Skip to main content

Full text of "Archivio storico italiano"

See other formats


3 

lt- 


ARCHIVIO 

STORICO  ITALIANO 

FONDATO  DA  G.  P.  VIEUSSEUX 


E  CONTINUATO 


A  CURA  DELLA  R.  DEPUTAZIONE  DI  STORIA  PATRIA 


PEK    I.E    PROVINCIE 


DELLA  TOSCANA ,  DELL'  UMBRIA  E  DELLE  MARCHE 


SERIE  TERZA 


Tomo  X  -  Parte  I. 

Anno  1869 


IN  FIRENZE 

PRESSO     G      P.      VIEUSSEUX 
coi  tipi  di  M.  Cellini  e  C.  alla  Galileiana 

18(19 


sZ>      - 


9bj 
à./0 


i 


X>I    TJJS   TRATTATO 

PER 

FAR  RIBELLARE  AL  COMUNE  DI  FIRENZE 

la  (erra  di  Prato ,  nell'anno  1375 
DOCUMENTI     ILLUSTRATI 


Avvertimento. 

Nel  dar  mano  a  ordinare  in  quest'Archivio  di  Stalo 
di  Firenze  i  diversi  Atti  civili  e  criminali  del  Potestà 
(  grande  e  importantissima  serie  di  carte  ,  delle  quali  si 
sta  ora  compilando  un  esatto  inventario  per  cura  della 
R.  Soprintendenza  agli  Archivi  Toscani),  m'incontrai,  non 
è  molto ,  nei  documenti  che  qui  pubblico.  Sono  essi  il 
processo  fatto  dal  Potestà  di  Firenze  nel  1375  contro 
ser  Piero  da  Canneto  pratese ,  uno  di  quelli  che  mena- 
rono la  pratica  per  tórre  ai  Fiorentini  la  terra  di  Prato , 
e  darla  in  mano  del  Cardinale  di  Bologna  ;  la  sentenza 
che  succede  a  quel  processo  ,  e  la  esecuzione  della  me- 
desima. Di  questi  documenti ,  se  prima  d'ora  fossero 
venuti  a  mia  notizia ,  avrei  anche  potuto  giovarmi  quando 
dettai  la  Memoria  sulla  Guerra  degli  Otto  Santi ,  pub- 
blicata in  uno  degli  ultimi  volumi  di  questo  Giornale ,  e 
collocarli  poi  fra  gli  altri  che  ne  formano  Y  Appendice . 
Tuttavia,  non  ho  creduto  inutile  pubblicarli  oggi  separa- 
tamente ,  tanto  più  che,  essendo  essi  di  un  genere  quasi 


4  DI  UN  TRATTATO  PER  RIBELLARE  PRATO 

del  tutto  nuovo,  richiedevano  senz'altro   una  particolare 
illustrazione. 

E  in  primo  luogo  non  sarà  fuori  del  mio  proposito  il 
dare  alcune  speciali  notizie  circa  il   Potestà  di  Firenze. 

Pochi  hanno  fin  qui  discorso,  o,  direni  meglio,  ap- 
pena toccato  di  un  tale  ufficio  :  difetto  questo  (sia  detto 
per  incidenza)  che  distendendosi  a  molti  altri  uffici, 
così  civili  come  militari  ed  ecclesiastici ,  e  non  della  sola 
Firenze  ma  quasi  d'ogni  parte  d' Italia ,  fa  sì  che  le  istitu- 
zioni italiane  del  medio  evo  non  peranco  sieno  conosciute 
quanto  sarebbe  il  bisogno.  Lorenzo  Cantini,  ne' suoi  Saggi 
d' Antichità  Toscane 3  è  forse  il  solo  che,  tenendo  a  guida 
lo  Statuto  del  nostro  Potestà ,  ci  abbia  dato  molti  e  pre- 
ziosi ragguagli  sulla  natura  del  suo  ufficio ,  sui  suoi 
ufficiali  e  sul  modo  loro  di  procedere  e  di  sentenziare. 
Ma  ben  s' intende  quanto  scarse  e  incompiute  dovean 
riuscire  quelle  notizie  in  un  libro  di  piccola  mole ,  e 
nel  quale ,  giusta  il  suo  titolo ,  dovea  parlarsi  di  altre 
e  sì  svariate  materie  (1).  Ne  a  tale  scarsezza  supplisce  , 
se  non  in  parte ,  lo  Statuto  che  abbiamo  a  stampa 
del  1415  (2)  ;  compilazione  fatta  quando  già  erano  stati 
riuniti,  col  titolo  di  Statuto  del  Comune,  i  due  partico- 
lari Statuti  del  Potestà  e  del  Capitano  del  popolo  (3)  ,  e 
l'autorità  e  importanza  de'  due  uffici  era  non  poco  sce- 
mata. Io  credo  che  a  voler  bene  valutare  una  istituzione 
qualunque,  e   trarne    utili  ammaestramenti,  non  basti, 


M)  L'Opera  del  Cantini  è  compresa  in  dieci  piccoli  volumetti  in  12°  Oltre  - 
dichè  ò  a  notarsi,  che  di  antiche  Istituzioni  Toscane  l'autore  propriamente 
non  parla  che  nei  primi  tre  volumi  ;  spendendo  gli  altri  (invero  con  poco 
frutto  per  la  genealogia  e  per  la  storia)  a  dar  magre  notizie  delle  famiglie  che 
goderono  il  Priorato  in  Firenze. 

(2)  Friburgo  (falsa  data;,  I77S-8L  Voi.  3  in  4.°  Il  primo  volume  non  ha 
data  d'anno. 

(3)  La  prima  compilazione  che  dei  due  Statuti  ne  fece  un  solo  è  quella 
del  4408  ,  diretta  da  Giovanni  da  Montcgranaro  dotto  giureconsulto  ,  e  perciò 
comunemente  nota  sotto  il  titolo  di  Statato  dd  Montegranaro. 


Al,    COMUNE    DI    FIRENZE  5 

per  dir  così,  conoscere  l'ultimo  resultalo  delle  trasfor- 
mazioni da  essa  subite  nei  vari  tempi ,  ma  sia  d'  uopo 
di  seguir  mano  a  mano  queste  trasformazioni  medesime, 
in  altri  termini,  sia  d'uopo  farne  la  storia.  Ora,  la 
storia  del  Potestà  di  Firenze ,  ugualmente  che  quella 
del  Capitano  del  popolo  (che  è  quanto  dire  la  più  gran 
parte  delle  civili  e  politiche  istituzioni  di  quella  illustre 
repubblica),  con  lo  Statuto  del  1415  non  si  conosce.  -  Da 
questa  compilazione  risalendo,  noi  troviamo  prima  quella 
del  1408,  indi  l'altra  del  1355,  delle  quali  sono  anche  due 
originali  in  volgare,  prezioso  monumento  di  lingua,  e 
finalmente  quella  del  1324  ,  eh' è  la  più  antica  intiera  che 
si  conosca  (1).  Delle  quali  compilazioni  giovandoci ,  non 
meno  che  delle  successive  aggiunte  e  riforme ,  potremmo 
agevolmente  dar  mano  a  una  nuova  e  vera  pubblica- 
zione dello  Statuto  Fiorentino  :  il  qual  esempio  potrebbe 
esser  seguito  da  altre  città  e  terre  d' Italia  ,  e  sarebbe 
davvero  opera  degna  d'un  secolo ,  che  con  tanto  amore 
s'  è  dato  allo  studio  della  storia  nei  monumenti.  Dei 
quali  invero  si  veggono  tuttodì  comparire  per  le  stampe 
nuove  pubblicazioni  ;  ma  non  tutte  (sia  lecito  il  dirlo)  rag- 
giungono per  l' importanza  il  fine   per  cui  vengon  fatte. 

Ma  tornando  ai  nostri  documenti ,  dico  che ,  volendo 
dare  sul  Potestà  di  Firenze  ,  quelle  notizie  che  paiono 
indispensabili  alla  perfetta  loro  intelligenza  ,  ci  è  neces- 
sario ,  in  mancanza  di  libri  a  stampa ,  ricorrere  ad  altri 
inediti  documenti,  in  special  modo  allo  Statuto  e  agli 
Atti  stessi  di  quel  magistrato. 

È  noto  come  il  Potestà  di  Firenze  stesse  in  ufficio  sei 
mesi,  e  al  tempo  di  che  parliamo,  avesse  stanza  nel  pub- 
blico palagio  ,  detto  oggi  Palazzo  Pretorio  o  del  Bargello, 


\)  Chiamo  intiere  le  compilazioni  che  recano  lutti  e  due  gli  Statuti,  del 
Potestà  e  del  Capitano;  i  quali  si  rinnuovarono  sempre  contemporaneamente, 
ciascuno  da  per  sé.  fino  all'anno  1408,  come  sopra  è  detto.  Del  solo  Capitano 
esiste  in  quest'Archivio,  con  le  altre  compilazioni  sopraccennate,  anche  una 
compilazione  dell'anno  1321. 


6  DI  UN  TRATTATO  PER  RIBELLARE  PRATO       ' 

posto  nei  popoli  di  Sant'Apollinare  e  Sa'  Stefano  della  Ba- 
dia. Al  suo  entrare  in  ufficio  egli  dovea  menare  con  se 
«  undici  buoni  et  experti  di  ragione  e  di  fatto  e  leali ,  e 
«  che  abbiano  fatto  l'oficio  de  l'advocatione  per  sei  anni  ; 
«  tra  li  quali  sieno  almeno  tre  dottori  di  leggi.  Delli  quali 
«  giudici  due  ne  sieno  collaterali  et  assessori  del  detto 
«  messere  podestade  ;  quattro  de'  rimanenti  sieno  dipu- 
«  tati  alli  maleficii ,  cioè  uno  in  ciascuno  quartiere  ;  e  li 
«  altri  ira  alle  civili ,  cioè  uno  in  ciascuno  quartiere  ; 
«  l'ultimo  sia  diputato  a  l'officio  della  gabella  e  della 
*  Camera  del  Comune  di  Firenze.  Item  ,  tre  cavalieri  o 
«  vero  compagni  ,  e  xxxm  notari....  Item  ,  abbia  lo  detto 
«  messere  podestade  xir  donzelli  e  xvm  cavalli  ,  de  li 
«  quali  almeno  li  xn  sieno  da  arme  ;  et  lxxx  berrovieri  ». 
Così  lo  Statuto  volgare  del  1355  (1) ,  che  in  questa  parte 
è  al  tutto  conforme  all'  altro  del  1324.  Ma  il  numero 
di  questi  ufficiali  non  si  mantenne  sempre  il  medesimo. 
Dagli  atti  criminali  del  Potestà  (che  è  la  sola  parte  di 
cui  ci  dobbiamo  occupare  in  queste  pagine),  si  rileva  per 
esempio ,  che  i  giudici  de'  malefizi ,  molto  prima  che  si 
facesse  una  nuova  compilazione  dello  Statuto ,  e  preci- 
samente nel  1369 ,  incominciarono  ad  essere  non  più 
quattro  ma  due,  ciascuno  dei  quali  sedeva  per  tre  mesi 
nei  due  quartieri  di  Santo  Spirito  e  Santa  Croce  ,  e  per 
gli  altri  tre  mesi ,  in  quelli  di  Santa  Maria  Novella  e 
San  Giovanni  (2).  Per  mezzo  di  questi  giudici  proce- 
deva il  Potestà  nelle  cause  criminali  in  due  modi,  cioè, 
per  via  d' accuse ,  o  per  via  d' inquisizioni.  Le  accuse 
eran  portate  al  Potestà  dall'offeso ,  o  dai  parenti  e  pro- 
curatori di  lui.  Ma  dove  questi  si  astenessero  dall'accusa, 
ovvero  si  trattasse  di  pubblici  malefizi ,  per  cui  non  solo 

(4)  Libro  I,  rubrica  VI  :  Delli  oficiali  e  famiglia  di  messer  la  podestade  e  del 
suo  salario. 

(2)  Questa  mutazione  de'  giudici ,  come  pure  di  lutti  gli  altri  suoi  ufficiali 
e  famiglia  ,  era  espressamente  comandata  al  Potestà  dallo  Statuto.  Lib.  ci!., 
nibr.  VII  :  Del  cambi tntcn'o  de'  iudici  e  de'  notivi  di  messer  la  podestidc. 


AL   COMUNE    DI   FIRENZE  i 

fossero  danneggiati  gì'  interessi  di  questo  o  quel  cittadino 
ma  di  tutto  insieme  il  paese ,  come  nel  caso  nostro  ; 
allora  si  procedeva  dal  Potestà  per  via  d' inquisizione  : 
la  quale  o  faceva  egli  di  suo  proprio  moto ,  o  per  depo- 
sizione e  ad  istanza  dei  rettori  secolari  della  città  e  del 
contado  (1).  Il  modo  che  vedremo  tenersi  dal  Potestà 
in  questo  processo  era  da  lui  seguito  anche  in  tutti  gli 
altri;  semplice  e  sbrigativo  ove  l'imputato,  come  allora 
dicevasi ,  fosse  già  stato  in  forza  del  Comune ,  più  lungo 
invece  e  più  complicato  nel  caso  opposto ,  a  motivo  della 
requisizione  e  citazione  di  lui  e  dei  testimoni ,  della  pro- 
clamazione del  bando  e  notificazione  di  esso  al  rettore 
del  luogo  di  dov'era  l'imputato;  e  finalmente,  per  il 
tempo  che  per  legge  dovea  correre  fra  l'uno  e  l'altro  di 
questi  atti  (2).  Se  dentro  il  termine  che  il  Potestà  asse- 


ti) I  rettori  dei  popoli,  de'pivieri,  e  dei  comuni  del  contado  e  distretto 
erano  propriamente  chiamati  Reggitori  e  Sindachi;  quelli  della  città,  dei  borghi 
e  de' sobborghi  ,  Cappellani:  e  gli  uni  e  gli  altri  doveano  dare  «  buona  sicurtà 
«  e  mallevadoria  »  di  denunziare  tutti  i  malefizi  che  si  commettessero  nella 
loro  giurisdizione.  Loc.  cit  ,  rubr.  LX  :  Della  chiamata  et  oficio  de' Regitori  e 
Sindachi  de'  popoli  e  delle  ville  del  contado  di  Firenze. 

2)  La  citazione  dell  imputato  si  commetteva  dal  giudice,  per  due  giorni  di 
seguito  'cioè  nel  giorno  dell'accusa  o  inquisizione  ,  e  nel  seguente) ,  a  due  di- 
versi messi  del  Comune  ,  uno  per  giorno.  Trascorsi  per  solito  dieci  di  dalla 
citazione  senza  che  fosse  comparso  l'imputato,  il  giudice  procedeva  al  bando 
contro  di  lui  per  mezzo  di  un  pubblico  banditore,  notificandolo  come  sopra  è 
detto  ,  o  per  lettera  o  a  voce  per  uno  dei  pubblici  messi.  Nel  bando  erano 
inoltre  assegnati  ali  imputato  altri  tre  giorni  per  comparire  e  fare  le  sue  di- 
fese- -  Abbiamo  rammentato  i  pubblici  messi  e  bandilori  del  Comune.  Non  sarà, 
credo,  inutile  riferire  qui  le  parti  più  importanti  del  loro  ufficio.  L'ufficio 
dei  messi  ,  ch'erano  eletti  «  per  li  consiglieri  del  Consiglio  di  messere  la  pode- 
stade  »,  era  il  seguente  «  ....Che  ciascuno  messo  del  detto  Comune  sia  tenuto 
'<  e  debba  nelle  richeste  ,  citazioni  e  comandamenti  che  farae  da  parte  o  di  co- 
«  mandamento  d'alcuno  rectore  o  oficiale  del  Comune  di  Firenze  apo  la  casa 
«  de  l'habitatione  del  richesto  o  citato,  o  di  colui  alla  casa  de  l'habitatione 
«  ilei  quale  farà  comandamento  ,  lasciare  la  cedola  della  richesta  ,  citazione  e 
«  comandamento  scritta  ,  che  contenga  a  cui  petitione  e  di  cui  comandamento, 
«  et  a  che  richiede,  cita  o  comanda  ,  e  '1  nome  del  messo,  applicala  o  confitta 
«  publicamenle  a  l'uscio  della  casa  de  l'habitatione  predella.....  Ma  se  quello 
«  cotale  che  dovrà  essere  richesto  o  citato  non  avesse  casa  o  abitatione  nella 
«  cittade  o  nel  contado  o  nel  distretto  di  Firenze,  ma  sia  vaeabundo,  o  dimo- 


8  DI  UN  TRATTATO  PER  RIBELLARE  PRATO 

gnava  sempre  all'imputato  per  fare  le  sue  difese ,  anche 
nel  caso  che  fosse  stato  reo  confesso,  comparivano  pro- 
curatori e  testimoni  in  suo  favore  (1) ,  e  questi  riuscivano 


«  reme  fuori  Hella  cittade  e  del  distretto  di  Firenze  ;  sia  richesto  publica 
«  mente  nelle  pinze  di  San  Invanni  Batista  ,  d'Orto  San  Michele,  di  Mercato 
«  Nuovo  e  Vecchio;  e  pongasi  simile  cedola  alla  porta  del  Palagio  del  Comu- 
«  ne;  et  ivi  per  quello  cotale  messo  si  lasci  applicata  o  confitta  palesemente 
«  e  pubicamente,  acciò  che  possa  a  tutti  essere  manifesto.  Et  se  alcuno  messo 
«  farà  contro,  o  vero  sarà  negligente  a  fare  le  predette  cose  o  alcuna  di  quelle, 
«  sia  condannato  in  libre  xxv  picciole  ,  e  più  e  meno,  raguardata  la  qualitade 
«  del  fatto  e  la  conditione  de  la  persona.  ..  »  (Stat.  cit.  ,  lib.  cit.  ,  rubr.  XLVII: 
Della  chiamala  et  oficio  de  messi  del  Comune  di  Firenze.)  Queste  erano  infine  le 
parti  più  importanti  dell'ufiìcio  dei  banditori,  che  erano  quattro,  uno  per 
quartiere,  eletti  per  un  anno  dai  Priori  e  Gonfaloniere  di  giustizia,  dai  XII 
Buonur.mini  e  dai  proposti  de' Gonfalonieri  di  compagnia:  «  ..  .  Ancora  sieno 
«  tenuti  e  debbano  fare  tutti  e  ciascuni  bandi  a  cavallo  ,  pubblicamente  e  ad  alta 
«  boce  ,  nelli  luoghi  usati  per  la  cittade  e  borghi  e  soborghi  della  cittade  di 
«  Firenze;  et  se  facessero  contro,  sia  condannato  ciascuno  di  loro  in  soldi  e 
«  piccioli  per  ciascuna  volta.  Et  li  detti  banditori  non  possano  o  debbano  isban- 
«  dire  alcuno  nella  corte  del  Palagio  del  Comune  di  Firenze  o  di  fuori,  presso 
«  alla  porta  del  detto  Palagio,  sotto  pena  di  libbre  XXV  picciole,  per  ciascuno 
«  e  per  ciascuna  volta....  Et  siano  tenuti  li  banditori  predetti  di  sbandire  tutti 
«  e  ciascuno  che  si  dovranno  isbandire  ;  se  tìa  cittadino  ,  3po  la  casa  nella  con- 
«  trada  di  colui  che  si  dovrà  isbandire;  et  se  fia  del  contado  o  distretto  di  Fi- 
«  renze  o  forestiere ,  nella  piaza  d'Orto  San  Michele ,  et  apo  i!  Palagio  del 
«  Comune.  Et  li  detti  banditori  debbano  avere  trombette  d'ariento  a  loro  pro- 
ri  prie  spese  ,  et  trombare  una  volta  anzi  che  bandisca  ,  a  ciò  che  meglio  s'in- 
«  tenda  il  bando.  Et  che  li  detti  banditori  sieno  tenuti  e  debbano  fare  li  ban- 
«  dimenti  ne' luoghi  usati,  et  ancora  in  ciascuna  parochia  di  calonaca  e  di 
«  popolo,  et  in  ciascuna  contrada  e  borgo  minutamente  di  ciascuno  quartiere..  . 
«  Et  li  predetti  banditori  sieno  tenuti  di  bandire  in  lutti  e  ciascuni  luoghi  e 
«  crocicchi  di  vie  che  di  nuovo  si  facessero  sotto  pena  di  soldi  e  piccioli  per 
«  ciascuna  volta.  ..  Et  che....  habiano  et  avere  sieno  tenuti  e  debbano,  tutto  il 
«  tempo  del  loro  oficio,  tre  cavalli  o  ronzini  alle  loro  propie  spese  e  pericolo, 
»  di  valuta  e  stima  ci i  xv  fiorini  d'oro  per  ciascuno  eavallo  o  ronzino.  Li  (piali 
..  di  die  debbano  tenere  presso  al  Palagio  del  Comune  .  apparecchiali  per  fare 
n  lo  loro  •  Scio  ,  sotto  pena  di  libre  xxv  di  piccioli ....  Et  neuno  di  loro  tenga 
«  il  cavallo  nella  corle  del  Palagio  del  Comune  di  Firenze  sotto  pena  di  soldi  r, 
«  piccioli  »  ec.  (Stat.  cit.,  lib- cit.,  rubr.  XLII1  :  Della  chiamata  ri  ofiàode'ban- 
dilori  del  Comune  <ii  Firenze. 

l,  Solo  dopo  il  bando,  comparivano  per  solito  questi  procuratori  e  testi- 
moni, per  -1  ì  esami  de' quali,  come  pure  di  quelli  che  produceva  la  parte 
avversa  a  sostenere  l'accusa  .  si  aggiungevano  sempre  nuove  e  più  lunghe  di- 
lazioni alla  spedizione  dei  processi  Tuttavia  erano  designati  dallo  Statuto  certi 
termini  alla  spedi/ione  di  questi  processi.  Il  pio  lungo  era  di  quaranta  giorni  , 


AL   COMUNE    DI   FIRENZE  9 

a  scolparlo,  in  tal  caso  si  dichiarava  non  esser  più 
luogo  a  procedere  contro  di  lui ,  e  si  chiudeva  o 
circondava  il  processo  (1)  ;  se  poi  non  compariva  alcuno, 
o  la  difesa  non  valeva,  si  andava  oltre  alla  sentenza. 
Quando  l'accusato  non  era  mai  comparso  durante  il  pro- 
cesso ,  si  condannava  in  contumacia  ;  lasciandosi  ai 
Potestà  che  sarebbero  stati  pe'  tempi  la  esecuzione 
della  sentenza ,  caso  mai  fosse  capitato  in  forza  del 
Comune.  Ma  nei  casi  come  il  nostro ,  non  appena 
erasi  pronunziata  la  sentenza  (solita  darsi  nel  pubblico 
generale  Consiglio  del  Comune ,  adunato  a  suono  di 
campana  ed  a  voce  di  pubblico  banditore  )  (2) ,  che  dal 
Potestà  n'  era  commessa  1'  esecuzione  ad  uno  de'  suoi 
cavalieri  compagni,  il  quale  accompagnava  il  reo,  con- 
dotto dalla  famiglia  del  Potestà  al  luogo  della  giustizia, 
e  quivi  stava  durante  l'esecuzione,  e  fino  a  che  (se  que- 
sta era  capitale)  non  gli  era  ciato  per  morto  (adsignatus 
prò  mortuo)  dai  messi  del  Comune.  Dopodiché  tornava 
al  Palagio ,  e  per  mezzo  di  un  pubblico  instrumento , 
scritto  dal  notaro  medesimo  che  aveva  stesa  la  senten- 
za,  e  che  insieme  con  lui  era  stato  presente,  faceva  al 
Potestà  la  relazione  del  fatto.  L' esecuzione  poi  e  la 
relazione  si  facevano  per  solito  il  giorno  stesso  nel 
quale  erasi  pronunziata  la  sentenza. 

Nella  nostra  città  non  sempre  fu  lo    stesso    il    luogo 
ove  si  eseguirono  le  sentenze  (3).  Ma  al   tempo   di   che 

«  annoverando  dal  die  della  scusa  dello  incolpato  ».  Ma  se  questi  non  compariva, 
allora  doveano  essere  spacciali  dentro  trenta  giorni  dalla  prima  citazione.  Stat. 
cit.,  lib.  Ili,  rubr.  VII  :  Infra  che  tempo  si  debbano  terminare  le  questioni  criminali. 

(<)  Tutti  quei  processi  che  finivano  o  con  una  sentenza  assolutoria  ovvero 
con  la  condanna  ed  esecuzione  di  essa  ,  si  trovano  nei  libri  del  Podestà  tutti 
circondati  e  chiusi  fra  linee  ,  a  differenza  di  quelli  che  ,  o  per  non  essere  mai 
comparso  l'imputalo,  o  per  altra  qualsiasi  ragione,  rimanevano  sempre  sospesi. 

(2.  Stat.  cit,  ,  lib.  Ili  ,  rubr.  V  :  De  V  iur amento  di  messer  la  podestade  e  dei 
suoi  ofìciali  e  famiglia. 

(3)  Vedi  su  tal  proposito  la  illustrazione  sulla  Porla  alla  Giustizia  ,  pub- 
blicata dal  sig.  Gio.  Battista  Uccelli  ,  in  appendice  alla  sua  Lezione:  Della 
Compagnia  della  Croce  al   Tempio  ec.  Firenze,  4  861. 

Arch.  St.  [tal,  3.»  Serie,  T.  X  ,  P.  I.  2 


10  DI  UN  TRATTATO  PER  RIBELLARE  PRATO 

parliamo  aveano  esse  luogo  fuori  la  Porta  a  San  Fran- 
cesco ,  più  comunemente  detta   allora   e  poi    Porta  alla 
Giustizia.    Quivi    in  faccia  era  la  strada ,    per   cui  forse 
passavano  tutti  coloro   ch'eran  tratti  al   patibolo ,    detta 
perciò  da  loro   Via  dei  Malcontenti ,   nome   che  tuttora 
conserva.  Ma  per  giunger  colà  par  certo  che  i  condannati 
non  sempre  tenessero  la  stessa  via  ;  la  quale  anzi  era  o 
più  lunga   o  più  breve ,    secondo  la  maggiore    o   minor 
gravità  del  loro  delitto ,  e  secondochè   essi    dovevano    o 
no  sopportare    pubblici   tormenti   innanzi  alla  morte.    Il 
Monaldi,  parlando  del  supplizio  del  nostro  ser  Piero,  dice: 
«  fu  attanagliato....,  ed  innanzi  che  fussi  a  Santa  Reparata 
*  morì  »  (1).  Nella  predetta  via  de'  Malcontenti  e  fuori  la 
Porta  alla  Giustizia ,  presso  al  luogo  stesso   ove  si  ese- 
guivano  le  sentenze  ,    erano  due  cappelle  della  Compa- 
gnia detta  de'  Neri  o  della  Croce  al  Tempio,  il  cui  pio  isti- 
tuto era  di  assistere  e  confortare    i   condannati  ch'eran 
tratti   al    supplizio  (2)  :   ai   quali   nei  più   antichi   tempi 
negavano  le  leggi  ogni    aiuto  divino   ed  umano ,  e  per- 
fino le  loro  ossa   non  voleano  riposte  in  luogo    sacrato. 
Lascio  di  notare  come  si  apprestasse  la   morte   ai  con- 
dannati ,    pena  atroce  sempre ,   più  atroce  e  più  penosa 
in  allora,    massime    per   la   cattiva   natura   degli  stru- 
menti  che    a   ciò   si   usavano ,  e  spesso    ancora   per  la 
imperizia  del  carnefice.  Solo  dirò  quanto    al   genere  dei 
supplizi ,  che  il  laccio  era  per  solito    riserbato    a'  rei  di 
furto ,  il  taglio    della    testa    ai    rei    d'omicidio  o  d'altro 
pubblico  malefizio  ;  e  che  era  in  arbitrio  del    Potestà  di 
variare  e  crescere  la  pena    (  talvolta   con    inauditi    tor- 
menti innanzi  alla  morte),  giusta    la  maggiore  gravità 


(1)  Diario,  stampato  in  seguilo  alle  Istorie  Pistoiesi.  Prato,  1835,  pag.  507. 
È  qui  il  luogo  di  notare,  che  (vero  o  no  die  il  nostro  Ser  Piero  morisse  per 
via)  la  sentenza  fu  eseguita  in  ogni  sua  parte  al  consueto  luogo  della  giustizia  , 
come  ci  attestano  i  nostri  documenti. 

(2)  V.  Uccelli  cit. ,  Della  Compagnia  della  Croce  al  Tempio  ec. 


AL   COMUNE    DI    FIRENZE  11 

del  delitto  ,  ed  in  quei  casi  che  specialmente  non  fossero 
stati  contemplati  dallo  Statuto  (1). 

Esposto  così  quello  che  era  necessario  all'intelligenza 
dei  nostri  documenti  circa  l'ufficio  del  Potestà,  vediamo 
brevemente  quel  che  può  trarsene  a  illustrazione  nuova 
del  fatto  ch'essi  ci  narrano. 

Ser  Piero  di  Puccio  da  Canneto ,  parlando  la  prima 
volta  con  frate  Niccolò,  chiamato  da  lui  a  parte  del  suo 
tradimento ,  dice  che  coloro  che  reggono  Prato  son 
Ghibellini  (forse  della  fazione  opposta  a  quella  degli  Al- 
bizzi ,  che  a  quel  tempo  rappresentava  in  Firenze  la 
parte  guelfa),  e  soggiunge  che  da  loro  è  maltrattato,  e 
perciò  vuol  pagameli.  Quali  fossero  per  appunto  questi 
cattivi  trattamenti  di  cui  si  lagna ,  e  qual  premio  spe- 
rasse avere  del  suo  tradimento  non  sappiamo ,  tacendo 
in  questa  parte  tutte  le  memorie  del  tempo  e  il  processo 
medesimo.  Comunque  sia,  egli  venne  in  pensiero  di 
tradire  la  terra  di  Prato  al  Cardinale  di  Sant'Angelo 
legato  a  Bologna  ;  al  che  forse  spronavanlo ,  da  un  lato 
l'avarizia  e  ambizione  dei  Legati  del  Papa ,  dall'altro  i 
malcontenti  che  da  tempo  covavano  tra  i  Fiorentini  e  la 
Chiesa ,  ultimamente  accresciuti  (1374)  per  non  aver  vo- 
luto la  Repubblica  aiutare  il  Papa  nella  guerra  contro  i 
Visconti ,  e  per  essersi  il  Cardinal  di  Sant'Angelo  rifiu- 
tato di  mandar  grano  a  Firenze  nella  terribile  carestia 
che  tanto  afflisse  quella  città. 

Il  Cardinale  di  Bologna,  o  che  veramente  non  volesse 
farsi  colpevole  di  un  tale  attentato ,  ossivvero  che  il 
disegno  di  Ser  Piero  paresse  a  lui  (com'era  infatti)  inde- 
gno d'un  uomo  savio  e  sottile  di  spirito,  com'è' si  vanta 
d'essere  nei  nostri  documenti ,  rifiutò  apertamente  di 
prender  parte  al  trattato.  La  qual  cosa  invero  è  a  notarsi, 


(1)  Stat.  cit. ,  lib.  Ili,  rubr.  IV  :  Che  dove  la  pena  non  è  determinata ,  sia  ne 
l'arbitrio  della  podcstade. 


12  DI  UN  TRATTATO  -PER  RIBELLARE  PRATO 

trovandosi  che  gli  scrittori  contemporanei  s'accordano 
quasi  tutti  nell'opinione  contraria  (1).  Ma  il  Castellano 
di  Barga,  che  il  nostro  Ser  Piero  volle  metter  mezzano 
tra  lui  e  il  Cardinal  di  Bologna ,  dopo  avere  a  nome  di 
quest'ultimo  ricusate  le  offerte  del  traditore ,  aggiunge 
che  una  compagnia  d'armati  sarebbe  in  breve  stata  nel 
Mugello  per  poi  recarsi  nel  territorio  di  Prato ,  mentre 
un'altra  compagnia,  venendo  per  la  Garfagnana,  entre- 
rebbe in  quel  di  Pistoia  ;  quasi  volesse  dire  che  poteva 
esser  quella  una  buona  occasione  a  tentare  novità.  Ed 
invero ,  nella  suddetta  Memoria  io  esposi  i  motivi  per 
i  quali  al  Cardinale  di  Sant'Angiolo  e  forse  anche  al  Papa 
non  poterono  per  avventura  dispiacere  (senza  che  poi  li 
procurassero  o  cercassero  di  farne  il  lor  prò)  quei  nuovi 
danni  che  allora  colpirono  i  Fiorentini.  Del  resto ,  sé 
quella  gente  d'arme ,  la  cui  comparsa  in  Toscana  fu 
appunto  l'ultima  cagione  della  guerra  tra  i  Fiorentini  e 
la  Chiesa,  venisse  veramente  a  istanza  del  Cardinale  di 
Bologna ,  come  dicono  le  nostre  cronache  ,  ossivvero  di 
suo  proprio  moto ,  non  si  rileva  dai  nostri  documenti. 

Resterebbe  ora  a  dare  qualche  speciale  notizia  delle 
persone  nominate  nei  documenti,  e  che  più  ebber  parte 
nelle  pratiche  che  in  quelli  si  narrano.  Ma  intorno  a  ciò 
ben  poco  può  aggiungersi  a  quello  che  ne  dicono  i  do- 
cumenti stessi  ;  che  solo  per  quelle  pratiche  furono  i 
loro  nomi  registrati  nelle  memorie  del  tempo,  e  giunsero 
Ano  a  noi.  Infatti ,  chi  fosse  allora  il  Castellano  di 
Barga  nel  contado  di  Bologna,  che  più  d'una  volta  ebbe 
a  trattare  col  nostro  ser  Piero,  e  che  già  vedemmo 
recare  a  lui  la  risposta  del  Cardinale,  non  lo  dicono 
ne  documenti  nò  storie.  Di  ser  Piero  di  Puccio  da  Can- 
ti) V.  Marchionnb  Stefani,  nel  lib.  IX  della  sua  Istoria  Fiorentina  (Deli- 
zie degù  Eruditi  Toscani.  XIV,  U9):  Monaldi,  Diario  cit.,  pag-  507;  e  final- 
riferite  la  Cronaca  d'Incerto  edita  dal  Manni  ira  le  sue  Cr (michette  Antiche.  Firen- 
ze, 1703,  pa^.  203. 


AL    COMUNE    DI    FIRENZE  13 

neto  (1),  notaio  e  non  già  prete  come  scrisse  Marchionne 
Stefani  (2),  (tratto  forse  in  inganno  dalla  voce  ser „ 
solita  preporsi  in  quel  tempo  a  nomi  di  notai  e  di  pre- 
ti )  (3) ,  non  altro  sappiamo  se  non  che  egli  abitava 
in  Prato  ,  nella  via  di  porta  al  Travaglio,  oggi  al  Ser- 
raglio (4),  e  che  negli  anni  1360  e  1373  esercitò  l'ufficio 
di  pubblico  notaio  del  potestà  di  Prato  (5);  donde  forse 
acquistò  quella  minuta  notizia  di  ogni  più  riposta  parte 
del  palazzo  di  quel  magistrato,  il  quale,  come  vedremo, 
doveva  essere  il  luogo  principale  dello  svolgimento  di 
tutta  quanta  la  trama.  Finalmente  di  fra'Niccolò  di  Bon- 
compagno  pratese,  il  solo  vero  complice  di  quel  trattato, 
si  ha  da  questi  documenti  che  fu  rettore  della  chiesa  di 
San  Giusto  a  Sezzana,  nel  contado  di  Pistoia;  né  oltre 
a  ciò  nulla  si  conosce  ,  se  non  che  fu  anch'egli  giustiziato 
in  Firenze ,  al  modo  stesso  del  notaio  da  Canneto ,  dieci 
giorni  dopo  di  lui  (6).  Della  quale  esecuzione,  benché  oggi 


(1)  Canneto  è  una  delle  ville  dell'antico  distretto  Pratese,  situata  a  due 
miglia  da  Prato  sulla  sinistra  del  Bisenzio. 

(2)  Istoria  cit.,  loc  cit.,  pag.  141.  Questo  medesimo,  seguendo  Io  Stefani, 
dice  anche  l'Ammirato.  Istorie  Fiorentine  ,  II  ,  639. 

(3)  In  altro  modo  non  sapremmo  renderci  ragione  di  questo  errore  dello 
Stofani.  Tutti  gli  altri  cronisti  e  questi  stessi  documenti  chiamano  il  nostro  ser 
Piero  sempre  e  solamente  notaio- 

(4)  Intorno  a  ciò  vedi  i  documenti.  Inoltre  in  un  libro  d'Estimi  de!  contado 
fiorentino  del  4361,  che  si  conserva  in  quest'Archivio,  intitolato  Capi  di  famìglia, 
quartiere  Santa  Maria  Novella,  si  trova  a  e.  362  t.  la  seguente  partita: 

«  Puccio  Casi ,  1 

«  Ser  Piero  suo  fìlliuolo  ,  f     , . 

Lire  l  ». 
«  Monna  Margherita  [di   Manecto  e    l 

«  Giovanni  Guarducci  ' 

(5)  Vedi  in  quest'Archivio,  sezione  del  diplomatico,  le  due  carte  prove- 
nienti dagli  Spedali  di  Prato,  del  1360,  23  dicembre,  e  1373,  11  ottobre.  Due 
altre  carte  rogate  pure  da  lui ,  non  però  come  notaio  del  Potestà ,  esistono  nel 
detto  Archivio,  provenienti  come  sopra,  e  sono  dell'anno  1363,  13  di  novem- 
bre e  31  di  .dicembre. 

(6)  «  Martedì,  a  dì  10  di  luglio,  furono  levate  le  carni  in  sul  carro  ad  un 
«  monaco  bigio  ,  prete ,  il  quale  era  consenziente  al  tradimento  di  Prato  ,  ed 
a  era  con  chierica  larga;  e  poi  fu  propaginato  ».  Mo.naldi,  Diario  cit. ,  pag.  507. 


14  DI  UN  TRATTATO  PER  RIBELLARE  PRATO 

non  se  ne  trovino  più  i  documenti,  chiaro  apparisce,  oltre 
all'attestazione  dei  cronisti ,  dal  processo  stesso  formato 
più  tardi  da  papa  Gregorio  XI  contro  i  Fiorentini  ;  dove 
fra  le  altre  colpe  è  apposta  loro  anche  quella  d'aver 
fatto  uccidere  barbaramente  fra'  Niccolò  (1). 

Alessandro  Gherardi. 


(4)  Vedi  Archivio  Storko  Italiano,  III  Serie,  Tom.  V,  Par.  II,  pag.  73. 


AL    COMUNE   DI   FIRENZE  15 


DOCUMENTI 


(Da  un  libro  d'Inquisizioni  del  Potestà  ili  Firenze  del  1375,  segnato  di  u.  8, 
a  e.  38-41  t.  Collazionata  con  due  altri  esemplari  esistenti  nei  libri  di  Sen- 
tenze del  detto  Potestà,  segnati  di  n    15  e  17,  a  e.  24-27  e  19-22  t.) 

In  Christi  nomine  amen. 

Hec  est  quedam  inquisitio  quam  faciunt  et  tacere  inten- 
dunt  nobilis  et  potens  dominus  Laurentius  quondam  Ric- 
chardi  de  Sanguiugnis  de  Urbe,  milex,  honorabilis  Potestas 
civitatis  Florentie  eiusque  comitatus,  fortie  et  distriptus  (1); 
et  sapiens  vir  dominus  Abezutus  quondam  Gendarii  de  Pa- 
dua ,  Iudex  malleficiorum  ipsius  domini  Potestatis  ,  in  quar- 
teriis  Sancti  Iohannis  et  Sancte  Marie  Novelle  Comunis  et 
civitatis  Florentie  ,  per  ipsum  dominum  Potestatem  ad  ipsum 
offlcium  malleficiorum  specialiter  deputatus  ;  ex  eorum  et  cu- 
iusque  ipsorum ,  et  sue  curie  officio,  potestate  et  baylia,  con- 
tra  et  adversus 

Ser  Pierum  Puctii  de  Canneto ,  notarium  Comunitatis 
Florentie ,  et  nunc  liabitatorem  in  terra  Prati  comitatus 
Florentie  ,  hominem  male  condictionis ,  vite  et  fame  ,  ac  mi- 
cini m  et  pessimum  proditorem  diete  terre  Prati  et  civitatis 
Florentie;  in  eo  ,  de  eo  et  super  eo,  quod,  fama  publica  pre- 
cedente et  clamosa  insinuatione  referente  ,  non  quidem  a  ma- 
livolis  nec  suspectis  ,  sed  a  fidedignis  personis ,  ad  aures  et 
notitiam  ipsius  domini  Potestatis    et  Iudicis    et  eorum  curie 

(4)  Il  suo  uftìcio  durò  dal  10  aprile  al  10  ottobre  4375. 


16  DI  UN  TRATTATO  PER  RIBELLARE  PRATO 

sepe  sepius  auditu  pervenit ,  quod  dictus  ser  Pierus,  spiriti! 
diabolico  instigatus,  Deum  pre  oculis  non  habendo  ,  sed  po- 
tius  innimicum  Immane  generationis ,  nequiter  et  malo  modo 
et  animo,  et  intentione  infrascriptum  prodimentum  et  malle- 
lìcium  prodimenti  commictendi ,  de  anno  nuper  preterito ,  et 
mense  februarii  dicti  anni  mixit  prò  fratre  Nicolao  Boncom- 
pagni  de  terra  Prati  ,  rectore  ecclesie  Sancti  Iusti  de  Se- 
zana  ,  comitatus  et  epischopatus  Pistoni ,  ac  distriptus  et  iu- 
risdictionis  Fiorentine,  quemdam  nunptium  (de  cuius  nunptii 
nomine  non  recordatur),  quod  ipse  frater  Nicholaus  veniret 
ad  terram  Prati,  ad  loquendum  cum  dicto  ser  Piero.  Et  demum, 
cum  dictus  frater  Nicolaus ,  propter  predictum  nunptium  et 
ad  instantiam  dicti  ser  Pieri  ,„  venisset  ad  dictam  terram  Prati, 
ad  domum  habitationis  dicti  ser  Pieri ,  positam  in  terra  Prati, 
in  via  Porte  Travalee  ,  cui  ab  uno  latere  est  via,  ab  alio,  Pieri 
Iunte ,  ab  alio  ser  Gene  Dolceamore ,  causa  loquendi  cum 
ipso  ser  Piero ,  et  sciendi  quid  volebat  dicere ,  et  causam 
propter  quam  mixerat  prò  eo;  cui  fratri  Nicolao,  tunc  in  domo 
habitationis  ipsius  ser  Pieri  existenti ,  ipse  ser  Pierus  pro- 
ditor  predictus ,  animo  et  intentione  infrascriptum  prodimen- 
tum tractandi  et  perpetrandi  de  terra  Prati  comitatus  Flo- 
rence ,  et  animo  turbandi  paciflcum  statimi  Comunis  et  Populi 
civitatis  Florentie  ,  dixit  hec  verba ,  videlicet  : 

«  Frate  Nicholao,  io  ò  male  stato  in  Prato , però  che  co- 
«  storo  che  regono  sonno  gebellini,  et  da  loro  so'  mal  tractato; 
«  et  perù  ò  pensato  pagarnelli.  El  modo  sera  questo ,  ciò  è  : 
«  Se  7  Cardenale  de  Bologna  volesse  attendere  ad  volere  una 
«  terra  in  Toschana,  ciò  è  Prato,  ioglili  darrò  agevelemente. 
«  El  modo  ad  darlegli  sera  questo ,  eh'  io  procurerò  d'avere  le 
«  chiavi  del  palazzo  degli  Orto  de  Prato,  et  far  olle  de  cera 
«  ad  quella  forma  ,  et  poi  le  farro  fare  de  ferro.  Et  così 
«  procurerò  d'avere  la  chiave  picchola  che  apre  l'uscio, 
«  per  lo  quale  se  va  del  decto  palazzo  degli  Orto  nel  pa- 
«  lazzo  del  Podestà;  et  la  chiave  de  una  porta  de  Prato; 
«  el  prima  la  farro  de  cera  in  propria  forma  de  quelle.  Le 
«  quali  chiave  de  cera  arerò  per  quislo  modo,  die  arerò 
«  uno  fante,  che  ordenerò  che  s'acconce  cogli  Orto  per 
«  istanza.  Et  questo  fante  la  forma  de  le  diete  chiave  de 
«  cera  me  darrà,  secundo  ch'io  lo  'ridettero  ;  et  poi  le  farro 


AL   COMUNE    DI    FIRENZE  17 

«  fare  de  ferro.  Et  poi  arerò  xl  fanti,  de  li  quali  ne 
«  porrò  xx  a  la  decta  porta  :  et  quando  la  gente  della  Chiesa 
«  passarà  in  Toschana  presso  ad  Prato,  aprerò  la  decta 
«  porta  cole  decte  chiave;  et  mederò  dentro  in  Prato  la 
<<  decta  gente.  Et  coli' altri  xx  fanti  piglieròlu  palaczo  degli 
«  Octo;  et  per  lu  supr ade cto  uscio  co  li  decti  fanti,  intrerò 
«  nel  palaczo  del  Podesiade  /et  subito  per  forza  mederò  fore 
«  del  palazzo  el  Podestà  et  la  soa  fameglia  et  ufficiali,  et 
«  mederò  dentro  al  dedo  palaczo  la  decta  gente  della  Chiesa  ». 
Li  quali  fanti  el  dedo  ser  Piero,  el  dì  el  quale  se  fa  el  mer- 
cato ne  la  decta  terra  de  Prato ,  disse  de  medere  in  epsa 
terra  in  quisto  modo ,  ciò  è:  «  Che  ipso  farrebe  el  predecto 
«  di  del  mercato  medere  mano  ad  vendere  vino  ad  menuto 
«  ne  la  cella  de  la  casa  de  la  soa  habitatione  prededa;  et 
«  li  decti  fanti  farrebe  venire  ne  la  decta  cella  a  due  a 
«  due ,  a  bere  del  dedo  vino  ;  et  ne  la  decta  casa  gli  recepta- 
«  rebe ,  in  fino  ad  quillo  tetnpo  che  a  le  predede  cose  vo- 
«  lesse  dare  executione  ».  Et  ad  dare  la  decta  porta  de  la 
decta  teiera  de  Prato  disse  il  dedo  ser  Piero  che  terrebe 
quistu  modu ,  ciò  è:  «  Ch'io  procacerò  che  dui  mei  amici 
«  seranno  eledi  et  missi  a  la  guardia  de  la  decta  porta , 
«  allegando  che  abiano  debito ,  et  che  deputarli  a  la  decta 
«.  porta  sera  bene  ,  ad  ciò  che  no  potessero  essere  presi  per 
«  lor  debiti  ». 

Et  post  predicta  sic  narrata  et  dieta  ac  ordinata  per 
dictum  ser  Pierum  cuna  dicto  i'ratre  Nicholao,  dictus  ser 
Pierus  incontinenti  et  eodem  in  istante  ,  ad  hoc  ut  dictum 
pi-odimentuin  habilius  posset  tractare  et  ad  eflectum  perdu- 
cere ,  dixit  et  iniunxit  eidem  fratri  Nicholao,  quod  iret  ad 
castellanum  castri  Bargi,  comitatus  Bononie  ,  et  quod  eidem 
castellano  diceret  ac  exponeret  integraliter  omnia  que  supe- 
rius  sunt  dieta  et  narrata  per  dictum  ser  Pierum  ipsi  fratri 
Nicholao.  Et  dedit  eidem  quandam  scripturam  in  carta  bom- 
bacina,  vulgaliter  scriptam  maini  ipsius  ser  Pieri;  et  man- 
davit  ac  commixit  eidem  fratri  Nicholao  ,  quod  ipsam  scriptu- 
ram daret  et  presentaret  in  manibus  dicti  castellani.  Cuius 
([uidem  scripture  predicte  ,  vulgaliter  scripte  manu  dicti  sei- 
Pieri  ,  tenor  de  verbo  ad  verbum  per  omnia  talis  est ,  vi- 
delicet  : 

Arcu.  St.  Irvi..,  3."  Serie,  T.  X ,  P.  I.  3 


18  DI    UN  TRATTATO  PER  RIBELLARE  PRATO 

Nota  Maxima. 

«  Consideralo  lo  avenemento  del  nostro  Sanclo  Polve  , 
et  conio  lo  Comune  di  Firenza  con  tradementi  se  porta  co 
la  Sancta  Acchiesa,  lu  modo  c'è  d'avere  per  l'Acchiesa  una 
terra  en  Toschana ,  ciò  è  Prato  ;  dando  ordene  in  prima  , 
lo  quale  ordine  potè  slare  secreto  quanto  bisogna.  Et  pósi 
avere  la  decta  terra,  conio  V  uomo ,  a  sé  senza  fatiga  , 
et  non  corre  termino,  dato  prima  l'ordine  sopradicto.  Lo 
secreto  è  agevele.  Le  quali  cose  fa  uno  savio  et  sodile 
de  spirito  de  la  decta  terra:  et  posso  co  lui  ongni  cosa  fare 
corno  devoto  de  Sancta  Acchiesa,  et  nemicho  del  Comune 
di  Firenza.  La  quale  terra  àuta,  per  consequentìa  Firenze 
et  Pistoia  sonno  assediate ,  et  pósi  dire  perdute.  Et  perù,  se 
secretamente  ad  ciò  volete  entendere ,  pósi  fare  con  gran- 
dissimo honore  et  prode  de  Sancta  Acchiesa  ». 

Et  post  predicta  sic  audita  et  intellecta  per  dietimi  fratrem 
Nicliolaum  a  dicto  ser  Piero  proditore  ,  ac  recepta  dieta  litera, 
ut  superius  dictum  est,  idem  frater  Nicholaus  de  dicto  mense 
februarii  ivit  et  se  contulit  ad  castrimi  Bargi  predictum,  ad 
castellanum  elicti  castri,  qui  prò  ecclesia  dictum  castrimi 
tenebat  ;  et  eidem  castellano  integraliter  omnia  supradicta  et 
narrata  et  ordinata  per  dictum  ser  Pierum  proditorem  narravit 
et  dixit  :  ac  etiam  eidem  dedit  dictam  scripturam  vulgaliter 
scriptam,  sibi  i'ratri  Nicholao  traditam  per  dictum  ser  Pierum. 
Qui  castellarne  predictus,  auditis  predictis  eidem  integraliter 
narratis  per  dictum  fratrem  Niciiolaum ,  ac  recepta  et  visa 
dieta  scriptura  vulgaliter  scripta;  dixit  ac  respondit  eidem 
i'ratri  Nicholao  :  «  Ego  non  intelligo  liane  scriptam ,  et 
«  vellem  loqui  personaliter  cum  dicto  ser  Piero  ».  Et  tunc 
dictus  frater  Nicholaus  recepsit  de  castro  Bargi  predicto , 
et  venit  ac  redivit  ad  dictam  terram  Prati,  ad  dietimi  ser 
Pierum  proditorem  predictum  et  eidem  integraliter  retulit 
responsionem  quam  fecerat  dictus  castellanus  dicti  castri 
Bargi  :  videlicet,  quod  dictus  castellanus  volebat  personali- 
ter  loqui  cum  dicto  ser  Piero  proditore.  Qui  ser  Pierus  pro- 
ditor  predictus ,  audita  et  intellecta  responsione  dicti  ca- 
stellani ,    eidem  ser    Piero  dieta  et    narrata  per    dictum  Ira- 


AL   COMUNE    DI   FIRENZE  19 

freni  Nicholaum ,  respondit  et  clixit  eidem  fratri  Nicholao: 
«  Ego  volani  ire  ad  dictum  castellanum  castri  Barghi  predicti 
«  ad  loquendura  cum  eo  de  predictis  ;  et  volo  quod  veniatis 
«  mecum  ad  ipsum.  Unde,  dicatis  mihi  qua  die  vultis  venire  ». 
Qui  frater  Nicholaus  tunc  respondit  et  dixit  eidem  ser  Piero, 
quod  tunc  temporis  non  poterat  cum  eo  accedere  ad  dictum 
castellanum  ,  quia  tunc  habebat  facere  certa  facta  sua.  Deinde 
de  anno  presenti  et  mense  madii  nuper  preteriti  dictus  ser 
Pierus  proditor ,  volens  et  cogitans  dictum  prodimentum  et 
tractatum  proditionis  ad  effectum  perducere ,  duas  literas 
scripxit  et  mixit  dicto  fratri  Nicholao  ad  ecclesiam  Sancti 
Insti  de  Sezana  predictam ,  positam  in  comitatu  et  episcopati! 
civitatis  Pistorii.  In  quarum  literarum  ultima  continebatur  , 
quod  ipse  frater  Nicholaus  veniret  ad  loquendum  sibi  sei- 
Piero  ,  ad  villana  Valdagne  ,  positam  in  comitatu  Pistorii  (1). 
Qui  frater  Nicholaus,  receptis  ac  visis  dictis  licteris,  de  dicto 
mense  maii ,  nuper  preteriti ,  ivit  ad  dictum  ser  Pierum  pro- 
ditorem  antedictum,  ad  dictam  villam  Valdagne.  Et  tunc  idem 
ser  Pierus  et  dictus  frater  Nicholaus  existentes  in  dieta  villa 
Valdagne ,  in  loco  qui  dicitur  Accholla  (2) ,  ad  invicem  locuti 
fuerunt.  Et  volentes  ad  effectum  perducere  dictum  prodimentum 
et  tractatum  proditionis,  comunicato  Consilio  inter  eos  ,  simul 
iverunt  et  se  personaliter  contulerunt  ad  dictum  castrum 
Bargi,  causa  loquendi  cum  castellano  dicti  castri.  Et  ibidem , 
extra  dictum  castrum,  prope  tamen  ipsum  castrum,  in 
via  publica ,  cui  ab  uno  latere  est  via,  ab  alio  res  certo- 
rum  hominum  de  castro  Barghi,  a  iij°  via,  et  aliis  flnibus; 
cum  dictus  castellanus  ibidem  venisset  ,  dictus  ser  Pierus 
fuit  locutus  cum  dicto  castellano,  aliquantulum  tamen  remoto 
dicto  fratre  Nicholao  a  dictis  castellano  et  ser  Piero.  Et  quod 
tunc  dictus  ser  Pierus  cum  dicto  castellano  dixit,  narravit 
ac  tractavit  omnia  verba  prodictionis  supradicte  ;  videlicet 
dicendo  eidem  castellano  :  Che  s'el  Cardenal  de  Bologna  vo- 
lesse actendere   ad   volere  una   terra   in   Toscfiana ,  ciò   è 


(1)  Villa  Valdagna  o  di  Valdagna?  La  Valdagna  è  oggi  un  intero  tratto  di 
paese  nel  contarlo  di  Pistoia  ,  e  non  già  una  sola  villa.  Rf.petti  ,  Dizionario  geo- 
grafico-storico  della  Toscana- 

[2.)  Di  questo  luogo  non  è  falla  alcuna  menzione  nel  sopracitatu  Dizionario. 


20  DI   UN  TRATTATO  PER  RIBELLARE  PRATO 

Prato,  che  g liti  darrébe.  Et  eidem  castellano  dixit  se  tenere 
illuni  modura  in  dando  terram  Prati  predictam  officialibus 
et  pastoribus  ecclesie  ,  quem  supradixit  et  rationatus  f'uit  cum 
dicto  fratre  Nicholao ,  ut  superius  de  verbo  ad  verbura  con- 
tinetur.  Cui  ser  Piero  proditori  antedicto  idem  castellanus 
respondit  et  dixit:  «  Io  none  entendo  bene  queste  parole  che 
«  vui  me  rascionate ,  et  però  faiteme  una  scripta  in  gra- 
«  maticha  (\),  et  io  la  porterò  al  car  denaie ,  et  mostrerogli  ; 
«  et  poi  vi  responderò  ».  Et  hiis  dictis  et  ratiocinatis  ad  invi- 
cela cum  dicto  castellano  ,  ser  Pierus  proditor  antedictus  et 
dictus  frater  Nicholaus  recesserunt  a  dicto  castellano,  et  ad 
invicem  venerunt  usque  ad  quandam  villam  que  vocatur 
Migliana  (2) ,  de  comitati!  Pistorii  ;  et  ibidem ,  in  quadam 
taberna  simul  biberunt.  Postea  recepserunt  a  dieta  taberna  ; 
et  dictus  frater  Nicholaus  ivit  ad  dictam  ecclesiam  suam ,  et 
dictus  ser  Pierus  proditor  redivit  ad  dictam  terram  Prati. 
Deinde ,  in  principio  presentis  mensis  iunii  dictus  ser  Pierus 
proditor ,  cogitans  et  volens  ad  effectum  perducere  dietimi 
prodimentum  et  tractatum  prodictionis  ,  licteram  supra- 
dictam,  eidem  petitam  per  castellanum ,  scripxit  in  quamdam 
licteram ,  licteraliter  et  in  gramaticali  sermone  ;  in  qua  to- 
tus  tractatus  prodictionis  predicte  continebatur  :  et  ipsam 
per  quemdam  nunptium  mixit  prefato  fratri  Nicholao,  qui 
ipsam  portaret  et  portare  deberet  castellano  Barghi  pre- 
dicto.  Qui  frater  Nicholaus,  recepta  dieta  lictera,  sequenti 
die  ivit  et  se  contulit  ad  dictum  castrum  Barghi  cum  dieta 
lictera;  et  predicto  castellano  dictam  licteram  fecit  dari  et 
presentari ,  per  quemdam  qui  vocabatur  Iohannes  de  castro 
Barghi.  Et  hiis  factis ,  dictus  frater  Nicholaus  recepxit  inde , 
et  redivit  ad  ecclesiam  supradictam.  Et  post  predicta ,  die 
veneris  nuper  preterita ,  que  fuit  xxn  dies  huius  presentis 
mensis  ,  dictus  frater  Nicholaus  redivit  ad  castrum  Barghi 
prò  certis  eius  negotiis:  et  ibidem,  aliquantulum  extra  dictum 
castrum  Barghi,  invenit  dictum  castellanum;  a  quo  castellano 
petiit  responsionem  diete  lictere.  Cui  fratri  Nicholao  dictus 
castellanus  respondit  et  dixit  :  Quod  Cardenalis  Bononie  non 

(4)  Cioè ,  in  latino- 

(2)  S,  Maria  a  Migliana  è  uno  dei  piccoli  comuni  della   potesteria    del  Mon- 
tale, nella  valle  dell' Ombrone  pistoiese. 


AL   COMUNE    DI    FIRENZE  21 

volebat  actendere  ad  res  eidem  portatas  ,  scriptas  et  narratas 
per  dietimi  ser  Pierum  proditorem  inquisitimi.  Sed  dictus 
castellanus  dixit  eidem  fratri  Nicholao  :  «  Vos  cito  habebitis 
«  compagnam  in  Mugello ,  deinde  ipsa  veniet  in  territorio 
«  terre  Prati  predicte.  Et  una  altera  compania  veniet  per 
«  Carfagnanam  super  territorio  civitatis  Pistorii  ».  Et  hiis 
auditis  et  intellectis  a  dicto  castellano  per  dictum  fratreni 
Nicholaum  ,  ipse  l'rater  Nicholaus  recepsit  a  dicto  castellano  , 
et  ivit  ad  ecclesiam  supradictam.  Deinde ,  die  sabbati  nuper 
preterita,  que  fuit  dies  xxiii  presentis  mensis  iunii ,  dictus 
l'rater  Nicholaus  ivit  ad  predictam  terram  Prati ,  et  se  contu- 
lit  ad  predictam  domum  habitationis  dicti  ser  Pieri  prodito- 
ris  ;  et  eidem  ser  Piero  responsionem  eidem  factam  per  dictum 
castellanum ,  et  omnia  per  ipsum  castellanum  eidem  dieta  , 
ut  superius  continetur ,  dixit  et  exposuit  integraliter ,  prout 
dictus  castellanus  eidem  dixit.  Qui  ser  Pierus,  auditis  et  intel- 
lectis predictis  a  dicto  fratre  Nicholao  eidem  narratis  ,  sem- 
per  cogitavit  et  conatus  fuit  omni  modo,  via  et  forma,  quibus 
magis  et  melius  potuit ,  ad  flnem  et  effectum  perducere  dictum 
prodimentum  et  tractatum  prodictionis  :  nec  per  eum  defecit 
et  stetit  quin  eius  inichum  propositum  et  prodietionem  pre- 
dictam executioni  mandaret  et  ad  effectum  perduceret.  Et 
predicta  omnia  et  singula  dieta ,  facta ,  cogitata ,  exposita  et 
commissa  fuerunt  dictis  anno  et  mense ,  locis  et  temporibus 
suprascriptis ,  per  supradictum  ser  Pierum  notarium,  prodi- 
torem pessimum,  animo  et  intentione  predictis,  et  animo  et 
intentione  turbandi  pacificum  et  tranquillum  statnm  Comunis 
et  Populi  civitatis  Florentie  et  diete  terre  Prati  ;  in  maxi- 
mum dampnum  et  preiudicium  hominum  terre  Prati  ;  et  Co- 
munis  et  Populi  civitatis  Florentie  et  dominorum  Priorum  et 
Confalonerii  iustitie  ,  ac  presentis  tranquilli  status  Comunis 
et  Populi  civitatis  Florentie,  contra  formam  iuris,  statutorum 
et  reformationum  diete  civitatis.  De  quibus  ,  et  super  quibus 
omnibus  et  singulis  etc. 
Super  quibus  etc. 

Die  xxviii  mensis  iunii. 

Inquoata  et  formata  fuit  dieta    inquisitio   per   supradictos 
dominos   Potestatem    et    ludicem ,  et  quemlibet    ipsorum,  ex 


22  DI  UN  TRATTATO  PER  RIBELLARE  PRATO 

eorum  et  cuiusque  ipsorum  officio ,  arbitrio ,  curia ,  pote- 
state  et  baylia;  contra  et  adversus  suprascriptum  ser  Pierum  , 
proditorem  :  ipso  Iudice  sedente  prò  tribunali  ad  eius  solitum 
banclium  iuris  malleficiorum  ,  situm  in  civitate  Florentie  ,  in 
populis  Sancti  Appolinaris  et  Sancti  Stephani  Abbatie ,  in 
palatio  liabitationis  et  residentie  supradicti  domini  Potestatis , 
incurtili  dicti  palatii,  cui  palatio  undique  sunt  vie  Communis; 
sub  annis  Domini  ab  eius  incarnatione  mccclxxv  ,  indictio- 
ne  xin,  tempore  domini  Gregorii  Pape  XI,  die  xxviii  dicti 
mensis  iunii. 

Die  xxviii  mensis  iunii. 

Constitutus  personaliter  in  iudicio  corani  supradicto  do- 
mino Potestate  et  Iudice  ,  prò  tribunali  sedentibus  ad  eorum 
et  cuiusque  ipsorum  solitum  banclium  iuris ,  ad  iura  re- 
denda  ut  moris  est,  ser  Pierus  Puctii  de  Canneto  eomita- 
tus  Florentie ,  volens  se  excusare  a  dieta  inquisitione  et 
contentis  in  ea  ;  primo  et  ante  omnia  delato  sibi  corporaliter 
sacramento  per  supradictum  dominimi  Iudicem  de  ventate 
dicenda  super  dieta  inquisitione  et  contentis  in  ea  ;  cui  ser 
Piero  proditori,  primo  dieta  inquisitione  lecta,  et  vulgari  ser- 
mone diligenfer  exposita  de  verbo  ad  verbum  per  me  Ange- 
lum  notarium  infraseriptum,  de  mandato  dicti  domini  Pote- 
statis et  Iudicis  ,  ad  ipsius  ser  Pieri  proditoris  plenani,  claram 
et  apertam  intelligentiam:  qui  ser  Pierus  proditor  antedictus, 
suo  iuramento  diete  inquisitioni  respondendo,  et  se  ab  ea 
exeu.sando,  dixit  et  sponte  eonfessus  fuit  :  Omnia  et  s iugula 
in  dieta  inquisitione  contenta  vera  esse  et  fuisse  ,  loco  et 
tempore  in  dieta  inquisitione  contentis.  Presentibus  ser  Monte 
ser  Barthoìi,  ser  Nicholao  Francisci ,  et  ser  Imita  Francisco , 
notariis  et  civibus  florentinis ,  non  nunptiis    nec   cappellanis. 

Qui  iudex  eidem  ser  Piero  dedit  et  statuit  terminimi  , 
hodie  et  cras  ante  vesperum  ,  ad  omnem  defensionem  eius 
l'aciendam. 

Aliter  etc...  (1) 


(I)  Segue  la  sottoscrizione  del  notaro  che  autentica  questo  e  tutti  i  precedenti 
alti ,  scritti  in  questo  libro.  Questa  sottoscrizione  si  ripete  più  sotto  in  fine 
della  sentenza. 


AL   COMUNE   DI    FIRENZE  23 


II. 


(Due  copie  autentiche  e  originali,    esistenti    nei    due    libri  di  Sentenze  del 
Potestà  ,  segnati  di  n.  15  e  il,  a  e.  24-28  e  10-23  respeltivamente.) 

In  nomine  Domini ,  amen.  Hec  est  quedam  condempnatio 
eorporalis  et  sententia  condempnationis  corporalis  ,  lata ,  data 
et  in  hiis  scriptis  sententialiter  promulgata  et  pronunptiata 
per  magniflclmm  et  potentem  militem  dominum  Laurentium 
quondam  Ricchardi  de  Sanguignis  de  Urbe,  honorabilem  Pote- 
statem ....  ;  vintilata  sub  examine  sapientis  viri  domini 
Abezuti  quondam  Zennarii  de  Padua,  Iudicem  mallefìciorum 
dicti  domini  Potestatis  in  quarteriis  Sancti  Ioliannis  et  Sancte 
Marie  Novelle,  prò  primis  tribus  mensibus  regiminis  dicti 
domini  Potestatis,  per  ipsum  dominum  Potestatem  ad  officili m 
mallefìciorum  specialiter  deputatum,-  cura  Consilio,  dellibera- 
tione  et  consensu  nobilumi  virorum  domini  Francisci  domini 
Falchi  de  Firmo  et  domini  Iacobi  Cioctii  de  Amelia  ,  legum 
doctorum  et  collateralium  prefati  domini  Potestatis,  et  omnium 
aliorum  suorum  iudicum  ;  et  scripta,  lecta  vulgarizata  et 
nublicata  per  me  Angelum  quondam  Andreutii  de  Pulegia, 
publicum  notarium  et  nunc  notarium  et  officialem  dicti  do- 
mini Potestatis  et  civitatis  Florentie,  ad  dictum  officium  mal- 
leficiorum  in  dictis  quarteriis  prò  dictis  primis  tribus  mensi- 
bus per  ipsum  dominum  Potestatem  specialiter  deputatum , 
sub  anno  Domini  ab  incarnatione  ipsius  mccclxxv,  indie tio- 
ne  xin,  tempore  sanctissimi  in  Cliristo  Patris  et  Domini,  do- 
mini Oregon  i,  divina  Providentia  pape  XI,  diebus  et  mensibus 
infrascriptis. 

Nos  Laurentius  miles  et  Potestas  predictus  ,  prò  tribunali 
sedentes  ad  nostrum  solitimi  banclium  mallefìciorum,  in  quo 
solitimi  est  ferri  sententias  corporales  et  pecuniarias,  po- 
situm  in  sala  maiori  Palati!  Veteris  nostre  solite  residentie , 
positi  in  populo  Sancti  Apollinaris  et  Sancti  Stepliani  Abba- 
tie ,  iuxta  vias  publicas  ab  omnibus  lateribus;  infrascriptam 
sententiam  corporalem  contra  infrascriptum  ser  Pierum  pro- 
ditorem,  presentem  ad  liane  nostram  sententiam  audiendam, 
prò  infrascriptis  malleflciis,  culpis,  excessibus  et  delictis  per 


24  DI  UN  TRATTATO  PER  RIBELLARE  PRATO 

ipsuni  commissis  et  perpetratis  in  terra  Prati  comitatus  Flo- 
rence ,  damus  et  proferimus  in  hiis  scriptis  in  hunc  raodum , 
videlicet (1). 

Et  constat  nobis  et  nostre  curie  predicta  omnia  et  singula 
«le  verbo  ad  verbum  vera  esse  et  fuisse,  procter  eius  coiifes- 
sionem,  corani  nobis  et  predicto  Indice  et  tota  curia  nostra, 
ad  banchum  iuris,  in  iudicio,  per  ipsum  sponte  factam.  Cui  ser 
Piero  proditori  per  nos  et  antedictum  ludicem  datus  et  assi- 
gnatus  fuit  certus  terrainus  ,  iam  elapxus  ,  ad  omnem  ipsius 
defensionem  faciendam  ,  et  nullam  fecit. 

Idcirco  nos  Laurentius  miles  et  Potestas  predictus ,  prò 
tribunali  sedentes,  ut  supra  dictum  est:  dictum  ser  Pierum 
proditorem,  quod  super  quodam  veyculo  firmiter  ligetur  et  in- 
catenetur,  et  a  palatio  nostre  residentie  usque  ad  locum  iustitie 
consuetum  ducatur;  et  a  dictò  palatio  nostre  residentie  usque 
ad  locum  iustitie,  per  viam  et  iter  per  civitatem  Florentie , 
cum  tenaleis  ferreis  ardentibus  et  ingne  inflamatis  in  cor- 
pus et  personam  suam  tenaglietur ,  et  carnes  eius  cum  dictis 
tenaleis  ferreis  ardentibus  trucidentur;  et  cum  dictus  ser  Pie- 
rus  proditor  sic  tenagliatus  et  trucidatus  ad  locum  iustitie 
fuerit  deductus ,  ibidem  in  terra,  in  quamdam  foveam  cum 
rapite  inferius  posito  usque  ad  genua  imponatur  et  implan- 
tetur,  tamquam  proditor  antedictus  et  qui  vere  proditor  fuit 
et  est;  —  et  id  quod  a  dictis  genibus  de  persona  dirti  ser  Pieri 
a  terra  supererit,  totaliter  amputetur,  ita  et  taliter  quod  ab 
eius  persona....  —  (2)  ita  et  taliter  quod  penitus  moriatur,  et 
eius  anima  ab  eius  corpore  separetur;  et  bona  eius  Comuni  et 
Camere  Florentie  confischamus  et  applicamus,  et  confischata 
et  applicata  esse  volumus  et  mandamus,  sequentes  formam 
iuris  statutorum  et  ordinamentorum  Comunis  Florentie,  per 
nos  et  ex  nostro  arbitrio,  potestate  et  baylia,  et  omni  modo 


(1)  Qui  è  riportato  il  testo  dell'inquisizione. 

(2)  Qui  seguono  due  altre  parole  che  non  si  leggono.  Notisi  però  che  le  pa- 
role in  mezzo  a  questo  segno  — ,  qui  e  poco  appresso,  sono  cancellate  nella  sen 
lenza  originale  (lib.  cit.  15);  e  tale  cancellatura  dose  esser  fatta  subito  ,  forse 
uri  rileggere  la  sentenza,  perchè  nell'altra  copia  lib.  cit.  47)  ,  scritta  proba* 
bilmenle  in  quello  stesso  giorno  dal  medesimo  notaro ,  non  vi  si  trovano 
Che  la  sentenza  poi  non  fosse  eseguila  in  questa  parte  ,  chiaro  apparisce  per 
la  Relazione  del  cavaliere  compagno  del  Potestà  ,  che  segue  in  fine. 


AL    COMUNE    DI    FIRENZE  20 

via,  iure  et  forma,  quibus  melius  possuraus  et   debemus ,  in 
liis  scriptis  ipsum  sententialiter  condempnamus. 

Et  quia  parimi  prodesset  sententias  terre,  nisi  ipse  sen- 
tentie  executioni  mandarentur  et  sortirentur  effectum  ,  et  ad 
hoc,  ut  pena  dicti  ser  Pieri  proditoris  ceteris  proditoribus  in 
i'uturum  transeat  in  exemplum;  idcirclio  provido  viro  ser 
lolianni  de  Cammereno  militi  ac  sotio  nostro,  presenti  et  in- 
telligenti ,  commictimus  et  mandamus  huius  presentis  nostre 
sententie  executionem.  Videlicet,  quatenus  vadat,  una  cura 
nostris  familiaribus  et  borvariis,  et  quod  prefatum  ser  Pie- 
rum  proditorem  super  quodam  veyculo  firmiter  ligatum,  cum 
tenagleis  ferreis  et  ardentibus,  a  palatio  nostre  residentie 
usque  ad  locum  iustitie  consuetum,  per  loca  consueta  civi- 
tatis  Florentie  ,  duci,  traili  et  actenagliari  faciat;  et  in  dicto 
iodio  iustitie  ipsum  cum  capite  inferius  in  terram  implan- 
lari  —  et  id  quod  de  eius  persona  a  terra  supererit  totaliter 
amputari  faciat  — ;  et  omnia  et  singula  faciat  que  supradicta 
sunt,  et  in  hac  nostra  sententia  continentur.  Et  de  predictis 
publicum  instrumentum  fieri  faciat ,  et  nobis  et  nostre  curie 
referat  ;  et  omnia  alia  faciat  et  dicat ,  que  de  iure  dicere  et 
lacere  tenetur  et  debet,  secundum  formam  statutorum  et  or- 
dinamentorum  Comunis  Florentie  et  condempnationis  predicte. 

Data,  lata  et  in  hiis  scriptis  sententialiter  promulgata  et 
pronuntiata  fuit  dieta  condempnatio  personalis  et  sententia 
condempnationis  personalis  per  supradictum  dominum  Pote- 
statem  prò  tribunali  sedentem  ut  supra  ;  et  scripta ,  lecta , 
vulgarizata  et  publicata  per  me  Angelum  notarium  supra- 
dictum et  infrascriptum  ,  in  publico  generali  Consilio  Comunis 
et  liominum  civitatis  Florentie ,  more  solito  congregato  et 
coadunato  ad  sonum  campane  voceque  preconis,  mandato  pre- 
iati  domini  Potestatis  ;  sub  anno  Domini  ab  eius  incarnata- 
ne mccclxxv,  indictione  xni,  tempore  domini  Gregorii  pape  XI, 
die  ultimo  mensis  iunii  ;  presentibus  ser  Angelo  Latini ,  ser 
Guidone  ser  Grifi,  notario  actorum  Camere;  Mactheo  Mar- 
chi et  Lupicino  Gualberti ,  banditoribus  Comunis  Florentie  , 
et  aliis  pluribus  in  dicto  Consilio  existentibus ,  ad  hec  liabi- 
tis,  vocatis  et  rogatis. 

Arc.h.  St.  [tal.,  3.»  Serie,  T.  X  ,   P.  I.  4 


26  DI  UN  TRATTATO  PER  RIBELLARE  PRATO  EC. 

(L.  S.)  Et  ego  Angelus  q.  Andreuctii  de  Pulegia,  publi- 
cus  notarius,  et  nunc  notarius  et  officialis  predicti  domini 
Potestatis  et  Gomunis  Florentie ,  predictis  omnibus  supra- 
scriptis  ,  de  mandato  dicti  domini  Potestatis ,  scripxi ,  legi  et 
publicavi,  signumque  meum  apposui  consuetum. 


III. 

(Dai  duo  libri  suddetti,  a  e.  29  e  24). 

In  nomine  Domini,  amen.  Anno  Domini  ab  eius  incarnatione 
millesimo  ccclxxv,  indictione  xm,  tempore  domini  Gregorii 
pape  XI,  mensis  iunii   die  ultimo.  Dictus  ser  Ioliannes  miles 
predictus ,  yens  et  rediens  post  commixionem  sibi  factam  per 
supradictum  dominum  Potestatem,  retulit  supradicto  domino 
Potestati  et  micia  notario  curie  infrascripto  eunti  unasecum: 
dictum  ser  Pierum    dussisse  et  duci  fecisse,  per  supradictos 
familiares  dicti  domini    Potestatis  ,    ad    lochum  iustitie  con- 
suetum, qui  locus  positus  est   extra  Portam    Sancti    Franci- 
sci;  et  ibi  in  quamdam  foveam  in  terra  ,  cum  capite  inferius 
posito,  implantari  fecisse;  ac  etiam  tenagliari  cum  tenaleis 
ferreis  ardentibus ,  ita  et  taliter  quod  anima  ipsius  ser  Pieri 
separata  fuit  a  corpore;    et  assignatus    fuit  prò  mortuo  dicto 
ser  Iohanni  militi  ibi  in  dicto  loco  iustitie  existenti ,  presen- 
te me  notario,    per  Iohannem   Girardi,  Simonem  Mazze,    Ni- 
cliolaum   Mazze,    Iohannem   Martelli,    Lippuin  Rinaldi,   An- 
dream  Nerii,  Paganellum  Andree,   Iuntam  Bindi,    Philippum 
Nacini    et   Pierum    Micchaelis ,  publicos    nunptios    Oomunis 
Florentie. 


NOTIZIE  SI1  NAPOLI  DALL'ARCHIVIO  DI  FIRENZE 


Ognuno  suol  annettere  importanza  ai  lavori  che  gli 
costarono.  Viene  da  ciò  che,  chi  entra  nuovo  in  qualche 
ricerca ,  faccia  caso  d'ogni  briciolo  di  cognizione  acqui- 
stata, come  fosse  una  scoperta.  Noi  vediamo  tuttodì  qual- 
cuno che  si  accosta  allor  allora  alla  filologia  comparata, 
o  all'archeologia,  od  anche  alla  storia  seria,  spacciare 
come  titolo  di  gloria  verità  o  induzioni,  che  i  dotti  hanno 
già  o  repudiato  da  un  pezzo  o  passate  in  giudicato.  Noi 
pure,  ricoveratici  negli  archivi  di  Toscana  quasi  a  luogo 
di  calma  in  tempi  che  la  tempesta  toglieva  e  chiarezza  alla 
vista  ,  e  sicurezza  ai  giudizi ,  e  dignità  all'azione  ,  cre- 
demmo degne  di  nota  certe  cosuccie  che  forse  i  veri  eru- 
diti aveano  lasciato  addietro  come  da  troppo  poco.  Se  i 
maestri  ce  lo  diranno,  noi  chineremo  la  testa;  solo  per 
qualche  scusa  ci  valga  il  poco  peso  che  noi  pure  vi  at- 
tribuiamo (1).  Certo  non  furono  vane  a  noi  particolar- 
mente, nell'intento  di  cercare  nella  storia  più  il  movi- 
mento del  pensiero  che  la  serie  degli  atti  :  e  poiché  noi 
pure  abbiamo  la  debolezza  di  credere  che  ,  in  ragione 
della  fatica  che  vi  adoprammo  attorno  ,  possano  interes- 
sare ai  lettori ,  seguiteremo  a  metterne  fuori  a  volta 
volta  qualch' altro  brandello.  Oggi  ne  occuperà  un  paese 

(1)  S'allude  alle  Spigolature  degli  archivi  di  Toscana  pubblicate  in  vari  tempi. 
Qui  non  credo  superfluo  notare  che  la  Biblioteca  Imperiale  di  Parigi  sopra  la 
storia  d'Italia  conservo  codici  in  sesto  grandissimo    8842 

grande  9255 
medio  10131 
piccolo  11083 


28  NOTIZIE    SU    NAPOLI 

onorande!  pel  passato,  e  designato  a  nobili  speranze,  il 
napoletano.  Fra  le  ampie  notizie  che  di  esso  possono  cer- 
carsi nell'Archivio  di  Firenze  ,  osservammo  lunghissime 
trattative  intorno  a'briganti,  flagello  lasciato  all'Italia 
al  cessar  delle  guerre  del  secolo  XVI  e  durato  tutto  il 
seguente.  I  nomi  ne  rimasero  sepolti  nella  storia,  come 
quelli  degli  eroi  ;  ma  erano  oramai  i  soli  rappresentanti 
del  valore  italiano  ,  sciaguratamente  adoprato. 

Dopoché  l' infausta  unione  del  Portogallo  colla  Spagna 
fu  rotta  da  una  fortunata  rivoluzione,  Giovanni  IV,  fatto 
re  di  Portogallo ,  avea  nominato  suo  ambasciadore  il 
vescovo  di  Lamego.  In  conseguenza  quello  era  odiato  e 
perseguitato  dalla  Spagna  ;  e  dovuto  fuggir  da  Roma  , 
ricoveravasi  a  Livorno,  sotto  la  sicurtà  che  a  tutti  aveva 
il  granduca  accordata  in  quel  porto.  Il  viceré  di  Napoli  spedì 
segretamente  a  Livorno  sopra  una  feluca  Giulio  Pezzuola 
con  armati  per  assassinarlo,  con  intelligenza  di  qualcuno 
di  Toscana.  Questo  Pezzuola  era  uno  dei  tanti  capibanda 
del  regno  ,  audace  a  segno ,  che  ardì  rapire  da  Roma  il 
principe  di  Sanzia  ribelle  napoletano,  sebben  fosse  fami- 
gliare de'  Barberini ,  e  se  ne  vanta  in  lettera  al  granduca 
del  16  gennaio  1640.  Costui  teneva  accordo  principalmente 
con  fra  Paolo,  altro  capo  di  masnada  nel  regno,  e  allora 
venuto  capitano  a  servizio  del  granduca.  Il  quale  pagò 
400  piastre  di  mancia  a  chi  gli  aveva  rivelato  il  tentativo, 
e  potè  impedire  il  colpo.  Ciò  fu  nel  1644.  Poi  fu  ottenuta 
assoluzione  per  fra  Paolo  da  ogni  pregiudizio  che  avesse 
nel  regno ,  e  pensavasi  spedire  ai  confini  per  reclutare 
banditi  che  corseggiassero  lo  Stato  romano  onde  molestare 
i  Barberini  e  il  papa,  il  quale  da  parte  sua  avea  man- 
dato a  guastar  il  Sanese  l'altro  capobanda  Tagliaferro. 
In  quell'occasione  il  Pezzuola  si  offerse  a  servire  il  gran- 
duca con  300  uomini,  e  con  500  Gio.  Pagani  suo  amico, 
impegnandosi  a  far  ribellare  lo  Stato  della  Chiesa  (1). 

(4)  Carle.L'gio  da  Napoli  XLV.  La    filza  249   dello  Strozziane  contiene  molte 
cose  su  Napoli  e  la  Sicilia. 


NOTIZIE    SU    NAPOLI  29 

Su  Masaniello  e  Mormile  e  la  spedizione  del  duca  di 
(iuisa  ricchissima  messe  vi  troverebbe  chi  volesse  aggiun- 
gere all'opere  fin  adesso  pubblicate  in  proposito ,  e  che 
tengono  pur  sempre  del  romanzesco. 

La  filza  XI  è  tutta  di  lettere  spagnuole  del  famoso 
(ìiovanni  d'Austria,  dal  1572  in  avanti. 

Noi  ci  badammo  specialmente  al  carteggio  che  negli 
anni  1735-36-37,  tenne  Bartolommeo  Intieri,  noto  econo- 
mista. Si  sa  che  in  quel  momento  rinnovava  faccia  il  regno 
delle  due  Sicilie  ,  e  si  costituiva  con  quella  prosperità , 
che  facilmente  accompagna  l'acquisto  dell'  indipendenza. 
È  bello  dunque  seguirne  i  passi ,  pur  troppo  disturbati 
da  tremende  disgrazie  naturali,  quali  i  tremuoti  di  Cala- 
bria e  l'eruzione  spaventosa  del  1737,  sulla  quale  larga- 
mente si  diffonde  l'Intieri.  Il  suo  carteggio  cred'io  piace- 
rebbe e  interesserebbe,  qualora  tutto  fosse  stampato. 

Lo  accompagna  sempre  un  gazzettino  ,  nel  quale  ,  al 
modo  delle  corrispondenze  de' giornali  odierni,  sono  espo- 
sti i  vari  avvenimenti ,  senza  legame  e  senza  riflessioni. 
Per  mostrarne  la  natura  ne  rechiamo  qui  alcuni  brani, 
che  ci  avvicinano  ai  tempi  moderni ,  invece  di  rimontar 
agli  antichi  come  fcmmo  altre  volte. 


Napoli,  l.°  maggio  1736. 

Nel  fine  della  scorsa  settimana  s' apprese  eh'  essendosi 
portato  dal  suo  tribunale  il  commissario  di  Campagna  nella 
città  di  Pozzuoli  ,  vi  avesse  esiliato  a  suon  di  tromba  da 
essa  città ,  per  la  distanza  di  miglia  20 ,  quel  paroco  e 
5  preti ,  con  10  altre  persone  secolari ,  a  causa  di  materia 
di  Stato. 

Ne'  giorni  passati  da  questo  Monsig.  Simonetti  Nunzio 
Apostolico  ,  fu  spedito  un  ordine  circolare  a  tutti  li  chiostri 
de'religiosi  di  non  commettervi  de' contrabandi  di  sorte  al- 
cuna ,  sotto  pena  di  restar  privati  di  voce  attiva  e  passiva  , 
iuaderendo  con  ciò  alla  volontà  del  sommo  Pontefice. 


30  NOTIZIE    SU    NAPOLI 

Il  quale  ancora  ha  spedito  un  altro  ordine  circolare  a  tutti 
li  vescovi  del  regno  di  dover  abolire  tutte  le  di  loro  patenti 
distribuite  alli  secolari  delle  loro  diocesi ,  che  sono  in  gran 
numero,  con  esimersi  dal  fòro  secolare,  e  godere  l'ecclesia- 
stico; e  che  debbano  porre  in  nota  li  patentati  bastevoli;  e 
ciò  viene  originato  dalli  reclamori  fatti  da  3  vescovi  del 
Regno  al  Papa  sopra  la  prigionia  seguita ,  per  ordine  dei 
governi  secolari ,  d'alcuni  loro  patentati  ;  volendosi  che  il 
tutto  sia  per  sfuggire  la  Santa  Sede  tutti  1'  impegni  con 
questa  corte  ,  che  potessero  nascere  per  sì  lievi  cause. 

Nel  dopo  desinare  di  lunedì  passato,  la  Maestà  del  Re  no- 
stro Signore  ,  che  Iddio  conservi ,  si  trasferì  colle  solite  forme, 
al  divertimento  della  regia  caccia  delle  quaglie  nella  Marina 
de'  Bagnuoli  di  là  della  Grotta  che  conduce  a  Pozzuoli  ,  con 
averne  ammazzate  moltissime  di  sua  propria  mano  ;  perciò 
restò  antecedentemente  essa  Marina  de' Bagnuoli  inibita  a 
cacciatori  di  qualsivoglia  ceto. 

Martedì  mattina  fecero  ritorno  in  questa  regia  darsena 
le  due  galere  della  nostra  squadra,  dopo  d'aver  scorso  le 
vicine  Marine  per  lo  spazio  di  giorni  22;  con  aver  esercitata 
la  ciurma  de'condannati  al  remo. 

Nel  dopo  pranzo  approdarono  in  questo  porto  da  Palermo 
la  galera  padrona,  ed  altra  di  conserva,  della  squadra  di 
Spagna ,  avendo  convogliato  5  bastimenti  con  7  compagnie 
del  reggimento  della  regina  de'  dragoni  smontati  ,  eretto  al 
servizio  di  Sua  Maestà  dal  sig.  D.  Ferdinando  Caracciolo  di 
Santobono ,  che  posero  piedi  a  terra  nel  giorno  seguente  di 
mercoledì ,  con  esser  passate  al  Torrione  del  Carmine ,  aspet- 
tando dalla  Sicilia  il  restante  d'esso  reggimento.  Ed  esse 
galere  salutarono  con  replicata  scarica  del  cannone  il  nostro 
real  stendardo,  e  li  fu  risposto  con  3  tiri  di  cannone  dal 
Castelnuovo,  per  portare  lo  stendardo  di  Spagna  la  galera 
padrona  suddetta. 

Mercoledì  si  seppe,  che  Sua  Maestà  si  l'osse  degnata  di 
promuovere  S.  E.  il  sig.  tenente  generale  Duca  di  Castro- 
pignano  al  comando  in  capite  delli  Presidj  della  Toscana, 
con  dispensarlo  per  il  suddetto  effetto  dal  servizio  di  Sua  Mae- 
stà Cattolica,  e  TE.  S.  ha  trascelto  per  sua  residenza  Piom- 
bino per  essere  situato  in  terra  ferma,  e  non  Longone  per 
essere  nell'Isola;   verso  dove  partirà,  dopo    che   sarà  sgra- 


NOTIZIE   SU    NAPOLI  31 

vata  la  signora  Duchessa  sua  sposa,  giacché  in  oggi  essi 
Presidj  sono  la  frontiera  del  nostro  regno. 

Nel  gran  chiostro  de'  PP.  Olivetani  si  prepara  un  appar- 
tamento solito  per  li  prencipi  forastieri ,  per  il  sig.  Conte 
Borromeo ,  che  da  Milano  deve  pervenire  in  questa  capitale , 
senza  penetrarsi  sin  ora  l'oggetto  d'essa  venuta  (1). 

Giovedì  mattina,  per  ordine  della  Giunta  sopra  l' Inconfì- 
denti ,  fu  spedito  un  plebeo ,  condannato  per  anni  3  al  remo. 

Nel  dopo  pranzo  approdarono  in  questa  regia  darsena  da 
Livorno  quattro  galere  della  squadra  di  Spagna ,  che  vi  si 
ritrova  tutta  unita  al  numero  di  sette  ,  che  salutarono  con 
triplice  scarica  del  cannone  il  nostro  real  stendardo ,  senza 
d'esserli  stato  corrisposto  dal  Castelnuovo,  per  non  portare 
niuna  d'esse  lo  stendardo  di  Spagna ,  con  dirsi  che  abbino 
qui  condotto  molto  contante  per  le  truppe  spagnuole  che  sono 
in  Regno. 

Et  esse  galere  scortarono  un  convoglio  di  9  bastimenti  col 
reggimento  Anversa ,  levato  da  Longone ,  ove  subbentrò  il 
reggimento  Ano,  e  diedero  fondo  alla  bocca  d'essa  regia 
darsena ,  stantechè  devono  passare  nella  fortezza  di  Gaeta 
col  suddetto  reggimento  Anversa. 

Venerdì  si  seppe ,  che  fosse  sortito  ordine  dalla  real  Corte 
per  il  sequestro  de'  feudi  ed  effetti ,  che  godono  in  regno 
l' Eccellentissime  Casa  Colonna ,  Borghese  ,  Sforza  Cesarini ,  e 
Barbarmi ,  romane,  a  causa  di  non  aver  prestata  alcuna  assi- 
stenza all'Eccellentissmo  Acquaviva  Ministro  cattolico ,  in  oc- 
casione de'  tumulti  popolari  accaduti  in  Roma  contro  la  na- 
zione spagnuola. 

In  esso  giorno  ancora  si  penetrò ,  che  fosse  sortito  real 
biglietto  al  baronaggio  di  doversi  porre  all'ordine  per  la  so- 
lenne cavalcata  da  farsi  in  occasione  della  prossima  pubbli- 
cazione della  pace  ,  e  che  perciò  da  diversi  titolati ,  che  si 
ritrovano  in  questa  regia,  si  dovrà  tenere  un  particolar  con- 
gresso de  modo  tenendi. 

Nel  dopo  desinare  di  sabato  S.  E.  il  sig.  D.  Lellio  Carata 
Marchese  d'Arenzo ,  capitan  della  guardia  del  corpo ,  partì  con 
4  calessi  di  vettura  per  il  Santuario  di  Bari,  ad  oggetto  di 
sodisfarvi  il  voto  per  il  male  ricevuto  ,  3  anni  sono ,  in  una 

(1)  Fu  fallo  viceré  di  Sicilia. 


32  NOTIZIE    SU   NAPOLI 

gamba,  che  ha  fatto  lavorare  d'argento,    venendovi  ivi  con- 
dotta da  un  ufficiale ,  e  due  corazzieri  del  reggimento  del  Re. 

Domenica  mattina  seguì  il  matrimonio  della  giovine  ve- 
dova marchesana  Serra  col  vedovo  Principe  di  Cariati  Spi- 
nelli ,  e  la  marchesina  di  lei  unica  figlia,  ed  erede  de' Feudi, 
per  ordine  della  Corte  di  Roma ,  questo  Monsignor  Nunzio  , 
ne'  giorni  scorsi,1  di  notte  ,  posta  in  sua  carrozza  ,  la  trasportò 
dalla  nobile  clausura  di  S.  Chiara  in  quella  di  S.  Sebastiano, 
ove  dimora  la  di  lei  zia  carnale  principessa  della  Torella;  e 
per  il  maritaggio  d'essa  marchesina,  sono  molti  li  titolati 
concorrenti ,  a  causa  che  porta  una  pingue  dota. 

Nel  dopo  desinare  d'esso  giorno  gionse  corriere  dalla  Corte 
Cattolica  alla  segreteria  di  Stato ,  senza  essersi  traspirata 
cosa  alcuna. 

La  Maestà  del  Re  nostro  Signore,  che  Dio  guardi,  senza  punto 
tralasciare  l'assistenza  a'  Consigli  di  Stato  e  alle  pubbliche 
udienze  che  dà ,  consolando  questi  suoi  fedelissimi  vassalli , 
va  prendendosi  il  divertimento  della  caccia,  e  nel  dopo  pranzo 
nel  suddetto  giorno  si  condusse  alla  solita  divozione  nella 
real  chiesa  del  Carmine  Maggiore. 

Ieri  mattina  lunedì  fecero  vela  da  questo  porto  gii  accennati 
nove  bastimenti  per  Gaeta  col  suddetto  reggimento  Anversa  di 
1000  fanti ,  donati  dal  Monarca  Cattolico  al  Re  nostro  Signore. 

Trasportato  da  Livorno  un  certo  personaggio  dello  Stato 
di  Parma  ,  casato  Mannara ,  se  non  erro ,  che  fu  carcerato 
mesi  sono  e  condotto  mascherato  a  Livorno,  è  stato  posto  nella 
fortezza  di  S.  Ermo  ,  onde  si  rende  più  che  vana  la  voce  die 
fosse  stato  archibusato  sopra  una  nave  spagnuola  in  certa 
distanza  da  Livorno. 

Il  matrimonio,  del  quale  fa  menzione  la  presente  gazzetta, 
della  marchesa  Serra,  eh' è  verissimo,  ha  dato  a  vedere  quanto 
santamente  e  giustamente  il  supremo  Consiglio  di  Stato  in 
vocasse ,  giorni  sono,  altro  decreto  fatto  dalla  Camera  di 
S.  Chiara,  col  quale  dava  l'amministrazione  degli  effetti  della 
marchesina  Serra  alla  madre  ora  rimaritata. 

Dal  supremo  Consiglio  di  Stato  sono  usciti  sacrosanti 
ordini  per  la  buona  regola  dell'università,  e  perchè  il  pre- 
sente Governo  abbia  in  animo  di  rinnovare  il  ceto  de'  Dot- 
tori ,  o  siano  legali  ;  il  che  può  produrre  dell'  utile  grandis- 
simo a  questo  Regno. 


NOTIZIE   SU    NAPOLI  33 

Sabato  passato  giunsero  qua  li  signori  Marchesi  Albizi  e 
Torrigiani,  a' quali  il  sig.  Conte  di  S.  Stefano  ratificò  le  gen- 
tili espressioni  fatte  in  molte  occasioni  a  favore   de'  Toscani. 

La  Giunta  del  Commercio  ha  fatta  la  consulta  a  Sua  Mae- 
stà perchè  si  compiacia  di  procurar  la  pace  col  Turco ,  come 
quella ,  che  potrebbe  giovare  al  commercio  che  tanto  soffre 
degli  incomodi  delle  navi  barbaresche. 

La  Giunta  del  Sollievo  del  Regno  usa  tutto  lo  studio  per 
il  bene  del  pubblico  ;  ma  come  che  i  vecchi  ministri  per  lo 
più  non  convengono  con  i  nuovi,  però  gli  espedienti  son  trat- 
tenuti prima  di  uscir  alla  luce. 


Napoli,  10  luglio  1736. 

Nella  mattina  di  martedì  della  scorsa  settimana  nella 
chiesa  della  Casa  professa  de'  PP.  della  compagnia  di  Gesù 
seguì  la  ricognizione  del  cadavero  del  venerabil  servo  di 
Dio  padre  Francesco  di  Girolamo,  che  passò  all'altra  vita 
nel  mese  di  maggio  del  1716  ,  stato  posto  in  disparte  nella 
sepoltura  d'essi  PP.  ove  calorno  gli  eminentissimi  Belluga, 
ponente  nella  congregazione  de'  sacri  riti  del  suo  processo 
che  si  fabbrica,  Spinelli  nostro  arcivescovo,  ed  Acquaviva,  li 
monsignori  Invitti  arcivescovo  di  Sardi,  e  Cirillo  vescovo  di 
Fiano,  li  signori  principi  d'Angri  Doria ,  Ardone  ,  Milano  e 
Marsico  Vetero  ,  Caraccioli ,  ed  il  duca  di  Laurino  Spinelli  , 
due  medici ,  due  chirurghi ,  due  protonotari  apostolici  e  due 
ostetrici:  ed  apertasi  la  cassa  di  piombo  alla  presenza  delli 
sopraddetti  porporati ,  prelati  e  titolati ,  vi  fu  ritrovato  esso 
cadavero  in  ossi  dispolpati ,  che  nel  dopo  pranzo  furono  riu- 
niti per  osservare  se  vi  mancava  qualche  cosa ,  come  in 
effetto  non  vi  si  ritrovò  mancante  cos' alcuna.  Onde  riposti 
essi  ossi  in  altra  cassa  furono  collocati  nella  suddetta  chiesa 
nella  cappella  di  Sant'  Ignazio  in  cornu  Evangelii ,  in  luogo 
di  deposito ,  con  una  lapide  marmorea  con  una  descrizione. 
In  tal  congiontura  fu  numerosissimo  il  concorso  della  nobiltà 
ed  ogni  altro  ordine  di  persone. 

SulF  un'ora  di  notte  d'esso  giorno ,  la  maestà  del  Re 
nostro  Signore ,  che  Dio  conservi ,  calò  nella    regia   darsena 

Akch.  St.  It\l.  ,  3.»  Serie,  T.  X  ,  P.  I.  o 


34  NOTIZIE    SU   NAPOLI 

per  godervi  il  solito  divertimento  del  lanciare,  con  fiaccole 
accese  ,  i  pesci ,  e  imbarcatosi  sopra  scialuppa  riccamente 
ornata  ,  fu  condotta  la  Maestà  Sua  per  la  marina  di  Santa 
Lucia  sino  al  castello  dell'Uovo  per  maggiormente  godere  il 
suddetto  divertimento,  che  terminò  sull'ore  due  ed  avantaggio. 

Mercoledì  s'apprese  il  sicuro  riscontro ,  che  dalla  real 
Corte  fosse  stato  imposto  alli  Padri  Minori  riformati  di  San 
Francesco  del  chiostro  della  SS.  Trinità  di  dover  cedere 
esso  chiostro  alli  PP.  Scalzati  di  S.  Pietro  d'Alcantara,  che 
s'aspettano  da  Spagna  in  qualche  numero ,  come  più  prossimo 
al  real  palazzo ,  per  tutto  quello  potesse  occorrere  nello  spi- 
rituale alla  real  Corte  Spagnuola  ;  giacché  il  confessore  di 
S.  Maestà  è  P.  Scalzato.  Onde  essi  PP.  Riformati  stanno  in 
agitazione  per  il  ripartimento  de'  religiosi  d'  esso  chiostro 
in  altri  della  loro  provincia  di  Napoli ,  con  aggravarli  di 
peso  per  il  sostentamento  ;  non  essendo  prevalse  le  loro 
rimostranze  con  impegni  corsi  per  quest'effetto  a  di  loro  favore 
presso  d'essa  Real  Corte. 

Parimente  s'apprese  che  nel  gran  chiostro  de'  PP.  Olive- 
tani si  stesse  preparando  il  solito  appartamento  per  titolati 
forastieri ,  giacché  per  li  18  del  corrente  vi  s'aspettava  da 
Parigi  il  sig.  Conte  d' Egmont  e  Duca  di  Bisaccia  Pignatelli, 
che  deve  prendere  l'abitazione  in  esso  appartamento. 

In  esso  giorno  gionse  corriere  dalla  Toscana  spedito  dal 
sig.  Duca  di  Montemar  alla  Real  Corte  senza  d'esser  stata 
penetrata  cos'alcuna  ;  bensì  fu  divulgato  che  S.  E.  aspettasse 
un  corriere  dalla  Corte  Cattolica  per  partire  colle  truppe 
spagnuole  ,  con  evacuar  la  Toscana. 

Nel  suddetto  giorno  Sua  Maestà  si  degnò  di  promuovere 
al  grado  di  suoi  gentiluomini  di  camera  li  signori  gran  con- 
testabile Colonna  principe  di  Palestrina,  e  duca  Sforza  Cesarmi, 
colla  permissione  di  ritornare  alle  loro  case  in  Roma. 

All'  incontro  giovedì  si  seppe  che  fosse  stato  intimato  real 
ordine  a  tutti  gli  ecclesiastici  e  pretendenti  nella  Dataria 
romana,  spagnuoli  benestanti  venuti  ultimamente  da  Roma, 
nemine  excepto ,  di  dover  tra  lo  spazio  di  4  giorni  partire 
da  questa  regia  per  le  loro  patrie ,  e  di  già  si  preparano  per 
tal  viaggio,  con  prendere  i  passaporti  da  questa  real  segre- 
teria di  Stato ,    e  in    questa    regia    non    resteranno   che  gli 


NOTIZIE   SU    NAPOLI  35 

eminentissimi  Belluga  e  Acquaviva ,  li  monsignori  uditori 
della  Sacra  Rota,  l'agente  di  Spagna  ed  altri  regi  ministri 
spagnuoli  che  devono  a  suo  tempo  risedere  nella  Corte  di 
Roma. 

Nella  regia  darsena  la  galera  padrona  della  squadra  di 
Spagna  dà  la  carena,  come  farà  l'altra  galera  S.  Filippo, 
dopo  che  averà  terminata  la  contumacia  per  la  preda  fatta 
della  galeotta  barbaresca  ;  ed  amendue  galere  devono  pas- 
sare in  Barcellona,  ove  gli  equipaggi  montaranno  sopra  li 
scafi  nuovi  ivi  fabbricatisi,  con  lasciare  li  vecchi,  e  scorta- 
ranno  due  picciole  navi  inglesi ,  che  caricano  remi  non  lavo- 
rati per  uso  di  galere. 

Alla  giornata ,  dal  tribunale  della  gran  corte  della  Vica- 
ria vengono  spediti  rei  condannati  al  remo  per  le  galere 
della  nostra  squadra. 

Di  là  da  Capo  di  Chino  si  è  dato  principio  a  lavorare  una 
strada  carrozzabile  ,  che  conduce  alla  real  villa  di  Capo  di 
Monte,  che  riuscirà  lunga,  giacché  presentemente  Sua  Maestà 
è  in  obbligo  montar  a  cavallo  nel  borgo  delle  Vergini  con 
lasciarvi  le  mute ,  a  fine  d'ascendere  in  detta  real  villa  ; 
tanto  più  che  la  strada  è  montuosa  e  disastrosa. 

Per  l'assidua  applicazione  della  Maestà  del  Re  nostro 
Signore,  che  Dio  guardi,  a' Consigli  di  Stato,  ed  in  ascoltare 
benignamente  i  suoi  fedelissimi  vassalli  nella  di  già  stabilita 
giornata  di  sabato ,  si  vede  sempre  più  risplendere  la  giusti- 
zia e  V  equità ,  tanto  in  questa  città  ,  che  nel  regno  tutto , 
verso  dove  sono  partiti  diversi  soggetti  di  tutto  zelo  e  pro- 
bità, promossi  dalla  Maestà  Sua  al  governo  di  varie  regie  città. 

E  stante  il  ritrovarsi  in  mare  molti  legni  da  guerra,  che 
van  scorrendo  l'acque  per  tenerle  nette  da  qualunque  corsaro 
barberesco ,  di  continuo  si  veggono  approdare  in  porto  basti- 
menti ,  col  pieno  di  commestibili  per  servizio  della  pubblica 
annona  di  questa  real  città  ec. 

Il  sig.  Conte  Lapi  è  in  arresto  dentro  la  fortezza  di  Santo 
Elmo  d'ordine  del  sig.  Conte  di  Charny,  che  a  richiesta  di 
molti  riguardevoli  personaggi  ha  cambiata  la  fortezza  di  Gaeta 
in  questa. 

È  accusato  d'aver  voluto  bastonare  il  musico  Amorevoli 
suo  rivale.  Fu  assaltata  la  carrozza  dove  si  credeva  essere  il 
musico,   che   per   sua  fortuna  era  assente,   e  come  nell'atto 


36  NOTIZIE    SU    NAPOLI 

del  tafferuglio  l'atto  col  servitore  dell'Amorevoli  vi  si  trovò 
il  detto  Lapi ,  perciò  è  stato  creduto  aver  voluto  vendi- 
carsi con  le  sue  proprie  inani.  La  dama,  causa  tanti  mali, 
è  una  delle  principalissime.  Per  molto  tempo  il  sig.  Lapi  ha 
goduto  la  sua  grazia;  dopo  era  subentrato  il  musico.  Uomini 
assennati  stimano  innocente  -il  Lapi ,  accorso  al  romore  per 
pura  casualità  ;  ma  come  che  è  certo  il  fatto  antecedente , 
perciò  il  giudice  ha  creduto  il  secondo. 


Napoli,  a  25  novembre  1736. 

Nella  sera  di  lunedì  della  scorsa  settimana  si  diede  prin- 
cipio all'  illuminazione  per  tre  sere  in  questa  capitale  per  la 
festività  del  martirio  del  nostro  principal  tutelare  S.  Gennaro, 
e  particolarmente  nella  strada  e  piazza  dell' Aguglia  presso  la 
chiesa  metropolitana;  la  qu al' Aguglia  era  tutta  illuminata 
con  torchi  di  cera  a  4  lumi ,  con  una  machina  eretta  in  essa 
piazza,  rappresentante  uno  de' miracoli  d'esso  Santo,  con  un 
coro  di  scelta  musica.  Perciò  la  Maestà  del  Re  nostro  Signore, 
che  Dio  conservi ,  dopo  il  ritorno  del  divertimento  della  cac- 
cia ,  goduto  nella  real  villa  di  Capo  di  Monte ,  si  trasferì  a 
godere  essa  vaghissima  illuminazione ,  stata  servita  dalli  no- 
bili deputati  della  cappella  del  Tesoro. 

In  tal  occasione  nacque ,  ch'essendo  state  sbarrate  tutte  le 
principali  avvenute  d'essa  strada  e  piazza  colle  guardie  della 
birraglia  e  con  giudici  e  ministri  subalterni  criminali ,  con 
ordine  di  non  far  passare  carrozze  di  qualsivoglia  ordine  di 
persone,  stante  la  venuta  della  Maestà  Sua,  sul  bel  princi- 
pio vi  comparve  l'eminentissimo  sig.  Cardinale  Acquaviva  , 
ministro  cattolico  in  Roma  .  che  spedì  un  suo  servitore  con 
ambasciata  in  termini  molto  cortesi,  chiedendo  il  passaggio, 
altrimenti  l'Eminenza  Sua  sarebbe  smontata  da  carrozza,  ed 
a  piedi  sarebbesi  portata  al  palchetto  destinatoli  da  essi  nobili 
deputati  per  godere  l'illuminazione  e  musica.  A  tal  imbasciata 
li  suddetti  nobili  deputati  accorsero  e  fecero  aprir  la  strada, 
con  far  passar  detto  porporato  ministro. 

Dopo  d'  un  quarto  d'ora  vi  comparve  una  carrozza  con 
::  donno  di  qualche  mal  odore  ,  seguitata  d'altra  del  sig.  Duca 


NOTIZIE    SU    NAPOLI  37 

del  Popoli,  Cantelmi,  che  ancor  lui  spedi  ambasciata  di  vo- 
ler passare;  ma  li  fu  risposto  dalla  birraglia  che  vi  era 
T  ordine  del  sig.  Reggente  della  gran  Corte  della  Vicaria  . 
sig.  D.  Marcello  Carrafa,  di  non  far  passare  alcuna  carrozza, 
ricevuto  da  Sua  Maestà.  Nei  medesimo  tempo  si  pose  presso 
del  trave  un  maestro  d'atti  criminali ,  onde  esso  sig.  Duca 
smontò  di  carrozza ,  disse  ad  esso  maestro  d'atti  che  levasse 
il  trave  per  il  passaggio  della  sua  carrozza,  al  che  li  fu  repli- 
cato l'ordine  del  suddetto  Reggente ,  ricevuto  da  Sua  Maestà. 
Intesosi  ciò  da  esso  sig.  Duca,  proruppe  nelle  solite  sue  stra- 
vaganze ,  con  dar  de' schiaffi  ad  esso  maestro  d'atti,  rompendoli 
di  più  addosso  il  bastone,  con  parole  disprezzevoli  del  suddetto 
ordine  ,  e  dopo  fece  levare  il  trave  ,  e  passò  la  prima  carrozza 
«Ielle  3  donne  ,  seguitata  dalla  sua  ,  senza  che  la  birraglia  col 
giudice  avesse  fatto  risentimento  alcuno. 

Intesosi  ciò  d'altro  giudice  di  guardia,  v'accorse  rimprove- 
rando il  primo  giudice  ,  che  sofferse  lo  scandaloso  attentato, 
con  dirli  che  doveva  arrestare  il  Duca  suddetto,  e  condurlo 
prigioniere  nella  gran  Corte  della  Vicaria,  e  dopo  darne  parte 
alla  real  Corte.  Ed  essendovi  a  ciò  presenti  li  sig.  Marchese 
della  Terza  Navarretta  e  D.  Pompeo  Piccolomini  fratello  del 
Principe  della  Valle,  questi  proruppero  senza  considerazione 
in  termini  poco  decenti  contro  ambi  i  giudici,  con  sostenere  la 
loro  nobiltà  napoletana  non  soggetta  alle  carceri  della  Vica- 
ria. Onde  li  giudici  tacerono  con  prudenza,  per  non  far  nascere 
maggiori  sconcerti ,  ma  di  tutto  il  seguito  subito  ne  diedero 
parte  ad  esso  sig.  Reggente ,  che  si  portò  alla  real  Corte  per 
l'informo    del  successo,   onde  si  sta  in  attenzione  dell'esito. 

Mercoledì  mattina ,  giorno  dedicato  ad  esso  glorioso  San 
'xennaro ,  s'espose  nella  suddetta  cappella  del  Tesoro  la  sua 
venerabil  testa ,  a  vista  della  quale  essendosi  anche  esposta 
I'  insigne  reliquia  del  suo  sangue,  ritrovato  duro,  si  compiacque 
s.  D.  M.  di  farlo  perfettamente  liquefare  dopo  18  minuti ,  con 
sommo  giubilo  di  questo  divotissimo  pubblico:  e  fu  fatto  lo 
sparo  del  cannone  di  queste  regie  fortezze,  e  galere  delle 
2  squadre  di  Spagna  e  di  Napoli. 

In  essa  mattina  l' eminentissimo  sig.  Cardinale  Spinelli 
arcivescovo  calò  in  forma  pubblica  dal  palazzo  arcivescovile 
in  essa  chiesa  metropolitana,  ove  con  abiti    pontificali  cantò 


38  NOTIZIE    SU    NAPOLI 

la  gran  messa,  coli"  intervento  di  diversi  prelati  del  regno; 
come  praticò  nel  primo  vespro  l'Eminenza  Sua. 

La  quale  dopo  pranzo  ricevè  ancora  con  abiti  pontificali 
alla  soglia  della  suddetta  chiesa  metropolitana  la  Maestà  Sua, 
che  vi  si  condusse  sulle  ore  21  a  venerare  il  suddetto  glorioso 
Santo ,  col  suo  prezioso  sangue ,  che  li  diede  a  baciare  ,  po- 
nendoglielo ancora  sulla  fronte  e  petto  ,  e  s'osservò  la  grande 
esemplare  divozione  della  Maestà  Sua  verso  d'esso  Santo ,  col 
viva  del  popolo  nel  smontare  e  montare  in  carrozza. 

Giovedì  si  seppe  che  ,  ne'giorni  passati ,  fossero  giunti  in 
questa  reggia  due  nobili  canonici  tedeschi  delle  chiese  di  Pas- 
savia e  di  Salisburgo,  muniti  di  passaporti,  quali  furono  in- 
trodotti in  corte  al  bacio  della  real  mano  di  Sua  Maestà  da 
S.  E.  il  sig.  Conte  di  S.  Stefano. 

Alla  presenza  del  sopraintendente  del  real  patrimonio  è 
stata  accesa  la  candela  (1)  per  il  lavoro  di  2500  letti  da  spe- 
dirsi nelli  Presidj  della  Toscana,  compresovi  ancora  Portofer- 
raro,  ove  devono  restare  continuamente  di  presidio  12  batta- 
glioni spagnuoli ,  per  essere  in  oggi  frontiere  di  questo  regno. 

Venerdì  mattina  pervenne  avviso  che  nel  golfo  di  Salerno 
fosse  comparsa  una  fusta  turca ,  che  poteva  inquietare  li  ba- 
stimenti che  vi  pervengono  dal  regno  per  quella  fiera;  perciò 
subito  fu  spedito  ordine  della  real  corte  alle  galere  di  Spagna, 
come  eseguirno  due  d'esse  e  due  altre  della  nostra  squadra; 
le  prime  dirizzorno  le  prore  verso  Salerno ,  e  le  seconde  verso 
F  isola  di  Ponza. 

Nella  mattina  di  sabato  di  buon'ora  approdorno  nelle  nostre 
vicine  riviere  15tartane  da  caricatoj  del  nostro  regno,  con  pieno 
di  grani ,  olio  ed  altri  commestibili,  per  l'Abbondanza  di  que- 
sta capitale ,  state  scortate  dalla  tartana  corsara  del  capitano 
Cafiero ,  che  riferì  di  non  avere  incontrato  nel  suo  viaggio 
alcun  legno  turco. 

Nella  notte  antecedente  d'esso  giorno  fu  spedito  biglietto 
dalla  segreteria  di  Stato  degli  accennati  sig.  Duca  di  Popoli , 
marchese  della  Terza  e  1).  Pompeo  Piccolomini ,  di  doversi 
per  ordine  di  Sua  Maestà  conferire  prigionieri ,  per  lo  scritto 
scandaloso,    attaccato  il  primo    nel  Castello  di    S.    Elmo,  il 

(i)  Cioè  aperta  l'asta. 


NOTIZIE    SU    NAPOLI  39 

secondo  in  quello  dell'Uovo,  ed  il  3."  nel  Castelnuovo  ,  come 
1'  hanno  eseguito  in  essa  mattina  di  sabato. 

Domenica  mattina  correndo  il  compleanno  di  S.  A.  R.  il 
Principe  di  Asturias  fu  fatta  ricca  gala  in  Corte,  coli' inter- 
vento di  tutta  la  nobiltà,  generalità  e  regio  ministero  a  pas- 
sare con  Sua  Maestà  li  dovuti  complimenti ,  e  sul  tardi  fu 
fatta  triplice  scarica  del  cannone  di  queste  regie  fortezze  e 
galere  delle  due  squadre. 

In  essa  mattina  li  signori  cardinali  Belluga  venuto  da 
Portici ,  Spinelli  ed  Acquaviva,  in  abito  di  popora  si  condus- 
sero nella  cappella  del  Tesoro ,  ove  ascoltorono  messa  bassa; 
e  dopo  la  miracolosa  liquefazione  del  prezioso  sangue  di  San 
Gennaro  che  seguì  dopo  10  minuti  ,  il  primo  porporato  lo 
diede  a  baciare  alli  secondi  colla  benedizione.  Dopo  di  ciò  li 
due  Eminentissimi  Belluga  ed  Acquaviva,  deposti  gli  abiti  di 
porpora ,  et  in  abito  corto  ,  si  trasferirono  alla  real  Corte 
a  passare  li  dovuti  complimenti  con  Sua  Maestà  per  il  sud- 
detto compleanno. 

Nella  suddetta  sera  1' Eminentissimo  Spinelli  arcivescovo, 
secondo  l'accordato ,  si  portò  in  abito  corto  alla  real  Corte  , 
per  passar  con  Sua  Maestà  il  suddetto  complimento  di  multos 
annos  etc. 


È  noto  che  appunti  di  simil  genere  venivano  rice- 
vuti da  tutte  le  corti ,  che  perciò  tenevano  corrispon- 
denti nelle  città  principali.  Sono  la  vera  origine  delle 
Gazzette  ;  più  tardi  si  stamparono  ;  e  i  più  importanti 
sono  gli  Avvisi  di  Roma  che,  dal  Cinquecento  in  poi ,  i 
Medici  ricevevano  dalla  metropoli  cattolica ,  e  che  si 
conservano  in  quest'Archivio. 

C.  Cantò. 


CARTEGGIO  DELL'ABATE  FERDINANDO  GALIAM 

COI. 

MARCHESE  TANUCOI 

(1759-1769 
PUBBLICATO   DA  AUGUSTO   BAZZONI 

(  Ved.  avanti  tom.  IX  ,  par.  II ,  pag.  io  ) 

Comincio  a  licenziarmi  da  Y.  E.  giacché  Cantillanaè  in  cammino, 
e  La  prego  aver  presente  ,  che  io  bisogna  che  mostri  le  confiden- 
ziali a  lui  per  vivere  in  pace.  Y.  E.  vorrebbe  farmi  ad  ogni  modo 
temer  l'ire  sue:  nella  lettera  de' 2  eie  una  dissertazione  su  di  ciò. 
Ma  nello  stesso  ordinario  mi  vien  scritto  che  Gennaro  Parrino  e 
fatto  giudice  di  Yicarìa.  Quel  Parrino  ,  che  insultò  la  fortuna,  che 
l'idolatrò  ,  che  l'ha  attraversata  sempre  ,  e  che  tutta  la  deve  ad 
una  inistancabile  e  pertinace  protezione.  A  chi  vuol  ella  adunque 
ch'io  creda,  ai  detti  o  ai  fatti?  Agli  affari. 

Non  posso  esser  più  contento  di  quel  che  sono  dell'ultima  udienza 
di  martedì  di  questo  Ministro.  Riguardo  a  me  egli  mi  parlò  con 
termini  che  mi  farebbero  insuperbire ,  se  non  vedessi  che  è  effetto 
di  naturale  inclinazione  e  genialità.  Mi  disse ,  che  aveva  pena 
ch'io  uscissi  dagli  affari,  mi  chiese  cosa  mi  si  sarebbe  dato  (egli  vive 
nella  opinione  ,  secondo  l'uso  di  qui ,  che  io  non  possa  restare  sotto 
Cantillana,  dopo  essere  stato  in  figura  sustantiva)  ;  infine  mi  disse 
cento  belle  cose.  A  questo  proposito  bisogna  ch'io  mi  cavi  un  sospetto 
da  corpo,  lo  dubito  che  V.  E.  non  sappia  tutto  il  bene  che  mi  ha 
fatto.  Y.  E.  mi  ha  fatto  ministro  bello  e  buono,  perchè  in  questa 
Corte  sono  una  stessa  cosa  gì'  Incaricati  e  i  Ministri.  Io  vo  del 
pari  col  Ministro  di  Portogallo,  di  Svezia,  di  Russia,  di  Magonza, 
dell' Elettor  Palatino  ec.  Ho  il  mio  luogo  nella  cappella  del  re,  ed 
infine  sono  eguale  (chi  il  crederia  !  )  al  principe  di  (ralictzin.  Tor- 
nando al  discorso  di  Choiseul ,  dopo  avermi  egli  fatte  infinite  finezze, 
mi  uscì  da  sé  stesso  a  parlar  d'affari,  e  con  sentimenti  così  giusti 
e  uniformi  al  bene  comune,  quali  V.  E.  gli  potrebbe  mai  desiderare. 


LETTERE    DELL'ABATE   GALIANI  41 

Avendomene  adunque  egli  pòrta  l'occasione,  io  gli  parlai  di  quelle 
cose  ,  di  cui  mai  non  avea  ardito  parlargli,  benché  V.  E.  me  ne  abbia 
riempite  le  confidenziali.  Il  tempo  non  essendo  bastato,  stimai  doman- 
dargli un'altra  udienza  prima  d'oggi.  Gentilmente  egli  mi  rispose  , 
che  venissi  qui  a  pranzo  domenica,  cioè  ieri;  ed  essendo  oggi  la 
gran  festa  e  dimani  il  giorno  di  veder  il  re  ,  sono  restato  qui ,  ed 
ho  profittato  di  questo  tempo  per  far  la  mia  corte  all'amabilissimo 
marchese  di  Durefort,  a  cui  ho  detto  quanto  V.  E.  m'impone,  e 
dovrei  risponderle  di  sua  parte  altrettanto.  Parlai  adunque  ieri  con 
Choiseul  ,  e  sono  egualmente  contento.  Le  sue  massime  mi  paiono 
vere  ,  sagge  ,  e  che  possano  condurre  alla  salvazione  questo  regno , 
e  l'Europa  alla  desiderata  pace.  Io  son  troppo  piccola  cosa,  e  troppo 
diviso  dal  Ministero  Spagnuolo  per  poter  entrar  più  dentro. 

Sarebbe  da  parlarsi  ora  di  cento  altre  cose  che  ho  fatte  nella  set- 
timana. Ho  informato  appieno  l'Avvocato  Generale  del  Consiglio  del 
re  sull'affare  della  partenza,  e  su  quello  d'una  navarella  inglese, 
che  la  nostra  corte  ha  richiamata.  Ho  scritto  a  De  Marco  dell'arresto 
d'un  Iscariote  fatto  a  Marsiglia  da  quel  viceconsolo  ,  che  dice  te- 
nerne ordine  della  Corte.  Non  rispondo  alla  lettera  di  V.  E.  sull'affare 
de' carcerati  bolognesi  ,  perchè  non  ho  le  necessarie  notizie.  Ma  è 
tardi;  io  ho  sonno  e  sono  stracchissimo  dall'aver  viste  le  fontane 
di  Versailles  ,  che  in  questo  solo  giorno  si  veggono  scorrere  :  onde 
pieno  d'ossequio  e  di  rispetto  sono,  oc. 
Versailles  ,  15  agosto  1760. 


Arrivato  Cantillana  ho  dato  a  lui  conto  di  tutti  gli  affari  occorsi, 
e  dei  pochi  pendenti.  Avea  io  già  destramente  persuaso  Choiseul 
a  non  far  novità  alcuna  sul  sistema  delle  franchigie  di  qui  sino  al 
suo  arrivo  ;  sicché  egli  non  ha  incontrato  intoppo  veruno,  ne  visita, 
uè  obbligo  di  dar  nota,  né  viaggio  in  dogana;  anzi  ha  trovato  quelle 
copiose  finezze  e  distinzioni ,  che  qui  si  fanno  agli  ambasciatori 
per  consuetudine  che  deroga  al  rigor  della  legge.  Cantillana  sta  così 
bene  e  vegeto  che  move  invidia  a  vederlo  ,  pensando  alle  improprie 
stagioni  in  cui  ha  viaggiato.  Sa  poco  del  suo  futuro,  e  ne  cura  meno. 
È  il  simbolo  dell'apatia.  Pare  per  altro,  che  almeno  un  par  d'anni 
resterà  qui.  Ho  consegnata  a  lui  la   copia  della  cifra   ch'io   aveva. 

Rispondo  ora  alla  confidenziale  di  V.  E.  dei  23.  La  Partenope 
sarà  giudicata  al  primo  Consiglio.  Questo,  o  sarà  tra  due  settimane, 
o  dopo  il  San  Martino  al  riaprirsi  dei  tribunali.  Tutte  le  diligenze 
si  ci  son  fatte  ,  ne  mi  resta  rimorso. 

I  carcerati  di  Tolone  mi  fanno  infinita  pietà.  La  crudeltà  de'  Fer- 
mieri  è  giunta  a  domandar  cauzione  del  pane  ed  acqua  che  si 
Arcti.  St.  Itai...  3.a  Serie,  T.  X ,  P.  I.  li 


42  LETTERE   DELL'ABATE    GALIANI 

somministra  loro  ;  e  siccome  questi  infelici  non  hanno  più  niente  , 
corrono  il  pericolo  della  sorte  del  conte  Ugolino.  Così  inaudita 
barbarie  non  si  usa  nemmeno  tra'cristiani ,  non  che  tra'  Turchi.  Io 
ho  scritto  al  Console  che  veda  di  soccorrergli  per  ora  ;  intanto 
V.  E.  con  un  dispaccetto  o  al  Monte  della  Misericordia  ,  o  a  S.  Ivone, 
o  traile  lemosine  del  re  faccia  loro  dar  pane  per  questi  due  mesi , 
che  si  riaprano  i  Parlamenti ,  che  da  sei  mesi  stanno  in  vacanza , 
e  possa  aver  termine  la  lor  lite  prima  che  termini  in  essi  la  vita. 
Qui  alle  vacanze  parlamentarie  cede  ogni  più  grave  affare.  Gli 
editti  regi,  l'esecuzione  del  letto  di  giustizia,  tutto  infine  si  rimanda 
ad  aquas  ,  e  quel  parlamento  padre  del  popolo  ,  custode  delle  leggi, 
tutore  de'  re ,  quando  è  tempo  di  villeggiatura  ,  lascia  andare  al 
diavolo  lo  Stato.  Oh  che  paese  è  mai  questo  !  Che  sfacelo  universale! 
E  le  armate?  Ora  si  conviene,  che  Broglio  ha  fatto  peggio  di  Cau- 
tades.  Cautades  spinse  Ano  al  termine  le  armi  francesi  prima  che 
finisse  luglio.  Arrischiò  tutta  la  sorte  a  una  battaglia  ,  che  i  due 
Broglio  con  non  voler  combattere  facevan  perdere.  Ma  Broglio? 
Broglio  ha  perduta  una  campagna  ,  e  una  armata  senza  combattere, 
senza  veder  la  Vestfalia  ,  e  lasciandosi  cinque  volte  sorprendere. 
Gran  disgrazia  è  per  la  Francia  se  non  pensa  a  far  una  pace.  Ma 
io  che  fo  ?  Per  distrazione  e  per  abitudine  facevo  una  lettera  con- 
fidenziale ,  scordandomi  che  non  ho  più  dritto  di  farla ,  che  son 
tornato  secretarlo  ,  e  che  sto  a  patrone.  -  A  proposito  debbo  rispon- 
dere a  un  amatissimo  articolo  di  lettera  di  V.  E.  dell'ordinario 
passato,  che  riguarda  me.  Rispondo  in  breve.  Prima  è  necessario 
che  V.  E.  sappia  qual  fu  la  cagione  della  mia  ipocondria  ,  delle 
querele,  della  domanda  di  ritorno.  Questa  l'ho  taciuta  sempre 
a  V.  E.  e  a  tutti.  Mauro  solo  la  potrebbe  sapere  ,  se  Pallavicini,  a 
cui  me  ne  confessai,  gliela  disse.  La  causa  fu,  l'ignobiltà  dell'im- 
piego ,  a  cui  mi  vidi  condannato.  Niuna  considerazione  hanno  qui  i 
secretari  ;  e  que'  che  ei  sono  non  hanno  altro  corso  di  fortuna  che 
tornare  offlziali  di  segreteria  nelle  loro  Corti.  Questo  colpo  ,  e  il 
sentirmi  dir  da  tutti  quelli  che  prima  mi  conoscevano  figlio  che 
hai  fatto  ?  quae  te  dementia  cepit ,  mi  abbattè  lo  spirito,  e  nocque 
non  poco  alla  macchina.  Da  questo  stato  sono  uscito;  e  quanto  me 
ne  sia  distaccato  lo  giudichi  V.  E.  da  questa  sopraccarta  che  mi 
perdonerà  se  le  accludo.  Dunque  conchiudendo  faccia  Y.  E.  di  me 
quello  che  vuole ,  ma  non  mi  tenga  a  mangiare  e  dormire  in 
casa  d'altri ,  non  mi  metta  a  servire,  non  mi  fàccia  stare  a  patrone , 
che  questo  mestiere  non  so  nò  l'ho  imparato  mai  a  farlo  ,  e  non  mi 
pentirò  mai  d'averlo  ricusato.  Satis  de  hoc  ,  e  non  se  ne  parli  più. 
Avrà  piacere  il  caro  Policarpo  di  leggere  la  sentenza  data  contro 
i  Gesuiti ,  che  ho  fatta  acchiudere  a  V.  E.   È  notabile  che  sono  stati 


LETTERE  DELL  ABATE  GALIANI  43 

convinti  di  vendere  teriaca  velenosa  piena  di  verderame  ;  la  far- 
macopea e  la  morale  stanno  egualmente  male  in  mano  loro.  Il 
ministro  di  Portogallo  qui  ha  fatto  inserire  nella  Gazzetta  ecclesiastica 
quell'articolo  che  riguarda  l'uditor  del  Nunzio,  in  cui  indiretta- 
mente si  punge  la  parzialità  che  la  Corte  di  qui  ha  mostrata  per 
Roma  in  questa  controversia  con  Portogallo.  Se  la  Francia  potesse 
acquistar  nuovi  nemici  senza  sua  ruina  romperebbe  con  Portogallo. 
Dalla  semplice  lettera  del  trattato  conchiuso  qui  con  Turino  potrà 
V.  E.  accorgersi ,  che  lo  stile  non  dovea  piacere  ai  padroni  di  Mi- 
lano e  di  Mantova.  In  fatti  non  è  piaciuto.  Qui  il  ministro  Sardo 
è  manifestamente  prussiano.  Chi  sa,  che  ora  che  è  seguito  il  matri- 
monio Parmense  (  che  non  so  se  Casa  d'Austria  abbia  ben  fatto  a 
sollecitarlo)  non  si  senta  qualche  evoluzione.  Molti  ne  dubitano,  e 
sarebbe  gran  bene  del  genere  umano  ,  e  bene  anche  dell'età  nostra, 
a  cui  la  presente  guerra  ne'secoli  che  verranno  farà  troppo  ver- 
gogna. Fieno  d'ossequio  ,  d' infinito  rispetto  e  di  obbligazione ,  sono 
di  V.  E.  ec. 

Parigi  ,  15  settembre  1760. 


Le  lettere  di  V.  E.  mi  sono  sempre  non  solo  d'onore  ,  ma  di 
somma  utilità  per  l'istruzione  che  ne  traggo  ,  e  di  piacere  per  la 
bellezza  loro.  La  ragione  per  cui  io  pregai  V.  E.  a  interromperle 
nasce  dall'impossibilità  in  cui  io  sono  di  scriverle  di  affari ,  e  della 
necessità  che  ho  di  leggerle  all'ambasciatore.  Mi  dispiacerebbe  per- 
ciò infinitamente  che  egli  vedesse  che  V.  E.  mi  onora  di  scrivermi 
di  cose  serie.  L'età  ,  il  rango  ,  i  costumi  ,  e  soprattutto  gli  infiniti 
obblighi  che  io  ho  al  Conte  di  Cantillana  mi  rendono  troppo  pre- 
ziosa la  sua  gloria ,  la  sua  quiete  ,  e  sino  mi  divengono  sacri  i  suoi 
piccoli  difetti  ,  quali  è  quello  nazionale  ch'egli  ha  di  facilmente 
insospettirsi.  Prego  perciò  V.  E.,  se  non  vuol  farmi  vivere  in  un 
inferno  ,  a  non  scrivermi  finché  io  starò  in  casa  d'altri.  Quanto 
questo  stato  sia  violento  per  me  lo  può  ella  argomentare  da  un  solo 
fatto.  Io  non  amo  persona  al  mondo  più  di  mio  fratello  ,  e  pure 
non  essendo  ricco  ,  mi  contentai  di  rilasciargli  ducento  venti  ducati 
annui  che  ho  di  casa  mia  ,  e  far  la  spesa  d'una  pigione  e  del 
mantenimento  d'una  casa  per  non  vivere  con  altri. 

Mi  rallegro  sommamente  del  secondo  tomo  d'Ercolano  terminato. 
Ma  in  obbligo  di  coscienza  voglio  avvertirle  che  bisogna  bene  av- 
vertire che  Pascale  non  ci  faccia  una  bruttissima  burla ,  quale  sa- 
rebbe quella  di  crepare  sotto  la  fatica  senza  dircene  nulla.  Questa 
perdita  sarebbe  a  parer  mio  irreparabile  ,  perchè  un  altro  ente 
simile  a  Pascale  è  incombinabile.  Ma  la  sua  pusillanimità  arriva  a 


44  LETTERE    DELL'ABATE    GALIANI 

segno ,  che  è  capace  di  sputar  sangue  (  per  esempio  )  ed  aver 
paura  o  vergogna  .  o  piuttosto  stupidità  da  non  dirlo.  Io  che  so 
il  suo  vizio,  l'avviso.  Non  so  quanta  e  quale  sia  ora  la  sua  fatica, 
ma  se  mai  ne  avesse  molta  di  quella  che  sanno  far  gli  altri, 
V.  E.  gliela  levi ,  e  lasci  a  lui  far  quello  che  altri  non  sa  fare. 
Oltracciò  resti  intesa  V.  E.  che  Pascale  non  è  dissipatore  ,  ma  non 
ha  alcuna  idea  della  regola  e  della  economia  ;  perciò  absit  che  per  i 
suoi  meriti  e  fatiche  si  pensasse  ad  aumenti  di  soldo.  Egli  sarebbe 
pezzente  quando  anche  avesse  cento  ducati  il  mese.  A  lui  bisogna 
ottenere  gratificazioni  momentanee  ,  quanto  paghi  qualche  debito  , 
e  torni  poi  a  farne  altri.  Cosi  lavorerà  contento ,  e  scuoterà  l' ipo- 
condria e  sarà  sempre  Pascale.  Viva  Dio  che  dacché  mondo  è 
mondo  non  si  sono  scritte  a  primi  ministri  confidenziali  più  confi- 
denziali delle  mie.  Questo  è  nato  da  che  V.  E.  mi  ha  data  confidenza, 
ed  io  me  ne  son  presa  :  patisco  di  questo  difetto ,  ma  in  verità 
ciò  che  ho  scritto  mi  pare  assai  più  di  servizio  del  re  che  non 
moltissime  cose  alle  quali  gli  ambasciatori  danno  gran  dote.  Il  libro 
è  una  gloria  della  nazione.  Da  pertutto  egli  è  così  stimato  e  ricer- 
cato ,  che  qui  s'era  formata  una  congiura  tra'  librari  di  volerlo 
ristampare  ;  cosa  che  non  è  accaduta  mai  a  libri  di  simile  spesa. 
Io  ne  sono  stato  parlato  ,  e  gli  ho  trattenuti  con  far  loro  conside- 
rare la  grandezza  dell'  intrapresa  ,  e  far  loro  temere  che  un  giorno 
si  potrebbe  vendere  da  noi.  Ma  se  ora  si  trattengono  non  m'impe- 
gnerei che  alla  pace  non  potesse  rinnovarsi  ne' librari  di  qui  questa 
voglia  cos'i  ardita.  E  forse  quando  non  altro,  tradurranno  in  fran- 
cese le  spiegazioni,  e  daranno  descrizione  de'rami  senza  imprimergli. 
Da  ciò  argomenti  quanto  il  libro  piace.  A  ciò  che  V.  E.  mi  ha  scritto 
con  sua  d'uffizio  in  proposito  d'un  ufficiale  francese  che  vuol  pas- 
sare al  nostro  servizio  ,  risponderà  il  sig.  Ambasciatore.  Io  pieno 
d'ossequio  ,  di  rispetto  e  d'aspettazione  resto  di  V.  E. 
Parisi ,  29  settembre  1760. 


Si  legge  nel  Breviario,  che  Eusebio  vescovo  napoletano  ,  per  li- 
berare una  donna  dalla  molestia  d'un  creditore  ,  risuscitò  il  marito 
morto  ,  che  attestò  aver  pagato  il  debito  ,  e  ritornò  a  morire.  V.  E.  è 
S.  Eusebio  ,  io  sono  il  morto.  Io  cadavere  estinto  alla  politica  son 
richiamato  ai  tristi  offizi  di  vita  dall'autorevole  voce  della  sua  con- 
fidenziale dei  13,  ed  obbligato  a  purgarmi  d'una  riconvenzione.  Potrei 
rispondere  seccamente  come  rispose  quel  morto  ,  che  non  avea 
tempo  da  perdere  ,  e  che  apparentemente  avea  terribil  timore  di 
dover  tornare  a  vivere.  V.  E.  mi  dice  che  un  solenne  Cardinale  ha 
detto  ad  Orsini  che  alla  Francia  non  piaceva  la  nostra  mediazione  ; 


LETTERE    DELLABATE    GALIANI  45 

ed  io  risponder  potrei  che  questo  Cardinale  non  sa  cosa  si  dica.  Io 
ho  scritto  a  V.  E.  ciò  che  il  Ministro  qui  non  una  ma  cento  volte 
mi  ha  detto  ;  e  che  sia  vero  ciò  eh'  io  ho  scritto  mi  basta  e  mi  so- 
verchia che  Pasquiat  le  abbia  ex  officio  attestato  lo  stesso.  Di  questa 
sola  discordanza  avrei  paura.  Dunque  io  son  purgato  dalla  mia 
riconvenzione.  Non  è  men  purgata  la  Francia  dalla  riconvenzione 
che  se  le  avrebbe  da  fare.  Choiseul  ha  parlato  a  quattro  persone 
e  manifestata  la  mente  del  suo  re  ;  cioè  a  due  suoi  ministri  e  a 
due  stranieri.  A  Pasquiat  in  Napoli  ,  a  Neuilly  in  Genova  ,  al  mar- 
chese Sorba  ministro  della  Repubblica  qui ,  ed  a  me.  Queste  sono 
quattro  autorità  decisive.  Per  riconvenire  la  Francia  bisognerebbe 
che  o  Laon  in  Roma ,  o  Ossun  a  Madrid  avessero  parlato  diversa- 
mente. Ma  che  un  Cardinale  abbia  parlato  che  fa  ?  l' è  sempre  da 
scommettere  settanta  contro  uno  che  un  Cardinale  dica  spropositi, 
e  non  sappia  quel  che  si  dica. 

Tutto  è  volgo  quella  gente.  Che  sanno  essi  dei  segreti  pensieri 
de' Sovrani  ?  Il  gazzettino  del  Padre  Abate  Mari  formava  un  tempo 
tutta  la  scienza  politica  del  Sagro  Collegio.  Questa  sarebbe  la  ri- 
sposta laconica  e  secca  ch'io  potrei  dare.  Ma  a  V.  E.  (come  sono 
diversi  i  palati  !  )  piacciono  le  lettere  mie  quando  sono  lunghe.  Il 
gusto,  sia  detto  con  sincerità,  è  depravato  :  ma  de  gustibus  non  est 
disputandum.  Giacche  è  così,  io  le  dirò  adunque  che  sebben  cos'i 
lontano  da  Roma  io  so  il  principio  e  la  ridicola  origine  di  tutto 
quest'accaduto  ,  e  sin  dalla  scorsa  settimana  mi  aspettavo  ciò  che 
V.  E.  mi  ha  scritto.  Vado  a  contargliela,  ma  sarò  lungo,  gliel'avviso. 

Nel  partir  di  qui  il  Nunzio  Gualtieri,  restò  incaricato  degli  affari 
un  certo  Abbate  Berardi  suo  uditore.  Non  ovum  ovo  est  similius  di 
quel  che  costui,  e  per  acconciatura  di  capelli,  e  per  fisionomia,  e 
per  maniera  di  pensare  rassomiglia  al  nostro  incomparabile  monsi- 
gnor Perelli.  Credo  averlo  deffinito.  Egli  è  stato  la  nostra  delizia 
e  il  nostro  divertimento  ,  ed  avendolo  il  suo  fato  condotto  sotto  i 
denti  del  Sorba,  l'uomo  di  maggior  spirito  che  sia  qui  ,  è  stata  la 
testa  e  il  toro  delle  nostre  assemblee  ebdomadarie.  Or  costui  s'era 
messo  in  capo  di  diventare  almeno  cardinale  con  questo  interinato 
ministerio.  È  incredibile  le  puerilità  che  ha  commesso  per  farsi 
valere.  Telus  domus  Dei  comedebat  eum.  Quando  cominciò  la  con- 
troversia con  Genova  si  mise  egli  in  grandissimo  moto  (  moto  d'Ar- 
delione  )  ,  e  voleva  che  la  Francia  si  dichiarasse  per  Roma.  Non 
l'ottenne.  Volle  stampare,  per  puro  impeto  del  suo  zelo,  un  mani- 
festo di  Roma  mandatogli  manuscritto  ,  ma  non  se  gli  permise 
stante  alcune  frasi  che  ci  erano  concernenti  l'autorità  del  Papa. 
11  suo  fervore  l'accecò  in  modo  che  volle  ad  ogni  modo  stamparlo, 
o  si  contentò  di    levarne  le  dette  frasi.    Che  passo  falso  sia   stato 


46  LETTERE    DELL'ABATE    (iALIANI 

questo  ,  V.  E.  ben  lo  comprende.  Roma  più  perde  con  questa  ritrat- 
tazione bella  e  buona  ,  che  non  guadagnerebbe  se  risultasse  a  sua 
piena  soddisfazione  1'  intrapresa  del  visitatore.  Il  Sorba  rilevò  subito 
questo  fatto,  e  ne  fece  inserire  un  articolo  nelle  gazzette  d'Amster- 
dam ,  e  d'  Utrect ,  che  all'occhio  fino  di  V.  E.  non  sarà  sfuggito  se 
il  tempo  non  V  è  mancato  di  leggerle.  Or  da  quel  tempo  trai  Be- 
rardi  e  il  Sorba  sono  state  grandi  aimulitates .  Io  che  mi  era  fatto 
amico  del  Berardi ,  perchè  da  sì  fatti  merangoli  (1)  soglio  spremer 
molto  succo  ,  impedii  che  il  Sorba  non  facesse  maggior  strepito  della 
inconsiderata  castrazione  del  manifesto  del  suo  Principe  fatta  dal 
Berardi  che  avrebbe  potuto  ruinarlo.  Infine  il  Berardi  vedendo  che 
nulla  gli  riusciva  a  verso  ,  vennegli  in  capo  che  la  Francia  fusse  la 
mediatrice.  Così  avrebbe  egli  avuto  l'onore  che  tanto  ambiva  di 
meschiarsi  più  in  questo  negozio.  Ma  la  Francia  non  mostrò  alcuna 
voglia  di  ciò;  e  per  contrario  mostrò  bastargli,  che  un  principe 
della  sua  casa  lo  terminasse.  In  tanta  disperazione  il  povero  Berardi 
prese  il  partito  di  scrivere  a  Roma ,  e  dir  male  del  Sorba  suo  per- 
petuo mastigofero,  e  disse  (ed  è  falsissimo  )  che  la  Francia  avea 
rincrescimento  della  nostra  mediazione.  Non  vide  il  pover  uomo 
quanto  era  inverisimile  ciò.  Se  la  Francia  avesse  avuto  dispiacere 
lo  avrebbe  fatto  comprendere  o  a  noi  o  a  Genova ,  ma  non  mai  a 
Roma.  Noi  intanto  già,  fin  dacché  il  Berardi  scrisse,  ci  accorgessimo 
di  qualche  cosa,  perchè  coll'occhio  minacciava  il  Sorba  quasi  d'im- 
minente ruina.  Ma  ciò  eccitava  risa  in  tutti  i  Ministri,  non  parendo 
mai  possibile  che  il  soggetto  non  fosse  conosciuto  in  Roma.  A  me 
non  venne  mai  in  testa  di  scriverne  a  V.  E. ,  perchè  conoscevamo 
l'uomo.  Ridevamo.  Questa  è  adunque  quella  gran  lettera  che  quel 
solenne  cardinale  avea  letta.  Roma  non  ha  più  uomini ,  non  gli 
trova  ,  e  non  conosce  chi  ha.  11  suo  imperio  sarebbe  finito,  se  gli  altri 
conoscessero  ben  lei.  Ma  io  ho  visto  che  niuno  sa  disprezzare  un 
cardinale  quanto  si  dovrebbe. 

Di  tutto  ciò  noi  siamo  venuti  in  chiaro  qui  da  una  lettera 
dell'agente  di  Roma  scritta  al  sig.  Sorba ,  fin  dalla  scorsa  settimana. 
Egli  per  la  somma  intrinsechezza  che  passa  tra  noi ,  non  solo  me 
l'ha  comunicata,  ma  mi  ha  permesso  trarne  la  copia  che  accludo 
a  V.  E.  (2).    Questa  le  dimostrerà  l'autenticità  di  quanto  ho  detto. 

(1)  Merangoli  si  chiamano  in  Napoli  certe  melarancio  piccole  e  di  sapore 
amaro  ,  che  soglionsi  mangiare  candite. 

(2)  Ecco  la  lettera  sopraccennata  : 

«  Qui  fa  del  rumore  una  lettera  di  cotesto  ambasciatore  Berardi  ,  il  quale  ha 
scritto  a  questa  segreteria  di  Stato ,  che  ella  ha  data  formalmente  parte  al 
signor  Duca  di  Choiscul  d'aver  la  nostra  Repubblica  accettata  la  mediazioni? 
del  re  di  Napoli.    Il  modo  secco    con  cui  ha  il  Berardi    avanzata    tal  notizia  , 


LETTERE    DELL*ABATE    GALIANI  47 

Ma  non  posso  perdonare  ad  Orsini  la  sua  pusillanimità  ,  od  il  non 
aver  visto  che  in  quella  corte  mai  non  regnò  tanta  frode  ,  tanta 
doppiezza ,  tanto  mendacio. 

Ora  venendo  a  ciò  che  V.  E.  mi  domanda ,  cioè  un  biglietto  di 
Choiseul,  io  non  veggo  ancora  per  qual  via  se  gli  possa  domandare. 
Non  so  come  mostrargli  che  in  questo  affare  ci  sia  nodo  ed  intoppo. 
Egli  è  l'uomo  che  tratta  gli  affari  con  maggior  veracità  e  fran- 
chezza. Dice  quel  che  pensa ,  e  parla  quel  linguaggio  che  conviene 
a  un  re  potentissimo.  La  menzogna  e  la  simulazione  sono  le  arti 
della  fiacchezza.  Se  io  adunque  gli  dicessi  quel  che  ha  detto  un 
Cardinale  ,  bisognerebbe  raddoppiar  gli  offlziali  della  segreteria  di 
qui.  In  ogni  modo  io  cercherò  qualche  pretesto  per  vederlo  ,  e  gli 
dirò  quel  che  Iddio  m' ispirerà.  Ho  informato  di  tutto  l'ambasciatore 
acciocché  stia  prevenuto  se  Choiseul  glie  ne  parla.  Ma  il  miglior 
espediente  mi  è  parso  il  fare  che  il  Sorba  (il  quale  di  questa  lettera 
avuta  da  Roma  non  avea  fatto  alcun  caso  ,  ed  erasi  contentato  di 
barzellettare  sul  Berardi  )  di  far  dico  che  entri  in  considerazione 
che  può  aver  fatto  impressione  in  Roma  ,  o  almeno  servir  di  prete- 
sto a  chi  gli  va  cercando  ,  sicché  può  egli  farne  lagnanze  qui.  In- 
fatti quel  Cardinale  non  sapeva  nemmen  bene  il  contenuto  della 
lettera  del  Berardi ,  il  quale  aveva  scritto  ,  non  che  V offerta ,  ma 
che  X accettazione  della  mediazione  era  dispiaciuta.  Sicché  sarebbe 
Genova,  e  non  noi  che  al  dir  di  lui  avrebbe  dato  dispiacere  alla 
Francia.  Ma  V.  E.  può  esser,  se  io  non  m'inganno,  sicura  che 
alla  Francia  altro  non  può  dispiacere  se  non  che  il  vedere  che  un 
impegno  in  cui  per  amore  della  tranquillità  dell'Italia,  e  per  bene 
d'ambedue  le  Corti  disgustate  ,  è  entrato  il  nostro  re  ,  non  si  pro- 
seguisse con  quella  dignità  che  conviene  a  un  principe  del  suo  san- 
gue ,  e  parente  di  tanti  re.    A  quell'Orsini    che  olirn  truncus  erat , 


ed  i  termini  co'quali  si  è  espresso,  sono  alquanto  (  per  quanto  sento  )  svantag- 
giosi ,  e  perciò  la  di  lui  lettera  ha  dato  campo  a  qualche  discorso,  sì  riguardo 
alla  sostanza  della  cosa  ,  come  rapporto  alla  maniera  da  lei  usata  nel  dar  sif- 
fatta parte.  Perciò  le  scrivo  questa  mia  per  ragguagliamela  ,  desideroso  d'aver 
da  lei  su  di  ciò  qualche  più  preciso  schiarimento.  Oggimai  sembra  che  la  Corte 
di  Xapoli  sia  per  dichiararsi  mediatrice  tra  noi  e  Roma  ;  ma  finora  non  se  ne 
espressa  assai  chiaramente.  Staremo  a  vedere  :  egli  è  certo  che  ognuno  sfugge 
trattar  con  questo  cardinale  segretario  di  Stato.  Lo  sa  il  vescovo  di  Laon  , 
il  quale,  tuttoché  sia  ambasciatore  del  primo  re  della  cristianità  ,  pure  è  obbli- 
gato a  soffrire  de' sgarbi  nell'altare  de'Certo-ini  ,  il  quale  secondo  le  apparenze 
non  dovrebbe  terminare  che  con  una  rottura  tra  esso  ambasciatore  e  il  no- 
minato Cardinale.  » 

Roma  ,  tO  settembre  17(50. 


48  LETTERE  DELL  ABATE  GALIANI 

e  che  le  lettere  di  V.  E.  hanno  metamorfosato  bisognerebbe  ispirare 
di  stimar  meno  i  tinti  in  cremesino. 

Se  questa  lettera  non  le  par  lunga  le  parrà  corto  il  Breviario , 
e  leggibile  il  Guicciardini.  Pieno  d'ossequio  sono  di  V.  E.,  ec. 
Parigi ,  6  ottobre  1760. 

....  L'ultima  volta  che  vidi  questo  ministro  (Choiseul)  prima  che 
arrivasse  l'ambasciatore,  mi  ricordo  che  egli  mi  disse  queste  precise 
parole:  Pasquinat  m'avvisa  che  vi  dovea  essere  scritto  non  so  che 
dal  vostro  Ministro  sulle  dogane.  Avete  ricevuto  niente  ?  Io  gli  ri- 
sposi che  no  ,  e  vidi  ch'egli  non  sapeva  nulla  ;  ma  nemmen  io  com- 
presi punto  cosa  fosse  questa  interrogazione  ;  siccome  poi  non  ci 
ho  pensato  più,  né  ho  visto  il  Duca,  sono  restato  all'oscuro  finché 
la  lettera  di  V.  E.  di  quest'ordinario  mi  ha  illuminato,  onde  l'ho 
subito  comunicata  a  Cantillana  acciocché  resti  prevenuto  :  ma  non 
ci  sarà  bisogno  perchè  né  per  le  franchigie  né  per  i  diritti  di  do- 
gana sulle  merci  di  Francia  qui  si  pretende  cosa  alcuna  ,  nò  Choi- 
seul ha  tempo  da  pensare  a  siffatte  cose  ;  onde  non  c'è  timore  ,  elio 
egli  acquisti  cattiva  idea  delle  teorie  di  commercio  che  V.  E.  ha  in 
testa  diverse  dalla  eloquente  esposizione  dogmatica  di  Pasquinat. 
Choiseul  non  si  picca  d'esser  dottore  in  tali  materie  ;  materie  nelle 
quali  tutta  la  scienza  e  la  sublimità  è  impostura  ,  e  nelle  quali 
non  ci  è  altro  di  vero  che  la  somma  semplicità  di  quel  teorema 
aureo  che  V.  E.  mi  scrive,  cioè  che  i  generi  proprii  debbono  aver 
materia  e  forma  dentro  i!  loro  stesso  paese  ,  e  che  dee  farsi  com- 
mercio delle  materie  formate,  e  non  delle  informi  (parole  divine 
per  cui  benedico  mille  volte  Iddio  ,  che  lilialmente  questa  massima 
pigli  per  opera  di  V.  E.  radice  nel  nostro  governo  ,  onde  è  eh'  io 
grido,  e  griderò  oh  fortunata  nata  te  consule  Roma).  Ora  io  ca- 
pisco donde  nacque  quel  discorso  strano  che  mi  tenne  Choiseul  tempo 
fa ,  e  che  io  partecipai  a  V.  E.  su'  trattati  di  commercio  che  noi 
avevamo  cogli  Inglesi  più  vantaggiosi  che  co'  Francesi ,  e  di  altre 
consimili  doglianze.  Tutto  era  un  pasticcio  messogli  in  capo  da  Pa- 
squinat dogmatizzatore ,  e  che  era  restato  crudo  ed  indigesto  tale 
quale  si  ci  era  messo.  Pasquinat  adunque  o  per  farsi  merito  ,  o  per 
favorir  mecenati  francesi  suoi  amici  dice  e  pensa  ed  insegna  tante 
belle  cose.  Fa  il  dovere  del  suo  impiego,  e  non  so  biasimarlo.  Ma 
godo  ch'abbia  trovato  un  discepolo  di  testa  così  dura  ,  che  non  ca- 
pisce quanto  ò  grande  la  fortuna  e  l'onore  della  nostra  nobiltà 
d'andare  vestita  di  stoffe  fabbricate  a  Lione  e  disegnate  con  quel 
finissimo  gusto  che  hanno  i  Francesi. 

Quello  poi  che  Pasquinat  le  dirà  sulle  prede  fatte  dagli  Inglesi , 
quello   sì    che    è  scritto  di  qui.  Qui  si  vorrebbe  che  dappertutto  si 


LETTERE   DELL'ABATE   GALIANI  49 

scorgesse  la  prepotenza  degli  Inglesi  sul  mare.  Ma  noi  non  possiamo 
far  meglio  e  più  terribil  guerra  agli  Inglesi  ,  che  con  vestirci  delle 
nostre  lane.  Questa  è  la  guerra  difensiva.  L'offensiva  potressimo 
anche  farla  con  mandar  stoffe  e  galloni  (  che  noi  lavoriamo  al  pari 
dei  Francesi)  a  Cadice  e  a  Lisbona  ,  per  di  là  mandare  all'America. 
Questi  commerci  con  Spagnuoli  e  Portoghesi  desidero  che  siano  a 
cuore  alla  Reggenza,  quanto  è  giusto  che  le  siano  in  odio  coi 
Francesi  e  Inglesi.  Ho  inteso  da  un  Portoghese  che  è  qui  ,  che 
qualche  stoffa  nostra  era  capitata  a  Lisbona ,  ed  eravi  piaciuta. 
Spalanchi  questa  porta  V.  E.  con  levare  i  dazi  a  quelle  manifatture 
di  seta  e  d'oro  nostro  che  vanno  in  Spagna  e  in  Portogallo.  Il 
che  non  perde  niente,  perchè  niente  finora  ci  è  andato,  ma  il  Regno 
acquisterà  milioni,  e  noi  avremo  conquistate  le  Americhe,  e  levati 
venti  vascelli  da  guerra  agli  Inglesi.... 
Parigi ,  3  novembre  1760. 

M' incomoda  cotesto  catarro  che  V.  E.  dice  d' avere.  Ella  lo 
chiama  epidemico  ,  forse  perchè  altri  lo  hanno.  Io  per  me  lo  tengo 
per  epidemico  subito  che  ella  sola  lo  ha.  Certamente  ne  sono  tor- 
mentati tutti  quelli  che  al  pari  di  me  in  te  vivimus  ,  movemur  et 
sumus ,  e  questi  son  tanti  che  bastano  a  dichiarare  una  epidemia, 
tanto  più  che  quasi  tutti  sono  popolari. 

L'  operetta  del  P.  Torre  è  stata  da  me  mostrata  a  qualche  dotto 
che  l'ha  pregiata  assai.  Si  ci  trova  da  riprendere  (e  con  ragione) 
che  egli  l'abbia  indirizzata  all'abate  Nollet.  Costui  è  piccolissima 
cosa,  e  tale  è  tenuto  qui.  Dicono  adunque  i  Francesi,  se  Nollet,  che 
a  noi  pare  sì  piccolo,  è  tanto  grande  alle  pupille  italiane,  quanto 
saranno  piccoli  gì'  Italiani  ?  Questo  raziocinio  è  falso  ,  perchè  io  so 
che  Nollet  parve  anche  più  piccolo  tra  noi  che  non  qui  ;  ma  è  in- 
sidioso raziocinio  ,  e  me  ne  duole.  Dicono  inoltre  qui  che  il  P.  Torre 
non  deve  invidiare  al  pubblico  la  maniera  di  far  cotesti  microscopii 
sferici  impalpabili.  Galileo  non  invidiò  al  mondo  i  telescopii.  Dicono 
inoltre  che,  giacché  Torre  ha  avuto  il  talento  di  trovar  .siffatti  or- 
digni ,  non  dee  staccarsi  di  vedere,  ma  vedere  i  sangui  nelle  diffe- 
renti malattie,  ne' differenti  vasi,  nelle  differenti  età  ec.  Quando 
avrà  visto  ,  faccia  cosa  più  compiuta  e  la  indirizzi  a  quest'Acca- 
demia delle  scienze  ,  o  piuttosto  non  la  indirizzi  a  nessuno.  Che 
vuol  dir  questa  sguaiataggine  d'indirizzare?  Ognuno  vale  un  altro. 
Al  lungo  articolo  della  sua  lettera  che  mi  comanda  far  ben  com- 
prendere quanto  sia  grande  ,  sincera  ed  indistinta  la  sua  affezione 
ai  Borboni ,  ho  la  consolazione  di  poterle  rispondere:  Ja  staecho  (1). 

(1)  Ja  sta  echo,  frase  spagnuola  che  significa     è  già  fatto. 

Abch.  St.  It\l„  3.'  Serie,  T    X  ,  P    I.  7 


50  LETTERE   DELl/ABATE    GALIANI 

Quando  io  vedeva  Choiseul,  conobbi,  e  lo  scrissi  a  V.  E.  ,  che  egli 
ha  la  giusta  idea  che  si  conviene  avere  del  modo  di  pensare  di  V.  E. 
Anche  egli  è  soggetto  a  irritazioni  momentanee  ,  dalle  quali  non  si 
dee  tirare  argomento  ;  ma  V.  E.  troverà  sempre  più  vero  ciocché 
da  più  mesi  le  ho  scritto  (e  confesserà  che  io  ho  visto  acutamente), 
cioè  che  si  trova  gran  differenza  tra  le  cose  che  sono  del  diparti- 
mento di  Choiseul  e  le  altre.  Confronti  per  esempio  la  pronta  con- 
segna del  Carravane  ,  colla  decisione  della  Partenope.  È  un  gran 
male  per  noi  che  Choiseul  non  sia  primo  ministro.  Io  ora  non  lo 
veggo  ,  ma  ci  mandiamo  a  dire  mille  belle  cose  per  lo  mezzo  de'co- 
muni  amici  ed  amiche  che  abbiamo.  Quel  ch'egli  mi  ha  mandato  a 
dire,  io  non  dovrei  scriverlo,  non  convenendo  lodarsi.  Ma  S.  Paolo 
non  ha  empite  le  sue  lettere  di  sue  lodi  ?  Sull'esempio  adunque  di 
così  grande  Apostolo  dirò  a  V.  E.  ciocché  egli  mi  disse  quando 
stava  per  venire  Cantillana ,  e  che  ora  mi  manda  a  confermare.  Mi 
disse  adunque  che  voleva  assolutamente  eh'  io  restassi  qui  ;  che 
avrebbe  scritto  e  si  sarebbe  assunto  egli  il  carico  di  farmi  aumen- 
tare il  soldo,  in  modo  ch'io  potessi  aver  carrozza  ;  che  voleva  trat- 
tar meco  gli  affari,  per  la  ragione  che  non  intendeva  ciò  che  Can 
tillana  dice  (in  questo  dice  il  vero).  Cantillana,  per  la  mancanza 
dei  denti,  non  potendo  articolare  i  suoni  francesi,  e  meschiando  ita- 
liano e  spagnuolo  forma  una  lingua  terza  difficilissima  a  capire. 
Mi  disse  infine  che  se  Cantillana  non  fosse  tornato ,  o  se  partisse 
egli  mi  avrebbe  fatto  star  qui  quanto  io  avessi  voluto.  Pourvu  que 
vous  soyez  avec  nous ,  je  n'insisterai  pas  qu'on  envoye  un  antro 
ambassadeur ,  furono  sue  precise  parole.  Io  lo  ringraziai  allora  ,  e 
mi  scusai  dall'accettar  alcuna  offerta.  Mi  pareva  offendere  o  la  de- 
licatezza di  V.  E.  o  il  puntiglio  dell'Ambasciadore.  Ora  mi  ha  man- 
dato a  replicar  queste  offerte  e  di  nuovo  l'ho  ringraziato;  stiamo 
insomma  come  due  amanti  che  un  padre  crudele  ha  divisi  e  che 
seguitano  ad  amoreggiar  tra  loro.  Intanto  V.  E.  non  mi  risponde  , 
e  quel  che  più  mi  ha  sorpreso,  non  è  nemmeno  andata  in  collera  di 
qualche  sproposito  ,  che  la  violenza  della  contrazione  in  cui  sono 
mi  ha  fatto  scrivere  ,  e  di  cui  sono  al  maggior  segno  penitente  e 
contrito.  Intendo  che  questo  silenzio  voglia  dire  ch'io  aspetti.  Io 
aspetterò  quanto  le  piace  ,  ma  mi  tolga  dallo  star  sulle  spine.  Una 
cosa  tra  l'altre  mi  è  sensibile.  Io  mi  trovo  aver  perduto  il  poslo  di 
uffiziale  della  Segreteria  ,  appunto  come  entrando  in  chiesa  in  una 
folla  si  perde  un  fazzoletto  che  era  in  tasca.  Partii  uffiziale  con 
soldo  ,  ebbi  paura  qui  di  morire.  Volli  tornare.  Fu  scritto  ,  che  se 
tornavo  non  sarei  stato  lasciato  uffiziale.  Stetti  meglio.  Non  tornai. 
Son  qui  da  due  anni ,  e  non  sono  uffiziale.  Come  sia  andata  io  non 
saprei  contarlo.  Infine  è  giustizia  e  non  grazia  che  questa  faccenda 


LETTERE   DELL'ABATE    GALIANI  51 

s*accomodi  ;  che  si  spedisca  la  patente  ;  pigli  l'anzianità  dal  giorno 
sette  gennaio  1759  ;  e  il  soldo  corrispondente  mi  sia  pagato  sepa- 
ratamente da  quel  di  più  che  ho  per  star  qui.  Se  poi  V.  E.  non 
mi  vuol  affatto  più  suo  uffìziale ,  non  mi  ostino;  ma  almeno  mi 
faccia  essere  segretario  del  re  come  io  me  n'era  lusingato  prima 
di  partire,  e  sul  qual  punto  V.  E.  mi  rispose:  Questa  sarà  una  al- 
tra grazia,  che  vi  farà  il  re.  Dopo  un  lungo  interinato  bisogna  che 
io  sappia  se  il  re  è  stato  o  no  contento  di  me.  Non  creda  V  E.  che 
questa  sia  in  me  ambizione  ;  è  timore.  Io  non  ho  ora  niente  di 
sicuro  e  di  reale.  Mille  disgrazie  mi  possono  accadere  ;  sto  ogni 
momento  in  rischio  di  fare  il  secondo  tomo  di  D.  Tommaso.  Tornerò 
adunque  in  Napoli  dopo  avere  spesa  la  gioventù  mia  a  servir  il  re 
tra  i  barbari,  e  resterò  con  un  pugno  di  mosche  in  mano.  Mi  faccia 
bene  V.  E.  ,  ora  che  lo  può  ;  e  prima  che  più  s'ingrossino  le  onde 
sicule  e  i  cavalloni.  Io  non  ho  altroché  lei;  niun  parente  in  corte , 
niun  amico  e  pochi  paesani. 

Non  è  giusto  che  la  lettera  sia  tutta  di  fatti  miei  :  ma  poche 
novelle  ci  sono.  La  Marchesa  di  Durefort  ha  avuta  la  sopravvi- 
venza di  dama  d'Atour  di  Mesdames.  Ella  è  la  favorita  loro ,  e 
lo  merita  per  le  sue  virtù  ;  e  la  famiglia  Duras,  che  vi  è  ora  im- 
parentata con  Noailles  viene  a  comprendere  quasi  tutta  l'alta 
corte  ed  occupa  per  conseguenza  tutto  il  favore.  Si  manda  un 
Irlandese  colonnello  a  questo  servizio  per  ministro  interino  in 
Portogallo  ,  che  forse  vi  resterà  plenipotenziario  perchè  non  pare 
che  questa  corte  voglia  mandarvi  più  ambasciadore ,  stante  le 
etichette  straordinarie  ivi  stabilite.  Il  popolo  siegue  qui  a  parlar  di 
pace  ,  e  manda  Soubise  per  plenipotenziario  ;  ma  se  gì'  Inglesi  non 
diventano  più  moderati  nelle  domande,  un'altra  campagna  si  farà. 

Pieno  d'ossequio  infinito  e  d'obbligazione  sono  di  V.  E. 
Parigi,  5  gennaio  1761. 


Le  nuove  della  settimana  sono  o  nella  gazzetta  o  nella  lettera 
d'offìzio.  Aggiungerò  adunque  qualche  bagattella  del  paese  ,  che  se 
non  importa  sapere,  può  almeno  divertire,  e  qualche  rischiaramento 
sulle  nuove  già  scritte. 

Il  far  marciare  la  maison  da  voi,  io  lo  credo  un  effetto  della 
vanità  di  Soubise,  a  cui  piacerà  moltissimo  aver  questa  inargentata 
gente  sotto  i  suoi  ordini ,  e  dar  così  Paria  alla  sua  armata  d'esser 
la  maggiore.  Ma  la  morte  di  Bellisle  può  far  cangiar  molto  nelle 
disposizioni  della  prossima  campagna.  Choiseul  è  amico  di  Broglio. 

Morì  adunque  Bellisle  ,  1'  uomo  del  mondo  che  avea  accumulato 
il  più  d'onori ,   di  ricchezze  ,    di  riputazione  ,    e    forse  tutte  egual- 


52  LETTERE    DELL'ABATE   GALIANI 

mante  troppo.  Non  crederanno  i  posteri  le  particolarità  della  sua 
vita.  Chi  eroderà  che  Bellisle  non  avea  intervenuto  ,  né  vista  mai 
in  sua  vita  una  battaglia?  Chi  crederà  le  sue  ricchezze,  delle  quali 
per  altro  il  maggior  erede  è  il  re,  come  era  giusto?  I  suoi  leudi 
gli  avea  già  in  vita  ceduti  al  re  ,  riserbandosene  l'usufrutto.  11  suo 
palazzo ,  che  avea  costato  tre  milioni ,  lo  ha  anche  legato  al  re  ; 
del  resto  è  erede  monsieur  de  Castries.  Il  suo  lusso  superava  l'im- 
maginazione :  ne  dirò  due  circostanze.  Si  sono  trovate  nel  suo  in- 
ventario diecimila  dozzine  di  salviette  di  tavola ,  seicento  letti. 
Il  resto  a  proporzione.  Che  direbbe  Orazio  ,  che  si  scandalizzò  delle 
seimila  clamidi  di  Lucullo  ?  Lucullo  era  alfine  altra  cosa.  Questo 
infine  mostra  la  grandezza  di  questo  regno  ,  ma  più  la  grandezza 
della  corruttela. 

Choiseul  sarà  piuttosto  un  primo  ministro,  che  non  un  segretario 
di  due  dipartimenti.  Fisicamente  manca  il  tempo  a  riempir  questi 
due  incarichi ,  che  non  sono  stati  mai  uniti  in  un  solo.  Il  conte  di 
Stainville  suo  fratello  sposa  una  nipote  d'un  ricchissimo  finanziere, 
e  per  ora  avrà  una  rendita  di  quarantacinquemila  lire  per  dote. 

L'altra  sera  dettero  qui  un  solennissimo  ballo  i  franc-macons 
nella  lor  loggia  che  è  la  casa  del  loro  gran-maestro.  Vi  fu  tutta  la 
primaria  nobiltà  e  il  principe  di  Condè.  Vi  sarebbero  stati  anche 
gli  altri  principi  del  sangue ,  se  il  lutto  della  duchessa  di  Modena 
non  l'avesse  vietato.  Con  questa  tolleranza  non  guadagnano  di  stima 
i  franc-macons ,  e  i  loro  misteri  e  segreti.  Il  loro  merito  era  la 
persecuzione.  Qui  sono  valutati  per  quel  che  sono. 

Si  sono  alquanto  inimicate  le  famiglie  di  Corena  con  i  Rohan  per 
una  etichetta  del  noto  matrimònio  della  figlia  di  Soubise  col  suo 
cugino  Rohan-Guéméné.  Una  figlia  del  conte  di  Brienne  come  pros- 
sima parente  avendo  portata  la  coda  della  vesta  nuziale  alla  sposa , 
se  n'è  doluto  assai  il  parentado  e  principalmente  Fllbens,  e  ne  hanno 
fatto  lagnanze  e  proteste,  non  volendo  che  i  Rohan  (quantunque  qui 
trattati  come  principi  stranieri)  vadan  del  pari  con  essi.  Ma  le  risse 
di  questi  principi  disarmati  non  son  dissimili  da  quelle  dei  privati , 
e  i  Guisi  d  oggidì  non  son  quelli  d'  Enrico  IV. 

Boscovich  è  stato  aggregato  alla  Società  Reale  in  Londra.  Scri- 
vono di  là  che  questo  è  il  secondo  esempio,  giacché  anni  sono  vi 
fu  aggregato  Mehemet  e/fendi  ambasciadore  della  Porta. 

Pieno  d'ossequio ,  di  rassegnazione  e  d'obbligazione  infinita  re- 
sto ,  ec. 

Parigi ,  2  febbraio  1761. 

Questa  mattina  in  fretta  in  fretta  mi  ha  fatto  l'ambasci adore 
impasticciare    la   regolare   prima  d'andar   egli   a   Versailles ,   non 


LETTERE    DELL'ABATE    GALIANI  53 

essendo  suo  costume  di  menar  altri  con  se  quando  va  là  ;  è  biso- 
gnato, ch'io  la  stendessi  su  quelle  confuse  nuove  che  mi  ha  date, 
acciocché  potesse  firmarla.  Cosa  io  m'abbia  scritto  non  so  Tanto 
era  pien  di  sonno  in  su  quel  punto  che  la  feci.  Scrivo  adunque  in 
questa  le  cose  meglio,  e  fo  una  ritrattazione  sul  gusto  di  quelle  di 
s  Agostino,  che  vale  a  dire  sarà  forse  più  oscura  e  imbrogliata 
che  prima.  Ma  innanzi  ad  ogni  altra  cosa  debbo  rendere  infinite 
grazie  a  una  singolarmente  gentile  espressione ,  di  cui  V.  E.  si 
serve  nella  sua  dell'ultimo  del  passato,  chiamando  dilettazione  mo- 
rosa quella  di  scrivere  a  me.  Questo  è  troppo,  onde  ho  paura  che 
ella  che  sa  molto  più  il  latino  che  i  frati  moralisti,  abbia  dato  a 
quel  Morosus  il  vero  suo  significato.  Infatti  un  fastidioso  diletto  è 
quello  delle  lettere.  Ma  veniamo  alle  nuove.  V.  E.  ha  stima  di  Bro- 
glio -,  anche  qui  ha  egli  un  gran  partito  :  ma  pochi  sanno  conciliare 
i  talenti  di  questo  generale  con  quel  che  da  due  mesi  in  qua  è  ac- 
caduto. Voglio  perciò  dire  a  V.  E.  l'aneddoto  di  ciò  che  tengo  da 
buonissimo  canale.  Ne'  principi  dell'  inverno  ci  è  stato  discorso  di 
pace  coli'  Inghilterra.  Si  era  venuto  sino  al  discorso  di  cambj  e 
restituzioni.  La  Francia  metteva  sul  suo  libro  1'  Hassiano  e  Got- 
tinga, come  cose  già  conquistate  e  sue,  e  le  voleva  pagate.  Londra 
diceva  che  Cassel  e  niente  era  tutt'  uno  ,  perchè  in  Cassel  non  si 
poteva  restare.  Si  scrisse  a  Broglio  ,  e  si  mostrò  la  gran  voglia 
ch'ei  guardasse  queste  piazze,  e  tutto  sulla  fiducia  che  la  pace  si 
avesse  a  far  subito.  Broglio  ha  adulato,  ed  ha  preso  un  quartiere 
d'inverno  da  politico  e  non  da  militare.  .Ma  egli  senti  tutti 
gl'incomodi  della  sua  posizione,  e  perciò  si  raccomandò  che  almeno 
i  fianchi  gli  fossero  guardati  dagli  austro-imperiali.  Se  ne  scrisse  a 
Vienna.  Vienna  disapprovò  il  progetto  de'quartieri,  dicendo  che  erano 
in  aria,  e  senza  verun  appoggio.  Qui  si  credette  che  fosse  invidia 
di  Vienna  e  desio  d'allungar  li  guerra;  e  Broglio  ,  sempre  dando 
speranza  che  avrebbe  reso  possibile  un  impossibile  ,  si  presero  i 
quartieri  d'  inverno  come  V.  E.  sa.  Ma  Londra  ha  canzonato  anche 
questo  inverno  i  Francesi  colla  speranza  d'una  pace,  di  cui  qui  si 
ha  soverchia  sete  ;  ed  ha  fatto  saltare  in  aria  i  quartieri.  Ma  quanto 
tenesse  a  cuore  al  Broglio  il  far  vedere  che  si  teneva  Cassel  e  Got- 
tinga, si  è  conosciuto  dall'aver  voluto  piuttosto  lasciarci  cosi  grossa 
parte  della  sua  armata,  che  non  evacuarle.  Tutto  è  adulazione.  In- 
tanto qui  si  dice  che  Vienna  ha  fatto  perder  1'  Hassiano;  e  forse  non 
si  ha  torto. 

Ho  osservati  originalmene  tutti  i  bullettini  dell'armata  di  Bro- 
glio fino  al  diciotto ,  che  un  amico  (  del  nostro  corpo  diplomatico  ) 
mi  ha  fatti  leggere.  Sono  in  essi  inseriti  i  biglietti  del  conte  di 
Broglio.  In  verità  sono  anche  questi  pieni  d'adulazione  politica.   In 


54  LETTERE   DELI,' ABATE    GALI  ANI 

quello  del  d'i  otto  si  descrive  la  sortita  tale  quale  V.  E.  la  leggerà 
nella  gazzetta,  e  si  fanno  molte  rodomontate.  Tra  l'altre  dice  il 
conte,  che  aspettava  con  ansietà,  che  piantassero  le  batterie  per 
andarsele  a  prendere.  Ma  poi  nel  suo  biglietto  del  quattordici  , 
che  è  i!  più  fresco,  dice  che  il  giorno  stesso  de'nove  avevano  gli  as- 
sedianti  rifatta  la  parallela  distrutta  nella  sortita  del  giorno  ante- 
cedente, e  cominciata  la  seconda,  che  fu  terminata  il  dì  dieci,  e 
piantatavi  una  batteria  di  tredici  cannoni  e  due  mortai  :  nò  si  sente 
ch'egli  sia  andato  a  pigliargli.  Piccolezza  d'animo  anche  ha  mostrato 
il  maresciallo  a  voler  tacer  quest'assedio,  e  disdir  le  lettere  di 
Olanda  che  l'avvisavano ,  e  che  si  sono  trovate  veridiche  in  tutto. 
La  sustanza  è  che  Cassel  prima  della  fine  di  questo  mese  sarà  reso, 
e  non  mi  pare  vederci  via  di  salvarlo,  se  pure  Broglio  non  riesce  a 
sbucare  per  la  destra  del  principe  Ferdinando,  come  fece  nella 
campagna  passata,  ed  arrischiare  una  azione,  che  di  nuovo  acca- 
drebbe nelle  vicinanze  di  Corbach.  Ma  questa  intrapresa  non  si  farà 
se  non  quando  saranno  qui  usciti  da  ogni  speranza  di  pace  ,  della 
quale  vogliono,  non  so  perchè,  lusingarsi  ancora.  Ora  corre  qui 
voce  della  caduta  di  Pirna  ,  ed  è  nuova  fondata  su  lettere  venute 
d'Inghilterra;  ma  anche  là  si  scrivono  e  si  dicono  ciarle  infinite. 
Il  principe  Carlo  di  Lorena  avrà  sicuramente  il  Gran  Maestrato 
dell'Ordine  Teutonico.  De' vescovati  d'Alemagna  non  sento  peranche 
nulla  di  positivo.  Pasquale  mi  avvisa  la  bontà  che  V.  E.  seguita 
ad  avere  per  i  Consocj  Accademici ,  e  io  in  particolare  ne  ringra- 
zio V.  E.  La  prego  a  non  scordarsi  di  me,  perchè,  quantunque  quel 
sat  cito  si  sat  bene  che  V.  E.  mi  scrisse  mi  turi  la  bocca,  ad  ogni 
modo  quel  carpe  diem  quam  nimium  credula  postero  d'Orazio,  mi 
piace  assai  più. 

La  dilettazione  morosa  che  ho  data  questa  sera  a  V.  E.  è,  per 
Dio  ,  tale  ,  che  neppure  un  Bussunbaum  la  piglierebbe  per  peccato 
veniale,  quantunque  questi  moralisti  misurino  sempre    a  pollici   e 
spanne  i  peccati.  Sono  di  V.  E.  ossequiosamente  ,  ec. 
Parigi,  23  marzo  1761. 


Nello  scorso  martedì  stimai  conveniente  andare  a  Versailles  a 
far  la  corte  al  re.  Niuno  dei  ministri  esteri  mancò  di  andarvi ,  ma 
niuno  dei  segretari  d'Ambasciata  volle  imitare  il  mio  esempio  ,  cosa 
che  mi  dispiace ,  perchè  da  una  parte  veggo  ,  che  peccherei  di 
singolarità ,  e  forse  mi  esporrei  a  qualche  sgarbo  frequentando 
le  mie  andate  là,  e  dall'altra  parte  veggo  e  conosco  sempre  più 
quanto  sia  necessario  frequentar  quelle  contrade  a  uno  del  nostro 
mestiere.  La  sola  ispezione  delle  fisonomie  di  chi  parla  al  ministro  , 


LETTERE    DELL'ABATE    GALIANI  55 

la  durata  della  conferenza  e  altri  piccolissimi  indizi  dicono  molto 
a  chi  ha  la  carta  del  paese.  Posso  dire  che  queste  sole  congetture  mi 
assicurarono  nello  scorso  martedì  della  mutazione  accaduta  in  Sve- 
zia, e  che  ho  scritta  nella  regolare.  Questo  baron  Scefter,  fratello  del 
senatore,  e  ministro  qui,  non  può  dissimulare  l'afflizione  del  rischio 
in  cui  vede  e  sé  e  la  sua  famiglia. 

La  corte  di  Polonia  fortemente  si  maneggia  per  qualche  dignità 
ecclesiastica  al  principe  Clemente.  La  Francia ,  ed  anche  la  Spagna 
secondano  l' impegno  ,  onde  è  verisimile  che  questo  principe  abbia 
la  coadiutoria  di  Colonia.  Hildesheim  ò  chiesa ,  che  è  stata  solita 
andar  unita  con  Colonia.  Niente  si  vede  chiaro  ancora  sulle  due 
altre  ,  Mùnster  e  Paderborn. 

Ai  quindici  dell'entrante  è  fissa  la  partenza  della  casa  del  re. 
A  questo  proposito  dirò  una  riflessione ,  che  feci  sul  primo  anno 
che  fui  qui ,  e  che  spiega  il  problema  perchè  le  armate  francesi 
fanno  meglio  il  verno  che  la  state.  La  state  una  armata  francese  è 
una  vera  crociata,  ovvero  un'armata  polacca.  Tutta  la  nobiltà 
francese  se  ne  va  in  furia  all'armata  a  far  quel  ch'essi  chiamano  la 
campagna.  Infinito  lusso  ,  infiniti  equipaggi ,  gran  cuochi ,  grande 
chére ,  tutti  vogliono  brillare,  niuno  ubbidisce,  parlano,  ciarlano, 
fanno  cabale  e  brighe,  ardono  di  tornare  a  veder  le  loro  maitresses 
a  Parigi ,  e  intanto  devastano  ,  affamano  tutto  il  paese  in  tre  dì. 
Centocinquantaquattromila  uomini  contati  componevano  tre  anni 
fa  l'armata  francese  in  Westfalia  ,  e  non  ci  erano  più  di  sessanta- 
duemila soldati.  Or  questa  crociata  è  senza  fallo  battuta  Ma  all'ot- 
tobre sfollano  questi  mangia-pane  ,  e  i  tanti  offlziali ,  e  volontari  , 
che  sono  in  un  reggimento  talvolta  più  che  i  soldati  ,  restano  i 
veri  soldati  ,  i  quali  fanno  bene.  Quindi  le  vittorie  di  Bergen , 
di  Wesel,  e  questo  ultimo  fatto  di  Grumberg  accadute  tutte  quando 
la  nobile  oflizialità  non  era  all'armata.  Ora  cominciano  i  dolori. 
Già  vedo   immunerabili    equipaggi  colle  valige  gallonate  d'argento. 

Nella  scorsa  settimana  la  lunghezza  della  lettera  mi  fece  trala- 
sciar di  dirle,  che  dopo  la  morte  del  signor  duca  di  Borgogna  fattasi 
la  discezione  del  cadavere  ,  si  vide  manifestamente  il  suo  male  non 
esser  provenuto  d'altro  che  da  una  caduta,  che  per  politica  si  era 
voluta  celare  in  corte.  Tutte  le  corti  sono  una  stessa  cosa.  Ho  fatta 
leggere  a  Cantillana  la  lettera  di  V.  E.  ;  ma  non  so  se  egli  potrà 
veder  domani  il  Ministro  ,  che  starà  occupato  nelle  nozze  del  fra- 
tello. Per  dirle  quel  eh'  io  penso  sull'affare  di  Malta  ,  a  me  pare 
che  le  risposte  arabe  di  quei  frati-corsari  non  vengano  da  voglia 
ch'essi  abbiano  di  sfidare  la  potenza  ottomana,  ma  soltanto  dal 
voler  che  tutto  il  merito  della  restituzione  ch'essi  faranno  sia  della 
Francia  e  non  d'altri.  Quindi    dico ,   che   prima   sentiremo  la  nave 


56  LETTERE   DELL'ABATE   G-ALIANI 

andata  a  Costantinopoli  ,  che  non  sapremo  averla  la  Francia  otte- 
nuta :  mi  pare  che  anche  la  freddezza  delle  risposte  che  si  danno 
qui  ai  Veneti  proceda  dalla  stessa  cagione  ,  che  la  Francia  vuol 
sola  comparir  la  mezzana.  Questo  è  quello  ch'io  penso;  del  resto 
tocca  a  V.  E.  sapere  quid  seres  et  regnata  Cyro  Bactra  parent, 
Tanaisque  discors.  Se  nel  fuoco  ottomanno  non  soffiano  gli  Inglesi, 
non  ci  sarà  incendio. 

Pieno  d'infinito  ossequio  e  di  somme  obbligazioni,  raccomandan- 
domi all'affetto  di  V.  E.  resto,  ec. 
Parigi ,  30  marzo  1761. 


Se  lettera  magra  è  biasimo, pinate  ha  da  esser  lode.  C'est  une 
mauvaise  chicane  qne  vous  ine  f aite s  là,  avrebbe  gridato  un  petit- 
rnaitre  nel  leggere  il  primo  articolo  della  carissima  di  V.  E.  de'21  dove 
io  apparisco  grossamente  reo  di  pinguedine  per  essermi  servito  mal 
a  proposito  di  questo  epiteto.  Ella  mi  condanna  con  Orazio  ,  io  mi 
giustifico  col  latino  del  mio  breviario,  nel  quale  il  pinguis  è  super- 
lativo d'eccellenza.  Mons  Dei,  mons  pinguis,  ambedue  gli  epiteti 
vaglion  lo  stesso.  Dunque  pingue  lettera  vai  lettera  divina ,  lettera 
letterissima.  Restiamo  dunque  così ,  che  la  pinguedine  tra  gli  eccle- 
siastici sia  lode,  tra  gli  altri   no. 

Chiunque  perde  una  lite  è  condannato  nelle  spese.  Vado  vedendo 
che  V.  E.  avrà  questa  condanna  nella  pinguissima  lettera  (  in  sensu 
Horatii  )  che  questa  sera  le  minaccio.  Veggo  ch'ella  inorridisce  del 
gastigo  ;  ma  io  sarò  inesorabile  quanto  una  sanguisuga. 

Honigsech  è  Elettore  di  Colonia.  L'eritrocefalo  è  restato  burlato. 
E  pur  Francia  lo  voleva  ,  e  con  impegno.  Ma  Vienna  ha  voluto 
l'altro,  e  lo  ha  fatto.  Ora  dicono  che  la  colpa  è  del  Papa,  che  ha 
negato  il  breve  d'eligibilità ,  scandolezzato  della  poco  ecclesiastica 
vita  che  il  marchese  di  Franchemont  ha  menata  qui,  e  della  nasco- 
sta berretta.  Ma  questa  è  scusa.  L'opera  è  di  Vienna,  e  forse  ci  ha 
contribuito  questo  ambiente  cesareo  che  è  qui ,  a  cui  il  Leodiense 
ha  guastato  il  matrimonio  ch'egli  intendeva  fare  con  mademoiselle 
de  Baviere  che  è  qui  ;  e  sacrificato  perciò  il  suo  ministro  Van  Heich 
come  mezzano  di  tali  nozze.  Questo  è  almeno  quel  di  più  chiaro 
che  si  è  visto  tra '1  buio  della  condotta  del  detto  Leodiense  qui,  e 
la  ragione  più  credibile  del  suo  ministro.  A  buon  conto  quello  fa 
vedere  che  Vienna  non  è  tanto  d'accordo  con  Francia  .  e  che  non 
vuol  l'onde  del  Reno  infrancesate.  Un  altro  esempio  della  poca  con- 
cordia abbiamo  nella  elezione  del  gran  maestro  Teutonico.  Vengo 
dal  mio  amico  assicurato  che  la  Francia  desiderasse  l'elezione  in 
persona  del  conte  di  Lusazia  ,  che  si  era  raccomandato  alla  Delfina 


LETTERE   DELL'ABATE   GALIANI  57 

sua  sorella,  ed  anco  in  Spagna.  Ma  a  Vienna  e  piaciuto  il  principe 
Carlo:  e  Vienna  mai  non  fu  come  ora  autorevole  nell'imperio. 

È  venuta  analmente  a  luce  questa  spedizione  anglicana  che  ha 
fatto  strologare  i  politici.  Qui  per  altro  non  si  ci  pensava  neppure, 
e  gli  uffiziali  che  comandano  sulla  costa  se  ne  stavano  spensierati 
a  divertirsi  a  Parigi.  Si  pensava  che  la  tropèa  (1)  andasse  in  luogo 
impossibile  a  soccorrere.  Non  so  perciò  che  sarà  di  queir  isolotto  , 
che  gì'  Inglesi  vogliono  pigliare.  Ma  due  cose  mi  danno  a  credere 
che  non  lo  prenderanno.  Primo,  che  ci  è  forte  guarnigione.  Secondo, 
(e  questo  lo  stimo  più)  che  non  ci  è  quasi  nessuno  ufflziale.  Un  tenente 
colonnello  comanda  i  quattro  battaglioni.  Farà  dunque  bene  secondo 
il  vero  sistema. 

La  pace  non  si  dà  tanto  per  fatta  qui,  quanto  in  Inghilterra; 
nò  il  congresso  Augustano  ha  maggior  credito  che  la  confessione 
Augustana.  Quindi  le  azioni  non  sono  conosciute.  Questo  è  quel  che 
il  popolo  pensa  ,  il  quale  è  entrato  in  un  entusiasmo  e  fanatismo 
incredibile  del  Broglio  ,  che  poc'anzi  era  un  cattivo  generale.  Curiosa 
nazione  è  questa  a  cui  dal  cielo  in  luogo  del  buon  senso  è  stata 
data  la  fantasia. 

Quello  poi  che  sulla  pace  si  debba  pronosticare  da  chi  sa  i 
segreti  de'  gabinetti,  io  son  troppo  piccola  cosa  per  poterlo  sapere. 
Solo  col  mio  debole  raziocinio  ,  dirò ,  che  se  non  si  conclude  un 
armistizio  ,  il  congresso  durerà  più  che  non  ha  durato  la  guerra , 
e  con  poca  conclusione. 

Di  Malta  non  scrivo,  avendone  scritto  il  signor  ambasciatore  che 
vidde  Choiseul,  e  da  cui  pare  che  si  diano  buone  speranze.  Venne  la 
cassa  degli  Ercolani  :  ma  non  si  potranno  presentar  domani  al  re.  Io 
ho  scorso  il  volume,  e  sono  egualmente  contento  e  de'rami ,  e  delle 
spiegazioni.  È  la  più  bella  cosa  che  io  abbia  mai  letto.  Riconobbi 
che  la  passione  più  che  l'eloquenza  l'avria  dettata ,  e  perciò  è  bel- 
lissima perchè  ò  scritta  col  cuore.  Non  si  fanno  belle  cose  quando 
il  cuore  non  è  interessato  :  e  perciò  tutti  i  Petrarchisti  non  hanno 
fatto  mai  un  sonetto  cbe  vaglia  quelli  del  Petrarca.  Quella  dedica- 
toria non  potea  farla  se  non  chi  pensava  quello  stesso  che  scriveva 
sul  libro  scritto  a  Pascale. 

M'impietosisco  per  V.  E.  e  le  fo  grazia  del  terzo  foglio  ,  che  le 
avevo  minacciato,  ma  a  condizione  che  mi  creda  di  V.  E.,  ec. 
Parigi ,  13  aprile  1761. 

(1)  A  Napoli  per  tropèa  s'intende  un  violento  temporale. 


Arch.  St.  Itai..,  J.»  Serie  ,  T.  X  ,  P.  I 


I  PORTI  DELLA  MAREMMA  SENESE 

DURANTE    LA   REPUBBLICA 

NARRAZIONE   STORICA   CON   DOCUMENTI   INEDITI 

DI  LUCIANO  BANCHI 


Avvertimento. 

Questa  narrazione  sui  Porti  della  Maremma  Senese 
offro  ai  lettori  come  saggio  di  uno  studio  sopra  alcuni 
documenti  del  R.  Archivio  di  Stato  in  Siena.  Fu  scritta 
fino  dai  primi  mesi  del  1862  per  invito  che  n'ebbi  dalla 
R.  Soprintendenza  Generale  agli  Archivi  Toscani ,  a  cui 
la  Commissione  regia  per  l'insegnamento  nautico  diman- 
dava notizie  dell'antica  nostra  marina.  Il  sommario  dei 
capitoli  che  fu  pubblicato ,  or  sono  quasi  cinque  anni , 
nel  Giornale  Storico  degli  Archivi  Toscani  (  Voi.  IV, 
pag.  62-63  )  basta  a  mostrare  il  notevole  accrescimento 
dato  a  questa  narrazione  ora  che  vien  posta  alla  luce. 
Ho  creduto  poi  non  essere  superfluo  allegare  in  fine 
alcuni  dei  più  pregevoli  documenti ,  i  quali  mi  sembra 
che  debbano  crescere  pregio  alle  cose  narrate.  Gene- 
ralmente ,  almeno  in  Italia ,  pochi  leggono  i  documenti 
che  pur  vogliono  vedere  raccolti  in  buon  numero  in  fine 


1   PORTI   DELLA   MAREMMA   SENESE  59 

ad  ogni  volume  di  storia  :  ma  sebbene  ai  lettori  dell'Ar- 
chivio Storico  non  possano  essere  lettura  molesta  i  docu- 
menti ,  nondimeno  piacemi  di  avvertire  che  alcuni  di 
essi  reputo  di  molta  importanza  per  l' istoria  del  nostro 
antico  commercio  e  per  gli  studi  sull'economia  del  medio- 
evo ;  tantoché  amerei  che  non  si  trascurassero  del  tutto 
i  trattati  commerciali  fatti  dal  Comune  di  Siena  coi  Fio- 
rentini e  coi  Catalani  a  cagione  del  porto  di  Talamone , 
come  altresì  la  tavola  comparativa  delle  gabelle  che  in 
tempi  diversi  furono  percette  in  quel  porto ,  la  quale  ho 
compilato,  non  senza  qualche  fatica,  sui  documenti  del- 
l'Archivio Senese. 

La  mia  narrazione  muove  dal  1303,  nel  qual  anno 
Talamone  venne  in  proprietà  del  Comune  di  Siena ,  e 
giunge  fino  alla  caduta  della  repubblica.  Se  non  che ,  a 
maggiore  utilità  di  chi  legge ,  ho  date  nel  primo  capitolo 
alcune  sommarie  notizie  sul  littorale  della  maremma 
toscana  al  tempo  degli  Etruschi  e  dei  Romani  ;  notizie 
che  sono  come  il  proemio  di  questa  narrazione. 

Siena ,  gennaio  1868. 


60 


I  PORTI  DELLA  MAREMMA  SENESE 


Capo     Primo. 


Sommario. 

Il  littorale  toscano  dall'  Ombrone  all'Ansedonia.  -  Talamone.  -  Opinioni  varie 
sulla  derivazione  di  questo  nome.  -  E  fondato  dagli  Etruschi.  -  Monete 
attribuite  a  Talamone.  -  Battaglia  tra  i  Romani  e  i  dalli  presso  Talarnone. 
-  Vi  approda  Caio  Mario.  -  Le  tombe.  -  Terme  di  Diocleziano.  -  Difetto 
di  notizie  fino  all'età  moderna. 

Quella  parte  del  littorale  toscano ,  che  dalla  foce  del 
fiume  Ombrone  si  stende  fino  alla  torre  di  San  Pancra- 
crazio,  appiè  della  collina  ove  surse  la  popolosa  Anse- 
donia ,  a  chi  la  contempli  dalla  più  alta  vetta  del  monte 
Argentare ,  offre  spettacolo  non  interrotto  di  seni ,  di 
piccoli  golfi  ,  di  scogliere  e  di  rupi  sporgenti  sul  mare. 
Oltre  il  lido ,  fertili  e  vaste  pianure ,  intersecate  da  fiumi 
e  torrenti ,  che  la  viva  luce  del  sole  fa  sembrare  lunghe  e 
tortuose  strisce  d' argento ,  boschi  folti  ed  estesi ,  col- 
line e  poggi  riccamente  vestiti  di  ulivi  e  di  viti.  Dove 
il  terreno  più  s'eleva ,  alcune  castella  ;  qui  e  là  piccoli 
laghi  ;  talora  lungo  la  spiaggia,  acque  paludose  e  sta- 
gnanti. Questo  largo  tratto  di  paese ,  che  scorgi  ubertoso 
ma  poco  abitato  ;  gli  avanzi  delle  mura  ciclopiche  della 
Ansedonia  ;  Orbetello  che  specchiasi  nelle  salse  acque 
del  suo  stagno  ;  il  porto  squallido  e  deserto  di  Talamone 
richiamano  alla  mente  la  storia  di  due  grandi  popoli , 
l'etrusco  e  il  romano.   I  casseri  e  i    fortilizi    sull'alto   di 


I    PORTI    DELLA    MAREMMA    SENESE  61 

rupi  scoscese  ;  le  vedette  e  le  torri  sul  lido  del  mare 
ricordano  l'età  meno  antica ,  ma  non  meno  gloriosa  , 
dei  liberi  comuni  italiani. 

Talamone ,  già  ricordato ,  è  piccolo  castello  sulla 
sommità  di  una  rupe  che  inalzasi  all'estremo  fianco 
occidentale  del  porto,  distante  circa  otto  miglia  dal 
monte  Argentare  II  porto  è  capace  di  molte  navi ,  assai 
riparato  dai  venti ,  e  dal  lato  orientale  difeso  da  una 
torre ,  posta  presso  la  foce  del  fiume  Osa.  L'origine  del 
nome  di  Talamone  fu  causa  di  molte  congetture  ,  io  direi 
quasi  di  molti  vaneggiamenti ,  a  storici  ed  eruditi.  Così 
per  esempio ,  Diodoro  Siculo  non  dubitò  d'asserire  che  , 
approdando  a  quel  porto  gli  Argonauti ,  dal  nome  di  un 
loro  compagno  lo  chiamarono  Talamone.  Il  Volterrano 
invece  ne  attribuì  l'origine  a  Telamone  Teucro ,  che 
dopo  la  guerra  e  la  distruzione  della  sua  patria ,  avreb- 
be riparato  a  quei  lidi.  Ma  se  queste  opinioni  non  pos- 
sono garbare  ai  lettori  perchè  ,  se  non  altro ,  dedotte  da 
avvenimenti  che  una  miglior  critica  ha  ripudiato  ,  parrà 
loro  molto  più  singolare  ciò  che  .  nel  secolo  passato  ne 
scrisse  in  alcune  Dissertazioni  Etrusche  l'erudito  Maz- 
zocchi. In  breve  ,  è  questo  il  ragionamento  che  egli  fece. 
-  Telamo  è  nome  di  un  promontorio  e  di  un  porto  : 
il  verbo  caldeo-siro  Telarti  significa  Opprimere ,  Far 
violenza  altrùi ,  e  perciò  conviene  benissimo  a  corsari. 
I  Tirreni  furono  anche  corsari  ;  dunque  Telamo  o  Tela- 
mon  vuol  dire  nido  o  ròcca  di  corsari.  -  Il  Mazzocchi 
adunque  con  tale  argomentazione  fé'  procedere  da  causa 
affatto  ignobile  ciò  che  altri  avevano  studiato  di  derivare 
da  gesta  gloriose  o  memorabili  (1). 

A  queste  fole  (e  come  altrimenti  chiamarle  ?  )  sta 
contro  l'opinione  del  dottissimo  ab.  Luigi  Lanzi ,  che  fu 
d'avviso  essere  derivato  il  nome  di  Talamone  dalla  forma 


(1)  Ved.  De  Argonauti*,  pag.  30;  Comment.  Urb. ,  Lib.  V,  pag.  46;   e  Dis- 
serlationcs  Tyrrhenicae ,  Tom.  II. 


62  I  PORTI  DELLA  MAREMMA  SENESE 

arcuata  dello  stesso  porto  ,  rassomigliante  al  balteo  onde 
si  cingevano  il  petto  gli  antichi  guerrieri  di  Grecia ,  che 
chiamavano  Telamon.  Bensì  anche  questa  opinione  non 
è  che  una  ingegnosa  conghiettura  ;  e  lo  stesso  autore 
non  omise  di  avvertire  che  sarebbe  del  tutto  ignaro  di 
ciò  che  è  mitologia,  chiunque  ne  volesse  le  prove  (1). 

In  mezzo  a  tante  dubbiezze  un  solo  fatto  è  posto 
fuori  di  controversia ,  ed  è  che  Talamone  debba  la  sua 
fondazione  agli  Etruschi.  Ciò  affermano  gli  scrittori  tutti 
antichi  e  moderni ,  da  Polibio  e  Tolomeo  fino  all'autore 
delle  Memorie  Storiche  di  Talamone  (2).  È  poi  facile  il 
supporre  che ,  mercè  la  grande  operosità  di  quel  po- 
polo ,  Talamone  diventasse  in  breve  tempo  città  molto 
popolata  e  fiorente  ;  imperocché  la  ricchezza  e  il  com- 
mercio etrusco  dovevano  largamente  valersi  di  un  porto 
sicuro  ai  navigli  e  locato  quasi  nel  centro  dell'  Etruria 
marittima.  L'antica  floridezza  di  Talamone  sarebbe  pro- 
vata eziandio  da  varie  monete  che  vi  si  credono  battute 
fino  dagli  anni  490  di  Roma  ;  tra  le  quali  merita  consi- 
derazione quella  che  l'Olivieri  illustrò  ,  col  Giano  bifronte 
da  una  parte  e  sul  rovescio  una  prua  di  nave  con 
l' iscrizione  TLA.  Se  questa  e    le   altre    monete    che    si 


(1)  Lanzi,  Saggio  di  lingua  etnisca,  Voi.  II,  pag.  82  e  seg. 

(2)  Frrò  il  Repelli  nel  Dizionario  della  Toscana  (ari.  Telamone)  attribuendo 
all'autore  delle  Memorie  dell'antico  e  moderno  Telamone  le  opinioni  messe  in 
campo  dal  Mazzocchi  sulla  origine  di  quel  nome.  Difatti  nelle  precitale  Memorie 
si  legge:  «  Più  ragionevole  è  il  parere  di  coloro  che  ripetono  l'origine  della  città 
e  del  nome  di  Talamone  dagli  Etruschi  »  (Part.  I,  pag.  23)-  Quest'opera  di- 
vulgata col  nome  di  Ferdinando  Carchidio,  mentre  ad  altri  è  dovuta,  rimase 
imperfetta  ,  non  avendosi  a  stampa  che  la  parte  più  antica  del  lavoro  fino  alla 
seconda  irruzione  dei  barbari  in  Italia  sotto  Odoacre-  Perciò  nel  seguito  della 
mia  narrazione  non  mi  accadrà  quasi  più  di  citarla.  Qui  voglio  avvertire  come 
dalla  tipografia  Tofani  di  Firenze  venne  in  luce  nel  1866  un'opera  in  due  vo- 
lumi in  8vo  del  cav.  Sebastiano  Lambardi,  intitolata  Memorie  sul  Montargen- 
tario  ed  alcune  altre  sui  paesi  prossimi.  Benché  più  volte  vi  si  discorra  dell'an- 
tico e  moderno  Talamone,  tuttavolta  non  ci  recò  nessun  profitto,  sia  perchè 
fatta  interamente  (parlo  della  parte  antica)  sui  libri',  sia  perchè  affatto  priva 
di  buona  e  seria  critica,  e  impossibile  a  leggersi  per  la  strana  ,  se  non  ridicola, 
singolarità  dello  stile- 


I    PORTI   DELLA   MAREMMA   SENESE  63 

attribuiscono  a  Talamone ,  gli  appartengono  veramente  , 
dovremmo  credere  che  ivi  ebbe  culto  Giano  bifronte  , 
Ercole  e  Giove  ,  di  cui  una  di  quelle  monete  porta  l' im- 
magine con  la  fronte  cinta  da  una  corona  di  alloro.  La 
prua  di  nave ,  il  tridente  e  i  delfìni,  che  stanno  sul  rove- 
scio delle  stesse  monete ,  indicherebbero  che  gli  abitanti 
di  Talamone  esercitavano  più  specialmente  il  commercio  di 
mare  (1). 

