle  li- 
cenze de' Conti  per  l'assenza  dal  proprio  uffizio  dell'  a.  1640.  — 
9.  Lamenti  di  Giusticieria  dell'  anno  1670.  —  10.  Licenze  e  Pre^ 
Getti,  ossiano  pene  di  Giusticieri  del  1667.  —  11.  Miscelanea  Ec- 
clesiastica dell'  a.  1746.  —  12.  Indice  delle  rehquie  esistenti  nel 
reliquiario  della  Cattedrale  di  Ragusa.  —  13.  Libro  di  Commissioni 
dello  Stato  del  1668.  —  14.  Vacchetta  del  monastero  di  s.  Chiara. 

—  15.  Libro  titulario  per  la  corrispondenza  coi  principi.  —  16.  Ve- 
rificazione delle  terre  della  Comune  nello  StatO;  del  1521.  —  17. 
Libro  di  salari  delle  guardie  e  soldati  dello  stato  del  1614,  1617, 
1618.  —  18.  Varie  ordinanze  del  Consiglio  de'  Pregati  del  1777. 


76 

I!).  Norme  per  V  elezione  di  Magistrati.  —  20.  Licenze  per  la 
luoiiaca/iuiie.  —  li  1.  (Jahella  della  Sicurtà.  —  2'J.  Capitoli  dell' in- 
curpurazione  del  monastero  di  s.  Maria  di  Laeroma  colla  Congre- 
gazione di  s.  (iinstina  di  Padova. 

IV.  Lìhri  cìie  trattano  sui  legati,  monti,  e  censi  imposti  sopra  beni 
stabili.  1.  Sugli  oblighi  di  legatari  del  1444.  —  2.  Libro  di  Teso- 
reria relativo  ai  legati  pii,  del  1497.  —  :i  Indice  di  legati  dell'anno 
1549—1606.  —  4.  Monti  di  Napoli  1660  ecc. 

V.  Libri  concernenti  i  consolati  nazionali  e  forcMieri.  1.  Libro  di 
creazione  di  consoli  nazionali.  —  2.  Parti  di  Pregati  concernenti  i 
Consolati  di  Levante  del  1752.  —  ?>.  Consolati  forastieri  in  Ra- 
gusa del  1757.  -  4.  Partite  accettate  dell'uffizio  dei  Consolati  di 
Levante  a.  1762 — 1807.  —  5.  l'artite  ributtate  dell' uffizio  ecc.  del 
1702—1807.  —  6.  Conti  dei  Consolati  nazionali  .del  1780.  —  7.  Cor- 
rispondenza coi  consolati  nazionali,  del  1794 — 1795. 

VI.  Libri,  ossia  registri  delle  scritture  turche.  1.  Due  registri  in- 
titolati: Dona  turcarum^  scritti  in  italiano,  del  1566.  —  2.  Un  in- 
ventario delle  scritture  turche  dell'  anno  1724.  —  3.  Lettere  in 
illirico  del  1729,  1745,  1755,  1780,  colle  copie  italiane.  —  4.  Un 
libro  di  traduzioni,  di  capitulazioni  e  fei'mani  turchi  in  italiano,  di 
vari  sultani.  —  5.  Registro  di  commandamenti  imperiali,  hattiscerifi, 
e  capitulazioni,  in  italiano,  del  1784 — 1785.  —  6.  Un  libro  ma- 
xenie,  coli'  indice,  del  1785.  —  7.  Indice  delle  Burujulti  del  Passa 
di  Rossina.  —  8.  Indice  degli  Arzi.  —  9.  Traduzioni  di  lettere 
turche. 

VII.  Libri  delV  uffizio  della  Grascia.  1.  Un  giornaletto  dell'anno 
1622.  —  2.  Bastardello  del  1635—1800.  —  3.  Scandaglio  di  grani 
del  1595.  —  4.  Strapazzo  del  1637.  —  5.  Copia  delle  lettere  del 
1686—1717.  —  6.  Parti  di  Pregati  relative  agli  oggetti  di  Grascia 
del  1687—1774,  coi  registri  dell'  anno  1622—1670. 

Vili.  Minute  di  lettere  per  levante  e  ponente  dall'  anno  1656, 
lino  al  1788. 

IX.  Libri  diversi.  1.  Dell'  amministrazione  dei  Procuratori  di  s. 
Maria  Maggiore,  dall' a.  1599  in  poi.  —  2.  Dell'amministrazione 
degli  uffìziali  sopra  le  lane  dal  1568  in  poi.  —  3.  Dell'  ammini- 
strazione de' Tesorieri.  —  4.  Repertorio  di  Privilegi,  Bolle  e 
Brevi  Pontifici.  —  5.  Copia  dei  privilegi  accordati  da  S.  M.  Catto- 
lica nei  di  lui  regni.  —  6.  Libri  dell'  Uffizio  di  Navigazione,  coi 
nomi  dei  commandanti  di  navi.  -  -  7.  Matricole  delle  Confraternite  : 
a.  dell'Immacolata  Concezione:  b.   di  s.  Anna;  e  di  s.  (ìregorio; 


77 

d.  di  s.  Michele  In  Gravosa  ;  e.  di  s.  Maria  dell'  isola  di  Mezzo  ; 
f.  di  s.  Michele  di  Goinje  Mrciiie  in  Canali;  g.  di  s.  Giovanni  in 
Valdassi.  —  8.  Libro  della  fabbrica  della  chiesa  del  duomo  di  Ra- 
gusa. —  9.  Contratti  dell'anno  1377.  —  10.  Testamenti  dall' anno 
1363 — 1807.  —  11.  Lettere  dei  principi  e  primi  ministri  ecc. 

X.  Un  grosso  lihro^  in  'pergamena,  su  cui  sono  state  trascritte  le 
bolle  d'oro,  i  diplomi,  e  le  lettere  degli  imperatori,  re,  principi^ 
duchi^  della  Servia,  Bosnia  e  Turchia,  in  lingua  slava^  copiato  su 
pergamena  nel  XV.  secolo  ;  e  nel  quale  non  si  contengono  sola- 
mente i  diplomi  e  le  lettere  pubbHcate  nel  1840  sotto  il  nome  di 
„Srpski  spo menici"  a  Belgrado,  e  di  cui  gli  originali  in  gran 
parte  si  trovano  nell'  Archivio  di  Corte  a  Vienna,  ma  pure  molti 
altri  documenti  dei  quali  sono  periti  gii  originali ,  laonde  le  dette 
copie  sono  di  grandissimo  interesse. 

Fra  gli  atti  sciolti  e  contenuti  nei  356  fascicoli,  il  più  antico  era 
una  Bolla  del  Pontefice  s.  Zaccaria^  del  743,  colla  quale  veniva 
confermato  il  pallio  all'  Arcivescovo  di  Ragusa.  L'  originale  però, 
come  pure  parecchi  altri  documenti  originah,  che  facevano  parte 
dell'  archivio  della  repubblica,  oggidì  sono  conservati  nell'  L  R. 
Archivio  di  Stato  e  di  Corte  in  Vienna.  Molte  Bolle  e  Brevi  di  vari 
pontefici;  convenzioni  stipulate  dalla  repubblica  con  comuni  dalmate, 
albanesi  ed  italiane,  coi  Bani  e  Re  della  Bosnia  e  della  Rascia 
ecc.  ecc.,  riferibili  ai  secoli  dal  12  al  1.5;  privilegi  accordati  in 
diverse  epoche,  più  o  meno  remota,  alla  repubblica  dai  principi  slavi, 
dai  re  di  Francia,  di  Spagna,  e  di  Sicilia  ecc.  ;  formano  senz'  altro 
la  parte  più  importante  degli  atti  contenuti  nei  suddetti  fascicoli. 
La  massa  però  consta  di  relazioni  e  corrispondenze  di  vari  agenti 
ed  incaricati  della  repubblica  presso  le  varie  corti  in  Europa,  ed  in 
oggetti  svariati,  ed  arriva  all'  anno  1808. 

Tutti  questi  atti  volanti  sono  riportati  in  un  apposito  protocollo 
degli  esibiti,  redatto  nelF  anno  1817.  in  un  ai  relativi  Indici,  dal 
già  scrittore  pretorile  Luca  Curlica,  per  ordine  dell'  L  R.  Governo. 
GÌ'  indici  però  al  par  de'  protocolli  lasciano  molto  a  desiderare  ; 
mentre  sotto  un  numero  solo  sono  comprese  talvolta  molte  relazioni 
fatte,  da  una  identica  persona,  ed  in  date  differenti,  alla  repubblica. 
Il  lavoro  peraltro  è  sempre  utile  per  chi  intende  di  fare  degli  studi 
in  questo  archivio. 

Oltre  agii  atti  di  sopra  menzionati,  vi  esistono  molti  autografi  in 
turco,  concernenti  le  relazioni  della  repubblica  colla  Porta  Ottomana, 
e  contenenti  Capitolazioni,  Feimani,  Comandamenti  imperiali,  Hogget, 


78 

Arzi,  e  Burujiilti  dei  Pascià  della  Bosnia;   dei   più  importanti   dei 
quali  avvi  la  traduzione  nel  sopracitato  volume  sub  Nro.  X. 

lutine  oltre  ai  summentovati  L450  volumi,  evvi  presso  il  Capita- 
nato un  grosso  numero  di  libri  sotto  il  titolo  di  y^Lamenti  di  Me- 
leda"",  ossia  procedure  per  fatti  punibili  di  minor  entità,  trattate 
dai  Conti  di  Meleda  ;  volumi  che  furono  rimessi  in  massa,  e  non 
ordinati  dalla  cessata  Pretura  mista  di  Stagno. 

Gli  atti  concernenti  la  parte  Giudiziaria  sono  in  custodia  presso 
il  locale  Tribunale  Circolare.  Sono  conservati  in  una  grande  sala; 
ed  i  volumi  sono  divisi  nelle  seguenti  categorie:  1.  Vendita  di  Can- 
celleria dall'  anno  1351  al  1815;  —  2.  Diversi  di  Cancelleria  dal 
1275—1814;  —  3.  Diversi  di  Foris  dal  1593—1815;  —  4.  Sen- 
tenze di  Cancelleria  dal  1352 — 1815;  —  5.  Diversi  di  Notarla  dal 
1313—1811;  —  6.  Testamenti  di  Notaria  dal  1282  al  1814;  — 
7.  Mobile  ordinario  dal  1475 — 1815;  —  8.  Stabile  ordinario  dal 
1465 — 1814;  —  9.  Navigazione,  oggetti  diversi  dal  1552 — 1808;  — 
10.  Intentiones  Cancelleriae  del  1380  al  1815;  —  11.  Aptaj  dal 
1594—1802;  —  12.  Lamenti  criminali  dal  1407—1810;  —  13.  Di- 
versi possessi  del  Criminale  dal  1513 — 1809;  —  14.  Distributiones 
testamentorum  dal  1349 — 1530;  —  15.  Dotium  Notariae  dal  1300 
al  1811.  Oltre  a  ciò  vi  sono  parecchie  opere  stampate  di  giurispru- 
denza del  sec.  XYII  e  XVIII;  come  pure  il  libro  Verde,  ed  il 
Croceo. 

Gli  atti  relativi  alla  materia  Sanitaria,  trovansi  presso  l'Uf- 
fizio di  Porto  e  Sanità  Marittima  ;  e  presso  la  Dogana  gli  altri  atti    i 
risguardanti  gì'  interessi  del  Demanio. 

Palazzo  Municipale.  —  In  prosecuzione  al  pallazzo  ducale,  ora 
del  capitanato,  vi  è  quello  del  Municipio,  fabbricato  nel  1867.      > 

Al  suo  posto  stava  anticamente  un  semplice  ma  maestoso   edifi-- 
zio,  per  le  radunanze  del  maggior  Consiglio  legislativo  e  del  senato. 
Sulla  porta  interna  della  gran  sala,  quasi  un  ricordo  ai  membri  del 
consiglio,  vi  era  quest'  iscrizione  : 

Obliti  privatorum,  publica  curate. 

Ed  all'  ingresso  della  sala  del  minor  Consiglio,  sovra  la  porta  vi 
era  una  scultura,  rappresentante  la  Giustizia,  con  un  involto  nella 
mano,  su  cui  si  leggeva: 

Jussi  summa  mei,  sua  vos  cuicuraque  tueri. 

Dietro  a  questo  edifizio  vi  era  anticamente  l'Arsenale;  indi  vi 
venne  eretto  un  teatro,  ed  una  parte  dell'  area  venne  destinata  per 
le  pubbliche  carceri.  Distrutti  tutti  questi  editìzt  dal  fuoco  nel  1816, 


79 

in  un  lato  interno  furono  fabbricati  i  forni  militari;  il  rimanente 
fu  demolito  nel  1867,  per  dar  luogo,  nella  parte  interna,  ad  un  ele- 
gante teatro,  e  sulle  fondamenta  del  palazzo  del  maggior  Consiglio, 
fu  eretto  V  attuale  palazzo  Municipale. 

Neil'  atrio  del  nuovo  palazzo  venne  collocata  V  anno  1870  la  la- 
pide, che  una  volta  fregiava  la  sala  del  maggior  Consiglio,  inalzata 
alla  memoria  dell'  ilustre  Nicolò  Bona,  su  cui  è  incisa  la  seguente 
iscrizione  : 

D.  0.  M. 
Nicolao  de  de  Bona  Joannis  filio  singularis  prudentiae  Senatori, 
qui  difficilimis  reipublicae  temporibus  gravissima  legatione  sponte 
suscepta  ad  vicinum  Bossinae  Proregem,  et  ab  eo  per  vim  in 
Silistriam  transmissus,  ibi  diuturno  in  carcere  prò  patriae  11- 
bertate  catenatus  obiit  morte  ipsa,  animique  constantia  immor- 
talitatem  nominis  in  omnem  posteritatem  promeritus,  hoc  ex 
Senatus  Consulto  monumentum  honoris  et  memoriae  positum 
anno  MDCLXXVIIL 

Sotto  la  medesima  lapide,  nelF  occasione  del  suo  collocamento 
neir  atrio  del  palazzo,  venne  posta  la  seguente  iscrizione: 

Qui  lapis  —  Veterem  aulam  Senatoriam  incendio  et  temporum 
casibus  corruptam  —  Diu  ornaverat  —  In  vestibulo  Oedium 
Civicarum  positus  est  —  Ex  Consilii  public!  sententia  —  A. 
D.  XI  Kal.  Sext.  M.DCCC.LXX. 

Museo  patrio.  —  Nel  piano  superiore  del  detto  palazzo  trovasi 
collocato  un  ricco  ed  interessante  museo  di  oggetti  naturali;  archeo- 
logici, e  di  molte  altre  rarità.  E'  creazione  dell'  esimio  nostro  com- 
patriotta  Cav.  Antonio  Drobaz,  il  quale  colla  sua  rara  intelligenza, 
con  solerte  pazienza,  e  non  tenue  dispendio,  ha  fatto  conoscere, 
quanto  l' energia  ed  il  patriottismo  di  un  sol  uomo,  possano 
contribuire  all'  onore  ed  al  bene  della  patria. 

Si  trattava  di  promuovere  l' istruzione  tecnica ,  e  facilitare  al 
Ministero  la  concessione  di  una  scuola  Reale  Superiore  a  Ragusa. 
Il  signor  Drobaz,  quale  preside  della  Camera  di  Commercio,  con- 
cepì il  vasto  disegno  della  formazione  di  vari  gabinetti  (1867);  e 
mercè  i  larghi  e  generosi  doni  accordatigli  dalla  Munificenza  sovrana, 
ed  il  patriottico  zelo  de'  ragusei ,  che  efficacemente  lo  coadjuvarono 
nella  nobile  intrapresa,  in  breve  tempo  potè  vedere  ubertosamente 
coronate  le  sue  fatiche,  ed  eretto  un  museo  di  storia  naturale,  da 
far  onore  a  qualunque  città  la  più  distinta. 


80 

Il  Municipio  mosso  cìiil  patrio  amore,  e  dall'utile  che  derivar 
ne  poteva  alla  pubblica  istruzione,  ott'rì  ad  uso  dello  stesso  la  metà 
del  piano  superiore  del  suo  nuovo  palazzo  ;  e  la  Camera  di  Com- 
mercio ed  il  signor  Drobaz  cedettero  in  corrispettivo  tutti  i  loro 
diritti  sulle  collezioni  esistenti;  di  comune  accordo  intitolandolo 
Museo  patrio  (1872). 

Costituita  la  direzione  nelle  persone  dei  signori  Paolo  Cav.  de 
Resetar,  i.  r.  Consigliere  AuHco  e  Capitano  Distrettuale,  dell'Av- 
vocato Matteo  Dr.  de  Zamagna,  e  del  Cav.  Antonio  Drobaz,  a 
quest'  ultimo  venne  aftìdata  la  presidenza  a  vita ,  colla  facoltà  di 
poter  nominare  un  sostituto,  e  poscia  il  successore,  che  funzionasse 
tino  alla  nomina  di  un  presidente  definitivo.  E  per  la  manutenzione 
del  Museo,  tanto  la  Comune,  che  la  Camera,  si  obbligarono  ognuna 
alla  corrisponsione  di  annui  fiorini  50. 

Da  obblazioni  spontanee  poi,  e  dal  ricavato  di  due  accademie, 
e  da  qualche  pubblico  trattenimento  con  lotterie,  vennero  costruite 
le  vetrine,  gli  scattali,  gli  armadi  ecc.,  colla  spesa  di  fio.  3500; 
per  se  stessa  vistosissmia ,  quando  si  pon  mente  alle  ristrettezze 
economiche  del  paese.  Nell'aprile  1873  seguì  la  solenne  apertura; 
e  regolarmente  il  museo  è  aperto  per  il  pubblico  ogni  dì  festivo 
dalle  ore  10  antira.  ad  un  ora  poni.,  e  per  i  forastieri  e  per  la 
pubblica  istruzione  in  qualunque  ora  del  giorno. 

La  grande  sala  è  divisa  in  quattro  sezioni.  Nella  prima  vi  è 
un'abbondante  raccolta  Archeologica.  Si  osserva  un  vestito 
completo,  col  manto  di  finissimo  damasco  rosso ,  del  Rettore  della 
repubblica ,  Y  uniforme  Consolare  di  panno  bleu  con  ricami  in  oro, 
ed  una  piccola  bandiera  repubblicana.  Vi  sono  inoltre  vari  sigilli 
di  diversi  uffizi,  nonché  coni  e  ponsoni  di  monete ,  ed  una  delica- 
tissima bilancia ,  con  altri  oggetti ,  che  appartenevano  alla  zecca 
ragusea  ;  inoltre  parecchie  patenti  di  capitani  a  lungo  corso,  diplomi 
consolari,  lastre  tipografiche  in  rame  con  incisioni,  stemmi  gover- 
niah,  ed  una  quasi  completa  collezione  di  monete  repubblicane.  A 
ciò  si  aggiunga  una  pinzetta  d'  argento ,  a  forma  di  forbice ,  con 
lunghissime  branche ,  che  serviva  per  somministrare  il  viatico  agli 
appestati. 

In  apposita  vetrina,  sormontata  dalla  Corona  Messicana,  si  con- 
serva il  manto  tricolore  (Zerape)  ed  un  bastone  delF  indimenti- 
cabile Imperatore  Massimiliano  ;  oggetti  che  S.  A.  I.  R.  V  Arciduca 
Francesco  Carlo,  padre  del  defunto,  aveva  spediti  al  Cav.  Drobii/. 
Nello  stesso  armadio  si  conserva  un  busto  d'alabastio.  rappresenUmtt* 


81 

r  Imperatore,  ed  alcune  opere,  in  magnifica  legatura,  dedicate  allo 
stesso  dai  rispettivi  autori,  e  di  più  due  idoletti  messicani  ;  il  tutto 
avuto  in  dono  da  S.  A.  I.  R.  V  Arciduca  Lodovico  Carlo,  fratello 
del  defunto  imperatore. 

Avvi  poi  una  straordinaria  quantità  di  vasi  etruschi  di  varie 
forme,  di  diverse  epoche,  di  differenti  grandezze,  teste  e  vasi  greci, 
fenici,  e  romani,  amfore,  vetri  greci  in  vasi,  candelabri^  coppe  ecc.  ; 
lampade  egiziane,  e  lucerne  di  mille  stampi  ;  a  profusione  poi  amu- 
leti e  deità  pagane  in  terra  cotta  e  metallo. 

Un  separato  armadio  raccoglie  una  quantità  di  oggetti  chinesi  e 
giapponesi  ;  dipinti,  stampati,  ricami  singolarissimi,  lavori  in  avorio, 
e  porcellana.  È  di  generale  ammirazione  un  pajo  di  smisurati  vasi 
giapponesi  sovra  appositi  piedestalli  di  legno  particolare,  ed  un 
altro  pajo  di  vasi  chinesi,  ad  esagono,  valutati  dagl'intelligenti  a 
cinque  mila  franchi  per  pajo  ;  come  pure  un  servizio  pel  thè,  esilis- 
simo,  con  i  rispettivi  vasoi,  ed  un  altro  giapponese  per  lavamano; 
oggetti  di  sommo  valore ,  che  insieme  a  molte  altre  rarità,  furono 
generosamente  donati  dall'  illustre  nostro  compatriotta  Cav.  Fran- 
cesco Amerling,  e  che  per  la  loro  rarità  e  per  la  provenienza  atti- 
rarono particolare  attenzione  di  Sua  Maestà ,  quando  nell"  Aprile 
dell'anno  1875  Ilagusa  ebbe  T  alto  onore  di  esser  visitata  dall' Au- 
gusto Monarca. 

Chiude  in  fine  la  detta  raccolta  una  ricca  collezione  di  scudi» 
lance,  e  mazze  persiane,  arabescate  in  oro,  lame  della  Nubia,  vaiì 
elmi,  e  diverse  armi  antiche  e  di  epoche  più  recenti. 

La  seconda  parte  della  sala  è  destinata  pella  Mineralogia  e 
Geologia.  Si  vedono  sopra  ben  lavorati  sostegni,  e  disposti  se- 
condo il  sistema  di  Hauy  oltre  5000  minerali,  dalle  calci  carbonate, 
alle  sostanze  fitogeni.  Al  completamento  del  quadro  sistematico  vi 
contribuì  l' Istituto  delle  miniere  della  Paissia,  con  un  superbo  dono 
di  esemplari  di  topazzo  giallo,  di  smeraldo  acqua  marina  a  prisma 
essaedro  dell'  Ural,  di  tormalina  violetta  cilindroide,  di  grossa  pepite 
di  platino  e  grani  della  stesso,  d' Iriodismina ,  di  un  grande  pezzo 
di  malachite  in  massa  mammelonare  verde  carica,  di  bellissimi 
esemplari  di  Soimonite,  Kukrinite,  Uralortite,  ecc.;  di  alcuni  mine- 
rali di  Titano  e  Schelinio,  e  di  un  aerolite  caduto  nel  1864  nel 
villaggio  di  Seidlitz.  Si  trovano  esemplari  molto  rari  di  calce  car- 
bonata e  solfata,  vaghissimi  di  tiuato  cubico  levigati,  abbondante 
numero  di  quarzi  di  tutte  le  forme  e  colori;  e  primeggia  un  inte- 
ressantissimo cristallo  di  quarzo  jalino  pri^maiico  aero-idrato,  con- 

6 


82 

tenente  due  goccioline  d'acqua,  le  quali  coir  inclinazione  del  cristallo 
stesso  scoccano  nel  suo  interno,  che  il  cav.  Drobaz  ebbe  in  dono 
dal  di  lui  professore  Antonio  Catullo,  jmco  prima  che  questi  fosse 
passato  a  miglior  vita.  Si  trovano  a  profusione  agate  e  diaspri  va- 
riegati e  levigati.  La  classe  degli  autopsidi  metallici  è  ricca  di 
esemplari  rari,  e  di  sommo  interesse  scientifico;  ed  è  completa  la 
collezione  de' minerali  della  Croazia,  Slavonia,   Slesia,   e  Moravia. 

Nella  parte  Geologica  avvi  un'  interessantissima  raccolta  d' Egitto, 
che  fece  bella  mostra  di  se  alla  prima  esposizione  di  Parigi,  e  che 
il  direttore  del  museo  di  Cairo,  signor  Figari  Bey^  spedì  nel  18G8 
in  dono  al  cav.  Drobaz.  Le  tiene  dietro  un'  abbondantissima  rac- 
colta di  conchiglie  fossili ,  del  bacino  di  Vienna ,  ed  un'  altra  del 
pari  abbondante  di  fossili  e  petrefatti  di  tutte  le  epoche,  di  tutti 
i  terreni,  avvanzi  di  mammiferi  e  rettili,  impronte  di  pesci  nei 
terreni  di  sedimento  e  de'  vegetali  del  carbon  fossile  ecc.  Rima- 
rebbe  soltanto  ancora  da  ordinare  e  distribuire  in  epoche  e  terreni 
a  loro  propri  tutti  questi  esseri  anteriori  ad  ogni  storico  ricordo, 
perchè  possa  lo  studioso,  ora  che  vengono  visitate  le  necropoli  pa- 
leontologiche della  Dalmazia,  formarsi  un'  idea  del  suo  terreno  ter- 
ziario pliocenico ,  e  degli  avvanzi  delle  preesistite  generazioni.  Ed 
a  ciò  pure,  siam  certi,  provvederà  la  solerte  ed  intelligente  attività 
del  cav.  Drobaz,  appena  glielo  permetteranno  le  molteplici  sue 
occupazioni. 

È  da  osservare  in  ultimo,  che  il  Consigliere  di  Stato  e  Direttore 
del  Gabinetto  di  S.  M.,  Barone  Brauu,  mentre  visitava  il  detto 
museO;  facendo  parte  del  seguito  Imperiale,  da  perfetto  conoscitore 
che  egli  è  in  questo  ramo ,  ne  lodò  Y  ordine ,  indicando  la  precisa 
derivazione  di  alcuni  esemplari,  e  rettificando  alcuni  leggeri  errori. 

Nella  sezione  terza  e  quarta  della  sala  si  contengono  gli  esseri 
animali.  Per  brevità,  seguendo  l'ordine  sistematico  col  quale  sono 
collocati,  accenneremo  soltanto  quelle  raccolte,  e  quei  singoli  indi- 
vidui, che  attirano  generale  attenzione. 

La  classe  numerosa  delle  sponghe  nel  primo  tipo,  è  esclusiva- 
mente Adriatica.  Oltre  i  bei  esemplari  tuttora  aderenti  alle  roccie 
delle  quattro  o  cinque  specie  usate  ne'  bisogni  della  vita ,  si  trova 
la  gigantesca  Geodia  gigas,  una  grandissima  Hesperia  calix,  unita- 
mente a  cinque  bellissime  sue  varietà,  molte  specie  di  Axinelle  e 
Reniere  delle  delicate  forme,  di  Ircinie  e  Sarcotraghi  delle  ruvide 
ed  informi,  le  Suberiti,  le  Tetiti  ecc.  La  raccolta,  quantunque  nume- 
rosa,  pure   non  è  completa,   mancando  a  Ragusa  ugni  mezzo  per 


83 

condurla  a  termine.  Le  sole  due  specie  esotiche  che  il  museo  pos- 
siede ,  e  che  fermano  F  attenzione  del  dotto  e  del  profano ,  sono  : 
r  Euplectella  aspergillum ,  e  la  Haylonema  spectabilis ,  vaghissimi 
esemplari  del  mar  delle  Indie,  che  a  prima  vista  sembrano  tessute 
dalla  mano  dell'  uomo. 

La  classe  degli  Antazoi  è  interessantissima,  e  si  può  con  certezza 
asserire,  che  pochi  gabinetti  possono  vantare  un'  eguale.  La  stra- 
vagante grandezza ,  e  le  delicate  e  fragili  forme  di  alcuni  di  essi, 
suppongono  una  grande  cura,  e  un  nobile  patriottismo  nei  capitani 
ragusei,  che  seppero  custodirU  e  portarU  intatti,  per  così  dire, 
dagli  antipodi.  Fra  le  150  specie  circa,  che  occupano  un  lato  intero 
della  stanza,  spiccano  per  rarità  e  particolare  tessitura  l'Isis  hip- 
puris,  la  Halomitra  pileus,  la  Coenopsamia  nigrescens,  le  multiformi 
specie  di  Madrepore,  bellissimi  e  grandi  esemplari,  cui  tengono 
dietro  le  Echinofore,  le  Meandrine,  le  Primoastree,  le  Podabocchie, 
e  simili;  ed  un  immensa  quantità  di  SimfiUie,  Cufillie,  TrachifìUie, 
Tridocofillie  ecc.,  che  forma  un  assieme  di  sommo  interesse  per 
>  ogni  dotto,  che  a  preferenza  si  occupa  di  questi  esseri,  i  cui  invo- 
lucri tegumentali  variamente  disegnati,  formano  vasti  banchi  sotto- 
marini, e  sono  causa  di  frequenti  disastri  marittimi,  e  di  forte 
danno  al  commercio. 

Nel  tipo  degli  Echinodermi  vi  sono  individui  nostrani,  misti  a 
moltissimi  esotici.  In  esso  figurano  i  magnifici  e  rari  Asteracanthion 
solaris,  ]' Asteriscus  palmipes,  la  Culcita  coriacea,  il  Goniodiscus 
pentagonalis  del  Pacifico,  ecc.  Vi  sono  molte  specie  di  Ofiodermi, 
Ofiolepi  del  mar  del  Sud.  A  lato  del  nostro  Cidaris  histrix  dei 
spropositati  spini,  trovasi  il  C.  diadema.  Un  pò  avanti  un  gigantesco 
Echinus  melo  de'  nostri  mari ,  che  fa  contrasto  co'  minuti  Psam- 
mechini  ;  le  vaghe  Echinocidari  e  Toxopneusti,  1'  Acrocladia  trigo- 
naria  con  rari  e  grossi  spini;  le  belle  Mellite,  gli  Echinodischi,  il 
Brissus  columbaris  dell'  America,  i  Clipeastri,  ecc. 

La  classe  delle  Holoturioidee  ha  pochissimi  esemplari,  tutti  però 
dell'  Adriatico. 

