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SCELTA
DI
OURIOSITÀ LETTERARIE
INEDITE 0 RARE
DAL SECOLO XIII AL XVII
iii Appendice alla Collezione di Opere inedite o rare,
DISPENSA CLX.
Prezzo Ij. 0, 50.
Di questa SCEIjTA usciranno otto o dieci volu-
metti all'anno: la tiratura di essi verrà eseguita in
numero non maggiore di esemplari 202: il prezzo sarà
i» uniformato al num. dei fogli di ciascheduna dispènsa,
alla quantità degli esemplari tirati: sesto, carta e 1
:"nteri, uguali al pr---*^ fascicolo.
Gaetano Bomagnoli.
VOLUMI GIÀ PUBBLICATI. (')
1. Novelle d'incerti autori (Esaurito) L. o —
2. Lezione o vero Scalamento di M. Bartolino .... « 5 ~
3. Martirio d' una Fanciulla Faentina " 1 25
4. Due novelle morali " 1 ^>^
5. Vita di Messer Francesco Petrarca ^ » 1 25
6. Storia d'una Fanciulla tradita da un suo amante . . » 1 75
,7. Commento di ser Agresto da Ficaruolo. ; . . . • » 5 —
8. La Mula, la Chiave e Madrigali ' 1 50
• 9. Dodici conti morali (Esaurito) ;> 4 —
10. La Lusignacca " '^ 7"
11. Dottrina dello Schiavo di Bari » l 50
12. Il Passio 0 Vangelo di Nicodemo » 2 50
13. Sermone di S. Bernardino da Siena » 1 50
14. Storia d' una crudel matrigna . . • ' 2 50
• 15. Il Lamento della B. V. Maria (Esaurito) •> 1 50
16. Il Libro 'della vita contemplativa. .^ ■' 1 50
17. Brieve Meditazione sui beneficii di Dio » 2 —
18. La Vita di Eomolo' » 2 ~
19. Il Marchese di Saluzzo e la Griselda » 2 —
20. Novella di Pier Geronimo Gentile " 2 50
2L Due Epistole d'Ovidio ..." 2 —
22. Novelle di Marco Mantova scrittore del sec. XVI. . » 5 —
23. Dell'Illustra et famosa historia di Lancillotto dal Lago » 3 —
24. Saggio del Volgarizzamento antico » 2 50
25. Novella del Gerbino in ottava rima » 2 —
26. Trattatello delle virtù * 2 —
27. Negoziazione ^di Giulio Ottonelli alla Corte di Spagna » 2 —
28. Tancredi Principe di Salerno » 2 —
29. Le Vite di Numa e T. Ostilio » 2 —
30. La Epistola di S. Jacopo » 2 —
31. Storia dì S. Clemente Papa » 8 —
32. Il Libro delle Lamentazioni di Jeremia ...,.« 2 —
33. Epistola di Alberto degli Albizzi a Martino V ... »
34. I Saltarelli del Bronzino. Pittore . »
35. Gibello, Novella inedita in ottava rima »
36. Commento a una Canzone di Francesco Petrarca . . »
•37. Vita e frammenti di Saffo da Mitileiie (Esaurito). . '^
38. Rimo di Stefano Vai limatore pratese »
39. Capitoli delle Monache di Pontetetto presso Lucca . »
4p. Il libro della Cucina del sec. XIV (Esaurito) ...» 6 —
41. Historia della Reina d' Oriente » 8 —
42. La Fisiognomia, trattatello :' 50
43. Storia della Eeina Ester >^ 1 50
44. Sei Odi inedite di Francesco Eedi -> 2 —
45. La Istoria di Maria per Ravenna » 2 —
46. Trattatello della Verginità .- » 2 — •
47. Lamento di Fiorenza » 2 —
48. Un viaggio a Perugia ^ 2 50
49. Il Tesoro canto carnascialesco 1
50. Storia di JFra Michele Minorità -
•
{') Le dispense sei/nate con asterisco non si vendono stpuratumentc, augi 01 firjutstan^ payan-3t,
do il doppio del prezsio segnato.
LE RIME
DI
BERNARDO BELLINCIONI.
IMOLA,
TIP. D IGNAZIO GALBATI B PIGLIO
Via del Corso , 3^.
A
.1^^
&
LE RIME
DI
BERNARDO BELLINGIONI
RISCONTRATE SUI MANOSCRITTI
SMEKDATE E ANNOTATE
DA PIETRO FANFANI.
BOLOGNA,
PRESSO GAETANO ROMAGNOLI.
1878.
Edizione di 206 esemplari
per ordine numerati.
N. 63.
AI LETTORI.
Per evitar malintesi, vo' dir subito
qui da principio che il fine unico di que-
sto lavoro, è stato quello di ripubbli-
care un libro citato dalla Crusca, del
quale se ne conosce una sola edizione,
fatta a Milano nel secolo XV, scorret-
tissima, anzi spropositatissima , e tan-
to rara che da que' boni virij i quali
stanno su queste Collezioni di Crusca ,
si paga le secento e anche le ottocento
lire! Non c'entra dunque né l'antichità,
né il pregio poetico dell' autore, che a
me sembra, salvo alcuni pochi sonetti,
anche sotto il mediocre ; e però, anche se
li avessi saputi fare (che non li so) cessa
qui la occasione di que' be' discorsi e
dissertazioni sulle origini della lingua,
sulla poesìa popolare comparata, e so-
pra tanti argomenti simili, da cui si
prende materia a dir tante belle cose,
a far tante sublimi congetture , e a sco-
VI
prir tanti nuovi mondi letteraij quanti
non ne sognò Fontenelle. Questo ho detto
prima di ogni altra cosa; e ho confes-
sato questa mia ignoranza; acciocché i
maestri delle dottrine novelle, e delle
novelle ingegnosità letterarie, non mi
combattano da questo lato : perchè sin
d'ora io do qui loro manus victas ; e
mi confesso indegno, non pur di com-
battere con essi , ma anche di esser loro
discepolo.
Non restami dunque a far altro che
ragguagliare i lettori del modo da me
tenuto in questa edizione, dando loro al-
tresì quelle poche notizie che si sono po-
tute trovare circa all' autore.
Afferma egli medesimo nelle Rime di
esser nato da quel Bellincion Berti , che
andava cìnto di euojo e d'osso, e la
cui moglie tornava dallo specchio sen-
za il viso dipinto; ma fatto sta che il
Senatore Filippo Pandolfini, il quale cer-
cò notizie per mare e per terra sopra la
vita del nostro poeta, non potè lasciare
se non questo breve cenno, il quale si
legge nella guardia dell' esemplare ma-
gliabechiano , di cui parlerassi più qua.
Eccolo qui tale quale:
VII
« Bernardo Bellincioiii nato in Fi-
renze di Casa nobile , Ramo della fami-
^dia de' Donati, fiorì al tempo di Lorenzo
do' Medici, Luigi Pulci, e Matteo Franco,
Poeti arguti, e piacevoli. Visse lungo
tempo a Milano , dove morì sotto gli au-
spicij di Lodovico Sforza, dal quale fu
accarezzato e beneficato. Ebbe de' suoi An-
tenati ,
Per il sesto di Borgo.
1. Cambio d' Aldobrandino Bellincioni
Gonfaloniere 1' anno 1295.
2. Neri di Aldobrandino de' Priori 1' an-
no 1297.
3. Cambio detto, de' Priori l'anno 1300.
4. Neri detto , Gonfaloniere l' anno 1305.
5. Bellincione di Neri d'Aldobrandino,
de' Priori 1308.
6. Neri detto, de' Priori 1308.
7. Neri detto , de' Priori V anno 1311.
8. Neri Aldobrandini Bellincioni, de 'Prio-
ri 1311.
9. Bellincione di Neri Aldobrandini Gon-
faloniere 1312 ^ ».
1 Neil' esemplare suddetto si legge questa
dichiarazione del Poccianti, con la quale si fa
fede, che, e questo cenno e tutte le correzioni
vili
La storia della edizione presente sta
per la più parte nella seguente lettera
di Leone Del Prete da Lucca, al quale
ne domandai notizie prima di mettermi
all' opera:
Lucca, 16 del 76.
Molto reverito e cariss.'"» Sig. Pietro,
Quando era in parte altr'uom da quel
che or sono, vale a dire un venti d' anni
e più fa, che 1' età giovanile mi sorride-
va, mi saltò in capo il ghiribizzo di ri-
stampare le Rime del Bellincioni. Le co-
piai fedelmente da cima a fondo , valen-
domi d'un esemplare dell' antica stampa
del testo, sono di mano del Senatore Pandolflni;
e che questo è l'esemplare citato dalla Crusca.
« Io infrascritto Can. Vincenzio Poccianti, Pro-
curatore generale, e Archivista delle Illustrissi-
me Signore Contesse Anna ed Eleonora Pupille
Pandolflni, attesto e fo fede, che il Carattere ma-
noscritto di questo libro confronta a maraviglia
con i fogli originali del fu Senatore Filippo Pan-
dolflni,esistenti nell'Archivio di quella Famiglia,
dal che ne resulta essere l'identifico Esemplare
citato dagli Editori della Crusca. Et in fede que-
sto dì 8 Agosto 1800, in Firenze. »
Io Can. Vincenzio Poccianti M. P.
1
di questa pubbl. Biblioteca; ma dovetti ì
riconoscere che quella stampa era molto )
scorretta; e che ancora la corteccia di ^
quelle Rime era stata alquanto alterata
con ruvidezze dialettali, che non mi sem-
bravano proprie di uno scrittore Pioren- ^
tino. Mi recai a Firenze in traccia di ;
manoscritti per collazionarle; ma solo pò- ;
che rime potei pescare nella Magliabe- , '^
chiana, di cui mi giovai; e da questo ^
saggio mi convinsi che, volendo darle con ì
buona lezione , bisognava togliervi quelle ■
asprezze arbitrariamente donate loro dal- !
l'antico editore lombardo. Quindi le ri- / !
copiai sopra quaderni più grandi, toglien- - j
do gli errori manifesti, e con ortografia .'
più ragionevole, e in modo che dalle pa- ì
role scomparisse quel suono, che non pò- 1
teva essergli stato dato da un Fiorentino. .i
Avendo poi saputo che nella Palatina si '
conservava un esemplare dell' antica edi-
zione, tutto corretto dal Senatore Filippo j
Pandolfini, di cui si era valuta l' antica ]
Crusca pei molti esempj citati nel Voca- ì
bolario, ricorsi al Cav. Palermo, che gen- ^
tilmente q^ concesse comodità d'esami- j
narlo e di trarne le correzioni. Inoltre l
volli anche .esaminare 1' esemplare cor- j
■ b ì
3
i
X
retto da A. M. Salvini , che si conserva
nella Riccardiana, di cui si valgono i
nuovi Accademici; ma in verità ne colsi
scarsissimo frutto. Con tale apparecchio
volevo preparare una nuova edizione cor-
retta , dove mi proponevo di ordinar me-
glio le Rime, che nella vecchia sono messe
a casaccio. Mi proponevo altresì di cor-
redarle di note non solo dichiarative, ma
anco storiche, d' indici ecc. Messo mano
air opera, mi accorsi che ci voleva assai
tempo e fatica; e che il volume sarebbe
venuto di troppo grossa mole ; che dif-
ficilmente avrei trovato chi avesse vo-
luto far la spesa della stampa; onde
datomi giù a poco a poco quel primo
fervore, finii col chiuder tutti quelli scar-
tafacci in un banco, dove hanno dormito
la grossa molti anni. Volea farmeli ris-
vegliare il Prof. d'Ancona, ma tenni duro
ai suoi eccitamenti. Egli allora ne parlò
alComm.' Zambrini, che mi fece nuove
premure. Gli risposi che non volevo imba-
razzarmene ; e per liberarmi da tutto, gli
dichiarai che era dispostissimo a cedere
il mio ms. a chi volesse ristampare il
, Bellincioni. Venne allora in campo il Ro-
magnoli editore, che me lo chiese, e mi
XI i
scrisse poi d' averlo affidato al Prof. Al- " '
fonso Cerquetti. Ora so da Lei che è in \
sue mani, e me ne rallegro moltissimo '
con M/ Bernardo Bellincioni che non po-
tea capitare in mani migliori. Se vi è uno ";i
che possa uscirne a bene, quest' uno cer- ]
tamente è Lei, Sig. Pietro carissimo. ' 1
Venendo ora a parlare più special- ;
mente del mio Ms. (e intendo di quello 3
in quaderni più grandi, mentre 1' altro j
più piccolo non è che una bozzaccia fé- \
dele della prima edizione), crederei che - ^
fosse assai corretto ; ma non da fidarsene l
a chiusi occhi, perchè, ripeto, è un la- j
voro giovanile, e poi non gli fu data ,
r ultima mano. Credo che potrà esserle
di scorta non inutile, e in qualche caso
dubbio Ella può facilmente ricorrere al- ]
l'esemplare del Pandolfini, che, se non
ha preso il volo come tante altre rarità
bibliografiche, dovrebbe ora essere nella i
Nazionale. Per qualche componimento pò- ;
tra consultare anche i Mss. della Nazio- ■^.
naie suddetta, che credo di avere accen- \
nati nella mia copia, ma che ad ogni j
buon effetto le noto nel qui inserto fo- ^
glietto. Per qualche sonetto burchielle-, [
SCO può ricorrersi alla edizione del Bur-
XII
chiello fatta nel secolo passato, colla
falsa indicazione di Londra.
Le note, come vedrà, furono da me
appena cominciate, e in modo troppo pro-
lisso. A parlarle schietto, or penso che ,
volendo giungere felicemente in porto ,
sia meglio abbandonare il mio primo di-
segno, e andar più per le brevi, limi-
tandosi cioè a dare il solo testo delle
Rime ben corrette e, tutt' al pivi, me-
glio ordinate.
Tutto Suo
L. Del Prete.
Ora continuerò io tale storia fino al
presente giorno, ragguagliando altresì
minutamente il lettore del modo da me
tenuto. Il Prof. Cerquetti, veggendo la
somma difficoltà del lavoro, e vivendo in
una'città dove non avea modo di riscon-
trar manoscritti, e di fare tutte le ne-
cessarie diligenze e investigazioni, ras-
segnò il suo mandato; e allora il Eoma-
gnoli fece capo ad altri letterati, i quali,
spaventati pur essi, dopo aver veduto di
che cosa trattavasi, se ne scusarono. Al-
lora lo Zambrini ne pregò strettamente
me a nome del Romagnoli ; ed io, senza
XIII
pensar più là, accettai; accorgendomi
troppo tardi, in che sorta di selva sel-
vaggia e aspra e forte mi fossi avven-
turato ad entrare. Ma feci del cuor rocca,
argomentandomi di catnpare alla meglio
d' esto loco selvaggio ; e cominciai a
pensare qual via fosse a ciò più oppor-
tuna. La prima cosa, dissi fra me, bi-
sogna vedere e riscontrare attentamente
i due esemplari Eiccardiano, e Maglia-
bechiano; nel primo de' quali ci sono cor-
rezioni e postille del Salvini; nel secon-
do, le correzioni accuratissime del Pan-
dolfini, che le fece sopra i manoscritti da
lui potuti trovare: e questi due esemplari
ho sempre tenuto dinanzi agli occhj nel
corso della stampa presente. Riscontrai
diligentemente le non poche rime del
Bellincioni, che si trovano nel bel codi-
ce Magliabechiano; ma tosto mi accorsi
che sopra di esso avea fatto le sue cor-
rezioni il Pandolfini ; e poi mi parve di
poterne raccogliere, che tali rime erano
state copiate pur esse dalla stampa mi-
lanese: né maggiore utilità potei cavare
dalle rime sparse per altri codici. Unico
fonte autentico rimaneva dunque la stam-
pa milanese, ed unica autorità accetta-
XIV
bile, quella del Salvini e del Pandollini.
Ma la edizione milanese è orribilmente
spropositata, come ben nota il Del Prete:
è fatta dopo la morte dell' autore : e quel
prete Tanzi che raccolse le Rime del mor-
to amico, non solo lasciò correre le for-
me, 0 le sformature, del dialetto mila-
nese; ma ce ne mise parecchie delle sue.
Che si fa dunque? dissi tra me. Ritrarre
nella stampa odierna il testo antico tale
e quale, senza che ciò parmi una follia
critica anche copiando dal manoscritto,
e solo comportabile quando si trattas-
se dell' AUTOGRAFO di segnalato autore ,
qui mi sarebbe sembrato un di quelli er-
rori critici da non perdonarsi in modo
veruno; nò ci pensai nemmeno, trattan-
dosi di una stampa, come ho detto, or-
rìbilmente deforme, e trattandosi di uno
scrittore né di molto pregio né di molta
antichità, ricordato fino a' di nostri sol
perchè saltò il ticchio agli Accademici
della Crusca di citarlo per Testo di lin-
gua. Considerata tal penuria di mate-
riali critici, e considerato il fine unico
di ridurre a comportabile lezione que-
sto Testo di lingua, oltre al fare asse-
gnamento aopra i lavori del S alvini e
XV
del Pandolfini, presi un poco di fiducia
anche per la lunga pratica mia sopra la
lingua de' tre primi secoli, sperando di
dare un testo, se non assolutamente cor-
retto, corretto almeno comportevolmen-
te. Il Tortoli, nella sua Apologia della
seconda quinta impressione, bada a dire
burbanzosamente al Cerquetti, che cor-
regge alcuni esempj di scrittori recati
nel Vocabolario: « La Crusca, messe-
re, cita i testi quali essi sono, e
non gli altera. » 0 venga un po' qua
la gran colonna della Crusca. La edi-
zione milanese del Bellincioni è citata
da essa Crusca: avvenendogli pertanto
di registrare la parola Mai senza ne-
gativa, autenticandola con questo verso,
che si legge a pagina 6 , essa , per non
alterare i suoi testi, lo recherà come
nella stampa milanese « Nel nome di
Maria fu mai salute » che è una be-
stemmia; piuttosto che correggere fu
mia salute? Registrerà al bisogno la
voce Munere , facendola buona col ver-
so della pag. 7: Non creda al muner
grande de gli stolti? Registrerà Spa-
giare per Spacciare a pag. 10; e Ra-
sone per Ragione alla pagina stessa?
XVI
Registrerà facecia per facezia, a pagi-
na 46? Bullettìn dacceti per da ceci,
a pag. 96 ? Fa ordine come Pilato per
Fa or di me? e così altre mille e mille,
come si può vedere in ciascuna pagina
di quel libro. È vero pur troppo che il
Vocabolario novello dà infinite prove
di simili dissennatezze , parecchie delle
quali sono state notate da me; ma è
vero altresì che i Savj ne hanno acerba-
mente biasimato gli Accademici.
Ora, tornando al proposito, non so
se io sia riuscito nel mio assunto; e
s' io abbia saputo vincere tutte le molte
e gravi difficoltà, che hanno spaventato
altri letterati dal mettersi a questa im-
presa, tra' quali uno è adesso accade-
mico della Crusca: questo sa bene, e ne
accerto il lettore, che io ho atteso al-
l'opera mia con ogni diligenza; e parmi
di potermi vantare di aver reso leggi-
bile questo testo, che nell' antica edizione
leggibile non era: né , così dicendo , uso
linguaggio iperbolico, perchè in quella
stampa sono tante le voci trasformate
dall' esser loro, e tante le appiccicature
di più voci insieme, che il decifrarle, non
solo a' comunali lettori è malagevole cosa,
XVII
ma anche a parecchj letterati. Con que-
sto per altro non vo' mica riuscir a dire,
che nel mio lavorò non ci sieno errori.
Sarebbe folle presunzione il solo pensarlo;
tante, e di così diversa natura, sono le
difficoltà che ho dovuto superare , a con-
templazione delle quali domando un poco
di indulgenza per essi; come ringrazio
caramente i riveriti amici miei, Cav. Co-
stantino Arila, Cav. Domenico Bianchini
e Marchese Gaetano Ferrajuoli, per aver-
mi fatto accorto di alcuni di tali errori. '
1 Le correzioni degli amici registro qui, e
perchè i lettori se ne possan giovare, e perchè
si veda, che quando 1' errore mi è fatto cono-
scere, io non perfidio in esso ; né mi vergogno
di confessarlo; né m' invelenisco contro chi mi
corregge, quando la correzione è fatta lealmen-
te. A ciascuna correzione pongo la iniziale del
cognome de' tre amici.
Pag. 3. Lo quale onorò: è da leggere : lo quale
onori. B. F.
Pag. 4. Invece di onorare, vediamo, il marche-
se Ferrajuoli proporrebbe di leggere ornare.
Vediamo; come nella edizione antica. Io ne
sto dubbioso , parendomi che Ornare mal
convenga al morto padre, e al colosso.
Pag. 6. questo fanno. Esseìido morto. Il Mar-
chese mi avverte, che innanzi a Essendo non
xyiir
Altri , non amici miei , ma amici
de' miei nemici , vedendo alcuni di tali
errori, e qualche er?ore puramente di
stampa , sputarono un poco di veleno di-
cendo che, se deesi avere una edizione
debb' esserci punto, ma virgola: ed ha ra-
gione.
Pag. 9. Invece di Bellincion nostro, il Marche-
se nota che è da leggere vostro; e sta bene,
perchè nel verso precedente e' è la stessa
voce nostro, con la quale fa rima.
Pag. 16. In cambio di Pigliar ne vidi, si legge
pigliar mi vidi. F.
Pag. 16. Alla nota 4 mi assenna il Perrajuoli
che, trattandosi del cielo di Venere, sareb-
be più proprio 1' interpretare assonna per
Intorpidisce, Accascia.
Pag. 36» Il Bianchini nota che nel testo si leg-
ge : I due se li cavò, e nella annotazione si
legge : E due, domandando qual è la vera
lezione. Rispondo che è : 1 due.
Pag. 44. In nota ho posto, per distrazione, che
il Biscione fu stemma degli Sforza; e il Fer-
rajuoli, mi reca a mente che fu de' Visconti.
Pag. 61. Nella nota 2, dico che Beatrice fu so-
rella del Moro; ma il B. e il F. mi assen-
nano che veramente era moglie di lui.
Pag. 69. Nota 6. Alla mia nota il F. aggiunge
questa erudizione « Alfonso d' Este era ni-
« potè di Beatrice. Se npn erro quando il
« Poeta scrisse questo sonetto, era fidan-
XIX
spropositata, si poteva continuare adu-
sare r antica. È quella medesima buona
fede che mosse il Tortoli a sfatare la
mia edizione del Machiavelli, la quale
fu dal più assennato degli Accademici
« zato a madonna Anna, ohe fu sua moglie
« (e non duchessa di Mantova), e morì nel
« 1497. »
Pag. 87. Nota 2. Il F. crede che quel Ruberto
' fosse r istitutore di Galeazzo nelle cose guer-
resche.
Pag. 93. Nota 2. Io reco qui la nota del Salvini
il qual dice: questo Fiesco fu un poeta; e il
Bianchini mi fa osservare che io stesso ho
già detto a 42 che questo Fiesco è ricordato
dal Quadrio. Ha ragione, dovevo ricordare
tal citazione.
Pag. 98. Nota 7. Al Ferrajuoli sembra piU na-
turale la congettura del Del Prete: e sarà.
Pag. 109. Nota 1. I tre amici si accordano tutti
a farmi accorto che questo Timoteo fu il
Bendedei, allora poeta di grido; e ricordato
con lode dall' Ariosto, e da Antonio da Pi-
stoia.
Pag. 112-113. Il Bianchini mi dice che quel Val-
ditara fu un tal Antonio di Manoliotto (?) di
Val di Taro.
Pag. 117. Col verso Pensosa e lieta dee comin-
ciare una stanza.
Pag. 149. Nota 3. Argomentandolo dal contesto,
e, secondo un cenno del Salvini, dico che il
XX
giudicata ottima. A costoro non rispon-
do: dico solamente che il mio testo del
presente libro, salvo alcuni errori di
stampa, facili a correggersi da qualun-
que lettore , è buono e fedele , avendoci
Sorano fu ardito viaggiatore : poi a pag. 167
dico, essendomi uscita di mente la nota pri-
ma, di non sapere chi esso sia. 11 Bianchini
mi fa accorto della contradizione: e lo rin-
grazio. L'Arlia mi dà notizia che del Sorano
se ne parla in un volume pubblicato dal Mi-
nistero della Istr. Pubi, sopra i viaggiatori
italiani.
Pag. 152. Nota 3. C è chi crede, mi dice il Bian-
chini, che in questo sonetto il poeta accenni
sempre a' Veneziani, e non ai preti. Può es-
sere; ma non mi pare.
Pag. 174, Nota 2. Osserva il Bianchini, non es-
ser troppo esatto il dire che Napoli si di-
vise per Spggi; perchè veramente era divisa
in quartieri ; e i Seggi erano que' luoghi dove
si adunavano i nobili, ne' diversi quartieri.
Pag. 175. Ho detto che circa a' tempi del Bel-
lincioni fu riformato il Calendario; e il Mar-
chese mi scrive di non saper nulla di tal ri-
forma. Ha ragione: la riforma si fece nel
secolo seguente.
Pag. 185. Il Ferrajuoli pensa con ragione che
questo sonetto sia fatto contro Baccio Ugo-
lini chiamato altrove Achitòfel.
Pag. 191. V. 14. Al Bianchini e all'Arlia pare
XXI
io usate tutte quelle cure che richiedeva
simil lavoro; e che il far pure il con-
fronto tra il testo mio e quello della edi-
zione milanese non può procedere, se non
da impotente e velenosa malizia. Quella
edizione è gremita di spropositi d'ogni
genere : è cosi stravolta nella forma delle
parole e delle frasi, che più che scrittura
italiana, sembra scrittura di un Lombar-
do ignorante : ha parole tronche per in-
tere, e intere per tronche, tanto che
spesso i versi sono o più lunghi o più
che qui si alluda a un' antica novella, dove
si dette a intendere ad un contadino che a
• Verona non poteva fare le occorrenze sue, e
pensano sia da leggere fu gabbo (fu gabbato)
dal stronzo.
Pag. 234. Nota 1. Dico che non so che cosa
sono le carole: il Bianchini e l'Arlia m'in-
segnano, che nella parlata napoletana Ca-
ròla è lo stesso che Tignuola.
Pag. 244. Nota 1. Dico di non sapere che cosa
sia BrovetO '■ V ArWa. e il Bianchini pensan*
che sia quel luogo che ancor oggi dicesi a
Milano il Broletto.
Pag. 245. Notai. Il Salvini parla, nella sua nota,
'di un Mariano da Ginazzano; e il Ferrajuoli
dice che dovea dir Genazzano, paesello a po-
che miglia da Roma.
SONETTO I.
VRGGRNDO L\ DUCHESSA ISABELLA ALLEGRA.
Si come ogni erba si conosce al seme, ^
E '1 frutto si comprende anche pel fiore;
Così nel viso un consolato core
Si comprende, e se doglia anche quel preme.
Spesso ben l'occhio per dolcezza geme,
Como usar suole ancor per un dolore;
Ma la cagion di drento appar di fuore ; ^
Che tristizia e piacer non vanno insieme.
Se '1 cor 'n un volto scrive i suoi pensieri ,
Dolce natura in quel dipinge '1 fine
D'ogni concetto che la lingua cela.
Chi dà legge e confini a' desideri ,
E volge al divin vento ogni sua vela,
Vedrà le rose nascer de le spine. ^
1 Si come ecc. È preso da Dante , il quale scris-
se :
Ogni erba si conosce per lo seme.
2 Spesso ben l'occhio ecc. Si piange cosi d'al-
legrezza, come di dolore; ma si scorge bene al-
l' aspetto qual cagione muova il pianto, cioè, se
l'uomo piange di dolore o di allegrezza.
3 Chi dà legge ecc. Chi sa temperare i suoi
desideri, e si rimette al volere della Provviden-
za, troverà ogni conforto e consolazione nel suo
doloro. Questo è de' buoni sonetti del nostro .'\u-
tore.
1
2 SONRTTI.
SONETTO II.
ALLA DUCHESSA ISABELLA PKR RICCIARDETTO.
Benché piccin sia e! vostro Ricciardetto, >
Di fede è grande, d'animo e di core,
Allievo e servo di quel santo fiore 2
Che ti produsse , o frutto benedetto.
Non sai che solo è Dio senza difetto?
Chi mai non nacque, mai commise errore.
Poi sai quel che rispose el Salvatore
Del perdonare a Pietro, stu l'hai letto. ^
Costumato e non punto Architofello, ^
Musico bono, e gran lemosiniere ,
Più che Martin, che die mezzo el mantello.
Tòi da un quel può dar, né più volere;
Che ognun ha la sua mosca in el cervello: ^
Chi troppo è grave, e chi troppo è leggere;
1 Ricciardetto ecc. Chi sia questo Ricciardetto,
per il quale il Poeta scrive alla duchessa, non
ho trovato. Sembra dover essere stato qualche
suo paggio, o altro familiare, caduto in qualche
fallo: e qui il Bellincioni lo scusa.
'2 Allievo e servo ecc. Questo Ricciardetto fu
allevato in corte di Alfonso d'Aragona, padre
della duchessa Isabella.
3 Del perdonare ecc. Cristo disse che non si
doveva perdonar solo sette volte ; ma settanta
volte sette.
4 A r chilo f elio -PerMo e maligno consigliere del
Re David, che nimicò Assalonne col re suo padre.
5 Ognuno ha la sua mosca. Ciascuno ha qual-
che capriccio per la fantasia, e qualche ùifetto.
siONETTI. ■>
• Però fate piacere
A Ricciardetto vostro al mondo nato ,
Che Dio '1 castigherà , s' el sarà ingrato.
Che, s' uno ha in un sperato , '
E fa quanto comporton le sue ale,
Sprezzando quello, Iddio l'ha poi per male.
SONETTO III.
SOPRA RICCIARDETTO.
Questa perla del vostro Ricciardetto
È tutto argento vivo, è corno el Sole 2
In modi, in atti, in fatti ed in parole:
El cervel l' arca par di Maumetto. -^
Qua e là, sì e no: questo folletto,
Come infermo, non sa quel che si vuole:
1 Che s'uno ecc. Se Ricciardetto ha sperato
bene di voi, e per piacervi ha sempre fatto ciò
che è stato da lui ; non vogliate dimenticare i suoi
servigj, per un lieve fallo, che Dio l'avrebbe per
male.
^Questa perla ecc. Scherza soprala mobilità
e la instabilità di quel Ricciardetto, paragonan-
dolo all'argento vivo, che mai non sta fermo ;
e al Sole, che sempre ò in moto (allora si cre-
deva che il Sole girasse attorno alla terra). An-
che adesso si dice che ha V argento vivo addos-
so un fanciullo, che non stia un momento fermo.
3 El cervel ecc. L' arca di Maometto sta so-
spesa in aria; e cosi il cervello di Ricciardetto
non si posa mai sopra nulla di grave.
1 SONETTI.
È in Paradiso, e sempre mai si \luoIo , '
Così fé in ciel quelTAngiol maledetto.
Tante moschetto pel cervel gli vanno "
Che '1 capo d'ape pare una cassetta,
E pur la corte ha tutta a saccomanno.
E' fa come un puttin che piange e tetta,
Noi contenton broccati e manco panno : ^
Certo una vesta del Batista aspetta.
A Napoli ire in fretta
Il fate. Or che vorrebbe? i' ti rispondo ^
Che Dio a suo modo gli facesse un mondo.
El ver or non ascondo
i È in Paradiso ecc. Nella vostra corte, che
è un Paradiso.
2 Tante moschelte ecc. Ha un monte di fanta-
sie sempre nuove per il capo (ora si dice Hall
capo pien di grilli), benché costi in corte possa
fare tutto ciò che gli viene in grado, l'ha, come
suol dirsi , tutta a sua disposizione : e' fa come i
bambini, che poppano, e pur piangono.
3 Nel contenton ecc. Ogni veste, anche nobile,
noi contenta: si vede che pretende di avere un
palio di S. Giovanni. Il palio di S. Giovanni, era
di broccato d'oro , e ricchissimo; e anche adesso,
per significare veste sfoggiata e ricchissima, si
suol agguagliare al palio di S. Giovanni.
4 A Napoli ecc. Pare che avesse desiderio di
andare a Napoli ; e la esorta a mandarvelo: ag-
giungendo per altro che non sarà contento nem-
meno di ciò ; e che, per contentarlo, bisognerebbe
che Dio gli facesse un mondo a suo modo.
SONETTI. 5
Fare' Giove ballar col tamburino
Che in quell'arte lo chiamo un uom divino.
SONETTO IV.
PER LA DUCHESSA DI BARI.
Non fu mai madre in tanto gaudio e festa
Quando smarrito el suo fìgliol ritrova,
Né tanto el chiaro Sol diletta e giova
Quando dannosa e lunga pioggia resta;
Né gente in mar, calando la tempesta,
Quando vento per lor par che si mova,
Quanto Beatrice allegra oggi si trova
A posseder colui che '1 ciel gli presta. ^
Ma dolorosa più non fu mai donna 2
Che '1 caro e suo diletto sposo perde ,
Quanto era avante al suo santo ritorno.
Ludovico è d'ogni suo ben colonna,
Lor foco e loro amor sempre è più verde, ^
E sarà dopo el lor ultimo giorno.
1 A posseder colui ecc. Donna Beatrice si ral-
legra per il ritorno del suo sposo.
2 Ma dolorosa ecc. E qui significa il dolore
grave che ebbe la Duchessa quando il marito
dovò allontanarsi da lei.
3 Lor foco ecc. Si amano un giorno più del-
l'altro; uè il loro amore si spegnerà per morte.
6 SONETTI.
SONETTO V.
A MESSER GASPAR VISCONTI DOMANDANDOGLI UNA OCA
PER OGNISSANTI. 1
El tuo cornigeron, non cornacchione , 2
Che natura un balestro volse fare
111 Salvini nota che per Ognissanti e' era qui
a Firenze la fiera dell' oche nel quartier S. Gio-
vanni; e forse da ciò ha preso nome la Via delle
oche.
Z El tuo ecc. 11 poeta descrive so stesso, si-
gnificandoci com'egli era gobbo, e per farcelo
intendere sotto metafora, dice che quando natura
lo fece ebbe intenzione di fare un balestro (che
sono arcuati), e che è fatto a volta per non ab-
bruciare (che le stanze a volta sono sicure dal-
l' incendio) ; e che per paura d'annegare, porta la
zucca vuota sulle spalle, come fanno coloro che
imparano a notare. Il sonetto però sembra scrit-
to a nome di un suo compagno. Forse il Bellin-
cioni ebbe tal soprannome ; o forse lo ebbe l'al-
tro suo compagno, a nome del quale chiede l'oca.
Che tal Cornigero fosse allora famoso, lo abbia-
mo da Batista Mantovano, illustre poeta latino
di quel tempo, il quale a lui intitolò una sua
Epistola, che incomincia cosi:
Corniger, ausonios inter celeberrime vates,
Insignite boni nominis eulogio,
Nemo det hoc vitio tibi, quod cognomen ubique est
Istud apud patres, istud apud populos;
e continua dicendogli che tutte le cose più no-
bili sono cornute.
SONETTI. /
Quel che sol per paura d' abbruciare
S'è fatto in volta: or Thai per discrezione.
Stu non intendi ancora, el Bellincione,
E quel che per paura d' annegare
La zucca in sulla spalla suol portare:
Costui fa meco una conclusione:
Perchè 'i costume e '1 bon uso non falli,
Sendo Ognissanti, a noi darai l'uccello,
Che Roma liberò da' fieri Galli: i
Questo vogliano intendi, ch'egli è quello^
Che per natar fra' liquidi cristalli
L'ali si misse a pie' del pipistrello.
Se non paresse bello
El mio sonetto e grazia avesse poca.
Sarà perch'egli è fatto in lingua d'oca. ^
1 L'uccello, che ecc. È nota la favola storica
della oche del Campidoglio.
'i Vogliano per Vogliamo, e simili, era idio-
tismo comune agli antichi Fiorentini. Continua
poi a dire che, se non avesse inteso bene, e' vuol
parlar di quell'uccello, che per notare nell'ac-
qua, si mise a' piedi l'ale di pipistrello, alludendo
alla membrana onde sono formate le zampe delle
oche.
3 Fatto in lingua d'oca ecc. Va, il giuoco di
parole sull'oca, e sulla lingua d' oca.
8 SONETTI.
SONETTO VI.
A MUSSliR UERGONZIO BOTTA PUR UN OCA. '
Se mai impetroron grazie i miei sonetti,
Questo a Bergonzio or vadi per sollazzo:
El Prete, el Bellincione, e '1 suo ragazzo,
Ogniun da te un'oca par che aspetti.
Noi ti ristorerem poi con sonetti:
Se non v'è oca, a noi dona un ocazzo.
Come poveri, abbiàn nel mio palazzo
Agli e cipolle, ed anche duoi porretti.
,v Le spese assai mi fanno assottigliare;
È però vo al castel di Marchesi no,
Che Ambrosio più denar non mi voi dare. ^
Giovane e maschio dacci un ocazzino :
Fia bono arrosto, agevole a tagliare.
Col groppon tondo piace al F'iorentino. 3
Questo credo e indovino:
Se dui capretti in casa i' ti vedessi ,
Non posso creder eh' un non me ne dessi.
1 Questo Bergonzo era uno de' più possenti
cortigiani del Duca; e anche a lui il poeta chiede
l'oca, in nome altresì del prete, che forse è il
Tanzio, e d'un suo ragazzo. In questo sonetto vi
sono degli osceni equivoci, su' quali non mi fer-
merò.
2 Ambrosio. Questi è Ambrogio da Corte, del
quale è stato parlato altrove; e un sonetto con-
tro di lui è nel primo volume' a pag. 127.
3 Col groppon. Qui il Salvini scrive in mar-
gine: 0 becco f.. ., oh furfante!
SONETTI.
SONETTO VII.
0
CHI KUSSE PIÙ GAGLIARDO DI RINALDO E ORLANDO, l
Cara, suave e dolce mia sorella.
Sta salda come torre, disse Dante,
Alle battaglie, a'prieghi, a ciancle tante ,
Perchè tu lassi quella nostra stella.
A passion d'Orlando alcun favella;
Come 'l savio perdona a T ignorante :
Da balli e dame è Orlando assai prestante,
Rinaldo nostro un Marte è in su la sella.
Orlando, che avia pur belle parole
E le lacrime e '1 riso, e bene el Davo,
Fanno che '1 vulgo sempre ben gli vole.
Ma Rinaldo, che al ver fu sempre schiavo
( Veritas odium parit esser suole)
Non fu simulator, ma savio e bravo.
Così le macchie lavo
Al bon Rinaldo, che sbarrò il lione :
Orlando quattro quarti ha di castrone.
1 Pare che allora si facessero delle dispute
alla corte, chi fosse degno di maggior lode, Or-
lando o Rinaldo; e qui il Bellinciani la dà mag-
giore a Rinaldo, dicendo che Orlando era valente
per le donne, che avea belle parole, che aveva
bene il DavOj cioè sapea fare atti d' ossequio e
di servitù, e però ebbe fama dal volgo; dove Ri-
naldo fu veramente prode e leale, non simulatore
né mendace: e alludendo al quarftcre d'Orlando,
dice eh' egli ebbe quattro quarti di castrone, cioè
fu un castrone beli' e buono.
10 SONETTI.
SONETTO Vili.
ESORTA LA MARCHESANA CHE TENGA LA l'ARTE D' OR-
LANDO. 1
Umana cosa è, dice la Scrittura, 2
L'errare, e cosa angelica ancor pone
L'emendarsi, e non far qual Faraone
Con l'ostinata mente cieca e dura;
E però. Marchesana mia, misura
L'error che fai nel falso opinione 3
Del superbo Rainaldo e poi poltrone,
Che fu proprio uno scandol di natura.
El ravvedersi è me' tardi che mai ,
Però con Galeazzo e gli altri degni,
Per non peccar, vitupera Rinaldo.
Vera cristiana allor, dico, sarai
Stu pigli Orlando e lassi quel ribaldo,
Che a dir male e far peggio ebbe gli ingegni.
1 Questo sonetto è la palinodia, o ricantazio-
ne del precedente; e qui si esalta Orlando sopra
Rinaldo ; ma comincia col domandar venia del-
l' errore commesso.
2 Umana cosa ecc. Il peccare è degli uomini,
il ravvedersi fe da angeli.
3 Misura l'error ecc. Considera quanto sei fuo-
ri del retto e del vero, stimando piti Rinaldo che
Orlando.
SONETTI. 1 1
SONETTO IX.
FANTASTICO SOPRA IL TAMBURINO DELLA DUCHESSA.
Signor, ben vi so dir ch'egli sta fresco
Quella berta del vostro tamburino, i
A questi dì bevuto ha tanto vino
Che quando parla par proprio un Todesco.
Egli andò ieri al Vespro in San Francesco
E prese in coro un frate pel capino , ^
E disse; Questa notte a matutino
Non t'ho veduto: tu non se' sforzesco ?
El frate fugge , e grida ad alta voce :
Questo è il Diavolo! e dice il Miserere,
E fassi spesso il segno della croce.
El tamburin gridava: I' vo' da bere,
E vo' d' il bon , che '1 tristo assai mi noce ;
El frate dice: Andiàn, ch'egli è dovere.
Or odi bel piacere:
Quando fracido fu, non che maturo, 3
Disse: Di vin voglio impir el tamburo. 4
i Berla per Bertuccia dice il Salvini ; se però
il Poeta non chiama quel tamburino t^ Berla,
perchè era usato a dar la berta a questo e a
quello, e far burle , come la fa a quel frate di
questo sonetto.
2 Capino. Cappuccio.
3 Fracido fu ecc. Non solo fu maturo, cioè
ubriaco, ma ubriaco fradicio.
4 Tamburo. Il Salvini annota: La pancia, Ave-
re la pancia come un latiìburo, quando, per istrip-
pare, il corpo si cava di ^'rinze. ,
12 SONETTI.
E' v'era un poco scuro
In caneva, pur vide un cappon cotto: }
Gran mercè disse, e misseselo sotto."
SONETTO X.
DI PRETE FRANCESCO TANZIO AL SIGNORE LUDO VICO
PREGANDOLO CHE LO FACESSE CAPPELLANO ALLA
SFORZESCA. 3
0 signor, perchè fui sempre sforzesco,
Cerco di far mia vita a la Sforzesca:
Stu non credi ciie dotto i' ti riesca,
Fanne la prova quanto al fondo i' pesco.
r mi chiamo d' i Tanzi un pre' Francesco ,
Che ben la vita tengo a la Francesca,
Macra, e non ghiotta comò la todesca ,
Unde tu puoi veder s' i' sto ben fresco.
Benché non sia in sonetto el Belli ncione.
Mi basta essere allievo del Marliano: *
Né gli epigrammi è mia professione.
1 In caneva. in dispensa, si direbbe oggi.
2 Misseselo sotto. So lo mise sotto le vesti, e lo
portò via.
3 II Tanzìo abbiam veduto essere raccoglitore
e pubblicatore delle poesie del Bellincioni ; e può
essere che questo sonetto lo facesse il poeta stes-
so in nome di lui; o forse stampò qui il sonetto
suo, perchè si intonda meglio la risposta fatta
dal Bellincione a nome di Lodovico il Moro. La
Sforzesca era villa deliziosa degli Sforza.
^Marliano. Famoso predicatore.
SONETTI. 13
Di mal di povertà mi puoi lar sano ;
Io mattin , messe, vespri et orazione i
Dirò per te, stu sarai tanto umano
Di formi cappellano
Alla Sforzesca, e mi sarò sforzato
Di farti onor e che ognun m'abbia amato.
Ogni dì visitato
Da me sarai con versi del vangelo
E d'Elicona e di Parnaso e Delo.
SONETTO XI.
IN RISPOSTA DSL PRECEDENTE PER LE RIME.
(In ^persona di LndovicoJ .
Da poi eh' i' veggio che tu se' moresco. 2
Vo' che tu canti in chiesa a la moresca ,
E che di povertà la tua vita esca,
Sendo tu stato allievo marlianesco.
Poi che venuto or se' sotto al mio desco ,
Qual Maddalena, i' vo' che me n' incresca, ^
E vo' che '1 tuo disegno ti riesca:
Così di mono vivo i' ti ripesco. *
1 Mattin, Mattutini.
2 Moresco. Partigiano del Moro; e così poi dice
Cantare alla Moresca, per significare il cantar
versi e vespri per la prosperità del Moro.
3 Qual Maddalena. In atto umile, e di mise-
ricordia.
4 Ti ripesca. Stavi per affogare; e io ti levo
dall' abisso.
14 SONETTI.
La lira tua mi par qui d' Anfìone ,
E tanto il tuo sonetto commendiàno
Ch'ai Bellincion tu se' ben paragone.
E virtuosi e' buon sempre aiutiàno,
linde ci hai mossi aver compassione
Della tua povertà come intendiàno;
Però ti concediàno
El beneficio, s' i' sarò informato
Che tu sia dotto, e bono a me laudato, i
Sta m' arai dimostrato
Non aver d' ignoranzia a gli occhi el velo ,
D'Inferno ti trarrò per porti in Cielo.
SONETTO XII.
AL SIGNORE LUDOVICO PREGANDOLO ARGUTAMENTE
CHE VOGLIA AVER PIETADE DELLA SUA POVERTÀ.
Signor, tanto ho cantato il Misererei
Che, stu riguardi adesso el Bellincione
Cristoforo da Boia parrà el Guascone 3
Tanto son macro, arido e leggere.
Ambroso dice: Io n'ho gran dispiacere,
Nel grasso macro stai come el rognone. ^
1 Bono a me laudato. Lodato per buona per-
sona.
2 Tanto ho cantato. Mi sono tante volte rac-
comandato alla tua misericordia.
3 Cristoforo ecc. Questo verso oscurissimo, e
di falsa misura, non so che significhi, né 1' ho
potuto corregger su' codici.
•* Nel grasso ecc. Tu, come 1' arnione, ti con-
SONETTI.
A San Francesco ti vo' fare usciere ,
Ti vo' far questo ben per discrezione:
Ambroso, per te serba quest'offizio:
Due novi cazzi sono in filosofia i
Poveri chi Diogene e Fabbrizio.
Quell' altro inzoccolato ha fantasia ,
Ch' e denar siano all' anima in supplizio
0 si può esser santo in signoria.
Chi direm che quel sia
Che sol per santimonia vive d'erba?
Un altra bestia: e non dirò più verba.
Ella è pur molto acerba
La povertà, e troppo tristo augurio;
Però ti raccomando el tuo Mercurio. -
15
servi magro, stando tra '1 grasso. Vivi a stento,
stando in mezzo alle lautezze della corte. Qui si
parla di quel solito Ambrogio da Corte , allora
tesoriere del Duca.
i Due novi ecc. Qui la lezione è viziata: si
vede per altro che dà del semplice a Diogene e
a Fabrizio, che vissero in povertà volontaria; e
che mette in deriso la dottrina della povertà e-
vangelica, predicata da qualche zoccolante; e af-
ferma che si può esser santi anche essendo
ricchi.
2 11 tuo Mercurio. Colui che è pronto ad ogni
tuo servigio, come Mercurio è pronto a' cenni di
Giove.
1(3 SONETTI.
SONETTO XIII.
DI CERTI riACEEI CHE PRESE IL SIGNORE MARCHESE
DI MANTOVA A MILANO. 1
Ognuno Sforza, Sforza: e s'è sforzato
Di far materie el nostro galeotto,
Quel che '1 mal delle donne ebbe ridotto
Com'un che ha ben fottuto e assai mangiato.
Diavoli questo Castel tia ruinato,
Dissi io, udendo in su 'n un tetto il botto;
Ma la galea mi disse un savio motto
A questo vento arò el timon voltato.
Salta e risalta, ognun grida, Alessino,
Gambari cotti et ova fresche al foco
Parean tutti i trebbi d'un casino.
Ambroso el naso ha pur cresciuto un poco
Boccalon boccalon, non boccalino.
Volando le castagne in ogni loco.
Disse Alessino: Un gioco
Vo' far, Marchese, e piacerà a ognuno:
È come esser qui due e parer uno.
SONETTO XIV.
DELLA DISPUTA DELLE LEONE. 2
Messer Battista par ben el Battista
Con que'suoi dolci modi e bel parlare:
1 Questo sonetto , difettoso nella lezione , e
oscuro per se stesso: ha assai del burchiellesco,
e degli osceni equivoci: però me ne passo taci-
tamente.
2 Pare che il Bellincioni avesse chiesto delle
li
SONETTI. 17
Non so se un diavol sa si ben tentare:
Poco con lui nel disputar s'acquista.
Costui farebbe una persona trista
Senza corda ogni cosa confessare,
Di bocca un dente a un sapria cavare,
Non le parole pure a un sofista. '
Madonna, ancor di voi mi lido poco.
