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Full text of "Scritti varii"

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Scalvini,  G.  (Giovi ta) 
cSelections»  19133 
Scritti  varii 


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Presente d  to  the 
LIBRARY  ofthe 

UNIVERSITY  OF  TORONTO 

by 

Professor  S,  B,  Chandler 


SCRITTI   VARII 


G.   SCALVINI 


SCRITTI   VARII 


raccolti  da 
Gina  Martegiani 


LANCIANO 

R.    CARABBA,    EDITORE 
1913 


PROPRIETÀ    LETTERARIA 

DELL'EDITORE  R.   CARABBA 


Lanciano,  tip.  dello  Stabilimento  R.  Carabba. 


PREFAZIONE 


«  Nato  in  povertà,  nudrito  sul  monti  al  sole,  e 
«  al  vento,  di  nessuno  studiatore,  studiato  da  nessu- 
«  no,  libero,  ignaro,  innamorato  dei  boschi,  dei  fiumi, 
«  dei  sassi...  »— l'ampia  armonia  del  periodo  si  per- 
de ad  un  tratto,  si  spenge  simile  alla  forza  sdegnosa 
di  quelV anima  ribelle  che  ad  ogni  tentativo  di  libe-^ 
razione  si  accascia  improvvisa  in  desolate  visioni 
senza  speranza:  «  A  te  il  vento,  i  boschi,  V incer-^ 
tezza  della  via  ;  il  mondo  ampio  e  deserto  dinanzi 
i  tuoi  passi,  senza  che  tu  veda  un  ricovero,  un  ri- 
poso per   te  ». 

Fra  ansie  folli  e  malinconie  senza  coraggio,  ri- 
bellioni rudi  e  rimorsi  d' anima  sensibilissima,  pro- 
getti vaghi  e  abbandoni  disperati,  desideri  ardenti 
e  delusioni  previste,  pietà  di  sé  ed  auto-tormento 
—  così  passò  quella  vita  squallidamente  tragica  co- 
me tutte  le  romantiche  vite  la  cui  tragedia  più  fosca 
è  nel  nascere  non  nel  morire. 

Altri  s' indugiarono  e  altri  ancora,  spero,  vor- 
ranno con  più  amore  Indugiarsi  a  considerare  gli 
scritti  di  critica  letteraria  di  Giovila  Scalvlnl.  Ma 
come  colui  che  ama  le  vette  purissime  di  roccia 
e  di  neve,  io  non  posso  fermarmi  alle  siepi  intrecciate 
nella  malinconica  praticità  dei  giorni  troppo  diversi 
dal  sogno.  E   una  visione  dolcissima  di  vette   e  di 


6  Prefazione 

biancori  è  per  me  V  anima  di  Giovita  Scalvini:  so- 
litaria e  accessibile  solo  all'  amore,  tormentata  da 
linee  d*  ombre  e  spasimante  in  bagliori  di  sole,  pro- 
tesa in  un  desiderio  prigioniero  d' una  forza  pie- 
trificata a  mezza  via  dell'  ascensione  in  cielo  e  ada- 
giata  nel   suo   destino   amaramente. 

Nacque  Giovita  Scalvini  il  16  Marzo  del  1791  a 
Brescia.  —  Un  triste  dono  gli  fece  il  mondo  prima 
ancora  eh'  egli  avesse  coscienza  della  sua  vita  :  pare 
che  il  latte  di  una  nutrice  mercenaria  gli  abbia  dato 
il  germe  della  malattia  che  lentamente  ma  fa' ale  lo 
portò  a  una  morte  tuttavia  immatura.  E  quanta  ama- 
rezza gli  lasciò  nell'anima  quel  latte  di  una  madre 
non  sua!  Egli  si  sentiva  estraneo  nella  famiglia  che 
forse  veramente  non  abbastanza  l' amava.  —  «  Fre- 
na te  stesso  e  vedrai  che  i  fantasimi  della  tua  im- 
maginazione sono  la  causa  dei  tuoi  rammarichi!  » 
Certo  egli  portava  in  sé  stesso  il  suo  de  stino  ^ 
ma  troppi  particolari  tristissimi  gettati  sulle  pagine 
in  segreto,  in  momenti  dolorosi,  accusano  terribil- 
mente la  madre  soprattutto  :  «  E  quel  tanto  amare 
sopra  me  mio  fratello?  »  E  nella  malinconia  deso- 
lata egli  trova  nella  sua  disgrazia  una  scusa  al  male 
che  non  fa,  alle  piccole  colpe  che  V  anima  sua  sen- 
sibilissima ingigantiva  per  auto-tormento  :  «  Oh  come 
il  pensiero  di  essere  meno  amato  mi  diminuisce  nella 
coscienza  le  colpe  che  forse  io  ho  verso  dei  miei!  » 
«  Forse...  »/  e  ci  sono  momenti  in  cui  si  lacera  di 
rimorsi:  «  Iddio  mi  punirà  »;  e  quando  il  padre 
muore  egli  grida  a  se  stesso  :  «  Tu  /'  hai  ucciso  » 
e  cupamente  considera:  «  la  punizione  è  già  comin- 
ciata. —  Certo  è  già  cominciata  ». 

Che   delitto    piegava   questa   mite    anima   di   fan- 
ciullo dolente  sotto  un  rimorso  troppo  grande  per 


Prefazione  "7 

la  sua  infinita  capacità  di  soffrire?  «  Sono  spossato 
dalla  vergogna  del  mio  torto.,.  ».  Triste  ironia! 

Sensibilissimo,   timido   e  sdegnoso   non   era   certo 
adatto  a  vincere  le  meschine  vittorie  della  praticità. 
Incapace  di  stadi  metodici  non  volle  ottenere  i  fogli 
verbosi  che  danno  valido  corso  all'  ignoranza  e  umi- 
liano la  libera  intelligenza  che  ha  la  sua  forza  in  se. 
Fu  questa  una  delle  cause  di  discordia  con  la  famiglia 
troppo  diversa  da  lui.  —  Tristissime  di  verità  non 
dette  mai,  ma  sentite  certo  troppo  spesso  da  anime 
delicate    e  sofferenti   son   le    pagine    delle  «  Memo- 
rie »  in  cui  racconta  le  lotte  amarissime  col  padre, 
uomo    pratico    e  volgare,     con    la    madre,    buona, ^ 
forse,    —    e  chi    può    vedere     negli    oscuri    abissi 
di  certe  anime  incolte,  che  spesso  non  hanno  colpa 
se  tormentano,   ma  pur  tormentano  con  armi  sotti- 
lissime come  le  dona  l'istinto,  il  più  feroce,  forse, 
degli  artefici  ì  «  Oh  !  come  taglienti  alcune  sentenze 
di  mia  madre  !  »  «  Che  domando  io  infine  ?  »  «  Un 
giovane  di  ventitré  anni  che  si  contenta  di  pochi  cat- 
tivi vestiti  ;   che  la  sera  è  sempre  ricovrato  di  buo- 
n'  ora    nella    casa   del   padre,  e   due    ore    prima    de' 
suoi  genitori;   e  perchè  deve  sentirsi  dire   che  non 
pensa  ad  altro  che  a  bere,  mangiare,  e  far  niente  ? 
È  vero  eh'  io  non  ho  ancora  un  impiego  !  ma  e  gì'  im- 
pieghi piovon  eglino  ?  Non  ne  ho  io  sollecitato  uno 
presso  tutti  quelli  che  ponno  giovarmi  ?  ».  E  in  qual- 
che momento  riflette  :  «  Potrei  andarmene.  —  Ma  co- 
me potrei  io  abbandonarli 'ì  Come  avventurarmi  alla 
vita  raminga  ì  Debole,  debole  eh'  io  sono  !  Che  dun- 
que   mi    restai  ».  E   più  jtardi:  «  Mi   offro    vittima 
all'altrui   pace...   Se  io   posso  liberarli  di  me,    non 
m'importa  di    morire   fra   pochi   mesi,   sarà   finita: 
né  io   avrò  pia  bisogno  né  di  mangiare,  né  di  ve- 
stirmi, né  di  un  letto  per  dormire  ».  Ed  io  mi  do- 


8  Prefazione 

'mando  atterrita:  dunque  e  il  cibo,  e  le  vesti,  e  un 
letto  rinfacciava  la  famiglia  a  quest' ospite  strano? 
Strano  ospite  che  molto  aveva  da  perdonare  ! 

