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Full text of "Ramayana; poema indiano di Valmici. Testo sanscrito secondo i codici manoscritti della Scuola Gaudana"

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UNIVERSITY  OF  TORONTO 
LIBRARY 


WILLIAM  H.  DONNER 
COLLECTION 

purchased  from 
a  gift  by 

THE  DONNER  CANADIAN 
FOUNDATION 


RAMAYAN  \ 


\II 


LA   PRESENTE   EDIZIONE   SI  TROVA   DEPOSITATA 

ALLA     LIBRERIA 

DEL  SIGNOR  A.  FRAINCK 

SUCCESSORE    DEI    SIGNORI    BROCKHAUS    E     \\  l.\  \  l'.ll  S 

IN   PARIGI 

VIA     RICHEL1ED,     N"    ()() 


RAMAYANA 

POEMA   SANSCRITO 

DI  VALMICI 

TRADUZIONE  ITALIANA  CON   NOTE 

>VL  TESTO  DELLA  SCUOLA  GAUDANA 

PEK 

GASPARE  GORRESIO 

SOCIO     DELLA    REALE     ACCADEMIA    DELLE     SCIENZE    DI    TORINO 

CAVALIERE  DELL'ORDINE  DEL  MERITO  CIVILE  DI  SAVOJA 

OFFICIALE     DELLA    LEGION     D'  ONORE     DI     FRANCIA 

ECC. 


VOLUME  SECONDO  DELLA  TRADUZIONE 
SETTIMO   NELLA   SERIE   DELL'   OPERA 


PARIGI 

DALLA  STAMPERIA  NAZIONALE 

PER   Al  l'ORIZZAZIONE   DEL   GOVERNO 


M    DCCG    l.l 


PK 

36  5"/ 


PREFAZIONE. 


0 


PREFAZIONE. 

Nel  pubblicare  il  testo  sanscrito  de]  Ramàyana 
ho  delineato  a  mano  a  ninno  nelle  prefazioni  un 
sunto  intiero  di  questa  epopea.  Era  utile  il  farlo, 
affinchè  meglio  si  potesse  comprendere  ristretto  in 
picco!  quadro  I  ampio  tèma  di  questa  fastissima 
composizione.  Ma  perocché  non  tutti  coloro  alle 
cui  mani  potrà  venire  la  traduzione  del  Ramàyana, 
leggeranno  parimente  il  testo  sanscrito  e  le  prefa- 
zioni che  vi  si  riferiscono,  ho  «indicato  opportuno 
il  pubblicare  qui  raccolto  e  continuato  il  sunto  dell' 
epopea  che  si  trova  disperso  in  più  volumi  del  testo. 

Sulle  sponde  della  Sàrayu  si  stende  un  ampio  e 
bel  paese,  che  s'appella  dei  Cosali.  Ivi  è  situata  la 
nobil  città  d' Ayodhya,  regal  sede  di  Dasaratha , 
discendente  illustre  dell'  antichissima  stirpe  degli 
Icsvacuidi ,  re  fortunato,  caro  alle  genti  da  lui 
rette  e  circondato  da  ministri  accorti  e  saggi.  Da- 
saratha oramai  vecchio  e  privo  di  figli,  i  quali 
perpetuino  l'inclita  stirpe  ed  i  funebri  riti,  ordina 
con  grande  apparato  un  solenne  Asvamedha  o  sa- 
crifizio del  cavallo,  a  cui   presiede  il   pio   Risyas- 


n  PREFAZIONE. 

ringa  figlio  di  Casyapa,  già  abitatore  delle  selve 
donde  ei  venne  allontanato  con  arti  di  seduzione 
descritte  in  un  episodio  del  poema.  Sul  finir  del 
sacrifizio  incingono  le  tre  consorti  di  Dasaratha, 
e  maturati  i  parti  ne  nascono  quattro  figli,  por- 
zioni della  sostanza  di  Visnu ,  Rama,  Bharata, 
Lacsmana  e  Satrughna.  Tra  questi  primeggia  e 
risplende  il  valoroso  Rama,  gioja  ed  orgoglio  del 
padre,  delizia  delle  genti,  destinato  da  Brahma  e 
dai  Devi  corrucciati  a  distruggere  il  feroce  e  tra- 
cotante Piavano,  dominator  di  Lanka  (Ceylari)  e 
della  rea  semenza  dei  Racsasi.  Ed  acciocché,  ve- 
nuto il  tempo  della  gran  contesa ,  Rama  abbia 
pronti  possentissimi  ausiliarj  all'  impresa  che  si 
matura,  i  Devi  creano  una  generazione  d'  esseri  so- 
prannaturali, tremendi,  atti  a  scuotere  i  gioghi  de' 
monti,  a  squarciar  la  terra,  a  concitare  l'Oceano, 
che  usano,  invece  d'aste  smisurati,  tronchi  d'alberi 
divelti,  e  invece  di  projetti,  grandi  brani  di  rupi  '. 
Frattanto,  pervenuto  appena  Rama  al  suo  sedice- 
simo anno,  giunge  alla  reggia  di  Dasaratha  Visva- 
mitra  personaggio  venerato  e  temuto,  il  quale  nato 
nella    classe    dei   Csatri  o  guerrieri  s'innalzò   con 

1   'lutti    questi   esseri  ridotti  ;i   naturali  proporzioni  non   sono 
altro  che  schiatte  d'  uomini  montani  forti  ed  agguerriti. 


PREFAZIONE.  m 

inaudite  austerità  alla  dignità  di  brahmano.  Visva- 
mitra  chiede  a  Dasaratha  che  gli  conceda  per  breve 
tempo  Rama,  acciocché  ei   possa  recare  ad  effetto 
un  suo  sacrifizio,  die  gli   viene   turbato  assidua- 
mente dai  Racsasi,  ai  quali   Rama  solo  e  valevole 
a  resistere.   Dasaratha  sbigottito  prega,  sconcili ra 
Visvamitra  che  non  gli  tolga  Rama  giovanetto  an- 
cora ed  inesperto  delle  battaglie,  Rama  in  cui  sono 
concentrati  i   suoi  all'etti,   i  suoi  desideri,  le  sue 
speranze,  Rama  senza  cui  non  potrebbe  egli  vivere 
un  solo  istante.  S'offre  egli  stesso  coli' intiero  suo 
esercito  pronto  a  combattere  contro  i  Racsasi,  pur- 
ché  non   gli   venga  tolto  Rama,   oggetto  del   suo 
amore.  Tutto  è  indarno  :  Visvamitra  ricusa   ogni 
offerta,  né  vuole  con  se  altri  che  Rama;  e  Visva- 
mitra è  tale  personaggio  a  cui  non  si  può  resistere 
impunemente.  Dasaratha  adunque  è  l'orzato  a  con- 
cedergli il  suo  primogenito,  che  s'arma  immanti- 
nente di  tutto  punto,  ed  accompagnato  dal  fratello 
Lacsmana  suo  prediletto  si  mette  in  via  con  Vis\  a- 
mitra.   Al  partir  di  Rama  spira  un  vento  lene  e 
soave ,  cade  dal  cielo  una  pioggia  di  fiori ,  e  s'odono 
per  l'aria  concenti  di  timpani  e  di  tibie,  tripudi  e 
canti;   che  quell'  andata  di    Rama  è  un  principio 
dell'  imminente  guerra  contro  i  Racsasi.  Giunti  i  tre 


iv  PREFAZIONE. 

viatori  alla  riva  australe  della  Sarayu,  Visvamitra 
comunica  a  Rama  due  scienze  arcane,  che  debbono 
essergli  quali  egide  protettrici  ;  e  progredendo  olire, 
pervengono  essi  al  romitaggio  dell'Amore,  di  cui 
Visvamitra  narra  la  storia  al  giovane  guerriero,  poi 
alla  selva  infestala  dalla  terribile  ^  acsì  Tadaca,  in 
cui  è  forse  figurata  per  condensazione  mitica  qual- 
che genia  malvagia,  che  infestava  que  luoghi.  Di 
costei  racconta  Visvamitra  f  origine  e  i  misfatti  a 
Rama,  il  quale  azzuffatosi  con  essa  l'uccide,  e  ri- 
ceve allora  dal  brahmano-guerriero  il  dono  delle 
armi  misteriose.  Giungono  essi  infine  all'  eremo  per- 
fetto, dove  Visvamitra  protetto  da  Rama  contro  i 
Racsasi,  compie  senza  ostacoli  il  suo  sacrifizio.  In 
questo  mezzo  s'  era  sparsa  la  fama  d'un  grande  e 
solenne  sacrifizio,  che  apparecchiava  Ganaca  re  di 
Mithiia ,  ed  a  cui  debbe  condursi  \  isvamitra  con 
tutti  i  Mimi  abitatori  dell'  eremo  perfetto.  Nella  reggia 
di  Ganaca  sta  depositato  un  grand'  arco  maravi- 
glioso,  dono  di  Siva  a  Devarata,  il  qual  arco  nessuno 
ancora  è  stato  valevole  a  tendere  tra  quanti  vi  si 
provarono  giovani  principi,  desiderosi  d'ottenere 
la  bella  Sita  figlia  di  Ganaca,  destinata  sposa  a  colui 
che  potrà  incoccare  la  saetta  nell'arco  prodigioso. 
Visvamitra  invita  Rama  ad  andar  con  lui  alla  reggia 


PREFAZIONE.  v 

di  Ganaca  per  veder  quivi  il  celebre  arco  e  tentarne 
la  lesa.  Il  giovane  guerriero  s'avvia  dunque  con 
Visvamitra  e  cogli  altri  Mimi  alia  volta  di  Mithila. 
Qui  seguita  una  seri*1  di  più  capitoli,  ne' quali  \  isva- 
mitra,  quel  saggio  che  tutto  seppe,  viene  sponendo 
a  Rama,  durante  il  viaggio,  quante  tradizioni  stori- 
che, mitiche,  cosmogoniche  o  geografiche  si  riferis- 
cono ai  diversi  luoghi  che  attraversa  la  schiera  viag- 
giatrice. \  isvamitra  racconta  a  Rama  le  prische  me- 
morie della  terra  di  Vasu  e  di  Kanyakubga  l'odierna 
kanoge,  l'origine  della  sua  stirpe,  la  nascita  della 
Ninfa  Gange  e  della  Dea  Urna  figlie  dell' Himalaya , 
la  nascita  di  Kumàra  duce  dell'  esercito  celeste,  la 
progenie  di  Sagara,  il  suo  sacrifizio  e  la  mirabile 
discesa  del  Gange  sulla  terra,  l'Origine  dell'  Amrita, 
come  nacquero  da  Diti  i  Màruti  (i  venti),  la  serie 
dei  re  di  Visàla,  la  maledizione  proferita  da  Gau- 
tama  contro  Ahalya,  dalla  qual  maledizione  la 
sciolse  Rama.  Pervenuti  alla  reggia  di  Ganaca,  ed 
iterate  le  liete  accoglienze,  Satananda  maestro  dei 
riti  di  Ganaca  narra  a  Rama  in  un  lungo  episodio 
tutta  la  stupenda  storia  di  Visvamitra,  allineile  ei 
conosca  a  quale  grande  ed  eccelso  personaggio  egli 
sia  stato  affidato.  Ganaca  intanto  richiesto  da  Visva- 
mitra  ordina,   che  si   tragga   Inori    l'arco   di\ino, 


vi  PREFAZIONE. 

immenso,  il  quale  con  grande  siculo  e  fatica  viene 
quivi  portato.  Rama  lo  solleva,  lo  tende,  e  nel  ten- 
derlo lo  spezza  in  due  parti.  Il  frangersi  dell'  arco 
rende  un  suono  cosi  strepitoso ,  che  ne  cadono 
scossi  a  terra  quanti  si  trovano  colà  spettatori  di 
quella  mirabile  piova.  Al  giovane  domator  dell' 
arco  è  dovuta  ora  in  isposa  la  bella  Sita.  Celeri 
messi  annunziatori  dell'  evento  sono  inviati  imman- 
tinente a  Dasaratha,  il  quale,  udita  la  lieta  novella, 
s'avvia  da  V\odli\a  a  Mithila.  Quivi  giunto  ed  ac- 
colto con  grandissima  lesta  da  Ganaca  suo  vecchio 
amico,  rivede  egli  il  diletto  suo  Rama;  e  poco 
stante,  sposte  dall' una  parte  e  dall'altra  le  regali 
genealogie  ',  latti  i  doni  nuziali  e  il  sacrifizio  ai 
Mani,  si  compie  il  connubio  di  Rama  con  Sita,  di 

1  11  Sig.  Lassen  nella  sua  bella  e  dottissima  opera  Indische  Alter- 
tkumskande  (ersten  bancles  zweite  halite,  Anhang,  pag.  iv)  osserva 
che  nella  genealogia  solare  dei  re  d'  Ayodhya  qui  esposta  in  tale 
occorrenza,  la  recensione  Gaudana  dilungandosi  dalla  comune  tra- 
dizione, attribuisce  a  Manu  come  padre  Pracetas,  mentre  la  recen- 
sione boreale  fa  padre  di  Manu  Vivasvat  (il  sole),  e  che  inoltre  la 
recensione  Gaudana  tra  Rasyapa  e  Pracetas  aggiunge  agli  antenati 
di  Manu  Angiras  che  non  si  trova  nella  boreale.  Tutto  questo  è 
vero;  ma  nulla  si  può  da  ciò  inferire  contro  la  recensione  Gaudana. 
Gli  antenati  di  Manu,  di  cui  qui  si  parla,  non  sono  punto  per- 
sonaggi storici,  ma  mitici  e  cosmogonici;  sono  Demiurgi  o  coope- 
ratori di  Brahma  nella  formazione  degli  esseri;  onde  poco  importa 
che  ve  n'  abbia  tre,  due  od  uno  e  che  in  luogo  di  Vivasval  (il  sole) 


PREFAZIONE.  vii 

Lacsmana  con  Urmila  altra  fanciulla  di  Ganaca,  di 
Bharata  e  di  Satrughna  con  Mandavi  e  Srutakirti 
figliuole  di  Ctisadhvag'a  fratello  di  Ganaca.  Fatta 
colà  breve  dimora,  si  parte  per  tornare  ad  A  vo- 
ci liya  Dasaratha  con  Rama  e  Sita  e  con  tutta  la 
sua  gente.  Nel  mezzo  del  cammino  si  scorgono  im- 
provvisi per  l'aria  e  sulla  terra  presagj  paurosi; 
prorompe  un  gran  turbine,  il  cielo  s'abbuja;  ed 
ecco  ad  un  tratto  apparire  un  altro  Rama  figlio  di 
Gamadagni,  già  terror  della  casta  guerriera  men- 
trecch'  ei  visse ,  il  quale ,  udito  il  mirabile  latto  dell' 
arco  spezzato,  sorse  a  sfidar  Rama  a  battaglia,  offren- 
dogli a  tendere  un  altr'  arco  dono  di  Visnu,  più  pro- 
digioso ancora  del  primo.  I  Devi  s'  assembrano  per 
1'  aria  spettatori  di  quel  nuovo  cimento.  Tutta  la 
comitiva  è  muta  di  stupore  e  di  paura.  Il  giovane 

si  trovi  qui  Pracetas.  La  recensione  Gaudana  s1  è  qui  attenuta  ad  un  ' 
altra  tradizione  ed  ecco  tutto.  Ma  è  egli  poi  vero  che  la  tradizione, 
la  quale  fa  Manu  figlio  di  Vivasvat ,  sia  così  antica  ed  universale 
nell'India,  come  sembra  credere  il  Sig.  Lassen?  Nella  bellissima 
prefazione  al  volume  terzo  del  Bhàgavata  Puràna,  pag.  lix.  il  Sig. 
E.  Burnouf  scrive  :  «  Ce  que  je  puis  seulement  dire  aujourd'hui, 
«  e  est  que  je  ne  me  souviens  pas  d'avoir  rencontré  dans  le  Rigvèda 
«  un  seul  passage  où  le  Manu  soit  design  é  parie  titre  de  Vaivasvata 
«  (fils  de  Vivasvat) ,  tandis  quii  me  serait  facile  d'en  citer  un  certa  in 
«  nombre  où  ce  dernier  titre  est  applique,  cornine  d'ailleurs  il  doil 
<  Tètre,  au  Dieu  Yama,  le  fils  du  soleil  et  le  roi  des  morts.  » 
Queste  parole  meritano  (Tessete  qui  considerate. 


viii  PREFAZIONE. 

guerriero  scocca  dal  terribil  arco  la  saetta,  e  fuor- 
clìiude  a  Rama  Gamadagnio  le  vie  superne.  Il  ciclo 
si  riserena;  i  Devi  celebrano  per  l'aria  Rama  Dasa- 
rathide,  la  schiera  si  ravvia  e  giunge  ad  Avodhva 
tra  le  feste  e  il  giubilo  del  popolo  che  esulta.  Poco 
dopo  Bharata  ne  va  invitato  alla  reggia  d'Asvapati 
suo  avo  materno.  Qui  finisce  il  libro  primo,  l'Adi- 
kanda. 

Dasaratha  sente  oramai  avvicinarsi  il  fine  de'  lun- 
ghi suoi  giorni,  e  delibera  di  far  sacrare  Rama  con- 
sorte del  regno.  Quest  è  il  supremo  suo  desiderio, 
conseguito  il  quale,  ei  si  partirà  contento  di  quag- 
giù per  irsene  al  mondo  dei  Padri.  Egli  esplora 
la  mente  del  popolo,  da  cui  prorompe  unanime  un 
grido  d'assenso,  di  favore,  di  gioja.  Tuttavia  Dasa- 
ratha non  è  senza  arcani  timori.  Da  più  notti  egli 
è  Innestato  da  sogni  spaventosi ,  soliti  presagire 
sventure  ai  re;  e  gli  esploratori  degli  astri  gli  an- 
nunziano avversa  la  sua  stella.  Fa  egli  venire  a  se 
in  secreto  Rama;  gli  apre  i  suoi  pensieri,  i  suoi 
timori,  e  l'esorta  a  star  circospetto,  a  circondarsi 
d'amici  fidati,  ad  aver  I'  occhio  a  tutto.  Partitosi  dal 
padre  Rama  si  conduce  alle  scerete  stanze  della  ma- 
dre Causalya,  e  la  trova  nel  Larario  domestico  attor- 
niata da  Sita,  da  Lacsmana  e  da  Sumitra  sua  geni- 


PREFAZIONE.  i\ 

trice,  supplicante  Fausti  gli  eventi  al  caio  fìllio,  e 
meditante  intenta  il  sommo  Spirito.  Quivi  ella  il 
benedice;  poi  Rama  e  Sita  entrano  ne]  digiuno, 
che  il  maestro  dei  riti  Vasista  loro  prescrive  per  la 
prossima  consecrazione.  In  questo  mentre  s'adorna 
a  festa  la  città  d'Ayodhya;  s'inalberano  vessilli  in 
ogni  parte,  si  spargono  fiori  e  s'ardono  profumi; 
ogni  luogo  echeggia  di  canti  e  di  suoni;  d'ogni  in- 
torno s'aduna  popolo  in  Ayodhya;  principi  illus- 
tri vi  son  convenuti;  né  d'altro  si  ragiona  che  di 
Rama,  amore  e  delizia  delle  genti.  Gaiceyi  madie 
di  Bharata,  la  più  giovane  e  la  più  bella  tra  le  con- 
sorti di  Dasaratha ,  aveva,  nel  venirne  sposa  ad  Ayo- 
dhya, condotta  con  se  dalla  casa  paterna  una  domi;! 
sua  fidata  per  nome  Manthara,  gobba  e  deforme  di 
corpo,  di  maligna  e  rea  natura.  Costei  per  ignote  ca- 
gioni era  mortai  nemica  di  Rama,  e  dominata  da  rea 
ambizione  avrebbe  voluto  veder  Bharata  consacrato 
re,  perchè  ne  sperava  favore  e  grandezza,  siccome 
fida  e  devota  a  Caiceyi  madre  di  lui.  Veduto  dall' 
alto  della  reggia  l'  apparato  festivo  della  citta  per 
la  sacra  di  Rama,  ella  discende  immantinente  alle 
stanze  di  Caiceyi,  s  accosta  al  letto  di  lei  ancora  gia- 
cente; ed  Oh  !  esclama,  tu  te  ne  stai  senza  pensiero, 
o   malaccorta;  non  sai  tu  quale  immensa  sventura 


\  PREFAZIONE. 

li  sovrasta?  Dasaratha  debbe  oggi  far  sacrare  Rama 
re.  Caiceyi ,  eli»'  amava  Rama  quanto  Causalya 
stessa,  invece  di  mostrarsi  contristata,  si  rallegra 
di  quella  notizia,  e  toltosi  di  dosso  un  ricco  giojello, 
l' offre  come  premio  del  lieto  annunzio  a  Manthara. 
Ouì  sarebbe  lungo  il  dire  con  quali  arti  orribil- 
mente maligne  Manthara  abbia  cercato  di  solle- 
vare, di  travolgere  la  mente  di  Caiceyi,  Putto  ciò, 
die  può  commuovere,  esacerbare,  invelenire  un 
animo  femminile,  tutto  fu  detto  da  Manthara  per 
indurre  Caiceyi  a  rompere  il  disegno  latto  da  Da- 
saratha di  consecrare  Rama  re.  Questo  è  certamente 
uno  tra  i  bei  luoghi  del  poema.  Tanto  fece  adun- 
que, tanto  disse  Manthara,  che  Caiceyi,  sopra  cui 
pesava  inoltre  la  maledizione  d'  un  brahmano,  ri- 
mase come  affascinata  e  deliberò  d'impedire  la  sacra 
di  Rama.  Ma  in  qual  modo  venirne  a  capo?  Man- 
thara ne  trova  il  mezzo  bello  e  pronto.  ^Nella  guerra 
antica  dei  Devi  e  degli  Asuri,  Dasaratha  che  com- 
battè in  favore  dei  Devi,  venne  gravemente  ferito; 
talmente  che  n'ebbe  a  perdere  ogni  senso.  Caiceyi, 
che  l'aveva  seguitato,  fu  colei  che  lo  salvò  in  quel 
caso  estremo.  Dasaratha  riavutosi  tra  le  braccia 
di  Caiceyi,  compreso  da  riconoscenza  e  da  amore  le 
promise,   le   giurò   solennemente   che  le  accorde- 


PREFAZIONE.  \i 

rebbe,  quandunque  ella  il  richiedesse,  «lue  favori 
qualunque  ei  fossero.  Or  bene,  dice  Manthara, 
rammenta  ora  a  Dasaratha  il  suo  giuramento,  e 
chiedigli  i  due  lavori  promessi,  Y  uno  la  conse- 
crazione  di  Bharata  a  re,  f  altro  F  (esilio  di  Rama 
nelle  selve  per  quattordici  anni;  questo  tempo  sarà 
bastante  perchè  Bharata  si  consolidi  nel  regno. 
I  )etlo  latto  :  Caiceyi  entra  nella  camera  degli  sdegni , 
dove  usano  condursi  le  consorti  regali,  allorché  le 
stringe  qualche  grave  corruccio,  si  stende  in  squal- 
lida veste  sulla  nuda  terra,  ed  a  Dasaratha  accorso 
a  lei  per  consolarla  chiede  ostinata,  senza  udire, 
senza  voler  altro,  i  due  favori  promessi  con  giura- 
mento, la  consecrazione  di  Bharata,  l'  esilio  di  Rama. 
Dasaratha  è  stretto  come  una  vittima  devota  al  sacri- 
fizio; chiede,  implora,  scongiura,  prosterne  nella 
polvere  la  sua  venerabile  canizie  ;  ma  non  può  in  alcun 
modo  svincolarsi  dall'  inesorabil  volontà  di  Caiceyi. 
Non  v1  ha  scampo  a  quella  sventura.  Qui  non  im- 
prenderò a  narrare  i  lamenti,  i  pianti,  i  gridi  di 
dolore,  onde  risuona  ad  un  tratto  la  reggia  di  Da- 
saratha poc  anzi  sì  lieta,  il  duolo,  le  querele,  gli 
sdegni  di  tutta Ayodhya ,  i  rimproveri,  Tire  le  ese- 
crazioni contro  Caiceyi,  che  occupano  insieme  molta 
pailc  di  questo  libro.  Rama  intanto  fermo  nel  prò- 


\u  PREFAZIONE. 

posto  4i  non  voler  render  spergiuro  il  padre,  ordi- 
nati doni  alle  persone  più  a  lui  devote,  veste  insieme 
con  Sita  e  Lacsmana,  a  cui  dopo  molle  preghiere 
e  reiterati  rifiuti  ha  consentilo  che  vengano  con  lui 
compagni  del  suo  esilio,  veste,  dico,  gli  abiti  di 
penitente  e  s'avvia  esule  alle  selve,  lasciando  im- 
merse nel  dolore  ed  in  un  silenzio  (li  solitudine  la 
reggia  e  la  città.  Qui  si  descrive  il  mesto  cammino 
dei  tre  esuli  regali.  Gran  numero  di  cittadini  volle 
andar  loro  dietro  ;  ma  giunto  alle  rive  della  Tamasa , 
Rama  non  consentì  che  il  seguitassero  più  oltre. 
Pervenuto  alle  rive  del  Gange  accommiata  egli  pure 
Sumantra  fidato  auriga  e  bardo  insieme  di  Dasa- 
ratha,  che  per  ordine  del  re  l'aveva  condotto  sul 
più  splendido  tra  i  cocchj  regali.  Ora  i  tre  giovani 
esuli  Rama ,  Sita  e  Lacsmana ,  soli  per  ignote  regioni , 
tragittando  fiumi,  attraversando  foreste,  pervengono 
alfine  al  monte  Gitracùta,  dove  pongono  loro  di- 
mora. Infelice  Dasaratha  !  è  svanita  ogni  sua  gioia: 
un  solo  pensiero  incessante,  acerbo,  il  pensier  di 
Rama  lo  incalza,  lo  affanna,  lo  strugge.  Sul  finir 
d'  una  notte  insonne  voltosi  a  Causalya  che  gii  stava 
accanto,  così  le  parla  :  0  Causalya,  se  tu  vegli, 
come  vegT  io,  ascolta  quali  tristi  presagj  ,  quali 
acerbe  memorie  mi  van  pei"  la  mente.  Nel  tempo 


PREFAZIONE.  xiu 

della  mia  prima  età,  io  non  t'aveva  allora  per  anco 
impalmata,  o  mia  diletta;  passata  la  stagione  delle 
pioggie  rawivatrici  della  natura,  io  me  a  andava 
pieno  di  Laidezza  e  d'esultanza  cacciando  per  le 
campagne,  che  irriga  colle  belle  sue  acque  la  Sarayn. 
Una  notte,  stando  io  appiattato  presso  le  rive  del 
fiume  per  coglier  quivi  al  varco  elefante  od  altra 
belva  venuta  a  dissetarsi,  ascolto  improvviso  un 
suono  come  d'  un  vaso  che  s'  empia;  dirizzo  a  quel 
suono  la  saetta,  aggiusto  il  colpo  e  scocco  il  dardo 
credendomi  ferire  una  belva  :  Ahi  !  son  morto,  tale  è 
il  grido  che  mi  percuote  istantaneo  l'orecchio;  balzo 
fuori  atterrito,  accorro  e  veggo  steso  a  terra,  inon- 
dato di  sangue  un  garzoncello.  Era  quello  il  figlio 
unico  di  due  vecchj  solitarj  ciechi  amendue.  Essi 
mi  maledissero:  E  tu  pure,  o  temerario  guerriero, 
proverai  un  dì  che  cosa  sia  il  dolore  di  perdere  un 
figlio  caramente  diletto.  Oh  Causalyà  !  quella  maledi- 
zione s  è  adempiuta.  Sento  ormai  consunto  dal  do- 
lore questo  mio  corpo,  i  miei  occhi  non  veggon 
più  lume,  ogni  mio  senso  è  distrutto.  Oh  Rama!  oh 
Rama!  io  non  ti  rivedrò  più  reduce  dall'  esilio.  E 
così  lamentando  Rama,  si  spense  Dasaratha,  come 
sparisce  appoco  appoco  al  sopravvenir  del  giorno 
la  luna.  Qui  ululati  delle  donne,  descrizione  d'un 


u\  PREFAZIONE. 

regno  privato  di  re,  messaggi  inviati  a  Bharata  per 
richiamarlo  ad  Ayodhya,  sogno  funesto  veduto  da 
Bharata,  sua  partenza  ed  arrivo  ad  A/yodhya.  Quh  i  ei 
prorompe  in  rimproveri  acerbi  contro  Caiceyi  sua 

madre,  attesta  con  giuramenti  la  sua  innocenza  dell' 
esilio  del  fratello,  rifiuta  siccome  dovuto  a  Rama, 
il  regno  che  gli  è  offerto,  compie  con  mesta  solen- 
nità i  funerali  del  padre,  e  si  dispone  con  tutto 
l'esercito,  con  Gausalya  e  Sumitra  ad  andare  al  Ci- 
tracùta  per  ricondurne  via  Rama  e  salutarlo  re. 

S'apre  intanto  una  larga  via  per  monti  e  selve 
atta  a  potervi  passare  con  tutta  la  sua  mole  f  eser- 
cito. Questo  si  mette  in  cammino  condotto  da  Bha- 
rata ;  rifa  la  strada  percorsa  dagli  esuli  ;  è  accollo  con 
ospitalità  maravigliosa  da  Bharadvaga,  che  descrive 
a  Bharata  il  monte  dove  Rama  ha  posto  sua  dimora , 
e  dopo  lungo  viaggio  paratamente  descritto  giunge 
al  Gitracùta.  Qui  meste  accoglienze  dei  fratelli,  an- 
nunzio della  morte  di  Dasaratha,  libagioni  ai  Mani 
del  re,  abboccamento  di  Gausalya  e  Sumitra  con 
Rama,  Sita  e  Lacsmana.  Bharata  saluta  Rama  re,  e  lo 
stringe  colle  più  calde  istanze  perch'  ei  ritorni  in 
Ayodhya  e  pigli  possesso  del  regno.  Ma  Rama  è  infles- 
sibile :  egli  ha  impegnata  la  sua  fede,  sente  esser  suo 
debito  sacro   liberar  dai   vincoli   del  giuramento  il 


PREFAZIONE.  n 

nioilo  padre,  aè  lascierà  l' esilio  finché  non  siano 
compiuti  i  quattordici  anni.  Consegna  egli  pertanto 
in  deposito  le  insegne  regali  a  Bharata,  il  quale  parti 
tosi  da  Rama  non  ritorna  più  in  \\odh\a,  ma  pone 
sua  sede  in  Nandigràma  ;  e  quivi  regnando  in  nome 
del  fratello,  attende  il  finire  dell'  esilio ,  e  l'esito  degli 
eventi  che  porterà  con  se  1'  avvenire.  Qui  finisce  il 
ì  i  I  >  ro  s  e  condo ,  1.1  yo  dhya  ha  n  da . 

Partitosi  Bharata  dal  monte  Citracùta  senza  aver 
potuto  smuovere  Rama  dal  suo  proposto  di  com- 
piere nelle  selve  i  quattordici  anni  del  suo  esilio. 
i  romiti  abitatori  di  quelle  montane  regioni  soliti 
per  ['addietro  a  conversar  con  Rama,  si  conducono 
a  lui  con  sembianti  oscuri  e  mesti,  annunziandogli 
il  loro  pensiero  di  abbandonar  que  luoghi  ora  più 
che  mai  infestati  dai  Racsasi.  E  cosi  com'  erano  rac- 
colti in  ischiera,  tolto  congedo  da  Rama,  s'  indiriz- 
zano ad  altre  sedi  più  sicure.  Il  Citracùta  fatto  vuoto, 
silenzioso  e  tristo  per  la  partenza  dei  saggi  asceti, 
venne  in  tedio  a  Rama.  Que'  luoghi,  dove  s'erano 
a  lui  mostrati  poc'anzi  Caiceyi,  Bharata,  la  madre, 
gli  rinnovavano  nel  pensiero  memorie  troppo  acer- 
be; ond"  ci  deliberò  d'abbandonare  anch'  esso  il 
Citracùta  insieme  con  Sita  e  Lacsmana  e  di  visitare 
in    mia   lunga    peregrinazione,  attraverso  i  monti 


sevi  PREFAZIONE. 

meridionali  dell'  India,  i  più  celebri  romitaggi  •'  i 
saggi  pili  venerati  per  età  ,  per  santità  e  sapienza. 
Si  conduce  egli  dapprima  all'  eremo  del  solitario  Viri. 
Quivi  i  tre  esuli  videro  ed  onorarono  la  celebre 
Anasùya  consorte  del  Risei,  la  penitente  antica  di 
cui  eglino  avevano  udito  già  raccontare  le  austerità, 
le  meraviglie ,  i  prodigj .  La  divina  Anasùya ,  canuta  e 
tremante  per  antica  età,  accoglie  con  mirabile  lesta 
la  bella  e  giovane  Sita,  si  siringe  con  lei  a  fidato 
colloquio,  la  commenda  del  suo  amore  al  consorte, 
dell'  aver  anteposto,  per  seguitarlo,  i  disagi  delle 
selve  alle  dolcezze  d'Ayodhya,  e  le  olire  in  dono  un 
prezioso  unguento  che  perpetuerà  la  sua  bellezza 
e  la  renderà  ogni  dì  più  cara  e  piacente  allo  sposo. 
E  continuando  fra  loro  i  secreti  colloqui ,  Sita  in- 
terrogata da  Anasùya  le  racconta  la  portentosa  svia 
origine  e  il  suo  divenir  sposa  di  Rama;  come,  uscito 
un  dì  il  re  di  Mithila  colle  consorti  regali  a  disegnar 
colf  aratro  l'area  del  sacrifìcio,  ella  Sita  sorgesse 
improvviso  fuori  del  solco  arato,  levando  in  alto  le 
tenere  mani  (qui  traluce  l' idea  madre  del  mito  di 
Proserpina);  come  fosse  con  amore  raccolta  e  cres- 
ciuta dal  re  Mithilese;  come,  venuto  il  tempo  del  do- 
verla fidanzare,  fosse  ella  dal  padre  proposta  come 
premio  a  quello  tra  i  giovani  principi ,  che  avesse 


PREFAZIONE.  XVn 

potalo  tendere  l'arco  maravigìioso  di  Siva;  come 
molti  vi   si  provassero  inutilmente,  finché  giunse 
a  Mithi la  Rama,  il  quale  non  solamente  leso,  ma 
spezzò  l'arco  prodigioso  ed  ottenne  lei  in  isposa. 
Tra  questo  conversare  è  sopravvenuta  la  notte.  Com- 
piute ai  vicini  lavacri  le  abluzioni  vespertine,  si  rac- 
colgono taciti  ai  loro  asili  i  solitari  Muni;  gli  augelli 
s'appiattano  tra  le  fronde;  s'accovacciano  nelle  lor 
tane  le  belve  e  cominciano  a  vagare  attorno  gli  es- 
seri, cui  son  care  le  tenebre  della  notte.  Cessa  allora 
ogni  conversar  tra  gli  ospiti,  e  alla  gioja  del  ragio- 
nare succede  la  quiete  del  sonno.  Al  sopravvenir 
del  nuovo  giorno  Rama  ,  Sita  e  Lacsmana  tolgon 
congedo  da  Anasùya  ed  Atri.  Questi  descrive  loro 
il  cammino,  eh'  ei  debbono  tenere;  e  i  tre  pere- 
grini si  rimettono  in  via.  In  sull'  entrare  nella  fo- 
resta Dandaca,  la  gran  selva  oscura  ed  aspra  e  forte, 
si  scopre  loro  dinanzi  una  cerchia  d'  eremi.  Nuovi 
solitari  accolgono  qui  i  tre  esuli,  narrano  a  Rama 
le  crudeltà  dei  Racsasi,  ed  implorano  contr'  essi  il 
suo  soccorso.  Dipartitosi  da  loro,  Rama  colla  con- 
sorte ed  il  fratello  s'addentra  nel  fitto  della  selva. 
Improvvisamente  si  fa  loro  incontro  un  mostro  or- 
rendo, immane,  che  attraversa  loro  il  cammino  e 
pon  le  mani  sopra  Sita  :  il  suo  nome  è  \  iràdho. 


xvn.  PREFAZIONE. 

Rama  e  Lacsmana  vengono  con  lui  a  conflitto,  e 
dopo  varia  ed  aspra  lotta  atterrano  quel  mostro  tra- 
fitto da  mortale  saetta.  Allora  Viràdho  rivolge  a 
Rama  liete  e  soavi  parole,  e  gli  narra  eh'  ei  In  già 
per  lo  addietro  un  essere  divino,  uno  splendido 
Gandharvo  per  nome  Tumburu  ,  eh'  ei  venne  per 
un  suo  misfatto  maledetto  dal  Dio  Vaisravano ,  e 
trasmutato  in  quelle  orride  forme  fino  al  dì,  in  cui 
cadesse  trafitto  dalle  saette  di  Rama.  La  sua  espia- 
zione è  o°"imai  compiuta  e  gli  è  concesso  di  risalire 
alle  celesti  sue  sedi.  Intuona  egli  gloria  a  Rama,  lo 
consiglia  di  condursi  alf  eremo  del  gran  Risei  Sara- 
bhango,  e,  riassunte  le  divine  sembianze,  si  solleva 
al  cielo.  Qui,  come  in  alcuni  altri  luoghi  del  poe- 
ma, l'epopea  va  indicando  la  divina  natura  dell' 
Eroe  die  sparge  sui  suoi  passi  benedizione,  sal- 
vezza, riscatto.  I  tre  peregrini  proseguono  oltre.  In 
sulf  avvicinarsi  all'  eremo  di  Sarabhango  scorarono 
essi  manifesti  i  segni  della  presenza  d'  un  Dio  :  è 
Indra  disceso  al  romitaggio  di  Sarabhango;  Rama 
f  ha  riconosciuto  alle  note  sue  insegne.  S'  appressa 
egli  reverente  al  santo  luogo;  ma  il  Nume  scompare 
improvviso  :  che  non  è  venuto  ancora  il  tempo  in 
cui  Indra  e  gli  altri  Dei  si  discoprano  manifesti  a 
Rama.  Ei  li  vedrà  presenti  e  combattenti  con  lui, 


PREFAZIONE.  xix 

quando  sarà  accesa  la  gran  guerra  contro  i  Racsasi. 
J  due  Fratelli  e  Sita  si  trovano  intanto  al  cospetto  'li 
Sarabhango;  riama  raccoglie  con  religioso  alleilo 
le  parole  del  Risei;  ne  riceve  doni  ospitali,  cri  è  da 
lui  indirizzato  all'  eremo  di  Suticsna,  di  cui  il  Risei 
gli  addita  il  dilettoso  sito.  Jn  questo,  suscitato  il 
divo  fuoco  e  sparsovi  sopra  il  sacro  liquore,  Sara- 
bhango maturato  da  lunghe  austerità  v'entra  nel 
mezzo  per  deporvi  la  salma  mortale  ed  avviarsi  al 
cielo.  Consunte  dal  fuoco  le  terrene  membra,  il  Risei 
n  esce  fuori  raggiante  di  gioventù  immortale,  e  sen 
vola  in  seno  a  Braluna. 

I  Mimi  de'  circostanti  romitaggi  s'  adunano  in- 
torno a  Rama  sbigottiti,  squallenti,  maceri,  e  gli 
indirizzano  parole  di  preghiera  e  di  sgomento  :  «  O 
Rama,  onor  della  stirpe  d' Icsvacu,  difensore  delle 
genti ,  deh  !  ci  proteggi ,  ci  salva  dall'  incrudelir  dei 
Racsasi;  mira  sparsi  per  le  selve  i  corpi  de'  solitari 
uccisi  da  loro;  tu,  signor  del  castigo,  vendica  i 
nostri  oltraggi.  »  Rama  li  conforta,  li  rassicura,  pro- 
mette loro  difesa  e  sostegno  e  s'  avvia  all'  eremo  di 
Susticsna.  Quivi  egli  entra  in  ragionamenti  col  ve- 
nerando Risei;  passa  la  notte  sotto  l'ospitale  suo 
tetto;  e  al  nascer  dell'  aurora  s'avvia  oltre  con  Sita 
e  Lacsmano,  fatta  promessa  a  Susticsna,  che  il  rive- 


vx  PREFAZIONE. 

(irebbe  altra  volta.    Tra  via,  Sita  agitata  da  secreti 
presentimenti  lenta  con  soave  discorso  di  rimuover 
Rama  dal  suo  pensiero  ci'  entrare  in  guerra  coi  Par- 
sasi, che  in  nulla  l'  hanno  offeso.  Rama  difende  e 
giustifica  adi  occhi  della  consorte  il  suo  disegno. 
Frattanto  i  tre  viandanti,  attraversati  monti,  selve 
e  fiumi,  giungono  ad  un  lago,  da  cui  esce  come  un 
concento  di  canti  e  suoni.  Un  Munì,  per  nome  Dhar- 
mabhrit,  racconta  a  Rama  l'origine  di  quel  lago, 
che  s  appella  Pane  apsaro.   Gran  numero  d'  eremi 
sono  sparsi  colà  intorno  :  Rama  colla  consolle  ed  il 
fratello  visita  a  uno  a  uno  tutti  quei  romitaggi  e  i 
contemplatori  austeri  che  v  hanno  solitaria  stanza. 
In  questo  peregrinai-  di  Rama  trascorsero  intieri 
dieci  anni.  Conforme  alla  sua  promessa  ei  si  ricon- 
duce allora  all'  eremo  di  Suticsna  e  si  trattiene  colà 
ospite  qualche  tempo.  Un  ultimo  desiderio  rimane 
a  Rama  prima  di  por  fine  a  questa  sua  lunga  pere- 
orinazione  :  ei  desidera  visitare  il  divino  e  celebre 
Risei  Agastya.  Suticsna  gli  descrive  a  parte  a  parte 
il  cammino  che  mena  all'  eremo  desiderato;  quindi 
Rama  con  Sita  e  Lacsmana ,  tolto  per  la  seconda 
volta  congedo  dal  Risei,  s'avvia  alla  dimora  dell' 
antico  saggio.  Ragionando  varie  cose  fra  loro,  rin- 
trescando  la  memoria  dei  mirabili  prischi  fatti  d'A- 


PREFAZIONE.  xxi 

gastya,  osservando  i  luoghi  eh1  ei  vanno  attraver- 
sando, i   tre  viandanti  cominciano  a  discoprire   i 
segni  della  vicinanza  del  Risei,  indicati  da  Snticsna. 
La  selva  si  mostra  men  losca  ed  inarborata  di  piante 
più  miti  :  qua  e  là  fiori  leggiadri,  e  tutt'  intorno  un 
alito  di  più  tepida  aura.  0  Lacsmana ,  cosi  parla 
Rama,  siam  giunti  air  eremo  del  divino  Agastya; 
entra  tu  innanzi  alquanto,  ed  annunzia  al  Risei  che 
io  son  qui  con  Sita  venuto  ad  onorare  Y  altissimo 
saggio.  Lacsmana  obbedisce  alle  parole  del  fratello 
e  poco  stante  il  gran  Risei  &  appresenta  egli  stesso 
sulla  soglia  dell'  eremo.  Qui  liete  ed  iterate  acco- 
glienze e  lunghi  ragionamenti  fra  gli  ospiti.  Agastya 
fa  dono  a  Rama  d'un  arco  maraviglioso,  invinci- 
bile; e  richiesto  da  lui  che  gli  additi  in  quelle  vi- 
cinanze un  luogo ,  dove  ei  possa  fermar  sua  stanza 
e  compiere  gli  anni  del  suo  esilio,  Agastya  gli  in- 
dica un  dilettevole  sito  che  s  appella  Panc'avati ,  lieto 
d  acque  e  di  fronde ,  dove  Sita  potrà  ricreare  tra  la 
varietà  d'  amabili  oggetti  i  lenti  giorni  della  sua  so- 
litudine. Venuti  al  termine  del  loro  peregrinare  i 
tre  esuli  regali  si  dipartono  da  Agastya  e  s'  indiriz- 
zano alla  volta  del  Panc'avati  pei-  fermarvi  loro  sede. 
Mentre  ei  progrediscono  innanzi,  s'accosta  improv- 
viso a  Rama  Gatayus,  essere  misterioso,  simholico, 


w,i  PREFAZIONE. 

creazione  strana  ma  grandiosa  dell'epopea;  il  quale 
debbe  aver  gran  parie  nel  dramma  lamentoso  che 
si  prepara.  Gatayus  è  sovrano  augello,  re  degli  avol- 
ioj  JTT^JTrTr,  grande,  smisurato,  altero.  Egli  fu  amico 
di  Dasaratha,  mentrecchè  visse  l'infelice  padre  di 
Rama;  egli  antico  di  secoli  ha  assistito  alla  gene- 
razione degli  esseri,  che  popolarono  la  terra;  egli  è 
re  degli  spazi  aerei,  sovrano  degli  avoltoj.  Gatayus 
adunque  s'appressa  a  Rama,  siccome  a  figlio  del 
suo  amico  Dasaratha,  e  s'accompagna  con  lui.  In- 
terrogato da  Rama  intorno  alla  sua  origine,  (ìata\  us 
gli  espone  tutta  intiera  una  cosmogonia.  In  questo 
mentre  son  pervenuti  al  Pane  avati.  Lacsmana  s'  ado- 
pra  immantinente  a  costruire  cola  una  capanna  atta 
a  servir  loro  d'asilo;  la  (piale  messa  in  punto  vien 
poscia  purificata  conforme  ai  riti  lustrali.  Soprag- 
giunge intanto  il  verno,  soggetto  di  bella  descrizione 
all'  epopea;  Gatayus  si  diparte  da  loro,  dopo  aver 
stretta  amicizia  con  Rama;  e  rimangono  soli  abita- 
tori del  Pane  avati  Lacsmana,  Rama,  e  la  donna  sua 
diletta,  la  consolatrice  del  suo  esilio,  Sita. 

Tutte  quelle  regioni  meridionali  erano  allora, 
siccome  canta  1'  epopea ,  percorse  e  funestate  dai 
Racsasi,  che  avevano  loro  sede  principale  in  Ceylan, 
seggio  del  feroce  regnator  di  Lanka,  Ravano.  Nel 


PREFAZIONE.  xxm 

continuo  andare  attorno,  che  lamio  por  quelle  selve 
i  Racsasi,  arriva  colà  nel  Pan  cavati  una  Racsasa,  pei- 
nome  Surpanakha  sorella  di  Ràvano.  dosici,  veduto 
Rama  bello  del  la  persona,  nobile  d'  aspetto,  fiorente 
di  gioventù,  arde  improvviso  d'  amore  per  lui  :  gli 
si  appressa,  gli  apre  la  sua  passione,  e  lo  stringe 
con  ardenti  istanze,  perchè  ei  consenta  a  devenir 
suo  sposo.  I  due  fratelli  si  piglian  dapprima  scherzo 
di  lei  deridendola;  ma  veduta  poi  dalla  Racsasa  mi- 
nacciata ed  oltraggiata  Sita,  volgono  in  isdegno  il 
riso ,  e  incrudeliscono  contro  Surpanakha  fino  a 
mozzarle  le  orecchie  e  il  naso.  La  Racsasa  si  riu- 
sciva empiendo  l'aria  di  gridi,  e  se  ne  va  correndo 
a  Khara  suo  fratello,  posto  da  Ràvano  con  grand' 
oste  di  Racsasi  a  custodir  que'  luoghi.  Venuta  di- 
nanzi a  Khara  tutta  insanguinata  e  deforme,  gli  narra, 
che  due  eccelsi  garzoni,  non  sa  se  uomini  o  Dei, 
belli  come  Gandharvi,  aventi  con  loro  una  donna 
o  Dea  raggiante  di  beltà  celeste,  furono  da  lei  incon- 
trati nel  Ganasthàna  (sede  delle  genti),  che  ella 
gittatasi  sopra  loro  per  isbranarli  (qui  mente  la  Rac- 
sasa) ne  venne  in  quel  modo  oltraggiata.  Chiede  ella 
vendetta  di  loro  e  vuol  berne  caldo  caldo  il  sangue. 
Khara  sceglie  quattordici  Ira  i  più  intrepidi  Racsasi 
e  gli  invia  con  Surpanakha  contro  Rama.  Prepa- 


xxiv  PREFAZIONE. 

rata  finora  a  mano  a  mano  dall'  epopea,  incomincia 
qui  propriamente  la  gran  guerra  contro  i  Racsasi, 
che  s'andrà  dora  in  poi  vieppiù  sempre  ampliando 
fino  alla  disfatta  di  quella  gente  nemica,  la  quale 
sarà  cantata  sul  finir  del  sesto  libro,  i  quattordici 
Racsasi  inviati  poc  anzi  sono  tutti  uccisi  da  Rama. 
Surpanakha,  testimone  di  quella  strage,  se  ne  fugge 
impaurita,  e  ritorna  a  Khara,  annunziandogli  tutti 
spenti  a  terra  dalle  saette  di  Rama  i  quattordici 
guerrieri  da  Ini  spediti.  Khara  s'  accende  di  ver- 
gogna e  d'  ira,  e  si  dispone  a  marciare  egli  stesso 
con  quattordici  mila  Racsasi  per  aver  vendetta  di 
queir  oltraggio,  e  cancellar  quell'  onta.  Segni  pau- 
rosi annunziatoli  di  morte  accompagnano  la  par- 
tenza di  queir  oste.  Giunge  essa  al  Ganasthàna  ca- 
pitanata da  Khara;  entra  in  battaglia  con  Rama;  e 
dopo  lungo  e  vario  combattere  vien  ella  parte  dis- 
fatta, parte  volta  in  Tuga  ;  Khara  egli  stesso  vi  rimane 
estinto.  Qui  appare  di  nuovo  la  natura  divina  dell' 
Eroe.  Tutta  questa  serie  d'  eventi  e  di  battaglie,  che 
io  non  ho  fatto  qui  cbe  accennare,  è  dall'  epopea 
descritta  a  In  nero  e  con  magnifici  colori. 

Ornai  s' avvicina  il  momento  in  cui  entrerà  terri- 
bile attor  nel  gran  dramma  epico  Piavano,  f  oltraco- 
tante e  temuto  signor  dei  Racsasi.  Vedutolo  sterminio 


PREFAZIONE.  xxv 

dell'oste,  Surpanakha  s'è  messa  in  via  alla  volta  di 
Lanka  :  \i  giunge  tutta  ancora  esterrefatta,  e  si  pre- 
senta a  Ràvano  suo  fratello.  Il  dominator  di  Lanka 
è  là  fiero,  superbo,  indomito,  solcato  la  Ironie  e  il 
petto  dalle  cicatrici  che  gli  impressero,  nella  sua 
guerra  contro  i  Devi,  i  fulmini  d" Indra,  il  disco  di 
Visnu  e  le  zanne  dell'  elefante  Airavata.  Surpanakha 
comincia  dal  rimproverargli  l'ozio  imbelle  a  cui  egli 
s'abbandona  ora  in  Lanka;  poi  gli  narra  i  disastri 
del  Ganasthàna.  Ma  nel  raccontargli  quella  doppia 
disfatta  dei  suoi ,  ella ,  per  vieppiù  accendere  forse  il 
suo  animo  alla  vendetta,  si  stende  particolarmente 
a  descrivergli  la  bellezza  di  Sita.  «Nessuna  donna 
mortale,  o  Ràvano,  mi  venne  veduta  mai  così  bella; 
tu  la  diresti  una  Dea,  una  Gandharva.  Oh!  felice 
colui  che  può  nomarla  sposa,  e  eh'  ella  farà  belo 
de'  suoi  amplessi!  Tale  è  Sita,  o  Ràvano,  di  te  ben 
degna  consorte.  »  Non  bisognò  più  oltre.  Ràvano  arde 
d' amoroso  fuoco  ;  la  fatai  sua  determinazione  è  presa  ; 
ei  rapirà  a  Rama  la  bella  Sita  e  ne  farà  lieto  il  re- 
gale suo  talamo  in  Lanka.  Ed  ecco  nelF  epopea,  forse 
la  più  antica  dei  tempi  mitici,  fatto  nodo  principale 
del  dramma  epico  un  rapimento  di  donna;  poco  più 
tardi  canterà  un  nuovo  ratto  e  una  nuova  guerra  il 
vate  aulico  della  Grecia;  e  la  storia  mitica  dei  ra- 


xxvi  PREFAZIONE, 

pimenti  di  donne  si  troverà  diffusa  nelle  tradizioni 
di  quasi  tutti  i  prischi  popoli.  Il  re  de1  Racsasi  adun 
que,  deliberato  di  rapir  Sita  e  divisatone  fra  se  il 
modo,  esce  secreto  da  Lanka,  e  si  conduce  in  sulla 
sponda  del   mare  opposta  a  Ceylan ,  ad  un  luogo 
romito  abitato  allora  dal  Racsaso  Manca.  Questi  fn 
già  altre  volle  uno  tra  i  più  audaci  compagni  delle 
spedizioni  di  Ràvano;  il  (piale  molto  in  lui  si  con- 
fida, e  vuole  ora  associarlo  alla  rischiosa  sua   im- 
presa. Quando  il  figlio  primogenito  di  Dasaratha, 
garzoncello  ancora,  protesse  contro  i  Racsasi  il  sacri- 
fizio di  Visvamitra  \  Marie  'a  era  stato  uno  dei  Rac- 
sasi, che  egli  aveva  percosso  colle  sue  saette;  poi 
in  altri  scontri  ancora  il  feroce  Marìc'a  era  stato  da 
Rama  fieramente  maltrattato.  Entratogli  per  questo 
nell'animo  timor  di  queir  avversario  e  dispetto  di 
quelle   dislatte,  s'era   egli  ridotto  a   viver  solitario 
fuori  del  tumulto  delle  continue  lotte.  Ràvano  tenta 
ora  di  raccendere  f  antico  suo  ardore.  Ma  allor  che 
Marìc'a  ode  pronunziare  il  nome  di  Rama ,  e  conosce 
che  contro  lui  deblV  esser  rivolto  il  tenebroso  di- 
segno di  Ràvano,  un  terrore  invincibile  s  impadro- 
nisce di  lui;  ei  ricusa  ogni  ajuto  a  quella  impresa, 
e  s'adopra  a  distoglierne  Ràvano  stesso,  a Henna n- 

1    Libro  I. 


PREFAZIONE.  xxvu 

dogli  che  non  può  risultarne  altro  che  (lamio  e 
rovina.  Via  nulla  giova  :  Piavano,  esaurite  le  pre- 
ghiere, adopra  il  comando  e  costringe  Manca  a  pie- 
garsi al  suo  ineluttabile  volere.  Qui  son  giunto  a 
quella  parte  del  dramma  epico,  che  canta  il  rapi- 
mento di  Sita,  ed  a  cui  non  so  quale  altra  oca/ione 
poetica  si  potrebbe  comparare  :  lauto  qui  abbonda 
la  vena  del  sentimento,  la  maestà  del  dolore,  la 
verità  degli  all'etti,  la  grandezza  de  pensieri,  la  de- 
licatezza e  r  efficacia  di  stile.  Stupenda  creazione! 
Lascierò  intatte  per  la  traduzione  tutte  le  grazie  pu- 
diche di  questo  pietoso  racconto,  e  mi  contenterò 
di  seguitare  il  movimento  del  dramma.  Il  mezzo 
convenuto  tra  Marìc'a  e  Piavano  per  rapir  Sita  e 
questo.  Malica  debbe  trasmutarsi  in  bello  ed  ama- 
bile cervo  (i  Racsasi  hanno  virtù  di  mutar  l'orme), 
mostrarsi  a  Sita  ,  e  scherzare  innanzi  ad  essa  in  mille 
graziosi  modi.  Sita  non  potrà  rimanersi  dal  desi- 
derar quei  cervo,  o  vivo  se  fia  possible,  o  morto  per 
averne  il  delicato  vello.  Come  prima  Rama,  tolto 
T  arco  e  le  saette,  se  n  andrà  in  traccia  del  cervo  per 
compiacele  al  desiderio  di  Sita,  Marìca  s  andrà  via 
via  dilungando  ora  visible,  ora  nascosto  Ira  la  selva, 
finché  abbia  di  gran  trailo  allontanato  Rama.  Simu- 
landone allora  destramente  la  voce,  Marìc'a  griderà  in 


xxvni  PREFAZIONE. 

suono  di  sgomento  :  «Oh  Lacsmana,  oh  Lacsmana, 
aiuto!  »  Sita,  spaventata  a  quel  grido,  crederà  il 
consorte  in  pericolo  della  vita,  e  invierà  Lacsmana 
al  suo  soccorso  :  rimasta  ella  sola,  usciia  dall' aguato 
Ràvano,  e  la  rapirà  senza  contrasto.  Ordinata  cosi 
la  scellerata  insidia,  si  mettono  essi  in  via  alla  volta 
del  Ganasthàna.  \IT  appressarsi  di  Ràvano  s'  appiat- 
tano impauriti  ne'  covili  le  belve,  Ira  la  frasca  gli 
augelli;  s'arresta  immoto  l'aleggiar  de'  venti;  vol- 
irono  tremanti  e  diete  le  lor  onde  i  fiumi.  Tutto 
addiviene  come  era  stato  divisato.  Marìc'a,  in  sem- 
bianza di  bellissimo  cervo,  invaghisce  Sita,  ed  al- 
lontana da  essa  Rama,  e  quindi  Lacsmana;  esce  in 
quel  mentre  dalle  latebre  della  foresta  Ràvano,  e  ra- 
pisce sul  suo  carro  aereo  Sita  piangente  e  chiedente 
invano  aita.  «0  Ganasthàna,  o  monti,  o  fiumi,  o 
Divinità  protettrici  di  queste  selve,  deli!  narrate  a 
Rama,  che  io  son  latta  preda  d'un  rapitor  spietato. 
Addio  care  sponde  della  bella  Godàvari ,  addio 
piante  ospitali,  fidi  e  cari  recessi,  addio.  »  — Posato 
sulla  più  alta  cima  d'  un  monte,  dorme  ai  caldi  raggi 
del  sole  il  sovrano  augello  re  degli  avoltoj ,  il  vecchio 
Gatayus.  Ode  egli  fra  il  sonno  i  lamenti,  che  si  span- 
dono intorno;  si  desta  improvviso,  volge  gli  occhi 
in  giro,  e  vede  rapita  per  I  aria  la  consorte  di  Rama. 


PREFAZIONE.  xxix 

Ratio  ei  si  dispicca  dalla  vetta  del  monte,  e  librando 
immote  dinanzi  al  rapitore  le  ali  immense,  contende 
a  Ràvano  il  cammino  e  la  preda.  Qui  s'appicca  tra 
Ràvano  e  Gatayns  una  battaglia  aerea,  strana,  orri- 
bile, degna  di  Dante.  Il  vecchio  Gatayus  soccombe, 
e  Ràvano  colla  sua  preda  si  ravvia  a  Lanka.  Inos- 
servata da  Ràvano  Sita  lascia  cadere  sulla  sua  via 
alcuni  suoi  femminili  ornamenti,  se  mai  per  avven- 
tura potessero  essi  servir  d' indizio  a  Rama  e  porlo 
sulla  sua  traccia.  Al  trapassar  della  dolente  infelice 
mostra  segni  di  duolo  la  natura  impietosita.  Fre- 
mono nelle  lor  fronde  le  cupe  foreste  ;  percuotono 
f  aria  di  lunghi  ululati  le  belve  ;  si  vela  di  nubi  il 
sole;  gonfia  il  suo  seno  il  mare.   Il  gran  misfatto  è 
consumato;  Ràvano  è  giunto  in  Lanka  colia  donna 
rapita.  Chi  potrà  oggimai  riaverla  in  Lanka,  cui 
fanno  insuperabile  riparo  i  vasti  flutti  dell'  Oceano? 
Ivi  ei  s' adopra,  ma  invano,  a  raddolcirla  :  la  confida 
alla  custodia  delle  sue  donne  ;  loro  impone  di  non 
contristarla ,  per  quanto  bau  cara  la  vita;  né  dispera 
di  vincerne  più  tardi  l'inflessibile  rigore.   Mentre 
Sita,  attorniata  da  strana  custodia, s'abbandona  senza 
speranza  al  suo  dolore,  né  pare  aver  più  sollecitu- 
dine alcuna    della  vita,  discende  a  lei  inviato  da 
Bràhma    Indra,  il   re  dei   Devi,  in   compagnia  del 


to  PREFAZIONE. 

Sonno.  Il  Dio  la  conforta,  e  raccende  in  lei  colla 
speranza  l'amor  della  vita,  promettendole  che  fra 
breve  vedrà  dinanzi  a  Lanka  Rama  venuto  con 
formidabile  esercito  a  riconquistarla.  Confortata 
cosi  con  care  parole  l'infelice  derelitta,  si  dilegua  il 
Nume. 

In  ([iieslo  mezzo  Rama,  ferito  il  cervo,  riconosce 
in  lui  il  Racsaso  trasmutato,  e  discopre  la  frode. 
Precipitoso  ei  ritorna  sui  suoi  passi  funestato  da  si- 
nistri presagi,  e  scontrandosi  col  fratello,  che  veniva 
alla  sua  volta  :  «Tu  qui,  o  Lacsmana,  esclama, 
lungi  da  Sita!  Siam  tutti  ludibrio  d  un  fatale  in- 
ganno. Il  grido  di  sgomento,  che  culi  li  trasse,  non 
usci  dalla  mia  bocca,  ma  dal  cervo  malauguroso 
che  discopersi  un  Racsaso  :  tremo  pensando  a  Sita 
che  tu  lasciasti  sola.  »  I  due  fratelli  affrettano  i  passi  ; 
giungono  al  loro  abituro,  e  lo  trovan  deserto  e  muto. 
Rama  ne  percorre  allannoso  ogni  angolo  più  ri- 
posto; chiama  iterando  Sita;  nessuno  risponde; 
tutto  è  solitudine  e  silenzio. 

Chi  narrerà  le  angosce,  i  pianti,  i  gridi 
L'alta  querela  clic  nel  eie!  penetra? 

(piando  Rama  cominciò  ad  esser  certo  della  Mia 
sventura.  Tutto  quel  di  e  l'altro  ancora  e  l'altro 
andò   cercando   la  sua  diletta   per  monti  e  selve  e 


PREFAZIONE.  xxxi 

valli;  tutto  lu  invano  :  al  nome  di  Sita  non  rispon- 
disi che  dai  cupi  antri  l'eco.  Nel  suo  erra]-  forsen- 
nato ci  ritrovò  giacente  a  terra  Gatayus  :  ma  il  so- 
vrano augello  morente  potè  dirgli  appena,  che  Sita 
era  stata  rapita,  che  egli  tentò  difenderla  e  hi  vinto, 
che  il  rapitore  era  il  dominator  di  Lanka.  Ma  chi  è 
costui?  dove  e  Lanka?  Rama  noi  sa.  La  geografia 
del  Ramàyana,  come  quella  d'Omero,  è  ancora 
molto  ristretta,  e  non  ha  che  una  conoscenza  os- 
cura delle  regioni  meridionali  dell'  India.  Più  utili 
indizi  all'  uopo  vengon  dati  al  vedovato  consorte  di 
Sita  da  Cabandho.  Fu  già  questi  un  Danavo,  trasfor- 
mato per  maledizione  d'Indra  in  mostro  :  Rama 
l'incontra  nella  foresta  e  il  proscioglie  dalla  sua 
espiazione.  Cabandho  addita  ai  due  fratelli  il  monte 
Riscyamuca,  dove  ha  sua  sede  Sugrìvo,  signor  delle 
scimie  (così  qualifica  F  epopea  i  montani  abitatori 
del  mezzodì  dell'India,  poco  a  lei  noti).  Sugrìvo 
conosce  tutta  quanta  la  terra  (l'India);  ei  l'ha 
percorsa  ramingo,  allorché  ei  fuggiva  l'odio  mor- 
tale del  suo  fratello  Bali.  Conviene  che  Rama  entri 
in  alleanza  con  lui  :  egli  potrà  meglio  d'ogni  altro 
aiutarlo  nel!'  impresa  di  racquistare  la  rapita  con- 
sorte, e  di  vendicar  sopra  i  Racsasi  l'iniquo  oltraggio, 
'l'ale  è  il  consiglio  di  Cabandho;  Rama  si  dispone 


xxxii  PREFAZIONE. 

a  recarlo  ad  elìcilo,  ed  insieme  con  Lacsmana  s'av- 
via al  Riscyamuca.  Qui  finisce  il  libro  terzo,  /'  ira- 
nyakanda. 

Il  libro  quarto  canta  la  lega  tra  Rama  e  Sugrivo 
il  re  delle  scimie,  e  narra  i  primi  preparativi  per 
la  gran  spedizione  contro  Lanka.  Sugrivo  attorniato 
da' suoi  fidi  vede  dall'alto  del  Riscyamuca  appres- 
sarsi, armati  di  scimitarra  e  d'arco,  i  due  fratelli 
Rama  e  Lacsmana.  Nasce  in  lui  sospetto  e  timore 
a  quell'insolita  vista,  e  immantinente  a  gran  salti, 
spezzando  e  atterrando  sul  suo  passaggio  alberi  e 
piante,  ei  si  conduce  di  vetta  in  vetta  dal  Riscyamuca 
al  monte  Mala  va,  seguitato  da'  suoi  compagni. 
Quivi  fermatosi,  ei  manda  un  suo  fidato  per  nome 
Hanuman  a  scoprire  chi  lossero  i  due  armati,  che 
colà  s'  appressavano  verso  loro.  11  messaggiere  rag- 
giunge tra  via  Rama  e  Lacsmana;  e  conosciuto 
qual  fosse  la  cagione  della  loro  venuta,  si  rassicura  e 
li  introduce  innanzi  a  Sugrivo.  1  casi  di  Rama,  la 
sua  sventura,  il  suo  disegno  son  fatti  manifesti  al 
signor  delle  scimie.  Sugrivo  è  lieto  di  tanf  ospite 
a  lui  venuto  :  gli  narra  che  ha  veduto  trapassar  per 
l'aria  il  rapitor  della  donna  che  ei  piange  ;  gli 
mostra  alcuni  ornamenti  che  lasciò  cader  la  rapita, 
e  eh  egli  ha  raccolti;  poi,  senza  frapporre  indugio, 


PREFAZIONE.  xxxm 

acceso  il  sacro  fuoco,  al  cospetto  della  fiamma  che 
arde,  ei  stringe  con  lui  amicizia  e  lega.  Sugrìvo  en- 
tra ora  in  un  lungo  episodio  a  raccontare  a  Rama  i 
casi  suoi  proprj.  Egli  è  da  lungo  tempo,  per  cagioni 
che  ei  racconta  appieno,  scopo  all'  odio  e  alla  perse- 
cuzione di  Bali  suo  fratello  primogenito.  Bali  ha  forza 
smisurata,  ha  impero  sopra   i  scimi  e  sede  nella 
gran  spelonca  Kiskindhya.  Di  lui  vive  in  continua 
paura  Sugrìvo;  che  ei  sa,  quanf  egli  possa,  e  come 
egli  aneli  alla  sua  morte.  Se  gli  venisse  latto  di  li- 
berarsi da  Bali,  ei  sarebbe  oltre  ogni  dire  felice  e 
signore  assoluto  di  tutti  i  scimj.   Rama  consiglia  a 
Sugrìvo  di  sfidare  a  singoiar  battaglia   Bali,  e  gli 
promette  la  sua  assistenza  e  l'aiuto  delle  invincibili 
sue  saette.  Incoraggiato  da  Rama,  Sugrìvo  sen  va  con 
lui  alla  spelonca  Kiskindhya,  e  chiama  Bali  a  bat- 
taglia. Combatte  col  fratello  una  prima  volta  con 
infelice  successo,  ed  è  da  lui  fieramente  percosso.  Ma 
rinnovata  una  seconda  volta  la  pugna,  Bali  cade 
ferito  dalle  saette  di  Rama.  In  sul  morire  egli  rim- 
provera al  suo  uccisore  f  atto  disleale  e  ingiusto 
dell'  averlo  ferito  di  nascosto  e  fuor  d'ogni  ragione. 
Rama  gli  risponde  per  giustificare  quel  fatto  ;  e  nei 
rimproveri  dell'uno,  nella  risposta  dell'alleo  sono 
espresse  opinioni,  usanze,  idee  veramente  singolari 


\\\l\ 


M<;  TAZIO  Mv 


e  teorie  strane  di  diritto  sociale  e  di  regia  autorità. 
In  questo  muore  Bali  tra  il  compianto  di  Tara  sua 
consorte  e  delle  altre  donne  regali.  Sugrìvo  è  allora 
proclamalo  e  consecrato  re,  signor  supremo  delle 
scimie.  Qui  pare  condensala  in  un  fatto  solo  qual- 
che guerra  aulica   Ira  i  silvestri  abitatori  delle  re- 

o 

gioni  meridionali,  nella  qua!  guerra  ebbero  forse 
parte  i  popoli  settentrionali  dell'  India.  Tutti  questi 
fatti,  che  io  ho  qui  solamente  indicati,  sono  ma- 
teria di  lunga  e  magnifica  narra/ione  all'  epopea. 

Sopravviene  intanto  la  stagione  delle  pioggie. 
Rama  e  Lacsmana,  cui  è  interdetto  dalla  condizion 
dell'esilio  l'entrare  in  città  o  in  villaggio,  si  riducono 
ad  abitare  sopra  un  monte  vicino;  Sugrìvo  entra  in 
possesso  della  regal  spelonca  Kiskindhya,  e  s'  ai- 
tende  il  cessar  della  stagion  delle  piove  (stagione  che 
cade  nei  mesi  di  luglio  e  agosto)  per  recare  ad  eli  etto 
la  grande  spedizione  contro  Piavano.  Ma  gli  ozj  della 
kiskindhya  e  le  dolcezze  de' nuovi  suoi  talami  hanno 
ammollito  Sugrìvo.  La  stagione  delle  pioggie  è  ces- 
sata; è  sopraggiunto  l'  autunno,  ed  ei  non  si  da  pen- 
siero alcuno  di  guerra.  Rama  ne  muove  lamenti,  ed 
invia  Lacsmana  alla  Kiskindhya,  perdi' ei  rammenti 
a  Sugrìvo  le  sue  promesse.  Il  signor  delle  scimmie 
si   riscuote,  e  ponendo  mano  all'opra,  ordina  ad 


PREFAZIONE.  xxx\ 

Hanuman  di  andar  percorrendo  quelle  regioni  mon- 
tane, d' intuonar  per  ogni  dove  il  grido  di  guerra, 
di  raccogliere  da  tutte  le  parti  esercito  immenso: 
in   quel    mentre   Sugrìvo   ei   stesso   si    conduce  a 
visitai*  Rama  sul  monte,  dov'esso  ha   posto  sua  di- 
mora.   L'esercito   de'  scimj    si    raduna.    Sono    mi- 
gliaia   di    migliaia,   che    accorrono   d'ogni    parte; 
trema   sotto  ai    lor   passi  la   terra;  ne  son  coperti 
monti,  pianure  e  valli.  Ma  prima  d'ogni  altra  cosa 
conviene  aver  notizia  di  Sita,  sapere  dove  [  abbia 
tratta   il   rapitore,  dove  ella  si  trovi.   Sugrìvo,  cui 
son  note  tutte  le  regioni  del  mondo,  chiama  ;i  se 
alcuni  de  suoi  più  valorosi,   e  li  spedisce   a  cer- 
care tutta  intiera  la  terra  (l'India).  Alcuni  egli  invia 
alle  regioni  australi;  capo  di  questi  è  Hanuman.  E 
poiché  pare  più  probabile,  che  Sita  si  ritrovi  in 
questa  parte,  Rama  consegna  ad  Hanuman  un  suo 
anello,  acciocché  esso  mostrato  a  Sita  tolga  da  lei  ogni 
sospetto,  ed  acquisti  lede  al  messo.  Altri  invia  Su- 
grìvo ad  occidente,  altri  ad  oriente,  altri  a  setten- 
trione, ed  a  tutti  ei  descrive  partitamente  i  luoghi, 
che  eglino  hanno  a  visitare.  Questa  descrizione  della 
terra  qfàjcfHnfaTi  sommamente  rimarchevole  come 
documento  di  primitive  nozioni  cosmografiche,  ha 
qualche  affinità collenozioni  Omeriche  effigiate  nello 


xxxv)  PREFAZIONE. 

scudo  d'Achille.  I  messaggi  spedili  da  Sugrìvo  en- 
trano in  via  baldanzosi,  e  van  percorrendo  a  parte 
a  parie  tutta  quanta  la  terra  co' suoi  monti,  fiumi 
e  mari.  In  capo  ad  un  mese,  termine  posto  da  Su- 
grìvo al  loro  ritorno,  si  raccolgono  reduci  alla 
Kiskindhya  gli  esploratori  inviali  ad  oriente,  ad 
occidente,  a  borea,  e  riferiscono  a  Sugrìvo,  che  in 
nessuna  parte  venne  loro  trovata  traccia  di  Sita. 
Ma  non  è  tornato  ancora  Hanuman  speditoad  austro; 
egli  certamente  saia  lo  scopritor  della  donna  rapita. 
Di  latto  Hanuman,  progredendo  verso  l'estremità 
meridionale  dell'India,  nulla  lascia  d'inesplorato 
sulla  sua  via  :  selve,  spelonche,  alture  e  valli  tutto 
ei  ricerca,  tutto  esplora  ;  ma  non  gli  vieu  fatto  di  sco- 
prire indizio  di  Sita.  Disperando  oggi  mai  di  poter 
vincere  la  prova  e  venire  a  capo  della  loro  impresa, 
egli  e  i  suoi  compagni  vogliono  piuttosto  lasciarsi 
morir  d'inedia,  che  tornare  alla  Kiskindhya  senza 
aver  scoperto  Sita.  In  tali  estreme  angustie  s'apre 
loro  improvvisa  una  via  alla  speranza.  Erra  per  caso 
cola  intorno  il  fratello  di  Gatayus  per  nome  Sam- 
pati,  sovrano  degli  avoltoj  anch'  esso.  Egli  ha  posto 
mente  al  ragionar  che  fanno  insieme  gli  esploratori 
scoraggiati ,  e  sentito  farsi  tra  loro  menzione  di  Ga- 
la\  us  ucciso.  Entra  egli  allora  in  colloquio  con  essi, 


PREFAZIONE.  vxxvii 

ed  ode  lo  scopo  del  loro  viaggio,  la  morte  di  Ga- 
tayus,  la  cagione  del  loro  scoraggiamento.  Date 
alcune  lagrime  alla  memoria  del  fratello  diletto, 
Sampati  racconta  loro,  che  ha  veduto  trasvolar  per 
1'  aria  il  rapitor  di  Sita,  Ràvano,  eh1  ei  s'è  raccolto 
colla  sua  preda  in  Lanka,  che  là  si  trova  ora  la 
donna,  di  cui  essi  vanno  in  traccia.  E  proseguendo 
ei  descrive  loro  il  sito  e  la  giacitura  di  Lanka,  quanto 
mare  la  divida  dalla  terra,  quale  ne  sia  la  condi- 
zione, quale  il  dominatore.  Hanuman  e  i  suoi  com- 
pagni riprendon  fiducia  e  lena  :  ei  sanno  ora  dove 
si  trovi  la  consorte  di  Rama.  Ma  v'  ha  il  mare  di 
mezzo  :  come  venire  a  capo  di  tragittarlo?  Qui  fi- 
nisce il  libro  quarto,  Kiskindhyakanda. 

La  schiera  de  scimj  condotta  da  Hanuman  alla 
ricerca  di  Sita  s  avvia,  conforme  ai  detti  di  Sam- 
pati, alla  riva  meridionale  dell' Oceano.  Quivi  giunta 
ella  contempla  f  immensità  del  mare  e  i  concitati 
suoi  flutti,  entro  cui  s  ascondono  spaventevoli  mos- 
tri. A  quella  vista  una  parte  della  schiera  s'  allegra  e 
freme;  ma  1'  altra  si  scoraggia  e  dispera.  Allora 
Angado  primo  fra  i  duci  sorge  a  parlare,  e  tenta 
di  ravvivare  con  forti  parole  il  coraggio  de  com- 
pagni sgomentati.  Ma  allorché  sul  finire  del  suo 
discorso  ei  domanda   :    «Orsù!   chi  (li  voi  si   sente 


xxxviii  PREFAZIONE. 

«atto  a  valicare  I  Oceano  per  lo  spazio  di  cento  yo- 
«gani  ed  a  condursi  in  Lanka  a  cercarvi  Sila?» 
nessuno  risponde.  Angado  insiste  con  più  veementi 
parole  e  tanfo  fa  che  alfine  ei  ridesta  il  coraggio 
d'  alcuni  più  valorosi.  Sorgono  inanimiti  e  pronti 
Gayo,  Gavacso,  Cavavo,  Sarabho,  Gandhamàdano 
ed  altri,  e  s  offrono  disposti  a  far  prova  della  loro 
(orza.  Gayo  entra  a  parlare  il  primo  e  dice  :  Ben 
io  mi  sento  atto  a  valicare  lo  spazio  di  dieci  yogani; 
Gavacso  aggiunge  :  Io  ne  valicherò  ben  venti;  Ga- 
vayo  si  fa  innanzi  più  ardito  e  dice:  Io  percorrerò 
trenta  yogani  in  un  sol  giorno;  Sarabho  s'  olire  al- 
lora pronto  a  valicarne  quaranta;  Gandhamàdano 
cinquanta,  un  altro  sessanta,  un  altro  settanta,  e 
v  ha  in  fine  un  più  animoso  di  lutti  che  si  vanta 
di  tornirne  novanta  due  :  ma  nessuno  va  più  oltre, 
nessuno  si  crede  bastante  a  trapassar  per  aria  la 
distanza  di  cento  yogani.  Simile  al  Nestore  Ome- 
rico si  leva  dopo  questi  il  vecchio  scimio  Gainbavat 
e  così  parla  :  Se  io  avessi  ora  la  robustezza  e  il  vi- 
gore della  mia  gioventù ,  non  mi  sarebbe  dillìcile 
il  venire  a  capo  di  questa  impresa;  io  gareggiava 
allora  di  celerità  col  re  degli  avoltoj,  collo  stesso 
Gatayus  :  ma  or  son  vecchio  e  appena  potrei  fornire 
novanta  yogani,  sforzo  insufficiente  al  nostro  scopo. 


Prefazione.  XXxix 

Mentr  ei  così  parla,  il  gran  scimio  Hanuman  se  ne 
sta  in  disparte  e  muto.  Sorge  di  nuovo  a  parlare 
Angado,  e  per  timor  di  Sugi  ivo  re  de'  scimj ,  se  egli 
tornasse  a  lui  senza  avere  trovata  Sita,  vuole  egli 
stesso  tentar  d'  arrivare  in  Lanka,  valicando  i  conio 
yogani  frapposti;  ma  gli  si  oppongono  i  suoi  com- 
pagni :  egli  è  loro  duce,  né  debbe  perciò  abban- 
donarli senza  capo  che  li  governi.  Come  dunque 
uscire  da  questa  angustia?  11  vecchio  Gambavat, 
stato  alquanto  fra  se  pensoso,  comanda  a  tutti  di 
tacere,  e  rivolto  ad  Angado  :  Or  io  conosco,  ei  dice, 
il  valoroso,  il  forte  che  vincerà  questa  prova;  e  dotto 
questo,  ei  va  diritto  ad  Hanuman  o  l'  esorta  ad  in- 
traprendere F  arduo  viaggio  aereo.  Tutta  la  schiera 
de  scimj  s  unisce  a  lui  con  voto  unanime,  e  prega 
Hanuman  di  pigliare  sopra  se  quell'  impresa.  Ha- 
numan è  figlio  del  vento  :  nessuno  lo  pareggia  in 
celerità  né  in  forza  :  ei  si  sente  atto  a  cosi  ardua 
prova  e  consente  a  tentarla.  Per  inspirare  più  fi- 
ducia di  se  ai  compagni,  ei  narra  loro  la  sua  origine, 
e  come  un  dì  nella  sua  fanciullezza,  visto  nascere 
tutto  raggiante  il  sole,  gli  prese  vaghezza  di  toc- 
carne F  ardente  globo;  ond'  ei  spiccatosi  ad  un  tratto 
dal  grembo  di  sua  madre,  si  slanciò  impetuoso  per 
gli  spazj  del  cielo  incontro  al  solo  :  ma   riarso  da 


m  PREFAZIONE. 

suoi    raggi  cadde   precipitando   a   terra.    Ilaiiunian 
disposto  al  gran  viaggio  sale  sulla  cima  del  monte 
Vlahendra  che  scroscia  e  s'affonda  sotto  i  suoi  passi; 
e  quivi  invocati  propizj   alla  sua  impresa  il  Sole, 
la  Luna,  Indra,  il  Vento, Yama  e  Varuna,  ponta  sul 
suolo  i  piedi,  stende  le  braccia  e  si  slancia  per  Y  aria 
a  volo  al  cospetto  de  scimj  stupefatti.  Gli  Dei  spet- 
tatori di  queir  audace  conato  suscitano  ostacoli  ad 
Hanuman  per  mettere  a  cimento  il  suo  coraggio.  VI 
mezzo  del  suo  cammino  aereo  egli  è  ad  un  tratto 
arrestato  da   un   mostro  spaventoso  che  minaccia 
d'inghiottirlo:  Hanuman  parte  con  ardimento,  parte 
con  inganno  si  libera  da  quel  mostro  e  si  ravvia. 
L'  Oceano  memore  che  uno  degli  antenati  di  Rama 
scavò  già  un  dì  le  profondità  del  mare,  vuole  ora  se- 
condar l'impresa  d' Hanuman  messaggiere  di  Rama, 
e  fa  sorgere  improvviso  dall'  acque  un  monte,  af- 
finchè Hanuman  vi  si  posi  alquanto  e  racquisti  forza 
per  arrivare  alla  meta  del  suo  corso.  Più  oltre  il  viag- 
giatore aereo  incontra  un  nuovo  ostacolo  alla  sua  via, 
una  Racsasa  immane,  orrenda,  usa  ad  afferrar  l'om- 
bra di  chi  le  passa  vicino.  Anche  di  questo  ostacolo 
trionfa  Hanuman  e  giunge  alfine  all'isola  di  Lanka. 
Disceso  sopra  un'  altura  egli  stende  di  Là  lo  sguardo 
sopra  la  città  di  Lanka,  posta  sulla  cima  del  monte 


REFAZIONE. 


MI 


Trikùta,  e  ne  contempla  maravigliando  i  bei  giar- 
dini, le  splendide  case,  le  forti  difese;  ne  ode  i  lieti 
canti  e  i  suoni  e  con  essi  lo  strepito  dell'armi.   Al- 
lorché poi  sopravvenne  la  noi  te  e  coperse  colle  sue 
ombre  la  terra,  Hanuman,   impicciolito  quant'  ei 
più  poteva  lo  smisurato  suo  corpo,  entra  guardingo 
e  tacito  nella  città  dei  Racsasi,  pensando  fra  se  come 
gii  potrà  venir  fatto  di  ritrovare  Sita,   eli'  ei   non 
conosce  altro  che  per  fama.   Egli   va  percorrendo 
le  principali  case  di  Lanka,  la  casa  di  Mahàparsvo, 
quella  di  Cumbacarno,  quella  di  Mahodaro,  senza 
trovare  indizio  riè  traccia  di  Sita.  Entra  egli  quindi 
nella  reggia  di  Ràvano  tutta  splendente  di  gemme 
e  d'oro,  penetra  nelle  stanze  più  seccete,  s'addentra 
nel  gineceo  ed  esamina  a  una  a  una  tutte  quante  le 
donne  ivi  raccolte  :  in  nessuna  egli  ravvisa   Sita, 
quale  1'  imagina  il  suo  pensiero.  Vie  più  fervente 
nella  sua  ricerca  ei  corre  di  qua  di  là,  visita  ogni 
più  riposto  recesso,  sale,  discende,  s'arresta;  ma 
in  nessuna  parte  gii  riesce  di  trovare  la  donna  che 
ei  cerca.  Allora  ei  comincia  a  disperare;  ed  essendo 
oramai  passata  la  metà  della  notte,  ei  s'asside  sulf 
orlo  d'  un  recinto  e  dolendosi  quivi  amaramente, 
egli  pensa  fra  se  che  forse  Sita  o  perì  precipi landò 
nel  mare,  mentre  veniva  rapita,  o  mori   consunta 


\u,  PREFAZIONE. 

dal  dolore.  Ma  che  dira  egli  a  Rama?  (ionie  oserà 
tornare  a  lui  senza  recargli  notizia  di  Sila?  Mentre 
Hanuman  così  Ira  se  pensa  e  lamenta,  gli  vien  ve- 
dili o  in  dispaile  un  amen iss imo  bosco  di  asochi, 
che  ei  non  ha  visitalo  ancora.  Immantinente  ei  corre 
a  (pici  bosco,  ed  entratovi  uè  percorre  i  bei  viali, 
i  limpidi  stagni,  le  fiorenti  pendici  e  le  artefatte 
colline  che  veste  de'  suoi  raggi  la  bina.  In  mezzo  a 
quel  bosco  egli  scorge  un  grand'  albero  che  sovrasta 
ad  ogni  altro  :  Hanuman  pensando  che  se  mai  Sita 
si  trovasse  in  quel  verziere  d' asochi,  egli  potrebbe 
dalla  cima  di  queir  albero  meglio  scoprirla,  \'  as- 
cende e  s'appiatta  tra  i  folti  suoi  rami.  Di  colà  egli 
esplora  tutto  intorno  il  bosco,  e  scopre  non  molto 
lontana  una  casa  splendidissima,  cinta  d'  eleganti 
colonne,  tutta  adorna  di  gemme  e  di  coralli.  Dentro 
quel  recinto  egli  scorge  molte  donne  Racsase  de- 
formi e  orribili,  e  in  mezzo  ad  esse  seduta  sul  nudo 
suolo,  mesta,  accorata,  piangente  una  donna  di 
beltà  divina.  Alla  mestizia,  al  portamento,  agli  atti 
ei  riconosce  la  sposa  di  Rama  :  non  gli  rimane 
oramai  più  dubbio;  egli  ha  trovato  la  donna  che  ei 
cerca.  Hanuman  fa  seco  stesso  un  pietoso  lamento, 
considerando  a  qual  condizione  è  ridotta  quella 
donna  figlia  di  re,  nuora  di  Dasaratha,  e  consorte 


PREFAZIONE.  mi,, 

di  Rama,  celebrata  sopra  ogni  donna  moria  le.  In 
questo  egli  ode  un  soave  concento  e  vede  innoìtrarsi 
verso  la  casa,  dove  è  Sita,  un  grande  corteggio  di 
donne  e  d'  uomini.  E  Ràvano  che  ardente  d'  insana 
passione  si  conduce  a  visitare  la  sua  bella  prigio- 
niera. Ei  ritrova  Sita  squallida,  dolente  e  misera, 
e  s'  adopra  a  consolarla  con  dolci  parole  ed  a  re- 
carla ai  suoi  desiderj  :  «  Non  aver  timore,  o  gentile; 
io  t'amo;  consenti  ad  essere  mia  sposa,  e  tu  sarai 
prima  fra  le  mie  donne ,  regina  di  me  e  del  mio  im- 
pero :  a  che  vai  tu  ricordando  Rama  misero  e  ta- 
pino? godi  le  delizie  che  io  t'  olirò  e  obblia  Rama.  » 
A  que'  detti  oltraggiosi  Sita  commossa  da  sdegno 
respinge  da  se  con  dure  parole  il  signor  de'  Rac- 
sasi,  e  ne  disprezza  impavida  il  lolle  orgoglio.  Rà- 
vano &  adira,  freme,  minaccia;  ma  nulla  vale.  Fi- 
nalmente egli  annunzia  a  Sita  che  ei  le  accorda  due 
mesi  ancora;  se,  passato  questo  termine,  ella  non 
consente  ai  suoi  desiderj  ,  sarà  punita  d'  orribile 
morte.  Allontanatosi  Ràvano,  le  donne  Racsase  cus- 
todi di  Sita  assalgono  tutte  insieme  con  minacce  ed 
oltraggi  la  misera  sposa  di  Rama  :  ma  una  Ira  quelle 
donne  per  nome  Togata  sorge  a  proteggerla ,  e  rac- 
conta un  suo  recente  sogno  annunziatore  di  pros- 
sima rovina  a  Ràvano  ed  a  tutti  i  Racsasi;  presaghi 


XLn  PREFAZIONE. 

indizi  e  pronostici  si  manifestano  nello  stesso  tempo 
a  Sila,  e  confermano  il  sogno  di  T rigata.  Le  donne 
Racsase  fanno  tregua  alfine  al  loro  garrire  e  si  ris- 
tanno. Hanuman  che  s  era  in  questo  mentre  venuto 
appressando  al  luogo  dove  slava  Sita,  ha  tutto  in- 
teso e  tutto  visto  quel  ch'era  accaduto.  Ei  a  a  pen- 
sando ora  al   modo  di   manifestarsi    a   Sita   senza 
impaurirla  né  darle  sospetto  :  il  miglio!1  mezzo  gli 
par  quello  di  far  risuonare  agli  orecchi  di  lei  il  nome 
e  le  lodi  di  Rama.  Nascosto  adunque  tra  i  rami  d'  un 
albero  egli  incomincia  con  voce  sommessa  le   lodi 
del  figlio  di  Dasaratha.  Udendo  improvvisa  quella 
voce,  Sita  crede  dapprima  che  è  un'illusione,  un 
sogno;  poi  rassicuratasi   alquanto   guarda   su    per 
f  albero  e  discopre  Hanuman.  Questi  allora  con  atto 
reverente  le  chiede  :  Chi  sei  tu,  o  leggiadra?  sei  tu 
forse  una  Dea  discesa  dal  cielo?  Ed  ella  a  lui  ris- 
ponde raccontandogli  i  tristi  suoi  casi  :  lo  sono  Sita 
figlia  di  Ganaca  e  consorte  di  Rama;  accompagnai 
nella  selva  il  mio  sposo,  e  fui  rapila  da  Ràvano  sul 
Ganasthàna.  Ma  chi  sei  tu  che  mi  parli  di  Rama  e 
mi  chiedi  chi  io  sia?  Sei  tu  forse  Ràvano,  che  sotto 
mentite  forme  tenti  sedurmi  con  nuovo  inganno? 
Qui  Hanuman  con  lungo  discorso  narra  a  Sita  che 
ei  fu  mandato  da  Rama  e  da  Sugrìvo  alla  ricerca 


PREFAZIONE.  XLV 

di  lei,  quanto  egli  lece  co'  suoi  compagni  per  is- 
coprir  dove  ella  fosse,  come  egli  valicò  f  Oceano  ed 
arrivò  in  Lanka;  e  per  allontanare  da  Sita  ogni 
sospetto  d'inganno,  le  porge  come  tessera  F  anello 
che  Rama  gli  diede.  Seguita  qui  un  lungo  colloquio, 
nel  quale  Hanuman  racconta  a  Sita  partitameli  te 
ogni  cosa,  l' inconsolabile  dolore  di  Rama,  la  sua  lega 
con  Sugrìvo,  1'  apparecchio  dell'  esercito,  1'  immi- 
nente assalto  di  Lanka;  s'  offre  a  lei,  purch'  ella  il 
voglia ,  pronto  a  trasportarla  sul  suo  dorso  al  di  là 
del  mare,  il  che  ella  pudica  ricusa;  la  conforta  a 
non  ismarrirsi  d'  animo,  ad  aspettar  con  fiducia  il 
vicino  dì  della  sua  liberazione,  ed  inline  le  chiede 
un  contrassegno  che  ei  possa  mostrare  a  Rama , 
siccome  prova  d'  averla  veduta.  Sita  consegna  allora 
ad  Hanuman  una  sua  gemma  nuziale  che  sola  le  era 
rimasta,  e  lo  prega  che  ei  solleciti  Rama  a  venir 
presto  colf  esercito  a  liberarla.  Ma  Hanuman  non 
vuol  partirsi  da  Lanka  senza  avervi  lasciato  traccie 
della  sua  venuta  e  senza  aver  fatto  qualche  sfregio 
al  superbo  signor  dei  Racsasi.  Egli  sa  che  il  bosco 
d'  asochi,  dov  ei  si  trova,  è  oltremodo  caro  a  Rà- 
vano  :  ebbene  egli  distruggerà  questo  bosco.  Ed 
ecco  il  robusto  Hanuman  che  rompe,  scinauta,  at- 
terra alberi,  virgulti  e  fiori,  e  mette  a  guasto  ogni 


xlvi  PREFAZIONE. 

cosa.   Ràvano  avvertito  di  quel   conquasso  manda 
l'  un  dopo  l'altro  guerrieri  contro   Hanuman;  ma 
questi  ne  fa  strage  spieiata.  Finalmente  giunge  spe- 
dito da  Ràvano  il  valoroso  e  forte  [ndragil  con  una 
coorte  di  guerrieri  eletti  :  Hanuman  ne  sostiene  per 
qualche  tempo  lo  scontro;  ma  alfine  è  circondalo  e 
preso.  Ei  vien  condotto  allora  alla  presenza  del  re 
de  Racsasi,  il  (piale,  inteso  chi  egli  e  e  perche  quivi 
venuto,  comanda  che  ei  sia  messo  a  morte.  I  no  dei 
fratelli  di  Puìvano  per  nome  Vibhìsano  s'oppone  a 
questa  sentenza,  e  dice  che  si  debbe  rispellare  in 
Hanuman  il  suo  carattere  di  messaggiere,  condan- 
narlo bensì   a  qualche  pena,  ma  non   punirlo  di 
morte.  Ràvano  cede  alle  ragioni  del  fratello  e  cangia 
pensiero  :  Or  bene,  ei  dice,  non  sarà  costui  ucciso, 
ma  punito  d'  altra  pena  crudele.  Quel  che   hanno 
più  caro  i  scimj,  è  la  lor  coda;  s'  arda  dunque  la 
coda  d' Hanuman.  La  sentenza  è  immantinente  ese- 
guita, ed  Hanuman  trascinato  per  le  vie  di  Lanka 
colla  coda  accesa.  Sita,  avuta  in  questo  mentre  no- 
tizia di  quel  che  avveniva,  prega  il  Fuoco,  affinchè 
non  offenda  Hanuman;  e  di  fatto  il  fuoco  arde  bensì , 
ma  non  abbrucia  la  coda  del  scindo.  Ma  Hanuman, 
raccolte  tutte  le  sue  forze,  si  svincola  improvvisa- 
mente dai  lacci  ond'  e  legato,  si  libera  da' suoi  cus- 


PKEFAZ10NK.  my.i 

lodi,  e  colla  sua  coda  accesa  appicca  il  fuoco  a  Lanka. 
Incendiata  Lanka,  I  laminimi  rivede  e  riconforta  Sita; 
poi,  compiuto  oramai  ogni  suo  disegno,  si  slancia 
di  nuovo  per  aria,  e  si  rimette  in  via  alla  volta  del 
monte  Mahendra,  d'onde  è  partito. 

Come  il  veggono  apparir  da  lontano,  i  scimj  al- 
zano gridi  di  gioia;  e  allorché  Hanuman  discende 
sul  monte,  tutti  gli  sono  attorno  festeggiane,  e  lo 
pregano  che  ei  racconti  loro  tutti  i  casi  di  cpiel 
viaggio.  Per  meglio  vedere  e  intendere  Hanuman, 
i  scimj  s  aggruppano  intorno  a  lui  chi  sopra  alberi, 
chi  sopra  balzi  e  rupi,  ed  Hanuman  fa  loro  una 
distesa  narrazione  del  suo  viaggio  maraviglioso.  An- 
gado  propone  allora  a'  suoi  compagni  di  passare 
tutti  insieme  in  Lanka,  liberar  Sita  e  ricondurla  a 
Rama;  ma  è  distolto  da  questo  disegno  dai  princi- 
pali fra  i  scim| .  Ora  hanno  essi  conseguito  il  loro 
scopo;  Sita  è  ritrovata;  ed  è  tempo  di  ritornare  al 
monte,  dove  gli  stanno  aspettando  Rama,  Sugrìvo 
e  Lacsmana.  Tutta  la  schiera  de'  scimj  si  mette  dun- 
que in  viaggio  alacre  e  lieta.  Pervenuta  alla  selva  net- 
tarea, di  cui  è  padrone  Sugrìvo,  v  entra  baldanzosa, 
e  si  pasce,  si  satolla,  s  inebbria  di  frutti  delicati  e 
di  sughi  squisiti,  malmenando  i  custodi  della  selva; 
i  quali  se  ne  vanno  con  gran  furia  ad  avvertire  Su- 


mm  PREFAZIONE. 

grìvo.  Questi  argomentando  dall'  immoderata  lui- 
danza  de'  scimi  che  debbono  essi  per  certo  aver 
ritrovata  Sita,  ordina  ai  custodi  della  selva  ne!  la  iva 
di  significar  loro  che  ei  debbano  ritornare  a  lui 
senza  indugio.  I  scimj,  inteso  il  coniando  de]  re, 
si  spiccano  dalla  selva  nettarea,  e  giungono  poco 
stante  alla  presenza  di  Sugrìvo,  di  riama  e  di  Lacs- 
inana.  Qui  Hanuman  ragguaglia  fedelmente  Rama 
d'ogni  cosa  avvenuta;  gli  narra  la  scoperta  di  Sita, 
ciò  che  ella  gli  disse,  e  tutti  i  casi  di  quella  spedi- 
zione; quindi  gli  consegna  la  gemma  che  Sila  gli 
diede  (piai  tessera  di  fede.  Come  vede  (pipila  gemma, 
che  gli  ricorda  un  tempo  felice,  Rama  prorompe 
in  lamenti  e  in  pianto  :  ma  Sugrìvo  lo  rianima  e 
l'esorta  a  pensare  ora  agli  apparecchi  della  guerra. 
Allora  Rama,  dopo  aver  lodato  Hanuman  del  suo 
valore  e  datogli  un  amico  amplesso,  [  interroga  per 
sapere  come  sia  guardata  Lanka,  quali  siano  le  sue 
forze  e  le  sue  difese;  e  poiché  ebbe  tutto  inteso  da 
Hanuman,  dispone  con  ordine  opportuno  l'eser- 
cito, e  s  avvia  alla  riva  dal  mare.  Giunta  in  faccia 
all'Oceano,  l'oste  de'  scimj  s'arresta  e  guarda  il  mare 
immenso,  sede  di  \  aruna.  Rama  dà  gli  ordini  con- 
venienti ai  duci  dell'  esercito,  e  come  vede  tutta 
posata  l'oste,  recatosi  in  disparte  col  fido  suo  Lacs- 


PREFAZIONE.  m.\ 

mana,  disfoga,  lamentando,  il  duolo  che  Tarde  : 
«  Suole  il  dolore  mitigarsi  col  trapassar  del  tempo ,  o 
Lacsmana;  ma  il  mio  dolore  d'  esser  diviso  da  Sita 
di  dì  in  dì  vie  più  s  accresce.  O  Sita  mia  diletta, 
quando  sarà  eli  io  ti  rivegga!  Spira,  o  vento,  là 
dov  è  T  amata  mia  sposa;  e  dopo  averne  carezzalo 
le  membra,  ritorna  e  toccami  co'  tuoi  aliti.  » 

Qui  1'  epopea  ci  trasporta  di  nuovo  in  Lanka.  La 
madre  di  Ràvano  presaga  della  rovina  che  sovrasta 
a  Lanka  ed  a  tutti  i  Racsasi,  si  volge  a  \  ibhìsano  il 
miglior  de  suoi  figli  e  1'  esorta  ad  adoperarsi  per 
ismuovere  dal  suo  proposto   Ràvano   e  indurlo  a 
restituir  Sita,  onde  evitare  una  guerra  funesta  col 
temuto  ed  invincibile  Rama.  Vibhìsano  si  reca  alle 
stanze  di  Ràvano,  il  quale  appunto  in  questo  men- 
tre siede  a  consiglio  coi  principali  fra  i  Racsasi,  e 
delibera  intorno  a  ciò  che  s  ha  a  fare  nelle  preseni  1 
occorrenze.  Quivi  Vibhìsano  ode  i  discorsi  de'  con- 
siglieri che  vantano  f  irresistibile  possanza  di  Rà- 
vano, e  secondandone  le  voglie  superbe,  favellano 
di  guerra,   di  vittoria,  di  stragi.   Si  leva  allora  a 
parlare  Vibhìsano  :  ei  rimprovera  a  Ràvano  l'ingius- 
tizia e  f  oltraggio  da  lui  fatti  a  Rama,  mostra  i  pe- 
ricoli che  sovrastano  a  Lanka,  se  si  provoca  a  guerra 
il  terribile  fìllio  di  Dasaratha,  e  conehiude  dicendo 


,.  PREFAZIONE. 

che  si  debbe  senza  rilardo  restituire  a  Rama  la  sua 
sposa.  L  a\  \  iso  di  \  ibhìsano  è  combattuto  da  altri  ; 
s'accende  una  veemente  contesa;  ed  alfine  Ràvano 
preso  da  subita  ira  percuote  d'  un  calcio  il  fratello. 
Questi  abbandona  allora  Lanka  insieme  con  quattro 
suoi  fidi;  se  ne  \a  dapprima  al  monte  Cailàsa, 
d'onde  consigliato  da  Vaisravano  e  da  Siva  si  reca, 
come  supplice,  a  Rama.  I  scimj,  visti  arrivare  que 
cinque  Racsasi,  ne  prendon  sospetto  e  si  dispon- 
gono a  respingerli;  ma  Rama  ordina  che  siano  con- 
dotti innanzi  a  lui;  ed  inteso  il  verace  racconto  che 
gli  fa  \  ibhìsano,  l'accoglie  con  onore  e  il  la  imme- 
diatamente sacrare  re  di  Lanka.  Ora  si  delibera 
intorno  al  modo  di  valicare  l'Oceano  con  tutto  l'eser- 
cito e  dare  I  assalto  a  Lanka.  Per  consiglio  di  \  i- 
bhisano  Rama  s'adagia  sopra  sacre  verbene  in  riva 
al  mare  per  tre  notti  continue,  ed  invoca  l'  Oceano 
signor  de'  fiumi,  allineile  si  mostri  fuor  della  sua 
sede  e  lo  consigli  :  ma  poiché  non  vede  apparire  il 
re  de'  mari,  Rama  s  adira  e  colle  sue  saette  ne  per- 
cuote, ne  turba,  ne  sconvolge  le  acque.  L'  Oceano 
si  mostra  allora  visibile;  consiglia  a  Rama  di  far  cos- 
trurre  nel  mare  una  solida  via  per  cui  possa  passai- 
f  esercito;  e  gli  promette  di  sostenerne  il  peso  e  di 
non  rovesciarla  colf  impeto  de'  suoi  flutti.  Il  scimio 


PREFAZIONE.  u 

\alo  è  figlio  dell'  architetto  divino;  ei  sarà  dunque 
I  architetto  di  quella  grande  mole.  Incontanente  i 
scimj  si  mettono  all' opra;  egittando  a  mano  a  mano 
dentro  il  mare  sassi  smisurati,  rupi,  rocche,  brani 
di  monti  e  grossi  alberi  divelti  colle  loro  radici, 
compiono  in  breve  tempo  1'  opra  maravigliosa.  Gli 
Dei  contemplano  attoniti  quella  mole  immensa,  e 
pronunziano  con  infallibile  detto,  che  per  quanto 
tempo  starà  il  mare,  tanto  durerà  quella  mirabile 
mole;  e  per  quanto  tempo  starà  quella  via,  tanto 
vivrà  la  celebrità  di  Rama.  Qui  finisce  il  libro  quinto, 
Sundarakdnda. 

Sopra  il  gran  ponte  Nalo  costrutto  in  su  quel 
braccio  di  mare  che  separa  dal  lido  l'isola  di  Lanka 
(Ceylan),  i  scimj  a  gruppi,  a  schiere,  a  torme  tra- 
passano a  Ceylan,  portando  guerra  ai  Racsasi.  Rà- 
vano  re  di  Lanka,  veduta  arrivale  ai  lidi  inesplorati 
dell'  isola  f  oste  innumerevole  de'  scimj  capitanata 
da  Rama,  chiama  a  se  due  suoi  fidi  Suca  e  Sarana 
e  li  spedisce  al  campo  di  Rama,  perchè  quivi  esplo- 
rino il  numero  e  la  forza  del  nemico.  1  due  Racsasi 
escono  occulti  dalla  città  e  veggono  i  dorsi  de' 
monti,  le  spelonche,  i  dirupi,  le  selve  e  le  spiagge 
del  mare  pieni  di  scimj  minacciosi  e  fieri.  Menti" 
essi  osservano  intenti  l'oste  nemica,  Vibhisano  sco- 


in  PREFAZIONE. 

pre  i  due  Racsasi  e  li  conduce  a  Rama;  il  quale 

comanda  che  si  mostri  ai  due  esploratori  (piale  <• 
quanto  sia  il  suo  esercito,  e  loro  impone  d'annun- 
ziare a  Ràvano  che  la  vendetta  lungo  tempo  medi- 
tata è  oramai  imminente  e  che  l'oltraggio  del  Gana- 
sthàna  sarà  fra  breve  cancellato  col  suo  sangue  <i 
coli'  eccidio  di  Lanka.  1  due  Racsasi  ritornano  alla 
città  e  raccontano  a  Ràvano  quello  che  videro  e  ciò 
che  loro  disse  Rama.  Il  re  de'  Racsasi  disprezza  le 
minacce,  e  non  cura  i  detti  che  gli  son  riferiti; 
quindi  seguitato  da  Suca  e  Sarana  sale  sulla  più 
alta  parte  della  sua  reggia,  e  quivi  comanda  a  Sa- 
rana che  gii  additi  i  principali  fra  i  duci  dell'  eser- 
cito di  Rama.  Sarana  così  gii  parla  :  Colui  che  vedi 
circondato  da  migliaia  di  guerrieri  guardar  mi- 
nacciando Lanka,  quegli  è  _\alo;  colui  che  protende 
le  robuste  braccia  e  solca  per  ira  coi  piedi  la  terra, 
quegli  è  Angado,  e  così  a  mano  a  mano  Sarana  addita 
a  Ràvano  i  duci  dell'  esercito  nemico,  e  ne  esalta  la 
forza.  Parimente  in  Omero  al  terzo  canto  dell'  Ilia- 
de, Elena  salita  con  Priamo  sulla  torre  delle  porte 
Scee  mostra  al  re  Trojano  i  principali  Ira  i  duci 
dell'esercito  greco  l.  Entra  quindi  a  parlare  Suca,  ed 

1   Tòv  §'  É\évr)  aiiOoicriv  àfisiSero  ,  Sfa  yvvauxtòv  ■ 
Oiìtos  y  Arpe fòrjs ,  svpvx^siw  kycifxéfiveav , 


PREFAZIONE.  lui 

indica  a  Ràvano  altri  duci  colle  loro  schiero.  Udite 
le  parole  dei  due  esploratori,  Ràvano  s1  adira  contro 
loro,  perchè  hanno  osato  al  suo  cospetto  vantare  la 
forza  e  il  valore  de'  suoi  awersarj  ;  e  mal  soddisfa  Ito 
dei  loro  ragguagli,  chiama  altri  Racsasi  e  li  manda 
ad  esplorar  di  nuovo  il  campo  nemico.  Questi  sco- 
perti e  caduti  nelle  mani  dei  scimj ,  sono  fieramente 
maltrattati,  ed  a  gran  pena  riescono  a  salvarsi  e  a 
ritornare  in  Lanka.  Quivi  ei  confermano  a  Ràvano 
quanto  gii  fu  detto  da  Suca  e  Sarana,  e  lo  esortano 
od  a  rendere  Sita  a  Rama  o  ad  apparecchiarsi  im- 
mantinente alla  battaglia;  perchè  Rama  già  mi- 
naccia col  suo  esercito  le  porte  di  Lanka.  Ràvano 
alquanto  commosso  da  quelle  parole  chiama  i  suoi 
ministri  ed  ordina  loro  di  provvedere  a  tutto  e  di 
star  vigilanti;  quindi  imaginato  un  suo  disegno  per 
indurre  Sita  a  consentire  alle  sue  voglie,  fa  venire 
a  se  un  suo  fido,  grande  artefice  di  prestigj  e  gii 
comanda  di  formare  per  forza  di  magìa  una  finta 
testa  di  Rama.  Edi  frattanto  se  ne  va  a  trovar  Sita 


\-V 


e  le  narra  che  in  una  terribile  battaglia  data  sotto 


DJ 


le  mura  di  Lanka  fu  disfatto  e  rotto  tutto  l'esercito 


\fi(pórepov ,  (2ql(tiA£vs  r  iyaOò> ,  xparspós  t'  aì^fjij;T);ì 


Ovtos  h'  ab  AaepTiàhì}*  ,  -croXufx);T<s  Ohvaaeòs ,  ecc. 
(Iliade,  ih,  v.  171  e  seguenti 


un  PREFAZIONE. 

di  Rama,  e  Rama  stesso  ucciso;  che  è  inutile  oramai 
che  ella  più  pensi  al  suo  consorte;  che  ella  debbe 
piegarsi  alfine  ai  suoi  desiderj  e  divenir  sua  sposa. 
Ed  a  prova  di  ciò  che  le  narra,  ei  la  quivi  venire  il 
fido  suo  Racsaso,  il  quale  getta  innanzi  a  Sila  la 
testa  sanguinosa  di  Rama  e  il  suo  grand'  arco.  A 
quella  vista  Sita  prorompe  in  lungo  e  pietoso  la- 
mento. Ma  giunge  in  questo  un  messo  a  Ravano  ad 
annunziargli  che  Rama  col  suo  esercito  s'appressa 
alla  città  e  la  minaccia  d  assalto.  Ravano  esce  pre- 
cipitoso dalle  stanze  di  Sita,  e  lui  parlilo,  scompa- 
iono la  testa  di  Rama  e  l'  arco.  Allora  una  Racsasa 
custode  di  Sita  ed  a  lei  devota  entra  a  confortarla; 
T  accerta  che  quanto  le  fu  detto  testé  della  morte 
di  Rama  è  una  menzogna,  e  l'esorta  a  non  ismar- 
rirsi  d'animo  e  a  sperare.  In  questo  mentre  s'ode 
un  grande  strepito  d'  armi,  di  cavalli  e  d'elefanti,  un 
rumor  confuso  di  guerrieri  accorrenti  d'  ogni  parte  : 
Odi,  dice  la  Racsasa  a  Sita,  s'apprestano  alla  bat- 
taglia i  Racsasi;  Rama  s'appressa;  fra  breve  avrà 
fine  il  tuo  dolore.  Sita  spaventata  ancora  per  f  or- 
renda visione  della  testa  recisa  di  Rama,  prega  Sa- 
rama  (è  il  nome  della  Racsasa)  che  vada  e  spii  che 
(osa  Taccia,  che  cosa  pensi  Ravano.  Sa  rama  obbe- 
disce, e  poco  stante  ritornando  a  Sita,  le  narra  che 


PREFAZIONE.  LV 

Ràvano  raccolto  a  consiglio  coi  principali  suoi  con 
sisflieri  e  duci  venne  con  molte  instanze  esortato  a 
render  lei  Sita  al  suo  consorte  Rama,  e  ad  allonta- 
nare i  pericoli  di  quella  guerra  fatale,  e  che  Piavano 
ricusa.  Mentre  Sarama  così  parla,  un  rumore  im- 
menso di  grida  e  di  suoni  guerrieri  empie  la  citta, 
le  selve  e  i  monti  :  è  l'esercito  di  Rama  che  chiama 
i  Racsasi  a  battaglia.  Un  consigliere  di  Ràvano  tenia 
ancora  con  lungo  discorso  d' indurlo  a  far  pace  con 
Rama;  ma  invano:  il  re  de' Racsasi,  più  che  mai 
ostinato  nel  suo  rifiuto,  dà  gli  ordini  opportuni  per 
la  difesa  della  città,  e  pone  guerrieri  eletti  a  custo- 
dirne le  porte.  Vibhìsano  intanto  ha  spediti  dal  cam- 
po i  quattro  suoi  compagni  a  spiare  le  disposizioni 
di  guerra  latte  da  Ràvano;  e  conforme  a  ciò  che  essi 
tornando  han  riferito,  Rama  determina  1'  ordine 
del  vicino  combattimento  :  quindi  coi  principali 
duci  e  guerrieri  sale  sopra  il  monte  Suvela ,  che  so- 
vrasta a  Lanka,  per  discoprire  da  quelle  alture  la 
città  colle  sue  difese.  Quivi  ei  passa  la  notte,  e  scorge 
per  l'aria  e  sulla  terra  portenti  spaventosi,  insoliti, 
annunzj  di  calamità  future.  Disceso  al  nuovo  dì  dal 
monte  Suvela,  Rama  dispone  in  ordine  di  battaglia 
il  suo  esercito,  sotto  cui  trema  la  terra  e  s'alzano 
nubi  di  polvere  :  ma  prima  d'entrare  in  battaglia, 


ivi  PREFAZIONE. 

Rama,  memore  del  dovere  d'un  ree  della  generosità 
guerriera,  manda  Angado  messaggero  a  Ràvano, 
acciocché  srli  dica  in  nome  suo  che  abbandoni  il 
regno  e  renda  Sita,  se  ei  pur  vuole  evitar  la  guerra. 
Ràvano  acceso  d' ira  a  quelle  parole,  ordina  che  sia 
preso  e  legato  il  messo  di  Rama  ;  ma  questi  si  svincola 
e  se  ne  ritorna  al  campo.  Ora  incomincia  la  battaglia. 
Armati  di  grossi  tronchi  d'alberi,  di  macigni,  di 
brani  di  monti,  i  scimj  si  spingono  all'assalto  di 
Lanka,  minacciando  ad  un  tempo  tutte  le  porte 
della  città.  Nel  tempo  stesso  Ràvano  spinge  contro 
i  scimj  le  schiere  de'  Racsasi  armati  di  saette,  di 
mazze  e  d'aste  ;  e  s'  appicca  con  varia  fortuna  e  con 
diversi  casi  una  terribile  mischia,  che  si  continua 
mal  grado  la  notte  sopravvenuta.  Ma  in  questo  mezzo 
un  duce  de'  Racsasi,  per  nome  Indragit,  figlio  di 
Ràvano,  s'allontana  inosservato  dal  campo,  ed  offre 
un  suo  tremendo  sacrifizio,  onde  ottenere  virtù  so- 
vrumana; poi  ritorna  al  combattimento,  ed  aggi- 
randosi per  la  mischia  occulto,  irresistibile,  ferisce, 
atterra,  uccide  e  non  s'arresta,  finché  non  vede  ca- 
duti sul  campo  colpiti  da  cento  saette  Rama  e  Lacs- 
mana.  Come  i  scimj  s'  accorgono  della  caduta  dei 
due  fratelli,  si  stringono  intorno  a  loro  costernali, 
atterriti,  e  guardano  d'ogni  parte,  se  appare  traccia 


PREFAZIONE.  lvii 

d' Indragit ;  ma  questi  s'  è  l'accollo  in  Lanka  ed  ha 
significato  a  Ràvano  la  presupposta  morie  di  Rama  e 
Lacsmana.  Il  re  de'  Racsasi  esulta;  la  proclamare 
per  la  città  la  grande  novella,  il  mirabile  fatto;  poi 
ordina  che  si  faccia  salire  sopra  un  carro  Sita  e  si 
conduca  al  campo,  affinchè  ella  vegga  coi  proprj 
suoi  occhi  il  suo  consorte  ucciso.  L'ordine  è  imman- 
tinente eseguito  :  Sita  arriva  al  campo,  vede  esul- 
tanti per  la  vittoria  i  Racsasi;  costernati,  atterriti  i 
scimj  :  quindi  oh  dolore!  ella  scorge  distesi  a  terra, 
immersi  nel  sangue,  feriti  da  cento  saette  Rama  e 
Lacsmana.  La  consorte  di  Rama  fa  quivi  un  pietoso 
lamento  degno  dell'  antica  musa  greca;  ma  la  Ra- 
csasa  che  1'  accompagna  ed  è  a  lei  devota,  guarda 
più  attentamente  i  due  eroi  giacenti,  esamina  con 
mente  più  tranquilla  ogni  circostanza,  ogni  fatto, 
e  rivolta  a  Sita  :  Non  iscoraggiarti,  le  dice;  t'accerto 
che  Rama  e  Lacsmana  non  son  morti  ;  e  in  questo 
la  riconduce  in  Lanka. 

Dopo  un  lungo  deliquio,  Rama,  siccome  dotato 
di  più  energica  natura,  ricupera  il  senso,  e  veg- 
gendo  steso  a  terra  esangue,  immobile  il  fratello 
Lacsmana,  fa  sovra  di  lui,  che  ei  crede  morto,  un 
lungo  lamento.  Sopravviene  in  questo  punto  \  ibhi 
sano  armato  di  mazza  :  i  scimj  credendo  ch'ei  fosse 


Lvin  PREFAZIONE. 

Indragit,  si  danno  alla  fuga  impauriti,  ma  vengono, 
non  senza  difficoltà,  rassicurati  e  contenuti  dai  loro 
duci.  Vibhisano  deplora  qui  la  sorte  di  Lacsmana  e 
di  Rama  :  Sugrìvo  il  re  de'  scimj  vuole  incontanente 
rinnovar  la  battaglia,  assalir  Lanka  e  vendicare  i 
due  fratelli  :  ma  Susena,  conoscitor  dell'  nix-  e 
delle  loro  virtù  occulte,  pensa  a  risanale  i  due  eroi 
feriti  ;  dice  che  è  necessaria  a  quest'  uopo  una  pianta 
che  si  trova  nell'Oceano  latteo  Ir.i  i  due  monti  Drona 
e  C'andrà,  e  consiglia  che  si  spedisca  Mann  man  a 
cercarne.  In  questo  mentre1  una  voce  secreta  mor- 
mora all' orecchio  di  Rama  queste  parole:  Ricor- 
dati, o  Rama,  che  In  sei  Naràyana  (Visnu)  urna- 
nato;  pensa  a  Garuda  (la  grande  aquila  di  Visnu) 
terror  dei  serpenti.  Così  fa  Rama;  ed  ecco  improv- 
visamente s'ode  un  grande  strepito  d'ali  e  un  im- 
petuoso muoversi  di  vento;  fugge,  s  asconde  per 
paura  ogni  essere  che  serpe  sulla  terra  :  è  Garuda , 
la  grand'  aquila  grifagna  che  appare  a  Rama.  Im- 
mantinente le  saette  da  cui  erano  straziali  Riama 
e  Lacsmana,  fuggon  sibilando  nei  penetrali  della 
terra  :  quelle  saette  erano  serpi  velenose,  che  Indra- 
git per  forza  di  magìa  aveva  lanciate  contro  Rama 
e  Lacsmana  invece  di  dardi.  Subitochè  veggono  rin- 
vigoriti e  salvi  i  due  fratelli,  le  schiere  de' scimj 


PREFAZIONE.  Lix 

alzano  grida  di  gioia ,  e  brandendo  alberi  e  massi  di 
rupi,  chiamano  di  nuovo  la  battaglia.  I  dendo  quel 
tumulto,  quelle  grida  di  gioia,  Ràvano  entra  in  sos- 
petto ed  ordina  che  dall' allo  dei  baluardi  si  osservi 
il  campo  nemico;  poco  stante  gli  vien  riferito  che 
l'esercito  de' scimi  è  disposto  a  ricominciar  la  bat- 
taglia capitanato  da  Rama  e  Lacsmana.  A  quell' 
annunzio  inaspettato  Ràvano  comanda  ad  uno  de' 
suoi  duci,  per  nome  Dumràcsa,  d'uscire  con  gran 
numero  di  guerrieri  e  di  sostener  la  battaglia.  Dum 
ràcsa,  mal  grado  i  terribili  presagj  che  gli  appajono 
d  ogni  parte,  esce  dalla  porta  occidentale,  dove  sta 
coi  suoi  il  gran  scimio  Hanumàn,  e  si  riaccende  la 
pugna.  Dopo  un  lungo  e  feroce  combattimento,  in 
cui  la  fortuna  piega  or  dall'una  parte,  ora  dall' 
altra,  Hanuman  percuote  con  un  brano  di  monte 
Dumràcsa  nel  mezzo  del  capo  e  lo  stende  morto  a 
terra.  I  Racsasi  privi  di  duce  retrocedono  :  ma  Rà- 
\  ano  spedisce  subitamente  un  altro  eroe ,  Acampano , 
con  nuovi  guerrieri,  e  si  ristaura  la  pugna.  Cresce  da 
ambe  le  parti  il  furor  della  battaglia  ;  Racsasi  e  scimj 
cadono  a  vicenda;  s'immolla  di  sangue  la  terra;  il 
campo  è  tutto  ingombro  d'armi  e  di  rottami  di  monti. 
Hanuman  agitando  un  tronco  d  albero  smisurato, 
s'aggira  per  la  battaglia,  cercando    Scampano;   lo 


ix  PREFAZIONE. 

ritrova,  s'azzuffa  con  lui  e  l'  uccido.  A.  quella  vista 
i  Racsasi,  già  affranti  da  lunga  battaglia,  si  danno 
tumultuosamente  alla  fuga  e  si  ricoverano  in  Lanka. 

Piavano  sorpreso  e  impensierito  chiama  a  consi- 
glio i  suoi  ministri  e  duci;  e  dopo  lunga  delibera- 
zione esce  e  percorre  la  città,  esaminando  a  parie 
a  parte  i  drappelli  e  le  legioni  de  Racsasi;  poi  si 
volge  a  Prahasto  uno  de'  primi  suoi  capitani,  e  gli 
impone  di  pigliare  con  se  nuovi  guerrieri  e  di  sos- 
tenere la  vacillante  fortuna  delle  armi.  Prahasto 
esce  con  fresco  esercito  dalla  città  fra  sinistri  pre- 
sagj  ed  assale  le  schiere  di  Nila.  Nuova  e  più  feroce 
battaglia  lungamente  e  vivamente  descritta  dall' 
epopea.  Dopo  varj  casi,  ferite  e  morti  Nila  affronta 
Prahasto  :  i  due  eroi  combattono  lungamente  con 
terribile  pugna,  ed  infine  Mia  con  un  enorme  ma- 
cigno sfracella  la  testa  di  Prahasto.  1  Racsasi  atter- 
riti abbandonano  il  campo  e  si  richiudono  in  Lanka. 

Piavano  comincia  ad  accorgersi  che  ha  a  fare  con 
un  nemico  troppo  più  forte  che  ei  non  credeva,  e 
si  risolve  d'  uscire  egli  stesso  ad  affrontarlo.  Ma  la 
prima  Ira  le  consorti  di  Piavano  per  nome  Mando- 
darì,  udita  quella  sua  determinazione,  ne  viene  a 
lui,  e  con  lungo  discorso  lo  consiglia,  lo  prega  di 
cessar  quella  guerra  che  pone  in  tanto  pericolo  il 


PREFAZIONE.  lxi 

suo  regno  e  la  sua  vita.  Ràvano  rifiuta  consigli  e 
preghiere;  il  suo  orgoglio  non  gii  consente  di  pre- 
sentarsi supplice  e  chieder  pace  a  Rama.  Il  re  de' 
Racsasi  adunque  sale  sul  suo  carro  di  battaglia,  e 
s  avvia  con  grand  oste  a  combattere.  Rama  vedendo 
venire  alla  sua  volta  tanto  apparato  di  forze,  inter- 
roga Vibhìsano  per  sapere  chi  siano  i  duci  di  quelle 
schiere,  e  \  ibhìsano  gii  indica  e  gii  noma  i  princi- 
pali eroi,  e  in  mezzo  ad  essi  grandeggiante ,  altero 
il  re  de'  Racsasi.  Si  rinnova  la  battaglia.  In  questo 
nuovo  combattimento  f  epopea  non  mette  in  rilievo 
altro  che  Ràvano,  non  parla  che  de'  suoi  fatti  inau- 
diti, titanici;  pare  che  l'esercito  de'  scimj  non 
abbia  a  fare  che  con  lui  solo;  egli  occupa  quasi 
intiera  la  scena  di  quella  fiera  battaglia.  Contro  lui 
combattono  a  mano  a  mano  Sugrìvo,  Gavayo,  Ga- 
vacso,  Sudanstra ,  Meindo,  Nalo,  Angado,  Nila, 
Lacsmana  ed  altri  forti;  ma  nessuno  può  resistere 
al  terribile  suo  impeto,  che  tutto  atterra  e  conquide. 
Alfine  si  presenta  Rama;  egli  solo  può  far  argine  a 
quella  rovina.  Con  un  nembo  di  saette  Rama  uccide 
i  cavalli  e  f  auriga  di  Ràvano;  gii  spezza  f  arco,  gii 
abbatte  il  diadema;  e  costringe  il  re  de' Racsasi  a 
retrocedere  ed  a  rientrare  in  Lanka.  Ora  si  ricorre 
ad  un  altro  disegno. 


lxii  PREFAZIONE. 

Fra  i  più  tremendi  abitatóri  di  Lanka  v  ha  un 
Racsaso  per  nome  Cumbacarno,  fratello  di  Ràvano. 
A  petto  a  costui  è  un  nulla  il  gran  Ciclope,  il 
3-av(ioL  tseképtov,  il  monstrum  horrendum,  informe, 
ingens  dell'  Odissea  e  dell'  Eneide1.  Questo  Cumba- 
carno è  un  essere  spaventoso,  immane  clic,  quando 
lo  stimola  la  voglia  di  pasto,  divora  con  ingorda 
ingluvie  ogni  creatura  che  gli  si  para  dinanzi.  Per 
salvare  da  quel  furor  famelico  le  cica  tu  re  viventi 
sulla  terra,  Brahma  condannò  Cumbacarno  ad  un 
sonno  perenne;  e  solo  gli  concesse  di  sei  in  sei 
mesi  un  giorno  di  veglia  per  saziai-  la  sua  fame. 
luì  vano  comanda  che  si  risvegli  Cumbacarno,  ac- 
ciocché venga  in  aiuto  alla  sua  fortuna  ed  al  ;  inac- 
ciato  suo  regno.  Tutta  una  schiera  di  Racsasi  si 
mette  all'  opera  per  isvegliar  Cumbacarno.  Costoro 
percuotono  a  tutta  forza  le  sue  membra  inerti, 
fanno  alle  sue  orecchie  uno  strepito  orrendo,  lo 
straziano  con  tagli,  il  feriscon  di  punte,  il  fan  cal- 
pestare da  cavalli  e  da  elefanti  :  alfine  Cumbacarno 
si  sveglia,  e  sitibondo,  affamato  chiede  carni  e  sangue 
per  cibo  e  bevanda.  Ràvano  narra  a  Cumbacarno 
quello  che  avvenne,  il  rapimento  di  Sita,  l'arrivo  di 
Rama  e  del  suo  esercito  sotto  le  mura  di  Lanka,  la 

1   Odissea,  XI.  v.  190  e  seg.  Eneide,  Iti. 


PREFAZIONE.  lxiii 

eruerra  incominciala  e  dubbia  luti   ora,  il   bisogno 

<■>  * 

del  suo  aiuto  per  uscirne  vincitori.  Ma  Cumbacarno, 

intesa  la  causa  di  quella  ostilità  e  udito  il  nome  di 
Rama,  rimprovera  acerbamente  a  Ràvano  l'essersi 
tirata  addosso  quella  guerra  funesta;  Piavano  si 
sdegna;  e  nasce  contesa  fra  loro,  litigio  nel  consiglio 
dei  capi.  Finalmente  Cumbacarno,  mosso  dai  vincoli 
del  sangue  e  dal  pensiero  della  comune  salvezza,  si 
risolve  di  combattere;  ed  esce  da  Lanka  seguitato 
da  coorti  di  Racsasi.  I  scimj ,  come  veggono  apparire 
queir  immane  Titano,  impauriscono,  si  sbandano, 
e  fuggono  per  ogni  parte;  ma  il  valoroso  Angado 
perviene  non  senza  fatica  a  rattenerli,  a  incoraggiarli 
e  a  ri  condurli  addietro.  1  più  forti  fra  i  duci  de' scimj 
si  stringono  allora  Y  un  presso  l'altro,  e  fanno  im- 
peto insieme  contro  Cumbacarno  :  ei  scagliano 
contro  di  lui  tronchi,  massi,  cacumi  di  monti;  spez- 
zano il  suo  carro,  atterrano  il  suo  vessillo;  ma  non 
possono  ferire  il  corpo  del  feroce  Racsaso.  Questi 
abbandonando  il  rotto  suo  carro,  si  spinge  nel  più 
fìtto  della  mischia,  e  menando  attorno  la  ferrea  sua 
mazza  insanguinata ,  fa  strage  orrenda  di  scimj  ;  né 
solo  uccide,  ma  divora,  ingoja  con  rabida  lame.  La 
battaglia  si  prolunga  con  danno  de  scimj  percossi, 
ingojati  da  Cumbacarno  :  ma  Rama  da   finalmente 


lxiv  PREFAZIONE, 

di  piglio  ai  teli  divini,  e  dopo  lunga,  ferocissima 
lotta  ei  recide  la  testa  del  Racsaso,  il  (piale  cadendo 
ingombra  col  vasto  suo  corpo  uno  spazio  smisurato 
di  terra. 