Per dir: Tòi de le legne, o Bellincione,
Pensasti giunger me cosi per gioco;
Non mi bisogna aver del maccherone: 2
Dico che di mie legna ho fatto el fuoco
In mezzo di duo volpi era un cappone. 3
De la mia discrezione
Dice pur che si fida, e poi tentato
Che poche ne torrà el prete stroppiato;
Sonmi ben consigliato
Di parlar con lui poco e men con voi ,
Che venderesti a un castron per buoi.
legna, e che la Duchessa gli dicesse che le pren-
desse; ma quel messer Battista, che forse era il
custode di esse, con belle parole lo tenesse a
bocca dolce, e non gli desse nulla. 11 poeta se
ne duole col presente sonetto, e si tiene beffato
da ambedue.
1 Non le parole pure. Costui saprebbe cavare
un dente di bocca ad altrui, non che le parole a
un sofista. Saprebbe far tacere un sofista.
2 Non mi bisogna ecc. Non ho cara di esser
trattato da balordo.
3 In mezzo ecc. lo ero come un cappone in
mezzo a due volpi : ambedue vi pigliaste giuo-
co di me.
m
2
i
18 SONETTI.
SONETTO XV.
A MRSSRE BKROONZIO DOMANDANDOOLI POLVERE ED
ACQUE ODORIFERE.
Se ier ti die"' del fonte di Parnaso
Cibo agli orecchi assai con miei sonetti;
Così fra' sentimenti par diletti
Qualche suave odor che piace al naso.
Se '1 Salvator da Maddalena a caso
L'odorifero unguento par che accetti,
Unde la fé' del numer degli eletti
E di sua grazia gli fé' colmo el vaso,
Accetta or dunque el nostro piccol dono ,
Però che basta la 'ntenzion dei core,
Che satisfar non puote al buon volere.
Se già d'arida pianta uscì bel fiore,
Forse, per grazia di quell'alte spere.
Potrò mostrare un dì quanto tuo sono.
SONETTO XVI.
AL SIGNORE CHIEDENDOGLI PERDONO. 1
0 famoso mio dolce e Duca degno.
Se la tua faccia angelica e serena
Ier sera sol per me turbasti a cena.
Quel fu proprio d'amarmi un vero segno.
S' io fu' cagion de la tua ira e sdegno,
Ginocchioni ai tuoi pie' son Maddalena,
1 Si vede , dice il Salvini , che il Poeta aveva
fatto lo 'mperchè; ma qua! fosse il suo fallo si
SONETTI. 19
Però abbi pietà de la mia pena,
Che di piacerti pur mi sforzo e ingegno.
Quanta fama resulta e quanto onore
Quando ai suoi servitor, che Tamon tanto,
Perdon chiedendo al Duca , a lor perdona !
In questa notte il mio dormir fu il pianto :
Errare è cosa umana a la persona:
E '1 perdonare offizio è di signore.
SONETTO XVII.
CHIEDE SEI DUCATI IN PRESTO DA MONSIGNORE SAN-
SEVERINO.
r canto. Monsignore, il Miserere, i
E per boschi posso ir senza sospetto,
Che un Biante novel son con dispetto,
Ma ben vorrei parer lupo cerviere. 2
E ben eh' io abbi dalla Corte avere
Vinti ducati, e quella manna aspetto.
Bisogna che tu tragga al mio sonetto ^
El tre dua e asso, e sarò poi scudiere.
' Canto il Miserere. Sono al verde, son mise-
rabile.
^Biante è colui che disse: Omnia bona mea
mecum porto.
3 Tu tragga ecc. Giuoco di parole tratto dal
giuoco de' dadi: il ire due asso, cioè il sei; e
sarò scudiere, vuol dire che sieno sei scudi.
20 SONETTI,
Questi fieno i color d'un mio disegno;'
Né prima arò la mia provvisione
Che torneranno, e fia la fede il pegno.
Se questa volta ajuti el Bellincione,
Vedrai far fiore e '1 frutto al secco legno;
Non farei dir in chiesa un' orazione.
A far conclusione,
Se questo voto esaldi al bisognoso, 2
Tu serai più che san Martin pietoso.
Stu di' : Presuntuoso !
Rispondo un bel proverbio, eh' i' t'avviso:
L' una man lava l'altra, e le due il viso.
SONETTO XVIII.
CHIEDE DENARI AL TESAUBIERE DUCALE AMBROSIO DA
CORTE.
r arei convertito ogni Giudeo,
E condotta Diana in un bordello,
E Sisto m'are' dato il suo mantello
Et umile arei fatto Campaneo. 3
1 Fieno i color. Modo bellissimo per dire che
dovevano servirgli a un dato effetto. E gli pro-
mette di restituirgli quando riscuote la provvi-
sione.
i Esaldi. Esaudì, Esaudisci; e cosi Laide fu
detto per Laude.
3 V arei ecc. Dice che per lui avrebbe fatto
ogni cosa più difficile, come di convertir i Giu-
dei ; indurre la dea dell'onestà a far mala, vita;
papa Sisto a cedergli il mantello; ridurre umile
I
SONETTI. 21
Io arei per te (fitto el san Matteo ,
Quando sequere me gli disse quello;
Però mi tratta a uso di fratello,
S'io ho più fede in te che in giubileo.
La fabula d'Isopo or qui t'adatto:
Sai che nel laccio si trovò il Lione,
Né si credea che '1 liberasse el ratto.
Intende appunto l'uom ch'ha discrezione.
Deh! non piìi fior, confortami un po' il tatto,
Stu voi a dir di te paja Anfione. i
Più leggier eh' un cannone ^
Ti sarà, stu vorrai servir Bernardo,
Che sia lupo cerviere, o leopardo.
SONETTO XIX.
A MADONNA CHE LO RACCOMANDI AL SIGNORE.
0 lunae, o specchio, o sol di nostra etate ,
0 celeste bellezze , o modi santi ,
Capaneo, che presso Dante è simbolo della su-
perbia ecc. ecc.; e però lo prega che lo tratti
amorevolmente; ricordandogli che anche l'uomo
più umile può in certi casi rendere grandi ser-
vigj, come fece il topo che rosicchiò la fune che
teneva avvinto il leone.
1 Non più fior ecc. Non mi dar più le belle
parole; ma de' fatti.
2 Fiù leggier ecc. Tra tutti i cannoni della
Crusca non ce n'ò uno che si possa adattare a
questo, nò anche il bocciuolo di canna. Che vor-
rà egli dire? In sostanza il Poeta significa il
concetto di esser pronto ad ogni servigio di Am-
brogio.
22 SONETTI.
0 Lucrezia a' costumi et a' sembianti ,
Esemplo e fundamento d'onestate,
Per quella vostra naturai pietate,
Pei giusti merli vostri oggi in ciel tanti,
Mai v'inclinasti, or fate ch'io mi vanti ^
Che a Ludovico or mi raccomandiate.
Parte di mia fortuna e mio contento
Sarà in vostre parole col parente ,
Da poi che tanto ben voi vi volete.
Del proprio core a voi fare presente
Un desider di foco or m' arde drente,
E di calcina e pietre è la mia sete. 2
SONETTO XX.
A MESSER GASPARE VISCONTE.
Ogni giorno a Milan ci pare un anno ,
Stando voi tanto a vostra casa nuova,
La quale i' so che all' abitar non giova
Qual potre' far quando la fussi panno. ^
1 Mai v' inclinasti ecc. Pare che qui sia difet-
tosa la lezione : raa non la ho trovata da rad-
dirizzare coi codici.
2 Un desider di fuoco. Tutto questo sonetto è
sgarbato e sforzato; e quella sete di calcina e
pietre è proprio una sciatteria. Pare che desi-
derasse una casa dove abitare.
3 Ogni giorno ecc. Gli fa rimprovero di star
lontano da Milano per la smania di stare in una
sua casa nuova; dicendogli che non giova l'abi-
tare una casa nuova, come gioverebbe (strana
idea!) se fosse di panno.
SONETTI.
23
Con voi bisognereccì el torcimanno,
Se l'esser forestier tanto vi giova,
Però chi troppo una speranza cova,
Si dice che ne perde in co de Tanno. '
Leggete 'n un capitol degli specchi
E trovarete che le case nuove
Non posson però far eh' un non invecchi.
Sicuro or siete dell' uccel di Giove, ^
Seudo tornata primavera stecchi , 3
E questo a lacrimar forse ne muove.
Tornate presto dove
Antonietto v'aspetta ed Arrighetto,
Che v'ama e loda assai più che '1 confetto.
SONETTO XXI.
FATTO QUANDO SI RAPPRESENTÒ LA COMEDIA D'ANFI-
TRIONE A FERRARA..
Bellincion , che vorresti ire a Ferrara,
A che fare? — A portar certi sonetti,
1 Con voi ecc. Se state tanto tempo lontano,
dimenticherete la lingua nativa, e vi bisognerà
poi l'interprete; e poi lo conforta a sbrigarsi,
perchè la speranza lunga in capo all' anno è
dannosa : Spes quae differtur affligil animum .
dice Salomone.
2 Uccel di Giove. Forse era in Germania ; e
vuol alludere all'aquila imperiale.
3 Sendo tornata ecc. La primavera, i fiori più
vaghi, son diventati stecchi, cioè ogni lieta spe-
ranza è svanita.
24 SONETTI.
Che so che riuscirebbono confetti
A chi la bocca avessi punto amara.
Ma e' non gli intende ognun chi non dichiara. '
Quel de la lega ha certi colpi netti,
Quel de la pace ancora è degli eletti,
El Tuttavilla tuo gli lauda a gara.
A Ferrara son certi dicitori ,
Vorrei veder se pigliano i leoni,
E se i frutti riescon come i fiori. 2
Certi sonetti ho visti che son buoni ;
Ma el paragon sentenzia po' i colori,
Ove poi si conoscono i navoni.
A' fianchi hanno gli sproni
E poeti a Ferrara, e tuttavìa
Compongon far più d' una comedia ;
Ma ella è più fantasia
Far delle nuove, e d'ingegno più cauto,
Che far di quelle di Terenzio e Plauto. 3
1 Ma e' non gì' intende ecc. Non tutti gì' in-
tendono, se qualcuno non gli dichiara ; e ne no-
vera alcuni.
2 Vorrei veder ecc. Vorrei un po' vedergli alla
prova, se i fatti rispondono alle parole, e se i
loro sonetti reggono al martello.
^ A' fianchi ecc. A Ferrara i poeti scrivono
molto e presto, e compongono delle commedie,
raffazzonate su quelle di Terenzio e di Plauto ;
ma chi ha vera fantasia e ingegno le fa di nuovo.
SONETTI.
25
SONETTO XXII.
db' bovi che furono mandati in dono a VENEZIA.
Se stati fussin nell'antica legge'
Offerti questi al sacrificio santo
Non al Salmista e a Ezechia el pianto
Bisognava a placar chi tutto regge.
Come 'n un volto una affezion si legge
D'un cor, cosi sarà tal dono alquanto;
Né pensar quale è '1 meritar più tanto
Né quanto può chi patri a se v' elegge.
Forse miglior principio e fortunato
Avea Cartago , se Didone allora ^
Un di questi animali avuto avesse.
Ma ben Giove ne sia da noi laudato,
Che questi a' tempi nostri ne concesse 3
Co' quai novella Roma oggi s' onora.
1 Se stati ecc. Loda la bellezza di tali bovi,
dicendo che, se tali fossero stati quelli offerti,
neir antica legge , Dio si sarebbe tosto placato
senza bisogno di aggiungere le lacrime : che il
dono è veramente degno della repubblica di Ve-
nezia; e che tal dono fa aperto segno dell'ani-
mo nobile di chi Io fa. *
2 Forse ecc. Se Didone avesse avuto uno di
questi, Cartagine sarebbe stata piU felice. Si
dice che Didone occupasse tanto spazio nel fon-
dare Cartagine, quanto ne circondava un cuojo
di bove, ridotto in sottili strisce.
3 Ma ben ecc. Bizzarro e goffo pensiero del
ringraziar Giove, perchè ne ha concesso sì bei
bovi !
26 SONETTr.
SONETTO XXIII.
À TIMOTEO DOMANDANDOGLI LA CAUSA PER CHE SI
PIANGA PER UNA GRANDE LETIZIA E PSR UN GRAN-
DE DOLORE.
0 Timoteo , che Amor porti dipinto
Oggi nel volto e morte in e lamenti, ^
Ringraziar puoi chi par or ti consenti
Che de le chiome sue tu vadi cinto.
Ma guarda pur che poi di sangue tinto
Non sia da lor, che un seme han di serpenti, ^
Di lacrime sta ben se ti contenti
Legarti, per mostrar ch'Amor t'ha vinto.
Ma ben vorrei, che tu m'aprissi un nodo,
Che tiene alquanto in dubbio el mio intelletto,
Poi che hai tutte le Muse per compagne.
Di due contrarj un medesimo effetto
Si vede: or dimmi questo, e per che modo
Per gran letizia e per dolor si piagne.
SONETTO XXIV.
VOLENDO COLLOCARE UNO PER CAMERIERE CON UN
SIGNORE.
Signor, quel camerier eh' io ti vo' dare
Ti sarà sempre sotto paziente:
1 In e. Come se dicesse in i, in gli , per nei,
o ne' ; ma è forma antiquata e un po' strana : se
pure il poeta non scrisse pleonasticamente inne',
come già si fece e si fa tuttora dal volgo.
2 Un seme ecc. Pare che questo Timoteo fosse
innamorato di una de' Visconti, che hanno la bi-
scia per insegna.
SONETTI.
27
Egli ha buona memoria e tiene a mente,
E sarà buon da camera e tagliare. ^
Innante e indietro ancor per cavalcare
E' t'ha a piacere, uman, tutto servente :
Toccai dove tu voi, gli è sufficiente;
Or vedi eh' el si può teco acconciare.
Buon naturai , buon occhio , ha del sottile
Da commettergli un tuo secreto bene,
Et a venirti drieto è sempre umile.
Non mesce col parlar, anzi ritiene ; ^
Al menare una penna atto e gentile , 3
Ha buon verso, ha l'età che s'appartiene.
E che più si conviene;
Per patre e matre è tutto fiorentino,
E proprio è buon fra '1 grande e fra '1 piccino.
SONETTO XXV.
DIMOSTRA ESSERE IMPOSSIBILE CHE SI DIMENTICHI
de' BENEFICJ RICEVUTI DAL SUO ILLUSTRISSIMO
SIGNOR LUDOVICO.
Nel mezzo giorno fia settentrione, *
E l'occaso sarà nell'oriente.
1 Da camera e tagliare. Per servirti in came-
ra, e per servire a tavola.
2 Non mesce ecc. Non parla troppo ; anzi è ri-
tenuto.
3 Al menare una penna ecc. Questo sonetto ha
degli equivoci osceni, che non accade commen-
tarli.
4 Nel mezzo giorno ecc. Il presente sonetto
procede per impossibili ; e su questo fare molti
28 SONETTI.
E senza vita viverà la gente,
E fìa riposo ov'è confusione.
E libertà sarà 'n ogni prigione ,
E '1 futuro e '1 preterito in presente,
E la luna ara al sol le fiamme spente ,
E sarà giusto l'uom sanza ragione.
E '1 cieco abisso fia senza supplizio ,
E Pluton pentirassi el gran nemico,
E spegnerassi Tantalo la sete ,
Prima che ingrato i' sia del benefizio
Ricevuto dal dolce Ludovico ;
Né mai berò per lui al fiume Lete. ^
SONETTO XXVL
CONFORTA UN AMICO CHE NON VOGLIA DEVIARE DALLA
VERA AMICIZIA.
Qual van pensiero e qual tuo vano errore , ^
Qual creder falso in te di me si crede,
Che violando va mia pura fede
Che infra due amici sempre accresce amore?
Ogni salute tua, ogni tuo onore,
Drento nel cor coir anima mia siede;
poeti ne hanno composti de' simili , tra' quali è
assai bello quel del Saccenti : Quando vedrò le
stelle a mezzo giorno.
1 Né mai ecc. Non me ne dimenticherò mai.
2 Qual creder falso, Qual sospetto hai preso
contro di me^ qual falsa credenza hai del fatto
mio ?
SONETTI. 29
E quel che per sé vuole a te concede,
Perchè un me stesso t'amo a tutte l'ore.
E sempre t'amerò, quando e' ti piaccia;
Però leva dal cor quel che n'offende,
E r opra sia bon testimon del vero. ^
Non ismarrir del nostro amor la traccia:
Se '1 tempo è quel che buon giudicio renda
Qual sempre fui vedra'mi amico intero.
SONETTO XXVII.
d' una visita che vuol pare ad una certa casa
coi suoi compagni.
Noi vi vogliàn venire oggi a vedere 2
E nostra guida fia messer Matteo,
E verrén per cantare un bel Tedeo,
Che sappiàn che vi spiace el Miserere. 3
Più sgonfiati sono al mio parere *
1 E l'opra sia ecc. E mostrami coll'opera, col
fatto, che tu mi vuoi sempre bene, e che credi
eh' io ne voglia a te.
2 Vogliàn ecc. Ricordi il lettore che gli ihti-
chi F'iorentini dissero vogliano, facciano e simili,
por vogliamo, facciamo.
3 Un bel Tedeo. Veniamo per istare in festa,
dacché sappiamo che a voi dispiace la melan-
conia.
4 Più sgonfiali ecc. Abbiamo il corpo vuoto;
ma da te lo leveremo di grinze , cioè mangere-
mo lautamente , e diventerà sodo e tirato come
un tamburo.
30 SONETTL
I corpi nostri , e però mi recreo
Che tornerai! tamburi , e l' Agnus Deo
Faranno a tergo al fin di lor godere. ^
Questo sonetto ha fatto el Bellincione,
Che sta col Duca , e giura con costoro
Non esser la voragin del Tapone. 2
Ma vien quel triunfante e sacro alloro
Che legge al signor nostro, el poetone
Che sempre ha seco di Parnaso el coro.
Che tanto argento et oi'o?^
Come messer Matteo disse al signore:
Trionfare e godere e farsi onore.
Non venen con amore
Con quel divino ajuto che dà Bacco,
E però vada la cucina a sacco.
i L'Agnus Deo faranno ecc. Pare che voglia
dire: Faranno del vento di dietro; oppure che io
sia ecc. allusione oscena, come parve al Salvini,
che nel margine scrisse: Bricconel
2 Giura con costoro ecc. Ora dice chi sono co-
loro che anderanno da lui : prima lo accerta che
non vi sarà il Tapone famoso mangiatore; e poi
dicèftche vi sarà quel famoso poeta, che legge le
sue mirabili poesie al Duca (forse il Tibaldeo).
3 Che tanto argento ecc. Che importa posse-
dere tanto argento ed oro? basta star allegri e
farsi onore ; esser buoni amici; e mangiare e bere
del migliore. Dunque vada a sacco la cucina, man-
giamo tutto ciò che si può trovar di meglio in
cucina.
SONETll.
SONETTO XXVIII.
31
CONTRO QUELLI CHE INDEBITAMENTE SONO FAVORITI
CONFORTANDO COLORO CHE MERITANO FAVORE E
NON h' HANNO.
r vo pensando pur che grado o stato '
Avessi a Pietro dato il Salvatore
Se non avessi fatto il grande errore
D'aver tre volte il suo signor negato:
Credo che 'n Ciel se lo terrebbe a lato,
Dov'è '1 pericol poi del troppo amore;
Ma questo è proprio al diavol fare onore, 2
Aver r errante più che '1 giusto amato.
Fortuna, o Fato, o gli Inferi, o Natura
Fa eh' un fa ben a chi peggio si porta,
0 sia per troppo amore, o per paura.
Ma el savio col ben far se ne conforta, '^
Dicendo, che al fin vince chi la dura
Servendo fidelmente assai comporta.
1 l' vo' pensando ecc. Fa quasi rimprovero a
Cristo di aver fatto suo vicario S. Pietro, benché
lo negasse; e dice: Che grado gli avrebbe* egli
dato, se negato non l'avesse?
2 Ma questo è ecc. Ma chi poi vuol piti bene,
e premia piti il tristo che il buono, questo è un
fare onore al diavolo.
3 Ma el savio ecc. Tuttavia il savio si conforta
nel ben operare, perchè sa che qui perseveret
usque in finem Me salvus erit, e che il bene ope-
rare, o prima o poi, ha il suo guiderdone. Chi
dura la vince è proverbio vivo tuttora.
32 SONETTI,
Un' alta mente accorta
D' un signor non s' inganna al fior del frutto, '
Ma '1 tempo sforza spesso el bel far brutto.
El savio intende tutto,
Se '1 cielo o la fortuna porge insulti:
Sai che prudenzia è scritta con tri vulti. 2
SONETTO XXIX.
A MESSER FRANCESCO GUASCONE. 3
Io vi mando un sonetto burchiellesco ,
Che de l'enigma alquanto è foderato;
Un consiglio vorrei; non do il ducato, ^
Perchè de' Frati son di san Francesco.
1 Al fior del frutto ecc. Vedendo il fiore, non
s'inganna nel giudicare qual sarà il frutto.
2 Scritta con tri vulti. Forse il sonetto è per
un de' Trivulzj ; e però fa rallitterazione del tri
vulti (tre volti) dicendo che la Prudenza si de-
scrive con tre facce.
3 Guascone ecc. Questi è Francesco Guasconi
oratore di Firenze appresso il Duca, ed a lui è
diretto il seguente sonetto Burchiellesco , del
quale il presente è come chi dicesse la lettera
d' invio, nella quale piglia occasione di pregarlo
che gli additi un Mecenate.
4 Non do il ducato. Pare che allora per ave-
re un consiglio da un avvocato, si pagasse un
ducato.
SONETTI. 3;i
Dice un proverbio: Chi ben cena a desco ^
Col corpo pien non cretle a T affamato;
Così chi si ritruova in grande stato
Dice che Ciceron parla in todesco. •
Qual lìa ìà stella mia, quale il mio porto,
Che fia Zeffiro nostro un Mecenate
Che le mie rime fruttin nel suo orto.
Tante i' n' ho in sulla rena seminate
Che Fortuna mi tien tra vivo e morto,
Che si dispererebbe ogni bon frate.
E però mi mostrate
Un sol che sia colui che chiuse Tebe
Non dell' invida, ingrata e cieca plebe. 3
' Chi ben cena ecc. Adesso il proverbio dice
più concisamente: Corpo pieno non crede al di-
giuno.
2 Dice che Ciceron ecc. 1 grandi sono gene-
ralmente ignoranti. Allude a quel Cardinale che,
venutolo a visitare un gran Cavaliere tedesco,
e parlandogli latino, egli non seppe rispondere:
della qual cosa ripresolo poi un suo familiare,
egli si scusò dicendo, che non sapevano inten-
deva la lingua tedesca. «Ma, Eminenza, disse il
familiare, quel Tedesco parlava latino.» E il Car-
dinale: « Richiamatelo indietro, che voglio ri-
spondergli. »
3 Sia colui ecc. Mi mostra uno solo che sia
Anfione, cioè poeta gentile e dolcissimo, il quale
non sia invidiato dalla ingrata plebe. La lezione
dell' ultimo verso ò per avventura errata, né ho
potuto correggerla su' manoscritti.
3
34 SONETTI.
SONETTO XXX. i
ALL' ORATORE FIORENTINO.
El nipote del mondo nano e grande
Alquanto con Junione è forse stato,
Ma dell'antica Venere ha pensato
Sì che si forza aver di sue vivande.
Costor non teson reti per ghirlande,
Che Simon mago in terra fu cascato,
Che tristo fundamento ebbe trovato,
Or non si stia fra '1 zucchero e le ghiande.
El mezo giorno che si chiama notte
Cento lanterne porta accese in mano,
E Giove l'ha guarito de le gotte;
E perchè el Lauro mai teme Vulcano,
Lo Dio de' funghi colle reti rotte
Fuor de 1' erba lo cava lieto e sano.
Odi che caso strano:
Mercurio oggi dispiace a' gran signori.
Perchè porta el cappel di due colori.
' È burchiellesco ed enimmatico: idest bujo
pesto e indegno che ci spenda tempo chi non è,
o accademico della Crugca, o alla Crusca devoto.
SONETTI. 35
SONETTO XXXI.
DEL BACIO. '
Triunfo a l'ombra del mio santo alloro '-^
Cibando me di sue foglie gioconde,
Gustando in lui de le Castalide onde,
Però r esalto e volentier l'onoro.
Questo è de' danni miei tutto el ristoro ,
Questo a miei prieghi sempre mai risponde;
El Ciel de la sua grazia in questo infonde,
Però che amato egli è da' bei crin d'oro. 3
A Napoli ne vo per farmi onore
A la Badia, tu sai, quel boccon mondo
A la barba di Sisto fra minore;^
Pur drieto con sonetti i' ti secondo,
Arem forsi di là tanto favore
Quanto altri in altra Corte a te rispondo:
In troppe coi^e abondo ;
r me ne vo nel paradiso aperto.
Che Gualtier de' tuoi versi m' ha offerto.
' Bagio. Non ho potuto trovare chi sia quosto
Baggio, il quale par che avesse avuto una Badia
a Napoli col favor di Lorenzo de' Medici.
2 Del mio santo ecc. Pare che alluda a Lo-
renzo de' Medici.
^ Da' bei crin d'oro. Da Apollo.
^ A la barba di Sisto ecc. In onta e dispetto
di Sisto IV. Pare che avesse avuto una Badia
assai grassa contro la volontà del Papa; che
torse era di data del Re. Ma non lo affermo.
30 SONETTI.
SONETTO XXXII.
l.N NOMR DK.LLA DUCIIRSSA ISABKLLA AL SIGNOR DUCA
KSSKNDO LRl INFERMA.
Non so qual sia più grave in me el dolore: '
0 quel che '1 corpo mio tiene in tormento ,
0 rajtro che ne l'animo poi sento
Veder di me dolente el mio signore.
Questo secondo or più m'affligge el core
Per eh' io conosco el suo chiuso lamento,
Chò di lacrime un mare è proprio drento,
E per non mi turbar lieto è di fore.
Per esser dunque al nostro amor fìdeli
Lui le lacrime asconde, et io e sospiri ,
Unde siàn per pietate a noi crudeli.
Cosi comuni a noi sono i martiri
E le dolcezze; e così piaccia a' Cieli
Che dopo morte Giove a se ne tiri.
SONETTO XXXIII.
all' oratore di FERRARA MESSBR JACOPO TROTTO.
Quella invidiosa, un foco d'ogni regno, 2
Che al gran convito die' quel pomo d'oro,
Unde Palla e Giunon n'ebbon martoro,
E Vener lieta di lor justo sdegno,
' Non so ecc. Tutto il sonetto è facile, ben
condotto, e informato di vero affetto.
^ Quella invidiosa- Il Salvini annota parlarsi
qui della Discordia.
, SONETTI. 37
Oggi (l'invidia avendo più '1 cor pregno
Veder per Isabella il divin coro, ^
Con Giove al mondo, e '1 gran piacer ne ha '1 Moro .
Turbato ha in parte a quello el bel disegno. -
La maliziosa troppo ha auto el torto,
Che dal magno spettacul ne divide
Un novo Argo, un Edipo a chi l'ascolta. .
Divo Orator del gran figliuol d' Alcide 3 n
Jacopo Trotto, or m'hai ridotto in porto
rPer far più lieto Giove un'altra volta.
SONETTO XXXIV.
d' un MELLONK. 4
Non so se quel Melon fu come certi,
C hanno il corpo formoso ornato e bello,
1 Veder ecc. Vedendo che ogni poeta, ed ogni
uomo segnalato celebra Isabella; e il gran pia-
cere che il Moro ne prova.
2 Turbato ha in parte ecc. Allude forse a qual-
che screzio nato tra il Moro e il Duca di Fer-
rara, che Giacomo Trotto, avea commissione di
assestare. Almeno cos\ si raccoglie dalla chiu-
sa del sonetto. Per via della storia non ho po-
tuto chiarir nulla. Però v'è dell'oscuro.
3 Figliuol d'Alcide. L' adulazione poetica fece
gli Este discendenti da Ercole.
4 Melone. A chi o a che allude questo Melone?
Noi so: ma pare che voglia riferirsi alla persona
che fu cagion della malattia onde parla poco ap-
presso; o forse al medico che lo curava.
38 SONETTI.
Ma, cercando po' '1 drente del cervello ' •
Quivi trovi di Libia e suoi deserti. ^
Quante magagne e drappi han ricoperti
Facendo un gufo Filomena uccello!
Così Natura spesso col pennello
L'occhio ha ingannato in sin che non ti accerti. ^
De le risa el Melon vidi crepare ,
E dire: El Bellincion Tiresia fia,
Che mentula or non ha nel suo ammalare.
Non son poeta i' son la poesia,
Che un corpo finto proprio esser mi paro
Sì m' ha dipinto questa malattia.
Chi vuol far notomia *
Di muscoli, di nervi e poi dei drento,
D^ fuor mi guardi , e restarà contento.
1 Cercando 'l drento. Guardando la parte di
dentro. Drento ò metatesi dell'idiotismo toscano
2 Di Libia ecc. Trovi che in quel cervello non
v'è ombra di senno.
3 Quante ecc. Una nobile veste ricopre molte
magagne; e alle volte fa reputare un gufo per
un usignuolo ; e cosi la Natura spesso ha dato
certe forme esteriori, e certi tratti ad alcuni uo-
mini, che per ciò si giudicano assai. diversi da
quel che sono. Fronti nulla fides, dicevasi per
antico; e Fedro Decipit frons prima multos.
•* Chi vuol far notomia. Dice di esser diven-
tato così secco, e quasi diafano, che volendo stu-
diare r anotomia delle parti interne, si può fare
col solo guardarlo, e senza adoperar coltello.
SONETTI. 39
D>ilce speranza sento
Che questo mostri al tuo e nostro Moro ,
Che vuol far ritornar l'età dell'oro.
SONETTO XXXV.
CHIEDE DENARI AL TESAURIERE.
Giovan, Francesco e Pietro ognun propizio, '
Ma e' non suonan ancor queste campane :
Fugge la lepre mentre e' piscia el cane
Però lo 'ndugio spesso induce vizio.
Dunque cavate or me da tal supplizio,
Che disse Cristo: AlTuom non bastaci pane. ^
Chi può far oggi, a che indugia a domane? ^
Deh! fatemi Locullo e non Fabrizio.**
1 Giovati, Francesco ecc. Tutti si mostrano ben
volti verso di me ; ma ancora queste campane
non suonano, non si vede effetto veruno ; fate
presto dunque, perchè l' indugio è sempre dan-
noso, e la buona occasione è fuggevole.
2 Che disse ecc. De solo pane non vivit homo,
rispose Cristo a Lucifero, che gli prometteva
ogni ricchezza mondana.
3 Chi può far oggi ecc. « È meglio un uovo
oggi, che una gallina domani » dice il proverbio.
E ribatte che l'indugio porta seco spesso il danno.
iDeh! fatemi ecc. Locullo è simbolo della
ricchezza; Fabrizio, della onorata povertà:
0 buon Fabrizio,
Con povertà volesti anzi virtute,
Che grafi ricchezza posseder con vizio.
40 SONETTI.
Io mi consumo come Meleagro,
E puossi dire a me come al rognone :
Tu stai nel grasso, e sempre n'esci magro.
Siavi raccomandato el Bellincìone,
E fate dulce un po' tanto mio agro ,
Per che aW amen V son de l'orazione. ^
Non 80 se Salomone
Risuscitando al mondo con inopia,
Vedesse far de l'opera sua copia. 2
SONETTO XXXVI.
AL MAGNIFICO MESSER SCIPIONE 3 DEL DUCA 1)1 CALA-
BRIA CHE DESIDERAVA DI CONOSCERE IL BELLIN-
CÌONE.
Che pensi tu che sia quel Bellincione
Che di vederlo di' eh' arai piacere ?
Forse qualche animai credi vedere
Venuto d'India, stranio, o Scipione?
0 pur qualche uccellaccio maccherone ? ^
Sono un uom come gli altri, e vo' godere.
• .ili' amen, ecc. Sono al verde, ho consumato
ogni mia sostanza: gli ho finiti dice il popolino.
2 Salomone ecc. Se Salomone risuscitasse, o
fosse povero, non si metterebbe a scrivere le
opere che già scrisse essendo re, e ricchissimo.
■i Scipione. Doveva essere uno de' cortigiani di
quel Duca.
■< Maccherone. Pare che qui significhi grasso
e disadatto.
SONETTI.
41
Et ho trovate ancor belle mugliere; '
Pochi danari , e poca passione.
Sappi, i' son quel che feci quel sonetto
Ch'ai tuo Alfonso mandai; ma ben mi pare 2
Qhe la risposta da quel corbo aspetto. ^
r son quel che una casa fo murare ;
Ma e' le manca el cappello, intendi, el tetto:
E vi t'invito al fresco a desinare.
Tu vi potrai ballare,
Che per grazia del diavoi e di Giove
Pur da seder non trovaresti dove. 4
Non vedrai cose nuove
A veder me, né anco tristo augurio,
Ma potrai ben veder che fu Mercurio. ^
1 HJugliere. Non mogli, ma donne; mulieres.
2 Al tuo Alfonso. Al Duca tuo signore.
3 Da quel corbo ecc. Allude al corvo mandato
fuor dell'Arca, dopo il diluvio, che piU non tornò.
Il Duca non rispose.
4 Pur da seder. Tutte queste sperpetue le rac-
conta a Scipione per vedere se, o egli, o per mez-,
zo suo il Duca, gli mandavano qualche regalo.
5 Che fu Mercurio. Allude alle molte e minute
ingerenze che aveva; come dicono i mitologi che
Mercurio ne aveva infinite; p. es. spazzare il ce-
nacolo degli Dei, preparare la sala dei concilj
celesti, andar attorno per le imbasciate di Giove,
di notte condurre all' inferno le anime de' morti,
ed altre infinite, che non gli lasciavano un mo-
mento di quiete.
•12 SONETTI.
SONETTO XXXVII.
NON PIOVENDO A MANTOVA, K FACENDOSI l'KU QUESTO
PROCESSIONE ED ALTRE ORAZIONI, MOSTRA PERCHÈ
NON PIOVE COSÌ PRESTO, E PERCHÈ PUR PIOVVE
UN POCO.
La fede era mancata oggi a ciascuno ^
Per tanti prieghi fatti , e pur non piove ;
Ma tante miglia son da terra a Giove,
Che 'n più giorni vi salgon. non in uno.
E forse il portinaro era digiuno.
Che vuol pria desinare o ire altrove;
Poi v'è tante imbasciate e cose nuove,
Che bisogna ben esservì importuno.
Vedi che piove! o gente, or che direte?
Direm: Tant' acqua appunto è qui caduta
Quanta a l'aitar ne suole usare un prete.
Bisogna che ne sia tanta piovuta
Quanta a .far ch'una femmina, intendete?
Lavandosi la state , ella non puta.
0 plebe poco arguta!
S'agii scomunicati piove loro: 2
N' han ben bisogno , ardendo casa loro.
' La fede ecc. Dice che la fede vien meno, per-
chè dopo tanti preghi non piove; e poi faceta-
mente assegna le ragioni di questo indugio della
grazia di Giove.
^ Piove loro- Quel loro è pleonastico: il senso
è: Se appresso gli scomunicati piove, ciò sta
bone e n'hanno molto di bisogno, perchè arde
SONETTI. 4r5
SONETTO XXXVIII.
AL SIGNOU DUCA DI MILANO.
Allor ben si conosce Ludovico,
Signor, quand'è di longe a la tua proda, '
Che l'asinel conosce allor la coda
Quando e' non l'ha, dice un proverbio antico. -
Cosi nel perder un fìdel amico
Quand' egli è perso allor si gusta e loda ,
Cosi dal rusticano e' par che s' oda
Piancrer ne 1' autunno il dolce fico.
Esopo de le rane dice un motto:
Non contente a la trave per signore,
Ebbon poi il drago che di lor fu ghiotto. ^
loro la casa. Pare che sia piuttosto da accettare
che il poeta abbia ripetuto la stessa rima, che
leggere nel penultimo verso piove l'oro, dacché
questo piover Toro non dà significato veruno.
1 Allor ben ecc. La mancanza delle persone
dilette è dolorosa, e tanto più se ne valuta il
pregio, quanto più son lontane. Così argoirienta
il Poeta, parlando della lontananza di Lodovico.
2 Che l'asinel ecc. Il proverbio odierno dice,
a questo proposito: La botta non si accorse della
coda, se non quando l'ebbe perduta.
3 Vi lor fu ghiotto. Le divorò. Allude alla fa-
vola esopiana che ha per titolo : Ranac pelente$
regein ab Jove.
44 SONETTI.
Sempre quel eh' io dirò fia con amore
Cli* io mi tengo di sette e non pur dotto, i
E i {^^ran punti sotti 1 lascio al sartore.
Però sian poche T ore
Che la tua barca stia senza il timone ,
Per poter fonder l'oro e non l'ottone. -
SONETTO XXXIX.
PROVA ESSER MALE A MANGIARE OGGI PESCE, MA POI
SCUSA l' ERRORE.
Per certo che s' è fatto un grande errore
Da farne Santo Andrea nel ciel crucciare,
Tòrgli la cena e prima el desinare , ^
Per Dio che voi gli fate un bell'onore! 3
Ben sai che poi ch'egli era pescatore
Ch' e pesci lui per sé volea mangiare;
Non voi , ma lui , farete digiunare ,
E peggio che di donna il vostro errore, -i
1 Mi tengo di sette ecc. Io non mi tengo savio
e dotto. Fa la solita allitterazione, considerando
Ja parola dotto come s*e fosse d'otto; e dice che
non è d'otto^ ma di sette.
2 Che la tua barca ecc. Non istar molto lon-
tano dalla sede del tuo governo, acciocché lo
stato prosperi, e vada sempre di bene in meglio.
3 Santo Andrea. Era pescatore, e immagina
che si nutrisse di pesci: per questo dice che man-
giando essi do' pesci, hanno fattogli torto.
4 E peggio ecc. Il vostro errore non l' avrebbe
fatto una vii femminuccia.
SONETTI.
45
Voi errate com' un , del qual dico io,
Che, dormendo con nn , gliel menò bene.
Poi disse: Io mi credea che fosse il mio. *
Però fra 'I sonno el petto par le rene
Alcuna volta, e però il santo pio
Perdoni e pesci, e tolga Je balene. ^
Non si meritan pene
Errare e non saper; qui mi riduco
Che all'affibbiarsi spesso e' s'erra il buco. ^
De' pesci anch' io manduco:
Per cenar teco el Bellincion s'approda,
Dammene un quadro integro e con la coda. 4
SONETTO XL.
FATTO ESSENDO IN GALEA QUANDO ANDOSSI A NAPOLI
PER LA DUCHESSA ISABELLA.
Ch i presto e ben conciar vuole un falcóne 5
Una notte in galea l'usi guardare;
1 Credea ecc. Vedi una novella del Sacchetti,
dove si tratta di uno strano abbaglio di Massa-
ie© degli Albizzi.
2 Perdoni e pesci. Ti perdoni se hai mangiato
i pesci.
3 Spesso all' affibbiar ecc. Spesse volte nell'af-
fibbiarsi si fa errore, e si sbaglia il buco.
4 Un quadro. Il Salvini pone in nota: « Pesce
d' Arno con la coda ritorta. »
5 Chi presto ecc. Deplora i disagj é le noje
del navigare.
40 SONETTI.
Che sempre a sé lo vedrà poi tornare,
Como proprio un cagnuolo al suo padrone.
Rinnego Dio , vo 'nnanzi in prigione
Che '1 Diavolo in galea s'are' a domare:'
*Però, se Cristo me n'ara a cavare,
Ma' più '1 Diavol vi mette el Bellincione.
Quando pur gridan : Viva el bon mangiare; '^
Manginvi e lupi, dico in questo stento:
Quando da poppa fanno me levare , 3
(Che levata vi fusse al nascimento);
Non rispondo qual cherico all'altare:
Darei loro altra colla che di vento. 4
Ogni mio sentimento
Stato è 'u inferno, e 1' è par cosa strana
Par giorno e notte al canto de la rana. 5
1 II Diavolo ecc. L' andare per nave domereb-
be anche il diavolo.
2 Quando pur ecc. Quando gli altri mangiano,
il Bellincioni impreca ad es.si, perchè la nausea
non gli permette di poter mangiare anch' egli.
3 Quando da poppa ecc. Quando mi fanno al-
zare da poppa, io dico loro: Sarebbe stato me-
glio che quando nasceste, vi fosse stata levata
la poppa a voi altri : cosi non sareste vissuti, e ora
non mi tormentereste come fate.
4 Non rispondo ecc. Non rispondo parole di
amore e di riverenza; ma poi*rei ciascuno al tor-
mento.
5 Al canto de la rana ecc. TI gorgoglio che pre-
cede il vomito prodotto dalla nausea, o , come si
dice, mal di mare.
SONETTI. 47
SONETTO XLI.
BURCHIELLESCO.
Mettevon V ale tutti quanti gli opii *
Facendone derrata a le cicale,
Quando che '1 carro fu guidato male,
Che mal sentiron gì' Indi e gli Etiopii.
Questo a mia mente par che non s'approprii
Vedendo contra el corso naturale
Volar tanti uccelletti senza l'ale,
E lor che n' han cotante starsi inopii.
Già s' allungavan l'ombre a' campanili, ^
Fumavan senza legne e praticelli,
E Troja ritornava a' suoi porcili ,
Quando quella che veste i figatelli 3
Avea, volando, al vento dato e fili,
Per por T assedio a' tordi et altri uccelli.
Frusoni anco e fringuelli
jFurono presi al varco andando in Spagna,
Però che capi torno ne la ragna.
1 Mettevon l'ale ecc. Il sonetto è burchielle-
sco, e però oscuro: le quartine per altro sono
assai chiare ; e nella prima si vede bizzarramen-
te descritta Testate, per poi venire, nella secon-
da, a declamare contro coloro che senza meriti
hanno gradi ed onori. Nelle terzine descrive l'au-
tunno, la caccia ecc.
2 S'allungavan. Quanto il Sole è a noi più lon-
tano, tanto crescono l'ombre che mandano le cose
alte.
^ Quella che veste ecc. La rete, che qui viene
a esser quella da uccellare.
\
48 SONETTI.
SONETTO XLII. »
BURCHIELLESCO.
Zoccoli rotti e doi sacchi da pane,
E trista cera, e lupi fuor di celle,
Mostrar! sereno el cielo e pien di stelle,
Poi sonano a mal tempo le campane.
Se '1 cor istà fra oggi e fra domane
È buon far de le man due tomaselle,^
Se in bordo vanno le parole belle,
Sarà buon dar de' funghi prima al cane. •
Queir arbor dove Tisbe ancor suspira,^
Non creda , essendo un Argo de cent' occhi,
A l'ariento vivo, o a sua lira;'*
Ma faccia ogni vivanda con finocchi,
S' ognun al suo molino ogni acqua tira,
Promettendo carpioni, e dàn ranocchi. ^
1 Anche questo sonetto è burchiellesco e oscu-
ro; ma si raccoglie che il poeta si duole, come
nel precedente, delle grazie fatte agli indegni,
della ipocrisia de' più tristi, e delle fallaci loro
promesse.
2 Tornasene- Sono specie di frittelle di pasta
con zucchero e uova.
^ QueW arbor ecc. Il Moro.
* A l' ariento vivo. A Mercurio. Cosi il Bel-
lincioni altrove s' intitola come cortigiano e mi-
nistro del suo Giove. (Salvini).
^Carpioni- Pesce delicato del lago di Garda.
(Salvini).
SONETTI. 49
Parmi che ognuno scocchi
L' ureo sotto pJ ranntel , questo è in sentenza
Che oggi la maggior parte pesca a lenza.
SONETTO XLIII.
SOPRA RICCIARDETTO.
0 Ricciardetto, ov' è la tua prmlenzia
A tanto domandar la Luisina?
Vogliànti dà' una schiava di cucina , '
Come mena el tuo ingegno e tua presenzia.
Stu se' bon tamburin per eccellenzia,
Sare' chiamata quella tamburina:
FÌ2:liuola d'un tant' Omo in medicinal
Tu se' matto, e tei dico in coscienzia.
Che bel fante tartufo! anzi se' quello -
Che un mulattiere un dì 'n un osteria
Ti caricò in iscambio d'un lardello.
Per non sonare ancor , sendo a Pavia ,
Stesti ascoso tre dì sotto un cappello ,
Dice el sescalco, e che non è bugia. ^
Quando quel te vedla,
Sendo un po' scuro là verso la sera,
Gli paresti una biscia scodellerà.
' Yogliàtlti dà' ecc. Spesso nel linguaggio fa-
miliare si toglie la ultima sillaba agli infiniti.
2 Tartufo. Si dice anche oggi familiarmente
a un dappoco.
3 Sescalco. Siniscalco. Lo schernisce per ri-
spetto alla sua persona e al piccolo animo.
50 SONETTI.
SONETTO XMV.
SOPRA ROMA IN LAUDR DRI. PAPA INNOORNZIO.
\'ìd'\ una donna afflitta e lacrimosa
Con rotto legno in torbida tempesta;
Ma '1 ciel mandò in soccorso Palla e Vesta, i
Sì che lieta e sicura in porto posa.
E contenta e beata è l'atta sposa
Di quel che '1 ciel per sua bontà ci presta,
Ch'e Catoni, e Fabrici e Numa desta,-
E novamente Roma è gloriosa.
Se già per Licaon turbossi Giove,
Oggi è tornato in dolce queir assenzio;
Che quanta allor fu Tira, or si rallegra.
Per l'innocente vita d' Innocenzio
Lassa, sposa di Dio, la vesta negra.
Se tanto ben da le sue chiave piove.
SONETTO XLV.
PRR LA PARTITA DA MILANO DEL DUCA GIOVAN GA-
LEAZZO CON LA DUCHESSA ISABELLA PER ANDARE
A VIGEVANO A CACCIA.
Perchè tanto dolor mostrar conviensi
Oggi Medio la n ? se pur ne duole
' Falla e Vesla. Viene a dire che jiapa Inno-
cenzio aveva la virtù della sapienza e della for-
tezza (Pallade) e la santità sacerdotale (Vesta).
? Ch' e Catoni ecc. Fa rivivere le virtù anti-
che.
SONETTI. 51
Non veder le tue chiare istelle e '1 sole, ^
Del felice ritorno or vo' che pensi.
Se non che la speranza al cor attiensi
Fatto arei qua! 1' infermo ispesso suole, -
Che 'l morir per raen pena elegge e vuole.
Deh, quanto riso il dì col pianto ispensi!^
0 liete oggi campagne! o fortunate
Fere, a fuggire i vostri danni iscorte!
Gli occhi d'Apollo mio vi bastin rete. 4
Dolce per le sue man puovi esser morte :
Poi men gloria ha sospetta liberiate
Che questa magna servitù che arete.
SONETTO XLVI.
A JACOPO DELLA BADÌA.
E preti e' frati buon non son si rari
Quanto, o Jacomo , te veggio di raro;
E se'mi più de' tuoi sonetti avaro,
' Le chiare stelle ecc. Giovan Galeazzo con la
sua corte.
2 Fatto arei «ce. Stomachevole ed esagerata
adulazione !
3 Dehj quanto riso ecc. Concetto falso in sé ;
che spengere il riso col pianto, per significare
il dolore della partenza, è cosa troppo strana.
4 0 fortunale fere. E sempre piti belle ! Le fiere
hanno ad esser liete che le ammazzi il Duca ; e
gli occhi di lui debbono esser le reti che le chiap-
peranno ecc.
Si SONKTTI.
Che non è '1 Ferusin del dar danfiri. '
Ma, se più el Uio commercio or mi rincari , '
Me ne dorrò col bisticciare amaro;
Col vulgo vile, ingrato, sciocco e ignaro,
Usar non vo' , ma feco, acciò ch'io impari.
La tua amicizia a me par tragedia,
E non già come 'j mal del nostro Moro ,
Che, Dio laudato, in fin fìe coraedia. ^
Ricalco torna a me M tuo promesso oro;'*
Veggio ben che se' dotto in poesia
Che a finger tu ben meriti l'alloro.
Con versi fa el ristoro , =
Non come '1 pinco, in campo bello entrato ,
Poi torna a capo chin , gobbo e sudato.
Motteggio : i' t' ho scusato,
Mentre che dai conforto a l'arbor santo,
Che di Piramo e Tisbe vide el pianto. ^
^ È'I Ferusin. Costui doveva esser per avven-
tura un qualche tesoriere pel Duca.
2 El tuo commercio. Intendi corrispondenza epi-
.stolare, e di sonetti.
3 La tua amicizia ecc. La tua amicizia mi è
cagione di pianto e di tristezza, percliè sei meco
avaro di lettere; come la guarigione del Moro,
mi è stata cagione di letizia e di riso.
^Ricalco ecc. L'oro che mi proinettesti di-
venta oricalco ; cioè non mi attieni la fatta pro-
messa.
^ Fa el ristoro. Rifammi il danno, Compensa
il danno, mandando molti versi.
6 rt'ho scusalo. Lo scusa del suo silenzio, per-
chè procede dall'assistenza che presta al Moro.
SONETTI. 53
SONETTO XLVII.
A LORKNZo nn' MKDICI MOSTRANDO L'ARTE DELLA RI-
MA, E QUELLO CHE BISOGNA A DIR BENE IN VERSI.