Quantunque  nel  tipo  Vermi  non  sieno  rappresentate  alcune  classi, 
pure  quella  dei  Briozoi  ha  molti  generi,  fra  cui  distinguesi  quello 
della  Hornera,  della  Retepora,  della  Lepralia,  con  strane  forme  di 
specie.  Le  microscopiche  Malobesie  poi,  le  Discoparse,  Idmonee, 
Flustre  ed  altre,  sono  disposte  sopra  cartoncini  collocati  vertical- 
mente su  relativi  sostegni. 


84 

Nolla  ("lasse  docili  Annelidi  distingiioiisi  alcuno  specie  di  Sei'jìule 
ed  Afroditi,  V  Kuiiice  gigantea,  e  molte  specie  conservate  nello  spinto. 

Passando  al  tipo  Artropodi,  vi  si  presenta  una  discreta  collezione 
tli  crostacei  esclusivamente  adriatici.  La  maniera  con  cui  sono  pre- 
parati e  disposti  fermarono  l'attenzione  del  celebre  professoi'e  O. 
Schmitt,  come  pure  quella  di  S.  M.  che  li  osservò  a  lungo  con 
particolare  interesse,  lodandone  la  direzione. 

La  classe  degli  Aracnoidei  e  dei  Miriopodi  manca  quasi  del  tutto. 

La  classe  insetti  è  custodita  in  10  quadri.  Essa  si  compone  di 
generi  e  specie  europee,,  il  tutto  ben  distribuito  nei  relativi  ordini. 
Oltre  a  ciò  vi  sono  alcuni  quadri  originari  del  Giappone,  che  con- 
tengono alla  rinfusa  una  grande  quantità  di  questi  animali  di  specie 
singolarissime,  e  varie  altre  raccoltine  che  non  vennero  ancora  clas- 
sificate, né  messe  al  loro  posto,  per  mancanza  di  tempo  e  mezzi 
necessari. 

Le  molte  migliaja  di  specie  appartenenti  al  tipo  Molluschi  tro- 
vansi  collocate  e  sistematicamente  divise  in  cinque  lunghissime 
vetrine  orizzontali.  È  una  raccolta  mondiale,  in  cui  hanno  contribuito 
ed  i  marini  di  Ragusa,  ed  i  suoi  intelligenti  raccoglitori,  i  quali  in 
questi  ultimi  tempi  si  resero  utili  alla  scienza.  Il  solo  inconveniente, 
che  la  Direzione  senza  dubbio  toglierà  quanto  prima,  è,  che  i 
tesori  malacologici  della  Dalmazia  non  si  trovino  uniti  in  una  sepa- 
rata divisione,  ma  misti  a  quella  del  mondo  intero.  È  questione  di 
locali  e  di  moneta  per  i  ripostigli.  Lo  spazio  prefisso  per  questi 
brevi  cenni  non  ci  permette  di  parlare  a  lungo  di  questa  numero- 
sissima raccolta,  né  accennare  in  poche  righe  i  pregi,  e  le  rarità  ivi 
radunate.  Vi  esiste  però  un  catalogo  esatto,  dietro  il  quale  si  può 
visitare  e  studiare  questa  interessantissima  parte  del  regno  animale. 

Nel  tipo  Vertebrati,  la  classe  Pesci  non  è  troppo  ricca  di  generi. 
Sonovi  però  molti  esotici  tanto  a  secco,  che  nello  spirito.  Tra  le 
specie  nostrane  si  presentano  due  bellissimi  esemi)lari  del  Ptero- 
myzon  marinus,  molte  specie  del  gruppo  degli  Squalidi,  fra  cui 
la  Zygoena  malleus,  ed  un  grandissimo  Squalus  glaucus,  e  di  quello 
Plectognati  gli  Ostracion,  varie  specie  strane  di  Balisti,  fra  cui  un 
grande  esemplare  del  B.  carpinus,  raro  fra  noi.  Vengono  poi  i 
Diodonti  e  Tetrodonti  di  strane  forme,  F  Ortagoniscus  mola,  un' 
enorme  sega  del  Pristris  antiquorum  ecc. 

Nella  classe  Amfibl  si  trova  il  nostro  Proteus  anguis,  le  molti' 
Hyle;  ed  in  quella  dei  rettili,  un  enorme  Boa  constrictor,  che  nelle 
sue  spire  tiene  stretto  un  grosso  animale,  ed  un  estniplare  minore 


I 


85 

ben  preparato  in  istato  di  riposo;  i  vaghi  e  micidiali  Elaps  cora- 
liniis  et  lemniscatus  d'  America,  il  nostro  Vipera  ammodytes,  ed  il 
terribile  V.  cerastes,  mio  preparato  a  secco,  e  V  altro  nello  spirito  ecc. 

Avvi  pure  una  bella  raccolta  di  Lucertole,  due  Crocodilli^  molti 
individui  della  famiglia  dei  Cheloniadi,  ed  una  quantità  d' esemplari 
rari  ed  interessanti  di  serpenti  e  sauri  non  classificati  per  man- 
canza di  relative  opere. 

Nella  sezione  destinata  per  gli  Uccelli,  si  trova  una  raccolta 
mondiale,  delle  più  interessanti  specie  dell'  Asia,  come  dell'  America. 
Si  trovano  moltissimi  europei  assai  bene  preparati.  Gli  amici  del 
sig.  Drobaz  pare  che  avessero  voluto  gareggiare  con  i  capitani 
mercantili,  per  spedirgli  ciò  che  di  bello  e  d'interessante  trovavano 
nei  loro  viaggi-  Buona  parte  di  queste  rarità  ci  fu  dato  di  vedere 
tuttora  in  semplici  pelli  custodite  con  cura  ne' cassoni,  ove  stanno 
attendendo  una  mano  maestra,  che  li  imbottisca,  e  li  collochi  nel 
conveniente  posto.  Fra  tanto  tesoro  scientifico  abbiamo  ammirato 
un'  elegantissima  Taumalea  pietà,  forse  la  Fenice  degli  antichi,  che 
deve  dare  il  cambio  a  un'  altra  un  pò  patita ,  vaghi  papagalli ,  un 
magnifico  struzzo  europeo  ecc.  Il  pensare  che  tanta  ricchezza,  da 
figurare  in  qualunque  siasi  museo,  per  la  nostra  povertà  resti  occul- 
tata, vi  stringe  il  cuore.  Le  risorse  del  museo  sono  nulle,  e  mira- 
coli maggiori  di  quelli  finora  fatti  dalla  Direzione,  non  è  sperabile 
che  umanamente  possano  esser  fatti.  Che  pregio  non  acquisterebbe 
la  collezione  di  questa  classe  già  per  se  numerosa,  se  a  canto  de' 
magnifici  Fenicoteri,  Cigni,  Pelhcani,  de' variopinti  Fagiani,  Pavoni, 
Trogoni,  Rampastri  ecc.,  dei  minutissimi  Collibri,  delle  belle  Strigi, 
Falchi,  Aquile,  ed  altre  centinaja  di  esemplari  di  ogni  classe  ed 
ordine,  si  potesse  esporre  quanto  ora  giace  nei  cassoni  a  detrimento 
forse  del  pregio  e  dello  stato  perfetto  in  cui  si  trovano?  Dopo  i 
Grifoni  e  le  Aquile,  con  cui  finisce  la  classe,  vi  esiste  una  raccolta 
apprezzabile  di  uova,  a  cui  viene  dietro  un'infinità  di  multiformi  nidi. 

Lo  stesso  dicasi  de'  mammiferi.  Questa  classe  dilfettosa  nella 
maggior  parte  de'  gabinetti,  potrebbe  divenire  ricchissima  nel  nostro 
museo,  colla  cooperazione  de' patriotti  ragusei.  È  da  dolersi,  che 
non  conti  che  poco  più  di  80  individui,  mentre  una  quantità  di 
pelli  rare  e  costose ,  buona  parte  dai  centri  dell'  Asia ,  unitamente 
a  molte  nostrane,  stanno  rinchiuse  attendendo  la  sorte  di  quelle 
degh  uccelli.  Fra  queste  vi  sono  alcune  della  limitrofa  Turchia,  ed 
appena  ogni  anno  si  può  imbottire  un  pajo,  e  ciò  per  mancanza 
di  preparatore,  e  de' fondi  per  sostenere  le  spese.    Quel  poco  che 


86 

si  espone,  porta  via  il  tempo  prezioso  al  curatore,  che  potrebbe 
impiegarlo  in  materie  di  map^gior  interesse.  Fra  i  pochi  esemplari 
preparati,  trovasi  una  stra^a-ande  Foca  comune,  presa  nel  mare  di 
Narenta,  il  Pelagio  monaco,  un  Canp^uro,  una  bella  (iazzella,  un 
Capreolo,  una  Dasypracta  aguti,  più  specie  di  Mustelle,  due. specie 
di  Xasue,  una  Lince,  un  Tasso,  un  grande  Orso  polare,  Pipistrelli 
d'ogni  genere,  fra  cui  il  i)iù  grande  fra  i  mammiferi  volitanti,  il 
Pteropus  edulis;  otto  specie  di  scimmie  ecc.  Oltre  a  ciò  il  museo 
possiede  molte  parti  ossee  e  cornee  di  animali  diffìcili  d'  aversi, 
come  sarebbe  di  balene ,  capidolio ,  pesce  spada ,  rinoceronte ,  ele- 
fante, delfino,  ecc. 

Della  Flora  dalmata  conservasi  un  erbario  di  piante  fanerogame, 
mancante  di  alcune  specie  che  non  crescono  nel  distretto  di  Ragusa. 
Delle  A,''ame  vi  è  un  grosso  volume  di  alghe  secche  su  carta,  di 
cui  una  parte  non  è  ancora  ben  classificata,  ed  una  sufficiente 
raccolta  di  Licheni. 

La  bibblioteca-  conta  appena  40 — 50  volumi ,  poco  addatti  però 
per  un  museo.  Sono  dizionari,  contribuzioni,  flore,  e  faune  parziali 
e  simili.  Opere  voluminose  e  costose  mancano  del  tutto;  per  cui 
si  stenta,  con  gran  perdita  di  tempo,  e  quasi  sempre  con  poca  cer- 
tezza, di  classificare  quanto  affluisce  in  dono  al  neo-istituto. 

Il  museo  va  alacremente  prosperando,  e  mirabilmente  aumentan- 
dosi, ed  è  oggetto  di  ammirazione  non  solo  de"  profani  nella  scienza, 
ma  dei  dotti  stessi. 

Il  chiarissimo  accademico  di  Zagabria,  signor  Spiridione  Bru- 
sina,  zaratino,  anni  fa  ancora  si  era  espresso  in  questi  termini: 
„Fra  tanto  lavorio  de' singoli,  e  nella  quasi  generale  apatia  del 
«pubblico,  unica  la  nostra  Atene,  come  primeggiò  per  cultura  nelle 
^tenebri  medievali,  così  presentemente  fa  eccezione,  vantando  un 
„museo  di  storia  naturale.  Ebbi  il  piacere  di  visitarlo  nel  1868; 
„mi  consta  aver  fatto  poscia  grandi  progressi,  e  recentemente  du- 
„rante  V  apertura  della  nostra  Università  (di  Zagabria)  un  distinto 
«professore  deputato  dall'  Università  di  Graz ,  reduce  appena  da 
«"Ragusa,  mi  assicurò,  possedere  oggetti,  i  quali  si  cercherebbero 
^invano  anche  nei  principali  gabinetti  d'  Europa.  Egli  è  perciò  che 
^non  solo  Ragusa,  ma  Dalmazia  tutta  deve  esser  grata  alFinizia- 
„tore  (cav.  Drobaz),  perchè  riempie  una  di  quelle  lacune,  le  quali 
«sono  oggigiorno  tanto  più  sensibili,  quanto  più  le  scienze  naturali 
^acquistano  d'importanza,  e  resistenza  dell'anzidetto  museo  riesce 
„ad  onore  di  tutto  il  paese.   Prova   luminosa  a  dimostrare   quanto 


I 


87 

^potrebbe  fare  lo  spirito  cV  associazione,  se  V  energia  ed  il  patrio- 
„tismo  d'un  uomo  solo  tanto  ha  potuto'*.  —  E  facendo  indi  voti 
perchè  in  Dalmazia  fosse  istituito  un  museo  provinciale  sotto  l'egida 
della  Dieta  Dalmata.^  si  espresse  così:  „Circa  la  scelta  della  città 
„si  dovrebbe  smettere  ogni  gara  di  campanile;  le  scienze  non  sono 
.,rettaggio  delle  città,  o  de' popoli,  bensi  dell'umanità.  Qual  dal- 
„mata  non  va  superbo  di  aver  comune  la  patria,  con  la  già  repub- 
^blicana  nostra  Atene?  Dessa  prima  si  destò,  dessa  possiede  un 
,,museo,  che  se  non  gi-ande,  porta  certo  un  carattere  mondiale;  lo 
„si  faccia  patrio".  (Manuale  della  Dalmazia   V.) 

Facciamo  voti  per  intanto  che  l'Eccelsa  Dieta  Dalmata  in  uno 
colla  Comune  e  colla  Camera  di  Commercio,  procurino  almeno  al 
già  adulto  museo  un  annuo  assegno,  sufficiente  per  mettere  in 
evidenza  il  finora  raccolto  e  quanto  potrebbe  procurarsi  da  chi  ne 
è  preposto  alla  Direzione ,  e  ciò  prima  che  l' energia  del  signor 
Drobaz  venga  meno  per  1'  età.  E  sarebbe  pure  desiderabile  che  suo 
figlio,  il  quale  assolse  con  distinzione  gli  studi  universitari,  e  che 
è  tanto  amante  ed  intelligente  in  questo  ramo,  succeda  al  padre 
nel  curatorio.  Possa,  e  lo  auguriamo  di  cuore,  sparire  in  Dalmazia 
il  malaugurato  spirito  di  partito,  onde  a  Ragusa  pure  inceda  rapido 
il  sentimento  del  patrio  decoro,  e  dell'  utile  comune,  e  si  propaghi 
l'amore  di  quelle  scienze  che,  a' giorni  in  cui  viviamo,  oltr' esser 
questione  di  cultura,  formano  il  benessere  de'  popoli. 

Corpo  di  guardia.  —  Una  parte  del  vecchio  edifizio  del  palazzo 
del  maggior  Consiglio,  non  usufruttuata  nella  fabbrica  del  palazzo 
Municipale,  ed  in  sua  prosecuzione,  serve  anche  attualmente,  come 
per  r  addietro,  al  corpo  di  guardia  ;  ed  il  piano  superiore  ad  abi- 
tazione del  comandante  di  piazza.  Per  quanto  questo  rimasuglio 
disdica  al  gusto  degli  edifizt  vicini,  ciò  non  ostante,  è  ammirato 
un  antico,  magnifico,  e  grandioso  portone ,  che  mette  dentro  al  detto 
corpo  di  guardia. 

Torre  dell'Orologio.  —  Sopra  il  corpo  di  guardia,  e  la  porta 
della  città,  che  conduce  al  borgo  Plocce,  ergesi  un'  alta  torre,  fab- 
bricata nel  1480  per  uso  dell'orologio:  il  quale,  dopo  qualche 
tempo,  venne  rifatto  dal  francescano  Pasquale  Balletin.  da  Canali, 
come  lo  attesta  la  seguente  iscrizione,  incisa  in  una  lapide  rotonda, 
sotto  il  disco  delle  ore: 

A.D.  M.DCC.LXXXI    Opus  Paschalis  Baletin   a    Canalibus 
0.  M.  S.  Francisci. 


88 

La  campana  ^   opera  del   noto   fonditore  Giambattista  d'  Arbe, 
sulla  (piale  si  lejjfj::ono  i  seguenti  distici  : 

Acta  velut  Fhoebus  distinguit  tempora  rui-su 
Terrigenis,  pera^^ens  sijjjna  superna  poli, 

Sic  sonitu  nostro  numeratur  civibus  bora; 
Nocte  nionens  reipiiem,  luce  laboris  opus. 

Baptista  Pius  Divi  l^hisii  honori  et  gloriae 
Hoc  opus  fudit  A.  S.  M.D.VI. 

Fontana.  —  Tra  il  corpo  di  guardia  ed  il  palazzo  municipale 
avvi  un'elegantissima  fontana,  fabbricata  dalP  architetto  Onofrio 
Giordano  ;  Y  istesso  che  condusse  V  acqua  da  Gionclietto ,  come  si 
vedrà  in  appresso. 

Dogana.  —  Un  fabbricato  di  grande  interesse  dopo  il  palazzo 
rettorale,  è  F  antico  edifizio  della  Dogana  e  Zecca,  attualmente  ad 
uso  dell'  Intendenza ,  Demanio  e  Dogana  ;  di  stile  di  renaissance 
misto  al  gotico.  E'  un  fabbricato  quadrilatero ,  spazioso ,  e  solidis- 
simo ,  cui  dinanzi  v"  e  una  bella  loggia  alla  veneziana.  Neir  atrio 
le  volte  de'  lati  interni  sono  sostenute  da  solide  colonne,  se  anche 
non  eleganti  ;  e  sotto  le  medesime  sono  i  magazzeni,  che  servivano 
per  deposito  delle  merci,  sugli  architravi  dei  quali  è  inciso  un  nome 
di  qualche  santo. 

Sullo  scarpello  che  forma  V  arco  del  volto  di  fronte ,  sotto  cui 
era  appesa  la  bilancia,  si  legge  la  seguente  iscrizione: 

Fallerò  nostra  vetant  et  falli  pondera; 

Meque  pondero,  cum  merces  ponderat,  ipse  Deus. 

In  alto  poi,  sopra  la  volta  istessa,  di  fronte ,  leggesi  quest'  iscri- 
zione, incisa  in  una  grande  lapide: 

I.  H.  S. 
Numen  adorandum.  felix  et  amabile  nomen, 

Rhacusam  titulo  prosperiore  juva: 
Imple  liostes  terrore,  fuga  formidiue.  nostris 

Da  pateant  terrae  civibus  et  maria; 
Da  pateat  coelum,  tuta  omnia  sisque  saluti 
Namque  salutiferum  nomen  Jesus  habet. 
A.  S.  MD.XX.  H.  C.  P.  L. 

Le  ultime  iniziali  indicano  1'  autore  dell'  iscrizione,  cioè  : 

Haelius  Cervinus  Poeta  Laureatus. 
Chiesa  cattedrale.  —   La  i)rima  chiesa  cattedrale  era  fabbricata 
nel  centro  della  primitiva  città,  nel  castello  Lavve,  ed  era  dedicata 


89 

agli  apostoli  Pietro  e  Paolo.  Era  a  tre  navate,  in  forma  di  croce; 
senza  dubbio  umile,  come  era  umile  nel  suo  primo  impianto  anche 
la  novella  città.  Vicina  alla  chiesa  era  pure  V  abitazione  del  ve- 
scovo, che  da  Epidauro  seguì  la  sorte  del  suo  popolo. 

Estesasi  la  città  ^  venne  fabbricata  una  nuova  più  grande  catte- 
drale (1150)  nel  luogo  istesso  dov'è  l'attuale,  e  fìi  dedicata  alla 
B.  Vergine.  Dopo  breve  tempo  però  venne  demolita,  per  dar  luogo 
alla  basilica,  fatta  erigere  da  Pticcardo  Cuor  di  Leone  re  d' Inghil- 
terra, quando  reduce  dalla  Terra  Santa  (1192)^  trovatosi  per  insorta 
burrasca  in  estremo  pericolo  di  vita^  fé  voto  di  erger  un  tempio 
alla  B.  V..  ove  sano  e  salvo  si  fosse  sbarcato.  Approdato  felice- 
mente a  Lacroma^  volle  ivi  inalzare  il  detto  tempio;  ma  cedendo 
alle  istanze  del  senato,  dispose  che  fosse  fabbricato  in  città. 

Dopo  44  anni  di  lavoro ,  venne  terminato  ed  aperto  al  culto 
pubblico.  Era  di  stile  romano,  ed  elegantissimo  nella  forma.  Avea 
tre  navate  a  volta,  sostenute  da  alte  ed  eleganti  colonne  di  marmo, 
con  belhssimi  capitelh,  basi  e  cornici  di  stile  gotico.  Internamente 
risplendeva  di  dorature ,  e  si  ammiravano  sulle  sue  pareti  pitture 
rappresentanti  fatti  dell'  istoria  del  vecchio  e  nuovo  testamento.  I 
vetri  delle  finestre  erano  colorati  e  dipinti  con  immagini  de'  santi. 
Simboliche  statue  di  marmo,  altre  di  bronzo,  ed  alcune  d'  argento, 
elegantemente  lavorate,  abbellivano  questo  sacro  edifizio;  mentre 
lavori  in  mosaico,  e  varie  specie  di  emblemi  in  basso  rilievo,  lo 
adornavano. 

Per  quattro  gradini  si  ascendeva  al  presbitero.  L'  altare  maggiore 
aveva  un  ricco  ciborio,  sostenuto  da  quattro  colonne  di  marmo,  ed 
una  bella  pala  d'  argento ,  nella  quale ,  in  due  scompartimenti ,  si 
vedevano  18  figure  a  mezzo  rilievo,  lavorate  con  molto  gusto. 
Presso  l'aitar  maggiore  era  il  trono  dell'Arcivescovo,  di  marmo; 
ed  attorno  alla  capella,  il  coro  pei  canonici  ed  altri  sacerdoti.  In 
alto,  suir  entrata  del  coro,,  si  vedeva  un  crocifisso  d'  argento,  colla 
Madonna  e  s.  Giovanni  Evangelista  ai  lati,  figure  di  ordinaria 
statura. 

Innanzi  al  presbitero,  sotto  la  navata  principale,  sorgeva  il  trono 
del  Rettore,  con  attorno  i  sedili  pei  Senatori. 

Poggiava  il  pulpito  su  quattro  eleganti  colonne,  maestrevolmente 
lavorate,  ed  al  di  sotto  v'era  un  piccolo  altare  di  marmo,  dove 
venivano  cantate  le  epistole  ed  i  vangeli,  ed  annunziate  al  popolo  le 
giornate  di  festa  e  di  digiuno.  Appresso  vi  stava  il  fonte  battesimale. 


90 

Cinque  altri  altari  aveva  la  chiesa  ;  de'  quali  uno  di  argento 
massiccio  presso  il  trono  del  Rettore,  dond'  esso  col  minor  Consip;lio 
ascoltava  la  messa. 

Sopra  le  volte  d'  una  navata  laterale  v'  era  una  devota  cappella 
con  un  altare,  dove  si  conservavano  le  s.  reliquie,  e  vi  si  celebrava 
la  messa. 

Il  pavimento  era  di  marmo.  Vi  erano  tre  porte,  e  la  maggiore 
era  volta  ad  occidente. 

Intorno  alla  chiesa  v'  era  un  recinto  sollevato  da  terra,  ed  attor- 
niato da  una  balaustrata  di  colonnette  di  marmo,  che  poggiavano 
sopra  statue  pure  di  marmo,  molto  ben  lavorate. 

Sulla  navata  di  mezzo  v'  era  un'  alta  cupola ,  e  tanto  essa  che 
tutto  il  tetto  era  coperto  di  lastre  di  piombo. 

Giacomo  da  Evora,  nei  suoi  poemi  stampati  nel  1596,  cosi  la 
descrive  : 

Aurea  tempia  nitent,  regis  monumenta  Britanni, 
Quo  nullum  majus  Dalmata  vidit  opus. 

Vi  mancava  il  campanile.  Si  diede  mano  a  tale  fabbrica  nella 
seconda  metà  del  sec.  XIV.,  collocandola  dirimpetto  alla  porta 
maggiore.  Terminato  il  primo  ordine,  lu  sospesa,  e  fattavi  sopra  la 
volta,  venne  ridotta  ad  uso  di  capella  pel  battistero,  e  consecrata 
a  tal  fine  nel  1395.  Era  di  forma  ottangolare,  con  finestroni  arcuati 
assai  stretti  e  lunghi.  Sussistette  fino  all'anno  1830,  ed  allora, 
questo  antichissimo  patrio  monumento,    fu  barbaramente  atterrato. 

Nel  terremoto  del  1667  la  basilica  metropolitana  crollò,  rima- 
nendovi sepolto  tutto  il  tesoro  che  in  essa  racchiudevasi.  Una  parte 
delle  reliquie  venne  salvata. 

Si  diede  indi  mano  alla  fabbrica  di  una  nuova  cattedrale,  al 
quale  eifetto  con  veramente  patriottico  zelo  si  prestò  1'  ab.  Stefano 
Gradi,  allora  bibbliotecario  della  Vaticana  a  Roma.  Spedì  da  colà 
un  modello  fatto  a  rilievo  di  tutta  la  fabbrica,  addattandolo  alla 
pianta  della  vecchia  chiesa,  di  modo  che  le  fondamenta  del  vecchio 
editìzio  dovessero  servire  per  V  uso  del  nuovo  ;  variando  soltanto 
nella  larghezza  di  14  palmi  circa  per  parte,  e  ciò  per  le  capelle 
laterali.  A  tal  fine  spedì  pure  l' ingegnere  architetto  Paolo  Andreotti, 
genovese.  Dal  1672  al  1713  venne  compiuta  la  fabbrica. 

Questo  sacro  edifizio  è  di  stile  di  renaissance,  ha  in  lunghezza 
40  metri,  ed  in  larghezza  24.  È  scompartito  in  tre  navate,  soste- 
jmte  da  due  ordini  di  pilieri  con  colonne  incastrate  quadre.   L'in- 


91 

terno  è  un  sol  ordine  corintio.  La  parte  inferiore  della  facciata  ha 
anche  V  ordine  corintio ,  terminando  con  un  fìnestrone  triangolare, 
sostenuto  da  quattro  colonne  attiche;  presentando  di  tal  modo  al 
di  fuori  due  ordini,  ed  al  di  dentro  uno  solo.  È  in  forma  di  croce. 
Nel  mezzo  s'innalza  una  maestosa  cupola  elittica,  coronata  da  una 
lanterna.^  Il  suo  tamburo  è  vagamente  ornato  e  cinto  di  colonne. 
Tutto  il  tetto  e  la  cupola  sono  coperti  di  lastre  di  piombo. 

Nel  1806,  all'epoca  dell'assedio  di  Ragusa,  ha  sofferto  dalle 
palle  nemiche;  venne  però  ristaurato  nel  1827. 

La  pala  dell'  aitar  maggiore^  dedicata  alla  B.  V.  Assunta,  titolare 
della  chiesa ,  è  lavoro  dell'  immortale  Tiziano.  Esso  vi  dimorò  a 
Ragusa  per  cinque  mesi  presso  la  famiglia  Pozza,  ed  in  quel  frat- 
tempo vi  dipinse  la  Maddalena,  che  è  nella  chiesa  de'  Domenicani, 
la  pala  dei  ss.  mm.  Cosma  e  Damiano,  che  attrovasi  nella  chiesa 
parrocchiale  di  Lagosta,  e  F  Assunta  per  la  chiesa  di  s.  Lazzaro 
alle  Plocce,  che  apparteneva  al  ceto  cittadino.  Quando  nel  1712  si 
doveva  aprire  la  nuova  cattedrale,  per  mancanza  di  quadri,  fìi 
trasportata  la  detta  pala  dalla  chiesa  di  s.  Lazzaro,  e  fatta  fare 
una  copia  per  quella  chiesa.  Contemporaneamente  venne  trasportato 
un  altro  quadro,  pure  di  pennello  classico,  rappresentante  la  nascita 
di  N.  S.,  dalla  capella  dell'  isola  di  Mezzo,  una  volta  appartenente 
alla  famiglia  Prazatto  ;  ed  ambedue  le  dette  pitture  furono  apprez- 
zate in  queir  epoca  del  trasporto,  per  3000  doppie.  Sul  quadro  di 
Tiziano  avvi  la  firma  dell'autore  sulla  tomba  della  Vergine: 

A 

Ticianus  R.R.  F. 

Le  colonne  che  adornano  la  pala,  furono  nel  1853  trasportate, 
per  ordine  del  vescovo  Jederhnic,  dalla  soppressa  chiesa  del  Rosario. 
La  mensa  dell'  altare  maggiore  è  alla  foggia  romana,  in  mezzo  del 
presbitero,  ed  è  tutta  di  marmo.  Il  trono  vescovile  è  quello  stesso, 
che  una  volta  serviva  pel  Rettore  della  repubblica. 

Nella  cappella  laterale  a  mano  destra,  vi  è  il  grandioso  altare 
di  marmo,  con  in  mezzo  la  statua  di  s.  Giovanni  Nepomuceno,  di 
grandezza  naturale,  eretto  a  spese  dell'  arcivescovo  Arcangelo  Lupi 
(1575 — 66).  Dirimpetto  al  medesimo  è  l'altare  dedicato  a  S.Ber- 
nardo, di  marmo  lavorato  a  mosaico  ;  e  sulla  base  delle  colonne  si 

*  Nel  giorno  20  marzo  1876,  alle  11  ore  autim.,  scoppiò  un  tremendo  fulmine, 
scaricandosi  sulla  cupola  della  detta  chiesa  ed  arrecandole  gravissimi  danni. 
Si  dovette  quindi  chiuder  la  chiesa,  fino  a  che  saranno  praticate  le  neces- 
sarie riparazioni. 


92 

osserva  lo  stemma  della   nobile  fami^'lia  de'  Giorgi  che  lo  eresse. 
La  pala  ad  olio,  è  del  raguseo  Mattei  (f  172U). 

Tutti  ^Vì  altri  altari  delle  cappelle  minori  sono  pure  di  marmo. 
(ili  altari  del  Crocefisso,  e  della  Madonna  ^/r^/  J^orfo,  uno  dirimpetto 
air  altro,  sono  stati  eretti  a  spese  delF  arcivescovo  Gregorio  Lazzari 
(1777 — 92).  L'altare  dei  ss.  mm.  Cattarini,  Pietro,  Lorenzo  ed 
Andrea,  di  cui  la  pala  è  del  pittore  Carmelo,  napolitano,  che  di- 
morò a  Ragusa,  fu  eretto  dalla  repubblica  al  principio  questo 
secolo,  col  ricavo  dalla  vendita  dei  ruderi  della  chiesa  dei  detti 
santi,  caduta  nel  terremoto  ;  e  1'  altare  a  lui  opposto ,  della  B.  V. 
Annunziata,  del  pittore  raguseo  Benedetto  Stay,  fìi  ornato  di  co- 
lonne di  marmo  trasportate  nel  1853  dalla  chiesuola  appartenente 
al  palazzo  vescovile,  colla  mensa  ed  antipendio  della  chiesa  del 
Rosario ,  di  cui  facevan  parte  le  colonne  ora  suU'  aitar  maggiore  ; 
mentre  per  l' innanzi  era  di  legno.  In  fondo  della  chiesa  poi  vi  è 
il  battistero,  tutto  di  marmo;  e  sopra  la  porta  maggiore  un  ele- 
gante corretto  coli'  organo  fabbricato  nel  secolo  scorso  dal  prete 
raguseo  Vincenzo  Klisevic. 