Ed  egli  soffre,  soffre,  ed  ha  rimorso  dei  ma- 
\menU  di  ira  violenta:  rimorso  di  far  soffrire:  po- 
vera anima  dolce  che  piange,  bambina  sempre,  un 
sogno   vago    che  non   può   seppellire! 

La  povertà  d' amore,  l' incomprensione  continua  e 
profonda,  le  meschinità  dominanti,  le  miserie  inde- 
gne V  opprimono,  e  la  visione  di  un  destino  deserto 
V  assale,  lo  soffoca,  lo  vince,  e  nel  dolore  disperato 
e  violento  si  considera  ed  ha  pietà  di  sé. 

«  Io  sono  debole...  » 

«  Tutti  tutti  i  dolori  si  uniscono  per  atterrarmi...  » 

«  Tutto  mi  manca:  l' amore,  la  gloria,  la  patria,  la 
libertà,  la  salute...  » 

Pietà  di  sé  come  il  malato  che  vede  nel  limpido 
specchio  il  suo  pallore  e  V  agonia  dello  sguardo  e 
la  terribile    voluttà  dell'  inesorabile. 

Sofferente  nella  vita  familiare,  oppresso,  umiliato 
dai  rimproveri  continui,  dalle  continue  minacce  di 
povertà  e  di  esilio  dalla  casa  paterna,  sogna  il  mondo 
lontano  e  ignoto,  il  lavoro  faticoso,  qualsiasi  lavoro, 
e  la  libertà  finalmente,  il  silenzio  intorno  alla  sua 
solitudine. 

Senza  speranze  e  senza  sogni  partiva  dalla  casa 
paterna:  «  Mi  offro  vittima  all'altrui  pace!  »«  Sì, 
io  vi  sono  di  peso,  ma  vi  libererò  di  me  »  «  Andrò 
altrove  »  —  senza  speranze  e  senza  sogni,  per  libe- 
rare di  sé  la  casa  a  lui  cara.  Nulla  egli  vedeva  lon- 
tano: la  certezza  del  suo  destino  di  tetra  malinconia 
inguaribile  velava  agli  occhi  suoi  ogni  possibile  fa- 
scino :  «  /  miei  mali  mi  seguiranno  dappertutto  ».  E 
in  un  momento  di  ribellione  :  «  lo  trascino  sempre 
meco  questa  catena  che  stride:  voglio  spezzarla.  An- 


»      pu 


Prefazione  9 

drò  altrove.  »  Altrove?  «  Io  so  che  la  via  è  aspra 
e  difficile,  che  vi  sono  pericoli  a  dritta  e  a  sinistra, 
eh'  essa  viene  dal  baio  e  mette  nel  baio  ». 

E  partì:  povero,  debole,  sconsolato:  lasciava  die- 
tro a  sé  ogni  cosa  cara:  la  madre  crudele,  il  padre  e 
il  fratello  sepolti,  i  dolci  campi  che  non  gli  era  dato 
godere.  Partiva  col  rimpianto  nell'anima,  un  rim- 
pianto vago  di  dolcezze  non  vissute  :  «  Non  mi  ri- 
cordo di  un  sol  bacio  ricevuto  dal  padre  o  dalla 
madre  ».  E  lo  consolava  il  pensiero  di  togliere  V  om- 
bra sua  importuna  di  tra  le  cose  che  inutilmente 
amava. 

E  a  Milano  dove  per  pochi  soldi  al  giorno  la- 
vora per  la  «  Biblioteca  italiana  »  (i  suoi  articoli  so- 
no i  migliori  al  parere  del  Monti),  in  casa  Melzi 
dov'  è  precettore,  in  carcere,  nelV  esilio  volontario 
attraverso  la  Svizzera,  V  Inghilterra,  la  Francia,  sem- 
pre e  dovunque  V  irrequietezza  dello  spirito  senza 
riposo  sogna  il  suo  Botticino,  l'umile  casa  dove 
visse  coi  suoi.  Trovava  egli  nel  mondo  uno  squallore 
più  fosco,  una  miseria  più  vasta,  una  delusione 
più  completa,  un  vuoto  più  grande,  una  solitudine 
più  dolorosa  e  più  certa. 

«  Nella  mia  prima  gioventù  avevo  formato  il  di- 
segno d'  esser  capo-setta...  » 

«  S'io  fossi  un  ardito  che  fa  forza  alla  fortuna 
alzerei  una  fiaccola  di  guerra...  » 

«  Tu  sarai  venuto  e  passato  come  quel  raggio  di 
luna...  »  Sogni  uccisi  dalla  vita,  progetti  morti  d' ar-^ 
dorè,  nostalgia  d' una  forza  smarrita  nel  vuoto  che  si 
apri  inaspettato  davanti  ai  suoi  passi,  amaro  e  dolce 
riposo  nella  certezza  del  dolore  inguaribile,  del  buio 
eterno,  del  vuoto  senza  confini! 

E  una  nostalgia  di  cose  passate  e  sepolte  e  che 
pur  furono  dolorose,  ma  che  la  lontananza  riveste 


10  Prefazione 

di  un  fascino  pia  grande  forse,  ma  più  triste  di 
quello  che  spinge  verso  il  futuro,  lo  porta  attraverso 
la  vita  col  pensiero  al  cammino  che  lascia,  non  al- 
V  orizzonte  lontano  eh'  egli  non  sa  popolare  di  so- 
gni, I  suoi  sogni  nascono  morti  come  rimpianti:  «  S'io 
fossi  un  ardito...  »  Nostalgia  di  una  forza  grande 
come  il  desiderio:  stanca  nostalgia  senza   speranza! 

Uscito  dalle  miserie  familiari  soffre  per  la  me- 
schinità degli  uomini :<<  Ah!  l'eterna  servita!  »  Gli 
uomini  sono  tutti  deboli,  pusillanimi,  bisognosi,  gli 
uni  servono  ciecamente,  gli  altri  si  credono  padroni 
perchè  se  lo  sentono  dire  :  «  è  retaggio  dell'uomo 
la  meschinità  ». 

E  stanco  del  lungo  peregrinare,  deluso  nelV  unica 
speranza  di  pace,  debole,  misero  e  solo  com'  era 
partito,  torna  al  suo  Botticino,  e  nei  luoghi  della 
sua  triste  fanciullezza,  sognati  nel  lungo  esilio  come 
la  sola  possibile  oasi  nel  deserto  sconfinato,  egli 
si  sente  estraneo  come  dappertutto  nel  mondo,  solo, 
smarrito,  senza  conforto.  E  la  vecchiaia  viene  im- 
provvisa, e  con  la  vecchiaia  il  pensiero  della  morte 
senza  rimpianto,  dolce  di  compassione  per  quelli 
che  camminano  ancora. 

Come  certe  acque  che  non  riflettono  mai  il  sole, 
egli  vide  venire  la  notte  senza  rimpianto.  Lungo 
era  stato  il  cammino  e  inutile:  tornava  ora  come 
Peer  Gynt  alla  sua  capanna  e  sognava  di  trovar  sulla 
soglia  V  ultima  visione  della  sua  nostalgia  inguaribile, 
e  sulla  soglia  trovò  la  compagna  fedele  :  la  tristezza 
monotona  e  lenta,  invecchiata  ormai  e  senza  sorrisi. 

