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Full text of "Rime"

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RIME 


DI 


ARGIA  SBOLENFI 

CON   PREFAZIONE 

DI 

LORENZO  STECCHETTI 


BOLOGNA 
NICOLA  ZANICHELLI 


RIME 


DI 


ARGIA  SBOLENFI 

CON  PREFAZIONE 

DI 

LORENZO  STECCHETTI 


BOLOGNA 
NICOLA  ZANICHELLI 

KDITORE 


PROPRIETÀ    LETTERARIA 


PREFAZIONE 


ricco  un  libro  sbagliato. 

E  poiché  una  cortese  ma  assidua  insi- 
stenza, durata  ormai  tre  anni,  riuscì  pure  a 
levarmi  di  sotto  questa  prefazione  che  non 
scrissi  volentieri,  così,  per  patto  espresso, 
mi  riserbai  il  diritto  di  dire  l'animo  mio  tutto 
intero  e  Io  dico. 


Ai  lettori  (se  il  libro  ne  avrà,  che  non 
li  merita)  riuscirà  difficile  capire  come  dia- 
volo possa  esser  nata  una  insanità  simile 
a  questa;  ed  ecco,  per  quel  ch'io  so,  come 
avvenne. 

Vegetava  in  Bologna,  e  può  darsi  che  vi 
agonizzi  ancora,  un  foglietto  di  carta  stam- 
pata, venduto  una  volta  la  settimana  ai  cit- 
tadini che  non  sanno  come  sciupare  il  tempo. 
S'intitolava    «  E  pevìiiesso?...  »    e    non    pò- 


PREFAZIONE 


teva  uscire  'dalla  breve  cerchia  delle  mura 
poiché  mordeva  solo  gli  uomini  che  dentro 
alle  mura  hanno  fama,  uffici  o  difetti.  Perciò 
era  scritto  o  in  dialetto  o  in  un  italiano  così 
fitto  di  idiotismi  da  parere  un  peggiorativo 
del  dialetto.  Lo  dirigeva  un  certo  Cesare 
Dallanoce,  al  cui  cognome  botanico  s' era 
appiccata  V  aggiunta  di  Moscata  :  giovane 
nottambulo,  di  qualche  spirito,  con  un  fisico 
di  cercopiteco  peggiorato,  sotto  al  quale  sta- 
vano mescolati  l' odio  e  la  bontà  in  un  con- 
nubio stravagante.  Anzi  l' odio  era  uno  e 
le  bontà  parecchie  ;  e  segno  dell'  odio  cieco, 
furibondo,  indomabile  era  il  Presidente  di 
questa  Deputazione  Provinciale,  che  non  gli 
aveva  mai  fatto  niente  ;  anzi  non  gli  badava 
nemmeno.  Ma  il  Moscata  era  fatto  così  e  se  la 
sua  bestia  nera  avesse  fatto  più  miracoli  che 
non  S.  Antonio  di  Padova,  gli  avrebbe  tolti 
i  meriti  ad  uno  ad  uno,  mordendolo  e  la- 
cerandolo tutti  i  sabati  nel  suo  foglio  di  carta. 
Tolto  questo  brutto  difetto,  che  doveva 
esser  vizio  di  natura  incurabile,  era  buon 
diavolo  e  tutti  gli  volevano  bene.  Prestava 
volentieri  se  stesso  e  il  giornale  per  opere 
di  beneficenza,  non  diceva  troppo  male  del 


PREFAZIONE  IX 

prossimo  suo,  insomma  era  simpatico  a  molti 
ed  odiato  da  nessuno. 

Aveva  avuto  la  fortuna,  fin  da  principio, 
di  contare  tra  i  collaboratori  u  El  sgner  Pi- 
rein  »,  il  signor  Pierino,  il  cui  nome  ed  il  cui 
tipo  non  saranno  dimenticati  così  presto  dai 
bolognesi. 

Antonio  Fiacchi,  bravo  e  buon  giovine 
di  brillante  ingegno,  aveva  trovato  questo 
esilarantissimo  tipo  del  vecchio  petroniano 
col  cappello  bianco  a  cilindro  l'estate,  il  ta- 
barrino  a  pipistrello  l'inverno  e  le  scarpe  di 
panno  tutta  l'annata;  il  vecchietto  bronto- 
lone, credenzone,  ricordatore  inesausto  dei 
tempi  passati,  detrattore  dei  presenti,  ma  in 
fondo  ingenuo  sino  alla  balordaggine.  In  un 
altro  di  questi  giornaletti  municipali  aveva 
fatto  le  prime  armi,  in  un  dialetto  italianiz- 
zato che  accresceva  comicità  al  contenuto 
di  certe  lettere  che  non  possono  ricordarsi 
tuttora  senza  ridere.  11  tipo  aveva  fatto  for- 
tuna ed  era  quasi  assurto  alla  dignità  di 
maschera  cittadina  come  il  dottor  Balanzone; 
così  che  in  certe  feste  carnevalesche,  in  un 
villaggio  di  legno  e  di  cartone  che  .serviva 
da  fiera,  il  signor  Pierino  fu    fatto    sindaco 


PREFAZIONE 


e  sciorinò  proclami  ed  allocuzioni  da  non 
dire.  Ma  il  Fiacchi  fu  chiamato  a  Roma  e 
il  signor  Pierino  tacque. 

Il  Moscata,  che  aveva  buon  fiuto,  lo  cercò 
pel  suo  giornaletto,  ma  il  Fiacchi  rispondeva 
a  buona  ragione  che  fuori  dell'  ambiente 
bolognese,  si  sentiva  disorientato  e  che 
temeva  di  non  far  nulla  di  buono.  Moscata 
insistè  e  si  venne  a  questo  che  il  .signor 
Pierino  Sbolenfi  avrebbe  scritto  come  cor- 
rispondente dalla  capitale;  e  così  fu. 

Allora  il  bel  tipo  ideato  dal  Fiacchi  ri- 
visse in  una  serie  di  lettere  datate  «  dalle 
rive  del  Colosseo  »  che  fecero  la  fortuna  del 
giornale.  L' egregio  signor  Sbolenfi  aveva 
ingrandito  l'allegro  campo  dell'arte  sua  ed 
oltre  alle  amene  confidenze  delle  sue  tribo- 
lazioni famigliari  ci  dava  le  impressioni  ro- 
mane ricamate  sulla  tela  delle  proprie  av- 
venture. E  lo  vedemmo  uscire  di  non  so 
qual  Ministero,  autocandidato  al  tempo  delle 
elezioni  Giolitti,  perdere  l' impiego  e  cer- 
carne un  altro  per  perderlo  di  nuovo.  Lo 
vedemmo  custode  dei  tempietti  municipali 
sacri  alla  Dea  Cloacina  abbandonarsi  a  me- 
ste riflessioni  sulle  miserie  umane  ed  a  giù- 


PREFAZIONE 


dizi  comparativi  argutissimi  sul  giornalismo 
contemporaneo  in  relazione  ai  riti  celebrati 
nel  suo  tempietto.  Ma  poiché  le  autorità 
municipali  nel  tempo  del  colera  avevano 
segretamente  ordinato  a  lui  ed  ai  colleghi 
una  sorveglianza  intima  sulla  condotta  dei 
cittadini  ed  egli  aveva  propalato  la  cosa  nel 
giornale,  eccolo  di  nuovo  senza  impiego  ed 
in  cerca  di  un  altro.  Infeomma,  tutto  un  ro- 
manzo comico,  pieno  di  trovate  felici,  di 
festività  arguta  e  qualche  volta  di  velata 
melanconia. 

E  il  signor  Pietro  Sbolenfi  aveva  per 
moglie  la  signora  Lucrezia  e  per  figlia  la 
signorina  Argia,  attrici  principali  nella  stra- 
vagante commedia  della  sua  vita.  La  grafo- 
mania è  contagiosa  e  la  signorina  Argia  co- 
minciò a  mandare  al  giornale  le  sue  epistole 
lamentevoli  e   pretenziose. 

Si  voleva,  a  quel  che  pare,  crear  un  altro 
tipo;  quella  della  ragazza  che  ebbe  una  me- 
diocre istruzione  e  che,  inacetita  dal  celibato, 
chiama  il  pubblico  a  testimonio  delle  sue 
isteriche  sofferenze.  Il  tipo  non  era  così  alle- 
gro come  l'altro;  di  più  non  era  nuovo  e  le 
manifestazioni  dell'isterismo  essendo  spesso 


XII  PREFAZIONK 

erotiche,  c'era  pericolo  di  cadere  in  una  tri- 
viale pornografia. 

E  la  signorina  ci  cadde  malamente,  lunga 
e  distesa. 

E  ben  vero,  lo  ripeto,  che  il  tipo  non 
si  poteva  intendere  senza  l'erotismo;  ma  c'è 
modo  e  modo.  E  ben  vero,  che  i  lettori  di 
un  giornale  quasi  in  dialetto  non  avrebbero 
inteso  bene  una  Nuova  Eloisa  e  che  per  ot- 
tenere r  effetto  occorreva  sai  grosso  di  cu- 
cina, non  aromi  delicati;  ma  resta,  tuttavia, 
che  nulla  giustifica  il  turpiloquio  mal  velato 
sotto  gli  equivoci  grossolani,  la  scatologia 
suina  che  non  si  vergogna  della  sua  loia. 
Ci  fu  chi  torse  il  naso,  ma  pur  troppo  il  pub- 
blico in  generale  applaudì  ! 

Così  l'Argia  si  mise  in  piazza,  prima, 
come  ho  detto,  con  certe  lettere  ridicolose, 
che  rifacevano  l' ortografia  e  lo  stile  paterno, 
poi  a  poco  a  poco,  con  certe  poesie  non  meno 
ridicole  di  cui  son  saggio  le  prime  di  questo 
sbagliato  volume. 

Unico  merito,  se  pure  e  tale,  è  un  pro- 
gressivo levarsi  e  correggersi,  come  di 
chi  avvistosi  dell'errore,  cerca  di  spacciarsi 
dal  brago.  Ma  ciò  non  scusa  in  modo  alcuno 


PREFAZIONE 


la  bassezza  e  la  sudiceria  sciocca  degli 
esordi. 

A  questo  modo  la  poetessa  (come  si  bat- 
tezzava da  sé  modestamente)  seguitò  a  met- 
ter fuori  le  sue  fagiolate  e  il  male  non 
sarebbe  poi  stato  grande  se  non  si  fosse  pen- 
sato a  raccoglierle  in  un  volume.  Ah,  vera- 
mente il  bisogno  di  una  sporcizia  di  più  a 
questi  bei  lumi  di  luna,  non  era  sentito  ! 

A  me  pareva  impossibile  che  si  potesse 
giungere  a  questo;  tanto  che,  pregato  anni 
sono  di  fare  la  prefazione  alla  raccolta,  dissi 
di  sì,  nella  certezza  che  non  se  ne  sarebbe 
fatto  nulla.  1  versi  erano  ancora  pochi  e  pen- 
savo che  fino  ad  un  volume  la  poetessa  non 
ci  sarebbe  arrivata:  ed  ahimè,  ci  arrivò! 

Ora,  innamorata  dell'imperatore  di  Ger- 
mania che  credeva  venuto  a  Roma  per  spo- 
sar lei,  ora  intabaccata  in  un  canonicaccio  di 
manica  larga,  e  degno  Vescovo  di  Seboim, 
la  pettegola  figliò  tanti  versi  da  mettermi  al 
punto  di  mantenere  la  promessa.  Non  è  a 
dire  quante  scappatoie  cercai  per  esimer- 
mene, come  volli  dissuadere,  come  tempo- 
reggiai !  Ma  non  ci  fu  verso.  La  parola  era 
data  e,  per  quanta  ripugnanza  ci  avessi,  do- 


PREFAZIONE 


vetti  mantenerla.  Solo  mi  riserbai  di  dire 
schiettamente  quel  che  ne  penso,  non  perchè 
il  disapprovare  possa  valermi  di  scusa,  ma 
perchè  lo  sfogarsi  dopo  tutto  è  un  sollievo. 


Se  frugo  nei  più  intimi  ripostigli  della 
mia  coscienza,  non  ci  trovo  nulla  che  mi 
chiami  all'onore  degli  altari.  In  quel  quarto 
d'ora  di  notorietà  cui,  come  tanti  altri,  sog- 
giacqui, non  fui  precisamente  lodato  come 
continuatore  delle  virtù  di  San  Luigi  Gon- 
zaga e  come  emulo  di  Giuseppe  servo  di 
Putifar.  Tempi,  ahimè,  troppo  lontani  e  che 
volentieri  rivivrei;  parole  e  versi  che,  po- 
tendo, ridirei,  senza  rimorso  e  senza  rossore; 
ma  tempi,  ahimè,  troppo  lontani  ! 

Dico  questo,  non  per  balorda  libidine  di 
parlare  de'  fatti  miei,  ma  perchè  si  creda 
che,  disapprovando  senza  restrizioni  queste 
scelleraggini,  scrivo  per  convinzione  e  non 
per  affettazione.  Allora  ed  oggi  mi  persua- 
deva e  mi  persuade  la  teoria  della  imma- 
colatezza  dell'arte,  purché  sia  arte  e  sia 
bella.  Venere  Anadiomène  e  Cristo  Croce- 
fisso sono  rappresentati  ignudi   tutti   e  due 


PKEFAZIONK 


e  nessuno  dei  due  nella  rappresentazione 
artistica  è  immorale.  Onorato  di  Balzac,  che 
non  é  poi  il  primo  capitato,  weW Avant-pro- 
pos  de  la  Comédie  Humaine,  diceva  :  «  Le 
reproche  d' iminoralité  qui  n  a  jamais  failli 
à  Vc'crivain  courageux,  est  d'ailleiirs  le  der- 
nier  qui  reste  à  faire  qnand  on  n'  a  plus  rien 
à  dire  à  un  poète.  Si  vous  ctes  vrais  dans  vos 
peintures,  si  à  force  de  travaux  diurnes  et 
nodurnes  vous  parvenez  à  écrire  la  laugue  la 
plus  difficile  du  monde,  on  vous  jette  alors 
le  mot  immoral  à  la  face  „.  —  Solo  il  brutto 
è  immorale. 

E  perciò  che  questa  studiata  ricerca  del 
brutto,  del  triviale,  dell'imbecille,  mi  irrita. 
Questa  non  è  più  arte,  è  laidezza,  è  turpi- 
loquio spregevole  ;  ed  ho  appunto  voluto  ri- 
cordare il  quarto  d'ora  di  notorietà  che  ebbi 
in  passato  perchè  si  vegga  che  la  disappro- 
vazione non  viene  da  bigotta  ipocrisia,  ma 
da  convinzione  salda  intorno  alla  ragion  d'es- 
sere dell'arte.  E  che  cosa  ha  da  fare  l'arte 
con  queste  cretinerie  pediculose  che  s' inti- 
tolano romanze,  favolette,  etc.  ?  Anzi  è  be- 
stemmia solo  il  ricordare  il  nome  santo  del- 
l'arte a  questo  proposito,  e  il  criterio  non  cor- 


PRElfAZIONE 


rotto  del  pubblico  italiano  condannerà  senza 
dubbio  e  senz'  appello  queste  stolte  scon- 
cezze all'obbrobrio  ed  all'oblio  che  meritano. 

Mi  duole  di  dover  parlare  così  acerba- 
mente; ma  era,  lo  sento,  mio  stretto  dovere. 

Più  avanti  la  poetessa  (chiamiamola  così, 
poiché  lo  vuole)  lascia  lo  sterquilinio  in  che 
si  compiaceva  e  si  innalza,  per  quanto  glielo 
permettono  le  deboli  penne,  ad  una  forma 
un  po'  più  elevata.  C  è  per  esempio  un 
«  Inno  a  Venere  n  che,  se  nel  concetto  è 
della  più  abietta  pornografia,  nella  esecu- 
zione si  può  dire  più  conforme  ai  canoni 
della  lirica;  ed  io,  appunto  per  quel  che  ho 
detto  di  sopra,  non  lo  disapprovo  affatto. 
Qui  si  potrà  parlare  d'arte,  ma  nella  prima 
parte  del  volumetto  no,  mai.  Tutto  al  più 
ci  potremmo  rifugiare  nella  caricatura,  nella 
rimeria  giocosa,  negli  scherzi  più  o  meno 
piacevoli,  ma  il  giudizio,  anche  il  più  indul- 
gente, sarà  sempre  di  riprovazione.  La  stu- 
pidità può  muoverci  alla  compassione,  ma 
l'affettazione,  la  caricatura  della  stupidità, 
specie,  se  oscena,  potrà  muoverci  al  riso 
per  un  momento,  ma  non  mai  all'  applauso 
sincero. 


PREFAZIONE 


Né  vale  sfoderare  illustri  esempi.  Ma  chi 
oserebbe  parlare  del  Berni,  del  Burchiello  od 
anche  dei  poeti  maccheronici  o  fidenziani  a 
questo  proposito?  Certo,  in  quei  capitoli  e 
in  quei  sonetti  c'è  il  doppio  senso,  l'allu- 
sione mal  velata,  la  forma  volutamente  pe- 
destre; ma  il  punto  di  partenza  è  proprio 
diametralmente  opposto  a  quello  da  cui 
parte  la  nostra  poetessa.  11  Folengo,  per  e- 
sempio,  par  che  voglia  rifare  (almeno  nella 
Zanitoneìla)  il  contadino  che  si  sforza  di 
parlare  come  il  cittadino ,  l' idiota  che  sì 
sforza  di  parer  colto.  Qui  invece  è  la  per- 
sona colta  che  si  sforza  di  parere  abbietta. 
Là  c'è  uno  che  vuole  uscire,  come  il  Vallerà 
della  Nencia,  dal  dialetto  e  dalla  rusticità  e 
cerca  il  comico  nel  tentativo  di  elevarsi 
alla  dignità  dell'  arte  ;  qui,  al  contrarilo,  ab- 
biamo la  ricerca  del  comico  intervertita,  la 
rappresentazione  di  una  persona  colta  che, 
per  far  ridere,  si  abbassa  e  si  infanga  in  tutti 
i  letamai  che  trova  per  via.  Là  c'è  una  cari- 
catura del  tentativo  di  salire,  qui  del  discen- 
dere. Là  c'è  il  pagliaccio  che  esce  dal  circo 
e  s'ingegna  di  far  intendere  che,  uomo  an- 
ch'egli,  soffre  ed  ama;  qui  abbiamo  invece 

Sholeiifi  -  2.  , 


PREFAZIONE 


la  persona  per  bene  (almeno  lo  spero!)  che 
s'incanaglia  e  si  fa  pagliaccio  per  far  ridere 
colle  smorfie  e  le  contorsioni  del  viso  in- 
farinato. È  perciò  che  male  si  potrebbero 
addurre  gli  esempi  come  scusa,  perchè  gli 
esempi  non  calzano. 

Si  può  essere  di  manica  larga,  vantarsi 
spregiudicati  e  sorridere  di  tutto  ;  ma  in 
fondo  al  cuore  resta  pur  sempre  qualche 
cosa  che  si  rivolta  al  puzzo  ed  alla  lordura. 
La  ripugnanza  pel  laido  è  istintiva  e  si  vede 
mal  volentieri  un'  artista,  o  una  che  si  crede 
tale,  far  getto,  così  sconciamente,  della  pro- 
pria dignità.  Avete  visto  in  qualche  «  caffè 
concerto  »  di  ultima  classe  matrone  appas- 
site e  verniciate  cantar  colle  gambe  e  ge- 
sticolar colle  natiche?  Ne  inorridite  ancora? 
Ebbene,  questa  della  signorina  Sboleiifi  è 
letteratura  da  «  caffè  concerto  »  ! 

Dunque,  riprovazione  piena,  intera  ed 
assoluta. 


Ed  ora  che  detto  per  lungo  e  per  largo 
il  parer  mio,  bisognerà  pur  cercare  in  questo 
scellerato   libercolo,  non   dirò  qualche   cosa 


PREFAZIONE 


degna  di  lode,  che  non  ce  n'è,  ma  un  pre- 
testo per  invocare  le  circostanze  attenuanti. 
Una  prefazione  che  fosse  una  stroncatura  da 
capo  a  fondo  sarebbe  una  mostruosità.  Pro- 
viamoci. 

Si  potrebbe  dire  intanto  che  l'autrice  ha 
fatto  bene  ordinando  queste  cose  sue  in 
modo  che  crescano  sempre  di  serietà  (!)  e 
di  correzione.  Parte  dalla  insanità  cercando 
di  salire  alla  lirica,  e  in  questo  successivo 
progresso  è  il  filo  che  lega  il  volume.  Bi- 
sogna ricordare  che  si  tratta  di  una  pette- 
gola semi-letterata  che  va  raffinandosi  a  poco 
a  poco.  Questo  almeno  pare  che  sia  il  con- 
cetto generale  e,  anche  nei  volumi  di  liriche, 
credo  lodevole  un  legame  che  costringa  le 
parti  diverse.  Sia  un  mazzo  di  fiori,  sia  un 
fascio  di  stecchi,  un  vincolo  ci  deve  essere, 
se  no,  invece  di  un  mazzo  o  di  un  fascio, 
avremo  un  mucchio  incoerente  di  spazza- 
tura. M'è  sempre  piaciuto,  anche  nelle  rac- 
colte di  versi,  un  romanzo  che  spieghi  tutto. 
Il  Canzoniere  del  Petrarca  (se  non  è  pec- 
cato mortale  ricordarlo  qui,  ed  a  questo 
proposito)  non  è  egli  dunque  un  romanzo 
d'amore?  Un  concetto  unico  circola  per   le 


PREFAZIONI': 


diverse  parti,  come  il  sangue  nelle  membra 
e  vivifica  l'opera  nella  mente  del  lettore. 
Un  libro  deve  essere  un  organismo. 

Ed  anche  non  è  da  passare  senza  almeno 
un  segno  di  benevolo  consentimento  sul  ten- 
tativo di  poesia  patriottica  ed  un  po'  socialista 
che  fa  capolino  in  fondo  al  volumetto.  In 
questi  nostri  bellissimi  tem.pi  pareva  che  il 
patriottismo  consistesse  tutto  nel  prendere 
la  roba  altrui.  Di  qui  i  disastri  eritrei,  di  qui 
l'epizoozia  dei  commendatori,  la  quistione 
morale  e  i  sospetti,  confortati  da  troppe  pro- 
babilità, sulla  corruttela,  la  venalità,  la  diso- 
nestà, insomma,  di  chi  doveva  essere  esempio 
del  contrario.  Sottrarre  gli  accusati  all'istrut- 
toria ed  ai  giudici  costò  poco  ad  una  mag- 
gioranza metà  di  amici,  metà  di  complici, 
ma  è  facile  capire  come  questi  segni  di  de- 
cadenza morale  fossero  dolorosamente  sen- 
titi da  tutti  coloro  pei  quali  il  patriottismo 
non  fu  mai  una  chiave  falsa  per  aprire  gli 
scrigni  pubblici  o  privati.  «  Avete  fatta 
l'Italia  per  mangiarvela  »,  dissero  i  cleri- 
cali così  pronti  a  profittare  delle  calamità 
del  loro  paese;  e  gli  Italiani,  scettici  per 
istinto,  rilessero  dubitando    le    pagine   della 


PREFAZIONE 


storia  loro  e  sentirono  rimpicciolire  in  se 
stessi  le  sante  idee  di  patria,  di  indipen- 
denza e  di  libertà.  Quanto  male  abbiano 
fatto  alla  coscienza  italica  gli  ultimi  scan- 
dali, lo  dirà  purtroppo  l'avvenire;  per  ora 
intanto  la  patria  non  è  più  di  moda. 

Di  moda  invece  vuol  diventare  il  cleri- 
calismo. Chi  guadagnò  diventa  conservatore 
e  conservatori  si  dicono  e  sono  tutti  gli  ar- 
rivati. Se,  per  fortuna  delle  idee  liberali,  la 
cocciutaggine  della  decrepitezza  non  mante- 
nesse così  ampia  la  fossa  che  separa  l'Italia 
dal  papato,  tutti  questi  conservatori  d'oggi 
sarebbero  papalini  domani.  Già  le  classi  ab- 
bienti fan  l'occhio  di  triglia  alla  teocrazia, 
si  offrono  e  si  danno.  Poiché  la  fiducia  nella 
protezione  della  Benemerita  Arma  è  scemata 
e  i  timori  per  la  sicurezza  della  proprietà 
sono  cresciuti,  gli  abbienti  pensano  che  la 
paura  dell'inferno  può  essere  utile  ed  etfi- 
cace.  Di  qui  un  ritorno  interessato  alla  re- 
ligione e  l'adorazione  nuova  di  un  Dio  per- 
sonale, terribile  e  punitore.  Se  costoro  pen- 
sassero di  trovare  altrove  una  buona  tutela 
dei  beni  e  delle  cariche,  con  la  stessa  fa- 
cilità   sarebbero    domani    protestanti,    ebrei 


XXII  PREFAZIONE 

e  magari  repubblicani.  Per  conservare  una 
buona  rendita  si  può  portare  anche  il  ber- 
retto rosso. 

E  così  si  veggono  a  poco  a  poco  scom- 
parire i  partiti  intermedi!  nella  gran  massa 
dei  cittadini.  Si  riveggono  soltanto  in  par- 
lamento, poiché  per  giungere  su  quegli 
scanni  è  necessario  l'ibridismo.  11  depu- 
tato deve  essere  come  il  pipistrello  che  si 
diceva  topo  od  uccello  secondo  il  bisogno; 
deve  essere  possibile  sempre  ed  atto  per 
indecisione  di  lineamenti  a  qualunque  tra- 
sformazione. Ma  il  paese  non  è  così  e  va 
scindendosi  in  due  grandi  partiti:  il  cle- 
ricale e  il  socialista. 

E  sono  le  due  uniche  schiere  dove  ci  sia 
ancora  vitalità,  abnegazione  e  passione  di 
proselitismo.  Tutto  il  resto  è  morto  od  è 
moribondo.  Guardatevi  intorno  e  dite  se 
questa  non  è  la  verità. 

Così  a  poco  a  poco  ciascuno  entra  in  una 
di  queste  due  parti,  secondo  le  convinzioni 
e  gli  interessi.  Gli  odiatori  dei  nuovo,  i  ti- 
morosi dell'avvenire,  tornano  penitenti  a 
Canossa;  gli  altri  che  hanno  ancor  fede 
nel    progresso    dell'umanità,    nella     perfet 


PREFAZIONE 


tibilita  dell'assetto  sociale,  fanno  un  passo 
innanzi,  e  socialistoidi  oggi,  saranno  socia- 
listi domani. 

E  dell'esser  andata  piuttosto  con  chi  va 
avanti  che  con  chi  retrocede,  volevo  tener 
buon  conto  all'autrice  di  queste  rime;  di 
quelle,  dico,  che  chiudono  il  volume.  Tut- 
tavia, siccome  questo  sarebbe  un  giudizio  di 
opinione  e  non  di  letteratura,  me  ne  astengo. 
Ma  ho  voluto  dir  tutto  questo  anche  per  no- 
tare un'altro  difetto  del  libro;  quello  cioè 
di  essere  formato,  nella  sua  parte  men  pes- 
sima, di  rime  di  occasione,  le  quali,  come 
è  naturale,  colla  occasione  sfioriscono.  Molti 
fatti  e  molte  allusioni  domani  non  saranno 
più  ricordati;  alcuni  anzi,  anche  oggi,  sono 
quasi  fuori  della  nostra  memoria.  E  per  ciò 
che  questo  libercolo,  secondo  me,  è  nato 
morto,  e  gli  sta  bene  !  Già  era  meglio  che 
non  nascesse. 

Ma  quel  che  sopratutto  mi  piace  nella 
poetessa  (come  si  chiama  lei),  è  l'avere  sde- 
gnato i  novissimi  deliri  simbolisti  e  deca- 
denti, nei  quali  pure  poteva  cascare,  tratta 
com'era  dalla  smania  della  stravaganza.  Di 
questo,  senza  restrizione  alcuna,  la  lodo. 