La  cattedrale  è  fornita  di  un  buon  numero  di  pitture  classiche. 
Oltre  il  quadro  dell'  Assunta  di  Tiziano ,  e  1'  altro  rappresentante 
la  Natività  di  N.  S.,  che  per  quanto  d' ignoto,  senza  dubbio  però  di 
distinto  pennello,  ve  ne  sono  parecchi  altri  Vi  sono  qnattordici 
quadri  ad  olio,  che  una  volta  appartenevano  alla  famiglia  di  Bernardo 
Giorgi,  e  passarono  in  proprietà  della  cattedrale.  Nella  Tesoreria 
della  repubblica  vi  è  la  distinta  dei  detti  quadri,  coi  relativi  prezzi 
di  stima,  fatti  alla  fine  del  secolo  passato.  E  sono  i  seguenti: 

1.  San  Girolamo  in  grande  di  Bonifazio,  stimato  per  230  ducati  veneti. 

2.  La  B.  V.  col  Bambino  e  s.  Giuseppe  che  dorme,  di  Giovanni 
Bressan,  due.  100. 

3.  Uccellami  di  Niconisio,  due.  70. 

4.  La  Beata  Vei'gine  con  s.  Giuseppe  che  fugge  in  Egitto,  del 
Padovanino,  due.  390. 

5.  La  strage  degli  Innocenti,  dello  stesso,  due.  390. 

(3.  Nostro  Signore  che  libera  le  anime  dei  ss.  Padri  dal  limbo, 
dello  stesso,  due.  390. 

7.  Sansone  che  colla  mascella  atterra  i  filistei,  dello  stesso,  due.  390. 

8.  Cristo  in  croce  con  la  B.  V.  ed  altri  santi,  di  Giovanni  Be- 
nedetto Castiglioni,  due.  100. 

9.  Paletta  con  vari  santi  di  Carletto  Caliari,  due.  450. 

10.  S.  Catterina  del  Palma  il  vecchio,  due.  100. 


9^ 

11.  La  B.  V.  col  bambino  ed  altri  santi  in  tavola,  del  Parmi- 
gianino,  due.  400. 

12.  Il  Nostro  Signore  legato  alla  colonna^  su  tavola,  di  Andrea 
dal  Sarto,  due.  100. 

13.  Il  Salvatore,  mezza  figura  in  tavola,  del  Pordenone,  due.  200. 

14.  La  B.  Vergine  con  altri  santi,  su  piccolo  tavola,  di  Giulio 
Romano,  due.  150. 

Due  altri  quadri;  che  erano  pure  di  proprietà  dello  stesso  B. 
de  Giorgi,  vennero  lasciati  nella  Tesoreria  della  repubblica,  cioè: 
Adone  e  Venere  di  Paris  Bordone,  apprezzato  nella  detta  memoria 
per  due.  ven.  370,  ed  il  ritratto  della  Putta  Tedesca  di  Tiziano, 
stato  apprezzato  a  due.  250.  Quest'ultimo  nel  1811  venne  portato 
via  da  Domenico  Garagnini,  in  allora  governatore  civile  di  Ragusa 
sotto  il  dominio  francese  ;  e  dicesi  trovarsi  nella  galleria  di  sua 
famiglia  a  Traìi;  mentre  il  primo  è  tuttora  nel  palazzo  del  Capi- 
tanato distrettuale. 

Dei  succitati  14  quadri  sgraziatamente  alcuni  maneanO;  ne  si  sa 
dove  sieno.  11  quadro  di  Pordenone,  pochi  anni  addietro  furato,  fìi 
apprezzato  pel  valore  di  8000  fiorini  dall'  Accademia  delle  Belle 
Arti  a  Vienna,  e  di  nuovo  venne  rimesso  al  suo  posto. 

Oltre  i  succitati  quadri  avvi  un  interessantissima  pittura  ad  olio 
della  scuola  fiamminga ,  rappresentante  V  adorazione  de"  magi  ^  che 
ricchiamò  V  attenzione  del  prof.  Eitelberger,  e  la  descrisse  nell'opera 
sul  suo  viaggio  nella  provincia.  Egli  lo  dichiara  appartenente  alla 
scuola  di  Bruges,  del  sec.  XV.  E  fra  le  altre  cose  scrisse:  „la 
,,parte  artistica  è  straordinariamente  splendida,  ed  il  quadro,  non 
,. ostante  che  abbia  soft'erto  per  le  macchie  di  cera,  si  è  conservato 
«tuttavia  in  maniera,  che  abbisogna  soltanto  della  mano  di  un  buon 
,,ristauratore,  perchè  faccia  un  impressione  anche  su  un  profano 
„  dell'  arte.  Nelle  gallerie  di  Vienna,  Monaco,  e  Berlino,  si  vedono 
„de'  quadri  dell'  istessa  scuola,  che  si  ritengono  come  lavori  dell'ar- 
,,tista  Heujling.  colle  di  cui  opere  il  quadro  di  Ragusa  ha  un 
„ estrema  somiglianza."  Del  modo  come  venne  a  Ragusa,  non  consta. 
Esso  serviva  di  pala  dell'  altare  portatile ,  quando  gli  ambasciatori 
ragusei  si  recavano  a  Costantinopoli;   e  si  piega  in  tre  parti. 

Un  altro  quadro  di  grande  interesse  possiede  la  cattedrale;  ed 
è  mia  tavola  alta  poi.  vienn.  33  :  4,  e  larga  23  :  5,  su  cui  è  di- 
pinta la  Madonna,  che  tiene  nella  sinistra  il  bambino,  con  un  angelo 
dietro  alle  spalle,  ed  alla  destra  un  paesaggio.  È  dell'immortale 
Raitaelio.  Apparteneva  alla  chiesa  di  Lacroma,  ed  abusivamente  da 


94 

quei   monaci   fìi   venduto   dopo  il  terremoto   por  100  doppie  geiio 
vesi;  ricuperato  però  dalla  rei)ubblica,  e  collocato  nella  Cattedrale.^ 

È  da  riccordare  inoltre  un'  altro  quadro ,  che  attira  la  generale 
attenzione.  È  la  Madonna  della  Seggiola  ;  che,  a  giudizio  del  rino- 
mato pittore  boemo  Jaroslavo  Òermak,  il  quale  dimorò  vart  anni 
a  Ragusa,  sarebbe  copia  della  Madonna  di  Ratìaello,  fatta  però  da 
qualche  distinto  allievo  del  medesimo,  e  ritoccata  da  Katl'aello  stesso. 
11  re  di  Sassonia,  Federico,  pure  giudice  competentissimo,  osservò, 
mentre  visitava  Ragusa,  che  se  questo  quadro,  il  che  è  dubbio, 
non  era  T  originale  di  Raffaello ,  ma  quello  di  Firenze ,  che  allora 
questo  era  di  Andrea  dal  Sarto,  il  quale  imitava  così  i  dipinti  di 
Raffaello,  da  ingannare  gli  stessi  di  lui  allievi. 

Avvi  inoltre  un  quadro  della  Madonna  di  Guadalupa,  dedicato 
nel  1861  dal  pittore  I.  Cagide  all'infelice  Carlotta,  e  che  appar- 
teneva alla  cappella  imperiale  del  Messico,  dato  in  dono  a  questa 
cattedrale  dall'  arciduca  Francesco  Carlo,  padre  dell  compianto  Mas- 
similiano ;  si  ammira  di  più  un  magnifico  Crocifisso  d' argento, 
maestrevolmente  lavorato,  su  croce  di  ebano,  che  Sua  Maestà 
l'augustissimo  nostro  Sovrano  Francesco  Giuseppe  I  recen- 
temente fé  tenere  in  dono  a  questa  chiesa. 

Tre  iscrizioni  lapidarie  si  leggono  nella  cattedrale.  All'  arcivescovo 
Scotto,  sepolto  nella  chiesa  stessa,  venne  eretto  un  monumento 
nella  sacristia,  colla  seguente  iscrizione: 

D.  0.  M. 

Thomas  Antonius  Scottus  —  Viglevanensis  —  Olim  Tici- 
nensis  ecclesiae  vices-gerens  —  Rachusio  Archiepiscopus  — 
Sero  datus  cito  ereptus  —  Bonorum  moecenas  pauperum  tutor 

—  Animarum  pastor  optimus  —  Imo  pater  —  Sponsae  suae 

—  Brevis  amor  magnus  dolor  —  Immortale  solatium. 
Obiit  IV  id.  Mart.  —  Anno  Dni  —  M.DCCVIII. 

La  seconda  iscrizione  lapidaria  è  all'  immortale  Ruggero  Bosco- 
vich,  nella  capella  laterale  di  s.  Bernardo,  dettata  da  Mr.  Bene- 
detto Stay,  e  suona  cosi: 

Rogerio  Nicolai  F.  Boschovichio. 
Summi   ingenii  viro  philosopho  et  matematico   praestantis- 
simo  —  Scriptori    operum  egregiarum  —  Res  physicas,   geo- 
metricas,  astronomicas  —  Plurimis  inventis  suis  auctos  conti - 

'  Avvi  in  proposito  una  lunga  pertrattazione    nell'Archivio  di  Ragusa,    nei 
fascicoli  VI  e  XV  dell'  anno  1U72. 


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nentium  —  Celebrarum  Europae  academiarum  socio  —  Qui 
in  societate  Jesu  cum  esset  ac  Romae  Mathesim  profiteretur 
—  Benedicto  XIV  mandante  —  Multo  labore  singulari  indu- 
stria —  Dimensus  est  gradum  terrestris  circuii  —  Boream 
versus  per  pontificiam  ditionem  transeuntis  —  Ejusdemque 
ditionis  in  nova  tabula  situs  omnes  descriptis  —  Stabilitati 
Vaticano  Tholo  reddeundae  —  Portubus  Inferi  et  Superi  niaris 
ad  justam  altitudinem  redigendis  —  Restagnantibus  per  cam- 
pos  aquis  emittendis  commonstravit  viam  —  Legatus  a  Lucen- 
sibus  ad  Frauciscum  I.  Caes.  M.  Etruriae  Ducem  —  Ut  omnes 
ab  eorum  agro  averterentur  obtinuit  —  Merito  ab  lis  inter 
patritios  cooptatus  —  Mediolanum  ad  docendum  Mathematicas 
disciplinas  evocatus  —  Braidensem  extruxit  instruxitque  ser- 
vandis  astris  speculam  —  Deletae  tuni  Societatis  suae  super- 
stes  —  Lutetiae  Parisiorum  inter  Galliae  indigenas  relatus  — 
Conunissum  sibi  perficiendae  in  usus  matheniaticos  —  Opticae 
munus  adcuravit  —  Ampia  a  Ludovico  XV  rege  Xmo  attri- 
buta  pensione  —  Inter  haec  et  poesim  mira  ubertate  et  faci- 
litate excoluit  —  Doctas  non  semel  suscepit  per  Europam  pe- 
regrinationes  —  Multorum  amicitiis  gratia  virorum  Principum 
ubique  fioruit  —  Ubique  animum  christianarum  virtutum  ve- 
raeque  Religionis  studiosum  praesetulit  —  Ex  Gallia  Italiam 
revisens  jam  senex  —  Cum  ibi  in  elaborandis  edendisque  po- 
stremis  operibus  —  Plurimum  contendisset  et  novis  inchoandis 
ac  veteribus  absolvendis  —  Sese  adcingeret  —  In  diutur- 
num  incidit  morbum  eoque  obiit  Mediolani  —  Id.  Feb.  A. 
M.DCCLXXXVII  natus  annos  LXXV  menses  IX  dies  II  — 
Huic  optime  merito  de  Repub.  Givi  —  Quod  fìdem  atque  ope- 
ram  suam  eidem  saepe  probaverit  —  In  arduis  apud  exteras 
nationes  —  Bene  utiliterque  expediundis  negotiis  —  Quodque 
sui  nominis  celebritate  novum  patriae  decus  attulerit  —  Post 
funebrem  honorem  in  hoc  tempio  cum  Sacro  et  Laudatione  — 
Publice  delatum  —  Ejusdemque  templi  Curatores  —  Ex  Se- 
natus  consulto  —  M.  P.  P. 
La  terza  lapide  coli'  iscrizione  è  stata  recentemente  eretta  al 
Conte  Bernardo  Caboga,  Generale  d'  Artiglieria,  morto  a  Vienna 
nel  1855.  L' iscrizione  incisa,  composta  dal  def.  Giovanni  Matulic, 
è  del  seguente  tenore: 

Memoriae  et  honori  —  Bernardi  Comitis  de  Caboga  patritii 
Rhacusini  —  Joannis    olim    Rhacusinae  Reipublicae  Senatoris 


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filii  —  A  Cubiculis  et  Consiliis  intimis  —  Iinporatoris  et  Regis 
Nostri  —  Ac  Leopoldini  Cominendatoris  —  Qui  Vili  Idus 
feb.  au.  M.DCCILXXXV  lìbacusae  iiatus  —  Scieiitia  militari 
Viiulobonae  ab  adoleseentia  niiiitice  comparata  —  Caesaris 
stipendia  per  decem  ampUus  lustra  praeclare  meruit  —  Quique 
gravissimis  legationibus    soleiter    susceptis  ac  feliciter  peractis 

—  Kjusque  tide  atque  opera  domi  militiaeque  —  Augustissimis 
Austriae  Inqjeratoribus  — -  Francisco  I,  Ferdinando  1,  et  Fran- 
cisco Josepbo  I  —  Splendide  probata  —  Ballistariorum  praefectus 

—  Ac  summus  macbinatorum  et  bellicorum  operum  rector  —  Fuit 
renunciatus  —  Exteris  etiam  a  Principibus^  Hispano^  Sarma- 
tico,  Saxone,  Svecico,  et  Siculo,  —  Inter  equites  primorum 
ordinum  adlectus  —  Donisque  militaribus  ob  virtutem  dona- 
tus  —  Demum  Vindobonae  XIII  Kal.  Decembris  an.  M.DCCCL\' 

—  Post  acerbum  morbum  Christiana  fortitudine  perpessum  — 
Pie  obiit  in  magistratu  —  Omnibus  —  Ingenio  eruditione 
suavitate  morum  atque  integritate  —  Carus  et  tìebilis  —  Sed 
nulli  quam  patriae  carior  —  Cujus  gloriam  majorum  vestigiis 
insisteus  —  Provexit  —  Nullique  tiebilior  —  Quam  Henrico 
Gomiti  de  Caboga  ex  fratre  Biasio  filio  —  Qui  corpori  Patrui 
de  se  optimo  meriti  —  In  gentilitio  sacello  ad  Umblam  — 
Ex  volimtate  defuncti  composito  —  Ejusdem  Cor  in  hac  Aede 
principe  —  Devoti  gratique  animi  caussa  deposuit  —  Titu- 
lumque  dicavit. 

Cappella  delle  Reliquie.  Quello  poi  che  in  special  modo  rende 
rinomata  la  Cattedrale  di  Ptagusa,  è  la  di  lei  cappella  colle  s.  Re- 
liquie. Essa  può  dirsi  con  ragione  un  vero  tesoro,  sia  che  si  abbia 
riguardo  alla  copia  delle  reliquie,  oppure  al  merito  artistico  delle 
teche  in  cui  sono  rinchiuse  e  magnificamente  lavorate,  sotto  diverse 
forme,  di  teste,  di  piedi,  di  mani,  di  busti,  di  pissidi,  di  calici, 
di  vasi,  di  quadri,  di  croci,  urne  ecc.  ;  non  cedendo  in  questo  a 
nessun'  altra  città,  tranne  Pioma. 

Sin  dal  sec.  X  Ragusa  potè  formare  una  cappella  di  sacre  reli- 
quie mercè  il  dono  di  Paulimiro  Belo;  il  quale  reduce  da  Roma 
per  riassumere  il  regno  de'  propri  avi,  vi  lasciò  le  reliquie  dei  ss. 
Nereo,  Achilleo,  Pancrazio,  Petronilla  e  Domitilla,  seco  portate,  e 
collocate  indi  nella  chiesa  di  s.  Stefano  a  Pustierna.  ^     Col   tem])o 

'  Quest'  antichissima  chiesa,  posta  dietro  la  cattedrale,  dacché  ruiuò  nel 
terremoto,  non  venne  più  rifabbricata.  Tuttora  nei  di  lei  ruderi  si  leaise 
un'  iscrizione   incisa  in  una  lapide,   incastrata    nel    muro    deli'  abside,  che 


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aumentossi  la  detta  cappella  colle  reliquie  dei  ss.  Zenobio  e  Zenobia, 
e  con  due  insigui  frammenti  di  s.  Croce,  portati  nel  1050  da  Mar- 
garita, vedova  di  Stefano  re  di  Croazia,  che  si  domiciliò  e  morì 
a  Kagusa. 

Contemporaneamente  a  questo  primo  reliquiario,  sino  dal  secolo 
decimoterzo  cominciò  a  formarsi  un  altro  presso  la  chiesa  metro- 
politana; che  crebbe  ad  un  rilevante  numero  di  reliquie,  partico- 
larmente all'  epoca  delF  invasione  turca  in  Europa,  venendo  ivi  in 
buona  parte  trasportate  le  s.  reliquie  da  Costantinopoli  e  dalle  altre 
città  del  impero  greco;  al  quale  effetto,  oltre  i  privati  cittadini, 
pose  tutta  la  cura  la  repubblica  stessa,  mandando  appositamente 
propri  legni  per  ricuperarle,  e  ricompensando  largamente  coloro 
che  le  portavano  tali  tesori.  In  tal  guisa  nel  sec.  XVI  la  metro- 
politana potè  contare  ben  trecento  teche  di  oro  ed  argento,  con- 
tenenti particelle  di  sacre  reliquie. 

Caduta  nel  terremoto  del  1667  la  chiesa  di  s.  Stefano  e  la  Me- 
tropolitana, le  dissotterrate  reliquie  furono  trasportate  nel  forte 
Revellino;  da  dove  poi  furono  trasferite  nella  chiesa  de'  Domeni- 
cani, e  poi  nel  1721  nella  cappella  dell'  attuale  chiesa  Cattedrale. 

In  quella  luttuosa  circostanza  molte  reliquie  colle  rispettive  teche 
furono  frantumate,  e  le  ossa  raccolte,  vennero  depositate  in  due 
eleganti  casse;  molte  altre  reliquie  poi  rimasero  anonime,  per  non 
esser  state  contrassegnate  col  nome  del  santo,  al  quale  appartene- 
vano. Di  tutte  le  teche  che  possedeva  la  chiesa  di  s.  Stefano 
e  la  Metropolitana,  appena  si  raccolsero  182  ;  e  si  trovano  nella 
cappella  dell'  attuale  Cattedrale. 

È  elegantissima  la  detta  cappella.  Di  fronte  v'  ha  come  un  altare, 
dov'è  la  Croce  col  s,  Legno.  Da  tutti  i  lati  vi  sono  nicchie,  la- 
vorate con  molto  gusto,  e  splendide  di  doratura,  nelle  quali  sono 
collocate  le  s.  reliquie.  Il  frammento  di  Legno  di  Croce,  portato 
da  Margherita  di  Croazia  nel  1050,  è  alto  24  centini.,  largo  8, 
e  grosso  circa  cent.  2:5.   Da  questo  frammento  il  vescovo  Jeder- 

ricorda  la  regina  Margarita  come  fondatrice  della  medesima,  ed  eronea- 
meute  pretende,  che  presso  quella  chiesa  sia  stato  seppellito  il  di  lei  ma- 
rito Stefano.     L' iscrizione  è  del  tenore  seguente  : 

Junius  Gradius  Matthaei  lìlius  pietate  motus  ossa  ex  sepulchris  ante 
hanc  aedem  positis  jam  pene  vetustate  dirutis,  in  quibus  etiam  Stephani 
regis  Bosnae,  cujus  uxor  Margarita  hanc  aedem  divo  sui  viri  cognomini 
posuerat,  condita  fuisse  fama  ferebat,  coelum  et  hominum  injuriis  ob- 
noxia  in  hoc  sepulchrum  sua  impensa  factum,  annuente  summo  pontifice 
Gregorio  XIII  transferenda  curavit  anno  M.D.LXXXX. 


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linic^  aveva  staccata  una  porzione,  per  refj:alarla  al  Card.  Fransoni  ; 
e  nel  1853  oftrì  in  dono  una  particella  del  s.  Legno  all'  arciduca 
Massimiliano,  il  quale  poi  la  depositò  nella  chiesa  del  s.  Sepolcro 
a  Gerusalemme.  In  varie  altre  teche  vi  sono  minori  frammenti;  e 
fra  gli  altri  avvi  una  particella  poi  tata  da  Gerusalemme  dal  raguseo 
fra  Bonifazio  de  Stephanis ,  guardiano  di  terra  santa ,  indi  vescovo 
di  Stagno,  il  quale  nell'anno  1555  pel  primo  dopo  s.  Elena  aprili 
sepolcro  di  Cristo,  e  trovatovi  un  frammento  del  s.  Legno,  lo  di- 
stribuì fra  il  pontefice  ed  alcuni  cardinali,  trattenendo  una  porzione 
per  se,    che  ora  si  venera  nella  detta  cappella. 

Si  conserva  pure  in  una  magnifica  cassa  d'  argento  il  Pannicello 
in  cui  fu  ricevuto  il  bambino  Gesù  nel  tempio  da  s.  Simeone  pro- 
feta. Lo  portò  da  Gerusalemme  un  sacerdote  albanese  nel  1040. 
Nel  secolo  passato  il  pannicello  aveva  in  lunghezza  circa  un  metro 
e  53  centim.,  ed  in  larghezza  centim.  51.  Il  vescovo  Jederlinic  nel 
1844  offrì  in  dono  una  porzione  al  felicemente  regnante  pontefice 
Pio  IX.  che  la  ripose  nella  basilica  Liberiana.  Il  tessuto  è  d' amianto. 

In  una  teca  si  conserva  un  filo,  di  due  metri  circa  di  lunghezza, 
della  veste  inconsutile  di  Cristo:  stato  regalato  dal  Patriarca  di 
Costantinopoli  Gregorio,  nel  1455,  al  raguseo  Giunio  de  Gradi. 

Del  sepolcro  di  Cristo  v'  è  pure  un  frammento,  portato  da  Bo- 
nifacio de  Stephanis,  che  lo  distaccò,  quando  rinnovava  la  crollante 
fabbrica  che  copriva  il  s.  Sepolcro. 

Vi  sono  parecchie  reliquie  di  s.  Biagio;  e  fra  le  altre  un  fram- 
mento del  suo  cranio ,  rinchiuso  in  una  magnifica  corona  d' oro 
alla  bizantina,  lavorata  a  filagrana.  Prescindendo  dall'  inestimabile 
valore,  come  oggetto  di  culto  religioso,  è  del  più  grande  interesse 
dal  lato  artistico  ;  e  dobbiamo  al  prof.  Eitelberger  Y  illustrazione 
che  fece  della  detta  teca.  La  XX  delle  tavole  che  adornano  il  suo 
lavoro  archeologico  sulla  Dalmazia,  ce  la  riproduce  in  disegno,  ed 
alla  pag.  147  ampiamente  la  descrive.  Secondo  alcune  memorie 
manoscritte,  questo  lavoro  fu  portato  a  Ragusa  dall'  oriente  nel 
1026,  da  un  abbate  greco.  Ha  la  forma  di  una  corona  bizantino- 
orientale  ;  il  reliquiario  è  diviso  in  tre  porzioni,  di  cui  la  superiore 
è  ricoperta  di  ornati,  di  figure  e  fogliami.  \\  sono  l'appresentati  i  ss. 
Andrea,  Biagio,  Pietro,  e  V  arcangelo  Michele  ;  s.  Biagio  è  senza 
r  insegne  della  sua  dignità  episcopale  ;  lo  smalto  dell'  aureola  è  di 
color  azurro-verde,  rosso  nelle  figure.  La  parte  media  è  compartita 
in  campi  ora  rotondi,  ora  quadrati,  sui  quali  si  vedono  tre  santi, 
cui  non  fu  aggiunto  il  nome;    quindi  s.  Pietro,  s.  Matteo,    s.  Già- 


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corno,  e  finalmente  una  Madonna,  pessimamente  restaurata.  Nella 
terza  porzione  si  vede:  Cristo  sedente  sul  trono  che  benedice  colla 
dritta  e  tiene  un  rotolo  nella  sinistra,  s.  Giovannni  barbuto  con  spalan- 
cate le  mani,  ed  un  altro  santo  coli'  iscrizione  s.  Johes,  s.  Baresis. 

Vi  sono  parecchie  altre  reliquie  dello  stesso  santo;  una  teca  a  guisa 
di  braccio  umano,  con  un  frammento  della  mano  del  santo,  portata 
dalla  Rassia  nel  1346  dal  raguseo  Tommaso  de  Yitianis  ;  una  pic- 
cola porzione  dell'  osso  gutturale  in  un  magnifico  ostensorio  alla 
gotica,  asportato  pure  dalla  Rassia  da  Stefano  di  Marino  da  Dui- 
cigno,  e  regalato  nel  1428  alla  repubblica;  un'  altra  reliquia  della 
mano  del  santo,  data  in  dono  nel  1452  da  Tommaso  Paleologo, 
despota  della  Morea,  al  raguseo  Radovanovic,  per  averlo  salvato 
sulla  propria  nave,  quando  i  turchi  invasero  il  suo  regno  ;  ed  una 
tibia,  portata  dall'  oriente  nel  sec.  XI .  e  nel  1667  rubata  e  portata 
a  s.  Remo,  indi  a  Genova,  ricuperata  poi  dai  ragusei  nel  1675. 

In  un  dorso  d'  argento  avvi  poi  un  osso  di  s.  Agostino  Dot- 
tore, di  cui  tutto  il  resto  del  corpo ,  infuori  della  detta  costola, 
è  a  Pavia. 

In  una  teca  si  conserva  un  frammento  del  capo  di  s.  Andrea 
ap.,  regalato  alla  repubblica  da  Tommaso  Paleologo,  quando  si 
fermò  a  Ragusa,  portando  tutto  il  capo  a  Roma. 

È  curioso  r  acquisto  del  frammento  del  braccio  di  s.  Giovanni 
Battista,  che  si  conserva  in  una  cassa  d'  argento.  Nel  1 452  il  fran- 
cescano Giorgio  Dragesic,  bosnese,  portando  la  detta  rehquia  da 
Gerusalemme,  si  fermò  a  Ragusa  ed  ammalò.  Ritenendosi  a  morte, 
la  conseguo  a  due  senatori,  con  condizione  che,  qualora  si  rista- 
bilisse, gliela  dovessero  restituire,  per  averla  promessa  ai  Fiorentini. 
Erano  inutili  le  di  lui  ricerche  quando  ricuperò  la  salute;  come 
pure  inutili  i  reclami  de'  Fiorentini  per  averla.  Rivoltisi  al  pon- 
tefice, questi  con  due  brevi  minacciò  i  ragusei  di  scomunica,  qualora 
non  la  restituissero;  ma  inutilmente.  In  ultimo  si  rivolsero  a  Ba- 
jazette  con  un  istanza,  che  in  originale  si  conserva  nell'  archivio 
della  repubblica.  Questi  demandò  la  causa  ad  un  pascià,  il  quale, 
corrotto  probabilmente  dai  ragusei,  troncò  la  questione,  coli'  osser- 
vare, che  potevano  raccogliere  a  piacimento  delle  ossa  de'  cristiani 
quante  ne  volevano  a  Rosso vo  polje. 

Tutte  le  182  teche  che  racchiudono  le  diverse  reUquie,  e  di  cui 
per  brevità  ommettiamo  i  nomi,  sono  di  argento  in  fuori  di  alcune 
di  s.  Biagio,  che  sono  di  oro.  Oltre  il  loro  interesse  come  oggetto 
di  culto,   e  la  loro   importanza    dal  punto  di  vista    istorico,   molte 


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di  loro  hanno  filande  interesse  dal  lato  artistico,  per  ^di  antichis- 
simi e  finitissimi  lavori  in  oro,  argento,  e  smalto  in  massima  parte 
eseguiti  a  Ragusa  dal  sec.  XII  in  poi. 

Un  lavoro  artistico  poi,  che  attira  V  osservazione  non  solo  degli 
intelligenti,  ma  di  tutti  quanti  visitano  la  detta  cappella,  si  è  un 
bacino  colla  brocca,  d'  argento  (undeci  libre  di  peso),  in  cui  si 
ammira  a  qual  grado  di  finitezza  V  arte  dell'  orificeria  era  giunta 
a  Ragusa  nel  XV  secolo.  È  lavoro  del  raguseo  Giovanni  Progo- 
novié,  fatto  per  commissione  dell'  arcivescovo  Timoteo  Mafifei,  che 
lo  voleva  portar  in  regalo  a  Mattia  Corvino,  nelF  occasione  che 
doveva  recarsi  alla  dieta  di  quel  regno,  di  cui  erano  membri  di 
diritto  gli  arcivescovi  di  Ragusa.  Morto  però  poco  prima  d' intra- 
prendere il  viaggio  (1471)  lo  lasciò  in  testamento  al  proprio  nipote, 
che  lo  vendette  al  governo  della  repubblica,  e  questi  ne  fece  pro- 
prietaria la  chiesa  cattedrale.  È  inaprezzabile  il  suo  lavoro  arti- 
stico. Il  bacino  è  tutto  ricoperto  da  elegantissimi  animaletti  la- 
vorati in  argento  con  isquisitissima  finitezza;  ed  il  fondo  è  rico- 
perto da  molle  erbetta,  che  sorprendentemente  imita  la  natura.  Il  1 
tutto  è  passato  colla  corrispondente  vernice,  da  rappresentare  gli  ( 
oggetti  al  naturale.  Quando  si  versava  dell'  acqua,  gii  animaletti  j 
si  muovevano  con  stupendo  artifizio.  Sulla  brocca  pendono  frutta  j 
e  fogliami ,  rettili  e  rami  di  corallo  ;  all'  intorno  figure  mitolo-  ; 
giche,  al  di  sopra  un  cacciatore  col  suo  corno,  cani,  cervi,  e  ca-  i 
priuoli ,  mentre  dal  vacuo  del  vaso  sorgono  alcune  spiche  di  grano  ; 
il  tutto  eseguito  con  arte  anniiiranda.  Per  quanto  il  lavoro  abbia  ] 
sofferto  dal  tempo,  e  dalla  poca  cura  con  cui  fu  tenuto,  non  ha 
perduto  però  dell'  essenziale  del  suo  merito. 