Nulla  egli  aveva  incontrato  nel  mondo  che  fosse 
degno  della  sua  anima,  nulla,  neppure  un  dolore. 

Tale  fu  la  vita  di  Giovila  Scalvini:  deserta  di 
sole;    ed   egli  non   seppe   la   via   e  non   seppe    le 


Prefazione  1 1 

stagioni,  e  neppure  seppe  il  nome  di  quella  luce 
che  gli  mancava  e  si  trascinò  dolente  come  il  cieco 
che  nacque  cieco  e  pensa  nella  sua  vita  senza  co- 
lore al  destino  che  qualcosa  gli  toglie  e  cosa  non  sa. 

Disorientato  in  un  mondo  e  in  un'  epoca  in  cui 
il  caso  l'aveva  abbandonato,  il  suo  vago  desiderio 
d'azione  non  trovò  uno  sfogo  possibile.  Il  patriot- 
tismo ha  debole  voce  in  lui:  sincera  certo,  ma  ve- 
lata di  un'amarezza  che  s'intreccia  e  si  confonde 
coi  motivi  che  ritornano  sempre:  non  è  soltanto  la 
servitù  d' Italia  che  V  opprime,  ma  la  servitù  ;  non 
è  la  sua  incapacità  d' agire  per  il  bene  della  patria 
che  V  abbatte  e  lo  rassegna,  desolato,  al  silenzio, 
ma  tutta  la  sua  infinita  debolezza. 

Troppo  egli  vive  della  sua  profonda  interior  vita 
perchè  possa  a  lungo  e  fissamente  considerare  la  vita 
pratica.  E  parte  per  V  esilio  prima  che  altri  pensi 
ad  esiliarlo.  Certo  un  senso  di  noia  doveva  venirgli 
da  quelV  attività  che  si  affaticava  intorno  a  lui  che 
non  riusciva  a  prestarvi  un  grande  interesse.  Egli 
era  V  attore  e  lo  spettatore  di  se  stesso  :  «  Ho  sepa- 
rato me  da  me,  sì  che  mi  vedo  soffrire  e  godere  come 
fosse  altro  che  me  ». 

E  nel  mondo  letterario  nulla  trovò  che  confacesse 
alla  sua  anima  più  di  quel  patriottismo  a  grandi  e 
inutili   sacrifizi. 

Trovava  in  letteratura  la  retorica  della  patria  e, 
quel   che    è  peggio,   la  retorica  del  sentimento. 

Era  il  tempo  del  cosidetto  Romanticismo  italiano 
ed  egli  scrisse  polemiche  e  satire  contro  i  Roman- 
tici, senza  darvi  tuttavia  troppa  importanza,  come 
chi  prende  appunti  e  scherza  su  cose  che  attirano 
V  attenzione  col  chiasso  ma  non  avvingono  V  anima. 

Romantico  nel  senso  vero  e  profondo,  —  odiò 
quel  rafforzamento   di  una  grande   rivoluzione  non 


12  Prefazione 

compresa  e  miseramente  conosciuta  anche  in  quelle 
apparenze  afferrabili  dalla  mediocrità. 

Lo  Zuccoli,  uno  del  pochi  studiosi  dello  Scalvini, 
dice  :  «  Le  sue  polemiche,  le  sue  satire  contro  i  Ro- 
mantici sono  dirette  a  coloro  che  vorrebbero  dimen- 
ticati gli   antichi  o  contro   coloro   che  di   romantici 
non   hanno    che   il  nome   senza   averne   i  nobili  in- 
tenti y>;(l)  e  più  avanti  accennando  a  quella  nota  fan- 
tasia dello  Scalvini  :«  La  poesia  romantica  fu  trova- 
ta da  Cam...  y>  aggiunge  :  a  satira  atroce  che  lo  Scal- 
vini coi  suoi  alti  intendimenti  civili  e  patriottici  non 
poteva  certo  scagliare  contro  i  Romantici  veri  ».  (2) 
Come  si  vede  è  spinto  a  difendere  lo  Scalvini,  dal- 
l'accusa    che   gli  si  farebbe   di   anti-romantico,   per 
il  concetto  che  lo  Zuccoli  ha  di  Romanticismo  —  mo- 
vimento civile  e  patriottico.  In  questo  senso  del  resto 
lo  Scalvini  non  sarebbe  stato  un  gran  che  romantico: 
V  ho  già  detto  ;  era  troppo  solitario  e  rinchiuso  nella 
sua  anima.  «  Vuol  esser  classico  »  dice  lo  Zuccoli, 
«  ma  se  del  Romanticismo  disprezza  la  forma,  quasi 
senza  avvedersene  a  poco  a  poco  del  Romanticismo 
si    assimila   il  substrato    etico.    Non    è  questo.    Egli 
era  Romantico  per  temperamento  e  quel  che  assimilò 
era  una  noiosa  e  mediocrissima  tendenza  che  lo  portò 
a  scrivere  cose  inferiori  al  suo  ingegno:  le  «  Consi- 
derazioni sulV  Ortis  »,  per  e  se  m  pio  y  che  dispiacquero 
a  lui  stesso  per  primo. 

Nei  suoi  articoli  per  la  a  Biblioteca  italiana  »  tro- 
viamo qua  e  là  come  bagliori  improvvisi  di  una  ri- 
bellione che  non  si  sfoga  mai.  Oh!  s' egli  avesse  cono- 
sciuto i  fratelli  di  Germania,  travagliati  dallo  stesso 


(1)  Giulio  Zuccoli,  Giovita  Scalvini  e  la  sua  critica,  Brescia, 
F.  Apollonio,  1902  —  pag.  28. 

(2)  V.  pag.  29. 


Prefazione  13 

suo  male,  ma  decisi  a  vivere  tutta  la  loro  vita,  stretti 
in  una  piccola  schiera  forte  e  libera,  trasformante 
la  propria  sofferenza  in  pensiero  tormentato,  in  azio- 
ne profonda  e  invincibile! 

Altrove  dissi  che  V  opera  e  in  parte  la  vita  di 
Giovila  Scalvini  fa  «  una  maschera  dolorosa  impo-- 
sta  dai  tempi  e  accettata,  non  per  viltà  ma  per  reli- 
gione del  proprio  dolore.  La  maschera  piacque  ab- 
bastanza, era  mediocre,  lo  faceva  molto  simile  agli 
altri,  nessuno  s'accorse  che  era  una  maschera,  nes- 
suno pensò  aW anima:  ed  era  grande  ^\(1)  Ma  egli 
non  seppe  mai  persuadersi  che  quella  maschera  po- 
tesse essere  tutta  la  vita,  e  non  volle,  né  avrebbe 
potuto,  spengere  l'ardore  del  volto  vivo  sotto  la 
carta  dipinta. 

«  Non  mi  sento  la  forza  di  scrivere  un  libro;  e  pur 
troppo  non  mi  credo  tanto  caro  a  nessuno  da  trovare 
un  sollievo  ad  aprirgli  tutto  il  mio  cuore  »  —  egli 
sapeva  che  la  sua  voce  sarebbe  stata  strana  come 
un  grande  motivo  insolito  tra  i  lamenti  patetici  e  le 
frasi  retoriche,  ed  era  troppo  timido  per  affrontare 
V  amara  emozione.  E  così  tacque,  e  riversò  lo  smarri- 
mento e  V  ardore  e  il  dolore  della  povera  anima  nelle 
pagine  delle  «  Memorie  »  che  sono  la  sola  vera  ope- 
ra di  Giovila  Scalvini. 