Ma,  oltre  a  ciò,  non  abbiamo  di  Talamone  notizie  certe 
sotto  gli  Etruschi  ;  e  chi  non  ami  le  favole  ,  dee  comin- 
ciare a  parlarne  da  tempi  meno  remoti.  Più  volte  nella 
storia  romana  si  fa  menzione  di  questo  porto  ,  e  la  prima 
(se  non  mi  coglie  in  fallo  un  qualche  erudito)  risale 
verso  gli  anni  529  di  Roma ,  essendo  in  quelle  parti 
avvenuta  una  flerissima  battaglia  tra  i  Romani  e  i  Galli , 
descritta  assai  particolarmente  da  Polibio  (2).  I  Galli 
stanziati  dalle  Alpi  fino  alla  valle  del  Po  ,  sospettando 
che  i  Romani  per  le  sospese  ostilità  con  Cartagine , 
volessero  occupare  il  paese  da  essi  abitato ,  erano  venuti 
in  Etruria  con  un  esercito  poderoso ,  facendo  sembianza 
d'  inoltrarsi  verso  Roma  per  rinnovarvi  le  stragi  di 
Brenne  II  senato,  non  sopraffatto  dall'imminente  pericolo, 
comandò  ai  due  eserciti  consolari  ,  uno  dei  quali  era  in 
Sardegna  sotto  gli  ordini  di  Caio  Attilio  Regolo  ,  e  l'altro 
a  Rimini  con  Lucio  Emilio  Papo ,    di    venire    a    grandi 


(1)  Il  Passeri  ne' suoi  Paralipomeni  (  pag.  181  ;,  mentre  non  sembra  durar 
fatica  a  credere  che  Talamone  prendesse  nome  dal  suo  fondatore  ,  osserva  poi 
che  quel  nome  greco  dovette  essere  dagli  Etruschi  mutato  in  Thmon  o  Tlamun , 
essendoché,  egli  dice  ,  in  alcune  patere  etrusche  si  trovino  nomi  di  eroi  greci 
ugualmente  alterati.  Io  ho  letta  questa  voce  Tlamun  in  una  delle  sei  monete 
di  Talamone ,  che  l'illustre  Fabretti  riporta  nel  suo  Glossario ,  ricavandole 
dall' Eckhel,  dal  Millingen,  dal  Cavedoni  e  dal  Mommsen  {Corpus  Itiscriptionwn  , 
N.°  297-302  ).  Peraltro  si  potrebbe  chiedere  ai  dotti  di  cose  etrusche  se  l'osser- 
vazione fatta  dal  buon  Passeri  non  dia  motivo  a  dubitare  se  veramente  nell'or- 
tografìa di  quella  lingua  le  lettere  TLA  sieno  il  principio  di  una  parola  che 
corrisponda  a  Telamon.  D'altro  canto,  è  lo  stesso  Fabretti  che  nella  descrizione 
di  quelle  monete  le  dice  attribuite,  e  non  più,  a  Talamone. 

(2)  Polibio  ,  Lib.  II. 


64  I  PORTI  DELLA  MAREMMA  SENESE 

giornate  in  Etruria.    I    due    eserciti    si    mossero    senza 
indugio  ;  ma  i  Galli    che    avevano    sostenuto    con    altre 
milizie  romane  vari  combattimenti ,  risoluti  di  tornarsene 
alle  loro  stanze  ,  dai  colli  di  Chiusi  erano  scesi  alla  via 
del  littorale  ,  che  sapevano  libera  affatto  e  sicura.  Accadde 
invece  che  il  console  Attilio  Regolo ,  sbarcate  a  Pisa  le 
sue  legioni ,  e  arrivato  troppo  tardi  per  chiudere  ai  Galli 
il  passo  dell'Appennino ,  prese  ancor  egli  la  via  del  lit- 
torale ,  muovendo  alla  volta  dei  nemici.  Fu  appunto  nelle 
vicinanze  di  Talamone  che  i  due  eserciti  s' incontrarono 
e  si  disposero  tosto  alla  battaglia.  «  Mentre  la   fanteria 
romana  ,  scrive  il  Mommsen  seguendo  Polibio ,  si  avan- 
zava in  colonne  serrate  sulla  grande  strada ,  il    console 
Caio  Attilio  Regolo,  alla  testa  della   cavalleria,  con  una 
marcia  obliqua ,  cercò  di  portarsi  sul  fianco  dei  Galli ,  e 
di  dare  sollecito  avviso  del  suo  arrivo    all'altro   esercito 
capitanato  da  Papo.  S*  impegnò  un  gagliardo   combatti- 
mento di  cavalleria ,  in  cui ,  insieme   con    altri    valorosi 
romani ,    cadde    anche    Regolo....    Papo    s'accòrse    della 
battaglia  e  cercò  di  effettuare  la  riunione  :  ordinò  in  tutta 
fretta  le  sue  truppe  ,  e  le  legioni  romane  piombarono  da 
ambe  le  parti  sull'esercito,  dei  Galli.  Coraggiosamente  si 
disposero  questi  a   sostenere    la    duplice    lotta  ;  i    Tran- 
salpini e  gli  Insubri  contro  le  truppe  di  Papo ,  i  Francesi 
alpigiani  (1)  ed  i  Boi  contro  le  legioni  sarde  :    la  caval- 
leria continuava  a  combattere  separatamente  sui  fianchi. 
In  quanto  al  numero  le  forze  non  erano  disuguali ,  e  la 
disperata  posizione  dei  Galli  li  costringeva  alla  più  per- 
tinace difesa.  Ma  i  Transalpini ,    abituati    a    combattere 
soltanto  corpo  a  corpo,  male  reggevano  ai  proietti  degli 


(4)  Polibio  li  chiama  Gessali,  e  il  Mommsen  avverte  precedentemente  che 
nei  Fasti  capitolini  sono  (letti  Germani,  storica  speculazione,  etili  scrive,  dei 
tempi  di  Cesare  e  d'Augusto-  Polibio  narra  altresì  che  questi  Gessati  per  essere  più 
atti  a  combattere,  toltosi  di  dosso  o\im  ornamento,  combattevano  all'atto  nudi 
contro  i  Romani,  perciocché  le  spine  stesse  in  quei  luoghi  avrebber  loro  in- 
tricale le  vesti  e  impedito  il  maneggio  dell'armi. 


I    PORTI   DELLA    MAREMMA    SENESE  65 

arcieri  romani ,  e  nella  mischia  essi  rimanevano  al  di 
sotto  a  cagione  della  miglior  tempra  delle  armi  romane: 
la  giornata  fu  decisa  da  un  assalto  di  fianco  della  vitto- 
riosa cavalleria  romana.  I  cavalieri  celtici  presero  la 
fuga  ;  non  così  potè  fare  la  fanteria  incastrata  tra  il 
mare  ed  i  tre  eserciti  romani.  Diecimila  Celti  ed  il  re 
Concolitano  furono  fatti  prigionieri  :  i  morti  che  copri- 
vano il  campo  di  battaglia  sommavano  a  4000.  Aneresto 
ed  il  suo  seguito ,  stando  al  costume  celtico ,  si  erano 
dati  volontariamente  la  morte  »  (1). 

Questa  battaglia ,  che  segnò  la  rovina  dei  Celti  in 
Italia ,  è  il  fatto  più  grande  a  cui  vada  accompagnato 
nella  storia  antica  il  nome  di  Talamone.  Passano  poi 
molti  anni ,  quasi  un  secolo  e  mezzo  ,  e  non  se  ne  trova 
menzione  veruna.  Quando  il  nome  di  quel  porto  occorre 
di  nuovo ,  già  siamo  sul  finire  di  quella  guerra  italica 
(88  av.  l'È.  v.)  che ,  dopo  aver  fatto  più  che  ninna  guerra 
straniera  pericolare  la  potenza  di  Roma ,  rese  celebri , 
e  perciò  rivali ,  Mario  e  Siila.  Aveva  Mitridate  ,  re  del 
Ponto ,  occupando  la  Cappadocia  e  la  Paflagonia ,  aperta 
guerra  ai  Romani.  A  domare  l'alterigia  del  gran  capitano 
fu  mandato  in  Grecia  con  l'esercito  Siila ,  che ,  vinte 
parecchie  battaglie ,  ridusse  Mitridate  al  regno  nativo. 
Se  non  che ,  mentre  provvedevasi  a  salvare  lo  Stato  da 
lontani  pericoli ,  dissensioni  si  manifestarono  in  Roma 
Ira  i  consoli,  e  a  tanto  vennero  che  si  ricorse  alle  armi. 
Si  combattè  nella  via  Sacra  e  nel  Fóro  :  Ottavio  ,  l'uno 
dei  consoli ,  rimase  vincitore  nella  lotta  fratricida  :  Cinna 
l'altro  console ,  fu  dimesso  dal  suo  ufficio  e  bandito  ,  e 
Roma  aggiunse  al  novero  dei  giorni  nefasti  «  il  giorno 
d'  Ottavio  ».  Cinna ,  a  cui  succedette  nel  consolato  Lucio 
Cornelio  Merula  ,  erasi  ritirato  co'  suoi  nel  Lazio  e  nella 
Campania ,    e    sollevando    quelle    popolazioni    contro    il 

t1)  Storia  Romana,  Lib.  Ili  .  Cap   III  ,  pag.  77  :  Milano,  1864.  Ho  preferito 
questa  descrizione  del  migliore   storico  che    abbia  avuto  Roma  ,  a  quella  forse 
più  particolareggiata  ,  ma  certo  assai  men  chiara  che  ne  fece  Polibio. 
Akcu.  St.  It\l.,  3."  Serie,  T.  X  ,  P.  I.  9 


66  I  PORTI  DELLA  MAREMMA  SENESE 

governo  di  Roma  ,  era  riuscito  a  farsi  acclamar  console , 
ed  a  mettere  insieme  un  esercito  assai  numeroso.  Fra  i 
banditi  del  precedente  anno  era  Caio  Mario,  che  esule  e 
ramingo  trovavasi  in  Libia  da  poco  tempo.  Ma  appena 
egli  ebbe  notizia  di  questi  disordini ,  tolti  seco  alcuni 
cavalieri  Mauritani  e  i  compagni  d'esilio  ,  salpò  insieme 
con  essi  alla  volta  d' Italia.  Plutarco  dice  che  in  tutti 
non  erano  più  di  mille  :  altri  che  non  avanzarono  cinque- 
cento armati.  Comunque  siasi ,  egli  approdò  a  Talamone 
con  animo  di  accostarsi  a  Cinna ,  di  riconoscerlo  per 
console  ed  aiutarlo  nella  guerra  imminente  contro  Roma. 
Tratti  dal  nome  famoso  di  Mario  ,  scesero  a  Talamone 
agricoltori  e  pastori  in  gran  numero ,  e  da  Roma  vi 
accorsero  non  pochi  aderenti  di  cittadini  rifuggiti  e 
banditi.  Mario  diede  libertà  ai  servi,  come  l'anno  prima 
si  era  associato  alla  plebe  di  Roma ,  e  in  pochi  giorni 
tanti  armati  raccolse,  che  ne  fornì  quaranta  navi,  con  le 
quali  stando  alla  foce  del  Tevere,  dava  la  caccia  ai  basti- 
menti carichi  di  cereali  che  veleggiavano  verso  Roma  (1). 
Quello  che  in  seguito  accadde  ,  dove  pure  non  mi  dilun- 
gasse troppo  dall'argomento  ,  sarebbe  superfluo  il  discor- 
rere :  tutti  ricordano  la  irresolutezza  del  senato  dinanzi 
al  soprastante  pericolo ,  la  capitolazione  di  Roma  e  i 
giorni  di  terrore  che  succedettero  all'  ingresso  di  Mario 
in  città.  Venti  secoli  dopo  un  capitano  che  ,  non  invi- 
diando a  Mario  il  valor  militare  ,  lo  supera  nell'  amore 
alla  patria ,  moveva  con  meno  di  mille  giovani  armati 
dalla  spiaggia  ligure  ,  ed  approdava  ugualmente  a  Tala- 
mone per  fornirsi  di  armi  ed  avventurarsi  a  una  grande 
impresa  nella  estrema  parte  d' Italia.  Qual  differenza  di 
propositi  tra  il  capitano  moderno  e  l'antico,  quantun- 
que sieno  tra  essi  non  poche  rassomiglianze  ! 

Del  rimanente  ,  attestano  l'antica  floridezza  di  questo 
porto    e  l'amenità  del  littorale  adiacente,  le  reliquie  di 

(i)  Putvhco,   Vita  di  Caio  Mario;  MosiMBEN,  Slor.  Rotti.,  Lib.  IV,  Cap.    IX, 
pug.  283. 


I    PORTI    DELLA    MAREMMA    SENESE  67 

alcuni  monumenti  romani  e  le  ville  erettevi  da  famiglie 

patrizie.  Ma  l' investigare  l'età  di  alcuni  di  cotesti  edifìzi 

o  il  sito  dove  sursero  altri,  dei  quali  ci  è  pervenuto  poco 

più  che  il  nome ,  è  opera  da  lasciarsi  affatto  agli  eruditi 

ed  agli  archeologi.  Io  dirò  soltanto  come  dell'età  romana 

resti  notevole  monumento  in  un  vasto  edifizio  ,  posto  in 

piano  non  lungi    dal    castello    moderno,    conosciuto    più 

comunemente  col  nome  di    Tombe.    Lo    compongono    ire 

grandi  stanze ,  le  cui  pareti    di    grosse    pietre    tagliate 

rendono  testimonianza  della  romana  architettura.  I  canali 

di  terra  cotta  sporgenti  dalle  pareti  indicano  essere  stato 

questo  edifizio  una  sontuosa  conserva  di  acque  potabili; 

prova  certa  della    ricchezza  e    del    molto    numero    degli 

abitanti  di  Talamone  (1).  Vuoisi  altresì  che  in  vicinanza  al 

paese  non  mancassero  terme,  che,  secondo  una  iscrizione 

trovata  sotto  le  macerie  di  un  ampio  fabbricato,  sarebbero 

state    erette    dall'  imperatore    Diocleziano.     L' iscrizione 

{Terme    Diocletiani)    lascia  molto  a  dubitare  della  sua 

autenticità  ;  ma  il  Tizio  ,  scrittore  di    storie  senesi  della 

seconda  metà  del  secolo  decimoquinto  ,    e    primo    a   dar 

notizia  di  quella  iscrizione  ,  asserisce    che ,   lui   vivente  , 

furon  trovati  in  quelle  vicinanze  condotti  e  tubi  di  piombo 

che  portavano  a  quelle  terme  le  acque  del  mare  (2).  Bensì, 

come  non  è  mio  proposito  lo  scrivere  delle  antichità  ta- 

lamonesi  o  di  quelle  anche  più  celebrate  dell'agro  Cosano, 

così  debbo  accontentarmi  di  averne  ricordate   alcune  ;  e 

chi  senta  desiderio  di  maggiori  notizie ,  sa   che    possono 

mandarlo    contento    il  Lanzi ,    il    Micali ,    il  Mazzoldi ,  il 


(1)  Quest'edificio  è  ricordato  anche  dal  Mazzoldi  con  queste  parole  :  «  A  Te- 
lamone .  più  presto  che  le  memorie  dell'Argonauta  padre  di  Aiace  ,  colpisce  la 
grandiosa  piscina  etnisca,  detta  le  Tombe  che  ,  secondo  l'idea  dell'imma- 
ginoso e  dotto  Tolomei  ,  doveva  entrar  a  far  parte  di  una  gran  città  proposta 
capitale  della  unione  italiana  »  (Prolpgom.  alla  Storia  d'Italia  ,  pag.  346).  Ciò  è 
poco  esatto:  il  Tolomei  giudicava  il  Monte  Argentaro  come  sito  comodissimo 
per  fabbricarvi  una  città  (Vedi  Arch.  Stor-  Hai.,  Nuova  Serie,  Tom.  XIII, 
Part.  Il,  pag.  54-59). 

(2)  Ved.  C\rchidio,  Memorie  cit.,  Part.  II,  pag.  52. 


68  I  PORTI  DELLA  MAREMMA  SENESE 

Fabretti,  il  Santi  ne'suoi  viaggi  per  le  provincie  senesi, 
e  l'autore  delle  Memorie  storiche  dell'antico  e  moderno 
Telamone  (1). 

Contuttociò,  ben  poco  sappiamo  di  Talamone  durante 
il  dominio  degli  Etruschi  e  dei  Romani,  e  quel  poco  non 
senza  dubbi  e  incerteze,  impossibili  quasi  a  chiarirsi.  Per 
risalire  alle  origini  di  questo  porto  accadde  a  me  ciò  che 
sempre  suole  intervenire  a  chiunque  cerchi  le  origini  e  lo 
accrescere  di  città  che  fiorirono  in  tempi  lontani  :  a  metà 
di  cammino  mi  ritrovai  come  smarrito  per  entro  la  densa 
oscurità  di  secoli  poco  o  mal  conosciuti.  Se  non  che,  messi 
da  parte  i  miti  e  le  favole  ,  venendo  a  età  più  vicina , 
qualche  meno  incerta  notizia  ci  fa  conoscere  Talamone 
scaduto  ormai  da  quella  floridezza  commerciale  che  do- 
vett'esservi  sotto  gli  Etruschi,  popolo  forte  ,  industrioso, 
operosissimo.  Sembra  poi  che  verso  il  secolo  sesto  dalla 
fondazione  di  Roma  questa  parte  del  littorale  etrusco  già 
fosse  ridotta  a  cattivo  essere:  Polibio,  narrando  la  famosa 
battaglia  di  Talamone ,  ne  scrive  come  di  luogo  irto  di 
spine  e  selvaggio,  e  abitato  solamente  da  povere  famiglie 
di  pastori  e  di  servi.  Nei  primi  secoli  dell'  impero  le  offi- 
cine di  terra  cotta  che  vi  si  trovano  stabilite ,  le  ville 
sontuose  e  i  possedimenti  della  famiglia    degli  Enobarbi 

(I)  Il  Repetti  ed  altri  scrittori  riferiscono  a  Talamone  un  avvenimento  che 
propriamente  non  gli  appartiene-  Scrivono  infatti  che  quando  Cesare  assediava 
Marsiglia  ,  Lucio  Domizio  Enobarbo  spedì  dai  porti  di  Subcosa  e  di  Talamone 
navigli  armati  in  soccorso  dei  Marsigliesi-  Ma  in  verità  Cesare  né  in  questo 
luogo  ,  né  in  altra  parte  dei  Commentari  ,  rammenta  quel  porto  :  eccone  le 
parole  :  «  Caesnr  frustra  diebus  aliquot  comsumptis  ,  ne  reliquum  tempus 
omiltat ,  infectis  iis  quae  agere  destinaverat ,  ab  Urbe  proficiscitur  ,  atque  in 
ulleriorem  Galliam  pervenit-  Quo  quum  venisset  ,  cognoscit  missum  in  Ilispa- 
uiam  a  Pompeio  Vibullium  Hufum  ,  quem  paucis  diebus  ante  Corfìnio  captum 
dimiserat  :  profectum  item  Domitium  ad  occupandum  Massiliam  navibus  actua- 
riis  septem,  quas  Igilii  et  in  Cosano  a  privatis  coactas  ,  servis ,  libertis  ,  colo- 
nis  suis  compleveral  »  (De  Bello  Civili  Comment.  ,  lih.  I).  Bensì,  è  fuor  di 
dubbio  che  in  queste  parli  del  nostro  littorale  ebbe  larghe  possessioni  quella 
famiglia  patrizia  romana,  alla  quale  appartennero  le  Cetarie  Domizìane  ,  non 
lungi  dal  porto  di  S.  Stefano  ,  e  molte  lapidi  che  rammentano  lo  stesso  L.  Do- 
mizio ,  alcuni  suoi  servi  e  una  officina  di  terraglie  [Figuline  Domilianc). 


I    PORTI    DELLA    MAREMMA    SENESE  69 

provan  al  tempo  stesso  l'accresciuto  numero  degli  abitanti 
e  le  migliorate  condizioni  del  littorale  etrusco.  Ma  non  è 
malagevole  l' indovinare  come  peggiorassero  ai  tempi 
della  decadenza  dell'impero,  e  più  ancora  in  quelli  delle 
irruzioni  de'  barbari  in  Italia.  In  questo  lungo  periodo  ne 
perdiamo  quasi  ogni  traccia:  soltanto  Rutilio  Numanziano 
ci  narra  che  i  Vandali  nella  incursione  del  410 ,  deva- 
stando la  strada  Aurelia  ,  ruppero  i  ponti  dell' Albegna, 
dell'Osa  e  dell' Ombrone.  Il  che  dà  motivo  a  credere  che 
le  città  e  i  paesi  circostanti,  come  Talamone,  soffrissero 
guasti  e  depredazioni  in  gran  numero.  Ma ,  dopo  ciò , 
corrono  nella  mia  narrazione  circa  nove  secoli,  come  un 
sol  giorno  ;  che  in  tanto  volgere  di  anni  non  rimane  , 
eh'  io  sappia ,  memoria  alcuna  di  Talamone.  Ora  questo 
silenzio  non  interrotto  durante  una  lunga  epoca ,  nota  , 
più  che  per  altro ,  per  le  mine  e  le  sventure  onde  fu 
desolata  l' Italia ,  impone  silenzio  anche  a  me. 


Capo     Secondo. 

Sommario. 

Talamone  posseduto  dai  Monaci  di  San  Salvatore  nel  Monte  Amiata.  -  I  Conti 
di  Santa  Fiora  rivali  dei  Monaci.  -  Condizioni  dell'Armata.  -  Talamone 
occupalo  dai  Conti.  -  I  Monaci  deliberano  di  venderlo  al  Comune  di 
Siena.  -  Pratiche  incominciate  e  arbitri  eletti.  -  Inatteso  rifiuto  dei  Mo- 
naci a  stipulare  il  contratto.  -  Messi  del  Comune  al  Monastero.  -  Nuovo 
rifiuto  peggiore  del  primo.  -  Vendita  del  castello  e  porto  di  Talamone 
al  Comune.  -  Commercio  di  Siena.  -  Prime  deliberazioni  concernenti  i 
lavori  del  porto.  -  Un'adunanza  del  Consiglio  della  Campana.  -  Affitto 
delle  saline.  (  An.  1303-1306). 

Se  poche  notizie  ci  pervennero  di  Talamone  durante 
la  signoria  degli  Etruschi  e  dei  Romani ,  ignorasi  affatto 
quali  ne  fossero  le  condizioni  e  le  vicende  nell'epoca  lon- 
gobarda e  nei  primi  tempi    delle  risorte  libertà  mimici- 


70  I    PORTI    DELLA    MAREMMA    SENESE 

pàli;  quindi  è  che  per  continuare  la  mia  narrazione  debbo 
-scendere    fino    all'esordire  del  secolo    decimoquarto.    In 
quegli  anni  il  porto  di  Talamone  era  posseduto  dai  Mo- 
naci   di    San  Salvatore    del    Monte  Amiata,    ricchissima 
abazia   di    Cistercensi ,    alla    quale    erano    soggette  non 
poche  altre  terre  e  castella    dell'Annata   e    dei    littorale 
marittimo.  Niuno  forse  saprebbe  dire  in  che  tempo  e  per 
qual  modo  ebbero  i  Monaci  il  possesso  di  Talamone:  essi 
medesimi  nel  1303    non  avevano    di  ciò  notizia  veruna, 
nient'altro  affermando  che  quel   porto  era  proprietà  loro 
da  tempi  lontanissimi,  dei  quali  non  restava  memoria  (1). 
Rivali    della    potenza    e   ricchezza    di    questi    Monaci 
erano  i  Conti  di    Santa  Fiora  ,    superbi  per  tradizione  e 
irrequieti  per  calcolo  ,    i  quali  non    potendo  portare  con 
animo  rassegnato  la  sempre   crescente   autorità    di    quei 
Monaci ,  ne    molestavano    senza   tregua    i    possessi    con 
ruberie  e  violenze    di    ogni    maniera.    Di    che    nacquero 
tra  le  due  parti  diffidenze ,  gelosie  e  desideri  di  vendette 
e  rappresaglie ,  che  finivano    assai    volte    con  la  peggio 
dei    Monaci  o  ,    più    veramente ,    dei    poveri    abitanti  di 
quelle  contrade.  Ai  Conti  non  pareva  illecito  nissun  mezzo 
per   danneggiare  i  loro    vicini  e  stancargli  e   diminuire 
la  potenza  a  cui  poco  a  poco  erano  cresciuti ,  tanto  che 
i  Monaci  si  trovavano  con  essi    in    guerre  e    litigi    fre- 
quenti. Aggiungasi  che  i  Conti ,  riconoscendo  dall'  impero 
il  feudo  di  Santa  Fiora ,  naturalmente  erano  caldi    fau- 
tori di  parte    ghibellina  :    altra    e    non    ultima    cagione 
dell'odio  che  portavano  ai  Monaci    e    della    loro    ostilità 
al  Comune  di  Siena. 

Per  soddisfare  alle  ambiziose  voglie  e  compiere  i  più 
tristi  disegni  tenevano  i  Conti  a'  loro  servigi  gente  di 
mal  affare  ,  rotta  a  ogni  vizio ,  violenta  e  sanguinaria. 
Come  orda  nemica  correva  da  un  capo  all'altro  1'  Amiata  . 

[i  Caleifo  dell'Assunta  ,  pag.  590.  Sono  in  questo  prezioso  codice  tra- 
scritti  tutti  gli  atti  concernenti  la  vendita  di  Talamone  e  di  Castiglion  di  Val 
d'Orcia  al  Comune  di  Siena. 


I    TORTI    DELLA    MAREMMA    SENESE  71 

faceva  mal  sicure  le  vie  ,  occupava  bruttamente  i  castelli 
più  deboli ,  mettendogli  a  sacco ,  ponendo  taglie  agli 
abitanti  e  devastandone  i  colti.  Tutto  quanto  l'Armata 
stava  perciò  in  agitazione  e  sospetti  continui  ;  e  queste 
ruberie  e  violenze  perpetrate  impunemente  avevano 
ridotto  a  cattivissimo  termine  i  paesi  di  quella  bella  e 
ricca  montagna.  Né  già  per  breve  tempo  continuarono 
tali  turbolenze  nell'Annata ,  imperocché  fino  dalla  metà 
del  secolo  decimoterzo  i  Monaci  e  i  Conti  erano  venuti 
a  nimistà  aperta ,  e  ne  duravano  ancora  gli  effetti  nel 
primo  ventennio  del  secolo  susseguente.  Furono  difatti 
lamentati  dal  divino  Poeta ,  allorché  annoverando  i  mali 
che  affliggevano  ogni  contrada  della  serva  Italia ,  e  rim- 
proverandone Alberto  tedesco ,  scriveva  con  sdegno  e 
ironia  que'  versi  che  compendiano  stupendamente  molte 
pagine  di  storia  : 

Vien  ,  crudel ,  vieni ,  e  vedi  la  pressura 
De'  tuoi  gentili ,  e  cura  lor  magagne  , 
E  vedrai  Santa  Fior  coni'  è  sicura  (1). 

Anche  Talamone ,  il  cui  possesso  era  grandemente 
ambito  dai  Conti ,  ebbe  a  soffrire  più  volte  i  danni 
cagionati  dalla  loro  ambizione.  Squallido  e  fatto  quasi 
inospitale  per  malignità  d'aria ,  colpa  le  subite  deva- 
stazioni e  la  trascuranza  degli  uomini ,  non  serbava 
segno  della  floridezza  antica.  E  tra  i  danni  sofferti  non 
dee  annoverarsi  ultimo  quello  di  essere  venuto  nella 
proprietà  di  un  monastero ,  ricco  se  vuoi ,  ma  natural- 
mente incapace  a  governare  molti  paesi  ed  a  fomentare 
in  qualsiasi  modo  il  commercio  di  un  porto  marittimo. 
Accadde  poi  che  per  le  narrate  rivalità  tra  i  Monaci  e  i 
Conti ,  Talamone  fu  occupato  più  volte  dai  seguaci  di 
questi ,  e  messo  a  ruba  e  più  che  mai  immiserito  :  il  che 

(i)  Purg.  ,  VI  ,  v.  109-111. 


72  I   PORTI   DELLA   MAREMMA    SENESE 

si  rinnovò  per  ultimo  nel  1303 ,  nel  qual  anno  una 
mano  di  armati  lo  sottrasse  violentemente  al  dominio 
dei  Monaci. 

I  Monaci  si  stancarono.  Ormai  avevano  potuto  capa- 
citarsi che  il  possesso  di  castelli  poco  vicini  all'abazia 
stava  più  presto  a  scapito  della  loro  autorità ,  che  non 
ad  aumento  delle  loro  ricchezze.  Litigi  continui ,  guerre, 
rappresaglie ,  pericoli  di  danni  anche  maggiori  erano 
questi  i  soli  frutti  che  ne  ritraevano  da  molto  tempo  (1): 
gli  abitanti  scarsi  e  ridotti  in  grande  miseria  e  affatto 
disamorati ,  come  gente  che  temeva  ogni  giorno  qualche 
perfìdia,  qualche  violenza  dalle  masnade  dei  Conti.  Dal 
venire  a  patti  con  essi  rifuggivano  i  Monaci  per  più 
ragioni ,  ma  specialmente  perchè  non  speravano  di  otte- 
nere condizioni  eque  e  ragionevoli  da  avversari  impla- 
cabili e  presuntuosi  Per  tutelare  l'antica  riputazione 
dell'abazia  e  schermirsi  al  tempo  stesso  dalla  prepotenza 
dei  Conti ,  pensarono  i  Monaci  di  vendere  a  gente  amica 
e  potente  i  castelli  che  erano  più  ambiti  e  lontani;  e 
quantunque  ne  provassero  rincrescimento  ,  pur  da  ultimo 
a  malincuore  e  con  fatica  vi  s' indussero. 

II  15  d'aprile  del  1303  tennero  capitolo  ,  e  vi  resta- 
rono per  molte  ore  di  seguito.  Argomento  ai  loro  discorsi 
era  la  vendita  del  castello  di  Castiglion  di  Val  d'  Orcia , 
del  porto  di  Talamone  e  di  altri  possedimenti ,  dai  quali 
l'abazia  non  ritraeva  alcuna  utilità.  Anzi  può  dirsi  che 
i  Monaci  ragionassero  in  quel  momento  di  vendere  ciò 
che  in  fatto  non  possedevano  ,  essendoché  Talamone  e 
Casliglion  di  Val  d' Orcia ,  occupati  dalle  masnade  dei 
Conti,  fossero  sempre  in  loro  balìa,  Se  non  che  i  Monaci 
deliberarono  con  molto  accorgimento  di    vendere    quelle 


(1)  Cum  elicti  d.  Abbas  ,  Capilulum  et  monasterium  dictis  rebus  et  bonis  et 
iuribus  itti  et  fruì  nec  aliquum  ex  eis  utilitatem  vel  profectum  consequi  non  pos- 
si ut  ,  propter  gucrras  et  litigia  et  etiam  propter  polentias  eorum  qui  dictae  res  et 
possessiones  et  iura  ocmpàvcrunl....  et  própler  peritila  et  scandalo  que  dicti  Ab- 
bas ,  Capitulum  et  monasterium  pussent  imurrere....  {Cale/fo  dell'Assunta,  e.  598). 


I  PORTI  DELLA  MAREMMA  SENESE  73 

terre  al  Comune  di  Siena ,  il  quale  avrebbe  provveduto 
in  brev'  ora  a  ritogliere  ai  Conti  i  castelli  usurpati , 
rivendicando  i  diritti  dei  Monaci.  Ad  eseguire  la  loro 
deliberazione  i  Monaci  elessero  sindaco  e  procuratore 
dell'abazia  frate  Petruccio  da  Corneto ,  concedendogli 
in  tutto  larghissima  autorità  (1). 

Nel  maggio  di  questo  medesimo  anno  (1303)  venne 
in  Siena  frate  Ranieri,  abate  del  monastero,  e  presen- 
tatosi ai  Signori  Nove  Governatori  del  Comune ,  espose 
loro  la  deliberazione  dei  Monaci  ;  disse  del  sindaco  eletto, 
e  promettendo  la  vendita  di  quei  castelli  ai  Senesi , 
propose  che  il  prezzo  dovesse  essere  fermato  da  due 
arbitri.  L'Abate  andò  ancora  più  oltre  :  senza  indugiare 
elesse  l'arbitro  del  monastero ,  certo  Tato  di  messer 
Gabriele ,  dichiarando  altresì  di  avere  due  istrumenti 
che  provavano  le  ragioni  e  i  diritti  dei  Monaci  sui  pos- 
sessi offerti  al  Comune ,  i  quali  diritti  erano  confermati 
da  una  carta  esistente  in  Orvieto ,  eh'  egli  asseriva 
potersi  avere  per  cinquanta  lire  (2).  Accolsero  di  buon 
grado  i  Signori  Nove  le  proposte  che  in  nome  dei  Monaci 
fece  loro  l'Abate ,  come  quelle  che  appagavano  il  mag- 
gior desiderio  della  città  ,  e  si  mostrarono  pronti  a  sti- 
pulare il  contratto.  Per  lo  che  il  priore  dei  Signori 
Nove ,  Sozzo  di  Piero ,  fece  arbitro  del  Comune  Tavena 
di  Cristoforo ,  e  pose  ogni  studio  a  ciò  questo  deside- 
rato acquisto  potesse  farsi  innanzi, che  cadesse  il  bime- 
stre del  suo  ufficio. 

I  Monaci  s'erano  diportati  con  tanta  discretezza  nelle 
loro  dimande ,  e  i  Signori  Nove  tanto  sollecitamente  le 
avevano  accolte ,  che  sembrava  non    potersene    mettere 


(4)  Calefl'o  dell'Assunta  ,  e.  598.  t. 

i  Diiil  etiam  dictus  Abbas  quod  aliud  instrumentum  erat  apud  Urterà 
veterem ,  quod  poter at  haberi  prò  l  libris  den.  cortonensium ,  per  quod  lucide  ap- 
parebat  plenum  ius  quod  dieta  abbatta  ìiabebat  in  rebus  predictis.  Queste  parole 
si  leggono  in  un  documento  del  quale  parleremo  in  seguito,  esistente  nella 
serie  Instrumenla  et  tura  Communis  ,  n.°  30  ,  an.  1303. 

Arch.  St.  [tal.  ,  3.1  Serie,  T.  X,    P.  I.  40 


74  I   PORTI    DELLA   MAREMMA   SENESE 

in  dubbio  il  buon  esito.  Ma  al  contrario,  sursero  diffi- 
coltà inattese ,  e  le  pratiche ,  di  tanto  bene  avviate  che 
erano ,  presero  d'un  tratto  cattiva  piega.  Dopo  le  pro- 
poste fatte  ai  Signori  Nove  ,  l'Abate  era  tornato  al  mo- 
nastero, non  si  curando  per  niente  di  rispondere  alle 
molte  sollecitazioni  che  per  conchiudere  l'atto  di  vendita , 
gli  facevano  i  Nove.  Frattanto ,  già  era  per  uscire 
dell'  ufficio  la  Signoria  che  aveva  iniziate  queste  prati- 
che ,  e  non  appariva  alcun  indizio  di  buona  volontà 
dalla  parte  dei  Monaci,  che  forse  non  trovavano  modo 
di  adonestare  i  loro  mutati  propositi.  Allorquando  poi  i 
Signori  Nove  invitarono  l'Abate  a  venire  in  Siena  per 
la  stipulazione  dell'atto  di  vendita ,  secondo  i  patti  con- 
venuti, egli  senza  addurre  in  mezzo  veruna  ragione, 
si  rifiutò.  Convenne  ai  Signori  Nove  cessare  dai  modi 
amichevoli  e  valersi  delle  ragioni  acquistate  ;  tanto  che 
ordinarono  agli  arbitri  eletti  che  citassero  l'Abate  a 
comparire  alla  loro  presenza  in  un  giorno  determinato 
per  ascoltar  il  lodo  ch'essi  avrebbero  profferito.  Ma  la 
citazione  fu  inutile ,  e  l'Abate  lasciò  trascorrere  con 
silenzio  il  giorno  assegnatogli.  Gli  arbitri  pronunziarono 
ciò  non  ostante  il  lodo ,  assegnando  il  prezzo  d'ottocento 
fiorini  d'oro  ai  castelli  che  i  Monaci  avevano  offerti  in 
vendita  al  Comune  di  Siena. 

I  Signori  Nove  che  entrarono  in  ufficio  pel  bimestre 
di  luglio  e  d'agosto  ,  avuta  notizia  delle  pratiche  iniziate 
per  l'acquisto  di  Talamone  ,  cominciarono  dall'ordinare 
che  di  tutto  quanto  era  passato  tra  i  Monaci  e  il  Comu- 
ne fossero  fatte  carte  pubbliche  per  mezzo  di  notaio 
sulla  fede  dei  loro  antecessori  e  dei  Consoli  della  mer- 
canzia. Non  molto  dipoi ,  per  comandamento  dei  Signori 
Nove  ,  partirono  alla  volta  dell'Abazia ,  come  messi  del 
Comune ,  Salvino  Dati  d'Asciano ,  Pino  di  Benincasa 
notaio  e  Vannello  d' Ildibrandino  da  Vescona  (1).  Venuti 

H)  Veci,  il  Documento  del  1303  sopra  citato. 


I    PORTI    DELLA    MAREMMA    SENESE  75 

al  monastero ,  esortarono  que'  frati  a  conchiudere  la 
vendita  promessa;  e  mostrarono  loro  gli  ottocento  fiorini 
prezzo  d'acquisto  assegnato  dagli  arbitri.  Risposero  i 
Monaci ,  che  l'Abate  e  frate  Petruccio  non  erano  in 
convento  e  che  nissun  compromesso  era  stato  fatto  per 
questa  vendita  tra  essi  e  il  Comune  :  negarono  perfino 
di  avere  eletto  frate  Petruccio  a  loro  sindaco  e  procu- 
ratore ,  e  conchiusero  dicendo  che  non  volevano  ricevere 
quel  danaro  ,  ne  vendere  alcuno  dei  loro  possedimenti  (1). 
Questo  nuovo  rifiuto ,  assai  peggiore  del  primo  perchè 
offendeva  apertamente  la  verità ,  diede  sicura  prova 
delle  mutate  intenzioni  dei  Monaci.  E  forse  ne  furono 
principal  cagione  le  istigazioni  dei  Conti  di  Santa  Fiora, 
i  quali  benché  avversari  dei  Monaci ,  dovevano  prefe- 
rire che  que'  castelli  ,  e  specialmente  il  porto  di  Tala- 
mone,  restassero  proprietà  dell'Abazia,  anziché  venissero 
nelle  mani  del  Comune  di  Siena.  Comunque  siasi,  dispe- 
rando i  messi  del  Comune  di  potere  indurre  i  Monaci  a 
più  savi  consigli ,  gli  citarono  di  nuovo  a  comparire  in 
Siena  in  un  giorno  dato ,  e  lasciarono  il  monastero. 
Tornati  in  città ,  consegnarono  gli  ottocento  fiorini , 
siccome  era  stato  loro  prescritto  dalla  Signoria ,  in  mano 
di  un  tal  frate  Bernardo ,  che  era  proposto  degli 
Umiliati  (2). 


(4)  Fratres  responderunt,  qui  ibifuerunt  presentes  ,  quatenus  Abbas  vel  frater 
Petrucdus  ibi  non  erant ,  quod  nunquam  fuil  aliqua  promissio  ,  pactio  vel  electio 
vel  compromissio  de  prediclis  facte  per  Abbatem ,  nec  frater  Petruccius  erat  ner 
unquam  fuil  syndicus  vel  procurator  constitutus  ,  et  ideo  nolebant  pretium  recipere 
nec  venditionem  facere  (Doc.  cit.)- 

(2)  Il  racconto  delle  pratiche  che  precedettero  la  vendita  del  porto  di  Ta- 
lamone  ai  Senesi  è  fedelmente  tratto  da  un  documento,  già  ricordato,  di  que- 
sto R.  Archivio  di  Stato-  Il  documento  è  cartaceo,  ed  è  un  mezzo  foglio  scritto 
da  ambedue  le  pagine  :  ma  la  narrazione  rimane  interrotta  ,  perchè  questo 
foglio  fu  staccato  dall'altro  ove  continuava  ,  e  che  è  andato  perduto.  Io  tengo 
per  certo  che  sia  il  frammento  di  una  di  quelle  scritture  che  i  Signori  Nove 
più  volte  ordinarono  che  si  facessero  per  serbare  memoria  delle  pratiche  av- 
viale coi  Monaci,  e  fu  scritto  forse  dal  notaio  Pino  di  Benincasa,  che  dal  do- 
cumento rilevasi  averne  avuto  commissione  dai  Nove.  Eccone  la  intestazione: 


76  I    PORTI   DELLA   MAREMMA   SENESE 

I  Monaci ,  persuasi  in  breve  della  vanità  dei  loro 
rifiuti ,  cedettero  alla  ragione ,  e  il  10  di  settembre 
del  1303  fu  firmato  il  contratto  che  vendeva  ai  Senesi 
il  porto  di  Talamone  ,  la  contrada  ,  o  grancia ,  detta  la 
Valentina ,  e  Castiglion  di  Val  d' Orda  (1).  Il  prezzo , 
statuito  dagli  arbitri  in  ottocento  fiorini  d'oro  ,  fu  accre- 
sciuto fino  a  novecento ,  e  i  Monaci  vollero  altresì  ag- 
giunto il  patto,  che  il  Comune  di  Siena  ponesse  quindi 
innanzi  sotto  la  sua  protezione  il  monastero ,  difen- 
dendolo contro  le  violenze  di  chicchessia ,  ma  in  ispecie 
dei  Conti  di  Santa  Fiora.  La  qual  protezione  fu  tosto 
concessa ,  e  se  ne  rogarono  carte  pubbliche  il  sus- 
seguente dì  12,  e  con  certa  solennità  nel  palazzo  del 
Comune  ,  presenti  i  Signori  Nove  (2). 

Dell'acquisto  di  Talamone  fecero  gran  festa  i  Senesi , 
che  da  lungo  tempo  desideravano  il  possesso  di  un  porto 


Factum  et  negotium  Communis  Senensis,  quod  traHalum  est  in  duobus  menslbus , 
videlicet  a  kalcndis  iulii  profiline  preterltls  usque  ad  kalendas  septembris  sub  anno 
Domini  millesimo  ccciu,  ind.  prima,  per  prudentes  et  fideles  homines  dd.  Noiem 
Gubernatores  et  defensores  Communis  et  popull  Senensis  ,  et  per  Pinum  Benencase 
nolarium ,  ab  eis  circa  liulusmoili  negotium  ab  ipsis  dd.  Novem  electum  et  depu- 
tatimi ,  videlicet  circa  emptionem  ol  tinendam  prò  Communi  Senrnse  a  dompno  Ra- 
nerlo  abate  monasterii  seu  abbaile  Sa:. eli  Salvatoris  de  .  Montemlata  ,  et  fratre 
Petruccio  monaco  diete  abbaile,  syndtco  et  procuratore  dicti  -albatis  et  fratrum 
et  capituli  et  abbatie  predicte  ad  Infrascripta  specialller  constlluto ,  tale  est. 

[]}  Caleffo  dell'Assunta,  e.  G00  e  segg.  Anche  nell'istrumento  di  vendita  è 
detto  che  i  Monaci  erano  stati  costretti  a  rinunciare  al  possesso  dei  castelli 
venduti  per  cagione  degli  scandali  e  dei  litigi  frequenti  che  ne  derivavano  tra 
essi  e  i  Conti  di  Santa  Fiora. 

(2)  Caleffo  predetto  e.  605  t.  Mino  ri'  Orlando  e  Niccolò  di  Pace  furono 
eletti  sindaci  e  procuratori  del  Comune  ad  hubendum  et  recipiendum  sub  pro- 
tectlone  et  defensione  dlcti  Comunis  et  populi  Senensis  l'abate  del  monastero  di 
S.  Salvatore  e  i  suoi  successori  e  tutti  i  beni  ad  esso  monastero  appartenenti, 
obbligandosi  a  difenderli  specialiter  ab  omni  impulsione ,  violentia  et  molestia  quas 
Comiles  de  Sanità  Flora  et  eorum  fideles  et  sequaces  per  se  vel  alios  inferrent. 
Lo  stesso  Mino  d'Orlando  prese  il  possesso  del  porto  di  Talamone  a' 22  di  set- 
tembre ,  e  nel  di  24  riscosse  un  fiorino  d'oro  da  Vanni  di  Giovanni  ,  padrone 
della  barca  detta  S.  Giovanni  ,  per  dlrlztum ,  navlllum ,  anchoraggl'im  et  cabel- 
lam  de  tredecim  modiU  frumenti,  quod  ipse  Vannes  apportwerat  et  adduxerat  ad 
dicturn  porlum  in  sua  barcha.  Rog.  apud  portum  de  Telamone  da  Niccolò  di 
Paltonieri  (  Calefl'o  predetto  ,  e.  607  t.). 


I    PORTI    DELLA   MAREMMA    SENESE  77 

sul  mare.   Sia    che    ne    sperassero    molti    vantaggi    pel 
commercio  loro  con  paesi  lontani ,    che    già    cominciava 
a  declinare  ;  sia  che  l'esempio  di  Genova  e  di   Pisa  cre- 
scesse la  loro  illusione  ,  certo  è  che  l'acquisto  di  un  porto 
marittimo  era  il  maggiore    e    più    ardente   desiderio   di 
tutti  i  cittadini.  Tanto  che    negli    Statuti    del    Comune , 
anteriori    all'acquisto    di    Talamone ,     trovasi    ordinato 
«  che  per  li  Signori   Nove    e    Consoli    de    la    mercanzia 
s'elegano  tre  buoni  et  esperti    e    savi    uomini ,    e'  quali 
amino  l'onore  e  lo  pacifico  stato  del  Comune  e  del  popolo 
di  Siena ,  e'  quali  si  debiano  insieme  convenire ,  quando 
parrà  a   li    Signori    Nove  ;    e'  quali,...    intendano  acqui- 
stare e  compre  fare  de  le  cose  utili  per  lo    Comune ,  e 
spezialmente  intendano  avere  porto  al  mare  ne  le  parti 
di  maremma  con    alcuna    forteza ,    per    onore  e    buono 
stato  del  Comune  e  del  popolo  di  Siena  (1)  ».   Non    può 
dunque  far  meraviglia  se  ,  ottenuto  il  porto  di  Talamone, 
i  Senesi  si  abbandonassero  a  così  grandi  speranze ,    che 
in  ultimo  rimasero  di    troppo    inferiori    agli   effetti   che 
derivarono  da  quell'acquisto.    Ma    certo    non    stette    da 
essi  che  il  porto  di  Talamone  non  venisse  a  molta  pro- 
sperità ,  ne  mai  risparmiarono  spese  e  sollecitudini    per 
accrescerne  i  traffici  ed  il  commercio.  Di  che   maggior- 
mente si  prendevano  cura  in  quel  tempo  i  cittadini  e  il 
governo ,    essendoché    pel    fallimento    della    Ranca   dei 
Buonsignori   il    commercio    senese   corresse   non   pochi 
pericoli.  Questa  banca ,  o  come    in    Francia   chiamavasi 
la  gran  Tavola ,  ebbe  cominciamento,  secondo  i  cronisti, 
esordiente  appena  il  secolo  decimoterzo  ;  durante  il  quale 
era  venuta  in  grandissima  riputazione ,  e    tanto    le   era 
bastato  il    credito    che ,    allorquando    fallì ,    la    camera 
pontificia  e  la  reale  di  Francia    si   trovarono   creditrici 
d' ingenti  somme.  Al  commercio  di    Siena   aveva  questa 


\)  Constituto  del  Comune  di  Siena  volgarizzato  nel  4310,  Distinz.  I,  e.  145. 
Questa  provvisione  dee  riferirsi  all'ultimo  decennio  del  secolo  decimoterzo. 


78  I   PORTI   DELLA    MAREMMA    SENESE 

banca  portato  moltissimo  giovamento ,  e  per  essa  come 
per  l'altra  dei  Salimbeni ,  i  mercatanti  senesi  correvano 
più  agevolmente  la  Francia  e  la  Fiandra  non  senza 
molto  profitto  loro  e  della  repubblica.  Ma  poi  che  la 
banca  dei  Buonsignori  fallì  (e  fu  circa  il  1304,  sebbene 
alcuni  storici  scrivano  il  130S)  il  commercio  di  Siena 
ne  portò  i  danni  per  lungo  tempo ,  a  cagione  ancora 
della  ingiusta  cattura  che  il  re  di  Francia  ordinò  si 
facesse  di  qualunque  senese  che  fosse  nel  reame  ,  come 
altresì  per  motivo  delle  pretensioni  che  la  corte  di  Roma 
mise  in  campo  contro  il  Comune.  Al  che  in  breve  si 
aggiunse  che  i  popoli  della  Lunigiana  ebbero  facoltà  di 
usare  rappresaglie  contro  i  Senesi  ,  essendoché  molte 
delle  più  ricche  famiglie  di  quelle  parti  fossero  per 
quel  fallimento  rimaste  gravate. 

Durante  il  secolo  decimoterzo ,  e  nei  due  secoli  sus- 
seguenti ,  i  cittadini  senesi  mercatavano  più  specialmente 
in  tessuti  di  lana  e  di  seta,  che  avevano  fuori  d'Italia 
assai  credito.  Portavano  la  merce  loro  in  Francia,  Spa- 
gna ,  Inghilterra  e  nelle  parti  più  settentrionali  della 
Germania  :  le  vie  dell'  Oriente  frequentavano  poco ,  e 
può  esserne  cagione  la  supremazia  che  vi  tenevano 
Venezia ,  Genova  e  Pisa.  Ma  frequenti  erano  le  relazioni 
dei  Senesi  con  Venezia,  e  più  tardi  anche  con  la  Sicilia, 
e  in  Venezia  comperavano  non  solo  prociotti  orientali , 
ma  anche  le  armi  ed  altri  oggetti  che  si  fabbricavano 
nel  cuore  dell'  Europa  (1).  Lo  zucchero  e  ogni  maniera 
di  spezie  acquistavano  i  nostri  mercanti,  più  che  altrove 
in  Sicilia,  e  così  continuarono  per  tutto  il  secolo  deci- 
raoquinto.  Difatti  troviamo  che  Priore  di  Mariotto  Ranchi 
nel  1462  faceva  viaggi  da  Livorno  a  Palermo  sulle  galee 

(1)  Anche  nei  libri  delle  spese  del  Comune  si  trovano  pagamenti  fatti  per 
acquisto  di  oggetti  in  Venezia.  Dei  molti  esempi  che  potrebbero  addursi,  ri- 
porlo questo  del  4230  :  vj  libr-  et  v  sol  Dietisalvi ,  quas  solvit  in  ban'msia  et  tri- 
bus  tapetis ,  quibus  involvit  balistas  Venetiis ,  et  in  quarantesimo  vel  passagio  apnd 
Venetias  (  Bicciierna,  cod.  3  ,  e.  66  t.  ). 


I    PORTI    DELLA    MAREMMA    SENESE  79 

fiorentine  di  levante ,  condotte  dal  capitano  Giuliano 
Ridolfi.  Portava  drappi  e  sete  che  riceveva  da  Niccola 
Capponi  e  da  Mariotto  Banchi ,  e  generalmente  tornava 
con  provvisioni  di  zucchero.  Il  viaggio  di  andata ,  se 
prospero ,  durava  sei  giorni ,  e  del  guadagno  netto  della 
vendita  delle  merci  affidategli ,  Priore  percipeva  la  quar- 
ta parte  (1). 

Con  Venezia  ebbe  relazioni  commerciali ,  e  le  man- 
tenne lungamente ,  la  casata  degli  Spannocchi.  Nel  1496 
venuti  a  guerra  i  Pisani  con  Firenze ,  e  cominciando  a 
provare  gli  orrori  della  carestia ,  il  doge  Barbadigo 
avvisò  i  Senesi  di  aver  fatto  comprare  dagli  eredi  di 
Ambrogio  Spannocchi  mille  ducati  di  grano  da  portarsi 
a  Pisa  sopra  alcune  triremi  veneziane  ,  che  avevano 
avuto  l'ordine  di  approdare  a  Talamone  (2).  E  le  rela- 
zioni frequenti  e  così  lungamente  durate  tra  Siena  e 
Venezia  e  la  Sicilia  denotano ,  se  pure  altri  indizi  non 
ne  avessimo ,  che  i  mercanti  senesi  si  procacciavano 
i  prodotti  orientali  nei  mercati  di  Palermo,  e  di  Vene- 
zia, e  in  ispecie  di  questa  principale  tra  le  repubbliche 
italiane.  E  qui  cade  acconcio  l'osservare  che ,  quantun- 

(1)  Carte  di  particolari,  ari.  1462.  Il  libro  della  ragione  di  Priore  porta 
questo  titolo:  «  Questo  libro  è  di  Priore  di  Mariotto  Banchi,  in  sul  quale  scri- 
verò col  nome  di  Dio  e  della  gloriosa  vergine  Maria  e  di  tutta  la  cielestiale 
corte  del  Paradiso  tutto  quello  che  s'  apartiene  di  scrivere  per  la  mia  andata 
da  Palermo,  cominciando  questo  dì  xxj  d'achoslo  4462.  Che  Iddio  ne  presti 
grazia  e  buon  vento  con  salute  dell'anima  e  del  corpo,  e  mandi  tutto  a  buon 
salvamento  ».  Dopo  ciò  seguita  :  «  mcccclxm.  -  Niccola  Capponi  e  Mariotto 
Banchi  dieno  avere  a  dì  21  d'achosto  l  62  per  questi  panni  accomandatomi  per 
finirli  a  Palermo  o  a  Messina  o  in  altro  luoco  dell'  isola  di  Cicilia  ,  i  quali  debbo 
fare  caricare  in  sulle  calee  fiorentine  di  levante,  capitano  Giuliano  Ridolfi;  i 
quali  apartengono  per  metà  a  detto  Nicola  e  per  metà  a  detto  Mariotto  Banchi. 
Fattomi  balle  sei  ,  segnate  del  segno  di  detto  Mariotto  Banchi  e  mandate  a 
Pixa  per  Piero  Della  Seta  vetturale  a  di  20  detto,  addiritta  a  Bernardo  e  Ste- 
fano Ambruogi.  E'  panni  son  questi  diremo  appresso  ,  che  Iddio  e'  li  man'  a 
buon  salvamento,  e  presti  loro  buona  ventura  ».  E  segue  la  indicazione  dei 
panni  ,  cioè:  panno  cupo  (ine,  panno  moretto  fine,  panno  turchino  riforbito, 
panno  pavonazzo  di  grana  fine  ,  panno  verde  scuro,  panno  cupo  fine,  panno 
cupo  secondo  ec. 

(2)  L  idiomatico ,  pergamena  del  24  maggio  H96. 


80  I    PORTI   DELLA   MAREMMA   SENESE 

que  il  Comune  di  Siena  venisse  assai  per  tempo  in 
possesso  di  un  porto  sul  mare  ,  non  ebbe  quasi  mai  galee 
proprie  ;  che  ben  poco  si  avventurarono  in  ogni  tempo  i 
Senesi  a  viaggi  marittimi ,  e  il  commercio  loro  rimase 
generalmente  nel  continente  d' Europa ,  facendosi  per 
via  di  terra  il  commercio  stesso  con  Francia ,  che  pure 
era  il  maggior  commercio  della  nostra  città  (1). 

Ma  più  assai  che  nella  mercatura  acquistarono  nome 
i  Senesi  nell'arte  del  cambio  ;  nella  quale  oltre  i  Buonsi- 
gnori  divennero  celebri  i  Salimbeni ,  che  fu  la  più  ricca 
delle  nostre  famiglie ,  e  che  teneva  pur  essa  il  banco  a 
Parigi.  Banchieri  i  Tolomei ,  gli  Spannocchi,  i  Palmieri 
e  altri  men  noti;  tanto  che  le  ricchezze  di  quelle  fami- 
glie che  ora  diciam  nobili ,  le  quali  stimerebbero  oggi 
vile  esercizio  la  mercatura ,  ebbero  comune  origine  nel 
commercio  e  nel  cambio.  I  Salimbeni  avevano  corri- 
spondenze commerciali  in  ogni  parte  d'Europa:  trovasi 
che  nell'ottobre  del  1260  Alessandro  e  Giovanni  Salim- 
beni fecero  mandato  a  un  tal  Ugo  di  Ugolino ,  merca- 
tante senese ,  di  trattare  ogni  loro  negozio  in  paesi 
forestieri,  cioè  in  Francia,  Inghilterra,  Spagna,  Alema- 
gna  ed  in  qualsivoglia  altro  paese  al  di  qua  o   al  di   là 


(-))  Vari  capitoli  della  seconda  Distinzione  del  Constituto  di  Siena  si  riferi- 
scono al  commercio  senese  fuori  d'Italia  e  specialmente  in  Francia.  Eccone  alcuni 
esempi  :  «  Statuto  et  ordinalo  è ,  che  neuno  de  la  città  e  contado  e  giurisdizione 
di  Siena  debia  ,  ardisca  overo  attenti  trare ,  overo  impetrare  fare  ,  alcune  let- 
tere overo  mandamenti  contra  el  Comune  di  Siena  ,  overo  compagnie  ,  overo 
singulari  uomini  ,  overo  contra  alcuno  cittadino  di  Siena,  da  missere  lo  re  di 
Francis  overo  la  sua  corte  ,  overo  da  li  signori  de  le  fiere  ,  overo  dal  corpo  de 
le  (iere ,  overo  da  altri  qualunque  officiali  overo  giustizieri  del  regno  di  Fran- 
cia ,  Provencia ,  overo  de  le  parti  oltramontane,  overo  di  qualunque  altre 
parli  ».  (e.  211).  L  altrove  si  ordina  «  che  la  podestà  faccia  mendare  e!  danno 
a  chi  l'à  patito  nel  regno  di  Francia  da  colui  ,  per  cui  cagione  I'  à  sostenuto  » 
(e.  205)  ;  ed  altresì  che  il  podeslà  doveva,  a  richiesta  della  Mercanzia,  «  fare 
prendere  e  ditenere  coloro....  e' quali  si  cessassero  overo  fugissero....  de  le 
fiere  di  Francia  con  avere  d'alcuno  »,  né  rilasciargli  «  senza  parola  e  licenzia 
de' Consoli  predetti  »  (e.  240  l.  ).  Questi  ordinamenti  tratti  dal  Constituto  di 
Siena  volgarizzato  nel  1310,  portano  generalmente  la  data  del  1293  e  1299. 


I  PORTI  DELLA  MAREMMA  SENESE  81 

dei  monti  (1).  Perciò  non  dee  far  caso  quel  che  narra 
il  cronista,  che  per  più  anni  le  sedici  casate  nelle  quali 
era  distribuita  questa  famiglia  si  repartissero  ciascuna 
un  guadagno  di  circa  centomila  lire  (2). 

In  paese  dato  sì  fattamente  ai  traffici  ed  alle  indu- 
strie l'acquisto  di  un  porto  marittimo  dovette  sembrare 
grandissima  ventura ,  considerato  in  ispecie  che  per 
cagione  del  fallimento  dei  Buonsignori ,  al  commercio 
di  Siena  erano  chiuse  allora  le  vie  della  Lunigiana , 
della  Lombardia ,  del  Genovesato  e  della  Provenza. 
Quindi  non  andò  guari  che  il  governo  della  repubblica  , 
sebbene  tutto  inteso  a  riparare  ai  danni  cagionati  da 
tal  fallimento ,  non  provvedesse  ai  molti  lavori  di  riat- 
tamento ,  che  erano  fatti  necessari  in  quel  porto.  Frat- 
tanto nel  maggio  del  1304  erasi  statuito  che  il  Podestà 
dovesse  chiedere  ogni  due  mesi  al  Consiglio  generale 
della  Campana  ciò  che  si  riputasse  più  acconcio  di  fare 
a  beneficio  di  quel  Porto  ;  e  i  Signori  Nove  creata  ave- 
vano ,  d'autorità  propria ,  una  balìa  di  tre  cittadini ,  che 
ai  bisogni  del  Porto  intendesse  continuamente.  Podestà 
era  in  quest'anno  messer  Manente  da  Iesi. 

Ai  dì  8  di  dicembre  fu  covocato  dal  Podestà  nel  pa- 
lazzo del  Comune  il  Consiglio  generale  della  Campana . 
dove  si  trovarono  presenti  duecentoventotto  consiglieri  : 
doveva  deliberarsi  sui  lavori  che  occorrevano  nel  porto  di 
Talamone.  Vanni  de'Tolomei,  uno  dei  tre  che  componevano 
la  balìa  poc'anzi  ricordata ,  lesse  alcune  proposte  concer- 
nenti quei  lavori.  Chiedevansi  restauri  alle  muraglie 
del  porto ,  miglioramenti  nelle  strade  che  conducevano 
a  Talamone  e  ,  dove  ne  fosse  il  bisogno  ,  la  costruzione 
di  nuove.  Ma  in  Consiglio  le  opinioni  erano  varie  ,  come 
varie  le  speranze  che  si  nutrivano  sugli  effetti  che  alla 


(4)  Diplomatico,  pergamena  del  13  ottobre  1260. 
[2]  Muratori  ,  Rerum  Italie    Script.  ,  XV  ,  95. 

Arch.  St.  Ita-.,  3.»  Serie,  T.  X  ,  P.  I.  fi 


82  I  PORTI  DELLA  MAREMMA  SENESE 

città  sarebbero  derivali  dal  recente  acquisto  di  Talamone. 
Primo  salì    in    ringhiera   Mignanello    dei    Mignanelli ,  il 
quale  ponendo  ogni  sua    fiducia  nel    governo  dei  Nove  , 
consigliò  che  fosse  loro  concessa  piena  autorità  di  prov- 
vedere alla  esecuzione  dei    lavori    proposti    dalla    balìa. 
Se  non  che    Cione    di  Alamanno  dei    Piccolomini  ,    o  lo 
muovesse  il  timore  di    vedere    in    breve    naufragate    le 
comuni  speranze  per    la    inesperienza   dei    Senesi    nelle 
faccende  marittime  ,  o  poco  per  altri  motivi  si  ripromet- 
tesse da  quel  porto,  parlò  contro    la    proposta  del    Mi- 
gnanelli. Primieramente  egli  disse  essere  opportuno  che 
i  Signori  Nove  chiedessero  ai  Genovesi  qual    fosse  l'opi- 
nione loro  sulle  condizioni    del  porto,  e    facessero    pra- 
tiche all'oggetto  di    fermare    con   essi    alleanza.    Che  se 
ciò  non  potesse  conseguirsi,  gli  era  avviso  che  si  porgesse 
dimanda  al  Comune  di  Genova,  o  a  quello  di  Ancona,  di 
due  probi  e    sapienti   uomini  che ,    secondo  la  scienza  e 
l'esperienza  loro    nelle  cose  di  mare  ,  fornissero  di  savi 
consigli  il  governo,  e  frattanto  consigliava  doversi  rimet- 
tere ad  altro  tempo  qualunque  deliberazione.  Le  proposte 
del  Piccolomini ,  che  rivelavano  dubbi  e  timori  non  accon- 
sentiti dai  più  ne  in  Consiglio  né   fuori ,  trovarono  poco 
favore ,  né  mancò  chi  loro  contradicesse  ;   ma  la  conve- 
nienza di  aver  ricorso  ad  uomini   esperti    fu    conosciuta 
anche  da  altri ,  come  da  Tuccio    Alessi ,    il  quale    bensì 
non  voleva  che  in  affari  del  Comune  s' ingerissero  fora- 
stieri.  Di  modo  che  le  prudenti  proposte  del  Piccolomini 
furono  reiette ,    e    il  Consiglio   approvò  con  179   voti  la 
proposta  del  Mignanelli  (1). 

Ai  Signori  Nove  fu  dunque  commesso  di  provvedere 
ai  più  urgenti  bisogni  di  Talamone  ;  e  nel  seguente 
anno  (1305)  le  antiche  mura  del  porto  furono  restaurate, 
altre  costruite  dalle  fondamenta  :  si  fabbricò  un    ponte  , 

(1)  Consiglio  della  Campana  ,  ri."  65  ,  e.  490  e  segg. 


I    PORTI    DELLA    MAREMMA    SENESE  83 

e  il  vecchio  cassero  fu  interamente  rifatto  (1).  E  per 
evitare  qualsiasi  cagione  di  controversia  con  i  Conti  di 
Santa  Fiora,  venuti  oramai  in  aperta  nimistà  con  la 
Repubblica ,  le  terre  dei  quali  confinavano  col  distretto 
di  Talamone ,  fu  ordinato  che  di  questi  si  facesse 
l'estimo  e  la  descrizione  dei  confini  (2).  Sopraintesero 
dapprima  ai  lavori  e  furono  officiali  del  Porto  Vanni  di 
Spinello  Tolomei ,  Niccoluccio  Recchi  e  Luti  Risaliti  ;  ai 
quali  non  molto  dopo  succedettero  Marrino  di  Crescen- 
zio ,  Petruccio  Terrachi  e  luccio  Saladini  (3).  Questi 
lavori  cominciati  nel  1305  continuarono  ancora  l'anno 
dipoi  ;  che  il  governo  non  solo  non  rimetteva  punto 
della  sua  alacrità,  ma  ogni  dì  più  adoperavasi  a  solleci- 
tare il  compimento  di  opere  che  avrebbero  conferito 
a  fare  di  Talamone  l'emporio  della  Repubblica. 

Mentre  con  tanta  alacrità  si  riattava  il  porto  e  se  ne 
crescevano  le  opere  di  fortificazione ,  fu  posta  in  vendita 
la  prima  volta  la  gabella  delle  saline,  bandita  per  la  città, 
secondo  che  portavano  gli  statuti.  I  patti  di  questa  ven- 
dita furono  proposti  dagli  esecutori  della  generale  gabella 
del  Comune ,  ed  approvati  dal  Consiglio  della  Campana 
il  dì  10  di  giugno  (1306).  I  compratori  di  questa  gabella, 
cioè  del  reddito  delle  saline ,  si  obbligavano  per  cinque 
anni  e  tre  mesi.  Nel  prim'anno  dovevano  lavorare  in 
cento  e  tredici  saline  :  appresso  in  tutte  quelle  dove  era 
costume  di  lavorare  per  qualche  tempo ,  ed  avevano 
facoltà  di  farne  delle  nuove  nel  maggior  numero  che 
potessero.  Del  sale  che  se  ne  ritraesse ,  una  metà  sareb- 

(1)  Nei  registri  d'Uscita  della  Repubblica  di  quest'anno  si  trovano  notate 
le  spese  per  i  lavori  del  cassero  e  del  porto  di  Talamone  (n.°  78,  passim).  Come 
maestro  è  ricordato  un  Mino  Chiocciola- 

(2)  L'estimo  e  la  descrizione  dei  confini  del  distretto  di  Talamone  sono  ri- 
portati nel  Caleffo  Nero  da  e  24  a  e.  26-  In  questo  medesimo  Caleffo  vedesi 
disegnata  a  e.  22  e  23  la  pianta  ,  com'oggi  dicono,  dimostrativa  del  castello  di 
Talamone  ,  fatta  nel  1306,  forse  da  quelli  stessi  che  ne  descrissero  l'estimo  e  i 
confini- 

(3)  Bi'xhcma,  n.e  78  ,  e.  67  ,  78  e  altrove. 


84  I    PORTI    DELLA    MAREMMA    SENESE 

be  dovuta  al  Comune ,  l'altra  ai  conduttori ,  e  questa 
seconda  metà  essi  dovevano  denunciare  e  poi  vendere 
al  Comune  pel  prezzo  di  otto  denari  lo  staio.  Che  se  , 
passato  un  mese  dalla  denuncia,  il  Comune  non  l'avesse 
acquistata ,  i  conduttori  delle  saline  potevano  vendere 
quella  quantità  di  sale  e  mandarlo  da  per  tutto  ,  fuor 
che  nelle  terre  dello  stato  senese  (1). 

La  molta  operosità  che  in  questi  primi  anni  addimo- 
strò il  governo  per  migliorare  le  condizioni  di  Talamono 
rimasto  lungo  tempo  abbandonato ,  non  riuscì  infruttuo- 
sa,  sebbene  da  ultimo  non  portasse  alla  Repubblica  tutti 
que' buoni  effetti  che  i  cittadini  senesi  troppo  facilmente 
se  n'erano  ripromessi. 

(continua) 

'<)  Comiglo  della  Campana  ,  n.*  68  ,  e.  154. 


RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 


Bella  schiavitù  e  del  servaggio,  e  specialmente  dei  serri 
agricoltori ,  libri  ni  del  conte  Luigi  Cibrario  ,  Ministro 
di  Stato  3  Senatore  del  Regno ,  ec.  ec.  Volume  primo  ; 
Milano  ,  Stabilimento  divelli ,  1868.  In  8vo  di  pag.  557. 

L'opera  che  pigliamo  a  soggetto  della  presente  recensione 
formava  da  qualche  tempo  un  vivo  desiderio  degli  studiosi; 
i  quali  ben  sapeano  come  l' illustre  Autore  vi  attendesse  , 
direi  quasi ,  con  peculiare  compiacimento ,  e  se  la  ripromet- 
tevano a  giusta  ragione  adorna  di  que'  pregi  medesimi  pei 
quali  vanno  le  altre  sue  così  universalmente  lodate  :  profon- 
dità di  dottrina  ,  pienezza  di  ricerche  ,  venustà  di  forma.  Ora 
quest'opera,  della  quale  il  Civelli  ha  mandato  in  luce  lo 
scorso  anno  il  primo  volume  ,  intitolandolo  con  bella  epigrafe 
a  S.  A.  R.  il  Principe  Umberto  ,  può  considerarsi  come  una 
prosecuzione  di  quegli  studi  cui  l'egregio  signor  Conte  ha 
ognora  applicato  il  nobilissimo  ingegno:  studi  che,  non  disviati 
giammai ,  gli  meritarono  quella  fama  che  tutti  sanno  ,  e  che 
non  è  comparabile  se  non  alla  stima  derivatagli  per  l' inal- 
terata affezione  onde  proseguì  in  ogni  tempo  l'Augusta  Casa 
de' Principi  di  Savoia  (1).  E  però,  come  di  più  altre,  così 
appunto  di  queste    disquisizioni   intorno    la    schiavitù    ed    il 


(t)  Allorché  S.  M.  innalzava  recentemente  il  conte  f"ibrarioal  grado  di  Cava- 
liere dell'Ordine  Supremo  della  SS.  Annunziata  ,  non  fu  chi  non  applaudisse 
ad  una  onoranza  così  poco  consueta,  ma  che  pure  giudicavasi  cosi  bene  meritata. 
E  fu  appunto  in  questa  contingenza  che  molti  periodici  riandarono  i  luminosi 
servigi  prestati  da  S.  E.  alla  1  inaslia  ,  e  co. ne  Storico  e  come   L'omo  di  Stato. 


ob  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

servaggio  crediamo  poter  affermare  che  già  si  asconda  il 
germe  in  que'  libri  della  Economia,  Politica  nel  medio  evo , 
i  quali  segnarono  alle  ricerche  storiche  un  novello  indirizzo , 
ed  un  campo  non  prima  quasi  esplorato. 

Il  eh.  Autore,  definito  nel  Proemio  che  s'intendesse  in 
antico  col  nome  di  servo  ,  e  come  la  parola  schiavo  ne 
diventasse  poscia  l'equivalente,  pone  questa  necessaria  avver- 
tenza :  «  Noi,  per  maggiore  chiarezza,  useremo  i  due  voca- 
boli ,  quello  di  schiavo  per  denotare  1'  infimo  grado  di  ser- 
vitù ;  quello  di  servo  e  di  uomo  servile  in  senso  più  generale 
a  significar  ogni  specie  di  servi,  e  talora  quelli  che  erano 
soggetti  ad  una  servitù  mitigata  »  (  pag.  3  ).  Esposte  quindi 
alcune  generali  considerazioni  intorno  le  origini  e  la  essenza 
della  schiavitù  ,  ed  accennato  il  metodo  di  condotta  del  suo 
lavoro  ,  così  prosegue  :  «  Il  fine  de'  presenti  miei  studi  non 
è  di  stendere  un  compiuto  commentario  sui  servi....  Io  intendo 
solamente  di  fare  un  rapido  sunto  delle  varie  tasi  per  cui 
passò  la  schiavitù  nel  suo  moto  ascendente ,  trasformandosi 
prima  in  servitù,  poi  scomponendosi  in  molte  classi  d'uomini 
mezzo  servi,  mezzo  liberi ,  ch'io  chiamerò  servili:  e  siccome 
dopo  la  decadenza  dell'impero,  la  parte  più  importante,  dal 
punto  di  vista  economico ,  politico  e  morale ,  e  la  più  nume- 
rosa di  servi  e  di  servili  fu  quella  degli  agricoltori ,  cos'i 
dopo  d'aver  esposto  brevemente  le  condizioni  de'  servi  in 
generale  ,  mi  stenderò  nella  seconda  e  terza  parte  ad  inve- 
stigare un  po'  più  minutamente  le  vicissitudini  dei  servi 
agricoltori,  aggiungendo  curiose  indagini  sui  salari,  sui 
prezzi  delle  cose,  sul  lusso,  sulle  doti  ,  sulla  popolazione  e 
sovra  altri  punti  non  bene  esplorati  finora  ;  esaminando 
quindi  precisamente  le  diverse  vie  che  poteano  correre  i  servi 
industriosi  e  procaccianti,  amici  del  lavoro  e  assegnati  nelle 
speso  ,  per  far  risparmi  e  per  guadagnarsi  V  ineffabile  bene- 
fìcio di  libertà,  ed  anche  i  sorrisi  della    fortuna  »  (pag.  9). 

A  norma  pertanto  della  distribuzione  testé  delineata ,  la 
Parte  Prima ,  contenuta  nel  volume  finqu'i  pubblicato  , 
tratta  degli  schiavi  e  dei  servi  in  generale  ;  e  si  divide  nei 
cinque  capitoli  che  verremo  successivamente  prendendo  ad 
esame  ;  tenendoci  bene  inteso  il  più  possibile  stretti  all'argo- 
mento,  con  lasciare  da  banda  quelle  considerazioni  e  quegli 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  87 

accenni  generali ,  i  quali ,  se  non  poteano  trascurarsi  nella 
estesa  orditura  dell'opera,  ponno  però  sopprimersi  nella 
economia  di  una  rivista. 

I.  Condizioni  originarie  degli  schiavi  e  dei  servi.  —  I 
primi  e  più  antichi  servi  hanno  a  riconoscersi  ne'  prigioni  di 
guerra  ,  divenuti  «  forzati  ausiliarii  di  chi  li  avea  fatti  cap- 
tivi ,  senza  partecipazione  però  a  niun  diritto  civile  e  politi- 
co »  (pag.  15)  ;  poi  ne'  liberi  fatti  clienti  :  «  specie  di  vassalli 
obbligati  ad  ossequio  verso  il  padrone,  e  ad  aiutarlo  contro 
ai  nemici  ed  agli  avversari  di  qualunque  specie.  Era  uà 
germe  del  feudo  »  (pag.  18). 

Inoltre,  secondo  gli  uffizi  che  esercitavano,  gli  schiavi 
erano  urbani  o  rustici;  e  la  storia  della  decadenza  di  Roma 
ci  offre  non  rari  esempi  della  squallida  vita  de'  servi  agri- 
coltori,  «  ai  quali  le  imposte  consumavano  poco  meno  che 
T  intero  prodotto  dei  beni ,  e  le  opere  pubbliche  logoravano 
il  tempo  e  l'esistenza  »  (pag.  19).  Questa  condizione  però 
venne  a  modificarsi  in  appresso,  mercè  l'istituzione  d<--l 
colonato  perpetuo  (servitù  della  gleba),  intorno  a  cui  si 
bandirono  le  prime  leggi  all'epoca  di  Costantino.  Ma  e  delle 
origini  del  colonato  medesimo,  e  delle  sue  affinità  colYenfi- 
teusi ,  l'illustre  Autore  si  fa  a  trattare  con  ampiezza,  pro- 
fessando giovarsi  bensì  di  tutti  gii  scrittori  che  fecero  soggetto 
de'  loro  studi  siffatto  argomento ,  e  l'ebbero  a  svolgere  con 
somma  erudizione  e  talora  eziandio  con  soverchia  sottigliezza 
di  critica  ,  ma  di  non  pigliarne  alcuno  a  guida  particolare. 
Quindi  osserva  «  che  se  il  colonato  giovò  incontestabilmente 
agli  interessi  materiali  dei  liberi ,  molto  più  favorì  quelli 
materiali  e  morali  degli  schiavi  che  poterono  profittarne  » 
(pag.  21)  ;  oltreché  fu  specialmente  gradito  alle  nazioni 
barbare,  che  a  breve  andare  conquistarono  l' Impero  Romano. 
Onde  «  generalmente  ,  dal  secolo  v  al  ix  le  condizioni  degli 
agri  e  degli  agricoltori  s'andarono  migliorando ,  finché  venne 
a  peggiorarle  da  un  lato ,  a  migliorarle  da  altri  lati ,  il 
sistema  beneficiario  o  feudale  »  (pag.  22). 

Ma  innanzi  che  i  coloni  de'  privati  fossero  per  legge 
immobilizzati ,  di  già  il  sistema  del  colonato  erasi  largamente 
esercitato  nel  pubblico  interesse  in  più  modi ,  e  con  iscopo 
ora  agrario  ed  ora  militare. 


88  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

Spingendo  poscia  gli  sguardi  ad  epoche  ben  più  remote  , 
il  conte  Cibrario  si  fa  a  discorrere  la  genesi  della  schiavitù 
appo  gli  ebrei  e  gli  altri  orientali  ;  ma  queste  cose  vedute 
così  trasvolando,  e  a  mo' di  confronto,  ripiglia  a  considerare 
«  paesi  a  noi  più  vicini  e  più  attinenti  »  (pag.  57)  ;  sicché 
Roma  gli  offre  di  bel  nuovo  lunga  materia  di  studio.  Ricerca 
pertanto  come  la  vendita  degli  schiavi  si  praticasse  ,  e  come 
vi  si  procedesse  ;  accenna  ai  cognomi  e  soprannomi  servili , 
espone  la  legislazione  che  li  riguardava ,  e  nota  quanto 
severamente  si  punissero  i  fuggitivi  raggiunti  ;  osservando 
.  però  di  non  avere  trovato  mai  presso  i  Romani  (tuttoché  sì 
poco  famigliare  fosse  loro  il  sentimento  della  compassione) 
«  che  ad  inseguir  gli  schiavi  fuggiaschi  avvezzassero  feroci 
mastini;  come  già  usarono  i  Sud-Americani,  dove  tale  inse- 
guimento era  diventato  un'arte,  e  (chi  lo  crederebbe?) 
un'arte  liberale  »  (pag.  68). 

Nondimeno  le  pene  comminate  dalle  leggi  agli  schiavi 
pe'  misfatti  più  gravi ,  o  quelle  arbitrarie  che  loro  infligge- 
vano i  padroni ,  erano  anche  a  Roma  non  solo  eccessive , 
ma  tali  da  destare  raccapriccio.  «  Per  colpe  leggiere,  per 
momentaneo  sdegno  flagellavansi....  crudelmente ,  le  tracce 
delle  verghe  listavano  loro  il  dorso  e  i  fianchi.  Letizia  e 
disperazion  delle  verghe  si  chiamali  l'uri  l'altro  i  servi, 
mordendosi,  nelle  commedie  di  Plauto.  Si  parla  delle  verghe 
che  muoiono  sul  loro  corpo;  della  croce  cui  s'affiggono; 
della  tunica  funesta,  cioè  impeciata,  entro  cui  si  abbrucia- 
no; dei  pozzi  in  cui  si  gittano  ;  delle  bestie  feroci  cui  si 
danno  a  mangiare  »  (pag.  80).  Ma  crudele  sopra  tutte  le  leggi 
penali  concernenti  agli  schiavi  ,  fu  senza  dubbio  il  senatus 
consulto  Sillaniano  ,  per  cui  la  loro  vita  rendeasi  malleva- 
drice  di  quella  dei  padroni.  Era  una  legge  nata  dalla  paura  ; 
«  era  una  necessità,  parola  che  ha  coperto  tante  ingiustizie 
come  l'altra ,  ragion  di  Stato ,  che  vuol  dir  lo  stesso  »  (pag.  78). 

«  Le  dame  romane  avevano  un  gran  numero  di  schiave  , 
destinate  ciascuna  ad  una  parte  dell'acconciatura  e  dello 
abbigliamento 

«Stavano  esse,  nude  fino  alla  cintura,  attorno  alla 
padrona  tutte  intente  a  servirla.  Questa  ,  colla  mano  armata 
d'un  lungo  ed  acuto  spillone  ,  spiava  come    rispondesse    alle 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  89 

sue  voglie  ed  all'affaccendarsi  delle  ancelle  il  numero  e  la  qua- 
lità de' suoi  vezzi  crescenti ,  o  lo  scomparir  delle  mende  che  la 
natura  o  l'età  aveano  sparso  nel  corpo  di  lei.  Guai  se  l'arte 
non  riusciva  ad  un  completo  miracolo.  La  verghetta  incideva  e 
lacerava  le  carni  delle  infelici  che  spendevano  la  vitanell'ador- 
nare  un'altra  donna,  sovente  assai  raen  bella  di  loro  !.... 

«  Del  rimanente  se  la  legge  era  dura,  se  i  padroni  in 
generale  eran  feroci ,  o  lasciavano  che  altri  servi ,  favoriti 
o  liberti  ,....  inferocissero  in  loro  nome ,  non  mancavano 
animi  più  gentili,  i  quali  usavan  co'servi  umanamente  ,  spe- 
cialmente con  quelli  nati  e  cresciuti  con  loro  sotto  al  mede- 
simo tetto  [  vernae]  »  (pag.  81-84).  Poi  altre  ragioni  assai  e 
preferenze  concorreano  del  pari  a  creare  quella  specie  d'ari- 
stocrazia servile ,  che  Giovenale  ha  cosi  bene  ritratta  nella 
satira  quinta. 

Ma ,  parlando  de'  miseri,  più  che  tutti  lo  erano  certamente 
gli  schiavi  agricoltori  ,  donde  traevansi  anche  i  servi  depu- 
tati alla  macina  J  ad  aprire  o  restaurare  le  strade  ,  a  condurre 
le  acque ,  a  cavare  le  pietre ,  i  marmi ,  i  metalli.  Men  dura 
invece  e  più  grata  sorridea  la  vita  a'  pastori  ;  i  quali  però 
procedendo  armati  e  moltiplicando  assai ,  si  trasformarono 
poscia  in  masnadieri ,  errando  a  grandi  stuoli  su  per  gli 
Appennini  nell'Italia  meridionale,  formando  il  nerbo  delle 
guerre  servili  ai  danni  di  Roma,  soccorrendo  a  Spartaco  che 
combattè  la  più  grave  e  minacciosa  fra  tutte ,  e  divenendo  il 
seme  de'  briganti  futuri. 

Il  numero  degli  schiavi  romani  era  immenso,  e  così  infini- 
tamente maggiore  di  quello  dei  liberi  ,  «  che  niuno  scrittore 
registrò  neJ  suoi  annali ,  nemmeno  per  approssimazione ,  la 
quantità  degli  schiavi  romani  ;  e....  probabilmente  per  la  gran 
paura  che  n'aveano  ,  non  fu  mai  permesso  il  noverarli  »  (p.  90). 
Cionnondimeno  ,  il  eh.  Autore  toccando  de'  centocinquanta 
mila  macedoni  condotti  in  ischiavitù  da'Romani  il  586,  e  di 
più  altre  cifre  assai  forti  di  prigionieri  fatti  in  guerra  e 
venduti  per  ischiavi ,  giudiziosamante  avverte  di  avere  «  in 
generale  ...  poca  fede  nella  esattezza  di  simili  stime  registrate 
negli  antichi  scrittori,  facendo  capo  dagli  Ebrei  »  (pag.  110). 

Quanto  al  prezzo  degli  schiavi ,  era  vario  ,  ma  in  generale 
gli  eunuchi  sperimentavansi  i    più    costosi;    poi    venivano  i 

Argii.  St.  [tal.,  3.a  Serie,  T.  X  ,   P.   I.  42 


90  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

medici  ,  i  notai  {stenografi)  ,  i  retori,  i grammatici,  i  pittori, 
gli  scultori ,  ec. 

Il  conte  Cibrario  osserva  inoltre  come  ,  per  uno  strano 
contrasto  ,  la  servitù  della  gleba  siasi  introdotta  nella  Russia 
al  momento  medesimo  in  cui  tendeva  a  scomparire  dalla 
Europa  civile  (sec.  xvi)  ;  e  nota  per  ultimo  come  le  tristi  scene 
della  schiavitù,  nelle  diverse  loro  fasi,  potrebbero  anche  al  dì 
d'oggi  vedersi  presso  le  varie  nazioni  dell'Affrica.  Il  commer- 
cio del  legno  d'ebano  (cosi  i  negri  vengono  designati)  è  bensì 
vietato  dalle  leggi  nel  Dahomey ,  nel  Sudan,  nel  Mozambico  ; 
ma  vi  è  pur  sempre  clandestinamente  esercitato,  per  la  cupida 
connivenza  di  qualche  impiegato  portoghese.  In  altre  regioni 
poi  gli  schiavi  ponno  da  un  giorno  all'altro  diventare  generali 
o  ministri  ;  e  così  accade  nel  Kanemi ,  nel  Kordofan  ,  e  nel 
Darfour  (1). 

Lo  schiavo  comperato  per  tenue  prezzo  ad  Uvira  è  riven- 
duto a  Zanzibar  col  beneficio  del  cinquecento  per  cento;  e 
sempre  più  cresce  di  valore  quanto  maggiormente  s'allontana 
dal  luogo  d'origine;  finché  giunto  al  Capo  di  Buona  Speranza 
od  all'America ,  il  suo  valore  ascende  a  più  migliaia  di  lire. 
Così  al  Capo  il  prezzo  d'uno  schiavo  batteva  d'ordinario 
da  400  a  500  lire  sterline  (12,500  fr.). 

II.  Qualità  varie  di  schiavi  e  di  servi  ne'  tempi  antichi* 
di  mezzo  e  moderni.  —  «  Gli  schiavi ,  a  considerarli  secondo 
i  lavori  cui  attendevano,  si  possono  distinguere  in  tre  classi: 
domestici ,  artisti ,  agricoltori  ;  guardando  a  cui    servivano , 


(1)  I  documenti  relativi  al  commercio  degli  schiavi  ,  che  ogni  anno  si  pub- 
blicano per  ordine  del  Parlamento  Inglese  ,  col  titolo  di  Slave  traile  papers,  pro- 
vano pel  1868  la  decadenza  di  questa  infame  tratta  lungo  la  costa  occidentale 
dell'Affrica.  Ben  diversamente  accade  invece  alla  costa  orientale;  e  l'isola  di 
Zanzibar  è  tuttavia  l'emporio  di  un  traffico  attivo  .  che  va  a  ricercare  gli  sgra- 
ziati indigeni  fino  alle  rive  del  Lago  di  Nyanssa  .  per  trasportarli  sul  territorio 
dell'  Imano  di  Mescale.  Il  mercato  principale,  nei  dominii  del  Sultano  di  Zan- 
zibar, è  Kilwa  ;  dove  annualmente  arrivano  circa  trentamila  schiavi  dai  paesi 
situati  all'intorno  del  Lago  suddetto.  Ma  per  ottenere  questo  numero  ,  b^ogna 
prenderne  due  volte  tanti  :  la  metà  soggiace  ai  patimenti,  che  superano  ogni 
immaginazione. 

Anche  alle  rive  del  Nilo  Bianco  la  tratta  continua  ,  anzi  si  fa  apertamente; 
né  gli  arabi  sono  i  soli  ad  esservi  interessati  (Ved.  Gazzetta  Ufficiale  del  Regno, 
27  luglio  4869). 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  91 

si  dividono  in  privati  e  pubblici  »  (pag.  105).  I  servi  di  un 
padrone  ,  esaminati  nel  loro  complesso  ,  ebbero  a  Roma  il 
nome  di  famiglia  ;  e  ciascuna  famiglia  di  servi  (nel  più  vero 
significato  della  parola)  si  disse  poi  nel  medio  evo  condoma. 
Ora  il  eh.  Autore  ,  toccando  di  queste  cose ,  e  rifacendosi  a 
considerare  lo  sterminato  numero  de'  servi  che  v'ebbe  in 
antico,  mostra  com' Ei  non  si  appaghi  né  alle  facili  conclu- 
sioni né  a  certi  sistemi  più  seducenti  che  pratici ,  mercè  i 
quali  i  più  ardui  problemi  dell'antichità  verrebbero  risoluti 
da  una  congerie  di  cifre  più  o  meno  ingegnosamente  aggrup- 
pate. Le  cifre  ,  già  si  sa ,  esprimono  ciò  che  meglio  talenta  ; 
e  perciò  il  eh.  Conte  savissimamente  rifiuta  qualsiasi  conclu- 
sione che  tenda  a  stabilire  il  numero  per  cui  gli  schiavi 
poteano  ,  anche  approssimativamente ,  entrare  nella  popola- 
zione d'  Italia  ;  giacché  «  tra  tanto  difetto  di  documenti , 
ragionare  per  analogia  di  regioni  e  di  popoli ,  far  scaturire 
l'una  dall'altra  le  ipotesi ,  può  essere  un  lodevole  esercizio 
d'aritmetica  politica,  ma  non  può  guidare  ad  un  risultato 
che  appaghi  e  che  s'approssimi  al  vero  »  (pag.  120). 

L'Autore  viene  in  seguito  enumerando  gli  svariatissimi 
uffici ,  cui  presso  a'  Romani  più  specialmente  i  servi  erano 
destinati;  e  dove  ben  molti ,  con  diversi  incarichi,  trovavansi 
addetti  soltanto  alle  mense  ,  e  con  vocabolo  generale  appel- 
lavansi  perciò  ministratores.  Che  dire  poi  delle  ancelle,  fra 
le  quali  la  distribuzione  delle  incombenze  potevasi  affermare 
infinita  ?  «  Livia  Augusta  aveva  una  schiava  incaricata  non 
d'altro  che  di  porgerle  ed  affibbiarle  gli  orecchini ,  e  proba- 
bilmente altrettante  schiave  quante  avea  vesti  pompose  » 
(  pag.  128  ).  «  V'era  chi  riponeva  alla  sera  e  metteva  a  loro 
luogo  alla  mattina  i  denti  finti  ed  altri  vezzi  posticci ,  e 
queste  schiave  per  la  più  lieve  disattenzione  erano  le  mal 
capitate  »  (pag.  129).  V'era  eziandio  un'  ancella  deputata  ad 
aver  cura  della  cagnolina  {a  cura  catellaef);  ed  aveavi 
infine  un  vero  nembo  di  servi  e  di  serve  applicate  alle  varie 
arti ,  da'  lanaiuoli  a'  becchini.  Erano  inoltre ,  «  per  la  parte 
che  aveano  d'amministrazione,  importanti  uffici,  sebben  servili, 
quelli  del  dispensatore  in  città,  del  villico  o  fattore  alla 
campagna ,  e  più  di  tutti  quello  dell'attore  (acto?^) ,  agente 
e  procurator  generale  per  la  città  e  per  la  campagna  :  uffici 


92  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

nel  medio  evo  chiamati  minisi  evia  3  che  nei  tempi  feudali 
procacciarono  ai  loro  possessori  non  solo  libertà ,  ma  nobiltà 
e  giurisdizione  »  (pag.  134). 

Nelle  case  de'  grandi  non  mancava  di  comparire  eziandio 
l'actuario ,  o  gazzettiere  privato,  ed  una  eletta  schiera  di 
letterati ,  educatori  ed  artisti  ;  varietà  di  schiavi  «  ai  quali 
la  nobiltà  dell'  intelletto ,  della  dottrina ,  dell'arte  toglieva 
alquanto  della  fuliggine  servile  »  (pag.  135) ,  e  tutti  nondi- 
meno eguali  nella  condizione  giuridica. 

Il  eh.  Autore  si  fa  poscia  a  toccare  de'  Collegi  delle  arti 
meccaniche  ,  i  quali,  come  tutte  le  civili  istituzioni  di  Roma, 
si  fanno  risalire  a' tempi  di  Numa  ;  e  nota  come  tali  Collegi 
non  costituissero  propriamente  schiavitù ,  ma  servaggio  ,  al 
pari  de'  coloni  immobilizzati.  Espone  per  quale  strana  meta- 
morfosi ,  sotto  gì'  Imperatori ,  anche  i  più  nobili  e  splendidi 
uffici  si  convertissero  talvolta  in  servitù  ;  e  come  questa 
metamorfosi  appunto  si  avverasse  rispetto  a'  decurioni ,  allora 
quando  la  legge  ebbe  inventata  V affissione  al  Decurionato , 
e  molti  perciò  ne  fuggivano  preferendo  la  servitù  della  gleba. 
«  Ma  si  raggiungevano  e  si  riconduce  vano  per  forza  alla 
gleba  decurionale  (pag.  149)  ». 

Scendendo  quindi  alla  parte  che  riflette  il  medio  evo ,  Egli 
vi  si  inoltra  offerendoci  un  rapido  ma  ben  lumeggiato  pro- 
spetto delle  imprese  de'  musulmani ,  dacché  appunto  allo 
sbucare  di  questi  ardimentosi  conquistatori  la  storia  della 
schiavitù  si  modifica  e  si  trasforma  in  Italia.  Ora  tra  le 
maggiori  e  prime  imprese  di  quegli  ardenti  seguaci  dello 
Islam  ,  ella  è  senza  fallo  da  registrare  quella  di  Abu-el-Kasim 
contro  di  Genova  (a.  935)  ,  conciossiachè  la  flotta  di  lui 
«  die  il  sacco  alla  città ,  e  tra  la  ricca  preda  riportò  in 
Mehdia  mille  donne  italiane  ».  Ma  Genova ,  Pisa ,  Venezia , 
Bologna ,  Grecia  e  Provenza  ,  reagirono  di  gran  cuore  contro 
la  invaditrice  potenza  de'  musulmani ,  e  contro  quella  loro 
audacia  che  nuovo  e  più  gagliardo  scacco  ricevette  poscia 
dalle  Crociate  ;  «  le  quali  per  altro  non  ebbero  que'  durevoli 
effetti  che  il  mondo  cristiano  se  ne  prometteva  »  (pag.    173). 

Del  resto  Anche  durò  la  pirateria  affricana ,  durò  pure  la 
schiavitù  ai  danni  de'  cristiani  ;  e  «  da  quarantamila  si  sti- 
mava ve  ne  fossero  d'ordinario  ne'  bagni  d'Algeri  »  (pag.  174). 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  93 

Ma  per  non  toccare  rli  questi  infelici ,  i  quali  non  entrano 
propriamente  nel  soggetto  di  questo  libro  ,  e  continuando 
invece  a  trattare  degli  schiavi  infedeli  o  idolatri  posseduti 
da' cristiani ,  vuoisi  ritenere  che  i  medesimi  «  o  erano  presi 
in  guerra  ,  o  comprati  o  rubati ,  poiché  anche  a  tale  infamia 
l'avidità  del  lucro  spingeva  i  mercanti  »  (pag.  175).  Del 
traffico  de'  quali  schiavi  tenendo  parola  ,  ed  accennando  alle 
piazze  in  cui  si  vide  precipuamente  esercitato,  nota  il  eh.  Au- 
tore come  a  Venezia  e  Genova  non  cessò  prima  del  seco- 
lo xvn  (1).  Narra  in  seguito  come  e  per  quante  vie  fossero 
eglino  venduti  si  a  tempo  indefinito  e  sì  a  termine  di  riscatto, 
ovvero  donati  ,  barattati  ,  dati  a  nolo ,  impegnati ,  ed  a  quali 
prezzi  ,  e  come  avuti  in  conto  di  merce  venissero  pur  gra- 
vati da  diritti  d'entrata  ,  d'uscita  ,  di  transito  ;  del  che  tutto 
reca  in  mezzo  un  amplissimo  corredo  d'atti  e  di  formole. 
Soggiunge  come  nella  impresa  del  convertire  i  servi  al  cri- 
stianesimo ,  i  Genovesi  ci  appariscano  meno  solleciti  de'Vene- 
ziani  ;  e  come  verso  di  loro  si  chiarisca  più  mite  (in  ispecie 
a  Venezia  )  la  legislazione  ecclesiastica  della  civile;  le  quali 
considerazioni  conforta  del  pari  di  molteplici  esempi. 

Ma  spietato  fu  veramente  il  supplizio  di  Giovanni  schiavo 
ed  uccisore  del  vescovo  di  Civitanova  nel  1370 ,  così  dispo- 
nendo la  sentenza  della  Quarantia  criminale  :  «  Lo  schiavo 
Giovanni  fosse  portato  sul  canale  fino  a  Santa  Croce  ,  con 
un  banditore  che  gridasse  continuamente  il  suo  misfatto, 
quindi  fosse  trascinato  per  terra  sino  alla  casa  del  vescovo, 
e  là  gli  venisse  mozzata  la  mano  destra  ed  appesa  al  collo; 
poi  si  strascinasse  a  Rialto  ;  e  là  gli  si  levassero  colle  tenaglie 
quattro  pezzi  di  carne  nel  dorso  e  nelle  braccia ,  indi  si 
strascinasse  fra  le  due  colonne  ,  gli  si  lacerassero  colle  tena- 
glie quattro  altri  pezzi  di  carne  nelle  cosce  e  nel  petto; 
indi  fosse  mazzolato  (mactetur)  e  squartato,  e  s'appendessero 
i  quarti  alle  forche  »  (pag.  192). 

Anche  a  Genova  nel  1-181 ,  fu  crudelmente  straziata  una 
schiava  accusata  d'aver  propinato  il  veleno  ad  una  dama  dei 


(1)  Ciò  ribatte  pienamente  coi  ciati  raccolti  in  gran  numero  dal  eh.  signor 
marchese  Marcello  Staglieno  ,  il  quale  si  occupa  di  una  monografia  della  schia- 
vitù in  Liguria. 


94  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

Lercari  sua  padrona.  Ma  in  quel  supplizio  ebbe  gran  parte  la 
pressione  esercitata  sui  magistrati  dalla  commozione  del 
popolo.  E  qui  mentre  ripetiamo  ancbe  noi  eoi  eli.  conte  Cibra- 
l'io  che  tali  violenze  e  carnificine  legali  fanno  orrore  ,  non 
possiamo  non  meditare  profondamente  sulla  verità  di  quelle 
parole  che  1'  illustre  Uomo  di  Stato  fa  pur  seguire  a  quel 
grido:  «  Ma  la  pressione  della  opinione  popolare,  per  lo 
più  appassionata,  non  illuminata,  non  si  scorge  anche  oggi 
in  certi  verdetti  di  giurati  ,  in  certe  sentenze  di  giudici ,  in 
certi  discorsi ,  e  ,  ciò  che  è  peggio ,  in  certi  voti  dei  Parla- 
menti ?  »  (pag.  212). 

Di  Genova  reca  inoltre  pili  speciali  notizie,  perocché 
<■<  meglio  di  censessanta  atti  di  vendita  di  schiavi  dal  1192 
al  1320  ha  trovati  (Egli  dice),  ricercando  l'Archivio  dei 
notai....,  il  dotto  signor  Alessandro  Wolf,  il  quale  mi  ha 
fatto  liberalmente  copia  delle  sue  schede  ,  con  esempio  nobile 
e  raro  »  (pag.  197).  Dalle  quali  schede  emerge  che  la  pro- 
vincia la  quale  fornì  un  maggior  numero  di  schiavi  è  Valen- 
za di  Spagna ,  allora  soggetta  ,  come  è  noto ,  ai  re  mori  di 
Granata  ;  come  ve  ne  avessero  di  bianchi ,  di  neri ,  di  bruni 
od  olivastri,  e  di  tutte  le  gradazioni  di  età,  dal  ventre  pre- 
gnante ai  40  anni;  e  fossero  cristiani  per  un  terzo  all' in- 
circa ,  saraceni  il  resto. 

Intorno  a'  prezzi  il  eh.  Autore  ha  poi  raccolti  e  disposti  in 
una  T'avella  ben  centodieci  esempi  de'  secoli  xm  ,  xiv  e  xv , 
relativi  principalmente  a  Genova  ed  a  Venezia ,  tenendosi 
ristretto  ai  casi  nei  quali  era  possibile  determinare  il  vero 
valore  della  moneta  in  cui  veniva  stipulato  il  contratto. 
Dalla  quale  Tabella  emerge  che  il  minimum  del  prezzo  por 
cui  siasi  venduto  uno  schiavo,  risponde  a  lire  109  28  delle 
nostre,  ed  il  maximum  a  lire  2093  38  (Ved.  i  sunti  statistici, 
pag.  234-35)  ;  con  questa  osservazione  però,  che  tali  prezzi 
rincarirono  d'assai  nel  secolo  xv  sopra  quelli  dei  due  prece- 
denti ,  avuto  anche  nel  maggior  conto  lo  svilimento  della 
moneta  verificatosi  in  cosiffatto  periodo  di  tempo.  E  circa 
alla  proporzione  fra  i  due  sessi ,  già  ne'secoli  xn  e  xm  il 
numero  delle  femmine  era  in  Genova  oltre  il  doppio  dei 
maschi;  ma  in  appresso  crebbe  a  tal  segno,  che  verso  la 
metà  del    secolo    xiv   riuscì    di  1  a  10  '/.    «  Questa    abbon- 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  95 

danza  di  femmine  sui  mercati  d'  Italia  (segue  l'Autore) 
proveniva  dalla  maggior  facilità  originaria  di  pigliarle  sulle 
costiere  marittime ,  nelle  scorrerie  dei  pirati;  dappertutto 
nelle  imprese  di  guerra  ;  dal  costume  quasi  generalmente 
praticato ,  fuorché  dalle  orde  più  feroci  ,  di  non  ucciderle 
né  ferirle  nell'impeto  della  vittoria,  ma  di  serbarle  alla 
schiavitù  ;  dall'essere  più  ricercate  ,  perchè  più  agevoli  di 
carattere;  perchè  rendeano  maggiori  servizi,  perchè  le  gio- 
vani ne  rendeano  di  più  specie  ,  quando  il  padrone  era  di 
tempra  amorosa  »  (pag.  207). 

Che  anche  gli  antichi  popoli  Affricani  confinanti  colla 
Nigrizia  abbiano  avuto  schiavi  negri ,  non  pare  da  rivocarsi 
in  dubbio.  Ma  i  primi  che  veramente  ne  fecero  caccia  e 
mercato  furono  gli  Europei  nel  secolo  xv ,  da  Alonso  Gonza- 
les  (1434)  in  poi.  Tuttavia  l'allargamento  di  quel  lurido 
commercio  è  ancora  più  tardo  ,  poiché  data  dalla  scoperta 
dell'America  ,  e  da  quelle  immani  crudeltà  che  gli  Europei 
medesimi  commisero  disertando  sì  vasta  contrada,  e  per  cui 
sentirono  poscia  «  vivamente  il  bisogno  di  traghettarvi  grandi 
stuoli  di  braccia  lavoratrici  »  (pag.  217).  In  tutto  questo 
mercato  di  carne  umana,  alimentato  eziandio  dalla  avidità 
degli  indigeni ,  si  segnalarono  poi  maggiormente  gì'  Inglesi , 
i  Francesi,  gli  Olandesi,  i  Danesi,  i  Portoghesi.  Né  la  con- 
dizione degli  schiavi  compri  da  costoro  mostravasi  in  diritto 
più  lieta  di  quelli' che  servivano  appo  di  noi.  In  fatto  poi  «  i 
miseri  negri  nelle  piantagioni  delle  Colonie ,  sotto  l'arbitrio 
di  crudeli  ed  avari  padroni,  sotto  la  frusta  di  spietati 
comandatori ,  erano  ben  più  da  compiangere  che  gli  schiavi 
saraceni  del  medio  evo  nelle  case  e  ville  italiane  »  (pag.  224). 

III.  Modificazioni  introdotte  nella  condizione  servile  dai 
jyrogressi  della  legislazione  e  della  filosofia  morale ,  e  così 
dalla  ragione  e  dalla  religione.  —  Favore  della  causa  della 
libertà.  —  Precetti  ed  effetti  del  Vangelo.  —  Sminuzzamento 
della  servitù  in  molti  gradi  operato  dagli  ordini  beneficiari 
o  feudali.  —  Moto  antiliberale  e  violento  degli  Americani 
del  Sud  (  Stati  Uniti  )  contro  ai  negri  ,  schiavi  e  liberi. 

L'egregio  Autore  facendosi  ad  esaminare  le  succennate 
modificazioni ,  piglia  a  scorta  il  diritto  romano  e  parecchie 
sentenze  di  filosofi  greci  e  latini ,  i  quali  più    della  legge    si 


96  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

mostrarono  favorevoli  agli  schiavi.  Ma  la  legge  che,  a  tacer 
d'altri  particolari  ,  conserva  lungamente  intero  ai  padroni  il 
diritto  di  vita  e  di  morte  sugli  schiavi,  si  fa  anch'essa  più 
mite  ne'primi  tempi  dello  Impero ,  e  così  sgombra  per  gradi 
la  via  ad  Adriano ,  il  quale  esclude  onninamente  nei  padroni 
medesimi  la  facoltà  di  uccidere  i  servi,  e  minaccia  di  gastigo 
i  trasgressori.  D'ora  in  poi  i  codici  di  Roma  ne  rivelano  un 
continuo  progresso  in  favore  degli  schiavi  ,  né  solamente 
provvedono  alla  loro  vita  materiale ,  sibbene  alla  morale. 
Infine  si  occupano  anche  della  loro  libertà  ;  onde  l'Autore  ne 
piglia  argomento  a  trattare  dei  liberti  e  degli  ingenui. 

D'alcuni  servi  la  fortuna  valse  ad  illustrare  la  condizio- 
ne ;  d'altri  il  raro  ingegno,  la  dottrina,  la  facondia;  d'altri 
più  tardi ,  la  fede  di  Cristo  nobilmente  professata  e  suggel- 
lata col  sangue.  Di  che  1'  illustre  Conte  ha  occasione  ad 
entrare  in  generose  considerazioni  sulla  cristiana  morale , 
concludendo  colla  sentenza  altamente  vera  di  Tocqueville  : 
«  Il  Cristianesimo  è  una  religione  d'uomini  liberi  ». 

«  Ma  non  convien  credere  che  l'umana  razza  ,  esecrabil- 
mente  avida  d'oro,  lasci  inaridire  facilmente  una  fonte  di 
lucro ,  lauto  molto ,  sebbene  scellerato  »  (  pag.  270  )  :  di 
guisa  che  se  più  raramente  si  ridussero  in  ischiavitù  i  cri- 
stiani fratelli ,  non  s'ebbe  però  alcuna  difficoltà  di  ridurvi 
gli  idolatri  e  maomettani.  Nemmeno  è  a  dire  che  si  arre- 
stassero d'un  tratto  le  crudeltà  de'  padroni  contro  de'  servi: 
taluni,  in  un  impeto  bestiale  di  collera  li  mutilavano;  indi 
ad  espiare  il  peccato ,  faceano  liberalità  di  un  qualche  podere 
;i  chiese  o  monasteri.  A  Genova,  nel  secolo  xn,  un  tale  che 
avea  morto  uno  schiavo  saraceno  non  suo ,  fu  da'  Consoli 
obbligato  semplicemente  a  fornire  d'un  altro  schiavo  il  pa- 
drone dell'ucciso.  Donde  emerge  che  lo  schiavo  non  cristiano 
era  dal  diritto  genovese  trattato  ancora  come  l'antico  schiavo 
romano,  e  perciò  considerato  non  come  uomo  ma  quale 
giumento. 

Il  eh.  sig.  Conte  si  fa  in  seguito  a  ragionare  della  condi- 
zione delle  classi  servili  ne'  feudi ,  de'  cui  rudimenti  e  genesi 
e  delle  cui  varietà  ed  ordinamenti  esamina  quanto  basti 
all'attinenza  di  questa  materia  con  l'argomento  della  servitù  ; 
perocché    il    feudo,    Egli  osserva,  modilicò   profondamente  i 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  97 

diritti  di  possesso  e  di  proprietà,  assottigliando  e  moltipli- 
cando ad  un  tempo  i  vincoli  servili.  Lasciando  in  disparte 
il  nobile  vassallo,  e  scendendo  alle  classi  più  o  meno  serve, 
o  tinte  di  servitù,  trovansi  :  1."  i  ministeriali ,  antichi  capi 
de'servi  urbani  o  rustici  ;  2.°  i  ligi  del  capo  ;  3.°  i  ligi  del 
capo  e  del  corpo  ;  4.°  gli  agricoltori ,  i  quali  si  possono  a  loro 
volta  partire  in  tre  classi:  coloni  liberi,  massai  liberi,  livel- 
larii;  coloni  affissi  alla  gleba,  colliberti;  servi  rustici  (man- 
cipia),  con  più  altre  suddivisioni  e  gradazioni  assai. 

Ma  come  il  feudo  ebbe  in  prima  dorate  le  catene  della 
servitù  ,  i  Comuni  le  spezzarono  poscia  cambiando  d'un  colpo 
i  servi  in  cittadini  ;  lo  che  in  Italia  accadde  innanzi  che 
altrove.  Onde  il  vero  schiavo  antico  più  oramai  non  esisteva, 
salvo  che  si  trattasse  di  tartari ,  o  saracini ,  i  quali  erano 
venduti  a'  privati,  e  da  questi  adoperati  in  servigio  delle 
case  proprie  e  dei  monasteri. 

«  Era  riservato  agli  Stati  del  sud  della  vasta  Confede- 
razione Americana  l'odioso  privilegio  di  far  indietreggiare 
fino  ai  tempi  più  barbari  i  lumi  della  religione  ,  della  ragione 
e  della  civiltà  in  materia  di  schiavi ,  e  di  farli  indietreggiare 
non  solamente  in  fatto  coi  costumi,  ma  anche  in  diritto  (se 
diritto  si  può  chiamare)  con  una  legislazione  feroce  »  (pag. 
325).  Né  a  confortare  d'esempi  l'asserto ,  ed  a  mostrare  la 
triste  condizione  degli  schiavi  distribuiti  nelle  vastissime 
piantagioni,  corre  già  l'onorevolissimo  Senatore  ad  attingere 
in  que'romanzieri,  peraltro  benemeriti  della  libertà,  che,  come 
Gualtiero  Scott  e  Beecher  Stove  ,  trattarono  piaga  sì  dolorosa; 
bensì  li  desume  da' codici  officiali  di  questi  Stati  medesimi, 
e  da  altri  documenti  che  sono  del  pari  superiori  ad  ogni  ecce- 
zione. Donde  risultano  decreti  assurdi,  provvidenze  mostruose 
ed  atrocità,  ciie  si  direbbero  appena  credibili.  Né  si  rimane, 
senza  volgere  nobili  e  sdegnosi  sensi  a  quella  aristocrazia 
che  è  fra  tutte  la  più  deplorabile  ;  aristocrazia  di  piantatori 
e  di  mercanti  schiavi,  i  quali  pur  nell'ultima  guerra  empia 
e  fratricida  ,  predicando  altamente  la  inferiorità  della  razza 
negra ,  sostennero  essere  la  schiavitù  la  base  più  sicura 
e  stabile  delle  libere  istituzioni ,  ed  una  grande  benedizione 
morale.  «  Ma  Dio  (egli  conchiude)  non  permise  questo  scan- 
dalo. I  cotoni ,  i  tabacchi  e  lo  zucchero    non    eran    da   tanto 

Aucn.  St.  [tal.,  3.d  Serie,  T.  X  ,  P.  I  13 


98  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

da  meritare  che  venissero  innaffiati  col  sudore  col  sangue  e 
colla  degradazione  intellettuale  e  morale  dei  poveri  negri  » 
(pag.  339). 

IV.  Come  e  per  quante  vie  sì  cadesse  in  servitù.  —  Anche 
gli  uomini  liberi  furono  ne'  tempi  andati  molto  soggetti  a 
macchiarsi  di  servaggio  ;  donde  i  patronati  e  le  clientele 
(antichi  quanto  il  mondo) ,  la  commendazione  e  l'oppres- 
sione, per  cui  talvolta  i  liberi  non  solamente  si  trasmuta- 
vano in  uomini  servili  ma  anche  in  servi. 

Del  resto  le  fonti  di  schiavitù  furono  sventuratamente 
copiose. 

1.  Il  nascimento  ,  contemplato  secondo  i  tempi  ed  i 
luoghi  da  norme  diverse ,  ora  più  rigorose  ed  ora  più  liberali. 

2.  La  guerra ,  che  a'  Romani  specialmente  fruttò  quel 
numero  sì  sterminato  di  schiavi,  donde  venne  danno  a'  costu- 
mi e  pericolo  alla  Repubblica.  Classe  di  servi ,  a  cui  si  vo- 
gliono ,  benché  con  diverse  modificazioni ,  ridurre  gli  ari- 
manni j  i  liti  e  gli  uomini  di  masnada,  che  nel  medio  evo 
aveano  un  qualche  obbligo  di  servigi  militari ,  gli  aldioni ,  i 
fiscalini ,  i  massari ,  i  manenti. 

Le  guerre  e  le  contese  vicinali  di  quella  età  introdussero 
inoltre  l'obbligo  del  riscatto  per  gli  abbienti  caduti  prigionieri; 
gli  odii  religiosi  resero  poscia  intere  popolazioni'  schiave 
de'  turchi  ;  il  fanatismo  condusse  alle  stragi  del  nuovo  mondo , 
e  spinse  Sepulveda  a  sostenere  contro  il  venerando  Las  Casas 
«  che  era  lecito  non  solo  di  seppellir  nelle  miniere ,  ma 
d'ammazzare  qualunque  indiano  che  rifiutasse  il  battesimo. 
Carlo  V  vietò  che  si  pubblicasse  l'obbrobrioso  libello.  Malgra- 
do il  divieto  fu  stampato  a  Roma  ,  e  i  frati  lo  fecero  circo- 
lare in  Ispagna  »  (pag.  358) . 

3.  La  rapina.  Alla  classe  degli  uomini  liberi  rubati 
dai  cacciatori  di  carne  umana ,  e  che  perciò ,  non  riguardati 
come  schiavi  in  faccia  alla  legge  della  loro  patria ,  viveano 
nondimeno  forzatamente  in  condizione  servile,  sono  da  ascri- 
vere que'  miseri  che  comparvero  sui  mercati  dell'  Impero 
Romano  ,  e  più  tardi  sulle  altre  piazze  commerciali  d'  Europa. 
Cristiani  erano  i  trafficanti  ;  né  di  così  infame  commercio 
si  vergognavano  «  essi  che  spingevano  l'ardor  religioso  fino 
all'  intolleranza  e  la  superstizione  fino  al   punto   di   battersi 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  99 

disperatamente ,  popolo  contro  popolo ,  pel  possesso  d'un 
corpo  santo  !  »  (pag.  359).  A  vendicare  l'oltraggio  sorsero 
però  nel  secolo  xvi  principalmente  gli  Stati  Barbareschi  ;  i 
quali  riattivata  la  caccia  eie'  bianchi  per  ogni  dove  ,  la  con- 
tinuarono tino  quasi  a'  dì  nostri. 

4.  /  misfatti  e  le  contravvenzioni.  Il  cadere  in  servitù 
per  delitti  data  dalla  legge  mosaica;  per  contravvenzioni, 
dalle  più  antiche  leggi  romane.  Fuvvi  anche  a'  tempi  dello 
Impero  la  schiavitù  della  pena  3  per  forza  della  quale  un 
romano  perdendo  la  cittadinanza  potea  venire  tormentato  ed 
ucciso.  Ma  le  leggi  barbare,  e  più  di  tutte  quelle  de' Visigoti , 
moltiplicarono  i  casi  di  servitù  ;  la  quale  in  più  altre  leggi 
trovasi  anche  ben  di  frequente  comminata  come  pena 
sussidiaria. 

5.  /  debiti.  Anche  l'obbligo  di  rendersi  schiavo  del 
creditore  ,  che  non  si  può  pagare  ,  è  antichissimo  ;  e  le  storie 
di  Grecia  e  di  Roma  ci  ricordano  i  gravi  commovimenti  a 
cui  si  lasciarono  andare  que'  popoli ,  appunto  per  ottenere 
la  remissione  dei  debiti  che  non  potevano  satisfare. 

6.  La  propria  volontà ,  o  la  volontà  dei  genitori. 
Quelli  però  che  alienavano  in  tal  guisa  la  libertà  vi  erano 
indotti  da  uno  di  questi  moventi:  la  fame,  la  paura,  la 
passione  del  giuoco ,  la  devozione  eccessiva  ,  la  brama  di 
frodare  il  fisco ,  l'amore.  Ma  la  volontà  era  poi  di  fatto , 
e  potea  sempre  dirsi  libera  egualmente  in  tutte  queste 
alienazioni  ? 

7.  L'estraneità;  specialmente  nell'epoca  de' feudi  ,  il 
cui  sistema  spense  quasi  totalmente  ogni  idea  di  nazionalità. 

8.  La  forza  brutale  ;  «  una  delle  cause  sventurata- 
mente più  feconde  di  servitù  »  (pag.  404). 

9.  La  legge  t  dacché  «  v'  hanno  leggi  brutali  come  la 
forza  materiale  »  (pag.  407).  Donde,  a  recarne  un  esempio, 
il  servaggio  del  decurìonato  di  che  toccammo  più  sopra,  la 
schiavitù  imposta  in  più  regni  agli  Ebrei,  e  la  morte  civile 
inflitta  ai  leprosi  negli  editti  di  Rotari ,  e  (  che  è  peggio 
assai)  negli  statuti  di  molti  Comuni;  «  i  quali,  nel  cacciar 
un  leproso  dai  luoghi  abitati  ,  gli  spargean  sul  capo  polvere 
di  cimitero,  e  gli  cantavano  in  lugubre  tuono  l'ufficio  dei 
morti  »  (pag.  411). 


100  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

10.  La  razza  ,  dappoi  elio  la  superiorità  de'  bianchi 
sui  negri  fu  proclamata,  «  senza  avvertire  che  ninno  loro 
contende  un'anima  ragionevole ,  epperciò  quell'uguaglianza 
dinanzi  a  Dio,  che  fu  proclamata  dal  Vangelo;  che  non  sono 
scarsi  i  negri  scienziati  illustri  od  illustri  guerrieri ,  oratori 
facondi,  distinti  meccanici,  sacerdoti,  santi  martiri,  e  che 
v'  è  pur  qualche  esempio  di  vescovi  negri  »  (pag.  413). 

11.  Infine  la  religione  d'alcuni  stati  dell'  Asia  e  del- 
l'Affrica ,  fondata  sulla  dottrina  della  metempsicosi. 

V.  Come  e  per  quante  rie  s'uscisse  di  servitù.  —  «  Si 
usciva  di  servitù  o  per  volontà  de'  padroni  o  senza  la  loro 
volontà.  Ed  ancora  s'  usciva  per  diventar  libero  o  solamente 
semilibero  »  (pag.  417). 

Nel  primo  caso  aveano  luogo  le  così  dette  manumissioni , 
con  varietà  di  riti  e  di  forinole  appo  i  diversi  popoli  prati- 
cate. Ma  perchè  sortissero  intiero  l'effetto  e  la  libertà  conce- 
duta fosse  piena,  le  leggi  romane  disponeano  che  il  padrone 
avesse  incontrastato  il  possesso  dello  schiavo  non  solo  ,  ma 
eziandio  il  dominio  quiritario  ,  cioè  assoluto  ;  e  ciò  fino  a 
tanto  che  Giustiniano  ,  «  sempre  favorevole  alla  causa  della 
libertà  » ,  cancellò  questa  distinzione. 

La  libertà  poi  conceduta  ai  servi  era  giusta, ,  ossia  piena, 
e  non  giusta ,  che  è  a  dire  imperfetta.  Nel  quale  secondo 
caso  gli  affrancati  non  acquistavano  più  in  là  de'  privilegi 
accomunati  ai  latini  ;  oltreché  la  libertà  così  conceduta 
poteva  anche  rivocarsi.  E  come  alla  prima  specie  si  riferiva- 
no più  particolarmente  tre  forme  V  iscrizione  al  censo  ,  la 
manumissione  per  vindictam  (verghetta) ,  ed  il  testamento , 
finche  Augusto  non  vi  aggiunse  per  quarta  la  volontà  del- 
l' Imperatore  ;  così  alla  seconda  specie  tre  altre  se  ne  voglio- 
no riferire  del  pari ,  cioè  :  la  manumissione  per  epistola-m  _, 
quella  inter  amicos ,  e  quella  che  seguiva  accogliendo  il 
servo  alla  mensa  padronale. 

Altre  forme  introdusse  poscia  il  medio  evo  ;  e  con  esse 
la  facoltà  riserbata  ai  padroni  di  determinare  la  legge  cui  i 
servi ,  fatti  liberi ,  doveano  professare. 

L'egregio  sig.  Conte  riferisce  quindi  alcuni  esempi  di  ma- 
immissioni  spettanti  a  vario  provinole  ,  ed  osserva  che  «  le 
forinole  di  manumissione  per  carte  o  per  lettere  erano  negli 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  101 

antichi  tempi  assai  brevi....  .Ma  nelle  qualità  d'una  lucida 
brevità  ninno  vince  i  notai  genovesi.  Si  vede  che  quel  popolo 
illustre  ed  industre  s'avvolgeva  in  perpetue  faccende  ,  e  che 
seppe,  prima  assai  che  gli  Inglesi,  che  il  tempo  è  danaro  » 
(pag.  450).  Tra  le  quali  manumissioni  non  è  poi  senza 
frutto  il  notare  specialmente  quella  di  un'Aldata  di  Maiorica, 
pronunciata  nel  1236  da  Lanfranco  Cicala  (1);  il  quale  le 
conferisce  il  diritto  delle  anella  d'oro.  Perchè  ciò  sente  del 
diritto  e  delle  antiche  forme  romane,  quando  il  dono  ditale 
anello  ottenuto  dall'  Imperatore  ,  bastava  di  per  sé  a  confe- 
rire a'  liberti  l' ingenuità  ed  il  cavalierato  romano. 

Aveanvi  però  nella  giurisprudenza  di  Roma  alquanti  casi 
determinati  nei  quali  non  era  permessa  la  manumissione  dei 
servi;  e  n'ebbero  anco  altre  legislazioni.  Ma  solo  fra  gli 
appassionati  e  fuorviati  Americani  del  sud  doveano  tali  casi 
estendersi  per  modo  da  togliere  affatto  ,  o  quasi,  questo  giusto 
arbitrio  al  padrone  ;  dacché  per  quei  piantatori  «  non  si  com- 
prendeva.... possa  esistere  un  negro  che  non  sia  schiavo  » 
(pag.  481).  Allo  incontro,  in  quelle  antiche  legislazioni 
aveanvi  eziandio  de'  casi ,  e  molti  più  ,  ne'  quali  il  servo 
poteva  acquistare  la  libertà  vuoi  senza  il  consentimento  del 
padrone  e  vuoi  del  pari  contro  l'espressa  volontà  di  costui. 

Fra  le  cause  che  non  poco  aiutarono  il  moto  ascendente 
delle  classi  serve  e  servili  verso  la  libertà,  sono  da  annove- 
rarsene due  principalmente:  1°.  le  buone  consuetudini,  le 
quali  nel  medio  evo  si  videro  spesso  invocate  nelle  cause 
de'  servi  contro  a'  padroni  troppo  austeri ,  e  furono  spesso 
riconosciute  e  legalmente  accertate  dai  giudici;  2°.  i  matri- 
moni misti ,  la  cui  importanza  da  questo  lato  fu  primamente 
indicata  e  dimostrata  dal  eh.  Guèrard  in  quelle  sue  dotte 
Illustrazioni  del  Poliptico  d' Irminone  ,  o  di  San  Germano 
de' Prati;  dalle  quali  ricevemmo  anche  noi  tanta  luce  e  traem- 
mo così  peculiare  giovamento  nella  condotta  di  un  lavoro,  onde 
speriamo  chiarire  alcun  poco  le  condizioni  civili  di  Genova 
innanzi  il  Comune  (2). 

(1)  È  questi  il  gentile  cavaliere  e  poeta  provenzale,  intorno  a  cui  sono  da 
vedere  il  Noslradamus  ,  lo  Spotorno  ,  ec 

(2!  Sarà  questo  lavoro  la  Illustrazione  del  Registro  Arcivescovile  di  Genova  , 
ili  cui  i!  testo  Tu  già  da   noi  pubblicato  ne!  1862-64. 


102  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

Ora  su  questo  Poliptico  specialmente  fondandosi  l'onore- 
volissimo senatore  Cibrario ,  stabilisce  la  consistenza  di  ogni 
possedimento  goduto  da' grandi  signori  ecclesiastici  o  laici: 
in  un  manso  signorile  (domnicatus  o  fiscus) ,  in  benefìzi 
o  feudi,  in  mansi  ingenuità,  lidiali  o  servili ,  in  ospizi. 

L'Autore  tocca  poscia  di  taluni  Governi  ai  quali  increbbe  la 
schiavitù  ne'  soggetti  ,  e  che  perciò  emanarono  provvidenze  a 
cessare  il  servaggio  della  gleba.  L' Italia  anche  in  tale  opera 
conta  fra  i  più  solleciti  Stati:  e  Siena,  Padova,  Bologna 
(secolo  xin)  ne  offrono  i  primi  esempi.  Ma  il  lavoro  fu  lungo, 
irto  di  ostacoli  e  pieno  di  pericoli ,  per  modo  che  solo  all'epo- 
ca della  grande  rivoluzione  francese  ,  e  dopo  di  questa , 
l'affissione  del  contadino  alla  terra  disparve  quasi  general- 
mente dall'  Europa.  E  dicemmo  quasi  general)) tenie  ,  perchè 
nel  Mecklemburgo  ,  sebbene  con  importanti  modificazioni , 
tuttavia  sussiste;  e  ne'codici  di  Prussia,  ove  il  sistema  feudale 
non  è  affatto  scomparso  ,  vige  ancora  lo  strano  articolo  che 
la  nobiltà  essendo  il  primo  corpo  dello  Stato  è  destinata  di 
preferenza  agli  impieghi. 

D'altra  parte  anche  un  sì  grande  e  nobile  atto  quale  è 
quello  della  emancipazione  ,  potrebbe  essere  dal  concorso  di 
più  circostanze  reso  meno  provvido  e  meno  benefico.  Onde  , 
a  cansare  il  pericolo  ,  il  eh.  Autore  si  avvisa  ottimo  consiglio 
essere  quello  di  concedere  ad  ogni  affrancato  «  una  porzione 
dei  beni  da  lui  coltivati,  non  guardando  alla  stretta  legalità, 
ma  solamente  all'equità....  (1).  Ma  cotesto  provvedimento  è  uno 
di  quei  rimedi  eroici,  improvvisi,  che  le  burrasche  politiche 
impongono  talvolta  nel  pubblico  interesse  ,  ma  che  diffìcil- 
mente si  deliberano  in  tempi  normali  con  piena  maturità  di 
consiglio  »  (pag.  520).  In  Russia  questa  liberazione  fu  ben 
difficile  e  pericolosa ,  sia  pel  numero  immensamente  mag- 
giore dei  servi  (ventitre  milioni  )  ,  sia  per  la  loro  ignoranza, 
sia  infine  per  l'ordinamento    sociale    di    quel    vasto   Impero. 

(1)  Ciò  praticarono  appunto  i::  qualche  guisa  i  Mannesi  di  Scio;  i  quali  ri 
scattando  ogni  anno  (al  prezzo  medio  di  cento  aspri,  ciascuno)  oltre  a  mille 
schiavi  cristiani  caduti  in  potere  de' turchi  ,  li  colonizzavano  tutti  nell'isola,  e 
li  dotavano  di  terreni  a  sfruttare.  (Ved.  Hopf  ,  Storia  dei  Giustiniani  ec,  §  Po- 
pulazionc  ;  nel  voi.  i.xviii  dell'Enciclopédia  generale  delle  scienze  ed  arti  (in  te- 
desco); Lipsia,  Brockhaus ,  1SG8. 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  103 

Ma  per  ciò  appunto  riuscirà  sempre  più  lodevole  il  modo 
onde  essa  viene  regolarmente  effettuata  ;  e  sempre  più  degno 
d'encomio  tornerà  Youliase  del  19  febbraio  (  3  marzo)  1861  , 
con  cui  Alessandro  II  rese  glorioso  e  memorabile  il  suo  regno. 

Ultimi  ad  ottenere  i  benefizi  della  libertà  furono  i  negri. 
La  loro  causa  venne  bensì  da  più  d'un  secolo  predicata 
coraggiosamente  e  propugnata  da  Woolman  e  Bénézet ,  e 
prima  che  da  altri  efficacemente  e  generosamente  compresa 
dai  Quaker i  ;  imitati  poscia  e  seguiti  dai  Fratelli  Moravi  e 
dai  Metodisti ,  nonché  da'  più  rispettabili  corpi  scientifici. 
Anche  il  Parlamento  inglese  udì  levarsi  autorevoli  in  favore 
dei  negri  i  più  illustri  giureconsulti  ed  economisti:  Fox, 
Pitt,  e  sopra  tutti  Guglielmo  Wilberforce  «  uno  di  quegli 
uomini  non  tanto  rari  nella  razza  anglo-sassone ,  la  cui 
volontà  una  volta  spinta  ad  abbracciar  qualche  partito  è  di 
ferro ,  irremovibile  ,  instancabile ,  e  sa  far  convergere  ad  un 
solo  scopo  tutte  le  sue  forze  »  (pag.  544).  Quella  causa  perciò 
fe'rapidi  progressi ,  guadagnò  via  via  terreno  nel  nostro 
secolo;  e  recentissimo  è  il  ricordo  de'  suoi  trionfi,  benché 
sanguinosi,  agli  Stati  Uniti  d'America  (1).  Ora  «  non  passa 
mese  che  non  s'oda  pronunciare  la  buona  novella  della  libertà 
promessa  o  conceduta  da  qualche  potenza  alle  loro  colonie  » 
(pag.  552).  Così  da  schiavitù  si  dilegua,  e  resta  il  trionfo 
della  libertà  che  è  immortale  ! 

L'Autore  chiude  questa  prima  parte  del  suo  dotto  lavoro 
considerando  «  che  si  potrebbe  fare  un  corso  di  storia  retro- 
spettiva in  azione  visitando  le  contrade  meno  conosciute,  ed 
alcune  anche  ben  conosciute  dell'Affrica ,  dell'Asia  e  della 
America.  Ivi,  secondo  i  varii  gradi  di  barbarie,  si  risale  la 
scala  de'  secoli;  e  si  possono  scorgere  tutte  le  gradazioni  e 
le  fasi  della  civiltà  e  della  barbarie  ;  esempi  di  tutti  i  governi 
e  sgoverni „  di  tutte  le  forme  politiche,  di  tutte  le  super- 
stizioni. Si  possono  vedere  gli  spettacoli  presenti  d'ogni  reg- 
gimento :  il  teocratico  ed  il  patriarcale  ,  il  dispotico,  il  tiran- 
nico, il  libero,  il  temperato,  la  repubblica  aristocratica  e  la 


(i)  Vuoisi  tuttavia  anche  notare  una  recente  decisione  della  Corte  Suprema 
della  Georgia  ,  la  quale  ha  stabilito  che  i  matrimoni  contratti  fra  i  bianchi  ed 
i  negri  saranno  considerali  come  nulli  ed  illegali. 


104  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

democratica  ,  l'anarchia  delle  moltitudini  imperanti  ,  cìvium 
ardor  prava  jubentium  ,  ogni  sorta  di  schiavitù  ,  ogni  ma- 
niera di  feudi;  l'alleanza  politica  femminile,  le  amazoni , 
gì'  indovinamenti  ,  gli  oroscopi ,  gli  auguri ,  *i  negromanti , 
ogni  razza  di  più  o  meno  stupide  superstizioni.  Tutto  ciò  po- 
tremmo contemplare  vivo  ed  in  azione  ,  cercando  fuori  d'Eu- 
ropa cento  popoli ,  diversi  non  solo  d'abiti  e  di  costumi ,  ma 
più  ancora  pel  grado  a  cui  son  pervenuti  nella  via  dell'  inci- 
vilimento ,  dai  più  bambini  a  quelli  che  già  s'avvicinano  a 
pubertà. 

«  Ciascuno  di  essi  ci  porrebbe  sott'occhio  vivo  e  spirante 
qualche  brano  della  nostra  storia  antica,  fors'anco  quella  di 
qualche  epoca  antestorica  »  (pag.  554-55). 

Questa  esposizione  dell'egregia  monografia  del  senatore 
Cibrario  ,  in  cui  (se  manchevole  d'ogni  altro  pregio)  studiam- 
mo che  fossero  coscienza  e  fedeltà,  ci  auguriamo  che  valga 
a  porgere  una  idea  del  concetto  e  dei  divisamenti  dell'Autore, 
ponendo  così  in  grado  i  lettori  di  apprezzarne  i  risultati.  Ma 
nel  mentre  che  affrettiamo  col  più  vivo  desiderio  il  compimento 
di  un'opera  cosi  bene  condotta  ,  e  ne  riconosciamo  l'altezza 
e  nobiltà  dello  scopo,  il  quale  non  è  storico  puramente 
ma  pratico  ed  altamente  umanitario  (1)  ,  vogliamo  intanto 
accennare  per  modo  di  conclusione  ad  alcuni  riflessi  i  quali 
ci  venivano  spontanei  mano  mano  che  andavamo  leggendo  il 
lodato  volume  II  quale  ameremmo  vedere  anche  meditato 
sotto  più  di  un  aspetto ,  in  grazia  degli  ammaestramenti  che 
contiene ,  e  che  per  l'autorità  da  cui  derivano  e  la  profonda 
sebben  dura  verità  che  racchiudono  ,  meriterebbero ,  a  nostro 
modo  di  sentire ,  la  più  seria  attenzione. 

Né  anzi  tutto  ci  sembra  fuori  di  luogo  lo  stigmatizzare 
eh'  Egli  fa  della  superiorità  che  si  affetta  su  parecchi  altri 
popoli  da  noi  Italiani  «  sempre  emuli  e  poco  uniti ,   capaeis- 

(1i  Noto  che  su  questo  coscienzioso  lavoro  ha  un  dotto  articolo  il  eh.  comm. 
Giuseppe  Canestrini  nella  Nuova  Autologia  (  luglio '1808).  Ed  anch'esso  conclude 
osservando  chi;  il  benemerito  conte  Cibrario  «  non  si  è  limitato  a  pubblica- 
zioni che  servano  a  solo  diletto  o  consumo  dei  semplici  eruditi  ;  ma  seppe 
innalzare  gli  studi  storici  con  profondo  criterio  e  potente  sintesi  al  magistero 
di  scienza  politica  ed  economica  ,  a  pratica  utilità  dei  legislatori  e  degli 
statisti  d. 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  105 

simi  d'uno  sforzo  eroico  ,  meno  atti  ad  una  eroica  ostinazio- 
ne ,  che  pure  è  indispensabile  »  (pag,  414).  Il  che  affermano 
pur  troppo  le  gare  molteplici,  le  irrequiete  ambizioni  diparte 
e  le  recriminazioni  erette  a  sistema;  spettacolo  ignobile  ed 
immorale  cui  noi  assistiamo  senza  tregua,  mentre  a'  nostri 
avversari  scoprono  il  debole  fianco  perchè  ne  possano  con 
facili  armi  ferire. 

Né  meno  opportuno  è  quest'avviso  ,  dacché  vediamo  tut- 
todì un  vivo  lavoro  di  opere  demolitrici  delle  vecchie  istitu- 
zioni ,  alle  quali  se  molto  e  saviamente  si  contrappone  con 
generose  parole  e  con  amplissimi  disegni ,  nulla  però  o  ben 
poco  si  contrappone  coi  fatti.  Il  perchè  1'  illustre  Autore , 
biasimati  que'  secoli  tenebrosi  e  corrotti ,  rispetto  ai  quali 
noi  ci  acchetiamo  troppo  facilmente  nella  credenza  che  da 
essi  ci  divida  un  insuperabile  abisso  ,  si  fa  a  sclamare  che 
«  forse  potrebbero  tornare ,  se  di  nuovo  prevalesse  univer- 
salmente 1'  indifferenza  religiosa  e  il  predominio  degli  inte- 
ressi materiali.  Ricordiamoci  che  ad  assicurar  la  pace  del 
mondo  ci  vuol  la  doppia  sanzione  della  religione  e  della 
legge ,  e  l'ima  e  l'altra  efficaci.  La  libertà  è  una  potente 
guarentigia  ,  ma  non  basta.  Essa  può  rendere  i  tristi  uomini 
ipocriti ,  non  buoni.  E  vi  sono  oggi  arti  di  spogliare  altrui 
molto  più  sicure  e  molto  peggiori  della  violenza  aperta.  Certo 
a  chi  avverta  quanto  si  ruba  a  man  salva  con  un  giro  di 
penna  in  certi  banchi,  nelle  borse,  nelle  imprese  industriali, 
nelle  società  anonime  ,  sembreranno  uomini  primitivi  e  pre- 
doni inesperti  quei  feroci  spogliatori  del  medio  evo  »  (pag.  386). 
Infine  una  serie  di  fatti  che  il  senatore  Cibrario  viene 
rassegnando  a  più  riprese  ,  e  le  considerazioni  profonde  cui 
danno  luogo  ,  valgono  assai  bene  a  contenere  nei  giusti  limiti 
l'ammirazione  da  cui ,  all'udire  certi  discorsi  ed  al  leggere 
certi  libri  o  giornali ,  dovremmo  sentirci  compresi  per  tutto 
ciò  che  si  compie  al  di  là  dell'Atlantico.  Non  neghiamo  il 
nostro  plauso  ad  un  popolo  che  seppe  farsi  grande  e  potente, 
poiché  fermamente  e  risolutamente  lo  volle  ;  lodiamo  ed 
ammiriamo  in  quel  popolo  stesso  l'ardita  iniziativa  di  molte 
opere  egregie  ,  e  diamogli  merito  larghissimo  di  avere  molte 
cose  e  molto  bene  compiute  a  vantaggio  in  ispecie  della  vita 
industriale  e  della  materiale  esistenza.  Ma  dopo  ciò  sappiamo 
Ai.ch.  St    It\l.,  3."  Serie,  T.  X ,  P.  I.  14 


106  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

pur  difendere  l'animo  nostro  dalle  preoccupazioni  che  potreb- 
bono  gittarvi  le  più  sconfinate  apologie  del  vivere  e  del  pensare 
americano.  All'  udir  certuni ,  dovremmo  anche  americana- 
mente morire.  Ora  quelle  apologie  non  rifiniscono  dal  ritrarci 
il  nuovo  mondo  come  il  rifugio  delle  libertà  che  abbando- 
nano l'antico  ;  e  screditando  le  nostre  istituzioni  con  ingiusti 
ed  incompleti  paralleli ,  vorrebbono  persuaderne  che  quanto 
possiamo  riprometterci  di  bene  e  di  meglio  ,  non  ci  è  dato 
aspettarlo  d'altra  parte  che  dall'America. 

Su  via  dunque ,  coraggio  ,  poniamo  fra  noi  e  questa 
x'ecclùa  Europa  una  immensa  distesa  di  mare  !  Ma  prima 
tiriamo  un  velo  su  certi  dolorosi  avvenimenti ,  le  cui  piaghe 
non  sono  rimarginate  ancora;  dimentichiamo  che  la  questione 
del  servaggio  scosse  ben  più  violentemente  il  paese  della 
libertà  che  la  Russia  ;  e  badiamo  di  non  abbatterci  tra  via 
in  fatti  di  così  triste  natura,  pe'  quali,  a  trovarne  un 
riscontro ,  questa  vecchia  Europa  dovrebbe  retrocedere  infino 
ai  giorni  del  terrore.  L.  T.  Belgrano. 


Miscellanea  di  Storia  Italiana.  Torino,    Stamperia  Reale. 
Finora  sette  volumi  in  8vo. 

Sette  volumi  già,  conflati  di  sole  cose  italiane,  o  inedite, 
o  ben  rare:  eppure  ho  incontrato  pochissimi  studiosi  che  li 
conoscano.  Pensate  poi  la  folla  «  di  color  che  a  sé  fingon 
di  sapere!  »  Né  mi  accadde  di  vederla  annunziare,  e  tanto 
meno  esaminare  ,  dalle  migliaia  d'effemeridi  che  oggi  occu- 
pano o  distraggono  le  menti ,  sicché  potrebbe  darsi  che  a 
molti  lettori  riuscisse  nuovo  fin  il  titolo  dell'opera,  a  moltis- 
simi il  ragguaglio  di  quello  che  contiene.  Eppure  questa  pub- 
blicazione, corrispondente  ad  altre  di  Germania,  di  Francia, 
d'Inghilterra,  d'Austria,  ha  di  che  contentare  i  più  schifil- 
tosi, e  dar  compiacenza  alla  patria.  Se  lodarla  mal  conviene 
a  me,  perchè  opera  di  colleghi  miei,  di  miei  condeputati  e, 
in  piccolissima  parte,  mia,  mi  limiterò  all'uffìzio  di  relatore, 
e  domanderò  licenza  di  rammemorare  che  ,  nel  1836,  re  Carlo 
Alberto  istituiva  una  R.  Deputazione  di  storia  patria.  Per 
patria   allora   non   doveva   intendersi   che    il    regno    Sardo: 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  107 

dopo  la  conquista  del  1859  vi  si  comprese  anche  la  Lom- 
bardia. 

Quella  Deputazione  pubblicò  preziosi  volumi  di  Monumenta 
Historiae  Palriae ,  sui  quali  già  s'è  altre  volte  fermata  e  di 
nuovo  si  fermerà  l'attenzione  di  questo  Archivio.  Qui  basti 
annunziare  che,  nel  1862,  essa  Deputazione  cominciò  un'altra 
serie  di  pubblicazioni,  meglio  accessibili  al  pubblico,  non  più 
in-folio,  ma  m-8vo,  col  titolo,  in  verità  poco  peregrino  ,  di 
Miscellanea  di  storia  italiana.  Sono  documenti,  brevi  sto- 
rie ,  cronache  ,  lettere ,  monografie ,  da  venire  in  sequela  al 
Tesoro  politico ,  che  fin  dal  1600  stampava  il  Comin  Ventura, 
alla  Miscellanea  italica  erudita  del  padre  Gaudenzio  Roberti, 
alla  Raccolta  d'opuscoli  scientifici  e  letterari,  continuata 
dal  Mandelli  sino  al  1750,  alle  Delitiae  eruditorum  del  Lami, 
agli  Opuscola  varia  symbolae  literariae  del  Gori,  alle  Delizie 
degli  eruditi  toscani  del  P.  Idelfonso,  agli  Opuscoli  di  autori 
siciliani  di  Palermo  ;  alla  Miscellanea  di  storia  letteraria 
di  Lucca,  al  Saggiatore  di  Roma,  a  questo  Archivio  storico. 

Se  non  che  in  queste  e  in  altre  raccolte  prano  mescolate 
materie  varie;  come  di  rimpatto  notizie  storiche  abbondano, 
sparse  in  altre  raccolte  e  giornali  e  biblioteche:  mentre  la 
Miscellanea  vorrebbe  essere  unicamente  storica,  e  saria  stato 
a  desiderare  fosse  la  unica  così  fatta,  di  modo  che  gli  studiosi 
non  avessero  che  a  consultarla  per  conoscere  quel  che  si  pub- 
blicò in  fatto  di  tali  dottrine,  senza  andare  a  cercarlo  qua  e 
là  col  fuscellino,  e  sempre  incerti  se  un  lavoro  sia  già  pub- 
blicato. Ma  aggiunti  altri  paesi  al  regno,  vennero  istituite 
nuove  deputazioni  a  Firenze,  a  Napoli,  a  Parma,  a  Modena, 
a  Bologna,  che  tutte  pubblicano  raccolte  congeneri.  Alla  fio- 
rentina serve  appunto  questo  giornale  su  cui  scriviamo:  e 
sarebbe  desiderabile  che  tutte  avessero  alcun  punto  di  con- 
tatto, per  lo  meno  un  indice  comune. 

La  Deputazione  torinese  avea  fatto  invito  ad  ogni  stu- 
dioso italiano,  e  una  Commissione  riservavasi  la  scelta;  ora 
però  si  limita  quasi  affatto  a  documenti  di  quelle  che  diconsi 
antiche  provincie.  A  quest'ora  furono  pubblicati  sette  volu- 
mi ,  né  parranno  pochi  a  chi,  oltre  la  tenuità  dei  mezzi, 
avverta  quante  cure  esigano  siffatti  lavori,  massime  quando 
gli  autori  sono  lontani,  né  sempre  alla  mano  gli  apografi. 


108  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

Nel  primo  volume  il  barnabita  Gio.  Bruzza  informa  del 
pittore  Giovanni  Antonio  Bàzzi  detto  il  Soddoma,  che  prova 
essere  di  Vercelli,  né  così  sopranominato  per  vizi.  Monsignor 
Iacopo  Bernardi  dà  il  viaggio  dell'arcivescovo  Minucci  da  Ve- 
nezia a  Parigi  nel  1549;  Carlo  Promis  la  vita  di  Girolamo 
d'Angbiari,  che  fu  poeta,  filologo,  giurisperito,  archeologo  e 
insieme  ingegnere  militare;  titolo  pel  quale  lo  predilesse  il 
lodato  illustratore  dell'architettura  militare;  del  quale  son 
pure  la  vita  di  Francesco  Paciotto  da  Urbino,  che  tanto  fece 
progredire  l'arte  delle  fortificazioni,  e  innalzò  le  famose  cit- 
tadelle di  Anversa  e  di  Torino;  e  un  commento  Degli  inge- 
gneri e  scrittori  militari  bolognesi  del  secolo  XV  e  XVI,  a 
capo  dei  quali  va  la  celebre  Cristina  da  Pizzano.  Di  costei 
i  biografi  non  conobbero  Le  livre  des  faits  d'armes  et  de  che- 
valerie  3  che  è  il  migliore  scritto  militare  del  secolo  XV, 
quando  innovavansi  le  armi  offensive. 

Giambernardo  Miolo,  notaio  di  Lombriasco,  tirò  una  cro- 
naca fino  al  13  settembre  1569,  la  quale,  già  preparata  per 
la  stampa  dal  benemerito  barone  Vernazza,  trovasi  nella  bi- 
blioteca del  Re  a  Torino;  biblioteca,  chi  noi  sapesse,  delle 
più  ricche  per  libri  e  per  manoscritti  relativi  alla  storia  pa- 
tria ed  alla  numismatica. 

Il  conte  Edoardo  Mella  porse  notizie,  documenti,  disegni 
di  Santa  Maria  di  Vezzolano  in  Monferrato,  monumento  no- 
tevolissimo, che  risale  forse  a  re  Liutprando,  o  più  proba- 
bilmente a  Carlo  Magno,  e  con  sculture  dei  primordi  dell'arte. 

Domenico  Carutti  pubblicò  gli  «  Avvertimenti  politici  per 
quelli  che  vogliono  entrare  in  Corte  »;  lavoro  del  conte  Ver- 
rua,  ambasciatore  di  Savoia  in  Roma  sul  finire  del  cinquecento. 
È  cortigiano,  e  arriva  a  dire:  «  L'adulazione  sfacciata  è  pe- 
ricolosa e  da  sfuggire;  ma  l'adulazione  temperata  e  coperta 
è  utilissima,  massime  con  individui  di  spirito,  perchè  la  lode 
diletta  e  piace  a  ciascuno.  Osserva  diligentemente  1'  inclina- 
zione del  padrone,  e  trasformati  in  quella  quanto  puoi,  e  se 
qualcuna  è  viziosa,  cerca  di  onestarla  con  qualche  vocabolo, 
perchè  tutti  i  vizi  hanno  vicine  le  virtù;  e  questo  piace  som- 
mamente al  padrone.  Dove  tu  vedi  due  servitori  uniti  che 
siano  grandemente  favoriti,  non  pensar  mai  di  poter  ascen- 
dere se  per  qualche  via  non  cerchi  prima   disunirli,   perchè 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 


109 


ognuno  di  loro  viene  poi  alla  vòlta  sua  per  congiungersi  teco. 
Circa  il  far  mali  uffizi,  avverti  che,  per  far  colpo,  bisogna 
che  abbiano  tre  condizioni:  la  prima  che  si  facciano  di  rado, 
perchè  per  la  frequenza  saresti  tassato  di  maligno;  secondo, 
devi  dire  qualche  cosa  in  lode  di  colui  al  quale  hai  da  dar 
la  botta,  per  mostrare  che  non  ti  muovi  per  odio;  l'imputa- 
zione non  ha  da  essere  per  cosa  piccola,  ma  di  cosa  che  toc- 
chi al  padrone,  e,  quello  che  più  importa,  mostra  che  la  pa- 
rola venga  detta  a  caso,  e  non  premeditata  ». 

Eccovi  come  si  otteneva  e  conservava  la  grazia  d'  un  pa- 
drone ,  allora.  Oggi  il  padrone  è  il  pubblico;  le  arti  sono 
dismesse  ? 

Fra  i  molti  manoscritti  che  l'abate  Costanzo  Gazzera  legò 
all'accademia  di  Torino  di  cui  era  segretario,  v'ha  impor- 
tantissime lettere  originali,  fra  le  quali  il  signor  Claretta 
scelse  alcune  di  Francesco  Patrici,  di  Galeotto  del  Carretto, 
di  Giovanni  Boterò,  di  Antonio  Favre,  celebratissimo  giure- 
consulto e  presidente  del  senato  sabaudo;  di  cui  qui  compare 
1'  uffizio  nuovo  di  dirigere  la  troppo  famosa  guerra  per  la 
successione  di  Mantova  nel  1616. 

Aristide  Sala  desunse  dall'archivio  arcivescovile  di  Milano 
documenti  sulla  milizia  e  il  governo  spagnuolo  in  Lombardia 
nel  secolo  XVI;  Vincenzo  Lazari  dai  veneti  altri  sul  traffico 
e  la  condizione  degli  schiavi  in  Venezia  nel  medio-evo,  am- 
pliando quello  che  n'aveano  detto  il  Gallicciolli  e  il  Filiasi , 
con  documenti  la  più  parte  sconosciuti ,  e  alle  norme  legi- 
slative aggiungendo  notizie  particolari  sì  di  veri  schiavi  ,  sì 
di  persone  sottoposte  a  temporaria  restrizione  della  libertà 
personale.  È  de' più  curiosi  eleborati  sopra  una  classe,  che 
nel  maggior  Consiglio  al  13  settembre  1364  dichiaravasi  nu- 
merosissima ,  et  quae  est  futura  maior. 

Il  Robolotti  esamina  le  pergamene  cremonesi  anteriori  al 
mille.  I  lettori  di  questo  giornale  dovrebbero  ricordarsi  come 
anni  fa,  da  Cremona  uscissero  carte  che  fecero  stupire,  per- 
chè alteravano  i  tempi  e  gli  avvenimenti,  e  che  furono  ac- 
cettate da  molti .  e  fin  da  Carlo  Troya  che  le  giudicò  «  il 
maggior  tesoro  e  le  più  grosse  perle  »  del  suo  codice  Lon- 
gobardo. Altri  osò  dubitare  della  loro  autenticità,  ed  io  tra 
questi ,  e  in  questo  Archivio  appunto  :  e  feci  pregare  il  pos- 


110  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

sessore  di  essi  monsignor'  Dragoni  a  lasciarmene  sincerare 
coli'  ispezionar  degli  originali.  Egli  rispose  noi  farebbe  finché 
vivesse:  proposito  bastante  a  supporli  falsi  o  alterati.  E  tali 
si  chiarirono  dopo  che  morì  nel  1860.  Il  Robolotti,  sollecitato 
da  me  «  ad  assumere  l'esame  rigoroso  dei  documenti  drago- 
niani  e  discuterne  l'autenticità  e  genuinità  »,  risolve  la  qui- 
stione  schiettamente,  dichiarando  che  il  Dragoni  «  offese 
l'altrui  buona  fede  e  la  sua  onestà  »  manipolando  e  falsificando 
le  pergamene.  Era  piaciuto  a  me,  e  Carlo  Trova  aveva  rico- 
nosciuto per  «  uno  dei  documenti  più  preziosi  alla  storia 
d' Italia  »  quello  donde  appariva  che  il  Martin  diacono,  che  andò 
a  insegnare  la  via  delle  Alpi  a  Carlo  Magno,  apparteneva  al 
clero  di  Cremona,  al  quale  clero  il  conquistatore  aveva  per 
ciò  largheggiato  di  concessioni.  Ebbene,  quel  documento  si 
trova  in  più  d'un  abbozzo,  con  cancellature  e  varianti  di  nomi 
e  di  date  e  di  forinole.  Così  è  d'altri ,  con  cui  esso  non  pro- 
poneasi  d'ingannare  fraudolentemente  come  il  siciliano  Velia, 
ma  di  provare  l'antichità  di  certi  uffizi  e  dignità  nella  patria 
sua.  A  questo  modo  asseriva  l'esistenza  di  un  Xenoclochìo 
cimi  biborerio  pei  poveri  e  i  trovatelli,  a  Cremona  istituito 
nell'870,  e  sul  quale  anche  l'Aporti,  nelle  Meinorie  di  storta 
ecclesiastica  cremonese,,  asserì  che,  mille  anni  prima,  vi  fosse 
istituito  un  asilo  dell'  infanzia  ;  mentre  non  è  che  una  con- 
traffazione dell'  insigne  testamento  di  Dateo,  arciprete  mila- 
nese. Bello  studio  è  questo  del  Robolotti,  e  lodevole  viepiù, 
or  che  la  critica,  unica  filosofia  d'oggi,  nell'uso  giornaliero, 
nelle  passioni  del  momento  e  nelle  turpitudini  giornalistiche 
disimparò  ad  esercitare  i  suoi  diritti  anche  verso  il  tempo  pas- 
sato :  ora  che ,  o  avidità  di  guadagno  o  il  semplice  gusto 
d'  ingannare  e  di  profittar  della  universale  disattenzione  fa 
inventare  e  spacciare  serie  intere  di  documenti  falsi  (1). 


(1)  Giuseppe  Meyranesio  ,  proposto  di  Pietraporzir.  ,  pubblicò  un  codice  di 
Dalmazzo  Bcrardenco  ,  contenente  gran  copia  di  iscrizioni  antiche,  riferibili 
al  Piemonte;  ed  erano  false:  e  ,  come  già  da  quelle  di  Ciriaco  d'Ancona  ,  ne 
restò  inquinala  la  storia  piemontese,  e  tratti  in  inganno  persino  il  Gazzera  ,  il 
Vernaz/a,  il  Marini,  il  Borghesi. 

È  un  fatto  troppo  degno  di  osservazione  l'impudenza  con  cui  si  danno  fuori, 
da  alcun  tempo,  documenti  falsi,  confidando  nella  disattenzione  del  pubblico  e 
nell'oblio  d  ogni  critica  nel  grosso  de' lettori.  A  tacere  la  sguaiata  impostura  di 


RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA  111 

L.  T.  Belgrano  illustra  la  dedizione  dei  Genovesi  a  re 
Luigi  XII ,  una  delle  tante  volte  che  i  Francesi  passarono 
l'Alpi  per  regalarci  la  libertà.  Ben  i  Genovesi  gli  imposero  patti, 
e  che  «  Sua  Maestà  si  degni  commettere  ed  ordinare  che  le 
predicte  cose  siano  inviolabiliter  observate  da  li  soi  officiali, 
che  sono  et  saranno  prò  tempore  deputati  per  Sua  Maestà  a 
lo  governo  et  regimento  de  la  cita  di  Genua  »  ;  e  il  re  pro- 
metteva ,  regìa  maeslas  omnia  illìs  concessa  observari  fa- 
ciet  prout  in  praecedentibus  clictum  est  ;  ma  anche  il  Gran- 
signore  promette  osservare    i  Hatti-scerif  ed  i    Hatti-cajum. 

Chi  volesse  fare  una  monografìa,  qual  non  si  usa  tra  noi, 
e  quale  ce  ne  danno  preziosi  esempi  gli  stranieri,  bellissimo 
terna  avrebbe  in  Girolamo  Morone  ,  che  personeggia  in  sé  la 
dottrina  del  Machiavello,  e  che,  mirando  all'indipendenza 
della  sua  patria,  la  cercava  ora  col  Moro  chiamando  i  Fran- 
cesi, ora  opponendovi  gli  Spagnuoli,  ora  cospirando  contro 
essi  fin  a  voler  sobillare  il  marchese  di  Pescara ,  ora  seguendo 
l'Orléans  all'assedio  di  Firenze  ;  ma  non  riuscendo  coll'attività, 
meglio  di  quel  che  riuscisse  il  Machiavello  colle  dottrine.  Vo- 
lumi di  lettere  sue  esistono  nelle  librerie  dei  Belgioioso,  dei 
Trivulzio,  degli  Scotti  e  nell'Archivio  diplomatico  a  Milano.  Ma 
evidentemente  non  sono  il  primo  getto  ,  la  minuta  :  vennero 
nello  stile  forbite  o  meglio  viziate  di  mano  dell'autore ,  come 
chi  prepara  un  testimonio  de' fatti  cui  prese  parte.  Fece  egli  tal 
fatica  in  qualcuno  dei  tempi  d'ozio  forzato  o  di  prigionia  cui 
egli  era  ridotto,  e  non  la  terminò,  giacché  un  terzo  libro  che 
giace  nella  Marciana  di  Venezia,  contiene  fogli  sconnessi  e 
vere  minute.  Queste  lettere  sono  pubblicate  nel  II  e  III  vo- 
lume della  Miscellanea  con  molti  documenti  autentici  ed  ora- 
zioni ,  ed  una  storia  del  Moroni  e  del  suo  tempo.  Né  senza 
consultare  questo  lavoro  dei  signori  Domenico  Promis  e  Giu- 
seppe Mùller  potrà  altri    scrivere    dell'infelice  età  che  seyui 

una  Storia  dell'Inquisizione,  attribuita  a  Pietro  Tamburini,  avemmo  le  lettere 
di  Maria  Antonietta,  pubblicate  da  Feuillet  des  Couclies,  e  trionfalmente  smen- 
tite dal  barone  D'Arneth  :  abbiamo  centinaia  di  lettere  di  Galileo,  accettate 
come  vere  da  un  corpo  insigne  di  dotti  ,  e  provale  false  dal  confronto  cogli 
originali  che  Firenze  possiede  :  abbiamo  carteggi  di  Cavour,  evidentemente  con- 
traffatti :  si  spargono  dubbi  sulle  Memorie  de!  cardinale  Consalvi  ,  come  sulle 
tanto  disputate  carte  d'Arborea  ,  e  su  altre  speciali  all'  Italia. 


112  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

al  momento  in  cui  Lodovico  il  Moro  chiamò  i  Frane  es  i  a  rinet- 
tar T  Italia  con  una  scopa ,  che  dovea  poi  spazzare  lui  stesso. 

Un  altro  volume  della  Miscellanea  apresi  colla  corrispon- 
denza che  con  Giannetto  Giustiniani  di  Genova  tenne  il  car- 
dinale Mazarino,  ministro  che  meriterebbe,  ben  più  di  altri 
politici  moderni;  il  titolo  di  grande,  se  questo  potesse  con- 
sentirsi all'abilità  dell'  intrigo,  al  saper  profittare  delle  circo- 
stanze, all'adoprare  indifferentemente  la  giustizia  e  l'iniquità, 
gli  amori  e  gli  odi,  la  lealtà  e  la  frode,  senza  concetto  di 
moralità  e  per  solo  intento  di  riuscire.  E  riuscì  egli  a  compiere 
l'unità  della  Francia,  e  ad  assodarvi  l'autorità  monarchica, 
scassinata  dalle  arroganze  parlamentari,  dalla  frivolezza  cor- 
tigianesca, dall'  inesorabile  epigramma  in  quella  lepida  guerra 
civile  che  s'  intitolò  la  Fronda.  Di  buoni  commenti  li  dotò 
il  compianto  marchese  Vincenzo  Ricci. 

Giacomo  Manzoni  accurò  gli  Annali  della  tipografìa  tori- 
nese avanti  il  1500,  dove  pei  primi  Giovanni  Faber  e  Gio- 
vannino de  Petro,  nel  1474  stamparono  il  Bremarìum  Roma- 
num.  Trentasei  opere  son  noverate  qui,  mentre  il  Panzer  ne 
conobbe  sole  21  e  30  l'Amati:  ben  distinguendole  da  altre  di 
Ginevra  e  di  Lione,  con  cui  eransi  confuse,  e  accompagnan- 
dole colle  impronte  de'  vari  stampatori. 

L'istrumento  di  divisione  che,  al  12  settembre  1493,  fe- 
cero le  sorelle  Angela  e  Ippolita  Sforza  Visconti  di  Milano 
è  testimonio  del  vivere  usuale  e  del  lusso  delle  famiglie  ;  e 
ad  illustrare  tanta  varietà  di  ornamenti  e  di  arredi  non  poco 
ebbe  a  faticare  il  signor  N.  L.  Cittadella'. 

Il  quinto  volume  porta  la  data  del  18G8,  ma  fu  ,  in  gran 
parte  almeno,  stampato  assai  prima.  Comincia  esso  da  un 
poemetto  latino,  edito  or  primamente  da  me,  e  d'autore  che 
si  nascose  sotto  questo  epigramma: 

Gente  ligur:  patria  Ambrosii  sudi;  fertile  nomrn 
Est  milù:  slhpsque  Ceres  mea  spica  est  apocoputa. 

Sulle  tracce  de'  vari  cercatori  de'  pseudonimi  io  m1  ingegnai 
indovinarlo:  e  come  meglio  seppi  illustrai  il  poemetto  e  la 
biblioteca  di  Belluno,  da  cui  fu  tratto  (1). 

(1)  Negli  Alti  dell'Istituto  Veneto  il  Cantù  stampa  una  serie  ili  documenti  del- 
l'età viscontea  ,  relativi  a  Belluno  ,  e  tratti  dagli  archivi  di  quella  città. 

La   Direzione. 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  113 

Seguono  un  martirologio  e  un  necrologio  di  Ventiraiglia,  an- 
notati dallo  Spotornoe  dal  cav.  Rossi:  il  qual  ultimo  produce 
pure  documenti  sulla  fondazione  di  Airole,  colonia  ventimigliese. 

Le  memorie,  di  prete  Giovanni  Giovenale  Gerbaldo  di  Fos- 
sano  sulla  guerra,  carestia,  peste  del  Piemonte  negli  anni  1629, 
30,  31  aggiungono  qualche  rozza  pagina  ai  deliri  di  quel  tempo 
che  noi  stessi  ampiamente  abbiamo  ritratto,  e  a  quell'ubbia 
degli  untori,  della  quale  l'età  nostra  non  può  più  farraffac- 
cio  al  seicento.  In  Fossano  il  diavolo  «  non  potendo  ritrovar 
nuovi  modi  di  distrugger  la  povera  mortai  natura  »,  pose  il 
malefizio  sopra  la  toppa  del  macello,  e  quelli  che  portavano 
la  carne  in  mano  eran  morti  avanti  giorno,  quelli  che  in 
piatti ,  morivano  alla  digestione  (pag.  187).  Una  strega,  con- 
vinta rea,  ne  denunziò  altre,  e  fonti  avvelenate,  e  vasetti 
sepolti,  sicché  chi  vi  passa  sopra  resta  contaminato.  Son  molte 
le  terre  di  quei  pressi,  di  cui  egli  dice  esser  morti  tutti  gli 
abitanti.  Fra  le  consolazioni  cita  la  famosa  lampada  della 
Madonna  delle  Grazie  a  Milano,  «  il  cui  olio  mai  non  cessa, 
per  quanto  se  ne  levi....  Il  serenissimo  duca  (di  Savoia)  ha 
fatto  ungere  tutta  la  sua  armata,  come  anche  i  Francesi  la 
loro:  tutte  le  terre  circonvicine  son  già  state  unte  col  sud- 
detto olio  miracoloso,  loro  mandato  da  Sua  Altezza  >. 

Vedendo  la  fede  che  aveasi  in  quell'olio  ,  il  demonio  ne 
pensò  una  delle  sue.  Venne  sulla  piazza  di  Milano,  vi  dise- 
gnò un  circolo,  e  ad  un  curioso  che  lo  guardava  esibì  dell'olio, 
usando  il  quale  sarebbe  incolume  lui  e  guariti  i  malati.  In- 
vece era  pestifero:  onde  costui  fu  fatto  morire,  e  giuridicamente 
citato  il  diavolo  a  costituirsi,  un  procuratore  a  far  le  sue  difese 
sul  perchè  tanto  travagliasse  la  povera  umanità:  egli  comparve 
avanti  al  giudice  e  disse  infinite  bugie.... 

Il  seicento  avea  dunque  i  suoi  gazzettieri,  quanto  l'età 
nostra. 

Il  canonico  Finazzi  disseppellì  varie  cronichette  bergama- 
sche, non  di  molto  interesse,  ma  che  suppliscono  alle  troppo 
poche  edite  dal  Muratori.  Si  va  naturalmente  a  cercarvi  testi- 
moni del  congresso  di  Pontida,  a  cui  volle  togliere  o  fede  o 
importanza  il  professore  Vignati:  ma  mancano  appunto  gli  anni 
dal  1161  al  1175  in  cui  restauratimi  est  Mecliolanum.  Il  Fi- 
nazzi racimolò  quante  autorità  ha  potuto  per  mostrare  quanto 
Akch.  St.  Ital.,  3.»  Serie,  T.  X  ,  P.  I.  <5 


114  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

operassero  i  Bergamaschi  in  quell'impresa,  nella  quale  an- 
davano congiunte,  come  spesso,  la  causa  della  fede  e  quella 
della  libertà.  Nessun  credito  però  meritano  le  quattro  lapi- 
dette,  trovate  poco  fa  nel  memore  monastero.  Belle  partico- 
larità recano  la  cronaca  di  Pietro  Assonica  e  di  G.  B.  Quaren- 
ghi,  dal  1509  al  1512,  e  sono  delle  prime  ove  si  trovino  nominati 
Montes  Brianciae  (pag.  286),  e  dove,  come  oggi  pure  si  fa, 
vien  intitolato  Isola  quicquid  inter  Brembum,  AbduamJ  S.  Mar- 
tini Vallem  et  Montes  Brianciae  includitur  (1). 

Domenico  Promis  con  nuove  monete  rese  più  compito  il  suo 
prezioso  catalogo  delle  zecche  dei  principi  di  Savoia,  e  in  un 
altro  volume  ne  pubblicò  di  varie  zecche,  tra  cui  una  curiosa 
di  Firenze  (Voi.  VII,  825). 

Gio.  Battista  Adriani,  con  una  pazienza  monacale  e  una 
inesauribile  erudizione,  accompagnò  la  vita  e  le  legazioni  del 
cardinale  Prospero  Santa  Croce,  in  modo  da  nulla  lasciar  de- 
siderare. Noi  però  oseremmo  domandare  se  stia  bene,  all'oc- 
casione d'uno  scritto  di  pag.  87  (467-554)  fare  un'opera  di 
730  pagine  (443-1173).  Ogni  nome,  ogni  paese  di  cui  cada  il 
nome,  l'Adriani  vi  profonde  notizie  ;  qualche  nota  è  un  intero 
opuscolo:  la  guerra  succeduta  all'invasione  francese  del  1536 
va  dalla  pag.  585  alla  709:  la  storia  di  Ginevra  dalla  810 
alla  955.  Il  Sadoleto  lo  porta  a  ragionare  di  Leone  X,  di 
Adriano  VI,  di  Clemente  VII,  d'Erasmo,  di  Polidoro  Virgilio, 
di  Girolamo  Negri ,  del  quale  ricompaiono  quasi  tutte  le  let- 
tere: così  d'altri.  È  una  farragine  di  preziosità,  di  rare  notizie, 
ma  non  v' è  modo  di  trovarle,  come  non  v' è  ragione  di  sup- 
porvele.  Chi  crederebbe  rinvenire  qui  cosi  ampia  e  distesa  la 
storia  di  quella  contessa  di  Cellant  (pag.  677)  che,  pochi  anni 
fa,  diede  luogo  a  Milano  ad  una  delle  più  luride  mistificazioni 
d'un  gazzettiere,  che  volle  mostrar  fin  dove  si  possa  farsi 
beffa  del  pubblico  ? 

Il  settimo  volume  che  adess'adesso  viene  in  luce,  è  la  più 
parte  occupato  da  cose  lombarde.  Antonio  Ceruti  vi  dà  gli 
statuti  de'calzolai  e  de'  sartori  di  Lodi ,  forse  unico  avanzo 
dell'antica  legislazione  di  quella  città,  e  che  rimonta  fin  al  1261. 

(1)  A  [)iig.  2(58  leggasi  Bripio    non  Brixio,  e  alla  357    Tnisardns   de   Ciilei>i<> 
non  de  Calessio. 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  115 

Orlino  da  Ludi ,  nome  finora  ignoto  ,  nella  prima  metà  del 
secolo  xiii  scrisse  in  versi  leonini  non  affatto  spregevoli  (1)  De 
sapientia  et  regimine  Potestatis.  Non  è  chi  ignori  1'  Oculus 
pastoralis  edito  dal  Muratori  (Rer.  it.  scr.,  t.  IV)  e  il  Trattato 
dell'ufficio  del  podestà  di  Brunetto  Latini ,  donde  si  racco- 
glie l'importanza  di  quell'uffizio,  ambito  dai  migliori  cittadini, 
che  all'  uopo  studiavano  il  diritto  comune  e  le  consuetu- 
dini particolari.  Il  nome  stesso  indica  come  i  podestà  rappre- 
sentassero la  giustizia  civile ,  fonte  della  quale  riteneasi 
l'imperatore,  siccome  erede  di  quegli  insigni  romani  «  che 
l'enno  le  antiche  leggi  e  furonsì  civili  »:  che  se  i  Ghibellini  lo 
consideravano  come  padrone  delle  vite  e  della  roba  di  tutti 
e  superiore  a  ógni  legge,  secondo  la  famosa  professione  che, 
a  nome  di  tutti  gli  Italiani ,  fece  alla  Dieta  di  Roncaglia 
l'arcivescovo  di  Milano  (2),  anche  i  Guelfi  deduceano  da  esso 
il  diritto  di  rendere  la  giustizia:  e  il  podestà  rappresentava 
appunto  l'autorità  imperiale ,  o  domandata ,  o  strappata  o 
comprata.  Tanto  le  idee  d'allora  erano  diverse  dall'  indipen- 
denza che  oggi  pretendiamo;  tanto  erasi  lontani  dall'abborrir 
l'imperatore  come  straniero.  Orfino,  come  i  suoi  compatriota 
Ottone  e  Acerbo  Morena ,  segue  la  bandiera  ghibellina ,  e 
venera  Federico  Barbarossa  che  riedificò  la  sua  città  ,  distrutta 
dai  Milanesi  : 

Inclitus  antiquus  Cesar  quidam  Federicus 
Hostibus  hic  tirmus  vindex  ac  pacis  amicus  , 
Defensor  tìdei ,  custos  atleta  pudicus  , 
Gente  guibelengus  Federicus  «iuxque  suevus 
De  Stuffo  castro  virtutum  moribus  apto  etc. 

Il  Ceruti  inoltre  stampò  il  Chronicon  extravagans  e  il 
maius  di  Galvaneo  Fiamma,  spesso  citati,  ma  non  pubblicati 
neppure  dal  Muratori.  Contengono  essi,  tra  grossolane  novelle 


(1)  Conosceva  certamente  Virgilio  di  cui  usurpa  alcuni  versi: 

Jam  nova  progenies  coelo  dimittitur  alto.... 
Divisum  imperium  cum  love  Caesar  babet. 

(2)  «  Scias  omne  jus  in  populi  condendis  legibus  tibi  concessum.  Tua  voluntas 
jus  est,  sicut  dicilur  quod  principi  placuit  legis  habel  vigorem  ,  cum  populus 
ei  et  in  eum  omne  suum  imperium  et  potestatem  concesserit.  Quodcumque  enim 
imperator  per  epistolari!  constitueritvel  cognoscens  decreverit ,  vel  edicto  prae- 
veperit  ,  legem  esse  constat  ». 


116  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  :■ 

e  indiscrete  compilazioni,  molti  fatti,  non  indifferenti  alla  storia 
milanese.  L'editore  ebbe  il  proposito  di  eliminare  le  antichità 
affatto  favolose,  e  ciò  che  fosse  troppo  evidentemente  leggen- 
dario ;  pure  di  favole  restò  la  sua  dose.  Tal  sarebbe  un  Mas- 
simiano di  Castelseprio,  qui  fu.it  rex  Itali ae ;  ed  era  sepolto 
in  S.  Ambrogio  ,  e  sul  suo  sepolcro  cantavasi  il  vangelo  e 
l'epistola.  Tali  le  avventure  de' re  d'Angera  e  del  duca  Aliono, 
al  quale  e  ai  suoi  successori  l'arcivescovo  Costantino  concesse 
il  contado  d'Angera.  Ma  fra  tante  particolarità,  accumulate 
senza  discernimento,  invano  cercammo  qualcosa  che  riveli 
la  condizione  dei  vinti  sotto  i  Longobardi  e  la  natura  della 
confisca  fatta  da  Alboino  e  dai  trenta,  e  che  aiuti  a  spiegare 
il  controverso  passo  di  Paolo  Diacono. 

Pare  convenuto  che  il  vescovo  di  Como  siasi  sottomesso 
al  patriarca  d'Aquileja  al  tempo  del  famoso  scisma  pei  Tre  Ca- 
pitoli. Qui  invece  l'arcivescovo  di  Milano  glielo  cede  in  contras- 
segno della  mutua  consacrazione,  ricevendone  in  cambio  il 
vescovado  di  P'eltre  (pag.  530).  Re  Desiderio,  che  l'Odorici 
trae  alla  sua  Brescia,  qui  è  fatto  dei  conti  del  Seprio.  La  moglie 
del  re  Bernardo  abitò  nella  città  di  Barro  sul  monte  presso 
a  Civate  {Montebarro) ,  dove  esso  Desiderio  aveva  eretto  il 
monastero  di  San  Pietro,  recandovi  da  Roma  la  man  dritta  di 
San  Pietro,  il  latte  che  uscì  dal  collo  di  San  Paolo,  la  lingua 
di  San  Marcello,  che  dopo  strappata  parlò.  Carlo  Magno,  vati- 
cinato dalla  sibilla  tiburtina ,  aveva  otto  piedi  di  grandezza, 
bella  faccia  lunga  un  piede  e  mezzo,  terribile  aspetto;  e  collo 
spadone  fendeva  un  cavaliero  dalla  testa  fin  alla  sella  e  tutto 
il  cavallo ,  mangiava  un  quarto  di  castrato,  o  una  lepre  o 
un'oca,  e  pigliava  poco  pane  e  poco  vino.  In  una  gran  bat- 
taglia nel  luogo  che  perciò  fu  detto  Mortara,  uccise  Amico  e 
Amelio,  che  eran  nati  lo  stesso  giorno,  si  somigliavano  affatto, 
conversavano  sempre  insieme,  insieme  furono  battezzati, 
insieme  uccisi:  emessi  in  due  urne  distinte  di  marmo  colla 
strada  di  mezzo,  al   domani    le    urne    trovaronsi    congiunte. 

È  notevole  che  anche  il  Fiamma  dice  sempre  che  Pipino  e 
Carlo  Magno  restituiscono  al  papa  i  possessi  di  Romagna,  i 
tesori  ec.  «  D'allora  il  regno  Italico  passò  ai  Franchi  per  ere- 
dità: il  qual  trasporto  fu  fatto  dal  papa,  donde  è  palese 
che  il  regno  d'Italia  è  terra  della  Chiesa    »  (pag.  550).   Con 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  117 

altrettanto  .senno  soggiunge  che  a  Carlo  Magno,  non  come 
imperatore,  ma  come  patrizio  di  Roma,  fu  dato  il  privilegio 
d'eleggere  il  papa,  e  di  dar  l' investitura  a  tutti  i  vescovi  e 
prelati  ed  ecclesiastici. 

Più  tardi,  dice  il  cronista,  Giovanni  Vili  vedendo  infiacchita 
la  stirpe  di  Carlo  Magno,  alla  quale  erasi  dato  l' impero  per 
difender  la  fede  apostolica  dai  Longobardi,  e  che  questi,  rin- 
vigoriti, tornavano  al  loro  costume  di  spogliar  le  chiese  e 
taglieggiare  i  prelati,  trasferì,  col  consenso  del  popolo  e  del 
senato,  l'impero  dai  Germanici  negli  Italiani,  sicché  nessuno 
fosse  detto  imperatore  se  non  fosse  re  d'Italia:  e  l'elezione 
ilei  re  d'Italia  spettava  all'arcivescovo  di  Milano. 

Tralascio  le  note  favole  del  messale  ambrosiano,  del  re- 
gisole,  e  qualmente  Carlo  Magno  ordinò  che  Milano  fosse 
retto  da  12  consoli  a  vita  col  salario  di  12  lire  ciascuno  , 
eletti  fra  i  nobili  dagli  artigiani;  tutti  oneste  persone  e  di 
inerito  ;  e  nessuno  potea  far  processo  senza  consenso  di  loro. 
Quel  che  mi  seppe  di  nuovo  è  che,  ad  istanza  del  papa,  Carlo 
Magno  fé  pace  con  re  Desiderio,  lo  tolse  di  carcere,  lo  no- 
minò conte  dandogli  la  Liguria,  l'Emilia,  la  Venezia,  la 
Toscana,  e  Benevento  ed  altri  paesi,  e  da  lui  discesero  i  conti 
del  Seprio. 

Delle  varie  chiese  di  Milano,  dell'altare  e  del  serpente  ili 
S.  Ambrogio ,  della  fondazione  de'  monasteri  potranno  qui 
trovar  nota  i  curiosi ,  e  delle  famiglie  di  Casate  nuovo  e 
vecchio,  di  Bevolco  ,  di  Giussano,  de'Menclozi,  de' marchesi 
di  Monferrato.  Vi  leggeranno  pure  che  il  famoso  arcivescovo 
Ariberto  da  Cantù  ebbe  moglie  Useria,  e  morto  le  comparve 
s' un  cavallo  bianco,  e  se  la  prese  in  groppa,  e  portolla  al 
monastero  di  S.  Dionigi  :  dov'essa  sbigottita  si  fece  monaca. 
Nec  te  moveat  quod  dixi  lame  archiepiscopum  habirìsse  uxo- 
rem,  quia  hoc  tunc  temporis  licitimi  fuit  (pag.  607.).  Le  tante 
altre  storielle  qui  riprodotte  non  hanno  maggiore  consistenza 
che  quelle  spacciate  quotidianamente  dai  nostri  folliculari,  e 
come  da  questi,  vi  sono  citati  moltissimi  eroi  e  moltissimi  tra- 
ditori, cioè  amici  o  nemici  dello  scrivente. 

Fra  le  glorie  nuove  che,  questi  anni,  si  vollero  in  Milano 
sostituire  alle  avite  e  popolari,  è  un  Lanzone  ,  a  cui  si  de- 
dicò una  via  e  una  statua,  e  tutti  domandano  chi   fosse.   Il 


118  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

Fiamma  discorre  che,  essendo,  al  tempo  del  suddetto  Ariberto  , 
gran  contesa  fra  la  mota  popolare  e  i  nobili ,  il  popolo  elesse 
capitano  Lanzone  da  Corte,  nobile,  affine  di  scomporre  quel 
partito,  ed  egli  cacciò  i  nobili  e  l'arcivescovo,  e  ne  rapì  i 
beni  e  distrusse  le  case,  e  tutti  gli  obbedivano  come  a  Dio. 
I  nobili  indignati  fecero  armi ,  e  assediarono  la  città  per 
tre  anni  ;  dove  non  c'era  da  mangiare  se  non  quello  che  po- 
teasi  raccorre  nei  terreni  compresi  in  essa:  il  che  (riflette  il 
Fiamma)  mostra  ch'ell'era  ben  grande.  Lanzone,  secondo  il 
costume,  ricorse  all'imperatore  tedesco  Enrico,  giurando  dar- 
gli il  dominio  della  città:  ed  Enrico  venne  e  allargò  l'assedio: 
ma  i  nobili  domandavano  compenso  dei  danni  avuti,  e  preso 
Lanzone,  lo  chiusero  nella  torre  dei  Morigi  insultandolo.  Però 
finché  visse  egli  non  cessò  di  recar  danni  e  battaglie  alla 
città.  Andò  poi  contro  i  Cremonesi  fin  all'  Olio ,  e  tuffò  questi 
nel  fiume ,  e  menò  prigioniero  il  vescovo  ,  che  per  riscatti) 
cedettegli  Castelleone.  In  questo  rifuggi  Lanzone  quando  fu 
cacciato  di  Milano ,  e  una  volta  vi  ricoverò  i  Milanesi  rotti 
dai  Cremonesi ,  lo  perchè  fu  rimpatriato. 

Qualche  circostanza  nuova  sarebbe  a  raccorre  sulla  qui- 
stione  de'  Nicolaiti ,  cioè  del  matrimonio  de'  preti  ;  quistione 
dove  noi  crediamo  che  primamente  si  manifestasse  la  vita 
comunale  de'  Milanesi. 

Molto  si  estende  il  cronista  sulle  guerre  del  Barbarossa 
quando 

Urbis  Melano  potens  merito  dicenda  leena 
Viribus  eximia  ,  populis  et  milite  piena  , 
Sera,  superba,  fera,  tota  rebellis  erat. 

Il  marchese  Morello  Malaspina  presenta  all'  imperatore 
una  torta  dicendogli:  «  Finché  questa  ha  il  coperchio,  niente 
puoi  mangiare:  toglilo,  e  l'avrai  aperta  da  per  tutto.  Coper- 
chio e  corona  della  Lombardia  è  Milano  ;  levalo  via,  e  potrai 
arricchirti  colle  spoglie  di  tutta  Italia  ».  Anche  quest'altra 
l'accogliamo,  che  molti  Milanesi ,  dopo  distrutta  la  patria  ,  an- 
darono oltre  mare,  e  nella  grande  Schiavonia  fabbricarono 
un  altro  Milano,  e  vi  si  conserva  loquela  medìolanensium 
integra  et  incorrupta.  Sarebbe  desiderabile  andasse  a  cercarla 
alcun  di  quelli  clic  non  fan  altro  che  disturbare  e  calunniare 
il  prossimo. 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  119 

Quantità  di  versi  è  inserita  in  queste  cronache,  coi  quali 
si  segnano  gli  avvenimenti  principali,  e  particolarmente  le 
date,  come  per  aiuto  mnemonico.  Tutto  è  corredato  di  sobrie 
note  del  Cerruti ,  che  soggiunge  una  notizia  sulle  antiche 
mura  milanesi  di  Massimiano,  illustrando  i  cimeli  trovati 
testé  nello  scavare  le  fondamenta  del  monumentale  palazzo 
della  Cassa  di  risparmio.  Una  Cassa  di  risparmio  che  spende 
due  milioni  in  fabbricarsi  un  palazzo  ,  darà  molto  a  dire  ai 
Galvaneo  Fiamma  futuri. 

Spetta  alla  Lombardia  anche  la  vita  di  Muzio  Attendolo 
Sforza  di  Antonio  Minuti ,  pubblicata  da  Giulio  Porro  Lam- 
bertenghi ,  e  che  ritrae  le  strane  vicende  di  quei  capitani 
di  ventura  ,  che  ebbero  tanta  efficienza  sulla  storia  italiana 
del  secolo  xv.  Vi  compaiono  molte  particolarità  che  ,  come 
indegne  di  storia,  avea  taciute  Leodrisio  Crivelli  nella  stam- 
pata biografia  latina ,  che  può  dirsi  una  traduzione  di  quella 
del  Minuti.  Vedansi  per  esempio  le  avventure  di  ser  Gianni 
Caracciolo,  che  ad  un  milanese  parvero  buon  soggetto  di  tra- 
gedia (pag.  200). 

Di  maggior  importanza  ci  sembrano  gli  Statati  delle  strade 
e  acque  del  contado  di  Milano,  fatti  nel  1346,  che  illustrano 
una  parte  così  interessante  della  coltura  della  Lombardia ,  che 
precorse  tanti  altri  paesi  di  Europa  nel  sistemare  le  acque  per 
la  irrigazione.  È  una  delle  più  belle  glorie  di  Milano  l'avere 
fin  dal  1177  cominciato  il  canale  irrigatorio  di  Gaggiano ,  che 
poi  divenne  Naviglio.  Il  sig.  Porro  vi  antepose  gli  Statuti  fatti 
sin  dal  1260  pel  flumicello  Nirone ,  e  corresse  varie  inesat- 
tezze di  pesi ,  misure  ,  valori  in  scrittori  di  acque  che  non 
poterono  conoscere  questi  Statuti.  Le  consuetudini  di  Milano, 
compilate  nel  1216 ,  contengono  già  molti  provvedimenti  in 
fatto  di  acque ,  di  strade  ,  di  ruolini  ;  e  i  consoli  aveano  in- 
carico di  vigilarli ,  e  punire  i  contravventori. 

Chiudono  il  volume  tre  documenti  pubblicati  da  Giuseppe 
Manuel  di  San  Giovanni,  sopra  Gofredo  Benso  di  Santena ,  di 
Chieri,  che  nel  secolo  xvi  trafficava  sino  a  Tunisi  e  nel  Brasile. 

Basteranno  questi  fuggevoli  cenni  per  invogliare  gli  Italiani 
a  prendere  cognizione ,  e ,  se  possono,  coadiuvare  ad  una 
pubblicazione  che  fa  onore  alla  patria,  e  che,  condotta  sem- 
pre meglio  ,  contribuirà  a  ciò  che  più  è  necessario  dopo  una 


120  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

rivoluzione;  restaurare  la  serietà  delle  opinioni,  la  retta  logica 
e  la  tanto  necessaria  alleanza  del  buon  senso  col  buon  gusto, 
e  mostrare  che  ,  mentre  tutto  sembra  sovvertimento ,  verti- 
gine, leggerezza ,  vi  ha  pur  sempre  ,  anche  nel  paese  nostro , 
alcuni  operosi  che  continuano  lavori  seri ,  pazienti ,  coscien- 
ziosi ;  indipendenti  ricerche,  intrepide  esposizioni,  viepiù 
meritevoli  di  lode ,  perchè  non  possono  aspettare  contorti 
dagli  uomini  o  dalle  cose  ,  né  tampoco  quella  soddisfazione 
che  nasce  dal  vedersi  letti.  C.  Cantù. 


Beilràge  zur  Geschichte  des  Handelsverkehrs  zwischen  Ve- 
nedig  und  der  deutschen  Nation,  aus  dem  Ulmer  Archi)-, 
von  Doti  Georg  M.  Thomas.  Mùnchen,  1869;  pag.  70,  8vo, 
tolto  dai  reso-conti  dell'Accademia  reale  delle  scienze  (1). 

Non  è  cosa  che  tanto  importi  all'avvenire  storico  dell'Ita- 
lia e  della  Germania,  quanto  che  le  due  nazioni  siano  resti- 
tuite all'antica  concordia  politica,  e  possano  quindi  riappic- 
carsi quei  vincoli  di  commercio  che  le  resero  un  giorno  così 
prosperose.  Perciò ,  onde  s'avverino  le  condizioni  future  del 
loro  benessere  reciproco  ,  dee  considerarsi  come  capitale  la 
risposta  al  postulato  •  Quale  direzione  prenderanno  le  nuove 
vie  del  commercio  italico-germanico,  o,  ciò  che  torna  lo 
stesso,  quali  strade  ferrate  valicheranno  i  gioghi  delle  Alpi. 
Lasciata  libera  la  lotta  delle  opinioni  nell'argomento  del 
commercio  generale  italiano ,  e  limitandomi  ora  alla  sola 
Venezia ,  è  certo  che  alla  strada  ferrata  del  Brennero  si 
riannodano  le  antiche  relazioni  delle  nostre  lagune  colle  ve- 
tuste e  ricche  città,  un  tempo  libere,  della  Germania.  Laon- 
de essendo  obbietto  della  più  alta  importanza  qualunque  pub- 
blicazione riferentesi  alla  storia  di  quell'antico  commercio  , 
perchè  ciò  che  avvenne  in  passato  è  scuola  di  quanto  avverrà 
da  poi ,  credo,  come  veneto,  mio  dovere  di  far  conoscere 
un'operetta  che  sotto  titolo  di  contributo  alta  storia  del  com- 
mercio fra  Venezia  e  la  Germania ,    presenta  un   elemento 

(4)  Sitzwngsberichten  <lrr  kgl,  bayer.  Akademie  der  Wissenschaften.  .la Ji r— 
gang  1869,  Voi.  I. 


I {ASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  121 

della  storia  del  commercio  generale  della  nostra  repubblica. 
E  m'invita  a  parlarne  non  tanto  l'affetto  che  da  parecchi  anni 
mi  stringe  al  dotto  autore  ,  bibliotecario  della  Reale  di  Mo- 
naco, quanto  il  dovuto  sentimento  di  riconoscenza  che  noi 
Veneti  gli  professiamo ,  per  gli  altri  suoi  lavori  sullo  stesso 
soggetto.  Infatti  mancheremmo  della  storia  del  commercio 
della  repubblica  veneta  colf  Oriente  (1)  [storia  che  il  cav.  An- 
tonelli  si  è  affrettato  di  pubblicare  in  veste  italiana  (2),  co- 
me anello  di  quella  collana  storica  che  vivamente  si  desidera 
continuata],  se  il  Thomas,  in  unione  al  compianto  professore 
Tafel,  non  avesse  da' nostri  archivi  raccolti  i  documenti  che 
toccano  gli  estesi  rapporti  della  repubblica  veneta,  docu- 
menti de' quali,  sotto  lo  strano  nome  di  Fontes  rerum  au- 
striacarum,  pubblicò  l'Accademia  imperiale  di  Vienna  i  tre 
primi  volumi  (3),  e  pubblicherà  fra  poco  i  due  altri  di  com- 
plemento, con  eguale  corredo  di  allegazioni,  di  note  ,  di  studi 
vari,  trattati  dal  solo  Thomas.  Ma  qui  non  s'arrestano  i  titoli 
di  gratitudine  che  a  lui  ci  stringono ,  se  a  que'  documenti 
darà  fra  poco  importantissima  giuntala  edizione  del  capitolare 
del  fontego  dei  Tedeschi ,  trascritto  da  un  codice  ms.  della 
collezione  Cicogna,  ora  nel  museo  Correr;  libro  che,  arric- 
chito di  documenti  tolti  pure  da  archivi  tedeschi,  getterà 
nuova  luce  sulla  storia  del  commercio  di  Venezia  coli' Occi- 
dente ,  giovando  in  pari  tempo  a  rilevare  la  grande  impor- 
tanza d'un  nostro  monumento  cittadino. 


(1^  Hkyd  Willelm.  Die  Handefc  Colonien  der  ltalien  r  im  Orient.  Disseria- 
zioni inserite  a  brani  nel  giornale  di  economia  politica:  Zeitschrift  far  die  gè - 
sammle  Staatswissenschaft ,  Iwrausgegeben  von  der  staatswìrthschaftlichen  FacuWit 
in  Tubingcn.  Voi.  XIV  [1838],  pag.  C52-720;  XV  [1859],  pag.  40-82;  XVI  [1860]  , 
pag.  3-71,  411-460;  XV1Ì  [1861],  pag.  444-495;  XVIII  [18621..  pag.  194-272, 
653-71 8 ;  XIX,  pag.  162-211;  XX  [1864]  ,  pag.  S4-138.  617-660. 

(2  Le  colonie  commerciali  degli  Italiani  in  Oriente  nel  medio  evo.  Disseriazioni 
del  prof.  Guglielmo  Heyd,  bibliotecario  della  r.  pubblica  libreria  di  Stoccarda, 
pubblicate  da  prima  nel  giornale  d'economia  politica  di  Tubinga,  ora  rifatte 
dall'autore  e  recate  in  italiano  dal  prof.  Giuseppe  Mùller.  Venezia  e  Torino  , 
G.  Antonelli  e  L.  Basadonna  edit.  ,  1866,  Voi.  T,  8vo. 

(3)  Urlcunden  zar  alterai  Handels-und  Staatsgeschichte  der  Republik  Vene- 
dig  ,  mh  besonderer  Beziehung  auf  Byzanz  und  die  Levante,  vjm  neunten  bis  zum 
Ausgang  des  fiinfzehnten  lahrhunderts.  Wien  ,  aus  der  kais-kgl.  Ilof-und 
Staats  druckerei,  1856-1857,  Voi.  Ili  ,  8vo. 

Alien.  St.  Itai..,  3.*  Serie,  T.  X  ,  P.  I.  16 


122  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

L'autore  distribuì  in  quattro  serie  i  documenti  da  lui  tra- 
scelti fra  i  molti  veneti  dell'archivio  e  della  biblioteca  muni- 
cipale d'  Ulma.  Diciannove  della  terza  e  il  primo  della  quarta 
si  rapportano  al  secolo  decimoquinto,  gli  altri  tutti  al  decimo- 
sesto  ,  eccettuato  uno  che  al  decimosettimo.  Prime  per  tempo 
sono  due  Ducali  di  Tommaso  Mocenigo  [18  giugno  e  12  set- 
tembre 1420]  regimini,  Consilio  et  communitati  Ulmi,  con 
cui,  a  mezzo  del  procuratore  Antonio  de  Corado  veneziano, 
chiede  il  pagamento  di  somme  di  denaro  dovute  da  cittadini 
di  Ulma  ai  fratelli  Pietro  e  Lorenzo  Foscarini ,  Carlo  e  Gio- 
vanni Molin,  e  a  Giovanni  de' Garzoni  e  Bertuccio  Pisani, 
amministratori  della  commissaria  del  fu  Niccolò  Pisani. 

Francesco  Foscari  indirizzavasi  con  quattordici  Ducali 
[1425-1453]  al  borgomastro  [magister  civiam],  al  consiglio  e 
alla  comunità  d'  Ulma.  In  queste  accredita  con  lettera  patente 
[1425]  il  notaio  Berto  di  Tomasio  ;  domanda  il  sequestro  dei 
beni  del  defunto  Enrico  Clich  ,  ad  estinzione  di  crediti  di  Ve 
neziani  ;  li  ringrazia  delle  prestazioni  a  favore  eli  Lorenzo 
Scarsèlari  che  portava  mercatanzia  da  Bruges.  Singolare  è  il 
fatto  delle  pratiche  ripetute  dal  doge,  negli  anni  1432-1433, 
onde  siano  restituite  a  nobili  veneziani  e  ad  alcuni  senesi  e 
lucchesi  dimoranti  a  Venezia  quatuor  carrete  suis  mercalio- 
nibus  onerate,  sequestrate  da  que'  di  Ulma  a  Memmingen . 
per  istanza  del  castellano  Enrico  di  Steffel.  Sulla  proposta 
del  borgomastro  di  deferire  la  questione  all'arbitrato  aliqua- 
rum  conimunilatum  Alemannie  et..,.  Guilelmi....  ducis  Ba- 
varie,  il  doge  soggiunge  quocl  prò  comoditate  nostratum  . 
sumus  contenti  stare  iuditio  collegiorum  Padue ,  Bononie , 
Florentie,  Perusii  et  Senarum,  in  quibus  vestrates  venia  ni 
ad  studendum;  ma  sull'  inonesto  rifiuto  di  rendere  bona  no- 
stris  civibus  ablata  et  diretta,  a  motivo  della  tregua  chiusa 
da'  Veneziani  coli'  imperatore  ,  il  doge  rimetteva  il  giudizio 
all'arbitrato  di  sua  maestà.  In  Ducali  successive  degli  an- 
ni 1437-1442,  il  Foscari  domanda  che  siano  pagate  a  Gio- 
vanni Pisani,  Giovanni  Priuli,  somme  loro  dovute  da  persone 
d'Ulma,  ed  implora  che  Giovanni  castellano  di  Suango  ,  ar- 
restato come  fosse  veneziano  per  aver  preso  Giovanni  Car- 
lier  di  Bruggia ,  possa  continuare  il  viaggio  in  Borgogna.  Un 
ultimo  atto  di  questo  doge  dell'anno  1453,  dichiarante  i  ino- 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  123 

tivi  che  lo  indussero  a  torre  una  stanza  del  fontego  dei  Tede- 
schi a  Pietro  Roys  d'  Ulma ,  è  testimonio  delle  cure  amorose 
de'  Veneziani  per  questo  stabilimento. 

Cristoforo  Moro  chiede  [1464]  a  quei  d'  Ulma  che  permet- 
tano al  loro  concittadino  Angelino  di  trasferirsi  colla  fami- 
glia e  colle  sostanze  a  Trento ,  per  adire  l'eredità  lasciatagli 
a  tal  patto  da  suo  fratello.  Giovanni  Mocenigo  accredita  [1482], 
quale  procuratore  di  nobili  veneziani  creditori  di  Ottone 
Rossi  d'  Ulma ,  Giusto  Abanunzio  che ,  condannato  in  seguito 
'1489]  per  avere  riscosso  una  somma  di  fiorini  renensi 
maggiore  della  dovutagli ,  deve  forse  la  scarcerazione  alle 
pratiche  del  doge  Agostino  Barbarigo.  Questi  in  Ducale  del  1497 
raccomanda  Andrea  Trevisan,  ambasciatore  ad  Enrico  d'In- 
ghilterra, nel  suo  passaggio  per  Ulma. 

Ma  a  rilevare  la  importanza  reciproca  del  commercio  fra 
la  repubblica  di  Venezia  e  la  città  imperiale  d'Ulma,  ai  cui 
rapporti  si  limita  il  Thomas,  nulla  più  giova  quanto  il  con- 
tegno e  di  questa  e  delle  altre  città  anseatiche  ,  al  principio 
della  coalizione  d'  Europa  contra  Venetos  et  prò  destructione 
illorum'j  come  leggesi  nel  programma  di  quella  lega.  Mal  si 
apporrebbe  chi  giudicasse  comune  all'  impero  germanico  il 
malvolere  di  Massimiliano  contro  la  nostra  repubblica.  Feli- 
cemente avviati  fin  dal  secolo  decimoterzo  i  rapporti  commer- 
ciali delle  grandi  città  tedesche  con  Venezia,  que' negozianti 
vi  godeano  distinti  privilegi ,  essendovisi  sin  da  quel  tempo 
aperto  il  fonticum  Theotonicorum.  Cresciuto  il  fiore  di  quei 
commerci,  ed  ampliate  perciò  le  fonti  del  guadagno  e  del  ben 
essere  reciproco,  come  avrebbero  potuto  quelle  città  dar  mano 
a  una  impresa  che  ,  obbligandole  a  straordinarj  apparecchi 
guerreschi,  ne  infiacchiva  colle  imposte  le  forze  necessarie 
alla  prosperità  commerciale  ?  Era  quindi  naturale  che  al  prin- 
cipio della  lega  surriferita,  si  rifiutassero  i  soccorsi  per  una 
guerra,  che  l'imperatore  avea  incontrata  a  proprio  conto,  e 
persistessero  in  quel  rifiuto  gli  Stati  nella  dieta  di  Worms  , 
anche  dopo  la  sconfitta  de'  Veneziani  nella  battaglia  di  Ghiara 
d'Adda.  Al  grave  infortunio  si  rapporta  la  Ducale  di  Leonardo 
Loredano  al  borgomastro  e  al  consiglio  d'Ulma  [16  luglio  1509], 
che  il  Thomas  pubblicò  pure  altra  volta  da  un  codice  di  quella 


124  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

biblioteca  (1).  Se  tale  documento  ci  attesta  da  una  parte  quale 
fosse  il  concetto  politico  della  Signoria  in  quella  difficile  po- 
sizione ;  come  vani  tornassero  i  tentativi  posti  ripetutamente 
in  opera  a  rappattumarsi  con  Massimiliano  (?)  ;  quali  fossero 
gli  scopi  finali  della  corte  francese  (3)  ;  conferma  dall'altra 
la  importanza  attribuita  dalla  repubblica  alle  città  autonome 
tedesche  (4) ,  segnatamente  per  ragion  di  commercio. 

Or  questo  parve  affievolirsi  poco  prima  della  metà  del  se- 
colo xvi,  per  la  esazione  d'una  dogana  stabilita  dai  Vene- 
ziani in  Verona  ,  come  risulta  dagli  atti  delle  fiere  di  Bolza- 
no ,  ricercati  e  spogliati  accuratamente  dal  Thomas  nell'ar- 
chivio <V  Ulma.  Apre  la  serie  una  lettera  dell'  imperatore 
[Praga,  13  febbraio  1534]  al  consiglio  d'Ulma,  nella  quale 
si  lagna  del  grave  danno  portato  al  tesoro  e  a'  suoi  sudditi . 
specialmente  alla  contea  del  Tirolo,  dacché  le  merci  dove- 
vano far  capo  alla  nuova  dogana,  e  di  là  a  Venezia,  donde 
daziate  poteano  liberamente  spedirsi  in  Lombardia  e  nell'Ita- 
lia centrale.  Egli  promette  di  trattarne  colla  Signoria,  ed 
eccita  quei  di  Ulma  a  destinare  probi  negozianti  che  ,  infor- 
mati a  fondo  dell'argomento,  a  lui  ne  riferiscano,  e  in  un 
giorno  da  stabilirsi  si  rechino  co'  suoi  ambasciatori  a  Vene- 
zia. Alla  pertrattazione  dell'oggetto  stesso  prendono  parte  il 
luogotenente  dell'alta    Austria   e    le    città   di  Norimberga  ed 


(4  )  Urber  cinen  Staasbrief  des  Dogen  Leonardo  -Loredana  non  Vcnedig  an  den 
Biirgermeister  und  Ruth  von  Ulm,  voti  46  Juli  4509.  Ein  Beitrag  zur  Geschichte 
des  deulschen  Burgerthums  iener  Zeit  von  Dr.  Georg  Martin  Thomas,  ord.  Mitglie- 
de  der  k.  b.  Akademie  der  Wissens^liaftcn-  Miincben,  1860,  Giel'sche  Bucb- 
bandlung. 

(2)  «  Nostra  constantissima  mens  crai  non  modo  servare  inducias  lam 
«  solemniter  celebratas  et  fìrmatas  cum  caesarea  maiestate  ,  veruni  devenire 
«  ad  perpetuam  pacem  cum  ea  et  sacro  romano  imperio...  Tamen  eius  celsitudo 
«  numquam  se  placare  voluit,  neque  admittere  oratores  nostros  ». 

(3)  «  Sperabamus  illi  [Caesari]  declarare  et  dare  estendere  quorsura  tendant 
«  cogitationes  regis  Franciae ,  qui  ad  aliud  non  invigilat  nisi  ad  suscipiendam 
«  eius  coronnm,  et  se  tandem  orbis  dominum  tacere  ». 