Oltre  a  molti  altri  preziosi  oggetti  vi  è  un  arco  col  turcasso, 
e  con  molte  freccie;  lavoro  elegantissimo,  e  regalo  di  alcuni  gian- 
nizzeri (1510)  alla  repubblica,  quando  erano  di  passaggio  per  Ra- 
gusa. Si  osserva  infine,  non  senza  commozione,  un  cuscino  di  ve- 
luto,  riccamato  e  lavorato  in  perlette,  che  apparteneva  alla  cappella 
Imperiale  del  Messico,  e  dato  in  memoria  a  questa  Cattedrale 
dall'  Arciduca  Francesco  Carlo.  Nella  stessa  cappella  si  vedono  due 
pitture  simboliche  del  raguseo  Pietro  Mattei. 

Ragusa  dall'  origine  della  sua  fondazione  ebbe  proprio  vescovo  ; 
ed  il  primo  fìi  lo  stesso  Giovanni  di  Epidauro,  il  quale  dopo  1'  ec- 
cidio di  quella  città,  si  trasportò  coi  superstiti  cittadini  nel  castello 
Lavve.  La  sede  vescovile  venne  indi  elevata  a  metropolitana  nel 
sec.  XI,   e  durò   fino   all'  anno    1828,    in   cui   fu  ridotta    di  nuovo 


*=.; 


101 

a  sede  vescovile  e  le  furono  abbinate  le  sedi  di  Stagno  e  Cur- 
zola.  Avvi  presentemente  un  Vescovo,  un  Capitolo,  ed  un  Clero 
Curato. 

Dimora  di  S.  M.  Francesco  I.  a  Ragusa.  —  Dappresso  la  Cat- 
tedrale avvi  la  casa  Bassegli-Gozze,  dove  le  Loro  Maestà  Fran- 
cesco I,  e  la  di  lui  consorte  Carolina,  durante  la  loro  dimora 
a  Ragusa  nelF  anno  1818,  alloggiarono  per  10  giorni.  La  seguente 
iscrizione,  incisa  in  una  lapide  di  marmo,  ed  incastrata  nel  muro 
della  casa,  ricorda  la  fausta  circostanza: 

Imperatori  Francisco  L  Austriaco  —  Et  Carolinae  Augustae 
Conjugi  —  Optimis  et  indulgentissimis  principibus  —  Quod 
dies  decem  bisce  in  aedibus  —  Diversati  sunt  —  Tantis  hospi- 
tibus  nobilitata  et  aucta  —  Domus  Gozziorum  —  Ad  aeternam 
posterorum  memoriam  —  Anno  M.DCCCXVIIL 

Chiesa  di  s.  Biagio.  —  Dirimpetto  alla  Dogana,  e  rispettiva- 
mente al  palazzo  Municipale,  ergesi  il  maestoso  tempio,  sacro  al 
protettore  di  Ragusa,  s.  Biagio. 

Su  quest'  istesso  sito  era  stata  eretta  al  medesimo  santo  la  prima 
chiesa,  allorquando  venne  scelto  per  protettore  della  città  e  Stato 
della  Repubblica  (sec.  X);  e  nel  1348  per  voto  venne  inalzato  un 
tempio  più  maestoso  sul  posto  istesso.  Per  architetto  era  certo 
Giovanni  da  Siena.  Dappresso  la  chiesa  contemporaneamente  fti  eretta 
una  loggia,  destinata  per  stazione  militare ,  e  dimora  delle  guardie 
della  città,  entro  cui  nei  primi  tempi  si  tenevano  pubbliche  con- 
cioni al  popolo. 

La  chiesa  era  di  stile  romano,  e  simile  nella  forma  alla  catte- 
drale, soltanto  più  piccola  in  dimensioni.  Avea  tre  navate,  soste- 
nute da  alte  e  grosse  colonne,  su  cui  poggiavano  gli  archi  ;  fornita 
tutto  all'  intorno  di  peristili.  I  vetri  delle  finestre  erano  colorati 
con  immagini  di  diversi  santi.  Nel  presbitero  ergevasi  un  superbo 
altare,  con  una  bella  pala  d'  argento,  ed  il  ciborio  di  egual  metallo. 
Avea  tre  altri  altari  :  del  Crocifisso,  di  argento  massiccio  ;  di  s.  Am- 
brogio, eretto  dalla  famiglia  Sforza  milanese;  e  di  s.  Margherita. 

Attorno  alla  chiesa  vi  era  un  recinto,  con  balaustrata  di  colon- 
nette, sovraposte  a  statue  di  marmo  rappresentanti  diversi  santi. 

Questo  tempio  sofferse  molti  guasti  nel  terremoto,  però  rimase 
in  piedi  e  venne  ristaui'ato.  Nel  1706  il  fuoco  accidentalmente 
appiccatosi,  lo  distrusse  tutto  quanto,  risparmiando  solamente  la 
statua  del  santo  protettore. 


Demoliti  i  iuiUtì^  tu  sul  luogo  istesso  eretta  V  attuale  chiesa 
nel  1707 — 15,  sotto  la  direzione  dell'  architetto  Marino  Groppelli 
da  Venezia,  sul  disegno  d'  un  altra  che  conteniporanemente  si  fab- 
bricava a  Roma  presso  la  via  Flumentana^  a  spese  del  Cardinale 
Castaldi,  e  che  fu  benedetta  dal  raguseo  ab.  Ignazio  (Jiorgi  nel  1715. 

L'  attuale  chiesa  è  di  stile  di  renaissance.  Si  alza  dal  suolo  sopra 
un  basamento  scarpato,  a  cui  si  ascende  per  una  scalea  di  undici 
gradini,  clie  termina  in  un  antipendio  balaustrato.  La  facciata  è 
d'  ordine  corintio  con  quattro  colonne  rotonde,  sormontate  da  un 
attico,  con  un  tinestrone  arcuato  sopra  la  porta,  e  frontone  circo- 
lare. I  fianchi  sono  adorni  di  colemie  attiche  incastrate.  L' interno 
è  a  tre  navi,  nel  cui  centro  quattro  colonne  corintie  con  piedestalli 
sostengono  una  cupola  semisferica.  Nel  presbitero  ergesi  un  sem- 
plice, ma  elegante  altare  alla  romana,  su  cui  è  collocata  la  statua, 
che  rimase  incolume  fra  le  fiamme,  ed  a  cui  allude  la  seguente 
iscrizione,  incisa  su  una  lapide  marmorea,  a  destra  delF  altare: 

D.  0.  M. 
Simulacrum  hoc  argenteum  —  Divi  Blasii  mailyris  —  De- 
flagrato ejus  vetere  tempio  —  A.  D.  M.DCCVI  —  E  rude- 
ribus  et  cinere  erutum  —  Caeteris  omnibus  signis  —  Atque 
ornamentis  —  Ex  auro  argento  aere  —  Obtritis  colliquefactis 
—  Senatus  Rhagusinus  —  Inclyto  Patrono  —  Hanc  aedem  — 
Prioribus  ampliatis  vestigiis  —  Cum  augustiorem  excitasset  — 
Rursus  in  ara  maxima  —  Tamquam  sua  in  sede  —  Et  pu- 
blicae  securitatis  arce  —  Statuendum  censuit  colendumque  — 
A.  S.  MDCCXV. 

La  statua  è  di  sottili  lamine  d'  argento  dorato,  cesellate  a  bollino. 
Presenta  solamente  la  prospettiva  anteriore  d'  un  vecchio  in  abito 
vescovile  all'  orientale.  Manca  la  parte  posteriore  ed  il  vuoto  in- 
terno è  riempiuto  di  legno,  analogamente  intagliato.  L'  altezza 
della  statua  (senza  la  mitra,  che  è  lavoro  posteriore)  è  di  poli, 
vienn.  21  :  5,  ossia  56  :  5  ceutim.,  e  calcolandola  fino  a  tutta  l'al- 
tezza della  mitra  è  di  poli.  26.  È  lavoro  di  gusto  romano  dell'  opera 
posteriore,  però  sempre  innanzi  al  XIII  secolo.  L'esecuzione  dell'arte 
tecnica  dà  a  divedere  che  è  un  lavoro  molto  antico,  e  di  quell'epoca 
quando  il  gusto  rojiiano  seguiva  il  bizantino  Nella  mano  sinistra 
del  santo  è  posta  una  lastra  d' argento,  in  cui  è  incisa  la  città. 
Tale  lavoro  è  stato  eseguito  ti-a  il  1480 — 85.  e  mostra  il  carattere 
tipico  nei  principali  oggetti.    La  posizione  della  città  coi  principali 


103 

edifici  è  stata  lavorata  con  esatezza;  però  si  osserva  un  raccorciamento, 
mancandovi  tre  secondarie  transversali  calli^  che  tagliano  la  contrada 
principale,  e  che  vi  erano  anche  a  queir  epoca.  Il  numero  delle 
torri  corrisponde  perfettamente  a  quelle  che  ognora  vi  sussistono, 
infuori  di  una  presso  la  porta  che  conduce  alle  Pillo,  recentemente 
abbattuta. 

La  chiesa  ha  due  altari  laterali;  di  più  quattro  belle  statue  di 
pietra,  del  Lazaneo  da  Brazza.  Yi  sono  pure  parecchie  pitture  ad 
olio,  però  non  di  grande  merito  artistico. 

Dinanzi  alla  porta  principale  stava  il  pilastro,  appellato  Orlando, 
che  non  venne  mai  più  rimesso  al  suo  posto,  dacché  fu  atterrato 
dall'  uragano. 

Chiesa  e  convento  dei  Francescani.  —  Presso  la  porta  che  con- 
duce alle  Pillo,  si  vede  una  semplice,  ma  maestosa  e  vasta  chiesa, 
con  un  alto  campanile,  ed  annesso  convento,  che  appartiene  ai  minori 
osservanti  di  s.  Francesco,  ed  è  dedicata  al  fondatore  dell'  ordine. 

I  francescani  giunsero  a  Ragusa  venti  otto  anni  dopo  la  fonda- 
zione del  loro  ordine  (1235);  e  nel  1250  fu  a  loro  eretto  un  con- 
vento, coir  annessa  chiesa  dedicata  a  s.  Tommaso  ap.,  nel  sob- 
borgo Pillo,  e  precisamente  nella  località  che  si  chiamava  Jamine, 
indi  piazzetta  Cimisela  ora  ridotta  a  giardino  pubblico  dall'  esimio 
brigadiere  generale  barone  de  Jovanovic,  il  quale  anche  per  questo 
riguardo  riscosse  la  riconoscenza  de'  Ragusei.  Per  tema  di  agres- 
sioni  nemiche  nel  1315  dalla  stessa  repubbhca  venne  abbattuto, 
e  fabbricato  1'  attuale  convento  coli'  annessa  chiesa  entro  il  recinto 
della  città. 

Adornano  la  chiesa  bellissimi  altari  di  marmo,  e  molte  pitture, 
delle  quali  però  s' ignorano  gli  autori.  Si  ammira  la  sua  spazio- 
sissima sacristia  fatta  a  volta  in  un  sol  arco,  e  1'  elegante  chiostro, 
ultimato  nel  1433  dal  maestro  Michele  di  Antivari,  di  cui  si  legge 
r  epitafio  nel  chiostro  stesso.  Molte  iscrizioni  lapidarie,  dall'  epoca 
dell'  erezione  della  chiesa  e  del  chiostro,  si  leggono  in  diversi 
punti.    Il  convento  è  molto  vasto,    e  tenuto  con  somma  proprietà. 

Tanto  il  convento  che  la  chiesa  nel  terremoto  del  1667  avevano 
preso  fuoco,  ed  in  massima  parte  vennero  distrutti  dalle  fiamme. 
Furono  però  tosto  fatti  gli  opportuni  ristauri. 

Avvi  presso  quel  convento  la  cereria,  ed  un'  approvata  farmacia. 
Quello  poi  che  particolarmente  rende  rinomato  questo  monastero, 
si  è  la  sua  copiosa  ed  importante  bibbUoteca,  che  data  dal  XVII 
secolo,  essendo  stata  1'  anteriore  distrutta  dalle  fiamme.   Conta  at- 


104 

tiialiiit'iite  oltro  10.000  vulmiii.   Al   suo   iiiL»raii(liineiilo  cuiitiibuì  in 

Y 

gran  parte  il  def.  ]).  liinuceiizo  Culir,  da  Spalato,  il  qual(\  durante 
la  sua  dimora  per  un  mezzo  secolo  a  Ragusa,  ebbe  la  rara  abilità 
di  raccogliervi  (luasi  tutti  i  manosciitti  patrii  che  esistevano  presso 
i  i)rivati.  nonché  un  i^ran  mimerò  di  staìiipati  e  di  rare  edizioni. 
La  bibblioteca  è  divisa  come  segue:  1.  libri  patrt:  stami)ati,  circa 
800  voi.,  con  opuscoli  sciolti  e  volanti  000  circa;  e  manoscritti 
legati  in  volunn  circa  500;  e  volanti,  però  ordinati  e  raccolti  in 
tanti  zibaldoni,  più  di  700;  2.  di  teologia  dommatica  v.  1500; 
3.  predicabili  1100  voi.;  4.  S.  scrittura  ed  espositori  v.  550;  5.  s. 
padri  V.  IGO;  0.  ascetici  e  vite  de' santi  v.  1000;  7.  storia  sacra 
e  profana  voi.  1030;  8.  fìlosotìa,  matematica  ecc.  v.  700;  9.  lette- 
ratura antica  e  moderna  v.  1000;  10.  diritto  canonico,  e  cose 
dell'ordine  v.  800;  11.  liturgica  e  miscellanea  v.  500;  12.  proi- 
biti v.  500. 

Avvi  inoltre  un'  interressante  bibblioteca  musicale ,  raccolta  ed 
ordinata  dal  distinto  padre  Giovanni  Evangelista  Kuzmic/  il  quale 
col  concorso  di  alcuni  suoi  amici,  ha  potuto  avere  quasi  tutta 
la  musica,  che  si  è  conservata  presso  le  famighe,  segnatamente 
nobili.  Qui  si  trova  buon  numero  di  classici  di  tutte  le  epoche, 
dal  Palestrina  al  presente.  Chi  degli  studiosi  volesse  conoscere 
Scarlatti,  Porpora,  Jomelli,  Pergolati,  Sala  Nicolla,  Piccinni,  Zin- 
garelli  ed  altri,  non  avrebbe  che  da  levare  uno  dei  cento  venti 
grossi  cartelloni,  ove  si  trova  collocata  alfabeticamente  tutta  la 
musica  ;  dicasi  lo  stesso  di  molti  de'  principali  autori  tedeschi  e 
francesi.  Il  tutto  è  riportato  nel  rispettivo  catalogo. 

A  Ragusa  fu  con  trasporto  coltivata  in  ogni  tempo  la  musica,  e 
fra  gli  antichi  si  cita  un  Ratfaelle  Tampariza,  francescano,  maestro 
della  cappella  Imperiale  a  Vienna,  e  ne' tempi  più  recenti  si  pos- 
sono annoverare  fra  i  distinti  cultori  della  beli'  arte,  il  nobile  Luca 
di  Sorgo,  ed  Antonio  suo  figho,  da  pochi  anni  morto  a  Parigi.  Di 
questi  si  conserva  nella  bibblioteca  un  buon  numero  di  sinfonie  ad 
orchestra  e  pianoforte,  e  molti  salmi  musicati.  Nel  1851  morì 
Giuseppe  Zabolio,  distinto  maestro  e  compositore.  E  fra  i  numerosi 
dilettanti  citeremo  uno  solo,  il  padre  Sebastiano  Frankovic^  siccome 
quello   la   di   cui  memoria  cara  si  conserva  in  tutti  i  ragusei,   del 

'  Veniamo  assicurati,  che  il  summenzionato  P.  Kuzmic  stia  ora  compilando 
una  storia  music:! le  di  tutta  la  Dalmazia.  Con  questa  sua  nuova  produ- 
zione, egli  si  acquisterà  un  titolo  di  più  alla  riconoscenza  e  stima  de'suoi 
compatriotti. 


105 


di  cui  organo  vocale  era  sì  innamorato  il  celelire  Luigi  Ricci, 
maestro  di  cappella  a  Trieste,  che  scrisse  appositamente  e  gli  dedicò 
un  Taìitiim  ergo.  Dopo  di  aver  fatto  eccheggiare  le  chiese  di  Ragusa 
colla  sua  magnifica  voce  per  lo  spazio  di  trenta  e  più  anni,  morì 
in  qualità  di  Vescovo  in  Bosnia  nel  1864. 

A  fabbricatori  di  organi  abbiamo  avuto  un  Santoro  Marino,  allievo 
del  Conservatorio  di  Napoli,  e  suo  figlio  Antonio  tuttora  vivente 
in  età  di  77  anni;  ed  il  prete  Khsevic  don  Vincenzo,  che  pure  si 
istruì  a  Napoli,  e  di  cui  sono  tutti  gli  organi  a  Ragusa,  meno 
quello  nella  chiesa  dei  francescani,  fatto  nel  1680  da  artefici  di 
Venezia,  e  che  forse  è  il  più  grande  di  quanti  vi  sono  in  tutta  la 
Dalmazia.  Quest'  ultimo  ebbe  due  allievi  nelle  persone  di  Michele 
Zlosilo,  e  Gregorio  Vicevié. 

I  francescani  di  Ragusa  formano  dall'  anno  1484  una  provincia 
propria,  a  cui  sono  soggetti  tutti  i  conventi  nel  territorio  una  volta 
appartenente  alla  repubblica  ragusea. 

Chiesa  di  s.  Salvatore.  —  Vicino  alla  chiesa  dei  francescani  si 
ammira  un  elegante  tempietto ,  benissimo  per  la  purezza  del  suo 
stile,  ed  interessante  per  la  sua  antichità,  dedicato  all'Ascensione 
di  N.  S.,  volgarmente  chiamato  s.  Salvatore.  Fu  eretto  per  voto 
fatto  nell  terremoto  del  1536,  come  lo  attesta  l'iscrizione  sovraposta 
alla  porta  d' ingresso  : 

Ad  avertendam  coelestem  —  iram  in  maxime  terrae  tremore 
—  hanc  sacram  aedem  Se.  Rha.  vovit  —  anno  a  Christi  na- 
tali die  DXX  —  supra  M.XVI.  Cai.  Jun.  Dan.  —  Rhes.  et 
Dam.  Min.  faciendum  —  curarunt  et  Pe.  Seor. 

Le  abbreviazioni  degli  ultimi  nomi  si  riferiscono  a  Daniele  Resti, 
Damiano  Menze  (Mincetic),  e  Pietro  Sorgo. 

Sovra  il  portone,  entro  la  chiesa,  si  ammira  un  quadro  ad  olio, 
rappresentante  l' Ascensione  di  N.  S.,  d' ignoto ,  ma  di  classico 
pennello. 

Vuole  la  tradizione,  che  le  matrone  raguseo  abbiano  trasportate 
le  pietre  polla  fabbrica  di  questo  tempio. 

La  fontana.  —  Dirimpetto  alla  detta  chiesa  si  scorge  un  vasto 
bacino,  da  cui  costantemente  zampilla  l'acqua,  condotta  dalla  sua 
sorgente  di  Gionchetto,  per  un  canale  scavato  in  viva  roccia,  attorno 
il  monte  s.  Sergio,  per  8  migha  di  lunghezza. 

II  bacino  è  fatto  a  16  angoli,  forniti  di  colonne,  con  16  teste 
che  gettavano  l' acqua  in  una  vasca  che  lo  circonda.  Sulla  sommità, 


10(1 


fiittii  il  volta,  vi  era  unii  cuiicii  u  baciiiu,  di  20  palmi  in  circuito, 
nella  quale  cadeva  V  acqua  da  8  teste  di  dragoni ,  sovraposti  alla 
conca,  e  da  un  cannellone  che  si  elevava  in  mezzo  a  loro,  e  gettava 
r  acqua.  La  parte  supcriore  manca  dall'  epoca  del  terremoto.  LMn- 
gegnere  architetto  era  Onofrio  di  (ìiordano  della  Cava,  napolitano, 
in  onore  a  cui  fu  collocata  sul  bacino  una  lapide,  colla  seguente 
iscrizione  : 

P.  Onophrio  I.  F.  Onosiphoro  —  Partenopeo  Egregio  N. 
T.  —  Architecto  Municipes  quod  opt.  —  Ingenio  et  diligentia 
sua  Rhacuseor.  Nobil.  —  Providentia  et  ampi.  Ordinis  jussu 
—  Coacto  argento  pub.  hanc  in  Epidaur.  —  Rag.  N.  N.  lUy- 
ridis  urbem  diu  jam  —  aquarum  paenuriis  egestantem  aquas 
in  —  ea  hodie  et  A.  VI  K.  Febr.  Kyriaceo  —  Fausto  et  fe- 
licissimo die  cospic.  fontib.  —  exuberantissime  defluentes  Vili 
ab  urbe  —  mil.  scrupeos  arduosq.  percolles  dificillimo  — 
ductu  perduxit. 

K.  A. 

A.  D.  M.CCCCXXXVIII,  VI  kal.  febr.  —  Alberto  Imp.  desig. 
A.  J.  I. 

A  titolo  di  compenso  venne  data  ad  Onofrio  la  somma  di  8.250 
zecchini. 

Lo  stesso  acquidotto  fornisce  d'  acqua  anche  altre  fontane,  quella 
cioè  presso  il  palazzo  municipale-,  e  T  altra  entro  il  recinto  del  pa- 
lazzo ducale,  una  terza  nella  fortezza  Revellino,  e  la  quarta  alle 
Plocce ,  nel  recinto  del  lazzaretto ,  oltre  tant'  altri  punti  secondar! 
della  città  e  borghi. 

Arsenale  d'  Artiglieria.  —  Dappresso  alla  fontana,  ed  unito  alla 
stessa  mediante  il  muro  del  suo  atrio,  vi  ha  un  vasto  ed  antico 
edifizio,  una  volta  chiesa  e  convento  delle  Clarisse,  fabbricato  nel 
1290,  ed  in  seguito  ridotto  alla  forma  attuale.  Durante  la  occu- 
pazione francese,  soppresso  a  Ragusa  l'ordine  delle  monache,  il 
convento  e  la  chiesa  vennero  ridotte  ad  uso  di  caserma,  e  poste- 
riormente per  arsenale  di  Artiglieria. 

Caserma  di  s.  Maria.  Un  altro  convento,  di  monache  benedettine, 
colla  chiesa  dedicata  a  s.  Maria ,  uno  de'  più  antichi  fabbricati  di 
Ragusa  rimasti  intatti  nel  terremoto,  fu  pure  ridotto  ad  uso  di 
caserma.  Anche  il  convento  delle  monache  domenicane  fìi  destinato 
ad  uso  del  Ginnasio,  di  cui  verrà  fatta  parola.  Anteriormente  al 
terremoto  vi  erano,   oltre  ai  succitati  conventi,  altri  monasteri  di 


107 

monache,  che  però  crollarono  nella  detta  epoca ,  e  tuttora  si  osser- 
vano i  ruderi  di  quello  di  s.  Tommaso  ap.,  sovra  V  ospitale  Civile. 

Chiesa  e  convento  dei  domenicani.  —  Nell'anno  1225  vennero 
a  Ragusa  alcuni  padri  dell'  ordine  de'  domenicani,  i  quali  fissarono 
la  loro  sede  presso  la  chiesuola  di  s.  Giacomo  sovra  Prieko ,  indi 
presso  l'Assunta  alle  Plocce;  fino  a  che  nel  1304  venne  loro  fab- 
bricato r  attuale  convento  colla  chiesa  di  s.  Domenico. 

È  uno  de'  più  interessanti  fabbricati  medievali  a  Ragusa.  Nella 
sacristia,  di  stile  gotico,  si  legge  un'  iscrizione  che  ricorda  F  archi- 
tetto raguseo,  il  quale  diresse  1'  ampliamento  di  quel  sacro  edifizio 
e  dell'  attiguo  elegante  chiostro ,  e  di  cui  è  pure  opera  il  forte 
Molo  ed  il  cassone  fabbricato  per  la  difesa  del  porto: 

Pasqualis  Michaehs  Ragusinus  —  Plura  ingenio  clara  inve- 
niens  —  Anno  quo  portum  edidit  —  M.CCCCLXXXV. 

Una  quantità  d' iscrizioni  sepolcrali ,  dalla  fine  del  sec.  XIII  in 
poi,  si  rinvengono  nella  detta  chiesa. 

Su  d'  un  altare  di  fianco ,  nella  chiesa ,  si  ammira  la  bella  pala 
di  Tiziano,  rappresentante  s.  M.  Maddalena^  di  proprietà  della  fa- 
miglia Pozza ,  che  ultimamente  la  fé'  ristaurare  dal  signor  Fabris 
di  Venezia,  e  queir  accademia  la  classificò  per  opera  della  mighor 
età  dell'  immortale  autore,  ed  apprezzò  pel  valore  di  60.000  franchi. 
Su  un  altro  altare,  in  fondo  alla  chiesa,  di  pertinenza  una  volta 
di  Vincenzo  Zakrilovic-Krivonosic ,  sovranominato  Skocibuha,  si 
vede  la  pala  rappresentante  la  discesa  dello  Spirito  santo,  del 
Vasari.  Varie  altre  pitture  si  ammirano  nella  detta  chiesa,  di  grande 
valore  artistico,  però  d' ignoti  autori. 

Nella  cappella  delle  reliquie,  dove  si  conservava  una  volta  anche 
il  braccio  di  s.  Stefano  re  d'Ungheria,  che  venne  nel  1771  ceduto 
in  regalo  all'  imperatrice  Maria  Teresa,  ^  si  trova  una  croce  patri- 
arcale, di  argento,  in  cui  v'  è  riposto  del  legno  di  s.  Croce,  fatta, 
dietro  incarico  del  re  Uros  di  Serbia,  figlio  dell' Uros  il  grande, 
e  padre  dell'  imperatore  Dusano,  dal  vescovo  di  Rassia  Gregorio  II 
(al  principio  del  sec.  XIV.),   come   lo   attesta  la  relativa  iscrizione 

^  In  tale  occasione  furono  coniate  in  oro  ed  in  argento  due  medaglie  colla 
seguente  iscrizione:  Dextera  B.  Stephani  Regis  Et  Confessoris  Gloriosi 
Quam  Ab  An.  MXC  ad  MDXXVII  In  Ungar.  Tum  Ragusae  Ultra  II  Saec. 
Cultam  Jos.  II.  Et  M.  Ther.  August.  MDCCLXXI  XXIX  Maji  Recupera- 
runt  Et  Post  IX  Dier.  Devotionem  Hung.  D.  D.  Budae  Quotannis  Pubi. 
Veneratioui  Proponendam. 


incisa  sulhi  croce  stest^u,  in  lettere  iuiticlie  cirillitme.    L'iscrizione, 
senza  abbrevazioni,  suona  così: 

Isus  Hristos  nika. 

Si  castni  krst  stvori  (ìospodin  kralj  Stefan  Uro§  i  sin  veli- 
kago  kralja  lIro§a,  domu  svetih  Apostol  Petra  i  Pavlu,  jako 
da  niu  je  na  zdravje  i  na  spasenje  i  na  odpuSéenje  grehov. 

I  krst  stvori  episkup  Rai^ki  Grigorije  vtori,  jako  i  ona  vdo- 
vica  dve  cete  daduste.  Kto  vshoètet  si  krst  uzeti,  od  svetih 
apostol  ili  ot  castnoga  dreva  da  je  proklet. 

Krstom  ograzdajemi  ^  vragu  protivljajeni  se  ne  bojeSte  se 
kazni  ego  ni  lajana,  jako  grdi  uprazdni  se  i  popran  bist  siloju 
na  drevje  raspetago  Hrista. 

La  quale  iscrizione  tradotta  corrisponderebbe  come  segue:  Gesù 
Cristo  vincitore.  —  Questa  venerabile  Croce  è  stata  fatta  signor  e  re 
Stefano  Orosio,  figlio  del  grande  re  Orosio,  polla  chiesa  dei  santi 
apostoli  Pietro  e  Paolo,  perchè  gli  sia  di  salute  e  remissione  de' 
peccati.  —  Ed  il  vescovo  di  Rassia  Gregoi'io  IL  la  fece,  come 
pure  quella  vedova  che  diede  due  monete.  Chi  volesse  asportare 
questa  croce  sia  maledetto  dai  santi  apostoh,  e  dal  venerabile  Legno. 
—  Son  diffeso  dalla  Croce,  mi  oppongo  al  demonio,  non  temendo 
le  pene  né  le  di  lui  insidie,  in  quella  guisa  che  il  superbo  fìi  reso 
inetto  e  conculcato  dalla  forza  di  Cristo  Crocifisso.  — 

S' ignora  quando  questa  croce  sia  stata  portata  a  Ragusa  ;  quello 
che  è  certo,  si  è,  che  si  trova  menzionata  nell'inventario  del  1521. 
Senza  dubbio  quindi  il  di  lei  acquisto  seguì  prima  di  questa  epoca, 
e  probabilmente  quando  le  armi  ottomane  occuparono  quel  regno. 