Udita  la  morte  di  Cumbacarno,  Ràvano  dolente, 
attonito  s'abbandona  a  un  disperato  lamento;  ma 
sorgono  a  confortarlo  altri  fortissimi  suoi  guerrieri , 
Trisiras,  Devantaca,  Naràntaca,  Mahodaro,  Malia- 
parsvo  ed  Aticaya,  tutti  pronti  a  correre  all'  armi 
e  a  vendicare  la  morte  di  Cumbacarno.  Questi  sei 
duci  muovono  animosi  a  combattere  con  grande 
apparato  d'  uomini  e  d'  armi;  e  s' appicca  una  nuova 
battaglia  lungamente  descritta,  nella  quale  riman- 
gono spenti  i  sei  guerrieri.  Questa  nuova  sconfina 
accresce  lo  sgomento  di  Ràvano.  Allora  Indragit, 
rassicurato  con  fiera  baldanza  il  padre,  si  dispone 
a  rientrare  in  battaglia;  e  rinnovato  con  riti  atroci 
il  tremendo  sacrifizio  die  s  è  veduto  più  addietro, 
penetra  invisibile  nel  campo  nemico.  Quivi  ei  va 
attorno  occulto  per  forza  di  magìa,  scocca  saette 
ardenti  come  fuoco,  ferisce,  ammalia,  uccide  e 
sparge  per  ogni  dove  terrore  e  stupefazione.  Rama 
e  Lacsmano,  scopo  principale  ai  suoi  colpi,  resi- 
stono per  qualche  tempo;  poi  cadono  anch'essi  so- 
praffatti  da   una   forza  arcana.  Indragit   si   riduce 


PREFAZIONE.  iw 

allora  entro  Lanka  a  notte  fitta,  e  riconforta  con 
lieto  annunzio  il  padre.  Partitosi  Indragit,  i  scimj 
si  perdon  d'animo  veggendo  di  nuovo  distesi  a  Id- 
ra, privi  di  senso  Rama  e  Lacsmana.  Frattanto  Ha- 
nnman  e  Vibhisano,  presi  due  gran  tizzi  ardenti,  si 
danno  a  percorrere  il  campo  per  vedere  ehi  sia 
morto  e  chi  ferito.  Ei  ritrovano  a  mano  a  mano  gia- 
centi a  terra  Meindo,  Gyotirmuca,  Dvivido,  Kesari, 
Risaba,  e  fra  costoro  il  vecchio  Gambavat.  Questi 
esausto  dalle  ferite  e  illanguidito,  come  ode  parlar 
Vibhisano,  domanda  con  voce  affannata .,  se  pur  vive 
Hanuman  :  il  gran  scimio,  figlio  del  vento  s'appressa 
a  lui  e  si  noma.  Allora  Gambavat  così  gii  parla  :  Tn 
solo,  o  veloce  figlio  del  vento,  puoi  salvar  noi  tutti; 
fra  i  due  monti  Risaba  e  Cailàsa  v  ha  una  regione, 
dove  cresce  un'erba  che  sana  le  ferite  avvelenate; 
va  e  qui  reca  quell'  erba  salutare.  Immantinente  Ha- 
numan si  slancia  per  aria  verso  il  luogo  che  gii  è 
indicato,  ed  in  breve  tempo  ritorna,  portando  un 
cacume  di  monte  colf  erba  sanatrice  :  odorando 
quell'erba,  risorgono  sani  e  salvi  Rama  e  Lacsmano 
e  dopo  loro  tutti  gii  altri  feriti. 

Ora  i  scimj  rifatti  sani  vogiion  tentare  un  azione 
ardita.  Nel  mezzo  della  notte  ei  s' armano  di  grossi  tizzi 
accesi,  e  con  subito  impoto  assalendo  Lanka,  metto- 


LXVi  PEEFAZIONE. 

no  ogni  cosa  a  fuoco  e  a  fiamma,  (ili  ululali  «Ielle 
donne,  le  grida,  il   tumulto  de  Racsasi  sorpresi,   il 
crepitare  delle  fiamme,  il  rovinio  delle  case  cadenti 
rendono  nella  notte  un  aspetto  spaventoso.   Ufine  i 
Racsasi  si  raccolgono  armali  per  respingere  i  scimj; 
e  ne  segue  una  lunga,  ostinala    battaglia,    in   cui 
perdon  la  vita  Ire  duci  de1  Racsasi   Cumbha,    Ni- 
cumbha  e  Macaràcsa,  e  sono  uccisi  o   feriti  altri 
duci  de'  scimj ,  tra  i  quali  Nalo  e  Gandhamàdano. 
Indragit  imagina  qui  un  nuovo  suo  disegno.   I.i 
forma  per  virtù  di  magia  una  finta  persona  di  Sita, 
la  pone  sul  suo  carro  di  guerra  ed  esce  da  quella 
porta,  dove  si  trova  llanuman.  Venuto  in  laccia  al 
nemico  ei  recide  colla  sua  spada  la  lesta  della  finta 
Sita   e  la  getta  sanguinosa  sul    campo.    \l leniti   a 
quella  vista  Hanuman  e  isuoi  compagni  si  scagliano 
con  furor  disperato  contro  i  Racsasi  per  far  ven- 
detta di  quel   fatto  orrendo.  Rama  che  ode  quel 
rumor  di  battaglia   verso   la   porla    occidentale   e 
s  avvisa  che  Hanuman  è  alle  mani  col  nemico,  invia 
Gambavat  al   suo  soccorso.   Ma  questi   trova   non 
molto  lungi  Hanuman  che  mesto  se  ne  ritorna  dal 
combattimento  e  sen  va  ad  annunziare  a  Rama  la 
morte  di  Sita.  A  quel  crudele  annunzio  Rama  cade 
a  terra  per  dolore;  e  Lacsmana  prorompe  in   pa- 


PREFAZIONE.  LXVii 

mie  di  duolo  e  d'  ira,  negando  la  giustizia  ed  affer- 
mando che  la  sola  forza  è  quaggiù  donna  del  mondo. 
Sopravviene  in  questo  mentre  Vibhìsano,  e  udita  la 
causa  di  tanto  dolore,  egli  conforta  Rama,  e  rassi- 
cura che  quella  morte  di  Sita  non  è  altro  che  una 
vana  illusione  :  lo  so,  gli  dice,  quanto  Ràvano  ha 
cara  Sita;  ei  la  tiene  nascosta  ad  ogni  sguardo,  e 
non  consente  che  alcuno  le  si  appressi;  è  impossi- 
bile che  Indragil  abbia  potuto  rapirla  e  ucciderla; 
quella  morte  non  è  che  un  vano  prestigio.  Ora  as- 
colta, o  Rama,  quel  eh'  io  ti  dico  :  Indragit  s'è  rac- 
colto dentro  il  sacro  recinto,  e  prepara  un  nuovo 
sacrifizio  per  tornare  alla  battaglia  con  più  terribile 
possanza  :  prima  eh'  ei  compia  questo  nuovo  suo 
l'ito,  conviene  assalirlo;  vengano  con  me  Lacsmana 
ed  altri  prodi,  e  si  sfidi  a  battaglia.  Rama  impone 
a  Lacsmano  e  ad  altri  guerrieri  eletti  di  seguitar 
Vibhìsano;  dà  loro  gii  ordini  opportuni;  e  quei 
s'avviano  al  luogo,  dove  sta  Indragit.  In  su  11'  arri- 
vare i  scimj  danno  dentro  nelle  file  de'Racsasi,  ed 
Indragit,  abbandonando  il  sacrifizio  incompiuto, 
corre  a  combattere.  Come  egli  scorge  Ira  gii  assa- 
litori Vibhìsano,  gii  rimprovera  l'aver  egli  tradita  la 
causa  de'  suoi  e  l'essersi  fatto  nemico  alla  sua  genie  : 
al  che  Vibhìsano  risponde  con  del  li  altieri  e  giustifica 


lxvii]  PREFAZIONE. 

quel  die  ha  fatto.  Frattanto  Lacsmana  chiama  In- 
dragit  a  singoiar  battaglia;  e  i  due  croi  cominciano 
una  lotta  ostinata,  tremenda,  che  si  continua  con 
varia  fortuna,  e  finisce  colla  morie  d  Indragit.  La 
novella  di  quella  vittoria  è  incontanente  recata  a 
Rama;  il  quale  accoglie  Lacsmana  con  gioia,  e  ver- 
gendolo ferito  da  più  colpi,  il  la  risanale  da  Su- 
sena  colf  erba  salutare  ed  insieme  con  lui  gli  altri 
suoi  compagni. 

In  questo  mentre  Ràvano,  intesa  la  morte  d' In- 
dragit, lamenta  il  lato  immaturo  del  prode  suo 
figlio;  quindi  preso  da  subila  ira  \uole  uccider  Sita 
ed  offrirla,  come  vittima,  ai  mani  d  Indragit;  ma 
ne  viene  distolto  da  alcuni  suoi  fidi.  Ordina  egli 
allora  una  nuova  sortita  contro  il  nemico  :  i  due 
eserciti  vengono  nuovamente  alle  mani,  e  si  com- 
batte da  ambe  le  parti  con  furore  indomito.  In  quel 
nuovo  combattimento  Rama  adoperando  i  divini 
teli  Gandharvi,  la  strage  immensa  de'  Racsasi,  i 
quali  lasciano  il  campo  coperto  di  morti  e  di  mo- 
renti. Qui  le  donne  Racsase  che  han  perduto  chi  il 
marito,  chi  il  fratello,  chi  il  figlio,  levano  al  cielo 
un  immenso  lamento,  fanno  ululati  e  pianti,  e  ma- 
ledicono quella  guerra  fatale. 

La  catastrofe  del  gran  dramma  guerriero  è  ora- 


PREFAZIONE.  lxix 

mai  imminente.  Ràvano  si  risolve  a  far  f  ultima  piova 
ed  a  condurre  egli  stesso  contro  il  nemico  tutte  le 
sue  forze.  Comanda  pertanto  che  si  chiami  all'  armi 
ogni  guerriero,  e  suonino  a  battaglia  i  hellici  stro- 
menti  :  con  rapide  parole  egli  incoraggia  i  suoi  pro- 
mettendo loro  sicura  vittoria  ;  sale  quindi  sul  suo 
carro  che  ha  per  vessillo  una  testa  umana,  e  senza 
por  mente  ai  sinistri  presagj ,  esce  con  formidabile 
apparato  di  guerra.  Or  si  combatte  con  isforzo  su- 
premo F  ultima,  la  decisiva  battaglia,  che  l'epopea 
descrive  ampiamente  e  con  vivi  colori.  Cadono  dalla 
parte  de  Racsasi  i  duci  Virupacso,  Matta  e  Unmatta; 
dalla  parte  de  scimj  son  feriti  Gamba  vat,  Gavacso 
ed  altri.  Ràvano  e  Rama  vengono  a  singoiar  cer- 
tame; poi  sottentra  Lacsmana  :  ma  cpiesti  nell'ardor 
della  pugna  è  ferito  profondamente  al  cuore  e  cade. 
Rama  pone  Sugrìvo  ed  Hanuman  alla  custodia  di 
Lacsmano,  e  continua  la  battaglia  per  respingere 
Ràvano;  quindi  ritorna  e  fa  sopra  il  fratello  un  la- 
mento di  dolore.  Ma  Sugrìvo  fa  qui  immantinente 
venir  Susena,  il  conoscitore  dell' occulta  virtù  dell' 
erbe  :  Susena  esamina  attentamente  Lacsmana,  e 
pronunzia  che  la  ferita  non  è  mortale.  Nella  regione 
che  s'appella  Gandhamàdana ,  così  egli  dice,  cresce 
un  erba  efficace  a  risanare  il  ferito;  si  mandi  pron- 


lxx  PREFAZIONE, 

tamente  a  cercarne.  Hanuman,  l'agilissimo  figlio 
del  vento,  è  incaricalo  di  quella  nuova  spedizione; 
e  ragguagliato  prima  della  via  ch'egli  ha  da  tenere, 
delle  difficoltà  che  ha  a  vincere,  degli  indizj  onde 
distinguere  la  pianta  salutare,  si  slancia  per  aria  e 
parte.  Nel  passar  sopra  Nandigràma  <'i  vede  Bha- 
rata  fratello  di  Rama,  posto  al  governo  del  regno: 
Hanuman  s'arresta  e  s'abbocca  con  lui;  poi  si  ri- 
mette in  via  e  giunge  al  Gandhamàdana.  Qui  dopo 
vari  casi  e  molti  ostacoli  egli  spicca  un  brano  di 
monte  con  sopravi  l'  erba  sanatrice,  e  ritorna  al 
campo.  Odorando  queir  erba,  Lacsmana  risana  e 
ricupera  le  sue  forze.  Ma  il  cacume  di  monte,  che 
Hanuman  ha  recato  dal  Gandhamàdana,  è  una  delle 
sedi  degli  Dei;  convien  dunque  riportarlo  al  suo 
silo;  Hanuman  parte  di  nuovo  con  esso  il  monte, 
combatte  per  aria  contro  alcuni  Racsasi  che  gli  im- 
pediscon  la  via,  e  rimette  il  cacume  al  luogo,  ond' 
era  stato  tolto.  Concetti  veramente  titanici! 

Si  riaccende  ora  la  battaglia.  Ràvano  si  fa  innanzi 
sopra  uno  splendido  carro;  ma  Rama  è  pedestre; 
la  pugna  è  perciò  disuguale.  Ecco  che  Indra  spe- 
disce a  Rama  il  suo  carro  divino  col  suo  auriga 
Mutali;  Rama  vi  sale  e  s'  azzuffa  con  Ràvano.  Qui 
ha  luogo  un  combattimento  maraviglioso,  inudito, 


PREFAZIONE.  lxxi 

al  di  là  d'  ogni  proporzione  umana  :  si  combatte  con 
armi  divine,  con  teli  arcani;  tremala  terra,  s'agita 
il  mare,  si  conturba  il  cielo  :  i  Devi  cogli  Asuri 
sono  spettatori  di  quella  lotta  titanica ,  ed  incorag- 
giano gli  uni  Rama,  gli  altri  Piavano;  poi  Devi  ed 
Asuri  vengono  a  battaglia  fra  loro,  nemici  eterni 
come  il  bene  e  il  male.  Finalmente  Rama  ottiene 
la  vittoria ,  uccidendo  il  suo  odiato  nemico.  Qui  è 
finita  la  gran  guerra.  1  scimj  entrano  esultanti  in 
Lanka ,  ne  percorron  le  vie  ed  ammirano  la  magni- 
ficenza, lo  splendore  della  nobil  città,  regal  sede  di 
Ràvano.  In  cpiesto  mezzo  Vibbìsano  compiange  la 
sorte  del  re  caduto;  poi  succede  il  lamento  delle 
donne  del  gineceo  :  quindi  la  lunga  querela  di 
Mandodarì  prima  fra  le  consorti  di  Ràvano,  venuta 
a  piangere  sul  corpo  dell'  estinto  marito  :  infine  si 
compiono  con  riti  solenni  i  funebri  uffici  del  re 
de'  Racsasi. 

Celebrata  la  gran  vittoria,  i  Devi  qui  convenuti 
se  ne  ritornano  alle  celesti  lor  sedi.  Rama  comanda 
allora  che  col  rito  solenne  delle  inspersioni  sia  con- 
sacrato re  de'  Racsasi  Vibbìsano  :  quindi  ordina  ad 
Hanuman  di  recarsi  a  Sita  e  di  annunziarle  la  vit- 
toria ottenuta,  la  morte  di  Ràvano  e  il  fine  della 
sua  lunga  cattivila.   Il  cuore  di   Sita  s'apre  ad  un 


iaxii  prefazione. 

ineffabile  gaudio;  ma  quel  gaudio  sarà  fra  breve 
converso  in  lotto.  Venuta  al  cospetto  di  Rama,  Sita 
è  accolta  dal  suo  sposo  con  sembiante  severo  e  con 
torbido  piglio  :  Io  ho  fatto,  ei  le  dice,  quel  che  si 
conveniva  ad  un  uomo  mio  pari;  ho  vendicato  in 
faccia  al  mondo  l'oltraggio  fattomi;  il  mio  onore, 
la  mia  fama  son  salvi.  Quanto  a  te,  o  Sita,  il  tuo 
lungo  soggiorno  in  Lanka  fra  le  mani  del  tuo  ra- 
pitore ha  contaminato  la  tua  fama,  resa  sospetta 
agii  uomini  la  tua  pudicizia ,  ond'  io  non  posso  ora 
più  riceverti  come  sposa  ;  provvedi  dunque  a  te 
stessa,  e  prendi  quel  partito  che  più  t'aggrada.  A 
quelle  dure  parole  Sita  si  dirompe  in  pianto  :  poi, 
ripreso  animo,  risponde  a  Rama  con  detti  nobili  e 
generosi,  ed  ordina  infine  che  si  prepari  un  rogo, 
ultimo  asilo  d'una  donna  innocente,  abbandonata 
da  colui  ch'ella  ama.  Apprestato  il  rogo,  Sita  in- 
voca come  proteggitore  e  testimonio  della  sua  fede 
1'  onniveggente  Dio  Fuoco;  poi  si  precipita  nelle 
fiamme  ardenti.  In  questo  punto  sopravvengono  il 
Dio  Brahma ,  Indra ,  Yama ,  Varuna  e  fra  questi  ap- 
pare raggiante  di  luce  immortale  1'  estinto  Dasa- 
ratha  padre  di  Rama.  Qui  Brahma  fa  un  lungo  dis- 
corso, tutto  inteso  a  rammentare  a  Rama  che  egli  è 
Visnu   ed   a   celebrarlo   coi   varj    nomi    propri    di 


PREFAZIONE.  lxxiii 

questo  Dio.  Frattanto  il  Dio  Fuoco  apparso  visibile 
in  mezzo  al  rogo  e  presa  Sita,  la  proclama  inno- 
cente d'ogni  colpa  e  la  consegna  a  Rama;  il  quale 
veggendo  ciliari  la  al  cospetto  eli  tutti  1'  innocenza 
di  Sita,  1'  accoglie  con  gioia  ed  amore  e  la  saluta  col 
dolce  nome  di  sposa.  Rama  e  Lacsmana  s'  appres- 
sano quindi  a  Dasaratha  seduto  sopra  uno  splen- 
dido carro  celeste,  abbracciano  con  reverenza  i  suoi 
piedi  e  ne  raccolgono  attentamente  i  detti  :  Nel  ri- 
vederti o  Rama,  ei  dice,  si  racqueta  alfine  l'antico 
mio  dolore;  ora  comprendo  la  ragione  arcana  di 
quell'  esilio  che  mi  fu  causa  di  tanto  duolo,  e  troncò 
la  terrestre  mia  vita.  Ritorna  ora  ad  Ayodhya,  o 
Rama,  rallegra  Causalya  e  regna.  Abbi  cara  Sita, 
tua  casta  e  fedel  compagna;  proteggi  le  genti  e  sia 
felice.  Dette  queste  e  più  altre  parole,  Dasaratha 
se  ne  ritorna  al  mondo  d'  Indra,  al  cielo.  Prima 
di  partirsi  da  Rama,  Indra  gii  chiede,  se  ei  desi- 
deri da  lui  alcun  favore,  e  Rama  lo  prega  di  ri- 
tornare in  vita  i  guerrieri  spenti  in  quella  guerra. 
Mia  qual  preghiera  consentendo  Indra,  spande  una 
larga  pioggia  d' amrita  sovra  il  campo  di  battaglia, 
e  al  contatto  di  quell'  amrita  risorgono  vivificati  i 
guerrieri  uccisi.  Ora  Rama  si  dispone  a  ritornare 
ad  Ayodhya.  S'  appresta  per  quel  gran  viaggio  il  ce- 


lxxi\  PREFAZIONE. 

lebre  cario  Puspaco  :  Rama  vi  sale  con  Sita  e  Lacs- 
mana,  eoa   Vibhìsano,  Sugrìvo  e  più  altri  duci,  e 
s  avvia  alla  città  sede  del  suo  impero.  Mentre  ei  rifa 
vittorioso  e  lieto  quella  via,  eh'  egli  aveva  fatta  esule 
e  ramingo  alcuni  anni  addietro,  Rama  va  indicando 
a  Sita  i  luoghi  che  gli  rammentano  i  passati  casi  : 
«Quella  gran  mole  che  tu  vedi,  o  Sita,  è  il  ponte 
\alo,  per  cui  passarono  alla  conquista  di  Lanka  i 
miei  guerrieri;  quello  è  il  monte  Dardura,  da  cui 
mosse  alla  tua  ricerca  il  valoroso  Hanuman;  ecco  il 
Ganasthàna,  dove  tu  fosti  rapita  dal  re  de'  Racsasi; 
là  fu  ucciso  da  Ràvano  il  fiero  Gatayus  che  tentò  di 
liberarti;  più   oltre  è  il  luogo,   dov'  io  passai   nel 
dolore  quattro  mesi  intieri  privo  di  te,  o  mia  di- 
letta; colà  è  il  Gange  che  io  trapassai  con  te  nelf 
amaro  cammino  dell'  esilio;  ecco  Ayodhya,  inchi- 
nati, o  Sita,  e  saluta  la  regal  città  sede  di  Dasara- 
tha.   Rama  discende  al  romitaggio  di  Bharadvàga 
suo  ospite  antico,  e  di  colà  egli  spedisce  Hanuman 
al  fratello  Bharata,  perchè  gli  annunzi   il  suo  ri- 
torno. Hanuman  va  a  trovar  Bharata,  e  gli  nana  in 
compendio  tutta  la  storia   dei   casi  di  Rama.  Im- 
mantinente Bharata  ordina  un  solenne  e  {estivo  ap- 
parato :  S' infiorili  le  vie,  s'  adornino  le  case,  svento- 
lino all'  aria  vessilli  e  bandiere,   risplenda  in  ogni 


PREFAZIONE.  lxxv 

parie  la  letizia,  la  gioia  :  perocché  Rama  è  ritornalo. 
Quindi  seguitalo  da  Causalya,  da  Sumitra,  da  ginn 
numero  eli  cittadini  e  dall'  esercito,  Bharata  muove 
air  incontro  del  fratello.  Il  lungo  duolo  della  casa 
di  Dasaratha  è  finito  :  è  rinato  il  gaudio  in  ogni 
cuore.  Rama  con  tutto  il  corteggio  si  reca  dapprima 
in  Nandigràma ,  dove  gli  è  recisa  la  chioma  di 
penitente;  quindi  si  avvia  ad  Ayodhya,  e  quivi  è 
solennemente  consacrato  re  nel  regno  avito.  Qui 
finisce  il  libro  sesto,  Y addila kdnda,  e  termina  il 
poema. 

Quanto  al  libro  settimo,  Uttarakdnda ,  ed  alle 
questioni  che  vi  si  riferiscono,  si  vegga  la  prefa- 
zione del  volume  quinto. 

GASPARE  GORRESIO. 


R\MAV  UN  V. 


LIBRO  SECONDO. 

U  ODHYACANDA. 


CAPITOLO  LXVIl. 

GEMITO   DELLE   DONNE   DEL  GINECEO. 

Poiché  si  tacque  dopo  quel  lamento  il  re,  la  dolente 
Causalya  credendo  eh'  ei  si  fosse  addormentato ,  noi 
volle  risvegliare  ;  e  senza  proferir  parola ,  vinta  dalla 
stanchezza  e  dal  dolore ,  si  ripose  a  giacere  sopra  il  suo 
letto  colf  animo  oppresso  dal  pensier  del  suo  figlio.  Ma 
trapassata  la  notte  e  sopraggiunta  l'aurora,  i  bardi  che 
han  per  ufficio  di  risvegliare  il  re,  si  raccolsero  intorno 
a  lui  ;  e  udendo  le  voci  de'  bardi ,  preconi  e  encomia- 
tori, tutte  si  levarono  prontamente  le  donne  del  gineceo. 
Quindi  gran  numero  di  femmine  e  d' eunuchi  addetti 
ai  servigj  del  re  s'  appressarono  a  lui ,  ciascuno  intento 
all'opera  sua.  Vennero  gli  apprestatori  dei  bagni,  por- 
tando vasi  d'argento  e  d'oro  tutti  pieni  d'acque  odo- 
rose, ed  altri  servi  del  loro  ufficio  esperti  recarono, 
secondo  che  si  conveniva  ,  diversi  oggetti  delicati  ni 
tatto   e   cose   opportune  ai   domestici  usi.   Conforme   al 


2  li  \\l  U  \\  \. 

loro  ministero,  le  donne  fattesi  presso  ;il  re  giacente 
ne]  letto,  si  diedero  a  risvegliarlo  sollecite  d'antivenire 
il  nascer  del  sole  (')  :  ma  poieliè ,  sebbene  richiamato 
dal  sonno,  pur  non  si  ridestava  il  re,  ma  rimaneva  gia- 
cendo olire  l'apparir  del  sole,  entrarono  in  sospetto  Ir 
donne;  e  temendo  non  il  re  fosse  morto,  assalite  da 
subita  paura  tremavano  come  punte  d'arbusti  posti  in- 
contro alla  corrente  d'un  fiume.  Ma  /'  una  (Fesse  veg- 
gendo  quello  sgomento,  si  die  a  toccare  il  re;  ed  allora 
si  fé  certa  la  sventura  sospettata,  dome  le  donne  conob- 
bero esser  morto  il  re,  tremanti,  sbigottite  caddero  a 
terra  gridando  :  Oh  re,  signore!  ah  sei  tu  dunque  morto! 
Per  quell'alto  clamore  di  duolo  si  riscossero  le  due  in- 
felici consorti  del  re  Causalya  e  Sumitra  giacenti  nel  letto; 
e  domandando  :  «  ohimè  che  è  questo!  »  prese  da  subito 
timore  si  levarono  immantinente,  e  s'appressarono  al  re. 
Le  due  regine  sventurate,  riguardato  e  toccato  il  lor 
consorte,  che  pareva  dormire  ed  era  spento,  diedero  in 
alte  grida  ed  in  lamenti.  Vie  più  sgomentate  da  quelle 
grida ,  le  donne  del  gineceo  levarono  tutte  insieme  un 
immenso  clamore,  a  guisa  d' agnelle  spaventate;  e  quel 
clamor  suscitato  dalle  donne  afflitte  empiè  la  città,  ri- 
destandola tutta.  Quindi  altre  donne  deste  da  quel  suono 
entrarono,  senz'esser  chiamate,  nella  reggia  coli' animo 
smarrito,  e  queste  unendosi  a  quelle,  facevano  tutte  ad 
una  strida  e  pianti  sopra  il  re  disciolto  ne'  cinque  ele- 
menti; e  la  città  d'Ayodhya  tutta  quanta  co' suoi  citta- 
dini vecchi  e  giovani  costernata  da  quel  clamore  gemeva 
afflitta  dalla  regal  sventura.  La  reggia  del  signor  degli 
uomini  venuto  a  morte  era  allora  tutta  confusa  e  pertur- 


VYODHYAC  \M)  \.  3 

baia,  ingombra  di  gente  mesta,  rimbombante  di  tristi 
lamenti,  piena  di  lagrime  e  di  gridi,  subitamente  eadula 
(fogni  suo  splendore,  squallida  i  ricchi  seggi  e  i  letti. 
Quindi  Causalya  e  Sumitra  eadute  a  terra  dolenti  e  mi- 
sere si  rivoltavano  per  essa  a  guisa  di  ea valle  ;  e  l'ima 
e  l'altra  donna  addolorata,  ravvolgendosi  sulla  terra, 
bruttata  di  polvere  il  corpo  avea  perduto  l'usalo  suo 
splendore. 

Cosi  le  donne,  veggendo  morto  il  re,  ond' era  sì 
grande  la  gloria,  tutte  gli  stavano  attorno,  e  dirotta- 
mente piangendo  e  sollevando  le  braccia,  lamentavano 
con  voci  pietose. 

CAPITOLO   LXV11I. 

IL   MORTO  RE  RIPOSTO. 

Ma  Causalya  riguardando  il  signor  della  terra  così 
trapassato  alle  celesti  sedi,  come  fuoco  che  s'estingua, 
come  pelago  che  s'asciughi,  come  sol  che  declini  all' 
occaso,  combattuta  da  doppio  dolore,  abbracciando  i 
piedi  del  suo  consorte,  così  lamentò  dolente  e  afflitta  : 
Ben  tu  fosti  virtuoso  e  puro  d'animo,  o  re  glorioso, 
che  abbandonando  oggi  i  tuoi  spiriti  vitali,  più  non  hai 
a  rattristarti  pel  tuo  figlio  Rama.  Il  dolore  acceso  dal 
pensier  del  mio  figlio,  che  m'arde  il  cuore,  la  mente  e 
il  corpo,  e  che  tolse  a  te  la  vita,  pur  non  uccide  me 
donna  inonorata.  Ben  si  conviene  questa  sorte  a  te  man- 
lenilor  della  tua  fede,  generoso,  nobil  per  natura  e  per 
legnaggio  e  di  cuor  pietoso  :  io  sola  sono  vile,  impura, 


lì  KAMAYANA. 

debole  nell'amare,  che   indegna  di   vivere   pur   vivo  da 
te  divisa.  Fortunata  è  la  tua  morte,  o  re,  nella  presente 
condizione;    spregevole   è  la  mia  vila   in  questo  stato. 
Secondo  questa  o  quella  condizione  tale  o  tal  altra  cosa 
è  degna  d'onore;  ma  degnissima  d'onore  è  la  morte  di 
colui,  la  cui  vita  fu  pari  alla  lua.  Or  mi  crucia  la  colpa 
delle  parole  acerbe,  che  io  dolente  per  cagion  di  mio 
lìdio   dissi   sovente   a  te,   uom   di  natura  immacolata  : 
onore  a  te  pari  ad  un  Dio,  o  re  purissimo;  se  tu  irato 
contro    me   moristi,    io  imploro    da    te  perdono;   sia   In 
a  me  propizio  :  non  voler  rammentarti  nell'altra   vila, 
o  mio  signore,  o  Nume,  quello  ch'io  sconoscente  ti  dissi 
per  dolor,  per  pietà  del  mio  figlio.  Chi  è  quaggiù   im- 
mune  da   colpa,    o   re,   ancoraché   sia   egli   saggio?  Tu 
perciò  perdona  a  me  insensata  il  mio  fallire.  Ben  tu  hai 
meritato  le  dolenti  sedi,  o  vii  Caiceyi,  ostinata  nel  tuo 
mal  proposto  ,  che  per  cupidità  di  regno  hai  fatto  cosa 
infruttuosa  e  vituperata ,  che  divelse  la  radice  di  questa 
casa.  Sia  ora  tu  contenta,  o  Caiceyi,  fruisci  senza  osta- 
colo questo  regno  ;  dopo  aver  condotto  a  morte  il  tuo 
signore,    rimanti  or  secura ,  o   invereconda.  Qual   altra 
fuori  di  te  cupida  donna  avrebbe  mai  condotto  a  dover 
morire  il  suo  consorte  e  nume  supremo,  dator  di  feli- 
cità, di  delizie  e  di  ricchezza?  Ma  l'uom  che  è  cupido 
non  conosce  quel  che  convenga  o  disconvenga  fare,  non 
cura  la  fama  né  i  castighi  dell'altra  vita,  non  discerne  il 
giusto  o  l'ingiusto,  ciò  che  è  utile  oppur  dannoso.  Co- 
stretto da  te  ad  opra  indegna ,  il  re  magnanimo  mandò 
in  esilio  fra  le  selve  il  suo  figlio  Rama  a  se  più  caro  che 
la  vita;  e  com'egli  abbandonò  Rama  più  caro  a  se  che  la 


AY()I)HYACAM)A.  5 

propria  vita,  così  per  l'essere  da  lui  diviso  dovette  egli 
abbandonar  gli  spiriti  vitali,  cui  è  duro  il  dover  lasciare. 
Duolmi  che  tu  per  cupidigia  abbia  acquistato  nel  mondo 
triplice  infortunio,  la  vedovanza,  l'obbrobrio,  il  dis- 
prezzo. L'inclito  Rama,  di  color  simile  a  cerulea  ninfea, 
dai  begli  occhi  pari  a  foglie  di  loto  se  n'  andò  di  qui  fra 
le  selve,  cagion  di  morte  al  padre,  e  per  causa  di  te,  o 
iniqua,  prova  ora  i  disagj  dell'esilio  la  delicata  e  pia 
liglia  del  re  de'Videhesi;  la  quale  or  per  certo  udendo 
le  voci  spaventose  delle  fiere  orribili  e  degli  augelli ,  si 
raccoglie  tutta  tremante  a  Rama.  Ma  ben  ti  vitupererà , 
qui  ritornando,  il  giusto  Bharata,  per  cui  tu  sconsi- 
gliata, avvolto  con  tue  parole  il  re,  mandasti  in  esilio 
Rama.  Come  mai  tu,  o  Caiceyi,  che  eri  un  dì  pietosa 
e  pia,  sei  tu  or  divenuta  crudele  e  iniqua?  Perchè  hai 
tu,  o  donna  di  mente  rea,  contaminato  colla  tua  colpa 
Bharata  innocente,  generoso,  saldamente  devoto  al  suo 
fratello?  Ma  Bharata  seguitator  dei  costumi  di  Rama, 
non  imiterà  le  tue  opre ,  o  iniqua  ,  e  ti  svergognerà 
qui  ritornando.  Quell'opra  crudele,  ignominiosa,  vitu- 
perata dalle  genti,  la  qua!  tu  facendo  credesti  buona, 
non  è  tale  (fiuti  fu  la  giudicasti.  Ma  a  che  vo  io  lamen- 
tando ora  il  consorte,  Rama,  Lacsmano,  Sita  e  me  stessa 
sventurata?  Poiché  mi  conviene  ora  piangere  sovra  tutti 
costoro  a  uno  a  uno ,  meglio  sarebbe  per  me  infelicis- 
sima il  morir  che  il  vivere.  Abbandonandomi  se  ne  andò 
Rama  fra  le  selve,  il  consorte  al  cielo;  ond' io  caduta 
d'ogni  prosperità  m'avvolgo  ora  per  un'orrida  via.  0  re 
giusto  e  grande,  pietoso  ai  miseri  e  ai  derelitti,  proleggi 
ora  me  raduta    in  un    pelago  immenso  di    doloro!  Vitu- 


6  RAMAYAN  \. 

pero  sopra  di  me,  che  cresciuta  Ira  le  dolcezze  da  te 
mio  protettore  e  a  te  devota  non  ti  seguo  ora  morendo, 
da  te  abbandonata!  ma  la  speranza  di  riveder  pur  Rama 
mi  toglie  l'ir  dietro  a  te  per  la  via  opportuna,  giusta  e 
gloriosa  seguitata  dalle  donne  oneste.  Perchè  non  sai  chi)' 
egli  da  me  ben  fatto,  o  re,  se  io  fossi  oggi  col  mio  corpo 
arsa  con  te  sopra  uno  stesso  rogo?  Se  io  seguissi  le  clic 
te  ne  vai  alle  celesti  sedi ,  ti  renderei  pur  oggi ,  o  re , 
qualche  mercede  de1  tuoi  benefizi  :  ma  per  certo  io  donna 
disprezzata  e  rea  non  son  degna  d1  aver  sede  comune  col 
mio  consorte;  perocché  non  salirò  sopra  il  rogo,  ove  tu 
ascendi.  L1  uom  sottomesso  al  fato  non  è  libero  di  mo- 
rire o  di  vivere  a  sua  posta  :  perciò  io,  o  re,  non  li  se- 
guito morendo.  Dove  sei,  o  Rama  dalle  lunghe  braccia.1 
dove  sei,  o  pio  Lacsmano?  dove  sei,  o  Sita  generosa;1 
ah  non  sappiate  voi  mai  quanto  io  sia  sventurata  !  Ed  or 
per  certo  udendo  essere  stato  Rama  mandalo  dal  re  in 
esilio  per  instigazione  di  Caiceyi,  si  struggerà  di  dolore 
Ganaca  colla  sua  consorte;  e  vecchio,  orbo  di  figli,  pur 
pensando  a  Sita,  arso  aneli1  egli  dal  fuoco  dell1  angoscia 
lascierà  forse  la  sua  vita.  Felice  te,  o  generosa  donna 
Mitilese,  fedele  al  tuo  consorte,  che  a  lui  vai  dietro  com- 
pagna delle  sue  sventure  e  delle  sue  gioie  1  il  marito  è 
f  amico  della  donna,  la  sua  guida,  il  suo  nume,  il  suo 
maestro  ;  il  marito  è  il  supremo  suo  rifugio  e  il  suo 
consiglio.  Mentre  così  prostrata  in  terra  gemeva  a  guisa 
d'agnella  la  dolente  e  misera  Causalya,  trafitta  dal  dolor 
dello  sposo  e  dal  pensier  del  figlio,  il  venerando  Saggio 
Vasistha,  cui  son  dischiuse  tutte  le  porte,  ordinò  che 
dalle   donne   del  re   ella  fosse  traila  di  colà  per  forza. 


AYODHYACANDA.  7 

Prendendo  allora  quel!'  infelice  che  piangeva  come  donna 
derelitta,  e  via  traendola,  l'allontanarono  di  colale  donne. 
Disgombrato  d'  ogni  gente  il  luogo,  il  venerando  Vasistha 
consigliatosi  coi  ministri  ordinò  quel  eh'  era  opportuno 
al  tempo.  Fatto  dapprima  riporre  il  corpo  del  re  de' Co- 
sali dentro  un  capace  vaso  pieno  di  liquor  di  sesamo , 
deliberò  quindi  coi  consiglieri ,  come  s'  avessero  quivi  a 
richiamare  Bharata  e  Satrughno  iti  da  gran  tempo  alla 
casa  del  loro  avo  materno ,  e  frattanto  custodissero  i  mi- 
nistri il  morto  re;  perocché  senza  i  suoi  figli  non  potreb- 
bero essi  rendergli  i  supremi  ufficj.  Come  le  donne  videro 
deposto  per  ordine  di  Vasistha  in  quell'  urna  piena  di 
liquor  di  sesamo  il  signor  degli  uomini ,  sclamando  : 
Questi  è  dunque  il  re!  proruppero  tutte  in  gemiti,  e 
dolenti  sollevando  le  braccia,  piene  di  lacrime  gli  occhi 
s'antlavan  percuotendo  colle  mani  d  seno,  il  capo  e  le 
ginocchia.  Privata  di  quel  re  magnanimo  tutta  era  mesta 
allora  la  città  d'Ayodhya,  come  una  notte  priva  di  luna, 
come  una  donna  orbata  del  suo  sposo  :  era  in  essa  do- 
lente, afflitto  ogni  uomo,  gemente  ogni  classe  di  citta- 
dini :  eran  squallide  le  vie  ed  i  cortili  delle  case,  deserte 
le  piazze  ove  si  merca. 

Come  è  oscuro  il  cielo  privo  di  sole,  come  è  tenebrosa 
la  notte,  allor  che  s'asconde  la  luna,  così  più  non  ri- 
splendeva allora  la  gran  città  priva  di  quel  magnanimo. 
Donne  ed  uomini  sommamente  addolorati,  vituperando 
la  madre  di  Bharata,  facean  nella  città  tristi  lamenti 
sopra  la  morte  del  re,  ed  erano  schivi  d'ogni  diletto. 
In  tale  guisa,  spento  il  signor  degli  uomini,  niun  più 
era  quivi  lieto,  ninno  che  non  fosse  sconsolalo.  La  cillà 


8  RAMAYANA. 

rimase  tre  giorni   deserta  d'uomini  le  piazze;  era  mulo 
ogni  mercato,  cessato  ogni  pensici-  di  mendicare. 

CAPITOLO  LXIX. 

LODI   DEL   RE. 

Trascorsa  la  notte  e  sopravvenuto  il  nascer  del  sole, 
si  raccolsero  insieme  in  adunanza  i  Brahmani  maestri 
del  re,  Vasistha,  Vàmadeva ,  Gàvàli,  Càsyapa,  Marcan- 
deya,  Gautama  e  l'inclito  Maudgalya.  Questi  Brahmani 
preceduti  da  Vasistha,  sacerdote  supremo  del  re,  rac- 
colti coi  ministri,  così  presero  a  ragionar  paratamente  : 
Questa  sola  notte  trapassata  parve  cento  anni  a  noi  la- 
mentanti il  re  Dasaratha  morto  per  doglia  del  suo  figlio. 
E  ito  al  cielo  il  grande  re;  se  n'andò  alle  selve  Rama,  e 
con  lui  il  valoroso  Lacsmano;  sono  iti  alla  città  del  re 
de' Cecayi  Bharata  e  Satrughno;  chi  sarà  or  qui  re  nato 
della  stirpe  d' Icsvacu  ?  questo  regno  privato  di  re  ca- 
drehbe  certamente  in  rovina  :  si  constituisca  re  fra  noi 
alcuno  degli  Icsvacuidi.  In  un  paese  privo  di  re  più  non 
irrorano  con  pioggia  la  terra  le  nubi  altisonanti ,  incoro- 
nate di  baleni;  né  più  s1  apre  la  mano  a  spargere  semenza 
sovra  i  campi.  In  un  paese  privo  di  re  1  figli  più  non  ob- 
bediscono ai  loro  padri;  né  son  le  donne,  conforme  al 
dovere,  ossequenti  ai  lor  mariti.  In  un  paese  privo  di  re 
più  non  ascolta  il  discepolo  i  salutari  e  certi  consigli  del 
maestro;  più  non  v  ha  cosa  che  sia  propria;  è  sciolto  ogni 
vincolo  di  dipendenza.  In  un  paese  privo  di  re  nessuno 
ha  più  signoria  neppur  sovra  se  stesso.  In  un  paese  privo 


AYODH\  \(.AM)A.  9 

di  re  i  Brahmani  che  han  per  ufficio  il  sacrificare,  stur- 
bati da  torme  impure  di  nemici,  più  non  adempiono  i 
vari  sacrilìz;j.  In  un  paese  privo  di  re  i  cittadini  più  non 
attendono  a  edificai-  case,  ne  dilettevoli  giardini,  nò  I em- 
pii ,  né  pubbliche   fonti.   In   un  paese  privo   di    re    più 
non  han  luogo  feste  o  ragunate,  liete  di  mimi  e  danza- 
tori, rallegratrici  degli  uomini.  In  un  paese  privo  di  re 
nessuna  cosa  più  succede  felicemente  ;  è  derelitto  ogni 
civil  negozio,   trasandato   ogni    dovere,   a  cui  s'attiene 
Tuoni  virtuoso.  In  un  paese  privo  di  re  i  Brahmani  più 
non  danno  opera  alla  sacra   lettura   dei  Vedi,  più  non 
trovano  quiete;    né   si   dilettai!   di   racconti    coloro   che 
sogliono  esporre  storie  popolari.  In  un  paese  privo  di  re 
pili  non  si  fanno  connubj  di  donzelle,  cagion  di  gioia 
agli  uomini;   è   assiduamente   afflitto   e   pien  di  timore 
ogni  cittadino.  In  un  paese  privo  di  re  più  non  vanno 
attorno  ornate ,   né    si   trastullano   per  la  via  regale   le 
nobili  fanciulle  baldanzose.  In  un  paese  privo  di  re  più 
non   vanno    securi   a   diporto   per   giardini   dilettosi   gli 
amanti  colle  lor  donne  amate.  In  un  paese  privo  di  re 
gli   opulenti  capi  di  famiglia  più  non  dormono   fidata- 
mente colle   porte  dischiuse,  liberi  da   ogni  timore.  In 
un  paese  privo  di  re  la  gente  che  vive  mercanteggiando, 
più  non  va,  per  timor  di  danno,  portando  sua  merce  di 
luogo  in  luogo.  In  un  paese  privo  di  re  1'  agricoltor  più 
non   ara   il  campo    per   sospetto,   né   più   prosperando 
crescono  gli  armenti.   In  un  paese   privo  di  re  più  non 
va  peregrinando  solitario  l' asceta  donno  de'  suoi  sensi , 
che  si  sostenta  colf  ascetismo ,  e  si  raccoglie  ad  ospizio 
là  dove  la  noi  le  il  sopraggiunge.  In  un  paese  privo  di  re 


IO  RAMAYANA 

non  v'ha  più  governo  .salutare  della  pubblica  cosa;  e 
l'esercito  privo  di  re  più  non  ottien  vittoria  sopra  d  ne- 
mico in  guerra.  Come  un  fiume  rasando  d'acqua,  come 
una  selva  ignuda  d'erba,  come  un  armento  senza  pastore, 
così  è  un  regno  senza  re.  A  quella  guisa  che  un  carro 
senza  auriga,  tratto  da  cavalli  impetuosi,  correndo  pre- 
cipita a  rovina,  così  fa  un  regno  senza  re.  In  un  regno 
senza  re  non  v'ha  piò  ragion  di  proprietà  d'alcuna  sorla; 
perocché  i  forti  soverchiando  i  deboli,  rapiscono  il  loro 
avere.  In  un  regno  senza  re  chi  ha  più  forza  divora 
senza  timore  chi  è  men  forte,  come  nell'acque  il  maggior 
pesce  divora  il  pesce  minore.  In  un  regno  senza  re  gli 
uomini,  rotto  ogni  vincolo  di  dovere,  diventano  atei, 
crudeli ,  inverecondi.  Sarebbe  questo  regno  come  una 
cieca  tenebra,  dove  nulla  più  si  distingue,  se  non  v'avesse 
un  re  che  discernesse  il  reo  dal  buono.  Neppure  gli 
oppressori  troverebbero  utilità  in  un  regno  senza  re  ; 
perocché  due  terrebbero  la  ricchezza  d'un  solo,  e  molli 
quella  di  due  :  onde  conviene  qui  eleggere  un  re,  se 
desideriamo  la  nostra  salvezza  (2).  Udite  queste  parole 
de' Brahmani,  così  dissero  a  Vasistha  i  consiglieri  :  0 
prestante  asceta,  mentre  pur  viveva  il  grande  re,  noi 
obbedivamo  a  te  non  men  che  a  lui;  tu  ora  ne  dirigi. 
0  Vasistha  pio  e  generoso,  eccelso  fra  i  Brahmani,  ti 
piaccia,  riguardando  a  noi,  consecrar  qui  re  prontamente 
un  giovane  principe  nato  della  stirpe  d'Icsvacu. 


.uomn  \<:  \M)A  il 


CAPITOLO    L\\ 


I    MESSAGGIERI   INVIATI. 


Com1  ebbe  intesi  i  delti  di  costoro,  Vasistha  cosi  parlò 
a  Sumantro  e  a  tutti  quei  Brahmani  :  Vadano  messaggieri 
con  veloci  e  rapidi  cavalli  colà  dove  dimora  ospite  del 
suo  avo  materno  Y  illustre  adolescente  Bharata  col  fra- 
tello Satrughno,  e  qui  lo  riconducano  in  nome  del  re 
con  blande  parole.  Udito  il  parlar  di  Vasistha,  lutti  ri- 
sposero con  animo  pronto  i  consiglieri  del  re  :  Vadano 
prestamente  i  messaggieri.  Allora  Vasistha,  ottimo  fra  co- 
loro che  mormorano  la  preghiera,  chiamati  senza  ritardo 
Gayanta ,  Siddhànta  e  Asoca ,  così  loro  disse  :  Andando 
celeri  con  veloci  cavalli  alla  città  sede  del  re  de  Cecayì, 
così  direte  con  lieto  sembiante  a  Bharata  in  nome  del  re 
suo  padre:  Tuo  padre  co' suoi  consiglieri  li  saluta,  e 
l'impone  di  ritornare  prestamente  a  lui  senza  frapporre 
indugio;  perocché  s' ha  a  compiere  da  te  un  grave  uf- 
ficio; ma  non  si  debbe  da  voi  in  alcun  modo  significar- 
gli, ancoraché  ne  foste  addomandati,  che  Rama  sia  stato 
mandato  in  esilio,  e  sia  ito  al  cielo  il  re  :  tolti  con  voi 
preziosi  e  splendidi  ornamenti  degni  d1  un  re  da  offrirsi 
in  dono  a  Bharata  ed  al  suo  avo,  itene  dunque  pronta- 
mente. Ricevuto  quel  comando  e  congedati  da  Vasistha, 
partirono  i  messaggieri  con  animo  pronto  e  con  rapida 
lena.  Pervenuti  alla  città  d1  Ilàstinapura,  e  valicato  quivi 
rapidamente  il  Gange,  giunsero  alla  legione  Pàncala 
contigua  alfa  selvaggia   regione   dei   Curii  (3).  Trapassata 


[2  RAMAYANA. 

ad  oriente  nel  Gurucsetra  la  riviera  Sarasvati,  fiume  «li 
Varunal4),  e  riguardando  laghi  fiorenti  di  loto  e  Jìiiiìii 
dalle  chiare  acque,  andavano  veloci  i  messaggieri,  spinti 
da  sollecita  cura.  Valicata  quindi  la  bella  riviera  Sara- 
danda  dalle  fresche  onde,  frequentata  da  varj  augelli  e 
piena  di  pesci,  e  pervenuti  alla  radice  dell'albero  sacro, 
che  verace  risponde  alle  altrui  domande  <5),  e  appressatisi 
ad   esso  venerandolo  ,    entrarono    nella    città  Bhùlinga. 
Giunti  poscia  ad  Agacùla,  s'avviarono  alla  città  de'Csatri 
Bodhit6),  poi  verso  il  fiume  [ndumatì,   dove  han  sede 
Saggi  divini.  Quivi  abboccatisi  con  que  Brahmani  per- 
fettissimi, versati  nello  studio  de  Vedi  e  de'Vedanghi, 
e  congedati  da  loro  con  fausti  voli,  proseguirono  celeri 
il  lor  cammino,  e  ragionando  varie  cose  di  Lacsmano  e 
di  Rama,  pervennero  ad  occidente  ai  Vàhlici,  poscia  a 
borea  ai  Sudasi.  Veduto  I' Oceano  latteo  sede  di  Visnu,  e 
in  mezzo  ad  esso  Pisola  che  s'appella  Sàlmali  l7),  giun- 
sero poco  appresso  i  messaggieri  alla  bella  città  di  Gin- 
vraga,   dopo    avere  per  sette  giorni   affaticato,    cammi- 
nando, i  lor  cavalli.    Quivi  pervenuti  per  la  salute  delle 
genti,  per  la  salvezza  della  casa  regale,  per  amor  della 
stirpe  del  loro  re,  entrarono  prontamente  nella  città,  e 
s'avviarono  tosto  alla  reggia. 

CAPITOLO   LXXI. 

SOGNO    FUNESTO    DI    BIIARATA. 

Nella   notte  che  precesse  il  di ,   in  cui  i  messaggieri 
giunsero  alla  città  di  Girivraga,  Bharata  ebbe  in  sogno 


AYODHYACANDA.  13 

una  visione  paurosa.  Ripensando  quel  sogno  annunzia- 
tore  di  sventura,  e  rammentando  il  vecchio  suo  padre, 
stava  egli  coli' animo  affannato.  Veduta  la  mestizia  di 
Bharata,  i  suoi  compagni  per  distorlo  dalla  sua  tristezza 
si  diedero  gli  uni  con  dolce  favella  a  far  mirabili  racconti, 
altri  a  suonare,  a  cantare,  a  danzare,  a  ridere;  altri  a 
far  scenici  atti  e  differenti  giochi.  Ma  per  quanto  s1  ado- 
perassero gli  amici  suoi  compagni  a  rallegrarlo  con  care 
parole  ed  a  ricrearlo  con  ischerzi ,  pur  non  si  rasserenava 
il  mesto  Bharata.  Un  de' suoi  più  cari  amici  così  gli  disse 
allora  dolente  :  Perchè  non  ti  rallegri,  o  amico,  benché 
festeggiato  da' tuoi  compagni?  Ti  piaccia  manifestare  il 
dolor  che  t' affligge  a  noi  che  abbiamo  con  te  comune 
ogni  dolore  ed  ogni  gioia.  A  quelle  parole  così  rispose 
l'illustre  Bharata  :  Udite  qual  sogno  io  vidi,  per  cui  io 
sono  così  mesto.  Io  vidi  oggi  nella  notte  in  sogno  cader 


'&& 


gno 


dal  cielo  la  luna;  vidi  rasciugarsi  il  mare,  ed  il  sole  esser 
divorato  da  Ràhu(8).  Vidi  inoltre  in  sogno  mio  padre 
avvolto  in  vesti  di  color  di  sangue  venir  legato  e  tratto 
da  uomini  verso  la  plaga  meridionale  (9).  Poi  il  vidi  tutto 
unto  e  coi  capelli  sparsi  cader  dalla  cima  d1  un  monte 
in  un  lago  immenso  di  bovina.  Dopo  essersi  profondalo 
in  quel  lago ,  io  il  vidi  venir  sovr'  esso  a  galla  e  ber  nel 
cavo  della  mano  liquor  di  sesamo,  ridendo  iteratamente  : 
quindi  poich'ebbe  bevuto,  col  corpo  unto  di  liquor  di 
sesamo  s' immerse  col  capo  in  giù  più  e  più  volte  in  quel 
liquore.  In  questo  donne  di  color  tra  nero  e  bruno  trag- 
gono via  il  re  seduto  sur  un  seggio  di  ferro  nero,  vestito 
di  panni  neri.  Poi  vidi  di  nuovo  mio  padre  con  veste  e 
ghirlanda  di  color  di  sangue  avviarsi  alla  plaga  meridio- 


l'i  RAMAYAN  \. 

naie  sopra  un  carro  tirato  da  asini.  Vidi  ancora  un  gran 
fuoco  ardente  esser  subitamente  esimio  dall  acqua;  vidi 
un  elefante  eccelso  profondato  dcnlro  il  fango;  vidi 
scoscendere  il  monte  sovrano  (FHimalaya?)  e  schiantati 
grandi  alberi  di  sacra  fìcaja  ;  vidi  infine  cader  dall'  alto 
a  terra  un  gran  vessillo.  Tale  è  il  sogno  che  io  vidi,  an- 
nunziator  di  mali  e  di  sventure.  Per  certo  o  Rama  o  il 
re,  lasciati  gli  spiriti  vitali,  son  ili  al  cielo  :  perocché 
Tuoni  che  è  tratto  sopra  un  carro  tirato  da  asini,  se  ne  va 
fra  breve,  non  v'ha  dubbio,  alle  sedi  di  Yama.  Pei 
questa  cagione  son  io  mesto,  non  prendo  diletto  delle 
vostre  parole ,  e  pur  pensando  alla  notturna  mia  visione 
non  mi  rallegro  con  voi  lieti.  Fuor  di  ragione  forse  si 
conturba  il  mio  animo  irrequieto  ;  fuor  di  ragione  forse 
è  dentro  il  mio  corpo  travagliato  lo  spirito  :  ma  io  mi 
veggo  oggi  come  privo  d'ogni  mia  chiarezza,  e  così  dis- 
pregio me  stesso  senza  causa  ,  come  fossi  un  uom  caduto 
in  colpa. 

Rivolgendo  nel  mio  pensiero  questo  sogno  infausto, 
son  io  afflitto  da  angoscia  e  da  timore;  né  ritrovo  Fusata 
mia  letizia,  pur  fra  me  pensando  :  quale  sventura  mai  do- 
vrà fra  breve  sopravvenirne? 

CAPITOLO    LXXII. 

VEDUTA    DEI   MESSAGG1ERI. 

Mentre  Bharata  raccontava  il  suo  sogno,  i  messaggeri 
pervenuti  alla  gran  porta  esterna  della  reggia  affaticati 
dalla  via,  ed  entrali  nella  splendida  casa  del  re  s' abboc- 


VYODHYACANDA.  15 

carono  solleciti  con  lui  e  con  Bharata.  Abbracciati  i  piedi 
del  re,  cosi  parlarono  essi  a  Bharata  :  Il  sacerdote  su- 
premo della  tua  casa  ti  dice  salute,  e  con  lui  lutti  i  con- 
siglieri; t'affretta  di  ritornare  ad' Ayodhya  :  che  si  debbe 
da  le  compiere  un  grave  ufficio;  queste  nobili  vesli  son 
da  offrirsi  in  dono  al  tuo  avo  materno,  e  son  per  te,  o 
regal  figlio,  queste  tre  coti  (l0)  piene  d'oro.  Ricevuti  tutti 
que' doni,  ed  onorati  d'ogni  desiderabile  cosa  i  messag- 
gi eri ,  Bharata  delizia  de' suoi  amici  così  disse  loro:  E 
egli  prospero  il  vecchio  mio  padre  e  re  Dasaratha?  sono 
ei  lieti  e  sani  il  maggior  mio  fratello  Rama  ottimo  fra  i 
giusti,  e  il  fratello  Lacsmano  a  lui  devoto?  si  ricorda 
egli  di  me  il  nobil  Rama  pieno  d'amor  fraterno?  E  ella 
felice  la  giusta  e  pia  Causalya,  madre  diletta  di  Rama  e 
tutta  intenta  all'osservanza  del  suo  consorte?  E  ella  sana 
la  pia  Sumitra,  seconda  delle  spose  di  Dasaratha,  geni- 
trice del  magnanimo  Satrughno  e  di  Lacsmano?  E  Cai- 
ceyi  mia  madre,  colei  che  ad  ogni  cosa  antipone  l'utile 
suo,  che  è  sì  impetuosa  ed  iraconda,  sì  superba  in  ogni 
suo  atto,  è  ella  pure  felice  appieno?  Così  interrogati 
della  salute  di  tutti  ,  i  messaggieri  alquanto  turbati  , 
nascondendo  il  lor  pensiero,  risposero  con  lieto  sem- 
biante :  Son  prosperi  tutti  coloro  ,  di  cui  tu  desideri  il 
bene;  tuo  padre  ti  significa,  o  Raghuide,  che  tu  debba 
prontamente  ritornare;  se  a  te  pare  di  dover  partire,  si 
parta  di  qui  senza  ritardo  :  perocché  grandemente  desi- 
dera di  vederti  tuo  padre  co'  suoi  consiglieri.  Così  esor- 
talo dai  messaggieri,  Bharata  rispose  :  Sia  così,  come  voi 
ililc;  io  n'andrò  con  voi;  si  soprastia  un  momento  solo. 
Cosi  risposto,   Bharata  sollecitato  dai  messaggi,  appres- 


16  RAMAYANA 

salosi  al  suo  avo  materno,  cosi  disse  :  Desidero  ritornare 
ad  Ayodhya,  o  re,  per  comando  del  padre;  mi  sollecitano 
questi  messaggi  ;  ti  piaccia  darmi  commiato.  Richiesto 
con  questi  detti  da  Bharata,  il  suo  avo  baciandogli  il 
capo  con  amore,  ccflsì  rispose  :  Vanne,  o  caio,  io  li  licen- 
zio; ben  è  felice  Caiceyi  d'averti  figlio.  Dirai,  arrivando, 
salve  a  tuo  padre  ed  a  tua  madre  ,  così  al  supremo  sa- 
cerdote di  tua  casa,  a  Rama,  a  Lacsmano,  ai  consiglieri, 
a  Causalya,  a  Sumitra  ed  a  tutti  gli  altri  miei  amici. 
Diede  egli  poscia  a  Bharata  varie  e  belle  gualdrappe 
d'elefante,  coltri,  velli  e  ricche  vesti,  doni  tulli  degni 
d'un  re;  gli  diede  come  pegno  d'amore  venti  due  nula 
niski  d'oro!11)  con  altra  ricchezza;  gli  diede  con  affetto 
molti  de' suoi  ministri  valorosi,  devoti  ed  incorrotti,  i 
quali  il  seguitassero;  gli  diede  molti  cavalli  di  nobile 
stirpe,  veloci  come  il  vento,  e  più  elefanti  con  cinghie 
d'oro;  fece  poscia  venir  quivi  per  donargli  a  Bharata, 
molti  cani  domestici,  ben  pasciuti,  simili  per  forma  e  per 
beltà  di  corpo  a  tigri,  vigorosi  ed  armati  d'acuti  denti. 
Apprestati  quindi  oltre  a  cento  carri  lutti  ornati  di  gemme, 
tirati  da  tori,  da  cavalli,  da  asini  e  da  cammelli,  molti 
guerrieri  valorosi  tennero  dietro  a  Bharata  che  partiva; 
ed  esso,  salutato  l'avo  e  lo  zio  Yudhagit,  salito  sopra  un 
carro  s'  avviò  insieme  con  Satrughno. 

Protetto  da  un  grande  stuolo  ed  accompagnato  da  mi- 
nistri somiglianti  d'animo  al  suo  grand' avo,  il  generoso 
Bharata,  preso  con  se  Satrughno  domator  de' nemici, 
s'avviò  ad  Avodhva,  siccome  Indra  alla  sua  città. 


AYODHYACANDA.  17 

CAPITOLO   LXXIII. 

RITORNO    DI    BHARATA. 

Quindi  T illustre  Bharata  uscendo  dai  confini  del  regno, 
camminava  rapido  verso  oriente,  conforme  al  comando 
del  padre.  Il  nobile  Raghuide  valicò  nel  suo  cammino  il 
sonante  fiume  Satadru  di  largo  letto  e  di  tortuoso  corso. 
Trapassata  quindi  la  riviera  Vìgadhàni ,  e  pervenuto  ad 
Amaracantacal12)  luogo  sacro  ai  pii  pellegrinaggi,  guadata 
poscia  la  petrosa  fiumana  Carvati ,  giunse  al  sacro  luogo 
Àgneya  ed  alla  regione  che  $  appella  Salyakirtana  (l3).  Os- 
servando qui  lungo  la  via  uomini  intenti  a  portar  sassi , 
pervenne  Bharata  alla  selva  del  Mimi  Somavesa,  la  qual 
si  noma  Ceitraratha.  Guadate  a  mano  a  mano  le  riviere 
Vedini  e  Càravi,  la  Carvi  fiancheggiata  di  montagne  e  la 
Yamuna,  fece  egli  riposare  le  sue  genti.  Rinfrescati  quivi 
i  suoi  carriaggi,  ristorati  i  cavalli  affaticati,  bagnatosi, 
dissetatosi  e  presa  acqua,  si  ravviò  il  regal  figlio  dalle 
lunghe  braccia,  e  con  prospero  cammino,  andando  veloce 
come  va  per  l'atmosfera  il  vento,  pervenne  alla  regione 
Bhadra  nobilitata  dal  re  Atiticsna.  Valicata  la  riviera  Hi- 
ranvati  presso  alla  città  di  Ahisthala ,  s'avviò  egli  ad 
austro  alla  regione  Torana(u)  ed  alla  terra  che  s'appella 
Vàranasthala.  Il  figlio  di  Dasaratha  pervenne  poscia  al 
villaggio  Varùtha,  e  dimorato  quivi  la  notte,  si  rimise 
quindi  in  via  verso  oriente.  Oltrepassati  rapidamente  il 
regal  giardino  della  città  Urgihana,  copioso  d'alberi  di 
pentaptere,  e  la  fìtta  selva  Bhadra  inarborata  di  soreeC5), 


18  KAM  AVANA. 

Bharata  licenziò  lo  .stuolo  quadripartito  che  V accompa- 
gnava; poi  valicata  la  rivieni  Uttarica  progredì  olire  con 
maggior  lena,  e  trapassò  veloce  più  altri   fiumi.   Perve- 
nuto alla  Saptasparddha ,  s'indirizzò  egli  verso  la  riviera 
Cutila;  quindi  giunto  alla  regione  Lohitya,  guadò  la  ri- 
viera Capivati.  Oltrepassate  neh"  Ecasàla  la  riviera  Sthà- 
numati,  nel  Vi  mata  la  riviera  Coniali,  e  presso  alla  città 
di  Calinga  la  densa  foresta  Sàia  vana  (1(),  camminò  oltre 
per  lunga  via  rapido  e  con  cavalli  indefessi,  e  sul  cader 
del  giorno  si  fermò  presso  alla  Gomati  frequentata  da  varj 
augelli.  Passata   quivi  la  notte,   il  mattino  in  sul  nascer 
del  sole  egli  vide  la  città  d1  Ayodhva  fondata  dal  re  Manu. 
Rivalicata  prestamente,  dopo  essere  stato  sette  giorni  in 
via,  la  riviera  Coniati,  il  forte  Bharata  prestante  guidator 
di  carro,  riguardando  Ayodhya,  così  parlò  al  suo  auriga 
con  animo  contristalo  :  Non  mi  pare,  o  auriga,  lieta  nell' 
aspetto,  come  suole,  la  città  d' Ayodhya  :  la  bella  eillà  go- 
vernata da  un  re  ottimo  fra  i  Sapienti  e  piena  sempre  di 
molti  e  nobili  Brahmani   sacrificanti,  versati  ne"  Vedi  e 
nei  Vedanghi,  mi  par  ora  quasi  priva  di  splendore;  mi 
pajono  squallidi  i  suoi  boschi  e  i  suoi  giardini.  Altre  volte 
s1  udiva  da  lungi  il  romor  dei  cittadin  d' Ayodhya  ;  perchè 
non  s'  ode  oggi  in  essa  quel  suon  di  genti  ?  Perchè  la  gran 
città  d' Ayodhya  mi  par  oggi  come  spogliata  del  suo  lustro? 
I  dilettosi  suoi  giardini  più  non  appajono  oggi,  qual  eran 
per  f  addietro,  pieni  di  gente  sollazzosa   e  lieta  :  veggo 
divenuto  come  una  solitaria  selva  il  regal  bosco  di  mio 
padre,  son  muti  i  suoi  giardini  e  le  sue  macchie,  deserti 
d'uomini  e  di  donne.  Più  non  si  veggono  oggi  i  citta- 
dini uscir  dalla  città,  né  entrarvi  con  carri,  con  cavalli 


WODHYACANDA.  iy) 

od  elefanti  :  veggo  d'ogni  parte  indizj  malaugurosi;  per- 
chè mai,  o  auriga,  è  oggi  cosi  afflitto  questo  mio  corpo? 
Così  ragionando,  entrò  Bharata  con  cavalli  affaticati  nella 
bella  città,  onorato  dai  custodi  delle  porte.  Salutata  la 
gente  che  custodiva  le  porte,  Bharata  col  cuore  agitato 
così  parlò  al  mesto  suo  auriga  :  Que'  segni  che  noi  già 
udimmo  per  1'  addietro  apparire  allor  che  muoiono  i  re 
della  terra,  tutti  io  qui  li  veggo,  0  auriga  :  veggo  per  la 
città  squallidi,  emaciati,  pensosi  e  mesti,  pieni  di  lagrime 
ed  angosciosi  uomini  e  donne.  Così  parlava  Bharata  con 
animo  dolente  al  suo  auriga,  veggendo  in  Avodhya  que' 
segni  infausti  della  morte  del  re;  e  mentre  ei  riguar- 
dava la  città  muta  le  vie,  le  case  ed  i  quadri vj  ,  coperta 
di  polvere  le  porte  ed  i  cancelli,  tutta  piena  di  gente 
mesta  ,  vie  più  cresceva  la  sua  angoscia.  Considerando 
lutti  que' segni  discari  all' animo,  insoliti  nella  città,  en- 
trava quel  magnanimo  col  capo  chino,  intento  e  mesto 
nella  reggia  del  padre. 

CAPITOLO  LXXIV. 

DOMANDE   DI   BHARATA. 

Entrando  nella  splendida  reggia,  mirabile  a  vedersi, 
simile  alla  reggia  d' Indra  ,  non  vide  Bharata  il  padre; 
e  non  ritrovando  il  padre  nella  propria  sua  dimora  , 
n'uscì  egli,  ed  andò  alle  stanze  della  madre.  Come  vide 
Caiceyi  Bharata  ritornato,  si  levò  subitamente  dal  suo 
seggio  cogli  occhi  dilatati  dalla  gioia.  Bharata  entrato  con 
animo  dolente  nelle  stanze  della   madre,  abbracciò  con 


W  K  AMAVA  N  A. 

atto  umile  i  piedi  di  lei ,  inchinandosi  lino  a  terra  ;  ed 
ella  baciatolo  sul  capo  ed  abbracciandolo  strettamente , 
il  fé  sedere  al  suo  lianco,  e  così  prese  a  domandarlo  :  In 
quanti  giorni  sei  tu  venuto,  o  figlio,  dalla  città  dell1  avo? 
venisti  tu  felicemente?  non  avesti  tu  fatica  nel  cammino? 
son  eglino  prosperi  il  tuo  avo  ed  il  tuo  zio  Yudhagit? 
dimorasti  tu  lietamente  nella  casa  avita?  Così  interrogato 
da  Caicevi,  Bharata  vie  più  mesto  narrò  prontamente  alla 
madre  la  sua  partenza  e  il  suo  ritorno  :  Son  oggi  sette 
giorni  eh'  io  mi  partii  da  Girivraga;  è  prospero  tuo  padre 
e  Yudhagit  mio  zio.  La  molta  ricchezza  che  f  avo  mi  diede 
per  amore ,  io  la  lasciai  fra  via  per  istanchezza ,  e  qui  ne 
venni  con  gran  fretta,  sollecitato  dai  messaggieri  che  mi 
mandò  il  re.  Ma  ti  piaccia  or  dirmi  quello  di  che  io  desi- 
dero interrogarti  :  questa  città  non  è  ,  coni'  ella  suole , 
lieta  di  gente  cittadina;  perchè  si  par  ella  così  trista  e 
oscura,  senza  sollecitudine,  senza  gioia;  né  più  vi  s'ode 
il  suono  delle  sacre  letture?  perchè  oggi  i  cittadini  non 
mi  facevan  parola  nella  via  regale  ?  perchè  non  veggo  io 
oggi  il  padre  nella  sua  dimora  ?  è  egli  forse  ito  alle  stanze 
di  Causalya  madre  diletta?  per  qual  cagione  è  oggi  il  tuo 
letto  abbandonato  dal  consorte?  dimmi  perchè  è  sì  afflitta 
tutta  questa  gente;  io  desidero,  o  madre,  andarne  là  dove 
si  trova  il  re,  perchè  non  ho  pace,  s'io  noi  veggo.  A 
Bharata  che  così  parlava,  l'invereconda  Caiceyi  rispose 
queste  parole  spietate  e  dure  intorno  al  suo  sposo  :  Con- 
sumato dal  desiderio  del  suo  fìllio  se  n'  è  ito  al  cielo  il 
grande  re  tuo  padre  per  1'  opere  sue  virtuose  e  belle , 
lasciando  a  te  il  suo  regno.  Coni'  ebbe  intese  quelle 
crudeli  parole  della  madre,  Bharata  cadde  subitamente 


AYODHYACANDA.  21 

a  terra,  come  un  albero  di  cui  sia  recisa  la  radice;  e 
prostrato  in  terra,  perturbato  ne' suoi  sensi,  così  disse 
lamentando  :  Ahi  sventura  !  come  e  per  qual  cagione  se 
n'  è  ito  al  cielo  il  re  ?  questo  letto  die  s'  abbelliva  un  di 
della  presenza  di  mio  padre,  ora  privo  di  lui  più  non 
risplende,  vedovo  della  sua  gloria.  Deb!  se  tu  per  desi- 
derio di  conoscer  1'  animo  mio  hai  detto  cosa  non  vera , 
abbi,  o  madre,  pietà  di  me  oppresso  dal  dolore,  dimmi 
dove  è  ito  il  re.  Caiceyi  sollevando  allora  da  terra  Bba- 
rata  angosciato,  ansioso  di  vedere  il  padre,  così  gli  disse  : 
Orsù  ti  leva,  o  Bharata!  non  voler  così  dolerti;  i  tuoi 
pari  non  si  contristano,  discernendo  la  causa  e  gli  effetti 
del  dolore.  Dopo  aver  governata  con  giustizia  la  terra, 
dopo  aver  sacrificato  e  fatto  larghi  doni ,  tuo  padre  arrivò 
al  fine  che  è  prescritto  quaggiù  alla  vita,  non  voler  tu 
rammaricartene  !  tuo  padre  verace  e  giusto  se  n  andò 
di  qui  ad  una  sede  più  fortunata,  egli  non  debb' essere 
da  te  pianto,  o  lìglio.  Udendo  quelle  parole  acerbe  di 
Caiceyi ,  Bharata  dolentissimo  così  rispose  a  sua  madre  : 
Sperando  nel  mio  pensiero  che  il  re  dovesse  o  consacrar 
Rama  al  consorzio  del  regno  o  celebrar  qualche  sacri- 
fizio, io  ne  venni  qui  prontamente;  ed  ora,  oh  me  in- 
sensato !  conosco  esser  vana  ogni  mia  speranza  ;  che  più 
non  rivedrò  il  dolce  mio  padre  e  sùjnor  supremo.  Ma 
dimmi ,  o  madre ,  di  qual  male  morì  il  re  ,  me  assente  ? 
oh  felici  Rama  e  Lacsmano,  da  cui  fu  piamente  assistito 
il  padre!  per  certo  l'amorevole  mio  vecchio  genitore 
non  seppe  che  io  qui  giungeva ,  ne  potè  egli ,  abbraccian- 
domi, baciarmi  sul  capo  con  amore.  Dove  è  ora  quella 
fausta  mano  sì  soave  al  tatto,  con  cui  soleva  egli  ter- 


22  RAMAYANA. 

germi,  quando  io  era  bruttato  di  polvere.1  dimmi  dove 
è  Rama  mio  fratello  primogenito,  mio  protettore,  che 
or  mi  sarà  qual  padre  e  amico,  ed  a  cui  io  son  soggetto. 
siccome  ad  uoni  sapiente  :  dimmi  dove  egli  è  ;  che  veg- 
gendolo,  io  afflitto  dal  pensier  del  padre  ritrovi  la  su- 
prema mia  quiete,  e  raccogliendomi  a' suoi  piedi  simili 
a  fior  di  loto,  io  pur  possa  sostener  la  vita.  E  che  ti 
disse,  o  madre,  Dasaratha  mio  genitore?  Qual  supremo 
consiglio  ti  commise  egli  per  lo  mio  bene  quell'ottimo 
fra  i  saggi:3  Ti  piaccia,  o  madre,  narrarmi  ogni  cosa  ve- 
racemente. Così  interrogata  rispose  a  Bbarata  Caiceyi  : 
Generoso  figlio  di  re,  ascolta  intiera  la  verità;  e  uden- 
dola, non  volerti  smarrir  d'animo,  o  eccelso  :  odi  come 
il  pio  tuo  padre,  abbandonando  gli  spiriti  vitali,  se  ne 
andò  al  cielo  :  tutto  io  ti  narrerò  e  quello  ancora  che 
egli  disse.  Poich'ebbe,  esclamando  oh  Rama  mio  figlio! 
oh  mio  figlio  Lacsmano  !  lungamente  lamentato ,  lasciò 
tuo  padre  i  suoi  spiriti  vitali  :  gli  estremi  detti  eh'  ei 
proferì,  son  questi;  poi  se  n'andò  al  cielo  :  Felici  coloro 
che  rivedranno  Rama  ritornato  dalle  selve  con  Lacsmano 
e  con  Sita,  dopo  eh'  egli  avrà  adempiuta  la  sua  promessa! 
Udendo  questi  detti,  vie  pio  si  turbò  l'afflitto  Bbarata 
per  sospetto  d'  una  seconda  sventura ,  e  eoi  volto  tutto 
smarrito  di  nuovo  interrogò  la  madre  :  Dove  è  ora  Rama? 
ed  a  qual  line,  per  qual  motivo  è  egli  andato  alle  selve 
con  Lacsmano  e  colla  Videhese?  Così  interrogata  rispose 
a  lui  Caiceyi  parole  più  crudeli  e  dure,  credendo  dogli 
cosa  cara  :  Per  comando  del  padre  andò  Rama  di  qui 
alle  selve  in  abito  di  penitente  asceta  con  Lacsmano  e 
con  Sita;  io  son  colei  che  ho  latto  sì  che  Rama  fosse  man- 


AYODHYACANDA.  23 

(lato  in  esilio  fra  le  selve,  e  dopo  averlo  esilialo  se  ne 
andò  al  cielo  tuo  padre,  trafitto  dal  dolor  del  suo  figlio. 
Come  udì  queste  parole  della  madre,  Bharata  sospet- 
tando qualche  gran  colpa  e  desiderando  purgarne  la  sua 
stirpe,  così  prese  ad  interrogale  :  Ila  l'orse  il  saggio  Rama 
rapita  la  sostanza  di  qualche  Brahmano?  Ila  egli  forse  dan- 
neggiato alcuno  o  ricco  o  povero,  per  cui  quell'  illustre 
più  caro  al  padre  che  la  propria  vita  sia  stato  espulso 
dalla  casa  paterna?  Ha  egli  forse  oltraggiato  le  donne 
altrui,  ond'.ei  fu  cacciato  nella  selva  Dandaca,  come  un 
distrutto]'  di  feto  immaturo?  Ciò  udendo  Caiceyi,  rispose 
a  Bharata  raccontando  quel  che  ella  fece,  e  quasi  vantan- 
dosene per  la  mohil  femminea  sua  natura;  ella  ignohil 
donna  narrò  al  nobile  e  magnanimo  Bharata  ogni  cosa 
secondo  che  avvenne,  stolta  e  pur  superba  del  suo  senno  : 
Non  è  stata  da  Bama  rapita  la  sostanza  d1  alcun  Brahmano; 
non  è  stato  da  lui  offeso  alcuno  ;  né  potrebb'  egli  neppur 
col  pensiero  fare  oltraggio  alle  donne  altrui.  Rama  è 
giusto  e  pio,  donno  de1  suoi  sensi,  alieno  da  ogni  colpa; 
non  fece  quel  generoso  alcun  male  benché  minimo;  anzi 
si  conciliava  egli  con  amore  tutto  questo  popolo.  Ma 
allor  che  Dasaratha  volle  sacrarlo  consorte  del  suo  regno, 
io  udendo,  o  figlio,  essere  il  re  venuto  in  questo  pen- 
siero, il  richiesi  che  sacrasse  te  socio  del  suo  impero,  e 
mandasse  Rama  fra  le  selve  per  quatlordeci  anni  :  per 
questo  fu  da  tuo  padre  espulso  Rama  dalla  città;  ed  egli 
che  ad  ogni  cosa  antipone  il  dovere,  se  ne  andò  per  co- 
mando del  padre  fra  le  selve  con  Lacsmano  e  con  Sita  : 
quando  più  non  vide  il  diletto  suo  figlio,  allora  consu- 
mato dal  dolore  lasciò  il  giusto  tuo  padre  gli  spiriti  vitali, 


24  RAM  AVANA. 

e  se  ne  anelò  al  cielo.  Per  amor  di  te  io  ho  fatto  quest' 
opra  che  fu  vituperata,  per  cui  Rama  fregiato  d'  ogni  dote 
fu  cacciato  in  esilio  fra  le  selve ,  e  il  re  per  1'  esser  diviso 
da  lui,  perturbalo  in  ogni  suo  senso  dal  dolor  del  figlio, 
lasciati  i  cari  spiriti  vitali,  cadde  in  poter  del  re  de' morti. 
Prendi  ora  tu  questo  regno ,  rendi  fruttuosa  la  mia  fatica , 
rallegra  l'animo  de' tuoi  amici  e  il  mio,  domator  d'ogni 
tuo  avversario.  Convenuto  insieme  coi  Brahmani  di  cui  è 
capo  Vasistha,  e  resi  gli  estremi  ufficj  al  re,  fa  che  tu  sia 
quindi  prontamente,  o  figlio,  consacrato  re  in  questo  tuo 
re^no,  conforme  ai  riti. 


CAPITOLO   LXXV. 

RIMPROVERI    A    CAICEYI. 

Allor  che  conobbe  essere  morto  il  padre  ed  esuli  i 
due  suoi  fratelli,  Bharata  oppresso  dal  dolore  così  parlò 
alla  madre  :  Per  aver  cacciato  dal  regno  l'innocente  Rama, 
tu  sei  abbandonata  dalla  Virtù,  o  donna  spregiata  e  di 
mente  iniqua;  e  perchè  tu  per  cupidità  d' impero  hai  pri- 
vato della  vita  il  tuo  consorte  illustre ,  tu  hai  meritato  gli 
orrendi  supplizj  sempiterni,  sia  tu  per  sempre  vituperata! 
ma  se  tu  per  cupidigia  di  regnare  hai  voluto  andartene 
ai  luoghi  inferni,  perchè  cadendo  nell'abisso,  m'hai  tu 
con  te  precipitato?  Ah  io  son  perduto,  rovinato  da  te, 
madre  crudele!  or  lascierò  anch'io  questa  vita;  sia  tu, 
senza  me,  felice!  in  che  t' offese  egli  mai  il  tuo  sposo  o 
il  magnanimo  Rama ,  onde  tu  apparecchiassi  con  sorte 
eguale   all'un  la  morte,   all'altro  l'esilio?  coli' aver  pri- 


AYODHYACANDA.  25 

vato  Rama  del  regno  e  il  tuo  consorte  della  vita  tu  hai 
commesso  un  misfatto  ignominioso,  pari  all'  uccision 
d1  un  feto  o  d1  un  Brahmano.  Più  non  li  sia  fausto  questo 
mondo,  nò  il  mondo  ulteriore,  o  donna  micidial  del  tuo 
marito,  vanne  alle  regioni  inferne,  percossa  dalla  male- 
dizion  del  tuo  consorte!  ah  io  son  perduto,  disfatto  da  te, 
donna  cupida  d'impero!  che  più  cale  oramai  del  regno 
e  delle  sue  delizie  a  me  che  tu  hai  contaminato  d'  obbro- 
brio? Privato  del  padre  e  del  fratello  che  m'era  qua! 
padre,  io  non  ho  più  desiderio  alcuno  della  vita,  molto 
men  del  regno.  Per  qual  ragione,  orbo  dell'  eccelso  mio 
padre  e  del  fratello,  bramerei  ora  d'ottenere  il  regno,  io 
inabile  a  regnare?  Ma  ancorché  io  avessi  virtù  sufficiente 
a  governar  con  forza  questo  regno,  non  perciò  vorrei 
farti  lieta  del  tuo  intento,  o  madre  orgogliosa.  Per  cagion 
di  me  tu  hai  divelto  mio  padre  dalla  vita,  e  cacciato  in 
esilio  fra  le  selve  Rama  ottimo  fra  i  giusti  :  oh  dolore  ! 
tu  hai  rovesciato  sul  mio  capo  un  gran  delitto;  io  inno- 
cente son  da  te  perduto,  o  donna  iniqua.  Coli' aver  ri- 
dotto Rama  a  condizion  di  penitente ,  poi  condotto  a 
morte  l'incolpabile  tuo  sposo,  tu  hai  versato  alcali  acerbo 
sopra  una  ferita  ,  ed  aggiunto  duolo  a  duolo.  Tu  fosti 
qui  menata  da  mio  padre  per  la  rovina  di  questa  stirpe, 
ne  s'accorse  egli  che  tu  gli  saresti  funesta,  qual  orribil 
Durga(17);  ei  ti  menò  qui  infausta  per  la  sua  morte,  e  ti 
custodì  come  un'  orrida  serpe  velenosa.  Da  te,  o  perversa 
fu  privato  con  inganno  della  cara  vita  e  del  miglior  suo 
figlio  l'innocente  mio  padre,  osservator  della  sua  iodo  ; 
da  te  fu  cacciato  dal  regno  nelle  selve  il  generoso  Lacs- 
mano,  devoto  al  suo  fratello,  stretto  dall'autorità  paterna  ; 
...  4 


26  RAMAYANA. 

da  te,  o  crudele,  l'unni  ridotte  a  solitudine,  purch' esse 
ancora  vivano,  Causalya  e  Suini  Ira  oppresse  dal  duolo 
de'lor  figli.  Oh!  tu  non  fosti  per  certo  generata  dal  no- 
bile re  de'Cecayi;  io  credo  che  tu  iniqua  fosti  procreata 
da  un  Racsaso  crudele.  Qua!  opra  bieca  scopristi  mai  In 
in  Rama,  o  bieca  donna,  per  cui  quel  giusto  fosse  da  te 
esiliato  nelle  selve?  a  te  era  ossequente  Rama  in  ogni  suo 
atto  non  men  che  alla  sua  propria  madre;  qual  cosa  ve- 
desti in  lui,  o  trista,  per  cui  tu  procurasti  il  suo  esilio.1 
qual  pecca  scorgesti  in  mio  padre  o  in  Rama,  per  cui  ti 
recasti  a  un  atto  indegno,  che  oscurerà  per  sempre  la 
mia  fama?  Mentre  la  prima  fra  le  nostre  madri,  la  pia 
Causalya  a  te  dimostrava,  come  a  sorella,  sommo  osse- 
quio ed  amore,  perchè  tu,  o  ignobil  donna,  cacciasti  in 
esilio  il  suo  figliuolo?  contaminando  te  stessa,  tu  hai,  o 
crudele,  reso  colpevole  me  pure.  Ed  ora,  dopo  aver  con- 
finato tra  le  selve  in  abito  di  penitente  il  mansueto  figlio 
di  Causalya,  come  non  ne  senti  tu  dolore?  ma  andrò  io 
stesso,  e  fatta  ogni  cosa  manifesta,  ricondurrò  qui  dalle 
selve  Rama  mio  fratello  primogenito,  onor  della  stirpe 
de' Raghuidi;  io  stesso  dimorerò  per  quattordeci  anni, 
conforme  al  comando  del  padre,  fra  f  orrore  delle  selve, 
e  Rama  mio  fratello  sarà  qui  re.  Poich'  ebbe  così  parlato 
con  grand1  ira  e  vituperata  la  sua  genitrice,  Bharata  stra- 
ziato dal  dolore  e  degno  di  miglior  sorte,  ruggiva  con 
alta  voce  come  un  leone  dentro  una  caverna  montana. 


.uonin  \<;  wda.  27 


CH'ITOLO   LXXVI 


LAMENTO    DI    UHAK.VTA. 


Fatti  alla  madre  que' rimproveri  acerbi,  Bharata  op- 
presso da  crescente  angoscia,  così  di  nuovo  prese  a  dire  : 
0  crudel  Caiceyi,  invereconda,  iniqua,  di  che  mai  t'ha 
dieso  Rama  o  il  tuo  consorte?  sia  tu  vituperata,  o  donna 
d'animo  spietato!  più  non  sia  a  te  fausto  questo  mondo, 
né  il  mondo  ulteriore,  o  sovvertitrice  di  questa  stirpe! 
come  mai  non  ti  vergogni  d'aver  fatto  cosa  odiala  da 
tutti  gii  uomini?  come  ancor  ti  sostiene  questa  terra,  o 
donna  micidial  del  tuo  consorte?  come  mai  il  sapiente  e 
magnanimo  mio  padre  tollerò  questa  tua  colpa  dannata 
da  tutte  le  genti?  come  non  t'arse  quel  generoso  col 
fuoco  della  sua  maledizione?  come  non  ne  fui  arso  io 
stesso  contaminato  dalla  tua  colpa?  Tu,  donna  spregiala 
e  cupida,  hai  privato  di  vita  il  tuo  consorte,  sbandilo 
Rama  fra  le  selve,  e  impressa  sul  mio  capo  una  nota  d'in- 
famia; ond'io  non  veggo  come  tu  possa  svincolarti  dalla 
tua  colpa;  non  mai  fra  le  mondane  evoluzioni!18)  tu 
potrai  liberarti  dalle  regioni  inferne.  Non  dei  tu  oramai 
più  appellarmi  tao  figlio ,  tu  che  sotto  nome  di  madre 
mi  sei  nemica,  donna  crudele,  spietata,  avida  di  regno, 
rovina  del  tuo  consorte;  da  te  sola,  o  invereconda  e  rea, 
son  fatte  infelici  Gausalya,  Sumitra  e  l'altre  mie  madri; 
tu  non  sei  figlia  del  re  de1  Cecayi ,  uom  d'  animo  raffre- 
nato; tu  sei  una  Racsasa  che  usurpasti  il  nome  di  sua 
liglia.  Qua!  altra  donna  v1  ha   di   te  più  iniqua  ,  che   hai 


28  RAMAYANA. 

cacciato  in  esilio  Rama  delizia  di  tutte  le  genti:1  in  qual 
mondo  n'andrai  tu  ora(19),  tu  che  hai  rovesciato  ad  un 
tratto  sopra  di  me  il  dolor  d1  essere  orbato  del  padre  e  la 
sventura  detestata  d'esser  diviso  dal  fratello;  tu  che  hai 
separato  dal  diletto  suo  figlio  Causalya  madre  amante, 
virtuosa  e  pura?  Oh  non  conosci  tu  dunque  il  dolor  che 
è  Tesser  diviso  da  un  Tiglio  amato,  tu  che  privasti  Cau- 
salya del  diletto  suo  Tiglio  !  il  liglio  è  generato  nelle 
membra  e  nel  corpo  della  madre,  egli  ha  origine  dal  suo 
cuore;  onde  non  v'ha  cosa  più  cara  alla  madre  che  il 
proprio  Tiglio.  Un  dì,  siccome  è  fama,  Surabhi  la  madre 
de'  tori,  pregiata  dagli  Dei,  veggendo  due  suoi  Tigli  traenti 
sulla  terra  il  carro ,  estenuati ,  rotti  dal  pungolo  per  tutto 
il  corpo  e  ad  ora  ad  or  svenuti,  pianse  per  dolore.  Ve- 
duta costei  piangente ,  il  giusto  Indra  senti  pietà  di  lei  ; 
che  mentr'ei  percorreva  gli  spazj  eterei,  caddero  sulle 
sue  membra  le  lagrime  di  Surabhi  spremute  dall'angoscia 
e  soavemente  odorose.  Tocco  da  quelle  lagrime,  guar- 
dando in  alto  Vasava  (20)  vide  Surabhi,  ed  appressatosi  a 
lei  in  atto  reverente ,  così  le  disse  :  Prevedi  tu  forse  onde 
che  sia  qualche  pericolo  che  sovrasti  a  noi ,  per  cui  così 
piangi  addolorata?  dimmi  ciò  che  è.  Così  interrogata  dal 
possente  Indra,  così  rispose  Surabhi  afflitta  al  Dio  di- 
struttore di  città  :  Non  preveggo  io  da  alcuna  parti;  peri- 
colo a  te  imminente,  o  signor  degli  Immortali;  ma  io 
compiango  que1  due  miseri  miei  Tigli  estenuati ,  rotti  dal 
pungolo  per  tutto  il  corpo,  famelici  e  svigoriti,  che  l'ara- 
tor  crudele  tormenta  sotto  il  giogo  dell'  aratro.  Riguar- 
dando que' due  miei  ligli  generati  nelle  mie  membra  e 
nel  mio  corpo ,  originati  dal  mio  cuore ,  vie  più  cresce  la 


VYODHYAGANDA.  29 

mia  pena  :  non  v'ha  cosa  più  cara  che  il  proprio  figliu. 
Così  si  doleva  Surabhi  f  amorosa  madre  de'  tori;  e  quella 
possente  era  pur  madre  di  più  migliaja  di  figli;  or  (pianto 
più  non  ha  a  dolersi  l'infelice  Causalya,  cui  non  è  nato 
che  Rama  unico  figlio  a  lei  più  caro  che  la  vita,  e  costui 
fu  da  te  spinto  in  esilio?  Onde  tu,  o  Caiceyi ,  per  aver 
cagionato  a  Causalya  un  tal  dolore ,  che  consumerà  il  suo 
animo,  il  suo  cuore  ed  il  suo  corpo,  tu  pure,  o  insen- 
sata, avrai  (piaggili  e  nell'altra  vita  dolore  immenso,  in— 
terminabile,  dannata  alle  tristi  sedi  inferne.  Ma  io  ren- 
derò T  onor  dovuto  al  padre  ed  al  fratello ,  e  cancellerò 
dinanzi  al  mondo  questa  infamia.  Così  lamentava  con 
sospiri  ardenti  Bharata  infelicissimo,  a  guisa  d' un  elefante 
caduto  improvvisamente  ne' lacci  in  una  selva.  Pien  di 
sdegno  gli  occchi ,  accidiato ,  disciolti  il  bel  manto ,  le  vesti 
e  la  ghirlanda,  stava  prostrato  in  terra  il  regal  figlio,  come 
il  vessillo  d'indra  sul  finir  d'una  solennità  festiva. 

CAPITOLO    LXXVIL 

LA    DONNA    GOBBA    STRASCINATA. 

Ma  udito  quel  romore ,  colà  ne  venne  afflitto  Satrughno 
fratello  minor  di  Lacsmano,  e  sollevò  Bharata  da  terra;  e 
com'  egli  ebbe  quivi  inteso  che  Caiceyi  stimolata  dalla 
sua  fida  gobba  aveva  cacciato  in  esilio  Rama,  pien  d'an- 
goscia e  di  dolore  così  disse  :  Come  mai  il  nobil  Rama 
saggio  e  mite ,  intento  al  bene  d"  ogni  creatura ,  venne 
sbandito  fra  le  selve  da  una  donna,  essendo  egli  libero 
di  se?  Perchè  il  generoso  Lacsmano,  dotato  di  forza  e  di 


30  RAMAYANA. 

vigore  e  destro  all'armi,  non  sacrò  egli  Rama,  reprimendo 
anche  con  violenza  il  padre?  I  accorto  e  giusto  Lacsmano 
avrebbe  dovuto  fin  da  principio  raffrenare  il  re  vinto  da 
passion  d'  amore  e  stupidito.  Mentre  Satrughno  così  par- 
lava, comparve  la  donna  gobba  tutta  adorna  di  splendidi 
ornali,  cosparsa  il  corpo  d'  agalloco  e  di  sandalo,  rico- 
perta di  vesti  di  gran  pregio,  tutta  cinta,  come  un'  ele- 
fantessa, di  varie  zone  e  fasce.  Veduta  in  sulla  porta  quella 
gobba  scellerata,  Bharata  la  mostrò  a  Satrughno,  dicendo  : 
Ecco  f  iniqua  crudel  donna ,  per  cui  cagione  è  ito  in 
esilio  Rama  e  morto  mio  padre;  fa  di  lei  quel  ch'ella 
merita.  Allora  Satrughno  scorgendo  Manthara  a  lui  vi- 
cina, gittò  quella  trista  a  terra,  e  presala  per  la  strozza, 
l'andò  trascinando  con  grand' ira;  e  coni' ella  guaiva  di- 
rottamente, ei  l'empiè  di  polvere  la  gola;  ed  oltremodo 
irato  cosi  parlava  ai  servi  del  gineceo  colà  presenti  :  Oggi 
io  caccerò  alle  sedi  di  \ama  questa  Manthara  scellerata, 
che  fu  causa  di  tanta  sventura  a' miei  fratelli  ed  a  mio 
padre.  Veggendo  quella  gobba  trascinata  per  terra  con 
tant'  impeto  da  Satrughno ,  grillarono  smarriti  gli  amici 
di  Manthara,  turbati  neh"  animo  da  paura  alla  vista  di 
Satrughno  così  iroso;  e  dissero  fra  loro  trepidanti  :  Come 
costui  fuor  di  modo  irato  malmena  Manthara,  così  farà 
egli  a  noi  tutti;  cerchiam  rifugio  presso  a  Causalva;  essa 
è  oggi  il  solo  nostro  scampo.  Satrughno  intanto  terribile 
a'  suoi  nemici  cogli  occhi  accesi  d' ira  trascinava  per  terra 
con  più  violenza  la  donna  gobba  chiedente  ajuto.  Essendo 
qua  e  là  trascinata  Manthara ,  caddero  sparsi  a  terra  i  belli 
e  splendidi  suoi  ornati,  e  il  suolo  tutto  cosparso  di  que' 
lucidi   ornamenti   risplendeva   come   un  cielo  autunnale 


VYODHYAC  WDA.  31 

sparso  di  lucenti  Molle.  Traendo  allora  Manthara  ai  piedi 
di  Caiceyi,  Satrughno  con  occhi  infiammati  di  sdegno  le 
disse  queste  parole  acerbe  :  dome  potrà  ora  la  rea  Cai- 
ceyi liberarti,  o  gobba,  che  fosti  causa  d' un'opra  iniqua 
che  distrusse  questa  casa  ?  colei  che  non  ebbe  rispetto 
né  al  figlio,  né  al  re,  ne  alla  propria  fama,  otterrà  mo- 
rendo il  tristo  frutto  di  quest'opra  rea.  Ma  tu,  o  gobba, 
sei  la  radice  d'ogni  nostro  male  e  della  rovina  di  questa 
casa;  ond'  io  li  caccerò  oggi  alle  sedi  di  l'ama  :  riverserò 
oggi  sopra  di  te,  o  gobba  iniqua  ligia  di  donna  iniqua,  il 
crudel  dolore  di  cui  n'è  causa  l'esilio  di  Rama,  e  che 
riarde  il  nostro  cuore.  Cosi  dicendo  e  più  infiammandosi 
nell'ira,  andava  Satrughno  trascinando  a  terra  con  vio- 
lenza la  gobba  che  sempre  più  gridava;  e  Caiceyi  trafitta 
al  cuore  da  quelle  parole  acerbe  rifuggi',  per  paura  di 
Satrughno,  al  suo  figlio.  Ma  Bharata  vedendo  Satrughno 
sì  adirato,  così  disse  :  E  vietato  ad  ogni  creatura  l'uccider 
donne;  tu  perdona  a  costei;  io  stesso  avrei  ucciso  questa 
rea  Caicevi ,  se  non  temessi  d' esser  abbandonato  dal 
giusto  Rama,  siccome  micidiale  di  mia  madre;  raffrena 
la  tua  ira,  tu  che  conosci  la  legge  del  dovere;  costei  è 
oramai  perduta  per  la  sua  mal' opra;  pensa  ch'ella  è  serva, 
ch'ella  è  gobba  e  donna  sopratutto.  Per  certo  se  il  pio 
Rama  saprà  che  è  stata  uccisa  questa  gobba,  benché  ini- 
qua, ci  ripudierà  egli  amendue.  Udite  quelle  parole  di 
Bharata,  Satrughno  rattenendo  la  sua  ira,  rispinse  da  se 
Manthara  ;  la  quale  levandosi  prontamente ,  tutta  tremante 
e  rotta  rifuggì  a  Caiceyi  pregandola  di  salvarla.  La  madre 
di  Bharata  veggendo  la  sua  fida  gobba  sbalordita  dall' 
impeto  con   cui   la   respinse  Satrughno,   a   poco   a    poco 


32  RAMAYANA. 

riconfortò  quella  dolènte,  che  guaiva  rome  un'aghirone 
sbigottita. 

CAPITOLO   LXXVI1I. 

RIMPROVERI    A    BHARATA, 

Dopo  ch'ebbe  vituperata  la  madre,  Bharata  perturbato 
in  tutti  i  suoi  sensi  dal  dolore  e  dall'angoscia,  guardando 
Satrughno  cosi  gli  disse  :  Ben  si  stima  esser  l'uomo  quaggiù 
inabile  a  conseguir  gioja  o  dolore;  il  solo  fato(21)  ineso- 
rabile il  trae  mal  suo  grado  nella  felicità  o  nella  miseria. 
Oh  ben  è  quaggiù  possente  il  fato,  da  cui  Rama  dotato 
d'ogni  virtù  e  degno  d'esser  felice  fu  con  forza  inelutta- 
bile  tratto  nella  sventura?  vieni  ora  tu  con  me;  visitiamo 
insieme  la  misera  Causalya,  che  piange  l'esilio  del  lì- 
gliuolo,  ed  è  afflitta  perla  morte  dello  sposo,  lo  conosco 
ora,  o  Satrughno,  che  quell'opra  vituperata,  obbrobriosa 
eseguita  da  mia  madre,  fu  opra  sol  del  fato.  L'  uomo  o  la 
donna,  ancor  che  saggi,  spinti  in  amenza  dalla  forza  del 
fato,  mal  discernono  se  quel  che  ei  fanno  debba  loro  esser 
utile  oppur  dannoso  :  dementata  dal  fato,  o  Satrughno, 
Caiceyi  mia  madre  commise  quest'  ingiustizia  vituperata 
da  tutti  gli  uomini.  Una  grande  angoscia,  o  Satrughno,  mi 
sta  sul  cuore  :  che  cosa  dirò  a  Causalya  io  contaminato 
dalla  colpa  di  mia  madre?  Così  parlando  Bharata  col  fra- 
tello ,  piangeva  con  alta  voce  e  con  suon  dolente ,  em- 
piendo quasi  de' suoi  gemiti  la  reggia.  Udendo  que' gridi 
di  dolore  del  magnanimo  Bharata  che  colà  piangeva, 
Causalya  così  parlò  a  Sumitra  :  E  qui  giunto  Bharata,  il 


WODHYACANDA.  33 

figlio  della  crudel  Caiceyi;  io  desidero  veder  quell'uom 
che  ha  sì  provido  discernimento.  Dello  quelle  dolenti 
parole,  Causalya  oppressa  dall'angoscia  s'avviò  con  Su- 
mitra  a  veder  Bharata  ;  l'  illustre  Bharata  all'  incontro  s'  a\ 
viava  insieme  con  Satrughno  a  veder  F  infelice  Causalya 
nelle  sue  stanze.  Come  i  due  fratelli  videro  venir  benché 
da  lungi  Causalya  tutta  mesta,  inchinatisi  amendue  le  si 
fecero  incontro  atteggiati  di  mestizia.  Causalya,  abbrac- 
ciati Bharata  e  Satrughno,  sopraffatta  dal  suo  dolore 
pianse  amaramente ,  e  sollevato  Bharata  che  stava  innanzi 
a  lei  prostrato  e  tutto  tremante  per  timore,  gli  disse  pur 
piangendo  queste  parole  acerbe  :  Se  tu  ambivi  di  regnare, 
rallegrati;  tu  hai  conseguito  senza  ostacoli  questo  regno, 
che  Caiceyi  tua  madre  t'ottenne  ella  stessa  con  inganno, 
esiliando  in  abito  d'asceta  l'innocente  mio  figlio  Rama. 
Ma  per  qual  causa,  per  qual  fine  Caiceyi  tua  madre  volle 
ella  pure  esiliar  Sita?  or  come  il  diletto  mio  figlio  n'andò 
con  Lacsmano  fra  le  selve,  così  me  n'andrò  io  stessa  ac- 
compagnata da  Sumitra  colà  dove  è  ito  Rama  colla  sua 
consorte;  o  piuttosto  conducimi  tu  stesso,  o  caro,  colà 
dove  mio  figlio  sostiene  per  comando  del  padre  acerbe 
pene  ;  e  tu  circondato  dall'  esercito  quadripartito  ottieni 
con  ogni  sua  ricchezza,  con  tutte  le  sue  gemme  questo 
prospero  regno  desiderato  che  ti  lasciò  il  padre. 

CAPITOLO  LXXIX. 

GIURAMENTI  DI   BHARATA. 

Alla  misera  Causalya  madre  di  Rama,  che  così  par- 
lava,  rispose  Bharata  con   allo  reverente  queste  parole 


.Vi  RAMAYAN  \ 

interrotte  dal  pianto  :  Perchè,  o  nobil  donna,  ignara  an- 
cor del  vero,  così  riprendi  me  innocente.1  Tu  pur  conosci 
il  grande  e  saldo  alleilo  ch'io  porto  a  Rama  :  or  in  odi, 
o  regina  :  Non  sia  mai  seguace  de' sacri  statuti  la  niente' 
di  colui,  per  opra  del  quale  andò  in  esilio  il  nobil  Rama, 
ottimo  fra  i  giusti  ,  mantenitor  della  sua  fede.  Cada  in 
dura  servitn,  orini  in  faccia  al  sole,  percuota  col  piede 
una  vacca  giacente  colui,  per  cui  consiglio  andò  in  esilio 
Rama.  Tocchi,  essendo  egli  impuro,  una  vacca,  il  sacro 
fuoco,  od  un  Brahmano;  oltraggi  il  sacro  suo  maestro 
colui,  per  cni  consiglio  andò  in  esilio  Rama.  Desideri 
usar  colla  donna  del  suo  amico  o  colla  donna  del  suo 
sacro  maestro  quel  malvagio  e  reo,  per  cui  consiglio  andò 
in  esilio  Rama.  Stando  in  battaglia  folta  di  carri,  di  ca- 
valli e  d'elefanti  e  tutta  cinta  (ranni,  non  faccia  alcun' 
opra  da  prode  colui,  per  cui  consiglio  andò  in  esilio 
Rama.  Disprezzi  le  sacre  dottrine  che  han  per  oggetto  il 
sommo  Spirito  (22)  e  sono  esposte  da'  saggi  conforme  al 
vero,  quell'insensato,  per  cui  consiglio  andò  in  esilio 
Rama.  Venendo  in  controversia  alcun  negozio ,  s' at- 
tenga alla  parte  degli  stolti  e  rimanga  vinto  colui,  per 
cui  consiglio  andò  in  esilio  Rama.  Fruisca  ,  senza  mai 
donare  egli  stesso,  del  ben  degli  Dei,  degli  ospiti  e  de' 
servi,  del  padre  e  della  madre  colui,  per  cui  consiglio 
andò  in  esilio  Rama.  Non  mai  proferisca  parola  conforme 
alle  sacre  dottrine,  non  mai  conversi  con  gente  onesta 
colui ,  per  cui  consiglio  andò  in  esilio  Rama.  I  giorni  ple- 
nilunari dei  mesi  Asàdha,  Carttica  et  Maglia  (23)  destinati 
ad  opre  pie  trapassino  senza  che  riceva  alcun  dono  colui, 
per  cui  consiglio  andò  m  esilio  Rama.  Divori  senza  pietà 


woniiYw:  \\i)\.  35 

calde  carni,  caldo  latte,  grano  e  sesamo  l24);  disprezzi  la 
virtù  colui,  per  cui  consiglio  andò  in  esilio  Rama.  Vili- 
penda la  madre,  il  padre,  il  vecchio  suo  precettore,  il 
Brahmano  sua  sacra  scorta  quell'iniquo,  per  cui  consi- 
glio andò  in  esilio  Rama.  Cada  subitamente  dalle  sedi  e 
dalla  lama  dell' uom  virtuoso,  cessi  dall'opre  consuete 
ai  buoni  colui,  per  cui  consiglio  andò  in  esilio  Rama. 
Abbia  sopra  di  se  il  reato,  che  avrebbe  chi  uccidesse  un 
Brahmano  o  la  vacca  Capila  (25),  chi  tradisse  1'  altrui  fede, 
chi  incrudelisse  contro  il  sacro  suo  maestro  o  1'  avvolgesse 
con  menzogne,  colui,  per  cui  consiglio  andò  in  esilio 
Rama.  La  colpa  di  cui  si  fa  reo  l'ingrato,  il  ladro,  e  chi 
tocca  col  piede  il  sacro  fuoco ,  la  colpa  di  chi  sperde  il 
fuoco  sacro,  di  chi  diserta  villaggi,  di  chi  offende  l'amico, 
sia  contratta  da  colui,  per  cui  consiglio  andò  in  esilio 
Rama.  Abbia  la  colpa  di  chi  giace  dormendo  sul  vespero 
e  sull'aurora  colui,  per  cui  consiglio  andò  in  esilio  Rama. 
Come  è  colpevole  un  noni  neghittoso  ed  un  mendace , 
così  sia  reo  l' uom  insensato,  per  cui  consiglio  andò  in 
esilio  Rama.  Ottenga  il  poter  supremo  e  governi  in  com- 
pagnia di  ministri  stupidi  l'uomo  stolto,  per  cui  consi- 
glio andò  in  esilio  Rama.  Dimori  per  sei  mesi  mendicando 
in  un  villaggio,  e  sia  sostentato  dalla  propria  figlia;  si  cibi 
tutto  solo  di  dolci  vivande  colui ,  per  cui  consiglio  andò 
in  esilio  Rama.  Con  tai  detti  Bharata  rassicurava  la  dolente 
e  misera  Causalya  privata  del  figlio  e  del  consorte;  ed 
ella  così  rispose  all'  innocente  e  afflitto  Bharata  che  sì 
giurava  con  giuramenti  atroci  :  O  uom  immacolato  e  pio, 
io  conosco  appieno  che  tu  sei  innocente;  cessa  oramai; 
che  facendo  tu  lai  giuri  soffochi  ì  miei  spiriti  vitali.  Son 


36  RAMAYANA. 

lieta,  o  figlio,  che  tu  simile  a  Rama  non  ti  sia  rimosso 
dal  tuo  dovere;  possa  tu,  o  pio,  ottener  con  Rama  lunga 
vita!  possa  io  qui  vederti  con  Lacsmano  e  con  Rama, 
quand'egli  avrà  adempiuta  la  sua  promessa,  e  si  sarà  li- 
berato dal  suo  debito  verso  il  padre!  possa  tu  conseguire 
la  longevità,  la  fama  e  la  giustizia  degne  della  tua  stirpe, 
ch'ebbero  i  magnanimi  re  tuoi  antenati,  celebri  per  virtù! 
allor  che  saran  trapassali  quattordeci  anni,  tu  vedrai  qui 
ritornati,  o  domator  de' tuoi  nemici,  Rama  e  Lacsmano 
con  Sita.  Or  rendi  gli  estremi  ufficj  al  corpo  di  tuo  padre, 
che  te  aspettando,  o  generoso,  sta  riposto  dentro  un  vaso 
pieno  di  liquor  di  sesamo  :  attendi,  o  figlio,  a  governar 
con  giustizia  queste  genti;  fa  che,  sebben  ito  al  cielo, 
sia  di  te  contento  il  re.  Temperando  il  dolore  nato  dalla 
perdita  del  padre  e  dall'esilio  del  fratello,  attendi,  o  li- 
gho  ,  a  portare,  come  somier  robusto,  il  grave  peso  di 
questa  casa.  Mentr1  era  così  confortato  il  magnanimo  Bha- 
rata,  il  suo  animo  oppresso  da  un  peso  d'angoscia  stava 
tutto  commosso;  ma  com'egli  ebbe  udite  le  pietose  pa- 
role, che  piangendo  proferì  Gausaiya,  tutto  si  conturbò 
di  nuovo  sopraffa tto  dal  dolore,  e  prostrato  in  terra,  con- 
tristato, afflitto,  coi  sensi  perturbati  rinnovò  piangente 
lamenti  pietosissimi,  pur  ricordando  con  pensiero  intento 
il  padre  ed  il  fratello.  Mentrecch'  egli  lamentava  oppresso 
da  dolore,  e  traeva  ad  ora  ad  ora  lunghi  e  caldi  sospiri, 
cadde  all'occaso  il  sole;  e  la  notte  sopravvenuta  parve  a  lui 
durar  cent' anni.  Ma  allor  che  videro  finir  quella  notte, 
i  duci  dell'esercito,  i  Brahmani  e  tutta  la  schiera  de' con- 
siglieri entrarono  raccolti  insieme  nella  reggia  priva  di 
quel  re  eh'  era  pari  al  grande  India  ;  e  tutta  quel!'  adii- 


AYODHYACANDA.  M 

nanza  s'  assise  in  cerchio,  guardando  il  mesto  Bharata, 
pieno  di  pianto  gli  occhi ,  profondato  nel  suo  dolore  , 
prostrato  in  terra,  simile  ad  nom  disensato. 

CAPITOLO   LXXX. 

DISCORSO    DI    VASISTHA. 

Caduto  in  amaro  infortunio,  perduta  la  beltà  del  co- 
lore e  della  voce,  Bharata  era  tutto  ottenebrato,  come 
la  luna  ali  or  che  s'  ecclissa.  Afflitto  per  la  morte  del  pa- 
dre e  per  l'esilio  del  fratello,  dolente  dell'aver  Caiceyi 
per  cupidità  di  regno  abbandonato  le  leggi  del  dovere, 
non  vedendo  alcun  termine  al  suo  dolore  immenso  come 
il  mare,  combattuto  da  incessante  angoscia,  non  poteva 
egli  trovar  conforto.  Considerando  le  gesta  immortali 
del  padre  e  de1  suoi  avi ,  era  egli  oltremodo  conturbato , 
come  un  Brahmano  che  avesse  bevuto  liquore  inebbi  iante  : 
Io  son,  diceva,  sommerso  in  un  pelago  immenso  di  do- 
lore per  colpa  di  mia  madre,  che  trasgredì  i  doveri  se- 
guitati dalle  genti  di  stirpe  nobile.  Per  cagion  di  me  è 
morto  il  re ,  e  fu  cacciato  in  esilio  Rama  :  io  innocente 
son  fatto  reo  da  mia  madre  cupida  di  regnare.  Siccome 
è  oscuro  il  monte  Meni  allor  che  noi  veston  de' suoi 
raggi  la  luna  e  il  sole,  così  è  squallida  questa  città  privata 
del  re  mio  padre  e  del  fratello.  Come  mai  io  cresciuto 
fra  dolcezze  infinite  e  carezzato  da  mio  padre  e  dal  fra- 
tello, pur  sostengo  questa  mia  vita,  poiché  caddi  in  tale 
sventura  insopportabile!  io  salirò  sul  rogo  con  mio  padre, 
o  me  n'andrò  con  Rama   fra  le  selve;  senza  costoro  io 


36  RAMAYANA. 

più  non  posso  sopportar  la  vita.  Se  io  polio  fregare  i 
fausti  piedi  di  Rama  affaticato  fra  le  selve,  io  riputerò 
questa  sorte  miglior  che  il  regno  :  obbediente  ai  piedi 
di  lui  che  sen  vive  fra1  boschi  di  silvestri  fruiti,  io  abi- 
terò con  esso  recandogli  bori  per  le  sacre  offerte,  peroc- 
ché io  lontan  da  Rama  non  desidero  regnar  neppur  fra 
gli  Dei,  molto  meno  aver  fra  gli  uomini  un  impero  insta 
bile,  macchiato  dalla  colpa  di  mia  madre.  Contemplando 
io  i  bedi  occhi  del  nobil  Rama  e  il  suo  volto  soave  come 
la  piena  luna,  s'addolcirà  1'  angoscia  in  me  prodotta  dalla 
perdita  del  padre.  Udendo  quelle  pie  parole  del  magna- 
nimo Bharata,  i  ministri  e  tutta  la  schiera  de' congiunti 
versavano  lagrime  di  dolore;  ma  il  venerando  saggio  \  a- 
sistha  così  parlò  al  mesto  Bharata,  che  stava  col  capo 
dimesso  ,  lineando  la  terra  colla  punta  del  suo  piede  : 
Colui  che  tranquillo  e  forte  nelle  avversità  eseguisce  ap- 
pieno qiie'  doveri  che  è  di  necessità  1' adempiere,  quegli 
è  detto  savio  da  color  che  sanno;  tu  raccogliendoti  alla 
tua  fermezza  e  disgombrando  d'angoscia  il  cuore,  disponti 
ora  ad  adempiere  con  animo  quieto  i  funebri  ufficj  do- 
vuti al  padre.  Ito  alle  selve  Rama,  il  pio  tuo  padre  con- 
sumato dal  desiderio  del  suo  figlio,  abbandonando  come 
un  derelitto,  avvegnaché  fosse  signor  del  mondo,  i  cari 
spiriti  vitali,  se  n'andò  al  cielo,  prima  che  tu  qui  giun- 
gessi. Noi  pensando  allora  che  il  morte  tuo  padre  non 
potrebbe  senza  di  te  esser  portato  al  rogo,  il  facemmo 
riporre  in  un  vaso  pieno  di  liquor  di  sesamo.  Adempi 
ora  tu  questo  dover  supremo  verso  tuo  padre  ;  conforta 
le  tue  madri ,  e  non  abbandonar  1'  animo  tuo  alla  tristezza  : 
a'  tuoi  pari,  saggi  discernitori  degli  eventi ,  conoscitori  di 


VYODHYACANDA.  39 

quel  che  è  vero  e  magnanimi,  non  si  conviene  attristarsi 

di  quelle  cose  che  debbono  di  necessità  avvenire;  perciò 

fortifica    le   stesso,  non  mostrarli   slolto,   o  Bharata.  La 

morte   è  possente,  o  Cacutsthide;  ne  si  può   evitare  in 

alcun  modo  :  noi  tutti    un  di   dovrcm  pur  finire;   onde 

non  voler  tu  contristarti.  Non  volere,  o  regal  figlio,  di- 
ci O  ' 

venuto  signor  di  noi,  trascurare  queste  consorti  di  tuo 
padre1,  trafitte  da  crudel  dolore,  alienate  dai  lor  sensi, 
oppresse  dalla  stanchezza  e  dalla  fame.  Costante  nella  tua 
fortezza  rendi  tosto  a  tuo  padre  gli  uflìcj  estremi;  adempì 
i  riti  che  sono  ordinati  a  quest'uopo  dai  Brahmani;  tu 
non  dei  perderli  d'animo  in  questo  caso,  o  regal  figlio. 

CAPITOLO   LXXXL 

LAMENTO    DI    BHARATA. 

Confortato  per  tal  modo  da  Vasistha ,  il  saggio  Bha- 
rata volgendo  a  lui  lo  sguardo,  così  rispose  vie  più  do-  ' 
lente  :  Udendoti  così  parlare,  o  Mimi,  si  disrompe  quasi 
l'animo  mio;  qual  diritto  ho  io  qui  d'esser  signore, 
mentre  pur  vive  Rama  signor  del  mondo?  Or  via  condu- 
cetemi là  dov'  è  il  re  mio  padre  ;  eseguirò  colà  con  voi 
umilemente  i  riti  funebri ,  se  non  si  frange  ora  in  cento 
parti  questo  mio  cuore;  mi  si  mostri  da  voi  mio  padre 
esanime.  Allora  i  consiglieri  preceduti  da  Vasistha  con- 
dussero Bharata  colà  dove  stava  il  corpo  del  re  ,  e  tre- 
cento cinquanta  donne  del  regal  gineceo  seguitando  Bha- 
rata, andarono  con  Ini  a  vedere  il  morto  lor  signore. 
Entrando  Bharata  ('olle  donne  del  re  nelle  stanze   della 


40  RAM  VYANA. 

madre  di  Rama,  vide  colà  1'  estinto  suo  padre;  e  come 
il  vide  esanimato  ,  privo  d'  ogni  suo  splendine  ,  esc  Li- 
mando :  Oh  mio  padre!  oli  re!  cadde  egli  a  terra,  come 
uom  fuori  di  senso.  Ma  ricuperato  il  sentimento,  e  guar- 
dando con  gran  mestizia  il  padre,  così  gli  parlò,  come 
s'egli  ancor  vivesse  :  Sorgi,  o  re;  a  che  pur  dormi:*  ecco 
il  tuo  Bharata  qui  prestamente  ritornato  insieme  con 
Satruglmo  per  tuo  comando,  o  generoso!  il  mio  avo,  o 
padre,  e  il  mio  zio  Yudhagit  inchinandosi  a  te  col  capo, 
ti  richiedon  della  tua  prosperità.  Altre  volte,  o  re,  quand1 
io  ritornava  onde  che  fosse,  tu  traendone  al  tuo  fianco 
e  baciandomi  sul  capo  innanzi  a  te  inchinato,  mi  carez- 
zavi con  amore;  ed  or  ch'io  qui  ritorno,  perchè  non  mi 
fai  tu  motto?  io  per  altro  non  t' offesi  in  nulla;  sia  tu 
dunque  a  me  propizio.  Oh  felice  Rama  che  potè  adempiere 
il  tuo  comando,  o  re!  felice  Lacsmano  che  se  n'andò  se- 
guitando il  suo  fratello!  io  infelice  e  misero,  contro  cui 
irato  tu  moristi  straziato  da  crudele  angoscia  !  Per  certo 
Rama  e  Lacsmano  ignorano  la  tua  morte;  che  se  ciò  non 
fosse ,  come  non  sai  ebber  essi ,  lasciando  le  selve ,  qui 
venuti  a  piangere?  se  per  colpa  di  mia  madre  io  ti  son 
forse  divenuto  odioso,  degna  almeno,  o  re,  far  parola 
a  Satrughno.  Dopo  aver  per  cagion  d'  una  donna  sbandito 
in  abito  di  penitenti  Rama  e  Lacsmano,  perchè  lasciando 
tu  inoltre  i  tuoi  spiriti  vitali,  te  n'andasti  al  cielo,  o  re? 
Udendo  que' lamenti  del  magnanimo  Bharata,  le  donne 
del  re  piangevano  oltremodo  afflitte.  Ma  Vasistha,  ottimo 
fra  color  che  mormorai!  la  preghiera,  e  con  lui  Cavali 
così  parlarono  a  Bharata  dolente  e  lamentoso  :  Non  con- 
tristarti ,  o  saggio  Bharata  ;  non  si  debbe  da  te  soltanto 


VYODHYACANDA.  'il 

piangere   il   re;  tu  dei  senza  più   ritardo   rendergli  con 
animo  tranquillo  gli  estremi  ufficj.  Col  troppo  dolersi  per 
umore  e  col  soverchio  pianto,   o  Bharata,  gli  amici  ed  i 
congiunti  traggono  giù  dal  cielo  chi  v' è  salito.  Si  nana, 
o  generoso,  che  un  dì    il  piissimo  re  Bhuridyumna  se 
n'andò    al  cielo    per   le    sue   opere   virtuose  :   cosini,    o 
Raghuide ,   consumalo   il   merito   d'ogni  sua  opra   pia, 
cadde1  di  nuovo  dal  cielo  per  lo  dolore  e  per  le  lagrime 
de' suoi   parenti;  tu  perciò    raffrena  il  pianto  che  nasce 
dal    tuo    amor  verso  il  padre;   non  voler  far  di   nuovo 
scender  dal  cielo  il  re.  Se  dopo  esser  salito  alle  celesti 
sedi  arso  dal  fuoco  d'un  dolore  immenso,  ne  venisse  tuo 
padre  escluso  per  cagìon  tua,  ti  maledirebbe  egli  irato; 
perciò  sorgi  e  non  contristarti.  Non  si  debbe  così  pian- 
gere tuo  padre,  che  or  fruisce  il  mondo  fortunato  eh' ei 
s' acquistò   colf  opere  sue  :  né  è  morto  colui  che  lascia 
dopo  se  tali  figli  quali   voi   siete  e  fra  voi  primo  Rama, 
pii ,  magnanimi,    celebri  nel   mondo  per  fortezza,  pre- 
stanti e  generosi,  pari  ad  Indra  e  a  Varnna.  Udite  quelle 
parole  di  Vasistha ,   f  egregio   Bharata,   conoscitore  de' 
sacri  doveri,  temperando  il  suo  dolore,  così  rispose  :  Io 
pur  così  penso,  come  voi  mi  ragionate;  ma  il  grande  mio 
amor  verso  il  padre  mi  trae  quasi  fuori  di  senno  ;  ma  or 
fortificato  da  voi  miei  maestri  che  mi  date  consigli  sa- 
lutari, raffrenando  il  mio  cordoglio,  adempirò  gli  estremi 
doveri  verso  mio  padre  :  preparino  i  ministri  del  re,  se- 
condo che  sarà  da  voi  ordinato,  ogni  cosa  opportuna  agli 
ufficj   funebri.  Così   parlando  Bharata  coi  ministri  e  coi 
sacerdoti  del  re,  divenne  vie  più  intensa  la  notte  soprav- 
venuta,  che  parve  aver  cento  vigilie!26). 


'i2  H\\m\\\ 

CAPITOLO  LXXXIF. 

ENTRATA    NEI.!.'  ASSEMBLEA. 

Trascorsa  quella  notte,  i  bardi  e  gli  encomiatori  cele- 
brarono con  voci  soavi  Bharata  dormente  a  fine  di  ri- 
destarlo. Subitamente  si  percossero  i  timballi  fragorosi, 
e  si  die  soffio  alle  conche  sonore  ed  alle  tibie;  quel 
grande  suono  di  strumenti  empiendo  quasi  la  città,  risve- 
gliò dal  sonno  Bharata,  la  cui  mente  era  turbata  dal  do- 
lore. Ma  Bharata  dicendo  :  «  non  son  io  qui  re  »  interdisse 
que' suoni  de' svegliatori ,  poi  cosi  parlò  a  Satrughno  : 
Vedi  ,  o  Satrughno;  col  far  opra  detestata  da  ogni  uomo, 
Caiceyi  riversò  sul  capo  di  me  innocente  un1  ignominia 
insopportabile!  La  regal  fortuna,  che  riposava  per  ragion 
di  stirpe  sopra  il  re  mio  padre,  or  divisa  da  lui  va  errando 
incerta,  come  nave  senza  governo  in  mezzo  all'acque. 
Veggendo  quivi  Bharata  rinnovare  i  suoi  lamenti,  pian- 
gevano le  donne  del  re  tutte  attristate.  Allora  Vasistha 
conoscitor  dei  Vedi  entrò  con  Bharata  nell'assemblea 
adorna  di  cento  vasi  d'oro  tutti  splendidi  di  gemme,  per 
deliberar  di  ciò  che  fosse  opportuno  alle  esequie  del  re, 
a  quella  guisa  che  Vrihaspati  con  Indra  suole  entrar  nel 
concilio  degli  Dei.  Sedutosi  Bharata  sopra  il  seggio  re- 
gale tutto  ornato  di  gemme  e  ricoperto  di  ricco  strato , 
ordinò  che  entrassero  i  consiglieri  Sumantro ,  Gaimini, 
Suvarna,  Vigaya  ed  altri,  con  questi  più  cittadini,  i 
ministri  ed  i  Bramani.  Una  gran  moltitudine  di  gente 
s' accolse  allora  d'  ogni  parte  a  quell'  assemblea  per  veder 


AYODHYACANDA.  13 

Bliarata  e  Satrughno;  e  da  quella  genio  quivi  accorsa  per 
cui  iosa  sollecitudine  si  levò  un  suono  altissimo  d'acclama 
/ioni  :  reggendo  in  quell'assemblea  Bharata  col  supremo 
sacerdote,  i  cittadini  applaudivano  a  lui  come  a  Dasa- 
ratha.  Quell'assemblea  de' famigliari ,  de' sacri  maestri. 
dei  consiglieri  del  re,  onorala  de' suoi  figli,  guernila  di 
bei  seggi  adorni  di  gemme  così  risplendeva,  come  allor 
clic  v1  eia  Dasaratha. 


CAPITOLO  LXXX1II. 

FUNERALI    DEL    RE. 