PREFAZIONE 


Oh,  i  prerafaellisti  !  Chi  ci  Hbererà  final- 
mente da  questi  nuovi  monaci  in  veste  di 
artisti,  che  per  Ubidine  di  novità,  per  ricerca 
di  posa,  retrocedono  sino  alle  puerilità  del 
Beato  Angelico,  nell'odio  affettato  ed  ipo- 
crita della  vita  vera  e  della  forma  plastica? 
Perchè,  lettori,  chinatevi  pure,  raccogliete  i 
torsoli  di  cavolo,  magari  le  pietre,  e  scaglia- 
temi tutto  sulla  testa,  ma  lasciatemi  dire  quel 
che  sento:  il  Beato  Angelico  non  lo  posso 
soffrire.  Ah,  come  sono  antipatiche  quelle 
sue  Madonne  magre  allampanate,  con  gli  oc- 
chi inebetiti  e  le  carni  verdoline;  e  quegli 
angeli  col  parrucchino  biondo  bene  arricciato 
la  trombettina  alla  bocca  e  il  tutto  su  fondo 
d'oro!  Bella  roba,  per  Dio,  impiastrava  que- 
sto frataccio  in  pieno  Rinascimento!  Anche 
un  passo  indietro  e  tornava  ai  bizantini,  vi 
vente  Donatello!  Se  c'è  qualche  cosa  da 
ammirare  in  lui,  sono  i  suoi  ammiratori. 

Ed  ora,  a  sentire  questi  nuovi  missionari 
dell'arte  ideale,  bisognerebbe  ritornare  forse 
più  indietro.  La  carne  è  impura  per  loro  come 
per  gli  asceti  della  Tebaide,  e  dipingono  certe 
figure  anemiche,  sofferenti  per  stento  di  pu- 
bertà malaticcie  che  fanno  venir  sulle  labbra 


PREFAZIONE 


il  motto  imperativo  stampato  su  tutti  i  muri 
Bevete  il  Ferro-china  Bisleri  !  Bevetelo  e  la- 
sciate in  pace  queste  figurine  di  uomini  senza 
polpe  e  di  donnine  che  vedon  bianco.  Non 
ci  sono  solo  angoli  al  mondo  ;  ci  sono  an- 
che le  curve. 

E  certo  che  lo  studio  e  la  riproduzione 
del  mondo  esterno  come  è,  costano  più  fa- 
tica che  non  l'operare  secondo  una  formula 
od  una  maniera.  Non  è  così  difficile  il  but- 
tar giù  una  di  queste  faccine  insipide  e  di  ma- 
dreperla, come  il  mettere  il  sangue  e  la  vita 
in  un  viso  di  carne  sana  come  fecero  il  Cor- 
reggio e  il  Tiziano;  e  sia.  Ma  perchè  ma- 
scherare l'impotenza  colle  teorie  e  tornare 
indietro  e  non  confessare  piuttosto  che  manca 
la  forza  per  andar  avanti?  Ah  no,  mangiate 
carne  o  ricorrete  magari  a  tutti  i  ricostituenti, 
a  tutti  gli  intrugli  farmaceutici  più  corrobo- 
rativi, ma  non  dipingete  più  fantasime  e 
burattini  ! 

E  come  sono  noiose  le  sciarade  del  sim- 
bolismo! Pensare  che  ci  sono  dei  superuo- 
mini  che  invidiano  gli  allori  di  Oscar  Wilde; 
pensare  che  tutto  questo  è  un  regresso,  un 
ritorno  al   Medio  Evo,    proprio    quando    sta 


PREFAZIOXE 


per  cominciare  il  secolo  ventesimo  !  Ma  dun- 
que sarà  proprio  vero  che  l'intero  genere 
umano  sia  malato  di  nervi,  poiché  in  tutti 
questi  libri  non  si  trovano  che  squilibrati  e 
mattoidi?  Non  ci  sono  più  donne  sane  in 
terra  che  da  ogni  pagina  vaporano  le  aure 
dell'isterismo?  È  possibile  che  non  si  trovi 
piti  un  cuore  buono,  un  cervello  equilibrato, 
un  utero  normale?  L'epilessia  e  l'allucina- 
zione sono  dunque  la  regola  e  la  sanità 
r  eccezione  ? 

Se  i  disturbi  dell'innervazione  sono  così 
generali,  come  sembra  a  questa  letteratura 
psicopatica,  non  sarebbe  egli  più  utile  racco- 
mandare ai  sofferenti,  non  la  morfina,  ma  le 
docciature  e  la  bicicletta?  Se  l'esaurimento 
nervoso  è  il  male  che  affligge  le  presenti  ge- 
nerazioni, non  sarebbe  meglio  leggere  l'Ario- 
sto all'  aria  aperta,  piuttosto  che  inghiottire 
ribsen  nell'afa  del  teatro?  Ma  no;  l'Ario- 
sto non  è  più  di  moda  e  l'aria  aperta  sciupa 
il  candore  della    pelle  clorotica;  e  così  sia! 

Anche  la  signorina  Sbolenfi  è  isterica,  e 
come  !  Ma  essa  sorride  della  propria  imper- 
fezione e  la  mette  in  caricatura,  per  finire 
il  volume,  se  non  perfettamente  risanata,  al- 


PREFAZIONE 


meno  convalescente.  E  di  questo  ritorno  a 
lodarla,  perchè  è  troppo  facile,  in  tempi  di 
contagio,  ammalare  come  il  prossimo. 


Ed  ora  che  ho  detto  il  bene  e  il  male, 
depongo  volentieri,  anzi  con  gioia,  la  penna 
che  non  avrei  preso  in  mano  se  una  pro- 
messa non  mi  ci  avesse  costretto.  Abbandono 
il  libro  al  disprezzo  dei  virtuosi  ed  alle  ri- 
sate di  quegli  altri,  lieto,  in  quanto  a  me,  di 
aver  imparato  questo:  che  non  bisogna  pro- 
mettere mai  prefazioni  e  tanto  meno  farne. 

L.  Stecchetti 


RIME 

DI 

ARGIA  SBOLENFI 


A 

PIETRO  SBOLENFI 

LA    FIGLIA 

ARGIA 

RICONOSCENTE 

OFFRE 

DEDICA 

CONSACRA 


LIBRO  PRIMO 


LE  CRETINE 


Sììoleiifi  -  ^, 


SI  DESCRIVE  UN  VAGO  DESIO!  (*) 


C 


ondannata  da  1'  empio  destino 
a  l'iniquo  mestier  de  la  cuoca, 
io  compongo  vicino  a  la  fuoca  (t) 
i  miei  deboli  versi  d'  amor, 

e  r  imago  d'  un  giovin  divino 
m'apparisce  a  gli   sguardi  incantati; 
sento  r  orma  de  i  passi  adorati 
echeggiarmi  ne  '1  vergine  cor! 


Quant'  è  bello  il  diletto  garzone 
cui  le  grazie  fan  lungo  corteo  ! 
Rassomiglia  a  Giulietta  e  Romeo 
che  la  penna  de  '1  Tasso  cantò! 
E  robusto  sì  come  Sansone, 
è  più  forte  di  Tirsi  e  d'  Orlando, 
e  se  snuda  il  durissimo  brando 
qual  mai  donna  resister  ci  può  ? 


(*)  Questo    fu    il    primo    parto    della    nostra    Poetessa    e  le 
mende  storiche  e  mitologiche  ne  accusano  l' inesperiènza. 


ARGIA    SBOLENFI 

Vieni  meco,  mio  energico  amico, 

eh'  io  ti  stringa  in  un  morbido  amplesso. 
Tu  sei  bello,  sei  forte,  sei  desso, 
il  marito  che  innanzi  mi  sta  ! 

Ma  chi  rompe  l' imene  pudico, 
ma  chi  turba  il  mio  sogno  fremente  ? 
E  mio  padre  che  grida  furente  : 
«  La  brasadla  la  pòssa  d' strina!  »  (2) 

(Pensata  nella  domestica  cucina 
e  scritta  ivi  il  giortio  dopo) 


(i)  Focolare.  Dialetto  bolognese'-. 

(2)  «  La  costoletta  puzza  di  bruciato  ».  Dialetto  bolognese. 


LA  BALLATA  DEL  MORO 


T 


ra  le  palme  del  deserto 
C  è  un  magnifico  Castel, 
Ch'  è  impossibile  di  certo 
Di  trovarne  uno  più  bel. 

Ivi  tien  la  sua  dimora 

Di  quei  popoli  il  Signor. 
Egli  è  bello  e  giovin,  fuora 
Che  ha  il  difetto  di    esser   mor. 

Stando  assente  dal  paese 
D'  una  vergin  s'invaghì, 
Era  bella  e  bolognese, 
E  difatti,  la  rapì. 

Ma  suo  padre,  ahi  sorte  dura! 
Che  mandarla  giù  non  può 
Si  rivolse  alla  Questura 
Che  due  guardie  ci  mandò  ; 


ARGIA    SBOLENF: 

E  alla  patria  abbandonata 
La  voleva  trascinar, 
Ma  la  bella  innamorata 
Non  voleva  ritornar, 

E  rivolta  al  suo  diletto 

Ci  diceva  :  «  O  bel  re  mor, 
«  Fa  il  piacere,  tienmi  stretto, 
«  Non  lasciarmi  con  costor  ! 

«  Deh,  non  fia  che  il  iato  amaro 
«  M'  allontani  dal  tuo  sen  ! 
«  Ah,  difendimi,  mio  caro, 
«  Che  ti  vog:lio  tanto  ben  !  ». 

Ma  il  re  moro  pensieroso 
Resta  muto  sul  sofà 
E  un  pensiero  mostruoso 
Nello  sguardo  e  in  cor  gli  sta  ! 

Poiché  il  moro  non  risponde 
Sta  la  bella  in  oppression  ; 
Straccia  via  le  chiome  bionde 
E  si  butta  in  ginocchion. 

E  poi  tante  e  tante  cose 

Disse,  pianse  e  suppli'cò.... 
Ma  quel  porco  non  rispose 
Stette  zitto  e  la  piantò  ! 


SONETTO 

CONTRO  UN  ANONIMO  CHE  FECE  LA  BURLA 
DEL  TELEGRAMMA  (*) 


O 


scellerato  che  tirasti   su 
Quel  genitor  che  il  ciel  a  me  largì, 
Hai  ben  ragion  che  sei  non  si  sa  chi 
E  il  telegramma  senza  nome  fu  ! 

Empio,  domanda  pure  a  chi  vuoi  tu 
Se  son  cose  da  far  quelle  che  lì, 
Che  sta  sicuro  che  se  fosti  qui 
Staresti  un  pezzo  di  non  farne  più. 

Che  colla  forza  la  maggior  che  ho 
Ti  vorrei  scorticar  da  capo  a  pie 
E  con  la  pelle  tua  farmi  un  paltò  ! 

Nessun  ti  salverebbe,  a  meno  che 
Fosti  bello  e  robusto  anzichenò 
E  promettesti  di  sposarmi  me. 


(*)  L'  ottimo  Signor  Pietro  Sbolerifi  si  portava  candidato  alla 
Deputazione  in  tutti  e  tre  i  Collegi  di  Bologna.  11  vero  merito 
non  è  mai  conosciuto  e  lo  Sbolenfi  rimase  a  terra.  Un  malvagio, 
rimasto  avvolto  nelle  ombre  del  mistero,  telegrafò  allo  sconfitto 
candidato  che  invece  la  sorte  gli  aveva  sorriso.  La  famiglia  quasi 
impazzi  di  gioia,  il  Signor  Pietro  diede  le  dimissioni  dal  suo 
impiego  di  ff.  di  inserviente  di  III  classe  e  si  trovarono  sul 
lastrico.  Onta  sul  cranio  indegno  che  pensò  simile  orrore;  ! 


SI  DESCRIVE  UN  TEMPORALE 
NEL  DESERTO 


G 


'he  veggo?  Che  miro  ?  Rimbomba  già  il  tuono! 
Il  tempo  mi  pare  che  faccia  da  buono  ! 
Ahi!  miser  chi  a  casa  scordato  ha  l' ombrai  ! 
La  grandine  è  grossa  che  pare  una  noce 
E  ornai  per  vederci  nel  scuro  feroce 
Accender  fa  d'uopo  frequenti  candel. 

Che  veggo?  Che  miro?  Un  giovin  garzone 
Che  solo  soletto  traversa  il    ciclone 
E  par  che  non  curi  dell'acqua  il  piombar! 

Ah,  certo  tra  i  lampi  lo  guida  l'amore  ! 
Mei  dice  la  speme  che  m'arde  nel  core-! 
Ah,  certo  quell'  uomo  mi  viene  a  sposar  ! 

Deh,  frena  il  furore,  fa  un  poco  più  adagio, 
Che  tu  noi  rovini,  mio  buon  nubifragio  ! 
Deh,  fa  che  non  giunga  bagnato  al  mio  sen  ! 

Che  veggo  ?  Che  miro  ?  Ah  cruda  mia  stella  ! 
M'illuse  la  speme,  ho  fatto  padella!  (i) 
Egli  era  il  Questore,  non  era  il  mio  ben  !  ! 

(i)  Prendere  un  granchio:  Decapoctus  èrachiurtis,  Linn, 


LA  MIA  GHIRLANDA  POETICA  (* 


Ad  Enrico  Zaneitini 
I. 


Q 


uesta  è  la  mia  ghirlanda  !  Il  lauro  eterno 
Intrecciato  co'  fior  m'orna  la  fronte 
E  così  salgo  il  dilettoso  monte 
Che  il  nume  de'  poeti  ha  in  suo  governo. 


Questa  è  la  mia  ghirlanda  e  state,  o  verno, 
O  venti,  o  geli  non  le  arrecan  onte, 
La  bagnò  1'  onda  del  Castalio  fonte. 
Col  raggio  la  baciò  l'astro  superno. 

Eccola;  a  voi  poeti,  a  voi  la  mostro 
Olezzante   "  rose  e  di  viole. 
Pura  qual  neve  che  sull'  alpe  fiocca. 

Eccola  dei  color  di  croco  e  d'  ostro. 

Leggiadra  come  un  fior  che  s'  apre  al  sole  : 
Dio  me  l'ha  data  e  guai  a  chi  la  tocca! 


(*)  Enrico  Zanettini,  domestico  di  S.  E.  Reverendissimo 
Mons.  Vescovo  di  Fano,  respinse  indignato  l' eflFemeride  dove 
scriveva  la  poetessa,  perchè  infetta  di  massime  eterodosse.  La 
signorina  Argia  gli  pose  affetto  e  gli  inviò  una  corona  di  cardi 
con  questi  sonetti. 


ARGIA    SBOLENFI 


II. 


Ma  se  tu,  Zanettin,  toccarla  vuoi, 

L' Argia  t*  adora  e  non  se  ne  lamenta 
E.  se  magari  ami  fiutarla,  il  puoi. 
Che  tu  ne  sarai  lieto  ed  io  contenta. 

Vieni,  Enrico,  ed  ammira  i  color  suoi  : 
Prendi  e  sciupala  pur  se  ti  talenta. 
Poi  che  intatta  la  porgo  agli  occhi  tuoi 
E  sguardo  indagator  non  la  sgomenta. 

La  conservai  qual  me  la  diede  Iddio 
Pura  nella  favella  e  nei  pensieri, 
.Sogno  dei  vati  e  de'  guerrier  desio; 

Ma  poiché  mi  son  leggi  i  tuojAoleri, 
Ad  un  solo  tuo  cenno,  Enr.ico  mio. 
Te  la  dò  tutta  quanta  e  volentieri 


LA  BATTAGLIA  DI    SADOVA 


>  ode  a  destra  tirar  per  la  valle 
A  sinistra  si  tira  lo  stesso; 
D'ambo  i  lati  si  vedon  le  palle 
Da  pistole  montate  scoppiar. 

Lunghi  e  grossi  eh'  è  un  gusto  a  guardarli 
Sono  i  pezzi  che  scarican  spesso^ 
E  se  alcun  si  provasse  a  tastarli 
Sentirebbe  la  mano  a  scottar. 


Colle  gambe  per  aria  da  un  lato, 
Colle  gambe  per  aria  dall'  altro, 
Cade  a  terra  il  meschino  soldato 
Che  r  amante  al  paese  lasciò. 

Fieramente  si  drizza  1'  ardito. 
Cautamente  si  china  lo  scaltro, 
E  ciascun  ha  un  enorme  prurito 
Di  pigliar  meno  botte  che  può. 


ARGIA    SBOLENFI      " 

Da  una  parte  si  sente  un  comando, 
Una  bomba  dall'  altra  si  sente  ; 
Gli  ufficiali  che  impugnano  il   brando 
In  un  lampo  si  vedon  venir. 

C'è  chi  un  membro  sul  campo  ha  perduto 
E  rimane  per  sempre  impotente  : 
C'è  chi  morto  in  un  fosso  è  caduto, 
Né  pili  mai  gli  fia  dato  d'  uscir. 

Finalmente  Bismarck  grida  in  fretta  : 

«  Abbiam  vinto!»  •  ed  un'eco  risponde! 
Va  pur  là,  Cancelliere  polpetta, 
Anche  questa  la  devi  pagar  ! 

Assassini  !  ed  intanto  arrabbiate 
Ardon  mille  ragazze  infeconde  ! 
Assassini  !  Se  i  maschi  ammazzate, 
Noi  dovremo  i  somari  sposar  ! 


SI  DUOLE 

DI    ESSERE    ABBANDONATA    DALL' AMANTE 


G 


SONETTO  SBOLENFIO 

là  con  versi  diversi  offersi  a  Tirsi 
Un  cuor  lieto  d'offrirsi  e  gliel' apersi, 
Ma  i  carmi  tersi  se  n'andar  dispersi 
Ed  io  soffersi  quel  che  non  può  dirsi. 


Potè  fuggirsi  dunque  e  non  sentirsi 

Il  crudo  petto  aprirsi  al  mio  dolersi  ? 
Potè  amato  sapersi  e  compiacersi 
D'indispettirsi  meco  e  di  partirsi? 

Tardi  lo  scorsi  e  tardi  il  pie  ritorsi 
Dai  sentieri  percorsi  ?  Urge  fermarsi 
E  rassegnarsi  dei  rimorsi  ai  morsi. 

Quei  dì  son  scorsi  ed  or  che  resta  a  farsi? 
Il  crin  velarsi,  il  bruno  intorno  porsi, 
E  i  discorsi  trascorsi,  ahimè,  scordarsi  ! 


LA  ROMANZA  DEL  PAGGIO 


Oon  circa  tre  anni,  tre  mesi  e  tre  giorni 
Che  il  paggio  Fernando  montava  a  cavai 
E  adesso  galoppa  per  questi  contorni 
Saltando  gli  abissi,  le  piante  e  il  canal. 

Per  cosa  galoppa  ?  Un  turco  infernale 
Al  povero  paggio  l'amante  rubò 
Ed  ora  egli  cerca  quel  porco  maiale, 
Perchè  di  sbranarlo  Fernando  giurò. 

Ma  il  turco,  ben  visto  dal  proprio  Sovrano, 
Fu  giusto  .per  Pasqua  promosso  Pascià; 
Pascià  da  tre  code,  che  dopo  il  Sultano 
E  r  uom  più  codardo  di  quella  città. 

Fernando  che  il  seppe,  fu  svelto  e  ci  andiede 
E  incognito  al  turco  si  fé'  presentar, 
Un  monte  di  ciarle  d' intender  ci  diede. 
Di  modo  che  a  pranzo  si  fece  invitar. 


ARGIA    SBOLENFI  I 

Mangiato  l'allesso,  mangiato  l'arrosto, 
Il  turco  si  fece  portare  i  marron. 
Sui  quali  Fernando  buttò  di  nascosto 
Del  torcibudella  che  avea  nei  calzon. 

—  «  O  Dio,  che  dolori!  Chiudete  la  porta... 
«  Chiamatemi  il  prete...  più  regger  non  so... 
«  Io  muoio!...  »  Ed   insomma  per   farvela    corta 
Fu  tanta  la  sciolta  che  il  tufco  crepò. 

Allora  Fernando  andò  sull'  altana, 

Chiamò  la  sua  bella,  la  fece  scappar. 
Ci  diede  i  quattrini  la  Banca  Romana 
E  a  casa  col  treno  potette  tornar. 

Garzoni  e  donzelle  che  attenti  ascoltate 
La  lieta  canzone  che  pianger  vi  fa, 
L' amore  del  prode  Fernando  imitate, 
Però  col  permesso  del  vostro  papà. 


RISURREZIONE  (* 


S 


uonate,  campane,  la  Pasqua  giuliva, 
Prendete,  o  fanciulli,  in  mano  la  piva, 
Fedeli  soldati,  sparate  i  cannon  ! 

Risorto  è  il  giornale  che  dianzi  moria. 
Risorto  è  Pierino,  risorta  è  l'Argia, 
La  vergin  che  disse  la  casta  canzon  ! 


Pudiche  fanciulle,  dal  pianto  cessate. 

La  danza  del  ventre  pel  gaudio  danzate, 
La  vostra  Sbolenfi  tra  i  vivi  è  tuttor. 
E  -vergine  sempre,  ritorna  tra  voi 
Tirando  più  forte  d'un  paio  di  buoi 
11  carro  funesto  del  proprio  dolor. 


(*  1  Rinascevi  l' effemeride  nella  quale  la  Poetessa  e  Pietro, 
suo  genitore,  deponevano  le  loro  secrezioni  cerebellari. 


ARGIA    SBOLENFI  17 

Deh,  come,  o  fanciulle,  deh  come  piangeste 
E  tristi  nel  Ietto  solingo  diceste 
«  La  nostra  Sbolenfi  perchè  non  è  qui  ?  » 

Ma  mentre  la  bella  defunta  pareva, 
La  morte  che  in  pugno  già  stretta  l'aveva, 
Dischiuse  le  dita  e  quella  fuggì. 


Ed  or  che  il  mio  canto  più  dolce  rinacque, 
All'opra  interrotta  che  tanto  vi  piacque, 
Pudiche  fanciulle,  tornate  con  me. 

Destata  dal  sonno,  col  plettro  rivengo, 
Lo  scuoto,  lo  stringo,  nel  pugno  lo  tengo 
E  voglio  provarvi  che  morto  non  è. 


Stole  lì  fi  -  4. 


IL  LAMENTO  DEL   PRIGIONIERO  (*) 


C 


adea  la  notte.  Già  il  cancelliere  - 
Avea  degli  atti  chiuso  il  volume 
E  il  Presidente  disse  all'usciere: 
«  Portate  il  lumeJ  » 


Non  un  sussurro  s'  udia  nel  Foro, 

Nemmeno  un  lieve  ronzar  d'insetto, 
Quando,  calzati  gli  occhiali  d'oro, 
Lesse  il  verdetto, 

E  disse:  «Vista  la  legge,  udita 

«  La  parte  avversa,  pesati  i  danni, 
«  La  pena  è  questa:   —  Galera  in  vita 
«  Per  quarant'  anni  ». 

Briscola!  quando  mi  sentii  .preso 
Così  da  questa  sentenza  infame. 
Cascai  per  terra  lungo  e  disteso 
Come  un  salame. 


(*)  Parla  il  direttore  della  effemeride  citata,  il  quale  era 
accusato  di  aver  commesso  un  per  finire  diffamatorio,  mentre 
non  era  che  cretino.   Il  processo  andò  a  monte. 


ARGIA    SBOLENFl  I9 

E  il  giorno  dopo  due  immense  palle 
Recar  dovetti  per  ogni  dove, 
E  mi  fu  scritto  dietro  le  spalle 
«  69  ». 

Quante  ferriate  nella  finestra  ! 

Quanti  bigatti  nel  mio  pan  nero! 
Quanti  fagioli  nella  minestra 
Del  prigioniero! 

Ed  il  mobilio  ?  Ecco  un  saccone 
Dove  gl'insetti  tengon  cappella 
E  per...  (s'intende)  là  in  quel  cantone 
C'è  la  mastella. 

Sono  vestito  di  panno  grosso 
Con  un  stifelius  tagliato  male, 
E  la  catena  che  porto  addosso 
Pesa  un   quintale. 

Con  una  lima,  frega  e  rifrega, 

Potrei  scappare  non  osservato... 
Ah,  se  potessi  farmi  una  sega 
Sarei  beato!... 

O  giornalisti,  da  sera  a  mane 

Vi  sia  presente  questo  mio  stato, 
Un  per  finire  fatto  da  cane 

M'ha  rovinato! 


PIANTO  DELLA  CHIESA  BOLOGNESE 
SENZA   PASTORE 


S 


Non  relinguam  vos  orphanos  ; 
veniani  ad  vos. 

Jo.  XIV.  i8. 

ovra  le  piume  vigilando  sola, 
Colei  che  già  fu  di  Petronio  e  Zama 
Leva  le  palme  al  ciel,  languida  e  grama, 
Poi  che  gaudio  d'amor  non  la  consola. 


Lungo  uno  strazio  è  nella  sua  parola 

Qual  già  nel  pianto  di  Rachele  in  Rama, 
E  dal  vedovo  letto  il  Padre  chiama 
Perchè  non  scordi  la  fedel  figliola. 

E  prega  e  mostra  le  gramaglie  nere 

In  che  da  si  gran  tempo  il  viso  asconde, 
E  la  nave  di  Dio  senza  nocchiere; 

Ma  il  suo  pianto  non  posa    e  n'ha  ben  d'onde 
Poi  che  il  barbaro  Padre  alle  preghiere 
Con  l'iniqua  parola,  (i)  ahimè,  risponde! 


(i)  \J  iniqua  parola  è  una  interiezione  dialettale  bolognese 
che  suona  ingiurioso  invito  a  operazioni  pneumatiche. 


TEMPESTA  IN  MARE 


X   ra  Bordighiera  e  Nizza 
Dove  più  azzurro  è  il  mar 
Un  giovin  marinar 

L'albero  drizza. 


Forte,  gentile  e  bello 
Vola  suirOcean, 
Col  suo  timone  in  man, 

Come  un  uccello. 


Né  morte  né  ferita 
Gli  fa  terror,  perché 
Assicurato  egli  è 

Sopra  la  vita  : 


Ma  dalle  parti  basse 
Di  Greco  e  Maestra! 
Si  leva  un  tempora! 

Di  prima    classe. 


S'  odon    da   lunge   i    tuoni. 
Si  vede  a  lampeggiar 
E  allora  il  marinar 

Dice:  «  Coioni  !  (i) 


Se  dura  niente  niente 
Tra  poco  si  anderà 
In  pasto  ai  baccalà 
Sicuramente. 


«  Le  braghe  di  fustagno 
Umide  sono  già... 
Cosa  dirà  mamà  : 

Se  me  le  bagno  ! 


In  mar  si  sta  benone, 
Ma,  se  credete  a  me, 
Si  gode  più  al  Cafl'è 

Del  Pavaglione  (2) 


ARGIA    SBOLENFI  23 

«  E  se  a  toccare  il  suolo 
Arrivo  col  seder, 
Piuttosto  che  il  nocchier 

Fo  il  ruscarolo  (3)  ». 


Ma  per  combinazione 
Mentre  dicea  cosi, 
Il  tempo  si  schiarì 

Là,  in  quel  cantone. 


Dell'  onde   il    mal    governo 
In  un  balen  cessò 
E  il  temporale  andò 

Verso  Paderno  (4). 


L' iniqua  alfin  parola 
Ode  in  un  porto  dir 
E  tira  un  gran  sospir 
Che  lo  consola. 


Gli  affari  di  famiglia 

Scorda'  e  l'orrendo  mar 
E   corre  a  ritrovar 

La   Centomiglia  (5); 


24  ARGIA    SBOLENFI 

Ahi  lasso!  e   i  suoi  quattrini 
Li  spende  così  mal 
Che  va  nell"  Ospedal 

Da  Gamberini  (6). 


Vedi  da  ciò  quant'  erra 
Il  detto  popolar 
Che  dice:  «  loda  il  mar, 
Tienti  alla  terra  ». 


(i)  Interiezione  marinaresca  che  denota  sorpresa. 

(2)  Condotto  da  Enrico  Lamma  in  piazza  Galvani  a  Bologna. 

(3)  Raccoglitore    ambulante    di    detriti    organici.    Dialetto 
bolognese. 