È  interessantissimo  il  chiostro  del  convento,  colle  sue  gallerie; 
come  pure  il  portone  laterale  della  chiesa.  Il  campanile  è  stato  lavorato 
con  molta  eleganza,  ed  ebbe  per  architetto  fra  Stefano  Raguseo 
(1424).  Una  delle  campane  colla  data  del  1359,  è  lavoro  di  Barto- 
lomeo da  Cremona ,  che  era  a  queir  epoca  al  servizio  della  repub- 
blica. Un'altra,  fusa  nel  1515,  porta  la  seguente  iscrizione: 

Canite  tubae  in  Sion,  vocate  cetum,  congregate  populum, 
coadunate  senes,  congregate  parvulos  et  sugentes  ubera. 

ed  è  opera  del  celebre  fonditore  Giambattista  d'  Arbe,  di  cui  è  pure 
la  campana  della  torre  dell'  orologio. 

Il  convento  possiede  un'interessante  bibblioteca,  di  circa  5000 
volumi;  una  volta  però  molto  più  numerosa  di  opere,  avendo  sof- 
ferto gravi   danni,   quando  i  francesi  vi  stazionavano  in  quel  con- 


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vento.  Fra  le  altre  avvi  V  autografo  delle  colossali  opere  di  Serafino 
Cerva,  che  morì  alla  metà  del  sec.  passato;  come  pure  la  tradu- 
zione in  slavo  del  Nuovo  Testamento  in  mss.  (Ud  Rosa.  Vi  sono 
inoltre  parecchi  manoscritti  ascetici  e  teologici  molto  antichi,  scritti 
su  pergamena,  ed  alquanti  rari  incunabali. 

I  domenicani  di  Ragusa  fino  a  pochi  anni  fa  fognavano  una  pro- 
vincia propria  ;  per  mancanza  però  di  leligiosi,  si  fusero  cogli  altri 
della  Dalmazia. 

Chiesa  dei  gesuiti.  —  Dal  1560  in  poi  i  gesuiti  si  recavano  in 
missione  a  Ragusa;  e  nel  1662  diedero  principio  all'erezione  del 
Collegio,  che  finirono  nel  1684,  fabbricandovi  indi  l'attigua  chiesa 
nel  1725.  L' istruzione  pubblica  fu  affidata  dal  Senato  alle  loro 
mani,  e  la  sostennero  fino  alla  soppressione  dell'  ordine  (1773).  A 
loro  succedettero  i  Piaristi,  chiamati  nel  1777  dalla  repubblica  a 
sostituirli  nell'istruzione.  Nel  1806,  occupata  Ragusa  dai  francesi, 
il  collegio  fu  ridotto  ad  ospitale  militare;  ed  in  sostituzione  venne 
dato  ai  piaristi  il  convento  di  s.  Catterina,  delle  monache  domeni- 
cane. Per  mancanza  d'individui  dell'ordine  delle  scuole  Pie,  ven- 
nero di  nuovo  nel  1854  ricchiamati  i  gesuiti,  e  loro  affidata  l'istru- 
zione. Secolarizzato  però  il  ginnasio  nel  1868,  V  istituto  passò  alle 
mani  di  professori  secolari  ;  e  la  chiesa ,  destinata  agli  esercizi  di 
divozione  pella  scolaresca  del  ginnasio ,  è  tuttora  ufficiata  dai 
Gesuiti,  che  abitano  una  casa  privata,  attigua  alla  chiesa. 

La  detta  chiesa  è  di  stile  barocco,  a  tre  navate.  In  essa  si  osser- 
vano alcune  pitture  di  Pietro  Mattei ,  e  si  leggono  iscrizioni  lapi- 
darie a  Fr.  Rogacci,  Luca  Paolo  Gozze,  Pietro  Gondola,  ed  ai 
due  vescovi  di  Ragusa,  seppelliti  nelle  tombe  di  quella  chiesa, 
Antonio  Giuriceo,  e  Tommaso  Jederlinic. 

Neil'  interno ,  sopra  la  porta  maggiore ,  si  legge  la  seguente 
iscrizione  : 

D.  0.  M.  -—  Templum  hoc  —  In  honorem  s.  Ignatii  Loyolae 
—  A  fundamentis  erexit  —  Colleg.  Ragusinum  Soc.  Jesu  — 
Et  aperiendum  curavit  —  An.  Jub.  M.DCC.XXV. 

Ospitale  militare.  —  Il  collegio  raguseo,  ridotto  ora  ad  ospitale 
mihtare,  è  una  grandiosa  fabbrica,  che  si  erge  su  un'altura,  da 
dove  prospetta  tutta  la  città,  i  borghi,  ed  il  mare.  Dinanzi  ha  un 
esteso  piazzale ,  e  sul  peristilio ,  presso  alla  porta  d' ingresso ,  si 
legge  la  seguente  iia-rizione,  incisa  in  una  lapide  : 


no 

J.  11.  8.  t  Jesus  XPC:  tìliiis  Mariae  Virginis  salus  mundi  et 
Doniiiius  sit  uobis  propitius  et  elemens.  1481. 

E  sullo  scalone,  che  conduce  al  piazzale,  dinanzi  alla  chiesa  ed 
al  colle'^io  (ora  ospitale)  si  legge: 

(  "ollegium  Rhagusinuni 
CIOIOCCLXV. 

Chiesa  di  s.  Margarita.  —  Nel  recinto  dell' ospitale  stesso,  avvi 
una  chiesuola^  ora  cappella  mortuaria,  dedicata  a  s.  Margarita, 
fabbricata  nel  1571,  in  sostituzione  ad  un'altra,  molto  più  antica, 
che  vuoisi  fosse  stata  eretta  da  Margarita  regina  di  Croazia  e 
Bosnia,  demolita  poi  per  dar  luogo  al  bastione,  eretto  in  quel  sito, 
e  perciò  chiamato  anche  attualmente  di  s.  Margarita.  L' iscrizione 
analoga  accenna  alla  causa  per  cui  la  chiesa  antica  dovette  dar 
luogo  ad  un'  opera  fortiticatoria  : 

Regina  Bosniae  ^largarita  traditur 
Dicasse  templum  Margaritae  Virgini, 
Olim  beata  cum  fuere  saecula. 
Id  nunc  sacellum  translulere  providi 
Patres,  fremente  Marte  circum  moenia, 
Dum  classe  Cypro  rex  Selinus  imminet. 

Istituti  d' istruzione.  —  Oltre  le  scuole  Civiche,  frequentate  da 
circa  200  scolari ,  e  le  Nautiche ,  recentemente  sistematizzate ,  con 
una  ventina  d'  alunni ,  avvi  a  Ragusa  un  completo  Ginnasio  slavo 
di  otto  corsi,  aftidato  dal  1868  a  professori  secolari.  Il  locale,  una 
volta  convento  delle  monache  domenicane,  venne  recentemente 
riformato  e  ridotto  in  pieno  ordine.  È  fornito  di  ottimi  gabinetti, 
di  una  bibblioteca  che  conta  675  volumi  di  teologia  e  filosofia;  di 
letteratura  858;  di  diritto  106;  di  scienze  naturali  e  matematica 
525;  di  storia  396;  di  diverse  oltre  opere  131;  in  tutto  volumi 
2691.  Oltre  a  questa  bibblioteca,  avvi  la  nuova,  che  ogni  anno 
va  aumentandosi ,   e  che  attualmente  conta  circa  due  mila  volumi. 

Possiede  pure  un  fondo  recentemente  istituito  per  ajutare  gli 
scolari  poveri,  e  che  va  continuamente  crescendo;  al  quale,  Sua 
Maestà  stessa ,  1'  augustissimo  nostro  Sovrano ,  si  compiacque  di 
contribuire  con  una  ragguardevole  somma. 

Il  numero  approssimativo  degli  studenti  che  frequentano  T  istituto 
ascende  all'  incirca  ad  un  centinajo  all'  anno. 

Le   scuole   fenmiinili   pubbliche,    sono   frequentate  da  circa  100 


i 


Ili 

allieve.  Presso  le  Ancelle  di  Carità  nel  sobborgo  Pille,  stabilitesi 
a  Ragusa  nell'anno  1854,  avvi  l'alunnato,  il  convitto,  ed  inoltre 
un  determinato  numero  di  orfane,  stipendiate  in  parte  dalla  pub- 
blica Beneficenza,  ed  in  parte  sostenute  dalle  Ancelle  stesse.  Presso 
le  medesime,  oltre  gli  studi  primari,  vi  è  pure  il  privato  istituto 
pedagogico  femminile.  Complessivamente  all'  anno  possono  calcolare 
da  40 — 50  interne,  ed  altrettante  esterniste. 

Nel  recinto  de'  loro  edifizi  fabbricarono  nel  1860  la  chiesa  de- 
dicata a  s.  Vincenzo  di  Paolo. 

Il  Governo  però  recentemente  eresse  un  pubblico  istituto  magi- 
strale femminile,  per  provvedere  ai  bisogni  della  Provincia. 

Seminario  diocesano.  —  Eretto  dal  vescovo  Jederlinic  nel!' anno 
1851,  coi  legati  della  Congregazione  Preti.  Ha  una  buona  biblio- 
teca, raccolta  fra  il  clero  diocesano,  di  circa  5000  volumi,  e  fra 
le  altre  opere  vi  sono  in  manoscritto  le  lettere  di  Francesco  Gon- 
dola (padre  del  nostro  poeta  Giovanni)  dirette  alla  repubblica  sopra 
la  sua  negoziazione  col  pontefice  Pio  IV,  in  folio  I,  180;  la  vita 
di  s.  Girolamo  in  latino  „ Marci  qm.  Petri  Antonii  de  Crivellaris 
civis  Vincentiae,  Venetiis  1480"  sulla  pergamena  in  folio  I,  99;  il 
pastor  fido  del  Guerini  tradotto  dal  Canavelli;  un  dramma  di  Lu- 
crezia Bogasinovic;  la  traduzione  delle  commedie  di  Molière  ese- 
guita da  Bruere  ;  e  tutte  le  opere  dei  ss.  Padri  dell'  edizione  di 
Parigi  di  Migne. 

Ospizi.  —  Suir  origine  dell'  Ospitale  per  gli  ammalati,  e  dell'  Or- 
fanotrofio, fìi  già  parlato  nel  capo  precedente.  Gli  attuali  ospizi, 
organizzati  dietro  regolamento  del  1827,  sono  formati  dai  seguenti 
istituti  :  a)  r  ospitale  per  gli  ammalati  ordinari  ;  b)  la  casa  per  le 
ammalate  sifilitiche  ;  e)  una  casa  destinata  per  maniconcio  ;  d)  un 
locale  nel  recinto  de'  lazzaretti  al  borgo  Plocce,  che  serve  per 
manicomio  sussidiario;  e)  finalmente  la  casa  per  le  partorienti 
coir  unito  orfanotrofio. 

L' ospitale  degli  infermi  (Domus  Chrlsti)  ha  un  proprio  patri- 
monio, costituito  in  massima  parte  da  lasciti  antichi  di  benefattori 
privati,  dei  quali  però  moltissimi  andarono  perduti  per  vicende 
politiche,  e  che  approssimativamente  può  calcolarsi  in  totale  del 
valore  di  fio.  103.739,  coli' annuo  reddito  di  fio.  3.321.  L'orfano- 
trofio perduto  l' intero  suo  antico  patrimonio,  possiede  soltanto  un 
capitale  di  fiorini  600,  lascito  recente  di  un  benefattore. 

Il  numero  degli  ammalati   accolti  nell'  ospitale  puossi   calcolare 


112 

annualmente    in   medio  da  500  a  600  ;   degli  espurei  da  80  a  00  : 
e  (jiiello  (lej^'li  stessi  collocati  a  baliatico,  circa  300. 

Monte  di  piota.  —  Sospeso  dalla  regenza  francese  nel  1813, 
venne  riaperto  nel  1835.  Esso  facendo  operazioni  al  pari  delle 
casse  di  risparmio,  riceve  a  mutuo  importi  da  fiorini  25  a  fiorini 
2500.  I  depositi,  un  anno  coir  altro,  ascendono  da  70  ad  80  mila 
fiorini,  cftettuati  da  130  a  140  parti,  cioè  in  media  a  538  fiorini 
per  persona.  Questi  capitali  vengono  impiegati  in  sovvenzioni  sopra 
pegni  d'  oro,  argento,  gioje,  ed  altri  preziosi,  che  secondo  le  an- 
nualità, più  0  meno  ubertose,  ascendono  all'  incirca  da  4  a  5  mila. 
Il  censo  è  di  mezzo  soldo  sopra  il  fiorino,  cioè  di  fio.  6  per  cento 
air  anno. 

Istituto  dell'  Opera  pia.  —  I  redditi  di  questo  pio  istituto  vanno 
divisi:  a)  per  le  maritazioni  delle  ragazze  di  ogni  condizione; 
b)  alla  beneficenza  per  i  poveri  mendicanti  vergogniosi,  ammalati, 
per  i  poveri  di  famiglie  decadute,  per  i  poveri  appartenenti  alle 
confraternite  di  s.  Lazzaro  e  di  s.  Antonio;  e)  per  messe  vinco- 
late e  libere  ;  d)  per  il  fondo  di  religione  ;  e)  per  V  ospitale  civile  ; 
f)  per  sussidio  per  gli  studi  de'  chierici;  g)  alla  fabbriceria  della 
cattedrale  e  collegiata;  h)  ai  conventi  di  s.  Francesco  e  s.  Dome- 
nico per  messe;  i)  per  messe  destinate  a  vari  parochi  ed  a  varie 
chiese;  1)  per  riscatto  degli  schiavi,  le  cui  rendite  ora  si  versano 
alla  cassa  erariale;  m)  per  i  discendenti  di  varie  famiglie,  vin- 
colate alla  condizione  di  povertà  e  di  malattie  ecc. 

Le  rendite  dell'  Opera  Pia,  con  tutti  gli  azionari  sopra  accen- 
nati, ascendono  a  circa  20.000  fiorini  annui. 

Pubblica  Beneficenza.  —  La  Beneficenza  propriamente  detta, 
comprende:  a)  l'ospitale  alle  Pille  dei  mendici;  b)  un  ospizio  in 
città  per  i  medesimi,  detto  di  s.  Stefano  ;  e)  il  conservatorio  delle 
orfanelle  amministrato  dalle  Ancelle  di  Carità  ;  d)  la  casa  di  rico- 
vero, ossia  asilo  di  vecchie  donne  miserabili  ed  impotenti. 

Le  rendite  della  beneficenza,  con  tutti  gT  istituti  sopranominati, 
ammontano  a  fiorini  3500  circa  all'  anno. 

Congregazione  dei  Preti.  —  Istituto  pio  eretto  nel  sec.  XIV, 
con  un'  amministrazione  di  molti  capitali  di  legati  pii,  per  cele- 
brazione di  messe  e  sussidio  a  sacerdoti  poveri.  Attualmente  le 
sue  rendite  sono  assai  diminuite,  avendo  anche  questo  istituto  sof- 
ferto per  le  vicende  de'  tempi. 

Associazione  marittima  Ragusea.  —  Istituita  nel  1869  per  co- 
struire  bastimenti    a    vela,    a    lungo   corso,    di  500  tonnellate   di 


113 

registro  ausrtiaco  per  lo  meno,  coi  quali  esercitare  atti  di  com- 
mercio col  trasporto  di  merci  ed  altre  operazioni  che  vi  vanno 
congiunte.  La  società  possiede  attualmente  dodeci  legni  grossi 
ed  uno  scooner,  di  tonnelate  8634;  ed  il  capitale  ascende  ad 
1.000.000^  diviso  in  5000  azioni  da  fiorini  200  cadauna. 

Un' altra  Associazione  Marittima  esiste  a  Sabioncello, 
eretta  nel  1865  per  eguale  scopo,  con  un  capitale  di  2,300.000 
fior.,  rai)presentato  da  9200  azioni  a  fiorini  250  cadauna  ;  e  pos- 
siede al  presente  30  legni  di  tonnellate  21,330,  ed  uno  attual- 
mente in  costruzione 

La  complessiva  marina  attuale  del  vecchio  continente  raguseo, 
consta  di  73  navigli  di  lungo  corso  di  41.616  tonnellate,  e  di  151 
di  cabotaggio  di  tonn.  3059,  con  1323  persone  di  equipaggio. 
Quindi  anche  attualmente  Ragusa  sola  col  suo  territorio,  conta 
più  navigli  che  tutto  quanto  il  resto  della  Dalmazia  unito  assieme. 

Vi  sono  due  società  degli  artieri,  T  una  appellata  ^SociefAt 
opevaja  del  Progresso'-'' ,  e  1*  alti'O  ^^Associazione  operaja/^  ;  ambidue 
l'ondate  collo  scopo  di  promuovere  l'industria,  e  sussidiare  gli 
artieri  bisognosi. 

VI  esistono  pure  società  di  trattenimento,  come  la  Stio- 
nica  (gabinetto  di  lettura),  il  Casino,  la  società  Filarmonica,  e  la 
società  di  canto  serbo-raguoea. 

Ragusa  attualmente  è  sede  Vescovile,  con  un  Capitanato  distret- 
tuale, un  Tribunale  di  prima  istanza,  un  Intendenza  di  Finanza 
coi  subalterni  ufiizi,  un  Capitanato  di  Porto,  una  Camera  di  Com- 
mercio, ed  un  Comando  di  Brigata.  Vi  risiedono  inoltre  vari  con- 
solati cioè  il  francese,  T  inglese,  il  germanico,  il  russo,  1"  ottomano, 
il  belga,  r  italiano,  ed  il  greco. 

La  popolazione  nella  città  attualmente  è  di  3276  anime,  nel 
borgo  Pille  1554  an.,  ed  in  quello  di  Plocce  475,  complessiva- 
mente quindi  5305  abitanti  ;  fra  i  quali  360  di  rito  greco  orientale, 
alcuni  singoli  di  altre  confessioni  cristiane,  e  poche  famiglie  israe- 
litiche, appartenendo  il  rimanente  alla  religione  cattolica. 

Ragusa  a  buon  diritto  è  chiamata  la  città  del  passato; 
e  chi  ricorda  V  attività  dei  di  lei  cittadini  nei  secoli  che  furono^ 
non  può  che  restar  sorpreso  nel  vederla  adesso  «addormentata  tra 
il  silenzio  delle  sue  mura." 

Chi  legge  le  spiritose  Kolende,  le  graziose  mascherate  e  le 
umoristiche  satire  dei  tempi  andati,  e  vi  paragona  il  carattere  gajo, 
allegro,  ed  originale  di  queir  epoca,  col  serio,  cupo  ed  indifferente 

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deir  attuale,  non  deve  punto  tarue  le  meraviglie.  Tante  vicende 
che  soltanto  avrebbero  potuto  svolgersi  in  un  grande  stato,  ed  in 
un  lungo  periodo  di  tempo,  e  che  tutte  quante  in  breve  tratto  si 
rinversarono  sul  suo  capo,  non  potevano  che  formare  nel  raguseo 
un  carattere  serio  ed  apatico ,  senza  però  fargli  nulla  perdere  del 
dignitoso  e  del  nobile,  del  sincero  e  dell'  ospitale,  ereditato  da' 
propri  avi.  Istrutto  da  una  lunga  serie  di  fatti,  ei  sorride  agli 
sforzi  dei  pigmei;  di  nulla  si  meraviglia;  guarda  con  occhio  di 
compassione  chi  gli  si  presenta  in  aria  baldanzosa  ;  e  stende  gra- 
ziosamente la  mano  a  chi  lo  ignora.  Non  va  in  cerca  di  lodi; 
abborre  da  ogni  adulazione  ;  e  nella  stessa  miseria  sa  mantenere  un 
dignitoso  comportamento. 

Le  vicissitudini  de'  tempi,  è  vero,  posero  argine  all'  attività 
de'  ragusei  ;  ciò  non  ostante  la  navigazione,  l' industria  ed  il  com- 
mercio non  sono  abbandonati.  Le  scienze,  le  belle  lettere,  la  po- 
litica, r  economia,  hanno  i  loro  cultori  senza  ambizione,  senza 
pretese.  Un'  eletta  schiera  di  nobili  ingegni  fa  bella  corona  a  Ra- 
gusa. Il  conte  Orsato  Pozza,  Mr.  Luigi  Ciurcia  arcivescovo  in 
Alessandria  d'  Egitto,  Dr.  Giorgio  Pulic,  direttore  dell'  L  R.  Gin- 
nasio di  Trento,  Pietro  Doderlein,  professore  all'Università  di  Pa- 
lermo, Dr.  Baldass.  Bogisic,  professore  all'  Università  d'  Odessa, 
Dr.  Michele  Klaic,  deputato  alla  Dieta  Dalmata  e  nel  Consiglio 
dell'  Impero,  Nicolò  de'  Gradi,  Consigliere  Provinciale,  Dr.  Giovanni 
Augusto  Kaznacic,  Cavaliere  Antonio  Drobaz,  Matteo  Ban  in  Ser- 
bia, Cav.  Antonio  Canonico  Copanizza,  Cav.  Matteo  Canonico  Vo- 
dopic,  Gregorio  Raicevic  Canonico  a  Zara,  abate  Pasquale  Antonio 
Kazali,  Padre  Gio.  Evang.  Kuzmic,  Pietro  Mancion,  rinominato 
incisore,  Presidente  della  Congregazione  Nazionale  Illirica  a  Roma, 
prof.  Pietro  Budmani,  prof.  Luca  Zore,  direttore  del  Ginnasio  di 
Cattare,  ab.  Giovanni  Stojanovic,  Carlo  Grubièic,  celebre  ingegnere 
in  Italia  testé  passato  a  miglior  vita,  e  tant'  altri,  —  ricordano, 
come  si  mantenga  fra  i  ragusei  vivo  ognora  il  sacro  fuoco  del 
sapere. 

Chiuderò  coli'  imparziale  giudizio  d'  un  gentile  viaggiatore  te- 
desco: „Chi  entra  in  Ragusa,  pieno  ancora  delle  impressioni  della 
„vita  dalmata,  si  avvede  ben  presto,  che  egli  si  trova  in  una  città, 
„la  quale  per  se  medesima  è  un  mondo  ;  ad  ogni  passo  che  fa 
„impara,  come  Ragusa,  appartata  ma  rigguardevole,  colta  e  licca 
„dopo  Venezia,  i)er  rapporto  storico  la  più  rimarchevole  ed  inte- 
„ressante  città  dell'Adriatico,  ha  conquistato  e  meritato  quest'ini- 


115 


«portanza  con  indefesso  travaglio  dello  spirito.  In  nessun  altra 
„città  della  Dalmazia  il  forastiero  si  famigliarizza  così  presto  come 
„a  Ragusa.  Egli  si  trova  qui  ad  un  tratto  sopra  un  campo  di 
^remota  civilizzazione,  e  sentesi  circondato  da  una  cultura  che  gli 
^ viene  incontro  per  ogni  dove."  („ Wiener  Zeitung"  Dalmatinische 
Reiseskizzen  No.  246—247.) 


T. 

Sua  Maestà  FRANCESCO  GroSEPPE  I  a  Ragusa  e  nel 

suo  territorio. 


Uopo  57  anni  dacché  Ragusa  ebbe  V  alto  onore  di  esser  visi- 
tata dalle  Loro  Maestà  FRANCESCO  1.  e  CAROLINA,  il  dì  28 
aprile  1875  esultante  accoglieva  fra  le  sue  mura  V  Augusto  Loro 
Nipote  e  Suo  Sovrano  FRANCESCO-GIUSEPPE  I,  che  nel  visitare 
per  la  prima  volta  la  Dalmazia^  avea  stabilito  nel  programma  del 
Suo  viaggio  di  favorire  la  nostra  patria  colla  sosta  di  tre  giorni 
interi,  durante  i  quali  essa  ed  innanzi  air  Augusto  Ospite,  ed  agli 
stranieri,  che  accorsero  per  visitarLo  e  vederLo ,  benché  piccola, 
apparve  veramente  grande. 

Nello  estendere  i  brevi  cenni  sulF  accoglienza  fatta  al  Monarca^ 
al  Suo  arrivo  fra  noi  nel  dì  28  aprile,  e  delle  festività  che  nei 
giorni  29,  30  aprile  e  })i'imo  maggio  si  succedevano  durante  la  Sua 
dimora,  ed  ebbeio  fine  al  momento  della  Sua  partenza;  da  semplice 
cronista  mi  atterrò  alle  relazioni  pubblicate  in  quelle  circostanze 
dai  fogli  provinciali,  riportando  testuali  parole  dei  gentili  corri- 
spondenti deir  Avvisatore  Dalmate  e  dell'  Osservatore  Triestino, 
che  possono  ragionevolmente  ritenersi  come  testimonianze  impar- 
ziali, perché  date  da  personaggi  stranieri,  e  addetti  allo  stesso  se- 
guito Imperiale. 

Il  dì  10  aprile  1875  sarà  giorno  di  eterna  ricordanza  per  i  Dal- 
mati; in  quel  giorno  l'Augusto  Loro  Monarca  FRANCESCO  GIU- 
SEPPE I.  poneva  per  prima  volta  il  piede  sul  suolo  dalmate. 

Percorsa  la  provincia  fra  continue  acclamazioni  ed  entusiastiche 
accoglienze,  Sua  Maestà  ai  27  aprile,  alle  i\  ore  a.  m.  partiva  da 
Metkovic^  attraversando  il  territorio  turco  di  Klek,  e  giungendo  al 


117 

confine  del  territorio  raguseo  (Novi  pnt),  dove  La  attendeva  il  Capi- 
tano Distrettuale  di  Ragusa  il  Consiglier  Aulico  Cav.  de  Resetar, 
ed  il  Podestà  di  Stagno  Jeric,  per  umiliarLe  i  propri  ossequi;  e 
frammezzo  ad  interminabili  acclamazioni  del  popolo  proseguiva 
il  viaggio  per  terra  fino  a  Siano,  dove  arrivò  alle  2  poni.  Osse- 
quiato dal  Podestà  ed  acclamato  entusiasticamente  dalla  massa  del 
popolo,  visitata  la  Chiesa,  e  la  Scuola,  si  l'ecò  a  bordo  del  „M ira- 
mar",  che  lo  attendeva  nel  porto,  per  dedicarsi  agli  affari  di 
Stato.  Alle  sei  fìi  il  dejeuner  imperiale ,  a  cui  vennero  invitate  le 
persone  notabili  di  Siano  e  Stagno;  e  la  sera  vi  fìi  generale  illu- 
minazione della  borgata  e  fuochi    sulle  cime  dei  circostanti  monti. 

Alle  5  a.  m.  del  dì  seguente  il  yacht  imperiale  partiva  per  Sta- 
gno, e  dopo  un  ora  circa  arrivò  nel  canale,  atteso  da  immensa 
folla  di  popolo,  che  fra  interminabili  acclamazioni  e  spari  lo  accom- 
pagnava per  terra  sino  a  Stagno ,  mentre  per  mare  lo  precede- 
vano innumerevoU  barchette,  pavesate  a  festa,  che  gli  erano  andate 
incontro. 

Alle  sette  ore  V  Imperatore  si  sbarcò  alla  scala  d'  approdo,  ele- 
gantemetite  addobbata,  e  gremita  di  popolo,  che  con  bandiere  tri- 
colori nazionali,  cogli  spari,  ed  incessanti  zivio,  festevolmente  Lo 
accolse.  Quivi  il  podestà,  a  capo  del  Consiglio  Comunale,  pre- 
sentò a  Sua  Maestà  in  lingua  slava  l'omaggio  di  suddita  fedeltà  e 
devozione  ;  a  cui  l' Augusto  Monarca  si  degnò  di  rispondere  bene- 
voli parole.  Quindi  fra  lo  sparo  de'  mortaretti,  in  mezzo  ad  entu- 
siastiche acclamazioni  della  folla,  fra  una  spalliera  di  ragazze, 
spargenti  fiori,  Sua  Maestà  recossi  al  Comune,  ov' ebbe  luogo  il 
ricevimento. 

La  strada  era  coperta  di  fiori  e  di  erbe  ;  V  arco  trionfale  maesto- 
sissimo; tricolori  slave  per  ogni  dove,  ed  a  profusione  ritratti  del 
r  Imperatore,  arazzi,  festoni  e  bandiere.  Sulla  piazza  era  eretto  tra 
fiori  ed  ajuole  un  belUssimo  albero  di  ostriche,  che  poscia  vennero 
rimesse  a  bordo  del  „]\Iiramar". 

Neir  allontanarsi  dal  Comune  S.  M.  congedavasi  colle  parole 
slave  „Sbogom  vani";  e  si  diresse  alla  chiesa.  Visitò  il  Giu- 
dizio distrettuale,  le  carceri,  e  la  scuola;  e  volle  personalmente  a 
piedi  ispezionare  il  desiderato  taglio  deli'  istmo,  che  era  marcato 
con  bandiere  fino  a  Stagno  piccolo,  accompagnato  da  grandissima 
folla  di  popolo,  dai  barjak  e  spari.  Strada  facendo  degnavasi  osser- 
vare la  coltivazione  del  crisantema,  e  si  fece  spiccare  alcune  foglie 
e  fiori  del  medesimo. 


UH 

Nel  ritorno  visitava  lo  stal)iliiii(Mito  salitolo,  indi  proseguiva  verso 
il  molo,  acclamato  entusiasticamente  dal  popolo  coi  soliti  ?.ivio. 
Espresse  V  alta  Sua  soddisfazione  pel  cordiale  ricevimento^  recandosi 
alle  8'/4  sul  yacht  imperiale^  per  proseguire  a  Gravosa. 

(Jiì\  alle  8  di  quella  mattina  (28  aprile)  un'  eletta  schiera  de' 
ragusei  jìaitiva  da  Gravosa  col  i)iroscafo  „Lucifer"  incontro  a  Sua 
Maestà.  Sbarcatasi  S.  M.  a  Cannosa,  ossequiata  dal  Podestà  di  Malti, 
visitò  il  giardino  del  conte  Gozze^  ed  i  giganteschi  platani,  che 
lungamente  contemplò,  assieme  alla  magnifica  e  ricchissima  vegetazione 
di  quel  luogo  pittoresco.  Quindi  visitò  la  chiesa;  dinanzi  alla  quale 
il  parroco  di  quel  luogo  pel  ihjeuner  impellale  aveva  imbandita  la 
tavola  con  bottiglie  di  squisita  vecchissima  malvasia,  che  l' impera- 
tore degnossi  assaggiare  insieme  alla  Cotognata  stata  Gli  offerta. 
Ritornò  quindi  a  bordo  fra  entusiastiche  ovazioni  della  folla. 