(4)  ....  «  ob  antiquari)  benevolentiam  et  commercium  ,  quod  semper  fuit 
«  inter  nos  et  totani  germanicam  nationem  ,  et  praecipue  magni fìcas  com- 
«  munitates  et  liberas  civitates  ,  velint  praestare  nobis  eos  favores  qui  videbun- 
h  tur  esse  buie  rei  conveniente*  ». 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  125 

Augusta,  Le  quali  presentano  all'imperatore  i  loro  opinati, 
estendendosi  nei  dettagli  dei  danni  recati  al  commercio  da 
quella  innovazione  ,  contraria  affatto  agli  antichi  usi.  Quindi 
sulla  presentazione  del  protocollo  segnato  in  Inspruch  ,  il  con- 
siglio dell'alta  Austria  comunica  ad  Ulma  la  risoluzione  di 
spedire  un'ambasceria  a  Venezia,  che  riunitasi  a  Bolzano  per 
occasione  della  fiera  del  15  settembre,  converrà  sui  mezzi  da 
adoperarsi  per  ottenere  suoi  scopi.  Quest' atteggio  chiudesi 
col  31  agosto  1534, 

Parve  del  resto  die  gli  accordi  tentati  da  queir amb  sceria 
Don  rispondessero  pienamente  ai  desideri  della  nazione  tede- 
sca, se  ne  ho  ad  inferire  dal  lungo  periodo  delle  trattazioni 
e  dall'atto  finale  comunicalo  alla  nazione  stessa  dal  consiglio 
dell'alta  Austria,  residente  in  Inspruch  [24  aprile  1539].  In- 
tatti il  senato,  cui  gli  ambasciatori  presentano  il  gravame, 
commette  la  trattazione  della  cosa  ai  cinque  Savi  alla  mer- 
canzia, ai  (piali  gli  ambasciatori  stessi  espongono  lo  stato 
della  questione,  sulla  Mappa  opportunamente  allegata  d 
cosmografia  dipinta ,  e  rappresentano  gli  imbarazzi  commer- 
ciali, provenienti  dal  mantenimento  di  quella  nuova  dogana. 
11  senato,  poggiando  sui  motivi  del  contrabbando,  nega  re- 
cisamente la  chiesta  abolizione  :  propone  invece,  per  sola 
compiacenza  verso  gli  onorevoli  postulanti  ,  di  ridurre  i  dazi 
sul  pepe,  sullo  zucchero,  sulla  cera,  sul  chermisi.  Le  tratta- 
tive replicate  senza  ombra  d'accordo  si  prolungano  fino  al 
principio  del  1539.  Intanto  nella  previsione  dell'impossibilità 
d'un  accomodamento,  la  più  parte  degli  interessati  abbandona 
Venezia,  e  sulla  fine  del  marzo  dell'anno  medesimo,  i  soli 
ambasciatori  tirolesi  nella  lettera  di  congedo  al  Senato  accen- 
nano ad  energiche  misure  contrarie,  che  sarà  per  prendere 
l'eccelsa  nazione  tedesca.  Il  consiglio  d' Inspruch  dichiarando 
essersi  lasciata  al  legato  imperiale  residente  in  Venezia  la 
commissione  di  pratiche  ulteriori,  promette  di  riferirne  in 
seguito  il  risultato. 

Agli  anni  1557-1558  si  riportano  tre  Ducali  al  borgoma- 
stro e  ai  consoli  d' Ulma,  in  cui  Lorenzo  Friuli  chiede  che 
que'  cittadini  Alberto  e  Giorgio  Adeler  siano  sollecitati  al  pa- 
gamento di  somme  dovute  a  parecchi  nobili  di  Venezia,  in 
base  a  stromento  del  1551. 


126  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

Di  maggiore  importanza  sono  gli  atti  pubblicati  o  per  esteso 
0  in  regesto,  pertinenti  alla  storia  del  fontego  de' Tedeschi , 
nel  periodo  1577-1578.  Ad  attestare  l'affezione  mantenutagli 
sempre  dal  governo  veneto,  il  Thomas  pubblica  una  Ducale 
[19  dicembre  1510]  di  Leonardo  Loredan,  colla  quale  non 
solo  conferma  gli  antichi  privilegi  della  nazione  alemanna . 
ma  altri  ne  concede,  patteggia  sui  fitti  delle  stanze  e  delle 
volte  ossia  magazzeni,  cui  ordina  siano  apposte  inferrate, 
per  titolo  di  sicurezza,  a  spese  della  repubblica.  A  questa 
tengono  dietro  suppliche  di  mercatanti  tedeschi  ;  sentenze  dei 
cinque  Savi  alla  mercanzia;  proposte  e  risposte  delle  città  di 
Ulma ,  Augusta,  Norimberga,  Strasburgo;  tutte  relative  alla 
rilevante  materia  dei  cottimi.  Era  questa  una  tassa  pagata 
dai  negozianti  al  capitolo  della  nazione  tedesca  in  Venezia , 
il  cui  prodotto  volgeasi  al  mantenimento  degli  avvocati, 
procuratori  e  ministri  della  detta  nazione  ;  non  che  ad  ele- 
mosine conosciute  sotto  il  nome  di  panada.  Splendida  per 
nobiltà  di  sentimenti  e  per  bella  forma  latina  è  la  lettera, 
mandata  collettivamente  dalle  città  di  Augusta,  Norimberga 
ed  Ulma  al  doge  Sebastiano  Venier  [31  gennaio  1578],  acciò 
siano  mantenuti  i  cottimi  ;  lettera  cui  die  motivo  il  rifiuto 
di  pagamento  d'un  Domenico  Zilberti  di  Trento,  e  di  pochi 
altri  :  saviamente  osservando  che  ex  usu  et  consuetudine 
omnium  pene  gentium  constai  {legibns  id  ipsum  approbanti- 
bus)  mercatorum  lìcita  collegia,  prò  compendio  et  necessitate 
rerum  suarum  slatuere  inter  se  posse  quae  evidens  utilitas 
et  honesta  aliqua  ratio  postitlant. 

Chiude  la  raccolta  una  Ducale  di  Giovanni  Bembo  [18  ago- 
sto 1017],  che  mostra  come  nulla  più  giovi  a  mantenere  in 
fiore  i  l'apporti  commerciali,  quanto  il  reciproco  accordo  degli 
animi,  e  i  modi  onesti  anche  in  ciò  che  direttamente  non  si 
riferisce  al  mercanteggiare.  Il  doge,  a  saggio  di  buon  volere, 
avverte  i  consoli  e  i  senatori  di  Ulma,  si  guardino  dall'agguato 
lor  teso  colla  falsa  diceria,  «  che  il  principe  Giulio  fratello 
«  del  duca  di  Wirtemberg  sia  per  procurar  di  haver  licentia  di 
«  estrahir  da  quella  città  tre  mille  moschetti ,  mille  cinque- 
«  cento  picche,  et  libertà  di  potersi  valere  d'un  corpo  di  molto 
«  valore,  con  disseminatione  che  ciò  sia  fatto  per  servitio 
«  della  nostra  repubblica  ». 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  127 

Or  qui  cade  acconcia  l'osservazione  tornare  del  più  vivo 
interesse  alla  storia ,  come  di  Venezia  così  di  qualunque 
altro  stato,  la  pubblicazione  di  atti  tolti  agli  archivi  di  quei 
paesi,  cui  li  annodano  vincoli  politici  e  commerciali.  Quei 
documenti  infatti  compiono  in  doppia  maniera  il  ciclo  dei 
fatti  narrati  dai  nostrali,  e  perchè  differenti  sono  i  punti  di 
veduta  da  cui  partono  ambedue ,  e  perchè  molta  parte  degli 
avvenimenti  s'avvera  soltanto  sull'altrui  suolo. 

Giuseppe  Valentinelli. 


L'Are// tcon fraternità  del   Gonfalone  ;  Memoria  del  sacerdote 
Luigi  Ruggeri.  Roma,  1866  (1867),  pag.  288. 

Il  restauro  della  chiesa  di  santa  Lucia,  detta  già  della 
Chiavica  poi  del  Gonfalone ,  in  via  di  Monserrato  a  Roma , 
diede  occasione  alla  pubblicazione  del  presente  volume  intorno 
alla  storia  della  Confraternità  da  cui  tal  chiesa  prese  il  nome. 
Volume  il  quale  viene  ad  accrescere  il  numero  così  cospicuo 
di  quei  che  illustrano  le  chiese,  i  monumenti,  gli  istituti 
dell'eterna  città ,  utili  sempre ,  quantunque  non  sempre  con- 
dotti con  critica  e  nelle  giuste  proporzioni.  La  Compagnia  di 
cui  si  tratta ,  ragguardevolissima  fra  le  tante  romane  ,  me- 
ritava che  se  ne  stendesse  la  storia.  Essa,  per  opera  di  due 
canonici  di  san  Vitale ,  ebbe  origine  nel  1264  nella  basilica 
di  santa  Maria  Maggiore  colla  denominazione  de'  Raccoman- 
dati di  Madonna  santa  Maria,  e  prestò  il  modello  ad  altre  di 
simil  genere,  nate  dal  bisogno  di  raccoglimento  e  di  conforto 
religioso  e  da  quello  di  consorzio  per  le  opere  pie,  in  mezzo 
alle  guerre  e  alle  fazioni  per  cui  veniva  lacerata  l'Italia  nel 
decimoterzo  secolo.  Confermata  dal  vicario  pontificio  in  Roma, 
fra  Tommaso  Fuscone  vescovo  senese,  tal  Compagnia,  patro- 
cinata particolarmente  da  san  Bonaventura,  venne  approvata 
da  papa  Clemente  IV ,  con  breve  emesso  a  Viterbo  nell'anno 
terzo  del  suo  pontificato,  cioè  nel  1267.  Molti  pontefici  l'arric- 
chirono di  privilegi,  ed  essendosi  associate  alla  medesima 
altre  simili,  Innocenzo  Vili  nel  1486  ne  approvò  la  riunione 
in  un  sol  corpo,  cangiandosi  l'antico  nome  in  quello  del  Gon- 
falone ,    desumo    dallo    stendardo   nelle   processioni   portato. 


128  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

Scopo  dell'associazione  era  la  beneficenza,  e  il  ravvivare  col 
buon  esempio  la  vita  cristiana.  Della  beneficenza  fanno  fede 
i  quattro  spedali  dalla  Compagnia  mantenuti  presso  le  sue 
chiese.  Nel  1581  Gregorio  XIII  affidò  alla  medesima  l'opera 
della  redenzione  degli  schiavi ,  per  cui  essa  si  mise  in  rela- 
zione coi  governi  di  Costantinopoli  e  delle  coste  di  Barberia. 
Sisto  V  le  concesse  il  privilegio  già  goduto  dai  PP.  Trinitari 
e  Mercedarj  di  raccorre  a  tal  uopo  elemosine  nello  Stato 
della  Chiesa.  Si  calcola  che  la  Confraternità  abbia  impiegato 
in  tale  pia  opera  oltre  due  milioni  di  scudi.  Dell'autorità  dalla 
medesima  acquistata  presso  il  popolo  romano  nelle  turbolenze 
del  medio  evo,  reca  testimonianza  il  fatto  accaduto  nel  1351 
e  narrato  da  Matteo  Villani,  l'elezione  cioè  di  onorato  e  an- 
tico popolano  Giovanni  Cerroni  a  rettore  della  città;  elezione 
dai  Raccomandati  di  santa  Maria  procurata  onde  porre  argine 
all'anarchia  inseparabile  dal  malgoverno  dei  baroni,  dalla 
loro  discordia,  e  dalla  mancanza,  nel  popolo  propriamente 
detto,  di  quelle  condizioni,  senza  le  quali  riesce  vano  ogni 
tentativo  di  vero  e  durevole  esercizio  di  diritti  politici. 

In  seguito  alla  surriferita  riunione  di  varie  simili  compa- 
gnie a  quella  del  Gonfalone,  questa  riunì  eziandio  in  un 
corpo  solo  i  vari  patrimoni  delle  medesime  colle  chiese  e 
cappelle  ad  esse  spettanti  che  sommavano  a  non  meno  di  otto. 
L'autore  del  libro  di  cui  si  tratta  ha  reso  un  servigio  alla 
topografia  storica  colle  diligenti  notizie  sopra  questi  luoghi 
sacri,  ora  in  parte  spariti.  Essi  erano  i  seguenti.  Chiesa  di 
sant'Alberto  con  annesso  spedale  alle  falde  dell'Esquilino,  tra 
santa  Pudenziana  e  l'attuai  piazza  dietro  alla  tribuna  di  santa 
Maria  Maggiore,  distrutta  sin  dalla  fine  del  cinquecento. 
Chiesa  dei  santi  Quaranta  Martiri  in  Trastevere,  ora  dogli 
Alcantarini ,  per  cessione  fattane  nel  173G.  Chiesa  della 
Nunziatina  fuori  della  città  presso  la  via  Ostiense,  fabbri- 
cata, secondo  si  suppone,  onde  ovviare  allo  tradizioni  nel 
popolo  limaste  del  culto  della  Magna  Mater  sulla  riva  dell'Ai- 
mone fiumicello.  Chiesa  della  Maddalena  in  Campomarzo  , 
conceduta  nel  L586  ai  Ministri  degli  infermi  di  san  Camillo 
de  Lellis.  oratorio  del  Gonfalone  dedicato  ai  santi  Pietro  e 
Paolo  in  ripa  del  Tevere  presso  via  Giulia.  Cappella  in  santa 
Maria  Maggiore,  ove  ebbe  origine  la  Compagnia,  e  ('appella 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  129 

di  sant' Eleaa  in  santa  Maria  Araceli,  tempietto  distrutto 
nel  1798  e  riedificato  nel  1833  con  buona  architettura.  Cap- 
pella della  Pietà  al  Colosseo,  l'abbricata  nel  1517  presso  l'in- 
gresso dalla  parte  di  san  Giovanni  in  Laterano,  poi  rifatta 
e  rinchiusa  dagli  archi  dell'Antiteatro ,  mentre  sparirono  le 
traccie  della  chiesetta  già  nel  medio  evo  in  vicinanza  di  tal 
luogo  edificata.  Finalmente  la  Chiesa  di  santa  Lucia  surrife- 
rita, la  cui  più  antica  memoria  risale  al  1352,  più  volte 
ricostruita,  p.  es.  ai  tempi  di  papa  Giulio  II,  malamente  ri- 
modernata negli  anni  1761-65,  e  ai  dì  nostri  con  miglior 
senno  restaurata  sotto  la  direzione  di  Francesco  Azzurri 
architetto  e  di  Cesare  Mariani  pittore,  i  cui  affreschi  in  parte 
rappresentano  la  storia  della  Compagnia.  Ditale  restauro,  che 
si  conta  tra  i  più  pregevoli  modernamente  eseguiti  in  Roma , 
ragionano  e  l'autore  del  volume  che  abbiamo  sotto  gli  occhi , 
e  il  giornale  romano  «  Il  Buonarroti  »,  voi.  II,  pag.  85  e  segg. 
L' Arciconfraternità  del  Gonfalone  soleva  rappresentare  , 
nel  medio  evo  e  nel  cinquecento  ancora,  nel  venerdì  santo, 
la  Passione  di  Nostro  Signore  nell'area  del  Colosseo ,  sopra 
palco  eretto  presso  la  cappella  della  Pietà.  Nei  documenti 
della  Compagnia,  a  dire  del  nostro  autore,  le  memorie  di 
tali  recite  non  principiano  se  non  col  1517.  Non  importa  dire 
però  che  esse  sono  infinitamente  più  antiche ,  le  processioni 
al  Colosseo  essendo  principiate  alla  seconda  metà  del  trecento. 
Nel  giornale  del  viaggio  in  Oriente  del  cavaliere  Arnoldo  di 
Harff  coloniese,  pubblicato  nel  1860  (1),  troviamo  narrato  come 
esso  nel  1497  assistette  a  siffatta  rappresentazione  fatta  con 
molto  decoro  da  giovani  di  buone  famiglie.  Ne  ragionano  e 
il  Marangoni  nelle  «  Memorie  sacre  e  profane  dell'anfiteatro 
Flavio  » ,  e  Ignazio  Ciampi  «  Le  rappresentazioni  sacre  del 
medio  evo  in  Italia  »,  Roma,  1865.  Nel  1866  G.  Amati,  a  ciò 
sollecitato  dal  march.  Gaetano  Ferraioli ,  cui  stanno  a  cuore 
gli  studi  di  storia  e  di  letteratura  patria,  ristampò  la  «  Pas- 
sione di  Cristo  in  rima  volgare  »  già.  recitata  nel  Colosseo, 
intorno  alla  quale  si  veda  anche  il  Colomb  de  Batines  nella 
«  Bibliografia  delle  antiche  rappresentazioni  italiane  sacre  e 

A)  Die  Pilgerfahrl  des  Ritte)  s  Arnold  voh  Harff,  heraurgegeben  von    E.  vos 
GitooTt.  Culti ,  1860,  ,a  pai;.  31. 

Arcb    St.  [tal,  :}.-  Serie,  T.  X  ,  P.  i  IT 


130  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

protane  »,  Firenze  ,  1853.  Nel  1539  la  somma  impiegata  in  sif- 
fatta recita  ascese  a  227  scudi.  Sin  dal  tempo  di  papa  Pio  IV 
rimasero  soppresse ,  si  crede  onde  impedire  gli  eccessi  del 
basso  popolo  contro  gli  Ebrei.  Nel  giovedì  santo,  particolar- 
mente negli  anni  di  giubbileo ,  la  Compagnia  del  Gonfalone 
suol  prender  parte  cospicua  nelle  processioni  che  si  fanno 
alla  Basilica  Vaticana.  Il  nostro  autore  avrebbe  potuto  gio- 
varsi della  bella  descrizione  che  ne  fa  Michele  di  Montaigne 
nel  suo  Viaggio  in  Italia  al  tempo  di  papa  Gregorio  XIII ,  e 
di  Arrigo  III  re  di  Francia,  monarca  ascritto  all' Are  icon  fra- 
ternità, la  quale  continua  a  contare  tra  i  suoi  soci  gran 
parte  della  primaria  nobiltà  di  Roma  (1). 

Termino  questa  breve  notizia  con  una  osservazione  ,  cui 
dà  luogo  una  nota  del  nostro  autore  riguardo  a  papa  Ales- 
sandro VI ,  il  quale  dimostrassi  favorevole  alla  detta  Compa- 
gnia. Secondo  il  Ruggeri,  le  accuse  date  a  questo  pontefice  dal 
Burcardo ,  dal  Guicciardini  ed  altri  non  sarebbero  «  altro  che 
racconti  esagerati  se  non  forse  pure  e  prette  calunnie  scritte 
per  odio  ovvero  per  spirito  di  parte  o  per  lo  meno  senza 
critica  » ,  e  Alessandro  VI  essere  stato  di  «  magnanimo 
cuore  »  e  «  gran  papa  e  gran  re  ».  Convengo  pienamente 
nella  taccia  d'esagerazione  e  di  malevolenza  di  autori  e 
contemporanei  e  posteriori ,  rigettando  le  laidezze  che  pur 
troppo  imbrattano  le  pagine  dell'  Infessura  e  del  Burcardo. 
Ma  la  storia  del  regno  del  Borgia  non  è  inventata ,  e  questo 
regno ,  né  bello  né  felice  per  l' Italia ,  è  stato  una  somma 
disgrazia  per  la  Chiesa,  coli' aver  contribuito  non  poco  a 
destare  quell'opposizione  la  quale,  pochi  lustri  dopo  la 
morte  di  questo  «  gran  papa  e  re  »,  distrusse  l'unità  religiosa 
dell'Occidente.  Invece  di  un'esagerazione ,  con  siffatti  giudizi 
se  ne  ha  un'altra.  Non  si  deve  falsare  la  storia  -  la  storia 
si  vendica. 

Firenze  ,  1.°  giugno  1869 

Alfredo  Reumont. 


(I    Journal  <ia  voyage  de  MiChei   de  Montuune  en  Italie  etc.  en   1580  et  158). 
Paris  ,  1775,  Il  ,  a  pag.  37. 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  131 


Hìstoire  de  Storte  Quinte,  sa  vie  et  son  pontificata  par 
M.  A.  I.  Dumesnil.  Paris,  1869;  un  voi.  in  8vo  di  pagi- 
ne 520. 

Le  opere  straordinarie,  condotte  da  Sisto  quinto',  in  un 
breve  pontificato  di  poco  più  che  cinque  anni ,  non  poterono 
non  attirarsi  una  particolare  considerazione  degli  storici  no- 
strali e  stranieri.  Eletto  in  tempi  non  troppo  felici  al  papato, 
rosi  per  le  condizioni  interne  di  Roma  e  delle  provinole  sog- 
gette a'  pontefici ,  come  per  le  relazioni  della  Santa  Sede  con 
gli  esteri ,  Sisto  quinto  al  rispetto  ricuperato  da'  suoi  prede- 
cessori seppe  aggiungere  in  breve  la  riconquista  del  potere , 
migliorando  l'erario ,  proteggendo  l'agricoltura  e  la  industria, 
purgando  da'  malfattori  lo  Stato,  erigendo  edificii ,  crescendo 
ordine  e  importanza  alle  congregazioni  religiose,  meditando 
crociate  contro  il  Turco,  l'Inghilterra  e  la  Svizzera,  avver- 
sando da  prima  e  sostenendo  più  tardi  Enrico  quarto  di  Fran- 
cia. Onde  non  è  maraviglia ,  se  quel  pontefice  fu  fatto  segno 
a  molteplici  e  discrepanti  giudizii  ;  e  se ,  mentre  alcuni  sto- 
rici dipingono  in  lui  un  uomo  doppio ,  inflessibile  e  perfino 
crudele ,  non  ne  mancano  di  quelli,  che  lo  magnifichino  al  di 
sopra  de'  principi  contemporanei  e  de'  papi  antecessori  ,  fino 
a  stimarlo  degno  del  culto  de'  santi.  Più  famoso  tra'  primi 
vuoisi  reputare  Gregorio  Leti ,  adulatore  e  detrattore  spudo- 
rato e  malevolo ,  avvezzo  a  far  de'  libri  una  merce  di  lucro  : 
merita  il  posto  più  elevato  fra'  secondi  il  Tempesti ,  scrittore 
languido  e  confuso  e  pur  veritiero  e  copioso ,  a  preferenza 
d'ogni  altro,  di  documenti  e  di  fatti.  Alle  credenze  religiose 
si  ispirano  per  lo  più  i  giudizii  di  entrambi:  acri  nell'uno, 
cattolico  da  prima  e  poi  calvinista ,  accozzatore  di  aneddoti 
e  di  facezie  immaginarie  ed  insulse  :  benevoli  nell'altro ,  cre- 
sciuto nel  chiostro,  illustrato  da  Sisto  e,  per  conseguenza, 
più  panigerista ,  che  storico. 

Tanta  diversità  di  sentire  intorno  ad  un  uomo  de'  più 
straordinari  che  abbia  dato  la  Chiesa  non  isfuggì  al  Dume- 
snil. A  lui  quella  doppia  maniera  di  giudizii,  derivata  dal 
differente  apprezzamento  della  condotta  e  dell'  indole  di  Sisto, 


132  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

parve  peccare  ugualmente  di  eccesso  (1).  Se  la  memoria  di 
un  governo  viva  ancora,  siccome  una  leggenda,  negli  animi 
del  popolo  romano,  e  la  fermezza  singolare  di  una  volontà , 
quanto  energica  nella  direzione  degli  affari  civili  ed  eccle- 
siastici, altrettanto  sollecita  del  benessere  de' sudditi  e  dello 
incremento  dalle  arti ,  tolgono ,  secondo  il  nuovo  storico  ,  che 
si  debbano  sconoscere  i  grandi  meriti  di  quel  sovrano  pontefi- 
ce ,  non  vuoisi  però  far  credere  ,  che  le  ampie  vedute  e  le 
opere  maravigliose  condotte  da  lui ,  bastino  a  scusare  così 
quel  rigore  eccessivo  e  talvolta  anche  inutile  ,  mostrato  in 
parecchie  occorrenze,  come  quella  soverchia  facilità  di  con- 
discendere alle  istanze  della  propria  famiglia  e  subordinare 
la  propria  politica  esterna  a  considerazioni  d'interesse  pura- 
mente temporale.  A  malgrado  degli  elogi  smaccati  e  delle 
censure  demolitrici,  inevitabili  sopra  tutto  quest'ultime  nella 
condotta  di  un  sovrano  qualunque,  rimane  però  sempre  così 
grande  la  figura  dell'uomo ,  che  al  Dumesnil ,  dopo  quasi  tre 
secoli  e  i  tentativi  di  parecchi  fra  gli  storici ,  parve  ancora 
degna  di  studio ,  siccome  una  delle  più  curiose  nella  storia 
del  romano  pontificato  (2). 

Il  nuovo  lavoro,  che  presenta  il  Peretti  sotto  un  aspetto, 
se  non  nuovo,  più  pieno  e  diverso  in  qualche  parte  da  quello 
delineato  dagli  storici  precedenti ,  è  ben  lontano  dall'attingere 
lume  a  documenti  finora  sconosciuti.  Il  rilievo  della  vita  e 
delle  gesta  di  quel  pontefice  non  risulta  che  dal  risalire,  che 
vi  si  fa  in  questo  libro,  alle  sorgenti  originali;  quali  sono  le 
azioni  e  le  parole  di  Sisto ,  fatte  manifeste  per  le  costituzio- 
ni,  i  brevi,  le  bolle,  le  istruzioni  ai  legati  ed  ai  nunzii,  le 
conversazioni ,  i  discorsi  e  le  allocuzioni ,  tenute  nei  conci- 
stori dei  cardinali  od  altrove.  Giovarono  a  ciò ,  secondo  che 
l'autore  istesso  confessa,  la  tavola  analitica  del  Guerra,  indi- 
spensabile a  rinvenir  su  due  piedi  i  documenti  dei  grandi 
Bollarii  Magno  e  Romano,  l'opera  di  Domenico  Fontana  sulla 
trasportazione  dell'  Obelisco  Vaticano  e  sulle  fabbriche  di  Si- 
sto e  la  storia ,  che  per  invito  de'  superiori  scrisse  di  quel 
papa  il  Tempesti.  A  nessuno,  quanto  a  quest'ultimo,  fu  dato 


l    Dumesnil,  Avertissement ,  pag.  II. 
,1)  Idem  ,  loc-  cit.  ,  pag.  III. 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  133 

di  vedere  e  di  consultare  maggior  copia  di  documenti  ;  molti 
de' quali  sono  a'  di  nostri  impossibili  a  vedersi  ad  un  laico, 
ed  altri  smarriti  ne' loro  originali.  Archivii,  biblioteche,  vite 
inedite  di  Sisto,  corrispondenze  epistolari  di  nunzi  pontificii, 
di  principi  e  di  uomini  del  tempo,  concernenti  più  o  meno 
l'argomento,  tutto  fu  aperto  al  Tempesti.  In  conseguenza  di 
che  quella  storia  si  avvantaggiava  di  molto  di  sopra  delle  al- 
tre. È  anzi  ad  essa,  che  il  Dumesnil  attinse  la  massima  parte 
di  quanto  egli  scrive  intorno  a  Sisto  ;  è  per  l'elenco  dei  do- 
cumenti recativi  nella  prefazione,  ch'egli  potè  persuadersi  , 
mediante  accurati  raffronti,  di  una  esattezza  perfetta  nelle 
citazioni  (1). 

A  malgrado  però  di  tanta  diligenza ,  non  così  va  sempre 
la  cosa  in  ciò  che  risguarda  l'apprezzamento  di  quelle  fonti. 
Non  ostante  ogni  contraria  protesta  del  buon  Conventuale, 
basta  percorrere  anche  per  sommi  capi  quell'opera  per  cono- 
scere come  l'autore ,  inteso  a  fare  di  Sisto  non  solo  un  uomo 
straordinario  e  un  vero  modello  di  papi  e  di  principi,  ma  un 
santo  perfetto,  infallibile  nel  maneggio  dei  mondani  negozii 
e  dotato  perfino  del  privilegio  di  operare  miracoli,  si  giovi 
talvolta,  non  come  si  dovrebbe,  di  que' documenti.  Membro 
di  un  ordine  religioso  ,  avvezzo  a  considerare  nel  Peretti  una 
delle  sue  glorie  principali,  come  poteva  il  Tempesti  soffocale 
in  sé  stesso  ogni  senso  di  spassionata  imparzialità  ?  Aggiun- 
gasi a  tutto  questo  una  stucchevole  prolissità  nel  racconto, 
estesa  fino  alle  particolari  più  minute,  e  una  confusione  di 
fatti  e  d' idee  le  più  disparate ,  frammisti  e  intrecciati  gli  uni 
alle  altre  senz'alcun  ordine  logico  e  non  contribuenti  ad  altro, 
che  a  stancare  l'attenzione  del  lettore ,  cui  torna  quasi  im- 
possibile a  ricordare  e  a  ordinare  nella  mente  gli  avvenimenti 
principali.  Può  dirsi  anzi  senza  tema  di  errare ,  che  l'assidua 
fermezza  di  osservare  in  tutto  e  per  tutto  l'ordine  cronologico 
non  riesca  nel  Tempesti,  che  a  scapito  dell'ordine  logico  e  di 
quella  meditata  chiarezza ,  che  è  pur  una  delle  doti  principali 
di  uno  storico. 

È  per  questo,  che  l'autore  della  nuova  storia  di  Sisto,  an- 
corché non  lasci  di  tributare  i  debiti  encomii  al  Tempesti , 
pure  ha  sentito  il  bisogno   d' indirizzare  e  svolgere  altrimenti 

(1)  Dumesnil  ,  loc.  cit. ,  pag    IV. 


134  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

l'economia  del  suo  libro.  Al  che ,  oltre  alle  discorse  conside- 
razioni,  lo  indusse  sopra  tutto  la  natura  del  soggetto,  di  cui 
si  propose  di  narrare  le  gesta.  Se  la  confusione  è  diffìcile  a 
evitare  in  una  istoria  qualsiasi,  chi  non  vede,  come  essa  si 
aumenti  nell'esporre  la  storia  di  un  sovrano  pontefice,  dove 
si  congiungono  in  una  istessa  mano  e  si  esercitano  ad  un 
tempo  in  argomenti  affatto  differenti  ed  opposti  i  due  distinti 
governi ,  temporale  e  spirituale  ?  E  siffatte  difficoltà  non  si 
accrescono  d'altra  parte  per  quelle  molteplici  relazioni  con 
l'estero  ,  che  pur  costituiscono  una  parte  essenziale  e  impor- 
tantissima nelle  attribuzioni  del  capo  della  Chiesa  Catto- 
lica ?  (1) 

Ben  fece  pertanto  l'autore ,  se  ,  ad  agevolare  l'ordine  e  la 
chiarezza  del  racconto ,  che  dopo  la  ricerca  del  vero  vuol 
essere ,  come  si  è  detto ,  la  dote  principale  delle  storiche 
elucubrazioni ,  divise  la  sua  storia  in  tante  parti ,  quanti  sono 
gli  offici  diversi  ,  dipendenti  dal  doppio  potere  di  un  sovrano 
pontefice.  Onde  è,  che  la  vita  di  Sisto  dalla  nascita  alla  esal- 
tazione al  pontificato ,  il  governo  temporale  delle  provincie 
soggette  alla  santa  sede ,  l'esercizio  del  potere  spirituale ,  la 
politica  con  gli  stati  esteri ,  la  storia  e  la  descrizione  dei 
monumenti  di  ogni  maniera ,  fatti  elevare  da  quel  pontefice 
in  Roma  ed  altrove,  porsero  argomento  a  cinque  libri  distinti. 
È  anzi  per  questa  ben  ragionata  partizione  .  che  l'opera  del 
Dumesnil,  senza  invertire  punto  l'ordine  cronologico,  supera 
di  gran  lunga  il  lavoro  del  Tempesti  ;  potendosi  così  seguire 
più  agevolmente  i  fatti  presentati  in  un  medesimo  ordine 
d'  idee,  e  non  perdere  a  un  tempo  il  filo  delle  negoziazioni, 
che  son  pur  degne  di  tanta  considerazione  nella  vita  di  Si- 
sto (2).  Giacché  è  pur  forza  confessare,  che  questo  pontefice 
ebbe  parte  ad  avvenimenti  così  straordinarii ,  che  influirono 
grandemente  sugli  ultimi  anni  del  secolo  decimo  settimo. 

Questi  vantaggi,  derivanti  dalla  economia  dell'intero  la- 
voro e  dalla  chiarezza  della  esposizione,  vanno  però  ben  lon- 
tani dal  far  che  la  storia  del  Dumesnil  si  differenzi  anche 
sostanzialmente  da  quella  del  Tempesti.  Giova  dir  franca- 
mente, che  la  tavola  analitica   del    Guerra,  indispensabile  a 


(^  r>tiMES\n, ,  loc.  cit.  ,  pag.  V. 
2   Idem  ,  loc  cil  ,  pag.  VI. 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  135 

rinvenir  i  documenti  contenuti  nei  Bollari  Magno  e  Romano, 
poco  poteva  somministrare,  che  fosse  per  lo  avanti  scono- 
sciuto. Delle  bolle  pertanto ,  che  tradotte  per  intero ,  o  citate 
inserisce  il  francese  nell'opera  sua,  ben  poche  rimasero  non 
riferite  o  non  accennate  dal  Tempesti.  Può  dirsi  che  di 
sfuggite  alla  diligenza  di  quest'ultimo  non  vi  sieno  che  la 
bolla  intesa  a  frenare  il  lusso  de'  Romani  (1)  ,  e  un'altra  in- 
dirizzata al  Fontana,  architetto  di  Sisto  (2),  oltre  le  citate 
sopra  l'acquisto  di  una  casa  ad  uso  di  prigione  (3),  a  favore 
degli  Ebrei  (4),  contro  la  vendita  di  beni  stabili  a  stranie- 
ri (5),  e  l'appigionamento  dei  poderi  della  campagna  romana 
per  un  tempo  ulteriore  a  tre  anni  (6).  Vuoisi  più  tosto  os- 
servare, che  dalle  bolle,  recate  o  citate  anche  dal  Tempesti , 
sa  il  Dumesnil  trarre  argomento  a  discorrere  con  maggior 
precisione  intorno  al  governo  di  Sisto  (7) ,  alla  rettificazione 
di  alcune  date  (8) ,  e  alla  fabbrica  della  cupola  di  San  Pie- 
tro (9). 

Più  larga  copia  di  notizie  sa  trarre  invece  dal  Fontana  , 
intorno  a  ciò  che  concerne  i  monumenti  di  arte ,  fatti  erigere 
da  Sisto.  Dietro  i  lumi  di  quel  rinomato  architetto  potè  il 
Dumesnil  amplificare  le  particolarità  recate  dal  Tempesti  in- 
torno alla  cupola  di  San  Pietro  (10),  al  trasporto  degli  obeli- 
schi (11)  e  specialmente  di  quello  eretto  nella  Piazza  del  Po- 
polo (12)  ,  intorno  alla  loggia ,  al  palazzo ,  alla  piazza  e 
all'obelisco  di  San  Giovanni  Laterano  (13),  all'aggrandimento 
del  palazzo  e  della  piazza  di  Monte  Cavallo  (14),  e  al  tra- 
sporto de'  cavalli  del  Coliseo  (15).  Dal  Fontana  non  gli  venne 

(1)  Dumesnil,  Liv.  II,  Ch.  Vili  ,  pag.  127. 

(2)  Idem  ,  Liv.  V,  Ch.  XVII,  pag.  349. 

(3)  Idem  ,  Liv.  II ,  Ch    Vili ,  pag.  432. 

(4)  Idem,   Liv.  [I,  Ch.  V,  pag. -103. 

(5)  Idem  ,  loc.  cit. ,  pag.  99. 

(6)  Idem ,  loc.  cit. 

(7)  Idem.  Liv.  HI,  Ch.  III. 

(8)  Idem,  Liv.  II,  Ch.  Vili. 

(9)  Idem,  Liv.  V,  Ch.  XVI,  pag.  329,  e  seg. 
(IO)  Idem,  Liv.  V,  Ch.  XVI. 

(41)  Idem,  loc.  cit. ,  Ch.  XVII. 

(12)  Idem,  loc.  cit.,  Ch.  XIX,  pag.  441. 

(13)  Idem,  loc.  cit,  pag.  435  e  seg. 

(14)  Idem,  Liv.  V,  Ch.  XXII,  pag.  497. 

(15)  Idem,  loc.  cit. 


136  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

anzi  difetto  di  notizie  intorno  ad  opere  e  a  monumenti  sfug- 
giti alla  esattezza  del  Tempesti.  Tali  sono  le  acque  condotte 
da  sei  miglia  a  Civitavecchia  (1)  ,  il  racconto  particolareg- 
giato della  costruzione  ,  riparazione  e  abbellimento  del  palaz- 
zo Vaticano  (2)  e  della  porta  grande  del  palazzo  della  Can- 
celleria (3) ,  e  il  cenno  da  ultimo  intorno  al  ristauro  della 
chiesa  di  Santa  Sabina  (4). 

Non  molto  resta  a  dire  intorno  all'apprezzamento  di  alcuni 
documenti  e  di  alcune  asserzioni  dei  cronisti  contemporanei. 
Vero  è  che  il  Dumesnil  sembra  talvolta  scostarsi  alcun  poco 
dai  giudizii  del  Tempesti;  ma  è  forza  confessare ,  che  ciò  non 
avviene  in  cosa  di  grave  importanza.  Se  v'  ha  disparità  di 
vedere  in  argomento  di  qualche  rilievo  ,  questa  è  in  ciò  che 
concerne  il  contegno  di  Sisto  ancor  cardinale  dopo  la  tragica 
avventura  del  nipote  Francesco  Peretti.  Quella  calma  imper- 
turbabile col  duca  di  Bracciano ,  attribuita  dal  Tempesti  ad 
un  eccesso  di  clemenza  e  di  generosità,  assume  ben  altro 
aspetto  all'occhio  del  nuovo  istorico,  che  deriva  i  suoi  giu- 
dizii dal  carattere  del  cardinal  di  Montalto  e  dai  provvedi- 
menti presi  da  lui  appena  innalzato  alla  tiara.  Essa  non  è 
nell'offeso,  che  una  dissimulazione  di  risentimento  profondo 
e  un  atto  di  scaltra  politica  affine  di  evitare  un  numero 
maggiore  d' invidiosi  e  d' inimici  nel  sacro  collegio  ;  non  è 
che  una  repressione  di  un  grave  dolore  e  la  dilazione  di  una 
pena  indispensabile  a  un  tempo,  in  cui  sperava  riuscire  tanto 
potente  da  trionfare  di  tutti  gli  ostacoli.  Ciò  che  fin  dai 
tempi  di  Sisto  era  stato  avvertito  da  Antonio  Maria  Graziani, 
quando  scrisse  avere  il  Montalto  represso  lo  sdegno  per  non 
incontrare  nelle  inimicizie  di  un  uomo  facinoroso  e  prepo- 
tente che  poteva  stornargli  il  conseguimento  del  sommo 
pontificato.  Eum  honorem  si  obliquando  esset  adeptus ,  tum 
facilem  sibi  futuram  vindictam:  interea  voranda  omnia 
dissi mulandaque  esse  rebatur  (5). 

Se  nel  complesso  della  storia  di  Sisto  si  giova  il  Dume- 
snil delle  opere  del  Guerra,  del  Tempesti  e  del  Fontana,  non 

(\)  Dumesnil,  Liv.  II,  Ch.  VI,  pag  HO. 

(2)  Idem,  Liv.  V,  Ch.  XXII,  pag.  501. 

$)  Idem,  loc.  cit.  ,  pag.  507. 

(4)  Idem,  Lib.  V,  Ch.  XXII,  pag.  510- 

(5)  Idem,  Liv.  I,  Ch.  I,  pag.  27. 


RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA  137 

è  però  a  credere,  che  in  alcune  cose,  che  noi  chiameremo 
più  che  altro  accessorii ,  lasciasse  egli  di  attingere  all'uopo 
agli  storici  contemporanei,  o  posteriori.  È  anzi  per  siffatto 
modo ,  che  con  gli  Studi  statistici  su  Roma  del  Conte  di 
Tournon  descrive  più  ampiamente  e  con  maggior  precisione, 
che  non  il  Tempesti,  la  carestia  del  1586,  e  porge  nuovi 
lumi  sulle  Annone  frumentaria  J  olearia  e  della  grascia, 
istituite  da  Sisto  a  fine  di  mantenere  il  buon  mercato  nel 
grano  ed  altre  merci  alimentarie  (1).  Con  la  scorta  del 
giornale  di  Enrico  III  ,  Enrico  IV  e  Luigi  XIII  del  signor 
De  1'  Estoiles  dà  nozioni  sulla  protesta  del  Parlamento  dei 
Pari  contro  la  scomunica  fulminata  da  Sisto  su  Enrico  di 
Navarra  e  il  principe  di  Condè  (2).  Non  altrimenti  si  giova 
talvolta  degli  scritti  sulla  letteratura  o  sulle  arti  per  ampli- 
ficare la  storia  della  libreria  Vaticana  (3)  ;  accresce  col 
Nibby  le  notizie  su  parecchi  ediflzii  di  Roma;  raccoglie  da  altri 
quanto  riguarda  il  Settizonio  ,  fatto  demolire  da  Sisto  (4) ,  e 
non  ricordato  neppure  dal  Tempesti. 

Né  il  lavoro  del  Dumesnil  restringesi  a  ciò  che  concerne 
propriamente  la  storia  di  Sisto.  Le  innovazioni,  le  riforme  e 
le  opere  molteplici  su  monumenti  antichissimi,  compiute  du- 
rante quel  pontificato ,  traggono  naturalmente  a  risalire  con 
notizie,  se  non  sempre  necessarie,  per  lo  meno  interessanti, 
a  tempi  più  o  meno  lontani.  A  differenza  pertanto  del  Tem- 
pesti, che  ben  rare  volte  e  per  lo  più  assai  in  succinto  esce 
da  ciò  che  risguarda  il  suo  protagonista ,  si  fa  il  Dumesnil  a 
ricordare  molte  di  quelle  cose,  che,  non  estranee  affatto 
all'argomento ,  destano  curiosità  e  recano  a  un  tempo  diletto 
al  lettore.  Quindi  è ,  che  prima  di  esporre ,  dietro  la  scorta 
del  Tempesti,  lo  stato  di  Roma  e  delle  Provincie  soggette  alla 
Santa  Sede  ,  esordisce  col  descrivere  a  larghi  tocchi  l'origine 
prima ,  il  successivo  ampliamento  e  le  parecchie  vicende  del 
dominio  temporale  de'  papi,  discendendo  poscia  a  determinare 
per  confini  geografici  le  terre  ,   ond'esso  costituivasi  a'  tempi 


(1)  Dumesnil,  Liv.  II,  Ch.  V,  pag.  91  ,  e  seg. 
\%  Idem,  Liv.  IV,  Ch.  XV,  pag.  200. 

(3)  Idem,  Liv.  V,  Ch.  XVIII  ,  pag.  383  e  seg. 

(4)  Idem,  Liv.  V,  Ch.  XXI,  pag.  579  e  seg. 
Arch.  St.  Ital.,  3."  Serie,  T.  X ,  P.  I. 


138  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

di  Sisto  (1).  Sull'autorità  dei  due  Plinii,  di  Frontino,  di  Mar- 
ziale ,  Nibby,  Lalande  ,  Tournon  e  d'altri  antichi  e  moderni 
conduce  con  pari  dottrina  la  storia  delle  paludi  Pontine  (2) 
e  delle  acque  di  Roma  (3)  dall'età  più  remote  a'  tempi  di  Si- 
sto ,  avvertendo  con  rapidità  e  precisione  quali  e  quante  cure 
vi  profondessero  imperatori  e  pontefici.  Valendosi  all'uopo 
degli  scritti  di  Plinio  il  seniore,  di  Ammiano  Marcellino,  di 
Strabone  ,  di  Champollion  ,  di  Nibby  e  di  altri,  discorre  in 
ugual  modo  degli  obelischi  (4)  ;  tocca  ampiamente  delle  vi- 
cende delle  colonne  Traiana  e  Antonina  (5),  e  sul  ristauro 
di  quest'ultima  reca  notizie  e  iscrizioni  sfuggite  al  Tempe- 
sti. Così  occorrendogli  di  parlare  del  numero  de'  cardinali 
fissato  da  Sisto  alle  elezioni  de' papi,  coglie  volentieri  occa- 
sione di  accennare  l'origine,  le  vicissitudini  e  le  variazioni, 
toccate  in  processo  di  tempo  dal  sacro  collegio  (6). 

Non  altro  è  l'ordine,  la  chiarezza  d'esposizione  e  la  copia 
de' fatti ,  onde  vuol  essere  commendata  la  nuova  storia  di  Sisto; 
tantoché,  mentre  dalla  lettura  del  Tempesti  non  può  discom- 
pagnarsi la  noia ,  in  quella  del  Dumesnil  si  rinviene  invece 
interesse  e  diletto.  Al  che  cresce  pregio  non  piccolo  quella 
destrezza  di  stringere  talvolta  in  poco  ciò  che  il  Tempesti  espone 
in  una  lunga  e  stucchevole  narrazione  ;  e  più  ancora  quella  im- 
pronta d' imparzialità,  che,  a  quanto  ci  pare,  si  rivela  netta 
e  spiccante  da  capo  a  fondo  dell'opera.  Onde  ci  è  grato  poter 
credere  lontana  da  ogni  sentimento  di  affettazione  la  sentenza 
del  De  Thou  ,  con  che  piace  al  Dumesnil  di  suggellare  la 
prefazione  all'opera  sua.  «  Comunque  si  pensi  o  dica  del  mio 
«  lavoro ,  oso  affermare ,  che  io  ho  recato  in  questa  fatica 
«  una  sincerità  senza  eccezione,  e  che  l'odio  e  l'adulazione 
«  non  hanno  potuto  far  velo  alla  verità  ». 

Bernardo  Morsolin. 

(1)  Dumesnil,  Liv.  II,  Ch   III,  pag.  55  e  seg. 

(2)  Idem,  Liv.  II,  Ch.  VII,  pag.  4U. 

(3)  Idem,  Liv.  V,  Ch.  XX,  pag.  445. 

(4)  Idem,  Liv.  V,  Ch.  XVII,  pag.  332. 

(5)  Idem,  Liv.  V,  Ch.  XXI,  pag.  469. 

(6)  Idem,  Liv.  HI,  Ch.  L\  ,  pag    439. 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  139 


Ioseph  II  und  Katherine*  von  Russia:  ihr  Briefwechsel 
herausgegeben  von  Alfred  Ritter  von  Arneth.  - 
Wien,  1869. 

Forse  non  dimenticarono  i  lettori  che,  in  questo  Archivio  (1), 
parlammo  di  Giuseppe  II  a  proposito  della  sua  moglie  Isabella 
di  Parma.  Di  riparlarne  or  ci  porge  occasione  il  consigliere 
aulico  d'Arneth.  È  noto  come  questo  valente  conservatore  del- 
l'archivio imperiale  di  Vienna  abbia  pubblicato  documenti 
preziosi  sul  principe  Eugenio  di  Savoia,  e  su  Maria  Teresa, 
della  quale  illustra  il  regno.  Singoiar  rumore  levò  la  corri- 
spondenza ch'egli  stampò  fra  Maria  Antonietta,  Giuseppe  II 
e  Leopoldo  II,  la  quale  convinse  di  false  tant'altre  lettere 
che  in  Francia  erano  state  date  come  di  quella  infelice  e  ca- 
lunniata regina,  la  quale  non  potrebb'essere  conosciuta  e  giu- 
dicata se  non  dopo  esaminato  questo  suo  carteggio.  Ora  il 
cavaliere  d'Arneth  mette  fuori  la  corrispondenza  fra  Giusep- 
pe II  e  Caterina  di  Russia,  che  comincia  nel  1774  e  va  fino 
alla  morte  di  esso  Giuseppe,  il  quale,  già  in  agonia,  il  16  apri- 
le 1790  le  scriveva  una  lettera,  che  il  Kaunitz  trovava  «  un 
chef  d'oeuvre  relativement  au  fond,  non  moins  qu'au  moment 
auquelle  elle  a  été  dietée  ». 

Tali  date  mostrano  che  non  vi  si  devono  cercare  noti- 
zie intorno  a  quel  gran  misfatto  politico,  che  incoraggiò  a 
tant'altri  la  nostra  età,  lo  sbrano  della  Polonia.  I  due 
regnanti  si  scrivono  con  un'espansione,  che  non  siamo  soliti 
riconoscere  ne'  carteggi  principeschi  :  eransi  conosciuti  per- 
sonalmente :  aveano  fatto  insieme  quel  viaggio  in  Crimea , 
così  famoso  in  quel  tempo,  e  dove  erasi  sfoggiata  in  supremo 
grado  quell'adulazione  che  i  ministri  sanno  procurare  ai  re- 
gnanti nelle  visite  pomposamente  inutili.  Anzi  di  questo  viag- 
gio abbiamo  qui  in  appendice  la  descrizione,  che  Giuseppe  ne 
faceva  man  mano  al  maresciallo  conte  Luscy  nel  1787. 

Tutto  il  carteggio  è  in  francese,  e  troviamo  che  anche 
Caterina  scriveva  abbastanza  corretto  (altrove  notammo  quanto 

(1)  Serie  terza  ,  T.  VII,  P.  II. 


140  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

anche  i  grandi  peccassero  contro  l'ortografia)  e  con  carattere 
regolare.  Già  si  supporrà  che  Giuseppe  non  risparmiasse  alla 
czarina  le  blandizie,  le  quali,  se  ad  ogni  donna  si  fanno,  vie- 
più convenivano  a  quella,  adulata  dai  filosofisti  francesi  fino 
alla  viltà,  fino  a  rinnegar  le  glorie  patrie,  e  assicurare  il  mondo 
che  ormai  la  luce  sarebbe  venuta  dal  Settentrione.  Si  direbbe 
anzi  che  le  lettere  di  Giuseppe  fossero  dettate  col  cuore ,  se 
non  avessimo  un  suo  viglietto  a  Kaunitz,  siffatto  :  «  Voilà 
ma  lettre  à  l' imperatrice.  Il  faut  savoir  qu'on  a  à  faire  avec 
une  femme,  qui  ne  se  soucie  que  d'elle,  et  pas  plus  de  la 
Russie  que  moi:  ainsi  il  faut  la  chatouiller.  Sa  vanite  estson 
idole:  un  bonheur  enragé  et  l'hommage  outré  et  à  l'ènvie  de 
toute  l'Europe  l'ont  gatée.  Il  faut  dejà  hurler  avec  les  loups: 
pour  que  le  bien  se  fasse,  il  importe  peu  de  la  forme  sous 
la  quelle  on  l'obtient  ». 

Veramente  non  potrebbe  dirsi  qual  bene  ottenesse  l'impe- 
ratore dalla  czarina;  corbellavano  insieme  i  potentati  d'allora, 
e  massimamente  il  Turco  ;  davansi  pareri  ;  godevano  al 
conflitto  dell'America  come  a  depressione  per  l' Inghilterra , 
non  accorgendosi  ch'era  un'aurora  pel  mondo:  della  rivolu- 
zione francese  non  presentivano  la  gravezza. 

Un  avvenimento  importante  non  solo  per  l'Italia  fu  il 
viaggio  di  Pio  VI  a  Vienna,  cantato  dagli  uni  col  titolo  di 
Pellegrino  Apostolico,  dato  da  altri  come  segno  del  deca- 
dimento dell'autorità  dei  papi,  costretti  a  recarsi  alla  corte 
di  quegli  imperadori  germanici,  che  altre  volte  essi  citavano 
a  venir  a'  loro  piedi.  Che  Caterina,  papa  com'è  (1),  beffasse 
l'altro  papa  non  è  meraviglia,  ma  stomaca  il  tono  leggero 
con  cui  trattano  quest'avvenimento  i  due  corrispondenti. 

Il  12gennajol772  (stile  russo),  Caterina  scriveva  a  Giuseppe: 

«  La  resolution  de  Pie  VI  de  venir  ici  comme  pour  traiter  à 
bouche  avec  V.  M.  I.,  en  verité  lui  fait  honneur,  quoiqu'il 
n'y  gagnera  rien.  Je  souhaite  qu'il  Lui  apporte  les  clefs  de 
Rome,  et  qu'il  Lui  propose  de  chasser  les  ennemis  du  nom 
chrétien  de  1'  Europe  ». 


(1)  Il  Sinodo  fa  questo  giuramento  :  Confiteor  et  jurejurando  assevero  su- 
premum  hujus  Collegii  judicem  esse  ipsum  totius  Russiae  monarcham  ,  domi- 
num  nostrum  clementissimum. 


RASSEGNA    LI  ELIOGRAFICA  141 

Giuseppe  rispondeva  il  19  febbraio  : 

«  Pour  moi  j'attends  encore  la  décision  du  Saint  Pére  pour 
savoir  si  effectivement  j'aurai  l' honneur  de  le  voir  Lei.  Il 
parait  jusqu'à  présent  très  decide  à  exécuter  ce  projet,  et  à 
se  donner  par  là  une  célébrité  dans  l'iiistoire,  à  laquelle  il 
ne  se  sent  pas  de  moyens  plus  faciles  de  parvenir.  Ce  n'est 
pas  le  projet  de  chasser  les  ennemis  du  nom  chrétien  de  l'Europe 
qui  le  met  en  mouvement;  c'est  le  revenu  de  sa  daterie,  que 
la  guerre  fait  aux  abus  expose  à  un  grand  vide.  Ce  n'est  jamais 
du  clief  visible  de  1'  Église  latine  que  j'attends  une  proposi- 
tion  pareille,  mais  bien  de  celle  qui  est  à  la  tète  de  l'Église 
d'Orient;  aux  étendards  et  à  l'appel  de  la  quelle  je  serai 
toujours  prèt  de  me  ranger  ». 

E  Caterina  all' 11  marzo: 

«  Puisque  le  pape  ne  traitera  que  de  l'intérèt  de  sa  date- 
rie, et  non  de  ceux  de  la  chrétieneté  ,  j'espère  que,  pour  le 
bien  de  cette  mème  daterie,  V.  M  I. ,  raccourcira  la  durée 
du  séjour  de  S.  S.  à  Vienne  ». 

E  al  31  : 

«  Je  n'envie  point  à  V.  M.  I.  le  rare  avantage  dont  Elle 
jouit  présentement  d'ètre  logée  porte  à  porte  avec  Pie  VI.  Pour 
parler  franchement,  je  voudrais  savoir  le  pape  hors  de  Vienne. 
Je  ne  sais  pourquoi  je  ne  puis  penser  sans  une  sorte  d'  in- 
quietude  à  ce  séjour.  Un  prètre  italien  pour  tous  ceux  qui  ne 
sont  pas  catholiques  est  un  objet  d'  une  sorte  d'apréhension. 
Je  n'en  aurais  assurèment  aucune  à  voir  V.  M.  I.  aux  portes 
du  Capitole.  En  troisième  entre  Elle  et  le  Saint  Pére  comme 
V.  M.  I.  me  fait  1'  honneur  de  m'y  introduire  (1),  je  ne  pour- 
rais  parler  au  pape  que  selon  les  principes  de  l'Église  gre- 
cque ,  avec  lesquelsje  l'ennuyerais  si  fort,  qu'il  s'en  retour- 
nerait  bien  vite  à  Rome,  et  la  faute  en  tomberait  sur  moi, 
qui  suis  en  possession  d'ailleurs  de  son  éxeomunication,  mal- 
gré  la  quelle  je  me  porte  à  merveille  ». 

E  il  9/20  maggio: 

«  Sachant  le  pape  parti  de  Vienne,  que  V.  M.  I.  me  per- 
mette de  Lui  en  faire  mon  compliment  sincère.  Elle  en  aura 
recu  tout  plein  des  àmes  dévotes  sur  l'arrivée  du  Pontife ,  mais 

(1)  Ciò  allude  a  una  lettera  che  non  si  ha. 


142  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

qu'Elle  me  permette  de  me  réjouir  de  le  voir  délivrée  d'un 
fardeau,  qui  me  pésait  à  moi  par  F intérèt  vif  que  je  prends 
à  tout  ce  qui  la  regarde;  et  Fon  a  beau  dire,  un  prètre  comme 
celui-la  est  un  meublé  incommode  ». 

Viepiù  sconveniente  è  la  risposta  di  Giuseppe  II,  il  primo 
giugno  : 

«  L' intérèt,  j'ose  dire  l'amitié,  avec  laquelle  Elle  s'est  plue 
de  s'exprimer  au  sujet  du  Pontife,  prètre  italien  qui  m'apésé 
de  sa  visite,  a  excité  en  moi  la  plus  vive  réconnaissance  ; 
mais  ce  sentiment  AAous  est  si  dù  et  connu  de  ma  part,  que 
je  n'osais  point,  sans  avoir  d'autres  objets  plus  intèressants  à 
mander  à  V.  M.  I.  Fen  ennuyer.  Le  Pape  n'a  rien  obtenu  d'essen- 
tiel.  J'ai  pourtant  tàché  de  trouver  moyen  de  le  traiter  de  facon 
d'eviter  tout  éclat  et  brouillerie.  Il  a  mème  dù  me  donner  un  té- 
moignage  public  et  par  écrit  de  l'état  solide  dans  lequel  il  avait 
trouvé  ma  religion  et  celle  de  mes  peuples.  J'avouerai  néam- 
moins  sincèrement  à  V.  M.  I.  que  les  trois  heures  par  jour 
que  je  passais  régulièrmement  à  dèraisonner  de  théologie 
avec  lui,  et  sur  des  objets  sur  lesquels  nous  disions  souvent 
chacun  des  mots  sans  les  comprendre  (1),  il  arrivait  que 
nous  restions  souvent  muets  à  nous  regarder ,  comme  pour 
nous  dire  que  nous  n'y  entendions  rien  ni  Fun  ni  Fautre , 
mais  cela  était  fatiguant  et  odieux.  »  Così  un  austriaco  trat- 
tava un  principe  italiano ,  e  il  papa  della  cattolicità. 

È  noto  che  nel  1784  Giuseppe  II  viaggiò  in  Italia.  Ne  parla 
nelle  sue  lettere  a  Caterina,  ma  nulla  di  rilevante.  Il  6  aprile 
scriveale  ;  «  Malgrado  la  stagione,  straordinariamente  rigida 
quest'anno,  il  mio  viaggio  fu  felice,  e  perfetta  la  salute.  Ebbi 
il  contento  di  rivedere  tutta  la  mia  famiglia  stabilita  in  Ita- 
lia ,  e  28  nipoti  e  nipotesse.  Mi  son  accordato  col  granduca 
mio  fratello  che  quest'estate  mi  condurrà  a  Vienna  il  suo 
primogenito,  dove  finirà  la  sua  educazione  sotto  i  miei  occhi  : 
non  è  un  piccol  peso  che  m' indosso ,  ma  io  non  miro  che  al 
bene  della  mia  patria,  e  mi  pare  esiga  questa  risoluzione  ». 

Ed  essa  gli  risponde  :  «  La  risoluzione  che  prese  di  com- 
pier a  Vienna  l'educazione  di  suo  nipote  non  potrà  ch'essere 
generalmente  applaudita.  Il  modello  augusto  che  questo  prin- 

(1)  (Ionie  mai,  se  non  traltavasi  clic  d'affari  di  dateria? 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  143 

cipe  avrà  sempre  sott'occhio,  non  mancherà  di  far  germo- 
gliare nel  suo  spirito  e  nel  suo  cuore  principi  atti  a  renderlo 
degno  di  compiere  un  giorno  la  sua  gran  destinazione  ». 

Ognuno  sa  che  l'allievo  fu  Francesco   I. 

Vengono  poi  gl'intrighi  per  l'Olanda  e  per  la  Baviera  da 
una  parte,  per  la  Turchia  dall'altra,  e  le  comuni  gelosie  con- 
tro la  Francia  e  la  Prussia,  nemica  dell'Austria  sempre,  ec- 
cetto il  tempo  della  santa  alleanza.  Neppure  fra  i  due  corri- 
spondenti le  cose  passarono  sempre  amichevoli:  ma  l'intervento 
del  ministro  Kaunitz  tolse  di  mezzo  i  dissensi.  «  V.  M.  (scri- 
veva Kaunitz  a  Giuseppe)  ha  saputo  farsi  di  questa  prin- 
cipessa un'amica  personale  :  saprà  conservarsela  :  e  poiché 
essa  è  d'un  carattere  da  cui  si  ponno  aspettare  grandi  e  vi- 
gorose determinazioni,  chi  sa  qual  partito  noi  potremo  trar- 
ne ancora,  se  il  tempo  e  le  circostanze  ci  secondassero!  » 

Il  sig.  Arneth  pose  a  questa  pubblicazione  le  cure  diligen- 
tissime  che  gli  sono  proprie,  aggiungendo  note  opportune,  e 
riscontri  e  risposte,  dedotti  da  altri  carteggi  che  la  sua  posi- 
zione gli  mette  sotto  la  mano. 

Poscripta. 

Il  signor  D'  Arneth ,  oltre  quelle  del  signor  Feuillet 
de  Conches ,  rivelò  altre  finzioni  o  soperchierie  librarie. 
Dal  1811  al  1819  il  signor  Sutori  pubblicò  in  8  volumi,  alla 
libreria  Cotta ,  una  Collezione  di  scritti  politici  lasciati  dal 
principe  Eugenio  di  Savoia.  Ebbene,  tutti  o  quasi  tutti  sono 
falsi;  come  falsi  molti  aneddoti  relativi  a  quel  gran  capitano, 
accettati  anche  nelle  biografie  più  reputate,  come  quelle  del 
Maurillon  (Lipsia,  1770)  e  del  Kausler  (Friburgo,  1838).  Ciò 
mostra  il  signor  D' Arneth  nella  sua  Vita  del  principe  Eugenio: 
ma  più  importante  è  quanto  si  riferisce  a  Giuseppe  II.  Brock- 
haus  di  Lipsia  pubblicò  nel  1821 ,  poi  nel  1822  e  nel  184G 
una  raccolta  di  50  lettere  di  questo  imperatore,  con  introduzione 
del  famoso  liberale  Francesco  Schuselka.  Sono  false.  Tra 
queste,  una  diretta  nel  1781  al  cardinale  Herzan,  suo  mini- 
stro plenipotenziaro  a  Roma,  fu  molto  citata  negli  ultimi 
tempi ,  per  mostrare  i  sentimenti  e  la  condotta  di  Giuseppe  II 
negli  affari  religiosi,  e  verso  i  frati,  il  clero  secolare,  la  corte 


144  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

romana.  Sebastiano  Brunner ,  nel  1868  stampò  a  Vienna 
i"  Servidori  teologici  della  corte  dì  Giuseppe  II  (  Die  theolo- 
gische  Dienersschaft  am  Hofe  Ioseph's  II),  e  pose  in  dubbio 
quella  lettera,  ne  interpellò  il  signor  D7 Arneth,  che  tolse  al- 
lora in  esame  la  pubblicazione  del  Brockhaus  ,  e  si  convinse 
che  quelle  lettere  repugnavano  per  data,  per  stile,  per  senso 
colle  vere,  esistenti  nell'archivio  di  Corte,  e  pubblicate  da 
esso ,  di  autenticità  indubitata.  Bisognava  dunque  cessare  di 
citar  come  propri  di  Giuseppe  II  i  giudizi  che,  in  quella  rac- 
colta, sono  proferiti  sopra  l'aristocrazia,  il  duello,  i  gesuiti, 
lo  sbrano  della  Polonia,  gli  Ungheresi,  ec. 

Fra  le  lettere  pubblicate  dal  D' Arneth  è  notevolissima 
quella  che  Giuseppe  II  lasciò  a  Maria  Antonietta  partendo  da 
Versailles  il  29  maggio  1777.  È  una  specie  di  paterna,  ove  le 
espone  i  doveri  di  moglie  e  di  regina;  le  raccomanda  un  com- 
porto più  contegnoso  ;  maggior  cautela  nella  scelta  delle  ami- 
cizie ;  non  avventurarsi  a  giuochi  d'azzardo  ;  non  le  passeg- 
giate a  cavallo;  non  comparire  ai  balli  mascherati  in  teatro; 
non  secondar  l' inclinazione  alla  maldicenza ,  e  a  mettere  in 
ridicolo  chi  la  avvicina;  non  moltiplicare  le  raccomandazioni; 
in  chiesa  aver  un  contegno  da  regina;  conservare  l'accordo  fra 
le  persone  della  famiglia  reale  ;  serbare  ordine  nelle  spese  ; 
legger  buoni  libri.  Su  ciò  principalmente  insiste,  e  «  Sevi 
vedrò  farlo,  crederò  quasi  stabilita  la  felicità  della  vita  vo- 
stra ,  quanto  ne  ho  tremato  fin  qua  :  perchè  così  non  potrà 
andare  alla  lunga:  e  la  rivoluzione  sarà  crudele,  se  voi  non 
la  preparate  ».  C.  Cantù. 


Spirito  della  Storia  d'  Italia;  Discorsi  VI  per  Filippo  Per- 
fetti. Prato,  1868.  ► 

Filippo  Perfetti  professore  all'università  di  Perugia ,  con- 
siderando come  gli  sforzi  de'  filosofi  del  secolo  nostro  di  ri- 
durre i  documenti  della  storia  a  fatti  scientifici,  per  svelare 
la  storia  dell'umanità  e  comporre  la  filosofia  della  storia , 
spesso  falliscono  per  insufficienza  di  studio  e  di  critica  de' fatti 
positivi ,  si  propose  di  rimediare  al  difetto  ,  ed  usando  il  me- 
todo sperimentale ,  e  pigliando  a  trattare    la   storia  a   parte 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  145 

a  parte ,  cioè  pigliandone  solo  lo  spazio  da  poter  coltivare 
accuratamente.  E  ci  venne  innanzi  con  sei  discorsi,  estesi 
solo  a  breve  volume,  e  ricercanti  la  storia  politica  d'Italia 
nel  medio  evo  ,  e  ne' tempi  moderni.  Se  poi  gli  riesce  la  prova 
ha  in  animo  di  compire  il  ciclo  con  discorsi  sulla  storia  ro- 
mana,  sul  cristianesimo,  sulle  lettere  italiane. 

Il  popolo  italiano  fece  e  scrisse  più  storie  che  ogni  altro, 
quindi  egli  dovrebbe  essere  disposto  alla  filosofia  della  storia 
meglio  d'ogni  altro.  Tanta  capacità  manifestossi  infatti  per 
Tacito  .  per  Machiavelli  ,  per  Guicciardini ,  per  Sarpi ,  per 
Vico  ,  per  Giannone  ,  per  Denina ,  per  Romagnosi  ,  per  Cat- 
taneo ,  per  Ferrari.  Vico  sarebbbe  stato  filosofo  della  storia 
per  eccellenza  ,  se  avesse  posseduto  copia  sufficiente  di  fatti 
da  speculare  ,  da  criticare.  Ma  forse  la  mole  soverchia  dei 
documenti  gli  avrebbe  stancata  la  mente ,  scemata  la  luci- 
dezza del  giudizio.  Dopo  Vico  un  mondo  nuovo  di  fatti  fu  di- 
svelato ,  per  le  età  della  pietra  e  del  bronzo  ,  per  le  speciali 
civiltà  degli  Egizi  ,  de'  Fenici,  degli  Aztechi ,  de'  Cinesi ,  per 
la  letteratura  vedica  e  Zenda ,  per  quella  dell'Edda.  Ognuno 
di  questi  rivi  nuovi  di  storia  venne  ricercato  partitamente 
e  preparato  dalla  critica  per  le  foratole  scientifiche.  Ma  ad 
abbracciare  l'immenso  àmbito  nello  spazio  e  nel  tempo,  a  re- 
care giudizio  profondo  ,  limpido  ,  sicuro ,  come  quello  di 
Vico  ne'  parchi  suoi  materiali ,  si  vuole  non  solo  mente  po- 
derosa assai ,  ma  tempo  lunghissimo.  Noi  abbiamo  bisogno 
di  un  Cosmos  della  storia,  simile  a  quello  che  Humboldt  com- 
pose pei  fenomeni  naturali. 

Non  sarà  sfuggito  al  Perfetti  che  i  progressi  degli  studi 
vogliono  prima  lavori  analitici ,  empirici ,  indi  sintesi  retti- 
ficanti le  analisi ,  mano  mano  che  queste  sintesi  diventano 
più  complesse.  Onde  noi  veniamo  sempre  rifacendoli  processo 
della  storia  perchè  la  contempliamo  da  altezze  maggiori  ogno- 
ra. Ora  si  rinnovano  sempre  le  storie  della  Grecia,  di  Roma, 
dei  Barbari,  non  tanto  per  documenti  nuovi  scoperti,  quanto 
per  nuovi  criteri  addotti  da  più  vaste  e  complesse  compara- 
zioni ,  da  nuovi  bisogni  e  teoremi  sociali. 

Se  la  insufficienza  di  fatti  minuti  fece  delirare  il  potente 
intelletto  di  Hegel ,  altri  può  scostarsi  da  quella  vera  filoso- 
fia della  storia,  che    rintraccia  le  vie    dell'umanità,   quando 
Argii.  St.  Ini..,  3."  Serie,  T.  X,  P.  I.  49 


146  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

pigli  ad  indagare  solo  un  ramo  della  storia.  Questa  filo- 
sofia, come  quella  delle  scienze,  si  t'orma  da  sé  mano  mano 
inavvertitamente ,  e  si  prepara  collo  studio  sottile  dei  fatti 
appurati ,  e  colla  tranquilla  e  grave  critica  loro.  In  tali  il- 
lustrazioni si  desiderano  più  che  ragionamenti,  schiere  di 
fatti  bene  ordinati.  Perchè  senza  quelli ,  i  ragionamenti  mo- 
bilissimi si  accomodano  alle  teorie  preconcette ,  ai  partiti , 
ai  desiderii ,  alle  passioni  dello  scrittore  ,  che  spesso  non  se 
n'avvede.  Onde  assistiamo  continuamente  al  battagliare  vano 
de'  filosofanti  sulla  storia  ,  tra  i  quali  non  possiamo  decide- 
re. Allora  sentiamo  essere  preferibile  l'umile ,  ma  cauta 
filosofia  del  Muratori. 

I  discorsi  del  Perfetti  scendono  dall'alto  ,  curano  poco  di 
persuadere  ai  lettori  con  ordini  severi  di  fatti  quelle  con- 
vinzioni che  entrarono  nella  mente  di  lui  ;  laonde  taluno  ci 
può  sospettare  que'  difetti  che  egli  volle  corrèggere  in  altri. 
Ma  bene  esaminandoli  questi  discorsi ,  si  vede  che  il  profes- 
sore è  nutrito  di  vasti  studi  ,  e  che  criticando  da  regioni 
elevate ,  ha  sentenze  peregrine  ,  degne  delle  buone  tradizioni 
italiane. 

È  notevole  nel  primo  discorso  del  Perfetti  la  genesi  della 
nuova  civiltà  fondata  su  l'eguaglianza  e  l'industria,  ad  onta 
dell'  ingerenza  del  nuovo  elemento  barbarico  tutto  guerre- 
sco. Perchè  questo  elemento  comprese  e  rispettò  1'  im- 
portanza del  greco-romano,  onde  il  castello  non  temette  mai 
l'umile  bottega  e  permise  che  alla  lunga  diventasse  più  forte 
delle  sue  torri  merlate.  Se  qui  lo  scrittore  avesse  notato 
come  coloro ,  che  noi  diciamo  barbari  settentrionali ,  aveano 
bande  volontarie  di  ventura  ,  che  ordinate  a  repubblica  mi- 
litare venivano  assoldate  dagli  imperatori  romani ,  e  che  per 
tal  modo  mentre  si  educarono  romanamente ,  compirono  una 
occupazione ,  non  una  conquista  di  alcune  Provincie  romane 
per  cavarne  larghi  e  stabili  stipendi  o  tributi ,  avrebbe  tro- 
vato più  semplice  e  facile  la  fusione.  Quella  che  egli  e  molti 
altri  vantano  indipendenza  personale  germanica,  per  oppo- 
sizione alla  patria  urbana  greco-romana  ,  era  mobilità  mili- 
tare. Il  vassallo  nel  feudalismo  era  schiavo  quasi  del  signore 
non  legato  ad  una  patria  territoriale  ,  del  resto  era  libero. 
Cos'i  erano  le  bande  militari  barbariche.  La  libertà  loro  non 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  147 

era  urbana,  civile  ,  personale  ,  ma  militare  ;  libertà  apparente 
per  un  rispetto ,  semiservitù  con  omaggio  d'altra  parte. 

Ne  piacQ  vedere  nel  Perfetti  evitato  il  luogo  comune  che 
attribuisce  al  cristianesimo  l'abolizione  della  schiavitù ,  la 
nobilitazione  della  donna ,  lo  spiritualismo  della  vita.  11  pre- 
gio sommo  del  cristianesimo ,  egli  dice ,  è  di  avere  suscitata 
nell'uomo  una  coscienza  religiosa  e  morale  ,  che  non  si  è  po- 
tuta né  offuscare  ,  né  contentar  mai.  Nota  come  ne'  padri 
del  iv  secolo  non  trovasi  neppure  la  libertà  di  coscienza  in- 
vocata dai  cristiani  primitivi  ,  e  che  col  solo  fomento  del 
cristianesimo  bisantino  non  sarebbe  sorta  la  civiltà  moderna. 

È  giusta  la  di  lui  osservazione  che  Y  impero  romano  fu 
una  necessità,  che  anche  uomini  mediocri  l'avrebbero  potuto 
stabilire ,  onde  l'aristocrazia  repubblicana ,  ad  onta  di  tanti 
vizi  dell'  impero ,  di  immani  scelleratezze  di  pazzi  imperatori 
non  seppe  ristabilire  la  repubblica.  Durava  l' impero ,  come 
si  regge  il  papato  ,  indipendentemente  dalle  qualità  del  capo. 
L' impero  stette ,  perchè  si  andò  trasformando  da  civile 
in  militare  con  forme  repubblicane  dove  il  senato  controbi- 
lanciava la  milizia. 

Assai  bene  il  nostro  scrittore  ne  dipinge  il  contrasto  dei 
vaccari  a  cavallo  nella  Campagna  romana,  e  degli  agricoltori 
gentili  dell'Appennino.  I  pastori  discendenti  dagli  schiavi  man- 
dati col  bestiame  ,  quando  i  latifondi  romani  rovinarono  l'agri- 
coltura ,  i  castellani  avanzi  delle  antiche  popolazioni  libere. 
Questi  pastori  diventarono  gli  alleati  naturali  d'ogni  barbaro 
che  invadesse  l' Italia ,  aperta  facilmente  ad  ogni  audace  ar- 
mato. Perchè  vinte  le  poche  milizie  de'  dominanti ,  tutto  era 
aperto ,  come  poscia  accadde  alle  invasioni  de'  Saraceni  dal 
mezzodì. 

Come  i  barbari  giovaronsi  delle  arti  romane  ,  accolsero 
anche  il  cristianesimo ,  religione  più  ricca ,  e  taumaturga 
della  loro.  Ma  lo  accomodarono  alla  propria  indole;  onde, 
bene  osserva  l'autore,  non  comprende  la  storia  chi  crede  che 
il  cristianesimo  teologico  e  ascetico  fosse  quello  che  tanto 
potette  su  i  barbari. 

Nel  Perfetti  scevro  da  pregiudizi  tradizionali,  ne  spiace  il 
cenno  delle  indoli  speciali  de'  Germani ,  de'  popoli  Caucasei , 
quasi  sieno  qualità  innate,  fatali.  Invece  ci  compiaciamo  sen- 


148  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

tenclolo  porre  chiaramente  alcuni  quesiti  della  storia  d' Italia 
L'Italia,  egli  dice  ,  non  è  stata  mai  conquistata  che  col  fa- 
vore e  l'aiuto  degli  Italiani.  Perchè  ,  ciò  essendo ,  1'  Italia  non 
è  mai  pervenuta  a  discacciare  lo  straniero  mediante  la  pro- 
pria virtù?  La  storia  d'  Italia,  continua,  è  la  storia  di  una 
nazione  fiacca ,  infelice ,  incerta  del  suo  avvenire  anche  in 
mezzo  allo  splendore  di  una  meravigliosa  civiltà  ;  è  la  sto- 
ria d'una  nazione  che  non  sa  per  molti  secoli  né  deporre 
una  immortale  speranza,  né  reintegrarla  con  uno  sforzo  ener- 
gico, prolungato,  invincibile. 

Qui  lo  scrittore  mostrò  poca  severità  di  filosofia  storica. 
A  giudicare  V  Italia  antica  e  media  dall'attuale  non  si  coglie 
nel  vero.  Ci  accostammo  all'unità  politica  ed  esclusiva  na- 
zionale, ora  soltanto  che  ne  venne  meno  la  fede  nel  dogma 
del  diritto  divino.  L' Italia  ne'  secoli  passati  stimava  assai 
più  il  papato  e  l'impero  da  essa  creati,  e  che  abbracciavano 
o  doveano  abbracciare  l'intera  umanità,  e  radicati  a  Roma, 
che  il  piccolo  regno  a  quelli  subordinato  ,  anche  se  avesse 
potuto  comprendere  tutti  i  vernacoli  d' Italia.  Gli  Italiani 
praticamente  erano  repubblicani  federali  per  il  benessere  ,  per 
l'istinto  dello  sviluppo,  per  la  tradizione  della  città,  teori- 
camente aveano  piena  la  mente  dell'impero  e  del  papato  loro 
gloria  e  proprietà.  Non  miravano  quindi ,  né  potevano  ten- 
dere ad  altro  che  a  conciliare  le  repubbliche  coli'  impero  e 
col  papato.  Per  loro  le  signorie,  i  ducati ,  i  regni  erano  ne- 
cessità passeggiere  ,  presupponevano  la  repubblica,  mantenuta 
in  germe  ne' Comuni.  Ora  che  la  teoria  del  papato  e  dell'im- 
pero è  spenta ,  non  cessò  quella  delle  città  federali ,  che  esi- 
steva pria  dell'  Impero  e  del  cristianesimo. 

Il  Perfetti  incomincia  la  storia  moderna  d'Italia  dall'inva- 
sione de'  Longobardi  nel  sesto  secolo ,  quando  la  popolazione 
di  questa  nazione  era  ridotta  a  circa  quattro  milioni ,  e  la 
desolazione  era  al  massimo  grado.  Pi  que' quattro  milioni, 
solo  un  ventesimo,  o  duecentomila,  stima  potersi  dire  indigeni 
allora.  I  Longobardi  predominarono  solo  nell'  Italia  setten- 
trionale ,  come  poscia  i  Normanni  solo  nella  meridionale  ,  e 
questo  fatto  s'aggiunse  agli  antecedenti  per  alimentare  le  di- 
visioni d'Italia  fuori  delle  idee  dell'impero  e  del  papato.  Il 
popolo  industriale  e  commerciale  d!  Italia  praticamente  man- 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  149 

teneva  intime  casalinghe  corrispondenze  che  riassumevansi 
da  Venezia,  ma  queste  non  sono  abbastanza  studiate  ancora.  Il 
Perfetti  quantunque  abbia  cognizione  della  storia  del  Romanin, 
non  potè  avvertirle.  Se  la  Sicilia  e  Napoli  non  si  commossero 
alla  grande  lega  lombarda,  se  la  valle  del  Po  non  si  risenti 
ai  Vespri  siciliani ,  Venezia  si  occupò  d'ambedue,  e  fece  giu- 
sta stima  della  Costituente  italiana  che  Cola  nel  1347  in 
momento  felice  vagheggiò. 

Ne  pare  che  lo  scrittore  abbia  esagerato  l'isolamento  dei 
Longobardi  in  Italia,  né  stimato  l'aldionafo  quanto  conveni- 
va. Per  l'aldionato  i  Longobardi  in  Italia  rintegravano  le  file 
loro  di  indigeni,  di  nobili  romani,  si  associavano  le  arti,  le 
lettere  ed  anche  il  clero.  Ma  non  avendo  dato  al  clero  pri- 
vilegi, come  fecero  i  Franchi,  ebbero  ostile  sempre  il  papato. 

Il  Perfetti  seppe  penetrare  nello  spirito  della  storia  repub- 
blicana del  medio  evo  d'Italia,  che  descrisse  quindi  amoro- 
samente. Nel  mare,  egli  dice,  si  ribattezzò  la  nostra  virtù,  e 
veleggiammo  a' commerci  insino  allora  intentati,  e  pene- 
trammo in  terre  dove  non  avea  messo  piede  il  legionario.  Il 
tipo  del  mercante  nelle  fitte  tenebre  della  barbarie  non  fu  tra 
noi  il  povero  israelita  taglieggiato  e  schernito,  ma  il  Vene- 
ziano e  l'Amalfitano  col  suo  berretto  rosso,  la  sua  spada  aguzza. 
Essi  come  quelli  delle  città  ionie  nell'  impero  persiano,  erano 
i  più  valenti  uomini  di  guerra  e  di  consiglio  che  avesse  l'au- 
tocrate di  Costantinopoli.  La  più  gloriosa  epoca  di  Napoli,  di 
Gaeta,  di  Amalfi  è  in  que'  tempi  pur  troppo  coperti  di  oscurità; 
ma  l'oscurità  della  storia  non  può  nasconderci  che  quella  terra 
molle,  lieta  e  dilettosa,  può  educare,  e  ha  educato  animi 
fermi  ed  invitti. 

Per  la  libertà  che  gli  è  sì  cara,  il  nostro  scrittore  approva 
l'opposizione  di  Roma  ai  Longobardi  ;  ma  si  duole  della  chia- 
mata de' Franchi,  ed  allude  pure  all'ultimo  riscatto  del  Veneto. 
Sebbene  corrano  naturali  le  correlazioni  ch'egli  accenna  nella 
stoi-ia  d' Italia  del  medio  evo  a'  fatti  politici  che  ancora  ci 
commuovono ,  i  paragoni  minacciano  di  scemare  gravità  alla 
filosofia  della  storia,  e  di  farla  servire  a  partiti,  onde  sta 
bene  evitarli ,  quando  non  si  studiino  serie  continue  come  fa 
il  Ferrari. 


150  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

Ne' rispetti  de' Longobardi  e  degli  Italiani  commisti,  il  Per- 
fetti lascia  desiderare  studii  più  sottili,  e  l'esame  degli  ultimi 
lavori  che  ne  trattarono.  Dopo  aver  detto  che  i  Longobardi 
si  stabilirono  alla  campagna,  seguendo  le  abitudini  loro,  a 
pag.  55  scrive  che  i  duci  ,  i  conti ,  i  gastaldioni  con  le  loro 
fané  (volea  dir  fare)  si  annidano  nelle  città.  Nel  setten- 
trione d'Italia,  sede  propria  de' Longobardi ,  essi  non  ebbero 
conti ,  introduzione  franca.  Ne  piace  che  abbia  notato  come 
nelle  cittaduzze  alpestri  somiglianti  a  villaggi  è  più  antica  la 
vita  libera  e  l' istituzione  de' consolati.  Vorremmo  che  la  storia 
intima  de' Comuni  rurali  fosse  meglio  studiata,  perchè  anche 
i  profondi  studi  germanici  andarono  contenti  agli  archivi 
delle  città. 

Dal  documento  scoperto  alla  Cava,  che  mostra  come  già 
nel  dominio  longobardo  i  mercanti  diventarono  militi ,  argo- 
menta che  la  trasformazione  nella  eguaglianza  e  nella  demo- 
crazia moderna  seguiva  senza  1'  intervento  de'  Franchi.  Ma 
pure  si  lascia  andare  al  luogo  comune  della  necessità  che 
mediante  i  barbari  s' innovasse  e  purificasse  l'elemento  latino. 
Specialmente  pel  fatto  che  Venezia  non  concepì  mai  un  sistema 
di  guarantigie  a  profitto  dell'  individuo,  un  limite  alla  potenza 
dello  stato. 

Per  l'Italia  e  per  la  civiltà  sarebbe  stato  meglio  che  le 
altre  città  italiane  marinare  avessero  somigliato  Venezia,  la 
quale  cinta  da  mille  pericoli  dovette ,  come  gli  stati  nelle 
guerre  grosse ,  accentrare  molta  forza  nel  governo  onde  sal- 
vare e  prosperare  i  cittadini.  Se  Venezia  non  ebbe  mai  feudi, 
né  Guelfi,  né  Ghibellini,  né  torri  interne,  né  baroni,  né  conti, 
non  è  da  riprendere,  ma  da  lodarsi,  perchè  di  tal  guisa  ebbe 
salvi  i  cittadini  da  molte  violenze  ,  godette  molte  maggiori 
libertà  civili.  Se  non  era  la  congiura  di  Cambrais,  Venezia  tra- 
sformava l'Italia;  e  le  sue  intime  e  continue  relazioni  coi 
popoli  italiani  aspiranti  a  libertà,  cogli  Inglesi  ed  Olandesi 
riformatori,  derivavano  da  fatti  ed  aspirazioni  molto  liberali. 
In  Venezia  1'  individuo  era  garantito  contro  l'arbitrio  del  go- 
verno; e,  quantunque  Venezia  avesse  sembianza  delle  antiche 
città,  la  di  lei  nobiltà  senatoria  andava  sempre  rintegrandosi 
anche  colla  infusione   di  famiglie    delle    provincie.    Se    nelle 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  151 

strette  di  Cambrais  ebbe  il  coraggio  di  sciogliere  i  sudditi 
dall'obbedienza  ;  alla  valanga  della  rivoluzione  francese  della 
fine  del  secolo  scorso  stava  per  trasformarsi  democraticamente 
se  il  tradimento  di  Bonaparte  non  le  rapiva  i  mezzi.  Queste 
lievi  dissonanze  nostre  dai  concetti  del  Perfetti  son  giustifi- 
cate dai  nostri  lavori  sui  Feudi  ed  i  Comuni  nella  Lombar- 
dia, e  dal  nostro  discorso  Venezia  nella  storia  d'Italia,  pub- 
blicato l'anno  scorso  negli  Atti  dell'  Istituto  Lombardo. 

Il  Perfetti  s'aggira  molto  sagacemente  tra  l' intreccio  delle 
consuetudini  e  dei  diritti  feudali  e  statutari,  e  commerciali  ed 
industriali  de'Comuni  e  degli  stati  nostri  nel  medio  evo,  col 
terzo  discorso.  Non  stimiamo  precisa  la  di  lui  sentenza ,  che 
la  libertà  delle  repubbliche  italiane  derivasse  dal  fatto  della 
lontananza  del  principe  naturale.  Venezia  teoricamente  rico- 
nosceva l' impero  così  che  anche  nell'auge  suo  ,  nel  secolo  xv, 
chiese  investitura  della  Terra  Ferma  all'  imperatore  Sigi- 
smondo. Ma  quando  i  principi  naturali  erano  in  Italia,  e  ten- 
tarono esercitare  nei  dominii  loro  autorità  di  fatto,  essi  la 
respingevano.  Nei  popoli  italiani  le  tradizioni  repubblicane 
erano  profonde ,  era  istinto  quasi  la  libertà  repubblicana. 
L'impero,  il  papato,  il  regno  erano  sovrapposizioni  o  straniere, 
o  non  radicate.  11  diritto  divino  qui  era  più  affare  di  dotti 
che  di  popolo.  Il  nostro  A.  medica  quella  esagerazione  con 
questa  sottile  osservazione,  che  l'Europa  sarebbe  ancora  nel 
medio  evo  se  gì'  Italiani  non  fossero  stati  primi  a  proclamare 
la  superiorità  degli  elementi  industriali  sui  guerreschi  nel 
governo  della  società. 

La  parte  che  fa  il  professore  alle  corporazioni  delle  arti 
nella  storia  d' Italia  del  medio-evo  ,  è  molto  importante.  Ma 
non  vuol  essere  usurpata  ad  esclusivo  privilegio  nostro.  La 
storia  delle  Anze  settentrionali ,  di  Ragusi  ,  di  Marsiglia ,  di 
Barcellona  ,  delle  isole  dell'  Egeo  ,  dimostra  che  circostanze 
simili  poterono  anche  altrove  svolgere  germi  di  libertà  e  di 
vita  industriale  e  commerciale,  come  nelle  antiche  lepubbliche 
greche.  Col  progresso  ideale  che  nel  medio-evo  il  mercante 
e  l'industriante  libero  non  si  stimava  nella  nobiltà  soverchiato 
dal  milite.  E  giacché  il  Perfetti  è  tanto  amoroso  delle  libertà 
storiche  italiane  e  tanto  sagace  a  distinguere  le  azioni  e  rea- 
zioni delle  gilde,  delle  compagnie,  dell'impero,    del  papato, 


152  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

de'  feudi ,  si  vorrebbe  più  familiare  dell'  intricata  e  solinga 
storia  di  Venezia,  ne' cui  archivi  non  troverebbe  cose  paurose 
come  potè  avergli  fatto  credere  Daru  ,  ma  documenti  preziosi 
di  giustizia,  mentre  tutto  intorno,  anche  nelle  democrazie, 
era  violenza.  Vi  rinverrebbe  che  anche  la  morte  tragica  del 
Carmagnola  fu  giusta,  che  seguì  colle  forme  legali,  e  che 
apparve  necessaria  a  salvare  la  libertà.  Per  la  giustizia  ne' di- 
scordi elementi  le  altre  città  d'Italia  nei  secoli  xn,  xiii 
e  xiv  ricorsero  al  podestà  forestiere ,  Venezia  non  ne  ebbe 
duopo,  perchè  in  essa  valevano  più  le  leggi  scritte. 

Bella  è  l'osservazione  del  nostro  scrittore  che  in  Firenze 
repubblica  la  costituzione  è  fondata  sul  lavoro ,  ed  a  propo- 
sito cita  un  brano  del  Dialogo  V  di  Brucioli  ove  Falerio 
nel  1520  pone  la  mercatura  sopra  ogni  elemento  sociale  d'una 
repubblica  bene  ordinata.  Ma  poi  il  Perfetti  non  attribuisce 
quanto  dovea,  alle  repubbliche  favore  all'agricoltura.  Non 
ricorda  le  molte  disposizioni  statutarie  per  quella ,  le  eman- 
cipazioni di  servi  del  secolo  xiii  ,  le  ripartizioni  di  fondi  co- 
munali perchè  si  coltivassero  a  mezzadria ,  le  aperture  di 
canali  con  denari  pubblici  per  le  irrigazioni ,  onde  da  Bologna, 
la  dotta  ed  industre  e  libera ,  nel  1300 ,  esci  quel  Crescenzio 
che  scrisse  la  bibbia  cristiana  d'agricoltura  del  medio-evo. 

Nota  come  1'  antagonismo  industriale  e  commerciale  non 
permetteva  alle  città  italiane  di  serbare  quella  pace  alla  quale 
sembravano  disposte  per  la  prevalenza  loro  delle  arti.  Ma  tra 
le  guerre  di  gelosia  e  di  gara  andarono  componendo  ordini 
di  pace,  di  solidarietà,  quali  i  banchi,  i  consolati  di  mare, 
le  convenzioni,  le  leghe  mercantili ,  le  leggi  marittime.  È  vero 
poi  ciò  che  egli  ben  nota ,  che  la  repubblica  era  fatta  per  la 
bottega ,  che  il  potere  politico  era  un  monopolio. 

Gli  avvenimenti  delle  repubbliche  nostre  gli  ingenerano 
anche  concetti  peregrini  intorno  ai  genii  che  quasi  le  rias- 
sunsero. «  Il  Sarpi ,  egli  scrive ,  è  il  primo  tra  noi  che  abbia 
«  scorto  chiaramente  il  bisogno  dell'Italia  di  mescolarsi,  nella 
«  vita  scientifica  e  morale,  al  moto  delle  altre  nazioni  d'  Eu- 
«  ropa.  L'uomo  grande  è  necessariamente  più  grande  della 
«  sua  patria,  si  eleva  in  una  più  alta  regione,  studia  prò- 
«  blemi  sociali  che  il  volgo  non  sospetta  neppure  :  impara 
«.pertanto  a  vivere  una  doppia  vita;  la  vita  esterna  è  con- 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  153 

«  forme  ai  casi  e  alle  circostanze ,  l' interna  è  libera  e 
«  sublime.  Nella  vita  esterna  Dante  è  un  provigionato 
«  de' Polenta,  Petrarca  un  cortigiano  de'  Visconti ,  Lorenzo 
«  de' Medici  un  caporione  di  parte,  Guicciardini  ufficiale  del 
«  Papa  ;  e  ne'  tempi  posteriori  il  Boccalini  è  il  governatore 
«  pontificio  di  Civita  Castellana  ,  e  Vico  uno  scrittore  di  storie 
«  mendaci.  Ciò  che  il  mondo  voleva  da  loro  era  la  più  pic- 
«  cola  dramma  della  loro  immensa  ricchezza  ». 

Viene  mostrando  come  gli  ordinamenti  delle  repubbliche 
traevano  alla  Signoria;  ma  questa,  come  bene  mostra  il  Fer- 
rari, viene  più  dalla  natura  e  commistione  degli  elementi  storici 
che  dalla  prudenza  umana,  la  quale  ove  potè  esercitarsi  li- 
bera ,  come  a  Venezia ,  evita  sempre  la  Signoria.  La  quale  , 
come  bene  nota  il  Perfetti ,  non  era  fondata  sul  diritto  ma 
sugli  interessi ,  onde  abbandonata  dalla  fortuna  era  disertata 
anche  dal  popolo.  Perchè  l' indole  instinti vamente  repubbli- 
cana degli  Italiani  non  li  lascia  ubbidire  di  buona  voglia  che 
a  quelle  leggi  e  a  quegli  ordini  che  abbiano  fatto  essi  stessi. 
E  la  forma  spontanea  della  costituzione  politica  dell'  Italia  è 
la  città  reggentesi  a  popolo  ,  mentre  l'andamento  della  civiltà 
europea  necessita  lo  stato  nazionale  (Dis.  VI). 

Per  soddisfare  al  proposito  nostro  di  mostrare  lo  spirito 
di  questo  studio  storico  del  Perfetti  non  ne  occorre  d' indu- 
giarci ne'  di  lui  Discorsi  quarto  e  quinto  dove  dice  del  papato 
e  del  secolo  xvi.  Dove  è  più  narrazione  che  riassunto  filoso- 
fico. Quindi  oltrepassandoli  ci  troviamo  con  lui  alla  Rivolu- 
zione, argomento  del  Discorso  sesto  chiudente  il  libro. 

Le  rivoluzioni  in  Italia,  egli  scrive,  incontrano  grande 
ostacolo  nel  clero  ,  il  quale  ha  un  sistema  intero  di  scienza 
sociale  fondato  su  i  due  punti  della  infallibilità  della  Chiesa, 
e  della  perversione  dell'uomo  ,  così  intima  che  la  sua  ra- 
gione si  contamina  di  superbia  per  poco  che  in  sé  stessa 
confidi.  Qui  il  governo  mercanteggia  col  clero  ,  perchè  bisogna 
che  un  popolo  sia  religioso  ,  come  bisogna  che  sia  industrioso. 
Onde  coloro,  dice  il  Perfetti,  che  specularono  ne' secoli  passati 
in  Italia  sulle  riforme  sociali,  come  il  Campanella,  il  Borro, 
il  Radicati ,  il  Pilati ,  cominciavano  dalla  religione  ;  e  non 
riuscirono    a  fare  rivoluzione    d'importanza   che    que'  popoli 

Akch.  St.  Itu..,  3."  Serie,  T.  X  ,  P.  I.  20 


154  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

dove  per  qualche  circostanza  speciale  il  clero  era  anch'  esso 
rivoluzionario  ,  come  nella  Corsica. 

Il  Perfetti  che  pare  tanto  radicale  e  mondano,  pure  stu- 
diando e  meditando  solingo  presso  le  pendici  d'Assisi ,  sentì 
la  corrente  mistica  del  Serafico.  Sui  rapporti  del  cristianesimo 
colla  società  e  coll'uomo ,  scrive  inspirati  e  sublimi  pensieri. 
Ma  dovrà  come  molte  altre  candide  anime  vedere  frustrate 
avanti  al  Sillabo ,  le  sue  fervide  aspirazioni  di  conciliare  il 
cattolicesimo  col  razionalismo,  di  separare  l'azione  dalla 
dottrina.  Quando  potremo  cessare  di  parlare  e  trattare  di  re- 
ligione nella  politica ,  quando  la  religione  sarà  diventata 
come  la  filosofìa  ,  l'estetica ,  la  poesia ,  avremo  compito  la 
rivoluzione  più  notevole  in  Italia. 

L' italiano  ,  dice  il  nostro  autore,  è  più  rivoluzionario  nella 
mano  che  nella  testa ,  e  ripete  istintivamente  :  Cosa  fatta 
capo  ha ,  e  l'altro  suo  proverbio  :  Per  la  strada  si  aggiusta  la 
soma.  Lamenta  che  alla  fine  del  secolo  scorso  gli  Italiani 
avanti  i  Francesi  sieno  stati  profondamente  divisi,  e  nota 
come  avrebbero  dovuto  nobili  e  plebe  cominciare  dallo  giu- 
rare il  Comune,  seguendo  le  vecchie  tradizioni  delle  città 
Lombarde.  Seguitando  egli  la  storia  ideale  delle  rivoluzioni 
del  secolo  scorso  e  del  presente,  mostra  la  necessità  addofta 
dal  moto  di  scomparire  le  vecchie  barriere,  di  formarsi 
grandi  agglomerazioni.  I  governi ,  egli  dice  ,  sono  opifici  che 
seguitano  la  legge  delle  altre  industrie  ,  e  gli  statucoli  sono 
come  le  botteguzze  che  si  chiudono  quando  si  fabbrica 
all'  ingrosso. 

Secondo  le  larghe  idee  di  lui ,  noi  ora  non  abbiamo  fatto 
la  rivoluzione  :  ma  solo  acquistato  libertà  e  mezzi  per  farla. 
Lamenta  che  sappiamo  fare  sette  ,  non  parti  delle  quali  per- 
demmo l'abitudine  dalla  caduta  della  repubblica  romana. 
Vorrebbe  che  fosse  aumentata  la  dignità  e  l'autorità  del  Se- 
nato come  era  nella  repubblica  veneta ,  che  invece  fossero 
date  libertà  maggiori  ai  Municipi ,  alle  associazioni  private  , 
che  il  popolo  fosse  stimolato  ne'suoi  sentimenti  artistici , 
perchè  dice  :  non  sono  che  le  Muse  ,  che  possano  spoltrirci. 
Ma  pure  giunto  alla  fine,  questo  filosofo  della  storia,  e 
stretto  dalla  necessità  di  concludere  a  consigli  di  pratica  ap- 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  155 

plieazione,  si  rifugia  nella  antica  sentenza  fata  viam  inve- 
nient ,  confessando  implicitamente  che  la  storia  d'Italia  è 
più  intrecciata  che  non  gli  pareva  da  prima,  e  che  la  filosofìa 
della  storia  è  molto  ardua  e  lontana  dal  metodo  e  dalla 
certezza  della  scienza.  Gabriele  Rosa. 


Una  memoria  di  Riccardo  da  Camino;  documento  del  1303, 
pubblicato  e  illustrato  dal  doti.  Pietro  Vianello  ,  Vice- 
conservato?^  dell'  Archivio  notarile  in  Treviso.  -  Tre- 
viso,  1869.  ' 

Il  sig.  Vianello  ,  che  dianzi  con  cura  ingegnosa,  rara  negli 
eruditi,  e  con  intendimenti  di  civile  moralità,  ancor  più  rari, 
offriva  intorno  all'archivio  di  Treviso  notizie  importanti  alla 
storia  di  più  che  una  regione  d'Italia,  e  porgeva  l'esempio 
de'molti  e  benefici  lavori  che  in  tutti  gli  archivi  sarebbero 
da  iniziare;  illustra  qui  un  documento  anch'esso  e  importante 
alla  storia  e  di  civile  moralità.  Nel  principio  del  trecento, 
di  quel  secolo  che,  portando  maturi  alcuni  frutti  dell'italiana 
grandezza,  mostra  già  svolti  germi  pur  troppi  delle  disgra- 
zie italiane  ,  Bonincontro  d'Arpo  ,  stipendiato  in  Treviso  dal 
Parlamento  per  insegnatore  delle  leggi  e  consigliere  al  Comu- 
ne ,  uomo  guelfo  autorevole  ,  il  quale  s'era  insin  dal  1283 
adoprato  che  a  Gherardo  da  Camino  toccasse  la  signoria , 
non  saprei  dire  se  riconoscesse  un  gastigo  de'suoi  maneggi 
nel  dolore  e  nel  disonore  venutogli  da  un  Andrea  suo  figliuolo; 
il  quale  ,  messi  gli  occhi  sopra  una  Agnese  moglie  di  Guido- 
ne notaio,  figlio  d'Iacopo  orefice,  messe  una  notte  le  scale 
alla  casa  del  marito  ,  sforzando  una  finestra ,  entrava  con 
suoi  compagni  e  con  armi  proibite ,  e  n'era  respinto  non 
senza  rumore  ,  coni'  è  da  credere  ,  e  non  senza  che  si  divul- 
gasse la  trista  fama,  in  maniera  che  la  potestà  non  l'avrebbe, 
volendo,  potuta  dissimulare;  né  è  a  sospettare  che  lo  volesse. 
Fu  condannato  in  lire  mille  di  piccioli ,  eh'  è  ventimila  a  un 
dipressso  delle  lire  odierne  ;  cinque  volte  cioè  più  della  pena 
dallo  statuto  ordinata  a  chi  entrasse  per  forza  nell'altrui  casa 
di  notte  :  e  ciò  dimostra  come  intendessesi  di  punire ,  oltre 
alla  violazione    della  proprietà  privata ,  l' insulto  tentato  al 


156  RASSEGNA    l'I    LIOGRAFICA 

pubblico  costume ,  al  pubblico  onore.  Se  furore  di  mente  più 
che  passione  d'animo  muoveva  quell'atto  ,  non  è  da  sconoscere 
in  esso  una  prova  di  costumi  volgenti  a  depravazione  ;  giacché 
alla  scalata  costui  conduceva  altri  compagni ,  e  non  satelliti 
servi,  se  un  di  coloro  fu  altresì  condannato  in  mille  lire  di 
piccioli.  Montavano  armati  di  tutto  punto,  spade  ,  rotelle, 
lance ,  cervelliere,  gorgiere  e  panzìere  et  celerà  ;  aspet- 
tandosi d'averne  qualcuno  forato  il  corpo  e  spaccato  il  cer- 
vello, dal  notaio  marito:  essendoché  di  quel  tempo  i  notai 
fossero  uomini  di  penna  e  di  spada  ;  e  tanto  autorevoli  per 
più  rispetti,  che  non  a  caso  in  Toscana  rimane  loro  il  titolo 
di  messere ,  perduto  dagli  avvocati  e  dai  Santi.  Che  ci  mon- 
tassero pensate  et  malo  animo ,  lo  credette  non  solamente 
il  marito,  ma  Agnese,  che  non  era  un' Elena  ne  una  Cuniz- 
za,  e  tutta  la  città  di  Treviso.  Pensatamente  in  mal  senso 
abbiamo  in  Giovanni  Villani,  e  in  Matteo  caso  appensato , 
e  in  un  altro  di  quel  secolo  appensatamente  peccare;  né  pri- 
ma del  Segni  troviamo  il  moderno  premeditato  ;  parola  assai 
favorevole  agli  accusati ,  come  l'altra  concede  troppo  agli 
accusatori;  giacché,  se  diffìcile  provare  la  meditazione  in 
uomini  per  lo  più  al  meditare  non  usi,  troppo  facile  è  sospet- 
tare i  pensieri.  Le  parole  de  nocte  circha  primum  sonum , 
non  so  se  abbiano  a  intendersi  il  suono  della  prima  vigilia, 
o  il  primo  sonno,  scritta  la  parola  come  i  Veneti  sogliono 
pronunziarla.  Passati  non  so  quanti  anni  (qui  dice  de  annis 
preteritis),  quando  il  reo,  o  non  potendo  la  somma  o  piutto- 
sto volendo  sottrarre  sé  e  il  padre  alla  vergogna ,  per  avere 
abbandonata  la  città,  era  scritto  nel  novero  de' fuor  banditi, 
la  mediazione  autorevole  d'esso  padre  non  tanto  presso  la 
potestà  del  paese  quanto  presso  il  marito  collega  notaio ,  e 
la  prudente  generosità  dell'offeso  che,  levando  la  pena,  inten- 
deva anco  toglier  di  mezzo  la  memoria  d'uno  scandalo  ,  dap- 
poiché l'onore  della  sua  donna  e  suo  n'era  illeso,  conciliarono 
il  patto  di  pace ,  la  quale  fu  solennemente  rogata  per  man  di 
notaio  ,  Ricciardo  da  Camino  presente  e  ordinante.  Belle  qui 
le  parole  del  sig.  Vianello,  degno  successore  nell'ufflco  e 
degno  interprete  di  que' notai  del  trecento:  «  Tali  in  quei 
«  tempi  i  costumi.  Continue  le  discordie ,  le  violenze ,  le  ven- 
«  dette ,  le  rappresaglie ,  concesse  fin  anche  dalle  leggi  ;  ma 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  157 

«  frequenti  pure  le  conciliazioni,  le  paci,  e,  germe  fecondo 
«  di  virtù  civili ,  il  perdono  ». 

Come  la  galanteria  d'oltralpe  si  fosse  segnatamente  nel 
Trivigiano  diffusa  ancora  più  che  a'dì  nostri ,  troppe  memo- 
rie ne  abbiamo;  né  la  più  insigne  prova  ne  è  quella  Cunizza 
della  qual  dice  un  anonimo  comentatore  di  Dante  :  Vìsse 
a  morosamente  in  vestire,  canto  e  gioco;  ma  non  in  alcuna 
Oisonestade  consentì;  e  io ,  al  lume  di  questa  benigna  testi- 
monianza, non  ^'leggere  troppo  in  nero  quel  verso  di  Dante 
stesso  :  Mi  vinse  il  lume  d'està  stella  ,  contuttoché  mi  ram- 
menti un  punto  fu  quel  che  ci  vinse,  e  nel  duol  sì  vinta, 
e  sarei  ben  vinto ,  laddove  dice  che ,  stanco  del  montare , 
non  poteva  più  oltre.  Il  pover  uomo,  facendo  dire  a  Cunizza 
Lietamente  a  me  medesma  indulgo,  forse  mestamente  in- 
dulgeva a  se  stesso,  sperando  nel  piangere  che  faceva  spesso 
le  site  peccata  e  percuotersi  il  petto;  ma  pure  aspettandosi 
qualche  botta  eli  quelle  fiamme  purganti  sì  che  sarebbe  stato 
un  prendere  il  fresco  gettarsi  in  una  fornace  di  vetro  che 
bolle.  Queste  cose  non  si  rammentano  dagli  ammiratori  di 
Dante  paterino  e  incredulo;  ma  appunto  per  questo  le  ram- 
mento io. 

Di  Gaia,  la  figlia  del  buon  Gherardo  da  Camino,  se  Dante 
ne  accenni  con  lode  o  con  ironia,  non  è  chiaro:  ma,  se  chia- 
ra mi  pare  l' ironia  di  Bonturo  lucchese ,  altrimenti  intesa 
dal  buon  Lucchesini  ;  questa  di  Gaia  io  amerei  ,  contro  l'opi- 
nione del  Foscolo ,  che  fosse  lode  ,  né  la  metterei  con  Cian- 
ghella.  Più  importante  a  notarsi  mi  pare  che,  a  proposito  ap- 
punto di  questo  Trivigiano ,  il  Poeta  condanni  il  secolo  sel- 
vaggio ;  la  qual  parola  è  da  intendere  in  senso  morale  più 
che  civile ,  come  la  %>ay*te  selvaggia  là  nell'  inferno  ;  come  il 
bel  fiume  d'Arno  è  fiero  fiume  ;  come  Firenze  è  barbagia 
peggio  che  Sardegna ,  non  per  la  salvatichezza  feroce,  ma  per 
il  contrario  vizio  de'costumi ,  onde  Monte  Mario  è  vinto 
dall' Uccellatolo  nelle  prove  che  dà  di  sua  turpe  potenza 
Sardanapàlo.  I  selvaggi  qui  sono  la  gente  nuova ,  non  tanto 
perchè  nuova  del  governare  (come  altrove  è  detto  selvaggia 
per  inesperta  d'un  luogo),  quanto  perchè  moralmente  inci- 
vile, cruda  al  dovere,  appunto  come  de'Veneti  dice.  Un  de'suoi 
tocchi  più   fieri  è  laddove    accennando  la  diffalta   (  il  tradi- 


158  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

mento  d'un  tiranno  fello  micidiale  nell'inferno  chiamasi  fallo; 
e  rammenta  quel  che  fu  detto  del  Duca  d'Enghien  ucciso 
dal  Buonaparte  :  C est  plus  qu'un  crime  ,  d'est  ime  faide), 
la  diffalta  sconcia  {sconcia  nell'inferno  la  gente  deforme 
d'idropisia  tormentosa  e  di  scabbia),  la  diffalta  <\e\V  empio 
pastore  (empio  il  popolo  nell'inferno,  che  avventa  contro 
gli  esuli  fratelli  decreti  di  morte  )  ;  del  prete  cortese  che  fa 
versare  sangue  per  mostrarsi  diparte  (ma  anco  i  Ghibellini 
appropriano  in  parte  quel  che  avrebbe  a  essere  segno  di 
amore  e  concordia,  e  ogni  villano  parteggiale  è  un  Marcello); 
conclude  :  E  cotai  doni  Conformi  fieno  al  vìver  del  paese* 
ironia  più  amara  che  quella  di  Mezenzio,  il  quale  ha  già  nella 
coscienza  la  morte  :  desine ,  jam  venio  morilurus ,  et  haec 
Ubi  porto  Dona  prius.  Ma  forse  i  molli  costumi  hanno  al  Ve- 
neto meritati  crudi  tiranni. 

Di  Ricciardo  da  Camino  il  Poeta  vaticinava:  Tal  signo- 
reggia e  va  con  la  testa  alta*  Che  già  per  lui  carpir  si  fa 
la  ragna;  che  rammenta  il  leone  con  la  testa  alta  e  con  rab- 
biosa fame ,  e  quello  del  Salmo:  Sicut  leo  in  spelunca  sua.... 
in  laaueo  suo  humiliabit  eum;  inclinabit  se  et  cadet  cuum 
dominatus  fuerit  pauperum.  Ma  quel  verso  dimostra ,  contro 
l'opinione  di  qualche  storico  del  Trivigiano  ,  che  Ricciardo  era 
già  sin  dal  trecento  capitan  generale.  Se  il  padre  ,  per  com- 
pensarlo di  quel  che  gli  tolse  nel  testamento,  lo  facesse  eleg- 
gere capitano ,  sarebbe  da  conoscere  meglio  ;  ma  fatto  è  che 
il  padre ,  il  quale  reggeva  da  circa  diciotto  anni ,  gli  lascia 
l'eredità  del  Governo;  onde  non  è  sola  la  storia  de'Medici 
che  dimostri  come  le  repubbliche  invochino  volentieri  un  pa- 
drone a  medicatore  delle  volontarie  piaghe  loro.  Notabili  però 
le  parole  :  Ex  vigore  sui  arbitrii  generalis  *  et  ex  balya 
sibi  data  et  concessa  a  magnifico  viro  Domino  Gerardo  de 
Camino  eius  yalre ,  et  per  Comune  et  homines  civitatis 
Tarvisii,  precepit....  Al  precettare  che  fa  questo  Ricciardo , 
si  dà  per  titolo  primieramente  il  vigore  di  quell'arbitrio  che 
viene  dal  titolo,  poi  la  balìa  datagli  e  conceduta  dal  padre 
fcome  se  arbitro  delle  sorti  d'un  popolo ),  da  ultimo  il  con- 
sentimento del  Comune  e  degli  uomini  della  città  di  Treviso: 
i  quali  uomini  qualche  cosa  pur  tuttavia  rimangono  nel  Co- 
mune ;  il    Comune    qualche    cosa  rimane   rimpetto  alla  testa 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  159 

alta  che  ne  ha  l'arbitrio  generale.  Ma  il  marcio  sta  nelle  pa- 
role seguenti  :  Et  hoc  de  gratta  speciali  facta  per  dictum 
dominimi  Rìzzardum  dicto  domino  Bonincontro.  Non  serve 
che  l'offeso  marito  stenda  la  mano  in  segno  di  pace  ,  non 
serve  che  gli  uomini  di  Treviso  rimettano  all'offensore  la 
pena,  non  serve  che  l'autorità  del  Comune  con  atto  pubblico 
di  clemenza  soddisfaccia  alla  giustizia  più  pienamente  che  la 
giustizia  non  farebbe  da  sé  ;  bisogna  che  il  Capitan  generale 
faccia  pompa  insieme  di  potestà  e  di  bontà,  arroghi  a  sé  il 
merito  e  la  facoltà  del  perdono  ,  e  lo  conceda  al  padre  dell'of- 
fensore come  una  grazia  speciale  (  in  grazia ,  al  certo , 
de'  servigi  politici  dal  padre  della  testa  matta  già  resi  al  pa- 
dre della  testa  alta);  cioè  a  dire  che,  nell' esercitar  la  giu- 
stizia ,  la  oltraggi. 

Perì  costui  per  la  mano  chi  dice  d'un  buffone ,  e  chi  d'un 
villano,  ma  per  congiura  di  gentiluomini;  e  l'uccisore  fu  fatto 
in  brani,  non  sai  se  per  ira  di  moltitudine,  come  nella  con- 
giura de' Pazzi,  se  per  opera  de'congiurati  stessi,  come  a 
Quirino  squartato  e  deificato.  Ma  dal  verso  di  Dante  parrebbe 
che  sin  dal  trecento  cospirassero  i  gentiluomini ,  sempre 
avversi  alla  Signoria  d'un  solo,  per  questo  appunto  dal  popolo 
fomentata  e  voluta.  Che  lo  Scaligero  nell'omicidio  intingesse, 
com'altri  vuole ,  non  lo  poteva  credere  l'Allighieri  ;  il  qual 
forse  aveva  a  Verona  veduto  Gherardo.  Ma  egli  per  certo  si 
compiaceva  nelle  rotte  che  dallo  Scaligero  toccò  il  Carrarese, 
sebbene  alla  turba  Che  'ragliamento  e  Adice  richiude  desi- 
derasse che  le  battiture  le  apportino  penitenza.  Certamente 
il  trovarsi  ai  servigi  dello  Scaligero  il  vincitore  di  Monteca- 
tini, doveva  confermare  le  speranze  di  Dante  nel  ghibelline- 
simo  vincitore;  ma  di  quelle  speranze  Uguccione  era  parte, 
lo  Scaligero  stesso  era  mezzo ,  il  fine  più  alto  nell'animo  e 
nella  fantasia  del  Poeta. 

Sul  verso  E  sua  nazion  sarà  tra  feltro  e  feltro ,  come  su 
quel  d'Ugolino  Più  che  il  dolor  potè  7  digiuno,  si  fece  un 
gran  rodere,  e  anche  un  po'  mordicchiarsi;  ma  io  sto  per  Cane 
tuttavia,  e  intendo  qui  sua  nazione  per  nazione  ghibellina, 
sebbene  il  più  frequente  antico  senso  di  quella  voce  sia  nascVa. 
Se  intendesse  del  luogo  natale  o  della  generazione,  non  di- 
rebbe sarà  ,  giacché  nel  trecento  né  Uguccione  né  Cane  erano 


1G0  RASSEGNA   BIBLIOGRAPiCA 

nascituri.  Ma ,  siccome  genie  a  Latini  e  agi'  Italiani  vale  in- 
sieme e  famiglia  e  nazione;  nazione  poteva  a  Dante  avere  i 
due  sensi  :  e  qui  non  può  non  li  avere.  Il  dottissimo  Carlo 
Troya ,  nel  libro  del  Veltro ,  illustrando  in  tanti  luoghi  il 
verso  e  la  vita  di  Dante,  dimostra  come,  anco  in  assunto 
non  vero ,  gli  animi  retti  sian  fatti  sovente  degni  di  cogliere 
la  verità.  Ma  l'assunto  mi  pare  smentito  e  dalla  storia,  e  dal 
silenzio  che  sempre  tenne  sopra  Uguccione  il  poeta,  e  dalle 
contradizioni  in  cui  cadde  esso  Troya  scrivendone  poi.  L'as- 
sunto è  geograficamente  angusto  e  civilmente  meschino;  dove 
all'  incontro,  segnando  alla  nazione  futura  per  limiti  Feltre  e 
Montefeltro ,  comprendesi  più  ampio  giro  di  terra  e  d' idee 
e  di  speranze  .,  la  nazione  non  apparisce  come  un  nido  d'uc- 
cello rapace  accovacciato  nell'  orrido  della  rupe.  La  soverchia 
larghezza  della  descrizione  geografica  non  è  qui  da  opporre,  se 
per  nazione  non  più  s' intende  il  luogo  in  cui  Cane  nacque;  e, 
del  resto,  ben  larghe  descrizioni  geografiche  sono  quelle  in 
cui  Dante  accenna  a  Ravennana  Calaorra,  a  Marsiglia.  In 
questa  larghezza  comprendonsi  e  le  recenti  memorie  di  Guido 
da  Montefeltro ,  e  le  riportate  e  le  sperate  vittorie  di  Uguc- 
cione ,  e  le  riportate  e  sperate  dello  Scaligero,  e  la  non  pic- 
cola potestà  d'Aquilèia,  e  la  civiltà  tutta  del  Veneto,  la  quale 
era  sin  d'allora  non  più  splendida  della  Toscana ,  ma  forse 
meno  inugualmente  diffusa.  Potrei  soggiungere  che ,  anco  in- 
tendendo nazione  in  quel  senso  angusto,  Verona  dagli  ultimi 
limiti  del  Friuli  (se  portansi  infìno  all'  Istria;  e  il  Friuli  por- 
tavasi più  Ih  di  quel  che  ora;  e  a  Dante  forse  piaceva  che  il 
foro  giulio  così  si  ampliasse),  andando  fin  verso  Macerata, 
Verona  è  a  circa  mezzo  la  via:  ma  piuttosto  mi  piace  avver- 
tire che  in  quest'accenno  il  Poeta  aveva  forse  un  presentimento 
del  molto  che  l'alta  Italia  sui  destini  d' Italia  tutta  potrebbe. 
Non  è  forse  a  caso  che  ,  dopo  aver  nominato  i  due  Feltri , 
soggiungasi  di  quell'umile  Italia,  non  nel  senso  di  umiliata* 
che  non  è  del  fare  di  Dante,  ma  appunto  come  l'usa  Virgilio, 
indotto  a  pai-lare  qui:  e  non  a  caso  certamente  dicesi  quella 
(  come  appunto  nel  canto  del  Da  Camino  In  quella  parte  della 
terra  prava  Italica....  ) ,  determinando  quella  in  cui  e  per  cui 
Camilla  ed  Eurialo  morirono,  Turno  e  Niso.  Questo  appaiare 
gli  avversi  per  farli  cospiranti  alla  salute  d'Italia,  è  ispira- 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  161 

zione  di  cittadino  poeta;  il  contrario  di  quel  che  faceva  Me- 
zenzio  tiranno  aggavignando  i  morti  ai  vivi  ;  il  contrario  di 
quel  che  fanno,  dividendo  le  coscienze  e  lacerando  le  fame, 
tiranni  e  vantati  nemici  della  tirannide,  preparatori  di  lei, 
e  dissolvitori  della  miracolosamente  ottenuta  unità.  Inanel- 
lati di  sposalizio  ideale  immortalmente  la  infelice  vergine 
intemerata ,  e  il  giovanetto  venerando  su  cui  piange  la  ma- 
dre misera  e  prega  per  sé  dai  nemici  la  morte  ;  affratellati 
con  sacramento  d' immortale  pietà  il  prode  amico  infelice 
che  per  sé  chiede  e  conquista  la  morte  ,  e  lo  sposo  di  Lavinia 
da  lei  forse  verginalmente  con  tacite  lagrime  riamato.  Di  tali 
bellezze  neanco  l' Iliade  si  vanta  ;  checché  ne  paia  a  certi 
tedeschi  eruditi  calpestatori  della  musa  latina  ispiratrice  di 
Dante. 

Il  Veltro  dunque  invocato  muoverà  di  tra' due  Feltri,  e 
di  là  vincitore  correrà  per  l'umile  Italia  a  cacciare  la  lupa 
di  villa  in  villa;  e  anco  dalla  gran  villa  la  sniderà  per  ri- 
metterla nelV  inferno.  D'inferno  invidia  la  mosse;  e  la  gran 
villa  è  piena  D' invidia  si  che  già  trabocca  il  sacco.  Sentiva 
Dante  e  la  grande  importanza  del  Veneto ,  e  le  strette  colle- 
ganze di  quello  con  la  terra  toscana ,  ambedue  schiatte  delle 
più  pure  italiche,  e  nel  loro  intimo  custoditirici  della  italiana 
unità.  Nominato  nel  poema  più  volte  l'Adige  ameno ,  aggiunto 
di  Virgilio  che  così  ce  lo  fa  sentire  e  vedere;  l'Adige  alle  cui 
sponde  meditarono  Dante  Allighieri  e  Antonio  Rosmini ,  me- 
ditarono e  orarono  a  Dio:  rammentato  il  Brenta  due  volte, 
p  Verona  e  Padova  più  :  rammentato  due  volte  il  piccolo  Bac- 
chiglione.  E  doveva  il  Vicentino  donare  all'  Italia  Andrea  Pal- 
ladio e  Ambrogio  Fusinieri  e  G.  Zanella  e  Alessandro  Rossi, 
il  primo  cittadino  dell'  Italia  odierna. 

N.  Tommaseo. 


Arch.  St.  It\l.,  3.a  Serie,  T.  X  ,  P    I.  21 


162  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 


Quadro  genealogico  degli  ascendenti  paterni  e  materni  sino 
all'ottavo  grado  delle  LL.  A  A.  RR.  il  principe  Umberto  e 
la  principessa  Margherita  di  Savoia,  pubblicato  in  occa- 
sione delle  auspicatissime  nozze  dei  medesimi  principi  dal 
conte  e  commendatore  Alessandro  Franchi-Verney  della 
Valetta  ,  cavaliere  e  giudice  d'Armi  dell'Ordine  di  San 
Giovanni  di  Gerusalemme,  Consigliere  d'Appello,  membro 
e  segretario  della  Regia  Deputazione  sovra  gli  studi  di 
storia  Patria.  -  Torino ,  Stabilimento  litografico  dei  Fra- 
telli Doyen  :  un  foglio  in  carta  grand' aquila  fortissima, 
con  stemmi  colorati.  -  Presso  Ermanno  Loéscher. 

Sebbene  questo  quadro  ,  impresso  a  ristrettissimo  numero 
d'esemplari,  sia  venuto  già  da  qualche  tempo  alla  luce,  sembra 
potersene  ancora  far  parola  ,  non  essendo  una  pubblicazione 
destinata  ad  esistenza  effimera,  o,  secondo  che  suole  dirsi, 
d'occasione,  come  gli  epitalamii  e  simili,  ma  un'opera  fatta 
per  essere  consultata  e  conservata  in  biblioteche. 

È  noto  come  i  lavori  genealogici,  che  comprendonsi  comu- 
nemente sotto  la  denominazione  «  d'Alberi  »,  siano  di  due 
maniere  ,  cioè  od  «  Alberi  »  propriamente  detti ,  o  «  quadri 
di  quartieri  »  detti  anche  «  quadri  genealogici  ». 

I  primi  presentano,  o  la  serie  degli  ascendenti  paterni 
in  linea  retta,  e  talora  anche  i  collaterali  agnati,  d'una  data 
persona,  d'ordinario  indicando  anche  le  «  alleanze  »,  cioè  i 
nomi  delle  consorti,  ovvero  tutti  gl'individui  d'una  determinata 
famiglia  discendenti  da  un  solo  ceppo  :  e  per  dirlo  colle  parole 
di  D.  Vincenzio  Borghini,  nel  discorso  intorno  al  modo  di  far 
gli  alberi  delle  famiglie  nobili  fiorentine ,  ne  rappresentano 
delle  famiglie  «  l'origine  con  le  descendenze  continuate  »  ;  e 
tali  sono,  per  tacer  di  molti  altri,  gli  alberi  dell'Ammirato,  le 
tavole  del  Litta ,  e  le  recenti  accuratissime  monografie  di 
molti  casati  fiorentini  del  Passerini.  Questi  alberi ,  riguardo 
a  famiglie  illustri ,  si  possono  anche  spingere ,  appoggiati , 
quali  debbono  essere,  ad  incontrovertibili  documenti,  a  molti 
gradi  ,  conoscendosene  alcuni ,  sebben  pochi ,  che  risalgono 
sino   al    secolo    xn.  Ma  per  le   varie  vicende   del   medio  evo 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  163 

non  si  possono  avere  documenti  autentici  per  giustificare 
le  discendenze  anteriori  al  secolo  suddetto ,  e  la  massima 
parte  degli  alberi  che  risalgono  a  tempi  anteriori  sono  sol- 
tanto appoggiati  a  supposizioni ,  dettate  per  lo  più  da  pia- 
centeria.  Ne  diede  curioso  saggio  quello  spagnuolo  che , 
dedicando,  nel  secolo  xvi ,  ad  un  ministro  del  suo  sovrano 
un  albero  genealogico  del  re  di  cui  notava  grado  per  grado 
gli  ascendenti  sino  ai  tempi  di  Noè,  lo  accompagnò,  nell'  in- 
tento di  cattivarsi  il  suo  mecenate ,  con  un  altro  in  cui  era 
registrata  la  discendenza  del  ministro  direttamente  da  Adamo. 
I  «  quadri  genealogici  »  invece  non  indicano  solamente 
gli  ascendenti  paterni ,  ma  anche  i  materni ,  cioè  quelli  del 
padre  e  della  madre,  poi  quelli  degli  avoli  paterni  e  materni, 
e  così  di  seguito ,  crescendo  per  ogni  grado  in  progressione 
geometrica,  ossia  sempre  raddoppiando,  per  modo  che  hanno, 
nel  secondo  grado,  due  persone,  il  padre  e  la  madre,  nel  terzo 
quattro,  nel  quarto  otto,  e  così  di  seguito  (1).  E  questi  «  qua- 
dri »  soglionsi  chiamare  «  i  quarti  »  d'una  data  persona,  com- 
prendendosi ,  per  estensione ,  sotto  il  nome  di  «  quarti  »  non 
solamente  le  quattro  famiglie  del  padre,  della  madre  e  delle 
avole  paterne  e  materne  ,  che  ordinariamente  vanno  sotto 
questa  denominazione,  come  ne  insegna  il  Vocabolario  della 
Crusca,  ma  anche  quegli  altri  casati  da  cui  uno  discenda 
per  via  di  donne.  Ora  siccome  riesce  oltremodo  malagevole 
il  compilare  con  esattezza  tali  «  quarti  »,  per  la  somma  dif- 
ficoltà di  rintracciare  gli  ascendenti  delle  donne  che  siansi 
accasate  coi  bisavoli,  terzavoli,  ec.  materni,  siffatti  quadri  non 
poterono  per  lo  più  spingersi,  senza  lacuna,  oltre  ai  64  quarti, 
ossia  ai  quartavoli  ;  ed  unico  esempio,  per  avventura,  di  la- 
voro compiuto  più  esteso  è  il  quadro  dei  256  ascendenti  in 
settimo  grado  di  Alberto  Eusebio  conte  di  Koenigsech,  nato 
nel  1669,  e  dei  suoi  fratelli,  figliuoli  di  Leopoldo  Guglielmo 
vice-cancelliere  dell'  Imperatore  e  cavaliere  del  Toson  d'oro 
morto  nel  1694,  che  può  vedersi  nel  tomo  II  dell'opera  dello 


(11  Ricavasi  dalla  Méthode  du  Blason  del  P-  Menestrier  ,  edizione  di  Lione  1770 , 
pag.  502  ,  che  ,  se  si  fosse  potuto  fare  un  quadro  genealogico  sino  al  29"  grado 
ascendente  del  Delfino  allora  vivente,  si  sarebbero  avuti  536  milioni  870  mila 
e  912  quarti. 


164  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

Spener  Mistoria  insignium  Uluslrìum  impressa  in  Franco - 
forte  nel  1680. 

Ma  il  «  quadro  »  che  annunziamo ,  compilato  colla  più 
coscienziosa  esattezza ,  risale  senza  qualsiasi  lacuna  ai 
512  ascendenti  in  ottavo  grado  dei  reali  Sposi  ;  quali  ascendenti, 
mancando  la  denominazione  speciale  oltre  i  sestavoli,  dovet- 
tero indicarsi  con  quella  di  «  avoli  dei  quintavoli  ».  Trovansi 
ivi  768  nomi  disposti  su  nove  file,  l'ultima  delle  quali,  la  su- 
periore, comprende  384  nomi  o  «  quarti  »,  e  tutti  i  768  sono 
scompartiti  in  tre  distinte  sezioni ,  fra  cui ,  quella  di  mezzo 
presenta  gli  ascendenti  della  real  casa  di  Savoia,  comuni  ai 
due  genitori  degli  Augusti  fidanzati,  quella  di  destra  i  proge- 
nitori dell'Augusta  genitrice  del  principe  Umberto  ,  e  quella 
di  sinistra  gli  ascendenti  della  duchessa  di  Genova  madre 
della  principessa  Margherita.  Realmente  poi  si  ricavano  dal 
«  quadro  »  1022  nomi,  e  dall'ottavo  grado  non  384  ma 
512  «  quarti  »  degli  eccelsi  Sposi,  perchè,  avendo  essi  i  medesimi 
quarti  paterni ,  i  nomi  compresi  nella  sezione  di  mezzo  deb- 
bono intendersi  raddoppiati,  e  così  ritenersi  aggiunti  altri 
128  nomi  ai  381  della  fila  superiore,  e  254  al  numero  totale 
dei  768  nomi  compresi  in  tutto  il  quadro.  Furono  poi ,  oltre 
ai  nomi,  indicate,  pei  quattro  primi  gl'adi,  ossia  risalendo 
fino  ai  terzavoli ,  le  date  di  nascita ,  matrimonio  e  morte  , 
cosicché  d'un  solo  colpo  d'occhio  si  scorgono  disposte  per  bene 
tutte  le  indicazioni  genealogiche  desiderabili,  massime  sino  al 
quarto  grado,  sugli  ascendenti  dei  reali  Principi.  A  rendere 
poi  più  vago  ed  attraente  il  complesso  di  questo  magnifico 
lavoro ,  e  scemare  l'aridità  che  ingenera  una  lunga  serie  di 
nomi  ,  il  eh.  Autore  vi  aggiunse  gli  stemmi  di  tutti  i  per- 
sonaggi compresi  nel  «  quadro  »,  segnandone  colla  più  scru- 
polosa precisione  gli  smalti  :  quali  stemmi ,  attesa  la  molti- 
plicità  delle  alleanze  matrimoniali  replicatametite  contratto 
fra  varii  dei  casati  compresi  nei  512  quarti ,  non  riescirono 
più  che  settantasei. 

Noi  ci  congratuliamo  coll'autore  per  aver  egli  dato  sì  lu- 
minosa prova  della  somma  sua  perizia  nell'arte  araldica  che 
da  lungo  tempo  coltiva  con  tanto  amore ,  e  saputo  disporre 
così  bene  e  con  tanta  chiarezza  ,  una  gran  congerie  di  nomi 
rendendone  facilissima  la  ricerca;  e  godiamo  che   siasi  pub- 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  165 

blicato  in  Italia  un  lavoro  per  nulla  inferiore  a  quelli  che 
videro  finquì  la  luce  in  Germania  ed  in  Inghilterra  ove  l'aral- 
dica e  la  genealogica  furono  sempre  ,  e  sono  tuttora ,  colti- 
vate diligentemente,  e  formano  oggetto  di  studii  serii. 

B. 

Statuto  agrario  di  Montefegatese  in  Valdilima.  Lucca,  tipo- 
grafia Benedini-Guidotti,  1869;  in  8vo  di  pag.  50  (Nelle 
nozze  Moni-Barsantini  ). 

In  due  parti  si  divide  questo  libretto.  Nella  prima  si  legge 
un'accurata  e  diligente  storia  di  Montefegatese,  scritta  dal 
sig.  Giuseppe  Del  Chiappa;  nella  seconda  si  trova  lo  statuto 
campestre  di  quella  borgata,  che  era  inedito  fino  a  qui. 

Montefegatese  è  un  piccolo  villaggio  della  Valdilima, 
posto  a  tre  miglia  e  mezzo  da'  Bagni  di  Lucca.  Se  ne  ha 
ricordo  per  la  prima  volta  in  una  carta  del  991,  e  il  suo 
nome  si  riscontra  del  pari  in  una  sentenza  della  contessa 
Matilda  de' 10  di  luglio  del  1105.  Federigo  II,  imperatore, 
lo  concedette  ai  Lucchesi  nel  1245  insieme  con  Lugliano  e 
Motrone  ;  poi  mutò  proposito  ;  ma  indi  a  poco  lo  donava  di 
nuovo  alla  Repubblica.  I  suoi  abitanti ,  come  parecchi  altri 
di  varie  borgate  della  Garfagnana  e  della  Valdilima,  vennero 
fatti  cittadini  lucchesi  ;  privilegio  che  in  generale  non  gode- 
vano né  gli  uomini  del  distretto  né  quelli  del  suburbio.  Sem- 
bra che  Montefegatese  non  fosse  allora  un  borgo  murato  a 
modo  di  fortezza  come  erano  le  altre  terre  della  montagna  ; 
e  che  non  avesse  fortificazione  alcuna  apparisce  manifesto 
anche  sotto  il  governo  di  Castruccio  degli  Antelminelli.  Solo 
al  tempo  della  dominazione  pisana  venne  circondato  di  mura 
e  provveduto  di  una  rócca ,  che  fu  riattata  nel  1385  per 
comando  de'  Lucchesi.  Nel  1437  Montefegatese  cadde  in  mano 
de'  Fiorentini ,  che  lo  resero  nel  1441  alla  Repubblica  di  Luc- 
ca ,  la  quale  per  rendersi  meglio  affezionati  quegli  abitanti 
concesse  loro  assoluta  libertà  di  governo  municipale  e  lar- 
ghissime esenzioni  in  materia  di  gabelle  e  d' imposte.  Ove  se 
ne  tolgano  parecchie  quistioni  di  confine  che  ebbero  gli  uo- 
mini di  Montefegatese  colle  terre  di  Tereglio  e  di  Controne , 
con  assai  prosperità  menarono  la  vita   sotto  il  governo  lue- 


166  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

chese,  e  solo  patirono  aspramente  al  tempo  della  guerra  cogli 
Estensi ,  che  fu  la  più  grande  e  la  più  accanita  che  avesse 
Lucca.  Al  dire  del  sig.  Del  Chiappa ,  la  popolazione  di  Monte- 
t'egatese  è  oggi  sommamente  industriosa.  «  Essa  esercita  la 
«  pastorizia  e  l'agricoltura,  e,  come  avviene  in  molti  luoghi 
«  della  campagna  lucchese,  una  buona  parte  se  ne  allontana  per 
«  qualche  tempo,  diretta  all'estero,  ove  più  specialmente  lavora 
«  in  figure  di  gesso,  o  come  anche  le  chiamano,  di  gelatina. 
«  La  emigrazione  sorpassa  i  centoventi  individui  fra  uomini 
«  e  donne.  Essa  si  spinge  nella  Francia,  nella  Grecia,  nella 
«  Turchia  ,  nella  Spagna,  nell'Inghilterra,  nell'Austria,  nella 
«  Germania,  nella  Russia,  nelle  Indie  e  nelle  due  Americhe. 
«  La  indole  di  questi  abitanti  è  docile  e  civile  ;  per  cui  il 
«  visitatore  resta  preso  da  maraviglia  nel  trovare  su  quelle 
«  rupi  tanta  ospitalità  e  tanta  cortesia.  Sono  d' ingegno  pronto 
«  e  svegliato  :  delle  cose  a  loro  insegnate  e  di  quelle  anche 
«  vedute  ne' viaggi  e  vivendo  in  altri  paesi,  ritengono  il  me- 
«  glio  con  finissimo  giudizio.  Nel  parlare  mostrano  senso  ed 
«  acume  raro  ;  e  la  lingua  che  usano  è  purgata  ed  efficacis- 
«  sima  »  (1). 

Dopo  le  Notizie  isteriche t  delle  quali  ho  brevemente  rias- 
sunto quelle  d' importanza  maggiore  ,  trovansi  gli  statuti  di 
Montefegatese,  che  vennero  confermati  dalla  Signoria  di  Lucca 
per  anni  dieci  ai  ventuno  di  dicembre  del  1740.  Si  dividono  essi 
in  venti  capitoli.  Il  primo  tratta  della  pena  di  chi  si  attribui- 
sce terreni  comunali  ;  il  secondo ,  di  non  poter  far  cancellare 
le  accuse  senza  il  giuramento  d'aversi  dato  licenza  ;  il  terzo, 
della  pena  di  chi  va  a  pascolare  alla  bandita  dell'alpe  avanti 
tempo  ;  il  quarto,  della  pena  a  chi  impedisce  i  passi  assegnati 
per  il  bestiame  ;  il  quinto ,  della  pena  dell'Offiziale  o  Camar- 
lingo che  non  chiama  a  Comune  ogni  volta  gli  sarà  imposto 
da' Governatori.  Nel  sesto  capitolo  si  ragiona  dell'obbligo  che 
avevano  gli  abitanti  di  dare  in  nota  le  bestie  ;  nel  settimo 
della  pena  delle  bestie  che  saranno  accusate  nel  casale.  Si 
proibisce  nell'ottavo  capitolo  di  tenere  in  molle  e  lavar  panni 
e  spaltennare  nel  pilone  pubblico,  e  si  vieta  di  levar  l'acqua 
alla  fontana  comunale.  Col    nono  si  stabilisce   la  pena  a  chi 

(I)  Pag.  23  e  seg. 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  167 

non  anderà  alla  guardia  ;  e  col  decimo  si  obbligano  i  pro- 
prietari a  mandare  all'alpe  tutte  le  bestie  grosse  e  minute 
dagli  otto  di  ottobre  fino  agli  undici  di  novembre.  Nell'un- 
decimo  si  stabilisce  la  pena  alla  quale  incorreranno  le  bestie 
forestiere  trovate  nelle  selve  o  ne'  luoghi  selvati  ;  nel  duo- 
decimo si  decreta  la  pena  a' Governatori  che  non  andranno 
a  rivedere  i  confini  del  Comune  ;  nel  tredicesimo  viene  sta- 
bilita la  bandita  delle  capre;  nel  quattordicesimo  la  pena 
a  quei  che  non  debbono  venire  in  Comune.  Il  capitolo  XV 
tratta  della  pena  delle  bestie  che  anderanno  in  certi  tempi 
nelle  prata  dell'alpe  ;  nel  decimosesto  della  pena  a  chi  non 
prenderà  l'acqua  per  quanto  si  estendono  i  suoi  terreni  e  non 
terrà  aperto  il  condotto;  nel  decimosettimo  della  pena  a  chi 
taglia  o  zappa  dalla  Fegana  in  là  e  nella  Calda  de'Pratuscelli; 
nel  XVIII  della  pena  a'ruspatori  fuori  de'segni  ;  nel  XIX  della 
pena  agli  uomini  di  Governo  che  almeno  una  volta  al  mese 
non  deporranno  con  giuramento  in  mano  del  Cancelliere  tutti 
coloro  che  avranno  veduti  danneggiare  i  beni,  così  di  parti- 
colari persone  come  comunali;  nel  vigesimo  si  discorre  della 
pena  a  chi  danneggerà  ne'  beni  altrui ,  e  del  modo  col  quale 
debbono  esser  ricompensati  gli  accusatori. 

Giovanni  Sforza. 


VAIfclET  A 


LA  TOMBA  DEL  CARMAGNOLA 


È  in  Milano  in  sulla  via  che  conduce  al  Ponte  Vetro 
un  grandioso  edificio  appellato  il  Broletto ,  il  quale  fino 
a  pochi  anni  sono  servì  per  lungo  tempo  a  residenza 
della  Magistratura  Comunale. 

Esso  appartenne  dapprima  al  conte  Francesco  di 
Carmagnola  cui  lo  aveva  donato  il  duca  Filippo  Maria 
Visconti  innanzi  al  1424.  È  un  vasto  palazzo  in  due 
corpi  di  fabbricato ,  nel  centro  dei  quali  si  aprono  due 
cortili  fiancheggiati  da  portici  con  archi  e  colonne  sullo 
stile  del  secolo  xv  ;  il  che  prova  la  rifabbrica  che  ne 
sarà  avvenuta  intorno  a  tal'  epoca.  Le  indagini  che  si 
fecero  recentemente  per  conoscere  le  vicende  di  questo 
edificio,  in  cui  dopo  la  triste  fine  del  rinomato  Capitano 
ricoveravasi  e  vi  moriva  la  di  lui  moglie  ,  ci  invogliarono 
a  dettare  alcune  linee  intorno  al  trasporlo  delle  ceneri 
di  lui  e  alla  sua  tumulazione  in  Milano ,  siccome  di  cose 
non  esattamente  note ,  e  sulle  quali  corsero  diverse 
sentenze. 

Francesco  Bussone  di  Carmagnola ,  le  cui  vicende  e 
la  misteriosa  condanna  furono  argomento  a  tanti  scrit- 
tori ,  ed  inspirarono  ad  Alessandro  Manzoni  que'  sublimi 


LA    TOMBA    DEL    CARMAGNOLA  169 

concetti  cui  anima  gentile  non  v'  ha  che  ignori  ,  erasi 
ancora  vivente  preparata  la  sepoltura  nella  chiesa  di 
San  Francesco  grande  in  Milano  nella  cappella  della 
famiglia  dei  Visconti  a  cui  apparteneva  la  di  lui  moglie 
Antonia.  Dai  libri  di  cassa  del  nostro  Duomo  rileviamo 
che  nel  26  gennaio  1431  certo  Matronìano  Coirò  (ora  di- 
rettesi Corio)  pagava  a  quel  tesoriero  lire  venti  e  soldi 
sedici  per  tanto  marmo  in  sei  pezzi,  che  venivano  com- 
perati per  fare  una  sepoltura  al  magnifico  Conte  di 
Carmagnola  nella  chiesa  di  S.  Francesco  in  Milano  , 
fatto  di  ciò  contratto  col  mezzo  di  mastro  Filippino  da 
Molena  ingegnere  della  fabbrica  di  esso  Duomo  (1). 

Nell'anno  seguente  il  Carmagnola  veniva  improvvi- 
samente carcerato  in  Venezia  e  mandato  a  morte;  ve- 
nivano arrestati  i  suoi  familiari  Giovanni  Moris  e  Pietro 
di  Carmagnola  :  la  moglie  era  ricoverata  alle  Vergini 
del  Castello.  Il  cadavere  dell'ucciso  ebbe  all'  istante 
privata  sepoltura  in  Venezia  nella  chiesa  dei  Frati  mi- 
nori detti  li  Frari  ai  quali  il  conte  aveva  lasciato  il  suo 
spoglio  personale  (panni  de  dorso  quos  habebat  in  dorso 
quando  fuit  iustificatus)  ma  indi  appoco  la  vedova  An- 
tonia Visconti ,  figlia  di  Pietro  ,  che  fu  podestà  di  Ber- 
gamo e  consanguineo  del  duca  Filippo  Maria  ,  otteneva 
dalla  Repubblica  di  trasportarne  la  salma  in  Milano , 
ciò  che  ella  fece  ,  depositandola  ivi  nella  basilica  di  San 
Francesco  grande  (anticamente  detta  Naboriand)  nella 
cappella  della  di  lei  famiglia,  la  prima  a  sinistra  di 
chi  entrava  nella  chiesa  medesima.  Colà  una  doppia 
tomba  disposta  a  fior  di  terra  accolse  a  suo  tempo  le 
due  spoglie  del   conte   e    della   moglie ,    sovra   ciascuna 

(I)  Matronianus  de  Coiiris  soluit  prò  prelio  centenarior.  xxvi  lib.  x  mormoris 
in  peziis  sex  ponderalis  per  Lafrancliinu  de  sesto  otfitialem  fabrice:  que  pezie  vi 
marmoris  operari  debent  ad  fatien.  sepulturam  unam  prò  magn.c'>  Corniti  Car- 
magnole in  ecclesia  Sancti  Francisci  Mli.  ,  mercato  facto  per  magrum.  Filippi— 
num  de  Mutina  inzignerium  fabrice:  in  summa  p.  f.  xnu  ad  computum  s.  xxxu 
imperialium  prò  tloreno  ,  in  libris  xx,  sold.  xvm. 

Ita  sub  die  xxvi  ianuarii  1431. 

Arch.  St.  li  al.  ,  3.'  Serie,  T.  X,  P.  I.  22 


170  LA    TOMBA   DEL   CARMAGNOLA 

delle  quali  tombe  stava  il  respettivo  sigillo  collo  stemma 
della  biscia  nel  mezzo ,  e  all'estremità  nei  quattro  lati 
l'epigrafe  seguente  : 

•j-   ISTVD.    S.    EST.    MAG 

mFici  domini  Francisci  dicti  Cor 
magnole.  de.   Vicecomitibus.  com.  cas 
tri.  novi.  ac.  claris.  istvd.  s.  est.  magn 

IFICE.    DOMINE.   ANTONIE.   DE.    VICECOMI 
TIBVS.   CHONSORTIS.    PREFATI.    DOMINI 
COMITIS.    ETC. 

La  chiesa  di  San  Francesco  in  Milano  veniva  abo- 
lita nell'anno  1798  e  quasi  tosto  distrutta.  Le  famiglie 
Castiglione  e  Del  Verme  che  vantavano  derivazione  dal 
Carmagnola  per  via  di  figlie  ,  si  divisero  le  lapidi  dei 
due  sepolcri  ;  le  ceneri  andarono  disperse.  La  pietra  che 
toccò  ai  Del  Verme  recava  l' iscrizione  del  conte  ,  e  non 
si  sa  come  andasse  smarrita.  Quella  che  toccò  ai  Casti- 
giioni  ,  e  che  ricorda  la  magnifica  donna  Antonia  dei 
Visconti ,  rimase  in  quella  casa  fino  alla  morte  dell'ul- 
timo suo  rampollo,  l'illustre  orientalista  Carlo  Ottavio, 
indi  fu  regalata  alla  Biblioteca  Ambrosiana  ove  tuttora 
si  conserva  nel  nuovo  cortile.  Presso  alla  medesima  sta 
pure  l'altra  epigrafe  che  leggevasi  sul  muro  presso  alle 
tombe  nella  cappella  teste  ricordata,  ed  è  la  seguente: 

militie  princeps  bellor.  maxime  rector 
Francisce  armipotens  si  fata  extrema  tulisti 
impia  :  letetur  animus  bene  conscius  acti 
imperii:  quod  fata  iubent  id  ferre  necesse  e. 

epitaphium  invictissimi  imperatoris 
bellorum  comitis  Francisci  Carmagnole 
vicecomitis  qui  obiit  in  Venetiis 
die  quinto  mensis  maii  mccccxxxii. 


LA    TOMBA    DEL   CARMAGNOLA  171 

Ad  Alfonso  Castiglione  padre  del  ricordato  Cari' Ottavio 
e  tìglio  di  altro  Ottavio  dobbiamo  la  conservazione  di 
queste  e  di  poche  altre  spoglie  della  basilica  Naboriana. 
Egli  anzi  volgeva  in  mente  il  pensiero  (che  poi  non  ma- 
turò) di  farne  raccolta  nel  privato  oratorio  del  suo  pa- 
lagio,  ed  aveva  perciò  preparata  fin  dall'anno  1808  l'in- 
scrizione seguente  : 

ABDE    .    S   .   FRANSCISCI   .    HVIVS    .   VRBIS    .    EVERSA 

ALPHONSVS   .    OCTAVI    .    F    .   CASTILLIONAEVS 

VETERES    .   HOS    .    LAPIDES 

ALIOS    .   INSCRIPTOS   .    ALIOS    .    INSIGNITOS 

E    .    SACELLO    .    IVRIS    .   GENTIS    .    SVAE 

INCOLVMES    .   EXTVLIT 

ET    .    HEIC    .    AD    .    DOMESTICVM    .    MONVMENTVM 

COLLOCAVIT 

ANNO    .   M   .     DCCC    .    Vili. 

Francesco  di  Carmagnola  era  stato  creato  dal  duca 
di  Milano  conte  di  Castelnuovo  di  Scrivia ,  e  dai  Vene- 
ziani nel  1428  conte  di  Chiari.  Narra  a  questo  proposito 
Francesco  Sansovino  ,  che  mostrando  costui  (il  Carma- 
gnola) molta  affettione  alla  Repubblica  dalla  quale  era 
stato  arrichito  di  molti  poderi  e  castella  (1).,  per  grossa 
somma  d'  entrata,  avendo  esso  rifiutato  ciò  che  posse- 
deva in  Lombardia  sotto  il  Duca  di  Milano ,  e  rinun- 
ziato anco  il  titolo  di  conte ,  fu  dal  Doge  Foscari  (sopra 
un  palco  eminente  dinanzi  alla  chiesa  di  San  Marco) 
creato  conte  con  bellissime  cerimonie.  Ma  lo  storico 
della  sospettosa  Repubblica  non  ha  poi  narrato  qual 
altro  palco  si  facesse  salire  al  conte  quattro  anni  ap- 
presso ,  e  con  quale  sentenza. 

Nei  primi  anni  di  questo  secolo ,  negli  archivi  pub- 
blici di  Venezia  vennero  rinvenuti  alcuni  originali  do- 
ti, Il  Carmagnola  ebbe  dai  Veneti  il  feudo  di  Sanguinetto  di  cui  fu  spogliato 
con  atto  del  Doge  Foscari  che  ne  investì  Gentile  da  Leonessa. 


172  LA    TOMBA    DEL    CARMAGNOLA 

cumenli  del  processo  dei  Carmagnola  :  essi  servirono  al 
Cibrario  per  la  compilazione  di  un  aureo  opuscoletto  (1) 
da  cui  è  agevole  l' induzione  che  la  condanna  del  gran- 
de capitano  non  avesse  altro  fondamento  che  il  sospetto 
o  la  gelosia  ;  o  più  facilmente  il  timore  del  nome  e  della 
crescente  di  lui  influenza  ed  autorevolezza.  Il  -Carma- 
gnola fu  troppo  credulo  alle  carezze  ,  agli  onori  prodi- 
gatigli dagli  astuti  patrizii.  Più  di  lui  avveduto,  il  Col- 
leone ,  allorquando  ritiravasi  nel  suo  principesco  castello 
di  Malpaga ,  si  circondava  della  scorta  di  seicento  ca- 
valieri e  non  riceveva  visite  ne  messaggi  se  non  attor- 
niato da'  suoi  veterani.  Le  zanne  del  terribile  leone  non 
avrebbero  potuto  arrivarlo.  M.  Caffi. 

(4)  La  morte  del  Carmagnola  con  documenti  inedili,  di  Luigi  Cibrario.  (To- 
rino, Pomba  ,  4834).  I  documenti  sono  le  deliberazioni  del  Consiglio  dei  Dieci. 
E  assai  grave  l'ingiunzione  che  ivi  sta  espressa,  che  niuno  possa  parlare  con 
chicchessia  di  quell'affare,  fosse  pur  egli  uno  del  Consiglio.  Nuìlw  possit  de  ista 
materia  loqui  cum  aliquo  ,  etiamsi  esset  de  Consilio  isto.  Più  grave  ancora  è  ciò 
che  appare  da  due  altri  documenti  pubblicati  dal  Cibrario,  cioè  che  col  mezzo 
di  certo  Michele  Muazzo  [Mudatio)  nobile  veneto,  que' patrizii  tentassero  nell'an- 
no 4434  di  far  avvelenare  il  duca  di  Milano. 


173 


PITTORI  ANTICHI  LOMBARDI 


In  questi  ultimi  giorni  fra  alcune  vecchie  scritture  da 
noi  esaminate  abbiamo  rinvenuto  i  due  documenti  che 
pubblichiamo  qui  appresso,  e  che  accennano  ad  alcuni  pit- 
tori del  secolo  xv  appartenenti  alle  nostre  provincie  e 
pressoché  nuovi  alla  storia. 

DOCUMENTO  I. 

mcccclxvii  die  vii  augusti. 

Illustrissimi  Signori  miei  ho  ricevuto  una  lettera  de  le  vo- 
stre Illustrissime  Signorie  della  continentia  abia  avisare  le 
Vostre  Excellentie  che  messere  Iacomino  Visimala  et  compa- 
gni depinctori ,  restano  creditori  della  camera  vostra  per  la 
dipinctura  alias  facta  nella  chiexa  de  Madonna  Sancta  Maria 
de  Caravagio  per  devotione  del  quondam  Illustrissimo  Signore 
vostro  consorte  et  padre,  de  lire  789,  s.  5.  d.  8,  imp.,  et  che 
per  obedire  et  così  exeguire  ho  facto  vedere  alli  libri  diversi 
concti  de  lavoreri  ducali  per  Ambrosio  de  Ferrari  rationato  de 
detti  lavor,  et  atrouo  psr  quello  me  ha  riferto  a  bocha  et 
in  inscripto  ,  li  dicti  messeri  Iacomino  et  compagni  restare 
creditor  per  la  depinctura  de  doe  capellette  depinct  nella  sud- 
detta chiexa  estimat  con  il  Sacramento,  dat  ad  loro  per  Gre- 
gorio de  Zauatari,  messere  Ione  Iacomo  de  Lode,  et  per  messere 
Rafael  de  Vaprio ,  in  summa  le  diete  libre  settecento  octan- 


174  PITTORI    ANTICHI    LOMBARDI 

tanove,  soldi  cinque  et  dinari  octo  imp.,  come  appar  per  la  lista 
de  dieta  estima  sottoscripta  per  li  dicti  tri  depinctori ,  et  per 
li  suprascripti  libri  de  dicti  lavoreri ,  quali  sono  presso  dicto 
Ambrosio,  me  ricomando  continuamente  alle  pretate  vostre 
Illustrissime  Signorie. 

Dat.  Mli.  die  vii  augusti  1477. 
E.  I.  d.  d.  v. 

Servitor  Btolomeus  de  Cremona. 

(a  tergo)  111.  et  Sing.  Ser.  d.  meis  dms.  ducibus  Mli.  etc. 


DOCUMENTO   II. 
mcccclxxvii  die  xxv  febrii. 

M.ro  Iacomino  Vicemala  et  M.ro  Bonifatio  de  Cremona  com- 
pagni dipinctori,  denno  liauer  per  resto  della  depinctura  delle 
cappellette  depincte  nella  chiexa  de  Madonna  Santa  Maria  de 
Caravagio  del  anno  1474,  per  devotione  del  qd.  Illustrissimo 
Signore  nro,  come  appar  nel  libro  vdo,  delli  conti  de  lavo- 
rerii  del  Castello  de  porta  Zobia  de  Mio.  in  fo.  110,  in  sum- 
ma  L.  798,  s.  5,  d.  8. 

Idem  denno  hauer  per  spexa  et  depinctura  del  ducale  et  altre 
arme  depincte  sopra  la  porta  della  casa  che  fu  della  Contessa 
de  Melzo  come  appar  indicto  1.  in  fo.  235,  depinct  del  anno  1475, 
in  sumraa  lib.  300,  s.  13,  d.  7. 

Item  per  la  spexa  et  depinctura  del  pontille  depincto  nella 
suprascripta  caxa  nel  dicto  anno ,  corno  appar  ut  supra  in 
fo.  236,  at.  in  sumraa  lib.  219,  s.  -  d. 

Summa  lib.  mille  trecentu  octo,  sol.  decemnove,  denar  tres 
imp.  vz.  lib.  1308,  s.  19,  d.  3. 

Ego  Ambrosius  de  Ferrarijs 
rationato  -  Labor  ducaliu 
in  firìem  stor.  manu  ppia 
subscripsi. 


PITTORI    ANTICHI    LOMBARDI  175 

Questi  documenti  or  ora  scoperti  sono  assai  preziosi 
per  la  storia  delle  arti  lombarde.  Quel  Giacomino  Visi- 
mala  o  Vicemala,  cui  il  Duca  Galeazzo  Maria  Sforza  fino 
dal  1474  aveva  affidata  la  dipintura  di  due  cappellette  , 
oggi  non  più  esistenti,  nel  Santuario  di  Caravaggio,  e  di 
altre  cose  nella  casa  della  Contessa  di  Melzo,  è  Giacomo 
Vismara,  pittore  assai  riputato  in  Milano  a  quei  tempi, 
e  a  cui ,  in  società  coll'altro  pittore  Gottardo  Scotio, 
aveva  il  duca  medesimo  poco  prima  affidato  l'esame  e  la 
valutazione  di  altri  dipinti  eseguiti  da  M.  Zaneto  Bugato 
in  certa  chiesetta  delle  Grazie  ch'egli  medesimo,  il  duca, 
aveva  fatto  costruire  poco  lungi  dal  castello  di  Vigevano, 
per  ricettarvi  alcuni  frati.  I  documenti  che  ora  pubbli- 
chiamo ci  insegnano  come  il  Vismara,  nei  dipinti  che  con- 
duceva pel  santuario  di  Caravaggio  avesse  seco  ben  altri 
pittori ,  e  si  nominano  fra  questi  il  maestro  Bonifacio  di 
Cremona,  cioè  il  vecchio  Bembo,  di  cui  poco  o  nulla 
ormai  più  resta  di  certo,  essendo  perito  quasi  tutto  ciò 
ch'egli  dipinse  in  Cremona,  e  in  Milano  specialmente, 
nelle  sale  ducali  del  castello  e  nel  palazzo  dell'Arengo, 
ove  Bonifacio  aveva  dipinto  con  Vincenzo  Foppa,  con 
Costantino  Zenone  da  Vaprio,  con  Cristoforo  Moretto 
(1460-1466). 

Dai  carteggi  ducali  può  dedursi  che  Bonifacio  Bembo 
fosse  sovente  adoperato  dai  duchi  in  opere  di  pitture  , 
e  lo  si  dee  forse  attribuire  all'insigne  architetto  Barto- 
lommeo  Gadio  o  Gazzo  di  lui  concittadino  ,  il  quale  era 
stato  inalzato  da  Francesco  Sforza  al  ragguardevole  in- 
carico di  Commissario  Generale  sopra  le  munizioni  e  i 
lavori  di  tutto  lo  Stato ,  avendosi  a  soggetto  in  tale 
ufficio  il  computista  Ambrogio  Ferrario  che  teneva  le 
ragioni  od  i  conti  di  tutti  i  lavori  ordinati  dal  duca. 

Questo  Ambrogio  Ferrario  figura  appunto  in  tale  qua- 
lità nel  secondo  dei  documenti  che  pubblichiamo;  il  quale 
è  una  memoria  di  pitture  condotte  dal  Vismara  e  da  Bo- 
nifacio cremonese  nella  casa  in   Milano   della    Contessa 


176  PITTORI    ANTICHI    LOMBARDI 

di  Melzo ,  ossia  di  quella  Lucia  Marliana  che  fu  l'ultima 
amante  di  Galeazzo  Maria  Sforza  :  e  tale  casa  sembra 
fosse  quella  già  dei  Torelli,  nella  parrocchia  di  San  Gio- 
vanni sul  Muro  {Muoni,  Melzo,  p.  118-1201). 

Tre  altri  pittori  del  secolo  decimoquinto  trovia- 
mo nominati  nel  primo  dei  documenti  ,  cioè  Gregorio 
Zavattaro ,  Giov.  Giacomo  da  Lodi  ,  Raffaello  da 
Vaprio. 

L'un  d'essi  è  probabilmente  altro  dei  fratelli  Zavattarì, 
i  quali  ancora  in  sul  fare  Giottesco  nel  1444 ,  dipinge- 
vano nel  duomo  di  Monza  la  cappella  della  Regina, 
e  prima  ancora  lavoravano  in  Milano  nei  vetri  del  duomo 
di  Milano.  Il  secondo  nel  1472  dipingeva  quivi  nell'Ospi- 
tale Maggiore  (e  precisamente  sulla  porta  del  chiostro 
grande)  un'  Annunciazione  in  due  figure  ,  che  perì  ve- 
risimilmente  allorquando  venne  nel  Seicento  ricostrutta 
la  porta  maggiore  quale  la  vediamo  tuttora.  Egli  era  figlio 
di  Filippo,  e  nello  stesso  anno  1472  aveva  dipinta  l'ancona 
della  chiesa  dei  padri  Gesuati  di  Milano,  intitolata  a  San 
Gerolamo.  Più  tardi  troviamo  maestro  Giovanni  da  Lodi 
co'suoi  compagni  chiamato  nel  1490  a  dipingere  ancora 
in  Milano  nelle  stanze  ducali  del  castello  di  Porta  Giovia. 
Quanto  poi  a  Raffaele  da  Vaprio,  egli  è  facilmente  lo 
stesso  che  col  nome  di  Gabriele  viene  ricordato  dal  Calvi 
nel  volume  secondo,  pag.  102,  degli  artisti  milanesi,  sic- 
come quello  che  prima  del  1452  aveva  dipinto  certe  ban- 
diere per  la  rócca  di  Monza,  e  che  abitava  in  Milano  sulla 
piazza  del  duomo. 

Certamente  questi  tre  pittori,  cioè  il  Zavatlario ,  il 
Vaprio,  il  da  L.odi ,  dovevano  essere  al  loro  tempo  assai 
riputati ,  se  un  artista  così  ragguardevole  o  di  tanta  auto- 
rità quale  si  era  il  Gazzo  (l'architetto  del  San  Sigismondo 
in  Cremona)  ricorreva  ad  essi  per  avere  giusta  estima- 
zione delle  pitture  dal  duca  commesse  al  Vismara  ed  al 
Bembo  pel  Santuario  di  Caravaggio,  a  cui  egli  portava 
singolare  divozione. 


PITTORI    ANTICHI    LOMBARDI  177 

Che  se  in  cose  di  tanta  incertezza ,  per  la  deficienza 
dei  documenti  e  persino  delle  tradizioni ,  ci  fosse  lecito 
arrischiare  una  supposizione  ,  vorremmo  immaginare  che 
cotesto  tanto  estimato  Giovati  Giacomo  da  Lodi  potesse 
aver  condotte  le  magnifiche  pitture  giottesche  della 
cappella  di  San  Bernardino  nella  chiesa  di  San  France- 
sco in  Lodi  ;  pitture  che  certo  pittore  Knoller  egregia- 
mente ripuliva  nell'anno  1844.  Ma  il  regno  delle  conghiet- 
ture  è  troppo  affine  a  quello  dei  sogni. 

Michele  Caffi. 


Arch.  St.  Itm..,  3.»  Serie,  T.  X ,  P.  I.  23 


178 


D'INA  RELAZIONE  SOPRA  INDUSTRIE  ED  ARTI 

CHE   SERVONO  AGLI  EDIFIZI   (*) 


Ora  che  V Archivio  si  è  allargato  a  trattare  anche  di  ma- 
terie affini  al  principale  suo  scopo ,  e  che  possono  dirsi  quasi 
ameno  corredo  ai  più  severi  obbietti  storici ,  mancherebbe  al 
novello  compito  ,  il  quale  pur  torna  di  non  iscarsa  utilità  agli 
studi ,  se  ,  guardando  alle  notevoli  Relazioni  de'  Giurati  ita- 
liani sulla  Esposizione  universale  del  1867,  non  porgesse 
ragguaglio  di  quella ,  che  dà  conto  delle  industrie  relative 
alle  abitazioni  umane,  con  notizie  monografiche  sulla  scul- 
tura e  tarsia  in  legno  (classi  xiv  e  xv). 

Può  dirsi  argomento  nuovo ,  perocché  ,  sebbene  delle  sin- 
gole arti  e  de'  lavori  che  concorrono  in  così  fatte  industrie 
si  abbiano  opere  parziali ,  cionullameno  in  un  aspetto  unico , 
in  una  sorta  d'insieme  sintetico  non  furono  considerate  per 
anco.  Al  che  aggiunge  importanza  l'averne  fatto  esame  ezian- 
dio nella  parte  storica ,  fin  dalle  origini  ;  sì  che  possano ,, 
come  in  un  quadro  comparativo ,  raffigurarsi  con  le  passate 
le  odierne  condizioni  di  tali  arti.  Impresa  ardua  nel  vero  ; 
giacché,  mentre  un  immenso  campo  è  da  percorrere,  biso- 
gna pur  soffermarsi  dinanzi  a  gran  numero  di  particolari  ; 
ed  in  tal  modo  la  minuta  esattezza   accoppiare   alla   vastità 

(•)  Delle  industrie  relative  alle  abitazioni  umane ,  con  notizie  monografiche  sul 
mosaico  e  sulla  scultura  e  tarsìa  in  legno  ,  del  conte  commend.  Demetrio  Caulo 
Finocchietti,  membro  della  Commissione  Reale  Italiana  ,  Commissario  ordina- 
tore e  giuralo  all'Esposizione  universale  di  Parigi  del  1867.  -  Firenze,  stabili- 
mento di  Giuseppe  Pellas ,  1869  ;   un  volume  in  8vo  di  pag.  363. 


d'  una  relazione  ec.  179 

del  concetto,  per  quanto  le  arti  maggiori  si  riflettono  sulle 
minori ,  e  per  quanto  le  une  e  le  altre  danno  sentore  dei 
diversi  periodi  della  civiltà  umana.  Se  l'occasione  ed  i  limiti 
ne'  quali  dovea  rimanersi  ciascun  relatore ,  non  permisero 
d'aggiugnere  nella  sua  interezza  il  fine  ,  la  prova  è  tentata; 
l' idea  è  messa  in  luce  ;  verrà  tempo  di  colorirla  tutta  quan- 
ta ,  né  forse  potrà  bastare  un  solo  alla  fatica. 


Arti  minori  in  antico.  -  Mobili. 

Sorvoliamo  alle  conghietture ,  come  rispetto  ai  tempi 
trogloditici ,  così  alle  tracce  d'abitato  o  di  stazioni  di  genti , 
sien  barbare  e  nomadi  e  simultanee  all'esistenza  di  popoli 
culti ,  sieno  di  schiatta  primitiva ,  conforme  sembra  agi'  in- 
vestigatori delle  palafitte  e  delle  terremare  (1)  da'  quali  si 
ravvisa  in  quegli  avanzi  ed  in  altri  un'  età  preistorica  ;  ed 
augurando  a  quegli  studi  possibilità  di  risultati  che  soda- 
mente li  connettano  al  sostanzioso  e  positivo  della  scienza 
archeologica,  diamo  uno  sguardo  alle  maestose  rovine  egizie, 
babilonesi,  ninivitiche  ;  per  le  quali  ultime  l'archeologia 
appunto  va  debitrice  nei  tempi  nostri  a  Paolo  Emilio  Botta , 
figlio  del  celebre  Carlo ,  d'aver  dissepolto  da  una  tomba  di 
secoli  e  secoli  le  orme  dei  popoli  assiri  nella  magnificenza 
dei  palagi  de'  loro  Sardanapali  (2). 


(1)  Per  amor  del  vero  dobbiamo  avvertire  come  nella  Relazione  su  cui  di- 
scorriamo si  legga  che  alle  abitazioni  nelle  caverne  «  furono  sostituite  poi  le 
«  palafitte  lacustri ,  le  terremare  e  quindi  le  stazioni  marniere  ».  Propriamente 
le  terremare  non  possono  chiamarsi  abitazioni  ;  bensì  formaronsi  in  seguito 
della  dimora  d'uomini  in  que' luoghi,  ove  piantarono  le  palafitte  e  vi  ebbero 
ricoveri  e  difese  rispondenti  ai  mezzi  ed  alle  usanze  loro.  Perciò,  ripetiamo, 
esse  marniere  e  tutto  l'altro  che  sopra  vien  ricordato,  non  fu  abitazione ,  ma 
è  indizio  che  questa  fu. 

(2)  Non  è  fuor  di  proposito  il  rammentare  che  la  scoperta  del  Botta  avvenne 
del  1843,  e  devesi  alla  coraggiosa  perseveranza  di  lui  ed  agli  aiuti  ch'egli  ebbe 
dal  Governo  francese ,  di  cui  era  console  nel  pascialato  di  Mossul.  Quanto 
all'aver  chiamato  palagi  di  Sardanapali  quelli  de' monarchi  ninivitici,  dichia- 
riamo di  riferirci  alle   ipotesi  dottamente   sviluppate   da  Cesare  Balbo  nelle 


180  d'  una  relazione 

Ma  chi  potrebbe  rinvenire  un  addentellato  nelle  arti  case- 
reccio fra  que'  popoli  vetusti  ed  i  Greci  ?  Non  v'  ha  dubbio 
che,  mentre  questi  molto  attingevano  alle  dottrine  de' filosofi- 
sacerdoti ,  massimamente  di  Menti  e  di  Tebe,  non  saranno 
rimasti  dal  farsi  prò'  eziandio  di  quelle  cose  minori  che  atte- 
nevansi  a  commodità  o  bellezza;  le  quali,  trapiantate  nelle 
lor  domestiche  pareti ,  dovean  rifiorire  di  leggiadria  nuova  , 
siccome  avvenne  di  quanto  negli  ornamenti  architettonici 
trassero  dagli  Egizii  ;  né  forse  da  questi  soli  (1).  Nondimeno 
le  solitarie  reliquie  d'  insuperabil  grandiosità  nella  terra 
del  Nilo  e'  impongono  per  avventura ,  più  di  quel  che  e'  inse- 
gnino ,  almeno  in  ciò  che  sguarda  il  gusto  ;  e  ,  salvo  le  biz- 
zarre imitazioni ,  in  grazia  della  varietà  cercata  assiduamen- 
te dallo  spirito  eccletico  dei  tempi  nostri ,  noi  non  potremmo 
aver  tipi  di  venustà  migliori  di  que'  che  la  Grecia  presenta. 

È  la  Grecia  che  avea  improntato  con  la  gentile  fisonomia 
del  suo  buon  genio  le  arti  asiatiche  ;  essa ,  veicolo  fra  la 
civiltà  d'  Oriente  e  l'europea ,  è  spogliata  di  molti  de'  suoi 
tesori  artistici ,  come  regina  cui  strappa  gli  ornamenti  chi 
la  fece  schiava  ;  e  l'esempio  greco  rifulge  a  Roma ,  ove  s' in- 
contra col  non  meno  ammirabile ,  e  chi  sa  quanto  antico , 
elemento  etrusco  !  Nella  grandiosità  del  popolo  signore  l'arte 
si  rivale  di  ciò  che  perde  nella  purezza.  A  tal  punto  il 
Relatore ,  introducendosi  nel  suo  più  diretto  argomento , 
penetra  nelle  case  etrusche  e  romane ,  e  ne  descrive   i  par- 


Meditazioni  storiche,  da  Raoul  de  la  Rochctte  e  da  Quatremère  de  Quincy  {Journal 
des  Savants,  484",  4849 ,  1850)  e  Gottardo  Calvi  (  Rivista  europea,  1845,  f.  60 
e  seg.  )  ;  secondo  le  quali  ipotesi  Surdanapalo  sarebbe  titolo  di  que' re  ,  come 
Faraone  dei  monarchi  egiziani. 

(1)  Nella  rappresentazione  óeWalbcro  sacro,  emblema  che  scorgesi  frequen- 
tissimo in  Oriente,  può  notarsi  un  certo  leggiadro  intrecciamento  di  rami  in- 
curvati «  che  terminano  in  fiori  a  sette  petali,  sporgenti  da  due  pampini,  o 
«  da  un  addoppiato  riccio  »  ne' quali  fiori  potrebbesi  ravvisare  l'origine  del  vago 
fregio  greco,  noto  nella  denominazione  di  succiamiele.  Tal' è  l'opinione  del  ce- 
lebre inglese  Layard  ,  scopritore,  insieme  col  colonnello  Rawilson,  ed  illustrator 
sapiente  delle  antichità  ninivitiche,  dopo  che  il  Botta  ebbe  dato  il  primo  impulso. 

Chi  scrive,  esaminando  nelle  tavole  della  magnifica  opera  Ninive ,  par  Botta 
et  Flandin,  un  rilievo  rappresentante  una  specie  d'ara,  osservò  due  colonne 
con  capitello  sormontato  da  altro  minore,  i  quali  tengono  assai  del  capitello 
ionico,  sebbene  manchino  de' listelli,  da  cui  riceve  grazia  la  voluta. 


SOPRA    INDUSTRIE   ED   ARTI  181 

ticolari  e  le  suppellettili  (1);  segue  le  vicende  dell'arti  mag- 
giori e  delle  minori,  che  vanno  dibassandosi  fin  che  i  tempi 
precipitano  nel  buio  e  nel  disordine  delle  età  barbariche; 
reazione  de'  vinti  contro  i  vincitori,  sfacelo  d'un  corpo  troppo 
gigantesco  e  corrotto  perchè  ne  possano  rimaner  congiunte 
le  membra  !  Ma  il  nome  di  Roma  sta  nella  sua  gloria ,  ed  i 
barbari  capitani  pretendono  a  circondare  i  loro  pesanti  elmi 
con  l'alloro  dei  Cesari  (2)  :  cionullameno  non  pensano,  e  non 
valgono,  a  ravvivar  la  cultura  degl'intelletti;  e  le  lettere  e 
le  arti ,  al  pari,  quasi  diremmo,  dei  primi  cristiani  nelle  cata- 
combe ,  hanno  rifugio  nelle  oscure  celle  de'  monasteri.  Nell'at- 
trito fra  gli  ultimi  aneliti  della  potenza  pagana  e  gì'  im- 
peti feroci ,  ond'  è  soffocata ,  sviluppasi  la  riparatrice  civiltà 
nuova;  con  quelle  del  figurare,  le  altre  arti  relative  alle 
abitazioni  umane  si  tramutano  ,  e  dalla  Roma  del  Bosforo 
vengono  fogge,  che  in  parte  si  associano  a  quanto  pur  si  fa 
nell'Occidente,  e  che  ne  dicono  come  dell'etrusco,  del  greco, 
del  romano  non  restino  che  i  monumenti  rovesciati,  o  nel- 
l'abbandono ;  i  quali  cessano  di  essere  scuola.  È  smarrita  la 
bella  ed  efficace  espressione  ;  si  seminano  le  pietre  preziose  , 
ove  l'estetica  preziosità  divenne  muta  :  nondimeno  pazienza 
industre  va  esercitandosi  ne'  trapunti  serici  ed  in  oro , 
negl'  intagli  di  mobili ,  principalmente  nel  musaico  :  testi- 
monio precipuo  le  celebri  basiliche  ed  altri  edifizi  in  Ra- 
venna (3). 


(1)  Relazione  sulle  industrie  relative  alle  abitazioni  umane  ecc.  ,  da  pag.  178 
a  181- 

(2)  La  solenne  idea  dell'impero  e  dell'aristocrazia  romana  perdurava  lanlo 
che  vediamo  Odoacre  ambire  ed  assumere  il  titolo  di  Patrizio  ,  dignità  ,  della 
quale  altri  monarchi  del  basso  imperio  vollero  fregiarsi.  Queir  idea -medesima  , 
ripercussione  ne' secoli  della  grandezza  di  Roma  antica,  spingesi  tant'ollre  che 
il  sire  austriaco  sino  al  1508  s'intitola  Imperato)-  Romanorum. 

(3)  È  debito  notare  essere  sfuggito  nella  Relazione  che  «  sopraggiunta  l'epoca 
«  franca  con  Carlo  Magno,  le  industrie  ebbero  più  larga  protezione  special- 
«  mente  il  mosaico....  si  conservano  tuttora  saggi  di  quel  mosaico  nelle  chiese 
«  di  Ravenna  ec.  »  [Industrie  relative  alle  abitazioni  umane  ,  pag.  182).  I  mo- 
saici ravegnani  son  giudicati  per  comune  consenso  del  iv  e  del  v  secolo;  e  si 
narra  che  il  Conquistatore  Franco  ,  lungi  dall'abbellire  quella  città,  la  spogliasse 
delle  doviziose  suppellettili  che  adornavano  il  palazzo  di  Teodorico. 


182  d'  una  relazione 

Spunta  al  fine  quell'aurora  del  medio  evo  in  cui  s' inizia 
coti  le  repubbliche  municipali  il  rinascimento  delle  arti  mag- 
giori ed  il  simultaneo  aggraziarsi  dell'altre  ;  e  via  via  si 
procede  in  opere  d'ogni  maniera  pei  tempii,  pei  palagi,  per 
gli  ornamenti  della  persona,  per  le  armi,  sin  che  arriva  l'età 
fortunata  in  cui  può  dirsi  tutto  esser  bello  ;  e  nella  quale 
artefici  insigni  non  ricusano  l' ingegno  e  la  mano  anche  a 
lavori  d'uso  casalingo  (1).  Cionullameno  vicino  alla  sommità 
è  la  scesa  ;  ed  ecco  tralignamento  nel  gusto  ;  ecco  all'eccel- 
lenza dei  principii  surrogarsi  le  capricciose  leggi  della  moda 
fin  sullo  scorcio  del  passato  secolo.  Vien  poi  fastidio  dell'esa- 
gerato ,  del  meschino ,  dello  scorretto  ;  si  dà  uno  sguardo 
alle  suppellettili  di  tempi  migliori  :  nelle  chiese  ed  in  altri 
pubblici  edifizi  si  cercano  i  classici  mobili  del  quattrocento 
e  del  cinquecento  ;  nelle  aule  magnatizie  si  scuote  la  polve 
che  ricopriva  i  seggioloni ,  gli  stipi ,  le  tavole  degli  antenati  ; 
e  sebbene ,  come  notammo  toccando  dello  spirito  eccletico  in 
voga,  piaccia  vagare  nella  imitazione  degli  stili  e  delle  guise 
d'ogni  fatta ,  quanto  all'essenza  ed  al  fondamento  artistico, 
il  precetto  e  la  scuola  voglionsi  raddrizzati.  La  relazione 
su  cui  discorriamo  ,  collegandosi  dopo  siffatti  ricordi  storici 
al  presente ,  viene  alla  notizia  dello  stato  odierno  delle  incile 
strie  mobiliari  in  Italia  ,  uè  lascia  in  dimentico  veruna  con- 
siderazione che  importi  allo  scopo  ,  sì  ne'  riguardi  dell'  arte 
e  sì  della  economia.  Registra  i  nomi  de'  nostri  premiati ,  o 
lodati,  in  Parigi  nelle  classi  di  cui  trattasi;  dimostra  supe- 
riore all' importazione  l'esportazion  nostra  de' mobili  :  da  che 
un  utile  commercio  ed  un  argomento  d'onore.  Non  la  segui- 
remo nelle  sue  accurate  e  giudiziose  disamine  ,  che  ci  dilun- 
gherebbero dall'  indole  di  questa  raccolta  :  vorremo  soltanto 
accennare  come  saggiamente  conforti  a  non  lusingarci ,  guar- 
dando il  buon  lato  ;  a  non  avvilirci ,  tenendo  in  conto  le 
calunniose  censure  ;  a  provveder  più  tosto  alle  migliorìe  che 
possano  ottenersi  negli  opifici  nostrali ,  per  condurli  a  con- 
dizioni della  prosperità  maggiore.  All'ultimo  citeremo  la  copio- 
sa appendice  di  specchi  statistici,  mercè  de' quali  è  dato  isti- 
tuir paragoni ,  rispetto  a'  lavori    ed    a'  commerci   de'  mobili , 

(1)  Industrie  ce.  pag.  185-. 


SOPRA   INDUSTRIE    ED   ARTI  183 

non  solo  fra  le  provincie  nostre  ,  ma  eziandio  fra  i  princi- 
pali popoli  dei  due  mondi  ;  ed  aver  sott'occhio  di  tratto 
quanto  è  più  opportuno  a  conoscersi  in  questa  parte  dell'  in- 
dustria umana  (1). 


IL 


Mosaico. 

1.  Tempi  antichi.  -  Toscana. 

Più  particolare  e  più  artistico  argomento,  che  si  ripartisce 
in  alquanti  rami,  ed  è  tuttavia  nell'insieme  una  ragion  di 
primato  per  gì'  Italiani ,  svolgesi  in  secondo  luogo  nella  Rela- 
zione (2).  Ragioniamone,  quant'è  possibile,  velocemente. 

Conosciute  le  ipotesi  intorno  il  modo  con  cui  venne  usato 
il  mosaico  dalle  vetuste  genti  asiatiche ,  vediamo  come  fosse 
pur  d'antica  pratica  presso  i  Greci ,  gli  Etruschi ,  i  Romani  ; 
scendiamo  a  questi  allorché ,  dopo  avere  appreso  il  mosaico 
artificiale  (cioè  in  vetri  preparati  all'uopo)  ed  averne  fatte 
prove  di  bella  vista ,  ma  non  durevoli ,  volgono ,  se  non 
debba  dirsi  tornano,  al  genuina*  detto  anche  litostratico  (3). 
Se  l'arte  sapea  colorar  variamente  i  vetri,  l' ingegno  e  la  pa- 
zienza giungono  a  gareggiare,  mercè  le  pietre  naturali,  con 
la  materia  elaborata  artificialmente.  Più  che  trenta  principali 
sono  le  qualità,  fra  marmi,  alabastri,  graniti,  diaspri,  che 
que' nostri  padri  aveano  eletto  per  la  tavolozza  de' musaici: 
qual  cemento  impiegassero  per  commeltere  insieme  le  varie 
pietruzze  ci  è  fatto  palese  dai  dissepolti  monumenti    di    tale 


(4)  Industrie  ec,  da  pag.  256  a  288. 

(2)  Ivi ,  da  pag.  290  e  376. 

(3)  È  ,  per  avventura  ,  a  chiamarsi  ritorno  e  non  passaggio  l'abbandonar  che 
fecesi  del  mosaico  artificiale  pel  genuino;  perocché  i  r>  zzi  mosaici  primi  era 
naturale  fossero  litostratici.  La  natura  appunto,  col  semplice  contrasto  delle 
pietre  bianche  e  delle  nere ,  somministrava  elementi  primissimi  d'ornare.  In- 
fatti i  Greci  denominarono  Xi^óoTpura  (strato  di  pietre)  i  pavimenti  de' tempii 
sino  in  antico  formali  con  pietre  di  vario  colore. 


184  d'  una  relazione 

maniera,  così  delle  città  romane  come  delle  etnische  e  delle 
galliche ,  perciocché  i  vincitori  dei  nipoti  di  Brenno  aveano 
insegnato  a  questi  a  lavorar  di  quell'arte,  che  fu  tra  loro  eser- 
citata largamente.  Del  valore  de'musaicisti  ne' tempi  di  Roma 
abbiamo  idea  dalle  stupende  opere  rinvenute,  fra  altre,  nella 
casa  del  Fauno  a  Pompei,  in  quelle  a  Palestrina  nella  villa 
Barberini ,  ed  a  Volterra  nella  piazza.  La  quale  ultima  opera 
(una  delle  scoperte  più  recentemente)  molto  importa  anche 
per  gli  utensili  e  le  fogge  di  vestire  che  rappresenta. 

Dopo  il  periodo  romano  abbiam  reliquie  del  mosaico,  pre- 
valente alle  altre  arti  conforme  vedemmo,  a  Ravenna,  a  Mi- 
lano ,  nel  Duomo  di  Monreale ,  in  San  Marco  a  Venezia ,  ed 
altrove. 

Spunta  l'età  del  risorgimento  ,  e  con  questa  un  progresso 
nella  formazion  del  mosaico ,  allorché  alle  pietre  calcaree  si 
sostituiscono  le  silicee  ,  vantaggiando  per  gran  modo  l'arte 
nel  vario ,  nel  caldo  ,  nel  trasparente  delle  tinte.  Dal  Lanzi 
è  attribuito  ad  un  Lombardo  il  nuovo  trovato:  altri  lo  crede 
anteriormente  in  usanza  a  Roma.  Comincia  a  splendere  in 
Toscana  ai  giorni  di  Fra  Mino;  con  Giotto  procede  vie  meglio, 
ed  insieme  la  pittura  si  restituisce  a  sua  dignità.  Più  non  è 
mestieri  adunque  di  ricorrere  alle  faticose ,  lunghe ,  mecca- 
niche prove  del  figurar  con  pietre:  nondimeno  quest'arte  non 
va  perduta;  vanta  ragguardevol  numero  d'illustri  cultori, 
vede  nascere  un'arte  affine  ,  più  magistrale  ;  ed  è  quella  spe- 
cie di  tarsìa  lapidea,  che  ha  sì  ammirabile  tipo  nel  pavimento 
della  cattedrale  di  Siena,  opera  di  Domenico  Beccatomi. 

Gran  tempo  di  fecondità  e  di  eccellenza  ,  perocché  sorge 
frattanto  pur  l'arte  delle  pietre  dure  !  Sin  dal  1511  il  Sacchi, 
il  Briosco,  Silvestri  da  Carate  ne  davan  saggio  alla  Certosa 
di  Pavia.  Bernardino  di  Porfirio  da  Leccio ,  di  cui  parla  il 
Vasari  e  più  diffusamente  il  moderno  Zobi ,  eseguiva  nel  155G 
un  commesso  in  ottagono  di  diaspro  con  ebano  ed  avorio 
per  Francesco  de' Medici  (1).  Le  splendidezze  granducali  fa- 
voreggiando a  tutta  possa  il  magnifico  trovato ,  gli  dan  sede 


(1)  Da  ciò  è  dimostrata  meno  esatta  l'asserzione  ilei  Lanzi  ,  che  attribuisce 
a  Giovanni  Bianchi  lombardo  l'aver  introdotto  in  Toscana  del  1580  l'arte  delle 
pietre  dure. 


SOPRA  INDUSTRIE  ED  ARTI  185 

in  San  Marco,  poscia  negli  Uffizi,  ove  pur  si  congregano  va- 
lorosi dipintori,  disegnatori,  intagliatori  di  gemme,  lavoranti 
in  cristallo  ed  in  porcellana.  Allora  all'arte  lapidea,  d' inven- 
zion  più  recente,  è  affidato  rivestir  le  pareti  della  celebre 
cappella  congiunta  al  tempio  di  San  Lorenzo  ;  la  quale  di- 
venne aula  pe'  mausolei  medicei.  Lugubre  magnificenza  di 
luogo ,  tanto  stupenda  che  nella  popolar  credulità  invalse 
opinione  si  fosse  per  assegnarla  a  stanza  del  Divin  Sepolcro, 
poiché  fosse  tolto  alle  forze  de'  Musulmani  ;  la  quale  impresa 
diceasi  affidata  ai  cavalieri  di  Santo  Stefano  !  Né  il  solo  mo- 
numento a'  Principi  di  Casa  Medici  ;  ma  conduconsi  altre 
meravigliose  opere  che  s' inviano  ,  prezioso  donativo  ,  a  Corti 
europee.  Fra  i  primi  nomi  che  inaugurano  in  Toscana  l'arte 
delle  pietre  dure  rifulge  quello  di  Benedetto  Peruzzi  ;  la  per- 
fezionano Giovanni  dalle  Corniole  ed  altri  artefici  ;  poi  Co- 
stantino de'  Servi ,  il  Buontalenti ,  Giambologna  ,  il  Cigoli  ; 
altri  tanti  che  troppo  lungo  sarebbe  l'enumerare.  Oltre  al 
rappresentar  bellissime  istorie ,  offre  ornamenti  e  frutta  e 
fiori  e  farfalle  e  cose  molte  graziosissime ,  con  sì  grande 
verità  che  è  un  prodigio  ;  e  non  sembrano  obbietti  imitati 
con  pietre ,  ma  naturali  petrificati. 

Francia,  vogliosa  anch'essa  di  posseder  quest'arte ,  quan- 
tunque ottenga  in  Ferdinando  Migliarini  un  artefice  che  v'ini- 
zia un  opificio  di  pietre  dure  ,  non  la  vede  attecchire.  Ha 
miglior  fortuna  oltre  i  mari.  Ferdinando  I  spedisce  nel  Mogol 
quattro  artisti  per  acquistarvi  pietre  silicee,  abbondantissime 
in  que' luoghi,  e  colà  pare  divenissero  maestri  o  perfezio- 
natori dell'arte  suddetta ,  di  cui  miransi  a  Delhy  monu- 
menti ammirandi.  Prosperò  anche  in  Napoli ,  ove  l' introdus- 
sero Giambattista  Zucconi  e  Raffaello  Muffati;  ed  ov'ebbe 
amenissiina  officina  presso  San  Carlo  delle  Mortelle. 

Verso  il  mezzo  del  secolo  scorso ,  questa  bell'arte  fioren- 
tina declinò;  risorse  dopo  il  1818;  a  merito  della  famiglia 
Siries  produsse  la  famosissima  tavola ,  denominata  delle 
Muse  sopra  disegno  di  Giambattista  Giorgi  e  con  imbasamento, 
cui  modellò  il  celebre  Giovanni  Duprè.  Ora  l'officina  delle 
pietre  è  fra  quelle  soggette  al  Demanio  (come  dicesi  oggi  il 
patrimonio  dello  Stato  )  ;  a  cui  appartiene  dissipare  i  timori, 
non  taciuti  nella  Relazione,  di  veder  menomati,  se  non  tolti, 

Arch.  St.  Ital.,  3.a  Serie,  T.  X,  P.  I.  2Ì 


186  d'  una  relazione 

i  mezzi  di  prosperità  ad  un'arte  cotanto  gloriosa  per  la  To- 
scana. Confidiamo;  che  son  vive  le  tradizioni ,  recenti  l'opere 
egregie  ,  non  ancor  muto  l'opificio ,  e  n'escono  valenti  maestri. 

I  commessi  in  superfice  piana  non  furono  i  soli  delle  pie- 
tre dure  ;  si  fecero  altresì  rilievi  alti  e  bassi ,  e  liberi  scol- 
piti ,  ch'ebbero  parte  all'ultima  Esposizione  universale.  Ivi 
alla  perizia  toscana  contrastò  quella  della  fabbrica  di  Peterkoff, 
che  pur  ebbe  origine  da  nostri  insegnamenti.  Piacquero  il 
garbo  elegantissimo  e  la  novità  dei  disegni  russi  ;  ma  si  dovè 
riconoscer  migliore  il  commesso  dei  lavori  italiani  ,  cui  di- 
fese energicamente  il  Commissario  nostro,  non  per  solo  amor 
di  patria ,  ma  per  ispirito  di  ragione  e  di  verità  ;  né  si  potè 
negare  encomio  a' Fiorentini;  medaglia  d'oro  a  Giovanni  Ricci. 

La  relazione ,  che  ci  spiega  con  somma  perspicuità  ed 
esattezza  i  metodi  per  l'opera  delle  pietre  dure  ,  ci  dà  conto 
eziandio  di  quella  per  cui  lodasi  primamente  Gaetano 
Bianchini ,  che  la  conduce  in  men  compatte  materie ,  al  fine 
di  renderla  meno  costosa;  perciocché  l'altra  non  può  essere 
accostevole  che  a  Principi,  ovvero  a  doviziosissimi  privati. 
Divenuta  però  meglio  produttiva  la  gentile  industria,  dall'  Ita- 
lia si  è  propagata  in  altre  regioni  europee ,  in  America  e 
persino  in  Australia;  ed  è  consolevole  a  sapersi  che  il  nu- 
mero de' premii  stabilito  per  l'industria  medesima  fu,  nell'oc- 
casione della  esposizion  francese ,  minore  di  quello  degli 
artisti  italiani  che  hanno  meritato. 


2.  Roma. 

Il  più  gran  tempio  del  mondo  è  pur  quello  dove  si  ammi- 
rano i  più  artistici  mosaici  ;  perocché  i  capolavori  de'  grandi 
maestri  vi  son  ritratti  nella  guisa  monumentale  che  più 
d'ogni  altra  può  far  perpetue  le  copie  fedeli.  È  da  riferirsi  il 
principio  di  quest'usanza  al  tempo  (non  più  addietro  di  tre  se- 
coli e  mezzo)  in  cui  venne  istituito  lo  studio  vaticano,  de- 
nominato poscia  Fabbrica,  perocché  dipendente  dall'Opera  o 
Fabbrica  di  San  Pietro.  Marcello  Provinciali  o  Provenzale  che 
fioriva  del  1576,  pontificando  Gregorio  XIII,  è  il  primo  nome 
d'artista  che  si  rannodi  a  tale  fabbrica ,  unica  al  mondo  per 


SOPRA   INDUSTRIE   ED   ARTI  187 

le  tante  classiche  opere  riprodotte  ,  e  perchè  conta  smalti  di 
circa  diciassettemila  tinte  ,  mercè  dei  quali  puossi  eseguire 
in  musaico  qualsivoglia  imitazione  ;  persino  dei  drappi  tes- 
suti in  oro  ,  siccome  fecero  Alessio  Mattioli  d'Ascoli ,  il  Ghezzi 
ed  altri  ;  onde  aggiunse  la  più  desiderabile  perfezione  ;  ed 
ora,  prosperando  sempre,  è  diretta  dall'illustre  cav.  Agricola. 

Dal  mosaico  grande  germogliò  quella  specie  di  miniatura 
che  sì  graziosamente  è  usata  per  anelli ,  collane,  braccialetti 
ed  altri  vezzi  muliebri.  Potè  ottenersi,  dopo  che  fu  inventato 
l' industre ,  pazientissimo  lavoro  del  filar  gli  smalti  ;  di  che 
Giacomo  Raffaelli  fu ,  se  non  inventore ,  primo  a  far  bella 
mostra  nel  1755  ;  e  pur  ne  stabiliva  a  Milano  una  scuola. 
Così  l'arte  de'  mosaicisti  ha  in  Roma ,  oltre  la  Vaticana , 
quindici  officine  ,  fra  cui  primeggiano  quelle  del  Barbieri  del 
Maglia,  del  Galanti,  del  Boschetti,  che  danno  lavoro  a  mille 
artieri  ;  e  d'onde  uscirono  opere ,  che  nelle  esposizioni  uni- 
versali di  Londra  e  di  Parigi  vennero  giudicate  adeguata- 
mente a'   lor  pregi  solenni. 

Un'antica ,  importante  arte  romana ,  che  si  collega  al  mo- 
saico abbiamo  ne'  cammei.  Essa  poteva  prosperare  in  tempi  di 
grandi  dovizie  ;  ne'  nostri ,  in  cui  tanto  si  va  pel  sottile ,  sa- 
rebbe forse  perduta,  se  all'  incidere  in  pietre  di  gran  costo, 
profittando  delle  tinte  naturali,  non  si  fosse  sostituito  il  va- 
lersi di  conchiglie  ,  le  quali  sono  altresì  di  più  facile  lavorìo. 
La  Francia,  1'  Inghilterra,  la  Russia  han  tratto  da  noi  que- 
st'arte che,  sebbene  languisca  alquanto  ,  ha  tuttora  in  Roma 
quasi  la  madrepatria  a  cui  si  ricorre  da  fuori  come  ad  autrice 
e  conservatrice  :  ed  ha  pure  in  Giovanni  Dies  un  celebratis- 
simo  cultore. 


3.   Venezia. 

Come  Roma,  così  Venezia  richiedeva  special  menzione 
pel  mosaico.  Appreso  dagli  Arabi  il  modo  di  preparare  splen  - 
didamente  i  vetri  ;  tenuto  il  far  bizantino,  la  metropoli  adriaca 
ebbe  quest'arte  in  tanta  onoranza  da  conferire  il  patriziato  a  chi 
più  squisitamente  la  esercitasse.  Con  la  grandezza  della  Repub- 
blica sarebbe  scaduta,  se  non  fosse  entrata  in  un  nuovo  cam- 


188  d'  una  relazione 

pò.  Fu  sulla  metà  del  secolo  scorso,   allorché  l'abate  Moretti 
da  Murano  e  suoi  fratelli  ebbero  inventato  .    come    credesi  , 
quello  che  si  reputa  il  più  ragguardevole  degli  smalti ,  e  che 
venne  chiamato  Avventurina ,    nome  di    rarissima    pietra  di 
quarzo  rossastro  punteggiato  d'oro ,  del  quale  il  nuovo  smalto 
imitava  i  colori ,  vinceva  la  fulgidezza.  Rimanea  un    segreto 
siffatta  composizione,  quando,  per  effetto  di  studi  e  sforzi  e 
sacrifizi  infiniti,  venne  scoperta  da  Pietro  Bigaglia  ,  e  si  ag- 
giunse altro  smalto,  screziato  a  varii  colori ,  rassomigliante 
il  diaspro  sanguigno ,  che  denominossi  Ossidiana.  Ne  furono 
ammirati  i  primi  saggi  in  Esposizioni  provinciali  del   1826  e 
del  27;  ed  i  vetri  colorati  a  mo'  di    pietra    dieder    campo    a 
comporre  non  più  visti  ornamenti;  servirono  a  fregio  di  mo- 
bili doviziosi,  dieder  fonte  a  considerevoli  guadagni,  peroc- 
ché in  Roma,  in  Boemia,  in  Francia,    nella  stessa  Turchia 
venne    in    gran   voga   quello    smalto ,    che    ottenne  trionfi  a 
Londra  del  1851  ,   a  Parigi    del   55,    a  Firenze    sei    anni   di 
poi.  Intanto  un  terzo  valentuomo ,    Lorenzo   Radj ,    non    av- 
vertito nella  oscurità  della  sua  povera  officina ,  sudava  dì  e 
notte  per  tentar  di  penetrare  il  mistero  nel  quale    pur  s'era 
avvolto  il  secondo  scopritore.  Buona  fortuna  volle  che  quel- 
l' indefesso    artiere    fosse    scoperto ,    compreso ,    soccorso    da 
Antonio  Salviati ,  che  gli  diede  mano  sì  generosa  e  lume   sì 
efficace  da  giungere  la  meta  ed  oltrepassarla.  Il  Salviati,  spinto 
ineluttabilmente,  lascia  altra  carriera,  cui  si  suole  attribuire 
assai  più  dignità  che  a  quella  dell'operaio;  si  associa  a  lui  ; 
aiuta    eziandio   un   Negri   ed    un   Baldoni;    e   da  tale    am- 
mirando consorzio  risulta  il  migliorar  gli  stromenti  da  taglio 
de'  vetri  ;    il  perfezionar   le  commettiture  ;   il    racquistar    la 
smarrita  arte  d' imitar  l'oro ,  l'argento ,  i  calcedonii  ed  altre 
pietre ,  anche  a  superficie  curva  ;    il   variare    gli   ornamenti 
composti  con  questi  apparecchi  ;  il  foggiare  vasi  elegantissimi. 
Tutt' insieme  offresi  la  prospettiva  che  per  Venezia  si  riapra 
una  fonte  di  commercio ,   la  quale    fu    doviziosa    in   passato 
finché  i  porti  d'Oriente  accolsero,  come  accolgonsi  ora  quelle 
de'  maggiori  potentati  ,  le  navi  della  gloriosa  Repubblica. 


SOPRA   INDUSTRIE   ED    ARTI  180 


4.  Riepilogo  concernente  al  mosaico. 

Nella  Relazione  si  volle  corredata  anche  la  parte  relativa 
al  mosaico  da  tavole  statistiche,  onde  abbiamo  elenchi  dei 
maestri  commettitori  di  pietre  dure  dal  21  aprile  1574,  e 
pregiabilissime  notizie  ,  come  intorno  quelle  usate  per  la  ta- 
vola detta  delle  Muse  ,  così  all'altre  che  serviranno  alle  sta- 
tuette di  Cimabue  e  dell'  Italia  ;  oltre  indicazione  delle  pietre 
tutte  che  usansi  nell'opificio  fiorentino.  A  conchiudere  poi  la 
triplice  relazione  intorno  i  mosaici,  vien  fatto  un  parallelo, 
cui  giova  rapidamente  accennare.  Roma  e  Venezia  non  si 
distolgono  dalle  materie  usate  a  principio ,  si  travagliano  a 
perfezionar  l'arte.  Firenze  abbandona  gli  apparecchi  vitrei 
per  surrogare  i  calcarei ,  poscia  i  silicei ,  ed  ottiene  un  modo 
tutto  suo,  durevole,  ricco,  splendidissimo.  Roma  prevale 
nella  imitazione  dei  dipinti ,  ed  in  un  musaico  (propriamente 
detto)  il  più  classico.  Le  va  da  presso  Venezia;  ma  in  par- 
tàcolar  guisa  per  gli  ornamenti  edilizi  e  delle  mobilie.  Una 
bella  pagina  è  segnata  dal  mosaico  nella  storia  dell'arte 
italiana;  liberalità  o  fasto  di  principi  vi  poterono  in  passato 
spender  tesori .-  al  presente  che  ne  sarà?  Rispondiamo  col 
voto  espresso  nella  Relazione ,  che  conforta  ad  eternar  con 
monumenti  anche  di  quest'arte  le  migliori  memorie  della 
patria  comune. 


III. 

Intaglio  e  tarsìa  in  legno  ed  in  avorio. 

Nelle  suppellettili  per  uso  delle  persone  o  de'  luoghi  ad- 
detti al  culto  religioso  possiam  tuttavia  ritrovar  monumento, 
rispetto  alla  nuova  èra,  di  quell'intaglio  e  di  que'commessi, 
che ,  sebbene  in  men  solida  materia  e  tenuta  più  ignobile 
de'marmi  e  de'bronzi ,  ci  offrono  pròve  squisite  ,  meravigliose. 
Ma  non  ne  rimangono  eli  lontanissimo  tempo  ;  il  seggio  o 
cattedra   di    san    Massimiano  a  Ravenna ,  lavoro    in    grandi 


190  d'  una  relazione 

tavole  d'avorio  foggiate  a  basso  rilievo ,  è  tra  i  mobili  anti- 
chi di  così  fatta  maniera  il  più  celebre ,  ed  appartiene  al 
sesto  secolo  del  Cristianesimo  (1).  Nella  gentil  Toscana  (quasi 
culla  predestinata  dell'arti  e  della  lingua  d'Italia,  poiché 
Roma  più  non  fu  che  il  più  gran  monumento  dell'epoca  ante- 
riore) ,  ed  in  alcune  terre  vicine  incomincia  copiosa  e  non 
incerta  la  storia  dell'arte  a  cui  alludiamo.  Manuello  con  Parti 
suo  figlio  lavora  nel  1259  al  coro  del  vetusto  duomo  di  Siena. 
Un  senese  ,  mastro  Vanni  dell'Ammanato ,  disegna  nel  1331 
gli  stalli  in  legno  a  tinte  svariate  del  Duomo  d'Orvieto ,  e 
dà  mano  a  condurlo;  noi  può  recare  a  compimento,  e  questo 
devesi'a  Domenico  di  Niccolò,  indi  a  Pietro  e  ad  Antonio  del 
Minella ,  a  Giovanni  di  Lodovico  Magno  :  tutti  della  scuola 
senese ,  onorata  eziandio  dai  nomi  di  Giovanni  Talini ,  di 
Meo  Ruto  e  d'altri. 