Rimossa  la  gente  estranea,  essendo  già  nato  il  sole, 
\  asistha  così  parlò  a  Bharata  ed  ai  consiglieri  :  Son  qui 
raccolti  i  sodalizj  coi  principali  cittadini,  recando  ogni 
cosa  opportuna  alle  esequie  del  re;  sorgi  prontamente, 
o  Bharata;  non  si  perda  il  tempo;  compi,  secondo  che 
si  conviene  ,  le  esequie  di  tuo  padre  accompagnate  da 
larghi  doni  :  qui  stanno  Gravali  e  gli  altri  sacrificatori  di 
tuo  padre,  versati  ne' Vedi  e  ne' Vedanghi ,  portando  il 
sacro  fuoco  ;  son  giunti  e  stanno  aspettando  i  servi  che 
recano  gli  odoriferi  legni  per  le  ceremonie  esequiali  di 
tuo  padre;  sono  apparecchiati  i  vasi  pieni  di  pingue  burro, 
d'adipe  e  di  liquor  di  sesamo,  e  la  bella  odorifera  ghir- 
landa per  ravvivare  il  fuoco  sacro  ;  son  pronti  gli  incensi 
odorosi,  gli  aromi  ed  i  profumi  d'  agalloco;  è  preparato 
il  feretro  di  tuo  padre,  ornato  di  gemme;  deponi  sovr 
esso  il  re,  e  poscia  sollevandolo,  conducilo  fuori  senza  ri- 
lardo.  Intese  quelle  parole,  Bharata  così  rispose  a  \  asistha 


Vi  RAMAYAN  \ 

egregio  fra  color  che  usai)  la  l'avella ,  maestro  veneralo 
di  Dasaratha  :  (Ionie  In  ordini,  o  saggio,  cosi  farò  pien 
ili  rispetto;  perocché  tu  sei  venerando  e  nume,  e  sacro 
maestro  di  mio  padre.  Per  quelle  parole  del  magnanimo 
Bharata  si  rallegrò  sommamente  Vasistha  ottimo  fra  i  due 
volte  nati;  e  Bharata  allora  sforzandosi  di  contenere  la 
piena  irresistibile  del  suo  dolore,  riguardò  per  ogni  parte 
il  corpo  esanime  del  re;  ma  non  potè  comprimere  la  vio- 
lenza del  suo  cordoglio,  come  non  si  può  resistere  all'im- 
peto dell'onda  che  si  solleva  in  un  mar  tempestoso.  Tre- 
mante, angosciato,  lamentando  ad  ora  ad  ora  egli  pose 
insieme  con  Salrughno  sopra  il  feretro  il  corpo  del  re; 
e  stando  il  re  sul  feretro,  ei  l'adornò  conforme  ai  riti. 
Tutto  ei  ne  ricoperse  il  corpo  con  una  veste  di  gran  pre- 
gio ;  vi  depose  su  ghirlande;  lo  profumo  con  odorifere 
gomme  preziose;  sparse  sovr'  esso  (fogni  intorno  sandalo 
e  fiori  di  mirabile  fragranza.  Sollevato  quindi  il  feretro, 
si  die  a  portarlo  insieme  con  Satrughno,  esclamando  ad 
ora  ad  ora  piangente  e  mesto  :  «  oh  dove  ne  vai  tu,  o  re!  » 
Ma  non  cessando  Bharata  dal  pianto  ,  sottentrarono  al 
feretro  i  famigli  ammoniti  da  un  cenno  di  Vasistha,  e  \i;i 
lo  portarono  più  prontamente.  I  famigliari  del  re  pian- 
genti e  afflitti  tenevan  dinanzi  il  bianco  ombrello  e  il  cri- 
nito ventaglio  ;  era  portato  davanti  al  re  il  fuoco  ardente, 
consacrato  prima  da  Gàvàli  e  dagli  altri  Brahmani;  anda- 
van  dopo  carri  pieni  di  gemme  e  d'  oro  per  far  larghezze 
ai  miseri  e  ai  derelitti  :  tutta  la  schiera  de'  famigli  recava 
cose  preziose  di  varie  sorta  per  ispander  doni  in  quelle 
esequie  del  re.  Precedevano  il  feretro  regale  i  bardi  ,  i 
preconi,  gli    encomiatori!27),  celebrando  con    voci   soavi 


AYODHYACANDA.  45 

e  con  alte  lodi  Je  virtuose  e  nobili  sue  gesta.  Procedendo 
quella  funerea  pompa  del  re ,  si  faceva  dalle  donne  un 
gran  corrotto,  qual  s'era  fatto  già  per  la  sua  morte.  Tutti 
i  cittadini,  donne,  fanciulli  e  vecchi  andando  dietro  al 
corpo  del  re,  usciron  fuori  della  città.  Bharata  e  Satrughno 
tenendo  il  feretro ,  lo  seguitavano  piangendo  pieni  di  duolo 
e  di  mestizia  :  così  Causalya,  Sumitra  e  Caiceyi  e  tutte 
le  trecento  cinquanta  donne  dagli  occhi  simili  a  fior  di 
loto  tenevan  dietro  al  corpo  del  re,  coi  neri  lor  capelli 
sparti,  piangendo  e  gemendo  come  agnelle.  Pervenuti  alla 
solinga  riva  della  Sarayu  tutta  coperta  di  tenera  erba, 
costrussero  quivi  il  rogo  con  legni  di  sandalo  e  d'agal- 
loco  ;  ei  disposero  quivi  conforme  ai  riti  un  ampio  rogo 
con  legno  d'aloe,  con  radici  odorifere  d'andropogo,  con 
cardamomo,  usìri  e  padmacasti  (28).  Sopra  quel  rogo  gli 
amici  del  re  cogli  occhi  pieni  di  lacrime  deposero,  sol- 
levandolo ,  il  corpo  del  lor  signore  ;  et  poich'  ebber  essi 
posato  sulla  pira  il  re  coperto  d'  una  veste  di  lino ,  i 
Brahmani  vi  posero  sopra  in  cumulo  i  vasi  sacrificali  (29); 
disposti  quindi  nei  loro  convenevoli  luoghi  i  tre  fuochi 
consacrati  secondo  i  riti,  i  sacerdoti  che  han  per  uffizio 
il  tener  sollevate  le  sacre  cucchiare  (30)  recitarono  infine 
mentalmente  le  preci  appropriate.  Allora  i  sacrilicatori 
purificarono  con  erba  cusa(31)  i  vasi  del  sacrifizio;  e  poi- 
ché gli  ebbero  purificati ,  collocarono  intorno  al  rogo  i 
vasi,  le  cucchiare,  le  anella  clic  coronano  la  base  e  la  som- 
mità, delle  colonne  del  sacrifizio,  il  mortaio  ed  il  pestello, 
il  legno  atto  a  produrre  colla  confricazione  il  fuoco,  e  le 
sacre  erbe  cuse.  Immolala  quindi  la  pura  vittima  animale 
consacrata  con  riti  e  con  carmi  solenni,  disposero  d"  ogni 


'K)  RAMAYAN  \. 

intorno  sopra  strati  d'erba  cusa  l'imbandigione  funebre 
del  re.  Frattanto  Bharata  co' suoi  congiunti,  solcata  ad 
oriente,  confortile  ai  riti,  coli' aratro  la  lena  dove  stava 
il  rogo,  rilasciò  quindi  una  vacca  col  suo  vitello;  poi 
spruzzalo  d'ogni  parte  il  rogo  con  burro  chiarificato, 
con  adipe  e  liquor  di  sesamo  ,  v1  appicò  egli  il  fuoco. 
Arse  subitamente  il  fuoco  acceso,  e  fiammeggiando  ar- 
deva il  corpo  del  re,  die  stava  sovresso  il  rogo.  Allor 
die  fu  da  que' sacri  maestri  dottissimi  ne1  \  edi  esequiato 
conforme  ai  riti,  se  n'andò  il  re  alle  sedi  supreme  de 
pii  sacrificatori.  Sfavillava  intanto  con  fiamme  accese  e 
con  globi  di  fumo  l'ardente  fuoco;  e  veggendo  fiammeg- 
giante il  rogo,  facevano  le  donne  strida  e  pianti  dolorosi  ; 
gemevano  i  cittadini,  gli  amici  e  i  figli  del  re,  sciamando  : 
Oli  nostro  protettore!  ob  signor  della  terra!  perchè  te  ne 
vai  tu,  abbandonando  noi  tuoi  sudditi! 


CAPITOLO   LXXXH. 

DASARATHA   ARSO. 

In  questo  mentre  Bharata  co' suoi  congiunti  spin- 
gendo da  man  destra  ghirlande  sopra  il  rogo,  compieva 
1'  estreme  esequie  ,  vacillando  come  uoni  che  abbia 
bevuto  veleno.  Tutto  tremante  per  dolore,  errando  in- 
torno a  guisa  d'egro,  s'inchinò  egli  poscia,  prostrato 
in  terra,  ai  piedi  di  suo  padre.  Stando  egli  in  tal  modo 
addolorato,  esagitato,  tremante  e  fuor  di  senso,  i  suoi 
amici  prendendolo  fra  le  lor  braccia,  il  sollevarono  per 
forza.  Ma  egli  riguardando  il  fuoco  che  ardeva  per  tutte 


Ai  ODHYACANDA.  47 

le  membra  il  padre  .  gridava  colle  braccia  protese  ,  e  si 
sveniva  per  angoscia.  Soffocato  nella  strozza  dalle  grida  , 
sospirando  lagriinosamcnte ,  oppresso  dalla  tristezza  e 
dall'affanno,  vacillante  come  un  ebbro,  così  parlò  Bha- 
rata  con  dolenti  parole  :  L'uomo  a  cui  tu  m'avresti 
morendo  affidato,  Rama  se  n' è  ito  Ira  le  selve!  ma  per- 
chè,  o  padre,  non  parli  tu  a  Causalya,  il  cui  figlio  sos- 
tegno di  lei  derelitta  fu  da  te  spinto  in  esilio?  Cosi  rin- 
novando il  suo  cordoglio  e  i  suoi  lamenti,  cadde  Bbarala 
a  terra,  come  cade  dal  suo  fulcro  il  vessillo  d'India.  Si 
fecero  intorno  a  lui  cadente  i  suoi  famigliari ,  come  i 
Risei  attorniavano  Yayàti ,  allor  ebe ,  esausto  ogni  suo 
merito ,  egli  cadde  giù  dal  cielo  ;  e  veggendo  Bharata 
caduto,  Satrughno  lamentando  aneli' esso  afflitto  e  per- 
turbato il  re  suo  padre,  e  volgendo  qua  e  là  lo  sguardo 
come  un  forsennato,  così  parlò  cadendo  a  terra,  e  cele- 
brando con  grande  affetto  le  virtù  paterne  :  Dove  ten 
vai,  o  padre,  lasciando  qui  immerso  nel  pianto  il  tenero 
Bharata  adolescente  ,  ebe  tu  solevi  pur  sempre  accarez- 
zare? Tu  n'eri  largo  di  dolcezze,  di  doni,  d'ornamenti 
e  di  vesti  d'ogni  sorta;  chi  oggi  ne  farà  lieti  di  tai  cose? 
perchè  non  si  rompe  in  cento  parti  il  nostro  cuore,  or 
che  noi  siam  privati  d'  un  tal  padre  generoso  ed  oppressi 
dal  dolore?  poiché  tu,  o  re,  te  n'andasti  al  cielo,  e  Rama 
se  n' è  ito  fra  le  selve,  io  non  desidero  più  di  vivere,  ed 
entrerò  con  te  nel  fuoco.  Udendo  que'  lamenti  dei  due 
fratelli  ,  divennero  vie  più  mesti  i  famigliari.  Ma  dopo 
aver  così  pietosamente  lamentato,  Bharata  e  Satrughno 
lassi  di  piangere  si  raccolsero  in  intenta  meditazione ,  e 
veggendoli  amendne  cogitabundi ,  Vasislha  sacerdote  caro 


Ì8  RAM  AVANA. 

al  re  sollevando  Bharata,  cosi  gli  disse  :  Quest'universo 
è  assiduamente  combattuto  da  due  contrarie  forze;  non 
voler  perciò  tu  rattristarti  (runa  condizion  di  cose,  che 
debbe  necessariamente  esistere.  E  per  ferma  legge  sta- 
bilita la  morte  di  tutto  ciò  che   nasce,  come   il  rinasci- 
mento di  tutto  ciò  che  muore;  onde,  poiché  tal  sorte  è 
inevitabile,  non  voler  tu  contristarti.   In  questo  mentre 
Sumantro   sollevando   Satrughno   prostrato   a   terra,  gli 
ragionava  dolente  ei  pure  il  nascere  ed  il  morire  d'ogni 
cosa.  I  due  nobili  fratelli  levatisi  tutti  molli  di  pianto  , 
avean  perduto  l'usato  lor  splendore,   come   due  mandi 
vessilli  d'Indra  inumiditi  dalla  pioggia.  Allora  i  ministri 
esortarono  i  due  fratelli,   che  tergevano  le  lor  lacrime, 
ed  i  cui  occhi  eran  tutt' ora   rossi   di  pianto,  ad  adem- 
piere la  ceremonia  del  dar  l'acqua  Insilale  al  padre. 

CAPITOLO   LXXXV. 

IL  DONO  DELL1  ACQUA  LUSTRALE. 

Arso  in  tal  modo  il  corpo  del  re,  il  pio  Bharata  si 
diede  a  compiere  verso  il  padre  la  ceremonia  dell'  acqua 
lustrale.  S'appressò  egli  alla  bella  e  piena  riviera  Sarayu 
dall'onde  pure,  frequentata  da  grandi  Risei,  per  dar 
l'acqua  al  padre;  s'immerse  quindi  co' suoi  famigliari 
nel  puro  fiume ,  ed  offerse  nel  cavo  delle  mani  1'  acqua 
colla  mente  intenta  al  padre.  Mentre  il  magnanimo  Bha- 
rata dava  l' acqua  lustrale ,  confluirono  alla  Sarayu  le 
pure  riviere  Vipàsa  e  Satadru,  il  Gange,  la  Yamuna,  la 
Sarasvali,    la   Óandrabhàga    ed    altre    nobili    riviere  l32). 


VYODHYAC  \M)\.  /j9 

Colf  acqua  di  que'  puri  fiumi  Bharata  co'  suoi  aulici  con- 
solò il  padre  salito  al  cielo;  quindi  i  cittadini,  i  ministri 
ed  il  supremo  sacerdote  consolarono  anch'essi,  conforme 
ai  riti,  d' acqua  lustrale  il  re.  Compiuta  la  lustrazione,  i 
cittadini  e  la  gente  suburbana  si  diedero  lutti  a  confortar 
Bharata  aggravato  dal  suo  dolore.  Confortato  da  costoro 
ei  s'avviò  quindi  insieme  con  essi  verso  Ayodhya,  ve- 
nendo pur  meno  ad  ora  ad  ora;  e  guardando  da  lontano 
la  città  d'  Ayodhya  occupata  da  gente  mesta  ed  egra, 
Bharata  così  parlò  ai  cittadini  :  Or  che  Dasaratha  se  n'è 
ito  al  cielo ,  e  Rama  è  peregrino  fra  le  selve ,  questa  città 
mi  sembra  mesta  come  un  cimitero;  più  non  rifulge 
questa  città  abbandonata  dal  signor  degli  uomini;  eli'  è 
come  una  donna  orbata  del  suo  sposo,  come  una  notte 
senza  luna.  Io  più  non  voglio  veder  quella  città  desolata, 
né  entrare  in  essa;  mi  lascierò  io  qui  morir  d'inedia, 
anelante  alla  vista  di  mio  padre.  Che  giovano  oramai  la 
vita  e  le  dolcezze  a  me  derelitto  dal  mio  genitore?  io  non 
desidero  più  vivere;  me  n'andrò  dietro  al  re.  Ma  uno 
de'  principali  ministri  del  re,  per  nome  Dharmapàla,  così 
parlò  a  Bharata  dolente  :  Rammaricandoti  e  perdendoti 
d'animo  come  tu  fai,  o  Bharata,  tu  mostri  di  non  cu- 
rare le  sacre  dottrine;  non  si  conviene  a  te,  figlio  regale, 
comportarti  come  un  uomo  ignaro  della  sacra  scienza. 
Non  voler  quindi,  o  Bharata,  abbandonarti  senza  freno 
ad  una  soverchia  tristezza  :  i  saggi  non  mai  si  rattristano, 
ancora  che  perissero  tutti  i  lor  congiunti.  Se  alcun  de' 
nostri  trapassati  potesse  ritornare  in  vita  per  lo  nostro  do- 
lore e  le  nostre  lacrime,  sì  piangeremmo  noi  allora  dirot- 
tamente; ma  perocché  ogni  creatura  che  nasco  alla  vita, 


50  K.WI  \\  W  A. 

debbe  di  necessità  dipartirsene  allor  che  sopravviene 
Fora  del  morire,  è  inutile  affatto  il  contristarsi.  Vieni 
dunque  con  noi  prontamente,  o  signore;  entra  in  Ayo- 
dhya;  consola  la  tua  gente  aillilta,  e  pon  fine  al  tuo  do- 
lore. Tu  dei  fra  breve  adempiere,  conforme  ai  prescritti, 
le  funebri  ceremonie  parentali  per  li  mani  del  morto 
re  (33).  Tu  sei  ora  signor  della  tua  gente  e  di  noi  tutti  ; 
perciò  non  volere  oltremodo  affliggerti  or  che  tu  sei  di- 
venuto reggitore  di  questo  popolo.  Confortalo  con  tali 
parole  dal  Brahmano  Dharmapàla,  il  pio  Bharata  entrò 
colla  gente  sua  seguace  nella  mesta  città  d1  Vyodhya,  de- 
serta le  vie  ed  i  cortili,  squallida  le  piazze  ove  si  merca, 
occupata  da  gente  afflitta  e  risuonante  di  lamenti.  Quindi 
circondato  da'  suoi  famigliari  entrò  Bharata  dolentissimo 
nella  reggia  priva  del  suo  re  simile  ad  Indra,  lugubre  e 
mata  d'ogni  festiva  gioia.  Pervenuto  alle  stanze  del  re, 
vi  fece  egli  uno  strato  d'erba,  e  quivi  giacque  l'illustre 
Bharata  per  dieci  giorni,  rimembrando  con  dolore  la 
morte  del  padre. 

CAPITOLO   LXXXVI. 

FEDELTÀ    DI    BHARATA. 

Trapassati  dieci  giorni ,  Bharata  purificatosi  compiè 
le  funebri  ceremonie  parentali  del  duodecimo  e  del  de- 
cimoterzo dì  lunare  (34).  Quindi  ei  largì  ai  Brahmani  in 
onor  del  padre  ampia  ricchezza  :  ei  diede  loro  in  quella 
funebre  ceremonia  del  re  vesti  preziose,  vacche,  veicoli 
e  carri,  famuli  e  serve,  case  opulente  ed  ornamenti  eletti. 


W)l)in  \C  VND  \  51 

Finito  il  dì  decimoterzo  ed  adempiuto  ogni  ulterior  pre- 
scritto, i  consiglieri  raunatisi  in  assemblea  così  parlarono 
a  Bharata  :  Se  n  è  ito  al  eielo  il  re,  che  era  di  noi  maestro 
e  donno,  dopo  avere  esilialo  il  caro  suo  figlio  Rama  e 
Lacsmano;  sia  tu  oggi  nostro  re  conforme  al  diritto,  allin- 
eilo non  accada  sventura  a  questo  regno  privo  di  reggitore. 
I  ministri  del  re  tuo  padre,  apparecchiala  qui  ogni  cosa 
opportuna  alla  consecrazione ,  desiderano  sacrarli  re; 
prendi  or  questo  regno  venuto  a  te  per  succession  di 
stirpe;  ordina  la  Ina  sacra  e  ci  governa,  o  signor  degli 
uomini.  Bharata  cosi  esortato  toccando  allora  in  segno  di 
fausto  augurio  gli  oggetti  destinati  alla  sua  sacra,  rispose 
quindi  in  tal  modo  ai  consiglieri  :  Da  Manu  in  qua  nella 
nostra  casa  sempre  il  regno  appartenne  al  fratello  mag- 
gior per  nascita;  perciò  voi  non  dovete  così  favellarmi, 
come  farebbero  uomini  inconsiderati.  Il  nobile  ed  eccelso 
Rama  dagli  occhi  di  loto,  mio  fratello  primogenito  e  co- 
noscilor  dei  doveri  regali ,  debb' essere  qui  re;  nessun  altro 
s'ha  da  voi  ad  eleggere;  ei  regnerà  sopra  di  noi;  ed  io 
abiterò  per  quattordeci  anni  fra  le  selve.  S'apparecchi 
immantinente  un  grande  esercito  quadripartito;  io  andrò 
con  esso  e  ricondurrò  qui  dall'  esilio  il  Raghuide  mio  mag- 
gior fratello.  Facendo  a  me  precedere  tutta  quanta  la 
suppellettile  della  consecrazione,  io  n'andrò  con  voi  alle 
selve;  e  quivi  consacrato  con  degno  onore  1'  eccelso  Rama , 
lo  ricondurrò  alla  regal  città,  come  s'arreca  il  fuoco  al 
sacrifizio  :  non  farò  io  paga  del  suo  desiderio  la  mia  ge- 
nitrice avida  di  regno  ;  io  mi  rimarrò  fra  f  aspre  selve , 
e  Rama  sarà  qui  re.  S'appiani  dagli  artefici  la  strada  là 
dov'ella  è  scabra,  e  uomini  esperti  della  via,  de' luoghi 


52  RAMAYANA. 

e  del  tempo  opportuno  mi  vadano  innanzi  nel  cammino. 
Al  giusto  Bharata  che  così  parlava  risposero  ollremodo 
lieti  i  consiglieri  del  re  :  La  fortunata  Lacsmi  sia  propizia 
a  te,  o  Raghuide,  che  così  favelli  e  desideri  conferire  la 
reo-ai  sorte  al  tuo  fratello  primogenito.  Udendo  Le  mira- 
bili tue  parole  e  la  tua  promessa,  o  regal  figlio,  or  cadono 
dai  nostri  occhi  lacrime  di  gioia.  Quindi  i  ministri  e  tutta 
queir  adunanza,  rallegrati  da  quelle  parole  oneste,  così 
soo-o-iunsero  :  S'  ordini  per  tuo  comando  alla  classe  degli 
artefici  di  preparar  la  via,  o  caro  alle  genti,  egregio 
Bharata. 


CAPITOLO    LXXXVII. 

1/ APPARECCHIO    DELLA     MV. 

Allora  si  misero  per  ogni  parie  all'opera  uomini  esperti 
delle  regioni  terrestri  e  periti  nel!'  arte  del  tirare  a  lìlo  (35), 
cittadini  dediti  alle  varie  loro  arti,  zappatori,  fabbri,  ope- 
rai ed  architetti,  uomini  conoscitori  delle  vie,  carpentieri, 
esploratori  e  piantatori,  fontanieri  e  muratori,  quei  che 
attendono  a  lavori  di  bambù,  e  quanti  altri  eccellono  in 
destrezza.  11  capo  dell'  esercito  andava  innanzi  là  onde 
aveva  Bharata  a  passare,  e  faceva  spianare  i  luoghi  erti  e 
tagliar  alberi  lungo  la  via  :  quella  moltitudine  di  gente 
numerosa  e  grande  somigliava  per  la  sua  foga  impetuosa 
all'Oceano  nei  dì  del  plenilunio;  tutti  quegli  artigiani, 
ciascuno  intento  al  compito  suo,  adoperandosi  ne'  varj 
lavori ,  progredivano  per  ogni  dove ,  preparando  ordina- 
tamente lungo  il  cammino  le  varie  stazioni  dell'  esercito, 


WODHYACANDA.  53 

e  sgombrando  la  viaperfitte  selve.  Altri  qui  tagliavano  grossi 
alberi  con  ascie;  altri  piantavano  alberi  in  luoghi  disar- 
borati; alcuni  con  marre,  accette  e  falci  recidono  gruppi 
di  piante  striscianti,  cespugli,  sterpi,  dumi,  arbusti  e 
forti  cespiti  d' andropogo ;  altri  più  robusti  squarciano 
con  vangile  per  ogni  parte  solidi  terreni.  Questi  rimovono 
gli  ostacoli  dalle  vie  più  ingombre  e  malagevoli,  riem- 
piono fossi  e  spaccature  ;  quelli  agguagliano  per  ogni  dove 
i  luoglii  affondi ,  apron  passaggi  per  siti  imperni ,  prepa- 
rano fermate  in  grande  numero.  Andavano  avanti  nella 
via  per  ordine  di  Bliarata  i  zappatori ,  appianando  le  alte 
sponde  lunghesso  i  fiumi,  unendo  quelle  ch'erano  da 
unirsi,  smuovendo  quelle  che  eran  da  smuoversi.  Ei  prepa- 
rarono in  breve  tempo  lungo  la  via  laghi  con  moli'  acqua , 
somiglianti  a  pelaghi ,  con  bei  lavacri  e  pure  onde  ; 
fecero  a  mano  a  mano  in  varj  luoghi  fonti  diverse  con 
cinque  uscite  (36)  e  chiuse  di  recinti.  Era  mirabile  a  ve- 
dersi quella  via  dell'esercito  levigata  con  ismalto,  om- 
brala d'  alberi  fiorenti ,  rallegrata  da  augelli  esultanti  e 
lieti,  ornata  di  bandiere,  cosparsa  qua  e  là  di  sandalo, 
bella  di  diversi  fiori,  simile  alla  via  celeste.  Quando 
conobbero  fatta  ogni  cosa,  secondo  che  era  stata  ordinata, 
i  soprantendenti  deputati  alla  via,  fecero  vie  più  ripulire 
ed  ornare  con  addobbi  la  dimora  in  cui  il  magnanimo 
Bliarata  aveva  in  animo  di  posarsi,  fra  regioni  amene, 
piene  di  dolci  frutti.  Uomini  esperti  degli  aaspicj  dispo- 
sero quella  dimora  del  magnanimo  Bliarata  sotto  fausti 
segni  (nacsatri)  ed  in  un  momento  benaugurato.  Era  quel 
luogo  mondo  da  polvere,  stipato  d'uomini,  guernito  di 
belle  macchine  e  di  steccato,  di  fossi  e  di  larghe  vie,  con 


5/i  RAMAYANA. 

nobili  abitazioni,  cani  e  ripari  smallali;  era  adorno  di 
vessilli,  appariscente,  con  una  gran  via  ben  costrutta,  in- 
tornialo di  svelle  case  con  ucceììiere,  padiglioni  e  ban- 
diere elevate,  simili  alla  magione  d'Indra,  e  contiguo 
alla  Gàhnavi  (Gange)  circondala  di  varie  selve.  Come  ;d 
sopraggiunger  della  notte  risplende  la  lucida  via  de' segni 
costellali  (nacsatri),  cui  adornan  la  luna  ed  i  pianeti; 
così  risplendeva  a  mano  a  mano  la  via  costruita  da  que' 
molti  artefici. 

CAPITOLO  LXXXVIII. 

LODE     DI     BHARATA. 

Ma  Yasislba  il  saggio  ed  eccelso  Risei  entrò  in  queìf 
assemblea  piena  di  nobili  personaggi,  dov'era  Bbarala. 
Tal  era  allora  l'aspetto  di  que' nobili  uomini  occupanti 
in  ordine  convenevole  i  lor  seggi,  qua!  è  delle  stelle  rilu- 
centi in  cielo  al  dissiparsi  delle  nubi.  11  pio  sacerdote  della 
casa  regale,  guardando  tulli  que' ministri  del  re,  cosi 
parlò  a  Bbarata  :  0  diletto,  il  re  Dasaratha  adempitor 
de' suoi  doveri  se  n'andò  al  cielo,  donando  a  te  questa 
prospera  terra,  doviziosa  d'armenti  e  ricca  di  biade  :  così 
Rama  mantenitor  del  vero,  rammentandosi  l'obbligo  de' 
giusti,  non  si  dipartì  dal  comando  del  padre,  siccome 
non  si  diparte  la  luna  dal  suo  splendore.  Il  regno  t' è 
dunque  conceduto  senza  ostacoli  dal  padre  e  dal  fratello  : 
fruiscine,  o  Bbarata;  rallegra  i  ministri  di  tuo  padre  :  as- 
segui  la  regal  consecrazione.  I  re  settentrionali,  occiden- 
tali e  meridionali,  iKerali,  i  Dandadbari  ed  i  Sàmudri  (37) 


AYODNYACANDA.  55 

vengano  a  te  offerendo  gemme  in  segno  di  loro  omaggio. 
Udendo  quelle  parole,  il  pio  Bharata  oppresso  dall'an- 
goscia corse  col  pensiero  a  Rama  con  desiderio  di  com- 
piere il  suo  debito;  e  con  flebil  voce,  con  debole  suono 
così  ei  parlò  nel  mezzo  di  quell'assemblea,  facendo  rim- 
proveri al  sacerdote  :  Qua!  uom  mio  pari  potrebbe  egli 
mai  usurpare  un  regno,  il  qual  s'appartiene  ad  un  uom 
saggio,  che  tutte  apprese  le  discipline  religiose,  è  versato 
nelle  sacre  dottrine ,  e  pone  nella  giustizia  ogni  suo  studio:' 
Come  mai  un  figlio  generato  da  Dasaratha  diverrebbe 
un  usurpator  di  regno?  Il  regno  ed  io  siam  di  Rama;  ti 
piaccia  qui  favellar  conforme  al  giusto.  Il  pio  Rama  pri- 
mogenito ed  ottimo  fra  tutti ,  pari  a  Nahnsa  e  a  Dilìpa  (38), 
merita  d'aver  qui  impero,  come  Dasaratha.  Se  io  nato 
nella  stirpe  degli  Icsvacuidi  facessi  cosa  iniqua  ed  empia, 
degna  d'uomo  ignobile,  sarei  un  sovvertitore  della  mia 
schiatta,  lo  non  approvo  F  iniquità  che  commise  mia  ma- 
dre; qui  stando  io  pur  onoro  con  gran  reverenza  Rama 
che  abita  nelle  selve.  Io  seguiterò  pur  Rama  :  egli  re  ed 
il  migliore  fra  gli  uomini  è  degno  di  regnar  anche  sopra 
i  tre  mondi.  Che  se  io  non  potrò  ritrarre  dalle  selve  quel 
nobil  uomo,  io  abiterò  colà,  come  fece  Lacsmano;  che  a 
me  non  soffre  1'  animo  di  rimanermi  qui  in  Ayodhya  senza 
il  fratello  Rama  dagli  occhi  di  loto,  primo  fra  noi  per 
nascita,  ornato  d'ogni  più  eccelsa  dote.  Non  poss' io  ap- 
propriarmi la  regal  fortuna  posseduta  da  mio  padre,  e  che 
è  retaggio  di  quel  sapiente,  come  non  può  un  Sudra  ap- 
propriarsi la  Savitri.  Or  che  è  morto  il  magnanimo  mio 
padre  signor  del  mondo,  il  mio  fratello  primogenito  è  il 
mio  rifugio,  la  mia  giuda  e  qual  mio  padre.  K  mio  ferino 


56  RAMAYAN  \ 

pensiero  ricondurre  collii  qui  dalle  selve;  nessuno  po- 
trebbe rimovermi  da  questo  proposto;  io  l'affermo  al 
cospetto  di  voi  tutti.  Udendo  quelle  parole  oneste,  lutto 
quel  consesso  versò  lagrime  di  gioia ,  avendo  il  suo  pen- 
siero intento  a  Rama;  quindi  i  consiglieri  ed  i  sacri  maestri 
lieti  esclamarono  per  tutta  l'assemblea:  Bene!  bene!  e 
celebrarono  Bharata  con  lodi;  e  Vasistha  nel  mezzo  di 
quel  consesso  così  parlò  gaudioso  a  Bharata  con  voce  in- 
terrotta da  lacrime  e  con  mirabile  soavità  d'  accento  :  Non 
è  in  te  maraviglievole  un  tal  atto,  puro  come  un  raggio  di 
luna.  Ben  fosti  generato  dal  pio  e  magnanimo  Dasaratha, 
re  eroe,  combattitor  dei  Dànavi,  tu  cbe  desideri  ricondur 
qui  Rama  dalle  selve.  Io  ben  conosco  tutte  le  doti  dell' 
egregio  Rama  :  felici  noi ,  felice  quel  pio  di  cui  tu  sei 
fratello  !  Qual  cosa  mai  potrebb'  esser  difficile  ad  ottenersi 
in  quella  incolpabile  terra,  dove  si  trovano  tali  uomini 
generosi,  che  a  man  con  sì  saldo  affetto  i  lor  congiunti? 
Per  te  figlio  d'animo  temperato,  per  le  tue  virtù  è  ito  al 
cielo  il  re  glorioso  ;  e  tutto  questo  consesso  si  rallegra , 
veggendoti  pronto  a  ricondur  qui  Rama. 

CAPITOLO  LXXXIX. 

DISPOSIZIONI    PER    LA    PARTENZA    DELL'  ESERCITO. 

Io  porrò  in  opera  ogni  mezzo  ,  onde  far  che  qui  ritorni 
Rama  ;  questo  io  prometto  al  cospetto  di  voi  nobili  per- 
sonaggi :  in  tale  modo  avendo  risposto  il  pio  Bharata 
devoto  al  suo  fratello,  così  parlò  egli  poi  all'auriga  che 
gli  stava  accanto  :  Sorgi  tosto,  o  Sumantro,  e  va  per  mio 


u  onin  \c  \\i)A.  57 

coniando;  ordina  prontamente  la  partenza,  e  convoca 
l1  esercito.  Uditi  queT detti  del  magnanimo  Bharata,  Sn- 
mantro  così  lieto  ordinò,  come  gli  era  sialo  imposto.  Si 
rallegro  l'esercito  incitalo  da' suoi  duci,  sentendo  ordi- 
nala la  partenza  per  ricondurre  il  Cacutsthide  dalle  selve. 
Quindi  le  donne  de' guerrieri  vedendo  avvicinarsi  Fora 
del  partire,  tutte  sollecitavano  di  casa  in  casa  i  lor  mariti  a 
quelT  andata;  e  i  duci  annunziarono  prontamente  l'esercito 
allestito  di  cavalli,  di  veicoli,  di  bei  carri  e  di  guerrieri. 
Conosciuto  esser  pronto  l'esercito,  Bharata  così  disse  in 
presenza  del  sacro  maestro  a  Sumantro  che  gli  stava  a 
lato  :  Fa  qui  tosto  venire  il  mio  carro;  e  Sumantro,  udito 
quel  comando,  ratto  tolse  il  carro  tirato  da  cavalli  gene- 
rosi, e  là  ne  venne!39). 


CAPITOLO   \C. 

COMITIVA     DI     BHARATA. 

Allora  l'illustre  Bharata,  salito  su  l'eccelso  suo  carro 
tirato  da  bianchi  cavalli,  si  mise  in  via  per  desiderio  di 
riveder  Rama.  Andavano  innanzi  a  lui  i  principali  suoi 
consiglieri  montati  sopra  carri  tirati  da  cavalli,  simili  al 
carro  del  sole.  Dieci  mila  elefanti  ben  bardati  seguitavano 
Bharata  Icsvacuide  camminante.  Sessanta  mila  carri  con 
arcieri  e  guerniti  d'  armi  seguitavano  il  fortissimo  regal 
figlio  Bharata  camminante.  Cento  mila  cavalieri  seguita- 
vano il  figlio  del  re,  l'illustre  Bharata  camminante.  An- 
davano sopra  splendidi  carri  Caiceyi,  Sumitra  e  l'inclita 
Causalya  liete  di  ricondur  Bama  alla  citici.  Andava  inoltre 


58  RAM  Ai  W\ 

per  veder  Rama  e  Lacsmano  una  gran  moltitudine  di  gente 
nobile;  e  tutti  costoro  oltremodo  lieti  ragionavano  con 
diletto  pur  di  Rama  :  Quando  vedrem  noi  Ha  ma  nubice- 
ruleo,  dalle  lunghe  braccia,  d'animo  costante  e  saldo  no' 
suoi  voti,  rallegrator  del  mondo?  La  sola  vista  del  ll;i- 
ghuide  dissiperà  ogni  nostra  tristezza,  come  il  sol  nascente 
dissipa  le  tenebre  dell'universo.  Cosi  favellando  quegli 
uomini  e  abbracciandosi  l'ini  l'  altro,  andavano  a  visitare 
Rama  e  Lacsmano.  Per  In  gioia  di  veder  Rama  uscirono 
dalla  città  in  gran  numero  i  cittadini  e  tutte  le  classi 
popolane.  V  erano  i  nitidi  gioiellieri  e  i  vasellaj;  i  mac- 
chinisti, gli  armajuoli,  quei  che  vivono  nutrendo  pavoni 
e  starne,  i  legnajuoli,  gli  intagliatori,  quei  che  lavorano 
d'avorio,  quei  che  fanno  corde  d'arco,  gli  unguentar], 
i  famosi  orefici ,  quei  che  scernon  l' oro  greggio  dalla 
terra,  quelli  che  apprestali  bagni,  i  pannajuoli,  i  medici,  i 
distillatori,  i  profumieri,  i  nettapanni,  i  tessitori;  i  mimi, 
i  celebratoli,  i  bardi,  i  preconi,  i  panegiristi;  uomini 
d'  estrania  origine ,  i  cannaj ,  quei  che  vendono  ai  ornati  e 
bevande,  i  sartori,  i  filatori,  i  meccanici,  quei  che  eccel- 
lono nel  lavorar  l'oro,  quei  che  vivono  d'usura,  quei  che 
vendono  corallo,  pesci,  carne  di  porco;  i  piantatori,  i 
calderaj,  i  dipintori,  quei  che  fan  traffico  di  riso  e  d'altre 
derrate,  i  fruttajuoli,  i  fioraj,  gli  impiastratori ,  gli  archi- 
tetti, i  carpentieri,  1  seminatori,  i  mattoni  eri ,  coloro  che 
vendono  dolciumi,  latte  rappreso,  ghirlande  di  fiori,  os- 
salida,  carni;  quei  che  coltivano  la  pianta  lodhra  (40),  quei 
che  vendon  polveri  aromatiche,  i  lavoratori  di  cotone,  i 
venditor  di  fili ,  quei  che  fabbricano  archi  ed  armi ,  quei 
ebe  vendon   frutti    d' areca   e  betel,  quei   che  professai! 


^YODHYACANDA.  59 

Tarli  grafiche,  i  prestanti  lavoratoli  in  cuojo ,  i  fabbri 
ferrai,  quei  che  fan  dardi  e  giavellotti,  quei  che  san 
Farle  degli  antidoli,  quei  che  conoscon  la  natura  de1 
lemuri  e  delle  larve,  i  sanatori  de' fanciulli,  quei  che 
lavorano  ottone  e  rame,  i  costruttori  d' edilìzi  tetragoni, 
i  tonsori,  quei  che  apprestano  grani  bollili  ed  arrostiti, 
quei  che  vendon  grani  polverizzali ,  quei  che  esprimon 
gli  alletti  con  canti  e  suoni,  i  venditori  di  melassa,  i  traf- 
licanli,  quei  che  vendon  sali  cristallizzati,  gli  ombrellaj, 
quei  che  raffinano  la  canfora,  1  coltivatori  di  zucchero, 
i  ranneri,  i  più  cospicui  di  tutte  le  arti,  1  più  cospicui 
de1  villaggi  agricoli  e  pastorecci,  1  saltatori  colle  lor  donne, 
quei  che  vendono  cibi  di  carne;  la  città  insomma  tutta 
quanta  co' sodalizj  artigiani  e  mercanteschi,  eccettuati 
gli  infermi,  i  vecchi  ed  i  fanciulli  (4I).  1  contegnosi  Brah- 
mani, conoscitori  dei  Vedi,  pregiati  per  la  lor  dottrina, 
seguitavano  a  mille  sopra  carri  tirati  da  tori  Bharata  cam- 
minante. Tutti  costoro  con  belle  vesti,  con  nitidi  ornati 
ed  odorosi  unguenti  seguitavano  sopra  varj  carri  Bharata 
in  (juel  cammino.  L'esercito  contento  e  lieto  teneva  dietro 
al  figlio  di  Caiceyi  per  la  via  prescritta  e  sotto  la  scorta 
di  Vrihaspati.  Era  quell'esercito  stipato  di  guerrieri  ri- 
putati e  valorosi,  e  andavano  commisti  con  esso  1  princi- 
pali cittadini,  ministri  e  famigli,  e  molti  Brahmani  egregi, 
fra  cui  primo  Vasistha.  Giunto  al  fiume  Gange,  quivi  si 
sostò  f  esercito  ;  e  Bharata  guardando  1'  esercito  sostato  e 
il  Gange  pieno  d'  onde,  cosi  parlò  favellator  saputo  a'  suoi 
ministri  :  Si  faccia  qui,  conforme  al  mio  desiderio,  tutto 
riposar  l'esercito;  rinvigoriti  dal  riposo  valicheremo  poi 
il  gran  fiume  Gange;  frattanto  io  qui  voglio  olirne  acqua 


00  RAM  \YAN  \. 

nel  cavo  della  mano,  come  funebre  ossequio  al  re  che  se 
n'  è  ito  al  cielo.  A  Bharata  così  favellante  assentirono  i 
ministri  quivi  raccolti  ;  e  colla  loro  autorità  ordinarono  a 
parte  a  parte  la  fermata  dell1  esercito.  Fatta  posare  lungo 
il  Gange  la  grand' oste  fornita  convenevolmente  (fogni 
cosa  opportuna,  quivi  si  solferino  il  magnanimo  Bharata. 
pensando  al  ritorno  del  fratello. 

CAPITOLO  XCI. 

SDEGNO  DI   Gì1  HA. 

Ma  il  re  de'  Nisàdi  veggendo  posato  sulle  rive  del  Gange 
quelf  esercito,  così  parlò  a'  suoi  congiunti  :  Si  scorge  costà 
intorno  una  grandissim'  oste;  ella  si  stende  per  ogni  verso, 
e  non  ne  veggo  il  fine.  E  questo,  non  v'  ha  dubbio,  f  eser- 
cito degli  Icsvacuidi;  che  ben  si  discerne  ancorché  da 
lungi  effigiato  sul  vessillo  del  carro  f  albero  di  bauhi- 
nia  (42).  Andrà  egli  forse  a  caccia?  vorrà  egli  prendere  ele- 
fanti? ovvero  ne  vien  egli  contro  di  noi?  quell'esercito  è 
a  vedersi  fiero.  Ah  forse  Bharata  co'  suoi  ministri  sen  va 
per  cupidità  di  regno  a  combatter  Rama  Dasarathide  esi- 
liato dal  padre  fra  le  selve  !  che  lo  splendor  del  regno  ha 
forza  di  distruggere  in  un  momento  l'amor  fraterno  anche 
il  più  saldo  :  il  mio  pensiero  è  pien  di  sospetto.  Rama  Da- 
sarathide è  mio  signore,  mio  congiunto,  mio  amico,  mio 
maestro;  per  Y  amor  eh'  io  gli  porto  io  già  f  accompagnai 
lunghesso  il  Gange.  Quindi  ei  si  consigliò  co' suoi  avve- 
duti consiglieri;  e  dopo  aver  con  loro  deliberato,  così  ei 
parlò  a  tutti  i  suoi  seguaci  :  Messo  in  ordine  l'esercito  ed 


WODHì  \<;  \M)\.  61 

occupale  le  rive  del  Gange,  voi  tutti  muniti  d'arco  e  ben 
annali  siale  colà  allenti  per  mio  comando  :  sian  pronte 
cinquecento  navi,  e  sopra  ciascuna  cento  arcieri  giovani 
e  ben  armali.  Se  quell'oste  viene  inimica  ai  prode  Rama, 
non  passerà  ella  oggi  felicemente  il  Gange,  lo  disfogherò 
oggi  sovr'  essa  l' ira  concetta  nel  mio  cuore  per  1'  oltrag- 
gio che  s'apparecchia  a  Rama,  come  un  serpe  gì  Ita  la 
sua  spoglia  :  dissolverò  in  battaglia  1'  ingiustizia,  che 
Dasaratha  ligio  a  Caiceyi  commise,  mandando  in  esilio 
Rama.  Un  nembo  di  saette  lanciate  dal  mio  arco  cadrà 
oggi  sulle  membra  degli  elefanti,  de' cavalli,  de' carri  e 
de' guerrieri;  e  le  freccie  saettate  da  me  irato  penetreran 
squarciando  i  corpi  de'  cavalli  benché  bardati  :  feriti  i 
guerrieri,  rotti  i  carri,  atterrati  vessilli  e  duci,  io  farò 
oggi  quel!'  esercito  pasto  delle  belve  e  degli  augelli.  La 
terra  dove  si  posò  queir  oste  co'  suoi  cavalli ,  carri  ed 
elefanti,  io  la  farò  colle  mie  saette  intrisa  di  sangue;  e 
sazierò  col  sangue  de' guerrieri  estinti  gli  avoltoj,  i  coi  hi 
ed  i  sciacali.  0  farò  io  oggi  per  amor  di  Rama  fortissim' 
opra  ,  o  giacerò  spento  e  bruttato  di  polvere  sulla 
terra  (43). 

CAPITOLO   XCIL 

ABBOCCAMENTO  DI  GUHA  CON  BHARATA. 

Ma  per  conoscer  qual  fosse  /'  intenzion  di  B lunata,  Guha 
signor  de'  Nisàdi  s'  avviò  incontro  a  lui  con  varj  doni , 
pesci,  carni  e  liquori  nettarei.  Veggendolo  colà  venire, 
f  illustre  auriga  l'annunziò  con  umil  contegno  a  Bharata  : 
Circondato  da  molti  suoi  congiunti  a  te  sen  venne  Guha; 


62  IUMAYAN  \. 

egli  è  esperto  della  selva  Dandaca,  vecchio  ed  amico  di 
Ino  fratello;  sia  egli  perciò  da  te  accollo  :  eh' ei  viene 
mosso  da  benevolenza;  ed  egli  sa,  senza  alcun  dubbio, 
dove  si  trovino  Rama  e  Lacsmano.  Udile  le  parole  di  Sn- 
manlro,  il  saggio  Bharata  così  gli  disse  :  Entri  (Julia  al 
mio  cospetto.  Avuto  da  Bharata  l'assenso,  Guha  circon- 
dato da'  suoi  congiunti  entrò  a  lui  con  atto  reverente  e 
lieto,  e  sì  gii  disse  :  Questo  luogo  è  sfornito  quasi  d'  abi- 
tazioni e  sprovveduto;  cotesta  è  la  mia  casa;  tu  v'abita 
siccome  in  casa  d'un  tuo  servo.  V'han  qui  radici  e  frutti 
raccolti  da' miei  Nisàdi,  carne  secca  ed  umida  e.  più  altri 
manicaci.  Per  amicizia  io  così  favello  a  te  vincitor  d'ogni 
nemico  :  onorato  qui  d'ogni  cosa  che  ti  sia  a  grado,  do- 
mani te  ne  andrai  colla  nuova  luce.  Intesi  que' detti,  il 
saggio  Bharata  rispose  al  re  de' Nisàdi  queste  acconce 
parole  :  Ogni  mio  desiderio  è  soddisfatto  da  te  signore 
e  amico,  che  degni  onorare  questo  mio  esercito.  Dette 
queste  parole,  l'illustre  Bharata  di  nuovo  così  parlò  al 
re  de' Nisàdi  :  Per  qual  cammino,  o  Guha,  ci  avvierem 
noi  al  romitaggio  di  Bharadvàga?  questa  regione  è  molto 
ingombra,  piena  d'acque  e  d'aspro  accesso.  I  dita  quella 
domanda  del  saggio  Bharata ,  rispose  con  reverenza  Guha 
conoscitor  di  que'  luoghi  impervii  :  Andran  con  te,  o 
fortissimo  figlio  di  re,  1  miei  famigliari  armati  d'arco  e 
attenti,  e  verrò  con  te  io  stesso;  ma  dimmi  :  vai  tu  forse 
inimico  al  prode  Rama?  questa  tua  terribil  oste  genera  in 
me  sospetto.  A  Guha  che  così  favellava,  Bharata  puro  come 
1'  etere  rispose  con  voce  soave  :  Non  mai  ciò  avvenga  ; 
lungi  da  me  tal  vitupero;  non  sospettar  di  me  a  cagion 
di  Rama  :  io  tengo  in  luogo  di  padre  il  mio  fratello  pri- 


WOMIVU   \M)\.  63 

mosrenito.  Vado  per  ricondurre  il  Gacutsthide  dalle  selve; 
In  non  dei  credere  altramente;  questo  io  t'affermo  tome 
vero.  Udendo  il  parlar  di  Bharata,  Guha  con  lieto  sem- 
biante gli  rispose  queste  gioconde  parole  :  Felice  te!  non 
veggo  sulla  terra  chi  a  te  sia  pari ,  che  sei  disposto  a  ri- 
nunziare il  regno  venuto  a  te  senza  tuo  sforzo;  andrà  per 
lo  mondo  eterna  la  rinomanza  di  te  che  intendi  ritrai- 
Rama  dalla  sventura  ov  egli  cadde.  Mentre  cosi  ragio- 
navano insieme  Guha  e  Bharata,  si  spense  la  luce  del 
sole  e  sopravvenne  la  notte.  L'illustre  Bharata  con  Sa- 
trughno,  allogato  l'esercito,  si  pose  tranquillo  a  giacere 
confortato  da  Guha;  ma  sopraffatto  da' suoi  pensieri,  in- 
tento a  propiziar  Rama  e  volgendo  in  sua  mente  or  1'  una 
cosa,  or  l'altra,  non  potè  egli  prender  sonno;  egli  era  arso 
durante  la  diva  notte  da  violento  ardor  febbrile,  e  sospi- 
rava come  un  elefante  stretto  dall'  incendio  d'  una  selva  : 
gli  scorrea  per  tutte  le  membra  il  sudore  prodotto  dal 
fuoco  della  sua  angoscia,  come  scorron  pei  dorsi  del  so- 
vrano monte  [limavate  rivi  di  liquidi  metalli.  Cosi  s'ab- 
boccò allor  con  Guha  l'illustre  Bharata  generoso;  ma 
coni' ei  si  cessò  dal  dolce  riposo,  il  pio  Guha  spinto  da 
affetto  entrò  di  nuovo  a  ragionar  con  esso. 

CAPITOLO  XCIIL 

DOMANDE    A    GUHA. 


Il  diserto  Guha  attorniato  da'  suoi  congiunti  così  parlò  a 
Bharata  con  atto  reverente  e  cogli  occhi  sull'usi  di  lacrime  : 
Tu  favellasti,  o  Bharata,  in  modo  degno  della  stirpe  d'Ics- 


(i/,  RAMAYANA. 

vacu  e  conforme  alle  tue  virtù,  alla  sacra  dottrina,  alla  tua 
gloria.  Felice  Rama  mio  devoto  amico,  che  ha  un  tal  fra- 
Lello  generoso  e  buono,  il  qual rifiutando  f  acquistata  regaJ 
fortuna,  come  si  rifiuta  mia  trista  donna,  sen  va  a  ritrarre 
dalle  selve  il  suo  fratello  primogenito  !  E  raro  al  mondo 
un  tale  amore  quale  è  il  Ino,  o  pio,  verso  Rama  esempio 
di  salda  fede,  il  quale  adempiendo  l'ordine  del  padre  e 
della  Ina  genitrice,  se  ne  andò  colla  sposa  e  col  fratello 
fra  le  deserte  selve.   Di  quelf  uom  generoso  ,  saggio  e 
forte  tu   sei  pei"  le  tue  virtù  degno   fratello.  Uditi  que' 
detti,   l'illustre   e  savio  Bharata  cosi   rispose  amorevol- 
mente a  Guha  :  Per  le  tue  dolci  ed  affettuose  parole  ,  o 
Guha,  io  mi  tengo  da  te  onoralo,  ben  accolto,  letificato  : 
ma  io  desidero  udir  da  te  ragguagli;  ti  piaccia  favellarmi 
sinceramente.   Andando  fra  le  selve,  in   quale  luogo  si 
fermò  con  Sita  Mitilese  mio  fratello  Rama  dagli  occhi  di 
loto,  cresciuto  fra  le  delizie,  ignaro  della  sventura?  Gli 
sta  egli  sollecito  intorno  il  Saumitride  per  nome  Lacs- 
mano,  che  lo  seguitò  per  amor  fraterno?  dove  giacque 
Rama  la  notte?  dove  stette?  dove  dimorò?  dove  n'andò 
con  Sita  quel  valoroso  e  pio?  di  che  favellava  egli?  quale 
fu  il  suo  alimento?  in  qual  luogo  si  riposò  il  mio  fratello 
primogenito  saldo  come  un  monte?  mi  fu  detto  ch'egli 
insieme  con  Sita  riposò  una  notte  sotto  quelf  albero  d'in- 
gude  lo  stanco  suo  corpo,  ma  non  f  occhio;  e  che  tu  con 
Lacsmano  e  colf  auriga  vegliasti  presso  a  lui  quella  notte 
armato  d'arco  :  narra  a  me,  die  te  ne  prego,  ogni  cosa 
conforme  al  vero  ed  ogni  atto  del  Raghuide  generoso. 
Uditi  que' detti  del  magnanimo  Bharata,  così  rispose  con 
reverenza  Guha  conoscitor  di  que' selvaggi  luoghi. 


AYODHYACANDA.  65 


RAPITOLO  XCIV. 

PAROLE    DI    GUHA. 

Il  robusto  Lacsmano  devoto  al  suo  fratello,  preso 
l'arco  simile  all'arco  d' India,  vegliò  presso  a  lui  quella 
notte.  Mentre  egli  armato  d'arco  e  di  saette  elette  ve- 
gliava con  intenta  cura  alla  custodia  del  fratello,  io  cosi 
gli  dissi  :  V'ha  qui,  o  caro,  un  letto  agiato  apparecchiato 
a  cagion  tua,  riposati  sovr' esso  felicemente,  o  Raghuide 
mio  amico.  Tutta  questa  gente  è  assueta  ai  disagi;  ma  tu 
sei  nato  alle  delizie  :  io  veglierò  questa  notte  alla  difesa 
di  Rama  ;  perocché  nessuno  al  mondo  m'  è  di  lui  più  caro  : 
non  aver  di  ciò  pensiero;  questo  io  affermo  sulla  mia  fede 
al  tuo  cospetto.  Dal  favor  di  Rama  io  spero  nel  mondo 
gloria  altissima,  ampio  acquisto  di  virtù,  non  che  delizie 
e  beni.  Armato  d'arco  e  circondato  da' miei  congiunti  io 
difenderò  Rama  mio  dolce  amico,  mentr'  ei  riposa  insieme 
con  Sita.  Nessuna  cosa  è  a  me  ignota  in  queste  selve, 
dov'  io  m'  aggiro  di  continuo  :  potrei  qui  anche  resistere 
ad  una  grand'  oste  quadripartita.  Per  tal  modo  da  noi 
esortato  il  magnanimo  Lacsmano,  avendo  ei  sol  rispetto 
al  suo  dovere,  ricusò  F  invito  e  così  disse  :  Mentre  dorme 
con  Sita  sulla  nuda  terra  il  Dasarathide,  come  potrei  io 
pensare  al  sonno,  alle  delizie  od  alla  vita?  mira,  o  Guha, 
giacente  con  Sita  sopra  1'  erba  colui ,  cui  non  potrebbero 
sostenere  in  battaglia  i  Devi  un  ili  cogli  Asmi;  ed  ei  fu 
acquistato  con  aspre  pene  e  con  molti  conati,  ed  è  tra 
i  figli  di  Dasaratha  il  solo  che  a  lui  somigli  per  ingenite 

ii.  9 


(ili  RAMAYANA. 

noie!  oh  non  potrà,  dopo  averlo  esilialo,  vivere  lunga 
niente  il  re!  sarà  certamente  fra  breve  vedova  questa 
terra.  Falle  nella  reggia  strida  altissime,  si  racquetano  a 
poco  a  poco  le  donne  del  re;  ed  or  credo  immersa  in 
profondo  silenzio  la  casa  regale.  Non  ho  speranza  che 
sostengan  la  vita  pur  questa  notte  Causalya,  il  re  e  la  mia 
genitrice  :  e  vivesse  pur  anche  mia  madre  per  amor  di 
Satrughno,  Causalya  madre  di  quell'eroe  non  potrà,  per 
la  sventura  ov'egli  cadde,  sopportar  la  vita.  Felice  ora 
sopra  ogni  altro,  Bharata  renderà  gli  ufficj  funebri  al 
vecchio  padre  consunto  dal  dolore.  Fortunali  coloro  cui 
sarà  dato  d'abitare  Ayodhya  sede  regale  di  mio  padre, 
città  dai  bei  cortili,  dalle  piazze  dilettose,  dalle  vie  ben 
compartite,  sparsa  di  templi  e  di  palagi,  echeggiata  da 
lieti  suoni,  piena  di  cavalli,  di  carri  e  d'elefanti,  ricca 
d'ogni  sorla  di  gemme,  abbondante  d'ogni  bene,  popo- 
lala di  gente  lieta  e  ben  pasciuta,  adorna  di  giardini  e  di 
verzieri,  rallegrala  da  feste  e  da  conviti.  Oh  possiam  noi 
mi  d'i,  venuto  il  termine  dell'esilio,  ritornare  incolumi 
ad  Ayodhya  con  quel  verace  mantenitor  delle  promesse! 
Mentre  così  stava  lamentando  il  magnanimo  Lacsmano, 
trapassò  quella  notte.  Come  nacque  il  sole  e  si  schiarì  il 
cielo,  annodali  qui  sulla  riva  del  Gange  a  modo  d' asceti 
i  lor  capelli,  furon  poscia  amendue  felicemente  da  me 
tragittati  all'altra  riva.  Quindi  que' due  forti  e  intrepidi, 
vestiti  di  corteccie,  cinti  di  cusa  e  coi  capelli  annodali 
se  ne  andarono  con  Sita,  pari  a  due  elefanti  duci  di 
schiera,  armati  di  spada,  d'arco  e  di  saette,  volgendo 
intorno  i  loro  sguardi. 


WODHÌ  \C  \M)  \.  67 


capitolo  \<;v. 

DISCORSO    DI    Gì  HA. 

All' udir  quelle  dolenti  parole  di  Guha,  Bharata  tra- 
morlì  ;  e  col  corpo  tremante  e  girando  attorno  i  suoi 
grand' occhi ,  cadde  subitamente  a  terra,  come  un  albero 
sradicato,  quel  giovane  d'amabile  aspetto,  delicato  e 
generoso,  dagli  occhi  di  loto,  dagli  omeri  di  leone,  dalle 
lunghe  braccia.  Veggendo  Bharata  tramortito,  tutto  si 
turbò  nel  volto  Guha,  e  vacillava  come  un  albero,  alloi 
che  trema  la  terra;  e  Satrughno  abbracciando  il  fratello 
ridotto  a  tale  stato  e  fuor  di  senso,  piangeva  dirotta- 
mente uscito  quasi  di  se  per  lo  dolore.  Quindi  le  madri 
di  Bharata  estenuate  dal  digiuno,  dolenti  e  meste  perla 
morte  del  lor  marito,  s'appressarono  a  lui;  e  veggendo 
caduto  e  steso  a  terra  il  diletto  loro  figlio,  gli  si  posero 
attorno  piangenti  ed  angosciate;  e  Causalya  tutta  piena 
d'  amore ,  fattasi  a  lui  più  presso ,  confortava  quelf  afflitto , 
carezzandolo  colla  soave  sua  mano;  ed  abbracciatolo  con 
grande  affetto ,  cosi  f  interrogava  piangendo  quella  do- 
lente e  pia  :  Qualche  male  forse,  o  figlio,  affligge  egli  il 
tuo  corpo?  da  te  dipende  ora  la  salvezza  di  questa  regal 
famiglia;  guardando  te,  o  iiglio,  io  ancor  sostengo  questa 
vita,  or  che  è  ito  nelle  selve  Rama  col  fratello  :  morto  il 
re  Dasaratha,  tu  sei  ora  il  sostegno  della  nostra  stirpe  : 
hai  tu  forse  udito  qualche  infausta  novella  di  Lacsmano, 
oppui  del  mio  unico  figlio  che  se  n'andò  fra  le  selve 
colla  sua   consorte?  Così  dicendo,  Causalya   riconfortava 


08  RAM  AVANA. 

con  panni  intimi  nell'acqua  il  misero  Bharata,  come  ei 
fosse  il  proprio  diletto  suo  figlio.  Riavutosi  poco  stante 
e  rese  grazie  a   Causalya,  cosi   parlò  piangendo  a  Guha 
l'illustre  Bharata  :  lo  li    muovo  ora  nuove  domande,   o 
Guha:  tu  dei  dirmi  il   vero.  Come  si  mitri  allora  il  Ra- 
chitide colla   Videhcse   e   il   Torte   Lacsmano,  accrescimi- 
di  gloria  alla  nostra  stirpe,  il  quale  seguitò  spontaneo  il 
suo  fratello  nelT  esilio?  Così  interrogai,,,  rispose  il  diserto 
Guha  re  de'Nisàdi,  frenando  a  stento  le  sue  lacrime  :  Odi; 
io  feci  qui  recare  per  nutrimento  di  Rama  varj  alimenti 
e  cibi,  beveraggi,  radici  e  frutti;  ma  il  pio  Raghuide  me- 
more del  dover  d'uno  Csatro  (44),  ricusò  tutto  quello  che 
io  aveva  recato  per  amore  e  cortesia;  e  così  parlò  a  me 
che  stava  col  capo  chino  e   vergognoso  :  Da  noi  non  si 
dee  ricevere,   bensì    dare    con   larghezza,   e   combattere 
colf  arco    in    mano  ;    è    questo    il   dover   supremo   dello 
Csatro.  Allora  gli   fu   dal  magnanimo   Lacsmano    recala 
acqua;  con  essa  egli  osservò  l'astinenza  insieme  con  Sita, 
e  così  fece  Lacsmano  colf  avanzo  di  quell'  acqua.  Stando 
così  in  astinenza  Rama ,  sopravvenne  il  vespero  ;  ed  egli 
allora  ottimo  fra  i  pii,  adempiè  tacito  e  intento,  conforme 
ai  riti,  le  osservanze  vespertine.  Quindi  il  Saumitride  ap- 
parecchiò sollecito  a  Rama  un  comodo  strato  con  foglie 
e  poe  cynosuroidi  :  sopra  quello  strato  s'  adagiò  Rama 
con  Sita;  e  lavatigli  i  piedi,  s'allontanò  quindi  Lacsmano. 
È  questa  la  radice  dell' ingude;  son  queste  1'  erbe,  sopra 
cui  riposarono  quella  notte  Rama  e  Sita.  Legate  al  suo 
dorso  due  faretre  ripiene  di  frecce ,  preso  f  arco  messo 
in  corda  e  fasciate  di  cuojo  le  dita,  l' intrepido  Lacsmano 
stette  quella  notte  vegliando  sopra  Rama;  ed  io  pure  ar- 


AYODHYACANDA.  69 

malo  d1  un  grand1  arco  e  di  saette  me  ne  stetti  vigile  co' 
miei  congiunti  tutti  armati  d'arco  colà  dov'  era  Lacsmano, 
attorniando  il  Raghuide  pari  ad  Indra. 

CAPITOLO   XGVI. 

QUEL  CHE  AVVENNE  APPIÈ  DELL1  INGUDE. 


Udito  il  ben  disposto  favellar  di  Guha,  Bharata  co' 
suoi  ministri  appressatosi  alla  radice  dell'  ingude ,  stette 
contemplando  il  letto  del  fratello;  e  coni'  ebbe  partita- 
mente  riguardato  quel  letto  strato  d'erbe,  cogli  occhi 
pieni  di  lacrime  angosciose  cosi  ei  parlò  alle  sue  madri  : 
Qui  passò  quel  magnanimo  la  notte  sulla  nuda  terra;  ecco 
qui  tutt'ora  ogni  cosa  rimescolata.  Come  mai  quell'uomo 
eccelso,  generato  dal  sapiente  e  nobile  Dasaratha  re  dei 
re  dormì  egli  sulla  terra  !  come  giacque  sul  nudo  suolo 
quel  generoso  assueto  ai  letti  coperti  di  ricchi  velli,  or- 
nati d'  eletti  strati  !  colui  che  soleva  abitar  reggie  e  nobili 
palagi  simili  a  nubi  biancheggianti,  abbelliti  da  ogni  qua- 
lità di  fiori ,  olezzanti  d'  aloe  e  di  sandalo ,  rallegrati  dal 
canto  de'  cocili ,  strati  d'  argento  e  d'  oro  ,  giacque  egli 
dunque,  dormendo,  sulla  terra?  Quegli  che  era  ogni  dì 
risvegliato  da  lieti  canti  e  suoni,  da  concenti  di  tibie, 
di  sonore  conche  e  nacchere,  celebrato  a  convenevole 
tempo  con  degni  carmi  e  lodi  da  numerosi  encomiatori, 
preconi  e  bardi ,  colui  che  nacque  d' una  stirpe  oltre  ogni 
altra  splendida,  che  era  cagion  di  letizia  ad  ogni  uomo, 
amato  da  tutte  le  genti,  come  mai  un  tale  uomo  di  color 
di  cerulea  ninfea,  d'occhi  accesi,  d'  amabile  volto,  di  largo 


70       .  RAMAYANA. 

petto,  di  lunghe  braccia,  dormì  egli  sulla  nuda  lena.* 
Non  mi  par  vera  questa  cosa  incredibile  ad  ogni  uomo; 
la  mia  mente  si  confonde,  e  pàrmi  esser  questo  un  sogno. 
Per  certo  nessun  Nume  è  possente  più  del  l'alo;  poiché 
da  lui  fu  ridotto  a  dormir  sulla  terra  Rama  Dasaralliide. 
È  questo  il  letto  di  mio  fratello  ;  si  scorge  qui  ancora 
ravvolta  ogni  cosa;  mentr  ci  passava  in  su  questo  spia- 
nato la  notte  ragionando,  fu  dalle  sue  membra  tutta  pesta 
quest'  erba.  Qui  giacque  sulla  terra  la  diletta  e  leggiadra 
figlia  del  re  de1  Videhesi,  la  nuora  di  Dasaratha  :  credo 
che  ella  qui  riposò  tutta  ornata,  siccom'  ella  faceva  un 
dì  nella  propria  sua  casa  ;  che  si  veggono  sparsi  qua  e  là 
minuzzi  d'oro.  Il  desiderio  solo,  io  penso,  di  render  fe- 
lice il  suo  consorte  fa  che  la  delicata  e  pia  Sita  va  incontro 
ai  disagi  delle  selve.  Qui  certamente  ella  pose  la  sua  bella 
sopravveste;  giacché  vi  si  scorgono  sospese  fila  di  seta. 
Oh  fortunata  la  Videhese  che  seguitò  nelle  selve  il  suo 
consorte  !  noi  tutti  miseri  che  siamo  privi  di  quel  magna- 
nimo !  ito  Dasaratha  al  cielo  e  Rama  fra  le  selve,  la  terra 
mi  par  come  nave  senza  nocchiero  e  derelitta.  Ma  nes- 
suno osa  però  ambire  neppur  col  pensiero  questa  terra 
difesa  dal  forte  braccio  di  colui,  benché  esule  fra  le  selve. 
Non  osano  i  nemici  agognare  la  città  regale  di  mio  padre, 
tuttoché  sian  deserti  i  suoi  recinti  e  le  sue  difese,  aperte 
le  sue  porte,  bendi'  ella  sia  priva  de'  suoi  cavalli  ed  ele- 
fanti di  guerra!45),  mesta,  dolente  ed  angustiata,  siccome 
uom  non  osa  por  mano  sopra  cibi  avvelenati.  Da  oggi 
innanzi  dormirò  io  sulla  terra  strata  di  cuse,  cibandomi 
solo  di  frutti  e  di  radici,  vestito  di  nebride  e  di  cortec- 
cia, coi   capelli  raccolti  a  modo  ascetico.   Abiterò  io  in 


AYODHYACANDA.  71 

luogo  di  Rama  tutto  quel  tempo  Tra  le  selve  :  non  sarà 
vana  per  lale  modo  la  promessa  eh'  egli  fece;  ed  io  con- 
sacrerò re  in  Ayodhya  il  Cacutsthide  glorioso.  Facciano 
gli  Dei  che  abbia  effetto  questo  mio  desiderio  !  Se  pro- 
piziato da  me  in  ogni  più  umile  modo,  non  s'  arrenderà 
a' miei  preghi  Rama,  allora  io  abiterò  con  lui  peregri- 
nando nelle  selve  quanto  lungamente  durerà  il  suo  esilio; 
non  potrà  egli  farmi  di  ciò  rifiuto.  In  questo  sopravvenne 
la  notte  ;  ed  in  queir  ora  che  si  muore  il  giorno  si  rac- 
coglievano gli  augelli  agli  usati  lor  nidi  ;  e  Guha  licen- 
ziato ritornò  dolente  alla  sua  dimora  insieme  co'  suoi 
seguaci. 

CAPITOLO   XCVJ1. 

PASSAGGIO  DEL  GANGE. 

Dimorato  quella  notte  sulla  riva  del  Gange,  il  magna- 
nimo Bharata  levatosi  in  sulf  aurora  così  parlò  a  Sa- 
trughno  :  Sorgi,  sorgi,  o  Satruglmo  !  a  che  pur  dormi:* 
è  passata  la  notte  ;  vedi  oramai  sorto  il  sole  dissipatore 
delle  tenebre,  che  apre  sui  loro  steli  i  fior  di  loto  :  fa 
qui  tosto  venir  Guha  signor  di  Sringavera  ;  egli  ci  tra- 
ghetterà all'  opposta  riva  del  fiume  Gange.  Satrughno 
cosi  destro  alla  favella  come  all'  opra  rispose  al  forte 
Bharata  suo  fratello,  devoto  a1  suoi  congiunti  :  Mentre  tu, 
o  Raghuide,  riposi  colf  animo  vacuo  di  cure,  io  veglio; 
che  sovra  me  non  discende  il  sonno  per  lo  continuo  pen- 
sier  che  ho  di  Rama.  Deh  possa  quel  generoso  propi- 
ziato da  te,  da  me,  dai  consiglieri  piegarsi  ai  nostri  voli  ! 
Dopo  quelle  parole  Satrughno  per  comando  di  Bharata 


72  RAMAYANA. 

disse  ad  un  di  quegli  uomini  :  Fa  che  qui  venga  Guha. 
Ma  mentre  così  parlava  il  magnanimo  Satrughno,  Guha 
appressatosi  in  atto  reverente  così  disse  :  Hai  tu,  o  Bha- 
rata,  ben  riposato  questa  notte  sulla  riva  del  fiume?  Sei 
tu  col  tuo  esercito  ben  sano?  Ma  è  questo  più  che  altro 
un  desiderio  ch,  io  ti  manifesto  :  perocché  come  potresti 
tu  ben  riposare  cruciato  dal  tuo  amore  e  dal  pensiero 
del  fratello  esule  e  del  re  estinto  ?  Y  amor  non  cede  punto 
per  angoscia  d'  animo  né  di  corpo.  A  quelle  parole  di 
Guha  così  rispose  il  mesto  Bharata  infelice,  volgendo 
nella  mente  il  suo  disegno  :  E  stata  gioconda  a  noi  la 
notte,  o  re ,  e  fummo  da  te  degnamente  onorati.  Or  fa 
che  i  tuoi  famigliari  ci  traghettino  con  ampie  navi  all' 
opposta  riva  del  Gange.  Allora  Guha,  udito  l'ordine  di 
Bharata,  ritornò  prestamente  alla  città,  e  così  disse  a' 
suoi  congiunti  :  Su  levatevi,  o  miei  congiunti;  io  vi  sa- 
luto  :  varate  le  barche;  che  io  debbo  traghettare  il  fiume. 
Udite  quelle  parole,  i  famigliari  di  Guha  sorgendo  pronti 
al  suo  comando,  raccolsero  d'  ogni  parte  cinquecento  navi  : 
alcune  più  elette  fra  quelle  navi  eran  segnate  col  mistico 
e  fausto  segno  che  s'appella  svastika  (4()),  fornite  di  grandi 
remi  e  di  vessilli,  splendide,  acconce  e  ben  connesse. 
Quindi  Guha  fece  venire  un  bel  navigio  ricoperto  di 
bianca  tenda,  segnato  col  segno  svastika,  rallegrato  da 
lieti  suoni  :  sopra  quello  salirono  Bharata  e  il  forte  Sa- 
trughno, Causalya,  Sumitra  e  le  altre  donne  del  re.  Stava 
nel  primo  luogo  il  sacerdote  della  casa  regale,  e  con  lui 
gli  altri  Brahmani  paratamente  ;  poi  1  famigli  del  gine- 
ceo, 1  servi  ed  ì  carnaggi.  11  frastuono  di  coloro  che  met- 
tevan  fuoco  agli   alloggiamenti,   che   correvano   ai   sacri 


A U)I)I1  VACANO  \.  73 

luoghi  lunghesso  il  Gange,  che  toglievano  via  la  suppel- 
lettile, si  levava  infìno  al  cielo.  Si  mossero  prontamente 
le  navi  governate  dai  famigliari  di  dulia,  e  portando  tutta 
(inclla  gente  navigavano  con  grande  studio  all'  altra  riva. 
Alcune  traghettano  donne,  altre  nobili  cavalli;  altre  por 
tano  veicoli,  carri  e  gran  corredo  d'ogni  cosa;  e  quelle 
che  giunte  all'  opposta  riva,  han  deposto  la  gente  ond' 
enti)  cardie,  ritornate  coi  loro  gusci  adorni  di  fusti,  son 
di  nuovo  traghettate  dai  servi  e  famigliari.  Gli  elefanti 
colle  loro  bandiere,  i  quali  traghettano  il  fiume  spinti 
dai  lor  montatori,  somigliano  a  monti  coronati  di  ves- 
silli. Fra  quella  gente  alcuni  montarono  sopra  navi,  altri 
sopra  zatte  ;  questi  si  tragettarono  sopra  vasi  ed  orej , 
quelli  a  forza  di  lor  braccia.  Così  traghettata  dai  famigli 
di  Gulia  tutta  queir  oste,  s'avviò  poi  in  un  punto  ben 
augurato  verso  la  gran  selva  che  s'appella  Prayàga. 

CAPITOLO   XGVIII. 

V  ENTRATA  NELLA   SELVA  PRAYÀGA. 

Com'  ebbe  Bharata  coi  pedoni  e  con  tutto  l'esercito 
traghettato  il  Gange,  così  parlò  con  assenso  del  suo  sa- 
cerdote a  Guha  :  Per  qual  regione  dobbiam  noi  condurci 
là  dove  dimora  Rama?  insegnane  tu  la  via,  o  Guha,  che 
t'  aggiri  di  continuo  per  queste  selve.  Udite  quelle  pa- 
role di  Bharata,  così  rispose  Guha  che  ben  conosceva  il 
luogo  dov'  era  Rama  :  Movendo  di  qui ,  o  Cacutsthide , 
t'  avvia  alla  gran  selva  Prayàga  piena  di  varie  torme  d'  au- 
gelli, copiosa  di  laghi  che  somigliano  a  campi  di  loto, 
il.  io 


Ik  RAMA\  \NA. 

con  bei  lavacri  e  chiaro  fondo,  ingombra  di  foglie  rotte 
dagli  artigli  degli  uccelli,  losche  e  solfici.  Riposatoti  quivi 
tu  ne  andrai  poscia,  o  valoroso,  al  romitaggio  di  Bha- 
radvàga  che  è  distante  un  erosa  (47)  verso  oriente  dalla  selva 
Prayàga.  Giunto  colà  tu  saluterai,  o  principe,  il  pio  Munì 
affinato  dalle  austerità,  celebre  nei  tre  mondi;  e  udite 
da  colui  fauste  benedizioni  e  parole  commoventi  il  cuore, 
te  ne  andrai  quindi  lieto  a  visitare  il  tuo  maggior  fra- 
tello, dopo  esser  per  altro  dimorato  colà  una  notte  ono- 
rato da  lui  con  care  cose  ;  che  veggendoti  quel  gran  saggio 
non  ti  licenzierà  senza  che  tu  abbi  passala  con  lui  una 
notte.  A  Guha  che  così  favellava,  rispose  Bharata  con 
cortese  alletto  :  Sia  cosi  come  tu  dici;  e  quindi  abbrac- 
ciatolo, ei  soggiunse  :  Va,  te  ne  ritorna  ora,  o  amico, 
insieme  co1  tuoi  congiunti  ;  io  fui  da  te  ben  accolto  e  se- 
condato; e  t'amo  per  le  tue  virtù  :  fu  da  te  degnamente 
onorata  l'amicizia  che  li  lega  a  mio  fratello,  il  saggio 
Rama;  tu  m'hai  dimostrato  devozione,  benevolenza, 
amore.  Congedato  da  Bharata  se  ne  andò  Guha  co'  suoi 
congiunti  dopo  aver  reso  onore  a  lui,  al  sacerdote,  al 
sacro  maestro.  Partitosi  Guha  colle  navi  e  co'  suoi  se- 
guaci,  s'avviò  Bharata  coli' esercito  alla  selva  Prayàga, 
eleggendo  a  giuda  nel  cammino  Snmantro,  consigliere 
accorto,  caro  a  Rama,  conoscitor  del  tempo  e  dei  luoghi. 
Mirando  d'ogni  parte  alberi  pieni  di  bori  e  di  frutti, 
udendo  il  canto  di  vaghi  augelli  dilettoso  all'  animo  e  agli 
orecchi,  ragionando  delle  virtù  di  Rama,  di  Lacsmano 
e  di  Sita,  della  pravità  di  Caiceyi  sua  madre,  dopo  aver 
camminato  poco  più  d'un  mezzo  vogano,  vide  Bharata 
la  gran  selva  che  s'  appella  Prayàga  simile  alla  selva  Cei- 


AYODHYACANDA.  75 

li  aratila;  ed  entrò  in  quella  selva  tutta  piena  d'alberi  e 
di  frutti  desiderabili,  abbellita  da  campi  di  loto  con  bei 
lavacri  e  grande  copia  di  ninfee.  Pervenuto  alla  Pia  vaga 
sede  augusta  degli  Dei ,  Bbarata  fece  reverente  adorazione , 
e  le  sue  madri  colf  illustre  Satrughno  salutarono  attente 
e  con  mente  raccolta  il  Dio  di  quella  selva.  Fatta  ado- 
razione ed  usciti  di  quel  bosco,  scorsero  essi  quindi  lon- 
tano un  erosa  il  romitaggio  di  Bliaradvàga  denso  d'alberi  ; 
e  vedendo  V  eremo  di  quel  gran  Risei  contemplatore  e 
della  sua  ascetica  famiglia,  entrò  Bbarata  in  grande  gioia. 

CAPITOLO    XCIX. 

FERMATA  NELI/   EREMO   DI  BHARADVÀGA. 

Veduto  pur  da  lungi  f  eremo  di  Bliaradvàga,  il  pio 
61  tarata  fatto  fermar  tutto  l'esercito,  deposti  suoi  orna- 
menti ed  armi  e  vestendo  due  vesti  di  lino,  s'avviò  a 
piedi  co' suoi  consiglieri,  facendo  precedere  il  sacerdote. 
Progredito  per  poco  spazio  ei  si  trovò  dinanzi  a  quelf 
eremo  fornito  di  bella  porta  esterna,  nitidissimo,  adorno 
d'un  bosco  di  banani,  pieno  di  serpenti  e  di  belve  man- 
sueti, coronato  d'una  cerchia  d'are,  decorato  della  beltà 
delle  selve,  e  quasi  una  porta  dischiusa  del  cielo.  Entrato 
col  sacerdote  in  quel  romitaggio,  Bbarata  vide  il  sommo 
Risei  di  splendore  fiammeggiante;  e  fatti  restare  allora 
i  suoi  consiglieri ,  s' innoltrò  col  sacerdote  alla  presenza 
di  Bliaradvàga.  Ma  il  grande  asceta  vedendo  Vasistha,  si 
levò  prontamente  dal  suo  seggio,  e  disse  a' suoi  discepoli  : 
Recate  la  patera  ospitale.   Abboccatosi  con  Vasistha,  e  sa- 


76  lì  \M  VYANA. 

lutalo  quindi  da  Bharata,  io  splendido  vate  conobbe  il 
figlio  di  Dasaratha.  Offerta  ad  amendue  la  palerà  ospi- 
tale  (argha),  l'acqua  per  la  lozion  de'  piedi,  bevanda  e 
frutti,  ed  onorali  tutti  i  lor  seguaci,  inchiese  quel  pio 
della  prosperila  del  regno,  del  tesoro,  dell'  esercito,  della 
città;  ma  non  domando  del  re,  sappiendo  egli  esser  morto 
Dasaratha.  Vasistha  e  Bharata  richiesero  lui  pure  della 
sua  corporea  salute,  della  prosperità  del  saero  fuoco,  dei 
discepoli,  degli  augelli  e  delle  helve.  Risposto  esser  pro- 
spera ogni  cosa,  il  granile  asceta  Bharadvàga  cosi  disse 
a  Bharata  a  cagion  di  Rama  :  Per  qual  motivo,  abbando- 
nando lo  splendor  regale,  sei  tu  qui  venuto.'  dimmi 
che  è  ;  che  non  è  securo  appieno  l'  animo  imo.  Colui 
che  Causalya  partorì  cagion  di  gioia  e  sperditor  de'  suoi 
nemici ,  colui  che  desi  inalo  dal  verace  suo  padre  per  causa 
d'  una  donna  ad  abitai  per  quattordeci  anni  fra  le  selve, 
v'andò  in  abito  di  penitente  insieme  con  Sita,  dimmi, 
ne  vieni  qui  tu  forse ,  deposto  ogni  amore  e  spinto  da 
cupidità  di  regno,  per  fare  oltraggio  a  colui,  al  pio  e 
paziente  Rama  ?  Vuoi  tu  forse,  o  figlio  d'egregio  re,  far 
danno  a  queir  innocente  a  fin  di  possedere  il  regno  senza 
ostacoli  ?  non  dei  tu  per  alcun  modo  far  offesa  a  quel 
magnanimo  ed  innocuo  ;  quand'  esso  per  cagion  di  te  solo 
venne  dal  patire  esiliato  fra  le  selve.  Intese  ([nelle  parole 
del  sapiente  Bharadvàga,  Bharata  scoloratosi  in  volto  ri- 
spose giungendo  le  mani  in  sulla  fronte  :  Io  son  perduto, 
se  tu,  o  venerando,  così  mi  giudichi  :  non  aver  tu  di  me 
tale  sospetto;  io  non  potrei  giammai  far  cosa  tale.  Non 
è  conforme  al  mio  desiderio  quello  che  a  cagion  di  me 
disse  mia  madre;  io  non  avrò  riguardo  alcuno,   ne  mi 


WODHYACANDA.  77 

conformerò  a  quei  detti.  Non  consento  al  disonore  che 
versò  sul  mio  capo  mia  madre  cupida  d'impero;  io  non 
ebbi  pur  di  ciò  notizia.  Qua!  è  mai  queh"  uom  crudele, 
che  nato  in  una  stirpe  di  re  immacolata  come  la  luna, 
vorrebbe  nuocere  ad  un  fratello  primogenito  e  degno  d' 
amore?  lungi  da  Rama  mio  maggior  fratello,  che  ora  abita 
Ira  le  selve,  io  non  curo  dello  splendor  del  regno,  delle 
delizie,  né  di  me  stesso  :  io  vengo  per  propiziar  quel 
generoso,  prostrarmi  a'  suoi  piedi  e  ricondurlo  a  Ayo- 
dhya.  Or  conoscendomi  tu  così  disposto,  ti  piaccia  es- 
sermi favorevole  :  dimmi,  o  venerando,  dove  si  trovi  ora 
Ila  ma  signor  della  terra.  Così  parlando  il  magnanimo 
Bbarata,  sopraffatto  dall'  amor  di  Rama  si  diede  subita- 
mente a  piangere,  e  Bharadvàga  così  rispose  a  lui  cbe 
avea  il  volto  umido  di  lacrime  :  Son  convenevoli,  o  figlio, 
le  parole  che  tu  or  m'  bai  detto.  Veduto  per  manifesti 
indizi  esser  contento  quel  grande  saggio,  Bharata  rasciu- 
gando le  sue  lacrime,  così  parlò  di  nuovo  :  Se  tu  hai  fi- 
ducia in  me;  se  io  merito  da  te  qualche  riguardo,  dimmi 
dove  or  dimora  mio  fratello  Rama.  Favellando  così  Bba- 
rata e  chiedendo  di  Rama,  il  gran  Mimi  Bharadvàga  ri- 
volse l'animo  a  lui;  ed  onoratolo  qual  si  conveniva,  così 
gli  parlò  sorridendo  l'illustre  asceta  :  E  cosa  degna  di  te, 
o  generoso,  nato  dalla  progenie  de'  Raghuidi,  cbe  tu  de- 
sideri ricondur  dalle  selve  Rama.  L'  osservanza  de'  mag- 
giori, la  continenza,  la  compassione,  la  pazienza,  questi 
appunto  sono  gli  aurei  ornamenti  del  tuo  corpo.  Io  ben 
conosceva,  o  amico,  le  tue  virtù;  ma  per  udir  da  te  ve- 
racemente ciò  che  111'  era  caro  udire,  t'ho  io  interrogato. 
Odi,  uom  forte  e  pio,  amante  de' tuoi  maggiori,  dove  si 


78  RAMAYANA. 

trovi  tuo  fratello  lumia  dagli  occhi  di  loto.  Tuttoché  io 
ben  conosca  il  pensiero  che  ti  sta  chiuso  nella  mente, 
candido  come  un  raggio  di  lima,  io  pur  t'interrogo  per 
vie  più  far  chiara  la  tua  gloria.  Rama  dimora  vicino  al 
Citraciita  in  un  dilettoso  romitaggio  insieme  con  Sita  e 
custodito  da  Lacsmano.  Tu  v'andrai  domani  co'  tuoi  mi- 
nistri; rimanti  qui  oggi  co'  tuoi  amici;  io  desidero  ono- 
rarti; appaga  questo  mio  desiderio.  Sia  pur  così ,  rispose 
con  nohile  volto  l'illustre  Bharata,  e  si  dispose  a  passar 
la  notte  in  quel  grand'  eremo. 

CAPITOLO   C. 

OSPITALITÀ   DI  BHARADVÀGA. 

Come  vide  disposto  a  rimaner  colà  Bharata  lìgliuol  di 
Caiceyi,  gli  offerse  il  Mimi  gli  ospitali  onori.  Ma  Bha- 
rata gli  disse  :  Tu  hai  fatto  già  ogni  cosa;  tu  n'hai  dato 
acqua  per  la  lozion  de' piedi,  la  patera  ospitale,  e  fatta 
quell'  accoglienza  che  si  conviene  in  una  selva.  A  lui  ri- 
spose con  affettuose  parole  Bhai  advàga  :  Conosco  l' amore 
che  tu  mi  porti,  e  so  che  tu  sarai  soddisfatto  di  quell'  ac- 
coglienza, qualunque  ella  sia  :  ma  desidero  apprestar  con- 
vito a  questo  tuo  esercito;  sarà  a  me  caro  il  farlo,  o  ge- 
neroso. Perchè  sei  tu  qui  venuto,  lasciando  addietro  il 
tuo  esercito  ?  perchè  non  ci  venisti  tu  con  esso  e  coi  car- 
riaggi ?  Bharata  così  rispose  reverente  all'  asceta  :  Io  non 
venni  colf  esercito,  o  venerando,  per  rispetto  di  te;  mi 
tengon  dietro,  occupando  grande  spazio  di  terra,  uomini, 
cavalli  eletti  ed  elefanti,  dalle  cui  guance  cola  per  triplice 


VYODHYACANDA.  79 

riffa  caldo  umore  ;  e  temendo  che  essi  non  danneggias- 
sero nel  tuo  romitaggio  la  terra,  gii  alberi,  le  radici  e 
l'acqua,  io  perciò  qui  venni  accompagnato  dai  soli  miei 
maestri.  Ma  essendo  Bharata  invitato  dal  grande  Risei  a 
far  venire  colà  il  suo  esercito;  cosi  ei  fece,  e  rimase  con- 
tento il  Mimi.  Entrato  allora  nel  santuario  del  fuoco  sacro, 
bevuta  acqua  e  purificatosi,  Bharadvàga  desideroso  d'o- 
norare i  suoi  ospiti  chiamò  a  se  Visvakarma,  e  chiamatolo 
così  ei  parlò  al  divino  artefice  :  Desidero  donare  ospita- 
lità a  tutti  costoro;  tu  disponi  ogni  cosa  a  tale  uopo.  Ac- 
corrano qui  i  fiumi  che  in  terra  o  in  cielo  hanno  le  lor 
correnti  volte  ad  oriente  o  ad  occidente.  Alcuni  spandano 
sugo  di  lythro  fruticoso  e  fervidi  liquori,  altri  versino 
con  bel  corso  nettare  e  fresche  acque  simili  al  sugo  di 
canna  saccarifera.  Chiamo  qui  i  Devi  ed  i  Gandharvi  Vis- 
vavàsu,  Haha,  Hulm,  le  Apsarase  divine  e  le  donne  de' 
Gandharvi  Ghritàci,  Menaka,  Rambha,  Misrakesi,  Alam- 
busa,  quelle  che  ministrano  ad  Indra  e  a  Brahma  splen- 
didissimo, tutte  io  qui  le  chiamo  con  Tumburu  e  col  lor 
nobile  corteggio.  Tu,  o  Visvakarma,  fa  questa  selva  ful- 
gida e  ricca  d'ogni  sorta  di  frutti.  Qui  m'appresti  l'ec- 
celso Somo  (^8)  vivande  e  cibi  delicati,  manicali,  bevande 
e  diverse  maniere  di  siroppi,  mirabili  ghirlande  ed  al- 
beri stillanti  nettare,  liquori  ed  altri  beveraggi  e  carni  di 
diverse  sorta.  Queste  parole  disse  il  vate  con  profonda 
meditazione,  con  raccolto  spirito,  con  vigore  d'ascetismo 
e  con  appropriato  suon  di  voce.  Mentr'  egli  meditava  colf 
animo  intento,  colla  faccia  volta  ad  oriente  ed  atteggiato 
a  riverenza,  vennero  a  mano  a  mano  tutti  gii  Dei  da  lui 
invocati;  ed  opportuno  spirò  un  lene  vento  odoroso,  un- 


80  RAMAYAN  \. 

pregnato  di  fragranze  di  sandalo,  soave  e  fausto,  solilo 
aleggiar  fra  1  monti  \lalava  e  Dardura.  Quindi  apparvero 
per  l'aria  nuvole  celesti  spandenti  fiori,  e  s  udì  per  tutte 
le  regioni  il  fruscio  dei  Devi  e  dei  Gandharvi.  Spiravano 
soavissimi  aliti  odorosi,  menavan  danze  le  schiere  delle 
Apsarase,  cantavano  e  suonavan  le  cetre  i  Devi  ed  i  Gan- 
dharvi; e  quel  suono  pienamente  aprilo  si  diffondeva 
armonizzando  per  la  terra,  per  l'aria  e  per  gli  orecchi 
d'ogni  vivente  creatura.  Cessalo  quel  suono  divinò,  gio- 
condo a  udirsi,  si  vide  f  esercito  di  Bharata  disposto  da 
\  isvakarma.  Era  d'ogni  parte  piana  la  terra  per  lo  spazio 
di  cinque  yogani,  coperta  d'  erba  lilla  e  tenera,  simile  a 
strato  d' ìndaco  e  di  lapislazzoli,  e  inarborata  d'egle  mar- 
meli  e  di  feronie,  d' artocarpi,  cedri  e  mirabolani,  di 
jambu  e  di  mangiiere  tutti  adorni  di  frutti.  In  ([nella  selva 
imbandita  di  cibi  divini  accorse  dagli  Uttarakuru (^9)  per 
ordine  del  gran  Risei  contemplatore  la  bella  riviera  Sa- 
rasvati,  e  vi  convennero  più  altre  riviere  con  correnti  di 
sughi  diversi.  V'erano  splendidi  edifizj  quadrati,  stalle 
degli  elefanti  e  de  cavalli,  case  e  palagi  con  ampie  porte, 
ed  una  splendida  reggia  simile  a  bianca  nube  con  belle 
porte  arcate,  sparsa  di  bianche  ghirlande  di  fiori,  spruz- 
zata d'acque  odorose,  fiancheggiata  da  quattro  boschi, 
copiosa  di  cibi,  di  bevande  e  di  letti,  d'ogni  sorta  di 
sughi  delicati,  di  vesti  e  di  squisite  delizie,  di  vasi  tersi 
e  lucidi,  fornita  insomma  d'ogni  cosa,  con  nobili  seggi 
apparecchiati  e  ricoperti  di  ricchi  strati.  In  quella  casa 
tutta  piena  di  gemme  entrò  invitato  dal  grande  Risei  il 
forte  Bharata  figliuol  di  Caiceyi  ;  lo  seguitarono  i  consi- 
glieri col  sacerdote,  e  tutti  rimasero  pieni  di  gioia,  veg- 


AYODHYACANDA.  81 

gendo  l'ordine  mirabile  di  quella  reggia.  Colà  Bharata 
s'appressò  co' suoi  ministri  allo  splendido  seggio  regale, 
al  ventaglio  ed  all'  ombrello  ;  onorò  quel  seggio ,  facendo 
reverenza  a  Rama,  e  preso  il  crinito  ventaglio,  s' assise 
compostamente  ;  dopo  lui  sedettero  per  ordine  tutti  i  con- 
siglieri e  il  sacerdote,  poscia  i  due  illustri  duci  dell'  eser- 
cito. Allora  il  pio  Bharata  ricevè,  precedendo  Vasistha, 
lo  splendido  ospitai  convito  copioso  d'  ogni  sorta  di  sa- 
pori e  di  profumi.  Per  comando  di  Bharadvàga  vennero 
in  quel  momento  innanzi  a  Bharata  tutti ■  que'  fiumi  con 
limo  latteo ,  le  cui  sponde  erano  d'  ambi  i  lati  formate 
di  bianchissimo  luto  e  di  preziosi  unguenti,  mirabili  per 
varietà  di  forme,  dono  e  favor  dei  gran  Brahmano.  In 
quello  stesso  istante  apparvero  le  numerose  schiere  delle 
Apsarase  adorne  di  celesti  ornati,  ventimila  donne  divine 
rilucenti  come  oro ,  flessibili  come  fibre  di  loto,  mandate 
da  Cuvera;  e  vennero  inoltre  dalla  selva  Nandana  trenta 
mila  altre  donne,  dalle  quali  ove  1'  uom  sia  preso,  diviene 
insana  la  sua  mente.  Cantavano  al  cospetto  di  Bharata  i 
supremi  fra  i  Gandharvi  Nàrada,  Tumburu,  Gopa,  Pra- 
datta,  Suryamandala,  e  danzavano  innanzi  a  lui  per  co- 
mando di  Bharadvàga  le  Apsarase  Alambusa,  Misrakesi, 
Vàmana  e  Pundarìka.  Quante  sono  le  ghirlande  degli  Dei, 
quante  ve  n'ha  nella  selva  Ceitraratha,  tutte  si  vedevano 
là  nella  selva  Prayàga  per  comando  di  Bharadvàga  ;  e  gli 
asochi,  i  mirabolani,  i  jambu  ed  ogni  flessibile  pianta 
silvestre  pigliavano  nel  romitaggio  di  Bharadvàga  forma 
di  donne  leggiadre.  Beva,  si  diceva,  liquori  chi  ama  bei- 
liquori,  si  cibi  di  latte  chi  ha  voglia  di  cibo,  si  mangino 
carni  delicate  quante  ne  desidera  ciascuno.  Cinque  donne 
u.  il 


82  RAMAYANA. 

o  sei  accostandosi  ad  un  nomo,  svestitolo  (50) ,  lo  bagnano 
sulle  amene  rive  del  fiume,  ed  altre  donne  dagli  occhi 
lucenti  gli  stanno  ministre  attorno  e  lo  soffregano;  e  Le- 
nendosi poi  Ira  loro  scambievolmente,  ne  menano  altri 
quelle  donne  elette.  I  eavalli  e  gli  asini,  gli  elefanti,  i 
cammelli  e  i  lori  furono  cibali  aneli' essi  con  canne  di 
zucchero,  miele  e  grani  abbrustolili.  Gli  egregi  e  Torli 
guerrieri  degli Icsvacuidi  eccitavansi  l'un  l'altro;  né  più  cu- 
rava  di  cavalli  il  cavaliere,  uè  d'  elefanti  colui  che  li  doma; 
f  esercito  era  allora  tutto  pieno  di  gente  die  tripudia  e 
lascivisce.  Quv'  guerrieri  satollali  d'ogni  cosa  desiderala, 
lutti  cospersi  di  sandalo  rosso,  eccitati  dalle  schiere  delle 
Apsarase,  andavano  così  favellando  :  Non  ritorneremo  più 
noi  ad  Ayodhya,  non  più  andremo  alla  selva  Dandaca; 
salute  a  Bharata  !  viva  felice  Rama  !  così  parlavano  fanti  e 
cavalieri,  e  montatori  d'elefanti.  (ìli  uomini  poi  che  se- 
guitavano Bharata,  gridavano  lietamente  con  mille  voci 
confuse  in  una,  e  sclamavano  :  E  questo  il  cielo;  e  poicb' 
eran  essi  satollati  di  que'  cibi  somiglianti  ad  Amrita  e 
saziati  di  vivande  divine,  più  non  pensavano  al  mangiare. 
Erano  pienamente  soddisfalli  famigli,  soldati  e  cavalieri, 
tutti  rivestiti  di  vesti  nuove  ;  eran  satolli  appieno  elefanti, 
asini,  e  cammelli,  tori,  capri  e  pecore,  belve  e  augelli, 
che  han  ciascuno  diversa  voce  ed  andatura.  Non  v'  avea 
colà  uomo  con  vesti  sucide,  immondo  od  affamato,  o  coi 
capelli  lordi  di  polvere.  Erano  ai  lati  dell'  esercito  stagni 
con  limo  di  latte,  fiumi  con  correnti  d'ogni  liquor  desi- 
derabile, alberi  stillanti  nettare  e  laghi  pieni  di  liquor 
di  lythro  fruticoso ,  circondati  da  cumuli  di  carni  ar- 
rostite, bollite,  rosolate  di  cervi,  pavoni  e  starne,  di  capri 


WODHYACANDA.  83 

e  di  cinghiali,  da  mucchi  di  salse  delicate,  condite  con 
sughi  di  frutti,  e  da  guazzi  di  Liquidi  diversi.  Stanno  cola 
migliaia  d'aurei  vasi  di  diversa  foggia,  incoronati  di  iìori 
e  di  bandiere,  rilucenti  e  pieni  di  cibo;  vi  si  veggon  le- 
beti,  orcj,  brocche  tutti  fatti  con  bell'arte  e  colmi  di 
miele;  vi  sono  laghi  pieni  di  fresco  siero  di  burro,  fra- 
grante come  latte  rappreso,  altri  d'inzuccherati  latteruoli 
e  di  bianchissimo  latte  rappigliato,  e  mucchi  di  cocci  e 
di  latticinj.  Si  veggon  colà  lunghesso  i  lavacri  de1  fiumi 
polveri  levigate ,  gomme  trite ,  e  dentro  vasi  ogni  cosa 
opportuna  ai  bagni,  masse  di  nettadenti  bianchissimi  e 
raggianti,  finissime  polveri  di  sandalo  entro  bossoli,  tersi 
specchi  e  serti,  calzari  e  sandali  a  migliaia,  collirio  e  pet- 
tini, spazzole  e  varj  ombrelli,  mirabili  armadure,  letti  e 
seggi,  pieni  abbeveratoi  per  gli  asini  ed  i  cammelli,  per 
gli  elefanti  ed  i  cavalli,  laghi  con  bei  lavacri  per  immer- 
gervisi, coperti  di  ninfee  cerulee  e  di  nelumbi,  e  mucchi 
d'erba  tenera  del  color  di  cupo  lapislazzoli.  Guardando 
colà  intorno  vedean  gli  uomini  armenti  senza  line,  e  stu- 
pivano osservando  una  tale  ospitalità,  maravigliosa  sì  che 
parea  un  sogno,  apprestata  a  Bharala  dal  gran  Risei. 
Mentr'  essi  così  giocondavano  nel  bel  romitaggio  di  Bha- 
radvàga,  come  gli  Dei  nella  selva  Nandana  ,  trapassò  la 
notte.  Se  n'andarono  allora  i  fiumi,  e  preso  commiato 
da  Bharadvàga,  quindi  si  partirono,  coni'  eran  venuti,  1 
Gandharvi  e  tutte  quelle  donne  leggiadre.  Così  letizia- 
rono inebbriati  di  liquori  quegli  uomini;  così  ei  si  co- 
spersero di  sandalo  e  d' agalloco  soave;  e  così  poi  furono 
a  mano  a  mano  sparse  a  terra  e  calpestate  da  (pi egli  no- 
mini le  varie  divine  ghirlande  nobilissime. 


84  RAMAYANA. 

CAPITOLO  CI. 

COMMIATO    DI     BH  ARATA. 

Ma  passata  quella  nulle,  Bharata  col  suo  séguito  ac- 
costatosi a  convenevole  tempo  al  suo  ospite  Bharadvàga, 
il  salutò;  e  vedendo  dinanzi  a  se  in  atto  reverente  il 
prode  Bharata,  così  gli  parlò  il  Risei  che  già  avea  arse 
sul  fuoco  le  sacre  oblazioni  :  Fu  ella  a  te  gioconda,  o  fi- 
glio, questa  notte?  dimmi  :  fu  ella  contenta  la  tua  gente 
dell'  avuta  ospitalità  ?  Bharata  giungendo  le  mani  sulla 
fronte  ed  inchinandosi,  così  rispose  all'  eccelso  Risei 
uscito  fuori  dal  suo  romitaggio  :  Son  qui  dimorato  feli- 
cemente, o  venerando,  co' miei  ministri  e  con  tutto 
l'esercito,  rallegrato  da  te  a  dovizia  con  ogni  cosa  desi- 
derata; ristorati  d'ogni  lor  fatica  e  d'ogni  pena,  ben 
accolti  e  riconfortati  stettero  qui  tutti  lietamente,  non 
esclusi  neppure  1  servi.  Or  ti  saluto,  o  venerando;  ti 
piaccia  accommiatarmi  :  me  n'andrò  a  visitare  il  fratello; 
guardami  con  occhio  fausto  ;  e  insegnami ,  o  pio ,  per 
qual  cammino  io  debba  avviarmi  alla  stanza  romita  di 
quel!' uom  magnanimo  e  giusto.  Quanti  yogani  è  di  qui 
distante,  ed  in  qual  regione  si  trova  il  recesso,  dove  di- 
mora quel  pio  con  Lacsmano  e  con  Sita?  Così  interrogato 
dal  magnanimo  Bharata ,  rispose  quel  grande  saggio  : 
Lungi  di  qui  tre  yogani  e  mezzo  per  la  deserta  selva 
v'ha,  o  diletto,  il  monte  Citracùta  pieno  di  spelonche 
dilettose  e  di  belle  cascate  d'acqua  :  dal  lato  settentrio- 
nale del  monte  corre  la  riviera  Mandàkini  (Gange),  cir- 


AYODHYACANDA.  85 

condata  d'alberi  fiorenti,  frequentata  da  diversi  augelli; 
fra  la  riviera  e  il  monte  tu  vedrai  una  capanna  di  foglie 
bene  chiusa  :  colà  ho  io  inteso  che  dimora  Rama  con 
Lacsmano  e  colla  consorte  Sita  in  un  ameno  romitaggio 
costrutto  in  luogo  solitario.  S1  awii  dunque,  o  Raghuide, 
il  tuo  esercito  cogli  elefanti  e  coi  cavalli  diritto  alla  plaga 
australe  per  la  via  che  tende  ad  Ostro.  Udendo  che  si 
dovea  partire,  le  donne  del  re  dei  re  scese  dalle  lor  let- 
tighe circondarono  il  Brahmano  degnissimo  d'onore. 
Causalya  tremante,  macilente  e  misera  strinse  i  piedi  di 
lui  colle  sue  mani  :  Caiceyi,  la  donna  vituperala  da  tutte 
le  genti  per  /'  insensato  suo  desiderio  che  pur  rimase  senza 
effetto,  strinse  ella  pure  piena  di  vergogna  i  piedi  alci 
Brahmano  :  Sumitra  giratasi  in  segno  ci  onore  intorno  al 
gran  Mimi  venerabile,  si  pose  confusa  e  mesta  accanto 
a  Bharata.  Allora  il  costante  ne'  suoi  voti  Bharadvàga 
cosi  interrogò  Bharata  :  Desidero  conoscer  da  te  di- 
stintamente  le  tre  tue  madri.  Così  richiesto  dal  saggio 
Bharadvàga,  Bharata  destro  al  favellare  rispose  con  atto 
reverente  :  Quella  pia,  simile  nel  sembiante  ad  una  Dea, 
che  tu  vedi,  o  venerando,  starsi  afflitta  innanzi  a  te,  colf 
animo  oppresso  dal  dolore  e  colla  faccia  lagrimosa,  colei 
è  Causalya,  la  qual  partorì  il  prestante  Rama  che  ha  por- 
tamento e  forza  di  leone,  come  Aditi  partorì  Brahma. 
Quella  mesta  che  si  tiene  avvinta  al  braccio  sinistro  di 
Causalya,  come  un  ramo  di  pterospermo  nudo  di  foglie 
in  una  selva,  da  colei  nacquero,  o  Brahmano,  i  due  gio- 
vani eroi  pari  a  due  Dei,  Lacsmano  e  Satrughno,  dotati 
amendue  di  vera  forza  :  tu  la  vedi  starsene  là  sconsolala 
in  vista  e  col  cuore  angosciato;  sappi  che  ella  è  Sumitra 


M  RAM AVANA 

madre  di  Lacsmano.  Conosci  or  quella  terza;  eli' è  naia 
madre,  la  crudele  e  vii  Caiceyi  cupida  d'impero,  mici- 
dial  del  suo  consorte,  rovina  della  nostra  stirpe  :  ecco  se 
ne  sta  là  quella  cruda  di  mente  maligna,  in  cui  io  veggo 
la  radice  della  grande  mia  sventura.  Cosi  parlando  quel 
generoso  con  voce  rotta  dal  pianto,  sospirava  irato  cogli 
occhi  accesi ,  come  un  elefante  fra  le  selve.  Ma  il  gran 
Risei  Bharadvàga  pien  di  senno  rispose  allora  con  parole 
acconce  a  Bharata  che  così  favellava  :  Non  si  dee  da  te , 
o  Bharata,  riprender  Caiceyi  di  quella  colpa;  perocché 
quest'  esilio  di  Rama  sarà  sorgente  di  prosperità.  Salutato 
allora  quell1  noni  perfetto ,  e  giratosi  intorno  a  lui  per  segno 
(l ossequio,  Bharata  convocò  l'esercito,  ed  ordinò  che  s'ap- 
prestassero i  carri;  e  tosto  giunti  i  cavalli  a  molti  carri 
guerniti  di  linissim'  oro,  vi  salì  sopra  molta  gente  desi- 
derosa di  partire.  Si  misero  quindi  in  via  1  guerrieri  che 
combattono  sopra  elefanti,  gli  elefanti  colle  lor bandiere 
e  collane  d'oro,  strepitanti  come  nubi  sul  finir  della  state; 
s'  avviarono  i  diversi  carri  leggeri  ed  ampi  e  di  gran  pre- 
gio, e  con  essi  i  fanti  a  piedi;  e  sul  più  nobile  de' carri  le 
donne  e  prima  fra  lor  Causalya,  desiderose  e  liete  di  ri- 
veder Rama.  S'avviò,  stando  sopra  una  bella  e  splendida 
lettiga,  lucente  come  sol  che  nasce,  il  saggio  Bharata  col 
suo  corteggio,  ed  a  lui  teneva  dietro  il  jDiode  Sumantro 
con  tutto  il  séguito,  colle  insegne,  cogli  ornamenti  e  colle 
macchine  da  guerra.  Quell'  esercito  mosso  ed  avviato  alla 
plaga  meridionale,  pieno  d'  elefanti  e  di  cavalli  somigliava 
ad  una  gran  nuvola  che  si  sollevi  ;  ed  oltrepassate  foreste 
abitate  da  belve  e  da  augelli,  traghettò  esso  quindi  la 
profonda  e  pescosa  riviera  Yamuna.  Immersosi  nella  gran 


VYODHYACANDA.  87 

selva,  spaventando  augelli  e  fiere,  risplendeva  l'esercito 
di  Bharata  co1  suoi  elefanti,  cavalli  e  guerrieri  esultanti. 


CAPITOLO   GII. 

VEDUTA    DEL     RECESSO    DI    RAMA. 

Sbaragliati  da  quella  grand' oste  che  marciava,  gli  ani- 
mali abitatori  della  selva  fuggirono  qua  e  là  a  schiere  coi 
loro  duci;  e  si  vedevano  d'ogni  parte  per  le  regioni  sil- 
vestri ,  su  pei  monti  e  per  li  fiumi  torme  di  cervi  e  d'  orsi 
urlanti.  Camminava  intanto,  per  desiderio  di  veder  Rama, 
\[  saggio  e  pio  Bharata  Dasaralhide  circondato  da' suoi 
forti  guerrieri ,  esperti  a  ferir  con  punte  di  saette  sibi- 
lanti; e  s'addentrò  nella  gran  selva  frequentata  da  fiere 
e  da  serpenti.  L'oste  che  lo  seguitava,  simile  ai  flutti 
dell'Oceano,  copriva  la  terra,  come  le  nuvole  il  cielo  alla 
slagion  delle  pioggie.  Chiuso  in  quella  region  selvosa  rimase 
1'  esercito  lungo  tempo  occulto  colle  sue  schiere  di  cavalli 
vaganti  e  d'elefanti  simili  a  monti.  Ma  progredito  per 
lungo  spazio  di  via  con  cavalli  indefessi,  così  parlò  il 
savio  Bharata  all'  ossequente  Satrughno  :  Tal  si  vede  qui 
l'aspetto  della  regione,  quale  io  l'udii  descrivere;  per  certo 
siam  noi  pervenuti  al  luogo  che  c'indicò  Bharadvàga  :  è 
quello  il  monte  Citraciìta;  è  quella  la  riviera  Mandàkini, 
ed  ecco  apparir  da  lungi  quella  selva  che  somiglia  ad  un 
ammasso  di  fosche  nuvole.  Gli  eccelsi  miei  elefanti  cal- 
pestano ora  gli  alti  piani  dilettevoli  del  monte  Citraciìta. 
sopra  i  quali  spandono  gli  alberi  fiori  d'  ogni  sorta,  come 
versan  acqua  le  scure  nuvole  sul  finir  della  calda  stagione. 


88  RAMAYANA. 

Si  veggon  qui  torme  di  iìere  correr  con  impelo  veloce, 
come  in  cielo  alla  stagione  autunnale  gruppi  di  nuvole 
sospinte  dal  vento.  Mira,  o  Satrughno  ,  il  monte,  i  cui 
recessi  son  frequentati  dai  Kinnari,  or  tutto  ingombrò 
da' miei  cavalli,  come  il  mar  dai  mostri  acquatici.  Ecco  i 
valenti  guerrieri  meridionali  coi  loro  scudi  chepaion  nubi 
farsi  intorno  al  capo  quasi  altrettanti  serti  di  fiori  odorosi. 
Coni1  era  silenziosa  questa  selva  d'  orribile  aspetto  !  tale 
or  mi  figuro  Ayodhya  colla  sua  calca  di  gente  mesta.  Vedi, 
o  Satrughno,  quella  polvere  che  sollevata  dall'unghie  de' 
cavalli  se  ne  sta  quasi  velando  il  cielo,  e  che  poi  disperde 
il  rapido  vento,  come  per  farmi  cosa  cara  :  vedi  que'  carri 
tratti  da  celeri  cavalli  e  guidali  da  cocchieri  eletti  tras- 
correr veloci  per  la  selva  :  mira  spaventati  dallo  strepito 
de' carri  que1  bellissimi  pavoni,  d'aspetto  sì  grazioso  che 
paiono  dipinti  di  fiori  ;  quelle  schiere  di  cervi  che  uniti 
colle  cerve  se  ne  van  per  la  foresta  ed  abitan  questo  monte , 
sede  degli  augelli.  Parmi  oltremodo  dilettosa  questa  re- 
gione; ella  è  senza  alcun  dubbio  la  stanza  d'austeri  asceti, 
simile  alla  via  celeste.  Or  qui  si  fermino  i  miei  guerrieri, 
e  tutta  cerchino  la  foresta;  si  faccia  in  modo  ch'io  ritrovi 
i  due  generosi  mìci  fratelli.  Udite  le  parole  di  Bharata, 
s' internarono  in  quella  regione  selvosa  guerrieri  armati 
di  saette,  e  videro  poco  stante  sollevarsi  un  fumo;  il  qual 
veduto,  così  ei  dissero  a  Bharata  lor  signore  :  V'ha  qui 
fuoco  che  pare  acceso  da  man  d' uomo  ;  per  certo  son  qui  i 
Raghuidi  ;  o  se  pure  non  son  qui  i  nobili  e  forti  figli  del  re , 
vi  saranno  altri  solitarj  asceti  conoscitori  di  queste  selve. 
Ciò  udendo  il  saggio  Bharata,  domator  delle  schiere  ne- 
miche,  così  disse   a   quei  guerrieri  :  Rimanete   voi    qui 


vyodhyac  \\D.\.  ,s<) 

fermi;  non  si  dee  da  voi  andai-  più  innanzi;  m'inoltrerò 
io  solo  con  Dhristi  e  con  Snmantro.  Cosi  detto,  si  mosse 
il  valoroso  Bharata,  dirizzando  lo  sguardo  colà  dove  ap- 
pariva il  fumo.  La  grand' oste  fermatasi  quivi,  guardando 
innanzi  a  se  il  fumo  che  usciva  dalla  selva,  tutta  si  ralle- 
grò per  la  speranza  di  ritrovare  il  diletto  Rama. 

CAPITOLO   CHI. 

DESCRIZIONE    DEL    MONTE     CITRACLTA. 

Dopo  aver  lungo  tempo  soggiornalo  ospite  diletto  su 
quel  monte ,  ragionando  care  cose  colla  Videhese  ed  os- 
servando l'animo  suo,  Rama  simile  ad  un  Immortale 
mostrava  allora  alla  sua  consorte  il  bel  monte  Citracùta, 
come  avrebbe  fatto  Indra  a  Saci  :  Contemplando,  o  Sita, 
questo  monte  dilettoso ,  più  non  m'  accuora  la  perdita  del 
regno,  né  la  separazione  dagli  amici.  Mira,  o  Sita,  questo 
monte  pieno  di  varie  qualità  d'augelli,  abbellito  da  ver- 
tici metalliferi  che  si  levan  quasi  infìno  al  cielo  :  fra  le 
alture  metallifere  di  questo  gran  monte  alcune  paiono 
d'argento,  altre  son  del  color  del  sangue,  altre  di  color 
tra  rosso  e  giallo,  e  alcune  sembrano  di  smeraldo;  queste 
han  sembianza  di  verdissime  bandiere,  quelle  risplendono 
come  oro  (51).  Adorno  d'ogni  sorta  d'alberi,  co' suoi  alti 
rispianati  abitati  da  schiere  di  scimie,  di  tigri  e  di  iene  è 
mirabile  questo  monte.  Ei  nutre  la  Prosperità,  ricco  qual 
egli  è  di  mangifere,  di  jambu,  di  pentaptere ,  di  sym- 
plochi,  di  buchananie,  di  grislee,  d'alangi,  di  averhoe, 
d' artocarpi,  d' egle,  di  diospyri,  di  bambù,  di  guidine, 
il.  12 


90  W  \M  AVANA. 

di  ,s;i|)in(li  ,  di  lapie,  di  bassie,  di  tile,  di  giuggioli,  di 
mirabolani,  di  cadambe,  di  canne,  di  sandali,  di  cedri 
e  d'altri  alberi  tutti  pieni  di  frutti  e  di  fiori,  ombriferi 
e  giocondi  ali1  animo.  Vedi,  o  nobil  donna,  quegli  accorti 
Kinnari  simili  a  Dei  diportarsi  a  coppia  a  coppia  sopra  i 
bei  rispianati  del  monte  :  mira  sospese  ai  rami  quelle 
spade  e  quelle  nobili  vesti,  mira  quegli  ameni  recessi 
dove  scherzano  insieme  le  donne  dei  Vidyàdhari.  Con 
([nelle  cascate,  con  que1  fessi,  con  que1  rivi  qua  e  là  scor- 
renti somiglia  questo  monte  a  un  grande  elefante,  altai- 
che per  calda  passione  gli  cola  umor  dalle  guance.  Qual 
noni  non  sarebbe  rallegrato  dalle  fragranze  de'  diversi 
fiori,  le  quali  muovono  da  quegli  antri  riposti,  gioconde 
all'odorato  e  soavissime?  Se  io  pur  dovessi  qui  rimanere 
parecchi  autunni  con  Lacsmano  e  con  te,  donna  incol- 
pabile, non  sentirci  l'arsura  del  dolore  :  perocché  è  con- 
lento ogni  mio  desiderio  sopra  queste  mirabili  e  belle 
alture  copiose  di  frutti  e  di  fiori,  piene  (fogni  sorta 
d'  augelli.  Per  questo  mio  esilio  nelle  selve  ho  io  acqui- 
stato due  gran  beni  ;  ho  sciolto  dal  vincolo  del  suo  debito 
il  padre,  ed  ho  latto  a  Bharata  cosa  cara.  Dimmi,  o  Sila, 
ti  diletti  tu  qui  con  me  sul  Citracùta,  osservando  i  varj 
oggetti  sì  confacenti  ali1  animo,  al  corpo,  alla  favella?  Qui 
abitando  frale  selve,  o  Sita,  altri  re  Sapienti  miei  ante- 
nati conseguirono  morendo  f  amrita.  Le  grandi  rocce  onci1 
è  tutto  sparso  questo  monte ,  splendono  in  varj  modi  di  co- 
lori diversi,  azzurro,  giallo,  bianco  e  rosso  fosco.  Si  veg- 
gono qui  a  mille  a  mille  piante  di  vario  colore,  risplendenti 
come  fiamme  vive  col  fulgor  della  loro  luce.  Alcune  re- 
gioni di  questo  monte  sembrano  case;  altre  son  confor- 


AYODHYACANDA.  9] 

male  a  modo  di  giardino,  ed  altre  si  compongono  d'un 
sol  masso;  e  il  Citracùta  colla  sua  vetta  elevala  pare  che 
fenda  il  cielo.  E  veramente  sede  beala  questo  Citracùta 
dai  bei  vertici,  abitato  dai  Genj  (ìuhyaci!  Mira  que' strati 
ornali  di  bei  costi,  di  ninfee,  di  mimusopi,  di  bhurga- 
patri,  sparsi  di  morbidi  fior  di  loto,  ed  appareccbiah 
per  gli  amanti  :  vedi,  o  donna,  quelle  ghirlande  di  ne- 
lumbi rigettate  dagli  amanti  e  calpestate;  mira  per  tutto 
frutti  d'ogni  sorta.  Più  assai  che  il  lago  divino  Vasvauka- 
sàra  ( L>2) ,  più  ancor  che  gli  Uttarakuru  è  questo  monte 
Citracùta  copioso  d' acque,  di  frutti  e  di  radici.  Dipor- 
tandomi qui  con  te,  o  leggiadra,  e  con  Lacsmano  durante 
questo  tempo,  avrò  io  dolce  diletto,  e  intanto  adempirò 
il  dovere  che  s'addice  alla  mia  stirpe,  stando  nel  cammin 
dei  buoni  e  mantenendo  la  mia  promessa. 

CAPITOLO  Cl\. 

DESCRIZIONE    DELLA     MANDARINI    (GANGE 

Ma  venuto  intanto  fuor  di  quel  monte,  Rama  dagli 
occhi  di  loto,  signor  dei  Cosali,  mostrò  alla  Mithilese 
l'amena  riviera  Mandàkini  dalle  pure  acque,  e  così  parlò 
alla  leggiadra  figlia  del  re  di  Videha  ,  il  cui  volto  pareggia 
di  beltà  la  luna  :  Mira  la  bella  riviera  Mandàkini  sparsa 
qua  e  là  d'isolette,  piena  di  cigni  e  di  grue,  coperta  di 
bianchi  fior  di  loto  e  di  cerulee  ninfee,  intorniata  d'  al- 
beri diversi  copiosi  di  fiori  e  di  frutti,  risplendente  in 
ogni  parte  come  il  lago  divino  di  Cuvera.  Mi  porgono  di- 
tello que' bellissimi  lavacri,  dove  si  dissetano  ora  schiere 


92  RAMAYANA. 

di  belve  che  ne  intorbidano  le  acque.  Ecco  Torà  in  cui 
s'immergono  nel  fiume  que' Risei  perfettissimi  vestili  di 
nebridi  e  di  corteccie,  colla  chioma  ravvolta  a  modo 
ascetico;  que' santi  saggi  fedeli  ai  loro  voti  colle  braccia 
sollevate  in  atto  pio,  e  con  voce  soa\e  \enerano  or;i  de- 
votamente il  sole.  Mira  quegli  alberi  protesi  quasi  sul 
monte,  e  le  cui  cime  scosse  dal  vento  copron  la  terra 
con  una  pioggia  di  fiori  :  vedi ,  o  donna  dai  begli  occhi , 
agitati  e  dispersi  dal  vento  que1  nembi  di  fiori  ed  altri 
andar  fluttuando  sovra  l'acqua.  Mira  la  riviera  Mandakini 
qui  colle  sue  acque  nitide  come  gemme,  là  seminata 
d' isolette ,  e  in  altro  luogo  tutta  sparsa  di  villaggi  :  ecco 
volar  quelle  anase,  di  cui  è  sì  soave  il  canto,  empiendo 
l'aria  di  dolci  note;  niuna  cosa,  io  credo,  v'ha  nel  sog- 
giorno della  città,  che  superi  la  vista  del  Citracùta  e  della 
Mandakini  e  l'aspetto  di  te,  o  gentile.  Immergiti  con  me, 
o  Sita,  nella  Mandakini,  le  cui  acque  son  di  continuo  agi- 
late  dai  Mimi,  ardenti  come  il  fuoco  del  sacrifizio,  ricchi 
d'ascetismo  e  di  continenza;  immergiti  a  guisa  d'amica 
nella  riviera  che  sempre  volve  chiare  acque,  e  le  cui  onde 
paiono  ornarla  come  smaniglie.  Reputa,  o  donna,  questo 
monte  co' suoi  alberi  come  Ayodhya  co' suoi  abitatori,  e 
questa  riviera  come  pur  fosse  la  Sarayu.  Il  pio  Lacsmano 
pronto  ad  eseguire  ogni  mio  volere,  e  tu,  o  Videhese, 
che  mi  sei  sì  ossequente,  rallegrate  qui  entrambi  l'animo 
mio.  Immergiti,  o  donna,  in  questo  bel  fiume,  cogliendo 
colle  tue  mani,  delicate  come  foglie  di  loto,  fiori  di  nin- 
fee  e  bevendo  di  quesf  acque.  Facendo  qui  ogni  dì  con 
te  le  tre  abluzioni,  nutrendomi  nella  selva  di  frutti  e  di 
radici,  io  più  non  desidero  Avodhya  né  l'impero.  Con- 


AYODHYACANDA.  93 

templando  questa  bella  riviera  agitata  da  stormi  di  belve, 
ove  accorrono  a  dissetarsi  elefanti,  leoni  e  scimie,  e 
adorna  su  le  sue  rive  d'alberi  fiorenti,  non  v'  ba  chi  non 
deponga  ogni  sua  pena.  Così  parlando  colla  sua  diletta 
lunghe  e  dolci  parole  sopra  quella  riviera,  Rama  onor 
della  stirpe  di  Raglili  peragrava  il  bel  monte  Citracùta. 

CAPITOLO  CV. 

IL    TELO    LANCIATO. 

Coni'  ebbe  Rama  mostrato  alla  figlia  di  Ganaca  la  bella 
riviera  e  il  monte  Citracùta ,  se  ne  ritornava  addietro.  Ei 
vide  nella  parte  settentrionale  appiè  del  monte  un  amena 
spelonca  sparsa  di  rocce  e  di  metalli,  chiusa  d'alberi 
soavemente  tremolanti  ed  incurvati  sotto  il  peso  de'  lor 
fiori,  secreta,  sol  frequentata  da  schiere  di  lieti  augelli. 
\  cduto  quello  speco  dilettoso  alla  vista  e  all'  animo 
d'ogni  creatura,  cosi  parlò  Rama  a  Sita  maravigliata  all' 
aspetto  di  quelle  selve  :  Dimmi,  o  Videhese,  si  rallegra 
egli  il  tuo  occhio  nella  veduta  di  quello  speco?  or  via 
sediamoci  qui  alquanto  per  cessare  la  stanchezza  ;  ei  pare 
disposto  per  te  qui  dinanzi  quel  seggio  di  rocce,  accanto 
a  cui  sta  queir  albero  di  mimusope ,  che  sembra  spandere 
una  pioggia  di  fiori.  Udito  il  parlar  di  Rama,  Sita  gentile 
per  natura  rispose  con  voce  soavissima  queste  parole 
piene  d'amore  :  A  me  si  conviene,  o  Raghuide,  confor- 
marmi in  tutto  ai  tuoi  detti;  ben  mi  pare  esser  qui  per 
diletto  delle  creature  quelf  albero  che  io  veggo  tutto 
pieno  di  fiori.  Intesi  que'  detti,  s' assise  Rama  colla  sua 


94  B  VMAYANA. 

consorte  su  quel  seggio  eli  rocce,  e  così  parlò  a  Sila  dai 
grand'  occhi  :  Mira  quegli  alberi  rotti  dal  dente  degli  ele- 
fanti spander,  lagrimando,  gomme  dalle  lor  rotture;  odi 
d'ogni  intorno  pianger  quasi  con  lungo  canto  i  grilli; 
quell'augello  amante  di  sua  prole  parche  gridi  con  pietoso 
e  dolce  suono  :  oh  figlio!  oh  figlio!  come  un  dì  Iacea  mia 
madie  :  queir  altro  augello  che  s'appella  lanio,  posalo 
sopra  il  tronco  d'  un  albero,  facendo  quasi  un  concento 
di  voce,  risponde  al  canto  di  quel  cokilo  ;  credo  che 
quell'  augello  sia  il  drudo  di  quello  stormo  di  cokili  ; 
perocché  va  gridando  :  unitevi  dolcemente!  discioglie- 
tevi (53)  !  Quella  pianta  strisciante  che  incurvata  dal  peso 
de' suoi  fiori,  s'avviticchia  a  quell'albero  fiorente,  somi- 
glia a  te,  o  donna,  allor  che  vinta  dalla  stanchezza  li 
strinai  a  me  fortemente.  Mentre  Rama  così  favellava  alla 
leggiadra  Milhilese  dal  parlar  soave,  che  gli  sedeva  in 
grembo,  ella  si  raccolse  più  strettamente  a  lui,  e  convol- 
gendosi nel  suo  grembo,  rallegrava  il  cuor  del  suo  sposo 
quella  donna  d'amabile  volto,  pan  alla  figlia  d'una  Dea. 
Allora  Rama  fregando  il  dito  sopra  un  nitido  masso  d'  ar- 
senico rosso,  impresse  sulla  fronte  della  sua  consorte  un 
segno  risplendente;  colla  fronte  segnata  da  quel  metallo 
di  color  simile  al  sol  che  spunta,  Sita  rassomigliava  alla 
nascente  aurora  :  quindi  il  Raghuide  premendo  colla  sua 
mano  alcuni  fiori  del  mimusope,  ne  empiè  tutto  gioioso 
le  trecce  della  Mithilese.  Preso  così  diletto  in  quello  speco, 
il  Raghuide  seguitato  da  Sita  s' indirizzò  verso  un  altra 
parte;  ma  mentrechè  peragrava  la  foresta  piena  di  belve, 
Sita  vide  un  grande  scimio  duce  di  schiera,  e  per  paura 
ella  si  strinse  a  Rama;  e  Rama  dalle  forti  braccia  strin- 


AYODHYACANDA.  95 

gendo  a  se  quella  donna  dai  bei  lombi,  che  ancor  tre- 
mava nel  suo  amplesso,  la  rassicurò  minacciando  il  sci- 
mio.  Fn  quella  il  segno  d'arsenico  che  era  sulla  fronte  di 
Sita,  apparve  improntato  sul  volto  di  Rama  dal  largo 
petto.  Allontanatosi  poi  quel  grande  scimio,  rise  Sila 
veggendo  appiccato  al  suo  sposo  quel  segno  d'arsenico 
rosso.  Poco  lungi  di  là  la  Videhese  vide  in  quella  selva 
dilettosa  un  boschetto  d' asoki,  che  pareva  acceso  dal 
color  di  que fiori;  e  come  il  vide,  presa  da  vaghezza  di 
que' fiori  d' asoka,  così  disse  a  Rama  :  Orsù  andiamo 
verso  quel  bosco,  o  figlio  d' Fcsvacu;  e  Rama  per  far 
cosa  grata  a  quella  donna  di  beltà  divina  n'  andò  lieto 
con  lei  a  quel  bosco  d'  asoki  ;  e  tutto  lo  percorse  colla 
sua  sposa,  come  percorre  i  boschi  dell'  Hi  mala  va  Siva 
colla  figlia  del  monte  (Urna).  Quei  due  amanti  col  volto 
di  color  di  porpora  s'  ornarono  quivi  scambievolmente 
di  fiori  d'  asoka  pieni  di  gemme  ;  e  colle  silvestri  loro 
ghirlande  annodate,  coi  loro  serti,  colle  loro  anella  pen- 
denti alle  orecchie  que' due  sposi  abbellivano  mirabil- 
mente (piel  monte.  Poich'  ebbe  Rama  cosi  mostrato  alla 
sua  sposa  varj  siti  di  quella  regione,  se  ne  ritornò  al 
pulito  e  adorno  suo  romitaggio.  Se  gli  fece  sollecito  in- 
contro il  devoto  Lacsmano,  e  gli  mostrò  le  varie  bisogne 
che  egli  avea  fatte  in  quel  mentre;  dieci  nere  antilope 
atte  al  sacrifizio  uccise  colà  dalle  acute  sue  saette,  alcune 
ridotte  in  pezzi,  altre  diseccate,  altre  crude,  altre  già 
cotte.  Veduta  tutta  quell'opera  del  Saumitride,  si  mostrò 
contento  Rama,  e  impose  a  Sita  d'apprestare  le  sacre 
oblazioni.  La  leggiadra  Sita,  offerti  dapprima  alimenti  a 
tutte  le  viventi  creature,  mise  poscia  dinanzi  ai  due  fra- 


90  RAMAYAN  \. 

felli  miele  e  carni  apparecchiate;  e  come  (mono  satollati 
e  purificatisi  que'due  eroi,  si  nutrì  allora  conforme  alf 
uso  la  figlia  di  Ganaca;  e  quel  che  rimase  delle  carni  ta- 
gliate ed  ammannite  perla  diseccazione ,  Sila  per  ordine 
di  Rama  il  pose  in  serbo  per  le  cornici.  Ma  Rama  vide 
allora  la  sua  sposa  fieramente  molestata  da  una  cornice, 
che  vagava  per  1'  aria  a  suo  talento,  e  lalor  correa  per  le 
creste  del  monte.  Sorrise  Rama,  veggendo  la  leggiadra 
Sita  travagliata  da  quella  cornice  e  in  grande  affanno  ;  ed 
ella  s'indispettiva  superba  dell1  amor  del  suo  sposo.  Ma 
dopo  aver  respinto  più  e  più  volte  or  dall' una  parte,  ora 
dall'  altra  la  cornice ,  e  questa  ognor  più  percuotendola 
or  colf  ali,  or  col  becco,  or  cogli  artigli,  si  corruccio  la 
Videhesc.  Rama  veggendo  allora  le  sue  labbra  tremanti 
per  isdegno  e  il  suo  volto  corrugato  dall'  aggrottar  delle 
ciglia,  respinse  la  cornice.  Ma  l'augello  baldanzoso  ed 
arrogante,  non  avendo  riguardo  a  Rama,  tornava  pur 
nondimeno  volando  a  Sita;  allor  s'accese  di  sdegno  il 
forte  Rama;  ed  incoccato  un  telo  arcano  (5/i)  e  dirizzato 
quel  telo  contro  la  cornice,  lo  scagliò  quel  valoroso.  As- 
salita da  quel  telo  si  mise  la  cornice,  cui  era  stata  concessa 
dagli  Dei  tal  grazia,  a  circuire  i  tre  mondi  rapida  e  sor- 
volando fra  le  vette  de' monti  :  ma  dovunque  ella  andava, 
da  per  tutto  vedeva  l'etere,  come  fosse  pieno  di  teli; 
ond'  ella  ritornò  a  Rama ,  e  si  prosternò  col  capo  a  terra 
ai  piedi  di  lui,  e  presa,  veggente  Sita,  umana  voce,  così 
disse  :  Abbi  di  me  pietà,  o  Rama;  e  sia  salva  la  mia  vita; 
io  non  trovo  rifugio  in  alcun  luogo  dalla  forza  sovrumana 
di  questo  telo,  Alla  cornice  che  stava  col  capo  a' suoi 
piedi ,  rispose  Rama  per  compassione  queste  veraci  pa- 


AYODHYACANDA.  97 

iole  :  Vinto  dallo  sdegno,  e  per  far  cosa  cara  a  Sita  io 
ho  incantato  per  la  tua  morte  ed  incoccato  questo  telo  : 
ma  poiché  per  desiderio  della  vita  tu  sei  venuto  a  proster- 
narli ai  miei  piedi,  io  avrò  a  te  benigno  riguardo;  peroc- 
ché si  dee  proteggere  il  supplice;  ma  questo  telo  dehhe 
pur  avere  il  suo  e  fletto,  onde  abbandonami  un  membro 
del  tuo  corpo;  dimmi  qual  tuo  membro  debba  ferire 
questo  telo;  di  ciò  solo  io  posso  compiacerti,  o  augello; 
vivi  privato  d'un  membro;  che  la  vita  è  pur  migliore 
della  morte.  Udite  quelle  parole  di  Rama,  l'accorto  au- 
gello pensando  fra  se ,  giudicò  per  lo  suo  migliore  di  due 
occhi  abbandonarne  uno,  e  disse  a  Rama  :  Io  abbandono 
un  occhio,  e  vivrò  con  un  occhio  solo  per  tuo  favore, 
o  re.  Il  telo  allora  per  ordine  di  Rama  recise  un  occhio 
della  cornice;  e  rimase  stupefatta  la  Videhese  al  veder 
percosso  l'occhio  dell'augello.  Inchinatosi  dinanzi  a  Rama, 
se  n'andò  quindi  libera  e  rapida  la  cornice,  e  Rama  in- 
sieme con  Lacsmano  diessi  poscia  ad  attendere  all'  opere 
sue  (55). 