(4)  Qui  la  geografìa  ò  bastonata.  Paderno  non    è  tra  Bordi- 
ghiera  e  Nizza,  ma  sui  colli  a  sud  di  Bologna. 

(5)  Etera  peripatetica  e  scalcagnata  che  disonorava    i   vicoli 
di  Bologna. 

(5)  Già  direttore    della   Clinica    Dermosifilopatica    all'  Ospe- 
dale di  .S.  Orsola. 


PER  LA  CADUTA  DI  PALAMIDONE 


SONETTO  SBOLENFIO  DI  PRIMA  CLASSE 


Il  Ministero  e  zero  in  vero  contano 

Spesso  lo  stesso  e  solo  un  sesso  vantano. 

A  un'unità  di  qua  o  di  là  si  montano, 

Di  un  voto  ignoto  al  moto  indi  si  spiantano. 

Sorretti  e  accetti  i  Gabinetti  affrontano 
Ritti  i  conflitti  ed  i  sconfìtti  schiantano; 
Poi,  grati  ai  Fati  se  i  soldati  ammontano 
A  tanti  quanti  son  bastanti,  cantano. 

Ma  se  i  fiacchi  o  i  vigliacchi  i  tacchi  puntano, 
O  se  un  minuto  il  muto  aiuto  allentano, 
Liti  e  garriti  tra  i  partili  spuntano. 

Desti  gli  onesti  e  questi  si  addormentano; 
Rimovi  i  chiavi  e  i  novi  più  si  appuntano; 
E  tasse  e  sopratasse  a  masse  aumentano! 


ALLA    POETESSA 

ARGIA    SBOLENFI 


G 


SONETTO  (*) 

entil  donzella  cui  Ciprigna   dona 

Lieto  il  color  delle  Acidalie  rose, 

Citi  di  lauri  raccolti  in  Elicona 

Di  Girra  il  Nume  una  ghirlanda  impose, 


Ben  fosti  cara  al  nato  di  Latoìia 

Se  del  Parnaso  in  sulla  via  ti  pose, 
E  del  sacro  Permesso  a  te  sprigiona 
Dolci  di  mele  Ibleo  l'onde  famose  ! 

Ma  se  fa  che  tra  breve  alla  palestra 

Rieda,  di  nuovi  onor  carica  e  pregna, 
Non  dilettarci  sol,  ma  ci  ammaestra  : 

E  di  Quirino  alle  nepoti  insegna 

U  arte  soave  in  che  tu  sei  maestra, 
O  della  Lesbia  Saffo  emtda  degna  ! 

Di  Edra  Coprodite 

Pastore  Arcade 
(*)  Umile  parto  dell'  umilissimo  chiosatore. 


A 

]:dra  coprodite 

PASTORE  ARCADK 


RISPOSTA 


»Z3aggio  Pastor,  poiché  il  tuo  nome  suona 
Chiaro  nelle  città  dotte  e  famose, 
Dall'altezza  ove  stai  mite  perdona 
Alle  mie  rime  tristi  e  vergognose. 

Ahi,  la  ghirlanda  che  il  tuo  cuor  mi  dona 
È  pur  troppo  d'alloro  e  non  di  rose, 
E  vorrei  barattar  questa  corona 
In  carni  meno  crespe  e  più  polpose! 

Che  m'importa  il  saper  come  maestra 

L' arte  di  Saffo  quando  amor  mi  sdegna 
Scaricandomi  addosso  la  balestra? 

Vorrei  mutar  questa  vitaccia  indegna, 

Vorrei  sentir  suonare  un'altra  orchestra... 
Un  marito,  per  Dio,  (")  chi  me  lo  insegna  ? 

(*)  Bacco. 


SI    COMPIACE  DELLE    PROSSIME    NOZZE  (*) 


SONETTO  SBOLENFIO 


Opero  davvero  che  il  mio  fiero  isterico 
Male  che  assale  quale  un  facil   carico. 
Cessi  gli  spessi  accessi  e  il  mio  rammarico 
Cada  per  strada  e  vada  nel  chimerico. 

Bandito  è  il  rito  ed  un  vestito  serico 

Stato  è  tagliato,  come  ho  dato  incarico; 
Del  normal  verginal  segnai  mi  scarico, 
Che  l'ara  cara  già  prepara  il   chierico. 

Sposo!  ed  oso  un  focoso  panegirico 
In  onor  di  chi  al  cor  l'amor  teorico, 
(Che  splende  e  non  accende)  or  rende  empirico. 

Chi  è  matto  affatto,  questo  fatto  storico 
Può  far  burlar  nel  suo  ghignar  satirico. 
Ma  intanto  io  canto  e  accanto  a  LUI  mi  corico! 

(*j  Ahi,  non  fu  vero! 


EGLOGA  (*) 


MKLIBEO 


T 


itiro,  tu  che  d'un  gran  faggio  all'ombra, 
A  gambe  aperte,  stravaccato  (i)  stai, 
Mangiando  allegramente  una  cucombra  (2), 

Un  canonico  sembri  e  chi  sa  mai, 
Chi  potesse  vederti  le  budelle, 
Bollettario,  anche  te  che  sghissa  (3)  avrai  ! 

Io  stento  invece  e  queste  pecorelle 

Sono  ormai  senza  tetto  e  senza  pane 
E  campan  di  polenta  e  di  sardelle. 

Hai  forse  avuto  eredità  lontane? 

Hai  rubato  una  pisside  o  un  ciborio? 
O  ti  fai  mantener  dalle  sottane? 


(*)  Per  errore  di  troppo  eccitabile  imaginazione,  la  Poetessa 
credette  che  S.  M.  l' Imperatore  di  Germania  venisse  l' ultima 
volta  a  Roma  per  chiedere  al  Sommo  Pontefice  il  divorzio  dalla 
Imperatrice  e  sposar  quindi  lei.  —  Vedi  le  note  in  fondo  al 
capitolo. 


30 


TITIRO 

Amico  Melibeo,  questo  è  notorio 
E  lo  san  fino  i  sassi  di  Bologna, 
Che  tu  sei  sempre  stato  un  tabalorio  (4); 

Ma  non  sapevo,  e  il  dico  a  mia  \ergogna, 
Perchè  l' imparo  adesso  solamente, 
Non  sapevo  che  fossi  una  carogna. 

Qua]  reo  sospetto  t' è  venuto  in  mente, 
Asino  porco,  sulla  mia  condotta? 
Sono  un  pastore  onesto  ed  innocente! 

E  se  non  fossi  mio  compatriotta 
Ed  anzi  amico  mio  di  Seminario, 
Tu  mi  faresti  venir  su  la  fotta. 

Basta;  veggo  però  eh' è  necessario 
Dirti  come  domai  l'iniqua  rana  (5), 
Essendo  un  fatto  un  po'  straordinario. 

Tu  saprai  che  quest'altra  settimana 
Una  dolce  fanciulla,  un  puro  fiore, 
Che  delle  poetesse  è  la  sovrana, 

Magrolina  se  vuoi,  ma 'un  vero  amore, 

L'Argia  Sbolenfi  insomma,  e  ho  detto  tutto, 
Sposa...  imagina  chi?  L'Imperatore! 


ARGIA    SBOLEN'FI  3I 

La  nuova  si  sapeva  dappertutto, 

Ma  io  la  vidi  sol  neW  E  permesso,  (6) 
L'  unico  foglio  serio  e  di  costrutto. 

Appena  letto,  allon  !  mi  sono  messo 
Le  braghe  dalla  festa  e  il  gabbanino 
E  son  corso  da  lei  come  un  espresso; 

Ma  siccome  era  chiusa  in  camerino 
A  far  dei  versi  al  suo  futuro  sposo, 
Fui  ricevuto  dal  Signor  Pierino.  (7) 

Che  largo,  liberale  e  generoso, 

Mi  offerse  cordialmente  da  sedere. 

Ma  il  caffè  no,  perchè  gli  dà  il  nervoso. 

«  Ohi,  chi  vedo!  »  -  «  Tersuà  »  ■  «  Bravo  !  ho  piacere  ! 
«  Cosa  porti?  L'agnello?  »  -  «  Nonsignori  »  - 
«  Peccato,  che  t'avrei  dato  da  bere!  »  ■ 

Così  ciarlando,  ecco  l'Argia  vien  fuori, 
La  qual,  come  saprai,  ci  diedi  il  latte, 
(Ossia  mia  moglie)  e  latte  dei.  migliori. 

Era  in  disabigliè,  con  le  ciabatte, 
Una  sottana  bianca  e  un  zuavino 
Che  ci  arrivava  appena  alle  culatte. 


32 


«  Oh!  »  -  lei  dice  -  «  Mo  bravo  Titirino! 

«  Non  sai  chi  sposo  ?  Ah  son  tanto  felice 
«  Che  a  momenti  mi  viene  uno  smalvino!  (8) 

«  Fra  pochi  giorni  sono  Imperatrice! 
«  Sei  venuto  a  veder  la  tua  sovrana? 
«  Ti  farò  ricco,  e  sai  chi  te  lo  dice! 

«  A  tua  moglie  ci  pago  una  collana, 

«E  con  l'acqua  di  Felsina  all'armento 
«  Fin  da  quest'oggi  laverai  la  lana. 

«  Farò  indorar  le  vacche  ed  il  giumento, 
«  Ti  selcierò  la  stalla  di  brillanti, 
«E  l'aldamara  (9)  tua  sarà  d'argento. 

«  Or  vanne,  Titirino,  e  quei  birbanti 

«  Che  tempo  addietro  mi  credevan  pazza, 
«  Crepino  d'accidenti  tutti  quanti. 

«  Vanne  a  Bologna,  sta  contento  e  sguazza, 
«  Che  in  compenso  del  latte  che  m'  hai  dato, 
«  Io  ti  farò  più  ricco  di  Cavazza!  »  (io) 

Io  dico  grazia. '  vado,  e  sul  mercato 
Da  un  buon  amico  mio,  sessanta  lire 
Al  sessanta  per  cento,  ho  ritrovato; 


ARGIA    SBOLENFI  33 

Ma  il  primo  vaglia  che  mi  fa  venire 
L'Imperatrice  Argia,  pago  ogni  cosa, 
Faccio  il  porco  e  mi  voglio  divertire. 

Ecco  spiegata  la  ragione  ascosa 
Di  tutta  quanta  l'allegrezza  mia, 
Viva  il  Signor  Pierin  !  Viva  la  sposa  ! 


Viva  r imperatori  Viva  l'Argia!!! 


(1)  Coricato.  Recuòans  stiò  iegmine  fagi.  ViRG.  Dum  stra- 
vaccatae  pegorae  marezaiit.  Mh.rl.  Cocc.ai.   Zaniton. 

(2)  Cocomero,  anguria.  Cucurbita  ciiriillus.  Linn. 
(j)  Appetito  furibondo. 

(4)  Uomo  di  poco  cervello.  Capius  mentis. 

(5)  Non  è  la  rana  escnlefita  Linn.,  ma  il  sinonimo  bolo- 
gnese di  miseria.  Questo  simbolico  batfacio  ricorrerà  sovente  in 
queste  carte. 

(6)  L'effemeride  in  cui  videro  la  luce  molte  di  queste  rime. 

(7)  L'onorando  Signor.  Pietro  Sbolenfi,  degno  genitore  del- 
l'autrice, cui  è  dedicato  il  volume.  , 

(8)  Che  Dio  ci  liberi  e  ci  scampi  tutti!  E  un  accidente. 

(9)  Concimaia. 

(io)  Il  Conte  Felice  Cavazza,  banchiere,  riputato  per  uno 
dei  più  ricchi  bolognesi. 


Sbolenji  -  5. 


SI  SCUSA 

PKR    AVERGLI    ^fOSTRATO    POCO     RISPETTO  (*) 


M 


io  diletto  Signor,  poiché  vedesti 
Senz' alcun  velo  il  negro  mio  misfatto, 
Signor,  perdona  e  fa  che  in  te  non  desti 
Scandalosi  pensier  1'  orribil  fatto.  ^ 

Nel  momento  fatai  forse  dicesti  : 

«  Cos'è  quello,  per  zio?!  Divento  matto? 
«  È  questo  l'occhio   dell'Argia?  Son  questi 
«  L'aspetto  e  i  vezzi  suoi?  Mo  niente  affatto! 

E  ben  dicesti  !  Anch'  io  quando  mi  posi 
Viceversa  così,  pensai  lo  stesso 
E  tu  lo  sai  che  non  te  lo  nascosi  ; 

Ma,  deh,  quell'aftaraccio  dell'ingresso 
E  il  panorama  che  alla   folla  esposi, 
Scordali,  Cocco,  e  sposami  lo  stesso! 


(*)  Recatasi  incontro  a  S.  M.  1'  Imperatore,  sali  sopra  un 
palo  e,  urtata  dalla  folla,  cadde  a  capo  tìtto,  mostrando  al  suo 
sperato   amante,  com'ella  dice,  poco  rispetto. 


SFOGO  CONTRO  COLUI  (*) 


V-x  era  una  volta  in  Roma  una  ragazza 
Il  cui  nome  gentil  non  vi  dirò, 

Che  per  l' imperator  divenne  pazza 
E  di  dargli  la  man  si  lusingò. 

Ei  venne  a  Roma  e  per  la  gioia  grande 
Ella  dinanzi  a  lui  cadde  boccon 

E  gli  mostrò  che  non  avea  mutande 
In  omaggio  all'  igiene  e  alla  stagion. 

Bismarck,  quando  lo  seppe,  andò  in  furore, 
Afferrò  penna,  carta  e  calamar, 

E  poi  telegrafò  all'  Imperatore 

Che  per  l'amor  di  Dio  non  stesse  a  far, 

E  quella  donna  ci  si  mise  dietro 
Seguitandolo  sempre  per  città, 

Dal  re,  dal  papa,  in  piazza  ed  in  San  Pietro, 
Raccontandogli  mille  infamità. 


(*)   Colui  ahimè,  è  l'alto  personaggio  di  cui  alle  rime  pre- 
cedenti, e  guella  donna  la  sua  Legittima  e  Graziosa  consorti^. 


36  ARGIA   SBOLENFI 

E  lui  sentendo  questa  sinfonia, 

Da  prima  cominciò  a  tintinagar  (i) 

Poi  nel  più  bello  piantò  lì  l'Argia 
E  coi  Sovrani  s'imbarcò  per  mar. 

L'empio!  Intanto  la  povera  tradita 

Nei  Cappuccini  andò'  per  la  passion  : 

Mutò  speranze,  desideri  e  vita, 

Ed,  ancella  di  Dio,  prese  il  cordon. 

Caste  donzelle,  deh,  accogliete  in  seno 
Questo  consiglio  che  mi  vien  dal  cor 

Portate  sempre  le  mutande,  o  almeno 
Copritevi  se  vien  l'Imperatori 

(i)  Tentennare.  Dialetto  bolognese. 


AVE  CRUX!   (*) 


All'illustre  e  venerato   prosatore 

e    suo    diletto    genitore 

questo    segno    d' onore 

pegno    d'  amore 

col    cuore 

Argia 

dà 

Padre    diletto, 

Sbolen fi  Pietro, 

Al  tuo    cospetto 

Vinta   m'arretro, 

Perchè   sei    degno 

D' aver  un  regno. 
Ma  poiché  il  regno  ti  negò  la  sorte 
E  giaci  oppresso  dall'immonda  rana 
Col  tuo  bel  libro  sfiderai  la  morte. 
Il  bel  libro  cui  feci  io  da  mammana, 
Il  bel  libro  che  può  dirsi  un  portento. 
Da  cui  speriamo  alfine  il  nutrimento. 

E  poiché  il  mondo 

Non    ti    fa    onore, 

Vieni,    giocondo 

Mio    genitore, 

Che  ad   alta  voce 

Ti   dò   la   croce! 


(*)  L'ottimo  ed  erudito  Signor  Pietro  Sboleq6,  genitore  della 
poetessa,  aveva  stampato  un  applaudito  volume  di  ricordi  bolo- 
gnesi. La  poetessa  lo  rimeritò  della  dedica  fattale  con  questo 
segno  d'onore. 


L'APPARIZIONE 


ROMANZA 


C 


rudo  ed  avaro,  nel  suo  castello 
Viveva  il  Conte  del  Meloncello  fi), 
Quindi  nessuno  ci  volea  ben. 

Trattava  i  figli   come  serpenti, 
E,  dice  un  libro,  che  ai  suoi  serventi 
Il  pane  e  l'acqua  ci  dava  appen. 

Il  primogenito  di  nome  Augusto 

Era  un  bel  giovane  svelto  e  robusto, 
Che  l'ammiravano  per  la  città. 

Membro  dei  Reduci   dalle  Crociate, 
Molte  godevasi  maccaronate 
Coi  Soci,  e  andavano  di  qua  e  di  là. 

Lo  seppe  il  padre  che,  all'  olmo  andato  (2), 
A  sé  un  sicario  tosto  chiamato, 
Mettere  il  figlio  fece  in  prigion  ; 

Cavar  gli  fece  l'elmo  e  lo  scudo 
E  in  una  torre  lo  mise  nudo 
Ed  era,  ahi  vista!  senza  i  calzoni 


ARGIA     .SBOr,ENKI  39 

Ma  il  padre  barbaro  che  una  mattina 
Privo  di  lampada  stava  in  cantina 
E  come  al  solito,  tira\'a  il  vin, 

(Ah,  proteggeteci  Angeli  e  Santi  !) 
Fetente  e  squallida  si  vide  avanti 
L'ombra  terribile  d'un  cappuccin. 

E  l'ombra  disse:  «  Non  hai  vergogna 
Di  quel  che  hai  fatto,  brutta  carogna  ? 
Libera  il  figlio;  dà  mente  a  me!  » 

Al  padre  infame,  pel  terror  grande, 
Cambiar  colore  fin  le  mutande, 
Tal  che  ammorbava  da  capo  a  pie! 

Indi,  recatosi  alla  prigione, 

Con  mano  tremola  apri  il  portone 
E  disse:  «Vattene  dai   piedi  fuor!» 

Augusto,  libero,  ratto  andò  via. 
Indi,  impiegatosi,  sposò  l'Argia  (3) 
E  lunghi   vissero  giorni   d'amor. 


(i)  Arco  a  due  chilometri  da  Bologna.  Il  castello  non  esiste 
più,  ma  invece  vi  si  trovano  una  stazione  di  Guardie  di  P.  S. 
e  un'osteria. 

(2)  Andato  in  furia. 

(3)  Ahi,  non  fu  vero  ! 


IN  DISPREZZO 
DI  UNO  SPASIMANTE  VECCHIO  E  STORTO 


SONETTO  SBOLENFIO 


R 


dicolo  che  il  vicolo  girandoli, 
Sciupi  i  sassi  coi  passi  e  indarno  ciondoli, 
Ti  parlo  schietto,  io  non  ammetto  scandoli. 
Né  sopporto  uno  storto  che  mi  sdondoli. 

Gli  affetti  celo  e  in  denso  velo  ascondoli 
Ai  vegliardi  testardi;  indi  burlandoli, 
Li  mando  in  bando  quando,  innamorandoli, 
Strazio  i  lor  cor  e  nel  dolor  sprofondoli. 

Se  i  maschi  adoro,  pur  tra  loro  io  scindoli 
In  vecchi  molli  che  hanno  i  colli  pendoli 
E  in  giovinetti  eretti  e  di  buone  indoli; 

Ma  i  somari  tuoi  pari  io  vilipendoli 

E  far   puoi  quel  che  vuoi,  tu  non  m'  abbindoli, 
Vecchio  brutto,  distrutto  e  tutto  a  sbrendoli  ! 


CONFIDA    LE    SUE    PENE 
ALLA  BEATA  VERGINE 


SONETTO  SBOLENFIO 


o 


pia  Maria,  ve'  della  mia   terribile 
Pena  terrena  la  catena  ignobile  ! 
Vien  manco  il  fianco  stanco  ed  è  impossibile 
Ch'io  resti  a  questi  mal  molesti  immobile! 

Dura  sciagura,  arsura  inestinguibile, 

Ricetto  eletto  han  nel  mio  petto  e,  mobile. 

La  mente  sente  un  serpente  invisibile 

Che  ha   vinto,  estinto,  in  lei  l' istinto  nobile  ! 

O  Bella  Stella,  o  Verginella  amabile. 
Ascolta,  volta  a  me  stolta  e  volubile, 
La  preghiera  sincera  e  vera  e  stabile. 

Odo  che  un  nodo  sodo  e  indissolubile 
Fa  fiorita   ogni  vita   attrita  e  labile... 
Mia  pia   Maria,  fa  ch'io  non  sia  più   nubile! 


IN  DISPREGIO  DELLA  IMMONDA  RANA  (*) 


SONETTO  SBOLEXFIO 


R 


ana,  sovrana  dell'  umana  e  ignobile 
Razza,  che  pazza  sguazza  in  brago  orribile, 
Sdegno  il  tuo  regno  indegno  e  sfido  immobile, 
Mirai  Tira  tua  dira  e  inestinguibile! 

Tardi  e  codardi   dardi  avventi  al  nobile 

Mio  petto,  schietto,  eletto  e  irremovibile, 
Sprezzo  il  tuo  lezzo  e  in  mezzo  al  volgo  mobile, 
Vera  guerriera  e  fiera,  io  sto  invincibile. 

11  mondo  in  fondo  è  tondo  ed  è  volubile, 
Come  una  luna  la  fortuna  è  instabile, 
E,  onesta  o  lesta,  ninna  resta    nubile  ; 

Sol  io,  mio  Dio,  co!  mio  desio  ineflabile. 

Giaccio,  e  non  straccio  il  tuo  laccio  insolubile. 
Rana  ircana,  malsana  e  miserabile  !  ! 

(*)  Batracio  simbolico  di  cui  vedi  indietro. 


FAVOLETTE  MORALI 


Il  coccodrillo 

Chiese  al  mandrillo  ; 

«  Perchè  sei  qui  ?  » 
Disse  il  mandrillo 

Al  coccodrillo  : 

«  Perchè   di  si  !  * 

Morale 

Opra  tranquillo 

Come  il  mandi  ilio 
La  notte  e  il  di. 

IL 

Un  pollaio,  di  gennaio, 
Nel  solaio  d'un  notaio 
Un  porcaio  diventò; 

Ed  un  pollo  non  satollo, 
Il  suo  collo   mezzo   frollo 
Col  midollo  si  mangiò! 


44 


Morale 

Imparate,   disgraziate  ! 
Non  pigliate  cantonate 
Se  bramate  dei  cocòì 


III. 


La  cicala  avea  cantato 

Tutto  higiio  a  perdifiato. 
Quando  il  caldo  fu  sparito, 
Si  sentì  molto  appetito 
Ed  andò  dalla  formica 
Domandandole  una  spica. 
La  formica  le  richiese: 
«  Che  facesti  l'altro  mese?  »    ' 
■La  cicala  allor  riprese: 
«  Ho  cantato,  o  dolce  amica!  » 
«  Brava!  »  —  disse  la  formica  — 
«  Tu  facesti  arcibenone 
«Ed  invece  d'una  spica, 
«Prendi,  cara,  ecco   un   zampone! 

Morale 

Imitate  in  ogni  cosa 
La  formica  generosa. 


ARGIA    SBOLENFI  45 


IV. 


Una  sciabola  un  po'  sciocca 
Col  revolver  litigò 
E  finì  col  dirgli  :  «  tocca 
«  Questa  lama  e  tacerò  !  » 

A  costei  che  lo  contrasta 
Con  sì  stolta  vanità, 
Il  revolver  disse  :  «  tasta 
«  Queste   palle,  e  zitto  là 

Morale 

Ragazze,  non  scherzate 
Con  l'armi  caricate! 


V. 

La  pulce  milanese 

Che  vive  di  stracchino. 
Fuori  dal  suo  paese 
La  credono  un  pulcino. 

Morale 

Un  uomo  d'esperienza 
Si  fida  all'apparenza. 


46 


VI. 

La  farfalletta 

Sopra  la  vetta 
D'  una  polpetta 
Si  riposò. 

Ma  una  civetta 

Accorse  in  fretta 
E,  poveretta  ! 
Se  la  mangiò. 

Morale 

Lettor,   sta    attento    e  vedi 
Dove  tu   metti  i  piedi. 


VIL 

La  pispola   diceva  al  pispolino: 

«  Bada  di  non  sporcarti  il  gabbanino  ! 

Ma  il  pispolin  la  madre  non  paventa 
E  in  umido  finì  con  la  polenta. 

Morale 

Ubbidisci  alla  madre  ed  al  fratello, 
O  nell'umido  andrai  come  l'uccella. 


ARGIA    SBOI.F.NFl  4" 


Vili. 


Un  tonno  innamorato 
Lesse  i  Promessi  Sposi 
E  tutto  riscaldato 
Da  sensi   religiosi, 
Andò  pianin  pianino 
A   farsi  cappuccino. 

Morale 

Fai  bene  se  t'  astieni 

Dal   legger   libri    osceni. 


IX. 

Una  loca  in  vaporino 

Volle  andar  sino  a  Razzano, 
Ma  le  cadde  il  taccuino 
Dalla  tasca  del  gabbano 
E  se  volle  andarci  mai 
Dovè  prendere  il  tramvai. 

Morale 

Toccherà  sempre  così 

A  ehi  viaggia  in  venerdì 


48 


X. 


Un  delfino  al  mare  in  ripa 
Che  fumava  nella  pipa, 
Prese  fuoco  e  si  scottò  ; 
Ma   uno   struzzo   di   passaggio 
Lo  guarì  con  del   formaggio 
Che  sul  buco  ci  applicò. 

Morale 

Questa  favola  mi  pare 

Che  v'insegni  a  non  fumare. 


XI. 

Fece  r  ovo  un  giovin  gallo 
Fuor  del  nido  e  lo  covò. 
Ma  uno  svizzero  a  cavallo 
Non  volendo  lo   schiacciò. 

Morale 

Di  qui  apprendi,  o  giovinetto, 
A  far  l'evo  nel  tuo  letto. 


ARGIA    SBOLENBI  49 


XII. 


Il  soldo  ed  il  baiocco 

Trovandosi  in  questione 
Portavano  lo  stocco 
Nascosto  nel  bastone  ; 
Ma  tosto  i  deputati 
Votarono  un'inchiesta 
E  furon  condanijati 
Al  taglio   della  testa. 

Morale 

Chi  tra'disce  l'amicizia 

Cade  in    man    della   giustizia. 


XIII. 

II  leon  nel  fare  il  bagno 

Punto  fu  dal  pesce  ragno, 
Ma  un  dentista  forestiere 
Lo  guarì  con  un  clistere. 

Morale 

Chi  vuol  far  l'altrui  mestiere 
Molte  volte  fa  piacere. 


Sòolenfi   -  6. 


so 


XIV. 

Lo  storione  -  in  un  cantone 
Profittò  dell'  occasione, 
Ma  il  leone  -  cappellone 
Gl'intimo  contravvenzione. 

Morale 

Son  molti  i  guai  •  che  ti  risparmierai 
Se  a  ritirarti  a  tempo  imparerai. 


XV. 

Tra  la  provvida  formica 

E  il  catarro  di  vescica 

Fu  contratta  società. 
Ma  si  sciolsero  ben  tosto, 

Perchè  ognuno  ad  ogni  costo 

Pretendeva  la  metà. 

Morale 

Non  c'è  gusto  in  un  bel  gioco 
Quando  dura  troppo  poco. 


ARGIA    SBOLENFl 
XVI. 

La  pecora  inferma 

Tirando  di  scherma 

In  breve  guarì. 
Ma  perse  il  tabarro 

E  prese  un  catarro 

Del  quale  morì. 

Morale 

Questa  piccola  novella 
Vi  consiglia  la  flanella. 


XVII. 

L'ippopotamo  droghiere 
E  il  merluzzo  salumiere 
Ragionavan  con  piacere 
Ciaschedun  del  suo  mestiere. 

Ma  un  astuto  alligatore, 
Anche  lui  commendatore, 
Disse:  «Ah  stupidi!  il  mighore 
«  È  il  mestiere  del  signore  ». 

Morale 

Se  le  bestie  parlan  bene, 
Frequentarle  si  conviene. 


XVIII. 