Non  è  a  partirsi  da  Siena,  ove  in  quell'emporio  e  miracolo 
d"arte  eh' è  la  cattedrale,  lavorano  all'opere  in  legno  per 
trentatre  anni  più  intagliatori;  fra' quali,  primo,  Francesco 
del  Tonghio  ;  valorosissimo ,  Barna  di  Torino.  Sempre  a  Siena, 
quel  medesimo  Barna  nel  palazzo  del  pubblico  ;  Giovanni  di 
Feo  detto  di  Barbecca  nella  chiesa  di  S.  Giovanni  ;  in  quella 
di  S.  Domenico ,  Lorenzo  di  maestro  di  Landò  si  travagliano 
in  ragguardevoli  intagli  e  tarsìe  ;  poscia ,  per  tacere  d'altri , 
Cecco  di  Vanni  del  Giucca  e  Pasquale  di  Matteo  chiuderebbero 
la  serie  degl'intagliatori  de' rammentati  paesi  nel  trecento, 
se  non  fosse  a  dire  di  Niccolò  di  Niccoluccio  e  di  Tommaso 
di  Ceccolu  ;   della  perizia  de'  quali    riman  testimonio  un  bel 

(-1)  Poiché  gli  antichi  lavori  in  quest'arte  scarseggiano,  si  amerà  che  dia- 
mo cenno  delle  imposte  di  due  porte  della  chiesa" di  Sant'Alessandro  in  Parma 
(  fondata  ,  insieme  con  monastero  di  monache  Benedettine  dalla  regina  Cune- 
gonda nel  ix  secolo)  ;  le  quali,  a  cagion  di  pia  tradizione  ,  vennero  gelosamente 
serbate  ,  siccome  quelle  che  dicevasi  fossero  aperte  e  chiuse  ogni  dì  da  San 
Bertoldo  ,  sul  principio  del  secolo  xif.  Leggesi  accurata  descrizione  di  esse 
nel]' Indicatore  modenese  del  1852  (31  luglio,  N.°  34  )  in  una  Memoria  impor- 
tantissima ,  pubblicata  a  più  riprese  in  quel  foglio  ,  del  nostro  illustre  amico 
Prof.  Cav.  Amadio  Rondimi  sui  lavori  di  scultura  in  legno  eseguiti  in  Parma. 
Di  questa  Memoria  principalmente  ci  varremo  nelle  nostre  note  ;  e  ,  nel  propo- 
sito di  essa,  non  dobbiam  tacere  che,  a  pag.  309  della  Relazione,  il  mentovato 
Indicator  modenese  è  citato  come  un'opera  del  Monchini ,  mentre  non  era  che 
un  giornale  arlistico  letterario  in  cui  s'inseriva  quella  Memoria. 


SOPRA  INDUSTRIE  ED  ARTI  191 

frammento  della  tarsìa,  ond'  era  formato  il  coro  del  duomo 
d'Assisi. 

Rassegna  non  breve  di  nomi  abbiamo  offerto,  eppure  dob- 
biam  giudicarla  ,  più  che  scarsa ,  insufficiente ,  se  volgiam  lo 
sguardo  alle  altre  parti  d'Italia,  ove  non  fu  mai  spento,  se 
non  per  tutto  ugualmente  leggiadro  ,  il  culto  dell'arti.  Della 
quale  insufficienza  fan  fede,  tra  l'altre,  le  continue  scoperte 
di  documenti  e  d'obbietti ,  eli  cui  non  lasciarono  desiderar 
notizia  i  diligenti  ricercatori;  ma  noi  non  ci  dilunghiamo 
dall'ufficio  di  dar  conto  d'un'opera  altrui ,  e  sconverrebbe  il 
soverchio  allargarsi  (1).  Avvertiamo  inoltre ,  e  non  lo  tace  la 
Relazione,  che  del  moltissimo  fatto  a  que'tempi  non  abbastanza 
ci  resta.  L' ignoranza  feroce ,  la  stolta  grettezza  diedero  alla 
scure  ed  al  fuoco  reliquie  preziosissime  ;  oppure  fra  mano  di 
rigattieri  o  sordida  gente  caddero  importanti  rimasugli ,  che 
passarono  i  monti  ed  i  mari,  e  son  testimonio  ad  altre  nazioni 
di  ciò  che  fu  la  nostra ,  ed  esse  allora  non  furono. 

Il  quattrocento,  secolo  aureo,  scala  dal  rinascimento  all'apo- 
gèo dell'arti  belle ,  incomparabile  nella  semplicità  e  nel  pre- 
stigio del  sentimento  mistico,  presentasi  con  quei  nomi  di 
Donatello,  del  Brunellesco,  di  Giuliano  e  Benedetto  da  Maiano 
e  d'altri,  dei  quali,  pur  in  riguardo  alla  scultura  in  legno, 
non  è  mestieri  si  ricordino  le  celebratissime  opere.  Men 
noti ,  quantunque  non  meno  commendevoli  per  tal  fatta  di 
scultura,  Tommaso  d'Antonio  fiorentino,  Domenico  d'Antonio 
da  S.  Severino ,  Angelo  di  Gabriello  Bruno ,  eseguirono  squi- 
siti lavori  ad  Assisi;  e  con  loro  va  lodato  Alberto  di  Betto , 
autore  di  celebri  figure  in  una  cappella  della  Metropolitana 
senese.  L'arte  della  xilotarsia  va  innanzi  per  le  fatiche  di 
non  pochi,  fra' quali  Matteo  di  Bernardino;  Pietro,  Antonio, 
Giovanni  del  Mulinella;  Domenico  Tassi,  finché  arriva  a 
Lorenzo  Genesino  da  Lendinara  (picciola  terra  del  Polesine 
in  quel  di  Rovigo)  detto  Canozio  ,  capo  di  celebre  famiglia  , 
e  di  scuola  che  primeggia,  e  che  non  ebbe  d'uopo  da'succeduti , 
se  non  di  venire  arricchita  e  perfezionata.  La  Relazione,  facen- 


ti Solo  riputiam  non  disutile  raeguagliare  ,  alla  spedita  ed  in  nota,  d'al- 
cuna importante  cosa  di  Parma  ,  patria  e  dimora  nostra,  avendo  in  presenza 
i  lavori,  e  sicurezza  di  elementi  a  trattarne. 


192  d'  una  relazione 

dosi  prò'  di  quanto  scrisse  il  eli.  Michele  Caffi  (1) ,  mette  in 
rilievo  e  rettifica  le  inesattezze  corse  nel  proposito  di  quella 
famiglia,  la  quale  diede  sei  artisti:  Lorenzo  suddetto;  il 
fratello  di  lui  ,  Cristoforo;  Giovan  Marco,  figlio,  da  cui  Ber- 
nardino, che  fu  padre  a  Daniello,  e  con  loro  Pier  Antonio 
dell'Abate,  da  Modena,  che  s'immedesima  co'Lendinaresi  a 
cagion  di  maritaggio  con  una  figlia  di  Lorenzo  (2).  Anche  per 
questi  artefici,  che  lasciarono  discepoli  commendati  (3)  e  lavori 
tanti  ,  esempio  e  lustro  in  molte  città,  non  è  mestieri  scen- 
dere a  particolari ,  da' quali  nulla  si  trarrebbe  che  non  fosse  a 
notizia  degli  studiosi  (4).  Torniamo  dunque  alla  gentile  Siena  , 


(1>  Lettera  al  Padre  Marchese,  Modena,  Pelloni  ,  1852.  La  diligenza  e  la 
saggia  critica  ,  onde  sono  informate  questa  ed  altre  lettere  al  marchese  Giuseppe 
Campori  ,  lasciati  desiderio  che  l'egregio  Caffi  dia  compiuta  la  storia  della  Xilo- 
tarsia che  sperasi  da  lui. 

(2)  Si  hanno  esempi  d'artisti,  che,  abbandonando  il  proprio,  assumono  il 
cognome  di  famiglia  con  la  quale  s'imparentano.  Girolamo  Bedolli  ,  fiorito  in 
Parma  tra  gli  esimii  dipintori,  avendo  impalmato  donna  della  schiatta  dei 
Mazzola  ,  prese  questo  cognome  ,  ed  in  questo  è  ,  e  vuol  essere,  conosciuto  :  il 
che  notiamo  al  considerare  come  ,  per  l'identità  di  tal  cognome  con  quello  di 
Francesco  detto  il  Parmigiani/. o  ,  e  pel  merito  ,  se  non  pel  fare  ,  delle  opere  , 
l'uno  sia  stalo  sovente  dai  meno  avvisti  confuso  con  l'altro. 

,3)  Ai  derivati  dalla  scuola  de'Canozii  appartiene  il  parmigiano  Luchino 
Bianchini  ;  il  quale  in  uno  dei  molti  pregevolissimi  suoi  lavori  volle  ,  col  pro- 
prio nome  ,  segnar  memoria  di  sua  gratiludiue  al  maestro  ,  Cristoforo  da 
Lendinara  .  cui  ebbe  a  superare  nella  linitezza  artistica.  Egli  compiè  gli  arma- 
dii  della  sagrestia  de'  Consorziali  nella  cattedrale  parmense  insieme  con  Cri- 
stoforo suddetto;  eseguì  buona  parte  dei  suoi  intagli  e  tarsie  sulla  fine  del  se- 
colo xv,  e  del  1524  tramontava  la  sua  vita,  già  decrepita. 

Altro  intagliatore  e  tarsiatore  in  legno  ,  di  cui  Parma  onorasi  ,  quasi  con- 
temporaneo ai  precedenti  ,  perocché  ,  nato  del  1469,  cessò  di  vivere  nel  1531  ,  e 
fu  Marc'Anlonio  di  Giovanni  Zucchi,  al  quale  Man 'Antonio  è  dovuto  il  coro 
magnilico  de'  Benedettini  nella  stessa  città.  Vi  lavorò  quasi  trentanni  ,  ed  ebbe 
un  degno  cooperatore  ,  del  cui  nome  non  si  ha  traccia  ,  ma  che  il  Ronchi  DÌ 
stima  lecito  supporre  fosse  Biagio  Veneziano,  del  quale  trovò  relazione  in  un 
giornale  ile' Monaci  sotto  la  partita  del  Zucchi.  Questi  nel  fratello  Aristotele  e 
nel  nipote  Gian  Francesco  ebbe  due  del  suo  casato  e  della  sua  medesima  arte 
(Ved.  Indie,  Moderi.,  1852,  N.  3G  e  37). 

(4)  Ci  par  luogo  da  citare  quanto  il  Bonchini  (Memoria  suddetta)  considera 
per  rispetto  a  quegl'  intagliatori  che  pure  esercitavano  architettura  ,  i  (piali 
forse  chiamavansi  magistri  a  muro  et  lignamine  ;  e  di  tal  modo  vennero  intitolali 
Gherardo  Fatuli  ed  Ilario  Ugoleto  ,  parmensi  ,  che  si  possono  annoverare  fra  i 
pregevoli  architetti  ed  intagliatori  de' tempi  .«u  cui  discorriamo.  Listesso  Hon- 


SOPRA   INDUSTRIE    ED    ARTI  193 

da  cui  pigliammo  le  mosse  ,  che  nel  suo  Antonio  Barili ,  nato 
nel  1453 ,  nel  nipote  di  lui ,  Giovanni ,  ed  in  parecchi  disce- 
poli spinse  l'arte  a  maggiore  progresso,  mentre  Damiano  da 
Pola,  con  gli  stalli  della  Certosa  di  Pavia,  Giovanni  da  Ve- 
rona e  fra  Damiano  da  Bergamo  facevano  che  fiorisse  in 
Lombardia.  Cremona  dà  i  natali  ai  valenti  Giovanni  Maria 
Platina,  e  Filippo  Sacca  o  Sacchi  (1);  Genova,  Venezia, 
Vicenza ,  Ferrara ,  Piacenza  e  Parma  (2)  vantano  egregi 
maestri  d'intaglio;  il  Piemonte,  nel  Castel  di  Pollenza  presso 
Torino  conserva  in  una  cappella  un  coro  bellissimo  ,  miracolo 
dell'umana  pazienza,  come  il  Cicconi  lo  chiama,  di  cui  è 
ignoto  l'autore;  e  l'istesso  Piemonte  offre  un  artista  egregio 
in  Anselmo  de'Fornari  da  Tortona,  che  lavorò  di  tarsìa  nel 
sontuoso  coro  della  cattedrale  savonese. 

Omettiamo  altri  artefici  ed  opere  del  secolo  xv,  ed  a  mag  • 
gior  brevità  ci  costringe  il  fortunato  cinquecento ,  che  innu- 
merevoli sono  i  maestri  d'allora  ,  anche  nella  spece  d' intagli 
di  cui  ragioniamo.  Continua  l'antica,  gloriosa  scuola  de' Barili 
da  Siena  e  ne  rampollano  ottimi  seguaci.  Antonio  Mercatello 
nel  collegio  del  Cambio  in  Perugia,  e  nel  coro  della  cattedrale 
di  Todi  si  mostra  classico  artefice  ,  vantaggiato  dall' usare 
disegni ,  forse  del  Perugino ,  fors'anco  di  Raffaello  ;  Fra  Gio- 
vanni da  Verona ,  intarsiatore  de'più  famosi ,  inventa  ed 
insegna  il  tingere  i  legni  con  colori  ed  olii  cotti;  escono 
dalla  scuola  di  lui  frate  Raffaello  da  Brescia,  eccellentissimo; 
un  altro  Bresciano ,  che  nomossi  Bernardino  Tortelli ,  e  fu 
detto  anche  Benvenuto  ,  finalmente  Bartolommeo  Chiarini. 
Questi  due  compiono    opere    magistrali  a  Napoli ,  ove  prima 

chini  argomenta  che  i  migliori  artefici  di  legname  potessero  essere  altresì  ar- 
chitettori,  e  par  giusta  osservazione  anche  guardando  al  gusto  degli  ornamenti, 
al  disegn  i  ed  agli  efletti  prospettici  degli  edifizi  ritratti  nelle  tarsìe,  che  danno 
a  divedere  studio,  se  non  diretto,  affine,  all'arte  architettonica. 

(1)  Pur  dal  Ronchini  abbiamo  conte/za  di  un  Tommaso  Sacchi  ,  per  avven- 
tura del  medesimo  casato,  com'era  della  medesima  città  di  Filippo:  l'uno  e 
l'altro  di  tal  vaglia  da  potere  ,  il  primo  ,  competere  con  Cristoforo  Canozio  nel 
concorso  aperto  dai  Santesi  della  cattedrale  di  Parma  pel  coro,  che  ammirasi 
tuttavia  ,  e  fu  poi  allogalo  a  Cristoforo;  il  secondo,  da  essergli  commesso,  in- 
sieme con  Cristoforo  da  Milano  ,  un  cospicuo  lavoro  per  la  casa  del  conte  ih 
Cajazzo ,  il  famoso  Roberto  Sanseverino. 

(2)  Vedi  nota  3  a  pag.  492. 

Arch.  St.  Itai..,  3.a  Serie  ,  T.  X  ,  P.  I  25 


194  d'  una  relazione 

erano  sorti  Agnolo  Agnello  del  Fiore ,  allievo  del  Ciccione , 
Giovanni  Mediano  da  Nola  ;  e ,  lodatissimo ,  Agostino  Bor- 
ghetti.  Un  altro  frate ,  Damiano  da  Bergamo ,  reca  al  mag- 
gior progresso  l'arte  di  colorire  i  legni,  cui  ritrovava,  come 
dicemmo ,  il  Veronese  ;  e  le  tarsìe  di  Damiano  giungono  a 
tanto  prestigio  da  emular  il  dipinto.  Ha  un  fratello  di  nome 
Stefano ,  un  garzone  chiamato  Zampiero ,  i  quali ,  con  altri , 
gli  son  collaboratori  ;  e  ,  a  dimostrar  quale  artefice  fosse  , 
bastano  il  coro  di  San  Domenico  in  Bologna,  e  le  parole  che 
di  lui  scrisse  l'illustre  Padre  Marchese.  Toccando  solamente 
del  fiorentino  Guglielmo  Baglioni ,  e  del  bergamasco  Francesco 
Zabello  ;  rammentando  la  buona  scuola  cremonese  d' intaglio  , 
nella  quale  emergono  i  nomi  di  Francesco  Aureri  ,  di  Lo- 
renzo Aili ,  d'un  Paolo  Sacca  ,  di  Cristoforo  e  Giuseppe  Man- 
tello ,  omettiamo  non  pochi  altri  di  varie  città,  e  chiudiamo 
il  ragguaglio ,  che  si  riferisce  al  sestodecimo  secolo  (1) ,  col 
rammentare  che  artisti  preclari  non  isdegnarono  esercitarsi 
nell'  intaglio  in  legno  ,  siccome  fu  fatto  da  Giulio  Romano  e 
dal  Primaticcio  in  Mantova. 

Superfluo  entrar  nell'argomento  notissimo  dell'arte ,  che 
si  esagera,  si  ammaniera,  precipita,  nel  secolo  xvn.  Non  più 
grandiosità  di  lavori  e  di  gusto;  gonfiezza,  imagine  della  bo- 
riosa prevalenza  spagnuola;  fasto,  scorretto  come  il  costume, 
surrogato  alla  magnificenza.  Dove  lo  splendor  dell'arte  manca, 
si  cerca  quello  della  materia;  né  più  con  severa  semplicità, 
ma  con  mescolanze  di  bronzi ,  di  porcellane ,  di  musaici  si 
fanno  gT  intagli  ;  ed  a  poco  a  poco  più  non  li  trovi  nelle  so- 
lenni opere  pei  tempii,  pe'cenobii,  per  le  aule  de'Municipii, 
ma  nelle  sale  de' signorotti,  che  mutarono  in  burbanza  la  fiera 
grandezza  avita.  Nondimeno  la  nostr'arte  non  al  tutto  trali- 
gna (2) ,  e  mantengonsi ,  quanto   è  dato ,    in  fiore   le   scuole 

(1)  In  questo  secolo,  sullo  scorcio,  Parma  ebbe,  fra  altri,  due  egregi  inta- 
gliatori in  legno  ne' maestri  Oian  Francesco  e  Pasquale  Testi:  il  primo  fu  al- 
tresì architettore  di  molta  vaglia.  Sono  opera  sua  alcune  belle  chiese  in  Parma 
stessa.  D'amendue  è  detto  diffusamente  nella  più  volte  allegata  Memoria  (  Indie. 
moderi.  ,  N.°  38). 

(2)  Non  dubitiamo  di  rammentare  come  una  delle  più  grandiose  opere 
d'intaglio  in  legno  appartenenti  al  xvn  secolo  quella  degli  armadii  che  girano 
tutt' intorno  all'amplissima  sagrestia  nobile  della  chiesa  magistrale   costantinia- 


SOPRA   INDUSTRIE   ED   ARTI  195 

senese ,  umbro-toscana ,  e  cremonese  ;  alla  quale  ultima  ap- 
partiene Giacomo  Bertesi  da  Soresina,  commendato  di  bellis- 
simo ingegno  e  di  rispondente  valentìa.  Perugia ,  Brescia , 
Torino ,  alla  breve  ,  molte  fra  le  precipue  città  italiane  se- 
guono a  possedere  artefici ,  per  quel  tempo  insigni ,  sulle 
opere  de'  quali  è  diligente  discorso  nella  Relazione  che  forma 
scopo  alle  nostre  parole.  Queste  sarebbero  viepiù  concise, 
guardando  all'  impeggiorito  secolo  decimottavo,  ove  pur  esso 
non  fosse  stato  infecondo  d' intagliatori  ;  parecchi ,  non  me- 
diocri ;  alcuni ,  ragguardevolissimi.  Fra  i  quali  basta  ram- 
mentare Andrea  Brustolon,  a  cui  fu  patria  Zoldo  nella  pro- 
vincia di  Belluno,  e  che  oseremmo  chiamar  una  eccezione 
gigantesca  nella  generale  corruttela.  Essa  aumentò  al  decli- 
nare del  secolo;  divenne  men  lamentevole  all'aprirsi  di  questo 
nostro  decimonono,  poiché  con  le  nuove  idee,  con  la  più  dif- 
fusa istruzione  d'ogni  classe,  fu  riconosciuto  non  doversi  dar 
legge  alle  arti  col  capriccio  e  con  la  moda,  ma  sì  con  lo 
studio  del  bello,  del  vero,  del  grande,  e  con  l'esempio  dell'an- 
tica eccellenza.  Dalla  Relazione  abbiamo  rassegne  d'artefici, 
e  di  lavori ,  che  non  doveano  lasciarsi  in  dimentico,  sino  ai 
nostri  giorni;  ne' quali  l'arte  italiana  dell'intaglio  e  della 
tarsìa  in  legno  ed  in  avorio  ottenne  trionfo  nella  gara  uni- 
versale a  cui  Parigi ,  or  fa  due  anni ,  dischiuse  il  campo  ;  e 
salirono  a  ventuna  le  ricompense  concedute  per  l'arte  suddetta 
ai  nostri;  un  de' quali  venne  fregiato  di  medaglia  d'oro,  e  fu 
Pietro  Giusti ,  cittadino  di  quella  medesima  Siena  ove  l'arte 
rammentata  ebbe,  conforme  vedemmo,  i  primi  germogli  nella 
età  del  rinascimento. 

Con  la  parte  relativa  al  foggiare  artisticamente  i  legni 
si  chiude  la  Relazione  della  quale  abbiam  fatto  disami- 
na. Chi  vi  cercasse,  nel  senso  assoluto  della  parola,  noti- 
zia di  tutto  che  s'attiene  a  decoro  ed  a  non  umil  servigio 
delle  abitazioni  umane  meraviglierebbe ,  per  avventura,  del 
silenzio  intorno  gli  arazzi,  i  vasi,  ed  altri  obbietti  non  pochi, 


na  ,  detta  della  Steccati,  in  Parma.  Son  lavoro  di  Giambattista  Mascheroni,  di 
Carlo  Rollini  e  di  Rinaldo  Torri-  Vi  si  veggono  svariati^simi  fregi,  colonne,  ca- 
riatidi e  storie  in  basso  rilievo  ,  il  cui  magnifico  effetto  fa  un  po'  dimenticare 
lo  stile  barocco,  pesante. 


196  d'una  relazione  ec. 

di  natura,  di  forma  e  d'uso  diversi  da  quelli  ai  quali  la  Re- 
lazione concerne  :  ma  ragion  vuole  si  consideri  che  vennero 
prestabilite,  col  programma  della  Mostra  universale,  come  le 
classi ,  così  le  loro  suddivisioni  ;  che  ciò  tornava  necessario 
in  tanta  congerie  di  cose;  che  quelle  di  cui  è  taciuto,  rispetto 
alle  suppellettili  ed  agli  ornamenti  per  gli  edifizi,  furon  com- 
prese in  altre  classi,  e  tutt'al  più  sarebbe  a  notare  di  soverchia 
ampiezza  il  titolo  di  questa  :  ma  non  è  da  farne  argomento 
di  censura  verso  chi  sobbarcossi  al  pazientissimo  e  non  facil 
compito  della  ricordata  Relazione.  Di  che  si  attribuisce  il 
dovuto  merito  al  conte  Carlo  Demetrio  Finocchietti,  il  quale 
diede  testimonio  d'erudita  diligenza  e  d'amor  patrio  a  tutte 
prove.  Abbiasi  dunque  lodi ,  e  prosegua  alacre  in  così  nobili 
fatiche.  Egli  ben  sa,  ed  oggimai  nessuno  di  gentil  sangue 
ignora,  non  essere  da  cercar  onoranza  negli  alberi  genealo- 
gici ,  più  o  meno  frondosi ,  ma  solo  potersi  con  le  virtù  cit- 
tadine e  la  dignità  dell'opere  continuar  lo  splendore  d'un  nome 
ereditato. 

Porremmo  fine ,  se  non  ci  giovasse  ripetere  che  opera  di 
lunga  lena,  e  non  d'un  solo  sarebbe  il  dare  un  compiuto  in- 
sieme di  quanto  può  dirsi  in  riguardo  a  subbietti  copiosi  ed 
importanti  siccome  quello  di  cui  abbiam  trattato.  Verrà  forse 
giorno  nel  quale,  coi  documenti,  le  monografìe,  e  tutt' altro 
che,  da  parecchi  valentuomini  con  sapienza;  dal  più  de'stu- 
diosi,  con  accuratezza  ed  amore,  si  va  pubblicando,  formisi 
il  cumulo  de' materiali  occorrenti  a  grandi  opere  storiche  di 
critica  severa  e  sicura.  Tale  vorrà  essere  il  frutto  di  siffatte 
pubblicazioni,  a  non  renderle  vane  o  di  scarsa  utilità.  E,  nel 
rispetto  appunto  de'materiali ,  si  attaglia  allo  scopo  nostro  il 
recarci  a  più  vasto  pensiero,  col  far  presente  come  in  piccole 
città,  borghi,  castella  di  molte  Provincie  d'  Italia  sieno  archivi 
inesplorati,  dove  nulla,  dove  mal  custoditi;  o  nei  quali  è  di- 
fetto, se  non  di  cura,  di  cataloghi,  e  d'Ufficiali  competenti  : 
cotalchè  la  collocazione  di  quelle  carte,  lungi  dal  potersi 
chiamare  ordinamento,  appaga  l'occhio,  non  l'intelletto.  Prov- 
veder con  efficacia  a  togliere  quanto  lamentammo  sarà  opera 
degna  de'  tempi  nostri  ed  adeguato  complemento  alle  solleci- 
tudini del  Governo  per  gii  studi  storici. 

Pietro  Martini. 


197 


I  DISPACCI  DI  GIOVANNI  MICHIEL 


Les  dèpèches  de  Giovanni  Michiel  amhassadeur  de  Venise  en 
Angleterre  pendant  les  années  de  1554  a  1557  decliiffrèes 
et  publiées  par  Paul  Friedmann.  -  Venise ,  Impr.  da 
Commerce ,  1869. 

/  dispacci  di  Giovanni  Miclrìel  ambasciator  Veneto  in  In- 
ghilterra (1554-57),  Rettificazioni  ed  aggiunte  di  Luigi 
Pasini  Applicato  nel  R.  Archivio  generale  di  Venezia.  - 
Venezia,  Stabilimento  tipografico  Grimaldo  e  C,  1869. 


Intorno  a  questi  due  libri ,  che  contengono  una  polemica 
non  punto  mite,  crediamo  che  assai  meglio  valgano  che  le 
nostre  quelle  succose  pubblicate  nel  diario  Veneto  intito- 
lato la  Stampa.  Poiché  lo  autore  credette  serbarsi  anonimo, 
noi  non  vorremo  indagare  il  suo  nome.  Ma  non  possiamo  ce- 
lare la  nostra  supposizione  ,  che  sia  un  giudice  competentis- 
simo ,  sugli  scritti  dotti  e  generosi  del  quale  abbiamo  tenuto 
parola  in  questo  Archivio  Storico. 

«  I  dispacci  cifrati  di  Giovanni  Michiel  ambasciatore  ve- 
neto alla  corte  d' Inghilterra  negli  anni  1554  al  1557  diedero 
luogo  a  due  pubblicazioni  recenti.  La  prima  di  un  forestiere, 
il  sig.  Paolo  Friedmann,  pubblicata  un  mese  fa  (Le  dépéches 


198  *  I      DISPACCI 

de  Giovanni  Michiel  ec.  Venise ,  imprimerle  du  Commerce, 
1869;  288  pag.  in  8.°)  la  seconda  di  un  veneziano,  il  signor 
Luigi  Pasini ,  applicato  nel  r.  Archivio  generale  di  Venezia 
(/  dispacci  di  Giovanni  Michiel,  ambasciatore  veneto  in 
Inghilterra,,  Rettificazioni  ed  aggiunte  dell'opera  precedente; 
Venezia,  Stabilimento  tipografico  Grimaldo  ,  1869,  pagine  36, 
in  8.°)  vide  la  luce  in  questi  giorni. 

«  Questi  dispacci  relativi  al  regno  di  Maria  la  Sanguinaria 
d' Inghilterra ,  dispacci  fra  i  più  antichi  esistenti  all'Archivio 
dei  Frari ,  vi  giacevano  in  gran  parte  non  intelligibili ,  per- 
chè nei  punti  più  importanti  e  delicati ,  scritti  in  cifre  senza 
che  se  ne  avesse  la  traduzione  o  se  ne  conoscesse  i  cifranti. 
Tutti  sanno  quale  luce  e  verità  venne  portata  alla  storia  e 
alla  critica  storica  moderna  dall'alta  saggezza  politica  rivelata 
nelle  relazioni  e  dispacci  degli  ambasciatori  della  Repubblica 
di  Venezia.  È  per  ciò  che  era  sempre  desiderio  particolare 
del  Ricord  Office  inglese ,  che  ne  venisse  portata  a  conoscenza 
generale  la  traduzione  in  lettere  conosciute. 

«  Avviene  spesso  che  nelle  scienze  applicate ,  essendo 
desiderabile  una  scoperta ,  questa  venga  ricercata  in  modo 
diverso  da  alcuni,  i  quali  in  materia  differente  raggiungendo 
la  desiderata  meta,  non  mancano  poi  di  accusarsi  a  vicenda  di 
plagio.  Un  caso  simile  avvenne  per  i  dispacci  di  Giovanni 
Michiel.  Essi  sono  di  tale  interesse  per  la  storia  d' In- 
ghilterra, che  alcuni  anni  fa  ne  venne  fatta  la  riproduzione 
in  fotografia  per  indurre  tutti  quelli  che  avvezzati  alla  dif- 
ficoltà di  tali  studi  avrebbero  avuto  desiderio  di  tentarne  la 
decifrazione. 

«  Il  signor  Pasini,  valente  ufficiale  dell'Archivio  dei  Frari, 
a  cui  si  dovette  sotto  la  direzione  del  conte  Dandolo  nel  1866 
l'elenco  esatto  di  tutti  i  manoscritti  asportati  per  conto  dell'Au- 
stria dall'abate  Beda  Dùdick,  e  che  sta  preparando  da  alcuni 
anni  una  Storia  delle  cifre  usate  nei  dispacci  degli  ambascia- 
tori Veneti  presso  le  Corti  estere ,  coli'  indicazione  delle  leggi 
e  decreti  che  vi  hanno  relazione,  si  era  occupato  da  un  punto 
di  vista  generale  di  questi  dispacci  del  Michiel.  Ed  era  già 
riuscito  a  scoprire  il  significato  di  alcuni  segni  che  davano 
speranza  di  poter  condurre  a  fine  il  lavoro  cominciato , 
quando  si  presentò  all'Archivio  dei  Frari  il  prussiano  signor 


DI    GIOVANNI   MICHIEL  199 

Paolo  Friedmann.  I  nostri  lettori  immaginano  il  resto.  Il  va- 
lente forestiere  si  era  messo  in  mente  di  arrivare  solo  al  suo 
scopo ,  ed  in  questo  torse  non  aveva  torto  perfetto.  Egli  pub- 
blicò dunque  con  più  o  meno  esattezza  i  dispacci  del  Michiel 
secondo  la  chiave  inesatta ,  ch'egli  si  era  fabbricata  a  forza 
di  combinazioni  e  di  pazienza  ed  in  questo  era  nel  suo  diritto; 
sennonché  nella  sua  Prefazione  egli  credè  opportuno  di  scre- 
ditare il  signor  Pasini  non  volendogli  accordare  la  soddisfa- 
zione di  avere  scoperto  in  maniera  «  indipendente  la  chiave 
«  della  cifra  dell'ambasciatore  veneto  a  Londra  ». 

«  È  a  questa  insinuazione  poco  cortese  ed  a  qualche  gra- 
tuita insolenza  del  signor  Friedmann  ,  che  qui  non  ci  tocca 
rilevare ,  che  il  signor  Pasini  risponde  oggi  col  suo  opuscolo. 
Egli  lo  fece  con  spirito  e  prudenza,  e  le  sue  Rettificazioni  ed 
Aggiunte  proveranno  al  signor  Friedmann  che  invece  di  essere 
geloso  dello  zelante  ufficiale,  egli  avrebbe  fatto  meglio  di  va- 
lersi della  sua  esperienza  e  de' suoi  lumi. 

«  Raccomandiamo  d'altronde  ai  nostri  lettori  la  lettura 
delle  opere  ora  pubblicate  dai  due  competitori:  il  soggetto  in 
sé  è  abbastanza  vasto  ed  interessante  per  non  essere  adom- 
brato dalle  questioni  personali  ». 

Fin  qui  il  giornale  La  Stampa  (N.°  228,  19  Agosto). 

Esaminata,  imparzialmente,  la  lite,  pare  si  debbano  trarre 
le  seguenti  illazioni  : 

1.°  È  fuor  di  dubbio  che  il  Friedmann  abbia  avuto  il  me- 
rito di  accingersi  alla  versione  della  cifra  del  Michiel  da  sé 
solo  ;  e  se  la  sua  chiave  non  è  perfettamente  esatta ,  pure  fu 
il  primo  che  ne  offrisse  al  pubbico  una  decifrazione,  della 
quale  mostrò  il  procedimento. 

2.°  È  fuor  di  dubbio  che  il  Friedmann  abbia  provato  un 
certo  dispetto  quando  seppe  che  altri  si  era  accinto  a  rag- 
giungere lo  scopo  medesimo',  e  che  oltrepassò  i  limiti  di 
quella  critica  urbana  che  dovrebbe  usarsi  fra  gli  studiosi ,  per 
la  quale  chi  rispetta  gli  altri ,  rispetta  sé  stesso. 

3.°  È  fuor  di  dubbio  che  il  Pasini  da  parecchi  anni  at- 
tende allo  studio  delle  cifre  usate  dagli  ambasciatori  veneziani. 
Né  poteva  dimenticare  quella  cifra  usata  da  Giovanni  Michiel 
che  si  credeva   indecifrabile  ,  e  si  teneva  come  tanto  irnpor- 


200  I    DISPACCI    DI   GIOVANNI   MICHIEL 

tante.  E  quindi  deve  aver  cominciato  a  studiarla,  e  ne  ottenne 
i  primi  resultati. 

4.°  È  fuor  di  dubbio  che  scopertisi  due  dispacci  del  So- 
ranzo ,  immediato  predecessore  del  Michiel  colla  versione 
officiale  ,  esaminata  da  lui  la  cifra  trovò  180  segni  adoperati 
anche  dal  Michiel. 

5.°  È  fuor  di  dubbio  che  il  Pasini  trovò  58  segni ,  non 
ispiegati  dal  Friedmann ,  e  cinque,  ne  ebbe  dal  Soranzo  ;  che 
fece  molte  correzioni  alla  versione  del  Friedmann.  Ed  è  fuor 
di  dubbio  che  la  versione  del  Pasini  è  esattissima. 

Ognuno  dei  due  traduttori  ha  un  merito  proprio  ;  né  il 
merito  dell'uno  può  distruggere  quello  dell'altro.  La  priorità 
è  del  Friedmann,  la  esattezza  del  Pasini.  Noi  non  mestiamo 
nel  fiele  della  polemica.  Solamente  non  possiamo  non  ri- 
cordarci la  debilità  umana  e  la  irritabilità  degli  studiosi. 
E  dire  che  vi  furono  soggetti  anche  uomini  sommi  ed 
immortali  !  Vuoisi  da  taluno  che  il  Simplicio  nei  Dialoghi 
famosi  di  Galileo  non  sia  senza  malizia ,  amaramente  pagata. 
E  chi  non  ricorda  la  controversia  fra  il  Newton  e  il  Leibnitz? 

A.  Sagredo. 


201 


OPERE  E  DOCUMENTI  DI  STORIA  ITALIANA 


PUBBLICATI 


DALLE  RR.  DEPUTAZIONI  DI  STORIA  PATRIA 


IN    ITALIA. 


Deputazioni  per  le  Provincie  dell'Emilia. 

Nelle  notizie  bibliografiche  si  sono  più  d*  una  volta 
annunziati ,  ma  sparsamente  ,  i  lavori  delle  Deputazioni 
italiane  sopra  gli  studi  della  Storia  patria.  È  parso  bene 
riunire  ordinatamente  queste  sparse  notizie  ,  e  supplire 
alle  omissioni,  che  pur  troppo  siam  certi  d'aver  fatto  in- 
volontariamente ,  formandone  elenchi  bibliografici.  I  quali 
gioveranno  ai  cultori  delli  studi  storici  ;  e  faranno  fede 
a  un  tempo  come  ,  anche  in  mezzo  a  tante  difficoltà  ,  non 
s'  è  trascurato  in  Italia  di  dare  opera  ad  arricchire  il 
tesoro  della  patria  erudizione.  Questo  primo  elenco  è  opera 
diligente  dell'egregio  nostro  collaboratore  cavalier  Pietro 
Martini ,  segretario  della  R.  Deputazione  per  le  provincie 
di  Parma  e  Piacenza.  Confidando  nell'aiuto  di  altri  col- 
laboratori ,  abbiamo  la  speranza  di  continuare  questo  la- 
voro per  ciò  che  spetta  alle  altre  Deputazioni. 

La  Direzione. 

Arch.  St.  Ital.  ,  3.a  Serie,  T.  X  ,  P.  I.  26 


202  DEPUTAZIONI   ITALIANE 


MONUMENTI 


Deputazione  di  Parma  e  di  Piacenza  (1). 
Parte  legislativa. 

1.  Statuta  Communis  Parmae  digesto,  an.  1255.  -  Parma , 
pel  Fiaccadori,  1856  (editore  Amadio  Rondimi). 

2.  Statuta  Communis  Parmae ,  ab  anno  1266  ad  annum  cir- 
citer  1304.  Parma,  Fiaccadori,  1857  (ed.  Ronchini). 

3.  Statuta  Communis  Parmae  ab  anno  1316   ad  an.   1325. 

Parma,  Fiaccadori,  1859  (ed.  Ronchini). 

4.  Statuta    Communis  Parmae   anni   1347.   Accedunt  leges 

Vicecomitum  Parmae  i?nperantium  usque  ad  annum  1374. 
Parma,  Fiaccadori,  1860  (ed.  Ronchini). 

5.  Statuta  varia  civitatis  Placentiae.  Parma.,  Fiaccadori,  1860 

(ed.  Giuseppe  Bonora).  -  Questo  volume  contiene  gli  Sta- 
tuti de' Mercanti  dell'anno  1200  circa  e  del  1323,  i  Com- 
munitativi  del  1391 ,  quelli  de' Giureconsulti  (1335),  de' No- 
tai (1354),  del  Clero  (1297-1337)  e  de' Medici  (1568). 

6.  Ordinarium  Ecclesiae  Parmensis  e  vetustioribus  excer- 
ptum ,  reformatum  a.  1417.  Parma ,  Fiaccadori ,  1866 
(ed.  Luigi  Barbieri). 

7.  Statuta  Artium  Civitatis  Parmae.  Parma,  per  Giacomo 
Ferrari  e  figli ,  1869  (ed.  Enrico  Scarabelli-Zunti).  -  È  già 
uscito  in  luce  il  primo  fascicolo  di  pag.  80 ,  che  comprende 
gli  Statuti  de' Merciai  (Merzadrorum)  dal  1324  al  1567. 

8.  Statuta  artis  lanifìcii  civitatis  Placentiae,  ab  anno  circi- 
ter  1336  ad  annum  1386.  Parma,  per  Giacomo  Ferrari  e 
figli,  1869  (ed.  conte  Bernardo  Pallastrelli).  -  Opera  sotto 
i  torchi ,  di  prossima  pubblicazione. 

[\)  Buona  parte  de' Monumenti  parmensi  vide  la  luce  ad  opera  della  pri- 
vata Società ,  che  poi  venne  compresa  fra  le  Deputazioni  di  storia  patria  per 
le  provincie  dell'Emilia  (Ved.  Archivio  Storico  Italiano,  serie  III,  tomo  IX, 
parte  lì  ,  pag-  37). 


DI   STORIA   PATRIA  203 


Cronache. 


9.  Chr ortica  fratis  Salimbene  parmensis ,  ordinis  Minorum, 
ex  codice  Bibliothecae  Vaticanae  mine  primum  edita. 
Parma,  per  Fiaccadori,  1857  (ed.  Antonio  Bertani). 

10.  Chronica  parmensia  a  sec.  XI  ad  exitum  sec.  XIV.  Ac- 
cedunt  varia  ,  quae  spectant  ad  historiam  patriae  civilem 
et  ecclesiasticam.  Parma,  Fiaccadori,  1858  (ed.  L.  Bar- 
bieri ). 

11.  Chronica  tria  piacentina  a  Ioìianne  Codagnello >  ab  Ano- 
nymo  >  et  a  Guerino  conscripta.  Parma ,  Fiaccado- 
ri, 1859  (ed.  B.  Pallastrelli).  -  La  Cronaca  del  Codagnello 
procede  dall'anno  1012  al  1232,  quella  dell'Anonimo  dal  1154 
al  1284,  e  la  Gueriniana  dal  1289  al  1322. 

12.  Chronica  Civitatis  Placentiae  Iohannis  Agazzari  et  An- 
tonii  Francisci  Villa.  Parma ,  Fiaccadori ,  1862  (  ed.  An- 
tonio Bonora). 


Deputazione  di  Modena,  Reggio-Emilia,  Massa-Carrara. 

Parte  legislativa. 

Statuta  Civitatis  Mutinae  anno  1327  reformata.  Parma ,  per 
Pietro  Fiaccadori,  1864  (ed.  il  march.  Cesare  Campori). 

Cronache. 

1.  Cronaca  modenese  di  Iacopino  de' Bianchi  detto  detto  de'Lan- 
cellotti  (dal  1469  al  1502).  Parma,  pel  Fiaccadori,  1861 
(ed.  Carlo  Borghi). 

2.  Cronaca   modenese   di   Tommasino 
detto de'Lancellotti  dal  1506  al  1523 

3 dal  1524  al  1529 

4 dal  1530  al  1532 

5 dal  1532  al  1535 

6 dal  1535  al  1538 


Parma ,  Fiaccadori , 
1862-67  (ed.  Car- 
lo Borghi). 


204  DEPUTAZIONI    ITALIANE 

ATTI 

Parma  e  Piacenza. 

Sunto  dei  lavori ,  letti  nelle  adunanze  accademiche  ,  e  pro- 
cessi delle  medesime  dal  21  novembre  1861  al  4  aprile  1862 
{Lìdgi  Barbieri  segretario). 

Relazione  generale  (letta  a  Bologna)  delle  cose  fatte  nell'an- 
no 1861  dalle  due  sezioni  componenti  la  Deputazione  so- 
pra la  storia  patria  per  le  Provincie  di  Parma  e  di  Pia- 
cenza (  Luigi  Barbieri  ). 

Processi,  come  sopra,  dal  4  giugno  al  28  novembre  1862 
(  Emilio  Bicchieri  segretario  ).  Negli  Atti  della  tornata 
del  4  giugno  suddetto  è  inserito  un  Discorso  in  morte  del 
commendatore  Angelo  Pezzana  (  di  Amadio  Ronchini  ). 

Sunto  e  processi  delle  adunanze  dal  19  dicembre  1862  a  tutto 
il  1867  (  Pietro  Martini  segretario  ).  Negli  Atti  della  tor- 
nata del  28  novembre  1867  è  inserito  un  discorso  comme- 
morativo del  conte  Iacopo  Sanvitale  (di  Pietro  Martini). 

Relazioni  generali  delle  cose  fatte  dalla  Deputazione  per  le 
mentovate  due  Provincie  dal  1862  fino  al  1865 ,  lette  ,  ri- 
spettivamente ,  a  Parma ,  Modena ,  Ravenna  (  di  Pietro 
Martini  ). 

Modena  ,  Reggio  ,  Massa-Carrara. 

Sunti  e  processi  delle  tornate  accademiche  della  Deputazione 
di  Modena  dal  29  febbraio  1860  al  maggio  1863  (  Gio vanni 
Raffaela  segretario). 

Relazione  dei  lavori  fatti  dalla  Deputazione  suddetta  nel  suo 
primo  biennio  (  Giovanni  Raffaelli). 

Sunto  delle  tornate  accademiche  della  sottosezione  di  Reg- 
gio-Emilia dal  24  luglio  1861  al  13  dicembre  1863  (  Ber- 
nardino Catelani  segretario  ). 

Relazione  dei  lavori  fatti  dalla  predetta  sottosezione  dal  1861 
al  1862  {Bernardino  Catelani). 


DI    STORIA   PATRIA  205 

Sunti  e  processi  ec.  della  Deputazione  modenese  dall' 8  gen- 
naio al  10  giugno  1864  (  Giovanni  Rafaelli  ). 

Relazione  generale  della  Deputazione  per  le  provincie  mode- 
nesi dal  giugno  1863  al  maggio  1864  (  il  medesimo  ). 

Sunto  ec.  delle  tornate  accademiche  della  Sottosezione  di 
Reggio  nel  1864  (  dagli  Atti  della  Sottosezione  ). 

Sunti  e  processi ,  ec  dal  13  gennaio  al  29  dicembre  1865. 
Negli  Atti  di  quest'ultima  tornata  si  legge  una  necrologia 
di  Mons.  Don.  Celestino  Cavedoni  (  di  Antonio  Cappelli  ). 

Sunto  ec.  delle  tornate  accademiche  della  Sottosezione  di 
Reggio  nel  1865  (  dagli  Atti  della  Sottosezione  ). 

Relazione  generale  dei  lavori  della  Deputazione  di  Modena 
1864-1865  (  Giovanni  Raffaela  ). 

Sunto  ec.  delle  tornate  accademiche    1866-67  (  il  medesimo  ). 


MEMORIE 

Deputazione  di  Parma  e  Piacenza. 
Storia. 

Vita  della  contessa  Barbara  Sanseverino  (  Cav.  Amadio  Ron- 
dimi ). 

Lettere  di  Mule}'  Hassan  re  di  Tunisi  a  Ferrante  Gonzaga 
(  Cav.  Federico  Odorici  e  Comm.  Michele  Amari'). 

Vita  di  Ottavio  Farnese  figlio  naturale  di  Ranucio  I  (  Pro- 
fessore Emilio  Bicchieri). 

Lucio  Calpurnio  Pisone  Cesonino  (  Conte  Bernardo  Palla- 
strelli  ). 

Dei  quartieri  alemanni  in  Italia  sul  finire  del  secolo  XVII 
(  Prof.  Emilio  Bicchieri  ). 

Monsignor  Bernardo  Rossi,  ed  una  lettera  di  lui  al  Guicciar- 
dini (  Cav.  Amadio  Ronchini). 

Lettere  famigliari  dell'Imperatore  Giuseppe  II  a  Don  Filippo  e 
Don  Ferdinando  Duchi  di  Parma  (Prof.  Emilio  Bicchieri). 

Don  Alessandro  Farnese  e  la  contessa  Scotti- Verugoli  (  il 
medesimo  ). 


206  DEPUTAZIONI    ITALIANE 


Storia  letteraria. 

Notizie  biografiche  intorno    Iacopo   Marmitta  (  Cav.   Amadio 

Ronchini  ). 
Memorie  storiche  della   nazionale  biblioteca  di  Parma  divise 

in  parti  tre  {Cav.  Federico  Odorici). 
Lettere  due  di  Baldassar  Castiglioni  (  Cav.  Amadio  Ronchini). 
Iacopo  Caviceo  (  il  Medesimo  ). 
Marco  Girolamo  Vida  (  il  medesimo  ). 
Il  Giureconsulto  piacentino  (  Conte  Bernardo  Pallastrelli  ). 
Carlo  Sigonio  (  Cav.  Amadio  Ronchini  ). 


Storia  Artistica. 

La  Steccata  di  Parma  (  Cav.  Amadio  Ronchini  ). 

Giacomo  Bertoia  pittore  parmigiano  (  il  medesimo  ). 

Michel  angiolo,  e  il  porto  del  Po  a  Piacenza  (  il  medesimo  ). 

Giorgio  Vasari  alla  Corte  Farnese  (  il  medesimo  ). 

Delle  relazioni  del  Tiziano  coi  Farnesi  (  il  medesimo  ). 

Il  Grechetto  (  il  medesimo  ). 

Antonio  Sangallo  il  giovane  (il  medesimo). 

Leone  Leoni  d'Arezzo  (  il  medesimo  ). 

Giulio  Clovio  (  il  medesimo  ). 

Francesco  Paciotti  (  il  medesimo  ). 

I  due  Vignola  (  il  medesimo  ). 

II  Torchiarino  da  Parma  (  il  medesimo  ). 

Maestro  Giovanni  da  Castel  Bolognese  (  il  medesimo  ). 

Iacopo  Meleghino  (  il  medesimo  ). 

Genesio  Bressani ,  ingegnere  militare  del  secolo  XVI  (  il  me- 
desimo ). 

Giovan  Battista  Pelori  (  il  medesimo  ). 

Lorenzo  Pomarelli  (  il  medesimo  ). 

Giovanni  Bettino  Cignaroli,  ed  una  sua  lettera  inedita  (  Pietro 
Martini  ). 


di  storia  patria  207 

Modena,  Reggio,  Massa  Carrara. 
Archeologia. 

Dichiarazione  d'un  basso  rilievo  mitriaco  (  Mons.  Don  Cele- 
stino Cavedoni  ). 

Dichiarazione  d'un'antica  iscrizione  greca  (  il  medesimo  ). 

Appendice  alla  dichiarazione  suddetta  (  il  medesimo  ). 

Dichiarazione  d'alcuni  Esagì  bizantini  inediti  {il  medesimo). 

Ragguaglio  d'uno  scavo  a  Brescello  (  Cav.  Don  Giovanni 
Chierici  ). 

Congetture  intorno  ad  un'  iscrizione  ,  probabilmente  celtica , 
scoperta  presso  Novara  nel  1859  (  Mons.  Don  Celestino  Ca- 
vedoni ). 

La  statua  di  Cesare  Augusto  scoperta  a  Prima  Porta  nel  1863 
(  il  medesimo  ). 

Lettera  al  eh.  Canonico  Giuseppe  Antonelli  intorno  un  antico 
peso  della  sua  raccolta  (  il  medesimo  ). 

Cenni  archeologici  intorno  le  terremare  nostrane  (  il  mede- 
simo ). 

Dichiarazione  di  un  antico  bassorilievo  scoperto  in  Modena 
(  il  medesimo  ). 

Appendice  ai  cenni  archeologici  intorno  le  terremare  (  il  me- 
desimo ). 

Dichiarazione  d'un  peso  di  bronzo  del  secolo  XV  (  Conte 
Gianfrancesco  Ferrari-Moreni  ). 

Questione  riguardante  un  antico  cippo  sepolcrale  (  Mons.  Don 
Celestino  Cavedoni  ). 

Ragguaglio  archeologico  d'un  gruppo  di  sepolcri  antichi  sco- 
perto a  Modena  (  il  medesimo  ). 

Storta. 

Memoria    sugli     archivi    municipale    e    notarile    di   Modena 

(  Carlo  Borghi  ). 
Cenni  sulle  origini  della  famiglia  Guidelli  de'  Conti  Guidi    di 

Modena  (  Marchese  Cesare  Campori  ). 


208  DEPUTAZIONI   ITALIANE 

Di  un  inventario  dei  possessi  del  monastero  di  S.  Domenico 
di  Modena  nel  1450  (  il  medesimo  ). 

Lettere  di  Lorenzo  il  Magnifico  ,  con  notizie  tratte  dai  car- 
teggi diplomatici  degli  oratori  estensi  (  il  medesimo  ). 

Intimazioni  legali  del  vescovo  Ardizzone  de' Conti  al  Comune 
di  Modena,  per  la  correzione  degli  statuti  del  1283  {il  me- 
desimo ). 

Cenni  storici  intorno  l'archivio  segreto ,  ora  diplomatico ,  di 
Modena  (  Cav.  Giuseppe  Campi  ). 

La  congiura  dei  Pio  signori  di  Carpi  contro  Borso  d'  Este  , 
scritta  nel  1469  da  Carlo  Sangiorgio  (Cav.  Ant.  Cappelli). 

Di  Eriberto  vescovo  di  Modena  (  Marchese  Cesare  Campori). 

Supplicazione  di  Marco  de' Pii  al  duca  Borso  d' Este  ,  con 
appendice  di  schiarimenti  e  rettificazioni  intorno  la  con- 
giura attribuita  ai  Pii  (  Cav.  Antonio  Cappelli  ). 

Di  Azzo  da  Correggio  e  dei  Correggi  (  Cav.  Quirino  Bigi  ). 

Tre  lettere  greco-latine  di  due  Paleologhi  dirette  a  Borso 
d'Este  (Mons.  Don  Celestino  Cavedoni). 

Degli  statuti  della  Mirandola  e  di  San  Martino  in  Rio  (  Mar- 
chese Cesare  Campori  ). 

Consolatoria  di  Borso  d'Este  al  Magnifico  Lorenzo  de'Medici 
(  Cav.  Antonio  Cappelli  ). 

Memorie  modenesi  estratte  da  tre  cronache  inedite  (  Mar- 
chese Cesare  Campori  ). 

Fra  Girolamo  Savonarola,  e  notizie  intorno  il  suo  tempo 
(  Cav.  Antonio  Cappelli  ). 

Amalia  d'  Este  ,  e  il  Marchese  di  Villeneuf  (  March.  Cesare 
Campori  ). 

Lucrezia  Beniamini  (  il  medesimo  ). 

Pandolfo  Malatesta  ultimo  Signore  di  Rimi  ni  (  Prof.  Canonico 
Francesco  Musettini  ). 

Ricciarda  Malaspina  e  Giulio  Cybo  (il  medesimo). 

Notizie  di  Ugo  Caleffìni  notaio  ferrarese  del  secolo  XV,  con 
la  sua  Cronaca  di  Casa  d'Este  in  rima  (Cav.  Antonio 
Cappelli  ). 

Vita  di  Alfonso  I  d'  Este  ,  scritta  da  Bonaventura  Pistufilo 
(  il  medesimo  ). 


DI    STORIA   PATRIA  209 


Storia  letteraria. 

Due  lettere  inedite  di  Lodovico  Ariosto  (Cav.  Ant.  Cappelli). 
Otto  Sonetti  attribuiti  ad  Angelo  Poliziano  (  Mons.  Celestino 

Cavedoni  ). 
Sei  lettere  inedite  di  Fra  Leandro  Alberti  a  Gaspare  Sardi  , 

ed    una    del    Sardi   a  Iacopo    Tebaldi    (^Marcii.    Giuseppe 

Campori  ), 
Tre   lettere  inedite   di  Lodovico    Ariosto    con  altre  memorie 

intorno  il  medesimo  (  Cav.  Antonio  Cappelli  ). 
Due  lettere  inedite  di  Gio.  Giorgio  Trissino ,  e  altri  documenti 

relativi  (  March.  Giuseppe  Campori  ). 
Lettere  inedite  di  Gabriello  Falloppia  e  documenti  relativi  al 

medesimo  {March.  Giuseppe  Campori). 
Lettera  di  Lodovico  Ariosto  (  Cav.  Antonio  Cappelli). 
Tre  lettere  di  Lodovico  Ariosto  ed  una  di  Alessandra  Strozzi 

(  il  medesimo  ). 
Pietro  Aretino  e  una  sua  lettera   inedita   a    Francesco   I   di 

Francia  (  Cav.  Antonio  Cappelli  ). 
Testamento    di    Girolamo    Tiraboschi     (  Marchese    Giuseppe 

Campori  ). 
Luigi  Alamanni  e  gli  Estensi  (  il  medesimo  ). 
Bartolomeo  Cavalcanti  (  il  medesimo  ). 


Storia  artistica. 

Cenni  storici  relativi  alla  B.^V.  Assunta ,  dipinta  da  Guido 
Reni  per  la  confraternita  di  S.  Maria  degli  Angioli  in 
Spilimberto|(  Conte  Giovanili  Galvani). 

Descrizione  d'un  libriccino  di  devozione  che  appartenne  a 
donna"  Renea  di  Francia  moglie  di  Ercole  II  d' Este  (Mon- 
signore Celestino  Cavedoni). 

Memoria  agiologica'sopra  alcuni  dipinti  murali  scoperti  nella 
metropolitana  di  Modena  (  Cav.  Carlo  Borghi). 

Appunti  critici  intorno  al  Battistero  di  Parma ,  descritto  dal 
Commedatore  Lopez  (  Don  Celestino  Cavedoni  ). 

Arch.  St.  [tal.  ,  3.a  Serie,  7.  X,  P.  I.  27 


210  DEPUTAZIONI   ITALIANE  DI  STORIA^PATRIA 

Il  Pordenone  in  Ferrara  {Marchese  Giuseppe  Camporì). 

Delle  opere  di  Alessandro  Stradella  (  Angelo  Catelani  ). 

Notizie  d'  alcuni  pregevoli  bassi-rilievi  in  marmo  esistenti 
nella  galleria  in  Modena  (  Conte  Gianfrancesco  F  errar  i- 
Moreni  ). 

Delle  manifatture  della  maiolica  e  degli  stucchi,  istituite  a 
Torino  da  Orazio  Fontana  e  da  Federico  Brandani  (  Mar- 
chese Giuseppe  Camporì). 

Della  lavorazione  degli  ossi  e  dell'avorio  in  Reggio  dell'Emi- 
lia (  il  medesimo  ). 

Nuovi  documenti  per  la  vita  di  Leonardo  da  Vinci  (  il  me- 
desimo ). 

Notizie  inedite  di  Raffaello  da  Urbino  (  il  medesimo  ). 

Notizie  di  Iacopo  Seghizzi ,  detto  il  Capitano  frate  ,  ingegner 
militare  (  il  medesimo  ). 

Sebastiano  al  Piombo  e  Ferrante  Gonzaga  (  il  medesimo  ). 


NOTIZIE    VARIE 


Pubblicazioni  storiche  dell'editore  Palme. 

L'editore  Palme  di  Parigi,  che  ha  intrapreso  la  ristampa  degli 
Ada  Sanctorum  dei  Bollandisti  e  della  Histoire  littéraire  de  la 
France  sotto  la  direzione  di  Paolino  Paris ,  annunzia  un'altra  ri- 
stampa di  non  minore  importanza  ,  affidata  a  Leopoldo  Delisle  mem- 
bro dell'Istituto;  od  è  la  gran  raccolta  des  Historiens  des  Gaules 
et  de  la  France.  I  Benedettini  della  Congregazione  di  San  Mauro 
ne  pubblicarono  in  diversi  tempi  sino  a  tredici  volumi ,  e  l'Acca- 
demia d' iscrizioni  e  belle  lettere  gli  portò  a  22 ,  preparando  sem- 
pre nuovi  materiali  alla  continuazione. 

La  ristampa  si  fa  quasi  a  fac-simile ,  pagina  per  pagina ,  linea 
per  linea,  affinchè  in  opera  tante  volte  citata  sia  agevole  il  riscon- 
tro dei  testi.  E  però  le  correzioni  e  le  giunte  che  altererebbero  la 
impaginatura  ,  si  raccolgono  in  due  volumi  di  supplemento  ,  dove 
pure  troveranno  luogo  nuovi  documenti ,  note  e  commentari.  I  22  vo- 
lumi costeranno  1100  franchi;  tenue  prezzo,  ove  si  consideri  che 
oggi  quella  collezione  non  costa  meno  di  3600  franchi  :  né  è  facile 
trovarne  un  esemplare. 

Noi  ci  congratuliamo  con  gli  editori  francesi ,  che  rendono  cos'i 
degni  servigi  alla  storia  patria;  ma  vorremmo  che  negli  editori 
italiani  si  risvegliasse  una  bella  emulazione.  Gli  Sc7*iptores  Rerum 
Italicarum  son  fatti  ormai  rari  ;  e  neppur  tutte  le  biblioteche  pub- 
bliche ne  posseggono  una  copia.  Bisognerebbe  ristamparli  con  più 
economia ,  correggendone  i  testi  ;  e  cosi  ,  anche  i  privati  che 
amano  i  libri  e  gli  studi  ,  potrebbero  metterli  in  testa  a  quelle  più 
recenti  pubblicazioni  che  da  venti  anni ,  massime  per  opera  delle 
Società  di  Storia  patria ,  si  vanno  facendo  tra  noi. 


212  NOTIZIE   VARIE 


Dell'Opera  le  «  Famiglie  celebri  italiane  »  incominciata  dal  ponte 
Pompeo  Litta  e  continuata  da  altri  eruditi  italiani. 

La  grande  opera  intrapresa  dal  conte  Pompeo  Litta,  si  sa  dalli 
studiosi ,  non  è  stata  interrotta  per  la  morte  di  lui  ;  ma  invece  at- 
tendono a  continuarla  con  alacrità  Luigi  Passerini ,  Federico  Odo- 
rici e  Federico  Stefani.  Da  loro  è  stata  narrata  la  storia  di  parec- 
chie famiglie  italiane  con  larghezza  di  notizie  e  con  acume  di  cri- 
tica. V Archivio  Storico  ha  informato  i  lettori  di  alcuni  di  questi 
lavori  condotti  dal  signor  Passerini;  e  d'altri  darà  informazione  in 
seguito  ;  come  pure  non  trascurerà  di  far  note  le  dotte  fatiche  dei 
due  suoi  collaboratori.  Chi  sa  quale  sussidio  porti  alla  storia  la 
narrazione  particolareggiata  delle  vicende  delle  famiglie  ,  special- 
mente quando  è  fatta  con  amore  del  vero  e  con  coscienza  ,  ne  dà 
agli  autori  quel  merito  di  lo.de  che  pure  è  una  ricompensa  dovuta. 
Non  ci  sembra  però  che  sia  giustizia  continuare  a  intitolar  l'opera 
col  nome  soltanto  di  chi  la  iniziò  e  la  prosegui  per  molto  tempo. 
Perciò  abbiamo  creduto  bene  di  ristampare  la  seguente  dichiarazione 
che  qualche  tempo  fa  mandò  al  pubblico  il  signor  Odorici: 

«  Assicurati  per  lettere  del  conte  Pompeo  Litta ,  come  alcune 
delle  famiglie  celebri ,  che  poi  venivano  pubblicate  dal  1852  ai  no- 
stri dì,  si  ritrovassero  a  buon  termine  condotte  e  quasi  pronte 
per  la  stampa ,  nella  Prefazione  alla  parte  III  dei  Malaspina  (  Di- 
spensa 136)  non  esitammo  un  istante  ad  assumere  sopra  di  noi 
l'avuta  dichiarazione. 

«  Passati  quei  manoscritti  in  proprietà  del  conte  Luigi  Passerini 
Orsini  De  Ritti,  autore  di  parecchie  delle  famiglie  di  continuazione 
alle  pagine  Littiane  ,  siamo  stati  da  lui  rassicurati  ,  che  dei  mate- 
riali raccolti  non  aveva  egli  potuto  vantaggiarsene  di  molto  ;  co- 
sicché, se  gli  tornavano  opportuni  in  qualche  parte  per  alcune  fa- 
miglie onde  aggiungerli  ai  suoi  materiali  ,  non  valevasi  per  altre 
che  degli  unici  proprii  studi.  Crediamo  apporci  ,  collocando  fra 
queste  i  Guidi,  i  Della  Rovere,  i  Gherardesca ,  gli  Uffreducci , 
i  Panciatichi ,  i  Da  Polenta  e  i  Soderini. 

«  Né  per  tanto  l'autore  di  esse,  per  quelle  italiche  famiglie  delle 
quali  ebbe  schede  a  noi  lasciate  dal  conte  Pompeo,  mancò  di  ri- 
cordarlo. Con  esse  ,  e  cogli  aggiuntivi  documenti  da  lui  stesso  rac- 
colti,  che  costituivano  la  maggior  parte  dei  materiali,  riusciva 
darci  gli  Ordelaffi  Manfredi. 

«  Così  dicasi  dello  Stefani,  altro  continuatore  delle  Famiglie 
Celebri,  al  quale  dovemmo  intiere  quelle  assunte  per  esso  e  pub- 


NOTIZIE    VARIE  213 

blicate  ,  cioè  :  Barbo ,  Steno ,  Condulmero ,  Camposampiero  ,  e 
quella  in  corso  tuttavia  ,  dei  Mocenigo. 

«  Unicuique  suum.  E  però  dichiariamo  ,  non  tanto  in  nome  no- 
stso  come  in  quello  dei  due  rammentati  collaboratori,  che  ciascuno 
di  noi  prende  ,  quale  autore ,  la  piena  responsabilità  delle  famiglio 
alle  quali  apponeva  il  proprio  nome  ,  e  che  pienissima  del  pari 
intende  assumerla  per  l'avvenire. 

«  Con  tutto  ciò  ,  fra  quanto  è  detto  nella  nostra  Prefazione  e  la 
realtà  dei  fatti  ,  non  esiste  per  avventura  contradizione  alcuna. 
I  materiali  del  conte  Pompeo  rispondevano  a  quel  carattere  di 
stringata  brevità ,  cui  negli  ultimi  tempi  della  sua  vita  voleva  im- 
prontate le  Tavole  delle  Famiglie  Celebri  italiane;  brevità  che 
T  importanza  e  la  ricchezza  dei  sorvenuti  documenti  rendeva  im- 
possibile nei  suoi  continuatori  ;  per  lo  che  fu  d'uopo  loro  dilatarsi 
nel  campo  dei  fatti ,  che  vastissimo  peraltro  aveva  il  Litta  di- 
schiuso e  in  molte  parti  già  corso.  Questa  necessità  di  maggiore 
larghezza  cui  nella  famiglia  Gambara  e  più  ancora  nei  duchi  Far- 
nesi abbiam  dovuto  noi  stessi  determinarci  ,  non  iscema  per  nulla 
quella  venerazione  che  noi  dobbiamo  all'autore  di  un'opera  che  di 
certo  è  a  collocarsi  fra  le  più  nobili  ,  più  splendide  ,  più  severe  , 
che  un  solo  ma  potente  ingegno  pigliasse  mai  sopra  di  sé. 


Inaugurazione  del  Fondaco  dei  Turchi  in  Venezia. 

Reiteratamente  fu  scritto  in  questo  periodico  sullo  edifìzio  ve- 
ramente storico  ,  conosciuto  in  Venezia  col  nome  di  Fondaco  dei 
Turchi,  del  quale  A.  Sagredo  ha  tessuta  la  storia,  e  il  valentissi- 
mo ingegnere  Federigo  Berchet  ha  proposto  particolareggiatamente 
il  restauro  per  rimetterlo  nella  sua  parte  esteriore  quale  era  nella 
primitiva  costruttura ,  della  quale  non  restavano  che  scarse  e  im- 
perfettissime memorie. 

Il  restauro  ,  e  por  parlare  più  esattamente  ,  la  ricostruzione  della 
parte  esteriore,  è  compiuto  mercè  le  assidue  prestazioni  dei  succes- 
sivi capi  del  comune  ,  conte  Giovanni  Correr ,  comm.  Alessandro 
Marcello  ,  conte  G.  B.  Giustinian  ,  principe  Giuseppe  Giovanelli  , 
seguendo  il  progetto  stupendo  del  Berchet.  Il  merito  maggiore  lo 
ebbe  il  conte  Pierluigi  Bembo  ,  podestà  dopo  il  Marcello  ,  col  per- 
suadere al  governo  austriaco  la  erogazione  di  una  ingente  somma 
di  danaro  destinata  ad  un  monumento  in  onore  di  Marco  Polo,  per 
benefìzio  di  questa  grande  opera.  La  quale  è  anche  ricostrutta  nella 
parte  soda  interna  ,  e  potrà   congiungersi  al   civico  Museo  Correr. 


214  NOTIZIE    VARIE 

Nel  giorno  della  festività  dello  Statuto  di  quest'anno  1869  il 
nuovo  edificio  fu  solennemente  inaugurato.  Il  Sagredo  in  un  breve 
discorso  riepilogava  la  storia  del  Fondaco  ,  ricordando  i  benemeriti 
di  chi  si  prestava  a  procacciare  la  riedificazione  ,  dello  architetto 
che  ideò  e  dirigeva  i  lavori.  Né  dimenticava  lo  egregio  appaltatore 
di  esso  Sebastiano  Cadel  e  quel  modestissimo  Giacomo  Spiera,  che 
non  ha  in  Italia  chi  lo  superi  nel  lavoro  dei  marmi.  S. 


La  fondazione  Querini  in  Venezia. 

Intorno  al  conte  Giovanni  Querini  Stampalìa ,  patrizio  veneziano 
ufficiale  del  R.  ordine  Mauriziano,  cavaliere  di  quello  della  Corona 
d'Italia,  morto  da  poco  tempo,  sarà  parlato  distesamente,  e  dei 
suoi  meriti  come  uomo  e  come  cittadino.  Ma  il  suo  atto  di  ultima 
volontà  è  tale  documento  che  lo  Archivio  Storico  deve  annunziare , 
perchè  singolarissimo  e  potrebbe  eccitare  imitatori  in  chi  si  tro- 
vasse in  condizioni  familiari  simili  alle  sue. 

Ultimo  di  un  ramo  della  sua  cospicua  prosapia ,  non  ebbe  che 
una  sorella ,  la  contessa  Caterina  Querini  vedova  Pollastri ,  donna 
di  robusto,  civile,  coltissimo  ingegno,  di  sentimenti  generosi,  di 
rara  cortesia  e  ospitalità.  E  fu  acremente ,  assiduamente  perse- 
guitata dal  governo  austriaco.  Se  questa  sorella  fosse  sopravvissuta 
al  fratello  ,  egli  la  istituiva  erede  usufruttuaria  di  tutta  la  sua  ricca 
sostanza  :  ma  la  proprietà  ,  dopo  la  morte  di  lei ,  doveva  passare 
ad  una  fondazione  da  intitolarsi  Fondazione  Querini.  La  sorella 
gli  premoriva  ,  e  la  Fondazione  sarà  costituita  giusta  le  sue  dispo- 
sizioni. La  Fondazione  consiste  in  quanto  segue  : 

I.  Il  magnatizio  palazzo  Querini,  colla  ricchissima  bliblioteca  , 
la  splendida  pinacoteca,  il  medagliere,  è  aperto  al  pubblico.  Vi  è 
aggiunto  un  gabinetto  di  lettura  fornito  dei  migliori  giornali  e  gra- 
tuito. Stanze  comode  e  apprestate  serviranno  a  ritrovo  di  persone 
eulte  per  intertenersi  insieme.  Nelle  ore  nelle  quali  si  chiudono  gli 
altri  istituti  analoghi  come  la  biblioteca  Marciana,  quella  dello 
Istituto  ec.  ,  nei  giorni  nei  quali  restano  chiusi ,  e  nelle  ore  della  sera 
resta  aperto  il  palazzo  per  comodo  degli  studiosi. 

II.  Ogni  cinque  anni  sarà  fatta  la  erogazione  di  lire  venticinque 
mila  in  trentasette  doti  a  donzelle  povere  e  oneste  di  ogni  classe. 
Per  una  nobile  la  dote  sarà  di  lire  10,000  ;  per  sei  di  civile  condi- 
zione di  lire  2,000  per  cadauna ,  e  trenta  di  lire  300  a  popolane  o 
contadine. 


NOTIZIE   VARIE  215 

III.  Ad  un  giovane  povero,  fornito  d'ingegno  saranno  date  li- 
re 2000  all'anno  perchè  possa  compiere  in  cinque  anni  i  suoi  studi 
all'Università  di  Padova,  e  laurearsi  in  quella  facoltà  che  meglio 
gli  aggrada. 

IV.  Il  suo  ricco  gabinetto  di  macchine  e  cose  di  fìsica,  chimica, 
storia  naturale  è  lasciato  al  R.  Istituto  di  scienze  ,  lettere  ed  arti. 
Di  più  la  somma  annua  di  lire  3000  per  un  premio  annuo  a  scritti 
di  scienze  o  di  lettere  ,  giusta  il  tema  prescritto  dallo  Istituto  me- 
desimo, ma  di  pratica  utilità. 

V.  Se  vi  fossero  avanzi  della  facoltà,  soddisfatte  queste  dispo- 
sizioni perpetue  ,  gli  aggravi  pubblici  ed  altri  stabiliti  dal  testatore, 
dovranno  esser  dati  in  soccorsi  a  scienziati  e  letterati  caduti  in  mi- 
seria ,  e  statuito  un  premio  straordinario  di  lire  3000  ad  opere  di 
studi  o  di  arte. 

Il  resto  del  testamento,  e  un  codicillo  che  le  conferma ,  conten- 
gono legati  ad  amici  e  familiari.  L'amministrazione  della  sostanza 
e  della  fondazione  sarà  governata  da  tre  curatori  eletti  da  lui ,  e 
che  devono  scegliere  immediamente  i  propri  successori ,  e  cos'i  in 
perpetuo.  La  vigilanza  della  fondazione  e  la  revisione  dei  conti  è 
confidata  allo  Istituto. 

Un  decreto  reale  approvò  la  fondazione  Querini.  S. 


ANNUNZI  BIBLIOGRAFICI 


Notizie  storiche  «li  Iliglioniro ,  precedute  da  un  sunto 
de' popoli  dell'antica  Lucania  di  Teodoro  Ricciardi.  Napoli, 
1867,  in  8vo,  Stamperia  dell'Iride. 

Le  monografie  delle  città  furono  sempre  di  gran  giovamento 
alla  storia  d'Italia  e  a  quella  delle  famiglie.  Ma  oggi  più  ,  che  con- 
tribuiscono a  conoscerci   meglio  ,  a  più  strettamente    legarci. 

Il  Ricciardi  ,  autore  di  una  tragedia ,  Ferrante ,  pubblicata 
nel  1862 ,  ha  studiato  i  suoi  luoghi ,  ma  per  soverchio  amore  non 
ha  poi  saputo  decidere  se  la  sua  Lucania  fosse  derivata  dall'an- 
tica Enotria  o  dal  Sannio  ,  ovvero  dagl'  Irpini  ,  poiché  il  Lticos 
(lupo)  de' Greci  è  il  medesimo  che  Y  Irpo  del  linguaggio  |sannico , 
citando  l'opera  del  vivente  Niccola  Corcia  sulla  Lucania  "e  la  più 
antica  dell'Antonini. 

Dopo  di  aver  toccato  di  jVari  luoghi  della  Magna*  Grecia ,  di 
Locri  e  del  suo  legislatore  Zeleuco  ,  di  Caulonia,  di  Crotone,  detta 
per  antonomasia  la  città  ,  e  del  suo  Milone  ,  di  Sibari  e  Turio  ,  di 
Eraclea  ,  sede  del  Gran  concilio  Italo-greco  e  di  Metaponto ,  di- 
scorre poi  di  Miglionico  che  teneva  buon  posto  ;  poiché  nell'amplis- 
sima sala  del  suo  castello  ,  lunga  26  metri ,  denominata  ancora  la 
Sala  del  inai  consiglio],  si  raccolsero  i  baroni  dell'  Italia  meridio- 
nale per  togliere    a    Ferrante    I    bastardo   di   Alfonso   di  Aragona 


ANNUNZI    BIBLIOGRAFICI  217 

il  trono  ,   e  offrirlo  ,   come  fu  antica   disgrazia ,    alla   Francia ,    la 
quale  dopo  diciotto  anni  vi  riesci  anche  insieme  con  la  Spagna. 

E  quella  prima  congiura  si  ordì  in  Melfi  ,  aiutata  e  spinta,  non 
già  da  papa  Urbano  Vili  francese ,  ma  da  Innocenzo  Vili  di  casa 
Cybo ,  genovese  ,  in  mezzo  alle  feste  che  ivi  si  fecero  per  le  nozze 
di  Troiano  Caracciolo  ,  figliuolo  del  principe  di  Melfi  ,  famosissimo 
guerriero,  Giovanni  Caracciolo,  con  la  figlia  di  un  Sanseverino 
conte  di  Capaccio.  Vi  eran  raccolti  Pirro  del  Balzo  gran  conte- 
stabile ,  principe  di  Altamura ,  conte  di  Montescaglioso  e  barone 
di  Ginosa,  Antonello  Sanseverino  grande  ammiraglio  e  principe  di 
Salerno  ,  e  quel  Girolamo  Sanseverino  principe  di  Bisignano  conte 
di  Tricarico  e  barone  di  Miglionico  ,  il  quale  li  raccolse  tutti  in 
questa  sua  terra ,  dopo  essere  stati  catturati  nel  giugno  dell'  an- 
no 1485  il  conte  di  Molitorio  e  i  propri  figli.  E  allora  per  nascondere 
la  trama,  partivano  come  ambasciatori  al  re  il  principe  di  Saler- 
no ,  il  conte  di  Sarno  e  il  segretario  Antonello  Petrucci  per  invi- 
tarlo a  Melfi  ;  ed  egli  partì  il  10  di  settembre  1485. 

Ma  continuarono  le  congiure  ,  e  Ferrante ,  dando  pan  per  focac- 
cia, in  una  festa  appunto  eh' ei  dava  nella  grande  sala  di  Castel- 
nuovo,  dove  oggi  è  l'armeria,  catturò  i  congiurati  a  dì  4  di  luglio  1487, 
e  il  giorno  23  il  barone  di  Miglionico  fu  strangolato  co' suoi  disgra- 
ziati compagni,  il  conte  di  Sarno  Francesco  Coppola,  e  Antonello 
Petrucci ,  il  cui  cadavere  ancor  oggi  si  vede  in  una  cassa  aperta  , 
posta  nella  sagrestia  della  chiesa  di  San  Domenico  in  Napoli ,  dove 
si  vedono  manifestamente  i  segni  della  morte  arrecata  dal  carnefice. 

Ma  la  moglie  del  Sanseverino  principe  di  Bisignano  e  barone  di 
Miglionico ,  una  Mondella  Gaetani,  andò  esule  in  Francia  con  quat- 
tro figliuoli  e  preparò  appunto  la  rovina  degli  Aragonesi. 

M.  D'  A. 


Cronisti  e  scrittori  sincroni    napoletani    dalla   donii- 
oeazàonc  normanna  nel  regno  «li  Puglia  e  di  Sicilia 

raccolti  e  pubblicati,  secondo  i  migliori  codici,  da  Giuseppe 
Del  Re  ,  con  discorsi  proemiali,  versioni,  note  e  commenti  dei 
signori  N.  Corcia,  B.  Fabbricatore,  S.  Gatti,  Cammillo  Mi- 
nieri-Riccio  e  dell'Editore.  -  Napoli,  dalla  stamperia  dell'Iri- 
de ,  1868  ;  in  4to  di  pag.  766. 

È  questo  il  secondo  volume  delle   Cronache   dell'  Italia  meridio- 
nale durante  il  periodo  degli  Svevi ,  come  il  primo  raccolse  quello 
de'  Normanni,  h" Archivio   mancherebbe    al    suo  medesimo  titolo  se 
trascurasse  farne  menzione,  anche   per   rendere  onoranza  alla  rae- 
Auch.  St.  Itu..,  3.»  Serie,  T.  X ,  P.  I.  28 


218  ANNUNZI   BIBLIOGRAFICI 

moria  di  Giuseppe  Del  Re  che  r.e  fu  il  dotto  e  sapiente  raccoglito- 
re, sin  dall'anno  1845,  e  avea  lasciato  quasi  tutto  stampato  questo 
secondo  volume ,  quando  morte  il  rapi  dolorosamente  nel  1864  allo 
amore  sì  meritato  de' suoi  amici  del  Parlamento  italiano  in  Torino; 
un  di  quei  deputati,  il  quale  ,  sebbene  avesse  smesso  l'antica  fiamma 
per  la  libertà  della  patria  non  vedendola  più  soggetta  a  essere  sof- 
focata da  altri  uomini  che  non  fossero  i  Borboni  di  Napoli ,  pure 
non  dispregiava  o  odiava  gli  antichi  compagni  di  sventure  e  di  no- 
bilissimi intendimenti. 

Le  ardue  materie  che  egli  principalmente  ebbe  per  le  mani,  e 
che  pubblicò  in  italiano  col  testo  latino  in  questo  volume  ,  furono 
le  seguenti  : 

1.°  Cronaca  di  Rinaldo  da  S.  Germano  tradotta  da  N.   Corda. 

Questo  notaio  del  moderno  Cassino ,  che  fu  anche  poeta  ,  scrisse 
delle  cose  operate  dal  1189  al  1243,  e  va  noverato  fra  i  più  chiari 
scrittori  di  Annali.  La  cronaca  latina  era  stata  pubblicata  dall' Ughelli 
nel  1647,  dal  Muratori  nel  1725  e  dal  Pelliccia  nel  1782;  ma  questa 
è  la  prima  volta  che  ne  fu  data  la  traduzione ,  e  ridotti  alcuni  versi 
dell'autore  a  poesia  italiana  da  Giuseppe  Del  Re.  Uomo  dotto  il 
Corcia ,  non  pare  fosse  stato  troppo  felice  in  questo  volgarizza- 
mento. 

2.°  Delle  gesta  di  Federigo  II  imperatore  e  de'  suoi  figli  Cor- 
rado e  Manfredi  re  di  Puglia  e  di  Sicilia ,  Storia  di  Niccolò  Jam- 
siila  (1210-1258)  versione  di  S.  Gatti. 

Anche  del  Jamsilla  o  Giamsilla  che  mostra  chiaramente  sembian- 
ze di  ghibellino,  si  aveva  stampata  la  cronaca  latina,  dall' Ughelli 
nel  1662 ,  dall'  Eckard  in  Lipsia  nel  1723 ,  dal  Caruso  in  Palermo 
sopra  un  nuovo  codice  trovato  in  Messina,  finalmente  dal  Muratori 
nel  1725  e  dal  Gravier  in  Napoli  nel  1770. 

La  cronaca  di  Jamsilla  appare  per  la  prima  volta  italiana  per 
opera  dell'attuale  prefetto  di  Benevento  ,  il  quale  tradusse  anche 
il  Supplemento  dall'anno  1258  all'anno  1265  di  un  anonimo  di  parte 
avversa. 

3.°  Istoria  delle  cose  di  Sicilia  di  Saba  Malaspina  (1250-1258) , 
versione  di  B.  Fabbricatore. 

Appartenente  forse  alla  medesima  famiglia  de'  Malaspini  di  Fi- 
renze ,  dalla  quale  uscirono  i  due  cronisti  Ricordano  e  Giacotto , 
il  Saba  fu  scrittore  del  papa  e  decano  dqlla  chiesa  di  Mileto  in  Si- 
cilia ,  quando  gli  Angioini  commisero  quelle  stragi  alla  espugnazione 
di  Agosta  nel  1268.  La  sua  narrazione  fu  stampata  dal  Baluzio 
nel  1713  ma  monca,  meglio  ristampata  dal  Caruso  e  dal  Muratori. 

Il  valoroso  letterato  Bruto  Fabbricatore  ,  che  sedette  alla  ca- 
mera de'  Deputati ,  fece  italiana  questa  lunga  cronaca  guelfa ,  che  , 


ANNUNZI    BIBLIOGRAFICI  219 

al  solito,  per  speciale  interesse  della  sua  fazione,  aggrava  di  colpe 
la  memoria  degli  Svevi  e  della  parte  ghibellina. 

4.°  Istoria  siciliana  di  Bartolommeo  di  Neocastro  (1250-1293), 
versione  di  B.  Fabbricatore. 

Questo  cronista  ,  giureconsulto  messinese ,  non  ostante  alcune 
inesattezze  e  un  certo  colorito  poetico ,  rimane  uno  degli  storici 
più  importanti  per  ciò  che  spetta  ai  successi  della  Sicilia  durante 
la  ribellione  del  famoso  Vespro. 

5.°  I  diurnali  di  Matteo  Spinelli  di  Giovenazzo  (1147-1268), 
pubblicati  dappresso  il  codice  della  biblioteca  imperiale  di  Francia 
con  note  storiche  e  cronologiche  tratte  dall'opera  del  conte  di  Luynes. 

L'autore  ,  nato  ghibellino,  morto  guelfo ,  come  segue  spesso  ma- 
lamente ,  lasciò  la  più  antica  benché  breve  cronaca  scritta  in  ita- 
liano ,  tradotta  e  pubblicata  in  latino  dal  Papebroch  sopra  un  testo 
di  Viterbo  ,  e  poi  dal  Muratori  sopra  altro  scritto  a  penna  forni- 
togli dal  noto  letterato  Tafuri ,  dal  Caruso  e  dal  Gravier  in  Paler- 
mo e  in  Napoli.  Ma  più  di  tutti  fu  benemerito  il  Luynes  per  aver 
ridotto  a  miglior  lezione  e  corretta  la  cronologia  dello  Spinelli 
nel  1839  in  Parigi. 

E  il  Minieri  questa  volta  co'  suoi  profondi ,  continui  e  coscien- 
ziosi studi  ha  in  gran  parte  con  altri  documenti  diradate  le  dub- 
biezze e  restituita  la  verità  del  testo  anche  in  quelle  parti  dove 
dal  duca  di  Luynes  fu  impugnata. 

6.°  Esortazione  di  Pietro  de  Pretio  vicecancelliere  di  Corra- 
do rv  re  de' Romani  e  di  Sicilia,  ad  Enrico  l'illustre  Langravio  di 
Turingia  e  marchese  della  Misnia. 

È  una  violenta  invettiva  contro  Carlo  d'Angiò  per  la  morte  a  cui 
condannò  Corradino  ;  ma  v'  è  men  l'opera  di  un  uomo  politico  che 
quella  di  un  cortigiano. 

Giovanni  Hermann ,  consigliere  e  bibliotecario  in  Assia ,  cui  si 
va  debitori  delle  lettere  di  Pietro  delle  Vigne ,  trasse  dall'oblio 
quest'opuscolo  ,  pubblicato  nell'anno  1745. 

Le  difficoltà  della  traduzione  ,  dice  il  ricordato  nostro  Giuseppe 
del  Re  ,  furon  superate  dal  nostro  egregio  amico  signore  Stanislao 
Gatti ,  il  quale  così  in  questa  come  in  altre  sue  versioni  diede  prova 
dell'acuto  suo  ingegno  ,  egualmente  pieghevole  ed  a'  tenui  lavori  ed 
alle  più  astruse  elucubrazioni  letterarie. 

7.°  Cronaca  di  Matteo  Spinelli  da  Giovenazzo  ridotta  alla  sua 
vera  dizione  ed  alla  primitiva  cronologia  con  un  commento  in  con- 
futazione a  quello  del  duca  di  Luynes  sulla  stessa  cronaca,  e  stam- 
pata a  Parigi  nel  1839  per  Cammillo  Minieri  Riccio. 

Questo  pregevole  lavoro  corregge  in  certo  modo  il  primo  di  cui 
feci  parola  al  numero  5.°,  poiché  i  tempi  nuovi  d' Italia  aprirono  di 


220  ANNUNZI    BlIiLlOGRAFICI 

nuovo  al  Minieri,  senza  gelosia  e  sospetti,  le  meno  esplorate  sale 
diplomatiche  degli  Archivii  nazionali  in  cui  le  carte  angioine  sono 
raccolte  in  375  volumi. 

E  non  ostante  sì  nobili  fatiche  ,  non  contento  ancora  il  Minieri , 
tanto  più  vedendo  che  in  Germania  si  vuole  intìrmare  la  verità 
della  cronaca  di  Giovenazzo  ,  torna  a  lavorarvi  sopra  per  tarla  ri- 
comparire sempre  più  splendida  della  luce  della  verità ,  perchè  i 
detrattori  rimanessero  convinti  per  altri  autori  sincroni  e  per  altri 
documenti  di  ciò  che  scrisse  lo  Spinelli. 

M.  D'A. 


IBoiiumciBti  per  servire  alla  storia  «lei  palazzo  «lucale 
«li  Venezia  ,  ovvero  Serie  di  atti  pubblici  dal  1253  al  1797  , 
che  variamente  lo  riguardano,  tratti  dai  veneti  archivi  e  coor- 
dinati da  Giambattista  Lorenzi  Coadiutore  della  Biblioteca 
Marciana.  Parte  I.»  dal  1253  al  1600.  Venezia,  tipografia  del 
Commercio  di  Marco  Yisentini ,  1868-69,  di  pag.  627  in  4to  mas- 
simo. 

Col  proposito  di  scriverne  in  seguito  distesamente  ,  ci  conten- 
tiamo di  annunziare  questo  ingente  e  importante  lavoro  del  Lorenzi, 
che  spesso  abbiamo  ricordato  in  questo  Archivio  Storico  ;  come 
quegli  che  prestò  validi  aiuti  agli  studiosi  della  storia.  Ci  volle  un 
coraggio  singolare ,  una  singolare  perseveranza ,  nel  pescare  niente 
meno  che  centinaia  e  centinaia  di  documenti  in  quel  mare  magno 
che  è  l'Archivio  dei  Frari  in  Venezia  ,  nel  trascriverli  esattamente 
e  intieramente  ,  nel  corredarli  di  note  illustrative,  sobrie  e  chia- 
rissime. È  un  lavoro  che  farebbe  onore  a  una  società  di  archeologi; 
ed  è  un  uomo  solo  che  lo  iniziò  e  lo  prosegue!  Ed  è  un  uomo  sicuro 
del  fatto  suo,  che  non  si  lascia  illudere  da  tradizioni  incerte,  ma 
che  presenta  documenti  irrefragabili.  Non  prelude  con  oziosi  e  vani- 
tosi prolegomeni ,  né  mena  vanto  di  quella  erudizione  di  storia 
veneziana  che  pure  possiede  larghissima.  In  poche  pagine  della  de- 
dica narra  la  storia  di  questa  sua  impresa,  che  gli  costò  sei  anni 
di  fatica,  e  ce  ne  vorranno  altri  quattro  perche  sia  compiuta;  novera 
le  ragioni  e  lo  scopo  della  impresa  medesima.  E  dire  che  non  mancò 
mai  un  giorno  ai  molteplici  doveri  del  suo  ministero  ;  che  assi- 
duamente giovò  alle  inchieste  degli  eruditi  !  Ci  contentiamo  ora  di 
osservare  che  questa  opera  colossale  è  di  grande  giovamento  per 
la  storia  dell'arte  italiana  e  per  la  storia  di  Venezia. 

A  buon  dritto  egli  la  dedicava  allo  illustre  archeologo  inglese 
Iohn  Ruskin  ,  autore  di  un'opera   celebro    intitolata   The  Stenes  of 


ANNUNZI   BIBLIOGRAFICI  221 

Yenice  (le  pietre  di  Venezia),  il  quale  generosamente  gli  prestò  il 
modo  di  darla  in  luce.  In  Italia  avrebbe  facilmente  trovato  altret- 
tanto? Saokedo. 


Firenze  -  Milasto.  -  faggio  di  Ecttcre  diplomatiche  del 

secolo  xav  e  xv,  edite  per  nozze.  Firenze,  Barbèra,  1869; 

in  8vo  ,  di  pag.  39. 
Manoscritti  e  alcuni  BìRjri  a  stampa   singolari ,    esposti 

e  annotati  da  Pietro  Bigazzi.  Firenze,  Barbèra,  1869;  in  8vo, 

di  pag.  31. 

Firenze  e  Milano  pose  per  titolo  il  signor  Bigazzi  al  primo  di 
questi  opuscoli,  perchè  da  lui  pubblicato  in  occasione  delle  nozze 
del  conte  Marco  Arese  di  Milano  con  una  gentildonna  fiorentina 
dell'antica  famiglia  dei  Serristori.  Il  qual  titolo  è  poi  giustificato  dal 
contenuto  stesso  del  libro ,  che  son  tutte  lettere  spettanti  alle 
relazioni  tra  Firenze  e  Milano:  dieci  del  1389,  90  e  91  ;  scritte  in 
parte  dai  X  di  Balta  e  dalla  Signoria  di  Firenze  ,  in  parte  dal  can- 
celliere Benedetto  Fortini  a  Donato  Acciainoli  e  ad  altri ,  mandati 
a  Genova  e  a  Padova,  per  allearsi  con  quelli  stati  contro  le  voglie 
ambiziose  del  Conte  di  Virtù  ;  due  di  Lorenzo  de'Medici,  fratello  a 
Cosimo  il  Vecchio,  dell'anno  1430,  dirette  agli  oratori  fioren- 
tini a  Venezia  ,  andati  a  procacciare  una  lega  contro  Filippo  Ma- 
ria Visconti ,  mentitegli ,  il  Medici .  poneva  dal  canto  suo  ogni 
studio  presso  il  duca  di  Milano  ,  per  distorlo  dal  dare  aiuto  ai  Luc- 
chesi contro  la  nostra  Repubblica  ;  un'altra  della  Signoria  a  Fran- 
cesco Sforza,  allora  (1450)  nuovamente  acclamato  Duca  di  Milano, 
nella  quale  gli  raccomanda  le  terre  spettanti  a  Lodovico  da  Cam- 
pofregoso  e  a  Caterina  sua  madre  ;  l'ultime  tre  infine  del  496  ,  dai 
predetti  Dieci  indirizzate  a  Francesco  Gualterotti  ,  ambasciatore  a 
Lodovico  il  Moro  ,  per  far  con  lui  un'alleanza,  che  invano  sperarono 
potesse  riuscir  migliore  di  quelle  già  da  essi  contratte  con  gli  stra- 
nieri. Ognun  sa  quanta  parte  della  storia  d'Italia  siano  le  relazioni 
politiche  di  que'due  grandi  stati  della  penisola,  massime  finché 
Firenze  fu  libera:  quindi  è  facile  immaginarsi  di  quale  importanza 
debba  riuscire  ogni  nuovo  documento  che  intorno  a  quelle  venga 
offerto  agli  studiosi. 

Le  presenti  lettere  sono  state  partite  in  quattro  serie  ,  preci- 
samente quanti  sono  i  punti  di  storia  ch'esse  servono  a  illustrare  ; 
e  ad  ogni  serie  prepone  il  signor  Bigazzi  un  breve  e  sugoso  avverti- 
mento ,  dove  con  semplice  ed  eletto  stile  discorre  le  ragioni  per 
le  quali  furono  scritte,  e  i  fatti  a  cui  si  riferiscono. 


222  ANNUNZI    BIBLIOGRAFICI 

Tre  mesi  dopo  la  pubblicazione  di  quest'opuscolo  (5  d'  agosto)  il 
signor  Bigazzi  n'ha  dato  in  luce  un  altro  ,  anch'esso  per  nozze  ,  dove 
ha  preso  a  esporre  e  annotare  alcuni  manoscritti  di  storia  patria 
toscana,  parte  di  que' molti ,  raccolti  già  e  posseduti  da  lui,  ed  or 
non  è  molto  acquistati  dalla  Provincia  di  Firenze;  la  quale,  senza 
darsi  pensiero  d'ordinarli  e  farne  cataloghi ,  non  ebbe  altro  a  fare 
che  allogarli  ,  come  stavano ,  nella  sua  biblioteca  ;  a  tutto  avendo 
già  provveduto  con  lungo  amore  e  fatica  il  primo  possessore. 

I  manoscritti  presi  a  illustrare  in  questo  fascicolo  (ch'èil  secondo 
delle  Esercitazioni  bibliografiche  dell'editore,  essendo  il  primo  venuto 
in  luce  fin  dal  1859),  sono  in  numero  di  dodici;  appartengono  ai 
secoli  xiv  a  xviii;  e  son  di  cose  pubbliche  e  private,  svariatissime 
fra  loro.  Sotto  il  numero  1  sta  un  Copialettere  di  Roberto  Ac- 
ciaioli,  del  tempo  eh' e' fu  general  commissario  a  Pistoia,  con  altri 
documenti  che  si  riferiscono  al  suo  ufficio  ;  ed  è  seguito  dagli  Statuti 
antichi  e  nuovi  di  Montemarciano  nella  Marca  Anconitana.  Un  Libro 
del  provveditore  del  Monte  di  Siena  della  seconda  metà  del  secolo  xvi 
vien  dietro  a  un  piccolo  codice  che  reca  gli  Atti  originali  della  cano- 
nonizzazione  del  B.  Andrea  Corsini ,  del  1629.  V'è  un  Atto  relativo 
al  feudo  di  Mulasso  dei  marchesi  Malaspina  (n.  9)  ,  e  un  codice  di 
Lettere  originali  del  P.  Bartolommeo  da  Salutìo  a  fra'Francesco  da 
Faltona  ,  dal  1604  al  16  (n.  11);  un  Ruolo  dei  consoli  dell'Arte  dei 
giudici  e  notai  (1384-87)  con  un  altro  dei  proconsoli  (1434-86) ,  e  il  cosi 
detto  Direttorio  marittimo  di  don  Roberto  Dudleo  duca  di  Nortumbria, 
profugo  inglese  ,  riparato  alla  corte  di  Ferdinando  II  in  Toscana  ; 
un  Libro  di  contratti  e  ricordi  di  Lorenzo  di  Francesco  Albertini , 
e  una  Cronichetta  e  alcuni  Avvisi  di  Firenze  degli  anni  1600-602 
(3  e  4)  ;  e  finalmente  uno  Stato  di  cassa  del  Monte  del  Comune , 
fatto  dopo  l'estinzione  della  linea  Medicea ,  e  un  curioso  Diario 
tenuto  per  quasi  mezzo  secolo  (1640-89)  da  Giovambatista  Cenni , 
un  barbiere  ,  soprannominato  V  Erudito. 

Ciascuno  di  questi  manoscritti  viene  illustrato  da  per  sé.  Precede 
un'esatta  descrizione  ,  ove  nemmeno  son  trascurate  quelle  minute 
accidentalità ,  che  sfuggon  sovente  agli  occhi  de'  meno  esperti ,  e 
che  notate ,  crescono  1'  importanza  d'  una  scrittura ,  e  rivelano 
quasi  sempre  la  perizia  di  chi  ha  tolto  a  illustrarla.  E  come  parte 
di  descrizione  ,  spesso  il  signor  Bigazzi  riferisce  qualche  brano  del 
codice  che  ha  per  le  mani  ;  la  qual  cosa,  come  abbiam  potuto  notare 
leggendo  il  libro  ,  molto  conferisce  a  sempre  meglio  determinare 
la  particolar  natura  di  ciascun  manoscritto  ,  e  invogliare  il  lettore 
a  conoscerlo  di  presenza.  Nò  qui  s'arresta  il  diligente  bibliografo  , 
ma  perchè  riesca  completa  l' illustrazione  ,  aggiunge  quasi  sempre 
in  fino  a  ciascun  articolo  poche  ma  interessanti  notizie  delle  persone 


ANNUNZI   BIBLIOGRAFICI  223 

e  dei  fatti  cui  il  manoscritto  si  riferisce.  Riassumendo ,  possiamo 
dire  che  il  saggio  del  signor  Bigazzi  è  un  vero  e  proprio  esempio 
di  stile  bibliografico  :  esempio  di  cui  potranno  giovarsi  quando  che 
sia  le  nostre  biblioteche  ;  delle  quali  una  sola  in  Firenze ,  la  Lau- 
renziana,  possiede  un  ottimo  catalogo  dei  manoscritti,  grazie  al 
lungo  studio  e  al  grande  amore  di  quel  vero  modello  dei  bibliote- 
cari che  fu  Angelo  Maria  Bandini. 

Due  parole  ancora  per  ringraziare  l'egregio  editore  delle  fatiche 
da  lui  spese  in  vantaggio  dei  buoni  studi ,  e  per  confortarlo  a  toglier 
via  ogni  ostacolo  ,  com'  egli  medesimo  ci  promette  ,  alla  «  solle- 
«  cita  prosecuzione  »  di  questi  saggi  bibliografici  ;  dei  quali  certa- 
mente gli  sapranno  buon  grado  quanti  sono  fra  noi  veri  amatori 
della  patria  erudizione.  A.  Gherardi. 


f-escliichtc    Girolamo   Savonarola**    unii    seiner   Zc>t 

nach  neuen  Quellen  dargestellt  voti  Pasquale  Villari  ;  Unter 
Mitwirhung  des  Verfassers  aus  dem  Italienischen  ubersetzt 
von  Moritz  Berduschek.  Leipzig  1868.  (  Storia  di  Girolamo 
Savonarola  e  de'  suoi  tempi ,  narrata  con  l'aiuto  di  nuovi  do- 
cumenti da  P.  Villari,  e  con  la  cooperazione  dell'autore  vol- 
tata in  tedesco  da  Maurizio  Berduschek). 

Egli  accade  così  rade  volte  che  lavori  nostri  di  storia  siano 
ammessi  all'onore  di  traduzioni  in  lingue  straniere,  e  segnatamente 
in  lingua  tedesca  ,  che  quando  vediamo  un  tal  fatto  succedere  sia- 
mo costretti  a  riguardarlo  come  un  grande  avvenimento  letterario. 
E  mentre  le  nazioni  tedesca  e  inglese  ,  e  la  francese  stessa  ,  che 
ha,  in  parte,  comune  con  noi  il  vizio  di  rifuggire  da  analisi  sto- 
riche pazienti  e  accurate  ,  posseggono  un  repertorio  ricchissimo  di 
opere  storiche  ,  che  hanno  fatto  il  giro  del  mondo  ;  noi  contiamo 
sulle  dita  le  nostre  che  sonosi  aperte  un  passo  ai  di  là  delle  Alpi. 
Una  di  queste  opere  è  la  Storia  di  Girolamo  Savonarola  di  Pa- 
squale Villari ,  della  quale  furono  fatte  già  due  versioni  in  inglese 
e  in  tedesco ,  e  ora  si  sta  scrivendo  un  compendio  in  inglese  da 
A.  Milner.  La  versione  tedesca  venne  in  luce  nel  passato  anno. 
Ne  è  autore  Maurizio  Berduschek  ;  nome  già  chiaro  nella  repub- 
blica delle  lettere ,  sebbene  ei  sia  ancor  giovanissimo  ,  per  le  sue 
memorie  di  bibliografia  storica ,  pubblicate  in  Italia  e  in  Germania. 
Noi  crediamo  pertanto  di  compiere  un  ufficio  doppiamente  gradito 
presentando  ai  lettori  dell'Arc/ia^'o  un  breve  ragguaglio  di  questo 
nuovo  lavoro  del  Berduschek,  che  onora  l'Italia,  mostrando  alla 
sua  dotta  sorella  che  se  essa  ,  in  fatto  di  storici  studi ,  occupa  al 


224  ANNUNZI   BIBLIOGRAFICI 

presente  in  fra  le  nazioni  d'Occidente,  un  seggio  modestissimo, 
tende  però  con  ogni  possa    a   rialzarlo    in    un  prossimo    avvenire. 

Alla  versione  della  storia  del  Savonarola  manda  innanzi  il  Ber- 
duschek una  breve  prefazione  ,  in  cui  dà  ragione  del  suo  lavoro.  Per 
quanto  sia  fra  noi  popolare,  dicagli,  il  nome  del  Savonarola  e  ge- 
neralmente riconosciuto  il  merito  dei  lavori  del  Rudelback  e  del 
Meier ,  mancava  tuttavia  nella  letteratura  tedesca  un'opera,  la 
quale  considerasse  la  vita  del  gran  frate  e  la  sua  posizione  nella 
storia  sotto  un  aspetto  strettamente  obbiettivo.  Ciò  ha  fatto  il  Vil- 
lari.  Per  mezzo  di  ricerche  durate  per  dieci  anni  ,  e  con  la  scorta 
di  un  ricco  tesoro  di  nuovi  documenti  da  lui  scoperti,  non  solo  gli 
ò  riuscito  di  chiarire  nella  vita  del  Savonarola  punti  oscuri  o  fal- 
samente interpretati  ,  ma  eziandio  di  risolvere  le  apparenti  con- 
tradizioni nel  carattere  di  quell'uomo  straordinario  ,  di  maniera 
che  ora  abbiamo  di  lui  una  figura  piena  di  verità  e  di  plastica 
chiarezza  ».  Con  queste  parole  il  Berduschek  annunzia  a'  suoi  con- 
nazionali il  dono  ch'ei  fa  alla  letteratura  patria  dell'opera  del  Vii- 
lari.  E  in  quale  pregio  i  dotti  di  Germania  tengano  il  dono  e  il  do- 
natore ,  ce  lo  mostrò  recentemente  il  bravo  Carlo  Hillebrand  nella 
recensione  ch'ei  non  è  guari  pubblicò  nella  Revue  Crìtique  della 
versione  tedesca  del  Savonarola.  V  Hillebrand  loda  l'accuratezza 
del  lavoro  del  Berduschek  ;  il  quale  seppe  conservare  all'opera 
tradotta  quella  forma  vivace  e  attraente  ,  che  nell'originale  tanto 
si  ammira  ;  e  ciò  che  più  monta  ,  e  in  una  traduzione  maggiormente 
si  pregia ,  ritrarre  di  questo  con  rara  fedeltà  i  concetti.  E  noi  che 
raffrontammo  pazientemente  la  traduzione  coll'originale  ,  dobbiamo 
confermare  ,  se  pure  n'era  d'uopo  ,  coteste  lodi.  E  perchè  il  lettore 
si  persuada  ch'esse  sono  meritate  ,  riferiremo  alcune  leggerissime 
mende  che  abbiamo  riscontrate  nel  nostro  raffronto.  Le  quali  ,  e 
pel  numero  e  per  la  qualità ,  anziché  menomare  il  pregio  della 
traduzione  ,  ampiamente  lo  confermano. 

Notammo  anzitutto  un  peccato  di  omissione  :  ed  ò  del  titolo  dei 
libri ,  in  che  l'autore  divise  l'opera.  Il  traduttore  si  limitò  a  rife- 
rire il  titolo  dei  capitoli.  Un'altra  omissione  ,  però,  assai  più  lieve 
riscontrammo  alla  pagina  71  del  primo  volume  ;  ed  è  della  parola 
esperienza  ,  che  il  Villani  saviamente  aggiugne  alla  parola  ragione 
là  dove  ,  esaminando  gli  scritti  del  Savonarola,  dice  «  non  siamo 
andati  cercando  quante  volte  ha  tradotto  Aristotele  ,  imitato  Boe- 
zio ,  copiato  San  Tommaso  ;  ma  abbiamo  cercato  piuttosto  se  v'era 
qualche  pagina  in  cui  il  Savonarola  dicesse  :  Vogliamo  credere  alla 
nostra  propria  esperienza  ,  alla  nostra  ragione  ec.  ».  E  per  con- 
verso ,  ci  parve  di  trovare  un'aggiunta  inutile  nella  versione  del 
passo  della  predica  xxm  del  Savonarola  sopra  Aggeo  riferito  dal- 


ANNUNZI    BIBLIOGRAFICI  225 

l'autore  a  pag.  289.  11  passo  dice  :  «  Io  sono  stanco  ,  o  Firenze  , 
per  quattro  anni  di  continue  predicazioni  ,  ne'  quali  non  ho  fatto 
altro  che  affaticarmi  per  te  ».  E  il  Berduschek  lo  traduce....  «  in 
denen  (Jahren)  ich  mich  oline  Rasi  und  Ruhe  ausschliesslich  fùr 
dich  gemùthet  habe  ».  Invece,  assai  opportuna  ci  sembrò  l'aggiunta 
fatta  dal  traduttore  al  passo  della  lettera  del  Savonarola  ai  suoi 
genitori  ,  riferita  dall'autore  fra  i  documenti  (Doc.  III).  La  lettera 
comincia  così  :  «  Di  che  lacrimate  ,  ciechi  ,  di  che  tanto  piangete  ? 
A  che  mormorate  ,  gente  senza  luce  ?  »  A  queste  ultime  parole  , 
che  corrispondono  al  tedesco  oline  Licht ,  il  traduttore  aggiugne 
und  Erleuchtung ;  e  con  quest'aggiunta  rende  più  significativo  il 
primo  nome,  il  quale  ,  lasciato  li  solo,  non  ritrarrebbe  perfetta- 
mente l' idea  espressa  dalla  nostra  parola  luce. 

E  poiché  vogliamo  dir  tutto  ,  noteremo  l' inesatta  versione  della 
parola  latrocinii ,  usata  dal  Savonarola  nella  lettera  a  suo  padre 
(Doc.  I),  con  Betrug ,  che  suona  Inganno. 

E  con  ciò  abbiamo  finita  'a  nostra  requisitoria,  rimanendo  più 
col  timore  ,  che  i  giudici  condannino  noi  per  la  nostra  sfrontatezza 
di  averli  occupati  con  siffatte  futilità,  anziché  ricusino  l'assolu- 
zione piena  all'accusato.  Per  iscongiurare  poi  questo  pericolo  ,  ai 
pregi  del  lavoro  del  Berduschek  già  segnalati  ,  aggiugneremo  que- 
st'altro ,  che  esso  contiene  alcune  importanti  variazioni  e  aggiunte 
cavate  dal  manoscritto,  che  l'autore  tiene  in  pronto  per  la  seconda 
edizione  italiana  della  sua  opera  ,  e  che  egli  ebbe  la  cortesia  di 
comunicare  al  traduttore.  Fra  le  cose  aggiunte  ,  vi  è  pure  un  do- 
cumento assai  importante  trovato  dal  Villari  ,  ed  è  la  relazione 
di  Paolo  Somenzio  da  Crema  agente  segreto  del  duca  di  Milano 
sulla  esecuzione  della  condanna  capitale  del  Savonarola  ,  datato 
da  Firenze  il  23  maggio  1698.  Gli  altri  documenti  aggiunti  dal  tra- 
duttore alla  filza  prodotta  dall'autore  ,  sono  tolti  dalle  lettere  ine- 
dite del  Savonarola  ,  pubblicate  dal  P.  Marchese  nell'Appendice 
dell'Archivio  storico  italiano  ,  N.°  25.  E  perchè  la  mole  del  volume 
non  riuscisse  soverchia  ,  il  Berduschek  ha  accolti  nella  sua  tradu- 
zione i  soli  documenti  che  si  riferiscono  particolarmente  al  Savo- 
narola, limitandosi  ad  accennare  il  contenuto  dei  rimanenti. 

Francesco  Bertolini. 

Ricordi  e  Biografìe  livornesi  di  Francesco  Pera.  Livorno, 
Francesco  Vigo  ,  1867.  Un  volume  in  8vo  di  pagine  482. 

Tuttoché  la  maggior  parte  degli  abitanti  di  Livorno  sia  data  ai 
traffichi  ed  al  commercio  e  poco  si  curi  di  buoni  studi,  nullameno  ha 
avuto  in  ogni  tempo  degli  uomini  degni ,  per  le  opere  dell'  ingegno  e 
Argii.  Sr.  Itai..,  3.a  Serie  ,  T.  X  ,  P.  I  29 


226  ANNUNZI    BIBLIOGRAFICI 

del  cuore,  di  essere  ricordati  con  qualche  lode.  Di  questo  è  larga  e 
buona  prova  l'opera  presente  del  signor  Francesco  Pera,  colla  quale 
ha  preso  a  illustrare  l'istoria  letteraria,  morale  e  artistica  del  suo 
paese.  Nella  prima  parte  discorre  del  soggiorno  che  fecero  alcuni 
dotti  cosi  italiani  come  stranieri  a  Livorno  :  nella  seconda  ragiona 
della  vita  e  delle  opere  di  oltre  settanta  livornesi. 

Il  primo  di  che  tiene  parola  è  l'Orsilago ,  letterato  e  poeta,  che 
dal  granduca  Cosimo  I  verso  la  metà  del  secolo  xvi  fu  inviato  com- 
missario a  Livorno,  e  vi  stiè  assai  di  mala  voglia,  come  ricavasi 
da  un  suo  capitolo  in  terza  rima  al  vescovo  de'  Marzi ,  nel  quale 
lo  scongiura  a  trarlo  fuori  di  quella  buca 

«  Letto  di  febbri  e  nido  di  morìa  ». 

Oltre  sei  anni  vi  dimorò  Guido  Guidi ,  medico  e  filosofo  ,  pievano 
della  chiesa  livornese  di  Sant'Antonio  ,  poi  proposto  a  Pescia.  Vi 
fu  pure  Benvenuto  Cellini  nel  1561,  e  lo  narra  egli  stesso  nel  IV  li- 
bro della  sua  Vita.  Ogni  anno  passava  il  mese  di  febbraio  a  Livorno 
Francesco  Redi  e  visitava  sempre  la  Vergine  di  Montenero ,  e  faceva 
di  belle  veglie  nella  cameretta  di  Diacinto  Cestoni ,  farmacista , 
amico  suo  tenerissimo.  Filippo  Venuti ,  letterato  e  archeologo  as- 
sai valente ,  proposto  della  chiesa  livornese  ,  promosse  e  aiutò  la 
stampa  del  Magazzino  italiano  d'istruzione  e  piacere,  letture 
mensuali,  proseguite  poi  col  titolo  di  Magazzino  toscano ,  e  giovò 
in  ogni  maniera  gli  studi.  Sul  finire  del  secolo  xvi  Agostino  Tassi 
da  Perugia  era  nelle  galere  di  Livorno  a  scontare  un  atroce  de- 
litto ;  e  la  clemenza  del  Principe  gli  lasciò  trattare  i  pennelli ,  in 
che  era  valente  ,  e  dipinse  marine  ,  pescatori ,  navigli  e  burrasche 
bellissime.  Luca  Ghini  e  Michele  Anguillara  erborarono  su  quelle 
spiagge  ;  esaminò  palmo  a  palmo  i  colli  di  Montenero  Pier  Anto- 
nio Micheli  ;  studiò  e  descrisse  la  botanica ,  la  geologia  e  la  storia 
livornese  Giovanni  Targioni  Tozzetti.  Di  soli  diciassette  anni  visi- 
tava quel  paese  Vittorio  Altieri  ;  vi  soggiornò  otto  o  dieci  giorni  e 
gli  piacque  assai  «  perchè  somigliava  alquanto  a  Torino  e  per  via 
«  del  mare  ».  In  Livorno  visse  a  lungo  Giov.  Salvatore  De  Coureil 
mortovi  di  settantadue  anni  nel  gennaio  del  1822  e  fu  sepolto  nel 
pubblico  cimitero  «  senza  altro  ricordo  eccetto  il  Necrologio  della 
«  parrocchia  nel  quale  fu  notata  la  sua  morte  con  la  semplice  e 
«  umile  qualità  di  maestro  di  scuola  ». 

Di  molti  altri  italiani  morti  e  viventi  che  vi  soggiornarono  di- 
scorre lungamente  il  signor  Pera,  e  ragiona  pure  de' forestieri  che 
visitarono  Livorno  o  vi  fecero  dimora.  Fra  questi  sono  a  ricordarsi 
in  particolare  maniera  Francesco  Quesnoy ,  scultore ,  più  noto  col 


ANNUNZI   BIBLIOGRAFICI  227 

nome  di  Francesco  Fiammingo,  che  vi  mori  ai  12  di  luglio  del  1643; 
Niccolò  Wanderbrack ,  pittore ,  che  vi  riparò  esule  e  sventurato 
co'  suoi  ;  Tobia  Smollet  che  scrisse  ad  Antignano  1'  Humphry-Clinker 
romanzo  assai  lodato  dal  Goéhte  ;  il  barone  Carlo  di  Montesquieu , 
Giorgio  Luigi  Buffon  e  Carlo  Linneo ,  che  in  differente  maniera 
vi  fecero  studi.  Nel  1822  dimorò  per  sei  settimane  sui  colli  di 
Montenero  Lord  Byron  ,  e  una  squadra  americana ,  che  era  anco- 
rata nel  porto  ,  lo  accolse  a  bordo  con  gli  onori  di  un  re.  «  Il  ca- 
«  pitano  gli  mostrò  una  magnifica  edizione  americana  de' suoi  poemi; 
«  West  pittore  ottenne  di  poterlo  ritrarre  ;  e  una  signora  della 
«  squadra  impetrò  una  rosa  ch'egli  aveva  in  petto  ,  per  inviarla 
«  in  America  come  ricordo  dell'illustre  poeta  ».  Il  quale  di  nuovo 
fu  a  Livorno  nel  1823  a  provvedervi  polveri  e  mercanzie  in  prò 
della  Grecia.  A  Livorno  scrisse  gran  parte  della  sua  tragedia,  che 
lia  per  soggetto  la  Beatrice  Cenci ,  quello  sventurato  Shelley  che 
su! le  spiagge  di  Viareggio  doveva  trovare  la  morte.  Vi  fu  il  signor 
De  Lamartine  ed  il  Tieck  ,  il  Longfellow  e  Federigo  Ozanam.  Vi  fu 
pure  Alessendro  Dumas  .  che  disse  Livorno  «  un'osteria  posta  sulla 
«  strada  maestra  »;  e  di  questo  non  parla  il  signor  Pera,  né  mo- 
stra come  il  Guerrazzi  sapesse  poi  ricacciare  in  gola  la  brutta  in- 
giuria al  francese,  che  se  n'ebbe  a  pentire  (1). 

Di  tutti  gli  uomini  di  lettere  che  fiorirono  in  Livorno  ,  all'autore 
non  piace  di  scrivere  la  vita,  e  si  contenta  solo  de'  principali  ;  di  che 
eerto  io  non  so  lodarlo  ,  nò  mi  paiono  buone  le  ragioni  che  adduce 
per  levarsene  fuori  ;  giacché  niuno  pensò  giammai  a  dire  al  Tira- 
boschi  e  ad  altri  valenti  che  compilarono  delle  minute  biblioteche 
di  scrittori  municipali ,  tu  hai  fatto  di  ogni  straccio  veste  ,  come 
temeva  per  so  il  signor  Pera.  Delle  diverse  maniere  colle  quali 
poteva  egli  disporre  le  vite,  ha  stimato  più  conveniente  quella  per 
ordine  cronologico  dalla  nascita  di  ciascun  personaggio  ;  giudicando 
inopportuna  a  una  serie  di  pochi  la  spartizione  per  alfabeto  dei 
cognomi ,  come  dai  più  si  usa  per  comodo  maggiore  degli  studiosi. 
Ma  al  comodo  degli  studiosi  ha  largamente  provveduto  con  indici 
copiosissimi  e  diligenti  ;  e  con  diligenza  grande  e  con  moltissimo 
amore  e  con  larga  dottrina  ha  scritto  il  suo  libro  ;  onde  a  ragione 
disse  or  non  è  molto  quel  valentuomo  di  Michele  Lessona  :  «  sa- 
«  rebbe  un  gran  bene  per  le  tante  città  d' Italia  se  per  ognuna  di 
«  esse  taluno  imprendesse  a  fare  quello  che  per  Livorno  ha  fatto 
«  il  signor  Francesco  Pera  (2)  ».  Giovanni  Sforza. 

(4)  Guerrazzi  ,  Arringa  pronunziata  ad  un  pubblico  banchetto  in  Livorno; 
in  Zobi  ,  Storia  civile  della  Toscana;  V  ,  386. 

(2)  Lessona  ,  Volere  è  potere  ,  Firenze,  Barbèra  ,  1869  ;  pag.  218. 


228  ANNUNZI   BIBLIOGRAFICI 


Ugo  Foscolo  arrestato  ed  esaminato  in  Modena.  -  Me- 
moria del  Cav.  Antonio  Cappelli.  Modena,  tipografa  dell'erede 
Soliani ,  1867;  in  4to  (astratto  dal  tomo  Vili  delle  Memorie  della 
R.  Accademia  di  scienze,  lettere  ed  arti  in  Modena). 

Un  episodio  affatto  sconosciuto  e  di  molta  importanza  per  la 
vita  di  Ugo  Foscolo  ,  tanto  ricca  e  svariata  di  avventure  singola- 
rissime e  di  sconsolate  vicende  ,  è  questo  che  racconta  i!  cavaliere 
Cappelli ,  sulla  fede  di  alcune  scritture  giudiziarie  che  si  conser- 
vano a  Modena  nell'Archivio  governativo.  Datosi  Ugo  alle  armi ,  de- 
sideroso di  offrire  il  suo  braccio  alla  libertà  dell'  Italia,  è  noto  come 
nella  primavera  del  1799  si  trovasse  a  Bologna  col  grado  di  tenente 
nelle  milizie  cisalpine  e  coll'ufficio  di  segretario  della  Commissione 
criminale.  Ed  è  noto  del  pari  come  combattesse  e  bravamente  a 
Forte  Urbano  ed  a  Cento  ,  dove  rimase  ferito  d'un  colpo  di  baio- 
netta in  una  coscia.  Che  cosa  seguisse  di  lui  dopo  questo  fatto,  niente 
sapevasene  con  certezza.  11  sig.  Prospero  Viani,  discorrendo  delle 
avventure  del  nostro  poeta  in  quei  giorni,  così  scriveva  sulla  te- 
stimonianza di  un  tal  Pietro  Brighenti  :  «  Ugo  Foscolo  (sono  parole 
«  del  sig.  Viani)  cominciò  a  stampare  a  Bologna  nel  1798  co' tipi 
«  di  Iacopo  Marsigli  le  Lettere  di  Iacopo  Ortis  ;  ma,  condotta  l'im- 
«  presa  fin  presso  alla  metà,  se  ne  rimase  in  un  tratto  ,  e  scom- 
«  parve  improvvisamente  da  Bologna,  ansioso  di  tornare  a  Milano. 
«  Ma  ,  o  non  avesse  le  debite  carte  da  viaggio  ,  o  i  rigori  vigili  e 
«  sospettosi  degli  stati  modenesi  impedissero  a'  viandanti  il  libero 
«  passaggio  ,  egli  con  sola  una  guida  passò  il  Reno  e  il  Panaro ,  e 
«  prese  la  via  delle  montagne.  Se  non  che  ,  toccato  appena  il  ter- 
«  ritorio  vignolese  ,  diede  in  una  squadra  di  uomini  d'arme,  dai 
«  quali  preso  in  sospetto  ,  fu  condotto  e  sostenuto  otto  giorni  nella 
«  ròcca  di  Vignola.  Quivi  umanamente  raccolto  e  trattato  dal  po- 
«  desta  del  paese  ,  entrò  in  tanta  grazia  del  figlio  di  lui  Pietro 
«  Brighenti ,  per  la  conformità  degli  studi  e  delle  opinioni ,  che 
«  questi  valse  a  farlo  porre  in  libertà  prima  degli  ordini  di  Bolo- 
«  gna  e  di  Modena  ,  e  ad  agevolargli  la  sicurezza  del  viaggio  (1)  ». 
Racconta  invece  il  Cappelli,  colla  scorta  sicura  de' documenti  da 
lui  trovati ,  che  il  nostro  poeta  ,  malconcio  della  ferita  e  impotente 
a  combattere,  alla  buona,  mercè  del  conte  Turini,  suo  amico,  si  rifu- 
giò prima  a  Calcara,  poi  a  Monteviglio  presso  un  contadino  di  lui 
che  per  mezzo  di  Antonio  Aldini  gli  fece  avere  due  stanze  nel  sop- 

(1)  Fosool"  ,  Opere.  Firenze,  Le  Mounier,  1852;  voi.  vi,  pa^.  150  e  seg. 


ANNUNZI   BIBLIOGRAFICI  229 

presso  convento  di  quel  piccolo  borgo,  che  è  sul  confine  di  Modena 
e  di  Bologna.  Col  Turini  carteggiò  il  Foscolo  in  que' giorni  sotto  il 
nome  di  Lorenzo  Alighieri  «  perchè  temeva  (come  disse  egli  stesso 
«  ai  suoi  esaminatori)  che  si  sapesse  dove  fosse  a  Bologna  ».  Caduto 
in  sospetto  di  giacobino  ,  ai  30  di  maggio  fu  catturato  da  una  banda 
di  contadini  «  dicendogli  che  la  comunità  di  Bazzano  ,  cui  è  soggetto 
«  Monteviglio  ,  voleva  sapere  chi  fosse  ».  Giunti  a  Bazzano  trova- 
rono soppresso  il  Municipio ,  carcerato  il  segretario  e  parecchi 
paesani  ;  arrivati  che  furono  poco  dopo  quattro  ussari  venne  con- 
dotto a  Vignola,  dove  risiedeva  una  piccola  mano  di  tedeschi  ,  e  fu 
presentato  a  quell'ufficiale  austriaco  che  lo  esaminò  in  latino  e  poco 
s' intesero.  Menato  a  Modena  e  posto  nelle  carceri  della  cittadella  , 
sette  giorni  appresso  dall'  imperiale  Commissione  di  polizia  ,  com- 
posta de' cittadini  Piazzoni  ,  Schedoni  e  F abrini ,  fu  esaminato  con 
altri  prigionieri,  che  al  pari  di  lui  erano  sospetti  di  seguire  le  parti 
de' Giacobini.  Rispose  il  Foscolo  «  che  da  24  giorni  si  trovava  in 
«  Monteviglio,  dove  era  andato  per  levarsi  dall'incontro  di  dovere 
«  unirsi  alla  guardia  nazionale  e  battersi  coi  Tedeschi ,  che  si  di- 
«  ceva  fossero  per  venire  a  momenti  ;  e  d'altra  parte  per  sfuggire 
«  l' incontro  di  essere  accusato  presso  i  tedeschi  per  essere  egli 
«  impiegato  in  qualità  di  segretario  nella  Commissione  criminale  in 
«  Bologna  ;  anche  perchè  non  si  trovava  molto  bene  in  salute  , 
«  soffrendo  gran  mal  di  petto  ».  Al  Foscolo  però  non  venne  fatto 
di  occultare  il  vero  in  maniera  da  rimuovere  ogni  sospetto  ;  e  gli 
esaminatori  niente  persuasi  da  queste  sue  parole,  mentre  in  calce 
di  molte  altre  esamine  di  Cisalpini  scrissero  Si  rilasci,  in  quella  di 
lui  fu  decretato  Si  sospenda;  e  dovè  restare  prigione  finché,  giunto 
a  Modena  il  generale  Macdonald  ,  e  cacciati  gli  Austriaci ,  fu  sal- 
vo ,  e  tornò  a  combattere  per  la  libertà  a  Novi ,  a  Genova  ed  a 
Marengo.  Giovanni  Sforza. 


Di  Taddeo  della  Volpe  celebre  condottiero  delle  venete  armi. 
Cenni  storici  novellamente  compilati  da  un  oriundo  imolese. 
Bologna  ,  Tipi  Fava  e  Garagnani  ,  1868  ;    in  8vo  di  pag.  37. 

Racconta  l'autore  come  di  antica  famiglia  di  origine  tedesca  , 
che  prese  stanza  ad  Imola  nel  secolo  xn  ,  nasceva  Taddeo  Della 
Volpe  nel  1474  da  un  Niccola  ,  che  non  solamente  fu  padre  di  lui 
ma  ben  anche  di  Giambattista  e  di  Cesare  e  di  una  femmina  di  nome 
ignoto  ;  la  quale  notizia  corregge  appieno  quanto  dissero  a  torto 
del  nostro  Taddeo  l'Alberghetti  e  il  Cicogna,  che  lo  vogliono  ve 
nuto  in  luce  nel  1489  di  un  Uguccio  ,  savio  d'  Imola.    Fino   da  gio- 


230  ANNUNZI   BIBLIOGRAFICI 

vanissimo  mostrò  Taddeo  un'attitudine  singolare  al  maneggio  delle 
armi,  e  trovandosi  a  Roma,  per  volere  di  papa  Alessandro  VI  si 
provò  col  celebre  Fracasio  da  San  Severino,  ed  entrambi  furono 
giudicati  di  uguale  bravura.  Sui  ventiquattro  anni  entrato  a  ser- 
vigio de'  Riario  ,  combattè  assieme  co'  Fiorentini  nella  guerra  di 
Fisa;  poi  col  Valentino  fu  all'espugnazione  di  Faenza  e  vi  perse  un 
occhio,  onde  ebbe  a  dire:  Oh,  di  qui  innanzi  io  non  potrò  vedere 
i  pericoli  se  non  per  metà  !  Servì  i  Borgia  così  nella  prospera 
come  nell'avversa  fortuna ,  e  dopo  essi  Giulio  II  ,  che  lo  fece  ca- 
pitano generale  delle  sue  milizie  a  Bologna.  Narra  monsig.  Pietro 
Bembo  nel  lib.  VII  della  sua  istoria  che  la  Repubblica  di  Venezia 
die  una  compagnia  di  cavalli  grossi  al  nostro  Taddeo  «  per  sedi- 
dizione  della  patria  cacciato  ».  Però  l'autore  mostra  del  tutto  falsa 
l'accusa  ,  e  mercè  la  testimonianza  di  Giovambatista ,  fratello  di 
esso  Taddeo,  e  scrittore  di  un  commentario  che  s'intitola:  Thad- 
dae'i  Vulpiensis  equitis  gesta  militarla  ,  fa  conoscere  come  di  con- 
sentimento del  pontefice  e  di  propria  elezione  passò  al  servigio 
de'  Veneziani. 

Per  opera  di  Taddeo  venne  salvato  l'esercito  veneto  ,  sconfitto 
aspramente  sull'Adda ,  e  fu  ricuperata  Padova  da  quarantadue 
giorni  in  potere  di  Massimiliano.  Finché  visse  serbò  egli  la  sua  fe- 
deltà e  i  suoi  servigi  alla  Repubblica.  Vinse  il  Trissino  ,  il  Gonzaga 
ed  il  Naldi;  combattè  ad  Arcola  e  alla  Mirandola;  riebbe  la  Stel- 
lata ,  e  di  nuovo  trasse  a  salvamento  l'esercito  de' Veneziani  a 
Bologna.  Difese  Brescia  ,  salvò  Treviso,  e  ferito  gravemente  a  Gra- 
disca, rimase  prigioniero  de'  Francesi  donde  poi  fu  liberato  nel  1517. 
Ai  19  di  gennaio  del  1534  lo  colse  la  morte  ,  e  fu  seppellito  a  Ve- 
nezia  nella  chiesa  di  Santa  Marina,  ove. a  pubbliche  spese  gli  venne 
inalzata  una  statua  equestre  in  bronzo ,  la  quale  fu  poi  venduta 
nel  1810  da' Francesi  e  fatta  a  pezzi  ! 

Sono  di  corredo  a  questi  Cenni  due  lettere  inedite  di  Taddeo  al 
Duca  di  Ferrara ,  cavate  dall'Archivio  di  Modena ,  e  alquanti  capi- 
toli de'  Commentari  che  scrisse  di  lui  il  suo  fratello  ,  che  parimente 
sono  inediti  e  vennero  trascritti  e  collazionati  sopra  due  codici 
della  Marciana.  Giovanni  Sforza. 


Lettere  di  Francesco  Pianosa  alla  Repubblica  di  Pisa. 

Fisa  ,  dalla  tipografia  de' fratelli  Nistri ,  1869;  in  8vo  (Nelle  nozze 
Prina-Bonacossi  ). 

Sono  due  lettere  agli  Anziani  di  Pisa  ,  scritte  ai  21  di  gennaio  e 
ai  12  di  febbraio  del  1498  da  Francesco  Pianosa  ,  oratore  di  quella 


ANNUNZI   BIBLIOGRAFICI  231 

Repubblica  presso  il  Duca  di  Ferrara.  Nella  prima  il  Pianosa  con- 
forta la  Signoria  pisana  ad  aver  gli  occhi  d'Argo  «  perchè  quelli 
«  iudei  abatuti  chiamati  fraudentini  de' nostri  nemici  (così  scrive) 
«  sono  astuti  et  cativi ,  et  non  cessano  cum  fraude  et  inganno  de 
«  mectere  ol  piede  in  qualche  loco  ».  Nella  seconda  accenna  a'  ma- 
neggi in  disfavore  di  Pisa,  che  faceva  il  Duca  di  Milano  a  Ferrara 
e  a  Venezia ,  e  come  la  Santità  del  Papa  concorresse  in  quella  in- 
telligenza; di  che  l'oratore  dubita  forte,  ma  pure  ne  sta  «  de  mal 
«  animo  e  di  mala  voglia.  »  Mentre  in  palese  scrive  che  il  Duca  di 
Ferrara  «  è  ben  disposto  ad  aitare  et  mantenere  la  libertà  di  Pisa  », 
in  cifra  dice  :  «  io  vi  notifico  che  non  è  nostro  amico  ,  benché  se 
«  demostra  de  parole  el  contrario  ». 

L'editore  di  queste  due  lettere  ,  che  furono  tratte  dal  R.  Ar- 
chivio pisano ,  è  il  sig.  Saverio  Scolari ,  professore  di  diritto  costi- 
tuzionale in  quella  R-  Università.  G.  S. 


Per  nozze  Saccardo-Bolognini  e  Veronese.    Pisa ,   tipo- 
grafia Nistri ,  1869  ;  in  4to  di  pag.  13. 


In  soli  centocinquanta  esemplari  fuori  di  commercio  il  sig.  Gio- 
vanni Antonio  Pisoni  ha  mandato  in  luce  il  libretto  presente  ,  che  con- 
tiene una  lettera  fino  a  qui  inedita  di  Antonio  Costantini  .  amico  e 
familiare  di  Torquato  Tasso.  È  scritta  da  Ferrara  ai  17  di  febbraio 
del  1586  a  Roberto  Titi ,  che  fu  professore  a  Bologna  ed  a  Pisa 
ed  uomo  di  assai  buone  lettere  :  in  essa  si  ragiona  di  molte  cose , 
ma  specialmente  del  povero  Torquato  ,  pazzo  allora  e  sventuratis- 
simo.  «  Il  Tasso  non  vi  conosce  (così  scrive),  non  sa  chi  vi  siate 
«  né  morto  né  vivo  ,  e  pure  havendogli  fatti  leggere  li  vostri  12  so- 
«  netti ,  di  maniera  gli  ha  commendati ,  eh'  io  vorrei  che  voi  stesso 
«  con  le  vostre  orecchie  havessi  udito  quello  che  disse....  Per  hora.... 
«  harete  qui  inclusi  duoi  sonetti  del  Tasso  ,  che  a  punto  hiersera 
«  all'ave  Maria  uscirno  di  sotto  al  martello.  Non  sono  de'  migliori 
«  che  il  Tasso  faccia;  ma  ricordatevi  che  la  luna  è  scema;  e  che 
«  sia  vero  ,  io  hiersera  la  campai  d'una  mana  di  pugna ,  che  se 
«  non  me  gli  levavo  dinanzi ,  alla  fé'  che  havevo  le  mia  ;  sì  che  ho 
«  fatto  giuramento  non  andarlo  mai  a  trovare  ,  se  non  quando  la 
«  luna  è  ben  piena,  o  almeno  parlargli  dal  fenestrino  ».      G.  S. 


232  ANNUNZI   BIBLIOGRAFICI 

Documenti  della  Storia  Pisau  a ,  restituiti  al  R.  Archivio 
di  quella  città,  mdccclxix.  Pisa,  Tipografìa  Nistri,  1869;  in  8vo 
di  pag.  12. 

Rilevasi  da  questo  libriccino  come  istituito  che  fu  a  Pisa  il  nuovo 
Archivio  di  Stato  in  virtù  del  decreto  de'  22  di  febbraio  del  1860  , 
merco  le  cure  del  coram.  Francesco  Ronaini  ,  soprintendente  gene- 
rale ai  regi  Archivi  Toscani  ,  riebbe  questa  città  i  documenti  più 
insigni  della  sua  passata  grandezza.  Infatti  nel  1865  riacquistava 
gli  atti  pubblici  originali  e  le  deliberazioni  e  i  carteggi  degli  An- 
ziani che  da  trecento  e  sessanta  anni  si  trovavano  a  Firenze  ; 
nel  1868  tutti  gli  Archivi  delle  Corporazioni  soppresse  nel  Diparti- 
mento del  Mediterraneo  a  tempo  della  Signoria  Francese;  nel  1869 
tutte  le  pergamene  passate  dalla  città  e  provincia  pisana  all'Archivio 
diplomatico  fiorentino  per  comando  del  granduca  Pietro  Leopoldo  I. 
Il  presente  opuscolo  viene  in  luce  per  cura  e  a  spese  del  Municipio  , 
che  a  voti  unanimi  ordinò  si  rendessero  solenni  grazie  al  Bonaini 
per  aver  reintegrato  la  città  di  Pisa  di  tanti  e  così  pregevoli  mo- 
numenti della  sua  storia.  X. 


Une  epistole   del  professor  E^aolo  iiarzoìo  e   del  con- 
te   Giovanni    da  ScStio    al  professor    A.   Tromliini  , 

intorno  a  una  iscrizione  euganea  scoperta  sul  Monte  Berico 
di  Vicenza.  -  Schio,  1869,  di  pag.  16;  con  tavola.  Per  nozze 
Da  Schio-Thiene. 

Schio  ,  Vicenza ,  Venezia  ,  Bologna  fecero  a  gara  nel  festeggiare 
le  nozze  della  contessa  Lavinia  di  Thiene  col  mio  carissimo  Alme- 
rico da  Schio,  tìglio  del  conte  Giovanni,  rapito  non  è  gran  tempo, 
e  i  lettori  dell'Are/^' rio  sei  sanno  ,  al  culto  degli  studi  storici  ,  ar- 
cheologici e  linguistici.  Oltre  alcune  poesie  di  cui  non  debbo  occu- 
parmi ,  vennero  in  luce  per  la  occasione  sei  opuscoli  di  storica 
importanza.  11  primo  ,  che  ha  il  titolo  in  fronte  a  questo  cenno  , 
contiene  una  lettera  del  compianto  professor  Paolo  Marzolo  con  la 
data  di  Treviso  10  febbraio  1856  ,  e  un'altra  del  conte  Giovanni  da 
Schio  scritta  da  Venezia  il  16  febbraio  dello  stesso  anno,  intorno  a 
una  iscrizione  etrusca  od  euganea  poco  innanzi  trovata.  I  due  egregi 
interpreti  recano  ,  com'è  ben  da  pensare,  un  diverso  parere.  11  Mar- 
zolo crede  sepolcrale  la  iscrizione  ,  e  la.  spiega  cosi  :  Hoc  saxum 
S.us  Crassus....  sacravit  (statuii)  hnnori  snae  uxoris  rarae  et 
Seoctio  Eermonio  sua  de  Tribù.  Ma  è  convinto  aver  data  una  mera 


ANNUNZI   BIBLIOGRAFICI  233 

ipotesi  che  si  appoggia  a  dati  incerti  e  imperfetti.  Invece  il  Da 
Schio  dice  esser  quella  un'  iscrizione  che  ricorda  i  sacriflcii  fatti  a 
Tona  (nome  etrusco  di  Giove)  nella  consacrazione  del  Trivo. 

G.   OCCIONI-BONAFFONS. 

Lode  di  Schio  nel  1  •»«<»  di  Glo.  Battista  Dragonziuo  da 
Fano.  -  Nuova  et.  piacevole  narratione  fosforica.  -  Schio  1869, 
di  pag.  47.    Per  nozze  Da  Schio-Thiene. 

Alvise  da  Schio  fratello  ad  Almerico  ripubblica  questo  raro  poe- 
metto ,  composto  di  due  canti  in  novanta  ottave.  Buon  documento 
storico,  ma  infelicissimo  saggio  poetico,  sebbene  lodato  con  dodici 
epigrammi  latini  da  otto  critici  contemporanei  molto  compiacenti. 
L'autore  ,  in  età  di  29  anni ,  dedica  il  suo  libro  a  Bartolomeo  Ala- 
naro  ,  al  Sindaco  che  al  mondo  è  un  uom  divino,  e  chiede  a  Giove, 
troppo  ingrato,  la  ispirazione  del  canto.  Nel  celebrar  le  lodi  di  Vin- 
cenzo Schio  ,  sortito  vicario  della  piccola  cittadella  nel  1526 ,  gli 
viene  spontanea  l'occasione  di  discorrere  le  cospicue  famiglie  scie- 
densi,  le  produzioni  agricole  e  minerali  e  le  altre  cose  più  notabili 
di  quel  luogo  ,  salito  oggi  a  tanta  rinomanza  per  la  nobilissima 
industria  delle  lane.  G.  Occioni-Bonaffons. 


Due  lettere  di  Felice  Accoremboni  e  dne  di  Marco  di 
Thlene ,    dirette  da  Roma  a  Gian  Giorgio  Trissino 

{Dall' Archi  rio  del   conte    Trissino).  -  Vicenza ,  1869,  di  pag.  19. 
Per  nozze  Da  Schio-Thiene. 

Felice  Accoremboni ,  medico  ,  filosofo  e  poeta  ,  scrive  della  morte 
di  Paolo  III  Farnese,  delle  brighe  e  delle  probabilità,  durante  il  con- 
clave, della  elezione  del  cardinale  del  Monte  sotto  il  nome  di  Giu- 
lio III.  Papa  Farnese  prima  di  morire  ,  novembre  1549  ,  volle  tor- 
nare in  grazia  il  nipote  Ottavio  con  restituirgli  il  dominio  di  Parma  ; 
onde ,  fatto  e  segnato  un  Breve  ,  diede  incarico  al  vescovo  di  Pola 
suo  segretario  il  recasse  al  duca.  Ma  Camillo  Orsini  capitano  ,  il 
quale  teneva  Parma  in  presidio,  negò  far  la  consegna  della  città, 
dicendo  che  la  cosa  non  erasi  ben  risoluta  in  collegio  ,  e  che  ,  avendo 
ricevuto  Parma,  non  poteva  ad  altre  mani  rimetterla  fuorché  a 
quelle  di  un  papa.  Disapprova  l'Accoremboni  l'argomento  dell'Orsini 
e  ne  prevede  le  conseguenze  funeste.  Ma  il  duca  Ottavio  fu  rimesso 
nel  possesso  di  Parma  da  Giulio  III.  Il  quale  è  così  giudicato  da 
Marco  di  Thiene  ,  compagno  di  Felice  Accoremboni  nell'  informare 
il  Trissino  delle  cose  di  Roma  :  «  Siamo  in  mano  di  un  dottor  di 
Arch.  St.  Ital.,  3.*  Serie,  T.  X ,  P.  I.  30 


234  ANNUNZI    BIBLIOGRAFICI 

legge  ,  huomo  di  molta  esperienza  ma  Theatino ,  che  vuol  governare 
e  non  esser  governate  ».  G.  Occioni-Bonaffons. 


Autografo  di  monsignor  Savi,  in  cai  discorre  del  Car- 
dinali di  casa  Tbiene.  1827  Giugno  -  Vicenza  1869.  Per  nozze 
Da  Schio-Thiene. 

Sarebbero  stati  due  ,  in  tempi  diversi ,  cardinali  vicentini  col 
nome  di  Uguccione  Thiene.  Ma  del  primo  ,  vissuto  sotto  Celestino  III, 
si  dubita  che  fosse  vicentino  ;  dell'altro  ,  che  fosse  cardinale.  La 
critica,  che  non  ha  vinto  ancora  le  molte  incertezze  dell'argomento, 
riconosce  che  la  questione  è  di  leggiera  importanza.  Giova  solamente 
che  si  sappia  come  il  secondo  Uguccione  ,  regnando  Gregorio  XI , 
componesse  le  discordie  tra  l'imperatore  di  Germania  e  i  duchi 
d'Austria  ,  onde  per  suo  mezzo  ,  dice  un'orazione  inedita  di  Matteo 
Bissaro  recitata  in  Padova  nel  1440,  pulcra  pace,  fidelique  con- 
cordia sedati  sunt.  G.  Occioni-Bonaffons. 


Informazione  di  Giovanni  dall'Olmo  console  veneto 
in  Lisbona  sul  commercio  dei  Veneziani  in  Por- 
togallo e  sui  mezzi  più  adatti  a  ristorarlo  (1584 , 
18  maggio)  -  Venezia ,  1869 ,  di  pag.  32.  Per  nozze  Da  Schio- 
Thiene. 

Il  mio  benemerito  amico  e  cultore  assiduo  della  patria  storia  , 
professor  Bartolomeo  Cecchetti ,  fece  opera  egregia  togliendo  all'Ar- 
chivio generale  di  Venezia,  e  lasciando  annotare  dall'esimio  cavalier 
Federico  Stefani ,  questa  relazione  del  console  veneto  in  Lisbona. 
Il  quale  la  inviò  all'ambasciatore  di  Spagna  Vincenzo  Gradenigo , 
certo  con  lo  scopo  che  questo,  a  sua  volta,  ne  riferisse  alla  Repubblica. 
È  molto  interessante  per  la  copia  delle  notizie  positive  che  riguar- 
dano il  nostro  antico  commercio  in  quelle  parti  e  il  modo  di  ren- 
derlo più  lucroso  ed  efficace.  Il  commercio  del  pepe  e  delle  altre 
spezie ,  che  dovevano  arrivare  al  porto  di  Lisbona  nel  peso  di  qua- 
rantamila quintali  annui  (180,000  miriagrammi  circa) ,  erasi  ridotto 
invece  alla  metà  ;  e  lo  zucchero  dell'  isola  San  Tommaso ,  che  fino 
allora  si  importava  per  160,000  arrobe  (180,000  miriagrammi  circa), 
diminuì  asolo  un  quarto,  compreso  anche  quello  dell'isola  del  Principe. 
Se  il  re  del  Portogallo  non  provvedesse  alla  creazione  di  fondaci  per 
le  spezierie ,  il  traffico  ne  dovrebbe  volgere  al  peggio.  Così  pure  a 
vincere  la  concorrenza  altrui  per  la  cocciniglia  (cremisi),  usata  fin 


ANNUNZI    BIBLIOGRAFICI  235 

dal  1542  nell'industria  veneziana  ,  converrebbe  stabilirne  una  forte 
casa  in  Siviglia ,  con  altra  casa  liliale  in  Granata  per  1'  industria 
delle  lane  e  delle  sete. 

Il  Dall'Olmo  consiglia  poi  la  Repubblica  di  estendere  il  traffico 
ad  altre  fonti  di  guadagno ,  come  sarebbero  i  vini  moscati  di  Can- 
dia  e  di  Retimo,  le  uve  passe  di  Zante  e  di  Cefalonia  ,  gli  olii,  la 
carta  da  scrivere  perchè  quella  di  Francia  è  «  di  cattiva  sorte  », 
vetri ,  specchi ,  smalti ,  acciaio  ,  zambellotti ,  pelli  di  cordovani  e 
lilialmente  le  spade  serravallesche  di  cui  un  tempo  si  recavano  in 
Portogallo  da  circa  diecimila  ogni  anno.  Serravalle  infatti  ,  nella 
provincia  di  Treviso,  si  vantava  di  siffatta  industria  :  le  lame  tem- 
perate dalle  acque  purissime  del  Meschio,  erano  ricerche  da  fran- 
cesi ,  inglesi ,  tedeschi ,  turchi  e  schiavoni.  Il  console  voleva  inol- 
tre ,  per  qualche  rispetto,  si  facesse  concorrenza  ad  altre  industrie 
italiane  ,  come  agli  ori  Alati  di  Milano  e  Firenze  ,  ai  veli  di  Bologna. 

La  informazione  si  conchiude  con  una  lunga  disamina  dei  dazi , 
pagati  nel  regno  di  Portogallo  dai  trafficanti  di  terra  e  di  mare  e 
con  una  notizia  dei  pesi  e  delle  monete.  Egli  è  notevole  poi  che  fos- 
sero esenti  i  libri  a  stampa  e  le  armi  sì  difensive   come  offensive. 

G.  OCCIONI-BONAFFONS. 

Menzione  di  alenni  intagli  In  quarzo  operati  Ha  Va- 
lerio Belli  detto  Valerio  Vicentino.  -  Bologna  1869,  di 
pag.  11.  Per  nozze  Da  Schio-Thiene. 

Da  questa  pubblicazione  ,  che  è  il  parere  di  una  commissione 
bolognese  del  1854  ,  sopra  una  croce  e  tre  medaglioni  di  cristallo 
di  ròcca  ,  ha  giovamento  la  storia  dell'arte.  Il  Belli ,  lodato  dal 
Vasari ,  dal  Gori  e  dal  Cicognara  ,  era  valente  nella  glittica. 

G.    OCCIONI-BONAFFONS. 


Dante  Alighieri  In  Germania.  Studio  di  D.  Pietro  Mugna. 
Padova,  1869. 

Dall'  Italia  si  attende  assai  perche  da  essa  vennero  la  civiltà 
romana ,  la  cristiana  e  l'esempio  delle  libertà  comunali  nel  medio 
evo,  ed  il  risorgimento  delle  arti  e  delle  lettere.  Quindi  lunga  schiera 
di  dotti  stranieri ,  segnatamente  della  sapiente  Germania,  si  affatica 
a  scrutare  ed  illustrare  le  storie  italiane  ,  chi  ricercando  le  origini 
romane  storiche  ,  giuridiche  ,  artistiche  ,  chi  investigando  gli  ordina- 
menti ed  i  costumi  del  cristianesimo,  chi  rintracciando  e  seguendo 
i  germi  delle  libertà  nostre  comunali ,   e  gli  svolgimenti  delle  arti 


236  ANNUNZI   BIBLIOGRAFICI 

e  delle  lettere.  Degli  studi  tedeschi  sulle  cose  italiane  compose  un 
volume  intero  di  indici  A.  Reumont  ;  la  monumentale  raccolta  di 
Pertz  si  compone  specialmente  di  materiali  italiani  ;  e  Potthast  nei 
due  ponderosi  volumi  Bibliotheca  Bistorica  medii  aevi  (Berlino ,  1862- 
68)  accolse  massimamente  lavori  italiani. 

Onde  il  nuovo  sole  che  poetando  rischiarò  l'Italia  mentre  il  mondo, 
come  disse  il  Manzoni ,  giaceva  in  lunga  notte  ,  diventò  anche  sole 
europeo  ,  ed  i  pensatori  germanici  si  posero  a  contemplarlo  colla 
divisione  che  li  trae  ad  ogni  altro  fuoco  della  nostra  civiltà. 

17  Italia  è  la  bella  cinta  di  amanti ,  che  quasi  non  s'accorge  di 
loro  cortesie.  Noi  sappiamo  assai  poco  ,  e  curiamo  punto  ciò  che 
la  Germania  studia  delle  cose  nostre.  Onde  dobbiamo  riconoscenza 
a  Don  Pietro  Mugna ,  che  tolse  a  farci  conoscere  i  molti  studi  fatti 
nella  Germania  intorno  il  nostro  Dante.  Quanto  il  Mugna  veneto 
sia  versato  negli  studi  germanici  si  mostrò  dalle  di  lui  traduzioni 
con  note  della  storia  dell'arte  di  Lingler  ,  e  di  quella  della  poesia 
italiana  di  Ruth.  Se  la  procella  de' nervi  gli. avesse  dato  tregua, 
molti  altri  tesori  egli  ne  avrebbe  dischiusi  dalla  Germania.  Nelle 
brevi  tregue  si  occupò  recentemente  degli  studi  tedeschi  in  Dante, 
e  li  adunò  in  spazioso  opuscolo. 

La  Divina  Commedia ,  egli  dice  ,  è,  come  la  Bibbia,  fonte  inesau- 
ribile. Onde  non  è  meraviglia  che  la  Germania  abbia  fatto  come  suo 
il  nostro  poeta ,  e  ne  abbia  essa  pure  celebrato  il  centenario.  Pel 
quale  fondò  un  Manuale  della  Società  tedesca  di  Dante  ,  dove  adu- 
nansi  gli  sparsi  studi  novelli  intorno  al  divino  poeta ,  e  già  se  ne 
pubblicarono  due  bei  volumi, 

Dal  confronto  che  fa  il  Mugna  tra  il  fervore  operoso  per  Dante 
nella  Germania  e  nell'Italia,  risulta  quanto  noi  rimaniamo  indietro. 
Qui  non  attecchì  il  giornale  del  Centenario  ;  qui  Dante  è  esposto 
solo  a  Firenze  dal  Giuliani,  a  Padova  dal  Zanella:  nella  Germania  sono 
sei  le  università  che  dal  1865  lo  illustrano  ;  Gottinga,  Vurzburgo, 
Gratz  ,  Vienna ,  Heidelberg  ,  Bonn. 

In  questo  opuscolo  vediamo  come  ,  dopo  gli  incunaboli  Dante  fu 
tradotto  in  prosa  tedesca  da  Bachenschwanz  dal  1767  ,  da  Howar- 
ter  ed  Enk  dal  1830.  L'entusiasmo  per  Dante  vi  fu  destato  nel  1794 
per  versioni  poetiche  parziali  di  A.  G.  Schlegel ,  pubblicate  nelle 
Eoren  di  Schiller.  Ed  è  notevole  a  vedere  come  quasi  uno  spiro 
medesimo  di  civiltà  pervada  l'Europa  continentale,  come  bene  notò 
il  Ferrari ,  onde  il  flutto  che  leva  Dante  in  Italia  per  Gozzi ,  Varano, 
Parini ,  si  fa  sentire  pure  nella  Germania. 

La  Germania  ,  secondo  suo  costume ,  non  poteva  limitarsi  alle 
versioni  di  Dante  ,  ma  si  gettò  con  tenacità  a  commentarlo.  Essa 
specialmente ,  dice  il  Mugna ,   mostrò  come  Dante  va  studiato  nel 


ANNUNZI    BIBLIOGRAFICI  237 

tempo  che  rappresenta ,  e  come  de'  commentatori  a  consultare 
sieno  da  preferire  i  contemporanei. 

E  qui  il  Mugna  passa  in  rassegna  i  principali  commentatori  te- 
deschi,  partendo  dall' illustre  Carlo  Witte  che  dal  1852  possedeva 
106  edizioni  di  Dante,  da  quella  in  foglio  del  Vindelino  da  Spira, 
Milano  1477.  Il  Mugna  ne  annuncia  che  il  di  lui  amico  Witte  sta 
preparando  ora  una  edizione  critica  del  libro  De  Monarchia  del 
grande  poeta.  Tanto  poi  il  Witte  ,  che  il  di  lui  collega  nell'univer- 
sità di  Halle  Lodovico  Blanc  tradussero  la  Divina  Commedia  in 
versi  j ambici  tedeschi  ;  ed  il  Blanc  fondò  una  Società  dantesca,  e 
pubblicò  il  Dizionario  critico  del  poema.  In  simili  versi  è  la  versio- 
ne di  Giovanni  re  di  Sassonia  ;  ma  Carlo  Kannegiesser  ed  Adolfo 
Streckfress  si  cimentarono  anche  alla  versione  in  terza  rima.  Il 
Mugna  ne  dà  notizia  anche  di  altre  cinque  versioni  tedesche  intere 
o  parziali  del  poema  di  Dante  ,  alle  quali  noi  rispondiamo  in  qual- 
che guisa  con  quelle  che  andiamo  facendo  del  Faust  di  Goethe  , 
versioni  che  ora  saranno  chiuse  colla  splendida  del  Maffei. 

Questo  prezioso  opuscoletto  del  Mugna  discorre  anche  dei  com- 
menti al  poema ,  e  de'  vari  studi  sulle  opere  minori  di  Dante  ,  e 
sulla  di  lui  vita,  e  delle  ispirazioni  artistiche  tedesche  sulla  Di- 
vina Commedia.  Sono  minute  cose  che  si  vogliono  ricercare  in  quello 
scritto  dagli  studiosi  e  che  qui  male  si  riferirebbero. 

Dante  ha  significato  altamente  politico,  nella  vita,  nel  poema, 
nella  Monarchia  ;  onde  il  Mugna  ,  già  involto  ne'  moti  politici  di 
Vienna  del  1848,  non  potea  chiudere  il  diligente  studio  senza  allu- 
sioni politiche  che  ne  sollevano  anche  l'animo  esagitato.  Noi  poli- 
ticanti dalla  pubertà  ,  ed  impenitenti  ,  pure  siamo  rimasti  repu- 
gnanti alla  miscela  delle  idee  politiche  passeggiere ,  con  quelle 
universali  delle  ragioni  storiche  "ed  artistiche;  ma  qui  al  Mugna 
perdoniamo  in  grazia  dell'argomento.  E  raccomandiamo  agli  Italiani 
la  lettura  di  questo  opuscolo  tanto  importante  ,  che  forse  sarà  tra- 
dotto nella  Germania.  G.  Rosa. 


La  battaglia  di  Montaperti  ,  Memoria  storica  di  Cesare 
Paoli.  -  In  8.°  di  pagine  94.  Siena,  tipografia  dell'Ancora  di 
G.  Bargellini ,  1869. 

La  battaglia  di  Montaperti ,  come  uno  degli  avvenimenti  più 
celebri  della  storia  italiana  nel  secolo  xm,  ha  stimolato  il  nostro 
collaboratore  signor  Cesare  Paoli  a  studiarne  le  cagionile  gli  anda- 
menti, per  correggere  e  rettificare  quello  che  la  leggenda  o  l'amore 
di  parte  v'  ha  mescolato  di  falso  o  di  meno   credibile.   Nei  cronisti 


238  ANNUNZI   BIBLIOGRAFICI 

fiorentini  e  nei  senesi  leggiamo  que' racconti  pieni  di  vita  che  ci  ritrag- 
gono fedelmente  il  pensiero  e  il  sentimento  del  tempo  loro  ,  quando 
ancor  vivi  e  accaniti  erano  gli  odii  fra  città  e  città.  Ma  volendosi 
rifare  la  storia ,  la  critica  ha  bisogno  di  esaminare  coscenziosa- 
mente  le  testimonianze  ;  e  mentre  si  vale  dell'opera  dei  cronisti  per 
conoscer  lo  spirito  e  le  tendenze  dei  tempi ,  cerca  per  fondamento  , 
se  posson  trovarsene,  le  prove  rimaste  negli  atti  pubblici.  L'Ar- 
chivio di  Siena  conserva  ancora  ne'suoi  Caleffì  preziosi  documenti 
di  quell'epoca  memoranda.  E  il  signor  Paoli,  impiegato  in  quell'Ar- 
chivio, studiando  e  illustrando  i  Caleffì  (V.  Ardi.  Stor.  Ital.  Serie  III, 
T.  I  ,  p.  Il)  ,  ne  conobbe  la  importanza.  Per  la  sua  memoria  sulle 
Cavallate  (Arch.  St.  T.  I,  p.  II)  aveva  pure  esaminato  il  documento 
che  esiste  nell'Archivio  di  Stato  di  Firenze  col  titolo  di  Libro  di 
Moni  aperti  :  indi  guidato  da  quel  criterio  che  i  nostri  lettori  hanno 
potuto  pregiare  in  lui ,  prese  a  rifare  il  racconto  di  quel  me- 
morabile avvenimento. 

I  Senesi  nel  1258  ricoverarono  i  Ghibellini  cacciati  da  Firenze  , 
tenendo  fede  più  ai  capitoli  fatti  coi  Ghibellini  nel  1251  che  al  trat- 
tato d'amicizia  concluso  nel  1254  col  Comune  di  Firenze  ,  col  quale 
si  obbligavano  di  non  dar  ricetto  a  persone  che  fossero  espulse  da 
Firenze  ,  da  Montepulciano  e  da  Moltalcino.  I  Guelfi  ,  che  miravano 
a  sottometter  del  tutto  la  parte  avversaria,  e  nei  Senesi  trova- 
vano gagliarda  resistenza  per  la  costante  loro  devozione  all'impe- 
ro, presero  occasione  dalla  violazione  del  trattato  per  rompere 
l'amicizia.  I  Senesi  ebbero  ricorso  per  aiuto  a  Manfredi  ,  che  già 
vittorioso  de'  suoi  nemici  nel  reame  ,  s'era  di  recente  incoronato  re 
di  Sicilia  e  di  Puglia;  e  Manfredi,  ricevuto  il  giuramento  di  fedel- 
tà e  d'obbedienza  del  Comune ,  e  preso  questo  sotto  la  sua  prote- 
zione, mandò  a  Siena  il  conte  Giordano  d'Anglano  suo  consanguineo 
con  aiuti  -soldateschi,  stimando  di  quale  sostegno  questa  città  gli  sa- 
rebbe per  il  suo  partito  in  Toscana.  Raccontata  l'impresa  dei 
Senesi  coll'aiuto  del  conte  Giordano  per  ricondurre  all'  obbedienza 
Grosseto  e  altre  terre  della  Maremma  ribellatesi ,  l'autore  de- 
scrive gli  apparecchi  dei  Senesi  e  dei  Fiorentini ,  e  narra  poi  il 
combattimento  del  18  marzo  1260  alle  porte  di  Siena  presso  il  mo- 
nastero di  Santa  Petronilla.  Sulla  fede  dei  documenti  nega  che 
Manfredi  mandasse  sul  primo  soli  cento  Tedeschi;  nega  lo  stratta- 
gemma di  Farinata,  di  fare  avvinazzare  questi  Tedeschi  per  il  fine 
che  raccontano  i  cronisti  ;  e  nega  ai  fuorusciti  la  importanza  che 
loro  attribuiscono  in  quelle  faccende  gli  scrittori  fiorentini.  Af- 
ferma che  il  conte  Giordano  fu  mandato  a  Siena  prima  del  com- 
battimento di  Santa  Petronilla  e  con  poderoso  soccorso,  mantenendo 
Manfredi  la  promessa   fatta  con    lettera   dell' 11  agosto  1259,  nella 


ANNUNZI    BIBLIOGRAFICI  239 

quale  diceva:  «  talem  capitaneum  et  tamtam  copiam  armatovum  cum 
eo  curabimws  destinare  quod  in  vias  planas  aspera  commutabit , 
provinciam  ipsam  in  pace  reget  ec.  (pag.  13).  I  nuovi  soccorsi  del 
re  vennero,  non  già  in  conseguenza  dello  strattagemma  di  Farinata, 
ma  perchè  a  chiederli  ,  fino  dal  marzo  ,  cioè  due  mesi  avanti,  erano 
stati  mandati  ambasciatori,  fra'quali  era  Provenzano  Salvani  ; 
e  arrivarono  pochi  giorni  dopo  il  combattimento.  Seguitando  la 
narrazione  delle  cose  successive,  prende  in  esame  il  fatto  dei  Frati 
inviati  dai  fuorusciti  per  trarre  in  inganno  i  Fiorentini  ,  affer- 
mato dalli  storici  di  Firenze  ,  recisamente  negato  da  quelli  di 
Siena:  l'autore  non  lo  ammette  e  non  lo  esclude,  parendogli  che 
non  abbia  alcuna  importanza,  perciocché  i  Fiorentini  non  pote- 
vano non  sentire  da  sé  medesimi  la  necessità  di  ripigliare  la  guerra 
dopo  che  i  Senesi  si  erano  impadroniti  di  Montepulciano  ed  erano 
sul  punto  di  sottomettere  Montalcino  :  ammette  che  potesse  essere 
un  maneggio  dei  fuorusciti  d'accordo  con  Provenzano  Salvani;  ma 
esclude  del  tutto  la  partecipazione  ad  esso  del  Comune.  Cerca  in 
seguito  di  determinare  il  numero  dei  combattenti  messi  assieme 
dall'una  parte  e  dall'altra.  Con  efficace  brevità  rappresenta  il  popolo 
senese,  dopo  che  gli  ambasciatori  fiorentini  gli  ebbero  mandato  la 
oltracontante  intimazione  di  mettersi  a  loro  discrezione,  animato 
dal  pensiero  di  difendere  a  ogni  costo  la  libertà ,  Adente  negli  aiuti 
soprannaturali;  del  che  la  narrazione  è  tanto  passionata  e  stupen- 
damente viva  nelle  cronache  senesi.  Delle  quali  stampa  fra  i  do- 
cumenti un  brano  di  una  ancora  inedita,  trovata  nell'Archivio  di 
Siena,  dove  è  raccontata  con  singolare  evidenza  l'azione  di  Salim- 
bene  Salimbeni  che,  nelle  strettezze  della  città  natale,  offerisce  in 
prestito  al  Comune  cento  migliaia  di  fiorini,  e  altrettanti  quando 
questi  fossero  consumati. 

Giovandosi  dell i  studi  del  dottor  Carlo  Francesco  Carpellini  , 
descrive  il  luogo  dove  fu  combattuta  la  battaglia  che  prese  il  nome 
da  Montaperti ,  le  posizioni  dei  due  eserciti  e  le  vicende  di  quella 
giornata,  scegliendo  con  criterio  fra  le  diverse  affermazioni  di  tanti  ; 
l'entusiasmo  dei  Senesi  dopo  la  vittoria  ,  i  trattamenti  dei  prigio- 
nieri ;  e  poi  espone  le  conseguenze  che  ne  derivarono,  cioè  l'ac- 
crescimento del  dominio  senese  per  le  sottomissioni  di  Montepulciano 
e  di  Montalcino  ,  la  superiorità  acquistata  dal  partito  ghibellino  in 
Toscana,  la  elezione  del  conte  Guido  Novello  a  potestà  di  Firenze  per 
due  anni  ;  e  il  giuramento  di  fedeltà  al  re  Manfredi  di  tutti  i  citta- 
dini rimasti  in  città. 

La  Memoria  è  corredata  dei  seguenti  documenti  :  Due  capitoli 
della  pace  conchiusa  tra  Siena  e  Firenze  in  San  Donato  in  Poggio 
il  31  luglio  1255.  Lettera  del  re  Manfredi  ai  Senesi  nell'  inviar  loro 


240  ANNUNZI   BIBLIOGRAFICI 

per  potestà  messer  Francesco  Troghisio,  del  7  ottobre  1259.  La  deli- 
berazione del  potestà  e  dei  capitani  dell'esercito  fiorentino  sui  pri- 
gionieri presi  ai  nemici  ,  del  17  maggio  1260.  Consulto  e  delibera- 
zioni del  Consiglio  generale  del  Comune  e  del  popolo  di  Siena  , 
tenuto  in  San  Cristofano  un  giorno  dopo  il  combattimento  di  Santa 
Petronilla,  cioà  il  19  maggio  1260.  I  capitoli  dello  Statuto  senese  , 
compilato  poco  dopo  il  1260,  relativi  alla  edidcazione  di  due  chiese 
in  onore  di  San  Giorgio ,  una  delle  quali ,  nella  via  di  Pantaneto. 
In  line,  oltre  al  rammentato  capitolo  della  Cronaca  senese,  un  brano 
di  altra  Cronaca  pisana  del  secolo  xiv,  il  cui  originale  si  conserva 
nel  R.  Archivio  di  Stato  di  Lucca.  G.    * 


Storia  della  reggenza  di  Cristina  di  Francia  duchessa 
di  Savoia,  con  annotazioni  e  documenti  inediti  per  il  barone 
Gaudenzio  Cla retta.  Tre  voi.  in  8vo  -,  il  primo  di  pag.  xv-893; 
il  secondo  di  pag.  797;  il  terzo  di  pag.  313.  -Torino,  Stabilimento 
Civelli,  1868-69. 

Questo  periodo  della  storia  piemontese  era  stato  già  argomento 
di  narrazioni  diverse.  Primi  ne  scrissero  Samuele  Guichenon  e  Va- 
leriane Castiglione  partigiani  di  Cristina;  e  i  loro  libri  intitolati, 
quello  del  primo  Soleil  en  son  apoge'e  ou  la  vie  de  Christine  de 
France  ,  e  quello  del  secondo  Eistoria  della  reggenza  di  Cristina 
di  Francia  si  conservano  manoscritti.  In  difesa  de' cognati  che  alla 
duchessa  contrastarono  la  reggenza ,  scrisse  tra  gli  altri  Emanuele 
Tesauro:  il  Brusoni  e  vari  altri  contemporanei  poi  ne  parlarono  in 
istorie  generali  :  e  di  quanta  fede  sian  meritevoli  questi  scrittori  lo 
ha  mostrato  il  senatore  Ricotti  nel  V  volume  della  sua  Storia  della 
Monarchia  Piemontese.  Nel  1832  il  conte  Federigo  Sclopis  pubblicò 
i  Documenti  ragguardanti  alla  storia  della  vita  di  Francesco 
Tommaso  di  Savoia  principe  di  Carignano  :  e  più  tardi  diede 
notizia  dei  documenti  relativi  alla  nunziatura  di  monsignor  Cecchinelli 
vescovo  di  Montefiascone,  che  tenendo  quell'utUcio  mentre  la  duchessa 
aveva  in  mano  il  governo  (1641-44)  dava  nel  suo  carteggio  diploma- 
tico notizie  di  molta  importanza.  Il  nostro  collaboratore  Augusto 
Bazzoni  coi  documenti  raccolti  a  Parigi  fece  la  storia  della  Reggenza 
di  Cristina  ,  e  pubblicò  il  suo  libro  nel  1865  avendo  in  mira  più  che 
altro  di  far  conoscere  le  relazioni  del  Piemonte  colla  Francia.  Dopo 
di  lui,  il  dottissimo  Amedeo  Peyron  stampava  fra  gli  Atti  dell'Acca- 
demia delle  scienze  di  Torino  (anno  1868,  voi.  XXIV)  una  dissertazione 
col  titolo  Notizie  per  servire  alla  storia  della  Reggenza  di  Cri- 
stina di  Francia ,  conducendo  la  narrazione  lino  al  1642  solamente. 


ANNUNZI   BIBLIOGRAFICI  241 

Finalmente  abbiamo  sui  medesimi  fatti  il  racconto  del  senatore  Ercole 
Ricotti  ne' due  ultimi  volumi  della  sua  Storia  della  Monarchia  pie- 
montese ,  stampati  un  anno  dopo  che  il  barone  Claretta  aveva 
messo  in  luce  la  prima  parte  della  sua  opera. 

Il  libro  del  Claretta  però  contiene  la  più  ampia  esposizione 
di  quegli  avvenimenti:  è  una  dotta  e  coscenziosa  monografia, 
frutto  di  cinque  anni  di  studi  e  d'assidue  ricerche  ;  di  quelle  mo- 
nografie che ,  illustrando  largamente  e  con  sana  critica  una  parte 
della  svariata  storia  italiana,  apparecchiano  i  materiali  a  chi  vorrà 
e  potrà  scrivere  la  storia  della  nazione  ,  o  ,  se  questa  non  sarà 
per  qualche  tempo  possibile ,  formeranno  un  insieme  di  lavori  par- 
ziali atti  a,  far  conoscere  esattamente  agi'  Italiani  le  passate  vicende 
della  loro  patria. 

Nella  prima  parte  ,  dopo  aver  dato  un  cenno  sui  regni  di  Carlo 
Emanuele  I  e  di  Vittorio  Amedeo  I  ,  espone  i  negoziati  e  la  con- 
clusione del  matrimonio  di  Vittorio  Amedeo  colla  figlia  di  Enrico  IV; 
e  dopo  aver  dato  un'idea  delle  condizioni  dello  Stato  piemontese  e 
mostrato  il  carattere  di  Cristina  ,  conduce  la  narrazione  dei  fatti 
fino  al  1642.  Nella  parte  seconda  ,  ripigliando  il  racconto  e  condu- 
cendolo fino  al  termine  della  Reggenza  ,  dà  molte  e  curiose  notizie 
del  congresso  di  Westfalia  e  della  parte  che  vi  prese  la  diplomazia 
piemontese.  Consacra  un  intero  capitolo ,  il  XVI ,  alla  biografia 
degli  uomini  di  stato ,  dei  guerrieri ,  magistrati ,  letterati  ,  scien- 
ziati e  artisti  che  si  segnalarono  in  questo  tempo  in  Piemonte  :  nel 
seguente  fa  conoscere  la  munificenza  della  duchessa  colla  descrizione 
delle  opere  artistiche  e  religiose  che  si  compirono  sotto  di  lei ,  e 
la  protezione  che  da  lei  ebber  le  arti,  l'industria  e  il  commercio: 
e  finisce  col  fare  una  rassegna  storico  critica  de'  principali  avve- 
nimenti del  municipio  di  Torino  al  tempo  della  Reggenza  e  con  una 
estesa  relazione  dell'ordinamento  dello  Stato.  Il  terzo  volume  contiene 
153  documenti;  il  catalogo  dei  cavalieri  della  SS.  Annunziata  e  dei 
SS.  Maurizio  e  Lazzaro  creati  dalla  duchessa ,  dei  Sindaci  e  dei 
vicari  di  Torino  dal  1638  al  1648  ,  degli  uomini  che  tennero  in  quel 
tempo  i  principali  uffizi  nel  governo  e  le  principali  cariche  di  corte; 
e  da  ultimo  un  indice  analitico  di  tutta  l'opera. 

Di  questo-  libro  abbiamo  creduto  dovere  dell" Archivio  Storico 
dar  per  ora  questa  breve  notizia.  Sarà  poi  argomento  di  una  re- 
censione ne'  successivi  quaderni.  G. 


Arch.  St.  Ital.,  3."  Serie,  T.  X ,  P.  I.  M 


242  ANNUNZI    BIBLIOGRAFICI 

Storia  dell'antica  Torino,  Julia  Angusta  Taurinorum, 

scritta  sulla  fede  de'  vetusti  autori  e  delle  sue  iscrizioni  e  mu- 
ra, da  Carlo  Promis.  Un  Voi.  in  8vo  di  pag.  xix-530  con  tre 
tavole.    Torino  ,  Stamperia  reale  ,  1869. 

A  scrivere  la  storia  che  annunziamo  il  dotto  autore  s'era  appa- 
recchiato con  trent'anni  di  ricerche,  facendo  spogli  d'autori  antichi , 
di  documenti  del  medio  evo  ,  degli  storici  universali  e  locali ,  e 
soprattutto  studiando  le  tante  epigrafi  nei  marmi  che  son  rimasti , 
o  nella  copia  di  quelle  di  cui  perirono  gli  originali.  Considerando 
di  più  come  il  soggetto  propostosi  richiedeva  la  cognizione  dell'ar- 
chitettonica e  dell'epigrafia ,  attese  allo  studio  di  esse  in  Roma  per 
otto  anni. 

È  questa  un'opera  che  merita  d'esser  presa  in  considerazione  dai 
cultori  delli  studi  severi  :  e  nell'Archivio  Storico  ne  sarà  degnamente 
discorso  in  seguito.  Frattanto,  non  volendo  ritardarne  l'annunzio, 
si  dà  qui  un  cenno  delle  cose  che  vi  sono  trattate.  È  divisa  inventi 
capitoli.  Nel  I  parla  delle  origini  dei  Taurisci  o  Taurini ,  e  delle  suc- 
cessive variazioni  sul  nome  della  loro  città.  Argomento  dei  capitoli  II, 
III  e  IV  è  la  storia  dei  Taurini  (Prima  Epoca)  dai  più  antichi  tempi 
alla  guerra  annibalica;  (Seconda  Epoca),  dall'occupazione  romana  a 
Cesare  dittatore;  (Terza  Epoca),  da  Augusto  ai  Longobardi.  Nel  cap.  V 
è  la  storia  naturale  dell'agro  taurino  e  delle  sue  adiacenze.  Il  VI  dà 
notizia  delle  reliquie  della  lingua  gallica  in  Piemonte.  Dal  VII  al  IX 
tratta  dell'architettonica  descrivendo  le  antiche  piante  di  Torino,  le 
successive  demolizioni  del  suo  recinto,  le  mura  e  le  torri ,  le  strade, 
i  selciati,  le  chiaviche,  i  fòri,  l'anfiteatro,  il  teatro,  la  necropoli,  i 
cuniculi,  la  figulina  doliare,  le  porte  e  specialmente  la  porta  Pala- 
tina. I  quattro  successivi  parlano  del  Municipio,  dando  molte  e  pre- 
ziose notizie  dei  patroni  e  curatori ,  dei  tre  ordini  Decurioni ,  Augu- 
stali,  Popolo  o  Plebe.  Nei  cap.  XIV,  XV  e  XVI  si  parla  dell'esercito; 
prima  del  console  Quinto  Glizio  Atilio  Agricola;  poi  de'  legati ,  tribuni, 
prefetti  di  Ale  e  di  Coorti,  dei  Primipili,  de' Centurioni,  de' Pretoriani 
e  Urbani,  Legionarii,  del  soldato  in  coorte  ausiliaria,  de'  cavalieri 
romani  e  della  cavalleria  ausiliaria.  Del  XVII  sono  argomento  i  giu- 
dizi supremi,  la  coscrizione  militare,  l'assistenza  alimentaria,  la 
conservazione  dei  pesi  e  delle  misure,  le  strade:  del  XVIII  le  pro- 
fessioni e  le  arti:  del  XIX  le  divinità:  dell'ultimo  le  iscrizioni 
onorarie  d' imperatori  e  di  privati  e  de'  liberti  della  casa  Augusta. 
Viene  poi  una  serie  di  aggiunte  e  correzioni,  alle  quali  ha  messo 
per  epigrafe  il  detto  di  Bimard  de  la  Bastie  «  Praeter  operarum 
ofiX(i5iT3(  nonnulla  peccavit  auctor,  quae  fateri  mavult   quam   de- 


ANNUNZI    BIBLIOGRAFICI  243 

precari  aut  excusare.  Chiudono  il  volume  un  indice  generale  e  tre 
tavole  in  rame  rappresentanti  la  l.a  e  2.a  la  pianta  di  Torino  roma- 
na; la  3."  la  fronte  a  settentrione  e  verso  la  campagna  della  Porta 
Romana  o   Palatina.  G. 


Diari  della  città   di    Palermo   dal   secolo  xvi  al  \ix  , 

pubblicati  sui  manoscritti  della  biblioteca  Comunale,  preceduti 
da  una  introduzione,  e  corredati  di  note  per  cura  di  Gioacchi- 
no Di  Marzo.  Voi.  I  in  8vo  di  pag.  xix-302.  Palermo  ,  Luigi 
Pedone  Lauriel ,  1869. 

È  il  primo  volume  della  Biblioteca  Storica  e  Letteraria  di  Sicilia 
di  cui  stampammo  il  manifesto  nel  Tom.  Vili,  parte  II,  pag.  200; 
e  contiene  cinque  scritture  inedite  ,  che  ci  sembrano  curiose  e  im- 
portanti per  la  storia  di  Sicilia.  Se  ne  sono  giovati  alcuni  scrittori 
di  cose  siciliane,  e  meglio  di  tutti  Isidoro  La  Lumia  per  il  suo  li- 
bro che  ha  per  titolo  La  Sicilia  sotto  Carlo  V,  e  per  altri  de'  suoi 
pregiati  lavori.  La  prima  di  queste  scritture  è  il  Diario  di  Fi- 
lippo Parata  e  di  Niccolò  Palmerino  dal  1500  al  1613.  Filippo  Pa- 
rata ,  a  cui  il  Tiraboschi  die  lode  d'aver  primo  rivolto  lo  studio 
della  numismatica  a  speciale  vantaggio  della  patria  storia  ,  era 
anche  scrittore  d'una  certa  eleganza.  Son  messi  insieme  i  due  no- 
mi del  Parata  e  del  Palmerino  perchè  sembra  che  il  primo  non 
abbia  fatto  che  trascrivere  e  abbreviare  una  cronaca  del  secondo , 
correggendo  la  grafia  e  il  dettato,  e  aggiungendovi  ciò  che  precede 
al  6  maggio  1557  e  quel  che  viene  dopo  il  25  gennaio  1599.  -  La  se- 
conda è  intitolata  Notizie  di  successi  vari  nella  città  di  Palermo 
dall'anno  1516  sino  al  1606  con  aggiunta  di  altre  per  gli  anni  suc- 
cessivi lino  al  1621 ,  ricavate  da  un  manoscritto  di  Vincenzo  Auria.  - 
La  terza  sono  Memorie  diverse  di  Notar  Baldassarre  Zamparrone 
dal  1528  al  1603.  Lo  Zamparrone,  che  si  dice  nato  nel  settembre  1581, 
pare  che  a  questo  lavoro  attendesse  in  gioventù  attingendo  i  fatti 
anteriori  dagli  altri  cronisti,  e  dando  poi  particolari  ragguagli  delle 
cose  da  lui  stesso  vedute ,  onde  supplisce  al  difetto  degli  altri.  - 
Nella  quarta  sono  Varie  cose  notabili  occorse  in  Palermo  ed  in 
Sicilia  cavate  da  un  libro  scritto  da  Valerio  Rosso  :  concernono 
principalmente  i  pubblici  edilizi  di  cui  fu  decorata  la  città  di  Pa- 
lermo dal  1587  al  1601  negli  anni  appunto  in  cui  viveva  il  cronista.  - 
Vengono  finalmente  poche  Notizie  cavate  da  alcuni  brani  di  un 
Diario  esistenti  in  un  manoscritto  miscellaneo  della  biblioteca  Co- 
munale, scrittura  del  secolo  xvn  :  queste  notizie  si  trovano  pure  negli 
altri  diari ,  meno  poche  che  l'editore  ha  avuto  cura  di  ricavare. 


241  ANNUNZI   BIBLIOGRAFICI 

Chi  non  si  contenta  d' imparare  la  storia  dai  libri  compilati  sulle 
altrui  testimonianze ,  sieno  pur  fatti  con  critica  sapiente  e  con 
bell'arte  ,  ma  desidera  di  conoscere  gli  affetti  e  le  passioni  che  signo- 
reggiarono gli  uomini  dei  secoli  passati ,  legge  con  curiosità  queste 
notizie  che  a  primo  aspetto  appariscono  aride  ,  e  vince  la  noia  di 
quella  forma  disadorna.  Sono  come  appunti  di  cose  o  trovate  in 
altri  appunti  o  sentite  dire  e  confermare  dai  vecchi  che  ci  si  tro- 
varono ;  di  quelle  cose,  parecchie  delle  quali  gli  storici  non  si  curano 
di  registrare:  una  frase,  un  epiteto,  a  chi  sa  intendere,  rivelano 
spesso  più  d'una  lunga  descrizione.  11  primo  Diario  è  scritto  nella 
lingua  nazionale ,  benché  vi  si  ravvisi  il  siciliano  :  le  altre  scritture 
sono  nel  dialetto  dell'  isola. 

L'abate  Gioacchino  Di  Marzo  rende  molto  profittevole  alli  studi 
storici  questa  sua  fatica ,  corredando  i  Diari  di  molte  annotazioni 
che  illustrano  o  rettificano  le  cose  dette  dai  cronisti ,  e  che  fanno 
fede  quanto  egli  sia  bene  addentro  nella  storia  della  sua  isola  nativa. 

G. 

Disegno  della  Storia  di  Ascoli  Piceno.  Tom     1.    -   Dalle 
origini  all'anno  1421  ,  per  Gabriele  Rosa.  In  8vo  di  pag.  140. 

È  un  di  quei  lavori  parziali  sulla  storia  delle  città  italiane  che 
giovano  a  dar  più  chiara  l' idea  della  vita  del  popolo  italiano  nei 
tempi  in  cui  tutto  assorbisce  la  storia  di  Roma ,  e  nel  tempo  dei 
Comuni.  L'operosissimo  Gabriele  Rosa  non  ha  voluto  intitolare  Sto- 
ria questo  suo  lavoro,  ma,  Disegno  di  Storia,  perchè  s'è  proposto 
di  lasciare  i  fatti  particolari ,  e  far  risaltare  le  linee  della  storia 
d'Ascoli  più  notevoli,  «  quelle  che  le  connettono  meglio  alla  storia 
della  civiltà  italiana,  e  che  ne  mostrano  le  qualità  peculiari ,  quindi 
più  curiose  ed  istruttive  ».  Dopo  aver  parlato  delle  origini  Picene, 
racconta  le  origini  d'Ascoli;  che  crede  fosse  in  principio  un  rifugio, 
un  castelluccio  sul  Cassero,  poi  Campidoglio,  indi  fortezza  Pia;  e 
crede  che  pei  commerci  colla  valle  del  Tronto  e  col  mare,  per  l'agri- 
coltura e  per  le  industrie  affini  crescesse  la  città  a'piedi  della  ròcca 
nido  dei  padri  fondatori.  Dice  qual  parte  ebbe  nelle  guerre  Sanni- 
tiche  e  nella  guerra  civile  ,  e  come  divenne  colonia  romana  per 
opera  di  Pompeo  Magno,  ascritta,  pei  voti  de' comizi ,  alla  tribù 
Fabia  a  cui  era  ascritta  Brescia  e  alla  Papia  nella  quale  votava 
Ticinum  ora  Pavia;  e  coll'esame  delle  condizioni  della  città  dive- 
nuta città  romana  termina  la  parte  prima.  In  questo  cenno  brevis- 
simo, che  serve  puramente  d'annunzio,  non  riferiremo  le  idee  dell'au- 
tore esposte  al  principio  della  seconda  parte  in  cui  discorre  dello 
avvenimento   del   cristianesimo.    Dà  curiose    notizie  con  giudizi  e 


ANNUNZI    BIBLIOGRAFICI  245 

congetture  proprie  sulle  condizioni  d'Ascoli  a  tempo  dei  Longobardi 
e  de'  Franchi ,  mostrando  l'opera  dei  monaci  Benedettini  ;  discorre 
di  tutto  ciò  che  appartiene  all'età  in  cui  si  manifestarono  i  primi 
germi  del  comune  italiano.  Nella  terza  parte  parla  del  comune  fino 
al  1345  in  cui  Ascoli  si  dichiarò  repubblica  indipendente  ;  e  delle 
costruzioni  e  della  cultura  nei  secoli  xm  e  xiv.  Nella  parte  quarta 
son  raccontate  le  vicende  della  repubblica  a  tempo  di  Cola  di  Rienzo, 
la  sottomissione  al  dominio  papale  per  opera  del  cardinale  Albor- 
noz  e  la  rivendicazione  in  libertà  nel  1376,  allorquando  i  Fiorentini 
provocarono  le  sollevazioni  dei  popoli  soggetti  al  papa  ;  le  vicende 
che  passò  durante  lo  scisma  occidentale,  e  la  restaurazione  ponti- 
lìcia  quando  Martino  V  ,  composte  le  cose  sue  coi  Romani  e  colla 
regina  Giovanna,  investi  Francesco  Carrara  suo  vicario  d'Ascoli  e 
dello  stato  romano.  Esamina  in  questa  parte  lo  Statuto  redatto 
nel  1377;  e  brevemente  dice  della  cultura  dal   1347  al  1421.        G. 


Introduzione  alla  fllosoOa  della  storia,  Lezioni  di  A.  Ve- 
ra ,  raccolte  e  pubblicate  con  V approvazione  dell'  autore  da 
Raffaele  Mariano.  In  16mo  di  pag.  lxii-458.  Firenze,  Succes- 
sori Le  Monnier,  1869. 

Lo  scopo  del  signor  Mariano  ostato  di  «  divulgare,  diffondere, 
e  diremo  quasi ,  popolarizzare  la  dottrina  e  il  pensiero  di  Hegel  ; 
e  più  specialmente  poi  di  mettere  alla  portata  dell' intelligenza  ,  in 
un  certo  senso  comune  ,  uno  ,  a  nostro  avviso  ,  de'  più  fertili  pro- 
dotti di  quell'ingegno  sovrano  ».  Così  egli  dice  sul  principio  dell'Av- 
vertenza. Egli  ha  raccolto  le  lezioni  dette  dal  professor  Vera 
all'università  di  Napoli  negli  anni  scolastici  1862-65,  e  ha  dato  ad 
esse  l'ordine  d'un  vero  e  proprio  trattato  scientifico,  conservando 
più  che  gli  è  stato  possibile  la  dizione  del  professore.  Vi  ha  posto 
innanzi  un' Introduzione  col  titolo  «  La  filosofia  della  storia  e  l'idea- 
lismo » ,  e  ne'  luoghi  dove  gli  pareva  che  il  pensiero  dell'autore 
lasciasse  qualche  lacuna,  e  facesse  sorgere  qualche  dubbio,  ha  cor- 
redato il  libro  di  annotazioni  sue.  G. 

Cinque  orazioni  inedite  di  Gian  Battista  Vico,  pubblicate  da 
un  Cod.  MS.  della  Biblioteca  Nazionale,  per  cura  del  bibliote- 
cario Antonio  Galasso  ,  con  un  discorso  preliminare.  -  In  8vo 
di  pag.  cxxiii-72.  Napoli ,    presso  Domenico    e  Antonio  Morano. 

Sono  le  orazioni  di  Gian  Battista  Vico,  delle  quali  fu  data  noti- 
zia nel  precedente  fascicolo.  Ne   annunziamo    l'avvenuta   pubblica- 


246  ANNUNZI   BIBLIOGRAFICI 

zione  ,  colla  speranza  di  parlare  in  seguito  e  delle    orazioni    e  del 
discorso  del  benemerito  signor  Galasso.  G. 


Della  civile  condizione  dei  Romani  vinti  dai  Longo- 
bardi e  di  altre  questioni  storiche  ,  Lettere  inedite  di 
Carlo  Trota  e  Cesare  Balbo  con  prefazione  di  Enrico  Man- 
darini ,  prete  dell'Oratorio  di  Napoli.  In  8vo  di  pag.  xn-139. 
Napoli  ,  tip.  degli  Accattoncelli ,  1869. 

Son  diciotto  lettere,  delle  quali  tredici  scritte  da  Carlo  Troya, 
cinque  dal  Balbo.  Vennero  in  pubblico  a  poche  per  volta  nel  perio- 
dico napoletano  La  Carità;  e  ora  messe  insieme  formano  un  opu- 
scoletto  a  cui  è  premessa  un'elegante  prefazione  d'  Lnrico  Manda- 
rini. Le  opinioni  de' due  insigni  scrittori  che  tanto  si  adoperarono 
a  rischiarare  i  fatti  più  oscuri  e  più  controversi  della  storia  ita- 
liana nel  medio  evo  ,  e  sopra  una  grave  quistione  che  ha  esercitato 
le  menti  degli  uomini  più  insigni  dell'età  nostra ,  meritano  di  esser 
considerate  seriamente  anche  da  chi  non  vi  consente.  Stimiamo 
perciò  che  questa  pubblicazione  debba  essere  accolta  volentieri  dalli 
studiosi  della  storia  perciocché  dalla  tranquilla ,  sapiente  e  spassio- 
nata discussione  può  venire  la  soluzione  dei  grandi  problemi  che 
asitano  l'età  nostra.  G. 


Conoscere  e  governare  sé  stesso.  Proverbi  latini  illustrati 
da  Atto  Vannucoi.  -  In  8vo  di  pag.  102.  Venezia ,  nel  privile- 
giato stabilimento  di  G.  Antonelli ,  1869.  -  Kstr.  dal  Voi.  XIV  ,  se- 
rie III  degli  Atti  dell'  Istituto  Veneto  di  Scienze  ,  Lettere  e  Arti. 

Ci  rallegriamo  nel  vedere  che  il  Vannu^ci  va  continuando  la  rac- 
colta dei  proverbi  latini ,  legandoli  a  guisa  di  trattatelli  morali 
sopra  vari  argomenti  con  brevi  e  adattate  riflessioni ,  e  col  confronto 
de'  proverbi  di  tutte  le  nazioni.  Ripeteremo  quel  che  dicemmo  al- 
tra volta  :  nei  proverbi  e'  è  una  gran  parte  della  storia  dello  spi- 
rito umano  :  e  sarebbe  di  grande  utilità  imprimerli  profondamente 
nella  mente  degli  uomini.  A  quanti  disordini  a  quanti  mali  si  ripa- 
rerebbe se  in  generale  s' imparasse  a  conoscere  e  governare  so 
stessi  ?  G- 


ANNUNZI   BIBLIOGRAFICI  247 

Cinque  lettere  di  Francesco  llorandinl  pittore  detto 
il  Poppi,  a  Vincenzio  Borghini.  -  In  8vo  di  pag.  24. 
Firenze ,  coi  tipi  di  M.  Cellini  e  C.  alla  Galileiana ,  1869. 

Queste  lettere  che  il  nostro  Alessandro  Gherardi  ha  pubblicato 
come  ricordo  delle  nozze  del  suo  amico  Iodoco  Del  Badia  son  documenti 
che  mi  piace  chiamar  preziosi  perchè  rivelano  un  animo  buono.  Fran- 
cesco Morandini  fu  di  quei  pittori  del  secolo  xvi  che  non  arrivarono 
all'eccellenza  ,  dice  saviamente  l'editore,  più  per  colpa  de' tempi  che 
per  difetto  d' ingegno  e  di  studio.  Discepolo  del  Vasari  si  mostra 
anche  per  la  cultura  letteraria,  perciocché  le  lettere  sono  scritte 
con  bel  garbo  e  con  una  certa  eleganza  ;  al  che  dovè  contribuire 
la  consuetudine  di  Don  Vincenzio  Borghini ,  che  lo  ricevè  in  casa 
sua  a  proprie  spese  e  gli  diede  ogni  comodità  di  fare  studi  neces- 
sari all'arte  della  pittura.  Quanta  riconoscenza  serbasse  al  suo  be- 
nefattore si  vede  dalle  presenti  lettere  piene  d'affetto  che  vero 
apparisce  nella  schietta  semplicità  delle  parole  ,  e  si  rivela  anche 
nella  disposizione  testamentaria  (è  notizia  che  dà  il  Gherardi  nella 
prefazioncella)  perciocché  ordinò  che  una  sua  casa  di  Via  San  Gallo, 
dopo  la  morte  di  Curzio  degl'  Innocenti  suo  allievo,  a  cui  ne  lasciava 
l'uso  e  l'usufrutto,  passasse  nella  possessione  dello  spedale  degl'In- 
nocenti ,  del  quale  aveva  per  trentanni  tenuto  il  governo  Don  Vin- 
zio  Borghini.  Del  suo  cuore  è  bella  testimonianza  anche  quello  che 
dice  nella  terza  lettera  ,  dove  parla  di  lavori  che  faceva  in  Casen- 
tino: «  Non  vorrei  star  tanto  lontano  da  bottega  ;  pure  io  do  qual- 
che sodisfazione  alle  mie  sorelle  che  non  hanno  altri  ,  e  penso  in- 
tanto per  loro.  E  ho  acconcio  la  cosa  in  modo,  per  grafia  di  Dio, 
che  morendo  io,  ognuna  di  loro  rimane  con  qualcosa.  E  se  io  viverò  , 
voglio  fermare  il  guadagno  di  queste  tavole  qua  per  una  figliuola 
del  mio  zio,  cbe  non  ha  nulla,  né  altri  che  me  ».  Vi  si  trovano 
notizie  intorno  a  stemmi  e  iscrizioni  che  egli  ricercava  per  incari- 
co del  Borghini,  e  notizie  intorno  ad  alcune  delle  sue  opere  di 
pittura,  specialmente  di  quelle  fattcin  Casentino  pe' Monaci  di 
Camaldoli  e  a  Poppi;  notizie  accresciute  colle  note  aggiunte  a  pro- 
posito dal  diligente  editore.  G. 

Le  Nozze  di  Virginia  de' Medici  con  Cesare  d'  Este , 
descrìtte  da  Simone  Fortuna.  -  In  8vo  di  pag.  23.  Firenze, 
coi  tipi  di  Federico  Bencini.  -  Per  nozze  Agelelli-Dalmasse. 

Sono  cinque  lettere  di  Simone  Fortuna  a  Francesco  Maria  II  duca 
d' Urbino,  scritte  con  quella  disinvoltura  elegante  che  abbiamo  già 


248  ANNUNZI   BIBLIOGRAFICI 

lodato  parlando  d' un'  altra  scrittura  di  questo  sacerdote  diploma- 
tico. Il  Saltini ,  che  ha  pubblicato  anche  queste,  ne  ha  cresciuto  il 
pregio  colle  sue  note.  Nel  1586  don  Cesare  d'Este  figliuolo  d'Alfon- 
so II  duca  di  Ferrara  sposò  Virginia  figliuola  naturale  di  Cosimo  I 
e  di  Cammilla  Martelli,  legittimata  per  il  matrimonio  consigliato  a 
Cosimo  da  Pio  V,    e  mal  gradito  dai  figliuoli.    Il   parentado  fra   le 
due  case  Estense  e  Medicea  doveva  far  cessare  la  rivalità  per  le 
precedenze  e   pei   titoli  :  tale  almeno  fu  il    pensiero   dei   cardinali 
Ferdinando  dei  Medici  e  Luigi  d'  Este.  Il  Fortuna  racconta  con  bre- 
vità le  feste  fatte  a  Firenze  per  questo  sposalizio  :   e   qui  pure  ri- 
pete la  sua  meraviglia   per  vedere  il  granduca   «  in   persona   alla 
porta  perecchie  ore  a  mettere  dentro  le  genti,    et  provvedere  che 
tutti  stiano  comodi  »  quando  nel  teatro  mediceo ,  che  era  nella  fab- 
brica degli  Uffizi,  si  recitò  più  volte  e  per  contentar   tutto  il  po- 
polo ,    la    commedia   che   per   quella   circostanza  compose  il  conte 
Giovanni    de'  Bardi   da    Vernio   col   titolo   ì" Amico  Fido.    Di  questa 
recita  è  una  viva  e  curiosa  descrizione  in  un  brano   del  Diario  del 
Settimanni,  che  l'editore  ha  messo  fra  le  note.  Delle  feste  il  For- 
tuna non  poteva  raccontare  di  veduta  :   «  alle  feste,  egli   dice ,   né 
alle  giostre  et  commedie  non  sono  io  comparso,   perchè    quivi   era 
il  Gran  Duca,  intento  non  ad  altro  che  a' suoi  amori   et  a  onorare 
questi  Ferraresi  ».   Accennando  ai  puntigli  per  le    precedenze  dice 
esser  «  comune  opinione,  che  stante  le  carezze  et  onori  fatti  a  don 
Cesare,  il  signor  duca  di  Ferrara,  all'arrivo  di  esso,  abbi  ad  umi- 
liarsi, et  in  conseguenza  ad  accomodarsi  ogni  differenza   per  conto 
de' titoli;  in  che  si  vede  che  il  signor  cardinale  de' Medici   insieme 
con  la  Gran  Duchessa ,  si  affaticano  quanto  possono  ».  Ma  più  tardi 
manifesta  de' dubbi  e  racconta  che  i  Ferraresi    partirono  mal  sodi- 
sfatti non  solamente   per  causa  de' titoli,  ma  anche   per   il  dare  e 
l'avere.  G. 


Stadi  «li  Carlo  Trova  intorno  agli  Annali  d'Italia  del  Attiva- 
tori. Voi.  I  di  pag.  xlix  e  320.  -  Napoli,  Tipografia  degli  Accat- 
toncelli,  1869. 


Quando  nel  1858  morì  a  Napoli  Carlo  Troya,  i  suoi  libri,  che  molti 
erano  e  rari,  e  i  più  portavano  i  segni  delli  studi  dello  storico  illu- 
stre, furono  comprati  dai  PP.  dell'Oratorio.  Tra  quei  libri  c'erano 
gli  Annali  del  Muratori  annotati  e  postillati  da  lui ,  ed  i  compra- 
tori s' erano  impegnati  a  stampare  quelle  postille  dentro  due  anni , 
altrimenti  la  Vedova  sarebbe  rientrata  nei  suoi  diritti  di  proprietà. 


ANNUNZI    BIBLIOGRAFICI  249 

V Archivio  Storico  lodò  allora ,  come  si  meritava ,  il  bell'atto 
degli  oratoriani,  e  li  confortò  a  dar  mano  alla  stampa  di  queste 
giunte  illustrative  degli  Annali  del  Muratori.  Ma  gli  anni  che  cor- 
sero dopo  il  58,  non  erano  propizi  alle  imprese  letterarie  ,  e  nessuno 
pensò  più  agli  studi  del  Troya  né  alle  promesse  di  mandarli  in  luce. 
Le  quali  peraltro  non  furono  dimenticate  da  coloro  che  le  avevano 
date;  e  appena  i  tempi  si  fecero  più  calmi,  si  accinsero  a  sodi- 
sfarle. 

Ed  ora  infatti  a  cura  degli  oratoriani ,  è  venuto  in  luce  il  primo 
volume  degli  studi  del  Troya  sul  Muratori  ;  e  quanti  tengono  in 
pregio  l'erudizione  storica,  debbono  averne  riconoscenza  ai  solerti 
e  coraggiosi  editori ,  ed  alla  Vedova  tornata  proprietaria  del  ma- 
noscritto, che  ne  consentiva  liberamente  la  stampa.  Il  volume 
s'apre  con  un  affettuoso  proemio  del  P.  Capecelatro,  a  cui  fa  seguito 
un  bel  discorso  sulla  vita  e  sulle  opere  di  Carlo  Troya  del  P.  Man- 
darini ;  e  le  postille  vengono  poi  disposte  per  tempi  secondo  l'or- 
dine degli  Annali.  Questo  primo  volume  arriva  fino  alli  anni  di  Cristo 
ccxxi ,  e  tanta  ricchezza  di  erudizione  in  un  periodo  cosi  lontano 
dall'epoca  più  particolarmente  illustrata  dal  Troya,  ci  dà  un'  idea 
di  questi  suoi  studi  molto  maggiore  di  ciò  che  ne  avevamo  potuto 
pensare  in  prevenzione. 

Le  postille  comprese  in  questo  primo  volume  sommano  a  288, 
senza  contare  le  molte  appendici  ricavate  da  altri  manoscritti,  e  col- 
locate ai  loro  luoghi  dagli  editori,  colla  guida  dei  richiami  appo- 
stivi dallo  stesso  dilgentissimo  autore. 

Per  dare  un'idea  al  lettore  dell'importanza  storica  di  queste 
postille  ,  riferiremo  le  parole  del  P.  Mandarini ,  che  così  ne  ragio- 
na :  «  Il  Troya  non  si  ferma  soltanto  a  discutere  gli  avvenimenti 
«  attenenti  alla  storia  d' Italia  del  Muratori ,  narrati  cronologica- 
«  mente,  ma  va  più  innanzi,  rimontando  ai  tempi  antichissimi 
«  prima  dell'era  cristiana,  ed  esaminando  la  vita  primitiva  di 
«  ciascun  popolo,  i  costumi  e  i  riti  religiosi,  le  leggi  e  le  gner- 
«  re ,  i  luoghi  ed  i  confini  di  qualunque  regione  che  fosse  mai 
«  esistita  sulla  terra ,  per  indagare  così  l'origine  delle  razze  bar- 
«  bariche  ,  che  poscia  invasero  1'  Italia.  Di  qui  è  che  fra  i  molti 
«  commenti  e  le  varie  erudizioni  dal  Troya  aggiunte  al  Muratori 
«  in  questo  primo  volume,  sono  accennate  le  tradizioni  e  le  favole 
«  intorno  ai  primi  barbari ,  e  le  più  antiche  notizie  istoriche  dei  Goti 
«  oGeti,  dei  Daci,  degli  Sciti,  degli  Indo-Sciti,  dei  Celti,  degli  Unni , 
«  dei  Finni ,  e  dei  Tu-hici  ,  degli  Agatirsi  e  dei  Neuri ,  degli  Alani 
«  o  Massageti ,  dei  popoli  dell' Bussino,  del  Tanai ,  del  Danubio 
«  e  del  Caucaso  indiano.  Inoltre  anche  in  questo  primo  volume 
Arch.  St.  It\l.,  3.a  Serie,  T.  X  ,  P.  I.  32 


250  ANNUNZI   BIBLIOGRAFICI 

«  sono  dal  Troya.  investigato  le  origini  di  altri  popoli  ;  coree  degli 
«  Alemanni ,  dei  Borgognoni ,  dei  Ligii ,  degli  Slavi ,  dei  Boisci , 
«  dei  Buri ,  dei  Saraceni ,  dei  Carpi ,  degli  Eniachi ,  dei  Sarmati , 
«  dei  Derbicci  ,  dei  Rossolani,  dei  Bastami,  dei  Longobardi,  dei 
«  Cotoni  ,  dei  Quadi ,  dei  Marcomanni  e  dei  Marvingi  di  Tolomeo 
«  o  Franchi,  dei  Salii,  dei  Vandali,  dei  Sax-Senne  o  Sassoni, 
«  dei  Sennoni  delle  Gallie,  delle  genti  di  razza  bionda  e  di  altre 
«  popolazioni  del  mondo.  Infine,  tanto  delle  guerre  celtiche,  traciche, 
«  pannoniche  e  germaniche  ,  che  delle  invasioni  sarmatica  e  ala- 
«  nica,  delle  imprese  longobardiche  sotto  Arminio  e  Meraboduo  , 
«  dei  costumi  dei  Germani ,  delle  vittorie  di  Traiano  sui  Daco-Geti , 
«  e  della  perdita  della  Dacia  romana  sono  pure  dall'accorto  ed  ac- 
«  curato  storico  recate  le  più  antiche  e  genuine  testimonianze 
«  di  autori  Greci  e  Latini  (Ved.  pag.  xlix  e  l)  ». 