CAPITOLO    CVI. 

SDEGNO  DI  LACSMANO. 

Ma  stando  colà  Rama  ed  inoltrandosi  Rharata,  s'udì 
improvvisamente  l'alto  fragore  del  grande  esercito.  Ri- 
scosse da  quel  gran  frastuono  che  ognor  vie  più  crescea, 
le  tigri  abbandonarono  le  spelonche,  si  nascosero  gli  abi- 
tatori della  selva  ;  fuggiron  volando  gli  augelli  spaventati , 
si  diedero  a  correre  le  schiere  de' cervi,  gli  orsi  lasciaron 


98  li  Wl  ^  \NA. 

gli  alberi,  si  rifuggirono  aegli  antri  i  scimi;  gli  elefanti 
coi  loro  duci  andavan  fuggendo  impaurili,  come  allor 
che  il  fuoco  arde  le  selve,  aprivan  con  largo  iato  la  bocca 
i  fieri  leoni,  guardavano  attoniti  i  bufali,  s'addentravano 
nelle  caverne  i  serpi;  i  Brahmani  asceti  mormoravan 
parole  di  salvezza,  fuggivano  i  Vidyadhari,  ricoveravano 
negli  spechi  i  Cinnari.  Ma  Lacsmano  avvicinatosi  al  luogo 
onde  veniva  quello  strepilo,  annunziò  a  Rama  :  E  il  fragor 
d'un  esercito  che  s'appressa.  A  lui  rispose  Rama  imper- 
turbato :  Nobil  figlio  di  Sumitra,  rimbomba  altamente 
la  terra;  fa  di  saper  con  certezza  che  ciò  sia.  Salito 
prestamente  sopra  un  albero  tutto  fiorito,  Lacsmano  si 
diede  a  riguardare  f  una  dopo  l'altra  le  regioni,  e  lei  ino 
il  suo  sguardo  sopra  la  plaga  orientale;  ma  rivolta  la 
faccia  a  settentrione  ed  osservando  intento,  ei  vide  il 
grande  esercito  pieno  d' elefanti,  di  cavalli  e  di  carri, 
protetto  da  strenui  pedoni.  Il  prestante  Lacsmano  sper- 
ditor  degli  eroi  nemici  significò  a  Rama  che  foste 
s'inoltrava,  e  cosi  gli  disse  :  Cessa  dal  dilettarti,  o  gene- 
roso; entri  Sita  in  uno  speco,  e  tu  incorda  due  archi  e 
indossa  l'armadura.  Sentendo  Rama  esser  quelf  esercito 
pieno  d'elefanti,  di  cavalli  e  di  carri,  interrogò  il  Saumi- 
tride  :  Di  chi  credi  tu  esser  quell'oste  che  qui  viene? 
credi  tu  che  sia  qualche  re,  o  qualche  figlio  di  re,  che 
venga  a  caccia  in  questa  selva ^  dimmi  schiettamente,  o 
Lacsmano,  quel  che  pensi.  Così  interrogato  da  Rama, 
rispose  Lacsmano  ardente  d' ira  e  acceso  come  fuoco  : 
È  colui  certamente  il  tuo  rivale  Bharata  figliuol  di  Gai- 
ceyi,  il  (piale  fattosi  consacrar  re,  or  qui  ne  viene  per 
cupidità    d'impero    ad    uccidere  noi    due.    Ecco   apparir 


VYODrH  \C  \\l)\.  99 

rospicuo   sopra    il    dosso    di   queir  elefante  quel  grand1 
albero  ramoso  e  di  grosso  tronco,  come  pur  fosse  il  ves- 
sillo di  bauhinia.  Si  muovono  a  lor  voglia  que' celeri  ea- 
valli nati  in  Vanàyu;  e  que' guerrieri  son  tutti  colf  arco  in 
mano;  tienti  pronto  in  armi,  o  valoroso;  oppur  ti  ripara 
eolla  consorte   in  una   caverna  di  questo  monte.  È  colai 
per  cerio  Bharata  qui  venuto  eoi  vessillo  di  bauhinia  per 
ucciderci   in  battaglia;  si  veggon  baldanzosi   sopra  i   lor 
eavalli  i  cavalieri;  tu  sei  circonvenuto  da  ogni  parte,  o 
Rama;  riparali  sul  monte.  Possa  io  pure  veder  oggi  quel 
Bharata,   per   causa  di  cui  tu  sei,  o  Raghuide,  caduto 
con  me  in  questo  grande  infortunio.  É  pur  giunto  alla 
gittata  delle  mie  saette  quel  tuo  crudel  nemico,  per  cui 
cagione  tu  fosti  escluso  dall' immortai  tuo  regno.  Né  io 
veggo  colpa  alcuna  nel  dar  morte  a  Bharata;  ucciso  oggi 
costui,  reggi  tu  questa  terra.  Vegga  oggi  con  suo  dolore 
Caiceyi  avida  di    regnare  ucciso  in  battaglia  suo  lìglio, 
come  un  albero  rotto  da  un  elefante;  e  ucciderò  Caiceyi 
stessa  co  suoi  amici,  co  suoi  complici;  sia  oggi  purgata 
la  terra  d'  un  gran  reato.  Scaglierò  oggi  sopra  quei  guer- 
rieri l'ira  contenuta  che  mi  pesa,  come  s'appicca  il  fuoco 
ad  aridi  legni.  Colle  acute  mie  saette  farò  0£-m  insangui- 
nata  dai  corpi  de' nemici  laceri  questa  selva  del  Citracùta. 
Siano  trascinati  dalle  belve  rapaci  gli  elefanti  ed  i  cavalli 
squarciati  al  cuore  dalle  mie  frecce,  e  gli  uomini  da  me 
spenti.  Sconiitto  oggi  in  battaglia  Bharata  col  suo  eser- 
cito, sarò  io  senza  alcun  dubbio  sciolto  d' ogni  mio  obbligo 
col  mio  arco  e  colle  mie  saette.  Vedrai  oggi,  o  signor 
degli  uomini,  quell'esercito  di   Bharata  co' suoi  elefanti 
e  cavalli   abbattuti,  svelle  le   ruote  dai  cani,  disfatte  le 


100  RAMAYANA. 

membra  degli  uomini,  e  ferito  dalle  mie  saette,  bagnato 
nel  suo  sangue  giacer  pasto  de1  lupi,  degli  augelli  e  delle 
fiere. 

CAPITOLO  CVII. 

LA     DISCESA     DALL'  ALBEKO. 

Ma  Rama  imperturbato  si  diede  a  mitigare  il  Saumi  - 
tride  Lacsmano  agitato  dall'  ira,  e  così  gli  disse  :  Quando 
mai  ti  fu  per  l' addietro  fatta  da  Bharata  cosa  discara? 
quale  offesa  ricevesti  da  lui,  per  la  qual  tu  desideri  la  sua 
morte?  che  bisogno  or  v'ha  d'arco,  di  spada  o  di  scudo 
per  esser  qui  venuto  il  saggio  Bharata  grande  arciero? 
avuta  indicazion  del  tempo  e  del  luogo,  egli  qui  venne 
per  desiderio  di  vederci;  ma  ei  non  s'indurrebbe  giam- 
mai a  farci  oltraggio  neppur  col  pensiero.  Tu  non  dei 
dire  a  Bharata  parole  spiacenti  od  ingiuriose;  perocché 
io  avrei  come  detta  a  me  stesso  ogni  spiacevole  parola 
detta  a  Bharata.  Quando  mai  un  figlio,  in  qualunque  in- 
fortunio ei  si  trovi ,  potrebb'  egli  uccidere  il  padre,  ovvero 
il  fratello  uccidere  il  fratello  che  gli  è  caro?  Se  tu  così 
parli  per  cagion  del  regno ,  io  dirò  veggendo  Bharata  : 
Dona  a  costui  l'impero;  che  per  certo,  o  Lacsmano,  se 
Bharata  venisse  da  me  richiesto  di  darti  il  regno,  rispon- 
derebbe :  così  pur  sia.  Mentre  così  parlava  quell'  uom 
verace  e  pio,  Lacsmano  si  ristrinse  tutto  in  se  stesso  per 
vergogna  ;  e  udite  quelle  parole ,  così  ei  rispose  ver- 
gognando :  Or  credo,  come  tu  dici,  che  il  fratello  Bha- 
rata  sia   qui  venuto   per  vederti.   Scorgendo   Lacsmano 


AYODHYACANDA.  101 

vergognoso ,  così  prese  Rama  a  dire  :  Senza  dubbio  queh" 
uom  forte  qui  ne  viene  a  visitarci,  ovver  pensando  al 
duro  soggiorno  delle  selve,  ei  qui  venne  per  ricondurre 
a  casa  la  Videhese  stata  finor  blandita  con  ogni  sorta  di 
delizie.  Ecco  si  scorgono  dinanzi  i  due  cavalli  del  re, 
nati  di  nobile  stirpe,  forti,  fieri,  rapidi  come  il  vento, 
e  torreggia  col  suo  gran  corpo  in  fronte  dell'esercito  il 
grande  elefante  di  mio  padre,  che  s'appella  Satrungaya. 
Così  parlando  Piama  col  Saumitride,  osservava  insieme 
con  Sita  quell'  oste  baldanzosa  :  intanto  il  forte  Lacsmano 
disceso  dalla  vetta  dell'  albero  ed  accostatosi  pien  di  ver- 
gogna a  Rama,  se  ne  stava  col  capo  dimesso.  Ma  l'eser- 
cito avuto  ordine  da  Bharata  di  non  far  colà  alcun  guasto , 
si  diede  a  preparar  gli  alloggiamenti  all'  intorno  di  quella 
regione.  Quell'  oste  degli  Icsvacuidi  piena  di  cavalli  e 
d'  elefanti  stanziò  condensata  nella  foresta  lungi  dal  monte 
poco  più  d' un  mezzo  vogano  ;  ed  allogato  1'  esercito ,  il 
nobile  Bharata  devoto  al  suo  fratello  s'avviò  a  piedi  a 
visitare  il  Cacutsthide.  Era  bella  a  vedersi  quell'oste, 
che  il  prode  Bharata,  lasciata  ogni  alterezza  ed  antepo- 
nendo a  ogni  altra  cosa  il  suo  dovere,  condusse  sul  Ci- 
tracùta  a  propiziare  il  suo  maggior  fratello. 

CAPITOLO  CVIII. 

INCONTRO    DI    BHARATA    CON    RAMA. 

Stanziato  l'esercito,  l'eccelso  Bharata  insieme  con 
Satrughno  andava  con  gran  desiderio  cercando  di  veder 
Rama;  ed  imposto  al  Risei  Vasistha  di  menar  colà  tosto 


102  RAMAYANA. 

le  sue  madri,  camminava  .sollecito  innanzi  queir  noni 
devoto  ai  suoi  maggiori.  Sumantro  seguitava  Satrughno 
con  pronta  sollecitudine;  ed  era  eguale  in  lui  ed  in 
Bharata  la  gioia  di  riveder  Rama.  Andava  Bharata  do- 
mandando gii  asceti  che  colà  dimoravano,  e  vedeva  per 
quella  selva  apparecchiati  grandi  cumuli  di  cervi,  di  bu- 
fali e  di  bovina  secca  per  servigio  del  sacro  fuoco.  E  pur 
sempre  andando  oltre,  qu eli1  uomo  illustre  e  forte  cosi 
parlava  ai  ministri  che  un  di  onorava  suo  padre  :  Penso 
che  noi  siam  giunti  a  quella  regione  che  e'  indicò  Bha- 
radvàga  e  non  esser  molto  lungi  di  qui  la  riviera  Mandà- 
kini.  Ei  furon,  non  v'ha  dubbio,  ratinati  da  Lacsmano 
que1  frutti,  ammassati  que1  fiori,  spezzate  quelle  legna, 
ravvolte  quelle  radici,  sospese  in  alto  quelle  vesti.  Questa 
via  è  tutta  distinta  di  segni,  che  lor  sono  come  indizj , 
quand'  ei  tornan  la  sera  al  romitaggio.  Qui  dallato  al 
monte  è  la  via  calcata  dagli  impetuosi  elefanti  dai  bian- 
chi denti,  che  s' appellali  F  un  l'altro  con  barriti.  Si 
scorge  là  il  denso  fumo  del  fuoco  che  a  man  gii  asceti 
mantener  di  continuo  pur  fra  le  selve.  Io  vedrò  pur  oggi 
il  Cacutsthide  generoso,  d'aspetto  simile  ad  un  gran 
Risei,  che  qui  adempie  il  comando  del  padre.  Ma  dopo 
aver  per  qualche  tempo  percorso  in  ogni  parte  il  Citra- 
cùta ,  giunto  alla  Mandàkini,  così  parlò  Bharata  alla  sua 
gente  :  Quell'  uom  sovra  ogni  altro  eccelso  sen  giace  qui 
sulla  terra  all'aria  aperta;  quel  sovrano  degli  uomini  è 
venuto  ad  abitar  fra  le  deserte  selve  !  sia  maledetta  la  mia 
nascita  e  la  mia  vita!  caduto  per  cagion  mia  in  infortunio, 
il  Raghuide  pari  ad  un  Custode  del  mondo,  lasciata  ogni 
delizia,   dimora  or  sottomesso  in   una  selva  :  ma  io  mi 


AYODHYACANDA.  103 

getterò  iteratamente  ai  piedi  di  quell'ottimo  fra  gli  uo- 
mini, propiziandolo,  e  di  Sila.  Mentre  il  Dasarathide 
andava  cosi  lamentando  fra  la  selva,  vide  una  bella  e 
grande  capanna  di  foglie,  dilettevole  all'aspetto,  spa- 
ziosa ed  alta,  ricoperta  con  molte  fiondi  di  shorea,  di 
palma  e  d'asvacarno,  come  si  copre  con  poe  cynosuroidi 
l'ara  del  sacrifizio.  Ella  era  ornata  di  due  grand' archi , 
simili  all'arco  d'Indra,  col  dosso  aurato,  che  la  proteg- 
gevano come  due  serpenti;  era  guernita  di  saette  chiuse 
nelle  lor  faretre,  terribili,  lucenti  come  i  raggi  del  sole, 
qual  è  protetta  Bhogavati  (5e>)  da  serpenti  con  facce  info- 
cate ;  era  adorna  di  due  grandi  spade  con  argentee 
guaine,  di  due  scudi  chiazzati  d'oro  e  di  fascie  di  cuoio 
per  difender  le  dita  e  il  braccio  dai  colpi  dell'arco,  belle, 
ornate  d'oro  e  colà  affisse;  era  insuperabile  ad  ogni 
schiera  di  nemici ,  com'  è  inaccessibile  ai  cervi  la  caverna 
del  leone.  Colà  in  quella  abitazion  di  Rama  vide  Bharata 
una  beli'  ara  con  sopravi  fuoco  acceso ,  posta  in  un  sito 
che  era  declive  verso  borea  ed  oriente;  e  riguardando 
alquanto  fiso,  egli  scorse  seduto  in  quella  capanna  il  fra- 
tello Rama  vestito  di  corteccie  e  colla  chioma  ravvolta 
a  modo  ascetico,  seduto  con  Lacsmano  e  con  Sita  quel 
Rama  che  ha  omeri  di  leone,  lunghe  braccia,  occhi  si- 
mili a  fior  di  loto,  che  è  atto  a  proteggere  la  terra  cinta 
dal  mare,  che  è  costante  nella  giustizia,  magnanimo, 
prestante,  immortale  come  Brahma.  Tosto  che  vide  il 
fratello,  l'illustre  e  pio  Bharata  corse  alla  sua  volta  op- 
presso dall'affanno  e  dal  dolore,  e  contemplandolo  si 
diede  a  lamentar  con  llebil  voce,  non  potendo  mantener 
la  sua  fermezza,  e  cosi  disse  :  Colui  che  era  un  di  tutto 


104  RAMAYANA. 

cinto  da  carri,  da  cavalli  e  da  elefanti,  colui  che  non  si 
poteva  veder  dagli  uomini  affollati  1' un  sopra  l'altro,  il 
mio  fratello  primogenito  se  ne  sta  ora  qui  circondato  da 
fiere  selvagge.  Quegli  che  accumulò  già  grandi  meriti 
con  sacrifìzj  ben  ordinati,  cerca  ora  d'acquistar  nuovo 
merito  con  pene  corporali.  Come  è  or  qui  sordidato  il 
corpo  di  quel!'  noni  prestante ,  che  soleva  un  dì  lisciarsi 
con  sandalo  prezioso!  colui  che  soprabbondava  un  dì  di 
vesti,  giace  or  qui  sulla  nuda  terra  vestito  di  nebride  : 
come  mai  quegli  che  usava  portar  splendidi  serti  e  fiori 
d'ogni  maniera,  sopporta  ora  il  peso  della  chioma  rav- 
volta? per  cagion  mia  cadde  in  tale  sventura  Rama  degno 
di  prospera  sorte.  Onta  a  me  crudele!  onta  al  viver  mio 
vituperato  dalle  genti!  Così  lamentando  afflitto,  col  bel 
volto  sparso  di  sudore,  Bharata  accostatosi  a  Rama  cadde 
piangendo  a'  suoi  piedi;  e  cruciato  dal  suo  dolore  e  mesto 
quel  forte  figlio  di  re,  poich'ebbe  detto  pur  una  volta  : 
Oh  mio  signore!  più  non  disse;  che  proferite  quelle  pa- 
role, guardando  egli  l'inclito  Rama  e  le  lagrime  soffo- 
candogli la  gola,  più  non  potè  favellare.  Satrughno  pur 
piangendo,  venerò  i  piedi  di  Rama;  ed  abbracciando  i 
due  suoi  fratelli  versava  lagrime  pur  Rama.  Così  con  Su- 
mantro  convennero  insieme  nella  selva  i  figli  del  re,  come 
fanno  in  cielo  la  Luna,  il  Sole,  Sukra  e  Vrihaspati  (57) ; 
ed  1  silvestri  abitatori  veggendo  là  convenuti  in  quella 
gran  selva  que'  principi  simili  ad  elefanti ,  tutti  quivi 
accoltisi  e  tocchi  da  pietà  si  diedero  pur  essi  a  pian- 
gere. 


AYODHYACANDA.  105 


CAPITOLO    CIX. 


domwdi-:. 


Ma  Rama,  poich'  ebbe  abbracciato  e  baciato  Bharata 
sul  capo,  fattolo  seder  sul  suo  grembo,  così  l'interrogò 
sollecito  :  Dov'era,  o  caro,  tuo  padre,  allor  che  tu  ve- 
nisti nelle  selve?  che  vivendo  in  Ayodhya  il  padre,  non 
si  conveniva  a  te  qui  avviarti.  Oh  dopo  lungo  tempo  ti 
riveggo  ,  o  Bharata ,  venuto  da  lungi  in  questa  selva 
inopportuno  !  perchè  venisti ,  o  caro  ,  in  questa  selva  ? 
Dimmi,  è  egli  prospero  il  re  Dasaratha  fedele  alle  sue 
promesse,  ordinator  di  sacrifìcj  Ràgasùyi  e  d'Asvame- 
dhi  (58) ,  conoscitor  del  giusto  e  del  vero  ?  è  egli  onorato, 
qual  si  conviene,  il  saggio  Brahmano  sacro  maestro  degli 
Icsvacuidi,  pio  e  costante  ne'  suoi  doveri?  è  ella  pro- 
spera, o  caro,  Causalya  e  l1  inclita  Sumitra?  è  ella  lieta  la 
nobil  regina  Caiceyi?  venne  egli  qui  ed  è  egli  onorato  il 
nobile  e  modesto  sacerdote,  versato  ne' Vedi  e  libero  da 
invidia  ?  attende  egli  costante  al  sacro  fuoco  il  saggio  e 
retto  tuo  Brahmano,  e  ti  significa  egli  a  tempo  oppor- 
tuno il  sacrifizio  fatto  e  quei  da  farsi?  onori  tu  l'egregio 
maestro  dell'  arte  di  saettare ,  esperto  nell'  uso  d' ogni 
arme  e  mastro  arciero?  son  eglino  forti,  a  te  conformi, 
versati  nella  sacra  scienza,  donni  de' lor  sensi,  conosci- 
tori de' tuoi  cenni,  a  te  devoti  e  riconoscenti,  o  caro,  1 
tuoi  consiglieri  ?  Attorniato  da  consiglieri  eletti  e  da  mi- 
nistri che  conoscon  la  giustizia,  Vigayo  è,  o  Raghuide, 
la  radice  dei  consigli   del    re.  Non  ti  lasci  tu  vincer  dal 


106  KWIAYWV 

sonno:1  sei  tu  desto  a  convenevole  tempo:'  consideri  hi 
il  domani  con  mente  sagace  le  cose?  ti  consigli  In  Forse 
solo,  oppur  con  molti?  e  il  consiglio  che  In  hai  preso,  è 
egli  forse  divulgato  per  lo  regno?  allor  che  tu  hai  ben 
ponderata  una  cosa,  di  cui  talora  è  tenue  la  radice  e 
grande  il  frutto,  la  rechi  tu  prontamente  ad  effetto  e  non 
procrastini  tu,  o  Raghuide?  1  re  della  terra  sanno  ei  forse 
i  tuoi  negozj,  sia  quei  che  si  stanno  trattando,  o  quei 
che  son  quasi  compiuti,  o  quelli  che  son  da  eseguirsi? 
son  eglino  forse  da  te  o  dai  tuoi  ministri  vessati  eli  uo- 
mini  sia  con  esame  oppur  senz1  essere  esaminati?  prefe- 
risci tu  a  mille  stolti  un  sol  uom  saggio?  che  un  uoni 
saggio  ne1  difficili  casi  ti  darà  salutar  consiglio.  11  re  che  è 
circondato  da  mille  stolli  ed  anche  da  cento  mila,  non 
avrà  mai  da  loro  aiuto  :  un  sol  ministro  saggio,  moderato, 
esperto  e  forte  innalzerà  ad  altissima  gloria  un  principe 
od  un  re.  I  tuoi  servi  son  eglino  adoperati  i  primi  alle 
cose  principali,  i  mezzani  alle  mezzane,  gli  ultimi  alle 
ultime?  è  egli,  o  Raghuide,  felice  e  prospero  il  regno? 
è  egli  popoloso,  ben  fornito  d1  agricoltori,  ornato  di 
templi,  di  fonti  e  di  stagni,  pieno  di  gente  lieta,  ralle- 
grato da  feste  e  da  conviti?  son  eglino  ben  arati  i  suoi 
campi  ed  abbondevoli  d'armenti?  è  egli  securo  da  ogni 
offesa,  senza  danno  d'inondazioni  e  preservato  dalle 
belve  rapaci?  attendono  essi  all'agricoltura  ed  al  governo 
degli  armenti  i  Vaisyi  (59)?  su  quest'arte,  o  caro,  riposa 
1'  uomo,  che  si  sostenta  colf  agricoltura.  Sono  da  te  sos- 
tenuti i  Vaisyi  col  porre  alla  lor  difesa  pubblici  offi- 
ciali (G0)?  Perocché  è  dover  del  re  proteggere  tutti  coloro 
che  attendono  ai  negozj  della  vita.  Consoli  tu  le  donne? 


AYODHYACANDA.  107 

sono  elle  da  te  ben  custodite?  li  fidi  lu  Torse  a  loro,  od 
apri  loro  il  tuo  secreto?  è  ella  ben  guardata,  o  nobil  figlio 
di  Caiceyi,  la  truppa  degli  elefanti?  non  ti  diletti  tu  forse 
degli  elefanti  dai  denti  elevati?  è  egli  costantemente  de- 
dito all'  util  tuo  ed  invincibile  l'eroe  capo  del  tuo  eser- 
cito, perito  nell'arte  della  guerra?  coltivi  tu  forse  Brah- 
mani atei?  costoro  fan  mostra  di  perizia  in  cose  inutili, 
stolti  che  si  vantan  di  sapere  :  ignari  dell'  altre  dottrine 
principali  che  han  realtà,  e  rivolta  la  lor  mente  a  lo- 
giche sottigliezze,  ei  ti  ragionali  cose  vane.  Mostri  tu, 
o  generoso  ,  debito  ossecpiio  al  padre ,  ed  hai  tu  egual 
rispetto  agli  avi?  deputi  tu  all'  opere  più  importanti  i 
migliori  e  più  antichi  tuoi  ministri,  i  più  sinceri  ed  in- 
corrotti? non  ti  mitri  solo  tu  di  cibi,  o  Raghuide?  ali- 
menti  tu  parimente  i  tuoi  servi?  i  tuoi  cavalli  ed  ele- 
fanti son  eglino  pasciuti  in  tua  presenza  da  uomini  periti 
nell'armi,  da  tisici  esperti,  riputati  per  la  lor  destrezza? 
è  egli  ben  custodito  il  tuo  carro,  e  il  traggon  eglino  ra- 
pidi cavalli?  van  forse  attorno  per  lo  regno  rapitori  dell' 
altrui  sustanza?  ti  disprezzano  forse  come  un  uom  caduto 
i  Brahmani  sacrificatori ,  a  quella  guisa  che  le  donne 
sprezzano  un  duro  amante  che  sol  riceve  e  mai  non  dona'.' 
son  eglino  da  te  ugualmente  protetti  lo  stupido  e  l' accorto, 
lo  stolto  ed  il  sapiente,  e  coloro  la  cui  vita  è  esempio  agli 
altri?  colui  che  disprezza  un  savio  famigliare,  abile  a 
trovar  spedienti ,  attento  al  favellare ,  prode  e  desideroso 
di  maggioranza,  è  punito  del  suo  errore.  Son  da  te  tenuti 
in  pregio,  onorandoli  tu  stesso,  i  principali  tuoi  guerrieri, 
esperti  d'ogni  sorta  d'armi,  forti  e  noti  per  illustri  latti? 
il  duce  supremo  del  tuo  esercito  è  egli  baldo  e  valoroso, 


108  KAMAYANA. 

costante,  saggio  ed  incorrotto,  d'alta  stirpe,  destro  e 
vigile?  dai  tu  al  tuo  esercito,  senza  india  ritenerne, 
l'alimento  e  la  mercede  che  si  conviene  e  che  debhe 
darsi  a  tempo  opportuno?  per  lo  differire  oltre  al  debito 
tempo  l'alimento  e  la  mercede,  i  mercenari  male  ser- 
vono ai  lor  signori;  dal  che  nasce  grandissimo  danno.  I 
figli  di  nobile  schiatta  si  mostrano  essi  principalmente  a 
te  devoti  e  pronti  ad  abbandonar  la  cara  vita  nelle  batta- 
glie, conforme  alla  lor  preminenza?  è  la  tua  gente  accorta , 
vigorosa  e  appariscente?  sono,  o  Bharata,  i  tuoi  legati 
destri  ed  avveduti,  e  parlan  essi  conforme  a  ciò  che  è 
stato  lor  detto?  conosci  tu  per  tre  e  tre  tuoi  messaggieri 
occulti  i  diciotto  uffizj  altrui  e  i  quindeci  che  son  dalla 
parte  tua  (6I)?  fé  ella  pienamente  nota  la  forza  de'  tuoi 
nemici?  proteggi  tu  i  deboli,  o  valoroso?  difendi  tu 
l'ampia  e  lieta  città  d  Ayodhya  un  dì  abitata  dagli  eroi 
nostri  antenati ,  città  dalle  salde  porte ,  insuperabile  come 
suona  il  suo  nome,  piena  di  cavalli,  d'  elefanti  e  di  carri, 
sede  eletta  de1  Brahmani,  de'Csatri,  de'Vaisyi  e  de' Sudri 
tutti  intenti  ai  loro  uffici,  temperati  e  forti,  opulenti  e 
larghi  donatori,  sparsa  d'ornati  e  splendidi  palagi  di 
forme  diverse  ?  vedi  tu ,  o  nobil  principe ,  farsi  adorni 
gli  uomini,  levandosi  in  sull'aurora?  son  eglino  da  te 
osservati  senza  sospetto  coloro  che  attendono  ai  tuoi  la- 
vori, o  son  essi  forse  abbandonati  là  dove  stanno  fram- 
miste l'opere  (62)?  le  tue  fortezze  son  elle  sempre  piene 
di  frumento,  di  bestiame  e  d'acqua,  d'armi,  di  mac- 
chine ,  d' artefici  e  d'  arcieri  ?  son  elle  abbondanti  le  tue 
entrate  e  modiche  le  tue  uscite ,  e  il  tuo  tesoro  se  ne  va 
egli  forse  in  mani  indegne?  le  tue  uscite  son  elle  impie- 


AYODHYACANDA.  109 

gate  nelT  onorar  gli  Dei  e  i  Padri,  in  prò  de*1  Brahmani , 
ne' guerrieri  e  negli  amici?  impreca  egli  forse  maledi- 
cendo l'uomo  onorato  ed  incolpabile,  che  falsamente 
accusato  di  furto  non  è  esaminato  da  uomini  esperti  delle 
leggi?  preso  alle  spalle  da  custodi  pubblici,  il  ladro  di  cui 
1'  atto  è  conosciuto  da  giudici  periti ,  è  fors'  egli  assolto 
dalla  colpa  d'  appetire  1'  altrui  avere  ?  venendo  a  contesa 
pei  fatti  loro  il  debole  ed  il  potente ,  esaminano  essi 
senza  parzialità  le  cose  quei  che  son  posti  a  rendere  ra- 
gione ?  le  lagrime  che  versan  piangendo,  o  caro,  coloro 
che  sono  ingiustamente  accusati,  corrompono  i  sacrifizi 
dei  falsi  accusatori.  Onori  tu  con  doni,  con  parole  e  con 
dolci  modi  i  vecchi  ed  i  fanciulli,  quei  che  leggono  e 
quei  che  insegnano  i  Vedi,  e  quelli  che  beono  nel  sacri- 
fizio il  sugo  dell' asclepiade  (63)?  rendi  tu  onore  ai  sacri 
maestri,  ai  maggiori,  ai  pii  asceti,  agli  Dei,  agli  ospiti 
ed  a  tutti  i  felici  Brahmani  de^ni  d'  onore?  turbi  tu  forse 
il  dovere  con  troppa  cura  della  ricchezza,  o  la  cura  della 
ricchezza  coi  dovere,  oppure  entrambi  con  festevoli  di- 
letti? ovvero  compartendo  il  tempo,  siccome  colui  che 
ne  conosci  il  pregio,  coltivi  tu  con  giusta  misura,  o  valo- 
roso, e  la  ricchezza  e  il  dovere  ed  il  diletto?  han  forse 
a  dolersi  di  te ,  o  Baghuide ,  coi  cittadini  e  coi  regnicoli 
i  saggi  Brahmani  versati  nella  sostanza  d'ogni  dottrina? 
si  trova  in  te  forse  alcuna  delle  dodici  colpe,  delle  quali 
ove  fosse  un  re  macchialo,  rovinerebbe  egli  in  breve 
tempo  la  terra,  ciò  sono  l'ateismo,  la  menzogna,  l'ira, 
la  trascuranza ,  il  procrastinare ,  il  non  discernere  gli 
uomini  saggi,  la  torpidezza,  la  malizia,  il  deliberar  solo 
sopra  gli  affari,  il  consigliarsi  sempre  con  molti,  il  non 


I  IO  RAM  \YA\A. 

por   mano   alle   cose   deliberale,    il  non   curare   l'altrui 
consiglio. 

CAPÌTOLO   CX. 

RAMA    RICHIESTO. 

Ma  facendo  Rama  tali  domande,  Bharata  coli' animo 
afflitto  e  dolentissimo  gli  significò  la  morte  del  padre  : 
0  generoso,  dopo  aver  compiuta  un'ardua  opera,  il  re 
angosciato  dal  pensier  del  suo  figlio ,  abbandonando  il 
regno  se  ne  andò  al  cielo.  Lamentando  egli  pur  te,  strug- 
gendosi di  vederti,  colla  mente  fisa  in  te  solo,  diviso  da 
te,  e  a  te  sospirando  ardentemente,  morì  per  cagion  di 
te  solo  nostro  padre.  Udendo  quelle  parole  di  Bharata, 
Rama  che  qui  prima  l' interrogava ,  si  tacque  trafitto  al 
cuore  e  pur  fermo  nel  suo  pensiero  d'  adempiere  la  pro- 
messa del  padre.  Dopo  lanijo  silenzio  Bharata  fik)  cosl  prese 
a  dire:  Caiceyi  fu  colei  che,  ordito  per  cupidigia  d' impero 
un  perfido  femminil  disegno,  commise  questo  gran  mis- 
fatto obbrobrioso.  Ma  mia  madre  vedovata,  straziata  dal 
pentimento  cadrà,  senza  aver  conseguito  il  regno,  nelle 
orrende  sedi  inferne.  Renditi  or  tu  propizio  a  me  tuo 
servo,  e  sia  tu  come  Indra  consacrato  nel  regno  avito.  Son 
venuti  al  tuo  cospetto  tutti  questi  cittadini  e  le  madri  ve- 
dove :  abbi  tu  di  noi  pietà.  A  te  è  dovuto  il  regno  per 
ordin  di  successione;  prendi  conforme  al  diritto,  o  ge- 
neroso, questo  regno  che  tutti  desideran  donarti,  e  con- 
tenta i  tuoi  amici.  Cessi  dalla  sua  vedovanza  la  terra 
rallegrata  da  te  suo  signore ,  come  una  notte  autunnale 


AYODHYACANDA.  in 

da  candida  luna.  Pregato  umilmente  da  me  e  da  questi 
miei  consiglieri,  sia  tu  favorevole  a  me  tuo  fratello,  tuo 
discepolo,  tuo  servo  :  non  voler  mettere  in  non  cale,  o 
uomo  egregio,  tutta  questa  immortai  corona  di  consiglieri 
che  furono  un  dì  onorati  da  tuo  padre.  Poich'ebbe  così 
detto ,  il  forte  Bharata  figliuol  di  Caiceyi  strinse  piangendo 
e  col  capo  dimesso  i  piedi  di  Rama;  il  quale  abbracciando 
il  fratello  angosciato  e  traente  frequenti  sospiri  come  un 
elefante ,  cosi  gli  disse  :  Come  mai ,  o  Bharata ,  un  uom  mio 
pari  nato  di  nobile  stirpe,  dotato  di  virtù,  forte  e  fedele 
ai  suoi  voti,  farebb'  egli  cosa  iniqua  per  amor  del  regno? 
non  veggo  in  te  colpa  benché  minima,  o  domator  de'  tuoi 
nemici;  ma  non  voler  per  inesperta  giovinezza  riprendere 
tua  madre.  Quant1  era  la  riverenza  ch'io  portava  al  giusto 
mio  genitore,  tanta  è  quella  che  io  porto  a  Caiceyi  che 
m'  è  qual  madre;  e  poiché  mi  fu  imposto  da  quei  due 
giusti  miei  genitori  d'  andarmene  fra  le  selve  ;  come 
farei  ora  cosa  contraria?  tu  dei  regnare  in  Ayodhya  ono- 
rato dalle  genti  ;  a  me  si  conviene  abitar  nella  selva 
Dandaca  in  abito  d' asceta.  Così  partì  fra  noi  le  veci , 
così  ne  impose  al  cospetto  delle  genti  1'  eccelso  e  pio  re 
Dasaratha  che  se  ne  andò  al  cielo;  onde  se  tal  sorte  ti 
fu  assegnata  dal  padre,  che  era  signore,  re  e  maestro 
degli  uomini,  tu  fruiscine  qual  si  conviene;  ed  io,  o  di- 
letto, stando  per  quattordeci  anni  nella  selva  Dandaca, 
fruirò  la  sorte  che  mi  fu  compartita  dal  magnanimo  pa- 
dre. Quel  che  m' impose  il  magnanimo  padre  e  re  pari 
ad  un  Dio,  che  ora  è  onorato  in  cielo,  giudico  che  sia  a 
me  sommamente  salutare,  e  non  già  d  riverito  impero 
del  mondo. 


112  RAMAYANA. 

CAPITOLO   CXI. 

DONO    DELL'ACQUA. 

Udite  le  parole  di  Rama ,  Bharata  così  rispose  :  Se  io 
abbandono  la  giustizia,  come  adempirò  poi  il  regale  uf- 
ficio? Vivendo  tu,  Rama,  primogenito,  non  può  essere 
re  un  minor  fratello;  è  questo,  o  generoso,  l'eterno  di- 
ritto stabilito  fra  noi  perennemente.  Ritorna,  o  Rama, 
alla  bella  città  d'  Ayodhya,  popolata  di  gente  avventurosa, 
e  fatti  consacrar  re;  tu  sei  signor  della  nostra  stirpe. 
Altri  appellano  re  un  uomo;  ma  io  reputo  come  un  Dio 
te ,  di  cui  narrano  le  genti  le  virtù  sovrumane  congiunte 
colla  giustizia.  Mentre  io  stava  fra  i  Kecayi  e  tu  dimoravi 
nelle  selve,  se  n'andò  al  cielo  l'illustre  nostro  padre, 
caro  a  tutti  i  buoni;  or  ti  leva,  o  uom  preclaro,  e  dona 
al  padre  1'  acqua  funebre.  Già  gliel'  abbiali)  noi  offerta 
prima  Satrughno  ed  io;  ma  l'acqua  funebre  che  è  data 
da  persona  cara,  rimane,  secondo  cbe  si  dice,  perenne 
di  là  nel  mondo  dei  Padri;  e  tu  eri,  o  Raghuide ,  il  più 
diletto  dei  figli  di  Dasaratha.  Udendo  quelle  pietose  pa- 
role dette  da  Bharata ,  che  rammentavano  la  morte  del 
padre,  il  Raghuide  rimase  come  fuor  di  senso;  e  intesi 
que' fulminei  detti  acerbi  proferiti  da  Bharata,  come  è 
lanciato  il  fulmine  da  India  nelle  battaglie ,  protese  le 
braccia,  cadde  egli  a  terra,  come  un  albero  dalla  florida 
vetta  reciso  nella  selva  dalla  scure.  Vedendo  caduto  a  terra 
Rama  grande  arciero,  signor  del  mondo,  come  un  ele- 
fante addormentato  presso  una  ripa  ed  atterrato  dal  cader 
di  quella,   1  fratelli   doppiamente  addolorati,  piangendo 


VYODHYAC  \M)A.  113 

insieme  con  Sita,  lo  bagnarono  di  lacrime.  Ma  ricuperato 
il  sentimento  e  versando  lagrime  dagli  occhi,  così  parlò 
Rama  a  Bharata,  lamentando  il  morto  padre  (05)  :  Che 
cosa  farò  io  ora  misero  per  quel  magnanimo,  che  morì 
del  dolor  ch'egli  sostenne  per  me,  e  non  ebbe  da  me  i 
funebri  uffìcj  ?  Oli  te  felice  Bharata  con  Satrughno ,  da 
cui  l'uron  renduti  al  re  tutti  gli  uffìcj  estremi!  neppure 
allor  che  sarà  finito  il  mio  esilio,  mi  soffrirà  il  cuore  di 
ritornare  ad  Ayodhya  priva  del  suo  capo,  orba  del  suo 
re  preclaro  ,  e  perturbata.  Chi  or  mi  reggerà  in  Ayodhya, 
o  valoroso,  quando  sarò  venuto  al  termine  del  mio  sog- 
giorno nelle  selve,  poiché  se  n'è  ito  al  mondo  di  là  il 
diletto  mio  padre?  da  chi  udrò  ora  quelle  parole  care  al 
mio  orecchio,  che  un  dì  mi  diceva  il  padre  consolandomi , 
quando  mi  vedeva  tornato  al  suo  cospetto?  Poich'ebbe 
così  parlato  a  Bharata,  Rama  appressandosi  alla  consorte 
bella  come  la  piena  luna,  così  le  disse  pien  d'  angoscia  : 
0  Sita,  è  morto  tuo  suocero;  tu  sei  privo  di  padre,  o 
Lacsmano  :  Bharata  m'annunziò  questa  sventura,  che  se 
ne  andò  al  cielo  il  re.  Come  udì  la  figlia  di  Ganaca  esser 
morto  il  suo  suocero,  signor  del  mondo,  s'offuscò  la  sua 
vista  per  le  lagrime  che  empierono  i  suoi  occhi  ;  e  si  diedero 
poi  dirottamente  a  piangere  que'  due  giovani  illustri,  men- 
tre Rama  così  parlava.  Quindi  i  due  fratelli  confortando 
il  Raghuide  afflitto,  così  dissero  con  voce  interrotta  dal 
pianto  a  quel  signor  della  terra  :  Sorgi,  o  nobil  uomo, 
e  dona  al  padre  1'  acqua  funebre  ;  Satrughno  ed  io  già  gliela 
demmo  prima.  Rama  allora,  abbracciata  la  piangente  li- 
glia  di  Ganaca,  poi  voltosi  a  Lacsmano,  gli  disse  dolente 
queste  dolenti  parole  :  Qui  reca,  o  forte,  frutti  d' inguda 
11.  15 


il/j  RAMAVANA. 

e  schiacciate  di  semi,  e  la  veste  ascetica  la   più  nobile; 
n'andrò  a   lare  il  dono  dell'acqua  al  padre  :  vada    Sita 
innanzi;  Lu  le  sta  presso;  verrò  io  l'ultimo  :  è  questa  una 
mestissima  andata.  Allora  il  dolce,  il  paziente,  d  sottomesso 
Sumantro,  costante  seguace  di  que'  principi,  già  caro  al  re 
e  fortemente  devoto  a  Rama,  poich'ebbe  cogli  altri  figli 
del  re  confortato  il  Raghuide  ,  presolo,  lo  calò  nella  riviera 
Mandàkini.  Pervenuti  con  fatica  alla  bella  e  pura  riviera 
Mandàkini  dai  bei  lavacri  e  dalle  borenti  selve,  quegli  il- 
lustri immergendosi  nelle  chiare,  fresche  e  belle  acque, 
là  dov'  era  piano  il  fondo  ,  sparsero  tulli  1'  acqua  funebre , 
dicendo  :  Sia  ella  donala  a  colui.  Ma  il  Raghuide  proten- 
dendo il  cavo  della  mano  pieno  d'  acqua  e  guardando  la 
plaga  meridionale,  così  parlò  piangendo  :  Vada  a  te  nel 
mondo   dei   Mani    e   ti   sia  bevanda,  o  nobil  re,  quest' 
acqua  eletta  e  pura  che  io  t' olfro.  Quindi  l'inclito  Rama 
coi  fratelli  fece  disporre  sulla  riva  della  Mandàkini  in  un 
luogo  puro  sopra  uno  strato  di  poe  i  funebri   doni  da 
offrirsi  al  padre,  frulli  d' inguda  con  giuggiole  e  schiac- 
ciate  di  semi  ;  e   disposte   quelle    oblazioni ,   così  parlò 
Rama  dolentissimo  :  Fruisci  lieto,  o  grande  re,  questo  cibo 
di  cui  ci  nutriam  noi  stessi  :  1'  alimento  che  usa  l'uomo, 
è  per  certo  l'alimento  degli  Dei  e  de' Padri.  Quindi  ri- 
tornandosene per  la  stessa  via,  salì  quel  nobil  uomo  e  re 
sul  monte  dai  bei  rispianati  ;  e  pervenuto  alla  porta  del 
suo  abituro,  strinse  egli  colle  sue  mani  Bharata  e  Lacs- 
mano  ;  e  l' ululato  di  que'  fratelli  piangenti  colla  Videhese 
penetrando  F  aria  d'  ogni  intorno ,  somigliava  ad  un  rug- 
gito di  leoni.  Udendo  il  gemito  confuso  di  que' forti,  che 
piangendo  compievano  il  funebre  ufficio  di  dar  1'  acqua 


\M)I)HYACANI)A.  115 

al  padre,  sbigottirono  1  guerrieri  di  Bharata,  e  dissero  : 
Per  cerio  Bharata  s'abboccò  con  Rama;  e  questo  grande 
gemito  vien  da  loro  che  piangono  il  morto  padre;  e  tutti 
abbandonando  gli  alloggiamenti,  e  ratinandosi  insieme  se- 
condo che  si  trovavan  vicini,  si  diedero  a  correre  a  quella 
volta.  Tutta  quella  gente  desiderosa  di  veder  Rama  di 
poco  assente,  come  se  fosse  assente  da  lungo  tempo, 
s'avviò  subitamente  al  romitaggio;  e  andavan  solleciti  e 
alla  rinfusa  con  veicoli  diversi  per  veder  Y  abboccamento 
dei  fratelli  ;  gli  uni  con  cavalli ,  gli  altri  con  elefanti ,  questi 
tutti  ornati  sopra  carri,  quelli  più  giovani  correndo  a 
piedi.  Per  que' molti  veicoli,  per  lo  fragor  delle  ruote  e 
dell'unghie  de7 cavalli  risuonava  la  terra  confusamente, 
come  fa  il  cielo  allor  che  s'  accozzano  le  nubi.  Spaventati 
da  quel  grande  strepito  e  impazienti  gli  elefanti  attorniati 
d'  elefantesse  se  ne  andarono  ad  altre  selve  ;  impaurirono 
le  schiere  delle  antilope,  i  cinghiali  e  i  bufali  che  van 
per  la  foresta,  le  tigri,  i  gocarni,  1  gayali  (Gfl)  ed  i  cervi; 
fuggirono  sbigottiti  per  diverse  regioni  le  anase,  i  cuculi 
ed  i  cigni,  le  anitre,  i  pellicani,  i  cokili  e  gli  aghironi.  Il 
cielo  appariva  allora  ingombro  d'augelli  spaventati  da  quel 
fragore,  e  la  terra  si  vedea  coperta  d'  uomini.  Il  pio  Rama 
vedendo  colà  quella  gente  tutta  mesta  e  cogli  occhi  pieni 
di  lacrime,  l'abbracciava,  come  farebbe  un  padre  ed  una 
madre.  Egli  abbracciò  quivi  alcuni  di  quegli  uomini,  e  fu 
da  altri  salutato;  e  con  tutti  ei  conversava,  onorandoli 
qual  si  conveniva.  Ma  le  voci  di  que'  magnanimi  pian- 
genti risonavano  per  l'aria  e  per  lo  cielo,  empievano  le 
caverne  e  le  regioni,  e  s'udivano  simili  all'alto  strepito 
dell'  Oceano. 


I  Mi  HA  Al  AVANA. 


CAPITOLO   CX1I. 


AKHIVO   DELLK   M\Dl>l. 


Ma  Vasistlia  preceduto  dalle  consorti  di  Dasaratha, 
s'  avviò  colà  per  veder  Rama.  Andando  verso  la  riviera 
Mandàkini ,  le  consorti  del  re  videro  il  lavacro  frequen- 
tato da  Lacsmano  e  da  Rama;  e  Causalya  colla  faccia 
riarsa  e  lacrimosa,  così  parlò  alla  mesta  Sumitra  ed  alle 
altre  donne  del  re  :  Ecco  dirimpetto  nella  selva  e  solo  il 
bel  lavacro  di  que'  valorosi  derelitti ,  che  furon  privati 
d'ogni  asdo.  Qui  ne  viene,  io  penso,  ogni  dì,  o  Sumitra, 
il  prode  Lacsmano  ad  attinger  acqua  per  servigio  di  Rama 
mio  figlio.  Ben  adempie  un  duro  ufficio,  o  Sumitra,  il 
pio  Ino  figlio,  il  quale  per  affetto  assiste  nella  selva  al  suo 
fratello  primogenito,  che  innocente  d'ogni  offesa  fu  con- 
dannato dal  padre  sottomesso  ad  una  donna  ad  abitar 
con  Sita  nelle  selve  piene  di  bere  crudeli.  Così  lamen- 
tando Causalya  perturbata  dal  suo  pianto,  vide  colà  sopra 
un' isoletta  le  funebri  offerte  fatte  a  Dasaratha  con  frutti 
d' inguda  e  schiacciate  di  semi;  vide  quella  mesta  dai 
grand'  occhi  disposti  sopra  fiorenti  poe ,  le  cui  punte 
eran  volte  ad  austro,  i  funerei  doni  fatti  da  Rama  al  suo 
padre  e  re.  Veduti  que' frutti  d' inguda  e  quelle  schiac- 
ciate di  semi,  doppiamente  afflitta  così  parlò  la  regina 
Causalya  alle  donne  di  Dasaratha  :  Son  queste  le  funebri 
oblazioni  latte  dal  magnanimo  Rama  signor  degli  Icsva- 
cuidi  al  padre  signor  degli  Icsvacuidi;  vedete  quali  elle 
sono.  Cibo  così  fatto  non  mi  par  certo  conveniente  ad  un 


AYODin  VCANDA.  1  17 

re  magnanimo,  pari  ad  un  Dio,  clie  fu  assueto  alle  deli- 
zie. Quel  re  possente  simile  ad  Indra,  che  possedè  la  terra 
coi  quattro  suoi  confini,  come  può  egli  cibarsi  di  frutti 
d'inonda  e  di  semi  schiacciali?  ninna  cosa  mi  par  nel 
mondo  più  misera  di  questa,  che  Rama  doni  al  padre 
tale  cibo  proprio  degli  asceti.  Vergendo  qui  offerti  da 
Rama  al  padre  frutti  d'inguda  e  schiacciate  di  semi,  come 
mai  non  si  spezza  in  cento  parli  questo  mio  cuore?  In- 
tanto s' inoltrava  Causalya  verso  il  romitaggio  dov1  era  il 
Raghuide,  e  tutte  le  donne  del  re  camminando  celeri, 
videro  poco  stante  nel  romitaggio  Rama,  simile  ad  un 
Immortale  caduto  dal  cielo.  Scorgendo  colà  Rama  nudo 
d'  ogni  delizia,  le  madri  addolorate  versaron  lagrime  con 
alto  gemito,  oppresse  dall'angoscia;  ma  Rama  levatosi 
incontro  a  loro,  strinse  colle  belle  sue  mani  soavi  al  tatto 
e  delicate  i  nitidi  piedi  delle  sue  madri  secondo  l'ordine 
di  lor  dignità;  e  le  donne  del  re  baciando  Rama  sopra  il 
capo,  piangevan  dirottamente.  Dopo  Rama  anche  il  Sau- 
mitride  salutò  reverente  e  mesto  quelle  madri  sconsolate; 
e  le  donne  del  re  dissero  a  Rama  ed  a  Lacsmano  parole  di 
benedizione,  quali  si  convenivano  al  tempo  e  al  luogo,  ed 
erano  confacenti  a  madri;  e  così  tutte  si  comportarono 
verso  il  nobile  Lacsmano  Dasarathide,  come  verso  Rama. 
Sita  eziandio,  poich'ebbe  piangente  e  afflitta  toccati  i 
piedi  delle  sue  suocere  ,  si  pose  riinpetto  a  loro  cogli 
occhi  pieni  di  lacrime.  Ma  Causalya  abbracciando  quell' 
afflitta  estenuata  dal  soggiorno  delle  selve,  come  una 
madre  stringe  al  seno  la  sua  figlia,  così  le  disse  :  Come 
sei  tuvenula  ad  abitar  Ira  l'aspre  selve,  o  Sita,  tu  figlia 
del  re  di  Videha,  nuora  di  Dasaratha  e  consorte  di  Rama? 


118  RAM  AVANA. 

Riguardando  il  tuo  volto  simile  a  un  fior  di  loi<>  riarso 
dal  calore  estivo,  ad  un  giglio  illanguidito,  ad  oro  che 
la  polvere  appanni,  alla  luna  che  si  scolorii  all'apparir 
del  giorno,  m'arde  l'angoscia,  o  Sita,  siccom'arde  il 
fuoco  il  recipiente  che  l'accoglie.  Il  fuoco  suscitato  dalla 
sventura  arde  qui  fortemente,  o  Videhese,  l'amabile  Ino 
volto,  come  un  fior  di  loto  cui  manchi  l'acqua.  Meni  re 
così  parlava  la  dolente  Causalya ,  Rama  appressatosi  a 
Vasistha,  ne  abbracciò  con  reverenza  i  piedi;  e  poicb' 
ebbe  abbracciati  i  piedi  del  sacerdote  splendidissimo, 
come  India  signor  degli  Immortali  fa  aVribaspali,  s'  assise 
insieme  con  esso;  quindi  più  basso  e  presso  a  Rama  s' assise 
il  giusto  Bharata  coi  consiglieri,  coi  principali  guerrieri 
e  duci  e  con  quella  piissima  genie.  Quali  oneste  parole 
or  dirà  Bharata  a  Rama,  dopo  essersi  a  lui  inchinato  e 
avergli  reso  onore?  tal  era  appunto  allora  la  somma  curio- 
sità di  quella  gente  mesta.  11  Raghuide,  Lacsmano  di  salda 
costanza,  il  nobile  e  pio  Bharata  circondati  dai  loro  amici 
così  rifulgevano  col  loro  splendore ,  come  tre  sacri  fuochi 
circondati  da  Risei  assistenti. 


CAPITOLO  CXIII. 

DISCORSO  DI  BHARATA. 

Il  pio  Bharata  allora  indirizzò  a  Rama  seduto  e  pensoso 
in  quelf  adunanza  di  cittadini  queste  belle  ed  oneste  pa- 
role :  L' iniquità  che  a  cagion  di  me  commise  la  crudel 
mia  madre,  essendo  io  assente,  non  fu  da  me  desiderata; 
tu  a  me  perdona.  Che  se  io  oggi  non  punisco  con  severo 


VYODHYACANDA.  I  19 

castigo  la  rea  mia  madre  meritevole  di  punizione,  si  è 
perchè  io  son  legalo  dal  vincolo  del  dovere.  Come  mai 
io  generalo  da  Dasaratha,  di  legnaggio  e  d'opere  imma- 
colati, Dirci  cosa  vituperevole  contro  un  irai  elio,  a  guisa 
d'un  nemico?  E  morto  il  vecchio  nostro  padre  ere,  maestro 
e  celebrator  de1  sacri  riti,  onci1  io  non  lo  biasimerò  in 
quest'  adunanza ,  pensando  eh'  egli  è  ora  un  Dio.  Ma 
qual  uom  conosci I or  del  giusto  farebbe  mai  per  compia- 
cere aduna  donna,  opio,  una  tal  opra  vituperata,  con- 
traria ugualmente  all'utile  ed  al  giusto?  Ben  è  vero,  qual 
ei  si  dice,  che  sul  finire  della  vita  si  turba  la  mente  degli 
uomini  :  questo  detto  antico  fu  fatto  manifesto  dal  re, 
mentr'  ei  vivea.  Tu  ammenda,  o  Rama,  f  error  del  padre, 
che  fu  sola  imbecillità  della  sua  mente  prodotta  in  lui  dalla 
vecchiezza,  il  figlio  che  emenda  1'  error  del  padre,  vien 
perciò  detto  sostenitore  (apatya);  che  se  altrimenti  fosse,  si 
direbb'  egli  sovvertitore  (anapatya)  (67)  :  sia  tu  perciò  figlio 
sostenitore,  o  Cacutsthide,  e  non  voler  secondare  ciò  che 
mal  fece  il  padre,  e  che  è  altamente  biasimato  dagli  uo- 
mini :  salva  tutti  costoro,  Caiceyi  mia  madre,  gli  amici  e 
i  nostri  congiunti,  i  cittadini,  i  regnicoli  e  i  famigliari.  A 
che  parli  di  selva,  di  dover  d'uno  Csatro,  di  chioma  rav- 
volta, di  mantener  la  promessa  del  padre?  tu  non  dei  per 
alcun  modo  compiere  una  tal  opra  riprovata  :  che  se  tu 
desideri  adempiere  un  arduo  ufficio,  t'affatica  governando 
a  reggere  le  quattro  classi.  Delle  quattro  condizioni  della 
vita(68)  dicono  i  conoscitori  dei  doveri  esser  la  miglior 
condizione  quella  dell'uomo  accasato;  perchè  vuoi  tu 
ricusar  questo  slato?  lo  sono  a  te  inferiore  di  nascita,  di 
senno  e  di  consiglio  :  come  reggerò  io  la  terra ,  mentre  tu 


120  RAMAYANA. 

vivi?  Povero  di  niente,  povero  eli  virtù,  povero  di  fer- 
mezza, privato  ancor  di  te  io  non  potrò  più  vivere  Reggi 
adunque  co' tuoi  amici,  o  giusto,  secondo  il  tuo  diritto, 
intiero  questo  regno  avito,  stabile  e  senza  nemici.  Qui  li 
consacrino  i  cittadini,  Vasistha  cogli  altri  domestici  sa- 
cerdoti e  i  Brahmani  conoscitori  de1  carmi  solenni  ;  e 
consacrato  da  noi  vieni  al  governo  d'Ayodhya,  conqui- 
stando colla  tua  forza  il  mondo,  come  India  colla  schiera 
dei  Maruti  :  vieni  colà  e  regna  sopra  di  noi ,  sciogliendo 
i  tre  tuoi  debiti,  domando  fortemente  i  tuoi  nemici,  e 
contentando  d'  ogni  lor  desiderio  gli  amici  a  te  devoti. 
Oggi  nella  tua  sacra  depongano  ogni  lor  tristezza  1  tuoi 
aderenti,  e  sen  fuggano  per  le  dieci  regioni  i  tuoi  avver- 
sari impauriti.  Rasciuga,  o  valoroso,  le  mie  lacrime  e 
quelle  di  tua  madre,  e  libera  oggi  qui  tuo  padre  dalla 
colpa  onci  è  legalo.  Il  dover  supremo  dello  Csatro,  secondo 
che  dicono  i  grandi  saggi,  è  questo  :  la  consacrazione,  il 
sacrificio,  e  la  protezione  delle  genti.  Io  te  ne  prego  col 
capo  dimesso  :  muoviti,  o  signore,  a  pietà  di  me,  de1  con- 
giunti amici  e  di  tutte  le  viventi  creature.  Che  se  tu  non 
curando  di  me,  te  n'andrai  di  qui  fra  le  selve,  me  n'an- 
drò con  te  io  pure.  I  domestici  sacerdoti,  i  bardi,  i  pre- 
coni ,  i  panegiristi  e  le  tenere  madri  con  flebile  voce 
lodaron  Bharata  così  favellante;  ed  inchinandosi  a  Rama, 
con  esso  lui  lo  supplicavano. 


WODHYACANDA.  121 


CAPITOLO   CX1V. 


CONFORTO   DI   BHARATA. 


Esortato  con  tali  detti  da  Bharata,  Rama  costante  nella 
via  del  giusto  rispose  queste  forti  parole  nel  mezzo  di 
queir  adunanza  :  L'uom  quaggiù  non  è  libero  di  se  né 
donno;  il  fato  il  trae  qua  e  là  a  sua  posta.  Il  fin  d'ogni 
umile  cosa  si  è  il  perire,  il  fine  d1  ogni  alta  cosa  si  è  il 
cadere  :  la  separazione  è  il  fine  d'  ogni  unione ,  la  morte 
è  il  line  della  vita.  Siccome  ai  frutti  maturi  non  viene  al- 
tronde che  dalla  lor  maturità  il  pericolo  di  cadere ,  così 
agli  uomini  che  nacquero  non  viene  altronde  che  dall' 
esser  nati  il  pericolo  di  morire  (69).  Come  una  casa  di  salda 
mole,  venuta  a  vetustà,  rovina;  non  altrimenti  cadono  gli 
uomini  stretti  dal  laccio  della  morte.  La  morte  cammina 
colf  uomo,  la  morte  con  lui  s'arresta;  e  quando  l'uomo 
è  ito  per  lunghissima  via,  la  morte  con  lui  se  ne  ritorna. 
Trascorrono  quaggiù  rapidi  le  notti  e  i  giorni  d'  ognun 
che  vive,  e  consumano  in  breve  tempo  l'età,  siccome 
nella  calda  stagione  assorbono  1'  acqua  i  raggi  del  sole. 
A  che  vai  tu  lamentando  altrui?  compiangi  te  stesso,  di 
cui  f  età  declina,  sia  che  tu  vada,  sia  che  tu  stia.  Si  rag- 
grinza la  pelle  per  le  membra  ;  incanutiscono  i  capelli  ; 
e  allor  che  è  infiacchito  dalla  vecchiaia,  per  qual  modo 
potrà  l'uomo  esser  felice?  l'uom  si  rallegra  allor  che 
nasce  il  sole ,  si  rallegra  quand'  ei  tramonta  ;  e  non  s' av- 
vede che  vien  meno  intanto  la  sua  vita.  Ogni  animai  che 
vive,  gioisce  allor  che  vede  schiudersi  i  novelli  fiori  e 
ii.  16 


122  i;  WIAÌ  \\  A 

col  girar  delle  stagioni  sopravvenire  la  primavera;  e  in- 
tanto si  consuma  la  sua  vita.  Come  si  scontran  due  legni 
suir  Oceano,  e  scontratisi  e  rimasti  alquanto  fermi ,  poscia 
ei  si  separano;  cosi  dopo  essersi  uniti  nella  vita  le  con- 
sorti, i  figli,  gli  amici  e  le  ricchezze,  si  disgiungono  l' un 
dall'  altro;  perocché  è  certa  la  lor  morte.  Nessuna  vivente 
creatura  entra  diversamente  nella  vita;  perciò  è  inutile 
quaggiù  compiangere  chi  muore.  Come  chi  stando  sulla 
strada  dicesse  ad  una  compagnia  di  mercatanti  che  va 
di  conserva  :  Verrò  io  pure  dietro  a  voi,  seguitandovi; 
in  quale  modo  potrehhe  dolersi  chi  entra  in  una  via,  che 
è  certa  e  inevitabile,  e  che  fu  fornita  per  Y  addietro  dai 
padri  e  dagli  avi  (70)?  Mentre  l'augello  vola  per  propria 
natura,  e  trascorrono  le  correnti  de' fiumi  ;  lo  spirito 
umano  debbe  anch'esso  conformarsi  alla  sua  legge;  gli 
uomini  son  detti  vincolati  dalla  legge.  L' uom  pio  con 
nobili  atti,  con  sacrifizj  accompagnati  da  larghi  doni  sen 
va,  purgato  d'ogni  sua  colpa,  al  cielo  sede  dei  nostri 
progenitori  ;  e  nostro  padre  dopo  aver  sostentato  i  suoi 
servi,  protetto  tutti  gli  uomini,  dato  alimento  ai  buoni, 
se  n'  è  ito  al  cielo  ;  se  ne  andò  al  cielo  il  re  dopo  aver 
celebrato  molti  e  varj  sacrifizj,  fruito  tutte  le  delizie  ed 
esser  pervenuto  all'  età  suprema.  Abbandonando  1'  umano 
suo  corpo  affralito,  entrò  mio  padre  nella  via  divina  che 
gira  dilettosa  per  le  celesti  sedi  :  nessun  uom  saggio,  nes- 
sun uomo  di  sana  mente  che  conosca,  qual  tu  ed  io,  le 
sacre  dottrine,  può  compiangere  colui  che  si  trova  in 
tale  condizione.  Questi  lunghi  rammarichìi,  questi  la- 
menti ,  questo  pianto  debbonsi  in  ogni  fortuna  fuggire 
da  chi  è  forte  e  saggio.  Raffrena  adunque  il  tuo  dolore 


AYODIIYAC  ANDA.  123 

e  non  contristarti,  o  valoroso;  ritorna  ad  abitare  in  A\o- 
dliva,  e  così  la,  come  li  commise  il  padre;  io  pure  ese- 
guirò il  comando  che  m' impose  il  giusto  e  nobile  mio 
genitore.  Non  si  conviene  a  me,  o  forte,  trasgredire  l'or- 
dine di  colui  ;  tu  dei  pure  conformarviti  in  ogni  tempo  ; 
perocché  egli  è  nostro  congiunto  e  nostro  padre.  Udite 
quelle  parole,  Bharata  così  disse  a  Rama  :  Chi  v'ha  sulla 
terra  così  fatto  qual  sei  tu,  o  forte!  te  non  attrista  la 
sventura,  ne  la  prosperità  ti  fa  esultante;  tu  sei  stimalo 
dai  saggi,  come  India  dai  Celesti.  Colui,  la  cui  mente 
così  nella  morte,  come  nella  vita,  così  nel  bene,  come 
nel  male  è  pari  alla  tua,  o  re  degli  uomini,  quegli  anche 
cadendo  in  infortunio,  non  può  smarrirsi  d'animo.  Tu 
sei  magnanimo,  fedele  alle  tue  promesse,  di  natura  pari 
a  quella  d'un  Immortale.  11  più  insopportabile  dei  dolori 
non  può  abbatter  te  dotato  di  tali  virtù,  conoscitor  del 
nascere  e  del  morire;  che  se  il  dolore  pur  t'assalisse,  o 
eroe,  sarebb'  egli  rintuzzato,  a  guisa  d'  una  scure  lanciata 
contro  una  pietra.  Ma  io  misero,  privo  di  te,  o  saggio, 
e  di  Dasaratha  non  potrò  più  vivere,  come  un  cervo  ferito 
da  saetta  avvelenata.  Tu  fa  che  io  afflitto,  veggendoti 
abitar  nella  deserta  selva  con  Lacsmano  e  colla  tua  con- 
sorte, non  abbandoni  la  mia  vita;  vieni  a  reggere  la  terra. 
Così  supplicato  col  capo  umile  da  Bharata  afflittissimo,  il 
nobil  Rama  signor  della  terra  non  piegò  1'  animo  all'  an- 
data, fermo  nel  suo  proposto  per  lo  riguardo  che  avea  alle 
parole  del  padre.  Veggendo  in  Rama  quella  mirabile  ler- 
mezza,  n'era  ad  un  tempo  lieta  e  mesta  quella  gente, 
mesta  che  ei  non  ritornasse  ad  Ayodhya,  lieta  di  vedere 
quella  fedeltà  costante  alle  promesse. 


124  K  A  M  AVANA. 


CAPITOLO  CXV. 

DISCORSO    DI    RAMA. 

Ma  tornato  Bharata  al  favellare ,  l'illustre  Rama  gli 
rispose  in  mezzo  a  quella  gente  queste  parole  ben  com- 
poste :  Quel  che  tu  dicesti,  o  eroe,  è  degno  di  le  figlio 
generato  in  Caiceyi  dall'  ottimo  re  Dasaratha.  E  fama  che 
un  dì  il  gran  re,  allor  eh'  ei  disposò  tua  madre,  offrisse 
al  tuo  avo  materno  il  regno,  come  splendido  dono  nu- 
ziale. Poi  nella  guerra  degli  Asuri  coi  Devi  il  monarca  e 
donno  propizio  alla  tua  genitrice,  le  concesse  lieto  due 
doni  eletti.  Quei  due  doni  chiese  quindi  al  re,  fattasi 
innanzi  a  lui,  la  leggiadra  ed  inclita  tua  madre;  e  furon 
f  uno  che  tu  regnassi ,  f  altro  che  io  fossi  mandato  in 
esilio.  Il  re  stretto  dalla  sua  promessa,  le  accordò  egli 
stesso  il  chiesto  dono;  e  per  quel  dono  a  lei  concesso  io 
fui  destinato  dal  padre,  o  noni  prestante,  ad  abitare  per 
quattordeci  anni  fra  le  selve  :  end'  io  fedele  alle  veridi- 
che parole  del  padre  me  ne  venni,  seguitato  da  Lacsmano 
e  da  Sita,  in  questa  selva  deserta  ed  aspra.  Tu  pure,  o 
forte,  dei  senza  esitare  far  che  sia  verace  il  padre  e  re; 
governa  adunque  il  regno  senza  nemici  :  per  amor  di  me, 
o  pio  Bharata,  sciogli  dal  suo  debito  il  re  signor  di  noi; 
libera  il  genitore,  e  rallegra  ad  un  tempo  tua  madre.  E 
fama  che  anticamente  fu  cantato  questo  carme ,  o  caro  , 
dal  glorioso  Gaya  nella  città  di  Gayà,  mentr1  ei  sacrifi- 
cava ai  Padri  :  Perchè  il  figlio  libera  il  padre  dal  dolente 
luogo  inferno  che  si  chiama  Put,  perciò  venne  egli  detto 


AYODHYACANDA.  125 

Putirà  da  Brahma  stesso  (71).  Debbonsi  quindi  desiderare 
molti  figli  virtuosi  e  versati  nelle  sacre  dottrine,  allin- 
eile tra  i  molti  uno  almeno  venga  ad  offerir  sacrifizio  in 
Gayal72).  Così  pensarono,  o  Raglmidc,  tutti  i  celebri  re 
Sapienti;  libera  perciò  dalle  sedi  ìnferne  il  padre,  o 
uomo  egregio  ;  va  ad  Ayodbya  insieme  con  Satruglino  e 
con  tutti  questi  Brahmani,  e  ti  concilia,  o  Bharata,  i  cit- 
tadini; ed  io  me  n'andrò  coi  Risei  nella  selva  Dandaca 
insieme  con  questi  due,  Lacsmano  e  la  Videliese.  Sia  tu 
prontamente,  o  Bliarata,  re  dei  cittadini,  ed  io  sarò  re 
supremo  delle  silvestri  fiere  :  tu  vanne  lieto  alla  bella 
città  d'  Ayodhya,  ed  io  me  n'andrò  con  animo  tranquillo 
al  Dandaki.  Protegga  con  fresca  ombra  il  tuo  capo,  o 
Bharata,  il  regale  ombrello,  allor  che  t'offendono  i  raggi 
del  sole;  ed  io  riparerò  alle  freschissime  ombre  di  questi 
alberi  silvestri.  Sia  a  te  fedel  compagno  e  accorto  Sa- 
trughno  ;  a  me  sarà  principal  consigliero  il  Saumitnde. 
Noi  quattro  figli  eletti  di  Dasaratha  facciam  che  sia  ve- 
race il  re  ;  e  non  perderti  tu  d'animo. 

CAPITOLO  CXVI. 

DISCORSO   DI  CAVALI. 

Ma  il  sommo  Brahmano  Cavali,  logico  filosofo  del  re, 
pregiato  da  tutti  coloro ,  versato  in  ogni  dottrina  e  cono- 
scitor  del  giusto,  prese  a  dire  per  conforto  di  Bharata 
queste  morali  parole  a  Rama  che  ricusava  di  ritornare 
alla  città  :  Or  via,  o  Rama,  deponi  un  tal  pensiero  inu- 
tile; questo  tuo  proposto  di  vita  ascetica  è  così  biasime- 


126  RAMAYAN  \ 

vole,  come  il  pensiero  don  noni  volgare.  Finché  era 
onesto,  o  nomo  egregio,  l'eseguire  gli  ordini  di  Luo 
padre;  tu  gli  eseguisti  con  ogni  studio,  siccome  a  te  si 
conveniva  :  non  voler  ora  eccitalo  da  soverchia  noncuranza 
lasciarti  ire  all'  inerzia  col  troppo  amare  la  condizion 
d'asceta  e  col  dispregiare  il  regno.  Ben  fu  dapprima  a  te 
conferito  da  tuo  padre,  o  caro,  il  dominio  di  questa  terra; 
e  Bharata,  a  cui  fu  esso  dappoi  affidato,  ti  prega  egli  qui 
di  ripigliarlo  :  Caiceyi  stessa,  a  cagion  di  cui  fu  da  tuo 
padre  commessa  verso  te  questa  colpa,  t'offre  con  suo 
figlio  il  regno  ;  prendilo  or  dunque;  proteggi  gli  uomini; 
rendi  felice  la  tua  gente,  e  disgrava  d'un  duro  peso  Lacs- 
mano  e  Sita  tua  consorte.  Non  voler  tu  seguire  quella 
sapienza  speciosa  che  non  fu  mai  praticata  per  1'  addietro 
dai  saggi,  e  che  fu  messa  in  opera  falsamente  per  amore  C73). 
I  padri,  o  caro,  dominati  da  amore  o  da  cupidità  abban- 
donano talvolta  i  loro  figli ,  come  Ricico  un  dì  abbandonò 
suo  figlio  Sunassepa ,  ottimo  fra  gli  uomini'74).  Ne  può 
riprenderti  tuo  padre  ito  al  cielo  ;  perchè  fra  tutti  questi 
corpi  tu  pur  sia  entrato  in  un  corpo  e  nato  suo  figlio. 
Qual  uomo  è  quaggiù  congiunto  con  altro  uomo?  che  ha  a 
tare  l'un  coli'  altro,  essendoché  f  uomo  nasce  solo,  e  solo 
ei  muore P  perciò  il  padre  e  la  madre  sono  amendue 
quaggiù  come  ricoveri;  e  sarebbe  da  riputarsi  stolto  co- 
lui ,  che  ponesse  in  loro  il  suo  affetto.  Come  1'  uom  che 
passando  per  un  villaggio  ricoveri  in  alcun  luogo;  poi  il 
vegnente  giorno  abbandonando  quella  dimora,  prosegua 
il  suo  cammino;  così,  o  Cacutsthide,  il  padre,  la  madre, 
la  casa  e  le  sustanze  non  son  qui  altro  che  ricetti  degli 
uomini;  perciò  fine  ai  pensieri  d'amore.  Non  volere,  o 


WODIIYACAND  A.  127 

forte,  lasciando  una  strada  piana,  sicura  e  senza  polvere, 
entrare  in  un'aspra  via  piena  di  difficoltà.  Vieni  a  farti 
consacrar  re  nelf  opulenta  città  d'  Ayodhya,  che  t'  aspella 
come  vedova  coi  capelli  raccolti  in  una  sola  trecciai75);  e 
godendo  delle  preziose  delizie  regali,  li  diporta  in  Ayo- 
dhya, o  Tiglio  di  re,  come  Indra  su  nel  cielo.  Nulla  è  a 
te  Dasaratha,  nulla  tu  sei  a  lui;  altro  era  il  re,  altro  sei 
tu;  fa  perciò  quello  che  a  te  si  conviene.  La  semenza  sola 
è  padre  d'ogni  animale;  il  seme  con  sangue  ed  aria  e 
con  esso  il  tempo  opportuno  al  concepire  della  madre  , 
lai  è  la  filiazion  dell' uomo.  Il  re  se  n'  andò  colà,  dov'era 
uopo  ch'egli  andasse;  tale  è  il  processo  d'ogni  creatura; 
e  tu  te  ne  affanni  inutilmente.  Io  qui  interrogo  coloro  (e 
non  altri)  i  quali  furon  versati  nella  scienza  dei  doveri  ; 
costoro  dopo  esser  vissuti  infelici ,  caddero ,  morendo , 
in  distruzione.  E  il  giorno  destinato  alle  offerte  funebri 
per  li  Padri  e  per  li  Devi;  gli  uomini  son  tutti  intenti  a 
quell'ufficio;  vedi  sciupare  alimenti;  che  ne  rimane  a 
colui  che  è  morto?  Se  quaggiù  quel  che  è  mangiato  da 
uno,  entra  nel  corpo  d'un  altro,  si  facciano  ohlazioni 
funebri  a  chi  è  lontano  ;  ma  certo  ei  non  porterà  nel  suo 
cammino  il  riso  bollito.  Queste  filze  di  precetti  :  sacri- 
fica, dona,  adempi  i  riti,  attendi  a  severe  castigazioni, 
rinunzia  ad  ogni  cosa,  furon  fatte  da  uomini  accorti,  af- 
finchè loro  vie  più  si  doni.  Non  v'ha  nulla  al  di  là  di 
questa  vita;  tieni,  o  saggio,  a  mente  questa  sentenza; 
non  darli  pensiero  di  ciò  che  non  vedi,  e  pensa  a  quello 
che  è  presente.  Attenendoti  a  questo  consiglio  che  è  lume 
ad  ogni  uomo,  ricevi  pregato  da  Bharata  il  regno;  fa 
senno,  o  re,  e  sta  saldo  nella  tua  via.  Il  glorioso  Csupa 


128  RAM  AVANA. 

tìglio  menta!  di  Brahma,  il  prestante  Icsvàru  e  il  forte 
Càcutstha,  Raglili,  Dilìpa,  Sagara  e  il  nobile  Dusvanta, 
l'illustre  Bharata  Dausmantide ,  il  celebre  Cacravartti , 
Purucutsa,  il  saggio  Sivi,  Dhundhumàra ,  Bagiratha,  Vis- 
vacsena,  Anaranya  re  simile  ad  Indra,  il  pio  Aristanemi 
e  il  prode  Yuvanàsva,  Mandhàtri  suo  figlio  re  pari  a  Cu- 
vera,  il  re  Sapiente  Yayàti  e  l'inclito  Sambhùta,  Vriha- 
dasva  re  virtuoso ,  celebre  nel  mondo  (76) ,  questi  e  più 
altri  supremi  reggitori  della  terra,  lasciando  i  cari  lìgli  e 
le  consorti,  caddero  in  potere  della  morte;  nò  sappiam 
noi  dove  siano  iti  costoro,  né  i  Gandharvi,  i  Yacsi,  i  Rac- 
sasi;  tanto  è  pieno  d'illusioni  il  mondo.  S'odono  ora  i 
soli  nomi  di  quei  re,  e  ognun  li  crede  colà,  dov' egli  de- 
sidera eh'  ei  siano.  Cosi  non  v'ha  quaggiù  cosa  stabile 
dove  riposi  quest'universo;  questo  è  il  solo  e  il  miglior 
mondo;  perciò  fruiscine  tu  le  delizie.  Non  tutti  coloro  che 
han  per  line  supremo  il  dovere  C77),  pervengono  alla  felicità; 
che  son  talora  infelicissimi,  o  Cacutsthide,  uomini  dediti 
al  dovere,  e  veggonsi  pur  felici  uomini  alieni  dal  dovere. 
Tutto  è  quaggiù  manifestamente  confuso  e  perturbato; 
onde  non  voler  dispregiare,  o  generoso,  la  splendida  for- 
tuna che  ti  viene  incontro;  ricevi  quest'ampio  regno  libero 
da  rivali  e  da  nemici  f78).  Udite  quelle  parole,  Rama  ben- 
ché lento  all'  ira  arse  di  grande  sdegno,  scorgendo  in  que' 
detti  V  ateismo;  ed  accorato  dalla  morte  del  padre  rispose 
egli  alcune  parole  corrucciato,  come  un  elefante  eccitato 
dal  pungolo  :  Non  mi  rimoverò  io  dall'  eseguire  intento 
gli  ordini  del  padre,  come  non  si  scosta  dalla  sua  via  un 
cavallo  ben  addestrato,  come  la  donna  non  abbandona  il 
marito  che  è  suo  rifugio.  Se  io  dopo  aver  obbedito  alle 


uomn  \(,  wi)  \.  i29 

parole  del  padre,   mentr  ei   vivea,  facessi  altramente  or 

ch'egli    è    morlo,   avrei   senza   dubbio  per  lidia  la   terra 

fama  d'uomo  ignavo.  Ma  io  non  potrò  altrimenti  essere 

smosso  da  queste  lue  parole  argute  e  vane,  che  sia  scosso 

dai  venti  un  monte.  L'inutilità  dell'opre,  della  quale  tu 

l'avelli,  è  dottrina  grandemente  biasimala;  non  voler  In 

perciò  asserire  (fui    lai   cosa   contraria    al  vero.  Se  India 

signor  degli  Dei   ottenne  per  mezzo  di  cento  sacri  fi  zj  la 

sua  sede  in  cielo,   e  ciò  è  fondato  sopra  certa  autorità  ; 

perchè  affermi  tu  cose  False?  Il  figlio  eziandio  di  Svastyà- 

treya  e  Visvamitra   mio  amico   ed  altri   Risei   ottennero 

parimente  sede  altissima  colle  lor  religiose  austerità.  Ma 

sia  qui  pure  inutile  il  far  quello  che  ho  proposto  di  fare  ; 

sia  pur  la  cosa  così  come  tu  desideri  ;  non  per  questo  io 

mi  dipartirò  dal  venerato  comando  del  padre,  come  un 

grande  Risei  non  dismette  l'osservanza  dell'  alto  voto  che 

s'è  imposto.  Regga  Bharata  la  terra,  secondo  che  venne 

ordinato;  io  non  desidero  il  regno  da  cui  m'  escluse  il  re. 

Così  disse  Rama,  onor  della  stirpe  Solare  :  frattanto  venne 

meno  il  giorno,  e  sopraggiunse  la  notte. 

CAPITOLO    CXVIL 

DISCORSO  DI  BHARATA. 

Mentre  pur  vegliavano  quegli  uomini  generosi  circon- 
dati dai  loro  amici,  la  notte  si  trasmutò  in  aurora.  Schia- 
ritasi la  notte ,  que'  fratelli  coi  loro  amici ,  fatte  ciascun 
per  se  lor  preci  sommesse  sulla  riva  della  Mandàkini, 
s'accostarono  quindi  a  Rama.  Sedevano  essi  lutti  tacili; 


130  I»  UMAYANA. 

né  alcun  diceva  parola  :  Bharata  allora  rosi  parlò  di  nuovo 
a  Rama  in  mezzo  ai  loro  amici  :  lo  cedo  ;i  te  <|ii<'l  regno, 
che  mi  donò  il  sapiente  e  veridico  uno  padre;  fruiscine 
tu  senza  ostacoli.  Sia  In  ;i  ine  propizio,  0  nobil  nomo;  io 
le  ne  prego  eoi  capo  inchinato.  Non  ebbi  io  notizia  alcuna 
del  male  che  lece  mia  madre;  io  son  Ino  discepolo,  Ino 
servo,  il  miglioi-  de1  tuoi  segnaci  :  nò  so  che  far  d'un 
regno  che  non  sia  da  te  posseduto,  lo  non  desidero  quel 
regno  che  fu  surrepito  dalla  vii  mia  madre;  prendilo  In; 
io  te  lo  rendo.  E  difficile  ad  ogni  altro  Inori  die  a  le  il 
reggere  sulla  terra  questo  regno  avito,  come  un  argine 
nell'Oceano  rollo  dal  grand' impeto  dell'acque,  lo  non 
posso  eguagliarli  nell'impero,  o  re,  come  non  può  un 
asino  seguitare  il  corso  d'un  cavallo,  né  un  augello  il 
volo  di  Suparna  (Garuda).  Io  t' offro  questo  regno  avito; 
non  m'aggrada  il  possederlo ,  come  un  ornamento  che 
appartenga  alimi.  Consacrato  qui  oggi  conforme  ai  riti, 
entra,  o  tìglio  di  re,  con  tulli  noi  che  ti  siam  devoti,  al 
possesso  del  regno  senza  nemici.  Felice  la  vita  di  colui, 
o  eroe,  da  cui  ricevon  gli  altri  sostentamento;  misera  la 
vita  di  colui  che  è  dagli  altri  sostentalo.  Allor  che  un 
nomo,  desiderando  d'aver  frutti,  ha  piantato  un  albero; 
questo  finché  è  piccolo  ,  si  può  facilmente  soverchiare  ;  ma 
è  diffìcile  il  salirvi  sopra  ,  quand'  esso  è  cresciuto.  Ma  se 
quell'albero  dopo  aver  prodotto  fiori,  non  mostra  alcun 
frutto;  non  saia  certamente  lieto  colui,  per  opra  del 
quale  ei  fu  piantato.  Io  ti  propongo  questa  similitudine  ; 
fanne  tu  stesso  f  applicazione.  Sopporta  tu  dunque,  come 
valido  giumento,  il  grave  peso  di  nostra  stirpe.  Ti  veg- 
gano 1  sodaliz]  delle  arti   e  tutti   ì  principali  cittadini ,  o 


uomn  \<:  \M)\  i3l 

grande  re,  risplendente  nel  tuo  regno,  come  il  sole; 
barriscano  nel  seguitarti  gli  elefanti  ebbri  d'amore;  li 
rallegrino  con  dolci  canti  le  donne  del  gineceo  e  i  hindi 
destinati  a  svegliare  il  re.  Tu  sei  nostro  re,  o  domatore 
de'nemici;  e  noi  Inlli  suini  tuoi  sudditi;  perchè  vuoi  hi 
abbandonarci?  che  t'abbiam  noi  fallo?  Se  mia  madre 
lece,  me  assente,  cosa  ingiusta;  quale  colpa  ne  ho  io? 
consideralo  In  slesso.  Pecca  il  falò  a  cui  son  sottomessi 
i  tre  mondi,  perchè  non  si  lascia  smuovere,  perchè  è 
dello  insuperabile.  Tutta  questa  gente  cittadina  è  venuta 
con  me  in  gran  numero  per  condurti  via  di  qui;  orsù 
compiacimi,  o  signore;  rallegra  il  cuore  de1  parenti, 
de'  congiunti ,  dei  fratelli ,  degli  amici ,  de'  cittadini  e 
dei  Brahmani.  Cessa  dal  compiangere  l'infelice  e  lamen- 
tato signor  del  mondo;  ed  occupa,  o  eccelso  reggitore, 
il  regal  seggio  che  lasciò  vuoto  il  padre.  Non  mi  dolgo 
di  me  stesso;  bensì  piango  il  re,  il  qual  benché  fosse 
padre  di  più  figli,  pur  se  n'andò  al  cielo  senza  un  sol 
figlio  all'  ora  esfrema;  piango  assiduamente  il  morto  pa- 
dre degno  di  pietà,  che  morì  senz'essere  assistito  dai 
suoi  fìffli.  Vedendo  f  illustre  Bharata  infelice  far  tali 
lamenti ,  Rama  donno  di  se  lo  confortava  con  animo 
composto;  e  udendo  le  parole  di  lui,  tutti  que'  cittadini 
pensarono  allora  fra  se  :  fors'  ei  condiscenderà  ai  nostri 
pi  i  egli  i. 


132  KAMAVW  \ 


CAPITOLO   CX  VI  II 


LODE    DEI.    VEHO. 


Ma  inteso  il  ragionar  di  Gàvàli  e  quel  di  Bharata,  il 
forte  Rama  rivolgendo  il  discorso  a  Gàvàli  così  parlò  con 
niente  piena  d'amaritudine  :  Quel  che  per  desiderio  di 
gradirmi  tu  qui  dicesti  poc'anzi,  sotto  apparenza  di  cosa 
da  doversi  fare  è  indegno  a  farsi  ;  tu  lo  chiami  conve- 
niente, ed  è  il  contrario.  L1  uom  che  si  scosta  dalla  retta 
via,  che  opera  malvagiamente,  che  non  discerné  quel 
che  è  onesto,  non  acquista  lode  presso  i  buoni.  I  soli 
atti  morali  mostrali  se  colui  che  si  vanta  d'  esser  uomo  è 
d'alta  o  di  bassa  origine,  prestante  oppur  dappoco;  senz 
essi  il  nobile  è  simile  all'ignobile,  il  puro  all'impuro, 
colui  che  è  dotato  di  fausti  segni  a  quello  che  ne  è  privo, 
I  noni  di  buona  indole  all'  uomo  d1  indole  perversa.  Se  io 
lasciando  ciò  che  è  bene ,  facessi  sotto  apparenza  di  giu- 
stizia cosa  ingiusta  e  biasimata,  aliena  dalla  norma  dell' 
operare,  qual  uom  sensato,  conosci  tor  di  ciò  che  con- 
venga o  non  convenga  fare ,  stimerebbe  quaggiù  me 
inetto  a  discernere  quel  che  è  onesto?  A  quale  fiume 
oserei  io  attingere  acqua  colla  mia  mano  e  beverne, 
dopo  aver  resa  vana  la  parola  del  padre  e  violato  la 
mia  promessa;'  Ognun  pur  imita  quaggiù  l'esempio  di 
chi  regna;  quali  sono  le  opere  del  re,  tali  son  quelle 
degli  altri  uomini.  L'  umanità  ed  il  vero  sono  1'  eterna 
norma  dei  re;  onde  la  verità  è  l'essenza  del  regno,  sulla 
verità    riposano   gli    nomini.    I    doni,    le    castimonie,    le 


AYODHÌ  \i:\\!)A.  133 

oblazioni,  le  offerte  arse  sul  saero  luoeo  ed  ogni  sacri- 
li/io,  Lutto  ha  radice  nella  verità;  non  v'ha  atto  pio 
maggior  del  vero.  Alla  sola  verità  s'  attengono  i  Risei  e 
i  Devi;  e  l'uomo  ehe  è  quaggiù  vendico,  entra  morendo 
in  limi  via  leliee.  Come  l'uomo  impaurisce  alla  vista  d'un 
serpente,  così  ei  fa  dinanzi  a  un  noni  mendace.  La  giu- 
stizia ha  nel  mondo  per  sua  base  il  vero;  la  verità  e  la 
radice  d'ogni  virtù.  La  verità  è  il  principio  supremo  sulla 
terra;  nella  verità  risiede  costantemente  la  felicità.  Ogni 
cosa  ha  base  nel  vero;  perciò  dee  1'  uomo  pregiare  il  vero 
sovra  ogni  altra  cosa.  L'uno  regge  gli  uomini,  l'altro 
governa  la  famiglia  ;  questi  profonda  nelle  sedi  inferne , 
quello  è  magnificato  in  cielo.  Perchè  non  osserverò  io 
gli  ordini  del  padre?  io  son  veridico,  fedele  alle  pro- 
messe e  sottoposto  al  vero;  né  per  cupidità,  per  istolti- 
zia  o  per  ignoranza  romperò  io  l' argine  del  vero  col 
render  mendace  il  padre  mantenitor  della  sua  fede.  Colui 
che  non  è  verace,  che  è  incostante  e  di  mente  instabile, 
non  è  caro  agli  Dei  né  ai  Padri;  così  noi  udimmo  dire. 
Non  mi  curerò  io  di  quel  che  chiamano  dover  d'  uno 
Csatro,  e  che  in  realtà  è  cosa  contraria  al  dovere,  seguita 
da  uomini  miseri,  crudeli,  cupidi  e  malvagi;  io  considero 
come  solo  dover  visibile  la  verità,  in  cui  sempre  si  com- 
piacque l'animo  dei  pii  Raghuidi.  L' uom  pensa  colla 
mente  il  male ,  col  corpo  il  reca  ad  atto ,  colla  lingua  dice 
il  falso;  ecco  le  tre  maniere  di  colpa.  Cerchi  quaggiù 
l'uomo  la  potenza,  la  fama,  la  felicità,  la  gloria;  ina 
dica  pur  sempre  la  verità  intento  a  conseguire  il  cielo. 
E  cosa  improba,  contraria  alla  dignità,  all'acquisto  del 
cielo  quel   che   tu  con   parole  pregiudiziose   ini  consigli 


134  RAMAYANA. 

di  lare.  Dopo  aver  promesso  al  padre  questo  mio  sog- 
giorno nelle  selve,  come  potrei  io,  trasgredendo  la  pa- 
rola paterna,  far  quello  che  dice  Bharata?  K  salda  la  lede 
che  io  ho  impegnata  al  cospetto  del  padre;  ed  in  quel!' 
ora  si  rallegrava  l'animo  della  regina  Caiceyi;  io  rimarrò 
qui  nelle  selve  puro  e  con  animo  tranquillo,  onorando  i 
Devi  e  i  Padri  con  doni  di  fiori,  di  frutti  e  di  radici  sil- 
vestri. Io  non  annullo  il  corpo  (70),  anzi  promovo  le  opere 
umane;  non  sono  ignavo,  ma  sollecito,  considerando 
quel  che  convenga  o  disconvenga  lare.  Chi  è  nato  in 
questa  terra  di  fatiche,  debbe  adoperarsi  a  ciò  che  è 
onesto;  il  fuoco,  il  vento,  la  luna  ottengono  il  frutto 
dell' operare  (80).  Dopo  aver  fatto  cento  sacrilizj  sali  al 
cielo  il  re  dei  Devi  (Indra),  e  i  grandi  Risei  andarono  al 
cielo  dopo  aver  sostenuti  quaggiù  cruciati  acerbi.  Gli  avi 
e  quei  che  vissero  innanzi  a  loro  ,  facendo  moli'  opere 
generose,  vivendo  in  austere  castimonie  e  adoperandosi 
al  bene  degli  uomini,  se  n'andarono  alle  sedi  beate.  I 
pii  e  casti  asceti  fedeli  al  lor  dovere  e  conversanti  con 
uomini  probi,  eccelsi  per  virtù  e  per  larghezza  nel  do- 
nare, innocui  e  puri,  si  rendono  quaggiù  venerabili  alle 
genti.  Dicono  i  saggi  che  la  verità,  la  giustizia,  la  forza, 
la  compassione  alle  creature,  il  parlar  cortese,  l'onorare 
i  Brahmani,  i  Dei  e  gli  ospiti,  siano  la  via  che  guida  al 
cielo. 


VYODHYACANDA.  135 

CAPITOLO   CXIX. 

ELOGIO    DELLA    STIRPE    D'  ICSVACU. 

Udito  il  discorso  di  Rama  ,  Vasistha  cosi  rispose  :  Gàvàli 
pur  conosce  donde  venga  questo  mondo,  e  dove  ei  vada; 
ma  egli  così  parlò  per  desiderio  d' indurli  a  ritornare. 
Ora  ascolta  da  me,  o  signor  degli  uomini,  l'origine  del 
mondo.  Tutto  era  acqua  :  quindi  emerse  Brahma  Svayam 
bini  (per  se  sussistente),  1'  immortale  Visnu  (81)  da  cui  fu 
formata  questa  lena.  Egli  poi  presa  forma  di  cinghiale 
trasse  fa  or  dell'acque  questa  terrai82),  e  produsse  l'uni- 
verso intiero  non  perituro  con  ogni  cosa  mobile  ed 
immobile.  Dall'  etere  (dallo  spazio  (83)  ?)  ebbe  origine 
Brahma  eterno  ed  immortale;  da  lui  nacque  Marici,  di 
Marìci  fu  figlio  Casyapa;  quindi  per  successiva  genera- 
zione Vivasvat  (il  sole)  produsse  Manu  (84);  fra  i  dieci  figli 
dì  Manu  Icsvàcu  fu  per  diritto  il  primo;  sappi  che  questo 
Icsvàcu,  a  cui  fu  donata  nel  principio  da  Manu  quest'  am- 
pia terra,  fu  primo  re  in  Ayodhya  ;  d' Icsvàcu  fu  figlio 
diesi,  siccome  ne  venne  a  noi  la  fama;  da  diesi  fu  ge- 
nerato il  gran  re  Vicucsi;  di  Vicucsi  fu  figlio  il  fortissimo 
Remi,  di  Remi  fu  figlio  Pusya,  di  Pusya  Anaranya;  sotto 
il  regno  del  prestante  ed  ottimo  Anaranya  non  v'  ebbe 
timor  di  siccità,  non  penuria  d'alimenti,  non  rubatore. 
Da  Anaranya  fu  generato  Prithu,  da  Prithu  il  grande  re 
Trisancu,  il  qual  veridico,  benevolo  ad  ogni  creatura  se 
nandù  col  suo  corpo  al  ciclo;  da  Trisancu  fu  procreato 
il  re  Dhundhumàra,  da  Dhundhumàra  il  sapiente  Yuva- 


136  RAM  AVANA. 

nàsva,  da  Yuvanàsva  fu  generato  il  re  Mandhàtri,  da 
Mandhàtri  il  fortissimo  Susandhi;  Susandhi  ebbe  due 
figli  Dhritasandhi  e  Prasenagit,  da  Dhritasandhì  uscì 
l'illustre  Bharata,  da  Bharata  fu  generato  Asita  grande 
cunile  guerriero,  contro  cui  si  levarono  nemici  i  re  rivali 
Haihayidi  e  Talaganghidi  e  tutti  i  Sasavindavi  (85)  ;  com- 
battendo contro  loro  in  guerra,  perì  Asita.  Avea  egli 
allora,  siccome  ne  giunse  a  noi  la  fama,  due  spose  gra- 
vide; la  giovane  sposa  più  diletta  e  prima  per  dignità  era 
Calindi,  la  quale  fu  viziata  con  veleno  dalla  sua  rivale  in- 
vidiosa, dopo  che  se  n'andò  al  cielo  Asita.  Ma  vivea  in 
quel  tempo  un  pio,  tranquillo  e  saggio  Mimi  discendente 
di  Brigu,  per  nome  Cvavana,  il  qual  s'era  raccolto  nell' 
Mimavate.  A  questo  Risei  se  n'  andò  Calindi,  e  lo  salutò 
con  reverenza;  ed  il  Brahmano  accolse  con  benigne  parole 
colei  che  desiderava  da  lui  favore  per  la  nascita  del  figlio. 
Ritornatasene  quindi  a  casa,  partorì  ella  un  figlio;  e  per- 
chè egli  nacque  col  veleno,  fu  perciò  appellato  Sagara  (86); 
Sagara  è  quel  giusto  da  cui  fu  fatto  scavare  il  mare,  dove, 
veduto  Capila,  furon  da  questo  uccisi  tutti  i  Sagaridi  l87). 
Figlio  di  Sagara  fu  Asamangas,  così  udimmo  noi  dire; 
costui  commettitore  d'opere  ree  fu,  vivendo,  scacciato 
dal  padre.  Asamangas  ebbe  un  figlio  per  nome  Ansumat; 
fu  figliuolo  d' Ansumat  Dilipa,  di  Dilipa  Bhagiratha,  di 
Bhagiratha  Cacutstha,  onde  tu  sei  detto  Cacutsthide;  di 
Cacutstha  fu  tìglio  Raghu,  onde  tu  sei  Raghiude  ;  da 
Raglili  fu  procreato  un  possente  figlio  d'  eccelsa  statura 
per  nome  Purusàdaca ,  detto  altramente  Calmàsapada  ; 
questi  espulso  dalla  città  perì  (88).  Calmàsapada  ebbe  un 
figlio  per  nome  Khanitra,  il  quale  per  forza  del  fato  perì 


VYODHYACAND  \.  li: 

anticamente  col  suo  esercito;  Iti  fìllio  di  Khanitra  l'  il- 
lustre eroe  Sudarsana,  di  Sudarsana  Agnivarna,  dì  costui 
Sìghraga,  di  Sìghraga  fu  figlio  Mani,  di  Mani  Prasusruva, 
di  Prasusruva  ì\\  figlio  Ambarìsa,  tale  è  la  tradizione;  di 
Ambarisa  I'u  ligi  io  Naliusa  verace  e  forte,  di  Nahusa  I'u 
figlio  il  piissimo  Nàbhàga,  di  Nàbhàga  il  felicissimo  re 
Aga,  d'Aga  fu  figlio  il  giusto  re  Dasaratha;  di  eostui  sei 
figlio  primogenito  tu  che  t'appelli  Rama.  Or  considera 
ciò  che  è  da  considerarsi,  o  illustre  principe  :  fra  tutti 
gli  Icsvacuidi  è  sempre  re  colui  che  è  primogenito  ;  sia 
tu  dunque  sacrato  re,  perocché  tu  sei  primogenito,  o 
Raghuide.  Non  voler  abbandonare  questa  immortai  tua 
stirpe;  reggi  glorioso  come  il  padre  questa  terra  ricca 
di  gemme  e  d'opulenti  regni. 

CAPITOLO   CXX. 

IL   SEDER  DI   BHARATA. 

Poich'  ebbe  Vasistha  sacerdote  del  re  così  parlato  a 
Rama,  soggiunse  egli  queste  giuste  parole  :  Tre  sono,  o 
Cacutsthide,  i  superiori  dell'  uom  che  quaggiù  nasce,  il 
maestro,  il  padre,  la  madre.  Il  padre  lo  genera,  la  madre 
il  cresce,  il  maestro  gli  dona  la  sapienza;  onde  vien  egli 
detto  precettore.  Io  fui  maestro  di  tuo  padre,  e  son  tuo 
maestro,  o  uomo  illustre;  eseguendo  quel  eh'  io  ti  dico, 
non  trasandare  la  via  dei  buoni.  Son  qui  convenuti  ad 
invitarti  al  regno  questi  sodalizj  delle  arti  e  quest'assem- 
blea; questo,  o  figlio,  è  il  dovere  dell' uom  probo;  non 
trasandare  la  via  dei  buoni.  Abbi  pudore  della  pia  e 
".  18 


138  RAMAYAN  \. 

longeva  tua  madre,  e  conformandoti  ai  suoi  delti,  non 
trasandare  la  via  dei  buoni.  Fa  quel  che  li  consiglia  Bha- 
rata  supplichevole,  e  non  offendere  a  te  stesso,  o  tu  die 
ami  sopra  ogni  altra  cosa  il  giusto  e  il  vero.  Cosi  esortato 
dolcemente  dal  sacro  suo  maestro,  il  Raglimele  generoso 
rispose  a  Vasistha  sedente  :  L'osservanza  che  prestali  gli 
uomini  al  padre  ed  alla  madre,  non  è  condegna  rimunera- 
zione di  ciò  che  il  padre  e  la  madre  tanno  sia  coli'  alimen- 
tare i figli,  sia  col  dare  ad  essi  vesti  e  letto,  col  dir  loro 
sempre  cose  care,  col  crescerli  ed  allevarli  :  il  re  Dasaratha 
fu  il  padre  che  mi  generò,  ed  io  non  debbo  fare  altramente 
da  quello  che  gli  promisi.  Poiché  Rama  ebbe  così  par- 
lato, Bharata  dal  largo  petto  così  disse  oltremodo  afflitto 
a  Sumantro  auriga  :  Apparecchiami  qui  tosto  sur  un  ri- 
spianato uno  strato  d'erbe  cuse  (poe);  io  mi  starò  qui 
sedendo  in  faccia  a  Rama,  finch'  ei  non  mi  si  mostri  favo- 
revole  :  qui  rimarrò  giacente  dinanzi  al  suo  abituro,  senza 
cibo,  con  occhio  immobile,  nudo  d'osmi  bene,  come  un 
uomo  annighittito ,  lindi'  ei  non  consenta  a  ritornare  ;  e 
guardando  Rama,  Bharata  dolentissimo  si  diede  egli 
stesso  a  preparar  con  istrati  di  cuse,  disponendole  sulla 
terra ,  il  suo  giaciglio.  Ma  il  forte  regal  Rama  così  gli 
disse  :  Che  fo  io,  o  caro  Bharata,  perchè  tu  ti  ponga  a 
sedere  incontro  a  me?  un  Brahmano  che  giacesse  immo- 
bile sopra  un  lato  in  faccia  altrui,  potrebbe  ardere  la 
città  (89);  ma  non  è  uso  degli  Csatri  il  porsi  a  sedere  di- 
nanzi altrui.  Sorgi,  o  nobil  principe,  e  lasciando  questo 
tuo  terribil  voto,  ritorna  tosto  ad  Ayodhya,  e  rendi  ve- 
race la  parola  del  padre;  governa  con  intenta  cura  e  con 
giustizia,  o  Bharata,  i  tuoi  sudditi,  quasi  diletti  tuoi  figli, 


VYODHÌ  \(    \M)  \.  139 

siccome  fosti  da  me  ammonito.  Ma  Bharala  pur  rosi  se- 
dendo e  guardando  d'ogni  intorno,  cosi  disse  a  <|ii('ll;i 
gente  cittadina  e  suburbana  :  Perchè  non  supplicale  voi 
pure  al  nobil  Rama?  Quelli  allora  cosi  risposero  al  magna 
[limo  Bharala,  rosso  di  piantogli  occhi  e  dolente  del  mite 
contesilo  di  Rama  :  Noi  conosciamo  il  Cacutsthide  saldo 
nella  verilà  e  nella  giustizia;  né  osiam  parlare  per  amore: 
perocché  egli  non  ascolterebbe  i  nostri  detti.  Quest'uom 
prestante,  fedele  alla  parola  del  padre,  non  vuole  udire 
né  i  sacri  maestri,  né  le  madri,  né  te  stesso;  onde  non 
possiam  noi  con  nostre  instanze  smuover  Rama  férmo  e 
costante  nella  verità  e  devoto  al  padre.  ÌNon  può  costui 
lutto  intento  al  vero  esser  distolto  dalla  verità,  come  non 
può  essere  scosso  dal  vento  nemico  agli  alberi  il  som. ino 
monte  Himavate. 


CAPITOLO   CXXI. 

CONSIGLI    A    BHARATA. 

Udite  le  parole  dei  cittadini,  Rama  pieno  d'amor  per 
essi  grandemente  si  rallegrò,  e  lieto  cosi  disse  :  Son  con- 
venevoli e  degne  le  parole  dei  pii  Brahmani,  conoscitori 
dei  Vedi  e  dei  Vedanghi,  maestri  di  sapienza;  è  vero, 
giusto,  e  sopratutto  conforme  ai  dovere,  quel  che  dicono 
costoro  che  tutto  sanno,  che  son  riconoscenti  dei  bene- 
lizj  e  venerandi  come  Dei;  son  conformi  alle  mie,  o  caro, 
le  parole  di  questi  cittadini,  che  erano  governati  con  sol- 
lecita cura  e  come  figli  da  nostro  padre ,  e  furon  sempre 
devoti    al   re.    Io  li  ripelo,  o   Bharala,  quello  che  già  ti 


140  KAMAYANA. 

dissi  :  ritorna  alla  città;  perocché  io  debbo  di  necessità 
qui  rimanere,  osservando  la  mia  promessa  :  io  li  scon- 
giuro, o  Bharata;  perchè  insisti  tu  ancora.'  parlaron  sa- 
viamente tutti  questi  nostri  amici  intenti  al  nostro  bene; 
a  che  ti  snova  ^  contristarci?  ritorna,  o  Bharata,  alla 
città.  Si  potrebbe  più  tosto  rasciugai  l'Oceano  signor  dei 
fiumi,  smuover  dalla  sua  base  il  monte  Vindhya  disteso 
sulla  terra;  ma  io,  o  eroe,  non  farò  mentire  al  suo  detto 
il  padre,  questo  io  prometto,  questo  io  giuro  sulla  mia 
fede  :  tu  ciò  udendo  ,  o  Bharata  ,  rifletti  saviamente. 
Sentendo  ^quelle  parole,  il  regal  Bharata  si  scolorò  in 
volto,  e  cadde  in  gran  mestizia  :  levatosi  da  quel  letto  di 
euse  e  purificatosi  con  acqua,  cosi  parlò  quindi  queir 
eroe  :  JVT  oda  questo  consesso  ;  m'  odano  i  consiglieri ,  le 
madri,  i  fidati  amici,  i  cittadini  e  la  gente  suburbana; 
desidero  essere  udito  da  voi  tutti  specialmente,  lo  voglio 
emendar  quest'  opera  riprovata  :  non  chiesi  al  padre  il 
regno;  non  mi  dolgo  di  mia  madre;  non  dispregio  il  no- 
bile Rama  sommo  conoscimi  del  giusto  :  ma  se  di  neces- 
sità si  dee  qui  rimanere  ed  adempiere  il  comando  del 
padre,  io  stesso  qui  rimarrò  duranti  1  quattordeci  anni. 
Ma  il  pio  Rama  maravigliandosi  di  que'  detti  veraci  del 
fratello,  cosi  parlò  guardando  i  cittadini  e  la  gente  subur- 
bana :  La  sorte  prefinita  che  m1  assegnò  vivendo  il  padre, 
non  si  può  trasgredire  da  me  né  da  Bharata;  io  non 
debbo  far  qui  vile  inganno  in  questo  mio  soggiorno  nelle 
selve;  perocché  fu  giurato  al  cospetto  di  Caiceyi  da  mio 
padre  stesso  quel  eh1  egli  fece  conforme  alla  sua  fede. 
Conosco  Bharata  d'animo  sedato,  onorator  del  padre; 
e   desidero   ogni  cosa    fausta   a   quel   magnanimo.    Allor 


AYODHYAGANDA.  141 

che  sarò  ritornato  dalla  selva  alla  città,  io  sarò  con  quel 
giusto  che  m' è  fratello,  re  supremo  della  terra,  lo  ho 
eseguito  l'ordine   di   Caiceyi  ;   tu  salva,   o  Bharata,   da 

menzogna  d  saggio  padre. 

CAPITOLO   CXXII. 

CONGEDO   DI   BHARATA. 

Ma  i  grandi  Risei  colà  raccolti  stupivano,  veggendo  il 
mirabile  ahhoccaiuento  di  que'  due  fratelli  di  forza  in- 
comparabile; ed  i  Gandharvi,  i  Mimi,  i  Siddhi,  i  sommi 
Hisci  celebravano  i  due  magnanimi  Cacutsthidi.  Felice 
eolui  che  è  padre  di  due  tali  figli  pii,  veraci  e  forti! 
udendo  noi  i  degni  vostri  colloquj ,  portiamo  invidia  ad 
amendue.  Quindi  le  schiere  de' Sapienti  divini,  deside- 
rose della  morte  di  Ravano,  cosi  parlarono  levate  in  aria 
a  Bharata  guerrier  fortissimo  :  O  uom  nato  d'alta  stirpe, 
saggio,  illustre  e  generoso,  tu  dei  conformarti  alle  parole 
di  Rama,  se  hai  riguardo  al  padre  ;  noi  pur  desideriamo 
che  Rama  si  sciolga  dal  suo  debito  verso  il  padre,  e  che 
questi  osservando  a  Caicevi  la  sua  promessa,  rimanga  in 
cielo.  Poich'ebbero  così  detto,  i  Gandharvi,  i  grandi 
Risei  e  i  re  Sapienti,  tutti  se  n'andarono  per  la  lor  via. 
Confortato  da  quelle  fauste  parole,  Rama  con  volto  se- 
reno e  lieto  onorò  tutti  que'  Risei  ;  ma  Bharata  colle  mem- 
bra illanguidite,  con  voce  esitante  nelle  fauci,  così  prese 
;i  dire  in  atto  reverente  a  Rama  :  Guardando  all'  alto 
dover  d'un  re  congiunto  col  dovere  di  stirpe,  degna,  o 
Cacutsthide ,  col  tuo  assenso  al  nostro  invito  purilìcar  me 


142  RAMAYANA. 

e   mia  madre,    lo    non  son  allo   a  protegger  solo  questo 
grande  regno,  ed  a  conciliarmi  regnando  la  gente  rustica 
e  cittadina;  i  congiunti,  gli  amici,  i  guerrieri,  gli  alleati 
desiderai!  pur   te   solo,   come   l'agricoltore  desidera    la 
nuvola   apportatrice  della  pioggia.   Riprendi  adunque,  o 
saggio,  questo  regno   intiero;  io  non  son  atto,  o  Cacut- 
sthide    al  governo  delle  genti.  Così  dicendo  cadde  l>ha- 
i-ata  ai  piedi  del  fratello,  e  cercava  ardentemente  di  pro- 
piziar Rama   con   dolci   paiole.    Ma    Rama  ritirandosi   in 
grembo   il  fosco   Bharata  dagli   occhi  simili  a  foglie  di 
loto,  dalla  voce  e  dagli  atti  di  cigno  innamorato,  così  gli 
disse  :  La  tua  mente,  così  qual  ella  è  per  natura  propensa 
alla  modestia,  è  valevole  assai  al  governo  foss1  anche  dei 
tre  mondi;  ma  ascolta,  o  principe,  qual  modo  tengano, 
quasi  esempio  ai  re,  India,  il  Sole,  il  Vento,  Yama,  Vii- 
runa,  la  Luna  e  la  Terra.  Come  India  spande  la  pioggia 
duranti  i  quattro  mesi  della  stagion  piovosa,  così  piova 
con  larghezze  sul  suo  regno  il  re  :  come  per  otto  mesi  il 
Sole  attrae  a  se  1'  acqua  co1  suoi  raggi ,  così  dee  il  re  ac- 
cumulare con  giustizia;  è  questo  il  regale  ufficio  che  s'ap- 
pella solare.  Come  corre  qua  e  là  il  Vento,  penetrando  in 
tutte  le  creature;  così  penetri  per  ogni  dove  il  re  co' suoi 
esploratori;  è  questo  l'uffizio  che  si  chiama  del  vento. 
Siccome  Yama,  allor  che  è  giunto  il  tempo  destinato,  al- 
l'erra chi  gli  è  amico,  e  chi  gli  è  nemico;  così  il  re  dopo 
aver  deliberato ,  sia  imparziale  a  chi  gli  è  caro ,  e  a  chi  gli 
è  discaro.  Come  si  vede  Varuna  legar  colle  sue  catene; 
così  si  debbono  dal  re  contenere  i  rei ,  conforme  all'  uf- 
fìzio di  Varuna.  Come  1'  aspetto  della  piena  luna  rallegra 
l'animo;  così   il  re,   in   cui  trovano  cagion   di  letizia  gli 


AYODHYACANDA.  143 

uomini,  adempie  l'uffizio  lunare.  La  Terra  sostiene  sem- 
pre egualmente  tutte  le  creature;  così  pur  sostenga  il  re 
Inlli  i  suoi  sudditi!90).  Dopo  aver  prima  richiamato  alla 
memoria  e  ponderato  i  negozj  del  regno  co' suoi  ministri, 
cogli  amici  e  coi  saggi  suoi  consiglieri,  li  faccia  quindi 
eseguire  il  re.  Or  ti  dico,  o  Bharata,  che  potrebbe  dipar- 
tirsi dalla  luna  il  suo  splendore,  muoversi  l'Himalaya, 
oltrepassar  l'Oceano  i  suoi  confini;  ma  io  non  tradirò  la 
promessa  del  padre.  Tu  non  dei  recarti  ad  animo  ciò 
che  per  amore  o  per  cupidità  fece  tua  madre,  e  devi  coni 
portarti  verso  lei  qua!  si  conviene  a  un  figlio.  Sia  dun- 
que così  come  tu  vuoi,  rispose  Bharata  a  Rama,  somi- 
gliante di  vigore  al  sole,  soave  nell'aspetto  come  la  luna 
nel  primo  suo  crescere.  Ma,  fallitogli  il  suo  desiderio, 
rimase  Bharata  vie  più  mesto  ,  e  colla  gola  chiusa  dalle 
lagrime  s'  abbassò  con  atto  reverente  a  terra ,  abbracciando 
i  piedi  del  magnanimo  Rama. 

CAPITOLO   CXXIii. 

I    CALZARI    DI    CIISA    ACCETTATI. 

Ma  Rama  vedendo  Bharata  cader  col  capo  ai  suoi 
piedi ,  s  arretrò  subitamente  alquanto  cogli  occhi  intor- 
bidati dalle  lagrime;  onde  Bharata,  toccati  i  piedi  di 
Rama,  cadde  piangendo  e  oltremodo  afflitto  a  terra, 
come  un  albero  che  cada  da  una  sponda;  e  serpeggiava 
quasi  sulla  terra  oppresso  dal  pianto  e  dall'angoscia;  e 
s'andava  ravvolgendo,  misero,  per  ogni  parte,  piangendo 
m  suon  pietoso.  Le  madri  di  Bharata  e  Sila  lìdia  di  Ga- 


[klì  RAMAYAN  \ 

naca  pur  piangevano  per  pietà  di  Ini  dirottamente;  era  in 
quell'ora  afflitto  e  piangente  ogni  uomo,  i  cittadini  coi 
guerrieri  e  cogli  artigiani,  il  sacro  maestro,  il  sacerdote; 
e  parea  piangere  eziandio,  versando  fiori,  ogni  pianta 
repente;  quanto  più  per  amore  gli  uomini,  che  hanno 
animo  umano!  Ma  Rama  commosso  da  amore,  stringendo 
forte  nelle  sue  braccia  l'afflitto  Bharata  piangente,  cosi 
gli  disse  :  Or  via  ciò  basti;  e  si  raffrenino  le  lagrime; 
abbi  orsù  riguardo  a  noi  dolenti,  e  ritorna  alla  città.  Io 
non  posso  veder  te  figlio  regale  in  tale  stato;  vien  meno 
quasi  f  animo  mio  oppresso  dal  peso  del  dolore.  Io  ti 
scongiuro ,  o  forte ,  con  Lacsmano  e  con  Sita;  né  più  ti  dirò 
parola,  se  tu  non  ritorni  ad  Ayodhya.  Ciò  udendo  Bha- 
rata, dopo  aver  terso  la  sua  faccia  lagrimosa  e  detto  dap- 
prima :  «  perdona  ;  »  così  parlò  egli  quindi  a  Rama  :  Fine 
dunque  allo  scongiurare  !  io  me  ne  ritornerò  ,  se  il  mio  stare 
cosi  ti  contrista;  che  io  anche  a  costo  della  mia  vita  farò 
quel  che  tè  caro,  o  mio  signore.  Tornerò  del  tutto  ad 
Ayodhya  colle  madri,  traendo  con  me  questa  grand'  oste  : 
ma  ti  rammento  or  questo;  tu  pur  ti  ricorderai  del  patto 
fra  noi  stabilito,  allor  che  ta  dicesti,  o  conoscitor  del  giusto  : 
Tieni  come  deposito  la  regal  fortuna  d' Icsvacu.  Rama 
fatto  più  lieto,  e  confortato  con  fauste  parole  Bharata 
disposto  alla  partenza,  confermò  quel  che  avea  già  detto. 
In  questo  mezzo  sopravvennero  i  discepoli  del  saggio  Sa- 
rabhanga,  tenendo  qual  dono  ossequioso,  due  calzari  di 
cusa(91);  Rama  richiesto  il  Mimi  della  sua  salute  e  data 
contezza  di  se  a  quel  magnanimo,  accettò  i  sandali  di 
cusa;  e  Bharata,  presi  que'  sandali  recati  dal  Mimi,  li  mise 
prontamente  ai  piedi  di  Rama.  Allora  il  facondo  Vasistha 


VYODHYACANDA.  145 

circondato  da  grande  calca,  così  parlò  accrescendo  negli 
animi  la  gioia  ad  un  tempo  e  Ja  mestizia  :  Prendi,  o  nobil 
nonio,  que1  calzari,  e  adattali  ai  tuoi  piedi;  essi  saran  ca- 
gione di  prosperità  agli  nomini.  Il  saggio  e  forte  Rama, 
messi  que' calzari  e  poi  depostili,  li  consegnò  quindi  al 
magnanimo  Bharata.  Presi  con  letizia  que' calzari  e  salu- 
tato Rama  col  girargli  intorno,  l'illustre  Bharata  costante 
nel  suo  voto  li  pose  sul  suo  capo  eccelso  come  quel  d'un 
elefante.  Intanto  Rama  amplifìcator  della  stirpe  di  Raghu, 
reso  convenevole  onore  a  quella  gente,  a  Vasistha,  agli 
altri  sacri  maestri  ed  ai  seguaci,  gli  licenziò  fermo  nel  suo 
dovere,  come  il  monte  Himavate  sulla  sua  base.  Le  madri 
soffocate  dalle  lagrime  e  dal  dolore  non  ebbero  forza  di 
salutarlo;  ma  Rama,  salutatele  tutte,  entrò  piangendo 
nel  suo  abituro. 


CAPITOLO  CXXIV. 

PARTENZA    DI    BHARATA. 

Allora  Bharata,  posti  sul  suo  capo  i  sandali  di  cusa, 
salì  lieto  sul  suo  carro,  seguitato  da  Satrughno.  Anda- 
vano innanzi  Vasistha,  Vamadeva,  Gàvàli  costante  ne' 
suoi  voti,  e  tutti  i  consiglieri  venerati  per  li  lor  consigli. 
Colla  faccia  volta  ad  oriente  s1  avviarono  essi  alla  pura 
Humana  Mandàkini ,  salutando  il  gran  monte  Citracùta , 
sopra  1  cui  alti  rispianati  giacciono  a  mille  a  mille  bellis- 
simi metalli.  Bharata  colf  esercito  camminava  per  lo 
fianco  del  monte;  e  poco  lontano  dal  Citracùta  vide  egli 

il  romitaggio,  dove  avea  sua  stanza  il  Mimi  Bharadvàga. 
il.  19 


146  n  \\i  u  w  \ 

Pervenuto  a  quell'  eremo  ,  il  saggio  Bharata  scese  dal  carro, 
e  s' inchinò  ai  piedi  del  Mimi;  allora  Bharadvàga  cosi  disse 
lieto  a  Bharata  :  Hai  In  fallo  quel  che  avevi  in  animo,  e  ti 
sei  tu  abboccato  con  Rama?  Per  tal  modo  interrogato  dal 
sapiente  Bharadvàga,  il  piissimo  Bharata  cos'i  rispose  a 
quel  giusto  :  Benché  supplicato  dai  sacri  maestri,  Rama 
fermo  nel  suo  proposto  rispose  con  animo  sereno  queste 
parole  :  Io  osserverò  costante  e  verace  la  promessa  fatta  al 
padre,  e  rimarrò  qui  quattordeci  anni,  secondo  che  pio- 
misi  al  mio  genitore. Udite  quelle  parole,  l'illustre  e  diserto 
Vasistha  rispose  al  facondo  Rama  questi  detti  solenni  : 
Consegna  or  dunque  a  Bharata  que' calzari,  o  uom  grande 
e  pio,  saldo  ne'  tuoi  voti  :  essi  saranno  in  Ayodhya  cagion 
di  prosperità  agli  uomini.  Esortato  con  tài  detti  da  Vasis- 
tha il  Rasrhuide  stando  colla  faccia  volta  ad  oriente,  con- 
segnò  a  me,  perch'io  regnassi,  questi  belli  e  splendidi 
calzari;  ed  io  congedato  dal  magnanimo  Rama,  presi  que1 
fausti  sandali,  me  ne  ritornai,  e  or  vo  ad  Ayodhya.  In- 
tese quelle  nobili  parole  del  magnanimo  Bharata,  il  Muni 
Bharadvàga  così  gli  disse  :  Non  è  maraviglia,  o  generoso, 
ottimo  fra  i  seguaci  della  virtù,  che  s'  accolga  in  te  tal  ret- 
titudine, come  s'accolgono  all'  imo  le  acque  che  piovono 
dal  cielo.  È  immortale  il  nobile  Dasaratha  tuo  padre, 
che  generò  un  figlio  tuo  pari  che  sei  come  la  giustizia 
vestita  di  corpo  umano.  Come  cessò  di  parlare  quel 
grande  saggio,  Bharata  lo  salutò  con  atto  reverente,  e 
s'  inchinò  ai  suoi  piedi;  quindi ,  poiché  l'ebbe  onorato  col 
girargli  intorno  iteratamente,  il  savio  Bharata  s'avviò 
co'  suoi  consiglieri  ad  Ayodhya.  Procedeva  distesa ,  se- 
guitando Bharata  ,  quell'  oste  che  ritornava  co'  suoi  carri, 


uonm  ve  \M)\.  147 

co' suoi  veicoli,  co' suoi  cavalli  ed  elefanti.  Poco  stante  ei 
videro  il  trivio  Gange,  bella  e  fausta  fiumana,  incoronata 
d'  onde  rapidissime.  Oltrepassato  quel  fiume  pieno  di  coc- 
codrilli e  di  mostri  acquatici,  s'avviò  quindi  Bharata  col 
suo  esercito  alla  città  di  Sringavera;  e  da  Sringavera  an- 
dando oltre,  egli  vide  la  città  d'Ayodhya.  Allora  Bharata 
preso  da  angoscia,  cosi  parlò  all'auriga  :  Mira,  o  auriga, 
la  città  d'Ayodhya  co' suoi  boschi  deserti,  disformala, 
mesta,  afflitta  e  muta  :  io  non  ho  cuore  di  riguardare 
quella  città  priva  di  Dasaratha  suo  eccelso  re  e  del  ma- 
gnanimo suo  figlio. 

CAPITOLO   C\\\. 

ENTBATA    IN    AYODHYA. 

Progredendo  col  suo  carro  che  risonava  profondo  e 
pieno,  l'inclito  Bharata  entrò  rapidamente  in  Ayodhya. 
Era  la  città  co1  suoi  mesti  abitatori,  come  una  nera  oscura 
notte,  popolata  di  gatti  e  d' ulule,  involta  in  cupe  tene- 
bre; come  Rollini  nobil  consorte  di  Luno,  splendida  in 
sua  beltà,  allorché  sorgendo  ella  tutta  sola,  viene  assalita 
da  Ràhu  (92);  come  un  torrente  alpestre  mezzo  riarso, 
intorbidato  e  smunto,  sulle  cui  rive  cantan  gii  augelli  con 
aspre  voci ,  e  dentro  cui  stanno  appiattati  i  pesci  ;  come 
una  fiamma  che  si  sollevava  lucente  e  chiara  dal  fuoco 
del  sacrifizio ,  spruzzata  con  pingue  burro ,  e  che  poi 
cadde  e  si  spense  ;  come  una  mesta  giovenca  abbando- 
nata dal  suo  toro,  la  qual  se  ne  sta  afflitta  nel  mezzo 
del  bovile,  calcando  l'erba  novella;  come  un  nuovo  mo- 


148  RAMAYANA. 

nilc  privato  delle  cure  e  nobili  sue  gemme  Incelili  come 
il  sole,  fulgide  al  par  di  fiamma;  come  la  terra  subita- 
mente scossa  dalla  sua  base,  allor  che  è  esani  ilo  ogni  suo 
merito;  come  una  stella  che,  perduta  la  radiante  aureola 
della  sua  luce,  cadde  giù  dal  cielo;  come  una  silvestre 
e  bella  pianta  repente ,  densa  di  fiori ,  intorno  a  cui  sul 
finir  della  primavera  ronzavano  liete  le  api,  e  che  è  arsa 
dal  fuoco  che  incende  la  selva;  come  un  cielo  ottenebrato 
di  nuvole,  senza  luna  e  senza  stelle,  piena  di  gente  atto- 
nita, deserte  le  piazze  ove  si  merca;  come  un  abbeve- 
ratoio devastato  da  ebbri  elefanti  e  squallido,  ingombro 
d'eletti  vasi  esausti  di  bevanda  e  rotti;  come  una  fonte 
d'acque  utili  e  profonda,  cavata  in  ruvido  suolo  e  chiusa 
di  frondi,  che  fu  distrutta  e  cadde;  come  una  robusta  e 
tesa  corda  d'arco,  che  rotta  dalle  saette  cadde  dall'arco 
con  grande  suono  a  terra;  come  una  debole  puledra  du- 
ramente affaticata  dal  cavaliere  inebbriato  dalla  battaglia 
e  da  lui  abbandonata,  colf  adorna  sua  pettiera  dispersa 
a  terrai93);  come  un  ampio  lago  pieno  di  grandi  pesci  e 
di  testuggini ,  che  fu  perforato ,  rasciutto  d'  acqua  e  spo- 
gliato de'  suoi  fior  di  loto  ;  come  le  membra  (94)  d'un  nobil 
uomo  riarse  dal  dolore,  ed  a  cui  son  disdetti  i  soavi  un- 
guenti e  i  belli  ornati  ;  come  la  luce  del  sole  velata  da 
nere  nuvole ,  allor  che  nella  stagion  delle  pioggie  egli 
entra  in  orride  masse  nubilose.  Ma  stando  sul  suo  carro, 
l' illustre  Bharata  Dasarathide  così  parlò  all'  auriga  che 
guidava  Y  eccelso  carro  :  Non  s'  ode  più  qui  l' alto  e  con- 
fuso suono  di  canti  e  di  stromenti,  qua!  già  s'udiva  un 
dì  in  Ayodhya  ;  più  non  si  veggon  liete  le  sue  vie  di  gio- 
vani in  belle  vesti  e  nobilmente  ornati ,  correnti  per  la 


AYODHYACANDA.  149 

città;  ])iù  non  spirano,  come  già  per  l'addietro,  le  fra- 
granze de' liquori,  né  le  vive  esalazioni  d'odorifere  ghir- 
lande, né  i  profumi  d' agalloco  e  d'incenso;  più  non 
s'ode,  come  per  innanzi,  lo  strepito  de' nobili  carri,  il 
gradevole  nitrito  de' cavalli,  il  barrito  degli  elefanti  caldi 
d' amore.  Cosi  parlando  entrò  Bharata  in  Ayodhya,  e  s'  av- 
viò alla  reggia  del  padre  orbata  del  suo  re,  come  una 
spelonca  abbandonata  dal  leone. 

CAPITOLO   CXXVI. 

DELIBERAZIONE    D'ANDARE    IN    NANDIGRÀMA. 