Il  re  Trapella 

Facea  la  guerra. 
Ma  dalla  sella 
Cascò  per  terra 
E  nel  tracollo 
Si  ruppe  il  collo. 

Morale 

Per  detto  generale 

Chi  casca  si  fa  male. 


XIX. 

La  lima  ed  il  limone 
Par  causa  dei  giornali 
Ebbero  una  questione 
Davanti  ai  tribunali, 
Ma  proprio  nel  momento 
Di  farsi  onor  coli' arte, 
Tirò  si  forte  il  vento 
Che  portò  via  le  carte. 

Morale 

Oh  che  gioia,  oh  che  contento 
Se  tirasse  solo  il  vento! 


ARGIA    SBOLENFT  53 


XX. 


Stava  il  corvo  alla  finestra 
Aspettando  la  mammana 
E  teneva  nella  destra 
Una  forma  parmigiana. 
Una  volpe  ivi  passò 
Ed  a  lui  così  parlo: 
«  Deh,  chi  mai  vide  un  uccello 
«  Più  piacevole  e  più  bello  ? 
«  Se  il  tuo  canto  è  come  il  viso, 
«  Sei  r  uccel  del  Paradiso  !...  » 
Ascoltando  queste  cose, 
Tosto  il  corvo  le  rispose  : 
«  Cara  volpe,  a  chi  mi  loda 
«  Dico:  baciami  la  coda!  » 

Morale 

Se  qualcun  vi  loda  spesso, 
Rispondetegli  lo  stesso. 


XXI. 

La  tinca  in  una  cassa 
Piena  di  formentone 
Si  fece  tanto  grassa 
Che  diventò  un  tinconc. 


54 


Morale 

A  molti  il  vizio. 
Fa  quel  servizio. 

XXII. 

La  sega  ed  il  ditale 

Sposi  a  dieci  anni  soli 
Dal  nodo  coniugale 
Non  ebbero  figliuoli, 
Perciò,  con  atto  egregio, 
Fondarono  un  collegio. 

Morale 

Son  sterili   soventi 

Le  nozze  tra  parenti. 


XXIII. 

Il  bue  disse  alla  vacca: 

«  Vuoi  tonno  o  vuoi  salacca  ?  » 
La  vacca  disse  al  bue  : 
«  Dammeli  tutti  e  due!  » 

Morale 

Nelle  giornate  magre  di  quaresima 

Son  simile  alla  vacca  anch'  io  medesima. 


ARGIA    SBOLENFI  55 


XXIV. 


Un  somaro  in  Egitto  per  scommessa 

Sposò  una  poetessa 
E  in  barca  la  condusse  al  Cairo  e  a  Menfi. 

Morale 
Sposate  Argia  sbolenfi  !  !  ! 


IL  GENTIL  CAVALIERO 


V 


a  per  la  selva  nera 
Solingo  un  cavalier 
Ornato  d'  un  cimier 

Colla  criniera.      , 

Dai  piedi  fino  al  mento 
Coperto  è  di  metal; 
Galoppa  il  suo  cavai 

Che  pare  il  vento. 

Quand'  ecco  che  un  romito 
Innanzi  gli  si  fa 
E  dice:  «Vieni  qua, 

«  Guerriero  ardito  I 

«  C  è  una  fanciulla  pia, 
«  Leggiadra  anzichenò, 
«  E  il  padre  la  chiamò 

«  Sbolenfi  Argia. 


ARGIA    SBOI.ENFI 

«  Ti  Sta  nel  suo  palazzo 
«  Fremente  ad  aspettar 
«  E  tu  l'hai  da  sposar, 

«  Bravo  ragazzo  ! 

«  Faresti  un  buon  affare 
«  E  non  puoi  dir  di  no. 
«  Io  vi  mariterò: 

«  Valla  a  pigliare  !...  » 

A  questa  esortazione 
Commosso  il  Cavalier, 
Nel  ventre  del  -destrier 

Piantò  lo  sprone, 

E  si  partì  al  galoppo 
Bramoso  di  venir. 
Veloce  come  al  tir 

Palla  di  schioppo... 

Scorsero  gli  anni  e  i  mesi, 
■    I  giorni  e  la  stagion. 
Ed  io  sul  mio  balcon 

Sempre  l' attesi  ! 

Ma  invan  lo  sguardo  esplora 
Le  strade  ed  i  sentier; 
Il  prode  cavalier 

Galoppa  ancora!! 


POBRE  CARLOS!  ['] 


H 


abbia  :  se  pueda  ser  mas  desdichada  ? 
Quiereba  Carlos  el  toreadores, 
Ma  un  toro  viense  in  la  plaza  mayores 
Y  per  matarlos  el  sfrodò  la  espada. 

El  toro  escapò  vias  por  la  contrada 

1  Mo  Carlos,  dietros,  fagando  romores! 
Cuando  el  toro  1  ahi  de  mi,  caros  senores! 
Per  de  dietros  ce  apogia  una  cornada. 

Carlos  cascò  cridando  j  ahi,  porco  mundo  ! 
V'iense  il  medico  y  hablò:  ;  mo  bozaradas, 
El  corno  ha  penetrado  ensino  al  fundo  ! 

1  Parece  un  nido  carico  de  vrespas  ; 

Las  pobras  chiapas  miranse  sfondadas, 
Todo  està  roto  y  buena  noche  crespas  ! 

(*)  Lo  Spagnuolo  non  bere...  certo  l'onda  del  Man  ;inares. 


LA  RISPOSTA 
DELLA  FIGLIA  MALEDETTA 


iTadre,  nei  giorni,  ahimè!  vissuti  assieme, 
Nei  tristi  giorni  in  cui,  non  pur  degli  agi 
Ma  fin  del  pane  ci  fallìa  la  speme, 

Quando  furtivi,  squallidi  e  randagi 

Le  poma  guaste  cercavamo  e  1'  ossa 
A  pie  dei  monasteri  e  dei  palagi, 

Quando  il  verno  crudel  con  la  sua  possa 
Sotto  il  breve  lenzuol  ci  costringeva 
Come  morti  a  gelar  dentro  la  fossa, 

Padre,  la   figlia  tua  non  si  doleva 
Sotto  il  duro  flagel  della  fortuna. 
Io  mi  sentiva  forte  e  non  piangeva. 

Ma  poi  che,  fior  di  gioventìi,  la  bruna 

Mia  pubertà  sbocciando,  amor  m'  apprese, 
Obliai  le  miserie  ad  una  ad  una. 


6o 


Il  gaudio  della  vita  in  cor  mi  scese 
E  nuovo  e  forte  palpitò  il  desìo 
Nel  petto  ansante  e  nelle  vene  accese. 

Ma  tu,  sorpreso  del  delirio  mio, 

Mi  chiedevi  talor  —  figlia,  che  hai  ? 
Aprimi  il  core  :  il  padre  tuo  son  io  !  — 

T'amo,  Pietro  Sbolenfi,  e  ben  lo  sai, 

Tanto,  che  al  dolce  suon  dei  detti  onesti 
Non  te  lo  apersi,  ma  lo  spalancai. 

—  Mo  tananbn  Mingheina  !  —  allor  dicesti  — 
Costei  già  sogna  il  matrimonio  e  i  figli! 

E  tempo  di  vegliarla  e  di  star  desti.  — 

Mi  sciorinasti  allor  cento  consigli 
Di  virtìi,  di  morale  e  di  prudenza 
Per  agguerrirmi  il  cor  contro  ai  perigli. 

—  Cara  figlia  —  dicevi   —  abbi  pazienza, 
Sceglilo  ricco  e  sceglilo  maturo. 

Che  pigliarlo  in  bolletta  è  un'imprudenza. 

Cerca,  se  puoi,  di  metterti  al  sicuro  ! 
Guarda  tuo  padre  e  resta  persuasa 
Come  il  campar  senza  quattrini  è  duro. 


ARGIA    SBOLENFl  6l 

Guarda  invece  il  canonico  di  casa  ! 

Quanti  fogli  da  cento  ha  nel  borsello 
E  che  salute  nella  faccia  rasa  ! 

Prendi,  mia  cara,  un  uomo  come  quello, 
Fattene  la  signora  e  la  padrona 
Ed  anche  il  Re  si  caverà  il  cappello!   — 

Per  ciò,  figlia  esemplar,  docile  e  buona, 
Eseguendo  alla  lettera  i  tuoi  detti. 
Me  ne  andai  col  canonico  in  persona  ! 

Ed  or  perchè  ti  duoli  e  perchè  getti, 
Quasi  porco  ferito,  alti  clamori? 
Perchè,  dimmi,  perchè  ci  hai  maledetti  ? 

Perchè  vieni  a  cianciar  de'  tuoi  dolori, 
Mentre  tu  ci  portavi  il  candelliere 
E  fosti  Galeotto  ai  nostri  amori? 

Io  lo  dirò  il  perchè  !  Sperasti  avere 
Dal  genero  sognato  agi  e  monete 
Per  menar  le  ganascie  a  tuo  piacere. 

Ed  or  che  sei  rimasto  con  la  sete 
Fai  lo  scontento  e  lo  scandalizzato 
Perchè  tua  figlia  dorme  con  un  prete! 


ARGIA    SBOLENFI 

Ma  padre  mio,  ti  sei  dimenticato 

Tutto  ad  un  tratto  la  parola  detta 
Ed  il  consiglio  che  m' avevi  dato  ? 

Tu  mi  dicevi  di  tenermi  stretta 

E  ferma  del  canonico  al  mantegno... 
Io  mi  ci  tengo  e  tu  m'  hai  maledetta  ! 

Andiamo,  smetti  questo  finto  sdegno  ! 
Ribenedici  la  diletta  figlia 
Or  che  porta  d'amor  nel  seno  un  pegno! 

Presto  nonno  sarai  !  Spiana  le  ciglia 

Che  un  bugiardo  furor  move  ed  infiamma. 
Sta  quieto  per  ragioni  di  famiglia. 

Ricevi  un  bacio  e  tante  cose  a  mamma. 


SI  DESCRIVE  UNA  RUSTICA  CAPPELLA 


B 


en  sovente 

T'  ho  presente 

Nella  mente, 

Vezzosissima   cappella, 

E  il  tuo  aspetto 

Nel  mio  petto 

Fa  l'effetto 

Della  cosa  la  più  bella. 


Parlo  a  stento 
Dal  contento, 
Anzi  sento 

Che  mi  manca  la  favella, 
E  deliro 
Quando  in  giro 
Io  ti  miro 
Rosseggiar  superba  e  snella! 


h;}  ARGIA    SBOLENKl 

Quasi  nera 
T' alzi  altera 
Nella  sera 

Che  il  candor  degli  astri  abballa; 
T'  alzi  ed  io 
Nel  cor  mio 
Ti  desio, 
Vezzosissima  cappella! 


INNO  AL  SALAME 


O 


progenie  divina 
o  d'ogni  ben  cagione, 
figlio  di  Salamina 
e  de'l  Re  Salomone; 
e  de  la  fame  infame 
trionfator,  Salame, 
balzi  or  l'agile  strofa  innanzi  a  te; 


a  te,  forte  e  gentile 

onor  de'l  genio  umano 

e  de'l  mondo  civile 

consolator  sovrano, 

ne  le  cui  forme  dorme 

una  possanza  enórme 

che  squarcia  i  monti  e  sfonda  il  trono  a  i  Re. 

Sbolfnfi  -  7. 


66  RIME    t)l 

Fatto  con  diligenza, 
o  montanaro,  o  fino, 
con  l'ova  sode  o  senza, 
sempre  tu  sei  divino 
e  t'amo  e  ognor  ti  bramo 
e  Nume  mio  ti  chiamo 
e  tua  mi  giuro  e  ti  consacro  il   cor. 


Oh  quante  vòlte,  oh  quante, 
ne'  sogni  miei  ti  vedo 
e  vinta  e  palpitante 
stringerti  a  '  1  cor  mi  credo 
e  desta,  la  mia  mesta 
sorte  m'appar  funesta, 
poi  che  tu    manchi  a  '1  mio   focoso  amor. 


E  pur  la  rabbia  ostile 
disonorarti  brama 
e  de  l'onagro  vile 
vile  figlio!  ti  chiama; 
ma  tu  sorridi  e  gridi 
—  tornate  a  i  vostri  lidi 
e  cessate  d'infrangermi  i  calzoni 


ARGIA    SBOLENFI  '  67 

Deh,  se  ne  i  dì  sereni 
io  mi  sperai  tua  sposa, 
tra  le  mie  braccia  vieni, 
sovra  al  mio  sen  riposa, 
Orgoglio  mio,  ti  voglio 
•  far  co'  miei  baci  il  soglio, 
lo  scettro,  la  corona  e  il  padiglioni 


LAMENTO  f  ) 


X  iangete     al  gran  galoppo, 
Dolcissimi  lettor! 
Il  nostro  Direttor, 

Moscata,  è  zoppo  ! 

Che  se  a  qualcuno  importa 
Saperne  la  cagion, 
Sappiate  che  al  Veglion 

Prese  una  storta. 

La  storta  che  ha  pigliata 
Passava  pel  caffè 
Vestita  da  bebé 

Molto  scollata. 

Ed  ei  che  aveva  piena 
La  tasca  di  quattrin 
Ai  Quattro  Pellegrin 

Le  die  una  cena. 


(*)  Cesare    Dallanoce  detto    Moscata    dirigeva   l'effemeride 
in  cui  la  Poetessa  faceva  le  sue  armi. 


ARGIA    SBOLENFI  69 

Costei  che  aveva  i  denti 
Aguzzi  anzichenò, 
Gli  bevve  e  gli  mangiò 
Tre  abbonamenti. 

Indi,  per  sua  sventura, 
Si  volle  sdebitar. 
Ma  non  pagò  in  denar. 
Pagò  in  natura. 

E  il  nostro  Prim:ipale 
Dopo  due  giorni  o  tre. 
Cos'è,  cosa  non  è,  ^ 

Si  sentì  male. 

Basta,  per  farla  corta, 
Il  nostro  Direttor 
Ricorse  al  suo  dottor 
Per  questa  storta, 

Che  stette  un  po'  dubbioso 
Indi  gli  suggerì 
Santalo  del  Midi, 

Malva  e  riposo. 

Piangete  al  gran  galoppo, 
Dolcissimi  lettor, 
Il  nostro  Direttor, 

Moscata,  è  zoppo! 


LIBRO  SECONDO 


LE  DECADENTI 


Jr  omografia?  Sta  bene: 
Ma  siete  voi  sicuri 
Che  il  fine  ognun  misuri 
Dalle  apparenze  oscene? 

E  appunto  a  voi  conviene 
D'  esser  sprezzanti  e  duri 
Quando  lo  sanno  i  muri 
Che  fondo  vi  mantiene? 

Tartufi  rugiadosi, 

Quanto  prendete  al  mese 
Per  esser  virtuosi  ? 

O  di  virtù  modello, 
Chi  vi  rifa  le  spese 
Del  gioco  0  del  bordello  ? 


ANACREONTICA 


C 


hi  pel  selvoso  monte 
Lascia  la  nuda  valle 
E  del  roccioso  calle 
L'  erta  salendo  va, 

Sente  grondar  la  fronte 
E  vacillare  il  fianco, 
Sente  che  il  piò  già  stanco 
Forza  d'andar  non  ha. 


Ma  giunto  in  su  la  vetta, 
Con  l'occhio  erra  lontano 
Sul  verdeggiante  piano 
Che  gli  si  stende  al  pie, 

Allor  trionfa  e  getta 
Un  grido  alto  e  giocondo  ! 
Vede  soggetto  il  mondo 
E  se  ne  sente  il  re. 


ARGIA    SBOLENFI 

Anch'io  così,  sudando 
Su  la  ribelle  rima, 
Potei  toccar  la  cima 
Lieta  del  sacro  allor. 

E,  sotto  a  me  guardando 
Con  la  pupilla  altera, 
Maggiore  e  assai  più  vera 
D'altri  sentirmi  in  cor. 


Perciò,  sappia  chi  viene, 
Folle,  a  contender  meco 
Od  a  negarmi,  bieco, 
La  seggiola  curiil, 

Che  tre  scodelle  piene 
Di  tagliatelle  asciutte 
Io  me  le  mangio  tutte 
E  vado...  ad  Irminsul  (i). 


(i)  Località  ignota,  forse  dell'  altro  emisfero. 


L'  A  L  B  A 


V, 


egliai!  Dice  la  fiamma  omai  languente, 
Che  il  petrolio  calò  nella  lucerna. 
Vegliai  piangendo  ed  ecco  lentamente 
Destarsi  al  novo  dì  la  Città  Eterna. 

Le  carrette  dei  broccoli  e  la  gente 
Ripassan  sotto  alla  magion  paterna, 
Il  padre  russa  e  un  campanil  si  sente 
Laudar  da  lungi   la  Bontà  Superna. 

Lieto  un  chicchirichì  vien  da  lontano 
Da'  cortil  suburbani  e  da'  pollai 
Destati  dal  chiarore  antelucano; 

Ed  io,  infelice,  di  dolenti  lai 

L'aria,  l'acqua,  la  terra  assordo  invano, 
Perchè  un  gallo  per  me  non  canta  mai! 


IN    MARE 


E 


ccoti,  o  mar  solenne  ed  infinito, 
Del  divino  poter  simbolo  e  stampa  : 
Eccoti,  e  in  faccia  a  te  cade  atterrito 
L'occhio  che  di  febea  fiamma  divampa. 


Sei  tremendo  nell'  ira  e  al  tuo  ruggito 

Non  regge  prora  e  poppa  mai  non  scampa, 
Ma  nella  calma  tua,  liscio  e  pulito, 
Sembri  la  ciccia  di  Minghino  Svampa. 

Ecco  un'  aura  d'  amor  scende  dal  cielo 
E  va  dell'onda  che  pur  or  posava 
Soavemente  accarezzando  il  pelo. 

E  la  persona  mia  che  lorda  stava, 
Ora  la  porgo  aperta  e  senza  velo 
Al  mar'  che  me  la  bacia  e  me  la  lava. 


LA  CAPRETTA 


filoretitem  cytisuni  sequitur  lasciva  cappella. 
Viro.  Ed.  II,  64 


Q 


uando  trovo  qualcun  che  me  la  mena, 
La  mia  capretta,  a  pascolar  sul  monte, 
Tutta  la  sento  di  dolcezza  piena 
Guizzar  pel  gusto  che  le  brilla  in  fronte  : 


E  se  poi  qualchedun  me  la  rimena, 
Corro  tosto  a  lavarla  ad  una  fonte. 
Indi  l'asciugo,  e  non  è  asciutta  appena 
Che  a  trastullarsi  anco  le  voglie  ha  pronte. 

Sempre  sana  e  piacente,  al  caldo  e  al  gelo 
Va  intorno  e  con  gli  scherzi  altrui  diletta, 
Tanto  la  tenni  e  1'  educai  con  zelo. 

Eccola  qui  che  una  carezza  aspetta, 
Fresca,  pulita  e  non  le  pute  il  pelo... 
Dite,  chi  vuol  baciar  la  mia  capretta  ? 


IN  BICICLETTA 


G 


iammai,  scoccata  da  una  man  feroce 
Dall'  arco  teso  non  fuggì  saetta 
Come  sul  suo  sentier  corre  veloce 
La  bicicletta. 

Volan  le  rote  e  mentre  sulla  via 

Nessun  rumor  presso  di  lei  si  sente, 
Qualche  imbecille  al  corridore  invia 
Un  accidente. 

A  me  che  importa  se  della  canaglia 

M' insegue  il  riso  o  il  mormorar  d'alcuni, 
Se  l'iniqua  parola  altri  mi  scaglia 
O  il  molla  Bunil 

Io  corro,  io  volo  sulla  bicicletta, 
Questo  ideal  delle  cavalcature: 
Chi  soffre  d' emorroidi  o  di  bolletta 
M' insulti  pure, 


80  ARGIA    SBOLENFI 

Ch'io  son  beata  e  un  fremito  m'assale, 
Mi  avvolge  un'onda  di  piacer  sovrano, 
Quando  vengo  stringendo  il  trionfale 
Manubrio  in  mano. 

Io  son  beata  allor  che  fra  le  gambe 

Sento  il  rigido  ordigno  e  in  quegli  istanti 
Tendo  le  coscie  e  l'agitar  d'entrambe 
Lo  spinge  avanti. 


AD  UN  OROLOGIO  GUASTO 


X   oi  che  il  pendolo  tuo  giù  penzoloni 

Non  ha  più  moto  ed  impotente  sta 

E  gì'  inutili  pesi  ha  testimoni 

Della  perduta  sua  vitalità, 

Veccliio  strumento,  in' affatico  invano 
A  ridestar  l'antica  tua  virtù; 

Inutilmente  con  l'industre  mano 

Tendo  la  molla  che  non  tira  più. 

Questa  tua  chiave,  che  ficcai  sì  spesso 

Nel  suo  pertugio,  inoperosa  è  già; 

Rotto  è  il  coperchio  e  libero  l' ingresso 
Ad  ogni  più  riposta  cavità. 

Deh,  come  baldanzoso  un  dì  solevi  i 

L'  ora  dolce  del  gaudio  a  me  segnar, 

E  petulante  l'ago  tuo  movevi 

Non  mai  spossato  dal  costante  andar! 

Quante  volte  su  lui  lo  sguardo  fiso 

Or  tengo  e  penso  al  buon  tempo  che  fu  ! 
Se  almen  segnasse  mezzodì  preciso... 

Ma  sei  e  mezza!...  e  non  si  muove  più! 


Sbolciiji  •  8. 


A    LUI 


JT  erchè,  mio  Bene,  se  vicin  mi  siedi 
Taci  e  rivolgi  gli  occhi  ai  travicelli, 
Oppur  ti  osservi  attentamente  i  piedi 
Quasi  credendo  di  trovarli  belli? 

Guardami  invece  gli  occhi  e  leggi  e  vedi 

Di  quante  fiamme  il  nuovo  amor  li  abbclii  ! 

Guardali,  non  temer,  fissali  e  credi 

Che  prometton  ben  piìi  eh'  io  non  favelli. 

Parla  e  fa  che  il  timor  non  vinca  e  prema 
Del  tuo  vergine  cor  l'immenso  aff'etto  : 
Chi  vuol  gli  amplessi  miei,  tenti  e  non  tema. 

Parla,  poiché  il  mio  gaudio,  il  mio  diletto. 
La  mia  felicità  sola  e  suprema, 
Dalla  tua  lingua,  amico  mio,  l'aspetto. 


E    VERO 


Xo  dissi  :  «  Ah,  come  pendo! 
«  Mi  sembra  di  cascar  !  » 
Ma  tosto  sorridendo 
Rispose  il  marinar  : 

«  Pieno  di  scene  orrende 
«  Sarebbe  il  mondo  inticr 
«  Se  tutto  quel  che  pende 
«  Dovesse,  oh  Dio,  cader  ! 


AFFETTI  DI  UNA  PELLEGRINA 
ALL'  AUGUSTO   VEGLL\RDO 


DOPO  LA  VISITA 


A 


gl'immensi  Tuoi  pie,  Padre,  chinata 
Stetti  trepida  in  volto  e  reverente; 
A  Te  levai  le  palme  e  Tu  clemente 
Mi  facesti  partir  racconsolata. 

Ond'  io  terrò  nella  memoria  grata 
La  benedetta  imagin  Tua  presente 
In  fin  ch'io  viva,  e  spesso  con  la  mente 
A  questa  tornerò  santa  giornata. 

Tutto  ricordo  :  i  detti  Tuoi  soa\'i, 

Le  Angeliche  sembianze,  il  career  tetro 
E  l'angolo  preciso  in  cui  parlavi. 

Ricordo  fin  la  guglia  di  San  Pietro 

Che,  guardando  dal  luogo  ove  tu  stavi, 
lo  l'avevo  davanti  e  Tu  di  dietro. 


LA    BALLATA 
DKI,  CAVAI-IKR  DISCORTKSE 


X  oi  che  il  sol  tramontò,  poi  che  lontana 
piange  la  mesta  squilla  il  d\  che  muor, 

da  '1  solingo  veron  la  castellana 

canta  così  alle  stelle  il  suo  dolor  : 

«  Qui  presso,  fra  due  monti,  è  rimpiattato 
«  un   castello  che  il  sol   mai   non   scaldò. 

«  Il  vento  che  vi  spira  è  avvelenato, 
«Buco  è  il  suo  nome  e  se  lo  meritò. 

«  Invece  in  faccia  a  "1  sol  ride  scoperto 
«  questo  palagio  mio  cinto  di  fior. 

«  Ride  tra  i  boschi,  ospitalmente  aperto 
«ad  ogni  dolce  peregrin  d'amor. 

«L'altra  notte  vegliai  su  '1  mio  balcone 
«  e  vidi  nella  valle  un  cavalier. 

«Oh,  come  bello!  e  con  l'aurato  sprone 
«  il  cavallo  spingea  lungo  il  sentier. 


86 


«  Il  cor  mi  palpitò  quando  lo  scorsi, 
«l'aspetto  suo  mi  vinse  e  mi  rapì. 

«  Tutta  tremante  da  '1  balcon  mi  sporsi, 
«  tesi  le  braccia  e  gli  parlai  così  : 

«  —  Fermati,  cavalieri  Deh,  tante  cose 

«  vorrei  dirti  !...    Ove  vai  ?  Fermati  qui  !  — 
«  Ma  galoppando  il  cavalier  rispose  : 

«  —  Signora,  io  vado  a  Buco...  ^  e   poi    sparì 


II. 


Vittima  di  se  stesso  e  del  destino, 
ecco  torna  da  Buco  il  cavalier. 

Carogna  tentennante,  a  capo  chino, 
tra  le  gambe  gli  zoppica  il  destrier. 

L'  errore  dell'  andar,  tornando,  espia, 
poiché  la  strada  pessima  trovò, 

ed  il  pantan  della  fetente  via 
da  capo  a  piedi  lo  contaminò. 

Passa  così  sotto  al  veron  fiorito 
dove  la  voce  dell'  amor  sentì  ; 

passa  e  si  duol  d'avergli  preferito 
il  laido  Buco  dove  imputridì. 


ARGIA    SBOT.ENFI  87 

«  Deh,  colline  ridenti,  ombroso  bosco 

«lieto  d'acque  perenni  e  di  piacer; 
«  e  voi,  labbra  di  rosa,  ora  conosco 

«  in  che  guai  mi  travolse  un  reo  pensier  ! 

«  Deh,  affacciati  al  veron,  tu  che  m' hai  detto 
«  —  Cavalier,  dove  vai  ?  Fermati  qui  !  — 

«  Ecco  torno  pentito,  ecco  nel  petto, 
«  col  rimorso,  l'amor  mi   rifiorì  ». 

Uscì  la  bionda  castellana,  e  china 

del  memore  balcone  al  davanzal, 
non  vide  un  cavalier,  ma  una  latrina, 

un  lurido  fantasma  intestinal. 

E  disse  :  —  «  Alfin  la  collera  celeste, 

«  mossa  dal  mio  pregar,  ti  castigò  ! 
«  Scortese  cavalier,  quella  è  la  peste... 

«  Lo  spedale  è  più  avanti!...  »  —  E  se  ne  andò. 


SONETTI  MITOLOGICI 


ATTEONE 
(Diphito  nd  olio) 


G 


uardate  !  Atteone 
Osserva  il  prospetto 
Ignudo  e  perfetto 
Che  Trivia  gli  espone. 

La  Dea,  che  suppone 
Gli  perda  il  rispetto, 
Le  corna  e  1'  aspetto 
Di  cervo  gì'  impone. 

Fuggita  è  lontana 

Dal  tempo  presente 
La  bella  Diana, 

Ma  sono  cresciuti 
In  modo  indecente 
Le  corna  e  i  cornuti. 


ARGIA    SBOI.KXFI  89 


II. 


LEDA 


Giove,  padre  degli  Dei. 

Vide  Leda,  e  innamorato 
Ebbe  il  gusto  depravato 
Di   volerne   gl'imenei: 

E  l'aggiunse  ai  suoi   trofei 

Con  l'astuzia  e  con  l'agguato, 
Poi  che  in  cigno  tramutato 
Si  calò  nel  grembo  a  lei. 