Già  dalle  altre  opere  storiche  del  Troya,  appariva  manifesto  quale 
immenso  apparato  di  testimonianze  gli  fosse  occorso  per  dare  fon- 
damento di  verità  alle  sue  narrazioni.  Ora  da  questi  studi  anche 
meglio  si  vede  quanta  suppellettile  erudita  avesse  egli  ordinata, 
prima  di  trattare  epoche  storiche  tenebrose  ,  per  le  quali  molti  si 
appagano  di  argomenti  poco  più  che  congetturali.  E  veramente 
tutto  quello  che  dalla  erudizione  può  ricavarsi,  il  Troya  lo  seppe  rac- 
cogliere. Che  se  egli  a  tanta  copia  di  notizie  e  di  testi  ,  avesse 
potuto  aggiungere  i  sussidi  della-  filologia  comparata,  le  sue  inda- 
gini sulle  origini  dei  popoli  e  delle  genti  che  distrussero  l'impero, 
e  presa  stanza  nell'Europa  media,  diedero  nome  e  persona  alle 
nazioni  moderne ,  sarebbero  riuscite  più  feconde  e  più  sicure.  Ma 
egli  aveva  ormai  fatto  troppo  cammino  quando  la  filologia  cominciò 
ad  aiutare  efficacemente  la  scienza  storica. 

Torneremo  in  seguito  su  quest'opera  che  merita  da  noi  studio  più 
diligente,  non  tanto  per  il  suo  valore  intrinseco,  quanto  per  la 
riverenza  che  sempre  avemmo  per  il  suo  autore  ;  il  quale  è  sicu- 
ramente una  delle  glorie  più  belle  e  più  pure  dell'Italia  erudita 
del  nostro  tempo.  M.  T. 


ANNUNZI    BIBLIOGRAFICI  251 


Ricordi  storici  intorno  a  Giampietro 
Viexisseimx  e  il  tempo  nostro,  riuniti  in  que- 
sta da  aitile  edizioni  e  giornali.  In  Firenze,  coi  tipi  della 
Galileiana,  1869. 

In  questo ,  che  vogliamo  chiamar  monumento  alla  vene- 
rata memoria  di  GIAMPIETRO  VIEUSSEUX  avremmo  a  lo- 
dare la  bellezza  dell'arte  tipografica  ,  perchè  ci  sembra  una  tra 
le  più  belle  cose  della  Galileiana.  Ma  più  che  tutto  dobbiamo 
lodare,  e  con  noi  si  uniranno  tutti  quelli  che  sanno  quanto  il 
Vieusseux  operò  per  la  italiana  cultura ,  e  i  lettori  di  questo 
Archivio  Storico  da  lui  fondato  e  sapientemente  diretto  per 
tanti  anni ,  l'animo  del  nostro  Cellini ,  che ,  stampando  il 
libro  a  sue  spese ,  in  poche  copie  destinate  alle  istituzioni  e 
agli  amici ,  ha  voluto  rimanga  come  ricordo  del  suo  amore 
riconoscente ,  e  come  italiano  e  come  uno  dei  tanti  che  nel- 
1'  amicizia  e  nella  bontà  singolare  di  queir  uomo  trovarono 
conforti  grandi  alla  vita.  Il  nome  di  Giampietro  Vieusseux 
rimarrà  nella  storia  dell'  italiana  civiltà.  Del  suo  affetto  alla 
patria  restano  documenti  principali  Y Antologia  e  X Archivio 
Storico.  Il  discorso  di  Niccolò  Tommaseo ,  l'elogio  dettato  dal 
senatore  Raffaello  Lambruschini ,  le  parole  pronunziate  sulla 
tomba  dal  marchese  Cosimo  Ridolfi  e  dal  consigliere  Marco 
Tabarrini,  la  iscrizione  decretata  dal  Municipio  di  Firenze , 
la  nota  dei  soscrittori  al  cenotafio  erettogli  nel  Cimitero  di 
Porta  a  Pinti,  e  le  addolorate  parole  di  alcuni  giornali,  riu- 
nite in  questo  volume ,  attesteranno  quanto  bene  egli  fece  e 
quanto  ebbe  in  animo  di  farne ,  e  come  tutte  le  azioni  fu- 
rono regolate  da  un  sentimento  altissimo  della  umana  di- 
gnità e  dal  proposito  di  giovare  agli  uomini  col  consiglio, 
coll'opera  e  coll'esempio. 


In  vendita  al  Gabinetto  Vieusseux 


Pnmmksinni  di  Rinaldo  IWl'AlltÌ77Ì    Per  n  Cormine  di  Firenze  dal  1399  al  1433,  con 
lOIMIlISMUIll  (Il  nlUilldU  Uegl  AIIJ1ZZI    prefazione  ed  illustrazione  del  cav.  Cesare 
Guasti.  Sono  in  vendita  il  primo  e  secondo  volume  al  prezzo  di  L.  30. 

PAIIH3    1D     A1UTA1MA      ANNALI  D'ITALIA  dal  1750  al  1861  ;  voi.  l5in8vo  e  due 
LUI  1  I  AK.   /llHUlìlU  )    Indici;  prezzo  ridotto  L.  52,  50. 

Notizie  storiche  della  Provincia  di  Pesaro  e  Urbino  Kto/fiHSi  Tuli™- 

lini.  Un  voi.  in  8vo  di  pag.  4M  ;  prezzo  L  5.  Pesaro,  1868.  —  Le  domande  potranno 
anco  esser  dirette  al  sig.  Annesio  Nobili,  tip.  ed.,  a  Pesaro. 

Vite  degli  Italiani  benemeriti  della  patria  g^^KX^^ff 

blicato  il  primo  volume,  che  contiene  le  Vite  dei  ■morti  combattendo  ;  prezzo  L.  8  — 
Obbligandosi  per  quattro  volumi  L.  5  ciascuno. 

Vocabolario  degli  Accademici  della  Crusca.  #S£  So  f ™te£l?™%t0£ 

di  pagine  cxxi  e  912;  prezzo  L.  26.  —  Il  volume  II,  lettera  B,  prezzo  L.  11;  e  il 
Glossario  delle  lettere  A-B,  prezzo  L.  4,  50. 

ORIGINE  E  PROGRESSI  delle  Istituzioni  della  Monarchia  di  Savoia  fino  alla 

fn«fifii7Hin<*  del   IWnn  ri' Italia     Opera  del   conte   senatore  Luigi   Cjbrario. 

losuiuzione  uei  neguo  u  nana.  Vol.  unico  dipag.  oeo,  in  2  parti, prezzo  l  20. 
Gli  ultimi  anni  della  Storia  repubblicana  di  Siena  (1551-1553).  SéffiiSSS 

re  B.  Aquarone.  È  in  luce  l'Introduzione.  Un  fascicolo  in  8vo  di  pag.  ICO;  prezzo 
lire  2. 

tayoleIri^ologiche  e  sincrone  sy^S^TC^ra1^ 

sgrana.  —  Un  voi.  in  4to  ;  prezzo  ridotto  L    11,  20. 

X[T10\71      \  XT'M'  A  T    |    di  costruzioni,  arti  e  industrie  di  Sicilia,   con  rivista 
li  U  v  V  I    nlMiiiLil    delle  più  importanti  opere  nazionali  e  straniere,  sotto 
la  direzione  degli  ingegneri  Achille  Albanese  ed   Enrico    Naselli.   Si    pubblica    in   Pa- 
lermo dall'editore   Luigi  Pedone-Lauriel ,    un  fascicolo  al  mese,  al  prezzo  di   L.  20 
all'anno,  franco  di  porto  per  l'Italia. 

BIBLIOTECA  STORICO  LETTERARIA  DI  SICILIA  S5n2Sff?J! 

di  scrittori  siciliani  dal  secolo  xvi  al  xix,  per  cura  di  Gioacchino  di  Marzo.  La 
pubblicazione  verrà  fatta  in  volumi  di  20  a  25  fogli  in  8vo  ;  ogni  due  o  tre  mesi  ne 
sarà  pubblicato  uno  al  prezzo  di  L    7,  50  franco  in  Italia. 

T?TA7m'T4    mOTTT    A     di  Scienze,   Letteratura  ed  Arti.    —   Si  pubblica   a 
XiL  VlO  J-  -TV   O  _L  \j  U  J_i  irV    fascicoli  mensili   di   5  o  6   fogli  di  stampa  in   8vo; 
franco  di  porto  nel  Regno  L.  18  all'anno. 

E>i  prossima  pubblicazione. 

Volume  secondo.  -  Statuti  inediti  della  Città  di  Pisa  JaaJc&]  &  ^trSTfe 

cura  del  comm.  prof.  F.  Bokaini,  soprintendente  generale  degli  Archivi  Toscani  ; 
esso  sarà  composto  di  circa  140  fogli  di  stampa  in  4to.  —  I  Voi.  I  e  III  già  pub- 
blicati importano  L.  101,  50. 


ARCHIVIO  STOEICO  ITALIANO 

Terza  Serie  completa,  cioè  anni  1805  a  1868.  Prezzo  Lire  80,  netto  Lire  64. 

NB.  Per  la  serie  suddetta,  e  per  le  antecedenti,  dirigersi  a  G.  P.  Vieusseux  in  Fi- 
renze, oppure  ai  libra]  notati  nella  quarta  pagina  della  coperta  di  questo  fascicolo. 


ARCHIVIO 

STORICO  ITALIANO 

FONDATO  DA  G.  P.  VIEUSSEUX 


E  CONTINUATO 


A  CURA  DELLA  R.  DEPUTAZIONE  DI  STORIA  PATRIA 


PER    LE   PROVINCIE 


DELLA  TOSCANA  ,  DELL'UMBRIA  E  DELLE  MARCHE 


SERIE  TERZA 


Tomo  X  -  Parte  II. 

Anno  1869 


IN  FIRENZE 

PRESSO     G,    P.      VIEUSSEUX 
coi  tipi  di  M.  Cellini  e  C.  alla  Galileiani» 

1869 


LETTERE  DI  IACOPO  DA  VOLTERRA 


A   PAPA    IWNOCENZIO    Vili 


ESTRATTE  DALL'  ARCHIVIO  DI  VENEZIA 


fV.  Tom    VII,  Part     II   . 


Queste  lettere  fanno  seguito  a  quelle  che  pubblicam- 
mo nella  Parte  II  del  Tomo  VII  dell'Archivio  Storico; 
e  per  la  loro  illustrazione  rimandiamo  i  lettori  a  quanto 
allora  ne  scrivemmo.  Ci  occorre  soltanto  di  notare  che 
mentre  le  prime  si  riferivano  alla  legazione  del  Ghe- 
rardi  presso  Lorenzo  il  Magnifico,  queste  ragguagliano 
il  Papa  delle  pratiche  avviate  con  Galeazzo  Sforza  duca 
di  Milano.  A  Lorenzo  non  garbava  che  il  negoziato 
aperto  segretamente  con  lui  dal  segretario  pontificio ,  si 
proseguisse  con  minori  cautele  col  Duca  di  Milano  :  per- 
chè temeva  che  Lodovico  il  Moro ,  il  quale  governava 
in  effetto  lo  stato  all'ombra  dell'infelice  ed  impotente 
duca  Gian  Galeazzo,  pigliasse  a  volo  la  mala  sodisfazione 
del  Papa,  e  ne  eccitasse  i  risentimenti  contro  Ferdinando 
d'Aragona ,  per  avere  occasione  di  turbare  di  nuovo 
quella  pace  d' Italia  che  tanto  stava  a  cuore  al  Magni- 
fico di  mantenere.  Perciò  egli ,  dopo  avere  addotto  indarno 
buone  ragioni  per  dissuadere  il  Volterrano  dal  proseguire 
la  sua  commissione  a  Milano,  temendo  del  troppo  zelo 
di  lui  nell'eseguire  gli  ordini  del  Papa ,  gli  aveva  det- 
tato di  suo  quella  breve  istruzione,  che  pubblicammo,  sul 
modo  di  governarsi  con  lo  Sforza ,  tastando  il  terreno  e 


4  LETTERE    DI   IACOPO    DA    VOLTERRA 

non  facendo  alcuna  proposta  esplicita  dalla  quale  potes- 
sero nascere  impegni. 

Sembra  che  il  Volterrano  stasse  fedele  alle  savie  istru- 
zioni di  Lorenzo,  forse  non  contraclette  dal  Papa  meglio 
avvisato  ;  giacché  dalle  relazioni  dei  primi  abboccamenti 
col  Duca  e  con  Lodovico  non  si  rileva  che  si  facesse 
parola  della  lega  contro  1'  Aragonese ,  per  costringerlo 
colle  armi  ad  osservare  i  patti  della  pace ,  che  pure 
era  parte  principalissima  del  negoziato  col  Magnifico. 
Si  parla  della  questione  dei  censi,  ma  in  modo  assai  ri- 
messo ;  della  immissione  in  possesso  del  monastero  di 
Arona;  di  favori  impetrati  per  Domenico  D'Oria;  e  più 
che  tutto  della  decima  da  imporsi  nello  Stato  di  Milano 
sui  beni  del  clero  in  favore  della  Curia. 

Comunque  questo  secondo  manipolo  di  lettere  del  Vol- 
terrano non  abbia  l'importanza  storica  del  primo,  pure 
non  poche  curiosità  erudite  ci  potranno  ricavare  coloro 
che  cercano  la  verità  storica  nei  particolari ,  e  dalle  te- 
stimonianze sincrone  meglio  che  dalla  fantasia  dei  nar- 
ratori ,  amano  di  ritrarre  il  carattere  degli  uomini ,  le 
costumanze  e  la  rappresentazione  vera  dei  tempi.  Vedrà 
il  lettore  come  persona  viva  quel  misero  Galeazzo,  infer- 
mo e  impedito  nell'  uso  delle  mani ,  dare  udienza  e  te- 
nere senato  in  camera  sua  ;  e  gli  affari  più  gravi  rimet- 
tere a  quando  sarebbe  risanato  ;  e  l'adunanza  senatoria 
convocata  con  grande  apparato ,  cominciare  con  una 
questione  di  precedenza  e  risolversi  in  barzellette.  Vedrà 
quell'astuto  e  falso  Lodovico  il  Moro,  tutto  compunto 
nella  settimana  santa  ,  affermare  di  recedere  in  certo  ne- 
gozio dei  frati  Umiliati  dall'opinione  sua,  perchè  si  ricor- 
da in  quei  giorni  che  a  Dio  si  deve  render  conto  dei 
pensieri  non  che  delle  opere.  E  il  buon  segretario  gli 
crede,  e  lo  commenda  di  tanto  scrupolosa  religione.  Ed 
anche  l' infelice  Galeazzo  ha  la  coscienza  timorata ,  e 
accetta  riconoscente  un  breve  del  Papa  che  lo  proscio- 
glie ,  a  quanto  sembra ,  dal  voto  fatto    di    andar   pelle- 


A    PAPA   INNOCBNZIO   Vili  L> 

grino  al  sepolcro  di  Cristo,  abilitandolo  a  mandarci  un 
frate  in  sua  vece.  Notabile  ci  sembra  pure  la  lettera  che 
tratta  della  uccisione  del  Conte  Girolamo  Riario  av- 
venuta a  Forlì  per  opera  di  congiurati  nel  1488  ;  e  della 
consulta  che  tennero  su  questo  caso  alla  Sforzesca  presso 
Vigevano,  il  Duca  Galeazzo,  Lodovico  Sforza,  il  cardinale 
Ascanio  suo  fratello ,  il  Duca  di  Ferrara,  e  lo  stesso  Vol- 
terrano. Dai  discorsi  del  Cardinale  si  capisce,  come  gli 
Sforza  sospettassero  che  il  Papa  avesse  mano  in  quel- 
l'affare ,  o  che  almeno  volesse  trarne  conseguenze  di 
suo  vantaggio  ,  rivendicando  alla  Chiesa,  il  dominio  di 
Forlì ,  che  gli  Sforza  intendevano  che  fosse  ad  ogni  patto 
assicurato  ai  figli  dell'ucciso  ed  alla  madre  loro  che  era 
sangue  sforzesco.  Tutte  le  ragioni  addotte  dal  Cardinale 
per  escludere  il  possibile  che  il  Papa  potesse  e  volesse 
trar  partito  da  quella  uccisione ,  sembrano  altrettanti 
avvertimenti  per  fargli  intendere  quanto  arrisicato  sa- 
rebbe riuscito  il  gioco  se  anche  avesse  avuto  voglia  di 
tentarlo.  E  di  fatto  gli  Sforza  non  potevano  patire  per 
onore  di  loro  famiglia  che  si  facesse  ingiuria  a  Caterina 
Riario  sorella  del  Duca  ,  e  avrebbero  volentieri  colto  il 
destro  dell'assassinio  di  quel  loro  parente,  per  mettere  le 
mani  anche  nelle  cose  dell'  Italia  centrale ,  che  era  una 
delle  loro  ambizioni.  Dalle  altre  lettere  che  pubblichere- 
mo in  seguito ,  si  vedrà  il  curioso  processo  di  questo 
negozio,  dal  quale  fu  messa  in  forse  la  pace  d' Italia. 
Ma  il  vigile  Lorenzo  de'  Medici  seppe  scongiurare  anche 
questo  pericolo  ,  e  la  Caterina  Riario  Sforza  trovò  rifu- 
gio nella  famiglia  medicea ,  ove  partorì  quel  fortissimo 
Giovanni  dalle  Bande  nere  ,  che  ritrasse  nella  sua  na- 
tura piuttosto  la  fierezza  indomita  della  madre  ,  che  il 
mite  e  rimesso  animo  paterno. 

Queste  lettere  di  Iacopo  da  Volterra ,  oltre  questo 
breve  proemio ,  avrebbero  potuto  dare  materia  ad  alcune 
note  erudite  ;  ma  mi  son  rimasto  dall'apporvele  ,  pensan- 
do che   ai   pochi   che    avranno  voglia  di  leggere  questo 


6  LETTERE  DI  IACOPO  DA  VOLTERRA 

scabro  latino ,  non  occorrono  illustrazioni  ,  perchè  sicu- 
ramente sapranno  di  storia  più  e  meglio  di  me  ;  e  per  i 
molti  che  sfogliano  i  libri  alla  sbadata  ,  e  che  quando 
trovano  il  latino  saltano  a  pie  pari ,  ogni  mia  cura  per 
dichiarare  pazientemente  nomi  e  cose ,  sarebbe  fatica 
perduta. 

Pomarance  ,  26  Ottobre  1869. 

M.  Tabarrini. 


LETTERE 

DI  IACOPO  DA  VOLTERRA 


IV. 


Beatissime  pater,  post  pedum  osculum  beatorum.  Incipiam  a 
conclusione  rerum  tractatar uni  cum  Principe,  novissimo  collo- 
quio meo,  ne  Vestra  Beatitudo,  legens  longiores  has  litteras,  sit 
ambigua  de  illarum  exitu,  sed  statim  summam  intelligat.  In 
primis,  Principerà  perseverantem  invenio  in  negocio  debiti  cen- 
sus;  decime  impositionern  consentit;  Arone  possessionem  tradi 
nobis  vult  expeditam  et  absque  condictione  ;  negocium  ma- 
gnifici Capitanei  custodie  Vestre  differt  omnino  ad  eius 
integram  valitudinem ,  tunc  ex  voto  expediendum  :  hec  sunt 
capita  conclusionum  :  nunc  exordior  a  principio. 

Ultimis  meis  diei  S.  Anton ii  scripsi  Sanctitati  Vestre  me 
paucis  loquutum  cum  Principe,  et  in  diem  sequentem  audien- 
tiam  meam  dilatam.  Continuum  triduum  snm  vocatus,  sed 
priusquam  beri  non  sum  auditus  ,  vel  tedio  vel  langore  vel 
curis  aliis  supervenientibus,  ut  fit  et  scit  Vestra  Sanctitas  ab 
experimento.  Heri  igitur  sum  admissus  ,  exclusis  omnibus  qui 
erant  in  cubiculo,  demptis  Chalco  et  Terzago ,  qui  tam  a  lecto 
digressi  sunt ,  ut...  quamque  loquentes  audire  nos  poterant. 
Dixi  in  primis  ,  post  generalia,  quemadmodum  Vestra  Sancti- 
tas in  negocio  regio ,  nil  alimi  expectabat  in  prosequutione 
iurium  suorum  quam  bonam  eius  valitudinem,  quam  assiduis 
precibus  ad  Deum  porrectis  quotidie  adiuvare  conabatur.  In- 
terim vero  dabat  operam  implere  que  Sua  Excellentia  a 
principio  fideliter  et  prudenter  commemoraverat  eidem  Vestre 
Sanctitati,  jamque  Regem  Hispanie  decrevisse  oratores  ad  Fer- 


S  LETTERE    DI    IACOPO    DA    VOLTERRA 

dinandum  super  negocio  census  qui  Rome  erat.  Et  quod  Ve- 
stra  Sanctitas  hortabatur  Excellentiam  Suam  ut  ipsa  quoque 
rem  adiuvaret ,  prò  ut  hactenus  fecerat  et  sperabat  deinceps 
esse  facturam,  et  hiis  similia.  Post  hec  subieci  de  decima,  qui- 
bus  potui  dulcioribus  verbis ,  circa  quod  breviter  recensiti 
sumptùs  maximos  et  necessarios ,  quos  facere  oportuit  prò 
tuenda  libertate  ecclesiastica  et  liberare  eam  de  manibus 
impiorum.  Dixi  de  potestate  Pontificum  in  petendo  et  exi- 
gendo  a  clericis  sub  dio  ,  cum  est  opus.  Retuli  apud  Venetos 
unam  exactam  ,  alteram  exigi  ;  Florentinos  in  imam  consen- 
sisse  ;  in  Regno  de  proximo  debere  unam  imponi.  Magni  esse 
momenti  ad  publica ,  consensum  huius  decime  que  petebatur 
in  ducali  dominio.  Subieci  de  possessione  Arone  ,  in  primis 
prò  reverentia  Dei  et  honore  Sancte  Sedis  et  Beatitudinis 
Vestre ,  asserens  nihilominus  eandem  Beatitudinem  procul 
dubio  credere ,  nihil  aliud  obfuisse  buie  negocio  nisi  recidivam 
Excellentie  Sue  ,  quam  sciebat  esse  memorem  verbi  sui,  nec 
facturam  irrita  que  processerant  de  labiis  suis.  Rememoravi 
reiectas  conditiones  quas  Excellentia  sua  proponi  mini  man- 
daverat ,  ut  Borromeo  morem  gereret.  Post  hec  subiunxi 
negocium  magnifici  Dominici  Aurie  ,  narrans  quam  gratum 
futurum  esset  Sanctitati  Vestre  si  viro  prestantissimo  et  eidem 
carissimo  geretur  ,  mos  in  re  iustissima  et  bonestissima  in 
obsequium  eius,  sub  cuius  tutela  et  Vestra  Beatitudo  et  tota 
Romana  Curia  requiescat,  qui  esset  etiam  eidem  afflnitate 
coniunctus.  Dignaretur  consolari  hominem ,  cuius  fidem  et 
strenuitatern  jam  Excellentia  Sua  experta ,  et  poterat  etiam 
experiri ,  et  pleraque  alia  sunt  dieta  ad  eum  inducendum  , 
inter  que  ,  dicebam  pecuniam  esse  in  promptu  ;  et  paratura 
esse  prestare  iuramentum  fidelitatis  etc. 

Conatus  sum  breviter  perstringere  singula,  ne  languenti 
essem  molestus ,  et  ne  medici,  et  ceteri  qui  sunt  ad  corporis 
curam ,  in  futurum  audientie  mee  adversarentur. 

Ad  omnia  ex  ordine  Princeps  respondit  breviter  et  reso- 
lute, voce  multum  submissa  et  debili,  que  vix  admotis  au- 
ribus  audiri  potest.  In  primis,  super  negocio  census  eundem 
fervorem  ostendit  in  satisfaciendo  debito  suo ,  quem  prima 
vice  ostenderat ,  dicens  jam  decretimi  esse,  quod  oratores 
federis  exequerentur  quod  iam  decretum  et  responsum  lucrai 


A    PAPA    INN0CE1SZI0    Vili  9 

una  cum  oratoribus  Hispanis ,  qui  Neapolim  proficisci  debent. 
Nani  mittere  novos  oratores  non  videri  ei ,  cum  Rex  ipse 
Hispanie  nihil  ad  eos  scripserit;  attamen  tantumdem  hoc 
esse:  expectandum  quid  Rex  respondeat  Inde  eos,  juxta 
Regis  responsum,  auctores  esse  quod  Vestra  Sanctitas  semper 
iudicabit  velie  eos  mane  re  in  officio  secum ,  et  esse  memores 
date  fiJei  et  obligationis  jam  facte  ;  nec  ulterius  progressus 
in  hanc  rem.  Venit  ad  decimam ,  dicens  Clerum  plurimis  et 
recentibus  oneribus  fatigatum  ;  tamen  ,  propter  cansas  a  me 
dictas  et  propter  reverentiam  quam  habet  ad  Sanctitatem 
Yestram  ,  contentari  ut  imponatur,  cum  ea  lmmanitate  et 
facilitate  que  fieri  poterit.  Circa  rem  monasterii  de  Arona, 
dixit  Sanctitatem  Vestram  bene  de  se  iudicare  ;  narri  moram 
Lane  omnem  non  tradite  possessionis  profectam  a  valetudine 
sua.  Se,  a  primis  vèrbis  mecum  habitis  ad  Cusagum  ,  senten- 
tiam  non  mutasse  nec  mutare;  imo  omnino  velie  nobis 
tradi  possessionem.  Negocium  Capitanei,  post  nonnulla  que 
dixit  in  eius  commendationem ,  ex  quibus  perspexi  illuni 
plurimum  ab  Excellentia  sua  diligi  et  magnificari ,  differt 
omnino  ad  firmano  valetudinem  suam  ;  ostendens  non  posse 
prius  eius  negocium  confici ,  sed  absque  dubio  illuni  esse 
consolaturum  ;  et  ita  in  fidem  principis  est  pollicitus.  His 
dictis  vocavit  ad  se  Chalcum  et  Terzagum,  quos  dixi  presen- 
tes  in  cubiculo,  sed  non  audientes.  Replicavit  eisdem  bre- 
viter  singula  capita  et  eorumdem  conclusionem,  ac  mandavit 
Chalco  ut  quecumque  acciderent  et  tractarentur  in  rebus 
census  et  eius  pratice  ,  milii  in  dies  significare!  Item  ,  ut 
ageret  cum  Borromeo ,  traderetur  nobis  A.rone  possessio , 
sine  exceptione  ac  mora  ;  ostendens  non  placituram  ei  excu- 
sationem  aliquam  ;  ita  conclusum  est.  Egi  prò  omnibus  gratias 
Excellentie  sue ,  et  iterum  Aurie  negocium  commendavi.  Ad- 
didit  illis  presentibus ,  quod  etiam  superioribus  diebus  mini 
dici  fecerat ,  non  sibi  futurum  ingratum.  Si  deinceps  essem 
publicus  ;  eo  maxime  quod  plures  essent  cause ,  preter  liane 
census,  propter  quas  me  ostendere  poteram  ,  et  quod  libenter 
videret  me,  et  ob  reverentiam  Sanctitatis  Vestre  honoraret. 
Egi  eidem  gratias  ut  debui,  dicens  me  cuncta  Beatitudini 
Vestre  signifìcaturum  ;  quod  facio.  Eius  erit  imperare  cui 
humiliter  me  commendo. 

Aucu.  St    Itm..,  3."  Serie,  T.  X,  P.  II.  2 


10  LETTERE   DI    IACOPO    DA    VOLTERRA 

Unum  non  obmittam,  quod  oro  tribuat  Vostra  Sanctitas 
vere  fidei  et  servituti  raee ,  non  audacie  vel  presumptioni , 
in  liac  causa  census,  Vestra  Sanctitas  nimis  jejune  mecum 
agit.  Non  habui  quid  replicare  Principi,  nisi  generalia.  Post 
prima  mea  mandata,  nihil  postea  eorum  que  gesta  sunt  apud 
vos  ,  significatum  est  mihi.  Si  quid  habeo  ab  ilio  tempore  ab 
hiis  ducalibus  habeo,  quorum  nonnulla  jubet  mihi  princeps 
significari ,  nonnulla  interloquendum  haurio  ex  eorum  fon- 
tibus.  Deputationem  horum  Oratorum  ad  Regem ,  hii  mihi  si- 
gnificarunt,  tanqaam  rem  notam  non  novam.  Ita  que  scire 
primus  de(berem)  postremus  intelligo,  quasi  hospes  et  pere- 
grinus.  Ex  auctoritate  quam  hic  dabit  mihi  Sanctitas  Vestra, 
crescet  semper  eius  auctoritas  et  honor  et  dignitas.  Supplico 
Sanctitati  Vestre  mihi  indulgeat,  si  hec  scribens  nimis  pre- 
sumpsi.  Movet  me  zelus  domini  mei ,  et  cliaritas  modum  non 
habet.  Ceterum  putavi  nocere  non  posse,  significare  Oratoribus 
nostris  qui  sunt  in  Galliis,  consensum  huius  status  in  decima 
imponenda  ;  proinde,  hodie  meis  litteris  de  hac  decima  ad 
eos  scribo:  idem  agam  cum  Tarvisino.  Non  est  parvifaciendum, 
iudicio  meo,  ubique  intelligi  coniunctionem  liane  animorum 
et  status.  Iterum  commendo  me  sanctissimis  pedibus  Vestre 
Beatitudinis  ,  cai  sit  comes  et  custos  dominus  Deus. 

Mediolani ,  die-xxn  ianuarii,  mcccclxxxviii. 
V.  B. 

Servus  humillimus 
Iacobus  de  Vulterris. 
Sanetissimo  Domino  Nostro  Papi 


Beatissime  pater,  post  pedumosculum  beatorum.  Laudetur 
Deus,  cuius  gratia  cepimus  possessionem  Monasterii  de  Arona 
prò  domino  Hieronymo  cubiculario  Vestre  Sanctitatis  ,  cum 
tanto  eius  honore  quanto  maximo  dici  potest,  et  mira  concor- 
dia, gratia,  assensu  et  adiutorio  magnifici  comitis  Ionannis 
Borromei,  domini  temporalis  loci  illius;  absque,  non  modo  con- 
ditone ,  sed  ne  minima  quidem  mentione  alicuius  conditionis. 


A    PAPA    INN0CÌ2XZI0    Vili  11 

Qui  quidem  comes  ,  non  tantum  nobis  hactenus  nocuit  odio  , 
quantum  nunc  proflcuit  obsequio.  Duci  illuc  nos  fecit,et  re- 
duci per  loca  sua  et  homines  ac  ministros  suos  ,  et  toto  itinere 
recepit  nos  laufissime  et  honorificentissime,  ob  reverentiam 
Vestre  Sanctitatis,  cui  se  et  familiam  suam  humiliter  et  devote 
commendat:  orans  ignoscere  sibi  dignetur,  si  durior  ei  visus 
est  ad  eandem  hactenus  possessionem  tradendam  ;  non  con- 
tumacia id  actum  esse,  sed  ex  tali  causa  que,  cura  nota  erit 
Vestre  Sanctitati,  non  dubitat,  prò  sua  equitate  et  clementia, 
quin  probetur  ab  ea  ,  et  eundem  excusatum  habebit,  et  obse- 
.quentissimum  filium  eiusdem  Beatitudinis  existimabit.  Pater 
Beatissime,  ut  semper  scripsi  Beatudini  Vestre, 
nisi  adversa  Principis  valitudo.  Quod  ab  experimento 

ut        primum  pò  fieri  verbum  Excellentie  sue 

illieo  est  mandatum  tradì  possessionem.  Egi  beri  gratias  pre- 
fate Excellentie  nomine  Vestre  Sanctitatis  et  ipsius  domini 
Hieronimi.  Que  et  ipsa  letata  est  plurimum,  ob  letitiam  Vestre 
Beatitudinis ,  cui  se  offert  ad  quecunque  eidem  accepta  et 
grata ,  ostendens  nil  magis  cupere ,  quam  ille  in  cunctis  que 
potest  morem  gerere  ;  eique  plurimum  se  commendai  Inter- 
rogava nunquid  novi  haberem  a  Vestra  Sanctitate.  Respondi: 
nihil  quod  sibi  esset  incognitum  ;  scire  Excellentiam  suam 
niliil  magis  a  Vestra  Beatitudine  desiderari  et  expectari,  quam 
firmam  ipsius  valitudinem  ;  que  certe  quotidie  procedit  in 
melius.  Iacet  tamen  in  lecto ,  sed  vox  valida  est  et  clara, 
vivax  oculus  et  leta  facies  ;  attamen  non  satis  adirne  firme 
nianus ,  sed  extra  periculum  esse  omnes  credimi  Ita  conce- 
dat  Deus.  Iussit  sepe  se  adeam  ,  quem  libenter  et  videbit 
et  honorabit  ob  reverentiam  Vestre  Sanctitatis.  Ita  dixi  me 
acturum  ,  et  ab  eo  discessi ,  cum  iam  introissent  in  cubicu- 
lum  Senatores  ad  consilium  vocati.  Oratoribus  datus  ad  eum 
aditus  heri  non  fuerat,  quamvis  petitus. 

Me  Vestre  Sanctitati  commendo ,  que  feliciter  valeat. 

Mediolani ,  die  x  februarii  mcccclxXxviii. 
Vestre  Sanctitatis 

Servus  ìiumilis 
IACOBUS    DE  VULTERRIS. 
Sanvtissimo  Domino  nostro  Pape. 


12  LETTERE   DI    IACOPO    DA    VOLTERRA 


VI. 


Beatissime  Pater,  post  pedum  osculum  beatorum.  Post  redi- 
tum  meum  de  Cremona,  qui  fuit  penultimo  februarii,  cimi  que- 
rerem  aditum  ad  Principem  ,  responsum  est  mihi ,  fuisse  iam 
ordinatimi  riullum  Oratorem  clebere  ad  se  ire  ante  diem  domi- 
nicum,  qui  nudius  tertius  fuit,  secundus  videlicet huius  men- 
sis.  Eo  autem  die,  cum  statuta  hora  ivissem  in  arcem,  inveni 
Oratores  federis  vocatos,  in  anticubiculo  expectantes.  Adliesi 
illis,  et  illieo  vocati  omnes,  ingressi  sumus  in  cubiculum  Princi- 
pis ,  confuse  et  ordine  non  servato;  quum ,  ante  eam  lioram,  cum 
eis  non  conveneram,  et  Princeps,  ut  opinor,  de  me  nihil  dixe- 
rat  eis.  Sed  cum  illi  in  sedendo  digniorem  locum  occupassent, 
vocato  ad  me  Chalco  ,  dixi  ad  aurem  quod  ,  nisi  daretur  mihi 
locus  conveniens,  intendebam  statim  recedere:  proinclfi  signi- 
ficaret  id  Principi.  Non  fuerat  adirne  verbum  aliquod  dictum  a 
quoquam ,  et  continue  ingrediebantur  Senatores  Senati ,  ipsi 
etiam  vocati.  Interim  Chalcus  ,  communicata  re  cum  domino 
Galeazio,  qui  non  recedit  a  latere  Principis,  illi  adlierens 
sub  alio  pretextu ,  que  lamentabar ,  Excellentie  sue  significa- 
vit.  Que,  statim  ad  me  conversa,  rogavitut  paululum  sece- 
derem.  Quo  facto ,  dixit  Oratoribus ,  me  esse  Apostolicum 
nuntium  ,  curantem  negocia  Ponti  fi  eis  ,  quem  ,  prò  devotione, 
que  debetur  Sancte  Sedi  et  quam  ipsa  habet  ad  Sanctitatem 
Vestram  ,  intendebat  honorare.  Quid  illi  responderint ,  ignoro; 
sed  ego  illieo  sum  vocatus  et  in  loco  digniori  constitutus. 
Iam  comparuerant  ultra  xx  Senatores  et  cetus  non  parvus 
procerum.  Princeps  indutus  et  extra  cubile ,  sedens ,  ad 
omnes  conversus .,  vultu  hilari  et  voce  iam  valida  et  firma, 
interroga vit ,  num  diceretur  aliquid  novi.  Leta  quedam  a 
magis  familiaribus ,  cum  risii  et  iocunditate,  dieta  et  ac- 
cepta  sunt  ;  inde  ex  diversis  ventimi  est  in  mentionem  Ma- 
ximiliani,  quem  Brugie  detentum,  mercatorum  littere ,  nuper 
aliate  vulgo  nuntiaverant.  Dicebatur ,  parimi  admodum  in- 
terdisse inter  detentionem  ipsius  et  honorem  per  Vestram 
Sanctitatem  legatis  suis  exhibitum;  ita  iocari  quandoque  for- 
iunam.  Iterum  reditum  est  ad  facetias  et  iocos.  Supervenit 
interea  Orator  Venetus ,  etiam  ipse  ad  eam  congregationem 


A    PAPA    [NNOCENZIO   Vili  13 

vocatus.  Sermo  fuit  varius  et  urbanus  ,  ac  quodamraodo  que- 
dam  general is  visitatio.  Quod  iatelligo  frequenter  ab  hoc 
Principe  factitari,  et  valente  et  egro  ,  ut  videatur  et  referatur 
in  vulgus;  in  quo,  ut  alibi  etiam,  non  desunt  susurratores, 
nova  semper  facilibus  plebis  auribus  instillantes.  Ego,  qui 
eram  ad  dexteram  et  selle  sue  proximus  ,  pluries  ei  loquu- 
tus  sum  :  reddidiq'ue  sibi  breve  actionis  gratiarum,  prò  tra- 
dita possessione  Aronensis  monasterii:  dixique  in  eam  rem, 
que  visa  sunt  convenire  dignitati  Sanctitatis  Yestre  ;  decla- 
rans  sibi  tantum  esse  satisfactum  opinioni  et  expectationi 
einsdem,  quantum  ab  ea  desiderari  unquam  potest.  Gratis- 
sima  ei  fuit  talis  coramemoratio:  nec  minus  grata  gratia  visi- 
tationis  Sepulcri  Dominici,  in  personam  illius  religiosi,  cuius 
breve  etiam  tane  tradirli  Excellentie  Sue,  que  certe  satiari 
non  poterat  actione  gratiarum.  Dixit  mandaturum  se  nomini 
illi,  ut  non  minorem  curam  liabeat,  dum  erit  in  illis  locis 
sanctissimis,  in  commendanda  Deo  salute  Vestre  Beatitudinis, 
quam  voti  sui  solutione  implenda.  Respondi  :  et  prudenter  et 
amanter  fieri  ab  Excellentia  Sua.  Non  poterat  esse  apud  al- 
terutrum  cura  salutis ,  que  non  esset  etiam  Status.  Sed  post 
spatium  unius  circiter  hore  cura  dimidia,  dissoluta  est  con- 
gregatio;  et  ego  quasi  inter  primos  abii.  Quod  autpm  monet 
Sanctitas  Vestra,  me  taliter  habeam  ne  quid  suspitiunis  in 
animo  cuiusquam  insideat,  id  curabo  quam  poterò  diligenter. 
Si  Beatitudo  Vestra  habet  aliquid  quod  signanter  cavere 
debeam  ,  idque  verisimiliter  cognitum  mihi  esse  non  debeat, 
dignetur  mihi  illud  significare.  Ego ,  quantum  iudicio  et  con- 
iectura  assequi  poterò,  conabor  non  clecipi  ;  sed  super 
omnia  per  viam  sinceritatis  et  veritatis  ambulabo.  Hiis  vero 
Oratoribus ,  si  quando  cura  eis  convenero ,  ostendam  nil 
minus  ad  me  pertinere,  quam  negocia  status;  iamque  ipsi 
sciunt  plura  quotidie  negocia  incidere  ad  Vestram  Sancti- 
tatem  pertinentia.  Quod  valde  probabitur,  si  decimarum 
negocium  aggrediemur ;  super  quo,  ut  pluries  scripsi,  sunt 
expediende  oportune  littere  et  mittende.  Felix  sit  Sanctitas 
Vestra ,  cui   humiliter  me  commendo.  Mediolani ,  in  Martii , 

MCCCCLXXXVIII. 

V.  Beatitudinis 

Servus  liumillimus 
IACOBUS  DE  VDLTERRIS. 


14  LETTERE.  DI   IACOPO    DA    VOLTERRA 


VII. 


Beatissime  pater,  postpedum  osculumbeatorum.Perhosdies, 
etpropter  ingentem  pluviam  et  propter  adventum  Ducis  Ferra- 
rie  et  novi  oratoris  Venetorum,  non  fuit  tempus  idoneum  loqui 
cura  principe  Ludovico  de  rebus  alicuius  momenti.  Sed  heri,  que 
fuit  dies  lune  sancta,  accessi  ad  eum.  Nuntiavi  Excellentie 
sue  decimarum  bullam  ad  me  missam,  ut  ex  brevi,  quod  illi 
reddidi,  videre  poterat.  Cupiebam  cum  gratia  et  permissione 
sua  publicare  illam  ,  peractis  sanctis  et  celebribus  hiis  die- 
bus.  Lecto  brevi,  dixit  id  esse  in  potestate  mea,  ob  reveren- 
tiam  quam  habet  ad  Sanctitatem  Vestrarn  et  sanctam  Ro- 
manam  Ecclesiam.  Egi  ei  gratias  ,  nomine  Vestre  Sanctitatis, 
ostendens  liane  esse  flrmam  eius  fidem  de  Excellentia  sua. 
Rogavi  autem  illam  ,  daret  mihi  aliquem  ,  quocum  possem 
conferre  que  circa  eam  rem  qnotidie  accidere  possunt;  preci- 
pue, cum  absens  ab  hac  civitate  futura  esset,  ne  propter 
queque  minima  esset  mihi  opus  illam  adire.  Adverteret  quo- 
que ,  quod  si  qui  ab  ea  peterent  deputari  exactores,  nollet 
credere  omni  spiritui.  Nam ,  intelligens  ego  fraudes  multas 
commissas  in  exactiune  ultimi  subsidii,  statuebam,  cum  adiu- 
torio  Dei  in  primis,  et  grafia  illustrissime dominationis  sue, 
illas  omnes  ,  prò  posse  meo,  evitare.  Et  quemadmodum  ego 
proponebam  habere  manus  mundas  ,  ita  cupiebam  alios  nlei 
non  esse  dissimiles.  Commendavit  hoc  meum  institutum,  tam- 
quam  conveniens  bono  nomini  Beatitudinis  Vestre  et  volun- 
tati  sue  multimi  conforme.  Et  ita  se  acturum  promittens  , 
dedit  mihi  hominem  quempetebam,  virum  integritate  et  mo- 
destia precipuum,  dominum  Bartholomeum  Chalcum  prima- 
rium  ducalem  secretarium.  Proinde,  cum  benedictione  Sancti- 
tatis Vestre,  post  celebritatem  pascalem  ,  bullam  publicabo 
simplicis  decime  ut  est.  Nec  est  augenda  summa  aliquo  modo, 
quandoquidem  intonuit  a  Vestra  Curia  sonus  eius,  et  introi- 
vit  in  aures  omnium.  Nec,  absque  maximo  scandalo,  posset 
alterari  forma  rei  iam  vulgate  ut  dico.  Pecunie  summa,  etsi 
non  est  magna,  tamen  contemnenda  non  est,  si  exigetur 
cum  diligentia  et  fide,  ut  spero  fiet,  Domino  adiuvante.  Sum 
deinde  loquutus  de  preposito  Sancti  Abundii ,   qui  prò  electo 


A    PAPA    INNOCENZIO    Vili  15 

in  generalem  Humiliatorum  se  gerit,  accurate  advertens , 
esset  ne  confirmatio  eius  sibi  cordi,  an  non.  Ad  summam  vidi 
alias  sibi  fuisse  et  cordi  et  cure ,  nunc  rem  non  magni 
tacere;  quin  imo  permittere  totum  id  negocium  voluntati  et 
decreto  Beatitudinis  Vestre.  Dixit  nihilominus  providisse  se 
tunc  ut  in  electione  huius  nulla  fraus  intervenerit,  et  ut 
mos  religionis  servaretur;  quod  credebat  fuisse  servatum. 
Ad  que  verba  non  potui  me  continere ,  quin  dicerem  ,  credere 
me  Excellentiam  Suam  bene  omnia  instituisse  quantum  ad  se; 
sed  tamen  negari  non  posse,  quin  hic  in  excomunicatione 
fuisset  electus  ,  propter  quam  veniebant  omnia  infringenda. 
Replicavit  ut  supra  ;  dicens  insuper  esse  nunc  tales  dies 
quibus  etiam  si  fuisset  alterius  desiderii,  deberet  nunc  mu- 
tare sententiam  ;  quum,  non  actionum  modo  sed  cogitationum 
quoque,  omnipotenti  Deo  reddenda  ratio  esset  Respondi  bre- 
viter  Eccellentiam  Suam,  prò  suo  more  pio,  religiose  loqui, 
prò  quo  ab  eodem  Deo  expectanda  esset  cumulata  merces. 
Monuit  me  ne  vuigarem  quod  mecum  erat  loquuta ,  quam- 
"vis  presente  domino  Galeazio  fuit  omnis  noster  sermo;  qui 
raro  ab  eo  recedit,  debilium  et  infirmarli  m  adirne  manuum 
officio  fungens.  Hec  autem  monitio ,  iudicio  meo,  signum 
evidens  est  eam  rem  parimi  sibi  nunc  esse  cordi.  Videat  et 
agat  nunc  Sanctitas  Vestra,  quid  ei  videtur.  Recitaveram 
prius  eidem  Excellentie  verba  illius  brevis  ad  me  ,  quo  age- 
bantur  sibi  gratie  quod,  in  dando  mila  loco  convenienti,  do- 
minalo sua  illustrissima  rationem  habuerat  honoris  Sancti- 
tatis  Vestre.  Ea  verba ,  quia  gravia  erant  et  magna  charitate 
et  benignitate  referta ,  multum  ei  placuerunt.  Recedet  Excel- 
lentia  Sua  hodie ,  tridui  navigatone,  Viglevanum  petiturus. 
Hoc  mane  preierunt  Duces  Mediolanensis  et  Ferrariensis  pa- 
rare vias  eius ,  ibidem  Pasca  celebraturi.  Cardinalis  beri  ad 
cenobium  Clarevalli  se  contulit ,  bos  sanctos  dies  ibi  man- 
surus.  Secundo  die  Pasce  Viglevanum  et  ipse  petet  ;  quem 
heri  mane  visitavi;  et  se  humiliter  Sanctitati  Vestre  com- 
mendai Credunt  dominationpm  suam,  ineunte  maio,  Bono- 
niam  versus  ituram.  Dominatio  Sua  Reverendissima  et  sui 
videntur  teneri  maximo  desiderio  releundi  in  Rumanam  ve- 
stram  Curiam  ,  quam  semper  suspirant. 

Visitavi  post  introitum,  quem  cum  aliis  oratoribus  hono- 
ravi ,  Ducem  Ferrane  ;  qui  vidit  me  libentissime  ob  reveren- 


16  LETTERE    DI   IACOPO   DA   VOLTERRA 

tiam  Sanctitatis  Vestre,  cui  fatetur  se  debere  omnia.  Adven- 
tum  eius  nonnnlli  varie  interpretrantur  ;  sed  quod  preten- 
ditur  est  visitatio  generi  egrotantis ,  et  aucupium,  quod  apud 
Viglevanum,  ad  quoddam  avium  genus,  dicunt  esse  preci- 
puum.  Ego  odorare  nihil  possimi  interius;  hic  etiam  Orator 
Venetus  tam  levera  causata  vix  credere  potest. 

Dominus  Simonettus  legatus  regius  palara  dicit,  Regem 
suum  ostendisse  Oratoribus  JHispanis,  eorum  Reg.es  et  hos 
potentatus  non  teneri  ad  expromissionem  census.  Mini  quo- 
que inter  equitandum  idem  suadere  conatur.  Respondeo 
subridens  ,  me  Ime  non  venisse  ad  disputandum ,  sed  scire 
consuevisse  eos  quandoque  asserere  non  tam  que  sunt  in 
ventate  quam  que  multum  desiderant.  Bene  facient,  et  ex 
dignitate  regia  purgare  vestem  hac  macula  que ,  ceteras 
vestes  primum,  inde  universum  corpus  est  infectura.  Ego  hac 
de  re  ,  cum  nihil  novi  a  vobis  haberem ,  hoc  ultimo  colloquio 
cum  Barense  ,  verbum  non  feci.  Expectabo  quid  me  agere 
iubeat  ^Sanctitas  Vestra  ,  cuius  sanctissimis  pedibus  humiliter 
me  commendo,  et  que  feliciter  valeat.  Mediolani,  primo  Apri- 

1ÌS   MCCCCLXXXVin. 

Si  videpr  nimis  tardasse  in  respondendo  de  negocio  ge- 
neralis  Humiliatorum  ,  sciat  Sanctitas  Vestra,  mihi  redditum 
fuisse  breve,  datimi  die  v  martii,  ad  sextam  et  vigesimam 
diem  eiusdem ,  solimi  .  et  absque  alicuius  alterius  literis  : 
de  quo  ego  etiam  fui  aliquantulum  admiratus.  Tarditatis  eius 
causam  ignoro. 

Bealiiudìnis  Vestre 

Servus  humillimtìs 

Iacobus  De  Vulterris. 

Sanclissimo  Domino  Nostro  Pape. 


Vili. 

Beatissime  pater,  post  pedum  osculimi  beatorum.  Scripsi 
Sanctitati  Vestre  superioribus  diebus,  non  dici  nec  scribi  posse 
quam  moleste  ferrenthic  illustrissimus  Princeps  et  Status  pre- 
sentem  novitatein  Forliviensem.  Qui,  non  modo  cupiunt  filios 
et  uxorem  defuncti  comitis  Hieronymi  in  libertatem  vindicari, 


A    PAPA    1NN00ENZI0    Vili  17 

si^d  eos  quoque  in  toto  dominio  paterno  omnino  succedere.  Quod 
quidem  omnibus  modis  et  viis  sunt  operaturi ,  etiam  adversus 
omnes  qui  in  contrari  uni  conarentur.  Huiusmodi  autem  eorum 
desiderii  et  studii  Sanctitatem  Vestram  adiutricem  sibi  fore 
et  credunt  et  prò  certo  existimant;  tamen,  prò  eorum  erga 
eandem  Beatitudinem  perpetua  devotione  et  reverentia,  quam 
sua  erga  eosdem  benivolentia  et  afFectione ,  quippe  qui  hos 
omnes  illastrissimos  Dominos  paterna  charitate  semper  sit 
prosequuta.  Et  quamvis  ,  ut  ad  eam  tunc  scripsi,  allatum  huc 
esset ,  quemdam  dominum  Azonem  Cesenatem,  in  illam  urbem 
ingressum  ,  Ecclesie  nomen  invocasse,  ut  eiusdem  Ecclesie 
partes  in  illa  excitaret;  tamen  id  totum  existimant  actum 
fuisse  ,  Vestra  Sanctitate  penitus  ignorante;  quam,  ut  omnes 
quietis  et  pacis  cupidam  noscunt,  ita  ab  omni  novitate  et 
tumulti!  alienam  esse  et  fuisse  prò  comperto  arbitrantur.  Quod 
autem  tunc  scripsi ,  relatione  ducalis  Secretarli  Mediolani 
existens,  id  nunc  Vigevani ,  facie  ad  faciem,  ex  ore  Principum 
intellexi. 

Ab  bis  beri  vocatus  huc  veni ,  amanter  et  honoriflce  ob 
reverenti  ani  Vestre  Sanctitatis  exceptus  et  hospitatus.  Nam 
paulo  post  adventum  meum ,  ad  eosdem  Principes  cum  ho- 
nore  deductus ,  inveni  eos  in  maximo  nobilium  et  procerum 
cetu  sermocinantes.  Cardinalis  reverendissimus  et  Dux  Fer- 
rarle medii  erant  inter  Duces  Mediolanensem  et  Barensem;  in 
quorum  conspectu  mihi  soli  locus  est  datus.  Tum  Barensis  , 
missis  qui  circumstabant,  versus  ad  Cardinalem,  qui  primum 
locum  tenebat,  rogavit  euin  ut  prò  omnibus  loqueretur.  Qui 
cum  modeste,  ut  consuevit,  onus  aliquantulum  recusasset,  tan- 
dem super  eadem  re  Forliviense ,  ita  prudenter  et  graviter 
est  loquutus  ,  ut  facili  conceptum  dolorem  et  animi  molestiam 

indicaret;  quam  et  sanguis  sibi   revelaverat,   et   nihilo- 

minus  dignitatem  sui  mi  dimitteret.  Ita  vero  reverenter 

de  Beatitudine  Vestra  et  Sancta  Sede  sua  verba  fecit,  ut 
palam  ....  et  dilucide  ostenderet  quod  ,  absque  dubio ,  omnes 
credunt  eandem  non  modo  facinoris  consciam  sed  totius  ne- 
gocii  omnino  ignaram  fuisse;  innocentiam  eiusdem, argumentis 
evidentissimis  et  rationibus  plurimis,  comprobans.  Inter  cetera 
commemoravit  eam  novitatem,  que,  superiore  anno,  in  arce 
eiusdem  civitatisPorliviensis  acciderat,  Sanctitati  Vestre, usque 
Arch.  St.  Itvl.  ,  3.a  Serie,  T.  X  ,  ?  II.  3 


18  LETTERE    DI    IACOPO    DA    VOLTERRA 

ad  eam  horam  in  qua  illam  sibi   significavit ,   penitus  fuisse 

incognitam.  Quod  eiusdem  innocentie  argumentura  maximum 
extitisset.  Recensebat  etiam  eandem  Vestram  Beatitudinem  plu- 
ries  secum  conquestam,  quod  Comes  ipse  quandoque  cum  suis 
durius  se  haberet;  lume  vero  Azonem  credere  se  prò  certo  non 
iussum  ;  sed  ,  levitate  quadam  et  sponte  sua  motum ,  nomen 
Ecclesie  invocasse  ;  quem  credebat  multum  eidem  Vestre 
Sanctitati  displicuisse,  et  de  eo  penam  aliquando  sumpturam. 
Plura  de  facili  natura  et  mitissimis  moribus  suis  recensuit, 
nonnulla  pietatis  et  clementie  sue  exempla  in  medium  afferens. 
Sed  ante  omnia,  alienum  valde  fuisse  a  prudentia  sanctissimi 
et  sapientissimi  Pontificis  novos  nunc  motus  excitare ,  quibus 
necesse  esset  et  se  ipsam  et  reliquam  Italiani  illis  involvi. 
Non  membrum  aliquod  infinnum  esse  posse  quando  etiam 
reliquum  corporis  pateretur.  Omnia  hec  et  multa  alia,  non 
minus  graviter  quam  reverenter,  a  Cardinale  dieta,  Principes 
ipsi  summo  assensu  comprobarunt.  Isque  et  ceteri  petierunt 
a  me  ut  quemadmodum  ipsi  ad  eam  iam  scripserant  et  per 
ducalem  Oratorem  supplicari  fecerant,  ego  quoque  ab  ea  hu- 
militer  peterem  ;  ut  contra  eos  qui  cedem  patraverant  et 
tumultum  in  ea  urbe  excitaverant ,  taliter  procedere  digna- 
retur,  ut  omnibus  innocentia  Sanctitatis  Vestre  innotesceret. 
Et  non  solum  cognoscerent  omnes  illam  novitatis  expertem  , 
sed  ab  omni  eiusdem  suspitione  vacuam  et  immunem  fuisse. 
Id  ego,  tam  prò  debito  offlcii  mei ,  quam  ut  talibus  principi- 
bus  morem  gererem ,  recepì  me  esse  facturum.  Quod  quidem 
libenter  ago  bis  litteris ,  humiliter  supplicans  Beatitudini 
Vestre ,  ut  buie  Statui ,  a  quo  plurimum  res  nostre  pendent , 
et  hac  in  re  et  ceteris,  ubi  cum  dignitate  sua  id  facere  possit, 
piacere  maxime  studeat. 

Post  hoc  colloquium  reverendissimus  dominus  Cardinalis 
me  vocavit  et,  prò  observantia  qua  Sanctitatem  Vestram  ut 
eius  devotissimus  servitor  prosequitur,  dixit ,  seorsum  ab 
illis  Principibus,  velie  mecum  ea  dicere,  que,  prò  suo  erga  Sancti- 
tatem Vestram  officio  et  observantia,  tacere  non  debet.  Nani, 
etsi  ipse  et  ini  illustrissimi  Principes  satis  sibi  persuadent, 
que  faeta  fuerunt  Forlivii  a  conjuratis,  ea  nullo  modo  ad  Sancti- 
tatem Vestram  pertinere,  que  innocentissima  sit  earum  rerum 
omnium;   magni  tamen  referre  significavit,    ut  etiam  ceteri 


A    PAPA    INNOCBNZIO    Vili  10 

hoc  credant  qui  cura  sciant....  urbem  ingressum  eum  Azonem 

Cesenatem ,  et  id  se  ex  in  one  nominis    vestri  ostendat 

iussis  et  voluntate  Sanctitatis  Vestre  facere;  non  poterittamen 
hoc  unquam  refutari,  nisi  Sanctitas  Vestra,  non  modo  susce- 
perit  hanc  causam  uxoris  et  filiortim  comitis  Hieronimi  in 
paterno  dominio  restituendo,  atque  in  eos  qui  facinus  perpe- 
trarunt  graviter  animadverterit  ;  sed  etiam  eos  castigaverit 
qui  nomen  vestrum,  ad  adiuvandam  hanc  sceleratam  causam 
invocare  ausi  sint.  Quo  facto ,  non  solum  consuletur  inno- 
centie  Sanctitatis  Vestre  ut  in  eam  nullus  dicere  possit,  verum 
etiam  hoc  ipsa  Sanctitas  Vestra  assequetur,  quod  hos  illu- 
strissimos  Principes  sibi  ita  devincet,  ut  alia  ne  magis  spe- 
rare possit.  Ait:  videre  liane  occasionem  celitus  ei  oblatam 
ad  promerendum  huius  Status  erga  se  obsequium  et  benevo- 
lentiam,hoc  tempore  quo  nihil  est  ipso  magis  optandum,  preter 
Ferdinandi  Regis  causam ,  in  qua  videbitur  posse  jure  suo 
exigere  horum  Principum  opera,  etiam  extra  capitulorum  obli- 
gationem  ;  quando  ipsa,  castigatis  auctoribus  huius  sceleris , 
sine  ulla  precipua  obligatione  ,  dicere  eis  poterit ,  non  debere 
ipsos  minus  promptos  in  casibus  vestris  esse  quam  Vestra 
Sanctitas  in  ipsorum  rebus  se  prestiterit.  Hec  multaque  alia 
in  hanc  sententiam  reverendissimus  dominus  Cardinalis  mibi 
commemoravit,  ut  declararent  necesse  esse,  si  Sanctitas  Vestra 
et  occasionem  accipere  quam  ei  tempora  offerunt  et  consulere 
nomini  suo  atque  Italie  quieti  velit ,  ipsam  aniraura  arden- 
tissimum  ad  reintegrandos  tilios  comitis  Hieronimi  cura  matre 
in  patris  statu  ostendere.  Meque  rogavit  ut  hec,  suo  nomine  , 
Sanctitati  Vestre  scriberem,  earaque  rogarem  ut  prò  sapientie 
sue  magnitudine  ,  rem  hanc  considerare  et  ad  omnia  respicere 
dignaretur. 

Commendo  me  humiliter  Sanctitati  Vestre ,  cui  propria 
verba  scribo,  que  idem  Cardinalis  ad  partem  mini  injunxit. 
Et  feliciter  valeat. 

Vigeveni ,  xxi  aprilis  1488. 
V.  Beatituclinis 


Humillimus  servus 

Iacobus  de  Vdlterris. 


Sanctissimo  Domino  Nostro  Pape. 


L  IMPORTANZA  DI  ADRIA  ANI ICA 

LA    VENETA. 

DIMOSTRATA  DALLE  FIGULINE  DEL  MUSEO  BOCCHI 

e 

dalle  condizioni  marittime  e  commerciali  di  essa 
fino  alla  perdita  totale  del  porto  che  n'ebbe  il  nome 


Dissertazione 


I. 


Abbastanza  nota  al  mondo  scientifico ,  ma  non  quanto 
per  avventura  meriterebbe  di  esserlo ,  attesa  l' impor- 
tanza storico-artistica  di  non  pochi  de' suoi  monumenti, 
è  la  mia  raccolta  d'antichità ,  tutte  scoperte  nei  dintorni 
di  Adria  veneta ,  e  che  porta  il  nome  di  Museo    Rocchi. 

Qui  si  parla  specialmente  della  figulina  ,  che  ne  forma 
la  parte  più  copiosa  ed  interessante,  come  quella  da  cui 
riceve  lume  l'argomento,  quanto  lusinghiero  altrettanto 
avviluppato  e  controverso,  delle  origini  dell'italica  civiltà. 

La  celebrità  di  Adria  veneta  nell'era  anteromana ,  la 
vetusta  costante  tradizione  ch'abbia  dato  al  nostro  mare 
il  suo  nome,  non  ignoravano  ne'  passati  secoli  smanco  i 
meno  versati  negli  studi  severi.  Sapevasi  dei  cospicui  mo- 
numenti apparsi  in  essa  ad  attestarne  la  prisca  grandez- 
za. Ma,  come  il  teatro  scoperto  nel  milleseicentosessan- 
tuno,  così  altri  edificii  erano  stati  distrutti  ;  su  bellissimi 
musaici  s'avea  fatto  passare  bàrbaramente  l'aratro  ;  altri 
capi  d'arte  ,  specialmente  idoli  e  vasi ,  erano  stati  altrove 
trasportati  ;  e  nessuno ,  sin  sullo  scorcio  dei  secolo   de- 


L'  IMPORTANZA   DI    ADRIA   ANTICA  21 

corso,  aveva  efficacemente  pensato  alla  fondazione  d'un 
patrio  museo.  Di  che  poteva  mettersi  in  dubbio  l'antico 
stato  di  Adria  da  severa  critica,  giovata  dalle  contrad- 
dizioni nei  passi  degli  antichi  scrittori ,  come  ci  vennero 
tramandati ,  e  dalla  confusione  non  infrequente  dell'Adria 
Veneta  colla  Picena. 

Ottavio  Bocchi ,  lo  stesso  che  sul  disegno  dell'antico 
teatro  elaborava  un'erudita  dissertazione  (1),  poneva 
mano  bensì  ad  una  storia  di  Adria  e  ad  una  collezione 
antiquaria  ;  ma  all'  immatura  sua  morte  accaduta  nel 
millesettecentoquarantanove  (2) ,  il  materiale  raccozzato 
da  lui  andava  smarrito ,  tranne  pochi  manoscritti  che 
passati  in  proprietà  di  Francesco  Girolamo  Bocchi  nipote 
d'esso  Ottavio  e  mio  avo ,  si  conservano  nel  mio  museo. 

E  quel  Francesco  Girolamo  fu  appunto  il  primo  che  in- 
carnò il  desiderato  disegno  d'un  patrio  museo  (3).  Con  vera 
passione  e  rara  costanza ,  mille  ostacoli  superando  (4) , 
spese  gran  parte  delle  scarse  sue  rendite  in   iscavi  brevi 


(1)  Ebbe  due  edizioni  a  me  note,  l'una  a  Venezia  per  Simone  Occhi  4739 : 
l'altra  inserita  negli  opuscoli  dell'Accademia  di  Cortona. 

(2)  In  Venezia  ,  contando  cinquantadue  anni  ,  come  nato  nel  milleseicento 
novantasette. 

(3)  Raccolse  anche  molti  materiali  per  una  storia  di  Adria,  che  compì  nella 
parte  antica  ,  rimasta  inedita.  Poco  prima  del  4810  pareva  che  il  governo  no 
volesse  assumere  la  pubblicazione;  ma  la  morte  dell'autore  accaduta  in  quel 
l'anno  ,  e  ìe  politiche  mutazioni  poco  dopo  avvenute  ,  fecero  dimenticare  il 
progetto.  Materiali  continuò  a  raccogliere  Stefano  Bocchi  fratello,  e  Benvenuto 
figlio  di  Francesco  Girolamo,  e  più  io,  che  formatane  una  ben  copiosa  sup- 
pellettile n'ho  impreso  ampia  storia  documentata  delle  regioni  site  tra  il  Po 
e  TAdige  ,  oggidì  con  solo  nome  amministrativo  addimandale  Polesine  ,  con- 
dotta innanzi  sino  al  secolo  decimosesto.  La  parte  antica  elaborata  dall'avo, 
attese  le  ulteriori  scoperte  ed  i  progressi  della  critica,  dovetti  rifondere  , 
aumentare    pressoché  interamente  rifare. 

(4)  L'acqua  che  scaturisce  a  poca  profondità,  l'imperizia  degli  scavatori  , 
le  strettezze  economiche  specialmente  ne'  torbidi  tempi  succeduti  al  novantasei, 
la  facilità  delle  sottrazioni ,  il  poco  favore  per  parte  de'concittadini  e  persino 
lo  scherno;  quindi  allorché  si  vide  che  fra' dotti  italiani  e  stranieri,  egli  se  ne 
acquistava  una  fama,  l'invidia  e  la  concorrenza  d'alcuni,  che  s'accinsero  ad 
altri  scavi  parziali,  e  formarono  altre  piccole  raccolte  ,  di  cui  poco  o  nulla 
sopravanza. 


d2  L    IMPORTANZA    DI    ADRIA    ANTICA 

e  ristretti  bensì ,  ma  tali  che  gli  permisero  formare  la 
raccolta,  accresciuta  poi  da  suo  figlio  Benvenuto  e  da  me. 

A  varie  profondità  degli  strati  alluvionali ,  di  cui 
parleremo  nella  seconda  parte  ,  fra  il  terreno  palustre  , 
talvolta  fra  le  sabbie  marine  ,  s' incontrano  gli  antichi 
ruderi.  Per  un  raggio  di  varie  miglia  tutt'  intorno  della 
moderna  città ,  non  si  scoprono  che  avanzi  spettanti 
all'epoca  del  romano  dominio  ,  cominciato  a  queste  parti 
intorno  a  cento  settantacinque  anni  avanti  Gesù  Cristo  , 
profondi  sin  circa  tre  metri  ;  ma  ad  ostro  di  essa ,  sta- 
bilendo come  centro  la  chiesa  della  Tomba,  per  un  rag- 
gio di  forse  un  chilometro  nella  campagna ,  al  di  sotto 
de'copiosi  ruderi  romani ,  e  sino  ad  altri  sette  metri  di 
profondità  ,  si  rinvenne  gran  quantità  di  figuline  dipinte 
e  graffite ,  che  appartengono  a  tempi  ben  anteriori  al 
romano  dominio ,  e  s'addomandano  comunemente  etru- 
sche  :  queste  pure  tra  macerie  di  fabbriche  in  muro  tra 
pavimenti  di  cotto  e  di  marmo  ,  e  spesso  altresì  tra  pan- 
coni e  travi  trasversali  e  verticali ,  che  accennano  ad 
antichi  editìcii  in  legno  (1). 

Unica  alla  sinistra  del  Po  offre  Adria  veneta  tal  ge- 
nere d'anticaglie,  eccettuata  solo  Gavello  ,  già  città  ,  ora 
villaggio  a  circa  dieci  chilometri  a  ponente  di  Adria,  e 
che  fu  probabilmente  un  sobborgo  di  questa,  ove  pure  si 
rinvennero  frammenti  di  vasi  dipinti  (2).  Il  trovarli  quasi 
sempre  rotti  e  scomposti ,  e  sovente  le  parti  d'un  mede- 
simo vaso  assai  disgiunte  di  spazio  l'una  dall'altra,  in- 
dica che  furono  travolti  e  sepolti  in  momenti  di  violenti 
disastri ,  mentre  invece  della  figulina  romana  moltissimi 

{])  Anche  Roma  antica  abbondava  di  fabbriche  in  legno,  e  a  delta  di  Stra- 
bene Maxima  Ravenna  era  ,  a  tempi  di  lui ,  toU  tigncis  coni-patta  edificiis.  De 
situ  orbis  ,  Lib.  V. 

(2)  Leggo  nel  Bullctlìno  dell' Istituto  di  Corrispondenza  Archeologica,  N.  VI  , 
Giugno  1869,  pag.  138  ,  che  qualche  vaso  verniciato  e  figurato  siasi  trovato 
recentemente  a  Mantova  ,  città  indubitatamente  etnisca  ;  ma  per  una  vaga 
descrizione  di  pochissimi  capi ,  non  peranco  illustrali,  non  credo  di  dover 
modificare  il  mio  asserto. 


L'  IMPORTANZA    DI    ADRIA    ANTICA  23 

capi  si  scopersero  intatti.  Tranne  rare  eccezioni  e  da 
non  tenersene  conto  ,  le  antichità  etnische  non  si  trova- 
rono mai  al  medesimo  livello  delle  romane  ;  i  due  generi 
non  sono  commisti  giammai.  Dunque  gli  abitatori  di 
Adria ,  ne'  tempi  romani ,  ignoravano  star  sepolte  sotto 
i  loro  piedi  quelle  preziose  reliquie  (1). 

Le  figuline  dipinte  che  in  numero  di  circa  cinquanta 
vasi  interi  o  quasi,  e  di  parecchie  centinaia  di  fram- 
menti osservabili ,  oltre  grandissimo  numero  di  frammenti 
meno  osservabili,  si  contano  nel  mio  museo,  vanno 
distinte  in  due  principali  classi  :  la  prima  su  fondo  giallo 
o  rossiccio  ha  figure  o  nere  affatto,  o  nere  con  linee 
graffite,  e  qualche  volta  con  tratti  di  color  bianco  e 
rosso-scuro:  la  seconda  all'inverso  sul  fondo  nero  ha 
le  figure  gialle  o  rossiccie  ,  intersecate  di  linee  pur  nere. 
Finissima  e  leggera  la  creta  ,  lucentissima  la  vernice 
da  parer  opera  di  pochi  giorni ,  e  con  tutta  diligenza 
conservata ,  quella  che  giacque  sepolta  nel  fango  non 
meno  di  ventidue  secoli.  La  vernice  de'vasi  romani , 
meno-  antichi  d'assai ,  non  è  né  sì  consistente ,  né  sì 
lucida ,  e  mentre  presenta  spesso  guasti  e  corrosioni , 
ne'  vasi  etruschi  invece  è  raro  oltremodo  che  ciò  si  veg- 
ga accaduto. 

Nelle  accennate  due  classi  notevolissime  differenze: 
nella  prima  stile  secco,  contorni  duri,  figure  spesso 
mostruose ,  estremità  imperfettissime,  i  nudi  v'hanno 
tipo  selvaggio ,  ferino  (2)  ;  nella  seconda  stile  largo, 
sontuoso  nelle  vesti,  corretto  nel  disegno,  quasi  sempre 
finito  nelle  estremità.  Nella  prima   predomina    il    bacca- 


fi)  È  noto  ctie  i  coloni  messi  da  Augusto  a  Capua  ,  scavando  il  suolo  per 
fondarvi  nuove  case  ,  scoprivano  quantità  di  vasi  dipinti  che  agli  amatori  e 
curiosi  vendevano  a  caro  prez/o  ,  come  cose  antiche  e  rare. 

(2)  Nelle  macchie  nere  che  pre.^enlno  il  pardo  e  l'antilope,  o  altri  ani- 
mali alternati,  l'uno  feroce  l'altro  mite,  non  un  semplice  ornato  ,  ma  inclinerei 
a  vedere  i  simboli  del  dualismo  orientale  ,  l'antagonismo  della  produzione  e 
distruzione  degli  esseri  materiali  ,  la  lotta  del  bene  e  del  male. 


24  L'  [MPORTANZA  DI  ADRIA   antica 

naie  ,  nella  seconda  la  ginnastica  :  là  il  convenzionale  (1) 
sopperisce  all'imperfezione  dell'arte;  qui  le  forme  delle 
ligure  parlano  da  sé  :  là  fregi  semplici  ed  uniformi,  raro 
il  meandro  volgarmente  detto  greca  ;  qui  complicati  e 
svariati ,  e  frequente  quel  meandro.  Nella  prima  si  pro- 
cede dall'estrema  rozzezza  ad  un  certo  relativo  buon 
gusto  ;  nella  seconda  da  una  certa  trascuratezza  ad  una 
purezza  di  disegno ,  grazia  di  movenze  e  forza  di  espres- 
sione ,  che  degenerano  poi  nell'affettato  e  nel  voluttuoso, 
e  dinotano  come  da  un  apice  di  civiltà  si  cadesse  nella 
corruzione  sì  dell'arte  che  del  costume.  Egli  è  perciò 
che  non  posso  credere  le  due  maniere  frutto  di  due 
scuole  contemporanee ,  quasi  dissi  parallele  ;  sì  bene  di 
due  distinte,  non  solo  scuole ,  ma  epoche  e  forse  nazioni, 
tanto  più  che  diverse  non  di  rado  sono  le  armi,  i  vestiti, 
i  soggetti.  Come  presumere  contemporanei  i  rozzissimi 
satiri  e  simili  bacchiche  divinità,  ed  i  ginnasti,  suona- 
tori', danzatori  di  perfetto  disegno  ?  Che  potesse  vivere 
una  scuola  di  secchi  fantocci  ,  con  occhi  a  mandorla, 
nasi  rilevati,  barbe  appuntate,  quando  un'altra  poteva 
dare  elegantissime  produzioni  ? 

Potrei  credere  parallele  le  due  maniere  ,  se  la  secon- 
da mi  mostrasse  anch'essa  un  procedimento  dal  rozzo 
all'elegante.  Ma  non  è  così.  V'ha,  come  accennai,  qual- 
che pezzo  della  prima  maniera  di  buon  disegno  ,  ma  ben 
lungi  ancora  da  quello  che  s'ammira  nella  seconda  ;  e 
viceversa  v'hanno  in  questa  bensì  alcune  pitture  trascu- 
rate, ma  non  paragonabili  colla  rozzezza  che  in  moltis- 
simi della  prima  maniera  si  scorge.  Né  si  dica  che  i 
vasi  di  questa  fossero  di  più  facile  e  sollecita  esecuzione 
o  di  minor  valore ,  perchè  finissima  anche  in  essi  è  la 
creta,  lucidissima  la  vernice;  e  le  graffi  tu  re ,  i  colori, 
gli  ornati,  l' insieme  delle  rappresentazioni  palesano  non 
trascuraggine ,  ma  imperizia.  I  vasi  della    prima    classe 

(1)  Per  esempio,  il  piede  lungo  e  puntato  per  dinotare  l'agilità  nella  danza. 


L'  IMPORTANZA    DI    ADRIA   ANTICA  25 

sono  opera  di  chi  meglio  non  sa  fare  ,  perchè  poco  sa 
l'età  sua  ;  sono  dunque  di  maggiore  antichità';  e  non 
sarà  troppo  ardito  asserire  che  si  manifesti  nelle  figuli- 
ne di  Adria  il  processo  artistico  di  almen  quattro  secoli, 
che  minore  distanza  non  può  presumersi  tra  l' infanzia 
dell'arte  e  la  sua  virilità  ,  tra  questa  e  la  sua  decadenza. 
Dove ,  da  chi  si  fabbricavano  questi  vasi  ?  Vennero 
belli  e  fatti  di  Grecia  ?  Od  artefici  greci ,  oppure  nostrali 
li  fabbricavano  sul  luogo  ?  Certo  tal  merce  fu  larga- 
mente diffusa  in  Italia ,  che  i  vasi  d'Adria  ai  Siculi ,  ai 
Nolani ,  soprattutto  ai  Volcenti  somigliano  (1) ,  sì  nello 
stile  e  nelle  rappresentazioni ,  che  nelle  iscrizioni.  Sono 
'poi  forti  indizii  che  Adria ,  come  altri  luoghi  d' Italia 
n'avesse  fabbriche  (2) 

a)  L'opportunità  della  creta  del  Po,  ottima  a  lavori 
di  figulo  , 

b)  L'aversi  continuata  quest'arte  .  sebben  da  mani 
meno  perite ,  per  tutti  i  tempi  del  romano  dominio  e 
posteriormente  , 

e)  Il  trovarsi  tra'  nostri  vasi  alcuni  non  finiti  , 
guasti ,  mal  cotti ,  essendo  inverisimile  che  tali  sconcia- 
ture si  recassero  d'oltremare  al  mercato  di  Adria , 

d)  L'aversi  rinvenuto  ancora,  alla  profondità  stessa 
dei  vasi ,  pezzi  di  cotto  per  eccessivo  ardore  colati  e 
ridotti  un  ammasso  informe  ,  vetrificato ,  simile  a  lava. 
Ma  i  vasai  erano  greci  od  italiani  ?  Osservo  dappri- 
ma che  una  città  marittima  ,  con  nobile  porto ,  emporio 
di  commercio ,  doveva  contenere  nel  suo  seno  genti  di 
più  schiatte  e  lingue.  Tirreni  ed  Heneti ,  Umbri  e  Pela- 
.sgi  si  succedettero  nelle  nostre  regioni  sino  agli  Etru- 
schi ,  che  poco  innanzi  la  guerra  troiana  assoggettarono 

(1)  Somigliano  pure  a  quei  di  Cuma  ,  di  Canino  ec  Ved.  Catalogo  di  scelte 
antichità  etnische  trovate  negli  scavi  del  principe  di  Canino  ,  1828-1829.  (Vi- 
terbo ,  dalla  tipografia  de'  fratelli  Monarchi  ,  1829)  ;  e  la  nota  che  vi  segue  a 
pag.  171  del  principe  medesimo. 

(2)  Fabbriche  si  scopersero  anche  nell' lìtruria  propria,  come  a  Chiusi, 
Volci  ,  Volterra. 

Auch.  Sr.  Itw..,  3.»  Serie,  T.  X,  P.  II.  4 


26  l'  IMPORTANZA  DI   ADRIA   antica 

tutte  le  rive  del  basso  Po.  Non  è  necessario  supporre 
perciò  che  le  popolazioni  delle  rive  medesime  mutassero 
coll'etrusca  dominazione  e  civiltà  e  caratteri  e  lingua. 
Sì  bene  credo  che  quella  mescolanza  di  popoli  facesse 
di  Adria  una  città,  quasi  dissi,  cosmopolitica,  senza 
certo  fisso  carattere  nazionale  ,  e  dove  diversi  costumi 
e  lingue  saranno  stati  in  vigore.  A  sostenere  i  nostri 
vasi  fattura  greca,  si  porta  in  campo  che  in  entrambe 
le  maniere  di  essi  veggonsi  ,  sebbene  con  diverso  stile 
ed  ornato,  Dei  ed  Eroi,  riti  e  costumi  comuni  ai  Greci, 
e  soprattutto  caratteri  greci  dipinti  e  graffiti ,  quantun- 
que non  vi  manchino  esempii  di  scrittura  osca  ed  etni- 
sca ,  e  d'altre  antiche  italiche.  Ma  l'antico  greco  non  fu 
che  il  pelasgo  ;  gli  Elleni ,  vinti  i  Pelasgi ,  n'accolsero 
in  gran  parte  culto ,  usi ,  lingua  e  scrittura ,  e  molti 
degli  stessi  eroi  omerici  sono  di  stirpe  pelasgica.  Asse- 
riva Erodoto  le  lettere  etrusche  e  le  antiche  greche 
essere  state  uniformi.  Osservò  anche  il  Lanzi  (1)  l'uni- 
formità dei  caratteri  essere  segno  manifesto  d'antichità; 
e  sosteneva  il  principe  di  Canino  (2)  che  più  sono  anti- 
chi i  monumenti  e  più  devono  presentare  caratteri  pela- 
sgi ,  o  antichi  greci ,  o  antichi  etruschi  che  sono  la 
medesima  cosa.  Gli  Etruschi  infatti,  qual  ne  sia  la  pro- 
venienza ,  più  che  importata  la  loro ,  devono  avere 
assunto  in  Italia  della  civiltà  de'  popoli  che  quivi  trova- 
rono ,  tra  i  quali  primeggiarono  ì  Pelasgi.  Dall'Oriente , 
lor  culla,  questi  in  Grecia  ed  in  Italia  si  sparsero,  e 
come  là  cogli  Elleni  vincitori,  si  fusero  qui  con  Tirreni, 
Umbri  ed  Etruschi.  Tal  comunanza  d'origini  tra  Grecia 
ed  Italia  sarebbe  sufficiente  a  dispensarci  dal  supporre 
l'un  paese  maestro  dell'altro  ;  ed  io  credo  che  molte 
difficoltà  svanirebbero  se  meglio  si  stabilisse  che  cosa 
s' intende  colla  parola  Greco.  Questo  nome    si  dà   tanto 


(4)  Nel  suo  notissimo  Saggio  di  lingua  etnisca  ec.  Roma,  Paglierini. 
(2)  Nota  citala. 


L'  IMPORTANZA    DI    ADRIA    ANUICA  27 

ai  Pelasgi  che  primi  occuparono  la  Grecia,  quanto  agli 
Elleni  che  li  soppiantarono  ;  ma  i  primi  appartengono 
sì  all'  Italia  che  alla  Grecia  ,  avendo  portato  ad  entram- 
be ne'  più  remoti  tempi  le  loro  colonie  (1).  "Non  è  qui  da 
discutere  se  Pelasgi  ed  Elleni  fossero  cognati  ;  basta 
fissare  che  furono  nemici ,  e  rappresentano  due  epoche 
distinte  (2).  Greci  non  sono  i  Tirreni  ne  gli  Heneti  ;  ep- 
pure da  molti  son  tenuti  d'origine  pelasga.  A  conciliare 
le  discordi  opinioni ,  propone  taluno  (3)  che  s'abbiano  a 
distinguere  due  epoche  in  cui  fiorissero  le  arti  in  Italia  ; 
la  prima  ne'  secoli  anteromani ,  epoca  della  potenza  etru- 
sca ,  la  seconda  dopo  quel  Demarato ,  che  venne  a  Tar- 
quinia sul  cadere  del  primo  secolo  di  Roma  (4).  Ma  in 
tale  ipotesi  io  chiedo  ,  perchè  col  figlio  di  Demarato  che 
regnò  a  Roma  ,  non  fu  portata  in  questa  città  l'arte 
dei  vasi  ?  Perchè  Tarquinio  ,  non  d'artefici  greci ,  sì  d'un 
Turiano  da  Fregelle  de'Volsci  si  vale  per  fare  la  statua 
in  cotto  di  Giove  Capitolino  ed  altri  lavori  ? 

Ma  restringendoci  ai  vasi  d'Adria ,  e  posto  pure  che 
Demarato  introducesse  l'arte  greca  in  Etruria ,  ciò  non 
poteva  recare  che  pochissima  o  nessuna  influenza  tra 
noi.  Quella  pretesa  introduzione  precede  di  poco  la  prima 
invasione  de'Galli  ,  che  nel  secondo  secolo  di  Roma  co- 
minciò a  spegnere  la  potenza  degli  Etruschi  sulle  sponde 
del  Po.  I  Cenomani  erano  a  Verona  intorno  al  dugento- 
trentadue  di  Roma  (522  av.  G.  C.  )  ;  poco  dopo  passarono 
il  Po  Boi  e  Lingoni ,  che  occuparono  dal  Taro  a  Ravenna, 


(1)  Colonie  pelasghe  passarono  e  ripassarono  d'Italia  in  Grecia,  e  vice- 
versa ,  più  volte. 

(2)  «  Giove  -  fu  detto  -  avea  messo  in  bilancia  la  sorte  loro  ,  e  il  guscio 
dei  Pelasgi  fu  vinto  »•  Probabilmente  Troja  è  simbolo  della  loro  storia. 

(3)  Canino,  nota  citata,  il  quale  vorrebbe  appellare  la  prima  epoca 
Etrusco-pelasga  ,  la  seconda  Etrusco-greca,  (od  Etrusco-romana,  secondo 
i  luoghi). 

(4)  Si  vorrebbe  che  Demarato  coll'elemento  greco  risuscitasse  in  Italia  le 
arti  sopite,  e  così  di  Grecia  ritornassero  le  arti  in  queir  Etruria  ,  ove  qualche 
secolo  prima  erano  di  già  giunte  a  perfezione. 


28  l'  IMPORTANZA  DI   ADRIA  antica 

e  giunsero  precisamente  al  fiume  Utente ,  oggi  Montone, 
che  lì  presso  si  scarica  nell'Adriatico. 

Se  Adria  non  giaceva  allora  preda  de'  barbari ,  era 
certamente  divisa  per  essi  dall'  Etruria  propria ,  in  con- 
tinuo pericolo  ,  senza  difesa  anche  dalla  parte  del  mare, 
ove  allo  scadere  degli  Etruschi,  non  dominarono  i  Galli, 
ma  lo  infestarono  pirati  Liburni  ed  Illirici.  E  poiché , 
come  stiamo  per  vedere  nella  seconda  parte  della  Me- 
moria ,  la  floridità  di  Adria  dipendeva  per  gran  parte 
dal  governo  de'  fiumi ,  assai  per  tempo  infrenati  con 
opere  insigni  di  canali  e  di  fosse  ;  è  ben  naturale  che 
que'barbari ,  padroni  delle  sponde  superiori  del  Po  e 
dell'Adige ,  s'anco  non  le  guastarono  appositamente ,  le 
abbiano  trascurate ,  con  gravissimo  danno  degli  abi- 
tanti delle  inferiori  regioni.  Fissata  l'epoca  della  conqui- 
sta de'  Lingoni  e  Boi  come  quella  ,  se  non  della  cacciata, 
nello  stretto  senso  della  parola  ,  degli  Etruschi  e  degli 
Umbri  da  Adria ,  certo  dell'estrema  loro  decadenza  in 
queste  regioni  ;  non  è.  presumibile  che  lavori  come  quelli 
de'  nostri  vasi  vi  si  eseguissero  più  ,  né  vi  si  importas- 
sero. Non  cessarono  infatti  le  invasioni  ;  sorvennero  poco 
dopo  più  terribili  di  tutti  i  Senoni ,  che  passando  sul  ter- 
ritorio de'Boi  e  de'Lingoni  si  distesero  lunghesso  le 
spiaggie  dell'Adriatico  dall'Utente  all'Esi  intorno  il  tre- 
centocinquanta di  Roma  (404  av.  G.  C.  ).  Ma  in  tal' epoca 
in  quale  stato  trovavansi  le  arti  greche  ?  Se  paresse 
troppo  ardita  l'espressione  del  Principe  di  Canino  (1) , 
dalla  quale  non  dissente  il  Romagnosi  (2) ,  che  la  Grecia 
non  fiorisse  nella  pittura  che  quattro  secoli  dopo  Roma 
fondata,  resterà  sempre  vero  che  appena  un  secolo  in- 
nanzi ,  nell'era  di  Pericle  ,  fiorito  tra  il  dugentottantasei 
e  il  trecentoventicinque  di  Roma  (468-429  av.  G.  C.  ) , 
la  Grecia  cominciò  a  levare  nell'arti  belle  quel  volo,  che  la 

(1)  Nota  citata- 

(2)  Osservazioni  su  quella  nota  inserite  nel   Tomo  38  della  liiblioteca   Ita- 
liuna  ,  e  riprodotte  in  un  articolo  del  Giornale  di  Milano  1830. 


L'  IMPORTANZA   DI   ADRIA   ANTICA  29 

fece  maestra  del  mondo.  È  noto  che  prima  di  Fidia, 
contemporaneo  ed  amico  di  Pericle ,  le  statue  greche  , 
come  le  egizie ,  avevano  le  braccia  attaccate  al  corpo  , 
gambe  e  piedi  uniti ,  senza  gusto  ,_  senza  atteggiamento, 
senza  garbo.  E  ninno  ignora  che  la  scultura  doveva  di 
molto  precedere  la  pittura.  Di  pittura  non  fa  menzione 
Omero.  Eumaro  ateniese  ,  citato  come  pittore  da  Eliano 
nell'  infanzia  dell'arte  greca,  Cimone  Cleonèo  notato  dopo 
lui  immediatamente  da  Plinio ,  sarebbero  contemporanei 
alle  origini  di  Roma  ,  e  Bularco  è  nominato  pure  da 
Plinio  fra'  primitivi  pittori  greci ,  come  contemporaneo 
di  Romolo  ,  quando  molto  periti  erano  già  i  Toscani  in 
quest'arte ,  come  accorda  il  Micali  (1).  Lo  stesso  Lanzi , 
supposta  nata  la  pittura  in  Grecia  tutt'al  più  mezzo  se- 
colo avanti  Roma,  ammette  con  Plinio,  Eliano  e  Fabio 
uno  spazio  poco  minore  di  tre  secoli  tra  il  nascimento  e 
non  già  il  massimo  fiore ,  ma  soltanto  l'età  giovanile 
dell'arte  (2).  Anche  da  questo  lato  ci  accostiamo  a  Pe- 
ricle. Ma  l'epoca  di  Pericle  sta  appunto  tra  l' invasio- 
ne de'  Lingoni  e  Boi  e  quella  dei  Senoni  alle  sponde 
del  basso  Po:  dunque  l'arte  usciva  appena  di  fanciullez- 
za in  Grecia,  quando  la  floridezza  di  Adria  periva.  Quale 
influenza  pertanto  poteva  recare  in  Adria  la  supposta 
introduzione  dell'arte  greca  in  Etruria  con  Demarato  e 
Tarquinio  ,  così  vicini  all'epoca  delle  galliche  invasioni 
e  della  decadenza  di  Adria  ?  Qual  notizia ,  quale  indizio 
quale  probabilità  che  Greci  già  perfetti  nell'arti  belle  si 
stabilissero  in  questa  città,  la  quale  non  risorse  se  non 
molto  più  tardi ,  quando  passò  assieme  cogli  altri  Veneti 
prima  in  protezione ,  poscia  in  dominio  di  Roma  ?  In 
Adria ,  dico ,  dove  i  vasi  dipinti  si  trovano  tanto  al  di- 
sotto di  quel  livello ,  che  ci  offre    gli    avanzi    dell'epoca 

(1)  Storia  d'Italia  avanti  il  dominio   de'Romani,   Tomo  II  ,  pag.  58;    Capo- 
lago,  1842. 

(2)  Vedi  Lanzi,  «  De'vasi  antichi  dipinti   volgarmente  chiamati  etruschi,  disser- 
tazioni tre  ».  Firenze,  1806,  presso  Giuseppe  Fantosini ,  pag.  loSesegg. 


30  L'  IMPORTANZA    DI    A.DRU    ANTICA 

romana  ?  Di  che  argomentava  anche  il  Romagnosi  (1) , 
che  i  vasi  d'Adria  devono  riconoscersi  come  assoluta- 
mente etruschi,  anzi  i  vasi  della  raccolta  Bocchi  poter 
servire  di  luminosa  prova  di  confronto  onde  certamente 
giudicare  delle  opere  di  puro  e  schietto  gusto  etrusco, 
e  ben  discernerle  da  quelle  che  una  più  tarda  perizia 
greca  avesse  potuto  mescolare  in  Toscana.  Il  che  s'ac- 
corda con  ciò  che  noi  volevamo  provare ,  cioè  che  la 
pittura  de'  vasi  fioriva  tra  noi  prima  che  tra  gli  Elleni, 
e  che  per  trovarne  l'origine ,  bisogna  risalire  più  alto , 
cioè  a  quegli  antichi  popoli  che  portarono  lingua  e  civil- 
tà, tanto  nella  Grecia  che  nell'Italia. 

Al  tempo  succeduto  all'  invasione  de'  Galli ,  quando 
un'altra  Adria  rinacque  sulle  rovine  della  prima,  ma 
per  non  raggiungere  più  l'antico  splendore ,  spettano 
dunque  i  molti  vasi  non  dipinti,  le  lucerne,  i  mattoni, 
le  tegole  che  in  non  piccola  quantità  si  osservano  nel 
mio  museo.  Anche  di  tali  cotti  dovevano  esservi  fabbri- 
che in  Adria.  Una  barca  piena  di  grandi  anfore  fu  tro- 
vata non  sono  molt'anni  presso  l'Adige.  Ma  in  questi 
vasi  conosciuti  col  solo  nome  di  romani  }  manca  la  pri- 
sca finezza  della  pasta,  la  consistenza  e  lucentezza 
della  vernice.  V  hanno  bensì  graffite  od  impresse  lettere 
e  sigle  greche  ,  etnische ,  osche  ,  latine  ;  prova  che  il 
greco  non  fu  mai  dimenticato  in  Adria,  sia  che  vi  rima- 
nesse qualche  avanzo  di  genti  primitive  che  lo  parlavano  , 
o  genti  greche  sopravvenissero;  alle  quali  per  altro,  per 
le  esposte  ragioni ,  non  saremmo  debitori  de'  vasi  dipinti 
che  si  rinvennero  sepolti  sotto  le  rovine  dell'Adria  gallo- 
romana, o  veneto-romana,  come  piaccia  meglio  appellarla. 

Il  Welcker  (2)  dietro  un  passo  di  Giustino  (3)  che  fa 
Adria  città  greca,  ed  un  altro  di  Stefano  Bizantino  sul 

(1)  Osservazioni  citate. 

(2)  Articolo  sui  vasi  d'Adria  inserito  nel  Bullettino   dell'  Istituto    di    Corri- 
spondenza Archeologica,   N.  VII,  G  Giugno  4834,  pai,-.  134. 

(3)  XX  ,  I . 


L'IMPORTANZA   DI   ADRIA   ANTICA  31 

mito  di  Diomede,  voluto  fabbricatore  di  Adria  nel  suo  ri- 
torno dalla  guerra  di  Troia ,  si  appoggia  a  Diodoro  Si- 
culo (1)  per  sostenere  verisimile  che  gli  Epidanni  siansi 
stabiliti  in  Adria.  Ma  veramente  le  parole  di  Diodoro  son 
troppo  vaghe  per  fondarvi  una  plausibile  conghiettura , 
perchè  dicendo  Epidamni  maris  Adriatici  accolae  in 
un  luogo,  ed  in  un  altro  maris  Adriae  accolae  j  sarebbe 
un  far  violenza  al  testo  il  ricavarne  che  si  stabilissero 
precisamente  sulle  coste  della  nostra  Adria,  quando  già 
la  stessa  città  di  Epidamno ,  oggi  Durazzo ,  si  trova  sul 
mare  adriatico.  E  dato  pure  che  quei  coloni  di  Corinto  e 
Corcira ,  dorici ,  abbiano  avuto  qualche  stanza  tra  noi , 
se  vennero  prima  del  fiore  dell'arti  elleniche ,  non  pote- 
vano essere  maestri  agli  Adriati  di  un'  arte  che  questi 
già  possedevano  ;  se  più  tardi,  quando  in  Adria  quell'arte 
era  di  già  caduta  ,  manca  qualunque  indizio  o  monumento 
che  ve  la  risuscitassero.  Racconta  Aristotele  nel  libro  de 
mirabilibus  auscultationibus  (2)  che  al  monte  Delfion  tra 
Mentoriche  ed  Istriane ,  si  teneva  un  mercato,  dove 
scambiavansi  Pontici  Thasia ,  Chia  ac  Lesbia  vina , 
Adriatici  vero  corcirenses  amphoras,  ed  Esichio  (3)  per 
anfore  corciresi  intende  le  adriane.  Se  ciò  è  vero  ,  e  se 
per  quegli  Adriatici  ,  come  crede  il  Welcker ,  devono 
intendersi  gli  abitatori  della  nostra  Adria ,  e  per  anfore 
corciresi ,  le  fabbricate  nella  medesima  dagli  Epidanni 
figli  di  Corcira  ;  non  fu  certamente  di  vasi  dipinti  che 
s'avrà  fatto  commercio  colà ,  alla  maggior  parte  de'quali 
d'altronde  male  addirebbesi  il  nome  di  anfore.  Quella 
fiera  avrà  veduto  soltanto  di  que'  grandi  vasi  che  por- 
tano propriamente  il  nome  di  amphora ,  Dolium ,  Ca- 
dus  (4),  Seria  e  Seriola  ,  e  simili  diotae  ;  vasi  tutti  soliti 

(4)  Bibliotheca,  ediz.  di  Parigi  presso Firmin  Didot,  4842",  lib.  9,  capo  9,  N.  3. 
(2   Edi/.,  del  Casaubono    Aureliae   AUobrogum  ap.  Petrum  de  la  Roviere  , 
hdcv,  Tom.  I  ,  pag    881. 

(3)  Ad  -verbum. 

(4)  Cadus  veramente  caratello,    barile,    è    anche  una  specie  di   vaso   che 
finisce  inferiormente  in  punta  ,  ed  è  simile  all'anfora  comune. 


32  l'  IMPORTANZA  DI  ADRIA   antica 

ad  essere  dissotterrati  fra  noi  a  poca  profondità  e  che 
non  trovansi  misti  giammai  co'  vasi  dipinti. 

E  quanto  a  que'  stabilimenti  greci  che  si  vorrebbero 
fondati  nelle  nostre  regioni  da  Dionigi  di  Siracusa , 
nell'anno  terzo  dell'  Olimpiade  novantotto  (386  av.  G.  C, 
368  ab.  u.  e.  ) ,  se  furono  ,  non  ad  altro  avranno  contri- 
buito che  a  sollevare  Adria  dalla  sua  caduta ,  liberando 
il  mare  dai  pirati  liburni  ed  illirici ,  e  facilitando  forse 
quel  commercio  delle  anfore  e  degli  altri  vasi  non  dipinti. 
A  questi ,  la  cui  manifattura  durò  fra  noi  per  tutto  il 
tempo  del  romano  dominio,  accenna  forse  Plinio  ove  dice  : 
Cois  laus  maxima ,  atrianis  firmitas. 

Sorpasso  i  marmi ,  i  bronzi ,  i  vetri ,  le  gemme  ed 
altri  oggetti  del  mio  museo ,  non  copiosi  ,  ma  degni  di 
studio  ;  e  così  pure  alcune  antichità  cristiane  ed  i  non 
pochi  manoscritti ,  materiale  prezioso  ed  indispensabile 
per  la  storia  provinciale  e  municipale  che  sto  elaboran- 
do. Bastami  avere  esposto  le  mie  idee  sulla  figulina 
adriana ,  come  quella  che  illustra  la  questione  delle  ori- 
gini italiche. 

E  riassumendo  questa  prima  parte  della  mia  memo- 
ria ,  dico  :  Se  è  vero  come  da  tanti  indizi!  è  attestato  , 
che  Adria  Veneta  deve  la  sua  prima  rovina  ai  Boi  ed 
ai  Litigoni  od  al  più  tardi  ai  Senoni ,  ferocissimi  delle 
tribù  galliche;  se  questo  fatto,  unito  alla  circostanza 
della  profondità  donde  si  trassero  i  vasi  dipinti ,  e  dal 
trovarsi  questi  costantemente  a  livello  più  basso  dei 
ruderi  romani ,  ci  permette  asserire  che  la  loro  fabbri- 
cazione non  può  tirarsi  più  in  qua  del  trecenciu- 
quanta  di  Roma ,  e  che  doveva  cessare  tra  i  cinque 
ed  i  quattro  secoli  avanti  l'èra  volgare;  se  l'arte  in 
Grecia  era  ancora  fanciulla,  quando  fra  noi  interamente 
periva  ;  i  vasi  d'Adria  si  presentano  come  testimonii 
attendibili  della  priorità   dell'arte  italica  sull'  ellenica. 

Forse  amore  di  patria  eccessivo  ha  fatto  velo  al  mio 
giudizio  ?  Forse  mi    si   addice    l'accusa    eh'  io    vada    in 


L   IMPORTANZA    DI    ADRIA   ANTICA  33 

traccia  piuttosto  d'una  gloriuzza  domestica  che  della 
schietta  verità  ?  Io  domando  nuovi  lumi  ai  dotti ,  ai 
quali  sono  sempre  aperte  le  soglie  del  mio  museo , 
pronto  a  mollificare  le  mie  opinioni  in  faccia  ad  argo- 
menti valevoli  a  ribattere  i  miei. 


II. 


A  meglio  dimostrare  1'  importanza  dell'antica  Adria  , 
la  Veneta  ,  piacemi  ora  allargare  le  vedute  alle  condi- 
zioni di  lei  marittime  e  commerciali  ;  ed  all'antico  porto 
che  ne  riceveva  il  nome,  sino  alla  totale  perdita  del 
medesimo. 

Che  l'odierna  vallata  padana  fosse  in  tempi  antesto- 
rici un  vasto  seno  di  mare  ,  dimostrano  i  geologi  :  essa 
infatti  si  compone  di  terreno  d'alluvione ,  poco  a  poco 
depositatovi  dal  Po  ,  dai  tributari  di  questo  e  dai  fiumi 
del  veneto  bacino;  aggiuntavi  in  più  ristretta  misura 
l'azione  vulcanica ,  dalla  quale  gli  Euganei  colli  vennero 
sollevati.  Ma  da  quando  un  primo  barlume  di  storia,  sotto 
il  velo  de'  miti ,  traspare  sulle  basse  regioni  padane  , 
diciotto  secoli  avanti  l' era  volgare ,  intravediamo  spa- 
ziare una  laguna  in  gran  parte  di  quello  che  è  oggidì 
il  Ferrarese  ,  il  Polesine  ,  il  Padovano  ;  e  confondersi  in 
essa  coll'acque  del  Po  quelle  de'  fiumi  tutti  che  scen- 
dono dall'Appennino  e  dall'Alpi,  cominciando  dal  Lamo- 
ne  ad  ostro ,  sino  ai  due  Medoaci  a  tramontana.  Atria- 
norum  paludes  è  il  primo  nome  che  la  storia  ci  traman- 
dò dato  a  quella  laguna,  detta  anche  Septem  Maria, 
nella  parte  almeno  che  bagnava  l'antica  Atria. 

Quella  laguna  poi  veniva  divisa  dal  mare  per  quei 
banchi  di  sabbia ,  o  cordoni  littorali ,  che  s'ergono  da 
presso  Ravenna ,  e  per  San  Basilio  nell'  isola  d'Ariano  , 
per  Donada  e  Rosolina  in  quel  di  Lorèo ,  e  per  S.  Anna 
in  quel  di  Chioggia ,  vanno  ad  incontrare  i  lidi  di  Chiog- 

Arch.  St.  Itu..,  3."  Serie,  T.  X  ,  P.  li.  5 


34  L*  IMPORTANZA   DI   ADRIA    antica 

già,  Pelestrina,  Malamocco  e  Venezia,  i  quali  dividono 
la  moderna  laguna  ,  piccolo  avanzo  delle  antiche  Paludi 
adriane ,  dal  mare  medesimo.  Come  questi  lo  sono , 
furono  que'  banchi  lido  del  mare  da  cui  distanno  oggidì 
sin  dieci  e  più  miglia. 

Tutti  sanno  che  li  sedimenti  de'  fiumi  non  possono 
disseminarsi  nel  mare  che  sino  ad  una  certa  distanza 
dalla  spiaggia  ,  ove  si  dispongono  nel  fondo.  I  venti  di 
scirocco  e  levante  ,  ed  il  così  detto  moto  radente ,  che 
si  fa  di  continuo  nel  nostro  mare  da  sinistra  a  destra, 
con  azione  opposta  a  quella  delle  fluviali  correnti ,  spin- 
gono le  marine  acque  contro  la  spiaggia.  Questi  movi- 
menti combinati  possono  bensì  distendere  le  materie 
d'alluvione  anche  molto  lungi  dalle  foci  de' fiumi;  ma  la 
forza  dell'onde  crescendo  in  ragione  della  profondità 
delle  acque,  e  non  sorpassando  nell'Adriatico  i  sette  od 
otto  metri ,  è  forza  che  al  di  sopra  di  questo  limite  le 
materie  rimangano  quiete  nel  fondo ,  ed  accumulandosi 
per  nuove  importazioni,  facciano  emergere,  parallela 
alla  spiaggia,  una  diga,  la  quale  separi  dal  mare  alto 
quel  tratto  di  mare  basso  che  gli  antichi  dissero  palus, 
e  noi  laguna j  e  che  rimane  rinserrata  tra  quella  diga  e 
la  primitiva  spiaggia. 

Pertanto  come  vediamo  a  traverso  della  veneta 
diga  aprirsi  qua  e  là  comunicazioni  della  moderna  la- 
guna col  mare ,  così  era  delle  antiche  nostre  ;  ed  alle 
foci  de'  fiumi  e  canali ,  che  si  versavano  in  esse ,  corri- 
spondevano altrettanti  porti. 

Chi  ponga  mente  alle  mutazioni  avvenute  solo  da 
un  secolo  nelle  foci  del  Po ,  non  durerà  fatica  a  com- 
prendere come  l'apparente  discordia  degli  antichi  nel 
descriverle  dipenda  dal  diverso  tempo  in  cui  vissero. 
Prima  di  Polibio  ,  vissuto  quasi  due  secoli  av.  1'  E.  V. , 
nessuna  notizia  delle  foci  del  nostro  Po.  Per  esso  il  delta 
del  fiume  s'apriva  ad  vocatos  Trigabolos ,  forse  ove 
oggidì  Ficarolo  :  di  là  staccavansi    i   due   rami    Padua 


L  IMPOBTANZA    DI    ADRIA   ANTICA  30 

ed  Giana,  corrispondenti  ai  due  rami  oggi  perduti  di 
Priraaro  e  Volano  (1).  Di  cinque  foci  parla  Diodoro  Sicu- 
lo contemporaneo  d'Augusto  (2)  ;  eli  molte  Strattone  poco 
dopo  (3)  ;  di  sette  Pomponio  Mela  seguito  da  Erodiano  (4) 
confondendo  coi  rami  del  Po  le  altre  correnti  che  me- 
,  scevano  nelle  paludi  le  loro  acque  colle  padane,  come  si 
ricava  da  Plinio  il  Vecchio.  Cinque  per  questo  autore 
erano  le  foci  propriamente  padane  (5). 

1.  Messanicus  o  fossa  Augusta,  che  traeva  a 
Ravenna  ; 

2.  Vatreni  ingrossata  dal  poco  superiore  fiumicello 
omonimo  ,  oggi  Santerno ,  la  quale  s'addomandò  anche 
Eridanus ,  e  Spinetica  dalla  celebre  città  pelasga  di 
Spina  ,  e  corrisponde  verisimilmente  alla  Padua  di  Poli- 
bio ,  detta  poi  Primaro ,  quasi  primaria  ; 

3.  Caprasia ,  creduta  l'odierna  Magnavacca  ; 

4.  Sagis  j  che  ricorda  la  tosca  popolazione  de'Sagi 
od  Assagi  (6)  ; 

5.  Volane  ,  la  Olane  di  Polibio ,  al  limite  setten- 
trionale delle  odierne  valli  di  Comacchio. 

Neil'  intervallo  da  quest'ultima  foce  sino  al  Porto  di 
Brondolo ,  che  riceveva  allora  l'Adige ,  correva  adunque 
una  spiaggia  ben  più  lunga  che  non  corra  oggidì  fra  i 
due  fiumi ,  e  restava  ampio    spazio ,    ove   allargarsi   ed 

(1)  Veramente  la  ediz.  di  Polibio  che  ho  solt'occhio  (  Lugduni  ap.  Seb. 
Griphium  ,  15i8,  Lib  II,  pag-  155),  nomina  i  due  rami  Pacloa  e  Volane,  ma 
non  i  Trigabali.  Ma  il  Filiali  ne' suoi  Veneti  primi  e  seconJ,  Tom.  II  ,  pag.  35 
nota  1  ,  liferisce  una  lezione  del  medesimo  autore  che  dice:  ad  Trig  bolim 
dimditur  ec.  ;  ed  io  vidi  altre  lezioni  colle  parole  precise  ad  vocatos  Trigibolos, 
ed  Olana  invece  di  Volana-  Anche  il  Frizzi  ,  Memorie  per  la  storia  di  Ferrara, 
Tom.  I  ,  pag.  18  ,  ricorda  i  Trigaboli  di  Polibio  e  le  due  foci  che  se  ne  stac- 
cavano, Padoa  ed  Olana;  e  ricorda  pure  come  Cluverio  e  Cellario  leggessero 
Padus3  invece  di  Padua. 

(2)  Hist.  ossia  Libraria  historica ,  tradotta  in  italiano  da  M.  Frane.  Baldelli. 
Vinegia,  appresso  Gabriel  Giolito  de' Ferrari.  Lib.  5,  C.  9,  pag.  264. 

(3)  Lib.  V,  pag.  xml  ,  a.  dell'edizione  latina  del  1494. 

(4)  Vitae  imperai,  roman.  Lib-  VIII  ,  cap.  7,  pag.  226.  Pad.  Semin.  1685. 

(5)  Hist.  Nat.,  III,  16. 

(6)  Plin. ,  ibidem. 


3G  l'  importanza  di  adria  antica 

aprirsi  l'accesso  nel  mare  ,  a  quelle  minori  correnti  che 
confondevano  le  loro  acque  nelle  paludi.  Tali  erano  le 
Fossae  P.iilistinae  ed  il  Tartarus,  la  Carbonaria  e  l'Atrio- 
nus.  Due  principali  uscite  conosciamo  di  queste  correnti 
nel  mare  :  Fossiones  e  Carbonaria.  Fossiones  è  l'odierno 
Fossori ,  ove  sbocca  l'Adige ,  dopoché  la  prisca  sua  foce 
di  Brondolo  venne  ceduta  ai  due  Medoaci  :  Carbonaria , 
Ostia  piena  di  Plinio  (1) ,  era  presso  l'odierno  Lorèo. 
Quivi  s'apriva  il  porto  di  Adria ,  e  s'estendeva  in  vasto 
tratto  delle  valli  e  campagne  che  stanno  ora  tra  Adria 
e  Lorèo. 

Mutò  faccia  a  tutta  la  bassa  regione  padana  il  con- 
corso eli  due  contrarii  processi ,  l'uno  d'abbassamento  , 
l'altro  di  sollevamento.  Si  credette  sin  poco  fa  ad  un 
progressivo  alzamento  del  livello  del  mare  ;  ma  invece 
è  provato  che  il  ritrovarsi  al  disotto  del  livello  stesso 
alcuni  luoghi,  che  già  n'emergevano,  deve  attribuirsi  ad 
un  processo  di  abbassamento  lento  ed  uniforme  in  tutto 
il  suolo  primitivo  dell'estuario  (2). 

Con  efficacia  maggiore  concorse  il  processo  d' inalza- 
mento,  più  appariscente  ed  a  tutti  notorio,  per  l'impor- 
tazione delle  materie  fluviatili ,  che  colmata  tanta  parte 
delle  lagune  ,  stanno  invadendo  al  di  là  delle  dune  il 
mare  medesimo. 

Lascio  agi'  intelligenti  rispondere  al  quesito ,  perchè 
colmata  la  prisca  laguna,  non  sorgano,  simili  agli  anti- 
chi ,  nuovi  cordoni  litlorali  di  rincontro  alle  nuove  foci 
del  Po  ,  e  per  conseguenza  una  nuova  laguna.  Osservo 
soltanto,  che  quando  il  Po,  condotto  colle  principali  sue 
foci  più  ad  ostro ,  verso  Ravenna ,  non  batteva  con  esse 
direttamente  nelle  nostre  dune  ;  il  mare  ebbe  tempo  di 
sollevarle  notabilmente  ;  ma  quando  il  fiume    s'aperse  a 

(1    Ilici 

;2)  Ved.  Geogr.  fìsica  ri'  Italia  in  appendice  alla  Geogr.  fisica  di  M.  Som- 
merville,  Iraduz.  d'Elisabetta  Pepoli.  Firenze,  Barbèra  ,  18fi1.  Tom.  Il  ,  pa- 
gine lui  e  sepp. 


L"  IMPORTANZA   DI    ADRIA   ANTICA  o? 

traverso  di  queste  le  nuovi  foci  ,  l'azione  del  mare  che 
tendeva  ad  elevare  le  sabbie ,  rimase  elisa  dai  fiumi 
spingenti  le  loro  torbide  in  senso  opposto.  Osservo  anco- 
ra che  assai  minore  scendeva  una  volta  al  mare  il  volu- 
me delle  materie  d'alluvione  ,  il  quale  s'accrebbe  sempre 
più  negli  ultimi  secoli  e  pel  successivo  arginamento  dei 
fiumi ,  e  pel  conseguente  toglimento  della  dispersione 
dell'acque  alle  sponde  ,  e  specialmente  per  lo  soverchio  di- 
boscamento delle  montagne.  Spina,  vivente  Strabone,  di- 
stava dal  mare  novanta  stadii  (circa  nove  miglia  g.  it.)  (1): 
eam  linda  rnaris  alluerat.  Dalla  fondazione  di  Spina 
erano  corsi  almeno  tredici  secoli  (2)  ;  abbiamo  adunque 
un  allontanamento  dalla  spiaggia  in  ragione  di  poco 
oltre  dodici  metri  all'anno.  Il  mare  batteva  alle  nostre 
dune  almeno  sino  alla  metà  del  secolo  decimosecondo  ,  e 
nei  quattro  e  mezzo  successivi ,  quanti  ne  corsero  dalla 
rotta  di  Ficarolo  al  taglio  di  Portoviro ,  s'allontanò 
dalle  dune  circa  sei  miglia  ,  che  vale  a  dire  dal  più  al 
meno  metri  venticinque  annui.  I  due  secoli  e  mezzo  dal 
taglio  di  Portoviro  alla  metà  del  presente  videro  la  nuo- 
va foce ,  apertagli  allora,  prolungarsi  colle  sue  suddivi- 
sioni, dieci  e  in  qualche  luogo  dodici  e  più  miglia  ;  circa 
settantacinque  metri  all'anno.  Variabilissimo  dunque  il 
lido  negli  ultimi  secoli ,  e  mentre  sino  al  tempo  della 
rotta  di  Ficarolo  non  si  scostò  dalle  dune  ;  dopo  questa, 
la  combinata  azione  del  mare  e  dei  fiumi  non  fu  a  tem- 
po di  accumulare  in  cordoni  littorali  le  sempre  più 
copiose  importazioni  delle  correnti ,  le  quali  di  continuo 
spingendosi  innanzi,  non  cessano  di  formare  invece  bassi 
ed  estesi  banchi,  che  tratto  tratto  emergono  e  si  con- 
giungono ,  mutano  il  posto  delle  foci  e  le  suddividono  , 
allontanano  e  dilatano  le  spiagge. 


J)  Lo  stadio  di  che  qui  parla  Strabone  è  lo  stadio  comune  ossia  l'olimpico, 
pari  ad  <1|8  di  miglio  romano  ,  ossia  kil.  0,-184955.  De  Situ  Orbis  ,  L.  v,  pa- 
gine xliii  ,  t.  ediz.  cit. 

(2)  Dion.  d'Alicarnasso  la  farebbe  ancora  più  antica.  Antiq-  Koman.,  L.  I, 
in  princip.  -  Cf.  Micali ,  op.  cit.,  I,  pag.  109. 


38  l'importanza  DI  ADRIA  antica 

Dall'esame  geografico  passiamo  allo  storico.  Henete 
col  Filiasi  (1),  o  Tirrene  col  Balbo  (2),  forse  diciotto 
secoli  avanti  l'Era  Volgare,  umane  razze  venute  d'Orien- 
te e  per  mare  ,  solcavano  le  nostre  acque.  Populus  lon- 
ge  antiquissimus  chiama  Polibio  gli  Heneti  (3) ,  e  le 
nostre  contrade  anche  geograficamente  sono  Henete  (4). 

Se  Phaleg  significa  dispersione  ,  se  pallas-goi  vale  in 
fenicio  migravit  gens,  e  Fenice  pure  ha  senso  di 
errante  ;  Pelasgi  e  Fenici  potrebbero  esser  nomi  ben 
adatti  a  que'  fondatori.  Dall'ebraico  traeva  il  Mazzocchi 
la  parola  Adria  ;  altri  dal  fenicio,  equivalente  a  validum , 
deriva  queWAetri,  Aedri  od  Atri ,  primitivi  nomi  della 
nostra  città ,  e  meglio  Adri  come  tuttora  il  nostro  con- 
tado schiettamente  pronuncia  (5).  Edrei  fu  certamente 
la  metropoli  della  Batanea  da  Eusebio  di  Cesarea  detta 
Adraa ,  da  Tolomeo  Adra.  La  H  preposta  non  fu  che 
posteriore  introduzione  latina.  Filistina  e  C ar bonaria , 
significanti  fossa  ;  padà,  secuit  ;  spina  ,  fondo  di  nave  , 
sarebbero  pure  senza  alterazione  vocaboli  fenici. 

Dall'Oriente  dunque  e  per  mare  vennero  gli  antichis- 
simi nostri ,  ed  il  loro  commercio  viene  adombrato  da 
miti.  Le  sorelle  di  Fetonte,  mutate  in  pioppi  stillanti 
ambra ,  alludono  al  traffico  di  questo  bitume  che  si  fa- 
ceva dalle  isole  Elettridi  presso  le  foci  del  Po.  Lascian- 
done ,  come  fuori  del  nostro  tema ,  le  allusioni  politiche, 
il  mito  fetonteo  non  potrebbe  anche  adombrare  l'accen- 
sione vulcanica  che  originò  i  colli  Euganei  ?  Isola  dice- 
vasi  qualunque  terra  prossima  al  mare  ,  e  le  isole  Elet- 
tridi non  potevano  essere  questi  colli  medesimi  lambiti 
dalle  paludi  allora  estesissime?  e  l'elettro,  una  nafta 
od  altro  bitume    da   que'  vulcani    prodotto  ?    Comunque 

(1)  Op.  cit. ,  Tom.  I  e  III  passim. 

(2)  Meditazioni  storiche  ,  XIV,  pag.  463. 

(3)  Hist.  II,  pag.  156,  dice:  Antijuum  ex  Paphlagonia   genus.    Filiasi,    I  , 
7o  ,  n.  \,  cita  il  passo  con  qualche  variante. 

(4)  Filiasi,  op.  cit.   passim.,  citando  antichi  geografi. 

(5)  Nel  medio   evo   cadente   e    in    principio  del  moderno  trovasi  spesso  il 
nome  italiano  di  Adria  con  Ari  ed  Are.  Ved.  per  es.  l'Itinerario  del  Sanudo. 


L'  IMPORTANZA   DI   ADRIA   ANTICA  39 

fosse,  il  commercio  d'un' ambra  alle  basse  spiagge  pa- 
dane si  perde  nella  notte  dei  secoli. 

I  reduci  Argonauti  toccano  queste  spiagge  medesime  : 
Dedalo,  sfuggito  all'ira  di  Minosse,  veleggia  alle  Elettri- 
di ,  e  vi  deposita  l'effigie  sua  e  del  figliuolo  in  due  sta- 
tue maravigliose  (1). 

Gli  Umbri ,  posti  dal  Micali  tra'  popoli  primitivi ,  dal 
Guarnacci  assimilati  ai  Tirreni ,  misto  di  Celti  e  Liguri 
pel  Bardotti ,  e  dati  da  illustri  moderni  come  fondatori 
di  Adria,  dovevano  occupare  le  nostre  regioni  intorno 
a  sedici  secoli  avanti  1'  Era  Volgare.  Narrò  Scilace  che 
dopo  i  Traci  (per  noi  Pelasgi  )  eravi  una  gente  celtica 
relieta  in  expeditione  ad  angustias  usque  Adriani ,  et 
isthic  est  sinus  ultimus  Adriae  (2). 

Poco  dopo ,  intorno  a  tre  secoli  avanti  la  guerra 
troiana,  facevansi  largo  tra  Umbri  e  Tirreni  que'Pelasgi 
che  fabbricarono  Spina;  e  vi  fiorirono,  sinché  mezzo 
secolo  innanzi  quella  guerra,  dovendo,  colpiti  da  molte 
sciagure ,  abbandonare  le  Elettoridi ,  da  queste  alla  loro 
partenza  scomparvero  le  due  statue  di  Dedalo  (3). 

Dopo  i  Pelasgi  avemmo  quel  popolo  ,  che  ,  qualunque 
ne  fosse  il  nome  primitivo  ,  si  appellò  degli  Etruschi  pro- 
priamente detti ,  nome  che  può  derivar  dall'unione  degli 
Aetri  e  degli  Osclii;  il  che  mi  darebbe  indizio  aver  esso, 
più  che  recata ,  da  noi  ricevuta  potenza  e  civiltà. 

Ultimi  venuti  all'acque  nostre  nell'era  mitico-eroica , 
sarebbero  Antenore  e  Diomede  l' Etolio.  Il  nome  della 
città,  che  la  tradizione  vuol  da  quello  fondata,  ce  lo  fa 
sospettare  entrato  per  la  foce  contraddistinta  col  nome 
di  Padua:  dell'altro  si  narra  che  reduce  dalla  guerra 
iliaca ,  dopo  lungo  vagare ,  svernasse  in  Adria. 

Sebbene  all'etnisca  tribù  degli  Assagi  attribuisca  Pli- 
nio (4)  i  magni  lavori  di  regolazione  dell'acque  ,  dovet- 
ti) Aiustot.  de  Mirab.  Avscult.  Ediz.  del  Casaubono  Aureliae  Allobrogum , 
pag.  878  879. 

(2)  In  Periplo.  Vedi  Filiasi  op.  cit.  IV,  41,  nota  4. 

(3)  Cf.  Dionigi  dAlicarn.  i,  ed  Akistot.  loco  cit. 

(4)  Loco  citato. 


40  l'  IMPORTANZA   DI  ADRIA  antica 

(ero   porvi  mano  anche  i  Joro  predecessori  ;  condizione  in- 
dispensabile in  ogni  tempo  per  vivere  qui  e  prosperare.  Il 
Mazzocchi  fa  risalire  al  tempo  delle  conquiste  israelitiche 
sui  Fenici  i  lavori  alle  foci  padane,  persuaso  dall'analogia 
de'  nomi  (1).  Bisognava  imporre  alle  acque  tal  via  che  le 
alluvioni  non  colmassero  le  lagune  ed  il  porto  ;  qui  scavar 
canali,  elevare  altrove  il  suolo,  fecondarlo  e  dalle  piene 
difenderlo  e  scolarne  le  acque  piovane  ;    cose  tutte    che 
le  ragioni  dei  luoghi  esigevano  ,  e    che    sarebbe    d'uopo 
immaginare  come  affatto  verisimili ,  sebbene  non  si  fosse 
certi  che  qui  esistevano  il  nobile  porto    di    Adria ,    e    le 
Fosse  Filistine  ,  la  Carbonaria,  l'Atriano  e  quel  Tartaro 
che  in  parte  sussiste.  Anzi  io  sono  d'avviso  che  in  remo- 
tissime età  le  foci  del  Po  corressero  più  a  tramontana  di 
quelle  che  ci  vengono  descritte  dai  ricordati  autori ,  e  che 
i  nostri  ne  le  divertissero  verso  mezzodì,  onde  mantenere 
profonde  le  paludi  che  stavano  intorno  ad  Adria.  Infatti 
un  notevole  passo  di  Plinio  (da  molti  riferito ,    ma    non 
peranco ,  a  mio  credere ,  inteso  abbastanza)  non  dei  soli 
canali ,  ma  di  tutte  affatto  le  foci  padane  ci  parla  ,  come 
a  mano  condotte  :    Omnia  ea    flumina    fossasque  primi 
Assagi  f ecere    Tusci  >    egesto    amnis   impela  per  trans- 
versum    in    Atrianorum   paludes  ,    que   septem    maria 
appellantur  (2)  :  il  che  parmi  significare  ,  che  non    per- 
misero al  Po  di  spingere  i  suoi    rami    direttamente    nel 
mezzo  delle  paludi    sì  li  obbligarono  ad  entrarvi  obliqua- 
mente ;  in  quella  guisa  medesima  che  più  tardi  i  Vene- 
ziani divertirono  la  Brenta  da  quella  parte  delle  lagune 
che  circondava  e  circonda  la  loro  città.  Questa  mia  opi- 
nione è  anche  avvalorata  dalla  naturale  inclinazione,  dalla 
costante  tendenza  del  Po  a  volgere  le    sue    foci    a   tra- 
montana ,  dalla  conformazione   delle    antiche    lagune    di 
cui  Adria  occupava  pressoché  il  mezzo,  dall'essere  sialo 
necessario  praticare  in  tempi  recenti  un  analogo  lavoro, 


(i)  Ved    sopra- 
(2)  Loco  citato. 


L'IMPORTANZA    DI    ADRIA    ANTICA  41 

quando  cioè  in  principio  del  secolo  decimosettimo  ,  lo 
sbocco  del  Po  fu  divertito  da  tramontana  a  mezzodì  , 
spingendolo  col  taglio  di  Porto  Viro  nella  Sacca  di 
Goro. 

Sorse  il  dubbio  se  non  forse  l'altra  Adria  ,  la  Picena, 
abbia  dato  il  nome  al  mare.  Abbiamo  in  favore  della 
Veneta  l'autorità  di  quasi  tutti  gli  antichi  e  moderni 
scrittori ,  tranne  Aurelio  Vittore ,  seguito  da  Paolo  Dia- 
cono ,  dal  Mazzocchi  e  pochi  altri.  Luculento  è  il  passo 
di  Plinio  il  naturalista  ove  parla  delle  Paludi  Addane  , 
e  del  nobile  porto  Oppidi  Thuscorum ,  Atria ,  a  quo 
Atrianorum  mare  appellabatur,  quod nunc Adriaticum  (1). 
E  di  vero  ,  non  può  dubitarsi  che  le  foci  padane  abbiano 
fiorito  assai  presto  per  navigazione  e  commercio  ;  eppu- 
re dai  Pelasgi  e  da  Spina  nessun  nome  si  conosce  attri- 
buito al  mare.  E  perchè  una  sola  città  ciò  non  potrebbe 
ottenere  che  dopo  lungo  periodo  di  dominazione ,  oso 
conghietturare  che  Pelasgi  ed  Etruschi  abbiano  trovato 
quel  nome  ;  applicato  forse  da  prima  alla  sola  parte 
occidentale  del  mare,  mentre  l'orientale  chiamavasi  Sinus 
Illiricus ,  e  Sinus  Ioniics  l'insieme  del  golfo;  esteso 
quindi  a  tutto  il  golfo  medesimo ,  e  più  tardi ,  sebbene 
con  limiti  incerti ,  a  buon  tratto  fuori  di  esso  sino  alle 
coste  di  Sicilia,  di  Creta  e  di  Malta.  Datando  solo  dalla 
conquista  etrusca  ,  abbiamo  già  a  dodici  secoli  innanzi 
1'  Era  volgare  la  presenza  qui  d'un  popolo  ,  le  cui  forze 
late  terra  marique  patuere  (2)  ;  quando  dell'Adria  picena 
non  si  conosce  ancora  l'esistenza.  Fondata  questa  o  dai 
Sabini  con  Strabone  e  Plinio ,  o  da'  Latini  in  una  pri- 
mavera sacra  con  Silio  Italico  (3) ,  non  deriva  da  popoli 
che  in  celebrità  sul  mare  siano  paragonabili  agli  Etru- 
schi. Né  il  colle  su  cui  sorge  tuttora ,  né  le  piccole 
acque  che  le  corrono  a'  piedi ,  poteano  fornirle  Oppor- 
ci Loco  citato. 

(2)  Liv.  L.  V.  pag.  463,  ediz.  di  Ven.  46o9,  apud  H.  H.  Frane.  Babà. 

(3)  Cf.  Micali  ,  op.  cit.  I.  449  ,  nota  4. 

Aur.ii.  St.  Itai ..,  3.»  Serie  ,  T.  X  ,  IJ.  IL.  0 


42  l'  IMPORTANZA  DI  ADRIA  antica 

turrita  di  commercio  e  facili  comunicazioni  al  paro  del- 
l'Adria veneta.  La  quale  dalle  vaste  e  navigabili  paludi 
cui  imponeva  il  suo  nome ,  dal  suo  Atrianus  e  dagli 
altri  grossi  fiumi  che  in  quelle  mescevansi ,  comunicava 
co'  fertili  piani  e  le  fiorenti  città  di  tutta  la  vallata  pa- 
dana. Io  credo  col  Mazzocchi ,  seguito  dal  Lanzi  (1) ,  la 
Picena  essere  stata  colonia  dell'Adria  Veneta ,  né  so  che 
la  figlia  ne'  tempi  etruschi  soppiantasse  la  madre.  L'Adria 
picena  non  potè  salire  in  fiore ,  se  non  allora  che  i 
Romani  v'ebbero  condotte  le  due  magnifiche  strade  Sala- 
ria e  Valeria  ;  ma  queste  non  risalgono  che  al  quarto 
o  quinto  secolo  avanti  1'  Era  Volgare ,  quando  l'Adria 
veneta  ed  il  dominio  etrusco  erano  decaduti.  I  Romani, 
lungi  ancora  dall'essere  padroni  del  basso  Po ,  fecero 
dell'Adria  picena  la  scala  principale  del  loro  commercio 
orientale ,  ed  importante  ne  divenne  il  porto  alla  foce 
del  fiumicello  Matrinus _,  oggi  la  Piomba;  ma  il  mare 
allora  già  da  più  secoli  si  diceva  Adriatico.  Io  sono  anzi 
d'avviso  che  in  qualche  tempo  nessuna  città  marittima 
d'Italia,  nemmeno  nell' Etruria  propria,  sia  stata  al 
paro  dell'Adria  veneta,  celebre  e  possente  sul  mare. 
Infatti  il  mare  inferum  fu  denominato  Tirrenum}  communi 
vocabulo  gentis  (2)  ;  eppure  v'erano  città  marittime  cele- 
bri e  Populonia  e  Vetulonia  ,  ed  Uva  (nell'Isola  dell'  Elba) 
con  porto  rinomato  sin  dal  tempo  degli  Argonauti ,  che 
lo  chiamarono  Argoo ,  e  Pirgo  porto  celebre  di  Cere ,  e 
Port'  Ercole  e  Telamone  e  Pisa  ;  e  v'era  pure  alla  foce 
della  Macra  nell'odierno  golfo  della  Spezia ,  quella  Luni 
dalle  mura  di  candido  marmo ,  il  maggiore  emporio 
dell'  Etruria  cisapennina ,  il  cui  porto ,  capace  delle 
armate  più  numerose ,  fu  cantato  da  Ennio  : 

«  Lunai  portum  est  operae  cognoscere  ceiveis  » 


(1)  Saggio  ài  Lingua  etnisca  ec.  Roma,  Pagliai-ini  1789,  T.  II  ,  pag.  6^7. 

(2)  Liv.,  loco  cit. 


L'IMPORTANZA    DI    ADRIA    ANTICA  43 

ed  a  detta  di  Strabone ,  maximus  et  pulcherrimus ,  ne 
comprendeva  in  se  molti  profondissimi  tutti ,  usque  adeo 
ut  omnium  qui  maris  teneant  imperium  3  facile  fìeret 
receptaculum  tam  late  patentis  pelagi  multos  per 
annos  (1).  Contuttociò  nessuna  città  del  Tirreno  fu  capa- 
ce d' imporre  il  suo  nome  ad  alcun  tratto  considerevole 
del  mare  inferiore ,  come  del  superiore  fece  l'Adria 
nostra,  che  estese  il  suo  dominio  eziandio  sulle  coste  illi- 
riche e  Dalmate  ,  ed  ebbe  forse  colonie  Lissa  e  Pelagosa. 
Diremo  dunque  collo  storico  della  Dalmazia  Giovanni 
Lucio:  Atriatici  maris  nomen  Atriensium  Tusco^um 
imperium  demonstrat  ;  mari  autem  nomen  impositum 
absolutum  et  diuturum  Atriensium  dominium  indicai  (2). 
Valga  finalmente  il  fatto  che  dopo  tanti  secoli ,  e  tolta 
interamente  l'importanza  marittima  di  Adria,  la  stessa 
Venezia  non  seppe  mutargli  il  nome  ;  ed  il  mare  seguita 
a  dirsi  Adriatico ,  e  quella  maravigliosa  città  poetica- 
mente s'addomanda  Adria,  come  succeduta  all'antichissi- 
ma dominatrice. 

Né  mancava  l'opportunità  dell'indigeno  legname  alla 
marina  de'  nostri  padri  :  testimoni  la  strabocchevole 
quantità  di  roveri ,  e  d'altre  grosse  piante  sepolte  sotto 
le  alluvioni,  che  rivedono  di  continuo  la  luce. 

«  ....  Padi  ripis....  (cantò  Virgilio) 

Consurgunt  geminae  quercus  intonsaque  coelo 

Attollunt   capita  et  sublimi  vertice  nutant  (3)  ». 

Ne  parlano  eziandio  e  Claudiano  e  Sidonio  Apol- 
linare e  Ovidio.  Ricche  inoltre  le  sponde  del  basso 
Po  d'alni ,  di  pioppi ,  d'ontani ,  di  salici  e  persino  di 
abeti  e  di  larici ,  leggendosi  in  Vitruvio  :  Larice  non 
est  nota  nisi    his    municipibus   qui    sunt    circa    ripam 

(1)  De  situ  orbis,  Ediz.  cit.,  L.  V,  pag.XLV.  Cf. Micali,  op.  cit.,  I.,  161  162. 
(2   Io.  Lucu  De  Regno  Dalmatiae  et  Croatiie,  L.  I. 
(3)  Aeneìd.  ix. 


44  l'  importanza  di  adria  antica 

Padi  et  litora  maris  Adriatici....  hec  autem  materies 
larigna  per  Padum  Ravennani  d'eportatur....  (1).  Vive 
ancora  famosa  la  pineta  della  Mesola,  altre  presso  Chiog- 
gia  :  Lauretum  (Lorèo)  ebbe  probabilmente  il  nome  da 
lauri  sorgenti  sulle  sue  dune  :  molti  luoghi  di  nostre 
Provincie  ci  insegnano  le  carte  del  Medio-Evo  aver 
tratto  il  nome  da  alberi ,  come  Albaredo  ,  Saliceto , 
Fundo  populare  ,  Frassineto  e  Frassinelle  ed  altri  (2). 
E  gli  antichi  non  avranno  fatto  meno  de'  barbari  ,  se 
Teodorico  del  materiale  abbondantissimo  del  basso  Po  , 
costrusse  la  flotta ,  che  gli  valse  a  tenere  in  rispetto 
T  imperatore  Anastasio.  Mittat  Padiis  noster  (scrive  per 
lui  Cassiodoro)  indigenas  pelago  naves  _,  et  abies  quae 
ffuentibus  aquis  nutrita  surrexit ,  marinarum  superare 
cumulimi  discat  aquarum.  Ed  altrove  :  Per  utramque 
ripam  Padi  reperiri  Ugna  comperimus ,  fabricandis 
apta  dromonibus  (3). 

Che  i  Galli  non  occupassero  stabilmente  Adria ,  mi 
sono  indizio  e  il  dialetto  veneto  durato  fra  noi ,  e  il  non 
avere  essa ,  come  Felsina  ed  altre ,  mutato  il  nome.  Ma 
certo,  perduto  allora  colla  floridezza  il  dominio  del  mare, 
le  antiche  opere  idrauliche  ,  prive  del  concorso  di  costante 
ricchezza  ed  industria  a  conservarle  e  rinnovarle ,  dove- 
vano tornare  nocevoli  alla  nostra  città.  Ed  in  tal 
senso  può  concepirsi  il  passo  degli  Annali  di  Pellegrino 
Prisciani  (4)  :  Assagiorum  Padi  scissiones  primam  fuisse 
causam  inundationis  et  ruinam  civilatis.  Pertanto  se 
Adria,  a  motivo  dell'acque  lasciate  in  loro  balìa,  non  iscom- 
parve  dalle  lagune  come  Saga  e  Butrio  e  Spina ,  ridotta 
viculus  al  tempo  di  Strabone  ,  e    come  più  tardi   Aitino 

(4)  II,  9,  in  Fili  \si  op.  cit. ,  T.  II,  pag.  30,  ediz.  di  Padova,  4811. 

(2)  Una  gran  selva  era  presso  Berganlino,  ai  conlini  mantovani  dell'odierno 
Polesine,  nel  secolo  X.  Fuizzi,  Mem.  per  la  St.  di  Ferr.,  I,  pag.  220. 

(3)  Variar.  L.  V,  epist.  M ,  -18,20,  Coloniae  AlWirogum,  MDCLVI. 

(4)  Slanno  inediti  ed  in  copia  non  compiuta  nella  Biblioteca  di  Ferrara.  Il 
Prisciani  fu  ministro  celebre  del  Duca  Krcole  I  di  Ferrara,  visse  quindi  sul 
cadere  del  secolo  XV. 


L'  IMPORTANZA    DI    ADRIA    ANTICA  45 

ed  Eraclea ,  vuol  dire  che  soprapposte  alluvioni  permi- 
sero una  nuova  città  sorgesse  sulle  rovine  della  prima. 
Ecco  perchè  gli  avanzi  delle  romane  abitazioni  stanno 
costantemente  di  varii  piedi  meno  profondi  delle  etni- 
sche reliquie,  e  non  vi  ha  esempio  di  commistione  fra 
loro  (1). 

Nell'oscuro  periodo  di  circa  tre  secoli  dall'invasione  dei 
Boi  al  dominio  dei  Romani  su  Adria,  che  questa  federata 
co'  Veneti  stringesse  amicizia  con  quelli ,  mi  persuade  la 
notizia  mandata  da  Adria  a  Roma,  come  Livio  narra,  dei 
prodigi  in  Adria  medesima  avvenuti  durante  laguerra  d'An- 
nibale :  Aram  in  ccelo  speciesque  hominum  circum  eam 
candida  veste  visas  (2).  E  che  non  subissero  notevoli 
alterazioni  ne  le  lagune  ,  ne  le  circostanti  isole  e  terre, 
ricavo  da  concordi  asserzioni  d'autori  di  tempi  diversi. 
Stefano  Bisantino ,  dietro  Ecatèo  Milesio  di  forse  cinque 
secoli  anteriore  all'  Era  volgare  ,  dice  :  Regio  adriana 
pecoribus  egregia ,  ita  ut  bis  pariant  in  anno  ,  gemi- 
nosque  fetos  edant ,  saepe  etiam  tres,  et  quatuor  haedos 
interdum  (3).  Aristotele  ricorda  i  copiosissimi  raccolti 
delle  isole  venete.  Teopompo  contemporaneo  di  Ales- 
sandro Magno ,  narra  de'  Veneti  Adriani  accolentes  i 
sacrifici  alle  cornacchie  perchè  rispettassero  le  sementi. 
Scimno  da  Chio,  un  secolo  e  più  prima  di  Strabone ,  ap- 
pella tutta  la  Venezia  regionem  praestantissimam  et 
frugiferam.  Dione  Crisostomo ,  de'  tempi  di  Vespasiano, 
cita  optimam  terram  circa  Adriam.  Plinio  dietro  molti 
altri  loda  le  galline  di  Adria  celebri  produttrici  di  uova  (4), 
ed  i  salici  e  l'uva  detta  Adriana  come  raccolta  ab  intimo 
sinu  maris.  Vitruvio  delle  paludi  nostre,  dette  allora 
anche  galliche ,  asserisce  che  i  luoghi  in  esse  posti 
incredibilem  habent  salubritatem.  Abbiamo  anche  traccia 

(4)  Vedi  sopra. 

(2)  Lib.  XXIV,  ediz.  di  Venezia  ,  4  659,  ap.  H.  H.  Francisci  Babà,  pag.  413. 

(3)  Cf.  Fiuasi,  II,  10. 

(4)  Hist  nat. ,  L.  X,  e.  53. 


46  L*  IMPORTANZA   DI   ADRIA   antica 

d' irrigazioni  dagli  avanzi  di  tubi  di  piombo  presso  Adria 
dissotterrati ,  e  da  un  marmo  di  Villadose  (terra  a  circa 
otto  miglia  a  ponente  di  Adria) ,  ove  s'accenna  ad  una 
concessione  d'acqua  :  Iter  aq....  hoc  precar.  dat.  ab  Rufo 
Ciloni  (1).  Cose  queste  che  sarebbero  state  tutte  impos 
sibili ,  se  per  radicali  mutazioni  nell'acque  il  suolo  adri  a 
no  fosse  divenuto  allora ,  come  fu  poi  dal  secolo  decimo 
terzo  al  decimosettimo  ,  tutto  stagni  e  canneti. 

Del  commercio  parla  la  grande  quantità  de'  vasi 
dipinti ,  ossia  loro  frammenti ,  che  mi  sono  sforzato  so 
stenere  manifattura  adriana  ;  e  la  stragrande  de' fittili 
romani ,  la  cui  arte ,  al  perire  di  quella  de'vasi  dipinti , 
si  sostenne  lungamente  fra  noi.  E  sebbene  i  molti  figuli , 
inscritti  nei  bolli  de' nostri  cotti,  non  fossero  tutti  indi- 
geni ,  certo  n'è  provato  il  vivo  traffico  alle  nostre  coste. 
Il  mio  museo  offre  tra  molti  altri  i  nomi  d'un  Arunte  in 
vaso  nero;  d'un  Murri,  d'un  Titìcio ,  d'un  Caro,  d'un 
Pacato  in  vasi  rossi;  d'un  Poehaspi ,  d'un  Jegidi,  d'un 
Crescente  in  lucerne  :  all'agro  nostro ,  o  circonvicini , 
spettano  le  molte  tegole  della  fabbrica  Pansiana,  fondata 
da  un  Pansa,  forse  il  Console  ,  e  passata  agli  imperatori, 
come  l'attestano  i  nomi  prepostivi  di  Tiberio ,  di  Cajo , 
di  Claudio,  di  Nerone,  e  di  Vespasiano  (2) ,  che  tutti  si 
leggono  pure  nel  mio  museo  ,  con  altri  frammenti  di 
tegole  d'un  Solonate  e  d'un  Gneo  Fausto  :  altra  fabbri 
ca  nostra  può  ritenersi  la  Faesonia ,  come  da  un  pezzo 
di  tegola  da  me  recentemente  scoperto  :  ho  pure  mattoni 
d'un  Caio  Junio ,  un'urna  d'un  Biodoro  ;  di  due  cotti 
d'un  Secundione ,  e  d'un  Tieni  Philargiri  devo  il  deci 
fr amento  al  eh.  Mommsen. 

Parlano  ancora  dell'antico  nostro  commercio  il  me- 
tallo coniato  ,  in  gran  copia  scoperto  qui  in  varii  tempi, 
sciaguratamente  la  maggior  parte  disperso  ;  come  avven- 

(1)  «  Le  antiche  lapidi  romane  del  Polesine  illustrate  dal  sacerdote  Vin- 
cenzo Devit  ».  Ven.  485  5,  Tip.  Perini,  pag.  <i3. 

(2)  Devit,  op  cit.  pag.  109  e  segg. 


L*  IMPORTANZA   DI    ADRIA   ANTICA  47 

ne  di  quella  (dice  una  lettera  contemporanea)  prodigiosa 
quantità  di  monete  d'oro  e  d'argento  rinvenute  alla 
metà  del  passato  secolo  tra  le  sabbie  delle  dune  dette 
Monti  di  S.  Basilio  nell'  Isola  d'Ariano.  Qualche  pezzo 
d'aes  rude,  frammenti  sospettati  d'aes  grave ,  parecchi 
assi  col  Giano  bifronte  ,  indizio  del  nostro  commercio 
coll'antica  Roma ,  qualche  centinaio  di  monete  consolari 
ed  imperiali  stanno  nel  mio  museo. 

Dell'  importanza  commerciale  di  Adria  antica  sono 
poi ,  meglio  d'ogni  altro,  testimonii  attendibili  i  ruderi 
di  strade  in  più  luoghi  di  nostra  provincia,  e  special- 
mente quelli  scoperti  in  Adria  presso  la  chiesa  della 
Tomba ,  colla  pietra  miliare  che  vi  stava  dappresso.  An- 
che questa  si  conserva  nel  mio  museo ,  e  col  nome  a 
grandi  lettere  incisovi  del  console  Publio  Popilio ,  e  colla 
cifra  LXXXI ,  ci  dice  che  nel  seicento  ventidue  di  Roma 
(132  av.  l'È.  V.)  fu  condotta,  o  forse  riattata,  una  strada 
che  per  miglia  ottantuno  conduceva  ad  Adria  da  Rimini , 
la  prima  che  i  Romani  imbrecciassero  sulla  sinistra  del  Po. 
Infatti  M.  Emilio  Lepido  conduceva  bensì  nel  cinquecento 
sessantasette  di  Roma  (187  avanti  l'Era  volgare)  la 
via  Emilia  Parmense  ;  ma  solo  nel  seicento  trentanove 
di  Roma  (115  avanti  l'Era  volgare)  altro  Emilio,  lo 
Scauro  ,  imbrecciava  Y  Emilia  Altinate  che  da  Modena  , 
e  passato  il  Po  presso  Sermide  ,  per  Aneiano  ,  Ateste  , 
Patavium  j,  mettea  capo  ad  Aitino.  Fu  quest' ultima  ese- 
guita quando  i  Romani ,  signori  di  tutta  la  Gallia  Cisal- 
pina e  dell'  Istria ,  estesero  i  rapporti  anche  ai  paesi 
transalpini  ed  ampliarono  la  rete  stupenda  delle  loro 
strade;  ma  prima  di  essa,  senza  il  luugo  giro  intorno 
alle  paludi ,  la  nostra  Popilia  offriva  la  più  breve  comu- 
nicazione da  Rimini  ad  Aitino ,  cioè  di  circa  centodieci 
miglia  geografiche  italiane;  mentre  per  Y  Emilia  Altinate 
se  ne  contarono  circa  centonovanta.  Le  miglia  ottantuno 
del  nostro  marmo,  corrispondenti  a  circa  sessantaquattro 
geografiche  nostre,  combinano  colla  distanza  da  Adria  a 


48  l'  importanza  di  adria  antica 

Riinini.  Una  vicinale  da  Adria  a  qualche  punto  dell'arni- 
ca Altinate  (  dato  e  non  concesso  che  questa  fosse 
più  antica  della  nostra) ,  per  esempio  a  Sermide ,  tenuto 
pur  conto  delle  divergenze  ,  non  ci  darebbe  che  circa 
cinquanta  miglia  geografiche.  Arroge  la  costante  tradi- 
zione d'una  via  romana  lunghesso  le  nostre  dune,  e  la 
concordanza  colla  tavola  peutingeriana  (1).  Secondo  que- 
sta ,  poste  da  Rimini  a  Ravenna  circa  miglia  romane  37 
abbiamo  poi  da  Ravenna  a  Butrio  6 

Da  Butrio  ad  Augusta,,  ossia  alla  fossa  di  questo  nome  6 
Da  Augusta  a  Sacis,  che  si  vorrebbe  all'odierno    La- 

gosanto  12 

Da  Sacis  a  Neroma ,  forse  Volana  4 

Da  Neroma  a  Corniculani  presso  l'odierno  Codigoro  3 
Da  Corniculani  a  Radriani ,  il  moderno  Ariano  6 

Da  Radriani  a  Maria ,  ossia  Septem  Maria ,   il    porto 

di  Adria  6 


che  sono  appunto  miglia  romane  80 

colla  non  valutabile  differenza  d'un  miglio  dal  nostro 
marmo  che  ne  dà  ottantuna  (2).  Maravigliosa  strada, 
avuto  riguardo  alle  acque  che  doveà  traversare  ;  che  se 
di  ponti  non  poteva  esser  parola  al  tragitto  delle  più 
grosse,  ho  un  saggio  dell'industria  che  si  sapeva  ado 
perare  a  rendere  carreggiabili  gli  stagni  meno  profondi. 
Circa  trecento  metri  a  ponente  del  sito  ove  giaceva 
quella  lapide ,  nell'orto  del  nobile  Carlo  Zorzi ,  si  rin- 
vennero nel  1839  scavando  un  pozzo  ,  a  sei  metri 
di  profondità  ,  grossi  macigni  ben  connessi  alla  solita 
foggia  delle  strade  romane ,  sovrapposti  ad  un  metro 
di  cemento  misto  a  macerie  ;  e   questo   aveva  per    base 

(-1)  L'itinerario  di  Antonino  pone  millia  passuum  XXXIII  redo  itinere  ab 
Arimino  Ravennani.  11  brano  della  tavola  peutingeriana  riferito  dal  Filiasi,  quanto 
ai  luoghi  che  c'interessano,  porta  qualche  variante  dalla  lezione  che  ho  seguila 
io  (op.  ci L-  II,  52  in  nota).  Ma  in  qualunque  modo  di  poco  ci  discostiaino  dal 
numero  del  marmo. 

(2  Cf.  Devit  ,  op.  cit.  pag.  40  e  seg.  ;  e  Fidasi:  op.  cit.  T.  I  ,  pag.  272  e 
segg.  ;  e  T.  II ,  pag.  82  e  segg. 


L'IMPORTANZA   DI   ADRIA   ANTICA  49 

panconi  di  rovere    dello    spessore  di    circa  cinque  once 
venete  (m.  0,142),  sotto  cui  si  vide  sabbia  marina. 

La  Popilia  proseguiva  a  tramontana  ,  o  sarebbe  man- 
cato il  precipuo  suo  scopo ,  la  sollecita  comunicazione 
con  Aitino  ed  Aquileia  :  infatti  a  quella  parte  del  suburbio 
di  Adria,  furono  posti  in  luce  altri  ruderi  di  strada  (1) 
fiancheggiati  da  romani  sepolcri.  Da  essa  furono  poi  con- 
dotte diramazioni  anche  a  ponente  :  reliquie  di  strade  e  di 
umane  abitazioni  si  rinvennero  a  Gavello,  Rovigo,  Massa 
superiore ,  Melara  ,  Bergantino  ed  altri  luoghi  del  Pole- 
sine ;  Fractcìj  Arcuata,,  Flexus,  Ponticulus .,  antichi  nomi 
viventi  in  Fratta ,  Arquà ,  Flesso ,  Pontecchio  ,  ricor- 
dano le  curvature  ,  i  gomiti ,  i  ponticelli ,  i  traghetti 
formati  per  condurre  quelle  comunicazioni  ;  le  quali , 
mancando  allora  luoghi  d' importanza  a  ponente  di  Adria , 
non  potevano  mirare  se  non  a  qualche  punto  dell'  Emi- 
lia Altinate.  Inoltre  documenti  de'  secoli  di  mezzo  ci 
offrono  i  nomi  di  Quarto ,  Quinto  ,  Settimo ,  dati  a  fondi, 
ville ,  masse ,  valli  del  territorio  di  Adria  ;  una  Valle  di 
Quarto  era  ancora  nel  secolo  decimosesto  presso  Gavello, 
una  Valle  di  Quinto  possedettero  i  miei  maggiori  nel 
decimoquarto  e  nel  secolo  successivo  ;  numeri  che  un 
tempo  s'avranno  contati  dalla  citata  pietra  miliare.  Che 
se  coli'  ingigantire  della  Romana  Repubblica  ,  onde  nuove 
vie  in  diverse  parti  s'apersero  e  per  terra  e  per  acqua , 
e  soprattutto  col  traripamento  de'  fiumi  fu  tolta  impor- 
tanza a  queste  strade  ;  le  nostre  dune  col  nome  di  stra- 
da romèa  non  furono  abbandonate  giammai ,  e  le  per- 
correva sino  agli  ultimi  tempi  della  Veneta  Repubblica 
il  corriere  di  Roma. 

Né  periva  la  nautica.  Posta  da  Strabone  tra  le  castel- 
la delle    paludi    modicis    sursum    navigationibus    mari 
vicina  (2) ,  Municipio ,  insignita  di    magistrato   decurio- 
ni) Nel  fondo  Bindola  del  nob.  Zorzi  suddetto- 
(2)  Lib.  V,  pag.  xliii  ,  T.  ediz.  cit. 

Arch.  St.  Ital.,  3.*  Serie,  T.  X ,  P.  II.  7 


50  l'  IMPORTANZA  DI   ADRIA  antica 

naie  ,  Adria  ebbe  pure  collegio  di  marinai  (1)  e  presidio 
navale  (2).  Navigarono  l'acque  nostre  da  Ostiglia  Clau- 
dio imperatore ,  reduce  di  Bretagna  (3)  ;  da  Aquileia  i 
nuncii  dell'uccisione  del  tiranno  Massimino  (4)  ;  da  Aitino 
Asparre  generale  di  Placidia  (5);  e  ne  aumentarono  l' im- 
portanza,  al  tempo  delle  prime  invasioni  barbariche ,  le 
migrazioni  dalla  terrestre  Venezia.  Fioriva  ne' tempi 
gotici  la  navigazione  del  Po ,  le  barche  cursorie  tragit- 
tavano da  Ostiglia  a  Ravenna  ed  Aitino  ,  e  dalla  rada 
di  Adria  riscuotevansi  i  regii  tributi  (6)  :  Narsete  final- 
mente tragittava  il  suo  esercito  da  Aquileia  a  Ravenna 
per  l'acque  e  gli  scanni  delle  nostre  lagune  (7). 

Ma  sullo  scorcio  del  secolo  sesto  avvenne  nelle  nostre 
acque  la  prima  grande  alterazione  che  la  storia  ricordi. 
L'Adige  che  correva  per  Montagnana,  e  lambendo  i  Colli 
Euganei  finiva  a  Brondolo  ,  ruppe  al  villaggio  della  Cucca 
poco  sotto  Verona,  e  tutte  l'acque  versò  sul  Polesine,  ove  ri- 
masero disarginate  per  secoli.  Non  avevano  ripreso  stabile 
corso  quando  nel  decimo  secolo,  alPizzone  diBadia,  un'altra 
rotta  originava  quel  nuovo  Adige  che  inalveato  e  ristret- 
to fu  poi  chiamato  Adigetto  ;  mentre  la  maggior  massa 
delle  acque,  raccolta  dopo  lunghissime  industrie  nella 
Fossa  Chirola ,  formò  l'Adige  odierno  (8).  Duravano 
tuttavia  le  occupazioni  marinare  de'nostri ,  perchè  il 
porto  di  Adria  sussisteva,  sebbene  il  nome  se  ne  andasse 
mutando  in  Portus  Laureti  dall'omonima  terra  allora 
nascente  ;  in  quella  guisa  che  si  disse  Portus  Rivoalti 
e  si  dice    Porto  di    San    Niccolò  o  di  Lido ,  anziché  di 


(!)  Lapidi  varie  nel  museo  Bocchi  ed  altrove;  vedi  Devit,  op.  cit. ,  pag.  16, 
35,  88. 

(2)  Taciti,  L    III,  Hisl.,  cap.  12. 

(3)  Plin.  ,  loco  cit. 

(4)  Hekodiani  ,   Vitae  imperai,  in  Ma  limino. 

(5)  Filiasi,  op.  cit.  IV,  512,  e  segg. 

(6)  Cassiod.  ,  Variir.  L.  I,  epist.  19. 

(7)  Filiasi  ,  op.  cit.  V,  pag.  35  e  segg. 

(8)  Silvestri,  Paludi  Adriano,  pag.  31,  39  ed  altrove  passim. 


L'  IMPORTANZA    DI    ADRIA    ANTICA  51 

Venezia.  Nel  secolo  ottavo  il  mare  batteva  ancora  alla 
Pomposa ,  e  verso  la  metà  del  nono  Arabi  Siciliani  e 
Cretesi,  devastata  Dalmazia  ed  arsa  Ancona,  Adriensem 
portum  qui  proximus  est  Venetie  applicuerunt  (1).  Pi- 
pino di  Carlo  Magno  spinse  gran  forze  contro  i  Vene- 
ziani dalle  acque  bel  Basso  Po  :  nel  decimo  secolo  ,  per 
certe  contese  di  questi  con  Berengario  ,  un  Alberto  prin- 
cipe tedesco  campò  per  le  foci  del  Po  sul  dosso  della 
Spina  e  quindi  a  Ravenna,  con  navi  adriane  leggeris- 
sime sopra  ogni  maraviglia  (2).  Ad  uso  di  navi  accordato 
a  Paolo  I  vescovo  di  Adria  accenna  una  bolla  di  papa  Gio- 
vanni X  del  novecento  ventuno  :  sono  ricordati  un  porto 
di  Adria  «  porto  vestro  »  nel  testamento  del  marchese 
Amelrico  (od  Almerico)  del  novecentrentotto  in  favore 
Borni  B.  Petri  S.  Adriensis  Ecclesiae  ;  Insula  Adriana 
ed  Insula  intra  Adicem  et  Tartarum ,  nella  bolla  di 
papa  Marino  II  (o  Martino  III)  del  novecentoquarantaquat- 
tro  a  Giovanni  vescovo,  e  così  pure  Portus  Laureti; 
Laretum  et  quantum  aqua  salsa  continet ,  in  un  diploma 
di  Ottone  III  al  Doge  Pietro  Orseolo  ;  di  nuovo  Portus 
Laureti  insieme  con  diritti  d'ancoraggio  «  ripatico  et 
toloneo  »  come  spettanti  al  vescovo  Benedetto  I ,  nel 
Mandiburnium  protectionis  accordato  a  questo  da  En- 
rico II  nel  millecinquanta  quattro.  E  l' importanza  di 
Lorèo  da  ciò  si  scorge ,  che  fu  cagione  di  gravi  contese 
fra  Adria  e  Venezia ,  onde  ne'  secoli  undecimo  e  duode- 
cimo molto  sangue  si  sparse  presso  quell'acque  (3). 

Radicalmente  mutò  faccia  al  nostro  suolo  ,  e  convertì 
Adria  in  città  continentale  la  rotta  del  Po  nel  secolo 
decimosecondo  ,  detta  Sicarola  dal  nome   dell'uomo  che 

(4)  Cronaca  Sagomino. 

(2)  Storia  imperiale  di  Ricobaldo  Ferrarese. 

(3)  Cf.  Silvestri  ,  Paludi  Adriane  ;  Speroni  ,  Adriens.  Episcop.  Series.  Pa- 
tav.  17S8i  e  specialmente  l'opera  dell'autore  della  presente  memoria:  Della  Sede 
episcopale  di  Adria  Veneta  etc. .  Adria  1858,  Tipogr.  Vianello  ,  pag.  451  e  segg. 
-  Delle  guerre  di  Adria  con  Venezia  ne' secoli  XI  e  Xll,  parlano  le  storie  e 
cronache  venete. 


52  l'  IMPORTANZA  DI  ADRIA  antica 

per  tradizione  se  ne  crede  lo  scellerato  autore ,  e  di 
Ficarolo  dal  luogo  ove  si  formò  la  stabile  diversione 
del  fiume.  L'acque  ne  corsero  assai  lungamente  disar- 
ginate. Il  Sardi  (1)  narra  essere  capitate  prima  nel  Lago 
Oscuro  ,  poi  a  Villanova  nel  Canal  de'  Buoi  >  indi  in 
due  antichi  canali  il  Tot  e  la  Corbola:  il  Nicolio  (2), 
aver  preso  in  quest'ultimo  tanta  velocità,  che  non  fu  più 
possibile  chiudere  quella  rotta ,  onde  formossi  il  nuovo 
letto ,  che  dal  Bonello  per  Tessarolo ,  Racano ,  Polesella 
correva  al  mare.  Nel  millecentocinquantotto  si  legge  nei 
documenti  il  nuovo  ramo  «  Rupta  Padi  »  a  Ficarolo  (3)  ; 
nel  settantacinque  ,  paesi  che  stavano  alla  manca  del 
fiume  compaiono  alla  destra  :  nel  novantadue  ,  Rupta 
Ficaroli  è  di  già  fatta  stabile  fiume  :  e  tutti  convengo- 
no che  luoghi  abbandonati,  confini  perduti ,  alvei  antichi 
colmati ,  nuovi  scavatisi  furono  gli  effetti  di  quella  rotta , 
per  la  quale  condotto  il  gran  fiume  vicino  ad  Adria ,  col 
nome  di  Po  di  Lombardia  o  di  Venezia ,  formò  presso 
Lorèo  la  Bocca  delle  Fornaci ,  che  interrò  affatto  il 
Porto ,  e  prolungandosi  oltre  le  Dune ,  si  tripartì  in 
quelle  di  Scirocco ,  Levante  e  Tramontana.  Il  Tartaro  , 
che  dapprima  correva  direttamente  al  mare  ,  fu  strozzato 
nel  suo  corso  e  divenne  influente  del  Po  ;  disordinato 
tutto  il  sistema  dell'acque  della  provincia ,  molti  villaggi 
furono  distrutti  ;  dell'antica  città  di  Gavello  non  rimasp 
che  il  nome.  Ed  intanto  l'antico  Po ,  coi  suoi  rami  di 
Volana  e  Primaro ,  scemava  d' importanza ,  finche,  dopo 
l'immissione  in  esso  del  Reno,  l'Aleotti  lo  lamentava 
affatto  perduto  nel  millecinquecentottantadue. 

Sebbene  in  principio  del  terzo  decimo  secolo  il  mare 
toccasse  ancora  la  Mesola  e  le  dune  di  San  Basilio, 
le  alluvioni  furono  sì  copiose  che  al  decimoquarto  vediamo 

(\)  Storia  di  Ferrara  di  G\sp\ro  Sardi. 

(2)  Storie  rodigine  del  Dottor  Andrea  Nieolaio  di  Rovigo. 

(3)  Per  questa  e  per  tutte  le  mutazioni  del  Po  è  a  consultare  il  diligenti s- 
ìsimo  Frizzi  :  Memorie  per  servire  alla  storia  di  Ferrara. 


L'IMPORTANZA   DI   ADRIA    ANTICA  53 

Adria  interamente  cinta  di  stagni  e  canneti  ;  e  sarebbe 
al  paro  di  Gavello  affatto  perita ,  se  la  sua  posizione 
più  lontana  dalla  rotta ,  ed  in  mezzo  ad  acque  più  pro- 
fonde, non  l'avesse  preservata.  Pur  si  direbbe  che  la  sola 
memoria  della  passata  potenza  e  perizia  sul  mare  dei 
nostri  maggiori  rendesse  ombrosi  i  Veneziani ,  se  un 
patto  stabilito  fra  li  due  comuni  nel  diciotto  febbraio 
milletrecento  nove ,  non  consente  agli  Adriesi  altro  uso 
del  mare  che  per  l'esportazione  del  loro  pesce ,  ed  una 
limitata  importazione  :  «  Non  possint  (  homines  Adriae  ) 
ire  per  mare  salvo  quod  possint  portare  libere  et  fran- 
che suos  pisces  ad  partes  Bomandiole ,  Marcile  anco- 
nitane,  Apulie  et  Tstrie  per  mare  _,  et  possint  con- 
ducere de  dictis  partibus  mercimonia  sicut  possuni 
Veneti  ,  intelligendo  quod  mercimonia  que  conducer ent 
de  dictis  partibus  primo  conducantur  Venetias  et  de 
Venetiis  postea  extrahantur ,  sicut  olii  Veneti  similes 
extractiones  facere  possunt  (1). 

L'ultima  catastrofe  che  compì  l'interrimento  dei  resi- 
dui delle  nostre  paludi  furono  i  tagli  operati  nell'Adige 
a  Malopera  e  Castagnaro,  poco  sopra  Badia,  dal  Mar- 
chese Gonzaga  e  dal  Piccinino  nel  millequattrocentotren- 
totto  ,  per  ragioni  di  guerra  contro  Venezia.  Allagatane 
deplorabilmente  l'intera  provincia ,  scomparso  il  Tartaro 
inferiore  ed  altri  canali,  e  rimaste  molt'anni  aperte  quelle 
rotte,  furono  poco  a  poco  raccolte  le  acque  in  quell'alveo 
che  prese  il  nome  di  Canal  Bianco,  e  condotte  per  esso 
pregne  di  sabbie  a  traverso  della  città  di  Adria  ,  per 
angusta  bocca ,  detta  la  Fuosa,  nel  Po  che  spesso  le  re- 
spingeva ;  onde  spandevansi  a  colmare  i  bassi  fondi ,  e 
sinanco  le  fosse  che  solcavano  la  città. 


(1)  Pactum  Adriae  (1309):  conservasi  originale  nell'archivio  de'Frari  in  Ve- 
nezia ,  in  foglio  membranaceo  del  libro  pactorum  tertio:  e  fu  da  me  pure  ve- 
duto. Frane.  Girol.  Boccili  primo  lo  fé  stampare  in  fascicolo  apposito:  ebbe 
qualche  altn  pubblicazione  per  le  stampe ,  ma  in  opuscoli  pochissimo  noti. 


54  l'  importanza  DI  ADRIA  antica 

Tra  questa  e  Lorèo ,  dove  stava  il  porto  antico,  s'era- 
no formate  valli  di  ragione  dello  Stato.  Un  documento 
del  millequattrocentottantuno  nomina  ancora  quel  porto, 
ma  solo  per  farci  intendere  che  più  non  esisteva.  Uno 
de'  miei  proavi  Bellino  di  Benvenuto  Bocca  ,  riceveva 
in  affitto  di  cinque  anni  dalla  Camera  Ducale  di  Ferrara 
Portum  et  Valles  Adrie  cum  clepariaiA)  ibi,  et  omni- 
bus suis  pertinentiis  }  pendisiis  et  coherentiis  ,    et  cum 

vallibus  ,  canalibus  ,  et  gurgis  ,  piscariis piscationi- 

bus  et  venationibus  et  cum  omnibus  et  singulis  aliis  ad 

ipsum  portum  et  valles  spectantibus  et  pertinentibus 

per  annuos  ducatos  seoccentum  quinquaginta  unum  auri 
boni  et  iuxti  ponderis  venetos  (2).  Nell'ottantacinque  ed 
ottantasette  il  detto  Bellino  Bocca  con  Giovanni  Dona  e 
Bellino  Ama ,  quali  conductores  generales  vallium  por- 
tus  Adrie  illustrissimi  Ducatus  Ferrarie  sublocano  ad 
Ardito  e  consorti  Cappati ,  Pietro  Pezzolato  e  Barto- 
lommeo  Bocca  le  Valli  del  Porto  di  Adria  «  Valles  por- 
tus  Adrie  ».  E  di  queste  valli ,  che  prendevano  il  nome 
dal  porto  di  Adria  ,  abbiamo  non  pochi  altri  riscontri  in 
documenti  posteriori  (3)  ;  finché  se  ne  perdette  affatto 
il  nome. 

Nondimeno  i  canali  e  fiumi ,  onde  Adria  comunicava 
col  mare  erano  ancora  profondi  tanto  ,  e  la  città  difesa 
dall'acque  così ,  che  nel  maggio  millequattrocentottanta- 
due  una  grossa  flottiglia  veneta  l'assediava  e  prendeva 
d'assalto  solo  dopo  accanito  combattimento.  Nel  giugno 
successivo  Adria  domandava  a  Venezia  che  le  piacesse 
de  donarghe  tutte  le  valle  con  tutti  i  monimenti  spe- 
danti a  quelle  e  che  son  poste  in  la  giurisditione  della 
città  e  che  za  fo  del  marchese  de  Ferrara.  Ciò  non  le 


(1)  Cleparia  ossia  Chieppara  significa  un  tratto  di  terra  che  emerge  dal- 
l'acque, come  Dosso,  Motta,  e  simili.  Chieppara  è  parola  che  sussiste  ancora 
nel  suburbio  di  Adria. 

(2)  Pergamena  autentica  presso  il  mio  museo. 

(3)  Documenti  e  copie  autentiche  varie  presso  il  museo  suddetto. 


L'  IMPORTANZA   DI   ADRIA   ANTICA  55 

fu  allora  accordato,  sì  bene  che  ditti  servidori  (li  uo- 
mini d'Adria)  possano  navigare  e  mercandare  con  barche 
e  burchi  per  mare  e  in  tutti  gli  altri  luoghi  della  sere- 
nissima Signoria ,  come  fanno  le  Comunità  di  Lorèo  e 
Cavarzere.  Ciò  è  pure  ripetuto  ne'  capitoli  della  stabile 
dedizione  di  Adria  alla  Repubblica ,  nel  diciotto  dicem- 
bre millecinquecento  e  nove  accordati  dal  Doge  Leo- 
nardo Loredano  alla  Comunità ,  e  per  essa  Prudenti 
viro  Benvenuto  de  Bacca  (  Bocchi  )  cive  et  nuntio  atque 
oratore  fedelissime  Comunitatis  nostre  Adrie  nuperrime 
dedite  dominio  nostro  (1)  :  da'  quali  capitoli  ricavasi  che 
unica  industria  di  qualche  conto  eravi  quella  dei  lavori 
in  canna ,  leggendovisi  che  ditti  fedelissimi  possino  far 
et  dispensar  ogni  quantità  di  grisole  di  ogni  conditione 
in  le  valle  delle  città  di  Venetia  e  Chioza  et  in  li  altri 
luochi  della  Signoria  ,  come  sempre  per  il  passato  han- 
no fatto  et  dispensato.  Ed  ecco  la  metropoli  etrusca  ridot- 
ta a  vivere  della  pesca  e  della  canna ,  quasi  unica  sua 
ricchezza  ;  il  che  risulta  pure  da  ciò  ,  che  il  suo  Statuto 
già  esistente  nel  mille  trecento ,  riformato  ed  approvato 
dal  Marchese  Lionello  d'Este  nel  millequattrocentoqua- 
rantadue  ,  occupa  un  intero  capitolo ,  il  nono ,  de  Valli- 
bus  et  ad  valles  pertinentibus. 

E  qui ,  finito  il  compito  propostomi  coll'aver  dimostrato 
la  perdita  totale  del  Porto  di  Adria,  mi  permetto  aggiun- 
gere una  breve  rassegna  de'  fatti  che  mutarono  ancora 
la  faccia  del  nostro  suolo.  Ai    tempi  del   Bronziero    (2) , 

(4)  Statuto  di  Adria  stampato  a  Venezia  4707  apud  Iacobum  Valvasensem  col 
titolo  Ius  municipale  Adriae,  pag.  122  e  seg.  Non  sarà  inutile  avvertire  che  que- 
st'unica edizione  dello  statuto  di  Adria  ribocca  d'errori  di  stampa  così  da 
renderne  malagevole  lo  studio  senza  il  confronto  con    qualche  buon  testo  mss. 

(2)  Giangirolamo  Bronziero  di  Badia  del  nostro  Polesine  (4577-4630)  ce- 
lebre medico  lasciò  inedita  una  Storia  delle  origini  e  condizioni  de' luoghi  prin- 
cipali del  Polesine  di  Rovigo.  Tratta  dalle  tenebre  per  Don  Giuseppe  Bocchi  ca- 
nonico di  Trevigi ,  fu  per  cura  di  questo  e  del  sullodato  Ottavio  Bocchi  di  lui 
fratello,  edita  a  Venezia  per  Carlo  Pecora  4747.  È  molto  imperfetta;  ma  è  il 
primo  saggio  d'  una  storia  dell'  intera  provincia. 


56  l'  IMPORTANZA  DI  ADRIA  antica 

sullo  scorcio  del  secolo  sestodecimo ,  il  mare  stava 
ancora  a  poche  miglia  da  Adria ,  quante  ne  sono  a 
Contarina ,  cioè  poc'oltre  le  antiche  dune.  Ma  le  acque 
del  Po  per  l'abbandono  degli  antichi  rami  di  Volana  e 
Primaro ,  per  l' insufficienza  delle  nuove  foci  e  succes- 
sivo loro  prolungamento ,  più  sempre  elevandosi ,  cor- 
revano a  ritroso  non  solo  del  Canalbianco ,  ma  altresì 
del  Canal  di  Lorèo  e  dell'Adige  stesso,  che  per  questo 
canale  comunicava  col  gran  fiume.  Un  radicale  rimedio 
o  l'estrema  rovina  di  Adria  erano  inevitabili.  Dal  quattro 
al  novantuno  del  sestodecimo  secolo ,  nella  riva  sinistra 
di  esso  dal  Mantovano  al  mare ,  più  di  quaranta  rotte 
eransi  aperte ,  una  quasi  ad  ogni  biennio.  Molti  progetti 
si  esposero,  e  se  non  fu  di  Luigi  Grotto,  il  Cieco  d'Adria, 
quello  che  fu  proposto  il  diciassette  novembre  del 
mille  cinquecento  sessantanove  dinanzi  al  senato  veneto 
colla  famosa  orazione  del  Taglio  di  Porto  Viro  (1)  ;  fu 
certamente  la  facondia  di  quell'uomo  singolare  che  ne 
rese  popolare  il  bisogno ,  sì  che  il  Senato  Veneto  emise 
in  proposito  una  parte  favorevole.  Ostacoli  sorvenuti , 
conflitto  d' interessi  fecero  decorrere  trentatrè  anni  an- 
cora prima  che  si  ponesse  mano  al  lavoro.  Un  per- 
sonale interesse  vi  die  l'ultima  spinta.  Antonio  Grimani 
nel  millecinquecentoventiquattro  aveva  acquistato  dal 
Comune  di  Adria  grande  estensione  di  terre  palustri , 
spettanti  al  Comune  stesso  prò  indiviso  con  quello  di 
Cavarzere ,  e  dette  Dosso  del  Canalazzo.  Giunto  al  do- 
gado  nel  novantacinque  Marino  Grimani ,  nipote  di 
quell'acquirente,  procurò  dal  Senato  il  decreto  diciassette 
dicembre  novantotto  che  approvava  il  taglio  alla  destra 
del  fiume,  e  la  bolla  di  Clemente  Vili,  otto  luglio  sei- 

(1)  Ebbe  varie  edizioni.  Ricordo,  come  più  facili  a  trovarsi,  quella  che  si 
trova  nel  volume  di  tutte  le  orazioni  del  Cieco.  Ven.  per  li  fratelli  Zoppini  4586, 
pag.  48,  l.;  e  quella  inserita  nella  lodatissima  opera  det  Zendrini  sulle  venete 
lagune.  Le  s-tesse  orazioni  furono  stampate  ancora  dal  Zoppini  nel  4G02. 


L'  IMPORTANZA    DI    ADRIA    ANTICA  57 

cento ,  che  vi  acconsentiva  nei  riguardi  dei  confini.    Fu 
eseguito  il  taglio  al  luogo   detto    la    Pioppo, ,    circa   sei 
miglia  a  levante  di  Adria ,  ed  abbreviandone  il  corso  di 
ben  dieci  miglia ,  fu  mandato  il   Po  nella  vicina    Sacca 
di  Goro  ,  poco  sotto  l'odierna    Contarina.   Divisa    affatto 
la  nuova  dalle  vecchie  foci ,  i  rami  di   Scirocco    e   Tra- 
montana rimasero  abbandonati,  e  quello  di  Levante   fu 
ceduto  al  libero  e  indipendente  deflusso  del  Canalbianco. 
Questo    serviva   alternativamente  a  scolo    de'  bassifondi 
e  ad  emissario  dell'Adige ,  sinché-  francato  da  quest'ulti- 
ma servitù    nel    milleottocentotrentotto   coll'aversi   reso 
stabilmente   inoperoso  il    sostegno    Castagnaro ,    rimase 
esclusivamente  destinato  al    primo   ufficio ,    con    sommo 
vantaggio  delle  valli  veronesi  e  di  gran  parte  de'campi 
del  Polesine.  Ed  ecco  come  non  solo  il  territorio  di  qua 
dalle  dune ,  ov'erano  Atrianorum  paludes   ed   il    nobile 
porto  potè  convertirsi  in    feconde    campagne ,    le   quali 
mercè   l' istituzione  delle  macchine    a   vapore    idrofore , 
assicurano  l'annuo  raccolto  ;  ma  eziandio  al  di  là  di  quelle 
co'  rapidi  prolungamenti    delle  foci    del    novissimo    Po, 
vasto  tratto  di  mare  in  soli  due  secoli  e    mezzo  diventò 
terraferma,    e    vi  sorsero  popolosi  villaggi.  Primo  si  fu 
Contarina  poco  sotto  il  taglio  ,  eretta  a    parrocchia   nel 
milleseicento  sessantasei  ;   comune   che   da    quattromila 
quattrocento  abitanti  che  contava  nel  milleottocentocin- 
quantatre ,  sale  oggi  ad  oltre    seimila  e   cento  :    poi   la 
Grimana ,  fatta  parrocchia  nel  milleseicentottanta  :  quin- 
di mano  mano  le  più   giovani    ville ,    denominate    dalle 
case  patrizie  che  v'acquistavano  fondi  dallo  Stato,  come 
Ca'Pesaro,  Ca'Venier,  Ca'Pasta,  Ca'Pisani,  Ca'Garzoni 
Ca' Capello,  Ca' Farsetti,  ed  altre  molte. 

«    Plura    quae    prius    aquosa    nunc  etiam    continens 
fi  uni  »  aveva  detto  Aristotele  : 

«  Vidi  ego  quae  quondam  fuerat  solidissima  tellus 
Esse  fretum  ,  vidi  factas  ex  equore  terras  » 

Arch.  St.  It*x.  ,  3."  Serie,  T.  X  ,  P  li.  8 


58  l'  IMPORTANZA  DI  ADRIA  antica 

cantava  Ovidio  ;    ed'  un  oscuro   poeta   testé,    con    molta 
espressione  del  vero  : 

«  Ove  il  pesce  guizzò  la  terra  emersa 
La  vitale  del  ciel  luce  saluta  ; 
La  reticella  in  vomere  è  conversa, 
La  torpid'alga  in  liete  erbe  si  muta, 
La  mesta  canna  de'  palustri  fondi 
In  bionde  spiche  e  grappoli  giocondi  ». 

E  così ,  con  nuove  abitazioni ,  con  nuovo  territorio 
che  d'anno  in  anno  da  un  lato  migliora ,  dall'altro  s'ac- 
cresce ,  Adria ,  il  cui  Comune  alla  metà  del  sestodecimo 
secolo  era  disceso  a  forse  appena  duemila  anime ,  con 
territorio  ristretto,  squallido,  in  gran  parte  deserto,  og- 
gidì s'accosta  alle  quattordici,  e  sta  a  capo  d'un  distretto 
d'altri  otto  comuni  che  sorpassano  insieme  le  ventisei- 
mila; offrendo  il  non  comune  esempio  d'una  città,  che 
mutando  natura  nelle  vicissitudini  de' secoli,  potè  sem- 
pre durare 

«  Tante  volte  sepolta. e  morta  mai  ». 

Adria,  7  agosto  1869. 

Prof.  F.  A.  Doti.  Bocchi. 


STATITI  DI  BRESCIA  DEL  MEDIO  EVO 


Le  radici  delle  libertà  moderne  sono  nel  medio  evo , 
e  si  rinvengono  più  antiche  nei  Comuni  italiani.  I  quali 
precedettero  tutti  i  popoli  della  cristianità  nei  prodotti 
della  cultura  e  del  governo.  I  diplomi ,  le  cronache ,  i 
monumenti  testificano  questa  precellenza  de'  Comuni 
italiani  ;  ma  i  decreti ,  le  leggi  loro  ,  conosciute  col  nome 
di  Statuti,  non  solo  completano  quelle  testimonianze, 
ma  danno  loro  certezza  scientifica.  Lo  perchè  in  questo 
secolo  di  studi  critici  comparativi  storici ,  di  larghi  svi- 
luppi teoretici  e  pratici  legislativi  e  politici ,  schiera 
crescente  di  dotti  si  pose  a  studiare  gli  Statuti  de'  Co- 
muni italiani  nel  Medio  Evo ,  e  ne  cavò  lumi  maggiori 
dell'aspettazione. 

Anche  in  Italia  è  nuova  la  dottrina  degli  Statuti.  Nei 
tempi  passati ,  pure  i  più  diligenti  scrittori  di  storie 
municipali  poco  ci  attesero.  Nelle  storie  del  Palma  degli 
Abruzzi ,  del  Petroni  di  Bari ,  del  Rosmini  per  Milano , 
del  Ranchetti  per  Bergamo  ,  nell'anconitana  del  Peruzzi , 
nella  valtellinese  del  Romegialli,  nella  perugina  del  Bar- 
toli ,  nella  pavese  del  Carpanelli ,  nella  napoletana  del 
Romanelli,  nella  ferrarese  del  Frizzi,  in  quelle  di  Como 
del  Monti ,  di  Todi    del   Leonij ,    tutte  di   questo  secolo , 


60  STATUTI   DI   BRESCIA 

pochissima  parte  è  fatta  agli  Statuti.  Che  sono  meglio 
ricercati  nelle  storie  municipali  più  recenti  ,  segnata- 
mente in  quella  di  Torino  del  Cibrario ,  in  quella  di  Ge- 
nova del  Canale ,  in  quella  di  Venezia  del  Romanin  , 
in  quella  di  Roma  del  Gregorovius  ,  in  quella  di  Parma 
del  Pezzana ,  in  quella  di  Como  del  Cantù  ,  in  quella  di 
Trento  del  Gar,  in  quella  di  Brescia  dell'Odorici.  Il  quale 
pose  tanto  amore  e  studio  intorno  ai  monumenti  patrii, 
che ,  meglio  del  Romanin  ,  corredò  le  sue  storie  del  co- 
dice diplomatico  bresciano.  Per  cura  dell'Odorici,  quattro 
grandi  volumi  in  foglio  contenenti  gli  Statuti  di  Brescia, 
ed  il  grande  volume  originale  detto  Liber  Poteris  archi- 
vio di  atti  pubblici  de'  secoli  XII  e  XIII ,  furono  tolti 
dalle  latebre  e  collocati  nella  biblioteca  comunale  di 
Brescia.  Nondimeno  l'Odorici  non  attese  specialmente  a 
quegli  Statuti ,  non  ne  sviscerò  la  storia  intima  ,  quale 
quella  cavata  per  Bonaini  dagli  Statuti  di  Pisa ,  e  per 
Pezzana  Ronchini  dai  Parmigiani ,  per  Gloria  dai  Pa- 
dovani. 

Noi  nel  1863  pubblicammo  a  Bergamo  l'opuscolo 
Statuti  inediti  della  Provincia  di  Bergamo  anteriori 
al  secolo  XVI ,  nel  quale  non  trascrivemmo  già  quegli 
Statuti ,  ma  esponemmo  il  manipolo  oli  storia  che  da 
quelli  si  può  raccogliere.  Più  rapidamente  intendiamo  di 
fare  il  somigliante  ora  qui  per  gli  Statuti  di  Brescia. 

Chi  non  sa  che  le  storie  di  Brescia  sono  delle  più 
luminose  de'  massimi  Comuni  italiani  ?  Il  popolo  che 
operò  quelle  storie  ,  potè  serbare  anche  la  massima  parte 
degli  Statuti  suoi  ;  e  Brescia  divide  con  Treviso  e  Ber- 
gamo il  vanto  di  possedere  serie  molto  ricca  di  Statuti 
del  medio  evo  nelT  Italia  settentrionale. 

In  quattro  grossi  volumi  membranacei  in  foglio ,  i 
reggitori  di  Brescia  fecero  ai  loro  notai  trascrivere  le 
deliberazioni  statutarie  dal  1200  al  1385,  non  mano 
mano  si  prendevano ,  ma  nel  secolo  XIII  ,  indi  nel  XIV, 
quando  rifusero  le  leggi    loro.    Per   ordinarle    così    che 


DEL    MEDIO   EVO  61 

avessero  apparenza  di  unità  armonica ,  intralciarono 
nel  volume  medesimo  ordinamenti  di  tempi  lontani  an- 
che più  di  un  secolo. 

Tre  di  que'  volumi  membranacei ,  il  primo ,  il  terzo 
ed  il  quarto ,  verso  la  metà  del  secolo  scorso  vennero 
pel  Comune  di  Brescia  diligentemente  copiati  in  mag- 
giori libri  cartacei  da  Alfonso  Lantana ,  e  questi  tre, 
ed  il  secondo  in  pergamena  ,  per  cura  dell'Odorici  furono 
dagli  archivi  municipali  riposti  nella  biblioteca  comunale 
insieme  al  grande  volume  membranaceo  del  Liber  Pote- 
ri*, nel  quale  sono  trascritti  atti  pubblici  dal  1020  al 
secolo  XIII.  Gli  originali  delle  copie  degli  Statuti  serbatisi 
nell'archivio  Comunale  ,  ma  da'  registri  delle  delibera- 
zioni anteriori  al  1277,  non  v'  ha  più  traccia. 

Le  libertà  popolari  e  comunali  nelle  valli  alpine  e 
nelle  città  lombarde  ,  sono  più  antiche  che  non  si  cre- 
deva pure  dal  Muratori.  La  pace  di  Costanza  non  le  fon- 
dò ,  ma  le  riconobbe  ;  e  se  non  erano  prima  riconosciute 
di  diritto  dall'  impero  ,  lo  erano  difatto.  I  Vicini,  il  Comu- 
ne ,  l'Università  di  Maderno  sul  Benaco  nel  969  ottennero 
da  Ottone  di  poter  pescare  e  cacciare  liberamente,  elu- 
sone nel  1008  erige  il  palazzo  della  valle  colle  vicinìe 
intorno  ;  nel  1018  ventiquattro  buoni  uomini  di  Borno 
fermano  pace  colla  Valle  di  Scalve  ,  e  rendono  il  Monte- 
negrino ai  vescovi  di  Bergamo  e  di  Brescia.  In  questa 
città,  nel  1020,  avanti  la  chiesa  di  S.  Pietro,  che  era  il 
duomo ,  si  tiene  concione  ,  nella  quale  cinque  cittadini 
pel  Comune  infeudano  la  Rocca  di  Orzi  Vecchi  collo 
spalto  (spoldo)  e  col  fossato  agli  abitanti  di  quel  Comune, 
pel  quale  firmano  dodici  seniori.  Dunque  sino  d'allora 
in  Brescia,  almeno  le  classi  maggiori,  erano  indipen- 
denti dal  conte ,  dal  marchese  trivigiano ,  dal  vescovo  , 
ed  esercitavano  atti  di  sovranità  pure  nel  contado ,  e 
sino  agli  estremi  della  provincia,  dove  era  il  castello 
degli  Orci.  Questa  sovranità  risulta  esplicita  in  una  de- 
liberazione del  1029  trascritta    negli    ordinamenti    degli 


62  STATUTI   DI    BRESCIA 

Statuti  del  1277  ove  si  dice  :  salvo  quod  in  mxxviiii  sta- 
tutum  et  ordinatimi  est ,  quod  mortuo  debitore  sine 
herede  ad  quem  pervenire  debeat  illum  feudum  rever- 
tatur  totum  ,  scilicet  pars  domini  et  pars  empia  a  cre- 
ditore ,  ad  agnatos  debitoris  si  fuerat  feudum  antiquum 
vel  patemum  ,  vel  ad  dominum  si  non  extiterint  debi- 
tores.  La  costituzione  de' feudi  di  Corrodo  II  a  Milano 
seguì  nel  1037,  otto  anni  dopo  questa  deliberazione  Bre- 
sciana ,  onde  appare  che  quelle  costituzioni ,  come  altre 
concessioni  imperiali  ,  sancivano  fatti  già  esistenti.  Bre- 
scia già  aveva  assunto  il  diritto  di  surrogarsi  agi'  impe- 
ratori in  alcune  leggi  feudali. 

Quanto  il  laicato  allora  prevalesse  già  al  vescovo , 
s'argomenta  da  un  atto  del  1041  ,  nel  quale  il  vescovo 
Olderico  cede  ai  cittadini  di  Brescia  diritti  feudali ,  e 
si  obbliga  a  non  erigere  forti  sul  Cidneo ,  dove  è  l'at- 
tuale castello  ,  e  dove  era  il  campidoglio  dominando  i 
Romani.  Quattro  anni  prima  quel  vescovo  avea  concesso 
ai  cittadini  medesimi  di  fare  legna,  di  pascolare,  cavare 
pattume  (incidendum  ,  capellandum  ,  ingazandum  ,  sive 
pascuandum)  nei  suoi  boschi  di  Monte  Degno ,  e  di 
Castenedolo  (1). 

Nelle  lotte  contro  il  Barbarossa  anche  a  Brescia  erasi 
sviluppata  la  popolarità  del  governo  e  la  ricchezza  , 
onde  già  nel  1173,  due  anni  prima  della  battaglia  di 
Legnano,  i  cittadini  si  preparano  nuovo  ampio  mercato, 
che  volevano  chiamare  foro  fortunato,  e  che  tuttavia 
dicesi  mercato  nuovo ,  dove  prima  era  la  piazza  di  San 
Siro  il  patrono  di  Valcamonica.  Nel  1187  poi  cinque  anni 
dopo  la  pace  di  Costanza ,  la  città  provvede  per  edifi- 
care magnifico  palazzo  comunale ,  che  si  disse  Broletto 

(1)  Dal  Liber  Potcris.  II  monte  Degno  stendeasi  sino  a  S.  Eufemia,  dove  si 
nomina  la  Fontana  casa  ferrea  ,  e  dovea  essere  un  mescolo  di  ferro  raccoman- 
d.do  con  catena  alla  fonte,  nel  sito  che  ora  corro! lamenle  si  dice  Casa  Furia. 
I  boschi  del  Degno  confinavano  coi  vigneti  (ronchi)  di  Brescia.  Nel  4022  in  San 
Pietro  un  prete  di  Brescia  infeuda  a  Giovanni  Guiscano  fondi  in  Cerpentum 
(cerro  dipinto)  in  Vinetis  Drixiac. 


DEL    MEDIO   EVO  63 

come  in  parecchie  città.  Lo  divisò  dove  erano  dommus 
terraneae  di  Canonici ,  et  ortulos  della  chiesa  di  S.  Pie- 
tro. Il  fregio  alla  loggia  di  quel  palazzo  ,  in  alto  basso 
rilievo  ,  pubblicato  dall'Odorici ,  ed  alludente  alla  Giusti- 
zia ,  posteriore  di  pochi  anni  a  quello  della  porta  romana 
di  Milano  del  1171  pubblicato  dal  Rosmini  e  mostrante  i 
Milanesi  ricondotti  dagli  alleati ,  questo  fregio  bresciano 
mostra  sull'altro  progresso  notevole  nella  scultura  in  un 
quarto  di  secolo. 

Sino  dal  secolo  XI  ,  anche  prima  delle  Crociate ,  da 
noi  colle  libertà  comunali  s'erano  ravvivati  le  industrie 
ed  i  commerci.  Sino  d'allora  i  Bergamaschi  provvedevano 
alla  irrigazione  col  fossato  magno  (  il  Serio  che  passa 
nei  borghi  della  città) ,  i  Bresciani  colla  Fusia ,  ch'erano 
forse  restaurazioni  di  canali  romani  ed  etruschi ,  e  che 
poscia  vennero  migliorati.  Sino  dal  1047  Enrico  III  im- 
peratore concesse  agli  abitanti  di  Valle  Schalve  (omni- 
bus homìnibus  in  monte  Schalfì  habitantibus)  di  nego- 
ziare il  ferro  ed  ogni  altra  cosa  liberamente  ,  pagando 
la  gabella  secondo  l'antico  costume  (secundum  suorum 
priscorum  morem).  Quel  ferro  passava  pel  porto  d'Iseo, 
dove  sino  dal  mille  è  nominato  il  mercato  pubblico  ,  e 
dove  nel  1107  fu  contesa  per  l'approdo  cogli  abitanti  di 
Lovere  che  allora  pigliava  incremento.  La  provincia  di 
Brescia  ha  tuttavia  le  campagne  incolte  di  Montechiaro 
e  di  Ghedi ,  ora  molto  diminuite ,  ma  nel  1255  avea 
ancora  quella  di  Pontevico  sull'  Olio  ed  ai  confini  cre- 
monesi ,  che  l'agricoltura  trasformò  poi  in  campi  "di 
biade  e  di  lino.  E  dal  1253  li  fecondava  il  naviglio  ca- 
vato da  Gavardo  nel  Chiese. 

Nel  primo  de'  volumi  degli  Statuti  è  riportata  una 
deliberazione  commerciale  del  1180.  Allora  colla  tuba  e 
colle  campane  venne  chiamata  una  concione  nel  duomo 
di  S.  Pietro ,  dove  convengono  il  console  Ardrico  de 
Salis  con  altri  sei  consoli,  e  quattro  consoli  de' mercanti: 
Imberte  de  Ise  ,  Teudaldo  de  Bornado  ,  Belebono  Cagnolo 


64  STATUTI   DI   BRESCIA 

Albertono  Setesia.  Aboliscono  ogni  dazio  per  merci  di 
transito ,  stabiliscono  di  sicurare  le  vie  per  Mantova  , 
dove  giungevano  le  navi  da  Venezia ,  e  come  esigere 
il  feudo  o  soldo  pel  Potestà  da  Trento,  dalla  Marca, 
dall'  Italia,  dalla  Toscana.  Que' podestà  mercantili  dovea- 
no  corrispondere  ai  baili  veneti ,  agli  attuali  consoli. 

Brescia  sicurata  dalla  pace  di  Costanza ,  ed  afforzata 
dall'agricoltura ,  dalle  industrie  del  ferro  ,  della  lana , 
delle  armi ,  del  lino  ,  e  dai  commerci ,  prese  a  vivere 
come  stato  abbracciante  territorio  quasi  eguale  alla  pro- 
vincia attuale.  A  sicurarsi  dagli  alteri  nobili  imperiali 
interni  e  dalle  repubbliche  o  stati  contermini,  fece  varie 
provvigioni.  Verso  Cremona,  non  bastando  il  forte  d'Or- 
ci vecchi,  che  vedemmo  infeudato  nel  1020,  Brescia 
nel  1193  cogli  abitanti  di  parecchi  casali  fonda  Orzi 
Nuovi ,  ovvero  il  forte  S.  Giorgio.  Nel  primo  volume  di 
questi  statuti  si  riporta  la  deliberazione  del  1217  per  la 
quale  Brescia  vuole  riedificato  il  castello  di  S.  Genezio 
(  Canneto)  deserto  ed  incolto.  Ad  allettarvi  abitanti ,  dà 
loro  allodialmente  alcuni  fondi,  a  patto  non  li  cedano  in 
feudi ,  che  essi  e  gli  eredi  abitino  nel  castello  ,  e  che 
perdano  la  proprietà  standone  assenti  due  mesi.  Non  per- 
mette che  vi  possano  elevare  costruzioni  più  alte  che 
venti  braccia  (metri  9,  60).  A  quelli  che  intendano  diven- 
tare cittadini  venendo  ad  abitare  entro  la  cerchia,  una 
deliberazione  del  1249  prescrive,  che  non  comperino  case 
fatte,  ma  le  fabbrichino  nel  vasto  (luoghi  diroccati),  evi 
abitino  tutto  l'anno,  salvo  un  mese  alla  messe,  uno  alla 
vendemmia,  in  cui  si  permette  loro  andare  in  villa.  Allora 
si  ordina  pure  da  Brescia  che  le  case  in  S.  Giorgio  (Orzi 
Nuovi)  non  sieno  più  alte  di  sette  ponti  (10  metri,  per- 
chè ogni  ponte  pare  %  cavezzo,  ovvero  tre  braccia),  che 
le  case  nel  forte  Gavardo  giungano  solo  a  sei  ponti,  che 
gli  edifici  privati  a  Mosio  ora  mantovano ,  non  si  elevino 
oltre  gli  otto  ponti  (1252),  e  che  i  paesani  d'Asola  non 
estollano  fabbrica  oltre  i  ponti  sette,  che  gli  edifici  d'Iseo 


DEL   MEDIO   EVO  ,  65 

stieno  contenti  a  sei  ponti,  ad  otto  quelli  entro  la  cerchia 
di  Brescia  (1254). 

In  questo  torno,  dal  1217  al  1253  tra  le  nuove  lotte 
contro  Federico  II  ed  i  ghibellini  nobili  primarii  di  lui 
fautori,  che  indarno  con  lui  assediarono  Brescia  nel  1238 
per  quattro  mesi ,  facendovi  prima  mostra  di  elefanti  ar- 
mati ,  questa  città  salì  ancora  in  potenza ,  ed  agì  nel 
territorio  come  Firenze  nel  suo  contado,  Roma  antica  nel 
Lazio.  Per  le  necessità  di  guerra  s'arrogò  potere  arbi- 
trario sulle  castella  ai  confini.  Nel  1249  ordinò  che  nes- 
suno edifichi  in  Pontevico  tranne  Brescia  ,  che  nessun 
privato  costruisca  sulle  porte  di  Palazzuolo  e  di  Mura , 
di  Pontevico,  di  Quinzano  ,  di  Canneto,  di  Casaloldo,  né 
fuori  per  mezzo  miglio.  Ordinò  che  Brescia  avesse  diritto 
d'espropriazione  forzata  ne'suoi  fortilizii ,  onde  a  Mosio 
nel  borgo  e  nella  cerchia  (circa)  sull'Olio  impose  rendite 
forzate  (1252).  Dove  prevalevano  i  ghibellini  volle  che 
rimanessero  abbattute  le  fortificazioni,  onde  ad  Iseo  feudo 
degli  Oldofredi  fidi  degli  Hohenstaufen  ordinò:  non  debeat 
lecari  aliqua  turris  in  terra  de  Iseo,  nec  fossatum,  nec 
castellimi,  nec  porta,  ed  in  Gavardo  volle  che  il  muro 
rimanesse  abbattuto  (1277).  Nel  1252  il  Consiglio  di  Bre- 
scia ammette  che  si  possa  edificare  in  mezzo  alla  cam- 
pagna nella  via  per  a  Guidizzolo.  La  costruzione  di  forti 
anche  per  la  città,  stimavasi  affare  rilevante  assai ,  onde 
nel  1277  si  stabilì ,  non  doversi  deliberare  la  costruzione 
d'alcun  forte  con  un  Consiglio  minore  di  cinquecento 
votanti.  Nel  1281  poi  si  ripete  il  luogo  ove  furono  il  girone 
[zironum]  e  le  fortificazioni  [fortilitia)  d'Iseo,  e  la  roc- 
chetta  di  Montechiaro  che  furono  distrutti  dal  Comune  di 
Brescia,  non  si  debbano  mai  rilevare  né  edificare  [relè- 
vari  nec  hedificari) ,  né  farvi  alcuna  fortificazione.  Dante 
tolse  a  quest'  uso  volgare  il  nome  de' gironi,  che  era 
comune  anche  all'  Italia  centrale  ,  onde  al  sito  ove  era 
il  campidoglio  romano,  ed  ora  sta  il  duomo  di  Fermo, 
tuttavia  si  dà  l'appellazione  di  Girifalco.  Nel  1426  i  pos- 

Arch.  St.  Ital.,  3.»  Serie,  T.  X ,  P.  II.  9 


66  STATUTI   DI   BRESCIA 

sideriti  delle  valli  bresciane-bergamasche  fecero  pratiche 
segrete  di  sottoporsi  direttamente  a  Venezia,  sottraendosi 
alle  rispettive  città,  perchè  così  le  danneggiavano. 

In  questi  Statuti  è  anche  molta  parte  di  storia ,  non 
solo  di  costumi  e  de' diritti,  ma  anche  dei  fatti  che  li 
determinarono.  Federico  II  pupillo  di  papa  Innocenzo  III, 
nel  1220  seguendo  la  politica  astuta  appresa  dai  prelati, 
a  gratificare  papa  Onorio  III  che  coronavalo  imperatore, 
fece  truci  decreti  contro  gli  eretici ,  che  erano  anche 
anzitutto  ribelli  al  potere  temporale  del  clero.  Così  Fe- 
derigo I  per  calmare  il  papato  avea  catturato  Arnaldo. 
Quattro  anni  dopo  (1224)  Federico  II  ordinò  che  nella 
Lombardia  chi  fosse  convinto  di  eresia,  a  richiesta  del 
vescovo  si  pigli  e  si  abbruci.  Onde  il  podestà  di  Brescia 
in  quell'anno  giurò  negli  Statuti  di  espellere  Catari,  Ga- 
zavi (forse  Valdesi  da  67as-selva  come  Wald),  Leonistij 
Speronistij  Circoncisi,  Arnaldisti  (1).  Parecchie  fiate  in 
questi  Statuti  troviamo  usato  il  nome  di  arnaldi  pei  ba- 
rattieri ,  ed  anche  Arnaldo  seu  ribaldo,  e  sospettiamo 
che  sia  voce  spregiativa  inventata  dal  partito  clericale 
in  odio  del  generoso  abbruciato  a  Roma  nel  1155.  Questo 
epiteto  non  s' incontra  negli  statuti  dell'altre  città.  Ma 
nel  1227,  tre  anni  dopo  lo  statuto  contro  gli  eretici,  seguì 
reazione  ghibellina,  onde  si  corressero  le  disposizioni  det- 
tate dalla  Chiesa  ,  e  si  registrò  :  corredo  statuto  ecclesiae 
partis.  Nondimeno  nel  1234  è  ripetuto  lo  Statuto  di  dieci 
anni  prima  contro  gli  eretici,  perchè  i  loro  spiriti  audaci 
e  democratici  spiacevano  anche  alle  tirannidi  ghibelline. 

Vedemmo  come  nel  1187  si  prese  a  costruire  pel  Co- 
mune nel  Broletto,  quantunque  Brescia  avesse  già  vec- 
chio palazzo  pubblico  dove  governarono  il  duca  longo- 
bardo ,  il  conte  franco.  Nel  1223  questo  palazzo  del 
Broletto  fu  condotto  a  compimento  coll'aggiunta  di  curia 
comperata   dai    Poncarali ,    onde  nel  1245  lo    Statuto   di 

(1)  Lo  Statuto  di  Bergamo  del  4 33-1  bandisce  tutti  questi  eretici,  ma  ha  Val- 
desi e  non  Gazavi,  ed  aggiunge  anche  Patanni,  Passagini,  Giuseppini,  Garatensi, 
Bagnaroli,  Francisco,  Cornisti,  Rumaroli,  Comincili,  Varini,  Ortulni,  Acquanigrini. 