L'ingegno  può  fabbricarsi  la  voce  che  vuole;  — 
gli  scritti  di  critica  letteraria  di  G.  Scalvini  hanno 
un'importanza  minima  se  confrontate  con  queste 
«  Memorie  »;  lì  e'  è  l'ingegno  vivace  che  molti  pos- 
seggono; qui  c'è  l'anima  che  è  il  dono  prezioso 
di  pochissimi.  Se  fosse  stato  un  ardito  avrebbe  inal- 


(1)  V.  Gina  Martegiani,  Il  Romanticismo  italiano  non  esiste, 
Firenze,  Seeber,  1908,  cap.  Vili:  Due  Romantici  per  tempera- 
mento :  G.  Scalvini  e  L.  La  Vista,  pag.  183. 


^4  Prefazione 

zato(L  una  fiaccola  di  guerra  »  —  era  debole  e  tac- 
que, soffrì  e  si  fece  dimenticare  da  chi  non  avrebbe 
potuto  comprenderlo:  ed  io  credo  che  per  un' anima 
grande  e  delicata  sia  questo  il  destino  migliore:  — 
pochi  fratelli  lontani,  sconosciuti,  smarriti  e  una  se- 
rena atmosfera  di  oblio, 

Gina  Marteoiani. 
Firenze,  Marzo  1911, 


Nota.  La  presente  scelta  è  fatta  sul  voi.  degli  scritti  scalvi- 
mani  pubblicato  per  cura  del  Tommaseo  (Firenze,  Le  Monnier). 
Alcuni  frammenti  ho  tolto  anche  dal  buon  libro  di  E.  Clerici 
sullo  Scalvini  (Milano,  Lib.  Editrice  Milanese,  1912). 


DI    SE   STESSO 


A  che  aggirarti  più  brancolando  come  un  cieco,  e 
cercare  la  gioja  fra  questi  rumori  che  ora  toccano 
1'  anima  tua  ;  sicché  ella  vive  per  sempre  nel  passato 
ed  arde  del  desiderio  anche  de'  suoi  passati  dolori? 

Le  speranze  che  nella  prima  giovinezza  avevo  sì 
belle  sull'  avvenire,  sono  andate  a  poco  a  poco  dis- 
sipandosi, come  vedi  la  sera  dissiparsi  da  una  collina 
i  colori  nel  soggetto  piano. 

Tu  mi  credi  felice,  e  io  non  voglio  levare  questa 
pietra,  perchè  non  ne  esca  un  lezzo  di  sepoltura. 

Sempre  il  cuore  tumultuoso,  sempre  pieno  d'am- 
bascia e  d' un'  inquieta  brama  di  nuovi  tumulti,  di 
nuove  passioni  ;  sempre  ansioso  di  urtarmi  con  nuo- 
vi piti  feroci  destini,  di  smarrirmi  nell'  immensa  folla 
degli  uomini,  sempre  affaccendati,  sempre  affannosi 
dietro  le  tracce  di  un  bene  che  non  esiste. 

In  somma  il  mondo  è  uno  spinajo  da  cui  io  non 
so  disbrogliarmi.  Le  mie  piante,  squarciate  da  tri- 
boli e  rovi,  cercano  indarno  un  palmo  di  sito  dove 
riposarsi  senza  dolore. 

...  Conoscerai  allora  che  tu  ti  sei  spesso  afflitto 
per  cose  che  non  meritavano  il  tuo  dolore  ;  e  che  la 


16  GIOVITA    SCALVINI 

imalignità,  la  calunnia,  e  il  disprezzo  dì  molti  uomini 
verso  te,  non  erano  che  nel  tuo  spirito  malato. 

Leva  te  stesso,  e  vedrai  che  i  fantasmi  della  tua 
immaginazione    sono    la    causa    de'  tuoi    rammarichi. 

10  sono  debole,  e  la  virtù  io  1'  ho  sempre  cercata 
con  scarso  vigore,  da  non  lasciarmi  riuscire  né  af- 
fatto virtuoso  né  affatto  pessimo. 

Non  esagero  io  forse  a  me  stesso  le  mie  passioni? 
E  forse  per  vanità. 

11  pentimento  del  passato,  e  la  diffidenza  delFav- 
venire  è  il  mio  retaggio. 

Ho  sempre  amato  gli  studi  che  mi  allontanano 
dagli  uomini   e  dal  presente  stato  di  servitù. 

Non  ho  calunniato,  non  ho  perseguitato  con  scal- 
tri modi  nessuno.  Sono  cattivo  anch'  io,  cattivo  più 
di  molti  altri,  ma  in  me  si  troveranno  ancora  delle 
virtù. 

Chi  mi  dice  superbo,  venga  a  vedermi  quale  io 
sono  col  povero. 

...  Temperamento  ostinato,  stravagante,  sensibile  ; 
maniera    di    pensare   ferma,   libera,    impenetrabile. 

...  Schietto  e  loquace  cogli  amici,  muto  co'  magnati 
e  timido  e  stupido.  La  verità  si  ode  da  me  senza 
dolore,  perchè  omai  si  considera  di  mio  costume  il 
dirla  sempre. 

Né  al  ricco  buono  ricevere,  né  a  me  (non  ansioso 
di  favori)  diletta  dare  lusinghe  ad  alcuno. 

Se  io  non  sono  molto  orgoglioso,  gli  è  perchè 
ho  molti  bisogni. 


SCRITTI   VARII  17 

10  sono  nato  con  un  genio  impaziente  di  ogni 
soggezione,  per  tal  modo  che  per  me  non  è  piacere 
alcuno  nel  mondo,  se  lo  veggo  venire  m  compagnia 
di  qualche  benché  menoma  servitù,  a  meno  che  la 
servitù  io  non  me  la  faccia  da  me  medesimo;  e 
allora  trovo  la  mia  libertà  nella  mia  elezione. 

Tutto  mi  manca:  l'amore,  la  gloria,  la  patria, 
la  libertà,  la  salute. 

11  mondo  mi  si  è  al  di  fuori  oscurato,  come  se  io 
fossi  indegno  di  vederlo. 

Guardiamoli  in  viso  questi  fantasmi  dai  quali  io 
torco  sempre  lo  sguardo. 

Che  voglion  essi  da  me?  Con  che  pretendono 
essi  di  spaventarmi  ? 

Non  ho  mai  letto  senza  risentirmi  di  un  certo 
brivido    que'  versi    del   Tasso  : 

E  fugge  Antonio,  e  lasciar  può  la  speme 
Deir  impero   del  mondo,  ov' egli  aspira. 

Affliggendomi  vivamente,  mi  lasciava  nella  noja 
di  tutte  le  cose  del  mondo,  sicché  io  non  mi  prendeva 
pensiero  di  accomodarmi  agiatamente  nella  vita  dove 
stava  assai  male.  È  questa  affezione  che  m'ha  reso 
malato    nella   mente. 

Oh  potessi  soffocare  quella  speranza  che  non  mi 
abbandona  mai,  e  che  ne'  miei  maggiori  disagi  mi 
grida  nel  cuore:  Forse  il  Cielo  ti  apparecchia  mi- 
gliori giorni  !  Ma  questa  è  un'  infermità  della  mia 
fantasia. 

Non   sai   apprendere   da   una   lunga   esperienza 
come   si   viva. 


18  OIOViTA    SCALVINI 

Addio,  bugiarde  lusinghe  di  ricchezze,  di  piaceri, 
di  applauso. 

Facciamo  una  volontaria  consacrazione  di  me  stes- 
so alla  sventura. 

Vengo  dall'  amico  mio.  Io  gli  diceva  che  non  oso 
più  innalzare  gli  occhi  alP  avvenire.  Povero,  senza 
un'  arte  cui  applicarmi,  destinato  ad  uno  studio  che 
non  mi  può  piacere,  a  quello  delle  leggi  ;  sicché 
da  due  anni  eh'  esser  dovrebbero  la  sola  mia  occu- 
pazione, io  non  ho  in  esse  nulla,  nulla  appreso. 
Ma  la  viltà  non  entrerà  giammai  nel  mio  cuore. 