Deposte  nella  città  le  madri ,  Bharata  costante  ne'  suoi 
voti  così  parlò  poscia  a  quanti  erano  i  suoi  sacri  maestri  : 
Io  me  n  andrò  in  Nandigràma,  ed  invito  con  me  voi  tutti  ; 
là  io  sopporterò  questo  gran  dolore  dell'  esser  diviso  da 
Rama  :  è  morto  il  re  mio  padre,  e  dimora  nelle  selve  il 
mio  fratello  primogenito;  io  aspettando  Rama  al  regno, 
proteggerò  intanto  questa  terra.  Udite  quelle  nobili  pa- 
role del  magnanimo  Bharata,  tutti  i  consiglieri  preceduti 
da  Vasistha  così  risposero  :  E  convenevole,  degno  di  te 
e  meritevole  d'alta  lode,  o  Bharata,  quel  che  tu  hai 
detto  per  amor  di  tuo  fratello.  Qual  uomo  non  appro- 
verà la  via  che  tu  segui ,  stando  saldo  per  fraterno  amore 
nella  devozione  a  tuo  fratello  ed  operando  nobilmente? 
Udite  le  care  parole  de' consiglieri,  parole  conformi  al 
suo  desiderio,  così  disse  Bharata  all'auriga  :  S'appresti 
subito  il  mio  carro. 


150  R  \M  tt  W  \ 

CAPITOLO  CXXV1I 


STANZA    IN    NAN DIORAMA. 


Salutate  allora  le  madri  tutte  commosse  dalla  gioia, 
Bharata  salì  con  Satrughno  sul  suo  carro;  e  saliti  insieme 
su  quel  nobile  carro,  i  due  fratelli  s'avviarono  con  lieto 
animo  circondati  dai  consiglieri  e  dal  sacerdote.  Precede- 
vano i  Brahmani  sacri  maestri  con  Vasistha  lor  capo ,  e  luti  i 
colla  faccia  volta  ad  oriente  comminavano  verso  cola  dov1 
era  Nandigràma.  Andavano  dietro  a  Bharata  camminante 
gli  abitatori  della  città,  e  lo  seguitava  l'esercito  raccolto 
co'  suoi  carri,  cavalli  ed  elefanti;  cosi  il  pio  Bharata  devoto 
al  suo  fratello,  stando  sul  suo  carro  e  portando  con  se  i 
due  sandali,  pervenne  a  Nandigràma.  Entrato  prontamente 
in  Nandigràma  e  sceso  tosto  dal  suo  carro,  Bharata  cosi 
parlò  ai  sacri  maestri  :  Questo  regno  mi  lii  affidato  da 
mio  fratello  come  deposito,  e  con  esso  i  due  fausti  sandali 
insegna  della  regale  dignità  e  cagione  di  prosperità  agli 
uomini.  Quindi  Bharata,  venerati  e  poi  deposti  que' san- 
dali,  così  parlò  con  cuor  dolente  a  tutti  i  sudditi  che 
gli  stavano  intorno  :  Portate  qui  immantinente  il  regale 
ombrello,  e  tenetelo  ai  piedi  del  nobile  Rama;  questi 
due  ornati  sandali  saran  simbolo  del  regno.  Io  conserverò 
fino  al  ritorno  di  Rama  questo  deposito,  che  m'affidò  per 
amore  mio  fratello  ;  e  allor  eh'  io  avrò  reso  al  Raghuide 
il  suo  deposito,  questi  calzari  eletti  ed  il  regno  d'Ayo- 
dhya,  sarò  mondo  d'  ogni  colpa  :  sacrato  re  ilCacutsthide, 
fatto  lieto  e  giocondo  ogni  uomo,  la  mia  gioia  e  la  mia 


\V()1)HYACAND\  151 

gloria  saranno  maggiori  assai  che  quelle  del  regno.  Così 
parlando  con  cuore  afflitto,  il  glorioso  Bharata  poneva 
co' suoi  consiglieri  il  regno  in  Nandigràma,  onoralo  dalle 
genti  :  vestito  di  corteccie,  colla  chioma  ravvolta  a  modo 
ascetico,  in  abito  di  Mimi,  ei  fermò  coli'  esercito  sua  sede 
in  Nandigràma,  aspettando  il  ritorno  di  Rama,  devoto 
a' suoi  sacri  maestri,  fedele  ai  detti  del  fratello,  mante- 
nitor  della  sua  promessa.  Frattanto  l' illustre  Bharata,  con 
sacrati  i  sandali  di  Rama,  ordinò  che  fosse  tenuta  accanto 
ad  essi  la  ventola  crinita,  segno  della  regia  dignità;  e  sa- 
crati i  sandali  nella  nobil  città  di  Nandigràma,  Bharata 
governava  in  nome  d'  essi.  Così  trapassavano  i  giorni  del 
magnanimo  Bharata ,  mentr  egli  attendeva  il  ritorno  dell' 
invitto  Rama. 


FINE    DEI.    MURO    SECONDO. 


ARANYACANDA. 


20 


LIBRO  TERZO. 

ARANYACANDA. 


CAPITOLO    I. 

DISCORSO    DEGLI    ASCETI. 

Partitosi  Bharata,  e  dimorando  Rama  in  quella  selva 
d'ascetismo,  s'avvide  eh' eran  turbati  gli  abitatori  di 
quella  foresta;  ei  vide  eziandio  pieni  d'ansietà  gli  asceti 
contemplatori  che  abitavano  dirimpetto  al  Citracùta,  e 
ricorrevano  assiduamente  a  lui.  Costoro  guardando  Rama 
accigliati  e  insospettiti  ed  abboccandosi  l'un  coli' altro, 
mormoravano  in  disparte.  Scorgendo  Rama  l'ansietà  di 
coloro,  così  parlò  reverente  e  sospettoso  al  Risei  ch'era 
duce  di  queli'  ascetica  famiglia  :  Ho  io  forse  nel  mio 
operare,  o  uomo  eccelso,  fallito  in  alcuna  cosa,  onde 
così  son  mutati  questi  asceti  ?  Han  forse  questi  Risei  ve- 
duto in  Lacsmano  mio  minor  fratello  qualche  atto  scon- 
siderato, non  degno  di  lui  ?  o  forse  Sita  che  fu  pur  sem- 
pre ossequente  ai  sacri  maestri  e  devota  al  suo  consorte , 
si  comporta  ella  trascuratamente?  Udendo  quelle  parole 
di  Rama,  que'pii  asceti  guardandosi  l'un  l'altro,  non 
risposero  parola.  Ma  un  Risei  grave  d'anni  e  domato  ne' 
suoi  sensi   dalle  lunghe  austerità,  così    parlò   tremando  .1 


150  HAMAYAN  \ 

Rama  compassionevole  ad  ogni  creatura  :  No  non  veg- 
giamo  in  te  alcun  fallo,  o  uom  prestante;  tu  li  comporli 
degnamente  e  come  pio  verso  questi  asceti;  nessun  v'ha 
fra  questi  antichi  Risei,  che  non  sia  contento  del  proce- 
dere onesto  di  te  ottimo  e  del  tuo  fratello  Lacsmano;  il 
tuo  contegno,  non  men  che  quel  di  Lacsmano,  è  qual  si 
conviene  verso  i  sacri  maestri.  Come  poi,  o  caro,  po- 
trei)!)1 essere  inconsiderata  sopratutto  verso  i  pii  asceti  la 
Videhese  di  nobile  costume ,  naia  in  un  amplissima 
stirpe?  Non  siam  noi  mesti  per  cagion  tua,  o  caro;  ma 
il  timore  di  questi  asceti  nasce  dagli  empì  Racsasi;  afflitti 
e  perturbati  da  quella  paura,  ei  s'abboccano  l'uri  coli' 
altro.  Abitano,  o  Raghuide ,  in  questa  grande  selva  Rac- 
sasi antropofagi  di  forme  diverse,  feroci  ed  avidi  di  san- 
gue, i  quali  assalendo  gli  asceti  abitatori  del  Ganasthàna, 
li  uccidono  in  questa  gran  selva;  respingili  tu,  o  Ra- 
ghuide. E  quella  la  via,  per  cui  i  grandi  Risei  recano 
frutti  dalla  selva;  in  quella  via  entrano  essi  con  gran 
fatica.  Quivi  un  Racsaso  per  nome  Khara  fratello  minor 
di  Ravano  atterrisce  tutti  noi  abitatori  del  (ìanaslhàna; 
è  colui  crudele,  iniquo,  superbo  di  sua  forza  e  vitto- 
rioso; egli  ha  con  se  compagni  altieri,  ed  ha  in  ira  te,  o 
diletto.  Dappoi  in  qua  che  tu  dimori  in  questa  sede  di 
romiti,  i  Racsasi  vie  più  travagliano  i  pii  asceti.  Que1  de- 
formi d' infausto  aspetto  mostrali  loro  orribili  dispregi  in 
varie  forme  orride,  fiere  e  paurose,  e  costringendo  gli 
asceti  ad  atti  impuri,  fanno  loro  que' vili,  o  generoso, 
oltraggi  indegni.  Spaventosi  e  a  vedersi  turpi  ei  fanno, 
occulti  nelle  fìtte  solitudini,  scherzi  osceni,  sgomentando 
pii    asceti;  dispergono   le   cucchiare   del   sacrifizio   e   i 


ARAM  \C  \M)\.  157 

sacri  arnesi,  contaminano  il  burro  cotto  destinalo  ad  of- 
ferta sul  sacro  fuoco,  e  corrompono  con  sangue  in  ogni 
parte  le  sacre  oblazioni.  Eglino  diffidenti  mandai]  fuori 
agli  orecchi  de' confidenti  e  pii  asceti  suoni  orrendi;  e 
nell'ora  del  sacrifizio,  rapite  le  brocche  de1  solicelli  asceti, 
le  legna,  i  fiori  e  le  sacre  verbene,  se  ne  fuggon  via  que1 
mostri  orribili.  Veggendo  questi  pii  anacoreti  infestala 
da  que' malvagi  questa  selva,  si  consigliano  con  le  ansiosi 
d'andarsene  altrove;  perciò,  o  Rama,  finché  non  sia  dis- 
sipato ogni  lor  timore,  noi  abbandoneremo  questa  sede 
romita.  Non  lungi  di  qui  è  una  mirabile  selva,  piena  di 
frutti  e  di  radici;  colà  v'ha  un  antico  romitaggio;  noi 
v'andremo  conte,  o  diletto.  Finché  Khara  ancor  non 
pensa  a  farti  offesa,  abbandona,  o  caro,  questo  soggiorno, 
e  vientene  con  noi.  Non  è  bene  che  tu  dimori  qui  solo 
colla  tua  donna ,  mentre  stanno  qua  vicini  que'  Racsasi 
crudeli  :  tu  sei  bensì  atto,  o  Rama,  a  disperdere  que' 
Racsasi  ;  ma  non  dei  però  troppo  fidarti;  perchè  i  Piacsasi 
son  pieni  di  frode.  Poich'ebbe  il  pio  asceta  così  parlato, 
il  regal  Rama  non  potè,  colle  parole  eh'  ei  rispose,  disto- 
glierlo dal  suo  proposto.  Salutato  e  confortato  il  Raghuide 
e  dettogli  vale,  quel  duce  d'ascetica  famiglia  se  n'andò 
co' suoi  seguaci,  abbandonando  quel  romitaggio.  Partitisi 
tutti  que'Muni  fedeli  al  voto  del  silenzio,  quel  romitag- 
gio derelitto  rimase  muto  e  squallido,  abitato  da  serpenti 
e  da  belve  quasi  dolenti  della  lor  partita. 


58  RAMAWW 


CAPITOLO    II 


I-ARO  [.E     ir  ANASI  1  \. 


Andatisene  quegli  asceti,  il  Raghuide  pensando  fra  se 
più  non  amò  per  molte  cagioni  di  dimorar  colà  :  Qui 
furono,  ei  pensò,  da  me  veduti  Bharata,  le  madri  e  i  cit- 
tadini;  m' è  «rande  angoscia  al  cuore  l'assidua  ed  amara 
lor  rimembranza;  ed  essendo  stalo  da  Bharata  accampalo 
qui  l'esercito,  s'è  fatta  «rande  sozzura  dal  fimo  degli 
elefanti  e  de' cavalli.  Per  lo  che  avendo  il  Raghuide  de- 
liberato d'andarsene  altrove,  se  ne  partì  quindi  con  Lac- 
smano  e  con  Sita.  Pervenuto  al  romitaggio  d'Atri,  venerò 
egli  quel  grande  asceta,  e  il  venerando  Atri  1'  accolse  con 
amore  a  guisa  di  padre.  Resi  egli  stesso  a  Rama  i  con- 
venevoli uflìcj  d'  ospitalità ,  fece  ei  pure  blande  acco- 
glienze ,  quali  si  convenivano,  a  Lacsmano  ed  a  Sita;  quindi 
quel  gran  Mimi  così  parlò  alla  sua  consorte  Anasùya  ve- 
nerabile e  antica  penitente,  perfetta  e  immacolata,  intesa 
al  bene  d'ogni  creatura  :  Accogli  la  Videhese;  onora  con 
doni  desiderabili  la  gloriosa  consorte  di  Rama;  poi  egli 
presentò  a  Rama  la  Brabmana  sua  moglie,  costante  ne' 
suoi  voti,  esercitala  in  acerbe  castigazioni  ed  in  mirabili 
pie  osservanze  :  E  questa,  o  caro,  Anasiìya  che  sostenne 
anticamente  per  lo  spazio  di  dieci  mila  anni  supreme 
macerazioni;  ella  t' è  qual  madre,  o  incolpabile;  costei, 
allor  che  la  terra  fu  riarsa  da  una  continua  siccità  di  dieci 
anni,  produsse  radici  e  frutti,  e  fece  fluir  la  Gratinavi  (il 
Gange);  costei  adoperandosi  in  servigio  degli  Dei,  prò- 


\I5 AM  W;  \M)A.  159 

lungo  per  lo  spazio  di  dieci  notti  una  sola  notte;  ella  t'è 
qual  madre,  o  incolpabile.  S'appressi  la  Videhese  a  questa 
nobile  penitente,  benefica  a  tutte  le  creature,  perfetta, 
mite  e  veneranda.  Assentì  al  Risei  che  così  parlava,  il  pio 
Raghuide;  poi  così  disse  a  Sita  :  Udisti,  o  Sita,  le  parole 
di  questo  magnanimo  Saggio,  dirette  al  tuo  bene;  t'ap- 
pressa tosto  a  quella  pia.  Udite  le  parole  di  Rama,  Sita 
intenta  al  suo  bene  s'accostò  a  mirare  la   pia  consolle 
d'Atri,  fiacca,   eadente,  antica,  canuta  per  vecchiezza  e 
smunta,    tremante    come  una  debole  pianta  incontro  al 
vento.  Sita  salutò  prontamente  col  capo  dimesso  la  venera- 
bile Anasùya,  salda  ne' suoi  voti,  dicendo  :  lo  son  la  Mi- 
thilese.  Salutata  la  pia  donna  ascetica,  Sita  giungendo  le 
mani  in  sulla  fronte,  lieta  la  richiese  della  sua  salute  :  e 
quella  casta  donna  guardando  la  preclara  Sita  e  richie- 
stala della  sua  prosperità,   così  le  disse  :  Felice  te  che 
osservi    il  tuo   dovere,   o  Sita!  felice   te,  o  donna,  che 
abbandonando  i  tuoi  congiunti,  gli  onori  e  le  dolcezze, 
seguiti  per  amore  Rama  fra  le  selve  !  le  donne  che  han 
caro  il  lor  consorte,  sia  egli  felice  o  sventurato,  malvagio 
o  buono,  ottengono  le  alte  sedi  fortunate.  Il  consorte  è 
il  nume  supremo  delle  donne  generose,  ancorché  sia  esso 
di  rei  costumi,   dissoluto  ed  alieno  dai  suoi  doveri;  io 
non   veggo   per   la    donna   di    stirpe   onorata   congiunto 
maggior  del  suo  sposo;  lo  sposo  è  il  suo  amico,  il  suo 
maestro,   il   suo   signore   ed  il   suo  nume.  Ma  ciò  non 
comprendono  per  la  malvagità  della  lor  natura  le  donne 
disoneste,   le  quali    avendo    il   cuor   loro    dominato   da 
concupiscenza,  fanno  oltraggio  al   lor  consorte  :  tali  ree 
donne,  o  Mithilese,  soggiogate  dalla  forza  del  male  non 


160  R  VMAYAN  \. 

acquistano  che  infamia,  e  cadono  d'ogni  lor  virtù .  Ma 
le  donne  oneste  tue  pari,  o  fortunata,  che  han  l'occhio 
quaggiù  al  presente  ed  al  futuro,  sen  vanno  al  cielo, 
come  gli  uomini  virtuosi  e  pii.  Perciò  seguitando  1'  esem- 
pio delle  donne  oneste,  conservati  fedele  al  tuo  consorte 
e  casta;  ed  otterrai  quaggiù  merito  e  gloria. 

CAPITOLO   IH. 

DONO    D'AFFETTO. 

Udite  quelle  parole  dell'inclita  Anasùya,  Sita  venera- 
tala, così  prese  a  dir  tutta  lieta  :  Non  è  meraviglia,  o  nobil 
donna,  che  tu  così  mi  favelli;  ma  io  già  ben  sapeva  che  il 
consorte  è  il  rifugio  della  donna.  Quand'  anche,  o  eccelsa, 
questo  mio  consorte  fosse  privo  d'  ogni  dote ,  dovrebbe 
egli  essere  pur  nondimeno  unicamente  e  assiduamente 
da  me  onorato  ;  quanto  più ,  essendo  egli  preclaro  per 
virtù,  compassionevole,  donno  de' suoi  sensi,  giusto  e 
di  saldo  affetto,  ed  oltre  ogni  altro  caro  sempre  ai  suoi 
genitori!  In  quel  modo  che  l'inclito  Rama  si  comporta 
verso  Causalya  sua  madre ,  così  egli  fa  verso  l' altre  donne 
del  re;  ne  ciò  solo,  ma  le  donne  vedute  dal  re  pur  una 
volta  onora  come  madri  quel!'  illustre  e  forte.  Mi  sta 
fermo  in  cuore  ciò  che  un  dì  mi  diceva  mia  suocera, 
mentr1  io  m'avviava  alle  deserte  selve,  e  ch'io  raccolsi 
attenta;  e  mi  sta  pur  fìsso  nella  mente  quel  che  un  dì  mi 
diceva  mia  madre ,  allor  che  Rama  m' impalmò ,  stando 
io  in  mezzo  al  sacro  fuoco  :  tutti  que'  detti  son  ora  rin- 
frescati dalle  tue  parole,  o  pia;  non  v'ha  sacra  osservanza 


maggior  per  la  donna,  che  l'ossequio  verso  il  suo  con- 
sorte. Per  aver  prestato  ossequio  al  suo  sposo,  Sàvitri  è 
or  magnificata  in  cielo;  parimente  per  l'ossequio  verso  il 
mio  sposo  se  n'andò  Arundhati  alle  sedi  celesti;  e  la  pre- 
clara Ira  tutte  le  donne  che  è  Dea  in  cielo,  Rollini  non  è 
pure  un  sol  momento  divisa  dal  suo  consorte  Limo;  cosi 
altre  simili  donne  fedelmente  devote  ai  loro  sposi  son 
per  tal  atto  pio  magnificate  nel  mondo  felice  degli  Dei. 
Udendo  que' nobili  detti,  Anasùya  baciò  lietissima  sul 
capo  la  Mithilese,  e  così  le  disse  con  voce  interrotta  dalla 
gioia  :  Son  convenevoli  e  degne  le  tue  parole,  o  Sita:  ne 
son  io  soddisfatta;  or  dimmi  che  cosa  io  posso  far  che  a 
te  sia  cara  :  ricorrendo  alla  potenza  ascetica  eh'  io  mi  sono 
acquistata  con  diverse  osservanze  austere,  io  ti  farò  un 
dono,  o  Sita.  Ma  Sita,  udite  tali  parole,  rispose  stupe- 
fatta a  quella  donna  possente  per  ascetismo  e  maravigliata 
anch'essa  :  Basta  quel  ohe  hai  già  fatto.  Per  quelle  parole 
rimase  vie  più  contenta  quella  pia,  e  mostrando  appieno 
il  suo  favore,  così  disse  :  0  fortunata  figlia  di  Ganaca, 
tu  n  andrai  adorna  e  lisciata  per  tutto  il  corpo  con  questo 
odoroso  e  divino  unguento  eh'  io  ti  dono;  d'  oeffi  innanzi, 
-i'  tu  sia  felice,  sarà  immortale  la  tua  corona;  e  per  lungo 
tempo  non  si  distaccherà  dalle  tue  membra  questo  un- 
guento :  con  questo  unguento  eh"  io  ti  dono,  o  Mithilese, 
tu  sarai  gioconda  al  tuo  sposo,  come  la  bella  Lacsmi  è 
cara  a  \  isnu.  La  Mithilese  accolse  quelf  eccelso  dono 
d  amore ,  e  con  esso  vesti,  ornamenti  e  serti.  Quindi 
ristorata  della  sua  stanchezza  e  lieta  prese  Sila  le  due 
belle  vesti  sempre  immacolate,  simili  di  colore  al  sol  eli'' 
nasce,  i  serti,  l'unguento  e  gli  ornamenti. 

11.  O  | 


102  R  VMAYANA 


C  il»  ITO  LO    \\ 


DISCORSO   DI   SITA. 


Ricevuto  queir  eccelso  dono  d'amore,  Sita  venero  con 
atto  ossequioso  ([nella  pia,  ed  Anasiìya  snida  ne'  suoi  voti 
così  prese  a  dire  alla  modesta  e  reverente  Sita  dagli  occhi 
di  loto  :  Io  udii  narrare,  o  Sita,  che  il  Raghuide  glorioso 
t'ottenne  un  dì  come  sposa  per  solenne  tua  elezione;  or 
io  desidero  udir  da  te  per  disteso  quel  racconto  ;  ti  piac- 
cia ,  o  Milhilese ,  narrarmi  ogni  cosa  compiutamente, 
com'  ella  avvenne.  Sita  così  invitala,  e  detto  :  Or  bene 
ascolta;  così  prese  a  raccontare  a  quella  donna  casta  e 
pia  :  V  ha  un  re  di  Mithila  per  nome  Ganaca ,  eroe , 
conoscitor  del  giusto,  fedele  ai  doveri  di  Csatro,  il  qnal 
regge  degnamente  la  terra.  Costui,  che  è  mio  padre,  an- 
dato un  dì  colle  pie  sue  consorti  a  segnar  coli'  aratro  la 
cerchia  del  sacrifizio,  vide  un  mirabile  prodigio;  ei  vide 
andar  per  Y  aria  la  vaga  Apsarasa  Menaca  di  beltà  divina, 
illuminante  col  suo  splendore  le  regioni  aeree.  Veduta 
colei  bella  come  Piati  la  consorte  dell'Amore,  gli  entrò 
ne  11'  animo  questo  pensiero  che^smosse  la  sua  fermezza  : 
Oh  mi  nascesse  una  figlia  simile  a  costei ,  che  accrescesse 
la  mia  gloria!  sarebbe  questo  un  gran  favore  a  me  privo 
di  figli.  Allora  una  voce  non  umana  proferì  per  l'aria, 
siccome  è  fama,  queste  sonore  parole  :  Tu  otterrai  una 
figlia  simile  a  costei  per  isplendore  di  bellezza.  Mentre 
Ganaca  segnava  colf  aratro  in  mano  la  cerchia  del  sacri- 
fizio, io  uscii  di  repente  fuori,  aprendo  la  terra  rifugio 


VRANYAC  \.M)\.  163 

dell'uomo.  (Ionie  il  re  Ganaca  mi  vide  sparsa  di  polvere 
per  Inllo  il  corpo  ed  agitante  le  mani  chiuse,  rimase 
stupefatto;  ed  appressatosi  a  me  e  raccoltami  con  amore 
sul  suo  grembo,  così  egli  disse  :  E  costei  per  cerio  mia 
figlia;  perocché  io  sentii  amore  per  lei.  Così  è,  rispose 
una  voce  occulta  ed  incorporea;  e  s'udì  allora  un  suono 
di  timpani  celesti,  accompagnato  da  una  pioggia  di  (iori; 
questa  bellissima  fanciulla  figlia  del  tuo  desiderio  e  pro- 
dotta da  Menaca,  acquisterà  gloria  nei  tre  mondi;  e  poi- 
ché ella  sorse  fuori  aprendo  la  terra  del  campo  come  una 
pianta,  perciò  avrà  questa  tua  figlia  celebrità  nel  mondo 
col  nome  di  Sitai1).  Allora  fu  lieto  il  pio  re  di  Mithila 
mio  padre,  ed  ottenendo  me,  parve  aver  egli  ottenuto 
un  grande  incremento  :  ei  mi  diede  come  figlia  alla  più 
nobile  sua  consorte;  da  lei  fui  io  cresciuta  con  materno 
amore  per  dolce  affetto.  Ma  allor  cbe  mi  vide  pervenuta 
all'età  nubile,  entrò  mio  padre  in  grave  pensiero,  come 
1'  uom  misero  che  ha  perduto  ogni  sua  ricchezza.  11  padre, 
ei  pensava,  che  ottenne  in  dono  una  tal  fanciulla  raccolta 
dalla  terra  arata,  riceve  insulti  da  proci  arroganti,  foss'  egli 
anche  simile  ad  Indra  sulla  terra.  Veggendo  non  lontani 
quegli  insulti  che  egli  per  se  temeva,  stava  il  re  immerso 
in  un  mar  di  pensieri;  né  poteva  venirne  a  riva,  come 
l'uom  che  è  in  mare  senza  nave.  Quel  re  della  terra  sap- 
piendo  non  esser  io  nata  da  femmineo  seno,  non  trovava, 
fra  se  pensando,  sposo  che  fosse  mio  pari  e  degno  di  me. 
Nacque  allora  in  lui  tormentato  da  tale  cura  questo  pen- 
siero :  ordinerò  io,  conforme  all' uso,  una  solenne  ragu- 
nanza  dove  Sita  elegga  uno  sposo.  Un  dì  ,  mentre  mio 
padre  dava  opera  ad  un  sacrifizio,  gli  fu  dal  magnanimo 


I(>4  RAMAYANA. 

Siva  consegnato  come  deposito  un  arco  e  con  esso  due 
faretre  inesauribili,  un  arco  che  per  lo  suo  gran  peso 
portano  con  istento  cento  eletti  uomini  vigorosi,  robusti, 
giovani  e  saputi,  che  non  potrebbero  con  ogni  lor  fatica 
pur  pensare  a  sostenere  uomini  deboli  ed  inetti,  quanto 
meno  a  tenderlo  con  forza!  né  furon  mai  atti  ad  ergerlo 
quanti  vi  si  provarono  re  ad  altri  uomini  sulla  terra  esperii 
nell'armi  e  vantatori  di  se  stessi.  Mio  padre,  fatto  porre 
quell'arco  in  piedi,  e  chiamati  tulli  i  suoi  ministri,  disse 
in  mezzo  a  loro  queste  parole  imperiose  :  Colui  che  dopo 
aver  sollevato  quest'  arco,  lo  incorderà  con  una  sola  mano, 
sarà  sulla  terra  consorte  di  Sita.  Esposto  quell'  arco  per 
la  solenne  mia  elezion  d'uno  sposo,  mio  padre  spedì 
messaggi  eri  ai  re  che  avean  fama  di  guerrieri  valorosi. 
Quei  re  convocati  vennero  al  tempo  opportuno;  e  furon 
tutti,  siccome  degni  d'onore,  nobilmente  accolti  dal  re; 
ed  entrali  quanti  egli  erano  nella  casa  destinala  a  quel 
solenne  concorso,  tutta  fulgente  di  splendore,  ei  videro 
quell'arco.  Veduto  quel  grand' arco  ampio  come  la  pro- 
boscide d'un  elefante,  mancaron  d'animo  tutti  quei  re, 
guardandosi  1' un  l'altro;  e  sentendosi  inabili  a  tendere 
quell'arco  eletto,  pesantissimo  e  duro  a  sostenersi,  salu- 
tato il  re,  se  ne  partirono.  Rotta  quella  solennità  sponsale 
ed  andatisene  quei  re,  mio  padre  pur  pensando,  non 
trovava  uno  sposo  che  fosse  mio  pari.  Ma  dopo  lungo 
tempo,  mentre  il  magnanimo  Ganaca  mio  padre  attendeva 
ad  un  sacrifizio,  sopraggiunse,  simile  a  piena  luna  che 
sorge,  questo  nobilissimo  Raghuide,  grande  arciero,  or- 
nato le  tempia  di  cincinni,  che  aveva  udito  celebrare  la 
forza  e  il  peso   di  quell'arco.  Era  Rama  accompagnato 


\RANYACANDA.  165 

dal  saggio  Visvamitra  figlio  di  Gàdhi;  e  fallosi  innanzi  a 
mio  padre,  lo  salutò;  che  ei  ben  sapea  ed  aveva  udito 
esser  egli  amico  di  Dasaratha  suo  padre.  Coni'  ebbe  il  sag- 
gio Rama  prima  richiesto  Ganaca  della  prosperità  della  sua 
salute,  e  ne  fu  egli  stesso  richiesto  da  mio  padre,  poscia 
fra  d  ragionare  così  parlò  sorridendo  a  Ganaca  circondato 
dai  suoi  ministri  questo  mio  Raghnide  :  Ho  desiderio,  o 
mio  signore,  di  veder  quel  tuo  arco,  che  cento  uomini, 
siccome  è  fama,  bastano  appena  a  sostenere;  ti  piaccia 
ora  far  che  io  il  vegga.  11  re  mio  padre  allora,  preso  per 
mano  Rama ,  andò  colà  dove  stava  quelf  arco  divino ,  e 
disse  a  Rama  :  Questo  è  desso.  Il  Raghuide,  veduto  queir 
arco ,  lo  sollevò  ;  di  che  rimase  stupefatto  il  re  co1  suoi 
ministri.  Ma  mentre  Rama  ergeva  con  impeto  quel  grand1 
arco,  lo  ruppe  nel  mezzo,  e  ne  uscì  un  suono  spaventoso, 
come  di  fulmine  che  cada.  Assordati  da  quel  suono  cad- 
dero a  terra  sbalorditi  quanti  erano  colà,  eccettuatine  tre 
soli,  Rama,  Lacsmano  e  il  re  mio  padre;  tutta  l'altra 
gente  non  potè  mantener  fermo  il  suo  cuore.  Conosciuta 
allora  la  forza  del  Raghuide,  si  rallegrò  mio  padre  e  gli 
die  co' suoi  ministri  lode  conforme  al  suo  valore.  Quindi 
presentato  un  vaso  d'acqua,  venni  io  offerta  come  sposa 
a  Rama  da  mio  padre  desideroso  d'osservar  la  sua  fede; 
ma  il  Raghuide  non  accettò  per  anche  come  sposa  me 
che  gli  era  offerta ,  non  conoscendo  egli  ancora  l' inten- 
zion  di  suo  padre  re  d'Ayodhya.  Chiamato  allora  colà  il 
vecchio  re  Dasaratha  mio  suocero ,  mi  diede  il  re  Ganaca 
siccome  prima  ed  ugual  consorte  al  magnanimo  Rama  ;  e 
nello  stesso  tempo  diede  pur  mio  padre  come  sposa  a 
Lacsmano  una  mia  minor  sorella  per  nome  Urinila,  bel- 


166  RAMAYANA. 

lissima  laminila.  Cosi  lui  io  disposata  dal  padre  ;i  Rama 
per  solenne  mia  elozione,  e  son  io  devota  eoi»  tutto  l'af- 
fetto al  mio  consorte  fortissimo  tra  i  forti. 


CAPITOLO  V. 

ENTRATA    NELLA    SELVA     DANDACA. 

Udito  quel  soave  racconto  della  Videhese,  biasùya 
abbracciando  Sita,  la  baciò  sul  capo;  poi  quella  pia  con- 
sorte d'Atri  disse  queste  dolci  parole,  belle  ed  impron- 
tate d'affetto,  proferite  quasi  impensate  :  Mi  ni  fatto  da 
te,  o  figlia,  un  esimio  racconto  dilettoso;  e  godei  som- 
mamente udendoti  narrare,  o  donna  di  soave  favella.  Or 
calò,  o  leggiadra,  all'occaso  il  sole,  ed  è  sopraggiunta  la 
nitida  e  pura  notte  sparsa  d' astri  e  di  segni  costellati 
(nacsatri).  S'ode  la  voce  degli  augelli  o  dispersi  per 
l'aria  in  cerca  di  lor  pastura,  o  raccolti  ne'  lor  nidi. 
Que'  Muni  die  andarono  al  lago  con  lor  brocche  per  farvi 
le  abluzioni  vespertine,  se  ne  ritornan  ora  colle  vesti  di 
corteccia  asperse  d' acqua.  Ecco  si  vede  per  1'  aer  puro 
il  fumo  che  nereggiante  e  rosso  come  le  piume  d' una 
colomba,  sorge  dal  sacro  fuoco  sovra  cui  i  Risei  han 
fatto,  conforme  ai  riti,  le  sacre  oblazioni.  Gli  alberi 
scolorati  e  confusi  in  masse  d'  ogni  parte  per  quest'  ampia 
e  bella  regione  ,  hanno  sembianza  di  montagne.  Vanno 
ora  errando  intorno  gli  esseri  nottivaghi  ;  e  le  belve  man- 
suete di  questa  selva  d' ascetismo  se  ne  stan  giacendo  fra 
l'are  del  sacrifizio.  E  venuta  la  notte,  o  Sita,  coronata 
d'astri  e  di  segni  costellati,  ed  apparve  in  cielo  sorta  la 


ARANYACANDA.  167 

luna  cinta  di  splendore.  Raccogliti  al  fianco  di  Rama,  o 
Mithilese;  io  li  licenzio;  io  fui  da  te  rallegrala,  o  donna 
esimia,  col  soave  tuo  racconto.  T'adorna  ora  alla  mia 
presenza,  o  Mithilese;  sarò  io  contenta  di  vederti  ornata. 
\llora  s'adornò  Sila  pari  alla  figlia  d'un  Dio;  e  salutata 
\nasiìya,  si  condusse  a  veder  Rama.  L'egregio  Raghuide 
contemplò  con  mcravujlia  Sita  così  abbellita  con  quel  dono 
d'amore  dalla  pia  consorte  d'Atri;  e  Sita  raccontò  fedel- 
mente a  Rama  il  dono  dell'unguento  e  degli  ornati,  che 
le  fece  la  donna  pia.  Fu  lieto  Rama  e  con  lui  il  glorioso 
Lacsmano,  veggendo  ottenuto  dalla  Mithilese  tanto  onor 
di  cortesia,  difficile  a  conseguirsi  dalle  donne;  e  pieno 
di  giocondità  passò  colla  sua  diletta  nell'  eremo  del  Mimi 
quella  pura  notte.  Trapassata  quella  notte ,  il  venerando 
Atri,  fatte  le  oblazioni  sul  sacro  fuoco,  così  parlò  a  Rama 
che  chiedeva  da  lui  commiato  :  Abitano,  o  Raghuide,  in 
questa  gran  selva  Racsasi  antropofagi  di  forme  diverse, 
feroci  ed  avidi  di  sangue  ;  que'  Racsasi  fanno  oltraggi  al 
pio  asceta,  s'  egli  è  lasciato  solo  o  non  è  guardingo;  degna 
tu  respingerli  di  qui ,  o  Rama.  E  quella  la  via  per  cui  i 
grandi  Risei  recano  frutti  dalla  selva;  per  essa  tu  dei  an- 
darne di  qui  ad  un'  altra  selva  d' aspro  accesso.  Vanne 
felice  a  quella  foresta,  ove  desideri  d'arrivare,  e  v'abita 
felicemente,  o  figlio  di  re.  Possiam  noi  qui  rivederti  ri- 
tornato da  quella  selva,  dopo  che  tu  avrai  condotto  a  fine 
il  tuo  assunto  !  Così  benedetto  con  fausti  voti  da  que' 
magnanimi  Brahmani  reverenti,  l'invitto  Raghuide  s'ad- 
dentrò nella  selva  con  Lacsmano  e  colla  consorte,  coni' 
entra  il  sole  in  una  cerchia  di  nubi. 


168  RAM  AVANA. 

CAPITOLO   VI. 

VEDUTA    DF    ROMITAGGI. 

Entrato  nella  gran  selva  Dandaca ,  mirabile  foresta, 
Rama  vide  una  cerchia  insuperabile  d'  eremi  di  pii  asceti, 
sparsa  di  cuse  e  di  corteccie,  cinta  di  splendor  brahma- 
nico,  dov'era  l'entrar  difficile,  e  difficile  il  mirarla,  ri  lu- 
cente come  il  disco  del  sole  :  era  fiorente  e  fortunata  , 
rifugio  di  tutte  le  creature ,  frequentata  e  rallegrata  con 
assidue  danze  dalle  schiere  delle  Apsarase,  adorna  di 
sacelli  destinati  al  sacro  fuoco,  con  cucchiare  e  nitidi 
vasi  risplendenti,  con  grandi  brocche  d'acqua,  radici  e 
frutti;  era  abbellita  da  grandi  alberi  silvestri  pieni  di 
belli  e  dolci  frutti,  da  arbori  adorne  di  varj  fiori  e  da 
stagni  coperti  di  ninfee,  abitata  da  antichi  Mimi  man- 
sueti, fulgidi  come  il  fuoco  e  il  sole,  cibantisi  di  frutti 
e  di  radici,  vestiti  di  corteccie  e  di  nere  nebridi;  puris- 
sima, santificata  da  sacrifizj  e  da  oblazioni,  risuonante 
del  canto  dei  Vedi,  onorata  da  molti  uomini  preclari  e 
temperanti.  Veduta  da  lungi  quella  cerchia  di  romitaggi, 
simile  alla  sede  di  Brahma,  abitata  da  sommi  Risei  e  da 
venerandi  Brahmani  indiati  in  Brahma ,  rallegrata  dal 
canto  di  varj  augelli ,  piena  di  belve  diverse,  il  fortissimo 
e  saffsrio  Raghuide,  levata  la  corda  dal  suo  grand' arco, 
s'appressò  seguitato  da  Lacsmano  e  da  Sita.  Que' grandi 
Risei  dotati  di  scienza  divina,  veduto  Rama,  gli  si  fecero 
lieti  incontro,  e  così  a  Lacsmano  ed  a  Sita,  e  mirando 
quel  pio  colà  presente,  simile  al  sol  che  nasce,   I'  accol- 


\\\  \M  VC  WDA.  169 

sero  con  salvili  benaugurosi  quegli  asceti  di  saldi  voli;  e 
riguardavano  con  sembiante  attonito  la  forma,  la  statura, 
lo  splendore,  la  fresca  gioventù  e  il  nobile  vestir  di  riama. 
Tulli  quegli  abitatori  dello  selve  miravano  con  occhi  im- 
mobili, come  cosa  prodigiosa,  Rama,  Sila  e  Lacsmano. 
Quindi  que'  Mimi  raccolti  introdussero  nel  loro  abituro 
di  foglie,  perchè  facesse  colà  dimora,  Rama  venuto  quivi 
ospite  spontaneo;  e  facendogli  ospitali  accoglienze,  quali 
si  convenivano,  gli  presentarono  acqua  pura  que' giusti 
e  pii  asceti,  ed  offerti  a  quel  magnanimo,  conforme  all' 
uso,  fiori,  radici,  frutti  silvestri  ed  il  loro  romitaggio, 
così  gli  parlarono  quindi  con  atto  reverente  :  Tu  sei  a  noi 
come  la  Giustizia,  o  Rama;  tu  ci  sei  padre,  sostegno  e 
amico;  tu  sei  re  maestro  del  mondo,  degno  d'onore  e 
di  reverenza.  Il  re  quarta  parte  del  supremo  degli  Dei 
protegge  le  genti;  perciò,  o  Raghuide  ,  fruisce  egli  le 
delizie  più  pregiate,  onorato  dagli  uomini.  Noi  abitiam 
la  terra  sovra  cui  tu  imperi  ;  dobbiam  quindi  essere  da 
le  protetti  :  o  sii  tu  nella  città,  oppur  fra  le  selve,  tu  sei 
nostro  re,  o  eccelso  fra  i  Raghuidi.  Noi  abbiam  dismesso, 
o  Rama,  il  nostro  scettro;  abbiam  domata  Tira  e  vinti  i 
sensi;  siamo  pii  asceti  intenti  ai  sacri  doveri;  dobbiam 
perciò  assiduamente  essere  da  te  difesi.  Così  quegli  asceti 
perfettissimi,  decorosi  in  ogni  loratto,  onorarono  degna- 
mente Rama  colà  venuto ,  fulgente  come  fuoco  ;  ed  il 
Raghuide ,  ricevute  quelle  accoglienze  da  que1  preclari 
Mimi  ed  onorato  da  loro  come  il  supremo  de  Celesti 
dagli  Dei,  dimorò  felicemente  in  quel  romitaggio  insieme 
colla  figlia  di  Ganaca. 


22 


170  K  \M  U  W  \ 

CAPITOLO   MI. 

\  EDUTA    DI   VIRÀDHO. 

Avuta  da  que'  Mimi  1'  ospitalità  ed  essendo  oramai  sorto 
il  disco  del  sole,  il  Cacutsthide  riprese  il  suo  cammino, 
dopo  aver  salutato  quegli  asceti.  Ei  vide  allora  una  gran 
foresta  piena  di  belve ,  abitata  da  orsi  e  da  tigri  ed  ingombra 
di  cornici  e  d'  avoltoj ,  sparsa  di  stagni  popolati  d' anase 
e  di  cigni,  frequentata  da  esseri  diversi,  risuonante  del 
canto  degli  augelli  e  dello  stridor  dei  grilli;  Rama  segui- 
tato da  Lacsmano    s' addentrò   in  quell'  orrida   selva.    In 
quella  selva  spaventosa,  piena  di  stormi  d'augelli  vide  il 
Cacutstbide  un  orrendo  Racsaso,  simile  al  cocuzzolo  d'un 
monte.  Avea  </uc1  Racsaso,   terror  delle  belve  e  de' ser- 
penti, un  corpo  smisurato,  lunghe  le  gambe,  adunco  il 
naso,  deformi  gli  occbi ,  lunga  la  faccia  e  arcato  il  ventre. 
Ei  teneva  sulla  punta  dell'  asta  otto  leoni  insanguinati  ed 
un   gran  teschio  d' elefante  colla  sua  proboscide  ,  tutto 
cosperso  di   midolla;  avea  per  veste  una  pelle  di  tigre 
sanguinosa  con  tutti  i  piedi  ;  e  colla  sua  bocca  spalancata 
atterriva,  come  il  re  della  morte,  ogni  creatura.  Colui, 
veduti  Rama,   Lacsmano  e  Sita,  corse  irato  incontro  a 
loro,  a  quella  guisa  che  assale  le  genti  il  letifero  lama; 
e  gettato   un  grido   orrendo  che  scosse   quasi  la  terra, 
prese   Sita   sopra   il   suo   grembo ,   poi   discostatosi   così 
disse  :  Giunti  all'  estremo   di  vostra  vita  voi  entraste  in 
abito  d'  asceti  nella  selva  Dandaca  con  una  donna ,  armati 
di  spada,  d'arco  e  di  saette;  come  osaste  venir  con  una 


ARANYAC  \M)A.  171 

donna  ad  abitar  qui  vicino  ai  pii  asceti.'  Chi  siete  voi 
malvagi  ed  empi  clic  qui  vi  mostrale  in  sembianza  di 
Ninni;1  lo  sono  un  Racsaso  per  nome  Viràdho,  e  m'aggiro 
per  quest'  aspra  selva  assiduamente  armato ,  facendo  mio 
pasto  delle  carni  dei  Risei.  Poich'ebbe  cosi  parlalo  ;i 
que'due  eroi,  il  selvaggio  Viràdho,  alzala  sul  suo  grembo 
la  Videhese  e  sollevatosi  in  aria,  cosi  soggiunse  :  Oli  mi 
venne  pur  ghermita  una  donna  per  farne  pasto  delizioso.' 
ma  ditemi  orsù,  cln  siete  voi,  e  dove  andate?  Allora  Rama 
Icsvacmde  grande  arciero  cosi  rispose  a  quel  Racsaso 
d'orrendo  aspetto,  che  così  l'interrogava  :  Sappi  che  noi 
siamo  due  fratelli  figli  di  Dasaratha,  per  nome  Rama  e 
Lacsmano,  guerrieri  e  di  nobile  stirpe,  che  andiamo  er- 
rando per  le  selve.  Ma  desidero  che  tu  meglio  ne  informi 
chi  tu  sia,  che  con  quel  tuo  sembiante  spaventoso  t1  aggiri 
per  la  selva  Dandaca  e  mediti  misfatti.  Udite  le  parole  di 
Rama,  Viràdho  lutto  lieto  narrò  ai  Raghuidi  conforme 
al  vero  l'esser  suo  maraviglioso  :  Io  son,  come  narra  la 
lama,  figlio  di  Yania,  ed  ebbi  per  madre  Satahrada;  sulla 
terra  mi  chiamano  Viràdho  tutti  i  Racsasi.  Io  ottenni  da 
Brahma  colf  aspre  mie  austerità  il  favore  eli  non  poter 
essere  quaggiù  ucciso  da  saette,  né  ferito  da  alcun  telo. 
Or  voi,  abbandonando  questa  donna,  fuggite  di  qui  pron- 
tamente per  l'util  vostro,  senza  darvi  pensiero  d'altro, 
acciocché  io  non  tolga  a  voi  la  vita.  Questa  leggiadra 
donna  sarà  mia  sposa;  e  berrò  caldo  il  sangue  d'amendue 
voi  iniqui ,  se  verrete  con  me  a  battaglia.  Mentre  Viràdho 
parlava  con  tal  fierezza.  Sita  tutta  intenta  tremava  im- 
paurila, come  una  flessibile  pianta  esposta  al  vento;  e 
Rama  veo<>endo  stretta  al  grembo  di  Viràdho  la  sua  con 


\12  RAMAYANA. 

sorte,  cosi  parlò  a  Lacsmano  colla  Taccia  inalidita  :  Mira, 
o  caro,  la  nobile  figlia  del  re  Ganaca,  una  consolle  e 
prima  fra  le  nuore  di  Dasaratha;  mira,  o  Lacsmano, 
l'onesta  ed  inclita  Videhese  figlia  di  re,  cresciuta  Ira  de- 
lizie infinite,  stretta  là  al  grembo  di  \  iràdlio  !  Ben  tosto 
ottenne  Caicevi  quel  eh'  ella  aveva  in  mente,  o  Lacsmano, 
ed  ha  raccolto  il  frullo  di  ciò  clic  lece  il  re  per  compia- 
cerle :  benché  non  fruisca  il  regno  di  suo  figlio  quella 
donna  di  corta  veduta,  da  cui  io  benevolo  ad  ogni  crea- 
tura venni  cacciato  Ira  le  selve,  sia  ora  pur  contenta  la 
più  giovane  mia  madre  ;  perocché  non  v'  ha  per  me  mag- 
gior dolore  che  l'oltraggio  or  fatto  alla  Videhese.  La 
morte  del  padre,  o  Saumitride,  la  perdita  del  regno  ed  Ol- 
la violenza  fatta  a  Sila  aggravano  d'  all'anno  la  mia  mente. 
Al  Cacutsthide  che  cosi  parlava  cogli  occhi  torbidi  di 
lagrime,  rispose  Lacsmano  adirato,  sbuffando  come  un 
elelante  :  Perchè,  o  Cacutsthide,  In  signor  del  mondo, 
pari  ad  India  e  a  Varuna,  t'attristi  or  come  un  derelitto, 

avendo  me  tuo  ledei  seguace  ?  Oggi  la  terra  berrà  il  san- 
cì oo 

gue  di  questo  Racsaso  Viràdho  saettato  e  ucciso  da  me 
irato.  Quella  grand1  ira  che  mi  nacque  contro  Bh arata  , 
allor  ch'io  credeva  ch'egli  ambisse  il  regno,  la  dislo- 
gherò  ora  contro  questo  Viràdho,  come  Indra  scaglia  il 
fulmine  sopra  un  monte,  lo  lancierò  un  dardo  eletto, 
irresistibile,  impetuoso  come  il  cader  del  fulmine;  e 
vedrai  qui  ora  spento  in  battaglia  quel  Viràdho  d'or- 
rendo aspetto,  armato  d'asta  spaventosa. 


ARANYACANDA.  173 

CAPITOLO  Vili. 

MORTE    DI    VIRÀDHO. 

Allora  Lacsmano  cogli  occhi  accesi  d' ira  così  parlò  al 
deforme  ed  empio  Racsaso  Viràdho  :  Sia  tu  maledetto, 
o  vile!  è  giunta  per  certo  al  termine  la  lua  vita,  e  tu  vai 
cercando  il  tuo  sterminio  :  or  qui  t'arresta!  tu  non  avrai 
quella  donna,  e  non  fuggirai  vivo  dalle  mie  mani.  Cosi 
dicendo ,  ei  scagliò  contro  Viràdho  sette  dardi  con  penne 
d'  oro,  impetuosi,  veloci  come  Suparna  e  il  vento  :  quelle 
saette  occhiute  a  guisa  di  penne  di  pavone  ,  lacerato  il 
corpo  di  Viràdho,  caddero  a  terra  luccicanti  come  fuoco 
e  insanguinate.  Il  Racsaso  allora,  mandato  fuori  un  grido 
orrendo  e  dato  di  piglio  alla  lucid'asta,  la  scagliò  con 
fiero  sdegno  diritta  contro  Lacsmano.  Ma  Rama  guerriero 
eccelso  ruppe  con  due  saette  quella  grand1  asta  che  volava 
per  l'aria,  pari  al  fulmine;  quindi  egli  infisse  nel  cuore 
di  Viràdho  una  terza  lucida  saetta  con  penna  d'oro, 
aguzzata  alla  cote;  allor  Viràdho  lasciando  fuggir  dalle 
sue  mani  la  Videhese,  cadde  simile  ad  un  monte,  squar- 
cialo da  quella  saetta  e  sospinto  dalla  morte  ;  ed  egro , 
vomitando  sangue  spumante,  così  ei  parlò  con  dolente 
voce,  con  umil  atto  e  coi  sensi  perturbati  a  Rama  che 
stava  dinanzi  a  lui  :  Felice  Causalya,  o  Rama,  madre  d'un 
tanto  figlio  !  oh  ben  difesi  da  te  lor  protettore  Lacsmano 
e  la  Videhese!  Io  ben  li  conobbi  prima  d'ora,  o  Rama, 
menlrc  tu  qui  t'inoltravi;  e  sol  per  eccitarvi  a  sdegno  fu 
da  me  rapita  Sila,  o  eroe.  Per  una  maledizione  io  entrai 


17'.  RAMAYAN  \. 

in  questo  orribile  corpo  di  Flacsaso;  io  sono  un  Gandharvo 
per  nome  Tumburu,  maledetto  da  A  aisravana  :  quell1  in- 
clito Nume  eia  me  propiziato  cosi  mi  disse  :  Rimarrà  dentro 
te  questa  maledizione,  o  forte;  ma  allor  che  Rama  Dasa- 
rathide  t'ucciderà  in  battaglia,  tu,  ricuperala  la  tua  forma 
natia,  te  ne  ritornerai  alla  tua  sede;  cosi  mi  maledisse  il 
re  Vaisravana,  perchè  io  amava  Rambha.  Ond'  io ,  o  eroe, 
per  accender  l'ira  tua  rapii  per  forza  da  terra  Sita,  ma 
non  F  uccisi  :  or  per  tuo  favore  son  io  liberato  da  quell1 
orrenda  maledizione,  e  me  ne  ritorno  alla  mia  sede;  sia 
tu  felice,  o  forte.  Lungi  di  qui  poco  più  d'un  mezzo  yo- 
gano  abita,  o  Rama,  il  maestoso  e  pio  Risei  Sarabhanga, 
splendido  come  il  sole;  va  tosto  a  ritrovar  colui;  ei  t'in- 
segnerà ciò  che  lia  per  te  migliore  :  riponi  ora  dentro 
una  fossa  questo  mio  corpo,  o  Rama;  è  questo  l'eterno 
ufficio  di  pietà  verso  i  Racsasi  che  son  morti;  coloro  che 
son  sepolti  dentro  una  fossa,   ottengono  le  sedi  felicis- 
sime. Poich'ebbe  cosi  detto  al  Cacutsthide,  Viràdho  tra- 
vagliato da  quella  saetta  se  n'andò  subitamente  al  cielo, 
vestito   di   forma   eterea.   Allora  il  Saumitride   domator 
de' suoi  nemici,  scavata  una  fossa  profonda  e  sollevato 
il  gran  corpo  di  Viràdho,  lo  seppellì  denti' essa.  Quindi 
il  forte  Rama,  abbracciata  e  confortata  Sita,  cosi  disse 
all'animoso  fratello  Lacsmano  :  Questa  selva  è  orrenda 
ed  aspra;  non  convien  qui  rimanere,  o  Lacsmano;  an- 
diamo tosto  a  visitar  1'  asceta  Sarabhanga,  secondo  che  ne 
disse  il  Racsaso  Viràdho ,  allor  eh'  ei  fu  sciolto  dalla  sua 
maledizione  :  e  i  due  fratelli  armati  d'  archi  fregiati  d'oro, 
avendo  ucciso  il   Racsaso  e  ricuperata  Sita   s'avviarono 
lieti  per  la  gran  selva,  rifulgenti  come  la  luna  e  il  sole. 


VRANÌ  \C  ANI)  \  175 

CAPITOLO   l\. 

ARRIVO    ALL'EREMO    1)1     SARABHANGA. 

Ucciso  in  quella  selva  il  Racsaso  Viràdho  di  forza  tre- 
menda, s'avviò  il  Raglimele  al  romitaggio  di  Sarabhanga. 
Quand'  ei  fu  vicino  all'èremo  di  Sarabhanga,  Risei  di 
maestà  divina ,  affinato  da  pie  austerità  ,  egli  vide  un 
gran  prodigio.  Ei  vide  dinanzi  a  se  fermo,  senza  toccar 
la  terra,  un  Dio  fulgidissimo  per  tutto  il  corpo,  simile 
al  fuoco  e  al  sole,  fregiato  di  splendidi  ornamenti  e  di 
vesti  monde  da  polvere,  venerato  d'ogni  intorno  da  uo- 
mini pari  a  lui.  Da  lontano  scorse  il  Raghuide  su  per 
l'aria  un  carro  con  fulvi  destrieri,  stante  presso  al  Nume; 
e  vide  tenersi  aperto  sovra  lui  il  regale  ombrello,  simile 
a  bianca  nube,  foggiato  come  il  disco  della  luna,  ornato 
di  mirabili  ghirlande.  Due  ventole  crinite  con  manico 
d'  oro  e  preziosissime ,  tenute  da  due  donne  elette  erano 
agitate  sopra  il  suo  capo.  Gandharvi,  schiere  di  Dei  e 
molti  Risei  celebravano  con  nobili  parole  il  Dio  levalo  in 
aria.  Come  vide  dinanzi  a  se  quel  gran  prodigio,  l'illustre 
Raghuide  compreso  da  somma  letizia  così  parlò  a  Lac- 
smano  :  lo  udii  già  per  1'  addietro  che  Indra  ha  fulvi 
destrieri  :  e  son  fulvi  appunto  que'  cavalli  divini  che 
van  per  l'aria.  Son  celesti,  oltremodo  belli  e  di  fresca 
età,  armati  di  spade  e  adorni  d' armille  quegli  uomini 
che  stanno  dinanzi  al  suo  carro  :  sovra  il  petto  di  tutti 
coloro  si  veijcjono  ornamenti  (  niski  )  splendidi  come 
fiamma;  e  il  loro  aspetto,  o  Saumitride ,  mostra  l'età 
di  venticinque  anni;  tale  è  appunto  l'età  perpetua  degli 


176  RAM  AVANA. 

Dei,  quali  appaiono  quegli  uomini  d'amabile  sembianza. 
T'arresta  qui  alquanto,  o  Lacsmano,  colla  Viclehese; 
finché  io  conosca  apertamente  chi  è  colui  :  così  disse  il 
Raghuide;  e  poich'ebbe  imposto  al  Saumitride  di  fer- 
marsi quivi,  s'avviò  il  Cacutsthide  verso  l'eremo  di  Sa- 
rabhanga.  Ma  come  Indra  vide  appressarsi  Rama,  preso 
commiato  da  Sarabhanga,  così  ei  parlò  agli  Dei  :  Io  me 
n'  andrò  di  qui ,  affinchè  Rama  non  s'  abbocchi  con  me  ; 
fra  breve  io  rivedrò  quell'eroe  vittorioso,  venuto  al  ter- 
mine del  suo  intento.  Ei  dee  condurre  a  fine  un'ardua  e 
grande  impresa  per  gli  Dei;  finché  non  l'abbia  compiuta, 
non  debbe  egli  vedermi.  Poich'  ebbe  così  parlato  ed  ono- 
rato il  Muni ,  il  Dio  del  fulmine  se  ne  partì  sopra  l'eccelso 
suo  carro,  tirato  da  fulvi  destrieri.  Partitosi  Indra,  il  Ra- 
ghuide co'  suoi  compagni  si  fece  innanzi  a  Sarabhanga 
che  attendeva  al  sacro  fuoco.  I  due  Raghuidi  con  Sita, 
abbracciati  i  piedi  del  Risei,  si  posero  quindi  a  sedere 
salutati  ed  invitati  dal  Muni.  Allora  il  Raghuide  l'inter- 
rogò della  venuta  d' Indra ,  e  Sarabhanga  gli  raccontò 
ogni  cosa  :  11  Dio  è  qui  venuto ,  o  Rama ,  per  condurmi 
di  qua  alle  sedi  supreme,  che  mi  sono  acquistato  con 
dure  macerazioni ,  e  difficili  a  conseguirsi  da  chi  non  ha 
domato  se  stesso.  Ma  io  sapeva ,  o  eccelso  ,  che  tu  non 
eri  lungi  di  qui;  e  non  volli  andarmene  al  mondo  su- 
premo, prima  d'averti  accolto  ospite  diletto.  Io  ho  acqui- 
stato, o  uom  preclaro ,  le  fortunate  sedi  non  periture;  e 
v'  andrò  dopo  che  t' avrò  fatta  ospitale  accoglienza ,  o 
Rama.  Possa  tu  conseguire,  o  Raghuide,  quelle  sedi  ce- 
lesti di  Rrahma  (2)  !  Tu  sei  maestro  e  re  degno  d'  onore 
e  d'  ospitalità  ;  ricevi  questa  gemma  (3)  eh'  io  ti  dono  e 


ARANYAC ANI)  \.  177 

clic  è  difficile  oltremodo  ad  ottenersi.  Invitato  con  tali 
parole  dal  Risei  Sarabhanga,  così  rispose  il  fortissimo 
Raghuide,  esperto  d'ogni  arme  :  lo  otterrò  pure  per  me 
Stesso  le  sedi  superne;  sono  sialo  da  le  ben  accollo,  o 
Brahmano;  vanne  oramai  ai  mondi  altissimi;  sol  desidero 
che  tu  m'insegni  una  dimora  in  questa  selva.  Così  ri- 
chiesto dal  Raghuide  pari  di  forza  ad  [ndra,  rispose  il 
gran  saggio  Sarabhanga  :  Va,  o  Rama,  a  visitar  Suticsna, 
asceta  perfettissimo,  ei  t'indicherà  una  dimoia  in  questa 
selva  dilettosa;  questa  è  la  via,  0  noni  di  gran  mente;  ma 
soprasta  qui  alquanto,  finch'io  abbandoni  questo  mio 
corpo,  come  un  serpente  depone  la  sua  vecchia  squama. 
Quindi  apprestato  il  sacro  fuoco  e  fattevi  sopra  oblazioni 
di  burro  ,  conforme  ai  riti ,  Sarabhanga  maturato  da  pie 
austerità  entrò  nel  fuoco.  Allor  che  il  venerando  fuoco 
n'ebbe  arso  la  pelle,  l'unghie,  i  peli  e  Tossa,  le  carni, 
il  sangue  e  le  midolle,  ei  si  sedò;  e  Sarabhanga  uscendo 
da  queir  ignea  massa,  apparve  tutto  ringiovanito  e  risplen- 
deva coni»1  fiamma;  ed  oltrepassate  le  sedi  dei  pii  Risei 
mantenitori  del  sacro  fuoco  e  le  sedi  degli  Dei,  entrò  egli 
nel  mondo  di  Brahma.  Vide  allor  quel  pio  nel  fulgido 
cielo  il  gran  Genitore  col  suo  corteggio,  e  Brahma,  veduto 
lo  splendido  Risei,  gli  disse  :  Sia  tu  benvenuto. 

CAPITOLO    \. 

LA    SICURÀNZA    DATA. 

Salilo   Sarabhanga    al    cielo,    vennero    d'ogni    parte    a 
barn,),  noni  d'igneo  vigore,    le  schiere   de' Mimi ,  i  Vai- 
li. 23 


I7S  \\  \.\l\ì  \\  \. 

khanasi,  i  Bàlakhilyi,  i  Risei  Mancipi  (4),  molli  altri  pe- 
nitenti che  rompono  con  pietre  i  grani  per  loro  alimento, 
o  si  pascono  di  foglie,  o  si  eiban  di  grani  non  trebbiati, 
tutti  abitatori  della  selva  Dandaca,  alcuni  che  si  unirono 
di  sola  acqua ,  splendidi  come  damma  viva,  altri  esposti  di 
continuo  alla  pioggia  o  dormenti  sopra  il  suolo  preparato 
perii  sacrifizi,  altri  fra  que' magnanimi  asceti  dediti  al 
digiuno  o  giacenti  costantemente  nell'acqua  o  circondali 
da  cinque  fuochi,  altri  che  non  pigliano  alimento  che  di 
quattro  in  quattro  mesi  o  non  si  nutrono  del  tutto,  gli 
uni  soliti  a  stare  coi  piedi  avvinti  alla  cima  (fini  albero 
e  col  capo  in  giù  ,  gli  altri  fermi  sulla  terra  premendola 
con  un  solo  pollice,  questi  senza  darsi  pensiero  del  fruito 
delle  lor  opere,  quelli  intenti  a  conseguirlo.  Cosi  que1 
Mimi  dediti  a  varie  austerità  e  di  voli  perfettissimi,  ven- 
nero all' eremo  di  Sarabhanga  per  veder  Rama,  e  fattisi 
dogni  parte  intorno  a  lui,  tutti  que' pii  Risei,  dopo 
averlo  accarezzato,  gli  dissero  con  atto  reverente  queste 
parole  :  Tu  sei  nato  nella  stirpe  d' Icsvacu  e  celebre  per 
la  terra,  o  Rama;  tu  sei  protettore  di  tutte  le  genti, 
come  Vàsava  (India)  degli  Dei,  famoso  nei  tre  mondi 
per  la  tua  forza  e  la  tua  gloria,  e  venuto  in  questa  dura, 
orribil  selva  per  ordine  di  tuo  padre.  Sarebbe  ,  o  Ra- 
glimele, grande  ingiustizia  quella  d'un  re,  il  qual  pren- 
desse la  sesta  parte  delle  sostanze  altrui  per  suo  tributo  e 
non  proteggesse  i  suoi  popoli  ;  è  disprezzalo  dagli  uomini 
sulla  terra  quel  re  inetto  che  non  difende  i  cittadini  ed 
i  regnicoli,  come  lìgli  a  lui  più  cari  che  la  vita;  ma  il  re 
che  impugnando  lo  scettro  del  castigo  e  sedando  colla 
sua  forza  ogni  timore,  protegge  con  giustizia  gli  uomini, 


Mi  \\>  \C  \M)A.  179 

coinè  suoi  propri  figli,  ottiene  quaggiù  altissima  lama  e, 
morendo,  gloria  immortale;  dopo  esser  quaggiù  vissuto 
felicemente,  se  ne  va  egli  al  inondo  d'India;  e  perchè 
coloro  che  son  difesi  dal  re,  attendono  lieti  ai  lor  doveri, 
perciò  il  re  che  li  defende,  riceve  la  sesta  parte  delle 
sostanze  /ter  suo  tributo.  Questa  gran  moltitudine  d'ana- 
coreti (Vanaprastlii),  tutta  composta  di  Brahmani,  dura- 
mente travagliata  dai  Racsasi  ,  ricorre  a  te  come  a  suo 
sostegno.  Vieni,  o  Rama,  e  vedi  i  corpi  de' Mimi  perfet- 
tissimi uccisi  dai  Racsasi  in  gran  numero  e  in  vari  modi 
per  questa  selva;  si  fa  qui  ima  grande  strage  e  di  coloro 
che  abitano  sulle  rive  del  fiume  Pampa,  e  di  quei  che 
dimorano  lungo  la  Mandarini,  e  di  quei  che  han  lor  sede 
sul  Citracuta;  uè  possiam  noi  più  sopportare  lo  strazio 
che  si  fa  dei  pii  asceti  abitatori  del  Ganasthàna  dai  Rac- 
sasi oltracotati.  Noi  dolenti,  o  Rama,  siam  qui  ricorsi  a 
le  per  nostro  aiuto;  tu  adoperando  la  forza  del  tuo  brac- 
cio, difendi,  proteggi  noi  lutti;  è  questo  il  più  nobile 
intento  di  chi  regna;  questo,  o  Rama,  s'appella  eroismo. 
Udite  quelle  parole  di  que'  magnanimi  asceti,  cosi  loro 
rispose  il  pio  Rama  :  Voi  non  dovete  così  favellarmi  ; 
Lacsmano  ed  io  siam  piuttosto  qui  ricorsi,  come  a  nostro 
rifugio,  a  voi  eminenti  per  età,  per  sacra  scienza  e  pel- 
arti pii.  lo  son  venuto  spontaneamente  nella  selva  Dan- 
daca  abitata  da  esseri  diversi  per  recare  ad  effetto  i  vostri 
voti  ;  proteggendo  le  schiere  de'  Mimi  e  sperdendo  i  Rac- 
sasi ,  sarà  a  me  glorioso  e  conforme  ai  miei  desideri 
questo  soggiorno  nelle  selve.  Data  così  sicurezza  a  qiie' 
Munì  abitatori  della  selva,  il  magnanimo  Rama  s'avviò 
quindi  con  quei  grandi  Risei  al  romitaggio  di  Suticsna. 


l,so  RAMAYANA. 


C  VP  ITO  LO    X  I 


\  EDI   VX   DI    SUTICSNA. 


Il  forte  Rama  con  Sita,  col  fratello  e  con  quei  Brah- 
mani s'avviò  all'eremo  di  Suticsna.  Progredito  per  lunga 
via  e  guadata  una  lapida  fiumana,  ei  vide,  giungendo 
ad  un  monte,  un  ampia  e  fosca  foresta  :  i  due  Raghuidi, 
onor  della  stirpe  d' Icsvacu  entrarono  con  Sita  in  quella 
foresta  ingombra  d'alberi  e  di  piante  repenti.  Entrati  in 
quella  selva  piena  di   liori  e  di  frutti,  i  due  croi   videro 

un  romitaggio  guernito  d'una  ghirlanda  di  vesti  asceti- 
co       D  " 

che.  Appressatosi  colà,  Rama  venerò  l'asceta  Suticsna, 
eminente  per  sacre  ausi  eri  là,  il  quale  stava  quivi  sedendo 
colla  chioma  ravvolta  e  sordidato;  e  detto  al  Risei  :  lo 
son  Rama,  si  prosternò  modesto  e  reverente  col  capo  a 
terra  quell' noni  verace  e  forte.  Mirando  quivi  il  giustis- 
simo Rama,  quel  saggio  lo  strinse  fra  le  sue  braccia  e 
cosi  gli  disse  :  Sia  tu  benvenuto,  o  Cacutsthide  ottimo 
fra  i  giusti;  io  udii  come  tu  perdesti  il  regno  e  venisti 
ad  abitar  sul  Citracùta;  e  solo  per  aspettarti,  o  Rama, 
non  me  ne  son  io  salito  al  cielo,  lasciando  in  sulla  terra 
questo  mio  corpo  logorato  dalla  lunga  età.  Allora  Rama 
così  rispose ,  continuando  ,  a  quel  gran  Risei ,  antico  e 
perfettissimo ,  consumato  in  dure  macerazioni  :  Tu  te 
n'andrai  di  qua  ai  mondi  supremi,  o  eccelso  Risei;  ma 
io  desidero  che  tu  m' insegni  un  romitaggio  in  questa 
selva;  tu  mi  fosti  indicato  dal  saggio  Sarabhanga,  ma- 
turato  da    pie    austerità,    siccome    noni  dotato  d'accor- 


\\\  \M  VCANDA.  181 

gimento  e  di  sapienza,  a  cui  nulla  è  nascosto.  Così 
richiesto  da  Rama  ,  quel  gran  Hisci  celebre  nel  inondo 
rispose  con  soavi  parole  e  con  grande  letizia  :  Questo 
romitaggio,  o  Mania,  è  giocondo,  copioso  di  (lori  e 
d'acqua,  di  dolci  radici  e  d'alberi  fruttiferi ,  ricco  di 
vari  aromi  odorosissimi  e  di  frutti  esculenti,  ornato  di 
laghi  abbelliti  da  gran  copia  di  ninfee,  circondato  da  belle 
ed  amene  regioni ,  adorno  di  bei  boschi ,  frequentato  da 
molti  Risei,  pieno  di  frutti  e  di  radici;  tu  qui  dimora, 
o  Rama.  Schiere  di  belve  mansuete  vengono  qua  e  là  in 
questo  romitaggio  e  se  ne  vanno  a  lor  talento  per  ogni 
dove  senza  timore;  che  se  tu  volessi  far  loro  oltraggio, 
qua!  cosa  sarebbe  più  crudele  di  questa?  ma  a  te  non  con- 
viene, oRama,  dimorar  lungamente  in  un  solo  romitaggio. 
Poich1  ebbe  cosi  parlato  a  Rama,  il  Munì  adempiè  le  sacre 
osservanze  vespertine,  e  com' ebbe  adempiuti  que'  riti, 
preparò  quivi  la  dimora.  Il  magnanimo  Suticsna  veggendo 
sottentrare  al  vespero  la  notte,  offerse  egli  stesso  ospi- 
talmente al  nobile  Rama  lo  schietto  alimento,  di  cui  si 
unirono  gli  asceti. 

CAPITOLO  XII. 

SOGGIORNO  NELL'  EREMO  DI  SUTICSNA. 

Ma  Rama  col  Saumitride  onorato  da  Suticsna,  e  pas- 
sata colà  intiera  quella  notte,  si  destò  in  sul  nascer  dell' 
aurora;  e  levatisi,  i  due  forti  Raghuidi  con  Sita  fecero, 
secondo  che  richiedeva  l'ora,  le  abluzioni  mattutine  con 
acqua  olezzante   di   ninfee;  quindi  que'generosi  Rama, 


I S2  RAM  AVA  \  \ 

Lacsniano  e  la  Videhese  s'accostarono  reverenti  ai  ire 
.sacri  fuochi  in  quella  selva,  asilo  degli  asceti.  FVla  veg- 
gendo  oramai  sorgente  il  sole  ed  essendo  purificati  ,  si 
presentarono  essi  a  Suticsna,  e  Rama  cosi  gli  disse  : 
Pernottammo  felicemente,  o  venerando,  e  fummo  da  te 
accolti  con  onore;  io  ti  saluto;  or  ce  n'andremo;  che 
questi  Mimi  ci  affrettano  a  partire.  Abbiam  pressa  di 
visitare  tutta  intiera  questa  cerchia  d'eremi  di  purissimi 
Risei  abitatori  della  selva  Dandaca ,  e  desideriamo  con 
questi  eccelsi  e  pn  saggi,  grandi  in  ascetismo  e  simili  a 
vivo  fuoco,  che  tu  ne  dia  commiato  :  finché  non  arde 
soverchiamente  il  sole  co' suoi  raggi  intollerabili,  desi- 
deriamo da  te  licenza  di  partire.  Poich'ebbe  così  detto, 
l'illustre  Rama  s'inchinò  con  Lacsmano  e  con  Sila  ai 
piedi  del  Mimi  ;  ma  esso  sollevandoli ,  mentr  ei  toccavano 
i  suoi  piedi,  ed  abbracciandoli  strettamente,  così  disse 
con  amore  :  Vanne  senza  ostacoli  pel  tuo  cammino ,  o 
Rama,  insieme  col  Saumitride  e  con  Sita  che  ti  seguita 
come  l'ombra;  visita,  o  eroe,  i  romitaggi  di  questi  asceti 
maturati  da  pie  austerità,  che  abitano  la  selva  Dandaca; 
visita  queste  vane  selve  ricche  di  fiori,  di  frutti  e  d'ac- 
que ,  piene  di  belve  mansuete  e  di  stormi  d'amabili  au- 
gelli, gli  stagni  e  i  laghi  di  limpide  acque  lutti  pieni  di 
fiorenti  ninfee  e  risonanti  del  clamor  delle  anitre,  i  di- 
lettevoli rivi  cadenti  per  lo  dorso  de1  monti  e  le  foreste 
amene  echeggiatiti  del  canto  de' pavoni.  Vanne  felice,  o 
Rama;  parti,  o  Lacsmano  diletto;  ma  dovete  voi  qui 
ritornare  e  rivedere  i  nostri  romitaggi.  Così  invitato  il 
Cacutsthide  con  Lacsmano  e  risposto  che  così  farebbe, 
salutato  il  Mimi  col  girargli  attorno  da  man  destra  ,  si 


VRANYACANDA.  183 

dispose  alla  partenza.  Allora  Sita  dai  grand' occhi  porse 
ai  due  fratelli  le  splendide  faretre,  gli  archi  e  le  due 
spade  funeste  ai  nemici.  Legate  al  lianco  le  faretre  e 
presi  gli  archi,  uscirono  quindi  Rama  e  Lacsmano  per 
visitare  quel  romitaggio. 

CAPITOLO  XIII. 

DISCORSO    DJ    SITA. 

Come  la  figlia  di  Ganaca  vide  in  procinto  di  partire  i 
due  fratelli  armati  d' arco ,  cosi  parlò  con  voce  soave  e 
cara  al  suo  consorte  :  Colla  mansuetudine,  o  Rama,  s'ac- 
quista assiduamente  dai  buoni  alto  mento  morale;  e  di- 
cono esser  sette  i  vizj  che  lo  distruggono.  Fra  questi ,  o 
Raghuide,  quattro  son  detti  prodotti  dall'amore  e  tre 
diconsi  nascere  dall'ira.  Il  primo  de' vizj  è  la  menzogna, 
che  sempre  si  fugge  dai  buoni;  poi  l'usare  colla  donna 
altrui  e  il  mostrarsi  fiero  senza  aver  nimicizia.  Tutti  questi 
vizi,  o  Rama,  si  possono  raffrenare  da  chi  è  donno  de' 
suoi  sensi;  ed  io  conosco  il  dominio  che  tu  bai  sopra  te 
stesso,  ed  i  tuoi  nobili  proposti.  Tu  non  mentisti  un- 
quanco ,  ne  mentirai,  o  Raghuide;  molto  meno  ancora 
cercasti  di  contaminare  le  donne  altrui;  ma  sta  per  assa- 
lirti, o  Rama,  un  altro  male,  quello  d'entrare  in  ostilità 
luor  di  ragione.  11  voto,  che  tu  hai  fermato,  di  voler 
nuocere  altrui,  e  che  ti  sarà  causa  d'attaccar  guerra  coi 
Racsasi ,  non  è  a  te  salutare.  Tu  hai  promesso,  o  eroe, 
per  la  difesa  dei  Risei  che  abilan  la  selva  Dandaca,  la 
morte  dei  Racsasi  in  battaglia;  per  lo  sterminio  dei  Rac- 


184  R  \M  U  \\  \ 

sasi  abitatori  della  selva  Danclaea  tu  ti  sci  messo  in  via 
col  fratello,  armandoti  d'arco  e  di  saette;  ed  io  vergen- 
doti avviato,  o  Rama,  ho  l'animo  combattuto  da  pen- 
sieri, rivolgendo  nella  mia  mente  il  tuo  bene,  o  re.  Non 
m'aggrada,  o  forte,  quest'andata  alla  selva  Dandaca,  e 
te  ne  dirò  la  causa  ;  ascolta  le  mie  parole.  Tu,  mio  pro- 
tettore, sei  venuto  col  fratello  in  questa  selva,  armato 
di  frecce  e  d'arco;  ove  tu  qui  scorga  abitatori  della  fo- 
resta, come  non  iscoccherai  tu  contr' essi  le  tue  saette.' 
L'arco  dello  Csatro  vien  detto  simile  all'esca  del  fuoco; 
rimanendo  presso  a  lui  l'arco  rende  colla  sua  forza  più 
veemente  1' ardor  (fucinerò.  \  ergendoti  incedere  così  bel- 
licoso, si  spaventano  gli  abitatori  della  selva;  e  benché 
riposti  in  luoghi  solitari,  pur  desiderano  la  tua  morte. 
In  dì,  siccome  è  lama,  o  uom  delle  grandi  braccia,  un 
pio  asceta,  perfetto  e  donno  de' suoi  sensi,  venuto  ira  le 
selve,  si  raccolse  in  una  foresta  abitata  da  pii  penitenti. 
Vivendo  costui  in  grande  purezza,  gli  fu  da  qualcuno 
colta  venuto  data  come  deposito  una  bella  e  tagliente 
spada.  Ricevuta  quell'arme,  e  tutto  intento  a  conservare 
il  deposito  altrui,  l'asceta  non  mai  da  se  la  dipartiva  in 
quella  selva,  volendo  osservare  la  sua  fede;  dovunque 
andasse  a  cogliere  frutti  o  fiori ,  non  mai  egli  andava 
senza  la  spada,  tutto  sollecito  di  quel  deposito.  Maneg- 
giando del  continuo  quell'arme,  il  pio  Munì  a  poco  a 
poco  rese  feroce  l'animo  suo,  abbandonando  il  suo  voto 
ascetico;  e  mentre  egli  stava  con  animo  fiero,  allenato 
in  quell'ora  da  Yama  se  n'andò  esso  alle  sedi  sconsolate 
per  la  pratica  di  quell'arme.  Per  l'amore  e  per  l'alta  stima 
ch'io  ti  porto,  li  rammento  or  questo;  ma  non  intendo 


ARANYAC  WD  V  185 

ammaestrarti;  tu  non  dei  per  alcun  modo  aver  l'animo 
ad  offendere  coli' arco  in  mano  :  non  si  conviene,  o  eroe, 
uccidere  senza  nimicizia  i  Racsasi;  nò  debbonsi  essi  da  te 
offendere,  senza  elle  t' abbiali  fatto  oltraggio.  I  Csatri  eroi, 
fedeli  al  loro  ufficio  debbono  solamente  proteggere  colf 
arco  i  miseri.  A  die  Ianni?  a  die  la  battaglia?  a  che  il 
dovere  d'uno  Csatro?  tutto  questo  è  or  qui  vietato; 
osserva  il  dovei-  presente.  Lascia  per  ora  questo  tuo  tor- 
bido proposto ,  riprovato  dalle  sacre  dottrine  ;  quando 
ritornerai  ad  Ayodbya,  adempirai  allora  il  dovere  di 
Csatro  ;  e  sarà  inalterabile  la  letizia  de'  tuoi  e  de'  miei 
congiunti  (5).  Dall'  uso  dell'  armi  nascono  rei  pensieri 
contaminati  d'ingiustizia;  benché  tu,  abbandonando  il 
regno,  sia  or  divenuto  umile  Muni.  Dalla  giustizia  pro- 
viene l'utile;  dalla  giustizia  deriva  la  prosperità;  colla 
giustizia  s'ottiene  il  cielo;  e  questo  mondo  ha  per  sua 
essenza  la  giustizia.  Domando  se  stessi  con  assiduo  sforzo 
e  con  diverse  osservanze  pie  ,  ottengono  gli  uomini  il 
cielo;  ma  non  s'ottiene  gaudio  con  gaudio.  Attienti  alla 
mansuetudine,  o  mio  diletto,  e  sta  saldo  nella  giustizia. 
Tutto  è  noto  a  te  quaggiù  secondo  il  vero,  o  Rama.  Per 
femminile  leggerezza  io  t'ho  detto  questo;  ma  chi  mai 
sarebbe  atto  ad  insegnare  a  te  quel  che  è  giusto?  Tu 
considerando  col  fratello,  fa  poi  ciò  che  più  t'aggrada, 
o  re  (6). 


24 


186  RAM  U  WA. 

CAPITOLO   \IV. 

RISPOSTA    1)1     RAMA. 

Udite  quelle  soavi  e  giuste  parole  proferite  dalla  \  i- 
dehese,  Rama  così  le  rispose  :  E  convenevole  e  giusto, 
o  donna  diletta,  o  virtuosa  figlia  di  Ganaca,  quel  che  tu 
hai  detto,  riguardando  alla  Ina  stirpe.  Che  li  risponderò 
io,  o  donna  dai  bei  lombi?  tu  dicesti  che  i  guerrieri  por- 
tai! Tarmi,  affinchè  non  s"  od;i  gemito  d'afflitti.  Orbene, 
o  Sita,  sono  afflitti  questi  Mimi  consumati  ne' lor  voti, 
che  abitan  la  selva  Dandaca,  e  son  venuti  supplici  a  me 
per  domandar  soccorso.  Que' pii  abitatori  della  selva, 
intenti  al  lor  dovere,  che  si  ciban  di  frutti  e  di  radici, 
non  bau  pace,  o  Sita,  travagliati  d'ogni  parte  dai  Racsasi  : 
vivendo  in  questa  selva  assiduamente  raffrenati  da  molti- 
plici  pie  osservanze,  son  essi  divorati  dai  turpi  e  orrendi 
Racsasi  che  vanno  attorno  per  la  foresta.  Venuti  qui  a 
noi,  que' Mimi  abitatori  della  selva  Dandaca  che  son  di- 
vorati dai  Racsasi,  ci  supplicarono  tremanti  per  paura; 
ed  io,  udite  le  parole  da  lor  profferte ,  dopo  essermi  in- 
chinato ai  lor  piedi ,  così  loro  dissi  :  Siate  voi  a  me  pro- 
pizj  ;  egli  m' è  gravissima  pena  il  vedermi  ossequiato  da 
tali  Rrahmani  degnissimi  d'ossequio;  che  debbo  io  far 
per  voi?  Avendo  io  cosi  parlato  al  cospetto  di  que1  Rrah- 
mani, furon  da  tutti  que' pii  afflitti  proferite  queste  pa- 
role :  Noi  siamo  fieramente  travagliati,  o  Rama,  nella 
selva  Dandaca  da  molti  Racsasi  crudeli,  degna  difenderci 
da  costoro.  AH1  ora  de1  sacrifizi  offerti  sul  sacro  fuoco,  nei 
giorni  sacri  del  mese  lunare,  i  Racsasi  che  si  pascon  di 


ARANYACANDA.  187 

carni,  ci  oltraggiano,  o  Raghuide,  pieni  d'ira.  Conside- 
rata bene  ogni  cosa,  non  v'ha  fuori  di  te  altro  supremo 
rifugio  ai  pii  asceti  tribolati  dai  Racsasi.  Egli  è  vero  die 
noi  potremmo  colla  forza  del  nostro  ascetismo  uccidere 
que'  Nottivaghi  ;  ma  non  vogliamo  sperdere  noi  stessi  il 
merito  acquistato  con  lunga  pena.  E  ardua  cosa  e  piena 
d'ostacoli,  o  Raghuide,  l'esercizio  dell  ascetismo;  onde 
non  vogliam  noi  lanciare  maledizioni,  benché  divorati 
dai  Racsasi.  Tu  perciò,  impugnando  il  tuo  arco,  proteggi 
noi  travagliati  dai  Racsasi,  che  abitan  la  selva  Dandaca; 
perocché  tu  sei  qui  nostro  protettore.  Udendo  io  quelle 
parole,  promisi  al  cospetto  delle  genti  ai  Risei  della  selva 
Dandaca  di  difenderli  con  ogni  mio  sforzo;  ed  avendo 
promesso,  non  posso,  mentre  che  io  vivo,  fare  altramente 
da  quel  che  promisi  a  quei  Mimi  ;  perché  la  verità  in'  è 
assiduamente  cara.  Jo  ben  potrei  abbandonar  la  vita  e  te 
slessa,  o  Sita,  e  Lacsmano,  ma  non  la  mia  fede  dopo 
aver  promesso  ed  a  Brahmani  sopratutto.  Per  la  qual 
cosa  io  debbo  necessariamente  proteggere  que' saggi  Risei, 
allineile  essi  adempiano  ìmperturbati  il  loro  ufficio.  Per 
la  difesa  di  quelle  pie  famiglie  di  Munì  ho  impegnata  la 
mia  parola;  io  pur  dovrei  difenderli,  benché  non  ne  fossi 
richiesto;  quanto  più,  o  Sita,  dopo  aver  obbligata  la  mia 
fede.  Ma  tu,  o  leggiadra,  mi  dicesti  per  amore  parole 
affettuose,  degne  di  te  e  conformi  alla  tua  stirpe  :  son 
contento ,  o  Videhese  ,  di  quel  che  mi  dicesti  per  caro 
affetto;  che  non  si  consiglia  chi  non  s'ama.  Coni' ebbe 
così  risposto  a  Sita  figlia  del  re  di  Mithila,  il  magnanimo 
Rama  armato  d'  arco  s'  avviò  insieme  con  Lacsmano  per 
quelle  dilettevoli  selve  d'ascetismo. 


188  RAM  AVANA. 

CAPITOLO   XV. 

INDICAZIONE    DELLA     DIMORA    D1  AGASTYA. 

Andava  dinanzi  Rama,  nel  mezzo  Sita  di  taglia  leggia- 
dra e  camminava  dietro  a  loro  Lacsmano  armalo  d'arco. 
I  due  Ragrhuidi  con  Sita  andavano  osservando  selve  e 
boschi  dilettosi,  riviere  e  monti,  grue  ed  anase  erranti 
per  le  rive  de' fiumi,  laghi  coperti  di  ninfee  e  frequen- 
tati da  augelli  di  varie  sorta,  schiere  di  scimi  ed  elefanti 
incitati  da  amore,  huffali  e  cinghiali,  gayali  e  yaki  (7). 
Progrediti  per  lungo  spazio  di  via,  videro  essi  in  sul 
cader  del  sole  un  lago  ameno  e  lungo  un  vogano,  mira- 
bilmente contornato  da  gruppi  di  fior  di  loto,  diguazzato 
da  turbe  d'elefanti,  pieno  di  sanili  (8),  di  eigni  e  d'aquile, 
aligeri  che  frequentali  l'acque.  In  quel  bel  lago  d'acque 
limpide  s'udiva  un  suono  di  canti  e  di  strumenti;  ma 
non  si  vedeva  colà  alcuno.  Allora  Rama  e  P  inclito  Lac- 
smano spinti  da  curiosità ,  appressandosi  ad  un  Munì 
per  nome  Dharmabhrita,  P  interrogarono  clic  ciò  fosse  : 
Veggendo  questa  cosa  maravighosa,  o  illustre  saggio, 
nacque  in  noi  tutti  una  grande  curiosità;  ti  piaccia  dirne 
che  ciò  sia.  Così  interrogato  dal  magnanimo  e  pio  Ra- 
ghuide,  prese  il  Mimi  a  raccontare  l'origine  di  quel  lago  : 
Si  narra  che  questo  lago,  il  qual  si  noma  Pancàpsaro,  fu 
anticamente  creato  per  forza  d'ascetismo  dal  Munì  Man- 
dacarni.  Il  gran  Munì  Mandacarni  s'esercitò  per  dieci 
mila  anni  in  acerbissime  macerazioni ,  nutrendosi  d'  aria 
e  sedendo  sopra  un  sasso.  In  quella  sgomentandosi  gli 


AKANYACANDA.  180 

Dei  con  India  loro  duce  e  dissero  :  Questo  Mimi  ambisce 
le  nostre  sedi.  Tutti  allora  gli  Dei  commisero  a  cinque 
elette  Apsarase  adorne  di  celesti  ornati  di  suscitare  osta- 
coli al  suo  ascetismo.  Venute  colà  quelle  donne  leggia- 
dre, cantando  ed  esultando,  allettavano  il  Munì  dedito 
ad  aspre  austerità;  e  quel  saggio  die  pur  conosceva  il 
passato  ed  il  lutino  ,  fu,  per  compiacere  agli  Dei ,  sedotto 
a  voluttà  da  quelle  cinque  Apsarase.  Divenute  elle  spose 
del  Mimi ,  ei  creò  per  loro  in  questo  lago  una  casa  oc- 
culta. Quivi  abitano  lietamente  quelle  cinque  Apsarase  e 
superbe  di  lor  gioventù  ricreano  il  Mimi  dell'  intenso  suo 
ascetismo;  e  mentre  esse  stanno  colà  scherzando,  s'ode 
qui  quest'  alto  suono  misto  al  tintinnìo  dei  loro  ornamenti 
e  questo  canto  dilettevole  ad  udirsi.  Questa  è  mirabile 
cosa ,  rispose  il  forte  Raghuide  col  fratello  alle  parole 
ili  quel  Mimi  contemplatore  ;  ma  mentre  questi  stava  così 
narrando,  vide  Rama  una  cerchia  d'  eremi  sparsa  di  cuse 
e  di  vesti  ascetiche,  circondata  d'  alberi  diversi  e  di  piante 
repenti.  Entrato  in  quel  romitaggio  con  Lacsmano  e  con 
Sita,  fu  egli  accolto  con  ospitalità  da  tutti  quei  Mimi;  e 
dimorò  lieto  in  que' fortunati  romitaggi,  onorato  da  tutti 
quei  grandi  Risei.  Il  Raghuide  andò  allora  visitando  a 
mano  a  mano  gli  eremi  di  quei  magnanimi  e  venerandoli 
di  presenza.  Dove  dimorò  egli  un  mese  o  un  anno,  dove 
quattro  mesi,  cinque  o  sei;  altrove  passò  egli  lietamente 
più  d'un  mese  od  oltre  a  quindeci  dì,  in  altro  luogo  tre 
mesi  od  otto;  qui  stette  egli  due  mesi  intieri,  là  un  anno, 
altrove  la  metà  d'una  luna  o  una  luna  intiera.  Mentre  Rama 
così  dimorava  lietamente  e  dilettavasi  ne'  romitaggi  dei 
Risei  a  mano  a  mano,  trapassarono  dieci  anni.  Dopo  aver 


190  KAMAYAN  A 

<juà  e  là  soggiornato  lutlo  quel  tempo,  l'illustre  Raghuide 
con  Sita  ritornò  ali1  eremo  di  Suticsna;  e  pervenuto  a  quel 
romitaggio,  l'invitto  Rama  dimorò  quivi  alcun  tempo, 
onorato  da  que' saggi.  Ma  dimorando  in  ((nell'eremo  e 
sedendo  un  dì  presso  al  gran  Mimi  Suticsna,  il  pio  Ca- 
cutsthide  così  gli  disse  :  Abita  in  questa  selva,  o  vene- 
rando, secondo  che  io  udii  per  l' addietro  dire  da  genie 
pia,  l'eccelso  Mimi  Agastya;  ma  per  la  vastità  di  questa 
selva  io  non  conosco  il  sito  dove  si  trova  il  puro  romi- 
taggio di  quel  sapiente  e  grande  Risei;  se  tu  degni  in- 
segnarmelo, o  venerando,  io  n'andrei  con  Lacsmano  e 
con  Sita  a  salutare  il  Mimi  Agastya;  perocché  mi  sta 
assiduamente  nell'animo  un  gran  desiderio  di  venerare, 
non  fosse  che  un  momento  solo,  quell'eccelso  Risei.  In- 
teso l'  onesto  parlar  di  Rama ,  il  Munì  Suticsna  così  gli 
rispose  con  amore  :  Anch'  io  aveva  in  animo  di  dire  a  te, 
a  Lacsmano  ed  a  Sila  figlia  di  Ganaca  :  andate  a  visitare 
Agastya;  ma  or  fortunatamente,  o  Rama,  tu  stesso  me 
ne  richiedi;  ed  io  t'insegnerò,  o  caro,  dove  dimori  quel 
gran  saggio.  Andando  di  qui  per  lo  spazio  di  quattro 
yogani  verso  meriggio,  tu  troverai 'quindi ,  o  Ragli  inde, 
l'  eremo  fortunato  di  quel  sapiente.  Ma  tu  vedrai  prima  il 
romitaggio  dove  abita  il  pio  Mimi  Prànasama  (9)  fratello 
dWgastya,  intento  a  pii  ufficj,  come  il  celebre  asceta  suo 
fratello;  ci  dimora  in  una  bella  ed  amena  regione  tutta 
erbosa,  adorna  d'un  bosco  di  piante  di  pepe,  copiosa 
di  fiori,  di  frutti  e  di  radici,  risonante  del  canto  di 
vari  augelli,  ove  sono  puri,  limpidi  e  bei  laghi  coperti 
di  ninfee.  Passata  colà  la  notte,  tu  ti  ravvierai  quindi,  o 
Rama,  sullo  spuntar  del  giorno;  e  dirizzandoti  verso  la 


AMANTI  \C  \M)\.  191 

plaga  australe  alialo  a  quelle  dense  foreste,  andato  olire 
per  lo  spazio  d'un  yogano.  tu  troverai  quivi  in  una  bella 
regione  della  selva,  inarborata  d'alte  piante  di  varie 
sorla,  l'eremo  d' Agastya  popolato  di  molti  augelli,  fre- 
quente di  belve  diverse.  Quivi  gioconderanno  con  te 
Lacsmano  e  la  Videhese;  perocché  quel  sito  della  selva 
è  dilettoso  ed  abbondante  di  frutti  e  di  radici.  Se  tu  hai 
stabilito,  o  Rama,  di  visitare  quel  grande  Mimi,  non 
l' incresca  d'andarvi  oggi,  o  uom  d'alto  consiglio. 

CAPITOLO  XVI. 

VEDUTA    DEL    FRATELLO    D' AGASTYA. 

Udite  quelle  parole  del  Mimi  e  salutatolo,  Rama 
s'  avviò  con  Sita  e  col  fratello  a  vedere  Agastya ,  riguar- 
dando nel  cammino  varie  foreste  e  monti  simili  a  nubi, 
laghi  e  fiumi  correnti  lungo  la  via;  e  mentre  ei  progre- 
diva felicemente  secondo  gli  indizi  di  Siiti  csna,  cosi  parlò 
tutto  lieto  a  Lacsmano  :  E  per  certo  il  romitaggio  del 
magnanimo  e  pio  Mimi  fratello  d'  Agastya  quello  che 
qui  si  vede;  ecco  per  la  via  di  questa  selva,  o  Lacsmano, 
sparti  quegli  alberi  incurvati  dal  peso  de'  lor  fiori  e  de' 
lor  frutti ,  che  porgono  lieta  ombra  e  soavi  odori ,  e  si 
possono  attinger  colla  mano,  tutti  pieni  di  vari  augelli  e 
di  dolci  frutti.  Muove  da  questa  selva  ed  è  diffusa  dallo 
spirar  del  vento  un'acre  fragranza  di  pepe  maturo;  veg- 
gonsi  qua  e  là  legna  accatastate  e  si  scorgono  lungo  la 
si  rada  cuse  recise,  simili  a  lapislazzoli;  ecco  alzarsi  subi- 
tamente nel  mezzo  della  foresta  una  striscia  di  fumo  prò- 


192  RAMAYANA. 

dotta  dal  fuoco  che  arde  nel  romitaggio;  e  per  que'lavacri 
solitari  si  veggono  offerte  di  fiori  fatte  dai  piì  Brahmani 
levatisi  dalle  loro  abluzioni  :  è  qui  cerlamenlc,  o  caro, 
conforme  a  ciò  che  io  udii  da  Suticsna,  Peremo  del  lis- 
tello minor  d' Agastya,  il  quale  Agastya  colla  virtù  del 
suo  ascetismo  frenando  per  la  salvezza  delle  creatine  un 
Asaro  terribile  come  la  morte ,  fece  di  questa  regione  un 
sicuro  asilo.  Altre  volte,  siccome  è  fama,  abitavano  qui  in- 
sieme due  grandi  A  sii  ri  fratelli,  il  crude]  Vàtàpi  ed  Ilvala, 
micidiali  de' Brahmani.  Il  fiero  Ihala  mostrandosi  sotto 
sembianza  di  Brahmano  e  parlando  Sanscrito,  invitava  i 
Brahmani  ad  assistere  ai  funebri  riti  ;  e  nell  ora  delle 
ceremonie  funebri  egli  imbandiva  ai  Brahmani,  conforme 
all' uso,  un  ariete  cotto  e  quell'ariete  era  suo  fratello  cosi 
trasformato.  Ma  allor  che  i  Brahmani  se  n'  eran  cibati, 
Ilvala  diceva  con  alto  suono  di  voce  :  Esci  fuori ,  o  Vàtàpi! 
Subito  che  udiva  le  parole  del  fratello,  Vàtàpi  belando 
a  guisa  d'ariete  se  n'usciva  fuori,  straziando  e  lacerando 
i  corpi  de' Brahmani.  Migliaia  di  Brahmani  furono  così 
uccisi  da  quei  due,  o  valoroso,  col  convitarli  assidua- 
mente a  cibarsi  di  carni.  Ma  il  gran  Bisci  Agastya  udendo 
esser  così  divorati  i  Brahmani ,  venne  colà  prontamente 
dove  erano  que'due  iniqui.  Veduto  giungere  quivi  Agastya, 
i  due  fratelli ,  invitatolo  immantinente ,  gli  dissero  con 
lieto  piglio  :  Mangia,  o  venerando!  l'egregio  Mimi  così 
invitato  da  quei  due  Demoni,  tenendo  il  loro  invito,  ri- 
spose :  accetto.  Ilvala  allora  soggiunse  sorridendo  :  Come 
potrai  tu  solo,  o  Brahmano,  mangiare  tutto  un  ariete? 
ed  a  lui,  pur  sorridendo,  rispose  Agastya  :  Io  il  mangierò 
ben  lutto;  fa  d'apparecchiarmelo;  io  sono  affamato  per 


Mi  AM  Mi  \M)  \.  193 

lo  digiuno  ascetico  di  più  anni,  o  noni  munifico;  ben 
potrò  tutto  solo  mangiarmi  un  ariete  in  un  funebre  con- 
vito. Udite  le  parole  d' Agastya,  rispose  Ilvala  :  Or  bene 
sia  pur  così:  io  te  lo  ammannirò;  mangialo  tu,  se  puoi. 
Allora,  veggente  Ilvala,  il  venerando  Agastya  si  diede  a 
mangiare  sotto  forma  d'  ariete  Vàtàpi  apprestatogli  come 
vivanda.  In  quella  il  Risei  fece  nel  suo  animo  un  sacrifizio 
alla  ninfa  Gange  Bhagirathide  ;  ed  ella  propizia  venne 
prontamente  ad  empiere  colle  sue  acque  la  brocca  del 
gran  Brahmano.  Egli  presa  l'acqua  chiusa  nel  suo  vaso  e 
purificatosi  mormorando  le  sacre  preci,  mangiò  tutto 
intiero  quel!1  ariete.  Allora  Ilvala,  non  conoscendo  Agastya 
Mimi  oltremodo  sdegnoso,  disse  al  fratello  con  alta  voce: 
Esci  fuori  !  Ma  a  lui  che  così  evocava  il  fratello  ucci- 
sore de'  Brahmani ,  rispose  sorridendo  il  gran  Mimi 
Agastya  :  Come  potrebbe  uscir  fuori  il  Racsaso  che  io 
ho  testé  mangiato?  non  v'ha  più  uscita  per  tuo  fratello 
ch'io  inghiottii  sotto  forma  d'ariete;  io  ho  mangiato  il 
Racsaso;  non  v'ha  oramai  per  lui  più  ritorno,  quand' 
anche  vi  si  adoperassero  gli  Dei  con  India;  così  ho  per 
fermo  stabilito.  Udendo  le  parole  d' Agastva ,  l'Asaro 
nottivago  dolente  della  morte  del  fratello  e  irato  si  diede 
ad  oltraggiare  il  Mimi;  ma  mentre  quel  nemico  de' Brah- 
mani correva  addosso  al  Risei  ardente  come  fuoco ,  arso 
da  costui  colf  igneo  suo  sguardo,  divenne  cenere.  Di- 
strutti quei  due  Racsasi  scelerati,  uccisori  de' Brahmani, 
il  pio  Agastya  ripose  nel  bel  suo  romitaggio  suo  fratello. 
Vedi  qui,  o  caro,  copioso  di  frutti,  di  fiori  e  di  belle 
acque,  adorno  di  boschi  e  di  stagni  l'eremo  solitario  del 
giusto  fratello  di  colui  che  per  compassione  de' Brahmani 


\\>>i  15  VMAYANA 

compiè  con  forza  e  vigor  divino  queir  ardua  impresa. 
Menlre  cosi  parlava  il  magnanimo  Raghuide ,  cadde  ali1 
occaso  il  sole  e  sopraggiunse  il  vespero.  Adempiili i  col 
fratello,  conforme  al  prescritto,  i  riti  vespertini,  entrò 
Rama  nel  romitaggio  e  salutò  il  Mimi  ;  ed  accolto  ospi- 
talmente da  quel  Mimi,  il  Raghuide  dimorò  colà  puro 
quella  notte,  cibandosi  di  frutti  e  di  radici  (l0). 

CAPITOLO   XVII. 

DESCRIZIONE     DELL'EREMO     DI     AGASTYA. 

Trascorsa  quella  notte  e  nato  il  fulgido  sole,  il  Ra- 
ghuide cosi  parlò  al  Risei  fratello  d' Agastya  :  lo  li  saluto, 
o  venerando;  ho  qui  passala  felicemente  la  notte;  or 
desidero  visitare  il  Mimi  Agastya  tuo  maggior  fratello. 
Pospostogli  da  colui  :  Vanne  or  dunque;  s'avviò  Rama 
per  quella  via  che  gli  era  stata  indicata,  e  guardando 
d'ogni  intorno,  ei  vide  alberi  a  migliaia  fiorenti  perla 
selva.  Allora  ei  così  parlò  al  ben  segnato  Lacsmano  che 
sii  stava  al  fianco  :  Mira,  o  Lacsmano,  i  dilettevoli  e  bei 
boschi  di  questa  selva,  sparsi  d'alberi  fruttiferi  e  di  ra- 
dici ;  mira  per  ogni  dove  gruppi  di  belle  piante  soavi  ed 
odorifere,  calami ,  dalbergie,  melie  e  bassie,  baringtonie, 
pentaptere,  mangifere  e  spondie,  diospyri  e  mirabolani, 
jambu,  palme,  feronie,  artocarpi  e  cedri,  serratule,  aver- 
rhoe,  buchananie  disseminate  qua  e  là,  datteri,  giuggioli, 
soree,  semicarpi  e  pistie,  canne  e  bambù  ed  altre  piante 
a  mille  a  mille ,  melagrani ,  oleandri ,  asochi  e  tile,  alangi , 
ocimi,  indigofere  ed  asochi  per  ogni  parte,  symplochi, 


ARAM  \C WUA.  195 

acacie,  pterospermi,  bignonie,  michelie ,  priyangu  e 
alstonie;  mira,  o  Lacsmano,  qua  e  là  per  questi  boschi 
più  alili  grappi  di  begli  alberi  con  vari  arbusti  e  piante 
repenti,  tutti  floridi  ed  avvinghiati  da  piante  serpeggianti 
e  floride.  Com'ebbe  riguardato  quel  bosco  ameno,  pur 
camminando  per  la  sua  via,  l'illustre  Rama  dagli  occhi 
di  loto  così  di  nuovo  parlò  all'  inclito  Lacsmano  Dasara- 
llnde  che  gli  andava  dietro:  Guarda,  o  caro,  accanto 
alla  via  come  vie  più  risplende  quel  bosco  dilettoso  e 
dolce,  simile  alla  selva  Nandana  ;  come  son  delicate  le 
loglio  di  quegli  alberi;  come  son  più  mansuete  quelle 
belve  :  non  debb'  essere  di  qui  lontano  il  romitaggio  di 
queir  noni  celebre  per  le  sue  gesta,  che  il  mondo  noma 
Agastya  dall'opre  sue  stupende;  è  qui  per  certo  il  suo 
eremo  cagion  di  gioia  al  lasso  viandante.  La  selva  è  qui 
ingombra  del  lumo  del  sacro  burro  sacrificalo ,  adorna 
di  ghirlande  e  di  vesti  ascetiche,  frequentala  da  schiere 
di  belve  miti,  risonante  del  canto  di  vari  augelli.  Lcco 
il  romitaggio  di  quel  giusto,  che  per  la  salute  delle  genti 
domo  la  morte  colla  forza  del  suo  ascetismo  e  sicuro 
questa  regione  australe,  di  colui  per  la  cui  potenza  questa 
regione  meridionale  non  è  ora  più  infestata  dai  Racsasi. 
Dappoiché  questa  regione  fu  occupata  da  quel  pio,  sono 
stati  da  lui  domali  tutti  que'  rei  Nottivaghi;  onde  questo 
silo  australe  è  fatto  celebre  nei  tre  mondi  e  fausto  dal 
nome  di  quel  venerando,  ed  è  inaccessibile  ai  crudi  Rac- 
sasi. Cresciuto  per  isdegno  a  dismisura  fino  ad  impedire 
il  cammin  del  sole,  il  sovrano  monte  Vindhya  obbedendo 
al  comando  d' Agastya  s'abbassò  e  più  non  crebbe;  questi 
inoltre  propizialo  dagli  Dei  con  Indra,  bevve  per  distrug 


196  R  \\\\\  \\  \. 

gere  i  Dànavi  il  mare  pieno  di  mostri  e  di  coccodrilli. 
Ecco  qui  abitato  da  pii  Mimi  1'  eremo  fortunato  di  queir 
Agastya  ardente  asceta  ,  la  cui  potenza  è  celebre  nel 
mondo.  Quel  giusto  onorato  dagli  uomini  e  dagli  Dei , 
sempre  intento  a  beneficare  1  buoni ,  sarà  salutevole  a  noi 
venuti  qui  a  vederlo  :  io  mi  renderò  propizio  quell1  eccelso 
Mimi,  e  dimorerem  noi  qui  d  tempo  ebe  ancor  rimane 
del  nostro  soggiorno  nelle  selve.  Qui  stanno  ministri  as- 
sidui e  temperanti  d'  Agastya  i  Devi,  i  Gandbaivi,  i  Biniti 
e  i  Caiani;  né  vivrebbe  qui  alcuno  die  fosse  mendace  <> 
crudele,  disonesto  o  impuro,  fiero,  malvagio  od  igno- 
rante, o  d'altra  simile  fatta  :  i  Serpenti,  i  Gubyaci,  i 
Vidyàdhari  ed  altri  dimorano  qui  sobri  e  intenti  a  pro- 
piziarsi il  Mimi;  qui  sono  i  magnanimi  Siddbi  sopra  i  lor 
carri  lucenti  come  il  sole;  qui  stanno  i  sommi  Risei  clic, 
lasciati  quaggiù  i  mortali  loro  corpi ,  se  n'  andarono  al 
cielo  con  corpi  nuovi;  qui  quel  possente  e  venerando 
comparte  agli  uomini  colla  virtù  del  suo  ascetismo  firn- 
mortalità,  la  condizion  di  Yacso,  ricchezze  e  regni.  Cosi 
favellando  delle  virtù  del  Risei  Agastya,  il  regal  Ragbuide 
giunse  via  via  dopo  lungo  cammino  alla  porta  del  romi- 
laggio,  dove  stava  quel  magnanimo  di  fulgido  aspetto. 

CAPITOLO  XVIII. 

DONO    ir  UN    ARGO. 

Fermatosi  quivi  colla  Videbese,  il  forte  e  prode  Ra- 
ghuide  pari  ad  un  Immortale  così  disse  a  Lacsmano  : 
Siam  giunti  all'eremo,  o  Saumitride;  entra  tu  prima  ed 


ARANÌ  \CANDA.  197 

annunzia  al  Risei  che  io  son  giunto  qui  con  Sita.  Entrato 
per  ordine  di  Rama  in  quel  romitaggio  ed  appressandosi 
ad  un  discepolo  d' Agastva  ,  Lacsmano  così  gli  disse  : 
V'ebbe,  o  eccelso,  un  re  per  nome  Dasaratha;  il  prode 
tiglio  primogenito  di  colui,  per  nome  Rama,  desidera  qui 
vedere  il  Mimi;  io  son  Lacsmano  fratello  di  lui  e  suo  ledei 
seguace,  qui  venuto  con  quel  prestante  e  colla  sua  donna 
per  vedere  il  Mimi.  L'inclito  Rama,  se  mai  ne  giunse  a 
te  la  fama,  è  caro  a  tutte  le  genti,  devoto  alla  giustizia, 
diletto  da  ogni  uomo.  Noi  ci  avviammo  qui  a  cagion  del 
gran  Muni  venerando ,  e  desideriam  vederlo  per  tuo  fa- 
vore. Udite  le  parole  di  Lacsmano,  disse  di  sì  1'  asceta  ed 
entrò  neh"  eremo  ad  annunziarli.  Inoltratosi  nel  santuario 
del  sacro  fuoco  e  compostosi  a  reverenza,  così  ei  parlò 
con  voce  soave  a  quel  Risei  insuperabile  :  Il  glorioso  fi- 
glio di  Dasaratha,  per  nome  Rama,  col  fratello  e  colla 
sua  donna  è  alla  porta  del  tuo  romitaggio  ;  venuto  qui 
per  renderti  ossequio,  ei  desidera  vederti;  imponimi,  o 
saggio,  quello  che  io  debba  or  fare.  Udendo  dal  suo  dis- 
cepolo esser  colà  giunti  Rama,  Lacsmano  e  l'inclita  Vi- 
dehese,  così  disse  il  Risei  :  Son  lieto  che  Rama  dalle 
grandi  braccia  sia  venuto  qui  a  me  colla  consorte  ;  io  pur 
desiderava  nel  mio  animo  la  sua  venuta  ;  va  e  fa  entrar 
qui  tosto  con  ogni  ospitale  accoglienza  Rama,  la  sua  con- 
sorte e  Lacsmano;  perchè  non  l'hai  tu  introdotto ?  Uditi 
que'  detti  del  pio  asceta,  il  discepolo  salutandolo  colle 
mani  giunte  dinanzi  al  capo,  rispose  :  così  farò.  Quindi 
uscito  sollecitamente  disse  a  Lacsmano  :  Dov'  è ,  o  Sau- 
mitride,  Rama  dalle  grandi  braccia?  dov'è  la  Vidchese 
sua  consorte,  sempre  intenta  al  bene  del  suo  sposo;1  in- 


198  K  \M  VYANA. 

segnami  dove  ei  sono;  che  io  desidero  vederli,  o  caro, 
per  ordine  del  gran  Risei.  Allora  Lacsmano  andato  eoi 
discepolo  alla  porta  del  romitaggio,  gli  mostrò  il  Cacut- 
stliide  e  Sita  figlia  di  Ganaca.  Vedutili,  l'asceta  cosi  disse 
al  discendente  d' Icsvacu  :  Sia  tu  benvenuto,  o  re,  con 
Lacsmano  e  colla  Mithilese,  e  dopo  averlo  così  salutato 
con  umili  parole,  l'invitò  degnamente  ad  entrare  per  or- 
dine d'Agastya,  accogliendolo  con  ([nell'onore  che  gli  si 
conveniva.  Entrò  Rama  allora  nel  romitaggio  di  quel  pio , 
pieno  di  belve  mansuete,  riguardando  d'ogni  intorno.  In 
quella  gli  uscì  incontro  il  grande  Muni  circondato  dai 
suoi  discepoli  tutti  vestiti  di  nere  nebridi  e  di  vesti  asce- 
tiche di  corteccie.  Come  vide  l'eccelso  Mimi  Agastya, 
austero  asceta,  sfavillante  come  fiamma,  Rama  così  disse 
a  Lacsmano  :  Questi  è  il  Fuoco,  questi  è  il  Soma("), 
questi  è  la  Giustizia  eterna;  ecco  ei  ne  viene,  uscendo, 
incontro  a  noi  qui  giunti  ;  facciamoci  innanzi  con  grand' 
animo;  che  colui  è  senza  dubbio  Agastya,  tesoro  d'asce- 
tismo, in  cui  s'accoglie  tutto  il  fulgor  del  sole  :  oh  qual 
egli  è  mai  lo  splendore  di  quel  preclaro!  Così  dicendo 
ei  s' inoltrò  ed  abbracciò  con  grande  gioia  i  piedi  del 
Risei;  e  veneratolo  degnamente  con  Lacsmano  e  con  Sita, 
si  fermò  Rama  in  atto  reverente.  Ma  il  saggio  e  grande 
asceta,  poich'ebbe  baciato  sul  capo  il  Raghuide  venera- 
bundo,  gli  disse  :  siedi  ;  quindi  onorati  Rama,  la  Videhese 
e  Lacsmano  sedenti ,  gli  interrogò  della  prosperità  della 
lor  salute,  e  interrogatili,  disse  poscia  a  un  suo  disce- 
polo :  Dopo  avere  offerto  sul  sacro  fuoco  il  burro ,  porgi 
il  restante  al  saggio  Rama,  onorandolo  d'ospitalità;  si 
nutra    egli  secondo  il   rito    Vedico    e   conforme   all'  uso 


\i;a\vw;anda.  19Q 

dei  Vànaprasthi  (solitari);  perocché  il  Baghuide  è  degno 
<T  onore,  ed  io  raccoglierò  qui  onorevolmente.  Ei  ne 
venne  a  noi  ospite  caro,  meritevole  d'ossequio  e  di  ri- 
spetto; egli  è  il  rifugio  ed  il  sostegno  del  mondo  intiero; 
ed  io  onorerò  qunl  si  conviene  questo  signor  del  mondo 
qui  venuto;  che  chi  non  onora  il  pio  Rama  venuto  ospite, 
è  dannato  a  divorar  nel  mondo  di  là  le  proprie  sue  carni, 
come  chi  testimonia  falsamente.  Se  altri  non  onora  a  suo 
potere  l'ospite  giunto  alla  sua  casa,  questi  lasciando  a 
colui  i  suoi  reali,  se  ne  va  portandosene  i  menti  d'esso. 
Poich'  ebbe  così  detto  ed  onoralo  degnamente  il  Raghuide 
coli' offrirgli  frutti,  radici,  fiori  ed  acqua,  così  soggiunse 
Agastya  :  Ecco,  o  noni  preclaro,  un  eletto  arco  divino 
guernito  d' oro  e  di  diamanti,  che  fu  già  di  Visnu,  e 
costrutto  da  Visvacarma  ;  ecco  queste  fulgide  ed  infalli- 
bili saette,  dono  di  Brahma,  che  io  ebbi  dal  grande  In- 
dra,  queste  due  faretre  inesauribili  di  dardi,  piene  di 
frecce  acute  e  ardenti  come  serpi,  e  questa  gran  spada 
con  else  d'oro  chiusa  nella  sua  gran  guaina.  Con  queir 
arco,  o  Rama,  rotti  in  battaglia  gli  Asuri,  ottenne  Visnu 
un  dì  splendida  gloria  fra  gli  Dei;  prendi,  o  Rama,  a 
line  di  vittoria  quest'  arco  colle  faretre  e  questa  spada 
che  io  t'offro,  come  Indra  prende  il  fulmine.  Un  dì,  o 
Raghuide,  così  mi  disse  Indra  dai  mille  occhi  :  Quando 
arriverà  qui  Rama,  donagli  quest'arco;  tu  sei  giunto 
alfine  al  nostro  romitaggio,  o  Rama;  prendi  or  quest' 
arco  eletto,  divino,  incomparabile;  con  quest'arco,  o 
Rama ,  tu  vincerai  irresistibilmente  il  mondo  intiero  ed 
Indra  stesso.  Poich'  ebbe  così  parlato  e  donato  a  Rama 
quel  grand' arco  colle  saette,  così  soggiunse  il  venerando 


•200  li  \MAV\Y\. 

e  illustre  Agastya  :  Quando  tu,  o  Cacutsthide ,  combatte- 
rai con  quest'arco  in  guerra,  saranno  allora  securi  i  tre 
mondi.  Dati  a  Rama  l'arco  e  le  saette,  la  spada  e  le  due 
faretre  piene  di  dardi,  il  magnanimo  Risei  gli  donò  inoltre 
una  nobile  veste  e  due  armille  dono  d'India.  L'illustre 
ed  inclito  Ragbuide,  insigne  per  prodezza  e  per  virtù, 
ricevuti  que'  grandi  doni  offertigli  dal  Mimi ,  attendeva 
le  nuove  sue  parole. 

CAPITOLO    XIX. 

CONSIGLI    D'AGASTYA. 

Dopo  eh'  ebbe  degnamente  e  a  modo  divino  onorato 
Rama  ,  il  Mimi  così  prese  a  dire  con  lunghe  e  cortesi 
parole  :  Son  lieto,  o  Rama  mio  figlio,  son  contento,  o 
Lacsmano,  che  voi  siate  qui  venuti  con  Sita  a  salutarmi. 
Ma  dimmi,  o  Raghuide,  non  è  Sita  affaticata  dalla  stan- 
chezza? perocché  ella  è  delicatissima  di  corpo  e  assuefa 
agli  agi;  t'adopra,  o  Rama,  affinchè  la  Videhese,  che  ti 
seguitò  spinta  da  amore  nell'aspre  selve,  si  diletti  fra 
questi  boschi.  Costei  venendo  fra  le  selve  per  tuo  amore 
fece  ardua  cosa,  o  Rama;  perciocché  le  donne  sogliono 
esser  deboli  e  timide  per  natura;  amano  chi  è  in  prospero 
stato  ed  abbandonano  chi  si  trova  in  infortunio  :  tale,  o 
uom  preclaro,  è  l'indole  e  la  natura  delle  donne;  elle 
imitano  il  guizzo  del  baleno ,  V  acume  della  saetta ,  la  ra- 
pidità del  vento  e  del  fuoco.  Ma  è  esente  da  tali  difetti 
questa  tua  donna,  degna  d'essere  celebrata  e  mostrata 
ad  esempio,  siccome  Arundhati  fra  gli  Dei.  Questa  re- 


Mi  \\>  \<;a\d\.  201 

gione  è  amena;  abita  tu  qui  nel  mio  romitaggio  col  Sau- 
mitride  e  con  queir  ottima  Videhese.  Intesi  que'  detti  del 
Mimi,  il  verace  e  forte  Raghuide  gli  rispose  con  atto 
reverente  queste  umili  parole  :  Son  felice,  son  favorito, 
che  un  tale  eccelso  Mimi  sia  soddisfatto  appieno  di  me, 
di  mio  fratello,  della  mia  consorte;  ma  insegnami  tu  costì 
un  luogo  copioso  d'acqua  e  di  folti  boschi,  dove,  costrutto 
un  romitaggio,  io  possa  abitar  tranquillo  e  lieto.  Allora 
il  saggio  e  pio  Mimi,  udita  la  domanda  di  Rama  e  stato 
alquanto  sopra  pensiero,  rispose  queste  ferme  parole  : 
Lungi  di  qui  due  yogani,  o  Rama,  v'ha  una  bella  e  ce- 
lebre regione  che  si  noma  Pancavati,  lieta  di  limpide 
acque  ed  abbondante  di  dolci  frutti  e  di  radici.  Andato 
colà  e  fattovi  un  abituro,  vi  dimora  tu  col  Saumitride , 
osservando  la  promessa  che  facesti  al  padre,  lo  so  ,  o 
innocuo,  ogni  tuo  caso  ;  il  so  per  virtù  del  mio  ascetismo 
e  per  l'amor  che  io  portava  a  Dasaratha;  per  l' efficacia 
del  mio  ascetismo  io  conosco  eziandio  gli  intimi  pensieri 
che  ti  stan  nel  cuore;  onde  dopo  averti  invitato  a  ri- 
maner con  me  in  questa  selva  ascetica,  noi  ora  ti  di- 
ciamo :  Va  ad  abitar  nella  Pancavati ,  perocché  quella 
region  selvosa  è  dilettevole,  e  sarà  quivi  lieta  la  Miihi- 
lese.  Quel  sito  rinomato  non  è  lontano  di  qui ,  o  Ra- 
ghuide, e  si  trova  vicino  alla  riviera  Godàvari;  sarà  cola 
contenta  Sita;  esso  è  ricco  di  frutti  e  di  radici,  pieno  di 
varie  belve,  riposto,  puro  e  dilettoso.  Tu  inoltre  colla 
tua  donna  sei  valevole  a  proteggere;  ed  abitando  colà,  o 
Rama,  tu  difenderai  gli  asceti.  Ecco  si  scorge  di  qui  quel 
gran  bosco  di  bassie  latifoglie;  tu  dei  andare  a  setten- 
trione di  quel  bosco,  quando  sarai  giunto  a  quella  fi- 
li. 26 


202  R  VMAYANA 

caia;  quindi  tu  salirai  su  per  quel  terreno  rilevato,  non 
mollo  discosto  dal  monte;  colà  è  la  regione  che  si  chiama 
Pancavati,  lieta  di  belli  e  fiorenti  boschi.  Partendo  di  qui 
tosto,  o  Ragli u ide,  va  a  \isitare  quella  regione;  sia  tu 
felice,  o  Cacutslhide  ,  va,  o  caro,  e  non  frapporre  indu- 
gio. Così  esortato  da  Agastva  ,  Rama  col  Saumitride  sa- 
lutò con  reverenza  quel  veridico  Risei,  ed  accommiatati 
da  lui  i  due  Raghuidi  con  Sita,  dopo  essersi  inchinati  ai 
suoi  piedi  ,  si  misero  in  via  desiderosi  di  fermar  loro 
stanza.  Presi  gli  archi  e  appese  al  fianco  le  farcire,  i  dim 
fortissimi  ligli  regali,  intrepidi  nelle  battaglie,  s'avviarono 
solleciti  alla  Pancavati  per  la  via  che  era  siala  loro  indicata. 

CAPITOLO    \\. 

INCONTRO     DI     GÀTÀYUS. 

Mentre  hama  camminava  alla  volta  della  Pancavati,  gli 
si  fece  incontro  il  grande  e  celebre  avoltoio  per  nome 
Gatàyus(12),  il  quale  disse  a  Rama  con  voce  lene,  soave 
e  cara  :  Sappi,  o  diletto,  che  io  son  l'amico  di  tuo  pa- 
dre. Il  Raghuide  conoscendo  esser  colui  1'  amico  di  suo 
padre,  gli  fece  onore  ed  il  richiese  con  cortesia  della 
prosperità  della  sua  salute  :  quindi  mosso  da  curiosità 
gli  disse  Rama  :  Narrami,  o  caro,  la  tua  origine,  la  tua 
propaggine  e  la  tua  stirpe.  Udita  l'inchiesta  di  Rama,  il 
sovrano  augello  prese  a  narrar  conforme  al  vero  la  sua 
origine  e  la  sua  stirpe  :  Ascolta,  o  forte  Raghuide ,  io  ti 
dirò  tutti  dal  principio  quali  furono  all'età  prima  i  Pro- 
genitori creati  da  Brahma.  Primo  fra  questi  fu  Kardama, 


VRANYAC  WDA.  203 

dopo  lui  Vikrita,  quindi  Sesa  e  il  possente  Suvrata  padre 
di  molli  tigli,  poi  Stilami,  Marìci,  Atri  e  il  forte  Kratu, 
Pulastya,  Pulaha,  Dacsa  e  il  prode  Pracetas,  poscia  il 
Sole  e  Aristaneini ,  ed  ultimo  Ira  costoro  l'eccelso  Ka- 
syapa  (13).  Il  glorioso  Progenitore  (Pragàpati)  Dacsa  ebbe, 
siccome  noi  udimmo,  o  Rama,  sessanta  inclite  figlie  : 
Kasyapa  tolse  per  mogli  otto  leggiadre  fra  quelle  don- 
zelle, Aditi,  Diti,  Kàlaka,  Dami,  Tanna,  Krodbavasa , 
Bàia  ed  Alibàla;  Angiras  e  Pratyangiras  tolsero  l'altre. 
A  quelle  donzelle  disse  Kasyapa  con  gran  letizia  :  Voi  par- 
torirete generali  da  me  lìgb  ebe  avranno  impero  sui  tre 
mondi.  Aditi,  Diti,  Dami  e  Kàlaka  furon  d'animo  con- 
formi a  lui,  le  rimanenti  d'animo  avverso.  Aditi  partorì 
trenta  tre  splendidi  Suri  (Dei),  gli  Adityi ,  i  Vasu,  i  Hudri 
e  1  due  Asvini  :  Diti  partorì  i  gloriosi  Dailyi ,  da  cui  Ui 
un  di  posseduta  questa  terra  col  grande  Oceano  :  Dami 
ebbe  un  prestante  ligi  io  per  nome  Asvagrìva  :  Kàlaka 
partorì  \araka  e  Kàlakanga.  Da  Tàmra  nacquero  cinque 
figlie  celebri  nel  mondo,  Kraunci,  Bbàsi,  Syeni,  Dhrita- 
ràslri  e  Snki.  Kraunci  produsse  le  ardee,  Bbàsi  i  galli, 
Syeni  i  falchi,  gli  a  volto  i  e  i  gufi,  Dbritaràstri  figliò  i  cigni 
die  si  dilettano  nell'acqua,  le  anase  e  tutte  le  grue,  se 
tu  sia  felice,  Suki  partorì  i  docili  pappagalli  dotati  di 
qualità  liete,  ornati  d'ogni  fausta  nota.  Da  colei  ebe  si 
noma  Krodhavasa  nacquero  nove  figlie,  Mrigi,  Mriga- 
vati ,  Sàrdùli,  Krostuki,  Màtangi,  Sinbika,  Sveta,  Sura- 
bbi  e  l'inclita  Surasa  dotata  d'ogni  fausto  segno.  Fra 
costoro  Mrigi  produsse  tutti  i  cervi,  Mrigavati  gli  orsi  e 
i  srimari  C4);  Màtangi  ebbe  per  figlio  l'elefante  che  si 
noma   Airavana ,    e   da    Airavana    furon    generati    Mriga , 


204  KAMAVW  \ 

Manda  e  gli  altri  elefanti;  dalla  flava  Krosluki  (l5)  nac- 
quero i  flavi  scimi  rinomati  sulla  terra,  e  Sarchili  figliò 
i  golànguli  (16)e  le  tigri;  Màtangi  produsse  inoltre  i  Ma- 
tanghi  (17)  ;  Sveta  partorì  uno  degli  elefanti  delle  plage 
per  nome  Sankha  ;  Surabhi  partorì,  o  Rama,  tre  figlie, 
Rollini,  Bhadra  e  l'inclita  Gandharvi  :  da  Rollini  nac- 
quero i  tori,  da  Gandharvi  i  cavalli;  Surasa  produsse  gli 
angui,  Kadru  i  serpenti.  Quindi  Manu  procreò  gii  uo- 
mini!18), o  Raghuide,  i  Brahmani,  i  Csatrivi,  i  Vaisyi  e 
ì  Sudri  ;  dal  capo  di  lui  nacquero  sulla  terra  i  Brahmani, 
dal  petto  i  Csatriyi ,  dal  femore  i  Vaisyi,  dai  piedi  i  Su- 
dri. Lalana  produsse  eziandio  sette  alberi  con  frutti  e 
ciocche  di  fiori.  Kadru,  siccome  io  dissi,  partorì  migliaia 
di  serpenti  che  abitano  il  seno  della  terra;  e  Sieni  pro- 
dusse tra  gli  altri  suoi  figli  Vinata;  da  Vinata  nacquero 
due  figli  Garuda  ed  Aruua;  da  Garuda  fummo  generati 
io  e  Sampati  mio  maggior  fratello  :  sappi,  o  prode,  che 
io  son  Gatàyus  discendente  da  Sveni.  Io  sarò,  o  caro, 
tuo  compagno,  se  tu  il  desideri,  e  difenderò  qui  Sita; 
poiché  tu  sei  solo  con  Lacsmano.  Il  Raghuide  accettò 
F  offerta  ed  abbracciò  con  gioia  il  sovrano  augello;  pe- 
rocché avea  più  volte  udito  rammentar  f  amicizia  di  suo 
padre  con  Gatàyus  :  commessagli  quivi  Sita  ed  accom- 
pagnatosi col  fortissimo  aligero  Gatàvus,  s'avviò  poscia 
quel  valoroso  alla  Pancavati.  Quindi  poco  lungi  nel  più 
litio  delle  selve  1'  amplificator  della  stirpe  di  Raghu  entrò 
con  Lacsmano  nella  regione  Pancavati  abitata  da  sente 
fiera,  avido  di  sperdere  i  nemici,  come  il  fuoco  distrugge 
le  locuste. 


AKANYACANDA.  205 


CAPITOLO   XXI. 