Natura per se fa il verso gentilf" , '
Studio le rime, e ricche le 'nvenzioni :
Vere scienzie solvori le quistioni ,
E il dilettarsi poi fa dolce stile;
Amor r ingegno fa sempre sottile ;
Dote dal cielo, privilegj e doni
8on questi, benché sieii molte cagioni
Che fanno un dir superbo e l'altro umile.
Diversi casi fanno il dir diverso
Quando amore o fortuna a dir ti strigne
Color temprando con discrezione.
Chi pensa il vero e poi compone il verso,
Eterno con la penna si dipigne,
E poi morendo ha più reputazione.
SONETTO XLVIII.
A LORENZO de' MEDICI CHIEDENDOLI UN MANTELLO.
Arò forse trovato un buon partito ,
Ma non credere un (coccio o un popone,
1 Natura ecc. Pare che voglia risolvere il
Natura fiercÀ laudabile Carmen, an arte, quesi-
tum est. Il sonetto, che non ha difficoltà <V inter-
pretazione, ha sani {irecetti di poetica.
54 SONETTI.
Che la sare' de' frati discrezione '
Quando col romajuol tengon lo 'nvito-
r non terrò più vita di romito,
Ch' i' potrò andar con gli altri a processione
E tal eh' è marchesi ta al paragone
Non m'ara per inopia più schernito. ^
Stu m'hai, Lorenzo, sempre sciloppato ,>^
A questa volta da' la medicina
D' avermi almeno a Pistola parato , *
Ch' i' non paja un cacciato di cucina
Da poi eh' i' son come Matteo chiamato, ^
E' mi par miglior segno che d' urina.
1 De' frati discrezione ecc. Quando i frati sono
al fine della minestra, il cuoco, od altri, va at-
torno colla pentola e col ramaiuolo ; e chi ne vuol
dell'altra dice, porgendo la scodella: Dtscrefio ;
e il cuoca gliene mesce una ramajolata ; ina
quando vede che la minestra è ridotta alla quan-
tità eh' e' vuole per sé, risponde: Discrezione;
e se ne va.
2 Pare che fosse eletto a qualche ambasceria,
e però dice non sarà più schernito per povertà.
3 Stu w'ftat ecc. Mi hai tenuto a bocca dolce,
dandomi delle promesse.
4 A Pistola parato. Questa volta dammi una
medicina che risolva qualche cosa; che almeno,
se non potrò arrivare a vestirmi da prete, mi
vesta da suddiacono.
5 Da poi ecc. Dappoi che tu mi hai detto Se-
qaere me. Sembra che dovesse accompagnar Lo-
renzo in qualche viaggio.
SONETTI. ;J0
Tu mi sarai piscina: '
['] perchè son miglior caldi e migliacci
Non mi parrebbon qui tutti gli stacci. 2
SONETTO XLIX.
MORALE. 3
Se r uom del Verbo Eterno è vera immago,
Perchè non è qual lui che mai non erra?
Se per sarvarlo il fé', perchè di terra
Creòi col senso in questo oscuro lago ?
Se poi de redimir fu el popol vago
Dal ciel descese, e l'oste nostro a terra
Gittò, perchè me spesso ancora afferra?
Se lui pagò per me, perchè anch' io pago? ^
Se l'uom qual limo frale e sensuale
Nel camin suo commette qualche errore,
Perchè non vuole ancor col tempo cassi?
1 Mi sarai piscina. Guarirai tutte le mie pia-
ghe.
2 Non mi parrebbon ecc. Par che voglia dire :
Non credo che mi darai un mantello da strac-
cione. C'è anche un grazioso epigramma del Po-
liziano, nel quale si chiede a Lorenzo una veste.
3 Fa molte domande, e muove dei dubbj so-
pra r ordine della divina provvidenza; e par che
ne domandi la soluzione a un solenne teologo.
4 Anch'io ecc. lia stampa ha ancor: si è cor-
retto col codice magliabechiano.
56 MONETTI.
Se senza il suo voler qui nulla fassi ,
E lui disponer può del nostro core,
Qual premio merta il ben, qual pena il male?
Dimme , o tu che con Tale ^
De la virtute al luoco eccelso voli,
E vivi in terra, e sempre sta' nei poli.
SONETTO L. 2
1)1 LORKNz;o de' medici al bellincionk mandan-
dolo IN UN CERTO LUOGO PER INTENDERE UN SUO
PROPOSITO.
Va, Bellincione, e fa bene il Sosia,
Motti, 'mprovvisi, frottola e sonetto,
E poi ti mostra un certo recolletto
Di mano e incanti e di fìsonomia.
Alcuna volta dir qualche pazzia
El suo contrario poi mostra intelletto,
Che di savio e di matto abbin sospetto
E intendi, attingi e trai pur tuttavìa;
Fa il cieco e 'I sordo sempre in ogni loco,
E loda, abbraccia, ridi e bacia spesso,
E stu sei morso, piglia a festa e gioco;
i Dimme: o tu che ecc. La stampa, ha : Dimme,
0 che; ma ho corretto coi codici.
2 Questo è stampato tra. le poesie del Magni-
fico; ed è levato dalla antica stampa del Bel-
lincioni. Pare che Lorenzo mandasse il Poeta a
qualche segreto ufficio; e gli dice come si dee
condurre per iscoprir paese. È una faceta, ma
accorta, istruzione politica.
SONKTTI. T)?
K fatti sempre a' cercliilini appresso
Qualche storia: Seleuco et Antioco;
Tu intendi... e mostra el lauro che si ò fesso.
Ma non d'arrosto e lesso
Parlare, intendi, e presto sia tornato:
Come ti ho detto, studia nel Donato.
SONETTO LI. '
DEL BELLINCIONE PER RISPOSTA A LORENZO PER LE
RIME CONSONANTI E A VERSO PER VERSO.
Lascia pur fare a me la ciurmarla ,
E mostrar ben d' aver qualche folletto ,
E dare a tempi qualche bossoletto ,
La gatta morta e far l' ipocr-isla ;
Al naturai parrò la poesia,
Darò spesso de gli agli col confetto ,
Farò el bono, el discreto, el giusto, el netto,
Per fargli uscir poi qualche traversia.
E secondo con chi , farò el da poco.
Et or l'ardito, el timido, el rimesso;
Doppo cena aggirargli a ciance al foco.
A ciascun varie cose arò promesso ,
Cercherò d'aver grazia infin col cuoco,
Dirò: Lorenzo è uom,... taccianne adesso.
Vo' parlar d' ogni sesso ,
Per essermi con tutti accomodato :
E per chi ben mi fa sempre ho studiato.
' Il Bellincione risponde a Lorenzo che farà
ogni cosa pulitamente; e con molto brio descrive
i modi che userà.
58 SONETTI.
SONETTO LII. »
DI LORENZO de' MEDICI QUANDO TORNÒ DA NAl'OLl A
BERNARDO BELLINCIONI.
Un pezzo di migliaccio mala via ■^
Et una fiera bestia et una a prato, ^
Avevon tanto un erpice menato,
Ch' egli era fuor del solco per pazzia.
Ma, se si avvide mona Mencia mia ,
E tessè al sole un vaglio ben bucato ,
Un Giudeo el vide, e funne sì cruciato
Che non vorrebben più geometria.
Queir Arri sta che fanno e paladini ^
Quando a Piagenza vanno co' cestoni
Fa 'mpazzar pur que' poveri asinini,
Perch' hanno il capo voto molti arpioni,
Armeggion per calendi e pastaccini ,
E deston la mattina e dormiglioni. '
E però e calicioni ^
S' arraon di troppo debole corazza , :
C ogni poco di stretta poi gli ammazza. '
1 Anche questo è di Lorenzo, e si legge tra ]
le Poesie stampate da Leopoldo II. È burchie!- j
lesco, e oscuro.
2 Mala via. Il Salvini legge mal a via, mal ]
ali ordine. \
^A prato. 11 Salvini, spiega: Non salvalica,
domestica.
i Arri sta. La stampa: Arrista-
j
SONETTI. * 59
SONETTO LUI. :
PI BERNARDO A LORENZO DE' MEDICI IN RISPOSTA DEL ]
PRECEDENTE PER LE RIME.
S' invoco Berlingaccio o Befania ^ ;
Da un sarto dottor sarò appuntato , i
E dandomi più dubbj qui eh' un piato , ;
El Grasso mi par essere, o il Sosia ^ j
Fallante che scopri la mummie ria \
Volle mostrar com' Arno è foderato ; \
E s'Avvicenna calamita è stato
Non facciàn più finestre a gelosia. :
0 amici imbrattati, o ermellini, ;
Se non e' è più farina da cialdoni • i
Per la gola s'impicchino e cammini,
Perchè '1 Bisticci el farro die' a' pippioni ,
Si fuggon ne la vigna e Saracini, \
Che '1 sacco non fé mai buoni e poponi. \
E però i cami cloni i
Pajon crespegli: Oh rompi ogni lor tazza !
Che drento son come di fuor la gazza. :
1 El Grasso ecc. Mi par d' essere come il
Grasso Legnajuolo, a cui fu dato ad intendere
che era diventato un altro. Tutto il rimanente
sono equivoci oscuri, i quali sono tirati a indo-
vinare, ma senza costrutto, dal Salvini.
60 SONETTI.
SONETTO LIV.
n'UNA VKSTE A LORENZO DE' MEDICI ESSENDO DI VIÙRNO.
Memento mei a questa volta appunto
Perchè la zucca tua mi tanghi a galla, •
Stu metti la coverta a questa palla
Non parran 1' uova a benedirsi in punto.
S' i' fui già tordo grasso, or son raggiunto,
Da le gazze raggiunto in su la spalla:
r son come la noce che si smalla,
Non mi dare il soccorso di Sagunto.
A sigurtà con Alamanno feci ^
Per poter comparir fra gli altri ceri , ^
Ma che non sia un bullettin da ceci; ^
Ch' i' non paressi il vin eh' è ne' bicchieri ^
Che cuopri me come '1 cavallo e Greci,
Senza spiragli , e non coni' e panieri ;
i Perchè la zucca ecc. Se non mi ajuti tu, io
sono rovinato, tu puoi far a me ciò che fa la
zucca vuota a' notatori inesperti.
2 Antonio Alamanni Poeta burchiellesco. Sal-
vini.
3 Ceri. Bellimbusti da ceri che si portano pari
pari per S. Giovanni. Salvini.
4 Bullettin da ceci o pannacelo ove si mettono
a bollire i ceci. Salvini,
5 II vin ch'è ne' bicchieri. Trasparisce: cosi che
non fusse questa veste sottile come un velo, ma
di panno grosso e che lo cuopra tutto. Abito da
verno: sopra avea detto che lo parasse a pistola,
qui che lo pari a vangelo. Salvini.
SONETTI. 61
Che più che i candfli^'ri
liunie (arò di tP per questo gielo,
Stu ini vorrai parare all' Evangelo.
SONETTO LV.
A LORENZO de' MEDICI.
Memento mei, per Dio, a questa volta
Volermi un po' col tuo mantel coprire ,
Che sanza te mi secco in sul fiorire.
Però non romper guerra alla ricolta.
E se M divino ajuto è nella volta '
Prestami el tuo eh' i' non potrò fallire,
Sanza '1 qual cieco i' mi potrei smarrire
E vedrai ben, s' i' sonerò a raccolta.
Deh! piglia, Lauro mio, questo disagio
Come i' dissi eh' i' parli al Cardinale
Non dico d'uscio! Addio, parliamo adagio.
Tu sarai proprio a la vivanda il sale,
Et io sarò drieto a la stella un Magio, 2
E l'offerta del lupo è 'I Brevìale.
Sempre a l'occhio mentale
Terrà tal beneficio el Bellincione
Non pur di calza e capo di castrone;'^
1 È nello volta. È su sopra la volta de' cieli.
Cielo della volta, e volta de' cieli. S.
2 Sarò drieto ecc. Ti seguirò come i Magi se-
guivano la stella; e farò ogni tuo piacere.
3 Non pur di calza ecc. Il Salvini annota:
« Come si fa per befania che si empiono le calze
a' fanciulli di coserelle. » Ma io non ci racca-
pezzo nulla; 0 non mi arrischio di spiegarle.
vtì2 SONETTI.
E sol per divozione
Ma' più vorrò, che 'I naso mi s'arriccia,
Mangiare il santo allor con la salciccia.
SONETTO LVI.
UI BERNARDO BELLINCIONE A JACOPO FIORINI. '
0 specchio di poetico collegio,
O gloria de' Latin, buon moralista,
Novella Musa, ed ottimo Dantista,
Ch' al bel nostro idioma hai dato pregio.
A te l'armilla, la corona e '1 fregio
Si cede, come a primo citarista:
Siena che del tuo nome fama acquista
T'onori et ami, cittadino egregio.
Per parte d'ogni Musa fiorentina
Ringraziato sia tu de la virtute,
Che ci 'nsegnasti co' tuoi dolci versi.
Però chiarisca a me la tua dottrina
Degli spiriti umani al ciel conversi
In che consista il ben di lor salute.
SONETTO LVII.
RISPOSTA ni JACOPO FIORINI DV SIENA A HKRNARDO
BELLINCIONE.
Degno non son del sacrato collegio,
Spirto gentil, che fa l'uom moralista,
Burchiello appena son, non che Dantista
Ch'i' meriti salire a tanto pregio.
1 Questo Jacopo Fiorini fu da Siena, e si chia-
mò Jacopo di Fiorino de' Boninsegni; di lui si
hanno alcune Egloghe a stampa.
SONFTTI.
63
Di tanta loda mia chioma non fregio,
Qual merla chi divien buon citarista,
Nò tanta grazia mia persona acquista,
Ch' io meriti fra gli altri essere egregio.
Benché mia Musa a la tua fiorentina
Non giunga ; nuda e vota di virtute
Darà risponso a' tuoi leggiadri versi.
Gli spirti eletti al ciel, per ver dottrina,
Intendendo e volendo , a Dio conversi
Godon, fruendo l'ottima salute.
SONETTO LVlll.
A LORENZO de' MEDICI IL QUALE VOLEVA CHE IL BKL-
LINCIONE FACESSE LA PACE CON UNO OHE L'aVRVA
OFFESO.
Ognun sa predicar la pazienza ,
E ciascun sano confortar l'infermo,
E dopo cena digiunar nell' ermo
Con austera vita in penitenza ;
E' par ch'ognuno studi la prudenza
Ne' casi d' altri , e poi quando alcun vermo
Gli morde, pare allor sì dur lo schermo
Che pel contrario danno la sentenza.
Nuova cagione a dir questo mi muove,
Che, sendo oifeso, ognun molto m'esorta
Dicendo: El perdonare è cosa giusta.
Ma poco non farfa chi se sopporta ,
Che '1 tutto perdonar può '1 sommo Giove,
E mal può sofferir chi 1' onor gusta. •
' Mal può sofferir ecc. Chi ha cura del pro-
prio onore, mal comporta la ingiuria.
04 sonp:tti.
SONETTO LIX.
l'ER UNA CRRTA FUSTA CHK SI FRCR AL GIARDINO DI
LOERNZO DR' MRDICI DA UNA CRRTA COMPAGNIA.
r li mando un sonetto pien di risa
J)' una nuova gabbiata di pippioni '
Con certi nostri , e sai , pinzocheroni , -
Che fan del collo il campani 1 di Pisa.
Ma non intendo ben la lor divisa,
Ch' e gonnellin conformin co' ciopponi: '^
E lodar rugginosi gli schidoni ,
E saper poi che cosa è la pernisa. ■*
Però vien a veder costoro in tresca
Ch'alia franciosa bacian l'Agnus Dee,
Poi fanno a pie' di Cristo la moresca.
El nome non vo'dir d'un gabbadeo,
Che l'anima 'n un nocciolo ha di pesca, -"^
Come 'n un forzarin l'ha proprio Feo.
1 Di pippioni. Il Salvini questa gabbiata di
pippioni la intende per Compagnia di giovani.
2 Pinzocheroni ecc. Bacchettoni che vanno a
colio torto.
3 E' gonnellin ecc. Le loro cioppe siano e-
guali al gonnellino; si mostrino tali di fuori,
quali sono dentro.
4 Lodar rugginosi ecc. Dire che è bene la-
sciar irrugginire gli schidioni, e poi mangiar per-
nici: lodare, cioè, l'astinenza, e mangiare buon
bocconi.
5 Che V anima ecc. Quel gabbadeo ha l'anima
in un nocciolo di pesca, cioè pensa solo al man-
giare; come Feo l'ha nel forziere, cioè il suo
Dio sono i denari.
SONETTI. 65
Per non parer giudeo,
Ti direi cosa d'un guancial si bella,'
Che rider ti fare' più che '1 Gonnella.
SONETTO LX. 2
FATTO A LORENZO DE' MEDICI AVENDO EGLI MALE A
CAREGGI.
r ti vidi una siepe intorno al letto ,
Quando a Careggi i' ti lasciai e sonetti ,
E volliti far motto, e poi mi stetti
Per duo spicchi di mela, et un di petto.
Più che la storia piacque il tuo mottetto
A tòr Toppenione a' bosso letti ,
Equivocando, desti morselletti
A' gufi , che notavan nel guazzetto.
Di nuovo ècci un maestro Cominata
Che vuol tórre a guarir la gelatina,
Quand' eli' è riscaldata e raffreddata.
Di questo si rallegra la tonnina
Ch'un mulin con la rocca sconocchiata
Ci vogli vender neve per farina.
Soniàn terza in cucina,
Perchè fra Pozzolattico e Girone
Si trova il fine azurro oltra Mugnone.
1 D'un guancial. D'un fanciullo, spiega il Sal-
vini.
2 È pieno di allusioni e fatti particolari al
tutto ignoti ; e, per di più, ha del burchiellesco.
6G SONETTI.
SONETTO LXI.
A LORENZO DE'mRDICI AMMALATO MANDANDOGLI CKRTK
SUSINE AMOSCINE, E LE SUSINE ESSENDO FUORI DI
STAGIONE. •
La luna, el sole, el tempo e la stagione
Per lor virtù ci fecion vaghe e belle;
Se magre e gialle , e dura abbian la pelle
A te non mancon di perfezione.
Ma Pomona lodiàn non la cagione
Che ne permise che noi fussim quelle,
Fra tante amiche sue nostre sorelle,
Elette a te per nostra esaltazione.
Gratitudo , eh' amor cresce e conserva
Ogni amico di lungi ha sempre presso,
Come tu vedi, el Bellincione osserva.
Se già per esser tue ne fu concesso
Valore a noi, ch'ognuna si preserva,
Amar ci debbi , e ringraziar te stesso.
SONETTO LXII. '
BURCHIELLESCO A UNO CHE FECE UNA CENA E ANDA-
RONO I TRESPOLI SOTTOSOPRA.
E trespoli imparavano a ballare
Quando Noè si fece allo sportello
Per sentir come e granchi in un corbello
Imparin cosi ben l'arpa a sonare.
^ È una delle solite scioccherie burchielles-
che, sulle quali il lettore può far prova del suo
ingegno, se ha del tempo da gettar via.
SONETTI. 67
Didon che fece Enea maravigliare
Cocendo le bruciate a Mongibello,
Rispose: I funghi portano el cappello
Al Cardinal che all'uscio sta aspettare.
Però vo' eh' al giudicio si disperi
Quel eh' a Cristo sue lacrime ha donate
E poi le truovi a' pie' de gli sparvieri.
Diceva un pedignon: Non mi grattate,
Ch' i' vi so dir, che tutti e tavolieri
Hanno le case a gufi appigionate.
Però vo' mi diciate
Chi raisse la corona a le campane,
E poi perchè le lasche son sì sane.
SONETTO LXIII. '
BURCHIELLESCO ANDANDO A SAN DONNINO E DI TUTTE
LE COSE CHE OCCORSERO, E CHE A TAVOLA FU DETTO
A UNO L' AMICA T' ASPETTA.
Vidi una palla che giaceva a scacchi,
E '1 Marcel con le penne che volava
Drieto a un cane che botti ricerchiava,
Et un pagon sanz' elmo con pennacchi.
Quando fra Ognissanti e da Quaracchi
Morì Boezio, e Bacco lo sognava,
Come Agostino ancor che M mar votava
Vidi che empievon sanza fondo sacchi.
' Ripeto qui ciò che lio detto del sonetto pre-
cedente.
68 SONETTI.
Palette, pollo pesto e broccolieri i
Per voler ire a' merli senza scala
Fecion fermagli a molti cavalieri, 2
Non dite più Teseo facessi male
Per amare una Federa, o Brachieri ; 3
Mal fa chi s' innamora del guanciale.
E lupin sanza sale
Isciocchi non mi parvono, a mostrare
Che a tavole si vinca per levare. *
' Broccolieri. Il Salvini annota: Brocchieri,
cosi in Parigi e Vienna, traslatato dal francese
Boucle, boccola; Bouclie, boccoliere.
^Fecion fermagli ecc. Almeno il Bellincioni,
burchielleggiando, dei brocc/ìjeri ne fa fermagli :
il Prete Tigri, nella sua famosa Selvaggia, coi
brocchieri adorna sul serio, i finimenti de' ca-
valli (!!!)
3 Una Federa. Allunga il nome di Fedra, per
far il giuoco di parole con la federa de' guan-
ciali; e vuol riuscire a dire.... Basta, il lettore
si ricordi che Guanciale lo ha usato qua dietro
per Fanciullo.
4 A tavola. Al giuoco delle tavole vince co-
lui che prima leva tutte le pedine.
SON FITTI. 69
SONETTO LXIV.
PUR UNO ch'essendo POVERO FECE UNA CENA PER LO
SQUITTINO, E FECESI A UN USCIO UNA CHIASSATA
m FANCIULLI QUASI IGNUDI, CHE PAREVA SI PRO-
VASSI IL GIUDICIO, COME IN SAN MARTINO È BAT-
TILANI,'
Trespoli rotti e sangue di verzino
Et animelle arrosto da far palle,
E le cintole ch'escon da le pialle
Fecion vincer le gazze allo squittino.
El giudicio si prova in san Marlino
Nel tempo ch'appariscon le farfalle,
Ma, se tutte le chiose fussin gialle,
Diresti: San Cristofan è piccino.
È scritto a lato all'asse de' Vangeli :
L' anima n' andrà in ciel di San Felice
Stu mangi assenzio, e vendi succiameli.
Risponderebbe a questo la pernice
Che hanno fatto le mosche a ragliateli ?
Ch'elle sien prese troppo si disdice.
Cosi il proverbio dice:
Non saranno più tuoi, se tu gli spendi,
Perchè fortuna fa de' saliscendi.
1 È burchiellesco, ed impossibile a dichiararsi,
perchè ci si allude a fatti ed usanze ora ignote;
H e nemmeno il Salvini si è provato a interpre-
tar nulla.
*
»
70 SONETTI.
SONETTO LXV.
A UNO CHE NON GLI FACEVA PIÙ MOTTO COME SOLEVA
QUANDO AVEVA PIÙ DEL GRASSO.
S' i' fussi COSÌ ricco di moneta,
Como son di fatiche e di pensieri ,
Ciascun mi guardare' più volentieri ,
Ch' e balocchi non fanno la cometa; ^
Ma perchè la mia borsa fa dieta ,
Gli amici son Danesi al Re Bravieri
Qui a Ferrara, al luogo de' Palmieri
Sanza più presentarmi da Gaeta. ^
Se ritornassi un tratto in Vacchereccia ,
Guarir voi mi vedresti del vaiuolo,
E farsi alla midolla ogni uom corteccia. 3
Non mi far ber col fiasco o coll'orciuolo,
Ma piaccia a te cavarmi della feccia,
E parrotti el pavon non l'assiuolo.
' Balocchi. Che di ogni piccola novità si me-
ravigliano. La Crusca novella, in Balocco, leg-
ge erratamente Ciascun mi guarderà.
2 Gli amici ecc. Parla in gergo, e viene a dire
che gli amici lo abbandonano, e non gli fanno
più viso gajo.
3 Se ritornassi ecc. Se ritornassi grasso, e
andassi all' osteria di Vacchereccia (che è una
via di Firenze), vedreste che gli amici non mi
fuggirebbero più come un appestato.
SONETTI.
71
Et anco il losignuolo
Co' panni bigi, che natura tinse.
Sempre cantando il pappagallo vinse. '
SONETTO LXVI.
BURCHIELLESCO. 2
Voi siete gionti tardi , compagnoni ,
A uccellar volevasi venire
Un mese fa, perchè potrebbon ire
A scaricar la nave gli starnoni.
Schermir vedrete in aria e far quistioni ,
Ma di che pianse Pietro? i' vel vo' dire,
Perchè noi vide cotto ebbe martire:
El bel veder volar sono i rondoni.
Fate com' io , se voi avete ragne
A que' che mangion fichi di panico
Con quegli allor del diavol pur ci rende.
Parecchi ve ne mando, e non vi dico
Se son da gelatina o da lasagne,
Mezzuli son da botte a chi m'intende;
Ancor me' si comprende :
E' son di que' che stettono a vedere
Quando Lucifer fu posto a sedere.
' Il losignuolo co'panni bigi. È V asino, dice il
Salvini; ma qui si parla dell'usignolo vero, il
quale, benché vestito di color bigio, vince nel
canto il pappagallo, vestito di penne così vistose.
2É burchiellesco ; e nemmeno il Salvini si è
provato a decifrar nulla. Pensate se vo' stillar-
mi il cervello io !
7è SONETTI.
SONETTO LXVIl.i
A UNO DOMANDANDOLO DI CB.RTI DUBB.I.
Io ho sentito che 'n filosofia
Voi siete dotto: su, datemi il saggio;
Saper vorrei da voi , perchè di maggio
Vanno le cheppie contro alla corsia ; 2
Ancor m' è detto qui che 'n poesia
Esperto siete, e sì sottile e saggio;
Però vorrei saper or per vantaggio
A che figureresti la pazzia.
Perchè voi non crediate che io vi sgufi.
Vorrei saper da voi, se le cazzuole ^
Son pesci, o di passaggio sieno e gufi.
Un'altra cosa ancor saper si voler
Per che cagion son caldi sì e tartufi, ^
Istando nella neve e non al sole.
' È un sonetto composto di domande , appa-
rentemente da nulla, ma da non risolversi cos'i
alla prima. Su questo per avventura compose il
Berni il suo garbato sonetto :
Se, invece di midono, piene l'ossa
Ser Antoniaccio, di scVenza avete.
Ditemi chi fu pria, la messa o '1 prete?
O la campana piccola, o la grossa?
2 Cheppia è un pesce di mare che nell'esta-
te viene all' acqua dolce, e per conseguenza va
contro la corrente.
3 Cazzuola è V embrione della botta.
^ Caldi- Calorosi , che riscaldono il sangue.
SONETTI.
73
Intendi mie parole
E qui rispondi, e sol di pratica esci,
E dimmi chi 'nsegnò notare a' pesci.
SONETTO LXVIII. »
A LORENZO de' medici PER UN CERTO BUONO IN PRO-
SPETTIVA.
Virgilio, Tullio, Seneca e Lucano,
E' funghi ch'affogavon nel savore,
Sentendo el colatojo che suona Tore,
Fecion pigliar tre pillole al Soldano.
Ma questo parve al confessore istrano.
Volendomi chiarir d'un certo errore,
Se col boccone in bocca un peccatore
Può ricordare il nome di Dio invano.
Non basta, disse un, piìi ch'i' nacqui muto,
Che anche ogni scrittor per mio dispetto
Mi manda imbasciatore e fa scrignuto?
Saper vorrei da Giove uno intelletto
Se lasciò qui le man per nostro ajuto
Videtur manus Christi oel confetto.
E per questo rispetto
Troverai scritto 'n una pergamena ,
Che la 'nsalata è buona doppo cena.
' Burchiellesco, e indegno che ci spenda tem-
po, chi conosce il pregio del tempo, e ricordi
quel di Dante :
Il perder tempo a chi più sa, più spiace.
74 SONETTI. ^
SONETTO LXIX. i '\
A LORENZO de' MEDICI PER LA GUKRRA. ,
Una libbra di fretta di corrieri, 1
Et una messa grande et una nana,
Sognaron la mattina di befana ' ;
Che non si mangi più fichi sampieri ,
Se oggi si tagliassino e taglieri !
Non ti parrebbe in Plinio cosa strana, 'l
E se Noè mostrava la fagiana
Incolpane la polpa de' bicchieri.
Ma , se non fusse Tesse ne' Latini
Sapresti la cagion per che e falconi
Vanno in Galizia e fansi pellegrini? 2
E Galli s' hanno già messi gli sproni
Per assaltare e gotti in su confini ,
E ritrovare il ritto de' cialdoni ;
E però e fratacchioni ,
Sentendo che alle mosche piace il mele ,
Ci danno più ulivo che candele.
1 Burchiellesco, e però si intenda ripetuto ciò
che ho detto qui sopra. Il Salvini lo dice de' più
bellij e degno del Burchiello. Mi rallegro con lui
per il suo squisito gusto. Buon prò gli faccia.
2 Un Ms. legge questa terzina così :
S' e' non fussin tant' S ne' latini
Vedresti le speranze de' prigioni
Fiorir su per le cime de' camini.
SONETTI. 75
SONETTO LXX.
A TOMMASO RIDOLFI QUANDO ANDÒ A FERRARA.
Tommaso, i' mando a voi questo sonetto,
Che forse dirà '1 ver più eh' un verone, ^
Che gli asini hanno in lor più discrezione 2
Grattandosi l'un l'altro el collaretto.
r vo' lasciar la storia pel mottetto :
Mandate di que' ceri un' po' a Vignone,
E state a rinfrescarvi al badalone;
Che lo sparviere è buon secondo '1 getto. ^
E' e' è si gran dovizia di promesse ,
E tanta marchassita e bossoletti^
Ch' i' voglio in Arno udir oggi le messe.
Farete a questi tempi gli scambietti,
Che fanno le dolciate mie badesse
Colle risa schernire e fazzoletti.
Tanti nuovi becchetti
Ci sono (questa vi bisogna bere)
Per salvar certe vote mie saliere.
^ Dirà il ver ecc. Giuoco di parole assai pue-
rile.
2 Gli asini ecc. Il proverbio latino, per signi-
ficare persone da poco che si lodano a vicenda,
diceva : Asinus asinum fricat, suppergiti come
fanno certi Accademici, o Accademipeti, che lo-
dano anonimamente il Vocabolario novello.
3 Secondo 'l getto ecc. Secondo V impeto e l'ac-
certo col quale si getta sopra la preda. Il Sal-
vini crede che Getto stia per Gelo.
4 Marc/iasst<a ecc. Dimostrazioni daciurraatori.
76 SONETTI.
No' ci darem piacere
Col becco in molle, a dir bugie e ciance.
Con trebbian, acqua fresca e melarance.
SONETTO LXXI.
A MESSER CRISTOFORO LANDINO PER UN DANTE CHE
GLI MANDÒ MOLTO ANTICO B CH' ERA ROTTO E CIE-
CO : DANTE FAVELLA PEL SONETTO.
Non guarderete al mio votto mantello
Che spesso quel di fuor par che ci inganni:
Vedete il rusignuol co' bigi panni
Cantando sempre vince ogni altro uccello. '
Del sicutera pajo un suo fratello ,
Che fu innanzi al principio pur molti anni,
Però son vecchio, cieco e pien d'affanni,
Perchè la mia bottega sta a sportello. 2
Certi nuovi pietosi merendoni,
Veggendo pur eh' io masticar non posso ,
Chieggon gli orlicci, perchè a lor son buoni.
' Vedete il rusignuol ecc. C'è V Istessa idea
del rosignuolo, che ha penne bigie e dispetto, e
pur canta si dolcemente ; e significa che non si
guardi alla veste dispetta del libro, ma al divino
poema che contiene. 11 Salvini ribadisce, da vero
Accademico della Crusca, l'errore veduto al so-
netto 65, dove crede che il rusignuol de' panni
bigi sia l'asino; e cosi fa che Dante si dia del-
l'asino, e parli contradicendosi.
2 il sportello. I laschi si dicono stare a spor-
tello. (Salvini).
SONETTI. 77
Costor mi fanno, quando e' m' han percosso, ^
Argomenti di capi di castroni
In disputar la coda di Minosso:
Ognun di loro è grosso,
Ch' i' vidi per un buco di grattugia
Che quella era un'anguilla di Perugia.
SONETTO LXXII.
A MESSER BERNARDO MICHBLOZZI CHE PREGÒ IL POETA
CHE -ANDASSE PER UN SUO CINTO. 2
Voi mi pregasti tanto per un cinto
Ch'air amicizia nostra fu difetto:
r me ne andrei per voi sempre nel letto,
Non sono amico simulato e fìnto.
Io farei più per voi eh' un uom dipinto:
Come chiedesti mandovi el sonetto:
Tant' è! per compiacervi, come ho deito,
Andrei al Sepolcro, quando e' fussi a Quinto.
El vostro è mio e vostro, il mio sì è mioj 3
^ Costor mi fanno ecc. Deride le arzigogolate
interpretazioni de' commentatori.
2 II sonetto è ironico tutto; e però, tìngendo
di voler dire che per lui farebbe tutto, dice che
andrebbe per esso a letto, e farebbe quanto può
fare un uomo dipinto ecc. e andrebbe al Sepolcro,
se il Sepolcro fosse a Quinto, che è luogo presso
a Firenze, dove allora era il Poeta.
3 El vostro ecc. Come Stenterello che dice:
Quel che è mio è mio, quel che è tuo è mio.
78 SONETTI.
Nel sotti 1 cogli amici mai non guardo ^
Son cortese pitocco, e pulcin pio.'
Prima guarrà del sonno Lionardo
Che ogni vostro ben non voless'io,
Et anco a questo non sarei infingardo.
Fra noi , Messer Bernardo ,
Le proferte sien fatte; qui si pensa:
Se '1 cinto è lungo, e' può giovare a mensa.
SONETTO LXXIII. .m»
A LORENZO de' MEDICI QUANDO TORNÒ DA NAPOLI.
Che bella cosa sono e tremolanti ^
Quando alla terra muffa el bel ciuffetto!
E leggesi 'n un testo di sul tetto
Sudare el frate el dì doppo Ognissanti
E Polifemo, armando e suoi giostranti,
Gli mancò la visiera d'un elmetto,
Ma un cappuccio presto gli ebbe detto:
La mia vi venderò, ma pe' contanti.
' Pulcin pio. Il pulcino fa pio pio per aver
da mangiare ; e piare si dice plebeamente , in certi
parlari , per pigliare.
"^ I tremolanti ecc. Pare che alluda a' primi
freddi , e che i tremolanti si abbia a intender
per coloro che tremano; e che ìì muffare il ciuf-
fetto della terra sieno le brin.ite che fanno ap-
parir bianche 1' erbe, il Salvini parla di Mofete,
né indovino a che proposito.
SONETTI. 79
Deh ! se non fusse el Gengian da Prato
El di che Moisè passò il Mar Rosso,
Non s'apriva la porta a San Miniato.
F'rima guarrebbe i un citriol d'un cosso 2
Ch' un Cardinale sciolto sie legato -.3
Se ringhia egli è ronzin dunque Minosse ?4
r pagherei un grosso
A saper s' Avicenna a lato all' asse 5
Insegna el modo a far le risa grasse.
SONETTO LXXIV.
A LORENZO de' MEDICI CHE AVEA DATO AL POETA UNA
ROBA PAGONAZZA.
Eh! s'io fussi di fuor qual dentro bello e
Parre'ti un lavorìo fatto a Damasco,
^ Guarrebbe. Guarirebbe, come guarrà , per
guarirà, a pag. 78.
2 Cosso. Chiama cossi que' brugnoccoli che
hanno i cetriuoli sulla scorza, simili a' veri cossi
che vengono nel volto.
^Legato. C'è il doppio senso del Legato con
fune, e i Legati papali.
4 Se ringhia. Allude al verso : Slavvi Minosse
orribilmente, e ringhia.
5 A lato all'asse. Il Salvini annota: Libri le-
gati con l'asse. Bene: ma che vuol dire? Forse
nelle ultime pagine , dov' è l'indice?
GS'io fussi ecc. S'io avessi una veste dice-
vole alla nobiltà del mio animo.
s
80 SONETTI.
Però quando la vesta è rotta al fiasco '
Di Candia o V Ormannoro inganna quello.
Se nella ragna appanna el fegatello
Di milze sotto , dice , i' non vi pasco ;
Così per tua virtù vivo rinasco 2
Con mia brutta guaina e bel coltello.
Guardami alcun col viso del bizzarro, ^
Facendo a me crespei delle lor ciglia,
Senza ridersi più del mio tabarro.
Farebbon più d'Elia gran maraviglia,'*
Se gittassi lo scoglio a me dal carro;
Buon segno è nello 'nfermo quando e' piglia.
Con facezia ripiglia
Quel che qui è detto, e sempre sia laudato
El mio Lorenzo, et anco San Donato. ^
Ed a' tuoi pie' gittato
Mi son qual Febo, e stringo '1 verde lauro,
E fo di tue promesse a me tesauro.
1 Però ecc. Quando il fiasco ha la veste lo-
gora per altro, si resta ingannati se dentro vi
sia Vino di Candia, o vino dell' Ormannoro, che
è un piano presso F'irenze, dove fa il peggior
vino.
2 Così ecc. Cos\ ora, per la tua bontà, rinasco
a nuova vita, essendo stato finora un bel coltello
in una brutta guaina, cioè mal vestito.
3 Col viso ecc. Mi guarda a stracciasacco, e
aggrotta le ciglia.
4 D' Elia ecc. Elia fu rapito al cielo sopra uu
carro di fuoco.
5 San Donato. Allude al regalo fattogli.
I
SONETTI. 81
. SONETTO LXXV.
NON POTENDO AVER DENARI DAL TESORIERE.
El sarà prima Santo Anton d'Agosto, ^
Et andrà el Paradiso a saccomanno ,
E le donne del troppo si dorranno,
E staranno nel letto all'uom discosto,
E li Tedeschi adacqueranno il mosto,
E' falliti lo 'ntero pagheranno,
E' savj di niente rideranno,
E mai pili il sol non volgerà l'arrosto, ^
E i consigli d' i poveri fien presi ,
E ila senza superbia un Veneziano,
E troverassi fede in Genovesi,
E fìa senza babbioni el Mantuano,
E non saran pietosi i Milanesi ,
E non sarà più sordo ognun Toscano,
Prima che noi crediàno
Aver dui versi al buon tesauriere
Che mi faccia parer lupo cerviere. 3
^ El sarà prima ecc. Argomenta sempre ab im-
possibili.
2 Non volgerà l'arroslo. Non girerà attorno
alla terra.
3 Che mi faccia parer. Non so indovinare, per-
chè il Tesoriere, dandogli denaro, potesse farlo
parere un lupo cervi<»ro; e né anche il Salvini
ne accenna nulla.
6
82 SONETTI,
SONETTO LXXVI.
A LORENZO de' medici D' UN MANTELLO.
Non fu lattuga mai isì diradata
Quanto miei panni, e chiaro nel mantello,
Ch'e vale ogni denajo per buratello,
0 farne scotitojo per la 'nsalata. '
Ma sai di che sghignazza la brigata?
Ch' e Bianchi contraffò portando quello , -
E però esco fuor col pipistrello , 3
E tutto '1 di mi sto con la granata.
Guarda testé di quel che mi rammenta!
L' altrier da me lo volle un contadino ,
Per far la trentavecchia di sementa. ■*
Non vada per tragetti San Martino,
1 Paragona il suo mantello a una foglia di lat-
tuga diradata, e dice che sarebbe buono a met-
tersi per panno da buratto, che la farina vi pas-
serebbe attraverso; o si potrebbe usare per quel
panno rado, dentro a cui si mette l' insalata af-
fine di scuoterla, acciocché tutta l'acqua le esca
da dosso. Ciò si suol fare con un panno radis-
simo.
2 I Bianchi ecc. Erano compagnie di penitenti,
che andavano processionando vestiti di cappe
bianche; e dice che il suo mantello era lacero,
e divenuto quasi bianco.
3 Col pipistrello. Quando escono fuori i pipi-
strelli , a bujo.
4 La trentavecchia. Lo spauracchio.
SONETTI. 83
Che, s'io lo truovo innanzi ch'i' mi penta,
Il lascerò in robetta, o in gonellino. ^
Non più Greco o Latino ,
r prego, o Dafne, te per Euterpe
Che tu mi faccia far come la serpe. -
SONETTO LXXVII.
1)' UNA COMARE CHE CHIAMA L' ALTRA ALLA FINESTRA.
Cornar? — Madonna — Avete voi del fuoco? 3
r n'ho piena la casa alla malora;
Uh trista me! — Che e' è? — Questa mia nuora..
Ma n' è cagione el mio figliuol da poco.
L'è ben vestita, e va che pare un cuoco,
E sta a bottega e dice e non lavora.
Gli ha buona masserizia, e sempre ognora
E che c'è egli? ha d'ogni cosa poco. 4
Uh! col malanno, guata lima sorda!
L' è '1 fistol , che Die sia con esso noi ,
Che di far nulla mai non si ricorda.
1 Non vada ecc. Allude a S. Martino che diede
mezzo il suo mantello per limosina; e dice che
egli glielo piglierebbe tutto,
2 Come la serpe. Mi faccia mutare spoglia.
3 Coniar ecc. Questo sonetto è veramente gar-
bato, e di agevole intelligenza.
4 Ha buona masserizia. Non le manca nulla,
ha abbondanza di tutto; eppure che c'è egli?,
(cioè a sentir lei) ha mancanza d'ogni cosa. Nella
stampa queW E che c'è egli, sta cosi: Echecce
e gli ad ogni.
^ t
84 SONETTI.
S'egli è picchiato T uscio, a dirlo a voi,
Ella non tirerebbe pur la corda;
Naffe ! questi mariti son pur buoi !
r vi rivedrò poi —
Udite: E egli di sue membra intero? —
Comare, il feci maschio da dovero.
SONETTO LXXVIII.
PBR MASO dell'accademia, ESSENDO LUI IN VILLA
CON UN SCO AMICO.
0 Ciel! 0 san Francesco! 0 Croc'ioni!
Avviatevi giù cosi pian piano;
E' mi fu detto eh' io pescassi a mano,
E piglierei de' barbi e de' carpioni.
Attienti in groppa altrove eh' agli arcioni :
Giovanni è ancora bello, e tanto umano,
Che la botte mi par di san Galgano
Piena d' un vin che piace co' poponi. '
Da rider fu che Rosso fece un boto
La notte che sentì tremar il letto
Dicendo: Questo ha esser un tremoto.
Rispose Maso: Non aver sospetto, 2
1 Piena ecc. Il dettato latino dice: Bonumvi-
num cum pepane; ergo qui vino che piace co'po-
poni, significa vino buono.
2 Rispose: Maso ecc. In questa terzina, e nella
coda, si parla di oscenità che il lettore malizioso
intende da sé, e che altri non importa le inten-
dano.
SONETTI. 85
Giovanni m'empie il carnaiuol che è vóto,
Indovina di che, s' i' non l'ho detto?
Non e' è maggior diletto,
Come 'n un testo di sul tetto i' truovo,
Che fare a Salincerhio, o Metti F uovo.
SONETTO LXXIX.
A LORENZO de' MEDICI QUANDO e' MANDÒ LA VIVUOLA
AL DUCA DI MILANO, E AVENDONE DATA LA COMMIS-
SIONE AL POETA, E NON v' ANDANDO, FECE QUESTO.
Firenze parea tutto un pajuol d'accia'
Pel gran bu bu di tante capannello ;
Ma or, eh' e marzapan tornon frittelle, 2
Et acqua di baloge la vernaccia,
Convien eh' un dì mi frodi una bisaccia
Per non esser più giuoco alle tabelle,
Ch' i' do sempre nel lecco alle murelle, 3
E messa m' è in quistion 1' ultima caccia.
El viso i' vo scambiar con que' bnronci :
1 Parea un pajuol d' accia ecc. Pajuol d'accia
quando bolle a ricorsojo, annota il Salvini; cioè
era tutta sossopra, e si facevano di gran ca-
pannelli. La Crusca alla voce Capannella, legge
un pajuol d' acqua il!
2 Or che ecc. Ora che il buono si converte in
roba non gustosa e rozza. Le baloge per gli Are-
tini sono le castagne lesse.
3 V do sempre ecc. Io fo le cose pulitamente e
a dovere; e non ostante non mi si rende ragione.
SG SONETTI.
El Bianco Alfan, credendo esser norcino,
Mandato a Prato fu nelle bigonci.
Tant' è, po' ch'io son fatto Calandrino, '
A gran pericol vo ch'i' non mi sconci:
Questo lavoro è me' che- Parigino.
r ne 'ncolpo el destino
Che non è desto affatto pel frenetico.
Diciam, eh' i' son d' ognun proprio il solletico.^
SONETTO LXXX. 3
PER UNO CHE GLI ERA MANCATA UNA CERTA ENTRATA.
Uu mulin con la rocca sconocchiata.
Et un grillo a pie' giunti che saltava.
Et un falcon di legno che volava
Facevon di dui noci una schiacciata.
E la cumeta corse scapigliata
Veggendo un ovo in Arno eh' aff'ogava ,
Et un nugol piatoso lagrimava,
Se Roma fu da' Galli bezzicata.
Ben gonfiava a Paris la fagiana
Come a tre dame die la palla d'oro,
Perchè alla palla giuochino alla tana.
1 Son fatto Calandrino. Mi si vuol far passare
da minchione, e da milenso.
2 Son d' ognun ecc. Son proprio tale, che cia-
scuno ride di me.
3 Sonetto burchiellesco che va per equivoci
agevoli a comprendersi.
SONETTI. 87
Che vogiion dir di Piramo costoro?
r trovo al libro rosso di dogana,
Che morì perchè cadde giù dal Moro.
Nel pian de TOrmannoro
'N un salmo troverai profeta Isopo
Che '1 nibbio piglierà la rana e '1 topo.
SONETTO LXXXI.
A UNO CHE NON s' AVVEDEVA CHE LA MOGLIE ERA
DONNA n' ASSAI.
(Sonetto di M. Lucrezia de' Medici). Salvini. *
Lanterne cieche, e sogni in un brodetto,
E la mummia eh' in verso Roma guata,
E Marte che brandiva uoa «rranata
Fecion fuggir l'anguille d'un tocchetto.
r sento , che gli astrologi hanno detto ,
Che 'n quest'anno non fia noce granata,
E s' e nugoli scoton la 'nsalata
Andrà in pianelle a calcagnini un tetto.
Se un sol dottor di sette fussi d'otto,
Sapresti appunto la ragione, e '1 modo.
Se si può rattoppar giulebbo rotto.
Ben sai che Salamon fece un bel nodo
A Sanson, ch'alia torre di Nembrotto
Cavava de'pippion, per quel eh' i' odo.
Per non pagare el frodo
Non vuol dir altro Arma virumque cano,
Che un uomo armato con un cane in mano.
^ li Salvini annota: Sonetto di M. Lucrezia
de' Medici. È burchiellesco.
Sii SONETTI.
SONETTO LXXXII.
IN RISPOSTA PKB LE RIME AD ALTRO DI MONNA LU-
CREZIA. 1
Essendo a vostre rime qui soggetto
El me' eh' i' so con quelle m' accompagno ,
Monete sono, al paragon, di stagno,
Le vostre d'ariento puro e netto.
Dal vostro esimio e florido intelletto
Spera mia Musa suo util guadagno ,
' Onde mio vaso fesso oggi ristagno
Per istillarvi un tal liquore eletto.
r non vorrei però che voi errasse
Per troppa umanità, la qual v'indusse
A lodar tanto mie opere basse.
Duolmi che vostre membra sien percusse:
Io vel rimando, e questo anco degnasse,
Che '1 vero a darvi lode mi condusse.
SONETTO LXXXIII.
A MADONNA LUCREZIA ESSENDO l' AUTORE A FIESOLE
CON PIERO E MESSER BERNARDO.
A Fiesole con Piero è '1 Bellincione, 2
A Fiesole è con Pier Messer Bernardo,
1 Sonetto freddamente adulatorio; e scritto
proprio invita Minerva.
2 A Fiesole. Si dee intendere a Careggia dove
è l'antica villa de' Medici; o che i Medici ne
avessero un'altra anche a Fiesole. Fu scritto,
forse per commissione di Lorenzo, affin di sol-
lecitare Madonna Lucrezia a mandar provvisione
da bocca.
SONETTI. 89
A Fiesole con Piero è Lionardo,
E fanno insieme una conclusione:
Se le vivande triste fussin buone ,
No' potremmo notar quassù nel lardo;
Ma , se '1 vostro soccorso non fie tardo ,
Questa gita sarà di perfezione.
D'insalate possiam fornir san Biagio,
E d'agli e di cipolle ogni Tedesco:
No' la faremo el primo di palagio.
Però raffazzonate el nostro desco,
Che di vostra dovizia abbiàn disagio,
L' arme de' Pandolfini o secco o fresco.
Se pur i' vi rincresco
r so che n' avanzò dodici cofani,
Che sazierebbon sette san Cristofani.
E cannella e garofani;
Che buona coscienza ognor ci 'nvita
Essere uomini in ver di bona vita.
SONETTO LXXXIV.