Se  potessi  giungere  a  persuadermi  che  l' uomo  è 
animale  per  sua  natura  cattivo  ;  se  le  mie  circo- 
stanze non  mi  attaccassero  ad  un  padre  amoroso 
e  ad  una  benefica  madre,  abbandonerei  la  società 
ricovrandomi  sulle  rive  del  Benaco  al  coperto  della 
vendetta  della  fortuna.  Il  bel  riso  di  quella  natura 
mi  è  passato  in  tutte  le  fibre. 

Me  n'  andrò  in  Inghilterra.  Egli  è  vero  che  i  mali 
mi  seguiranno  dappertutto  :  ma  non  saranno  almeno 
mali  di  vecchia  radice  ;  e  potrei  forse  medicarli.  Ma 
questi  sono  mali  attaccati  alle  rimembranze  di  ven- 
f  anni.  Io  strascino  sempre  meco  questa  catena  che 
stride  :  voglio  spezzarla.  Andrò  altrove.  Se  i  disagi 
e  la  solitudine  mi  daranno  la  morte,  vi  sarà  chi  mi 
seppellirà  in  un  luogo  sconosciuto  ;  e  benediranno 
alcuni  alle  ceneri  del  forestiero  che  non  ha  fatto 
male  a  nessuno. 

Quante  volte  ho  pensato  di  fuggirmene  da  casa 
e  darmi  in  braccio  alla  fortuna  ! 

Voi  mi  parlate  deirAmerica.  --  Sapete  che  qualche 


SCRITTI   VARII 


19 


volta  io  vi  penso  sul   sodo  ?   E  se  non   fosse  eh'  io 
non  ho  altre  forze  che  quelle  delP  immaginazione... 

Sebbene  privo  dei  piaceri  cari  alla  giovinezza,  io 
in  me  non  avrei  motivo  di  malcontento  perchè  amo 
la  oscura  e  pacifica  libertà.  Le  mie  afflizioni  dunque 
non  mi  vengono  da  me.  E  se  io  arrivi  a  far  lieti  gli 
altri,  posso  ancora  sperare  di  essere  lieto  io  mede- 
simo. A  me  non  bisogna  che  la  pace  del  cuore. 
Io  finalmente  conosco  me  stesso,  almeno  quanf  al- 
tri mi  può  conoscere  ;  e  io  solo  so,  meglio  d' ojgni 
altro,  quello  che  a  me  fa  di  bisogno.  Che  io  non 
sia  di  noja  a  nessuno,  e  non  lo  sarò  mai  a  me  me- 
desimo. Che  se  le  persecuzioni  della  mia  fortuna,  che 
io  ora  non  so  prevedere,  mi  giungessero  lontano 
dalla  mia  patria  ;  la  compassione  di  quelli  al  riposo 
de'  quali  mi  sono  sagrificato,  sarà  una  stilla  di  bal- 
samo sulle  ultime  ore  della  mia  vita. 

Io  so  che  la  via  è  aspra  e  difficile,  che  vi  sono 
pericoli  a  dritta  e  a  sinistra,  eh'  essa  viene  dal  bujo, 
e  mette  nel  bujo. 

Io  sono  nato  povero  e  debole  :  ho  dovuto  rinun- 
ziare alla  casa,  alla  patria.  E  perchè  mi  dorrò  ora 
di  rinunziare  all'  amore  ? 

Non  essere  così  fuggitiva,  o  fortuna  ;  rimanti  al- 
men  tanto  che  io  rinvenga  dalla  mia  perplessità  nella 
quale  mi  getta  la  tua  subita  comparsa,  e  prenda 
cuore  di  porti  le  mani  nelle  chiome.  Ma  tu  vieni  e 
passi,  e  sei  già  lontana  quando  io  mi  ripiglio  del 
mio  sbigottimento,  e  mi  accuso  di  viltà.  Ma  tu,  chiu- 
di gli  orecchi,  perchè  sai  forse,  che  ritornando  mi 
troveresti  nel  torpore  di  prima. 


20  OIOVITA    SCALVINI 

L' illusione  mi  va  sempre  davanti  ;  io  giungo  e 
la  scena  è  affatto  diversa.  Quella  bellezza,  quelP  ar- 
monia, quel  mirabile  ordine  di  beni  sempre  variati, 
m'accorgo  che  non  vivevano  che  nella  mia  immagi- 
nazione. 

Se  io  dicessi  dove  sono  i  più  lieti  punti  per  me, 
lungo  qual  fiume  essi  siedono,  quali  sono  Tacque 
per  me  che  mormorano  più  soavemente  ;  nessuno 
saprebbe  di  che  io  volessi  parlare. 

A  te  il  vento,  i  boschi,  V  incertezza  della  via  ;  il 
mondo  ampio  e  deserto  dinanzi  i  tuoi  passi  senza 
che  tu  vegga  un  ricovero,  un  riposo  per  te. 

Ho  sortito  una  natura  selvaggia,  che,  amando  gli 
uomini,  mi  ha  fatto  parere  loro  nemico.  Mio  padre 
era  buono,  ma  ruvido  ;  mia  madre  aveva  messo  il 
cuore  nel  suo  primogenito  eh'  ella  aveva  allattato  ; 
e  io  non  mi  ricordo  di  un  sol  bacio  ricevuto  dal 
padre  o  dalla  madre. 

Io  non  sono  una  soave,  una  serena,  una  placida 
natura  di  uomo.  So  il  giusto,  il  bello,  il  vero,  e  li 
osservo.  Io  non  mento.  Io  non  ferisco  con  parole 
traverse  il  mio  prossimo  ;  io  provo  compassione,  io 
mi  sento  fratello  dell'ultimo  degli  uomini:  ma  io 
non  sono  carezzevole,  io  non  sono  compagnevole, 
io  non  sono  trovatore  di  cerimonie  ;  sono  una  natura 
rigida.  Tu  puoi  fidarmi  il  tuo  segreto,  e  lo  terrò  ; 
mi  farai  un  benefizio,  e  ti  avrò  gran  gratitudine  : 
ma  io  non  ti  starò  intorno  con  leggiere  parole,  né 
ti  farò  ridere  colle  facezie. 

Io  non  dico  che  non  sia  io  stesso  iracondo,  ingiu- 
sto talvolta  ne'  miei  precipitati  giudizi  ;  ma  io  giudico 
assai   più  severamente  di  molto  me  stesso  e  i  miei 


SCRITTI   VARII  21 

giudizi  :  e  so  imporre  silenzio  alla  mia  natura  cor- 
porea, e  stare  attento  a  quel  che  mi  dice  la  mente. 
Ho  separato  me  da  me,  tanto  eh'  io  mi  guardo  pa- 
tire e  godere  come  guardassi  altri  che  me.  Ma  que- 
sta separazione  eh'  io  ho  fatto  di  me  da  me,  mi  ha 
pur  fatto  inamabile  fra  gli  uomini,  e  parere  oscuro 
e  misterioso  :  e  però  hanno  volto  il  piede  da  me 
come  da  chi  non  è  compreso,  e  mal  sai  se  con  virtìi 
o  colpa,  e  qualsiasi  il  frutto  eh'  egli  porti.  E  quando 
durava  in  me  la  guerra  tra  il  senso  e  la  ragione,  e 
io  stava  muto  e  inoperoso,  io  parvi  infingardo  e 
fantastico  ;  quand'  era  scontento  di  me,  parvi  scon- 
tento di  altrui. 