STANZA     \FA.\A     PANCAVATI, 


Andando  alla  Pancavati  frequente  in  serpi  di  varie 
sorta ,  Rama  così  parlò  al  fratello  Lacsmano  d'  ardente 
vigore  :  Siam  giunti  a  quella  regione  che  ci  fu  indicata 
dal  grande  Risei ,  dove  la  selva  è  dilettosa  e  soda ,  abbon- 
dante di  fiori,  di  frutti  e  di  radici;  è  questa,  o  Saumi- 
tride,  la  regione  Pancavati  dai  floridi  boschi;  gira  d'in- 
torno l'ampio  tuo  sguardo;  perocché  tu  sei  accorto,  o 
Lacsmano;  in  quale  sito  avvisi  tu  un  romitaggio,  dove 
possiamo  star  con  diletto  la  Videhese  ed  io,  dove  sian 
vicini  fiori,  frutti,  legna  ed  acqua,  dove  la  selva  sia 
amena  e  ameno  il  suolo?  Interrogato  da  Rama,  Lacsmano 
con  atto  ossequioso  così  gli  rispose  in  presenza  di  Sita  : 
Io  sono  perpetuamente  sottomesso  a  te,  o  Cacutsthide; 
guarda  tu  stesso  dove  sia  un  bel  sito  che  ti  piaccia.  Sod- 
disfano di  quella  risposta  ,  f  illustre  Rama  ,  dopo  aver 
considerato,  elesse  un  sito  dotato  d'ogni  qualità  deside- 
rabile, ed  eletto  per  farvi  un  abituro  quel  luogo  di  limpide 
acque,  Rama,  presa  colla  sua  mano  la  mano  di  Lacsmano, 
così  gli  disse  :  Questo  luogo  è  ameno  e  bello,  chiuso 
d'alberi  fiorenti;  costruisci  qui,  o  caro,  un  convenevole 
abituro  :  non  lungi  di  qui  si  scorge  la  bella  e  pura  riviera 
Godavari  tutta  piena  d'  odorifere  ninfee  splendide  come 
i  I  sole ,  popolata  di  cigni  e  d'  anitre ,  adorna  d'  anase  ed 
agitata  poco  lungi  di  qua  da  schiere  di  belve.  Mira,  o 
Saumitride,  quel  giocondo  ed  alto  monte  pieno  d'antri, 


206  RAMADAN  \ 

risonante  del  canto  de' pavoni,  ricco  di  varie  piante  re- 
penti disposte  a  padiglione,  intornialo  ed  abbellito  d'al- 
beri norenti,  di  soree,  di  palme,  di  xanthocymi  e  di  dat- 
teri, segnato  qua  e  là  da  begli  argentei  metalli,  ornalo 
di  calami,  di  dalbergie  e  di  butee  frondose,  di  pentaptere, 
di  grislee,  di  michelie  e  di  pterospermi ,  d'asocbi,  di  li  le 
di  diospyri  e  di  mille  altri  arbusti  e  piante,  e  Frequentato 
da  stormi  di  belve  diverse.  Su  per  quel  gran  monte  ri- 
splendono  d'ogni  parte  melali i  d'argento  e  d'oro,  di 
ferro  e  di  rame ,  e  vicino  ad  esso  è  largo  e  piano  il  suolo, 
dove  crescono  a  mille  a  mille  tapie,  datteri  e  piante  re- 
penti, calami  e  rottlerie,  arbori  insigni.  Questo  sito  mi 
par  copioso  di  frutti  e  di  bori,  ed  eccellente  per  li  suoi 
alberi  di  sandalo,  per  le  sue  dalbergie,  bucbananie  e  1111- 
musopi,  per  le  sue  mimose,  grislee  e  soree,  acacie,  butee 
e  bignonie  :  questa  selva  è  pura,  è  dilettosa,  è  ottima; 
qui  dimorerem  noi,  o  Saumitride,  in  compagnia  di  Ga- 
tàyus.  Udite  quelle  parole  di  Rama,  l'invitto  Lacsmano 
costrusse  colà  in  breve  un  dilettevole  romitaggio  pel  fra- 
tello; ei  fece  con  destrezza  ad  uso  del  Hagbuide  un  ampio 
abituro  di  foglie,  giocondo,  ameno  e  appariscente  :  an- 
dato quindi  alla  riviera  Godàvari  e  bagnatosi,  l'illustre 
Lacsmano  colse  quivi  bori  di  ninfee  e  ritornò  prestamente. 
Fatta  allora  l'offerta  di  Bori  e  sacrificato  sul  fuoco  il  sacro 
burro  conforme  ai  riti,  ei  mostrò  poscia  a  Rama  il  romi- 
taggio apparecebiato.  11  Ragbuide,  veduto  quel  romitag- 
gio ameno  ed  entrato  con  Sita  in  quell'  abituro  di  foglie, 
fu  sommamente  lieto ,  ed  abbracciando  con  gioia  Lac- 
smano, gli  disse  queste  parole  soavi,  affettuose  e  care  : 
Son  conlento  di   te,  o  Lacsmano;  e  per  aver  tu  fatta  una 


Mi  \M  \C  \\l) A.  207 

simile  bell'opra,  ricevi  ora  comic  pegno  d'amore  questo 
mio  amplesso;  da  le  figlio  virtuoso,  riconoscente  e  pio 
son  fatti  paghi  de'lor  voti,  o  caro,  1  nostri  parenti.  Ciò 
detto  al  fausto  Lacsmano,  il  forte  e  pio  Raghuide  fermò 
sua  sede  in  quel  sito  ricco  di  frutti  ed  abbellito  da  molti 
fiori,  e  dimorò  quivi  alcun  tempo  con  Lacsmano  e  con 
Sita ,  come  India  in  cielo. 


CAPITOLO   XML 

DESCRIZIONE    DELLA     FREDDA     STAGIONE. 

Mentre  il  Raghuide  abitava  lietamente  in  quella  selva 
ascetica,  trapassò  l'autunno  e  sopravvenne  la  fredda  sta- 
gione oltremodo  cara.  Un  di  levatosi  m  sull'aurora, 
s'avviò  Rama  alla  riviera  Godavari  per  farvi  le  abluzioni  : 
il  prestante  San  mi  Iride  che  col  capo  curvo  e  colla  brocca 
fra  le  mani  gli  andava  dietro  insieme  con  Sita,  cosi  prese 
a  dire  :  E  sopraggiunta,  o  egregio,  quella  stagione  che 
t' è  sempre  gradita  ed  in  cui  Tanno  appare  come  ornato 
di  nuovi  pregi.  11  vento  è  rigido  e  brinoso,  e  la  terra  co- 
perta di  biade  :  le  acque  non  son  ora  gradevoli  ;  ma  è  bensì 
giocondo  il  fuoco.  Dopo  aver  onorato  i  Devi  e  i  Padri 
con  sacrifizi  di  nuovo  riso  maturo,  son  ora  tutti  purificati 
quei  che  han  fruito  del  sacrifizio  del  nuovo  riso;  son  con- 
ienti i  villaggi  or  che  han  raccolto  l'orzo  e  il  latte;  e  i  re 
della  terra  intraprendono  ora  spedizioni  bellicose,  avidi 
di  vittoria.  Dimorando  ora  il  sole  nella  plaga  dove  risiede 
Vgastya  (la  stella  Canopo),  più  non  risplende  la  plaga  set- 
tentrionale, a  guisa  d'una   donna  privata  del  suo  segno 


208  KAMAYANA. 

frontale.  Ricco  per  natura  d'un  tesoro  eli  nevi,  il  monte 
Himalaya,  or  che  è  lontano  il  sole,  è  veramente  monte 
nevoso  conforme  al  suo  nome(19).  Aspri  in  sull'aurora, 
soavi  sul  mezzodì,  ne  trascorrono  ora  rapidi  i  puri  e  gio- 
condi giorni.  In  sul  mattino  le  deserte  selve  si  veggon 
ora  coperte  di  nevi  e  di  brine,  debolmente  soleggiate, 
dominate  da  venti  acuti  e  freddi.  Si  cessa  dal  dormire 
sulf  alto  delle  case  a  cielo  scoperto  ;  le  notti  non  han  più 
fiori,  son  latte  fosche  dai  geli  e  fredde  ed  hanno  ora  più 
lunga  durata.  La  luna,  che  trae  dal  sole  il  giocondo  suo 
splendore,  or  col  suo  disco  offuscato  dai  gelati  vapori 
più  non  riluce,  come  uno  specchio  appannato  dal  fiato; 
la  sua  luce,  tuttoché  sia  nel  plenilunio,  pur  velata  dalla 
gelida  bruma  si  vede  sì,  ma  non  risplende,  come  Sila 
estenuata  dai  digiuni.  11  vento  occidentale  per  natura 
freddo  al  senso,  inacerbito  ora  dal  gelo  spira  in  sul  mat- 
tino doppiamente  freddo.  Le  selve  coperte  di  nevi  e  se- 
minate d' orzo  e  di  frumento  si  fan  belle  in  sul  nascer 
del  sole  ed  echeggiano  del  canto  delle  grue  e  degli  aghi- 
roni.  Son  belle  a  vedersi  quelle  piante  di  riso  del  color 
delf  oro  coi  loro  capi  alquanto  inclinati  e  adorni  di  fiori 
che  paiono  fiori  d'argento.  Cogli  occhi  socchiusi  per 
paura  delle  pungenti  ariste  del  riso ,  il  toro  si  disseta  nel 
campo,  agitando  col  suo  soffio  l'acqua.  Il  sole  testé  nato 
lontanissimo,  co'  suoi  raggi  tremolanti,  velati  dai  brumali 
e  freddi  vapori ,  appare  or  simile  alla  luna  :  il  suo  splen- 
dore insensibile  quasi  sul  mattino  è  giocondo  al  senso  in 
sul  meriggio  e  verso  sera  s' infiamma  di  rosso  alquanto 
pallido.  Il  suolo  delle  foreste  penetrato  dai  recenti  raggi 
solari  mostra  ora  le  fresche  sue  erbe  inumidite  dalle  brine 


ARANYACANDA.  209 

cadute;  e  le  regioni  della  selva  umide  di  vapor  gelati  e 
involte  nell'oscurità  di  fitte  nebbie  appaiono  d'ogni  parte 
come  indormentite.  Or  si  veggono  i  fiumi  coir  acque  ve- 
late da  vapori,  colle  sabbie  delle  lor  rive  bagnate  dalle 
nevi,  e  solo  al  canto  si  discernono  le  gru  che  stari  fonali 
essi.  Per  lo  cadere  delle  brine,  per  lo  gelo,  per  la  tenue 
virtù  del  sole,  l'acqua  che  s'accoglie  in  abbondanza  sulla 
cima  degli  alberi,  vi  s'indura  a  guisa  di  gomme.  Colle 
lor  foglie  consunte  dal  tempo,  colle  lor  fibre  e  coi  loro 
pericarpi  guasti ,  riarse  dalle  nevi  più  non  fan  bella  mostra 
di  se  le  ninfee,  a  cui  nuli' altro  più  rimane  che  lo  stelo. 
In  quest'ora,  o  valoroso,  il  pio  Bharata  dolente  s'  affligge 
per  tuo  amore  nella  città.  Messi  in  non  cale  il  regno  e  le 
sue  delizie  ed  ogni  altro  oggetto  ,  dedito  a  digiuni  e  ad 
austerità,  dorme  egli  colà  sulla  fredda  terra.  Per  certo  in 
quest'ora  anch'esso  circondato  con  amore  dai  cittadini 
sen  va  sollecito  alla  riviera  Sarayu  per  far  quivi  le  sue 
abluzioni  :  ei  delicato  e  cresciuto  fra  dolcezze  infinite, 
come  mai  può  immergersi  nella  Sarayu  sul  finire  della 
notte,  trafìtto  dal  notturno  gelo?  Quell'  uom  verace,  ve- 
recondo e  giusto,  donno  de' suoi  sensi,  abbandonata  ogni 
delizia,  vive  sottomesso  a  te  con  tutto  il  suo  animo  :  il 
generoso  Bharata  mio  fratello  s'acquista  il  cielo;  peroc- 
ché abitando  esso  la  città,  seguita  con  amore  te  che 
abiti  le  selve  :  «  Gli  uomini  non  imitano  i  costumi  pa- 
terni ma  i  materni;  »  questa  sentenza  ripetuta  dalle  genti 
e  stala  appieno  contraddetta  da  Bharata.  Oh  perchè  la 
madre  Caiceyi,  di  cui  era  sposo  Dasaratha  ed  è  figlio 
l'ottimo  Bharata,  è  ella  cosi  fatta  e  dissimilo  da  amendue, 
o  signor  degli  uomini!  Al  pio  Lacsmano  che  per  amore 


210  i;  \M  \N  \\  \. 

così   favellava,  Rama  alieno  dal  biasimare  così   rispose  : 

Non  si  dee  da  le  riprendere  in  mia  presenza,  o  caro,  la 

seconda  delle  nostre  madri;   favella  soltanto  di  Bharata 

signor  degli  Icsvacuidi  ;  ma   la  una  mente  gin   lei  ina  nel 

proposto  di  dimorare  fra  le  selve,  o  Lacsmano,  commossa 

dall'amor  di  Bharata,  or  di  nuovo  si  conturba.  Così  pur 

ragionando  giunse  il  Cacutsthide  alla  riviera  Godàvari  <■ 

fece   con  Lacsmano  e   con   Sila  le  abluzioni;  ed  offerti 

secondo  i  riti  doni  ai  Padri  ed  agli  Dei,  venerò  col  fra- 
ti 

tello  e  colla  consorte  il  sol  nascente.  Fatte  le  abluzioni 
così  risplendeva  Rama  con  Lacsmano  e  con  Sila,  come 
risplende  purificato  Rudra,  Nume  venerando  con  \  isnu  e 
colla  figlia  del  monte  (lina). 

CAPITOLO    WML 

VEDUTA    DI    SURPANACHA. 

Compiute  le  abluzioni,  Rama  con  Sila  e  col  Saumi- 
Iride  se  ne  ritornò  dalle  sponde  della  Godàvari  al  suo 
romitaggio;  dove  pervenuto  e  adempiuti  i  vili  mai  lui  ini, 
entrò  egli  nel  suo  abituro;  e  sedutosi  quivi  ei  faceva  con 
Lacsmano  e  con  Sila  vari  discorsi.  Mentre  così  ragionava 
(juel  magnanimo  col  fratello,  entrò  a  lui  il  sovrano  degli 
avoltoi  e  così  disse  :  lo  li  saluto,  o  eccelso  fra  gli  uomini, 
o  grande  arciero  dalle  lunghe  braccia,  o  illustre  e  forte; 
io  me  ne  vado  alla  mia  sede;  desidero  rivedere  i  miei  con- 
giunti e  i  miei  amici;tu  dei  frattanto,  o  Raghuide  invitto, 
aver  l'occhio  vigile  sovra  ogni  essere  vivente;  (piando 
avrò  riveduto  ogni  mio  amico,  io  ritornerò  qui  a  le;  ciò 


ARANYACANDA.  211 

t'accerto,  se  in  sia  felice.  A  quel  sovrano  degli  aligeri 
risposero  Rama  e  Laesmano  :  Vanne,  o  Gatàyus,  e  fa  che 
ci  rivediamo.  Partitosi  quel  sovrano  degli  avoltoi,  riama 
di  volto  soave  rientrò  con  Sila  nell'abituro;  e  il  robusto 
Laesmano  levandosi,  entrò  esso  pure  in  quella  dilettevole 
capanna  quadripartita,  come  entra  il  leone  in  una  mon- 
tana caverna.  Rama  dalle  grandi  braccia  sedendo  con  Sila 
in  quell'abituro,  cosi  risplendeva  come  Limo  colla  stella 
Citra.  Una  certa  Racsasa  per  nome  Surpanacha,  sorella 
del  Racsaso  Ravano  giunse  per  suo  diletto  in  ([nella  re- 
gione, ed  appressatasi  colà  vide  Rama  pari  ad  un  Dio, 
con  omeri  di  leone,  con  grandi  braccia,  con  ocelli  simili 
a  foglie  di  loto.  Veduto  colui  pari  ad  un  immortale,  quella 
Racsasa  trista  per  natura  e  di  rea  genia,  malefica,  mal- 
nata e  dura,  die  di  donna  non  avea  allro  che  il  nome, 
arse  d'amor  per  Rama  :  colei  deforme  e  di  sconcio  ven- 
ire amò  Rama  bello  di  volto  e  di  fianchi  ben  contornati, 
ella  con  occhi  turpi  e  capelli  rossigni  lui  di  grand' occhi 
e  ben  crinito,  ella  disformata  e  d'orribil  voce  lui  bellis- 
simo e  di  voce  soave,  ella  orrida  vecchia  e  di  torta  favella 
Ini  giovane  e  retto  nel  favellare,  ella  di  reo  costume  e 
disgustosa  lui  amabile  e  ben  costumato.  Colei  riguar- 
dando il  nobilissimo  Rama  di  florida  età,  notato  di  segni 
regali,  vie  più  accesa  nel  suo  amore  cosi  andava  fra  se 
pensando  :  Costui  bello  oltremodo  e  giovane,  conscio  di 
se  e  superbo  di  sua  gioventù  si  stima  per  certo  eguale  ai 
Devi  ed  ai  Gandharvi;  ma  io  innamorata  ispirerò  con 
altra  eijual  beltà  amore  al  prode  Rama  di  bella  mirabile 
E  sposa  di  costui  la  celebre  Sila  avventurosa  oltre  ogni 
altra  donna,  dolala  di  bella  e  di  giovine/za   come  la  dea 


212  HAM  Vi  \\A. 

Lacsmi;  ma  io  cercherò  di  far  sì  che  egli  veggendo  la 
prestante  mia  beltà ,  abbandoni  colei  ed  ami  me.  Si  dice 
che  Lacsmi  sia  Tra  gli  Dei  adorna  di  bellezza  e  di  gioventù  : 
ma  io  penso  che  Lacsmi  sia  colei  che  dai  Racsasi  è  ono- 
rata col  nome  d' Illusione;  or  io  apparirò  qui  come  l' Illu- 
sione o  come  Lacsmi  discesa  dal  cielo  sulla  terra  ,  ed 
inebbrierò  d'amore  Rama,  come  Sarmistha  innamorò 
Nahusa.  Ella  allora  fattasi  tutta  bella  s'appressò  a  Rama 
dalle  grandi  braccia  e  conforme  all'  indole  femminile  così 

o 

<>li  disse  sorridendo  :  Chi  sei  tu  che  sotto  sembianza 
d'asceta  sei  venuto  con  una  donna  e  armato  d'arco  e  di 
saette  in  questa  region  selvaggia  abitata  dai  Racsasi?  Non 
lungi  di  qui  i  robusti  Racsasi  eroi  di  forza  tremenda  e 
d1  opere  crudeli ,  i  quali  abitan  nel  Ganasthàna ,  fanno 
strage  di  tutti  i  Risei;  ond'  io  ti  chieggo  perchè  tu  simile 
ai  più  nobili  fra  gli  Immortali  sia  costà  venuto.  Io  credo 
che  forse  que'  Risei  fulgidi  come  fuoco  dimoran  su 
questa  riva  della  Godàvari  protetti  dalla  forza  del  tuo 
braccio.  Così  interrogato  dalla  Racsasa  Surpanacha ,  d 
Raghuide  prese  a  narrarle  ogni  cosa  per  la  rettitudine 
della  sua  mente  :  V  ebbe  un  giusto  re  per  nome  Dasa- 
ratha  celebre  per  la  terra  ;  di  colui  son  io  figlio  primo- 
genito e  m'appello  Rama;  costei  è  Sita  mia  consorte;  e 
questi  è  Lacsmano  mio  fratello.  Per  ordine  del  re  mio 
padre  e  per  comando  d'  una  delle  mie  madri  io  che  ho 
a  cuore  la  giustizia,  son  qui  venuto  ad  abitar  frale  selve. 
Ma  tu  chi  sei ,  o  timida  donna ,  che  adorna  di  beltà  e  di 
fausti  segni,  bella  come  la  stessa  Lacsmi  t'aggiri  per 
F  orrida  selva  Dandaca?  io  desidero  conoscerti;  dimmi 
chi  tu  sei  e  di  qual  gente?  per  qual  cagione  vai  tu  qui 


ARANYACANDA.  213 

attorno  sola  ed  imperterrita  ?  Odile  quelle  parole,  la  Rac- 
sasa  ardente  d'amore  così  rispose  :  Io  tei  dirò;  ascolta, 
o  Rama,  con  tuo  fratello  le  mie  parole.  Io  sono  una  Rae- 
sasa  per  nome  Surpanacha,  che  muto  sembianza  a  mio 
talento,  e  m'aggiro  qui  sola  per  questa  selva,  portando 
sgomento  in  ogni  creatura  e  devastando  i  puri  lavacri  e 
l' are  dei  Risei.  Son  miei  fratelli  un  che  si  noma  Ravano 
signor  dei  Racsasi,  il  giusto  Vibìsana  che  non  segue  il 
costume  della  sua  gente,  il  letargico  e  forte  Cumbacarna 
e  i  due  Racsasi  Khara  e  Dusana  celebri  per  la  lor  forza 
e  il  lor  valore.  Io  fui  commossa  da  amore  nel  vederti,  o 
Rama;  ama  tu  me  che  t'amo;  che  vuoi  tu  far  di  quella 
tua  Sita?  ella  è  deforme  e  brutta,  ne  degna  di  te:  io 
sola  dotata  d'ogni  beltà  son  degna  d'  esser  tua  consorte. 
Guarda  come  io  son  divinamente  bella  e  adorna  di  divini 
ornati,  come  son  leggiadri  i  miei  femori  ed  i  miei  occhi, 
come  son  pieni  i  miei  lombi  ed  il  mio  seno,  come  io  son 
desiderabile!  Quanto  a  quella  tua  trista  e  brutta  donna, 
io  la  divorerò  insieme  con  quel  tuo  fratel  perduto;  e 
allora,  o  mio  diletto,  tu  percorrerai  con  me  la  regione 
Dandaca,  contemplando  queste  splendide  selve  e  le  som- 
mità di  questi  bei  monti.  Uditi  quei  detti  orribili  della 
Racsasa,  Rama  guardò  Sita  e  Lacsmano  ;  e  per  pigliarsi 
sollazzo  di  lei,  così  prese  a  dire  a  Surpanacha  con  destra 
favella. 


214  RAM  Ai  \\  \ 

C  VP  ITO  LO    XXIV. 

SURPANACHA    DI1  FORMATA. 

Knuia  guai-dando  Surpanacha  ferita  dal  telo  d  amore, 
così  le  disse  sorridendo  con  soave  ed  accorta  favella  :  lo 
sono  ammogliato,  o  donna;  costei  è  mia  consorte  diletta; 
né  una  donna  tua  pari  sopporterebbe  una  tal  rivale.  Ma 
è  smogliato  questo  mio  minor  fratello  clic  si  noma  Lac- 
smano,  leggiadro,  buono,  grazioso  e  forte;  questi  sarà 
marito  degno  della  tua  beltà  ;  egli  è  giovane ,  bello  e 
d'amabile  aspetto  e  desidera  aver  moglie:  die  vuoi  tu 
far  di  me  uomo  ammogliato  e  privo  d'ogni  beltà?  prendi 
per  marito  mio  fratello,  o  Racsasa  dai  grand' ocelli.  Così 
esortata  da  Rama  quella  Racsasa  moltiforme ,  lasciato 
subitamente  Rama,  cosi  disse  a  Lacsmano  :  Toglimi  tu 
dunque,  o  illustre,  per  tua  moglie  a  te  conforme  di 
beltà;  e  tu  vivrai  con  me  felice  in  quest'amena  regione 
Dandaca.  Invitato  con  que1  detti  dalla  Racsasa,  il  Saumi- 
tride  destro  al  favellare,  guardando  Surpanacha,  così  le 
rispose  :  Come  puoi  tu  desiderare,  o  donna,  d'  esser  mo- 
glie serva  d'un  servo?  io  sono  sottomesso  al  nobile  mio 
fratello  primogenito  ;  sia  tu  giovane  sposa  fortunata  e 
libera  del  saggio  Rama  avventuroso,  o  donna  dai  grand' 
occhi  :  egli  per  certo,  abbandonando  questa  vecchia  sua 
consorte  deforme  e  trista,  che  ha  lunghi  denti  e  brutto 
ventre,  eleggerà  te  per  sua  sposa.  Qual  uomo  avveduto, 
o  donna  di  gentil  cintura,  porrebbe  il  suo  affetto  in  fem- 
mine umane,  lasciando  questa  tua  beltà  divina?  Udite  le 
parole  di  Lacsmano,  quella  stolta  dai  lunghi  denti  e  dallo 


\\\  \\ì  \(    \M)A.  215 

sconcio  venire  tenne  per  cosa  vera  quel  ch'era  uno  scherzo; 
e  voltasi  di  nuovo  ali1  illustre  e  invitto  Elama  che  stava  con 
Sita,  così  gli  parlò  insana  per  amore  :  lo  desidero  pur  le, 
o  Rama,  in  cui  si  fissò  dapprima  il  mio  sguardo;  sia  tu 
finalmente  mio  consorte.  Che  vuoi  tu  far  di  quella  lua 
Sita?  Coir  amar  questa  donna  deforme,  vecchia  e  trista 
che  ha  lunghi  denti  e  ventre  sporgente  in  fuori ,  tu  mostri 
di  pregiarmi  poco.  Ma  io  or  qui  divorerò  colei,  te  veg- 
gente, o  orgoglioso;  quindi  io  godrò  lietamente  con  te, 
liberata  da  quella  rivale.  Così  dicendo,  la  Racsasa  con 
occhi  simili  a  un  tizzo  ardente  corse  sopra  Sita  dagli 
occhi  di  tenera  cerva,  come  una  gran  meteora  assale 
Rollini  in  cielo.  ÌVI a  il  forte  Rama,  respinta  colei  che  s'av- 
ventava a  Sita  come  il  laccio  della  morte,  così  disse  ac- 
ceso d1  ira  a  Lacsmano  :  Non  conviene  per  alcun  modo, 
o  Lacsmano,  scherzar  con  gente  malvagia  e  fiera;  vedi, 
o  caro,  è  gran  ventura  che  ancor  sia  viva  la  Videhese  : 
or  tu  respingi  via  di  qua,  o  valoroso,  quel!1  insana  e  rea 
Racsasa,  panciuta  e  brutta.  Allora  Lacsmano  irato,  presa 
colei  veggente  Rama,  le  tagliò  colla  sua  spada  le  orecchie 
e  il  naso;  la  feroce  Surpanacha  così  malconcia  mandando 
fuori  discordi  suoni ,  se  ne  fuggì  per  la  selva  ond'  era 
venuta.  Versando  sangue  dalle  sue  ferite  e  tutta  insangui- 
nata ella  andava  mettendo  urli,  come  una  nuvola  alla  sta- 
tion piovosa;  e  sollevando  le  braccia  ed  ululando  s'ad- 
dentrò nella  grande  selva  quella  deforme  e  orribil  Racsasa , 
spaventosa  a  udirsi.  Pervenuta  quindi  al  Ganasthàna  dove 
stava  il  possente  Khara  suo  fratello  circondato  da  schiere 
di  Racsasi,  cadde  a  lena  (niella  difformala,  come  cade 
dal  cielo  il  fulmine. 


216  KAM  \VV\A. 


CAPITOLO   XXV. 

MOSSA    DEI    RACSASI. 

Vedendo  caduta  a  terra  la  sorella  tutta  difformata  e 

oo 

bagnata  di  sangue,  Khara  cogli  occhi  accesi  d' ira  così 
l1  interrogò  :  Da  chi  fosti  tu  ridotta  in  tale  stato,  tu  che  lini 

o  ' 

tanta  gagliardia  e  forza,  tu  che  vai  attorno  a  tuo  talento  e 
sei  sulla  terra  pari  all'  angelo  della  morte?  Chi  fra  i  Devi, 
fra  i  Gandharvi  o  i  Biniti,  ovvero  fra  i  magnanimi  Risei, 
chi  fu  colui  così  possente  che  in  tal  modo  t' ha  difformata? 
io  non  veggo  sulla  terra  chi  osasse  farmi  cosa  discara, 
fuorché  il  grande  India  dai  mille  occhi,  domator  di  Pàkà. 
Chi  è  colui,  cui  io  debba  privar  di  vita  co' miei  dardi 
micidiali,  come  il  sole  co' suoi  raggi  consuma  la  scarsa 
acqua  d'  un  lago  ?  Di  chi  dee  la  terra  bere  il  copioso 
sangue  spumante,  dopo  che  le  mie  saette  gli  avran  reciso 
gli  organi  vitali  e  F  avran  spento  in  battaglia?  Chi  è  colui , 
del  cui  corpo  da  me  ucciso  in  guerra  faranno  gli  augelli 
lieto  pasto,  lacerandone  a  brani  a  brani  le  sode  carni?  Né 
i  Devi,  né  i  Gandharvi,  né  i  Pisaci,  né  i  Danavi  potranno 
salvar  quel  misero  da  me  assalito  in  fiera  pugna.  Or  tu, 
ricuperato  il  sentimento,  dimmi  chi  è  quel  tristo  che  così 
t'ha  difformata  in  volto.  Udite  le  parole  del  fratello  che 
così  parlava  irato,  Surpanacha  gli  rispose  con  voce  rotta 
dalle  lagrime  :  Due  fortissimi  giovani,  belli  e  delicati, 
con  grandi  occhi  simili  a  fior  di  loto  e  vestiti  di  nere  ne- 
bridi e  di  corteccie ,  pari  a  due  Gandharvi  sovrani  e  segnati 
di  marchj  regali,  non  potrei  ben  dire  se  Dei  o  uomini, 


\\\  \\\  VCAND  \.  217 

due  principi  eroi  eguali  l'uno  all'altro  ed  animosi,  in 
sembianza  d'asceti,  ma  armati  d'arco  ed  altieri  nell'in- 
cesso come  leoni,  venuti  in  questa  tua  selva  e  fattovi  un 
romitaggio,  quivi  ei  dimorano  protetti  dalla  lor  forza. 
Colà  io  vidi  in  mezzo  a  loro  una  giovane  donna  leggiadra 
e  bella,  e  tutta  ornala;  e  mentre  io  m'accingeva  con  forza 
a  divorar  nella  selva  colei  con  gli  ali  ri  due,  fui  da  loro 
ridotta  a  tale  stato ,  come  una  donna  derelitta.  Io  arsi 
d'ira  e  resistetti;  ma  strascinata  con  violenza  in  cpiella 
mischia,  mira  quale  strazio  fu  fatto  di  me  che  pure  ho 
te  per  difensore.  Or  io  desidero  coltilo  soccorso,  o  Rac- 
saso,  bere  sul  campo  di  battaglia  il  sangue  spumante  di 
colei  e  di  que'due  :  questa  brama  ch'io  ti  manifesto,  mi 
sia  da  te  effettuata,  o  eroe,  sì  ch'io  beva  nella  battaglia 
il  sangue  di  coloro  e  di  quella  donna.  Intesi  que' detti, 
khara  irato  così  impose  quivi  a  quattordeci  Racsasi  notti- 
vaghi, pari  a  Yama  :  Due  uomini  armati  d'arco  e  vestili 
di  nere  nebridi  e  di  corteccie  sono  entrati  con  una  donna 
nella  terribile  selva  Dandaca;  questa  mia  sorella  desidera 
bere  il  sangue  loro;  voi,  uccisa  colei  con  que'due  tristi, 
farete  qui  a  me  ritorno  ;  si  compia  immantinente  con  forza 
e  con  vigore,  o  Racsasi,  il  caro  desiderio  di  mia  sorella  : 
quand'ella  vedrà  uccisi  da  voi  in  battaglia  que'due  fra- 
telli, ne  berrà  contenta  e  lieta  sul  campo  di  battaglia  il 
sangue.  Ricevuto  quel  comando,  i  Racsasi  armati  d'aste 
si  mossero  con  Surpanacha,  a  guisa  di  nere  nuvole  so- 
spinte dai  venti  :  quegli  intrepidi  guerrieri  s'avviarono 
animosi  per  ordine  di  Khara  a  conquidere  in  bai  taglia 
Rama,  come  ne  vanno  a  battaglia  i  lìeri  Daityi,  facendo 
(remar  sotto  i  lor  passi  la  terra  colle  sue  foreste. 

ii.  28 


218  KAiSm  \\  \ 


C/VOTOLO    \\\  I 


MORTI':     DEI     RACSASI     SPEDITI. 


Pervenuta  all'  cremo  di  Rama ,  la  fiera  Surpanacha 
mostrò  ai  Racsasi  i  due  Raghuidi  con  Sita;  ed  i  Racsasi 
stettero  guardando  allora  il  fortissimo  Rama  seduto  nel 
suo  abituro  con  Sita  e  coli' accorto  Lacsmano.  Ma  veduti 
que' Racsasi  crudeli  con  Surpanacha,  Rama  cosi  disse 
all'ardente  suo  fratello  :  Tienti  per  un  instante,  o  Sau- 
mitride ,  accanto  alla  Videhese;  tinche  io  disperda  qui 
in  battaglia  que' fieri  Racsasi.  \  que' detti  del]1  invitto 
Rama  rispose  Lacsmano  :  Così  farò,  e  si  pose  accanto 
alla  Videhese.  Vllora  il  giusto  Rama  mise  la  corda  al  suo 
grand' arco  ornalo  (Toro;  poi  così  parlò  a  que' Racsasi  : 
Noi  siamo  due  fratelli  figli  di  Dasaratha,  per  nome  Rama 
e  Lacsmano,  ed  entrammo  con  Sita  nella  selva  Dandaca 
di  diffìcile  accesso;  noi  siamo  umili  asceti  dediti  ad  opere 
pie,  ed  abitando  nella  selva  Dandaca  ci  nutriam  di  frutti 
e  di  radici;  perchè  ci  assalite  voi  ?  Noi  venimmo  in  questa 
selva  orrenda  e  forte,  perchè  ce  lo  imposero  1  Risei  di 
voto  consumato,  che  voi  oltraggiaste  per  l' addietro  :  Ol- 
eosi essendo,  ritornatevene ,  né  v'inoltrate  più  innanzi; 
se  v'  è  cara  la  vita,  o  Racsasi,  tornatevene  senz'  altro  ad- 
dietro. Ldile  tali  parole,  que' quattordeci  Racsasi  armati 
di  scuri  e  d'aste  così  risposero  incolleriti,  cogli  occhi  ac- 
cesi d'ira,  superbi  e  fieri  a  Rama  di  forza  baldanzosa, 
infiammato  ccjli  pure  nello  sguardo,  ma  parlante  soave- 
mente :  Poiché  tu  hai  provocato  a  sdegno  il  magnanimo 


\\{  VNYACANDA.  219 

K  Lai  a  signor  di  noi,  tu  stesso  lascierai  qui  la  tua  vita, 
spento  da  noi  in  battaglia;  qua!  possanza  hai  In  solo  pei 
affrontare  in  battaglia  noi  clic  siam  molli  e,  die  è  più, 
per  venire  con  noi  a  tenzone?  Perla  forza  di  quest'aste, 
di  queste  semi,  di  queste  mazze  lanciale  dalle  nostre 
braccia  tu  privato  di  senso  lascierai  qui  Oggi  quel  Ino  arco 
la  Ina  l'orza  e  la  Ina  vita.  Coni' ebbero  cosi  parlalo,  que' 
quattordici  Racsasi  pieni  d' ira  fecero  tutti  ad  ima  impelo 
contro  Rama  con  scimitarre  ed  armi  sollevale;  e  correndo 
con  gran  furia,  scagliarono  ardenti  d'ira  asle  ,  semi  e 
mazze.  Ma  Rama  in  quella  gran  mischia  spezzò  con  qnal 
lordeci  suoi  teli  Tarmi  de* quattordeci  Racsasi;  quindi 
imperterrito  in  quella  pugna  ei  prese  con  ira  e  con  rapido 
vigore  quattordeci  altri  teli,  ed  incoccatili  subitamente 
e  tolti  di  mira  1  Racsasi,  ei  scagliò  que' dardi  risonanti 
come  il  fulmine.  Que' dardi  aurati,  impennati  d'oro  e 
occhiuti  come  penne  di  pavone  guizzarono  per  l'aria 
ardenti  e  fulgidi  come  meteore;  e  squarciati  tutti  que' 
Racsasi,  entrarono  con  ìmpeto  nella  terra,  come  entrano 
i  serpenti  nella  terra  smossa  dalle  formiche.  Que'  quat- 
tordeci Nottivaghi  di  corpo  smisurato,  lacerati  dalle  saette 
e  insanguinati  caddero  colà  privi  di  vita;  caddero  a  terra 
trafitti  al  cuore,  come  alberi  tagliati  alla  radice,  tulli 
que'  Racsasi  vinti  in  battaglia  da  Rama;  e  le  Incide  saette, 
amate  e  impennate  d'oro,  dopo  aver  trafitto  que'Racsasi, 
ritornarono  nella  lor  faretra.  Veduti  coloro  giacenti  a 
lena  ,  la  Racsasa  Surpanacha  insana  d' ira  e  piena  di 
nuovo  spavento,  mandò  fuori  un  gemito  orrendo,  ed  ulti 
landò  con  alle  strida,  corse  sbigottita  là  dove  slava  il  for- 
tissimo Khara;  e  venula  innanzi  a  suo  fratello  col  sangue 


220  RAMAYANA. 

alquanto  rasciutto  alle  sue  ferite ,  ricadde  tutta  dolente  a 
lena,  come  una  boswellia  (2())  incrostata  di  gomme. 


CAPITOLO   XXVII. 

ECCITAMENTO   DI    KHARA. 

Veduta  Surpanacha  cader  di  nuovo  a  suoi  piedi  piena 
d'ira,  Khara  cosi  parlò  con  alta  voce  a  colei  che  ritornava 
senza  avere  effettuato  il  suo  disegno  :  Quand'io  per  farti 
cosa  cara  ho  spedito  eon  te  Racsasi  carnivori,  vaiolosi  e 
altieri,  perchè  ne  vieni  tu  qui  di  nuovo  a  piangere?  Co- 
loro a  me  devoti  e  fidi  e  sempre  intenti  allutil  mio, 
non  oserebbero  trasgredire  il  mio  comando  per  quanto 
han  cara  la  lor  vita  :  dimmi,  o  nobil  donna,  per  qual 
cagione  tu  sei  qui  ritornata,  e  perchè  cosi  ti  duoli  cogli 
occhi  offuscati  dalle  lacrime,  venendo  a  me  come  una 
derelitta,  mentr' io  qui  pur  son  tuo  protettore?  Sorgi, 
o  nobil  donna,  né  star  così;  deponi  questo  tuo  sgomento. 
Confortata  in  tal  modo  da  Khara,  quella  dolente,  rasciu- 
gati i  suoi   occhi  lacrimosi ,   così   disse  :  I  Racsasi   eroi 

O  Ti 

che  tu  hai  spediti  armati  d'  aste ,  furon  tutti  arsi  da  Rama 
col  fuoco  delle  sue  saette.  Io  li  vidi  distesi  a  terra,  come 
alberi  recisi  alla  radice,  vidi  quel  fatto  di  Rama  e  rimasi 
esterrefatta;  e  tremante,  confusa,  sbigottita  io  ne  venni 
qui  a  te  come  a  mio  rifugio,  o  Racsaso,  veggendo  paure 
in  ogni  parte.  Deh  perchè  non  soccorri  tu  a  me  immersa 
in  un  pelago  innavigabile  di  dolore ,  che  ha  per  cocco- 
drilli i  miei  affanni  ed  è  commosso  dall'  onde  della  mia 
paura  !  Se  tu,  o  signor  dei  Racsasi,  non  ispegni  in  batta- 


\\\  VNYACANDA.  221 

glia  Elama  mio  nemico,  io  abbandonerò  qui  in  tua  pre- 
senza la  mia  vita.  Se  tu  hai  pietà  di  me,  se  tu  hai  pietà 
di  que'Racsasi  che  furon  da  Rama  atterrati  coli1  acute  sue 
saette,  se  v'ha  in  te  qualche  vigore,  vendica  ora  i  tuoi 
compagni,  spegni  quel  nemico  de' Racsasi  che  venne  ad 
abitar  nella  selva  Dandaca.  La  via  che  ti  fu  costì  assegnala, 
f  è  or  preclusa  da  Rama;  se  tu  non  mostri  valor  né  forza, 
come  puoi  tu  qui  rimanere?  allontanati  tu  pure  presta- 
mente co1  tuoi  compagni  dal  Ganasthàna;  perocché  ti  so- 
vrasta da  Rama  un  gran  pericolo;  ove  tu  te  ne  stia  inerte, 
svigorito,  smunto  di  forza  e  di  virtù,  tu  pur  fra  breve  per- 
derai la  vita,  soverchiato  dalla  forza  di  Rama.  Rama  Da- 
sarathide  è  possente  e  valoroso,  ed  è  forte  il  fratello  di 
lui  che  si  noma  Lacsmano  :  ben  veggo,  o  Racsaso,  che 
tu  non  sei  atto  ad  affrontar  colf  armi  in  battaglia  Rama, 
neppure  un  sol  momento.  Tu  non  hai  d'  eroe  altro  che 
il  vanto;  è  falsa  la  fama  che  ti  loda  di  fortezza,  se  tu  non 
puoi  uccidere  Rama  e  Lacsmano  che  pur  non  son  che 
uomini.  Se  è  vero,  o  Racsaso,  che  tu  hai  valore  e  forza, 
spegni  quel  nemico  de'  Racsasi ,  venuto  ad  abitar  nella 
selva  Dandaca.  Se  fu  non  uccidi  oggi  questo  mio  nemico, 
io  lascierò  qui  dinanzi  a  te,  o  uom  senza  pudore,  i  miei 
spiriti  vitali.  Tu  sei  pure  da  questi  Racsasi  riputato  un 
eroe,  un  uomo  altiero,  e  tal  li  giudica  in  Lanka  il  mag- 
nanimo Ravano  signor  dei  Racsasi;  dove  son  iti  adunque 
la  tua  gloria  e  la  tua  alterezza,  il  tuo  valore,  la  tua  co- 
stanza  e  la  tua  forza,  la  tua  baldanza  nelle  battaglie,  la 
tua  fierezza  contro  i  nemici  e  la  nobile  tua  lama? 


222  li  A  MAN  \\  A. 


CAPITOLO   XXVIII 


MOSSA     DI     klIVI!  V. 


Plinio  con  que'detti  da  Surpanacha,  il  prode  Khara 
rispose  altiero  in  mezzo  ai  Racsasi  queste  fervide  parole  : 
Non  posso  respinger  Y  ira  immensa  che  in  me  nacque 
dal  tuo  disprezzo  ,  come  non  può  l'acqua  dell'Oceano 
rimuovere  i  suoi  confini,  lo  non  lo  alcun  conto  di  Rama, 
noni  di  nessun  valore,  il  qual  perirà  oggi  da  me  spento 
per  le  sue  ribalderie.  Si  raffrenino  queste  lacrime,  si 
cessi  questo  sgomento;  or  ora  io  caccerò  alle  sedi  di 
Yama  Rama  con  suo  fratello;  e  tu,  o  Racsasa,  berrai 
oggi  senza  dubbio  caldo  il  sangue  di  colui  percosso  da 
questa  mia  clava  e  spento  in  sulla  terra.  Tu  li  pascerai 
lieta,  trascinandole  qua  e  là,  delle  sue  membra  lacerate 
a  brani  a  brani  da' miei  dardi;  ed  ucciso  Rama  col  fra- 
tello, tu  li  mangerai  le  dolci  e  tenere  carni  di  Sila  ap- 
prestate con  condimenti.  Udite  quelle  parole  gioconde  al 
suo  cuore,  Surpanacha  divenuta  tutta  lieta  lodò  Khara 
suo  fratello  eccelso  fra  tutti  1  Racsasi  :  Son  beta,  o  pos- 
sente signor  dei  Racsasi ,  che  siasi  iute  ravvivato  questo 
desiderio  generoso  e  forte  di  spegnere  in  battaglia  il  tuo 
nemico  :  son  contenta,  o  eroe,  che  il  tuo  animo  sia  fer- 
mamente risoluto  di  dar  morte  al  tuo  avversario  Tu  ti 
mostri  pari  a  Ràvano  per  fortezza  e  per  valore;  e  protetti 
da  te,  o  forte,  se  ne  vanno  securi  e  vaganti  a  lor  diletto 
pel  Ganasthàna  1  Racsasi  di  forza  spaventosa.  Tu  nella 
conquista  dei   tre   mondi   vincesti   un   di  in  battaglia  con 


\li  \M  \C  WD  A.  223 

Ravano  tuo  Fratello  i  Suri  (Devi),  i  Daityi,  i  Dànavì  ed  i 
Serpenti.  Dopo  che  diede  ;i  te  in  custodia  il  Ganasthàna, 
se  ne  doinie  tranquillo  in  Lanka  co' suoi  amici  e  co'suoi 
congiunti  Piavano  re  de' Racsasi;  e  quando  veggono  sul 
campo  di  battaglia  la  tua  faccia  accesa  d'  ira,  sen  fuggono 
spaventate  per  ogni  parte  tutte  quante  le  creature.  Tu 
saresti  allo,  benché  solo,  a  spegnere  quell'uom  perduto, 
quanto  più  ,  essendo  tu  circondato  da  (ieri  Racsasi  di 
forza  paurosa!  onde  muovili  prestamente  ad  uccidere 
queir  iniquo;  che  io  desidero  bere  il  sangue  di  Rama 
sul  campo  di  battaglia.  Intesi  que  delti  di  Surpanacha 
cari  al  suo  orecchio,  Khara  così  parlò  al  duce  dell1  eser- 
cito per  nome  Dùsana  che  era  ivi  presente  :  Raduna  ,  o 
amico,  quattordeci  mila  Racsasi  abitatori  del  Ganasthàna , 
obbedienti  a' miei  cenni,  fieramente  impetuosi  e  ferini 
nelle  battaglie,  di  color  fosco  come  nere  nuvole  (21),  ler- 
ribili  e  beri  nelle  lor  opre,  aggirantisi  qua  e  là  a  danno 
delle  genti,  armali  d'armi  diverse,  rapidi  come  il  fulmine, 
lodi  e  moltiformi,  intenti  a  nuocere  ai  Mimi;  raduna  questi 
Racsasi  possenti ,  valorosi,  irresistibili,  altieri  come  tigri. 
Prepara  tosto  il  mio  carro  ed  i  miei  archi ,  la  grande  e 
divina  mia  lancia  e  la  mia  spada  lucente  come  f  etere,  la 
divina  e  ferrea  mia  clava  e  l'ardente  razzo  risonante, 
l'ascie  taglienti  e  le  ferree  saette  terribili  allo  sguardo, 
gli  acuii  giavellotti,  le  pietre  e  i  grandi  sassi,  1  dardi 
adunchi,  le  funi,  le  scuri,  gli  spuntoni  ed  i  bigordi,  i 
tridenti  (22),  l'armi  ignee  e  le  mazze  ferrate,  le  picche,  le 
lancie,  i  ferrei  magli  e  i  mazzapicchi,  le  loriche,  le  ma- 
ghe e  le  diverse  armadure;  e  quant'  altre  sono  le  grandi 
e  divine  une  armi,  tutte  si  pongano  tosto  e  senza  indugio 


224  li  A  M  VYANA. 

sopra  il  mio  carro  :  voglio  marciare  in  Ironie  de'magna- 
ninii  Paulastyi  e  spegnere  quel  tristo  Rama  che  vuole  con 
noi  battaglia.  Udito  quel  comando,  Diisana  venne  presto 
ad  annunziare  esser  pronto  il  grande  carro  tirato  da  forti 
e  nobili  cavalli;  e  Kbara  salì  su  quel  cario  torreggiante 
come  la  cima  del  monte  Meni,  ornato  di  lucid'oro,  con 
un'aurea  luna  per  insegna,  aperto  e  col  timone  guernito 
di  perle  e  di  lapislazzoli,  carro  celeste,  moventesi  a  sua 
voglia,  tempestalo  di  gemme  diverse,  variamente  effigiato 
di  pesci,  di  bori,  d'  alberi  e  di  colli,  col  sole  e  colla  luna 
figurati  in  oro,  con  astri  e  con  gran  numero  d'augelli  scolli 
in  argento,  col  suo  vessillo  inalberato,  munito  (ranni, 

a 

ornato  di  cento  tintinnabuli,  tirato  da  cavalli  generosi  e 
impetuoso.  Veduto  Khara  sul  suo  carro,  i  Racsasi  di  forza 
terribile  si  posero  intorno  a  lui  ed  al  fortissimo  Dùsana; 
e  Khara  guardando  quel  fiero  esercito  con  armi  diverse 
e  con  bandiere,  così  disse  baldanzoso  dal  suo  carro  a 
lutti  que' Racsasi  :  or  movete.  Allora  quell'oste  Racsasa 
armata  di  lancie,  di  mazze  e  d'aste  si  mosse  dal  Gana- 
sthàna  con  fragore  pari  a  quello  dell'  Oceano  ;  tutti  que' 
Racsasi  valorosi  uscirono  armati  di  magli,  di  lancie  e  di 
spade,  d'  ascie  taglienti  e  d'  aste.  Qualtordeci  mila  Racsasi 
tremendi  si  partirono  per  comando  di  Kbara  dalGanastbàna 
terribili  a  vedersi ,  altri  con  ascie  e  con  ferree  clave ,  altri 
impugnando  spade  ed  ardii,  mazze,  magli  e  dischi.  Come 
vide  marciar  que' Racsasi  terribili,  Khara  superbo  di  sua 
forza  si  mosse  egli  pure  prontamente  col  suo  carro  ;  e 
l'auriga,  conosciuto  il  voler  di  Khara,  spinse  i  robusti 
cavalli,  fregiati  di  lucid'oro.  11  carro  del  fiero  Khara 
empiè,   movendosi,   di  fragore  le   plage  e   le   regioni  in- 


ARANYACANDA.  225 

lermedie.  Vie  più  acceso  nel  suo  sdegno  e  anelante  alla 
morte  del  suo  nemico ,  Khara  irato  e  pari  a  Yama  mag- 
giormente eccitava  con  fervida  voce  il  fortissimo  suo  au- 
riga, dicendo  :  Cammina  più  veloce. 


CAPITOLO  XXIX. 

VEDUTA    DI     SINISTRI     PRODIGI. 

Ma  mentr'  egli  progrediva  avido  di  vittoria ,  subita- 
mente una  gran  nuvola  piovve  sopra  di  lui  un'infausta 
pioggia  di  pietre  con  sangue  ed  acqua;  caddero  più  volte 
vacillando  forte  nei  lor  lombi  i  suoi  cavalli ,  benché  cam- 
minassero allora  in  piana  regione  e  per  una  spaziosa  via 
regale;  si  posò  di  repente  sopra  l'alto  suo  vessillo  con 
fusto  d'oro  un  avoltojo  smisurato,  vomitante  sangue  dalla 
bocca;  un  nero  cerchio  con  contorni  sanguigni,  simile 
ad  un  cerchio  di  tizzi  ardenti  circondò  il  disco  del  sole  ; 
le  belve  e  gli  augelli  che  si  pascon  di  carni,  levandosi  con 
grande  strepito  vicino  al  Ganasthàna,  mandai on  fuori  di- 
versi e  discordi  gridi  ;  un  orribile  sciacalo  ululò  con  suono 
orrendo  per  l'ardente  regione  meridionale ,  gittando  fuoco 
dalla  bocca;  nuvoli  spaventosi  romoreggianti  a  guisa  di 
timpani  fessi  ottenebrarono  il  cielo,  versando  pioggia  di 
sangue  e  di  carni  ;  il  Ganasthàna  tutto  involto  in  cupa 
tenebra  nata  subitamente,  più  non  appariva  da  nessuna 
parte;  il  cielo  risplendeva  di  luce  sanguigna  fuori  dell' 
ora  del  crepuscolo;  augelli  volanti  per  l'aria  stridevano 
incontro  a  Khara  con  aspre  voci;  si  levò  un  vento  impe 
tuoso  ;  si  scolorarono  i  raggi  del  sole,  ed  apparve  in  cielo 
•■•  29 


220  RAMAYANA. 

la  luna  col  suo  corteggio  d'astri  ;  sciacali  infausti ,  paurosi 
unibili  urlavano  alla  rinfusa  per  quella  regione  ardente, 
vomitando  fuoco  dalla  bocca;  stavano  rimpiattati  gli  au- 
gelli e  i  pesci;  inalidivano  le  ninfee  de' laghi;  più  non 
facevano  mostra  di  se  gli  alberi  privi  de'lor  fiori  e  de'lor 
frutti;  caddero  con  iìero  strepito  e  con  turbini  meteore 
di  fuoco,  e  tremò  la  terra  colle  sue  selve,  co' suoi  boschi 
e  co' suoi  monti;  si  scosse  il  braccio  sinistro  di  Khara 
ruggente  sul  suo  carro  ed  avido  di  vittoria,  e  si  fesse  la 
sua  voce;  s'empierono  di  lacrime  i  mesti  suoi  occhi,  di- 
ventò arida  la  sua  faccia,  si  contristò  la  sua  fronte;  ma 
per  insania  non  ritornò  egli  perciò  addietro.  \  eduti  que' 
fieri  portenti  spaventosi  suiti  subitamente,  così  disse  sor- 
ridendo ai  Racsasi  Khara  duce  di  queir  oste  :  Confidando 
nel  vigore  che  produce  in  me  la  mia  l'orza,  io  non  mi  do 
pensiero  di  tutti  questi  segni  che  si  mostrano  terribili  alla 
vista;  ardente  d'ira  io  precipiterei  dal  cielo  il  signor  degli 
astri  e  darei  morte  alla  Morte  stessa;  io  non  ho  paura  uè 
d'  India  né  di  Cuvera;  son  valevole  a  resistere  a  tutte  le 
creature  ;  tale  è  il  mio  fermo  pensiero.  Caccerò  alla  ma- 
gion  di  Yama  quel  Rama  sì  superbo  della  sua  forza  e  del 
suo  valore  e  con  lui  Lacsmano  suo  fratello,  atterrandoli 
co' miei  dardi  e  colle  mie  saette  :  sarà  soddisfatta  la  Rac- 
sasa  mia  sorella  vagante  a  suo  diletto,  per  cui  oggi  perirà 
quel  Rama  e  Lacsmano  con  esso,  lo  non  ebbi  mai  per 
f  addietro  sconfitta  nelle  battaglie  in  alcun  luogo;  e  non 
mento  al  vostro  cospetto  :  io  ucciderei  in  battaglia  lo 
stesso  Re  dei  Devi  (Indra)  ardente  d'ira  e  montato  col 
fulmine  in  mano  sopra  il  furente  elefante  Airàvana;  or 
quanto  più  colui  che  non  è  che  un  uomo!  Udendo  quegli 


\\\  \\V\C  \M)\.  227 

alteri  vanii  di  Khara,  grandemente  ringalluzzavasi  l'oste 
de'Racsasi  radula  in  potere  della  morie.  Vennero  allora 
spettatori  di  quella  pugna  i  Insci  e  i  Siddhì  i  Devi  ed  i 
Cìandharvi  e  le  divine  .schiere  delle  Apsarase;  e  race»  ti  li 
insieme  così  dicevano  fra  lorque'pii  :  Sian  salvi  la  terrai23) 
ed  i  Brahmani!  Sian  salve  tntle  le  genti!  Vinca  Rama  in 
battaglia  i  Nottivaghi  coi  Paulastyi  (24),  come  un  dì  l'ucci- 
sor  di  Pàka  (Indra)  vinse  in  battaglia  lutti  gli  Asuri  pos- 
senti!  Dicendo  queste  e  più  altre  parole,  i  sommi  Risei 
guardavano  Toste  di  que'  Racsasi  destinati  a  morte.  Intanto 
Khara  col  suo  carro  uscì  impetuoso  fuori  di  schiera,  e 
veduto  lui  primo  uscirne  ,  ne  uscirono  anche  i  Racsasi 
Syenagàmi,  Prithugriva,  Yagnasatru,  Mahàratha,  Dur- 
gaya ,  Kàlakàkhya ,  Parusa,  Kàlikàmukha,  Meghamàla, 
Mahàbàhu,  Sarpàsya,  Vikrilodara;  questi  dodici  fortissimi 
si  posero  d'ogni  parie  intorno  a  Khara.  Quattro  altri  Ma- 
hàkapàla,  Sthulàcsa,  Pramàthi  e  Trisiras  andavano  dietro 
a  Dùsana  in  fronte  dell'  esercito.  Queh"  oste  terribile  e 
impetuosa  di  strenui  Racsasi  avidi  di  battaglia  s'appressava 
rapidamente  ai  due  ligli  regali,  come  l'ombra  di  Ràhn 
assale  in  cielo  la  luna  e  il  sole. 


CAPITOLO   XXX. 

VEDUTA  DELL'  ESERCITO  DI  KHARA. 

Quando  Khara  d'  ardente  vigore  giunse  al  romitaggio 
di  renna,  questi  col  fratello  osservava  que' subiti  portenti; 
e  veduti  tutti  que' segni  spaventosi  e  orribili,  di  funesto 
presagio  ai   nemici,  così  egli  disse  :  Mira,  o  forte  Lac- 


228  RAMA\ANA. 

smano,  que' terribili  portenti  di  sinistro  indizio  ad  ogni 
vivente  creatura,  qui  apparsi  come  annunzio  di  morie 
agli  uomini.  Quelle  nubi  fieramente  strepitanti  che  pio- 
vono gocce  di  sangue,  si  distendono  per  lo  cielo  minac- 
ciose e  fosche;  esalan  fumo  queste  mie  saette  come  liete 
di  qualche  gran  battaglia  che  sovrasti  ;  e  trema  quasi  questo 
mio  arco  dall'  aureo  dosso.  Lo  schiamazzo  che  fan  gli 
augelli  di  questa  selva  ci  annunzia  un  atroce  ed  [orrido 
pericolo  ed  il  rischio  della  vita;  avverrà  qui  senza  dubbio, 
oLacsmano,  una  mischia  tumultuosa,  perchè  mi  trema 
il  braccio  destro;  ma  è  vicina,  o  eroe,  la  nostra  vittoria  e 
la  disfatta  del  nemico,  perchè  è  serena  e  lieta  la  mia 
faccia  :  coloro,  la  cui  faccia  s'oscura  in  sul  momento 
della  battaglia ,  son  destinati ,  o  Lacsmano ,  a  dover  morire. 
I  segni  che  io  veggo  nel  mio  corpo,  annunziano  un'orrida 
strage  di  viventi;  ma  Tuoni  saggio  che  teme  qualche  in- 
fortunio, o  Lacsmano,  dee  provvedere  ai  casi  futuri: 
perciò  tu  armato  di  saette  e  d'  arco  prendi  Sita  e  ti  ri- 
para in  un'ardua  spelonca  del  monte  chiusa  d'alberi; 
quivi  rimani  armato  colla  Videhese;  cosi  tu  non  vedrai 
co' tuoi  occhi  lo  spettacolo  pauroso  dei  casi  che  avver- 
ranno ;  sta  colà  attento  e  fa  risuonar  per  le  regioni  il  suon 
della  corda  del  tuo  arco.  Tu  non  dei  opporli  a  queste 
mie  parole;  io  te  ne  scongiuro,  o  eroe;  allontanati  tosto 
colla  mia  sposa,  né  star  tu  qui  a  rispondermi,  o  incol- 
pabile; tu  conosci  la  mia  forza.  Così  esortato  da  Rama, 
Lacsmano  togliendo  le  saette  e  f  arco  si  ricoverò  con 
Sita  in  una  spelonca  d'arduo  accesso.  Quando  Lacsmano 
fu  entrato  con  Sita  in  quello  speco,  il  Raghuide,  detto  : 
Or  bene!   indossò  la   salda  sua   lorica;   e   allor  ch'ebbe 


ARANYACANDA.  229 

vestita  queir  armadura  lucente  al  par  di  fuoco ,  risplen- 
deva egli  come  il  sol  nascente  che  dissipa  la  tenebra  not- 
turna. Preso  il  suo  grand1  arco  e  le  saette  simili  a  serpenti, 
se  ne  stava  egli  fermo,  empiendo  le  regioni  col  suon  della 
corda  del  suo  arco.  Allora  i  Devi,  i  Risei  ed  i  Gandharvi, 
i  Siddhi,  i  Càrani  ed  i  Guhyaci  grandemente  sbigottiti 
così  parlarono  fra  loro  :  Son  quattordeci  mila  i  Racsasi 
terribili  ed  è  solo  il  giusto  Rama;  come  sarà  per  riuscire 
la  battaglia?  Noi  ben  sappiamo  chi  è  questo  Rama  e  come 
egli  venne  sulla  terrai25);  ma  pensando  alla  sua  natura 
umana,  è  commosso  da  pietà  ramino  nostro.  Giunse  in- 
tanto all'  eremo  di  Rama  quasi  ruggendo  1'  oste  di  que' 
Racsasi  moltiformi,  in  sembianze  diverse  e  strane;  e  gri- 
dando d' ogni  parte  :  Arrestati ,  Rama ,  tu  sei  morto  !  fecero 
impeto  ardenti  d' ira  e  superbi  di  lor  forza.  Ma  vedendo 
disseminata  quella  grand1  oste  Racsasa,  Khara  con  per- 
verso intento  degno  d'un  Racsaso  la  ritrasse  indietro;  e 
T  oste  retrocedendo  si  raccolse  allora  tutta  in  un  sol  luogo, 
come  una  schiera  d'elefanti,  condensata  a  guisa  di  nube, 
ed  appariva  d' ogni  parte  quell1  esercito  di  Racsasi  alta- 
mente strepitante  e  terribilmente  instrutto  d' armi ,  d'  ar- 
madure  e  di  bandiere.  L'alto  clamore  di  que' Racsasi 
intonanti  gridi  guerrieri  e  ruggenti  a  quando  a  quando , 
ora  tendenti  gli  archi  ed  ora  rilassandoli ,  minacciane  con 
gran  fracasso  ed  eccitantisi  l' un  l'altro,  empieva  quella 
foresta.  Spaventate  da  quello  strepito  le  belve  vaganti  per 
la  selva,  fuggendo  a  schiere  in  varie  guise,  non  istavano 
a  riguardare  addietro;  era  scolorato  il  sole  e  quasi  ottene- 
brato, e  spirava  in  quel  punto  un  vento  avverso  ai  Rac- 
sasi. Quell'oste  impetuosa  s'andava  frattanto  ravvicinando 


230  RAM  AVANA. 

a  Elama,  annata  d'armi  diverse,  simile  all'Oceano  che  si 
solleva.  Allora   il   Raghuide  girando   lo  sguardo  d'  ogni 
intorno  vide  venir  denso  incontro  a  se  l'esercito  de' Rac- 
sasi  pronto  alla  battaglia.  Ei  tenendo  l'arco  fra  le  mani  e 
tolte  dalla  faretra  le  saette,  stette  fermo  e  disposto  a  com- 
battere, empiendo  le  regioni  col  suon  della  corda  del  suo 
arco;  e  sorridendo  (piasi  in  faccia  ai  Racsasi,  vie  più  ter- 
ribile allo  sguardo  per  l' ira  che  l'infiammava,  egli  ardeva 
come  il  fuoco  distruggitore.  Veggendolo  pieno  di  tanto 
vigore,  simile  a  Siva  quand'  ei  tendeva  I'  arco  per  distrug- 
gere il  sacrifizio  di  Dacsa,  sbigottirono  gli  Dei  di  quella 
selva;  e  i  Devi  levati  in  aria  contemplavano  maravigliando 
il  volto  di  Rama  irato,  simile  a  Yama  allor  che  sul  finir 
d'un' età  cosmica  (yuga)  si  dissolve  l'universo.  Quando 
scorsero  Rama,   i  Racsasi   avidi   di  battaglia,   oltremodo 
maravigliati,  si  fermarono  a  guisa  di  monti;  e  veggendob 
così  stupefatti,  Khara  loro  duce  così  parlò  con  aspri  detti 
a  Dùsana  :  Non  v'ha  qui  fiume  da  guadare;  perchè  se  ne 
sta  così  immobile  quest'oste?  osserva  bene,  o  amico,  che 
«osa  è  questa;  io  l'ordino.  Diìsana  uscendo  prontamente 
Inori  di  schiera  col  suo  carro,  vide  Rama   a   fronte  coli 
arco  teso;  e  conosciuto  che  l'oste  slava  ferma  per  paura, 
tornando  a  Khara  fratello  minor  di  Ravano,  così  gli  disse  : 
Rama  armato  d'arco  se  ne  sta  a  fronte  della  battaglia,  e 
veggendo  colui  sì  terribile  ai  nemici,  si  fermarono  tutti 
i  Racsasi.  Udite  quelle  parole  di  Diìsana,  Khara  rapidis- 
simo corse  col  suo  carro  incontro  a  Rama,  come  Ràhu 
assale  il  sole;  e  allor  che  vide  Khara  correre  armato  alla 
battaglia,  1'  oste  Racsasa  si  precipitò  profonda  con  fragore 
pari  a  quello  d'  immense  nuvole.  Ma  d  glorioso  Dasara- 


ARANYACANDA.  231 

thide,  guerriero  eccelso  e  sperditor  (lolle  schiere  nemi- 
che, munito  d'armi  elette,  veggendo  quella  grand'oste 
simile  all'Oceano,  non  si  turbò  né  impaurì. 


CAPITOLO   XXXI. 

SCONFITTA  DELL  OSTE  DI  KHARA. 

Appressatosi  al  romitaggio ,  Khara  co'  suoi  Racsasi 
vide  quivi  il  prode  Rama  insuperabile  ad  ogni  creatura. 
Doppiamente  arrovellato  a  quella  vista ,  teso  e  levato 
T  arco  ,  ei  spinse  contro  Rama  il  suo  auriga ,  sclamando  : 
Corri,  corri!  L'auriga  a  quel  comando  incitò  i  cavalli,  i 
quali  si  slanciarono  veloci  là  dove  stava  il  Dasarathide. 
Veduto  precipitarsi  Khara,  i  Racsasi  suoi  ministri  solle- 
vando un  alto  clamore  si  strinsero  intorno  ad  esso,  e 
Khara  stando  sul  suo  carro  in  mezzo  a  que' Racsasi,  so- 
migliava al  pianeta  Marte  in  mezzo  agli  astri.  Allora  tutti 
que' Nottivaghi  rabbiosi  scagliarono  le  diverse  lor  armi 
contro  il  tremendo  e  invincibil  Rama  ;  insani  per  ira  ei 
percossero  in  battaglia  Rama  con  ferrei  magli,  con  aste, 
scuri  e  dardi  adunchi;  e  condensati  a  guisa  di  nubi  ei 
si  precipitarono  contro  il  Cacutsthide  con  alte  grida  e  con 
gran  vigore ,  avidi  di  farne  crudo  scempio.  Que'  fortissimi 
lanciarono  contro  Rama  una  pioggia  di  saette  a  quella 
guisa  che  le  nuvole  versano  sul!'  Mimavate  la  pioggia  a 
gocce  a  gocce;  e  quel  figlio  regale  era  cosi  attorniato  da 
que'  Racsasi  terribili ,  come  Siva  in  un  cimitero  dai  Cani  (26) 
elic  gli  stanno  a  fianco.  Il  Raffhuide  riceveva  i  dardi  lan- 
ciati  dai  Racsasi  in  quel  modo  die  V Oceano  riceve  le  cor- 


232  RAMAYANA. 

renti  de' fiumi;  né  benché  ferito  da  quell'armi  orrende 
egli  si  turba,  pari  ad  un  gran  monte  percosso  da  fulmini 
ardenti.  Bagnato  di  sangue  in  ogni  parte  così  risplendeva 
Rama,  come  nel  cielo  il  sole  circondato  da  rosse  nuvole 
vespertine.  Sbigottirono  i  Devi  ed  i  Gandharvi,  i  Siddhi 
e  i  Càrani,  veggendo  Rama  solo  assalito  da  più  migliaia 
di  nemici.  Allora  il  prode  Rama,  teso  l'arco  a  guisa  di 
cerchio,  si  diede  a  saettare  dardi  acutissimi,  come  Indra 
lancia  i  suoi  fulmini  ;  egli  scagliò  a  furia  in  quella  batta- 
glia saette  aurate ,  irresistibili ,  insopportabili ,  pari  alle 
catene  di  Yama;  e  quelle  saette  impennate  di  penne 
d'  aghirone  ,  spinte  contro  l' oste  nemica ,  toglievano  ai 
Racsasi  la  vita,  come  le  maledizioni  d'un  asceta.  Que' 
dardi  dopo  aver  squarciato  le  membra  de' Racsasi,  rilu- 
cevano per  1'  aria  tinti  di  sangue ,  come  splendor  di  vivo 
fuoco.  Uscivano  innumerevoli  dall'arco  cerchiato  di  Rama 
le  saette  impetuose,  micidiali  ai  Racsasi;  altre  volavano 
disperse;  altre,  lacerati  i  fieri  Racsasi,  entravan  nel  seno 
della  terra.  Veggonsi  qua  e  là  palpitanti  e  colle  labbra 
contorte  le  teste  de'  nemici  recise  dalle  saette  in  quella 
battaglia  e  cadute  a  terra  a  cento  a  cento;  squarciati  dalle 
saette  suggenti  il  sangue ,  lanciate  dall'  arco  di  Rama  ca- 
dono a  torme  i  Racsasi.  Quell'eroe  dalle  grandi  braccia 
lacerava  ad  un  tempo  e  in  varie  guise  colle  sue  saette  le 
sommità  delle  bandiere,  gli  archi,  le  loriche  e  le  braccia 
de'  nemici.  Allora  i  Racsasi  feriti  da  quelle  saette ,  da  que' 
dardi  acuti  e  dritti  facevano  urli  orribili  di  dolore;  ed 
alcuni  colle  loriche  rotte  nella  battaglia  da  que'  dardi 
impetuosi  ,  sollevandosi  alti  su  per  1'  aria  ricadevano 
poscia  a  terra;  che  Rama  faceva  precipitare  al  suolo  que' 


\\\  \\V\C  \M)A.  233 

Racsasi  levali  in  aria  simili  a  vertici  di  monti,  anzi  a  mo- 
bili montagne,  f  dardi  saettati  dall'arco  di  Rama,  squar- 
ciando con  ìmpeto  a  mano  a  mano  i  più  eccelsi  mira  que1 
Bacsasi,  entravano  nel  seno  della  terra;  e  queir  oste  tra- 
vagliata dalle  acute  saette  di  Rama  laceranti  <di  organi  vi- 
tali  non  trovava  scampo  in  alcun  luogo,  come  l'osse  arsa 
dal  fuoco.  La  maggior  parte  dell'esercito  di  Khara  era 
ornai  spenta,  eran  feriti  da  Rama  co' suoi  dardi  acuti  i 
guerrieri  più  valorosi,  e  sospinti  da  lui  durante  quella 
battaglia  quasi  per  gioco  e  in  vari  modi  in  preda  al  sonno 
estremo  i  più  di  que' Racsasi  fortissimi.  Quelli  che  ancor 
rimanevano,  si  raccolsero  allora  a  Khara  sbigottiti,  trava- 
gliati dalle  saette  e  chiedenti  aiuto;  quell'oste  de'  Bacsasi 
raccoltasi  intorno  a  Khara  e  a  Diìsana  stava  là  tutta  con- 
densata, come  una  schiera  d'elefanti.  Ma  Khara  veggendo 
la  sua  oste  così  afflitta  dai  dardi  di  Rama,  così  disse  al 
prode  e  fiero  Diìsana  :  Conforta,  o  eroe,  queste  schiere 
e  fa  lor  animo;  io  caccerò  alle  sedi  di  Yama  questo  Rama 
Dasarathide.  Il  fiero  Diìsana  riprendendo  allora  tutti  que' 
Racsasi,  li  rincuorò  con  molti  e  lunghi  detti,  e  come  gli 
ebbe  confortati  e  ringagliarditi,  si  spinse  contro  il  Ra- 
glili ide,  come  Namuci  contro  Indra.  Allora  que' Racsasi 
rinfrancati  dal  soccorso  di  Diìsana  corsero  di  nuovo  a 
battaglia  contro  Rama  con  armi  diverse;  armati  d'aste 
acute,  di  dardi  adunchi,  di  spade  e  d'ascieei  lanciarono 
ardenti  d'ira  tutte  quell'armi  contro  Rama.  Ma  il  Ra- 
ghuide,  rotte  in  pezzi  colle  sue  saette  tutte  quell'armi 
tolse  quindi  co' suoi  dardi  la  vita  ai  Racsasi  in  quella  mi- 
schia; aggirandosi  quasi  per  gioco  dentro  il  cerchio  di 
que'Racsasi,    il   grande   eroe   Raghuide  tagliava   a   luna 

ii.  30 


234  R  \M  \i  \NA. 

braccia  e  leste.  S'udirono  di  nuovo  allora  fremiti  e  gridi 
tumultuosi,  immensi,  un  grande  clamor  dei  Racsasi  si- 
mile allo  strepilo  di  più  strumenti,  un  cozzai-  d'armi 
insieme,  un  alto  fracasso  di  carri  e  ruggiti  di  combattenti 
altieri,  che  empiendo  gli  spazi  del  cielo,  si  diffondono 
per  tutte  le  regioni  e  penetrano  fin  ne1  luoghi  inferni. 
Frattanto  foste  Racsasa  raccolta  intorno  a  Khara  e  a  Diì- 
sana  assaliva  di  nuovo  Rama;  era  quella  una  battaglia 
maravigliosa ,  tumultuosa,  orribile,  spaventevole  come 
un  vortice  e  mortale  ai  Racsasi.  Ma  Rama  dai  grand' occhi 
e  dalle  lunghe  braccia,  incoccato  il  t.erribil  telo  che  s'ap- 
pella Gandharvo,  lo  scagliò.  Affascinati  da  quel  telo  e 
sospirili  dalla  Morte  i  Racsasi  gridando  allora  tutti  ad 
una  :  Questi  è  Rama,  questi  è  Rama!  si  ferivano  1' un 
laido  in  quella  mischia,  assalendosi  con  armi  poderose. 
Cogli  occhi  infranti  e  laceri,  colle  loro  cervici  recise  ca- 
devano quivi  i  Racsasi,  come  alberi  tagliati!27). 

CAPITOLO  XXXII. 

MORTE    DI    DTJSANA. 

Ma  l'avanzo  di  que' Racsasi,  benché  debole,  raccoltosi 
intorno  a  Khara  e  a  Dùsana,  si  mosse  di  nuovo  a  battaglia 
contro  il  possente  Rama.  L' eroe  Raghuide  stando  con 
animo  saldo  ma  senza  orgoglio,  ricevette  imperturbato 
colle  acute  sue  saette  la  spaventosa  e  orrenda  pioggia 
di  dardi  dei  pochi  alteri  Racsasi  rimasti  che  1'  assalivano 
con  gran  baldanza.  Ma  coni'  ebbe  ricevuta  quella  pioggia 
orribile,  a  quella  guisa  che  un  toro  riceve  sulle  sue  corna 


ARANYAC  WDA.  2M) 

i  larghi  sprazzi  d'una  pioggia  autunnale,  (jnel  domatore 
de1  nemici  ardente  dira  e  pari  a  Vania  die  di  piglio  a 
un  telo  divino  per  ispegnere  tulli  que'Racsasi.  Ma  kliaia 
veggendo  sollevato  quel  telo  mortale  ai  Kacsasi,  lanciò 
contro  al  Raghuide  il  telo  divino  del  Prestigio;  il  (piale 
subito  che  vide  il  Raghuide,  lo  respinse  con  un  altro  telo 
ignito  del  Prestigio;  poi  di  nuovo  raccolse  quel  telo. 
Decisi  i  principali  fra  que'Racsasi  che  s'appoggiavano  a 
kkara  e  a  Dùsana,  Rama  si  disponeva  a  spegnere  le  reli- 
quie di  queir  oste.  Allora  i  Racsasi  superbi  di  lor  forza, 
strettisi  intorno  a  Rama,  combattevano  con  sembiante  di 
disprezzo  quel  domator  de1  suoi  nemici.  Ma  egli  acceso 
d'ira  ed  infiammato  come  fuoco,  coperse  d'un  nembo 
di  saette  quella  schiera  e  Khara  e  Diisana.  In  quel  punto 
il  forte  e  terribil  Diisana  duce  di  quell'oste  e  pari  a 
Vania,  prese  con  ira  la  ferrea  sua  clava  paurosa  a  ve- 
dersi, simile  al  cocuzzolo  d'un  monte,  fasciata  d'aurei 
cerchi  e  tutta  tempestata  di  ferree  e  acute  punte.  Dato 
di  piglio  a  quella  grande  mazza  che  somigliava  a  un  gran 
serpente  ed  il  cui  tocco  era  come  quel  del  fulmine,  rom- 
pitrice  delle  membra  de' nemici,  terror  di  tutte  le  crea- 
ture, ornata  di  maniglie  d'oro,  Dùsana  assalì  Rama, 
come  1'  Asuro  Vritra  assalse  India.  Mentre  Dùsana  correva 
a  battaglia  contro  Rama,  questi  ardente  d'ira  tutta  ferì 
con  dardi  la  sua  clava;  e  que' dardi  acuti  lanciati  dal  Ra- 
ghuide, dopo  aver  percossa  la  clava  di  Dùsana,  entravan 
colle  punte  rintuzzate  nella  terra,  simili  a  serpenti  che 
incurvino  la  testa.  Ma  vedendo  avventarsi  Dùsana  armato 
di  clava,  avido  della  sua  morte  e  acceso  di  rabbia,  simile 
a  Yama  allor  che  impugna   lo  scettro,  il  Raghuide  con 


230  R  \M  U  W  \ 

due  saette  recise  eolle  lor  armi  ed  ornamenti  amendue 
le  braccia  di  Dùsana  avventantesi  alla  pugna;  caduta  dalla 
sua  mano  recisa  piombò  sul  campo  di  battaglia  la  terribil 
clava,  come  cade  dal  sommo  d'una  colonna  il  vessillo 
d'Indra  :  e  Dùsana  con  ambe  le  braccia  recise  precipitò 
a  terra,  come  un  elefante  dell'  Himalaya  colle  due  sue 
zanne  divette.  \  eduto  cader  quivi  a  lena  Dùsana  colla  sua 
clava,  tutte  le  creatine  onorarono  il  Cacutsthide,  scla- 
mando :  Bene!  bene!  In  questo  meni  re  tre  Torli  Racsasi 
caduti  nella  catena  della  morte  assalirono  insieme  Rama 
pieni  d'ira,  il  Racsaso  Mahàkapàla  sollevando  un'asta 
enorme ,  Stbùlàcsa  armato  d' ascia  e  Pramàtbi  con  una 
scure.  Veduti  costoro  avventarsi  a  se,  il  Raghuide  li  ri- 
cevè con  dardi  acuti,  come  si  ricevono  con  accoglienze 
gli  ospiti;  ei  recise  con  un  sol  dardo  la  testa  di  Mahàka- 
pàla, tempestò  Pramàthi  con  un  nembo  d' acute  frecce 
ed  empiè  di  saette  gli  ocelli  di  Stbùlàcsa;  tutti  e  tre  cad- 
dero a  terra  trafitti  dai  dardi  di  Rama.  Quindi  quel  forte 
colle  sue  saette  ardenti  come  fuoco  e  guernite  d'oro  per- 
cosse combattendo  f  avanzo  dell'  oste  Racsasa  :  quelle 
saette  impennate  d' oro ,  simili  a  pianeti  cinti  di  fumo 
e  minaccianti  in  cielo,  atterravano  que1  Racsasi ,  come  i 
fulmini  scoscendono  gli  alberi  eccelsi.  Uccisi  cento  de1 
Racsasi  più  cospicui,  il  Raghuide  ne  abbattè  poscia  mille 
con  mille  saette;  costoro  feriti  da  quelle  saette,  infranti 
e  laceri,  colf  armadura  e  cogli  scudi  squarciati  caddero 
bagnati  di  sangue  a  terra;  e  il  suolo  sparso  di  corpi  in- 
sanguinati colle  chiome  scomposte  caduti  in  quella  batta- 
glia somigliava  ad  un'  ara  del  sacrifizio  sparsa  di  poe  cyno- 
suroidi.  Era  il  campo  di  battaglia  deserto  di  combattenti 


ARANYACANI)  A.  237 

arsi  dal  fuoco  delle  saette  di  Rama,  intriso  di  sangue  e  di 
carni,  simile  all'inferno.  Alcuni  giacciono  colà  a  lena 
lacerati  dalle  saette  e  morti;  altri  gemono;  altri  tormen- 
tati dai  dardi  errano  come  insani.  Quattordeci  mila  Rae- 
sasi  terribili  furono  sconfitti  da  Rama  solo,  pedestre 
uomo;  e  di  tutta  quell'  oste  rimasero  quivi  soli  due  Racsasi , 
il  forte  Khara  e  Trisiras.  Khara  vedendo  atterrati  in  quella 
pugna  Dùsana  e  gli  altri  Racsasi  incomparabili,  altieri 
nelle  battaglie,  assalì  col  suo  gran  carro  Rama  a  quella 
guisa  che  Namuci  assalì  Indra. 


CAPITOLO  XXXIIT. 

MORTE    DI    TRISIRAS. 

Ma  il  Racsaso  Trisiras  levandosi  così  parlò  al  supremo 
duce  Khara  che  correva  incontro  a  Rama  :  Imponi  a  me, 
o  eroe,  di  combattere;  tu  ritorna  addietro,  e  vedrai  da 
me  prontamente  atterrato  in  battaglia  quel  forte  Rama  ; 
io  ti  prometto,  o  eroe,  e  per  farne  tede  tocco  quest'arme, 
che  io  abbatterò  colle  mie  saette  nella  battaglia  quel  Rama 
iniquo;  o  io  darò  combattendo  morte  a  colui,  od  esso 
darà  morte  a  me  in  questa  tenzone  ;  rattieni  il  tuo  ardor 
guerriero  e  sia  tu  per  un  istante  spettatore;  o  spento 
Rama,  tu  te  n'andrai  oggi  lieto  pel  Ganasthàna,  ovvero 
ucciso  me,  tu  ucciderai  quindi  in  battaglia  Rama.  Così 
pregato  da  Trisiras  che  cercava  la  sua  morte,  Khara  lie- 
tamente rispose  :  Io  tei  consento.  Allora  Trisiras,  avola 
licenza  di  combattere,  sollevando  baldanzoso  con  istrepito 
il  suo  arco,  si  mosse  contro  Rama.  In  questo  mentre  le 


238  RAMAYANA. 

reliquie  di  quella  grand'  oste  Racsasa  ritornarono  alla 
battaglia  raccogliendosi  intorno  a  Trisiras.  Grossa  ancora 
di  più  centinaia  di  combattenti  e  strepitante  come  una 
grande  nuvola,  queir  oste  schiamazzava  con  alte  grida  si- 
mili al  suono  di  timpano  inumidito.  Rama  dotato  d' in  - 
fallibil  forza  sostenne  l'impeto  di  que'Racsasi  rabbiosi 
e  ardenti  di  furor  guerriero,  che  s'avventarono  a  lui  su- 
bitamente.  Ricominciò  allora  tra  costoro  su  quel  campo 
di  battaglia  una  pugna  tumultuosa,  ardente  e  fiera.  In- 
volto in  una  pioggia  di  saette  e  chiuso,  più  non  risplen- 
deva il  sole  dai  mille  raggi,  più  non  spirava  il  vento;  il 
cielo  era  velato  in  ogni  parte  da  un  nembo  di  lucide 
saette.  In  quella  Trisiras  ferì  con  tre  saette  Rama  nella 
fronte,  e  questi  acceso  di  sdegno  e  d' ira  così  disse  :  Ecco 
un  grand'  atto  di  valore  del  magnanimo  e  prode  condot- 
tiero! Ben  fa  prove  mirabili  d'eroismo  la  forza  d'un 
Racsaso  in  battaglia,  dalle  cui  frecce  saettate  dal  grand' 
arco  e  spinte  con  irà  combattendo  venne  la  mia  fronte 
ornata  come  di  fiori!  Ecco  io  ho  ricevuto  le  saette  liscile 
dal  nobile  tuo  arco;  son  contento  della  tua  destrezza,  o 
Racsaso  valoroso  ;  ben  è  vero  che  non  si  dee  disprezzare 
un  nemico  ancorché  debole;  io  m'ingannai  sprezzandoti; 
ora  sta  saldo  incontro  a  me.  Poich'ebbe  così  parlato,  il 
Raghuide  possente  si  diede,  stupefacendo,  a  saettare  in 
quella  battaglia;  e  togliendo  di  mira  i  nemici  condensati, 
confusi ,  stupefatti ,  li  uccideva  in  quella  mischia ,  reci- 
dendo loro  la  testa;  ed  ei  cadevano  colle  teste  recise, 
coli'  armi ,  colf  armadure  ,  colle  bandiere  rotte  ,  come 
cadono  a  terra  gli  alberi  abbattuti  dal  vento  che  suscita 
Suparna  nel  suo  volo.  Sopraffatti  allora  dal  terrore  i  pochi 


\l\  ANYACANDA.  239 

Racsasi  limasi  si  diedero  a  fuggire  spaventali  per  ogni 
parie,  come  fuggono  dinanzi  ad  una  tigre  i  cervi  paurosi. 
Fu  mirabile,  tumultuosa,  orribile  quella  nuova  batta- 
glia del  prode  Rama  e  di  que'  Racsasi  ;  di  tutta  queir 
oste  nuovamente  più  non  rimase  quivi  che  il  forte  Khara, 
Trisiras  e  il  domator  de'  nemici  Rama.  Visle  di  nuovo 
sconfitte  le  schiere  de' Racsasi  carnivori,  Trisiras  oltremodo 
irato  eccitò  il  suo  auriga  :  Desidero  far  qui  tosto  dono 
d'un' oblazione  al  mio  signore  in  presenza  del  magnanimo 
e  prode  Khara;  ti  prometto,  o  auriga,  e  per  fede  tocco 
quest'arme,  che  o  io  ucciderò  Rama,  o  Rama,  ucciderà 
me.  Così  eccitato  1'  auriga  spinse  i  cavalli  e  corse  a  batta- 
glia contro  Rama  con  rapidi  corsieri.  Veduto  avventarsi  a 
lui  il  Racsaso  Trisiras,  il  prode  Raghuide  lo  ricevè  solle- 
vando il  suo  arco  e  le  saette  :  fu  un  combattimento  terri- 
bile, impetuoso,  come  quel  d'un  elefante  e  d'un  leone, 
il  combattimento  di  Rama  e  di  Trisiras  amendue  superbi 
di  lor  forza  :  Io  ben  ti  caccerò  alle  sedi  di  Yama  colle  mie 
saette  acute;  ricevi  tu  pure  questi  miei  dardi  saettati  dal 
mio  arco.  Così  dicendo  il  Raghuide  infìsse  irato  nel  petto 
di  Trisiras  quattordeci  saette  simili  a  serpenti  ;  con  quat- 
tro saette  e  quattro  quel  valoroso  abbattè  i  cavalli  di  lui 
e  ruppe  con  sette  il  carro  ;  con  otto  altre  saette  rovesciò 
f  auriga  e  con  un  sol  dardo  squarciò  1'  alto  vessillo.  Ve- 
duta quell'opra  di  Rama,  il  Racsaso  pur  onorandolo  nel 
suo  animo ,  sollevò  con  impeto  la  spada  e  si  spinse  contro 
lui  furiosamente.  Ma  Rama  ferì  con  dieci  saette  al  cuore 
il  Racsaso  disceso  rapidamente  dal  suo  gran  carro,  e  quasi 
sorridendo  il  Raghuide  dagli  occhi  di  loto  recise  irato  con 
tre  e  tre  saette  acute  le  tre  teste  di  Trisiras.  Onesti  vomì- 


240  RAMAYANA. 

landò  sangue  e  spento  dai  riardi  di  Rama  cadde  a  Iona 
come  un  gran  monte,  i  cui  cocuzzoli  sian  stati  prima  ro- 
vesciali; e  il  tronco  di  lui  decapitato,  cadendo  simile  ad 
un  monte  sovra  il  campo  di  battaglia,  fece  tremar  la  terra. 
Vedendo  l'eroe  Trisiras  caduto  in  battaglia,  Khara  punto 
dall'ira  nel  suo  cuore  senti  infiammarsi  d'orgoglio  guer- 
riero. Veduto  spento  Trisiras,  ucciso  Dusana,  rolli  i 
quattordeci  mila  Racsasi ,  e  tutta  quell'oste  dislalia  da 
Rama  in  battaglia,  ci  si  spinse  contro  Rama,  come  Italia 
assale  la  luna  in  ciclo.  Ma  riguardando  la  strage  di  quell 
oste  distrutta  da  Rama  solo  e  i  due  eroi  atterrati,  ei  ri- 
stette meditando  alquanto;  e  mentre  ei  pensava  a  quell' 
opra  del  magnanimo  Raglimele,  entrò  pur  nel  suo  animo 
lo  sgomento  alla  vista  di  tanta  possanza  di  Rama. 

CAPITOLO  XXXi\. 

KHARA  PRIVATO  DEL  SUO  CARRO. 

Ma  rinfrancata  la  sua  virtù,  il  prode  e  fiero  Racsaso 
Khara  s'apprestò  a  combattere  di  nuovo;  ed  eccitato  il 
suo  auriga  a  marciar  contro  il  Raghuide,  assalì  Rama, 
come  Vritra  un  dì  assaliva  Indra.  Caricato  il  suo  grand' 
arco,  ei  saettò  contro  Rama  ardenti  dardi  simili  a  serpenti 
rabbiosi;  e  scuotendo  spesso  la  corda  del  suo  arco  e  vi- 
brando i  grandi  suoi  teli,  Khara  s'apriva  colle  sue  saette 
le  vie  nella  battaglia  :  quel  forte  curule  guerriero  pari  a 
Ràvano  in  battaglia  empieva  delle  sue  saette  tutte  le  piago 
e  le  regioni  intermedie.  Ma  Rama  con  ferrei  ìaeoli  irre- 
sistibili,   pari  a  fiamme  scintillanti,  siccome  Indra  colle 


\\\  \\Y\CANDA.  241 

pioggie,  spezzò  i  dardi  del  suo  nemico.  11  cielo  era  velalo 
da  quelle  saette  acute  lanciate  da  Rama  e  da  Khara,  come 
da  nuvole  infiammate  dal  guizzo  dei  baleni;  l'aria  era 
quivi  tutta  ingombra  dalle  frecce  volanti  e  rivolanti  di 
Kbara  e  Rama;  e  il  sole  involto  in  un  nembo  di  saette 
più  non  risplendeva  come  suole,  essendo  offuscato  il  cielo 
dal  cadere  avvicendato  di  que' dardi.  Allora  Rama  tem- 
pestò il  Racsaso  con  saette  e  dardi  spennati  e  acuti,  come 
si  stimola  con  pungoli  un  grande  elefante  :  tutte  le  crea- 
ture miravano  quel  Racsaso  fermo  sul  suo  carro  e  armato 
d'arco,  simile  a  Yama  tenente  lo  scettro.  Ma  Rama  euar- 
dando  Kbara  pari  ad  un  leone  irato  e  con  fiera  attitudine 
di  leone,  non  si  sgomentava,  a  guisa  d'un  leone  in  faccia 
d'  altro  leone.  In  quella  Khara  col  suo  gran  carro  lucente 
come  il  sole  si  spinse  in  battaglia  addosso  a  Rama,  come 
s'  avventa  al  fuoco  una  locusta ,  e  quel  Piacsaso  possente 
ruppe  a  cento  e  a  mille  le  saette  che  lanciava  il  prode 
Rama.  Ma  il  Raghuide  acceso  di  grand1  ira  spezzò  con  un 
mirabile  dardo  le  saette  e  l'arco  di  Khara  che  s'andava 
arrabattando.  Questi  allora  dato  di  piglio  ad  un  altr'arco 
e  ardendo  quasi  di  rabbia,  si  diede  a  saettare  dardi  acuti 
simili  a  serpi  striscianti  con  furore.  Ferito  da  que' dardi  in 
ogni  parte  e  sospirando  come  un  elefante ,  il  robusto  Rama 
non  trovava  modo  di  difender  la  sua  vita.  La  grande  e 
splendida  lorica  di  quel  forte  oppresso  dalle  ferite  cadde 
a  terra  rotta  in  cento  parti;  e  il  Racsaso,  veduto  Rama 
senza  lorica,  più  e  più  lo  feriva  colle  sue  saette  sorridendo, 
e  strepitava  come  una  gran  nube  che  si  sollevi.  Tormentato 
da  Khara  con  omelie  saette  simili  a  viva  fiamma  e  acceso 

d'  ira.  Rama  sfavillava  in  quella  battaglia  come  fuoco  ar- 
n.  31 


dente  e  sgombro  di  fumo;  e  mentr'ei  quivi  si  travaglia,  il 
Racsaso  Kliara  rompe  con  una  saetta  il  suo  arco,  sorri- 
dendo. Allora  il  forte  Raghuide,  preso  rapidamente  l'arco 
di  Visnu  donatogli  dal  Mimi  Agastya,  lo  incordò;  e  tesolo 
ed  incoccato  un  dardo,  corse  a  bai  taglia  contro  Kliara; 
e  in  quello  scontro  ei  squarciò  in  più  brani  con  saette 
ricurve  e  pennate  d'oro  la  bandiera  di  Kliara,  la  qua! 
mirabile,  ondeggiante  e  splendente  d'oro  cadde  subita- 
mente a  terra  come  il  grande  vessillo  d'Indra;  quindi  il 
robusto  Dasarathide  con  dieci  altre  saette  ferì  nel  seno 
Khara  die  adoperava  ogni  suo  sforzo.  Ma  questi  fuor  di 
modo  irato  ferì  nel  petto  con  sette  frecce  il  pio  Raghuide 
domator  de'  suoi  nemici ,  il  quale  insanguinato  per  tutto  il 
corpo  dalle  molteplici  saette  scoccate  dall'arco  di  Kliara, 
risplendeva  come  fuoco  acceso.  Allora  Rama  eccelso  ar- 
ciero ,  teso  il  suo  grand' arco  simile  all'arco  d'India, 
scoccò  ventuna  saetta.  Con  una  quel  prode  ferì  il  petto 
di  kliara,  con  due  le  braccia;  con  quattro  saette  curve 
a  guisa  di  mezza  luna  percosse  i  quattro  cavalli,  con  due 
ci  spinse  irato  alla  magion  di  Yama  l'auriga,  con  sei 
ruppe  l'arco  di  Khara  ed  i  suoi  dardi;  con  una  saetta 
spezzò  quel  forte  con  fiero  urto  il  giogo,  coi  rimanenti 
cinque  dardi  lacerò  le  cinque  bandiere.  Khara  allora  pri- 
vato di  carro,  colf  arco  rotto,  colf  auriga  e  coi  cavalli 
uccisi,  sceso  a  terra  stette  fermo  colla  clava  in  mano.  In 
quella  uscì  di  repente  dai  carri  celesti  degli  Dei  un  suono 
di  timpani  divini  misto  con  voci  confuse  e  collo  strepito 
di  Kliara  :  i  Biniti  e  i  Bliàvani  (28)  celebravano  nel  cielo  la 
vittoria  di  Rama,  e  i  Mimi  lo  lodavano  per  aver  privato 
il  Racsaso  del  suo  carro.  I  Devi  raccolti  e  i  grandi  Risei 


VRANYACANDA.  243 

onorarono  reverenti  e  lieti  quell'opra  del  prode  Penna, 
come  un  dì  le  schiere  degli  Dei  celebrarono  India  nel 
suo  grande  combattimento. 

CAPITOLO   XXXV. 

MORTE    DI    KHÀfiA. 

Ma  d  fortissimo  Rama  così  parlò  prima  con  miti  poi 
con  acerbe  parole  a  Khara  ,  che  privato  del  suo  carro 
slava  Ferino  colla  clava  in  mano  :  Benché  abbia  in  pronto 
un  grande  esercito  pieno  di  carri,  di  cavalli  e  d'elefanti, 
uom  non  dee  perciò  far  opra  crudele  e  fiera,  riprovata 
dalle  genti;  l'uomo  crudele  e  iniquo,  fatto  terror  delle 
creature ,  è  vituperato ,  foss'  egli  anche  signor  dei  tre 
mondi.  Colui  che  fa  opre  avverse  agli  uomini ,  o  Notti- 
vago, è  respinto  con  isdegno  da  ogni  uomo,  come  una 
serpe  velenosa  che  si  mostri;  chi  per  cupidità  o  per  con- 
cupiscenza commette  opere  inique  e  non  si  ravvede, 
prova  cadendo  che  cosa  è  la  sventura ,  come  un  Brah- 
mano assoggettato  al  potere  altrui  ;  e  caduto  in  infortunio, 
è  straziato  prontamente  dal  dolore  così  come  tu  oggi,  o 
stolto,  il  cui  esercito,  i  cui  seguaci  sono  stati  da  me 
spenti.  Qual  frutto  raccoglierai  tu,  o  Racsaso ,  dall' aver 
inesso  a  morte  i  prestanti  e  pii  asceti  abitatori  della  selva 
Dandaca  )  Dopo  avere  ottenuto  somma  possanza,  gli  uo- 
mini crudeli  e  iniqui,  vituperati  dalle  genti,  cadono  subi- 
tamente, come  alberi  di  cui  sia  recisa  la  radice.  Chi 
commette  opere  ree,  ne  raccoglie  inevitabilmente  il  frullo 
al  tempo  destinato,  a  quella  guisa  che  l'albero  produce 


244  RAMAYANA. 

i  suoi  frutti  alla  stagion  matura;  sì,  o  Racsaso,  si  coglie 
in  breve  ed  al  tempo  prefìsso  il  frullo  dell'opere  malvagie, 
come  de' cibi  avvelenali  cbe  si  mangiano;  ed  io  re  qui 
venni  per  ispegnere  i  commettitori  d'opere  immani  e 
coloro  che  desiderai!  nuocere  agli  uomini.  Oggi,  o  Rac- 
saso, le  aurate  saette  da  me  scoccate  cadranno  sopra  di 
te  squarciandoti,  come  entrano  i  serpenti  nella  terra 
smossa  dalle  formiche  ;  1u  osjgi  ucciso  da  ine  in  battaglia 

'  Do  © 

andrai  a  raggiugnere  i  pii  asceti  che  tu  hai  divorali  nella 
selva  Dandaca.  Oggi  dai  loro  celesti  carri  1  sommi  Risei 
che  tu  hai  offeso  per  f  addietro,  ti  veggano  spento  dalle 
mie  saette  e  cacciato  in  fondo  al  Tartaro.  Poiché  In  co' 
tuoi  Racsasi,  o  iniquo,  infestando  per  V  addietro  ogni 
regione  della  selva  Dandaca,  hai  fatto  oltraggio  ai  pii 
Mimi,  ricevi  oggi  l'orribil  frutto  dell'opra  tua  malvagia. 
Sta  qui  fermo  incontro  a  me,  o  perfido  signor  dei  Racsasi  ; 
metti  in  opra  ogni  tua  possa;  adopra  ogni  tuo  sforzo,  o 
Racsaso;  oggi  io  troncherò  colle  mie  saette  la  tua  testa. 
Udite  quelle  parole  di  Rama,  Khara  cogli  occhi  ardenti 
e  per  ira  insano  così  gli  rispose  sorridendo  :  Come  osi 
tu  così  vantar  te  stesso  indegno  di  lode,  o  Dasarathide, 
per  avere  ucciso  in  battaglia  Racsasi  volgari?  i  grandi 
uomini  ancorché  valorosi  e  forti  non  vantano  essi  stessi 
la  grandezza  della  lor  virtù  nelle  battaglie  ;  ma  gli  uomini 
volgari  e  stolti,  disonor  della  loro  stirpe  in  questa  terra, 
si  gloriano  vanamente,  come  or  tu  ti  glorii  ,  o  Rama. 
Chi  è  colui  che  mettendo  innanzi  la  nobiltà  della  sua 
progenie,  direbbe  egli  stesso  le  sue  lodi  sul  punto  della 
battaglia,  allor  che  è  giunta  fora  del  morire?  Con  questi 
tuoi  vanti  tu  hai  mostrato  appieno  la  tua  vanità  ;  ma  io 


\H  WYACANDA.  245 

distruggerò  ben  oggi  tutta  questa  tua  prodezza.  Non  mi 
vedi  tu  qui  fermo  colla  clava  in  mano  e  pien  di  forza, 
inconquassabile  come  un  monte  che  abbia  un  solo  ver- 
tice (29>?  armato  di  questa  clava  io  son  atto  a  togliere  in 
ballagli;)  a  le  la  vita  ed  anche  a  spegnere  i  tre  mondi, 
siccome  Yama.  Ben  avrei  altre  cose  a  dirti ,  ma  non  le 
dirò;  che  n' andrebbe  all'occaso  il  sole  e  sarebbe  impe- 
dita la  nostra  battaglia;  veggendoti  qui  star  dinanzi  a  me, 
non  ho  desiderio  di  stendermi  in  più  parole  :  colui  contro  i 
cui  "m'adiro  in  battaglia,  è  giunto  al  termine  della  sua 
vita.  Avendomi  tu  offeso,  o  Rama,  ti  sarà  duro  il  difen- 
der la  tua  vita,  come  al  cuculo  sitibondo  il  trovar  acqua 
allor  che  non  piove.  Colla  tua  morte  io  tergerò  le  lacrime 
dei  quattordeci  mila  Racsasi  da  te  uccisi  ;  con  questa  mia 
clava,  o  Rama,  io  abbatterò  oggi  con  impeto  a  terra  la 
Ina  testa  ornata  di  cincinni,  come  la  pioggia  abbatte  i  cu- 
muli di  polvere;  quindi  coi  rivi  di  sangue  uscenti  dal  tuo 
corpo  io  darò  Y  acqua  funebre  ai  Racsasi  che  tu  hai  qui 
morti.  Intesi  que'  detti  del  signor  de'  Racsasi ,  il  Raghuide 
signor  degli  uomini  rispose  sorridendo  in  quella  tenzone, 
parole  di  gran  stupore  :  Ben  sarebbe  degno  quel  che  tu 
dici,  o  Racsaso,  se  tu  avessi  ottenuto  vittoria  combattendo, 
o  se  i  tuoi  Racsasi  fossero  stati  uccisi  fuor  della  tua  pre- 
senza ;  ma  que' Racsasi  rabbiosi  e  di  terribile  forza  che 
ottennero  doni  dagli  Dei  e  combattevano  con  elette  armi 
divine,  sono  stati  uccisi,  te  veggente.  A  che  dunque  ti 
vanti  inutilmente,  o  vile  Racsaso,  uccisore  di  Brahmani? 
a  che  più  tardi?  mostra  la  forza  ed  il  valor  che  hai.  Oggi 
con  una  sola  mia  saetta  curva  a  guisa  di  mezza  luna  io 
atterrerò  col  suo  elmo   e  co1  suoi   lucidi  pendenti  la  tua 


246  RAMAYAN  \ 

testa,  pari  a  quella  dell1  ardente  Ràhu.  A  quelle  parole 
del  Raghuide  il  Racsaso  Khara  cogli  occhi  accesi  d'  ira 
e  ([nasi  ardendo  cosi  rispose  :  lo  ben  ti  conosco,  o 
Rama;  conosco  Lacsmano  e  il  re  Dasaratha  e  son  del 
pari  da  te  conosciuto;  or  via  sostieni,  se  lu  il  puoi,  o 
uom  vilissimo,  il  fiero  impeto  di  questa  clava  da  me 
lanciata.  Così  dicendo  Khara  oltremodo  irato  scagliò 
contro  Ramala  sua  clava  ornata  di  maniglie  d'oro,  pari 
ad  ardente  fulmine;  e  quella  gran  clava  di  Khara,  ar- 
dente, orribile,  fiammeggiando  come  una  gran  meteora, 
volò  contro  il  Rhaguide.  Ella  incenerì  gli  arbusti  e  gli 
alberi  che  passando  scontrò  vicini;  perocché  ella  era  di- 
vina, acquistata  con  gran  conato  d'acerbe  macerazioni 
e  donata  un  dì  dal  magnanimo  Kuvera.  Vedendo  venir 
quella  clava  simile  allo  scettro  di  Yama,  il  Raghuide  con 
mente  turbata  così  pensò  fra  se  :  Questa  clava  irresistibile 
non  si  può  per  lo  suo  impeto  respingere  con  forza  di 
dardi  volgari,  perchè  è  divina  l'arme  di  questo  Racsaso: 
per  romperla  e  distruggerla  io  lancierò  questo  divino, 
eccelso  e  impetuoso  telo  del  fuoco.  Quindi  a  fine  di  pre- 
cider quella  clava,  l'inclito  Raghuide  prese  il  telo  Igneo, 
dardo  simile  ad  un  serpente,  e  scagliò  quel  telo  che  splen- 
deva come  fuoco.  La  gran  clava  precipitante  fu  da  quel 
lelo  Igneo  pari  a  fuoco  rintuzzata  in  aria  e  fatta  rotear 
con  vari  giri;  con  esso  il  forte  Raghuide  ruppe  in  batta- 
glia quella  clava  fiammeggiante,  impetuosa,  simile  alla 
catena  di  Yama.  Quel  telo  oltrepassando  percosse  in  aria 
la  clava;  e  un  fuoco  orribile  si  manifestò  per  ogni  parte  e 
l'aria  apparve  tutta  piena  di  mille  fiamme.  La  terribile 
clava  percossa  cadde  spezzata  a  terra,  come  sul  finir  del 


VRANYACANDA.  247 

mondo  è  distrutta  dall'ardente  Ràhu  la  luna  immacolata 
congiunta  con  un  pianeta  funesto;  cadde  a  terra  precipi- 
tata ed  arsa ,  colle  sue  maniglie  ed  ornamenti  rotti ,  la  clava 
del  Racsaso  candente  come  Fuoco.  Allor  che  vide  distrutta 
e  ridotta  in  cenere  dal  divino  suo  telo  quella  clava  di 
Kuvera,  il  Dasarathide  tutto  lieto  pensò  essere  ornai  in 
suo  potere  Khara  ;  e  il  Racsaso  stesso  vedendo  abbattuta 
la  grande  sua  clava  fascinatrice,  si  tenne  per  morto  in 
quella  battaglia.  Allora  il  fortissimo  Raghuide  domator 
de  suoi  nemici  cosi  parlò  lungamente  a  Khara  con  dura 
voce  :  Ecco  vane  le  lue  parole,  o  vile  Racsaso,  che  per 
desiderio  della  mia  morte  vantandoli  dicevi  :  Io  berrò  il 
tuo  sangue.  Quella  tua  clava  arsa  dal  mio  telo  e  ridotta 
in  cenere  cadde  spezzata  a  terra,  percossa  da  un  sol  mio 
dardo ,  fiaccando  la  baldanza  di  te  sì  ardito  ne  tuoi 
detti.  Questa  è  dunque  tutta  la  forza  che  tu  hai  potuto 
mostrare,  o  ignobil  Racsaso!  ma  non  voglio  che  tu  viva 
più  lungamente,  vile,  codardo  e  mentitore;  t'appresta  a 
nuova  battaglia,  lo  rapirò  la  vita  a  te  abbietto,  iniquo, 
persecutor  dei  buoni,  come  Garuda  un  dì  rapì  l'ambro- 
sia; lacerato  te  oggi  dalle  mie  saette,  la  terra  berrà  il 
sangue  vomitato  dalla  tua  gola  con  bulle  di  spuma;  e  tu 
bruttato  di  polvere  per  tutto  il  corpo  e  colle  braccia  pro- 
tese giacerai  qui  abbracciando  la  terra,  come  s'abbraccia 
una  donna  amata.  Saranno  oggi  lieti  i  Mimi  udendoti 
spento,  o  Racsaso,  e  dormente  il  sonno  estremo  te  nemico 
mortai  dei  Risei;  la  regione  Dandaca  diverrà  come  il  rifu- 
gio di  color  che  non  hanno  asilo,  quando  tu,  invido  Rac- 
saso, giacerai  morto  sul  Ganasthàna;  e  i  Mimi  andranno 
senza  timore  per  ogni  parte  di  questa  selva.  Sentiranno 


248  RAMAYANA. 

oggi,  o  Racsaso,  che  cosa  sia  il  dolore  le  donne  di  stirpe 
a  te  conformi,  di  cui  tu  sei  consorte  pan;  oggi  io  porrò 
fine  alla  dura  alllizion  dei  Risei  prodotta  in  loro  dal  li- 
more  e  che  ha  in  te  la  sua  radice,  o  nemico  eterno  dei 
Rrahmani.  Non  fuggirai  vivo  dalle  mie  mani,  o  crudele,  o 
tristo,  per  causa  di  cui  i  Munì  fanno  trepidando  le  obla- 
zioni sid  sacro  fuoco.  Son  lieto  che  sian  slati  oggi  da  me 
spenti  quegli  altri  nemici  degli  asceti;  essi  han  colto 
qui  subito  in  battaglia  il  frutto  di  loro  iniquità;  e  tu 
pure  coglierai  qui  oggi  il  tristo  frutto  dell'  opere  tue,  o 
crudele ,  o  empio  ,  detestato  dai  Brahmani ,  malvagio  e 
iniquo.  Mentre  Rama  ardente  d'ira  così  parlava  in  quella 
tenzone,  Khara  con  isdegno  e  con  voce  acerba  così  prese 
a  minacciarlo  :  Sei  veramente  pien  d'  orgoglio  tu  che  ti 
mostri  così  intrepido  in  tanta  paura  !  Poiché  tu  stretto 
nel  laccio  della  morte  non  te  ne  accorgi  per  dappochezza, 
ben  si  vede  che  gli  uomini  che  sono  involti  nelle  catene 
di  Yama,  perduto  il  senso  delle  cose,  più  non  discernono 
quel  che  si  debba  o  non  si  debba  fare.  Tu  mi  credi 
disarmato,  o  stolto;  or  ben  sappi  che  questa  selva  mi 
servirebbe  all'uopo  tutta  d'armi;  sradicando  con  impeto 
questa  selva  co'  suoi  alberi  e  co'  suoi  sassi,  colle  sue  belve 
e  co'  suoi  serpenti ,  io  la  scaglierei  contro  te  per  la  tua 
morte.  Così  dicendo  irato  ed  aggrottando  le  ciglia,  ei 
guardava  d'ogni  intorno  per  quel  campo  di  battaglia,  se 
gli  venisse  veduta  un'arme;  poco  lungi  vide  il  Racsaso 
un  albero  eccelso;  ei  lo  sradicò  colle  sue  braccia,  strin- 
gendo 1'  un  contro  1'  altro  i  labbri  ;  ed  avventandosi  con 
impeto  e  con  grida,  lo  scagliò  quel  forte  contro  Rama, 
dicendo  :  tu  sei  morto!  Ma  l'eccelso  Rama,  spezzato  a 


AKANYACANDA.  249 

furia  di  saette  quell'albero  impetuoso,  s'Apprestò  con 
fiero  sdegno  ad  uccidere  in  battaglia  Khara.  Ogni  albero 
a  cui  dava  di  piglio  Khara,  era  dal  prode  Rama  rotto  in 
pezzi  colle  ricurve  sue  saette;  cbè  saettando  senza  posa 
con  queir  arco  mirabile  di  Visnu  die  gli  fu  donato  da 
Agastya ,  il  robusto  Rama  spezzava ,  quasi  scherzando , 
colle  sue  saette  alberi  e  sassi.  Quindi  grondante  di  sudore, 
pieno  d'ira  e  con  ocelli  accesi  Rama  ferì  con  mille  saette 
Khara  in  quella  battaglia;  e  dalle  ferite  di  lui  sgorgava 
sangue  copioso ,  come  gemono  a  mille  a  mille  le  gocce 
d' acqua  da  un  rivo  alpestre.  Perturbato  dalle  saette  di 
Rama  in  quella  pugna  e  fatto  insano  dall'odor  del  sangue, 
Khara  si  spinse  a  furia  contro  il  Raghuide.  Veduto  avven- 
tarsi a  se  con  tant'  impeto  Khara  ardente  in  volto  e  tutto 
insanguinalo,  Rama  indietreggiò  rapidamente  dal  luogo 
ov'era;  ed  incoccato  un  dardo  simile  a  vivo  fuoco,  ar- 
dente come  una  serpe,  acuto  e  dritto  nel  suo  corso,  con 
cinque  nodi  e  cinque  penne,  donatogli  un  dì  per  sua  di- 
fesa da  Indra  stesso  dai  mille  occhi,  portator  del  fulmine, 
dardo  uccisore  dei  nemici,  pari  al  fulmine  d'India,  Rama 
lo  scagliò  in  quella  battaglia  per  la  morte  di  quel  Racsaso. 
Quel  gran  dardo  lanciato  da  Rama  colf  arco  teso  cadde 
con  fragore  pari  a  quel  d'  un  turbine  sovresso  il  petto  di 
Khara;  il  quale  fu  da  quel  dardo  caduto  colf  impeto  del 
vento  e  di  Suparna  squarciato  fin  nel!'  ossa  e  negli  organi 
vitali,  come  è  squarciato  dal  fulmine  il  monte  Kraunca. 
Quel  dardo  pari  al  folgore  e  quasi  fiammeggiante  piombò, 
come  piomba  sopra  un  albero  eccelso  il  fulmine  lanciato 
da  Indra.  Khara  cadde  a  terra  arso  dal  fuoco  di  quel 
dardo,  come  cadde  un  dì  arso  dn  Punirà  V Asuro  Andaka 

11.  32 


250  RAMAYAN  \. 

nella  selva  Svela;  ei  rovinò  percosso  dal  telo  di  riama, 
come  Vrilra  atterralo  da  Indra  e  Namuci  da  Pileria.  \l 
loia  si  diffuse  per  lo  cielo  un  suon  di  timpani  divini 
misto  con  voci  confuse,  e  s'udì  esclamare  :  Bene!  Bene! 
cadde  sovra  il  capo  di  Rama  in  quel  campo  di  battaglia 
una  divina  pioggia  di  fiori;  e  s' udiron  per  le  regioni  voci 
che  dicevano  :  E  spento  queir  iniquo.  Si  raccolsero  colà 
maravigliando  i  Risei  regali,  i  grandi  Risei  e  i  Risei  divini 
insieme  coi  Risei  Brahmanici,  e  tutti  discesi  sulla  terra, 
risplendenti  come  fuoco ,  onorando  Rama ,  lieti  così  gli 
dissero  :  Felicemente ,  o  pio  Raghuide  ,  tu  grandeggi 
neir  ufficio  di  Csatro  !  felicemente  son  qui  accolti  i  Risei 
divini  tutti  intenti  a  benedirti  !  felicemente  fu  da  te  ucciso 
queir  iniquo ,  nemico  dei  Brahmani  !  per  tuo  favore  po- 
tranno oramai  gli  asceti  andare  attorno  per  queste  selve; 
felicemente  sei  tu  qui  giunto,  o  diletto  Rama,  insieme  col 
generoso  Lacsmano  e  con  Sita  e  con  quei  magnanimi 
asceti!  A  questo  fine,  o  re,  venne  al  puro  romitaggio  di 
Sarabhanoa  il  grande  Indra  distruttore  di  città,  vincitor 
di  Pàka  ;  tu  fosti  opportunamente  condotto  in  questa  re- 
gione dai  grandi  Risei  per  la  morte  di  que'  Racsasi  cru- 
deli e  fieri  :  tu  hai  compiuta  V  opra  che  dovevi  far  per 
noi,  o  Dasarathide;  oramai  attenderanno  lieti  ai  loro  pii 
ufficj  i  Muni  nella  selva  Dandaca.  Ecco,  o  Raghuide, 
questi  Devi  qui  presenti  coi  Gandharvi,  i  Siddhi  e  i 
sommi  Risei  ti  celehrano  con  inni  di  vittoria.  Veduta 
questa  tua  mirabile  battaglia,  Brahma  supremo  fra  color 
che  sanno  i  Vedi,  circondato  da  tutti  i  Devi  t'onora  qui 
presente;  ed  il  gran  Dio  (Siva)  cinto  da  tutto  il  suo  cor- 
teggio, stando  sul  suo  carro,  ti  rende  onore,  o  Raghuide, 


\\\  \\\  \(.  WD  A.  2.M 

lieto  della  tua  vittoria,  dosi  celebrato  da  que'pii  Muni, 
il  "insto  Rama  vedendo  vicini  a  se  e  stanti  sui  loro  carri 
i  Devi,  li  venerò.  In  quel  menile  il  prode  Laesniano 
uscendo  con  Sita  dalla  spelonca  del  monte,  ritornò  al 
suo  romitaggio;  ed  il  Raglmide  parimenti,  dopo  avere 
ucciso  Kliara,  onorato  dagli  Dei  rientrò  nel  suo  abituro 
e  fu  cpiivi  salutalo  da  Laesniano.  Sita  rivedendo  Rama 
vincitore  e  cagion  di  pace  ai  grandi  Risei,  abbracciandolo 
lietissima,  così  gli  disse  :  Mi  rallegro,  o  nobil  tiglio,  che 
tu  abbia  avverata  e  resa  fruttuosa  la  tua  promessa,  ucci- 
dendo il  Racsaso  Kbara,  eterno  nemico  dei  Mimi.  Spento 
quel  loro  avversario,  i  Mimi  domatori  de' lor  sensi  atten- 
deranno or  lieti  ai  lor  doveri  in  questa  selva,  protetti 
dalla  forza  del  tuo  braccio.  Quindi  il  Raghuide  eccelso 
arciero  che  distrusse  in  quella  gran  battaglia  un  oste  ne- 
mica, confortati  ed  onorati  con  grande  studio  que'  Mimi 
raccolti,  così  risplendeva,  come  ìndra  in  cielo;  e  rinco- 
rala Sita  dai  begli  occhi  di  cerva,  dimorò  lieto  insieme 
con  Lacsmano  in  quel  romitaggio ,  onoralo  dai  Mimi 
quivi  adunali. 

CAPITOLO   XXXVI. 

DESCRIZIONE   DI   RÀVANO. 

Allor  che  Surpanacha  vide  uccisi  da  Rama  solo,  pe- 
destre e  uomo,  i  quattordeci  mila  Racsasi  ed  atterrati  da 
lui  Khara,  Trisiras  e  Dùsana;  coni  ella  vide  quell'opra 
compiuta  da  Rama,  ardua  ad  ogni  altro  uomo,  se  n'andò 
tutta  tremante  a  Lanka  (Ceylan)  difesa  da  Ravano,  e 
trovò  quivi  al  sommo  della  reggia  il  re  de'Racsasi,  terror 


252  RAMAYANA. 

dell'universo,  circondato  da1  suoi  ministri,  come  Vàsava  dai 
Venti,  assiso  sopra  un  trono  eccelso  tutto  d'oro,  splen- 
dido come  il  sole,  e  fiammeggiante  come  il  divo  fuoco 
allor  che  arde  sopra  un  ara  d'  oro.  Egli  avea  dieci  Tacce 
e  venti  braccia,  occhi  fulvi  e  largo  petto,  segni  regali  e 
splendido  corteggio;  era  simile  a  una  densa  nuvola,  con 
ornamenti  d'oro  ben  brunito,  di  braccia  robuste,  di  bian- 
chi denti  e  d'ampio  volto,  torreggiante  come  un  monte; 
eroe  che  non  posson  vincere  in  battaglia  ne  i  Dànavi,  né 
i  Devi,  né  i  Yacsi,  né  i  magnanimi  Risei,  pari  a  lama 
che  tutto  ingoia  con  bocca  spalancata.  Ei  portava  i  segni 
delle  ferite  fattegli  dal  fulmine  d'Indra  nelle  battaglie 
degli  Asuri  e  dei  Devi,  e  le  molte  vestigie  lasciategli  dalle 
zanne  dell'elefante  Airàvata,  ed  era  pesto  per  tutto  il 
corpo  dai  colpi  ricevuti  dal  disco  di  Visnu  e  da  tutte 
l'armi  divine  nella  guerra  ch'egli  ebbe  contro  i  Devi. 
Egli  agita  con  impeto  i  mari  inconquassabili  ;  spezza  i 
vertici  de' monti  e  la  gagliardi  a  degli  eroi;  rompe  ogni 
legge  e  fa  violenza  alle  donne  altrui.  Nella  guerra  dei 
Daityi,  dei  Dànavi  e  dei  Racsasi  egli  grande  curule  guer- 
riero lanciava  teli  a  furia  ed  uccideva.  Da  lui,  penetrando 
nella  Rhogavati  e  vincendo  Vàsuki,  fu  un  dì  rapita  per 
forza  la  diletta  consorte  di  Tacsaka;  da  lui  fu  vinto  con 
impeto  in  battaglia  il  forte  re  Vaisravana  che  ha  sua  sede 
sull'eccelso  monte  Kailàsa,  e  gli  fu  tolto  il  divino  carro 
Puspaka,  carro  moventesi  a  sua  voglia,  tutto  adorno  di 
magioni  e  d' alberi ,  pieno  di  belve  e  d'  augelli  d'  ogni 
sorta  ;  da  lui  fortissimo  fu  per  ira  devastata  la  divina  selva 
Ceitraratha  coi  bei  giardini  degli  Dei,  selva  dilettosa  pe' 
suoi   laghi   coperti    di   ninfee.    Egli  pari  al  vertice   d'un 


ARANYACANDA.  253 

monte  è  atto  colle  sue  braccia  a  precluder  la  via  sul  loro 
nascere  al  divo  sole  e  alla  diva  luna;  egli  grande  cu- 
rule  guerriero  sostenne  in  una  gran  selva  del  Gokarna 
acerbe  macerazioni  per  dieci  mila  anni ,  stando  in  mezzo 
a  cinque  fuochi  e  coi  piedi  levati  in  alto;  onde  poi  licen- 
ziato da  Brahma,  Nume  rapido  come  un  batter  d'occhio, 
ottenne  da  lui  la  facoltà  di  mutar  forma  a  suo  talento;  egli 
è  quel  prode  che  offerse  con  prontezza  a  Brahma  le  sue 
teste  lucenti  come  il  sole  e  guernite  di  denti  simili  a  luna 
che  cresce  (30)  ;  egli  già  più  d' una  volta  nei  sacrifizi  in  cui 
s'  offre  il  sacro  burro ,  contaminò  il  sugo  dell'  asclepiade 
consacrato  dai  Brahmani  con  carmi  solenni.  Sopra  la  città 
di  quel  re  de'  Racsasi  passa  tutto  impaurito  e  rattenendo 
i  suoi  raggi  il  raggiante  sole.  Egli  è  corrompitor  dei  puri 
sacrifìzj,  crudele  ed  empio,  uccisore  dei  Brahmani,  spie- 
tato e  fiero,  sempre  intento  a  nuocere  agli  uomini;  e  non 
teme  d'esser  morto  in  battaglia  nò  dai  Devi,  ne  dai  Dà- 
navi  o  dai  Yacsi ,  ne  dai  Pisaci ,  nò  dai  Racsasi  o  dai  Ser- 
penti, da  nessuno  fuorché  dall'uomo.  Giunta  al  cospetto 
di  Ràvano  suo  fratello,  oppressor  del  mondo  intero,  ter- 
ror  d'ogni  creatura,  e  fattasi  presso  a  lui,  Surpanacha 
deforme  e  irata,  co' suoi  grandi  occhi  accesi,  con  volto 
costernato,  turbata  da  paura  e  da  stupore,  disse  a  quel 
forte  con  salda  voce  fiere  parole. 

CAPITOLO  XXXVII. 

ECCITAMENTO    DI    RÀVANO. 

Allor  la  misera  Surpanacha  piena  d' ira  disse  a  Ràvano 
oppressor  del  mondo  queste  acerbissime  parole  in  mezzo 


254  RAMAYANA. 

ai  ministri  che  lo  circondavano  :  Tn  spensierato  fra  gli 
amori  e  le  delizie,  abbandonato  senza  freno  ai  tuoi  pia- 
ceri non  t' accorgi  d' un  gran  pericolo  che  ti  sovrasta  ed  a 
cui  pur  dovresti  porre  mente.  I  sudditi  disprezzano  come 
il  fuoco  Jaluo  d'un  cimitero  un  re  immerso  in  delizie 
volgari,  cupido  e  sol  dedito  agli  amori.  Il  re  che  a  tempo 
opportuno  non  attende  egli  stesso  alle  sue  bisogne,  perde 
se  stesso,  il  regno  ed  i  negozj.  Gli  uomini  discacciano 
lun<n  da  loro  un  re  che  abbandona  le  rette  norme  dell' 
operare,  che  non  conosce  i  suoi  doveri  e  non  è  libero 
di  se,  come  gli  elefanti  respingono  il  limo  d'un  fiume; 
e  1  re  che  soggetti  ad  altri  non  proteggono  il  lor  reame, 
vivono  vita  oscura ,  come  monti  sommersi  nel  profondo 
dell'Oceano.  Combattuti  dai  Gandharvi  e  dagli  accorti 
Dànavi  come  potranno  mantenersi  i  re  che  operano  senza 
consiglio?  Tali  re,  o  eccelso  duce,  la  cui  guida  è  1'  amore 
e  l'ira,  e  che  dipendono  da  altrui,  sono  simili  a  gente 
volgare  ;  ond'è  che  debbono  i  re  preveder  da  lungi  tutte  le 
cose;  e  perchè  essi  hanno  per  tutto  esploratori,  son  per- 
ciò detti  occhi  che  esplorano.  Io  ti  reputo  inetto  nel  tuo 
operare  e  circondato  da  ministri  volgari;  perchè  tu  ignori 
per  istoltizia,  o  re,  che  il  Ganasthàna  è  divenuto  luogo  di 
strage.  Tu  non  sai  che  Khara  è  stato  ucciso  in  battaglia ,  che 
fu  atterrato  Dùsana  e  che  amendue  quegli  eroi  giacciono  sul 
Ganasthàna  spenti  da  crude  saette.  Dal  prode  Rama,  solo, 
pedestre  e  uomo  furono  uccisi  quattordeci  mila  Racsasi 
di  vigore  ardente,  fu  data  sicurezza  ai  Risei  e  fatta  lieta 
la  regione  Dandaca,  fu  violato  il  Ganasthàna;  e  tu,  o 
Ravano,  trascurante,  cupido  e  sottoposto  ad  altri  non 
t'  accorgi  dell'  orrido  pericolo  che  sovrasta  al  tuo  reame. 


\\\  WYACANDA.  255 

Nessuna  creatura  compatisce  nell'infortunio  a  un  re  ira- 
condo, crudele,  avaro,  trascurato  e  insanamente  orco- 
glioso;  ed  i  nemici  conculcano  nella  sventura  un  re  sde- 
gnoso e  depravato,  arrogante  e  instabile  che  non  pensa  che 
a  se  stesso.  Se  tu  non  ti  dai  pensiero  de  pubblici  negozi 
e  non  temi  nei  pericoli  sovrastanti ,  fra  breve  caduto  dal 
tuo  regno  e  misero,  sarai  simile  a  un  fuscelluzzo  d'erba. 
Si  può  far  qualche  cosa  ancora  d'un  legno  arido  o  d'una 
gleba;  ma  india  si  può  far  più  d'un  re  caduto  dal  suo 
impero  :  colui  che,  benché  idoneo  a  regnare,  ha  per- 
duto il  regno,  è  disutile  come  una  veste  logora,  come 
una  ghirlanda  disfiorata.  Ma  un  re  sollecito,  donno  de' 
suoi  sensi,  memore  de' benefìzj  e  giusto  e  che  conosce 
tutte  le  cose ,  dura  lungamente  nel  suo  impero  ;  il  re  che , 
deposta  l'inerzia  e  l'ira,  veglia  colf  occhio  interno  che 
dirige ,  ancorché  dorma  cogli  occhi  corporei ,  è  da  tutti 
celebrato.  Ma  tu  sei  stolto,  o  Ravano,  e  privo  di  queste 
doti,  tu  che  ignori  una  tanta  strage  de' tuoi  Racsasi!31). 
Tu  disprezzatore  degli  altri,  alieno  dagli  oggetti  più  im- 
portanti, ignaro  nel  discernere  il  tempo  e  il  luogo,  di 
mente  inetta  a  distinguere  il  buono  e  il  reo,  come  sarai 
tu  lungamente  re  dei  Racsasi?  Considerando  nella  sua 
mente  i  suoi  errori  rinfacciatigli  da  Surpanacha,  Ràvano 
possente,  orgoglioso  ed  opulento,  stette  lungamente  fra 
se  pensoso. 


250  RAMAYANA. 

CAPITOLO   XXXVIII. 

DISCORSO  DI  SURPANACHA. 