AD UNO CHE DISPUTAVA DEL PECCATO D' EVA.
r vorrei pur saper da qualche dotto
Quando Eva fu ingannata dal nirAico,
Se de' bianchi o de' neri fu quel fico ,
0 albo, o castagnuolo, o brogiotto.
r lessi alle tre carte allato al sotto ,
Perchè ne' fichi si fuggì il panico, '
1 11 panico. Que' granellini onde è seminata
la polpa del fico, somigliano il panico.
90 SONETTI.
Ma di quel primo punto eh' i' vi dico
N'è fatto gran question fra '1 sarto eM ghiotto, i
Or vedi ben dov'^io te la riduco:
La gatta è posta per la pazienzia,
Aspettando che '1 topo eschi del buco.
E se la fede compera a credenzia 2
Perchè muore in prigione a torto el bruco?
Perchè e falliti pescon bene a lenzia?
Ebbe poca prudenzia
Chi pose in ne' naibi quei contrari ^
Che sien vinti da' meno e più denarij
Dicono e calendari
Perchè del troppo creder se ne perde :
Più che un tavolaccin mi truovo al verde. *
SONETTO LXXXV.
A PAGOLO ANTONIO SODERINO AVENDO BISOGNO DI LUI.
0 Geremia , tu fai divin lamento. — 5
D' acqua fresca lo fo , perchè io sto fresco ;
1 Fra l sarto. I soliti giuochi di parole : i sarti
mettono sempre punti, e qui equivoca col punto
della quistione.
2 Compera a credenzia. Crede cecamente.
3 Naibi furono chiamate le carte con le quali
giuocasi alle minchiate : così il Salvini, il quale
reca un esempio da certi Capitoli della Buca di
S. Girolamo: «Non gitti dadi, e non tocchi naibi .»
4 Un tavolaccin. Soliti equivoci. I tavolaccini
vestivano di verde.
5 0 Geremia ecc. Questo primo verso sembra
detto in persona del Sederini; al quale poi ri-
SONETTI.
91
Qual Maddalena son sotto al tuo desco
Genuflesso a' tuoi pie', con gli occhi al mento.
S' alle mie piaghe poni del tuo unguento
La sposa non sarò di san Francesco , '
Se co' ritrosi nel tuo fondo pesco , ^
0 storioni, od altro v'ha a dar drento.
Se mai giusta pietà ti fé' benigno,
A me ti volgi, et odi il mio martoro;
E s' io fo versi , el mio canto è di cigno. ^
Quando mi pongo a mensa, per ristoro
Fortuna dice: In questo io ti disegno
E ricchi cibi della età dell' oro. *
Neil' italico coro
Per me non arrecò spighe Saturno:
La madia sol combatterei con Turno.
sponde il poeta. Quel dtymo poi è de' soliti equi-
voci, ed è da intendersi di vino.
^ La sposa di S. Francesco. La povertà.
2 Ritroso o Ritrosa è specie di rete da pe-
scare, detta anche Nassa.
3 Di cigno. Il quale si favoleggia che canti
soavemente poco innanzi di morire.
•* i ricchi cibi ecc. Le ghiande; e Dante:
Lo secol primo quant'oro fa bello,
Fé' savorose, con fame, le ghiande.
92 SONETTI.
SONETTO LXXXVI.
A LORENZO de' MEDICI CHE DISSE AL PORTA: — DANTE
FA DI CASA TUA MENZIONE; — PER TRASLAZIONE
DICE NEL PRESENTE SONETTO DI NON AVER CASA.
0 Bellincion , tu se' pur di casato. — '
Dante mei disse: io son col cuojo all'osso-
Sanza polpa e famoso, onde dir posso
Che per antichità sono intignato.
E' m' è addosso uu tetto rovinato
Che più che scoti tojo m'ha scusso e scosso,
E le stimile fo s' i' veggo un grosso, ^
Bench' io sie dalle pulci indanajato.
Per riscaldarmi el verno che s' agghiaccia 4
Quando gridi, solin , baldoria e majo,^
r fo Dio Padre al Càrmin colle braccia. ^
' Di casato. Di antica famiglia.
2 Col cuojo all'osso ecc. Tira al suo proposito
quel di Dante :
Bellincion Berti vid'io andar cinto
Di cuojo e d' osso.
3 Fo le stimile. Fo atti di meraviglia, aprendo
le braccia come S. Fracesco nel ricever le sti-
mate. Il Salvini, vuole: Fo croce delle braccia.
4 indanajato. Morsicato, e però pieno di chio-
se per la vita.
5 Solin, baldoria ecc. Star al sole, al fuoco,
ed esser primavera.
6 Fo Dio Padre. Mi riscaldo battendomi e ri-
battendomi le braccia al petto. Forsi allude a una
pittura del Padre eterno che era alla chiesa del
Cannine.
SONETTI. 93
E s' i' pìglio de' granchi di gennajo;
Nelle scarselle lor non ho bonaccia
Cyi' i' non vi truovo mai dentro danajo:
Troverrei un vespajol
r son per divozione a tutte Tore
La settima parola del Signore, i
SONETTO LXXXVII.
ALBERGANDO IN CASA DI LORENZO DE' MEDICI, A UN
TRATTO FUGLI DA LUI DOMANDATO! — QUaL È MI-
GLIOR CAMBRA LA TUA O LAMIA? — FECE QUESTO
SONETTO.
»
Se d'udire il mio stato hai pur diletto,
Di questo teco volentier ragiono ,
Per eh' io spero trovar qualche perdono ,
Facendo penitenzia infin nel letto.
Io dormo in una cameraccia a tetto,
Che un pelkgrin non vi starebbe' in dono,
L'ago vi infileresti a ogni tuono,
Ella m'ha a fare astrologo perfetto. 2
Quantunque ella sia buja e molto strana.
Una notte vi stiè meco un poeta.
Che nome me le pose la Diana 3
' La settima ecc. Tal parola fu: Consumma-
lum est.
'^ M' ha a fare astrologo. Perchè, essendo il
tetto mezzo disfatto, posso contemplar le stelle.
3 Aa diana. Il Salvini annota: Battere la dia-
na, assiderarsi.
04 SONETTI.
El letto grida el carro del profeta
Dov' io mi desto ben sanza campana;
Giobbe resterà, meco, e '1 Birria e '1 Geta.^
Non vi vo' far più pietà:
Le lacrime ch'io sparsi a un l' altrieri,
L* appiccò poi a' geli agli sparvieri.
SONETTO LXXXVIII.
A LORENZO de" MEDICI QUANDO L'aJUTÒ CON GLI UF-
FICIALI DEL MONTE.
Lorenzo, i' sono in tanta estremitate, '
Che non vi salì mai capra né gatto,
Né fu mai tanto un casolar disfatto
Se nei mio sopraccapo il dir notate.
Di questo al calzola' ve ne 'nformate
S' e legger panni mi fanno ire adatto ;
E per non mi smarrire al bujo al tatto,
r ceno con le lucciole la state.
Più che Giovanni predico al deserto ,
E tal eh' ogni sparvier di me innamoro , '^
Parendo mio mantello un logor certo.
1 Giobbe ecc. Sarà albergo degno di Giobbe,
e del Birria e Geta: allude al poemetto attribuito
al Boccaccio.
2 In tanta estremitate ecc. Paragona la sua
miseria a luogo erto e dirupato, come quello di
Dante
Che sarebbe alle capre duro varco.
^ Ogni sparvier ecc. Li sparvieri calavano al
logoro; e però vuol significare che i suoi panni
son logori.
SONETTI. 95
Poco mi manca a far silenzio in coro ,
Né ladro farei un coli' uscio aperto, ^
Però che m' è rimasto appunto el Moro. 2
Te solo, Lauro, adoro :
Tua naturai pietà sie mia pesci na
Non quella al Ponte Vecchio: altra indovina.
S' i' son da galatina,
Chi lo cercassi appunto il troverrebbe ,
Ch^ un granchio che ha duo bocche noi direbbe.
SONETTO LXXXIX.
MOSTRA IN LUI ESSERE INSIEME MOLTI CONTRARI.
Piangendo rido , e sospirando godo
Le faticose ripe è a me riposo,
E sto senza sospetto e son geloso ,
E lieto son quando mi struggo e rodo.
Talor rispondo che chiamar non m'odo:
Timido, vile e son sempre animoso,
Allegro vivo, e sto sempre pensoso,
Libertà canto in uno stretto nodo.
Le città magne è a me le vselve oscure,
Soletto sempre, e sono accompagnato,
E di chi più mi fugge veggio '1 viso.
Posseggo liete Tore mie future,
El viver bramo, e duolmi ch'io sia nato:
Così in Inferno godo il Paradiso.
' Né ladro ecc. Se io lasciassi l'uscio aperto,
niuno troverebbe nulla da rubare.
2 El Moro. Non serviva piti il Moro: si racco-
manda a liOrenzo. (Salvini).
96 SONETTI,
SONETTO XC.
A LORENZO de' MEDICI D' UNO CHE PECE UNA INVITATA
A QUERCETO E TRATTOGLI MALE.
Bencino, io mi ricordo di Querceto
E quel che noi beccammo la mattina,
Boccon tu non ci desti senza spina:
Ignudi catriossi su 'n un greto. ^
Tien per te gli assi: i' non mi vo' star cheto;
Tu se' come la vigna del Monina:2
Non che altro e' vi fu sciocca la salina, 3
Per sempre ti diciam: leva el tappeto.
Tocchian dell'altre tue zanzaverate:
Quegli uccellin con T uova nel tocchetto
Ci parvon proprio a masticar granate,
Per discrezione intendi, un certo letto,
L'anguille vi sarebbono infreddate,
Acciughe in gelatina per dispetto.
Sappi che ci fu detto:
Frottate su: voi non sapete dove.
La sua casa è un mar! quando vi piove. 4
' Catriossi ecc. L' ossatura del petto de' polli
e altri volatili, scussa di carne.
2 La vigna ecc. Che aveva molti pampani e
poca Uva.
3 La salina ecc. Era sicuro per fino il sale :
iperbole. Salina è la saliera.
4 È un mar ecc. Di una casa piena di ogni
ben di Dio, si dice che è un porto di mare : qui
ironicamente dice che è un mare quando ci piove.
n
SONETTI. 97 <
SONETTO XCI. ;
A LORENZO de' MEDICI QUANDO LO LEVÒ DA SPECCHIO. '
r vesno come un frate di Badia 1
A te, Lorenzo mio, tutto divoto, i
Perchè tu mi soppanni un po' quel boto,^ \
Onde a' tuoi pie fo quel di Geremia. 3
Non ti parrò così la Befania, j
Stu mi vorrai cavar di tanto loto;
S' i' studio el Porcellano e non Iscoto,
Deh rompi di tua man la tafferia.-* i
Stu mi lasciassi in Arno , e 'n sulle secche ,
Aresti in ver più eh' un balestro il torto, •
Ch' i' amo te più che '1 Soldan la Mecche. ^
Non vedi tu eh' i' fo già '1 vivo e '1 morto, ^ '
Né troverei credenza in fra le trecche? ;
Cader possi de' trampoli uno sporto, ■
' Specchio era il Registro , dove si notavano
le colpe de'cittadini: qui Levar dà specchio, vale
Ripigliare in grazia,
2 Perchè. Gii chiede, annota il Salvini, da sop-
panarsi l'abito, perchè altrimenti gli parrà una
befana.
3 Quel di Geremia. Le lamentazioni.
4 La tafferia. Rompi la mia scodella di legno,
e fammi mangiare in piatto più nobile.
5 II vivo e'I morto. Son ridotto all'estremo ; e
meglio sarebbe che mi cadesse in capo uno spor-
to : che ad ogni modo posso far a risparmio del
mondo ; posso morire, non sapendo come starci.
7
V>8 SONETTI.
E diemi el suo conforto,
Ch'i' posso far del mondo masserizia;
Però so di rottoro e legorizia.
SONETTO XCII.
A LORENZO de' MEDICI TORNANDO A LUI COME COMANDÒ.
Non tornò mai saeppolo o sparviere ^
A te come ritorna el Bellincione,
Ch'è pover pellegrino, e non falcone, 2
Che a te si botò già per non cadere.
Lorenzo, i' non mi posso mantenere,
r son come dicea fra Giacopone:
Il mio mantello n'è ver testimone.
Che torna insaponato dal barbiere. 3
Però m'allegro assai della farfalla
E sonne sì devoto, e sì leggiero.
Che sto sanza notar nell'acqua a galla.
E Magi fo s' i' veggo un pane intero; *
^ Saeppolo. Qui pare che sia un uccello di ra-
pina ; ma i vocabolarj dicono essere Pallottola
da balestra.
2 Pellegrino- È pellegrino , ma non Falcone
pellegrino, che era la più nobile specie de' fal-
coni.
3 Torna insaponato. È per vecchiezza diven-
tato quasi bianco. Dove parla di Fra Jacopone,
accenna a quella sua poesia nella quale descrive
le sue miserie, essendo in prigione.
4 Fo i Magi. Faccio atti di devozione e di de-
siderio.
SONKTTI. 90
Ma r animella arrosto d' una Palla ^
Non mi vorrà veder forse più zero.
Conoscer tu sa' il vero ;
Ho men che Don Vincenzo'- e san Francesco,
E più che 'nfrescatojo oggi sto fresco.
r son sotto al tuo desco
Qual Maddalena, e duolmi più l'affanno
Che della colpa altrui posseggo il danno.
SONETTO xeni.
PER UN AMICO ANDANDO IN VILLA.
La nostra andata è proprio una novella
Da farne rider un ch'avessi male;
Ma temo che noi sappin le cicale, 3
Che una canzona e' ne farebbon bella.
Baciato ho, compar mio, la campanella 4
Di queste nostre imprese senza sale.
Un piacer costa poco e molto vale:
Dicesti forse a me, come il Gonnella.
El nostro fu del Magnolin piacere; 5
Anzi sciocca pensata di fanello :
Ma '1 vin mi inforzerebbe nel bicchiere. ^
1 L'animella ecc. Allude alle palle medicee.
2 Don Vincenzo. Era tanto povero, che sonava
la messa co' tegoli.
3 Le cicale. I cicalatori, le linguacce.
4 Baciato la campanella. Ho abbandonato in
tutto e per tutto.
5 II Magnolino si dilettava in cose che ad ai-
tri sono di noja.
6 II vin ecc. Sono cosi disgraziato, che il vino
ecc.
100 SONETTI.
E' fa sempre remore un chiavistello,
E! diavol di saccalaccio sta a vedere '
Che le campane fien di san Ruffello.
r sarei ser Tondello: 2
Che Maso se ne rida e facci M pazzo
Le male notti i' vo' lasciare al cazzo.
Non e' è pili bel solazzo
Che giuochi far che piaccino a ognuno.
E qual ? acconciar due che pajan uno.
SONETTO XCIV.
SENTENZIOSO.
Dice un proverbio, che ognun dee sapere:
Ingannato sarà come '1 villano
Chi vole in erba misurare el grano ;
Che l'essere è nemico del parere.
E l'orso disse: E' fien di molte pere,
E spesso i molti fior tornano invano:
r feci come '1 bue, quel fiesolano , 3
Ed attinsi dell'acqua col paniere.
Ma il tempo è quel che buon giudici© rende;
Anche l'amico lo baciò nell'ortOj^
^ Il diavol ecc. Questo diavol di saccalaccio,
è, senza dubbio, un errore, e lo mostra anche il
verso troppo lungo; ma non ho trovato come cor-
reggerlo.
2 Sarei ser Tondello. Sarei tondo, sciocco.
3 Come 7 bue, ecc. I buoi di Fiesole, diceva
il proverbio, che veggono l'acqua dell'Arno, e
non possono dissetarsi.
4 Anche Vamico ecc. Anche Giuda baciò Cri-
sto (lo tradì); ma poi s'impiccò.
SONETTI. 101
E così 'a un giardin laccio si tende.
Larghe promesse coli' attender corto i
Ti faran triunfar.... basta a chi 'ntende:
r non credetti mai rompere in porto.
Più che r arco hai il torto;
Ma serba a' cavolin questo pinolo
Che un di ci fia per te più che vajuolo
Parrotti un rosignuolo
S' i' comincio a cantar qualche bel caso :
Dire', toccando, il ver , come Tommaso.
SONETTO XCV.
A NERI CAPPONI CHE DICEVA « TU SB' DI CASATO AN-
TICO. »
r lessi la tua cronica a Legnaja^
Dove i' son di casato molto antico;
E truovo el Fusti non avere amico, s
Ma coir Essere ognun presto s' appaja.
Se col cembolo è sempre in colojnbaja
Chi è scusso e legger, qui non ti dico;
' Larghe promesse ecc. Il consiglio che diede
a Bonifazio Guido da Montefeltro :
Lunga promessa con l'attender corto
Trionfar ti farà nell'alto seggio.
2 La tua Cronica ecc. Allude, qui come altrove,
a Bellincion Berti, famoso tra gli antichi Fioren-
tini, dal quale par che discendesse il Poeta.
3 Truovo el Fusti ecc. Il fusti, cioè le grandezze
antiche ma spente, non hanno credito; ma cia-
scuno valuta Vessere, cioè le grandezze presenti.
♦ »
102 SONETTI.
Ma, se corressi scalzo l'orochico,'
Che nuovi uccelli aremo aU'uccellaja!
Ceceron di Quaresima stimato 2
Col fummo di che vecchie ha le bandiere
Non crollerebbe un figlio di mercato.
Ognun c'è convertito in isparviere;
E tal fa or di me come Pilato
Che le brache lavarmi avea piacere.
Più tondo è eh' un tagliere ,
S' un pover conosciuto esser si crede ,
Che ha '1 vajuolo o la maschera a chi '1 vede.
El Bellincion ti chiede
Qualche ajuto o favor, non di squittino.
E che? Fammi somier d'un tuo mulino!
' Orochico, è una Gomma che stilla da alcuni
alberi fruttiferi.
2 Cecerone. Fa il giuoco di parole alludendo ai
ceci : e continua a dire che il fumo della sua an-
tica grandezza non farebbe muovere un facchino
(un figlio) di mercato ; e che qualcuno che prima
lo sojava e lo lisciava; ora, vedendolo povero, fa
come Pilato, se ne lava le mani e non vuol sa-
perne. E chiude il Sonetto, domandando a Neri
anche il più umile ufficio.
SONETTI. 103
SONETTO XCVI.
AD ERMOLAO PARLANDO A LUI LA DEA DELLA PACE.
Divo Ermolao, novo Mercurio in terra, '
Che muovi i monti con tuoi dolci carmi,
Se ben con quegli usasti consolarmi ,
La quinta spera in me gran dubio serra.
Che '1 ministro maggior quivi di guerra, 2
Ritornandomi io in ciel, vidi con l'armi
Romoreggiare e vilmente sprezzarmi ,
Unde i' restai com' uom che '1 cammino erra.
Però ritorno a te , dolce tesauro ,
Che tu maturi la mia mente acerba.
Dicendo Marte a me : 'L tuo Ludovico ,
Sempre mia arte a loco e tempo serba :
Per ben di suo nepote, or t' è amico.
Dunque, Ermolao, come fia '1 secol d'auro?
1 Ermolao. Questi è Ermolao Barbaro, solenne
letterato, ed erudito, e poeta. Allora il Barbaro
era oratore di Venezia presso il Moro.
2 II ministro maggior ecc. La costellazione di
Marte. Immagina che parli la Dea della pace;
e che Marte. le abbia fatto l'elogio della virtù
guerresca e della prudenza di Lodovico il Moro.
104 SONETTI.
SONETTO XCVU,
IN LAUDE DEL SIGNORE LUDOVICO QUANDO MANDÒ GENTE
d' ARMI A FORLÌ.
Egli è tempo aprir gli occhi e parer cieco , '
E trar la pietra, e po' asconder la mano ,
E far la gatta morta, e ir pian piano,
Como sai far : deh parlane un po' meco.
Forse che alcun d'Italia el cavai greco
Fabbricava , che or mai sei terrà in vano ,
E so ben che '1 pan secco or parrà strano,
A chi ha tristi denti in bocca teco.
Le dui. paci a tuo modo : e poi lo stato
Salvare' al Ferro: 2 e teco 1' Ungheria:
E con Francia e Savoja ira temprato.
E Genua va a la rete tuttavia:
E cazzo in culo al Baccio ammiterato;
Che '1 Moro oggi è d'Italia el ver Messia.
Se ben che Furlì sia
Una briglia , una sbarra, anzi un bastone
A chi non voi che '1 Moro sia Solone. -^
1 Egli è tempo ecc. Consiglia il Moro a usare
tutte le arti della dissimulazione, ed altre accor-
tezze politiche, e di sapersi governar con le altre
potenze , e tenersele amiche, per isventare le
insidie che altri, e'specialmente il papa, gli ten-
devano.
2 Al Ferro. A Ferrara.
3 .Sta Solone ecc. Sia colui che dà leggi alla
Italia. Anche il Moro sognò la unità italiana; ina
come?
SONETTI. 105
A far conclusione
Con altri fie '1 sospetto e la paura,
E Milan goderà che s' assicura.
SONETTO XCVIII.
DI BACCIO UGOLINI AL BELLINCIONE.
Bellincion, tu mi dai d' ammiterato ^
Secondo che in Furlì di punto ho letto;
Taci, spedai, che intendo el tuo soggetto;
Per amor d'altri sol t'ho risguardato, 2
lutino a qui con versi i' t' ho leccato ,
Ma or ti morderò senza sospetto ,
Da poi che di dir mal pigli diletto,
A mal tuo grado se m'arai tentato.
Or taci del Tesino e d' Aretusa :
La metafora tua la 'ntendiàn bene
Perchè veduto non abbiàn Medusa.
Di Cristo el detto so quel che contiene ,
E dove vai a ferir : 3 non farne scusa ,
Quel che e' è meglio or dir non s' appartiene.
Ma ben dir ti conviene
Che per piacer con miei versi ti scopo
E parliàn delle fabule d'Esopo.
^ D'ammiterato. Nel sonetto precedente no-
mina Baccio ammiterato (la mitera si metteva a
coloro che andavano in gogna), il quale è questo
Baccio Ugolini.
2 T'ho risguardato. Ho avuto riguardo per te.
Mi sono astenuto dal morderti.
106 SONKTTI.
SONETTO XCIX.
DEL BELLINCIONE IN RISPOSTA AL PRECEDENTE.
La mitera intes'io del Vescovato,
Non di quella che meriti ebbi detto ;
Ma quel che ha sempre mai veleno in petto
In mala parte el ben ha interpretato.
Spedale a me? non vo' dirti impiccato.
Mordi un osso, cagnaccio, mondo e netto: ^
Con Lorenzin ti detti del confetto,
Or dell' assenzio arai, cora' hai cercato.
Taci tu, prete mio, ser lancia busa,
Uccel di Palla o moneta d'Atene:
Dico quel che un bugiardo dir non usa. 2
Non ferisco ove tu sotto a le rene:
Al tuo meglio e' non è cosa confusa;
Che nel Tesin non furon mai sirene.
Già rane le balene
Tornarou, come sai : un monte un topo :
Dunque abbracciàn l' italico Etiope. 3
^ Mordi un osso. A pigliar briga meco ci gua-
dagnerai poco.
2 Quel che un bugiardo. Cioè: Dico la verità.
3 L'italico Efiopo. Il Moro, che è salute d'I-
talia.
SONETTI. 107
SONETTO C.1
CONTRO ALCUNI CHB PIADECCHIAVANO 2 CERTI BENEFI-
CJ CON MONSIGNORE.
Tanto penassi a cuocervisi il pane,
0 levarvi da letto, o aprir la bocca ,
Quanto lin Monsignore ha in sulla rocca,
Per far vostre speranze cieche e vane.
Tornate, lupi, in nelle vostre tane.
Che per venti anni ancor si tien la rocca:
Di que' suoi benefìcj e' ve ne tocca
Solamente sentirne le campane.
Verranno a voi com' agli Ebrei '1 Messia:
Que' benefìcj al cui vi saran buoni ,
Ch' e Magi andati son per altra via. 3
Chi si fornì di pentole e schidoni ,
Non pensò prima el mal, che Dio gliel dia ,
Ma grattasi or le bolle in su' coglioni.
Tornon galli i capponi:
Le gambe, el segno, el destro, e '1 volto dice
Che Monsignor ha fatto la fenice, ■<
' Nella stampa precede un Sonetto ohe inco-
mincia: Colui che ricordò l'errore a Piero, che
è quel medesimo che si legge nel primo volume
a pag. 55; e nella cui coda mi scordai di notare
che si fa un' allitterazione di Savoja e Saluzzu.
2 Piadecchiavano. Forse disputavano, piativa-
no per certi benefìcj.
3 Ch' e Magi ecc. Allude alle parole del Van-
gelo: Et per aliam viam reversi sunt.
'* Monsignor ha fatto ecc. È rinato. Par che
108 SONETTI.
Arete le morice:
r dico a voi che, siete in coro musici ,
Che 'ngrassavi dal mal com'è cerusichi.
SONETTO CI.
AL SIGNOR LUDOVICO.
(Inpenzione d'un soggetto di Commedia da-
to dal Moro per le nozze della sua nipo-
te.) Salvini.
L'alta invenzione e 'i tuo soggetto degno
In far che Giove tua nipote onori ,
E stato un dolce frutto or de' tuoi fiori :
Cose belle e moral vide il tuo ingegno ,
Tal che Terenzio e Plauto hanno or pregno
El cor d'invidia, a te si inferiori; ^
Ma e versi miei non son grati colori
Qual meritava il tuo divin disegno. ^
Ma qualche spirto ancor leggiadro e novo
Sveglierò forse a farti ben piìi onore
Nel gran triunfo de la tua invenzione;
Ma qui leggendo pur dirai: Ci truovo
Una dolce aflfezion d'un fidel core
Dell' umil nostro servo Bellincione.
fosse malato ; e che sperassero nella sua morte
per aver que' beneflcj; e ciò si rileva dalle frasi
del lino che tien sulla rocca, e per venVanni si
tien la rocca, le quali suonano: ha tuttora molti
anni da vivere.
1 / versi miei. Il Moro aveva datp il soggetto.
e il Bellincione avea scritto la commedia.
SONETTI. 109
SONETTO GII.
DELLA LIBERALItX DEL SIGNORE.'
Bellincion, chi ti ha fatto quel mantello?
Io gli rispondo : Femmelo un sartore :
Io dico: chi tei dette? Il mio signore
Grazioso, benigno, onesto e bello.
E tal testé mi dice : Addio, fratello :
Siccome a' panni spesso fassi onore;
Rispondete voi, panni, a tal tenore,
A me non dice, e non rispondo a quello.
Quella robetta chi ti die di seta?
Fu Giovan Galeazzo, il nostro bene.
Però vo' dir di lui come profeta:
Se Cristo or sano e salvo cel mantiene,
Secondo e segni in lui del suo pianeta,
Beati e servi suoi, dir si conviene.
Cosi dir s' appartiene :
Lo stato sempre sia dato a' signori,
E la roba sia poi de' servitori.
SONETTO CHI.
IN RISPOSTA AD UN SONETTO MOLTO SCIOCCO.
Credo ti dia più tedio V esser matto.
Che non fa el Bellincion con la sua rima.
Doveresti alla scuola andare in prima.
Che a far sonetti in ver tu non se' atto
Bi facile intelligenza, e semplicissimo.
110 SONETTI.
Non so chi tu ti sia, ma per un tratto
Veggio un sonetto, eh' è da farne stima:
Al destro, intendi ben, cosa sublima... >
Minchion, guarda la gatta; or fuggi ratto.
In cui ti ficcherai quel ravanello,
Stu vuoi mostarda, cerca a li speziali,
Baggianaccio navon, dov'è il cervello?
Un' altra volta mettiti gli occhiali,
Ch' i non ti tolga, o pecora, 1' agnello,
Poetastro da peccati veniali.
Tu molto bene insali
1 tuoi sonetti, e questo è pur sì strano,
Che fai parere un Dante Sidriano.
Rallegrasi Milano
Città famosa, e naschi una cometa
Di questo novo maccheron poeta.
EPIGRAMMA.
PRESBYTERI FRANCISCI TANTII AD ILLUSTRISSIMUM LU-
DOVICUM DUCEM BARI.
Parvus magna peto ; fateor, Ludovice, rogaiam,
Ad me si spectes, jure negabis opera.
Magna decent magnos ; vatem pia dextra jacentem
Sublevet, et vacuas non sinat esse preces.
Terra boves et equos, animalia grandia, nutrit,
Vermiculis etiam non negat illa cibos.
Victum balenis, phocis, delphinibus aequor
Praebet, pisciculos non minus illud alit.
1 Al destro. Al luogo comodo, al cesse.
SONETTI. Ili
Antigonus non sis igitur, Ludovica, petenti,
Magnus Alexander tu magis esse velis.
SONETTO CIV.
FATTO PER TRADUZIONE DEL PRECEDENTE EPIGRAMMA.
Se un parvo magne cose a te richiede,
Confesso ben, se '1 guardi molto abjetto.
De jure negherà' mi or quel che aspetto ,
Ma el magno magne cose alT uom concede.
Ma, se in tua destra, Sforza, pia ho fede
Non far mie prece vacue d'effetto:
Ciba e grandi animali in suo ricetto
La terra , et a' vermiculi provvede.
El gran mare e delfini e le balene
Alberga e ciba, et anco quei minori
Piscicoli conserva e gli sovviene.
Ludovico, che oggi il mondo onori.
Non m' esser ora Antigono , e' conviene
Sia Alessandro, frutto de' miei fiori.
SONETTO CV.
CONTRA IL FONTANO SEGRETARIO DEL RE FERRANDO
DI NAPOLI.
Non dir più: Intendo greco: EU' è bugia, i
Che '1 Greco dimostrasti aver beuto
Quando mal pettinar fusti veduto
' Non dir più ecc. Fa 1' equivoco tra 1' idioma
greco, e il vino greco.
112 SONETTI.
El giusto, e fargli , e dirgli villania, '
Non fu collera acuta, anzi pazzia
Si che in fra' savj el credito hai perduto,
E so di collo al Duca or se' caduto, 2
Fantasma, arch inaia, van uom tuttavia.
Quanto più tei perdona el mio signore,
Maggior vergogna t'è, che fa vendetta
Col motto che usò in croce el Salvatore. 3
Stu se' poeta , el far così s' aspetta
Quando t'esalta el bon divin furore;
Così questa gran macchia ti si netta.
Di brache e non berretta
Per r avvenir so ben ti sarà fatto,
Per che se' stato cresimato matto.
SONETTO evi.
MORALISSIMO DELLA MISERIA E BREVITÀ DELLV VITA
UMANA.
Veggio del tempo esperienza troppa,
Tal che di maraviglia or mi dipingo,
E dico: Un giorno par, s' al ver mi stringo,
Che sia dall'età vetera alla poppa.
^ El giusto ecc. In margine si legge: Per il
Justo se intende ineser Stephano da Cremona du-
cale secretarlo, lo quale con la prudenzia sua
obviando a certe malizie del Pantano, da lui in-^
juriato.
2 Di collo al Duca- Hai perduto la grazia del
Duca.
3 Col motto. Allude al Dimitteillis^ non enim
sciunt quid faciunt.
SONETTI. 113
Vola il nostro cavai, non pur galoppa,
Che, pensando, dal cor lacrime attingo;
Ma, per dir brieve, il nostro viver fingo
Essere un cavalcar con morte in groppa, '
E nimici alle staffe armati e pronti ;
Fortuna che fa scorta con martiri;
E sento il vecchio dir: Pur nacqui ieri!
Favole e sogni par che di sé conti,
Tutti siàn mercatanti di sospiri,
Al ben far gravi, al mal pronti e leggieri.
SONETTO CVII.
MORALISSIMQ.
Pelago di tempeste, un mar d' affanni
È questo mondo, un campo seminato
Di tribuli, di pruni ; anzi è un prato
Pien di lacciuoli, di malizia e inganni.
Ben lo conobbe quel che di cinque anni 2
Cangiò abito, loco, vita e stato
In un aspro deserto, e s'è cibato
Sol d'erba, d'acqua, et una pelle i panni.
E voi, miseri, pur qui festeggiate
^ Essere un cavalcar. Garbatissimamente tra-
vestito quel di Dante , che il vivere chiamò mw
correre alla morte, falsato piti goffamente dal
Petrarca col suo : Di questa morte che si chiama
vita. Tutto il rimanente del Sonetto è veramente
bello, e la metafora è maestrevolmente condotta.
2 Quel che di ecc. Parla di S. Gio. Battista.
8
114 SONETTI.
In varii modi, e sempre a tutte 1' ore
Cose contra natura et al ciel fate;
Cupidi di tesori e falsi onori,
r vi ricordo sol che voi pensiate
Che un viver di miili'anni son poche ore.
SESTINA.
J)ELLA MORTE DEL SIGNORE LEONE.
Spento ha or morte un divo lume in terra,
E '1 frutto acerbo colto in mezzo a' fiori,
Per ornare più '1 ciel d' un tal tesauro.
Morto, vivo è Lion nel nostro albergo, '
Che ci riduce in breve tempo in cenere;
Ma rinato all'eterno è per virtute.
Non può già morte spegner la virtute;
El corpo sì, mortai, fatto di terra,
Che ogni cosa col tempo esser dee cenere.
Or così morte va cogliendo i fiori
Conducendoci tutti al tristo albergo,
Dove forza non giova o gran tesauro.
' Morto vivo ecc. Essendo vivo è morto, sa-
rebbe modo vizioso : par dunque da intendere :
Benché morto corporalmente , è pur vivo nella
nostra memoria, nel nostro affetto, come disse il
Giusti :
E in fatti, dopo morti,
Son più Tivi di prima.
Tutto il componimento, è, come sono le Se-
stine tutte, un continuo giocar di parole con tre o
quattro voci sempre artiflziosamente ripetute :
cosa spiacevole anche appresso i migliori.
SONETTI.
115
Piangesi or di Lion quel bel tesauro,
Che ci to' morte, el quale è la virtute,
Che ben felice è quel che ne fa albergo.
Che ogni altra cosa che si trova in terra
A poco vento casca come i fiori:
Cosi l'umana gloria è tutta cenere.
Però pianger possiàn sopra '1 tuo cenere
In segno di pietà eh' è in ciel tesauro,
E quel che gli anni suoi possiede in fiori
S' ingegni tanto d' acquistar virtute,
Che quando renderà *1 corpo alia terra
Trovi chi pianga poi sopr' al suo albergo.
0 raiser, cieco e lacrimoso albergo.
Crude), invida morte, che di cenere
Mostri quel che pur dianzi visse in terrai
Però farete, o giovani, tesauro
Di fama, che s' acquista con virtute ;
Che, senza '1 frutto, giovan poco i fiori.
Se da mattin Fortuna a noi dà fiori.
Morte la sera poi ci vole albergo ;
Dunque estote parati con virtute.
Che ogni altra cosa è umbra, fumo e cenere:
Non si compera, o vince per tesauro
La fama, che non è cosa di terra.
Or, se 'n terra Lion dorme con fiori,
Non muor virtute mai, quel ver tesauro.
Se '1 cieco albergo reda 1' uman cenere.
116 SONETTI.
SONETTO CVIII.
NEL QUALE UNA AMATA CONSOLA LO AMANTE SUO DEL-
LA MORTE DI LEI.
Non pianger più, benché sia latta terra, ^
Che son già netta del terrestre velo :
E tuoi pianti e sospiri odo dal cielo,
E tutti fanno a la mia pace guerra.
Se '1 cammin di virtù per te non s' erra
Quassù mi rivedrai con altro zelo;
Or, se per morte agli occhi tuoi mi celo,
Bastiti quel che la memoria serra.
Risparmia le tue lacrime del core,
Che per me versi; e serbale per quella
Che forse ancor vuol darti al mondo Venere.
Ma, s' altra più di me ti parrà bella.
Ricordandoti allor del nostro amore,
A pianger presto andrai sopra al mio cenere.
1 Benché sia fatta ecc. Questo verso è dichia-
rativo di quel di Dante :
Mai non t'appresentò natura o arte
Piacer quanto le belle membra in ch'io
Tanto ti piacqui, e che son terra parte ;
dove il non essere stato compreso il significato
di quell'avverbio di tempo partBj ha fatte dire
tante castronerie a'coramentatori sulla vera le-
zione di quel verso.
SONETTI. ll"i
SONETTO CIX.
A LORENZO db' MEDICI PER LA MORTE DI MAESTRO AN-
TONIO SQUARCIALUPI DETTO DEGLI ORGANI.
Farete insieme, o musici, lamento
Sopra il vostro immortale oggi sepolto:
Morte si scusa e dice: I' ve l'ho tolto.
Per far più lieto il ciel col suo concento. ^
Oh quanto lume spense un picelo 1 vento
El di che fu dall' uman velo sciolto!
Ma lieto si partì, contento molto,
Che morte, ov' è virtù, non dà spavento.
Dorransi quei che tardi saran nati
Air età di costui, che 'n ciel s' onora.
Né forse il meritò la gente antica.
Gloria dunque è di noi: però siàn grati
Che si dirà doppo mille anni ancora :
Natura a quell' età fu pure amica !
1 Per far più lieto ecc. Da questo pensiero è
informato un epitaffio fatto per Francesco Ro-
driguez musico portoghese, che dice cosi: « Qui
« giace Francesco Rodriguez, musico del Re don
« Emanuele, cui Dio chiamò a sé per farlo suo
« maestro di cappella; e appena salito in cielo,
« chiamò i suoi angeli, e fattigli cantare, disse
« loro : Aìidale là , che questo Portoghese canta
« meglio di voi- »
120 SONETTI.
A me dolce la truovo, e sol mi splace
El mondo, possedendo or miglior vita.
Però pensa voler quel che al ciel piace,
Ove i' t' aspetto a star con teco in vita '
A posseder l'eterna e vera pace.
SONETTO CXIII.
IN MORTE DEL FIGLIUOLO DI DIADA.
{Ferrarese. S.)
Piangi, Ferrara mia, leggiadra e bella,
E di lacrime amare or bagna el volto
Da poi che amara morte oggi n' ha tolto
Di Diada il suo Piero, anzi tua stella.
Ma chi non piangerà sentendo quella
Tenera madre dir sopra el sepolto:
« Figliol, più non ti veggio e non V ascolto !
Or fussi io teco e con la tua sorella ! »
Pensi chi ha pietà punto nel core
Quando prima in sul letto in ver la madre
Rivolse gli occhi in ne la strema unzione,
E suspirando disse: « Mio dolore
È eh' i' non veggio el mio tenero padre,
Che desse a me la sua benedizione. »
^ Star con teco ecc. A vivere la vera vita de"
Beati ; che questa del mondo non è vita, ina è
morte, come cantò il Petrarca, là dove scrisse :
Di questa morte che si cliiania vita.
SONETTI. 121
SONETTO CXIV.
SULLA MORTE d' UNA DONNA.
Quel nostro antico e gran perfetto amore
A pianger teco mi conduce e invita,
Pensando che per morte ora hai smarrita
Colei che in elei se ne portò il tuo cuore.
Ma ne conforti in el comun dolore
Quella virtù d' un corso di tua vita,
Quando Fortuna die maggior ferita,
E sempre in porto intrasti con onore.
Or questo sia al comun colpo un unguento,
Suavissimo amico, che nel cielo
Costei ti vede, e Giove ama et ascolta. '
Di sé lassato t' ha il bel nome e '1 velo,
E spera in el gran dì questo contento
Per sempre rivederla un' altra volta .
SONETTO CXV.
DELLA MORTE DELLA DUCHESSA DI CALABRIA.
Piangi, Partenopè, piangi el tuo sole
Ch'oggi ha lassato in tenebre la terra,
Piangi Ippolita 2 tua, che in ciel si serra.
Ove del viver suo cor frutti vuole.
' Al comun colpo. Nel nostro comune dolore ci
sia di conforto questo, che ella ti vede, e Dio le
vuol bene, e ascolta le sue preghiere.
2 Ippolita. Duchessa di Calabria, e madre, co-
me vedemmo, della Duchessa di Milano.
122 SONETTI.
Morte del pianto tuo si scusa e dole
Dicendo: Il cielo a te fa questa guerra,
Però che V arco mio lui sol disserra,
E non sono com' altri creder suole.
Di speranza T inferno è pien per lei, i
Che in grazia è tanto fatto al Re del cielo.
Che da' suoi prieghi scender può salute.
Ma pien d' invidia è il regno de li Dei,
Che Giove dessi a lei tanta virtute
Che più di lor non abbia agli occhi il velo.
SONETTO CXVI.
PER LA MORTE DEL DIVINO LUIGI DE' PULCI FIOREN-
TINO.
Chi cercassi oggi ben da T orizzonte
A dove il mondo acciecaz per l'occaso;
Dalle fredde umbre a dove scorse il caso 3
Del troppo ardito e misero Fetonte;
Nessun troverà mai con lieta fronte,
Né che di pianger pensi esser rimaso,
Poi che morte alle suore di Parnaso
Tolto ha lor dolce alunno al sacro monte.
Però piangete, o vergini devote,
1 Di speranza. Questa speranza de' dannati,
con tutte le esagerazioni che seguono, sono adu-
lazioni di pessimo gusto, ed anzi gofte che no.
2 Accieca. Diviene oscuro, sì che altri male ci
può vedere.
3 Scorse per Occorse , Avvenne , è assai strano.
SONETTI. 123
Col vostro Apollo, poi che quella rompe, '
Che Orfeo già securò pe' regni stigi
Voi eh' eri a questo tempio pur coloni
Sendo caduto, in voi dormili le pompe,
Insin che '1 cielo a voi renda Luigi. 2
SONETTO CXVII.
FEK LA MORTE D'UN FALCONE PEREGRINO DEL DUCA
DI MILANO.
Qui morto vive (se morir non suole
Fama nel mondo) di virtù T onore.
Un peregrin, che usava per valore
Com' aquila volare insino al sole.
D'ogni clima del mondo alle parole
Di Giovan Galeazzo, a lui signore,
Sare' tornato: or, per mostrargli amore,
Eterno in versi da' poeti el vuole.
Sua morte è pace della lunga guerra ^
D' ogni animai vestito de le piume,
Che sicuri da lui mai seppon dove.
^ Quella rompe. La lira, che già fé' sicuro Or-
feo per i regni di Stige , cioè per l' Inferno.
2 Voi ch'eri ecc. Voi che pure abitavate quel
tempio, dove Luigi si onorava; essendo esso ca-
duto, cessate da ogni pompa ecc. Qui non corre
la rima: forse il verso IS'* aveva: A questo tem-
pio sacerdote.
3 La sua morte è pace degli uccelli, che non
seppero mai dove potere esser sicuri da lui.
124 SONETTI.
Ritrovavano e pesci al londo al fiume, i
E gran venti forava, e mosse Giove
A veder nuovo fulgore a la terra,
SONETTO CXVIII.
MORALE, ESORTANDO CIASCUNO A VOLERE QUELLO CHE
IL CIELO VUOLE.
Quanto fé' ben colui che tutto regge
Che questo uom fussi fragile e mortale,
Onde poi, conosciutosi esser frale.
Pili in questa vita el suo viver corregge !
0 che natura e '1 ciel voglin per legge,
E fìa nostro 1' error, par naturale
Che '1 più degli anni nostri abbin del male,
Anzi pur tutti a chi misura è legge. 2
Or con vostra prudenzia assai v' esorto
Che almeno in voi sia T animo felice
Che far lo può, chi voi quei che '1 ciel vole,
1 Ritrovavano. Forse è da leggere ritornava-
no; 0 forse da intendersi Ritrovavano il fondo:
fatto sta che questo falcone, che faceva paura
anche a' pesci, che forava i venti, e che parve
a Giove un fulmine di nuovo conio, sono cose
■veramente strampalate, e da abboccarle solo gli
Accademici della Crusca, a' quali si vede che
passò d'occhio queir accieca del secondo verso ;
perchè, se no, l'avrebbero tosto abboccato.
2 Anzi pur tutti ecc. Anzi tutti hanno del ma-
le, secondo il pensar di coloro a' quali è legge
il vivere con misura.
SONETTI.
125
Ma non sapete voi che la fenice,
Per rifarsi più bella, mai si duole
Nel foco ardendo? Or così voi conforto.
SONETTO CXIX.
SUPPLICA NOSTRA DONNA CHE SI DEGNI LIBERARK 11.
DUCA INFERMO.
Vergine eletta dal superno chiostro,
Vergine sacra, imraaculata e pura,
0 vero fundamento, ove si mura
Ogni rimedio qui del peccar nostro. ^
A te il pianto e'I dolor del duca è mostro. 2
Che quasi el sol nel ciel di doglia iscura;
Sendo offeso ogni ben de la natura,
Fate voti, o mortali, or del ben vostro.
Ave Maria, o d'ogni grazia piena,
Per quel diletto tuo bel parto santo,
A Giovan Galeazzo or sia pietosa,
Pon fine al mal, eh' è de' suoi servi pena;
Vedi che bagna el bel volto di pianto,
E in te sperando, afflitto giace e posa.
SONETTO CXX.
PER L\ MORTE d' UNA DONNA.
Pallide e scure, interriate e smorte
Veggio le labbia già eh' e dolor miei
' 0 vero fundamento. Questa metafora del foii-
rlainento e del murare, è assai ben condotta.
2 È mostro. Ti è mostrato, Tu lo vedi.
126 SONETTI.
Solevan consolare , o sacri Iddei ,
Gloria è di voi per sì dolce consorte.
Natura, e Fati, el Ciel fortuna e Morte
Voluto hanno esaltar tanto costei
Che potenza non han gli spirti rei
Conducer questa diva a la lor corte.
Scurato hai, morte, il sol di quel bel volto,
Che fu de' nostri passi e duce e scorta,
,0r col pianto el mio duol medico et armo.
invida morte, el fiore acerbo hai colto.
Se '1 secol piange lei che è viva morta
De '1 suo bel velo è reda un freddo marmo. •
SONETTO CXXI.
FATTO IN NOME DELL'ACCADEMIA BOLOGNESE QUANDO
ACCADDE LA MORTE DI LORENZO DE* MEDICI.
Vedova trista, lacrimosa e mesta,
Nostra Accademia si lamenta e duole,
Ripensando a' tuoi versi e le parole
Di che sempre fu bella e tanto onesta.
j|^ Dove son le accoglienze e la tua festa?
Tutto perdemmo in un girar di sole!
1 Cìi' è viva morta. Questo giuoco del vivo
morto comincia a stuccare, perchè ogni bel giuo-
co vuol durar poco ; ed è parimente una scioc-
chezza queir erede del velo un freddo marmo.
• SONETTI. 127
Unde le Muse, paurose e sole,
In grembo a lacrimarmi t' hanno desta. ^
Vien dunque a consolar le mie sorelle
Poiché Natura te l'ha fatte amiche,
Che ben si ride un giorno e mille piagne.
Così potrai dir lor: Voi fusti belle,
Or non piangete più le mie fatiche,
Perchè fortuna a' buon tende sue ragne. ^
' SONETTO CXXII.
MORALISSIMO RICORDANDOSI LA MORTE E DIMOSTRANDOSI
QUANTO l' uomo S' INGANNA.
0 glorie vane dell'umane pompe.
Vostra burbanza quanto poco dura! 3
Instabile e volubil per natura
Quanto il ciel cuopre, il tempo alfin corrompe.
L'umana plebe afflitta si dirompe
In cercar pace, e pur truova paura,
Sospetti, dubbj, incendj, o morte scura,
Che 'q un punto divide spezza e rompe.
1 In grembo ecc. Le Muse, o Accademia, hanno
destato te a lacrimarmi in grembo.
2 A' buon tende ecc. È parafrasi di quel del
Petrarca : Morte fura Prima i migliori. Suo per
Sue, e Suoi dissero spesso gli antichi.
3 0 glorie vane ecc. È travestito quel di Dan-
te : « O vanagloria delle umane posse Com' poco
verde in sulla cima dura ! »
128 SONETTI.
Abbracciator di sogni nebbia o vento,
Vostre opere e speranze son dipinte
Dinanzi a chi gastiga e premia altrove.
Sospiri in collo e noje a' fianchi cinte
Abbiam vivendo; or morte vi rammento.
Che non sappiamo il quando, '1 come o '1 dove.
SONP]TTO CXXIII.
PER LA MORTE DI MADONNA LUCREZIA MADRE DI LO-
RENZO de' MEDICI. '
Ardita inesorabile e superba
Morte, d'eterna infamia oggi se' reda.
Dice Natura: ancor non par ch'i' '1 creda
Ch' eli' era alquanto al mio bel cesto acerba. 2
Vedova è Flora di fioretti e d'erba.
Poiché Morte pomposa è di tal preda,
Chi sarà quel eh' a lacrimar non ceda
Se dell' opere sua memoria serba ?
Sopra il ricco sepolcro e le fredde ossa
Piangi, profana turba, in veste negra
Lucrezia posta in ultimo silenzio.
^ Madonna Lucrezia. Essa fu Lucrezia Toma-
buoni madre di Lorenzo, donna di altissimi sen-
timenti.