DEL   MEDTO   EVO  67 

Brescia  nomina  Broletum  Novurrij  e  nel  1252  dice  del 
palazzo  maggiore  e  del  palazzo  minore.  In  quell'anno  1245 
si  ordina  che  gli  Statuti  sieno  scritti  in  tre  copie ,  delle 
quali  una  sarà  stata  affidata  in  custodia  agli  Umiliati , 
come  lo  era  ai  Francescani  in  Ascoli  del  Piceno,  altra 
sarà  stata  nel  Consiglio  del  Popolo ,  di  quel  popolo  che 
avea  anche  speciale  statuto.  Brescia  mentre  resisteva 
eroicamente  a  Federico  II,  non  permetteva  la  soverchia 
ingerenza  del  Papa  alleato.  Onde  dispose  che  la  Chiesa 
non  potesse  dispensare  dall'ubbidienza  agli  Statuti,  che 
però  si  elevarono  a  legge  suprema. 

Il  primo  volume  degli  Statuti  da  noi  esaminati  con- 
tiene molte  deliberazioni  curiose  dal  1248  al  1256,  quando 
non  era  più  la  passione  ghibellina ,  perchè  Federico  II 
nel  1248  avea  toccato  la  grande  rotta  a  Parma,  ed  era 
morto  due  anni  dopo  a  Faentino. 

Come  nell'altre  città  eleggenti  liberamente  il  Podestà, 
si  volle  che,  non  solo  lui,  ma  anche  idi  lui  militi,  ov- 
vero cavalieri ,  ed  i  giudici ,  non  conducano  seco  Aglio  o 
fratello ,  o  nepote ,  o  germano  o  consanguineo.  Si  vole- 
vano isolati  onde  ottenerne  l'imparzialità  tra  i  partiti,  e 
togliere  il  pericolo  che  attentassero  alle  libertà  colle  ade- 
renze. Tanto  poi  il  Podestà  che  la  di  lui  famiglia  non 
doveano  ricevere  doni,  né  cavalli,  e  cavalcando  per  af- 
fari d'ufficio,  il  Podestà  dovea  essere  seguito  solo  da  due 
ufficiali  del  Comune.  Il  Podestà  non  avea  autorità  asso- 
luta ,  ma  ogni  proposta  di  lui  dovea  essere  esaminata 
pria  da  anziani  della  parte  dominante,  e  del  popolo,  e 
da  sei  sapienti  eletti  per  li  anziani  da  ogni  quartiere.  Ne 
il  Podestà,  né  la  di  lui  famiglia  doveano  giocare  alla 
zara  (azarìam),  alla  bisca  (buschacia),  alla  tavola  nel 
Palazzo  e  nel  circondario  di  esso.  Non  dovea  permettere 
che  dalla  sua  casa  si  gettassero  immondizie  sopra  San 
Pietro  de  Dom. 

Allora  la  città  andava  divisa  in  quattro  quartieri , 
rammentanti  i  Quatuorini  romani.  Erano  i  Quartieri   di 


68  STATUTI   DI   BRESCIA 

S.  Giovanni,  di  S.  Faustino,  di  S.  Alessandro,  e  di  S.  Ste- 
fano ,  antica  chiesa  nel  maggiore  castello.  Ai  quartieri 
interni  corrispondevano  le  Quadre  esterne  nel  territorio. 
Nel  1250  la  città  avea  due  Consigli  :  quello  del  popolo 
di  mille,  che  si  convocava  non  solo  al  suono  della  cam- 
pana ,  ma  anche  colla  tuba  suonata  persino  ne' vici  e 
pe'sentieri  (zapellos).  Quel  Consiglio  alla  fine  del  secolo 
si  trova  di  cinquecento.  V'era  poi  quello  degli  Anziani  o 
Savii,  di  trecento  alla  metà  del  secolo  XIII,  di  cento  alla 
fine.  Dal  Consiglio  Generale  erano  esclusi  gl'istrioni,  gli 
scudieri ,  gì'  impiegati  del  Comune,  i  banditori,  gli  arnaldl. 

Il  capo  degli  Anziani  chiamavasi  Abate,  e  da  loro 
erano  tolti ,  a  fare  come  Consiglio  di  Stato ,  quando  ot- 
tanta ,  quando  sessanta ,  quando  venti ,  quando  otto  sa- 
pienti ,  aventi  ufficio  in  Palatio  Pubblico  Pioto.  Ogni 
quartiere  dovea  avere  un  banditore  con  tromba  e  ca- 
vallo (1313). 

La  città  dovea  avere  due  sindaci  (defensor 'es  li  chiama 
una  legge  d'Arcadio),  l'uno  giudice,  ovvero  dottorato, 
l'altro  anche  layco  (non  consacrato)  per  ogni  quartiere , 
eletto  ogni  sei  mesi,  qui  defendeant  Commune  Brixiae 
in  factis  suis  (1251).  Toccavano  sette  lire  di  mezzani 
ognuno  all'anno,  ed  erano  provocati  dal  Podestà  nel  Con- 
siglio Generale.  Anche  le  terre  aveano  loro  Sindaci,  ma 
erano  eletti  dai  Vicini  con  non  meno  che  la  metà  dei 
voti  di  tutti.  Duae  partes  vicinorum ,  omnium  puberorum 
et  liberorum  debeant  expresse  assentire }  sive  simul ,  sive 
separatim  (1293).  I  Consigli  generali  si  teneano  due  volte 
l'anno  :  in  gennaio  ed  in  maggio ,  e  nel  1252  si  dovea 
chiamare  a  consiglio  con  dodici  suoni  della  campana 
grossa  col  martello  seu  botum.  I  mille  del  popolo  erano 
non  solo  per  votare  ,  ma  anche  per  combattere  a  piedi , 
come  prima  a  cavallo  i  mille  de'  militi  nobili.  La  città 
avea  anche  suoi  Notai ,  che  potevano  patentarsi  a  diciotto 
anni ,  ai  quali  spettava  un  cavallo  per  gli  atti  entro  l'epi- 
scopato ,  due  cavalli  con  vettura  fuori.  Se  andavano  am- 


DEL    MEDIO   EVO  69 

basciadori ,  doveano  recare  mandato  autenticato.  Pei  prò  • 
cessi  somraarii  ogni  quartiere  dovea  avere  suo  Notaio. 
Vedemmo  come  ai  cittadini  si  dava  licenza  di  rimanere 
alla  campagna  per  le  messi  e  per  la  vendemmia.  In  re- 
lazione a  ciò  sono  interdetti  i  placiti ,  avvero  i  processi 
pubblici ,  nella  seconda  metà  di  giugno  e  nella  prima 
di  ottobre.  La  città  era  assiepata  da  fortificazioni ,  che 
ampliò  nel  1238  per  l'assedio  di  Federico  II ,  quando 
condusse  la  terza  cerchia  sua  (1).  A  quelle  fortificazioni 
allora  posero  stelli  }  bayedi ,  rastelli  spinati ,  stote gardi 
{paracavalle).  Pure  in  pace ,  le  facevano  guardare  sul 
monte  Degno  da  otto  Vardas  e  Scaravaytas.  Teneano 
anche  custodi  agli  abbeveratoi,  e  oertoloti  o  guardie  delle 
bestie  del  Comune,  e  berroverii  o  guardie  di  polizia. 

Il  Podestà  forestiero  era  rinnovato  ogni  anno  ,  come 
il  Capitano  del  Popolo.  Il  Podestà  giurava  all'abate  degli 
anziani.  Anche  il  Capitano  traeva  seco  giudici  assessori , 
e  nel  1292  fu  a  Brescia  assessore  del  Capitano  Ricciardo 
Anesini ,  il  grande  agronomo  bolognese  Crescenzio.  A 
Brescia  non  erano  cessate  mai  alcune  tradizioni  di  dot- 
trine antiche,  e  specialmente  di  medicina.  I  medici  vi 
erano  stimati  e  favoriti  con  esenzioni  da  scufìe ,  da  an- 
garie.  Negli  Statuti  si  trovano  parecchie  deliberazioni 
di  privilegi  a  medici  :  nel  1273  al  medico  fisico  Giovanni 
da  Passirano  ,  nel  1274  a  Bonifacio  degli  Aguzzani  me- 
dico fisico,  mentre  erano  già  esenti  Guglielmo  di  Cili- 
zincapo  ,  e  suoi  figli  ed  eredi  per  esercizio  di  chirurgia 
e  medicina  ,  Giovanni  Garbagnati ,  Giacomo  Cilincai ,  Zam- 
bono  di  Carzago  ,  Giacomo  da  Iseo  maestro  in  medicina 
crepaturae  et  malis  lapidis ,  Belino  medico  di  Crema  , 
Federico  de  Bandi ,  Aliprando  Alessio  ,  Giacomo  Corgolo 
fisico,  Bonfato  di  Bornato,  Bresciano  di  Asola,  Lanfranco 
di  Elio ,  Alberto  di  Provalio  ,  Guidone  di  Degoldo ,  Ber- 
ti) La  prima  fu  sul  Cidneo  de' Liguri  ed  Umbri,  la  seconda  romana  a  Porta 
Bruciata  e  mura  vecchie,  la  terza  giunse  alla  Palata,  la  quarta  attuale  si  con- 
dusse per  Venezia  nel  1467. 


70  STATUTI   DI   BRESCIA 

nardo  di  Montechiari ,  Algariso  ,  Montemarino  ,  Delaido  , 
e  specialmente  ai  frati  francescani  Conforto  e  Bonaven- 
tura de  Iseo  medici  e  chirurghi. 

Esenti  poi  da  dazi  eran  dichiarati  i  frati  Umiliati  ma- 
schi e  femmine  ,  che  Brescia  tenea  cari  assai  e  per  l'arte 
della  lana ,  e  per  ufficii  alle  gabelle.  Anche  i  frati  Mi- 
nori erano  esenti  da  dazi  ;  ma  agli  Umiliati  era  pure 
concesso  di  pascolare  nei  fondi  del  Comune. 

Molti  di  questi  decreti  riguardano  affari  commerciali 
ed  industriali ,  e  palesano  l' indole  della  cittadinanza  di 
allora.  Nella  città  il  mercato  principale  era  quello  del 
grano,  e  si  prese  a  tenere  del  1146  nel  Broletto  (coe- 
ptum  est  mercatiim  Broli) ,  nel  cui  cortile ,  detto  della 
ragione  (rationum) ,  dopo  il  1285  si  teneano  solo  le 
rendite  degli  sparvieri ,  de'  falchi  e  d'altri  uccelli  cac- 
ciatori. Quel  mercato  del  grano  già  dal  1173  si  trova 
trasportato  dal  mercato  vecchio,  al  Mercato  Nuovo.  Ma  tut- 
tavia ancora  vendevasi  frumento,  milio,  segale  al  Bro- 
letto nella  piazza  detta  dell'arco ,  dove  si  proibisce  in- 
gombrare con  arcivallij  dolii  bassi  tuttavia  usati  con 
questo  nome.  Il  mercato  del  grano ,  secondo  antico  co- 
stume ,  tenevasi  il  giovedì.  Dove  nel  nuovo  Fóro  que'  di 
Valtrompia  recavano  le  legna  mentre  quella  vicina  orien- 
tale veniva  pel  naviglio  che  apriva  porto  rimpetto  Re- 
buffone. Il  mercato  del  vino  all'  ingrosso  si  teneva  nella 
città  il  sabato ,  e  ci  venivano  anche  quelli  di  Orzi  Nuovi, 
di  Rudiano,  Quinzano ,  di  Pontevico ,  di  Volongo ,  di 
Canneto  (  S.  Genezio  ) ,  a  ciascuno  de'quali  era  assegnato 
sito  apposito.  Per  garantire  i  compratori  delle  misure 
legali  lineari ,  esse  erano  incise  in  una  pietra  pubblica. 
Così  a  Bergamo  lo  erano  sulla  base  della  basilica  di 
S.  Maria  Maggiore ,  ad  Ancona  sul  Palazzo  del  Podestà. 
Inoltre  v'erano  i  tipi  del  sestaro ,  della  quarta ,  della 
gerula  pel  vino ,  della  bazeta  per  l'olio.  V'erano  quattro 
consoli  speciali  di  mercanti ,  e  verificatori  delle  monete, 
che  le  assaggiavano  ogni  quattro  mesi.  Fuori,  oltre  l'an- 


DEL   MEDIO   EVO  71 

tico  mercato  d' Iseo ,  erano  alla  metà  del  secolo  XIII ,  i 
mercati  di  Pisogne ,  dove  il  Gastaldo  del  Vescovo  preli- 
bava dagli  arcivalli  il  sale  posto  in  vendita,  di  S.  Gior- 
gio, od  Orzi  Nuovi,  di  Rudiano,  di  Quinzano,  di  Pontevico 
di  Volongo  ,  di  Canneto ,  di  Palazzolo.  La  città  poi  avea 
due  fiere  :  quella  del  Brolo  a  S.  Maria  d'Agosto  ,  l'attuale, 
e  quella  del  Castro  o  Castello  ,  alla  quadragesima  nei 
primi  di  marzo. 

Da  Vaicamonica  si  traeva  legname  da  costruzione. 
Pel  quale  un  delegato  a  Montecchio  riceveva  le  bine  o 
zattere  scendenti  per  l'Olio ,  le  faceva  descrivere  a  Piso- 
gne dai  Consoli.  Da  Montecchio  a  PTsogne  l'Olio  si  man- 
teneva allora  navigabile.  Altro  delegato  riceveva  que'  le- 
gnami ad  Iseo  e  li  inoltrava  a  Brescia.  Iseo  dovea 
garantire  agli  esattori  della  città  che  que'  legnami  non 
venivano  distratti.  Erano  uffici  di  vigilanza  a  Palazzolo, 
ad  Urago  perchè  non  si  mandassero  fuori  i  legnami 
d'opera  facendoli  flottare  per  l'Olio.  Era  permesso  ai  pro- 
prietari di  vigneti  (chiosi-cfe  clausis)  di  vendere  il  proprio 
vino,  purché  non  esponessero  frondi,  rami  d'alberi,  corone 
{fruscasj  vel  ramos  de  arboris ,  nec  fruscatas).  I  Co- 
muni facevano  privativa  propria  della  vendita  del  vino , 
pel  quale  tenevano  speciale  canovaro.  Ma  Brescia  pre- 
scrive che  i  Comuni  del  distretto  non  si  oppongano  alla 
vendita  del  vino  all'  ingrosso  ,  il  quale  possa  girare  libe- 
ramente nella  città  e  fuori  senza  bollo. 

Erano  dazi  elevati  d'  importazione  e  d'esportazione  ai 
confini ,  e  dazii  murati  alla  città ,  dove  stavano  a  bollare 
i  frati  Umiliati  alle  porte  di  S.  Giovanni ,  di  S.  Matteo  , 
di  Torrelunga ,  alli  Pilli  (come  a  Genova)  di  S.  Andrea. 
Si  prescrive  di  confiscare  le  mercanzie  rinvenute  senza 
bollo  ad  Iseo ,  a  Peschiera ,  a  Salò ,  di  vegliare  alle  vie 
per  Desenzano  e  per  Iseo ,  e  quella  per  Bergamo  da  Pa- 
lazzolo ,  per  Cremona  da  Pontevico ,  Manerbio  ,  Bagnolo, 
per  Mantova  da  Guidizzolo.  Si  volle  che  sale ,  rozio  per 
tingere ,  olio ,  non  vadano  per  le  vie  di    Vobarno  e  per 


72  STATUTI   DI   BRESCIA 

Caino ,  e  che  paghino  secondo  il  consueto  sale ,  rozio  , 
olio,  valonia,  bambagia,  pesce,  piombo,  guado  uscenti 
dalle  porte  di  S.  Giovanni  e  di  S.  Matteo.  Si  daziavano 
anche  panni  di  Milano,  di  Francia,  mezzolani  eli  frati, 
e  sacchi  o  cavalli  d'acciaio  di  trenta  pesi  (  Idi.  250  ) , 
di  ferro  di  pesi  25 ,  di  lamiere  di  pesi  25 ,  di  coltelli 
grandi  e  piccoli  di  piombo ,  di  stagno ,  di  bruriccio. 
Per  sicurare  il  buon  mercato  ai  cittadini ,  si  prescrive 
non  doversi  asportare  tela  o  filo.  Si  proteggono  le  con- 
sorterie delle  arti,  ovvero  [paratici  non  imponendo  loro 
alcun  dazio  speciale.  Si  prescrive  che  chi  batte  lana  non 
possa  essere  reso  contribuente  per  la  luminaria  del  pa- 
ratico.  Si  fissano  i  prezzi  od  i  calmedri  persino  delle 
opere  :  dodici  soldi  in  città ,  otto  fuori  al  giorno  ai  mu- 
ratori,  e  da  mangiare  una  volta  la  mattina  secun- 
dum  antiquam  consuetadinvm.  Ma  non  si  permette  che 
essi  abbiano  paratici  ed  anziani.  I  zerlatori  della  città  e 
de'  borghi  dovevano  accorrere  con  gerle  piene  d'  acqua 
al  suono  della  campana,  e  toccavano  dodici  soldi  di  pia- 
neti. Non  si  permette  l'esportazione  delle  pelli  d'agnello 
per  lavorarle.  E  per  serbare  la  fama  buona  de' panni 
bresciani  si  vieta  di  lasciarvi  entrare  pelo  di  bue  o  di 
capra. 

Allora  il  popolo  volle  che  i  Prelati  fossero  bresciani, 
ingerenza  resa  necessaria  dai  feudi  che  quelli  possede- 
vano con  diritti  sulle  miniere,  sulle  caccie,  sui  pascoli, 
sulle  pésche,  sui  canali  d'acqua.  E  quando  predomina- 
rono li  angioini,  esigette  anche  che  fossero  di  quel  par- 
tito (1277).  Ma  volle  anche  che  non  si  vendesse  agli 
ecclesiastici  per  due  miglia  in  giro  dalla  città.  Perciò 
non  declinava  nello  zelo  religioso.  Perchè  nel  1273  dispose 
doni  comunali  a  Pasqua  ed  a  Natale  per  domenicani,  pei 
francescani,  pel  monastero  di  S.  Caterina,  per  S.  Giaco- 
mo della  Mella  dove  era  già  il  ponte,  pelli  infermi  di 
S.  Matteo,  per  le  sorelle  di  S.  Maria  di  Zerpento  (Cero  o 
Cerro  dipinto),  pel  consorzio  di    S.  Spirito,  pei  frati    del 


DEL    MEDIO    EVO  73 

Bosco,  per  gli  Eremitani.  Esimette  da  ciazio  gli  Umiliati , 
i  Minori ,  gli  Eremitani  de  Cusado  oltre  la  Mella.  Nel  1255 
ordinò  che  nessuna  finestra  guardi  in  S.  Domenico  ;  ed 
il  Vicario  Capitano  Guglielmo  Brunello  nel  1273  prescrisse 
che  tutti  dovessero  fare  oblazioni  a  S.  Maria  Assunta 
che  adduceva  la  fiera.  Per  riverenza  al  Duomo  di  San 
Pietro,  nel  1255,  fu  decretato  che  si  riattasse  e  coprisse, 
che  vi  si  ponessero  panche ,  che  non  vi  si  tenessero  le- 
gnami ,  che  non  vi  si  gettassero  immondizie,  e  che  i  car- 
rocci ivi    depositati    venissero  sicurati  con  spranghe  (1). 

Brescia  provvide  anche  al  decoro  del  palazzo  pubblico, 
ordinando  che  non  si  edificasse  intorno  il  palazzo  del 
Comune ,  del  popolo ,  ovvero  del  Broletto  o  della  piazza 
o  casa  del  Comune  più  alto  che  i  balconi  del  palazzo 
maggiore  del  Comune  di  Brescia.  Allora  il  Broletto  con- 
finava verso  settentrione  colla  chiesa  di  S.  Agostino  ove 
ora  è  la  sala  del  Consiglio  Provinciale ,  ed  avea  cinque 
porte  che  si  chiudevano  di  notte.  Avea  anche  le  carceri 
con  due  custodi ,  che  ai  carcerati  ogni  inverno  doveano 
dare  due  carra  (plaustro,)  di  paglia.  Questi  infelici  do- 
veano pagare  due  soldi  imperiali  per  le  catene  (prò  com- 
pedibus  et  boghis),  e  mezzo  soldo  il  dì  per  la  custodia. 
Aveano  una  visita  ogni  mese  dalle  autorità.  Chi  non  po- 
teva pagare  era  bandito.  I  carcerati,  se  non  erano  pe- 
ricolosi ,  non  si  lasciavano  più  di  tre  dì  sotto  il  palazzo 
del  Comune  e  nella  Cappella  ;  trasportavansi  in  altre 
carceri. 

Sonvi  curiose  disposizioni  di  pulizia.  È  proibito  nella 
città  gettare  pietre  con  piombi ,  mangani ,  catapulte  e 
fare  battagliole  da  fanciulli  oltre  i  dieci  anni.  È   vietato 

(i)  Primitiva  cattedrale  di  Brescia  sembra  sia  stata  S.Andrea  tra  S.  Giu- 
lia e  porta  Torrelunga.  Poscia  Brescia  come  Pavia,  Bergamo,  ed  altre  città, 
ebbe  due  cattedrali  :  la  estiva  e  la  iemale,  S.  Pietro  già  tempio  di  Apollo,  era 
Duomo  Nuovo,  e  S.  Maria  Maggiore  ,  già  tempio  di  Diana  ,  ora  Duomo  Vecchio. 
La  piazza  avanti  queste  cattedrali  diceva  si  della  Conclone  perchè  vi  si  teneano 
i  placiti  ed  i  Comizj  ,  e  per  la  stessa  cagione  la  piazza  avanti  la  cattedrale 
d'Ascoli  Piceno  si  chiama  de\V Arengo. 

Ancu    Si    Ita;..,  3a  Serie,  T.  X,  P.  II.  40 


74  STATUTI   DI    BRESCIA 

a  mezzo  miglio  dalla  cerchia  e  dai  borghi  fare  candele 
di  budella.  Non  è  permesso  di  purgare  le  cloache  di 
giorno.  Gli  osti  si  facevano  giurare  di  vendere  a  giusta 
misura  (bozzolo,),  di  non  lasciar  giocare  alla  bisca  con 
tascilli ,  alla  nave ,  al  nero  ed  al  bianco ,  alla  pari ,  alla 
gurola,  ma  è  permesso  il  giuoco  agii  scacchi ,  alla  tavola, 
con  danari  proprii  non  pigliati  a  prestito  al  dodici  per 
cento  (ad  unicias).  Si  proibisce  anche  di  giocare  alle  ossa, 
alla  pulvereta  ,  alla  ceresola ,  alla  zara  nelle  chiese  ,  nel 
Duomo,  nel  Broletto,  nei  palazzi  del  Comune  di  Brescia. 
Non  si  nomina  la  inora ,  quantunque  giuoco  già  noto 
ai  greci  antichi  col  nome  di  tfjcxruÀ'jjv  iv:a\\y.^.  Onde 
si  vede  che  oltre  il  Broletto ,  il  Comune  avea  altri 
palazzi ,  ed  uno  di  questi  nel  1206  è  chiamato  dei  legni 
(lignorum).  Di  questi  palazzi  nel  1273  uno  è  detto  mag- 
giore,  l'altro  minore,  ed  uno  chiamavasi  Ptóo-dipinto, 
e  forse  il  più  antico  era  nella  cittadella  ove  ora  abita  il 
Prefetto.  Nel  1264  si  ordina  di  togliere  le  taverne  dal 
Ponte  del  Gatel ,  alla  Mandaloza ,  alla  palude  caprense , 
all'Ospitale.  Perchè  non  sieuo  occupati  gli  spazii  comu- 
nali si  pone  una  guardia  ad  ogni  quartiere.  Si  vuole  che 
in  città  i  bifolchi  stieno  avanti  a'  buoi,  e  si  permette  loro 
di  salire  sul  carro  solo  passando  il  cunicolo  ,  ovvero  la 
Garza.  Si  proibiscono  le  prefiche  ai  funerali  ,  e  nel  1277 
si  prescrive  che  non  si  usino  per  quelli  più  di  due  can- 
dele ,  e  più  d'una  croce,  e  che  non  si  facciano  spese  inu- 
tili. Dieci  buoni  uomini  eletti  dal  Podestà  doveano  vegliare 
all'esecuzione  di  ciò.  Gli  Arnaldi  o  barattieri  non  potevano 
stare  che  o  nella  concione ,  o  sotto  la  scala  della  con- 
clone. Nei  1297  i  preti  della  Pieve  di  S.  Stefano  in  ca- 
stello di  S.  Martino  chiesero  ed  ottennero  che  fosse  proi- 
bito il  domicilio  alle  meretrici  da  S.  Giulia  a  S.  Stefano. 
Al  castello  metteva  una  posteria,  e  le  chiavi  del  di  lei 
ostiolo  erano  tenute  da  buoni  uomini  del  vicinato. 

Nel  1254  si  ordina  che  entro    quattro    anni    tutte    le 
vie  sieno  pavimentate  di  mattoni  (solentur  a  quadrellis) 


DEL   MEDIO   EVO  75 

e  prima  quelle  dal  Medolo  (1)  al  Mercato  Nuovo,  da  S.  Gio- 
vanni a  S.  Andrea,  dagli  Ugoni  a  Torrelu.nga.  Il  Co- 
mune spenda  pel  pavimento  de'quadrivi  (Carubii),  trai 
quali  erano  il  Cambio  di  Macelli  e  S.  Giovanni,  quello 
della  fontana  di  mezzo,  quello  al  pozzo  bianco;  dia  sabbia 
e  vettura ,  ma  il  resto  sia  fatto  a  carico  di  frontisti.  Indi 
s'aggiunse  che  si  possano  anche  pavimentare  di  pietre  , 
tranne  quelle  discendenti  dal  Castello.  Tuttavia  alcuni 
castelli  dell'  Italia  centrale  sono  pavimentati  di  mattoni 
per  la  grossezza.  È  vietato  di  lasciare  letami  per  le  vie, 
di  gettare  immondizie  dalle  finestre  e  dalle  porte,  di  ma- 
cerare il  lino  ,  di  gettare  carogne  entro  la  cerchia. 

Nel  1267  gli  orefici  di  Brescia  chiesero  di  poter  lavo- 
rare oro  ed  argento  con  statuto  simile  a  quello  di  Milano 
e  di  Venezia,  e  vennero  secondati,  purché  lavorassero 
oro  puro  di  tarino  ,  ed  argento  di  sterlino  ,  donde  erano 
i  grossi  veneti.  Brescia  avea  già  imitato  Venezia  pei  bal- 
lottaggi nel  1254,  e  con  quella  madre  di  civiltà  e  di  li- 
bertà nel  1287  e  nel  1303  convenne  per  manutensione  di 
vie  da  commercio  per  la  Francia  e  pei  Grigioni.  Nel  1245 
si  stabilì  di  fare  opera  onde  ottenere  dal  Papa  di  poter 
redimere  le  decime  consolidandole,  e  così  liberare  le  terre 
da  servitù  ;  indi  si  ordinò  che  le  terre  comunali  alienate 
si  debbano  lavorare  secondo  gli  Statuti  bresciani.  Nel  1253 
s'era  anche  ordinato  di  far  lavorare  ai  confinanti  le  terre 
prossime  abbandonate. 

Nelle  riforme  del  1313  addotte  dalla  reazione  ghibel- 
lina per  l'assedio  ed  occupazione  di  Brescia  di  Arrigo  VII 
del  1311  ,  non  compaiono  più  i  favori  al  clero  imposti 
dal  trionfo  degli  Angioini  su  Manfredi  del  1265,  su  Cor- 
radino  tre  anni  dopo.  E  vi  spiccano  notevoli  queste  de- 
liberazioni. Sono  nominati  ingrossatori  od  arbitri  per 
arrotondare,  raddrizzare  i  confini  delle  possessioni,  quel- 
l'operazione che  si  fa  ora  nell'Austria.  Gli  arbitri  aveano 

(I)  Medolo  o  metallo  ora  S.  Casciano  sembra  il  sito  ove  stava  la  Zecca  , 
ed  il  deposito  de'  metabili  nobili. 


76  STATUTI   DI   BRESCIA 

diritto  di  espropriazione  forzata  con  compenso  o  di  terra 

0  di  denaro ,  di  quo'  lembi ,  sino  all'estensione  di  un  piò 
(iugero),  che  stimassero  necessaria  a  raddrizzare  il  pos- 
sesso del  confinante.  È  comminata  pena  a  chi  piglia  pic- 
cioni e  colombi  ,  con  estolano,  rete,  colombario,  lusirolo, 
ed  a  chi  piglia  cicogne.  Questo  rispetto  alle  cicogne  dura 
ancora  nella  Svizzera  tedesca.  Per  cavare  il  nitro  si  lo- 
cavano ai  pastori  dal  luglio  a  S.  Andrea  le  tese  Quin- 
tasio ,  Pendola,  Plana,  Som  castello,  Negro  fornicolo  , 
Banzola  sul  monte  Degno.  Si  proibisce  cavare  nemedoli 
(cave  di  pietre)  del  Castello  e  di  guastare  i  merli.  Si  vuole 
che  non  si  vendano  terre  ai  forestieri,  che  tutte  le  taverne 
sieno  comunali ,  e  che  vi  si  venda  vino  per  privativa  del 
Comune.  Si  ordina  che  chi  muta  quartiere  si  faccia  in- 
scrivere alla  gabella  del  sale,  che  dovea  essere  pure  una 
privativa.  Si  proibisce  l'entrata  in  città  di  orbi  e  gayuffi 
(gaglioffi). 

Nel  1379  si  fece  un  censo  nuovo  a  Brescia,  e  nel  1385 
dominando  a  Bergamo  ,  Crema  ,  Brescia ,  Giovanni  Ga- 
leazzo Visconti  ,  si  riformarono  gli  Statuti ,  e  tra  l'altre 
cose  nuove  in  tali  riforme,  troviamo  queste: 

De'cittadini  antichi ,  uno  per  quartiere  vegli  onde  non 
sieno  occupati  gli  spazii  del  castello.  Sieno  multati  i  con- 
siglieri mancanti  alle  sedute.  Non  si  faccia  giustizia  nel 
Broletto  vecchio ,  ne  nel  nuovo ,  né  nei  palazzi  del  Co- 
mune. Gli  ufficiali  del  Comune  si  estraggano  a  sorte  dalle 
borse  due  fiate  l'anno.  1  notai  da  se ,  gli  altri  coll'assi- 
stenza  di  due  Minoriti ,  due  Domenicani,  due  Eremitani. 

1  sortiti  possano  sostituirsi. 

I  rivenditori  (rovensaroli)  allora  vendevano  nella  città 
farro  (ora  coltivato  solo  in  Valle  delle  Messe  oltre  Ponte 
di  Legno),  milio,  panico  franto,  legumi,  noci,  castagne, 
rape,  frutta.  È  ordinato  che  le  rivenditrici  di  fichi  e 
ciriegie  non  stieno  filando.  È  permesso  tenere  uccelli , 
uova,  polli,  selvaggina  sulle  scale  del  Comune  e  nella 
piazza  della  Concione  a  mattina  del  palazzo  del  Comune, 


DEL    MEDIO   EVO  77 

e  tre  panche  nella  piazza.  Nel  1470  poi  a  queste  merci 
è  assegnato  lo  spazio  da  Porta  Bruciata  sino  al  ponte 
de'Torzani  lungo  la  fossa,  o  sul  mercato  grande.  Tutti 
i  pesci  che  si  vendono  nel  territorio,  si  devono  prima 
portare  a  Brescia.  De'  pesci  era  proibita  l'esportazione , 
segnatamente  di  carpioni ,  tranne  se  cotti  e  con  licenza 
del  Podestà.  I  pescatori  doveano  al  banco  tagliare  la  coda 
a  tutti  i  pesci ,  tranne  agli  agoni.  Da  maggio  a  settem- 
bre non  era  permesso  vendere  pesce  cotto  o  salato.  Sino 
alla  città  i  pesci  non  si  doveano  salare.  A  dieci  miglia 
dalla  città  non  era  permesso  comperare  pesce  per  riven- 
dere. I  piccoli  pesci  doveano  esporsi  su  taglieri.  Tanto 
si  angariavano  i  pescatori  per  sicurare  ai  cittadini  pesci 
freschi  ed  a  buon  patto.  Ma  v'  ha  di  più  :  i  miseri  pe- 
scatori erano  condannati  a  dover  stare  al  banco  in  piedi, 
senza  cappello,  mantello,  cappuccio,  e  scalzi  d'ogni  sta- 
gione. Nullus  piscator  seu  vendens  piscespossit  vel  debeat 
tenere  ad  piscarias  capellum  in  capite ,  mantellum  nec 
capiiccium  in  dorso,  nec  stare  ad  coopertum  tempore 
aliquo ,  nec  aliquid  super  pe de s  nisi  subhdares  et  calvas 
tenere  (  calcias  nel  1470),  nec  sedere  sub  pena  decem 
soldorum  platearum.  Queste  tiranniche  prescrizioni  sono 
ripetute  nel  1470,  con  aggiunte  che  i  pesci  mantovani  e 
delle  valli  si  vendano  separati.  Forse  allora  si  formò  il 
proverbio  :  nel  mester  del  pescadur  òna  alegreza  e 
set  dolur.  Si  prescrivono  anche  i  calmedri  in  queste 
misure. 

Trota  ed  anguilla  si  vendino  alla  libbra  soldi  1,4;  lucio 
e  tinca  1,  2;  pesce  minuto  denari  6.  Pernici  per  capo 
soldi  1,  8;  fagiani  3;  piccioni  una  lira  pianeta;  tordo  de- 
nari 3  ;  tortora  e  beccaccia  (  arzia  )  denari  8.  Al  vile 
prezzo  pernici  e  beccaccie  doveano  abbondare  assai.  Carni 
di  castrato  da  latte  e  di  vitello  cinque  soldi  pianeti  la 
libbra,  senza  testa  ed  interiori;  manzi  con  dente  da  vi- 
tello 4  pianeti;  capretti  6;  capre,  becchi,  pecore  4;  porche 
castrate  5.  Le  interiora  [buzeche)  sieno  lavate  fuori  alle 


78  STATUTI   DI   BRESCIA 

fonti.  Questi  prezzi  di  carni  nel  1470  si  trovano  aumen- 
tati del  venticinque  per  cento. 

Nel  1465,  sic n rato  il  dominio  veneto  ,  si  fece  una  quarta 
generale  riforma  degli  Statuti  di  Brescia,  omettendo  la 
parziale  per  la  prevalenza  d'  Eccelino  nel  1285.  Nel  1465 
cominciò  per  Venezia  riforma  Leone  Duodo ,  e  la  compì 
il  Podestà  Lodovico  Bembo  nel  1470,  collaborando  sei 
dottori ,  due  causidici ,  sette  savii.  Quelle  riforme  vennero 
approvate  dal  Senato  veneto  nel  1475,  e  stampate  poi 
da  Britannico  di  Palazzuolo  nel  1490. 

In  tali  riforme  degni  di  nota  sono  questi  Statuti.  Chi 
da  30  anni  è  cittadino,  ed  ha  25  anni  e  censo,  sia  im- 
ballottato ,  ed  ogni  anno  tratto  a  sorte  per  gli  uffici 
municipali.  I  Vicari  nelle  terre  principali  nel  territorio 
giudichino  sino  a  cinque  lire  pianeti.  Dove  non  è  Vicario 
giudichino  i  Consoli  sino  a  venti  soldi.  Questi  Consoli 
possano  esigere  i  dazi  e  gli  oneri  dai  Vicini ,  dal  Comu- 
ne, dall'Università  senza  chiedere  Sindaco,  ministeriale, 
Berrovario.  I  Comuni  delle  ville  e  delle  terre  possano 
e  debbano  incantare  e  vendere  ,  locare,  dare  in  enfiteusi 
i  beni,  e  de'beni  sì  immobili  che  mobili  d'ogni  vicino, 
ver  le  angarie  ,  le  imposte ,  le  fazioni ,  le  brighe,  i  dazii 
i  bandi,  s'intende  non  soddisfatti.  Salvo  ricupera  pagan- 
do tutto  anche  le  spese ,  entro  due  anni.  Pei  minori 
questi  due  anni  si  computavano  da  quando  toccavano 
l'età  maggiore. 

Come  si  vede ,  noi  li  esponemmo  succintamente  con 
qualche  ordine  questi  decreti  del  popolo  di  Brescia  nel 
medio  evo.  Sarebbero  a  confrontarsi  coi  pochi  avanzi 
de'decreti  anche  delle  terre  libere  del  territorio  contem- 
poranei che  ancora  rimangono ,  e  da  porre  in  correla- 
zione agli  statuti  dell'altre  città.  Noi  abbiamo  messo 
innanzi  perchè  si  vegga  quanta  parte  di  storia  conten- 
gano. Altri  ripigli  ed  estenda  il  lavoro. 

Gabriele  Rosa. 


I  PORTI  DELLA  MAREMl  SENESE 

DURANTE    LA   REPUBBLICA 

NARRAZIONE   STORICA   CON   DOCUMENTI   INEDITI 

DI  LUCIANO  BANCHI 

(Ved.  tom.  X  ,  par.  I,  pag.  58) 

Capo    Terzo. 

Sommario. 

Lavori  ordinali  in  Talamone.  -  Visita  fatta  al  porto.,  e  relazione  sulle  sue  con- 
dizioni e  nuovi  provvedimenti.  -  La  lega  guelfa  e  il  governo  dei  Nove.  - 
Trattato  di  commercio  tra  Firenze  e  Siena.  -  Vaticinio  dell'Alighieri  ai  Se- 
nesi. -  Talamone  occupalo  dai  ghibellini  fuoruscili  ili  Siena.  -  Torna  in  potere 
della  Repubblica.  -  I  ghibellini  genovesi  assaltano  Talamone  e  lo  mettono 
a  ruba.  .  Altri  provvedimenti  vinti  nel  Consiglio  generale.  -  Proposta  degli 
Esecutori  della  Gabelli  approvala  dal  Consiglio.  -  Franchigie  e  immunità 
concesse  agli  abitanti  di  Talamone.  -  E  occupato  ostilmente  dall'armata  del 
Re  di  Sicilia.-  Allogazione  del  porto  e  dei  pascoli  di  Talamone.  (An.  4307-1330). 

Aveva  il  Consiglio  della  Campana  deliberato  nel 
marzo  del  precedente  anno  che  il  castello  di  Talamone 
fosse  provveduto  di  acque  e  di  una  chiesa  ;  e  il  distretto 
ripartito  in  cento  poderi  da  distribuirsi  uno  per  ogni 
cittadino  che  avesse  edificato  case ,  o  cominciato  ad 
edificarle  ,  dentro  il  castello  (1).  Se  non    che    questi    ed 

(1)  Questa  provvisione  rammenla  l'altra  de' 15  aprile  130o,  concernan'e 
l'estimo  e  la  descrizione  de' conimi  del  distretto  di  Talamone  (  Cf.  il  cap.  11); 
ed  ambedue  acquistano  da  ciò  maggiore  importanza,  che  sono  anteriori  di  cir- 
ca dieci  anni  alla  compilazione  dell'estimo  generale  dello  Stato  senese,  che 
è  l'estimo  più  antico  che  si  conosca  in  Italia.  11  tenore  della  provvisione 
de' 19  marzo  1306  è  il  seguente  :    Item   provisum  et  ordinatimi  est.  quod  totwn 


80  I   PORTI    DELLA   MAREMMA    SENESE 

altri  lavori  non  furono  sì  tosto  eseguiti ,  né  coloro  che 
avevano  obbligo  di  fabbricare  nuove  case  ,  serbavano  i 
patti  convenuti.  Per  la  qual  cosa ,  passati  quasi  tre 
anni,  volle  il  Consiglio  che  fosse  loro  assegnato  un 
breve  tempo ,  obbligandoli  eziandio  ad  abitare  le  case 
che  avevano  fabbricate ,  o  a  farle  abitare  da  ucmo  di  età 
non  minore  a'  vent'anni.  Ed  oltre  a  ciò  fu  ordinato  che 
tre  cittadini  andassero  a  Talamone  a  visitare  il  porto,  le 
saline  e  sopra  tutto  le  strade  per  riferirne  al  governo  (1). 
Questa  visita ,  e  la  relazione  che  ne  fecero  i  tre  cit- 
tadini a  ciò  deputati ,  diedero  motivo  a  nuovi  provvedi- 
menti per  sollecitare  i  lavori  già  ordinati  nel  Porto  ,  e 
per  migliorare  le  condizioni  di  Talamone.  Difatti  il  dì  8  di 
ottobre  di  questo  anno  [1309]  fu  deliberato  dal  Con- 
siglio che  la  chiesa  fosse  condotta  a  compimento  ;  il 
cassero  fornito  a  sufficienza  di  armi  ;  la  casa  del  Comu- 
ne,  sede  angusta  e  indecente  dell'assessore  del  Podestà, 
accresciuta  e  resa  migliore  ;  che  si  ponesse  un  faro  nel 
porto  per  maggior  sicurezza  delle  navi ,  e  vi  si  costruis- 
se un  ponte  di  legno  per  agevolare  ai  marinai  il  modo 
di  caricare  o  di  scaricare  le  mercanzie  (2).  E  poiché 
tanto  vale  un  paese ,  come  prudentemente  osservarono 
que'  tre  cittadini,  quanto  valgono  le  vie  che  vi  conducono, 
fu  provveduto  che  ,  tenendo  ferma  la  strada  che  da  Siena 
porta  a  Castelfranco  di  Paganico  ,  la  si  continuasse  tosto 
per  Dotale  ,  fra  Campagnatico  e  Ischia  ,  nno  a  Talamone  , 

tcrrenum  Comunis  senensis,  quod  est  in  districtu  Talamonis ,  partiatur  et  divi 'ut- 
tur  in  centum  poderibus  per  bonos  et  suffìcicntes  tabulatores ,  expensis  Co- 
munis  Sencnsis  ,  proul  vilebilur  dd.  Nwern  vel  dominis  Portus  de  Talamone  ,  qui 
prò  tempore  fuerint ,  de  volunt.tte  di.  Novem.  Salvo  quod  in  di  ti  divisione  non 
vcniut  nec  venire  in  tellina  tur  Ma  pars  plani  sulinarum ,  ubi  saline  fieri  consueve- 
runt  et  fieri  possenl ,  svundum  tsrminatìonem  fiendam  per  offìciales  per  dd.  No- 
vem eligendos   (SUI -ti,  N.°  21  ,  e.  303). 

(1)  Queste  prov\isioni  proposte  da  una  balìa  di  nove  cittadini,  eletti  Ire 
per  T'T/o,  lurono  vinte  nel  Consiglio  della  Campa' a  il  di  42  agosto  4309. 

(2)  Item  ,  cum  de  neccssil  ile  opporteat  in  quolibel  porlu  esse  unam  lanernun 
prò  lumine  fedendo  lignis  qui  intrant  et  exeunt  de  nocte  portum  eie  (Statuii, 
N.°  21  ,  e  388  t.). 


I    PORTI   DELLA   MAREMMA    SENESE  81 

elevando  un  ponte  di  pietre  sul  fiume  Ombrone  (1).  Ap- 
provò in  fine  il  Consiglio  l'altra  poposta ,  che  per  utilità 
e  profitto  de'mercadanti  dovendosi  evitare  la  lunghezza 
de'  piati ,  l'assessore  del  Podestà  o  il  Vicario  di  Talamone 
avessero  facoltà  di  rendere  ragion  sommaria  sopra  ogni 
controversia  che  insorgesse  per  cose  mobili ,  procedendo 
senza  solennità  di  giudizio  ,  e  giudicando  senz'appello , 
ma  secondo  la  buona  consuetudine  de'  mercatanti  e  dei 
porti  di  mare  (2). 

Mentre  il  governo  della  Repubblica  attendeva  a  boni- 
ficare il  porto  e  il  castello  ,  si  preparavano  avvenimenti 
che  dovevano  accrescere  l' importanza  di  Talamone ,  e 
per  conseguenza  la  soddisfazione  nei  Senesi  di  posse- 
derlo. Aumentavano  ogni  giorno  i  sospetti  sulla  calata 
in  Italia  di  Arrigo  VII  imperatore  ,  contro  il  quale  stava 
quasi  tutta  Toscana ,  ad  eccezione  di  Pisa.  Anche  la 
città  di  Siena,  che  cinquantanni  prima  aveva  combattuto 
e  vinto  i  guelfi  sui  campi  di  Montaperti ,  abbandonate  le 
parti  dell'  Impero ,  erasi  alleata  con  Firenze  ed  altre 
città  contro  i  ghibellini.  Al  governo  dei  Nove  deve  spe- 
cialmente riferirsi  questa  mutazione  politica  ;  la  quale 
se  fece  perdere  a  Siena  quella  molta  importanza  che 
aveva  conseguito  allorché  rimase  a  capo  di  parte  ghi- 
bellina in  Toscana,  allontanò  per  assai  tempo  ogni 
cagione  di  guerra  con  Firenze ,  recando  coi  benefizi  della 
pace  notevole  incremento  alle  arti  ed  ai  traffici.  Il  go- 
verno dei  Nove  era  governo  di  mercatanti ,  e  come  tale 
aggiungeva  alla  consueta  destrezza  ed  operosità  il  natu- 

(4)  Cum  tantum  valeat  locus  et  possessio,  quantum  valeat  iter  et  via  ec  (Sta- 
tuti, N.<>2I,  e.  389  t.)  Con  questa  medesimo  deliberazione  fu  pure  statuito  che  i 
passeggeri  potessero  transitare  per  questa  strada  sine  solutione  facienda  pedagii , 
kabelle,  seu  maletolte  [ivi). 

(2)  Sine  iuris  solempnìtate ,  sed  secundum  Imam  consuetudinem  mereantie, 
portuum  et  maris.  [Ivi,  e.  390).  Avvertasi  che  non  essendo  ammesso  appello 
da  questi  giudizi,  era  però  riservato  il  diritto  a  chi  si  credesse  leso  di  dar 
querela  a  esso  vicario  o  assessore,  quando,  compiuto  il  suo  ufficio,  era  sog- 
getto al  sindacato. 

Arch.  St.  Itu..,  3."  Serie,  T.  X  ,  P.  II.  11 


82  I  PORTI  DELLA  MAREMMA  SENESE 

ral  desiderio  di  rifuggire  da  tutto  ciò  che  potesse  gene- 
rare emulazioni  e  discordie ,  ed  essere  fomite  di  guerre. 
Fondamento  alla  sua  autorità  era  la  pace ,  massime  coi 
■  vicini  ;  per  amor  della  quale  ,  rinunziando  alle  tradizioni 
politiche  ,  contuttoché  gloriose ,  della  città,  di  buon  grado 
si  accostò  ai  Fiorentini ,  accrescendo  in  tal  modo  forza 
e  riputazione  alla  parte  dei  guelfi.  Con  queste  arti  j 
Nove  non  solo  rimasero  lungamente  al  governo  della 
Repubblica ,  per  lo  addietro  soggetto  a  frequenti  muta- 
zioni ,  ma  la  ricchezza  pubblica  dal  fiorire  delle  industrie 
fatta  maggiore  e  non  più  stremata  da  guerre  continue 
volsero  ad  ornare  la  città  con  edifizi  sacri  e  civili ,  che 
sono  monumenti  insigni  dell'arte  italiana. 

E  in  questo  tempo  ,  più  che  in  verun  altro ,  era 
bisogno  di  concordia  tra  le  città  di  Toscana;  imperciocché 
l' imperatore ,  passate  le  Alpi ,  era  sceso  in  Lombardia , 
accogliendo  con  favore  gli  usciti  di  Firenze  e  quanti 
altri  ghibellini  avevano  ricorso  a  lui  per  aiuto.  Ma  non 
appena  fu  manifesto  ch'egli  preparavasi  a  venire  in  To- 
scana per  abbattere  i  guelfi  ,  i  Fiorentini  attesero  a  rin- 
novare la  lega  con  Lucca ,  Siena ,  Volterra  e  Pistoia ,  a 
cui  in  breve  si  aggiunsero  Bologna  e  Città  di  Castello  (1). 
Memorabile  esempio  che  non  dovevano  dimenticare  così 
presto  le  città  di  Toscana.  Avendo  con  questo  mezzo  i  Fio- 
rentini provveduto  ad  opporre  una  più  valida  resistenza 
alle  armi  di  Arrigo,  considerato  che  il  porto  di  Pisa  per  le 
imminenti  novità  non  poteva  essere  acconcio  e  sicuro  al 
loro  commercio,  deliberarono  di  abbandonarlo.  Per  la  qual 
cosa,  scambiate  alcune  ambascerie  col  Comune  di  Siena, 
e  mandatovi  oratore  Balduccio  Pegolotti,  fecero  solleci- 
tamente un  trattato  per  condurre  ogni  loro  mercanzia 
al  porto  di  Talamone.  Questo    atto    di    concordia  (2)    fu 

(i)  La  lega  fu  conchiusa  il  dì  4.°  di  giugno  del  4311. 

(2)  Infrasaipta  est  concordia  Comunis  Florenlie  et  Comunis  Senarum  :  cosi 
comincia  questo  trattato,  del  quale  non  fanno  menzione  il  Villani,  l'Aretino, 
il  Machiavelli,  né  veruno  degli  storici  senesi  ;  tanto  che  può  dirsi  essere  ri- 
mesto ignorato  fino  al  presente. 


I  PORTI   DELLA   MAREMMA    SENESE  83 

approvato  dal  Consiglio  della  Campana  nell'adunanza 
de' 17  agosto  1311,  essendo  podestà  di  Siena  Ranieri 
de'Gabrielli  da  Gubbio. 

Per  autorità  di  questo  trattato  potevano  i  Fiorentini 
usare  del  porto  di  Talamone ,  approdarvi  con  le  merci , 
e  dalla  spiaggia  del  mare  portarle  liberamente  a  Firenze. 
I  diritti  di  pedaggio  e  di  gabella  dovevano  pagarsi  in 
Talamone  ,  o  dove  altrimenti  piacesse  ai  Signori  Nove  , 
e  i  prezzi  delle  gabelle  furono  di  buon  accordo  pattuiti  (1). 
Ma  per  godere  di  questi  benefici  dovevano  i  mercatanti 
percorrere  la  nuova  strada  da  Talamone  a  Paganico,  e 
quella  antica  ed  usitata  da  Paganico  a  Siena  e  da  Siena  a 
Firenze.  Altre  singolari  condizioni  del  trattato  erano 
queste ,  che  di  qualunque  quantità  di  grano  o  di  altro 
frumento  che  si  portasse  a  Talamone ,  poteva  il  Comune 
di  Siena  acquistare  la  quarta  parte  per  quel  prezzo  che 
a'  Fiorentini  costava,  portata  a  Talamone  ;  e  che  a  verun 
cittadino  od  abitante  del  contado  di  Firenze  era  permesso 
di  recare  a  Talamone  grano  e  frumento  qualsiasi  che 
fosse  stato  raccolto  in  paesi  distanti  meno  che  cento 
miglia  da  Talamone.  Obbligavasi  dal  canto  suo  il  Comu- 
ne di  Siena  alla  sicurtà  del  porto  e  dei  mercatanti ,  ed 
in  ispecie  delle  strade  ,  provvedendole  di  ospizi ,  di  vit- 
tuaglie  e  di  quant'altro  torna  profittevole  e  necessario 
ai  viandanti.  Senza  indugio  il  Consiglio  approvò  quasi 
concordemente  questo  trattato ,  invitando  i  Signori  Nove 
a  dargli  sollecita  esecuzione ,  essendoché  a  tutti  sem- 
brasse di  aver  conseguito  quel  che  più  si  anelava  ,  cioè 
la  prosperità  e  la  floridezza  del  porto  della  Repubblica  (2). 

Se  la  lega  politica  fermata  con  le  città  guelfe  di 
Toscana  rassicurava  i  Fiorentini  dal  timore  della  venuta 
dell'esecito  imperiale ,  il  trattato  conchiuso  col  Comune 
di  Siena  guarentiva  il  loro    commercio ,   tenendo   aperte 

(1)  Si  possono  vedere  nella  Tavola  comparativa  delle  gabelle,  inserita  dopo 
i  documenti. 

(2)  11  testo  del  trattalo  riportasi  per  intero  fra  i  documenti  sotto  il  N.°  I. 


84  I  PORTI  DELLA  MAREMMA  SENESE 

ai  traffici  ed  alle  industrie  le  vie  del  mare.  Che  se  Fi- 
renze ,  postasi  a  capo  della  parte  avversa  all'  Impero  ,  e 
fattasi  rócca  d'Italia,  come  scrisse  Cesare  Balbo,  ebbi 
ragione  di  rallegrarsi  del  buon  successo  della  sua  poli- 
tica e  de' suoi  apprestamenti  contro  l'esercito  dell' impe- 
ratore ,  sembra  che  di  questi  accordi  menassero  maggior 
festa  i  Senesi.  Poiché  non  erano  ancora  passati  otto 
anni  dall'acquisto  di  Talamone ,  che  già  vedevano  in 
esso  ridursi  tutto  quanto  il  commercio  di  Firenze  ,  e  così 
della  più  gran  parte  della  Toscana:  il  che  per  avven- 
tura eccedeva  ogni  loro  speranza.  Ond'  è  che  molto  ragio- 
nevolmente può  supporsi  che  le  illusioni  più  che  mai 
cresciute  dei  Senesi  pel  possesso  di  Talamone  ispirassero 
all'Alighieri ,  reduce  allora  in  Toscana  ,  e  come  vuoisi 
inteso  in  questi  anni  a  comporre  la  seconda  cantica  della 
Commedia  ,  l' ironia  e  il  vaticinio  quasi  in  tutto  avvera- 
tosi di  que'  versi ,  dove  alla  senese  Sapia  che  gli  parlava 
de'  suoi  congiunti  ,  fa  dire  : 

Tu  gli  vedrai  tra  quella  gente  vana 

Che  spera  in  Talamone ,  e  perderagli 

Più  di  speranza  che  a  trovar  la  Diana  (1). 

Se  non  che  ,  rialzate  le  speranze  dei  ghibellini  per  la 
venuta  di  Arrigo  in  Toscana ,  e  Firenze  rifiutatasi  di 
accoglierne  gli  ambasciatori  ,  ne  seguirono  dapprima 
piccole  rappresaglie  contro  i  mercatanti  fiorentini  che 
erano  in  Genova,  e  poi  quell'assedio  durato  senza  alcun 
frutto  cinquanta  giorni ,  nel  quale  più  si  parve  la  irre- 
solutezza di  Arrigo,  che  non  la  virtù,  benché  grande, 
degli  assediati.  Fu  in  questa  che  alcuni  fuorusciti  senesi, 
o  eccitati  dal  desiderio  di  vendicarsi  della  patria  che  gli 
aveva  banditi ,  o  piuttosto  preso  ardimento  dalla  pre- 
senza dell'imperatore,    avuto    innanzi    segreto    trattato 

(4,  Purg.  XIII ,  v.  -150  152. 


I   PORTI   DELLA   MAREMMA   SENESE  85 

con  alcuni  terrazzani ,  diedero  improvvisi  l'assalto  a 
Talamone  che  ,  scarso  eli  difensori  occuparono  in  breve 
e  ridussero  in  loro  balìa  [1312].  Podestà  di  Siena  era 
messer  Filippo  di  messer  Iacopo  da  Passano  di  Foligno. 
Otto  abitanti  del  castello,  accusati  di  avere  avuto  intel- 
ligenza con  gli  aggressori ,  e  di  aver  coadiuvato  alla  loro 
impresa,  furono  condannali  in  contumacia  al  bando  per- 
petuo dalla  città  e  dal  dominio  di  Siena ,  alla  perdila  di 
ogni  loro  avere ,  ed  altresì  ad  essere  decapitati ,  se  mai 
cadessero  in  podestà  del  Comune  (1).  Degli  accusati  un 
Solo  era  senese,  uno  di  Grosseto ,  tre  del  contado  di  Santa 
Fiora  e  gli  altri  del  distretto  di  Pisa.  La  patria  di  questi 
ultimi  darebbe  ragionevole  motivo  a  credere  che  l'occu- 
pazione di  quel  Porto  fosse  promossa  ed  aiutala  dai 
Pisani,  forse  con  animo  di  recare  offesa  ai  Fiorentini 
che  vi  mercatavano ,  e  dai  conti  di  Santa  Fiora ,  che 
avevano  mandato  aiuto  di  uomini  all'esercito  imperiale. 
Dei  guasti  e  delle  ruberie  che  si  consumarono  in 
Talamone  durante  questa  occupazione  non  è  rimasta 
alcuna  memoria  ,  ma  facilmente  s' indovinano.  E  benché 
la  morte  quasi  improvvisa  di  Arrigo  a  Buonconvento 
avesse  fatto  venir  meno  le  speranze  dei  ghibellini  ,  pur 
tuttavia  passarono  due  anni  prima  che  i  Senesi  tornas- 
sero nel  possesso  di  Talamone.  Imperocché  ai  pericoli 
che  avevano  minacciato  la  libertà  di  Toscana  per  la 
impresa  di  Arrigo  ,  erano  succeduti  nuovi  pericoli  per 
la  potenza  e  l'ambizione  di  Uguccione  della  Faggiuola  , 
divenuto  signore  di  Pisa;  tantoché  i  Senesi  erano,  come 
per  l'addietro  ,  obbligati  a  mantenere  lor  gente  nell'eser- 
cito della  lega ,  e  perciò  a  trascurare  il  riacquisto  di 
Talamone.  Ma  in   sul   cominciare    dell'ottobre    del    1314 


(1)  La  condanna  porta  la  data  de' 4  novembre  1312  ,  e  fu  trascritta  nell' In- 
strumentario  del  Comune  (Ctde/J'o  dell'  Assunta)  a  e.  857  e  858.  Si  legge  in  essa  : 
Ipsi  (inquisiti)  et  alti  inimici  Comunis  Senensis  iictum  castrum  Talmonis  et  roc- 
cham ipsius  occupatimi  tencnt  in  grave  d  mpnum  et  preiulidum  diete  Civitatis  Se- 
narum  et  contra  honorem  diete  dvilatis. 


86  I   PORTI   DELLA   MAREMMA   SENESE 

vennero  in  Siena  novelle ,  che  Talamone  era  avuto  e 
nuovamente  tornato  all'obbedienza  della  Repubblica ,  e 
per  segno  di  gioia  si  fecero  falò  sulla  torre  de'  Migna- 
nelli ,  sul  campanile  del  duomo  e  sul  palazzo  del  Po- 
destà (1). 

Non  ostante  ciò  sembra  che  il  cassero  e  il  porto  non 
fossero  guardati  con  maggior  diligenza ,  essendoché 
dopo  sei  anni  Talamone  cadesse  di  nuovo  in  mano  di 
altri.  Per  cagione  della  carestia  che  in  quest'anno  [1320] 
desolava  la  città  e  Jo  stato,  avevano  i  Signori  Nove 
fatto  provvedere  gran  copia  di  grano  che  di  Sicilia  e 
d'altri  paesi  era  stato  portato  a  Talamone.  Ora  accadde 
che  alcuni  fuorusciti  di  Genova ,  sotto  colore  di  pren- 
dersi vendetta  degli  aiuti  che  la  Repubblica  aveva  man- 
dati a  re  Roberto  che  difendeva  Genova ,  stretta  d'asse- 
dio dai  ghibellini  usciti  della  città,  assalirono  il  castello, 
lo  presero  di  viva  forza  e  lo  misero  a  ruba,  seco  por- 
tando tutto  il  grano  raccoltovi ,  e  moltissime  mercatanzie. 
Altri  vuole  che  que'  fuorusciti  genovesi  a  ciò  s' induces- 
sero ,  perchè  narravasi  che  il  grano  acquistato  dai  Signori 
Nove  ,  doveva  essere  mandato  a  Genova  in  soccorso 
degli  assediati.  Certo  è  che  grave  danno  ebbe  a  soffrire 
Talamone  da  questa  nuova  aggressione  ;  ed  è  fama  che 
dei  pochi  difensori  che  vi  si  trovarono  fosse  fatta  empia 
strage  ,  e  che  i  loro  cadaveri  fossero  gettati  con  i  cavalli 
uccisi  in  un  pozzo    del    castello.    Compiuto    il  sacco ,    i 

(])  Sotto  la  data  del  5  d'ottobre  di  quest'anno  si  leggono  nel  registro  delle 
spese  del  Comune  questi  pagamenti,  per  le  costumanze  dei  tempi  curiosi  a  co- 
noscersi: -  Ancho  viij  soldi  a  quatro  uomini  e' quali  feciono  faluò  in  suso  la 
torre  de'Mignanelli ,  a  ragione  di  due  soldi  per  uno,  per  le  novelle  che  ven- 
nero del  chastello  di  Talamone,  ch'era  avuto  ».  -  «  Ancho  j  soldo,  portatura 
uno  choppo  d'aqua  in  suso  la  detta  torre  ,  quando  si  feciuono  e'  detti  faluò  ». 
-  «  Ancho  vj  soldi  a  quatro  che  feciuono  faluò  in  suso  el  champanile  di  duo- 
mo,  a  ragione  di  diciotto  denari  l'uno,  per  la  detta  chagione  ».  -  «  Ancho 
ij  soldi  a  otto  uomini  che  feciono  faluòne  in  suso  el  palazo  di  missere  la  Podestà 
a  ragione  di  diciolto  denari  per  uno ,  per  la  detta  chagione  ».  -  «  Ancho  j  sol- 
do ,  portatura  uno  choppo  d'aqua  in  suso  el  palazo  ,  quando  si  feciono  e'  faluò- 
ne »  (  Bkchema,  cod.  88,  e   \1\  t.). 


I  PORTI  DELLA  MAREMMA  SENESE         87 

Genovesi  se  ne  partirono  ,  lasciando  quella  terra  in  gran- 
de squallore  e  spavento  (1). 

Ai  27  d'ottobre  di  questo  medesimo  anno  furono  pro- 
posti nel  Consiglio  generale  alcuni  provvedimenti  che 
dovevano  impedire  il  rinnovarsi  degli  ultimi  fatti.  Ne 
fu  autore  Branca  degli  Accherigi ,  cittadino  virtuoso  e 
tenuto  in  molta  estimazione.  Disse  egli  adunque  che 
alcuni  cittadini  eletti  per  Terzo  dai  Signori  Nove  pre- 
sentassero nel  termine  di  otto  giorni  alcune  proposte 
per  rafforzare  la  guardia  di  Talamone  e  renderne  sicure 
le  strade  ;  come  altresì  per  aumentare  le  entrate ,  fatte 
assai  scarse  del  porto  ,  e  diminuirne  le  spese.  Questa 
balìa  doveva  insieme  proporre  in  qual  modo  potessero 
efficacemente  costringersi  a  prendere  stanza  nel  castello 
que'  cittadini  che  vi  avevano  possessioni  e  case,  e  non 
v'abitavano.  Piacquero  le  parole  dell'Accherigi  agli  adu- 
nati e  le  approvarono.  I  Signori  Nove  elessero  tosto  tre 
cittadini  per  ogni  Terzo  ,  che  otto  giorni  dopo  (3  novem- 
bre) portarono  al  Consiglio  le  loro  proposte ,  delle  quali 
non  altro  sappiamo  che  in  parte  concernevano  alle 
gabelle  da  pagarsi  nel  porto ,  e  che  tutte  furono  san- 
zionate (2).  Nondimeno ,  corsi  appena  tre  mesi ,  e'  fu 
d'uopo  che  il  Consiglio  sospendesse  per  tempo  di  un 
semestre  l'esazione  della  pena  a  cui  erano  stati  con- 
dannati novantadue  cittadini  che  o  non  avevano  fabbri- 
cato case  su  le  piazze  loro  concesse  dal  Comune  ,  o  fab- 
bricatele non  erano  andati  ad  abitarle  (3)  ;  di  modo  che 
sembra  che  i  provvedimenti  approvati  il  dì  3  di  novem- 
bre non  riuscissero ,  come  si  voleva ,  efficaci  a  miglio- 
rare lo  stato  di  quel  castello  e  del  porto. 


(1)  Malavolti,  Ist.  Sen.  ,  Part.  II  ,  pag.  182  ;  Tommasi  ,  Ist.  Sen. ,  Part,  II, 
pag.  210;  Piccoi.omini  F.  ,  Annali,  Part.  II;  e  Sestigiani  ,  Notizie  delle  Terre 
dello  Stato  Seri.,  Voi.  V,  pag.  694    (Ms.  del  R.  Archivio  di  Stato  di  Siena). 

(2)  Consiglio  della  Campana,  N.°  94,  cart.  114  e  121. 

(3)  Ivi ,  N.°  95 ,  cart.  38  t. 


88  I   PORTI    DELLA   MAREMMA    SENESE 

Ma ,  come  suole  sempre  accadere  ,  le  provvisioni  e 
le  leggi  che  si  vincevano  in  Consiglio  ,  tanto  più  spesso 
e  volentieri  s'eludevano ,  quanto  più  venivano  moltipli- 
candosi ,  e  ciò  non  era  senza  detrimento  della  cosa  pub- 
blica. Per  lo  che  nel  Consiglio  della  Campana  de'  18  feb- 
braio 1322  ,  essendo  podestà  di  Siena  messer  Loffredo 
Gaetani  conte  di  Fondi,  il  Camarlingo  e  gli  Esecutori 
della  generale  Gabella  portarono  una  domanda ,  la  quale 
letta  dal  notaio  delle  Riformagioni,  diceva  così:  «  Dinanzi 
da  voi ,  sapienti  cittadini ,  signori  Nove  Governatori  e 
Difensori  del  Comune  e  del  popolo  della  città  di  Siena , 
propongono  e  dicono  i  vostri  Camarlingo  ed  Esecutori 
della  generale  Gabella  che ,  conciossiachè  il  Comune  di 
Siena  molto  sia  ingannato  e  frodato  dai  mercatanti  nelle 
mercatanzie  ed  altre  cose  e  beni  moltissimi  che  traggono 
o  trarre  fanno  dal  distretto  e  dalla  giurisdizione  di  Siena, 
e  le  conducono  o  condurre  fanno  in  verso  il  mare  per 
caricare  ed  esportare  le  mercatanzie  e  le  altre  cose  pre- 
dette ,  nulla  per  esse  pagando  al  Comune ,  e  astenendosi 
di  condurle  al  porto  di  Talamone ,  dove  di  quelle  mer- 
catanzie ed  altre  cose  si  paga  la  gabella  debita  ,  secondo 
la  forma  di  certi  ordinamenti  fatti  del  mese  di  novem- 
bre 1320  (1)  ;  piacciavi  provvedere  e  fare  riformare  per 
gli  opportuni  Consigli  del  Comune  e  del  popolo  della 
città  di  Siena ,  che  li  detti  mercanti  e  qualsivoglia  altra 
persona  che  trarranno  o  trarre  faranno  tali  mercanzie 
ed  altre  cose  che  frissero  dal  distretto  o  dalla  giurisdi- 
zione di  Siena ,  e  le  condurranno  o  condurre  faranno 
verso  il  mare ,  sieno  tenuti  di  pagare  quella  gabella  che 
pagare  si  deve  da'  mercatanti  e  dalle  altre  persone  che 
conducono  e  caricano  mercatanzie  o  altre  cose  nel  detto 
porto  o  castello  o  distretto  di  Talamone ,  e  in  quel 
modo  che  pagasi  nel  porto  e  castello   e  distretto  predet- 


ti) Cioè  gli  ordinamenti    approvati  il  3  ili    quel    mese,    per   proposta  del- 
l'Acchcrigi ,  come  addietro  fu  detto. 


I  PORTI  DELLA  MAREMMA  SENESE  S9 

ti,  secondo    la    forma    degli    ordinamenti    sopra    ricor- 
dati (1). 

Fu  questa  dimanda  degli  officiali  della  Gabella  giu- 
dicata provvidissima  da  messer  Vecchietta  degli  Accherigi, 
il  solo  che  parlasse  quel  giorno  in  Consiglio;  di  maniera 
che  restò  vinta  ,  opponendosi  pochi.  E  nel  1323  (9  dicem- 
bre) lo  stesso  Consiglio  ,  approvando  la  proposta  fatta 
dagli  officiali  del  Porto,  concesse  per  dieci  anni  quelle 
franchigie  ed  immunità  che  gli  ordinamenti  vecchi  con- 
cedevano solo  per  cinque  a  tutti  coloro  che  avendo  dal 
Comune  ottenuto  in  Talamone  un  podere  ,  una  piazza  o 
un  casaline  ,  andassero  a  prendervi  stabile  dimora  (2). 
Era  oggetto  di  queste  concessioni  l'accrescere  il  numero 
degli  abitanti  di  Talamone  ,  sperando  che ,  considerati  i 
privilegi  ch'ivi  si  godevano,  molti  s'indurrebbero  più 
di  leggeri  ad  abitarvi.  Ma  la  mal'aria,  che  già  da  tempo 
infestava  quelle  contrade,  e  il  timore  degli  improvvisi 
aggredimenti  e  delle  ruberie  che  ne  seguitavano,  dis- 
suadevano i  più  dall'abitare  un  paese  non  sano  e  poco 
sicuro.  Imperocché  anche  in  seguito  accadde  frequente- 
mente che  a  Talamone  prendessero  terra  milizie  fore- 
stiere; come  fu  nel  1326,  allorquando  l'armata  del  re 
Roberto  ,  reduce  dalla  Sicilia  ,  approdò  in  quel  porto  ; 
onde  poi  molti  balestrieri  mossero  contro  Magliano  , 
castello  dei  conti  di  S.  Fiora,  e  l'ebbero  di  viva  forza, 
e  vi  fecero  grosso  bottino  (3).  E  nel  maggio  dell'anno 
seguente  sbarcarono  a  Talamone  e  a  Grosseto  molte 
genti  del  Duca  di  Calabria  ,  chiamate  sollecitamente  a 
Firenze ,  alle  quali  era  stato  fatto  divieto  dal  duca  di 
approdare  a  Porto  Pisano  (4).  Ne  molto  andò  che  peggior 

(1)  Consiglio  della  Campana,  N.°  96,  cart.  53  t. 

(2)  Ivi  ,  N.°  98,  cart.  400  1.  e  segg. 

3]  M\lavolti,  Ist.  Sen.  ,  Part.  Il,  pag.  8t  ;  e  Sestigiaxi,  Notizie  cit., 
Voi.  V,  pag.  69  . 

(4)  F:cker  ,  Urkunden  sur  geschichle  des  roemerzuges  kaiser  Ludwig  des 
Baiern  ,  pag.  38,  o  e  questa  ordinanza  del  Duca  è  pubblicata  per  intero.  In 
essa  è  dello:  Flrentiam  ad  excellentiam  nostrani,  continnatis  diebus ,  quantum 
Anca-  St.  'ivi..,  3.»  Serie,  T    X;P    11.  12 


90  I    PORTI    DELLA   MAREMMA    SENESE 

ventura  non  incogliesse  a  Talamone ,  poiché  nel  set- 
tembre del  1328  l'armata  del  re  di  Sicilia,  venuta  nelle 
acque  di  Grosseto ,  occupò  ostilmente  il  porto  ,  il  cassero 
e  la  terra  di  Talamone  ,  e  vi  rimase  per  qualche  tempo 
finché  date  più  battaglie  alla  città  di  Grosseto ,  e  non 
avutala  ,  se  ne  partì  (1). 

Queste  dolorose  vicende ,    per    cui    cagione   il    Porto 
era  venuto  a  molto  squallore,  già  facevano  vero  il  vati- 
cinio  dell'Alighieri ,    ed    alle    vagheggiate     speranze   di 
riputazione  e  di  ricchezza  era  succeduto  poco  alla  volta 
un  amaro  disinganno  ed    una   sfiducia  che    in    breve  si 
manifestò  nelle  deliberazioni  del  Consiglio.  Il  mutamento 
di    stato    avvenuto  a    Firenze    aveva  indotto    i   Senesi , 
contuttoché  ripugnanti,  a  venire  ancor  essi    ad    accordi 
col  duca   di    Calabria ,    al    quale    diedero    autorità    per 
cinque  anni  di    eleggere    il    Podestà    che    fu    chiamato 
Vicario    ducale.    Nell'ottobre   di    quest'anno     (1328)    era 
Vicario  del  Duca    Albertaccio   Vicedomini    da    Piacenza. 
Questi  nell'adunanza  del    Consiglio   generale,    tenuta   il 
giorno  19,  ebbe  ad  affermare  che  il  paese,  il  cassero  e 
il  porto  di  Talamone  non  davano  quel    frutto   nò    quella 
riputazione  che  per  le  molte  spese  vi  erano  state  fatte, 
avrebbero  dovuto  derivarne.  Disse  che  frequenti  volte  o 
per  violenza  di  nimici  o  per  difetto  di  guardia  ,   sinistri 
casi  erano  occorsi  che    avevano    recato    grave    danno    a 
que' luoghi  e    nocumento    all'onore    della    città;    ed    ag- 
giunse che  i  Signori  Nove ,    stretti   a    colloquio    su   tal 
materia,  gli  avevano  commesso  di  portare  in    Consiglio 
la  proposta  di    concedere    ai    predetti    Signori    Nove    ed 
agli  Ordini  della  città  libero  arbitrio  di  allogare  il  castello, 
il  porto  ed  i  pascoli  di  Talamone  e  della  sua  corte    con 


cum  comodit ite  vestrarum  personarum  poterilis,  ces$iniibus  mornsis  olslaculis, 
festinetis;  cum  ad  poi  ima  Pisunum  vos  aliquo  modo  de  linare  nolimus  nec  descen- 
dere i'ù:lem,  certa  suadente  causi,  nequaquam  presenlibus  exprimenda. 

(i)  Croniche  di  Agnolo    di    Tura   ad    annum ,    e    Sestigiani,    Notizie    rit.  , 
Voi.  V,  pay.  695. 


I   PORTI    DELLA   MAREMMA   SENESE  91 

quelle  migliori  condizioni  e  con  que'  patii  che ,  salva  la 
dignità  del  Comune ,  avessero  potuto  ottenere  (1). 

A  questo  improvvido  consiglio  del'  Vicario  ducale  e 
dei  Signori  Nove  nissuno  degli  adunati  fece  con  la  pa- 
rola opposizione  :  anzi  non  mancò  chi  alla  proposta  desse 
aperto  consentimento  ,  e  fu  messer  Meo  Tederigi  che  ne 
raccomandò,  come  di  cosa  buona,  piena  ed  intera  ese- 
cuzione. Soli  venti  consiglieri ,  di  dugento  e  cinque  che 
erano,  diedero  la  palla  contraria,  e  la  proposta  rimase 
approvata.  La  quale  non  potrà  da  veruno  considerarsi 
come  prudente  e  accomodata  alle  necessità  di  quel  Porte 
e  capace  di  buoni  frutti  ;  essendoché  per  essa  si  abban- 
donasse in  preda  a  speculatori  avari  un  possesso  che  , 
meglio  governato ,  avrebbe  dovuto  portare  alla  Repub- 
blica utilità  maggiore ,  ed  accrescimento  della  ricchezza 
pubblica  e  dei  cittadini.  Ma  vinta  siffatta  deliberazione, 
e  nell'anno  seguente  impedito  ai  mercatanti  senesi  di 
aver  traffico  coi  Pisani  per  causa  di  certe  controversie 
nate  tra  le  due  Repubbliche ,  è  facile  argomentare  a 
qual  povertà  si  riducesse  in  Talamone  il  commercio  dei 
Senesi ,  e  come  pur  troppo  le  prime  loro  speranze  non 
fossero  altro  che  vanità. 

(continua). 

(1)  Consiglio  della  C impana  ,  N.»  106,  cart.  ti5  l. 


RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 


Vingektii  pragensis  annales.  (Nel  tomo  XVII  dei  «  Monu- 
menta Germaniae  historica  »,  editi  dal  Pertz). 

L'autore  di  questi  Annali  si  diffonde  a  narrare  segnata- 
mente quello  che  accadde  a' suoi  giorni,  e  in  modo  più  spe- 
ciale ciò  che  vide  egli  stesso  ed  a  cui  prese  parte  ;  impercioc- 
ché fu  uomo  di  qualche  conto  e  adoperato  in  pubblici  negozi 
di  molta  entità.  Nacque  nel  secolo  XII  già  inoltrato,  del  quale 
toccò  quasi  il  termine  ;  e  fu  cappellano  del  vescovo  di  Praga 
Daniele,  con  cui  venne  in  Italia  al  seguito  del  re  di  Boemia, 
per  le  guerre  di  Federico  Barbarossa.  Il  suo  libro  è  dunque 
un  buon  documento  anche  per  la  nostra  storia;  ma  non  fu 
pubblicato  per  la  prima  volta  che  nel  1761,  cosi  che  il  Mu- 
ratori non  potè  dargli  luogo  tra  gli  Script  ores  rerum  italì- 
carum ,  e  né  manco  avvantaggiarsene  per  la  narrazione  della 
Storia;  ed  anche  il  Giulini  non  lo  conobbe:  il  primo  fra  noi 
che  lo  citasse  credo  che  sia  Pietro  Verri,  nella  Storia  di 
Milano  ,  senza  però  trarne  tutto  il  partito  che  gli  era  possi- 
bile ,  se  del  medio  evo  avesse  voluto  fare  maggiore  studio. 
Può  credersi  pertanto  che  finora  questi  Annali  di  Vincenzo 
di  Praga  non  siano  noti  all'  Italia  quanto  [ture  meriterebbero. 

La  prima  edizione  erane  stata  condotta  sopra  il  codice 
autografo,  che  fu  scoperto  nella  cattedrale  di  Praga;  codice- 
assai  mutilato  e  che  si  tentò  di  compire  con  altre  antiche  sue 
copie ,  ma  senza  saperlo  fare  intieramente  ;  e  solo  da  poco  in 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  03 

qua  il  Pertz ,    fiproducendoli ,  ha  potuto  trovare  da   aggiun- 
gervi quasi  tutto  quanto  vi  si  desiderava. 

Su  questa  ristampa  ora  noi  intendiamo  di  fare  uno  studio 
speciale  di  quella  parte  dell'opera  che  tocca  delle  guerre  coi 
Lombardi  ;  la  quale  è  di  tanto  rilievo  ,  che  recentemente  in 
Germania  ha  forse  dato  motivo,  e  di  certo  prestato  il  maggior 
materiale  ad  uno  di  quei  dotti  per  iscrivere  un  libro  molto 
lodato ,  e  che  ai  lettori  di  questo  Archivio  Storico  fu  già 
fatto  conoscere  (1). 

Venuto  la  prima  volta  in  Italia,  nel  1154,  Federico  I  per 
farvisi  incoronare  imperatore ,  si  diede  subito  a  vedere 
inimicissimo  di  Milano;  che  fra  le  città  di  Lombardia, 
allora  «  le  più  doviziose  e  potenti  dell'universo  ,  aveva  il 
primato  »  (2)  ;  e  pertanto  esser  doveva  il  maggiore  ostacolo 
al  disegno  da  lui  formato  di  restaurare  la  potenza  imperiale 
nella  penisola,  ove  da  più  di  un  secolo  andava  declinando. 
Ma  non  si  credette  allora  bastantemente  forte  per  affrontarla; 
ond' è  che  travagliatine  gli  amici,  contro  la  superba  città 
limitossi  a  lanciare  ,  mentre  partiva,  un  decreto  che  la  pri- 
vava della  sua  grazia  «  per  le  orribili  scelleratezze  ».  Milano, 
dice  bene  Pietro  Verri ,  in  quel  tempo  era  una  repubblica 
piccolissima  per  ,la  sua  estensione  ,  ma  di  una  forza  e  di  un 
ardimento  meravigliosi  ». 

Di  ritorno  poi  in  Germania  il  novello  imperatore  non  ebbe 
altro  maggior  pensiero  che  di  mettere  insieme  un  validissimo 
esercito,  col  quale  poter  venire  a  capo  del  suo  disegno;  e 
non  solo  chiamò  all'armi  i  signori  che  per  obbligo  feudale 
dovevano  ubbidirgli,  ma  sì  anche  pregò  di  aiuti  la  Polonia, 
l'Ungheria  e  la  Boemia:  tantae  molis  erat.  Ben  tre  anni 
spese  in  questi  apparecchi. 

Era  la  Boemia  in  allora  un  semplice  ducato;  e  Federico  I 
ne  indusse  il  duca  Ladislao  a  dargli  aiuto  nella  guerra 
milanese  ,  colla  promessa  di  crearlo  re.  Nell'anno  1158  adun- 
que (  così  narra  Vincenzo  da  Praga  )  «  Ladislao  duca  di 
Boemia  si  porta  con  gran  seguito  a  Ratisbona ,  dove  l' impe- 

(1)  Vedi  nel  tomo  Vili,  parte  I,  anno  1868,  l'erudita  rassegna  del  profes- 
sore F.  Bettolini  dell'opera  del  dottor  Fiorenzo  Tourtual,  Sulla  parte  che  ebbe 
la  Boemia  nelle  guerre  dell'  imperatore  Fecìerico  I  in  Italia. 

(2)  Ottone  di  Frersing. 


94  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

ratore  aveva  chiamata  una  solenne  dieta;  ed  ivi  è  fatta  pub- 
blica la  cosa,  che  già  in  segreto  erasi  trattata,-  imperciocché 
addì  3  delle  idi  gennaio  ,  Ferderigo  I ,  al  cospetto  di  tutti 
i  suoi  principi,  orna  di  regio  diadema  il  predetto  dura,  per 
i  fedeli  di  lui  servigi;  e  il  nuovo  re,  in  ricambio  di  tanto 
onore ,  s' impegna  di  andare  in  persona ,  coi  signori  del  pro- 
prio dominio  e  con  tutto  il  valente  suo  esercito ,  ad  assediare 
Milano,  regale  ed  antichissima  città  della  Lombardia,  posta 
in  luogo  assai  munito,  e  per  mirabile  milizia  fortissima.  L'im- 
periale esercito  presente  a  questa  solenne  funzione,  oltremodo 
se  ne  rallegra;  e  già  si  vanno  imaginando  diverse  maniere 
di  combattere  e  vincere  quei  nemici  ». 

Acclamato  da  quanti  gli  facevano  scorta,  il  nuovo  re  di 
Boemia  ritorna  a  Praga  ;  e  quivi  raccoglie  la  dieta  de'suoi 
baroni ,  affine  di  concertare  l'andata  in  Italia.  Ma  quei  no- 
bili signori ,  più  gelosi  d^i  propri  diritti ,  che  allegri  di  ve- 
dersi trasformato  in  re  il  duca  loro ,  «  udendo  quanto  era 
stato  fatto  e  promesso,  muovono  lamento  che  senza  prima 
consultarli  si  fosse  tanto  osato;  e  sommamente  biasimano 
colui,  per  consiglio  del  quale  credono  essere  ciò  avvenuto  »: 
vale  a  dire  il  vescovo  di  Praga  Daniele.  Ma  Ladislao  prote- 
sta, essersi  egli  di  suo  spontaneo  moto  così  impegnato  col- 
T  imperatore  ,  per  gli  onori  impartitigli  ;  e  che  pertanto  chi 
voleva  seguirlo  nell'  impresa  «  avrebbe  da  lui  avuto  fa- 
vori e  le  spese  necessarie  ;  mentre  quelli  che  alla  gloria 
preferissero  di  restare  a  casa  e  baloccarsi  oziosamente  come 
donnicciòle ,  erano  liberi  di  farlo  ».  Bastò  questo  rabbuffo  a 
sviare  tutti  gli  umori  contrari ,  «  ed  unanimi  i  Boemi  prepa- 
rano l'armi  contro  Milano ,  e  più  fieramente  di  tutti  i  valo- 
rosi giovani  di  nobile  schiatta  :  nei  loro  canti  e  nei  discorsi 
non  si  trattava  d'altro  che  di  assediare  Milano  ».  L'annunzio 
di  questa  guerra  fu  tra  i  Boemi  come  la  predicazione  di  una 
nuova  crociata:  «  moltissimi  anche  fra  i  coloni,  neglette  le 
opere  agricole  ,  armano  di  scudi ,  di  lance  e  d'ogni  altra 
maniera  di  strumenti  guerreschi  quelle  loro  mani,  assai  più 
atte  al  vomero  ed  alla  vanga.  Questo  romore  di  guerra,  ve- 
nuto alle  orecchie  delle  giovani  donne  che  amavano  di  tenero 
affetto  i  loro  sposi ,  ne  turba  i  cuori ,  così  che  aspettavano  il 
dì  della  partenza  con  gran  dolore  e  gemiti  ». 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  95 

Sceltasi  in  una  generale  adunanza  ,  tenuta  in  Praga  ,  la 
milizia  che  doveva  andare  all'  impresa,  si  mettono  in  cammino; 
e  innanzi  a  tutti  muovonsi  «  i  porpurei  vessilli  »  di  re  Ladi- 
slao. Ma  la  Germania  è  la  prima  a  sentire  i  danni  di  questa 
guerra  preparata  contro  i  Comuni  italiani;  imperciocché 
giunti  i  Boemi  a  Ratisbona ,  «  vi  si  danno  a  fare  innumere- 
vole preda  di  bestiame  e  d'ogni  altra  cosa  ».  Alle  Alpi ,  per 
la  fuga  di  quei  montanari  che  si  portano  seco  le  loro  prov- 
visioni ,  hanno  difetto  di  viveri  ;  ma  finalmente  a  Bolz  ano 
«  trovano  grandissima  copia  di  ottimo  vino  ». 

Scendono  poi  all'Adige ,  che  tragittano  sopra  un  ponte  di 
barche;  passano  Verona  ,  e  pervenuti  al  lago  di  Garda  «  pian- 
tano le  tende  fra  speciosissimi  olivi ,  dove  quel  prezioso  le- 
gname ,  e  i  melagrani  che  pure  vi  abbondano ,  sono  tagliati 
come  vili  salici,  per  farne  i  fuochi  e  le  lettiere  ai  cavalli  ». 
Ciò  vedendo  quelli  abitatori,  inducono  il  re,  con  offerta  di 
danari,  a  levare  di  là  il  campo  e  portarlo  sul  territorio  dei 
Bresciani,  «  ch'erano  confederati  coi  Milanesi  contro  l'im- 
ratore  ».  Ladislao  adunque,  accettati  i  doni,  procede  alla 
volta  di  Brescia,  si  fa  vedere  coll'esercito  schierato  fin  quasi 
alle  porte  della  medesima  ,  «  provocando  all'armi  i  cavalieri 
bresciani;  ma  questi  curanti  della  loro  salute,  non  s'arri- 
schiano di  uscire ,  e  solo  fanno  vista  di  voler  difendere  le 
mura.  Ne  va  a  ruba  tutta  quella  terra  ». 

Tale  è  il  racconto  di  Vincenzo  da  Praga  ;  però  il  lodigiano 
Ottone  Morena  fa  menzione  di  una  bella  sortita  di  quei  cittadini, 
narrando  che,  accampatosi  sotto  la  città  re  Ladislao ,  «  il  quale 
aveva  preceduto  Y  imperatore  »,  i  Bresciani  tenner  d'occhio  ove 
si  fossero  posti  gli  scudieri ,  ai  quali  solevansi  dare  in  custo  iia 
i  migliori  cavalli  dei  militi  ;  e  che  «  fatto  impeto  contro  di 
questi ,  per  toglier  loro  quei  cavalli,  assai  ne  uccisero,  met- 
tendo in  fuga  i  rimanenti ,  che ,  feriti  per  la  massima  parte, 
si  dovettero  lasciar  dietro  molti  semivivi.  La  qual  cosa  venuta 
a  cognizione  del  re  di  Boemia,  sommamente  lo  commosse  ad 
ira;  e  cominciò  con  tutto  il  suo  esercito  numerosissimo  a  de- 
vastare quanto  più  potevasi  il  vescovado  di  Brescia  ». 

Continuando  poi  l'annalista  Vincenzo  dice  che  i  Bresciani , 
considerato  il  gran  danno  che  pativano ,  «  per  mezzo  del 
vescovo  di  Praga  Daniele ,  il  quale   in   servizio   del   suo   re 


96  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

colla  propria  milizia  e  con  molti  chierici  era  venuto  a  quella 
spedizione,  fanno  preghiera  al  re  boemo  che  loro  ottenga  gra- 
zia dall'  imperatore,  offerendogli  grandissimi  doni  ».  Ladislao, 
compiacente  ogniqualvolta  era  pagato ,  promette  di  farlo. 

Stettero  colà  i  Boemi  quindici  giorni ,  in  capo  ai  quali 
finalmente  giunse  1'  imperatore  ,  e  allora  re  Ladislao  fedele 
alla  sua  parola  ,  chiede  e  ottiene  per  i  Bresciani  la  grazia 
invocata;  «  dando  quei  cittadini  all'imperatore  e  al  re  di 
Boemia  molti  doni  e  ostaggi ,  e  giurando  altresì  di  mandare 
un'eletta  di  loro  militi  all'assedio  di  Milano  ». 

Giunto  all'Adda  l' imperatore  Federico  ne  trovò  disfatti  i 
ponti ,  e  fu  costretto  a  fermarsi ,  accampandosi  di  contro  a 
Cassano;  e  ad  un  miglio  più  sotto  «  venner  rizzate  le  tende 
del  re  Ladislao  di  Boemia  ,  di  Teobaldo  fratello  di  lui  e 
di  Daniele  vescovo  pragense.  Frattanto  Odolen,  figlio  di  Ztris 
strenuo  guerriero ,  con  altri  due  militi  ,  si  dà  attorno  per 
trovare  un  guado  in  quel  fiume  ,  e  riuscitagli  vana  ogni 
ricerca  ,  si  slancia  senz'altro  in  mezzo  all'acque ,  seguito  da 
un  solo  di  que'  suoi  compagni.  Noi  li  vediamo  avvolgersi  nei 
11  u  tti ,  e  andare  sossopra  uomini  e  cavalli.  Finalmente,  col- 
l'aiuto  di  Dio,  giungono  salvi  all'altra  riva;  la  qual  cosa 
come  fu  riferita  al  re ,  gettansi  a  terra  le  mense ,  si  dà  nei 
timpani  guerreschi  ,  si  fa  prender  l'armi  ai  militi  ,  e  collo 
stesso  Ladislao  alla  testa ,  spronano  tutti  i  destrieri  nel 
fiume  e  lo  tragittano;  non  senza  tuttavia  che  un  buon  nu- 
mero ne  vada  affogato  ». 

Di  là  trovano  nemici  e  vi  dan  dentro;  molti  dei  quali  sono 
uccisi  e  molti  presi  :  «  levansi  grida  ,  liete  dai  Boemi  per  la 
vittoria ,  dolorose  dai  Milanesi  per  la  inopinata  sventura. 
Mentre  queste  cose  avvengono ,  un  certo  sacerdote  rurale  , 
uomo  canuto  e  panciuto  ,  sulla  riva  del  fiume  ,  colla  cotta  e 
la  papalina  in  luogo  di  elmo  e  corazza,  virilmente  si  sfor- 
zava con  una  fionda  di  liberare  coloro  che  venivano  fatti 
prigionieri.  Ma  fu  preso  egli  stesso  ,  e  così  colla  cotta  indosso 
tradotto  innanzi  al  re  boemo;  il  quale  di  poi  supplicato  dal 
vescovo  Daniele ,  por  rimedio  dell'anima  sua  lo  rilascia  in 
libertà,  non  senza  prima  aver  fatto  grosse  risa  di  questa 
battaglia,  nella  quale  il  [irete  con  una  fionda  s'era  affannato 
a  ricacciare  nel  fiume  gli  eserciti  regi  ». 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  97 

Vedono  queste  prodezze  gli  imperiali  dall'altra  sponda , 
con  molta  letizia  ed  ammirazione  ;  e  i  Boemi  intanto ,  messi 
tutti  i  nemici  in  rotta  ,  e  «  più  curanti  della  gloria  che  di 
preda,  danno  alle  fiamme  le  castella,  le  ville,  ogni   cosa  ». 

Il  re  procura  sia  riparato  un  ponte  per  far  tragittare 
l' imperatore  ,  e  solo  il  venir  delle  tenebre  sospende  l'opera. 
Passa  Ladislao  la  notte  sulla  riva  milanese ,  cinto  di  forte 
guardia  e  a  cielo  scoperto.  Sull'alba  si  riprendeva  il  lavoro 
del  ponte  ,  quando  viene  annunziato  che  vedevasi  un  esercito 
di  Milanesi  muovere  a  quella  volta.  Senza  indugio  i  Boemi 
si  atteggiano  a  combattere ,  e  molte  loro  schiere  vengono 
lanciate  contro  i  nemici  ,  i  quali  ne  vanno  in  fuga:  «  ne 
faccia  meraviglia  ,  imperciocché  la  morte  in  tali  contingenze 
non  si  può  evitare  se  non  col  ferro  e  coi  piedi  (1).  I  Boemi 
non  cessano  dall' inseguirli  quanto  più  possono;  ed  anche 
molti  di  loro  riportano  ferite  ,  e  non  pochi  vi  lasciano  la  vita  ». 
Ma  naturalmente  è  assai  maggiore  il  numero  degli  uccisi 
nemici ,  e  grande  pure  quello  dei  prigionieri  ;  settanta  dei 
quali,  de' migliori  e  più  nobili,  vengono  dati  al  re. 

Il  ponte  per  l' imperatore  fu  riparato  in  breve,  e  così  egli 
potè  venire  ad  unirsi  a  re  Ladislao.  «  Ma  altri  Boemi  ri- 
fanno per  sé  un  altro  ponte  ;  del  quale  poi  la  troppa  molti- 
tudine cacciatavisi  fa  rumare  gran  parte ,  così  che  precipi- 
tano e  vanno  a  perire  nell'acque  molti  così  de' Boemi  come 
degli  Ungaresi  ». 

Di  poi  l'imperatore  assedia  e  prende  Trezzo  {Trek,  scrive 
il  nostro  Boemo);  vi  mette  presidio  e  tira  innanzi. 

«  Giungesi  a  Lodi,  fondata  da  Pompeo,  come  dicono  quei 
cittadini ,  ove  pose  i  vinti  pirati ,  e  che  nominò  da  Lauda 
principe  di  quei  ladroni.  Si  piantano  le  tende  in  mezzo  alla 
città  distrutta ,  e  Lodigiani  d'ogni  condizione  traggono  sup- 
plichevoli a  Federico  ,  tenendo  in  mano  ciascuno ,  secondo 
un  loro  costume ,  una  croce.  In  questo  mentre  anche  i  Mila- 
nesi vengono  a  presentarsi  alla  curia  imperiale ,  ed  offrono 
di  fare  ammenda  di  ogni  colpa;  ond'  è  che  i  principi,  udendo 
queste   umili   parole  e  quanto   promettevano ,   desiderosi  di 

(\)  a  Nec  mirtino  ,  mors  enim  in  tali  re  vel  ferro  vel  peditibus  vitanda 
est  »  ;  ed  è  una  lepidezza  questa  che  l'autore  ripete  in  più  luoghi. 

Arch.  St.  Ir  al.  ,  3.*  Serie,  T.  X,  P   11.  43 


98  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

far  ritorno  al  più  presto  alle  proprie  case ,  consigliano  che 
l' imperatore  dia  loro  ascolto  e  li  rimetta  nella  sua  grazia. 
Ma  l'arcivescovo  di  Ravenna  fu  di  contrario  parere ,  e  diceva 
a  quei  signori ,  ch'essi  non  conoscevano  punto  i  Milanesi ,  i 
quali  erano  astutissime  volpi  »  :  e  l' imperatore  si  tenne  all'av- 
viso del  prelato.  Non  è  improbabile  che  avesse  parte  a 
così  accendere  contro  i  Milanesi  l'animo  di  codesto  arcive- 
scovo ,  l'antagonismo  che  da  tempo  molto  antico  esisteva  fra 
le  due  chiese  di  Milano  e  di  Ravenna. 

Era  dunque  già  svampato  il  grande  entusiasmo  per  l'im- 
presa di  Milano,  seppure  i  principi  l'avevano  mai  avuto;  e 
vedremo  altri  indizi  della  loro  poca  disposizione  ,  e  quanto 
dispetto  abbia  fatto  il  consiglio  del  Ravennate  ,  pel  quale  pre- 
vedevano di  doversi  consumare  in  un  tedioso  assedio.  Del 
resto,  così  allora  soleva  accadere,  quando  per  obbligo  feudale 
si  era  costretti  a  seguire  un  sovrano  in  remoti  paesi  e  in 
lunghe  guerre  :  di  modo  che  un  ambizioso  trovava  ne'suoi 
vassalli  quegli  ostacoli  che  oggi  sogliono  essere  creati  dalla 
diplomazia. 

Lasciata  poi  Lodi ,  vengono  ad  accamparsi  a  forse  due 
miglia  da  Milano;  «  e  quivi  un  certo  Herkenberto,  principe 
di  regia  stirpe  e  parente  dell'  Imperatore  ,  presi  con  sé  vari 
militi ,  quasi  sdegnato  che  i  Boemi  avessero  finora  fatto  essi 
soli  tante  e  sì  grandi  azioni ,  si  porta  verso  Milano  ;  ma  non 
appena  passata  l'abbadia  di  Chiaravalle,  venendo  egli  armato 
senza  cura  alcuna,  come  se  andasse  a  diporto,  gli  sono  sopra 
i  Milanesi ,  e  mettono  in  isbaraglio  la  sua  scorta  ;  ma  egli 
scende  di  cavallo,  e,  assistito  da  pochi  fidi,  vuol  pure  conti- 
nuare la  battaglia  ;  ma  tutti  soccombono.  Quel  principe  ebbe 
sepoltura  nel  vicino  monastero  ». 

Infine  il  campo  viene  portato  sotto  le  mura  stesse  della 
città  di  Milano  :  «  i  Milanesi  non  sembrano  volersi  arrischiare 
fuori  de'nuovi  fossati ,  e  delle  altre  munizioni  che  avevano 
fatte  intorno  alle  antiche  loro  mura;  ma  ristringersi  a  difen- 
dere queste  con  tutte  l'armi  che  avevano  ».  Se  non  che  es- 
sendo state  le  diverse  parti  dell'esercito  imperiale  disposte 
per  modo  che  avessero  a  custodire  tutte  quante  le  uscite  della 
città  ;  e  dinanzi  alla  porta  di  S.  Dionigio  avendo  rizzate  le 
tende  il  principe   Corrado  ,  fratello  dell'  imperatore  ;    contro 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  99 

di  questo  i  cittadini  fecero  un'  iraprovisa  sortita  e  mischiarono 
gran  zuffa;  nella  quale  «  ora  sono  vinti  questi,  ora  quelli  ». 
Però  il  principe  è  costretto  a  mandare  per  aiuto  ai  Boemi: 
«  viene  lo  stesso  re  Ladislao,  splendido  nelle  sue  armi,  e 
colla  forte  sua  milizia  affronta  la  prima  milizia  milanese, 
trapassando  colla  lancia  lo  stesso  loro  capitano  e  il  vessilli- 
fero Dacio  ».  (  Ottone  di  Morena  infatti  narra  ,  che  usciti 
nella  stessa  prima  sera  da  quella  parte  i  cittadini ,  vi  soccom- 
bettero due  illustri  militi,  Tazone  da  Mandello,  che  è  pro- 
babilmente il  Dado  del  Pragense,  e  Girardo  Visconte).  «  I  Mi- 
lanesi combattendo  per  la  libertà ,  resistono  fortissimamente 
agli  avversari ,  e  dall'una  parte  e  dall'altra  parte  cadono  dei 
più  valorosi  militi.  La  battaglia  dura  dall'ora  vespertina  fino  al 
crepuscolo.  Infine  i  Milanesi ,  inabili  a  sostenere  più  a  lungo 
1'  impeto  de' Boemi,  indietreggiano,  riparando  entro  le  mura. 
Il  vescovo  Daniele  seppellì  dipoi  nel  monastero  di  Chiaravalle 
gl'illustri  Boemi  restati  uccisi  in  quell'azione  ». 

«  A  questo  assedio  furonvi  coi  molti  incliti  principi  e  ve- 
scovi di  Germania ,  i  seguenti  grandi  vassalli  italiani  :  Ugo 
marchese  di  Monferrato  (1),  Guido  conte  di  Biandrate  coi 
figli ,  Obizone  marchese  Malaspina  ,  Gerardo  da  Carpaneto  , 
Gerardino  da  Ferrara  ,  ed  altri  non  pochi.  Però  il  maggiore 
aiuto  all'impresa,  tanto  in  forti  milizie,  quanto  in  macchi- 
ne e  in  ogni  altro  apparecchio,  fu  portato  all'Imperatore  dai 
Pavesi,  dai  Cremonesi,  dai  Lodigiani  e  dai  Comaschi,  ch'erano 
stati  i  principali  autori  dell'assedio  stesso  ».  (2)  Vi  mandarono 
inoltre  loro  milizie  tutte  le  principali  città  dell'  Italia  impe- 
riale; «  fìnanco  li  stessi  Romani,  considerato  l'impegno 
di  codeste  città  nel  venire  in  aiuto  all'  Imperatore ,  inviarono 
a  profferirgli  servigio  il  Prefetto  Pietro  della  loro  città,  co'suoi 
senatori.  Confidando  in  queste  forze,  l'Imperatore  tiene  as- 
sediati i  Milanesi  ». 

«  I  Boemi  mettono  a  fuoco  castelli  e  ville  ;  ed  anche  ra- 
piscono, traendole  nei  loro  alloggiamenti,  molte  belle  e  gio- 
vani donne  ;  le  quali  però  sono  loro  tolte  di  mano  dal  vescovo 
pragense  Daniele ,  parte  con   preghiere  e  parte  con   denaro  ; 


(1)  Questo  marchese  veramente  era  Guglielmo,  non  Ugo. 

(2)  «  Qui  maxime  huius  obsidionis  fabricatores  extiterant  ». 


100  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

e  date  in  custodia  al  suo  arcidiacono  Peregrino.  Questi  le 
alberga  fedelmente  nella  propria  tenda,  difendendole  e  ricrean- 
dole ,  infino  a  che  può  rimandarle  con  tutta  sicurezza  nella 
loro  Milano  ». 

Da  ogni  parte  col  ferro  e  col  fuoco  i  cittadini  sono  com- 
battuti,  e  già  si  apprestano  le  macchine  per  distruggere  le 
mura.  Allora ,  disperando  di  poter  respingere  tante  forze ,  e 
già  travagliati  altresì  dalla  penuria  dei  viveri,  si  raccoman- 
dano al  re  di  Boemia,  che  plachi  l' imperatore  e  lo  induca 
a  concedere  loro  di  arrendersi  a  discrete  condizioni  «  Intanto 
viene  a  morire  l'arcivescovo  della  chiesa  di  Ravenna  ,  e  per 
tutto  l'esercito  si  ripete  ch'era  stato  così  percosso  da  Dio  , 
per  aver  consigliato  all'  imperatore  di  mettere  l'assedio  a 
Milano  ». 

Avviene  la  resa;  i  capitoli  della  quale,  d'ordine  dell'im- 
peratore ,  sono  stesi  appunto  dal  nostro  Vincenzo  da  Praga  ; 
e  ne  furono  i  principali  :  che  le  città  di  Lodi  e  di  Como  doves- 
sero risorgere,  ad  onore  dell'imperatore,  né  più  Milano  da 
loro  esigesse  tributo  od  atto  alcuno  di  sudditanza;  che  ogni 
adulto  giurasse  fedeltà  all'imperatore;  che  in  Milano  si  edi- 
ficasse un  palazzo  imperiale  entro  la  cerchia  delle  mura;  che 
i  futuri  consoli  del  Comune  fossero  eletti  sì  dal  popolo,  ma 
dovessero  poi  farsi  confermare  dall'imperatore  (1);  che  le 
regalie,  come  zecca,  dazii,  pedatico  e  simili,  si  dovessero  re- 
stituire alla  camera  imperiale ,  a  quel  modo  che  praticavasi 
in  antico. 

Ma  da  quanto  avvenne  poco  appresso  si  fa  manifesto  che 
Federico  non  concedeva  questa  resa  con  animo  di  finire  così 
la  guerra,  e  ch'era  a  ciò  indotto  solo  dalla  necessità  di  scio- 
gliere, per  ora,  l'assedio,  al  quale  vedeva  per  troppi  indizi  i 
suoi  feudali  contingenti  non  volersi  più  a  lungo  prestare. 

Firmati  che  furono  i  capitoli  della  resa,  i  vescovi  di  Bam- 
berga  e  di  Praga  si  assumono  di  pacificare  coli'  imperatore 
l'arcivescovo  di  Milano  ;  il  quale  da  loro  condotto  ,  e  seguito 
da  tutto  il  numerosissimo  suo  clero ,  viene  da  Federico  «  ri- 


(1)  «  Venturi  Consules  a  populo  eligantur  et  ab  ipso  imperatore  confirmen- 
tur  ».  Di  questo  capitolo  si  riporta  il  testo,  perchè  fu  poi  causa,  o  pretesto  , 
della  distruzione  di  Milano. 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  101 

cevuto  nel  bacio  della  pace  (1).  Indi  escono  dalla  città  dodici 
consoli ,  tenendo  le  spade  nude  sul  collo  e  a  piedi  nudi ,  quan- 
tunque avessero  offerto  molto  denaro  per  poter  presentarsi 
calzati  a  rendere  questa  soddisfazione  ;  ma  non  si  volle  a 
nessun  patio  concederla.  Fra  questi  consoli  Oberto  dell'Orto, 
uomo  sapiente  e  che  molto  bene  usava  così  la  lingua  lom- 
barda come  la  latina,  fece  queste  parole  ec.  ».  Questo  Dell'Or- 
to è  quel  grande  giurista  che  fu  console  più  volte,  e  li  scritti 
del  quale  ebbero  per  molti  secoli,  nelle  scuole  di  diritto  feu- 
dale ,  grande  autorità  e  furono  commentati  dai  dottori  di 
maggior  nome.  Vincenzo  da  Praga  gli  fa  tenere  al  cospetto 
dell'  imperatore  uno  di  quelli  abbietti  discorsi ,  che  i  cronisti 
imperiali  di  quel  tempo,  ogni  qual  volta  se  ne  presenta  l'oc- 
casione ,  amano  di  mettere  in  bocca  ai  vinti  nemici  dell'  im- 
peratore ;  per  far  credere  che  confessassero  di  riconoscere  la 
sconfinata  autorità  ch'egli  avrebbe  voluto  esercitare. 

Toltosi  da  Milano  Federico  si  portò  a  Monza  «  che  è  pos- 
sedimento della  corona  imperiale  »,  e  che  nulladimeno  du- 
rante la  guerra  era  stata  dai  Pavesi  incendiata  ;  e  il  re  di 
Boemia  affrettossi  a  ricondurre  in  patria  i  suoi  guerrieri  ; 
ansioso  egli  medesimo  di  ritornarvi ,  che  il  troppo  dolce  cli- 
ma d'Italia  aveva  nociuto  alla  sua  costituzione.  Però  il  ve- 
scovo Daniele  fu  dall'imperatore  presso  di  sé  trattenuto, 
«  imperciocché  era  pratico  della  lingua  italiana  ». 

Due  mesi  dopo  la  capitolazione  di  Milano,  raccoglie  Fede- 
rico Barbarossa  una  solennissima  dieta  nei  prati  di  Roncaglia  ; 
alla  quale  segnatamente  volle  che  intervenissero  quei  '«  legisti 
e  sapienti  »  che  già  Bologna  aveva  a  lui  mandati  insieme  al 

(1)  Era  il  giorno  della  nativilà  di  Maria,  una  delle  maggiori  feste  della  chie- 
sa di  Milano;  e  il  Pratense  narra  che  in  questa  occasione  il  clero  ambrosiano 
celebrò,  alla  presenza  di  Federico,  i  divini  uffici,  secondo  il  suo  rito  :  «  Ubi 
cantorern  eorum....  mirabiles  in  circuilu  canensium  giraliones  et  saltus  facere 
vidimus  >..  Ma  io  non  so  che  inlenda  descrivere  con  queste  ciurmerie  degne 
di  un  dervizo  turco  :  quali  fossero  ai  tempi  del  Barbarossa  i  riti  della  chiesa 
ambrosiana,  ci  è  dato  conoscere  molto  bene  dallo  scritto  di  Beroldo ,  che  ha  per 
titolo  «  Ordo  et  ctremoniae  ecclesiae  Ambrosianae  mediolanensis  »,  e  che  il  Mura- 
tori stampò  nel  quarto  volume  delle  «  Antiquitates  italicae  »  ;  ma  per  quanto  vi 
si  travino  cerimonie  strane,  v'è  nulla  di  simile  a  quello  che  qui  Vincenzo  da 
Praga  afferma  di  aver  veduto.  Tenti  qualche  dotto  in  queste  materie  di  com- 
mentare ,  se  è  possibile,  le  parole  certamente  esagerate  dell'annalista. 


102  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

suo  contingente  per  la  guerra  milanese  ;  essendo  che  aveva 
in  animo  vi  fossero  una  buona  volta,  col  mezzo  della  tradi- 
zione ,  delle  consuetudini  e  delle  leggi  romane  ,  ben  definiti  i 
diritti  dell'  impero. 

Il  lodo  di  questa  dieta  è  troppo  famoso,  perchè  si  debba 
qui  farne  più  che  un  semplice  cenno:  fu  quale  Federico  lo 
voleva,  essendovisi  dichiarati  regalie  imperiali,  non  solo 
quei  diritti  che  le  leggi  romane  avevano  attribuito  ai  loro 
imperatori,  ma  ben  altri  molti  ancora,  che  derivaronsi  da 
fonti  state  ignote  o  diversamente  note  al  mondo  romano. 
A  noi  fra  tutti  è  mestieri  di  ricordare  la  facoltà  che  fu  senten- 
ziato avere  l'imperatore  di  nominare  i  consoli  dei  Comuni; 
mentre  le  leggi  scritte  di  Roma  non  contestarono  mai  alle 
cittadinanze  ch'esse  medesime  si  creassero  i  propri  magistrati 
municipali,  e  si  deve  credere  che  appunto  per  questa  ragione 
a  Milano,  patteggiando  l'arresa,  venisse  ciò  accordato.  Vin- 
cenzo da  Praga,  a  proposito  di  simile  facoltà  ,  narra,  che,  ulti- 
mata la  dieta,  l'imperatore  Federigo  volle  interrogare  a  parte 
i  deputati  milanesi  «  del  modo  che  avrebbe  dovuto  tenere 
per  conservarsi  fedeli  le  città  d' Italia  ;  e  che  questi  lo  con- 
sigliarono a  mandare  intorno  suoi  nunzi ,  i  quali  assegnassero 
le  Potestà*  che  gl'Italiani  chiamano  Consolati,,  a  coloro  che 
in  ciascheduna  città  egli  avesse  a  sé  maggiormente  amici  :  il 
quale  consiglio  approvando  l' imperatore  ,  se  lo  tenne  in  petto 
fino  a  tempo  opportuno  (1). 

Ma  questa  è  troppo  evidentemente  una  invenzione  dell'an- 
nalista; imperciocché  se  già  era  stato  pronunziato  che  all'im- 
peratore spettava  la  nomina  dei  consoli  comunali ,  aveva  egli 
bisogno  Federico  che  altri  gli  suggerisse  di  non  accordare 
quelle  potestà  ad  uomini  che  a  lui  fossero  avversi  ?  Ed  ove  si 
volesse  dire  che  interrogò  i  Milanesi  per  tendere  un  laccio , 
ben  certo  che  non  potevano  fare  altra  risposta  di  quella  che 


(1)  «  Mediolanenses  in  suum  vocat  consilium,  quomodo  urbes  Italiae  sibi 
fideles  habeat  querit.  Mediolanenses  ei  dant  consilium,  quod  eos  quos  per 
civitates  Ualiae  sibi  fideles  habet,  per  suos  niincios  eos  sibi  suos  consliluat 
potestales,  quas  illi  consules  nominant  »  etc.  Anche  lombardi  scrittori  di  quel 
tempo  indicano  i  consoli  col  nome  generico  di  Potestales;  i  Morena,  a  cagion 
d'esempio,  hanno  più  di  una  volta  polestutes  Laudae,  per  significare  i  consoli 
di  Lodi. 


RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA  103 

è  loro  attribuita;  di  quale  valore  giuridico  poteva  egli  cre- 
dere che  fosse  un  consiglio  dato  così  dopo  la  dieta,  da  pochi 
membri,  all'  insaputa  di  tutti  gli  altri  ? 

Però  se  questo  tratto  del  Pragense  non  fa  troppo  onore 
alla  sua  lealtà,  e  né  manco  alla  sua  perspicacia,  serve  a 
chiarire  che  sono  caduti  in  errore  gli  storici,  i  quali  dissero , 
aver  voluto  Federico  I,  dopo  la  gran  dieta  di  Roncaglia,  im- 
porre suoi  plenipotenziari  ai  Comuni,  col  titolo  di  Podestà,  e 
così  mutarne  il  politico  reggimento.  Non  si  trattò  che  di  consoli 
in  esecuzione  del  lodo  di  Roncaglia  ,  come  fa  conoscere  il  no- 
stro Autore  con  parole  che  non  lasciano  sussistere  dubbio  ; 
né  Federico  pensò  di  mettere  sul  collo  ai  Lombardi  veri  Po- 
destà che  per  lui  amministrassero,  se  non  dopo  la  distruzione 
di  Milano. 

Chiusa  la  dieta  e  licenziato  l'esercito ,  l' imperatore  Fede- 
rico rimase  però  in  Lombardia  ;  dove  avendo  frenata  Milano 
«  la  città  che  poco  temeva  Dio  e  meno  gli  uomini  (1)  »,  co- 
me cantavano  i  poeti  del  suo  seguito  ,  più  non  aveva  sospetti; 
e  per  esercitare  l'autorità  conferitagli  a  Roncaglia,  o,  come 
dice  Vincenzo  da  Praga  ,  per  mandare  ad  effetto  il  consiglio 
dei  Milanesi,  spedì  i  più  gravi  personaggi  che  si  trovava  in- 
torno, quali 'suoi  nunzj  ai  diversi  Comuni  per  l'elezione  dei 
consoli.  Furono  di  questo  potere  investiti  «  il  vescovo  di 
Praga  Daniele  ,  il  cancelliere  Regnaldo  ,  che  in  quell'anno  fu 
fatto  arcivescovo  di  Colonia;  Ermanno  vescovo  Verdenense , 
Ottone  conte  palatino  di  Ratisbona  e  Guido  conte  di  Bian- 
drate ,  uomo  eloquentissimo  ».  Costoro,  dopo  aver  fatto  i  co- 
mandi dell' imperatore  in  Cremona,  Pavia,  Piacenza  ed  altre 
città,  vengono  a  Lodi  nuova,  ch'era  stata  recentemente  dal 
Barbarossa  fondata  sull'Adda,  e  che  è  così  descritta  dall'an- 
nalista Vincenzo,  il  quale  veniva  con  quei  messeri  accom- 
pagnando il  suo  vescovo  :  «  L'imperatore  non  l'aveva  cinta  che 
di  un  piccolo  fossato  ;  e  vi  troviamo  pochi  abitatori ,  tutta 
povera  gente ,  entro  meschinissime  capanne  poste  intorno  ad 


(1)        «  Civitas  Ambrosii  velut  Troia  stabat, 

Deuiri  parum  ,  homineS  minus  formidabat  » 
così  in  un  ritmo  di  un  anonimo,  grande  ammiratore  del  Barbarossa    del  quale 
era  contemporaneo. 


104  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

una  chiesa  che  aveva  l'altare  circondato  di  vili  graticci  di 
vimini,  ed  una  sola  campanella,  dalla  quale  erano  quei  cit- 
tadini del  pari  chiamati  ai  divini  uffici  ed  ai  pubblici  consi- 
gli. Vi  troviamo  anche  un  loro  vescovuccio  ,  povero  ,  indigente 
esso  pure;  ed  era  rattratto.,  ma  di  santissima  vita  »  (1). 

In  Lodi  già  quei  nunzi  sentono  che  i  Milanesi  andavano  ri- 
petendo di  non  volere  in  alcun  modo  ubbidire  ai  nuovi  co- 
mandi dell'  imperatore  intorno  alla  magistratura  del  Comune  ; 
e  giunti  poi  che  furono  a  Milano,  ebbero  ad  affrontare  una 
tempesta  così  furibonda,  che  la  maggiore  non  potevano  aspet- 
tarsi. Quando  si  seppe  qui  di  certo  ch'essi  non  avrebbero  te- 
nuto con^o  nessuno  dell'articolo  della  capitolazione,  da  poco 
più  di  due  mesi  avvenuta,  pel  quale  era  stata  assicurata  la 
libera  scelta  dei  propri  consoli  ai  cittadini;  affermando  die  i 
decreti  di  Roncaglia  avevano  abrogato  ogni  anteriore  dispo- 
sizione ;  si  levò  un  immenso  tumulto  «  e  si  udirono  le  grida 
di  mora,,  inora  ». 

Il  monastero  di  Sant'Ambrogio  ov'erano  stati  alloggiati ,  fu 
circondato  in  poco  d'ora  da  fittissimo  popolo  in  armi,  cui  si 
ebbe  quel  giorno  la  più  grande  fatica  a  contenere  ,  e  che  all'in- 
domani dovevasi  aspettare  di  rivedere ,  e  ancora  più  burra- 
scoso ;  di  maniera  che  pensarono  bene,  venuta  la  notte,  di 
evadere  e  andare  difilati  a  riportare  l'accaduto  all'  imperatore. 
«  Sappia  dunque  ogni  lettore,  che  da  questo  fermento,  da 
questa  scintilla  è  nato  l'eccidio  di  così  grande  città,  così  an- 
tica ,  così  nobile ,  quale  era  Milano  ». 

Sono  citati  i  Milanesi  alla  curia  imperiale  ;  ma  poi ,  es- 
sendo all'imperatore  venuto  a  notizia,  che  in  luogo  di  farne 
ammenda  gli  avevano  già  rotta  guerra  e  assalito  e  ripreso 
il  castello  di  Trezzo ,  ch'egli  aveva  fortemente  presidiato; 
determina  di  assediare  una  seconda  volta  la  ribelle  città,  e 
ne  manda  avviso  a  tutta  Italia,  nonché  ai  principi   tedeschi. 

Non  vi  fu  lungo  intervallo  fra  la  minaccia  e  il  castigo , 
poiché  già  al  18  di  maggio  i  vessilli  imperiali  e  quella  parte 
dell'esercito  che  poteva  essere  già  in  pronto  ,  si  fanno  vedere 
nelle  vicinanze  di  Milano ,  e  si  dà  mano  a  disertare  tutto  il 

(1)  «  ....  et  episcopellum  eorum,  pauperem,  inopem,  contractum,  sed  vi- 
tae  sanctissimac  ». 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  105 

territorio  all'  intorno  ;  svellendo  ogni  albero  e  incendiando , 
minando  ogni  fabbrica. 

Quindi  «  per  consiglio  dei  Pavesi  e  dei  Cremonesi ,  asse- 
diasi Crema,  castello  molto  forte  per  natura  e  per  milizia  ». 
Era  Crema  fedele  amica  di  Milano,  che  la  forniva  di  armi; 
e  aveva  anch'essa  mostrato  baldanzosamente  di  non  tener 
conto  dei  comandi  di  Federico. 

«  L'imperatore,  dopo  qualche  poco,  lascia  i  suoi  a  questo 
assedio  e  ritorna  a  Lodi  ;  d'onde  una  notte  con  alquanti  Pa- 
vesi ed  altri  de' più  fidati  militi,  si  accosta  in  grande  segre- 
tezza a  Milano ,  e  appiattasi  in  un  bosco ,  mandando  i  Pa- 
vesi a  rapire  intorno  il  bestiame ,  con  ordine  di  retrocedere 
verso  di  lui,  quando  fossero  affrontati.  Ne  avviene  infatti 
una  gran  zuffa  ,  nella  quale  ora  superano  i  Milanesi ,  ora  sono 
superati  ;  finché  l' imperatore ,  udito  il  convenuto  segnale  di 
una  tromba  pavese ,  balza  fuori ,  assale  quei  Milanesi ,  molti 
ne  uccide  e  ferisce  ,  e  molti  ne  prende  traendoseli  a  Lodi  ». 

Fa  poi  ritorno  sotto  Crema,  che  assai  valentemente  resi- 
steva; «  e  quivi  i  Bergamaschi,  volendo  darsi  a  conoscere 
fedeli ,  attaccarono  battaglia  cogli  assediati  per  molte  ore. 
Vennero  fatti  prigionieri  sette  militi  di  Crema  dei  più  illu- 
stri ,  e  l' imperatore  li  fece  appiccare  dinanzi  alle  porte  della 
città.  Allora  i  cittadini  piantano  le  forche  sulle  loro  mura  per 
quattro  imperiali  ;  il  che  veduto  Federico  manda  a  prendere 
sessanta  loro  ostaggi ,  che  aveva  nelle  prigioni  di  Pavia ,  con 
animo  di  mandarli  tutti  al  capestro. 

«  I  Lodigiani  poi  gli  conducono  un  nipote  dell'arcivescovo 
di  Milano ,  con  altri  tre  nobili  militi ,  ch'erano  caduti  com- 
battendo nelle  loro  mani  ;  e  1'  imperatore  senza  voler  ascol- 
tare le  preghiere  di  molti  principi ,  li  fece  parimente  appen- 
dere alle  forche.  Più  volte  fu  ripetuto  fra  gli  assediatori  e 
gli  assediati  questa  orrida  gara  di  dar  morte  ai   prigionieri. 

«  Frattanto  si  presentò  a  Federico  un  ingegnere  militare 
ch'era  stato  in  Palestina  a  guerreggiare  contro  i  Saraceni , 
e  aveva  loro  distrutte  con  sue  macchine  molte  castella;  e 
promise  di  spingere ,  carica  di  guerrieri ,  in  mezzo  a  Crema 
una  torre  di  travi  ch'egli  avrebbe  fatta.  I  Cremonesi  offrono 
a  costui  denaro  ed  ogni  occorrente  per  fare  simile  torre , 
imperciocché  ad  ogni  modo  vogliono  vedere  la  mina  di  Crema  ». 

AnC«.  St.  Ini,  3.»  Serie,  T.  X,  P.  lì,  U 


10G  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

La  torre  ebbe  sei  palchi ,  sui  quali  potevano  stare  degli 
armati  e  combattere  ;  era  sopra  delle  ruote ,  e  perchè  avan- 
zandosi contro  la  città  non  fosse  respinta  da  quelle  petriere , 
le  vennero  dinanzi  legati  gli  ostaggi  di  Crema.  Fu  mossa  di 
notte  ;  però  i  Cremaschi  non  ristettero ,  e  «  le  lanciarono 
contro  gravissime  pietre ,  e  quanto  altro  potevano  briccolare, 
per  consiglio  del  diavolo  inveleniti  anche  contro  i  parenti , 
gli  amici,  i  fratelli,  che  vedevano  posti  sulla  macchina. 
Questi  ostaggi,  uomini  nobili ,  alcuni  giovani,  altri  già  pieni 
d'anni ,  con  croci  nelle  mani  ed  accese  faci  onde  fossero 
veduti  dai  loro  in  quella  oscurità  ,  chiamavano  a  nome  i  con- 
sanguinei  e    gli  amici  ,  pregando  che  li  risparmiassero  »  (1). 

Da  ultimo  Crema  dovette  arrendersi ,  più  che  dal  ferro 
vinta  dalla  fame  e  dalla  sete.  L' imperatore  per  consiglio 
de'  suoi ,  «  permette  che  i  cittadini  escano  incolumi  dalle 
mura,  ma  lasciandovi  ogni  loro  avere.  Ne  vanno  i  miseri 
dispersi  per  varie  città  e  Crema  è  ridotta  in  cenere  :  così 
adempiendosi  il  vaticinio  di  quelli  antichi  versi  dei  Cremo- 
nesi ,  che  dicevano: 

Audio  Kremonam  cupiat  quod  Krema  kremare , 
Sed  verum  fateor,  Kremam  Kremona  kreraabit  ». 

Mentre  durava  l'assedio  di  Crema ,  venne  a  morte  papa 
Adriano  IV;  che,  malgrado  avesse  mandato  al  rogo  Arnaldo 
da  Brescia ,  da  ultimo  aveva  veduto  convenirgli  di  avere 
amici  i  comuni  Lombardi  che  osteggiavano  il  Barbarossa ,  e 
già  decisamente  per  loro  parteggiava.  Ond'  è  che  per  la  no- 
mina del  successore  di  lui  l' Imperatore  molto  si  maneggias- 
se,  e  gli  venisse  fatto  perfino  di  dividere  il  collegio  dei 
cardinali  elettori  in  due  fazioni.  Tuttavia  quella  parte  che 
gli  era  amica  fu  vinta ,  e  venne  eletto  il  senese  Rolando 
Bandinelli ,  notoriamente  a  lui  ostile ,  che  prese  il  nome 
di  Alessandro  III:  però  a  questo  fu  opposto  un  antipapa,  il 
quale  si  disse  Vittore  IV. 


(I)  Qui  nel  manoscritto  autografo  vi  è  una  lacuna  che  non  si  è  potuta  sup- 
plire con  nessuna  delle  varie  sue  copie.  Del  resto  non  v'è  chi  ignori  come 
quella  orrenda  scena  avesse  fine. 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  107 

A  Federico  dunque  non  poteva  andare  a'  versi  il  nuovo 
papa  ;  per  la  qual  cosa  non  appena  potè  spiccarsi  da  Crema 
si  portò  a  Pavia  e  vi  raccolse  ,  con  lettere  datate  «  In  trium- 
pho  Cremae  » ,  un  sinodo  di  vescovi  (  tedeschi  in  gran 
parte,  e  che  tutti  avevano  feudi  e  poteri  territoriali  rile- 
vanti dall'  impero  )  acciocché  decidesse  fra  i  due  eletti  dai 
cardinali  di  Roma.  Chiamò  al  Sinodo  anche  Vittore  IV  ed 
Alessandro  III  ;  ma  questo  non  si  mosse  ,  mentre  l'altro  fu 
sollecito  ad  accorrervi. 

«  Allora  non  pochi  di  quei  vescovi ,  tutti  italiani ,  dichia- 
rano non  potersi  giudicare  di  Rolando  (papa  Alessandro)  as- 
sente ;  e  che  si  debba  citarlo  tre  volte,  come  è  ordinato,  prima 
di  dare  sentenza.  Ma  i  tedeschi  rispondono ,  essere  venuti  da 
troppo  lontano  paese  per  poter  così  attendere  ;  che  se  quelle 
citazioni  non  erano  incomode  ai  Lombardi ,  eranlo  somma- 
mente ad  essi  ;  e  che  colui ,  infine  ,  il  quale  non  aveva  curato 
l' invito  dell'  Imperatore  ,  non  meritava  riguardo  alcuno  ». 
Venne  pertanto  da  quel  conciliabolo  dichiarato  vero  papa  il 
docile  Vittore  IV  ,  che  stava  aspettando  il  suffragio  in  un 
vicino  convento. 

Questi  allora  è  tratto  di  là ,  e  l' imperatore  «  deposto  il 
manto ,  conduce  il  bianchissimo  ed  ornato  di  lui  cavallo  fino 
ai  gradini  della  cattedrale  ,  e  gli  tiene  la  staffa  mentre  di- 
scende. Quindi,  fattolo  sedere  in  soglio,  gli  bacia  il  piede  ». 

Dopo  di  che  affrettossi  a  spedire  nunzi  per  tutta  cristia- 
nità, che  divulgassero  questo  giudizio  del  sinodo  pavese; 
imperciocché  ben  vedeva  dipendere  l'esito  de'  suoi  superbi 
disegni  dalla  qualità  del  papa  che  sarebbe  stato  riconosciu- 
to ;  e  che  Milano  e  i  Comuni  che  le  erano  alleati  ,  troppa 
resistenza  gli  avrebbero  saputa  opporre  ,  ove  al  loro  sponta- 
neo ardimento  si  fosse  aggiunto  il  morale  e  materiale  aiuto 
di  un  sommo  pontefice. 

In  Ungheria  ad  annunziare  questa  elezione  di  Vittore  IV 
fu  mandato  il  vescovo  di  Praga  ;  il  quale  di  là ,  con  tutto  il 
suo  seguito,  fece  poi  ritorno  in  patria,  e  vi  stette,  senza 
più  rivedere  l'Italia,  fino  al  1106.  Non  furono  pertanto,  né 
egli  né  il  suo  cappellano,  presenti  alla  distruzione  di  Mila- 
no ;  della  quale  gli  annali  pragensi  danno  solo  una  rapida 
notizia. 


108  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

Quando  il  vescovo  Daniele  e  con  lui  l'annalista  Vincenzo 
ripassarono  le  Alpi,  fu  per  andare  all'esercito  imperiale  che 
assediava  Roma  combattente  a  favore  di  papa  Alessandro  III  ; 
ma  quivi  nella  pestilenza  mortalissima  che  fece  la  vendetta 
dei  Romani ,  distruggendo  tanta  parte  delle  forze  di  Federico, 
anche  quel  prelato  trovò  la  morte.  Il  suo  cappellano  allora, 
scampatone  appena ,  fuggì  di  volo  il  fatale  paese ,  e  ritornò 
a  Praga;  dove  tosto  si  accinse  a  scrivere  la  sua  storia  per 
farne  omaggio  al  re  Ladislao ,  e  fu  promosso  al  grado  di 
canonico  di  quella  cattedrale. 

Gli  Annali  di  Vincenzo  da  Praga  per  lo  studio  che  noi 
ne  abbiamo  voluto  fare ,  non  sono  dunque  più ,  oltre  il  sino- 
do pavese ,  documento  che  richieda   speciale   considerazione. 

P.  Rotondi. 


Annali  del  Frulli,,  ossia  Raccolta  delle  cose  storiche  appar- 
tenenti a  questa  regione,  compilati  dal  conte  Francesco 
Di  Manzano.  -  Udine,  tip.  Trombetti-M urero,  4  voi.,  1858- 
1862,  e  tip.  Giuseppe  Seitz,  2  voi.  1865-1868.  -  Sei  volumi 
in  8vo  gr.  di  pag.  compi.  3027. 

Che  cosa  sono  gli  Annali  o  che  dovrebbero  essere  ?  Un  la- 
voro che ,  non  pretendendo  di  accogliere  in  sé  le  maggiori 
virtù  letterarie  e  filosofiche ,  sta  contento  di  esporre  gli  avve- 
nimenti in  tutta  la  loro  nudità  e  si  tiene  stretto  all'ordine 
cronologico.  Ma  sebbene  l'annalista  non  doni  alla  storia  un 
paludamento  matronale  con  lo  strascico ,  e  voglia  vederla  in 
veste  succinta,  deve  pure,  con  la  opportuna  scelta  e  dispo- 
sizione dei  fatti ,  dare  al  racconto  una  certa  connessione  e 
un  corso  non  interrotto.  Gli  Annali  di  Tacito  sono  una  vera 
opera  letteraria ,  onde  ancora  non  si  sa  in  che  vadano  distinti 
dalle  Storie ,  se  non  forse  per  la  ragione  della  maggior  bre- 
vità. Poniamo  pure  che  non  meritino  il  loro  nome.  Ma  gli 
Annali  del  Muratori  sarebbero  il  modello  desiderabile  di  opere 
siffatte  ,  e  a  questi  l'autore  avrebbe  dovuto  accostarsi.  Egli , 
è  vero  ,  attribuisce  alla  sua  fatica  la  qualità  di  Raccolta ,  ma 
resta  sempre  che  la  raccolta  fu  fatta,  e  dobbiam  dirlo  per 
omaggio  al  vero,  con  poca  discrezione.  E  ciò  perchè  gli  Annali 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  109 

non  si  tengono  al  solo  Friuli  e  digrediscono  ad  altre  parti 
d' Italia ,  e  dalla  storia  provinciale  fanno  frequente  trapasso 
alla  universale,  con  offesa  di  quella  temperanza  che  i  lettori 
ebbero  sempre  ragione  di  esigere  ,  ma  specialmente  nel  nostro 
tempo.  Questo  difetto  però  viene  scemando  col  terzo  volume, 
ma  invece  diventa  soverchia  la  minuzia  delle  notizie  annuali, 
per  modo  che  a  cento  e  più  ascendono  talvolta  i  capi  che  si 
riferiscono  ad  un  solo  anno.  Nemmeno  la  scelta  delle  fonti  ci 
pare  guidata  da  inappuntabile  critica.  Agli  autorevoli  fra  gli 
scrittori  friulani ,  vanno  congiunti  i  meno  autorevoli ,  e  ,  al- 
lato a  una  cronaca ,  sta  registrato ,  pongasi ,  un  manoscritto 
di  seconda  mano ,  presso  il  quale  uno  squarcio  delle  storie 
universali  del  Mùller  o  del  Cantù.  Opere  degne  di  molta  sti- 
ma ,  ma  certo  non  tali  da  citarsi  in  un  lavoro  che  se ,  come 
fa ,  conforta  ogni  frase  con  l'altrui  testimonianza ,  dovrebbe 
attingere  alle  prime  sorgenti.  Così  avremmo  desiderato  meno 
copiose  le  annotazioni ,  di  cui  moltissime ,  come  aliene  affatto 
dal  subietto  degli  annali,  offendono,  benché  sieno  importanti, 
l'ordine  della  narrazione.  Insomma  il  nobile  autore  pecca  per 
abbondanza  e  ,  sebbene  l'opera  gli  costasse  ventott'anni  di 
laboriose  ricerche,  ci  sembra  dover  ancora  affermare  che  man- 
cògli  il  tempo  per  esser  breve. 

Queste  parole  franche  sembreranno  invece  un  po'dure  al 
signor  conte  di  Manzano ,  cui  parrebbe  forse  di  aver  gettata 
indarno  la  fatica ,  se  la  critica  dovesse  mostrarsi  a  lui  poco 
o  punto  cortese.  Ma  se  abbiamo  toccato  dei  difetti  dell'opera, 
non  è  a  dire  che  le  manchino  pregi ,  i  quali  sono  abbelliti 
viepiù  dalla  perseverante  volontà  dell'autore  ,  e  dal  fermo 
proposito  di  far  cosa  non  al  tutto  inutile  al  suo  paese  e  all'Ita- 
lia. E  si  appose  al  vero,  perchè  il  massimo  di  siffatti  pregi 
è  una  diligente  ricerca  di  ciò  che  sia  per  dar  lume  alla  storia 
friulana  ;  onde  chi  nel  futuro  se  ne  faccia  narratore  non  può 
a  meno  di  chiedere  al  libro  del  Manzano  un  valido  aiuto,  e 
cercando  i  luoghi,  segnati  in  margine,  donde  si  trassero  le 
notizie  del  testo ,  conseguire  la  sicurezza  della  verità.  Poi  la 
cronologia  vi  è  con  molto  rigore  osservata,  e  spesse  volte  inter- 
viene di  veder  corrette  date,  fin  oggi  credute  giuste;  il  che, 
ponendo  gli  avvenimenti  nel  loro  tempo  preciso,  può  valere 
spesso  a  modificare  il  giudizio  dello  storico.  Dobbiamo  anche 


110  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

notare  la  somma  cura  ed  esattezza  nella  ricerca  delle  famiglie 
friulane  e  dei  castelli  da  esse  abitati  e  delle  terre  possedute, 
il  quale  subbietto  è  trattato  nelle  note.  Ed  aggiungiamo  che 
le  mende  onde  l'opera  può  venire  tacciata  sono  largamente 
corrette  dagli  indici  che  l'autore  condusse  ,  a  rao'  delle  più 
riputate  opere  tedesche ,  con  molta  copia  (1)  e  precisione  di 
riscontri.  Servigio  anche  questo  non  lieve  ,  e  di  cui  si  suol 
tenere  poco  conto  da  coloro  i  quali  non  sanno  quanta  fatica 
procuri  a  chi  lo  imprende ,  e  come  spiani  la  via  allo  studioso 
e  attento  scrittore  di  storie. 

Il  primo  volume  degli  Annali  va  dal  614  av.  Cristo  fino 
al  1000  della  nostra  èra.  Periodo  vastissimo,  ma  oscuro 
molto ,  se  non  per  la  storia  generale  di  Roma  e  d' Italia ,  per 
quella  delle  singole  Provincie.  Pochi  gli  avvenimenti  pro- 
vinciali accertati  con  sicurezza ,  imperocché  sia  vero  che  la 
favola  o  la  tradizione  o  la  leggenda  si  trovino  nell'  infanzia 
non  solo  dei  paesi,  ma  dei  singoli  popoli.  Gli  sforzi  della 
critica  condussero,  quando  riuscirono  a  bene,  all'acquisto  di 
una  maggiore  probabilità,  ma  forse  non  mai  al  trionfo  della 
certezza.  Con  la  scorta  del  Filiasi  e  del  Micali  ,  l'autore  fa 
precedere  alla  sua  Raccolta  dei  cenni  sugli  antichi  abitatori 
del  Friuli,  cercando  l'antichità  e  i  costumi  dei  popoli  veneti 
misti  agli  euganei  primitivi  (2). 

Gli  Annali  cominciano  dal  regno  di  Tarquinio  Prisco , 
epoca  della  venuta  dei  Galli  in  Italia,  e  dei  Carni ,  loro  con- 
sanguinei ,  nel  Friuli ,  dove  trovarono  i  Veneti ,  da  tempo 
immemorabile  stanziati.  Ma  si  aggiunsero  ai  Greci  ed  agli 
Istri ,  feroci  a  danno  del  veneto  territorio ,  finché  i  Greci 
furono  sconfitti  e  gì'  Istri,  molto  più  tardi  e  solo  nel  130  av.  Cr. , 
soggetti  al  freno  di  Roma.  Intanto  al  cadere  della  repubblica 
si  erano  fondate  Trieste  e  Forogiulio,  emporio  la  prima, 
la  seconda  mercato  dei  Carni ,  come  e'  insegna  la  etimologia. 
E  col  mirabile  sistema  di  strade  che  faceva  capo  ad  Aquileia, 
la  urbem  magnani  atque  immensum  in  modum  frequentem 
di  Luitprando ,  i  Romani  compierono  l'opera  conquistatrice. 

(1)  Gli  indici  comprendono  370  pagine.  Voi.  I ,  pag  401-433;  Voi.  II, 
pag.  395-442;  Voi.  Ili,  pag.  419-497;  Voi.  IV,  pag.  467-537;  Voi.  V, 
pag.  467-555;  Voi.  VI,  pag.  487-542. 

(2)  Voi.  I,  pag.  1-6. 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  111 

Ma  la  vita  dell'  impero  occidentale  ,  con  l'avanzare  dei 
tempi  e  per  le  invasioni  dei  barbari ,  si  restringeva  al  centro. 
LaBritannia,  la  Gallia,  la  Spagna,  l'Affrica  o  già  perdute  o 
in  pericolo ,  i  confini  italiani  cominciarono  a  soffrire  la  vio- 
lazione forestiera.  E  il  Friuli ,  fatto  teatro  delle  lotte  fratri- 
cide tra  i  successori  di  Costantino  ,  divenne  preda  alla  inva- 
sione dei  Marcomanni  e  dei  Quadi ,  e  Aquileia  fu  vittima  di 
frequenti  assedii  e  Oderzo  cadde  distrutta.  Prima  che  l' im- 
pero d'occidente  si  sfasciasse,  Alarico,  Radagasio  e  di  nuovo 
Alarico  e  Ataulfo  cognato  mostrarono  la  via  del  Friuli  ad 
Attila  e  lo  persuasero  che  il  nome  e  nemmeno  le  armi  romane 
non  avrebbero  sempre  bastato  ad  arrestare  la  possa  virile 
dei  barbari.  Biorgo  con  gli  Alani  nel  463,  Vindemiro  cogli 
Ostrogoti  nel  473,  Odoacre  coi  suoi  nel  476  trovarono  aperto, 
per  venire  in  Italia,  il  fatai  varco  delle  Alpi  orientali.  I  po- 
poli impauriti,  perchè  deboli,  si  ritraevano  sulle  ardue  vette 
dei  monti  o  fuggivano  al  mare  ,  e  i  vescovi ,  recando  in  salvo 
le  ricchezze  della  chiesa  e  proprie  ,  seguivano  il  timido 
gregge  nel  più  sicuro  asilo. 

Il  nobile  autore  ,  chiusa  l'epoca  prima  della  dominazione 
romana  (1) ,  e  soggiuntovi ,  come  suole ,  un  opportuno  epi- 
logo, tratta,  nella  seconda  (2),  del  Friuli  sotto  i  barbari.  Nel- 
l'ordine storico,  siccome  nel  fisico,  sorge  splendida  dalla 
morte,  con  perpetua  vicenda,  la  vita.  I  popoli  decrepiti  hanno 
bisogno  di  rinsanguarsi  con  nuovi  e  vigorosi  elementi  ;  e 
ora  nessuno  che  rimpianga  la  ferocità  di  certe  invasioni  e 
dominazioni  barbariche  può  astenersi  dal  pensare  che  la 
somma  dei  beni  recati  da  esse  all'Europa  superi  la  somma 
dei  mali.  Alla  onnipotenza  dello  Stato  venne  grado  a  grado 
sostituendosi  il  vigore  e  la  libertà  dell'  individuo.  Ostrogoti  e 
Longobardi,  in  numero  troppo  ristretto,  non  poterono  in  Italia 
impedire  lo  sviluppamento  dei  governi  municipali  né  il  lento 
acquisto  di  una  libertà  più  larga  e  compiuta.  Donde  la  nuova 
e  libera  vita  della  penisola  nei  mezzi  tempi ,  specie  nelle  sue 
parti  settentrionali  e  centrali  ;  donde  la  potenza  della  feuda- 


li) Voi.  I  ,  pag.  7-87. 
(2)  Voi.  I  ,  pag.  89-226. 


112  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

lità  ristretta  nello  spazio  e  nel  tempo ,  cioè  soltanto  ai  primi 
secoli  del    medio  evo  e  a  paesi  in  cui  la  vita  del    municipio 
tardi  trionfò  della  feudale  energia.  Fra  questi  si   vuol  porre 
il  Friuli ,  la  topografìa  del  quale  iu  non  ultima  causa    delle 
sorti    che   gli  toccarono  :   collocato  sulla   strada  di   tutte   le 
invasioni   straniere  ,  mentre  doveva  curare  la  propria  difesa 
con  opere  di  guerra,  non  poteva  sempre  impedire  agli  invasori 
di  fermare   stanza  nel  territorio  che  primo  si  apriva  ai  loro 
passi.  La  conquista  e  i  suoi  effetti  si  mantennero  qui  più  lun- 
gamente, e  nella  parte  orientale  essa  non  è  per  anco  cessata. 
E  pure  la  dominazione  degli  Ostrogoti    lasciò  immune  da 
guerre  il  Friuli;  anzi  Teodorico  ebbe  merito  di  aver  fondate 
le  poste   di  cavalli  in  un  luogo  presso   Gradisca.  La    venuta 
dei  Longobardi  mandò  a  male  la  quiete,  e  intanto  durava  il 
famoso  scisma  aquileiese  dei  Tre  Capitoli ,  e  il  cielo  stesso    e 
il  mare   in  tempesta,    e  poi  la  siccità,  le  locuste,    la   peste 
parevano  congiurare  ad  accrescere  la  rovina  dei  popoli.  Costi- 
tuitosi il   ducato  longobardo  del   Friuli  sotto  Gisulfo  o   Gra- 
solfo  che  fosse,  la    fatale  posizione  geografica  non  impedì  la 
tremenda  invasione   degli  Avari ,  e  più  tardi  quelle   ripetute 
degli   Slavi.    Ma  la  prima  correria  degli  Avari   durò   breve  , 
benché  Gisulfo  perisse  da  prode  sul  campo  di  battaglia  nel  611. 
Sorte   non   diversa    ebbe  Lupo    o    Lupone   quinto    duca   che 
ribellatosi  al  re  dei  Longobardi  Grimoaldo,  provocò  una  nuova 
discesa   degli    Avari,  chiamati  nel  664.  Quattro    giorni    durò 
la  pugna,  con  la  rotta  finale   dei  Friulani;  e  gli   Avari   che 
volevano ,    a  prezzo  della  vittoria ,    piantar   loro    stanza    in 
Italia ,    furono    finalmente    obbligati   dal   troppo    imprudente 
Grimoaldo  a  ritirarsi  nella  Pannonia.  Questa  lotta    tra  il  re 
e  il  duca  longobardo  ci  rivela  la  poca  unione  del  regno ,  già 
nota  anche  per  altri   fatti;  nò  possiamo    stupire  che   s' invo- 
cassero ausiliarii  stranieri  a  punire  le  ribellioni  frequenti,  che 
qua  o  colà   pullulavano  ad    ogni   propizia  occasione.  Tale    la 
conseguenza   del   piccolo  numero  dei   Longobardi ,    il   quale , 
d'altro   canto,    bastava  a  tenere  in  rispetto   gl'Italiani,  già 
padroni  del  mondo. 

Ma  una  prova  luminosa  della  vita  quasi  indipendente  dei 
varii   ducati   longobardi    l'abbiamo  nella    dominazione   dei 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  113 

Franchi,  subbietto  dell'epoca  terza  (1),  i  quali,  non  pensando 
abolire  alla  prima  conquista  il  nome  del  regno  longobardo  , 
tanto  meno  ne  distrussero  i  singoli  ducati.  Vinto  Desiderio 
a  Pavia  nel  774 ,  continuò  a  vivere  con  onore  il  ducato  lon- 
gobardo del  Friuli ,  sebbene  aggregato  di  nome  al  regno  di 
Francia.  Anzi  crebbe  d'importanza,  dacché  ottenne  la  qua- 
lità di  Marca,  e  in  seguito  allargando  più  e  più  il  suo  terri- 
torio ,  assunse  il  titolo  di  Marca  Trivigiana  e  Veronese.  Si 
vede  chiaro  :  il  forte  accentramento  dello  Stato  è  una  inven- 
zione moderna ,  figlia  dell'assolutismo  ;  e  fatta  ragione  della 
minor  civiltà  medievale  che  rendeva  necessario  l'esercizio 
delle  armi  e  della  resistenza  nelle  ròcche  numerose  e  ben 
munite  ,  la  monarchia  di  Carlomagno  era  più  un  nome  che 
un  fatto ,  era  per  molte  parti  rispondente  alla  dominazione 
romana,  che  lasciava  alle  Provincie  più  lontane  dal  centro 
dell'  impero  una  autonomia  quasi  compiuta ,  limitata  solo  dal 
dovere  di  pagare  i  tributi. 

Il  ducato  o  marca  del  Forogiulio  si  mantenne  gran  tempo 
nella  sua  estensione  ,  e  solo  nell'828  per  alcuni  anni  fu  diviso 
in  quattro  contee,  e  tolto  a  Balderico,  in  pena  di  essersi 
ribellato  a  Lodovico  il  Bonario.  Pure  ,  in  grazia  della  politica 
di  Carlomagno  e  dei  suoi  successori ,  alla  autorità  dei  duchi 
prima  s'aggiunse,  poi  sottentrò  il  dominio  dei  patriarchi  aqui- 
leiesi.  Anzi  a  tale  giunse  il  favore  che  lo  Stato  accordava 
alla  Chiesa,  che  con  decreto  imperiale  dell' 879  erano  state 
abolite ,  benché  invano ,  nel  Friuli ,  le  dignità  di  duca ,  di 
marchese  ,  di  conte. 

L'  epoca  quarta  (2)  dice  del  Friuli  sotto  Berengario  e  gli 
Ottoni.  Come  Berengario  ebbe  il  regno  d' Italia ,  nominò  suc- 
cessore alla  marca  friulana  certo  Valfredo  :  ma  questi  ribel- 
latosi e  morto,  ne  riprese  il  dominio  per  sé.  E  durante  la 
fortunosa  sua  storia  dovette  combattere  a  più  riprese  gli 
Ungheri  invasori  e  rimanerne  sopraffatto  e  vinto ,  non  potendo 
impedire  la  strage  inaudita  del  paese.  Anzi ,  traditore  della 
patria  ,  li  chiamò  appresso  più  volte  contro  i  suoi  antagonisti. 
E  le  stragi  si  accrebbero,  benché  fossero  i  tempi  in  cui  erano 
cessate  le  regolari  incursioni  !  L'Europa  fu  afflitta  anche  più  tar- 
li) Voi.  I  ,  pag.  227  327. 
(2)  Voi.  I ,  pag.  329-399. 

Aucw.  St.  [tal.  ,  3.a  Serie,  T.  X  ,  P.  11.  16" 


114  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

di  da  nuovi  barbari,  i  quali  sembravano  essere  il  retroguardo 
della  grande  onda  di  genti  che,  per  più  di  due  secoli,  si  era 
precipitata  sull'  impero  romano  ;  e  forse  non  è  ancora  appie- 
no sicura  che  sia  compiuta  la  insensata  vendetta  della  bar- 
barie contro  la  civiltà.  Chi  potrebbe  affermarlo  ? 

Anche  Berengario,  per  ingraziarsi  la  Chiesa,  benché  gli 
fosse  naturale  nemica,  le  fece  alcune  donazioni;  e  l'autore, 
con  una  di  quelle  sviste  che  in  opera  di  gran  lena  ponno  in- 
contrarsi frequenti,  ricorda  tanto  sotto  l'anno  902  come  sotto 
il  921  che  Federico  patriarca  ebbe  in  dono  da  Berengario  il 
castello  di  Pozzuolo  con  un  miglio  intorno  di  territorio. 

Se  gli  storici  italiani  hanno  parole  di  lode  per  Ottone  I,  non 
possono  gli  storici  friulani  andar  d'accordo  con  loro.  E  invero 
Ottone  I  nel  952  tolse  alle  marche  di  Verona  ed  Aquileia  il 
carattere  nazionale;  e  badando  a  ciò  che  esse  si  estendevano 
nella  Carinzia  e  nella  Carniola,  le  diede  a  governare  a  stranieri 
mal  compensando  il  paese  coli'  istituire  un  conte  del  Friuli 
con  residenza  a  Cividale.  Il  primo  di  codesti  stranieri  fu  Arrigo 
duca  di  Baviera ,  ambizioso  e  crudele ,  nemico  giurato  degli 
ecclesiastici  ,  cui  ferocemente  trattò,  avendo  fatto  evirare  il 
patriarca  di  Aquileia  ,  accecare  l'arcivescovo  di  Salisburgo.  Ma 
Ottone  I,  fedele  alla  massima  di  Stato  del  dividere  per  impe- 
rare,  accresce  la  dominazione  della  Chiesa  aquileiese  ed  è 
imitato  dal  figlio  Ottone  II.  Il  che  pose  il  Friuli  sotto  i  patriar- 
chi di  Aquileia  fino  alla  caduta  della  sovranità  temporale. 

Così  si  apre  l'epoca  quinta  che  corre  per  quasi  cinque  volu- 
mi ,  dal  secondo  al  sesto  ,  dell'opera  del  nostro  autore,  e  com- 
prende gli  anni  dal  1000  al  1420 ,  ultimo  della  Raccolta  in 
forma  di  Annali.  Il  secondo  volume  si  arresta  all'anno  1251, 
il  terzo  al  1310 ,  il  quarto  al  1341 ,  il  quinto  al  1387  e  il  sesto 
finalmente  al  1420.  Se  non  che ,  giunto  a  questo  limite ,  il 
signor  conte  di  Manzano ,  per  non  lasciare  in  tronco  l'opera 
sua,  compie  il  sesto  volume  con  un'epoca  sesta,  che  prende 
nome  dal  dominio  dei  Veneziani ,  e  in  troppo  brevi  pagine 
traccia  la  storia  del  Friuli  fino  all'anno  1797,  meta  ultima 
del  faticoso  viaggio.  Ma  noi  dobbiamo  deplorare  che  il  lavoro 
resti  sospeso,  giusto  allora  che  un  nuovo  ordine  di  cose  si 
stabilisce  e,  pel  governo  della  repubblica  veneta,  spenta  o 
fiaccata  la  resistenza  feudale,  lo  Stato  procede  più  uniforme 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  115 

e  sicuro  nel  suo  cammino.  La  storia,  anche  a  modo  di  Annali , 
diventa  più  facile  a  narrarsi ,  dacché  meno  s' incontra  il  biso- 
gno di  correre  ansando  qua  e»  là  pel  paese  ,  a  caccia  di  avve- 
nimenti degni  di  esser  notati.  Non  trovi  più  sparsi  pel  Friuli 
de'grandi  audaci  che  abbiano  cercata  nella  ribellione  la  loro 
indipendenza  e  con  la  ribellione  la  mantengano.  Il  governo 
teocratico  fu  mite  perchè  debole  ,  e  al  paragone  fu  superato 
e  vinto  dal  governo  repubblicano  perchè  aristocratico  e  forte. 

Ma  non  sempre  la  debolezza  di  un  governo  torna  a  trionfo 
della  santa  causa  della  libertà.  Il  popolo  ,  se  non  era  oppresso 
dai  patriarchi ,  che  anzi  cercavano  in  lui  un  appoggio ,  era 
vittima  miseranda  dei  nobili  e  dei  comuni.  Il  parlamento 
friulano,  o  colloquio  generale,  ordinato  forse  da  Carlomagno 
e  regolato  dal  patriarca  Popone,  accoglieva  anticamente  quat- 
tro membri  nel  suo  seno,  i  prelati,  cioè,  i  liberi,  i  nobili  e 
i  gismani  o  rappresentanti  le  comunità;  più  tardi  compren- 
deva tredici  prelati,  ventisette  castellani,  sedici  comuni.  Ma 
questo  parlamento  ,  benché  fosse  l'autorità  legislativa  supre- 
ma ed  unificatrice  ,  non  impediva  che  i  singoli  rappresentanti, 
nella  maggior  parte  dei  casi ,  esercitassero  la  tirannide  feu- 
dale nella  cerchia  del  proprio  dominio.  Il  patriarca  che  aveva 
bisogno  di  esser  protetto  e  difeso  dal  conte  di  Gorizia  ,  suo 
avvocato ,  non  aveva  nemmeno  la  facoltà  di  convocare  il 
parlamento  come  signore  di  esso ,  ma  come  principale  ;  né  il 
luogo  delle  riunioni  era  stabilito  da  leggi  particolari.  Le  adu- 
nanze però  si  tenevano  col  decoro  e  la  solennità  onde  vuol 
essere  distinto  dagli  altri  un  potere  sovrano  ;  e  nei  tempi  or- 
dinari! era  sostituito  da  un  consiglio  del  parlamento ,  nel 
quale  avevano  voce  il  patriarca,  tre  prelati,  tre  nobili  e  tre 
rappresentanti  i  comuni. 

Dalla  bella  istituzione  del  parlamento  in  fuori ,  ci  sembra 
dover  notare  molta  analogia  tra  i  dominii  temporali  delle  due 
chiese,  di  Roma  e  di  Aquileia.  La  forma  prevalente  dello  Sta- 
to, la  federazione  ,  era  qui  e  colà  consigliata  dalla  urgenza  di 
conservare  paesi  insofferenti  del  comando  sacerdotale,  o  teneri 
dell'autonomia.  Se  non  che  i  pontefici ,  trovando  appoggio 
nella  antichità  del  dominio,  nella  cieca  devozione  dei  popoli, 
e  più  ancora  nella  condizione  misera  della  libertà  italiana , 
raffermarono  la  loro  sovranità  e  tolsero  di  mezzo  le  resistenze 


11  fì  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

dei  principi  ;  mentre  in  quella  vece  i  patriarchi ,  prima  con 
frutto  ma  presto  invano ,  combatterono  il  privilegio  dei  forti 
feudatarii  e  il  diritto  delle  comunità  ,  e  dovettero  poi  cedere 
alla  vincitrice  repubblica  di  Venezia,  però  trascinando  nella 
loro  rovina  molti  de'nobili.  Se  i  papi  di  Roma  poterono  quindi 
sfruttare  le  donazioni  ottenute  a  varie  riprese,  e  colla  so- 
vranità conseguita  di  fatto  resero  legale  la  mentita  origine 
di  alcune  fra  quelle  ;  i  patriarchi  d'Aquileia  non  seppero  ap- 
poggiarsi al  titolo  ottenuto  forse  prima  di  Arrigo  IV  e  certo 
al  tempo  di  queir  imperatore ,  che  innalzò  Sigeardo  alla  so- 
vranità del  ducato  o  contea  del  Friuli,  e  delle  marche  di 
Carniola  e  d' Istria.  Qui  nella  estrema  Italia  i  potenti  feuda- 
tarii impedivano  che  il  titolo  sovrano  dei  patriarchi  corrispon- 
desse pienamente  al  fatto  del  possesso ,  e  in  capo  a  più  che 
tre  secoli  la  lotta  or  latente  or  manifesta  tra  gli  uni  e  gli 
altri  ,  li  rese  soggetti ,  nell'occidente ,  al  dominio  veneto , 
nell'oriente,  all'austriaco.  Nella  Italia  centrale,  per  lo  con- 
trario ,  una  condizione  analoga  di  circostanze  mantenne  per 
più  secoli  i  papi  in  continua  debolezza,  finché  i  motivi  che 
dicemmo,  l'innalzarono,  vinti  i  contrasti,  ad  una  sovranità 
senza  rivali  nell'ordine  ecclesiastico. 

Forse  è  vero  che  i  patriarchi  d'Aquileia  ,  soggetti  ai  papi 
di  Roma  nello  spirituale,  furono  lasciati  perire  ,  dacché  osa- 
rono gareggiare  in  potenza  temporale  con  questi.  Ne  viene 
in  conferma  il  fatto  del  pontefice  Urbano  VI  che ,  morto 
nel  1381  il  patriarca  Marquardo ,  ritenne  per  sé  il  dominio 
aquileiese,  e  poi  s' indusse  1*  11  febbraio  a  darlo  in  commenda 
al  cardinale  Alanson ,  il  che  fé'  scoppiare  appresso  la  memo- 
rabile guerra  civile  per  quasi  sette  anni  di  seguito  (1).  Le 
due  città  di  Udine  é  di  Cividale  rinnovarono  le  antiche  di- 
scordie ;  quella  alleandosi  con  la  veneta  repubblica  e  cogli 
Scaligeri ,  questa  col  conte  di  Gorizia ,  coi  Carraresi  e  i 
Visconti.  I  papi  non  soffrirono  che  altri  accennasse  di  supe- 
rarli ,  e  quando  più  tardi  videro  grado  grado  sparire ,  anche 
dalla  Germania ,  i  principati  ecclesiastici  ,  per  opera  delle 
riforme  religiose  e  politiche,  appena  se  ne  lamentarono.  L'aver 
tenuta  sempre  alta  la  loro  autorità  spirituale  fece  la  fortuna 

(1)  Voi.  V,  pag.  320-466. 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  117 

temporale  dei  pontefici ,  mentre  i  patriarchi  dovettero  piegarsi 
umilmente  all'  altrui  protezione.  E  inoltre  i  diritti  dell'av- 
vocazia  dei  conti  di  Gorizia  si  mutarono,  a  detrimento  della 
sedia  ecclesiastica  di  Aquileia,  in  ingiustizie  e  violenze,  co- 
ronate da  bel  successo  in  causa  di  giurisdizioni  e  di  acquisti 
sempre  più  larghi,  ottenuti  od  usurpati  col  pretesto  della 
protezione. 

Non  è  mai  avvenuto  nella  storia  che  uno  Stato  perisca 
di  morte  violenta,  senza  aver  prima  provata  una  più  o  meno 
lunga  decadenza.  Fin  dal  principio  del  secolo  xm,  cioè  due 
secoli  innanzi  la  difinitiva  caduta  del  potere  temporale  dei 
patriarchi,  Venezia  adocchiava  la  futura,  immancabile  con- 
quista. E  cominciarono  nel  1217  i  Veneziani  a  far  correrie 
nell'Adriatico,  danneggiando  Marano  nel  Friuli  e  i  confini 
istriani.  Due  anni  appresso  ebbe  luogo  la  memorabile  lega  fra 
i  nobili  del  Friuli  e  i  Trevigiani.  Quelli  posposero  ogni  obbe- 
dienza verso  il  patriarca,  accettando,  come  a  nobili  di  Tre- 
viso ,  doveri  e  diritti.  Stanno  registrati  i  nomi  seguenti  :  Fe- 
derico di  Cavoriaco ,  Alderico  e  Varnero  di  Pulcinico,  Enrico 
di  Villalta,  Bernardo  e  Leonardo  di  Sonumbergo ,  Rodolfo  di 
Savorgnano  ,  Artuico  di  Strasoldo ,  Dietrico  di  Fontanabona, 
Corrado  ed  Artuico  di  Castillerio ,  Giacomo  di  Budrio,  Ar- 
tuico di  Olderico  di  Castello  (Frangipane).  Fu  ribellione  di 
un  anno  ma  intanto  il  patriarca ,  assalito  Treviso ,  ne  ven- 
ne respinto  per  l'alleanza  dei  Veneziani  coi  Trivigiani;  e  se 
fu  condotto  nel  1222  a  conchiuder  la  pace,  dovette  accettare 
un  vicedomino  veneto  in  Aquileia  e  concedere  alla  Repubblica 
molte  franchigie  e  pagare  perfino  un  annuo  tributo  (1). 

L'ardito  animo  dei  patriarchi  che  vennero  dopo  ,  arrestò 
qualche  tempo  lo  Stato  nella  precipite  via  della  decadenza. 
Gregorio  da  Montelongo  e  i  Torriani ,  specialmente  Raimon- 
do della  Torre,  rintuzzarono  l'ardito  predominio  dei  feudatarii, 
e  per  questo  dicemmo  più  sopra  che ,  se  caddero  i  patriar- 
chi, trassero  con  sé  nella  comune  rovina  anche  i  nobili.  Ma 
la  repubblica  di  Venezia  avanzava  lenta  e  sicura  nei  suoi 
acquisti,  pure  a  danno  dei  patriarchi.  Fin  dalla  metà  del 
secolo  xii  alcune  terre  dell'  Istria  le  si    erano    chiarite ,  per 

(1)  Voi.  II ,  pag.  245,  260  ,  265-266  ,  277-278. 


118 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 


amore ,  fedeli ,  e  tornò  invano  la  lotta  che  il  patriarca  Rai- 
mondo nel  secolo  appresso  combattè  contro  la  repubblica  per 
riaverne  il  possesso  ;  Capodistria  nel  1278  passò  ai  Veneziani 
ed  ebbe  a  primo  podestà  Renier  Morosini  (1).  Ma  morto  Rai- 
mondo patriarca  ,  il  Friuli  era  venuto  a  più  misera  condi- 
zione sotto  il  piacentino  Ottobono  dei  Razzi.  La  repubblica 
di  Venezia  continuava  a  scalzare  dall'Istria  l'autorità  pa- 
triarcale ,  e  più  da  vicino ,  ad  oriente  ,  i  conti  di  Gorizia  le 
si  erano  fatti  ribelli,  mentre  da  occidente,  i  da  Camino 
conti  di  Ceneda  trionfavano  con  le  scorrerie  ,  e  nell'  interno 
lo  stato  era  commosso  da  Giovanni  di  Villalta  che  disponeva 
di  terre  a  benefizio  dei  suoi  fedeli ,  pronti  a  gettarsi  sopra 
chi  resistesse ,  fossero  nobili  castellani ,  o  rappresentanti  le 
comunità ,  o  milizie  del  patriarca.  Per  tentar  di  salvarsi  non 
dagli  interni  (era  impossibile),  ma  dagli  esterni  nemici, 
Ottobono  li  suscitò  gli  uni  a  danno  degli  altri  e ,  con  buon 
frutto ,  diede  al  conte  di  Gorizia  il  titolo  e  le  facoltà  di  ge- 
nerale contro  i  Caminesi. 

Ma  come  la  repubblica  veneta,  dopo  la  guerra  civile  set- 
tenne e  la  feroce  tirannide  di  Giovanni  di  Moravia  ,  sotten- 
trò al  dominio  temporale  dei  patriarchi,  non  volle  spegnere 
le  avite  istituzioni  del  paese  che  continuava  a  gloriarsi  del 
nome  speciale  di  Patria  del  Friuli.  E  invero  questo  titolo  le 
conveniva ,  dacché  Venezia ,  seguendo  anche  in  ciò  l'antica 
politica  di  Roma,  aveva  serbato  al  Friuli  meglio  che  un'ap- 
parenza di  vita  autonoma ,  con  mantenere  in  piedi  il  parla- 
mento o  consiglio  generale.  Vi  sedevano  settanta  membri ,  o 
vogliam  dire  dodici  prelati ,  quarantacinque  nobili  feudatarii 
e  tredici  comunità.  Il  luogotenente  veneto  presiedeva  le  adu- 
nanze che  dal  1420  si  tenevano  regolarmente  ogni  anno  sul 
cadere  del  maggio  nel  castello  di  Udine. 

Noi  non  entreremo  a  dire  di  questo  periodo  che  l'autore 
discorse  di  volo  nell'epoca  sesta  in  poco  meglio  di  cento  pa- 
gine, dividendolo  in  capi  che  riguardano  la  chiesa  aquileiese 
e  i  suoi  patriarchi,  gli  avvenimenti  politici ,  il  governo  ,  i 
feudi  eia  nobiltà,  l'agricoltura,  il  commercio  e  la  industria, 
le  scienze  e  le  arti.  Nel  rapido    sguardo  ei  seppe  scegliere  i 

(1)  Voi.  HI,  pag.  U4. 


RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA  119 

punti  più  memorabili  di  storia,  scusandosi  dell'aver  abban- 
donato il  metodo  di  prima  per  la  caduta  della  sovranità  e 
dell'autonomia  del  Friuli. 

Molti  vennero  in  soccorso  al  benemerito  autore  nella  com- 
pilazione dell'opera.  Troviamo  citati  innumerevoli  gli  scrit- 
tori friulani  e  non  friulani,  e  quasi  ad  ogni  pagina  gl'indici 
copiosissimi  e  le  raccolte  del  professore  Iacopo  Pirona,  fami- 
gliare degli  studi  storici,  archeologici  e  linguistici.  Né  gli 
fecero  difetto  gli  archivi  pubblici  ed  altri  privati ,  e  i  docu- 
menti editi  ed  inediti  dell'abate  Giuseppe  Bianchi ,  gloria 
paesana,  rapito  di  fresco  alle  giuste  pretensioni  di  una  criti- 
ca forte,  sapiente,  illuminata.  A  conchiudere,  l'opera  del  Di 
Manzano,  malgrado  i  difetti  liberamente  additati,  meritereb- 
be un  più  lungo  discorso,  e  ben  lo  avremmo  scritto,  se,  per 
nostra  colpa ,  non  temessimo  di  porre  a  troppo  duro  cimento 
la  cortesia  dei  lettori. 

Udine,  4  agosto  1869. 

G.  OCCIONI-BONAFFONS. 


Notizie  sulla  vita  e  sulle  opere  dei  principali  architetti  t 
scultori  e  pittori  die  fiorirono  in  Milano  durante  il 
governo  dei  Visconti  e  degli  Sforza ,  raccolte  ed  esposte 
da  Girolamo  Luigi  Calvi.  Milano  Ronchetti,  1859,  1865, 
1869;  in  8vo  Parte  I-III. 

Mancava  alla  Lombardia  una  storia  generale  delle  sue 
arti  e  dei  suoi  artisti.  Soltanto  alcune  provincie ,  Bergamo , 
Brescia ,  Cremona  hanno  monografie  più  o  meno  esatte  ,  più 
o  meno  estese  :  niun  lavoro  veramente  erudito  ,  veramente 
esatto  ,  sia  dal  lato  estetico ,  sia  dallo  storico.  Milano ,  fatta 
ragione  alle  sue  antichità  e  grandiosità ,  allo  sviluppo  che 
ebbero  in  essa  le  arti ,  alle  sue  accademie  ,  le  quali  datano 
sino  dal  1380,  alla  copia  de' suoi  monumenti,  al  numero 
degli  artisti  che  dessa  produsse,  Milano  è  la  più  povera  di 
tutte  le  provincie  lombarde  in  fatto  di  notizie  d'arte.  Nel 
secolo  passato  e  prima    ancora   che   incominciassero   le   sop- 


120  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

pressioni  religiose  e  i  conseguenti  barbarismi  e  gli  spogli  di 
tanti  monumenti  e  tesori  di  arte  ,  un  Albuzio  raccolse 
memorie  e  documenti  con  animo  forse  di  pubblicare  alcuno 
scritto  su  tale  argomento ,  ma  poi  nulla  ne  fece.  Queste 
memorie  ,  delle  quali  una  copia  passò  poi  a  certo  de-Pagave 
e  da  questo  successivamente  agli  eruditi  uomini  Giuseppe 
Bossi ,  Gaetano  Cattaneo ,  Ignazio  Fumagalli  (dei  quali  alcu- 
no vi  fece  qualche  addizione ,  non  per  altro  di  grande  entità); 
queste  memorie  ,  dicesi ,  passarono  già  da  quasi  vent'anni , 
alla  biblioteca  del  fu  don  Gaetano  Melzi  e  servirono  oppor- 
tunamente al  Rio  per  compilare  il  suo  libro  :  Leonardo  da 
Vìnci  e  la  sua  scuola  (1856).  Altra  copia  delle  stesse  me- 
morie dalle  mani  del  fu  avvocato  Calcaterra ,  passò  a  quelle 
del  eh.  sig.  Calvi,  il  quale  le  volse  a  fondamento  dell'egregio 
lavoro  che  annunziamo  ,  e  di  cui  son  già  fuori  tre  parti. 

Ufficio  nobilissimo  di  affettuoso  cittadino ,  contribuire  allo 
splendore  della  patria  illustrandone  l'epoche  e  le  opere 
gloriose. 

Lo  scritto  del  Rio  sovra  Leonardo  e  la  sua  scuola  aveva 
già  incominciato  a  togliere  alquanto  l'oscurità  in  che  versa 
la  storia  dell'arte  Lombarda  e  particolarmente  della  milanese. 
Sembrerebbe  quasi  che  noi  non  avessimo  avuto  arte  né 
artisti  :  eppure  in  tutte  le  parti  d' Italia  incontriamo  artisti 
lombardi  ,  e  in  ispecie  milanesi  ;  eppure  sappiamo  che  Mila- 
no ridondava  di  egregie  opere  d'arte  prima  che  i  vandalismi 
incominciati  coi  furori  religiosi  di  Carlo  Borromeo ,  ce  ne 
disertassero  della  maggior  parte  ;  eppure  Lomazzo  ,  Moriggia, 
Torre  ed  altri  de'nostri  scrittori  ci  avevano  da  oltre  a  due 
secoli  favellato  non  iscarsamente  né  a  casaccio  dell'arte 
nostra  e  de'  suoi  più  valenti  cultori.  Ciò  nondimeno ,  chi  ci 
addita  oggigiorno  i  dipinti  di  Francesco  Melzo ,  di  Francesco 
d'Adda ,  di  Giuseppe  Arcimboldo ,  di  Ambrogio  Maggione , 
Stefano  Scoto  ,  Francesco  Crivello ,  Costantino  da  Vaprio , 
Giovanni  Da  Valle  ?  Chi  le  miniature  di  Girolamo  Figino, 
gT  intagli  del  Suardo  ,  le  plastiche  di  Sovico  ,  le  azimine  del 
Basso,  le  armature  di  Panzò ,  le  incisioni  dei  Masseroni  ? 
Le  guide  artistiche  (peregrine  collezioni  di  errori)  e  lo  sto- 
rico Lanzi  esaltano  a  cielo  le  tarsie  in  legname  del  coro 
nella  Certosa  di  Pavia  e  ne  fanno  autore  un    Bartolommeo 


RASSEGNA   BICLIOGRAPICA  Ì2Ì 

da  Pola  -vissuto  nel  1486,  e  lo  vogliono  allievo  del  Vinci  o 
di  Damiano  da  Bergamo  ;  e  invece  i  documenti  ci  dicono 
che  Bartolommeo  Polli  modenese  abitante  in  Mantova  (non 
già  di  Pola  città  dell'  Istria)  lavorò  di  tarsìa  ed  intagliò  il 
coro  della  Certosa  presso  Pavia  prima  forse  con  un  maestro 
Pietro  da  Velate  (1495-1497)  poi  con  un  Iacono  del  Mayno 
(l'assuntore  del  lavoro)  nel  1502.  E  né  per  l'epoca  né  per  lo 
stile  possiamo  ritenere  il  Polli  allievo  di  Leonardo  o  di 
fra  Damiano. 

Se  il  Rio  ebbe  il  merito  d'  intrattenerci  pel  primo  un  po' 
di  proposito  sovra  alcuni  dei  nostri  artisti  finora  assai  poco 
noti ,  quali  Anovello  da  Imbonate ,  il  Gazzo ,  i  Solari  Boni- 
forte  e  Giovanni,  Leonardo  da  Besozzo  (de  Bisutio),  Foppa 
Buttinone  e  Zenale  ,  l'architetto  Battaggia  di  Lodi ,  e  i  pit- 
tori parimente  lodigiani  Chiesa  e  Toccagni ,  assai  più  fece 
il  Calvi  scoprendoci  nel  cremonese  Francesco  de'  Pecora- 
ri  l'architetto  della  magnifica  torre  e  dell'annessa  chiesa 
in  Milano  di  San  Gottardo  in  Palazzo  (1336)  ;  in  Bernardo 
da  Venezia  quello  della  Certosa  di  Pavia  (1396),  e  della 
Chiesa  del  Carmine  in  Milano,  rifatta  poi  quasi  tutta  da 
Pietro  da  Solaro  nel  1446 ,  e  procacciandoci  di  altri  distin- 
tissimi artisti  belle  notizie,  frutto  di  faticose  ricerche  negli 
archivii ,  e  formando  ragionevoli  conghietture  ,  quantunque 
volta  le  notizie  positive  venivano  a  mancargli  :  deducendo 
egli  tali  conghietture  dalla  pratica  sua  nell'arte  ch'egli  stesso 
esercitò  maestrevolmente. 

Questa  prima  parte  del  lavoro  del  Calvi  che  ora  abbiamo 
sott'occhio ,  contiene  le  notizie  di  tredici  artisti  che  lavora- 
rono in  Milano  :  Francesco  de'  Pecorari ,  architetto  ;  Giovanni 
di  Balduccio  da  Pisa,  scultore;  Matteo,  Bonino,  Marco, 
Giacomo  da  Campione,  architetti;  (i  due  primi  anche  scultori) 
Giovanni  de'Grassi,  pittore,  scultore,  arcbitetto  ;  Bernardo 
da  Venezia,  scultore  e  architetto;  Lorenzo  degli  Spazi,  archi- 
tetto ;  Michele  de' Mulinai-i  pittore;  Giacomino  da  Tradate 
scultore  ;  Stefano  da  Pandino  pittore  ;  Filippo  degli  Organi 
architetto. 

La  storia  dei   Campionesi    è    forse    la    più    interessante. 
Campione ,  terra  sul  lago  Ceresio ,  quasi  rimpetto  a  Lugano, 
Arch.  St.  Itai...  3.»  Serie,  T.  X  ,  P.  II.  <6 


122  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

nella  diocesi  di  Milano  ,  fu  pel  corso  di  secoli  la  culla  di 
architetti  e  raarmorai  distintissimi.  Anselmo  da  Campione  , 
forse  ancor  prima  del  1209  ,  operava  come  architetto  e  scul- 
tore nella  cattedrale  di  Modena,  e  quindi  Otacio,  Alberto  e 
Iacopo  suoi  figli,  e  quindi  nel  1204,  Enrico  figlio  di  Otacio 
continuarono  il  lavoro.  Altro  Enrico  od  Arrigo  nel  1319  in- 
nalzava l'ottagona  bellissima  piramide  sulla  torre  della  Ghir- 
landina  e  nel  1322  il  pulpito  della  cattedrale  di  Modena.  Il 
Calvi  ricorda  altresì  Ugo  da  Campione  che  nel  secolo  XIV, 
scolpiva  in  Bergamo  e  rifabbricava  la  chiesa  di  Bellano  in 
quel  di  Como  (1348);  ricorda  due  Giovanni  padre  e  figlio, 
(1351-1360)  che  belle  opere  condussero  parimenti  in  Bergamo. 
Né  deve  far  maraviglia  che  un  piccolo  paese  fornisse  tanti 
egregi  artefici ,  se  a  tutti  è  noto  come  l'agro  comense ,  cui 
pure  Campione  appartiene  ,  desse  sino  da  tempi  più  antichi 
gran  numero  di  edificatori  in  tutta  Europa  noti  pella  deno- 
minazione di  maestri  Comacini  ;  l'origine  dei  quali  è  ben 
rimota,  come  tutti  sanno,  né  qui  occorre  ripetere.  Ai  Cam- 
pionesi  pertanto  vorrebbe  il  Calvi  attribuire  la  più  parte 
delle  opere,  sia  di  architettura  che  di  scultura,  condotte  in 
Milano  nel  secolo  XIII  od  al  principio  del  successivo  prima 
della  venuta  fra  noi  di  Giovanni  di  Balduccio  da  Pisa,  pel 
cui  stile  sembra  l'arte  prendesse  a  migliorare.  La  sala  della 
Ragione  col  monumento  di  Oldrado  (1233)  e  prima  la  loggia 
degli  Osii  dovrebbero  essere  opera  di  Campionesi.  Ed  al  loro 
numero  vorremo  ascrivere  quegli  scultori  che,  al  dire  del 
Fiamma,  lavoravano  nel  palazzo  di  Azzone  e  quelli  che  più 
tardi  operarono  o  vennero  consultati  intorno  la  magnifica 
nostra  cattedrale. 

A  Matteo  da  Campione ,  di  cui  a  luogo  il  nostro  autore 
ragiona ,  vorrebbe  egli  attribuire  l'arca  magnifica  di  S.  Ago- 
stino in  Pavia  e  quella  di  Bernabò  Visconti  (1380)  ora  in 
Brera.  Sono  poi  opere  certe  di  questo  architetto-scultore , 
fino  da'  suoi  tempi  appellato  magnus  edificator ,  l'antico  bat- 
tistero ch'era  nel  Duomo  di  Monza  ,  l'attuale  facciata  ed  il 
pulpito  di  quella  chiesa,  egregi  lavori. 

Bonino  da  Campione  credesi  appartenesse  alla  famiglia 
dei  Fusina,  di    cui    usciva    dopo    un    secolo    quell'Andrea, 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  123 

finissimo  scultore  ,  il  quale  lasciala  in  Siena  (1485)  un  lavoro 
che  ce  lo  farebbe  credere  emulo  od  allievo  di  Desiderio  di 
Settignano.  Bonino  innalzava  nel  1375  in  Verona  il  gran- 
dioso monumento  di  Cansignorio  della  Scala,  aiutato  nella 
parte  ornamentale  da  un  Gaspare  a  noi  ignoto  ,  e  forse  egli 
pure  lombardo ,  rammentato  però  dall'epigrafe  : 

«  Vere  Boninus  erat  sculptor  Gasparque  recultor  ». 

Crede  il  Calvi  che  Bonino  dovesse  aver  condotto  prima 
di  allora  altre  opere  in  Verona ,  se  era  scelto  dal  principe 
Scaligero  a  scolpire  il  proprio  monumento.  Per  ciò  gli  attri- 
buisce il  sarcofago  di  Giovanni  della  Scala  morto  nel  1359, 
lavorato  con  ornamenti  di  una  eleganza  e  di  uno  stile  che 
corrispondono  a  quelli  dell'altro  ;  ed  arguisce  che  in  appresso 
Bonino  operasse  in  Venezia  (ove  sembra  dimorassero  anche 
altri  Campionesi)  perchè  vi  si  riscontra  il  suo  stile  in  alcuni 
sepolcri ,  Cornaro ,  Dandolo ,  Morosini.  Troviamo  Bonino 
nel  1388  maestro  del  Duomo  di  Milano ,  dove  le  sue  memorie 
vanno  fino  al  1393.  «  Il  di  lui  stile  nell'architettura,  scrive  il 
«  Calvi ,  si  scosta  da  quello  delle  opere  fatte  allora  nell'alta 
«  Italia;  bensì  ha  qualche  riscontro  nelle  facciate  del  Duomo 
«  di  Orvieto  e  di  Siena ,  anteriori  di  circa  mezzo  secolo  cui 
«  forse  il  Campionese  va  innanzi  nella  scelta  degli  orna- 
«  menti,  e  specialmente  nell'arca  di  Giovanni  Scaligero,  la 
«  quale  è  per  ordine  di  tempo  (eh'  io  sappia)  in  questa  parte 
«  d'Italia,  e  forse  nell'Italia  tutta,  prima  fra  le  opere  di 
«  quello  stile  di  passaggio  al  greco-romano  che  fu  detto ,  e 
«  dicesi  fra  noi  ancora  bramantesco  ,  da  Bramante  cui  pare 
«  sia  stato  di  esempio  il  nostro  Bonino  ».  Marco  Frisone  e 
Giacomo  Buono  sono  gli  ultimi  Campionesi  di  cui  occorra, 
seguendo  l'autore  ,  far  memoria.  Nel  primo  ci  si  presenta 
con  buon  corredo  di  ragioni ,  in  ordine  di  tempo  e  di  auto- 
rità ,  il  primo  architetto  del  nostro  duomo ,  e  forse  anche 
l'autore  del  disegno  :  del  secondo  le  prime  notizie  sono  in  un 
codice  civico  che  lo  ricorda  all'anno  1388,  quale  maestro  di 
fabbrica  della  nostra  cattedrale ,  e  poco  appresso  quale  inge- 
gnere della  medesima  ,  mancato  che  fu  Marco  da  Campione. 


124  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

Ci  duole  che  i  limiti  di  un  articolo  non  ci  permettano  di 
seguire  il  nostro  storico  con  un'  analisi  più  minuta  ed  estesa. 
Il  perchè ,  quanto  agli  altri  artisti  dei  quali  egli  pure  egre- 
giamente favella,  non  ci  fermeremo  che  a  Giacomino  da 
Tradate  ,  Giovanni  e  Michele  da  Milano. 

Di  Giacomino  questo  si  sa,  ch'era  scultore  addetto  all'ope- 
ra del  nostro  Duomo  sino  dal  1410,  che  in  quell'anno 
doveva  pei  frati  di  Sant'  Eustorgio  compiere  un  lavoro  in 
marmo  già  prima  da  lui  incominciato  ,  lavoro  che  non  sa- 
premmo additare,  quando  non  fosse  la  bell'ancona  dell'aitar 
maggiore  ordinata  dal  duca  Giovan  Galeazzo,  e  in  cui  è  feli- 
cemente prenunziato  il  risorgimento  dell'arte.  Fatica  di  Gia- 
comino è  la  statua  di  papa  Martino  V  che  vedesi  in  duomo 
presso  la  sagrestia  de'monsignori.  Il  Rio  la  qualifica  rozza; 
lo  scrittore  Ambrogio  Nava  (1)  bellisima....  Non  è  né  l'ima 
cosa  né  l'altra.  Il  Rio  la  vuole  il  capolavoro  di  Giacomino,  e 
nemmeno  questo  crediamo.  11  Nava  dice  (pag.  198)  non  saperne 
indicare  l'autore....  eppure  vi  sta  presso  una  lunga  iscrizione 
che  termina  cosi  : 

«  ....  imaginis  auctor 
«  De  Tradate  fuit  Jacobinus  in  arte  profundus  ». 

Oh  fidatevi  talvolta  degli  scrittori  e  dei  giudizii  !  La  fama  di 
Giacomino  cresceva  col  progresso  degli  anni ,  se  intorno  al  14?0 
il  duca  di  Mantova  lo  chiamava  a  lavorare  di  pietra  nella 
sua  residenza.  Ivi  egli  moriva  indi  a  poco ,  e  veniva  sepolto 
nel  chiostro ,  ora  soppresso ,  di  S.  Agnese  coll'epigrafe  : 

IACOBINO  DE   TRADATE 
PATRI   SVAVISS 
QVI   TAMQVAM  PRAXITELES 
VIVOS   IN  MARMORE 
FINGEBAT  VVLTVS 
SAMVEL  OBSERVANTISS. 

Questo  Samuele  era  un  suo  figlio,  il  quale  esercitava  pari- 
menti lo  scultore,  e  trovavasi  nel  1463  col  Mantegna  presso 

(J)  Memorie  e  documenti  sul  Duomo  di  Milano  ;  ivi  1858. 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  125 

il  lago  di  Garda   a  misurare   monumenti   e    ricopiare  lapidi 
antiche  (1). 

Michelino  da  Besozzo ,  detto  de'  Molìnarì ,  apparisce  fino 
dal  1404  nei  libri  del  duomo  quale  maestro  di  vetriate  ,  ed  è 
detto  pittore  grande.  Era  stato  discepolo  di  Angelo  Gaddi 
che  conosceva  i  segreti  di  quest'  arte  ;  l'unico  frammento  che 
ci  resta  di  vetri  da  esso  dipinti  non  è  tale  che  ci  dia  un  bel 
saggio  della  di  lui  maestria  in  lavori  di  simil  genere.  Le  di 
lui  opere  di  pittura  quasi  tutte  perirono:  il  Calvi  pensa  ,  in 
via  di  semplice  congettura,  che  possano  appartenergli  alcune 
pitture  murali  da  lui  accennate  ;  fra  esse  è  la  Madonna  così 
detta  del  Parto  che  vedesi  in  Milano  nella  chiesa  di  S.  Maria 
Podone  ,  pittura  questa  che  diede  origine  ad  uno  dei  più  gra- 
ziosi spropositi  che  infarciscano  le  guide  d'arte,  e  che  venne 
presentato  persino  al  Congresso  dei  Dotti  nel  1844.  Tuttavia 
un'opera  certa  di  Michelino  possiamo  noi  accennare  benché 
trasformata  da  recente  ristauro:  conservasi  dessa  in  Milano 
nel  duomo,  nella  Sagrestia  dei  Monsignori.  È  una  tavoletta 
dipinta  da  ambe  le  parti ,  che  portavasi  un  tempo  a  guisa  di 
insegna  (idea)  nelle  processioni  :  in  una  delle  facce  è  dipinta 
la  Madonna  col  putto  e  tre  angioletti,  i  quali  sostengono  il 
panno  su  cui  è  posato  il  bambino:  nell'altra  parte  vedesi  la 
purificazione  della  Vergine  con  architettura  e  fondi  dorati. 
L'opera  è  condotta  con  assai  diligenza ,  in  buono  stile  e  con 
vera  intelligenza  d'arte  :  nella  seconda  delle  storie  testé  de- 
scritte v'ha  l'epigrafe  : 

MCCCCXVIII  MICHAE....  DE   BESOTIO. 

Giovanni  da  Milano ,  figlio  di  Giacomo ,  pittore ,  è  dal 
Calvi  creduto,  per  coincidenza  di  stile,  cioè  l'aria  giottesca 
di  alcune  scolpite  testine,  è  creduto,  dicesi,  lo  stesso  che 
Giovanni  de'  Grassi  architetto  e  scultore  della  nostra  catte- 


Mi  Giacomino  aveva  nel  suo  testamento  disposto  un  legato  di  fiorini  dodici 
per  la  fabbrica  del  duomo  di  Milano.  Pare  ch'egli  morisse  intorno  al  1433, 
giacché  nel  libro  dell'entrate  di  quell'anno  che  tuttavia  conservasi  nell'archivio 
del  Duomo  Ieggesi  in  data  del  primo  aprile  :  Heredes  quondam  magistri  Jacobini 
de  Tradate  srìuerunt  fabrize  . .  .  .prò  parte  solutionis  Igati  facti  .  ■ .  .per  testa- 
mentimi  de  fior.  XII  di  te  fubrirepcr  bonum  Antonium  ejus  plium  ;  Iibr.  9  :  ;2.  imp. 


126  RASSEGNA   EIBLIOGRAFICA 

drale  (1391).  Il  Crepuscolo,  giornale  milanese  (a.  1858,  n.  6) 
asseriva  gratuitamente  che  Giovanni  fosse  non  da  Milano, 
bensì  da  Melano  sul  lago  C eresio.  Ma  una  di  lui  tavola  che 
è  nella  galleria  comunale  di  Prato  porta  l'epigrafe  : 

«  ego  Iohanes.  de.  Mediolano.  pinxi.  hoc,  opus  » 

e  ciò  basta  a  convincere  ogni  incredulo. 

Giovanni  studiò  a  Firenze  presso  Taddeo  Gaddi  ,  e  nel  1366 
ebbe  la  cittadinanza  fiorentina,  con  ordine  di  ritornare  ivi 
entro  un  anno,  probabilmente  per  condurvi  qualche  lavoro: 
egli  dipinse  inoltre  in  Arezzo  e  in  Casentino  (1356-1365). 
Firenze  conserva  tuttora  alcuni  de'  suoi  dipinti.  Il  Calvi 
accenna  poi  il  merito  di  Giovanni  come  scultore  ,  ricorda  i 
suoi  lavori  alle  sagrestie  del  duomo  di  Milano,  enumera 
gli  artisti  dell'epoca  che  ragionevolmente  possono  attribuir- 
glisi  ad  allievi.  Sono  questi,  il  figlio  di  Salomone  dei  Grassi 
Paolino  da  Mont'Orfano,  Cristofano  e  FrancescoZavattari(1414), 
Antonio  e  Stefano  da  Pandino ,  Isacco  da  Imboliate ,  Simone 
da  Corbetta  (1382),  e  certo  Bassanolo  che  dipinse  la  chiesuola 
di  S.  Cristoforo  fuori  di  Porta  Ticinese  sul  Naviglio-vecchio 
di  Milano ,  e  che  il  Calvi  per  equivoco  cognominò  de' Cornetti , 
mentre  l'epigrafe  sincrona  sotto  alla  pittura  dice  chiaramente: 
Bassanolvs  de  magistris  pinsit.  {Continua) 

Michele  Caffi. 


Remarhs  on  the  illuminateti  officiai  manuscripts  of  the  ve- 
netian  republic,  by  Edward  Cheney  (Osservazioni  sui 
manoscritti  officiali  miniati  della  repubblica  veneta,  di 
Odoardo  Cheney  )  Senza  1. ,  a.  (1869),  S.  pag.  95  in  8vo. 

Notes  on  venetian  ceramics,  by  William  Richard  Drake  , 
F.  S.  A.  (  Osservazioni  sulla  ceramica  di  Venezia .,  di  Gu- 
glielmo Riccardo  Drake  ).  London  ,  John  Murmy  ,  1868  , 
pag.  40-xxxiv  in  8vo. 

Che  la    potenza  dei   mezzi   avvalorata   dalla  nobiltà   del 
sentire  torni  non  solo  profittevole  a  quelli  che  per  l'opera  loro 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  127 

ne  son  fatti  partecipi,  ma  eziandio  decorosa  a  chi  saviamente 
li  impiega ,  è  questa  una  verità  pratica  giornalmente  atte- 
stata dal  provvido  uso  della  ricchezza.  Ma  non  è  men  confer- 
mato dalla  sperienza  l'altro  vero,  che  chi  si  studia  di  lar- 
gheggiare del  proprio  per  tener  dietro  a  uno  scopo  determi- 
nato ,  accresce  nell'ordine  relativo  di  idee  e  di  cose  il  poter 
dell'  ingegno ,  come  fu  già  osservato  da  Tacito  :  magnitudine 
rerum  vis  ingenti  crescit.  Questi  concetti  tornavanmi  in 
mente  al  proposito  di  due  opere  che ,  quantunque  di  piccola 
mole  ,  offrono  nullostante  preziose  indicazioni  su  due  rami 
d' industria  artistica  veneziana  ,  la  miniatura  de'codici  mano- 
scritti officiali  e  la  fabbrica  di  maioliche  e  porcellane.  L'ar- 
gomento di  patrio  interesse  parea  dovesse  invitare  taluno 
de'nostri  ad  occuparsene  ;  ma  non  gli  si  presentarono  forse  i 
motivi  a  trattarne ,  come  si  offersero  spontanei  ai  due  agiati 
gentiluomini  inglesi ,  colonnello  Odoardo  Cheney  e  Guglielmo 
Riccardo  Drake ,  i  quali  in  tempi  diversi  osservarono  qui 
in  Venezia  ed  altrove  gli  oggetti  summentovati,  ne  raccolsero 
in  parte,  li  distribuirono  dietro  i  riguardi  molteplici  di  autori, 
di  tempo,  di  luogo,  di  uso,  di  arte,  ne' loro  musei  di  cam- 
pagna ,  e ,  confrontatili  assieme  e  descrittili ,  si  trovarono 
sotto  mano,  quasi  senza  avvedersene,  l'orditura  del  lavoro, 
cui  quest'articolo  si  riferisce. 

Nel  che  egli  mi  gode  assai  l'animo  di  parlar  prima  del 
libro  del  Cheney ,  cui  mi  lega  un  dovere  di  sentita  ricono- 
scenza per  la  cordiale  ospitalità  usatami  l'autunno  1852  nella 
deliziosa  sua  villa  di  Badger  Shifnal ,  a  poca  distanza  da 
Birmingham.  Onde  mi  permetto  qui  una  parola  che  attesti 
pubblicamente  la  mia  gratitudine  ,  anche  perchè  ho  ivi  ap- 
preso come  l' Inglese  sappia  accoppiare  la  severità  degli  studi 
e  il  bello  delle  arti  a  ciò  che  rende  il  vivere  agiato.  Nel  cen- 
tro al  giardino ,  chiuso  intorno  dal  vasto  parco ,  sorge  la  casa 
di  costruzione  recente ,  le  cui  ale  si  convertirono  a  serre  di 
piante  tropicali.  Distribuiti  nella  sala  d' ingresso ,  rischiarata 
superiormente,  sono  oggetti  d'arte  e  curiosità,  quadri,  marmi 
lavorati,  bronzi,  terrecotte,  intagli  in  legno,  maioliche  ,  vetri , 
imitazioni  di  pezzi  capitali  conservati  in  vari  musei.  Benchèpaia 
strano,  non  è  men  vero  che  fra  gli  oggetti  trasferiti  da  Ve- 
nezia si  riscontrano  un  dipinto  di  Tintoretto  in  piccole  pro- 
porzioni ,    allusivo  alla  battaglia   delle  Curzolari ,   già  nelle 


128  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

sale  del  Consiglio  de'Dieci,  e  un  soggetto  mitologico  in  tela, 
già  adattato  al  soppalco  della  stanza  da  letto  del  doge  Lodo- 
vico Manin.  A  tante  lautezze  s'aggiunge  splendido  ornamento 
la  copiosa  e  scelta  libreria  di  opere  scelte  e  di  belle  arti  , 
onde  il  Cheney  allieta  gli  ozj  di  quella  sua  Tempe. 

L'autore ,   accennati  i  progressi  della  miniatura  de'  libri  , 
che  si  ottennero  specialmente  in  Italia  nei  secoli  quindicesimo 
e  sedicesimo  ,    asserisce    che  l'arte    ebbe  in   Venezia  e  nelle 
dipendenti  provincie,  più  che    in  altre  parti  della  penisola, 
lunga  e  fiorente  la  vita ,  dacché  la  poesia  e  il  genio  dell'arti- 
sta v'erano  allettati  dall'abitudine  di  ornare  con  emblemi  e 
rabeschi  le  Mariegole ,  le  Promissioni  dei  Dogi ,  ì  Capitolari 
dei   loro    Consiglieri  e  dei  Procuratori  di   S.    Marco ,   le 
Commissioni  ducali.  Perciò  è  ben    naturale  che  si  formasse 
uno  stuolo  di  miniatori  o  veneti  o  al  servigio  dello  Stato ,  di 
alcuno    de'quali  la  storia    riconoscente  ci  conservò  il  nome  , 
Andrea  Amadio  ,  Giacometto  Veneziano  ,  Benedetto  Bordone  , 
Giovanni  Vitale  di  Brescia,  Ventura  di  Venezia,  e  fra  Vitto- 
rino ,  canonici    regolari  di  S.  Salvatore  ;  Giorgio    Colonna ,  i 
tre  veronesi   Liberale ,  Francesco  e  Girolamo  dai  libri  ;    non 
che  il  croato    Giulio  Clovio  ,  che  fu  al  servigio  del  cardinale 
Marino  Grimani.  Dalla  quale  enumerazione  il  Cheney  esclude 
a  diritto  ,  per  mancanza  di  prove  ,  i  nomi  di  Tintoretto  ,  Paolo 
Veronese,  Tiziano  e  di  altri  eminenti  ingegni,  collo  scopo  di 
opporsi  alle  false  insinuazioni  di  cataloghi  di  librai  stranieri. 
A  conferma  del  fatto  egli    osserva   che    ogniqualvolta   alcun 
pittore  di  rinomanza  miniò  qualche  manoscritto  ,  lo  fece  per 
amore  o    per   divozione  ;    datone    ad    esempio    il    Messale  di 
Mantova ,  i  capolavori  dei  cui  margini  devonsi  al  Mantegna  ; 
e  il  Dante  con  figure  di  Michelangelo  ,  lodate  assai  dal  Va- 
sari. Infatti  i  miniatori  di    Venezia ,   benché   inscritti    nella 
fraglia  delittori ,  devono  essere  considerati  più  come  artieri 
che  come  artisti.  È  perciò  che  dotati  di  meravigliosa  destrezza 
di  mano ,    spontaneità  d'esecuzione  ,    buon  gusto  e  ricchezza 
di  fantasia,  primeggiavano  negli  ornati  anziché  nelle  figure, 
taccia  affibbiata  pure,  e  con  ragione,  dagli  storici  dell'arte  al 
sommo  Atavante. 

Decaduta  altrove  questa  professione  ,  si  mantenne  pur 
sempre  fra  noi ,  in  botteghe  presiedute  da  un  maestro  e  for- 
nite di  operaj  e  garzoni,  fino  aliatine  del  secolo  scorso,  do- 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  129 

vendosi  ammettere  incontrastabilmente  quanto  riferì  di  re- 
cente la  Commissione  pel  riordinamento  dell'  Istituto  musicale 
di  Firenze  ,  che  i  benefizi  delle  antiche  botteghe  stanno  alla 
pittura,  quanto  il  convitto  alla  musica  e  alla  drammatica. 
È  perciò  che  il  Cheney  stupisce  come  ,  in  onta  alla  costumanza 
di  pubblicare  questi  libri  officiali  nella  stessa  forma ,  scritti 
cogli  stessi  termini,  dipinti  nella  stessa  maniera,  ma  con 
grandi  differenze  nello  stile  ,  nessuno  abbia  pensato  in  Vene- 
zia a  formare  una  collezione  di  codici  manoscritti  miniati  che 
avrebbero  illustrato  le  condizioni  varie  di  quest'arte,  nel 
lungo  periodo  indicato.  Al  quale  meritato  rimprovero,  accom- 
pagnato dall'avvertenza  che  alcuni  di  tali  codici  trovansi  rac- 
colti a  caso  in  pubbliche  biblioteche,  o  perchè  lasciativi  da 
cittadini  amanti  del  paese  ,  o  perchè  tolti  dagli  archivi  dei 
monasteri  e  delle  fraglie  soppresse ,  fa  degno  riscontro  la 
premura  onde  la  spettabile  Direzione  di  questo  Museo  Correr 
non  lascia  mezzo  intentato  ad  arricchire  la  serie,  già  accre- 
sciuta notevolmente  col  legato  Cicogna. 

Premesse  queste    indicazioni    generali,  il  Cheney    scende 
alla  trattazione  storica  di  ciascuna  classe  di  questi  codici. 


MARIEGOLE. 

Lamariegola  (mater  regula),  della  cui  esistenza  l'autore 
trova  memoria  sin  dalla  metà  del  secolo  decimoterzo,  è  lo 
statuto  delle  confraternite  o  scuole  ,  come  le  diceano ,  delle 
professioni  e  delle  arti.  Esaminatane  diligentemente  la  costi- 
tuzione sociale  e  politica,  l'importanza,  lo  scopo  esclusiva- 
mente religioso  e  caritatevole  ;  il  carattere  delle  maggiori, 
dette  grandi  pel  numero  e  per  la  qualità  degli  ascritti,  per 
la  potenza  dei  mezzi ,  per  la  magnificenza  degli  edifizi  in  cui 
si  riunivano  (costruzioni  che  riscuotono  ancor  l'ammirazione 
de'posteri),  l'autore  descrive  cronologicamente  le  mariegole 
da    lui  vedute  ,  con  rapporti  speciali  all'arte. 

Alla  scuola  grande  di  S.  Todaro  apparteneva  la  prima 
mariegola con  data  (  125S  ) ,  ora  al  Museo  Correr,  la  quale, 
oltre  l'effigie  del  patrono  fra  una  corona  di  divoti,  rappresen- 
ta il  Salvatore  seduto  fra  la  Vergine  e  s.  Gio.  Battista. 

Anr.ii    St.  It.u..,  3.a  Serie  ,  T.  X  ,  P.  II  17 


130  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

La  seconda  (  1261  )  della  scuola  di  s.  Maria  gloriosa  dei 
Frari ,  con  legatura  originale  in  tavola ,  fra  i  molti  fregi  d'uno 
stile  franco  dell'epoca ,  offre  nelle  tre  iniziali  della  prima 
pagina  1; effigie  della  Vergine  ,  di  s.  Marco,  di  s.  Francesco. 

Datata  il  1392  la  mar  tegola  dalla  scuola  grande  di  santa 
Maria  di  Valverde  ,  detta  della  Misericordia,  è  di  carattere 
esclusivamente  religioso.  Soffermatosi  il  Cheney  nella  descri- 
zione delle  miniature,  trova  superiori  a  ogni  elogio,  per  la 
correzione  del  disegno  e  la  diligenza  dell'esecuzione,  le  scene 
dei  penitenti  e  degli  strumenti  di  pena  usati  abbattuti*  alla 
cui  scuola  appartiene  quella  mariegola:  le  iniziali  leggiadra- 
mente dipinte,  i  ricchi  rabeschi  dei  margini ,  con  teste  inserte 
di  santi  e  divoti. 

Benché  nella  mariegola  della  scuola  di  S.  Stefano  del  1493, 
conservata  al  Museo  Correr,  la  lettera  capitale  del  testo  rap- 
presenti condotto  meravigliosamente  il  ritratto  del  patrono  ; 
non  sa  l'autore  acconciarsi  al  giudizio  espresso  da  chi  più 
tardi  possedeva  il  codice,  sia  quel  lavoro  da  attribuirsi  al 
Carpaccio ,  come  non  lo  son  pure  le  due  miniature  ,  la  croci- 
fissione di  Cristo  e  la  lapidazione  del  protomartire. 

Conservansi  ivi  pure  due  altre  mariegole  della  scuola  di 
S.  Marco  e  della  fraglia  dei  pelizeri.  Quella  eseguita  sullo 
scorcio  del  secolo  decimoquarto,  benché  in  uno  stato  di  mala 
conservazione  ,  è  commendevole  per  la  diligenza  onde  è  scritta 
e  per  le  miniature  sparse  nel  libro  ,  condotte  con  lodevole 
finitezza.  La  seconda,  benché  trascritta  ed  ornata  con  minor 
cura,  porta  l'anno  1324;  ma  la  miniatura  principale,  rap- 
presentante il  maestro  dell'arte  e  l'addiscente  nell'atto  di  pur- 
gare delle  pelli  d'ermellino,  è  del  1390. 