Allora  Ravano  pien  di  sdegno,  stando  in  mezzo  a' suoi 
ministri,  prese  ad  interrogar  Surpanacha  che  irata  diceva 
parole  acerbe  :  Chi  è  Rama?  onde  vien  egli?  qual  è  la 
sua  prodezza,  il  suo  valore?  perchè  verni' egli  nell'aspra 
selva  Dandaca?  quali  sono  l'armi  di  Rama  da  cui  furono 
spenti  i  Racsasi,  ed  uccisi  in  battaglia  Khara,  Dùsana  e 
Trisiras?  Così  interrogata  dal  re  de' Racsasi,  Surpanacha 
ardente  d'ira  prese  a  narrar  conforme  al  vero  chi  fosse 
Rama  :  Rama  Dasarathide  ha  lunghe  braccia  e  grandi 
occhi;  veste  corteccie  e  nera  nebride  ed  è  per  beltà  pari 
all'Amore.  Ei  tende  un  arco  che  ha  maniglie  d'oro,  si- 
mile all'arco  d'Indra,  e  saetta  dardi  acuti,  pari  a  serpenti 
velenosi.  Appena  io  discerneva  quel  forte,  tanto  era  egli 
impetuoso,  mentr  ei  toglieva  le  orribili  saette,  tendeva 
1'  arco  e  le  lanciava  nella  battaglia;  ma  ben  vidi  distrutto  da 
Rama  con  un  nembo  di  frecce  quel  grande  esercito,  come 
Indra  atterra  le  biade  con  una  pioggia  di  sassi.  Quatto  r- 
deci  mila  Racsasi  terribili  furono  uccisi  da  lui  solo  armato 
d'  arco  colle  sue  saette  acute  ;  furono  spenti  in  battaglia 
Khara,  Dùsana  e  Trisiras;  fu  data  sicurezza  ai  Risei  e 
fatta  felice  la  regione  Dandaca  ;  a  gran  pena  son  io  scam- 
pata sola  e  per  pietà,  perchè  son  donna;  tal  opra  fu  fatta 
da  Rama  che  risparmiò  me  sol  per  disprezzo.  E  fratello 
di  collii  un  che  s'appella  Lacsmano,  forte,  valoroso  e 
prode,  di  segni  eguali  ai  suoi,  fido  e  devoto  a  lui;  egli 


ARANYAGAND  \.  ^:>7 

è  sdegnoso,  invincibile  e  vincitore,  possente,  robusto  e 
fortunato;  egli  è  assiduamente  come  il  braccio  destro  di 
Rama,  come  lo  spirito  suo  che  di  fuor  s'  aggira.  E  con- 
sorte egual  di  Rama  una  donna  illustre  per  nome  Sita, 
leggiadra  e  di  grand' occhi,  di  cintura  sottile  come  il 
giro  d'un  anello  (32).  Io  non  vidi  mai  sulla  terra  donna  né 
Dea,  né  Gandharva,  nò  \acsa,  ne  Kinnara  di  tanta  beltà. 
Colui  di  cui  è  sposa  Sita  e  eh'  ella  abbraccia  con  lieti 
amplessi,  benché  viva  fra  gli  uomini,  è  pari  ad  Indra  fra 
gli  Dei.  Tale  è  Sita,  o  grande  re,  di  beltà  che  non  ha 
pari  sulla  terra;  ella  sarebbe  sposa  degna  di  te,  e  tu  con- 
sorte degno  di  lei.  Ella  ha  grandi  lombi  ed  occhi  del  color 
del  loto ,  e  guardata  da  me  attentamente  ella  rapì  pur 
r  animo  mio  :  se  mai  tu  vedi  Sita  di  volto  soave  come  la 
piena  luna,  tu  sarai  per  certo  ferito  dai  dardi  dell'amore. 
La  voce  di  colei  oltre  ogni  altra  bella,  è  dolce  a  udirsi; 
l'uomo  anche  più  schivo  dell'amore,  veggendo  colei, 
sarebbe  tratto  per  forza  ad  amare.  Se  tu  senti  nascere  in 
te  il  desiderio  di  farla  tua  consorte,  muovi  prontamente 
il  destro  piede  per  conquistarla;  rompi  guerra  a  colui, 
o  signor  dei  Racsasi  ;  giacché  per  la  morte  di  tuo  fratello 
son  fatti  tuoi  nemici  Rama  e  Lacsmano.  Vendica  colla 
morte  del  crudo  Rama  abitator  di  selve  i  tuoi  Racsasi 
trucidati,  e  quando  tu  avrai  ucciso  co' tuoi  dardi  acuti 
Rama  e  il  prode  Lacsmano,  tu  ti  godrai  lietamente  e  con- 
forme al  tuo  piacere  Sita  privata  di  difensore.  Se  ti  piac- 
ciono queste  mie  parole,  o  re  de'  Racsasi,  recale  ad  effetto 
senza  esitare;  tu  non  Irowerai  facilmente  un'  altra  gioia  pari 
a  questa;  poni  a  morie  l'iniquo  Rama  ardente  nel  com- 
battere e  Lacsmano  con  esso  :  considerato  attentamente 
ii.  33 


258  RAM  U  \N  V 

ciò  che  la  all'uopo  nella  battaglia  e  giova  al  fine,  adempì 
il  mio  desiderio.  Allora  Piavano  persecutor  dei  re,  udito 
il  discorso  prolTerito  da  colei  e  funesto  alla  schiatta  dei 
Racsasi,  prese  lieto  ed  esultante  un  consiglio  che  dovea 
perdere  la  sua  stirpe. 

CAPITOLO    X\\l\. 

ANDATA     ALL'EREMO    DI     MARÌCA. 

Coni' ebbe  inteso  le  parole  orribili  di  Surpanacha,  lui- 
vano,  licenziali  i  suoi  ministri,  si  diede  a  rivolger  nella 
sua  mente  quello  che  fosse  da  farsi;  e  poich'ebbe  esa- 
minato e  considerato  ogni  cosa  appieno,  ponderando  il 
manco  e  il  più  del  bene  e  del  male,  disse  fra  se  :  Così 
dee  farsi!  e  fermato  quivi  il  suo  animo,  se  n'andò  saldo 
in  quel  disegno  alla  bella  stanza  dov' eran  riposti  i  suoi 
carri,  e  giunto  colà  nascostamente,  il  re  de' Racsasi  disse 
eccitando  il  suo  auriga  :  S'  appresti  subilo  il  mio  cocchio. 
Avuto  quell'  ordine,  1'  auriga  rapidissimo  si  diede  in  quel 
momento  stesso  ad  apprestare  il  rilucente  e  bel  carro  di 
Ravano,  fornito  d'ogni  suo  arredo  e  adorno  di  vessilli;  e 
l'illustre  re  de'  Racsasi  salito  su  quel  fulgido  carro  adorno 
d'oro,  moventesi  liberamente  e  tirato  da  asini  che  avean 
facce  di  Pisàci  e  ornati  d'oro,  s'avviò  verso  l'Oceano. 
Stando  su  quel  carro  aurato,  col  bianco  ombrello  e  col 
candido  ventaglio,  con  divini  ed  aurei  ornamenti,  il  re 
de'  Racsasi  simile  al  Dio  Indra  così  risplendeva  come  una 
nube  in  cielo  circondata  di  grue  e  incoronata  di  baleni  (33). 
Quel  possente   riguardando  i   monti  e  l' umide  piagge , 


\i;  \\v\<;  \\i)\.  259 

giunse  quindi  alla  riva  del  belio  e  sonante  Oceano,  pieno 
d'esseri  diversi ,  dove  eguale  e  dove  vario,  tutto  circondato 
da  gruppi  di  pandani  odorosi,  misti  con  alberi  di  eocco, 
da  soree,  da  paline,  da  elati  paludose,  da  pentaptere,  da 
belle  nauelee  cadambe  e  da  più  altri  alberi  diversi ,  adorno 
di  grandi  romitaggi  abitali  da  sommi  Risei,  ingombro  di 
riviere  che  ban  chiare  e  fresche  acque,  abbellito  da  schiere 
di  -\aghi,  di  Kinnari  e  di  Suparni,  di  Gandharvi  e  di  pi i 
Siddhi  vincitori  dell1  amore.  Ei  contemplava  le  biancheg- 
gianti case  di  diletto,  mirabili  a  vedersi,  cinte  di  ghir- 
lande divine  ed  abbellite  dalle  Apsarase  di  beltà  divina, 
adorne  di  serti  e  d'ornamenti  celesti,  conoscitrici  d'osmi 
maniera  di  giochi  e  di  diletti;  ei  guardava  gli  Uttara- 
kuru  (34)  e  le  montagne  eccelse,  i  luoghi  abitati  dalle 
schiere  dei  Dànavi  e  dei  Devi  desiderosi  dell'ambrosia, 
e  risonanti  d'  ogni  parte  del  canto  dei  sàrasi  e  dei  cigni; 
ei  vide  d'ogni  intorno  rallegrati  da  canti  e  da  suoni  i 
carri  celesti  di  coloro  che  acquistarono  il  cielo  colla  virtù 
del  loro  ascetismo,  dei  Gandharvi  e  delle  Apsarase  cor- 
renti qua  e  là,  cumuli  di  coralli,  di  perle  e  di  conche  ma- 
rine, di  lapislazzoli  e  d' altre  gemme  apparecchiati  da  co- 
loro che  vivono  cercando  perle ,  selve  dilettose  di  kakkoli  (35) 
e  di  cassia,  d'agalloco  e  di  xanthocymo  e  arbusti  di  pepe, 
più  monti  aurati  ed  altri  argentei,  laghi  di  limpide  acque 
e  rivi  alpestri,  città  fertili  e  ricche,  popolate  di  donne 
leggiadre,  piene  di  cavalli,  di  carri  e  d'elefanti.  Guar- 
dando que  vari  oggetti,  ei  pervenne  al  romitaggio  del  pio 
Munì  Sindhuràga  portante  la  chioma  ravvolta  a  modo 
ascetico;  oltrepassato  rapidamente  quell'eremo,  Kàvano 
camminante  per  aria  vide  poco  dopo  un  albero  immenso 


160  RAMAYANA. 

di  ficaia,  simile  ad  una  losca  nuvola  e  frequente  di  l'osci, 
i  cui  rami  si  stendevano  tutto  intorno  cento  yo^ani.  So- 
pra un  ramo  di  quell'albero  venne  un  dì  a  posarsi  il  Torte 
Garuda  tenendo  fra  gli  artigli  un  elefante  smisurato  ed 
mia  testuggine  eh'  ci    voleva  divorare.   Ma  quel   forte  e 

oa  I 

eccelso  augello  ruppe  col  suo  impeto  e  col  suo  peso  il 
grande  ramo  della  ficaia  tutto  carico  di  foglie,  al  quale 
s'appoggiavano  i  sommi  Risei  Vaikhànasi,  Siddhi,  Bàli- 
chilyi  e  Mancipi  estenuati  dall'ascetismo,  e  sopra  cui  sla- 
vano raccolti  a  mille  a  mille  i  grandi  Risei,  Agi,  Vàgini, 
Mesci  ed  Urdhvaretasi  (3G).  Mosso  a  pietà  di  coloro  Ga- 
ruda,  preso  quel  ramo  lungo  ben  cento  yogani  e  Tele- 
fante  colla  testuggine,  se  n'andò  rapidamente;  e  divo- 
rate nella  region  dei  Nisàdi  le  carni  di  (/nei  due  animali, 
quel  grande  e  giusto  augello  percosse  con  quel  ramo  la 
regione  dei  Nisàdi ,  e  liberati  i  grandi  Risei ,  fu  egli  oltre- 
modo  lieto.  Cresciutagli  a  doppio  per  quella  gioia  la  mi- 
rabile sua  forza,  si  dispose  egli  a  rapir  l'Amrita,  e  rotta 
la  casa  di  ferro,  rotta  la  casa  d'oro,  ei  rapì  dalla  magione 
d' Indra  l'Amrita  ebe  v'era  custodita.  Mostrala  la  sua 
forza  e  liberati  i  Risei ,  si  tenne  assai  contento  quel  grande 
augello.  Ravano  vide  quella  ficaia  per  nome  Sucandra 
abitata  da  sebiere  di  grandi  Risei,  che  portava  impresse 
ancora  le  vestigie  di  Suparna.  Pervenuto  all'altra  riva  del 
mare  signor  dei  fiumi,  ei  vide  dentro  una  selva,  in  un 
luogo  solitario,  ameno  e  puro,  un  romitaggio,  e  quivi  ei 
trovò  il  Racsaso  Marìca  vestito  di  nera  nebride  e  colla 
chioma  ravvolta  a  modo  ascetico,  il  qual  vivea  in  digiuni. 
Accontatosi  con  esso  ed  onorato  da  lui  convenevolmente, 
Ràvano  destro  al  favellare  così  prese  quindi  a  dire  (37). 


ARANYACANDA.  261 

CAPITOLO   XL. 

DISCORSO  DI  RÀVANO. 

Ascolta,  o  Marìca,  le  parole  che  io  son  per  dirti;  io 
sono  afflitto,  e  tu  sei  oggi  il  supremo  rifugio  della  mia 
afflizione. Fra  molte  migliaia  di  Nairriti  (Racsasi)  raccolti, 
non  ho  compagno  alcuno  uguale  a  te  in  battaglia,  o  eroe. 
La  forza  che  hanno  mille  robusti  elefanti,  irati  e  furibondi, 
tale  forza  si  trova  in  te,  o  Marìca.  La  tua  forza  è  immensa, 
o  amico,  e  ben  ne  fui  io  più  volte  soddisfatto ,  stando  in 
battaglia  fra  schiere  nemiche ,  allor  che  tu  t1  accendevi  ad 
ira.  Tu  sei  abile  a  secondare,  abile  a  far  impeto;  io  non 
veggo  in  Lanka  un  forte  che  sia  tuo  pari.  Tu  non  dei  oggi 
rompere  la  fiducia  che  ho  posto  in  te;  bisognoso  del  tuo 
aiuto  io  venni  qui  a  richiederti  ;  tu  eseguisci  quel  eh'  io 
ti  dico.  Tu  conosci  il  Ganasthàna,  dove  per  mio  comando 
han  posto  loro  sede  mio  fratello,  il  forte  Dùsana  e  Sur- 
panacha  mia  sorella,  Y  ardente  Trisiras  Racsaso  carnivoro 
e  più  altri  Racsasi  eroi  abili  a  ferir  nel  segno,  travagliando 
in  quella  gran  selva  i  pii  asceti.  Quei  quattordeci  mila 
Racsasi  terribili  e  fortissimi  che  abitano  ora  il  Ganasthàna 
sotto  gli  ordini  Khara,  usi  a  ferir  dritto  nel  segno,  ven- 
nero, siccome  io  udii,  a  battaglia  con  Rama,  punti  da 
lui  acerbamente;  e  senza  averlo  in  nulla  offeso  con  parole, 
que'  quattordeci  mila  Racsasi  furono  dall'  iroso  Rama , 
pedestre  e  uomo,  sconfitti  in  battaglia  sul  Ganasthàna  con 
saette  simili  a  serpenti  :  fu  ucciso  Khara  combattendo , 
Dùsana  e  Trisiras  :  hi  data  sicurezza  ai  Risei  e  falla  lieta 


262  RAMAYANA. 

la  regione  Dandaca.  Quel  Rama  figlio  d'una  donna  disa- 
mata, che  fu  dal  padre  irato  e  compiacente  alla  donna 
che  amava,  cacciato  in  esilio  colla  sua  sposa  e  con  Lac- 
smano  suo  fratello;  quel  disonor  dei  Csatri,  quell'uomo 
scostumato,  duro,  stolto,  cupido,  violento  e  dominato 
dai  suoi  sensi,  è  colui  che  distrusse  quell'esercito!  Quell' 
uom  che  ha  abbandonato  e  più  non  conosce  la  giustizia, 
intento  a  nuocere  alle  creature,  the  venne  colà  in  sem- 
bianza (/'asceta  colla  sua  sposa,  vestito  di  corleccie  e  ar- 
mato d'arco,  è  colui  che  senza  inimicizia  ha  di  (formato 
nella  selva  Dandaca,  col  tagliarle  orecchie  e  naso,  una 
sorella  che  solo  si  fidava  nella  propria  forza!  E  sposa  di 
colui  una  donna  dai  grand'  occhi  che  s'appella  Sita,  dotata 
di  beltà  e  di  giovinezza,  splendida  come  Lacsmi  Apadma(;i8); 
andando  al  Ganasthàna  io  rapirò  oggi  per  forza  quella 
donna  bellissima  sulla  terra,  siami  tu  compagno  in  quest' 
andata  ;  perocché  se  io  ho  per  compagno  al  mio  fianco  te, 
o  forte,  non  mi  do  pensiero  alcuno,  ancorché  venissero 
con  me  a  battaglia  tutti  quanti  gli  Dei  con  India;  onde 
siami  tu  compagno,  o  Racsaso.  Tu  sei  valente  e  non  v'ha 
alcun  altro  eguale  a  te  per  senno,  per  forza  e  per  prodezza: 
a  questo  fine  io  qui  venni  a  visitarti,  o  domator  de' tuoi 
nemici;  fammi,  o  Marìca,  questo  servigio  e  non  me  lo 
disdire.  So  che  tu,  o  valoroso,  te  ne  stai  qui  ora  ralfre- 
nato  nella  selva  degli  asceti;  ma  questa  cosa  è  di  grande 
rilievo;  perciò  io  te  ne  ragiono.  In  quanto  a  ciò  che  tu 
venendo  colà,  hai  a  fare  per  compiacermi,  ascolta,  o  forte 
e  prode,  le  mie  parole  :  presa  forma  d'un  cervo  aurato, 
tempestato  di  macchie  d'argento,  tu  t'andrai  aggirando 
nel  romitaggio  di  Rama  innanzi  a  Sita;  ei  non  v'ha  club- 


ARANYACANDA.  263 

bio  che  colei  uscendo  e  veggendoti  in  forma  di  bel  cervo, 
dirà  a  Lacsmano  e  al  suo  sposo  :  Prendetemi  quel  ce  ero. 
Dilungatisi  da  lei  Lacsmano  e  Rama  e  rimasta  Sit.i  tutta 
sola  senza  alcun  che  la  protegga,  io  la  rapirò  a  mio 
grand' agio,  come  Ràhu  rapisce  la  luce  della  luna.  Tu 
robusto  e  dotato  di  rapido  vigore  sei  abile  a  fuggire;  e 
sei  per  la  Ina  prodezza  allo  alla  gravila  di  questa  impresa; 
neppur  uno  fra  i  Racsasi  terribili  uccisi  sul  Ganasthàna  era 
uguale  a  le,  nò  Kbara,  nò  Dùsana,  nò  Trisiras.  Allor  che 
Rama  e  Lacsmano  si  saran  messi  sulla  tua  traccia,  e  ch'io 
avrò  rapita  Sita  e  fatta  Surpanacha  lieta,  allorché  Rama 
contristato  dal  ratto  della  sua  sposa  avrà  perduto  senza 
dubbio  ogni  vigore,  io  me  n'andrò  securo  e  con  animo 
soddisfatto.  Compiacimi  di  questo,  io  te  ne  prego;  io 
non  ho  compagno  miglior  di  te;  tu  discernendo  colla  tua 
mente  quel  che  è  da  farsi  e  il  tempo  opportuno,  sempre 
disponi  all'uopo  gli  spedienti  più  acconci.  MMa  arica  ec- 
citato dalle  parole  di  Ravano  a  quel  gran  cimento  e  tutto 
perturbato  dalla  conoscenza  che  ha  del  valor  di  Rama, 
rispose  con  atto  reverente  queste  parole  utili,  giuste  e 
grandemente  conformi  all'uopo. 

CAPITOLO   XLL 

DISCORSO  DI  MARICA. 

E  facile,  o  re,  il  trovar  uomini  che  dicano  sempre  cose 
care;  ma  è  diffìcile  il  trovare  chi  dica  e  chi  ascolti  cose 
utili  ma  discare.  Tu  troppo  pronto  e  mal  informato  non 
conosci  certamente  qua!  sia  la  forza  ,  quale  il  valor  di 


20/i  RAMAYANA. 

Rama  pari  ad  Indra  e  a  Varuna.  Se  s'accende  guerra  Ira 
le  e  Rama,  sappi,  o  re,  che  sovrasta  mi  gran  pericolo  ;i 
tutta  quanta  la  stirpe  Racsasa.  Oh  sian  salvi,  o  caro,  sulla 
terra  tutti  i  Racsasi,  né  Rama  irato  li  disperda  da  questo 
mondo  !  Tu  debole  desideri  per  insania  assalire  in  batta- 
glia Rama  che  ha  valor  straordinario ,  forza  e  prodezza 
maravigliosa;  deh  non  sia  nata  per  la  tua  morte  la  figlia 
di  Ganaca!  deh  per  cagion  di  Sita  non  t'avvenga  qualche 
grande  sventura!  oh  sian  salvi  il  tuo  figlio  e  la  tua  stirpe, 
e  non  t'abbandoni,  o  Ravano,  la  splendida  tua  fortuna! 
non  pera  la  città  di  Lanka  con  te  e  co'  suoi  Racsasi ,  per- 
chè le  toccò  d'  aver  per  re  te  dissoluto  e  senza  freno  !  I  re 
tuoi  pari,  stolti,  perversi  e  ingiusti,  dominati  dall'amore 
e  dai  loro  sensi,  perdono  se  stessi,  la  lor  gente  e  il  regno. 
I  vizi  che  tu  apponevi  poc'anzi  a  Rama,  ti  furon  falsa- 
mente rapportati,  o  Racsaso;  Rama  è  magnanimo  e  di  gloria 
altissima;  ei  non  fu  abbandonato  dal  padre,  ei  non  è  in- 
giusto per  alcun  modo  ;  non  è  vero  che  i  suoi  sudditi 
abbian  rimosso  da  lui  l'animo  loro,  né  che  i  Brahmani 
gli  siano  avversi;  quel  forte  non  è  rotto  al  vizio,  non  è 
privo  di  segni  regali,  non  è  reo,  non  è  malvagio,  non  è 
il  disonor  dei  Csatri;  Rama  non  è  duro,  non  è  stolto, 
non  è  in  balia  de' suoi  sensi;  quel  che  tu  dicesti  di  lui, 
non  è  vero,  né  fedelmente  riferito,  o  Racsaso  :  quel  figlio 
di  Kausalya  non  è  privo  di  virtù  né  di  giustizia ,  non  è 
violento  né  inteso  a  far  danno  alle  creature.  Questi  di- 
fetti non  sono  in  Rama;  le  tue  parole  non  son  vere;  tu 
fosti  mal  informato,  o  eroe;  Rama  è  pieno  di  virtù. 
Quand'  ei  conobbe  che  il  veridico  suo  padre  era  stato 
ingannato  da  Caiceyi,  disse  allor  quel  pio  :  Farò  quel  che 


ARANYACANDA.  265 

promise  il  padre,  e  se  ne  venne  fra  le  selve  :  solo  per  lai- 
cosa  cara  a  Caiceyi  ed  a  Dasaratha  suo  padre,  egli  abban- 
donando il  regno  e  le  delizie,  s'avviò  alla  selva  Dandaca. 
Rama  è  come  la  Giustizia  vestila  di  corpo  umano:  eeli  è 
buono  e  fedele  alle  sue  promesse,  dolce,  ben  costumato, 
modesto  e  non  superbo;  egli  ha  tutte  le  virtù  ed  è  puro 
da  ogni  macchia;  egli  è  re  del  mondo  intiero,  come  Và- 
sava  è  re  degli  Dei.  Come  mai  vuoi  tu,  o  stolto,  rapir  la 
Videhese  protetta  dal  valor  di  Rama  ?  egli  è  come  se  tu 
volessi  rapir  la  luce  al  sole.  Colui  qualunque  ei  sia  che 
rapirà  la  consorte  egual  di  Rama,  la  nuora  di  Dasaratha, 
non  potm  difender  la  sua  vita,  avesse  egli  anche  gli  Dei 
per  suo  rifugio.  Oh  non  voler  gettarti  a  furia  nell'ardente 
e  irresistibile  fuoco   di  Rama,  che   ha  in   battaglia  per 
fiamme  le  sue  saette  e  per  esca  il  terribile  suo  arco!  non 
volere,  o  amico,  assalir  Rama  leone  nella  selva,  il   cui 
arco  n  è  a  guisa  di  bocca  ardente  e  aperta ,  le  cui  saette 
ne  son  la  lingua,  e  i  teli  le  orride  giubbe  !  non  tentar  tu  re 
volgare  di  scuoter  Rama  monte  eccelso,  che  ha  per  metalli 
la  sua  sapienza,  per  vertice  la  sua  virtù,  per  floride  selve 
la  sua  bellezza!  non  tentar  di  superare  colle  tue  braccia 
Rama  Oceano  inconquassabile,  la  cui  mente  è  la  sponda 
che  lo  serra,  e  il  vibrante  suon  dell1  arco  n'è  lo  strepito! 
non  volere  inopportunamente  provocar  Rama  Dio  della 
morte,  che  ha  per  iscettro  la  sua  spada,  il  suo  arco  per 
catena,  i  suoi  dardi  per  ventre  che  divora!  Se  tu  hai  cari 
il  regno,  la  felicità,  le  delizie  eia  tua  vita,  tu  non  dei 
assalire  l'inclito  Rama.  E  immensa  la   forza  di  colui,  di 
cui  è  sposa  a  lui  più  cara  che  la  vita,  la  figlia  di  Ganaca 

costantemente  a  lui  devota;  tu  non  sei  alto  a  rapir  la  bolla 

11.  ;, 


666  RAMAYANA. 

Sita  difesa  dal  braccio  e  dalla  forza  di  Rama,  come  non 
potresti  rapirla  fiamma  d'un  fuoco  ardente.  A  che  li 
gioverebbe,  o  re  de1  Racsasi ,  il  Far  questa  inutile  prova? 
tosto  che  ci  vedrà  egli  in  battaglia,  saia  finito  il  viver 
nostro;  il  regno,  la  tua  vita,  la  tua  prosperità  sì  difficile 
a  conseguirsi,  ogni  tua  cosa  è  messa  a  repentaglio,  se 
tu  sei  stretto  da  Rama.  Ritorna  alla  tua  città  smettendo 
Tira;  sia  tu  moderato,  0  re,  e  delibera  co' tuoi  consi- 
glieri sopra  la  gravità  e  la  leggerezza  di  (juesta  impresa. 
Si  raccolgano  intorno  a  te  tutti  i  tuoi  ministri ,  e  ti  con- 
siglia in  ogni  cosa  con  Vibìsana  principe  de'Racsasi;  ei  ti 
dirà  quel  che  è  per  te  migliore;  interroga,  o  re,  Trigata 
perfettissima,  grande  in  ascetismo  e  pina  d'ogni  colpa; 
ella  ti  dirà  ciò  che  l'è  salutare.  Tu  non  dei  pigliarli 
troppo  a  cuore  ciò  che  per  cagion  di  Dùsana,  di  Trisiras 
e  di  Khara,  di  Surpanacha  e  degli  altri  Racsasi,  t'adira 
e  ti  contrista;  perdonami  ,  o  re  dei  Racsasi.  Quando  tu 
avrai  ben  ponderato  1'  efficacia  e  la  debolezza  dei  viz]  e 
delle  virtù,  conosciuto  la  tua  forza  e  il  valor  di  Rama, 
consultato  con  tutti  i  tuoi  ministri  e  veduto  quel  che  sia 
opportuno  per  1' avvenire ,  eseguiscilo  tu  allora.  Ma  io  ho 
ferma  opinione  che  a  te  non  conviene  entrare  in  battaglia 
con  quel  figlio  del  re  dei  Cosali.  Or  ascolta,  o  re  dei 
Racsasi,  le  nuove  mie  parole  gravi,  opportune  e  salutari. 

CAPITOLO  XLII. 

DISCORSO    DI    MARÌCA. 

Poiché  il  saggio  Marìca  ebbe  in  tal  modo  parlato  a 
Ravano  re  dei  Racsasi,  cosi  prese  egli  di  nuovo  a  dire  : 


\K  \i\V\<;  \M)A.  267 

lo  conosco  la  tua  origine,  conosco  la  tua  forza,  conosco 
iltuo  vigore,  conosco  la  tua  prodezza.  Un  dì  io  somigliante 
ad  una  nuvola,  ornato  if  ninnile  di  lucid'oro  andava  al- 
lodio per  la  selva  Dandaca,  cibandomi  di  carni  e  di  san- 
ane Armalo  di  clava  e  cinto  di  diadema,  dolalo  di  forza 
pari  a  quella  di  mille  elefanti,  grandeggiante  come  un 
monte  io  portava  terrore  in  ogni  creatura.  Circondalo  da 
Raesasi  antropofago  tremendi  e  fieri,  io  abitava  la  selva 
Dandaca,  pascendomi  delle  carni  dei  Risei.  Ma  in  un'ora 
fatale  io  pervenni  al  romitaggio,  dove  dimorava  il  grande 
e  pio  Mimi  Visvamitra.  Pervenuto  colà  inavvedutamente 
col  mio  séguito,  fui  visto  da  quegli  asceti  ebe  rimasero 
sbigottiti;  ma  nell'ora  ebe  que'Risci  se  ne  stavano  sprovve- 
dili i  o  soli ,  od  eran  eoli  animo  tutto  intento  al  sacrifizio, 
io,  o  re  de'  Racsasi,  faceva  d'  essi  una  grande  strage.  Ben 
io  penso  che  que' puri  e  grandi  Mimi,  ove  fossero  vigili 
e  s'adirassero,  potrebbero  ardere  un  fuoco  acceso;  ma 
avendo  riguardo  a  non  uccidere  alcuna  vivente  creatura , 
(pie1  Risei  simili  a  fuoco  contenevano  lo  sdegno  che  avrebbe 
distrutto  il  loro  ascetismo.  Ma  il  grande  e  pio  Mimi  Visva- 
mitra vincitor  dell'ira  andatosene  al  re  Dasaratba,  così  gli 
disse  :  Venga  sollecito  a  proteggermi  nel  dì  del  plenilunio 
questo  tuo  Rama;  m'è  nata,  o  re,  un'orribile  paura  del 
Racsaso  Marica,  perciò  desidero  d'esser  protetto  quando 
verrà  il  giorno  del  plenilunio.  Io  avea  già  dato  principio, 
o  re,  al  sacro  rito  che  dee  compiersi  in  quel  giorno; 
(piando  giunse  colà  co' suoi  seguaci  il  Racsaso  Marica; 
per  questo  io  venni  pien  di  paura  innanzi  a  te,  e  desidero 
essere  assicuralo  e  protetto  contro  quel  Racsaso.  L'illustre 
e   pio  re  Dasaratha  così   richiesto  rispose  al  gran  Mimi 


208  RAMAYANA. 

Visvamitra  :  Non  aver  timore,  o  gran  Brahmano,  di  quel 
Racsaso,  benché  egli   abbia  terribile  forza:  ed  accordò 
quindi  al  saggio  Visvamitra  un'oste  quadripartita  capita- 
nata dal  suo  duce  :  ma  il  Brahmano  non  accettò  quell' 
oste  datagli  dal  grande  re.  Allora  il  re  Dasaratha  di  forza 
eguale  ad  India,  preso  un  grande  esercito,  si  dispose  a 
marciare  egli  stesso;  ma  il  pio  Visvamitra,  rendute  grazie 
all'illustre  re  simile  ad  India,  così  gli  disse  :  Che  farò  io 
d'un  esercito,  o  eccelso  re?  che  farò  io  di  te  affranto 
dall'età?  donami   Rama  solo.   Udite  quelle  parole,  il  re 
Dasaratha  così  rispose  al  saggio  Mimi  :  Questo  Rama  che 
tu  chiedi,  ha  quindeci  anni  appena  ed  è  inesperto  di  bat- 
taglie; come  potrà  egli  star  solo  a  fronte  di  quel  Racsaso? 
Questo  adolescente  dagli  occhi  di  tenero  cervo,  di  facoltà 
non  ancor  mature,  non  può  resistere  a  quel  gran  Racsaso; 
abbi  di  me  pietà,  o  venerando.  Al  re  che  così  favellava 
rispose  il  Mimi  :  Nessuna  forza  al  mondo  altra  che  Rama 
è  atta  a  resistere  a  quel  Racsaso;  tuo  figlio  dalle  grandi 
braccia,  benché  adolescente,  è  valevole  a  contener  colui; 
io  me  n'andrò  con  Rama;  sia  tu  felice,  o  re.  Chi  potrà 
colla  sua  forza  offender  Rama  da  me  protetto?  Allora  il 
re  rincorato  così  parlò  al  Raghuide  :  Tu  andrai  dunque 
nelle  selve  insieme  con  quel  gran  Risei.  Udita  la  parola 
del  padre,  egli  rispose  :  Così  farò;  ed  intesa  la  risposta 
di  Rama,  il  re  dopo  aver  fra  se  pensato  alquanto,  disse 
al  Mimi  Visvamitra  :  Or  via  parti.  Allora  il  Munì  Visva- 
mitra di  saldi  voti,  preso  con  se  il  figlio  del  re,  s'avviò 
tutto  lieto  alla  selva  Dandaca.  Pervenuto  all'  eremo  di  Vis- 
vamitra, essendo  già  convenuti  i  Brahmani  e  vicino  il  dì 
del  plenilunio,  quel  possente  figlio  del  re,  ricevute  l'armi 


\K  \\Y\C\\1)\.  269 

da  Visvamitra,  se  ne  stelle  colà  gran  tempo  Fermo  e  coli' 
arco  teso.  L'inclito  Rama  adolescente  e  imberbe,  di  color 
ceruleo  e  di  begli  ocelli,  adorno  di  cincinni,  armato  d'arco, 
cinto  di  splendide  armille  ed  illustrante  col  suo  fulgore 
acceso  la  selva  Dandaca ,  somigliava  in  quel  punto  alla 
nuova  luna  nascente.  Allora  io  ,  presa  la  forma  che  più 
m'era  a  grado,  pari  al  vertice  d'un  gran  monte  e  stando 
al  sommo  dell'  atmosfera  come  una  mattutina  nuvola  au- 
tunnale, forte  e  superbo  dei  doni  avuti  ,  me  ne  venni 
a  quel  romitaggio  e  v  entrai  subitamente  veduto  da 
Rama.  Ma  subito  che  mi  vide,  egli  senza  turbarsi  incordò 
l'arco;  ed  i  Racsasi  robusti  che  mi  stavano  a  fianco,  visto 
quel  garzoncello  armato  d'  arco ,  lo  trattarono  con  piglio 
arrogante:  e  disprezzando  Rama  per  istoltizia,  perchè 
egli  era  adolescente,  corsero  impetuosi  ad  assalire  Visva- 
mitra. Ma  Rama  scoccando  una  gran  saetta  sonante  come 
il  fulmine,  mi  ferì  al  cuore  e  mi  rapì  dall'atmosfera. 
Quindi  quel  garzone  dai  grand'  occhi  scoccò  migliaia 
d'altre  saette,  facendo  rotare  il  mio  corpo  e  squarciandolo 
in  mille  guise.  Dopo  avermi  fatto  per  disprezzo  girare 
attorno  per  lo  cielo  come  un  augello,  mi  sospinse  con 
grand'  impeto  alla  riva  opposta  dell'  Oceano  :  gettato  colà 
a  furia  di  saette  io  rimasi  fuor  di  senso;  e  ricuperato 
poscia  il  sentimento,  con  gran  pena  me  ne  ritornai  alla 
città  di  Lanka.  Ma  i  forti  Racsasi  che  m'eran  compagni, 
furono  da  Rama  atterrati  in  un  momento.  Così  io  scam- 
pai per  caso  allora  dalle  sue  mani  in  quello  scontro ,  e  fui 
ridotto  già  è  gran  tempo  a  tale  stato  da  Rama  adolescente 
ed  inesperto  di  battaglie.  Che  cosa  sarà  egli  ora  che  Rama 
è  dotato  di  vera  forza  ed  esercitato  nel!'  armi  ?  Onde  se 


270  RAMAYANA. 

lu,  benché  da  me  distolto,  entrerai  in  battaglia  con  Rama, 
tu  cadrai  prontamente  in  qualche  orribile  sventura  donde 
più  non  potrai  venire  a  riva;  tu  proccurerai  dolori  inutili 
ai  tuoi  Racsasi  che  or  vivon  lieti  in  leste  ed  in  conviti  ed 
in  ogni  maniera  di  giochi  e  di  diletti.  Per  causa  di  Sila 
tu  vedrai  tutta  sottosopra  la  città  di  Lanka  piena  di  case 
e    di   palagi,  adorna  di  varie  e  belle   merci;    tu    vedrai 
nella  polvere  spenti  da  Rama   in  battaglia  i   Racsasi  che 
spargon  di  sandalo  prezioso  i  loro  corpi  e  s'adornano  di 
splendidi  ornamenti;  perocché  per  le  colpe  altrui,   per 
la  comunanza  coi  malvagi  periscono  i  buoni  che  non  han 
colpa,  come  i  pesci  in  un  lago  pieno  di  serpenti.    Non 
volere,  o  re,  esser  causa  di  duolo  ai  Racsasi  e  di  gioia  ai 
tuoi  nemici;  non  voler  mettere  a  repentaglio  te  stesso  e 
la  tua  stirpe.  Tu  vedrai  i  tuoi  Racsasi  scampali  allo  ster- 
minio fuggir  per  ogni  parte  colle  lor  donne  o  vedovati  , 
senza  trovar  rifugio  :  tu  vedrai  senza  dubbio  Lanka  op- 
pressa da  nembi  di  saette ,  cinta  dalle  fiamme  ed  incendiate 
le  sue  case;  per  cagion  di  Sila  dovranno  fuggire  qua  e  là 
centinaia  intiere  di  donne  che  formano  la   tua  corte,   o 
Ravano;  tu  rapirai  la  Videhese,  o  re,  per  la  rovina  di  le 
stesso,  della  città,  del  gineceo  e  de1  tuoi  Racsasi.  Venuto 
a  battaglia  con  Rama,  presto  tu  perderai  il  tuo  onore,  la 
tua  potenza,  il  regno,  le  tue  donne  e  la  cara   tua  vita; 
l  orgoglio  che  tu  hai,  o  grande  re,  quando  ti  glori!  d1  aver 
vinto  più  volte  tutte  le  schiere  degli  Dei,  ti  sarà  tolto  da 
Rama.  Se  tu  desideri  fruir  lungamente  le  delizie,  la  po- 
tenza, il  regno  e  la  cara  tua  vita,  non  provocar  con  offese 
Rama.  Ove  tu,  benché  vivamente  dissuaso  da  me  che  son 
tuo  amico,  voglia  per  forza  rapir  Sita,  te  n1  andrai,  spento 


ARANYACANDA,  271 

in  battaglia  dalle  saette  di  Rama  e  col  corpo  (listini lo,  alle 
sedi  del  re  ilei  morti. 


CAPITOLO   XLIM. 

DISCORSO    DI    MARICA. 

Dopo  aver  detto  quivi  a  Piavano  re  de'Racsasi  quelle 
parole  vere,  opportune  ed  utili,  Marica  così  proseguì  a 
parlare  :  Tu  sai,  o  grande  re,  come  nella  guerra  dei  Devi 
fu  il  mio  corpo  duramente  ferito  dai  colpi  del  fulmine 
d'Indra;  io  fui  percosso  nelle  mie  membra  dal  disco  di 
Visnu,  inaverato  da  un  nembo  di  saette,  oppresso  dall' 
armi  diverse  delle  schiere  dei  Danavi  e  dei  Daityi.  Inol- 
tre io  baldanzoso  per  arrogante  orgoglio  dei  doni  ricevuti 
venni  da  Rama  solo,  pedestre  e  uomo,  adolescente  ornalo 
di  cincinni  ed  inesperto  dell'armi,  ferito  al  cuore  da  una 
saetta  e  sospinto  nel  mare  da'  suoi  dardi  ;  e  pur  così  scam- 
pai per  caso  dalle  sue  mani  in  quello  scontro.  Ora  ascolta, 
o  Racsaso,  altri  miei  fatti.  Io,  ripreso  animo  malgrado  la 
mia  disfatta,  entrai  con  due  Racsasi  in  sembianza  di  cervo 
nella  selva  Dandaca;  con  lingua  ardente,  con  gran  corpo 
e  con  corna  acute  io  m'  aggirava  pien  di  forza  nella  selva 
Dandaca,  pascendomi  delle  carni  dei  Risei.  Fra  l'are,  fra 
il  sacro  fuoco,  fra  gli  alberi  sacri  di  ficaia  io  divorava  gli 
asceti  estenuati  da  digiuni  infiniti,  bevendo  il  loro  san- 
gue; e  gettati  a  terra  i  pii  Mimi,  io  li  uccideva  nella  selva 
Dandaca.  Intrepido  e  securo,  ebbro  di  sangue,  o  re,  io 
m'aggirava  per  la  selva  Dandaca,  corrompendo  le  pie 
opre  dei  Munì.  Mentre  io  con  Dusana  andava  così  attorno 


272  RAMAYANA. 

per  quella  foresta,  incontrai  nella  selva  Rama  asceta,  de- 
dito a  pii  ufFicj  e  con  lui  l'inclita  Videhese  e  il  forte 
Lacsmano  astinente  asceta  anch'esso,  vestito  di  nera  ne- 
bride e  di  corteccie.  Io  disprezzando  il  prode  Rama  fatto 
abitator  di  selve,  perchè  lo  vedeva  in  sembianza  d'  asceta, 
e  rammentandomi  l'antica  inimicizia,  preso  da  ira  e  da 
insania  dissi  con  ardor  veemente  ai  due  Racsasi  mici  com- 
pagni :  Ecco  per  noi  un  lauto  pasto.  Quindi  fiancheggiato 
dai  due  Racsasi,  avido  di  carne  umana  ed  uso  a  far  liete 
le  schiere  dei  carnivori,  mi  spinsi  acceso  d' ira  e  fiero  sotto 
forma  di  cervo  e  colle  corna  aguzze  contro  quel  forte  per 
ucciderlo,  rimembrando  la  nostra  antica  guerra.  Ma  veg- 
gendo  venire  incontro  a  se  me  di  color  fosco  e  spaventoso, 
seguitato  da  due  Racsasi  colle  bocche  aperte,  il  magna- 
nimo Raghuide  senza  turbarsi ,  senza  maravigliarsi  e  quasi 
per  gioco  tese  il  suo  grand'  arco  e  saettò  tre  dardi  acuti 
e  orribili,  adunchi  e  con  cinque  nodi,  rapidi  come  Su- 
parna  e  il  vento.  Tutta  la  selva  Dandaca  fu  distenebrata 
da  que' dardi  simili  a  serpenti,  lanciati  dal  prode  Rama; 
e  quelle  terribili  saette  acute  pari  a  fulmine  e  suggenti  il 
sangue  andaron  dritte  verso  i  tre  Racsasi.  Ma  io  che  co- 
nosceva  la  forza  di  Rama  e  n'ebbi  un  dì  tanta  paura,  vista 
venire  la  saetta  che  altamente  risonava  a  guisa  di  nube, 
veloce  e  rapido  come  il  vento  mi  slanciai  in  un  batter 
d'occhio  all'altra  riva  dell' Oceano ,  e  la  saetta  fu  impedita 
dal  mare.  Ma  i  due  Racsasi  venuti  con  me  nella  selva 
Dandaca  furono  uccisi  da  quelle  saette  e  caddero  immersi 
nel  lor  sangue.  Scampato  per  caso  dalla  saetta  di  Rama  e  sal- 
vata la  mia  vita,  mi  ricoverai  nascostamente  e  con  grande 
paura  in  Lanka  e  quivi  respirai;  ma  oggi  ancor  mi  duole. 


\\\  \M  \C  \M)\  273 

o  forte,  il  colpo  che  ebbi  da  Rama  al  cuore  ne]  romita^- 
gio  di  Visvamitra.  Dopo  aver  ricevuto  da  uu  uoiu  mor- 
tale quell'offesa  che  mise  a  repentaglio  la  mia  vita,  nac- 
que in  me  per  gran  dolore,  o  amico,  fastidio  d'ogni  cosa  : 
ond'  io  abbandonando  Lanka,  la  casa,  le  donne,  i  Racsasi, 
la  mia  gente  e  l'ampie  delizie  desiderate  e  difficili  ad 
ottenersi,  me  ne  partii  prontamente,  o  re;  e  venuto  in 
questa  grande  selva  qui  mi  ritrassi  per  causa  di  quel 
fastidio.  Come  ritornerei  ora  a  fronte  di  colui  io  che  ne 
conosco  la  possanza,  io  che  provai  il  tocco  delle  sue  saette 
e  sperimentai  per  1'  addietro  la  sua  forza?  Preso  tutt'  ora 
da  paura,  o  Ràvano,  io  veggo  migliaia  di  Rama,  e  tutta 
questa  selva  mi  par  piena  di  Rama;  in  ogni  albero  io 
veggo  Rama  vestito  di  corteccie  e  di  nera  nebride,  ar- 
mato di  saette  e  d'arco,  pari  a  Yama  armato  di  catena; 
in  ogni  luogo  solitario  od  abitato  io  non  veggo  altro  che 
Rama;  e  allor  che  dormendo  io  veggo  Rama,  tutto  mi 
conturbo  fuor  di  senso;  per  timor  di  Rama,  o  Ràvano, 
mi  fa  ribrezzo  ogni  parola  che  cominci  dalla  sillaba  ra  (39). 
lo  conosco  la  possanza  di  colui  ;  non  conviene  a  te  il 
provocarlo  a  guerra;  se  tu  vuoi  dar  retta  alle  mie  pa- 
role, tu  non  dei  più  favellarmi  di  Rama.  La  giustizia  e 
l'utile,  la  concupiscenza  e  la  giustizia,  l'utile  e  la  concu- 
piscenza per  lo  più  si  veggono  disgiunti,  ma  veggonsi 
pur  talvolta  uniti  :  dal  desiderio  nasce  la  concupiscenza , 
dal  conato  proviene  l'utile,  dalla  fede  nasce  la  giustizia, 
tale  è  il  triplice  frutto  di  quelle  tre  cause.  Io  non  preveggo 
alcun  altro  pericolo  al  tuo  valore,  fuorché  quello  d'assalir 
Rama;  onde  rimoviti,  o  Ràvano,  da  questo  tuo  proposto. 
Chi  è  colui  che  ti  mostrò  dischiusa  questa  porla   della 


35 


274  RAM  VYANA. 

molle,  nella  quale  se  hi  entri,  perirem  noi  con  lutti  i 
Racsasi  '.]  Benché  In  abbia  \ml<»  in  battaglia  Lutte  le  schiere 
degli  Dei  con  Indra,  e  Yama  e  kuvera  e  Varuna,  In  non 
sei  allo  a  vincere  in  battaglia  Rama.  Rama  irato  potrebbe 
precipitar  Indra  dalla  sua  sede,  affrontarsi  con  ìama  e 
contener  Varuna;  ei  potrebbe  dar  morie  alla  Movie  stessa, 

e  distruggendo  il   mondo  produrne  un  altro.   Se  In  non 

or»  i 

poni  mente  a  queste  parole  ch'io  li  dico  per  hi  salute 
della  tua  gente,  fra  breve  In  perderai  la  cava  vita,  ucciso 
da  Rama  colle  sue  infallibili  saette. 

CAPITOLO   \U\. 

PAROLE    DI    li  \ VANO. 

Udite  quelle  opportune  parole  di  Marica,  il  signor  de1 
Racsasi  le  rifiutò  per  alterigia ,  come  rifiuta  l' erba  salutare 
chi  desidera  morire;  e  spinto  dal  suo  fato  ei  rispose  con 
questi  detti  acerbi  e  inopportuni  a  Marica  che  diceva 
parole  acconce  ed  utili.  A  che,  o  Marica,  mi  vai  tu  ra- 
gionando queste  tue  parole  fuor  di  proposito  e  al  lui  lo 
inutili,  come  la  semenza  gettata  in  un  terren  saligno?  Io 
non  potrò  mai  per  qualunque  tuo  detto  temere  in  batta- 
glia Rama,  stolto  e  tutto  dedito  ad  opre  pie  e,  che  è  più , 
semplice  uomo,  il  quale  per  le  vili  parole  d'ima  donna 
abbandonando  gli  amici,  il  regno,  la  madre  e  il  padre,  se 
ne  venne  senza  più  ad  abitare  fra  le  selve.  Io  voglio  asso- 
lutamente ed  in  tua  presenza  rapir  nella  selva  Sita  cara 
quanto  la  vita  a  colui  che  uccise  in  battaglia  Khara;  tale, 
o  Marica,  è  il  proposto  che  mi  sta  fermo  nel  cuore;  uè 


Mi  W1!  \(.  \\l)  A.  275 

potrebbero  distogliermene  gli  tauri  stessi,  né  gli  Dei  con 
[ndra.  I  n  saggio  consigliere,  nel  discutere  un  negozio,  non 
dee  dire  ad  un  re  geloso  della  sua  dignità  il  difetto  o  la 
bontà  d'ima  cosa,  ciò  che  è  funesto,  <[iiello  che  giovi  o 
nuoccia  al  line,  né  altre  parole  concernenti  la  causa,  l'imi 
che  interrogato  da  Ini  ed  in  allo  umile.  Sempre  si  deb- 
bono dire  ad  un  re  paiole  lusinghiere  e  dolci,  belle,  op 
pori  une  ed  officiose;  un  re  die  è  degno  d'onore,  non  ama 
le  parole  irreverenti  delle  con  riguardo  all'avvenire  e  con 
annunzio  di  danno  futuro.  I  re  possenti  ban cinque  forine, 
quella  del  Fuoco,  quella d'Jndra,  quella  dì  Soma  !  la  luna), 
quella  di  Yama  e  di  Kuvera;  ei  si  mostrano  propizi  agli 
uni,  irati  agli  altri,  perciò  si  debbono  i  re  rispettare  ed 
onorare  in  qualunque  siasi  condizione.  Ma  tu  disconoscendo 
il  tuo  dovere  e  mosso  solo  da  stoltizia,  vai  dicendo  con 
mal  animo  parole  acerbe  a  me  che  son  qui  vernilo,  lo 
non  f  interrogo  circa  la  bontà  o  la  malizia  del  mio  disegno, 
sopra  ciò  che  mi  sarà  salutare  oppur  funesto;  ma  desidero, 
0  amico,  che  tu  mi  sia  compagno  in  questa  impresa; 
trasformandoti  in  bel  cervo  aurato  con  macchie  d'argento 
ed  allenando  la  Videhese,  tu  fa  quello  che  io  desidero 
leggendoti  in  sembianza  illudente  di  cervo  aurato,  Sila 
tutta  maravigliata  dirà  prontamente  a  Rama  :  Conducimi 
qui  quel  cervo;  ed  allontanatisi  da  lei  Rama  e  Lacsmano, 
io  rapirò  a  mio  grand' agio  Sila,  come  Suparna  rapisce 
una  serpe  ;  e  cosa  fatta  capo  ha.  Vieni  dunque  felicemente , 
o  amico,  a  compiere  quest'opra  :  deluso  Rama  ed  olle- 
nula  Sita  senza  contrasto,  io  ritornerò  con  te  soddisfallo 
in  Lanka.  Che  se  In  par  resisti  a  quello  ch'in  li  dico,  io  li 
forzerò  mal  tuo  grado  a  farlo;  che  non  mai  riesce  a  buon 


270  RAMAYANA. 

line  colui  che  s'oppone  ai  re.  Ma  condotta  a  termine 
questa  impresa,  io  ti  donerò,  o  Manca,  con  animo  con- 
tento la  metà  del  mio  reame;  tu  farai  dunque  sì  ch'io 
ottenga  Sita;  io  ho  stabilito  che  quest'opra  si  compia 
coli' unanime  concorso  di  noi  due.  Conoscendo  la  mia 
stirpe,  la  mia  forza,  il  mio  valore  eia  mia  possanza,  come 
puoi  tu  temer  si  forte  di  Rama  tapino  e  misero.'  Né  Rama, 
né  alcun  altro  uomo  potrà  seguitarmi  là  dove  io  m'  avvierò 
per  gli  spazi  aerei,  dopo  aver  rapita  la  Mithilese.  Tu  poi 
subito  che  avrai  colle  tue  illusioni  allontanato  dal  lor 
romitaggio  e  deluso  fra  la  selva  quei  due  forti ,  te  ne  lug- 
girai  via  prestamente;  e  allor  che  ti  sarai  ricoverato  all' 
opposta  riva  dell'  Occan o  illimitato,  immenso,  che  cosa 
faranno  coi  loro  sforzi  Rama  e  Lacsmano?  Io  ho  vinto 
un  dì  in  battaglia  Indra  colle  schiere  degli  Dei,  Yama  e 
Kuvera;  che  temi  tu  dunque  di  Rama?  Vedrà  ogni  crea- 
tura rapita  da  me  per  forza  Sita  tutta  tremante,  pian- 
gente e  chiedente  aiuto;  né  Garuda  col  vento  potrà  segui- 
tarmi, mentr'io  me  n'andrò  a  volo  per  la  sgombra  via 
frequentata  dai  Siddhi.  Andando  incontro  a  Rama  tu 
corri  forse  pericolo  della  vita  ;  ma  è  certa  oggi  la  tua 
morte,  se  tu  mi  resisti;  considerato  ciò  ben  bene  nella 
tua  mente,  fa  quel  che  più  t'aggrada  e  che  meglio  ti 
conviene. 

CAPITOLO   XLV. 

RISPOSTA    DI    MARÌCA. 

Aspreggiato  da  Ràvano  a  ritroso,  Marica  rispose  al  re 
dei  Racsasi  queste  parole  risentite  :  Chi  è  ([nell'iniquo 


ARAN^  \C  \M)A.  277 

che  t'ha  insegnato,  o  Racsaso,  questa  via  di  perdizione, 
né  di  te  solo,  ma  della  città,  del  regno  e  de'  tuoi  ministri? 
Chi  è  che  invidia  e  abborre  la  tua  sorte  felice,  o  re?  Chi 
ti  mostrò  dischiusa  questa  porta  della  morte?  Per  cerio 
Racsasi  ignavi  e  tuoi  nemici  desiderano  che  tu  ti  perda 
venendo  alle  prese  con  uno  di  te  più  Torte;  coloro  certa- 
mente i  quali  vogliono  che  tu  pera  per  propria  opera  tua, 
t1  han  mostrato  questa  facile  e  suprema  via  di  perdizione. 
E  tu  non  punisci,  o  Ràvano,  que' tuoi  consiglieri  degni 
di  morte,  i  quali  veggendoti  entrato  in  una  via  funesta, 
non  ti  rattengono  conforme  ai  sacri  dettati?  Un  re  che 
spinto  da  amore  entra  in  una  via  malvagia,  debb' essere 
contenuto  in  ogni  modo  dai  saggi  suoi  ministri,  e  tu  che 
dovresti  essere  raffrenato,  pur  noi  sei,  o  grande  re!  Per 
la  benevolenza  del  lor  signore  ottengono  i  consiglieri  virtù, 
ricchezza,  delizie  e  grande  gloria  sulla  terra;  nel  caso  op- 
posto, o  re,  signore  e  consiglieri  cadono  per  difetto  di 
bontà  in  isventura  coi  lor  congiunti.  La  gloria  e  la  giusti- 
zia, o  eroe,   hanno  nel  re  la  lor  radice;  onde  si  debbe 
difendere  il  re  in  qualunque  occorrenza;  ma  un  re  vio- 
lento, immoderato,  avverso  a  tutti  non  può,  o  Ràvano, 
mantenere  il  suo  regno  :   i  re   che  s'abbandonano   alla 
violenza,  periscono  con  essa,  come  rovina  coli' inetto  suo 
auriga  un  carro  infranto  sopra  un  aspro  terreno;  e  perle 
colpe  altrui ,  per  la  comunanza  coi  malvagi  periscono  pure 
gli  innocenti  e  i  buoni,  come  i  pesci  in  un  lago  pieno  di 
serpenti  :  molti  saggi  e  buoni,  dediti  alla  virtù  perirono 
già  nel  mondo  eòi  lor  seguaci  per  la  colpa  altrui.  Le  genti 
governate  da  un  signor  violento   e   avverso  a  tutti  non 
s'avanzano,  o  re,  come  capri  custoditi  da  un  sciacallo;  e 


•21*  Il  A  M  U  \\A. 

periranno  necessariamente,  o  Ràvano,  inlii  i  Racsasj  di 
cui  tu  sei  re  violento,  smoderato,  e  di  mente  piava.  Tu 
hai   preso   subitamente   ad   inimicar   Rama;   qual   onore 

n"  avrai  tu  che  n'andrai  in  rovina  col  tuo  esercito?  lo  sarò 
tosto  spedito  d'ogni  mio  all'are;  che  quel  signor  degli 
uomini,  quel  grande  arciero,  quel  conoscitor  dell'armi 
divine  mi  darà  subita  morie;  ina  tu  sei  stollo,  o  Racsaso, 
ed  involto  nella  catena  di  Yama,  clic  non  dai  retta  alle  mie 
parole,  come  rifiuta  il  farmaco  chi  vuol  morire.  Tieni  per 
cerio  che  al  solo  veder  Rama  io  saio  ucciso,  e  fieni  per 
morto  le  slesso  co' tuoi  congiunti,  ove  In  rapisca  Sila.  Se 
tu  insieme  con  me  rapirai  da  quel  romitaggio  la  donna 
di  Rama,  nò  tu  più  vivrai,  né  io,  né  i  Racsasi,  uè  Lanka. 
Mentr1  io  intento  al  tuo  bene  m'adopero  a  distoglierli 
dal  luo  proposto,  o  Ràvano,  non  li  vanno  a  grado  le  mie 
parole;  perchè  gli  uomini  destinali  a  morire  e  già  (piasi 
simili  a  morii  non  dati  retta  agli  nidi  consigli  che  lor 
porgono  gli  amici. 

CAPITOLO    \LVL 

\SSENSO    DI    MARÌCA. 

Marica  prosegui  a  dire  a  Ràvano  signor  dei  Racsasi 
queste  parole  opportune  e  giuste  :  lo  debbo  adoperar 
con  te  ogni  sforzo  lino  a  prenderti  per  li  capelli,  o  re, 
accioccbè  tu  non  pera  ed  io  con  te  per  man  di  Rama,  lo 
l'ho  narrato  poco  innanzi  i  pregi  del  Raghuide;  or  di 
nuovo  ti  parlerò  delle  virtù  di  quel  magnanimo;  ascolta 
un  fatto  di  colui  che  sarebbe  arduo  agli  slessi  Dei  e  non 


\lì  \M  VC  \\I)A.  279 

voler  in  fare  oltraggio  alla  donna  di  quell'uom  verace  e 
giusto.  Egli  ha  sottomesso  alla  sua  far: a  il  Ganasthàna, 
ha  ucciso  il  forte  Viràdha,  ed  or  .se  ne  sta  a  suo  diletto 
per  quella  deserta  selva.  Se  tu  rapisci  ingiustamente  la 
donna  di  quell'eroe,  io  preveggo  non  lontana  la  Ina  ro- 
vina. Il  Raghuide  rammentandosi  il  far  dei  generosi,  po- 
trebbe forse  sopportare  qualche  altra  offesa,  ma  non  mai 
l'oltraggio  fatto  alla  sua  donna.  Tale  opra  è  più  assai  vi- 
tuperevole che  il  rapire  le  sostanze  altrui,  e  gli  uomini 
anche  a  costo  della  lor  vita  fanno  ogni  sforzo  per  vendi- 
carla. Rama  offeso  dal  ratto  della  sua  donna  sarà  1'  angelo 
della  tua  morte;  tu  considera  perciò  quel  che  vuoi  fare, 
finché  non  v'hai  ancora  posto  mano.  Quel  possente  già 
fortissimo  per  natura,  eccitato  soprappiù  dall'impeto  dell' 
ira  e  dell'  amore,  potrebbe  rasciugare  anche  l'Oceano.  Per 
(pianto  io  consideri,  non  veggo  pur  dramma  di  senno  in 
questa  impresa  del  far  violenza  alla  donna  di  Rama.  Ren- 
elle io  in   sembianza  di  cervo  allontani  il  Raghuide  ,  tu 
non  potrai  perciò,  o  Racsaso,  pur  toccare  la  Videhese; 
perocché,  quand"  io  avrò  tratto  lungi  di  là  Rama,  rimana 
pur  Lacsmano  in  vita,  né  tu  potrai  in  alcun  modo  rapir 
Sita,  o  Piavano;  e  presupposto  che  tu  la  trovi  priva  dei 
due  suoi  difensori  e  la  rapisca;  tu  non  avrai  sede  sicura, 
neppur  se  andassi  al  mondo  di  Rrahma;  ove  tu  ottenga 
la  bella  Sila  pari  alla  figlia  d'un  Dio,  fa  conto  d'aver 
conseguito  anche  i  tre  mondi   difficili  ad  acquistarsi.  Il 
re  che  senza  consigliarsi  co1  suoi  ministri,  intraprende  ar- 
due imprese,  non  rimarrà  lungo  tempo  nel  suo  regno, 
come  f  acqua  non  rimane  lungamente  in  uno  stagno,  lo 
pensando  alla  mia  natura,  non  voglio  mettermi  avventa- 


280  R  \M  Vi  \V\. 

lamento  in  una  via  funesta  ,  schivata  da  lutti  i  buoni.  Se  io 
sono  da  le  ucciso,  ne  seguiterà  danno  ;i  le  solo,  purché  la 
mia  morte  tronchi  affatto  la  Ina  impresa;  uccidimi  dunque 
miseramente,  se  tu  vuoi;  ma  le  ne  ritorna  di  qua  ai  tuoi 
Racsasi  ed  alla  tua  città  senza  pensare  ad  offender  Rama. 
Che  se  tu,  o  amatore  di  battaglie,  non  dai  retta  alle  parole 
che  io  ti  venni  fin  qui  ripetendo,  che  potrò  fare  io  misero.' 
io  farò  quel  che  desideri.  Per  certo,  o  re  de' Racsasi,  ti 
sovrasta  la  tua  rovina;  ma  chi  impera  vuol  che  si  faccia 
ad  ogni  modo  quello  eh' ci  due.  sia  ciò  da  farsi  o  no. 

CAPITOLO  XLV1I. 

CONFORTO    1)1    MARÌCA. 

Come  udì  dire  a  Marìca  :  Io  farò  quel  che  desideri, 
Ràvano  sorridendo  così  gli  rispose  :  Privato  del  regno, 
senza  ricchezze,  senza  amici  e  abitator  di  selva,  che  cosa 
farà  Rama,  ancorché  egli  avesse  la  forza  d' Indra?  Conos- 
cendo  tu  la  tua  forza  e  non  dubitando  della  mia,  come 
puoi  tu,  o  Marìca,  temer  Rama  miserissimo?  E  pronta 
ai  Racsasi  una  via  inaccessibile  agli  uomini;  rapita  la  Vi- 
dehese,  io  me  n  andrò  per  l1  aria  a  volo;  e  quando  io  sarò 
pervenuto  all'altra  riva  dell1  Oceano,  che  cosa  potrà  fare 
quell'inetto  Rama,  ancorché  egli  adoperi  ogni  sua  possa? 
Né  i  Devi,  né  le  schiere  degli  Asuri  han  forza  pari  alla 
mia  nelle  battaglie  ;  io  son  atto  a  resistere  anche  ai  tre 
mondi  ;  io  ho  sconfìtto  colla  mia  possanza  lo  stesso  Indra 
armato  di  fulmine  sopra  ¥  ardente  elefante  Airàvana  e  con 
esso  tutti  gli  Dei  ;  io  ho  sottomesso  in  battaglia  al  mio  pò- 


\i;  \\v\c  \\D\.  281 

tere  Kuvera  miofratello,  Yama  e  Varuna  e  tulli  i  Custodi 
della  terra  :  or  come  puoi  tu  temere,  chiamato  dal  comando 
di  me  che  ho  vinto  e  domato  i  Ire  mondi?  lo  scossi  colla 
forza  delle  mie  braccia  Si  va,  nienti*1  ei  si  trastullava  con 
Urna  sul  monte;  di  che  fu  soddisfatto  quel  Dio  :  ne  in 
cielo  fra  gli  Dei,  né  nel  mondo  dei  Yacsi,  né  fra  i  Naghi 
sotto  terra,  in  nessun  luogo  v1  ha  chi  sia  per  forza  eguale 
a  me  dominatore  dei  tre  mondi;  che  paura  avrò  io  degli 
uomini?  Rapita  Sita,  io  me  n'andrò  per  le  vie  aeree,  ra- 
pido ed  in  un  batter  d'occhio  alla  città  di  Lanka;  e  chi 
potrebbe  pur  col  pensici*  sognando  venire  in  Lanka  chiusa 
d1  ogni  intorno  dall'  Oceano  per  lo  spazio  di  cento  yogani? 
Tu  sei  abile  ed  accorto,  maestro  di  prestigi  e  destro,  fa 
di  dileguarti  prontamente  subito  che  tu  avrai  allettato  la 
Videhese  :  quando  avrai  eseguito  i  miei  ordini  ed  ingan- 
nato i  due  Raghuidi,  vientene  a  me,  se  tu  sia  felice,  e 
ci  avvieremo  uniti  a  Lanka  :  rapita  subitamente  Sita  e 
delusi  i  due  Rachitidi,  noi  ce  ne  andrem  securi  e  con 
animo  soddisfatto.  Confortato  in  tal  modo  da  Ràvano,  il 
Racsaso  Marìca  tuttavia  sospirando  e  prevedendo  disastri, 
si  dispose  senza  più  indugio  ad  accompagnare  Dasagrìva 
(Ràvano  ). 

CAPITOLO  XLVIIT. 

MARÌCA     TRASFORMATO     IN    CERVO. 

Veduto  Ràvano  risoluto,  Marìca  pien  di  dubbio,  pre- 
sago della  sua  morte,  combattuto  ed  agitato  da  paura  e 
sospirando  forte,  disse  mal  suo  grado,  dolente  e  pertur- 

...  30 


282  RAM  U  \\  \. 

bato  ;il  re  de' Racsasi  :  8011  pronto  ad  andare,  Fu  lieto  di 
que'detti  il  re  dei  Racsasi  ed  abbracciando  strettamente 
Marica,  così  gli  rispose  :  E  degno  della  tua  prodezza  ciò 
che  or  dicesti  spontaneamente;  ora  tu  sei  rientrato,  0  Ma 
lira,  nella  tua  propria  natura;  sali  tosto  con  me  su  questo 
carro  ornato  di  «emme  e  moventesi  liberamente,  Inalo 
da  asini  che  lian  faccie  di  Pisàci.  Allora  Piavano  e  Marica 
saliti  su  quel  cocchio  simile  ad  un  carro  divino,  se  ne 
partirono  prontamente  da  quel  romitaggio.  Contemplando 
belle  cil là,  monti,  laghi,  fiumi  e  reami  diversi,  perven- 
nero essi  alla  selva  Dandaca  e  quivi  Piavano  scòrse  con 
Marica  la  dimora  di  Pania.  Disceso  allora  dal  suo  carro 
ingemmato  e  moventesi  come  ei  vuole  e  preso  per  mano 
Marica,  Ràvano  così  gli  disse  :  Quel  che  tu  vedi  da  lungi 
e  il  romitaggio  di  Rama,  chiuso  d'alberi  di  banano;  si 
eseguisca  orsù,  o  amico,  quello  per  cui  siam  qui  venuti. 
Udite  le  parole  di  Ràvano,  Marica  prontamente  ed  in  un 
attimo,  deposta  la  forma  di  Kacsaso,  si  trasformò  in  un 
cervo  aurato.  Divenuto  cervo  tutto  brizzolato  di  macchie 
(P  argento,  piacevole  all'animo  d'ogni  creatura  e  adorno 
di  vaghi  lìor  di  loto  del  color  di  smeraldo  e  di  lapislazzoli , 
con  quattro  corna  d'oro  ornate  di  perle,  s'andò  egli  ag- 
girando dinanzi  alla  porla  del  romitaggio  di  Rama.  Las- 
ciala ogni  speranza  della  vita,  ei  così  pensava  allora  :  Chi 
ama  far  cosa  cara  al  suo  signore  e  desidera  ottenere  il 
cielo,  dee  eseguir  prontamente  ciò  eh' ci  vuole,  sia  egli 
da  farsi  o  no;  qui  non  v'ha  dubbio.  Considerando  la  forza 
di  Rama  e  il  duro  comando  del  mio  signore,  credo  mi- 
glior per  me  l'eseguire  gli  ordini  suoi  che  il  vivere.  Fer- 
matosi in  questo  pensiero  e  preso  tale  partito,  Marita  pur 


\\\  \\\  \C  \M)\.  283 

pensando  alla  sua  morte,  s'aggirava  cola  intorno  alienando 
Rama  e  Sila.  Ri  s'appressò  al  terribile  Rama,  figlio  regale 
d'inclita  stirpe,  fedele  alle  sue  promesse,  il  (piale,  lasciate 
le  delizie  e  fermo  nella  via  del  dovere,  se  ne  stava  fra  le 
selve.  Poco  lungi  da  Rama  il  figlio  di  Sunda  (Manca)  vide 
Sita  incolpabile  sua  sposa,  simile  alla  luce  del  sole  decli- 
nante all'occaso;  ma  Sita  avea  veduto  lui  innanzi. 

CAPITOLO   XLIX. 

ORDINI     DATI      V     LACSMANO. 

Veduto  nella  selva  quel  cervo  lucente  come  oro,  coi 
fianchi  adorni  di  belle  macchie  d'oro  e  d'argento,  ornalo 
di  vaghe  aurate  corna,  bello  a  vedersi  colle  sue  orecchie 
del  color  di  perle  e  di  lapislazzoli,  tutto  risplendente, 
con  pelle,  corpo  e  peli  sottilissimi,  screziato  di  varie 
gemme  per  tutto  il  corpo,  Sita  rimase  maravigliata;  e 
rapita  in  ammirazione  ed  allettata  da  quel  cervo  dagli 
aurei  peli,  dalle  corna  di  perle  e  di  coralli,  dalla  lingua 
rossa  come  il  sole,  splendido  come  la  via  dei  segni  cos- 
tellati (nacsatn),  la  leggiadra  Sita  figlia  di  Ganaca  disse 
sorridendo  a  Rama  :  Guarda,  o  Cacutsthide ,  quel  mira- 
bile cervo  aurato,  tutto  fregiato  di  gemme,  qui  venuto 
spontaneamente;  se  v'hanno  nella  selva  Dandaca  simili 
cervi  d'oro,  certo  non  senza  ragione,  o  Rama,  è  questa 
selva  amata  dagli  uomini.  Veggendo  qui  quel  cervo  adorno 
d'oro,  mi  nasce  un  vivo  desiderio  seguitato  da  diletto: 
io  vorrei,  o  figlio  di  re,  potermi  sedere  mollemente  so- 
pra l'aureo  vello   di   quel   cervo,   distendendolo  sul  mio 


284  RAMAYANA 

letto.  Confesso  che  è  crudele  quel  ch'io  li  dico,  riè  con- 
facente ad  una  donna;  ma   il  corpo  di  quell'animale  ha 
sedotto  l'animo  mio.   Udite  quelle  parole  della   sua  di- 
letta ,  il  prestante  Raghuide  così  parlò  lieto  al  Saumitride  : 
Vedi,  o  Lacsmano;   il   desiderio   di  Sita  si  portò    verso 
quel  cervo  ,  ed  ei  morrà  per  la  belle/za  del  suo  vello.  Tu 
dei  star  qui  vigile  intorno  a  Sita,  o  Lacsmano,  lìnch'io  ab- 
bia ucciso  con  una  saetta  quel  cervo  :  uccisolo  e  presane  la 
pelle,  io  ritornerò  qui  prontamente;  ma  tu  non  dei  muo- 
verti di  qua,  o  Lacsmano,  finch'io  non  ritorni.  Oggi  con 
quella  splendida  pelle  di  cervo  cosi  rifulgerà  Sita,  come 
un  dì  in  Avodbva  sul  suo  seggio  regale  strato  di  velli. 
Ma   Lacsmano   osservando  quel   cervo   lucente  come   la 
celeste  Antilopa  (40<  e  considerando  attentamente   fra  se 
stesso,  cosi   disse    pien   di    dubbio    a  Rama  :  Io  temo,  o 
eroe,  che  ([nel  cervo  non  sia  il  Racsaso  che  si  noma  Ma- 
lica, artefice  di  prestigi,   secondo   che   ne  fu  detto  per 
1'  addietro  dai  Risei  fulgenti  come  fuoco.  Molti  re  furon 
già  uccisi  da  colui  trasformato  in  cervo,  mentr  essi  an- 
davano lieti  a  caccia  per  la  selva  armati  d'arco  sopra  i 
lor  carri  :  è  bene  che  tu  ponendo  mente  alla  sua  sem- 
bianza tutta  ornata  di  varie  gemme,  rifletta  fra  te  stesso, 
o  saggio.  Costui    non    è   un  cervo  d' oro  ;   dove   mai   nel 
mondo,   o  eroe,  si  trova  unito  foro  col  cervo >)  rifletti 
saviamente.  Colui  con  quelle  corna  di  perle  e  di  coralli, 
con  quegli  occhi  di  gemme  non  è  un  cervo;  io  son  certo 
che  quella  belva  illudente  è  un  Racsaso  sotto  forma  di 
cervo.  Ma  Sita  già  tutta  lieta  e  sedotta  da  quella  illusione, 
respingendo  Lacsmano  che  così  parlava,  disse  con  dolce 
sorriso  a  Rama  :  0  figlio  di  re,  questo  cervo  seducente 


ARANYACAND  \.  285 

rapisco  l'animo  mio;  conducilo  qui,  o  forte;  ei  ci  sarà 
di  trastullo.  Molli  cervi  belli  a  vedersi,  molte  antilope, 
molti  cerbiatti  vanno  qui  attorno  uniti  in  questo  nostro 
romitaggio;  ma  non  mai,  o  Rama,  mi  venne  veduto  per 
l' addietro  un  ceno  simile  a  questo  bellissimo  fra  tutti  i 
cervi  per  dolcezza,  per  vivacità,  per  isplendore.  Se  In 
riesci  a  pigliar  vivo  quel  cervo,  ei  produrrà  in  te  mira- 
bile stupore;  ed  allor  che  avrà  line  il  nostro  soggiorno 
nelle  selve  e  che  sarem  noi  ritornati  nel  regno,  questo  bel 
cervo  ne  sarà  d'ornamento  nel  gineceo  :  che  se  tu,  o 
prode,  non  puoi  prender  vivo  quel  cervo  stupendo,  sarà 
pur  nondimeno  splendido  il  suo  vello;  ed  io  desidero  se- 
dermi nelf  umile  mio  seggio  d'  erba  sopra  1'  aurea  pelle 
di  quell'animale  ucciso.  Intese  quelle  parole  di  Siln  <• 
guardando  il  mirabile  cervo ,  l' illustre  Raghuide  deluso 
cosi  disse  a  Lacsmano  :  Se  quel  cervo,  o  Lacsmano,  è 
cosa  magica,  io  pur  l'ucciderò  oggi;  perchè  ne  ho  grande 
desiderio.  Né  in  questa  selva  dilettosa ,  ne  per  la  selva 
Ceitraratha.  né  in  altro  luogo  della  terra  si  troverebbe 
un  animale  che  fosse  per  beltà  pari  a  costui;  belli,  mor- 
bidi e  lisci  risplendono  i  peli  sopra  il  corpo  di  quel  cervo 
che  sen  va  securo  attorno  per  la  selva;  mira,  allor  eh'  egli 
apre  la  bocca,  la  lingua  che  n'esce  simile  a  fiamma  di 
vivo  fuoco,  pari  ad  un  tizzo  candente.  Costui  somiglia 
ad  oro  forbito,  ha  piedi  che  paion  di  corallo  ed  i  suoi 
banchi  son  distinti  di  due  mezze  lune  e  d'argentee  stelle; 
è  oltrcmodo  amabile  il  suo  corpo  e  la  sua  faccia  par  di 
perle  e  di  conche  marine;  di  chi  mai  non  rapirebbe 
l'animo  questo  cervo  leggiadrissimo?  Guardando  la  forma 
seducente  di  cosini,  fulgida  come  oro,  divisala  di  varie 


286  RAMAYANA. 

perle,  tutta  ingemmata  e  bella,  chi  e  colui  che  non  ne 
avrebbe  desiderio?  I  re,  o  Lacsmano,  armali  d'arco  e 
dilettantisi  di  spassi  uccidono  a  caccia  le  fiere  della  selva 
perle  lor  carni;  or  come  appartiene  al  re  i'1')  ogni  cosa 
preziosa  che  si  trovi  quaggiù  nelle  grandi  selve,  i  diversi 
metalli,  le  gioie,  le  gemme  e  l'oro,  tulli  i  bambù  ed 
ogni  Frutto  che  provenga  dal  seme,  ogni  cosa  in  somma 
che  può  la  mente  imaginare,  cosi  è  giusto  ch'io  m' ap- 
propri] questo  bel  cervo.  Son  degne  d'un  re  le  gemme, 
e  noi  le  amiamo  assiduamente;  la  leggiadra  Videhese  se- 
derà con  me  sul  prezioso  e  splendido  vello  di  (pici  bel 
cervo.  Nessun  tessuto  di  seta,  di  velli  o  di  lana  sarebbe, 
io  credo,  così  soave  al  tatto  come  la  pelle  di  costui  : 
questo  splendido  cervo  silvestre  e  Tallio  divino  che 
splende  in  cielo  (^2),  il  cervo  terrestre  ed  il  cervo  stellato 
sono  amendue  egualmente  divini.  Che  se  costui  è  quel 
desso,  di  cui  mi  favelli,  o  Lacsmano,  da  cui  furono  uc- 
cisi nella  selva  re  arcieri  che  andavano  a  caccia,  da  cui 
vagante  per  le  selve  con  prestigi  e  in  sembianza  di  cervo 
furono  spenti  figli  di  re  fortissimi ,  perciò  appunto  che 
furono  uccisi  da  colui  molti  re  arcieri  eccelsi  ,  mentre 
andavano  a  caccia,  debb'  egli  essere  da  me  ucciso.  Vatàpi 
un  dì  uccideva,  o  Lacsmano,  1  Brahmani  raccolti  per  le 
ceremonie  del  sacrifizio,  come  il  feto  uscendo  dal  ventre 
uccide  la  mula  (43).  Ma  dopo  lungo  tempo  s'avvenne  egli 
un  dì  nel  gran  Mimi  Agastya  acceso  di  splendore ,  e  fu 
divorato  da  quel  magnanimo.  Ma  volendo  Vatàpi  uscir 
del  corpo  e  riprender  nelf  uscire  la  propria  sua  forma,  il 
venerando  Mimi  gli  disse  sorridendo  queste  parole  :  «  Poi- 
ché tu,  o  Vatàpi  iniquo,  entrando  nel  ventre  d'un  Brah- 


\RANYACANDA.  :>(S7 

mano,  mostrasti  di  sprezzarmi,  rimani  or  qui  da  me  divo- 
ralo. Chiunque  disprezza  un  Brahmano  mio  pari  intento 
ai  sacri  doveri  e  donno  de' suoi  sensi,  troverà  egualmente 
la  morte,  siccome  tu  che  t' abbattesti  in  me.  »  Or  pari- 
mente, o  Saumitride,  questo  cervo  altiero  che  se  ne 
venne  a  me  conoscendo  chi  io  sono,  troverà  qui  la  morte, 
come  Vatàpi  un  di  1'  ebbe  da  Agastya.  lo  ucciderò  senza 
dubbio  quel  cervo  altiero;  tu  sta  qui  vigile,  o  eroe,  e 
custodisci  la  Mithilese.  Tu  non  dei  muoverti  di  qua, 
finch' io  non  ritorni;  perocché  i  Racsasi  scelerati  s'ado- 
perano nella  selva  ad  ingannare  con  prestigi.  Poiché  T ec- 
celso e  fortissimo  Raghuide  ebbe  così  ammonito  il  nobil 
Lacsmano,  di  nuovo  ancora  l'ammonì,  dicendo  :  Sia  tu 
dunque  vìgile  ed  indefesso,  o  eroe. 

CAPITOLO   L. 

MORTE    DI    MARÌCA. 

Dopo  aver  dato  a  Lacsmano  quegli  ordini ,  il  Raghuide, 
deliberato  d'uccidere  quel  cervo,  s'avviò  rapidamente 
verso  colà  dove  egli  era.  Preso  il  curvo  suo  arco  ornalo 
d'oro,  legate  all'omero  due  grandi  faretre  ed  al  banco 
la  spada  coli'  else  d'  oro  ed  indossata  la  lorica,  ei  si  diede 
a  correr  nella  selva  dietro  a  quel  cervo.  Marìca  fuggiva 
per  la  foresta  colla  velocità  dell'animo  e  del  vento;  e 
Rama  lo  seguitava  vicin  vicino.  Tutto  pauroso  di  Rama , 
Marìca  or  si  dileguava  in  un  momento  per  la  selva  Dan- 
daca,  ora  di  nuovo  si  mostrava.  «E  desso,  ei  viene,» 
così  dicendo,  Rama  correva  con  grand' impeto,  ed  il  cervo 


288  RAMAYANA. 

un  momento  si  vedea  ed  in  un  attimo  scompariva.  Tra- 
passando rapido  per  paura  delle  saette  ed  allenando 
Rama,  or  visibile,  ora  invisibile  ed  or  fuggendo  per 
timore,  qui  fermo,  là  nascosto  e  altrove  uscendo  pre- 
cipitoso, sen  va  Marica  per  quella  selva  tutto  pieno  di 
paura.  Quivi  Rama  vide  improvviso  quel  cervo  magico 
che  correndo  marciava  dinanzi  a  lui;  ed  ei  lese  l'arco 
con  grand' ira.  Ma  il  cervo,  veduto  venir  contro  se  il  Ra- 
ghuide  armato  d'arco,  disparve  ad  un  tratto,  poi  si  mostrò 
di  nuovo.  Or  ei  si  scorge  vicino,  ora  si  vede  lontano; 
e  coli'  apparire  e  col  dileguarsi  alternamente  ei  traeva 
lungi  il  Ragbuide.  Questi  coli' arco  in  mano  osservando 
tuttavia  per  la  gran  selva  e  perle  macchie  il  cervo  fuggente 
che  or  si  mostra,  or  si  nasconde,  simile  al  disco  della  lima 
nella  stagione  autunnale  circondato  da  nuvole  sconnesse, 
e  fra  se  dicendo  ad  ora  ad  ora  :  «  E  ito  qui;  1'  ho  visto  là; 
ei  s'  è  di  nuovo  dileguato,  »  percorreva  a  mano  a  mano  le 
regioni  della  selva.  Deluso  da  colui  e  irato  il  Ragbuide  si 
fermò  un  istante  in  quella  selva,  raccoltosi  all'ombra  in 
un  luogo  erboso.  Ma  quel  luogo  gli  apparve  tutto  intorno 
pieno  di  cervi  che  stavan  fermi  vicino  a  lui  cogli  occhi 
aperti  per  paura.  Veduto  questo,  il  forte  Rama  intento 
ad  uccidere  pur  quel  cervo,  incoccò  una  grande  saetta  e 
tese  il  saldo  suo  arco  ,  tirandone  la  corda  fino  al  lembo  dell' 
orecchio;  e  tolto  di  mira  il  cervo  aurato,  scoccò  col  pugno 
aperto  la  saetta  acuta,  ardente  e  fulgida,  telo  fabbricato 
da  Brahma  stesso  :  quel  dardo  micidiale  squarciò  il  cuore 
di  Marica.  Ferito  nell'organo  vitale  da  quella  saetta  incom- 
parabile, Marica  sollevatosi  un  palmo  da  terra,  cadde  op- 
presso da  quel  colpo.  Egli  allora  percosso  da  quella  saetta 


ARANYAC  WDA.  289 

apparve,  qnal  era,  un  Racsaso  colle  screziate  sue  smani- 
glie, colla  sua  ghirlanda  d'oro,  con  tutti  i  suoi  addobbi 
e  con  denti  enormi;  e  benché  angosciato  dalla  sua  ferita 
e  moribondo  sulla  terra,  pur  pensando  a  far  cosa  cara  al 
suo  signore,  ei  mandò  fuori  un  suono  orrendo  ;  ed  imitando 
apertamente  la  voce  di  Rama,  cpiel  scelerato  andava  gri- 
dando nella  gran  selva  :  0  Lacsmano,  accorri,  aiutami. 
Tuttoché  fosse  giunto  alf  estremo  di  sua  vita,  ei  pur 
cosi  ragionava  :  Se  udendo  questa  voce  ,  Sita  perduta 
d'animo  e  vinta  dall'amor  del  suo  sposo  mandasse  qui 
Lacsmano,  allora  Ràvano  la  rapirebbe  priva  del  suo  di- 
fensore. Pensando  questo  nella  sua  mente,  il  Racsaso  per 
far  cosa  cara  a  Ràvano  mise  fuori  in  sul  morire  quella 
voce.  Deposta  la  forma  di  cervo  e  presa  sembianza  di 
Racsaso ,  Marìca  ingrossò  fuor  di  modo  il  suo  corpo  e 
abbandonò  la  vita.  Allor  che  vide  giacente  a  terra  quel 
Racsaso  d'orribile  aspetto,  Rama  si  sentì  tutto  arricciare 
i  peli  e  corse  colf  animo  a  Sita.  Scorta  la  sembianza  spa- 
ventosa di  quel  fiero  Racsaso  ucciso,  si  partì  il  Raghuide 
con  animo  smarrito,  ritornando  per  la  stessa  via. 

CAPITOLO  LI. 

PARTITA     DI     LACSMANO. 

Udito  per  la  selva  quel  grido  dolente  simile  ai  la  voce 
del  suo  sposo,  Sita  disse  a  Lacsmano  :  Parti,  va  in  cerca 
di  Rama;  che  mi  manca  la  vita  e  il  cuore,  dopo  che  io 
udii  quell'alto  grido  del  mio  sposo  dolente  e  chiedente 

aiuto.  Difendi,  o  Saumitride,  il  tuo  fratello  primogenito 

ii.  :•>: 


290  RAM  VYANA. 

il  ino  compagno  che  venne  con  te  per  questa  via  e  che 
or  chiama  piangendo  soccorso;  coni  prontamente  ;i  tuo 
fratello  che  ha  bisogno  dalla,  caduto  nelle  inani  dei 
Racsasi,  come  un  loro  Ira  le  branche  dei  leoni.  I  dite 
quelle  parole  che  tenevan  dell' indole  della  donna,  Lac- 
smano  così  rispose  a  Sita  che  slava  cogli  occhi  spalancali 
per  terrore  :  Mio  fratello  non  può,  sia  certa,  essere  so- 
verchiato neppur  dai  tre  mondi  uniti  con  India,  cogli 
Asuri  e  cogli  Dei  ;  quel  Racsaso  non  potrebbe  offendere 
neppur  nel  dito  mignolo  mio  fratello;  perchè  ti  sgomenti, 
o  donna?  Memore  degli  ordini  di  Rama  ei  non  si  partiva 
intanto,  benché  esortato  da  Sita;  ma  la  figlia  di  Ganaca 
accesa  (Vira  così  gli  disse:  Sodo  apparenza  d'amicizia 
tu  sei  nemico  di  tuo  fratello,  o  Lacsmano,  che  non  vai 
al  soccorso  di  lui  ridotto  a  tale  sialo;  io  credo  che  tè 
cara  la  sua  sventura  e  che  tu  non  ami  punto  tuo  fratello; 
onde  le  ne  stai  qui  imperturbato  senza  darli  pensiero  di 
queir  eccelso.  Tu  desideri,  o  Lacsmano,  a  cagion  di  me 
che  Rama  pera;  perciò  non  dai  retta  alle  parole  ch'io  ti 
dico;  ma  io  t'accerto  che  priva  di  Rama  non  vivrò  un 
momento  solo  ;  eseguisci  quel  eh'  io  ti  dico,  o  eroe,  e  di- 
fendi senza  ritardo  tuo  fratello.  Se  si  trova  in  pericolo 
Rama,  che  cosa  farai  tu  qui  di  me  che  non  vivrò  né 
anche  un  sol  momento.' perchè  non  vai  tu  in  cerca  del 
Raghuide?  Alla  Videhese  che  così  parlava  oppressa  dalle 
lacrime  e  dal  dolore  e  sbigottita  come  una  cerva,  Lac- 
smano così  rispose  :  Non  v'  ha,  o  leggiadra,  fra  gli  uomini, 
fra  i  Devi,  fra  1  Gandharvi,  i  Racsasi,  i  Kinnari  ed  i  Pi- 
sàci,  fra  gli  augelli  ed  i  serpenti,  fra  i  Dànavi  terribili  chi 
possa  combatter  contro  Rama,  come  nessun  mortale  può 


\\\  \\\\(.  \M)  \  291 

stare  a  fronte  d'Indra.  Mania  è  insuperabile  in  battaglia, 
non  voler  In  parlare  in  tale  modo,  o  donna;  io  non  posso 
lasciarli  sola  senza  Rama  in  questa  deserta  solva;  In  mi 
l'osti  affidata  dal  magnanimo  Rama  fedele  alle  sue  pro- 
messe; In  mi  sei,  o  \  idebese,  un  deposito  prc:ioso;  io  non 
posso  abbandonarli  qui.  Noi  abbiam  già  fallo  fiere  prove 
con  que'  Nottivaghi  feroci  nella  strage  del  Ganasthàna; 
sia  In  secura,  o  fausta  donna  :  usano  i  Racsasi,  nell'andare 
attorno  per  nuocere  altrui,  mandar  fuori  nella  selva  voci 
•  Incise:  In  non  dartene  pensiero,  o  Videhese.  E  immenso 
il  valor  di  Rama,  nò  può  alcuno  misurarlo;  non  voler  In 
così  favellare  senza  aver  riguardo  alla  sua  forza;  sia  tran- 
quillo il  Ino  cuore,  e  deponi  questa  tua  angoscia;  fra 
poco  ritornerà  qui  il  tuo  sposo  dopo  avere  ucciso  quel 
bel  cervo.  La  turpe  voce  che  tu  hai  udito,  o  donna,  non 
è  la  voce  di  Rama;  ancorché  si  trovasse  in  duro  frangente, 
non  mai  proferirebbe  Rama  voci  turpi.  Uditi  que1  detti , 
la  Videhese  irata  e  cogli  occhi  ardenti  rispose  acerbe 
parole  a  Lacsmano  che  parlava  saviamente  :  Oh  crudele, 
spietato,  ignobile,  sowertitor  della  tua  stirpe!  io  ben 
veggo  che  tu  m'ami;  onde  così  favelli.  Non  è  maraviglia, 
o  Lacsmano,  che  si  trovi  nequizia  in  uomini  tuoi  pari, 
rivali  e  cupi.  A  cagion  di  me  certamente,  oppur  mandalo 
da  Bharata  tu  solo,  coperto  e  reo  seguiti  Rama  nella 
selva.  Ma  come  mai  io,  dopo  aver  accolto  fra  le  mie  brac- 
cia come  sposo  Rama  dagli  occhi  di  loto,  dal  color  di 
ceridea  ninfea,  potrei  amare  un  noni  volgare?  io  entrerò 
piuttosto  in  un  fuoco  ardente,  ma  non  mai  toccherò  nep- 
pnr  col  piede  un  altro  uomo  fuorché  Rama.  Fatti  a  Lac- 
smano  que' rimproveri ,  Sila    pari   alla   figlia   d'un   Dio  si 


292  RAM  Vi  W  A 

percotea  piangendo  il  petto  colle  sue  mani.  Ma  Lacsmano, 
udite  quelle  crude  e  orribili  parole  di  Sita,  così  le  parlo 
reverente  e  coi  sensi  perturbati  :  lo  non  ho  cuore  di 
risponderti,  o  Sila;  In  mi  sei  come  una  Dea;  ma  non  è 
maraviglia  nelle  donne,  o  Mithilese,  il  parlai1  contro  ra- 
gione; è  tale  sulla  terra  l'indole  delle  donne;  elle  son 
mobili,  aliene  dal  dovere  e  causa  di  discordia  tra  fratelli. 
M'odano  e  mi  siano  testimoni  tutti  gli  abitatori  della 
selva  che,  mentr'io  ti  diceva  parole  convenienti,  tu  mi 
rispondesti  parole  acerbe  e  sconvenevoli.  Onta  sopra  di 
te!  Perisci!  poiché  per  la  rea  tua  indole  di  donna,  tu 
sospetti  così  di  me  che  m'attengo  agli  ordini  di  Rama. 
Ma  com'ebbe  detto  a  Sita  quelle  aspre  parole,  punto  da 
dolore,  prese  Lacsmano  di  nuovo  a  dirle  parole  concilia- 
trici :  Me  n'andrò  là  dove  si  trova  Rama;  sia  tu  felice, 
o  donna  venusta!  ti  proteggano,  o  donna  dai  grand' occhi, 
tutti  gli  Dei  di  questa  selva!  Ben  mi  si  mostrano  presagi 
paurosi;  deh  possa  io  ritornando  rivederti  qui  con  Rama! 
Uditi  que'  detti  di  Lacsmano,  la  Videhese  figlia  di  Ganaca 
così  gli  rispose  piena  di  lacrime  :  Se  io  son  privata  di 
Rama,  o  Lacsmano,  io  m'annegherò  nella  Godàvari, 
ovvero  m'appiccherò,  o  abbandonerò  il  mio  corpo  in 
qualche  selvaggio  sito,  od  entrerò  in  un  fuoco  ardente; 
ma  non  toccherò  mai  neppur  col  piede  altro  uomo  che 
il  Raghuide.  Così  dicendo,  Sita  oppressa  dal  dolore  e 
piangendo  forte  offendeva  il  suo  petto  colle  sue  mani. 
Veggendo  piangente  e  afflitta  quella  donna  dai  grand' 
occhi,  il  Saumitride  la  confortò;  ma  Sita  non  disse  pure 
una  paiola  al  fratel  del  suo  sposo.  Allora  Lacsmano,  sa- 
lutata con  reverenza  Sita  ed  inchinatosi  alquanto  a  lei, 


ARANYACANDA.  293 

poi  riguardatala  di  nuovo,  s'avviò  circospetto  alla  volta 
di  Ha  ma. 


CAPITOLO   LII. 

COLLOQUIO    DI    RÀVANO    E    DI    SITA. 

Così  avvenne  che  Lacsmano  mosso  a  sdegno  dalle 
acerbe  parole  dettegli,  abbandonò  Sita  nella  gran  selva 
e  se  n'andò  in  cerca  di  Rama.  Ma  tratti  da  Marìca  lungi 
di  là  Lacsmano  e  Rama ,  Piavano  giudicò  aver  egli  già 
quasi  ottenuto  il  suo  intento.  Frattanto  il  pio  Lacsmano 
agitato  da  grande  paura  e  guardando  tutto  intorno ,  pro- 
grediva celeremente  ,  ma  contro  sua  voglia.  In  questo 
mentre  l'eccelso  Ràvano  inoltrandosi  colà,  s'avvicinò  a 
Sita  con  falsa  sembianza  di  mendicante  asceta,  e  vide  in 
quella  selva  la  giovane  donna  privata  dei  due  fratelli , 
come  il  fiero  Ràhu  affisa  in  cielo  la  Luce  del  crepuscolo  (4^) 
privata  del  sole  e  della  luna.  V  ednta  in  quel  sito  deserto 
colei  di  bellezza  incomparabile,  l'iniquo  re  de' Racsasi 
così  fra  se  pensò  :  Finché  questa  leggiadra  donna  è  priva 
di  Lacsmano  e  del  suo  sposo ,  è  opportuno  ch'io  l'affronti  ; 
e  coni' ebbe  così  fra  se  pensato,  ei  s'appressò  subitamente 
a  Sita  sotto  forma  di  mendicante,  involto  in  una  sottile 
veste  rossa,  con  una  cresta  di  capelli  al  sommo  della  testa, 
coi  sandali  e  coli' ombrello,  con  un  fardello  appeso  all' 
omero  sinistro,  col  triplice  bordone  e  colla  brocca.  Veg- 
gendo  colui  di  forza  e  d'opre  spaventose,  gli  alberi  del 
Ganasthàna,  le  varie  piante  repenti,  gli  augelli  e  l'altre 
creature  se  ne  slavano  immobili  pei  timore,  né  più  spirava 


994  RAM  VYANA. 

il  v«    •<>:  veggendo  arrivare  impetuoso ,  poi  fermarsi  colà 
il  re  de' Racsasi,  si  diede  a  Unire  con  onde   tremanti  la 
riviera  G  oda  vari  ;  le  belve  e  gli  augelli  ehe  stavan  presso 
al  Ganasthàna  o  nella  Pancavati  selva  ascetica,  fuggirono 
qua  e  là  per  paura  di  colui.  Krallanlo  Ravano,  cogliendo 
l'opportunità  dell'assenza  di  Rama,  s'accostava  a  Sita  con 
sembianza  di  mendico;  sotto  mentila  forma  ei  s'  appressò 
alla  Videhese  d'ingenuo  aspetto,  dolente  del  suo  sposo, 
come  il  pianeta  Saneiscara  (Saturno)  s'appressa  alla  stella 
Citi  a.  Coperto  da  quella  forma  menzognera,  come  una  vo- 
ragine dall'erbe,  l'iniquo  Ràvano  stette  contemplando  la 
sposa  di  Rama,  Sita  dai  bei  labbri,  dai  denti  nitidi,  di 
volto  simile  a  piena  luna,  seduta  in  quell'abituro  di  foglie, 
oppressa  dalle  lacrime   e  dal   dolore  e  piena  di   pensieri 
all'annosi  pei-  l'assenza  di  Rama  e  Lacsmano,  tutta  otte- 
nebrata come  una  notte  senza  luna.  Qualunque  membro 
ei  guardasse  della  Videhese  giocondo  agli  occhi,  non  po- 
teva  da  quello  rimover  la  vista  (piasi  immersa  in  esso.  11 
tristo  Racsaso  si  presentò  al  line  alla  Videhese  dai  grand' 
occhi  simili  ad  aperti  fior  di  loto,  vestita  di  serici  drappi 
gialli,  e  ferito  dal  telo  d'amore  prese  a  parlarle  lunga- 
mente in  quel  sito  solitario,  proferendo  i  carmi  dei  Vedi. 
Ei  lodò  quella  donna  di  splendido  corpo,  somiglianti'  ad 
una  statua  d'oro,   incomparabile  nei  tre  inondi,  pari   a 
Lacsmi  priva  del  fior  di  loto  :  0  donna  dal  bel  sorriso, 
dai  begli  occhi  e  dal  bel  volto,  tu  risplendi  oltremodo, 
o  timida,  come  un  albero  fiorente  che  abbella  la  selva; 
è  bello  e  grazioso  il  tuo  seno ,  adorno  d' elette  gioie ,  di 
perle  e  d'oro,    colmo   ed  ingemmato,  raccolto,  tondo, 
sodo  e   dilettoso.  Chi    sei    In,  o   donna  di  soave  aspello, 


Mi AM  \C  ANDA.  295 

che  porti  ghirlanda  di  fior  di  loto  e  di  cerulee  ninfee,  e 
sembri  l'ormala  d'oro  con  quella  tua  gialla  veste  serica? 
Sei  tu,  o  gentile,  il  Pudore,  la  Gloria,  lo  Splendore,  la 
bella  Lacsmi ,  la  Prosperità  o  la  libera  consorte  dell'  Amore . 
chi  sei  tu  fra  costoro,  o  donna  d'amabile  cintura?  Sono 
eguali,  acuii,  belli  e  nitidi  i  tuoi  denti  ;  son  ben  disposi i  e 
graziosi  i  tuoi  sopracigli,  ornamento  de' tuoi  occhi;  le  tue 
guance,  o  donna  leggiadra,  son  delicate  e  nitide,  conformi 
e  ben  disposte,  graziosamente  rilevate,  raccolte  e  appa- 
riscenti, proporzionate  al  tuo  volto;  le  tue  orecchie  or- 
nate d'oro  forbito,  belle  e  ben  l'alte  naturalmente,  risplen- 
dono curve  ed  elevate  con  giusta  misura;  le  tue  mani,  o 
donna  dai  bei  lombi,  son  delicate  e  purpuree  come  foglie 
di  loto;  è  sottile  la  tua  cintura  e  conforme  ali  altre  tue 
parli,  o  donna  dal  bel  sorriso;  i  tuoi  capelli,  o  gentile, 
sono  divisi  in  due  parti  dalla  dirizzatura;  son  pieni  ed 
ampli  i  tuoi  lombi,  ed  i  tuoi  femori  somigliano  alla  pro- 
boscide d'un  elefante;  son  compatti,  belli,  divini,  con 
dita  e  piante  delicatissime  que' tuoi  piedi  che  si  fanno 
ornamento  l'uno  all'altro',  graziosi  quando  si  muovono, 
leggiadrissimi,  simili  a  gemme  di  lìor  di  loto;  son  grandi 
e  limpidi  i  tuoi  occhi  con  pupille  nere  e  contorni  rossi  ; 
la  tua  cintura  si  potrebbe  ricingere  colla  mano;  è  bella  la 
tua  capellatura,  fermo  il  tuo  seno.  Non  mai  mi  venne  ve- 
duta sulla  terra  donna  di  simile  beltà,  né  Dea,  né  Gan- 
dharva,  né  Kinnara,  né  Yacsa;  la  tua  beltà  senza  pari  al 
mondo,  la  tua  inalterabile  gioventù  e  l'esser  tu  qui  fra 
le  selve  m'inducono  a  sospettare;  tu  non  dei  rimanere 
qui  aspettando,  se  tu  sia  felice;  è  questa  la  dimoia  dei 
Racsasi    terribili,  vaganti   a   lor  talento.  Soli  son   degni 


296  KAMAYANA. 

d'essere  da  le  abitati  i  dilettosi  e  splendidi  palagi,  i 
boschi  cittadini  colle  lor  acque  adorne  di  ninfee,  e  i  ce- 
lesti giardini  degli  Dei,  come  il  Nandana  ed  altrettali; 
a  te  si  convengono,  io  penso,  o  leggiadra  dai  aeri  occhi, 
elette  ghirlande,  elette  gemme,  elette  vesti  e  eletto  sposo; 
tu  non  dei,  o  fortunata,  degna  di  tutte  le  delizie  abitar 
miseramente  nelle  selve,  giacendo  sulla  terra,  cibandoti 
di  frutti  e  di  radici ,  priva  d'  ogni  dolcezza.  Chi  sei  tu ,  o 
donna  di  dolce  sorriso  e  di  gentil  cintura?  Sei  tu  una  dei 
Rudri,  dei  Maruti  o  dei  Vasu?  tu  mi  sembri  una  Dea;  sei 
tu  una  Gandharva  od  una  Apsarasa?  qual  sei  tu  di  queste 
Dee ,  o  eccelsa  e  nohil  donna  d'  amabile  cintura  ?  Qua 
non  vengono  Gandharvi,  né  uomini,  ne  Devi;  è  questa 
la  sede  dei  Racsasi;  come  ci  sei  tu  venuta?  Qui  non  v'ha 
che  sciacali,  leoni  e  tigri,  pantere,  orsi,  iene  e  lupi; 
come  non  hai  tu  paura  di  queste  belve  ?  Come  non  temi 
tu,  sola  in  questa  gran  selva,  o  donna  di  bel  sorriso,  gli 
impetuosi  elefanti  furibondi,  simili  a  monti?  Chi  sei? 
Onde  e  di  chi  sei  tu,  e  per  qual  cagione  sei  tu  venuta  tutta 
sola  neir  orribile  selva  Dandaca  abitata  dai  fieri  Racsasi? 
Udendo  que'  detti  dell'  iniquo  Ràvano  ,  la  figlia  di  Ganaca 
impaurita  s'  andava  per  sospetto  e  per  timore  ravvolgendo 
qua  e  là.  Ma  rassicuratasi  finalmente  pensando  che  colui 
era  un  Brahmano,  quella  leggiadra  di  sottil  cintura  fece 
risposta  a  Ràvano  che  avea  sembianza  di  mendico ,  e 
guardando  quel  Racsaso  venuto  a  lei  sotto  forma  di  Brah- 
mano, la  Mithilese  f  onorò  con  ogni  uffizio  d'ospitalità. 
Recatagli  acqua  da  prima  ed  invitatolo  a  cibarsi  di  frutti 
silvestri,  entrò  ella  quindi  in  parole  con  quel  reo  che  si 
mostrava  amico,  giudicandolo  un  perfetto  asceta.  Ràvano 


\\\  \\\  VCAND  V.  297 

osservando  quella  figlia  regale  che  l'invitava  e  u;li  favel- 
lava con  niente  lieta  ,  fermo  nel  pensiero  di  rapirla  per 
forza  giudicò  che  otterrebbe  il  suo  desiderio;  e  veggendo 
nella  selva  deserta  d'  ogni  intorno  quella  donna  dai  bei 
lombi  che  aspettava  Lacsmano  e  lo  sposo  andati  ;i  caccia, 
si  sentiva  egli  tutto  contento. 


CAPITOLO   LUI. 

COLLOQUIO    DI    RAVANO    E    DI    SITA. 

Ma  la  bella  Videhese,  considerate  le  soavi  parole 
dette  da  Ràvano,  così  prese  a  favellare  :  Io  son  figlia  del 
magnanimo  Ganaca  Mithilese,  sposa  del  saggio  Rama  e 
mi  nomo  Sita,  se  tu  sia  felice.  Io  abitai  per  un  anno 
intero  nella  casa  del  Ragbuide,  godendo  delle  dolcezze 
maritali  ed  abbondevole  d'ogni  delizia;  ma  in  capo  ad 
un  anno  il  re  consigliatosi  co' suoi  ministri  pensò  di  con- 
sacrare il  mio  sposo  al  consorzio  del  regno.  Mentre  che 
s'apprestava  la  sacra  del  Raghuide,  un'  ignobile  donna 
per  nome  Caiceyi,  circonvenendo  con  lusinghe  il  mio  suo- 
cero, suo  consorte,  gli  chiese  in  grazia  de' suoi  meriti 
antichi  l'esilio  del  mio  sposo  :  lo  più  non  dormirò,  ella 
dicea,  più  non  berrò,  né  mangierò;  sarà  questo  il  termine 
della  mia  vita,  se  Rama  è  consacrato;  reca  ad  effetto,  o 
re,  la  grazia  che  un  dì  tu  m'accordasti  nella  guerra  degli 
\siiri  e  dei  Devi,  e  adempì  la  tua  promessa;  con  questa 
sacra  apparecchiata  sia  sacrato  consorte  del  regno  Bharata 
mio  figlio,  e  Rama  sen  vada  oggi  fra  l'aspre  selve  per 

quattordici  anni,  vestito  di  corteccie  e  di  nera  nebride; 
ii.  18 


298  R  \M  Vi  WA. 

si  mandi  prontamente  Rama  in  esilio  e  sia  Bharata  con 
sacrato.  Mio  .suocero  grandi;  curule  guerriero  supplico 
con  giuste  parole  Caiceyi  che  così  favellava;  ma  ella  non 
gli  diede  retta.  Mio  sposo  celebre  nel  mondo  col  nome 
di  Rama  è  fortissimo,  virtuoso,  veridico  e  puro,  intento 
al  bene  d'ogni  creatura;  ma  l'illustre  re  Dasaratha  suo 
padre,  per  far  cosa  grata  a  Caiceyi,  lo  privò  della  conse- 
crazione;  e  allor  eh'  ei  venne  innanzi  al  padre  per  la  sua 
sacra,  Caiceyi  cosi  parlò  al  mio  sposo  di  saldi  voti  : 
Ascolta,  o  Piaghuide,  la  grazia  che  mi  concesse  tuo  pa- 
dre :  «  Io  darò,  efjli  disse,  a  Bharata  il  regno  avito  senza 
nemici;»  tu  poi,  o  Rama,  dei  abitare  per  quattordici 
anni  nelle  selve;  parti  or  dunque  e  salva  da  menzogna  il 
padre.  Rama  mio  sposo,  saldo  ne' suoi  voti,  rispose  a  Cai- 
ceyi in  presenza  del  padre  :  «  Così  farò  »  ed  eseguì  gli 
ordini  di  lei.  Tutto  darebbe  il  mio  sposo,  ma  nulla  ri- 
ceverebbe, né  mai  direbbe  menzogna;  tale,  o  Brahmano, 
è  il  voto  costante  e  supremo  di  Rama.  Il  forte  e  nobile  fra- 
tello paterno  di  Rama,  per  nome  Lacsmano,  si  fece  com- 
pagno a  lui  ;  ei  disse  al  prestante  Raghuide  parole  ragio- 
nevoli per  distorlo  dal  suo  proposto,  ma  Rama  gli  rispose  : 
«  Il  mio  animo  si  diletta  nel  vero;  »  e  il  pio,  il  saggio,  il 
forte  Lacsmano  seguitò  allora  armato  d'  arco  Rama  par- 
tente insieme  con  me.  Noi  tre,  o  Brahmano  eccelso,  ca- 
duti dal  regno  per  le  parole  di  Caiceyi,  andiamo  errando 
con  costanza  per  le  profonde  selve  ed  abbi am  fermato  la 
nostra  dimora  in  questa  foresta  piena  di  serpi;  ti  rassi- 
cura tu  però;  tu  puoi  qui  rimanere;  ritornerà  fra  poco  il 
mio  sposo  portando  eletti  frutti  silvestri  :  narrami  tu  in- 
tanto conforme  al  vero  la  tua  stirpe,  la  tua  famiglia,  ed 


ARANYAC  VNDA.  290 

il  tuo  nome;  perchè,  o  Brahmano,  ten  vai  in  solo  per 
la  selva  Dandaca?  io  non  dubito  che  Elama  li  farà  degna 
accoglienza;  egli  ama  i  mendicanti  asceti  e  si  diletta  di 
ragionare.  A  Sita  consorte  di  Rama,  che  in  lai  modo  fa- 
vellava, il  Racsaso  fortissimo  ferito  dal  telo  d'amore  così 
rispose  :  Ascolla  chi  io  sono  e  d'onde  io  vengo,  e  ren- 
dimi onore  ailor  che  l'avrai  udito.  Io  son  colui  da  cui 
furono  sconfitti  gli  uomini  e  gli  Dei  con  India;  io  son 
Ràvano  terror  del  mondo,  che  qui  venni  per  vederti,  o 
fortunata,  sotto  questa  mentita  forma,  e  per  cui  comando, 
o  donna  dai  bei  lombi ,  Khara  custodiva  la  selva  Dandaca; 
io  sono  il  fratel  rivale  di  Vaisravana,  il  prode  figlio  ge- 
nuino del  magnanimo  Visravas  ;  Pulastya  è  figlio  di 
Brahma  ed  io  sono  il  nipote  di  colui,  o  donna;  io  ebbi 
da  Brahma  il  dono  di  mutar  forma  a  mia  posta  e  di  cor- 
rer rapido  come  la  mente;  la  mia  possanza  è  celebre  e 
son  chiamato  sulla  terra  Dasagrìva  ;  ma  con  nome  più 
lamoso  nato  dalle  mie  opere  m'appello  Ràvano  l*45),  o 
donna  di  dolce  sorriso.  Pur  pensando  a  te  che  sembri 
formata  d'oro  con  quella  tua  veste  serica  di  color  giallo, 
io  più  non  trovo  diletto  nelle  mie  donne  :  sia  tu  mia 
consorte  sovrana,  o  Mithilese,  prima  fra  tutte  le  eccelse 
donne  che  mi  son  spose.  La  mia  città  si  noma  Lanka  ed 
è  la  più  bella  fra  T  isole  del  mare,  tutta  cinta  dall'Oceano 
e  situata  al  sommo  d'un  monte;  ella  è  adorna  d'alte 
aguglie  tutte  di  lucid'  oro,  è  circondata  di  fosse  profonde, 
coronata  di  terrazzi  e  di  palagi.  La  grande  città  dei  Rac- 
sasi  neri  come  nere  nuvole  è  celebre  nei  Ire  mondi,  come 
Amaravati  sede  d'Indra;  ella  è  divina,  costrutta  da  \  is- 
vakarma ,  larga  cento  vogani;  cola,  o  Sila,  In  li  diporterai 


300  RAM  AVANA. 

con  me  fra  boschi  ameni,  uè  più  sentirai  desiderio  <li 
questa  dimora  nelle  selve.  Io  re  sacrato  de1  Racsasi  ma- 
gnanimi ho  molte  spose  leggiadrissime  ;  tu  sarai  prima 
fra  loro;  e  cinquecento  ancelle  .serviranno  a  te  adorna 
d'  ogni  sorta  d'  ornali  ;  sia  tu  mia  consorte,  o  imi  ni  donna, 
lo  conosco  i  quaranta  nove  venti,  son  perito  nelle  ses- 
santa quattro  arti  e  so  i  venticinque  principj  della  San- 
khyafity;  io  son  Piavano;  amami,  o  gentile.  Udite  quelle 
parole,  la  bella  figlia  di  Ganaca  cosi  rispose  con  ira  e  con 
disprezzo  al  Racsaso  :  lo  son  fedele  al  uno  consorte  Rama 
inconcusso  come  un  gran  monte,  inconquassabile  come 
l'Oceano,  pari  al  grande  Indra;  io  son  fedele  al  prode 
Rama  figlio  di  re,  simile  a  piena  luna,  donno  de' suoi 
sensi,  d'alta  fama  e  di  gran  valore;  io  son  fedele  al  fol- 
tissimo Rama,  di  largo  petto,  altero  nelf  incesso  qual 
leone,  come  una  lionessa  a  un  leon  possente.  Tu  ben 
agogni  me  inconquistabile,  come  un  sciacalo  agogna  una 
tigre;  ma  com'  è  intangibile  la  luce  del  sole,  così  non  po- 
trò io  essere  da  te  toccata.  Tu  vedi  per  certo,  o  stolto, 
alberi  d'oro  in  grande  copiai7),  tu  che  qui  vuoi  rapire 
me  sposa  diletta  del  Ragli uide.  Tu  pretendi  strappar  dalla 
bocca  d'un  forte  leone,  irato,  impetuoso,  nemico  delle 
belve,  la  carne  eh' ei  divora,  tu  che  vuoi  rapir  per  forza 
la  sposa  diletta  di  Rama;  tu  lambisci  colla  lingua  un  ra- 
soio e  tocchi  con  uno  spillo  gli  occhi,  o  Racsaso,  che  osi 
guardare  con  mente  perversa  la  sposa  diletta  di  Rama  ; 
tu  vuoi  togliere  ad  una  tigre  il  giovane  suo  nato,  tu  che 
pretendi  fare  oltraggio  alla  sposa  diletta  di  Rama;  vuoi 
traghettar  l'Oceano  con  un  macigno  appeso  al  collo  tu 
che  brami  rapire  la  sposa  diletta  di  Rama;  tu  vuoi  cani- 


\ll  \M  \CANDA.  301 

minare  sulla  punta  di  ferree  aste,  se  pensi  rapire  la  sposa 
di  Rama  a  lui  conforme;  vuoi  portar  via  mi  Inoro  ardente 
chiudendolo  nel  lembo  della  veste,  tu  che  desideri  rapire 
la  fortunata  sposa  di  Rama;  vuoi  toccare  colla  mano  un 
nero  serpente  velenoso,  sbuffante  e  furibondo,  tu  ehe 
desideri  rapirmi,  La  differenza  che  v'ha  tra  un  leone  ed 
un  sciaealo,  la  dillerenza  che  v'ha  tra  l'Oceano  ed  un 
ruscello,  la  dillerenza  che  v'ha  tra  1  Surastri  ed  i  Sau- 
viri(48),  tal  dillerenza  si  trova  tra  te  e  Rama.  La  dille- 
renza che  v'ha  Ira  Taccialo  e  l'oro,  la  differenza  che 
v'ha  tra  la  polvere  di  sandalo  ed  il  limo,  la  differenza 
che  v1  ha  tra  un  gatto  ed  un  elefante ,  tal  differenza  si 
trova  tra  te  e  Rama.  La  differenza  che  v'ha  tra  una  cor- 
nacchia ed  il  figlio  di  \  inata  (Garuda),  la  differenza  che 
v'ha  tra  una  pernice  ed  un  pavone,  la  differenza  che 
v'ha  tra  una  gru  e  ed  un  avoltoio,  tal  differenza  si  trova 
tra  te  e  Rama.  Finché  starà  Rama  armato  d'arco  e  di 
saette,  pari  in  possanza  ad  Indra,  io  benché  fossi  rapita, 
non  potrei  essere  da  te  digesta,  se  non  come  il  fulmine 
inghiottito  da  una  mosca.  Si  potrebbe  rapir  Saci  ad  In- 
dra, la  fiamma  al  fuoco  ardente,  Urna  a  Siva  signor  del 
mondo,  ma  non  me  a  Rama,  o  Ràvano.  Così  alle  ree 
parole  dettele  dal  Racsaso  rispose  l'incolpabile  Sita;  ma 
ella  tremava  sbigottita,  come  una  bella  pianta  di  pislia 
rotta  da  un  elefante.  Vedendo  Sita  tutta  tremante,  Rà- 
vano pari  di  possanza  a  ìama  le  andava  rammentando, 
per  accrescerle  terrore,  la  sua  stirpe,  la  sua  forza,  il  suo 
nome,  la  sua  prodezza. 


302  R  \\l  \V\\  \ 

CAPITOLO   UY. 

COLLOQUIO     DI     RAVANO     E     DI     SITA. 

Ma  come  Sita  ebbe  proferite  quelle  parole  irose  ed 
aspre  ,  Ràvano  aggrottando  le  ciglia  sulla  Ironie  eosì  le 
rispose  :  lo  sono,  o  leggiadra,  il  fratello  rivale  di  Vais- 
ravana,  l'inclito  Dasagrìva  e  m'appello  Bàvano,  se  lu  sia 
felice;  io  son  colui,  o  fortunata,  dinanzi  a  cui  fuggono 
per  paura  i  Devi  coi  Gandharvi,  coi  Pisàci  e  coi  Serpenti, 
come  fuggono  gli  uomini  dalla  faccia  della  morte,  colui 
da  cui  irato  per  giusta  causa  fu  vinto  in  singoiar  certame 
con  forza  eroica  il  re  Vaisravana  che  m'era  fratello  di 
padre;  ond'  egli  per  timor  di  me,  lasciala  l'opulenta  sua 
sede,  risiede  ora  sul  Kailàsa  sovrano  de' monti  :  è  questo 
il  grande  suo  carro  per  nome  Puspaco,  movenlesi  a  sua 
posta,  che  io  conquistai  col  mio  valore,  o  fortunata,  e 
sopra  cui  men  vo  per  gli  spazi  aerei.  Al  solo  veder  la  mia 
faccia  irata,  o  Mithilese,  fuggono  spaventati  per  le  dieci 
regioni  tutti  gli  uomini;  un  dì  io  vinsi  in  battaglia  con 
gran  prodezza  lo  stesso  Indra  circondato  da  tutte  le 
schiere  degli  Dei  e  superbo  del  furente  suo  elefante 
Airàvana;  fu  da  me  parimente  rotto  in  battaglia  Varuna 
signor  dell'acque,  armato  delle  sue  catene,  ed  ei  se  ne 
fuggì  rapidamente,  o  Sita,  privato  delle  sue  funi;  da  me  fu 
cacciato  alla  plaga  australe,  d'onde  più  non  si  muove  per 
timor  di  me,  Yama  che  impugna  la  mazza  ferrea  e  che 
in  battaglia  ha  per  arme  la  morte  ;  i  Custodi  del  mondo 
con  tutti  gli  Dei  fuggono  impauriti  per  ogni  parte  dinanzi 


ARANÌ  \C  \\l)\.  303 

;i  me,  quando  mi  innovo;  dove  io  sono,  o  Sila,  là  spira 
con  timore  il  vento,  ed  il  sole  tempera  per  paura  i  caldi 
suoi  raggi;  stanno  immobili  le  foglie  degli  alberi,  i  fiumi 
rattengono  le  lor  onde  là  dove  io  sono  e  dove  m'aggiro. 
L'ampia  mia  città  per  nome  Lanka  è  nel  mezzo  dell1 
Oceano,  popolata  di  Racsasi  terribili,  cinta  d'  alti  e  bian- 
chi baluardi,  bella  a  vedersi,  con  porte  d'oro  ed  archi  di 
gemme  e  di  lapislazzoli,  simile  ad  Amaràvati  sede  cf  In- 
dici. Llla  ò  piena  di  carri,  di  cavalli  e  d'elefanti,  echeg- 
giante del  suono  di  stromenti,  adorna  di  bei  giardini  con 
alberi  copiosi  d'ogni  sorta  di  frutti  desiderabili  :  abitando 
colà  con  me,  o  regale  e  egregia  Sita,  tu  più  non  ti  ricor- 
derai delle  donne  umane;  godendo  quivi,  o  leggiadra, 
di  supreme  delizie  sovrumane,  più  non  ti  ricorderai  di 
Rama ,  uom  perduto.  Dopo  aver  posto  al  governo  del 
regno  il  caro  suo  figlio  Bharata,  il  re  Dasaratha  mandò 
quindi  fra  le  selve  l'inetto  suo  figlio  primogenito;  che 
farai  tu,  o  donna  dai  grand' occhi,  di  quel  tuo  Rama 
stolto  ed  espulso  dal  regno?  che  farai  tu  asceta  con  un 
asceta?  Non  voler  tu  rifiutare  il  re  di  tutti  i  Racsasi,  che 
ferito  dal  telo  d'  amore  qui  venne  spinto  da  desiderio 
ardente;  perocché  ricusando  me,  o  timida,  tu  cadresti 
in  gravi  angoscie,  come  Urvasi  che  percosse  col  piede 
Purùravas.  Intesi  que'  detti ,  la  Videhese  irata  e  con  occhi 
accesi  rispose  al  re  de'  Racsasi  dure  parole  in  quel  de- 
serto luogo  :  Come  mai  vantandoti  d' esser  fratello  del 
Dio  Vaisravana  venerato  da  ogni  creatura,  vuoi  tu  qui 
fare  cosa  rea?  Per  certo  periranno,  o  Ràv'ano ,  tutti  i 
Racsasi  di  cui  sei  re  tu  violento ,  insano  e  dissoluto.  Ben 
potrebbe  rimanere  in  vita  chi  rapisse  Saci  consorte  d'In- 


30  li  RAMAYANA. 

dra;  ma  non  potrà  vivere  colui  che  qui  mi  rapnà  a  Rama; 
vivrebbe  forse  lungamente,  o  re  de'Racsasi,  colui  che 
rapisse  Saci  consorte  del  Dio  che  impugna  il  fulmine;  ma 
non  vivrebbe  lungamente  ^  ama  stesso,  se  facesse  oli  raggio 
a  Rama.  Tu  dopo  avere  oppresso  in  dura  guerra  le  schiere 
de' Siddhi  e  de' Brahmani,  lasciando  qui  la  feroce  e  al- 
tera tua  possanza,  te  n'andrai  ucciso  dalle  ardenti  saette 
del  Raghuide  di  qua  al  regno  di  ^  ama. 

CAPITOLO    LV. 

RAPIMENTO   DI  SITA. 

Udite  quelle  parole  di  Sita,  1'  eccelso  Dasagrìva  stropic- 
ciando l'ima  coli'  altra  le  sue  mani ,  ingrossò  fuor  di  modo 
il  suo  corpo.  Quel  Ràvano  re  de'  Racsasi ,  che  avea  sem- 
bianza falsa  di  mendicante,  riprese  la  natia  sua  forma 
con  ampio  corpo  e  grande  collo  ;  lasciato  subitamente  il 
mansueto  sembiante  di  pio  mendico,  il  Racsaso,  fratello 
minore  di  Vaisravana ,  ricuperò  la  propria  sua  forma  simile 
a  quella  di  Yama.  Egli  apparve  con  larga  fronte  e  con 
occhi  sanguigni,  con  lato  petto  e  grandi  braccia,  con 
denti  di  leone  e  con  omeri  di  toro,  con  membra  chiazzate 
e  capelli  ardenti;  era  nero,  coi  peli  arricciati,  simile  a  un 
nero  e  lucido  monte;  vestiva  panni  di  color  di  sangue, 
avea  smaniglie  d'  oro  forbito  ed  era  orribile  a  vedersi. 
Il  Racsaso  allora  così  rispose  a  Sita  dai  neri  capelli  e  dagli 
splendidi  ornati,  la  quale  avea  smarrito  ogni  sentimento  : 
Se  tu  ancor  ricusi  la  mia  mano  di  sposo ,  or  che  mi  vedi 
nella  vera  mia  sembianza,  o  donna,  io  ti  piegherò  per  forza 


ARAN^  VCANDA.  305 

ni  mio  volere;  tu  ti  glorii  de]  valor  di  Rama,  il  cui  pen- 
siero è  tutto  rivolto  in  te;  stollo!  lo  ben  veggo  che  a  te 
mai  non  giunse  la  fama  dell1  m comparabile  mia  possanza. 
Fermo  su  nell'etere  io  solleverei  colle  mie  braccia  la 
terra;  io  asciugherei  1'  Oceano  e  darei  in  battaglia  morte 
a  lama;  io  precluderei  la  via  al  sole  colle  mie  saette 
acute  e  squarcerei  le  viscere  della  terra  :  guarda  ,  o  stolta  , 
me  sovrano,  dator  d'ogni  cosa  desiderata  e  mutante 
forma  a  mio  talento.  A  quelle  parole  di  Ràvano  la  Videhese 
guardò  gli  occhi  del  Racsaso  irato,  ardenti  come  fiamma 
e  cerchiati  di  sangue.  Era  il  Racsaso  Dasagrìva  acceso 
nello  sguardo,  con  armine  d'oro  forbito,  armato  d'arco 
e  di  saette;  e  quel  scelerato  somigliante  a  nera  nuvola, 
vestito  di  veste  sanguigna  se  ne  stava  guardando  con  occhi 
ardenti  la  Mithilese  inclita  fra  le  donne.  Quindi  Ràvano 
così  prese  a  dire  a  Sita  dai  neri  capelli ,  dalla  bella  veste 
e  dai  begli  ornati,  simile  alla  luce  del  sole  :  Perchè  sei 
tu,  o  Sita,  così  affezionata  a  quel  tuo  stolido  Rama  che 
veste  vile  corteccia  ed  è  riarso  dal  vento  e  dal  calore?  Se 
tu  desideri  uno  sposo  celebre  nei  tre  mondi,  accettami 
tu  al  fine;  io  ti  sarò  nobil  sostegno.  Tu  non  avrai  unqua 
da  me,  o  fortunata,  ne  pena  né  fastidio;  lascia  l'amore 
che  tu  porti  ad  un  uomo  e  poni  in  me  il  tuo  affetto:  non 
darti  affanno,  o  timida,  perchè  io  sia  un  Racsaso;  io 
t'  accerto  che  sarò  sottomesso  al  tuo  volere.  Quando  tu 
sarai  in  Lanka,  io  non  ti  dirò  per  un  anno  intero  cosa  dis- 
cara al  tuo  cuore,  finché  non  sia  entrato  nella  tua  mente 
l'obblìo  di  Rama.  Per  quali  sue  doti ,  o  stolta  che  ti  credi 
di  sapere,  ami  tu  Rama  caduto  dal  regno,  sfortunato  e 
d'  età  circoscritta,  il  quale  per  le  parole  d'una  donna  las- 
ii.  39 


306  RAMAYANA. 

ciancio  gli  amici  e  il  regno,  venne  stollo  ad  abitare  in 
questa  selva  frequentata  da  serpenti?  Coni' ebbe  cosi  par- 
lato alla  Mithilese ,  F  iniquo  Ràvano  affascinato  dall'  amore 
afferrò  Sita,  come  il  pianeta  Budbn  (Mercurio)  assale 
Rollini  in  cielo.  Sita  allora  oppressa  dalle  lagrime  e  sde- 
gnata disse  a  HA  vano  :  Tu  sarai  spento,  o  iniquo,  dalla 
forza  del  magnanimo  Rama;  tu  perderai  la  vita  co' tuoi 
seguaci,  o  reo,  o  peggior  di  tutti  i  Racsasi.  Le  nere  facce 
del  tristo  Ràvano  s'accesero  di  viva  luce  a  quelle  parole 
di  Sita;  ed  ardendo  quasi  co'  suoi  ocelli  infiammati ,  colle 
sue  ciglia  aggrottate  e  orribili  la  Videbese,  Ràvano  ardente 
d'ira  ghermì  colla  mano  sinistra  ne' capelli  la  bella  Sita 
dagli  occhi  di  loto,  e  colla  mano  destra  la  prese  ne' ban- 
chi. Afferrata  dal  prepotente  Racsaso,  Sita  gridava  :  Tu 
non  mi  difendi,  o  nobil  Rama!  Dove  sei,  o  prode  Lacs- 
mano  !  Veggendo  quel  Racsaso  fortissimo,  simile  al  vertice 
d'un  monte,  armato  di  denti  acuti,  fuggirono  impauriti 
e  esterrefatti  gli  Dei  di  quella  selva;  ed  esso  insano  per 
amore ,  presa  la  donna  diletta  di  Rama  che  si  dibattea , 
come  la  femmina  del  re  de' Serpenti,  si  levò  in  aria;  si 
sollevò  quel  forte  tenendo  Sita  nelle  sue  braccia,  come 
si  leva  Garuda  a  volo  dopo  avere  rapito  la  femmina  del 
re  de1  Serpenti.  Ferino  in  aria  si  vedea  il  divino  e  magico 
carro  di  Ràvano ,  aureo,  altisonante  e  tirato  da  asini;  sopra 
quel  carro  il  Racsaso  depose  la  Videbese,  minacciandola  con 
gran  voce  e  con  dure  parole,  e  tenendola  sul  suo  grembo. 
Era  il  tempo  dell'  equinozio  autunnale  in  cui  sono  eguali 
la  notte  e  il  giorno,  e  f  ottavo  dì  della  luna  scema  (49), 
quando  il  Racsaso  rapi  la  Videhese,  come  un  Sudra  ra- 
pisce la  sacra  parola  dei  Vedi.  Quella  pia  rapita  dal  Racsaso 


\lì\\ì  \(.  \M)  \  307 

chiamava  dolente  lo  sposo  che  ora  lontano  nella  selva  : 
Oli  regal  figlio ,  accorri  !  Quindi  mentre  ch'era  dal  re  de' 

Parsasi  portala  \ia  pei-  l'aria,  ella  cosi  parlava  con  dehol 
voce  ed  angosciata,  come  insana  e  fuor  di  senso:  Oh 
Lacsm ano  dalle  grandi  braccia,  caro  all'animo  di  Rama, 
non  sai  In  dunque  eh'  io  son  rapila  dall'  iniquo  Ràvano? 
Tu  pur  sei  uso  a  domare  chi  è  avverso  a  riama,  o  prode, 
opio,  o  forte,  o  verace,  o  glorioso?  Non  vedi  or  tu  ch'io 
son  rapita  da  un  Racsaso  e  che  non  ho  chi  mi  protegga? 
Tu  domasti ,  o  eroe  ,  i  malvagi  Racsasi  ;  perchè  non  raffreni 
or  tu  questo  Ràvano  scelerato!  Ma  ben  si  coglie  quaggiù 
il  frutto  d' ogni  opra  contraria  al  giusto  e  al  vero,  e  Ràvano 
per  certo  coglierà  un  frutto  mortale  dal  suo  misfatto.  Sia 
ora  pur  contenta  Caiceyi  co'  suoi  congiunti;  ecco  al  line 
io  son  rapita ,  io  consorte  eguale  d'un  uom  fedele  al  giusto  ! 
Sia  oaai  lieta  la  rea  Caicevi,  da  cui  lu  cacciato  nella  de- 
scila  selva  Rama  eolla  sua  sposa  !  Io  ti  saluto,  oGanasthàna, 
addio  alberi  fiorenti,  deh  annunziate  prontamente  a  Rama 
che  Ràvano  rapisce  Sita!  Io  li  saluto,  o  monte  Prasravana 
dagli  alti  vertici  e  dai  bei  fianchi,  deh  annunzia  pronta- 
mente a  Rama  che  Ràvano  rapisce  Sita!  Io  vi  saluto,  o 
piante  floride  ed  odorose  che  abbellite  la  foresta,  deh 
annunziate  prontamente  a  Rama  che  Ràvano  rapisce  Sita! 
lo  ti  saluto,  o  riviera  Godàvari  piena  d' arde  e  e  di  cigni, 
deh  annunzia  prontamente  a  Ina  ma  che  Ràvano  rapisce 
Sila  !  Io  v'  adoro,  o  Dei  di  questa  selva  ricca  d' alberi,  deh 
annunziate  al  mio  sposo  eh'  io  son  rapita!  Io  ricorro  a  tutte 
le  varie  creature  quante  elle  sono,  che  abitano  in  questa 
gran  selva;  quante  sono  le  schiere  degli  augelli,  quanti 
sono  i  robusti  animali  abitatori  di  questa  selva,  io  ricorro 


308  R  VMAYANA. 

a  tutti,  e  desidero  che  s'  annunzii  a  Rama  che,  inculi'  egh 
e  Lacsmano  eran  lontani,  io  fui  rapita  da  Ràvano;  dite 
al  Raghuide  mio  sposo  che  io  sua  diletta,  più  cara  a  lui 
che  la  vita  fui  rapita  per  forza  da  questo  Racsaso;  se  quel 
magnanimo  dalle  glandi  braccia  saprà  ch'io  fui  rapita, 
mi  ritoglierà  colla  sua  possanza  anche  dal  regno  di  Vania. 