2 Al mio bel cesto ecc. Paragona la vita a un
cesto, a una pianticella, e dice che la morte di
Lucrezia fu immatura. Bel cesto si dice adesso
ironicamente e per dispregio: Tu se' un bel cesto t
ma, come altri antichi lo dissero sul serio, cosi
fa, com' è naturale che faccia, il Bellincioni.
SONETTI.
12^
Misera età d' ogni baldanza scossa,
Or puoi ben dir: Chi mi tenea allegra •
Gusta in ciel dolce il nostro amaro assenzio. 2
SONETTO CXXIV.
IN LAUDI! d' un CAVALLO DEL DUCA DE MILANO CHIA-
MATO EL BATAGLIA.
0 famoso Bataglia, o gran Melampo,
Bucefalo , che scuoti el pavimento ; 3
Che un folgore se' proprio, un fiume, un ventx)
Da romper, solo urtando, ogni gran campo.
Tu nel corso veloce accendi un lampo,
Che Pluton triema, e insieme ogni elemento:
Ciascun fare' del proprio sangue unguento.
Per dar rimedio al tuo famoso scampo.
0 feroce Lione, o Drago umile !
L'ultimo e '1 primo se' sotto la luna
Per fama, per virtù, pregio et onore.
1 Mi tenea allegra. Era cagione oh' io fossi
lieta, e quasi andassi superba delle rare qualità
di Lucrezia.
2 Gusta in ciel dolce. Gode in cielo vita se-
rena e dolce, quella vita che per noi è amara e
dolorosa.
3 Bucefalo si sa che fu il cavallo d'Alessandro
Magno: Melampo è nome di cane; ma forse lo
chiama cosi per rispetto alla velocità del suo
corso. Del rimanente son tutti sonetti esagerati
e grossolani. •
130 SONKTTI.
Ben fu invidiosa e ingrata la Fortuna,
Che fu ministra al colpo basso e vile,
Per turbar forse al nostro Duca il core. ^
SONETTO CXXV.
d'uno cavallo.
Signor, sia maladetto lo Spagnolo,
Che forsi iscorto e' m' ha per un babione,
Averme dato un certo carrettone, 2
Che par de la pigrizia il suo figliolo!
Per nulla i' non andrei con questo solo,
Perchè di cani e lupi. Io stallone, 3
E proprio calamita, o Belinzone :
E se ne ride, el viso di fagiolo ! *
E'par proprio a l'andar che giochi a scacchi, 5
E però sarà bon per una rocca :
Più vago che la volpe è de le macchi/è
' Per turbar ecc. Pare che lo facesse per
l'occasione che questo cavallo, o si ammalò, o
cadde, o checché altro.
2 Carrettone. Cavallo da carrettone.
3 De'cani e de' lupi ecc. I cani e i lupi gli sono
attorno, sentendo il puzzo di carogna.
4 Viso di fagiolo. Dice che il cavallo se ne
ride, alludendo forse al suo rignare.
5 Giochi a scacchi. Va a salti per diritto , e
per traverso, come sono le mosse de' pezzi de-
gli scacchi.
6 De le macchi. Delle macchie.
SONETTI. 181
Ha pur una virtù, che ha bona bocca
Per consumarmi : e per che meglio insacchi,
Ad ogni passo el fa la mazacrocca. '
Di corbi r aer fiocca,
A r odor del leardo, anzi moscato, 2
E vuol che ad ogni Santo io sia votato. 3
Da lui sarò segnato *
Come i dodecimilia in tribù Juda;
Ma non di bene a me, eh' e denti muda. 5
SONETTO CXXVI.
d'uno cavallo.
Signor, per questa grazia a te sol vegno
Che tu dia quel cavallo al Belinzone ;
Ma non sia quel che già fece Sinone, 6
Che entrando in Troja sai che fu di legno.
' Fa la mazacrocca. Inciampa, e sta per ca-
scare.
2 Moscato. Ironicamente per Puzzo orribile.
3 Ad ogni Santo. Ch' io mi raccomandi ad
ogni Santo, mettendomi sempre a pericolo di
rompere il collo.
4 Sarò segnato. Allude al De tribù Juda diio-
decim millia signali-
5 E denti muda. Gli muta.
6 II cavallo di Sinone era di legno; entrò in
Troja coi Greci che erano nascosti nel' suo
ventre.
182 SONETTI.
Fa eh' el non faci ad me di piover segno
Che balenando i me faci pedone,
Da medico el vorrei, non dal tincone,
Ch' io ne scendessi spesso con isdegno.
Non tei chieggio da sposa o da carretta :
Damel come tu vuoi, che quel bon fia,
S' el fusse ben di lupi una civetta. ^
S' el fusse quel che cavalcò el Messia ^
Quel pel gigante el Belinzon l'aspetta.
L'andar a pie mi par gran malatia.
Sopra tutto ch'el sia
Da mangiar poco, et sia dolce a la mano,
Che cavalcar lo sappi uu Veneziano. ^
1 Balenando. Il baleno è segno di pioggia ; e
balenare si dice di chi va traballando qua e là,
come fanno i briachi, o chi mal si regge sulle
gambe. Di qui il giuoco di parole.
2 Di lupi ecc. Che invitasse i lupi, col suo
odor di carogna, come la civetta alletta gli uc-
celli.
3 Che cavalcò ecc. Cioè, se fosse un asino.
4 Un Veneziano. In Venezia non vanno attorno
cavalli, andandosi solo, o per acqua o a piedi;
e però i "Veneziani son mal pratici del caval-
care.
SONETTI. 133
SONETTO CXXVII.
d' un cavallo.
Signor, le risa non potrai tenere ,
S' i' ti discrivo un tristo mio cavallo :
Vero è che mai un pie non mette in fallo,
Ma tutti quatro si , per suo piacere.
E' non fa tanti inchini un camariere,
Et a lo sprone ha sempre vecchio el callo : *
A la biada più fiero el par eh' un gallo,
E s'el va a concio a concio da cadere. 2
Da fatica un cavallo i' ti vo' dare ,
Mi disse quel che me T avea venduto;
Ma non intesi el logico parlare.
E' disse el ver; che quando egli è caduto,
Con gran fatica vinti el fan rizare:
Le gallete ha ciascun che 1' à veduto.
Soneresti el liuto 3
Al ventre: or su faccianne una lanterna,
Ch' una panciera egli ha 'n una lucerna. ■*
^ A lo sprone ecc. Non sente nemmeno le pun-
ture dello sprone.
2 S' el va. Quando cammina, par sempre che
sia in procinto di cadere.
3 El liuto. Ha la pancia gonfia come quella
de' liuti.
4 Una panciera ecc. Ha un occhio tutto in
fuori e rigonfio ; che sembra ci abbia una pan-
ziera.
l'M sonett'ì. .
SONETTO CXXVIII.
d'un cavallo.
Non mi dar quel cavai di poesia , '
Né sia di sancto Stefano divoto :
So che m'intendi, certi amici noto.
Che fan di lor promesse tragedia.^
Non mi dar quel che cavalcò el Messia,
Che far mi facci qualche stranio voto,
Che paja a cavalcar proprio un tremoto;
Non facci a Santo Anton la ciurmerla.
E ti ricordo ch'io non so notare;
Che, s' el volesse in qualche fiume bere,
Che non mi faccia la credenza fare. 3
r non son Giona, intendi nel tacere;
Da rocca o da mulino non mei dare,
Né anche sia da gli occhi balestriere. ^
1 Non mi dar ecc. Non quel solito cavallo di
legno, detto innanzi ; né un cavallo che sia buono
solo a mangiare. Stefano si disse per lo stomaco ;
e però dice divoto di santo Stefano.
2 Fan di lor promesse ecc. Le uccidono , non
le mantengono.
3 Non mi faccia ecc. Non mi getti nell'acqua,
affinchè io assaggi l'acqua ch'esso dee bere; che
Far la credenza era l'assaggiar le vivande che
mangiavano i principi, sospettosi di veleno.
•* Sia da gli occhi. « Non Istrabuzzi gli;occhi >
annota il Salvini.
SONETTI. 135
Mi farai gran piacere,
Stu mei (lai che non para una lanterna,
Né com' un ebro fuor de la taverna. '
SONETTO CXXIX.
AL CONTE SORELLA.
Conte Dorella mio, grato et humano,
Servite d'un cavallo el Belinzone,
Che quando el fusse pur un bel ronzone, 2
Pur che mi porti un po' sino a Milano.
L' officio del corrier non mi par sano ,
Ma SI del cavalaro al paragone : 3
So che m'intendi ben per discrezione.
Che altrimenti a lo amico non la spiano.
S' el fusse pur buon vento pel navile ,
0 quel che Balaam fece cadere,
Dirò questa chinea mi par gentile.
Tu intendi quel eh' è bon ne lo scachiere ,
E se gli andrà da 1' orator sottile *
Del Duca di Ferrara, e' m' ha a piacere.
1 Né come un ebro ecc. Cioè che non baleni,
non traballi. Tutto il Sonetto è una rifrittura del
precedente.
2 Ronzone. Un ronzino grande e sgarbato.
3 Coì'rier. A questa voce il Salvini annota
« Corriere pedestre; e a Cavallaro , Corriere a
cavallo. »
4 Da Voralor sottile- Questi era Ermolao Bar-
baro; e fa il giuoco di parole col cavallo bar-
baro o barbero.
136 SONEITI, j
.■ 'i
Ma non mi par dovere, i
Se da mulin tei chieggio , o pur da frati , i
Che boa tu non mei dia per istroppiati. •]
SONETTO CXXX.
d'un camallo.
Sonetto, va, ricorda quel cavallo
A Ludovico , e torna coli' ulivo , '
E di' come in sua camera ti scrivo ^ii
Per esser del ver chiar come cristallo. ì
Dietel pur come vuole, in fuor che giallo,
Ma non dipinto: intendi ch'i"! vo' vivo.
Insino a or non V ho buon ne cattivo, ,
E cogli sproni in pie son come el gallo. ]
Se fussi Polifemo, o balestriere 2 •'
D' un ochio, da le fosse andrò discosto, v
Per non voler pigliar ranochi et bere. i
Non sia '1 cavai di Francia : un bel tantosto : \
Que' corti sono lunghe da sparviere \
Dove gli omin si giron com' arosto.
1 Coli' ulivo. « Con la grazia » annota il Sal-
vini.
2 Balestriere. I balestrieri nel pigliar la mira
chiudono un occhio ; e però dice s' e' fussi ba-
lestriere o Polifemo, cioè, se avesse un occhio
solo.
SONETTI. 137
SONETTO CXXXI.
AL SIGNOR MARCHESE, D'UN CAVALLO ME DEDE A VO-
GHERA.
Son a cavallo in su nun carrettone ^
Che da' lupi defender non lo posso : 2
A ogni passo el me mina adesso
Che scapuzar sa ben in un cialdone.
Un tesoro varrìa sendo falcone,
Poiché '1 casca si ben in ogni fosso :
Altro non ha se non la pelle et 1' osso.
Non cavai da faction, da disfatione.
Da fatica fu ditto è bon cavallo:
Et disse el ver, che quando egli è cascato
Hanno fatica vinti da rizallo.
Ma d' un' altra virtù son ingannato :
Chi '1 me die disse: Un pie nun mette in fallo,
Ma, ben con tutti quatro egli ha fallato.
Poi fa lo spiritato
S'el vede pur un uccellin volare:
Con le bombarde noi faresti andare.
Che non m' abi a portare
A Genoa ? per dio n' ho gran paura
Che non mi porti in qualche sepoltura.
^ Carrettone. Cavallo da carretta.
2 Da' lupi ecc. Così qui, come per tutto il so-
netto, ripete ristesse parole e pensieri signifi-
cati ne' precedenti sonetti sopra i cavalli.
138 SONETTI.
SONETTO CXXXII.
d' un cavallo.
Intendo, Monsignor, venirne teco
S' i' fussi ben con una gamba a gruccia:
Andar parrami in bucintoro e 'n cuccia, i
E la chiocciola far eh' à '1 nidio seco.
E s' i' non posso far cantare un ceco,^
E quel eh' i' ho in su l'osso sol la buccia,
Verrò come '1 fardello o la bertuccia ; 3
E stu mi dai il cavai non sia quel greco.
Se quel di Balaam potessi avere ,
E' mi parrebbe una chinea sì bella
Ch' i' canterei il fecZeo per miserere.
Seguirò te come que' tre la stella,
Stu mi fai cavallaro e non corriere:^
Tu intendi il suon di questa ceremella.
S' i' non posso ire in sella ,
D' esser contento il tuo servo t' avise :
Con uno andrò in scambio di valise. ^
y E 'n cuccia. Nel letto. Parrammi di viag-
giare con ogni agio.
2 S' i' non posso. Se sono privo di denari. Si
dice tuttora : Non ho da far cantare un cieco.
3 ygffò come ecc. Verrò come se io fossi un
fardello di tua roba, o la scimmia.
4 Stu mi fai ecc. Se tu mi fai venire a ca-
vallo, e non a piedi.
5 Con uno andrò. Anderò con qualcuno de'fa-
luiliari tuoi in cambio di valigia.
SONETTI. 1.39
SONETTO CXXXIII.
ANDANDO CON MONSIGNOR DI MANTOVA COME AVEA PRO-
MESSO.
A ciò che de la fede i' non ti manchi
Dreto ti son corno Matheo venuto, '
Con un vecchio rozon,^ che fu^ veduto
La carretta tirar insin pe' Bianchi.
r mi levai stamani anch'io co' arranchi
Con questo mio cavai si mal pasciuto,
Ch' e lupi tutti el conoscerno al fiuto ,
E noi farebbon ir due spiedi a' fianchi.
Egli è del santo d'oggi sì devoto
Che sempre inginocchiossi a ogni passo,
Tal che m' ha fatto far già più d' un voto.
E sempre trae duino, e non mai T asso 3
Quando io lo tratto come galeoto,
E però so che a un qualche stremo passo
D' ucellacci un fracasso
Verranno, Monsignor, per tormi quello,
E forsi a voi torrebbon il Cappello. ^
' Como Matheo. Cristo disse a Matteo : Se-
quere me.
2 Rozon. Una rozza grande ; un cavallaccio
mezzo rifinito. Forse anche nel sonetto 129, il
poeta scrisse Rozzorie, e non Ronzone.
3 Trae duino. Tira calci a doppio, o, come di-
cesi, coppie di calci, né mai tira l'asso, cioè con
una sola zampa. Metafora presa dal giuoco di
sbaraglino.
4 11 Cappello. Monsignor di Mantova era Car-
dinale.
140 SONETTI.
Che Romulo e '1 fratello
Già, cavalcando dui lor ronzon vecchi,
Ciascun degli avoltoj vide parecchi.
SONETTO CXXXIV.
d'un cavallo .
Signor Francesco, s' i' non son venuto
Sì presto a visitarti al tuo palazo,
Cagion n' è stato un certo cavai pazo,
Che 'n ventottanni me fece canuto.
Più d' una volta adosso m' è caduto ,
Et sendo cavaglier, fatto ragazo;
Et di can drieto avevo un populazo,
Tanto ch'i' ero un canatier tenuto.
Co' corbacchion facevo la civetta, '
Vagendone per 1' aria tanti intorno ,
Ch' i' dissi : E' mi torrano la berretta,
E' fu per farmi arosto el primo giorno;
Ma mi giovò la bocca un poco istretta ,
Ch' entrar volea com' una torta in forno.
Mi vo' sforzar col corno
Quando i' penso eh' un fiume ebbi a passare,
E provo ben com' io sape' notare.
Non si potre' pagare,
Signor, per uccellare a le bovine, 2
Egli è da far d'agosto gelatine.
1 Facevo la civetta. Chinavo il capo, per iscan-
sar le loro beccate.
2 Uccellare a le bovine. Forse allude alla cac-
cia del Bue, la quale può vedersi descritta ap-
presso VOÌina.
SONETTI. 141
SONETTO CXXXV.
A LORENZO DE MEDICI, D' UN CAVALLO IN PRPSTO , E
POI RIMANDANDOGLI IL CAVALLO GLI FECE QUESTO.
r ti rimando il tuo carretton bajo,
Anzi proprio sbiadato e da bolsena , ^
r parevo in su questa tua balena
Una matassa in su 'n un arcolajo.
La festa fu passando i'dal Renajo^
Che l'aria di cornacchie fu sì piena,
Ch' i' restai al bujo: ell'aspectavon cena,
Veggendo apparechiato ogni vagliajo. 3
Vo' tu veder se gli era in tutto idonio?
Per dargli bere entra' n' un certo Iago:
E' parve che vedessi Sancto Antonio.'*
SONETTO CXXXVI.
d' un CAVALLO.
Per dirti prima eh' i' cavalco a Pisa
Con un certo cavai bolso e balzano,
1 Da bolsena. Cioè bolso.
2 Renajo- Luogo in Firenze, che ha tuttora lo
stesso nome.
3 Ogni vagliajo. Tutti i vaglia.) stavano pronti,
aspettando di poter aver la pelle del cavallaccio.
"^Che vedessi Sancto Antonio. Cioè s'inginoc-
chiò. Il Sonetto nella stampa non ha la sua fine :
forse lo stesso autore lo lasciò incompiuto; e il
prete Tanzi editore lo stampò anche così smoz-
zicato.
J42 SONETTI.
Ch' a vedermivi su col catelano, '
Caton ne scoppierebbe dalle risa.
Questo bajone agli occhi è a tal guisa
Zimbel delle cornacchie tanto strano,
Che r andar a Legnaja gli è Montalbano, 2
Et ogni sasso co' zamponi schisa. 3
Noi farebon crollar gli spiedi affianchi,
Ma '1 catelano mi dà più passione,
Che per ch'i' vada proprio a pigliar granchi.
Sena de' Frescobaldi el gonfalone 4
Fa eh' i' non resti, Neri mio, de' bianchi,
S' i' trovassi il piovan d' un bon targone :
r mangio del cappone
In questo mal per che e' m' usi guarire,
Ch'un ovo son portato a benedire.
SONETTO CXXXVII.
d'un cavallo.
E' mi rincresce di me, che son tale
Qual si conviene al tuo ingegno sottile
1 Catelano. Veste ampia alla catelana. La Cru-
sca ne reca due esempj di prosa, del secolo XVI,
e la registra fra le voci vive, usate e usabili. (!)
2 L'andare a Legnaja. Il più breve tratto di
via è per lui un gran viaggio. Legnaja è un pae-
sello appresso Firenze.
3 Schisa. Sdrucciola ad ogni sasso che trova.
4 Sena de' ecc. Questa terzina debb' essere
errata nella lezione ; né ho trovato codice che
ine la corregga.
SONETTI. 143
Ch" ogni antico e moderno egregio stile
Basso sarebbe al voi de le tue ale.
Honor, gloria, splendore essenziale
Ch'allumi ogn' intelletto e cor gentile,
Riceveme, ben eh' io sia basso e vile :
l'vegno ancilla al tuo trono immortale
De' dammi quel che cavalcò el Mesla '
Colla muletta, s' altro aver non posso,
Che 'n un fiume gittorai a Marcherla ;
E di qua da Cremona poi 'n un fosso ,
Tal che '1 lamento fé' di Geremia :
Se non pur drieto a te mi vedrai mosso
Colla cucina addosso
Come Giusepo el dì del Corpus Domini,
Che parea legatuzol quel agli omini. «
SONETTO CXXXVIII.
d' una osteria.
Questo, Signor, ti fo in una osteria,
Anzi mi par più presto uno spedale ;
1 Quel che cavalcò ecc. Un asino.
2 Cheparea legatuzzol ecc. Anche questo verso
debb'essere di errata lezione; né so cavarne co-
strutto. Fatto sta che il Poeta supplica il Signore
a dargli una cavalcatura purché sia, anche un
ciuco , e anche una certa muletta che lo gettò
in un fiume presso a Marcarla, acciocché possa
accompagnarlo in un viaggio che il Signore do-
veva fare.
JL42 SONETTI.
V
Ch' a vedermivi su col catelano, '
Caton ne scoppierebbe dalle risa.
Questo bajone agli occhi è a tal guisa
Zimbel delle cornacchie tanto strano,
Che r andar a Legnaja gli è Montalbano, ^
Et ogni sasso co' zamponi schisa. 3
Noi farebon crollar gli spiedi a' fianchi,
Ma '1 catelano mi dà più passione,
Che per ch'i' vada proprio a pigliar granchi.
Sena de' Frescobaldi el gonfalone 4
Fa eh' i' non resti, Neri mio, de' bianchì,
S' i' trovassi il piovan d' un bon targone :
r mangio del cappone
In questo mal per che e' m' usi guarire,
Ch'un ovo son portato a benedire.
SONETTO CXXX\ II.
d'un cavallo.
E' mi rincresce di me, che son tale
Qual si conviene al tuo ingegno sottile
1 Catelano. Veste ampia alla catelana. La Cru-
sca ne reca due esempj di prosa, del secolo XVI,
e la registra fra le -voci vive, usate e usabili. (!)
2 L'andare a Legnaja. Il piti breve tratto di
via è per lui un gran viaggio. Legnaja è un pae-
sello appresso Firenze.
3 Schisa. Sdrucciola ad ogni sasso che trova.
4 Sena de' ecc. Questa terzina debb' essere
errata nella lezione ; né ho trovato codice che
me la corre gf? a.
SONETTI. 143
Ch' ogni antico e moderno egregio stile
Basso sarebbe al voi de le tue ale.
Honor, gloria, splendore essenziale
Ch'allumi ogn' intelletto e cor gentile,
Riceverne, ben eh' io sia basso e vile :
l'vegno ancilla al tuo trono immortale
De' dammi quel che cavalcò el Mesla '
Colla muletta, s' altro aver non posso,
Che 'n un fiume gittomi a Marcheria ;
E di qua da Cremona poi 'n un fosso ,
Tal che 'I lamento fé' di Geremia :
Se non pur drieto a te mi vedrai mosso
Colla cucina addosso
Come Giusepo el dì del Corpus Domini,
Che parea legatuzol quel agli omini. ^
SONETTO CXXXVIII.
D' una OSTFRIA.
Questo, Signor, ti fo in una osteria,
Anzi mi par più presto uno spedale ;
1 Quel che cavalcò ecc. Un asino.
2 Che parea legatuzzol ecc. Anche questo verso
debb'essere di errata lezione; né so cavarne co-
strutto. Fatto sta che il Poeta supplica il Signore
a dargli una cavalcatura purché sia, anche un
ciuco , e anche una certa muletta che lo gettò
in un fiume presso a Marcarla, acciocché possa
accompagnarlo in un viaggio che il Signore do-
veva fare.
144 SONETTI.
Eir è la penitentia al naturale
E r ostiere è fratel de la pazia.
El pan mette la barba tuttavia; '
Un vin, che a non ne ber non po' far male ;
Ma el peggio è de la casa fatta a gale, 2
Che '1 parletico proprio par che sia.
La ti parebbe un bel fico maturo,
Crepata e fessa, e stanza da ranocchi,
E per pietà ne lacrima ogni muro.
Se vuoi che d'una camera io ti tocchi,
EH'è da quei che studian nel futuro,
Che '1 tetto mi par Argo da cento occhi. 3
Col capo infra' ginocchi
Mi sto : eh' io pajo proprio uno spinoso ;
Che d' altro che di mogli i' son geloso. 4
SONETTO CXXXIX.
d' una casa.
Non so quel che si frappon d' Amphione, 5
Che usando la sua cetra ben sonare
1 Mette la barba. Ha la muffa.
2 Fatta a gale. La casa è tutta scalcinature
e crepacci, e traballa stranamente.
3 EU' è ecc. È una camera da astrologhi, per-
chè, stando in essa, posso far l'osservazione delle
stelle dalle buche che sono nel tetto.
4 D'altro che di mogli ecc. Sono geloso, mi
studio di ripararmi da' pericoli che ci sono a
star qui.
5 Si frappon. Vanno dicendo , Millantano. Si
duole che la poesia hji perduto ogni credito , e
SONETTI. 145
Facea le pietre in sul muro saltare:
Questo già non riesce al Beiinzone.
Se fussi oggi, e' parebbe el bel minchione,
Se credessi di suon voler pagare,
Se non volesse di sua man murare,
Portar calcina et ancor far sabione.
Un dì provai con versi et con la cetra ;
Suona e risuona, e la pur dolci canti,
Non vidi però mai muoversi pietra.
L' altro giorno, sonando con cantanti.
Trovai come tal grazia oggi s' impetra :
r dissi : Or questi sono i veri incanti.
Se ' ciel e tutti e Saoti
Lo dicessi n per certo, noi siam chiari,
Ch' el non si può murar senza dinari.
SONETTO CXL.
DOMANDANDO UN LOGIAMENTO AL BARGELLO.
Stu se' cortese, o dolce mio Barcello,
Provedi al Belinzon de logiamento, '
che non è piti efficace come ai tempi di Anfione ;
e che adesso, per satisfare a'bisogni della vita,
ci vogliono denari, e non versi. Pare che il poeta
stesse fabbricando una casa; e con questo scherzo
di Anfione, che ora parrebbe un bel minchione.,
chiedesse di traverso denari al suo signore,
' De logiamento. Certo il Beilincioni scrisse
d' alloggiamento j e questo de logiamento è un re-
galo fattogli dall'editor milanese. Ora la edizione
milanese è citata dalla Crusca: registrerà essa
logiamento per voce usata dal Beilincioni ?
10
146 SONETTI.
t
D' un letto che non sia, a starvi drento,
Come sta ne la rete el figatello.
E non mi fare star come uno ucello
'N una camera a gabbia : i' ti rammento,
Come di state è bon il frescho vento :
Però non mi trattar da saccardello. i
S' el te avanzasse qualche scodellino,
Dalo a me, non di que'che ti dà il Duca;
Pien di savor tei chiede il Fiorentino.
Stu mi tien V animai di santo Luca, 2
Rispondo : E' non s' imbotta chiaro il vino.
Ma il tempo par che chiaro lo conduca. ^
Non qualche strana buca
Mi dar, che per discreto pur ti predico.
Con qualche ricco prete, o magno medico.
1 Saccardello Non mi trattare come se fossi
un bagaglione, o un uomo vile qualunque.
2 Animai di santo Luca. Il bue. Il popolo dice
scherzevolmente 1' uccelUn di S. Luca.
3 Non s' imbotta ecc. Il mosto si chiarisce col
tempo. Vuole inferire che, se ora gli sembra uomo
di niun conto , a poco a poco lo conoscerà per
da qualcosa; e però non lo tratti senza verun
riguardo.
SONETTI. 147
SONETTO CXLI.
d' una trista casa quale abitava.
Una casa frappata uso abitare, •
Che a farvi pure uno stranuto drento 2
Diresti allora: un gran tremoto i' sento,
Sì forte per un' ora usa tremare.
Ogni volta che v' intro i' m' ho a segnare,
E porto sempre a lato de l'unguento:
La triema come foglia ad ogni vento ,
Che dove nacque Christo è meglio stare. 3
D'ape e di ragni casa usa parere, <
Alla spagnola ancora un bel giupone;
Con quatro rave si fare' cadere,
El tetto aperto par proprio un mellone ,
Quando è piovuto : un palco è da temere
Che mi par porre i pie su n' un cannone,
Habbi compassione :
La promessa calcina or fa che abia
Che muri, e possi uscir di questa gabia.
1 Frappata. Che pare smerlata, tante sono le
sue scalcinature, e le crepe.
2 Che a farvi. Sta sì male in piede , che, fa-
cendovi uno starnuto, traballa tutta come per tre-
moto.
3 Dove nacque Cristo. In una stalla.
4 D' ape ecc. È pieno di vespe e dì ragni :
pare un giubbone alla spagnola , tutte toppe e
strappi: gettandole contro quattro rape, si atter-
rerebbe.
148 SONETTI.
El Belinzon arabia
Con ratti, con zenzal ; ma vo' ti dire '
Ch' i' uso con la maschera dormire.
SONETTO CXLII.
AL SIGNOR MARCHESE CHIEDENDOGLI PIETRE E CAL-
CINA.
Marchese, Ovidio ho Ietto per piacere,
Ov' è più d'una sua transmutazione:
Dice diventò cervo uno Atteone ;
Et come Apollo diventò sparviere.
Ma tu potresti ben farmi vedere
In calcina tornar capra o capone, 2
Questo più piacerebbe al Bellinzone :
Saresti più che Ovidio al mio parere.
Se la dea delle vergin mi vuoi dare
In casa ho cuore che farà miraculo.
Perchè di pietra la farà tornare, 3
Stu mi vedesti in un certo abitaculo
Diresti : el Bellinzon un santo pare,
Poi che allogiato egli è 'n un tabernaculo.
' Con ratti ecc. Non può vivere per cagione
dei topi e delle zanzare , per liberarsi dalle quali
dorme con la maschera sul viso.
2 C'apra 0 capone. Pare che gli avesse donato
una capra e de* capponi, cui egli vorrebbe veder
mutati in pietre e calcina , volendo murarsi la
casa, perchè egli stava a disagio, e la sua casa
pareva un tabernacolo.
^ La dea delle vergin. Diana.
SONKTTI.
149
Per levar ogni obstaculo
Air intelletto, se non m' intendessi,
Vorrei calcina o pietre tu mi dessi.
SONETTO CXLIII.
DI BERNARDO BELLINZON A MESSEB GIANPIERO DA GON-
ZAGA PER LA MALATIA DI MESSER FRANCESCO FI-
GLIUOL DEL SIGNOR MARCHESE DI MANTUA.
Leggiadro spirto, al ciel sempre elevato,
In cui natura e suoi secreti infonde,
E l'effetto al parer sì corrisponde.
Che per te il secol si po' dir beato.
Ma qual caso, o fortuna, invidia o fato.
Nel suo male oggi el nostro bene asconde ? '
Qual colpa quelle chiome crespe e bionde
Ha d' un pallore el ciel sereno umbrato. 2
Forse le Parche, rigide e superbe,
Penson del divo erario aver la spoglia.
Per porne il mondo in gran miseria e lutto.
Prima del verde vedove sien 1' erbe
Che avara morte el fiore acerbo coglia, •
Che per Esperia serba un dolce frutto.
1 Nel suo male. Modo stranissimo per signifi-
care che egli, a cagione della malattia, non può
operare il bene.
2 Qual colpa. E non è meno strano quel cielo
sereno delle chiome fresche e bionde ombrato per
qualsiasi cagione.
150 SONETTI.
SONETTO CXLIV.
DI MISSER GIANPIERO DA GONZAGA PER RISPOSTA A
BERNARDO BELLINZONl DEL PRECEDENTE SONETTO
E PER LE MEDESIME CONSONANZE.
Facundissima lingua, ingegno ornato,
Diva Musa eh' ogu' altra oggi confonde,
Che chi cercassi al mar tutte le sponde
Un simil Bellinzon saria trovato.
Fortuna invida certo, e non peccato,
Turbò r ore sue liete a noi gioconde,
Ma il ciel si vergognò, che gonfiar V onde
Vide di Manto, e ne'sospir turbato.
Le Parche volien cor le biade acerbe.
Per far più lieto il ciel di nostra doglia
Da non tenerne mai più il viso asciutto;
Ma non niai più per noi si sentin verbe,
E non si truovi mai ramo con foglia.
Ch'i' perda il mio Francesco, il mio ben tutto.
ELEGÌA FUNEBRE.
PER LK MORTE DEL REVERENDISSIMO MONSIGNOR CAR-
DINALE DI MANTUA FATTA PER ME BERNARDO BEL-
LINZON FIORENTINO, AL MIO ILLUSTRISSIMO SIGNOR
FEDERICO GONZAGA.
Piangi el tuo stremo danno, o bella Esperia,
Piangi, Roma, tu piangi o sacra e alma.
La tua ruina e l'ultima miseria.
Piangete il vostro mal, non la sua palma.
Che riporta nel ciel, onde già venne,
Per tórre al mondo ogni sua grave salma
ELEGIA.
151
L' ingrata e per lui lieta che '1 sostenne
Invida terra cel nasconde e toglie,
Ma'] ciel dell'opre sue gli à fatte penne ^
Che lassù voli, e lui lieto si scioglie, *
Dal faticoso incarco, al vulgo caro:
Onde, si volge alle sue nude spoglie, 2
E dice: Or m'è palese e son ben chiaro
Che'n questa altezza al cieco viver basso
Ogni suo dolce qui s' appruova amaro.
Fu ben a lui il morire un dolce spasso,
Che mentre visse al mondo, eh' ognun preme.
Prima che sazio, del ben far fu lasso. 3
Perduto abbiàn d' ogni buon frutto il seme,
Lui del pianto mortai si gode e galde, *
Che '1 ciel r onora e giù 1' abisso il teme.
Piacciongli ben le vere eterne laide
Che'l secol porge, e '1 tempo non l'oblia
Veggiando come '1 ciel tutto ne plalde.
1 Ma 'l ciel ecc. Il cielo ha fatto penne delle
sue opere , cioè egli per i suoi meriti è volato
al cielo.
2 Si volge. Egli, cioè la sua anima, si volge
al corpo rimasto privo di esso.
3 Prima che sazio ecc. È assai felicemente
trasportato all'operare il bene, ciò che fu detto
di Messalina: et laxata viris, nondum satiala re-
cessit.
4 Gode e galde. Anche galde è 1' istesso che
gode o gaude per l'uso che si fa di cambiare in
al il dittongo au, come si vede dalle due seguenti
rime, e in altri casi infiniti.
152 ELKOIA.
Vide Racchel in compagnia con Lia,
Venir con masno esercito celeste
Et di sé far qual Paulo od Elia, i
0 ben fatte accoglienze alte et oneste!
Da l'alme che or lassìi son più contente,
Che questo in ciel nove dolcezze à deste.
« Partito se' da quella cieca gente »
Dicieno ; e lui, nel suo sommo contento,
D' aver voluto più viver si pente.
Veni Creator Spiritus concento
Sentlan fra queir angeliche carole ;
Or lunge or presso come voce al vento.
Allor come infra nube appare il sole,
0 lume ch'alio scuro altrui conforti.
Per piacere a colui e' ogni ben vole;
Come chi torna da' nimici morti,
E parenti s' abbraccion, cosi Pietro
Disse : 0 salvo figli uol da' camin torti, 2
A te concesse il Ciel corpo di vetro,
Ch' a scorger questo ben ti fé men velo ,
E grazia di qua su per te ne'mpetro.
r t' aspettavo ben, ma con quel pelo
Che'l tempo per trist' uso al mondo inbianca;
Ma '1 sommo camarlingo del Vangelo,
Da quella vita lacrimosa e stanca
Ti c»lse acerbo fior in far quel frutto
Ch'alia pace del mondo al secol manca.
1 Qual Paulo od Elia. Che fu rapito al terzo
cielo, e r altro vi sali sopra un carro di fuoco.
2 0 salvo ecc. O figliuolo, che oramai sei sal-
vo da' tortuosi cammini, e pericolosi, del mondo.
ELEGIA.
153
Perduto ha ben il mondo il suo ben tutto;
Ma tardi in el suo danno il suo ben vede
Come chi, molle in mar, piange 1' asciutto,
0 come ciascun san quel ben non vede.
Ma colla carne inferma esalta e loda
La sanità; che spesso indarno chiede.
E però, fìgliuol mio, fa che ti goda,
Che giunto hai '1 premio d'ogni tua fatica:
E chi si lega qui mai più si snoda.
Fa motto a Beatrice, a quella amica
Che vien con quattro tue sorelle donne,
E tacendo in nel volto par che dica :
0 palladio del ciel non d'EIionne!^
0 dolcissimo mio fedele amico,
Che se' salito al monte di Sionne,
Specchiati in chi purgò 1' error del fico ; ^
E vedrai come è lieto, e quanto e dove
El tuo famoso padre Ludovico.
AUor, come a sua mira i strai si move ^
Subita dalla corda e dalla noce ;
Al padre corse eh' era intento a Giove.
1 Elionne. Tertulliano ed altri scrittori chia-
mano Elaeon il monte Olivete.
2 Chi purgò ecc. Adamo.
3 Come a sua ecc. È qui copiato Dante , il quale
in giuntura simile, disse :
E forse in tanto in quanto un quadrel posa,
E vola, e daUa noce si dischiava.
Vidimi giunto ove mirabil cosa
Mi torse il viso a sé.
La noce si chiamava quella parte della balestra-,
154 ELEGIA.
E come uccel coli' alie aperte in croce,
Prese splendido volo al dolce padre;
Ma la letizia a lui spense la voce.
Corse la cara sua diletta madre,
Ch' era con Magdalena e Marta e Anna
Nelle contemplation che son le squadre
A chi misura il ciel, se non si inganna :
Intorno eron beati attenti come
Furon proprio e pastor sentendo Osanna.
— Come sta Federico, a cui le some '
Lasciai del bello stato in mezzo 1' acque
Che della Figlia di Tiresia ha '1 nome?
— Quel frutto che nel fior ascoso giacque
Sì giusto al grado tuo successe e regna,
Che non manco di te si loda : e piacque,
Tanto coir opre del ben far. Ne insegna
Giovan Francesco ancor, Ridolfo e poi 2
Ludovico il minor non manco regna.
simile in qualche modo a una noce , fatta di
osso , nella quale si adattava lo strale, per poi
scagliarlo. Era intento a Giove^ cioè era assorto
nella visione beatifica di Dio.
1 Federigo ecc. Federigo Gonzaga, a cui la-
sciai il governo di Mantova , la quale siede in
mezzo alle aque. Manto, figliuola di Tiresia , si
favoleggia che fosse la fondatrice di Mantova.
2 Giovan Francesco ecc. Passa in rassegna
tutta quanta la famiglia Gonzaga, per pigliarne
occasione a celebrare i pregj di tutti, uomini e
donne.
ELEGIA. 155
E ben nat' alma che sie' giù fra noi
Ch' un fratel delle muse il fé natura.
Ecco, Barbara mia, madre di voi,
Che la fama d'ogn' altra adombra e scura;
Vedi con lei la gemma Mergherita,
Che pel suo Federico ognor procura;
Che '1 suo sposo diletto a ciò la invita.
— Tutti contenti star posson ; ma tristi,
0 padre, e' son di mia lieta partita.
Lasciando io 1' ossa allor che tu vestisti: '
— Temperi il nostro bene il lor merore,
Che lì penson tornato onde venisti
Che un viver di mille anni son poch' ore,
— Usebio or come sta, quei eh' egli elesse
De' suoi primi anni giudicar pel fiore,
Quel buon frutto che '1 ciel per lui concesse ?
— Un mecenate, padre, è con Ottavio :
Umanità, virtù, fede son desse,
Le chiavi che gli ha in man del suo conclavio.
La 'nvidia eh' assai nuoce mai V offende,
Ch' un segno in Federico è ben di savio.
— Dimmi, figlio, in Italia or che s' attende ?
Ha fuoco e morte e' par, secondo i piànti.
Tu '1 sai : fuggite ò qui trabacche e tende 2
i Lasciando io l'ossa ecc. Cioè morendo. L'ossa
che tu vestisti, arieggia quel de' figliuoli di Ugo-
lino che dissero :
tu ne vestisti
Queste misere carni, e tu le spoglia.
2 Questa terzina debb'essere tutta errata; né
so cavarne costrutto.
ISC) ELEGIA.
— E superbi Anterior nuovi elefanti '
Scorron come pirati per Italia,
Per isposarla e sol con diamanti.
Pure a mudar comincion già neiralia
Per salute d'Esperia e de' suoi regi,
Che r aman come madre, dona e balia.
El bacul, la corona, el segno, e' fregi
D'Italia in man l'ha Federico nostro:
E par ben che per lui s' addomi e pregi :
Ma nel suo bel terren, che fu già vostro
In placida quiete, in dolce sonno,
liO destoron che '1 fuoco all' acqua in chiostro 2
Non danno e savj far sempre quel ponno,
Che chi tribula altrui se non riposa; 3
Ma '1 tutto alfin corregie il sommo donno.
E per che infra le spin si sta la rosa.
Spesso la man ritorna indrieto punta;
Che ingiustamente offendere è gran cosa.
Ma tu, anima eletta, al ciel assunta
Che se' del nostro pianto oggi contenta,
Non fia dal tempo tuo fama defunta.
Sicome la Fenice s'argumenta
Di sé rinascer, così vecchia fama
Sempre per suo valor viva diventa.
-1 Antenor. Parla de' Veneziani, che origina-
rono da Padova, fondata da Antenore.
2 II fuoco all'acqua ecc. Così ha la stampa;
ma non so levarne costrutto.
3 Chi tribula ecc. Questo dettato è vivo tut-
tora sulle labbra del popolo.
ELEGIA.
157
Odi Mantua tua, che ognor ti chiama,
Odi il clamor da intenerirne e marmi,
E come il volto a lacrime ricama. '
Francesco sacro, or fa che non rispiarmi ^
E prieghi or costassù pel dolce sposo
Della patria tua, che onora T armi ;
Che V ultima speranza è del riposo,
Per quella carità, pel dolce affanno,
Ch' avesti a quel paese lacrimoso,
Ch' era si presso all' ultimo suo danno.
Priega or per quella eh' è 'n su Tacque tebre,
Che per suo ben t' amava al santo scanno.
Or col pianto convien che ti célèbre
Dorma in voi T armonia, o cieli alquanto ^
Air immensa mestizia, al gran funebre,
Al dolor ch'ai morir non fìa già tanto.
Che bisogn' altro or eh' a pietà vi muovi
Che '1 nostro eterno e miserabil pianto?
' Il volto a lacrime ecc. Stranissima idea, che
sembra che non dispiacesse al Salvini, il quale
postillò ; « Ricamare il volto colle lacrime ,
quasi con perle. »
2 Francesco sacro ecc. Ora si volge al Cardi-
nale, e lo prega che preghi per il suo paese ; e
per la città di Roma (che è sull'acque tebre), la
quale avrebbe desiderato di vederlo Papa.
3 Dorma in voi ecc. Vuole che per la gran
mestizia, e per il gran funerale taccia l'armonia
delle sfere superne ; e dice che i pianti de' buoni
Mantovani debbano essere sufficienti a muover la
loro pietà.
158 ELEGIA.
Tu natura che 'udarno a far ti pruovi
Fra mille e mille seculi un tal viro,
Sdegnati or sì eh' un simil più si truovi.
Sua morte al secol d' oggi è un martire,
Ma certi sian eh' ogn' uman certo è dubio.
Poi che s' è spento un sol con un sospiro. '
Era per Cloto assai tela in sul subio ; 2
Speranza della sua dolce famiglia.
Che resta a far di lacrime un Danubio
Or soD qual di Latona è poi la figlia 3
Quando ha perduto '1 sol : tal son costoro ;
0 qual cieco con cieco si consiglia.
Non speri el mondo or più T età dell' oro,
Poi che 'n terra è caduto il nostro tempio,
Ma solo oblivìon, pianto e martoro.
Strema miseria, e viver cieco e empio.
Che piacere e nel mondo a tanto inferno ?
Mostra Cerere or segno al mondo essempio, ^
1 S'è spento un sol. Questa è proprio da Achil-
linì.
2 Era per Clolo ecc. Il Cardinale mori molto
giovane; ed il poeta vuol che si faccia un Danu-
bio di lacrime !
3 Son qual di Latona ecc. Sono come è la
luna, quando ha perduto il sole, cioè quando è
ecclissata.
4 Mostra Cerere. La terra non dee piti produrre
biade: non dee piU adornarsi di fiori: gli uc-
celli non debbono piU cantare ; insomma il mondo
debb'essere tutto una moria per la morte di que-
sto Cardinale.
ELEGIA.
159
In far digiuno il tuo seno in eterno :
E tu, Flora, che '1 mondo tanto onori.
Noi vestir mai più d'altro or che d'un verno
Lasciando in nelle spin dormirsi i fiori,
Et voi, monti superbi o selve o petre.
Pietà vi muova a' funeral dolori,
Come già vi movesti all' altrui cetre.
Filomena non fia più in verdi rami,
E le fredde spelonche oscure e tetre
Saran teatri a molti, anzi reame;
Le querce, che dovien sudare il mele,
Stillono assenzio: or chi sarà che l'ami?
E la vigna d' Iddio, già piange '1 fele
Di che il mondo convien sempre si pasca.
0 pietosa a lui morte a noi crudele !
Sì come un fior da' rami a terra casca
Dipose il suo bel vel la ricca soma.
Onde imortal convien e' oggi rinasca,
Non con furor d' un vento che la chioma
Tronchi d' un' alto pino, abete o rovero.
Ma proprio come il Sol un bel fior doma.
Chi potrà dir nel mondo oggi m' anovero
Di questi, in nel presente o nel preterito,
Che fanno ricco il ciel e '1 mondo povero ?
L' ultimo el primo sia dir non mi perito,
Come '1 cigno da noi s' uso partire
Che vide aperto il ciel ; e ben è merito.
Chi pensa al ver, quel ch'io scrivo '1 può dire :
Quanto di lui natura or fu magnanima
Tanto fu morte avara e lui fruire ;
E vede il sumnio ben vita dell'anima.
160 ELEGIA. '1
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ELEGIA FUNEBRE l
i
PER LA MORTE DI GIULIANO DI MEDICI.! ì
j
1
!
Poi che morte Giuliano ha fatto vivo, ;
Per l'opere di lui, che fanno fede
Di quel che lieto lagrimando scrivo,
Non pianger, bella donna, che non chiede '
A te benigna lacrime o sospiri, \
Poi che salito al ciel oggi si vede.
E voi, padri diletti, e grati viri i
Di voi piangete, che non siete isciolti ^
Come costui dal mondo e suoi martiri. ;
Non è debito il piangere agli stolti, j
Come a sacri pensando lor salute
Pe' lieti giorni all' età nostra tolti. '
Perduto è '1 premio de l'altrui virtute \
Vera dolcezza d' ogni amaritudine i
Da farne contra Scipio ancor dispute.
Mecenate a virtù, sua gratitudine i
Trojan che '1 figlio die' per la giustizia; \
Ma spento ha più d* un sol ingratitudine. \
Fiorì ben 1' arbor de l'altrui malizia;
Ma '1 suo ultimo fin non vede il frutto, >
Per non patire il Ciel tanta ingiustizia,
Perchè invidia e superbia abbraccia il tutto. |
1 Giuliano. E quel Giuliano, fratello del Ma- i
gnifico , che rimase ucciso nella Congiura dei ^
Pazzi.
ELEGIA. 161
Né può contento stare a quel che basta
Ogni stato che bello a sé fa brutto. '
Chi descrive Fortuna ove coatasta, ^
A questa volta la confessi Iddio
Che sì gran tela in poco tempo ha guasta.
Benigno popol, di le fusti pio
Salvando al Lauro tuo fresche le foglie,
Sotto lo qual si quieta ogni desio ^
0 Roma, di Pluton novella moglie,
Questi adottivi tuoi malvagj figli
Saranno ancor ministri di tue doglie. •*
Tu sola Babilonia oggi simigli.
Piena di tigri velenosi, o serpi ;
Che orto non se' piiì di rose e gigli ,
Ma folto bosco pien di pruni e sterpi;
Ghiotta del sangue della carne umana
Te propria pugni, e già non gli disterpi.
Tu se' fatta di lupi una lor tana,
El dir longo di te poco sarebbe
1 Che bello ecc. Ciascuno stato che preferisce
il brutto al bello, cioè l'operar vizioso al vir-
tuoso , non può rimaner contento a ciò che è ba-
stante al ben vivere.
2 Chi descrive. Coloro che descrivono gli av-
versi casi di fortuna.
3 Lauro. Lorenzo fu salvato dal furore de'con-
giurati.
■♦ 0 Roma ecc. Chiama Roma moglie del diavo-
lo, perchè la congiura contro Giuliano e Lorenzo
fu ordita là ,' non senza il consenso del Papa.
11
162 ELEGIA.
Espulsa dal bel tempio di Diana. '
Qui Costantin riprender si potrebbe
Che alla Chiesa di Dio fece la dota,
Per i sposarla a chi '1 ben far rincrebbe.
Poseti Cristo povera e devota,
E non ambiziosa et arrogante,
Colma di crudeltà di pietà vota.
Di te ne scrisse già'l Petrarca e Dante;
Pensando esser tu capo de' Cristiani,
Son queste adonque V opere tue sante ?
Così Pilato si lavò le mani ;
Ma ben può dir quando col ver ti strigni:
Or che hanno meco a far gli stati umani?
Ma siete in carne spiriti maligni,
Sinagoga scismatica per Cristo,
Quel che par ben di te, è che tu '1 figni.
Lupa coperta col mantel di Cristo,
Ha' tu ben letto e 'nteso il testamento
Che 'n croce ti lasciò morendo Cristo ? 2
Disse che al caldo, al freddo, all'acqua, al vento,
Povera, scalza, ignuda infra gli stecchi,
Al pan contenta e liquido ariento.
1 Espulsa dal bel tempio ecc. Diana si inten-
de qui, non solo per la castità, ma per l'onestà
in generale.
2 Che 'n croce. Cristo fino all' ultimo sospiro
raccomandò la povertà a' suoi seguaci, per che
Dante, parlando di essa, scrisse: ]
E là dove Maria rimase giuso, \
Ella con Cristo salse in sulla croce. i
BLEGIA. 163
Tu scemi di bontà quanto più invecchi,
Per te la fede e 'I ben viver si spegne
Como Giuda Gesù baciando lecchi.