Donna  Leda  gli  die  il  covo, 
Ma  con  questo  bel  lavoro 
Fu  gallata  e  fece  1'  ovo. 

Già  r  efletto  è  sempre  quello 
Quando  ruzzano  fra  loro 
Una  donna  ed  un  uccello. 


90 


III. 


DANAE 


Acceso  il  Tonante 
Per  Danae  d'affetto 
Ottenne  l'effetto 
Mutando  sembiante, 

E,  splendido  amante, 
Le  cadde  nel  letto 
Prendendo  1'  aspetto 
Dell'oro  sonante. 

Da  noi,  siamo  schietti, 
Ne  andava  in  possesso 
Cambiato  in  biglietti  ; 

Che  in  oro  o  in  argento 
Ci  avrebbe  rimesso 
Il  5  P-  %• 


ARGIA    SBOI.EXFI  9I 


IV. 


ATALANTA 


Atalanta  giovinetta 

Alla  corsa  ognun  sfidava 
E  sì  forte  galoppava 
Che  pareva  in  bicicletta. 

Per  passarla,  una  burletta 
Ippomène  imaginava 
E,  correndo,  le  gettava 
D'  oro  in  palle  una  cassetta. 

Adocchiandole  si  gialle, 
Per  volerle  raccattare, 
Ella  uscìa  dal  dritto  calle: 

Il  che  serve  per    pro\'are 
Che  le  donne  per  le  palle 
Si  farebbero  pelare. 


92 


PAN 


Pane,  cornuto  Iddio 

Benché  non  abbia  moglie, 
Sul  margine  d'un  rio 
S'appiatta  in  fra  le  foglie: 

Assalta  di  scancio 

Le  Ninfe  e  poi  le  coglie 
Facendone  sciupìo 
Secondo  le  sue  voglie. 

Però  fissa  e  solinga 

Ebbe  una  fiamma  in  core 
Per  la  gentil  Siringa  : 

Dal  che  dedur  con\iene 
Che  il  povero  signore 
Non  orinasse  bene. 


ARGIA    SBOLENFI  93 


VI, 


IO 


Io,  diventata  vacca 

Per  volontà  di  Giove, 
Fessa  dolente  e  stracca. 
Cosi  diceva  al   bove  : 

«  Come  mi  sento  fiacca 
E  rotta  in  ogni  dove  ! 
Non  valgo  una  patacca 
In  queste  torme  nuove  ; 

«11  fieno  m' è  indigesto 
E  i  visceri  m' annoda 
In  modo   disonesto. 

«L'utile  sol  ch'io  goda 
Nel  mutamento  ò  questo: 
Che  guadagnai  la  coda  ». 


LA  ROVINA  DEL  SASSO  (*) 

(Per  uìi  numero   unico) 


F 


u  la  scena  soltanto 

Fu  il  drammaccio  cruento, 

Che  vi  commosse  al    pianto. 


Se  il  monte  non    cascava, 
Morivano  di  stento 
Ma  nessun  ci  badava. 


(*)  Per  intendere  questo  epigramma  bisogna  sapere  che  nel 
Comune  di  Sasso  erano  alcune  grotte  nel  monte  e  alcune  cata- 
pecchie dove  parecchie  famiglie  disgraziate  tenevano  coi  denti 
la  vita.  Tutti  lo  sapevano,  lo  vedevano  e  passavano.  Rovinò  il 
monte  e  fece  quel  che  non  aveva  fatto  la  fame  :  uccise  i  disgra- 
ziati. Subito  si  fecero  sottoscrizioni,  conferenze  e  numeri  unici 
e  in  uno  di  questi  la  Poetessa,  sott' altro  nome  che  il  suo,  inseri 
i  versi  qui  sopra. 


SONETTO  (*) 


U 


sci  la  «  Romanina  » 
E  il  labaro  spiegò. 
Ma  l'orda  libertina 
Lo  prese  e  lo  stracciò, 

E  tale  una  rovina 
Di  calci  si  levò 
Che  rotto  per  la  china 
Qualche  osso  sacro  andò. 

La  barca  di  San  Pietro 
Che  a  prora  fessa  è  già, 
Si  rompe  anche  di  dietro  ! 

Non  vede,  Santità  ? 

Gli  han  detto  "  vade   retro 
E  Satana  ci  va. 


(*)  La  Società  cattolica  detta  la  Romanina  volle  celebrare 
in  Roma  non  so  che  festività  a  Cristoforo  Colombo,  e  andò  al 
Pincio  con  làbari,  trombette,  oratori  e  simili  strumenti.  Alcuni 
giovani  liberali  presero  a  pedate  i  dimostranti  che  scappano 
ancora. 


AL  MIO  DESTRIERO 


ODE 


l\l  on  la  criniera  lucida,  poi  che  non  la  possiedi, 
ma  il  ventre  di  majolica  e  i  quattro  eburnei  piedi 

concedimi,  o  corsier  ; 
fammi  inforcar  la  candida  tua  groppa  e  su  gli  arcioni 
starò,  superba  amazzone,  senz'armi  e  senza  sproni 
,  o  ausilio  di  scudier, 

che  tu,  gentil  quadrupede,  non  scalpiti  con  1'  ugna 
quando  la  groppa  docile  porgi  a  l'usata  spugna 

e  a  '1  salubre  sapon, 
ma  su  le  zampe,  immobile  e  mansueto,  aspetti 
d'acque  lustrali  il  tepido  lavacro  e  i  larghi  getti 

de  r  industre  sifon. 

Te  cavalcando,  visito  tutto  de'  sogni  il  regno 
ed  un  poledro  rapido,  non  un   cavai  di  legno, 

allor  tu  sei  per  me, 
e  ne  '1  sognar  mio  bellico,  un  capitan  mi  sento  : 
le  schiere  mie  galoppano  con  le  bandiere  a  '1  vento 

ne  '1  conspetto  del  Re. 


ARGIA    SBOLENFT  97 

Savoia  !  e  i  prodi  memori  de  la  fortezza  antica, 
freno  non  danno  a  l'impeto  e  già  l'oste  nimica 

le  terga  a  noi  voltò. 
Che  vai  se,  a  '1  campo  reduce,  scendo  di  sella  esangue, 
se  da  uno  squarcio  orribile  veggo  fuggirmi  il  sangue?... 

I.a  palma  a  noi  restò! 

Il-  schiere  avverse  fuggono,  ma  tu  fuggir  non  sai 
e  sovra  al  piò  di    mogano  solennemente  stai 

fermo,  senza  fiatar... 
Ma  i  sogni,  ahimè   svaniscono.    Cessata  è  la  battaglia. 
L'ora  de  '1  pranzo  è  prossima  ;  datemi  la  tovaglia 

che  mi  voglio   asciugar. 


S'o/en/i  -  q. 


ODE  FARMACEUTICA 


H 


o  sognato  un  mar  di  laudano 
Denso,  nero  e  sterminato, 
Come  un  piano  formidabile 
Di  sciroppo  concentrato. 

Sovra  l'onde  immote  e  brune, 
Tra  i  vapor  del  zafferano, 
Svolazzavano  importune 
Molte  mosche  di  Milano. 


Io,  per  far  con  meno  incomodo 
Di  quel  mar  la  traversata, 
Mi  recai  sul  porto  prossimo 
E  vi  presi  una  fregata. 
11  suo  nome  si  leggca 
Scritto  a  lettere  d'un  metro, 
Vale  a   dir  FARMACOPEA, 
E  l'aveva  per  didietro. 


ARGIA    SI'.OI.F.NFl  QQ 

Grossi  e  ritti  erano  gli  alberi 
Con  le  vele  di  cerotto, 
Con  le  sartie   e  con  le  gomene 
Verniciate  di  decotto  ; 

E  la  nave  fabbricata 

Di  campeggio  e  legno  quassie, 

Kra  tutta  incatramata 

Di   ioduro  di   potassio, 


Drappeggiati  in  negre  tonache 
Molti  giovani  assistenti 
Impastavano  le  pillole 
Lassative  od  astringenti, 
Le  supposte,  i  vescicanti 
E  gli  empiastri  da  enfiagione 
Da  servire  ai  naviganti 
A  merenda  e  colazione. 


Un  po'  il  fuoco  che  facevano. 
Un  po'  il  caldo  naturale, 
In  quel  tanfo  farmaceutico 
Mi  sentivo  venir  male; 

Per  cui,   visto  un  recipiente, 

Mi  sedei  sopra  di  botto 

E,  vedendo  un  assistente, 

Chiamai  forte  —  Ehi,  gio\iiiotto  !  — 


Che   comauda?   —   chiese   il   giovane. 
Vuol  di  malva  una   infusione? 
Vuol  copaive  in  mucillaggine? 
Preferisce  una  iniezione  ?   — 

Adirata  io  ribattei  : 

—  Non  son  quella  che  credete! 

Non  ho  il  male  che  avrà  lei  ; 

Ho  soltanto  un  po'  di  sete.  — 


Sete?  —  disse  —  il  male  è  piccolo 
E  guarir  con  l'acqua  suole; 
Ma  se  l'acqua  ella  desidera, 
Mi  dirà  come  la  vuole. 

Forestiera  o  del  paese  ? 

Vuol  Tettuccio  o  Castrocaro  ? 

Vuol  un  po'  d'acqua  ungherese 

O  un  bicchiei-  di  sale  amaro?  — 


Voglio  solo  acqvia  purissima  !   — 

Furibonda  allor  gli  osservo. 

Mi  rispose:  —  Va  benissimo. 

Ma  in  che  modo  gliela  servo? 
Perchè  buono  è  da  sapersi 
Che  da  noi  s'usa  di  bere 
In   due  modi  assai   diversi  : 
O  per  bocca  o  per   clistere.  — 


ARGIA    .SBOI.ENFI 

Detto   fatto  e  dalla  tonaca 
Con  un  gesto  pittoresco 
Tirò  fuori  una  gran  cannula, 
Un  alfare  gigantesco, 

K  mentr'io  gridava:   —  Ehi,  senta. 
Lei  m'  ha  preso  per  isbaglio  !  — 
Quel  birbone  d'  assistente 
Lo  puntava  nel  bersaglio. 


Se  non  era  che  voltandomi 

Torsi  il  fianco  un  poco  a  destra, 
Queir  infanic  di  flebotomo 
Scaricava  la  balestra; 

Ma,  insistendo  l'animale. 

Ne  successe  un  serra  serra 

E,  coni'  era  naturale, 

Tutto  il  brodo  andò  per   terra. 


Io  credevo  d'esser  libera, 

Ma  mi  accadde  un  altro  guaio 
Ch'egli  prese  dietro  a  corrermi 
Col  pestello  del  mortaio. 

Un  orrore,  uno  spavento, 
Un  battaglio  da  museo, 
Una  razza  di   strumento 
Da  sfondare  un  mausoleo! 


ARGIA    SBOLENFI 

Io  già  stavo  per  soccombere 
Alla  orribile  balista, 
Ma  gridai:  —  Galeno  sahami, 
Da  quest'  empio  l'armacista  !  — 
E  ad  un  tratto,  e  fu  un   enigma, 
Spirò  un'  aria  purgativa 
Che  pareva  un  borborigma... 
E  sbarcai  suU'  altra  riva. 


ALLA 

SOCIETÀ  EMILIANA  DELLE  LEVATRICI 

COME  SEGKO  DI  OMAGGIO  CORDIALE 

QUESTA  ODE  OSTETRICA 

È  DEDICATA 


Multipiicabu  aerumnii!,  iuaa  ci  coticepius  tuoi 
in  dolore  paries  Jllios. 

GeN.  Ili  i6. 


N 


eli' interno  del  bacino 
Semprechè    non    sia    deforme, 
Vedi  un  corpo  piriforme 
Appoggiato  all'  intestino, 
Appo  cui  fisso  rimane 
Con  diversi  ligamenti 
E  coi  rami  divergenti 
Delle  trombe  falloppiane. 

Ivi,  quando  è  cominciata 
L'ordinaria  emorragia 
E  una  certa  ipertrofia 
S'è  perciò  manifestata. 
Dal  follicolo  maturo 
Esce  r  ovulo  vagante 
Che  il  processo  fecondante 
Mette  subito  al  sicuro  ; 


I04 


Che  lo  impiglia,  anzi  lo  imbuca 
Nella  tunica  villosa 
Che  presenta  la  mucosa, 
La  qual  mutasi  in  caduca 
E  nel  crescere  diventa 
L'amnio  e  il  corion,  traversati 
Uà  quei  vasi  complicati 
Che  nutriscon  la  placenta. 


Ivi  il  germe  ha  forma  e  cresce 
In  un  sacco  membranoso 
Pien  di  liquido  sieroso 
Dove  nuota  come  un  pesce, 
E  la  sua  vita  fetale 
Svolge  senza   sentimento. 
Ritraendo  l'alimento 
Dal  cordone  ombelicale. 


In  quel  tempo  la  gestante 
Non  si  sente  molto  bene 
E  per  solito  le  viene 
Qualche  voglia  stravagante. 
Ha  lo  stomaco  disfatto, 
L'  energia  molto  depressa 
E  cammina  un  po'  sconnessa 
Causa  il  ventre  tumefatto. 


ARGIA    SBOLENFI 

Finalmente  la  sorprende 
Un  disturbo  del  sensorio, 
E  un  dolor  premonitorio 
Lungo  il  rachis  le  discende. 
Il  marito  al  suo  lamento 
Corre,  interroga  e  le  dice  : 
«  Vo  a  chiamar  la  levatrice 
<■<  E  ritorno  in  un  momento  ! 


A  intervalli  lunghi  e  rari 
Incomincian  le  pressioni 
E  le  forti  contrazioni 
Delle  fibre  muscolari. 
Sono  sistoli  speciali 
Cui  la  diastole   consente 
E  interessan  totalmente 
Le  pareti  addominali. 


Ecco  intanto  alla  degente 
Si  rinnovano  i  dolori 
Sempre  più  provocatori 
E  di  ritmo  più    frequente, 
Finché  sotto  alla   pressione, 
11  liquor  che  l'amnio  serra 
Rompe  il  sacco  e  va  per   terra, 
Precursor  dell'  esplusionc. 


io6 


La  faccenda  allor  va  lesta 
E  non  c'è  d'aver  paura, 
Se  però  la   creatura 
Si  presenta  con  la  testa  ; 
Ma  nel  caso  che  al  contrario 
Si  presenti  con  un  braccio. 
Può  accadere  un  affaraccio 
E  il  chirurgo  è  necessario. 


Non  son  l'atti  sì  frequenti, 
Ma  se  mai  caso  si  desse 
Che  r  ostetrico  dovesse 
Operar  rivolgimenti, 
O  usar  ferri,  allor  conviene 
Star  tranquilla,  ilare,  ardita. 
Che  la  scienza  è  progredita 
E  le  cose  andranno   bene. 


Dopo  un  grido   indebolito. 
In  un  premito  finale. 
Nasce  un  maschio    ed   ò  vitale 
Come  annuncia  il  suo  \agito. 
Sente  allor  di  gioia  un'  onda 
La  puerpera  nel  core 
E  con  l'ultimo  dolore 
Viene  espulsa  la  seconda. 


ARGIA    SBOI.EXFf 

Gentilissiina  lettrice, 

Ti  narrai  chiara  e  sincera 
In  che  modo  e  in  che  maniera 
Nasce  al  mondo  un  infelice: 
Non  gittar  strilli  d'orrore 
Da  lussarti  le  ganasce: 
Meglio  dir  come  si  nasce 
Che  narrar  come  si  muore. 


K  A  T  S  0 


v3u  'I  reo  lito   che  Pàsife 
contaminò  con  l'esecrando  fallo 

forse  l'industre  Dedalo 
torse  in  cavo  cilindro  il  tuo  metallo, 

ti  lavorò  ne  1'  ebano 
la  mobil  elsa  e,   con  la  man   divina, 

su  la  sudata  incudine 
per  consiglio  d'Igea  temprò  la  spina. 

I  suoi  possenti  farmachi 
Lsculapio  di  poi  t'ascose  in  seno 

ed  ai  dolenti  podici 
consolator  t'  offrì  turgido  e  pieno. 

Oh,  qual  grido  di  giubilo 
il  tuo  primo  apparir  ne  '1  mondo  accolse 

come  le  terga  subito 
la  constipata  umanità  ti  \olse! 


ARGIA    SBOT.KNFI  T  OQ 

E  tu,  buono  e  sollecito 
più  de  l'altrui  che   de  la  tua  fortuna, 

a  le  ribelli   viscere 
pronto  volasti  ad  esplorar  la  cruna  ; 

né  ti  commosse  il  torbido 
occhio  che  a  1'  opra  tua  natura  oppose, 

né  d'atre  bocche  l'alito 
cui  tolse  il  fato  d'emular  le   rose; 

ma  la  compressa  cannula 
un  tepido  zampillo  alto  sospinse 

che,  su  l'esempio  d'Ercole, 
Caco  ne  l'antro  suo  sospese  e  vinse. 

Corsero  allor  le  lubriche 
linfe  la  cieca  via  che  a  l'Orco   immette 

e  strani  indi  scoppiarono, 
da  r  opposto  emisfer,  venti  e  saette. 

Indi  a  i  redenti  visceri 
un  po'  di  pepe  e  sai  non  parve  ostile 

ed  i  mal  sani  fegati 
riser,  purgati  da  la  densa  l)ile. 

A  voi,  ventri  purissimi, 
die  di  mal  digerirmi  avete  il   vanto, 

a  voi  consacro  e  dedico 
r  opportuno  rimedio  e  questo  canto. 


HUNYADI  JANOS 


Al  Sisnore 
Andriìa  Saxi.enher 

Biida-Pesth 


N 


on  più  anelanti  a  i  pascoli  latini 
le  barbare  cavalle  Attila  caccia, 
rivisse  il  fior  degl'  itali   giardini 

su  la  sua  traccia. 

Tacque  indarno  il  deserto  e  crebbe  l'erba 
dove  l'alta  Aquilea  fumando  giacque; 
da  le  feconde  ceneri  superba 

Venezia  nacque. 

11  Danubio  lavò  le  curve  spade 

grondanti  di  gentil  sangue  romano, 
ma  di  quel  sangiie  mai  goccia  non  cade 
versata   invano, 

e  con  le  stille  che  tingevan  1'  onde 
de  '1  pescoso  Tibisco  e  de  la  Orava 
di  Roma  il  fato  a  fecondar  le   sponde 
barbare  andava, 


ARGIA    SnOLENKI 

e  di  messi  la  steppa  e  di  vitigni 

rise,  ed  a  '1  sol  che  civiltà   produce 
i  biechi  de  i  mongoli  occhi  sanguigni 
vider  la  luce  ; 

né  più  l'Europa  giudicò  minaccia 
ma  baluardo  de'  magiari  il  petto, 
quando  il  Corvino  alzò  la  spada   in   faccia 
a  Maometto  ; 

né  più  imprecò  il  latino  in  vai  di  Pado 
a  i  varchi  onde  calò  di  Dio  il  flagello, 
ma  l'unno  che  mori  sotto  Belgrado 
disse  fratello. 

Oh,  benedetto  il  suol  che  trepidava 
sotto  il  galoppo  de  la  santa  schiera 
se  l'unnìade  (liovanni  alto  levava 

la  sua  bandiera  ! 

Oh,  benedetto  il  suol  che  de  la  buona 
ausonia  civiltà  reca  le  impronte 
se  de  l'unnìade  in  nome  a  noi  sprigiona 
salubre  un  fonte 

a  '1  cui  salso  licor  cedon  le  avare 
viscere  umane  il  faticoso  pondo, 
cantando  inni  sonanti  a  'l  salutare 

flusso  giocondo. 


ARGIA    SBOLKNFI 

E  poi  che  il  fatto  reo  l' opera   vieta 
de  le  viscere  tarde  invan  spremute, 
a  l'ungarica  possa  anch'io,  poeta, 
chieggo  salute. 

Non  il  regal  Tokay,  ma  l'acqua  umile, 
che  Buda  ci  mandò  mi  fia  sollievo. 
Tendimi   il  nappo,  Igea.  Buda   civile, 
a  te  lo  bevo! 


NEL  BAGNO 


ODE 


X   el  fiammante  de  'l  ciel  tramite  sacro 
gli  agitati  corsier  disfrena  il  sole 
e  d'  onde  fresche  a  '1  salutar  lavacro 
luglio  ci  vuole. 

O  fortunata  se  veder  potessi 

tremolar  la  marina  a  l'orizzonte 
o  tra  selve  d'abeti  e  di  cipressi 

fredda   una  fonte  I 

Ma  il  fato  mi  negò,  come  ha  costume, 
il  bacio  di  salubri  acque  cadenti 
e  de  '1  sonante  mar  le  bianche  spume 
rotte  da  i  venti. 

Pur,  qual  lo  scrigno  famigliar  concede, 
me  ancor  d'umili  terme  allieta  l'onda 
che  in  brevi  cerchi  accarezzar  si  vede 
la  ferrea  sponda. 


Sbolciifi  -  IO. 


114 


E  se  zefiro  alcun  non  va  temprando 

de  '1  sol  le  vampe  con  la  sua  carezza, 
il  serico  flabel  l'aure  agitando 

copia  la  brezza, 

Ivi,  gettando  allor  la  tenue  vesta, 

pudicamente  ignuda  io  volgo  il  passo. 
Disciolto  il   crin  da  1'  apollinea  testa 
fluisce  a  '1  basso; 

fluisce  e  lambe  il  tergo  mio  che  mostra 
callipigie  beltà  che  il  sole  ignora... 
Onde,  apritemi  il  seno  !  ecco  la  vostra 
dolce  signora! 

Io  non  t'invidio  il  fior  de  '1  corpo  bianco, 
o  de  le  ciprie  spume  eterna  figlia, 
se  a  '1  concavo  sedil  concedo  il  fianco 
come  a  conchiglia. 

Onde,  apritemi  il  seno!  Ecco,  m'assido 
su  '1  metallico  trono...  ecco  m'affondo, 
e  la  parte  di  me  che  lascia  il  lido^ 
cala  ne  '1  fondo, 

ove,  strisciando  con  1'  esperta  mano, 

detergo  il  lezzo  a  le  inquinate  membra. 
Mormora  1'  onda  ed  il  suo  picciol   piano 
il  mar  mi  sembra, 


ARGIA    SBOLENFI 

e  le  tempeste  sogno,  e  veggo  e  sento 
l'imperversar  de  l'aquilon  crudele, 
e  le  triremi  trionfali  a  '1  vento 
scioglier  le  vele 

e  una  nave  puntar,  negra  su  l'onda, 

la  bocca  d'un  camion  fetente  e  cupo... 
Numi,  che  scoppio!...  Ne  vibrò  la  sponda 
de  '1  semicupo! 


A    UN   VASO    NUOVO 
DI  PORCELLANA  GINORI 


ODE 


Andovvi  poi  lo  Vas  d'elezione. 
Danxk,  Inferno,  li. 


T. 


e  non  Pandora  da  l'abisso  a  gli  uomini 
recò,  nefasto  dono 
onde  il  perenne  ancor  pianto  de'  miseri 
sale  di  Giove  a  '1  trono, 

ma  l'arte  ti  plasmò  tra  i  colli  tloridi 

che  a  Doccia  son  ghirlanda 
e  r  Arno  industre  che  ti  vide  nascere 
vergine  a  noi  ti  manda; 

vergine  qual  su  l'alpe  inaccessibile 
candor  di  nevi  intatte, 

qual  ne'  chiusi  presepi  in  larghe  ciotole 
de  le  giovenche  il  latte. 

Il  labbro  immacolato  ecco  sorridere 
veggio  curvato  in  arco, 

e,  ingordo,  ne  '1  candor  concavo,  accogliere 
de'  lombi  miei  l' incarco. 


ARGIA    SBOLENFI  I 1 7 

Ecco  il  tuo  ventre  d'un  sonoro  crepito 

ripete  il  rauco  invito 
e  de  le  fauci  spalancate  a  '1  fornice 

tardar  sembra  il  convito. 

Ahi,  ma  '1  candor  de  1'  ermellino  perdere 
ornai  dovrà  '1  tuo  smalto! 

Triste  a  tutti  è  la  vita  e  cose  orribili 
vedrai  da  '1  basso  a  l'alto. 

Udrai  ne  l'ampia  oscurità  le  raffiche 

de  l'uragan  possente 
e  sovra  te  discatenato  d'  Eolo 

il  soffio  pestilente, 

e  piover  caldo  e  grandinar  meteore 

piecipitate  al  basso 
e  rimbombar  di  male  olenti  fulmini 

lo  scoppio  ed  il  fracasso. 

Pender  biechi  vedrai,  ne  l' aura  torbida, 
lo  Scorpio  ed  i  Gemelli 

e  incomber  sovra  te,  negri  e  monoculi, 
Polifemi  novelli. 

Quanti  atroci  dolor  le  umane  viscere 

celino,  allor  saprai 
e  sotto  bre\e  foglio  in  forme  ignobili 

deposti  in  te  li  avrai. 


Il8  ARGIA   SBOLENFI 

Così  tra  breve,  maculato  il  lucido 

onor  de  '1  ventre  bianco, 

ti  sentirai  da  crepe  immonde  infrangere 
l'affaticato  fianco, 

ed  un  vii  sterquilinio  avrà  le  briciole 
de  le  tue  membra  rotte  !... 

Crudo  è  '1  fato  e  noi  donne  a  te  siam  simili, 
o  chicchera  da  notte 


AI  COLLEGHI 


T 


anghcri  di  poeti 
Che,  se  andate  in  amore, 
Raccontate  i  segreti 
Di  tutte  le  signore. 


Siato  meno  indiscreti 
Negli  affari  di  cuore 
E  imparate  dai  preti 
Che  non  fanno  rumore. 

Chi  spiffera  in  tribuna 

Quello  che  il  cor  gli  detta, 
Non  farà  mai  fortuna. 

Noi  non  abbiamo  mica 
Scrupoli  a  darvi  retta  : 
Temiamo  che  si  dica. 


*  NASCITURO  »   (*) 


E.xultatnt  iti  f^aitdio  ùi/aus  in  utero  meo. 
Lue,  I,  44. 


N 


o,  che  su  zolla  sterile 
Non  fu  gittate  il  seme 
Se,  lacerato  il  solido 
Guscio  che  invan  lo  preme, 
Esce  il  rampollo  e  germina 
Pei  campi  o  per  le  aiuole, 
Schiuso  al  tepor  del  sole 
Sotto  al  clemente  ciel. 


No,  la  bollente  gocciola, 
Plasma  del  germe  umano, 
Nel  sitibondo  fornice 
Non  fu  scagliata  invano 
Se  nel  mio  fianco  turgido, 
Come  in  riposta  cella, 
Un'  anima  novella 
Veste  il  corporeo  vel. 


(*)  Credeva  di  avere  concepito  un  Bglio.  Invece  aveva  preso 
freddo  e  tutto  fini  con  una  fuga  d'  aria  compressa. 


ARGIA   SBOLENFI 

Oh,  alfin  potrò  conoscerli, 
Amor  santo  e  sereno 
Di  madre,  e  roseo  stringermi 
Un  pargoletto  a!  seno... 
Addormentarti,  crescerti. 
Potrò  sul  grembo  anch'io. 
Sangue  del  sangue  mio, 
Frutto  d'immenso  amor! 


T'insegnerò  a  disciogliere 
I  passi  e  le  parole. 
Ti  narrerò,  baciandoti, 
Gl'incanti  delle  fole. 
Indi  trarremo  in  giubilo 
Lungo  un  campestre  calle 
Seguendo  le  farfalle 
E  raccogliendo  i  fior. 


Ti  guiderò  per  l'ardue 
Strade  dell'  arti  prime, 
L'alto  volume  aprendoti 
Delle  materne  rime; 
Io  sulle  illustri  pagine 
Ti  condurrò  la  mano, 
Io  t'  aprirò  l'arcano 
Del  mondo  e  del  saper. 


E  allor  che  il   sangue  giovane 
Ti  pulserà  nel  petto 
E  sentirai  le  trepide 
Ansie  del  primo  affetto, 
Sarò  al  tuo  fianco  assidua 
E  virilmente  fida 
Consigliatrice  e  guida 
Nei  dubbi  del  sentier. 