Intanto  verso  mezzogiorno  una  processione  festante,  parte  a  piedi, 
parte  in  carrozze,  si  avviò  per  la  bella  strada  delle  Pille  verso 
Gravosa,  dove  per  le  2  pom.  si  attendeva  il  yacht  imperiale.  „ Signore 
e  signori,  bimbi,  artigiani,  villici  dal  pittoresco  vestito,  forosette  che 
parevano  adesso  uscite  dalle  mani  d'  una  modista,  se  non  alla  pa- 
rigina, piene  sempre  di  buono,  forse  di  miglior  gusto,  andavano  sfi- 
lando a  drappelletti,  a  schiere,  a  masse  compatte  ;  e  le  mille  viuzze 
che  fra  case  e  giardini  serpeggiano  sulla  collina  delle  Pille,  versa- 
vano anch'  esse  il  loro  numeroso  contingente,  come  tanti  ruscelli 
ad  un  fiume.  E  su  tutto  questo  brulichio  aleggiava  uno  spirito  spe- 
cifico raguseo  d'  ordine  e  di  posatezza,   qualche   volta  sin  troppa." 

„ Intanto  le  case  eran  tutte  addobbate;  arazzi,  tappeti,  fiammelle, 
bandiere,  la  slava  quasi  dovunque,  rallegravano  la  scena;  le  fine- 
stre e  le  numerose  terrazze  de'  giardini  andavano  popolandosi  di 
coloro  che  preferivano  esser  tranquilli  spettatori  del  passaggio.  Il 
porto  di  Gravosa,  veduto  un  po'  dall"  alto,  presentava  la  vista  fan- 
tastica. La  squadra  imbandierata,  una  flottiglia  di  barchette  leg- 
gere guizzava  sulle  onde  dirigendosi  all'  imboccatura  del  porto,  le 
rive,  le  alture,  le  finestre  erano  gremite  di  gente,  le  case  messe 
a  festa,  il  tempo  magnifico.'*^ 

Alle  2  pom.  il  yacht  imperiale  entrò  in  porto.  La  ^Radetsky" 
die  il  primo  segnale  delle  salve,  che  vennero  ripetute  da  tutti  i 
legni  della  squadra,  giunta  il  giorno  innanzi  da  Zara,  sotto  il  co- 
mando del  contrammiraglio  de  Sterneck,  nonché  dalla  corvetta 
russa    ^Bayan",   e  dai    soprastanti   fortini.   Acclamata   entusiastica- 

'  Osservatore  Triestino.  N.  100,  nel  supp.  „Adria." 


119 


mente  dalla  folla,  che  gremiva  le  rive,  e  salutata  con  fragorosi 
zivio,  Sua  Maestà  sbarcava  su  apposita  scalinata,  presso  alla  quale 
era  costruito  un  ricco  elegantissimo  padiglione,  ampio  quadrilatero, 
lungo  30  piedi  e  largo  15^  appoggiato  ad  eleganti  colonnette  co- 
perte in  lacca  bianca  a  fregi  d'oro,  leggiadramente  ricoperto  di  finis- 
sime drapperie  rosse,  bianciie  ed  azzurre,  leggermente  cadenti  dai 
quattro  lati  in  eleganti  festoni.^  Quivi  Sua  Maestà  ricevette  il  primo 
omaggio  dal  Podestà  di  Ragusa,  conte  Raffaele  Pozza;  ed  al 
suono  dell'  inno  dell'  impero  S.  M.  passò  in  rivista  la  compagnia 
d'  onore^  e  quindi  in  carezza  si  recò  verso  la  città,  sempre  accom- 
pagnata da  entusiastici  zivio. 

La  strada  era  tutta  addobbata  magnificamente  con  antenne^  ban- 
diere^ e  fiori.  Presso  al  campo  di  Gravosa  erano  eretti  ai  lati  della 
strada,  due  superbi  obelischi,  lavoi'ati  in  muschio  con  esattezza  e 
pazienza  ammirabile,  e  per  la  loro  sveltezza  ed  eleganza  da  ognuno 
ammirati,  ornati  con  stemmi  e  bandiere;  fra  i  quali  Sua  Maestà 
passò  in  carezza^  attraversando  la  strada,  decorata  con  ben  dis- 
poste antenne  e  bandiere  fino  al  Borgo  Pillo.  Quivi  presso  il  giar- 
dino pubblico  sorgeva  un  magnifico  arco  trionfale  a  tre  arcate,^  gra- 
zio sissimo  lavoro  in  muschio  ed  aloè^  concorrendovi  largamente 
anche  il  pino,  l'alloro,  l'agave,  l'edera,  decorato  con  una  massa  di 
trofei^  stemmi,  orifiamme^  stendardi  e  bandiere^  e  portante  la  seguente 
iscrizione  : 

SLAVA 

CESARU  I  NASEMU  KRALJU 

FRANU  JOSIPU  I. 

Presso  r  arco  trionfale  attendeva  il  Podestà  col  Consiglio  Comu- 
nale ;  e  facevano  spaUiera  i  mihti  e  24  brenessi  in  ricchisimi  e  pitto- 
reschi costumi,  come  pure  i  membri  delle  due  società  operaje,  con 
bandiere  e  musica.  Una  folla  da  ogni  parte  si  accalcava;  le  fine- 
stre delle  case,  le  terrazze,  i  muri  del  giardino  pubblico,  tutto  era 
zeppo  di  gente,  che  ansiosa  attendeva  1'  arrivo  del  Monarca. 

Air  allocuzione  slava  del  podestà,  Sua  Maestà  si  degnò  di  ri- 
spondere in  tedesco  nei  seguenti  termini: 

'  Il  disegno  del  padiglione  e  degli  obelischi,  come  pure  della  decorazione 
della  città,  e  del  padiglione  eretto  dall'  Associazione  Marittima  nello  squero 
a  Gravosa,  era  del  prof.  Bald.  Kosic. 

'  Il  disegno  dell'  arco  trionfale  è  dovuto  all'  ingegnere  del  Governo  marittimo 
di  Trieste  sig.  Hàniscli. 


e 0 11  speciale  compiacenza  accolgo  le  espressioni  di 
fedeltà  e  di  attaccamento  della  rappresentanza  Comu- 
nale di  Ragusa.  —  Mi  ò  assai  grato  di  poter  destinare 
una  visita  di  più  giorni  a  questa  cospicua  città,  che 
sa  unire  ad  un  glorioso  passato,  un  degno  presente.  — 
Io  sono  convinto  della  sincerità  dei  loro  leali  senti- 
menti verso  la  Mia  Casa  e  l'Impero.  —  Accolgano  loro 
tutti,  miei  signori,  ed  i  loro  committenti,  rassicura- 
zione della  Mia  speciale  benevolenza. 

La  decorazione  del  Borgo  Pillo  era  veramente  stupenda.  Ogni 
casa  era  riccamente  e  con  eleganza  decorata  ed  imbandierata.  Dal 
l'arco  lungo  tutta  la  strada,  fino  all'  ingresso  in  città,  e  poi  da  qui 
lungo  lo  stradone  e  la  città,  fino  alla  Sovrana  residenza,  correvano 
doppi  filari  di  smisuiate  antenne,  rivestite  di  spirali  di  verdura 
alla  base,  adorne  con  trofei  di  stemmi  e  bandiere  verso  il  centro, 
e  sormontate  da  enormi  orifiamme.  Dall'  arco  fino  alla  residenza 
era  collocata  una  spalliera  militare.  5,Per  quello  riguarda  la  parte 
„decorativa,  Ragusa  meritò  di  occupare  tra  tutte  le  altre  città  uno 
„de'  primissimi  posti,  poiché  né  meglio,  né  con  maggior  gusto  pote- 
„vansi  certamente  condurre  a  termine  gli  addobbi."  ^ 

L'  Imperatore  ricevuto  1'  omaggio  dal  Podestà,  ed  accolto  gra- 
ziosamente un  mazzo  di  fiori,  offertogli  dalla  figlia  del  general 
comandante  di  Piazza  barone  de  Jovanovic,  frammezzo  ad  entu- 
siastica commoventissima  ovazione,  fra  gì'  interminabili  zivio,  fra 
una  vera  pioggia  di  fiori,  coi  quali  le  dame  cospergevano  a  S.  M. 
il  cammino,  fra  le  salve  di  artiglieria  e  scampanio  di  tutte  le  chiese, 
preceduto  dal  Podestà  e  dalla  guardia  d'  onore  dei  brenesi,  solen- 
nemente entrava  in  città,  seguito  da  un'  acclamante  folla. 

„  Senza  dubbio  è  stato  questo  1'  ingresso  più  trionfale  che  Egli 
„abbia  fatto  in  Dalmazia.  —  Lo  stradone  lunghissimo  e  perfettamente 
^alineato,  tutta  attraversa  la  città  fino  all'altra  parte;  ai  due  lati 
..le  case  tutte  eguali,  tutte  a  due  piani,  ogni  due  case  una  via  late- 
„rale  ad  angolo  retto;  regolarità  torinese.  Ad  intervalli  regolari, 
„giacchè  qui  tutto  lo  è,  lo  stradone  fu  fregiato  di  aste  a  bianco, 
„rosso  e  cilestro,  colori  slavi,  con  stemmi  e  bandiere  delle  diverse 
^Provincie,  anche  bavaresi,  ma  la  massima  parte  slave." 

„Le  finestre  addobbate,  molte  con  uno  sfarzo  singolare,  non  dis- 
„giunto  dal  più  perfetto  buon  gusto,  e  tutte  stipate  di  teste  fenuni- 
„nili.   Quanti   sono  i  fori  delle  case,  tante  sono  le  fontane  di   fiori 

'  Avvisatore   Oalmato. 


121 

„clie  si  versano  sui  passi  dell'Imperatore.  Delle  acclamazioni  nulla 
„dico.  Passato  lo  stradone,  l' Imperatore  volge  alla  destra  verso  il 
„  Capitanato  distrettuale,  che  fìi  già  il  palazzo  del  Rettore  della  Re- 
„pubblica;  passa  in  rassegna  una  compagnia  anche  lì  schierata,  ed 
„  entra  nella  Sua  residenza.  La  piazza  sottostante  si  era  intanto 
„ gremita  di  gente,  e  tante,  e  sì  ripetute,  quasi  direi  imperiose  furono 
„le  acclamazioni,  che  V  Imperatore  visibilmente  commosso ,  si  pre- 
„sentò  più  volte  alla  finestra,  a  ringraziare;  e  si  dice,  che  tanta  sia 
„ stata  la  Sua  commozione,  da  mancarGli  la  parola  per  qualche  mi- 
«nuto.'^" 

La  guardia  d'  onore  si  schierò  dinanzi  al  palazzo,  e  cominciò  il 
ricevimento  dei  dignitari  di  Corte,  del  corpo  Consolare,  del  Clero, 
dell'  I.  R.  Autorità,  e  delle  Corporazioni.  Alle  cinque  ore  venne 
accolto  in  ricevimento  speciale  il  commandante  Boylè  e  1'  Ufficia- 
lità della  corvetta  russa,  ed  alle  SVo  Drvis-pasa  governatore  della 
Bosnia  col  suo  seguito,  spediti  espressamente  dai  rispettivi  governi 
per  ossequiare  Sua  Maestà. 

La  Sovrana  risposta  a  Mons.  Vescovo,  fu  la  seguente:  —  Ag- 
gradisco con  particolare  compiacenza  le  solenni  as- 
sicurazioni di  fedeltà  e  devozione  che  Ella  mi  porge 
a  nome  del  clero  commesso  alle  pastorali  sue  cure. — 
Io  apprezzo  altamente  lo  zelo  col  quale  questo  clero 
adempie,  spesso  sotto  difficili  condizioni  ai  doveri  del 
suo  sacro  ministero.  —  Perseverando  ne  11' inculcare 
alle  popolazioni  i  principi  di  quella  pace  ed  amore 
fratterno,  otterrà  il  più  bel  guiderdone  al  suo  operare. 
—  A  loro  tutti  l'assicurazione  della  Mia  Imperiale 
benevolenza. 

41'  omaggio  della  Camera  di  Commercio  Sua  Maestà  si  degnò 
di  rispondere:  —  Accolgo  con  particolare  compiacenza 
le  leali  espressioni  di  questa  Camera  di  Commercio, 
la  di  cui  proficua  operosità  apprezzo  pienamente.  — 
Col  venir  i n  e o  n t r  o  a  1 1  e  p  r  e m u r  e  d  el  M i  o  g o  v e r  n o,  Loro 
Signori  raggiungeranno  certamente  quella  meta  cui 
sono  rivolti  i  loro  lodevoli  sforzi.  —  Sieno  sicuri  del- 
la Mia  Sovrana  benevolenza.  — 

Alle  6  ore  ebbe  luogo  il  diner^  al  quale,  oltre  le  notabilità  del 
paese,  furono  invitati  S.  E.  Drvis-pasa  col  brillante  suo  seguito, 
nonché   il   comandante    Boyle  e   1'  officialità   della  corvetta  russa 

*  Osservatore  Triestino  Nro.  100  Supp.  Adria. 


122 

jjBayaii",  poc'  anzi  stati  ricevuti  in  paiticolari  udienze.  La  banda 
militare,  nel  piazzale  sottoposto  alla  residenza,  rallegrava  di  sue 
melodie  il  banchetto,  mentre  un  inimeroso  ed  eletto  pubblico  si 
aggirava  giulivo  nelle  vicinanze. 

„La  sera  ebbe  luogo  una  generale  illuminazione,  del  grandioso 
„ed  insuperabile  eft'etto  della  quale  i)uò  formarsi  un'  idea  soltanto 
„chi  conosce  Ragusa,  le  ampie  sue  strade,  e  specialmente  il  ma- 
„gnifico  stradone  coi  suoi  bellissimi  ed  uniformi  editizi.  Un'  abba- 
„gliante  atmosfera  di  luce  investe  tutte  le  vie;  ad  ogni  finestra 
„brillano  numerose  candele,  il  cui  vivissimo  splendore  è,  però,  su- 
^perato  dalla  sontuosa  illuminazione  a  disegno  che  adorna  la  parte 
„inferiore.  fino  al  primo  piano  di  tutte  indistintamente  le  case  nelle 
„ principali  vie,  e  segna,  a  linee  di  fuoco,  le  maestose  moli  dei 
«monumenti  architettonici  della  città.  È  nota  la  uniformità  degli 
^edifìzi  di  Ragusa,  specialmente  allo  stradone,  le  case  quasi  tutte 
„d' eguale  altezza,  con  un  piano  ed  un  mezzanino,  hanno  al  pian- 
„ terreno  i  negozi,  le  cui  porte  e  finestre  costituiscono  una  sola 
„ apertura  sormontata  da  un  arco.  Immaginatevi  ora  la  curva  di 
„tutta  questa  sterminata  serie  di  archi  segnata  a  lumicini  di  vari 
«colori,  de' quali  un'altra  linea  unisce,  alla  base,  arco  ad  arco, 
^mentre  fra  l'uno  e  l'altro,  poco  più  in  sii,  brilla,  disegnata  a 
„ lumicini  colorati,  una  magnifica,  enorme  stella.  E  questo  ricchis- 
„simo  disegno  insuperabile  per  armonia  ed  effetto,  corre  d' am- 
„bidue  i  lati  dal  palazzo  Vescovile  lungo  la  piazza  del  duomo,  per 
„ tutta  la  sterminata  lunghezza  dello  stradone,  gira  presso  la  fon- 
„tana  addossata  all'  Arsenale ,  per  la  via  paralella  allo  stradone, 
«continua  per  la  via  larga,  e  va  a  finire  alla  piazza  dell'  erbe.  La 
«regolarità  di  questa  stupenda  tapezzaria  di  fiamme  viene  qua  e 
„là  interotta  dalle  maestose  linee  della  cattedrale,  architettonica- 
„mente  segnate  con  profusione  di  lumicini,  dalle  magnifiche  illumi- 
«nazioni,  pure  a  ricco  disegno  architettonico,  della  chiesa  di  s. 
«Biagio,  del  corpo  di  guardia,  della  Intendenza  (la  quale  in  ispecie 
«offre  un  aspetto  incantevole),  della  chiesa  dei  francescani,  della 
^fontana  colla  sua  cupola  di  fuoco,  della  bellissima  chiesa  greca, 
,, della  enorme  scalinata  che  dalla  piazza  dell' erbe  conduce  all'espi- 
atale militare,  e  così  avanti  di  tutti  quei  numerosi  edifizt  pubblici, 
«notevoli  per  artistica  bellezza,  che  vanta  Ragusa.  Fra  tutti  uno 
,,de'  primi  posti,  per  ricchezza  e  buon  gusto  d' illuminazione,  occupa 
^il  magnifico  palazzo  Conumale.  Un  migliajo  circa  di  palle  di  vetro 
^smerigliato  bianco  con  una  luce  languida,    vaghissima,  ne  ornano 


123 

„la  facciata ,  tutta  la  linea  del  tetto  ,  e  delle  superbe  finestre ,  e 
„ disposte  in  magnifici  candelabri  a  salice,  inondano  di  luce  il  piaz- 
„zale  dinanzi  V  ingresso.  Effetto  più  magico  era  certamente  impos- 
„sibile  di  cogliere.  Una  consimile  illuminazione  brilla  pure,  con 
disquisito  buon  gusto,  nel  piano  della  casa  occupata  dalla  Società 
^Operaia  del  Progresso,  mentre  per  altri  beUissimi  giuochi  di  luce, 
^trasparenti   ecc.,    spiccano  inoltre   gli   edifizt  del   Vescovato;    del 

V 

^,Comando  militare,  del  Dubrovacko  radnicko  drustvo,  della  Cita- 
„onica,  della  Chiesa  greca,  e  di  altri  edifizì  privati  e  negozi,  che 
„tutti  mi  è  impossibile  ricordare". 

„Dopo  aver  tentato  di  darci  un'  idea  di  qualcuno  dei  particolari 
„di  questa  veramente  insuperabile  luminaria;  sono  costretto  a  ri- 
„nunziare  di  dipingervi  F  impareggiabile  eifetto  del  complesso,  per- 
„chè  spettacoli,  come  quelli  che  ieri  sera  offrivano  specialmente  lo 
«sterminato  spazio  dello  stradone  e  le  piazze  del  duomo  e  dell'erbe, 
^sfidano  ogni  descrizione. 

„ Altro,  diverso  sì,  ma  non  meno  magico  ed  incantevole  colpo 
„d'  occhio  presentava  la  brillantissima  illuminazione  del  borgo  Pille, 
„ove  non  v'  era  casa,  non  v'  era  giardino,  che  non  fossero  illumi- 
„nati  a  disegni  di  palloncini,  a  fiamelle,  a  lumicini,  a  trasparenti 
„di  tutte  le  forme  e  di  tutti  i  colori.  Bisogna  conoscere  la  pitto- 
„resca  posizione  di  quel  borgo,  le  deliziose  sue  case,  i  graziosi 
„suoi  giardini,  per  formarsi  un'  idea  dell'  effetto  che  un'  illumina- 
„zione  sì  ricca  e  varia  produceva  tra  il  verde  dei  boschetti;  tra 
„i  fiori,  e  la  magnifica  decorazione  delle  case."  ^ 

E  qui  riporteremo  le  iscrizioni  che  si  leggevano  sui  diversi 
edifizt. 

Sul  portone  del  Palazzo  Comunale  v'  era  la  seguente  iscrizione  : 

FRANU  JOSIPU  PRVOMU 

SLAVNOMU    CESTITOMU    VISOKOMU 

CESARU  I  KRALJU 
DUBROVNIK 

MALI    ALI    NEKADA    NE    BESLAVXI    GKAD 

FRI     POHODU    NJEGOVU 

KAO    STO    SE    JE    NEGDA    DJEDU    MU    RADOVAO 

SAD    U   BOLJIM    OKOLNOSTIMA 

MEGJU    NARODIMA 

KOJI    SE    VESELE     DOBROTVORNIM    ZAKONIMA    I    SLOBODI 

*  Avvisatore  Dalmate  No,  36. 


124 


OD    MUDRE    PAMKTI    PLEMKNITOO    SECA 

BLAGODARNE    RUKE 

UDTJELJENIJEM 

UZDIÌK    I    ON    SVOJ    OLAS 

KLIÓUCI 

:?:ivi(). 

In  un  altro  punto  dello  stradone,  si  leggeva  quanto  segue: 

Za  Tebe  smo  Care,  kad  je  zgoda, 
Svi  pripravni  smrti  podniet  breme; 

Tako  i  Ti,  svietloga  Ti  Roda, 
Za  Slavensko  pobrini  se  pleme. 

Sulla  chiesa  dei  Francescani  erano  appese  le  seguenti  iscrizioni: 

FRANU-JOSIPU    PRVOMU 

SLAVNOMU    AUSTRIJANSKOMU    CESARU 

DUBROVNIK    POHODECEMU 

OVDASNJA    DEZAVA 

REDA    SVETOG    FRANA    AKSISKOGA 

SVOJEGA   BOGOLJUBNOGA    CARA 

RADOSTIVA   POZDRAVLJA 
MOLECI    SVEM0GUCN06A    BOGA 

DA    MU    DOBRU    SRECU 
SVEDJER     BLAGOSTIVO    UDIJELI. 


LA    PREGHIERA 

AI    PIGLI    DEL    POVERELLO    d'  ASSISI 

UNICA    RICCHEZZA 

PER    TE    AUGUSTO    CESARE 

AL    TRONO    dell'  ALTISSIMO 

FERVOROSA    s'  INNALZA 

E    SULLA    PITSSIMA    AUSTRIACA    CASA 

LE    CELESTI    BENEDIZIONI 

DIVOTAMENTE    IMPLORA. 


Neu  aus  Trtimmern  erstand  dieser  Tempel  durch  Òsterreiclis  Fiirsten, 
Deiner  Ahnen  Geschenk  zeigt  er,  o  Kaiser,  dir  an. 

Sulla  chiesa  dei  domenicani  vi  era  la  seguente  iscrizione: 

DOMINIO  AN  A    F  AMILI  A    EXULTANS. 


125 

Sulla  neoretta  chiesa  dei  greci-orientali  vi  era  un  elegante  tras- 
parente, su  cui  in  lettere  cirilliane  si  leggeva  la  seguente  iscrizione  : 

OPCINA    PRAVOSLAVNIJEH    SRBA 

KOJA    POD    ZAéTITOM 

UZOEXIJEH    TVOJIJEH    ZAKONA 

VJEROSLOBODE 

UZIVA    U    SLAVXOME    DUBEOVXIKU 

MIRXO    UTOCISTE 

UZRADOVAXA    TVOJIJEM    DOLASKOM 

JEDNOGLASXO    KLICE 

MXOGA    LJETA    ZIVIO 

CESTIT    SRECAX    NEPREDOBITAX 

SLAVNA    KRUNO     MILI    GOSPODARE. 

La  Società  Operaja    „Radnicko  Dubrovacko  Drustvo"    avea  due 
trasparenti,  che  portavano  le  seguenti  iscrizioni: 

SVIJETLI    KRALJU 

FKANO  JOSIPE  I. 

U    SRECXO    PROLJECE    OVO 

LJETO    PRIPRAVI    PLODNO 

RADNICIMA    DUBROVCANIMA 

ILI    PO    RODU     ILI    PO    IZBORU 

KOJI    S    MORA    IL    S    KRSNIH    PLANINA 

POD    TVOJE    KRILO    AMO    DOGJOSE 

BLAG     POGLEDAJ    NA    NJIH 

DA    SVOJOJ     XAVIJESTE    BRACI 

TVOJU    BRIGU    ZA    NARODNA    PRAVA 

I    NAPREDAK    RADNIKA 

DA    TAKO    DUBROVNIK    STARI 

BUDE    SREDISTE    NOVO 
UMJETNOSTI    I  RUKOTVORINA. 


DUBROVACKI    RADNICI 

NAKON     CETVRT    VIJEKA 

ZELJNOG    ISCEKIVANJA 

SRECAX    STE    DAN    DOZIVLJELI 

IZMEGJU    VAS    VIDJETI 

VASEG    PREVISOKOG    GOSPODARA 

KOJI  VAM    DAROVA 

SLOBODU     UDRUZIVANJA 


126 


TE   8K    OCEVOM    LJ UBAVI 

ZA    VAS    NAPREDAK     BRINE 

DA    OBRT     I    NA    MORU    1    NA    8UHU 

ZA    OPCE    BLAGOSTANJE     PROCVATI 

ISKAZITE    MU     SVOJU    RADOBT 

SLOZNIJEM    BILAMI     KLIÒUCI    MU 

ZIVIO. 

Sulle  finestre  della  „ Società  del  Progresso"  si  leggeva  come  segue 

LA    SOCIETÀ    OPERAIA 

DEL     PROGRESSO 

INNALZA    ARDENTI    VOTI 

A    DIO    0.    M. 

CHE    PROTEGGA    E    CONSERVI 

PER    LUNGA    SERIE    d'  ANNI 

FRANCESCO  GIUSEPPE  I. 

PADRE  de'  suoi  POPOLI. 

SOTTO  GLI  AUSPICI 

DI  CESARE 

UNIAMO    CONCORDI    LE    FORZE 

NEL    COSTANTE     LAVORO 

NELLA    FRATELLANZA 

E    SLA    NOSTRO    VANTO 

all'  AUGUSTO    SIRE 

INCROLLABILE     FEDELTÀ. 


aveva  stampate  le  sii  riferite  due  iscrizioni,  fregiando  colle  i 
sime  le  principali  contrade  della  città;  e  la  „Società  Operaja  1 
'regresso^  a  nome    proprio   aveva  diramata    colle  stampe,  ed   j 


Nella  circostanza  stessa  la  Società  ^Eadnicko  Dubrovacko  Drus- 
tvo"  aveva  stampate  le  sii  riferite    due  iscrizioni,    fregiando    colle 
medesime 
del  Pi 
affissa  per  la  città,  la  seguente 

Ode  Saffica. 

Vieni  Cesare  vien  —  folla  festante 
Ti  fa  corona  —  son  i  tigli  Tuoi 
I  lor  voti  sdegnar  qual  Padre  amante 

Nò,  non  lo  puoi. 

La  splendida  città  da  Te  si  obblia 
Città  Regale,  e  a  noi  rivolgi  il  piede, 
A  Epidauro  d'  Apollo  e  di  Sotia 

x\ntica  sede.  — 


127 

Poveri  siam  —  de'  doni  suoi  natura 
Almen  larga  ci  fu.  —  Qui  di  zaffiro 
È  pinto  il  cielo,  e  qui  d'  un  aura  pura 

Geme  il  sospiro. 

Memorie  illustri  questa  Terra  serba, 
Ma  il  lauro  impalidì  eh'  un  dì  la  chioma 
Cingea  dei  grandi  —  sol  la  sorte  acerba 

Non  r  alma  ha  doma. 

Ecco  0  Sire  quai  siam  —  la  Tua  potente 
Destra  sorregga  quest'  antica  Donna 
Ch'  arder  nel  petto  il  sacro  fuoco  sente. 

Né  mai  assonna. 

Cesare  o  Tu  cui  fia  ognun  s' inchine 
Riconduci,  che  il  puoi,  1'  età  dell'  oro, 
Fa  rinverdir  di  questa  Donna  al  crine 

L'  antico  alloro. 

La  scuola  Fondazionale   Serba  era  poi  fregiata  colla  seguente 
iscrizione  in  caratteri  cirilliani: 

PODANICKA    VIJERNA    PRIKLONOST 

CAESKOMU    TVOJEMU    PEESTOLU 

PEVO    JE    OSJECANJE 

KOJEGA 

MATEEINSKIM    JEZIKOM 

U    SECU     SEPSKE 
DUBROVACKE    DJECICE 

NAUKA    RAZVIJA 

UPEAVLJAJUÓI    MOLBE 

PREVISXJEMU 

DA    TE    DUGO    LJUBAVI    NAEODA    NASEG 

CESTITA,    SLAVNA,      NEPEEDOBITNA 

UZDEZI. 


Alle  ore  8  Sua  Maestà  percorse  le  vie  principali  della  città  e 
del  Borgo  Pille,  preceduto  dalla  guardia  d'  onore  di  24  Brenesi  in 
superbi  costumi  e  dal  Podestà,  ed  ovunque  seguito  ed  accolto  da 
innumerevole  folla,  sempre  entusiasticamente  acclamante.  L' Impe- 
ratore si  compiacque  di  esaminare  attentamente  tutti  i  dettagli 
della  splendida  luniinaiia  e  di  esprimere   ripetutamente  al  Podestà 


1L>8 

il  pieno  Suo  aj^gradiiiiento    per   la   bellezza  della  città,  pella  eom- 
movente  accoglienza,  e  pella  stupenda  illuminazione. 

„Le  feste  di  questa  giornata  —  riporta  V  Avvisatore  I) al- 
eniate ^  —  resteranno  iniperitui'e  nella  memoria  di  quanti  vi  assi- 
„stettero.  Nulla  di  meglio  avreì)be  potuto  ofìVire  qualsiasi  altra 
„città  della  monarchia,  ed  i  ragusei  possono  a  buon  diritto  andar 
^superbi  del  modo  con  cui  hanno  accolto  il  Sovrano." 

Il  giorno  seguente  —  29  aprile  —  Sua  Maestà  di  buon'  ora 
assistette  alla  parata  militare  al  campo  di  Gravosa,  accompagnato 
dal  popolo  festante;  ed  alle  10  ebbero  luogo  le  udienze  ;  durante 
le  quali  Sua  Maestà  si  espresse  con  compiacenza  di  compren- 
dere la  lingua  nazionale  croata,  e  salutava  indi  colle  parole 
„S  Bogom".  In  questa  giornata  ebbe  pure  a  presentarsi  al  Sovrano 
il  corpo  de'  Patrizi  ragusei. 