Ma'l traditor de le nimiche insegne,
Come giustizia vuole, a noi si scopre
Per iscaldarsi al fuoco di tue legne.
Quanta grazia dal Ciel per te si copre !
Colla ragione a' buoni el ciel prometti,
A' cattivi Io 'nferno ; e tu colf opre
Non credi già più su eh' e nostri tetti : '
Doman peggio farai che oggi o ieri;
Che nel mal fare hai posto e tuoi diletti.
Cavalca pur con diavoli staffieri,
Non può morir chi ben vivendo muore,
Né par che '1 Ciel giusta vendetta speri.
Diciàn quel ch'agii Dei or disse Amore:
Venite a pianger meco quel sepolto,
Che ci ha fatto nel mondo tanto onore.
Morte, eh' ogni suo ben a Delfo ha tolto, 2
Signor, Laura disse e Beatrice,
Sacrato ha '1 nostro sol nel suo bel volto.
D' un collegio di ninfe non si dice
El mormorio pietoso e le parole
Mostrando el viver lor sempre infelice.
' Non credi ecc. Anche adesso a chi non crede
nelle eterne verità, si dice comunemente: Non
crede dal tetto in ecc.
2 Ogni suo ben. Giuliano, ucciso nella congiu-
ra, si dilettò di poesia.
164 ELEGIA.
E pur dieien come annaffiar si vuole
Colle lacrime tante el secco ulivo,
Che torni verde, poi eh' ognun si duole.
Quivi è Giunon, che pensa di far vivo
Questo lampo divin, che morte ha spento,
E 'n sul fiorir degli anni è fatto vivo.
E posono in silenzio ogni concento
Armonico le sfere, e quasi voglia ^
Ebbe segno mostrar 1' alto elemento.
Sospirando dirò l' immensa doglia
Del fìgliuol di Latona sopra '1 sasso
Che d' un celeste asconde la sua spoglia.
Dicea: Perduto ha'l mondo ogni suo spasso,
Le benigne accoglienze oneste e grate,
Come ogni nostra gloria è in tutto al basso.
Fu '1 foco el verno, e '1 bon fresco di state ; 2
Fondate or le speranze in su la rena,
Che vostre ore tranquille son passate.
Prego el ciel che, per minor mia pena,
Convertisca sua spoglia in verde alloro,
E di me facci nova Filomena, 3
Ch' i' canti in su que' rami el mio raartoro ,
E quanto fur crude! le Parche avare
1 E qvasi ecc. L'elemento piti alto, su dal
cielo, ebbe quasi voglia di farne segno, fulmi-
nando i rei.
2 Fu 'l foco ecc. Tutti consolava, tutti soccor-
reva.
^ E di me ecc. Strana idea è questa di voler
esser convertito in usignuolo, per cantar ne'rami
di quel lauro.
ELEGIA. 105
A tórre a la sua patria un tal tesoro.
El turbar del tranquillo e lieto mare.
Ma già non faccion male a por silenzio
A' pili bizzarri venti e que' fermare.
El miei fu temperato con assenzio ;
Ma per util di noi e per sua gloria,
Triunfante è pur vivo Laurenzio.
0 poca nostra vita transitoria !
Chi può dire : V sarò com' i' fu' dianzi ?
Di quel eh' è stato appena s' ha memoria.
Volgiti indietro, e vederai dinanzi.
Che son poche ore un viver di mill' anni,
E tu credi che '1 tempo qui t' avanzi !
El vivere è ben lungo a tanti inganni ;
Ma certo all'emendar con diligenzia
Per far che l'alma torni a' sorami scanni.
Dianzi vidi ogni gloria, ogni eccellenzia;
Dianzi il vidi fuggir per sempre altrove;
Dianzi lieto da noi prese licenzia.
Se '1 ben si premia, noi sappiàn pur dove
Si ritrova Giulian, che morto vive:
Vezzeggiato è nel ciel a pie di Giove.
0 moderne eloquenzie oneste e dive.
Onorate colui che 'n ciel s'onora;
Che sua gloria ama chi ben il ver scrive.
Quanti saran dopo mill' anni ancora
Che diranno : 0 beato a quel che '1 vide,
Poi che di lui chi n' ode s' innamora,
Per cui '1 secol ne piagne, e '1 Ciel ne ride !
166 SONETTI.
SONETTO CXLV.
PBR UNA BELLA CACCIA CHE FECE IL DUCA DI MILANO.
FortuDati e felici, o gran cignali,
Che a Giovan Galeazzo, almo signore.
Di vostra morte avete fatto onore ,
Pensando a questo vivere immortali, '
Dulci vi parvon quegli acuti strali,
Anzi porgevi a' duri colpi il core,
E lieti come 'I cigno eri al dolore.
Gustando aver pel Duca i dulci mali.
Gloriosa, felice e bella preda,
Che Giovan Galeazzo arreca seco,
Gran segno di futura alta vittoria.
Que' fidi servitor che furon teco
Ciascun dice che'l ciel vuol che si creda
Che tu d'Italia se' la prima gloria.
SONETTO CXLVI.
AL SIGNOR LUDOVICO IL QUALE DOMANDÒ IL POETA CHE
AMANDO UNA COSA MEN BELLA D'un'aLTRA , E PURE
IL CUORE NON SI PARTE.
El bel viso e le chiome crespe e bionde, ^
E dulci modi e V amorosa fede ,
1 Fortunati ecc. O pazzo d'un poeta! i ci-
gnali hann' a esser felici perchè gli ha morti il
Duca! Tutto il sonetto ha stramberìe di questo
gusto, e volgari frasi di adulazione.
2 Et bel viso ecc. La domanda è sottile : « Per-
chè tutte quelle bellezze e nobili qualità di una
SONKTTI. 167
A quel che l'intelletto elegge e chiede,
Perchè fan che '1 contrario el cor risponde?
Come gran luce raen veder ne infonde
Così che U tutto amor d'altrui possiede,
Aggiunto a quel che dentro al suo cor siede
Quasi due forze una ragion confonde.
Ma non ragion per l' ignorar confusa:
Sol cognosciuto ben suo dolce errore
Conformità del Ciel forse ne scusa.
Ancor V imperio in noi tien di signore
Che tanto quanto e' vuol comanda et usa;
E questo colpo par d'un gentil core.
SONETTO CXLVII.
AMATORIO. '
Se quella luce ancor risplende al core,
Né son r antiche e calde fiamme spente,
S' e dulci sguardi ancor hai nella mente,
Spera cor frutto de l'antico fiore.
Se sperando si medica un dolore.
Dico eh' un gentil cor mai non si pente,
Benché si trovi con amor dolente,
D'aver seguito el dolce amaro amore.
donna, la quale l'intelletto ci insegna ad eleg-
gere e a desiderare, il cuore poi non le deside-
ra? » Ma la soluzione della domanda ò stirac-
chiata e oscura.
1 Sonetto facile e piano; ed anche di assai
gentile fattura. Il verso dodicesimo è imitazione
del verso del Guinicelli: Al cor gentil ripara sem-
pre Amore.
168 SONETTI.
La luce, che già vinse gli occhj tuoi,
E l'alto tuo intelletto ir fece umile,
Di lucido oriente a te si serba.
Ma, se Amor vive e regna in cor gentile,
Contempla dove lucen gli occhj suoi,
E finge veder lei fra' fiori e V erba.
SONETTO CXLVIII.
AL CONTE DI GAJAZZO IN LAUDE DI MADONNA LUCIA.
Quel chiaro, divo e novo dolce sole
Gli occhj miei vince or sì, che di paura
Mi cinge el cor, e Febo adumbra e scura,
E per vergogna fugge onde uscir suole.
Poi de la nova luce escon parole
Che r umano intelletto or non misura:
Questo è'I primo miracol di natura,
Si che'l ciel, che non V ha seco, or si duole.
Con lira, o conte, del mio basso ingegno '
Salir non posso a sì alto suggetto:
Converria quel che già scrisse di Troja, ^
Sua beltà, sue parole e suo intelletto
Mostron ben che di Giove è la sua gioja,
E gloria al mondo che di Lei fu degno.
1 Con lira. Cioè con la lira; o forse il Poeta
scrisse : con V ali.
2 Quel che già ecc. Cioè: Ci vorrebbe Omero
per cantar lodi degne di madonna I^ucia.
SONETTI. 169
SONETTO CXLIX.
ALLA DUCHESSA ISABELLA IN NOME DEL DUCA.
Sarebbemi ogni riso amaro pianto,
Ogni riposo mi sarebbe affanno,
Ogni utile et onor vergogna e danno ,
Avendo io sete il mar non sare' tanto ;
Parrebbemi un inferno il Regno Santo,
Un millesimo d'ora sempre un anno;
Ogni gran fedeltà perfido inganno,
E lamento mortale un dolce canto ;
El certo dubbio, el verno primavera,
E vera pace manifesta guerra,
E notte oscura a noi tornato el sole.
Se quella che'l mio cor nel grembo serra,
Dulce Isabella, in cui mia vita spera,
Negassi a me le sue dolce parole.
SONETTO CL.
ALLA DUCHESSA ISABELLA IN NOME DEL DUCA.
Tanto dolor di te mio cor sostiene,
Dulcissima Isabella, o vero amore.
Che più m' attrista questo tuo dolore,
Che non m'allegra nessun altro bene.
Quando i begli occhj tuoi, stelle serene.
Coi miei si scontron, sento un tale ardore
Ch' i' lacrimo e suspiro dentro al core
Per la pietà, che sol di te mi viene.
Quando i' ti stringo come strinse Apollo
La cara amata sua conversa in lauro,
Allor lo spirto mio vive in tuo petto.
170 SONETTI.
Ma i dulci rami tuoi piega al mio collo, '
Che Amor facci di noi più el nodo stretto,
Sendo Isabella mio vero tesauro.
SONETTO GLI.
DEL DUCA ALLA. DUCHESSA, PARTENDOSI DA MILANO
SENZA LEI.
Dulce Isabella mia, s'i'sono assente
Da te, sempre in tue man lassato ho il core,
Che il dì eh' i' '1 vidi acceso del tuo amore,
Volentier te ne feci un bel presente;
Però tei raccomando, e sia alla mente
Veggendo or T amoroso suo dolore :
Che giova senza el frutto un vago fiore 2
Noi sa se non colui che d'amor sente.
Ma la penna, e lo 'nchiostro e le parole,
Mi faranno parer sempre con teco,
E dolce il sonno in nel sognar tuo nome.
El barba nostro a me dice : -^ E' mi duole.
Quando Isabella e tu non sete meco
Viver non so ; ma tu senza Lei come ?
1 / dulei rami tuoi- Qui sono le sue braccia;
ma le chiama rami per rispetto a Dafne cam-
biata in lauro, e da lui ricordata innanzi.
2 Che giova ecc. Allude alla sua lontananza,
dicendo che poco gli giova il volerle bene e il
saperla sua, non potendone goder la presenza.
3 El barbQ' Lo zio, cioè il signor Lodovico.
SONETTI. 171
SONETTO CUI.
DEL DUCA ALLA DUCHESSA.
Solieno i boschi, le campagne, e i fiumi,
E le riviere a me dar gran diletto;
Ma quei piacer mi sono ora in dispetto,
Poi che veggio Isabella e i dui bei lumi.
Tu sola dolce al mondo mi consumi
Con le guance di rose e neve il petto.
Con tue grate accoglienze e tuo intelletto,
Con celeste parole e bei costumi.
Or vendicate son tutte le fere ^
Ch' i' presi mai, o detti a lor ferita.
Che me veggion ferito in mezzo el core;
E porterò tal piaga all' altra vita :
Ma questa doglia a me si fa leggere,
Che'n un bel nodo ci costringe amore.
SONETTO CLIII.
DEL DUCA A MADONNA.
0 belle labre, di rubin colori.
Lingua che formi sì dolce paróle,
1 Or vendicate. Né questa delle fiere ohe sa-
ranno vendicate, è minore stranezza dell' altra
delle fiere che avevano a star contente di es-
sere uccise dal Duca. Questi sonetti amorosi ,
scritti a nome del Duca, son pieni di freddure ;
e mostrano che chi scrive senza sentir esso 1' a-
raore, dà sempre in cenci.
172 SONIiTTI.
Che rompi i marmi e fa' scurare el sole,
Fiato che vince tutti i buoni odori. '
Sputando in terra quivi nascon fiori,
Como di primavera le viole:
E denti perle sono al mondo sole,
Che spengon tutti gli altri gran tesori.
Sì ben composta è la tua bocca insieme
Che grata a me, parlando, o con silenzio.
Come r acconci sempre a me più piace.
Ma i baci son di certo dolce un seme,
Ch' ogni altro dolce mi par tutto assenzio :
Senza te dunque ogni altro ben mi spiace.
SONETTO CUV.
PARLA IL DUCA ALLA DUCHESSA.
E drappi d'oro e' ricchi diamanti,
E rubini e le perle e gli ornamenti ,
Da tuoi begli occhj , più che'l Sol lucenti,
Si veggion vinti e spenti tutti quanti.
Però ti baston quei doi lumi santi
A fare i miei di te lieti e contenti,
Che umano ingegno o forza d'elementi ,
Non posson darti i don che teco hai tanti :
Così le gemme piangon lor vergogna
l Fiato che vince ecc. Vedi la nota al sonetto
precedente : è poi contrario al senso comune il
quinto verso dello Sputare in terra e far nascer
fiori.
SONETTI. 173
Quando al ])el collo tuo di rose e neve
Pardon come vii cosa di natura. '
Aver di lor pietà dunque si deve,
Ma di me prima, perchè più bisogna : 2
Se'l cor mi hai tolto, a te resta la cura.
SONETTO CLV.
DKGLl OCCHJ E DEL CUORE.
Occhj miei tristi, miseri e dolenti,
Perchè piangete voi? Qual legge il vuole?
Naturalmente questo esser pur suole
Ch' un bel viso vi fa lieti e contenti. —
El nostro pianto è sol pei gran lamenti
Del miser cor, che sol di noi si dole,
Perchè noi demmo el passo onde intrò el sole,
Che rinfiammò con dui be' lampi ardenti. —
Se pietà bene a voi ministra il pianto,
Questo al misero cor gli giova poco.
Perchè apristi al nemico suo le porte.
Quel che a voi piacque a lui piacque poi tanto,
Che fu tutto esca all'amoroso foco. —
Che colpa abbiàn se dette albergo a morte?
1 Ferdon come vii cosa. Le gemme scompa-
riscono (pèrdono) al confronto del bel collo. Iper-
boli puerili.
2 Ma di me prima ecc. Questa è poi una scem-
piaggine. Si deve aver pietà delle gemme che
piangono ; ma più di lui, che ne ha piti bisogno
di esse !
174 - SONETTI.
SONETTO CLVI.
DEL DUCA ALLA DUCHESSA ISABELLA.
Ben s'intese ier sera in nel Signore,
Quando vide apparir sua diva stella,
Un gran segno d' amor, sendo Isabella
Al suo cospetto, che cangiò il colore.
Ma questo è privilegio de l'amore:
Quando a l'amante gli apparisce quella
Ch'egli ama, se di lei prima favella,
Veduta, tace, e si gli agghiaccia il core.
Questo è, che comò l'occhio non comporta '
Per sua natura mirar fisso el Sole,
Così lo cor dal viso resta vinto.
Ma sue dolci accoglienze e sue parole
Un paradiso al mondo hanno dipinto;
Tal che '1 ciel oggi invidia a quel ne porta.
SONETTO CLVII.
d' amore.
Ardo di dentro, e fuor fredda di marmi 2
El mio diaspro è pur comò esser suole, 3
' Questo è ecc. Questo procede da ciò, che
come ]' occhio non comporta di guardar fisso il
sole, cosi il cuore resta soprafatto dagli occhj
(dal viso) della sua donna. Siamo alle solite !
2 Fredda di marmi ecc. Fredda come un mar-
mo . Anche adesso suol dirsi è di marmo 0 è mar-
mato, per significare cosa ghiaccia.
3 Et mio diaspro. La mia donna, che è dura
come diaspro.
SONETTI. 175
E con caldi suspir raffreddo el Sole,
Che per pietà pur dovere' scaldarmi.
Ma priego il ciel di pazienza mi armi
Se in tal battaglia pur tener mi vuole,
S' e giusti prieghi miei e le parole
D'altri son nulla, or chi può consolarmi?
El tempo il può, divorator degli anni,
Scotendo in terra de' miei rami i fiori :
Sarò lieta che '1 ciel si goda el frutto.
0 Amore, o Fortuna, i vostri inganni
Coi fior coprite; e sotto i bei colori
É di Pigmaleone il marmo tutto, i
SONETTO CLVIII.
d' amore in laude d'una donna.
0 fortunata e gloriosa stella
Ch'oggi rallegri el bel regno d'Amore,
Natura per sua pompa e tuo onore
Ti fece più che '1 Sol lucente e bella.
Che più felicità vuoi ch'esser quella,
Che alberghi in quel famoso inclito core
Del mio dolce parente? e dargli el fiore
Della tua fede e della età novella?
l Sotto i bei colori ecc. Con un beli' aspetto,
siete poi insensìbili come il marmo di Pigmalio-
ne. Pigmalione fece una statua cosi bella, che
se ne innamorò perdutamente, e che Giove per
pietà gli converti in donna. Si favoleggia però
che la statua fosse d' avorio.
176 SONETTI.
I tuoi costumi e' vaghi onesti modi,
E le grate accoglienze, e le parole,
Sono a lui stati al cor suavi nodi;
Se il volto hai di rubini e di viole.
Or saviamente tue bellezze godi,
Le qual si struggon come neve al Sole.
SONETTO CLIX.
AMOROSO.
0 lume, o specchio, o sol de gli occhj miei,
Conforto e pace di mia stanca vita,
Insino al dì de l'ultima partita
Nuli' altro ben che voi chieder saprei.
Ne r altro viver poi questo vorrei , i
L'anima fussi colla vostra unita;
Perchè quanto sia dolce or la ferita,
Che Amor mi dà per voi, dir non saprei.
Ringrazio el ciel e mia fortuna molto ,
Anzi Amor prima, che mi fece degno
Di vostra grazia , eh' è sì bella cosa.
Mia vita e morte avete in nel bel volto;
Anzi mia vita che m'ha fatto segno,
Che, se voi fece bella, anche pietosa. 2
1 Ne l'altro viver ecc. NelT altra vita.
2 Mia vita ecc. Sta nel vostro volto il darmi
morte 0 vita; che, se mi vi mostrate benigna, io
vivrò lieto, se cruda, morrò; ma ci sta certo la
mia vita, perchè siete bella, ma siete anche
pietosa.
SONETTI. 177
SONETTO CLX.
n' AMORE DOLENDOSI DELL' AMOROSA.
Qual nova legge di natura vuole
Che tu sia tanto rigida e crudele,
Verso un amante che ti sia fedele,
E noi conforti almen con le parole? -
Da gentil cor veder sempre si suole
Render conforto a chi gli porge el mele;
Ma tu hai sempre in bocca assenzio e fele.
Verso un afflitto cor quando e' si duole.
Ogni animai veggiàn eh' un tratto l' anno
Sente d' amor, tu '1 vedi, a primavera:
Tu d'amor senti sol dell'altrui danno. ^
Bella se' tu , ma '1 core hai d' una fera ,
I tuoi begli occhj ancor ne piangeranno.
Quando dirai : Non son piìi quel eh' io era. 2
SONETTO CLXI.
D' amore, fatto per uno che lo mandò a GENOVA
A UNA SUA AMANTE.
0 sol degli occhj miei, divo splendore,
Se nel tuo grembo andrai punto cercando,
^ Ogni animai ecc. Ogni animale che una vol-
ta l'anno, nella primavera, sente amore (Ogni
animai d'amar si riconsiglia) ; ma tu solo prendi
diletto dell' altrui danno.
2 Quando dirai. Te ne pentirai quando avrai
perduto il fiore della gioventù e della bellezza.
12
t
178 SONETTI.
Vi troverai mio cor, che suspirando
Ti priega abbi pietà del suo dolore.
Ma, se '1 tuo servo or senza el cor non more,
Sarà che vive sol di te pensando;
Ma tua celeste effigie contemplando
Sostien gli spirti miei d'un novo ardore.
Se '1 vostro cor del mio foco tenesse,
Come a me morte, a voi sarla vicina;
Però non par che tutto mei dimostri.
Benedetto el ciel , che vi concesse
L'esser pietosa! o bella alma divina,
Presto, spero, sarò ne' liti vostri.
SONETTO CLXII.
d'amore, a tibaldeo, chiedendogli consiglio.
Mentre che io torno a ragionar con gli anni ,
Che la mia gioventù volsono in preda.
Gli occhj miei tristi son del pianto reda,
Che di mia mano a' pie' tessei gli inganni.
S' i' conobbi in altrui tutti i miei affanni,
Pensai che un cor di donna al pianto ceda;
Ma non sia ignun che ristorar mai creda.
Col pianto e con suspiri el tempo e i danni.
E però , Tibaldeo , non mi sia scarso
Di consigliarmi: Lei si pente e duole'
Di sua durezza or eh' à secche le fronde.
' Lei si pente. Ella si pente e si duole ora che
ha perduto il fiore della età.
SONETTI.
179
Pietosa è in van, come colui che vole '
Pescar chi sia perito in grembo a V onde ,
Porgendo or 1' acqua a me, che son tutt'arso.
SONETTO CLXIII.
n' AMORK.
El sole avea già l'ombre e le paure ^
Scosse dal volto della cieca notte,
E r avare fatiche ricondotte
Al mondo, e far le gente andar sicure,
Quand' i' vidi chi sol d' ore future 3
Mi pasce, e già mille promesse ha rotte;
Ma le speranze al cor son tanto ghiotte,
Ch' i' pensai l' uve acerbe esser mature. *
Dissi al vederla in su la prima vista:
Amor negli occhj suoi con pietà scherza:
Oggi vedrén bel fin di tanta impresa
Par m'intendessi, e subito fu trista,
Languida com' un fior passato terza ,
Tanto del mio piacer si tenne offesa.
' Pietosa ecc. Ma la sua pietà è vana come
quella di colui che vuol ripescar uno già morto
affogato.
2 El sole ecc. Questo sonetto è riferito dal
Crescimbeni per saggio del poetare del nostro
autore.
3 Sol d'ore future. Dice solo farò , dirò; ma
nulla fa veramente.
^ Ch'i' pensai. 11. Salvini annota : « Speranze
ghiotte fanno pensare l' uve acerbe esser ma-
ture. »
180 SONETTI.
SONETTO CLXIV.
D AMORE.
Pietosi amici , udite a quel eh' io sono
Con la mia donna, anz' io tutto per lei:
Quando io la miro ho invidia agli occhj miei ;
Pensate poi quando di lei ragiono!
El elei agli occhj suoi fece un bel dono:
Questo è che quando vendicar potrei
Le ingiurie che mi fa, qual doverci ,
Per un suo sguardo tutto a lei perdono.
Com' esser possa io vo pensando ognora
Quando di mille miei suspiri e pianti,
N'un punto con un riso mi ristora.
Lei d' ingannarmi par si glorii e vanti ;
E se mi strazia, assai più m'innamora
Che r amorose grazie gli altri amanti. ^
SONETTO CLXV.
d' amore.
Udite quel che mi promesse amore:
Prima, grazia dagli occhj del mio sole,
Speranza, e pace da le sue parole,
E con la dolce man fede nel core.
Grazie non mai dagli occhj, ira e furore.
1 E se mi strazia ecc. E se è meco crudele,
e mi tratta spietatamente, ciò mi innamora più
che non innamorano gli altri amanti le grazie e
le cortesie. ,
SONETTI. 181
E ingiuria e guerre in bocca ha per me sole:
La man perfidi inganni or render vole,
Cosi par di mia morte aspetti onore.
Quand'ho pianto per lei, di me poi rido;
Anzi m' adiro con la mia vergogna ,
Che dopo tanti inganni ancor mi fido.
Chi crede a donna fa qual uom che sogna
Trovar tesoro, né altro or di Cupido
Che van pensier a noi sperar bisogna.
SONETTO CLXVl.
d' amore.
Questo non meritava la mia fede,
Donna, né con ragion provar si suole
Che si creda all'altrui false parole,
Più che air opera buona che si vede. '
Sì facilmente el savio mai non crede,
Che ognun può dir quel che gli piace e vole;
L'infamia a torto a me ben pesa e duole;
Ma el tempo é quel al tutto ben provede.
Ma io , che sono offeso in nell' onore ,
Sì come invidia vole e mia fortuna.
Chi mi de' ristorar d' un tanto danno?
1 Che si creda ecc. La sentenza è sana e vera ;
ma il fatto pur troppo dimostra in ogni occasione
che i calunniatori e gli ipocriti sanno tanto dire
e fare, che si crede più alle loro parole che alla
verità manifesta.
182 SONETTI.
Altra via non ci so, se non quest' una,
Che tu non creda in me nessun errore ,
E così gli altri poi ben taceranno.
SONETTO CLXVII.
d'amore.
0 Luce, abbi pietà del mio dolore:
Speranza sola in vita mi mantene.
Che vale a me, stu di' che mi vuoi bene, ''
Se non soccorri quel che per te more ?
Sai che non giova senza el frutto el fiore,
Però, stu mi ami, e sai mie dure pene,
Usa, donna, pietà qual si conviene
A quel che si consuma or per tuo amore. '
Se non che '1 tuo onor come te amo,
Ovunque fussi sempre in ogni loco
Suspirar mi vedresti al tuo cospetto.
Dunque, stu mi ami , et io el tuo ben bramo ,
Porgi r acqua al mio core che arde in foco ;
Che da te morte o qualche grazia aspetto. 2
1 Che vale? Il Salvini annota: < Vale, idest
Giova. Così Dante : Che vai, perchè ti raccon-
ciasse il freno Giustiniano^ se la sella é vuota?
2 Porgi l'acqua ecc. Tutti questi sonetti di
amore, sembrano fatti più per esercizio che al-
tro, e forse per commissione ; e però ci si vede
seminata largamente, e qualche volta non sen-
za garbo, tutta la, rettorica dell'amore; ma af-
fetto vero non vi si scorge.
SONETTI. 183
SONETTO CLXVIII.
d' AMORR.
Mentre che io penso al mio longo servire
A te, donna gentile, alma divina,
Sperando vo la rosa; e tu la spina
Mi porgi , et hai piacer del mio martire.
Ma , se pur ti diletta el mio languire ,
Pacienzia a chi more è medicina :
Ma pensa ben che gioventù camina
Ove ogni tua bellezza de' finire.
Se pur avvien che a te servendo i' mora,
Del cener mio farò come fenice :
Rinascerò per riservirte ancora.
Tu sola al mondo mi puoi far felice,
E mille giorni ristorar 'n un'ora
Spesi per te piangendo: Amor tei dice.
SONETTO CLXIX.
DI gelosìa.
DehI dammi un po' qualche consiglio, Amore,
Non so che farmi con la mia consorte,
E nostra dilezion pur è sì forte,
Che abbiàn duoi corpi , e vivon con un core.
Ma lei mi oflende sol con questo errore,
Che, gelosa di me, vive con morte,
E non conosce sua felice sorte ;
Ma in dubbio sta di chi sol per lei more.
— Amante , el tuo amor son nove lagne
Al foco , che r infiamma tuttavia ;
184 SONETTI.
E, se r un arde, l'altro non si spegne. '
Questa è mia legge e così vo' che sia;
E dipinto vedrai ne le mie insegne ,
Che guida degli amanti è gelosia.
SONETTO CLXX.
d'amore.
Quanto piìi el foco al nostro core accendi,
Amore, al regno tuo ministri el danno;
Però gli amanti un vero esemplo aranno.
Che a tanta fede ingratitudin rendi.
Grazie prometti, e poi d' ingiurie attendi ,
Guerra per pace , e per diletto affanno ,
Mille altri insulti poi si leggeranno:
Nel tanto offender me te stesso offendi. 2
Se pur l'usar pietà non ti diletta.
Amor, pon fine or mai a tanti inganni;
Se pur non vuoi, son tuo qual sempre fui.
Ma veggio apparecchiarsi alta vendetta,
1 Se V un arde ecc. Se Amore 1' accende, non
si spenge per altro la gelosia.
2 Grazie prometti. Prometti felicità e gioja;
e la promessa mantieni facendomi ingiuria. Se
fai cosi, argomenta il poeta, fai danno anche a
te stesso, perchè ninno avrà piti fede in te ; se
puoi dunque, ajutami, che ti sarò servo fedele;
se no, avrò almeno il conforto che 1' esempio di
me potrà esser giovevole altrui nel tempo av-
venire.
SONETTI.
185
Che laudato sarò dopo mille anni ,
Perchè el mio mal potrà giovare altrui.
SONETTO CLXXI.
A UN AMANTE D' UNA GUERCIA.
r veggio ben sì come oggi disserra
Un strale d'oro in nel tuo petto Amore,
E come stai di due stelle in errore:
L' una el ciel mira, e l'altra intenta a terra. *
Sta saldo, amante, in mezzo de la guerra.
Forse eh' eli' ha pietà di te nel core;
Che spesso inganna quel che appar di fore,
A quel che drento un gentil cor poi serra. ^
Giove e Pluton, che forse ardon di lei,
Ognun per grazia un de' begli occhj chiede ,
E non si può negar cosa alli Dei.
Ma, perchè el piace a lor pietate e fede,
Ama pur , che vorranno al fin costei ,
Abbi di te come di lor mercede.
SONETTO CLXXII.
d' amore.
Dante, quel fonte di teologia,
Beatrice nel mondo amando alquanto ,
' L'ttna el ciel ecc. Il sonetto è assai ingegno-
so, e prelude ai tanti scherzi simili, come Aman-
te di una gobba, di donna mora ecc., che si fa-
cevano là nel secolo XVII.
2 Spesso inganna ecc. Spesso quel che si vede
di fuori inganna, per rispetto a ciò che è nel cuore.
186 SONETTI,
Pietosa in ciel per sé la trovò tanto ,
Che salvo el trasse de la cieca via.
Tu, che ami or la sorella sua Lucia,
Ch' è la divina grazia al regno santo, '
. Ancor lei ti soccorre in nel suo pianto
Da poi che Lion vuol che teco stia. 2
Penso or ben che dicessi questa donna:
S' i' mossi grata Beatrice a Dante,
Che debbo or far per quel che tanto m' ama ?
, Esser d'ogni suo ben sempre colonna,
Se un gran miracol è fedele amante
Donna a amar lui ha gran diletto e fama.
SONETTO CLXXIII.
d' amore nel quale si mostra, se lucia fu pie-
tosa A DANTE , CHE DEBBE ORA LEI A QUEL CHE
L' AMA.
0 cara Lucia mia, fra le altre sante
Diletta a Giove, e più che altra felice,
Stu pregasti nel ciel già Beatrice ,
Che soccorso a l' Inferno dessi a Dante ,
Chi priega or te, che M tuo fìdele amante
Ajuti in questo tempo oggi infelice.
Pietà ti priega, e con ragion ti dice:
0 Luce , non aver cor d' adamante ,
' Ch' é la divina ecc. Nota che lo stesso Bel-
lincioni interpreta la Lucia di Dante per la Gra-
zia divina.
2 Lion vuol. A chi voglia alludere con questo
Lione, non so indovinare.
SaNETTI.
181
Stu fusti per colui sì graziosa,
Che debbi or far per quel che te sola ama,
Se non doglia nnostrar del suo dolore?
Conforta or lui del farti ancor pietosa,
Che fia bel modo a rallegrargli el core:
A lui salute , a te onore e fama.
SONETTO CLXXIV.
IN PERSONA DEL DUCA AL SIGNORE LODOVICO.
Non sol per T affezione e gran fervore ,
Per l'officio di patre a me mostrato'
Obbligato ti sono, o per lo stato.
Quanto d'un altro dono a me maggiore;
Che hai fatto dui ce, e sì pietoso amore.
Che in Isabella mia m' ha trasformato ,
E lei in me: Per noi ti sia el ciel grato
Con santa palma di sì bello onore.
S' i' pregai mai che '1 ciel ti tenga in vita,
Pel ben del sangue nostro e mia salute,
Or pia che mai tal grazia a Giove chiamo.
Per lassare ogni cura a tua virtute,
E possi io me' goder quella ferita ,
Che m'ha data Isabella, qual tanto amo.
1 Per l'officio di patre ecc. Povero giova-
ne ! lo spendeva bene il suo affetto. È noto a
ciascuno come poi Lodovico fosse spietato alla
rovina di questo suo nipote, per usurpare la si-
gnoria.
188 SONETTI.
SONETTO CLXXV.
ALLA DUCHESSA DI MILANO PREGANDOLA CH' ELLA
VOGLIA SOTTOSCRIVERE UNA SUA LETTERA A MES-
SBB BERGONZIO.
Se quella vostra dolce e bianca mano
(Che di rose e di perle il ciel fé' quella)
Sulla lettera pon solo — Isabella —
El mio infermo pensier fìa fatto sano.
Qual cor crudo sarà tanto e villano,
Che non s'inchini al nome d'una stella?
Anzi se' più che '1 sol lucente e bella ,
Al cui nome un leon diventa umano.
Da Bergonzio arò ben poi grazia tanta, i
Che sempre el m' amerà , se cagion sono
Che dipinto abbi un fior de la tua pianta.
E penserà dal ciel aver tal dono,
E bascerallo come cosa santa,
E d' ogni affanno suo rimedio buono.
SONETTO CLXXVI.
d' amore.
El cor mi ardea d'una speranza tale,
Che vivevo contento, anzi beato,
Aspettando quel punto dulce e grato,
Che gli amanti ferisce col suo strale.
1 Da Bergonzio ecc. Per questo Bergonzio
vedi la nota 1, pag. 149, voi. I.
SONETTI.
189
0 tempo, o eie], quanto facesti male,
Con pioggia el bel disegno aver turbato ! *
Unde tanto dolor nel cor m' è nato
Ch' i' non so qua! mai più sentir eguale.
Pur fra tanto dolor nasce un conforto,
E questo è che tu, mia diletta, dica :
Ancor al nostro amor tempo non fugge.
Ma dico ben di me, che gran fatica
M' è r aspettar ; che, amando, il cor si strugge.
Se '1 tempo non ristora un si gran torto.
SONETTO CLXXVII.
d'un AMANTE CHE PARTESI DALL'AMATA E L\. CONSOLA.
Se da te, donna, il mio corpo si parte,
Non sia però diviso il nostro amore, 2
Perchè ne le tue man lascio il mio core,
Ch' è della vita la più degna parte.
Piangendo mi consumo a parte a parte,
Qual bon servo che perde il suo signore,
Ma la speranza or temperi il dolore
Che amor fra ambi noi doi or ne comparte.
Questo dolce sperar del far ritorno
Per vederti, o mio sol , che mi conforti,
Ti tenga in pace , e me sempre accompagni.
1 Con pioggia ecc. Pare che sia scritto nel-
r occasione che un ritrovo d' amore fu frastor-
nato dal mal tempo.
2 Non sia. Cosi ha la stampa; ma pare certa-
mente che abbia a dir Non fia.
190 SONETTI.
S'uno aspettar fa di mille anni un giorno:
Dove è la fede molti si fan corti ,
Però lieta riman , se '1 volto bagni, i
SONETTO CLXXVIII.
d' amore.
0 chiara luce mia, o divin sole, 2
Zeffiro , vedi, el bel tempo rimena.
L'aire s'allegra, e il ciel si rasserena.
Et ove eron gli sterpi or son viole.
E però. Luce, or rinovar si vole
El nostro amore, e ristorar la pena
Che insin agli animali Amor gli mena
Al giogo suo, corno natura vole.
E gli ugelletti infra' più verdi rami ,
Usciti de le tenebre del verno,
Insieme cantan lor suavi amori.
Ora che uscito son d'un novo inferno,
E come i' soglio el ciel voi pur ch'io t'ami,
Non deggio un frutto cor da i toi bei fiori?
1 Dove é ecc. È sentenza verissima, il desi-'
derio fa lunghissimo l'aspettare; ma la fede ve-
race lo accorcia.
2 0 chiara ecc. Questo, come ciascun vede, è
una imitazione, e quasi una copia del sonetto:
Zefiro torna e 'l bel tempo rimena.
SONETTI. 191
SONETTO CLXXIX.
IN LAUDE DRLLK BELLEZZE D' UNA DONNA.
Da qual magno pianeta e stelle nove,
Da qual merito mai di nostra etate,
Oggi del ben de V anime beate,
Agli occhj d' i mortai in terra piove
Un miracol maggior del sommo Jove?
Perchè vostro intelletto al ciel leviate, '
E di cose terrene noi cibiate ,
Ma di costei, eh' e sassi e' monti move.
El cielo che li onora è ben felice
Più che altro , a mostrar quel suo bel velo ,
Ove '1 sol perde e per vergogna oscura. 2
Mirandola, costei, ben ciascun dice:
Ecco quanto di ben può dare el cielo,
E quel che manca a lei non po' natura. 3
SONETTO CLXXX.
DIALOGO DEGLI OCCPJ E DEL CUORE.
Mentre gli occhj miei cercono in quel viso
Già s' ingannoron ne la prima volta;
1 Perchè vostro intelletto ecc. Anche il Pe-
trarca, parlando delle bellezze della sua donna,
e del culto che prestava ad essa, disse : Che SOn
scala al Fattor, chi ben l'estima.
2 Perde. Scomparisce al paragone.
3 Quel che manca ecc. Se qualcosa le manca,
non può darglielo la natura, perchè questa tutti i
suoi pregj gli ha posti in lei.
192 SONETTI.
Ardito el cor risponde: 0 mente istoita!
Non vedi tu che in quello è il paradiso ?
Un grato modo, un parlar dolce, un riso,
Poca bellezza può far parer molta ;
Ma, se la prima idea non tìa disciolta.
Il vostro cor d' amor non fia diviso.
Come a' fioretti ben campeggia el verde
El ciel la notte in seminar le stelle.
Bellezze con valor posson più insieme;
Ma, se le prime a vui paron men belle,
Occhj fallaci, il cor si serba il seme,
Che frutto or fa di quel che in voi si perde.
SONETTO CLXXXI.
INCONTRANDO L' AMOROSA.
Qual vergogna, o paura, o quale errore
Ti vien, se a caso te scontro per via,
Che par che un tuo inimico allora i' sia,
Che gli occhj abbassi e cangi el bel colore? i
Vergogna uo, che a donna è grande onore
Trovar chi sopra ogni altra lei desia ;
Paura esser non dee, né gelosia
D' infamia, ov' è chi salva ogni tuo onore.
' I] sonetto è assai ben condotto, che è cosa
assai garbata quel procedere per esclusioni, af-
fine di conchiudere che V abbassar gli occhj e il
cambiar colore è segno di affetto ; e chiederne
una prova, o segno qualunque.
SONETTI. 193
Esser può questo un amoroso segno,
Che a me intervien , s' io veggio el tuo bel viso,
Farmi di marmo, e così fa chi ama.
Questo or ben credo, e non cagion di sdegno :
Pur d' un accorto sguardo e dulce riso
Un amante felice anco si chiama.
SONETTO CLXXXII.
FINGE l'autore CHE BEATRICE DI DANTE SIA TORNATA
AL MONDO SPOSA DEL SIGNORE LUDOVICO, E CHE
DANTE CHIEDA GRAZIA A GIOVE DI SEGUITARLA.
Quel che nell'alta e diva Comedia
Pose tre stati all'anima, tre regni,
A Giove dice: Priego or che ti degni
Farmi una grazia, e più non si desia:
Se la dulce compagna di Lucia,
Al mondo or presti, per che a quello insegni
Qua su salire, a me par si convegni,
0 Giove, seguir lei per ogni via.
Se questa in terra fu la mia Fenice,
E poi, drieto al suo volo, a questo stato
Per lei dal cieco abisso assunto sono,
Poi che al mondo di lei fai novo dono.
Concedi a me eh' i' sia con Beatrice
A veder quel, eh' ella farà beato. *
' La ragione di questo sonetto sta nella di-
chiarazione del titolo : la chiusa è sgarbatamente
adulatoria.
13
194 SONETTI.
SONETTO CLXXXIII.
d'amore.
Volete, amanti, consolarvi un poco?
Venite a ragionar d'amor con meco,
E vedrete che '1 crudo alato e cieco
In affanni tien me, voi in festa e in gioco.
Conoscerete allor che '1 vostro foco
È qual tepido sol che '1 verno ha seco
Appresso al mio, e chi mi sguarda: Teco,
Dice, hai Cecilia in ogni tempo e loco.
E però ringraziar dovete amore,
Che pietoso Tarei, non pur crudele.
Se un vostro affanno a me dessi per grazia.
Ma questo all' uom par naturale errore,
Che nel ben posseder mai non si sazia,
Però più dolce è per l'assenzio el mele. '
SONETTO CLXXXIV.
d' amore.
Chi el dulce fin d'un desiato bene
Qua giù possiede, e come vole Amore,
Se, dopo el dolce, amar truova in el core,^
Quel seme frutta d'un contento pene.
' Però più dolce ecc. Il bello e il buono si ap-
prezza quanto merita, solo per rispetto a' loro
contrarj; né gusterebbe il dolce chi non avesse
idea dall' amaro.
2 Dopo el dolce ecc. Se, dopo il dolce, trova
y amaro.
SONETTI. 195
Amor, che l'alto impero in el cor tene,
Fa che V uom vive come quel che muore,
Che si duol del morire , e del dolore
Si scioglie, e lega con maggior catene.
Così ne infonde il terzo cielo a noi; ^
D' un novo amore un novo amor rinasce ,
Che fa novo diletto in maggior foco.
E dopo il frutto suo fa che 1' uom poi
Per doppio amore il cor di morte pasce,
E possedendo il tutto gli par poco. 2
SONETTO CLXXXV.
DELLA PARTITA d' UN AMANTE.
r son fatto pel pianger quasi cieco
De la partita, e son vivendo morto ; 3
E s'io ti die' nel mio partir conforto.
Bisogno n' avevo io non sendo teco.
Ma , r afflitto mio cor te ha sempre seco ,
E ben del tuo dolore si fu accorto:
Datti pace, per che il tempo fia corto
Del mio ritorno, a consolarti meco.
Per eh' io son nato per amarti sempre :
1 Ne infonde, infonde in noi questa naturai
qualità.
2 E possedendo eoe. Il desiderio è insaziabile ;
e l'uomo si contenta solo quando è accolto su
nel cielo, dice Dante.
3 De la partitaPer cagione dell'essermi par-
tito da te.
196 SONETTI.
Il mio ritorno istà^nella tua voglia,
Per te lasciando ogni altra bella impresa.
A'dulci piacer tuoi tornerò sempre;
Poi eh' ogni altro piacer m' è tutto doglia,
Che d'ubbidirti, e mai d' averte offesa.
SONETTO CLXXXVI.
d' amore.
(in lode di Elisabetta.) Salvini.
Onestà in bocca, e castità negli occhi,
Bellezza in fronte e purità nel core,
Gravi pensier dipinti con amore,
Unde raggi di perle par che fiocchi.
S'egli avvien mai che Lisabetta tocchi
Colle sue man pudiche acerbo fiore',
Sparge le ascose foglie in fare onore
Al suo bel pie, che par terra non tocchi.
Natura in fronte le ricama un sole.
Che '1 cor freddo d'un marmo a me sempre arse;
Ma con sue man legò Cupido e Venere.
Più vaga stella in ciel mai non apparse.
Né mai in giardin si candide viole.
Né per cosa sì bella è Troja in cenere. '
1 Né per cosa sì bella ecc. Vuol paragonare le
bellezze della sua donna alle bellezze di Elena,
la quale suol darsi per simbolo di bellezza, ed
è colei che ha titol d'esser bella.
SONETTI. 197
SONETTO CLXXXVII.
d' amore.
Come le rose nascon delle spine,
0 bella donna mia, può d'uno sdegno
Nascer pietà di qualche caso indegno,
E d' un principio amaro un dolce fine.
Così fecion le luce tue divine,
Sendo il tuo cor di furia e d'ira pregno,
Ch' e tuoi begli occhj in un forato legno i
Furon molto a veder le mie mine.
Ahi dulce pietà d'un gentil core
Felice porta da le tue man mossa.
Ma misera per me, che mi ti tolse!
Fin che ignude non sien di carne 1' ossa
Sarò tuo sempre , a le cagion d' Amore, 2
Che di te sue catene al cor m'avvolse.
SONETTO CLXXXVIII.
A LORENZO de' MEDICI.
Nova influenzia da le Muse piove
Novellamente con cangiato stile,
Cagion di quel signor vago e gentile 3
1 In un forato legno ecc. Forse vuol dire,
stando dentro a una gelosia.
^ A le cagion ecc. Per virtti, per volontà di
Amore.
^ Di quel signor. D'Amore.
198 SONETTI.
Che per Calisto fé' trasformar Giove. '
Così Amore d'un esser me rimove,
Libero sendo, in atto ora servile,
E tanto è in sé crudel, quanto io umile,
Colei che favellando i sassi move.
Sonetto mio, a Cafaggiuolo andrai , "
Paese bel che siede nel Mugello,
Dove tu troverai Lorenzo nostro;
E con gran reverenzia porgi a quello
Questi altri tuoi consorti, e sol dirai:
Questi presenta a voi Bernardo vostro. ^
SONETTO CLXXXIX.
d' amore.
Fratel, la mia signora è pur severa,
E poco gli rincresce il mio languire,
Nulla mi vai s' io scrivo, o mando a dire,
Tanto di sua beltà sen vive altera.
1 Calisto. Figliuola di Licaone re d' Arcadia:
si fece seguace di Diana; e Giove, mutato in
pastore, la violò: per la qual cosa Diana la cac-
ciò da sé.
2 Cafaggiuolo. A Cafaggiuolo, nel Mugello, vi
era una Villa dei Medici, passata poi in fami-
glia privata.
3 Questi presenta. Questo sonetto sì vede che
fu scritto a modo di dedicatoria di tutti i so-
netti d' amore che qui si leggono.
SONETTI.
199
E perchè al verno, al caldo e in primavera
Per lei mi struggo, e temo di morire,
Chiedo soccorso a te, per ammollire
La crudeltà del cor di questa fera.
Metti la penna in la tua melodia.
Di cui Parnaso in pompa fa gran festa:
Et io ancor ho la speranza mia.
Che, s' air orecchie di costei tìa presta,
Credo si cangerà la sorte ria,
Che sempre mi fa gir con bruna vesta.
SONETTO CXC.
IN NOME DELLA DUCHESSA ISABELLA AL DUCA.
Ho mille volte ringraziato Amore,
Ma più quel santo giorno benedetto.
Che fu dal cielo a questo fine eletto,
Ch' i' viva e mora sol col mio signore.
Se gelosia di lui sempre ho nel core.
Questo è eh' i' 1' amo d' un amor perfetto ;
Né sol col senso mira el mio intelletto,
Anzi ardo drento al cor del nostro onore.
Or questa è l'amorosa mia ferita,
E temo sol d'ogni umbra, per ch'io Tamo,
E sempre son con lui col core unita.
Come presto un bel fior casca dal ramo;
Così veggio cascar la nostra vita,
E però el ciel al nostro amor sol chiamo.
200 SONETTI.
SONETTO CXCI.
d'amore.
Ringrazio, o donna, el ciel a tutte l'ore.
Che fatto m' ha della tua grazia degno ;
Ma io, che mi pensai essere indegno,
Non t'ho manifestato mai il mio core.
Ma fortuna invidiosa or n'ha dolore
Crudele, e guasto ci ha più d' un disegno ;
Ma none speri con sue forze e ingegno *
Rompere el nostro dolce e caldo amore.
Perseverando un cor nell' amor forte.
Fortuna, o caso, o lingua mai non teme;
Ma sta costante e saldo insino a morte.
Cosi spero io che viveremo insieme
A goder la felice nostra sorte,
Che '1 ciel del nostro amor ne dette il seme. 2
SONETTO CXCII.
d' amore.
0 chiara Luce, che di ciel in terra
Venisti sol per consumar mia vita.
1 None speri ecc. È tuttora dell'uso familiare
il pronunziare così strascicata la particella non
{none), quando precede una s impura. Si vede
anche nelle Poesie di Gino.
2 Che 'l ciel ecc. 11 nostro amore nacque per
disposizione del cielo.
SONETTI. 201
Che tanta è la mia voglia oggi infinita,
Che presto il corpo mio sarà di terra.
Fannomi e tuoi begli occhj eterna guerra,
Anzi nel cor m' han fatto una ferita,
Che mia faccia fan sempre iscolorita, ^
Che memoria di te nel cor si serra.
Ma poi quando io ri veggio il tuo bel viso,
Ogni tormento o doglia che mi dai
Stimo un dolce piacer, diletto e gioco;
L' inferno mi parrebbe un paradiso :
Tanto è soave l'amoroso foco.
Ch'io prego il cìel che non si spegni mai.
SONETTO CXCIII.
d' amore.
Quando fìa el dì che Amore el freddo petto
Ti scalderà, dal ciel discesa stella?
Quando fia el dì che tu sarai, qual bella,
Pietosa nell'altero e vago aspetto?