Al  focolar  domestico 
Io  sarò  presso  ancora 
Quando  velata  e  timida 
Mi  condurrai  la  nuora 
Che  me,  benigna  pronuba, 
Dirà  perversa  e  cruda 
Se  nel  tuo  letto,  ignuda 
Vergin,  la  spingerò. 


E  quando  i  fior  del  talamo 
Matureranno  i  frutti. 
Ava  prudente  e  provvida 
Io  veglierò  per  tatti  ; 
Poi  con  le  palme  tremule 
Carezzerò  i  nepoti 
E  a  Dio  la  prece  e  i  voti 
Per  loro  innalzerò. 


ARGIA    .SBOI.ENn.1  .123 

E  già  mi  veggio,  debile 
Vecchia,  tra  lor  seduta 
Narrar,  senza  rimpiangerla, 
La  gioventiì  caduta 
E  i  versi  miei  ripetere 
A  un  coro  d'innocenti, 
I  versi  miei  fulgenti 
Di  virtuoso  zel. 


Ava,  così,  amorevole 
E  santa  educatrice. 
In  mezzo  ai  biondi  pargoli 
Vivrò  lieta  e  felice, 
E  quando  giunga  al  termine 
La  vita  mia  modesta, 
Reclinerò  la  testa 
Per  ridestarmi  in  cicl. 


Forse  ch'io  sogno?...  Ah,  palpita 
Pur  nel  mio  grembo  un  vivo 
E  freme  e  balza  e  s'agita 
Or  che  a  lui  penso  e  scrivo... 
Deh,  perchè  tardi  o  nobile 
Della  mia  gloria  erede? 
JS^on  sai  che  la  mia  fede 
E  r  amor  mio  sci  tu  ? 


124  ARGIA    SBOLENKI 

Ma  intanto  ?...  Ah,  un  dubbio  orribile 
Mi  sta  confìtto  in  core. 
Sento  un  mister  nell'anima 
Pensando  al  genitore... 
Parla,  se  puoi  rispondermi, 
Tu  che  doman  vivrai  ; 
Dimmi,  se  pur  lo  sai. 
Il  padre  tuo  chi   fu? 


A 

SVA   ECCELLENZA   REVERENDISSIMA 

MONSIGNOR    VESCOVO 

TITOLARE   DELLA   CHIESA   CATTEDRALE 

DI   SEBOIM 

NELLE   PARTI    DEGLI    INFEDELI 

QVESTO    NVOVO    LAVORO 

DI    MANO   AMICA   SE   NON    ESPERTA 

ACCRESCA   IL   PIACERE   DELLA  ESALTAZIONE 


Ut  amòitles  in  via  bona. 
PliOV.  II,  20. 

wJignor,  poi  che  una  Diocesi 

Dall'Augusto  Vegliardo  hai  conseguito 

E  r  anello  di  Vescovo 

Come  novello  sposo  hai  messo  in  dito, 

Tra  il  fumo  dei  turiboli, 

Tra  il  plauso  della  lolla  intorno  accolta. 

Mite  Pastor  di  Seboim, 

Porgi  r  orecchio  e  la  mia  voce  ascolta. 

Deh,  quando  sul  tuo  popolo 

Benedicendo  stenderai  la  mano 

E  la  lieta  Pentapoli 

A  pie  del  trono  avrai  come  un  Sovrano, 


120 


Serbati  buono  e  i  miseri 

Intorno  a  te  raccogli  e  li  consola  ; 

Ricorda  Cristo  e  predica 

Più  con  l'esempio  e  men  con  la  parola. 

Non  insegnare  ai  chierici 

Che  il  Pontefice  solo  aprir  può  il  cielo  ; 

Non  insegnare  il  Sillabo, 

Ma  lo  scordato  ormai  i-ecchio  Vangelo. 

Trafficator  non  renderti 

Di  Giubilei,  Congressi  e  pellegrini, 

Ma  proibisci  l'Obolo 

E  l'altre  furberie  per  far  quattrini. 

Neil'  ira  tua  scomunica 

Chi  va  col  collo  torto  e  il  viso  basso  ; 

Lascia  che  di  Quaresima 

I  diocesani  tuoi  mangin  di  grasso; 

Non  annoiare  i  pargoli 

Col  Catechismo,  i  Salmi  e  la  Scrittura; 

Dà  lor  le  chicche  e  mandali 

A  scuola  o  a  saltar  lungo  le  mura. 

Lascia  ballare  i  giovani, 

Lasciali  far  l'amor  quando  han  ballalo 

E  se  poi  si  confessano 

Ridi  e  dichiara  :  «  quel  che  è  stato,  è  stato  !  » 


ARGIA    SBOLENl*-!  127 

Non  ributtar  la  femina 

Che  degli  affetti  suoi  non  fu  padrona  ; 

Pensa  a  Maria  di  Magdala: 

I  peccati  d'  amor  Dio  li  perdona. 

Non  tormentare  i  parroci 

Per  le  chiacchiere  intorno  alla  servetta; 

Di'  lor  che  i  Sacri  Canoni 

Non  vietano  d'andare  in  bicicletta. 

Cosi  facendo,  i  popoli 

Tutti  t' obbediran  come  d'incanto 

E  nei  venturi  secoli 

Avrai  solenne  culto  e  sarai  santo. 

O  benedetta,  o  nobile 

Alma,  sottratta  alla  terrestre  lue, 
Allor  vedrai  le  monache 
Baciar  devote  le  reliquie  tue. 

Sotto  quel  bacio  fervido 

Si  rizzeranno  alla  virtù  natia. 

Rinnovando  i  miracoli 

Che,  vivo,  hai  fatto  per  la  dolce  Argia. 


«  EN  REV  NANT  D'  LA  REVUE-» 


J 


} 

aitile  le  doitx  payfiiui  qui  vieni  tic  la  cuisine, 
Le  par/uni  de  la  soupe  et  V  encens  dit  roti, 
Le  Champagne  nioussetix  et  la  Chartreuse  fine, 
Et  les  petits  funrs  chauds  qu'  oii  vende  clics  Maiani. 


J' aiiiie  un  bas  bien  tire  qn'  on  voit  sur  In  bottiiie 
Parailrc  avcc  nialicc  coinuie  nii  secret  trahi; 
j'  alme  guetler  an  soir  le  Ut  de  ina  voisine 
Qui  ne  dante  gn'cre  du  binocle  eniienii. 

J' ainie  lons  les  plaisirs  doni  la  terre  est  Jcconde 
Et  le  cancan  tont  coniuie  le  noble  cotillon; 
J'  ainte  la  brune  ■  hàlas-  mais  j'  aiiiie  ausai  la  blonde' 

Et  pourtaiU  il  n' y  a  qn'  un  seni  plaisir  de  boìt, 

Qui  enfonce,  croyea  nioi,  toiis  les  plaisirs  da  ìuonde, 
Et  e' est  rive  d'un  due  qui  se  prétend  lion. 


LE  ELEZIONI  DI  MILANO  -   li 


L 


ode  a  te  sia,  Milano, 
Poiché  Papa  Leone 
Ti  manda  di  lontano 
La  sua  benedizione  ! 

Vieni  a  baciar  la  mano 
Del  Viceré  padrone 
E  torna  piano  piano 
Ai  giorni  del  bastone. 

Il  tempo  è  già  maturo 
Pel  giudizio  statario 
Ed  il  carcere  duro. 

Intanto,  Segretario 
Del  Sindaco  futuro, 
Sarà  Don  Albertario. 


Sboltnfi  -II. 


130  ARGIA    SlìOI-ENFl 


II. 


Per  grazia  del  Signore 
Un  regime  paterno 
Studiato  dal  Questore 
Diventerà  governo, 

E  il  vigile  censore 

Ricaccerà  all'inferno 
I  libri  e  quest'  orrore 
Di  spirito  moderno. 

Chi  avesse  poi  prurito 
Di  fare  il  liberale, 
Sarà  preso  e  punito, 

E  il  Regno  Temporale 
Sarà  ristabilito 
Per  decreto  reale. 


DEO  CREPITVI  SACRVM 


O 


spinto  santo 
De'  visceri  umani 
Che  tutti  del  canto 
Conosci  gli  arcani, 
Che  onori  e  letifichi 
D'armonici  fiati 
Gli  sforzi  dei  vati, 


Dal  buio  profondo, 
Dall'antro  nativo 
Prorompi  nel  mondo 
Sonoro  e  giulivo; 
Di  tepidi  balsami 
Circonda  ed  allieta 
Lettori  e  poeta. 


132 


Tu,  soffio  eloquente 
Del  verbo  divino 
Concesso  ugualmente 
Al  ricco  e  al  tapino, 
Tu  sei  come  l'anima 
Per  leggi  fatali 
Comune  ai  mortali. 


Conforti  il  villano 

Che  pasce  gli  armenti, 
Alberghi  sovrano 
Ne'  chiusi  conventi. 
De'  gravi  canonici 
Compagno  canoro 
Solfeggi  nel  coro. 


Nel  casto  segreto 
Dell'  intima  cella 
Rallegri  discreto 
La  pia  monacella; 
Nel  ballo,  da  timide 
Fanciulle  compresso, 
Sospiri  sommesso. 


ARGIA    SUOI.F.NKI  133 

TiT  visiti  e  curi 

Con  equa  fortuna 
Palazzi  e  tuguri, 
Altare  e  tribuna, 
E  avvolto  di  porpora 
De'  plausi  tra  il  suono, 
Favelli  sul  trono. 


Ma  guai  se  vapori 
Dal  patrio  forame 
Recandone  fuori 
Il  glutine  infame! 
Purissimo  spirito 
Che  l'alvo  ricrei 
Allor  più  non  sei: 


Ma  pregno  diventi 
D' essenze  funeste 
Che  ammorban  le  genti 
Col  tanfo  di  peste, 
E  guasti  e  contamini 
I  lini  più  ascosi 
Di  segni  schifosi. 


131 


Così  colorito 

Per  nostra  sciagura, 
Di  soffio  gradito 
Diventi  sozzura  ; 
Degnissima  imagine, 
Ritratto  vivente 
Del  tempo  presente. 


Lentato  ogni  freno 
Ti  getti  sul   mondo 
Spargendo  il  veleno 
Dell'  alito  immondo, 
E  appesti  ed  infracidi 
Le  menti  ed  i  cuori 
Di  turpi  vapori. 


Maestro  nell'arte 
Di  nuovi  delitti 
Tu  lordi  le  carte 
Del  plico  Giolitti, 
Tu  puzzi  nel  carcere 
Sul  labbro  bugiardo 
Del  vecchio  Bernardo. 


ARGIA    SBOLENFI  13:5 

Aiuti  i  sensali 

Dei  voti  comprali, 
Avalli  cambiali 
Pe'  tuoi  deplorati, 
Trionfi,  pontifichi 
De'  ladri  nel  coro 
Men  porco  di  loro. 


FANTASIA  EGIZIANA 


A 


1  Nilo,  al  Nilo!  Nasconderemo 
Laggiù  mia  bella  1'  amor  deriso, 
Là  sconosciuti  noi  ci  faremo 
Non  una  casa  ma  un  paradiso, 
Sul  chiaro  margine  dell'acque  calme 
Dove  si  specchiano  verdi  le  palme. 

Il  chiosco  vedi  eh'  io  l'  ho  fiorito 
Di  cento  rose  come  un  giardino  ! 
Dentro  ai  bracieri  d'oro  brunito 
Fuman  le  lacrime  del  benzoino 
E  dal  marmoreo  balcone  aperto 
Vampe  d'amore  manda  il  deserto. 

Nera,  nel  cielo  color  di  rosa 

Che  nel  tramonto  caldo  rispleade. 
Come  una  lupa  libidinosa 
Accoccolata  la  sfinge  attende, 
E  grave  un  alito  di  strani  amori 
L'acri  vivifica  nozze  dei  fiori. 


ARGIA    SBOLEXFI  I37 

Alle  carezze  molli  del  vento 
Data  la  lunga  cesarie  d'oro, 
Nell'onda  tenue  del  vel  d'argento, 
Nudo  del  bianco  seno  il  tesoro, 
Sarai  mia  sempre,  mia  tutta  intera, 
Se  non  ti  viene  prima  il  colera. 


QVANDO 

IL    PREFETTO    DEL    RE 

E    H,    SINDACO    DEL    COMVNE 

RENDEVANO   OMAGGIO 

A    SVA    EMINENZA    REVERENDISSIMA 

DOMENICO  SVAMPA 

PRETE    CARDINALE    DEL    TITOLO    DI    SANT'  ONOFRIO 

ED    ARCIVESCOVO    DI    BOLOGNA 

QVESTO    carme    BENE    AVGVRANTE 

AL    SVO    FORMOSO    PASTORE 

ARGIA    SBOLENFI 

DEDICAVA. 


)ignor,  poi  che-  ti  sta  supplice  ai  piedi 
Questa  Felsina  tua  che  un  dì  sdegnosa 
Bacio  di  prete  sofferir  non  volle, 
Costei  che,  infranto  il  trono  in  cui  tu  siedi, 
Cercando  libertà  tinse  gioiosa 
Del  suo  sangue  miglior  l'itale  zolle, 
Absolvi  or  la  pentita  e  le  concedi 
L'amplesso  del  perdono 
Dimenticando  dell' error  l'audacia. 
Sii  generoso  e  buono 

Con  chi,  come  a  Signor,  la  man  ti  bacia, 
E  poi  che  piango  ravveduta  anch'io, 
Misericorde  ascolta   il  canto  mio. 


ARGIA    SBOLENFI  139 

Un  tempo,  e  ben  lo  sai,  morta  di  fame, 
Schiava  del  tuo  stranier  temprò  la  plebe 
Ceppi  a  se  stessa  su  la  propria  incude: 
Pe'  sacerdoti  tuoi  le  turbe  grame 
Reser  feconde  le  sudate  glebe 
E  sul  solco  natio  caddero  ignude 
Ai  campi  della  chiesa  util  letame; 
Ma  un  Dio  consolatore 
Da'  sacri  templi  a  lor  dicea  :  «  Soffrite, 
Turbe  nate  al  dolore 
E  che  felici  nel  dolor  morite. 
Poi  che  v'aspetta  in  eie!  di  Dio  il  sorriso 
E  sol  de'  tribolati  è  il  paradiso  ». 


Dolci  tempi,  o  Signor,  ma  triste  il  giorno 
In  cui  la  libertà  disse  il  suo  nome 
La  prima  volta  nella  rea  Parigi, 
Poi  che  le  turbe  allor  volsero  intorno 
Torbido  l'occhio  e  scossero  le  some 
Brandendo  l'armi  ad  operar  prodigi 
Di  che  all'anime  pie  duro  è  il  ritorno. 
Germogli  del  mal  seme 
Crebbe  il  tristo  terren  le  idee  novelle; 
Compresso  indarno,  freme 
Tra  i  nuovi  ceppi  il  popolo  ribelle, 
E  poi  che  in  cor  gli  agonizzò  la  fede 
Non  più  la  libertà,  ma  il  pan  ci  chiede. 


140 


E  grida:  «  Senza  gioia  e  senza  luce, 
Martiri  del  lavoro  e  degli  stenti. 
Moriamo  e  il  pane  ancor  ci  si  rifiuta, 
Aprimmo  il  solco  e  non  per  noi  produce, 
Altri  ha  le  lane  e  noi  guardiani  gli  armenti. 
Altri  ha  la  messe  e  noi  l'abbiam  mietuta. 
Nuovo  un  tiranno  i  servi  suoi  riduce 
A  maledir  la  vita 
E  come  bruti  a  litiga/  le, ghiande; 
Ci  calca  inferocita 

La  gente  nuova  che  tacemmo  grande, 
Ma  lieto  il  dì  della  riscossa  arriva  : 
Corriam  all'armi  e  la  giustizia  viva!». 


Deh!  soccorri,  o  .Signor!  Più  non  ci  giova 
Rinnovar  le  catene  ed  i   tormenti 
O  sfrenar  birri  alle  cercate  stragi. 
Troncata  l'idra  i  capi  suoi  rinnova 
E  i  publicani  ed  i  giudei  dolenti 
Tremano  su  gli  scrigni  e  nei  palagi 
Dove  il  tripudio  del  goder  si  prova. 
La  turba  macilente 
Accorre  e  di  morir  non  ha  paura 
Poi  che,  soffrendo,  sente 
Che  a  lei  la  vita  e  non  la  morte  è  dura.. 
Deh,  Signor,  ci  soccorri  e  se  al  desio 
Mancan  le  Guardie,  ci  difenda  Iddio  ! 


AKOTA    SBOLEXFl  I4I 

E  se  il  tuo  Dio  ci  costa,  a  noi  che  importa 
Quando  i  ribelli  al  timor  suo  riduce 
E  delle  turbe  ci  rida  il  governo; 
Quando  agli  eletti  suoi  l'ausilio  porta, 
Quando  tra  i  volghi  creduli  conduce 
L' util  minaccia  ed  il  terror  d'inferno 
Ed  ha  il  demonio  pauroso  a  scorta? 
Ben  venga  Iddio  se  reca 
Fede  agli  umili,  securtà  ai  possenti, 
L'obbedienza  cieca, 
Il  catechismo,  i  preti,  i  sacramenti, 
De'  frati  tuoi  la  sacrosanta  loia. 
Il  Sant'Ufficio,  la  mordacchia  e  il  boia. 


Ben  vedi  che  timor,  non  cortesia, 
I  magistrati  nostri  a'  pie  ti  caccia 
Inginocchiati  a  far  debita  ammenda. 
Ieri  nemici,  ognun  di  lor  fuggìa 
Fino  il  pretesto  di  guardarti  in  faccia 
Ma  la  tema  del  poi  gli  animi  emenda 
Ed  eccoli  a  gridar  Gesù  e  Maria. 
Reca  dunque,  o  Levita, 
Benedetti  dal  ciel  giorni  soavi 
Alla  città  pentita. 
Al  Senator  che  te  ne  dà  le  chiavi; 
Stringi  la  briglia  nella  man  paterna 
E  questo  popol  tuo  reggi  e  governa. 


142  ARGIA    SP.OI.ENFI 

Canzon,  vanne  alla  sede 
Del  Pastor  cui  fa  porto 
Omaggio  di  paura  e  non  di   lede. 
Egli  è  saggio  ed  accorto 
E  se  ben  tu  lo  guardi 
Gli  leggerai  nel  \'iso  :  «  E  troppo  tardi  ! 


SAMBUCI  (*) 


A 


voi,  fecondi    clivi 
Sabini,  a  voi  vestiti 
Di  frondeggianti  viti 
E  di   feraci  ulivi, 
Tra  cui  muggendo  viene 
Il  turbolento  Aniene, 


A  voi,  nel  roseo  incanto 
Del  moribondo  sole, 
Sante  d'  amor  parole 
Disse  d'Orazio  il  canto, 
Ma  del  tripudio  il  giorno 
Passò  senza  ritorno. 

Rade,  ai  pendii  fiorenti 
Dove  ridean  le  vigne, 
Germoglian  le  gramigne 
Agli  sparuti  armenti  : 
Nega  al  villan  la  vita 
La  terra  insterilita. 

(*)  Frammento.  Tutti  ricordano  ancora  la  fame  sofferta  dagli 
infelici  abitatori  di  Sanibuci  (Roma)  nell'inverno  del  1805. 


144  ARGIA    SBOLF.NFI 

Che  se,  vincendo  l'arsa 
Rabbia  del  sol  rovente, 
Sudata  lungamente 
Cresce  la  messe  scarsa. 
Lo  scarno  agricoltore 
La  miete  al  suo  signore  ; 

E  a  lui  la  terra  magra 
Matura  il  reo  frumento 
Che  gli  distilla  il  lento 
Velen  della  pellagra, 
Quando  clemente  il  cielo 
Non  r  arde  in  sullo  stelo. 


A  VENERE  GENITRICE 


INNO 


In  Uctulo  meo  per  nocies  quamvù 
guem  diligit  anima  mea  :  gncesivt 
Ulum  et  non  inveni. 

Cant.  Canticor.  Ili,  I. 

—  «  VJLiarda,  mortai,  le  fiamme   • 
De'  larghi  occhi  lucenti 
E  le  chiome  fluenti 
Sulle  superbe  mamme. 
Guarda  !  L'  estremo  lembo 
Gittai  che  ti  copriva 
La  pubertà  giuliva 
Che  mi  fiorisce  in  grembo. 

Vieni  e  sui  fior  ti  giaci 
E  me  sui  fior  ricevi  ; 
Tra  le  mie  labbra  bevi 
Il  dolce  miei  de'  baci. 
I  lombi  miei  circonda 
Con  le  possenti  braccia, 
Stringimi  al  scn  la  laccia 
E  r  amor  mio  feconda  ».    — 


Sàoleitfi  -  12. 


146 


Così  parlò  e  sorrise 

La  Dea  porgendo  il  fianco 
Soavemente  bianco 
Al  giovinetto  Anchise, 
Poi  volse  le  parole 
In  gemiti  sommessi 
E  dei  divini  amplessi 
Fu  testimonio  il  sole. 


Vittima  anch'io  d'Amore 
Omai  dispero  aita 
Poi  che  la  sua  ferita 
Mi  sanguina  nel  core, 
Né  lacrimar  mi  vale 
Né  maledir,  costretta 
A  spasimar  soletta 
Sul  vergine  guanciale. 


Che  se  fugaci  istanti 

Di  pace  al  sonno  chiedo, 
Mille  fantasmi  vedo 
Pel  glauco  eie!  vaganti. 
Passa  sul  campo  arato 
Caldo  di  nozze  il  vento 
E  in  sé  recar  lo  sento 
La  febbre  del  peccato. 


Ai<GlA    SBOLKNM  I47 

Desta  cosi  all'  ebbrezza 
Del  germinar,  la  terra 
Le  viscere  disserra 
Del  sole  alla  carezza, 
E  con  le  carni  e  il  core 
Arsi  da  fiamme  arcane, 
Urlan  le  genti   umane 
«  Amore,  amore,  amóre  !  » 


Tra  r  ombre  e  gli  spaventi 
Delle  materne  selve 
Si  stringono  le  belve 
In  ciechi  accoppiamenti, 
E  dalle  fulve  arene 
Che  il  mar  commosso  esclude 
Perfidamente  ignude 
Mi  chiaman  le  Sirene, 


Mentre,  di  Bromio  stanche, 
Roche  per  gli  ebbri   canti, 
Le  lubriche  Baccanti 
Gittan  le  vesti  bianche 
E  sui  compressi  fiori 
Curvan  le  rosee  forme 
Sotto  l'impulso  enorme 
Dei  Fauni  assalitori. 


14' 


E  allor  mi  desto  sola 
Sul  letto  immacolato 
Coir  urlo  disperato 
Del  mio  martirio  in  gola... 
Deh,  morrei  pur  gioiosa 
Se  fossi  in  quel  momento 
Segnata  dal  cruento 
Stigma  di  nuova  sposa, 


.Se  nella  gonfia  mole 
Dell'  utero  fecondo 
Balzar  sentissi  il  pondo 
Della  concetta  prole, 
Se,  al  fin  delle  mie  pene, 
Lieta  chiudessi  il  ciglio 
Addormentando  un  figlio 
Tra  le  mammelle  piene! 


O  Dea,  Madre,  Signora 
Dei  vivi  e  della  vita, 
Dal  mar  di  Cipro  uscita 
Al  bacio  dell'aurora. 
Che  il  premio  a  noi  concedi 
Nella  tenzon  gentile 
Ed  al  vigor  maschile 
Il  fior  del  sangue  chiedi, 


ARGIA    SBOLKNFT  M*^ 

Se  di  perenni  rose 

T'ornino  ancor  l'altare 
Le  verginelle  ignare 
E  le  conscienti  spose, 
Se  r  atra  onda  Letea 
Il  biondo  Adon  ti  renda, 
Pietà  di  me  ti  prenda, 
Madre,  Signora,  Dea! 


IL  PRIMO  CAPELLO  BIANCO 


Oi  levan  sospinti  dal  vento 
I  bianchi  vapori  dei  monti; 
Nel  cielo  di  piombo  le  nubi  d'argento 
Cacciate,  travolte,  nascondono  il  sol. 

Recando  la  mota  dei  letti 

Traboccan   le  torbide  fonti; 

La  piova  scrosciando  rovina  dai  tetti 

E  nn  largo  pantano  contamina  il  suol. 

Languisce  la  terra  sopita 

Nel  soffio  del  freddo  aquilone; 

Ai  rami  gelati  non  torna  la  vita. 

Le  gemme  aspettanti  non  s'aprono  ancor. 

O  fosche  giornate  d'orrore, 
Dov'  è  la  novella  stagione  ? 
Dov'  è  primavera  fragrante  d'  amore 
Che  scalda  e  feconda  le  nozze  dei  fior? 


ARGIA    SBOLENFI  I51 

Deh,  riedi  e  coi  giorni  più  miti, 

0  maggio,  conduci  il  sereno  : 

1  canti  dji  nidi  sui  peschi  fioriti, 
L'odor  delle  rose  risveglia  con  te. 

Infondi  coi  baci  del  sole 

La  vita  nel  freddo  terreno, 
Fiorisci  le  zolle  di  fresche  viole. 
Ravviva  i  ligustri  degli  alberi  al  pie, 

O  maggio,  e  doman  tornerai 
Dai  fior  salutato  e  dal  canto  ; 
A  tutti  domani  la  gioia  darai. 
Io  sola  piangendo  tornar  ti  vedrò, 

10  sola  son  morta  all'affetto, 

10  sola  mi  struggo  nel  pianto; 
Letizia  di  vita  non  sento  nel  petto. 
Germoglio  d'amore  nel  sangue  non  ho. 

11  verno  da  me  piìi  non  toglie 

L' orror  delle  bianche  pruine  ; 

Al  sole  di  maggio  il  gel  non  si  scioglie, 

11  gelo  di  morte  che  il  cor  mi  coprì. 

Il  primo  capello  canuto 

Quest'oggi  mi  svelsi  dal  crine-.. 
Ah,  giovane  tempo,  sì  presto  caduto, 
Con  te  la  speranza  quest'oggi  morì! 


SONETTI  DECADENTI  . 


DIES 


Xl  sole  brucia  implacabile,  uguale, 

Le  stoppie  gialle  del  pian  vaporoso, 
L'azzurra  volta  del  ciel  luminoso 
Riflette  in  terra  la  fiamma  estivale. 

Non  move  foglia.  La  vita  animale 

Langue  in  un  grave  sopor  neghittoso. 
Turba  la   pace  al  meriggio  affannoso 
Solo  un  molesto  frinir  di  cicale. 

.Sull'erba  verde,  nel  bosco  frondoso, 

Fresco  t'ho  fatto  di  fiori   un  guanciale 
E  tu  vi  adagi  le  membra  al  riposo. 

Dormi  discinta  nell'ombra  ospitale, 

Ed  io  contemplo  con  l'occhio  bramoso 
L'onda  del  petto  che  scende  e  che  sal^. 


ARGIA    SBOI.FXFI  153 


NOX 


Dell'alta  notte  la  negra  magìa 

M'empie  il  cervello,  mi  filtra  nel  core. 

Un  soffio  passa  sull'anima  mia, 

Un  freddo  soffio  che  m'empie  d'orrore. 

Sente  di  fuori,  1'  orecchio  che  spia, 
Strani  bisbigli  che  metton  terrore, 
Ma  nelle  case  la  vita  s'  oblia 
Come  annegata  in  un  denso  stupore. 

Solo  nel  buio,  laggiù,  della  via, 

Dietro  una  tenda,  l'immobil  candore 
Un  lume  fioco  da  lungi   m'invia. 

Rischiara  forse  il  discreto  bagliore 
Lo  spasimar  d'  un'  atroce  agonia 
Od  il  gioir  d'una  notte  d'amore? 


154 


APENNINO 


O  monti,  albergo  di  pace  infinita, 
Ancor  nel  vivo  ricordo  rimane 
Il  susurrar  delle  chiare  fontane 
Tra  la  fragranza  dell'  erba  fiorita, 

E  il  tremolar  della  luce  salita 

Coir  alba  fresca  alle  cime  lontane 
Nel  rado  vel  delle  nebbie  montane 
Su  i  boschi  pieni  di  canti  e  di  vita, 

E  nel  tepor  della  rorida  mane 

Fioco  il  belar  dell' agnella  smarrita 
Od  il  rintocco  di  meste  campane. 