Non  mi  sento  la  forza  di  fare  un  libro  ;  e  pur 
troppo  non  mi  credo  tanto  caro  a  nessuno,  da  trovare 
un  sollievo  ad  aprirgli  tutto  il  mio  cuore,  e  da  spe- 
rare che  riceverebbe  con  piacere  e  con  indulgenza 
le  mie  confessioni.  Ho  lasciato  trasparire  a  Voi  qual- 
che cosa  di  me  :  molto  ne  celo  ancora,  non  per- 
chè avessi  a  vergognarmene  rivelandolo,  ma  perchè 
temo  di  noiare  ;  né  so  trovar  parole.  Quando,  a  ra- 
gione o  a  torto,  credo  che  altri  sia  freddo  verso 
di  me,  rientro  in  me  stesso,  torno  al  mio  silenzio  ; 
ricalo  il  velo  sopra  di  me.  Questo,  in  ogni  modo, 
m'  ha  più  nociuto  che  giovato  alla  vita. 

Son  lieto  e  sereno  con  chi  mi  ama  :  ma  io  sde- 
gno di  lottare  per  vincere  gli  animi  avversi  ;  e  di- 
nanzi ai  superbi,  a  quelli  che  non  sanno  che  corri- 
spondere con  artifiziata  gentilezza  alla  gentilezza  che 
esce  dal  cuore,  io  son  rigido,  muto  ;  e  paio,  e  forse 
sono,  superbo. 

Non  fuggo  gli  uomini.  Tristo  colui  che  non  sente 
nel  cuore  un  affetto  per  tutti  i  suoi  simili,  che  non 


22  OIOVITA    SCALVINI 

prova  bisogno  di  guardare  nell'  occhio  dell'  uomo  e 
di  udir  la  sua  voce.  Io  non  fuggo  che  i  tristi.  Anzi 
non  li  fuggo  :  che  son  sì  pochi,  che  basta,  per  non 
conoscerli,  non  li  cercare.  Ma  piuttosto  che  solo, 
sto  cogli  stolti.  Imparo  che  lo  stolto  è  più  savio 
di  me  :  e  m'  avveggo  che  le  mie  parole  non  son  senza 
frutto.  Fuggo  anche  gli  uomini  vani,  e  i  ruvidi  ;  e 
sto  con  loro  senza  amarli  né  disamarli,  come  1'  albero 
sta  vicino  all'  albero  scaldandosi  ambedue  al  mede- 
simo sole,  ravvivandosi  ai  medesimi  aliti  dell'  aria, 
senza  che  niuno  dica  all'  altro  :  io  porto  migliori 
frutti  di  te.  Ma  dal  più  stolto  de'  miei  simili,  se  non 
è  né  tristo  né  superbo,  io  imparo  più  assai  che  da  me 
solo. 

10  mi  son  sempre  affannato  a  domandare  alla  vita 
qualche  cosa,  un  non  so  che  d' incognito  eh'  essa 
non  può  dare.  Questo  fu  l'affanno  della  mia  prima 
giovanezza,  e  di  tutti  i  miei  giorni  :  1'  ho  domandato 
agli  studi,  alla  voluttà,  all'  amore...  stolto  che  non 
sono  ancora  disingannato. 

11  mio  destino  è  quello  di  tutte  le  anime  buone 
ed  ardenti,  lentamente  distrutte  dalle  fredde  e  spie- 
tate !  Oh  non  foss'  io  mai  uscito  dalla  casa  di  mia 
madre  ! 

Io  veggo  troppo  gli  squarci  e  lo  sdrucito  del  man- 
tello nel  quale  altri  si  avvolge  ;  né  degnerò  di  sve- 
stirlo. 

Mi  sono  corretto  di  alcune  cose  che  altri  mi  appo- 
neva a  difetto  ;  ma  non  mi  son  migliorato  per  questo. 
Con  alcuni  difetti,  se  ne  sono  andate  anche  alcune 
qualità  che  potevano  essere  buone.  Ma  gli  uomini 
mi  han  voluto  così.  Ora  penso  che  il  meglio  quasi 


SCRITTI   VARI!  23 

sarebbe  il  veder  di  rimanere  quello  che  sono,  giacché 
1'  età  e  la  poca  salute  e  i  necessari  disinganni  rapi- 
scono all'uomo  ogni   dì   qualche  cosa. 

La  fortuna  mi  dice  :  Tu  hai  sempre  poste  le  spe- 
ranze nelP  avvenire  ;  e  quando  1'  avvenire  io  te  1'  ho 
reso  presente,  T  hai  sdegnato,  e  hai  tuttavia  guar- 
dato più  innanzi.  Perchè  ti  rinnoverò  io  quel  tempo 
che  non  hai  mai  saputo  apprezzare?  Non  hai  tu 
sentito  da  tutte  le  generazioni  sorgere  un  lamento 
della  brevità  della  vita,  e  della  irreparabilità  de'  be- 
gli anni  ?  Sei  tu  nato  il  primo  sopra  la  terra,  che 
hi  non  potessi  fare  saviezza  della  follia  de'  milio- 
ni ?  Molti  piangono  gli  anni  perduti,  e  mi  domandano 
una  seconda  gioventù. 

Volle  la  nostra  debolezza  che  non  fossimo  né  savi, 
né  pazzi,  né  felici  né  miseri,  né  buoni  né  tristi  ;  e  che 
né  volessimo  né  disvolessimo  in  tutto,  perché  la 
nostra  vita  non  si  riposasse  giammai. 

Ci  par  di  provare  affetti  nuovi,  da  nessun  altro 
sperimentati  ;  e  sono  affetti  comuni  :  ci  par  d'  essere 
esempio  di  miserie  nuove,  e  sono  miserie  comuni  ;  ci 
par  d'  amare  e  di  soffrire  come  nessuno  ha  mai  amato 
e  sofferto,  e  le  nostre  stesse  parole  sono  nella  boc- 
ca di  chiunque  ama  e  soffre. 

Storie  comuni,  vicende  volgari.  — 

Hai  tu  mai  provato  quell'  angoscia  dell'  anima, 
quando  sei  disingannato  delle  tue  speranze,  quando 
hai  sperimentato  l' impotenza  di  tutti  i  tuoi  desi- 
derii,  quando  hai  battuto  indarno  ai  cuori  a'  quali 
tu  volevi  domandare  amore  ;  quando  ti  dibatti  nella 
vita,  simile  al  prigioniero  che,  demente,  dà  qua  e 
là  del  petto  contro  le  sbarre  che  lo  racchiudono  ; 


^^  OIOVITA    SCALVINI 

Tu  Innt  '^   ^T^f^  P".'  *'   ^'■"'P'''-*^  immensamente 
più  lontano  che  tu  non  hai  forza  da  andare  ? 

E  non  sono  io  infelicissimo?  Io  deluso  nelle  mie 
passioni,   lontano,   povero,  malaticcio.   E  non   mi   la- 

auantt  n'hnTÀ*'  "'''""°  ""' ""  '^"'^  *^"to  male 
quanto  n  ho  fatto  io  a  me  stesso.  Oh  mio  Dio,  se 
potessi  tornare  a  te,  e  temerti  e  sperare  in  te  ! 

àeZ  7,r''-^^  "?^*''  "  '*'"''  P'"  '^"«t^'  n"  «ten- 
deva sul  pavimento,  e  piangeva  ;  quando  pur  le  la- 
grime mi  erano  concesse.  Perchè  le  lagrime  mi  sono 
spesso  negate.  Io  supplico  perchè  mi  sia  concesso  il 
loro  refrigerio  ;  e  i  miei  occhi  restano  aridi  Le  la- 
grime, che  mi  prorompono  sì  facilmente  per  la  com- 
passione de'  mali  altrui,  mi  sono  negate  per  i  miei 
propri  mah.  Io  sono  senza  compassione  di  me  stes- 
so, 10  disprezzo  me  stesso. 