C  MMTOLO   L\  I. 

COMBATTIMENTO  DI  RÀVANO  E  DI  GATÀYUS. 

Ma  sull'amena  sommità  d'un  monte,  in  una  selva 
piena  di  recessi  stava  giacendo,  col  dosso  rivolto  al  sole 
ardente,  il  prode  re  degli  augelli,  robusto  e  forte.  Egli 
udì  colà  nel  sonno  un  suono  simile  a  voce  proferita.  Da 
quella  voce  entrata  per  la  via  degli  orecchi,  il  re  degli 
augelli  fu  percosso  al  cuore  come  da  fulmine  che  cada, 
e  risvegliatosi  subitamente  per  f  amor  che  portava  a  Da- 
saratha,  egli  udì  il  fragor  d'un  carro,  simile  a  strepito 
di  nube.  Riguardando  il  cielo  per  tutte  le  plage  a  mano 
a  mano,  Gatàyus  vide  Ràvano  e  la  figlia  di  Ganaca  pian- 
gente. Veduta  la  nuora  di  Dasaratka  rapita,  il  re  degli 
augelli  preso  da  grande  sdegno  si  levò  rapidamente  a 
volo  e  preclusa,  volando,  la  via  al  carro  di  quel  Racsaso, 
il  possente  augello  si  librò  sull'ale,  ardente  d' ira.  Impe- 
dita la  via  del  carro,  a  guisa  d'un  monte,  l'inclito  re 
degli  augelli  si  posò  quindi  sopra  un  grand'  albero  e 
disse  queste  nobili  parole  :  Io  sono,  o  Dasagrìva,  il  fortis- 
simo re  degli  avoltoi  per  nome  Gatàyus,  verace  e  saldo 
nella  giustizia  antica;  tu   sei    il  possente   sovrano  della 


AUAINYACANDA.  309 

stirpe  dei  Racsasi,  dai  quale  furori  più  volte  superali  in 
guerra  gli  Dei  :  tu  vedrai  or  ora  in  battaglia,  o  Paulastya, 
la  forza  di  me  benehè  vecchio  augello  e  svigorito,  ne  tu 
te  n'andrai  vivo  di  qua.  Rama  Dasarathide  pari  ad  India 
e  a  Varuna  e  intento  al  bene  degli  uomini,  è  re  del  mondo 
intiero;  di  quel  signor  del  mondo  è  consorte  eguale  costei 
che  s'appella  Sita,  illustre  e  bella,  che  tu  pretendi  qui 
rapire.  Come  mai  un  re  fedele  alla  giustizia  farebbe  ol- 
traggio alle  donne  altrui  ?  ai  reggitori  della  terra  s'ap- 
partiene principalmente  il  difendere  le  altrui  donne;  ri- 
movi or  dunque  il  tuo  pensiero,  o  vile,  dall' offender  la 
donna  altrui ,  acciocché  io  non  (i  precipiti  dall'  eccelso 
tuo  carro,  come  un  frutto  dal  suo  gambo.  Non  dee  un 
eroe  far  cosa  che  altri  vituperi ,  e  debbe  così  difender  le 
donne  altrui,  come  la  sua  propria;  rifletti  a  questo.  Egli 
è  vero  che  uom  non  può  spogliarsi  facilmcnle  la  propria 
sua  natura  ;  e  colui  che  è  generoso  non  può  abitar  lunga- 
mente nella  casa  d'un  malvagio.  Ma,  o  Paulastya,  non 
pensi  l'uomo  ad  ottener  con  mezzi  iniqui  ed  alieni  dalla 
giustizia  l'utile  od  il  diletto,  eh'  ei  non  potè  conseguire 
attenendosi  alle  dottrine  regolatrici  della  vita  (50).  Il  re  è 
il  supremo  ricettacolo  dell'utile,  dell'onesto  e  delle  ric- 
chezze; la  giustizia,  la  felicità  o  la  sventura  procedono 
dal  re  come  da  lor  radice.  Come  mai  tu  incostante  e  di 
rea  natura,  o  vilissimo  dei  Racsasi,  hai  pur  conseguito  la 
sovrana  possanza ,  a  guisa  d'  un  uom  malvagio  che  otte- 
nesse un  seggio  celeste?  Se  l'incolpabile  e  giusto  Rama 
non  mai  ti  fece  offesa  né  dentro  la  tua  città  né  nel  tuo 
regno,  perchè  offendi  tu  lui?  Qual  colpa  ha  Rama,  se 
l' iniquo   tvhara  andando  precipitoso   al  Ganasthàna  per 


310  RAMAYAN  \. 

causa  di  Surpanacha,  perde  quivi  la  vita?  Se  quattordici 
mila  Racsasi  v'andarono  dopo  lui  per  uccidere  Rama  e 
Lacsmano  e  furono  spenti  dal  Raghuide,  dimmi  schiet- 
tamente, dov'è  qui  la  colpa  di  Rama  signor  del  mondo, 
di  cui  tu  pretendi  rapir  la  sposa?  Rilascia  orsù  pronta- 
mente Sita,  affinchè  egli  non  t'arda  col  terribile  ed  igneo 
suo  sguardo,  come  un  dì  il  fulmine  d'Indra  arse  Vritra. 
Tu  non  t'  avvedi  che  hai  legato  al  lembo  della  tua  veste 
un  serpente  velenoso;  non  t'avvedi  che  hai  sospesa  al  tuo 
collo  la  catena  della  morte.  Quella  sola  passione,  o  stollo, 
si  dee  accogliere,  la  qual  non  perda  l'uomo;  ma  non  si 
dee  togliere  una  gemma  che  porti  con  se  rovina.  Quelf 
opra  ch'altri  facendo  distruggerebbe  la  giustizia,  quelf 
opra  ch'altri  facendo  distruggerebbe  la  sua  fama  e  cor- 
romperebbe il  suo  corpo,  tal  opra  non  dee  egli  lare. 
Corsero  sessanta  mila  anni,  o  Ràvano,  dal  dì  ch'io  nac- 
qui e  che  io  reggo  con  giustizia  il  regno  avito;  io  son 
vecchio;  tu  sei  giovane  e  forte  e  stai  armalo  di  lorica  e 
di  saette  sopra  un  carro  ;  con  tutto  ciò  non  te  n'  andrai 
tu  salvo,  portandone  la  Videhese;  tu  non  sei  atto  per 
giuste  ragioni  a  rapir,  me  veggente,  per  forza  Sita,  come 
non  potrebbe  un  Sudra  rapir  la  sacra  parola  dei  Vedi. 
All'udir  quelle  giuste  parole  di  Gatàyus;  i  venti  occhi 
del  Racsaso  irato  scintillarono  orribili  come  fuoco  ;  e 
collo  sguardo  infiammato  dall'  ira,  colle  sue  armille  d'oro 
forbito  il  re  de'  Racsasi  s'avventò  sdegnato  al  re  degli  au- 
gelli. Fu  terribile  in  quella  gran  selva  il  combattimento 
di  quei  due,  come  lo  scontrarsi  in  cielo  di  due  nuvole 
spinte  dal  vento.  S'azzuffarono  1' un  colf  altro  il  possente 
Ràvano  e  Gatàyus  armato  d'  artigli  e  ferente  col  becco  e 


\i; am  \c  \\r>.\.  311 

coli'  ale  :  era  maravigliosa  e  grande  quella  pugna  del  Rac- 
saso  e  dell' avoltoio,  e  l'alto  lor  fragore  su  per  l'aria  so- 
migliava allo  strepito  di  due  nubi.  Ràvano  oppresse  allora 
con  onde  orribili  di  saette,  di  dardi  e  di  giavellotti  acuti 
e  dritti  il  re  degli  avoltoi,  e  questi  ricevette  in  quella 
battaglia  il  nembo  di  saette  ed  i  ìacoli  di  Piavano;  ma 
poscia  acceso  d' ira  1'  avoltoio  ampio  come  un  monte  si 
precipitò  sopra  il  dorso  di  Piavano  e  tutto  lo  squarciò 
coli' unghie  ;  e  cogli  artigli  unghiati  e  acuti  quel  fortis- 
simo re  degli  augelli  gli  fece  pei"  tutto  il  corpo  ferite 
sanguinose.  All'  incontro  Dasa<na va  oltremodo  irato,  con 
saette  impennate  d'  oro  e  pari  a  fulmini  lacerò  il  re  degli 
avoltoi.  Ma  il  sovrano  augello  non  curando  le  saette  scoc- 
cate da  Ràvano  e  i  fieri  suoi  colpi,  si  scagliò  contro  lui 
volando,  e  sollevate  sopra  il  suo  capo  l'ale,  il  robusto 
avoltoio  ardente  d' ira  percuoteva  con  esse  Ràvano.  Quindi 
co' suoi  artigli  il  forte  re  degli  aligeri  ruppe  le  saette  di 
lui  e  l'arco  ornato  di  gemme  e  di  perle;  e  rotto  l'arco 
splendido  e  divino  di  Ràvano,  ei  si  gettò  sopra  lui  colf 
ale,  e  ferendo  con  ispessi  colpi  il  divino  ed  aureo  suo 
diadema,  tutto  adorno  di  gemme,  il  forte  re  degli  aligeri 
acceso  d'ira  lo  fé  cadere  giù  per  l'aria;  quel  diadema 
risplendeva  cadendo,  come  splende  il  disco  del  sole.  Per- 
cotendo  gli  asini  che  avean  facce  di  Pisàci  e  gualdrappe 
d'oro  e  lacerandoli  con  furia,  li  uccise  l'augello  in  poco 
d'ora;  ei  spezzò  il  terribile  gran  carro,  moventesi  a  sua 
voglia,  distinto  di  perle  e  d'oro  e  adorno  di  belle  ruote 
e  di  bel  timone  ;  e  scrollando  e  lacerando  1'  auriga  col  suo 
artiglio  simile  all'uncino  con  cui  si  stimola  l'elefante,  lo 
gettò  giù  dal  carro  a  furia.  Privato  del  carro,  coli' arco 


312  RAMAi  W\. 

rotto,  uccisi  cavalli  e  auriga,  Ràvano,  presa  sul  grembo 
la  Videhese,  saltò  a  terra.  Veduto  Piavano  a  terra  col 
carro  infranto,  le  creature  lodarono  il  re  degli  avoltoi 
gridando  :  Bene!  bene!  e  guardando  coi  Mimi  e  cogli 
Dei  vinto  dal  sovrano  augello  quel  rompitor  degli  eserciti 
nemici,  non  mai  superato  in  battaglia  né  dagli  Asmi  né 
dai  Suri,  eran  compresi  da  maraviglia.  Gli  Dei  celebra- 
rono T  eccelso  augello  che  avea  quivi  fatta  una  così  ardua 
prova,  e  il  sovrano  degli  augelli,  mentr  è  lodato,  se  ne  sia 
pronto  a  ricominciar  la  pugna. 

CAPITOLO   LVII. 

MORTE     DI     GATÀYUS. 

Ma  fatta  quella  gran  prova,  il  vecchio  Gatàyus  rimase 
affaticato,  e  Ràvano  lo  guardava.  Veduto  affranto  dalla 
vecchiezza  il  sovrano  degli  aligeri ,  il  Racsaso  togliendo 
Sita,  si  sollevò  di  nuovo  tutto  lieto  in  aria.  Ma  il  re  degli 
avoltoi  levandosi  a  volo,  così  parlò  a  Ràvano  che  ne  por- 
tava stretta  al  suo  grembo  la  figlia  di  Ganaca  :  Tu  rapisci, 
o  stolto,  per  la  rovina  de' tuoi  Racsasi  la  sposa  di  Rama, 
le  cui  saette  son  simili  al  tocco  del  fulmine;  tu  co1  tuoi 
congiunti  e  amici,  col  tuo  esercito,  co' tuoi  ministri  e 
con  tutta  la  tua  corte  inghiotti  questa  bevanda  velenosa, 
come  f  assetato  beve  l'acqua.  Gli  stolti  che  non  discer- 
nono le  conseguenze  de1  lor  atti,  periscono  prestamente, 
siccome  tu  perirai,  o  Ràvano.  Tu  sei  legato  dalla  catena 
della  morte,  per  qual  via  potrai  tu  svincolartene?  Tu  sei 
come  un  pesce  che  ha  inghiottito  per  la  sua  morte  colla 


\\\  \\ì  VC  \\l>\.  313 

carne  l'amo.  Rama  non  sopporterà  l'oltraggio  fatto  alla 
Milli  dose,  come  il  leone  non  tollera  1'  offesa  eli'  ei  riceve, 
né  il  serpente  soffre  d'essere  calpestalo;  no,  non  mai  i 
prodi  Rama  e  Lacsmano  sopporteranno  l' ingiuria  fatta  ad 
una  consorte  sovrana,  ne  la  violazione  del  loro  abituro. 
Dacché  tu,  crudele,  iniquo  ed  empio  vuoi  con  mente 
fura  rapir  Sita,  In  sei,  come  una  vittima,  devoto  al  sacri- 
fizio. Il  prode  o  rapisce  uccidendo  chi 'gli  contrasta ,  o  giace 
spento  dalle  saelle  del  suo  nemico;  ma  non  mai  un  eroe 
calca  le  vie  del  ladro.  T'arresta  dunque  un  istante,  o 
Ràvano,  e  combatti  se  sei  un  eroe;  tu  giacerai  morto  sulla 
terra,  come  il  tuo  fratello  Ivhara  ;  in  breve  ora  l'inclito 
RamaDasarathide,  costante  nel  dover  dei  Csatri  ucciderà, 
benché  in  abito  d'asceta,  te  da  cui  furon  più  volte  scon- 
fìtti in  battaglia  i  Daitvi  e  i  Dànavi.  Udite  quelle  parole 
del  re  degli  augelli,  il  re  dei  Racsasi  orgoglioso  cosi  ris- 
pose con  occhi  accesi  d' ira  :  Tu  hai  mostrato  abbastanza 
il  tuo  amore  verso  il  re  Dasaratha;  tu  ti  sei  sdebitato  pa- 
rimente verso  Rama;  or  non  voler  più  affaticarti  invano. 
A  que'  detti  cosi  rispose  imperturbato  il  sovrano  augello  : 
Fa  vedere  orsù  qual  sia  il  tuo  valore,  la  tua  forza,  la  tua 
virtù  e  la  grande  tua  possanza;  tu  non  fuggirai  da  me 
vivo,  o  crudele.  L'  opra  che  imprende  l'uomo  giunto  al 
termine  della  sua  vita,  tal  opra  hai  tu  intrapreso  per  la 
tua  rovina.  Qual  sovrano  delle  genti,  foss' anche  l'eccelso 
Brahma,  farebbe,  o  iniquo,  un'opra,  le  cui  conseguenze 
siano  ree?  Colui  che  è  crudele,  intollerante,  mancalor  di 
fede ,  rapitor  delle  donne  altrui ,  brucia  nell'orribil  Tari  aro , 
arso  dalle  proprie  sue  azioni.  Delle  quelle  nobili  parole 

al  Racsaso,  il  prode  Gatàyus  si  slanciò  con  impelo  sopra 
ii.  40 


;m  RAMAYAN\. 

il  dorso  di  Dasagrìva,  la  cerandolo  porla  schiena  cogli  acuti 
suoi  artigli,  simili  ad  uncini;  ed  il  Racsaso  dilanialo  dai 
colpi  dell1  unghie  e  del  becco,  e  stretto  fra  lo  acute  branche 
si  dibattea  per  ogni  parte,  come  si  dibatte  un  elefante 
sotto  al  montatore  che  gli  sta  addosso.  11  sovrano  dogli 
augelli  gli  squarciò  coli1  unghie  il  dorso,  e  con  colpi  d'arti- 
gli e  di  becco  acuto  tutta  gli  ruppe  la  cervice;  oi  gli  fé  do- 
lenti gli  ocelli  per  tulle  le  sue  facce  e  gli  stracciò  le  chiome 
colf  unghie,  col  becco  e  colf  ale.  Il  Racsaso  cosi  dilanialo 
a  mano  a  mano  dal  re  degli  avolloi  tremava  colle  labbra 
agitato  dall'  ira,  e  prosa  Sita  sul  sinistro  suo  fianco,  per- 
cosse irato  e  impetuoso  colla  palma  della  mano  Gatayus. 
Ma  questi  adirato  alla  sua  volta  fece  in  quella  battaglia 
or  colf  ale,  or  col  becco,  or  cogli  artigli  Ràvano  somi- 
gliante al  color  d1  un  aperto  fior  cV  asoca.  Ma  il  forte 
Dasagrìva  vie  più  infiammato  nelf  ira,  rilasciata  la  Vido- 
hese,  tutto  ruppe  con  calci  e  pugni  il  re  degli  avoltoi. 
Durò  alquanto  la  battaglia  d'  amendue  que'  fortissimi, 
fimo  capo  dei  Racsasi,  l'altro  sovrano  degli  augelli.  Ma 
Ràvano  al  fine  tagliò  colla  spada  1'  ale,  i  fianchi  e  i  piedi 
di  Gatayus  che  s'  affaticava  in  prò  di  Rama,  e  f  avoltoio 
colf  ali  rotte  dal  fiero  Racsaso  cadde  subitamente  a  terra 
semivivo.  Veduto  Gatayus  caduto  a  terra  e  insanguinato, 
la  Videhese  corse  dolente  a  lui,  come  ad  un  suo  con- 
giunto, e  il  signor  di  Lanka  guardava  ferito  a  terra  e  con- 
torcentesi  il  generoso  e  misero  Gatayus,  nero  per  tutto 
il  corpo  come  una  nuvola,  e  bianchissimo  nel  petto.  Quindi 
Sita  dal  volto  simile  alla  luna,  abbracciando  con  istretto 
amplesso  l'aligero  giacente  a  terra,  vinto  dalla  spada  di 
Ràvano,  pianse  amaramente. 


ARANYAC  \M).\.  315 

CAPITOLO   LVIII. 

PARTENZA    DI     RÀVANO. 

\lcnlie  il  re  ile1  Piaesasi  guardava  colà  giacente  a  lena  e 
insanguinato,  tremante,  semivivo  e  fuor  di  senso  Gatayus 
e  la  Videhese  prostrala  in  terra;  mentr'  ei  guardava  il  suo 
auriga,  gli  asini  con  facce  di  Pisaci  ed  il  magico  suo  carro 
rotto ,  ei  vide  pure  atterrati  e  uccisi  dal  re  degli  avoltoi 
colui  che  portava  il  regale  ombrello  e  i  due  che  tenevano 
le  ventole  crinite.  Ma  Sita  dal  volto  soave  come  la  lima 
lamentava  dolentissima  il  re  degli  avoltoi  ferito  da  Ràvano 
e  caduto  :  La  verità  de' sogni  portentosi  che  veggon  gli 
indizi  delle  cose  future,  appare  infallibilmente  ne' casi 
umani  avversi  o  prosperi.  Tu  eri,  o  re  degli  aligeri,  l'a- 
mico del  sovrano  e  magnanimo  Piaghuide ,  e  per  causa 
di  me  t'avvenne  si  fatta  morte.  Tu  prendesti  le  veci  del  re 
Dasaratha  e  di  mio  padre  re  di  Mithila;  tu  fosti  il  pro- 
tettore dell'eccelso  e  magnanimo  Raglimele;  tu  generoso 
sostenesti  aspra  battaglia  in  prò  di  Rama ,  e  n'  avesti ,  o 
saggio,  misera  morte.  Ecco  giace  spento  a  terra  colui  che 
avrebbe  annunziato  a  Rama  ch'io  pur  vivo,  benché  ridotta 
a  tale  stato  :  oh  questa  è  l'ora  del  mio  morire!  Per  certo 
ignora  Piama  la  grande  sventura  sopravvenuta;  e  mentre 
ei  corre  coli' arco  teso,  non  sa  che  Ràvano  s'aggira  in  questa 
selva.  Intanto  la  Videhese  esterrefatta  chiama  piangendo 
iteratamente  or  Rama,  ora  Causalya  ed  ora  Lacsmano. 
Ma  il  re  de'  Racsasi  corse  di  nuovo  addosso  a  Sita  disco- 
lorata il  volto,  scompigliata  il  serto  e  gli  ornamenti,  la 


316  \\\\\\\  \\  \ 

([naie  s' aggrappava  ai  rami,  abbracciava  1  grandi  alberi 
e  gridava  con  voce  soave  :  Oh  soccorrimi!  soccorrimi! 
Hàvano  pari  a  Vania  prese  per  li  capelli,  come  volesse 
ucciderla,  quella  misera  privata  di  Rama  fra  le  selve  e 
gridante  con  debol  voce.  Eran  dolenti  e  costernali  tulli  i 
grandi  Risei  abitatori  della  selva  Dandaca,  veggendo  Sita 
cosi  oltraggiata;  lutto  (pianto  l'universo  con  ogni  cosa 
mobile  ed  immobile  era  involto  in  cieca  tenebra,  mentre 
Sita  era  in  tal  modo  violentata;  e  l'eccelso1  Brabma  con- 
templando col  suo  occhio  divino  l'infelice  Sita  cosi  op- 
pressa, proferi  queste  parole  :«  L'opra  fatale  è  consumata.  - 
Ràvano  intanto,  presa  la  figlia  di  Ganaca  che  piangendo 
chiamava  Lacsmano  e  Rama,  si  slanciò  per  f  aria  a  volo. 
La  figlia  regale  col  suo  corpo  ornato  d'oro  forbito,  colla 
gialla  sua  veste  serica  cosi  risplendeva  per  lo  cielo,  come 
YApsarasa  Saudàmini;  e  Piavano  colla  veste  gialla  di  Sita 
ondeggiante  intorno  a  lai  così  tutto  risplendea,  come  un 
monte  acceso  dalle  fiamme.  Nero  come  una  nera  nuvola, 
colle  sue  armille  d'  oro  forbito  ei  somiglia  ad  una  nube 
spinta  dal  vento,  che  ne  porti  1'  Apsarasa  Saudàmini;  e 
1'  aurea  veste  serica  di  Sita  ondeggiante  all'  aria  somiglia 
ad  una  nube  cuprea  colorata  dal  sole  nella  stagione  estiva. 
1  flavi  ed  odorosi  fior  di  lo  lo  di  quella  donna  un  dì  cosi 
felice  coprivan,  cadendo,  Ràvano;  e  splendevano  per  Paria 
la  divina  sopravveste,  P  odoroso  unguento  e  i  serti  che 
un  dì  le  diede  Anasùya.  Il  puro  volto  di  Sita  stretto  al 
grembo  di  Ràvano  rassomigliava  alla  luna  nascente  che 
apre  una  nera  nuvola;  e  la  Mithilese  del  color  dell'oro 
cosi  ornava  il  nero  re  de'  Piacsasi ,  come  un'  aurea  zona 
adorna  una  nera  gemma.   La  figlia  di  Ganaca   ornata   di 


ARAM  AC  A  \  DA.  317 

lucid'oro  e  simile  ;il  color  d'una  ninfea,  illuminava  il 
fosco  Ràvano,  come  il  lampo  illumina  mia  nube  col  suo 
guizzo;  ed  il  nero  re  de'Racsasi  percosso  dai  tintinnanti 
ornamenti  della  Videhese,  rendeva  per  lo  cielo  imagine 
d'una  nuvola  rumoreggiante.  Una  soave  pioggia  di  fiori 
spiccatisi  dal  capo  della  rapita  Sila,  cadde  sopra  la  lena, 
ed  altri  fiori  scossi  d'ogni  parte  dall' impetp  di  Ràvano 
inondavano Dasagriva  :  un  nembo  di  bori  inondava  Ràvano, 
come  copre  la  terra  una  pioggia  di  bori  caduta  da  un 
albero  eccelso.  Cadde  scosso  a  terrai'  ornamento  de' piedi 
della  Videhese,  lucido  come  fuoco  e  simile  ad  un  cerchio 
di  baleni.  La  "Videhese  lucente  qual  oro  forbito  ornava 
il  nero  re  de'Racsasi,  come  una  zona  d'oro  adorna  un 
elefante.  Cosi  il  fratello  di  Vaisravana  rapiva  per  le  vie 
eteree  Sita  che  rifulgeva  in  cielo  col  suo  splendore,  come 
una  gran  meteora.  I  suoi  ornamenti  lucidi  al  par  di  fiamma 
caddero  subitamente  dall'aria  in  terra,  simili  a  stelle 
devastate  che  precipitino  dal  cielo.  Il  bianco  e  splendido 
monile  della  Videhese  cadendo  infranto  dal  suo  collo, 
somiglia  alla  Ninfa  Gange  cadente  giù  dall'etere.  Allora 
gli  alberi  pieni  di  vari  augelli  e  scossi  dal  vento  parevano 
dire  coi  loro  rami  agitati  :  «  Non  temere;  »  gli  stagni  co- 
perti di  ninfee  coi  loro  fior  di  loto  inariditi,  coi  loro 
pesci  ed  animali  aquatici  spaventati,  compiangevano  quasi, 
come  suoi  amici,  la  figlia  di  Ganaca;  i  leoni,  le  tigri,  gli 
elefanti  e  l'altre  belve  correvano  sdegnati  dietro  a  Sita 
in  quella  gran  selva,  seguitando  la  sua  ombra;  col  rim- 
bombo delle  lor  cascate,  colle  lor  cime  sollevate  a  guisa 
di  braccia,  gemevano  (piasi  i  monti,  mentre  Sila  era  ra- 
pila; e  veggendo  portala  via   la  Videhese,  si  fé  mesto  il 


318  RAMAYANA. 

sole  e,  smarrita  la  viva  sua  luce,  impallidì.  «  Non  v  ha  più 
giustizia,  non  v'ha  più  vero,  né  rettitudine  né  pitia; 
poiché  Ràvano  rapisce  Sita  consorte  di  Rama:  »  così  dice- 
vano dolenti  per  lo  cielo  tutte  quante  le  creature  ,  vedendo 
T  inclita  Sita  oltraggiata  da  Piavano.  Ma  Dasagrìva  ne  por- 
tava intanto  per  la  sua  rovina  la  nobile  Videhese  che 
andava  gridando  con  voce  soave  :  Oh  Rama!  Oh  Lacsinano! 
riguardava  sovente  la  terra,  ed  avea  scomposte  le  chiome 
e  smarrito  il  senso.  La  Mithilese  dal  dolce  sorriso,  sepa- 
rala dai  suoi  congiunti,  priva  di  Lacsmano  e  di  Rama, 
piangente  e  scolorata,  rimase  quindi  come  oppressa  dallo 
stupore  e  dalla  paura. 

CAPITOLO  LIX. 

MINACCE    A    RÀVANO. 

Ma  nel  mentre  che  la  pia  Videhese  se  n  andava  ra- 
pita e  stretta  al  grembo  di  Ràvano,  così  parlò  tutta  pian- 
gente e  cogli  occhi  rossi  di  pianto  e  d'ira  al  re  de'Rac- 
sasi  terribile  nello  sguardo  :  Ren  qui  si  scorge,  o  re  de' 
Racsasi ,  la  grande  tua  prodezza  !  Non  ti  vergogni  tu  d'opra 
così  fatta,  o  vile,  che  vedendomi  tutta  sola,  sei  venuto  a 
rapirmi  per  forza?  Per  certo,  o  iniquo,  tu  volendomi 
rapire  hai  per  paura  allontanato  il  mio  sposo  con  prestigi 
e  con  una  fìnta  sembianza  di  cervo.  Ren  qui  si  scorge,  o 
re  de'Racsasi,  la  grande  tua  prodezza!  Io  fui  da  te  con- 
quistata con  nobile  battaglia,  proferendo  tu  aperto  il  tuo 
nome  !  11  grande  tuo  spediente  che  atterrì  il  mio  cuore , 
fu  il  mandar  fuori  un  suon  pietoso  somigliante  alla  voce 


\\\  UNÌ  \C  WD  \.  319 

di  Elama;  come  non  t'adonti,  o  vile,  d'aver  latto  una  lai 
opra  vituperevole,  d'aver  rapito  una  donna  e  di  nascosto 
al  tuo  avversario?  Racconteranno  le  genti  per  la  lena 
questo  fatto  ignominioso,  crudele  e  iniquo  di  te  che  li 
vanii  d' esser  prode.  Onta  alla  tua  prodezza,  alla  pos- 
sanza che  vanti  tu  stesso!  Onta  ad  un  lai  tuo  modo  di 
procedere  che  infamerà  nel  mondo  la  tua  stirpe  !  Che  cosa 
può  altri  fare  in  tal  frangente,  mentre  tu  te  ne  fuggi  via? 
T'arresta  un  solo  istante,  e  per  certo  non  te  n'andrai  In 
vivo;  che  venendo  agli  occhi  di  quei  due  forti,  tu  non 
potrai  rimanere  in  vita  un  sol  momento,  quand'anche 
avessi  conte  un  esercito;  tu  non  potrai  sostenere  in  alcun 
modo  il  tocco  de' dardi  di  quei  due,  come  non  può  un 
uccello  nella  selva  sostenere  il  tocco  del  fuoco  ardente. 
Ma  ti  tornerà  inutile  la  frode ,  con  cui  tu  pretendi  pos- 
sedermi per  forza,  o  iniquo;  che  io  privata  del  mio  sposo 
pari  ad  un  Dio  e  caduta  in  potere  d'un  nemico  non  po- 
trò lungamente  sopportar  la  vita.  Vero  è  il  proverhio,  o 
Racsaso,  che  s'  ode  per  la  terra;  se  tu  non  l' udisti  ancora, 
ascoltalo  da  me  tuttoché  giovane  :  «  Colui  che  è  destinato 
a  morire,  non  fiuta  l'odor  d'una  lampada  estinta,  non 
ascolta  le  parole  d' un  amico ,  non  vede  Arundhati  (51)  ».  Tu 
disconosci  per  certo  il  tuo  bene  ;  che  pur  vuoi  rapire  me 
che  ho  un  eroe  per  protettore;  ma  a  coloro  che  vogliono 
morire,  non  piace  quello  che  è  salutare.  Io  ti  veggo  colla 
catena  della  morte  avvinta  al  collo,  e  poiché  in  tanto  pe- 
ricolo tu  pur  non  temi,  o  Ràvano,  tu  vedi  certo  per 
istoltizia  alberi  d'oro.  Tu  vedrai,  o  Ràvano,  Vaitarani, 
la  riviera  della  morte,  che  volve  alcali  profondi,  e  là  gran 
numero  di  lame  orribili  di  spade;  tu  vedrai  la  vasta  Sài- 


320  RAMA\  \\  \. 

mali  (52)  che  somiglia  ad  oro  acceso,  ha  foglie  di  verde 
cupo  e  del  color  di  lapislazzoli,  e  spine  di  ferro  acute.  Tu 
sei  legato,  o  Ràvano  dalla  catena  inestricabile  della 
morte;  dove  troverai  tu  scampo  dal  magnanimo  mio 
sposo?  Dopo  aver  fatto  a  colui  un  tanto  oltraggio,  tu  non 
puoi  più  vivere  lungamente,  o  Ràvano,  come  lo  stolto 
che  ha  bevuto  il  veleno.  Solo,  senza  il  magnanimo  suo 
fratello  egli  uccise  in  battaglia  in  mi  batter  d'occhio 
(jiiallordici  inda  Racsasi  ;  or  come  il  forte  e  prode  Rama 
esperto  in  ogni  sorta  d'armi  non  ucciderà  egli  colle  acute 
sue  saette  te  suo  mortai  nemico,  rapitor  della  sua  sposa? 
Queste  ed  altre  panile  acerbe  diceva  piangendo  in  suon 
pietoso  la  Mithilese  stretta  al  grembo  di  Ràvano  ed  op- 
pressa dall'affanno  e  dal  dolore.  Ma  intanto  l'iniquo 
Racsaso  ne  portava  quell'afflitta  e  dolentissima,  che  la- 
mentando dicea  parole  flebili  e  si  dibattea  misera  ed  in- 
felice con  tremilo  e  con  lacrime. 


CAPITOLO   LX. 

ENTRATA    DI    SITA     IN     LANKA. 

Lieto  e  turbato  ad  un  tempo  il  re  de Racsasi  tenendo 
la  figlia  di  Ganaca,  percorrea  con  grande  prestezza  le  vie 
del  cielo.  Atterrato  in  battaglia  il  fortissimo  Gatàyus, 
s'avviò  quell'insensato  ad  oriente  del  Ganasthàna,  e  ri- 
guardando con  occhi  intenti  tutte  le  plage,  ei  s'indirizzò 
precipitoso  e  folle  alla  volta  del  fiume  Pampa.  Trasvo- 
lando sopra  il  fiume  Pampa,  il  re  de'Racsasi  pervenne 
al  monte  Riscyamùka  colla  Mithilese  dirotta  in  pianto.  La 


ARANYACANDA.  321 

rapita  Videhese  non  trovando  protettore  in  alcun  Luogo, 
vide  sulla  cima  di  quel  monte  cinque  robusti  scimi,  e 
quella  leggiadra  dai  grandi  occhi,  lascio  cadere  in  mezzo 
a  loro  la  serica  sopravveste  del  color  dell'oro  c<l  i  splen- 
didi suoi  ornamenti,  pensando  :  «  se  forse  costoro  potes- 
sero dar  di  me  notizia  a  Rama.  «Cogli  occhi  fissi  alla  terra 
e  versando  lacrime,  ella  gettò  rapidamente  in  mezzo  a 
que  scimi  la  sua  veste  ed  i  suoi  ornamenti;  e  Ràvano  in 
quella  sua  precipitazione  non  s'accorse  ch'ella  rimase 
priva  de' suoi  ornati  e  del  divino  suo  diadema.  Que1  no- 
bili scimi  guardarono  allora  coi  rossi  loro  occhi  intenti 
la  bella  Sita  dai  grand'  occhi ,  che  piangendo  lasciava  cader 
cfuccjli  ornati  in  mezzo  a  loro  Caddero  gli  ornamenti  e  i 
vari  serti  rotti  e  la  nobile  sopravveste  di  Sita  che  si  di- 
battea;  quegli  aurei  ornati,  splendidi  come  fiamma,  nitidi 
come  segni  costellati  (nacsatri)  caddero  sopra  l'alte  pia- 
nure del  monte;  e  Ràvano  non  s'avvide  per  la  sua  foga 
che  la  Videhese  gettava  quegli  ornamenti  in  mezzo  ai 
scimi.  Ma  il  Racsaso,  veduto  il  fiume  Pampa  ed  il  monte 
Riscyamiika  ed  osservate  quivi  le  regioni,  divisò  il  suo 
cammino;  ed  oltrepassata  la  riviera  Pampa,  s'avviò  diritto 
alla  città  di  Lanka,  tenendo  la  Mithilese  che  piangea.  Ei 
trapassò  per  l'aria  selve,  monti,  laghi  e  fiumi,  rapido 
come  la  saetta  che  si  spicca  dall'  arco.  I  Caiani  allora 
inorriditi  proferirono  per  l'aria  queste  parole  :  «Un  tal 
misfatto  sarà  cagion  di  morte  a  Dasagrìva.  »  Egli  oltre- 
passò in  un  momento  il  mare  signor  de' fiumi ,  sede  im- 
mortai di  Varuna,  asilo  di  coccodrilli  e  di  mostri  aquatici; 
e  l'Oceano  si  mostrò  fummante,  con  onde  sconvolte,  co' 
suoi  pesci  e  serpenti  itali,  mentre  Sita  era  rapita.  Oltre- 

41 


322  RAM  Ai  \NA. 

passato  il  mare  e  giunto  a  Lanka,  Ràvano  v'entrò  rapi- 
damente,  tenendo  Sita  che  dovea  essere  La  sua   morie; 
ed  entrato  nella  città  di  Lanka  dalle  grandi  vie  ben  scom- 
partite, ei  depose  Sita,  come  f  Asino  \la\o  depose  Maya. 
Chiamate  quindi  donne  Pisàce  orribili  a  vedersi,  il  re  de 
Racsasi  commise  loro  in  custodia  la  Videhese;  e  stando 
elle  innanzi  a   Ini  raccolte  ed   ni   allo  reverente,  Ràvano 
così  lor  disse  :  Si  dee  da  voi  vigilare  allentamente  che  né 
donna  ne  uomo  vegga  cosici  senza  il  mio  assenso;  qua- 
lunque cosa  ella  desideri,  gemme,  perle  od  oro,  vesti, 
velli  o  polveri  di  sandalo,  tutto  si  dee  a  lei  donare;  io  lo 
consento.  Colei  che  scientemente  o  inscientemente  dirà 
a  Sita  cosa  alcuna  dispiacevole,  non  ha  cara  la  sua  vita. 
Dette  alle  Racsase  quelle  parole,  f  eccelso  re  di  Lanka 
uscito  dal  gineceo,  stette  pensando  che  cosa  dovesse  fare; 
e  poich'  ehhe  lungamente  considerato,  Ràvano  chiamò  a 
se  otto  prestanti  Racsasi  di  gran  forza,  ed  infatuato  pel- 
li doni  avuti  cosi  ei  parlò  con  lusinghe  a  que' terribili  e 
possenti  Racsasi ,  lodandoli   di  forza  e  di  valore  :  Armati 
di  tutt'  armi   andate  prontamente,   o  Racsasi,  di  qua  al 
Ganasthàna  che  era  un  dì  sede  di  Khara  ed  or  è  fatto 
sede  di  morti.  Saldi  nella  vostra  viri!  possanza  e  cacciata 
lungi  da  voi  ogni  paura,  ponete  colà  vostra  dimora  in 
quella  region  deserta  dove  furono  spenti  i  Racsasi  :  perocché 
quella  grand' oste  ch'io  posi  a  guardia  del  Ganasthàna, 
capitanata  da  Khara  e  Dùsana,  fu  uccisa  in  battaglia  da 
Rama   a   furia  di  saette.  Per  la  disfatta  di   quel  grande 
esercito   da   me    spedito  nacque ,   o  Racsasi ,   tra  me   e 
Rama  una  fiera  e  mortale  inimicizia;  io  desidero  venire 
a  capo  della  mia  nimistà  contro  queir  iniquo;  né  potrò 


VRANÌ  \CANDA.  323 

più  prender  sonno,  finché  non  sia  ucciso  in  battaglia  Rama. 
Per  la  qual  cosa  voi  dovrete  adoperarvi  ad  uccidere  quel 
mio  nemico;  quand' io  udrò  esser  spento  quell'  uccisor 
di  Khara  e  Dùsana,  n'avrò  gran  gioia,  come  il  povero 
che  ottiene  ricchezze.  Stando  voi  nel  Ganasthàna,  dovete 
ragguagliarmi  esattamente  di  ciò  che  faccia  Rama;  ogni 
Racsaso  dee  usar  sollecitudine  e  far  con  costanza  ogni 
sforzo  onde  uccidere  quel  Rama.  Io  conobbi  più  volte 
in  battaglia  la  vostra  forza;  perciò  v  ho  destinato  a  quest1 
uffìzio.  Allora  ([negli  otto  Racsasi ,  considerate  quelle 
care  parole  e  salutato  degnamente  Ràvano,  si  partirono 
da  Lanka  e  tutti  insieme  s'avviarono  invisibili  al  Gana- 
sthàna. 


NOTK. 


NOTE 

\L    LIBRO   SECONDO- 

1.  —  Sollecite  d'antivenire  il  nascer  del  sole.  Era  dovere  sacro 
nel!'  India  il  levarsi  prima  del  nascer  del  sole,  e  venerare  l' astro, 
ministro  maggior  della  natura ,  con  inni  solenni  pieni  di  gran- 
dezza e  di  beltà  :  «  fo  invoco  Savitri  (il  Sole)  dalle  mani  d'oro, 
affinchè  egli  mi  protegga .  ....  Io  invoco  Savitri  illuminatore 

degli   uomini,  dispensator  de'  domestici  beni Egli  ha 

rischiarato  gli  otto  punti  dell'orizzonte,  le  tre  regioni  delle 
viventi  creature  e  le  sette  riviere;  s'appressi  qui  Savitri  dagli 
occhi  d'oro,  e  conceda  a  colui  che  offre  il  sacrifizio,  desiderabili 
ricchezze  ecc.  >-  (Rùj-Vcda-Sanhita,  translated  from  the  originai 
sanskrit,  by  H.  H.  Wilson,  p.  51-99.) 

2. — Se  desideriamo  la  nostra  salvezza.  Si  paragoni  questa 
magnifica  lode  del  re  e  del  governo  regio  con  ciò  che  dice 
Samuele  del  re  e  della  sua  autorità  nel  libro  dei  Re  : 

Dixit  itaque  Samuel  omnia  verba  Domini  ad  populum  qui 
petierat  a  se  regem , 

Et  ait  :  Hoc  erit  jus  regis  qui  imperaturus  est  vobis  :  lìlios 
vestros  tollet  et  ponet  in  curribus  suis,  facietque  sibi  equites 
et  prascursores  quadrigarum  suarum, 

Et  constituet  sibi  tribunos,  et  centuriones,  et  aratores  agro- 
rum  suorum  et  messores  segetum  et  fabros  armorum  et  cur- 
ruum  suorum. 

Filias  quoque  vestras  faciet  sibi  unguentarias  et  focarias  ci 
panificas. 

Agros  quoque  vestros,  et  vineas,  et  oliveta  optima  tollet. 
et  dahit  servis  suis. 


328  NOTE 

Sed  et  segetes  vestras,  et  vinearum  reditus  addecimabit, 
ni  del  eunuchis  et  famulis  suis. 

Servos  etiam  vestros,  et  ancillas,  et  juvenes  optimos,  et 
asinos  auferet,  et  ponet  in  opere  suo. 

Greges    quoque    vestros    addecimata  ,    vosque    eritis    ei 

servi. 

Et  clamabitis  in  die  illa  a  facie  regis  vestri,  quem  elegistis 
vobis  :  et  non  exaudiet  vos  Dominus  in  die  illa,  quia  petistis 
vobis  regem.  [Liber primus  regum,  caput  vili.) 

Neil'  India  il  governo  regio  era  aulico  e  consacrato  dalla 
tradizione;  onde  il  mutarlo  pareva  un  disordine,  un  sovverti- 
mento; nella  Giudea  era  antica  e  consacrata  dalla  tradizione 
la  teocrazia,  ed  era  perciò  rappresentata  come  piena  di  pericoli 
l'innovazione  che  voleva  sostituire  al  governo  dei  Giudici 
l'autorità  d'un  re. 

3.  —  Alla  regione  Pannila  contigua  alla  selvaggia  regione  dei 
Cara.  Pàncàia  è  il  nome  duna  regione  che  si  trova  nella  parte 
settentrionale  dell'India;  il  Curuksetra,  o  regione  dei  Guru  è 
situato  nelle  vicinanze  di  Delhi.  I  nomi  di  queste  due  contrade 
si  trovano  sovente  accoppiati  per  la  loro  prossimità.  Così  nel 
Visnupuràna  pubblicato  e  commentato  dal  Cb.  Sig.  Wilson 
si  legge  alla  pagina  176  :  «  The  principal  nations  of  Bhàrata 
are  the  Kurus  and  Pànchàlas,  in  the  middle  distri cts  :  »  ed  in 
una  nota  a  questo  luogo  il  Sig.  Wilson  dice  :  «The  Kurus  are 
the  people  of  Kurukshetra,  or  the  upper  part  ofthe  Doab , 
about  Delhi;  the  Pànchàlas,  it  appears  from  the  Mah àbh arata, 
occupied  the  lower  part  of  the  Doab.  »  Per  questo  ho  creduto 
poter  qui  aggiungere  al  nome  della  regione  Pàncàia,  che  ella 
è  contigua  alla  regione  dei  Curii. 

i\. — Fiume  di  Varano.  Il  commentatore  Lokanàtha  chiosa  : 


AI,    LIBRO   SECONDO.  399 

^tòtttt  =tft  rrrf ..  riviera  che  si  chiama  Veruni  ».  Io  ho  creduto  in 
vece  che  il  vocabolo  Varimi  l'osse  qui  un  epiteto  della  riviera 
Sarasvati  e  l'ho  interpretato  «fiume  di  Varuna.»  Varuna  è  il 
signor  dei  fiumi  nitrii  qfn  ■.  ■ 

5. — -Verace  risponde  alle  altrui  domande.  Qui  è  fatta  menzione 
d'uno  di  quegli  alberi  sacri,  a  cui  l'antichità  attribuiva  virtù 
sovrannaturali;  tale  è,  per  camion  d'esempio,  l'albero  di  Do- 
dona.  Non  èqui  luogo  d'investigare  con  lungo  discorso  l'ori- 
gine di  tali  credenze;  ma  per  lo  più  esse  derivano  da  quel 
sentimento  primitivo,  spontaneo,  per  cui  l'uomo  abbaglialo 
dalla  singolarità  di  certi  fenomeni  naturali,  crede  effetto  di 
forze  arcane  quello  che  ignora ,  deifica  in  certo  modo  gli  oggetti 
della  natura  e  li  associa  ai  casi  della  sua  vita.  Il  vocabolo  sans- 
crito che  ho  tradotto  «verace  risponde  alle  altrui  domande,  »  è 
JHr;jm<Ji-cM  ;  ma  questo  vocabolo  potrebbe  anche  interpretarsi 
«  albero  dalle  domande  veraci  »  ovvero  «  a  cui  si  fanno  veraci 
offerte.  »  Ho  preferito  la  prima  delle  tre  interpretazioni ,  perchè 
mi  parve  più  confacente  al  soggetto. 

6. — Csatri  Bodhi.  Ho  aggiunto  al  nome  di  Bodhi  L'epiteto 
di  Csatri,  fondato  sull'autorità  del  commentatore  che  chiosa  : 
^tfù  w^fòcjmmn  «  Bodhi  spezie  di  Csatri.»  Il  Sig.  Wilson  nel 
Visnàpuràna  (p.  1 85 ,  nota  U),  parlando  dei  Bodhi,  dice  : 
«One  of  the  tribes  of  centrai  India,  according  to  the  Vàvu  : 
il  is  also  read  Bàhyas.  »  In  luogo  di  *tstoh<rf  (Agakùla)  la  recen- 
sione boreale  legge  ^fa^iri  (Abhikàla). 

7.  —  L'isola  che  s'appella  Sài  mali.  Il  commentatore  chiosa  : 

fsrif  .  <r£  fewr  :  ^TFf  «sede    di   Visnu.  »    Interpretando   io   v'ho 

aggiunto,  ((l'Oceano  latteo»  perchè  si  trova  qui  menzionata 

Sàlmali  che  è  appunto  una  delle  sette  grandi  isole  circondata 

11.  42 


330  NOTE 

da  quell'Oceano;  ma  confesso  che  la  menziono  dell'Oceano 

latteo  mi  paro  qui  fuori  di  luogo. 

8.  —  Divorato  da  Ràhu.  Si  vegga  la  nota  li  i ,  dol  libro  secondo 
(voi.  I). 


9.  —  Verso  la  plaga  meridionale.  Era  la  plaga  o  regione  ce 
ite  governata  da  ì 
spiriti  dei  trapassali. 


leste  governata  da  Yama  Dio  dei  morti ,  e  dove  andavano  gli 


10.  —  Queste  tre  coti  piene  d'oro.  La  coti  è  un  numero  di 
dieci  millioni;  ma  ponsò  che  qui  voglia  dire  una  misura  od 
una  grande  quantità  indeterminata. 

11. — Nishi  d' oro.  Si  vegga  la  nota  /io,  del  libro  secondo 
(voi.  1). 

12.  — Amarae alitai  a.  11  commentatore  dice  :  ^JT^u^ch  rnrr  f?t# 
«  Amarakantaka  è  il  nome  d'un  luogo  sacro,  d'un  Tìrtha  :  » 
ma  tale  chiosa  non  è  d'  un  gran  soccorso  per  determinare  la 
posizione  geografica  di  quel  luogo.  Il  Sig.  Lassen  [Indische  al- 
tertlwmskundc ,  p.  82),  parla  d'un  gruppo  di  monti  che  si 
trova  nella  catena  delle  montagne  Vindhya  e  s'appella  Amara- 
kantaka; ma  questo  non  può  essere  1' Amarakantaka  di  cui  si 
fa  qui  menzione;  perchè  i  monti  Vindhya  sono  al  mezzodì 
dell'India,  e  qui  si  parla  delle  regioni  settentrionali.  Per  ora 
non  potrei  dunque  indicare  esattamente  il  sito  di  quel  luogo. 

13.  —  Salyakirtana.  Mi  sono  qui  attenuto  al  commentatore 
che  chiosa  :  ui^dchl-H-i  ^rn^idsitj ì£si  su  «Salyakirtana  è  una  città 
ovvero  una  regione  :  »  ma  Salyakirtana  potrebbe  ben  essere 
un  epiteto  di  Agneya  e  significare  «  rinomata  per  i  suoi  bambù.  » 


AL    LIBRO   SECONDO.  331 

Quanto  adAgneya  il  commentatore  dice  :  ai^f  srfr^dìy  «  Agneya 
è  un  luogo  sacro,  un  Tirtha  d'Agni  (il  fuoco).» 

14.  —  Alla  regione  Torana.  Ho  seguitato  in  tutte  queste  in- 
dicazioni geografiche  la  chiosa  del  commentatore.  E  vero  che 
il  vocabolo  Vàranasthala  potrebbe  essere  un  epiteto  di  Torana 
e  significare  sede  o  regione  d' elefanti  ecc. 

15.  —  Inarborata  disoree.  11  vocabolo  che  ho  tradotto  «  inar- 
borata di  soree  »  ò  OTTrJTSFf  (Sàlavana)  e  potrebbe  essere  un 
nome  proprio.  11  commentatore  dice  :  sn^rsrt  qìriuuvtoM. 

16.  —  La  densa  foresta  Sàlavana.  Qui  invece  il  vocabolo 
Sàlavana  potrebbe  essere  un  epiteto  e  il  vocabolo  stà  (Ghana) 
che  ho  tradotto  «  densa  »  potrebbe  essere  il  nome  proprio. 
Ognuno  comprenderà  quanto  sia  difficile  il  chiarire  queste 
particolarità  geograficbe  tutte  locali. 

17.  —  Qual  oriibil  Dnrga.  Durga  è  la  Dea  consorte  di  Siva. 
Era  in  origine  una  Divinità  di  natura,  identica  con  Urna  la 
figlia  del  monte  Himalaya;  ma  diventò  poi  terribile  e  te- 
muta, allor  che  il  culto  di  Siva  divenne  egli  pure  un  culto  di 
terrore. 

18.  —  Fra  le  mondane  evoluzioni.  Qui  allude  alla  metemp- 
sicosi ,  dogma  fondamentale  non  solo  della  religione ,  ma  della 
civiltà  Indiana.  Dopo  avere  per  un  certo  spazio  di  tempo  fruito 
nell'altra  vita  i  premi  o  sofferto  i  castighi  meritati  quaggiù, 
gli  spiriti  umani  tornavano  al  mondo  per  ricominciarvi  una 
nuova  serie  di  esistenze,  finché  non  fossero  diventati  degni 
di  confondersi  in  Brahma;  il  che  era  la  suprema  beatitudine. 
\"  ha  ragione  di  credere  che  questo  dogma  fosse  originario  e 


;yó*2  note 

proprio  dell' India.  Pitagora  che  Lo  professò  in  Grecia ,  è  quello 

;i|)|)iiiito  tra  i  filosofi  Greci  che  la  tradizione  dice  aver  Lunga 
mente  peregrinato  nell'India. 

19.  —  In  quai  inondo  n'andrai  In  ora.  Le  dottrine  Indiane 
dividevano  1'  universo  in  più  mondi  (loki).  \  e  a  avea  dappri- 
ma tre  principali  :  il  cielo,  la  terra,  i  Luoghi  inferni.  Ma  secondo 
un'altra  divisione  ve  n'eran  sette  :  il  Bhùrloka  o  la  terra,  il 
Bhuvarloka  o  lo  spazio  fra  la  terra  e  il  sole,  sede  dei  Mimi, 
dei  Siddhi  ecc. ,  il  Svarloka  o  il  cielo  d' Indra  fra  il  sole  e  la 
stella  polare,  ed  il  settimo  Brahmaloka  o  mondo  di  Brahma. 
dove  pervenuti  gli  spiriti,  erano  esenti  dal  rinascere. 

20. —  Vdsava.  Indra,  il  Dio  del  firmamento.  Si  vegga  la 
nota  36,  del  libro  primo. 

21.  //  solo  fato.  11  concetto  del  fato  era  nell'  India  diverso 
da  quello  che  se  n'avea  in  Grecia.  Nella  Grecia  il  fato  era  una 
potenza  arcana,  inesorabile,  che  dominava  l'uomo  e  gli  avve- 
nimenti umani,  ed  a  cui  era  impossibile  il  sottrarsi.  Nell'India 
il  fato  era  piuttosto  una  conseguenza  inevitabile  delle  azioni 
fatte  nelle  nascite  anteriori  all'esistenza  attuale,  ed  era  perciò 
collegato  colf  idea  della  metempsicosi.  La  sventura  che  colpiva 
f  uomo,  era  per  lo  più  una  pena,  un  espiazione  di  colpe  an- 
tiche non  ancora  del  tutto  cancellate.  Onde  il  nome  sanscrito 
del  fato  è  ^rfi-FT:  (Kritànta)  che  significa  il  risultato,  il  termine 
delle  azioni. 

22.  —  Che  han  per  oggetto  il  sommo  Spirito.  Il  vocabolo  che 
io  ho  tradotto  «  il  sommo  Spirito  »  è  hmttM  (Susuksma)  che  signi- 
fica sottilissimo  :  ^^r  (Suksma)  significa  lo  Spirito'supremo  che 
penetra  per  tutto  funiverso.il  commentatore  chiosa  :  g^r^T 


AL   LIBRO  SECONDO.  333 

fp^"  dcufrfqT^cFr  u  Susuksma  è  Bi'alitna .  le  (lotirinc  som  quelle  che 
hanno  lui  per  oggetto.»  Ma  Brahma   potrebb'  essere  il  Veda. 

23.  —  Asddha,  Carttìca  e  Maglia.  11  mese  Asàdha  comprende 
parie  di  giugno  e  parte  di  luglio,  il  mese  Carttica  parte  di 
ottobre  e  parie  eli  novembre,  il  mese  Màglia  parte  di  gennaio 
e  parte  di  febbraio.  I  giorni  del  plenilunio  di  questi  mesi  do 
veano  essere  particolarmente  consacrali  a  doni  e  riti  pii. 

24.  —  Calde  carni  ecc.  Ho  tradotto  ott  «  caldo:  »  forse  clic 
era  vietato  nell'India  il  mangiare  calde  bollenti  le  vivande. 
Questo  divieto  avrebbe  qualche  analogia  con  altre  simili  osser- 
vanze imposte  ai  suoi  seguaci  da  Pitagora,  il  fdosofo  che  più 
ritrae  dalle  dottrine  e  dalle  idee  dell'India. 

25.  —  La  vacca  Capila.  E  una  vacca  favolosa,  di  cui  si  fa 
frequente  menzione  nelle  leggende  indiane. 

26.  —  Cento  vigilie.  Si  vegga  la  nota  8  del  libro  secondo 
(voi.  I). 

27.  —  /  bardi,  i  preconi,  gli  encomiatori.  Il  loro  ufficio  era 
celebrar  con  lodi  il  re  ed  i  grandi  personaggi,  esporne  le  ge- 
nealogie, vantarne  gli  antenati  ecc.,  ed  anche  accompagnar 
gli  eserciti  nella  guerra,  cantando  inni  marziali  per  infiammare 
il  coraggio  dei  guerrieri,  come  faceva  Tirteo  in  Grecia. 


•r>ì->' 


28. —  Usiri  e  padmacasti.  Usira  è  la  radice  d'una  pianta 
odorosa,  l' andropogon  muricaiiun,  il  padmacasta  è  un  legno 
odorifero. 

29.  —  /  vasi  sacrificali.  Ho  interpretato  qui  il  Tmrì  «vasi 


334  NOTE 

sacrificali»  conformemente  alla  significazione  propria  di  (]u<jl 
vocabolo;  ma  il  commentatore  l'interpreta  in  altro  modo  e 
dice  esserci,  il  mucchio  delle  vittime:  »  WJMW  ÓTtìiuÌWjST;  l'orse 
egli  ha  ragione. 

30.  —  Il  tener  sollevate  le  sacre  cucchiaie.  Qui  mi  sono  atte 
mito  al  commentatore  che  chiosa  :  ffUNH^J^T:  ^ìh&Sìuuì.  L'uffi- 
zio di  questi  sacerdoti  o  sacrificatori  dovea  essere  il  versare  il 
burro  sopra  il  fuoco  sacro. 

31.  —  Con  erba  cusa.  E  la  poa  cynosuroules ,  erba  sacra 
adoperata  a  vari  usi  nei  sacri  riti,  come  si  vede  dalla  frequente 
menzione  che  se  ne  fa  in  molti  luoghi  di  questa  epopea. 

32.  — Ed  altre  nobili  riviere.  Qui  ho  tradotto  conforme  alla 
significazione  letterale  del  testo;  ma  forse  il  concetto  che  qui 
si  vuole  esprimere,  è, semplicemente  che  Bh arata  si  servi  dell' 
acqua  di  tutti  questi  fiumi  per  fare  le  ceremonie  lustrali. 

33.  —  Per  li  mani  del  morto  re.  Le  ceremonie  funebri  aveano 
luogo  a  differenti  tempi  determinati,  e  consistevano  in  obla- 
zioni fatte  agli  Dei  e  ai  Mani,  in  doni  ed  alimenti  offerti  ai 
congiunti  ed  ai  Brahmani  assistenti  ecc.  Questi  riti  eran  creduti 
necessari ,  affinchè  gli  spiriti  dei  trapassati  potessero  pervenire 
e  rimanere  nel  mondo  destinato  ai  mani. 

34.  Del  duodecimo  e  del  decimoterzo  dì  lunare.  Fra  i  giorni 
destinati  al  sràddha,  ossia  ai  riti  funebri  in  onore  e  in  prò 
dei  trapassati  e  sopratutto  dei  parenti,  i  dì  duodecimo  e  deci- 
moterzo del  mese  lunare  erano  particolarmente  solenni  e  sacri. 

35.  Periti  nell'arte  del  tirare  a  filo.  Il  vocabolo  sanscrito  che 


AL   LIBRO   SECONDO.  335 

ho  cosi  interpretalo,  è  ^rcF^rfóreTT^TCN  Stando  alla  significazione 
letterale  delle  parole  onde  si  compone  questo  vocabolo,  ei 
verrebbe  piuttosto  a  dire  «periti  nell'arte  del  tessere:,)  ma 
come  i  tessitori  non  hanno,  ei  sembra,  molto  che  lare  nell'arte 
di  costruire  vie,  io  l'ho  interpretato  «periti  nell'arte  del  tirare 
a  filo:»  la  quale  interpretazione  non  è  del  tutto  aliena  dal  si 
gnificato  di  quel  vocabolo. 

36.  —  Con  cinque  uscite.  Il  testo  ha  q*wi{uu<  che  il  com- 
mentatore chiosa  :  q^afi^lfm  «cinque  porte  esteriori.»  lo 
l'ho  interpretato  «con  cinque  uscite»  che  mi  parve  il  senso 
più  appropriato  a  questo  luogo.  Ma  trattandosi  qui  di  antichi 
modi  di  costruire  venuti  in  disuso,  è  difficile  a  chi  non  ha 
visitato  l'India,  dove  sarà  forse  rimasto  qualche  vestigio  di 
simili  costruzioni  antiche ,  il  determinare  con  precisione  il  si- 
gnificato di  tali  vocaboli. 

37.  —  /  Sàmudri.  Keraìa,  dice  il  Wilson,  e  il  moderno 
Malabar;  i  Dandadhari  erano,  secondo  il  commentatore,  una 
razza  di  barbari  o  Mlecci  iì^diHii  :  ma  ei  non  dice  in  qual 
parte  abitassero  ;  i  Sàmudri  doveano  essere ,  conforme  al  loro 
nome,  popoli  che  abitavano  vicino  al  mare. 

38.  —  A  Nahusa  e  a  Dilipa.  Erano  due  antenati  di  Rama  : 
si  vegga  il  capitolo  lxxii,  del  libro  primo. 

39.  —  Qu\  seguitano  nel  testo  quattro  stanze  di  metro 
differente  dallo  sloka  che  è  il  metro  consueto  dell'epopea,  le 
quali  non  fanno  che  ripetere  cose  già  dette  in  questo  stesso 
capitolo;  io  le  ho  omesse  nel  corpo  del  volume;  eccone  qui 
la  traduzione  : 

.(L'illustre  Bharata  di  salda  fede  volendo  propiziare  l'ine 


336  NOTE 

lilo  suo  fratello  primogenito  ito  alle  selve,  cosi  parlo  al  duce 
dell' esercito  e  ai  suoi  amici  :  Sorgi  prontamente,  o  Stimando, 
va  ed  ordina  che  s'aduni  il  mio  esercito;  per  la  prosperità 
della  terra  io  desidero  qui  ricondurre,  propiziandolo.  Rama 
mio  maggior  fratello  che  dimora  Ira  le  selve.  Per  comando 
di  Bharata.  Sumantro  con  animo  tutto  Leto  diede  ordini  ai 
principali  della  città,  ai  primi  dell'esercito  ed  agli  amici. 
Quindi  levandosi  su  a  tempo  opportuno  i  nobili  (-salii,  i  \  aisyi 
e  i  principali  della  città,  allestirono  per  ogni  parte  asini  e 
camelli,  elefanti  ardenti  e  molti  cavalli.» 

40. —  Lapidata  lodhra.  E  la  symplocos  racemosa,  la  scorza 
della  quale  s'  usa  a  tingere. 

41.  —  Neil' interpretare  le  professioni  e  l'arti  enumerate 
in  questo  capitolo,  mi  sono  principalmente  attenuto  al  com- 
mentatole, il  quale  dovea  conoscere  la  natura  e  la  egualità 
dell'arti  esercitate  nel  suo  paese.  Quindi  appoggiato  alla  sua 
autorità  mi  sono  alcuna  volta  allontanato  dal  signilicato  ordi- 
nario e  comune  di  qualche  vocabolo.  Così  per  camion  d'esem- 
pio ho  tradotto  il  ^rjf^wrr^nmfi^Tti  dello  sloka  i3.  uQuei  che 
vivono  nutrendo  pavoni  e  starne  »  conforme  al  commentatore 
che  chiosa:  zrwf^hi  :  *ra7<TrTOT  snsr^T  :  mwr,chi«HjT*ra"  ;  quantunque 
il  significato  più  comune  di  quei  vocaboli  sia  «i  cacciatori  di 
pavoni  e  di  starne  ».  Così  ho  tradotto  ilgyichiyi^  dello  sloka  i  ó. 
«  Quei  che  fanno  corde  d'arco  »  secondo  l' interpreta/ione  del 
commentatore  che  dice  :  ^Tcm^^rrsrraTTTFT  quantunque  il  si- 
gnilicato comune  di  quel  vocabolo  sia  «  quei  che  lamio  smalto  » 
oppure  «quei  che  vendono  miele  di  fiori.»  Così  ho  tradotto 
il  cM--byT7tFTT:  dello  sloka  1/1.  «Quei  che  scernon  l'oro  greggio 
dalla  terra  »  conforme  al  commentatore  che  chiosa  :  cJvTìhutt^t: 
rrf^grTCTwr^nj^TcF  rTf^T :  quantunque  il  significato  più  ovvio  fosse 


\L    LIBRO   SECONDO.  337 

«  quelli  che  conservai!  L'oro»  oppure  «quelli  che  Panno  v;isi 
d'oro.»  Parimente  ho  tradotto  il  *rsrf%Hchi5"i :  dello  sloka  lo. 
«i  costruttori  d' edifizi  tetragoni»  perchè  il  commentatore 
chiosa  :  FcTi^Tcfttt :  F5TKvicfiitf,;fr7  3#r  mrTTnT:  FdiVithi  =cfnr.chnu  rr.T»PTT. 
Gli  edilìzi  tetragoni  di  cui  qui  si  parla,  doveano  essere  palagi 
cinti  di  portici  o  di  terrazzi  da  tre  l;iti  ed  aventi  l'entrata  dalla 
parte  d'oriente.  Nell'enumerazione  che  si  la  qui  delle  arti, 
occorrono  alcune  varianti  nei  manoscritti,  ed  il  commenta- 
tore stesso   ne  cita  alcune  nel  suo  commento. 

42.  —  lì  albero  di  bauhinia.  E  una  spezie  ri' ebano. 

43.  —  Qui  ho  omesso  di  tradurre  una  stanza  di  metro  dif- 
ferente dallo  sloka,  perchè  ella  era  inutile  e  guastava  La  chiusa 
del  capitolo  ;  eccone  la  traduzione  : 

«  Per  desiderio  di  far  cosa  che  sia  utile  al  magnanimo  e 
diletto  Rama,  delle  cui  grandi  virtù  io  sono  preso,  respingerò 
quell'oste  che  s'inoltra  numerosa  di  cavalli  e  d'elefanti.» 

44.  —  Csatro.  Si  vegga  la  nota  38.  del  libro  primo. 

'l5.  —  Priva  de  suoi  cavalli  ed  elefanti  di  guerra.lì  vocabolo 
composto  che  ho  così  interpretato  sull'autorità  del  conimeli 
tatore ,  è  mkfcFc?r^ifzm\  ecco   la  chiosa   del   commentatore: 

Utot;  qui  non  v'ha  Luogo  a  dubbio  sopra  il  significato  che  il 
commentatore  attribuisce  al  vocabolo  ^idH-rU  ed  a  cui  ini 
sono  attenuto. 

46.  —  Che  s appella  svastika.  Il  vocabolo  composto  che  ho 
tradotto  «segnate    col   mistico    e    fausto  segno    che   s'appella 
svastika»)  è  toiRrithRi^i^i:  ma  il  commentatore  L'interpreta  in 
ii.  13 


;>;}<s  NOTE 

nitro  modo  •'  chiosa  ;  fSrlWdi Pd^lFT  xlHtehl i J U ì$ Fd^l  W  ^Tf^T  n\n\  n i    . 

il  che  verrebbe  a  dire  che  il  corpo  di  (fucile  navi  aveva  forma 
o  apparenza  tetragona,  ovvero,  simile  agli  edili/i  tetragoni  che 
s'appellano  catuskoni.  Tale  interpretazione  mi  parve  al  tutto 
strana;  i°  perchè  la  l'orma  quadrangolare  non  suole  essere  la 
forma  d'una  nave,  e  non  si  trova  menzione  di  navi  rosi  fatte 
in  alcun  luogo  dell'epopea;  i°  perchè  non  veggo  come  po- 
trebbe muoversi  e  navigare  con  iscioltezza  una  nave  cosi  con 
l'ormata;  3°  perchè  non  v'ha  ragione  che  spieghi  e  confermi 
il  senso  attribuito  dal  commentatore  a  questo  luogo.  I  locreduto 
perciò  dovere  interpretare,  come  ho  fatto,  quel  vocabolo  se- 
condo la  significazione  propria  e  naturale  delle  voci  che  lo 
compongono.  Losvastikaèun  segno  fausto  e  sacro  chi' ha  forma 
d'  una  piccola  croce  con  quattro  lineette  alle  (piatirò  estre 
mità;  e  tale  simbolo  poteva  benissimo  trovarsi  impresso  sopra 
quelle  navi.  Il  segno  svastika  \u  poscia  adottato  dai  Buddhisti 
che  se  lo  appropriarono,  e  divenne  un  simbolo  esclusiva 
mente  Buddhistico ;  ma  egli  era  certamente  più  antico  del 
Buddhismo. 

'l7.  —  Un  erosa.  Si  vegga   la   nota   56.  del   libro  secondo 
voi.  I). 

'lM.  — .  Somo.  Somo  o  Soma  è  uno  dei  nomi  della  luna.  Ei 
potrebbe  derivare  dalla  radice  5  [sa)  che  significa  produrre, 
generare,  forse  per  l'influenza  che  si  credeva  aver  la  luna  sopra 
la  generazione. 

49.  — Dagli  Uttarakura.  La  regione  degli  Uttarakuru  è  si- 
tuata nel  più  remoto  settentrione.  Torse  il  concetto  che  s'ebbe 
da  principio  nell'India  di  quella  regione  e  del  popolo  che 
l'abitava,  era  un  concetto  reale  e  positivo;  ma  ei  cadde  poscia 


\L  LIBRO  SECONDO.  339 

affatto  nel  dominio  della  finzione-,  e  gli  l  ttarakurn  non  rap 
presentarono  più  all'imaginazione  degli  Indiano-sanscriti  che 
l'idea  d'un  popolo  fortunato,  longevo,  beatissimo,  la  cui  fé 
licita  non  è  turbata  mai  da  alcun  male  La  letteratura  sanscrita 
idei»  negli  Uttarakuru  il  tipo  della  felicità  umana  (si  vegga  il 
Lassen,  ìndische  alterthumskunde ,  p.  òi  i  e  8M>).  \ltrc  finzioni 
somiglianti  si  trovano  nelle  tradizioni  d'altri  popoli,  e  sono 
forse  reminiscenze  remote  di  tempi  antichi  :  l'età  dell'oro  non 
era  altro  in  sostanza  che  l'imagine  d'una  felicità  ideale. 

50.  —  Svestitolo.  Qui  nel  tradurre  ho  sostituito  alla  lezione 
del  lesto  che  ha  ^r^T^^ewf^T  «  lo  vestivano  e  lo  bagnavano  » 
(sloka  5o),  la  lezione  d'un  altro  codice  che  ha  i-c^N  gmutd  ft 
«svestitolo,  lo  bagnano»  la  qua!   lezione  mi  parve  migliore. 

51.  —  Come  oro.   Il  testo  ha  ?aìrfr^r  che  significa   lederai 
mente  o  «  succo  del  sole»  o  ci  minerale  del  sole»  o  «minerale 
lucido  :  »  ho  creduto  poter  interpretare   quel    vocabolo   nel 
senso  di  «oro;»  quantunque  il  vocabolo  ?dTf7T7H  non  si  trovi 
nei  lessici  sanscriti. 

52. —  Vasvaukasara.  Lago  favoloso  che  si  credeva  trovarsi 
in    \maravati,  città  e  sede  d'Indra. 

53.  —  Discioglietevi.  La  lingua  sanscrita  nelle  voci  5^5? 
(putra  [Ultra)  ^nppsT^JT^rt  (sukhabaddham  asambaddham)  che 
significano  «oh  figlio  oh  figlio,»  unitevi  dolcemente,  discio- 
glietevi» o  più  letteralmente  «dolcemente  unito,  disunito» 
esprimeva  forse  un  suono  che  imitava  il  canto  di  quegli  uc- 
celli; ma  non  è  pur  bisogno  di  dire  che  quei  suono  imitativo 
più  non  sussiste  nella  traduzione. 


340  NOTE 

54.  —  Un  telo  arcano.   Era   uno  eli  quei  teli,  una  di  quelle 
anni  misteriose  che  Visvamitra  comunicò  a  Rama.  Si  veggano 

i  capitoli  \\\  e  w\f  del  libro  primo. 

55. — Qui  ho  lasciato  di  tradurre  uno  sloka  ed  una  stanza 
che  si  trovano  sul  fine  di  questo  capitolo,  perche  <piclla  stanza 
e  quello  sloka  dicono  qui  fuori  di  Luogo  quello  stesso  che  vien 
detto  sul  principio  del  capitolo  seguente  evi,  intorno  allo  stre 
pito  dell'esercito  di  Bharata  che  s'inoltra. 

50. —  Bhogavati.  Si  yegga  la  nota  33  dei  libro  primo. 

57.  —  Vrihaspati.  Sukra  è  il  pianeta  Venere,  Vrihaspati  il 
pianeta  Giove  ;  ma  qui  si  vuole  indicare  i  Geni,  le  Divinità  che 
risiedono  in  quei  pianeti  e  li  governano. 

58.  —  Asvamedki.  11  sacrili/io  Ràgasùya  poteva  solamente 
essere  offerto  e  celebrato  da  un  gran  monarca,  da  un  maha- 
raja assistito  dai  principi  suoi  tributali;  lWsvainedha  è  il 
celebre  sacrifizio  del  cavallo;  se  ne  vegga  la  descrizione  al  libro 
primo. 

59. — Si  vegga  la  nota  38  del  libro  primo. 

60. — Pubblici  officiali.  11  vocabolo  che  ho  tradotto  «  pubblici 
ollìciali»  è  rmrqfTgT^:  questo  vocabolo  non  si  trova  nei  lessici; 
ma  il  significato  che  gli  ho  attribuito,  mi  pare  appropriato  al 
valore  delle  parole. 

61.  —  E  i  quindici  che  son  dalla  parte  tua.  Qui  la  traduzione  è 
alquanto  oscura;  mail  testo  lo  è  molto  più.  Ho  cercato  d' av- 
vicinarmi quanto  poteva  all'interpretazione  del  commentatore, 


AL    LIBRO   SLCOMR).  341 

che  annoverando  i  diciotto  e  i  quindici  mvmn  (Tirtliàni)  che 

io  ho  interpretalo  «uffizi  »  dice  :  v?r\~im:  JTsnwra •■  wj^T'M^\ : qtjcU- 

fèra^T  f^TFrirr:  ; i u i eh i  5r=vT  zih m *t sui  Fmnrr ;  a  questi  egli  aggiunge  poi 
i  tre  seguenti  trt ^oqisT  Jrf^rt ^f?T  ^^ts^t.  Tutti  i  nomi  qui  enu- 
merali dal  commentatore  sono  nomi  d'uffizi,  di  cariche  pub- 
bliche; onde  ho  credulo  dover  interpretare  nel  senso  di«  uffizi  » 
il  vocabolo  rMiH  (Tirthàni),  sebbene  non  sia  questo  il  signi- 
ficato suo  proprio.  Credo  in  somma  che  il  senso  di  questo  luogo 
sia  :  Conosci  tu  per  messi  occulti  come  sian  retti  e  amministrali 
i  pubblici  uffizi  dei  regni  altrui  e  quelli  del  tuo  proprio? 

(52.  —  Dove  stanno  frammiste  l'opere.  Anche  qui  il  pensiero 
è  oscuro;  ma  la  colpa  è  del  testo  che  non  ho  potuto  piegare 
a  miglior  costrutto,  per  quanto  1' abbia  volto  e  rivolto  in  dieci 
modi. 

63.  —  Il  sago  dell'  asclepiade.  L'asclepiade  è  la  pianta  che  con 
altro  nome  s'appella  sarcostema  viminalis.  Il  bere  il  sugo  di 
questa  pianta  era  un  rito  sacro  praticato  da  chi  offriva  il  sacri- 
fizio :  onde  wwj  «  bevitore  del  sugo  d'  asclepiade  »  era  sinonimo 
di  sacrificatore. 

64.  —  Bharata.  Nel  testo  sanscrito  dopo  la  stanza  4-  ho 
aggiunto  tra  parentesi  crt^ui  ssn"^  «  Lacsmano  disse  »  :  ho  latto 
uno  sbaglio;  convien  leggere  h^tzstt^  «  Bharata  disse  »  :  perchè 
chi  parla  qui  è  Bharata  e  non  Lacsmano. 

65. —  Lamentandoli  morto  padre.  Questo  lamento  di  Rama 
sarebbe  stalo  forse  meglio  collocato  là  dove  Bharata  gli  annunzia 
la  morte  del  padre.  Egli  è  vero  per  altro  che  qui  Bharata 
rammenta  a  Rama  la  morte   di   Dasaratha  con   più   meste    «• 


.Vi  2  NOTK 

pietose  pinole;  e  quel  lamento  d'altronde  era  forse  opportuno 
e  dirci  (filasi  obbligato  nell'  ora  solenne  di  dare  I  acqua  funebre 
al  morto  re. 

()(). —  I  fjoha mi,  i  gayali.  Il  gokarna  è  una  spezie  di  cervo, 
il  gayalo  è  il  bos  gaveeus. 

()7.  —  Anapatya.  Tra  i  molti  nomi  con  cui  s'appellai!  Tiglio 
in  sanscrito,  v'ha  quello  di  soni  [apatya).  Si  attribuiscono  a 
questo  nome  varie  etimologie,  per  esempio  quella  che  loia 
derivare   dalla  preposizione   m  [apa]   col   sulìisso  &  [tya),    e 

significherebbe  in  tale  caso  «colui  che  discende  da che  è 

generato  da »  Ma  un  altra  più  comune  etimologia  è  quella 

che  lo  deriva  dalla  radice  q\[pat)  «  cadere  »  col  suffisso  Ri  (lya) 
e  la  particella  negativa  s  (a)  preposta  al  nome;  il  che  signifi 
cherebbe  «  colui  che  non  lascia  cadere,  colui  che  sostiene  ecc.  » 
Egli  è  evidente  che  qu'i  il  vocabolo  stiri  [apatya)  è  preso  nel 
senso  della  seconda  etimologia,  e  che  al  nome  di  apatya  si 
contrappone  quello  di  anapatya  che  dice  appunto  il  contrario. 

(Ì8.  —  Quattro  condizioni  delia  vita.  Si  vegga  la  nota  5/i  del 
libro  primo. 

69.  —  Questo  periodo  si  potrebbe  anche  interpretare  cosi  : 
«  siccome  ai  frutti  maturi  non  sovrasta  altro  pericolo  che  di 
cadere,  così  agli  uomini  che  nacquero  non  sovrasta  altro  peri- 
colo che  di  morire.  »  Ma  l' interpretazione  che  ho  adottato 
porge,  mi  pare,  un  senso  migliore  e  più  opportuno. 

70. —  Vllo  sloka  \i  ,  verso  ì,  di  questo  capitolo  si  legga 
nel  testo  Ji^fcirT  invece  di  jt^ìt;  ed  allo  sloka  16,  verso  i,  si 
legga  fqrWHiM^i  invece  di 


•\L   LIBRO  SECONDO.  Vi.i 

71.  —  Pul tra  da  Brahm a  stesso.  Puttra  è  di  fatto  in  sanscrito 
uno  dei  nomi  più  usitati  con  cui  s'appella  il  figlio,  e  l'etimo- 
logia che  qui  si  da  di  quel  nome  è  giusta  :  puttra  deriva  da  T'i 
[put    luogo  inferno,  dove  vanno  coloro  che  muoiono  senza 
figli,  e  dalla  radice  ìt  (tra)  liberare. 

72. — Sacrifizio  in  Gayà.  Gayà  era  una  città  situata  nel  Beh  ai 
e  riputata  come  luogo  santo.  Ogni  uomo  nell'India  dovea  una 

volta  almeno  durante  la  sua  vita  offerire  in  (lava  un  sacrifizio 
funebre  per  li  suoi  antenati. 

73.  —  Falsamente  per  amore.   Questo   significa  :  non   voler 
imitare  Dasaratha  che  sotto  pretesto  di  osservare  la  sua   prò 
messa,  ma  in  fatto  per  amor  di  Caiceyì,  ti  mandò  in  esilio; 
siccome  ora  tu  sotto  pretesto  di  adempiere  la  tua  promessa  vuoi 
rimanere  nella  selva  e  rinunziare  ;il  regno. 

74.  —  Ottimo  fra  (jli  uomini.  Si  vegga  il  capitolo  lxiti  del 
libro  primo. 

75.  —  In  una  sola  treccia.  Era  questa  racconciatura  dei  ca 
pelli  usata  nell'India  dalle  vedove  e  si  chiamava  veni.  S'anno- 
davano i  capelli  in  una  sola  treccia,  la  qual  si  lasciava  cadere 
dietro  le  spalle. 

76. — Qui  evidentemente  (lavali  confonde  insieme  re  di 
diverse  schiatte;  giacché  non  son  tutti  antenati  di  Rama  coloro 
che  egli  qui  nomina.  Si  vegga  il  capitolo  lxxu  del  libro  primo. 

77. — Il  dovere.  Il  vocabolo  sanscrito  che  corrisponde  a 
«  dovere  »  è  ot  (dharma).  Dharma  significò  propriamente  da 
principio  il  dovere  prescritto  dai  Vedi,  dalle  dottrine  sacre; 


.Vi'i  NOTE 

poi  passò  a  significare  il  dovere  in  generale,  la  legge,  la  gius 
tizia  .  la  \  irtù  ,  ere. ,  in  quanto  che  tutti  questi  concetti  si  colle 
gavano  nelle  idee  Indiane  col  dovere  sacro, coi  precetto  \  edico; 
onde  iFt3R^(dharmavat)  significò  pio ,  retto ,  giusto ,  \  irtuoso ,  rw. 
lo  ho  mantenuto  qui  al  vocabolo  dharma  il  suo  significato 
primitivo  di  dovere,  che  mi  parve  più  appropriato  a  questo 
luogo;  perchè  Rama  parlò  continuamente  di  dovere,  e  (lavali 
gli  risponde  combattendo  il  dovere. 

78.  —  Si  paragoni  questo  capitolo  col  Bhagavadgìta.  Le 
circostanze  in  cui  si  trovano  i  due  eroi  Rama  e  Arguna,  hanno 
tra  loro  molta  analogia.  Nel  Bhagavadgìta  Arguna  vedendo 
schierati  dinanzi  a  se  in  atto  di  battaglia  i  suoi  parenti,  esita 
ad  attaccar  la  zuffa,  e  Krisna  per  vincere  quel  suo  timore, 
quella  sua  incertezza,  cerca  di  provargli  in  sostanza  che  tutto 
ciò  che  T  uomo  crede  o  vede,  non  è  altro  che  illusione,  Maya  , 
e  sotto  Torma  d'un  panteismo  Visnuvito  gli  svolge  con  magni- 
fiche parole  un  sistema  di  negazione  assoluta  e  di  nullismo. 
Qui  Rama  stretto  dall'  obbligo  della  sua  promessa  e  dalla 
lede  obbligata  da  suo  padre,  ricusa  di  ritornare  ad  Ayodhya 
al  possesso  del  regno,  e  (lavali  per  vincere  quella  sua  ripu- 
gnanza, tenta  di  provargli  che  il  dovere  è  un  nome  vano,  che 
non  v  ha  quaggiù  nulla  di  certo  e  che  il  partito  miglior  per 
l'uomo  si  è  il  godere  del  presente,  senza  darsi  pensiero  di  ciò 
che  non  si  vede.  Ma  il  sistema  svolto  nel  Bhagavadgìta  è  molto 
più  elaborato,  più  connesso,  più  sottile,  più  scientifico  che 
non  sia  quello  esposto  qui  da  Gàvàli;  il  che  è  certo  indizio 
che  il  Bhagavadgìta  appartiene  ad  un'età  meno  remota.  Rama 
che  sostiene  e  propugna  nel  Ramàvana  le  pure  dottrine  e  tra- 
dizioni Brahmaniche .  respinge  con  isdegno  le  idee  esposte  da 
Cavati,  siccome  contrarie  all'ortodossia  V edica  e  contaminate 
d'  ateismo.  Una  cosa  degna  d  essere  qui  notata  si  è  che  Cavali 


AL   LIBRO   SECONDO.  345 

distrugge  e  annulla  ogni  vincolo  di  famiglia  con  un'audacia 
di  negazione,  a  cui  niuno  forse  pervenne  fra  i  moderni  sofisti. 
Le  stranezze  e  gli  errori  che  si  vanno  ora  rinnovando,  sono 
antichi;  ei  nacquero  già,  morirono  e  rinacquero  più  volte,  e 
nasceranno  e  morranno  ancora;  perocché  l'errore  non  ha  in 
se  virtù  di  radicarsi  e  d'allignare, 

79.  —  lo  non  annullo  il  corpo.  La  frase  del  testo  che  ho  cos'i 
interpretata,  è  itHfe^cjVn  sf  ;  ecco  il  commento  a  questo  luogo: 

tHfetl^dìfr  y-lfeq^amH'SW  :  *MMI  f% 3j^T  y^T  H5[fwj  rfFT  HI^I'JUI  :  \~dlHr\- 

siry^H  u^omì  ^t  u^^wni  :  u^PcKdiji4"i  mn  «jhì  Cosi  Naia  vana 
citato  qui  dal  commentatore  interpreta  il  q^detiì  :  «i  cinque 
elementi»  ossia  il  corpo  che  si  compone,  secondo  le  idee  in- 
diane, di  cinque  elementi.  \  imalahodha,  altro  commentatore 
citato  qui  da  Lokanàtha  ,  interpreta  il  q^siif  :  «  i  cinque  sacrili/i 
oppure  «  i  cinque  sensi»  :  secondo  la  chiosa  di  Vimalabodha 
converrehbe  dunque  tradurre  la  frase  sovracitata  :  «  io  non 
annullo  i  cinque  sacrifizi  »  oppure  «  io  non  annullo  i  cinque 
sensi.»  Ho  preferito  l'interpretazione  di  Nàràvana  ed  ho  tra- 
dotto :  «Io  non  annullo  il  corpo»;  il  che  vuol  dire  :  io  non 
condanno  le  opere  umane,  non  riduco  il  corpo  ad  essere  ino- 
perante; siccome  facevano  i  propugnatori  immoderati  della 
vita  contemplativa  e  ascetica.  Questa  interpretazione  mi  parve 
migliore  e  più  conforme  al  senso  di  questo  luogo. 

80.  —  Il  frutto  dell'  operare.  ìl  commentatore  chiosa:  wàm ■■ 
^ yfjvi cdr siFpsr < ru i f\  «  il  frutto  dell'operare  si  è  la  natura,  l'es- 
senza del  fuoco,  la  natura,  l'essenza  del  vento  ecc.  »  Mal  grado 
di  questa  chiosa ,  il  pensiero  non  è  qui  ben  chiaro. 

81.  —  L'immortale  Visnu.  Come  in  un'età  più  recente  i 
Puràni  essenzialmente  Visnuiti  immedesimarono  Brahma  con 

ii  Vi 


346  NOTE 

Visnu;  così  pare  che  qui  il  Ramàyana  essenzialmente   Brah 
manico  immedesimi  Visnu  con  Brahma. 

82.  —  Questa  terra.  Qui  allude  al  ter/o  avalaia  di  Visnu: 
ma  paro  che  il  poema  confonda  qui  l'origine  o  la  creazione 
della  terra  coli' estrarla  che  fece  \  ismi  dal  fondo  delle  acque 
in  cui  fu  ella  sommersa. 

83.  —  Dallo  spazio.  Si  vegga  la   nota    >.  i  ò   del   libro   primo. 

84. — Produssi-  Manu.  La  genealogia  dei  re  d'Ayodhya  che 
espone  qui  Vasistha ,  non  è  del  tutto  identica  con  quella  che 
e»li  espose  al  capitolo  lxxm  del  libro  primo.  Qui  egli  fa  Manu 
figlio  di  Vivasvat  (il  sole),  e  la  genealogia  del  capitolo  r.wu 
lo  dice  figlio  di  Pracetas;  tra  Icsvàcu  e  Vicucsi  ei  pone  qui 
un  re  per  nome  Cucsi  che  non  si  trova  in  quella;  in  luogo 
di  Vana  figlio  di  Vicucsi  ei  pone  qui  Remi .  e  dopo  Remi  aggiunge 
Pusya  che  non  si  trova  nella  prima;  in  luogo  di  Sankhana  ei 
pone  qui  khanitra  ed  omette  poi  il  re  Yayàti,  e  finalmente 
v'  hanno  qui  due  o  tre  nomi  scritti  con  diversa  ortografia.  Ma 
non  è  da  far  maraviglia  che  s'incontrino  simili  differenze  o 
piuttosto  varianti  nelle  genealogie  dei  re  più  antichi  dell'India 
antichissima. 

85.  —  ]  Sasavindavi.  Il  commentatore  dice  :  srsrfè^a-:  n&yisii: 
Debbono  essere  certamente  i  re  della  stirpe  lunare. 

86. — Sagara.  rq  {gara)  significa  «  veleno  »  st  [sa)  è  una  parti- 
cella che  significa  «  con  »  :  onde  Sagara  viene  a  dire  «  col  veleno.  » 

87.  —  /  Sagandi.  Si  veggano  i  capitoli  xl,  xli,  xlii  del  libro 
primo. 


\L   LIBRO  SECONDO  347 

88. — Purusàdaca  significa  «colui  che  divora  gli  uomini:» 
ma  credo  che  qui  s'abbia  ad  intendere  piuttosto  un  uomo  cru- 
dele che  un  antropofago. 

89.--  Potrebbe  ardere  la  città.  L'uomo  ohe  era  creditore 
d'un  altro  od  avea  qualche  suo  diritto  a  rivendicare,  poteva 
nell'India,  a  fine  d'ottener  soddisfazione,  usare  mezzi  violenti  o 
mezzi  morali  (si  vegga  le  Le(j<)i di  Manu,  lih.  \  III,  69  e  seg.)  : 
tra  i  mezzi  morali  v'era  quello  che  consisteva  appunto  nel 
porsi  a  sedere  dinanzi  alla  casa  del  debitore,  rimanendo  quivi 
linatlantochè  non  s'ottenesse  ragione.  Che  se  colui  che  usava 
questo  mezzo  era  un  Brahmano ,  egli  avrebbe  potuto  colla  sua 
virtù  Brahmanica  ardere  la  città  :  ina  perchè  tale  mezzo  dovea 
essere  particolarmente  proprio  dei  deboli  che  non  potevano 
in  altro  modo  sostenere  il  lor  diritto,  perciò  si  dice  qui  che 
non  era  uso  degli  Csatri  il  porsi  a  sedere  dinanzi  altrui.  Tale 
credo  essere  il  senso  di  questo  luogo. 

90. — Tutti  i  suoi  sudditi.  Quello  che  si  dice  qui,  è  in  certo 
modo  la  sposizione ,  il  commento  di  ciò  che  è  detto  nelle  Leggi 
di  Manu  (libro  VII,  3  ,  l\  ì.  «  11  mondo  privo  di  re  era  in  ogni 
parte  perturbato  dalla  paura;  onde  il  Signor  supremo  creò 
un  re  per  la  conservazione  degli  esseri,  e  lo  compose  di  par 
ticelle  eterne  della  sostanza  d'India,  d'Anila  (il  Vento),  di 
Vania,  di  Sùrya  (il  Sole),  d'Agni  (il  Fuoco),  di  Varuna,  di 
Candra  (la  Luna)  e  di  Cuvera.  » 

91.  —  Due  calzari  di  casa.  I  calzari,  l'ombrello  ed  il  crinito 
ventaglio  erano  nell'India  le  insegne, gli  emblemi  della  dignità 
regale  :  Sarabhanga  fa  portar  qui  e  Bharata  pone  ai  piedi  di 
Rama  i  calzari  di  cusa  per  dimostrare  che  Rama  è  re. 


348  NOTE 

92.  —  Da  Ràhu.  Si  vegga  la  nota  5  dei  libro  secondo  (voi.  1). 

93.  —  Dispersa  a  terra.  Mi  sono  qui  attenuto  al  commenta- 
tore che  chiosa  f^m^f ateFf^^it  ((puledra»  :  ma  avrei  preferito 
pigliare  il  vocabolo  fèhynjì  nel  significato  di  vergine  e  interpre- 
tare questo  luogo  in  un  altro  senso. 

94.  —  Come  le  membra.  Il  commentatore  interpreta  nnufe' 
jTraftRT?r  :  «  corpo ,  membra  »  :  ho  seguitato  la  sua  interpretazione. 


NOTE 

AL    LIBRO   TERZO. 

|.  —  Col  nome  di  Sita.  *ttftt  {Sita)  significa  propriamente  il 
solco;  ma  qui  non  si  poteva,  panni,  pigliare  quel  vocabolo 
in  tale  significato  e  dire  che  Sita  sorse  fuori,  aprendola  terra 
del  campo,  come  un  solco;  che  il  solco  non  sorge  fuori,  non 
s'alza,  non  si  solleva  dalla  terra,  come  dice  il  vocabolo  3T?errT; 
anzi  vi  si  addentra  e  si  profonda  in  essa.  Io  ho  interpretato  quel 
nome  nel  senso  di  «pianta,»  significato  che  non  è  del  tutto 
alieno  da  quel  vocabolo  :  ma  credo  che  sarebbe  stato  forse 
più  conveniente  l'interpretarlo  nel  senso  di  ((biada,  di  fru- 
mento »:  perchè  questo  mito  di  Sita  ha  evidentemente  una 
grande  analogia  col  mito  di  Proserpina  che  simboleggia  aneli 
essa  la  biada,  la  quale  rimane  parte  dell'anno  dentro  terra  e 
parte  fuori;  e  come  Proserpina  fu  rapita  da  Plutone,  cosi  Sita 
sarà  poco  più  innanzi  rapita  da  Ràvano. 

2.  —  Sedi  celesti  diBrahma.  Io  ho  tradotto  qui  in  modo  otta- 
tivo «  possa  tu  conseguire  »  la  forma  imperativa  del  sanscrito 
<rfFHT^;  ma  forse  che  qui  Sarabhanga  offre  a  Rama  le  sedi 
celesti  che  egli  ha  meritato,  e  lo  invita  a  possederle  in  sua 
vece,  ovvero  con  esso  lui;  in  tale  caso  converrebbe  tradurre 
«accetta,  o  Rama,  quelle  sedi  Brahmaniche  ecc.  » 

3.  —  Questa  gemma.  Alcuni  codici  invece  di  j$  «gemma» 
hanno  u$  «giustizia.»  Qui  mi  pare  manifesto  che  il  dono  di 
questa  gemma  ha  qualche  cosa  d' allegorico. 

4.  —  /  Risei  Mancipi.    I    Vaikhanasi    erano   anacoreti  che 


350  NOTE 

vivevano  di  raditi  o  d'altri  frutti  estratti  dal  seno  della  terra: 
il  significato  etimologico  di  quel  vocabolo  è  «scavatori.»  I 
Bàlakhilyi  sono  propriamente  personaggi  divini  prodotti  da 
Brahma  e  la  cui  statura  è  eguale  all'altezza  d'un  pollice1;  ma 
secondo  il  commentatore  i  Bàlakhilyi  sono  qui  coloro  che, 
ottenuto  fresco  cibo,  gettano  quello  che  avevano  prima  riposto. 
I  Mancipi  sono  quelli  che  vivono  di  frutti  spontaneamente 
caduti  dagli  alberi.  Del  rimanente  ecco  le  parole  del  commen 
tatore  :  chanrrr  y*fc<-j-edd^;j  :  yrRdfWdT  ^  ^  ottt  ctctihPchi^t  rarffpr  : 

Jt[|  frigi  :  POTÒ-  tlfHrr :lhvl I f^sUdrd  : 

5.  —  De  tuoi  e  de  miei  congiunti.  Il  testo  ha  qui  :  sraars^ìt  : 
(i  della  mia  suocera  e  del  mio  suocero.  »  Sita  rammenta  qui 
Dasaratha,  come  se  egli  ancor  vivesse;  ma  la  morte  dello 
suocero  era  pur  nota  a  Sita,  a  cui  era  stata  annunziata  sul  finire 
del  libro  secondo.  Forse  questo  verso  è  illegittimo:  ma  si  trova 
in  tutti  i  codici.  Io  ho  sostituito  «de' tuoi  e  de' miei  congiunti  » 
alla  lezione  «  della  suocera  e  dello  suocero  »  che  si  trova  nel  testo. 

6.  —  Questo  capitolo  è  posto  qui  con  grand' arte  e  con  molta 
opportunità.  Pare  che  Sita  presenta  qui  il  disastro  che  dee 
nascere  da  questo  principio  di  ostilità,  vale  a  dire  il  suo  ra- 
pimento che  si  vedrà  più  innanzi. 

7.  —  Gayali  e  Yaki.  Il  (Jayalo  è  il  bos  gavwus,  il  \ako  è  il 
bus  grunnieiis. 

8.  —  Saràli.  Il  saràlo  è  il  tardus  cjin<jinianus. 

9.  —  Prànasama.  Ho  tradotto  Prànasama  come  nome  pro- 
prio del.  Munì;  ma  ei  potrebbe  anch'essere  un  epiteto  del 
Mimi,  e  significherebbe  «pari  a  lui  di  vita.  » 


\l.    LIBRO  TERZO.  351 

IO. — Non  ho  tradotto  l'uitima  stanza  di  questo  capitolo, 
perchè  è  una  ripetizione  inutile  e  inopportuna  leccone  hi  tra- 
duzione :« Quindi  coloro  dopo  essersi  raccolti  lutti  insieme, 
secondo  che  si  conveniva,  con  quel  magnanimo  Saggio  ed  aver 
quivi  pernottato  felicemente,  si  partirono  di  nuovo  in  sui! 
aurora  per  visitare  il  pio  asceta. 

I  I .  —  Qnestiè  il  Suina.  Il  vocabolo  Soma  significa  propria 
mente  la  luna,  ma  ha  più  altri  significati,  (fucilo  di  Kuvera  il 
Dio  delle  ricchezze ,  quello  di  ^  ama  il  Dio  de"  morti ,  quello  d'un 
Semidio  della  classe  dei\  asu,  quello  di  liquor  nettareo,  quello 
d'un  progenitore  deificato,  quello  di  cielo,  d'etere,  (fucilo  del  la 
sacra  pianta  asclepiade  usata  nei  sacrifizi  ecc.  ecc.  Non  saprei 
bene  quale  di  questi  significati  attribuire  qui  al  vocabolo  Sonni. 

12. —  Gatayus.  Gatayus  il  sovrano  degli  aligeri,  \runa 
l'auriga  del  sole,  Garuda  il  grande  augello  che  porta  Visnu, 
sono  esseri  giganteschi ,  maravigliosi ,  in  cui  si  vede  espresso  quel 
carattere  di  grandezza  che  la  fantasia  degli  Indiano-sanscriti 
imprimeva  nelle  sue  creazioni.  Non  so  quale  altra  poesia  abbia 
imaginati  concetti  cosi  strani  e  sublimi  ad  un  tempo.  Ma  sotto 
la  stranezza  di  questi  concetti  fantastici  v'ha  un'  idea  che  si  col- 
lega colle  loro  dottrine  filosofiche  e  colle  loro  credenze  religiose. 

13.  —  Kasyapa.  Intorno  a  questi  Pragàpati,  progenitori  o 
Demiurgi  creati  da  principio  da  Brahma,  e  che  cooperarono 
poscia  alla  formazione  degli  esseri,  varia  la  tradizione  :  ora  se 
ne  noverano  dieci,  ora  sette,  ora  tre,  ora  ventuno  e  talvolta. 
come  qui,  quindici. 

14.  —  /  srimari.  Non  so  bene  che  sorta  d'animali  si  voglia 
qui  indicare  col  nome  di  srimari.  Il  Wilson  dice  che  lo  srimara 


352  NOTE 

è  una  spezie  d'animale,  e  secondo  alcuni  n\\  giovane  cervo, 
ma  i  cervi  sono  già  stati  menzionati  come  prodotti  da  Mrigi; 
forse  gli  animali  prodotti  da  Mrigi  sono  le  antilope  e  non  i 
cervi;  giacche  il  vocabolo  jttt  [mriqa]  ha  i  due  significati. 

15.  —  Krostuki  Qui  ho  aggiunto  al  vocabolo  ^éi\  (Hari)  il 
nome  di  Krostuki,  conforme  alla  chiosa  del  commentatore 
che  dice  :  ^ui:  *Ncdoiuii'lJi  :  ^j^g^JT:  il  commentatore  interpreta 
il  vocabolo  ^tt^  (Ilari)  come  un  epiteto  che  significa  dilava, 
fulva  »  :  ma  forse  Hari  è  qui  il  nome  proprio  di  colei  che  pro- 
dusse i  scimi. 

16.  —  /  qolànquli.  Sono  una  sorta  di  scimi  neri,  la  cui  coda 
è  simile  a  quella  d'un  toro,  secondo  la  significazione  etimo- 
logica del  vocabolo  qolànqula. 

17.  —  I màtanghi.  Màtanga  è  uno  dei  nomi  generici  dell' 
elefante;  ma  qui  credo  che  s'abbia  ad  intendere  una  specie 
d'elefanti  cosi  chiamati. 

18.  —  Gli  uomini.  Si  noti  che  in  questa  serie  di  produzioni 
successive,  l'uomo  è  prodotto  in  ultimo  luogo,  conforme  ai 
dettati  della  dottrina  sacra  ed  ai  risultati  scientifici  della  geo- 
logia. Per  confermare  con  una  sorta  d'argomento  supremo 
l'ineguaglianza  antica  delle  caste,  se  ne  riferisce  qui  l'origine 
alla  creazione  stessa  dell' uomo,  che  si  dice  prodotto  da  Brahma 
in  modo  ineguale,  più  e  men  nohile. 

19.  Conforme  al  suo  nome.  Himalava  od  Himavat  significa 
nevoso,  sede  delle  nevi. 

20.  —  Una  boswellia.  È  la  hosvvellia  thurifera,  l'albero  che 


AL   LIBRO   TERZO.  353 

produce  la  gomma  che  si  chiama  olibano  od  incenso;  Imma- 
gine espressa  qui  è  mirabile  e  degna  di  Dante. 

21.  —  Come  nere  nuvole.  Qui  ed  in  altri  luoghi  del  poema 
i  Racsasi  sono  rappresentati  neri  di  colore  e  dilfepeoti  in  tutto 
dagli  abitatori  dell'India  settentrionale.  Costoro  che  il  poema 
chiama  Racsasi  e  descrive  come  demoni  malefìci,  eran  forse 
uomini  di  stirpe  Ch amitica  che  abitavano  i  luoghi  meridionali 
dell'India  ed  erano  avversi  ai  popoli  di  stirpe  .Iafetica  che  ne 
occupavano  i  luoghi  settentrionali.  In  questo  caso  la  guerra  ce 
lebrata  dal  Ramàyana  si  potrebbe  chiamare  una  guerra  di  razze. 

22.  —  /  tridenti.  11  testo  ha  Qchu^M^;  il  significato  letterale 
di  questo  vocabolo  è  «  arme  con  tre  punte,  ossia  tricuspide  :  » 
ma  non  so  precisamente  quale  sorta  d'arme  fosse  questa;  io 
l' ho  interpretata  «  tridenti.  » 

23.  —  La  terra.  Fra  i  molti  significati  del  vocabolo  rit  (go) 
v'ha  quello  di  terra;  ma  la  sua  significazione  più  comune  è 
quella  di  vacca  e  di  toro  :  forse  qui  s'ha  ad  intendere  nel  si- 
gnificato di  «  vacche.  » 

24. —  Paulastyi.  Paulastya  è  un  patronimico  della  stirpe 
di  Ràvano.  Pulastya  è  uno  dei  sette  Risei  figli  di  Brahma;  da 
Pulastya  fu  generato  Visravas  padre  di  Ràvano,  di  Kuvera  e 
degli  altri  suoi  fratelli,  che  perciò  si  chiamano  Paulastyi.  Non  è 
bisogno  di  dire  che  questa  è  una  genealogia  favolosa  simile  a 
tante  altre  che  s'incontrano  in  Omero. 

25.  —  Come  eqli  venne  sulla  terra.  Qui  fa  allusione  all' ava- 
tara  di   Rama.  Si  vegga  quello  che  ho  ragionato  su   questo 
ppoposito  sul  line  della  prefazione  del  volume  quinto. 
ii.  43 


354  NOTE 

2().  -  Dai  (inni.  Sono  Geni  o  Divinila  inferiori  che  minis- 
trano e  fanno  corteggio  ;i  Siva. 

27. —  V'ha  qui  una  stanza  che  non  ho  tradotto,  perchè  è 
inutile  e  fuori  eli  luogo,  ripetendo  qui  ciò  che  vien  detto  e 
descritto  nel  capitolo  seguente.  Eccone  la  traduzione  :  «  Quindi 
il  possente  Rama  ,  saldo  nella  giustizia  e  forte,  percosse  colle  sue 
saette  irresistibili  il  rimanente  di  quell'oste  nemica,  che  ancor 
restava  a  Khara,  indebolita  già  dalla  sconfitta. 

28.  —  /  Bhàvani.  Non  so  precisamente  quale  classe  di  Geni 
o  di  Dei  si  voglia  qui  indicare  col  nome  di  Bhàvani  :  forse 
questi  Bhàvani  sono  la  stessa  cosa  che  i  Bhavyi ,  classe  di  Dei 
o  per  dir  meglio  di  Geni  di  cui  è  fatta  menzione  nel  Visnu- 
pnràna  del  Sig.  Wilson  (p.  2(53). 

29.  —  Che  abbia  un  solo  vertice.  1  vocaboli  y^^cMM^  che  io 
ho  tradotto,  conforme  al  loro  significato  più  comune  «un 
monte  che  abbia  un  solo  vertice,»  sono  anche  due  nomi  di 
Visnu  ,  di  modo  che  questa  frase  si  potrebbe  anche  tra- 
durre cosi  :  «  inconquassabile  comp  il  forte  Visnu  Ekasringa 
(unicorno). 

30. — Simili  a  lana  che  cresce.  La  traduzione  di  questo  pe- 
riodo è  esatta  e  conforme  al  significato  delle  parole;  ma  non 
mi  soddisfa.  Amerei  meglio,  se  il  vocabolo  il  comportasse, 
tradurre  l's^sT^  per  «  ottenne  »  o  «  elesse  »  invece  di  «offerse  » 
e  interpretare  la  frase  cosi  :  «  ottenne  prontamente  da  Brahma 
dieci  teste  lucenti  ecc.  »  Uno  dei  nomi  di  Ràvano  è  Dasagrìva 
che  significa  appunto  «che  ha  dieci  teste,  dieci  cervici.» 

31   — \1  capitolo  xxxvn,   pag.  w   del   testo  si   trovano  tre 


AL   LIBRO  TERZO. 

errori  di  stampa  cagionati  da  caratteri  caduti  nel  tirare.  Al  li 
linea  r'  invece  di  Hd^ti  leggasi  Hdirii;  alla  linea  6"  invece  di 
smjrr  leggasi  sreamr;  alla  linea  5a  invece  di  niriTTTfa'Sifwr :  leggasi 

32.  —  Come  il  giro  d'un  (niello.  Il  vocabolo  sanscrito  che 
ho  così  interpretato,  è  àf^nfriFr-TTrT.  Ma  il  commentatore  l'in- 
tende in  altro  modo  e  chiosa  :  %f^rférrn?#T*T  FTrnwf  rrwró  jthtt  :  m. 
Secondo  il  commentatore  dunque  converrebbe  tradurre  «di 
cintura  somigliante  al  pugno  chiuso.  »  Ma  il  significato  di  pugno 
chiuso  o  di  dita  strette  a  modo  di  pugno,  che  il  commentatore 
attribuisce  al  vocabolo  àfj;,  mi  parve  al  tutto  arbitrario.  Io 
ho  preso  il  vocabolo  'àf^  nel  senso  di  anello  che  è  uno  de 
suoi  significati,  ed  ho  tradotto  «sottile  come  il  giro  d'un 
anello.  » 

33.  —  Qui  ho  lasciato  di  tradurre  uno  sloka  che  ripete  a  un 
di  presso  la  similitudine  che  si  trova  nello  sloka  che  precede 
Eccone   la   traduzione  :  «  Simile   a    soave    lapislazzoli,    ornato 
d'oro  ben  brunito,  ei  somigliava  ad  una  nuvola  cinta  di  baleni 
e  sospinta  dal  vento  sul  finir  della  calda  stagione.  » 

34.  —  Gli  Uttarakuru.  Quanto  agli  Uttàrakuru  si  vegga  la 
nota  l\ 9.  Ma  non  capisco  come  Ràvano  potesse  vedere  in Ceylan , 
isola  situata  al  mezzodì  dell'India,  gli  Uttarakuru  che,  secondo 
la  tradizione  Indiana,  abitano  all'estremità  del  settentrione 
Egli  è  vero  che  il  Ramàyana  conosce  in  generale  assai  poco  le 
regioni  meridionali  dell'India,  del  che  si  vedrà  una  prova  nel 
volume  seguente,  dove  si  troveranno  i  quattro  capitoli  rimar- 
cabili che  s'  appellano  «  Descrizione  della  terra  »  ;  ond'  è  che  egli 
vi  pone  talvolta  esseri  ed  oggetti  imaginari,  come  faceva  Omero 
nei  luoghi  eh'  egli  non  conosceva. 


356  NOTE 

35.  —  Kakkoli.  Sono  pianto  che  producono  coccole  aroma- 
tiche. 

3(3. —  Urdhvaretasi.  Aga  significa  capro,  vàgin  cavallo,  mesa 
ariete;  il  commentatore  interpreta  così  questi  nomi  di  Risei  : 
^sTpn  crmFrr  qw  ^tt  ^^rr  nr^n^qjiHT^:  secondo  il  commenta- 
tore adunque  i  Risei  Agi .  \  àgini  e  Mesci  sono  coloro  che  volon- 
tariamente han  preso  forma  di  capii,  di  cavalli  e  d'arieti.  Io 
non  voglio  assumere  la  risponsabilità  di  tale  interpretazione  e 
la  lascio  a  carico  del  commentatore.  Quanto  agli  Urdhvaretasi 
sono  coloro  che  vivono  in  perpetua  castità. 

37.  —  Ho  lasciato  di  tradurre  qui  una  stanza  certamente 
intrusa,  la  quale  non  fa  che  ripetere  con  giuochi  di  parole  il 
pensiero  espresso  nel!'  ultimo  verso  di  questo  capitolo. 

38.  —  Lacsmi  Apadma.  Due  o  tre  volte  occorre  nel  poema 
menzione  di  Lacsmi  Apadma.  Non  so  se  il  vocabolo  Apadma 
sia  posto  come  un  epiteto  di  Lacsmi  consorte  di  Visnu,  epiteto 
che  sarebbe  simile  a  quelli  che  la  Grecia  attribuiva  alle  sue 
Divinità.  Ma  tale  epiteto  attribuito  a  Lacsmi  mi  pare  strano, 
perchè  il  vocabolo  Apadma  significa  «senza  lior  di  loto;» 
laddove  il  iìor  di  loto  è  appunto  un  attributo,  un  simbolo 
della  Dea  Lacsmi. 

39.  —  Che  cominci  dalla  sillaba  ra.  Qui  Marìca  cita  due  vo- 
caboli comincianti  dalla  sillaba  ra,  che  gii  fanno  orrore  per 
cagione  di  quella  sillaba ,  e  sono  l'uno  Hifa  (ratnàni)  che  signi- 
fica gemme,  l'altro  ^ttnra^  (ramanyas)  che  significa  diletto.  Ma 
perchè  traducendo  que'  due  vocaboli ,  non  si  poteva  conser- 
vare nella  traduzione  la  sillaba  ra  die  ne  fa  qui  tutto  il  valore, 
io  gli  ho  omessi. 


AL   LIBRO  TERZO.  357 

40.  —  La  celeste  Antiiopa.  E  il  quinto  nacsatra ,  ossia  la  quinta 
costellazione  lunare  che  s'  appella  iMrigasiras  (testa  d"  antiiopa)  ; 
ella  è  composta  di  tre  stelle ,  ed  è  figurata  sotto  forma  di  testa 
d' antiiopa. 

41.  —  Come  appartiene  al  re.  Il  vocabolo  che  ho  interpretato 
«re»  è  st^t  [salirà).  Il  significato  proprio  del  vocabolo  Sakra 
è  «Indra»  :  ma  se  si  piglia  qui  il  nome  Sakra  nel  significato 
d'Indra,  il  senso  di  questa  frase  non  ha  più  né  opportunità, 
né  chiarezza,  né  forza;  laddove  interpretando  Sakra  nel  signi- 
ficato di  re ,  ne  riesce  un  senso  appropriato  e  bello,  consono 
ai  diritti  che  le  leggi  di  Manu  attribuiscono  ai  re;  io  ho  perciò 
interpretato  Sakra  nel  senso  di  re.  Egli  è  vero  che  il  vocabolo 
Sakra  non  ha  nei  lessici  tale  significato;  ma  il  nome  Sakra 
derivra  dalla  radice  sr^r  (sak)  che  vale  «aver  possanza,  aver 
forza  »  e  significa  per  conseguenza  «  possente ,  forte  :  »  onde 
quel  nome  può  benissimo,  mi  pare,  interpretarsi  come  nome 
di  re. 

42. —  Che  splende  in  cielo.  Si  vegga  più  sopra  la  nota  4o. 

43.  —  Uccide  la  mula.  Qui  v'ha  un'idea  erronea;  giacché 
le  mule  non  figliano. 


■,-.' 


44.  —  La  luce  del  crepuscolo.  Quella  luce  che  si  vede  innanzi 
il  levare  e  dopo  il  tramontare  del  sole,  era  nell'India  personi- 
ficata col  nome  di  rr^n  (Sandhyà)  figlia  di  Brahma  e  sposa  di 
Siva.  Ràhu,  come  s'è  già  veduto  più  volte,  era  il  nemico 
mortale  del  sole,  della  luna  e  dei  fenomeni  luminosi  del  cielo; 
uno  de' suoi  nomi  è  ft*t:  (Tamas)  la  Tenebra. 


45. —  Ràvano.  Uà  vana  significa  colui  che  fa  gemere,  che 


358  NOTE 

fa  ululare,  e  quindi  colui  che  affligge,  che  travaglia,  che  tor- 
menta. 

46. —  I  venticinque  principi  dello  Sankhya.  Le  parole  che  si 
trovano  qui  e  nella  frase  precedente  stampate  con  caratteri 
italici,  sono  tolte  dal  commento.  Ecco  la  chiosa  del  commen- 
tatore a  questo  luogo  :  ^TTFnr%f?T  hwhm  STTWTCT^Frsr  :  «i-idi  srr  prof 

5TST  ajfc'Mmfceh  =3rT  :  crfe  c^oTT  :  fÙrc^fdrlMiWItdlfafsflTftlrT  :  il^q^Jch  q^fcj- 
STfFT  rmTfa"  HÌ(°il^ll^T^ITft"  Uchrd  IfQf^T  fTrfnWH  J#T  -H?l<iH!l  :  .    Sankhva     è 

il  nome  d'  un  celehre  sistema  filosofico  dell'India,  che  com- 
prende appunto  venticinque  principj  o  capi ,  intorno  a  cui 
volge  tutto  il  sistema.  Fra  que' principj  i  due  sommi  sono  la 
Prakriti  (la  Natura)  ed  il  Purusa  (lo  Spirito)  :  la  Prakriti  è  pro- 
duttiva ma  non  prodotta;  il  Purusa  non  è  né  prodotto,  né 
produttivo  :  dalla  loro  unione  ha  origine  la  creazione.  Il  San- 
khya è  un  sistema  di  dualismo  che  ha  qualche  analogia  con 
quello  di  Platone;  la  Prakriti  e  il  Purusa  non  sono  altro  in 
sostanza,  a  mio  avviso,  che  la  materia  e  la  forma. 

4 7.  —  Alberi  doro  in  grande  copia.  E  un  modo  di  dire,  io 
credo,  per  esprimere  :  tu  t' imagini  quel  che  non  è,  tu  t'  illu- 
di ecc. 

48. — Tra  i  Surastri  ed  i  Saaviri.  Suràstra  è  una  regione 
situata  nella  parte  occidentale  dell'India,  il  Surat  :  Suvira  è 
un'  altra  regione  posta  all'  occidente  dell'  India  e  prossima  all' 
Indo.  Forse  gli  abitatori  dell'  una  di  queste  regioni  erano  prodi , 
quelli  dell'altra  ignavi,  oppure  si  trovava  fra  loro  qualche 
altro  contrasto  che  io  non  saprei  ben  quale. 

49.  —  L'  ottavo  d)  della  lana  scema.  Mi  sono  attenuto  nell'  in- 
terpretazione di  questo  luogo  al  commentatore,  il  quale  chiosa 


AL   LIBRO  TERZO.  359 

il  primo  pada  del  verso  secondo  dello  sloka  33,  sKqT?  ecc., 
così  :  dcdlcj^cjm^,  ed  il  secondo  pada  cosi  :  fnfrqm^av  ^F^T^f^rr 

50.  —  Regolatrici  della  vita.  Nella  traduzione  di  questo  passo 
(sloka  18)  ho  seguitato  l'interpretazione  del  commentatore 
che  chiosa  :  s^TTcT  OT  <j fucilili   ed  y-iuiri  mnti 

51.  —  Arandhati.  Arundhati  è  consorte  di  Vasistha,  uno  dei 
sette  Risei  ;  e  per  mieli'  uso  de'  popoli  antichi  di  figurare  nel 
cielo  le  memorie  e  gli  avvenimenti  umani,  Arundhati  è  anche 
una  delle  Pleiadi  :  ella  è  inoltre  il  tipo  della  perfezione  con- 
jugale  ed  invocata  nei  riti  del  connubio.  Non  so  bene  per 
altro  a  quali  usi,  a  quali  tradizioni  alluda  qui  Sita  nel  citare 
questo  carme  antico. 

52. — Salmali.  Satinali  è  una  delle  sette  grandi  isole,  in 
cui,  secondo  le  idee  indiane,  si  divide  la  terra-,  ma  qui  pare 
che  Salmali  significhi  piuttosto  una  regione  infernale  simile  a 
quelle  descritte  da  Virgilio  al  libro  VI  dell'Eneide  : 

Nec  procul  hinc  parlem  fusi  monstranlur  in  omnem 
Lugentes  campi  :  sic  illos  nomine  dicunt ,  ecc. 


FINE     DEL     VOLUME     SECONDO. 


indici:. 


Prefazione.  .  .  . 
Cap.  LXVII. 

LXVIII. 

LXIX. 

LXX. 

LXXI. 

LXX1I. 

lxxih. 

LXXIV. 

LXXV. 

LXXVI. 

lxxvh. 

LXXVffl. 

LXXIX. 

LXXX. 

LXXXI. 

LXXXII. 

LXXX1I1. 

LXXXIV. 

LX\\\ 

LXXXVL 

Lxxxvn. 

LXXWIII. 
LXXXIX. 

\( 


LIBRO    SECONDO. 
AYODHYACANDA. 


Gemito  delle  donne  del  gineceo 

Il  morto  re  riposto 

Lodi  del  re 

1  messaggieri  inviati 


Sogno  funesto  di  Bharata. 


Veduta  dei  messaggieri 

Ritorno  di  Bharata 

Domande  di  Bharata 

Rimproveri  a  Caiceyi 

Lamento  di  Bharata 

La  donna  gobba  strascinata 

Rimproveri  a  Bharata 

Giuramenti  di  Bharata 

Discorso  di  Vasistha 

Lamento  di  Bharata 

Entrata  nell'  assemblea 

Funerali  del  re 

Dasaratha  arso 

Il  dono  dell'  acqua  lustrale 

Fedeltà  di  Bharata 

L'apparecchio  della  via 

Lode  di  Bharata 

Disposi/ioni  per  la  partenza  dell'esercito. 

Comitiva  di  Bharata 

46 


Pag 

I 
I 

3 
8 
I  I 
12 
\k 
17 
19 
24 
27 
29 
32 
33 
37 
39 
42 
43 
46 
48 
50 
52 
.Vi 
56 
57 


362  INDICE. 

Cap.  \C1.            Sdegno  di  Guha 60 

XC11.            abboccamento  di  Guha  con  Bharata 61 

5LCIII.           Domande  a  Guha 63 

XCIV.           Parole  di  Guha 65 

XCV.           Discorso  di  Guha 67 

\(AI.          Quel  che  avvenne  appiè  dell'  ingude 69 

XCVH.         Passaggio  del  Gange 71 

XCVIII.        L'  entrala  nella  selva  Pràyàga 73 

X.CIX.           Fermata  neìl' eremo  di  Bharadvàga 75 

C.                  Ospitalità  di  Bharadvàga 78 

CI.                Commiato  di  Bharata H'i 

CU.              \  eduta  del  recesso  di  Rama 87 

CHI.             Descrizione  del  monte  Citracùta 89 

CIV.              Descrizione  della  Mandàkini 91 

(A                II  telo  lanciato 93 

CVI.             Sdegno  di  Lacsmana 97 

C\  II.            La  discesa  dall'albero 100 

CV1II.           Incontro  di  Bharata  con  Elama 101 

CI\.             Domande 105 

CX.               Rama  richiesto 110 

CXI.             Dono  dell'  acqua 112 

CXII.            Arrivo  delle  madri 116 

CXIII.           Discorso  di  Bharata 118 

C\I\  .           Conforto  di  Bharata 121 

CXV.            Discorso  di  Rama 124 

CXVI.           Discorso  di  Cavali 125 

CXVII.         Discorso  di  Bharata 129 

CXVIII.        Lode  del  vero 1 32 

CXIX.           Elogio  della  stirpe  d'Icsvacu 135 

CXX.           Il  seder  di  Bharata 137 

CXXI.           Consigli  a  Bharata 139 

CXXII.         Congedo  di  Bharata HI 

CXXIII.        1  calzari  di  cusa  accettati 1  43 

CXXIV.        Partenza  di  Bharata 145 

(A\\  .          Entrata  in  Ayodhya 147 


INDICE. 

Cap.  iAWI.     Deliberazione  d' andare  in  Nandigràma 
CXX\  II.     Stanza  in  Nandigràma 


363 

149 
I  50 


LIBRO    TERZO. 

\IUM  UGANDA. 

I.  Discorso  dogli  asceti 155 

li.  Parole  di  Anasùya 158 

III.  Dono  d'affetto 160 

1\  .  Discorso  di  Sita 162 

V.  Entrata  nella  selva  Dandaca 166 

VI.  Veduta  di  Romitaggi 168 

VII.  Veduta  di  Viràdho 170 

\  III.  Morte  di  Viràdho 173 

IX.  Arrivo  all'eremo  di  Sarabhanga 175 

X.  La  sicuranza  data 177 

XI.  Veduta  di  Suticsna 180 

XII.  Soggiorno  neir  eremo  di  Suticsna 181 

XIII.  Discorso  di  Sita 183 

XIV.  Risposta  di  Rama 186 

XV.  Indicazione  della  dimora  d'  Agastya 188 

XVI.  Veduta  del  fratello  d'Agastya 191 

XVII.  Descrizione  dell'eremo  di  Agastya 194 

XVIII.  Dono  d' un  arco 196 

XIX.  Consigli  d'  Agastya '200 

XX.  Incontro  di  Gatàyus 202 

XXI.  Stanza  nella  Pancavati 205 

WI1.         Descrizione  della  fredda  stagione 207 

XXIII.  Veduta  di  Surpanacha 210 

XXIV.  Surpanacha  disonnata 214 

XXV.  Mossa  dei  Racsasi 216 

XXVI.  Morte  dei  Racsasi  spediti 218 

XXVII.  Eccitamento  di  Khara 220 

WV1I1.     Mossa  di  Khara 222 


miì  INDICE. 

C.U'.  XXIX.  Veduta  (li  sinistri  prodigi 225 

XXV  Veduta  dell'esercito  di  Khara 227 

XXXI.  Sconfitta  dell'oste  di  Khara 231 

XXXII.  Morte  di  Dùsana 234 

XXXIII.  Morte  di  Trisiras 237 

XXXIV.  Khara  privato  del  suo  carro 240 

XXXV.  Morte  di  Khara 243 

XXXYI.  Descrizione  di  Ràvano 251 

\\\\  II.  Eccitamento  di  Ràvano 253 

WWIII.  Discorso  di  Surpanacha    256 

XXXIX.  Andata  all'  eremo  di  Marie  a 258 

XL.  Discorso  di  Ràvano 261 

XLI.  Discorso  di  Maric'a 263 

XLII.  Discorso  di  Maric'a 266 

XLIII.  Discorso  di  Maric'a 271 

XLIV.  Parole  di  Ràvano 274 

XLV.  Risposta  di  Maric'a 276 

XLVI.  Assenso  di  Maric'a 278 

XLVII.  Conforto  di  Marie  a 280 

XLVIII.  Maric'a  trasformato  in  cervo 281 

XLIX.  Ordini  dati  a  Lacsmana 283 

L.  Morte  di  Maric'a 287 

LI.  Partita  di  Lacsmana 289 

LII.  Colloquio  di  Ràvano  e  di  Sita 293 

LUI.  Colloquio  di  Ràvano  e  di  Sita 297 

LIV.  Colloquio  di  Ràvano  e  di  Sila 302 

LV.  Rapimento  di  Sita 304 

LVI.  Combattimento  di  Ràvano  e  di  Gatàyus .  .  .  .  308 

LV1I.  Morte  di  Gatàyus 312 

I A  III.  Partenza  di  Ràvano 315 

LIX.  Minacce  a  Ràvano 318 

LX.  Entrata  di  Sita  in  Lanka 320 

\tote  al  libro  secondo 327 

Noie  al  libko  terzo 349 


CORRUZIONI    ALLA    TRADUZIONI:. 


VOLUME    PRIMO. 

Pagina  4.  linea  2  :  «  ai  Gaiceyi  » —  leggasi:  «  a  Gaiceyi  ». 
Pagina  34  ,  linea  l3  :  «  di  stesso  »  —  leggasi  :  «  di  se  stesso  ». 
Pagina  36 ,  linea  i  :  «  eon  proboscide  agile  a  percuotere  » —  leggasi . 

«  nobilmente  alteri  ». 
Pagina  68,  linea  3o  :  «  al  re  suo  suocero  »  —  leggasi  :  «  a  lui  fatto 

suo  suocero  ». 
Pagina  109  ,  linea  3o  :  «  1'  alta  mia  energia  »  —  leggasi  :  «  V  energica 

mia  semenza  ». 
Pagina   193,  linea   11  :  «  era  quella  come,   ecc.»  —  leggasi  :  «  era 

quello  come,  ecc.  » 
Pagina  2I12  ,  linea  8  :  «  deh  !  t'  affretta   di   venire  »  —  leggasi  :  «  o 

piuttosto  t'  affretta  a  dileguarti  ». 
Pagina  201,  linea  22  :  «  governerà  »  —  ^</<7«5'  •'  "  governerà  ». 
Pagina  260,  linea  3o  :  «  Gausalyayà  »  —  leggasi  :  «  Causalya  ». 
Pagina  32 1 ,  linea  16  :  «  defender  »  —  leggasi  :  «  difender  ». 
Pagina  £27,  nota  in,  linea   11  :  dopo  la  frase  «per  far  tesoro  di 

meriti»  s'aggiunga  :  «per  isvincolarsi  dai  legami  della  materia 

che  inceppano  le  potenze  dell'  uomo.  » 
Nota.  —  Alla  pagina  xxxni,  linea  d,  della  prelazione  del  volume 

quinto ,  invece  di  «  s' attiepe  »  —  leggasi:  «  s'  attiene 


VOLUME    SECONDO. 

Pagina  97,  linea   i()  :  «  inchinatosi  »  —  leggasi  :  «  inchinatasi    . 
Pagina  1  5o,  linea  (ì  :  «  comminavano  ■  —  leggasi .  «  camminavano  ». 
Pagina    1  90,  linea  1  1  :  «  io  n'  andrei  •  —  leggasi  :  «  io  n'  andrò  ». 


BlNDir.c  :        .  mar  19  \W> 


PK      Vilniki 
3651       Ramayana 


A2 

1843 
v.7 


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