Quando fia el dì concesso e benedetto
Ch'i' possi dir: Testé pari' io con quella,
Che quando sguarda altrui, ride e favella.
Contemplativo fanne ogni intelletto?
L'erbe, le fronde, gli animali e' sassi, 2
1 Che mia faccia ecc. Divengo smorto sem-
pre che (ogni volta che) io ripenso alla tua beltà
e al mio amore, quando tu sei lontana da me.
2 L' erbe, le fronde ecc. Solite iperboli da in-
namorati: quell'in ciel S^aspetti del verso 11, si ha
da intendere come se dicesse in ciel s'aspetta^
202 SONETTI.
La luna , el sole , ogni pianeto e stella
Vagheggion lei, che forse in ciel s'aspetti.
Quand'ella alza e begli occhj, e move i passi,
Per leggiadra volar , par che alie metti ,
E '1 paradiso aprirsi alla favella.
CANZONE DELLA PAZIENZA
LA QUALE FU PATTA PER UNA FESTA OSSIA RAPPRESEN-
TAZIONE MOLTO BELLA, COMPOSTA DAL POETA STESSO
A CONTEMPLAZIONE DEL REVERENDISSIMO MONSIGNORE
FEDERIGO SANSEVERINO ; DI QUESTA FESTA SI È POTUTO
UNICAMENTE TROVARE QUESTA CANZONE LA QUALE SI
CANTÒ IN FINE DI DETTA RAPPRESENTAZIONE.
Sia laudata pazienzia
Ch'è si dolce, e non amara:
L' uom eh' è savio la tien cara
Che n'ha fatto esperienzia.
Sia laudata pazienzia.
Chi non pensa, e corre a furia,
D'ogni impresa al fin si pente, '
Spesso quel se stesso ingiuria
Per non esser paziente:
Quel si dice esser prudente
Che fa vista non vedere,
Per che Amore ha gran piacere
Che uno amante abbi prudenzia.
Sia laudata pazienzia.
i Chi non pensa ecc. Chi fa in fretta, dice il
proverbio, a bell'agio sì pente; è il motto la-
tino: Festina lente.
CANZONE. 203
Ma son certi stran cervegli
Per parer più innamorati ,
Che uson soni e canti begli,
Poi si mostron disperati;
Ma più savj sono e frati,
Che r amor sanno celare ,
Che del tanto civettare
Se ne fanno coscienzia. '
Sia laudata paz'ienzia.
Queir è savio , et ha gran core ,
Che ha piacer di perdonare:
Se t'ingiuria alquanto Amore
Virtù sta nel sopportare;
Ma col tempo e col ben fare
Ben si rompe ogni durezza:
Chi si piega e non si spezza
Trova in donna alfìn clemenzia.
Sia laudata pazìenzia.
Ben dirà quel che si strugge:
La speranza è come 'I Maggio,
Frasche e fiori ; el tempo fugge.
Ben faren non fa l'uom saggio.
Ma nei fatti sta el vantaggio;
Però, se oggi el tempo avete,
Belle donne, or noi perdete:
Di doman non c'è scienzia.
Sia laudata pazienzia.
1 Se ne fanno coscienzia. Se ne fanno scrupolo,
dicesi adesso.
204
CANZONETTA DELLA FATICA
COMPOSTA DAL BELLINCIONI A CONTEMPLAZIONE DEL
SIGNOR ANTONIO MARIA SANSEVERINO IL QUALE FECE
FARE UNA BELLISSIMA RAPPRESENTAZIONE DELLA FA-
TICA E IN PINE FU CANTATA QUESTA CANZONE LA SOLA
CHE FU TROVATA DI TUTTA LA FESTA.
Cara e dolce mia fatica,
Sempre fusti el mio conforto,
Tu m' hai pur ridutto in porto
Dell'amor, che mi nutrica,
Cara e dulce mia fatica.
Chi ti, serve voluntieri
Gli se' dolce e non amara:
E tuoi pesi son leggeri,
Ogni ben da te s'impara:
Chi ti abbraccia e tienti cara.
Tuo sudor par d' acqua rosa ;
La tua spina torna rosa,
Mai nessun per te mendica,
Cara e dulce mia fatica.
Tue vigilie al fin m'han dato '
D' un tesoro in man la chiave:
Poi che Amor dolce ho trovato,
Sia el timon de la mia nave:
El tuo giogo par suave
A chi cerca aver onore:
1 Tue vigilie. Le veglie che ho fatto per te,
sudando al lavoro.
CANZONÉTTA. 205
Vo'ti meco a tutte 1' ore ,
Che mi se' fidele amica,
Cara e dulce mia fatica.
Spesso schifa ria fortuna
Chi ti tlen per guida e scorta,
Poi satolli chi digiuna;
Chi '1 tuo peso lieto porta
Amor gli apre alfin la porta:
Del tuo assenzio nasce el mele:
Se mia donna fu crudele ,
Or per te mi dà la spica ,
Cara e dulce mia fatica.
CANZONETTA D'AMORE
COMPOSTA DAL MEDESIMO POETA BELINZONE, A CON-
TEMPLAZIONE DI BERNARDINO MUSICO.
Ognun canti viva Amore,
Poi che ognun per quello è nato,
Chi non fu mai 'nnamorato
Senza frutto è proprio un fiore.
Ognun canti viva Amore.
Ma voi , donne, doreresti
Come belle, esser pietose.
Né tener gli amanti mesti
Con parole dispettose;
Ma pensar comò le rose '
.' Como le rose. Como per Come fu usato spes-
so dagli antichi, che forse vollero conservare il
suono affine al quomodo, da cui per avventura
nacque il nostro Come.
f
t
206 CANZONETTA.
Vi cadrai! presto dal volto,
E '1 poter vi sarà tolto
Di far grazie; e piangerete:
Però el tempo non perdete,
Che molti anni son poche ore.
Ognun canti viva Amore.
Quanto amore e quanta fede,
Quanti pianti e pazienzia
'N un amante ognor si vede
Per trovare in voi clemenzia!
Né voi fate conscienzia ^
Tener un sempre nel foco;
Ma pigliarne festa e gioco,
Ma per ben più crudeltate.
Senza amor, fede e pietate ,
Non può stare un gentil core.
Ognun canti viva Amore.
Ben son certi sciocchi amanti,
Che dimostron forte amare ,
Con lor cenni soni e canti,
E imbasciate a voi mandare :
Questi son da dileggiare,
Che sol han questo piacere :
Fanno ognun sempre avvedere
Con lor fior nelle berrette: 2
1 Né voi fate conscienzia. Né vi rimorde la co-
scienza, non vi credete di fare opera spietata.
2 Con lor fior. Nota il costume di portare i
fiori sulla berretta per atto di galanteria.
CANZONETTA.
207
Costor son tutti civette •
Che non amon vostro onore.
Ognun canti viva Amore.
Ma, se è savio il vostro amante,
Vaghe donne, avete il torto
Aver cor di diamante,
Né li dar qualche conforto:
Quando poi il vedrete morto,
E fra' lumi steso in chiesa
D' aver fatto tanta offesa
P'iangerete in su la spoglia
L'amor vostro e la sua docclia.
Bei fin fa chi d'amor more. 2
Ognun canti viva Amore.
1 Civetta. Vagheggino lezioso e smanceroso.
Ora si dice solo delle donne vane, che uccellano
ai giovanotti.
2 Bel fin fa ecc. È tolto dal Petrarca, il qual
disse con non lodevole bisticcio:
Che bel fin fa chi ben amando more.
208
FESTA OSSIA RAPPRESENTAZIONE
CHIAMATA PARADISO CHE FECB PARE IL SIGNORE
LUDOVICO IN LAUDE DELLA DUCHESSA DI MILANO, B
COSÌ CHIAMASI, PERCHÈ VI ERA FABBRICATO CON IL
GRANDE INGEGNO ED ARTE DI MAESTRO LIONARDO
VINCI FIORENTINO IL PARADISO CON TUTTI LI SETTE
PIANETI CHE GIRAVANO, E LI PIANETI BRANO RAP-
PRESENTATI DA UOMINI NELLA FORMA ED ABITI CHE
SI DESCRIVONO DAI POETI , E TUTTI PARLANO IN LODE
DELLA PREFATA DUCHESSA ISABELLA. 1
V Angelo prima annunzia :
Attenti! udite tutti, incliti viri,
La grazia che a' mortali in terra piove,
El ciel vostro triunfo par che miri,
E '1 gran Monarca le sue spere move.
Tace r inferno, e posansi i martiri :
Per vostra festa in terra qui vien Giove;
E gran cose vedrete mai vedute
Per onor d'Isabella e sue virtute.
Giove in Cielo nella sua spera parla a' pia-
neti, dicendo che vuol discendere in terra.
Sento sì gran dolcezza nella mente,
0 figliuoli, o ministri delle spere,
Per Isabella, che all'umana gente
Risplende sì, che or, per mio piacere,
' Vedi, lettore, che questo cappellino miesso
alla Poesia del Bellincione, ci ricorda un mec-
canismo trovato da Leonardo, e una prova del
suo grande ingegno.
FESTA OSSIA RAPPRESENTAZIONE. 209
In terra voglio andar personalmente
Per onorarla , e farvela vedere.
La notte al mondo fa parere el die; i
Eir è Tonor dell'altre opere mie.
Apollo si maraviglia di tanto lume.
0 glorioso, o nostro eterno Jiove,
Che uovo lume è questo onde mi duole , 2
Che virtù tante in grembo a quella piove,
Che al mondo ferma, colle sue parole.
La superbia de' fiumi, e' monti move?
Arestù mai creato un novo Sole?
Chi mi fa cieco? ajuta or che bisogna:
Se quella onori , a me non far vergogna.
Giove dice ad Apollo che non si maravigli.
0 grato Apollo mio, non ti dolere,
Qual fusti sempre a me sarai diletto ;
Quando ti feci in ciel con le altre spere,
Quest' altro Sole i' mi ritenni in petto.
Piglia, comò fo io, di quel piacere.
Né di perder tuo stato aver sospetto ; 3
Ma sol di ringraziarmi or ti conviene,
Che t' ho fatto vedere un tanto bene.
1 La notte ecc. Ella ha splendore sì divino,
che fa parer giorno la notte.
2 Qnde mi duole. Ne sento quasi gelosia.
3 Tuo stato. Il tuo grado, la tua possanza,
14
210 FESTA OSSIA RAPPRESENTAZIONE. i
i
Giove dice a Mercurio che vada a far cono- 1
scere a Madonna la cagione della sua ve-
nuta.
Andrai, Mercurio , mio orator degno , i
A trovar quella diva alma Isabella; l
E di', che Giove del superno regno A
Venuto è in terra per onor di quella; ;
E pel diletto suo Duca ancor vegno, i
Per l'alta festa ov' è sì chiara stella;
Dira'le, intendi ben, che in terra sono, '
E come io penso farli un santo dono. ]
Guarda, Mercurio, a non ti far vergogna: '.
Quattro Mercurj a lei saranno a lato,i i
Filomena di Roma ; e poi bisogna ■
Pensarve a quel fiorito e dolce prato.
Quell'altro sacro nome, che cicogna
Fa Ciceron parere, i' l'ho donato '
A quella nova Roma per suo bene:
Del bel Fior Pandolfin v' è Demostene. i
Mercurio va e dice a Madonna: ì
0 specchio, o lume, o lampo o divin sole, !
0 miracol maggior della Natura,
Gloria, fama et onor della tua prole;
1 Quattro Mercurj. Mercurio era anche il Dio
della facondia: e dicendo quattro Mercurj, inten-
de di parlare de' quattro ambasciatori, di Roma,
di Venezia, di Napoli e di Firenze.
FESTA OSSIA RAPPRESENTAZIONE.
211
0 bella, o diva, angelica figura,
Vero secreto del superno regno,
Nel tuo bel viso el ciel or si misura.
Quel che vide l' amata farsi in legno , ^
E che divenne per amor pastore,
Vergognoso è d'invidia e pien di sdegno.
Che vinto resta or qui dal tuo splendore ,
Unde a Giove n' esclama, e dolsi alquanto
Che di perder suo stato ha gran timore.
Se non che Giove col suo sacro manto
Mi toccò gli occhj : or qui ben diverrei
Qual Meleagro al tizzo in doglia e 'n pianto ; 2
Altrimente sguardar non ti potrei,
Né dir le laude tue, santa Fenice,
Se '1 tuo lume ferisse or gli occhj miei.
El dir quanto conviensi a pochi lice:
Se già vinsi Argo con mia dolce cetra,
Tu delli Dei triunfì il ver me dice.
Ma grazia assai da te per me s' impetra ,
Che fai silenzio ; eh' io non son sì cauto ,
Che a tue parole i' non venissi pietra.
Di Giove scrisse il gran comico Plauto
Che venne in terra per amor d' Alcmena,
Et io feci parer quel Sosia incauto.
1 Quel che vide ecc. Apollo, che vide Dafne
cambiarsi in albero.
2 Diverrei qual Meleagro. Verrei meno al mio
assunto, mi consumerei, come Meleagro si consu-
mò all'arder del tizzo.
212 FKSTA OSSIA RAPPRKSENTAZIONE.
Ma or per te, lucente alma serena,
In propria forma vien col divin trono,
E le spere e gli Dei con seco mena
Per onorarti; ed io Mercurio sono
Suo nuncio, e vuol ti dica per sua parte
Che 'n terra è qui per farti un santo dono.
Mercurio parla a Giove della ambasciata
sposta a Madonna.
0 Giove eterno, o motor primo, ed alto
Principio e mezzo e fin, misura vera,
Or più che mai te onoro e sempre esalto.
Veduto ho la divina primavera.
Un Sol, una letizia, un sacro aspetto
Uno specchio, ove io vidi quel ch'io era.
Tacendo, parla e mostra uno intelletto
Ch'e'suoi sembianti dicono a chi guarda:
Beato or se' nel nostro alto suggetto.
Ma ben di parlar molto or ti riguarda ,
Che alle superne cose è sempre intenta;
Al mondo fredda , al eie! par che sempre arda.
Apollo ha ben ragion se si lamenta.
Che questa spegne lui, come lui in cielo
Ogni stella lucente ha sempre spenta. '
Lo spirto glorioso in quel bel velo.
In career no; ma ben libero e sciolto
Va in cielo e torna, e dice: In lei mi celo.
' Come lui in cielo. E di fatto il poeta cantò,
al medesimo proposito:
Come fa il ciel delle minori stelle.
FESTA OSSIA RAPPRESENTAZIONE. 213
Dolce concènto in gran silenzio ascolto,
E con Palla Imeneo fanno temperia: '
Quanto ha di bene el mondo ha in grembo accolto.
Da mille anni cantar ne dà materia ;
E sua età, di lei degna, è ben quella
Appresso a quattro Soli; e farsi Esperia
Per questi più che mai felice e bella
Un pastor v'è, che fa dolce concento:
'N un bel prato fiorito era Isabella.
In questa ultima età sicuro armento
Jeronimo Donato, e ben Donato 2
Dal ciel, si che Nettun or n' è contento.
Novo Ermolao che al Mor fu tanto grato: ^
La petra ove Filippo or lieto siede
Frutto del Sol che '1 Lauro n' ha mostrato.
Tanta eccellenzia e gloria in lei si vede
Che penso, o Giove, che tu l'hai creata
Per farla del tuo, stato, 0 Giove, erede.
0 Giove, ho fatto a lei la tua ambasciata;
Ma quella venne trepida et umile,
Unde si fé più bella, a te più grata.
1 Con Falla ecc. La sapienza di Isabella si fa
più efficace e mirabile, essendo essa sposata al
Duca.
2 Jeronimo Donato- Sembra che allora il Do-
nato fosse orator veneto appresso il Duca, come
abbiam veduto essere il Pandolfini orator fioren-
tino.
3 Novo Ermolao ecc. Dice che il Donato sarà
un altro Ermolao Barbaro, stato già oratore ap-
presso il Moro, e da lui molto amato.
214 FESTA OSSIA RAPPRESENTAZIONE.
Quanto se' tu cortese, eli' è gentile;
Altro, Giove, da te mai più non voglio.
Se '1 mondo e '1 ciel non ha cosa simile.
Sì che a più disiar sarebbe orgoglio.
0 Diana, e tu, o Vener, meco insieme
Laudate or Giove che al mortale scoglio
Vi fa cose veder tanto supreme.
Se di voi desti a lei la meglior parte, '
Forse dolor d'invidia el cor vi preme;
Che fatta è più di voi con maggior arte
Ippolita: e nel ciel che tanto amate,
0 biondo Apollo, o vittorioso Marte,
Con meco el nostro Giove oggi laudate:
E tu, Saturno ancor, che qui ne mostri
El vero onorai sue cose create.
Parlato Mercurio: tutti li pianeti ancora lau-
dano Giove di sua venuta in terra, e pri-
ma la Luna parla.
0 Giove, ben ogni tua forza e 'ngegno
Mostrasti a far costei con le lue mani;
Ma veramente el mondo or non n' è degno.
Se tanta grazia hai fatto a' ciechi umani,
Fa questa a me, che morte n'ara sdegno,
Che farò lieti tutti i corpi insani.
Se per serva mi doni ad Isabella,
Che mai non vidi in ciel simile stella.
' Desti a lei. Venere gli die la bellezza, Diana
la castità.
PESTA OSSIA RAPPRKSENTAZIONE. 215
Venere parla.
0 Giove, el tuo judicio mai non erra:
El mondo hai fatto d'ogni ben erede:
Grazie ti rendo del venir tuo in terra,
Perchè quanto puoi dar oggi si vede
In Isabella, qual asconde e serra
Frutto, che al ben d'Esperia si concede;
Mie bellezze costei reduce in cenere.
Tanto che me non riconosco Venere.
Apollo parla.
r sento un gaudio, una letizia drento, i
0 Giove , con questi altri Iddei insieme :
Se d'Isabella prima ebbi spavento,
Chi '1 suo stato ama, sai che dubbia e teme; 2
Ma or di sua virtù son sì contento.
Che di star qui con lei disio mi preme.
Consentii, Giove, a me, che far lo puoi,
Che mai piìi notte a ranno gli occhj suoi.
Marte parla.
Bene ogni cosa, altissima corona,
Tua justizia misura e ben comparte:
Ringrazio or te, che un chiar Sol d'Aragona
E di Sforza mi mostri in questa parte:
1 Un gaudio. Qui la particella un ha signifi- j
calo di un gran, cioè mollo,
2 Chi 'l suo stato. Chi ama di conservarsi nel
suo stato, nel suo grado. '
t
216 FESTA OSSIA RAPPRESENTAZIONE.
Ma per me l'arme ormai qui s'abbandona,
Poi che 'I mondo suo patre chiama Marte.
r ti ringrazio mille volte, o Giove,
E chi per onorarla oggi si move.
Saturno parla.
0 Giove, poi che tanto ben governi,
E le grazie dispensi e' ben misuri ,
r vo* che gli anni d' Isabella eterni
Al mondo sien , e da mie man sicuri ;
Che bellezze e virtù par ch'io discerni
In questa sì, che a' secoli futuri
Adorata sera: te laudo, o Giove,
Che oggi mi mostri cose sante e nove.
Giove dice a Mercurio:
Mercurio dolce mio , prudente e bono ,
Andrai per quelle sette mie figliole '
Che in compagnia delle mie Grazie sono.
Che le vo' dare a questo divin Sole
Che l'amo sempre, et or fogliene un dono:
E se più merta, manco or non si vola,
Ristorerolla poi, lassato el velo, 2
Con gli altri d'Aragona e Sforza in cielo.
Giove parla alle Virtù e le Grazie che sono
condotte alla sua presenza.
Dilettissime mie figliuole care,
Se le ministre fusti sempre e sete
' Per quelle sette, cioè Le sette virtù.
2 Lassato el velo. Morta che sarà.
FESTA OSSIA RAI'PRKSENTAZIONE. 217
Della dolce Isabella sìngulare,
Sino air ultimo dì la servirete:
Ma ora, Grazie e Virtù, vi vo' donare
A quella, uode beate ne sarete.
Amatela e servitela con fede
Qual Ippolita già, che nel ciel siede.
Parlato Giove, Apollo dimanda di grazia di
presentare tal dono.
0 magno Giove , o patre dellì Dei ,
Se concedesti a me la luce pura ,
E per tua grazia gli altri effetti miei
In gloria e 'n beneficio di Natura,
Questa grazia or da te sola vorrei ,
El don portare a sì bella figura :
Se Mercurio sdegnoso a questo sento ,
Per tuo amore e sua grazia fia contento.
Giove parla ad Apollo, e ammonisce che pri-
ma sì era doluto quando vide Isabella, ed
ora desiderava servirla.
Un'altra volta, o dolce Apollo caro,
Non ti voler dolere avanti al fine:
Quel che or t'è dolce in prima t'era amaro.
Quando vedesti sue luce divine.
Così fa il verno, di fioretti avaro.
Ma poi le rose nascon da le spine :
Spesso si ride dopo un lungo pianto ,
E '1 cigno anco poi muor nel dolce canto.
218 FESTA OSSIA RAPPRESENTAZIONE.
Onora, e lauda et ama e voler miei,
Né si pensi più là , eh' io veggio el tutto.
Sai che fu detto — Mitte arcana Dei — ^
E tal volse alla terra el tempo asciutto,
Che dice: Quel ch'io volsi or non vorrei.
Non si judica ben nel fiore il frutto:
Tu d'Isabella el suo lume temesti.
Or chiedi in grazia quel che non volesti.
r veggo , Apollo, ben che a te conviensi
Quel che per grazia el tuo disio dimanda;
A tre cose nel don par che si pensi:
Al dono, a chi fa el dono, a chi si manda.
Se '1 primo se' fra luminari immensi ,
Nelle tue mani il don si raccomanda;
E che '1 presenti per mia parte a quella,
Primo lume del mondo oggi, Isabella.
Apollo presenta il dono e dice a Madonna :
Salve, diletta, gloriosa e bella.
Oggi in tuo grembo tanta grazia piove ;
0 lume d'Aragon, di Sforza stella,
A te mi manda il gran tonante Giove ,
E dice che tu sei la mia sorella,
Onde mei mostra per tue dive prove,
E che nascesti già con meco in Delo,
Tu primo lampo al mondo, io primo in cielo. ^
1 Mitte arcana- Lascia stare ; Non entrar ne 'se-
creti di Dio.
2 Primo lampo. Prima luce vivissima tra tutte.
FESTA OSSIA RAPPRESENTAZIONE. 219
Colui eh' e cieli e '1 mondo e '1 cieco inferno
Ha fatto, e quel che tutto in sé comprende,
E move, e guida, e regge et ha in governo
Ogni cosa, e punisce e premio rende,
Senza principio e fin tutto in eterno,
Per te dal ciel in propria forma iscende ;
E non quanto conviensi oggi ti munera.
Ma parte d' i tuoi meriti remunera.
Per onor del gran sangue d'Aragona,
E di quella alta stirpe Sforza degna ,
Per te si fa tal festa, e '1 ciel ragiona:
Se '1 Duca e Ludovico ognun s' ingegna
Di farti onore, e Giove anche in persona
È qui venuto , e' par si gli convegna
Cogli altri Dei a sì magno spettaculo ,
Che pure a veder te gli par miraculo.
E vuol tornarsi in ciel col divin trono :
E benché queste donne benedette
A tua custodia sempre avesti , e sono ,
Queste tre Grazie e l'altre Virtiì sette,
Te le concede a questa volta in dono:
Speranza, Fede e Carità son dette,
Justizia, Temperanza con Prudenza,
Fortezza. Accetti il dono tua Eccellenza.
Mostra Apollo a una a una le virtù e le loro
proprietà.
Ecco Justizia, quale il tutto regge;
Fortezza che al ben far fa 1' uom costante ;
Prudenzia ha pie di piombo a chi corregge ;
Temperanza alle furie un fren pesante;
220 FESTA OSSIA RAPPRESENTAZIONE.
Speranza al ciel salir chi el bene elegge;
Fede ove pace tien salde le piante;
Ecco la Carità divin tesoro,
E le tre Grazie che hai per grazia loro.
Apollo dona a Madonna un libretto, ove erano
« tutti i versi della Festa e dice:
Per ritornar più grato al signor mio,
Del magno beneficio ricevuto
D'essere stato delli Dei sol io
Ch'el divin don ti porsi e ben dovuto;
Per satisfare al suo e mio disio
Ch' i' ti ringrazi, essendo a più tenuto,
Dono a te sol le mie poche faville ,
Versi che di te sorisson le Sibille.
Apollo si volta alle Ninfe e dice :
0 fortunate e care mie sorelle,
Venerate costei con dolce zelo:
In compagnia del sol sarete stelle;
E quando al mondo lei lasserà il velo, ^
Sarete a Giove allor più grate e belle
A render questa, d'onde venne, al cielo:
Di vostro tanto ben mio cor ne gaude.
Da voi parto; e cantate or le sue laude.
' Il velo. La spoglia mortale.
221
CANZONE DELLE TRE GRAZIE.
Noi siam tre sante Grazie
Elette a tuo onore
Per far tue voglie sazie ;
Ma ben grazia maggiore
Abbiàn per tua virtue ,
Che Giove ci fa tue,
A noi maggior corona
O lume d' Aragona.
Laudato sempre sia
Jiove, che ne fé degne
Di questa compagaia :
Da noi savamo indegne ^
Di star con Isabella.
La qual vince ogni stella;
E Jiove a lei ci dona
0 lume d'Aragona.
CANZONE DELLE SETTE VIRTÙ. j
0 summo Jiove, o summo Jiove, ']
Fatto hai il mondo oggi felice ■
Dando a quel questa Fenice ■
La qual mai si vide altrove. * ■
El giudicio tuo non erra , . • v]
Se , per la tua luce altera ,
1 Savamo. Eravamo. Questo plebeismo, che si 1
trova usato solamente in questo tempo del verbo .]
Essere, il Nannucci, senza altra prova, lo fa ve- \
nire dal verbo Sare I! '
222 CANZONE.
Ti degnasti quaggiù in terra
Venir sacro in forma vera
Isabella è primavera:
'N pioggia d'oro né 'n pastore, '
Tu non vien; ma solo onore
D'Isabella or qui ti move:
Sia laudato el summo Jiove.
Quando l'alma tu spirasti
Nel bel vel qui d'Isabella,
Tu sai ben, ci comandasti
Noi r avessin per sorella ;
Ma, se or ci doni a quella.
Più che pria felici siano,
Però sempre ti laldiàno
Di tal grazia , o summo Giove.
Ite, Ninfe, in selve e 'n fiume
Vogliàn ir con Isabella:
A noi date i vostri lumi.
SONETTO CXCIV.
all' okatore della santitX del papa parlando
A ROMA.
Questo sonetto è lo stesso di quello che vedesi riportato
a pag. 50 di questo volume, e però non si ripete.
1 'N pioggia d'oro. Tu non sei venuto trasfor-
mato o in pioggia d' oro, o sotto spoglie pasto-
rali, come quando venivi al mondo per cose amo-
rose; ma sei venuto con la tua divinità, solo per
onorare Isabella,
SONETTI.
SONETTO CXCV.
all' oratore pel re.
223
Veggio di Roma un suo bello antico orto
Un bon coltivator lavorar tutto ,
Che parte, non per sé tien tutto el frutto,
Sì che Giove ne gusta assai conforto, i
Perchè al ben far si sforza, assai l'esorto
Che a quell'amata mia non porga lutto;
Sforzandosi così non fia distrutto
L'onor d'Esperia tristamente a torto.
Giove è qui in terra sol per fare onore
Alla diva Isabella, e perchè vede
Fiorire un Moro a suo triunfo e fama.
E 'n un bel prato lei sì posa e siede.
Ove fioretti son d' un tale odore
Che tutta Italia quelli onora et ama.
SONETTO CXCVI.
all' oratore veneziano, e parla apollo dicendo
che mai più vide giove, se non ora, per i meriti
d' ISABELLA, ED ANCHE L* ORATORE PER SUB VIRTÙ
LO VEDE, E LA TERRA HA INVIDIA A VENEZIA.
Questo sonetto è lo stesso che qnello stampato a pag, 6S
del I volume ; e però non si ripete.
1 Parte- Partisce; Ne fa parte altrui.
224 SONKTTI.
SONETTO CXCVII.
all' oratore fiorentino, parlando apollo a FIO-
RENZA, CHE È LIETA ALL' OMBRA DEL LAURO (DI
LORENZO) ESSEf/DO IL LA.URO L'aLBERO AMATO DA
APOLLO, PERÒ SI RALLEGRA E NE RINGRAZIA QUEL-
LA REPUBLICA, CHE LO AMA, LAUDANDO l'orATORE.
Co' fiori in grembo un'altra donna bella '
Veggio, che nova Atene el mondo canta,
Lieta posarsi a T umbra della pianta,
Che tanto amai in viva forma quella.
Fragrami alberga una divina stella,
Unde piove splendore e virtù tanta,
Che quella prima età sicura e santa
Ritornerà: per questa el ciel favella.
Ben sarei ingrato, e del veder poi lippa,
Non commendar colei che ama il mio Lauro,
E che si sforza sempre fargli onore.
Ma la ringrazio ancor che Pier Filippo ^
Abbia mandato or qui, suo ver tesauro,
In testimon del dolce antico amore.
I
SONETTO CXCVIIL
all' oratore di FERRARA MESSER GIACOMO TROTTO.
Questo stesso sonetto trovasi a pag. 36 di questo volume;
e però non si ripete.
1 Co' fiori in grembo. La belladonna co' fiori
in grembo è Firenze.
2 Pier Filippo. Pier Filippo Pandolfini, oratore
di F'irenze.
EGLOGA. 225
QUESTA SEGUENTE OPERETTA FECE FARE IL SIO. CONTE
DI CAIAZZA A UNO CERTO SUO PROPOSTO. SE CHIAMA
EGLOGA, o VERO PASTURALE, però che in
QUESTA s'introducono CERTI PASTORI, CHE PAR--
LANO e d/sPUTANO d' amore, db' QUALI NE PARLA
PRIMA UNO CHIAMATO SILVANO , CHE SECO COSÌ PAR-
LANDO SI LAMENTA d' AMORE.
Sia maledetto il giorno ,
Che in quel bel viso adorno
Amor pose mia morte! ^
Crudel dura mia sorte!
Di pianto sol mi pasco,
E s' i' moro , i' rinasco
Per dover rimorire:
Così per ben servire
Non ho mai giorno lieto.
Amaro frutto mieto,
E pur fu dolce el seme!
Infra due cose estreme
Amando mi ritruovo:
Quando piango a lei giovo ,
Et a me pur dispiace:
Poi '1 pianto ancor mi piace,
E ridendo mi ^ploglio.
Non so quel eh' io mi voglio ,
Lei sa quel eh' io vorrei :
Quante cose direi
' Amor pose mia morte . L' innamorarsi perdu-
mente si soleva chiari
sato r Ut vidi, ut perii.
tamente si soleva chiamar morte: qui è parafra-
15
226 EGLOGA.
Che per men mal le lasso!
Se tanto sopra un sasso,
r dico, avessi io pianto,
Non sare' stato tanto
Quanto è costei acerba.
Prima tra' fiori e l' erba ,
A' boschi , a' colli, a' monti ,
La state all' ombra e fonti
Mi stavo con 1' armento
In povertà contento,
Sotto un abete , o rovero ;
Fra' miseri or m' annovero ;
Che d' affanni mi carico ,
E indarno mi rammarico.
Mentre che lei mi lacera,
Voi eh' i' rida, e mi macera ^
Con quel bel viso adorno.
Sia maledetto il giorno, ecc.
Seguita Silvano ancor dolendosi.
Quanto chiamar mi posso sventurato
Poi che d'amor la gran percossa sento!
Se qualche giorno lieto i' sono stato
Mi posso lamentar per ogn' un cento. 2
Quanto era me' eh' i' fussi innamorato
1 Mi macera. Mi tormenta e mi consuma.
2 Mi posso ecc. Per un solo giorno ch'io sia
stato lieto, mi tocca a lamentarmi cento giorni
per tali pè^||psse d'amore. ^
i
KGLOOA. 221
Como solevo, del mio dolce armento,
Che seguir questa donna che mi strugge,
E quanto più la seguo più mi fugge!
Tristo a chi crede troppo alle parole
Di donna, benché mostri esser pietosa!
Guardati allor, perchè ingannar ti vole,
Che r esca e 1' amo asconde nella rosa. '
Quanto un nuvol la state, o '1 verno el sole,
Dura sua fede; e nota un'altra cosa:
Chi d'Amor qualche giorno lieto spera,
Non lodi quello innanzi che sia sera. ^
Giunge Piride, il secondo pastore, e Silvano
lo dimanda :
Piride mio, onde vien tu o vai,
Che ti mostri cosi lieto nel core?
Piride risponde :
Y non tei posso dir; ma tu el vedrai
In breve , comò e' n' è cagione Amore.
Ma tu, Silvano, in tal parte che fai,
Che ti mostri così pien di dolore?
1 L'esca e l'amo ecc. Nel riso delle rosee
labbra nasconde il tradimento. Il paragone non
corre, dacché 1' esca e V amo non hanno che far
con le rose.
2 Non lodi ecc. Non se ne lusinghi, che pri-
ma d' arrivare alla sera ne proverà il contrario.
Dice il dettato : L'opera il fine, e il dì loda la sera.
»»
i
228 EGLOGA, \
Silvano \
Non d' altro che d' Amore è il pianto mio : i
Stu sei lieto ora, ancor farai com' io. ^ ]
Mentre che libertà seco ti tenne,
Tu non lo cognoscesti, o poverello, '
Amor, che a te con gran promesse .venne ,
Un viver ti promisse assai più bello :
Tu M credi, perchè se' di prime penne 2
Nella sua rete un semplicetto uccello:
Però, Piride mio, i' ti conforto
Che del mio esemplo tu ti facci scorto.
Piride a Silvano :
Silvano, e' mi dispiace el tuo dolore;
Ma ben da te saper sarei contento
Quel che sia questo nostro detto amore,
Che me fa lieto, e te tiene in tormento.
Or caldo, or freddo sento avere il core,
Or lieto, or tristo, e pur macro divento.
E da' consiglio a me , se mai m' amasti ,
E dimmi come tu t'innamorasti.
1 Ancor. Anche tu, alla tua vicenda, sarai do-
lente come me.
2 Se' di prime. Sei giovane e inesperto. Dante
disse:
Nuovo augelletto due e tre aspetta.
Ma dinanzi alla schiera de' pennuti.
Rete sì tende invano o si saetta.
EGLOGA. 220
Silvano dice corno s' innamorò :
Quella eh' io cerco, un dì discinta e scalza
Vidi coi fiori e ghirlandette fatte :
Passando un fiumicello, e panni s'alza,
Mostrò le gambe che parien di latte;
Percosse un pesce in quelle, e sguizza e sbalza :
Lei, per piacer, con lui scherza e combatte:
Rise e sguardommi , onde io arsi di quella,
Che si mostrò pietosa come bella.
Un' altra volta all' ombra in un boschetto
La vidi con un bianco agnello in braccio,
Cantando un rusignol, ne avea diletto,
E disse a me: Silvan, poi ch'io ti piaccio,
r vorrei pur pigliar quell'uccelletto:
Adiutarai un po' tender questo laccio ,
Dissi: Sta lieta, s' tu non pigile quello,
In gabbia alla cascina honne un più bello. '
Misero or me! che fu' già quell'uccello
Che cantai lieto a' boschi e le campagne,
Ora al laccio d' Amor son proprio quello
Preso per imparar corno e' si piagne!
Prima mi stavo col mio armento bello,
Grasso di latte, nespole e castagne;
La state a l'ombra a vagheggiar mie torme,
E la notte sicuro che si dorme.
1 Alla cascina. È il luogo dove si fa il cacio,
e sta bene ad un pastore. La stampa legge Ca-
sina; ma nel codice raagliabechiano si legge
bene cascina.
230 EGLOGA.
Or fatto son di quei miseri amanti,
Che, per aver d'amore un dolce sguardo,
Spendon mille sospiri e mille pianti;
Amore ha gran piacer d' esser busardo. '
Or come '1 cigno voi che io mora e canti,
E quando i' grido a lui : Pietà , eh' i' ardo ,
Mi porge legne, e ride in festa e in gioco,
E dice: Col tuo pianto spegni el foco.
Un altro pastore chiamato Alfeo, stato ascoso
con un figliolino che ha seco, ha inteso tut-
to quello che ha detto Silvano a Piride, e
si presenta e dice :
0 Piride, o Silvano , i' sono stato
Ascosto drieto a voi , e tutto ho inteso ;
E come tu, Silvan, se' disperato,
Piride è lieto eh' è d' amore acceso:
E tu, Silvan, l'hai tanto sconfortato,
Che del suo bene sta tutto sospeso.
Or vo' provar come tu sei in errore,
E Piride beato è per amore.
Lassa, Piride mio, pur dir Silvano;
Ch' i' sono stato, e sono innamorato;
E non trovo che Amor sia sì villano
A chi gli serve, anzi è diletto e grato;
Ma ben si trova qualche amante strano.
Che vorrebbe in un giorno esser beato;
' Busardo per Bugiardo non lo scrisse certo
il Bellincioni fiorentino; ma è un regalo fattogli,
come tanti altri, dall'editor milanese.
EGLOGA. 231
Ma s' è veduto per esperienzia
Che ogni gran cosa fa la pazì'enzia.
Pel gran nostro Iddio Pan, eh' i' non vorrei,
Piride mio, avermi a innamorare.
Rustico stavo con gli armenti miei,
A sentir sempre pecore belare:
Or mi par esser simile agli Dei.
D' aver tu inteso puo'ti ricordare
Sì come Apollo già si fé' pastore ;
E tutto fu che così volse Amore.
Or piglia esemplo da la primavera :
Senza Amor che potrebbe far natura?
Omini, pesci, uccei, mostri, ogni fera,
E ciò che ha vita per Amor qui dura. ^
Lassa pur dir Silvan, che si dispera
Sol per veder la sua Flora un po' dura.
Donna vuol ben da noi Amore e Fede,
Ma pili ama un quanto secreto el vede.
Ben sai, Piride mio, che a molti inganni
Si sottomette ognun che s'innamora;
Ma chi piangessi per Amor mill' anni ,
Amor, se vuol, 'n un punto Io ristora.
Riposo non s'acquista senza affanni:
Silvan si dole , eppur ama ancor Flora : -
Noi può saper se non un gentil core 2
1 E ciò che ha vita- Questa ottava è ispirata
dal sonetto del Petrarca Zefiro torna, e questo
verso è parafrasi di quel verso di esso sonetto:
Ogni animai d'amar si riconsiglia.
2 Noi può ecc. Questa chiusa è gentilissima ,
232 EGLOGA.
Quanta dolcezza è 'n un sospir d' amore.
Però, Piride mio, se qualche volta
Fugge la Ninfa tua la tua presenzia,
0 non ti sguarda: parli, o non ti ascolta;
Sta saldo tu, che lei fa sper'ienzia
Di te , se la tua fede è poca o molta.
Util cosa agli amanti è pazienzia:
E non ti disperar come Silvano ;
Che al disperato nessun bene è sano.
Ov' è riposo tu gli mostri affanno :
E' va per farsi vivo e tu '1 fai morto;
Et ove è vero ben gli mostri danno,
E gran tempesta ov' è tranquillo porto;
Et ove è vera fede, tutto inganno;
E mostri un grave mal quel eh' è conforto.
Amore in sua prigion fa libertate:
Tepido verno , amena e fresca state.
Dopo questo, Alfeo dice, mostrando un putto
per figliuolo:
Vedi, Piride mio, se in grande errore
Si ritrova Silvan di quel che dice : \
Ecco un de' frutti che ci dona Amore.
benché sia ispirata dal sonetto dantesco Amore
e cor gentil sono una cosa; e da quel del Guini-
celli Al cor gentil ripara sempre Amore ecc. Tutte
queste ottave sono belle e semplici.
EGLOGA.
233
El putto dice ad Alfeo suo padre :
0 patre mio, da poi che Amor m'ha fatto,
Deh insegnatemi un poco innamorare,
E d' un bon vin darovvi bere un tratto.
Risponde il patre:
Figliolo, el tempo te l'ara a 'nsegnare ,
E veggio ben che tu non sarai matto,
E che tua matre non m' usò ingannare.
E che tu mi somigli ho gran piacere.
Or per grande allegrezza intendo bere.
Piride si volta a Silvano, e così dice :
Si Ivan , prender non vo' però spavento
Del tuo parlar, che fu pien di paura:
Dimmi , se a discrezion dell* acqua e vento
Si mette un omo in mare alla ventura,
Poi trova el porto dopo lungo stento,
Sarà donna sì cruda per natura
Che dopo el mio servire e lunga fede
Non abbi un giorno almen di me mercede?
Ma quel che ogni paura or da me sgombra,
È che Pandora, per cui ardo e moro,
Quel di che mi legò si stava all'ombra
Del fruttifero verde e dolce Moro ; i
' Allude alla servitù sua con Lodovico il Moro,
e alla protezione di cui gli era cortese.
234 EGLOGA.
Sotto al qual, poi che '1 sol lassa a noi l'ombra,
L'armento mio trovò sempre ristoro,
E sicuro da lupi ed altre tìere:
Con questo augurio , or che debb' io temere ?
In questo tempo appariscono subito un Ge-
novese ed una Genovese, e V uomo parla
in questo modo alla donna:
Madonna, i' veggio là certi pastori,
Che mostran faf d' amor la lor disputa :
Andiàno un po' ascoltar e loro amori; '
Forsi che alcun V amata ara perduta,
E quella cerca, e piange i suoi dolori.
Gentile è quel che un vero amante ajuta;
Vedete, e' guardon or Vostra Eccellenzia, ~
Forsi vorran vo' diate la sentenzia.
La donna risponde:
Andiàn, caro parente, andiàn da loro;
Che , se la lor disputa fia d' amore ,
Coronar© colui di verde alloro
Che ara del dolce amor ferito el core.
1 Andiàno. Ricordo qui che gli antichi Fio-
rentini dicevano e scrivevano andiàno, facciano
e simili, per andiamo, facciamo. E dicendo an-
tichi, non intendo que' del secolo XIV, ma sì
que' del XV e XVI.
2 Vostra eccellenzia. Nota che qui non è titolo
di dignità o di signoria; ma di pura cortesia.
EGLOGA.
2a5
Mentre che i suddetti vengono, Piride dice a
Silvano :
Silvan, per cortesia
Manda el ciel qui una Stella,
Anzi un Sol mi par che sia;
La par savia come bella:
Ben voglio or dimandar quella
Or, s* i' debbo amor seguire :
Che ho inteso è dolce per amor morire.
Dice Silvano quando ha vista la Genovese
Certo costei all'abito mi pare
Del bel sito ove Amor par che s' onori ,
Perchè quel dì che usci Vener del mare
Andò per quei giardin cogliendo fiori;
E tanta grazia lì volse Igissare ,
Che felici vi son tutti gli amori;
Però chi s' innamora oggi in quel loco
Senza travaglio alcuno arde nel foco.
Giunta che fu la donna ai pastori dice:
Perchè spesso nel volto appare el core,
I' conosco un di voi eh' è pien di sdegno,
E l'altro lieto è tutto per Amore.;
Ma chi biasima quello ha basso ingegno:
Felice è quel che serve a tal signore ;
Che, a quel servendo , il suo servire è regno :
Amore un cor villan sa far gentile,
E chi '1 biasima sempre ara il cor vile.
236 EGLOGA.
Silvano a Piride :
Piride mio, da te piglio or licenzia
E sta pure ostinato in tuo errore ;
Ma creder ti farà Tespenenzia
Quel che non credi, e piangerai col core.
A tuo modo costei darà sentenzia,
Che nata eli' è nel bel regno d'Amore.
Non si trovò mai donna Genovese,
Che non seguisse 1' amorose imprese.
Parlato eh' ebbe così , Silvano , che sapeva
bene che la Genovese avrebbe data senten-
za per Piride che s' innamorasse, Piride
allegro si volta a certi pastori , e canta-
rono così :
Non voglio esser più pastore,
Perchè sono innamorato
D' una donna, e son beato
Poi che tolto m' ha el mio core ,
Non voglio esser più pastore.
D' una cosa assai mi pento ,
Che sia stato tanto al bosco
Con le bestie all'acqua e '1 vento:
Quasi bestia or mi conosco.
«
Però più non mi rimbosco:
Non vo' credere a Silvano,
Che pur sia tanto villano
Como e' dice questo amore,
Non voglio esser più pastore.
EGLOGA. 237
Benedetto sia quel giorno,
E quel bel paese e loco,
Ove vidi el viso adorno
Che mi tien lieto nel foco.
Come quel vile e dappoco
Di Silvan non mi dispero:
Quel che dice non è '1 vero.
Perchè i' trovo dolce amore.
Non voglio esser più pastore.
Quel Silvan sia maledetto ,
Che Amor pur voi biasimare:
Se Amor fa qualche dispetto ,
De' piaceri ancor sa fare.
Come dice la Comare:
« Fra le spine sta la rosa »
Non è donna sì ritrosa
Che non senta un dì d'amore.
Non voglio esser più pastore.
RAPPRESENTAZIONE
RECITATA A PAVIA NEL FAMOSISSIMO DOTTORATO DEL,
REVERENDO MONSIGNORE DELLA TORRE, NELLA QUALE
MAGNIFICA E SPLENDIDISSIMA FESTA d' ETERNA MEMO-
RIA DEGNA, INTERVENNERO GLI ILLUSTRISSIMI DUCA
DI MILANO, E SIGNOR LUDOVICO CON LE LORO CON-
SORTI, E LO ILLUSTRISSIMO DUCA DI FERRARA. IN QUE-
STA RAPPRESENTAZIONE COMPARVE PRIMA L' AUTORE
IN FORMA DI MERCURIO, IL QUALE PER AVERE AVUTO
POCO TEMPO, CHE DOVETTE TUTTO CONSUMARE NEL
COMPORRE LE STANZE CHE AVEVANO A DIR GLI ALTRI,
ESSO PRONTISSIMO DISSE LE SUB ALL' IMPROVISO ,
DELLE QUALI IL TANZIO, EDITORE DELLE RIME DEL
BELLINCIONE , DICE D' AVERNE NOTATE SOLTANTO CIN-
QUE. In QUESTA RAPPRESENTAZIONE VIENE DOPO GIU-
NONE, E QUINDI LE SETTE ARTI LIBERALI, LE QUALI
DOPO CHE EBBERO RECITATE DUE STANZE PER CIASCHE-
DUNA, CANTARONO QUELLA CANZONETTA CHE COMIN-
CIA — LE SETTE ARTE SIAN CHIAMATE —
FINALMENTE COMPARISCE SATURNO CON I QUATTRO
ELEMENTI, IL QUALE SATURNO , DETTO CH' EBBE UNO
CAPITOLO , LI QUATTRO ELEMENTI COMINCIARONO A
CANTARE QUELLA CANZONETTA CHE INCOMINCIA :
CANTIAM TUTTI VIVA EL MORO.
Mercurio parla in laude del Duca Ercole. '
Quivi è colui, che mai si vide sazio
Dell' operar virtù: più presto stracco,
Ercule è, quel che fece el giusto strazio
Di quel gran traditor perfido Cacco
1 Ercole. Duczj, di Ferrara.
RAPPRESENTAZIONE. 239
Sotto al monte Aventin che siede in Lazio.
Costui è quel eh' e vizj ha messi a sacco
Con Palla, e sempre le virtù difese,
E lo riserba el eie! a magne imprese.
Colui la ferocissima Idra vinse,
Quale avea sette teste serpentine:
Costui è quel che con catena cinse
Quel Gerion con tre teste canine :
E poi Anteo tanto in sul petto strinse
Che di morte senti 1' acute spine;
L' Arpie uccise , e poi sbarrò '1 Lione :
Deh ! viello a onorar bella Giunone.
Giunone^ vedendo Mercurio, in questo modo
parla :
Mercurio, unde vai tu? o d'onde vieni?
Io ti conosco ben , falso folletto :
Contra me qualche inganno o trama meni ,
Per dar di donna al mio Giove diletto;
E tuoi disegni di malizia pieni
Conosco, e fatto m'hai più eh' un dispetto.
In casa Almena , Sosia ti mostrasti;
Et Argo mio col suono adormentasti. •
' Et Argo mio ecc. Piglia occasione di ram-
mentare tutti gli atti di Mercurio; come ha fatto
neir ottava precedente ; e come farà in appresso.
Non istiamo a farcì chiose, perchè sono cose note
a tutti, o da riscontrarle nelle Mitologie.
240 RAPPRESENTAZIONE.
Mercurio cosi le risponde :
0 gloriosa Iddea, alta Giunone, '
Se Giove al dolce amor tanto è suggetto , '•
Di questo debbi aver consolazione ,
Perchè, se piglia di donna diletto, ,|
Amar può te; ma odi una ragione: ]
Se le donne gli fussino in dispetto , !