A  questo  Archivio  generale  è  deposta  la  mariegola  della 
veneranda  scuola  della  Madonna  detta  di  Santa  Maria  dei 
marzeri  (1481),  la  data  del  cui  testo,  osserva  l'autore,  s'accorda 
benissimo  colla  pittura  delle  lettere  iniziali  e  dei  fregi  delle 
pagine,  condotta  con  correzione  di  disegno  e  colorata  con 
gusto;  non  così  con  quella  del  patrono  S.  Daniele,  che,  ese- 
guita assai  più  tardi ,  fu  attribuita  a  torto  da  alcuni  al  Man- 
tegna  o  ad  altro  scolare  dello  Squarcione. 

Al  Museo  Correr  trovasi  la  mariegola  dei  corrieri 
del  1558  ,  già  della  famiglia  Morosini,  di  cui   porta  le   armi. 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  131 

Sulla  prima  pagina  è  rappresentata  la  patrona  S.  Caterina , 
a'cui  piedi  stanno  inginocchiati  due  divoti  vestiti  di  nero, 
con  istivali  a  sproni  e  corno  da  posta  al  collo. 

È  del  cominciamento  del  secolo  decimosesto  la  mariegola 
della  fraglia  dei  gondolieri,  veduta  dal  Cheney ,  al  cui  prin- 
cipio è  l'effigie  del  patrono  s.  Niccolò  e  una  gondola  di  vecchia 
forma. 

Contemporanea  è  la  mariegola  della  scuola  di  S.  Gemi- 
niano,  con  due  miniature  delicatamente  eseguite.  Vi  si  inse- 
rirono nel  secolo  scorso  tutti  i  decreti  originali  od  in  copia , 
riferentisi  alla  confraternita  ,  fino  all'ultimo  della  soppres- 
sione e  della  demolizione  della  chiesa. 

Però  la  mariegola  in  cui  più  s'accentrano  le  osservazioni 
del  Cheney,  è  la  splendida  dei  calafati,  in  una  città  che  uscita 
dalle  onde ,  ne  pretende  il  dominio  (1) ,  la  sola  riconosciuta 
dal  governo  e  gelosamente  confermata  dal  gastaldo  della  con- 
fraternita. Legata  in  argento  massiccio  a  ceselli  di  sbalzo 
nel  secolo  XVI ,  presenta  da  una  parte  il  leone  alato  ,  dal- 
l'altra le  armi  della  confraternita,  un  vascello  a  vele  spiegate, 
tra  fregi  dorati  e  iscrizioni  in  cartelli.  Cesellati  sono  pure  i 
fermagli  e  lavorati  all'agemina  in  argento  i  riguardi.  All'ester- 
na magnificenza  corrispondono  le  miniature  del  libro  ,  ricca- 
mente e  diligentemente  eseguite  nel  1578  da  Giorgio  Colonna. 
Alla  prima  pagina  che,  divisa  in  otto  compartimenti,  offre 
le  varie  vicende  della  vita  di  s.  Foca  patrono  della  fraglia, 
tengono  dietro  altre  rappresentazioni  non  meno  importanti  : 
Maria  Vergine,  s.  Marco,  s.  Foca  poggiato  al  timone,  iscri- 
zioni a  lettere  dorate  su  fondi  azzurri,  memorie  della  libera- 
zione dalla  peste  nel  1576  ,  armi  dei  dogi  Sebastiano  Venier 
e  Niccolò  da  Ponte. 

Qui  l'autore  accenna  ad  altro  codice  simile  al  descritto 
per  lavoro  e  per  tempo,  con  miniature  illustranti  la  vita  del 
veneziano  Carlo  Maggi  ,  che  questi ,  tornato  dalla  guerra  di 
Cipro  nel  1571,  avrebbe  offerto  al  doge.  Quel  volume  già  pos- 
seduto dal  Duca  de  la  Valliere  ,  fu  venduto  per  2,000  franchi 
all'asta  Gagnat  (2). 

(1)  ...  in  a  city  buit  in  the  waves  and  claiming  to  rute  over  lìiem. 

(2)  Ved.  Atti  dell'i,  r.  Accademia  di  belle  arti  in  Venezia,  per  la  distribu- 
zione de' premi,  nel  1857,  p.  110-1 18. 


132  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 


I.  Promissioni  ducali. 

Sotto  nome  di  promissione  intendeasi  la  promessa  fatta 
dal  doge  il  giorno  dell'elezione,  e  riconfermata  nell'ottobre  di 
ciascun  anno,  di  osservare  gli  statuti  che  limitavano  i  suoi 
poteri  e  ne  definivano  i  rapporti.  La  prima  conosciuta  fu  quella 
giurata  da  Enrico  Dandolo  nel  1229.  Discorso  della  natura  del 
libro;  delle  correzioni,  e  delle  giunte  posteriori,  rese  necessa- 
rie dalle  modificazioni  e  restrizioni  introdotte  ,  morto  il  doge, 
giunte  che  portarono  quell'atto  di  poche  pagine  alle  propor- 
zioni di  giusto  volume  ;  del  tempo  in  cui  apparecchiavansi  ; 
degli  esemplari  dati  al  doge  e  a  ciascuno  de'consiglieri ,  il 
Cheney  avverte  che  la  promissione  ducale  cominciò  a  stam- 
parsi nel  1606  all'elezione  di  Leonardo  Donato  ,  chiudendosi 
la  serie  con  quella  del  1789.  Perciò  non  le  riscontrò  mano- 
scritte che  in  Inghilterra  e  in  poche  raccolte  del  continente, 
•ma  specialmente  a  Venezia. 

La  sola  Marciana  ne  possedè  nove  ,  tutte  procedenti  dal 
ricco  legato  di  Iacopo  Morelli  :  fra  queste  la  prima  di  Giovanni 
Soranzo  del  1311 ,  quella  di  Bartolommeo  Gradenigo  del  1339, 
due  di  Andrea  Contarini  (1367-1374).  Splendida  è  la  promis- 
sione del  1382,  la  cui  prima  pagina  offre  il  ritratto  del  doge 
Michele  Morosini ,  le  armi  della  famigliale  ricchi  fregi  ai 
margini.  Duole  perciò  che  alla  magnifica  legatura  in  tavola 
ricoperta  di  velluto  chermisi  siensi  strappate  le  borchie  e  i 
fermagli.  È  singolare  il  fatto  che  due  promissioni  di  Antonio 
Venier ,  datate  l'anno  1383  ,  rassomigliandosi  affatto  nel  for- 
mato ,  nei  caratteri ,  negli  ornati  marginali ,  vadano  adorne 
del  ritratto  dei  dogi  successivi  Francesco  Foscari  (  1423  )  e 
Agostino  Barbarigo  (  1486  ),  locchè  fa  supporre  al  Cheney  che 
i  due  documenti  destinati  pel  Venier  tornassero ,  lui  morto , 
alla  cancelleria  ,  e  si  adattassero  a'suoi  successori.  Le  due 
ultime  commissioni  sono  di  Pietro  Landò  (1539)  ed  Alvise 
Mocenigo  (  1570). 

Non  meno  apprezzabili  sono  nel  Museo  Correr,  quella  di 
Andrea  Dandolo  del  1342,  forse  la  più  preziosa  delle  cono- 
sciute finora,  dacché  aggiunge  alla  vaghezza  della  scrittura 
gli   abbellimenti   dell'arte:   ritratto   del  doge ,   mirabilmente 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  133 

condotto ,  ricche  miniature  delle  iniziali  e  de'margini  ;  come 
pure  le  due  di  Niccolò  Moro  (1473)  e  Francesco  Venier  (1551). 

Alla  biblioteca  imperiale  di  Vienna  ammirasi  la  promis- 
sione di  Francesco  Dandolo ,  del  1328. 

Trasmigrarono  in  Inghilterra  due  promissioni ,  che  alla 
fine  del  secolo  scorso  costituirono  parte  delle  veneziane  lau- 
tezze. La  prima  di  Niccolò  Tron  (1471),  membranacea,  di  bel- 
lezza capitale ,  venduta  in  Inghilterra  colla  ricca  biblioteca 
Canonici ,  fu  acquistata  da  quel  gentiluomo  Gualtiero  Sneyd. 
Benché  mancante  del  primo  foglio,  la  lettera  iniziale  I  fog- 
giata a  colonna  porta  inscritto  :  Marsilius  Bononiensis  fecil; 
il  qual  nome  trovasi  ripetuto  in  un  codice  miniato  della  Lau- 
renziana  di  Firenze.  Adornano  lo  stesso  foglio  la  rappresen- 
tazione della  Vergine,  di  S.  Marco  e  S.  Niccolò,  a'cui  piedi 
è  inginocchiato  il  Doge;  nonché  fiori  e  rabeschi,  ed  in  pic- 
coli compartimenti  rotondi  leoni,  cervi,  lupi,  tigri  ec.  Infe- 
riormente due  cherubini  alati  reggono  le  armi  della  famiglia 
Tron.  Apparteneva  alla  libreria  di  Giuseppe  Smith  ,  console 
inglese  in  Venezia,  acquistata  dal  re  Giorgio  III  pel  Museo 
britannico,  la  promissione  di  Antonio  Grimani,  sul  cui  primo 
foglio  riccamente  miniato  è  rappresentato  il  Doge  ai  piedi  di 
S.  Marco,  e  in  un  medaglioncino  dei  margini  il  prospetto  di  Mon- 
tegalda,  castelluccio  presso  Padova,  eh' è  tuttora  di  pertinenza 
della  famiglia  Grimani.  Della  quale  torna  a  disdoro  che  libro 
sì  pregiato  ,  non  che  il  capitolare  dello  stesso  Grimani ,  Pro- 
curatore di  S.  Marco ,  ora  al  Museo  Correr ,  uscissero  di 
mano  della  famiglia,  dopo  le  parole  testuali  del  Doge  mo- 
riente ,  attestate  da  Marino  Sanudo  :  Tutto  vi  lasso;  ben  vi 
prego  per  ìionor  di  casa  nostra  a  conservar  la  pace....  et 
conservar  la  mia  promissione  ducale  et  di  la  Procuratia. 

II.  (Capitolari  dei  consiglieri  del  Doge. 

L'autore  riferitosi  alla  storia  e  all'  indole  di  questo  libro 
statutario  ,  narra  come  i  consiglieri  fossero  sei,  perchè  rap- 
presentanti i  sestieri;  come  eletti  dal  senato  formassero  il 
Consiglio  ducale,  cui  era  demandata  la  sovranità  o  nell'as- 
senza, o  nel  contrario  parere  del  Doge.  Stesi  i  capitolari  in 
latino  sino  alla  fine  del  secolo  decimoquinto  ,  si  conservarono 


134  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

manoscritti  per  tutto  il  decimosesto ,  riscontrandosi  quindi 
pubblicati  a  stampa.  Non  parrà  strano  che  trovinsi  quasi 
sempre  riuniti  alla,  promissiane  ducale,  dacché  questa  giurata 
dal  doge  consegnavasi  a  ciascun  consigliere.  Restituiti ,  al 
termine  dell'ufficio ,  alla  cancelleria  ducale ,  ove  non  fossero 
soggetti  ad  alterazione,  servivano  ai  consiglieri  succedenti: 
perciò  mancano  le  più  volte  del  nome  loro. 

Conservansi  al  Museo  Correr  il  primo  del  1342 ,  legato 
colla  promissione  ducale  di  Andrea  Dandolo,  il  cui  principio 
va  adorno  dalla  figura  del  consigliere  in  vesta  di  scarlatto, 
come  pure  un  secondo  senza  nome  e  senz'armi,  colla  data  1531. 
Due  altri  simili ,  sempre  senza  nome  di  consiglieri,  sono  riu- 
niti alle  promissioni  già  indicate  di  Antonio  Venier ,  nella 
Marciana.  Si  ravvicinano  così  nella  forma  di  caratteri  e  nello 
stile  di  fregi  il  capitolare  di  Andrea  Muazzo  (  1520  )  della 
Marciana  e  quello  di  Sebastiano  Moro ,  senz'anno,  del  Museo 
Correr,  che  devono  aggiudicarsi  allo  stesso  periodo.  Il  capi- 
tolare di  Andrea  Sanudo  (1598),  posseduto  da  Lord  Orford , 
è  apprezzevole  per  la  splendida  legatura ,  dacché  i  cantoni  o 
compartimenti  in  cuoio  di  differenti  colori ,  vanno  adorni 
delle  armi  della  famiglia  e  degli  emblemi  dello  Stato,  a  rilievi 
dorati.  Il  Cheney  osserva  opportunamente  a  questo  proposito 
che  tal  foggia  costosa  di  legatura,  propria  dei  secoli  decimo- 
sesto e  decimosettimo  ,  era  particolare  in  Italia  ,  se  non  esclu- 
sivamente a  Venezia ,  ed  aggiunge  che  rade  volte  la  copertura 
era  tutta  in  argento,  (come  usano  gli  Ebrei  ed  i  Greci  ne' loro 
libri  liturgici) ,  ma  più  spesso  in  seta  ,  in  velluto  ,  con  borchie 
e  fermagli  d'argento,  e  fregi  in  metalli  preziosi.  Quanto  a'ca- 
pitoli  giurati ,  ch'erano  molti  e  onerosi ,  il  Cheney  dà  rilievo 
a  quello  sulla  persecuzione  degli  eretici ,  che  riprodotto  nel 
capitolare  accennato  superiormente  (1520),  si  riscontra  pure 
in  quelli  di  Andrea  Contarini  (1374)  ed  Antonio  Venier  (1382). 
Intrattenutosi  su  d'uno  degli  ultimi  a  mano  di  Bernardo  Va- 
lier  (1611) ,  osserva  giustamente  che  quanto  i  più  tardi  gua- 
dagnarono in  correzione  di  forme  grammaticali  e  in  eleganza 
di  stile  ,  altrettanto  perdettero  nella  venustà  delle  mi- 
niature. 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  135 

III.  Capitolaci  dei  Procuratori  di  S.  Marco. 

Tessuta  la  storia  di  questa  importante  dignità  dello  Stato , 
conferita  a  vita  a  sei  persone  di  pingue  censo  e  d' importanza 
sociale  ,  l'autore  osserva  che  ,  quantunque  gratuita ,  fu  tal- 
volta a  prezzo  ;  per  cui  s'accrebbe  col  tempo  il  numero  loro, 
dacché  il  titolo  divenne  oggetto  di  traffico.  È  questo  e  non 
altro  il  motivo  onde  gli  amici  e  gli  aderenti  della  famiglia , 
in  que'  libri  stampati  splendidamente  ,  talvolta  miniati  e  ric- 
camente legati  ad  onore  dei  neoeletti,  li  chiamavano,  a  man- 
tenere il  decoro ,  procuratori  per  merito. 

Ora  i  loro  capitolari  scritti  accuratamente  erano  dal  cal- 
ligrafo passati ,  come  gli  altri ,  al  miniatore ,  che  dietro  al 
desiderio    de'committenti ,    ne  adornava    più  o  meno  i  fogli. 

Sotto  tale  riguardo  è  sommamente  apprezzabile  un  atto 
(1577)  pubblicato  dal  professore  Fuucard  :  una  polizza  di  lavori 
di  miniature  eseguite  in  parecchi  capitolari  di  procuratori, 
per  commissione  della  procuratia  de  supra,  dal  prete  Gio- 
vanni Vitolo,  da  lui  presentata,  per  rifiutato  pagamento, 
all'arbitrato  superiore.  Donde  pare  doversi  inferire  che  quelle 
spese  fossero ,  almeno  a  quel  tempo ,  sostenute  dalla  procu- 
ratia. Benché  le  miniature  di  cui  vanno  adorni  differiscano 
nello  stile  e  nel  sapore  artistico ,  la  maggior  parte  sembra 
essere  opera  di  lavoratori  meccanici,  bensì  capaci  ed  intelli- 
genti ,  ma  poveri  nel  variare  il  soggetto.  Di  tali  documenti 
già  conservati  gelosamente  negli  archivi  delle  famiglie,  come 
parte  luminosa  della  storia  loro,  conservano  bei  saggi  i  patri 
istituti  del  Museo  Correr  e  della  Marciana.  Nel  primo  meri- 
tano di  esser  menzionati:  A)  il  capitolare  di  Paolo  Belegno 
(1367)  con  miniature;  B)  quello  d'Agostino  Barbarigo ,  pro- 
curatore presso  suo  fratello  Marco ,  e  a  lui  succeduto  nel  do- 
gado  :  la  miniatura  del  secolo  decimoquinto  rappresenta  nel 
titolo  i  patroni  dei  due  fratelli  ss.  Marco  ed  Agostino,  con  rabe- 
schi ne'margini  che  si  ravvicinano  al  gusto  del  secolo  decimose- 
sto; C)  stupendo  è  il  capitolare  di  Niccolò  Michiel  (1500),  il  cui 
titolo  miniato  mostra  d'essere  più  moderno  che  lo  scritto  e  la 
parte  ornamentale  de'margiiu  coperti  di  rabeschi  e  medaglion- 
cini  ;  le  armi  del  Michiel  sono  chiuse  in  uno  scudo  sorretto 


136  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

da  cherubini  ;  il  cui  fondo  rappresenta  un  paesaggio  con  cani 
ed  altri  animali,  e  soggetto  della  pittura  dell'  iniziale  è  San 
Marco  che  presenta  gli  statuti  al  Michiel  inginocchiato;  D)  bel- 
lissimo è  il  capitolare  di  Giovanni  da  Lezze  (1522),  la  cui 
prima  pagina  è  condotta  elegantemente  a  fiori,  rabeschi,  me- 
daglioni su  fondo  d'oro.  Conservasi  alla  Marciana  ;  E)  il  capito- 
lare di  Federico  Correr  (1485),  con  miniatura  nel  titolo  ed 
armi  della  famiglia  ;  F)  quello  di  Tommaso  Contarmi ,  sen- 
z'anno, colla  solita  miniatura  nello  stile  del  secolo  decimosesto, 
cui  si  riferisce. 

IV.  Commissioni  ducali. 

La  commissione  ,  preso  nome  dalla  parola  onde  comincia  : 
committimus  Ubi,  era  il  diploma  che,  dato  al  patrizio  in 
nome  del  Doge  ,  contenea  le  norme  a  seguirsi  nella  sua  am- 
ministrazione. Stesa  in  latino,  o  in  italiano,  o  in  vernacolo, 
secondo  i  tempi ,  era  scritta  in  un  volume  membranaceo  in 
quarto,  segnato  dapprima  col  monogramma  del  segretario  du- 
cale ,  poi  col  nome  intero  e  colla  giunta  del  giorno ,  del 
mese,  dell'anno  in  cui  usciva  dalla  cancelleria.  V'era  appeso 
con  funicelle,  le  più  volte  di  seta,  il  sigillo  ducale  col  ritratto 
e  col  nome  del  doge  impresso  in  piombo ,  o  in  argento  ,  e 
talvolta  in  cera,  nel  qual  caso  chiudeasi  in  una  scatola  leg- 
gera ,  ricoperta  di  cuoio  impresso.  Il  nuovo  officiale  ,  obbligato 
a  tenerla  sempre  seco ,  faceala  miniare  e  legare  del  proprio  , 
con  più  o  meno  lusso ,  per  poi  conservarla  come  prezioso 
documento  di  famiglia  nell'archivio  domestico.  Che  debba  es- 
sere strabocchevole  il  numero  delle  commissioni  ducali  è  a 
dedurre  da  ciò  che  consegnavansi  ad  ogni  officiale  dello  Stato, 
agli  ambasciatori,  ai  provveditori,  ai  censori,  ai  consoli  ,  ai 
comandanti  civili  e  militari,  ai  governatori  di  Provincie,  ai 
podestà,  ai  capitani,  ai  conti,  a  ciascuno  in  fine  cui  fidavasi 
un  reggimento ,  e  ciò  dal  principio  del  secolo  decimoquarto 
alla  caduta  della  repubblica.  Perciò  parmi  strano  che  sia  com- 
parativamente sì  tenue  il  numero  delle  esistenti.  Ma  dacché 
allentatosi  l'affetto  alle  patrie  istituzioni  ,  non  si  riguarda- 
rono più  colla  stessa  gelosa  custodia  i  titoli  storici  della  pro- 
pria sovranità  ;  quegli  abbandonati  volumi,  se  adorni,  furono 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  137 

spogliati  de'  lor  fregi ,  togliendosene  le  miniature  ,  strappan- 
dosene le  pelli  dorate  e  i  metalli  delle  legature ,  non  che  i 
sigilli ,  gettandosi  poi  dimenticati  in  un  canto  ,  ove  non  pre- 
stavamo le  carte  agli  scopi  dei  battiloro  ,  dei  legatori  di  libri, 
della  cucina.  Cui  non  e  noto  che  i  pociii  togli  mancanti  al 
celebre  Virgilio  della  Laurenziana  furono  usati  da  una  fan- 
tesca a  turaccioli  da  fiasclietti  ?  Di  questi  ritagli  ed  avanzi, 
che  separati  dalle  commissioni  sono  quasi  senza  valore,  si 
formarono  raccolte  speciali  che  riscontrami  in  musei  pub- 
blici ,  in  collezioni  private  ,  presso  negozianti  di  oggetti  anti- 
chi. Ciò  osservato,  l'autore  tenta  rilevare  il  perchè  un  governo, 
che  tanto  studiava  all'economia,  non  trovasse  opportuno, 
dopo  l' invenzione  della  stampa,  di  risparmiare  la  spesa  dei 
numerosi  copisti ,  collo  stampare  queste  guide  dei  funzionari 
dello  Stato,  inserendovi  in  giunte  manoscritte  le  mutazioni 
richieste  dal  cangiamento  delle  circostanze  e  delle  esigenze 
del  momento.  E  vi  riesce  ,  avvertendo  che  la  repubblica  fug- 
giva abitualmente  la  pubblicità ,  e  ben  lontana  dall'esporre 
all'esame  e  conseguentemente  al  sindacato  i  suoi  procedimenti 
politici ,  confidava  al  solo  ofticiale  le  proprie  istruzioni. 

ÌNel  Museo  Correr ,  oltre  una  serie  di  miniature  tagliate , 
v'ha  una  collezione,  accresciuta  dall'abbondevole  scorta  del 
legato  Cicogna,  distribuita  in  pochi  fogli,  dalla  ducea  di 
Andrea  (ìritti  alla  fine  del  secolo  decimosettimo. 

Il  generoso  legato  di  Girolamo  Contarmi  (1813)  contribuì 
ad  arricchire  onorevolmente  questa  partita  di  codici  nella 
Marciana  ,  contandosene  oltre  sessanta  ;  ma  gli  esemplari  che 
già  appartennero  a'membri  della  famiglia  Contarmi,  o  di  altre, 
uniti  a  questa  per  diritti  ereditarj ,  son  quasi  tutti  imperfetti. 

ìSè  di  queste  lautezze  artistiche  difettano  le  nostre  fami- 
glie ,  in  onta  allo  sperpero  causatone ,  dopo  la  caduta  della 
repubblica,  dallo  smodato  desiderio  di  lucro  nel  commercio 
cogli  stranieri.  All'uno  de'quali ,  al  gentiluomo  inglese  Rawdon 
Brown,  noi  dobbiamo  per  altro  essere  col  Cheney  riconoscenti, 
perchè  stabilita  fra  noi  la  dimora ,  preso  delle  cose  di  Vene- 
zia ,  non  solo  si  addentrò  nello  studio  di  quell'augusto  pas- 
sato e  ne  rilevò  in  opere  a  stampa  i  rapporti  con  quello  del 
suo  paese ,  ma  eziandio  raccoglitore  industre  di  oggetti  ve- 
neziani ,  acquistò   nella  dispersione   della  magnifica   libreria 

Arch.  St.  Itvl.,  3."  Serie,  T.  X  ,  P.  II.  48 


138  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

Tiepolo  codici  manoscritti  importanti ,  fra'quali  molte  com- 
missioni ducali.  Puote  esserne  saggio  quella  ad  Andrea  Priuli, 
capitano  delle  galee  di  Fiandra  (1517) ,  libro  che  al  valore 
artistico  aggiunge  lo  storico  ,  dacché  vi  si  raccolgono  notizie 
importanti  allo  studioso  della  storia  commerciale  e  delle  re- 
lative leggi  internazionali.  Ora  a  chi  ama  davvero  il  paese 
torna  increscevole  che  questo  codice,  la  cui  miniatura  capitale 
alcuni  attribuirebbero  a  Giulio  Clovio  ,  per  apertura  del  Che- 
ney ,  debba  fra  poco  essere  offerto  dal  possessore  alla  libreria 
del  Ricord  office  di  Londra.  Altri  buoni  saggi  del  periodo 
migliore  dell'arte  vi  riscontra  l'autore  ,  cioè  alcuni  ritratti 
della  famiglia  Contarini ,  staccati  da  commissioni,  e  quella 
a  Bertuccio  Contarini  (1533) ,  le  cui  figure  sono  incorniciate 
da  rabeschi  e  medaglioncini  contenenti  il  leone  emblematico 
e  le  armi  famigliari. 

Delle  altre  commissioni  vedute  dal  Cheney ,  l'ima  in  casa 
Contarini  detta  delle  figure,  data  a  Paolo  Contarini,  capi- 
tano delle  galee  di  Beyrout  (1575) ,  va  adorna  d'una  diligen- 
tissima  mappa  dell'  isola  di  Candia.  Una  seconda  a  Marino 
Cavalli,  capitano  generale  delle  galee  (1554)  ,  lo  rappresenta 
inginocchiato  dinanzi  a  S.  Marco  che  lo  benedice  ,  fra  mar- 
gini finamente  miniati  a  figure  e  paesaggi  in  medaglioni , 
misti  ad  emblemi  ed  armi.  Una  terza  a  Marco  Cavalli,  ret- 
tore di  Brescia  (1552),  parimenti  ritratto,  si  avvicina  colla  pre- 
cedente per  modo  alla  già  descritta  mariegola  dei  calafati , 
che  l'autore  inclina  a  ritenerla  opera  di  Giorgio  Colonna. 
Egli  però  avvertendo  che  la  corruzione  delle  arti  di  miniare 
e  legare  non  è  meno  notevole  che  nelle  altre ,  fin  da  princi- 
pio del  secolo  decimosettimo,  ne  reca  ad  esempio  due  com- 
missioni date  sul  principio  del  decimottavo  a  membri  della 
famiglia  Bollani,  nelle  quali  i  ritratti  de'  rettori  inginocchiati 
dinanzi  alla  Vergine  ,  cui  li  raccomandano  i  loro  patroni , 
raggiungono  appena  la  mediocrità,  i  caratteri  sono  irregolari, 
la  legatura,  quantunque  iu  broccato  d'oro  con  piastre  d'argento 
a  figure  di  cesello  di  sbalzo,  è  di  esecuzione  meccanica  tra- 
scurata e  inelegante. 

L'amore  al  soggetto  patrio  e  la  poca  probabilità  di  veder 
pubblicata  in   veste  italiana  un'opera    così    vantaggiosa  alla 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  139 

storia  artistica  del  paese ,  valga  a  levarmi  la  taccia  di  rela- 
tore soverchiamente  minuto.  Non  è  con    ciò  ch'io  voglia  di- 
sconoscere i    servizi  resi  alla    scienza  da'  nostri ,    che  molto 
prima   (1857)  il    professore  Cesare    Foucard    trattava  questa 
materia  in  un  Discorso  della  pittura  sui  manoscritti  di  Ve- 
nezia ,  pubblicato  negli  Atti  per  la  distribuzione  de' premi , 
all'i,  r.  Accademia  di  belle  arti  in  Venezia.  Quel  lodato  la- 
voro accompagnato  da  A)  cenni  bibliografici  delle  opere  che 
servono  alla   storia  della  miniatura  ;  B)  cenni  bibliografici, 
delle  opere  che  trattano  sulle  miniature  italiane  ;  C)  memo- 
ria sulle  miniature  veneziane  ;  D)    indicazione   di   alcune 
■miniature  veneziane  esistenti  in  Francia,  Germania,  Inghil- 
terra; E)  saggio  d'illustrazione  di  alcune  miniature  di  Ve- 
nezia ;  F)  documenti  relativi  alle  miniature  venete  ed  ai  mi- 
niatori, porse  copiosi  elementi  al  più  ampio  sviluppo  dell'ope- 
ra di  che  ci  occupiamo  ;  ma  con  tutto  ciò  resta  ancora  a  co- 
lorare F  intero  disegno  proposto    dal   Foucard ,  di  un  lavoro 
storico-paleogra  fico-artistico  sulla  ornamentazione  e  pittura 
dei  codici  veneziani  e  dei  libri  a  stampa  parimenti  veneziani. 
Or    sia    taluno    fra' nostri  che,  posto  in  agiata  condizione,  e 
confortato  di  studi  monografici   istituiti   all'uopo ,    dia  mano 
a  tal  compito.  Non  a  caso  ho  accennato  a  prosperità  di  con- 
dizioni economiche ,  perchè  le  lunghe  e  faticose  indagini  non 
approdano  fra  noi  a  seducenti  prospettive  di  lucro ,  e  più  che 
l'esame  di  libri  non  sempre  alla  mano ,  e  i  ripetuti  confronti 
resi  necessari   per  le   determinazioni  del  tempo  ,  dello  stile  , 
degli  autori  ,  degli  imitatori ,  dei  falsari ,  impongono  il  dovere 
di  viaggi  dispendiosi.  Solo    in    questa   maniera    potrà  essere 
coadiuvata  quella  commissione  che  con  lodevole  intendimento 
s'  è  istituita  a  Firenze  per   apparecchiare  la  storia  della  mi- 
niatura italiana.  È  perciò  a  desiderarsi  che ,  siccome  in  Mi- 
lano il  marchese  Girolamo  d'Adda  si  è  consacrato  quasi  esclu- 
sivamente alla  illustrazione  di  questa  arte  in  Lombardia  ,  così 
in  ciascuna  regione  d' Italia  sia  chi  si  occupi  singolarmente  e 
conscienziosamente  del  proprio  paese.  Compiuti  questi  indivi- 
duali lavori,  sarà  possibile  la  storia  della  miniatura  italiana. 


140  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

All'operetta  sulla  maiolica  e  sulla  porcellana  di  Venezia 
nei  secoli  diciassettesimo  e  diciottesimo  porsero  occasione  al- 
cuni atti  archiviali  .  le  cui  notizie ,  benché  frammentarie  , 
possono  tuttavia  attirare  l'attenzione  al  soggetto  e  condurre 
alla  scoperta  di  fatti  più  complessi  e  più  rilevanti. 

Confessa  l'autore  da  bel  principio  poco  essersi  pubblicato 
finora  su  di  quest'argomento,  su  del  quale  si  spinse  più  in- 
nanzi che  gli  altri  Vincenzo  Lazari  nelle  Notizie  delle  opere 
d'arte  e  d'antichità  della  raccolta  Correr  dì  Venezia.  Riferito 
dettagliatamente  quanto  questi  ne  scrisse,  appoggiato  al  ma- 
noscritto già  edito  del  Museo  di  Kensington  ,  I  tre  libri  dell'ar- 
te del  vasaio,  esamina  a  parte  le  opinioni  dei  più  recenti 
Giulio  Labarte  ,  Samuele  Romanin  ,  Augusto  Demmin,  Mar- 
ryat,  Robinson,  Chaffers  ,  d'Azeglio,  appuntando  ciò  che  fra 
loro  discordano. 

Recatosi  il  Drake  a  Venezia  nell'autunno  1867,  ottenne  dal 
signor  Rawdon  Brown  ,  le  cui  conoscenze  di  storia  veneta 
vanno  di  pari  passo  colla  cortesia  nel  comunicarle  (1) ,  alcuni 
documenti  che  spargono  molta  luce  sulla  storia  patria  delle 
arti  ceramiche  nella  repubblica  di  Venezia ,  e  giovano  o  a 
confermare  fatti  già  asseriti ,  o  ad  emendarne  o  negarne  altri. 

Al  principio  del  secolo  decimoquarto  le  manifatture  di  vasi 
in  terra  cotta  aveano  in  Venezia  raggiunto  tale  sviluppo ,  che 
la  famiglia  dei  Bocaleri  o  Scudeleri  ne  avea  il  monopolio,  e 
ne  manteneva  coll'estero  vivo  commercio  ,  come  dedurrebbesi 
da  un  salvocondotto  di  Riccardo  II  d' Inghilterra  (1349),  dato 
per  dieci  anni  a  due  galee  veneziane  per  lo  spaccio ,  immune 
da  dazio ,  di  vasi  in  vetro  e  in  terra  cotta ,  nel  porto  di  Lon- 
dra. Ma  al  cominciamento  del  quindicesimo  fu  in  tanta  copia 
tal  merce  introdotta  (perchè  migliorata)  dall'estero,  che  il 
Senato  proibì  (1437)  l'importazione  di  vasi  di  terra,  veriadi 
o  meno  ,  per  le  vie  di  terra  e  del  golfo.  Ad  eludere  le  supe- 
riori disposizioni ,  fu  continuata  F  importazione  della  stessa 
merce  in  Venezia  ,  come  fosse  lavorata  in  quella  parte  di  costa 
italiana,  non  veneta,  che  tocca  l'Adriatico.  Nuovo  decreto  del 
Senato  (  1455  )    ne    divieta   perciò   l' introduzione  nei  domini 


(1)  «  ....  wbose   extensive  Knouledge  on   ali  subiecls    connected   witli   the 
«  history  of  Vcnice ,  is  only  equalled  by  his    Kind  courtesy  in  imparling  it  ». 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  141 

della  Signoria ,  cosi  dal  di  fuori  come  dal  di  dentro  del  golfo. 
Tali  però  erano  i  lucri  ritrattine  dagli  importatori,  che  con- 
tinuò l' introduzione  coperta  dai  titoli  di  commercio  di  tran- 
sito e  di  lettere  di  permesso  di  vari  offici  veneti ,  ai  quali 
erano  rappresentati  i  vantaggi  dello  Stato  dalla  rendita  dei 
dazi.  Perciò  non  valendo  i  posteriori  procedimenti  del  Sena- 
to (1474,  1510)  ad  impedire  il  contrabbando,  cui  dava  ali- 
mento la  preferenza  del  pubblico  per  la  forestiera ,  sulla  stessa 
merce  lavorata  grossolanamente  a  Venezia,  la  famiglia  dei  Bo- 
coleri  e  Scudelerì ,  rappresentata  la  misera  condizione  di 
quell'industria  cittadina,  otteneva  dal  Senato  (1665)  a  pro- 
prio favore  esclusivo,  il  monopolio  dell'importazione,  purché 
fosse  provveduto  il  paese  di  latesinì  (1) ,  monopolio  limitato 
alle  sole  importazioni  dai  domini  veneti  e  dall'  Italia. 

Or  qui  espone  l'autore  come ,  poco  giovando  allo  scopo 
della  restaurazione  dell'arte,  per  la  crescente  frequenza  del 
contrabbando ,  le  nuove  norme  adottate  ;  il  Senato  ,  a  darvi 
uno  stabile  assetto  ,  rivolgevasi  (  1725-1726  )  ai  cinque  Savi 
alla  mercanzia,  perchè  lo  ragguagliassero  sulla  posizione  di 
questo  ramo  importante  di  commercio,  e  si  pronunziassero 
sulla  convenienza  o  di  vietarne  affatto  l' importazione  ,  o  di 
caricarla  di  forti  diritti  doganali.  Quel  magistrato  in  un  ela- 
borato rapporto  (  17  marzo  ,  1727)  mostrava  necessaria  la 
libera  importazione  di  quella  merce  dalle  regioni  di  levante 
e  ponente  ,  perchè  di  qualità  superiore  alla  importata  da.' Bo- 
caleri,  e  perchè  si  appagavano  cosi  l' inclinazione  del  pa- 
triziato al  lusso ,  e  le  ricerche  de'  forestieri  che  avrebbero  in 
Venezia  trovato  ciò  che  pure  riscontravasi  altrove.  Né  dovea 
impensierire  il  Senato  l'uscita  del  danaro  ,  dacché  frequenti 
erano  gli  scambi  con  manifatture  spettanti  alle  arti  del  su- 
pialume,  degli  specchi,  dei  metalli  lavorati ,  delle  cendoline. 
Oltracciò  avvertivano  avrebbe  il  rincarimento  dei  dazi  inco- 
raggiato il  contrabbando.  Accolto  quasi  per  intero  quant'era 
proposto  ,  il  Senato  poco  poi ,  onde  meglio  riuscir  nell'  intento 

(1)  Maiolica  di  Valenza,  di  cui  fu  sempre  permessa  l'importazione  libera  : 
si  è  tratto  il  nome  dalla  vernice  di  color  latte  carico ,  tendente  all'azzurro. 
Non  ometterò  di  osservare  che  questo  commercio  mantiensi  ancora  vivissimo 
da  Valenza  con  tutta  la  Spagna  ,  per  la  fabbricazione  dei  celebri  azulecos  o 
piastrelle,  a  fregio  dei  camminctti  e  delle  pareti  delle  stanze. 


142  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

di  rendere  indipendente  il  paese  dall'estero,  invitava  (1728), 
a  suggerimento  dello  stesso  magistrato,  così  i  sudditi  rome 
gli  stranieri  ad  introdurre  nello  Stato  manifatture  di  terra- 
glie fine  e  di  porcellane  ,  come  pure  di  maioliche  migliorate. 

Però  il  Drake  a  ragione  stupisce  che  l'autorità  suprema 
mostrasse ,  colla  promulgazione  di  questo  decreto ,  ignorare 
affatto  l'esistenza  in  Venezia  d'una  fabbrica  di  porcellane  della 
patrizia  famiglia  Vezzi,  de' cui  prodotti  conservasi  memoria 
fin  dal  1726.  Ricercati  i  motivi  di  quel  silenzio ,  offre  oppor- 
tunamente notizie  dettagliate  su  quel  casato  e  sull'opificio, 
somministrategli ,  com'egli  attesta  ,  dall'amico  Brown. 

Agli  inviti  incoraggianti  del  Senato  rispondeva  lo  stesso 
anno  Giovanni  Battista  Antonibon  colla  fondazione  d'una  fab- 
brica di  terraglie  in  Nove  presso  Bassano  (1728),  la  quale 
così  prosperò  in  pochi  anni  che ,  dietro  la  presentazione  di 
undici  pezzi*  i  quali  ostentano  il  magistero  del  lavoro ,  la 
esattezza  del  colorito  e  la  pulizia  dell'invetriatura ,  il  Se- 
nato concesse  all'Antonibon  il  privilegio  d'una  bottega  di  ri- 
vendita in  Venezia,  per  due  anni  (1732),  riconfermandola, 
a  più  luminosi  titoli  di  merito  (1)  per  dieci  nel  1735.  Né  ri- 
fiutavasi  il  Senato  di  concedergli  nel  1741  il  privilegio  d'aper- 
tura d'una  seconda  bottega,  per  vantaggiarsi  sulla  vendita 
dei  prodotti  forestieri ,  che  nei  dì  festivi  e  nelle  grandi  ac- 
correnze  di  popolo,    vendevasi  a  tutti  gli  angoli    della  città. 

Altra  manifattura  di  maioliche  e  latesini  teneano  aperta 
l'anno  1735  in  Bassano  le  sorelle  Manardi  ,  e  una  simile  quel- 
l'anno stesso  Giovanni  Antonio  Caffo,  cui  il  Senato  nel  1736 
concedeva  l'esenzione  dal  dazio,  come  l'avea  concessa  alla 
fabbrica  Antonibon. 

Nel  1738  è  concesso  ai  fratelli  Bertolini  il  privilegio  di 
dieci  anni,  per  effettuare  lavori  di  nuova  invenzione,  con  oro 
tanto  in  opera,  quanto  in  trasparente,  e  nel  1753,  di  aprire 

(4)  «  L.  B.  Antonibon se    n'è  mostrato   degno    (della    facoltà  di  tener 

«  bottega  aperta) col  moltiplico  e  con  la  vivacità  della  fabbrica  da  esso  di- 

«  retta  ,  mentre  che  una  non  tenue  partita  di  soldo ,  che  rifondevasi  per  l'acqui- 
«  sto  delle  terraglie  di  Delf,  hnra  si  trattiene  nello  Stato,  et  una  piccola  por- 
«  tion  di  contante  che  non  capitava  nel  medesimo,  hora  s'incomincia  ad  in- 
«  trodurre  per  l'acquisto  delle  suddette  terraglie  ,  che  si  vanno  sempre  più 
«  rendendo  accette  anche  agli  stranieri  ».  Rapporto  27  maggio,  1735,  dei  cin- 
que Savi  della  mercanzia  al  Senato. 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  143 

bottega  in  Venezia  e  nella  terraferma,  dacché  attribuivasi 
a  loro  inerito  speciale  Pavere  inventato  le  manifatture  di 
maioliche  in  Murano  ;  questo  privilegio  però  fu  poco  dopo 
annullato,  perchè  la  fabbrica  senza  certi  progressi  incam- 
minata è  decaduta  fra  poco  tempo. 

Erettasi  in  Bassano  nel  1753  da  Gio.  Maria  Salmazzo  la 
fabbrica  di  cristalline  e  maioliche,  furon  così  lunghe  e  vio- 
lente, per  interessi  commerciali,  le  contestazioni  coll'Antoni- 
bon ,  che  nel  1756  il  Senato ,  cedendo  alle  istanze  del  Sai- 
mazzo  ,  favorillo  in  alcuna  delle  sue  inchieste. 

La  fabbrica  di  prodotti  imitanti  le  porcellane  di  Sassonia, 
ebbe  origine  nel  1758 ,  dacché  il  Senato  concesse  il  domandato 
privilegio  a  Federico  Heweleke  e  compagni ,  che  ,  abbando- 
nato,  per  motivo  della  guerra  dei  sette  anni,  il  fiorente  loro 
commercio  di  porcellane  in  Dresda ,  chiedeano  un  asilo ,  pro- 
mettendo di  occuparsi  nella  manifattura  di  porcellane  di  Sas- 
sonia, d'ogni  qualità  e  forma.  Non  furono  però  i  risultati 
soddisfacenti,  dacché  la  compagnia  sassone  desistette  dopo 
sette  anni  dall'  impresa;  forse  per  la  viva  concorrenza  dell'An- 
tonibon  ,  che  fornito  di  rilevanti  capitali  avea  replicati  vari 
esperimenti  con  molto  dispendio  per  la  fabbricazione  delle 
porcellane ,  e  richiamato  su  di  sé  il  favore  del  Senato ,  che 
estese  la  privativa  ad  ambedue  i  fabbricatori  nel  1705. 

In  quest'anno  medesimo  il  Senato,  riconosciute  come  assai 
vantaggiose  allo  Stato  le  prestazioni  di  Geminiano  Cozzi ,  che 
poco  avanti  avea  aperta  una  nuova  fabbrica  di  porcellane , 
ed  ora  usava  ogni  diligenza  per  portarla  a  quello  stato  di 
perfezione  che  non  lascia  più  dubbio  al  progresso,  assegna- 
vagli  400  ducati  per  la  costruzione  di  un  mulino  all'uso  dì 
macinare  i  minerali  richiesti,  e  ducati  30  mensili  per  pagare 
il  dazio  d' introduzione  di  alcuni  oggetti  occorrenti.  Ed  il 
Cozzi ,  come  osserva  opportunamente  Drake  ,  rispondeva  assai 
nobilmente  alla  superiore  fiducia ,  dacché  l'inquisitore  alle 
arti  Gabriele  Marcello ,  senza  affievolire  i  meriti  dell'Antoni- 
bon  ,  di  cui  loda  lo  zelo  indefesso  nell'estendere  il  proprio 
commercio ,  raccomanda  singolarmente  al  Senato  i  distinti 
servigi  del  Cozzi,  che  primo  in  Venezia  avea  fabbricata  la 
porcellana  simile  alla  chinese  e  ad  uso  del  Giappone  ;  che 
colla  scoperta  della  terra   del   Tretto  di  Vicenza ,  avea  reso 


144  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

indipendente  lo  Stato  per  l'acquisto  di  quella  sostanza  ;  che 
n'avea  esteso  notabilmente  il  commercio  coll'estero ,  col  le- 
vante ,  con  Trieste  ,  colla  Lombardia.  L'autore  ,  possessore 
egli  stesso  d'un  Ercole  che  strozza  il  leone  nemeo ,  in  biscuit, 
ed  ammiratore  di  gruppi  colorati  fabbricati  dal  Cozzi ,  nella 
collezione  del  marchese  d'Azeglio ,  ambasciatore  italiano  a 
Londra ,  non  trova  espressioni  bastanti  a  rilevare  la  varietà 
delle  torme  ne'  gruppi  e  ne'  vasi ,  l'eleganza  del  modellare , 
la  bellezza  e  la  durata  delle  dorature.  Perciò  mostra  assai 
rincrescergli  che  fabbricatore  così  distinto  desse  una  serie  di 
lavori  proporzionatamente  ristretta  nella  carriera  di  poco  più 
che  40  anni ,  cessata  quella  manifattura  nel  1812. 

Chiudono  l'opera  un  prospetto  cronologico  delle  fabbriche 
di  terra  cotta  e  porcellane  nel  dominio  veneto,  non  che  un'ap- 
pendice di  documenti  tratti  dall'Archivio  generale  di  Venezia, 
su'  quali  s'appoggia  l' interessante  narrazione. 

Egli  torna ,  a  dir  vero ,  di  soave  conforto  ad  un  animo 
riconoscente  il  sentire  come ,  nel  silenzio  domestico ,  s'alzi  la 
voce  dello  straniero  a  lodare  le  cose  nostre,  cose  che  furono, 
ma  che  e'  impongono  l'obbligo  d'una  nobile  imitazione. 

Venezia,  16  ottobre  1869. 

Giuseppe  Valentinelli. 

Essai  sur  V  histoire  de  la  Philosophie  en  Italie  au  dix-neu- 
vième  siede ,  par  Louis  Ferri.  Paris  ,  2  volumes ,  1869. 

L'opera  del  professor  Ferri  è  quale  il  titolo  promette,  una 
storia  dell'altrui  opinioni  e  dottrine  ,  non  un  racconto  delle 
proprie  che  intorno  a  sé  torgano  l'altre  per  forza,  quasi  corde 
levate  dal  cembalo  e  attorcigliate  ad  un  rocchetto.  Egli  distin- 
gue la  Filosofia  italiana  del  nostro  secolo  in  cinque  parti; 
filosofìa  de'sensi  e  dell'esperienza,  ove  discorre  del  Gioia, 
del  Romagnosi  e  del  Galluppi  :  l' idealismo  platonico  del  Ro- 
smini e  de'suoi  scolari  ;  l' idealismo  più  ontologico  del  Gio- 
berti e  de'suoi  ;  l' idealismo  più  perfetto  e  più  comprensivo  e 
più  circospetto  del  Mamiani  ;  la  seconda  filosofìa  del  Giober- 
ti ,  e  le  teoriche  degli  Egheliani  e  Scettici  e  Scolastici ,  tanto 
diverse  od   opposte.  La  esposizione   de'  sistemi   principali  è 


RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA  145 

fatta  con  pienezza  e  con  ragguardevole  lucidità  e  sincerità  ; 
i  passaggi  da  un'opinione  all'altra  s' indagano  con  molto  acu- 
me ;  vediamo  i  contrasti  di  quelle  ,  e  ne'contrasti  un  vicende- 
vole contemperamento  ;  le  notizie  degli  uomini  poi  e  de' loro 
tempi  offrono  le  cagioni  che,  più  o  meno,  ma  sempre,  infor- 
mano di  sé  stesse  i  pensieri.  Talché  ,  a  dirlo  in  una  parola, 
chi  vuol  conoscere  i  pensamenti  filosofici  nostri ,  senza  leg- 
gere i  tanti  volumi ,  ha  nel  Ferri  un  ottimo  espositore.  Farmi 
non  mediocre  lode  codesta,  e,  per  me,  io  la  credo  verissima; 
né  quindi  aggiungo  più  altro,  che  farmi  espositore  compen- 
dioso d'esposizioni  ben  fatte  non  crederei  servisse  a  nulla; 
bensì  forse  gioverà  considerare  se  il  Ferri  abbia  poste  sott'oc- 
chio  le  vere  attinenze  di  que'sistemi  con  la  filosofia  in  uni- 
versale. 

A  me  sembra  indubitato  ,  ch'a  narrare  le  vicende  d'una 
scienza  occorra  un  criterio  ,  e  che  tal  criterio  sia  lo  stesso  con- 
cetto della  scienza;  un  criterio  ,  perch'a  ogni  modo  bisogna  di- 
stinguere opinioni  da  opinioni ,  o  dottrine  da  dottrine  ,  o  le  dot- 
trine dalle  opinioni,  e  mostrar  poi  dov' esse  si  somiglino  fra 
loro,  differenze  e  somiglianze  che  non  appariscono  senza  un  con- 
fronto, né  si  confronta  senza  un  termine  di  paragone  ;  il  quale 
vien  posto  (né  d'altronde  può  venire)  dal  concetto  pieno  e  preciso 
della  scienza,  poiché  si  tratti  di  raccontar  ciò  che  ad  essa  si 
riferisce,  né,  davvero,  potrei  saperlo  riferire  se  non  sapessi 
quel  ch'ella  è  ;  come  non  saprei  dire,  questo  è  vestigio  di  piede 
umano  in  terra  se  dell'uomo  non  sapessi  niente.  Dico  verità 
trite ,  ma  necessarie.  Arguisco  da  ciò  ,  che  nessuna  storia  può 
scriversi,  non  che  quella  d'una  scienza  qualunque  ,  non  che 
questa  della  filosofia,  senza  giudicar  i  fatti,  o  fatti  di  vita 
speculativa ,  o  fatti  di  vita  pratica;  giacché,  volerò  no, 
que'  fatti  si  riscontrano  in  mente  con  un'  idea ,  e  li  diciamo 
conformi  o  disformi.  Ecco  il  perchè  la  successione  del  tempo, 
quantunque  sostanzialissima  ove  si  parli  di  fatti  che  accadono 
nel  tempo  ,  non  basta  menomamente  a  spiegare  i  fatti,  e  ca- 
dremmo nel  post  ergo  propter  hoc.  Ma  ecco  pure  un'altra  in- 
sufficienza ,  considerare  tutt'  i  fatti  speculativi ,  cioè  tutt'  i 
pensamenti  di  questo  e  di  quello,  com'un  sistema  particolare, 
con  determinato  nome  particolare  ;  quasiché  manchi  e  debba 
mancare  di  necessità  la   scienza  nel  suo  pieno  svolgimento  ; 

Auch.  St.  It.l.,  3."  Serie,  T.  X  ,  P.  II.  49 


146  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

e  ciò  proviene  da  non  raffrontare  opinioni  e  dottrine  con  la 
nozione  della  scienza.  Mi  pare ,  a  me  ,  cosa  evidente  :  se  da- 
vanti al  pensiero  mi  risplende  l'idea  d'una  disciplina,  ne'suoi 
vari  aspetti  e  rispetti ,  allora  io  potrò  dire:  il  tal  sistema  non 
abbraccia  tutti  gli  aspetti  e  rispetti  principali  di  quella ,  è  dun- 
que un'opinione  particolare,  che  o  dimezza  o  confonde  o  nega  ; 
oppure,  il  tal  sistema  risponde  al  disegno  ideale  ,  alla  forma 
genuina  e  al  contenuto  d'una  scienza ,  è  dunque  la  scienza  ,  è 
svolgimento  progressivo  di  essa  :  né  io  gli  darò  nomi  partico- 
lari,  ma  lo  chiamerò  Fisica,  Matematica,  Filosofìa,  senz'al- 
tro. Gli  Ecclettici  massimamente  han  dato  l'esempio  di  voler 
sempre  apporre  una  particolare  stampina,  un  certo  tal  qual 
nome,  a  ogni  dottrina  di  filosofi;  appunto  perchè  gli  Ecclettici 
non  miravano  all'  interiore  dispiegamento  della  filosofia  ,  sì 
all'esteriore  raccozzamene  de'sistemi.  E  la  conseguenza  ultima 
di  tutto  ciò  qual'  è?  Questa;  che  non  v'è  storia  d'una  scienza, 
bensì  cronache  di  certe  o  di  cert'altre  opinioni,  e  che  la  scienza 
non  v'  è ,  non  v'  è  la  Filosofia;  come  nessuno  mai  direbbe  : 
e'  è  la  Fisica  ,  se  altro  non  avessimo  fuorché  un  visibilio  di 
opinioni  scompigliate  ,  non  un  procedimento  di  osservazioni 
e  di  fatti  e  di  leggi  e  di  metodi  consentito. 

Or  mi  sembra,  che  il  prof.  Ferri  non  lasci  scorgere  qual 
criterio  lo  guida,  e  ch'egli  proceda  per  designazioni  partico- 
lari ,  necessariamente  difettose. 

Parlando  del  Rosmini  (Voi.  I,  pag.  126,  127),  nota  il 
Ferri,  come  nella  prefazione  al  Saggio  suW  Origine  delle  Idee 
il  Rosmini  dichiarasse,  voler  chiamare  gli  uomini  alla  osser- 
vazione di  ciò  ch'essi  hanno  in  loro  medesimi  e  di  ciò  eh'  e' 
sanno  naturalmente  ,  benché  non  abbian  l'abito  di  rifletterci 
su  (Ed.  5).  Il  Rosmini,  adunque,  ivi  e  in  altri  luoghi  dell'ope- 
re sue ,  dimostra ,  che  la  filosofia  trova  entro  l'uomo  la  sua 
materia ,  il  suo  contenuto ,  il  contenuto  della  coscienza ,  non 
soggettivamente  considerata  soltanto ,  ma  della  coscienza  in 
relazione  con  la  verità,  con  l'ordine  universale  della  verità; 
e  quindi  ,  per  lui,  la  Filosofia  non  iscopre  inai  cose  nuove, 
ma  discopre  con  ordine  riflesso  ciò  che  nell'  uomo  interiore 
sta  o  si  palesa  con  ordine  non  riflesso.  A  me  pare  ottima 
dottrina  questa,  indubitabile  anzi;  è  la  dottrina  di  Socrate, 
il  conosci  te  stesso ,    nell'universalità  del  pensiero  e  del  suo 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  147 

ripensamento  ,  è  la  coscienza  filosofica  in  equazione  con  la 
naturale  coscienza  ,  è  come  il  geografo  che  descrive  la  terra 
tal  qual  essa  è  nell'ordine  del  mondo  ;  la  mi  pare ,  pertanto  , 
dottrina  non  di  Socrate  solo  ,  ma  di  tutta  la  filosofìa  perenne. 
Quindi  abbiamo  quel  raffronto  che  si  desiderava  nella  storia; 
poiché,  quand'un  sistema  non  rende  compito  l'ordine  della 
coscienza ,  è  opinione  particolare ,  ma  quando  combaci  a 
quell'ordine  ,  allora  lo  chiamerò  filosofia  senz'altro  nome  ;  a 
quel  modo ,  che  una  mano  dicesi  mano ,  e  un  piede  dicesi 
piede,  ma  ritrarre  un  uomo  intero  dicesi  ritrarre  l'uomo: 
ed  ecco  il  perchè  la  Filosofia,  secondo  il  Rosmini  ,  correg- 
gendo gli  errori  che  vengono  da  riflessione  ,  conserva  tutto 
ciò  che  avvi  di  spontaneo  e  di  tradizionale  nel  senso  comune 
e  nel  genere  umano.  Ebbene,  il  Ferri  non  approva  ciò,  ed  escla- 
ma :  Ou  en  serait  la  philosopliie  moderne  dans  la  science 
de  la  nature ,  si  elle  ne  devait  faire  autre  cliose  que  déve- 
lopper  et  ordonner  les  idées  du  sens  communi  (Voi.  I, 
pag.  307);  imperocché  la  filosofia  debba  esser  la  sintesi  dell'al- 
tre scienze ,  né  fuori  del  progresso  loro  si  darebbe  progresso 
in  quella.  Maparmi  evidente,  che  non  il  Rosmini ,  com'opina 
ivi  l'autore,  sì  questi  sia  caduto  in  qualche  confusione;  giacché, 
per  fermo,  egli  non  abbisogna  gli  sia  insegnato  da  me  e  da 
nessuno  come  le  sintesi  supreme  della  Filosofia  si  facciano  in 
virtù  di  quelle  nozioni  universali  che  già  rifulgono  nella  mente 
d'ogni  uomo  e  che  sono  il  più  alto  soggetto  della  filosofia 
stessa;  ed  egli  sa  poi  che  queste  sintesi  han  per  oggetto  di 
rendere  riflessivamente  più  palese  nella  natura  quell'ordine 
universale  che  si  specchia  nella  coscienza  :  se  no  la  filosofia 
non  avrebbe  più  limiti  proprj ,  e  verrebbe  a  identificarsi  con 
l'altre  discipline  ;  sicché  non  a  torto  reputava  il  Rosmini , 
che  la  nostra  scienza  dispieghi  ciò  che  nella  naturale  coscien- 
za sta  involuto  ,  e  col  Rosmini  la  Scuola  Socratica ,  e  il  Pla- 
tonismo de'  Padri  e  de'Dottori ,  e  dal  Cartesio  in  poi  la  Filo- 
sofia moderna.  Indi  avviene  ,  che  al  Ferri  s'occulti  (sembra)  il 
criterio  per  ordinare  nello  svolgimento  storico  della  filosofia 
i  sistemi,  e  ch'egli  talora  titubi  e  sbagli  nel  designarli ,  ap- 
punto perchè  non  li  raffronta  col  vero  termine  di  raffronto, 
la  coscienza  naturale  dell'uomo. 


148  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

Un  Professore  valente  notò  nella  Nuova  Antologia  un 
alcun  che  di  sconnesso  nella  esposizione  del  Ferri  ;  ma  recava 
tal  difetto  ,  almeno  in  parte  ,  alla  natura  stessa  del  filosofare 
di  noi  Italiani  ;  giacché  ,  secondo  lui ,  dal  Kant  in  poi  ebbe 
l'Alemagna  un  intimo  e  graduato  dispiegarsi  della  scienza , 
per  un'essenziale  e  tutta  propria  ragione  sua,  dove  noi  ten- 
tenniamo fra  vecchie  tradizioni  e  facciam  sentire  ne'nostri 
sistemi  l'efficacia  di  cagioni  straniere  alla  filosofia  ed  al 
pensiero.  Io  per  me ,  invece ,  crederei  (senza  entrare  nel 
vigore  speculativo  di  questi  o  di  quelli)  che  in  Italia  compa- 
risca una  maggiore  intima  unità  di  filosofia ,  e  che  in  Ale- 
magna  comparisca  un  maggiore  intimo  contrasto;  e  la  cagione 
la  rinvengo  in  ciò ,  che  tra  noi  si  stette  più  alla  coscienza 
naturale  ,  ma  in  Alemagna  si  stette  più  a  quel  metodo  logi- 
cale (come  lo  Sthal  lo  chiama)  che  da  certi  concetti  astratti 
tira  giù  inflessibilmente  le  conseguenze ,  non  badando  alla 
realtà  :  ma  poiché  la  vita  reale  si  fa  sentire  a  ogni  filosofo , 
di  qui  le  fiere  contradizioni  di  sistemi  rigidamente  logici. 
Per  esempio ,  dal  Galluppi  al  Rosmini  al  Gioberti  al  Mamiani 
riscontro  veramente  una  graduata  e  perseverante  ricerca 
delle  ragioni  che  spieghin  1'  ordine  universale  del  mondo  e 
dell'uomo  con  Dio  ,  con  certe  soluzioni  particolari  bensì ,  ma 
senza  negar  nulla,  senza  separar  nulla,  senza  confonder 
nulla,  sì  affermando,  distinguendo  e  armonizzando;  mentrechè 
in  Germania  mi  par  vedere  chiarissimi  segni  d'  un  conflitto 
interiore  per  ciascun  filosofo  e  fra  i  discendenti  d'un  filosofo 
stesso.  Non  è  dunque  vero ,  che  tra  la  Ragion  pura  del  Kant 
eia  Ragion  Pratica  di  lui  v'ha  dissenso?  E  può  dimenticarsi 
l'enorme  divario  che  v'è  fra  la  teorica  della  Scienza  del 
Fichte ,  e  que'suoi  Bestini  del  genere  umano  dov' egli  cerca 
riposarsi  nella  Fede?  0  non  corre,  adunque,  nessuna  oppo- 
sizione tra  il  primo  panteismo  dello  Schelling  e  l'ultima  for- 
ma del  filosofare  suo ,  e  que'suoi  lamenti  dell'essere  stato 
franteso?  Né  avvi  punta  dissonanza  tra  le  continue  proteste 
di  rispetto  al  Cristianesimo  in  bocca  dell'  Hegel ,  e  quel  suo 
sì  brusco  negare  la  creazione  ?  Poi ,  non  ammettono  gli  stessi 
Alemanni  che  la  scuola  dell'  Hegel  si  distinse  in  una  destra 
e  in  una  sinistra  e  in  un  centro?  E  i  Positivisti ,  che  discen- 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  149 

dono  da  que'  Criticismi ,  si  contengono  essi  da  fierissime  in- 
giurie contro  r  Hegel  ?  Né  gli  oppositori  difettano  là  :  e  quel 
bravo  professore ,  eh'  è  veramente  dotto ,  sa  meglio  di  me 
quanto  il  Lotze  si  dilontani  oggi  dall'  idealismo  germanico  > 
e  da'  positivisti ,  il  Lotze  tanto  stimato  anche  là,  e  filosofo 
e  medico  e  fisico  di  molta  eccellenza;  o  come  se  n'allonta- 
nasse lo  Stahl ,  e  altri  ancora.  Parmi  adunque  ,  che  il  professor 
Ferri ,  se  mancamento  ha  di  connessione ,  il  quale  io  non 
n^go ,  gli  venga,  non  da  sconnessione  intima  del  filosofare  in 
Italia,  sì  da  trascurare  il  raffronto  con  la  naturale  coscienza; 
ond'egli  poi  dà  nomi  particolari  a  ogni  filosofia  o  dottrina, 
e  che  non  rispondono  parmi  alla  verità ,  e  non  senza  incer- 
tezze anche  per  esso. 

Così ,  al  termine  della  Storia  il  Ferri  poneva  una  Biblio- 
grafia importante,  molto  accurata,  benché  non  sempre  com- 
pita, pur  quasi  sempre,  a  ogni  modo  bella  e  utilissima.  Egli, 
adunque ,  ivi  distingue  in  sette  ordini  gli  scritti  de'  Filosofi 
d'Italia  moderni;  1.  filosofìa  de' sensi  ;  2.  filosofia  dell'espe- 
rienza e  filosofia  critica;  3.  ecclettismo;  4.  idealismo  e  onto- 
logismo; 5.  eghelianismo;  6.  scetticismo  critico;  7.  scuola 
teologica  e  scolastica.  Or  lasciando  di  scrupoleggiare  sull'esat- 
tezza di  questi  spartimenti  e  in  genere  e  in  ispecie  ,  vuoisi 
solamente  avvertire  che  nell'ordine  4.°  (idealismo  e  ontologi- 
smo) egli  viene  a  porre  tre  distinzioni  con  due  note  a  pie  di 
pagina;  per  l'una  distingue  coloro  che  più  o  meno  diretta- 
mente appartengono  alla  scuola  del  Rosmini  ;  per  l'altra , 
coloro  che  appartengono  direttamente  all'ontologismo  del  Gio- 
berti, e  coloro  che  seguono  un  dommatismo  ontologico  piìi  in- 
dipendente. Così  è;  ma,  invece,  il  v  libro  dell'opera  viene  in- 
titolato così  :  Ultima  filosofia  del  Gioberti  ,  Egheliani  , 
Scettici  ,  Scolastici  ;  dove  poi  si  ritrovano  certuni  che  nella 
Bibliografia  prendono  il  posto  d'Ontologi  più  o  meno  indipen- 
denti,  né  possono  adunque  stare  sott' alcuno  di  que' nomi.  Che 
vuol  egli  dire  ciò  se  non  perplessità?  Un  altro  esempio,  né  scelto 
a  caso,  ma  che  riguarda  gran  parte  dell'opera.  Il  Ferri  discorre 
dell' 'idealismo  italiano,  e  intende,  conia  debita  differenza,  il 
sistema  del  Rosmini  e  del  Gioberti  e  del  Mamiani.  Come 
mai?  dunque  idealista  il  Gioberti,  dunque  il  Mamiani,  dunque 
il  Rosmini,  al  modo  del  Berckeley,o  in  quel  torno?  Dunque 


150  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

proprio  è  vero  ciò  che  il  Cousin  scriveva  :  la  filosofìa  sempre 
altalenarsi  fra  idealismo  e  sensismo,  fra  scetticismo  e  mi- 
sticismo? No,  risponde  il  Ferri;  l'idealismo  del  Rosmini 
non  è  quello  che  la  critica  intende,  un  concetto  soggettivo, 
ma  idealismo  platonico  (Voi.  I,  pag.  123).  E  più  oltre  (pa- 
gine 126):  è  dunque  il  metodo  dell'idealismo;  ma  d'un  idea- 
lismo temperato  dallo  studio  del  reale  ;  però  il  suo  sistema 
non  potrà  essere  idealismo  assoluto,  ma  una  sintesi  o  armo- 
nia dell'idealismo  e  del  realismo.  Sicché,  coni' il  Ferri  lo 
chiamava  idealismo,  potrei  chiamarlo  io  realismo,  aggiun- 
gendo bensì,  un  realismo  temperato  d'idealismo.  E  che  signi- 
fica ciò?  Significa,  credo,  chela  filosofia,  quando  non  esclude 
ciò  che  l'ordine  della  ragione  e  della  realtà  contiene  ,  non 
può  ricevere  nome  di  questa  o  di  quella  cosa,  perdio  le  ha 
in  sé  tutte.  Un  ultimo  esempio  :  il  Ferri  discorre  di  scuola 
teologica ,  e  in  tal  modo  la  determina  «  fra  la  sommissione 
della  ragione  alla  fede  e  la  loro  armonia  ci  è  tutta  la  di- 
stanza che  corre  tra  la  scuola  teologica  e  ciò  che  professano 
lo  Spiritualismo  e  V Idealismo  nelle  lor  forme  diverse  ».  Di 
ciò  il  Ferri  discorre  ,  trattando  del  Rosmini  che  premetteva 
per  condizione  della  filosofìa  la  libertà  di  filosofare.  (Voi.  I, 
pag.  85).  Va  bene  ;  quanto  a  me  l'armonia  tra  la  ragione  e 
la  fede  vai  quanto  armonia  tra  verità  e  verità,  e  in  tal  senso 
è  ragionevole  la  sommissione  coni' un  accedo  ,  la  sommissio- 
ne a  ciò  che  non  s' intende,  appunto  perchè  ciò  che  intendo  mi 
mostra  la  verità  del  soprintelligibile;  né  quindi  mi  par  pre- 
ciso quel  divario  die  ivi  è  posto  dal  Ferri.  E,  di  fatto:  libertà 
di  filosofare  significa  pel  Rosmini ,  come  per  ogni  filosofo  de- 
gno di  tal  nome,  che  la  filosofìa  procede  con  metodi  razio- 
nali da  principi  di  ragione,  non  da  principi  d'autorità,  e 
con  esegesi  d'autorità.  Or  quando  il  Ferri  aggiunge  che  quel- 
l'armonia è  voluta  da  ogni  spiritualista  e  idealista,  egli  (par- 
mi)  confonde  disparatissime  condizioni  d'  uomini  e  di  dottrine: 
perchè ,  io  domando,  il  Rosmini,  entro  i  confini  delle  verità 
intelligibili,  reputava  egli  possibile  il  disaccordo  tra  filosofìa  e 
cristianesimo?  Il  Ferri  sa  che  no.  Il  Rosmini,  dunque,  già 
ritiene  quest'  accordo  come  un  postulato  ;  un  postulato  della 
sua  ragione  e  del  suo  cuore.  Ma  il  Cousin,  o  Giulio  Simon, 
o   il  Saisset,  reputavano  essi,    a   un    modo,   tale   armonia 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  151 

necessaria;  talché  la  Fede ,  rimanendo  Fede,  e  la  Filosofia, 
rimanendo  filosofìa,  non  potessero  mai  contraddirsi  fra  loro  ? 
Ecco  il  punto.  Per  certuni ,  come  pel  Rosmini  e  pel  Gioberti 
(nella  Introduzione  ad  esempio)  e  per  la  Filosofia  Cristiana 
in  universale,  quell'armonia  è  necessaria,  giacché  la  natura 
umana  è  ragionevole  ,  sociale  e  religiosa,  e  vediamo  nella 
coscienza  queste  relazioni  ;  per  altri ,  non  altro  v'  è  fuorché 
ragionamento  individuale,  sempre  sicuro  di  sé  stesso,  e  che 
non  guardasi  attorno,  e  che  non  riscontra  sé  nelle  tradizioni 
universali.  Or  non  avvi  qui  sostanzialissima  differenza  ?  Pe- 
rò ,  né  avvi  differenza  non  meno  sostanziale  con  quelli,  che 
dicono  :  la  ragione  ha  un  solo  criterio  di  verità,  la  parola 
sacra ,  e  che  si  dicono  tradizionalisti  ?  Va  dunque  incerto  il 
Ferri,  a  parer  mio,  per  la  mancanza  d'un  criterio  comprensivo. 

Del  rimanente,  altro  è  la  parzialità,  che  appunto  vien  esclusa 
da  tal  criterio;  se  no  ,  poiché  un'opinione  propria  tutti  si  ha, 
questa  viene  a  scappar  fuori,  e  implicitamente  fa  da  criterio  lei. 
Però  il  Ferri ,  che  per  animo  buono  e  gentile  s'astiene  con 
ogni  premura  da  giudicar  i  sistemi ,  temendo  arrecarvi  del 
proprio,  si  lascia  poi  andare  a  giudizi  austeri  molto  e  a  pa- 
role acerbe;  come  allora  che  nella  Prefazione  discorre  del 
Gioberti,  e  quando  del  Rosmini  dice  che  in  certe  sue  opinioni 
egli  ha  del  capzioso  e  del  sofistico  (Voi.  1 ,  216  )  :  oppure , 
per  contraggenio  a  certe  scuole  e  per  affetto  ad  altre  ,  rav- 
vicina o  separa  certe  dottrine  fra  loro ,  come  per  allontanare 
al  possibile  il  Rosmini  dalla  Scuola  Teologica  non  bene  defi- 
nita, dice  che  quegli  si  congiunge  al  Tamburini  e  a  Scipione 
Ricci  nel  libro  delle  Cinque  Piaghe,  dov'ognuno  sa  che  il 
Rosmini  vuole  la  libertà  della  Chiesa  e  i  Giansenisti  la  vo- 
levano sommessa  (Voi.  I,  104). 

Queste  cose  ho  avvertite ,  perchè  mi  pareva  utile  non 
tacerle  ;  ma  termino  volentieri  e  doverosamente  com'ho  prin- 
cipiato :  l'opera  del  Prof.  Ferri  è  quale  il  titolo  proniette. 

A.  Conti. 


152  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

Lettere  di  Bartolommeo  Cavalcanti ,  tratte  dagli  originali,  che 
sì  conservano  nell'Archivio  governativo  di  Parma.  Bo- 
logna ,  presso  Gaetano  Romagnoli ,  1869. 

Queste  lettere ,  in  numero  di  novantacinque ,  sono  un 
nuovo  dono ,  che  l' illustre  cav.  Amadio  Rondimi  aggiugne 
ai  molti ,  coi  quali ,  massime  in  riguardo  alle  cose  di  Parma , 
egli  va  da  più  anni  vantaggiando  la  serie  dei  documenti 
inediti  di  storia  patria.  A  presentare  acconciamente  e  con 
utilità  le  medesime  lettere ,  il  benemerito  Editore  si  fa  strada 
mercè  una  Prefazione ,  che  tratta  della  vita  del  Cavalcanti  : 
alla  breve  ,  per  tutto  che  può  esser  noto;  con  più  larghezza, 
in  ciò  che  sguarda  il  carteggio  posto  a  luce ,  sull'  importanza 
del  quale,  tacendo  della  ragion  letteraria  (manifesta  nel  nome 
dell'Autore) ,  ci  proponiamo  discorrere  alquanto. 

Fuoruscito  da  Firenze,  cui  la  morte  del  turpe  Alessandro 
non  avea  francata  dalla  signoria  medicea ,  il  Cavalcanti  era 
più  presto  avverso  a  quella,  che  uomo  di  sensi  repubblicani; 
perocché  acconciavasi  a' servigi  d'Ottavio  Farnese,  che,  rispetto 
alla  ducèa  di  Parma ,  sosteneva  una  parte  non  dissimile  da 
quella  di  Cosimo  in  Toscana.  E  ,  come  fra  Pier  Luigi  ed  Ales- 
sandro suddetto  può  farsi  parallelo  per  la  vita  dirotta  e  pel 
tragico  fine  ,  così  fra  i  due  rispettivi  lor  successori,  pel  corag- 
gio ,  l'astuzia  e  la  perseveranza  con  cui  riuscirono  a  ricu- 
perar lo  Stato  ed  assodarvisi.  Mentre  il  Medici,  aggrappatosi 
al  favor  di  Cesare ,  si  potea  dir  sicuro ,  il  Farnese  si  pun- 
tellava al  patrocinio  di  Francia.  L'osteggiavano  le  pretensioni 
e  l'armi  imperiali;  l'impedivano  i  timori  dell'avo  Paolo  III 
pontefice ,  che  dubitando  non  si  privassero  ,  alla  morte  sua , 
del  principato  i  discendenti ,  volea  ridurre  Parma ,  conforme 
le  antiche  ragioni  ,  in  poter  della  Chiesa ,  più  difficile  a  spo- 
destarsi :  il  nipote  avrebbe  invece  riavuto  Camerino.  Ricu- 
sava quegli  d'accomodarsi  ad  un  cambio  di  tanto  scapito  ;  e 
dalle  lettere  del  Cavalcanti  (1)  abbiamo  particolari  della  fal- 


(1)  Innanzi  di  entrare  nell'argomento  degl'interessi  d'Ottavio,  leggesi  una 
lettera  (la  prima  di  quelle  dal  Honchini  pubblicate),  della  quale  amiamo  dar 
notizia.  Essa  dà  conto  dell'eredità  dal  Cardinal   di  Ravenna  ,  Benedetto  Accolti 


RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA  153 

lita  mission  di  lui  e  degl'  inefficaci  tentativi  del  Cardinal 
Del  Monte  di  smuovere  il  giovane  Principe  dalsuo  proposito  (1). 
A  tanta  fermezza,  ed  alla  minaccia  del  nipote  di  mutar  ban- 
diera e  volgersi  all'  Imperatore  ,  suocero  suo ,  dovè  cedere  il 
Papa  (  benché  ne  infermasse  a  morte),  e  consentire  lo  spaccio 
d'un  Breve,  che  al  castellano  di  Parma,  Camillo  Orsini, 
ingiungeva  di  consegnare  ad  Ottavio  la  cittadella.  In  questo 
mezzo  il  Papa  stesso  finì  ottuagenario  sua  mortale  carriera, 
e  quell'Orsini ,  che  avea  ricusato  obbedire ,  non  parendogli 
possibile  si  fosse  mutato  sentenza  da  Paolo  ,  rinnovò  ostina- 
tamente il  niego ,  dichiarando  voler  aspettare  la  elezione  del 
nuovo  gerarca.  Fu  questi  il  mentovato  Cardinal  Del  Monte , 
che  assunse  il  nome  di  Giulio  III  :  ma ,  sebbene  si  mostrasse 
propenso  ad  Ottavio ,  gli  ostacoli  e  le  nimicizie  contro  di  lui , 
pur  sempre  irremovibile,  non  discontinuarono.  Suscitossi  guer- 
ra ;  alternaronsi  ambascierie  a  scopo  di  conciliazione  ;  il  Re 
di  Francia  seguì  a  francheggiar  il  Farnese ,  e  finalmente 
spuntò  giorno  di  pace  ;  la  quale  fu  solennemente  stipulata 
nel  1552  a'29  aprile.  Della  parte  d'uom  prode  e  di  assennato 
consigliere  ,  sostenuta  dal  Cavalcanti  in  quelle  gravi  contin- 
genze ,  le  lettere  son  documento;  è  dimostrazion  chiarissima 
la  Prefazione;  onde  si  fa  eziandio  palese  il  modo  con  cui 
Ottavio ,  malgrado  la  sciagurata  morte  del  padre  ,  seppe  rian- 
nodarsi le  fila  della  possanza  e  del  credito,  e  raffermare  la 
propria  dinastia,  che  durò  due  secoli  sul  trono  (2). 

Il  Cavalcanti  adunque,  divenuto  vie  più  caro  a' Farnesi, 
passò  con  lor  beneplacito,  e  non  senza  utilità  loro,  a  Siena, 
dov' erasi  riacceso  quell'amore  di  libertà,  che  pochi  anni  in- 
nanzi rimanea  soffocato  a  Firenze.  Nella   incessante  rivalità 

fiorentino,  lasciata  a  Cosimo  Duca-  Consisteva  in  5000  scudi  sonanti  rinvenuti  nello 
scrigno  del  Prelato,  in  un  valsente  di  4000  fra  argenti  e  masserizie;  in  altret- 
tanti di  crediti;  in  47mila  dati,  in  varia  proporzione,  a  Don  Ferrante,  a  Don 
Diego  ,  a  Cosimo  stesso ,  all'  Imperatore;  20mila  n'erano  presso  quest'ultimo ,  e 
buon  per  lui  che  il  Cardinale  ,  presentatagli  una  polizza  ,  verso  la  quale  sol- 
tanto dovea  restituirsi  la  somma,  morisse  cercando  invano  di  raccogliere  la 
forza  per  soscrivere.  Cosimo  raccomandavasi  al  Cardinal  Farnese  per  ottener 
da  Koma  permissione  d'accettare  l'eredità  ,  della  quale  proponea  far  uso  in 
beneficenze  agli  spedali  ed  in  largizioni  ai  domestici  del  Prelato. 

(1)  Lett.  II  e  III,  pag.  9    a  10,  e  Prefazione  del  Ronchini- 

(2)  Lett.  da  pag.  12  a  26  ,  e  Prefaz.  da  xx  a  xxvu. 

Arch.  St.  Itvl.,  3.s  Serie,  T.  X ,  P.  U.  20 


154  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

fra  la  Corona  di  Francia  e  la  cesarea,  il  sostegno  dato  da 
quella  ad  un  popolo  discioltosi  risolutamente  da'  ceppi  spa- 
gnuoli ,  fece  che  per  quasi  tre  anni  la  poca,  ma  intrepida 
Repubblica  senese  tenesse  fronte  all'  impero.  In  quel  tempo 
Bartolommeo  ebbe  non  interrotta  dimora  nell'eroica  città,  ove 
era  stato  chiamato  col  Cardinal  D'Este  luogotenente  di  re 
Arrigo ,  e  d'onde  tenea  informato  duca  Ottavio  de'  varii  casi 
d'una  guerra  di  tanto  momento  a' maggiori  ed  ai  minori  po- 
tentati. Relativamente  alla  quale,  sebben  celebre,  non  disdice 
porgere  notizia  di  ciò  che  narra  il  Cavalcanti. 

Erasi  egli  tramutato  da  Parma  a  Siena  sul  cader  d'ottobre 
del  1552  ;  cionullameno  le  sue  lettere  non  recano  particolari 
che  intorno  fatti  dell'anno  seguente  ;  entro  il  quale ,  dando 
fede  per  avventura  a  voci  corse,  pareagli  che  le  cose  fossero 
al  termine  ;  ma  tosto  dopo  dichiarava  come  la  somma  d'uno 
spaccio  di  fresco  giunto  dalla  Francia  (1)  affermasse  ,  per  detto 
d'Arrigo  II ,  che  accordo  non  sarebbe  seguito.  In  vero  quel 
monarca  potea  confidare  nel  buon  esito  d'un'  impresa  che  aveva 
per  duce  un  Piero  Strozzi,  agguerrito  e  dentro  e  fuori  con 
buon  numero  di  soldati;  provveduto  di  quanto  fa  di  mestieri 
a  difesa  ed  offesa  ;  obbietto  d' infinita  satisfazione  alla  città  (2). 

Né  poca  era  la  faccenda  del  Cavalcanti ,  che  scriveva  a 
Domenico  Dall'Orsa ,  un  de'segretarii  del  Duca  Ottavio  ,  non 
essére  stato  mai  «  tanto  oppresso  et  tanto  degno  di  compas- 
sione »  quanto  allora,  essendosi  aggiunto  all'altre  sue  fatiche, 
non  solo  l'aver  a  ordinare ,  ma  a  metter  mano  in  tutte  le 
scritture.  Sì  nobile  ufficio  ebb'egli  ne'  gloriosi  accadimenti  di 
Siena ,  ove  procedeasi  con  tanta  sicurtà  degli  animi  e  saldezza 
de'munimenti ,  che ,  per  una  parte  si  disfidava  il  poderosissimo 
nimico;  per  altra  parte  se  ne  rendeano  vani  gli  assalti,  sic- 
come allora  che  fu  d'uopo  di  millecinquecento  colpi  d'artiglie- 
ria, per  atterrare,  senza  prò,  un'antica  torre.  Ma  ben  dice 
la  nota  sentenza  del  Petrarca ,  rare  volte  addivenire  che  ad 
alte  imprese  non  contrastino  le  ingiurie  di  fortuna  ;  ed  a 
Siena  cominciò  a  non  essere  concordia  fra'  capi  ;  perciocché 
il  Prelato  da  Este  rifiutavasi  di  riconoscere  nello  Strozzi  qua- 


li) Lett.  XIX  e  XX  ,  pag.  46  e  47. 
(2)  Lett.  XXV  ,  pag.  62. 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  155 

lità  di  capitano  generale  della  Maestà  francese.  S' interponeva 
il  Cavalcanti,  con  buona  speranza  di  rappattumare  i  due 
personaggi;  nondimeno,  qual  che  si  fosse  l'esito  delle  sue 
pratiche,  non  tardò  il  Cardinale  ad  abbandonarla  città,  ove 
era  tanto  in  disgrado  ,  quanto  Piero  in  favore.  Né  per  questo 
cessarono  cagioni  di  gare  ;  ed  è  notabilissima  la  corrispon- 
denza col  Duca  Ottavio  che  addimostra  lui ,  per  devozion  co- 
stante alla  casa  di  Francia,  essere  in  trattato,  se  non  in 
pronto,  di  capitanar  personalmente  quante  avesse  potuto  con- 
durre soldatesche  da  Parma  all'oste  senese.  Suo  disegno  era 
il  divergere  con  una  mossa  su  Firenze  l'esercito  nemico  : 
pensiero  dello  Strozzi  che  le  forze  alleate  si  unissero.  Ottavio 
avrebbe  avuto  bensì  titolo  di  Generale  ,  ma  di  fatto  il  comando 
sarebbe  rimasto  all'altro  ;  e  addatosene  il  Farnese  ,  non  tenne 
convenevole  a  sua  dignità  l'accettare  un  grado  secondo.  Però, 
quantunque  lo  Strozzi  si  dichiarasse  d'animo  disposto  a  ciò 
che  meglio  tornar  potesse  in  piacere  del  Duca  (1),  nulla  si 
avverò  del  divisato.  Due  mesi  dopo ,  avvenne  la  rotta  di 
Marciano  ,  che  volse  in  nulla  gli  effetti  delle  precedenti  vit- 
torie ,  e  preparò  la  compiuta  rovina  delle  speranze  e  della 
libertà  di  Siena  (2).  L'ardito  Piero,  con  quella  risolutezza  che 
i  magnanimi  sanno  trovare  ne'  più  sciagurati  rovesci ,  ancor 
badava  a  far  gente  ,  e  prolungar  la  vita  della  città  :  ma  il 
Cavalcanti  prevedeva  non  fosse  per  riuscire  sforzo  alcuno  ; 
affermava  unico  scampo  essere  un  accordo,  se  non  voleansi 
precipitare  al  fondo  la  fortuna  e  la  grandezza  del  redi  Fran- 
cia in  Italia  (3).  Ed  ogni  resistenza  ,  ed  i  perdurati  patimenti 
dovettero  finir  con  la  resa,  che  patteggiossi nell'aprile  del  1555. 
Dopo  la  caduta  di  Siena,  Bartolommeo riparò  in  Roma,  ed 
ivi  ebbe  cagione  di  adoperar  nuovamente  pel  Farnese  e  pel 
Re  di  Francia,  quando,  assunto  al  pontificato  il  cardinal 
Caraffa  (Paolo  IV)  questi  accennava  a  rompere  grossa  guerra 
contro  Filippo  II  ;  nel  che  intendeva  ad  assecondarlo  il  duca 
Ottavio.  Degli  andirivieni  politici  nella  corte  di  Roma  ;  delle 
persone  che  circuivano  il  Papa;  degl'impeti,  avvicendati  con 


(1)  Lett.  XXXI,  pag.  81-83. 

(2)  Agosto  1554,  Lett   XXXV,  p.  91, 

(3)  Lett.  XXXVI,  p.  93. 


156  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

le  irresolutezze  ;  del  darsi  spasso  mentre  una  grave  impresa 
era  meditata  ,  leggonsi  nel  carteggio  notizie  ,  che  offrono  un 
quadro  fedele  de'tempi  in  cui  tutto  volgeva  a  scadimento  ,  e 
chiudono  la  parte  di  più  generale  importanza  contenuta  nel 
carteggio  medesimo.  Esso  cionullameno  può  additarsi  ezian- 
dio ne'  rispetti  che  ragguardano  il  particolare  del  Cavalcanti, 
e  stimiamo  opportuno  il  considerarli  brevemente. 

Era  egli,  come  a'  suoi  tempi  il  più  de' letterati  di  grado, 
quel  che  sono  i  diplomatici  oggidì  ;  e  ,  quantunque  il  Machia- 
velli avesse  già  divulgato  sue  dottrine  ,  non  vedi  uscire  il 
confidente  d' Ottavio  in  subdoli  consigli  al  principe  :  raffi- 
guri invece  l'uomo  che  studia  il  diffìcile  accoppiamento  della 
avvedutezza  e  dell'onestà.  «  Perseveri  (  scriveva  da  Roma  al 
Farnese  allorché  trattavasi  di  assegnargli  Camerino  in  cambio 
di  Parma) ,  perseveri  con  fortezza  d'animo,  e  tenga  per  certo 
che  l'ambiguità  è  la  più  dannosa  via  eh'  ella  possa  piglia- 
re »  (1).  Ed  in  altra  lettera  :  «  Quando  pur  o  la  fortuna  od 
«  altra  cagione  riduce  i  principi  a  tal  necessità  ,  mi  par  che 
«  quegli  che  son  prudenti  e  valorosi....  debban  trarre  di  simili 
«  incomodi  questo  frutto  ,  che  è  l'usargli  per  occasione  di  di- 
«  mostrar  la  prudenza  e  '1  valor  loro  »  (2).  Né  si  appigliava 
a  procaccianti  sollecitudini  per  trovar  grazia;  e  non  iscriveva 
se  non  per  cagioni  che  ne  francassero  il  prezzo.  Di  sua  par- 
simonia epistolare  giustifìcavasi  appo  il  Duca  nella  forma  se- 
guente :  «  Si  accerti...  eh'  ella  ha  da  me  sempre  la  mera  et 
«  pura  verità  ;  et  non  si  meravigli  se  io  non  le  scrivo  a  ogni 
«  ora ,  come  so  che  desidera  chi  aspetta  qualche  risolutione, 
«  perchè  questo  modo  di  negotiar  di  qua  non  lo  patisce  ;  et , 
«  se  io  non  fo  iuditio  di  queste  cose ,  lo  fo  per  errar  meno , 
«  conoscendo  che  delle  cose  irregulari  non  si  può  dar  regola 
«  né  iuditio  fermo  »  (3). 

Eppure  ben  poco  la  fortuna  corrispose  ai  meriti  del  Ca- 
valcanti ,  cui  la  persecuzion  medicea  tormentò  con  la  confi- 
scazione  degli  averi,  con  la  prigionia  del  figlio  ,  con  le  insidie 
alla  vita.  Perdi'  egli  scriveva  da  Roma  al  Duca  di  Parma  non 


(1)  Lett.  VI,  pag.  HS\e  49. 

(2)  Lett.  VII ,  pag.  49  e  22. 

(3)  Lett.  XLV,  p.  114  e  seguenti. 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  157 

saper  quasi  più  che  fare  ,  se  non  raccomandarsi  a  Dio ,  e  na- 
vigar per  perduto  (1).  Ad  aggravargli  le  angustie  si  aggiunse 
la  morte  del  secondo  Arrigo  ,  e  gli   chiuse  speranza  di    aver 
provvedimento   dalla    corona    di    Francia,  la   cui  parte    non 
aveva  disertato  mai  ;  gli  venivano  sottili  i  soccorsi  farnesi  ani  ; 
cessavano  al  tutto  allorché  Ottavio  con  un'azienda  risparmiera 
cercava  rifarsi  degli  spendii  sostenuti  al  tempo  della  contra- 
statagli signoria,  ed  il  misero  Cavalcanti  dopo,    avversità  sì 
grandi  ,  traea  desolati  i  giorni,  ch'ei  chiamava  di  vecchiezza, 
e  che  in  più  felici  condizioni  avrebbero  ancora  potuto  essere 
di  virilità  rigogliosa  (2).  Qualche  sussidio  gli  veniva  dal  car- 
dinal Farnese;  dal  Duca,  nulla.  Ma  non  è  raro  che  i  potenti 
mettano  in  oblio  i  loro  fidi,  quasi  abito  che  si  gitta,  poiché 
cessò  l'opportunità  di    usarne;  e    dimenticati  più    facilmente 
sono  i  più  buoni,  da'qualinon  si  teme  astiosità ,  né  vendetta. 
Nell'argomento  nostro  abbiamo    dall'Epistolario  che,   sebbene 
le  paghe  d'altri  attinenti  al  Duca  di  Parma  fossero  state  rido- 
nate ,  tuttor  languiva  nel  bisogno  il  prestante  ministro   che , 
sì  ne'publici  e  sì  ne'privati  negozi ,  avea  consacrato  gran  parte 
della  vita  in  servigio  di  quel  Principe.  Il  che  si  trae  dall'ul- 
tima delle  lettere  or  date  a  luce  ;  la  quale  il  Cavalcanti  scrivea 
da  Padova  l'anno  precedente  quello  in  cui  morì  fra  le    ama- 
rezze dell'esigilo  ,  lasciando  memoria  dell'  ingegno  negli  scritti, 
della  virtù  nelle  sventure.  Pietro  Martini. 


Storia  documentata  della  Diplomazia  Europea  in  Italia , 
dall'anno  1814  all'anno  1861,  per  Nicomede  Bianchi. 
Voi.  V. 

Dopo  la  pubblicazione  del  nostro  ragguaglio  di  questo  im- 
portantissimo lavoro  dell'illustre  Nicomede  Bianchi,  due  nuo- 
vi volumi  v'aggiunse  l'autore,  il  quinto  e  il  sesto,  compren- 
denti il  grande  periodo  che  corre  dal  1846  al  1850.  E  noi , 
seguendo  il  metodo  che  usammo  nella  relazione  dei  tomi 
precedenti,  diremo  anche  di  questi,  stando  il  più  possibile 
dentro  i  limiti  di  un  articolo  bibliografico. 

(1)  Lett.  LXI,  p.  102-104. 

(2)  Lett.  XIII ,  p.  225"e  226. 


158  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

Prendiamo  le  mosse  dai  documenti  aggiunti  al  volume 
quinto,  che  costituiscono  il  fonte  principale  da  cui  il  Bianchi 
cavò  la  sua  storia.  I  documenti  raccolti  in  questo  volume 
sono  settantadue  ,  distribuiti  dall'Autore  in  quarantotto  cate- 
gorie. Ne  menzioneremo  alcune  fra  le  più  importanti.  -  La  ca- 
tegoria I  contiene  una  lettera  del  Mettermeli  al  conte  Appony, 
ambasciatore  imperiale  a  Parigi ,  in  data'  del  27  febbraio  1846. 
In  essa  il  ministro  austriaco  ,  presentendo  la  crisi  che  stava 
per  colpire  i  governi  europei,  cerca  di  rassicurarsi  l'appog- 
gio del  governo  di  Francia ,  particolarmente  nella  quistione 
ardente  della  emigrazione  polacca.  -  Nella  V  contengonsi  tre 
dispacci  del  marchese  Ricci,  ambasciatore  sardo  a  Vienna,  al 
conte  Solaro  della  Margherita,  ministro  degli  affari  esteri  a 
Torino ,  in  data  del  26  febbraio.  In  questi  dispacci,  di  natura 
confidenziale,  il  Ricci  espone  al  ministro  le  gravi  preoccupa- 
zioni cagionate  al  Mettermeli  dalla  politica  onde  Pio  IX  inau- 
gurava il  suo  pontificato,  e  gli  accenna  i  mezzi  di  che  il 
principe  intendeva  giovarsi  per  paralizzarne  gli  effetti.  Fra  i 
quali  mezzi  stavano  in  prima  linea  le  pratiche  per  ottenere 
il  concorso  morale  del  governo  francese  nelle  cose  d' Italia  : 
«  En  lui  démontrant'  que  tonte  complication  nouvelle  ,  qui 
pourrait  surgir  dans  la  péninsule  italique,  deviendrait  un 
grave  embarras  pour  la  France ,  dans  sa  situation  actuelle 
vis  a  vis  du  gouvernement  anglais;  et  pour  prix  de  son  aclhé- 
sion  à  ses  vues  politiques,  il  lui  a  promis  d'interposer  ses  bons 
offices  auprès  de  l'Angleterre  pour  opérer  entre  les  deux  ca- 
binets  un  rapprochement  ».  -  Nella  VII  troviamo  quattro  di- 
spacci del  conte  Revel  ambasciatore  sardo  a  Londra  al  conte 
Solaro  della  Margherita,  in  data  del  3  e  del  14  settem- 
bre 1847.  In  essi  il  ministro  sardo  dà  contezza  al  proprio  go- 
verno delle  vedute  del  governo  britannico  sulle  cose  italia- 
ne, interamente  disformi  da  quelle  del  governo  austriaco.  Anzi 
lo  rassicura  che  ,  nel  caso  che  l'Austria  minacciasse  la  indi- 
pendenza di  uno  degli  Stati  d' Italia  ,  e  particolarmente  del 
Piemonte ,  l' Inghilterra  manderebbe  la  propria  flotta  del  Me- 
diterraneo su  Venezia  e  Trieste  per  costringerla  a  desistere 
da  un  cosi  insano  disegno. 

Notevole  è  pure  la  categoria  IX ,  che  ci  presenta  due  di- 
spacci del  barone  Bettino  Ricasoli  (  19  e  21  nov.  1847) ,  in- 
viato in  missione  straordinaria  presso  il  re  Carlo  Alberto  per 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  159 

definire  la  vertenza  della  Lunigiana ,  al  ministro  toscano 
conte  Serristori.  Qui  il  barone ,  toccando  dei  trambusti  d' Ita- 
lia, dice  francamente  doversi  compromettere  il  re  di  Piemonte 
nella  politica  italiana  a  fine  di  costringerlo  ad  abbandonare 
le  trepidazioni  che  il  popolare  movimento  ornai  iniziato  pro- 
duce nell'animo  suo.  -  Di  particolare  importanza  è  la  catego- 
ria IX  contenente  un  dispaccio  del  Mettermeli  al  conte 
Lutzow,  ambasciatore  austriaco  in  Roma  (2  gennaio  1848). 
Cogliendo  occasione  dall'entrata  nell'anno  nuovo  il  cancelliere 
imperiale  espone  le  impressioni  che  destarono  in  lui  gli  av- 
venimenti d'Europa,  e  sopra  tutto  d'Italia,  seguiti  negli 
ultimi  anni.  Da  questa  esposizione  chiaro  apparisce  il  disegno 
del  ministro  austriaco  per  contenere  i  moti  popolari  che  si 
andavano  allargando  e  organizzando  in  Europa.  Ed  era  di 
isolare  il  partito  dei  radicali  o  dei  neri  com'egli  appella  i 
novatori  togliendo  loro  l'appoggio  dei  liberali  o  bigi  collo  spau- 
racchio del  socialismo.  Rispetto  a  Roma  egli  avea  poi  un 
rimedio  di  efficacia  più  certa,  ed  era  di  confondere  insieme 
la  questione  politica  e  religiosa ,  dimostrando  come  le  riforme 
politiche  avrebbero  per  inesorabile  conseguenza  trascinato 
dietro  a  sé  riforme  in  materia  di  religione.  «  La  revolution 
dans  les  États  romains  ,  scrivea  il  Mettermeli ,  s'avance  sous 
la  bannière  de  la  réforme  dans  1'  État  de  l'Èglise,  circonscrite 
et  maintenue  dans  les  limites  des  réglements  administratifs , 
ne  s'étendrait  pas  volontairement  ou  involontairement,  dans 
la  pensée  des  reformateurs ,  egalement  à  la  reforme  religieu- 
se  ».  -  Le  categorie  seguenti  contengono  nella  maggior 
parte  documenti  toscani  :  fra  esse  ne  piace  segnalare  la  ca- 
tegoria XXXII,  che  ci  presenta  una  lettera  confidenziale  di 
M.  Minghetti,  inviato  dal  ministero  romano  al  quartier  gene- 
rale di  Carlo  Alberto,  al  conte  Terenzio  Mamiani ,  presidente 
del  consiglio  dei  ministri  in  Roma.  Quell'uomo  di  stato ,  'che 
lo  spirito  fazioso  dell'età  presente  ha  fatto  segno  alle  più 
inique  contumelie  ,  scrivea  da  Peschiera  il  19  giugno  del  1848 
queste  sante  parole  :  «  Non  so  se  sappiate  lo  scoraggiamento 
di  Milano ,  e  le  molte  voci  che  invocano  i  Francesi.  Quanto 
a  me  non  posso  pensare  a  ciò  ,  senza  sentirmi  il  rossore  cor- 
rere al  volto  e  la  più  profonda  indignazione  svegliarsi  nel- 
l'animo ». 


160  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

Passando  dai  documenti  al  testo,  noteremo  anzitutto  che 
le  materie  contenute  nel  presente  volume  sono  distribuite 
dall'A.  in  cinque  capitoli.  E  di  ciascuno  di  essi  tesseremo 
breve  rassegna  sì  come  facemmo  coi  precedenti  volumi. 

Il  primo  capitolo  ci  conduce  a  Roma  alla  dimane  della  morte 
di   papa   Gregorio  XVI,  seguita,  come  ognun  sa,  il  1.°  giu- 
gno del  1846.  L'A.  ci  espone  anzitutto  le  pratiche  tenute  dai 
governi  cattolici ,  a  fine  di  ottenere  che  la  elezione  del  nuovo 
papa  riuscisse    propizia  ai  loro  particolari    interessi.  Un  an- 
nesso in  cifra  al  dispaccio  7  giugno  1846  di  Ramirez  ,  legato 
napoletano  a  Vienna,  lo  informa  come  il  Metternich ,  studioso 
d' impedire   «    che    il    concetto  vagheggiato  dai  partigiani  di 
libertà,  d'alzare  il  papato  al  patronato  dell'  Italia  indipenden- 
te »,  desse  all'ambasciatore    imperiale   in    Roma  e  al  cardi- 
nale   Gaysruck ,   deputato   a  invigilare  nel  conclave  gì'  inte- 
ressi austriaci,  stretto  mandato  di  adoperarsi  per  la  elezione 
di  un  papa  avversario  delle  libertà  italiane  e  ligio  alla  politica 
austriaca.  Il  governo  francese  invece,  per  gelosia  dell'Austria, 
anziché  per  sentimento   liberale  ,    caldeggiava  la  elezione  di 
un  papa  che  avesse  un  concetto  chiaro  della  fede  cattolica  e 
della  nazionalità  italiana,  e  minacciava  l'Austria  di  occupare 
militarmente  Ancona  e  Civitavecchia,  se  gli  Austriaci  fossero 
entrati  nelle  Legazioni.    Eguale    minaccia   faceva  il  governo 
sardo  nel  caso  che,   durante  la  vacanza  della  sede,  la  pub- 
blica  quiete   fosse   stata   compromessa.  «  In  tal  guisa,  dice 
l'A.,  secondo  i  propositi    dei  diplomatici,    tre    interventi  ar- 
mati venivano  offerti  al  sacro  collegio  per  mantenere    obbe- 
diente il  povero  popolo ,  forzatamente  attaccato  alla  gleba  del 
predio    ecclesiastico  »  (  pag.  7  ).  Siffatte  minacce    procedenti 
dai  governi ,  i  pericoli  di  una  rivoluzione  imminente  ,  il  ti- 
more che  sortisse  eletto  un  papa  straniero  ;  queste  circostanze 
misero    ben    presto    i    cardinali    d'accordo   sulla  persona  da 
eleggere  :  e  prima  ancora  che   i   cardinali  stranieri  arrivas- 
sero in  Roma,  nominarono  papa  Giovan  Maria  Mastai  Ferretti 
con  trentasei  voti.  La  parte  più  influente  nella  elezione  sua 
la  ebbe  il  cardinale  Micara  ;  e  senza  l'opera  sua    sarebbe  in- 
dubbiamente riuscito   il   cardinale  Lambruschini,   candidato 
austriaco.   Pure  il  Metternich  non  fu  malcontento  della  ele- 
zione del  Mastai.  La  fama  che  questi  avea  d'uomo   di  molto 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  161 

cuore  e  di  scarso  ingegno  fé'  sperare  al  cancelliere  imperiale 
cli'ei  sarebbe  facilmente  riuscito  a  renderlo  ligio  agli  inte- 
ressi austriaci.  Come  il  governo  imperiale ,  così  pure  il  fran- 
cese mostravasi  lieto  dell'avvenuta  elezione  ;  e  il  nuovo  conte 
dello  Spirito  Santo  (  come  burlescamente  i  Romani  chiama- 
vano l'ambasciator  francese  per  essersi  intromesso  palesemente 
nelle  faccende  del  conclave),  dandone  partecipazione  a  Gui- 
zot ,  gli  scrivea ,  che  il  nuovo  re  dello  Stato  romano  avrebbe 
mente  e  volontà  d'appigliarsi  a  togliere  i  più  gravi  abusi  nelle 
cose  del  governo  (Nota  13,  Cap.  I).  Ma  gli  effetti  diedero 
maggior  ragione  al  giudizio  del  Mettermeli  che  a  quello  del 
misero  Rossi. 

«  Qui ,  dice  l' A. ,  entriamo  a  narrare  cose  grandi ,  nel 
corso  delle  quali  il  papato  fece  di  sé  e  delle  dottrine  sue  un 
esperimento  solenne  ;  bagnate  dal  sangue  dei  popoli ,  si  po- 
sero indestruttibili  le  prime  fondamenta  di  un  nuovo  gius 
europeo ,  e  le  condizioni  d' Italia  inopinatamente  mutaronsi. 
Singolare  periodo  di  tempo,  più  spesso  per  amori  e  per 
odii  partigiani  travisato  con  molte  favole  ,  con  singolari  men- 
zogne ,  e  pure  così  degno  d'essere  conosciuto  e  studiato  senza 
orpello  ,  colla  virtù  della  sincerità  ,  nella  necessaria  quiete 
di  opinioni,  con  sufficiente  sicurezza  di  giudizi  ».  Ed  entrando 
ad  esporre  la  storia  di  questo  gran  periodo ,  pone  anzitutto  i 
principii  su  cui  fondar  devesi  l'arte  di  ben  governare  ;  la 
quale ,  se  malagevole  è  sempre ,  «  diventa  scabrosa  all'estre- 
mo ,  ove  la  si  debba  applicare  a  mettere  in  assetto  uno  Stato 
scompigliato  per  ogni  verso  ».  E  in  tale  condizione  trovavasi 
appunto  lo  Stato  romano  ,  allorquando  Pio  IX  fu  chiamato  a 
governarlo.  Dotato  di  nobil  cuore,  ma  di  animo  debole,  mancava 
il  nuovo  pontefice  soprattutto  di  quella  perspicacia  nella 
scelta  delle  riforme  più  opportune  e  praticabili,  la  quale,  se 
è  sempre  condizione  principalissima  di  buon  governo ,  a  Ro- 
ma  era   allora  condizione  vitale  :  l'avvenire  riposava  su  ciò. 

E  che  di  politico  senno  il  nuovo  pontefice  mancasse ,  lo  di- 
mostra sovrattutto  il  fatto ,  che ,  appena  ebb'egli  pubblicata 
la  sua  famosa  amnistia,  si  die  in  balìa  alla  marea  dei  festeg- 
giamenti e  degli  encomi,  senza  traveder  punto  la  necessità 
suprema  «  di  ben  determinare  e  tosto  le  basi  e  le  parti  de'suoi 
concetti  riformatori,  onde  dar  sesto  alla   scomposta  ammini- 

Arcu.  St.  Ital..  3.'  Serie,  T.  X  ,  P.  II.  21 


162  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

strazione  dello  Stato  framezzo  ad  abusi  e  a  desiderii  scon- 
finati ».  (pag.  11  ).  Pure  all'inesperienza  e  al  difetto  di  poli- 
tico accorgimento  del  pontefice  riformatore  sarebbesi  potuto 
recare  efficace  riparo  quando  le  sue  rette  intenzioni  fossero 
state  secondate  dalle  potenze  cattoliche  d'  Europa ,  e  da  abili 
ministri  sostenute.  Ma  per  isventura  d'Italia,  gl'incoraggia- 
menti e  i  conforti  a  perseverare  nell'opera  iniziata,  non  ven- 
nero al  pontefice  che  da  coloro  i  quali  erano  meno  capaci  di 
dare  efficacia  ai  loro  consigli;  mentre  queglino  che  erano  più 
in  grado  di  far  valere  i  consigli  propri ,  li  diedero  contrarli 
alle  riforme ,  e  studiaronsi  con  tutte  forze  d' impedirne  il  rea- 
lizzamento.  Larghi  tributi  di  lode  mandarono  al  papa  rifor- 
matore gli  Stati  Uniti  d'America  e  le  Repubbliche  dell'Ame- 
rica meridionale,  il  capo  del  culto  israelita  e  lo  stesso  sultano 
di  Costantinopoli  (pag.  103  e  104).  Invece  Francia  ed  Austria, 
più  o  meno  apertamente,  ma  con  fermezza  eguale,  cercarono 
recare  inciampo  ai  disegni  riformatori  di  Pio.  Il  governo  fran- 
cese ordinò  pertanto  a  Pellegrino  Rossi,  di  tagliare  in  sul 
nascere  ogni  filo  di  speranza  di  aiuti  della  Francia  a  qualunque 
apparecchio  d'italiana  indipendenza;  di  consigliare  e  aiutare 
bensì  il  papa  a  riformare  il  suo  governo  ,  ma  solamente  negli 
ordini  amministrativi  e  fìnanziarii  (pag.  14).  Dinanzi  a 
questo  contegno  del  re  Luigi  Filippo  verso  il  pontefice  non 
sappiamo  con  quanta  ragione  F  illustre  Garnier  Pagès  dir  po- 
tesse che  «la  France  retentissait  de  ses  louanges  (1)  »  pe'bei 
principii  del  nuovo  pontefice.  Quel  governo,  che  avea  lasciato 
tórre  dall'Austria  a  Cracovia  la  indipendenza  assicuratale 
dai  trattati  del  1815;  che  puntellava  nella  Svizzera  la  politica 
liberticida  della  corte  di  Vienna  ;  che,  infine,  mandava  al  pro- 
prio ambasciatore  a  Roma  la  dichiarazione  sovraccennata  ;  tale 
governo  erasi  fatto  conoscere  abbastanza  perchè  si  potesse 
estimare  quanta  sincerità  racchiudessero  le  sue  lodi  al  papa 
riformatore. 

Forte  dell'appoggio  del  governo  francese,  la  corte  di  Vien- 
na tolse  ogni  riserbo  all'  opposizione  propria  contro  i  pro- 
positi liberali  del  nuovo  pontefice.  Qui  l'A.  ci  fa  toccare 
con  mano  le  arti  usate  dal  Mettermeli  per  impedire  al  papa 

(4)  Histoire  de  la  Revolution  de  1848,  T.  I  ,  p.  47. 


RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA  163 

di  proseguire  nella  via  riformatrice  sulla  quale  erasi  messo. 
Conoscendolo  di  coscienza  timorata  e  facile  agli  scrupoli , 
e'  cercò  dapprima  atterrirlo  collo  spauracchio  dello  scisma  : 
poi ,  veggendo  insufficiente  questo  mezzo ,  tentò  screditarlo 
nella  pubblica  opinione  ,  facendo  correr  voce  che  le  corti  di 
Vienna  e  Roma  stessero  accordandosi  per  mettere  soldati 
imperiali  a  presidiare  le  Legazioni  ;  e  non  andò  guari  che 
mandò  infatti  ad  occupare  Ferrara  ;  ed  avrebbe  anche  fatto 
occupare  le  altre  Legazioni ,  se  non  vi  si  fosse  recisamente 
opposto  il  ministro  di  finanza  ,  «  il  quale  si  fé'  a  sostenere  che 
pel  governo  imperiale  eravi  maggiore  pericolo  nel  sobbarcarsi 
alla  spesa  richiesta  per  mettere  in  moto  così  gran  numero 
di  soldati,  di  quello  che  lo  fosse  l'altro,  cui  poteva  dar  luogo 
la  politica  liberale  di  Pio  IX  »  (pag.  21).  Il  contegno  che 
osservò  in  Ferrara  il  tenente  maresciallo  Ausperg  dimostra 
qual  proposito  avesse  condotto  la  corte  di  Vienna  ad  occupare 
quella  città  pontificia.  Esso  era  di  provocare  tumulti  popolari, 
i  quali  mettessero  il  pontefice  nella  necessità  di  chiedere  egli 
stesso  l1  intervento  austriaco.  E  la  corrispondenza  epistolare 
che  fu  tenuta  fra  l'Ausperg  e  il  Ciacchi  nell'agosto  del  1847 
(note  25-31,  cap.  I)  dimostra  chiaramente  come  il  primo  fa- 
cesse ogni  sforzo  per  ottenere  un  simile  effetto.  Cognita  del 
fine  a  cui  erano  dirette  le  provocazioni  austriache,  la  corte 
di  Roma  s' impose  una  norma  di  condotta  riserbata  e  prudente 
per  meglio  oppugnarlo.  E  però ,  mentr'essa  faceva  pubblicare 
nel  diario  governativo  la  protesta  del  Ciacchi ,  apprestava 
l'antidoto  al  passo  ardimentoso,  col  significare  alla  corte  di 
Vienna,  essere  stato  il  pontefice  a  siffatta  pubblicazione  so- 
spinto da  una  imperiosa  necessità ,  «  per  non  iscadere  nel- 
l'amore de'proprii  sudditi ,  e  per  salvarsi  dallo  scredito  ine- 
vitabile per  qualunque  governo  italiano,  il  quale  si  mostrasse 
facile  a  tollerare  anche  l'ombra  sola  dell'offesa  alla  propria 
indipendenza  «  (  n.  32,  cap.  I).  Parimente,  mentre  la  corte 
di  Roma  lasciava  che  la  stampa  quotidiana  scapestrasse  con- 
tro l'Austria ,  scusavasene  col  gabinetto  austriaco ,  e  anzi 
riprovava  recisamente  le  severe  censure  che  la  stampa  pro- 
pria movea  contro  la  condotta  dell'Austria  in  Italia  (  n.  33, 
cap.  I  ).  Così  il  governo  tradiva  il  proprio  timore  e  metteva 
al  nudo  sua   pochezza;  e  poiché  la  sola   àncora  di  salvezza 


164  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

che  gli  rimanesse  era  l'opinione  pubblica,  il  Mettermeli  cer- 
cò torgliela  col  fargli  una  concorrenza  democratica.  Né  l'ar- 
tifizio era  nuovo;  più  esempì  ne  porge  la  storia  di  tai  mano- 
vre, principalissimo  quello  di  Druso  contro  Gracco  il  Juniore, 
che  rimane  monumento  perenne  della  confidenza  che  l'opinion 
pubblica  può  inspirare.  Il  Metternich  adunque  si  fé' accusatore 
verso  la  Corte  romana  di  avere  conservato  abusi  e  vecchiu- 
mi di  governo ,  che  sarebbe  convenuto  togliere  per  sempre. 
E'  s'affrettava  però  a  soggiugnere  -  e  ciò  era  il  fine  a  cui  im- 
portavagli  venire  -  che  parimente  condannavala  per  gli  abusi  e 
le  novità  di  fresco  introdotte  ,  le  quaii  nò  avean  radici  nel 
passato ,  né  davan  guarentigia  di  durata  nell'avvenire  (  n.  39 
cap.  I  ).  Nel  tempo  istesso  che  il  Metternich  sforzavasi  di 
tórre  alla  Corte  di  Roma  l'appoggio  dell'opinione  pubblica , 
e'  faceva  ogni  sforzo  per  indurre  la  Francia  a  secondare  la 
propria  politica  in  Italia.  E  come  gli  riuscissero  cotali  prati- 
che lo  dimostrano  chiaramente  le  istruzioni  che  il  Guizot 
dava  a  Pellegrino  Rossi  il  27  settembre  1847.  «  Noi  siamo  in 
buone  relazioni  colla  Corte  di  Vienna ,  diceva  il  primo  mini- 
stro francese  al  suo  ambasciatore  in  Roma ,  e  intendiamo  di 
restarvi.  Crediamo  che  il  papa  abbia  pure  sommo  interesse 
di  rimanere  in  pace  coli' Austria.  Essa  è  una  grande  potenza 
cattolica  in  Europa ,  ed  è  prima  in  Italia.  Una  guerra  contro 
la  medesima  vuol  perciò  dire  1'  infiacchimento  del  cattolici- 
smo  e  la  rivoluzione  :  or  bene  il  Santo  Padre  non  può  volere 
che  tali  cose  succedano  »  (n.  48,  cap.  I). 

Ma  i  trionfi  del  Metternich  erano  più  illusori  che  reali; 
e  intanto  eh'  e'  vantavasi  del  conseguito  appoggio  di  Francia, 
gli  venivan  meno  quelli  su'  quali  egli  vivea  più  sicuro.  Infatti 
nel  di  stesso  in  cui  il  primo  ministro  di  Francia  dava  all'am- 
basciatore francese  in  Roma  le  istruzioni  surriferite,  il  gran- 
duca di  Toscana,  stretto  dai  richiami  della  opinion  pubblica, 
chiamava  al  ministero  Ridolfi  e  Serristori ,  accettandone  il 
programma  liberale.  Né  lì  si  ristava  lo  smacco  subito  dal 
Metternich  in  Toscana.  Otto  giorni  dopo  la  rinnovazione  del 
ministero  toscano  ,  stipulavasi  la  convenzione  per  l'anticipata 
riunione  di  Lucca  al  granducato ,  e  il  granduca  lieto  del 
precoce  acquisto,  lasciava  che  Austria  ne  sbraitasse.  I  fatti 
che  cagionarono  la  cessione  di  Lucca ,  e  gli  accidenti  che  ne 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  165 

seguirono  per  la  incorporazione  definitiva  della  Lunigiana 
al  ducato  Modenese,  lucidamente  sono  esposti  dall'A.  e  corre- 
dati di  lunga  serie  di  documenti  ;  fra  questi  vogliamo  segna- 
lare la  diplomatica  corrispondenza  del  barone  Bettino  Rica- 
soli  col  governo  granducale  ,  dal  quale  era  stato  mandato 
alla  Corte  di  Torino  per  ottenere  l'appoggio  del  re  Carlo  Al- 
berto circa  all'affare  di  Fivizzano.  Che  se  il  governo  sardo  si 
prese  vivamente  a  cuore  quel  grave  negozio ,  ad  onta  della 
fiera  opposizione  della  Corte  di  Vienna  ,  ciò  si  dovè  partico- 
larmente all'abile  fermezza  del  legato  toscano.  Al  quale  spetta 
pure  il  merito  di  avere  spinto  la  Corte  di  Torino  a  confor- 
mare la  propria  politica  allo  spirito  pubblico,  costringendola 
a  uscire  dal  pauroso  riserbo  nel  quale  era  rimasta  rinchiusa 
fin  qui.  Due  altre  circostanze  concorsero  a  promuovere  questo 
grande  mutamento  nella  politica  del  re  Carlo  Alberto.  L'una 
fu  il  contegno  provocante  del  Mettermeli  ;  il  quale ,  togliendo 
argomento  da  una  quistione  doganale ,  recò  viva  offesa  alla 
sovrana  dignità  del  re  Carlo  Alberto  ;  e  costretto  a  transigere 
in  quel  negozio ,  si  vendicò  facendo  pubblicare  da  prezzolati 
libellisti  violente  contumelie  contro  di  lui.  L'altra  fu  il  con- 
tegno minaccioso  del  cancelliere  austriaco  verso  il  pontefice. 
«  Nell'animo  di  Carlo  Alberto ,  dice  l'A.,  era  infìtta  una  mol- 
la, che  compressa  aspramente,  dovea  scattare  con  una  forza 
irresistibile.  Essa  ricavava  la  sua  sostanziale  vigorìa  dal  senti- 
mento religioso,  signoreggiante  in  lui  a  oltranza.  Onde  il  re, 
all'  infuori  dei  calcoli  di  una  meticolosa  prudenza ,  s' infiammò 
d'ira  sdegnosa  contro  lo  straniero  dominatore  come  lo  vide 
insolentire  minaccioso  verso  un  principe  benefico  a'suoi  sud- 
diti ,  e  da  lui  con  mistica  fede  sincerissima  venerato  vicario 
di  Dio  in  terra  ».  E  quali  fossero  i  propositi  che  di  quel  tempo 
nella  mente  di  Carlo  Alberto  si  agitavano,  lo  rivela  la  lettera 
che  egli  scriveva  in  data  del  2  settembre  al  conte  di  Casta- 
gneto (  n.  83,  cap.  I).  «  Se  giammai  Iddio  mi  fa  grazia,  di- 
ceva il  re  ,  di  poter  intraprendere  una  guerra  d'indipendenza, 
sarò  io  solo  che  comanderò  l'esercito ,  e  allora  farò  per  la 
causa  guelfa  ciò  che  Schamil  fa  contro  l'immenso  impero 
russo  ».  Pieno  l'animo  di  questo  sentimento ,  il  30  settembre 
autorizzava  il  pio  re  una  solenne  dimostrazione  del  suo  po- 
polo in  favore  di  Pio  IX.  Ma  poi ,  veggendo  come  alle  grida 


166  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

di  «  viva  il  pontefice  »  si  mescolassero  grida  di  «  Abbasso 
gli  Austriaci  e  i  gesuiti  »  ,  fé'  sciogliere  i  dimostranti.  Questa 
riuscita  della  dimostrazione  parve  per  un  momento  potesse 
rimettere  re  Carlo  Alberto  sulla  via  della  politica  antica  e 
raffermarvelo.  Il  conte  Della  Margherita  fé'  almeno  ogni  possa 
per  indurvelo.  E  ce  lo  dimostra  la  lettera  ch'ei  scrisse  al  suo 
re  ,  a  dì  9  ottobre  1847  (  not.  88,  cap.  I  ).  L'A.  ne  riferisce  il 
seguente  brano  :  «  Si  tenta  di  viva  forza  suscitare  la  rivolu- 
zione in  questo  paese  ,  che  trovandosi  felice  non  ne  vuol  sa- 
pere. Disgraziatamente  vi  sono  sudditi  devoti  al  trono,  i  quali 
per  difetto  di  mente  .  e  più  ancora  per  paura  eccessiva  e  in- 
degna di  animi  nobili ,  consigliano  che  si  debba  pendere  a 
concessioni.  Ma  costoro  non  pensano  che  l'avvenire  nostro  ,  la 
nostra  gloria,  la  nostra  felicità,  e  la  stessa  nostra  autono- 
mia dipendono  dalla  fermezza  colla  quale  si  rigetteranno  le 
insinuazioni  dei  liberali ,  qualunque  sia  il  colore  sotto  cui 
vengono  pòrte  per  essere  giustificate  »  Ma  Carlo  Alberto  non 
avea  più  orecchi  per  simili  consigli,-  ed  è  veramente  singo- 
lare come  il  conte  Solaro,  che  da  quasi  dodici  anni  guidava 
la  politica  esteriore  del  re  di  Sardegna ,  non  avesse  avuto 
alcun'ombra  del  grande  mutamento  che  erasi  operato  nell'ani- 
mo del  suo  re.  Perciò  più  dolorosa  dovè  riuscirgli  la  caduta , 
perchè  improvvisa  ed  imprevista.  E  già  il  30  ottobre  del  1847 
una  legge  sulla  stampa,  inspirata  a  principii  liberali,  annun- 
ziava all'Italia  che  il  re  di  Sardegna  era  entrato  ornai  nella 
via  delle  riforme.  Ma  quanto  maggiori  ostacoli  incontrava  la 
politica  del  Metternich  in  Italia,  tanto  più  intestardivasi  egli 
nel  volerla  far  prevalere.  Ma  se  vi  era  via  che  ad  opposta 
meta  riuscir  potesse ,  tale  era  quella  scelta  da  lui.  Dopo  le 
provocazioni  di  Ferrara  ,  i  tentativi  di  occupare  militarmente 
la  Toscana  e  l'intervento  compiuto  nei  ducati,  egli  aggiunse 
l'uso  violento  della  forza  brutale  a  domare  le  idee  liberali 
campeggianti  nella  Lombardia  e  nella  Venezia.  Alle  violenze 
del  Governo  i  popoli  opposero  una  passiva  resistenza  così 
concorde  e  disciplinata  da  scalzare  profondamente  la  base 
primaria  d'ogni  governo.  In  questo  modo  l'Austria,  ben  dice 
l' A.,  diveniva  efficace  preparatrice  dei  propri  danni  per  l'uso 
di  quella  stessa  politica  di  violenze  e  di  soprusi  ,  mercè  cui 
nel  corso  degli  ultimi   32  anni    avea  tenuto    il  pie   sul  collo 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  167 

alla  serva  Italia.  Cogl'  infami  suoi  procedimenti  essa  giunse 
perfino  a  persuadere  i  meno  oculati ,  che  il  comune  avversa- 
rio di  ogni  riforma  era  lo  straniero  dominatore  della  valle 
del  Po ,  e  che  pertanto  bisognava  cacciarlo  di  viva  forza  nelle 
sue  case  per  vivere  liberi  e  tranquilli.  E  furono  dovuti  agli 
eccessi  austriaci  il  rapido  comporsi  delle  rivalità  e  delle  gare 
municipali  e  lo  assodarsi  fra  principi  e  popoli  di  una  concor- 
dia confidente  di  concetti  e  di  opere. 

Passando  dalla  politica  austriaca  a  quella  che  rispetto  alle 
cose  italiane  nel  1847  seguirono  Francia  e  Inghilterra  ,  l'Au- 
tore segnala  la  fiacchezza  del  governo  di  Luigi  Filippo  dispo- 
sto a  camminare  a  rimorchio  dell'Austria ,  facendosi  con  que- 
sta propugnatore  della  inviolabilità  dei  trattati  del  1815. 
E  mentr'esso  affannavasi  a  gridare  qua  e  là  ai  popoli  e  ai 
principi  italiani,  che  i  trattati  del  1815  si  dovessero  rispet- 
tare da  tutti ,  «  si  trovò  indotto  ,  per  rimanere  fermo  nella 
politica  prescelta ,  di  lasciare  che  l'Austria  impunemente 
violasse  in  Italia  quei  trattati  ».  Di  qui  lo  scredito  generale 
in  cui  cadde  il  governo  francese  in  Italia ,  e  del  quale  gli 
avversarli  della  monarchia  non  tardarono  a  giovarsi  per  iscal- 
zare  il  trono  di  Luigi  Filippo. 

Rispetto  all'  Inghilterra,  osserva  anzitutto  l'Autore  essersi 
a  torto  attribuito  alla  diplomazia  britannica  la  lode  o  il  bia- 
simo di  essersi  fatta ,  nel  periodo  riformativo  del  moto  ita- 
liano iniziato  da  Pio  IX,  consigliera  e  istigatrice  di  desiderii 
e  di  moti  rivoluzionarii.  «  Lord  Palmerston,  dice  l'A. ,  temeva 
ed  avversava  la  rivoluzione ,  quanto  Mettermeli  e  Guizot  ;  se 
non  che  più  oculato  e  previdente  uomo  di  governo  dell'uno  e 
dell'altro ,  comprese  in  tempo  utile  che  la  natura  delle  cose  è 
inflessibile,  e,  quando  sia  possibile  vincerla,  lo  è  col  vezzeggiar- 
la non  coll'assalirla.  Quindi  egli  capì  che,  se  eraci  mezzo  d' im- 
pedire che  le  idee  rivoluzionarie  riuscissero  a  turbare  la 
quiete  d' Italia ,  si  era  quello  di  accettare  francamente  il  ma- 
nifestatovi indirizzo  politico,  frenando  i  popoli,  spronando  i 
principi  nella  via  delle  riforme  e  propugnando  di  fronte  al- 
l'Austria la  indipendenza  piena  e  assoluta  della  sovranità  de- 
gli Stati  italiani  ».  Il  compito  di  far  prevalere  siffatte  idee 
affidò  il  ministro  al  sagace  Lord  Minto  ,  cui  mandò  in  Italia 
il  18  settembre  1847  col  carattere  apparente  di  un  visitatore 


168  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

privato ,  per  non  mettere  in  sospetto  i  gabinetti  di  Vienna  e 
Parigi  ,  né  impegnare  oltremisura  quello  di  Londra.  E  come 
lord  Minto  adempisse  il  grave  e  delicato  incarico  lo  dimostrano 
i  particolari  ragguagli  che  dell'opera  propria  diede  a  lord 
Palmerston ,  non  che  quei  che  intorno  le  pratiche  del  diplo- 
matico britannico  die  il  marchese  di  Carrega  al  ministro  degli 
affari  esteri  in  Torino  (n.  Ili,  114,  cap.  I).  Basti,  per  averne 
una  idea  adeguata,  riferire  i  consigli  dati  dal  Minto  a  Pio  IX. 
Dopo  di  avergli  suggerito  d'affidarsi  nella  Consulta  dello 
Stato  per  restar  saldo  di  fronte  alle  opposte  influenze  che  lo 
circondavano ,  così  il  diplomatico  inglese  si  fé*  a  ribattere  la 
obbiezione  fattagli  dal  pontefice ,  che  la  natura  del  governo 
papale  impedisce  lo  svolgimento  di  liberali  istituzioni.  «  È  vero, 
Santità,  soggiunse  il  legato  inglese;  mentre  negli  altri  Stati 
la  Chiesa  è  subordinata  allo  Stato ,  qui  è  lo  Stato  che  è  sog- 
getto alla  Chiesa.  Ma  non  perciò  credo  che  da  una  tale  con- 
dizione speciale  di  cose  si  possa  dedurre  che  non  si  abbiano 
a  introdurre  ordini  più  liberi  nel  governo.  I  doveri  delle  so- 
vranità, sono  gli  stessi  dovunque ,  chiunque  ne  sia  il  deposi- 
tario. La  Chiesa  investita  di  dominio  temporale  debbe  per- 
tanto attendere  al  fine  principale  della  felicità  pubblica. 
Potrebbesi  per  avventura  nello  Stato  romano  effettuare  la 
reale  separazione  esistente  nella  Gran  Brettagna  fra  la  Chiesa 
e  lo  Stato ,  in  modo  che  l'amministrazione  delle  cose  eccle- 
siastiche nulla  abbia  che  fare  con  quella  delle  cose  civili  ».  Così 
favellando ,  lord  Minto  sfiorava  gravi  problemi  religiosi  e  po- 
litici, i  quali,  se  fossero  stati  in  savio  modo  e  in  tempo  oppor- 
tuno risoluti ,  una  lunga  serie  di  guai  all'  Italia  e  alla  catto- 
lica Chiesa  sarebbero  stati  risparmiati. 

II.  Il  secondo  Capitolo  incomincia  con  un  quadro  delle 
interne  condizioni  del  reame  delle  due  Sicilie,  alla  vigilia 
della  promessa'  di  una  costituzione  strappata  a  Ferdinan- 
do II  dai  Palermitani  con  la  famosa  sollevazione  del  12  gen- 
naio 1848.  L'A. ,  esposto  come  i  maggiori  potentati  d' Eu- 
ropa ,  ad  eccezione  d' Inghilterra  ,  si  congratulassero  col  feroce 
re  per  avere  soffocato  nel  sàngue  la  insurrezione  messinese 
del  settembre  1847,  lodandolo  di  essersi  assunta  1'  impresa 
di  difensore  dell'  ordine  monarchico  e  dei  principi]  conser- 
vatori   della    civile    società,    assai    saviamente    soggiugne, 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  169 

che  que'go verni  non  aveano  notizia  adeguata  delle  condizioni 
in  cui  versava  la  podestà  assoluta  del  re  di  Napoli.  «  Quel 
regno ,  dice  il  Bianchi ,  era  guasto  da  infermità  molto  più 
gravi  di  quelle  che  si  credeva  a  Vienna  e  a  Pietroburgo  ,  e 
quindi  il  suo  peso  non  era  di  gran  valore  a  far  traboccare  la 
bilancia  dal  lato  della  legittimità  monarchica  ove  contr'essa 
s' impegnasse  lotta  violenta  ».  A  conferma  di  ciò  ei  riferisce  un 
brano  di  un  dispaccio  confidenziale  del  conte  Solaro  all'amba- 
sciator  sardo  a  Vienna  ,  dove  è  tessuto  un  quadro  assai  misero 
delle  condizioni  interne  del  reame  siciliano,  e  si  conclude 
col  dire ,  essere  impossibile  immaginare  un  malcontento 
più  generale  e  marcato.  Il  dispaccio  porta  la  data  del  6  lu- 
glio 1847;  e  non  passarono  che  poche  settimane  che  la  insur- 
rezione messinese  venne  a  dare  piena  ragione  ai  pronostici 
del  ministro  piemontese.  Così  Ferdinando  II,  salutato  poc'anzi 
dal  governo  russo  difensore  della  monarchia  assoluta ,  fu  il 
primo  de'principi  italiani  a  scendere  a  patti  col  suo  popolo; 
e  servì ,  suo  malgrado ,  agli  altri  principi  d' Italia  di  esempio 
per  far  loro  concedere  nuove  e  maggiori  guarentigie  ai  popoli 
loro.  Carlo  Alberto  infatti,  tre  settimane  dopo  la  promessa  del 
re  Ferdinando,  promise  ei  pure  di  dare  uno  statuto  ;  e  1'  11  feb- 
braio il  granduca  Leopoldo  impegnavasi  con  pubblico  bando 
di  dare  ai  Toscani  le  franchigie  «  per  le  quali ,  ei  dicea , 
erano  pienamente  maturi ,  e  che  aveano  meritato  colla  sa- 
viezza del  loro  contegno  ».  Davanti  a  questi  fatti  la  politica 
del  gabinetto  francese  si  studiò  di  prendere  un  atteggiamento 
consonante  coi  medesimi.  E  quel  governo  che  fin  qui  avea 
lavorato  indefessamente  per  fare  in  modo  che  le  riforme  non 
valicassero  in  Italia  i  limiti  dei  negozi  amministrativi,  fu 
udito  felicitarsi  coi  due  nuovi  sovrani  costituzionali  di  Tosca- 
na e  Piemonte  «  del  nuovo  pegno  d' intimità  creato  fra  i  tre 
Stati  dalla  uguaglianza  delle  loro  istituzioni  politiche  »  (n.  16 
e  17,  cap.  II).  Però,  accanto  alle  felicitazioni,  vi  erano  ammo- 
nimenti di  porre  ogni  cura  ad  assicurare  la  conservazione 
scrupolosa  dei  trattati  e  di  serbare  relazioni  di  buon  vicinato 
cogli  Stati  finitimi,  sul  proposito  de'quali  suggerimenti,  savia- 
mente osserva  l'A.,  che  «  ai  termini  in  cui  erano  pervenute 
le  cose,  i  consigli  di  Luigi  Filippo  e  di  Guizot  erano  spogli 
di  efficacia  ■».  E  soggiugne  :  «  Conservatori  liberali  italiani  non 

Arch.  St.  iTAt..,  3.a  Serie  ,  T.  X  ,  P.  It.  22 


170  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

poterono  essere  e  mantenersi  in  credito  fino  a  che  la  causa 
prima  del  ribollimento  mirava  al  riscatto  nazionale.    Era  in- 
conseguibile che  ,  soddisfatti  delle  ottenute  costituzioni,  gl'Ita- 
liani smettessero  il  pensiero  di  far  libero  il  sacro  suolo  della 
patria  ,  e  si    accordassero  a  vivere  in  pace  cogli   Austriaci , 
padroni  spietati  della  Venezia  e  della  Lombardia.  Il  popolo , 
tirato  cento  volte  in  piazza,  si  era   fatto  di  troppo  sangue  e 
natura  dell'agitazione  ,  era  stato  di  troppo  infocolato  dall'odio 
contro  lo  straniero  per  adagiarsi  in  un'aspettazione  tranquilla, 
dopo  aver  conseguito  fra  canti  e  feste  ciò  che  appena  per  lo 
addietro  erasi  creduto  operabile  in  lontani  tempi  »  (  pag.  96  ). 
Alla  fina  oculatezza  del  Mettermeli    non  era  sfuggito  codesto 
indirizzo    che  stavano    prendendo  le  cose  italiane.  Di    qui  il 
moltiplicarsi  de' suoi  sforzi  per  reprimere  il  moto  sul  suo  na- 
scere. E  mentre  da  un  lato  ei  tenta  col  mezzo   della  Russia 
di  costringere   l' Inghilterra  a  mutare  la  sua   politica  propu- 
gnatrice dei  moti  italiani,  infocandole  le  antiche  gelosie  contro 
Francia ,  dall'altro  compone  e  organizza  un  doppio  intervento 
armato  in  Isvizzera  e  in  Italia  con  Russia,  Prussia  e  Fran- 
cia. Ma  nel  momento  di  raccogliere  il  frutto  di  tante  fatiche , 
la  monarchia  orleanese  pagava  il  fio  dello  avere  conculcato 
i  liberali    principii   a  cui  andava   debitrice  della  esaltazione 
propria ,  con   una  caduta  ignobile  e  precipitosa.  L'A.  nostro  , 
discorrendo  le  cagioni  che  a  sì  misera  fine  trassero  la  monar- 
chia di  Luigi  Filippo ,  acutamente   osserva ,  che  sarebbe  ap- 
pigliarsi a  un   criterio  storico   falso  e  gretto    ove  si  volesse 
giudicare    ch'essa    abbia  rovinato    sotto  il  peso  repentino  di 
macchinazioni  settariche.  «  La  sua  rovina  provenne  dal  lento 
e  permanente    lavorìo  delle  cagioni  complesse  che  da  lungo 
tempo  eransi  le  une  accumulate   sulle  altre  ».  La  ribellione 
della  morale  pubblica   contro  la  corruzione   del  governo  :  la 
offesa  dei  liberali  istinti  del  popolo  prodotta  dalla  soverchia 
compressione   della  libertà  di  stampa   e  di   associazione  :  la 
non  men   grave  offesa   all'orgoglio   nazionale   della  codarda 
arrendevolezza  del  governo  in  faccia  allo  straniero  :  l'arrena- 
mento  dei  minuti  commerci  e  delle  minute  industrie  promosso 
dal  sistema  corrotto  dell'amministrazione    governativa:  ecco 
gli  elementi  di  una  nuova  combustione  civile  che  andavansi 
man  mano  cumulando. 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  171 

Qui  l'A  passa  ad  esaminare  gli  effetti  prodotti  nello  Stato 
romano  dalle  costituzioni  accordate  a  Napoli ,  a  Torino ,  a 
Firenze  e  dalla  repubblica  proclamata  in  Francia.  E  rilevando 
come  fossero  conseguenze  logiche  e  imprescindibili  degli  or- 
dini statuali  liberi  promulgati  a  Napoli,  a  Firenze,  a  Torino, 
la  civile  emancipazione  degli  acattolici  e  l'abolizione  delle  leggi 
ed  istituzioni  che  ponevano  lo  Stato  sotto  la  dipendenza  della 
Chiesa  e  impedivano  lo  svolgimento  della  libertà  ;  avverte  l'A. 
che  in  questo  terreno  la  lotta  inevitabile  non  tardò  a  mani- 
festarsi fra  il  papato  e  l' Italia  avviata  a  reggersi  con  libere 
istituzioni.  E  ne  presenta  ricca  e  preziosa  collezione  di  do- 
cumenti ,  dove  sono  esposte  le  controversie  nate  fra  la  Corte 
di  Roma  e  i  governi  liberali  d'Italia  dalla  seconda  metà 
del  1847  al  giugno  del  1848  (pag.  106-111). 

Ma  dopo  aver  tentato  con  ogni  possa  d' infrenare  lo  svol- 
gimento delle  libere  istituzioni  negli  altri  Stati  d' Italia ,  la 
romana  Corte  dovè  seguire  essa  stessa  la  corrente  irresistibile 
de'tempi ,  aprendo  l'adito  a  un  costituzionale  reggimento.  Già 
1' 11  febbraio  del  1848,  Pio  IX,  stretto  dalle  sollecitazioni 
del  popolo ,  pose  in  un  concistoro  segreto  la  quistione  della 
opportunità  di  una  costituzione.  Una  commissione  fu  nominata 
perchè  esaminasse  su  qual  base  si  dovesse  stabilire.  Con 
questo  mezzo  speravasi  di  poter  guadagnar  tempo.  Ma  la  ri- 
voluzione francese  del  24  febbraio  chiuse  la  via  ad  ogni  in- 
dugio ,•  e  ricomposto  il  10  marzo  il  consiglio  dei  Ministri  , 
introducendovi  sei  laici  di  parte  liberale ,  cinque  giorni  ap- 
presso fu  pubblicato  lo  statuto.  Così  il  papa ,  che  era  stato  il 
primo  a  dare  V  impulso ,  fu  l'ultimo  a  seguire  l'esempio  di 
Napoli ,  del  Piemonte  e  della  Toscana ,  e  con  ciò  perdette  il 
prestigio  popolare  che  erasi  tanto  facilmente  procacciato  coi 
primi  atti  suoi.  Del  resto,  assai  giudiziosamente  osserva  l'Au- 
tore ,  che  cotesto  esperimento  di  un  regime  costituzionale 
che  facevasi  in  Roma,  mancava  d'intrinseca  virtù  a  ben  riu- 
scire. Instaurare  la  libertà  di  coscienza ,  di  stampa ,  d' inse- 
gnamento, d'associazione  nella  sede  della  teocrazia  cattolica, 
avrebbe  valso  lo  stesso  che  mandare  in  isfacelo  il  papato  spiri- 
tuale. «  Ove  anco  la  guerra  nazionale  e  la  rivoluzione  non 
fossero  sopraggiunte  a  sconvolgere  il  fragile  edifizio  princi- 
piato dall'  inesperta  mano  di  Pio  IX ,  non  perciò  il  problema 


172  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

della  signoria  temporale  dei  papi  avrebbe  trovato  scioglimen- 
to pacifico  e  durevole  in  uno  statuto  politico  »  (pag.  113). 

Non  meno  che  nello  Stato  pontificio  grave  fu  la  commo- 
zione prodotta  dalla  rivoluzione  francese  del  24  febbraio  su- 
gli altri  Stati  italiani.  Il  redi  Napoli,  atterrito  dall'annunzio 
della  caduta  dei  Borboni  in  Francia,  perdette  ogni  energia; 
concedette  pertanto  ai  Siciliani  la  chiesta  autonomia  e  con- 
sentì alla  cacciata  dei  Gesuiti.  Anche  Carlo  Alberto  si  trovò 
costretto  dalla  rivoluzione  francese  a  fare  un  passo  avanti. 
E  il  nuovo  ministero  Balbo ,  spingendo  innanzi  gli  arma- 
menti, dovea  preparare  l'occasione  propizia  per  ingrandire 
il  trono ,  col  mezzo  della  rivoluzione.  Ma  la  politica  di 
pace  inaugurata  dal  nuovo  governo  repubblicano  di  Francia 
fermò  lo  sviluppo  delle  conseguenze  che  la  rivoluzione  del 
24  febbraio  avrebbe  esercitato  sulla  politica  degli  Stati  italia- 
ni. L'A.,  esposto  in  sommario  il  programma  di  politica  inter- 
nazionale di  Lamartine,  che  consisteva  nel  modificare  i  trat- 
tati del  1815  per  mezzo  di  un  congresso  europeo ,  e  nel 
restringere  i  casi  d'intervento  diplomatico  o  armato  all'Ita- 
lia e  alla  Svizzera,  quando  nell'uno  o  nell'altro  paese  altri 
fossero  intervenuti  prima  ,  dimostra  con  numerosa  serie  di 
documenti  com'ei  conformasse  al  suo  manifesto  il  contegno 
usato  co'  governi  italiani ,  facendosi  loro  consigliere  di  una 
politica  di  pace  e  di  mutua  concordia. 

Ad  onta  però  dei  pacifici  propositi  del  presidente  della 
nuova  repubblica,  il  governo  inglese  dubitava  fortemente  della 
loro  efficacia.  E  il  sagace  lord  Palmerston ,  richiesto  di  con- 
sigli dal  governo  sardo  sulla  politica  da  seguire  ,  rispondeva 
al  signor  Revel ,  essere  difficile  troppo  nelle  presenti  circo- 
stanze porgere  consigli  di  tal  fatta  ,  perocché ,  ad  onta  delle 
assicurazioni  date  dal  Lamartine  ,  accader  poteva  da  un  mo- 
mento all'altro,  «  o  ch'egli  fosse  sbalzato  da  un  partito  più 
violento,  o  fosse  forzato  alla  guerra  per  dare  sfogo  alle  pas- 
sioni del  popolaccio  armato  che  infesta  Parigi  ».  E  concludeva 
proponendo,  che  il  Piemonte  concertasse  coli' Austria  un  piano 
di  difesa  comune  (  n.  44,  Cap.  II).  Questi  paurosi  dubbi  e 
queste  suggestioni  di  riaccostamento  all'Austria  per  parte  del 
Piemonte  erano  l'effetto  della  politica  a  cui  il  governo  inglese 
si  era  appigliato,   come   alla  sola  àncora  di  salvezza  per  la 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  173 

conservazione  della  pace  europea.  E  il  Mettermeli,  facendo 
suo  prò  delle  preoccupazioni  del  Gabinetto  britannico,  forzava 
lord  Palmerston  a  dargli  anticipate  promesse  di  appoggio  nel 
caso  che  la  Sardegna  attaccasse  il  Regno  Lombardo-Veneto 
(n.  55,  Cap.  II).  Sapendo  il  Mettermeli  che  Carlo  Alberto 
era  fortemente  preoccupato  degli  ordini  republicani  stabiliti 
in  Francia ,  tanto  più  dopo  il  moto  di  Chambery,  che  avea 
reso  necessario  ¥  intervento  della  truppa  per  sedarlo  ,  sei 
giorni  dopo  quel  fatto  il  cancelliere  austriaco  propose  al  le- 
gato sardo  che  il  re  Carlo  Alberto  assumesse  l' iniziativa 
presso  le  Corti  di  Roma ,  di  Firenze  e  di  Napoli  d'una  lega 
comune  difensiva  con  le  Corti  di  Vienna ,  di  Modena  e  di 
Parma ,  per  salvare  l' Italia  da  una  nuova  irruzione  di  armi 
repubblicane,  promettendo,  in  compenso  di  ciò,  di  usare  ar- 
rendevolezza col  governo  sardo  sulle  controversie  commer- 
ciali in  corso  (  n.  64  ,  Cap.  II  ).  Il  marchese  Ricci  accolse 
in  silenzio  quella  proposta;  in  conseguenza  diche  l'Austria 
ruppe  tosto  le  relazioni  diplomatiche  colla  Sardegna.  Ma  quanto 
lodevole  è  il  contegno  dignitoso  e  fiero  serbato  dal  governo 
sardo  verso  l'Austria,  altrettanto  biasimevole  è  la  fiacchezza 
ch'esso  dimostrò  nell'affare  della  lega  politica  difensiva  fra 
gli  Stati  italiani  proposta  da  Pio  IX,  e  vivamente  caldeg- 
giata dal  goveno  toscano.  Né  tampoco  volle  Carlo  Alberto 
accettare  la  profferta  del  legato  toscano  di  dirigere,  d'accordo 
col  nunzio ,  al  suo  governo  una  nota  riservata  per  invitarlo 
ad  accedere  alla  lega ,  lasciandolo  arbitro  di  notificare  le 
condizioni  che  vi  porrebbe.  A  questo  proposito  il  re  rispose  , 
doversi  aspettare  d'avere  maggiore  certezza  sull'andamento 
costituzionale  del  governo  (n.  84,  Cap  II).  E  ben  dice  l'A., 
che  Carlo  Alberto  e  i  suoi  consiglieri ,  tenendosi  in  queste 
lentezze,  non  seguivano  una  ragione  di  Stato  previdente- 
mente calcolatrice.  Imperocché  ei  non  eransi  formati  un 
concetto  adeguato  delle  condizioni  nelle  quali  versava  il 
papato  nell'  insolito  connubio  colla  libertà  di  un  popolo , 
che  per  acquistarla  appieno  dovea  sostenere  una  guerra  d' in- 
dipendenza. «  Pretendere  di  condurre  il  papa  ad  accedere 
di  sbalzo  ad  una  lega  offensiva,  e  indurlo  a  muovere  le  armi 
contro  la  cattolica  Austria ,  dovea  apparire ,  come  era,  la  più 
fallace  delle  supposizioni  ».  L'A.  prosegue  quindi  a  contare  i 


174  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

vantaggi  che  Carlo  Alberto  avrebbe  raccolti  dalla  pronta  con- 
clusione di  una  lega  difensiva  colla  Corte  romana ,  e  tanto 
più  lo  censura  del  non  averlo  fatto ,  quanto  che  allora  nel- 
l'animo del  re  non  esistesse  nemmeno  l'ombra  dei  disegni  au- 
daci a  cui  ebbe  ricorso  più  tardi,  e  i  quali  soltanto  avreb- 
bero giustificato  il  contegno  che  serbò  nell'affare  della  lega 
(pag.  145-146). 

Non  meno  vive  che  quelle  della  romana  Corte  furono  le 
pratiche  della  Corte  di  Napoli  per  conseguire  la  formazione 
di  una  lega  fra  gli  Stati  costituzionali  d' Italia.  Ma  mentre 
Pio  IX  e  i  suoi  consiglieri  non  aveano  in  ciò  altro  fine  che 
la  salute  della  patria,  il  re  di  Napoli  si  proponeva  di  ritrarre 
forza  dalla  lega  per  ricondurre  i  Siciliani  nella  obbedienza 
propria.  Feroci  comandi  regii,  feroci  atti  soldateschi,  astuti 
raggiri  diplomatici ,  lusinghiere  promesse ,  non  aveano  valso 
a  nulla  per  ispegnere  in  Sicilia  la  rivoluzione.  Impotente  a 
vincerla  colle  armi  e  con  mezzi  propri,  tentò  Ferdinando  II 
servirsi  dell'  Inghilterra  per  guadagnar  tempo  e  agevolare 
così  il  realizzamento  del  proprio  fine.  Ma  il  governo  inglese, 
accortosi  del  brutto  gioco  che  faceagli  il  Borbone ,  gli  dichiarò 
francamente ,  che  la  Gran  Brettagna  tenevasi  moralmente  im- 
pegnata a  salvaguardare  ai  Siciliani  la  costituzione  del  1812, 
non  riconoscendo  nei  trattati  del  1815  alcuna  derogazione  agli 
antichi  diritti  costituzionali  dei  Siciliani  (n.  106,  Cap.  II).  Ma 
questo  linguaggio  in  bocca  del  governo  inglese ,  se  da  un  lato 
schiudeva  l'animo  de'  Siciliani  a  liete  speranze ,  dall'altro  do- 
vea  pur  creare  serie  preoccupazioni  non  solo  a  quel  popolo , 
ma  all'  Europa  intera.  Infatti ,  una  volta  che  la  Sicilia  fosse 
riuscita  a  costituirsi  indipendente  da  Napoli ,  non  avrebbe 
corso  pericolo  di  cadere  sotto  la  dipendenza  dell'Inghilterra? 
Questo  era  il  timore  che  ispirava  il  linguaggio  del  governo 
britannico  rispetto  all'affare  di  Sicilia  ;  e  fu  senza  dubbio  sotto 
la  influenza  di  siffatta  preoccupazione ,  che  il  governo  repub- 
blicano di  Francia  volle  dichiarare  ufficialmente  all'ambascia- 
tore napoletano  a  Parigi  che  la  separazione  assoluta,  la  quale 
minacciava  di  distruggere  l'unità  del  regno  delle  Due  Sicilie 
era  un  avvenimento  troppo  grave  ,  troppo  diretto  a  diminuire 
la  potenza  e  la  indipendenza  d' Italia  e  la  libertà  dei  mari , 
per  lasciare  la  Francia  nella  indifferenza.  Concludeva  pertanto 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  175 

Lamartine,  essere  vivo  desiderio  del  governo  della  repub- 
blica ,  che  le  controversie  tra  Napoli  e  la  Sicilia  si  accomo- 
dassero per  tal  modo  ,  che  il  regno  delle  Due  Sicilie  non  ne 
rimanesse  smembrato ,  a  meno  di  una  deplorabile  incompati- 
bilità d' instituzioni  fra'  due  popoli ,  che  pure  non  esisteva 
(  n,  109 ,  Cap.  II  ).  Il  giorno  stesso  in  cui  il  capo  del  go- 
verno di  Francia  teneva  questo  linguaggio  scoppiava  a  Vienna 
la  rivoluzione  contro  il  dispotismo  degli  Absburgo  !  Qui  l'A.  ci 
spiega  innanzi  in  un  maestrevol  quadro  descritti  i  grandi 
eventi  che  nel  corso  di  22  mesi  si  svolsero  da  quella  famosa 
rivoluzione.  E  conclude  :  «  Quando  le  tradizioni  e  la  storia 
avranno  tutto  il  tesoro  che  sta  rinchiuso  negli  avvenimenti 
di  quel  grande  moto  europeo ,  quando  gli  uomini  e  i  fatti  che 
ad  esso  appartengono  avranno  ricevuto  dal  tempo  la  solen- 
nità propria  ai  lontani  ricordi ,  i  posteri  v'  incontreranno  una 
meravigliosa  epopea  ». 

Rimandiamo  alla  prossima  dispensa  il  ragguaglio  di  questo 
famoso  periodo  a  cui  il  Bianchi  consacrò  parte  del  quinto  e 
l'intero  volume  sesto,  corredandolo  di  una  ricca  copia  di 
documenti ,  parte  de'  quali  fu  ignorata  o  mal  nota  fin  qui.  Di 
maniera  che  all'opera  del  Bianchi  andiam  debitori  se  abbiamo 
finalmente  una  narrazione  genuina  e  compita  di  quella  famosa 
rivoluzione  italiana  sulla  quale  tanti  errori  furono  detti  e 
pubblicati  in  Italia  e  fuori. 

F.  Bertolini. 


VARIETÀ 


DI  ALCUNI  AVANZI  DI  FABBRICA  ROMANA 

PRESSO 

FONTE  ALL'ERTA 
IN    MEZZO   TRA   LE    DUE   CITTÀ   DI    FIESOLE    E    DI    FIRENZE 


RELAZIONE  (1). 

Mino.  Signor  Senatore  Sindaco 
e  Signori  Componenti  la  Giunta  del  Comune  di  Firenze. 

In  Comunità  di  Fiesole,  lungo  la  strada  di  Maiano,  luo- 
go detto  La  Fonte  all'Erta ,  davasi  come  tuttavia  si  dà, 
(nel  1868),  mano  ai  lavori  della  nuova  via  di  circonvalla- 
zione daziaria  della  città  di  Firenze  ,  sotto  la  direzione 
del  valente  ingegnere,  or  nostro  collega ,  Cav.  Giuseppe 
Poggi ,  allorché  furono  dissotterrate  alquante  vestigie  di 
antico  edificio  che  non  potevansi  passare  in  silenzio  ; 
onde  il  Direttore  dei  lavori  predetto  si  rendè  sollecito  ri- 
ferirne al  Municipio ,  e  questi  alla  sua  volta  credè  op- 
portuno di  nominare  una  Commissione  composta  dei  sog- 
getti qui  sottoscritti ,  a  ciascuno  dei  quali  con  lettera  cir- 
colare di  ufficio  facevasi  dal  Sindaco  invito  acciò  voles- 
sero esaminare  quelle  vestigie  e  dirne  il  loro  avviso  in 

(1)  Il  professore  Pietro  Capei  fu  il  relatore  della  Commissione;  e  questo  è 
l'ultimo  suo  lavoro.  Deliberatane  dal  Municipio  di  Firenze  la  stampa,  egli  lo  ri- 
prese proponendosi  di  sviluppare  più  ampiamente  il  soggetto  ;  ma  prevenuto  dalla 
morte  ,  non  potè  dare  eseruzione  al  suo  proposito  Furono  allora  le  carte  con- 
segnate all'  inegnere  Orazio  Batelli  ,  a  cui  aveva  il  Capei  manifestate  le  proprie 
idee;, ma  anche  questo  valentuomo  poco  tardò  nel  seguirlo  al  sepolcro;  e  per 
ciò  la  relazione  si  pubblica  conforme  al  primo  suo  getto. 


DI   ALCUNI   AVANZI   DI   FABBRICA    ROMANA  177 

proposito.  I  quali  sotto  la  scorta  e  guida  del  collega  ca- 
valier  Poggi  recatisi  insieme  ad  esaminare  quelle  vesti- 
gie  vollero,  per  venir  meglio  in  chiaro,  che  se  ne  esten- 
desse più  sempre  la  ricerca  e  lo  scavo  ,  in  dirittura  e 
presso  la  Fonte  air  Erta  ;  che  si  rilevassero  accurata- 
mente la  pianta  ed  i  profili  dell'edificio  ;  e  infine  che  si 
raccogliessero  e  conservassero  diligentemente  le  antica- 
glie ivi  rinvenute  sul  suolo  ,  per  poi  riferir  di  tutto  ,  come 
siamo  per  fare  ,  al  Comune. 

Avvenne  però  frattanto  che  rimasti  brevemente  in  so- 
speso i  lavori  di  quella  via ,  scoscendimenti  e  frane  di 
terra  accadessero ,  e  che  reclami  in  proposito  fossero  in- 
dirizzati alla  Direzione ,  la  quale  videsi  così  costretta  ad 
invitare  dal  suo  canto  la  Commissione  acciò  volesse  per 
urgenza  risolvere  la  questione  :  «  Se  quegli  avanzi  di 
«  muramenti  avevano  tale  importanza  artistica  da  me- 
«  ritare  o  non  meritare  di  essere  conservati  ».  E  la 
Commissione ,  rinnuovato  osservazioni  e  disamine  su 
que'  muramenti ,  credè  dover  rispondere  :  che  nel  presente 
loro  stato  non  offrissero  que'  muramenti  veruna  impor- 
tanza artistica  per  singolarità  di  forme  e  di  costruzione 
da  meritare  che  si  conservassero  alla  vista  del  pubblico, 
e  potersi  quindi  sotterrare  di  nuovo. 

Ma  nel  risolvere  per  incidenza  una  tal  questione,  la 
Commissione  che  ci  aveva  più  volte  ripetuto  come  dicemmo 
le  sue  osservazioni  e  disamine ,  credè  sempre  doversi 
confermare  nella  opinione  che  rispettosamente  oggi  ras- 
segna al  meritissimo  Municipio  ;  cioè  : 

Che  le  costruzioni  onde  è  parola  e  delle  quali  avan- 
zano poche  vestigie  siano  parte  di  fabbrica  romana,  eretta 
nella  decadenza  delle  arti  ;  la  quale  non  portando  segno 
di  terme  ;  non  di  stanza  e  quartiere  da  soldati  ;  non  di 
vero  e  proprio  serbatojo  di  acque  (castellum)  ;  ed  oggi  non 
consentendo  nella  sua  distruzione  pressoché  totale  il  rav- 
visarvi tampoco  le  aperture  che  già  servirono  all'ingresso 
e  recesso  di  un  edificio ,  il  quale  per  la  sua  vastità  porta 

Arcu.  St.  Ital.,  3.»  Serie,  T.  X,  P.  U.  23 


178  DI   ALCUNI   AVANZI 

ad  argomentare ,  che  case  o  luoghi ,  non  pochi  acconci 
all'uso  ed  alle  abitazioni,  vi  fossero  annessi  ;  si  è  ritenuto 
concordemente  a  quanto  credè  per  primo  un  nostro  col- 
lega dotto  nella  scienza  delle  antichità  e  delle  arti  (1),  che 
servisse  già  all'uso  di  Fullonium  o  Fullonica  secondo  il 
parlare  dei  Latini ,  ossia  all'imbiancatura  e  politura  delle 
vesti  e  delle  stoffe ,  e  forse  ancora  a  tingerle  in  colore  ; 
ciò  raccogliendosi  da  truogoli ,  vasche  e  macchie  di  varie 
tinte ,  che  tuttavia  rimangono  a  fior  di  terra ,  ed  ogni 
idea  rimuovono  di  sepolcreti.  Al  quale  effetto  ci  è  sem- 
brato necessario  porre  ancora  sott'occhio  al  Municipio 
illustre ,  la  planimetria  dell'area  su  cui  poggiano  quegli 
avanzi ,  ed  alcun  poco  entrare  a  render  conto  della  loro 
forma  e  disposizione. 

I.  Sulla  china  dei  monti  fìesolani  e  sottostanti  al  vi- 
vajo  di  Fonte  all'Erta  nel  podere  dello  stesso  nome , 
proprietà  che  è  del  Sig.  Conte  Pasolini,  alla  distanza 
non  maggiore  di  metri  36  vien  prima  un'area  quadrila- 
tera a  pendente  alcun  poco  verso  il  centro ,  la  quale 
termina  in  foggia  di  semicerchio  o  emiciclo  b,  e  nella 
parte  superiore  che  leggermente  si  alza  su  quel  declive 
ha  in  un  lato  un  bugigatto  e  immediatamente  attiguo 
a  quell'area ,  recinta  qual'  è  da  muri  costrutti  in  pietre 
arenarie  conce  ed  in  malta  alla  rinfusa  ;  muri  sottili 
molto  ed  oggi  pressoché  ridotti  a  fiore  di  terra.  Succe- 
dono poi  9  metri  appena  più  sotto  e  stendonsi  per  non 
breve  lunghezza  nuovi  muri  attraversati  che  sono  a 
squadra ,  ora  di  continuo  ed  ora  interrottamente  ,  da  altri 
muri  parimente  sottili  e  di  centrimetri  45,  compresovi  un 
addossamento  di  calcestruzzo  pari  alla  grossezza  del  muro, 
e  inoltre  un  grosso  arriccio  nella  faccia  interna  da  ri- 
manere esposta  agli  occhi  del  riguardante ,  e  più  un 
intonaco  levigato,  apparente,  a  luoghi ,  composto  di  calce 

(4)  L'ingegnere  Orazio  Batelli. 


DI   FABBRICA    ROMANA  179 

e  polvere  di  marmo  ,  i  quali  muri  insieme  raffigurano 
due  aree  o  spazii  intermedii  e  f,  e  l'ultimo  vedesi  tra- 
versato da  chiavica  con  fondo  lavorato  a  smalto  e  so- 
vrappostavi una  continua  fila  di  tegoli  addentellati  l'uno 
coll'altro.  Vengono  d'appresso  due  altri  spazii  ci  g  più 
grandi  ne  circoscritti  da  muri ,  ed  il  secondo  g-  mostra 
piantati  in  terra,  e  l'un  dall'altro  a  qualche  distanza,  due 
truogoletti  h.  i  che  si  profondano  di  un  metro,  ed  ai 
quali  scendesi  per  tre  scaglioni  praticati  in  un  lato  di 
que'  truogoli  a  fondo  concavato ,  ed  uno  ha  come  una 
piletta  ovoidale  di  pietra  nel  centro  e  l'altra  reca  im- 
prontato nel  puro  smalto  una  pari  concavità.  Sparsi  qua 
e  là  si  vedono  residui  di  pavimenti  a  smalto  bianco  e 
cenerognoli ,  quali  in  calce  e  ghiaja  ec,  quali  in  pietra, 
quali  rossigni  in  calce  testacei  ;  e  degno  di  nota  mag- 
giormente ci  sembrò  quello  adiacente  al  muro  x  formato 
come  egli  è  di  mattoncini  quadrilunghi  ed  a  piramide 
tronca,  commessi  tra  loro  a  guisa  di  spighe  o  reste  di 
spighe  ,  rappresentandoci  per  sorta  quello  che  dai  Romani 
si  chiamava  opus  spicatum.  E  infine  si  ebbero  il  labbro 
sagomato  in  buono  stile  di  una  conca  in  terra  cotta  e 
di  non  piccola  mole  che  si  trovò  giacere  in  piena  corri- 
spondenza dei  sopradetti  truogoli  ;  frammenti  d'intonaco 
(opus  tectorium)  colorati  di  bel  rosso  cinabro  e  di  giallo 
con  liste  bianche  ;  frammenti  in  tazze  colorate  e  ornate, 
alcune  delle  quali  con  impronta  figulinaria  ;  anfore  e  mo- 
nete di  bronzo  varie  per  età  e  per  modulo  ,  come  appunto 
le  consolari  della  famiglia  Antestia ,  e  le  imperiali  di 
Ottavio  Angusto  e  di  Gallieno,  e  per  ultimo  un  coltello 
con  manico  di  ferro  attorcigliato  e  non  dispregevole, 
voglia  poi  chiamarsi  o  cultro  o  secespita. 

II.  Senza  fermarci  adunque  su  questi  minori  avanzi 
di  antichità  e  dichiarando  ancora  di  non  aver  messo  in 
conto  un  tratto  di  muro  y  senza  calce,  e  sul  quale  non 
oserebbe  portare  sentenza ,  la  Commissione  non  potè  dis- 


180  DI    ALCUNI   AVANZI 

simulare  a  sé  medesima  sin  dalle  prime ,  che  tutti  quanti 
i  muri  dell'antico  edificio  si  dimostrano  così  sottili  e  di  sì 
pochi  centimetri  da  rimuovere  ogni  concetto  che  giammai 
quello  sorgesse  ad  una  qualche  altezza  e  fosse  caricato 
di  volte  ,  che  la  costruzione  e  la  esecuzione  di  quei  muri 
e  della  chiavica  ,  già  ricordata  sotto  lettera  f  si  dimo- 
stravano mancanti  a  segno  di  regolarità  e  diligenza  da 
non  potersi  affatto  attribuire  ai  buoni  tempi  dell'arte  ,  e 
conviene  aggiungere  adesso  che  la  distribuzione  e  lo  spo- 
gliamento  fatto  nello  andare  dei  secoli  del  materiale 
antico  di  quell'edifìcio  (salvo  appena  e  forse  una  pietra 
angolare  notabile  per  forma  e  per  dimensione)  se  lascia- 
rono tuttavia  sussistere  e  venire  a  noi  alcuni  pochi  fran- 
tumi di  antico  intonaco  e  che  possono  accennare  ad  una 
decorazione  alcunché  ragguardevole  ,  mai  non  consentono 
peraltro  alla  immaginazione  ,  ancorché  calda ,  levar  la 
mente  a  qualsivoglia  grandiosa  fabbrica  o  religiosa  o 
militare  o  civile.  Ond'  è  che  niun  vestigio  più  rimanendo 
delle  forme  e  delle  aperture  dei  muri  antichi  oggidì 
ridotti  quasi  totalmente  a  terra ,  e  niun  lume  potendosi 
più  raccogliere  dalla  Commissione  sull'uso  al  quale  ebbe 
già  a  servire  l' edificio  in  discorso ,  tenendosi  ferma  al 
poco  che  ne  avanza  e  tuttavìa  si  vede  ,  deve  concorde- 
mente scendere  nella  opinione  : 

1.°  Che  l'area  quadrilatera  a  tutta  recinta  come 
è  da  muri  ,  il  cui  pavimento  è  per  ogni  dove  coperto 
di  smalto  bianco  a  tenuta  di  acqua ,  dovè  servire  a  ri- 
cevere senza  fallo  le  acque  pluviali  che  vi  scendevano 
dal  cielo.  E  vorremmo  potere  aggiungere,  come  si  sospettò 
per  poco,  che  in  origine  avesse  forma  di  atrio  con  tetto 
o  di  cavedio,  nel  cui  bel  mezzo  fosse  aperto  quello  che 
dai  Latini  dicevasi  imphwium  o  compluvium  ;  se  di  tetto 
fosse  rimasta  una  orma  qualunque  ;  se  il  pavimento  che 
ripetesi  è  tutto  quanto  rivestito  di  smalto  bianco  non 
giungesse  appunto  per  insino  ai  muri  che  lo  fiancheg- 
giano  e    consentisse  immaginare  un  ambulacro  coperio, 


DI   FABBRICA    ROMANA  181 

e  quanto  vogliasi  ristretto  ,  per  discendere  all'  impluvio 
almeno  con  un  gradino  ;  e  finalmente  se  dai  muri  che  ne 
restano  anche  al  dì  d'oggi  a  fior  di  terra  non  fosse  ne- 
cessario spiccare  il  salto  di  più  che  un  metro  per  condursi 
addirittura  su  quel  pavimento.  Se  poi  per  crescere  quel 
ricettacolo  d'acque  pluviali  un  qualche  ingegno  si  trovasse 
in  antico  per  chiamarvi  le  acque  di  qualche  sorgente , 
rappresentata  come  or  sarebbe  da  Fonte  all'Erta,  o  se 
al  bisogno  fossevi  portata  a  braccia ,  invero  non  lo  sa- 
premmo dire  nemmeno  per  semplice  conghiettura. 

2.°  Che  l'emiciclo  b  onde  si  termina  quell'area 
servisse  di  vasca  semicircolare  per  accogliere  viemeglio 
le  acque ,  oltre  al  suo  banco  pur  semicircolare  che  l'at- 
tornia, lo  mostrano  altresì  i  muri  e  il  pavimento  rossigno 
a  smalto ,  durissimi  e  a  tenuta  di  acqua  sì  gli  uni  e  sì 

l'altro. 

3.°  Che  dietro  appunto  all'emiciclo  b  servito  come 

rilevammo  ad  uso  di  vasca ,  vengono  gli  spazii  segnati 
in  lettere  e  f  per  noi  creduti  acconci  a  prestare  ufficio 
di  purga  e  di  lavatoi  ;  e  si  confermerebbe  dallo  avervi 
trovato  un  po'  più  indietro ,  ma  in  piena  rispondenza  , 
per  chi  guardi  in  pianta,  quella  conca  di  terra  cotta  e 
conica  di  che  notammo  già  rotto  il  labbro  sagomato  e  di 
buon  lavoro.  E  per  la  stessa  causa  inclineremmo  a  cre- 
dere come  a  lettera  d.  fosse  il  luogo  di  deposito  e  di 
custodia  delle  stoffe  e  robe  consegnatene  per  curare  e 
pulire  ai  fulloni. 

4.°  E  che  per  fermo  l'edificio  tutto  quanto  spettasse 
ai  fulloni  sembra  convincerlo  apertamente  lo  spazioso 
luogo  g  che  contiene  varii  truogoli,  due  dei  quali,  h.  i, 
bislunghi  e  con  spallette  in  giro,  alle  quali  potevasi  ap- 
poggiare l'oprante  per  calpestare  ossia  dar  calci  e  pulire 
e  quindi  portare  a  sgrondo  le  robe  sulle  spallette  ove 
tuttavia  si  vede  collocato  all'  uopo  un  grande  embrice. 
Uso  che  ai  tempi  almeno  della  Repubblica  fiorentina,  se 
non  forse  anco    ai  nostri ,  si  costumava    sempre  in    Fi- 


182  DI   ALCUNI    AVANZI 

renze  per  Y Arte  della  seta,  come  abbiamo  dal  Trattato 
di  Anonimo  fiorentino  del  secolo  xv  (  Capo  V,  pag.  12  e 
altrove)  pubblicato  in  quest'anno  1868,  e  cui  fan  seguito 
i  Dialoghi ,  in  verità  bellissimi ,  raccolti  dal  Comm.  Gi- 
rolamo Gargiolli ,  qui  ricordato  a  causa  di  onore. 

5.°  E  finalmente  come  i  truogoli  e  la  conca  rin- 
venuti in  questo  edificio  e  l'area  alcunché  spaziosa  con 
vasca  per  ricevere  acqua  che  vi  precede,  tutto  ci  conduceva 
ad  opinare  che  quivi  sino  dall'origine  fosse  esercitata 
l'arte  fullonica,  cotanto  bisognosa  dell'acqua;  maggior 
forza  poi  ce  lo  faceva  il  considerare  come  altresì  in  antico 
non  potè  lì  presso  mancare  una  sorgente  di  acqua,  oggi 
rappresentata  forse  da  Fonte  all'Erta,  in  vicinanza  delle 
quali  sappiamo  dagli  scrittori  classici  e  dalla  Legge  3."  del 
Digesto,  Lib.  XXXIX,  Tit.  Ili,  esser  solito  agli  antichi 
fullonicas  circa  fontem  instituisse  (1).  E  non  vogliamo 
nemmeno  tacere  che  ai  fulloni  potendo  essere  al  bisogno 
occorsa  acqua  calda  a  sommo,  ed  in  un  canto  esteriore 
dell'area  a  tante  volte  detta,  vedesi  aperto  il  bugigat- 
tolo e  o  una  stanzetta  a  uso  di  fornello  per  farvi  fuoco  e 
scaldare  acqua  o  ad  altro  uopo  qualsiasi ,  di  che  fan 
fede  l'intonaco  dei  muri  già  guasto  e  adulterato  dal  fuoco, 
e  mucchi  in  quantità  di  cenere  e  di  carbone  che  vi  si 
trova  ridotto  in  frantumi. 

E  qui  senza  permetterci  veruno  sfoggio  di  erudizione 
intorno  all'arte  fullonica,  e  della  quale  volendo  sarà 
facile  consultare  ,  oltre  un  bel  dipinto  Pompeiano ,  che 
rappresenta  i  fulloni  allorché  attendono  all'esercizio  e 
l'opera  dell'arte,  Plinio  l'Antico  (Historia  Nat.,  Lib.  XXXV, 
capo  15-17)  e  tra  i  moderni  il  Cholero  (Parergon  Cap.  XIV), 
nel  Tesoro  dell'Ottone,  Tom.  I  a  pag.  367,  e  cento  altri 

[\]  Sopra  una  collinetta,  e  perpendicolare  a  quest'area,  trovasi  una  casa 
colonica  appartenente  al  conte  Pasolini  ,  che  dicesi  la  Castellina.  Questo  nome 
mi  fa  non  irragionevolmente  supporre  che  in  quel  luogo  fosse  già  una  con- 
serva di  acqua  destinata  ad  alimentare  il  fullonium:  opinione  che  con  me  divi- 
deva il  chiarissimo  relatore,  e  di  cui  proponevasi  di  far  tesoro. 

L.  p. 


DI   FABBRICA    ROMANA  183 

scrittori  e  luoghi,  daremo  termine  al  parere,  che  in  os- 
servanza della  commissione  impartita  a  noi  sottoscritti 
dall'illustre  Municipio  di  questa  Metropoli,  ci  sembrò  do- 
vere pronunziare  in  rimesso  modo  sulle  vestigie  di  un 
antico  edificio  romano ,  rinvenuto  non  ha  guari  presso 
Firenze,  non  senza  per  altro  esternare  il  voto  che  al 
Municipio  piaccia  perpetuare  in  marmo,  e  non  fosse  altro 
in  parte,  la  iconografia  dell'edificio  antico  acciocché  in  se- 
guito possa  servire  di  guida  ad  esplorazioni  e  dissoda- 
menti ulteriori  che  si  volessero  tentare  in  quei  contorni, 
e  sieno  inoltre  segnati  esattamente  i  luoghi  ove  si  rin- 
vennero gli  oggetti  di  antichità  stimati  degni  di  conser- 
vare e  che  già  furono  inviati  al  nostro  Museo  Nazionale. 

Firenze ,  4  Maggio  1868. 

Devotissimi 

Pietro  Capei 
Luigi  Passerini 
Orazio  Batelli 
Francesco  Gamurrini 
Giuseppe  Poggi. 


CIMELJ  DEL  CANOVA 


È  nominato  generalmente  Possagno  per  le  memorie 
eli  Antonio  Canova ,  che  v'ebbe  i  natali ,  vi  fece  lunga 
dimora ,  vi  eresse  un  tempio  a  imitazione  del  Panteon 
di  Roma ,  con  un  gruppo  suo  in  bronzo  e  un  quadro 
pur  di  sua  mano ,  oltre  il  proprio  ritratto  e  sette  metope 
nel  grandioso  atrio  dorico  :  e  lo  dotò  sicché  divenisse 
parocchia ,  e  vi  fossero  scuole  primarie  e  scuole  ginna- 
siali sotto  la  direzione  di  religiosi  de'  fratelli  Cavanis  di 
Venezia.  Nell'ultima  incamerazione  de'  beni  ecclesiastici 
neppur  quelli  si  eccettuarono  :  ma  è  sperabile  che  il  nome 
del  fondatore  e  il  grido  elevatosi  a  nome  men  della  re- 
ligione che  della  civiltà,  giungano  a  salvarli. 

I  benefizi  del  Canova  furono  continuati  e  compiuti  dal 
fratello  suo  uterino  monsignor  Sartori-Canova  vescovo  di 
Mindo.  Per  cura  di  lui ,  la  casa  natale  di  Antonio  fu  tras- 
formata in  Museo  ;  che  mal  fu  iscritto  Gipsoteca,  avve- 
gnaché non  v'abbia  soltanto  i  194  gessi,  ma  anche  marmi; 
e  inoltre  molte  sue  pitture ,  le  incisioni  di  tutte  le  opere 
di  lui ,  e  abiti ,  decorazioni ,  altri  preziosi  ricordi. 

II  forestiero  però  che  si  reca  fra  quei  monti  a  riverire 
la  memoria  e  le  ceneri  dell'  insigne  restauratore  della 
scultura,  si  trova  deluso  se  suppone  ritrovare  colà  tutti 


CIMELJ    DEL   CANOVA  185 

i  gessi  che  esistevano  nello  studio  del  Canova,  il  quale 
è  noto  che  non  solo  plasmava  il  modello  da  mettere  a 
punti ,  ma  faceva  sempre  tirare  una  copia  delle  statue 
finite.  Monsignor  Canova  regalò  diversi  di  quei  gessi  a 
personaggi  e  regnanti  :  poi ,  pregato  con  patriottica  istan- 
za ,  ne  diede  una  gran  parte  alla  biblioteca  di  Bassano. 

Chi  volesse  provare  una  volta  di  più  che  in  Italia  non 
son  concentrate  ne  le  intelligenze  ne  le  preziosità  d'arte 
nelle  grandi  città,  n'avrebbe  un  argomento  nuovo  in  questa 
di  Bassano  ,  d'appena  undici  mila  abitanti  e  relegata  in 
un'altura ,  ben  poco  visitata  da'  curiosi.  Eppure  alla  sua 
biblioteca,  che  non  passa  i  20mila  volumi,  oltre  moltissimi 
autografi  (1),  va  unito  un  saggio  di  tutti  i  pittori  Da 
Ponte,  de' quali  vantasi  quella  città;  forse  tutte  le  inci- 
sioni degli  illustri  intagliatori  ch'ebbero  comune  la  patria 
col  Volpato ,  come  lo  Schiavonetto  emulo  del  Bartolozzi , 
il  Baletta ,  il  Suntach  ,  lo  Zancon  ,  il  Vedovato:  inoltre 
le  due  raccolte  mineralogiche  preziosissime  del  Brocchi 
e  del  Parolini. 

Ma  quel  che  fa  al  caso  nostro  sono  i  gessi  del  Ca- 
nova,  fra  i  quali  insigni  i  due  cavalli  colossali,  destinati 
alle  statue  di  Napoleone  e  di  Carlo  III.  Fra  quei  gessi 
ve  n'  ha  di  veramente  plasmati  dal  Canova  medesimo  ,  e 
sbozzi  suoi ,  e  primi  tentativi ,  sui  quali  si  può  seguire 
lo  svolgersi  d'un  concetto  fin  alla  perfezione  (2). 

Ma  non  è  ancora  di  questo  eh'  io  vo'  parlare.  Si  rac- 
colsero in  tre  gabinetti ,  oltre  i  libri  che  parlano  del 
Canova,  il  carteggio  suo  e  i  suoi  scritti.  In  13  non 
piccoli  volumi  sono  disposte  4080  lettere  ,  delle  quali  le 
scelte  formano  due  volumi  distinti.  È  facile  comprendere 

H)  Vi  è  notevole  specialmente  uno  Statuto  della  città  del  4259:  e  tutte  le 
edizioni  della  famosa  tragedia  .li  Francesco  Negri  R  libero  arbitrio,  della  quale 
ho  dato  il  sunto  negli  Eretici  d'Italia.  V'ha  pure  le  edizioni  dei  Remondini  ,  la 
cui  tipografia  fiorì  lungamente  in  quella  patria  del  Ferracina  ,  del  Vittorelli  , 
del  Gai  ba  ,  del  Barbieri  ec. 

(2)  Voglio  non  dimenticare  il  ritratto  di  Monsignor  Canova  ,  per  opera  del 
Tenerani  ,  che  fa  un  utile  riscontro  alla  maniera  canoviana. 

Anni    St.  Itai ..,  3.a  Serir  ,  T.  X  ,  P.  II  24 


186  CIMELJ    DEL   CANOVA 

quanta  importanza  possano  avere  nella  storia  de' tempi , 
e  principalmente  in  quella  dell'  arte ,  essendovene  di 
quanti  furono  illustri  nel  primo  quarto  di  questo  secolo 
e  alla  fine  del  precedente.  Ve  n'  ho  lette  molte  di  Ennio 
Quirino  Visconti ,  per  non  dire  che  di  questo  ;  e  tra 
quelle  di  cardinali ,  una  del  vicario  di  Roma ,  che  rin- 
grazia il  Canova  della  premura  che  si  diede ,  durante  la 
rivoluzione ,  per  proteggere  il  Museo  Vaticano  :  facen- 
dogli però  notare  come  allora,  nel  1815,  quella  parte 
di  palazzo  vaticano  fosse  stata  destinata  per  alloggio 
a  soldati  austriaci  :  lo  interessava  dunque  a  cercare  fos- 
sero rimossi ,  e  così  tolti  di  pericolo  i  capilavoro. 

È  noto  come  Napoleone  facesse  all'  Italia  l' insulto 
più  doloroso  col  rapirle  le  principali  opere  d'arte,  onde 
fregiarne  il  suo  Museo  a  Parigi.  La  vittoria  che  gli 
aveva  tolti  di  qua ,  qua  li  ricondusse ,  e  Antonio  Canova 
fu  inviato  a  Parigi  per  ricuperare  quanto  si  era  aspor- 
tato,  e  renderlo,  non  già  ai  padroni  nuovi ,  ma  ai  paesi 
nostri  stessi.  Un  volume  tra  quelli  serbati  a  Bassano 
comprende  appunto  il  carteggio  sulla  Spedizione  a  Pa- 
rigi, e  sono  74  documenti,  in  gran  parte  apografi,  sopra 
tale  restituzione. 

Aggiungiamo  598  lettere  autografe  del  Canova ,  tutte 
dirette  al  conte  Tiberio  Roberti  di  Bassano ,  amico  suo , 
e  donate  non  ha  guari  dagli  eredi. 

Quattro  volumi  comprendono  le  Commissioni  date  al 
Canova.  In  due  altri  son  raccolti  gli  articoli  ed  altri 
scritti  concernenti  il  grande  scultore. 

Un  visitatore  sente  eccitata  la  sua  curiosità,  ma  non 
può  trarre  profitto  da  tali  preziosità  :  ben  dinanzi  a  quelle 
stupisce  come  finora  non  sieno  state  utilizzate  dai  cultori 
dell'arte ,  e  neppure  dai  biografi  del  Fidia  moderno.  Ho 
domandato  invano  un  catalogo  ragionato  di  esse  ;  non 
potei  neppure  accertarmi  che  il  pubblico  italiano  sia  stato 
abbastanza  informato  di  questi  tesori ,  e  perciò  m'indussi 
a  metterne  qui  questa  nota. 


CIMELJ   DEL   CANOVA  187 

Il  piacere  che  si  pruova  al  vedere  i  caratteri  degli 
uomini  illustri ,  e  viver  così  un  momento  con  essi  e  con 
quelli  che  li  conobbero  e  praticarono,  qui  è  cresciuto  dal 
trovare  i  taccuini  e  il  portafogli  del  Canova  stesso ,  col 
suo  temperino ,  il  suo  toccalapis,  il  suo  compasso,  e 
notato  quanto  diede  ai  facchini  pel  trasporto  del  tal 
masso ,  quanto  ricevette  pel  tal  lavoro ,  quanto  spese 
per  la  tal  compra.  Sono  appunti  che  non  servono  dav- 
vero all'arte  e  alla  storia ,  ma  il  cuore  li  valuta. 

C.  Cantù. 


FEDERIGO     OZANAM 


OEUVRES    COMPLETES 


Lettres  -  II  Voi. 


Nella  povera  ma  serena  cameretta  d'un  esule  ,  in  un  alber- 
go della  contrada  che  chiamano  il  Palazzo  Reale  in  Parigi , 
circa  trentatrè  anni  fa ,  entrava  un  giovane  di  modestia  di- 
gnitosa ,  d'  austera  soavità ,  portante  la  bontà  nell'  aspetto  e 
spirante  l'amabilità  nella  voce  armoniosa,  entrava  senza 
mediazione  di  conoscenza  o  di  lettera,  chiedendo  lume  agli 
studii  iniziati  sul  poema  di  Dante  ;  egli  che  sin  d'  allora  ne 
sapeva  più  forse  dell'  esule  ,  il  quale  aveva  già  mandato  alle 
stampe  1'  abbozzo  del  suo  Comento  di  Dante.  Nel  1846  lo  ri- 
vidi in  Venezia  marito  e  padre  felice  ,  e  veniva  a  chiedere 
per  sua  moglie  un  confessore  che  sapesse  la  lingua  di  Francia. 
Nel  1818  lo  rividi  in  Parigi,  professore  e  scrittore  de' più  ri- 
nomati ,  fedele  alle  tradizioni  cattoliche  de'  suoi  padri ,  con- 
fidante ,  ma  senza  illusioni  ,  nella  novella  repubblica  ;  e  lo 
sperimentai  a  prò  della  povera  Venezia  affettuosamente  ope- 
roso. Ne,  partito  me,  si  scordò  di  Venezia;  e,  dopo  una  di 
quelle  sue  lezioni  non  meno  eloquenti  che  dotte ,  meditate  e 
ispirate,  si  levò  dalla  cattedra,  e  di  banco  in  banco  andò 
raccogliendo  nel  suo  cappello  1'  obolo  per  Venezia ,  con  quel 
cuore  che  a  Londra ,  lasciando  ad  altri  gli  spettacoli  della 
magnificenza  ,  saliva  negli  squallidi  abituri  del  povero  a  por- 
tarvi 1'  elemosina  del  soccorso  e  della  consolazione  con  carità 
riverente.  Per  lui  conobbi  queir  Arcivescovo ,  destinato  a 
perire  di  morte  violenta,  il  quale  nell'  agosto  del  49,  allorché 
Venezia  era  già  in  sul  perire,  scrisse  in  favore  di  lei  quella 


FEDERIGO    OZANAM  189 

lettera  memoranda ,  degna  di  sacerdote  cristiano ,  e  che  ai 
disusati  di  tale  linguaggio  suonò  novità  scandalosa.  Aveva 
Federico  Ozanam  nella  propria  famiglia  ricordanze  dell'  Italia 
recenti  :  e  la  amava  per  le  memorie  religiose  ,  per  le  stori- 
che ,  per  quelle  dell'  arte  ,  e  ,  come  buono ,  per  le  sventure 
sue  stesse.  E ,  al  modo  che  Dante  chiamò  le  favelle  di  latina 
origine  lingua  nostra ,  egli  tutte  le  nazioni  di  schiatta  latina 
e  di  civiltà  romano-cristiana ,  ma  segnatamente  di  Francia  e 
d' Italia ,  faceva  tutt'  una  gente ,  destinata  a  grandi  cose  nel 
tempo  avvenire  ;  e  a  questa  distendeva  il  vaticinio  del  Poeta 
Tu  reg ere  imperio  populos  3  Romane,  memento  J  intendendo 
il  reggimento  dello  spirito  e  il  benefico  impero  immortale 
della  parola. 

D'  alti  e  ampi  concetti  era  già  capace  la  prima  sua  giova- 
nezza. E  lo  prova  la  lettera  scritta  nel  gennaio  del  1831  , 
passati  i  vent'  anni  di  poco.  Nel  1836 ,  e'  faceva  1'  anno  ultimo 
degli  studii  legali  in  Lione  sua  patria;  nel  39  il  nome  del 
Padre  Lacordaire  e  1'  esempio  d'altri  giovani  di  nobile  animo 
e  ingegno ,  agiati  ed  esperti  già  della  vita  ,  lo  induceva  quasi 
a  rendersi  frate  domenicano.  Con  più  libero  andamento  e  più 
suo  egli  doveva  fare  onore  alla  religiosa  e  insieme  alla  civile 
società.  L'  anno  stesso  egli  è  professore  di  diritto  commerciale 
in  Lione  ;  il  seguente  è  professore  di  letteratura  in  Parigi  : 
nel  1811  egli  ha  moglie  degna.  Degno  successore  all'  amico 
d'Alessandro  Manzoni,  Carlo  Claudio  Fauriel;  erudito  e  la- 
borioso non  meno  di  lui ,  atto  più  di  lui  a  comprendere  e 
a  sentire  la  verità  e  la  bellezza  del  mondo  spirituale  ,  cre- 
sciuto in  età  di  scienza  più  matura  e  di  critica  meglio  ispirata, 
più  scrittore  di  lui ,  e  formatosi  sopra  i  grandi  scrittori  del 
secolo  di  Luigi.  La  sua  prosa  tutta  vivente  ,  con  la  dignità 
e  la  schiettezza  del  fare  antico ,  doveva  da  più  anni  già  me- 
ritargli luogo  in  quell'  Accademia  francese  che  di  tanti  gran 
nomi  si  onora.  Egli  di  ciò  con  modestia  altera  scriveva  poco 
innanzi  l' immatura,  ma  già  ben  prevista,  sua  morte  :  «  Farò 
«  di  tutto  questo  una  relazione  immensa  all'Accademia  delle 
«  scienze  morali ,  giacché  1'  altra  giù  di  lì  non  ne  vuol  sa- 
«  pere  di  me.  Quest'  accademia  per  del  tempo  ancora  farà 
«  senza  la  luce  del  mio  sapere  :  e  io  me  ne  consolerei  se  non 
«  temessi  che  questa  luce  si  venga  a  spegnere  prima  che  ci 


190  FEDERIGO    OZANAM 

«  abbiano  posto  1'  occhio.  Io  conosco  gente  ,  fatti  accademici 
«  per  quel  che  si  sperava  di  loro.  E  di  me  non  si  potrebb'  egli 
«  sperare  altrettanto  ?  e ,  per  soprappiù  ,  eh'  io  farei  presto 
«  a  lasciare  il  posto  vacante  ?  » 

Il  maggior  pregio  dello  stile  veniva  dal  cuore  a  lui,  come 
a  tutti.  E  in  queste  lettere  1'  accento  del  cuore  si  sente  ,  e 
lascia  meglio  che  indovinare  quelle  cose  che,  com'egli  dice, 
non  ben  si  esprimono  con  la  penna.  Ammogliatosi ,  e  ,  quanto 
si  può  umanamente  ,  beato  del  suo  stato  novello  ,  egli  scrive  : 
«  Sento  che  il  nuovo  affetto  non  toglierà  dal  mio  cuore  quelli 
«  che  e'  erano ,  e  che  questo  cuore  saprà  bene  allargarsi  per 
«  non  perdere  nulla  ».  A  Gian  Jacopo  Ampère  ,  suo  cugino  di- 
letto ,  ancorché  in  assai  cose  discordante  da  lui ,  scrive ,  tra 
le  altre ,  queste  cordiali  parole  :  «  Voi  potete  esservi  scordato 
«  di  quel  che  avete  fatto  per  me  ;  ma  sapete  ch'io  vi  vo'  bene  ». 
E  di  tratti  simili  queste  lettere  abbondano ,  e  mostrano  in 
lui  delicato  il  vigore,  amabile  l'ingegno,  la  gioventù  vene- 
randa. Quel  eh'  egli  dice  in  lode  del  popolo,  è  la  più  degna  a 
lui  delle  lodi  :  «  Il  popolo  non  sa ,  come  i  dotti ,  concedere 
«un'ammirazione  fredda  e  sterile;  onorando,  egli  ama; 
«  amando ,  egli  crede  ». 

La  fervente  facondia  di  Gian  Jacopo  all'  Ozanam  era  nel- 
1' anima,  e  non  nella  penna;  non  nel  cervello  ,  nel  cuore;  e 
dal  cuore  persuaso,  non  dalla  bocca  declamante,  gli  escono 
queste  parole  ai  poveretti  :  «  Voi  siete  i  signori  nostri ,  e  noi 
«  saremo  a  voi  servitori  ;  voi  siete  a'  nostri  occhi  l' immagine 
«  sacra  di  Dio  ».  Da'  prim'  anni  lo  aveva  di  belle  memorie  e 
di  più  belle  speranze  nutrito  la  madre.  Alla  questione  poli- 
tica preponeva  egli  la  sociale ,  ma  per  edificare  coli'  affetto  , 
non  già  per  distruggere  colla  passione  ;  non  far  le  viste  di 
proteggere  i  deboli  aizzandoli;  ma,  consolando,  attutarli,  e 
renderli  per  fiducia  meritevoli  di  sorti  migliori.  «  Prima  di 
«  rigenerare  la  Francia ,  noi  possiamo  di  qualche  Francese 
«  povero  consolare  i  dolori  ».  -  «  Bisogna  che  i  signori  sap- 
«  piano  che  cosa  è  la  fame  ,  la  nudità  d'  un  tugurio ,  d'  una 
«  soffitta  ;  bisogna  che  veggano  degl'  indigenti ,  de'  bambini 
«  malati,  bambini  che  piangono;  li  veggano  e  li  amino.  Se 
«  il  vederli  non  gli  fa  battere  il  cuore,  questa  nostra  è  una 
«  generazione  perduta  ». 


FEDERIGO   OZANAM  191 

Chi  scrisse  queste  parole ,  era  degno  di  sentire  queste  che 
ora  dirò,  e,  eh' è  il  meglio,  operarle:  «  Ciascuno  di  noi 
«  porta  in  cuore  un  germe  di  santità  ;  e ,  purché  noi  lo  vo- 
«  lessimo  ,  si  svolgerebbe  ».  Santo,  ma  santo  dell'età  nostra, 
con  fede  antica,  con  fiducia  d'anima  giovanile.  La  nostra 
fede,  scriveva,  giovane  sempre ,  può  soddisfare  ai  bisogni 
di  tutti  i  secoli ,  può  di  tutte  le  anime  alleviare  i  dolori. 
Della  fede  insieme  sentiva  le  grandezze  e  le  gioie ,  sentiva 
in  essa  il  sublime  del  bello  :  Io  credo  al  culto  come  profes- 
sione di  fede  >  simbolo  della  speranza ,  attuazione  in  terra 
dell'  amore  di  Dio. 

L'amore  di  Dio  non  era  a  lui  scusa  per  non  amare  gli 
uomini,  come  certi  pii  fanno,  che  non  li  amano  se  non  in 
quanto  e'  gradiscono  e  ubbidiscono  a  loro.  Egli  insegna  di- 
stinguere gli  estranei  alle  credenze  nostre  dai  nemici  ;  sa- 
perli compiangere ,  saperli  stimare;  che  è  già  un  gran  passo 
per  guadagnarsi  la  loro  affezione.  Non  però  che  agli  stessi 
nemici  delle  credenze  sue  1'  Ozanam  non  credesse  debita  ca- 
rità ,  e  che  il  suo  zelo,  sublimando  i  concetti  umani  nella 
regione  de'  celestiali ,  intendesse  poi  d'abbassare  i  celestiali 
al  disotto  quasi  degli  umani ,  facendoli  passione.  La  fede 
patisce  d' essere  mescolata  con  gì'  interessi  e  le  passioni 
politiche  >  le  quali  la  mettono  in  compromésso. 

Anguste  e  violente  egli  chiama  le  massime  politiche  del 
giornale  francese  L'  Universo  ;  quelle  del  Corrispondente  , 
impopolari.  I  regii ,  al  vedere  di  lui ,  non  si  muovono  coi 
piedi  proprii  ;  hanno  gambe  di  legno.  -  Quanto  ai  retrogradi , 
io  domando  se  non  sono  pagani  al  pari  diradicali  coloro 
che  con  la  forza  intenderebbero  di  regnare.  Se  e' vuole  dal 
campo  de'  barbari ,  cioè  ,  de'  regnanti  alla  vecchia  ,  degli 
uomini  del  1815 ,  venire  al  popjolo  ;  intende  il  popolo  vivo  e 
vero  ,  non  le  comparse  da  teatro  ,  né  le  mascherate  ,  tra  schi- 
fose e  orribili ,  de'  carnevali  di  piazza.  Non  bisogna  fare  al 
popolo  colpa  di  que'  banchetti  dov'  egli  non  desina.  -  li  pò- 
polo ha  de'capi  cattivi  >  perchè  non  ne  trova  di  buoni.  -  Ma 
se  non  si  può  cosa  alcuna  sperare  da  que'  barbari  che  chia- 
mami il  popolo  della  città  e  della  campagna ,  son  finite  le 
nostre  dispute ,  perchè  la  fine  del  inondo  è  venuta. 


192  FEDERIGO   OZANAM 

Intendersi ,  ecco  la  sua  divisa ,  che  comprende  ogni  cosa, 
e  1'  attenzione  e  l' intelligenza  e  V  affetto  ,  secondo  il  sapiente 
significato  che  gli  antichi  davano  a  questa  parola.  Come  cit- 
tadino e  come  cristiano,  come  maestro  e  come  scrittore, 
e'  sentiva  essere  ministero  il  suo ,  ma  di  pace,  lo  credo  alla 
autorità  come  mezzo  ,  alla  libertà  come  mezzo ,  alla  ca- 
rità come' fine.  -  Tutti  per  uno*  uno  per  tutti;  tutti  per 
ciascuno ,  ciascuuo  per  tutti. 

Professore ,  abbiam  visto  come  scendesse  dalla  sua  catte- 
dra per  accattare  ;  marito  e  padre  affettuoso,  erudito  pensoso 
e  grave  ,  nobilmente  gentile  ne'  modi ,  e  gracile  di  salute  , 
non  sdegnava  il  noioso  servizio  di  guardia  civica;  e  ne  scri- 
ve celiando  così  :  Ero  di  guardia  per  i  miei  peccati  e  per  il 
servizio  della  patria.  Dalle  minute  cure  di  giornalista  non 
rifuggì  ;  ebbe  nella  Nuova  Era  illustri  e  virtuosi  compagni. 
Poco  durò  la  fiducia  di  lui  nel  novello  reggimento,  repubbli- 
cano di  nome,  vieto  dal  nascere,  perchè  tinto  della  colpa 
comune  oggigiorno  a  coloro  che  credono  e  che  discredono: 
l'avere  sperato  in  chi  non  vuol  Dio  che  si  speri.  Egli  però 
non  rinnegava  i  sentimenti  del  proprio  cuore  né  i  principii 
della  propria  coscienza;  e  nell'ottobre  del  1852  mestamente 
celiava  d'im  misero  professore  relegato  in  fondo  alla  Fran- 
cia sulle  spiaggie  del  mare ,  del  mare  nel  quale  bisogne- 
rebbe precipitare  gl'ideologi ,  i  cattolici  democratici ,  e  tutti 
in  ispecie  gli  scrittori  della  Nuova  Era.  Altrove  protesta  di  non 
si  voler  pentire  delle  sue  illusioni.  «  Nella  nostra  coscienza 
«  v'  è  una  forza  più  grande  che  il  malvolere  de'  nostri  av- 
«  versarii.  A  dissimulare  i  miei  sentimenti  io  non  ci  guada- 
«  gnerei;  e,  senza  amicarmi  i  superiori,  perderei  la  fiducia 
«  de'  giovani  che  mi  vogliono  bene.  Giova  a  questi  tempi  sa- 
«  per  mantenere  la  propria  dignità  ». 

Nel  1853  io  di  Corfù  gli  scrivevo  :  «  Il  non  essere  dimen- 
«  ticato  da  Lei  e  da'  rispettabili  suoi  amici,  m'  è  caro  :  che  non 
«  è  vero  esilio  quando  s  ha  per  patria  e  rifugio  il  cuore  degli 
«  uomini  onesti.  Lo  stato  della  Francia,  è,  come  d'Europa 
«  tutta,  doloroso,  ma  non  disperato.  Dio  gastiga  i  vanti  del 
«  primato,  per  giusti  che  paiano  e  siano:  e  Italia  e  Francia 
«  troppi  ne  fecero  di  tali  vanti.  Ma  novità  veramente  splen- 


FEDERIGO    OZANAM  193 

«  dide  non  avverranno  se  non  quando ,  sferrati  fuor  delle 
«  vecchie  tradizioni  di  Grecia  e  di  Roma,  dalle  altezze  del- 
«  l'orientale  antichità  gli  uomini  si  libreranno  nel  puro  av- 
«  venire.  Noi  siamo  troppo  europei,  troppo  accademici,  troppo 
«  piccini  :  e  però  le  memorie  di  due  o  tre  città  ci  empiono 
«  il  pensiero  e  ci  gonfiano  l'anima.  Ella  intanto  si  serbi  alla 
«  dignità  delle  lettere  puramente  eleganti;  e  mi  rammenti  a  chi 
«  di  me  si  ricorda  ». 

E  due  anni  prima  io  scrivevo  a  lui  stesso:  «  Ho  riletto 
«  il  suo  libro  su  Dante,  segnatamente  quel  passo  dov'Ella 
«  addita  in  che  la  vera  originalità  sia  riposta;  passo  degno 
«  di  Dante.  Non  voglia  però  abbandonare  gli  argomenti , 
«  non  dico  politici ,  ma  sociali.  Qui  sta  il  punto  :  non  si  tratta 
«  di  tale  o  tale  razza  di  servitori  o  padroni  del  popolo,  non 
«  di  tale  o  tal  forma  di  reggimento  ;  dell'  intima  società,  dei 
«  destini  umani ,  si  tratta.  Doloroso  a  dire ,  che  i  nemici  o 
«  i  noncuranti  di  religione  abbiano  a  porre  le  questioni  me- 
«  glio  che  non  facciano  i  preti.  Non  dico ,  sciorre,  ma  porre. 
«  Gesù  Cristo  non  si  diede  per  inteso  della  questione  politica, 
«  ma  andò  alla  sociale  diritto:  e  così  Mosè,  e  tutti  i  grandi  isti- 
«  tutori.  Adesso  i  socialisti  hanno  ripreso  quel  filo  abbandonato 
«  da'  Cristiani  :  e  siccome  certi  Cristiani  alla  comunanza  apo- 
«  stolica,  alla  comunità  religiosa,  al  Comune  libero,  am- 
«  messo  invece  la  ricchezza  avara,  il  privilegio  snaturato 
«  e  la  servitù  tracotante,  i  non  credenti  a  cotesto  corau- 
«  nismo  coagulato ,  e  di  pochi ,  intendono  far  sottentrare  il 
«  comunismo  ardente  di  tutti ,  che  sarà  da  ultimo  il  privile- 
«  gio  d'altri  ancora  più  pochi.  Ma  non  i  socialisti ,  egli  è  Dio 
«  che  pone  la  questione  così  :  egli  è  il  maestro  che  ,  stanco 
«  del  vedere  lo  scolaro  canuto ,  stupido  a  non  voler  saper 
«  leggere  un  libro  a  tanto  di  lettere ,  gli  dà  del  libro  sul 
«  capo.  La  lite  non  è  oramai  tra  il  Presidente  dell'aquila  e 
«  i  figliuoli  della  Casta  verità,  e  il  bambino  del  Miraco'o  e 
«  il  sottotenente  Cavaignac,  e  i  Rossi  giallastri;  è  tra  chi  ha 
«  e  chi  non  ha;  tra  chi  vuol  tenere  senza  fatica  e  chi  vuol 
«  prendere  senza  stento.  E  la  lite  non  finirà  mai  sinattanto- 
«  che  non  venga  chi  insegni  che  la  fatica  è  il  pane  quotidiano 
«  del  ricco ,  la  generosità  e  la  pazienza  è  il  diadema  del  po- 
«  vero,  l'annegazione  è  la  suprema  necessità  della  vita.  Vo- 

Ahch.  St.  [tal.,  3.a  Serie,  T.  X  ,  P.  II.  28 


194  FEDERIGO  OZANAM 

«  glionsi  società  nuove  che  uniscano  in  amore  le  due  razze 
«  degli  aventi  e  de'  non  aventi ,  che  ammettano  l'operaio  in 
«  parte  de' lucri,  se  questi  soprabbondino  alla  mercede  sua 
«  giornaliera  ;  che  nobilitino  la  condizione  del  villico ,  che 
«  ingentiliscano  le  arti  sordide ,  che  congiungano  in  nuovi 
«  patti  gli  uomini  della  medesima  professione  o  di  simile  ; 
«  che  assicurino  il  debole  contro  il  forte3,  lo  spirito  contro  la 
«  materia,  la  famiglia  e  il  Comune  contro  lo  stato  vorace  e 
«  tiranno.  Tale  sarebbe  la  missione  della  Chiesa:  ma  io  veg- 
«  go  qua  e  là  preti  buoni ,  pecore  mansuete  che  danno  lana 
«  e  si  lasciano  sgozzare  ;  pochi  pastori  veggo.  Quindi  neces- 
«  sita  che  i  laici  parlino  e  facciano.  E  non  so  perchè  Gesù 
«  Cristo  non  fosse  prete ,  né  Mosè  sacerdote.  S'  Ella  lo  sa, 
«  me  lo  dica.  Sul  serio,  io  credo  che  a  Lei,  e  a' degni  amici 
«  suoi ,  preti  o  no  ,  corra  obbligo  d'alzare  la  voce.  Un  giornale 
«  quotidiano  non  è  neccessario;  stracca  lettori  e  autori;  ma 
«  un  foglio  per  settimana  e  troverebbe  tanto  da  ricattare  la 
«  spesa,  e  sarebbe  benefizio  memorando.  Ci  pensi  ». 