Nel  pomeriggio  l'Imperatore,  sem])re  entusiasticamente  acclamato, 
fece  una  gita  in  carrozza  a  Bergatto,  recandosi  al  forte  Zarkovica, 
e  proseguendo  quindi  a  cavallo  fino  al  forte  Imperiale,  donde 
venne  salutato  con  salve  d' artiglieria.  Ritornò  quindi  a  piedi  fra 
le  solite  entusiastiche  acclamazioni  della  folla,  che,  parte  qua, 
parte  là,  ne  stava  attendendo  il  ritorno.  Gli  studenti  del  ginnasio 
seguendo  un  loro  bandierone  tricolore ,  si  diressero  al  così  detto 
campo  degli  Ebrei ,  ed  attendevano  1'  arrivo ,  e  ne  salutarono  il 
passaggio  con  fragorosi  „^ivio". 

Poco  dopo  il  ritorno  in  città;  alle  6  ore,  fu  il  diner  imperiale, 
al  quale,  oltre  molti  altri,  ricorrendo  in  quella  giornata  T  onoma- 
stico di  S.  M.  r Imperatore  delle  Russie,  venne  nuovamente  invitata 
r  ufficialità  della  Corvetta  russa  ^Bayan"  con  a  capo  il  comandante 
Boylè ,  che  occupava  il  posto  d'  onore  a  destra  dell'  Imperatore. 
Dopo  la  quarta  portata  F  Imperatore  si  levò  in  piedi ,  e  portò  il 
seguente  toast:  „A  la  sante  de  Mon  Frère  et  Ami  Sa  Ma- 
jesté  l'Empereur  de  Russie,  dont  Nous  célébrons  au- 
jourd'bui  la  fé  te".  (Alla  salute  del  Mio  Fratello  ed  Amico,  Sua 
Maestà  Y  Imperatore  delle  Russie ,  di  cui  Noi  oggi  celebriamo  la 
festa.)  Avendo  la  banda  militare,  che  suonava  sulla  piazza,  a  questo 
momento  intuonato  F  inno  russo,  Sua  Maestà  ed  i  convitati  si  le- 
varono in  piedi,  ed  in  piedi  lo  ascoltarono. 

Il  Console  Jonine  ed  il  comandante  della  corvetta  russa  be- 
vettero  alla  salute  dell'  Imperatore  d'  Austria,  e  della  Sua  famiglia. 
Entrambi    questi    signori    portavano   le   insegna    delF  Ordine   della 

'  Nro.  36. 


129 

Corona  Ferrea  di  II  classe,  che  il  giorno  stesso  Sua  Maestà  aveva 
loro  conferito,  ed  il  secretarlo  del  Consolato  Russo  Bakounine 
la  Croce  di  Cavaliere  di  Francesco  Giuseppe  I. 

In  questa  giornata,  essendo  giunta  la  notizia  del  felice  parto 
della  principessa  Gisella,  la  rappresentanza  Comunale  umiliò  a  Sua 
Maestà  un  indirizzo  di  felicitazione. 

Alla  sera  venne  ripetuta  l' illuminazione,  la  quale  causa  il  tempo 
non  tanto  propizio ,  riusci  meno  brillante  di  quella  della  sera  in- 
nanzi. Ciò  non  tolse  però  che  la  serata  fosse  allegra,  e  le  vie 
animatissime.  L'Imperatore  però  quella  sera  non  uscì  dal  palazzo. 

Alle  sei  ore  di  mattina  del  dì  seguente  30  aprile,  l' Imperatore 
andò  a  visitare  l'isola  di  Lacroma.  ^La  mattina  era  superba;  cen- 
„tinaja  di  barchette  imbandierate  si  cullavano  sulle  onde.  L' Impe- 
„ratore  si  fermò  lungo  tempo  sull'  isola.  —  Il  fondo  per  dir  così 
„deir  isola  è  un  bosco  fìtto  di  mirti  dell'altezza  di  un  uomo,  ta- 
„gliato  qua  e  là  da  viuzze  campestri,  ed  animato  da  una  popola- 
„zione  infinita  di  uccelli,  che  cinguettano  allegramente.  Nel  mezzo 
„il  palazzo,  che  fìi  già  un  convento,  di  cui  serba  ancor  manifeste 
„le  traccie.  V'entrai  e  mi  sentiva  stringer  il  cuore,  al  trovare 
„tutt'  ancora  coni*  era  stato  lasciato  dalla  coppia  sventurata.  Di- 
nnanzi il  palazzo  tappeti  di  fiori,  di  dietro  giardini  a  scaglioni,  con 
„  piante  di  ogni  specie  e  statue,  tra  le  quali  un  adoratore  del  sole 
«piantato  nel  centro  e  volto  a  mezzogiorno  sembra  invocare  il  be- 
^nefico  astro.  Qua  e  là  parchi  di  piante  esotiche,  e  specialmente 
„ dell'  Australia  con  foglie  sottili  sottili  come  tanti  aghi ,  qua  e  là 
„ resti  di  una  coltivazione  di  camelie  all'  aperto."  ^ 

Tornata  dall'  isola  di  Lacroma,  quella  mattina  Sua  Maestà  visitò 
il  forte  Revellino.  le  Scuole  civiche,  la  Nautica,  la  chiesa  dei  Do- 
menicani, quella  di  s.  Biagio,  indi  il  Cenarne  col  Museo.  Di  poi  il 
forte  Molo,  la  caserma  di  s.  Maria,  la  chiesa  di  s.  Salvatore,  quella 
dei  Francescani,  indi  T  Arsenale  d'  Artiglieria,  V  Ospitale  civile,  la 
chiesa  del  Domino,  di  s.  Giuseppe,  e  poi  il  Ginnasio. 

Nella  scuola  civica  la  scolaresca  attese  1"  Imperatore  e  lo  salutò 
coir  intonare  V  inno  imperiale  in  islavo,  e  Sua  Maestà  in  ogni  classe 
fece  esaminare  due  tre  allievi,  manifestando  la  propria  soddisfazione. 

Pregata  Sua  Maestà  di  fregiare  colla  propria  tìrma  un  Album, 
che  Gli  venne  presentato,  non  solo  gradì  la  preghiera,  ma  scrisse 
la  Sua  firma  in  islavo,  colle  precise  parole  :  —  FRANO  JOZIP. 

'  Osservatore   Triestino  Nro.  101. 


130 

li'  istituto  era  ele^'anteiiieiite  iido])bato,  e  le  seguenti  iscrizioni  lo 
adornavano  : 

U  SRECNI   ÒAS 

KAD    SE    JE    UD08T0JAL0 

SVOJIM  LICEM    OBASJATI 

OVU    UÒIONICU 

CESARSKO  KRALJEVSKO    APOSTOLSKO    VELIÓANSTVO 

FRANE  JOSIP  I. 

RAVNATELJ    UÒITELJI    UÓENICI 

NAJZIVLJA   CUVSTVA 

SRCANE    PODANOSTI 

NEPRELOMNE    VIJERNOSTI 

IZJAVLJUJU. 


ZIVIO 

CESTITI    CARE    ZIVIO 

VELIKODUSNOST    TVOJA 

NEK    MILOSTIVO    PRIMI 

IZRAZE    PRIKLONSTVA 

RAVNATELJA    UCITELJA    UCENIKA 

OVOG    PUGKOG    ZAVODA 

UTEMELJENA 

POD    ZASTITOM    TVOJIH    SLAVNIH    PRADJEDOVA 

U    DANASNJOJ    SRECNOJ    PRIGODI 

NEKA    DOPEU    DO    TEBE    GLASOVI    NASI 

USKLIKOM    DOBRODOSASCA 

KOJEGA  RADOSTIVI    UZDIZEMO 

IZ    DUBINA 

HARNOGA    SRCA. 


SALVE    O    CESARE 

PADRE    DEL    POPOLO 

GIOIA    E    DELIZIA    DELl'  IMPERO 

ANGELO    DI    BONTÀ 

SALVE. 

LA    SCUOLA    CIVICA    E    POPOLARE 

DI    RAGUSA 

ESULTA    NEL    RICEVERTI    VISITATORE 

DI    TANTA    DEGNAZIONE 


131 


MAESTRI    E    ALLIEVI 

AFFETTUOSI  KICONOSCENTI    DEVOTI 

NE    SERBERANNO     PERENNE 

LA    RICORDANZA. 

Alle  ore  9'/.    Sua  Maestà   col   Suo    seguito  era  nel  Ginnasio 
Appena  pose  piede  nell'  istituto  la  scolaresca  raccolta  tutt' assieme 
nella  sala  presso  la  Dilezione,  intonò  l'inno  Imperiale  in  islavo 
terminato  il  quale  in  presenza  dell"  Augusto  Monarca,  gli  alunni  sì 
distribuirono  nei  corsi  coi  rispettivi  docenti. 

Dopo  di  aver  chieste  minute  informazioni  dalla  direzione  sull'Isti- 
uto,  Sua  Maestà  visitò  i  singoli  corsi,   facendo  esaminare  due  tre 
scolari  nelle   differenti  materie,   secondo   l'orario   della  giornata 
mostrando  in  ogni  singolo  corso  la  Sua  piena  soddisfazLie    si 

lwH'""f ';■"'''%''  '""'"■'""  -i«»««^be,  le  bibblioteche,  il 
gabinetto   d,   Fisica.   In   questo   frattempo  di  bel  nuovo  gli  scolari 

S  di"  ff  "?""""  ""'"  ""''^™"^'   '^  Sua  Maestà  s 

degno  di  soBerniarsi  fino  a  tanto  che  fu  terminato,  graziosissima- 
mente largendoli  delle  lodi.  Neil' escile  dall' istitut;  si  coppaie 
d.  manifestare  al  Direttore  la  Sua  piena  soddisfazione.  La  sia 
dell  Imperatore  nell'  istituto  durò  per  un  ora  circa 

nnll'vf""'"  'r«'^"''*"  """""■"  '^'■'^  addobbato,  quanto  meglio  si 
poteva  con  difterent.  verdure,  fiori,  ghirlande  di  alloro,  bamliere 
ecc.,  e  fregiato  d  iscrizioni,  e  poesie  nelle  difterenti  lingue  che 
vengono  insegnate  nel  Ginnasio. 

leggeva  la  seguente  iscrizione: 

AUSPICATISSLMO  ADVENTU 
FRANCISCI  JOSEPHI  PRIMI  CAESARIS 

CUM    UNIVERSA    CIVITATE 

RAGUSINUM    GYMNASIUM 

MAXIME    LAETATUK 

PALLADIS    HOC   TEMPLUM    INGRESSUS    DIGNARE    VOCARI 
EX    JUVENUM    VOTIS    REXQUE    PATERQUE    SIMUL. 

Nella  sala  ove  la  gioventù  cantava  l' Inno  imperiale,    sopra  1'  effi- 
?orat  !       '  "'''''  "'  ''"'  ^'  '^^"'"^^  ^^^^'^^^^"^  ^"  I^t^^^e 

ALMUS  CAESAR  ADEST  AGEDUM  LAETARE  JUVENTA 
GYMNASII  FESTUMQUE  CORO  POENA  CANAMUS. 


ÌH'2 

Sotto  le  volte  delF  atrio,  ed  alle  port(;  dell'  istituto  vi  erano  ap- 
pese le  seguenti  iscrizioni  e  poesie: 

To'j  Kaicapo;   ^pav/ctTxo'j  'l(oc7r,'pouA' 

Et;  AaXaaTLav 

Mixoàv  Te  ^Vùctt^  Tt  Xtóoav 

\  IpWTOV    'Ep*)(OJjÌvO'J 

Tò  'PayoiKitxóv  TuavàcLov 
AuToO  Baèt).£uovTOc  Kaì  'E7:l'7.£Xoul/Ìvou 

SXa^ixo)  "EO-vei   AttoSeSojjÌvov 

TotoOtóv  Te  Toio'jTÓv  Te  EùspYSTViv 

'EV/i>.u9-ÓTa  XaipEL 

EÙT'J')<75'7a.!.    E'jysTat. 

Kal  "/V  AUxta  Soi'Tsiv  Kal  AO^vi'ìstv 

lTpo;atT£lTai. 

La  quale  iscrizione  tradotta  suonerebbe: 

SOTTO    FAUSTI    AUSPICI 
IN    OCCASIONE    DELLA    PRIMA    VENUTA 

dell'imperatore  FRANCESCO  GIUSEPPE  I. 

IN    DALMAZIA 

PICCOLA    MA  A    LUI    CARA    PROVINCIA 

IL    GINNASIO    RAGUSINO 

SOTTO    IL    SUO    REGNO 

E 

PER  LE  SUE  PROVIDE  CURE 

RESTITUITO  ALLE  LETTERE  SLAVE 

GIOISCE  ALLA  VENUTA 

DI  TANTO  E  TALE  BENEFATTORE 

GLI  AUGURA  FELICITA  PROSPERITÀ 

CHE  I  DRITTI  DI  LUI 

SI  CONSERVINO  SI  ACCRESCANO 

FERVIDAMENTE  PREGA- 


SALVE  AUGUSTO  CESARE 

PER  TE 

NOVELLA    ERA    DI    LIBERE    ISTITUZIONI 

SURSE    E   BEh    I    TUOI    POPOLI 

IN    TE 


133 


LE    ARTI    LE    LETTERE    LE  SCIENZE 

RICONOSCONO    FAUTORE    E    MECENATE 

PER    TE 

AI    COMMERCI    SI    SCHIUSERO  INVENTATE    VIE 

SOTTO    LA    GRANDE    OMBRA    DELLE    TUE    ALI 

IL    GINNASIO    SUPERIORE    DI    RAGUSA 

GUARDA    FIDENTE    IN    UN    FELICE    AVVENIRE. 


Mit  dem  Daiìk  fiir  ali  die  Freude 

Welche  Dein  Besuch  uiis  bringt, 
Lass  uns,  Edler  Furst,  verbinden 

Eiiien  Wunsch^  der  uns  durchdringt  : 
Moge  wie  bisher  Dein  Walten 

Strahlen  stets  in  Glanz  und  Ehren 
Und  Dein  Leben,  das  Geweihte, 

Lange,  ja  reclit  lange  wàliren! 


OVAJ    ZAVOD 

POSVECEN 

KNJIZEVNOSTI    I    ZNANOSTIMA 

KOJE    DAVNOM   DUBROVNIKU 

SLAVNO    IME 

U    POVJESTNICI     LJUDSKE    PROSVJETE 

ZADOBISE 

POTKRIJEPLJEN    SADA 

BLAGODARNOSCU    AUSTRINSKE    KRUNE 

DOLAZAK    CESARA    SVOGA 

RADOSNO    POZDRAVLJA 


Sint  grates  Superis.  post  tot  dicrimina  rerum, 

Divino  afflatus  Numine,  lihacusium 
Ingreditur  Caesar;  Cives  gaudete;  labores 

Passis  longaevos  dulce  levamen  erit. 
Conspice:  ab  antiquis  Epidauri  exorta  ruinis 

Haec  urbs  musarum  jam  domus  et  Sophiae 
Testis,  Dalmatiae  et  tellus,  quae  jure  Huperbit 

Jactans  se  eximiis  quos  tulit  alma  viris. 


134 


Dii  tandem  Illyricas  mittiint  Te  Caesar  ad  oras 
Gens  antiqua  Tuis  surgat  ut  auspiciis, 

Ergo  age.  sopitos  Tua  dextera  suscitet  ignes, 
Vinique  aniniosque  novos  insere  pectoribus. 


Questa  che  calchi  di  memorie  terra  ] 

Sparsa,  o  Prence,  (T  allori  intorno  mira,  I 

Solo  fra  tombe,  u  il  cenere  si  serra  I 

Dei  nostri  (ìrandi.  il  piede  tuo  si  aggira.  i 

E  01'  che  un  secol  men  rio  più  non  fa  guerra  ; 

A  Pallade.  e  fiaccata  al  tempo  è  V  ira,  J 

Qui  viene  riverente  e  qui  si  atterra  j 

Dei  nipoti  hi  turba,  e  qui  si  ispira.  ! 

Spenta  dei  padri  la  viitude  antica  ; 

Non  è  fra  noi,  e  splenderemo  chiari  . 

Noi  pure  un  di,  or  che  la  sorte  è  amica.  . 

Sian  pur  ad  altri  di  lor  fama  trombe  i 

Templi,  bronzi,  palagi  —  e  noi  gli  altari  I 

Di  nostro  glorie  Ti  mostriam  —  le  tombe.  j 


Pjesan.  ' 

Kog'  pohodis,  Care  slavni, 

Prosvjete  je  zavod  sveti;  I 

Sto  Dubrovnik  bjese  davni  I 
Najbolje  Ti  mo^e  on  rieti, 
I  pokazat  urna  sile 

V  1 

Sto  su  biede  predobile.  j 

Tiesnu  zemlju  svud  opkoli  j 

Krs  neplodni,  sinje  more,  \ 

A  dusmani  krsta  oboli  j 

Svegj  vrebaju  da  ga  obore;  i 
Cuju  svagdan  bracu  milu 
Gdje  u  ropstvu  jadno  cvilu. 

Nad  slobodom  svojom  bdije;  j 

Predobiva  biesne  vale,  j 

Svetog  Vlaha  stieg  se  vije  ' 

Do  najkrajne  svieta  obale;  1 
Blagostanje  i  prosvjeta 

U  sretnome  gradu  cvieta.  j 


135 


Uèenjaka  skup  izbrani 
Goji  u  njemu  znanstva  blago; 
Svog  jezika  ovdje  sbrani 
Materinstvo  milo,  drago, 
Koje  s  brac'om  on  podieli 
Netom  daii  mu  svane  bieli. 

Dubrovnika  proslost  to  je, 
Dicna,  slaviia  i  cestita; 
Od  milosti  ceka  Tvoje, 
Da  sad  mladeè  plemenita 
Slavu  iizdrèi,  èto  je  bio 
Znanjem  svojim  zadobio. 

Lovor-vienac  pristojan  Ti  sviti 

Pozuda  je  naseg  srca  bila: 
Al  nam  krati,  Care  precestiti, 

Tak'  visoko  uzdignuti  krila 
Mladost  òedna  i  pamet  nezrela 

Tvojom  sjajnom  slavom  zabliestena 
Tako  da  usta  ne  bi  izreó  smjela 

U  duèi  nam  custva  zadubljena: 
Moderno  Ti  samo  obecati 

Da  napredak  naraìstaja  nilada 
U  kruni  ée  Tvojoj  slavnoj  sjati 

Kano  sunce  kada  tniine  svlada. 


D  a  I  m  a  c  i  j  a. 

Alem-kamen  da  sam  svak  mi  veli 
Svietloj  kruni  svog  Kralja  i  Cara 
S  kog  se  meni  Ijepsi  danak  bieli 
I  sretnija  buducnost  se  stvara. 

Sto  providnost  jal  priroda  udieli 
Nesto  vrieme,  nesto  dusman  bara: 
Sve  nadvlada  i  biede  iscieli 
Vrla  krepost  dusevnoga  darà. 

Mojoj  slavi,  to  znam,  nije  znamen 
Niti  biser  ni  vienci  koralja 
Sto  mi  more  na  podnozju  valja; 

Vjera  kralju  zarka  kako  plamen, 
Ljubav,  hrabrost  mojih  stanovnikà 
To  je  ponos  i  slatka  mi  dika. 


136 


Canzone. 

Sei  pur  bella  Epidauro  —  A  Te  di  stelle 
Sul  capo  si  distende 
Trapunto  il  padiglion.  e  come  ancelle 
Ti  tergon  Y  onde  il  piede.  — 
Sul  tuo  bel  cielo  un  mite  sol  risplende, 
E  i  liti  un'  aura  tiede, 
'Ve'  un  di  redian  dei  venti  in  sulle  penne  j 

Onuste  di  tesor  le  patrie  antenne.  ! 

Cinta  di  fiori,  e  in  veste  ornata  e  eletta  i 

Qual  sposa,  che  all'  altare  j 

Beata  incede,  il  Tuo  Signor  aspetta  :  ; 

Dei  tìgli  ti  circonda,  ! 

In  cui  r  antica  lealtà  si  pare; 

Mostra  la  nobil  fronda,  , 

Ver  cui  del  Tempo  nulla  può  1'  oscura  < 

Ala  —  Palladio  nella  tua  sventura.  | 

Mostra  de'  figli  tuoi  la  balda  schiera,  i 

DiGli  che  braccio  e  cuore  i 

Son  sacri  a  Lui  —  diGli,  che  la  bandiera  | 

D*  Asburgo  e  di  Lorena  • 

Fia  Labaro  per  noi,  e  dell"  onore 

Sui  campi  ardire  e  lena  i 

Ispirerà  —  di'  che  incrollabil  sede  ; 

Locò  nel  nostra  sen  l'  avita  fede.  I 

Spiega  i  vanni,  Epidauro,  e  inneggia  a  Lui  —  J 

„ Scendete  giù,  scendete,  i 

Mostri  marini  nei  profondi  e  bui  1 

Antri  dell'  Oceano, 

Torni  il  sorriso  al  ciel,  e  la  quiete  | 

Ai  flutti.  —  È  pur  insano  | 

Contro  i  fati  lottar!  la  nostra  spene  , 

Dio  clemente  compì  —  Cesare  viene.  | 

Avventurosa  nave!  a  te  seconda  i 

Sia  r  aura,  il  sole  indori  | 

Le  tue  vele,  e  ti  baci  amica  V  onda;  i 

Nereì'di  festose 

Scherzin  intorno  a  te  con  danze  e  amorì. 
Scherzili  intorno,  e  mezzo  ascose 


137 


Facendo  al  bianco  sen  dell'  alghe  un  velo 

Di  dolcissimi  canti  empiano  il  cielo. 
Vieni  Cesare,  vieni  —  oh  quanto  affetto 

T'  aspetta  qui  !  grandeggia 

Nobile  cuor  de'  figli  miei  nel  petto, 

Ove  all'  amato  Sire 

Ersero  riverenti  Altare  e  Reggia: 

Vieni,  e  ogni  lor  desire, 

Fia  pieno  —  a  Te  che  degli  Dei  se'  dono 

Dei  popoli  r  amor  consacra  il  trono. 
Immemore  di  sé,  diseredato 

Giaceva  —  e  Tu  dicesti: 

Sorgi,  popolo  mio  —  ed  il  passato 

Del  nulla  nell'  abisso 

Qual  lampo  disparì  —  dritti  gli  desti, 

Ed  ei  che  già  fìi  visso 

Nei  tempi  muti  di  luce,  possente 

L'  alito  che  spirasti  in  Lui  or  sente. 
E  se  tua  destra  un  dì  la  spada  avita 

Del  Gran  Rodolfo  impugna. 

De'  miei  figli  vedrai  la  schiera  ardita, 

Di  questa  terra  figli, 

Come  leon  lanciarsi  nella  pugna; 

Fra  i  marzìal  perigli 

Squarciato  il  fianco  li  vedrai  morire 

A  piedi  Tuoi  benedicendo  al  Sire.  — 
I  tuoi  Cesari  un  dì  vedevi,  o  Roma, 

Correr  il  domo  mondo 

D'  insanguinati  allór  cinti  la  chioma 

E  la  destra  fatale 

Curvar  la  fronte  ai  Re,  e  sotto  il  pondo 

Del  carro  trionfale 

Le  corone  spezzar,  e  folgorando 

E  popoli  e  città  strugger  col  brando. 
Eccelso  Sire!  o  Tu  che  tanti  pegni 

Ci  desti  del  Tuo  amore, 

E  qual  Prence  suoi  cuor  e  Padre  regni, 

Quel  lauro  ognor  Ti  cinga 

Ch'  è  simbolo  di  pace,  e  mai  non  muore, 

E  sempre  più  si  stringa 


138 


Alla  sua  ombra  —  tanto  dir  son  oso  — 
Fra  il  Padre  e  i  tìgli  il  nodo  avventuroso. 
Della  tua  sorte  altera 

Ben  puoi  dirti  o  Canzon^  sol  che  d'  un  guardo 
Ti  degni  il  Grande  che  suir  Istro  impera. 

ZNAMEN    OVDJE 

U    SRCIMA    SPOMEN 

ÒESTITOGA     DNEVA 

09TACE    NAM    DO    VIEKA. 


Termniata  la  visita  del  Ginnasio  Sua  Maestà  si  recò  nella  chiesa  di 
S.  Ignazio  ;  indi  nell'Ospitale  Militare,  una  volta  Collegio  raguseo,  poi 
alle  scuole  popolari  fennninili,  e  quindi  alle  carceri  civili.  Visitò  di  poi 
il  Duomo  esaminando  con  molto  interesse  il  ricchissimo  reliquiario. 

A  mezzo  giorno  era  il  dejeuner  imperiale;  ed  alle  2  pom.  visitò 
il  Preparandio  femminile  e  X  Orfanotrofio  presso  le  ancelle  di  Ca- 
rità nel  sobborgo  Pillo.  Ed  in  questa  circostanza  Sua  Maestà  usò 
un  particolare  tratto  di  Sovrana  degnazione  verso  la  Superiora  di 
quel  convento,  ]\Iadre  Celeste  Maria  Brilli,  cui  volle  personalmente 
visitare  nella  cella,  per  esse)*  stata  gravemente  ammalata;  anzi, 
passata  a  miglior  vita  alcuni  giorni  dopo,  si  degnò  da  Vienna  far 
pervenire  a  mezzo  del  Consigliere,  Capitano  Distrettuale,  Cavaliere 
Reèetar,  le  proprie  condoglianze  alle  religiose  di  quel  convento, 
permettendo  che  la  defunta  venga  tumulata  nella  loro  chiesa. 

Alle  tre  ore  si  recò  a  Gravosa  per  assistere  al  varamento  del 
„Dvanaesti  Dubrovaòki",  nave  dell'  Associazione  marittima  ragusea, 
la  più  grande  fino  a  queir  epoca  fra  i  bastimenti  costrutti  sui  can- 
tieri austriaci,  nonché  fra  quelli  dell'  intera  Marina  austriaca.  Il 
legno  era  veramente  bello,  misurava  195  piedi  di  lunghezza,  e  36 
in  larghezza,  della  portata  di  27,000  staja,  e  di  tonnellate  di  regi- 
stro 1300,  provvedutto  di  una  grua  a  vapore,  e  costruito  secondo 
i  più  recenti  modelh  americani. 

Al  bastimento  in  quel!'  occasione  era  appesa  la  seguente  iscrizione  : 
Svud  ce  me  sreca  sretati, 
Morskieh  me  cuvat  vaia, 
Jer  sani  pred  Careni  cestiti m 
S  nasih  se  rinuo  èalà. 

Che  tradotta  corrisponderebbe: 

Ovunque  compagna 
La  sorte  mi  guidi 


139 


Mi  salvi  dair  ire 
De' flutti  malfidi; 
Che  innanzi  all'  Augusto 
Monarca  adorato 
Da  queste  mie  sponde 
Io  venni  varato. 

Le  rive  di  Gravosa  e  di  Lapad,  le  case,  i  bastimenti,  che  si 
trovavano  nel  porto,  erano  stipati  di  gente,  specialmente  di  dame. 
Il  tempo  era  bellissimo,  sebbene  soffiasse  vento  fresco. 

L'  arrivo  dell'  Imperatore  venne  salutato  da  entusiastiche  accla- 
mazioni della  folla.  Le  dame  agitavano  i  fazzoletti  e  spargevano  i 
fiori,  mentre  a  bordo  della  Cannoniera  Mowe  la  banda  militare 
suonava  V  inno  dell'  Impero. 

Sua  Maestà  prese  posto  nel  magnifico  padiglione  appositamente 
eretto  sullo  squero  per  cura  dell'  Associazione  Marittima,  ornato  in 
rosso  e  cilestro  a  festoni  d' oro ,  intrattenendosi  affabilmente  col 
signor  De-GiuUi,  presidente  della  Società. 

Al  momento  solenne  subentrò  il  silenzio  dell'  aspettazione  ;  ma 
quando  il  colosso  cominciò  a  scivolare  e  scender  nel  mare,  gli 
urrah,  gli  èivio,  i  fazzoletti,  i  cappelli;  le  musiche,  tutto  si  mise 
in  moto. 

L' Imperatore  soddisfatto  lodò  il  proto  Natale  Bradicic,  e  permise 
che  il  cantiere  portasse  in  seguito  il  nome  di  „C autiere  Fran- 
cesco Giuseppe." 

Dopo  il  varamento  il  programma  segnava  una  gita  alla  valle 
d'  Ombla. 

„È  uno  de'  quadri  più  pittoreschi  che  io  abbia  mai  veduto ,  e 
„nello  stesso  tempo  de'  più  singolari  —  scrive  il  gentile  corris- 
^pondante  dell'  Osservatore  Triestino.  —  Quando  entrate  nel  fiume 
„d' Ombla,  abbastanza  largo  alla  foce,  v'immaginate  che  a  rimon- 
„tarlo  ci  vorranno  dei  giorni  ;  invece  dopo  una  mezz'  ora  il  gran 
„ fiume  è  finito.  Vi  si  presenta  di  fronte  un  enorme  masso  che 
^chiude  la  via  a  noi,  l'apre  invece  all'acqua,  che  ne  sgorga  con 
„un  capitale  di  forza  motrice,  della  quale  l'industria  ragusea  ha 
«approfittato,  stabilendovi  dei  molini  da  grano  ed  olio.  In  mezzo 
„al  fiume  un  isolotto  sepolto  fra  canneti  e  vinchi ,  alle  sponde  V  aloè, 
„la  palma ,  il  mirto ,  il  rosmarino ,  V  alloro ,  il  cipresso ,  il  fico, 
„r  olivo;  qua  e  là  qualche  casa  abitata,  qua  e  là  de' palazzotti,  dei 
„ quali  non  esistono  più  che  i  muri  di  cinta;  tutto  il  resto  distrutto 


Ito 

„ed  incendiato  da  una  invasione  russo- niontenegrina  contro  i  fran- 
„cesi,  clic  al  cominciar  del  secolo  tenevano  occupata  Ragusa." 