Ancor te, donna, lui non araarebbe: ^
E questo so che ti dispiacerebbe. ]
Perche amor sempre va con gelosia, \
E senza quella non sarebbe amore, ;
Tu pensi che venuto in terra i' sia
Per ingiuriarti : 0 Dea , tu se' in errore ; ]
Non pensai mai di farti villania, ■
Ma ben d' esser Adele al mio signore. ]
Di mia venuta ancor vo' che ti lodi.
Nessuno innanzi al fin biasimi o lodi: i
In Italia mi manda el magno Giove , i
In quella nova Atene alma Pavia , !
Che quel che manca a lei non è altrove : '
Quivi è la Corte di filosofia i
E sette donne e sette, e quelle nove ; '
Ancor più d' un Solon par che lì sia : ;
L'uno è quel che acquistò già '1 vel dell'oro, \
Di manna un botticel sotto a un Moro. • l
' Allude alla Laurea del dottorato presa dal
Della Torre, alla presenza del Moro,
i
RAPPRESENTAZIONE. 241
Giunone risponde a Mercurio:
Mercurio , io vo' venir con teco insienrie,
Per vedere Isabella e Beatrice,
Ancor maggior disio el mio cor preme ,
E questo è di veder quella Fenice,
Ercul famoso, d'ogni virtù seme.
Che ancor del suo valore el mondo dice:
Ardo d' onorar lui d' ardente zelo ,
Che già con le sue spalle resse el cielo.
Venuta Giunone con Mercurio avanti alle
Duchesse, in questo modo gli parla :
0 sacre Iddee, o voi superne stelle,
Bellissime Isabella e Beatrice,
Onor dei secul vostro , alme sorelle ,
El mondo oggi per voi ditto è felice,
Che un miracul del cielo e di natura
Sole voi siete , qual sola Fenice.
Fortuna e Morte hanno di voi paura ,
E quando verso el ciel volgete gli occhi
Allo splendor di quei sua luce è scura.
Se vostra man di perle avvien che tocchi ,
In nel rigido verno, un secco ramo
Subito fiori par che da quel fiocchi, *
Però vi onoro, reverisco et amo,
E sono Iddea anch' ie come voi sete :
Giunon dell'Aria Iddea ancor mi chiamo,
Sposa di Giove, e d' onorarvi ho sete
Or di voi due sorelle i' sarò terza,
16
#
242 RAPPRESENTAZIONE.
A farvi sempre el Sole in Ariete. '
Nel freddo tempo poi, quando più sferza
Nel Lione e Cavalli, e Borea vento
Farò Ponente che fra' rami scherza.
El romor d' ogni fulgure un concento :
La gì^andine a voi perle ; e poi la neve
Farò piover di rose al pavimento.
El partorir, che all'altre esser suol greve,
Io, che posso giovare assai in quel giorno, 2
Far{) r incarco a voi posar giù lieve.
Fral sono et io vostre ministre intorno, 3
E perchè qui ha venir de l'altre Dee,^
Madonne , al regno mio vo' far ritorno.
1 In Ariete. Cioè che per voi sia sempre pri-
mavera. La stampa, falsando la rima, e toglien-
do ogni senso, ha in oriento. Domin se que'cri-
tici, che vogliono conservati i testi tali quali,
mi accuseranno anche qui di avere sconciato
piuttosto che racconciato !
2 Giunone era invocata dalle partorienti sotto '
il nome di Lucina*
3 Fral sono ecc. Questo verso debb' essere di
errata lezione; né so indovinare che cosa mai
abbia potuto voler dire il poeta.
4 Ha venir. Hanno a venire. Ellisse tuttora
comune nell' uso toscano.
RAPPRESENTAZIONE. 243
Giunone, dettele ^precedenti parole, si 'partì,
e subito vennero le sette Arti liberali, e
prima Grammatica.
Io son colei che neli' Egitto nacqui,
Nutrita in Grecia, e quivi tenni corte,
Or mi vivo in Italia, che a lei piacqui,
E combattendo vinco ei tempo e morte.
A' savj et alti ingegni mai dispiacqui,
E fo resuscitar le genti morte,
Madre di vera pace e di conforto ;
' ■'Va
E fo lume la notte ove sta el porto. {ij-
Como nel foco più s' affina T oro ,
Così di tempo in tempo un fo felice ,
Se bene un muor, di vita lo ristoro:
Come di sé rinasce la Fenice,
Così rinascon per virtù coloro,
Como rinascerà ancor Beatrice
Dopo la morte in sue virtù superne.
Per le lettere mie , pitture eterne, i
Parlato che ha Grammatica, viene la Logica
e dice:
Logica sono io, e son colei
Che '1 ver fo parer falso , e '1 falso vero ;
Strumento fui de' primi falsi Iddei ,
1 Sotto il nome di Grammatica comprende l'au-
tore tutte le discipline che si riferiscono all'arte
del dire e dello scrivere.
244 RAPPRESENTAZIONE. -
Che mostravan all' uom pel bianco e! nero ;
Sillogismi e sofismi e detti miei : ,
Ne l'argute dispute è il mio impero;
Si e no com' i' voglio affermo e nego : i
Con mille scorze e nodi e «ciolgo e lego. ' i
Gli artisti con miei detti uson mostrare i
Che un omo sia un asino, e questo provano;
Ma òggi senza me '1 posson provare /i
Però che di molti asini si trovano : j
Questi miraculi i signor san fare, i
E così questi i detti miei approvano: '
Se fanno un ricco grande quando istenta, ;
Facendo] ricco, un asino diventa.
Seguita la Retorica: \
Retorica son io, che col parlare
A creder persuado un mio volere ,
E disuado, e con ragion provare [
L'anime mortai volgo al mio piacere; ]
E detti d' altri so ben repugnare ; 2 \
Memoria, e ingegno, e lingua è il mio podere. ì
Se musica è di gran dolcezze pingua, \
Qual musica è più dolce de la lingua? i
Oh quante crude donne son placate 3 '
Per il retto parlar d'un dolce amante, J
1 Confonde la logica con la sofistica.
2 jRepwflfnare. Ribattere, Contradire. •
3 Oh quante crude ecc. Dice che molte donne ^-^
crudeli , non lasciatesi vincere a promesse d'oro, ]
si placarono per il dolce parlare dell'amante. i
RAPPRESENTAZIONE. 245 '
Che per tesori s' eron più indurale !
Cosi la lingua rompe un diamante.
Però, Duchesse in ciel desiderate !i
Stelle del secol d'oggi uniche e sante, j
Per servire a voi due venuta sono, «
E di me fare a' figliol vostri un dono. \
Seguita l'Aritmetica: j
Aritmetica sono, e son colei, ^
Che numero con numero raffronto : j
L' umana gente drieto a' passi miei '\
Di peso e tempo n' ha ragione e conto ; :'
E con mie scale ancor sino a li Dei ;
Con mia sorella Astrologia poi monto: j
E fu chi disse, e forse al ver s'accosta.
Che r anima è di numeri composta. '
Per che ne l' infinito si trascorre ;
Voler molto volar con le mie ale, ;;
Misurar basti una Moresca torre , ■ \
'Ov' è r arbor che fa Tisbe immortale ; '
E sotto a quella pianta i' mi vo' porre
Per cor del frutto, che non può far male; ^ '"\
Che la matura un Sol, novo Oriente; l
E questo è Beatrice a noi presente. I
Seguita la Geometria: - j
r son quella sottil Geometria , '
In Egitto di polvere creata, * I
^L' arbor. Siamo sempre alla adulazione tli
Lodovico il Moro.
24G RAPPRESENTAZIONE.
Di tondi e quadri da la gente in pria
Fir con le dita in terra disignata;
Per me si sa del Sol la longa via ;
Tutta la terra e l'acqua ho misurata,
E tutti i corpi, e '1 corso de le stelle,
La Luna e l'altre cose magne e belle.
Ma or con queste mie sorelle care
Liete e contente mi vo' star felice,
In questo magno studio riposare
Che Pavia un novo Atene oggi si dice,
E 'n una torre poi tanto aspettare
Che veggia uscir quel Sol di Beatrice,
El qual fia premio de le mie fatiche,
A cui le Grazie e 'I Ciel le sieno amiche.
Seguita V Astrologia :
V son colei, che per le sette spere
Discorro, e so di lor l'inclinazione:
La Luna fa l' uom pigro a voi vedere :
Mercurio T uom dispone a bel sermone:
Vener di bella donna dà piacere:
El Sol della scienza perfezione;
E Marte l'arme, e Giove onore e regno:
Saturno lunga vita e grande ingegno.
Questi col vostro senso hanno amicizia ,
Talché sarebbe di necessitate
Senza ragion quest'uomo usar nequizia:
Non hanno imperio in vostra voluntate,
Che lume avete a bene et a^malizia;
Però dure battaglie in voi son nate.
RAPPRESENTAZIONE. 247
Chi segue il senso in precipizio cade,
E serrate gli son del ciel le strade. '
Musica dice in ultimo;
Musica son , che tutto il regno santo
Discorro, e fo concento in ogni spera,
Diletta da' mortali , e insegno il canto
Agli uccei ne la dolce primavera.
E tal dopo di me creduto ha tanto
Provando mia virtù con ragion vera ,
Ched immortali le anime lor sia,
Composte di concento e d' armonia.
Per me si laida il sommo Creatore: '■^
Tengo la schiera celestiale in festa;
Col canto mio morale do vigore
Ad ogni creatura di qual -gesta; 3
1 Questi col vostro senso. Ammettendo pure l'in-
riuenza de' pianeti, la tempera con la dottrina del
libero arbitrio. Questa ottava è parafrasi della
terzina dantesca:
Lo cielo i vostri movimenti inizia;
Non dico tutti ; ma , posto eh' i' '1 dica ,
Lume v' è dato a bene e a malizia.
2 Per me si laida. Interpreta il Laudale eum
in chordis et organo.
3 Di qual gesta. Di qualsivoglia qualità, o schie-
ra. Anche Dante :
Carlo Magno perdeo la santa gesta;
Il (love Gesta significa schiera, esercito o simile.
248 RAPPRESENTAZIONE.
Ch' Ogni strumenti di vario colore
I quali tu ritrovi in mia podestà,
Ed ogni discrepanzia, ovver discordia,
Unisco, e pongo pace, ovver concordia.
Finito eh' ebbono di parlare le sette Arti,
incominciarono a cantare la seguente
CANZONETTA.
Le sette Arte siàn cliiamate,
Che facciàn T uom virtuoso:
In Pavia facciàn riposo,
Ove star possiàn beate.
Le^sette Arte siàn chiamate.
Quésta è quella nostra Atene ,
Dove già vivemmo. liete ,
Dar possiàno el vero bene
A chi ha di virtù sete :
Però il tempo or non perdete,
Figliol nostri, oggi studianti;
Ma preghiànvi tutti quanti
Che nel cor voi ci accettiate.
Le sette Arte siàn chiamate
Veramente oggi Pavia
De le Muse è lor Parnaso ;
E poi dice Astrologia
Che '1 ben nostro era rimaso
Su nel Ciel : et or nel vaso
Di queir alma Beatrice
Un tesoro , una Fenice ,
Anzi un Sole, ha nostra etate.
Le sette Arte siàn chiamate.
RAPPRESENTAZIONE. 240
Star vogliamo in vostra terra,
Di che il Moro tien le chiave:
Lui ci può legare e sciorre,
Tanta grazia dal Ciel ave.
Già molti anni serve e schiave
State siàn, per colpa altrui; ^
Ma il bon Moro oggi è colui
Che ci ha tutte liberate.
Le sette Arte siàn chiamate.
Viene Saturno con li quattro Elementi, e dice
le seguenti parole :
V son Saturno, el più alto pianeta:
r son figliol del Cielo e de la Terra,
Patre del Tempo, e fui già^re di Creta.
r son colui che ho fatto e farò guerra
A ciò che nascer può sotto la Luna ,
Che l'universo asconde, chiude e serra;
Né può contra di me Morte o Fortuna :
Solo una donna me suo servo chiama
Che in su gli omeri ha l'ale: e .sol quest'una
Ho per nemica, e chiamasi la Fama.
Libera di mie man da insidie e inganni ;
E questa donna el savio onora et ama.
Dell'altrui morte mi satollo, e danni,
Mangiati ho i propri figli, e questi soli
M' ho riserbato in questi ultimi affanni.
Or questi cari miei dolci figlioli,
Per obbedire a voi , son qui contenti ,
Madonne, che ascondete in voi duoi Soli.
250 RAPPRESENTAZIONE.
Questi quattro son qui, i quattro elementi,
La terra, l'acqua, Taer, e '1 suttil foco,
Che fur del gran Caos i fondamenti.
Or quel Monarca del più alto loco.
Che tutto ha fatto e intende da M eterno,
Senza discorrer tempo molto o poco,
Secondo el mio veder, se ben discerno,
Par che F imperio tòr vogli a' pianeti;
E dar a quelle spere altro governo.
E perchè voi sappiate i gran secreti :
Francesco Sforza è nella quinta spera;
E Marte è tolto da' soi giorni lieti.
r mi rallegro, che mia mente spera
Che del gran sangue Sforza qui saranno,
Onde il Mondo fia sempre in Primavera,
I figliol, che di voi qui nasceranno,
Fieno i novi Pianeti ; e d' Isabella
Gli omini il nuovo Sole ancor vedranno.
E poi di quella tua dolce sorella
Figlia del magno Alcide, Beatrice,
Nascerà Giove, sì benigna stella,
Et io al mondo tornerò felice.
In quella d'oro gloriosa etate.
0 figlioli elementi, a voi si dice.
Che obbedir sempre a queste due vogliate;
E che del Moro e del Signore, a queste
Una canzone in lor laude cantiate. '
1 Lasciamo andare la stomachevole adulazio-
ne; ma questo tòr l'impero a' pianeti, e mandar
lassù in loro luogo lo Sforza; e qua' quattro eie-
RAPPRESENTAZIONE.
251
Li quattro elementi cantano come segue.
Cantiàn tutti: viva 'l Moro
Viva '1 Moro e Beatrice:
Ben si può tener felice
Clii Lei serve e '1 sacro Moro.
Cantiàn tutti viva 7 Moro.
Queste due care sorelle,
Anzi son duoi chiari Soli,
Sono albergo di due stelle.
Che del mondo saran poli:
Perchè portan duoi figlioli,
Che d'Italia fien salute,
E per lor grazia e virtute
Tornerà V età dell' oro.
Cantiàn tutti viva 7 Moro.
Or qui fusse viva in terra
Quella Ippolita in ciel santa,
Che Francesco in braccio s«>rra,
Allegrezza arebbe tanta
A veder che '1 mondo canta:
Sforza Sforza e Isabella,
Che crediàn che ancora quella
Bacerebbe el fratel Moro.
Cantiàn tutti viva 7 Moro.
Ben si può tener beato
Ercule oggi e glorioso
menti che hanno a obbedir le due dame, con tut-
te le altre garbatezze , sono goffaggini belle e
buone.
252 KAPPRESENTAZIONE.
Che del suo seme ha aspettato
Chi porrà el mondo in riposo.
Questo è '1 sol, eh' è stato ascoso
Nel bel sen celeste e santo,
Quale el Moro ama oggi tanto
Ch'el può dir sempre l'adoro.
Cantiàn tutti viva 'l Moro
Caro patre, alto pianeta,
Tu sei pur venuto dove
Troverai il regno di Creta,
Che ti tolse il fìgliol Giove.
Questa grazia a te sol piove
Da le man di Ludovico,
Di Giustizia è patre e amico
Due virtù del elei tesoro.
Cantiàn tutti viva 'l Moro.
Fine di tutte le Rime del Bellincioni, riportate
nella edizione di Milano 1493 di Filippo Mante-
gazi.
Questi due ultimi Sonetti gli copiò il signor
Leone Del Prete da un antico Codice; e ad
essi premette sì fatta nota.
I due seguenti sonetti sono stati copiati dal
Codice Moiicke N. 11, esistente nella pubblica
Libreria di S. Frediano in Lucca, nel quale si
legge che sono stati tratti dal Codice Venturi,
intitolati — Poesie varie — ove il primo, che è
inedito, sta a carte 430, l'altro a carte 472 tro-
vasi stampato nel Voi. I, carte 53 della serie d^i
Testi di lingua del Poggiali.
SONETTI. 253
SONETTO CXCIX.
0 Accademia nuova di Giudei !
Costì v' è chi lo niega e chi lo vende :
Pretorio di Pilato, ove s'accende,
L' ira de' falsi e miseri plebei.
Tutti vi stillerèn per far cristei,
Po' che ciascun del biasimar s' intende:
Lasciar si vuole star chi non v' offende ;
Ma invidia vi consiglia, o Farisei.
Che tanto cicalar? cheti, gracchiuole!
Che v'intendete voi del dire in rima?
E ciascun Dante e Petrarca esser vuole!
Chi men conosce è quel che più si stima;
Che sol costì si pesca alle cazzuole,
E a forbir parole ognuno ha lima.
r non vi dissi in prima,
Poeti da minestre e da mal tempo,
Che '1 vostro error si punirà col tempo :
Or dateci un bel tempo .
Col vostro Bolognese Romajuolo,
Ch' e Maccheron vi serba in un pajuolo.
SONETTO ce.
MANDATO A LORENZO DE' MEDICI .
Le dolci rime e gli eleganti versi,
Che usate cantar con vostra lira,
M' hanno al bel fonte d' Aganippe e Cira ,
Menato, ove '1 licor soave versi.
Per voi son tutti gli animi conversi
In pacifico stato; ma desira
254 SONETTI. \
Vendicarsi il mio cor, che lo martira ;
Quel bistolfaccio ch'or n'andò fra' Persi. \
Lorenzo, già nel fonte Pegaseo '
Io vi vidi bagnar le labbra, e poi ^ i
Cantar soavi versi più che Orfeo;
E io, eh' ancor seguir volevo voi.
Cambiai istil , cagion di ser Matteo , j
Che mi tolse del dir dolce con voi.' ì
No' farèn dir di noi "l
Pur con sonetti, e io non me ne curo:
S'egli è ranocchio, il butterò nel muro.
E' tien dell'Epicuro: '
Incredulo e bestiale, e d'Origene.
Veggiàn , se a caso , quel eh' i' dico , tene. '
FINE DEL SECONDO VOLUME.
INDICE DELLE RIME.
N. r>. Que' capiversi che, avanti il numero arabico indicante
la pagina, non hanno il numero romano, si intendono es-
sere del volume primo. A quelli del volume secondo si fa
precedere al numero arabico il numero romano.
A ciò che de la fede i' non ti manchi — n. 139.
A Fiesole con Piero è '1 Bellincione — il. 88.
Allor ben si conosce Ludovico — ii. 43.
Altro pensier non ho che di guarire — 237.
Ambrosio, i' ve' che segui el mio consiglio — 129.
Ambrosio, stu hai pur quell'intelletto — 128.
(Festa ossia Rappresentazione)
Andrai Mercurio, mio orator degno — ii. 210.
Apri gli occhj, o pastor, non dormir piti — 173,
Ardita, inesorabile e superba — ii. 128.
Ardo di dentro, e fuor fredda di marmi — ii. 174.
Arò forse trovato un buon partitoli. — 53.
(Festa ossia Rappresentazione)
Attenti, udite tutti, incliti viri — ii. 208.
Ave dolce Maria di grazia piena — 92.
Bellincion, che vorresti ire a Ferrara — ii. 23,
Bellincion, chi t' ha fatto quel mantello — ii. 109.
Bellincion, tu mi dai d' ammiterato — ii. 105.
Benché piccin sia el vostro Ricciardetto — ii. 2.
Bencino, io mi ricordo di Querceto — ii. 96.
Ben s' intese ier sera in nel Signore — ii. 174.
256 INDICE DELLE RIME.
Ben ti vorrei vedermi po', Santino — 170.
Benedette gli sien Giulian le mani — 197.
Bianca di perle, e bella più che '1 sole —70.
Borgonzio, abbiano inteso che Santino — • 149.
C
Calliope, Euterpe e tre fritelle — 210.
Cappucci Fiesolani e fumosterno — 199.
(Canzonetta della Fatica)
Cara e dolce mia Fatica — ii. 204.
Cara, suave e dolce mia sorella — ii. 9.
Certi nuovi poeti smemorati — 181.
Certi savj e gagliardi con parole — 51.
Che bella cosa sono e tremolanti — ii. 78.
Che dira' tu or, Messer Anton Barcollo — 145.
Che fa la lega? mal che Dio vi dia ! — 30.
Che gente è questa? Vengon da Lione — 155.
Che pensi tu che sia quel Bellincione — ii. 40.
Che sarà ? Che vuol fare ? Or che si dice ? — 45.
Che volQ,te voi dire, o gente strane — 174.
Chi cercassi oggi ben da l'orizzonte — ii. 122.
Chi el dulce fin d'un desiato bene — ii. 194.
Chi non credessi ben che '1 tracio Orfeo — 108.
, Chi presto e ben conciar vuole un Falcone — n. 45.
Chi si stima esser più che altri lo tiene — 218.
Chi vuol che roba avanzi a un convito — 158.
Co' fiiori in grembo un'altra donna bella — ii. 224.
Colui di chi parlammo per solazzo — 187.
Comar? - Madonna - Avete voi del fuoco? — ii. 83.
Come le rose nascon delle spine — n. 197.
Come posson le Muse comportare — 180.
(Sestina morale)
Con debil legno sono in mezzo a l'onde — 219.
Con l'angelica voce e '1 dolce canto — 95.
Conte Borella mio, grato et humano — ii. 135.
Cornelio, tu sa' far cose più belle — 101.
INDICE DELLE RIME.
Covan di molti allocchi ne' palazzi —
Credo ti dia più tedio 1' esser matto
257
201.
- II. 109.
Dal primo di che gli occhj apersi in Dolo — 66.
Dante, quel Fonte di Teologia — ii. 185.
Da poi eh' i' veggio che tu se' moresco — ■ ii. 1'^
Da qual magno pianeta e stelle nove — ii. 191.
Degno non son del sacrato collegio — ii. 62.
Deh! dammi un po' qualche consiglio, Amore. —
II. 183.
Deh! Perchè piangi o Febo? F. Io piango e grido — 47
Delectasti me domine in factura — 248.
Devoto patre, sotto i sacri panni — 109.
Dica la Bolla pur comò gli piace — 245.
Dice un|proverbio, che ognun dee sapere — ii. 100.
Di che ti adiri? A chi invidia, hai Natura? — 72.
Divo Ermolao, novo Mercurio in terra — ìi. 103.
Dolcissimo parente, al mio signore. — 41.
Dormi tu, Cristo, oppur non vedi lume — 139.
D'Ottobre e Maggio el vostro enigma indulto — 247.
Dulce Isabella mia, s' i' sono assente — il. 170.
E drappi d'oro e' ricchi diamanti — ii. 172.
Ego te commendare non desisto — 143.
Eh ! s' io fussi di fuor qual dentro bello — ii. 79.
E' ci è venuto un gufo di Cuccagna — 211.
Egli è tempo aprir gli occhi e parer cieco — ii. 104.
E' mi rincresce di me, che son tale — ii. 142.
E' trovarono al naso come el bracco — 198.
El bel pianeta che già nacque in Delo — 71.
El bel viso e le chiome crespe e bionde — ii. 166.
El cor mi ardea d'una speranza tale — ii. 188.
El duro pan tra denti usa tentare — 53.
El nipote del mondo nano e grande — ii. 34.
17
258 INDICE DELLE RIME.
El pennajuol de gli Otto di Palagio — 215.
El sarà prima Santo Anton d'Agosto — ii. 81.
El Soldan di Toscana uccellatore — 160.
El sole avea già l'ombre e le paure — ii. 179.
El tuo cornigeron, non cornacchione — n. 6.
E preti e' frati buon non son si rari — ii. 51.
Essendo ambidui noi d'un sangue erede — 37.
Essendo a vostre rime qui soggetto — ii. 88.
E trespoli imparavano a ballare — ii. 66.
E tuoi pensier son pur di strano uccello — 206.
P
Facundissima lingua, ingegno ornato — n. 150.
Farete insieme, o musici, lamento — ii. 117.
Fatto era d' ombre e di silenzio pieno — 49.
Filippo, i' son di quelle virtù privo — 89.
(Epitafio)
Firmate qui ciascun vostro camino — 8.
Firenze parea tutto un pajuol d' accia — ii. 85.
Forse dirà Gualter: El Bellincione — 242
Fortunati e felici, o gran cignali — n. 166.
Fratel, la mia signora è pur severa — ii. 198.
Fu forsi un' arte già la poesia — 192.
Q
Gallettin, conigliuzzo, anzi frittella — 217.
Giovan, Francesco e Pietro ognun propizio — n. 39.
Gloriosa per me felice sera — 67.
Gran mercè, ti ringrazio e ti commendo — 166.
Grimaldo mio, se or fusse Salomone — 35.
Gustate ben di Fabio el documento — 33.
H
Ho mille volte ringraziato amore — ii. 199.
INDICE DELLE RIME.
259
r arei convertito ogni Giudeo — n. 20.
r canto, Monsignore, il Misererò — n. 19.
11 Tapon d'esser santo forse aspetta — 176.
r fo delle pensate di fanello — 205.
Intendo, Monsignor, venirne teco — ii. 138.
Io ho sentito che 'n filosofia — ii. 72.
riessi la tua cronica a Legnaja — n. 101.
Io non ho tanta polvere negli occhi — 200.
r porto in dosso un certo stran mantello — 232.
r previdi, signor, quel eh' è seguito — 56.
r sento che '1 Tapon la bestia matta — 184.
r sento non so che de gli Antenori — 152.
r son colei che al mondo amasti tanto — ii. 119.
r son fatto pel pianger quasi cieco — ii. 195.
Io sto come Dio voi, non comò i' voglio — 241.
r t' ebbi già dormendo nel pensiero — 163.
Io ti mando dui pomi; e' son granati — 230.
r ti rimando il tuo carrettou bajo — ii. 141.
I' ti mando un sonetto pien di risa — ii. 64.
r ti ricordo della rana e il ratto — 132.
r ti vidi una siepe intorno al letto — ii. 65.
r veggio ben sì come oggi disserra — ii. 185.
r veggio a lato a quel celeste sole — 69.
r vegno come un frate di Badia — li. 97.
Io vi mando un sonetto burchiellesco — ii. 32.
lo vo' ben che da ridere el ci sia — 172.
r vo pensando pur che grado o stato — ir. 31.
r vorrei pur saper da qualche dotto — ii. 89.
Jacomo, el tuo presente è molto degno— 90.
La fama tua è, Valditara sciocco — 113.
260 INDICE DELLE RIME.
La fama tua ha qua fino il ciel tocco — 112.
La fede era mancata oggi a ciascuno — ii. 42,
La fonte e le sue ove, o Pernigone — 175.
La luna, el sole, el tempo e la stagione — ii. 66.
L'alta invenzione e '1 tuo soggetto degno — n. 108.
La miiera intes' io del Vescovato — ii. 106.
La nostra andata è proprio una novella — ii. 99.
Lanterne cieche, e sogni in un brodetto — ii. 87.
L'arbor che Febo in terra onora et ama — 34.
Lascia pur fare a me la ciurniaria — ii. 57.
Le dolci rime e gli eleganti versi — ii. 253.
Le fosse cieche fien forse scoperte — 150.
Leggiadro spirto, al ciel sempre elevato — ii. 149.
Leggendo un di la gloriosa vita — 102.
Leggiadro, divo e luminoso ingegno — 88.
Leggiadro spirto, in cui certo si vede — 78.
Le Parche, Ambrosio, han dato una richiesta —
127.
Le tue virtù m'accendon si d'un zelo — 93.
Li arbori, l'erbe, i colli e le campagne — 63.
L' invida gente dispettosa e trista — 136.
Lo Dio d'Arcadia è fatto una sirena — 194.
Lorenzo, i' sono in tanta estremitate — u. 94.
Luigi Pulci, se dall'alto regno — 81.
M
Maestro Bica, nostro ventre mina — 209.
Maggior dolcezza i' sento nel mio core — 249.
Marchese, Ovidio ho letto per piacere — ii. 148.
Meco ti fai, Scallese, cavaliere — 164.
Memento mei a questa volta appunto — ii. 60.
Memento mei, el e' è el tesauriere — 233.
Memento mei, per Dio, a questa volta — ii. 61.
Mentre eh' io penso al mio longo servire — ii. 183,
Mentre eh' io torno a ragionar con gli anni —
n. 178.
INDICE DELLE RIME.
261
Mentre gli occhj mietcercono in quel viso — ii. 191.
Messer Battista par ben el Battista — ii. 16.
Messer Pallavicin, deh! non vi scordi — 223.
Messer Pier da Birago io vi ricordo — 225.
Mettevon l'ale tutti quanti gli opii* — ii. 47.
Milan prendeva pure un gran conforto — 165.
Mira '1 bel loco, o glorioso Giove — 39.
Molti accendon candele a certi Santi — 32.
N
Natura per sé fa il verso gentile — ii. 53.
Nel mezzo giorno fia settentrione — Ji. 27.
(Canzone delle tre Grazie)
Noi Siam tre sante Grazie — ii. 221.
Noi- vi vogliàn venire oggi a vedere — ii. 29.
Non direm più Santino anzi Santon — 189.
Non dir più: Intendo greco: Ell'è bugia — li. 111.
Non fu lattuga mai sì diradata — ii. 82.
Non fu mai madre in tanto gaudio e festa — ii. 5.
Non fur sì liete quelle antiche genti — 96.
Non guarderete al mio rotto mantello — ii. 76.
Non ha sì dolce Filomena il becco — 44.
Non merita, Bernardo, el nostro ingegno — 111.
Non mi dar quel cavai di poesia — ii. 134.
Non pianger più, benché sia fatta terra — ii. 116.
Non pianger più quel eh' è fatto immortale —
li. 118.
Non si creda a Milano oggi un Lupino — 178.
Non so qual sia più grave in me el dolore — ii. 36.
Non so quel che si fràppon d'Araphione — ii. 144.
Non so se con le rete rotte i' pesco — 231.
Non so se fu del frate o tuo el difetto — 130.
Non so se quel Melon fu come certi — n. 37.
Non sol per l'affezione e gran fervore — ii. 187.
Non tanto cicalar, falimbelluzzo — 216.
Non tornò mai saeppolo o sparviere — n. 98.
262 INDICE DELLE RIME.
Non trovo medicina che riesca — 237.
Nova influenzia da le Muse piove — ii. 197»
O Accademia nuova di Giudei — ii. 253.
O barche rotte, o maccheron gelati — 168.
O bella Italia, a te piangendo dico — 221.
O belle labre, di rubin colori — ii. 171.
O Bellincion — Che e' è ? — Deh! dimmi un
poco — 57.
O Bellincion, tu se' pur di casato — ii. 92.
O benigne accoglienze oneste e belle — 61.
O cara Lucia mia, fra le altre sante — ii. 186.
Occhj miei tristi, miseri, e dolenti — ii. 173.
O chiara luce, che di elei in terra — ii. 200.
O chiara luce mia, o divin sole — ii. 190.
O chiara stella, anzi qual vero fiore — 99.
O Ciel ! O san Francesco ! O Crocioni — ii. 84.
O delfico, ausonio, o divo ingegno — 110.
O discesa dal ciel lucente stella — 62.
O divo lampo, o delfico splendore — 15.
O divo specchio, ove la bella donna — 123.
O falso Architofel, lupo rapace — 185.
O famosa, gentile, alta colonna — 115.
O famoso Bataglia, o gran Melarapo — ii. 129.
O famoso immortai notturno volo — 50.
O famoso mio dolce e duca degno — li. 18.
O fortunata e gloriosa etate — 46.
O fortunata e gloriosa sera — 97.
O fortunata e gloriosa stella — ii. 175.
O fortunato e santo domicilio — 246.
O Galeazzo, del tuo sangue il flore — 86.
O Geremia, tu fai divin lamento — ii. 90.
O Giovan Galeazzo, o divo lume — 49.
O glorie vane dell' umane pompe — ii. 127.
Ogni giorno a Milan ci pare un anno — ii. 22.
INDICE DELLE RIME.
263
(Canzonetta d'amore)
Ognun canti viva Amore — ii. 205.
Ognun sa predicar la pazienza — ii. 63.
Ognuno Sforza, Sforza : e s' è sforzato — ii. 16.
Oh vi die Dio ! Borgonzio e Marchesino — 179.
O luce, abbi pietà del mio dolore — ii. 182.
O lume, del gentil sangue del Fiesco — 80,
O lume o specchio de la nova Roma — 100.
O lume, o specchio, o delfico splendore — 108.
O lume, o specchio, o sol degli occhj miei — ii. 176
O lume, o specchio, o sol di nostra etate — ii. 21.
O lupo e non pastor, che al santo offlzio — 140.
O Marchesita, o arbori fioriti — 134.
O Milan cristianissimo, al ciel grato — 229.
O Muse afflitte, lacrimose e sole — 94.
Onestà in bocca, e castità negli occhi — n 196.
O poeta da beffe o tempie grasse — 213.
O Ricciardetto, ov' è la tua prudenzia — ii. 49.
Or su, che diranno ora e detrattori — 58.
Or vedo io che '1 Tapon lia pur cervello — 162.
O santissimo Ambrosio, o sole eterno — 60.
O signor, perchè fui sempre sforzesco — li. 12.
O sol degli occhj miei, divo splendore — ir. 177.
O specchio di poetico collegio — ii. 62.
(Canzone delle sette virtù)
O summo Jiove, o summo Jiove — ii. 221.
O sacro erario de'divin tesori — 104.
, O Timoteo, che Amor porti dipinto — ii. 26.
O veramente bona, anzi perfetta — 68.
Pallide e scure, interriate e smorte — ii. 125.
(Epigramma)
Parvus magna peto; fateor, Ludovico, rogatam —
II. HO.
Pelago di tempeste, un mar d' affanni — ii. 113.
264 INDICE DELLE RIME.
Per autunno, verno o primavera — 60.
Per certo che s' è fatto un grande errore — ii. 44.
Perch' al non è più el tempo di Sansone — 227.
Perchè tanto dolor mostrar conviensi — ii. 5().
Per dirti prima ch'i' cavalco a Pisa — ii. 141.
Per qual merito mai dal regno santo — 64.
Per molti un bel proverbio si concede — 137.
Per Ognissanti bietole si sgombra — 195.
Per poter far sonetti e me' studiare — 243.
Per sua umanità non vostro merto — 183.
Piangendo rido, e sospirando godo — ii. 95.
(Elegia funebre)
Piangi el tuo stremo danno, o bella Esperia —
II. 150.
Piangi, Ferrara mia, leggiadra e bella — ii. 120.
Pietosi amici, udite a quel ch'io sono — ii. 180.
Pietoso Giove, in ciel primo motore — 222.
Poeta mìo, cocomero col pane — 196.
(Elegia funebre)
Poi che morte Giuliano ha fatto vivo — ii. 160.
Prima fia secco di Parnaso el fonte — 91.
Prima la terra a' miei pie venghi meno — 239.
Qual carro, o arco magno e trionfale — 77.
Qual carro trionfai mai vide Roma — 38.
Qual nova legge di natura vuole — ii. 177.
Qual van pensiero e qual tuo vano errore — ii. 28.
Qùal vergogna, o paura, o quale errore — ii, 192.
Qual vostro merto, o stelle gloriose — 65.
Quando fia el di che Amore el freddo petto —
II. 201.
Quando fortuna vuole uno ajutare — 234.
Quando potrà sonar questa campana — 54.
Quando su l'anche d' il destrìer ritroso — 98.
Quanta dolcezza da' begli occhj piove — 107.
INDICE DELLE RIME. 205
Quanta gloria et onore e quanta fama — 89.
Quanto fa ben colui che tutto reggo — ii. 124. !
Quanto più el foco al nostro core accendi — ii. 184. :
(F'esta ossia Rappresentazione)
Quanto se' tu cortese, eli' è gentile — ii. 214. ;
Quel che già ricordò l'errore a Piero — 55.
Quel che nell' alta e diva Comedia — ii. 193.
Quel che volse morir nel santo legno — 247. ì
Quel chiaro, divo e novo dolce sole — ii. 168. ;
Quella invidiosa, un foco d'ogni regno — ii. 36. i
Quello antico famoso alto valore — 85. "'
(Canzone) :=
Quell'antico valor del tuo chiar sangue — 73. ' i
Quel nostro antico e granperfetto amore — ii. 121. -
Questa pace che ha fatto? Ha spento un fuoco - 31. ;
Questa perla del vostro Ricciardetto — n. 3. \
Questo andar pei cantoni a questo e quello — 146, i
Questo appartiene a voi, predicatori — 131. j
Questo non meritava la mia fede — ii, 181.
Questo nostro Francesco non è quello — 141,
Questo, Signor, ti fo in una osteria — ii. 143.
Qui dormon le famose e sacre spoglie — ii. 118. ■
Qui morto vive (se morir non suole) — ii. 123. !
(Rappresentazione) ,
Quivi è colui, che mai si vide sazio — ii. 238.
B
Ringrazio, o donna, el ciel a tutte l'ore — ii. 200. |
Ruppe la Parca una più dolce cetra — 9. ';i
Sarebberai ogni riso amaro pianto — ii. 169.
Se da te, donna, il mio corpo si parte — ii. 189. ;
Se d'udire il mio stato hai pur diletto — ti. 93. :
S'egli è ver quel proverbio che si dice — 41. '.
Se Febo or piange, ancor si duol Cupido — 48. )
18 ì
266 INDICE DELLE RIME.
Se tei, Madonna, l'altro d\ peccato — 236.
Se' giudicato un certo superbetto — 186.
Se ier ti die' del fonte di Parnaso — ii. 18.
Se '1 pianto del Salmista in ciel fu grato — 80.
Se lieto all' umbra del signor mio sono — 88.
Se l'uom del Verbo Eterno è vera immago — ii. 55.
Se mai impetraron grazie i miei sonetti — ii. 8.
Seme di funghi e fumo di stadere — 208.
Sempre ti detti, Prete, di Messere — 207.
Sempre un malato vedi dubitare — 228.
Sentenzio da soppanni e ferravecchi — 212.
Sento assai l'è piaciuto el mio sonetto — 84.
Sento che voi facesti un grande onore — 133.
Se quella luce ancor risplende al core — ii. 167.
Se quella vostra dolce e bianca mano — ii 188.
Se stati fussin nell'antica legge — ii. 25.
Se Troja avessi auto un tal figliolo — 82.
Se un parvo magne cose a te richiede — ir. 111.
(Canzone della pazienza)
Sia laudata pazienzia — ii. 202.
(Egloga)
Sia maledetto il giorno — ii. 225.
Si ben non lega al ramo la natura — 106.
Sì come ogni erba si conosce al seme — ii. 1.
Sì come quell'uccel, non pur col becco — 43.
Sgnor, ben vi so dir ch'egli sta fresco — ii. 14.
Signor Francesco, s' i' non son venuto — ii. 140
Signore illustre, in cui mostra natura — 87.
Signor, le risa non potrai tenere — ii. 133.
Signor, per questa grazia a te sol vegno — ii. 131.
Signor, quel caraerier eh' io ti vo' dare — n. 26.
Signor, sia maladetto lo Spagnolo — ii. 130.
Signor, tanto ho cantato il Miserere — ii. 14.
S' i fussi così ricco di moneta — ii. 70.
S' invoco Berlingaccio o Befania — ii. 59.
Solieno i boschi, le campagne e i fiumi — ii. 171.
INDICE DELLE RIME. 267
Sonetto, va, ricorda quel cavallo — ii. 136.
Sono a cavallo in su nun carrettone — n. 137.
Sono i pianeti in gran confusione — 79.
(Sestina)
Spento ha or morte un divo lume in terra — ii. 114.
Spirto gentil d'ogni virtù ricetto — 103.
Stando come Dio vuol, non dir: mi doglio — 241.
Sterile, inculto loco, arido e vile — 37.
Stu di' che lodi tanto e vuoi gran bene — 224.
Stu se' cortese, o dolce mio Barcello — n. 145.
T
Taci, non ciarlar più, che tu schiamazzi — 203.
Tadeo da Busti pare in fantasia — 156.
Tanto dolor di te mio cor sostiene — ii. 169.
Tanto penassi a cuocervisi il pane — ii. 107.
Tommaso, i' mando a voi questo sonetto — ii. 75.
Trespoli rotti, e sangue di verzino — n. 69.
(Canzone)
Triunfante signor, fra' primi illustri — 120.
Triuufo a l'ombra del mio santo alloro — n. 35.
Tu acquisti, Locamo, un grande onore — 161.
Tu sai che ti cognosco, Architofello — 159.
U
Udite quel che mi promesse Amore — ii. 180.
Umana cosa è, dice la Scrittura — n. 10.
Una casa frappata uso abitare — ii. 147.
Una libbra di fretta di corrieri — ii. 74.
Un mulin con la rocca sconocchiata — ii. 86.
Un non so chi, l'ha presa pe' Toscani — 190.
Un pezzo di migliaccio mala via — ii. 58.
Va, Bellincione, e fa bene il Sosia — ii. 56,
Vedova trista, lacrimosa e mesta — u. 126.
268 INDICE DELLR RIME.
19
Veggio del tempo esperienza troppa •— ii, 115
Veggio (li Roma un suo bello antico orto — ii. 223
Veggio venire un nuovo Demostene — 83.
Venne già in terra per diletto Giove — 63.
Vergine eletta dal superno chiostro — ii. 125.
Vidi una donna afflitta e lacrimosa — ii. 50.
Vidi una palla che giaceva a schacchi — n. 67.
Vien za, Piero imbriaco da Sorano — 167.
(Epigramma)
Vilis gleba fui, modo sum ditissima tellus — 36.
Virgilio, Tullio, Seneca, e Lucano — ii. 73.
Virtuoso, leggiadro spirto illustre — 105.
Voi mi pregasti tanto per un cinto — ii. 77.
Voi siete gionti tardi, compagnoni — ii. 71.
Voi vorresti veder gran cose fare — 147.
Volano al cielo e gran romori e fischi — 171.
Volete, amanti, consolarvi un poco — ii. 194.
Volta e rivolta, e' mostra otton per oro — 239.
Vorrei saper da voi , messer Obietto — 154.
Vuoi tu veder, se '1 Duca mi tien pazzo — 153.
Zoccoli rotti, e doi sacchi da pane — ii. 48.
•■1
*51. Dell'Arte del vetro per muijaico (Esaurito) . . . . L. 6 —
52.-53. Leggende di alcuni Santi e Beati » 10 50
54. Regola dei Frati di S. Jacopo 5 —
55. Lettera de' Fraticelli a tutti i cristiani » 1 50
56. Giacoppo novella e la Ginevra novella incominciata .3 —
57. La leggenda di Sant'Albano '4 —
58. Sonetti giocosi di A. da Pistoia ■> 2 50
59. Fiori di Medieina. " 3 —
60. Cronachetta di S. Gcmignano "2 —
61. Trattato di Virtù morali « 6 50
62. Proverbii di messer Antonio Cornazano « 8 —
63. Fiore di Filosofi e di molti savi ..,.....» 3 —
64. Il libro dei Sette Savi di Roma " 3 60
65. Del libero arbitrio, trattato di S. Bernardo . . . . 4 -—
(òQ. Delle Azioni e Sentenze di Alessandro De' Medici . . ' 6 —
67. Pronostichi d'Ippocrate » 3 50
68. Lo stimolo d'Amore attribuito a S. Bernardo » 3 —
69. Ricordi sulla vita di M. Petrarca e di Madonna Laura » 1 50
70. Tractato del Diavolo co' Monaci " 2 50
71. Due Novelle * 3 50
72. Vbbie Ciancioni e Ciarpe « 3 —
73. Specchio dei peccatori attribuito a S. Agostino ... « 2 50
74. Consiglio contro a pistolenza ..,.-....« 2 —
75-76. Il volgarizzamento delle favole di Galfredo ..." 14 50
77. Poesie minori del sec. XIV » 4 —
78. Due Sermoni di Santo Efrem e la Laudazione di los^'f » 2 50
79. Cantare del bel Gherardino « 2 —
80. Fioretti dell'una e dell'altra fortuna di M. Petrarca. » 8 —
81. Cocchi Gio. Maria. Compendio di più ritratti. ...» 3 —
82. Rime di Bindo Bonichi da Siena edite ed inedite . . » 7 50
83. La Istoria di Ottinello e Giulia » 2 50
84. Pistola di S. Berìsardo a' Frati del monte di Dio . . » 7 —
85. Tre Novelle Rarissime del secolo XIV » 5 —
86^ 862 87-88. Il Paradiso degli Alberti . . . . . . . » 40 —
89. Madonna- Lionessa, cantare inedito del secolo XIV. » 4 —
90. Alcune lettere famigliari del sec. XIV » 2 50
91. Profezia delia Guerra di Siena . . ^ » 5 50
92. Lettere di Diomede Borghesi e di Daniello Bartoli . » 3 50
93. Libro di Novelle Antiche » 7 50
94. Poesie Musicali dei secoli XIV, XV, XVI ...» 3 —
95. L' Orlandino. Canti due • . » 1 50
96. La Contenzione di Mona Costanza e Biagio ....>* 1 50
97. Novellette ed esempi morali Apologhi di S. Bernardino » 3 50
98. Un Viaggio di Clarice Orsini » 1 _
99. La Leggenda di Vergogna « 7 50
100. Femia (II) Sentenziato » 7 —
101. Lettere inedite di B. Cavalcanti « 8 50
102. Libro Segreto di G. Dati » 3 80
103. Lettere di Bernardo Tasso » 7 _.
104. Del Tesoro volgarizzato di B. Latini. Libro I . . » 7 —
105. Gidino Trattato dei Ritmi Volgari » 10 50
106. Locr-frerida di Adamo ed Eva » 1 50
107. Novellino Provenzale ' . . » 8 —
108. Lettere di Bernardo Cappello ...» 4 —
109. Petrarca. Parma liberata. Canzone ...•..» 6 50
H'» l'4)istola di S. Girolamo ad Eu.stoohio 7 —
111. Novellette di Curzio Marignoli li. ;> .'>')
112. Il libro di Theodolo o vero la Visione di Tantolo . » 4 —
118. e 114. Mandavilla Gio. Viaggi, Voi. I e II. ... » 14 ~
115. Lettere di Piero Vettori » 2 50
116. Lettere Volgari del secolo Xlll » 6 50
117. Salviati Leonardo. Kime » 4 —
118. La Seconda Spagna e l'acquisto di Ponente ...» 12 —
1 19. Novelle di Giovanni Sercambi » 12 —
120. Bianchini. Carte da Giuoco in &^,rvigio dell'Istoria . » 3 50
121. Scritti vari di G. B. Adriani e di Marcello suo figliuolo » 9 50
122. Bateccliio. Commedia di Maggio » 4 —
123. e 124. Viaggio di Carlo Magno in Ispagna . . . . » 16 —
125. Del Governo de' Kegni , . . » 5r 50
126. Il Saltero della B. V. Maria. -» 5 —
127. Bonvesin da Riva. Tractato dei mesi » 4 —
128. La Visione di Tugdalo, secondo un Testo del Sec. XIII » 7 —
1 29. Prose inedite del Cay. Leonardo Salviati - » 6 —
130. Volgarizzamento del trattato della cura desrli occbi » 4 —
131. Trattato dell' Arte del Ballo "....» 4 —
132. Lettere scritte all' Aretino (v. IV) » 12 50
133. Rime di Poeti del Sec. XVI » 5 —
134. Novelle di Ser Andrea Lancia » 2 50
135. I Cantari di Carduino, di Tristano e Lancielotto. . » 5 50
136. La lettera dell' Isole che ha trovato il Re di Spagna. » 5 50
137. Zenone da Pistoia » 7 50
138. Motti e Facezie del Sec. XV » 5 —
139. Rime di Ser Pietro De Faytinelli » 3 40
140. Trattato inedito di Falconeria del Sec. XIV. . . . » 12 —
141. Prose del Giovine Buonacorso » 4 - -
142. Rime di Luigi d' Erodia » 3 —
143. La Terza deca di Tito Livio » 8 —
144. La Navigatione del Colombo .......... 8 •—
145-146. Lettere inedite di Illustri Bolognesi (v. II) . . » 18 —
147. Il Tancredi Tragedia » 4 50
148. La Defensione delle Donne » 7 50
149. La seconda e la terza Guerra Punica » 5 —
150. Ruspoli Sonetti » 5 —
151. Bellincioni Sonetti Voi, I » 9 —
152. Raccolta di Poesie popolari ...» 5 50
353. La Terza deca di Tito Livio p. II » 8 -
154. Libro di Gandolfa Persiana » 5 —
155. Fortini tre Novelle inedito » 8 50
156. Borgagni Scritti vari p. I » 10 50
157. Lettere di Scrittori Italiani del Secolo XVI . . . » 12 50
158. Cronica degli Imperatori Romani ........ 6 50
159. Vite di Ss. Guglielma ed Eufrasia ..,...» 3 50
1?N CO-RSO DI STAMPA.
La passione di N. S. Gesù Cristo, secondo un codice del_ secolo XI \'
posseduto dal cav. Razzolini con importantissime varianti.
Borgognoni, Scritti vari (parte II).
Gambino D'Arezzo del secolo XV, degli Scrittori de' suoi tf'inpi.
La prima guerra Punica.
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