Oh,  nel  mister  della  selva  romita 

Fuggir  con  lei  dalle  cure  mondane 
E  tra  i  capelli  sentir  le  sue  dita! 


ARGIA    SBOLENFT 


ADRIATICO 


Il  mar  lambendo  instancabile  e  lento 
La  sabbia  fina  dell'  umida  sponda, 
Con  ritmo  uguale  mandava  un  lamento, 
Quasi  un  singhiozzo,  alla  notte  profonda. 

Occhi  benigni,  le  stelle  d'argento 
Guardavan  fisse  la  terra  feconda, 
Amor  vagava  nel  ciel  sonnolento, 
Ed  io  sperai  la   fortuna  seconda. 

Il  cor  t'apersi  con  timido  accento, 

Sfiorai  col  labbro  la  chioma  tua  bionda 
Ed  al  trionfo  credetti  un  momento... 

Addio,  fantasmi  d'un' ora  gioconda, 
Sogni  d'amore  dispersi  dal  vento, 
Care  speranze  cadute  nell'onda! 


156 


MILLK 


Al  suo  balcone  s' aftaccia  beala 

La  dama,  tratta  dal  maggio  fiorenle. 
Il  sol  carezza  la  treccia  dorata, 
La  rosea  gota  ed  il  labbro  ridente. 

Il  giovin  paggio  da  lunga  la  guata 
E  tutto  caldo  d'  amore  si  sente. 
Né  gli  par  cosa  terrena  e  creata. 
Ma  ben  di   cielo  angioletta  vivente. 

Correr  vorrebbe  a  battaglie  cruente, 
Soffrir  pugnando  una  morte  spietata 
Sol  per  averne  uno  sguardo  clemente; 

E  pur  la  dama  dagli  occhi  di  fata, 
E  pur  la  bianca  angioletta  piacente 
Dal  dì  che  nacque  non  s'è  più  lavata! 


ARGIA    SBOI.ENFI 


SETTECENTO 


Mormora  l'arpa  toccata  in  sordina 
Lento  un  motivo  che  par  minuetto. 
Lenta  la  dama  danzando  s' inchina, 
Tutta  eleganza,  sussiego  e  bell'atto. 

Di  nei  segnata,  la  pelle  argentina 

Manda  un  profumo  sottil  di  zibetto  ; 
Sotto  una  nebbia  di  candida  trina 
Ansano  i  bianchi  segreti  del  petto. 

Danza  e  sul  molle  tappeto  trascina 
La  ricca  veste  ed  il  pie  piccioletto 
Col  portamento  d'altera  regina. 

Tutti  scoraggia  col  rigido  aspetto. 

Con  r  occhio  pieno  di  calma  di\ina, 
E  lo  staffiere  l'attende  nel  letto. 


158 


PAROI-E 


Dolci  parole  d'amor,  susurrate 
Presso  i  cespugli  fioriti  di  rose, 
Parole  dolci,  parole  gioiose, 
Appena  dette  che  mai  diventate? 

Salite  al  cielo  col  vento  e  volate 

Degli  angioletti  alle  labbra  amorose, 
O,  come  accade  dell'ottime  cose, 
Parole  dolci,  nel  nulla  tornate? 

Ahi,  che  piuttosto  all'inferno  dannate 
Si  come  streghe  mendaci  e  schifose, 
Forma  e  veleno  di  biscie  pigliate 

E,  tra  i  cespugli  nativi  nascose. 

Mordete  al  core  gli  amanti  e  li  fate 
Vittime  e  strazio  di  cure  gelose! 


ARGIA    SBOLENFI  I59 


MUSICA 


L'  ultime  note  languenti,  velate, 
Muoiono  come  sospiri  sonori 
In  un  tripudio  di  mazzi  di  fiori, 
In  un  profumo  di  donne  scollate. 

E  il  sangue  tende  le  arterie  gonfiate, 
Passan  su  gli  occhi  fugaci  bagliori; 
Tutta  la  vita  prorompe  di  fuori 
Sotto  l'impulso  di  forze  ignorate. 

Allor  le  forme  ci  sembran  mutate 
E  ridipinte  di  strani  colori, 
Quasi  fantasmi  di  cose  sognate. 

Poi  tutto  passa;  ma  resta  nei  cuoii 
Come  un  rimpianto  di  gioie  passate. 
Come  un  presagio  di  nuovi  dolori. 


MORBVS 


C 


hi,  quando  il  giorno  muore, 
Ode,  seguendo  il  Gange, 
La  tortora  che  piange 
Sotto  i  roseti  in  fiore 
E,  lungo  l'acque  stanche 
Specchio  alle  palme  nere, 
Vede  passar  le  schiere 
Delle  pagode  bianche. 


Lento  discerne  ancora 
Fumar  dal  tardo  fiume 
Il  denso  putridume 
Che  in  faccia  al  so!  vapora, 
E  galleggiar  sull'  onde 
Carogne  ornai  disfatte 
Che  l'acqua  gialla  sbatte 
Sulle  fangose  sponde. 


"argia   SnOI-ENFI  l6l 

Lungo  i  giuncheti  pigri, 
Nido  di  serpi   immani, 
Piangono  i  caimani 
E  riiggono  le  tigri, 
Mentre  nell'  aria  bassa 
Del  -crepuscolo  torvo 
Gracchia  sinistro  il  corvo 
Sazio  di  carne  grassa. 


Allor  nel  plumbeo  cielo 

S'  erge  "dall'  acqua  oscura 
D'  un  angiol  la  figura 
Chiusa  da  un  fosco  velo, 
E  sale  a  poco  a  poco 
Sul  livido  orizzonte, 
Gocciando  dalla   fronte 
Sangue,  veleno  e  fuoco. 


Sale  gigante  e  solo 

Dell'  universo  in    faccia, 
Tende  le  negre  braccia, 
Apre  l'immenso  volo... 
Ah,  invan  chiudi  le  porte. 
Trista  progenie  d'  Eva  ; 
Ecco,  su  te  si  leva 
L'angelo  della  morte! 


S6o/en/i  •   13. 


i6: 


E  passa  infaticato 
Sulle  città  fastose, 
Sovra  le  ville    ascose, 
Sovra  il    Castel  merlato, 
Sul   casolar  che    ride 
Di  sue  virtù  contento... 
Passa  solenne  e  lento 
E  dove  passa,  uccide. 


Sul  suo  cammin,  segnato 
Dai   morti   e    dai    morenti, 
Alto  le  umane  genti 
Mandano  un   ululato. 
L'  orror  dell'  ecatombe 
Fin  la  speranza  scaccia 
E  mancano  le  braccia 
Per  iscavar  le  tombe... 


Del  cor  premendo  i   moti. 
Sbarrando  gli  occhi  tardi, 
Inchiodano  i  vegliardi 
Le  bare  dei  nipoti  ; 
Col  pianto  sulle  gote 
Le  madri   moribonde 
Piegan  le  teste  bionde 
.Sopra  le  culle  vote. 


ARGIA    SBOLENFI  163 

dubita  r  uom  che  venga 
Il  mondo  all'  ore   estreme 
E  guata  in  alto  e  teme 
Che  il  sole  in  ciel  si  spenga, 
Mentre  gli  grida  il  prete: 
«  Guai  nel  gran  giorno  all'empio! 
«  Portate  1'  oro  al  tempio, 
«  Poiché  doman    morrete  !  » 


Sul  sacro  limitare 

Cadono  allor  gli  oranti, 
Lordan  gli  agonizzanti 
Le  pietre  dell'  altare, 
E  pur  la  turba  strolta 
Che  ciecamente  adora 
Inginocchiata  implora 
Iddio,  che  non  l'ascolta. 


Turba,  che  il  vacuo  gelo 
Della  tua  fede  or  tocchi. 
Muori,  volgendo  gli  occhi 
Inutilmente  al  ciclo. 
Alle  pupille  offese 
Il  vero  or  si   disserra: 
Non  ti  mentì  la  terra 
Quando  per  lei   ti  chiese. 


164  AROIA    SBOIKNFI 

Non  ti  giurò  promesse 

D'  un  avvenir  mal   certo, 
Ma  dal  suo  fianco  aperto, 
Ti  germogliò  la  messe, 
(jiovin,  dell'  odio  invece, 
L'amor  ti  accese  in  seno, 
E  per  un  giorno  almeno 
Miglior  di   Dio  ti   fece. 


ELEZIONI 


M 


usa  mia  dolce,  che  le  alterigie 
Uè'  carmi  arcigni  non  hai  sul  viso, 
Tu  che  rallegri  1'  ore  mie  grigie 
Di  stravaganti  scoppi  di  riso 
E  volentieri  mostri  la  pelle 
Dai  larghi  strappi  de  le  gonnelle, 

Musa  mia  dolce,  vieni,   discendi 
A  la  solinga  mia  cameretta  ; 
Avide  ai  baci  le  labbra  tendi, 
Libera  i  lacci  de  la  fascetta. 
Sciogli  la  chioma  bruna  e  ricciuta 
E  chiudi  l'uscio.  L'ora  è  venuta. 

L'ora  in  cui  l'odio  fermenta  e  invade, 
Lurida  peste,  le  menti  e  i   cuori; 
In  cui  la  gente  giù  per  le  strade 
Rutta  bestemmie,  reca  rancori 
E,  masticando  laide  querele, 
Ingoia  o  sputa  veleno  e  fiele. 


i66 


Ognuno  in  queste  turpi  giornate 

Morde  o  calunnia,  froda  o  minaccia. 
Lo  sterco  e  il  fango  colto  a  manate 
All'avversario  si  scaglia  in  faccia. 
Riddano  in  piazza,  lerci  e  impudichi, 
.Spie,  deplorati,  ruffiani  e  plichi  : 

E  i  giornalisti,  tinta  di  loia 

La  meretrice  penna  d'acciaio, 
Pur   che  sia  piena  la   mangiatoia 
Vendon  la   feccia  del    calamaio 
Per  imbrattarne  l'onore  altrui, 
Quasi  superbi  che  paghi  Lui. 

Indi,  nell'ora  concessa  al  voto, 
Cupi,  nervosi,  van  gli    elettori. 
Parlando  basso  col  viso  immoto. 
Guatando  come  cospiratori 
E  in  ogni  canto  dice  un  cartello; 
Votate  questo!...    Votate  quello!... 

Entro  la  sala  buia  e  fetente. 

Sozza  la  gromma   vernicia  i  muri, 

E  intorno  a  un  desco  men  che    decente 

Seduti  in  cerchio  cinque   figuri 

Veglian  con  1*  occhio   cogitabondo 

L'  urna  di  vetro  dal  doppio   fondo. 


ARGIA    SBOLENFI 

S'  apre  la  chiama.  Nel  pigia  pigia 
Vota  ciascuna  pecora  sciocca. 
Ardono  alcuni  di  cupidigia, 
Ad  altri  l'ira  torce  la  bocca, 
Ma  quasi  tutti,  dopo  votato, 
Palpano  il  prezzo  del  lor  mercato  ; 

E  tutti,  uscendo,  da  un  reo  contagio 
Attossicato  sentono  il  cuore. 
Chi  entrò  dabbene  n'  uscì  malvagio 
Chi  entrò  ribaldo  n'  uscì  peggiore. 
Chi  vinse,  il  turpe  bottino  aspetta, 
Chi  perse,  spera  nella  vendetta. 

Ecco  i  comizi!  Ui  quando  in  quando 
Se  non  accade  qualche  sinistro, 
Dall'urna  falsa  sbuca  onorando 
Un  frodolento  caro  al  ministro, 
O  un  imbecille  pien  di  commende; 
E  l'un  si    compra,   l'altro    si   vende. 


O  perchè  debbo  far  da  mezzano 
All'ingordigia  di  Calandrino? 
Perchè  mi  debbo  lordar  la  mano 
Scrivendo  il  nome  d'  uno  strozzino  ? 
Perchè  gettarmi  nella  battaglia 
Sotto  gli  sputi  della  canaglia  ? 


l68  ARGIA    SBOI.ENFl 

Musa  mia  dolce,  sulla  tua  l'accia 
Ride  un  giocondo  color  di  rosa. 
Passerò  lieto  fra  le  tue  braccia 
Il  giorno  laido,  1'  ora  schilosa. 
Sciogli  la  chioma  bruna  e  ricciuta 
E  chiudi  r  uscio.    L'  ora  è  venuta. 


DOPO  IL  PLICO 


M. 


Leglio,  Trento,  per  te  se  dalle  mura 
Sante  aspettasti  invano 
Il  vessillo  che  i  patti  e  la  paura 
Respinsero  lontano. 

Meglio,  Trieste,  indarno  a  queste  sponde 

Tener  l'anima  fissa 
Meglio  indarno  aspettar  che  la\in  l'onde 

La  vergogna  di  Lissa. 

Deh,  non  cercate  della  madre  il  petto. 
Figlie  aspettanti  ancora. 

Poiché  il  fracido  cancro  ond'  egli  è  infetto 
O  uccide  o  disonora. 

La  madre,  del  vessillo  a  tre  colori 
5'  è  fatta  un  origliere 

Per  fornicar  co'  suoi  commendatori 
Scappati  alle  galere. 


Vende  l'onore  de' suoi  figli  morti, 

Gioca  le  glorie  avite 
E   fa  copia  di  se  negli  angiporti 

Delle  banche  fallite. 

Questa,  questa  è  colei  per  cui  sperate 

Cessar  le  vostre  pene 
Ed  essa  per  paura  ha  patteggiate 

Fin  le  vostre  catene; 

Ed  essa,  in  Roma,  penitente  adora 

La  fraude  vaticana 
Baciando  la  rea  man  che  gronda  ancora 

Del  sangue  di  Mentana... 

Ah,  no,  questo  di  vizi  ampio  carcame 
Che  al  bacio  vii  si  prostra, 

Ah,  no,  per  Dio,  questa  bagascia  infame 
Non  è  la  madre  nostra. 

Menti  chi  '1  disse  !  O  voi,  dai  fortunati 

Sepolcri  ove  dormite, 
Martiri  nostri  ormai  dimenticati, 

Levatevi  e  venite  ! 

Voi  che  gridaste  Italia  e  il  piombo    intanto 

Vi  rompea  la  parola, 
Voi  che  ne  confessaste  il  nome  santo 

Col  capestro  alla  gola. 


AR(iIA    .SKOI.KNFI  I71 

Smascheratela  voi  la  svergognata 
Che  adultera  col  prete  ; 

Dite  a  questa  carogna  incoronata 
Che  non  la   conoscete. 

Altra  è  la  sacra  Italia,  amor  dei  forti 
Che  un  di  fu  vostra  cura. 

Oh,  destatela  voi,  poveri  morti, 

Se  i  vivi  hanno  paura  ! 

Fate  che  torni  e  nella  destra  rechi 

Una  spada  infocata 
Contro  questi    ladroni    obliqui  e    biechi 

Che  r  han   vituperata, 

Arda  col  foco  suo  fin   che  bisogna 

Questa  stalla  d'  Augìa, 
Tagli  col  ferro  la  civil  vergogna 

E  la   giustizia   sia  ! 


s 


DA    CAPO 


Constirj^iie  et  asccndamus  in  meridie. 
Jerem.  vi,  4, 

e  nella   mesta  sera, 

Cinto  di  luce  stratia, 

Lo  scoglio  di  CaprerE 

All'  occidente  levasi 

Superbo  sulla  nera  onda  lontana, 


11  marinar  che  passa 
Sull'agile  naviglio 
Tien  la  bandiera  bassa 
E  Ira  le  palme  ru\ide 
Il  duro  capo  abbassa  e  china  il  ciglio. 

Là,  nella  calma  enorme 
Della  morente  luce. 
Sotto  il  granito  informe, 
Presso  le  acacie  memori 
L'  ultimo  sonno  dorme  il  nostro  duce. 


ARGIA    SKOI.F.NFI  173 

Dorme  il  Messia  invocato 
Nel  giorno  del  dolore, 
Dorme  il  gentil  soldato 
Che  amò  come  una  vergine, 
E  col  suo  s'  è  fermato  il  nostro  core. 


Quando  il  leon  scoteva 
L'ampia  cesarie  d'oro, 
Un  popolo  sorgeva 
Bello,  gagliardo  e  giovane 
Che  la  pugna  chiedeva  e  non  l'alloro; 


Sorgean  gli  eroi  sublimi 
Che  il  duce  taciturno 
Primo  davanti  ai  primi 
(juidava  all'ardua  carica 
Contro  Calatafimi  e  sul  Volturno  ; 


Poi,  rotta  nel  cimento 

La  schiera  e  pur  non  doma, 

Cadea  senza  un  lamento. 

Mal  vendicata  vittima 

Sul  colle  di  Nomento  in  taccia  a  Roma. 


174 


Né  alcun  tendea  la  mano 
A  mendicar  mercede, 
Né  per  voler  sovrano, 
Né  per  clamor  di  popolo 
Mentiva  il  capitano  alla  sua  fede, 


Che  il  duce  ed  il  soldato 
Chiudean  ne'  petti  ardenti 
Il  cor  di  Cincinnato 
E  ai  solchi  ritornavano 
Del  plauso  non  cercato  assai  contenti 


Ed  or  che  resta  ?  O   santo 
Sangue  versato  invano, 
O  fior  d' Italia,  pianto 
Un  dì  con  tante  lacrime, 
Or  ti  mette  all'incanto  il   piihlicano. 


O  gloria  unica  al  sole, 
Pura  in  tante  vicende, 
Alla  crescente  prole 
Pura  dovevi  scendere, 
E  ti  compra  chi  vuole  e  ti  rivende! 


ARGIA    SBOLENFI  175 

Tutto  governa  1'  oro, 
Tutto  è  sottil  garrito 
Di  legulei  nel  foro, 
E  de'  comizi  il  traffico 
Frutta  come  tesoro  al  più  scaltrito. 


Il  suo  veleno  occulB) 
Ci  mesce  la  menzogna 
E  gli  ebri,  nel  tumulto 
Dell'  ira,  si  barattano 
La  calunnia,  l'insulto  e  la  vergogna. 


Ahi,  della  prima  schiera 

Non  resta  alcuno  in  vita  ? 

Dunque  laggiù  a  Caprera 

Col  bior.do  Cristo  italico 

L' incolpevol  bandiera  è  seppellita  ' 


Ah  no  !  Sacra  coorte, 
Per  r  ultima  battaglia 
Ti  risparmiò  la  morte; 
Inerme  e  pur  terribile 
Di  Roma  su  le  porte  ancor  ti  scaglia. 


IJ-G  ARGIA    SBOI.KN'FI 

Non  sangue  essa  ti  chiede, 
Ma  invoca  i  difensori. 
Schieratevi  al  suo  piede, 
Voi  forti,  e  proteggetela 
Con  l'incorrotta  fede  e  gU  alti  cuori. 


Trombe  dal  sonno  saosse 
Sonate  alla  raccolta  ! 
Correte  alle  riscosse, 
Salvate  voi  la  patria, 
Vecchie  camicie  rosse,  un'altra  volta! 


Alto  il  vessillo  alzate 
De'  traditori  a  fronte... 
Ma  voi,  deh,  riposate 
Nelle  giberne  lacere 
Cartucce  non  sparate  all'Aspromonte. 


PRIMO  MAGGIO  MDCCCXCV 


X   assano  lenti.  Un  lampeggiar  febbrile 

arde  a  ciascuno  il  ciglio. 
Passan  solenni  e  da  le  dense  file 

non  si  leva  un  bisbiglio. 

Toccandosi  le  mani  ognun  di  loro 

cerca  il  vicin  chi  sia. 
Se  i  calli  suoi  non  vi  segnò  il  lavoro, 

quella  e  una  man  di  spia. 

Sotto  r  aspra  fatica  e  il  reo  destino 

molti  son  già  caduti, 
molti  il  career  ne  tiene  od  il  contino, 

e  pur  sono  cresciuti. 

Striscia  il  gran  serpe  de  la  folla  oscura 

dei  ricchi  su  le  poitc. 
Dentro,  nello  stupor  de  la  paura, 

si  ragiona  di  morte. 


Sbolenji  -  14. 


Intanto  il  passo  de  la  muta  schiera 

allontanar  si  sente 
e  nel  silenzio  de  la  fosca  sera 

spegnersi  lentamente. 

Ecco  allora  Epulon,  vinto  il  terrore, 

socchiude  l'uscio  e  guata 
e  dice:  «  Lode  a  Crispi  ed  al  Signore, 

anche  questa  è  passata!  » 


E  passata,  ma  invan  te  ne  compiaci 

ne  r  allegre  parole. 
Son  gli  antichi  rancor  troppo  tenaci 

per  tramontar  col  sole. 

Nel  ferreo  pugno  non  hai  più  la  plebe 
che  serva  un  dì  schernivi: 

germina  1'  odio  da  le  pingui  glebe 
che  mieti  e  non  coltivi. 

Ne  le  officine  fumiganti  e  nere 

contro  tesi  cospira: 
sotto  la  casa  tua,  ne  le  miniere, 

pronta  allo  scoppio  è  l'ira; 


ARGIA    SRULENFl  179 

e  mal  ti  gioverà  crescer  guardiani 

a  le  porte  sbarrate; 
l'armi  custodi  del  tuo  aver,  domani 

da  chi  saran  portate? 

Chi  ti  difenderà  domani,  quando 

le  turbe  mal  nudritc 
assedieranno  le  tue  case,  urlando: 

«  E  il  primo  maggio:  aprite!  »? 

Oh,  ben  gli  sguardi  noi  tcndiam  levati 

a  l'avvenir  fecondo, 
e  tu  chini  la  fronte!  I  tuoi  peccati 

hanno  stancato  il  mondo. 


NOVEMBRE 


A 


ddio  sorrisi  dell'albe  rosate, 
Addio  tramonti  che  d'oro  parete! 
Novembre  porta  le  tristi  giornate 
E  delle  nebbie  la  bigia   quiete! 

Gli  uccelli  migran  in  file  serrate 

Cercando  a  volo  contrade  piii  liete, 
Ma  noi  restiamo,  calcando  immutate, 
Sul  fango  vecchio,  le  vie  consuete. 

Restiamo,  e  sempre  le  stesse  infinite 
Noie  e  le  stesse  speranze  remote 
C'infliggeranno  le  stesse  ferite, 

Finché  abbassando  le  teste  canute, 
Chinando  al  suolo  le  pallide  gote, 
Qui  marcirem  come  foglie  cadute. 


MENTRE  PARTONO 


T, 


u  che  aprendo  il  mercato  alla  menzogna 
Alto  salir  potesti, 
E  che  senza  pietà,  senza  vergogna, 
Vivo,  di  noi  ridesti. 

Or  nella  tomba  dormirai  contento, 

Buon  vecchio  di  Stradella, 

Che  accompagnar  solevi  al  tradimento 
L'arte  di  Pulcinella. 

Dormi,  buon  vecchio,  ormai   dimenticato 

Dai  servi  e  dai  rivali, 
E  sogghigna  se  '1  puoi.  T'  han  perdonato 

I  morti   di  Dogali. 

A  ben  più  grave  e  più  feroce  guerra 

L'Italia  è  condannata; 
Nuovo  sangue  latin  beve  la  terra 
Dell'Eritrea  bruciata. 


RIME    DI 

Nuove  vittime  ancor  di  rei  consigli 
Cadran  siili'  arse  arene 

E  nuove  madri  cresceranno  i  figli 
Per  ingrassar  le  iene! 

Lascia,  scarno  villan,  lascia  il  sudato 
Solco  a  te  non  diviso. 

Tu  non  devi  morir  dove  sei  nato, 
Dove  amor  t'ha  sorriso. 

La  gentil  civiltà  de'  tuoi  signori 

Ti  spinge  alla  battaglia. 

Va,  povero  villano,  uccidi  e  muori: 
Dopo,  avrai  la  medaglia. 

E  mentre  i  legulei  ti  lauderanno 

Con  sonanti  parole, 
Oh,  come  l'ossa  tue  biancheggieranno 

Gloriosamente  al  sole! 

.Su  la  sabbia  deserta  e  funerale 
Rotoleranno  al  vento, 

Ma  in  qualche  trivio  della  Capitale 
Sorgerà  un  monumento, 

Su  cui  tra  i  bronzi   falsi  e  le  sculture 
Dell'  arte  a  buon  mercato 

Sarà  il  tuo  nome,  o  buon  villan,  se  pure 
Non  r  han  dimenticato. 


ARGIA    SP.OLENFI  .  1 83 

Piange  intanto  colei  che  la  tua  culla 

Vegliò  amorosa  e  forte: 
Piange  le  tristi  nozze  una  fanciulla, 

Le  nozze  con  la  morte. 

Ma  il  padre  invece,  al  elei  rivolto  il   ciglio, 

Giunte  le  palme  grame, 
Dice:  —  Beato  te,  povero  figlio, 

Che  non  avrai  più  fame.   — 


ALPINI 


Q 


iiando  r  ora  verrà,  1'  ora  che  deve 
Esser  1'  estrema  che  vedrete  al  mondo, 
Voi  cercherete  invan  col  moribondo 
Occhio  l'alpe  natia,  bianca  di  neve. 


E  indarno  de'  ghiacciai  la  brezza  lieve 
Ricercherete  neh' ansar  profondo. 
Oh,  quanto  lungi  al  labbro  sitibondo 
Saran  le  fonti  ove  il  camoscio  beve! 


Ahimè,  madri  dolenti  e  fidanzate 

Dolenti,  dite  voi  se  questo  è  il  santo 
Il  giocondo  avvenir  che  sognavate! 

Vanno  all'  inutil  sacrificio  e  intanto 
Noi  veneriam  le  vanità  sfacciate 
Cui  piacque  il  sangue  loro  e  il  vostro  pianto. 


ULTIME  NOTIZIE 


L 


e  madri,  nel  tormento 
Crudel  d'  un  dubbio  arcano, 
Cercan  con  l'occhio  intento 
Qualche  speranza  invano. 

Non  sale  un  noto  accento 
Dall'  aspettante  piano, 
Non  una  vela  al  vento 
Sul  freddo  mar  lontano! 


Ed  ecco  il  messaggero 
Nunzio  della  fortuna 
Passa  sul  lor  sentiero, 

E  a  lui  chiede  ciascuna. 

Bianca  d'angoscia,  il  vero: 

«  Che  novità?  »  —  «  Nessuna  !!  » 


PISCICOLTURA 


Oe  un  pesce  grosso  sparpagliò  cambiali 

E  non  le  ha  mai  pagate. 
O  le  pagò  col  voto,  i  suoi  giornali 

Dicon:  «  cose  private!  » 


Se  vende  un  gran  cordon,  poscia  negato, 

E  lo  vende  a  un  briccone, 
Son  cose  che  riguardan  l'avvocato, 

Cose  di  professione. 


Se  il  Codice  Penai  soffre  gli  sfregi 
De'  suoi  superbi  sprezzi. 

Se  fa  comprare  o  vendere  i  Collegi, 
Sono  pettegolezzi. 


ARGIA    SBOI.ENFI  187 

Ma  se  un  pesce  piccin,  stando  digiuno, 

Sente  un  po'  d'  appetito, 
Peggio  poi  se  lo  dice  a  qualcheduno, 

È  subito  ammonito. 


Se  gli  sembra  che  il  secolo  egoista 

Viva  delle  sue  spoglie, 
Se  incappa  in  qualche  idea  da  socialista, 

San  Stefano  lo  coglie. 


Se  vede  Bosco  o  De  Felice  in  sogno, 

Se  soffre  e  non  dispera. 
Se  ha  visto  il  Lega  fare  il  suo  bisogno 

In  galera!  In  galera  ! 


SERMONE  DI  NATALE 


O 


Messia  profetato  ai  sofferenti, 
Pietoso  un  dì  consolator  del  mondo, 
Inutilmente  ormai  torni  alle  genti. 
Bambino  biondo! 