„Anc]ie  qui  attendevano  V  Imperatore  un  arco  trionfale  in  ver- 
„dura  ed  una  folla  ili  gente  acclamante.  L' Imperatore  visitò  atten- 
„taniente  gli  stabilimenti  industriali,  e  rinunziando,  per  brevità  di 
„tenipo,  allo  spettacolo  ili  una  pesca,  fìi  verso  le  ore  b^j^  di  ritorno 
„a  Ragusa."  * 

L'Imperatole  indi  si  portò  al  forte  Annunziata,  quindi  tornò  via 
di  Gravosa  in  città,  entusiasticamente  acclamato. 

Alle  G  ore  vi  fìi  il  dhier  imperiale,  a  cui  vennero  invitati  DrviS- 
pasa,  colla  dei)utazioue  turca,  e  diverse  persone  notabili  del  paese. 
Drvis-pasa  sedeva  alla  destra  dell'  Imperatore  e  comi)arve  decorato 
del  cordone  della  Gran-croce  delF  Ordine  di  Leopoldo,  che  l'Impe- 
ratore gli  avea  conferito  jer  V  altro  (29  aprile).  Tutto  il  seguito 
venne  pure  decorato,  fra  cui  il  colonello  maestro  di  cerimonie  e 
primo  ajutante  del  pasa  Aziz-Bey  ottenne  la  Corona  Ferrea  di  II  classe. 

Alla  sera  il  teatro  splendidamente  illuminato  a  giorno  e  con 
squisito  gusto  decorato,  accoglieva  quanto  di  distinto  noverava 
Ragusa.  L' Imperatore  dalla  residenza  al  teatro,  era  accompagnato 
con  torcie  dai  membri  della  società  Operaja  e  di  quella  del  Pro- 
gresso, ed  entrava  nel  teatro  alle  8  ore.  Si  scatenò  allora  una 
vera  tempesta  di  ìì\ìo,  e  l' inno  dell'  impero  dovette  esser  ripetuto. 
Nel  palco  imperiale  era  pure  Drvi.s-pasa.  La  serata  fìi  veramente 
splendidissima.  Il  teatro  abbencliè  jxirè  era  gremito  di  scelto  pub- 
blico ,  fra  cui  le  dame  in  brillanti  toilettes ,  molta  ufficialità  turca 
e  russa  in  smaglianti  uniformi,  presentavano  un  magnifico  aspetto. 

La  bravissima  compagnia  drammatica  croata  del  teatro  nazionale 
di  Zagabria,  composta  di  2G  persone,  che  espressamente  si  era 
portata  a  Ragusa  per  queir  occasione,  dietro  iniziativa  del  Comune, 
e  per  gentile  accondiscendenza  dell'illustre  Bano  Mazuranic,  rap- 
presentava la  commedia  „Million".  Dopo  un  ora  circa  Sua  Maestà, 
salutata  ancor  più  fragorosamente  che  all'  arrivo ,  si  restituì  alla 
sua  residenza,  anche  questa  volta  accompagnato  dalle  fiaccole. 

Oltre  alla  generale  illuminazione  della  città,  ripetuta  anche  quella 
sera  fu  pure  illuminato  il  borgo  Pille  e  Gravosa.  Tutti  i  basti- 
menti, la  squadra,  la  corvetta  russa,  erano  vagamente  illuminati. 
Bellissimo  fra  tutti  il  „Dvanaesti  Dubrovacki^  con  palloncini,  tutto 
all'  intorno  tre  ordini  di  bicchierini,  che  segnavano  le  linee  principali. 

'  Osservatore   Triestino  Nr.  102. 


141 

Il  gioiiio  seguente,  primo  maggio.  Sua  Maestà  si  occupò  di 
affari  di  Stato.  Alle  57-2  pom.  l'ambasciata  turca  venne  accolta  in 
udienza  di  congedo ,  e  quindi  fé  di  nuovo  parte  alla  tavola  impe- 
riale, a  cui  intervenne  questa  volta  anche  il  benemerito  e  distinto 
Capitano  distrettuale  Cav.  de  Resetar,  cui  una  lieve  indisposizione, 
suir  andamento  della  quale  i"  Imperatore  spesso  s' informava,  aveva 
impedito  fin'  allora  di  unirsi  al  seguito  imperiale. 

Alla  sera  ebbe  luogo  una  grandiosa  illuminazione  generale  a 
disegno  tricolore  della  città  e  borghi,  e  del  sovrastante  forte  Im- 
periale. Quattro  grandi  fuochi  di  cataste  ardevano  sul  monte.  Intanto 
sotto  le  finestre  della  residenza  imperiale  si  raccoglievano  ad  un 
ballo  nazionale  i  megliostanti  villici  di  Breno,  formando  un  ampio 
cerchio ,  tutto  all'  intorno  illuminato  da  una  fiaccolata  della  società 
„Dubrovacko  Radnicko  drustvo".  Una  folla  imponente  acclamava 
di  continuo  con  entusiasmo  il  monarca,  che  dal  verrone  della  resi- 
denza, per  quasi  mezz'ora  osservò  con  visibile  interesse  il  ballo. 
Al  suo  ritirarsi  scoppiarono  cosi  entusiastiche  le  acclamazioni,  che 
Egli  si  presentò  nuovamente  alla  finestra  per  ringraziare. 

Venne  chiusa  la  giornata  con  una  serenata  con  banda  militare, 
a  cui  tutta  Ragusa  prese  parte. 

Ai  due  dì  maggio  tutt'  era  già  pronto  per  dare  ancor  una  volta 
una  solenne  testimonianza  di  aiì'etlo  all'augusto  ed  amato  Monarca, 
che  dopo  udita  una  s.  messa,  celebrata  dal  Mons.  Vescovo  in 
Duomo,  dovea  partir  per  Cattaro. 

Il  congedo  non  fu  meno  entusiastico  e  connuovente  del  ricevi- 
mento. Sua  Maestà  prese  commiato  alle  7  ore  a.  m.  dalle  Autorità 
che  r  ossequiarono,  e  rese  grazie  di  nuovo  al  podestà  per  il  cordiale 
accetto,  e  si  degnò  rivolgere  le  seguenti  parole  al  Consiglio  Comu- 
nale: —  Ringrazio  infinitamente  tutti  questi  Signori 
della  cordiale  accoglienza  fattami,  e  mi  ricorderò  sem- 
pre de' pochi  giorni  passati  nella  loro  bella  patria.  — 

Accompagnato  quindi  dal  Podestà,  e  dal  Capitano  distrettuale, 
attraversò  la  città  fra  indescrivibile  entusiasmo  e  continui  zivio,  e 
recossi  in  carozza  a  Gravosa,  fra  le  salve  d'  artiglieria,  le  musiche, 
gli  èivio ,  r  agitar  de'  fazzoletti  senza  fine ,  accompagnato  sempre 
dall'  acclamante  folla. 

Il  cantiere  della  società  Marittima  avea  già  collocata  una  gran 
tabella  portante  il  nome  deirimperatore.  di  cui  gli  era  stato  per- 
messo fregiarsi. 

Sua  Maestà  sotto  il  padiglione  prendendo  commiato,  si  espresse 


in  ([uesti  teiniini  al  Podestà  Conte  Pozza:  —  Io  sono  grato 
(leir  eccellent(3  accoglimento  ricevuto  in  questa  città, 
ed  ai  sentimenti  di  fedeltà  ed  attaccamento  manifesta- 
tiMi.  Io  procurerò  di  venire  incontro  a  tutti  i  vostri 
bisogni,  e  Mi  sovverrò  dei  giorni  passati  in  questa  indi- 
menticabile città.  — 

Imbaicossi  (quindi  sul  „Miramar"  il  quale  issò  la  bandiera  im- 
periale ed  uscì  dal  porto  di  (iravosa;  e  dietro  ai  legni  che  sfilavano, 
r  aura  matutina  i)ortava  ancora  le  acclamazioni  della  folla  rimasta 
nel  porto 

Doppiata  la  punta  di  Lapad^  il  yacht  passò  dinanzi  a  Ragusa, 
che  con  nuove  salve  salutava  il  passaggio  imperiale;  e  rasentando 
l'incantevole  isola  di  Lacroma,  entrava  in  alto  mare,  dirigendosi 
alla  volta  di  Cattaro. 

Visitato  quel  distretto,  l' impeiatore  il  di  9  maggio  (domenica) 
partiva  a  cavallo  da  Castelnuovo  attraversando  il  tratto  di  Sutorina, 
dove  le  truppe  turche  Gli  prestarono  gli  onori  militari,  per  recarsi 
a  Canali,  contrada  orientale  di  Ragusa. 

Al  confine  di  Canali  —  Debeli  Brieg  —  giunse  alle  ore  5V2 
accompagnato  da  circa  400  bocchesi  in  ricchissimo  costume,  con 
alla  testa  il  Podestà  di  Castelnuovo.  Quivi  fu  ricevuto  dal  Podestà 
di  Ragusavecchia  ed  acclamato  da  un'  imponente  moltitudine  di 
Canalesi,  accorsi  con  bandiere  da  tutte  le  parti,  e  che  servirono 
di  guardia  d'  onore  sino  a  Ragusavecchia. 

Arrivato  a  Grudda,  si  recò  in  chiesa,  ed  indi  in  quella  canonica 
per  fare  il  dejeimer.  Partito  di  poi,  accompagnato  da  circa  800 
canalesi  armati,  sotto  il  villaggio  di  Obod  venne  salutato  il  di  Lui 
passaggio;  ed  alle  ore  Ila.  m.  arrivò  presso  Ragusavecchia. 

Dinanzi  1'  arco  trionfale  preparato  dal  Comune,  su  cui  era  appesa 
un'  iscrizione  itaUana,  il  podestà  lesse  V  omaggio  ;  dopo  di  che  gli 
astanti  canalesi  proruppero  in  fragorose  acclamazioni.  Le  case  e 
barche  di  Ragusavecchia  erano  quasi  tutte  pavesate  a  festa  con 
drappi  e  svariate  bandiere,  fra  le  quali  la  tricolore  in  massimo 
numero.  Dall'arco  fino  alla  chiesa  12  fanciulle  vestite  in  bianco 
con  ornati  nazionali-slavi,  disposte  in  doppia  fila,  spargevano  de'fiori 
avanti  la  Maestà  Sua.  Dalle  porte  di  Ragusavecchia  fino  alla  chiesa 
gli  abitanti  di  Ragusavecchia  salutavano  Sua  Maestà  con  fragorosi 
zivio,  e  così  seguì  per  tutta  la  borgata.  In  chiesa  venne  cantato 
r  inno  imperiale  in  slavo ,  accompagnato  dall'  organo.  Dalla  chiesa 
Sua   Maestà   si   recò   a   visitare   la   scuola   popolare.  esprimiMido  la 


U3 

Sua  soddisfazione.  Andò  indi  al  Giudizio,  ove  ricevette  il  Clero,  le 
Autorità,  ed  il  Consiglio  Comunale.  Dal  Giudizio  si  recò  alla  chiesa 
dei  Francescani,  e  quindi  col  lancione  imperiale  si  recò  a  bordo 
del  „Miramar". 

Il  Vapore  „ Adria"  del  Lloyd,  che  in  quella  circostanza  fìi  a  dis- 
posizione del  Comune  di  Ragusa^  venne  quel  giorno  a  Ragusa- 
vecchia  con  circa  400  passeggieri  tra  signori  e  signore,  fra  i  quali 
le  prime  notabilità  di  Ragusa,  onde  ossequiare  di  nuovo  Sua  Maestà 
col  èivio,  ed  accompagnarLa  fino  ad  un  certo  tratto  verso  Meleda. 

I  ragusavecchiani  poi  imbarcatisi  sopra  due  barche  grandi  di 
traghetto,  accompagnarono  il  Monai'ca  fino  al  Yacht,  salutandolo  ed 
accomiatandosi  col  „zivio  nas  kralj  Frane  Josef!"  Sua  Maestà 
rispose  ovunque  benignamente  al  saluto. 

II  passaggio  del  yacht  imperiale  dinanzi  a  Ragusa  fu  da  tutti  i 
forti  salutato  con  salve  di  artiglierie. 

La  mattina  dei  10  maggio  alle  ore  7  Sua  Maestà  fu  nel  Porto 
Palazzo  di  Meleda  ossequiata  da  quella  rappresentanza  Comunale, 
dal  Clero,  e  dagli  impiegati  forestali;  quindi  si  portò  a  visitare  il 
convento  una  volta  benedettino,  e  ritornò  poscia  a  bordo,  ove  si 
degnò  permettere  che  fosse  recato  il  prodotto  di  una  pesca  allora 
fatta,  e  poco  stante  partiva  per  Orebici. 

Alle  10  ore  il  „Miramar"  dava  fondo  sotto  Orebic.  Ad  incontrarlo, 
pochi  momenti  prima  si  posero  in  moto  due  lunghe  file  di  barche 
montate  da  robusti  rematori  e  pavesate  con  bandiere  e  segnali. 
Fra  esse  primeggiavano  le  barche  di  Kuciste,  adobbate  con  finis- 
simo gusto  e  disposte  con  buon  ordine  ed  armonia. 

Fra  entusiastiche  acclamazioni  ed  interminabili  zivio,  e  tra  le 
salve  dei  cannoni  del  bark  della  Società  „ Adamo",  ancorato  espres- 
samente a  questo  fine,  venne  ricevuta  Sua  Maestà  da  un'  immensa 
folla  di  popolo. 

Sul  nuovo  molo  ergevasi  un'  elegante  scalinata,  coperta  di  finis- 
simo tappeto  di  panno  verde,  con  passamano  di  veluto  di  seta 
rossa.  Lungo  tutto  il  molo,  che  misura  100  Klafter  in  ostro  tra- 
montana, erano  piantate  a  piccole  distanze  delle  grandi  aste  con 
bandiere,  ed  una  colossale  dirimpetto  alla  scalinata.  Alla  radice 
del  molo  era  stato  eretto  un  elegante  e  sontuoso  padiglione  di 
forma  ottagona  in  velluto  di  seta  rosso-bianca,  con  frangie  d'  oro, 
sormontato  dall'  aquila  imperiale,  ed  air  ingiro  decorato  con  scudi, 
armi,  bandiere,  ecc.,  con  pavimento  ricoperto  di  finissimo  panno 
verde.  Il  tratto  della  scalinata  al  padighone  12  fanciulle  riccamente 


J 


144 


jihbigliate.  metà  in  costumo  n«izioiuile,  raltrii  metà  alla  civile,  con 
eleganti  Canestrini,  attendevano  Sua  Maestà  per  cospargergli  di  fiori 
il  passaggio. 

Air  allocuzione  del  Podestà  Cav.  Dr.  (liovanni  Ivanisevié,  Sua 
Maestà  si  degnò  di  ris})ondere  in  questi  termini:  —  „Ag gra- 
disco pienamente  l'omaggio  eh'  Ella  Mi  offre  a  nome 
di  questa  popolazione.  —  Con  piacere  visito  questo 
Comune,  dal  quale  è  sortito  un  potente  impulso  allo 
sviluppo  della  marina  mercantile  nazionale.  —  Per- 
severino nel  loro  intento,  e  sieno  sicuri  della  Mia 
Sovrana  grazia  e  benevolenza." 

Poco  discosto  dal  padiglione  ergevasi  un  bellissimo  e  grande  arco 
trionfale,  e  lungo  Orebici  altri  sei,  tutti  con  opportune  ed  addattate 
decorazioni,  iscrizioni,  ecc.,  nel  mentre  da  un  capo  alF  altro  del 
paese,  lungo  la  paite  destra  della  strada  principale  di  Orebici, 
erano  stati  costruiti  altissimi  festoni  di  mirto  con  archi,  decorati 
ognuno  con  orifìamme,  bandieri,  scudi,  emblemi,  fiori,  che  stende- 
vansi  per  circa  V4  di  miglio 

Fra  il  primo  ed  il  secondo  arco  trionfale  alla  destra  della  strada 
che  dovea  percorrere  Sua  Maestà,  era  stato  improvvisato  un  giar- 
dino pubblico,  riccamente  fornito  di  ogni  varietà  di  piante,  il  quale 
faceva  leggiadro  complemento  alla  orgogliosa  vegetazione  che  pre- 
senta Orebic  per  molte  miglia  di  distanza  senza  interruzione. 

Non  vi  era  stabilimento,  casa,  contrada,  che  non  fossero  sfarzo- 
samente addobbati  con  strati,  arazzi,  bandiere,  orifìamme,  fiori  ed 
iscrizioni,  che  dava  alla  borgata  —  nota  per  la  ^-egolarità  delle 
sue  contrade .  V  eleganza,  il  buon  gusto  e  la  comodità  delle  sue 
case  e  de'  suoi  giardini  —  un  insolito  aspetto  di  festa  e  di  esul- 
tanza. Alle  bandiere  imperiali  era  unito  gran  numero  di  nazio- 
nali slave. 

Dopo  il  primo  arco  trionfale  faceva  spalUera  un'  eletta  schiera 
di  60  fra  capitani  e  tenenti,  i  quali  costituivano  la  guardia  d'  onore. 

Sua  Maestà  quindi  dopo  V  omaggio  ricevuto  dal  podestà,  fra 
entusiastiche  acclamazioni  del  popolo  si  avviava  alla  Sovrana  Re- 
sidenza, nel  beir  edificio  dell'  ^Associazione  Marittima"  che  grazio- 
samente aveva  aggradito,  e  che  fu  convenientemente  addobbato. 

Davanti  alla  Residenza  attendevano  40  belle  ed  eleganti  ragazze 
delle  primarie  famiglie  di  Sabioncello,  tutte  vestite  in  costume  na- 
zionale, le  quali  ebbero  V  alto  onore  di  salutare  S.  M.  nel  Suo 
ingresso  alla  residenza.    Quivi  ebbe  luogo  il  ricevimento  del  Clero 


145 

regolare  e  secolare,  delle  autorità  e  corporazioni.  In  quell'  occa- 
sione la  Direzione  dell'  «Associazione  Marittima  di  Sabioncello'* 
umiliò  preghiera  a  S.  M.  perchè  permettesse  che  il  nuovo  cantiere 
sociale,  posto  a  èuplji-Kamen  di  Orebici,  portasse  il  nome  di  Sua 
Altezza  Imp.  il  Serenissimo  „A  rei  duca  Rudolfo";  lo  che  fu 
anche  graziosamente  accordato. 

Finite  le  presentazioni  il  Monarca  conducevasi  attraverso  una 
folla  festante  ed  acclamante,  a  visitare  V  i.  r.  Giudizio  e  le  carceri, 
indi  la  Scuola  maschile,  dove  degnossi  di  esprimere  la  Sua  piena 
soddisfazione,  nonché  parole  di  encomio  ed  incoraggiamento.  Dalla 
Scuola  si  portò  alla  Chiesa  Parrochiale,  che  esternamente  portava 
le  insegne  nazionali,  colla  bandiera  imperiale  sormontante  tutto 
r  addobbo,  ricco  di  magnifici  quadri  con  iscrizioni  d'  occasione  ;  e 
neir  interno,  elegantemente  addobbata,  aveva  il  trono  in  seta  bianco- 
gialla,  sormontato  dal  baldacchino  in  velluto  rosso  con  frangie 
d'  oro,  ed  al  di  sopra  dell'  aitar  maggiore  sotto  una  corona,  spica- 
vano  le  parole:  „Bog  mi  Te  pozivio."  Quivi  l'attendeva  il  clero, 
ed  al  Suo  venire  intuonò  il  Te  Deum. 

Si  recò  indi  alla  Scuola  femminile,  ove  una  fanciulla  gh  presentò 
un  elegante  bouquet  di  camelie,  accompagnato  da  breve  omag- 
gio. Fatte  esaminare  alcune  ragazze,  S.  M.  esternò  il  suo  aggra- 
dimento. 

Si  recò  di  poi  al  nuovo  Cantiere  della  Società  coli'  imperiale 
lancione,  dove  venne  accolto  con  acclamazione  dalla  maestranza 
del  cantiere;  ed  assistette  all'  impianto  della  aste  del  31.  naviglio 
sociale  ,^Ruben". 

Ritornato  a  bordo  del  „Miramar"  salutato  entusiasticamente  dalle 
rive,  da  navigli,  e  dal  cantiere,  verso  1  ora  pom.  partiva  per 
Curzola,  seguito  dal  vaporetto  «Concordia",  a  bordo  del  quale 
attrovavasi  il  consiglio  comunale,  nonché  da  numerosissime  bar- 
chette. 

Alla  sera  tutta  la  riviera  di  Sabbioncello  era  splendidamente 
illuminata,  e  dava  al  canale,  per  una  lunghissima  estesa,  un  aspetto 
veramente  incantevole. 

Poco  stante  Sua  Maestà  arrivò  a  Curzola,  ove  ebbe  pure  entu- 
siastica accoglienza.  Alle  tre  ore  di  mattina  del  dì  seguente  da 
Curzola  partì  per  Trappano,  ove  giunse  alle  5.  Il  paese  formico- 
lava di  gente,  oltre  6000  persone  alla  riva  ed  in  mille  barchette, 
disseminate  nel  porto,  unanimi  acclamavano  il  re  e  la  reale  fa- 
miglia con  interminabili  zivio. 

10 


14G 

Air  ingresso  del  poito  stavano  sfilate  più  di  cento  barche  con 
fuochi  e  bandiere,  facendo  continue  salve.  Tutti  i  moli  imbandie- 
rati, adorni  di  svariati  festoni  ed  iscrizioni.  Sul  bacino  Alber 
sventolava  una  fiammola  lun^ia  da  oltre  80  piedi.  Tutti  gli  sco- 
glietti  pitturati  ed  imbandierati,  e  la  scogliera  delle  „Due  so- 
relle" trasformata  letteralmente  in  una  finta  nave  corazzata,  con 
366  bandiere  di  poppa,  con  101  colpo  di  cannone,  e  con  fragorosi 
n^ivio"  e  „dobro  dosao"  di  50  mannai  schierati  sulle  arborate. 
La  lancia  di  Sua  Maestà  passava  indi  fra  due  file  di  barche  pa- 
vesate con  bandiere  ed  adorne  di  mirto,  con  fuochi  pescherecci 
accesi  alle  prove.  Erano  pescatori  che  volevano  così  festeggiare 
r  augusto  Ospite. 

Sua  Maestà  sbarcava  al  molo  della  Società  sopra  apposita  gra- 
dinata, coperta  di  tappeti  al  pan  di  tutto  il  molo,  chiuso  da  filari 
di  festoni  imbandierati  con  insegne  tricolori  slave  ed  austriache. 
Alla  parte  destra  eravi  un  magnifico  padiglione  coperto  di  velluto 
e  scarlatto  con  colori  slavi,  sormontati  dall'  Aquila  imperiale.  Qui 
Sua  Maestà  accolse  gli  omaggi  del  podestà  Stefano  Dr.  Ferri  pre- 
sentatiGh  in  lingua  slava.  Nello  scender  dal  padiglione  la  vispa 
fanciulla  Teresa  di  G.  Nessanovic,  circondata  da  24  ragazze  vestite 
tutte  alla  nazionale,  con  canestri  di  fiori  al  braccio  per  cospergervi  le 
vie,  presentava  a  Sua  Maestà  un  elegante  bouquet,  con  appropriate 
parole  in  lingua  slava.  Lieto  il  Monarca,  gradito  il  dono,  le  ri- 
spose anche  in  islavo  le  precise  parole:  „Hvala  mnogo  na  Iju- 
bavi  i  cvijeéu." 

Dal  monte  Gradina  venivano  fatti  poi  101  colpo  di  cannone. 
Tutte  le  campane  suonavano  a  festa  e  Sua  Maestà  faceva  V  in- 
gresso trionfale  a  Trappano,  sempre  acclamato  da  interminabih  èivio. 

Oltre  2500  bandiere  slave  ed  austriache  sventolavano  nel  solo 
porto,  ed  altrettante  nelle  principah  vie  della  borgata.  Tutti  i  56 
magazzeni  disposti  in  fila,  che  servono  a  deposito  di  merci,  erano 
ornati  sforzosamente  con  damaschi,  bandiere  e  fiori  ecc.  Fra  ac- 
clamazioni entusiastiche  V  Imperatore  si  recava  alla  chiesa  a  passo 
lento,  mentre  erano  stipate  tutte  le  vie  di  popolo,  che  volea  bearsi 
della  reale  presenza.  Da  qui  si  recò  al  Comune,  ove  Gli  si  pre- 
sentò il  Clero,  il  Deputato  Sanitario,  il  Ricevitore  Doganale,  il  con- 
siglio Comunale,  e  le  rappresentanze  Comunali  di  Cunna,  e  Ja- 
gnina,  e  da  ultimo  il  ceto  connnerciale  della  borgata.  Sua  Maestà 
espresse  benevoh  parole. 


147 

Sua  Maestà  quindi  si  portava  per  la  borgata,  tutta  adorna  sfar- 
zosamente/ e  ne  rimase  molto  soddisfatto.  Dopo  un'ora  e  28 
minuti  di  sosta  s' imbarcò  sul  yacht,  accompagnato  da  continue 
ovazioni,  rendendo  grazie  al  Podestà  per  la  festosa  e  cordiale  ac- 
coglienza. 

Oltre  a  tante  grate  memorie,  e  copiose  largizioni  per  diversi 
istituti  e  scopi  pii,  Sua  Maestà  graziosissimamente  degnavasi  in 
quella  fausta  circostanza  di  mostrarsi  liberale  con  onorifiche  di- 
stinzioni verso  parecchie  persone  le  più  cospicue  di  Ragusa  e  suo 
circondario. 

Conferì  la  dignità  di  Consigliere  intimo  al  membro  del  Con- 
siglio dell'  Impero,  Savino  conte  de  Giorgi,  la  Croce  di  Cavaliere 
dell'Ordine  di  Leopoldo  al  Podestà  di  Ragusa  Raffaele  conte 
Pozza;  e  l'Ordine  della  corona  di  Ferro  di  III.  classe  a 
Francesco  Barone  Ghetaldi  de  Gondola;  la  croce  di  Cavaliere 
di  Francesco  Giuseppe  poi  a  Nicolò  Amerling,  commerciante 
in  Alessandria  d' Egitto,  a  Biagio  De-GiuUi  preside  dell'  Associazione 
marittima  ragusea,  a  Dr.  Stefano  Ferri  Podestà  di  Trappano,  ai 
canonici  Antonio  Copanizza  e  Matteo  Vodopié,  ed  a  Giuseppe  Pe- 
ricle direttore  del  Ginnasio  di  Ragusa.  Venne  conferita  la  Croce 
del  merito  a  Vincenzo  Adamo  vie  direttore  delle  Scuole  Civiche, 
a  Natale  Bradicid  proto  costruttore  presso  la  Società  marittima  di 
Ragusa,  a  Francesco  Martecchini  tipografo,  ed  a  Pietro  Mancion 
Presidente  della  Congregazione  Nazionale  Illirica  a  Roma.  Sua 
Maestà  poi  ebbe  ad  ordinare  che  fosse  espressa  la  Sovrana  sod- 
disfazione ai  Podestà  Giovanni  Grgurevió  di  Ombla,  Biagio 
Gluncié  di  Siano,  e  Marino  Rogje  di  Malfi 

Chi  ebbe  1'  onore  di  avvicinare  FRANCESCO  GIUSEPPE,  restò 
entusiastato  dalle  Sue  doti  di  mente  e  di  cuore,  e  particolarmente 
dal  Suo  nobilissimo  tratto  che  Gli  meritò  giustamente  il  titolo  di 
Imperatore  Cavaleresco.  Fu  buono,  fu  cortese,  fu  paziente 
con  tutti. 

Accolse  con  affetto  gli  omaggi  dei  grandi,  e  beneficò  con  muni- 
ficenza veramente  Sovrana  i  poveri  ed  i  bisognosi. 

*  Fra  le  altre  memorie  che  ricorderanno  sempre  a  Trappano  il  soggiorno 
reale  in  quella  borgata,  si  è  la  strada  in  linea  retta,  lunga  220  Klafter  che 
a  spese  della  medesima  venne  condotta  a  termine  con  tutte  le  regole 
dell'  arte,  in  pieno  ordine,  in  26  giornate,  e  dove  per  primo  pose  piede  S. 
M.  Con  gentile  pensiero  questo  magnifico  tronco  di  strada  fìi  chiamato 
„Kraljski  put". 


148 


La  chiesa  ravvisò  in  Lui  il  suo  protettore,  il  degno  rampollo 
(Iella  cattolica  Casa  d'  Asburgo. 

Onorò  la  virtù  ed  il  meiito,  e  con  belle  e  lusinghevoli  espressioni, 
che  si  vedevano  venire  da  un  cuore  veramente  da  Cesare,  ravvivò 
in  noi  la  sjìeranza  d'  un  avvenire  più  felice  per  la  cara  nostra 
patria. 

Imperitura  perciò  resterà  la  memoria  della  Sua  venuta  e  del 
Suo  soggiorno  fra  noi! 


I  IT  D  I  e  E. 


Pagina 

Dedica     Ili 

Prefazione V 

I.  Primordi,  sviluppo  e  caduta  della  repubblica  di  Ragusa 1 

IL  Governo,  legislazione  ed  amministrazione  pubblica 33 

III.  Cultura  e  civilizzazione 53 

IV.  Stato  attuale  di  Ragusa 67 

V.  Sua  Maestà  FRANCESCO  GIUSEPPE  I  a  Ragusa  e  nel  suo  territorio  116 


Errata.  Corrige. 

Pagina         Linea 

2  5  di  sua  esistenza.      ...  di  sua  politica  esistenza. 

7  21  iettare lottare 

8  3  avebbero     avrebbero 

12  1  discorpie discordie 

18  14 — 15  pro-promettendo  ....  promettendo                  ' 

21  1  ei dei 

81  12  avoto avuto 

46  18  450  miglia  quad 75 '/i  miglia  quad. 

61  3  altre oltre 

57      24 — 25  angichè anziché 

72  14  M.CCC  XXXV M.CCCC.XXXV. 

74  15  ad  altro od  altro 

94  37  auctos auctas 

95  16  perficiendae perficiundae 


5651)2^ 


/ 


DR  1545    .D8  S58   IMS 
Skurla.  Stjepan. 
Ragusa 


PONTI  Fi  e  AL.    INSTITUTE 
OK    MEDIAEVAL    STUDIES 

59     QUEEN'S     PARK 
"ÌO^OrsiTO      ^ì        C-ANADA'