Io   piango  sul   romanzo   e  sul   dramma,  e   non   ho 
lagrime  pe'  miei  dolori. 

A  me  sono  ignoti  tutti  i  conforti.  Beati  quelli  che 
quando  soffrono,  entrano  in  una  chiesa,  e  inloc- 
chiati  dinanzi  l'altare,  trovano  consolazion'enéllf  pre- 
ghiera !  Beat,  quelli  che  possono  piangere  !  I  m Li 
occhi    sono    aridi:    hanno    pianto    in   giovanezza... 

Senza  gloria,  senza  amore,  senza   famiglia,   senza 
tetto,  senza  speranza  ;  e  tu  mi  vuoi  lieto  ?  Vuoi  tu 
eh  10  viva  come  l'animale,  per  il   sole,   per  l'aria 
pel  sonno,  pel  cibo?  '   i        '  <»na, 

Perchè  non  son  io  morto  in  fasce  quando  mio 
padre,  trovatomi  morente  dalla  nutrice,  sull' andar- 
sene diede  ordine   come   dovevano   fare   il   mio   fu- 


SCRITTI   VARII  25 

La  vita  comune  degli  uomini  non  fa  per  te  ;  e  te 
n'è  preclusa  ogni  altra,  quando  disprezzi  tutti  i  di- 
letti che  cerchi  per  dissipare  il  tuo  pensiero,  quando 
sei  superbo  e  infingardo  ;  quando  domandi  al  cielo 
maggiori  facoltà  e  non  sai  usare  di  quelle  che  egli 
ti  ha  date  ;  quando  hai  un  cuore  che  sente,  e  un 
animo  debole  ;  quando  sali  sempre  colla  mente  al 
cielo,  e  sempre  ricadi  nel  fango. 

Io  sollevava  la  mia  povertà  sulla  vostra  inclita 
condizione,  perchè  io  non  sono  mai  stato  umile  di- 
nanzi chi  si  crede  privilegiato  sugli  altri. 

Io  non  voglio  male  a  nessuno  ;  ma  a  me  il  cielo 
fece  un  dono  funesto  :  egli  mi  diede  occhi  da  vedere 
sotto  le  parole  menzognere,  sotto  le  adulazioni,  e 
da  spiare  profondamente  nel  segreto  dei  cuori  altrui, 
come  da  spiare  nel  mio. 

Io  non  sono  nato  per  avvolgermi  in  questo  fango; 
per  meschino  ch'io  sia,  son  nato  per  salire  più 
in  su.  Ciascun  corra  la  sua  via.  A  ciascuno  il  pensiero 
della  sua  infamia,  o  della  sua  rettitudine. 

Io  non  ho  saputo  correre  da  me  la  mia  via,  non  ho 
saputo  farmi  le  mie  sorti. 

Io  non  odo  le  parole  delle  persone  fra  le  quali 
sono  ;  io  dimentico  quel  che  mi  fu  detto,  e  quel 
che  aveva  proposto.  LMeri  mi  è  slegato  dall'oggi,  e 
V  oggi  dal  dimani.  Quello  eh'  io  vorrei  fare,  è  ap- 
punto quello  eh'  io  non  f o  ;  e  f o  appunto  quello 
eh'  io  non  aveva  pensato  di  fare.  Ho  rimorso  di  colpe 
che  non  ho  commesse  ;  e  l' ansietà  e  il  dubbio  mi 
accompagnano  in  tutto  ciò  eh'  io  pensi  o  eh'  io  faccia. 

Talvolta  io  ho  creduto  che  avrei  potuto  esser  fé- 


26  OIOVITA    SCALVINI 

lice  in  prigione,  solo  e  chiuso  in  una  povera  stanza: 
tanto    sentiva    il    valore   della    pace    dell' anima. 

Sono  sempre  stato  un  malaccorto  nelle  cose  della 
vita. 

Ho  bisogno  di  cuori  che  m' insegnino  a  moderare  i 
desiderii,  e  a  sorgere  migliore  ;  ma  che  non  vogliano 
troppo  da  me,  che  mi  lascino  uomo.  Perchè  io  torno 
sempre  il  medesimo,  se  mi  domandano  forze  che 
non  mi  sento,  se  vogliono  farmi  uscire  in  tutto  dalla 
mia  natura,  e  trasformarmi  in  tutto.  Non  salirò  nep- 
pure un  gradino,  se  mi  mostreranno  la  necessità 
di  montare  per  una  scala  infinita. 

Quella  dimenticanza  che  voi  temete  morendo,  io  la 
desidero. 

Quand'io  era  per  partire  la  bella  A...  mi  accom- 
pagnò una  sera,  mestissima,  fino  sulla  soglia  della 
sua  casa.  Tu  parti  —  ella  mi  disse  :  e  i  suoi  occhi 
erano  pieni  di  lagrime. 

—  Il  mio  amore  è  troppa  poca  cosa  per  te  !  — 

Sarò  ancora  io  così  cieco  da  continuare  a  fidarmi 
dell'avvenire?  Tanti  anni  che,  passati  nel  dolore, 
erano  pur  quelli  nei  quali  io  fondava  le  più  liete 
speranze  nel  tempo  che  li  ha  preceduti  ? 

Che  voglio  io  dunque  dalF  avvenire  ?  Esso  verrà 
recando  altre  noie,  altre  afflizioni,  ed  io  continuerò 
a  protrarre  le  mie  speranze,  finché  saranno  interrotte 
e  dissipate  dalla  morte. 

Io  non  sono  avido  di  piaceri.  Lo  fui  qualche  volta, 
ma  il  desiderio  era  senza  spine,  esso  nasceva  puro 
neir  anima,  era  celeste  come  ella  che  lo  concepiva  ; 
ma   il    conseguimento   non   era   senza   dolore,  e   ben 


SCRITTI   VARII  27 

io  sentiva  che  i  mezzi  onde  metterlo  ad  effetto  erano 
umani,  materiali,  infermi.  La  mia  felicità  dunque  non 
si  compone  di  delizie,  di  voluttà.  Io  non  ho  bisogno  di 
ravvicinare  a  me  le  gioie,  ma  solo  d' allontanare  i 
fastidi.  Ho  bisogno  che  nessuno  mi  molesti  imponen- 
domi doveri  :  ho  bisogno  di  non  avere  soggezioni  : 
di  non  dover  pensare  a  compartire  il  mio  tempo.  Il 
riposo,  la  solitudine,  la  libertà,  l' ozio,  la  certezza 
che  nessuno  venga  a  interrompermi  ne^  miei  pensieri, 
nelle  mie  astrazioni,  nei  miei  sogni  di  felicità,  d'  amo- 
re, di  nuova  e  stranissima  vita.  Ho  bisogno  di  la- 
sciar andare  come  vuole  il  pensiero,  componendo 
a  talento  e  scomiponendo  V  universo,  ordinando  a  fan- 
tasia la  società,  fantasticando  nuovi  uomini,  popo- 
landone nuove  terre,  ed  io  ponendomi  fra  loro.  E 
se  io  volessi  anche  tentare  V  onore  degli  studi  :  cre- 
dimi, io  sono  fatto  per  certe  maniere  di  cose,  va- 
gheggio certe  materie  che  non  si  possono  degnamente 
pensare,  né  scrivere,  se  non  con  povertà,  solitudine, 
indipendenza  e  sdegno  nell'  animo.  Certo  io  sono 
vano  :  ma  tutto  ciò  che  può  dare  la  fortuna  non 
recherebbe  nel  mio  cuore  il  contento  che  mi  ha 
qualche  volta  recato  lo  starmi,  nel  silenzio  della 
sera,  in  una  povera  stanza,  scrivendo  le  mie  fantasie, 
o  inspirandomi  nella  vista  della  campagna  e  nel  ta- 
cito volgere  dell'  universo  sotto  V  impero  della  not- 
te. E  se  a  nessuno  piacessero  quei  miei  sogni,  pa- 
zienza ;  avrebbero  dilettato  me,  mi  avrebbero  fatto 
trascorrere  beatamente  i  miei  giorni. 