Non  è  pili  il  tempo  in  cui  l'amor  potea 
Illuminar  le  menti  e  incender  l'alme. 
In  cui  per  te  Gerusalemme  avea 
Osanna  e  palme. 

O  dilettose  al  cor  notti  stellate 
De'  colli  galilei  sui  dolci  clivi, 
Tra  il  canto  delle  donne  innamorate. 
Sotto  gli  ulivi; 

O  susurranti  al  sol  gaie  fontane, 
Di  solinghi  riposi  allettatrici. 
Cui  sale  la  canzon  delle  lontane 
Spigolatrici  ; 


ARGIA   SBOLENFI 

O  vigne  d'Israel  che  i  dolci  frutti 

Maturaste  all' umìl  schiera  seguace, 
Voi  non  r  udrete  più  chieder  per  tutti 
Giustizia  e  pace! 

E  tu,  benigno,  che  a  cercar  scendevi 

L'agnel  che  si  smarrì  nella  campagna 
E  l'Evangelo  dell'amor  dicevi 
Sulla  montagna, 

Guarda!  Un'idolatria  cauta  e  discreta 
Agli  Apostoli  tuoi  cresce  1'  entrate. 
Pietro  che  ti  negò  batte  moneta; 
Tommaso  è  frate. 

II  sangue  che  grondò  dalla  tua  croce 
Oggi  feconda  1'  odio  e  non  1'  amore, 
Presso  al  complice  aitar  veglia  feroce 
L' inquisitore. 

L'astuta  ipocrisia  dell'egoismo 

Che  la  ragion  all'  util  suo  sommette, 
Distilla -le  bugie  del  catechismo 
Nelle  scolette 

E  nella  Chiesa  che  chiamar  non  sdegna 
Santo  l'inganno  e  la  menzogna  pia, 
Angelico  Dottor,  Barabba  insegna 
Teologia. 


19©  ARGIA    SBOLENFI 

Perchè  tornar  se  alla  novella   pena 

Oggi  trarresti  inutilmente  il  fianco? 
Più  balsami  non  ha  la  Maddalena 
Pel  rabbi  stanco. 

Non  si  ricorda  più  d'  averti  amato, 

Ma,  isterica  romea,  col  bacio  scende 
Al  laido  pie  che,  del  tuo  nome  ornato, 
Caifa  le  stende: 

E  colei  che  chiamar  madre  ti  piacque 
E  nel  sepolcro  il  corpo  tuo  compose, 
Or  vezzeggia  i  clienti  e  vende  l'acque 
Miracolose. 

Fuggi,  fuggi  da  noi,  bambino  biondo: 

Torna  piangendo  dal  presèpe  al  cielo, 
Il  Sillabo  di  Pio  cacciò  dal   mondo 
Il  tuo  Vangelo. 

Dall'avarizia  vinta  e  dal  peccato 

La  tua  fede  mori  povera  e  nuda 
Oggi  nel  nome  tuo  regna  Pilato, 
Governa  Giuda. 


ALLE  MADRI 


Dedicato 
ad  Anna  E. 


M= 


Ladri,  lo  ricordate  il  di  sereno 
In  cui  d' amore  il  pegno 
La  prima  volta  nel  fecondo  seno 
Vi  die  di  vita  un  segno? 

Con  che  orgoglio  gentil  del  grembo  incinto 

AUor  vi  compiaceste! 
Come  la  culla  col  materno  istinto 

Morbida  gli  faceste? 

E  poi  che  al  suo  vagir  tacque  il  dolore 

Del  fianco  insanguinato, 
Con  che  speranze,  o  madri,  e  con  che  cuore 

Benediceste  il  nato, 

E  nutrito  di  voi  lo  riscaldaste 
Stringendolo  sul  petto, 
E  se  morte  il  ghermia,  glielo  strappaste 
Col  prepotente  afl'etto! 


192 


Lo  cresceste  così,  biondo  fanciullo, 

Sovra  i  vostri  ginocchi, 
Vegliando  il  primo  passo  e  il  suo  trastullo 

Con  l'anima  negli  occhi. 

E  speraste  veder  l'ore  supreme 

In  braccio  a  lui  più  liete... 
Quanto  amor,  quanti  baci  e  quanta  speme, 

O  madri  che  piangete! 

Ed  ora?  I  vostri  figli  a  mille  a  mille 

Cadder  lungi  da  voi 
Perchè  un  ladro  impazzito  e  un  imbecille 

Si  son  creduti  eroi. 

E  vi  tentano  ancor,  gli  scellerati. 

Con  le  astute  parole, 
I\Ia  i  cadaveri  nudi  e  mutilati 

Si  putrefanno  al  sole. 

Ma  già  dai  loro  immondi  antri,  le  iene 

Calando  irsute  e  scarne. 
Leccano  il  sangue  de  le  vostre  vene, 

•Straccian  la  vostra,  carne! 

E  il  delitto  cadrà  nel  grave  oblio 

In  che  ormai  tutto  iangue? 
No,  levatevi  voi,  donne,  perdio. 

Raccogliete  quel  sangue, 


ARGIA    Sr.OLEXFl  I  93 

Gettatelo  ululanti  e  scapigliate 

Dei  colpevoli  in  faccia; 
Quando  il  giorno  verrà,  non  dubitate, 

Ne  troverem  la  traccia  ; 

E  dite  agli  altri,  o  neghittosi  o  incerti  : 

«  Pietà  di  noi   vi  prenda  ! 
«  La  postra  patria  è  qui,  non  nei  deserti 

«  Dell' Abissinia  orrenda. 

«Pietà,  chiediam  pietà,  madri  dolenti, 

«  Figlie,  sorelle,  spose  ; 
«Pietà,  per  gl'insepolti  e  pei  morenti 

"Su  l'Ambe  sanguinose! 

«  Non  tolga  vite  ai  campi,  a  le  officine 

«  La  conquista  rapace. 
«  La  nostra  patria  è  qui.  Datele  alfine 

«La  giustizia  e  la  pace!» 

Dite  così.  Ma  se  domani  ancora 

Tripudieranno  i  ladri 
E  moriranno  gl'innocenti,  allora, 

O  dolorose  madri, 

Non  porgete  più  latte  al  mite  Abele 

Che  s'acconcia  al  destino. 
Ma  raccogliete  ne  le  poppe  il  fiele 

Per  allevar  Caino. 


Sbolenji  -  i' 


AGLI  EROISSIMI 


G 


insti  della  fallila  Apocalissi, 
Marci  Porci  Catoni,  in  questo  errai: 
Che  delle  birberie  forse  ne  scrissi, 

Ma  non  ne  feci  mai. 


Oh,  se  n'  avessi  fatte,  e  io  potevo. 

Di  che  frasche  m'avreste  incoronata! 
Un'abiura,  e  tra  i  grandi  anch'io  sedevo. 
Illustre  deplorata 

Ma  l'arte  di  lustrar  le  scarpe  ai  ladri 
Curvando  il  dorso,  mi  negò  natura; 
Perciò  gridate  che  incitai  le  madri 

A  strillar  di  paura. 

Chi  parla  di  viltà?  Chi  con  gagliarde 
Frasi,  dopo  il  cafle,  facil  tribuno. 
Povere  donne,  vi   chiamò  codarde 

Perchè  vestite  a  bru;iu' 


.  ARGIA    SliOI.F.NKI  TQj 

Chi  fumando  in  poltrona,  empie  i  giornali 
Di  vendette,  di  stragi  e  di  rovine, 
Da  la  ciambella  moderando  l'ali 

Dell'aquile  latine? 

Chi  dei  debiti  nuovi  alla  conquista 

Le  apostrofi  all'onor  guida  in  falange 
E  soggioga  lo  Scioa  dal  liquorista. 

Insultando  chi  piange? 

Ah,  siete  voi  !  Salute,  o  ben  pensanti. 
In  cui  l'onor  s'imbotta  e  si  travasa; 
Ma  dite  un  po',  perchè  gridate  «avanti!» 
E  poi  restate  a  casa? 

Perchè,  lungi  dai  colpi  e  dai  conflitti, 
Comodamente  d'ingrassar  soffrite, 
Baritonando  ai  poveri  coscritti 

«Armiamoci  e  partite!»? 

Partite  voi,  se  generoso  il  core 

Sotto  al  pingue  torace  il  ciel  vi  diede. 
O  Baiardi,  è  laggiù  dove  si  muore 

Che  il  coraggio  si  vede. 

Non  qui  tra  le  balorde  zitellone, 

Madri  spartane  di  robuste  prose, 

Che  clìieggon  morti  per  compor  corone 

D'alloro,  ahi,  non  di  rose! 


196  ARGIA    SliOIKNFl 

Ma  no,  non  partirete!  A  questi  tempi, 
Se  dovesse  mancar  «  la  parte  sana  ». 
Chi  resterebbe  a  predicar  gli  esempi 

Della  virtù  romana? 

Chi  resterebbe  a  consolar  coi  detti 

Le  vedove  beltà  che  il  bruno  adorna? 
Chi  lì  farebbe  i  brindisi  ai  banchetti 

Per  chi  parte  o  chi  torna? 

Ah,  forti  Alaci  della  guerra  a  fondo, 
Ussari  della  morte,  ah,  non  tentate 
D'uscir  di  qui  per  conquistare  il  mondo, 

Perchè,  se  ve  ne  andate, 

Forse  la  vigna  che  godeste  voi' 

Fruttar  potrebbe  ad  operai  più  scaltri... 
No,  restate,  restate  a  far  gli  eroi 

Con  la  pelle  degli  altri  ! 


QUANDO 

IL    MUNICIPIO    DI    BOLOGNA 

FESTEGGIÒ     LA     B.     V.     DI     S.     LUCA 

ESPONENDO     I     CENCI     ANTICHI 

PER    INVITO   DEI    CLERICALI 

MASCHI    E   FEMMINE 


D, 


'iooiio  —  Gesù  mio,  qiiatito  scliiainaz/.n 
Per  due  vecchi   tappeti! 
Nemmen  se  ritornassero  in  Palazzo 
Gli  Svizzeri  ed  i  preti  ! 


I  contadini  a  non  vederli  esporre 

Ci  credevan  birbanti;  . 
Sono  elettori  anch'essi  e  quando  occorre 

Votan  pei  ben  pensanti. 


Che  v'importan  quei  cenci  o  i   Credi  fatti 

Recitar  nelle  scuole? 
Siam  liberali.  Non  badate  agli  atti, 

Badate  alle  parole.  — 


Rispondono  —  I  tappeti  alla  ringhiera 
Non  son  stracci  e  cimosa; 

Cencio  di  pochi  palmi  è  una  bandiera, 
Ma  vuol  dir  qualche  cosa. 


O  le  liste  da  chi  furono  empiute 

E  da  chi  consigliate? 
Voi  ci  diceste:  non  le  abbiam  vedute; 

E  pur  lo  sapevate! 


Confessatelo,  via,  siate  leali, 
Poiché  non  siete  scaltri 

Voi  pascete  di  fumo  i  liberali 
E  d'arrosto...  quegli  altri.  — 


Ma  v'è  chi  dice  —  Ecco,  Bisanzio  ancora 

Con  le  ciarle  si  regge 
Dei  cento  legulei  della  malora 

Che  gli  falsan  la  legge. 


Lasciamoli  cianciar  del  più  e  del  meno, 

Lasciamoli  garrire; 
Noi  guardiamo  piìi  in  alto,  ad  un  sereno, 

Ad  un  santo  avvenire. 


ARGIA    SBOLICNFI       .  lOq 

Noi  guardiamo  ]iiù  in  alto  e  questa  bassa 

Miseria  non   ci  tangc, 
Con  Ijen  altra  eloquenza  il  cor  ci  passa 

La  voce  di  chi  piange! 


Ma  quando  il  pianto  cesserà  e  verranno 

Ben  altre  feste,  allora 
Quelle  coltri  lassù  riscalderanno. 

Il  letto  a   chi  lavora.  — 


L'IDILLIO  DI  ORLANDO 


Che  non  può  far  d'un  cor  ch'abbia  soggetto 
Questo  crudele  e  traditore  Amore, 
Poiché  ad  Orlando  può  levar  dal  petto 
La  tanta  fé  che  debbe  al  suo  J^ignore! 

Ariosto,  Ori.  Fur.,  C.  IX,  I. 


A 


pparia  tremolando  all'orizzonte 
La  tenue  luce  della  nuova  aurora 
E  la  vaghezza  delle  rosee  impronte 
Crescea  più  viva  coìl' andar  dell'ora, 
Quando,  sul  fido  Brigliadoro,  il  Conte 
Uscì  pensoso  di  Baldacco  fuora 
E  d'ignoti  sentier  sull'erba  molle 
Lentamente  discese  il  verde  colle. 


Come  giovine  sposa,  allor  che  il  sole 
Fra  le  cortine  del  balcon  s'affaccia, 
Lascia  lenta  le  coltri  e  volger  suole 
Al  conscio  letto  con  desio  la  faccia, 
'  Ma,  rivestita  poi,  non  più  si  duole 
Rimemorando  i  baci  e  il  sonno  scaccia, 
Indi  lieta  intrecciando  il  crin  disciolto 
Canta  allo  specchio  e  amor  le  ride  in  volto; 


ARGIA    SBOLEMFI 

La  natura  così  malvolentieri 

Dai  notturni  riposi  uscir  parea 

Semivelata  dai  vapor  leggeri 

Che  lenta  l'aura  del  mattin  movea, 

Ma  poi  ridesta  e  de'  color  primieri 

Rifiorendo  col  dì,  tutta  frcmea 

In  un  gaudio  fecondo,  in  una  ebbrezza 

Di  gioventiì,  d'amore  e  di  bellezza. 


Non  sgomentati  del  cavallo  ai  passi 
L'inno  di  gioia  ripetean  gli  augelli 
Pareano  susurrar  tra  l'erbe  e  i  sassi 
Giocondi  epitalami  anche  i  ruscelli, 
E  i  caprifogli  pendali  dai  massi, 
Scotendo  i  rami  a  guisa  di  capelli, 
Gocciavan  perle  di  sottil  rugiada 
Sulle  nozze  de'  fior  lungo  la  strada. 


Nel  tripudio  d'amor  ringiovanita 

La  pianura  parca  tutta  un  giardino 
Che  vaporasse  tepida  e  squisita 
La  fragranza  de'  fiori  al  ciel  turchino. 
Sì  che  pien  di  desìo,  gonfio  di  vita, 
S'apriva  il  chiuso  cor  del  Paladino 
E  conquisa  cedea  l'anima  fiera 
Alle  lusinghe  della  primavera. 


Dimenticò  Re  Carlo  e  i  suoi  baroni 
E  il  santo  gonfalon  del  fiordaliso, 
I  giganti  le  lati  e  gli  stregoni, 
Gano  schernito  ed  Agramante  ucciso. 
Dimenticò  gli  assalti  e  le  tenzoni 
Tra  lo  stuol  battezzato  e  il  circonciso 
E  vide  col  pensier  mille  rosate 
Imagini  di  donne  innamorate. 


Rivide  Olimpia,  olVerta  all'esecrando 

Mostro,  chieder  mercè  nuda  e  tremante 
E  passar  sorridendo  e  sospirando 
Fiordispina,  Isabella  e  Bradamante. 
Vide  Marfisa  non  curar  pugnando 
Le  salde  nudità  del   petto  ansante 
E  d'Angelica  sua  gli  occhi  procaci 
Languir  di  gaudio  di  Medoro  ai  baci. 


Allor  si  sentì  solo  e  in  cor  gli  scese 
Gelida  un'onda  di  malinconia. 
Tal  che  a  se  stesso  dubitando  chiese 
Se  la  gloria  non  fosse  una  pazzia; 
Ed  una  voce  in  fondo  al  core  intese 
Dirgli:  «Che  vai  la  tua  cavalleria, 
«  Che  valgon  le  tue  gesta  e  il  tuo  valore 
«Senza  un  bacio  di  donna  e  senza  amore? 


ARGIA    SBOI.EN'M  203 

Discendeva  così  fantasticando 

Intorno  a  questa  sua  doglia  novella, 
e  sospirava  fieramente,  quando 
"Vide  dal  bosco  uscire  una  donzella 
Che  raccogliendo  fior  venia  cantando 
Soavemente,  e  la  persona  bella 
Di  tal  vivo  desio  lo  prese  e  punse 
Che  spronò  Brigliadoro  e  la  raggiunse. 


Si  trasse  l'elmo,  dall' arcion  si  sporse 

E  con  voce  tremante  amor  le  chiese. 
Lentamente  a  mirarlo  il  viso  torse 
La  giovinetta  ed  a  sorrider  prese. 
L  occhio  le  scintillò,  ma  quando  scorse 
La  croce  sull'usbergo  e  sul  pavese, 
La  scintilla  si  spense  ed  il  sorriso 
Subitamente  le  sparì  dal  viso. 


E  disse:  «  Cavalicr,  tu  porti  in  petto 

«  Del  Dio  che  adori  il  segno  e  la  dottrina. 
«Tu  segui  Gesìi  Cristo,  io  Maometto; 
«Tu  sei  di  stirpe  Franca,  io  Saracina; 
«Io  cingo  fiori  al  capo  e  tu  l'elmetto, 
«Tu  sci  nato  possente  ed  io  tapina; 
«Vanne  e  ti  basti  sol  ch'io  ti  confessi 
«Che  t'amerei  se  tu  a  Macon  credessi». 


204  ARGIA    SBOLENFI 

Oh,  come  lieti  tra  le  verdi  fronde 

Cantavano  gli  augelli  i  novi  amori, 
Come  all'aura  d'aprii  le  rubiconde 
Corolle  aprivan  tripudiando  i  fiori. 
Come  splendeano  al  sol  le  chiome  bionde, 
Come  ridevan  gli  occhi  incantatori, 
Allor  che  il  Paladin  vinto  si  diede 
E  per  un  bacio  rinnegò  la  fede! 


AI  REDUCI  DALLO  SCIOA 


Q 


uando  spuntar  vedrete  all'orizzonte 
Questo  suol  benedetto  e  sospirato 
E  la  brezza  natia  su  l'arsa  fronte 
Il  bacio  vi  darà  del  ben  tornato; 


Quando  in  folla  calar  vedrete  al  lido 
I  cari  vostri  a  salutar  le  prore, 
E  il  dolce  vento  de  la  patria  il  grido 
Vi  porterà  de  1'  aspettante  amore  ; 

Quando  nel  cor  di  rimembranze  pieno 
L'impeto  cesserà  de  la  tempesta 
E,  consolati,  sul  materno  seno 
Riposerete  alfin  la  stanca  testa; 

Se  vi  parrà  d'udir  fioco  un  lamento 

Che  seco  il  pianto  e  la  tristezza  porti 
Ascoltatelo  pur  senza  sgomento; 
Quella  è  la  voce  dei  compagni  morti. 


206  ARGIA    SEOLKNFI 

Che  dice:  —  «All'avvenire  sorridevamo 
«Quando  il  destino  ci  portò  con  lui 
«  Ed  ecco  elle  con  voi  non  ritorniamo, 
«  Noi  mal  sepolti  ne  la  terra  altrui. 

«  Ma,  dite,  la  giustizia  alzò  il  flagello 

«Su  gli  eroi  da  poltrona  e  i  paladini? 
«  Chi  come  bestie  ci  cacciò  al  macello, 
«Il  supplizio  subì  degli  assassini?»  — 

Voi  rispondete:  —  «Ahimè,  dormite  in   pace 
«Del  triste  campo  nel  silenzio  enorme 
«  Qui  dei  delitti  la  memoria  tace, 
«  Qui  stipendiata  la  giustizia  dorme. 

«  Sovra  i  tumuli  vostri  erra  feroce 

«  La  iena  e  ne  la  notte  urla  il  leone, 

«  Ma  gli  eroi  da  poltrona  hanno  la  croce 

«  E  gli  assassini  vostri  han  la  pensione  ». 


NOTTE  D'AUTUNNO 


Anfiiria  il   vento  e  nella  bieca  notte 
Fredda  la  piova  incalza. 

L'acqua  che  stroscia  dalle  gronde  rotte 
Sui  ciottoli  rimbalza. 

Entro  l'oscurità  profonda  e  vuota 

Delle  vie  taciturne 
Guizzan,  specchiate  nell'immonda  mota, 
Le  fiammelle  notturne, 

E  nel  sordido  fango  e  nel  pattume 

Putrefatto  del  suolo, 
Miserabile  spettro,  agita  il  lume 

E  fruga  il  ciccaiolo. 

Quand'ecco  dal  silenzio  esce  il  lontano 

Scalpito  d'  una  rozza 
E  tra  la  pioggia,  il  vento  ed  il  pantano, 

Appare  una  carrozza 


208  ARGIA    SBOLENFI 

Che  in  un  dirugginìo  di   chiavistelli 
Trabalza  oscenamente, 

Col  profilo  dei  birri  agli  sportelli 
E  le  lanterne  spente. 

E  il  ciccaiol  che  vive  razzolando 
Nel  brago  e  nel  fetore, 

Sente  lo  schifo  e  brontola  sputando: 
«Passa  un  commendatore!» 


IL  MIO  CUORE 


Li  mio  cuore  è  uno  scrigno  di   velluto 
.Che  con  sette  sigilli  è  sigillato. 
Molti  voller  saperne  il  contenuto. 
Ma  nessun  finor  l'ha  indovinato. 


Lungamente  il  segreto  ho  mantenuto 
E  il  labbro  come  il  cor  tenni  serrato, 
Ma  più  a  lungo  tacer  non  ho  potuto 
Ed  i  sette  sigilli  ho  lacerato. 


Sappiate  dunque  che  nel  cor  segreto 
Chiudo  i  ricordi  del  tempo  remoto, 
I  fiori  secchi  dell'aprii  mio  lieto, 


Fra  cui  quest'oggi,  per  gentile  invito, 
Scesi  a  frugar  con  l'animo  devoto 
Per  cavarne  un  sonetto  impallidito; 


Sboleiijì  -  i6. 


2IO  ARGIA   SBOLENFI 

Un  povero  sonetto  impallidito, 

Fior  dell'anima  mia  morto  e  seccato, 
Che  tra  le  foglie  sue  reca  smarrito 
Come  un  lontano  odor  del  mio  passato, 


Come  un  ricordo  vago  e  scolorito, 
Un'eco  lieve  del  tempo  beato, 
Un  rimpianto  profondo  ed  infinito 
Di  tutto  quel  che  in  giovinezza  ho  amato. 


Ed  ecco  che  il  sonetto  esce  discreto 
Da  .la  prigion  dove  dormiva  ignoto 
E  rivede  tremando  il  mondo  lieto. 


Va  dunque,  o  mesto  fior  da  me  cresciuto. 
Porta  a  chi  m'ama  del  mio  core  il  voto, 
Ed  a  chi  m'odia  porta  il  mio  saluto. 


PARLA   IL    LIBRO 


Oon  la  lontana  che  nasce  sui  monti 
Limpida  e  gaia  tra  i  sassi  sonanti, 
Fresco  ristoro  di  greggi  vaganti, 
Vergine  ancora  di  muri  e  di  ponti, 

E  che,  ingrossata  da  torbide  fonti, 
Bagna  e  feconda  le  valli  aspettanti, 
Poi,  ferma  in  larghe  paludi  stagnanti. 
Vapora  febbri  nei  grigi  tramonti  ; 

Indi   travolta  a  città  pestilenti, 

Livida  inghiotte  le  salme  dei  vinti 
E  scalza  e  scuote  le  reggie  possenti, 

Finché  gli  spazi  del  mare  raggiunti, 
Tra  i  flutti  eterni  dal  vento  sospinti 
Si  perde  e  gode  l'oblio  dei  defunti. 


COMMIATO 


wJecoletto  borghese, 
Ecco  il  libro  finì.  Chiudilo  in  pace. 

Degno  di  te  lo  rese 
Quell'arte  che  ti  meriti  e  ti  piace. 


INDICE 


Prefazione Pag.  vii 

LIBRO  PRIMO  -   Lk  Crktine 

Sz  descrive  un  vago  de<iio        .        .        .        .  Pag.  3 

La  ballata  del  Re  Moro *  5 

Sonetto  contro  un    anonimo  che    ci  fece    la 

bìirla  del  telegramma        ....  ^  7 

Si  descrive  tm  temporale  nel  deserto    .        .  »  8 

La  mia  ghirlanda  poetica         ....  »  9 

La  battaglia  di  Sadova >  1 1 

Si  duole  di  essere  abbandonata  dall'amante  »  13 

La  romanza  del  paggio »  14 

Risiirretione »  16 

//  lamento  del  prigioniero        .        .        .        .  »  18 


214  INDICK 

Pianto  della  rhiesn  holognesf  senza  pastore  Pag.  20 

Tempesta  in  mare »  21 

Per  la  caduta  di  Palamidone         .        .        .  »  25 

Alla  poetessa  Argia  Sbolenfi  (Proposta)      .  »  26 

A  Edra  Coprndite,  pastore  arcade  \VJ\.\^\iO%\.^\  »  27 

Si  compiace  delle  prossime  nozze    .        .        .  »  28 

Egloga »  29 

Si  set/sa  per  avergli  mostrato  poco  rispetto  »  34 

S/'ogo  contro  colui *  35 

Ave  Crnx! »  37 

L' apparizione »  3^ 

///   disprezzo  di  uno  spasimante      ...»  40 

Confida  le  sue  pene  alla  Beata    Vergine     .  »  41 

Iti  dispregio  della   i/nnro/ida   rana         .        .  »  42 

Favolettc  inorali »  43 

Il  gentil  cavaliero »  56 

;  Fobie  Carlos  ! »  5^^ 

La.  risposta  della   figlia  maledetta         ,        .  »  S'' 

Si  descrive  una  rustica  cappella    ...  «03 

Inno  al  salame »  65 

Lamento »  08 


LIBRO  SECONDO  -  Le  Decadenti 

- P^g.  73 

Anacreontica »  74 

L'alba ^  7(j 

///   fnare 77 

La  capretta »  78 

In   bicicletta »  79 

Ad  un  orologio  gitnsto »  8 1 

A  lìii »  82 

/•,'  vero! »  83 

Affetti    di    lina     pellegrina     all'  Aìigutlo 

Vegliardo »  84 

La  ballata  del  cavali cr  discorte^e        .        .  »  85 

Sonetti  mitologici »  88 

Zff  rovina  del  Sasso >>  g4 

Sonetto »  M5 

Al  ?nio   de  <:l riero         ....         .        .  »  tjO 

Ode  farmaceutica »  98 

Ode  ostetrica »  103 

kat:::o »  roS 

Htinyadi  Jànos »  lio 

Nel  bagno  (  Ode  ) *  1 1 3 


2l6  INDICE 

A  ìin  vaso  nuovo  di  porcellana  Ginori    .  Pag.  1 1 6 

Ai  colleghi »  119 

«  Nascituro  * »  1 20 

Al  vescovo  di  Seboim »  125 

«  Eìt  rev' naiìt  d' la  revite  »          .        .        ,  »  128 

Le  elezioni  di  Milano  (i8gs)        .        .        .  »  129 

Dea  crepitili  sacrum »  131 

Fantasia  egiziana »  136 

Le  visite  al  Cardinale »  138 

Satnbuci _.        .  »  143 

A    Venere  genitrice »  145 

//  primo  capello  bianco »  1 50 

Sonetti  decadenti »  152 

Morbus »  160 

Elezioni .        .  »  1 65 

Dopo  il  plico »  169 

Da  capo »  172 

Primo  Maggio  MDCCCXCV      .       .       .  »  I77 

Novembre »  180 

Mentre  partono »  181 

Alpini  ' »  184 

Ultime  7totizie »  185 

Piscicoltura »  186 

Sermone  di  Natale »  188 


INDICE  2  I  7 

Alle  madri Pag.  19 1 

Agli  croissimi »  194 

Coltrici  festive »  197 

L'idillio  di  Orlando »  200 

Ai  reduci  dallo  Scioa »  205 

Notte  d'autunno »  207 

//  tnio  cuore »  209 

Parla  il  libro »  2 1 1 

Coni7niato *  212 


Finito  di  stampare 

il  giorno  12  Settembre   ig20 

negli  Stabilimenti  Poligrafici  Ritmiti 

in  Bologna 


»* 


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