Quel  ch'egli  de'suoi  scritti  politici  dice ,  cosa  non  lette- 
raria ma  dì  cuore  e  di  coscienza^  può  dirsi  degli  altri  tutti  ; 
tutti  religiosa  fatica.  Aveva  già ,  innanzi  al  ventesim'  anno 
d'età  ,  agli  occhi  e  ai  passi  propostasi  un'alta  meta  :  Per  fare 
a  trentacinque  anni  un  libro ,  io  debbo  ordinare  i  molti  ap- 
parecchi ìnsin  da'  diciotto.  Ma  la  modestia  ha  sua  alterezza 
più  nobile  d'ogni  orgoglio ,  ha  le  sue  voluttà  e  esultazioni  la 
pazienza.  Egli  seppe  tenersi  nell'ombra  ,  e  venire  crescendo 
a  suo  agio  ;  non  perde  mai  del  cammino  ,  ma  non  si  sforzò 
a  divorarlo  precipitoso.  Le  sue  indagini  nelle  biblioteche 
erano  viaggi ,  o  piuttosto  pellegrinaggi  :  alle  sorgenti  della 
tradizione  saliva ,  guidato  dall'  affetto  e  dal  senno  a  evitare 
la  pedanteria  erudita  e  la  leggiera  volgare  mediocrità.  Ap- 
punto perchè  si  sentiva  scrittore,  provava,  innanzi  i  trent'anni, 
come  sia  faticoso  l'apprendere  a  scrivere.  E  dall'essere  que- 
sta in  lui  arte  insieme  e  scienza  e  virtù  ,  e  quasi  una  triplice 
vocazione  ,  venne  il  merito ,  maggiore  assai  della  non  piccola 
fama,  e  che  sarà  sempre  meglio  riconosciuto  col  tempo,  il 
merito  di  scrittore  sano ,  sicuro ,  parco  e  abbondevole  ,  fer- 
vente e  casto  ;  così  come  a  lui ,  ragionante  in  cattedra  con 
improvvisata  parola  cose  lungamente  meditate ,  venne  la  lode 


FEDERIGO   OZANAM  195 

forse  unica  di  dotto  Benedettino  e  di  piacente  oratore.  Pia- 
cente, ma  serio  ;  non  mai  condiscendente  a' pregiudizii  o  alle 
passioni  degli  uditori ,  né  agli  sfoghi  della  propria  fantasia  o 
dell'  ingegno,  o  pur  dello  zelo;  austeramente  cauto  a  vincere 
la  tentatrice  smania  dello  sfoggiare  o  dottrina  o  arguzia  o 
eloquenza. 

Anima  d'artista  la  sua  :  rifletteva  in  sé  netta  e  lucida  la 
bellezza  di  tutti  i  luoghi  e  de'  tempi  ;  e  ristringendola  quasi 
lente  fedele,  anziché  sformarla  ,  le  dava  risalto  come  sovrana- 
mente fa  il  genio  de'  Greci.  L' illustrazione  ch'egli  di  viva 
voce  faceva  a  me  d'opere  d'arte  in  Italia  vedute,  era  d'arti- 
sta poeta  ,  più  che  di  critico  meditante  :  e  le  pagine  che  di 
ciò  leggonsi  in  queste  sue  lettere  ,  sono  la  più  degna  guida 
a' viaggiatori,  e  delle  più  notabili  ch'abbia  trattato  d'estetica, 
o  di  che  possa  vantarsi  la  letteratura  di  Francia.  La  coscien- 
za dell'arte  in  lui  aiutava  la  fede  religiosa  ;  e  questa  era 
ispiratrice  di  quella.  Quante  volte  (scrive  egli)  accanto  al 
fuoco  ,  rivoltando  un  Uzzo  abbruciacchiato  ,  io  m'  imbar- 
cavo con  mia  moglie  al  pellegrinaggio  di  Terrasanta  !  E 
più  tardi  :  «  A  Pisa  io  stetti  più  dì  male  assai,  e  pensavo  di 
«  dovermi  tra  breve  riposare  in  quel  Camposanto  ,  dove  io 
«  avrei  forse  trovato  un  posticino  per  grazia,  in  mercede  del 
«  mio  amore  all'  Italia  e  al  suo  sovrano  poeta.  Ma  non  e'  è 
«  stata  sin  qui  cagione  a  richiedere  questo  onore  grande  ». 
Federico  Ozanam  era  degno  che  la  spoglia  terrena ,  ministra 
dell'anima  sua,  riposasse  in  quella  terra  che  i  figli  della 
gloriosa  repubblica  da'  luoghi  santi  portarono,  cara  più  d'ogni 
merce  ,  per  letto  alle  proprie  e  alle  ceneri  de'  loro  infelici 
nepoti. 

N.  Tommaseo. 


SOCIETÀ  LIGURE  DI  STORIA  PATRIA 


ANNO   XII 


L'anno  accademico  1868-69  s' inaugurava  colla  tornata  generale 
del  29  novembre  ,  e  con  elegante  orazione  del  coram.  Antonio  Crocco 
allora  nominato  presidente. 

Teneano  dietro  a  siffatta  adunanza  i  parziali  convegni  delle 
sezioni  ;  e  furono  assai  frequenti  e  proficui ,  come  si  chiarirà  dalla 
presente  benché  sommaria  esposizione. 

Il  socio  prof.  comm.  Santo  Varni  leggeva  il  seguito  degli  Ap- 
punti di  alcune  gite  da  lui  fatte  nel  territorio  di  Libarna ,  a  com- 
plemento degli  studi  già  dati  a  stampa  su  tale  proposito  (1).  Dice- 
va d'alcuni  sepolcri  nuovamente  scoperti ,  e  riferiva  più  iscrizioni 
o  stampi  di  fittili  ;  notava  i  bronzi ,  e  mostrava  i  pregi  di  una 
statuina  di  Minerva ,  oggi  serbata  nel  R.  Museo  d'antichità  di 
Torino  ;  e  per  ultimo  trattava  ,  in  diverse  Appendici ,  d'alquanti 
monumenti  che  vennero  scavati  in  Lunigiana. 

Il  socio  cav.  Cesare  De'Negri-Carpani  trasmetteva  importanti  no- 
tizie circa  l'agro  tortonese  ;  e  facea  conoscere  parecchie  iscrizioni  da 
lui  medesimo  recentemente  acquistate  o  scoperte.  Intorno  alle  quali 
iscrizioni  riferiva  in  più  tornate  il  prof,  canonico  Angelo  Sanguineti  ; 
e  come  quegli  cui  già  per  l' innanzi  era  stato  meritamente  confidato 
l'incarico  di  radunare  ed  illustrare  le  epigrafi  liguri  dei  primi  secoli 
cristiani ,  veniva  in  pari  tempo  esponendo  il  suo  disegno  sovra 
tale  argomento.  Ragionava  eziandio  di  più   altre    lapidi   pagane   e 


(1)  Ved.  Varni,  Appunti  di  diverse  gite  fatte  nel  territorio  dell  antica  Libarna  , 
Parte  Prima.  Genova  ,  1866- 


SOCIETÀ    LIGURE    DI    STORIA    PATRIA  197 

cristiane  scoperte  di  fresco  ,  oppure  comunicate  da'colleghi  Avi- 
gnone ,  Desirnoni  e  Luxoro ,  ovvero  accolte  nelle  opere  del  Var- 
nazza  e  del  Brambach.  Finalmente  offriva  contezza  d'alcune  parti- 
colarità relative  ad  un  marmo  delle  Catacombe  di  Roma,  e 
restituiva  nella  sua  integrità  una  iscrizione  che  vi  sta  sopra  incisa, 
di  cui  la  prima  metà  si  custodisce  nella  R.  Biblioteca  di  Torino,  e 
l'altra  nella  chiesa  di  Cremeno  in  Polcevera. 

Anche  il  socio  Belgrano  toccava  di  un  monumento  archeologico 
della  Liguria  ,  anzi  del  massimo  ,  quale  è  la  Tavola  eli  Polcevera  ; 
o  per  meglio  dire  ,  accennava  ad  un  punto  che  ha  relazione  alla 
storia  della  sua  scoperta.  Perchè  riferendo  due  documenti  dell'Ar- 
chivio Governativo  ,  mostrava  come  primo  a  far  conoscere  l' im- 
portanza della  Tavola  medesima  fosse  stato  un  maestro  Martino 
Betullio  da  Vercelli  ,  cui  nelle  nostre  carte  si  dà  titolo  di  dottis- 
simo,  ma  che  rimase  ignoto  al  De-Gregori  diligente  istorico  della 
vercellese  letteratura.  La  Signoria  rimunerava  il  Betullio  col  dono 
di  cento  lire  -,  e  del  1507  il  regio  Governatore  in  nome  di  Luigi  XII 
di  Francia  lo  nominava  pubblico  lettore  di  grammatica  in  Genova. 

Alla  numismatica  drizzava  quest'anno  di  proposito  le  sue  ricer- 
che il  cav.  Desirnoni  ;  e  leggeva  parte  del  suo  lavoro ,  che  formerà 
come  il  Proemio  alla  Descrizione  delle  monete  e  medaglie  genovesi , 
cui  attendono  i  soci  Avignone  e  Franchini. 

Trattando  ,  nel  primo  capitolo ,  delle  monete  d'oro  ,  toccava 
anzitutto  del  genovino,  ne  rassegnava  i  diversi  valóri,  e  ne  stu- 
diava i  motivi.  Diceva  come  i  varii  punti  di  fermata  che  s'incon- 
trano nella  loro  serie  ,  cagionassero  le  differenze  tra  la  valuta  di 
tariffa  e  la  commerciale  ,  donde  tutte  le  denominazioni  di  valute 
occorse  nella  Repubblica  e  nel  Banco  di  San  Giorgio  ,  e  che  non 
furono  sinora  con  bastevole  soddisfazione  spiegate.  Parlava  dello 
scudo,  avvertendo  come  sia  da  considerare  un  peggioramento  nel 
peso  e  nel  titolo  del  genovino  suddetto  ;  e  di  esso  scudo  e  della 
doppia ,  che  durarono  con  poche  modificazioni  gli  ultimi  tre  secoli 
della  Repubblica ,  dichiarava  i  rapporti  cogli  odierni  valori , 
eziandio  notando  come  si  possano  ridurre  del  pari ,  con  poche  mo- 
dificazioni ,  sotto  lo  stesso  ragguaglio  le  ultime  due  coniazioni 
del  1758  e  1792 ,  ossiano  i  pezzi  di  lire  80  e  lire  96. 


198  SOCIETÀ    LIGURE 

Nel  secondo  capitolo  ragionava  delle  monete  d'argento,  e  ne 
mostrava  la  base  nel  grosso.  Diceva  che  questo  raddoppiando  prima 
di  grossetto  in  grosso  maggiore ,  quindi  ancora  triplicando  e  qua- 
druplicando quest'ultimo  nel  grossone  o  testone,  finì  nello  scudo, 
che  fu  in  origine  di  quattro  testoni  o  lire,  ma  venne  mano  mano 
aumentando  fino  a  lire  9,  16  di  moneta  corrente.  Onde  la  Repub- 
blica volendo  sempre  avere  una  moneta  d'argento  che  fosse  dell'ori- 
ginario valore  dello  scudo ,  ne  faceva  del  1670  e  1792  coniare 
altri  due ,  i  quali  sono  contraddistinti  dalla  effigie  di  San  Giovanni 
Battista.  Esaminando  poi  lo  scudo  nel  peso  e  nel  titolo  ,  ravvisava 
come  si  fosse  mantenuto  costante  dalla  fine  del  secolo  XVI  al  ces- 
sare della  Repubblica ,  e  divenisse  a  sua  volta  moneta-base.  Che 
se  la  bontà  del  metallo  fu  ognora  conservata  dal  Governo  Genovese, 
tuttavia ,  poiché  la  detta  base  passò  dal  grosso  allo  scudo ,  il 
primo  cessò  di  essere  a  buon  titolo ,  e  si  convertì  nel  così  detto 
cavallotto  ,  di  cui  l'autore  accennava  l'etimologia  e  le  vicende. 

Discorrea  finalmente  ,  nel  terzo  capitolo  ,  del  denaro  o  biglione; 
nel  quale  ravvisava  ,  più  che  in  ogni  altra  specie  ,  un  notevole 
scadimento.  Di  che  accennava  le  cause  diverse,  e  pur  notava  come 
fosse  coniato  per  la  .prima  volta  tutto  di  rame  nel  1631.  Ebbe 
poscia  il  denaro  due  frazioni:  la  medaglia,  cioè  ,  ed  il  quartaro  o 
clapuccino.  La  quale  ultima  specie  ,  non  prima  rilevata ,  veniva 
nelle  sue  origini  studiata  dall'autore ,  il  quale  ricercava  inoltre 
perchè  recasse  l' impronta  del  grifo ,  anziché  la  consueta  rappre- 
sentazione del  castello. 

Parlava  quindi  de' biglioni  maggiori  del  denaro:  la patachina  o 
sesino  ,  che  più  tardi  si  biforcò  nei  pezzi  da  quattro  e  da  otto 
denari;  il  soldino,  la  parpagliola ,  il  cavallotto,  i  pezzi  da  dieci 
soldi ,  ed  infine  la  lira. 

Studiava  egualmente  il  significato  e  l'etimologia  del  denaro; 
e  dimostrava  l'evoluzione  storica  di  tale  vocabolo  a  partire  dai 
primi  tempi  di  Roma ,  fino  a'  principii  della  zecca  genovese.  E  qui 
distingueva  due  sistemi  :  l'uno  romano  ,  o  franco-italiano ,  giusta 
cui  esso  denaro  veniva  fissato  al  peso  di  1]24  d'oncia;  l'altro  di 
Carlo  Magno  ,  o  anglo-germanico ,  che  stabiliva  il  denaro  di  Colo- 
nia ,  o  sterlmo ,  al    taglio  di    venti   per  oncia.   Ma  poiché  anche 


DI    STORIA    PATRIA  199 

questo  secondo  sistema  fu  ,  cogli  imperadori  Svevi ,  introdotto  in 
Italia,  così  l'autore  concludeva  osservando,  come  la  cognizione 
d'entrambi  sia  necessaria  del  pari  alla  perfetta  intelligenza  dei 
grossi  (rinnovazione  del  denaro  di  buon  argento)  che  si  coniarono 
dalle  zecche  principali  della  nostra  penisola. 

Alle  tornate  della  Sezione  Storica  preludeva  con  opportuno 
discorso  il  preside  march.  Antonio  Carrega.  Il  quale  ,  accennato  a 
diversi  fatti  che  attendono  tuttavia  di  essere  lumeggiati  in  grazia 
di  pazienti  e  dotte  ricerche ,  soggiugneva  parergli  degne  in  ispecie 
di  studio  accurato  ,  si  le  origini  del  Comune  ,  sì  i  suoi  progressi 
e  rapporti  moltiplici ,  le  leggi ,  le  colonie. 

E  circa  queste  ultime  ,  due  lavori  di  gran  lena  sopravvennero 
appunto  ad  occupare  molta  parte  delle  tornate  della  Classe  mede- 
sima :  la  Storia  di  Scio  sotto  i  Giustiniani,  dettata  in  tedesco  dal 
socio  corrispondente  prof.  Carlo  Hopf  (1)  ;  e  fatta  italiana  dal  prof. 
Alessandro  Wolf  membro  effettivo  ;  la  Storia  dì  Caff'a  dettata  dal 
socio  P.  Amedeo  Vigna ,  ad  illustrazione  del  Codice  diplomatico 
delle  colonie  Tauriche  sotto  il  dominio  delle  Compiere  di  San 
Giorgio  (1453-1475),  che  si  pubblica  negli  Alti  (2). 

Nella  Storia  di  Scio  l'egregio  Hopf,  illustrate  le  origini  della 
famiglia  de' Giustiniani  di  Genova,  di  già  stranamente  confuse  dai  ge- 
nealogisti con  que'  di  Venezia  ,  toccava  delle  vicende  dell'  isola  nei 
secoli  XIII  e  XIV  ,  delle  sue  ricchezze  ,  de'suoi  trattici  sterminati  ; 
notava  come  la  prima  colonia  genovese  sorgesse  quivi  nel  1201  ;  e 
forniva  assai  importanti  notizie  degli  Zaccaria  di  Castello  ,  che 
furono  signori  delle  due  Focee  ,  e  prima  de'  Giustiniani  ebbero  pure 
il  dominio  di  Scio.  Discorreva  più  specialmente  di  lìenedetto  I 
Zaccaria  ,  il  quale  da  principio  occupò  l' isola  come  nemico  dei 
Greci ,  e  poscia  l'ebbe  in  feudo  dall'  imperatore  Andronico  II ,  tras- 
mettendola per  tal  guisa  a' suoi  discendenti.  Se  non  che  Androni- 
co III ,  ingelosito  della  loro  fortuna  ,   colto    un   pretesto  ,    riguada- 

{{)  Fu  già  pubblicata  nell'Enciclopédia  generale  delle  scienze  edarli  (Lipsia,  4838); 
e  sarà  ora  stampata  negli  Alti,  con  aggiunta  di  documenti  e  con  nuove  notizie 
comunicate  dall'Autore. 

(2)  Di  questo  Codice  uscì  in  luce  lo  scorso  agosto  il  fascicolo  2.* ,  che  ab- 
braccia i  documenti  e  la  storia  del  4456. 


200  SOCIETÀ    LIGURE 

gnavala  al  diretto  dominio  dei  Greci;  ai  quali  per  altro  la  ritoglie- 
va non  molto  appresso  una  flotta  genovese  comandata  dal  prode 
Simone  Vignoso.  Or  come  questa  flotta,  composta  di  ventinove 
galere,  fosse  armata  a  spese  d'altrettanti  cittadini ,  narrava  l'auto- 
re ;  e  soggiugneva  come  la  Repubblica ,  non  trovandosi  poscia  in 
grado  di  satisfarli  ,  addivenisse  alla  stipulazione  di  un  famoso 
convegno,  giusta  cui  stabilivasi  che  mentre  il  Comune  di  Genova 
avrebbe  l'alto  dominio  di  Scio  ,  i  ventinove  armatori  (detti  maho- 
nenses)  ne  avrebbero  l'utile.  Ed  ecco  l'origine  della  celebre  Mahona  di 
cui  il  Vignoso  veniva  tosto  scelto  ad  essere  il  primo  amministratore. 

Ma  all'antica  Mahona  dovea  pur  succederne ,  a  breve  distanza, 
una  nuova.  Di  che  l'autore  toglieva  ad  enumerare  le  ragioni.  Spie- 
gava come  di  questa  società  fosse  l'anima  il  valoroso  Pietro  Reca- 
nelli ,  e  ne  sponeva  le  fasi  diverse  e  le  sorti  ,  fatte  grandi  e  pro- 
spere dapprima  ,  intristite  più  tardi  quando  ai  Giustiniani  fu  forza 
l'acconciarsi  al  pagamento  d'obbrobriosi  tributi  ,  per  non  incontrare 
nella  terribile  inimicizia  de'  Turchi.  A  questo  effetto  cercavano  i 
Maone  si  di  avere  anche  propizi  quei  personaggi  che  presso  la 
corte  di  Maometto  II  rappresentavano  alcune  potenze  cristiane-,  e 
certo  è  da  rimpiangere  che  non  si  possano  ai  buoni  uffici  degli 
stessi  aggiungere  quelli  del  legato  di  Genova  ;  conciossiachè  in  tali 
frangenti  la  madre  patria  non  solo  non  operò  cosa  alcuna  per 
salvare  la  sua  colonia  ,  ma  colle  istruzioni  impartite  al  proprio 
ambasciatore  ,  tolse  invece  gli  ultimi  ostacoli  che  frenavano  ancora 
la  immane  cupidigia  dei  Turchi. 

Descriveva  quindi  il  eh.  Hopf,  con  molta  copia  d'importanti 
particolari,  la  caduta  di  Scio  nel  1564;  la  cattività  e  la  morte  di 
non  pochi  Maonesi;  la  miseria  e  lo  squallore  cui  primamente  Scio 
e  più  tardi  anche  altre  delle  Sporadi  si  videro  ridotte  da'  brutali 
conquistatori. 

L'egregio  autore  pigliava  poscia  a  discorrere  delle  condizioni 
politiche  e  sociali  dell'isola  sotto  la  Maona  :  trattava  dell'elezione  e 
degli  obblighi  del  Podestà,  del  suo  Vicario,  del  Castellano;  espo- 
neva tutto  il  sistema  amministrativo  della  Maona  medesima  con 
singolare  abilità  congegnato  ;  e  soggiugneva  alcuni  ragguagli  atti- 
nenti alla  pubblica  sicurezza  ed  all'annona  ,    alla    igiene    pubblica 


DI    STORIA    PATRIA  201 

ed  alla  polizia  edilizia.  Ragionava  delle  finanze  e  della  loro  gestione 
in  ogni  ramo ,  nonché  dei  diritti  riservati  a'  Maonesi  ;  e  ram- 
mentava tra'  principali  quello  di  zecca.  Le  passività  riduceva 
sotto  tre  capi:  tributi,  spese  d'amministrazione,  spese  straordi- 
narie. 

Rassegnava  la  parte  che  tocca  alla  giustizia  ;  e  rilevava  come 
fonte  del  diritto  nell'isola  fosse  lo  statuto  Genovese,  con  qualche 
modificazione  richiesta  dalle  consuetudini  e  condizioni  locali.  Esa- 
minava gli  ordinamenti  religiosi ,  notava  come  allato  alla  chiesa 
cattolica,  che  vi  era  predominante,  si  mantenesse  la  greca;  e 
come  entrambi  i  riti  avessero  monasteri  e  templi  pregevolissimi 
per  arte ,  e  largamente  arricchiti  dalla  pietà  dei  fedeli. 

Accennava  in  genere  alla  pubblica  istruzione ,  ragionava  di 
scuole  e  d'accademie  ,  e  ricordava  i  molti  Maonesi  che  coltivando 
le  lettere  si  levarono  in  fama.  Fra  le  arti  ebbero  in  Scio  peculiare 
onoranza  l'architettura  e  la  pittura. 

Altre  ricerche  volgeva  l'autore  alla  popolazione  dell'  isola  ;  in- 
dagava quali  elementi  la  componessero ,  come  ed  in  quante  classi 
venisse  distribuita,  e  chiudeva  con  un  cenno  speciale  delle  singole 
famiglie  ch'entrarono  a  parte  della  Maona ,  e  delle  quali  oggigiorno 
il  maggior  numero  è  spento. 

Della  Storia  di  Caffa  il  P.  Vigna  leggeva  quanto  si  riferisce 
agli  anni  1456  e  1457.  Descriveva  la  miserabile  condizione  de'Caffesi 
allo  aprirsi  di  tale  periodo  ,  stretti  com'erano  dalla  fame  ed  assa- 
liti da' Tartari  e  Turchi;  svolgeva  i  provvedimenti  emanati  dall'uffi- 
cio di  San  Giorgio  ad  alleviare  o  cessare  quelle  afflizioni  ;  e  segna- 
lava le  pratiche  iniziate  a  prò  delle  Colonie  Tauriche  da  papa 
Callisto  III  presso  l' Imperadore  di  Germania  e  presso  Giovanni 
Uniade  signore  d' Ungheria.  Dicea  delle  navi  da'Protettori  delle 
Compere  spedite  a  Caffa  con  qualche  sussidio  d'uomini  e  di  grano  ; 
e  come  l'anzidetto  Pontefice  ,  a  beneficio  esclusivo  di  Genova , 
ristringesse  l'esportazione  dei  cereali  da' suoi  dominii  ;  né  mai 
cessasse  dal  favorire  questa  Repubblica.  Anzi  la  levava  a  cielo  , 
perchè  mentre  gli  altri  stati  e  principi  non  rispondeano  che  fredde 
parole  a'  suoi  caldi  eccitamenti ,  essa  sola  agiva  e  rallentava  gli 
spaventosi  progressi  della  mezzaluna  sulla  croce. 

Akcii.  St.  Ìtvl.,  3.a    Serie,  T.  X,  P.  11.  26 


202  SOCIETÀ   LIGURE 

Rappresentava  quindi  gli  sforzi  di  Callisto  per  annodare  una 
lega  di  principi  cristiani  contro  Maometto  II  ;  ma  Carlo  VII  di 
Francia  ed  Arrigo  VI  d' Inghilterra  attendeano  a  disputarsi  un 
lembo  di  territorio  francese  ;  Alfonso  dAragona  non  poteva  dimen- 
ticare l'onta  inflittagli  da'  Genovesi  nelle  acque  di  Ponza ,  ed  il  re 
di  Portogallo  chiarivasi  del  pari  assai  poco  disposto  a  spingere 
con  alacrità  gli  apprestamenti.  Frattanto  Maometto  che  si  trava- 
gliava con  grosso  esercito  sotto  a  Belgrado  ,  riceveva  dall'armata 
pontificia  quella  famosa  rotta  che  fu  la  salute  dell'  Ungheria  e  della 
Germania. 

Alle  molestie  del  Turco  si  aggiugnevano  ora  contro  de'Genovesi 
i  danni  loro  apportati  da  Giovanni  III  di  Cipro ,  ed  infine  la  pesti- 
lenza che  mietè  fra  i  Caffesi  numerosissime  vite.  Ma  come  Dio 
volle  ,  a  temperare  l'amarezza  di  tante  angustie ,  giunse  opportuna 
la  morte  di  un  acerrimo  nemico  della  Colonia,  il  tartaro  Agi-Karei, 
conciossiachè  il  figlio  e  successore  di  lui  strinse  tosto  co' Genovesi 
la  pace  ,  e  ,  che  è  più  ,  la  mantenne  quindi  inviolata. 

Né  i  Protettori  di  San  Giorgio  rimetteano  d'ardore  nel  proposito 
di  migliorare  le  condizioni  di  quella  nobile  terra ,  né  il  Pontefice 
abbandonava  dal  canto  suo  il  disegno  della  lega.  Era  sempre  l'Ara- 
gonese che  più  d'ogni  altro  ne  frustrava  gl'intendimenti;  e  che 
ora  alla  guerra  subdola  faceva  succedere  l'aperta ,  ripigliando  l'ar- 
mi contro  la  Repubblica  e  volgendo  a  questo  fine  le  decime  che 
avea  raccolte  ne'suoi  Stati  a  vantaggio  della  Crociata. 

A  queste  notizie  teneano  dietro  finalmente  parecchi  accenni  rela- 
tivi all'  interna  amministrazione  delle  Colonie ,  così  in  materia 
civile ,  come  in  tema  di  giurisprudenza  e  di  finanza. 

Nella  Storia  di  Scio  ,  poc'anzi  lodata ,  il  eh.  Hopf  rammen- 
tando come  i  membri  della  nuova  Maona  assumessero  tutti  il  titolo 
di  Giustiniani ,  mostrava  come  questo  dovesse  riguardarsi  nel  suo 
principio,  non  già  quale  cognome,  sibbene  aversi  in  conto  di  deno- 
minazione commerciale  ,  equivalente  a  Compagnia  anonima.  Altre 
indagini  e  vedute  esponeva  pure  su  questo  argomento  il  socio  cano- 
nico Luigi  Iacopo  Grassi  ;  e  gliene  forniva  occasione  una  monografìa 
da  lui  dettata  intorno  la  torre  celebratissima  degli  Embriaci  in 
Genova.   La  quale  dalla  linea  degli  Embriaci  di  Castello,  poi   Giù- 


DI    STORI  V    PATRIA  203 

stiniani  ,  passava  il  1511  nella  famiglia  Cattaneo  ,  quindi  nei  Sale 
e  ne'Brignole-Sale  fino  alla  duchessa  Luisa  Melzi  d' Heryl  (1). 

Il  march.  Massimiliano  Spinola  presentava  una  Nota ,  da  esso 
lui  compilata  ,  di  cittadini  genovesi  che  furono  Podestà  e  Capitani 
del  Popolo  in  varie  città  d' Italia  ;  ed  il  cav.  Desimoni  comunicava 
due  documenti  del  secolo  xv ,  riguardanti  il  primo  un  pubblico 
parlamento  tenuto  dagli  uomini  della  castellania  di  Ranzo  (Diocesi 
d'Albenga),  ed  il  secondo  i  patti  mercè  cui  il  Comune  di  Castiglione 
Genovese  e  le  ville  di  Lagorara ,  Carro  e  Castello  sommetteansi 
volontariamente  alla  Repubblica.  E  giovavasi  di  tali  comunicazioni 
per  far  luogo  ad  alcuni  riflessi  circa  i  parlamenti  di  quel  tempo, 
le  relazioni  de'Cormmi  minori  colla  Metropoli  ,  e  la  varietà  de'rap- 
porti  che  correano  fra  loro. 

Il  prof,  senatore  Michele  Amari  dava  contezza  d'un  brano  di 
storia  inedita  dell'Affrica  settentrionale  e  della  Spagna  ,  spettante 
alla  fine  del  secolo  xui ,  esistente  nella  Biblioteca  di  Copenaghen 
e  descritta  dal  eh.  Dozy  di  Leida.  Nel  quale  brano,  che  appunto 
lo  stesso  Dozy  recava  a  cognizione  dell'Amari ,  si  parla  de'  fatti 
d'armi  occorsi  tra' Genovesi  e  que' di  Ceuta  dal  1236  al  1238,  con 
maggiore  chiarezza  di  quella  onde  si  spiegano  su  tale  proposito  gli 
annalisti  di  Genova.  Aggiungeva  pure  come  il  Dozy  trovasse  in 
Ibn-Baitar  il  nome  che  i  Genovesi  di  quel  tempo  davano  alla 
zedoaria  \  ed  il  loro  costume  di  giovarsi  molto  di  quest'erba 
eccitante. 

Il  prof.  sac.  Giacomo  Da  Fieno  interteneva  la  Classe  archeo- 
logica da  lui  presieduta,  con  una  Dissertazione  della  beneficenza 
ligure;  e  mostrava  come  una  storia  della  medesima,  oltreché  sareb- 
be un  degno  monumento  innalzato  alla  pietà  de'nostri  maggiori , 
gioverebbe  eziandio  l'-arduo  compito  che  incombe  ai  presenti  di 
riformare  e  sviluppare  ancora  quegli  istituti  che  esistono  tuttavia  ; 
e  mostrerebbe  in  ultimo  come  non  pochi  problemi  che  oggidì  si 
bandiscono  difficili  a  sciogliere  venissero  invece  felicemente  risoluti 
ne'  secoli   addietro.  Piaceva  alla    Sezione  questo    disegno    del    suo 

(1)  Ed  ora  al  duca  Lodovico  di  lei  marito,  essendo  la  Duchessa  morta  a 
Ginevra  nel  settembre  ultimo  -corso. 


20-1  SOCIETÀ   LIGURE 

preside  ,  e  perciò  votava  un  ordine  del  giorno  proposto  dal  socio 
Belgrano  ,  con  cui  il  Da  Fieno  medesimo  rimaneva  incaricato  della 
compilazione  di  una  storia  siffatta. 

Il  precitato  Belgrano  leggeva  quindi  una  Memoria  intorno  l'opu- 
scolo di  Benedetto  Portuense  ,  intitolato  Bescriptio  ad'-entus  Ludo- 
vici XII  Francorum  regis  in  urbem  Genuam,  (1);  la  quale  Memoria 
è  da  considerare  come  conclusione  alla  prima  parte  del  suo  lavoro 
sulle  feste  e  giuochi  de'Genovesi  letta  nelle  tornate  del  precedente 
anno  accademico.  Rilevava  da  questa  narrazione  le  circostanze 
che  in  altri  storici  non  si  trovano  registrate  ;  e  fra  esse  quella 
che  al  Re  ,  nella  chiesa  di  Santa  Maria  de'Servi ,  si  presentarono 
in  folla  uomini  e  donne  affetti  da  timori  frigidi,  poiché  era  fama 
che  i  successori  di  San  Luigi  avessero  virtù   di   sanarli    col    tatto. 

Di  che  il  riferente  pigliava  occasione  a  trattare  di  certe  pratiche 
supertiziose  che  furono  in  uso  presso  gli  antichi  Genovesi,  d'alcune 
strane  predizioni  e  per  ultimo  d?gli  zingari,  della  cui  dimora  in 
Genova  si  ha  ricordo  non  solo  per  documenti ,  ma  eziandio  pel 
nome  derivato  da  essi  alla  strada  che  rasenta  il  palazzo  D'Oria 
presso  San  Tommaso  dalla  banda  del  mare. 

Leggeva  inoltre  il  socio  Belgrano  il  capitolo  con  cui  si  comin- 
cia la  parte  seconda  dell'accennato  lavoro  ;  ove  è  detto  delle  feste 
della  Repubblica  per  vittorie  ,  e  per  celebrazione  e  ricordo  d'altri 
prosperi  eventi.  Descriveva  la  corte  bandita  del  1227,  quando 
Genova  tornò  in  soggezione  i  ribelli  della  Riviera  occidentale  ;  mo- 
strava introdotto  nel  secolo  xm  il  costume  della  offerta  de'palii , 
e  cessato  a  mezzo  il  secolo  xv.  Tessea  la  storia  dello  stendardo 
di  San  Giorgio  ,  che  solea  consegnarsi  con  grandissima  pompa  agli 
ammiragli  ,  e  recarsi  nelle  guerresche  imprese  di  momento  mag 
giore.  Accennava  all'istituzione  dell'ordine  militare  ed  equestre, 
che  ugualmente  s' intitolò  da  quel  santo  ;  ragionava  delle  ricom- 
pense ed  onoranze  concedute  a'prodi  cittadini.  Rammentava  i  giorni 
procellosi  corsi  per  la  Repubblica  nella  prima  meta  del  secolo  xvit; 
ed  esposto  come  allora  San  Bernardo    venisse    connumerato   fra   i 

(1)  L'opuscolo  del  Portuense  fu  pubblicato  da  Guglielmo  de  Jaligny  nella 
Hisloire  de  Charles  Vili  roi  de  Franre  (Parigi  ,  1647)  ;  la  Memoria  del  Belgrano 
si  leggera  stampa  nei  num.  15  e  16  del  Giornale  degli  studiosi  (Genova). 


DI    STORIA    PATRIA  205 

patroni  della  Metropoli ,  e  la  R.  Vergine  fosse  acclamata  Regina 
del  serenissimo  dominio;  ne  toglieva  argomento  a  dire  di  più  altre 
feste  e  religiose  cerimonie  che  da  ciò  tolsero  origine ,  e  del  pio 
costume  di  dotare  ogni  anno  dodici  zitelle  del  pubblico  denaro. 
Terminava  raccontando  le  esultanze  del  popolo  per  la  cacciata  dei 
Tedeschi  nel  1746. 

Leggeva  quindi  lo  stesso  Relgrano  una  recensione  dell'opera 
di  S.  E.  il  conte  Cibrario  intorno  la  schiavitù  ed  il  servaggio  , 
poscia  comparsa  in  questo  periodico  (1)  :  il  presidente  comm.  Crocco 
tesseva  una  breve  ma  eloquente  rassegna  dell'egregio  volume  de! 
barone  De  Nervo  intitolato  Le  covrite  Corvetto....  sa  vie,  son  femps 
son  ministère  :  il  socio  Da  Fieno  cominciava  a  dar  lettura  d'una 
sua  biografia  del  vivente  e  celebre  violinista  cav.  Camillo  Sivori  ; 
ed  il  canonico  Sanguineti  pronunciava  l'elogio  del  defunto  collega 
prof.  cav.  D.  Paolo  Rebuffo.  Nel  quale  toccato  degli  uffizi  dal  me- 
desimo sostenuti  nel  pubblico  insegnamento,  diceva  poi  degli 
scritti  ;  noverando  più  specialmente  le  Lettere  svila  predirazione 
e  le  Epigrafi  latine  o  volgari.  Diceva  de'molti-  pregi  del  Giornale 
Ligustico  da  luì  fondato  ;  e  come  questo  periodico  vivesse  appena 
tre  anni  (1827-1829) ,  mentre  era  degno  di  viverne  assai. 

Il  cav.  prof.  Tamraar  Luxoro  trattava  della  mostra  archeologica 
ed  industriale  aperta  in  Chiavari  lo  scorso  novembre  ,  in  una  Let- 
tera al  socio  Belgrano ,  che  poi  comparve  nella  rivista  mensile 
dell'Arte  in  Italia  (2)  ;  ed  il  socio  D.  Giambattista  Brignardello 
inviava  una  sua  Memoria,  che  è  prossima  ad  uscire  in  luce,  intor- 
no Giuseppe  Gaetano  Descalzi  e  l'arte  delle  sedie  in  Chiavari  ;  di 
una  parte  della  quale  si  dava  pure  lettura. 

Anche  agli  studi  geografici  progrediti  felicemente  negli  anni 
addietro ,  attese  in  questo  la  Società.  Ne  sono  documento  la  favo- 
revole accoglienza  incontrata  dalla  proposta  fattale  dall'  ingegnere 
geografo  Nicolò  Grondona  di  sopravvegliare  al  buon  indirizzo  di 
una  Carta  comparativa  della  Liguria  da  lui  divisata  ,  e  l'ampia 
Carta  della  vallata  del  Bisagno ,  delineata  dal  socio  sig.  Francesco 


(4)  Voi.  X,  par.  I. 

(2)  Ved.  la  dispensa  (I  (febbraio). 


206  SOCIETÀ  LIGURE 

Podestà  col  riscontro  de'  nomi  antichi  e  moderni ,  e  da  lui  presen- 
tata alla  Sezione  archeologica.  Ne  sono  documento  i  Xuovi  Studi 
del  cav.  Desimoni  sull'Atlante  Luxoro ,  egli  Opuscoli  di  Benedetto 
Scotto  con  Prefazione  del  socio  Belgrano ,  gli  uni  e  gli  altri  usciti 
a  stampa  negli  Atti  (1). 

Ma  larga  parte  si  fé'  del  pari  in  quest'anno  alle  artistiche 
trattazioni ,  alle  quali  è  perciò  mestieri  che  ora  si  accenni. 

Il  socio  comm.  Santo  Varai  dava  lettura  della  terza  ed  ultima 
parte  della  sua  Memoria  sui  fonditori  in  bronzo  che  operarono  in 
Genova  (2).  Trattava  dei  discepoli  di  Gian  Bologna ,  e  cosi  dei 
lavori  eseguiti  fra  noi  dal  Francavilla  e  dal  Tacca  ;  poi  di  Massi- 
miliano Soldani  ,  e  del  genovese  Nicolò  Roccatagliata  ,  meglio  noto 
in  Venezia  che  in  patria.  Diceva  di  Pompeo  Caccini,  d'Orazio  Albrizio 
romano  ,  d'Annibale  Busca  ,  di  Francesco  Fanelli  e  di  più  altri. 
Giambattista  Bianco  gittava  il  gruppo  di  Maria  col  Putto ,  che 
sorge  sul  maggiore  altare  in  San  Lorenzo  ;  ed  Alessandro  Algardi 
lasciava  un  bel  monumento  del  proprio  ingegno  nella  cappella  dei 
Franzoni  in  San  Carlo. 

Il  cav.  Federigo  Alizeri ,  preside  della  Sezione  di  Belle  Arti  , 
conferiva  colla  medesima  de' suoi  studi  sovra  il  pittore  nizzardo 
Ludovico  Brea.  Accertando  l'esistenza  di  più  tavole  di  questo  arte- 
fice ignorate  ai  biografi ,  provando  l'autenticità  di  altre  contro- 
verse ,  e  ragionando  intorno  allo  stile  ed  alle  varie  epoche  di  Ludo- 
vico ,  ne  toglieva  occasione  a  rettificare  eziandio  certe  erronee 
asserzioni  d'alcuni  scrittori  circa  i  primordi  e  gli  avanzamenti 
della  nostra  scuola  e  gli  statuti  dell'arte  pittorica  in  Genova.  Mo- 
strava come  il  Brea  dovesse  quivi  trovarsi  del  1481  ,  ed  essere 
poco  appresso  iscritto  nella  Matricola  deL  arte  medesima ,  rifor- 
mata appunto  in  quell'anno.  E  proseguendo  a  noverare  i  dipinti  da 
Ludovico  eseguiti  pei  Domenxani  di  Taggia ,  non  ometteva  di  giu- 
stificarlo da  certi  appunti  del  Lanzi.  Confutava  coll'esame  dello 
stile  e  delle  date  la  congettura  dello  Spotorno ,  che  fa  il  Brea 
condiscepolo  del  P.  Macari  in  Taggia,  sotto  Corrado  di  Alemagna. 

(1)  Voi.  V  .   fascicolo  II. 

(2)  Delle  altre  parti  già  facemmo  un  breve  cenno  gli  anni  antecedenti. 


DI    STORIA    PATRIA  207 

Indi  il  San  Giovanni  di  esso  Brea ,  che  è  piccola  parte  di  gran- 
dissima tavola  nell'oratorio  dei  disciplinanti  di  Santa  Maria  di  Sa- 
vona ,  porgeva  argomento  al  cav.  Alizeri  di  considerare  la  speciale 
ingerenza  che  sulla  nostra  pittura  dovettero  esercitare  i  Lombardi  ; 
ed  accennava  alle  cagioni  per  le  quali  in  Liguria  si  fé'  ritorno  dalle 
forme  gotiche  del  decorare  al  semplice  ed  elegante  delle  latine. 
Finalmente  ,  dopo  aver  confermati  i  principali  caratteri  del  Brea  , 
col  riscontro  della  tavola  che  si  ha  in  Genova  nella  basilica  di 
Santa  Maria  di  Castello  ,  concludeva  argomentando  sulla  probabile 
durata  della  vita  di  quell'artista  dalle  date  sottoscritte  alle  tavole 
di  lui ,  e  non  bene  considerate  da'  biografi. 

Dell'anzidetta  gran  tavola  di  Savona  porgea  successivamente 
l'Alizeri  più  ampie  notizie  ,  avendone  opportunità  di  toccare  i  ca- 
ratteri della  scuola  pittorica  in  Liguria,  per  quel  periodo  dell'arte 
che  corre  dalla  metà  del  secolo  XV  ai  primordi  del  seguente  ,  e  di 
notare  distintamente  le  sembianze  di  quel  ritorno  alle  forme  roma- 
ne ed  agli  studi  della  natura ,  ch"egli  derivava  in  modo  speciale  , 
quanto  alla  nostra  provincia  ,  da  Bramantino.  Nel  particolare  poi 
di  essa  tavola,  il  Disserente  ne  rassegnava  i  pregi  e  le  qualità,  non- 
ché quelle  peculiari  condizioni  che  anche  agli  attenti  osservatori 
erano  state  finora  argomento  di  confusione  ed  inciampo  a  sicuri 
giudizi  ;  e  concludeva  colla  produzione  di  un  documento  attinto 
negli  Archivi  lombardi ,  mercè  cui  torna  certissimo  come  autore 
del  suddetto  dipinto  (ad  eccezione  della  parte  che  già  notammo 
del  Brea)  Vincenzo  Poppa ,  bresciano ,  discepolo  appunto  di 
Bramantino. 

Il  socio  avv.  Enrico  Lodovico  Bensa  leggeva  una  sua  Memoria 
sull'architetto  militare  Fra'  Vincenzo  Maculano  da  Firenzuola.  Dice- 
va delle  opere  disegnate  o  dirette  da  quel  valentissimo  nella 
Riviera  orientale  ,  e  segnatamente  ne'  golfi  di  Rapallo  e  di  Spezia; 
poscia  a  Gavi  ,  a  Savona  ,  a  Vado  ,  a  Portomaurizio  ,  e  per  ultimo 
a  Genova.  Quivi  ,  a  stringerne  la  cerchia  murale  ,  proponeva  che 
ad  occidente  si  evitasse  il  Promontorio  con  larga  curva  abbracciato 
ne'progetti  d'altri  ingegneri  ;  e  da  levante,  a  cansare  le  offese  delle 
circostanti  colline ,  disegnava  una  cortina  che  dalle  alture  di  San 
Bartolomraeo   si    prolungasse   fino    all' Acquasola.    Compiutosi    poi 


208  SOCIETÀ   LIGURE 

dalla  Repubblica  sopra  diverse  tracce  il  progetto ,  era  il  Maculano 
invitato  ad  esaminarlo;  ed  egli,  da  Roma  tornando  in  Genova, 
ne  lodava  lo  insieme  e-  ne  biasimava  alcuni  particolari. 

Or  questa  lettura  forniva  ragione  all'Alizeri  di  entrare  anch'esso 
in  alquante  osservazioni  relative  agi'  ingegneri  militari  ,  i  quali 
diceva  egli  come  la  Signoria  Genovese  del  continuo  ricercasse  e 
largamente  proteggesse  con  grandissima  cura.  Notava  come  per 
l'opera  delle  mura  succennate  si  avesse  ricorso  del  pari,  buon 
tratto  innanzi,  a  Galeazzo  Alessi,  e  come  per  documenti  da  lui 
testé  scoperti  sia  chiarito  essere  stato  a'suoi  giorni  ugualmente 
richiesto  Antonio  da  Sangallo.  Infine  ricordava  Giovanni  Maria 
Olgiati  ,  lombardo,  cui  si  deve  il  castello  di  Savona,  ed  il  celebre 
Montecuccoli  cui  venne  afiidata  l'opera  del  rafforzare  le  mura  alla 
Foce  del  Bisagno. 

Per  ultimo  lo  stesso  cav.  Alizeri  facea  relazione  di  {un  recente 
opuscolo  dell'  insigne  statuario  Giovanni  Duprè  ,  togliendone  oppor- 
tunità ad  accennare  e  combattere  i  dissidi  che  da  più  anni  sono 
entrati  nel  pacifico  regno  delle  arti.  Mostrava ,  coll'autorità  del 
sommo  artefice  fiorentino,  ugualmente  riprovevole  la  setta  degli 
accademici,  che  affogano  il  sentimento  dell'arte  in  una  compassata 
imitazione  degli  antichi ,  e  quella  de'  naturalisti  i  quali  ne  immi- 
seriscono lo  spirito  e  ne  offuscano  il  decoro  ,  stringendosi  ad  una 
pretta  riproduzione  della  realtà.  Ne'  varii  periodi  della  storia  arti- 
stica italiana ,  additava  poi  l' Alizeri  un'epoca  fugacissima ,  che 
precorse  di  poco  od  anche  in  parte  toccò  il  cinquecento  ,  nella 
quale  parve  felicemente  innestarsi  la  natura  coll'arte ,  il  senti- 
mento del  cuore  col  magistero  della  mano  ,  ultimo  fine  e  perfezione 
delle  discipline  imitative.  Esprimeva  la  sua  compiacenza  nel  rico- 
noscere come  Giovanni  Duprè ,  ben  lungi  dall'esciudere  l' ideale 
dalla  bellezza  ,  lo  stimi  anzi  efficacissimo  a  conseguire  lo  scopo 
dell'arte;  sì  veramente  che  per  questo  ideale,  malamente  frainteso 
o  calunniato  dai  novatori  ,  s' intenda  la  scelta  più  acconcia  delle 
forme  visibili  relativamente  alle  qualità  del  soggetto  ed  alla  inten- 
zione dell'artefice. 

11  compito  delle  sezioni  si  arrestava  al  termine  di  luglio  ;  ed  i 
Presidi  ne  chiudevano  le  tornate  con  acconci  e  dotti  ragionamenti. 


DI   STORIA    PATRIA  209 

Dell'operato  poi  dalla  Società  così  nell'ordine  scientifico  come  nel- 
l'amministrativo ,  rendea  contezza  il  segretario  sottoscritto  all'as- 
semblea generale  dell'  8  agosto  ;  con  la  quale  appunto  si  terminava 
il  XII  anno  accademico. 

Genova,  ottobre  1869. 

L.  T.  Belgrano. 


Arch.  St.  Itu..  ,  3."  Serie,  T.  X  ,   P.  II.  ti 


R.  DEPUTAZIONE  DI  STORIA  PATRIA 

per  le  Provincie  di  Romagna 
Anno  1868-69 


Il  conte  Gozzadini ,  framezzando  i  suoi  studi  archeologici  collo 
studio  di  cose  attenenti  al  Medio-Evo,  diede  principio  ai  lavori  della 
Deputazione  nell'ultimo  anno  accademico,  leggendo,  nella  seduta  del 
29  novembre,  la  prima  parte  d'una  dissertazione  sulle  torri  gentilizie 
urbane  di  Bologna;  argomento  curioso  per  chi  sa  come  parecchie 
delle  nostre  città  dovessero  offrire  un  singolare  spettacolo  al  viag- 
giatore avendo  l'aspetto  come  di  selve  di  torri.  Il  conte  Gozzadini  ha 
raccolto  notizie  dagli  antichi  scrittori  e  dai  documenti  pubblici,  e  di 
più  ha  esaminato  con  diligenza  e  misurato  le  torri  che  rimangono 
ancora  in  piedi  e  quelle  di  cui  non  ci  sono  che  avanzi.  Dopo  avere 
esposto  le  origini,  gli  usi  e  il  significato  politico  e  gentilizio  delle 
torri,  dopo  aver  discorso  di  altre  città  in  cui  sorsero  questi  ediflzi , 
si  trattiene  a  parlare  di  quelli  di  Bologna.  Di  146  torri  si  ha  memoria 
certa,  e  di  più  altre  indeterminata,  tutte,  meno  tre  ,  nella  cerchia 
antica,  di  varia  altezza,  larghezza  e  conformazione:  narra  come 
talvolta  fossero  costruite  a  spese  ed  uso  comuni  da  più  rami  d'una 
famiglia,  da  consorterie  e  anche  da  due  famiglie  di  schiatta  diversa 
per  saldare  la  pace  fra  loro  giurata.  Circa  l'età,  il  conte  Gozzadini 
sta  fra  il  975  e  il  1489.  Espone  quindi  i  provvedimenti  che  il  Co- 
mune prendeva  e  doveva  prendere  contro  i  proprietari  per  allon- 
tanare i  pericoli  alla  quiete  pubblica  e  all'autorità  del  Comune  , 
confrontando  la  legislazione  bolognese  con  quella  di  altri  Comuni. 
Il  disfacimento  di  parecchie  torri  fu  causato  in  parte  da  ordini 
de'  magistrati  ,  in  parte  dalla  edificazione  di  vaste  chiese  e  con- 
venti ,  in  parte  dallo  spavento  delle  rovine  casuali  o  per  effetto 
di  terremoti. 


R.   DEPUTAZIONE   DI    STORIA    PATRIA   EC.  211 

Nell'adunanza  del  13  dicembre  fu  comunicata  alla  Deputazione 
una  lettera  del  canonico  Antonio  Tarlazzi  archivista  arcivescovile 
di  Ravenna,  il  quale  annunziava  come  s'è  proposto  di  pubblicare 
un'Appendice  ai  Monumenti  ravennati  de' secoli  di  mezzo  dati  in  luce 
dal  conte  Marco  Fantuzzi ,  giacché  le  moltissime  pergamene ,  oltre 
lOmila,  che  possiede  Ravenna,  e  i  materiali  preparati  da  una  So- 
cietà letteraria  stabilita  in  quella  città  nel  secolo  passato  per  ri- 
pubblicare le  Storie  del  Rossi  con  ampio  corredo  d' illustrazioni , 
de'  quali  apparecchi  si  giovarono  in  parte  il  Fantuzzi ,  il  Marini 
pe' suoi  Papiri  diplomatici  e  Luigi  Amadesi  perla  Cronotassi  arci- 
vescovile, gli  somministrano  materia  abbondante  per  una  nuova 
Raccolta,  che,  insieme  con  quelle  già  rammentate,  costituirebbe 
un  compiuto  codice  diplomatico  di  Ravenna  e  delle  Romagne  :  do- 
vrebbero far  parte  di  questa  collezione  lettere  e  bolle  di  papi , 
statuti ,  convenzioni  di  popoli  ,  disposizioni  dei  Signori  di  Romagna 
e  della  Repubblica  veneta,  istrumenti  d'investitura,  contratti  ec.  ; 
la  massima  parte  de' quali  documenti  fanno  ricco  l'Archivio  comu- 
nale, cho  ,  secondo  un'altra  comunicazione  dello  stesso  canonico 
Tarlazzi,  fatta  il  25  aprile  di  quest'anno,  la  Giunta  Municipale  ha 
stabilito  che  venga  riordinato  ,  e  sia  provveduto  alla  conservazione 
di  quelle  carte  preziose  per  la  storia  particolare  di  quella  città  che 
è  anche  parte  rilevante  della  Storia  generale  d' Italia. 

Il  cavaliere  dottor  Luigi  Tonini  mandò  a  leggere  nell'adunanza 
del  27  dicembre  una  Memoria  intorno  alle  vicende  della  biblioteca 
riminese  che  dal  nome  del  fondatore  Alessandro  Gambalunga  è 
chiamata  Gambalunghiana.  Del  Gambalunga  aveva  fatto  innanzi  il 
Tonini  una  diligente  biografia.  In  questa  seconda  memoria  ricorda 
come  a  Rimini  fossero  già  due  altre  biblioteche  pubbliche  anteriori 
alla  presente  ,  una  per  lasciti  di  Carlo  e  Galeotto  Roberto  Malate- 
sta ,  un'altra  nel  convento  dei  Francescani  arricchita  di  codici  rari 
da  Sigismondo  Pandolfo  ,  e  per  successivi  legati  :  quindi  narra  le 
vicende  della  Gambalunghiana  parlando  dei  quattordici  bibliotecari 
che  dal  1619  al  presente  ne  hanno  avuto  il  governo;  ne  descrive 
minutamente  le  fortune  e  gli  accrescimenti ,  per  larghezza  di  pri- 
vati ,  massime  del  cardinal  Garampi ,  di  guisa  che  dai  duemila  vo- 
lumi di  che  si  componeva  nel  1620,  ora  ne  conta  da  26mila ,  e  fra 
essi  809  manoscritti  e  300  opere  a  stampa  anteriori  al  Cinquecento. 

La  lettura  del  seguito  dei  Ricordi  de' pittori  e  altri  artisti 
faentini  del  secolo  XVI  compilati  dal  'sacerdote  Gian  Marcello 
Valgimigli  ha  occupato  l'attenzione  dei  soci  nelle  due  adunanze 
del  10  gennaio  e  del  27  giugno.  Di  Giacomo  Filippo  Carradori  non 
poteva  dare  che  scarse  notizie.  Ricordava  le  opere  di  Niccolò  Pa- 
ganelli  vissuto  dal  1538  al  1620  ;  il  quale  ,  giusta  le  memorie  tra- 


212  R.   DEPUTAZIONE    DI   STORIA   PATRIA 

mandate  da  un  suo  nipote  «  da  giovane  si  dilettò  molto  del  disegno 
e  della  pittura,  e  studiò  in  patria  sotto  buoni  maestri  di  quest'arte: 
trasferitosi  a  Roma ,    sotto   la   disciplina   di   bravi  uomini  divenne 
perfetto  ed  eccellente  pittore  ,  di  buon  disegno  ,  d' invenzioni  copio- 
sissimo ,  intelligente  dell'anatomia,  prospettiva  e  architettura.  Segui 
la  vera  via  del  colorire  con  attitudine  ed  infinita  grazia  e  con  ma- 
niera tale    che   le   cose   paiono   più    che   vive,  e  in  far  ritratti  al 
naturale  eccellente  ».  Con  poche  parole  ricordava  il  nome  di  Antonio 
Foschi  che  pare  non  abbia   lasciato  opere  da  essere  raccomandato 
alla  posterità.  Ma  di  più  lungo  discorso  gli  clava  materia  Giambat- 
tista Arme  nini ,  avendo  potuto  l'autore  coll'aiuto  di  documenti  am- 
pliare le  notizie  che  intorno  al  medesimo  artista  produssero  il  Ticozzi 
ed  il  Cappi ,  e  l'Armenini  stesso  nella   sua  opera    De'veri   Precetti 
della.  Pittura:  si  tratteneva  a  parlare  di  questo  libro  pregiato  per 
la  bontà  de' precetti ,  per  i  fatti  che  narra  e  per  la  forma  onde  le 
cose    sono   significate ,   mentre   delle    opere  di  pittura   non  poteva 
rammentare  se  non  una   tavola   rappresentante  l'Assunzione,  con- 
servata ora  nella  Galleria  di  Faenza  ,  nella  quale,  a  giudizio  degl'in- 
tendenti è  di  pregevole  la  maniera  del  tempo.  Enumerava  poi  le 
opsre  di  Marc' Antonio  Rocchetti,  del  quale  una  gran  tela  rappre- 
sentante San  Francesco  in  atto  di  ricever  le  stimate  è  condotta  con 
tanta  maestria  da  venir  reputata  una  delle  più  belle  del  Barrocci. 
Finalmente   dava   notizie   di   Bartolommeo  Garminanti  e  Antonio 
Zannoni ,  co' quali  si  chiude   la   serie   de' pittori   faentini   del    se- 
colo XVI.  Passato  quindi  a  parlare   d'altri  artisti  suoi  concittadini 
del   secol   medesimo  il  Valgimigli   dava   notizie   della   vita  e  delle 
opere  di  Pietro  Barilotti,  giudicato  da  chi  ha  veduto  le  sue  sculture 
meritevole  di  maggior  fama;  di  Pietro  Palmi  rammentato  dal  Fla- 
minio nella  sua  lettera  De  laudibus  Urbis  Faventiae  come  celebrem 
Romae   Statuarium  ;   di    Antonio  Liberi   architetto  ;  e  di  Antonio 
Gentili,  del  quale  il  Baglione  lasciò  scritto  che  fu  «  uomo  raro  nel 
suo  esercizio,  e  che  visse  onoratamente  infino  alla  sua  vecchia  età; 
era  valente  artefice    grossiere  e  modellava  da  scultore   eccellente- 
mente,  siccome  le  sue   belle   opere  lo  dimostrano:  fece  belli  getti 
d'oro  e  d'argento,  e  per  tirar  piastre  d'argento  e  formar  figure  non 
ritrovossi  pari ,    che    in   quel   genio   l'uguagliasse  »  :  autore  fra  le 
altre  cose  della  bellissima  croce    d'argento  che  il  cardinal  Farnese 
donava  alla  basilica  vaticana  e  de'  due  torcieri  che  ardono  del  con- 
tinuo dinanzi  all'altare  del  Sacramento  nella  stessa  basilica  vaticana. 
Terminava  con  un  Commentario  sulla  vita  di  Giovanni  Bernardi  da 
Castel  Bolognese  ,  insigne  cesellatore  lodato  da  Benvenuto  Cellini  , 
vissuto  in  Faenza  dal  1539  fino  alla  sua   morte  nel  1555;  commen- 
tario che    completa   quanto   ne  scrisse  il   Vasari   e   recentemente 


DI   ROMAGNA  213 

Amadio  Ronchini  in  una  Memoria  inserita  negli  Atti  delle  RR.  De- 
putazioni di  Storia   Patria   per  le  Provincie  Modenesi  e  Parmensi. 

Sul  colle  detto  Monte  Giardino  al  sud-est  di  Bologna  fuori  di 
porta  Castiglione  sorge  l'antica  basilica  di  San  Vittore  cogli  avanzi 
di  un  cenobio.  Del  tempio  si  ha  notizia  fino  dal  441  ;  le  memorie 
diplomatiche  risalgono  al  1073  ,  e  il  Sigonio  e  il  Ghirardacci  nar- 
rano come  fosse  nel  1178  solennemente  consacrato  dal  vescovo  Gia- 
como. Dopo  varie  vicende,  nel  1860  l'edilìzio  venne  per  espropria- 
zione in  possesso  dello  Stato.  Questo  ,  che  può  considerarsi  come 
uno  de'  più  antichi  monumenti  dell'architettura  cristiana  ,  ha  atti- 
rato l'attenzione  della  R.  Deputazione;  la  quale,  avendo  delegato 
suoi  commissari  che  insieme  al  vice-presidente  della  Commissione 
conservatrice  per  le  arti  belle  lo  visitassero  e  facessero  le  oppor- 
tune proposte  ,  udì  nella  tornata  del  24  gennaio  un  rapporto  del 
segretario,  che  descrivendo  l'ediflzio  e  ricordandone  le  memorie  che 
si  collegano  colle  memorie  della  civiltà  bolognese  ,  mostrò  come 
dovesse  stare  a  cuore  che  venisse  conservato  :  e  si  spera  che  la 
Deputazione  abbia  ottenuto  che  dalle  nuove  costruzioni  non  venga 
almeno  impedita  la  vista  della  forma  originaria  del  tempio.  Nelle 
tornate  poi  del  9  e  23  maggio  ,  il  socio  corrispondente  avvocato 
Angelo  Gualandi  ragionò  lungamente  dell'origine  e  delle  vicende 
del  cenobio  ,  con  abbondanza  di  notizie  desunte  con  pazienti  ricer- 
che da  fonti  «prima  inesplorate. 

Gli  scavi  ripresi  e  continuati  dal  cav.  Giuseppe  Aria  nella  ne- 
cropoli di  Marzabotto  dettero  materia  al  conte  Gozzadini ,  che  a 
quelli  scavi  sopravveglia  ,  a  dotti  ragionamenti  d'archeologia  in 
quattro  tornate,  31  gennaio,  14  febbraio,  29  marzo  e  13  giugno. 
L'illustre  archeologo  descriveva  le  cose  nuovamente  trovate,  fa- 
cendone deduzioni  che  possono  confermare  o  rettificare  le  opinioni 
delli  scienziati.  «  Notevole  sopra  ogni  altra  cosa  si  è  presentata 
nella  parte  più  elevata  della  necropoli ,  ove  sorgono  gli  avanzi  più 
insigni  ,  una  serie  di  ben  187  tombe  ,  quasi  tutte  simili  fra  loro  in 
questo  ,  che  sono  come  altrettante  casse  formate  di  quattro  o  al 
più  di  sei  lastre  di  tufo  calcare  bene  appianate  e  riquadrate  ,  ed 
aventi  ,  come  altre  molte  di  popoli  primitivi ,  ai  quali  quel  che  se- 
guita alla  morte  appariva  come  una  rinnovazione  materiale  della 
vita  presente,  aventi,  diciamo,  aspetti  di  case  ».  Poco  lungi  da 
queste  fu  scoperta  una  stele  funeraria  di  macigno  alla  guisa  delle 
steli  egiziane  ,  monumento  di  gran  rilievo  per  i  caratteri  d'arcai- 
smo che  porge  evidentissimi,  tanto  che  potrebbe,  per  avventura, 
rivaleggiare  co' tre  soldati  in  pietra  di  primo  stile  toscano  addotti 
dal  Gori.  Descritto  l'assetto  interno  delle  tombe  e  lo  stato  degli 
ossami  ed  altri  rimasugli ,  dava  informazione  precisa  degli  oggetti 


214  R.    DEPUTAZIONE   DI    STORIA    PATRIA 

che  nelle  tombe  si  conservavano  ancora,  illustrandoli  delle  opportune 
erudizioni  e  raffrontandoli  ad  altri  già  conosciuti  ne'  musei 

Nella  tornata  del  28  febbraio  il  socio  corrispondente  consigliere 
Bartolommeo  Potestà,  incaricato  dalla  Deputazione  insieme  col  com- 
mendatore Luigi  Tonini  di  esaminare  i  documenti  del  Monte  di 
Pietà  di  Savignano  ,  che  gli  amministratori  di  quel  Monte  si  pro- 
ponevan  di  vendere  ,  faceva  conoscere  la  importanza  di  quei  docu- 
menti, e  proponeva  che  fosse  provveduto  a  che  siano  conservati  e 
custoditi  depositandoli  nell'Archivio  del  Comune  di  Savignano. 

Il  socio  corrispondente  professore  Gaetano  Gaspari  continuava 
nelle  sedute  del  14  marzo  e  11  aprile  la  lettura  delle  Ricerche, 
documenti  e  memorie  risguardanti  la  Storia  dell'arte  musicale  in 
Bologna,  discorrendo  della  scuola  di  Giovanni  Spataro  e  degli  esordi 
della  musica  moderna. 

Nella  tornata  del  25  aprile  erano  comunicati  i  passi  di  due  let- 
tere al  presidente  del  signor  de  Dartein  lodato  autore  d'un  lavoro 
su  l'architettura  lombarda,  il  quale  raccomanda  la  conservazione 
e  il  giudizioso  restauro  della  basilica  di  S.  Stefano  :  «  C'est  pour 
une  ville  un  rare  titre  de  noblesse  (dice  l'illustre  straniero)  que 
de  posseder  une  église  entée  sur  les  débris  du  paganisme  ». 

Il  socio  effettivo  cav.  Giovanni  Chinassi  presentava  il  23  di  mag- 
gio un  curioso  documento  da  lui  posseduto.  È  una  lettera  di  un  tal 
Giovan  Battista  Bianeoli  da  Cotignola,  in  data  del  4  gennaio  1477, 
con  cui  dà  la  notizia  ai  reggitori  del  comune  di  Cotignola  della 
uccisione  di  Galeazzo  Maria  Sforza  duca  di  Milano. 


Elenco  dei  lavori  pubblicati  dalla  Deputazione  medesima 


MONUMENTI 


Parte  les^Jtttiva. 


Statuti  del  Comune  di  Bologna  dall'anno  1245  all'anno  1267, 
editi  per  cura  del  cav.  prof.  Luigi  Frati  (Sono  usciti  ii 
primo  volume,  ed  il  secondo  in  parte). 

Atti. 

1.    Parole  del  Presidente  della  Deputazione   predetta  (Conte 
Giovanni  Gozzadini  ,  senatore)  nella  prima  solenne  adii- 


DI    ROMAGNA  215 

nanza  delle  tre  Deputazioni  emiliane  di  storia  patria,  te- 
nutasi in  Bologna  il  9  marzo  1862. 

2.  Delle  cose  operate  nell'anno  1861  dalla  R.  Deputazione  di 
storia  patria  per  le  provincie  della  Romagna  (Relazione 
del  prof.  Frati  suddetto,  segretario). 

3.  Delle  cose  fatte  nell'anno  1861  dalle  due  sezioni  componen- 
ti la  R.  Deputazione  di  storia  patria  per  le  provincie  di 
Parma  e  di  Piacenza  (Relazione  dell'Abbate  Luigi  Barbie- 
ri ,  segretario). 

4.  Dei  lavori  fatti  nel  1861  dalla  Deputazione  di  storia  patria. 
Sezione  di  Modena  (Relazione  del  cavalier  professore  Gio- 
vanni Raffaela). 

5.  Dei  lavori  fatti  dalla  sottosezione  dei  Deputati  reggiani 
agli  studi  di  storia  patria  nel  1861  (Relazione  di  Bernar- 
dino Catelani  J  segretario). 

6.  Relazione  degli  studi  e  dei  lavori  della  R.  Deputazione  di 
storia  patria  per  le  provincie  di  Romagna  dal  marzo  1862 
al  giugno  1863  (  Prof.  Frati  predetto). 

7.  Relazione,  come  sopra,  dal  giugno  1863  al  giugno  1861 
del  prof.  cav.  Luigi  Mercantigli ,  segretario. 

8.  Atti  della  terza  adunanza  delle  tre  Deputazioni  emiliane 
di  storia  patria  (  Relazione  generale). 

9.  Parole  del  Presidente  della  R.  Deputazione  delle  Romagne 
sopra  gli  studi  di  storia  patria  (Conte  Goz-zadini  mento- 
vato) alla  terza  solenne  adunanza  delle  tre  Deputazioni 
suddette ,  tenutasi  in  Ravenna  il  24  giugno  1865. 

10.  Dei  lavori  fatti  nell'anno  1864-65  dalla  Deputazione  delle 
Romagne  (Cav.  prof.  Emilio  Teza). 

11.  Dei  lavori  nel  medesimo  anno  fatti  dalla  Deputazione  par- 
mense (Relazione  del  cav.  prof.  Pietro  Martini  t  segre- 
tario). 

12.  Relazione  ,  come  sopra ,  per  la  Deputazione  modenese  (cav. 
Giovanni  Raffaelli  predetto). 

13.  Sunto  delle  tornate  accademiche  della  Deputazione  per 
le  Romagne  dal  26  novembre  1865  all'  8  luglio  1866. 

14.  Delle  cose  operate  dall'anzidetta  Deputazione  l'anno  1865- 
66  (Relazione  del  cav.  prof.  Giosuè  Carducci). 

15.  Sunto  delle  tornate  accademiche  (  medesima  Deputazio- 
ne) dal  25  novembre  1866  al  28  giugno  1867. 


216  R.   DEPUTAZIONE    DI    STORIA   PATRIA 

16.  Relazione  delle  cose  operate  dalla  detta  Deputazione  nel- 
T  indicato  anno  accademico  {Carducci). 

17.  Sunto  delle    tornate  di  essa  Deputazione   dal   24    novem- 
bre 1867  al  12  luglio  1868. 

18.  Relazione,  come  sopra,  sguardante  l'anzidetto  anno  acca- 
demico 1867-68  {Carducci). 

19.  Sunto  delle  Tornate   accademiche   dal   29  novembre  1868 
all'  11  luglio  1869. 

20.  Delle  cose  operate  dalla  Deputazione  nell'anno  suindicato 
{Carducci). 


MEMORIE 


Archeologia. 

1.  Intorno  all'acquedotto  ed  alle  terme  di  Bologna  (Memoria 
del  conte  Giovanni  Gozzadini  ). 

2.  Di  una  iscrizione  in  onore  di  Geta  Cesare ,  scoperta  in 
Ancona  (  Lettera  al  chiarissimo  prof.  Luigi  Mercantini  del 
cav.  prof.  Francesco  Rocchi). 

3.  Nota  sopra  sei  laminette  di  bronzo  letterate  antiche  nella 
Lucania  (del  cav.  prof.  Ariodante  Fabretti). 

4.  Delle  Croci  monumentali  ch'erano  nelle  vie  di  Bologna  nel 
secolo  xiii  (Conte  Gozzadinì). 

5.  Due  brani  di  un  titolo  posto  ad  Antonino  Pio ,  trovati  in 
Rimini  nel  maggio  1864  (Nota  del  cav.  doti  Luigi  Tonini). 

6.  Della  supposta  Via  Flaminia  da  Bologna  in  Etruria  (Let- 
tera al  cav.  prof.  Francesco  Rocchi  di  Bartolommeo  Bor- 
ghesi ). 

7.  Dissertazione  sopra  il  passaggio  dell'Appennino  fatto  da 
Annibale  (Doti  Pasquale  Amati). 

8.  Di  alquanti  oggetti  umbri  o  etruschi,  nella  maggior  parte 
in.  bronzo,  trovati  di  recente  in  una  villa  riminese  (Rela- 
zione del  suddetto  cav.  Tonini). 

9.  Di  alcuni  marmi  scritti,  e  di  un  sigillo  del  Comune,  tro- 
vati recentemente  in  Rimini  {Tonini  medesimo). 


DI    ROMAGNA  217 

10.  Dell'antico  ponte  romano  sul  Reno  lungo  la  strada  Emi- 
lia e  della  precisa  postura  dell'  isola  del  Congresso  trium- 
virale (Memoria  del  cav.  Luigi  Fidati). 

11.  Di  alcuni  sepolcri  della  necropoli  felsinea  (Ragguagli  del 
conte  Giovanni  Gozzadini  ). 

12.  Studi  archeologico-topografici  sulla  città  di  Bologna  (Goz- 
zadini suddetto). 

13.  Di  un  monumento  bolognese  in  onore  di  Antonino  Pio  e 
dell'augusta  sua  famiglia  (  Dissertazione  del  prof.  cav. 
Francesco  Rocchi). 

14.  Di  un  frammento  d'iscrizione  forlivese  (restituita  agl'im- 
peratori Caracalla  e  Geta  dal  prof.  cav.  Francesco 
Rocchi). 

15.  Intorno  al  ritrovamento  di  una  lapida  posta  dal  Malpighi 
all'ingresso  della  sua  villa  in  Corticella,  nel  cui  rove- 
scio scorgesi  un  raro  ed  antico  frammento  di  una  sacra 
decorazione  cristiana,  di  stile  romano  bizantino  ,  o  lom- 
bardo (Memoria  del  cav.  dott.  Enrico  Bottrigari). 

Storia. 

1.  Memorie  del  Monastero  camaldolese  di  San  Benedetto  di 
Savignano  (raccolte  ed  ordinate  da  Bartolommeo  Bor- 
ghesi). 

2.  Serie  cronologica  dei  Vescovi  di  Forlì ,  investigata  colla 
scorta  di  diversi  autori  (Giovanni  Casali). 

3.  Sopra  tre  statuti  suntuari  inediti  del  secolo  xvi  per  la 
città  di  Faenza  (Considerazioni  del  cav.    Gio.  Ghinassi). 

4.  Capitoli  stabiliti  in  Bologna  dai  rappresentanti  del  Papa  e 
del  Marchese  d'  Este  per  l'ottavo  concilio  ecumenico,  tenu- 
tosi in  Ferrara  ed  in  Firenze  (1438)  (editi  dal  cavaliere 
Luigi  Napoleone  Cittadella  ). 

5.  Il  Porto  di  Rimini  (Brevi  memorie  storiche  raccolte  ed 
ordinate  dal  detto  cav.  Tonini). 

0.  Intorno  ad  un  diploma  portante  la  firma  autografa  dell' im- 
peratore Carlo  V,  dato  in  Bologna  il  17  febbraio  1533 
(Memoria  del  dott.  Enrico  Bottrigari). 

7.  Teodoro  Pio  vescovo  di  Faenza  (  Memoria  di  Don  Gian 
Marcello  Valgimiglì ,  sacerdote). 

Akch.  St.  [tal.,  3.a  Serie,  T.  X  ,  P.  11.  28 


218  R.   DEPUTAZIONE   DI    STORIA    PATRIA 

8.  Vendetta  memorabile  dei  Naldi  contro  i  Carroli ,  seguita 
in  Val  d'Amone  nel  1533  (  Memoria  del  cav.  Ghinassi 
predetto  ). 

9.  Intorno  alle  due  statue  erette  in  Bologna  a  Giulio  II,  di- 
strutte nei  tumulti  del  1511  (Relazione  del  consigliere 
Bartolommeo  Potestà). 

10.  Epistola  amatoria  di  Astorre  Manfredi  principe  di  Faenza 
(pubblicata  a  cura  del  cav.  Giovanni  Ghinassi). 

11.  Lettera  del  secolo  xv  che  si  riferisce  all'uccisione  di  Ga- 
leazzo Maria  Sforza  signore  di  Milano  (data  fuori  per  la 
prima  volta  dal  cav.  Giovi.  Ghinassi). 

Storia  letteraria. 

1.  Lettera  di  Fra  Cherubino  Ghirardacci  e  Notizie  riguardanti 
la  stampa  del  suo  terzo  volume  della  «  Historia  bologne- 
se »  (conte  Gozzadini  ). 

2.  Degli  studi  diplomatici  di  Bartolommeo  Borghesi  (Discorso 
del  cav.  prof.  Francesco  Rocchi  ). 

3.  Sulle  officine  tipografiche  riminesi  (Memorie  e  documenti 
pubblicati  dal  cav.  Tonini). 

4.  Giunta  ai  documenti  che  illustrano  le  Memorie  sulle  offi- 
cine predette  {Tonini). 

5.  Serventese  storico  del  secolo  xiv  (illustrato  dal  prof.  Cam- 
mino Teza  ). 

6.  Di  alcune  poesie  popolari  bolognesi  del  secolo  xm  inedite 
(Memoria  del  prof.  Giosuè  Carducci). 

7.  Intorno  ad  un  codice  classense  dì  storia  (  Lettera  al  pro- 
fessore F.  L.  Polidori  del  conte  Alessandro  Cappi). 

8.  Vita  di  Pietro  Pomponazzi  (nuovamente  esposta  dal  profes- 
sore Francesco  Fiorentino  ). 

9.  Di  alcuni  documenti  inediti  risguardanti  Pietro  Pompo- 
nazzi lettore  nello  Studio  bolognese  (  Relazione  del  cav. 
consiglier  Bartolommeo  Potestà). 

10.  Del  riminese  Alessandro  Gambalunga ,  della  Gambalun- 
ghiana ,  e  de'  suoi  Bibliotecari  (Cav.  Tonini). 


DI    ROMAGNA  219 


Storia  artistica. 


1.  La  chiesa  di  Sant'Andrea  presso  Rimini ,  ossia  Relazione 
degli  scavi  eseguiti  pel  Comune  nel  marzo  1863  (  Cava- 
liere Tonini). 

2.  Sulla  continuazione  degli  scavi  per  la  scoperta  della  detta 
chiesa  {il  medesimo). 

3.  Di  Bistino  e  della  sua  tavola  di  San  Giuliano,  non  che 
d'alcuni  pittori  riminesi  del  secolo  xvi  (  Brevi  Memorie 
del  medesimo). 

4.  Dell'origine  e  dell'uso  dei  cocchi,  e  di  due  veronesi  in 
particolare  (Cenni  del  conte  Gozzadini). 

5.  Dei  pittori  faentini  del  secolo  xv  (  Ricordi  del  sacerdote 
Valgimigli  ). 

6.  Dei  pittori  faentini  del  secolo  xvi  (il  medesimo). 

7.  Dei  pittori  faentini,  come  sopra  (il  medesimo). 

8    Dei  pittori  faentini ,  sèguito  come  sopra  (il  medesimo). 
9.  Di  una  targa  bientivoliesca  pitturata  nel  secolo   xv  (  Ri- 
cerche del  conte  Gozzadini  ). 

10.  Di  una  dipintura  a  fresco,  scoperta  nella  chiesa  de'frati 
minori  dell'Osservanza,  vicino  alla  città  d' Imola  (  Infor- 
mazione del  cav.  Gaetano  Giordani). 

11.  Ricerche  ,  documenti  e  memorie  riguardanti  la  storia  del- 
l'arte musicale  in  Bologna  (del  prof.  Gaetano  Gaspari). 

12.  Di  un  dipinto  a  fresco  del  secolo  xvi  trovato  di  recente 
in  Rimini  (Relazione  del  cav.  dott.  Luigi  Tonini). 

13.  Ragguagli  sulla  cappella  musicale  della  Basilica  di  San 
Petronio  (  del  prof.  Gaetano  Gaspari  ). 

14.  Ricerche,  documenti  e  memorie  risguardanti  la  storia 
dell'arte  musicale  in  Bologna  (il  medesimo). 

15.  I  primi  oriuoli  pubblici  in  Bologna  nei  secoli  xiv  e  xv 
(Dissertazione  del  consigliere  Barlolommeo  Podestà). 


ANNUNZI  BIBLIOGRAFICI 


Codice  «ligtlomafico  del  regno  «li  Carlo  I  e  II  d'An- 
giò,  ossia  Collezioni  di  leggi,  statuti  e  "privilegi,  m andati , 
lettere  regie  e  pontifìcie ,  {strumenti ,  placiti ,  ed  altri  documen- 
ti ,  la  maggior  parte  inediti ,  concernenti  la  storia  ed  il  diritto 
politico,  civile,  finanziere,  giudiziario ,  militare  ed  ecclesia- 
stico delle  provincie  meridionali  d'Italia,  dal  1265  al  1309  ,  rac- 
colti,  annotati  e  pubblicati  per  Giuseppe  del  Giudice  ,  ispettore 
del  grande  Archivio  di  Napoli.  Volume  primo.  Napoli,  1863, 
Stamperia  della  regia  Università,  in  4to  di  pag.  320,  oltre  pa- 
gine xlviii  di  Prefazione,  e  xi  di  Appendice.  Volume  secondo, 
parte  prima.  Napoli,  1869,  Stamperia  della  regia  Università; 
in  4to  di  pag.  352  non  comprese  le  pag.  xxxvn  della  Prefazione. 

Fra'  benemeriti  primi  delle  Storie  italiane  vanno  tutti  coloro  i 
quali  con  senno  raccolgono  dagli  Archivi  nazionali  ,  e  pubblicano 
documenti  e  annotazioni  intorno  a  un  dato  periodo  e  ad  una  data 
regione.  Imperocché  la  storia  più  corretta  e  ampia  della  nuova 
Italia  dovrà  farsi  appunto  dalle  tante  monografie  che  si  scriveranno, 
ma  con  altro  intendimento  cui  non  miravano  né  potevan  mirare 
gli  antichi  scrittori ,  soggetti  poi  alla  stupida  censura. 

E  col  nuovo  scopo  della  unità  italiana,  ma  con  la  giustizia  da 
rendere  imparzialmente  a  ciascuna  parte  d' Italia ,  il  benemerito 
signor  Giuseppe  del  Giudice  ha  pubblicato  con  gravi  sue  fatiche  e 
spese  generose  questi  due  volumi  della  storia  meno  incerta  delle 
Provincie  meridionali,  qual'è  quella  viva  e  parlante  delle  scritture 


ANNUNZI   B1IJLI0GRAFICI  221 

di  stato,  dalle  quali  fu  preso,  a  ragione,  il  titolo  di  Codice  diplo- 
matico ,  che  alcuni  vorrebbero  criticare  e  disapprovare.  Se  sono 
codici  gli  antichi  volumi  degli  Archivi ,  non  è  poi  da  maravigliare, 
se  per  distinguere  i  codici  privati  e  appartenenti  a  materie  singole 
e  speciali  da  quelli  cha  trattano  'della  cosa  pubblica,  si  chiami  in 
modo  di  officio  e  solenne  la  raccolta  di  lettere  e  di  diplomi  scritti 
principalmente  dai  due  re  Carlo  I  e  II  della  razza  francese  di  An- 
giò  ,  da  papa  Clemente  ,  e  da  tutte  le  loro  cancellerie  sovrane. 

I  quarantaquattro  anni  di  regno  de' suddetti  imperanti  furono 
certamente  e  sono  di  altissima  importanza  per  la  Storia  d'Italia, 
poiché  in  quel  corso  di  tempo  seguirono  le  battaglie  di  Benevento  , 
di  Tagliacozzo  ,  della  Meloria  e  di  Campaldino  ,  la  nascita  di' Dante 
il  suo  poema  e  la  sua  Monarchia  ghibellina,  la  condanna  a  morte 
del  giovanetto  re  Corradino  e  del  suo  compagno  Federigo  di  Ba- 
den  ;  poi  i  Vespri  Siciliani  e  Giovanni  da  Precida  ,  Cimabue  e  Giotto-, 
San  Tommaso  d'Aquino  morto  nel  1274. 

Grandissimi  raffronti  potrebbonsi  fare  co'  tempi  moderni  nel  leg- 
gere i  120  documenti  del  volume  I;  il  quale  incomincia  con  la  let- 
tera che  da  Roma,  in  data  del  5  di  gennaio  1265,  a  Carlo  contedi 
Angiò  e  di  Provenza,  già  senatore  di  Roma,  scrisse  il  cardinale 
Guido  vescovo  di  Sabina,  il  quale  fu  dopo  un  mese  papa  Clemen- 
te IV,  invitandolo  a  trattare  i  Romani  con  lusso  e  magnificenza  , 
vituperando  i  dissidii  che  in  nome  di  Carlo  eran  colà  andati  ,  e 
consigliandolo  ad  inviare  persona  di  grande  perizia  ed  accorgimento 
per  reggere  la  città. 

Notevole  è  il  documento  V  venirto  ultimamente  in  luce  dall'Archi- 
vio comunale  di  Benevento,  ed  è  la  concessione,  secondo  i  patti  della 
investitura  datagli  di  Napoli  ,  di  potere  i  Beneventani  legnare  ne'bo- 
schi  del  rei^no,  prender  pietre  e  pozzolana,  e  altri  benefizi  papalini. 

Inediti  erano  i  due  documenti  VII  e  VIII  contenenti  la  nomina 
fatta  dall'Angioino  di  Odone  ed  Andrea  Brancaleone  a' suoi  vicarii  e 
capitani  nel  giustizierato  degli  Abruzzi  ,  in  data  del  lo  di  luglio  1265, 
e  la  concessione  ai  guelfi  di  Siena  di  una  lettera  di  sicurtà  per  viag- 
giare ne'  suoi  dominii  di  qua  e  di  là  de'  monti. 

Benché  pubblicata  dal  Lunig  nel  Codice  diplomatico  d'Italia,  dal 
Muratori  e  dal  Dumont  nel  suo  Codice  diplomatico  del  diritto  delle 
genti,  è  notevole  quella  scrittura  segnata  col  numero  XI,  la  lega 
e  compagnia  che  Carlo  fece  il  9  di  agosto  1265  con  Obizo  II  mar- 
chese di  Kste  e  di  Ancona,  con  Lodovico  conte  di  Verona,  e  co' co- 
muni di  Mantova  e  di  Ferrara. 

Del  medesimo  tenore,  ma  inedita,  è  la  scrittura  XIV,  in  cui 
sono  i  mandati  e  le  procure  del  nemico  di  Manfredi  e  de'  Ghibellini 
per  trattare  lega  e  confederazione  con  Genova,  Parma,  Piacenza, 


222  ANNUNZI   BIBLIOGRAFICI 

Bologna  ,  Como  (non  Cuma) ,  ed  altri  comuni ,  specialmente  sul  pas- 
saggio dell'esercito  per  Lombardia. 

Ci  fa  rammentare  qualcosa  della  cosi  detta  Santafedo  del  cardi- 
nale Ruffo  la  lettera  del  papa  scritta  da  Perugia  nel  settembre  1265, 
con  la  quale  accorda  piena  indulgenza  delle  peccata  agi'  Italiani  cro- 
cesegnati i  quali  combattessero  contro  Manfredi  e  i  Saraceni  di  Lu- 
cerà ,  ed  agli  altri  i  quali  dessero  una  quarta  parte  ,  o  anche  una 
decima  delle  loro  rendite  per  la  santa  impresa. 

Non  erano  stampati  i  documenti  dal  numero  XVII  al  XXIV  ;  re 
Carlo  riconosce  come  fatto  a  suo  prò  e  per  la  conquista  del  regno 
scomunicato  il  mutuo  che  Clemente  avea  stipulato  con  vari  mer- 
catanti romani ,  obbligando  i  beni  di  alcune  chiese  e  monasteri. 

Rimanevano  anche  inediti  i  numeri  XXVIII  e  XXXVIII ,  cioè  la 
provvisione  del  vitto  sua  vita  durante  a  Giacomo  Rustico  il  quale 
aveva  perduto  la  mano  sinistra  nel  combattimento  di  Tivoli ,  e  la 
nomina  di  Stefano  Salitto  a  notaio  per  la  Provenza. 

Tratto  dall'Archivio  della  Cava  è  il  disgravio  (numero  LIV)  che 
il  re  concesse  agli  abitanti  del  casale  di  Santa  Maria  di  Pertosa  per 
pascolare  nel  territorio  di  Auletta  ,  e  furono  anche  di  nuova  pub- 
blicazione i  quattro  documenti  intorno  alle  lagnanze  che  l'Angioino 
fa  ai  Pisani  di  permettere  ai  ribelli  armare  galee  nella  loro  città 
ed  altre  offese,  di  che  li  minaccia;  intorno  alle  zecche  di  Messina 
e  Barletta  per  la  coniazione  delle  monete  nuove,  reali,  mezzi  reali, 
e  tari  d'oro  e  l'abolizione  degli  augustali ,  mezzi  augustali  e  tari;  e 
intorno  ai  proventi  della  città  di  Napoli  da' diritti  di  piazza  e  sta- 
terà (oggi  portolania  e  peso  pubblico)  e  dall'altro  diritto  di  riscuo- 
tere la  sessantesima  parte  di  tutte  le  merci  che  entravano  per  mare. 

E  dopo  la  pubblicazione  di  altri  18  documenti  inediti  ,  ovvero 
poco  noti  e  scorretti  dal  15  di  dicembre  1266  in  cui  il  re  concede  a 
Pietro  di  Cosenza  facoltà  di  esercitare  l'arte  della  chirurgia  per 
tutto  il  regno  insino  al  24  di  ottobre  in  cui  fu  riformato  lo  Studio 
di  Napoli  ,  chiudesi  il  volume  col  diploma  cxx  in  data  del  15  di 
aprile  1267,  dopo  il  qual  tempo  re  Carlo  andò  nello  stato  romano 
e  in  Toscana. 

E  ricominciano  le  carte  ne'  registri  angioini  dal  giorno  10  di  feb- 
braio 1268  con  la  data  di  Lucca. 

Ma  poiché  al  dotto  autore  parve  che  il  periodo  storico  delia 
seconda  metà  del  secolo  XIII  avesse  pur  bisogno  di  documenti 
anteriori  per  essere  meglio  inteso  ,  pubblicò  due  Appendici  a  que- 
sto volume  ;  la  prima  intitolata  :  Collezione  di  alcuni  diplomi  di 
catapanì  d' Italia  ,  e  dì  duchi  di  Napoli,  ed  altri  documenti  nor- 
manni, la  maggior  parte  inediti,  trascritti  dal  grande  Archivio 
di  Napoli. 


ANNUNZI    BIBLIOGRAFICI  223 

Sono  XXVII  scritture  ,  fra  le  quali  notansi  quelle  di  Sergio  duca 
di  Napoli ,  che  in  data  del  17  di  aprile  1053  dona  al  monastero  di 
San  Sergio  e  Bacco  l'isola  di  San  Vincenzo,  ch'era  presso  la  odier- 
na darsena  di  Napoli ,  e  fu  distrutta  nel  secolo  passato  ,  e  in  data 
del  20  luglio  1131  fa  altre  concessioni  e  conferme  al  monastero  be- 
nedettino di  San  Severino  e  Sossio,  dove  son  oggi  appunto  gli  Ar- 
chivi, ed  a  favore  del  monastero  della  Trinità  di  Venosa,  confermando 
i  privilegi  del  duca  Ruggiero  e  del  re  Guglielmo.  Ed  è  una  perga- 
mena pervenuta  agli  Archivi  dalla  Cassa  ecclesiastica. 

Per  la  storia  de' Municipii  italiani  avranno  la  loro  importanza 
il  documento  XXVI  ed  il  seguente ,  cioè  un  diploma  di  Roberto 
conte  di  Lecce  e  di  Copersano  del  1176  ,  a  favore  degli  abitanti  di 
Castellaneta  ,  e  le  consuetudini  della  città  di  Corneto  approvate  in- 
nanzi alla  magna  Curia  nel  marzo  1189  ,  ventitreesimo  anno  del 
regno  di  Guglielmo  II. 

L'Appendice  II  comprende  in  poche  pagine  i  sette  Documenti  per 
Carlo  e  Beatrice  conte  e  contessa  di  Provenza  rinvenuti  ne'  Re- 
gistri angioini  del  grande  Archivio  di  Napoli  ,  e  diploma  per  le 
castella  del  regno. 

Ci  parve  degna  d'attenzione  la  scrittura  V,  che  è  pur  cavata  dal 
registro  1305 ,  lettera  D  :  è  un  trattato  che  Carlo  e  Beatrice  fer- 
mano co' cittadini  di  Cuneo  nel  luglio  1259;  e  in  una  nota  si  ac- 
cenna a  varie  lettere  dei  due  Carli  al  senescalco  del  contado  di 
Piemonte,  sì  perchè  tutti  gli  ulliciali  della  città  di  Cuneo  dessero 
il  giuramento  di  fedeltà  loro  dovuta,  sì  perchè  fosse  richiamata 
l'osservanza  de' patti  e  delle  convenzioni  cui  era  legata  quella  uni- 
versità, e  sì  perchè  fossero  confermati  i  patti  e  le  convenzioni  con 
gli  uomini  del  Borgo  San  Dalmazzo.  Imperocché  l'Angioino  ne' ti- 
toli che  assumeva  dicevasi  signore  di  Alba  e  Cuneo  ,  di  Savigliano 
e  Mondovì  ,  di  Cherasco  e  de' luoghi  circostanti,  né  si  dee  dimen- 
ticare ch'egli  fosse  marchese  di  Monferrato  ,  nemico  de'  Genovesi , 
collegato  co'  Veneziani. 

Nel  volume  secondo  seguita  per  ora  il  regno  di  Carlo  I  dal 
marzo  1267  a  dicembre  126&,  e  son  pubblicati  ,  o  con  lina  scienza 
storica  ristampati ,  novantacinque  documenti. 

Noteremo  i  principali  o  quelli  almeno  che  più  appartengono  alla 
vita  pubblica  e  dello  Stato  ,  massime  nelle  relazioni  che  oggidì  si 
dicono  internazionali. 

Papa  Clemente  in  data  10  di  aprile  1267  da  Viterbo  annunzia 
al  podestà,  Consiglio  e  cittadini  di  Firenze,  che  re  Carlo  è  per 
andare  in  Toscana  coll'uftìcio  che  gli  aveva  conferito  il  paciere  ge- 
nerale ,  che  non  attecchì. 


224  ANNUNZI    BIBLIOGRAFICI 

E  in  Viterbo  nella  camera,  del  papa,  esule  da  Roma,  si  con- 
chiuse il  tratt;ifo  tra  Carlo  e  Balduino  imperatore  di  Costantino- 
poli contro  Michele  Paleologo  in  data  del  27  di  maggio. 

Il  ro  Corrado  annunziava  da  Bolzano  al  podestà  ,  Consiglio  e 
comune  di  Pavia  di  essere  giunto  in  Italia  a' dì  4  di  ottobre  1267 
pronto  a  combattere  il  suo  nemico  Carlo  conte  di  Provenza. 

Il  consiglio  del  comune  di  Roma  ai  18  di  novembre  di  quell'an- 
no ,  sulla  proposta  di  Guido  da  Montefeltro  vicario  del  senatore 
Errico  di  Castiglia  ,  approvò  la  confederazione  tra  il  popolo  ro- 
mano ed  i  comuni  di  Pisa  ,  di  Siena  e  di  altre  città  ghibelline  della 
Toscana;  mentre  il  papa  non  se  ne  stette  con  le  mani  in  mano  , 
peregrinando  ,  come  ai  tempi  nostri  in  Gaeta. 

L'Angioino  commise  al  vescovo  di  Alba  ed  al  senescalco  di  Lom- 
bardia trattar  lega,  ed  amicizia  colla  città  d'Asti  in  data  di  Lucca 
8  febbraio  1268. 

Ed  il  pontefice  da  Viterbo  ,  per  lettere  ,  fa  sapere  al  vescovo  di 
Albano  l'arrivo  del  re  di  Sicilia  in  quella  città,  e  l'entrata  di  Cor- 
radino  in  Pisa  il  5  di  aprile ,  di  giovedì  santo  ;  all'arcivescovo  di  Ra- 
venna le  rampogne  ebe  acremente  meritassero  i  Lombardi  di  non 
aver  impedito  il  passo  a  Corradino  ;  e  finalmente  ai  Perugini  che 
chiama  al  soccorso  ,  ritenendo  i  militi  di  Assisi  nel  passaggio  di 
Corradino  per  Viterbo  e  poi  per  Roma. 

Dal  campo  Palentino  Carlo  annunziava  al  papa  la  vittoria  di 
Tagliacozzo  in  data  del  23  di  agosto,  e  il  giorno  dopo  ne  scrisse 
al  comune  di  Padova:  poi  da  Genazzano  ai  12  di  settembre  fece 
sapere  a  Luigi  di  Francia  suo  fratello  la  cattura  di  Errico  sena- 
tore,  che  visse  tanti  anni  in  carcere,  di  Corradino,  e  dello  zio 
Federico  duca  d'Austria  ,  di  Galvano  Lancia  e  Galeotto  suo  tiglio  ,  e 
di  Gerardo  di  Pisa  nel  porto  di  Astura  per  le  mani  del  Frangipane. 

I  XXV  li  documenti  nell'Appendice  prima  a  quest'altro  volume 
recente  si  riferiscono  alla  lunga  prigionia  di  Arrigo  di  Castiglia  nel 
castello  di  Canosa  dov'era  anche  ristretto  Corrado  figliuolo  del  de- 
funto conte  di  Caserta  Riccardo  ;  tramutati  di  colà  dopo  otto  anni 
nel  castello  di  Santa  Maria  del  Monte  ,  oggi  Casteldelmonte  ,  di 
casa  Carata.  E  V  ira  partigiana  fu  portata  a  tal  punto  che  anche 
la  Manfredina  madre  del  conte  Riccardo  fu  condannata  al  carcere 
perpetuo  nel  castello  di  Trani  ,  dove  morì. 

L'Appendice  seconda  contiene  quattordici  documenti  che  volgono 
intorno  ai  testamenti  'li  Corra  lino  e  dura  d'Austria,  Campo  Ma- 
ricino di  Napoli,  convento  di  S.  Maria  la  Vittoria  a  Scurcola. 

E  al  Campo  Moricino ,  dove  fu  decollato  Corradino ,  fu  una 
concessione  fatta  ai  monaci  del  Carmelo  per  costruirvi  il  convento 


ANNUNZI   BIBLIOGRAFICI  225 

e  la  chiesa ,  nella  qnale  nel  1846  fu  collocata  sopra  alto  piedistallo 
la  statua  del  magnanimo  giovane  di  casa  Sveva  ,  il  cui  discendente 
re  di  Baviera  ottenne  dal  discendente  dell'Angioino  e  dal  gueltismo, 
che  quasi  come  santo,  la  vittima  ghibellina,  si  alzasse  presso  la  sua 
sepoltura  dopo  sei  secoli. 

E  cosi  è  a  sperare  che  in  altra  chiesa,  in  quella  del  Pizzo, 
debbano  gli  eredi  di  Gioacchino  Murat  inalzargli  dovuta  e  pietosa 
statua  ,  la  quale  scolpita  dal  Vela  fu  pur  ora  eretta  in  mezzo  a 
una  delle  navi  del  cimitero  di  Bologna  ,  sopra  il  sepolcro  di  una 
delle  due  figlie,  la  Letizia  Pepoli.  Né  credo  che  si  abbia  mai  nulla 
a  temere  contro  l'unità  italiana  da  questa  cordiale  onoranza  a  un 
prode  barbaramente  trucidato.  M.  D'  A. 


Inlorno  al  passo  della  Divina  Commedia  :  Ma  tosto  fia 
che  Padova  al  palude  -  Cangerà  l'acqua  che  Vicenza  bagna, 
-  Per  essere  al  dover  le  genti  crude;  per  A.  Gloria.  Padova, 
1869  ;  pag.  32  in  8vo. 

Il  solerte  ed  erudito  Direttore  del  civico  Archivio  e  Museo  di 
Padova  presenta  notizie,  documenti,  considerazioni,  a  conferma 
della  giudiziosa  opinione  del  Prof.  G.  Dalle  Ore  e  dell'onorevole 
Stefano  Breda ,  i  quali  trovano  indicato  da  quella  terzina  del  Poe- 
ta non  già  l' insanguinarsi  delle  acque  del  Bacchiglione  recato 
da'  più  dei  chiosatori ,  ma  lo  scavo  regolare  del  canale  di  congiun- 
zione tra  il  Brenta  e  il  Bacchiglione  ,  detto  canale  della  Brentella. 

G.  Dalla  Vedova. 


Intorno  la  basilica  di  S.  Antonio  ed  altri  edilizi  eretti 
dal  Comune  di  Padova,  per  A.  Gloria.  Padova,  1869; 
pag.  31  in  8vo. 

L'A.  ,  dopo  dimostrato  brevemente  il  portentoso  risveglio  della 
pubblica  operosità  nel  Comune  di  Padova  in  seguito  alla  pace  di 
Costanza  (1183),  esamina  per  una  ragione  d'importanza  (come  suol 
dirsi)  tutta  attuale,  la  parte  presa  da  esso  Comune  nella  fonda- 
zione ed  amministrazione  del  grandioso  tempio  di  S.  Antonio  ,  met- 
tendo in  chiaro  che  Luna  e  l'altra  spettano  storicamente  alla  città; 
a  cui  dunque  per  diritto  ed  anche  per  decoro  converrebbe  rivendi- 
care la  suprema  tutela  e  la  manutensione  di  questo  insigne  mo- 
numento. G.  Dalla  Vedova. 

Abcii.  St.  [tal.  ,  3.a  Serie,  T.  X  ,  P.  11.  29 


226  ANNUNZI    BIBLIOGRAFICI 

Intorno  al  Vomnne  di  Campagna  ,  della  provincia  di 
Venezia  ,  per  A.  Gloria.  Padova ,  1869  ;  pag.  48  in  4to. 

È  una  diligente  e  ben  condotta  monografia  delle  vicende  di  quel 
Comune,  testificate  da  documenti  e  desunte  dalla  storia  generale 
della  provincia.  Certo  molte  terre  più  importanti  avranno  in  que- 
sto riguardo  di  che  invidiare  codesto  paesello  ,  che  nella  prospe- 
rità attuale,  coll'aiuto  di  tre  villaggi  dipendenti,  supera  appena 
i  1200  abitanti  !  Ma  non  tutti  i  Comuni  hanno  Sindaci  amorevoli 
come  il  signor  G.  B.  Sinigaglia  ,  sindaco  di  Campagna  ,  promotore 
di  questo  studio.  -  L'A.,  fondandosi  sui  lavori  del  Filiasi  ,  del  Gen- 
nari ,  del  Romanin  ec. ,  sulla  storia  ecclesiastica  di  Padova  del 
Brunacci ,  sugli  Statuti  comunali  ed  altri  documenti  mss.  del  civico 
Archivio  e  sui  proprii  studii  intorno  la  storia  padovana,  stabilisce 
che  «  ai  primi  tempi  romani  ed  anche  poscia,  nel  maggior  tratto 
«  del  Comune  di  Campagna  ,  oggi  coperto  dalle  acque  salse,  spun- 
«  tavano  pingui  isolette  e  penisole  abitate  e  coltivate  »  ,  e  che  il 
malgoverno  de'  Cesari  e  dei  Bizantini ,  le  irruzioni  e  gli  stanzia- 
menti de'  barbari  in  Italia,  e  le  varie  guerre  condotte  in  varii  tempi 
su  quel  tenere  ,  un  famoso  dilagamento  dell'Adige  ,  un  terremoto 
che  avvallò'il  lido  di  Malamocco  ,  il  progressivo  abbassamento  del 
suolo  delle  venete  lagune ,  le  acque  de'  fiumi  e  le  deviazioni  in 
questi  operate  da'  Veneziani ,  contribuirono  di  conserva  alla  rovina 
del  Comune  ,  ricondotto  ora  a  sorti  migliori  dai  tempi  nuovi  ,  dai 
prosciugamenti  e  dalla  grande  sistemazione  del  Brenta. 

G.  Dalla  Vedova. 


Sentenza  di  Matteo  da  S'orna  vescovo  di  C'eneda  so- 
pra il  possesso  dell'ospitale  di  Vcdana.  -Belluno,  1869. 
Per  nozze  Segato-De  Bertoldi. 

Tratta  da  una  pergamena  del  1188  dell'Archivio  dei  canonici  di 
Belluno,  la  sentenza,  illustrata  da  Monsignor  De  Dona,  riconosce 
i  diritti  di  quelli  sull'  ospitale  di  Veclana  ,  contro  le  pretensioni  del 
vescovo  di  Feltre  Drudone  da  Camino.  Era  a  Vedana  una  casa  di 
rifugio  pei  viaggiatori  e  i  pellegrini  ,  non  unica  nella  provincia  di 
Belluno  che  ne  ricorda  nelle  valli  Pusterina  ,  del  Piave,  del  Corde- 
vole  e  sul  Monte  Aloco.  I  vescovi  di  Feltre  ,  un  secolo  e  mezzo 
dopo  ,  contrastarono  ancora  sepe  et  sepius  ai  canonici  di  Belluno  il 
possesso  di  Vedana.  Se  non  che  la  prima  sentenza  fu  riconfermata 


ANNUNZI   BIBLIOGRAFICI  227 

il  12  ottobre  1346.  L'ospitale  di  Vedana  ed  altri  due  vennero  poi  in 
dono  ai  Certosini  nel  13  giugno  1456,  mediante  l'annuo  censo  di 
tre  capretti.  I  Certosini  nel  1771  furono  soppressi  dalla  Repubblica 
veneta  che  vendette  a  Niccolò  Erizzo  i  beni  di  Vedana,  ora  passati 
nella  famiglia  Segato.  La  quale  è  chiara  in  Italia  pel  nome  di  quel 
Girolamo  petriflcatcre  ,  che  morì  pochi  anni  or  sono  recando  con 
so  nella  tomba  il  suo  maraviglioso  segreto. 

G.   OCOIONI-BONAFFONS. 

Il  primo  llonte  di  Pietà.  -  Memoria  di  Ludovico  Luzi.  In  8vo 
di  pag  32  ;  Orvieto  ,  tip.  Tosini ,  1868. 

Tutti  gli  scrittori  di  Diritto  Canonico  e  di  Storia ,  ai  quali  sia 
toccato  parlare  dei  Monti  di  Pietà,  ugualmente  affermano  essere 
ta'e  istituzione  tutta  cosa  italiana:  ma  di  questi  moltissimi  dissen- 
tono fra  loro  intorno  al  luogo  ed  al  temoo  precido  del  primo  com- 
parire di  essa;  e  chi  la  vuole  sorta  a  Perugia  l'anno  1462,  ovvero 
nel  1467  od  anche  nel  1491  ;  altri  la  dicono  eretta  a  Roma,  a  Bo- 
logna, a  Firenze,  non  si  sa  quando;  alcuni  finalmente  a  Orvieto 
l'anno  1463.  Il  Devoti,  il  Mastrofini  ed  i  PP.  Benedettini  nelle  mende 
all'opera  del  Ferraris,  la  Biblioteca  canonica,  son  tutti  d'accordo 
nel  dare  il  primato  ad  Orvieto  ,  e  nel  fissare  la  data  della  istitu- 
zione ai  3  giugno  del  1463.  Per  altro  le  asserzioni  dei  sopra  citati 
e  le  rettificazioni  dei  PP.  Benedettini  vennero  per  avventura  igno- 
rate dagli  scrittori  che  seguirono  ,  onde  incorsero  in  errore  anche 
il  Bernardi  ed  il  Cantù  ,  quegli  facendolo  eretto  ,  il  primo  Monte  , 
a  Perugia  l'anno  1462,  questi  del  pari  a  Perugia,  ma  nell'anno  1491. 

Le  notizie  attinte  dal  Luzi  nelle  fonti  ancor  vergini  dell'Archivio 
Comunale  di  Orvieto  ci  tolgono  alla  fine  d' incertezza,  però  che  re- 
sulti manifesto  per  i  documenti  indicati  estratti  in  gran  parte  dai 
libri  delle  Riformanze  ,  essersi  questa  istituzione  ideata  la  prima 
volta  in  Orvieto  su  i  primordi  del  1463,  e  nella  quaresima  del  detto 
anno  da  frate  Bartolommpo  da  Colle  predicatore  raccomandata  al 
popolo  orvietano  in  Chiesa  ed  in  Consiglio  :  appresso  con  breve  dei 
3  giugno  1463  da  Pio  II  approvata  ,  e  per  deliberazione  consigliare 
dei  23  giugno  fondata,  eletti  a  soprastanti  tre  cittadini  orvietani, 
dotato  quindi  di  stabili  e  di  latifondi ,  e  di  varie  largizioni  ed  of- 
ferte di  mutui  arricchita. 

Primi  a  seguire  l'esempio  nobilissimo  degli  Orvietani  furono  i 
Perugini  ,  ai  quali  fu  data  approvazione  di  istituire  il  Monte  Pio 
da  Paolo  II,  il  quarto  anno  del  suo  pontificato,  cioè  nel  1467,  e 
non  nel  1462,  pontificato  di  Pio  II,  come  per  alcuni  fino  al  giorno 
d'oggi  si  tenne. 


228  ANNUNZI   BIBLIOGRAFICI 

Cosi  il  Lazi  ha  rivendicato  alla  sua  città  un  vanto  non  piccolo, 
di  che  come  gli  saranno  tenuti  gli  Orvietani,  non  minor  grado  gli 
sapranno  i  cultori  delle  discipline  istoriche  per  avere  rischiarato  un 
punto ,  intorno  al  quale  moltissimi  eransi  indotti  in  errore. 

Luigi  Fumi. 

Atti  della    R.    Accademia    «li    Belle   Arti    di    Carrara, 

X>receduti  da  un  stento  storico  della  stessa  Accademia  e  da  al- 
tri componimenti  nella  solennità  del  suo  primo  centenario,  del 
26  settembre  1869.  Carrara,  stabilimento  tipografico  il  Canno- 
ne, 1869;  in  8vo  di  pag.  140. 

Di  parecchi  scritti  va  ricco  questo  volume  che  fu  mandato  alle 
stampe  per  festeggiare  il  primo  centenario  dalla  fondazione  d'Ila 
R.  Accademia  di  Belle  Arti  in  Carrara  ,  la  quale  ,  come  è  noto  , 
venne  istituita  ai  26  di  settembre  dell'anno  1769  da  Maria  Teresa , 
ultimo  fiato  de'  Cybo  duchi  di  Carrara  e  di  Massa.  Del  sig.  Oreste 
Raggi  è  il  discorso  intorno  alla  storia  dell'Accademia  ,  che  si  legge 
in  principio  ;  e  di  essa  con  tocchi  brevi  ed  efficaci  si  raccontano 
le  principali  vicende  e  i  larghi  e  buoni  frutti  che  dette  dalla  sua 
origine  ai  tempi  nostri.  Fanno  corredo  al  discorso  quindici  lettere 
inedite  de'  più  valenti  artisti  e  de'  letterati  più  illustri  che  la  detta 
Accademia  ebbe  a  soci;  e  sono  di  Antonio  Canova,  di  Vincenzo 
Camuccini ,  di  Andrea  Appiani ,  di  Raffaello  Morglien  ,  di  Melchiorre 
Cesarotti ,  di  Ennio  Quirino  Visconti ,  di  Gio.  Battista  Niccolini ,  di 
G.  A.  Guattani ,  di  Lorenzo  Bartolini ,  di  Emanuele  Repetti,  di 
Pellegrino  Rossi ,  di  Luigi  Poletti ,  di  Leopoldo  Borbone  conte  di  Si- 
racusa ,  di  Massimo  D'Azeglio  e  di  Cammillo  Cavour.  Bellissima  è 
quest'ultima ,  scritta  di  Torino  ai  16  di  giugno  del  1860  a  Ferdi- 
nando Pelliccia,  al  quale  così  dice:  «  Accetto  con  riconoscenza 
«  l'onore  fattomi  dalla  inclita  Accademia  di  Belle  Arti  di  Carrara 
«  inscrivendomi  tra  i  suoi  soci  onorari.  Questo  attestato  di  bene- 
«  volenza  e  di  simpatia,  dato  più  che  a  me  alla  politica  del  Re 
«  italiano  ,  mi  animerà  a  proseguire  in  queir  indirizzo  nazionale  che 
«  mirando  all'acquisto  della  indipendenza,  favorisce  ad  un  tempo  i 
«  progressi  d'ogni  nobile  ed  utile  disciplina  ». 

Si  legge  appresso  un  Discorso  del  conte  Emilio  Lazzoni ,  segre- 
tario,  nel  quale  prende  forte  a  garrire  contro  coloro  che  vorreb- 
bono  distrutte  le  accademie,  e  coll'esempio  di  quella  carrarese 
mostra  quanto  esse  giovino  a  promuovere  le  arti  e  a  tenerle  in 
lìore.  Si  hanno  poi  i  nomi  degli  alunni  scolastici  1867-68  e  1868-69; 
una  canzone  della  gentile  poetessa  sig.  Adele  Pelliccia;  cinque  epi- 
grafi dell'  ing.  Carlo  Pelliccia ,  e  l'albo  accademico.  G.  S. 


ANNUNZI   BIBLIOGRAFICI  229 

Fra  Gerolamo  .Savonarola  e  notizie  intorno  al  suo 
tempo,  per  Antonio  Cappelli.  Modena,  coi  tipi  di  Carlo  Vin- 
cenzi, 1869;  in  4to  di  pag.  110. 

Dopo  quanto  scrissero  intorno  alla  vita  e  alle  opere  del  Savo- 
narola il  P.  Marchese  ,  l'Aquarone  ed  il  Villari  ;  dopo  i  nuovi  e  sco- 
nosciuti documenti  di  lui ,  che  pubblicarono  per  le  stampe  il  Del 
Lungo  ed  il  Lupi  ;  sembrava  proprio  che  niente  si  potesse  aggiun- 
gere a  quanto  fu  detto  e  degnamente  del  celebre  domenicano.  Pure 
il  sig.  Cappelli  ha  saputo  spigolare  assai  buona  messe  nell'Archivio 
di  Modena;  e  questa  giova  a  correggere  nel  vero  parecchi  fatti  e 
molte  date  ,  e  a  meglio  conoscerne  i  tempi.  Nel  discorso  proemiale 
dà  minuto  conto  delle  opere  inedite  ,  e  pressoché  ignote  ,  di  Mi- 
chele Savonarola  avo  di  Fra  Girolamo  ,  le  quali  «  essendo  state 
«  probabilmente  delle  prime  venute  alle  mani  del  nipote  ,  potreb- 
«  bero  pure  avere  influito  a  svolgere  il  suo  intelletto  e  disporlo 
«  all' indirizzo  che  prese  (pag.  6).  Dà  conto  del  pari  de' due  raris- 
simi opuscoli  di  Fra  Mariano  da  Genazzano  aspro  nemico  del  Sa- 
vonarola ,  del  quale  dice  poi  quanto  occorre  acciocchèil  lettore 
possa  conoscere  la  utilità  e  1'  importanza  de'  documenti  che  al  suo 
discorso  fa  tener  dietro.  I  quali  documenti  ascendono  al  numero  di 
cento  sessantaquattro  ,  e  consistono  in  sei  lettere  inedite  del  frate, 
in  molte  relazioni  di  Manfredo  de' Manfredi  oratore  degli  Estensi  a 
Firenze  ,  in  parecchie  lettere  del  duca  di  Ferrara  al  Manfredi  e  al 
Savonarola,  e  in  due  lettere  di  Landolfo  Collenuccio  ad  esso  duca, 
nelle  quali  chiama  Fra  Girolamo  «  uomo  veramente  divino  ,  mag- 
«  giore  ancora  in  presenza  che  per  scrittura.  G.  S. 


Topographia  luncnsis  orae,  Carmen  Hal'assaHI  Ta- 
rava«*ii  canonici  sarxanensis.  Lncae  ,  typis  Landianis  , 
mdccclxix  ;  in  8vo  di  pag.  13.  (Nelle  nozze  Sforza-Pierantoni  ). 

Baldassarre  Taravasi  nacque  al  cominciare  del  secolo  XVI  in 
Vezzano ,  ameno  castello  della  Lunigiana  ,  posto  tra  Arcola  e  Spe- 
zia. Fu  canonico  della  cattedrale  di  Sarzana  e  poeta  latino  molto 
lodato.  In  questo  carme  ,  che  adesso  viene  per  la  prima  volta  alle 
stampe,  ,  invita  il  cardinale  Benedetto  Lomellino,  vescovo  di  Luni- 
Sarzana  ,  a  recarsi  nel  suo  castello,  e  gli  descrive  tutta  la  Lunigiana 
con  tocchi  brevi  ed  efficaci,  con  versi  facili,  scorrevoli  e  di  schietta 
latinità,  che  mostrano  quanto  studio  avesse  egli  fatto  ne' buoni  au- 
tori. È   corredato    di  parecchie   annotazioni   storiche  e  geografiche 


230  ANNUNZI   BIBLIOGRAFICI 

colle  quali  l'editore  ,  sig.  canonico    Pietro  Andrei  di  Carrara ,  illu- 
stra con  buon  garbo  que'paesi  che  meglio  ne  abbisognano.      G.  S. 


Della  vita  e  degli  sciatti  «li  sua  eccellenza  l'avvocato 
Cesare  Brancoli.  Lucca,  Tipografia  Giusti,  1869;  di  pag.  51. 

Colla  morte  del  consigliere  Cesare  Brancoli ,  avvenuta  ai  9  di 
luglio  dell'anno  corrente  ,  è  mancato  alla  R.  Accademia  lucchese 
di  scienze ,  lettere  ed  arti  un  socio  dotto  e  operoso.  Si  hanno  a 
stampa  negli  Atti  di  essa  i  lavori  che  di  mano  a  mano  vi  andò  leg- 
gendo ,  e  sono  :  il  bel  Discorso  sul  valore  di  alcune  monete  italia- 
ne verso  la  metà  del  secolo  decimosesto  ,  la  Memoria  sulla  musica 
moderna  ,  la  Vita  scientifica  dell'accademico  Biagio  Gigliotti  e  uno 
scritto  di  lungua  lena  ,  ricco  di  dottrina  e  di  senno  sulle  moderne 
scuole  di  giurisprudenza;  op<jre  tutte  che  gli  procacciarono  buona 
fama  tra  noi.  La  vita  che  annunziamo  è  scritta  dal  sig.  Dominio 
Ambrogi ,  avvocato,  con  assai  bel  garbo  così  di  lingua  come  di  stile 
e  con  caldo  affetto.  G.  S. 


Distri  della  Città  di  Palermo  dal  Secolo    «vi    al    x«k  , 

pubblicati  sai  manoscritti  della  Biblioteca  Comunale,  preceduti 
da  una  introdurrne  e  corredati  di  note,  per  cura  di  Gioacchino 
Di  Marzo.  Voi.  II,  di  pag.  xxi-345.  Palermo,  Luigi  Pedone  Lau- 
riel  editore  ,  1869. 

È  il  secondo  volume  della  Biblioteca  storica  e  letteraria  di  Si- 
cilia, di  cui  abbiamo  parlato  ne' precedenti  fascicoli.  Anche  di  que- 
sto daremo  qualche  breve  notizia  sulle  cose  che  contiene. 

I.  Prima  di  tutto  c'è  l'estratto  di  una  Cronaca  di  Sicilia  che  qui 
si  pubblica  col  titolo  di  Aggiunte  al  Diario  di  Filippo  Par  ut.  a  e  di 
Niccolò  Palmerino.  Vi  si  registrano  cose  che  lo  scrittore  reputava 
più  notevoli  dHla  città  di  Palermo,  dal  1606  al  1628;  con  abbon- 
danza da!  1606  al  1611  ;  pochissime  dall'  11  al  22:  poi  c'è  un  salto 
dal  22  al  28  ,  e  anche  di  quest'ultimo  anno  due  sole  notizie;  una 
sola  del  1637.  1  fatti  che  il  Cronista  stimava  degni  di  memoria  sono 
processioni  frequenti  per  aver  la  pioggia  ;  giostre  ,  tornei  ed  altre 
feste;  esecuzioni  di  pene  capitali  ;  esequie  per  uomini  qualificati;  la 
morte  d'un  fraticello  creduto  santo,  onde  il  popolo  fece  in  bricioli  le 
vesti  del  cadavere  per  serbarne  reliquie;  condanne  del  Sant'Uffizio; 
il,  regalo  che  la  città  fece  al  nuovo  arcivescovo  Giannettino  Doria  ; 
un  poliamolo  frustato  pubblicamente  per  aver  venduto  un  galletto  un 


ANNUNZI    BIBLIOGRAFICI  231 

grano  più  del  dovere  :  insieme  con  queste  ci  si  accennano  anche  tu- 
multi popolari  pel  tosamento  delle  monete  e  per  gli  strani  rimedi 
che  si  volevano  apporre  a  quel  male:  il  malcontento  per  una  nuova 
tassa  sui  notari  grave  e  vessatoria;  la  requisizione  di  tutto  l'argento 
che  era  in  città,  per  esser  coniato,  una  rissa  fra  italiani  e  spagnuoli'. 
le  pene  che  s'infliggevano  e  si  minacciavano,  diverse  fra  nobili  e 
plebei  ,  perchè  a  questi  la  galera  e  la  corda  ,  ai  nobili  il  castello 
e  le  multe.  Ma  tutte  queste  cose  ,  alcune  delle  quali  vorrebbero 
considerarsi  come  non  confacenti  alla  gravità  della  storia,  gio- 
vano, secondo  noi,  più  che  gli  strepitosi  avvenimenti,  poiché,  ripen- 
sandovi ,  ci  par  quasi  d'esser  presenti  alla  vita  d'un  popolo  che 
vediamo  religioso  tino  alla  superstizione  ,  oppresso  e  angariato 
da  una  dominazione  straniera,  vinto  già  dalle  costumanze  della  na- 
zione che  lo  signoreggia;  vediamo  gli  abiti  di  che  vestivano  special- 
mente i  nobili,  le  cerimonie  ,  l'etichette;  e  di  tutte  queste  cose  ci 
rendiamo  conto  bene  egualmente  che  se  ci  venissero  con  ordine  e 
con  eleganza  di  stile  raccontate  :  all'evidenza  einferisce,  ci  pare, 
il  linguaggio  schietto  di  chi  scrive  alla  buona  nel  suo  dialetto,  come 
per  ricordo  di  famiglia,  senza  forse  pensare  neppure  alle  mille 
miglia  che  questi  suoi  appunti  potessero  un  tempo  aver  l'onore 
della  stampa. 

II.  Le  Memorie  diverse  intorno  al  Viceré  duca  d'Ossuna  possono 
servir  di  corredo  al  bel  lavoro  che  intorno  a  questo  Viceré  stampò 
il  signor  Isidoro  La  Lumia  qui  nell'Archivio  storico  (Nuova  Serie, 
Tom.  XVII)  :  e  fra  esse  è  documento  che  torna  a  grande  onoro 
dell'Ossuna  la  lettera  del  Senato  di  Palermo  al  re  Filippo  III  per 
pregarlo  che  confermasse  quel  degno  magistrato  nella  sua  carica , 
spirato  il  triennio,  perchè  partendo  lui  «  resteriamo  sconfìtti  senza 
l'usato  governo  e  favore  in  sul  meglio  del  buono  stato  ». 

III.  Succede  a  queste  memorie  la  Relazione  d'una  splendida  vit- 
toria che  il  29  agosto  1613  le  galere  di  Sicilia  comandate  da  Otta- 
vio d'Aragona  riportarono  sui  Turchi  :  l'editore  la  pubblica  tradotta 
dall'originale  Spagnuolo. 

IV  e  V.  Successi  nel  tempo  della  peste  in  Palermo  scritti  dal 
dottor  Gio.  Francesco  Auria,  e  Relazione  della  mani  era  che  osservò 
la  città  di  Palermo  nell'anno  1624,  che  fu  travagliata  da  N,  S.  Id- 
dio per  li  peccati  di  quella,  del  mal  contagioso  di  peste  ,  che  af- 
flisse detta  città  dalli  7  di  maggio  1624  per  insino  alli  10  di  giu- 
gno 1626  ,  scritta  dal  capitan  .May  e  Maya.  -  Queste  due  scritture 
sul  medesimo  argomento  si  posson  dire  compimento  l'una  dell'altra: 
tutteddue  gli  scrittori  si  trovano  d'accordo  nel  dire  che  la  pesti- 
lenza fu  un  mal  contagioso  portato  da  una  nave  venuta  d'Affrica  , 
e  tutteddue  danno  notizia  delle  cose  più  notevoli  ;  se  non  che  l'Au- 


232  ANNUNZI   BIBLIOGRAFICI 

ria  si  trattiene  più  volentieri  a  raccontare  le  processioni  alle  quali 
prendeva  parte  anche  lui  colla  cappa  e  col  torcetto,  le  preghiere 
pubbliche  e  l'opere  spirituali  di  alcuni  religiosi  :  il  secondo  invece 
allarga  il  discorso  sui  provvedimenti  che  prese  il  governo  ,  e  li 
descrive  con  particolari  che  non  si  possono  dir  minuziosi,  perchè 
dimostrano  quanta  previdenza  avessero  in  quei  tempi  i  magi- 
strati, e  come  non  si  risparmiassero  cure  e  spese  per  liberare  la 
città  da  quei  tremendo  flagello.  Anche  l'Auria  accenna  la  carità 
dell'arcivescovo  cardinale  Giannettino  D'Oria;  mail  secondo  ne 
parla  più  lungamente,  tanto  da  rappresentarcelo  emulo  del  cardi- 
nale Federigo  Borromeo  :  alcune  delle  sue  parole  ci  sembra  da 
doversi  riferire.  L'arcivescovo  non  era  in  città  ;  ma  appena  avvi- 
sato «  per  non  lasciare  il  suo  gregge  senza  pastore  (con  tutto  che 
«  era  nella  città  di  Termini,  limpia  di  detto  male,  facendo  alcuni 
«  medicamenti  alla  sua  infermità  ,  della  quale  stava  aggravato)  a 
«  mezza  cura,  non  si  curando  dell'evidente  pericolo  che  ci  era  nella 
«  città,  se  ne  venne  in  quella,  arrischiando  la  salute  e  la  vita. 
«  Della  cui  venuta  non  si  ritrovò  la  città  poco  consolata,  per  li 
«  grandi  aggiuti  li  diede  e  spirituali  e  temporali  ,  sovvenendo  e 
«  dando  larghissime  limosine ,  visitando  e  consolando  tutta  la 
«  città  ec.  ».  L'editore  non  ha  potuto  trovar  notuie  precise  sul- 
l'autore di  questa  scrittura;  ma  anch'  esso  come  l'Auria  dev'  essersi 
trovato  a  quella  calamità,  perchè  ne  descrive  le  vicende  proprio 
come  uno  che  le  cose  ha  veduto,  e  si  compiace  di  far  sapere  come 
magistrati  e  religiosi  e  cittadini  di  ogni  condizione  gareggiassero  di 
zelo:  curioso  poi  è  a  vedere  come  nel  tempo  che  si  faceva  tanto 
per  isolare  gli  appestati  e  i  sospetti ,  erano  cosi  frequenti  le  pro- 
cessioni e  tanta  l'affluenza  alle  chiese. 

VI.  Altre  notizie  sulla  pestilenza  trovansi  in  quella  specie  di  ap- 
punti del  canonico  Giovan  Battista  La  Rosa,  che  l'autore  aveva  inti- 
tolato Alcune  cose  degne  di  memoria.  Sono  una  serie  di  notizie,  che 
cominciano  dal  1330  e  Uniscono  al  1632,  poco  prima  che  l'autore 
morisse  :  quelle  sui  tempi  anteriori  alla  sua  vita  sono  ripetizioni  di 
cose  dette  da  altri  con  qualche  inesattezza  :  quelle  del  secolo  XVII 
hanno  maggiore  curiosità,  perchè  testimonianza  di  cose  vedute.  La 
intenzione  dell'autore  pare  che  fosse  di  registrare  le  cose  più  rile- 
vanti che  concernessero  alla  storia  della  chiesa  palermitana  ;  perchè 
infatti  vi  troviamo  notizie,  benché  sommarie,  d'arcivescovi,  di 
chiese  edificate  ,  di  ordini  religiosi  introdotti  in  Palermo  e  di  nuovi 
conventi,  f'arlando  di  chiese  e  di  conventi  ha  occasione  di  far  ac- 
cenni ad  opere  d'arte,  sulle  quali  il  signor  Mi  Marzo,  con  quella 
conoscenza  che  ha  della  storia  civile  e  artistica  della  Sicilia,  aggiunge 
retti lìcazioni  e  illustrazioni  opportune. 


ANNUNZI   BIBLIOGRAFICI  233 

VII.  In  un  Compendio  di  (licersi  successi  in  Palermo  dall'anno  1632 
al  1639.  si  trovano  fatti  non  raccontati  in  altri  diari.  Un  tale  che 
aveva  rubato  un  maiale  è  portato  col  maiale  addosso  per  la  città 
e  frustato  ;  uno  schiavo,  che  aveva  ucciso  una  signora,  chiede,  men- 
tre lo  attanagliavano  ,  di  esser  battezzato  ;  e  il  battesimo  gli  fa 
ottenere  la  grazia  d'  essere  non  più  attanagliato  ,  ma  solamente 
impiccato. 

Vili.  Documento  curiosissimo  ci  sembra  la  Descrizione  delle  Ese- 
quie del  Principe  Emanuele  Filiberto  di  Savoia,  viceré,  morto  in 
Palermo  nel  tempo  che  infieriva  la  peste  :  n' è  autore  Domenico 
Cannata  Alcam.-se.  La  stessa  scrittura,  ridondante  di  quelle  metafore 
ardite  e  strane,  di  quell'antitesi  e  di  que' girigogoli  di  parole  che 
erano  di  moda  a  quei  tempi  a  chi  scriveva  nella  lingua  comune, 
mentre  ne  erano  immuni  coloro  che  scrivevano  in  dialetto  ,  ci  fa 
palese  la  influenza  de'  costumi  spagnuoli.  Non  manca  però  d'una 
certa  vivezza,  anche  in  mezzo  a  tanti  fronzoli,  questa  descrizione, 
perchè  ci  dà  un'idea  precisa  dello  sfarzo  veramente  straordinario 
con  cui  i  Palermitani  vollero  onorato  il  principe  del  quale  avevano 
a  lodarsi  :  ci  mostra  gli  apparati  della  chiesa  ,  l'atteggiamento 
delle  ligure  allegoriche,  da  cui  si  può  argomentare  anche  il  gusto 
prevalente  nell'arte;  e  riporta  tutte  le  iscrizioni,  nelle  quali  l'af- 
fetto e  l'ammirazione  vengon  significati  con  tutta  l' esageratone 
comune  a  quel!'  età.  Non  so  tenermi  dal  riportare  un  distico:  Aethera 
abiit ,  terris  obiit ,  fruitur  Philibertus  Pro  thalamo  tumulo,  prò 
tumulo  talamo. 

IX.  Il  volume  si  chiude  con  un  raanipoletto  di  notizie  dall'an- 
no 1636  al  1665,  che  diconsi  cavate  da  alcuni  manoscritti  per  cura 
di  Vincenzo  Auria  :  vi  si  parla  d'  uno  sbarco  di  Turchi  a  dodici  mi- 
glia da  Palermo,  che  non  fece  altro  che  metter  sottosopra  il  paese  : 
v'  è  accennata  una  sollevazione  ih  Palermo  a  causa  del  prezzo  del 
pane  nel  1647 ,  su  cui  l'editore  dice  contenersi  i  particolari  in  un 
altro  Diario  che  sarà  stampato  nel  terzo  volume  (1);  le  feste  perla 
reliquia  di  S.  Mamiliano  ,  e  per  il  nuovo  re  Carlo  IL  In  principio 
l'  autore  riferisce  il  fenomeno  d'una  donna  che  dopo  cinque  anni  e 
quattro  mesi  di  matrimonio  diventò  maschio.  G. 


(1)  Questo  terzo  volume  contenente  il  «  Diario  delle  cose  occorse  nella  città 
di  Palermo  e  nel  regno  di  Sicilia  daH9  agosto  1631  al  -16 dicembre  1652»,  compo- 
sto dal  dottor  D.  Vincenzo  Auiua  ,  è  venuto  in  luce  dopo  la  metà  di  dicem- 
bre. Ne  parleremo  nel  prossimo  fascicolo. 

\..<:i;    St.  't  l  .  3.»  Serie,  T    XP    11.  30 


234  ANNUNZI    BIBLIOGRAFICI 

La  Vita  dell'  Italia  ,  narrata  agli  alunni  delle  scuole  ed  alle 
famiglie  da  Ulisse  Poggi  ,  professore  nel  Regio  Liceo  di  Reg- 
gio (Emilia).  -  In  16mo  di  pag.  320.  Milano  ,  Ditta  Tipografica 
libraria  editrice  di  Giacomo  Agnelli  ,  1870. 

Fra  le  tante  prove  che  si  fanno  per  dare  alle  scuole  ed  alle   fa- 
miglie libri  adattati  alla  intelligenza    de'  ragazzi  ,  ci  sembra  che  il 
Poggi  abbia  colto  nel  segno.  Non    diremo   che    questo  suo  libro  sia 
un  lavoro  perfetto  ,  che  la    perfezione  non  s' ha  a  cercar  mai  nelle 
opere  dell'uomo  ;  ma  ben  possiamo  affermare  che  ha  qualità  da  es- 
sere raccomandato   e    a    molti  altri  preferito.  In  poche   pagine    ha 
raccolto  i  fatti  più   notevoli   della   Storia   italiana  con  brevi  e  op- 
portune riflessioni ,    perchè    lo    studio    della  storia  serva  a   educa- 
zione dell'animo.    Vi    si    vede   non    un    compilatore  che  ha  dinanzi 
qualche   compendio  ,  ma  un  pensatore  che  sa  usare  la  critica,  sce- 
gliendo con  giudizio   fra.  quelli   che  tutto  mettono  in  dubbio  anche 
le  cose  meglio   accertate  ,  e  i  creduloni  che  accettano  come  denaro 
contante   tutto    quello  che  hanno  raccontato  gli  altri.  E  si  può  an- 
che  dire    esser   questo  un  libro  d'arte  non  solo  per  la  forma  dello 
stile  che  in  molti    punti    ritrae  la  efficace    vivezza  del  Davanzati , 
ma  .anche  e  principalmente  per  la  sapiente  distribuzione  della  ma- 
teria in  modo  che  nessuna  parte  per  lunghezza  o  brevità  soverchia 
pregiudichi  all'  insieme.  Ho  detto  la  efficacia  del  Davanzati,  perchè 
a  lui  toscano  e  delle  vicinanze  di  Firenze  era  facile  scegliere  nella 
miniera  del  traduttore  di  Tacito    tutto  quello  che  si  può  intendere 
oggi ,  lasciando    quello   che    non  si  confà  alla  dignità  della  storia  ; 
e  perchè  avendo    fatto   nello    scrittore  fiorentino  e  in  Tacito  lungo 
studio,   come    apparisce,    ha   saputo   la    brevità  necessaria    a  un 
compendio   accomodare   all'ampiezza    delle  cose  che  doveva  dire  e 
alla  intelligenza  di  chi  deve  leggere.  L'arte  più  si  rivela  nelle  pa- 
gine in  cui  racconta  i  fatti  de' primi  tempi  di  Roma;  a'quali,  senza 
accettare  in  tutto  le  conclusioni   di    una    critiea  che  ha  voluto  ri- 
far quella  storia ,  e  senza  voler  rifiutare  le  tradizioni  conservate  dalli 
storici   latini ,  è  riuscito  a  dare   tutto  il  colore  della  leggenda.  La 
storia   d'Italia,  per  chi   nella   esperienza   de' tempi  anteriori  vede 
1*  insegnamento    per  il  presente   e   per   l'avvenire ,  offre    non   rare 
occasioni  di  confronti  ;  ma  il  farli  a  proposito   con   temperanza   di 
parole  e  senza  ingrossare  la  voce  ,    non  è  da  tutti  ;  e  anche  di  ciò 
possiamo    dar   lode  al  nostro    Autore.  Il  quale  ,  ritornando  sul  suo 
lavoro  per  una  nuova  edizione  ,  la  quale  non  dovrebbe  lungamente 
aspettarsi ,    potrà   su    qualche  punto  di  storia  del  Medio-Evo  curar 
meglio  la  chiarezza  e  la  esattezza  nell'ordinare  i  fatti;  e  nell'ultima 


ANNUNZI   BIBLIOGRAFICI  235 

parte  ove  accenna  i  più  recenti  avvenimenti  italiani  preferire  una 
esposizione  più  andante  al  rapido  e  troppo  condensato  racconto 
che  in  qualche  pagina  prende  l'aspetto  di  un  sommario.         G. 

Della  Vita  e  delle  Opere  di  Gaudenzio  Ferrari,  Ragio- 
namento del  professore  Pietro  Zambelli pronunziato  nella  oc- 
casione della  commemorazione  scolastica  del  17  marzo  1868 
in  Novara.  -  In  8vo  di  pag.  35.  -  Novara  ,  1869  ,  Ditta  tipogra- 
fica di  Girolamo  Miglio. 

Le  feste  scolastiche ,  che  un  savio  decreto  del  ministro  Natoli 
prescrisse  ai  Licei  italiani  per  fare  onore  agli  uomini  benemeriti 
della  nazione  ,  potrebbero  agi'  insegnanti  offrire  argomenti  di  scrit- 
ture dalle  quali  non  solo  avessero  eccitamento  di  nobili  esempi  gli 
alunni ,  ma  s'avvantaggiasse  la  storia  della  civiltà  italiana  ,  purché 
non  in  forma  di  rettorica  declamazione  si  ripetessero  cose  che  tutti 
sanno,  ma  le  men  note  si  divulgassero,  le  dubbie  ricevessero  cer- 
tezza per  ricerche  e  meditazioni  nuove  ,  e  fatti  non  conosciuti  si 
mettessero  in  luce  con  savia  e  opportuna  scelta.  Di  ciò  è  prova 
l'opuscolo  del  professore  Zambelli;  il  quale  discorrendo  alli  scolari 
del  Liceo  novarese  del  pittore  Gaudenzio  Ferrari ,  ha  steso  una 
bella  pagina  di  storia  dell'arte  italiana.  Quelli  che  viaggiano  cer- 
cando col  divertimento  l'istruzione,  possono  ammirare  in  Varallo 
e  in  alcune  città  della  Lombardia  le  opere  del  Ferrari  :  e  quanto 
basta  ne  sapranno  quelli  che  attendono  di  proposito  alla  storia 
dell'arte.  Il  nostro  autore,  descrivendo  le  opere  dell'insigne  pittore 
in  modo  da  metterle  quasi  sotto  gli  occhi ,  fa  manifesto  come  la 
fama  non  corrisponde  al  merito  del  Ferrari  ,  perchè  veramente  il 
nome  di  lui,  il  quale  visse  e  operò  contemporaneamente  ai  più  insigni 
artisti  del  Cinquecento  ,  che  dai  precetti  di  Leonardo ,  del  Luino  e 
di  Raffaello  seppe  ricavare  quanto  gli  giovasse  per  avere  uno  stile 
tutto  suo  e  per  esser  capo  d'una  seconda  scuola  lombarda,  che  dalla 
Fede  ebbe  le  più  belle  ispirazioni  da  significare  il  più  puro  senti- 
mento della  religione,  in  un'età  che  questo  sentimento  illanguidiva, 
rimane  un  poco  adombrato  dalla  gloria  de'pochi  più  sommi  ,  per  la 
ragione,  è  da  credersi,  che  gì'  Italiani  divisi  non  han  potuto  finora 
conoscere  le  loro  ricchezze  sparpagliate,  e  anche  perchè,  mentre 
Gaudenzio  ha  avuto  nel  Rio  francese  chi  lo  ha  fatto  apprezzare  dalli 
stranieri ,  non  aveva  avuto  tra'  suoi  connazionali  un  degno  lodatore. 
Lo  Zambelli  ce  lo  fa  non  solamente  ammirare  ,  ma  ce  ne  rende 
anche  amabile  la  memoria,  perchè  ci  mostra  come  la  bontà  del- 
l'animo fu  in  lui  eguale  alla  grandezza  dell'  ingegno.  E  in  un  discorso 
accademico  ha  saputo  riunire  con  bell'ordine  tante  notizie  che  non 


236  ANNUNZI   BIBLIOGRAFICI 

molte  più  avremo  a  desiderarne  dall'opera  a  cui  attende  in  Roma 
il  padre  Brussa  barnabita  ,  siccome  lo  Zambelli  annunzia  in  una 
nota.  G. 

Oli  Aflrcsclit  del  secolo  XTV  nella  difesa  di  Galcàana, 
nuovamente  scoperti  e  restaurata ,  Lettera  dì  Cesare 
Guasti  al  pittore  Alessandro  Franchi  pratese  Maestro  nell'Isti- 
tuto di  Belle  Arti  a  Siena.  In  8vo  di  pag.  14.  Prato  ,  tipografia 
Guasti,  1869. 

In  queste  poche  pagine  c'è  l'acume  dell'erudito  che  da  pochi 
dati  si  studia  d'accertare  l'autore  di  un  bel  dipinto,  prendendo  l'oc- 
casione di  mettere  in  luce  fatti  nuovi  per  la  storia  dell'arte  ;  e'  è 
l'amore  intelligente  del  bello  ;  e'  è  l'esempio  del  come  discorrendo 
di  cose  artistiche  si  possano  significare  verità  che  innalzano  il  cuore. 
All'amico  e  concittadino  ,  pittore  egregio  ,  il  Guasti  dà  informazione 
del  restauro  che  Pietro  Pezzati ,  scolaro  del  Marini ,  ha  fatto  a  un 
bell'affresco  nella  chiesa  parrocchiale  di  Galciana  ne'  contorni  di 
Prato.  Nel  settecento  questo  bel  dipinto  ,  col  quale  i  Galcianesi , 
ne' tempi  migliori  per  la  fede  e  per  l'arte  ,  avevan  voluto  abbellita 
la  chiesa  dove  andavano  a  pregare  e  dove  avevan  le  sepolture  de' loro 
defunti ,  era  stato  nascosto  sotto  il  bianco  al  pari  di  tante  opero 
stupende  :  ora  i  discendenti  di  que'medesimi  che  in  diversa  età  ebbero 
un  cosi  diverso  sentimento  del  bello  ,  hanno  fatto  la  spesa  perchè 
la  loro  chiesuola  ritornasse  nella  forma  de' tempi  migliori ,  e  vi  si 
rivedessero  i  belli  affreschi  che  il  Guasti  descrive  con  quella  evi- 
denza che  nelle  altre  sue  scritture  è  lodata.  Sebbene  con  pazienza 
"ed  amore  si  sia  studiato  di  conoscerne  l'autore,  non  ha  potuto  trovar 
tanto  da  precisarlo  :  qualche  indizio  gli  farebbe  credere  gli  affreschi 
d'Agnolo  Gaddi  ;  qualcun  altro  di  Niccolò  di  Piero  di  Gerino:  ma  se 
né  all'uno  né  all'altro,  egli  dice,  si  possono  attribuire,  «  non  te- 
mono di  stare  a  confronto  con  le  opere  di  que'  maestri ,  e  la  figura 
del  Salvatore  ,  che  ne  rammenta  una  di  Taddeo  Gaddi  all'Accademia 
fiorentina,  non  la  ricuserebbe  per  sua  Giotto  medesimo  ».        G. 

Lettera  di  Qiovanni  Verglolcsi  ambasciatore  di  Lucca 
presso  Icnccslao  re  de'  Romani,  1381.  In  8vo  di  pag.  10. 
Lucca,  per  Bartolommeo  Canovetti ,  1869.  Pubblicata  da  Salva- 
tore Bongi  per  Nozze  Sforza-Pierantoni. 

Giovanni  Vergiolesifu  mandato  ambasciatore  dai  Lucchesi  all'  im- 
peratore Venceslao  per  trar  profitto  della  benevolenza  che  fin  dal 
principio  della  sua  elezione  esso  aveva  dimostrata  alla  Repubblica, 


ANNUNZI   BIBLIOGRAFICI  237 

e  per  chiedergli  la  conferma  de' privilegi  che  alla  medesima  aveva 
concesso  suo  padre  Carlo  IV,  dopo  averla,  non  senza  interesse,  riscat- 
tata dalla  soggezione  ai  Pisani.  L'ambasciatore  ottenne  parole  confer- 
manti il  buon  animo  e  nulla  più.  Questa  lettera ,  datata  da  Praga 
13  agosto  1381,  è  l'unica  delle  scritte  dal  Vergiolesi  in  quella  lega- 
zione ,  rimasta  fra  le  pubbliche  carte  di  Lucca.  Con  quella  forma  sem- 
plice e  chiara  che  è  pregio  dei  diplomatici  italiani  di  quei  tempi,  dà 
informazioni  curiose  delle  cose  di  Germania  e  le  notizie  che  là  cor- 
revano d'Inghilterra  colla  quale  stavano  per  stabilirsi  colla  Germania 
relazioni  più  intime  per  il  matrimonio  di  una  figliuola  di  Venceslao 
col  monarca  britannico.  Brevemente  è  ritratto  il  carattere  dell'impe- 
ratore dedito  alla  caccia  e  alla  pesca  più  che  agli  affari  di  Stato  che 
lasciava  alle  cure  de'suoi  consiglieri.  V'è  notizia  del  celebre  conte 
Landò  da  poco  tempo  divenuto  consigliere  di  Venceslao  «  e  tanto  in 
«  gratia  dello  re  quanto  quasi  neuno  altro  che  ci  sia,  et  molto  li  dà 
«  fede,  e  spetialmente  de'  fatti  d' Italia  »  :  il  quale  si  mostrava  molto 
benevolo  e  propenso  a  favorire  i  Lucchesi  :  vi  si  dice  inoltre  che 
settantadue  città  germaniche  reggentisi  a  popolo ,  ferme  nella  in- 
tenzione di  conservare  la  loro  libertà,  avevano  con  alcuni  signori 
formata  una  lega  generale  «  contro  ogni  persona  per  le  oppressioni 
che  ricevevano  da  cierti  signori  »  e  che  in  quei  giorni  dovevano  al 
cospetto  dell'imperatore  trovarsi  per  detta  lega  riuniti  i  sindachi 
delle  dette  città  e  la  maggior  parte  de'principi  e  baroni  della  Magna. 
D' Inghilterra  fa  cenno  d'una  popolare  sollevazione  suscitata  da 
«  alcuni  gentili  huornini  dissoluti  »  contro  il  Camarlingo  del  re  , 
accusato  con  altri  baroni  che  «  s' imborsavano  tutte  le  entrate 
dello  reame  et  dello  re  »  ;  la  quale  sollevazione  costò  la  vita  a  un 
vescovo  che  s'interpose  per  mitigare  le  furie  del  popolo,  e  fu  dal 
re  vinta  e  vendicata  con  molti  supplizi.  G. 


Dnc  lettere  di  Francesco  Petrarca  a  Niccoloslo  Bar- 
tolosnmci  da  lincea.  In  8vo  di  pag.  24.  Lucca  ,  per  Barto- 
lommeo  Canovetti ,  1869.  Ristampate  da  C.  Pagano  Paganini, 
per  Nozze  Sforza-Pierantoni. 

Queste  due  lettere  del  Petrarca,  1'  11. a  del  libro  IX  delle  Fami- 
liari ,  e  la  5.a  delle  Varie  ,  che  si  trovano  nella  bella  edizione  che 
il  Le  Monnier  ha  fatto  delle  lettere  petrarchesche  per  le  cure  e  col 
volgarizzamento  del  signor  Giuseppe  Fracassetti ,  hanno  dato  oc- 
casione al  signor  Pagano  Paganini  di  metter  fuori  una  scrittura 
che  lo  mostra  un  diligente  ed  elegante  erudito.  Giacché  il  signor 
Fracassetti   nulla  dice  di   Niccolosio  Bartolommei ,   e   il    Petrarca 


238  ANNUNZI    BIBLIOGRAFICI 

gli  parla  come  ad  uomo  di  cui  pregia  grandemente  la  virtù  ,  era 
naturale  che  al  signor  Paganini  venisse  la  curiosità  di  raccogliere 
le  notizie  che  potessero  giustificare  le  lodi  date  da  uomo  di  tanta 
autorità  a  un  suo  concittadino.  Il  Bartolommei  uscito  da  una  fami- 
glia divenuta  ricchissima  per  commercio,  ampi iatore  della  Certosa 
di  Farneta  fondata  da  suo  padre  Gardo  ,  che  continuando  l'esercizio 
della  mercatura  accrebbe  tanto  le  proprie  sostanze  da  poter  fare 
in  società  con  altri  V  imprestito  di  140,000  fiorini  d'oro  a  Edoardo 
re  d' Inghilterra  nel  1339 ,  e  da  somministrare  ai  rettori  della  sua 
patria  parte  delle  somme  per  sovvenire  alla  cupida  povertà  di 
Carlo  IV  imperatore  ,  sostenne  uffici  onorevoli  in  patria  dando  prove 
di  senno  e  di  virtù.  Conferma  poi  il  signor  Paganini  con  ben  fon- 
date congetture  sue  la  opinione  che  mediatore  dell'amicizia  fra  il 
Petrarca  e  il  Bartolommei  fosse  il  Boccaccio.  G. 


Lettere  inedite  si"  Illustri  italiani  a  Cesare  Lucchcsini. 

In  8vo  di  pag.  23.  Lucca,  tip.  Landi  1869.  Pubblicate  in  74  esem- 
plari da  Don  Ferdinando  Sforza  per  Nozze  Sforza-Pierantoni. 

L'editore  ,  nel  trascrivere  e  pubblicare  queste  dodici  lettere  fra 
le  molte  che  d' italiani  illustri  al  Lucchesini  si  conservano  nella 
biblioteca  di  Lucca ,  non  ebbe  altra  intenzione  che  di  mostrare 
l'alta  stima  in  cui  fu  tenuto  il  suo  concittadino.  Sono  d'uomini  illu- 
stri nella  letteratura ,  fra  gli  altri  d'  Ennio  Quirino  Visconti ,  dello 
Spallanzani,  del  Monti.  È  curiosa  quella  del  gesuita  Bettinelli  che 
racconta  come  a  Mantova  fossero  tutti  incantati  della  lucchese 
Amarilli  per  la  quale  «  Atene  per  Aspasia,  Mitilene  per  Saffo, 
Mantinea  per  Lattesia  cedono  a  Lucca  ».  Notizie  letterarie  d' im- 
portanza e  che  aggiungano  fatti  alla  storia  delle  lettere  non  vi  si 
trovano.  G. 


I  Codici  e  le  Arti  a  Monte  Cassino ,  per  D.  Andrea  Cara- 
vita  prefetto  dell" Archivio  cassinese.  Voi.  1,  in  l6mo  di  pagi- 
ne xn-496.  Monte  Cassino ,  pei  tipi  della  Badia  ,  1869. 

È  un  libro  del  quale  ,  quando  ne  sarà  compita  la  pubblicazione 
col  secondo  volume,  V Archivio  Storico  riparlerà.  Ci  limitiamo  ora 
ad  un  annunzio  ,  tanto  per  dire  una  parola  di  lode  all'autore  che 
dà  prova  di  tanta  diligenza,  erudizione,  perspicacia,  ed  eleganza 
nel  dettato,  e  mostra  di  continuar  tanto  bene  le  tradizioni  di  quel 
celebre  monastero  ,  le  di  cui  carte  sono  ailidatc  alle  sue  cure.  Chi 


ANNUNZI   BIBLIOGRAFICI  239 

ha  la  mente  libera  dalle  preoccupazioni  e  dalle  passioni  del  momento 
ritorna  volentieri  a  considerare  quei  tempi  ne'quali  religione  e  ci- 
viltà eran  tenute  una  cosa  medesima  ,  quando  pochi  uomini,  stanchi 
o  noiati  del  mondo,  ritirati  nella  solitudine  d'un  chiostro  davano  esem- 
pi di  carità  splendidi,  salvavano  dalle  offese  della  barbarie  le  reliquie 
dell'antico  incivilimento  e  contribuivano  a  gettare  le  fondamenta  del 
nuovo.  Gli  stranieri  non  posson  lasciare  le  provincie  meridionali 
d' Italia  senza  salire  su  quel  monte  dove  San  Benedetto  fondò  l'Ordine 
religioso,  tanto  benemerito,  con  regole  che  i  legislatori  studiano  con 
profitto  :  e  lassù ,  nelle  variazioni  visibili  dell'architettura ,  nelle 
varie  opere  artistiche  conservate  con  affetto ,  nei  codici  ricopiati 
dai  monaci  e  miniati  elegantemente  più  o  meno  secondo  l'età,  nelle 
pergamene,  in  tutto,  ammirano  un  grand'ordine  di  cose  eleggono 
belle  pagine  di  storia  dell'umanità.  Di  Monte  Cassino  scrisse  già  una 
storia  l' illustre  Don  Luigi  Tosti.  Don  Andrea  Caravita  ha  avuto  in 
mira  più  specialmente  di  mostrare  le  cose  che  il  monastero  con- 
serva degne  d'  osservazione  e  di  studio.  Si  può  dire  che  ne  rifaccia 
la  storia  secolo  per  secolo.  In  questo  primo  volume  si  va  dal  seco- 
lo VI ,  cioè  dalle  origini ,  al  XVI.  D'ogni  secolo  son  narrate  con  effi- 
cace e  chiara  brevità  le  vicende  intrecciate  coi  pubblici  avvenimenti, 
su' quali  l'autore  porta  o  fatti  nuovi  o  congetture  sapienti:  vi  son 
descritte  le  opere  d'arte  con  notizie  degli  autori:  descritti  i  codici, 
mettendo  quasi  sotto  gli  occhi  la  forma  della  scrittura  ;  e  in  fine 
d'ogni  capitolo  è  il  catalogo  dei  codici  stessi  appartenenti  a  quel 
dato  tempo.  Ci  pare,  in  poche  parole,  un  libro  ben  fatto  e  molto 
utile  ,  e  si  legge  con  piacere.  Merita  una  parola  d'elogio  anche 
quella  stamperia  che  fa  prova  di  non  istare  al  di  sotto  delle  più 
pregiate.  G. 


TAVOLA  ALFABETICA 


PERSONE ,  DEI  LUOGHI  E  DELLE  COSE 

nominale  nel  Tomo  X 

«l«'llu  forza  Scile  tlctl1  archivio  Storico  Ktnlinno 


NB.  Il  numero  romano  indica  la  Parte  ;  il  numero  arabico ,  la  pagina. 


Accorr emioni  Felice.  Di  due  sue  let- 
tere a  Gian  Giorgio  Trissino,  an- 
nunzio bibliografico  di  G.  Occioni 
Bonaffons ,  I  ,  233. 

Adria  antica,  la  Veneta.  Della  sua  im- 
portanza ec,  Dissertazione  di  F.  A. 
Bocchi  ,  li,  20-58. 

Alighieri  Dante  in  Germania.  Di  uno 
studio  su  questo  argomento  di  Pie- 
tro Mugna,  annunzio  bibliografi- 
co di  G.  Rosa  ,  I,  235. 

—  D'una  illustrazione  d'un  passo  della 
Commedia  per  A.  Gloria,  annunzio 
bibliografico  di  G.  Dalla  Vedova  , 
li  ,  225. 

Ambrogi  Domenico.  -  V.  Brancoli. 

Angiò  (!>')  Carlo  I  e  Carlo  II.  Codice 
diplomatico  dei  loro  regni,  II,  220- 

Annunzi  bibliografici,  I,  216-251  ,  II, 
220-239. 

Antichità  Romane  scoperte  presso  Fi- 
renze, II,  476-183. 

Archiconfraternita  del  Gonfalone  in  Ro- 
ma ,  I ,  127  130. 

Archivio  di  Firenze.  Notizie  su  Napoli, 
ricavate  dal  medesimo,  I  ,  27-35. 

Arnelh  (D')  Alfredo.  Di  un  suo  libro 
su  Giuseppe  II  e  Caterina   di   Rus- 


sia, Rassegna  bibliografica  diC.  Can- 
tù,  I  ,  139 -444. 
Ascoli  Piceno.  Del   disegno    della    sua 
storia,  per   G.  Rosa,  annunzio  bi- 
bliografico di  G. ,  1 ,  244. 

B    -  V.  Savoia. 

Balbo  Cesare.  Delle  sue  lettere  ine- 
dite sulla  civile  condizione  dei  Ro- 
mani vinti  dai  Longobardi,  annun- 
zio bibliografico  di  G.  ,  I  ,  2'i6. 

Banchi  Luciano.  -  V.  Siena. 

Bartolommei  Niccolosio.  Di  due  lettere 
del  Petrarca  a  Ini  indirizzate,  11,237. 

Batelli  Orazio,  II  ,  183. 

Bazzoni  Augusto.  -  V.  Galiani. 

BHgrano  L.  Tommaso.  -  V.  Cibra- 
rio  Luigi  ;  -  Società  Ligure  di  Storia 
Patria. 

Belli  Valerio.  Di  una  menzione  di  al- 
cuni suoi  intagli  in  quarzo  ,  annun- 
zio bibliografico  di  G.  Occioni  Bonaf- 
fons  ,  I  ,  235. 

Berduschek  Maurizio  traduttore  della 
Storia  del  Savonarola  di  P.  Villari, 
1 ,  223. 

Bertolini  Francesco.  -  V.  Annunzi  bi- 
bliografici, I,  223-225;  V.  manchi. 


DELLE   PERSONE    EC. 


241 


Bianchi  Nicomede.  Della  sua  Storia 
della  Diplomazia  europea  ,  Rassegna 
bibliografica  di  F-  Bertolini,  IT,  157- 
175. 

Bigazzi  Pietro.  Di  alcuni  documenti 
storici  da  lui  pubblicati ,  annunzio 
bibliografico  di  A.  Gherardi ,  1 ,  221 . 

Bocchi  F.  A.  -  V.  Adria. 

Bangi  Salvatore.  -  V.  Vergiolesi  Gio- 
vanni. 

Borghini  Vincenzo.  -  V.  Mor andini. 

Brancoli  Cesare-  Della  sua  vita  scrit- 
ta da  Domenico  Ambrogi,  annunzio 
bibliografico  di  G.  S.  ,  I,  230. 

Brescia.  I  suoi  statuti  del  Medio  Evo, 
Memoria  di  G.  Rosa  ,  li  ,  59-78. 

Caffi  Michele.  -  V.  Carmagnola;  Lom- 
bardia: Milano. 

Calvi  Girolamo  Luigi.  Delle  sue  notizie 
dei  pittori  ,  scultori  e  architetti  di 
Milano  ,  II,  449-126. 

Camino  (  da  )  Riccardo.  Di  un  docu- 
mento pubblicato  da  Pietro  Vianel- 

10,  Rassegna  bibliografica  di  N  Tom- 
maseo, I,  455-161. 

Campagna ,  Comune  della  provincia 
di  Venezia.  Di  uno  studio  sul  me- 
desimo di  A.  Gloria  ,  annunzio  bi- 
bliografico di  G.  Dalla  Vedova,  II, 
226. 

Canova  Antonio.  De!  suoi  Cimeli  in 
Possagno  ,  Notizia  di  Cesare  Cantù, 

11,  1 84-4  87. 

Cantù  Cesare.  -  V.  Arneth ;  Canova; 
Italia  ;  Napoli. 

Capei  Pietro  ,  II  ,  483. 

Cappelli  Antonio   -  V.  Foscolo  Ugo; 
Savonarola. 

Carovita  Andrea.  Del  suo  libro  «  I  Co- 
dici e  le  Arti  a  Monte  Cassino  »  an- 
nunzio bibliografico  di  G.  ,  II,  238. 

Carmagnola.  Della  sua  tomba,  Noti- 
zie di  Michele  Caffi,  I,  468-472. 

Carrara.  Degli  Atti  della  sua  accade- 
mia di  Belle  Arti,  annunzio  biblio- 
grafico di  G.  S. ,  II,  228 

Anca.  Si  .  ili.,  ?..'  Svile  ,   T.  >i 


Cavalcanti  Bartolommeo.  Delle  sue 
lettere  inedite  pubblicate  da  Amadio 
Ronchini  ;  Rassegna  bibliografica  di 
P.  Martini,  II,  454-457. 

Cellini  Mariano.  -  V.  Vieusseux. 

Ceramica  Arte,  II,  426. 

Cheney  Odoardo.  Di  un  suo  libro  sui 
manoscritti  officiali  miniati  della 
Repubblica  veneta  ,  Rassegna  bi- 
bliografica di  Giuseppe  Valentinelli , 
II,  426-144. 

Cibrario  Luigi.  Del  suo  libro  «  Della 
schiavitù  e  del  servaggio,  e  spe- 
cialmente dei  servi  agricoltori  »  Ras- 
segna bibliografica  di  L.  T.  Bei- 
grano  ,    I  ,  85-106. 

Clarelta  Gaudenzio.  Della  sua  Storia 
della  Reggenza  di  Cristina  di  Fran- 
cia ,  annunzio  bibliografico  di  G.  , 
I  ,  240- 

Conti  Augusto.  -  V.  Ferri  Luigi. 

Corda  N.  -  V.  Annunzi  bibliografici  , 
I  ,  217. 

Costantini  Giovanni.  Di  una  sua  lettera 
intorno  a  Torquato  Tasso ,  annun- 
zio bibliografico  di  G.  S.  ,  1 ,  234. 

Cristina  di  Francia  duchessa  di  Sa- 
voia ;  Storia  della  sua  reggenza  , 
I,  240. 

Cronisti  e  scrittori  sincroni  napolitani 
dalla  dominazione  normanna  nel 
regno  di  Puglia  e  Sicilia,  I,  217. 

Dall'Olmo  Giovanni.  Di  una  sua  infor- 
mazione sul  commercio  dei  Venezia- 
ni in  Portogallo,  annunzio  bibliogra- 
fico di  G.  Occioni  Bonafions  ,  1 ,  234. 

Dalla  Vedova  Giuseppe.  -  V.  Annunzi 
bibliografici  ,  Il ,  225. 

Del  Chiappa  Giuseppe.  -  V.  Montefe- 
g  atese. 

Del  Giudice  Giuseppe.  Del  Codice  di- 
plomatico dei  regni  di  Carlo  I  e  li 
d'Angiò  ,  da  lui  pubblicato  ,  annun- 
zio bibliografico  di  M.  D'  A  ,  II,  220. 

Del  Re  Giuseppe.    -  V.    Annunzi    bi- 
bliografici ,  I  ,  2I7- 
i\  11.  ci 


. 


242 


TAVOLA   ALFABETICA 


Deputazioni  di  Storia  Patria.  Nota  delle 
opere  e  documenti  pubblicati  dalle 
Deputazioni  per  le  provincie  del- 
l'Emilia  ,  I,  201-210. 

—  Nota  delle  opere  e  documenti  pub- 
blicati dalla  Deputazione  per  le  Pro- 
vincie di  Romagna,  II,  214-219. 

—  Relazione  de' lavori  della  stessa  De- 
putazione per  le  provincie  di  Roma- 
gna nell'anno  1868-69,  II,  209-214- 

Di  Manzano  Francesco.  De' suoi  An- 
nali del  Friuli,  II,  108-119. 

Di  Marzo  Gioacchino.  -  V.  Palermo. 

Diplomazia  Europea  in  Italia.  Storia 
dal  1814  al  1861  ,  per  Nicomede 
Bianchi,  II,  157-175. 

Dragonzino  Gio.  Battista.  -  V.  Schio. 

Drake  Guglielmo  Riccardo.  Delle  sue 
osservazioni  sulla  Ceramica  di  Ve- 
nezia ,  Rassegna  bibliografica  di 
Giuseppe  Valentinelli ,  li,  126-144. 

Dumesnil  M.  A.  I.  Della  sua  storia  di 
Sisto  V,  Rassegna  bibliografica  di  B. 
Morsolin,  I,  131-138. 

Este  (D')  Cesare.  Del  suo  matrimonio 
con  Virginia  de'  Medici ,  1 ,  247. 

Fabbricatore  B.  -  V.  Annunzi  biblio- 
grafici ,  1 ,  217. 

Famiglie  celebri  italiane.  Dell'opera  in- 
torno ad  esse ,  incominciata  dal 
conte  Pompeo  Litta,  I,  212. 

Ferrari  Gaudenzio.  Di  un  discorso 
sulla  sua  vita  e  sulle  sue  opere  , 
scritto  da  Pietro  Zambelli,  annun- 
zio bibliografico  di  G.  ,  II,  235. 

Ferri  Luigi.  Della  sua  Opera  sulla  fi- 
losofia in  Italia  nel  secolo  XIX,  Ras- 
segna bibliografica  di  Augusto  Con- 
ti,  II,  144-152. 

Filosofia  (Storia della)  in  Italia,  II,  144. 

Finocchietli  Demetrio  Carlo.  Di  una 
sua  Kelazione  sopra  industrie  e  arti 
che  servono  agli  edifizi,  1 ,  178-196. 

Firenze.  Di  un  trattato  per  ribellargli 
la  terra  di  Prato  nel  1375,  1 ,  3-25. 


Firenze.  Di  alcuni  avanzi  di  fabbrica  ro- 
mana presso  Fonte  all'Erta,  Rela- 
zione di  una  Commissione  al  Muni- 
cipio ,  II  ,  176-183. 

Fortuna  Simone.  Della  sua  descrizio- 
ne delle  feste  per  le  nozze  di  Vir- 
ginia de' Medici  con  Cesare  D'  Este  , 
pubblicata  da  G.  E.  Saltini,  an- 
nunzio bibliografico  di  G. ,  I  ,  247. 

Foscolo  Ugo.  Di  una  memoria  di  An- 
tonio Cappelli  sul  suo  arresto  in 
Modena,  annunzio  bibliografico  di 
G.  Sforza  ,  1 ,  228. 

Franchi  Verney  della  Valetta  conte 
Alessandro.  -  V.  Savoja. 

Friedmann  Paolo.  -  V.  Michiel. 

Friuli.  Degli  Annali  compilati  dal  conte 
Francesco  Di  Manzano,  Rassegna 
bibliografica  diG.  Occioni  Bonaffons , 
II,  108-119. 

Fumi  Luigi.  -  V.  Annunzi  bibliogra- 
fici ,  II ,  227. 

G.  -  V.  Annunzi  bibliografici ,  I,  237- 
248;  II,  230-239. 

Galasso  Antonio.  -V.  Vico  Gian  Battista. 

Galciana.  Degli  affreschi  del  seco- 
lo XIV,  scoperti  e  restaurali  nella 
sua  chiesa  ,  II ,  236. 

Galiani  Ferdinando.  Suo  carteggio  col 
marchese  Tanucci ,  pubblicato  da 
Augusto  Bazzoni ,  1 ,  40-57. 

Gamurrini  Francesco  ,  II,  183. 

Galli  S.  -  V.  Annunzi  bibliografici . 
I,  217. 

Genova  -  V-  Società  Ligure  di  Storia 
Patria 

Gherardi  Alessandro.  -  V.  Annunzi 
bibliografici ,  1 ,  221  ;  V.  Morandini  ; 
Prato. 

Giuseppe  II.  -  V.  Arneth. 

Gloria  A.  -  V.  Alighieri;  Campagna; 
Padova. 

G.  S.  -  V.  Annunzi  bibliografici  ,  I , 
230-23 l  ;  II,  228-230. 

Guasti  Cesare-  Di  una  sua  lettera  in- 
torno agli  affreschi  del  secolo  XIV, 


DELLE    PERSONE   EC. 


243 


nella  chiesa  di  Galciana  ,  annunzio 
bibliografico  di  G.  ,  II,  236. 

Industrie  e  Arti  che  servono  agli  edi- 
lìzi. Di  una  relazione  sulle  medesi- 
me,  Ragguaglio  di  P.  Martini,  I, 
478-196. 

Intieri  Bartolommeo.  Sue  lettere,  I, 
29-39. 

Italia.  Miscellanea  di  Storia",  Raggua- 
glio di  C.  Cantù,  I,  406-120. 

—  Lo  spirito  della  sua  storia  ;  Discorsi 
VI,  per  Filippo  Perfetti ,  1, 444-153. 

—  Della  storia  della  filosofia  nel  se- 
colo XIX,  II,  444-152. 

—  Di  un  compendio  della  sua  storia 
scritto  da  Ulisse  Poggi  .annunzio  bi- 
bliograGco  di  G  ,  II ,  233. 

Litta  Pompeo.  -  V.  Famiglie  celebri 
italiane. 

Lombardia.  Di  alcuni  suoi  pittori  an- 
tichi ,  Documenti  pubblicati  da  Mi- 
chele Caffi  ,  I,  473-177. 

Longobardi.  Lettere  su  questo  argo- 
mento di  Carlo  Troya  e  di  Cesare 
Balbo  ,  Il  ,  246. 

Lorenzi  Giambattista.  Della  sua  opera 
sul  palazzo  ducale  di  Venezia  ,  an- 
nunzio bibliografico  di  A.  Sagredo , 
I,  220. 

Lucchesini  Cesare.  Di  alcune  lettere 
inedite  d' illustri  italiani  a  lui  indi- 
rizzate ,  pubblicate  da  Ferdinando 
Sforza ,  annunzio  bibliografico  di 
G.,  II,  238. 

Lunigiana.  Sua  topografia  ,  II ,  229. 

Luzi  Lodovico.  Di  una  sua  Memoria 
sul  primo  Monte  di  Pietà  ,  annunzio 
bibliografico  di  L.  Fumi,  II,  227. 

Mandarini  P.  -  V.  Troya  Carlo. 

Mariano  Raffaele.  -  V.  Vera  A. 

Martini  Pietro.-  V.  Cavalcanti  Barto- 
lommeo ;  Industrie  e  Arti. 

Marzolo  Paolo.  Di  una  sua  lettera  in- 
torno a  un'  iscrizione  euganea  ,  an- 


nunzio bibliografico  di  G.  Occioni 
Bonaffons  ,  I  ,  232. 

M.  D.  A.  -V.  Annunzi  bibliografici,  I, 
216-220  ;  II ,  220-225. 

Medici  (De')  Virginia.  Del  suo  ma- 
trimonio con  Cesare  D'  Est  e  ,  I , 
247. 

Michiel  Giovanni.  De'suoi  dispacci  de- 
cifrati ,  Nota  di  A.  Sagredo ,  I  , 
197-200. 

Miglionico.  Pelle  sue  notizie  storiche 
scritte  da  Teodoro  Ricciardi  ,  an- 
nunzio bibliografico  di  M.  D'  A.,  I  , 
216. 

Milano.  Delle  notizie  de'suoi  scrittori, 
e  architetti  ,  raccolte  ed  esposte  da 
Girolamo  Luigi  Calvi;  Rassegna  bi- 
bliografica di  Michele  Caffi,  II,  449- 
426. 

Miniatura  (  Arte  della  ),  II,  426- 

Minieri  Riccio  Cammillo.  -  V.  Annun- 
zi bibliografici ,  1 ,  217. 

Miscellanea  di  Storia  Italiana  ,  I  ,  406- 
420. 

Montaperti  (battaglia  di).  Di  una  me- 
moria storica  di  Cesare  Paoli  su 
questo  argomento ,  annunzio  biblio- 
grafico di  G. ,  1 ,  237. 

Monte  Cassino.  Di  un  libro  sui  Codici 
e  le  Arti  di  questo  Monastero ,  II , 
238. 

Montefagatese.  Del  suo  Statuto  Agra- 
rio ,  pubblicato  da  Giuseppe  Del 
Chiappa  ,  Rassegna  bibliografica  di 
Giovanni  Sforza,  I,  465-167. 

Morandini  Francesco ,  detto  il  Poppi. 
Di  cinque  sue  lettere  a  Vincenzo 
Borghini,  pubblicate  da  A.  Gherar- 
di  ,  annunzio  bibliografico  di  G.  , 
1 ,  247. 

Morsolin  Bernardo.  -  V.  Dumesnil. 

Monti  di  Pietà.  Origine  di  essi,  II,  227. 

M.  T.  -  V.  Annunzi  bibliografici ,  I , 
248. 

Mugna  D.  Pietro.  -  V.  Alighieri  Dante. 

Muratori  L.  A.  Delli  studi  di  Carlo 
Troya  su'suoi  Annali,  I,  248. 


244 


TAVOLA    ALFABETICA 


Napoli.  Notizie  intorno  al  regno,  rica- 
vate dall'Archivio  di  Firenze  per 
C.  Cantù  ,  I,  27-39. 

Occioni  Bonaffons  Giuseppe.  -  V.  An- 
nunzi bibliografici,  I,  232-235-  ;  II  , 
226  ;  V.  Friuli. 

Ozanam  Federigo.  Di  lui  e  delle  sue 
lettere,  Considerazioni  di  N.  Tom- 
maseo, II,  188-195. 

Padova.  Della  basilica  di  S.  Antonio 
e  d'altri  edifizi ,  per  A.  Gloria  ,  an- 
nunzio bibliografico  di  G.  dalla  Ve- 
dova ,  II ,  225. 

Paganini  C.  Pagano.  -  V.  Petrarca. 

Palermo.  De'diari  di  questa  città  dal 
secolo  XVI  al  XIX  pubblicati  da 
Gioacchino  -Di  Marzo  ,  annunzio  bi- 
bliografico di  G.  ,  I,  243  ;  II,  ?30. 

Palme.  Delle  sue  pubblicazioni  stori- 
che, Notizia  ,  1 ,  2H. 

Paoli  Cesare.  -  V.  Montaperti. 

Pasini  Luigi.      V.  Michiel. 

Passerini  Luigi,  II,  183. 

Pera  Francesco.  De'suoi  Ricordi  e  bio- 
grafie livornesi,  annunzio  biblio- 
grafico di  G.  Sforza  ,  I  ,  225. 

Perfetti  Filippo.  D'un  suo  libro  «  Lo  spi- 
rito della  Storia  d'Italia»  Rassegna 
bibliografica  di  G.  Rosa,  1,144-155. 

Petrarca  Francesco.  Di  due  lettere 
sue  a  Niccolosio  Bartolommei,  ri- 
pubblicate da  C.  Pagano  Paganini 
con  illustrazioni,  annunzio  biblio- 
grafico di  G.  ,  Il  ,  37. 

Pianosa  Francesco.  Di  alcune  sue  let- 
tere alla  Repubblica  di  Pisa,  an- 
nunzio bibliografico  di  G.  S.,  1 ,  230- 

Pittori  antichi  lombardi,  I  ,  173  177. 

Pisa.  Di  un  opuscolo  concernente  alla 
restituzione  di  documenti  della  sua 
storia  al  suo  archivio  ,  annunzio 
bibliografico  di  X  ,  1 ,  232. 

Poggi  Giuseppe,  II,  183. 
Poggi  Ulisse.    Di    un  suo   Compendio 
di  Storia  d' Italia  ,  II  ,  235. 


Poppi.  -  V.  Morandini. 

Porti  della  Maremma  Senese  ,  1 ,  58- 
84;  II,  70-91. 

Praga  (  da  )  Vincenzo.  De'suoi  Annali 
pubblicati  dal  Pertz  ,  Rassegna  bi- 
bliografica di  P.  Rotondi,  II,  92  108. 

Prato-  Di  un  trattato  per  far  ribellare 
quella  terra  al  Comune  di  Firenze, 
nel  1375,  Documenti  illustrati  da 
A.  Gherardi  ,  1 ,  3-26. 

Protnis  Carlo.  Della  sua  storia  del- 
l'antica Torino,  annunzio  bibliogra- 
fico di  G. ,  1 ,  242. 

Proverbi  latini  illustrati,  I,  246 

Puglia  e  SiciVa.  Di  alcune  pubblica- 
zioni sulla  loro  storia  ,  annunzio  bi- 
bliografico di  M.  1/  A.,  I,  217. 


Querini  Stampalìa  Giovanni.  Di  una 
sua  fondazione  ,  notizia,  I  ,  214- 

Reumont  Alfredo.  -  V.  Ruggieri. 

Ricciardi  Teodoro.  -  V.  Miglionico. 

Roma.  Dell'Archiconfraternita  del  Gon- 
falone ,  I,  127-130. 

Romagna.  -  V.  Deputazioni  di  Storia 
Patria. 

Ronchini  Amadio.  -  V.  Cavalcanti  Bar- 
tolommeo. 

Rosa  Gabriele.  -  V.  Annunzi  biblio- 
grafici, I,  235-237  ;  Ascoli  Piceno  \ 
Brescia;  Perfetti  Filippo. 

Rotondi  Pietro.  -  V.  Praga  (da). 

Ruggieri  Luigi.  Di  una  sua  Memoria 
sull' Archiconfraternita  del  Gonfa- 
lone in  Roma,  Rassegna  bibliografica 
di  Alfredo  Reumont,  I  ,  127-130. 

Russia  (di)  Caterina.  -  V.  Arneth. 

S.  -  V.  Venezia. 

Sagredo.  A-  -  V-  Annunzi  bibliogra- 
fici ,  1 ,  220  ;  V.  Michiel. 

Saltini  G.  E.  -  V.  Fortuna  Simone. 

Savi  Monsignore.  Di  un  suo  autografo  , 
annunzio  bibliografico  di  G.  Occioni 
Bonaffons,  I  ,  234. 


DELLE    PERSONE   EC. 


245 


Savoia.  Di  un  quadro  genealogico  de- 
gli ascendenti  paterni  e  materni 
delle  LL.  AA.  RR.  il  principe  Um- 
berto e  la  principessa  Margherita  , 
pubblicato  dal  conte  Alessandro 
Franchi  Verney  della  Valetta  ,  Ras- 
segna bibliografica  di  B.,  1, 162-165 

Savonarola  Fra  Girolamo.  De'nuovi 
documenti  intorno  al  medesimo  pub- 
blicati da  Antonio  Cappelli ,  annun- 
zio bibliografico  di  G.    S.,  Il  ,    229. 

—  V.   annunzi  bibliografici  ,  1 ,  223. 

Schiavitù  e  Servaggio.  -  V.  Cibrario 
Luigi. 

Schio  nel  1526.  Narrazione  diGio.  Bat- 
tista Dragonzino,  annunzio  bibliogra- 
fico di  G.  Occioni  Bonaffons,  I,  233. 

Schio  (Da)  Giovanni.  Di  una  sua  lettera 
intorno  a  un'iscrizione  Euganea , 
annunzio  bibliografico  di  G.  Occioni 
Bonaffons,  I  ,  232. 

Sforza  Ferdinando.  -  V.  Lucchesini. 

Sforza  Giovanni.  -  V.  Annunzi  biblio- 
grafici ,  I  ,  225-230  ;  II ,  228-230. 
V.  Montefegatese. 

Sicilia.  -  V-  Puglia. 

Siena.  I  Porti  della  Maremma  Senese- 
durante  la  Repubblica  ,  Narrazione 
storica  di  Luciano  Banchi,  I,  58-84; 
II  ,  79-91. 

Siena  (Da) Matteo.  Di  una  sua  sentenza 
sul  possesso  dello  spedale  di  Veda- 
na  ,  annunzio  bibliografico  di  G.  Oc- 
cioni Bonaffons  ,  II ,  226. 

Sisto  V.  Della  sua  storia  ,  scritta  da 
M.  A.  I.    Dumesnil,  I,  131-138. 

Società  Ligure  di  Storia  Patria  ;  Rela- 
zione de'suoi  lavori  nell'anno  XII  , 
(1868-69)di  L.  T.  Belgrano,  11,196-208. 

Storia  Patria.  -  V.  Deputazioni.  -  V. 
Società  Ligure. 

Tabarrini  Marco.  Prefazione  alle  Let- 
tere di  Iacopo  da  Volterra  ,  II ,  3-6. 

Taravasi  Baldassarre.  Di  un  suo  Car- 
me latino  sulla  Lunigiana  ,  annunzio 
bibliografico  di  G.  S.,  II  ,  229. 


Tasso  Torquato.  Di  una  lettera  intorno 
al  medesimo,    1 ,  231. 

Thiene-  Dei  cardinali  di  questa  fami- 
glia, I,  234. 

Thiene  (Di)  Marco.  Di  due  sue  lettere 
a  Gian  Giorgio  Trissino  ,  annunzio 
bibliografico  di  G.  Occioni  Bonaffons, 
1 ,  233. 

Thomas  Giorgio.  Di  una  sua  opera  sulle 
relazioni  commerciali  di  Venezia 
colla  Germania  ,  Rassegna  biblio- 
grafica di  G.  Valentinelli,  I,  120-127. 

Tommaseo  Niccolò  -V.  Camino;  Oza- 
nam. 

Torino  antica.  Della  sua  storia  ,  I,  240. 

Trissino  Gian  Giorgio.  -  V.  Accorem- 
boni  e  Thiene. 

Trombini  A.  Di  due  lettere  a  lui  in- 
dirizzate intorno  a  un'  iscrizione  , 
euganea  I ,  232. 

Troya  Carlo.  Delle  sue  lettere  inedite 
sulla  civile  condizione  dei  Romani 
vinti  dai  Longobardi ,  annunzio  bi- 
bliografico di  G.,  1 ,  246. 

De'suoi  studi  intorno  agli  Annali  d'Ita- 
lia del  Muratori ,  pubblicati  dal  P. 
Mandarini,  annunzio  bibliografico  di 
M.  T. ,  1 ,  248. 

Valentinelli  Giuseppe.  -  V.  Cheney  ; 
Drake  ;  Thomas- 

Valerio  Vicentino.  -  V.  Belli  Valerio. 

Vannucci  Atto.  Dei  Proverbi  latini  da 
lui  illustrati ,  annunzio  bibliografico 
di  G.  ,  1 ,  246- 

Vedana.  Sul  suo  spedale ,  li  ,  226. 

Venezia.  Delle  sue  relazioni  commer- 
ciali colla  Germania,  I,  120-127. 

—  Dell' inaugurazione  del  Fondaco  dei 
Turchi,  Notizia  di  S.  ,  I  ,  213. 

—  Della  fondazione  Querini.  Notizia  di 
S.  ,  I,  214. 

—  Del  suo  palazzo  ducale ,  1 ,  220. 

—  Del  suo  commercio  in  Portogallo  , 
1 ,  234. 

—  De' libri  officiali  miniati  e  della  Ce- 
ramica ,  li,  126-144. 


246 


TAVOLA  ALFABETICA   EC. 


Vera  A.  Delle  sue  lezioni  sulla  filoso- 
fìa della  Storia  raccolte  e  pubblicate 
da  Raffaele  Mariano  ,  annunzio  bi- 
bliografico di  G.  ,  I,  245. 

Vcrgiolesi  Giovanni.  Di  una  sua  lettera 
al  Comune  di  Lucca  ,  pubblicata  da 
Salvatore  Bongi  ,  annunzio  biblio- 
grafico di  G. ,  Il  ,  236. 

Vianello  Pietro.  -  V.  Camino. 

Vico  Gian  Battista.  Di  cinque  sue  ora- 
zioni inedite  pubblicate  da  Antonio 
Galasso,  annunzio  bibliografico  di 
G.  ,  1 ,  245. 

Vieusseux  Gio  Pietro.  De'  Ricordi  Sto- 
rici intorno  al  medesimo  pubblicati 
da  M.  Cellini,  annunzio,  l,  251. 


Villari  Pasquale.  Di  una  traduzione 
in  tedesco  della  sua  storia  del  Sa- 
vonarola ,  1 ,  223. 

Volpe  (  Della  )  Taddeo.  Dei  cenni  sto- 
rici sul  medesimo,  annunzio  biblio- 
grafico di  G.  Sforza  ,  1 ,  229. 

Volterra  (Da)  Iacopo.  Lettere  a  papa 
Innocenzio  Vili  estratte  dall'Archi- 
vio di  Venezia,  II ,  7-19. 


Zambelli   Pietro, 
denzio. 


V.  Ferrari   Gau- 


INDICE  DEL  TOMO  DECIMO 


Parte  Prima. 

Documenti  originali  illustrati. 

Di  un  trattato  per  far  ribellare  al  Comune   di  Firenze 

la  terra  di  Prato,  nell'anno  1375  (A.  Gherardo,).  .  Pag.  3 
Notizie  su  Napoli  dall'archivio  di  Firenze  (C.  Cantù)  .  »  27 
Carteggio   dell'  abate  Ferdinando  Galiani  col  marchese 

Tanucci  (  A.  Bazzoni  ) »         40 

Memorie  originali. 

I  Porti  della  Maremma  senese  durante  la  Repubblica. 
Narrazione  storica  con  documenti  inediti  di  Luciano 
Banchi »         58 

Rassegna  bibliografica. 

Della  schiavitù  e  del  servaggio ,  e  specialmente  dei 
servi  agricoltori ,  libri  III  del  conte  Luigi  Cibrario 
(  L.  T.  Belgrano  ) »          85 

Della  Miscellanea   di   Storia  Italiana  che   si   stampa   a 

Torino  (  C.   Cantù) »        106 

Beitràge  zur  Geschichte  des  Handelsverkehrs  zwischen 
Venedig  und  der  deutschen  Nation ,  aus  dem  Ulmer 
Archiv,  von  Dott.  Georg  M.  Thomas  (  Giuseppe  Va- 
lentinelli) »        120 

L'Archiconfratornità  del  Gonfalone  ;  Memoria  del  sacer- 
dote Luigi  Ruggeri  {Alfredo  Reumont) »        127 

Histoire  de  Sixte  Quinte,  sa  vie  et  son  pontiflcat,  par 

M.  A.  I.  Dumesnil  {Bernardo  Morsolin)    ....        »        131 


248  indice 

Ioseph  II  und  Katherina  von  Russia  :  ihr  Briefwechsel 
herausgegeben  von  Alfred  Ritter  von  Arneth 
(  C.   Cantù).    .    .    .    , Pag.     139 

Spirito  della  Storia  d' Italia  ;    Discorsi  VI   per   Filippo 

Perfetti  (  Gabriele  Rosa  ) »        144 

Una  memoria  di  Riccardo  da  Camino  ;  documento 
del  1303,  pubblicato  e  illustrato  dal  dott.  Pietro 
Vianello  (  N.  Tommaseo) »        155 

Quadro  genealogico  degli  ascendenti  paterni  e  materni 
sino  all'ottavo  grado  delle  LL.  AA.  RR.  il  principe 
Umberto  e  la  principessa  Margherita  di  Savoia , 
pubblicato  in  occasione  delle  auspicatissime  nozze 
dei  medesimi  principi  dal  conte  Alessandro  Fran- 
chi-Verney  della  Valetta  (B.  ) »        162 

Statuto  agrario  di  Montefegatese  in  Valdilima  (  Gio- 
vanni Sforza) »        165 

Varietà. 

La  tomba  del  Carmagnola  (  M.   Caffi  ) »  168 

Pittori  antichi  lombardi  (») »  173 

D' una  Relazione  sopra  industrie  ed   arti   che   servono 

agli  edilizi  (Pietro  Martini) »  178 

I  dispacci  di  Giovanni  Michiel  (  A.  Sagreclo  )  .  .  .  .  »  197 
Opere  e  documenti  di  Storia    italiana   pubblicati   dalle 

RR.  Deputazioni  di  Storia  Patria  in  Italia  .......  »  201 

Notizie  varie. 

Pubblicazioni  storiche  dell'editore  Palme »  211 

Dell'Opera  le  «  Famiglie  celebri  italiane  »  incominciata 
dal  conte  Pompeo  Litta  e  continuata  da  altri  eru- 
diti italiani »  212 

Inaugurazione  del  Fondaco  dei  Turchi  in  Venezia  (S.) .  »  213 

La  fondazione  Querini  in  Venezia  (S.) »  214 

Annunzi  bibliografici. 
(pag.  216-251). 

Notizie  storiche  di  Miglionico  di  Teodoro  Ricciardi  (M.  D'A.)  216. 
-  Cronisti  e  scrittori  sincroni  napolitani  dalla  dominazione  nor- 
manna nel  rjgno  di  Puglia  e  di  Sicilia,  raccolti  e  pubblicati  da 
Giuseppe  Del  Re  ec.  (M.  D'A.)  217.  -  Monumenti  per  servire  alla 


INDICE  249 

storia  del  palazzo  ducale  di  Venezia,  ovvero  Serie  di  atti  pub- 
blici ,  coordinati  da  Giambattista  Lorenzi  (Sagredo)  220.  -  Fi- 
renze-Milano. Saggio  di  lettere  diplomatiche  del  sec.  xiv  e  xv 
(A.  Gherard'ì)  221.  -  Della  Storia  di  Girolamo  Savonarola  di  Pa- 
squale Villari  tradotta  in  tedesco  da  Maurizio  Berduschek 
(F.  Bertolini)  223.  -  Ricordi  e  Biografìe  livornesi  di  Francesco 
Pera  (G.  Sforza)  225.  -  Ugo  Foscolo  arrestato  ed  esaminato  in 
Modena.  Memoria  del  cav.  Antonio  Cappelli  (G.  Sforza)  228.  - 
Di  Taddeo  della  Volpe  celebre  condottiero  delle  venete  armi 
(G.  Sforza)  229.  -  Lettere  di  Francesco  Pianosa  alla  Repubblica 
di  Pisa  (G.S.)  230.  -  Per  nozze  Saccardo-Bolognini  e  Veronese 
(G.  S.)  231.  -  Documenti  di  Storia  pisana  (X.)  232.  -  Due  Epi- 
stole del  professor  Paolo  Marzolo  e  del  conte  Giovanni  da  Schio 
al  professore  A.  Trombini  {G.  Occioni-Bonaffons)  232.  -  Lode  di 
Schio  nel  1526  di  Gio.  Battista  Dragonzino  da  Fano  (G.  Occioni- 
Bonaffons)  233.  -  Due  lettere  di  Felice  Accoremboni  e  due  di 
Marco  di  Thiene  ,  dirette  da  Roma  a  Gian  Giorgio  Trissino  (G.  Oc- 
cioni-Bonaffons) 233.  -  Autografo  di  monsignor  Savi ,  in  cui 
discorre  dei  cardinali  di  casa  Thiene  (G.  Occioni-Bonaffons)  234. 

-  Informazione  di  Giovanni  dall'Olmo  console  veneto  in  Lisbona 
sul  commercio  dei  Veneziani  in  Portogallo  e  sui  mezzi  più  adatti 
a  ristorarlo  (G.  Occioni-Bonaffons)  234.  -  Menzione  di  alcuni 
intagli  in  quarzo  operati  da  Valerio  Belli  detto  Valerio  Vicen- 
tino (G.  Occioni-Bonaffons)  235.  -  Dante  Alighieri  in  Germania. 
Studio  di  D.  Pietro  Mugna  (G.  Rosa)  235.  -  La  battaglia  di 
Montaperti.  Memoria  storica  di  Cesare  Paoli  (G.)  237.  -  Storia 
della  reggenza  di  Cristina  di  Francia  duchessa  di  Savoia  del 
bar.  Gaudenzio  Claretta  (G.)  240.  -  Storia  dell'antica  Torino 
scritta  da  Carlo  Promis  (G.)  242.  -  Diari  della  città  di  Palermo 
dal  secolo  xvi  al  xix  con  note  di  Gioacchino  Di  Marzo  (G.)  243. 

-  Disegno  della  Storia  di  Ascoli  Piceno  per  Gabriele  Rosa  (G.)  244. 

-  Introduzione  alla  filosofia  della  storia,  lezioni  di  A.  Vera,  pub- 
blicate da  Raffaele  Mariano  (G.)  245.  -  Cinque  orazioni  inedite 
di  Gian  Battista  Vico,  pubblicate  da  Antonio  Galasso  (G.)  245. 

-  Della  civile  condizione  dei  Romani  vinti  dai  Longobardi ,  e  di 
altre  questioni  storiche  ;  lettere  inedite  di  Carlo  Troya  e  Ce- 
sare Balbo  con  prefazione  di  Enrico  Mandarini  (G.)  246.  - 
Conoscere  e  governare  sé  stesso.  Proverbi  latini  illustrati  da  Atto 
Vannucci  (G.)  246.  -  Cinque  lettere  di  Francesco  Morandini  pit- 
tore detto  il  Poppi  a  Vincenzio  Borghini  ((?.)  247.  -  Le  nozze  di 
Virginia  de'  Medici  con  Cesare  d' Este ,  descritte  da  Simone 
Fortuna  (G.)  247.  -  Studi  di  Carlo  Troya  (M.  T.)  248.  -  Ricordi 
storici    intorno  a  Giampietro  Vieusseux  e   il  tempo    nostro  251. 

Arch.  St.  [tu..,  3.a  Serie,  T.  X  ,  P.  Il  32 


£50  INDICE 


Parte  &u •:«  o\i»a. 


DOCUMENTI   ORIGINALI   ILLUSTRATI. 

Lettere  di  Iacopo  da  Volterra  a   papa   Innocenzo    Vili 

(M.  Tabarrini) Pag.         3 

Memorie  originali. 

L' importanza  di  Adria  antica   la   Veneta  ,   dimostrata 

dalle   Figuline   del   Museo  Bocchi  e  dalle  condizioni 

marittime   e   commerciali    di  essa   tino  alla  perdita 

totale  del  Porto  che  n'  ebbe  il  nome.  (F.  A.  Bocchi).    .        »         20 

Statuti  di  Brescia  del  Medio  Evo  (  Gabriele  Rosa)  .    .        »         59 

I  Porti  della  Maremma  Senese   durante    la  Repubblica 

(Luciano  Banchi) »         79 

Rassegna  bibliografica 

Vincentii  Pragensis  annales.  (Nel  tomo  XVII  dei  «  Mo- 
numenta Germaniae  historica  »)  (P. Rotondi).    ...        »         92 

Annali  del  Friuli ,  ossia  Raccolta  delle  cose  storiche 
appartenenti  a  questa  regione,  compilati  dal  conte 
Francesco  di  Manzano.  (G.  Occioni-Bonaffons).    ,        »        108 

Notizie  sulla  vita  e  sulle  opere  dei  principali  architet- 
ti, scultori  e  pittori  che  fiorirono  in  Milano  durante 
il  governo  dei  Visconti  e  degli  Sforza ,  raccolte  ed 
esposte  da  Girolamo   Luigi    Calvi.  (Michele  Caffi).        »        119 

Remarks  on  the  illuminated  officiai  manuscripts  of  the 
venetian  repubblic ,  by  Edward  Cheney  (Osserva- 
zioni sui  manoscritti  officiali  miniati  della  repubblica 
veneta  ,  di  Odoardo  Cheney.  -  Notes  on  venetians  ce- 
ramics,  by  William  Richard  Drake  ,  F.  S.  A.  (Os- 
servazioni sulla  ceramica  di  Venezia,  di  Guglielmo 
Riccardo  Drake).  (Giuseppe  Valentinelli).     ....        »        126 

Essai  sur  V  histoire  de  la  Philosophie  en  Italie  au  dix- 

neuvième  siècle ,  par  Louis  Ferri  (A.  Conti).     .    .        »        144 

Lettere  di  Bartolommeo  Cavalcanti ,  tratte  dagli  ori- 
ginali, che  si  conservano  nell'Archivio  governativo 
di  Parma.  (Pietro  Martini) »        152 


INDICE 


251 


Storia  documentata  della  Diplomazia  Europea  in  Italia, 
dall'anno  1814  all'anno  1861,  per  Nicomede  Bianchi. 
(F.  Ber  ioli  ni) Pag.     157 

Varietà. 

Di  alcuni  avanzi  di  fabbrica  romana  presso  Fonte  al- 
l'Erta in  mezzo  alle  due  città  di  Fiesole  e  di  Firen- 
ze, Relazione  all'illmo.  sig.  senatore  Sindaco  e  si- 
gnori componenti  la  Giunta  del  Comune   di  Firenze.        »        175 

Cimeli  del  Canova  (C.  Cantù) »        jg4 

Federigo  Ozanam  oeuvres  complètes.  -  Lettres.  (N.  Tom- 
maseo)   >,        jgg 

Società  Ligure  di  Storia  Patria.  (L.  T.  Belgrano)    .    .        »        196 
R.  Deputazione  di  Storia  Patria  delle  Romagne    ...        »        210 
Elenco   dei    lavori    pubblicati   dalla    Deputazione    me- 
desima     ,    ,        »        214 

Annunzi  bibliografici. 
(  pag.  220-239  ). 


Codice  diplomatico   del  regno  di  Carlo  I  e  II    d'Angiò  ,        »        220 
pubblicato  per  Giuseppe  del  Giudice  (M.  D'  A).  220.  a 

-  Intorno  a  un  passo  della  Divina  Commedia ,  per 
A.  Gloria  (G.  Dalla  Vedova)  225.  -  Intorno  la  ba- 
silica di  S.  Antonio  ed  altri  edilìzi  eretti  dal  Co- 
mune di  Padova,  per  A.  Gloria   (G.  D.  V).   ivi.  -In 

torno  al  Comune  di  Campagna ,  della  provincia 
di  Venezia,  per  A.  Gloria  (G.  D.  V).  226.  -  Sen- 
tenza di  Matteo  da  Siena  vescovo  di  Ceneda  sopra 
il    possesso  dell'ospitale  di  Vedana.  (G.    0.  B).  ivi. 

-  Il  primo  Monte  di  Pietà.  Memoria  di  Ludovico 
Luzi  (L.  Fumi).  -  Atti  della  R.  Accademia  di  Belle 
Arti  di  Carrara  (G.  S).  128.  -  Fra  Girolamo  Savona- 
rola e  notizie  intorno  al  suo  tempo  ,  per  Antonio 
Cappelli.  (C.  S).  229.  -  Topographia  lunensis  orae, 
Carmen  Baltassarii  Taravasii  canonici  sarzanensis 
(G.  S).  ivi.  -  Della  vita  e  degli  scritti  dell'avvocato 
Cesare  Brancoli.  (G.  S.)  230.  -  Diari  della  Città  di 
Palermo  dal  Secolo  XVI  al  XIX,  pubblicati  per  cura 

di  Gioacchino  Di  Marzo  (G).  ivi.  -  La  Vita  dell'Ita-       »       230 


252  INDICE 

lia,  narrata  agli  alunni  delle  scuole  ed  alle  famiglie      Pag.    234 
da  Ulisse  Poggi  (G.)  234.  -  Della  Vita  e  delle  Opere  a 

di  Gaudenzio  Ferrari,  Ragionamento  del  professore 
Pietro  Zambelli  (G)- 235.  -  Gli  affreschi  del  seco- 
lo XIV  nella  chiesa  di  Galciana  Lettera  di  Cesare 
Guasti  (G).  236.-  Lettera  di  Giovanni  Vergiolesi  am- 
basciatore di  Lucca  presso  Venceslao  re  de'Romani  , 
1381  (G.)  ivi.  -  Due  lettere  di  Francesco  Petrarca  a 
Niccolosio  Bartolommei  da  Lucca  (G).  237.  -  Lette- 
re inedite  d'illustri  italiani  a  Cesare  Lucchesini 
(G).  238.  -  I  Codici  e  le  Arti  a  Monte  Cassino,  per 
D.  Andrea   Caravita.  (G).  ivi »        238 


ztotte  su/fa  /mta  segnata,  ùi  Pianta.  Oli 


Proporzione,  r/i  la  JfiO 


B 


Proporzione  di  /  o  787S 


EURATA-CORRIGE. 


Parie  I,  a  p 


111  noia  lin.  2 

Feuillet  desCouches 

des  Conclics 

139             «  32 

conte  Luscy 

r 

Lascy 

143             »  28 

Kausler 

Kansler 

190             »  15 

Meo  Ruto 

Meo  di  Nuto 

»               »  19 

Barna  di  Torino 

Barna  di  Turino 
(Venturino) 

236             »>    9 

divisione 

devozione 

«               »  16 

Linglcr 

Kugler 

In  vendita  al  Gabinetto  Vieusseux 


Commissioni  di  Rinaldo  Degli  Albizzi  ^gr'X^S^eì3?^  'ffiiK 

Guasti.  Sono  in  vendita  il  primo  e  secondo  volume  al  prezzo  di  L.  30. 

TADIH    iD     AMTA1HIA     ANNALI  D' ITALIA  dal  1750  al  1861;  voi.  l5in8vo  e  due 
LUlI  I  AD.  Ali  lllilllf  >    Indici;  prezzo  ridotto  L.  52,  50. 

Notizie  storiche  della  Provincia  di  Pesaro  e  Urbino  Segoni  cvmÌhco'- 

lini.  Un  voi.  in  8vo  di  pag.  464;  prezzo  L  5.  Pesaro,  1868.  —  Le  domande  potranno 
anco  esser  dirette  al  sig.  Annesio  Nobili,  tip.  ed.,  a  Pesaro. 

Vite  degli  Italiani  benemeriti  della  patria  £  ^ffi£?3E£P?X 

blicato  il  primo  volume ,  che  contiene  le    Vite  dei  morti  combattendo  ;  prezzo  L.  8  — 
Obbligandosi  per  quattro  volumi  L.  5  ciascuno. 

Vocabolario  degli  Accademici  della  Crusca.  ?^5Kf5^^^V 

di  pagine  cxxi  e  912;  prezzo  L.  26.  —  Il  volume  II,  lettera  B,  prezzo  L.  il  ;  e  il 
Glossario  delle  lettere  A-B,  prezzo  L.  4,  50. 


ORIGINE  E  PROGRESSI  delle  Istituzioni  della  Monarchia  di  Savoia  fino  alla 

•a  del  conte   senatore  Luigi    Cibrario. 
unico  di  pag.  960,  in  2  parti,  prezzo  L  20. 


Costituzione  del  Regno  d'Italia.  VoT.ra  ' 


Gli  ultimi  anni  della  Storia  repubblicana  di  Siena  (1551-1553).  t^S* 

re  B.  Aquaeone.  È  in  luce  l'Introduzione.  Un  fascicolo  in  8vo  di  pag.  160;  prezzo 
lire  2. 

3  il  Ali    TDAHIAI  Anrill?  V  CIlYTftAM?  della  storia  Fiorentina,  compilate 
lÀVULli  LKullULlHllLIllJ  li  SIlltRUlìli  dal  bar.  Alfredo  Reumont  d'Aqui- 
sgrana.  —  Un  voi.  in  4to;  prezzo  ridotto  L    11,  20. 

"\TTTOVl     A"M"W"  AT   |    di  costruzioni,  arti  e  industrie  di  Sicilia,  con  rivista 
1MJ  U  V  I    n.l>  1>  xlUl   delle  più  importanti  opere  nazionali  e  straniere,  sotto 
la  direzione  degli  ingegneri  Achille  Albanese  ed  Enrico  Naselli.  Si  pubblica  in  Pa- 
lermo dall'editore  Luigi  Pedone-Lauriel ,    un  fascicolo  al  mese,  al  prezzo  di   L.  20 
all'anno,  franco  di  porto  per  l'Italia. 

BIBLIOTECA  STORICO  LETTERARIA  DI  SICILIA  SS,  £B??J! 

di  scrittori  siciliani  dal  secolo  xvi  al  xix,  per  cura  di  Gioacchino  di  Marzo.  La 
pubblicazione  verrà  fatta  in  volumi  di  20  a  25  fogli  in  8vo  ;  ogni  due  o  tre  mesi  ne 
sarà  pubblicato  uno  al  prezzo  di  L.  7,  50  franco  in  Italia. 

PTVT^T  A    ^ITOTTT    A    di  Scienze,   Letteratura  ed  Arti.   —  Si  pubblica  a 
Iti  V  IO  X  ±\    kJlV^UJJil   fascicoli  mensili  di  5  o  6  fogli  di  stampa  in  8vo; 
franco  di  porto  nel  Regno  L.  18  all'anno. 


I>i  prossima  pubblicazione. 

Volume  secondo.  -  Statuti  inediti  della  Città  di  Pisa  JtS  3  Staffe 

cura  del  comm.  prof.  F.  Bonaini,  soprintendente  generale  degli  Archivi  Toscani  ; 
esso  sarà  composto  di  circa  140  fogli  di  stampa  in  4to.  —  I  Voi.  I  e  III  già  pub- 
blicati importano  L.  101,  50. 

ARCHIVIO  STORICO  ITALIANO 

Terza  Serie  completa ,  cioè  anni  1865  a  1868.  Prezzo  Lire  80 ,  netto  Lire  64. 

NB.  Per  la  serie  suddetta ,  e  per  le  antecedenti ,  dirigersi  a  G.  P.  Vieusseux  in  Fi- 
reuze,  oppure  ai  libraj  notati  nella  quarta  pagina  della  coperta  di  questo  fascicolo. 


DG 
401 
A7 
ser.3 

t.10 


Archivio  storico  italiano 


PLEASE  DO  NOT  REMOVE 
CARDS  OR  SLIPS  FROM  THIS  POCKET 


UNIVERSITY  OF  TORONTO  LIBRARY