LA  FAMIGLIA 

...    Egli    si   valeva   de'  miei    occhi    per   sapere   se 
vi  erano  delle  pere  sulle  piante  ;  poi  incontrandosi  in 


28 


GIOVITA    SCALVIMI 


un    arboscello    inserito    da   lui,    ne    apriva    la   bocca 
del    cartoccio    e  vi    guardava    giù    per    entro,    ed    io 
m' accorgeva  subito  della   sua  gioia  s' e'  germinava. 
Io   guardava   in   queir  atto  mio   padre,  e   diceva    fra 
me  :  quando  egli  sarà  morto,  e  che  queir  albero  sarà 
cresciuto,    io   ritornando   in   questo   luogo,    lo   vedrò 
lì  posto  in  quel  modo,  e  lo  descriverò  a  quelli  che 
mi  staranno  d' intorno.  Così  mi  ricordo  che  una  sera 
io   ritornava   a  casa   insieme   con   mia   madre.    Io   le 
camminava   muto    pochi    passi    addietro,  e    guardava 
questa  ottima  delle  donne  ;  e  quel  suo  viso  emunto  ed 
affettuoso   mi    empieva   di    tristezza,  e   mi    prendeva 
il  dolore  di  aver  pure  a  perderla  quando  che  fosse. 
Ma   io   la  vedrò   sempre   per   questa  via,   diceva   fra 
me,  a   quesf  ora,   così  vestita  di  bianco,   così   atteg- 
giata di  mestizia  ;  e  la  campana  dellMi^^  Maria  che 
suonerà  pur  allora,  gioverà  a  farmi  viepiù  presente 
questa  sera.  Ed  io  certo  non  passo  ormai  per  quella 
via,  che  io  non  la  rivegga  come  se  fosse  presente: 
e  corro  a  casa  a  vederla,  e  a  consolarmi,  e  a  ringra- 
ziare Iddio  che  non  la  richiama  a  sé.  Con  mio  padre 
abbiamo  poi  errato  ancora  lungamente,  e  visitato  le 
piantagioni  di  questo  autunno,  e  divisato  nuove  cure 
e  provvedimenti.  Egli  è  pur  utile  pei  figli,  che  i  loro 
padri   si   dimentichino  qualche  volta  di   essere  mor- 
tali. 

...  Io  sento  mio  fratello  che  fa  grande  romore 
giù  sotto  la  loggia  in  qualche  suo  lavoro.  Uomo 
felice  !  Persuaso  di  non  avere  sufficiente  attitudine 
per  attendere  a  quelle  cose  che  richiedono  mente 
e  meditazione,  egli  le  ha  abbandonate.  Egli  non  vuole 
che  essere  uomo  onesto,  e  lascia  che  altri  logori  la 
sua  vita,  e  s' affanni  dietro  quelle  cose  che  altro 
forse  non  sono  infine  che  illusioni  da  scena,  appa- 


SCRITTI   VARI!  29 

renze,  sogni.  Uomo  felice  !  Egli  ha  pochi  desiderii, 
e  pace  nel  cuore.  Io  alP  incontro  invaghito  dello 
splendore  della  gloria,  e  arso  sempre  da  mille  stem- 
perati desiderii,  che  ho  fatto  io  ?  perplesso  sempre 
fra  i  piaceri  di  cui  il  mio  cuore  sente  il  bisogno, 
e  fra  le  lusinghe  di  un  po'  di  rinomanza,  mi  sto 
immobile  sul  bivio  ;  e  finora  la  mia  vita  è  trascorsa 
senza  lode  e  senza  consolazione. 

La  contesa  con  mio  fratello  è  avvenuta  mentr'  io, 
cessando  dalla  mia  colazione,  ero  uscito  a  vedere 
che  ora  era  ;  e  perchè  rientrai  conturbato,  ho  dovuto 
scrivere  per  disacerbare  il  mio  dolore,  e  per  poter 
discendere  in  pace  a  pranzo.  —  Questa  pero  è  la  con- 
solazione dell'  uomo  vendicativo,  che  non  si  dà  pace 
se  non  retribuisce  male  per  male.  Io  avrei  dovuto 
piuttosto  mitigare  in  me  V  ira. 

E  quel  tanto  amare  sopra  me  mio  fratello  ?  Questa 
ingiustizia  del  vostro  cuore,  oh  quante  volte  mi  ha 
fatto  riguardare  con  indifferenza  le  mie  gravi  abi- 
tudini e  l' affanno  che  vi  causavano,  perchè  in  tal 
modo  mi  pareva  di  vendicarmi. 

Tutti,  tutti  i  dolori  s' uniscono  per  atterrarmi.  E 
mi  viene  un'  altra  volta  dinnanzi,  come  nefando  fan- 
tasma, V  amore  parziale  di  mia  madre  verso  mio 
fratello. 

E  mi  dicono  molti  che  sin  da  fanciullini  apparve 
in  essa  questa  differenza  d' amore.  Ma  come  vanno 
le  cose  !  Essa  ha  sofferto  tanto  per  mio  fratello  ;  le 
piaghe  le  avevano  consunto  il  petto.  E  sempre  si 
ama  più  la  cosa  che  ha  costato  molti  dolori. 

—  Le  bestie  amano  di  amore  eguale  i  loro  fi- 
gliuoli. —  Quanto  a  me,  io  perdono,  madre,  questa 
parzialità. 


30  OIOVITA    SCALVINI 

Oh  come  il  pensiero  di  essere  meno  amato  mi  di- 
minuisce nella  coscienza  le  colpe  che  forse  io  ho 
verso  de'  miei  ! 

Quanti  consigli,  quanti  rimproveri,  quante  esor- 
tazioni perch'  io  continui  i  miei  studi  di  legge  !  E 
quando  trovo  che  tutti  mi  si  oppongono,  dopo  brevi 
difese  mi  taccio,  e  li  ascolto,  e  sospetto  della  verità 
delle  mie  risoluzioni. 

Io  sono  rimasto  sempre  in  fra  due,  perchè  la 
mia  volontà  ha  dovuto  sempre  pugnare  con  quella 
de'  miei.  Vedendoli  sempre  disprezzare  i  miei  studi, 
hanno  fatto  che  io  non  vi  attendessi  mai  con  quel 
quel  fervore  e  queir  affetto  che  unico  suggella  le 
opere  umane  del  carattere  dell' immortalità.  In  que- 
sto contrasto  continuo  non  abbiam  fatto  nulla  né 
gli  uni  né  l'altro.  Al  reprimere  che  han  fatto  in  me 
r  amor  della  gloria,  a  quelle  continue  disapprovazioni 
de'  miei  studi,  si  è  aggiunto  la  incuria  che  io  ho 
sempre  avuta  delle  ricchezze.  E  molti  talvolta  sal- 
gono in  qualche  fama  (colpa  e  vergogna  delle  uma- 
ne voglie)  cercando  gli  agi  e  la  splendida  vita. 

Ho  fatto  solenne  giuramento,  dal  dì  che  mia  ma- 
dre mi  minacciò  la  povertà  e  1'  esilio  dalla  casa  na- 
tia, di  non  lasciarmi  mai  menare  ad  operar  per 
timore,  di  non  andar  più  a  nessuna  università,  di 
vivere  padrone  di  me.  Non  ho  io  dieci  volte  più  di 
quello   che   all'uomo  bisogna? 

Mentr'  io  diceva  ìer  sera  a  mio  padre  di  voler 
questo  inverno  studiare  il  paesaggio  ;  egli,  dopo 
essersi  mostrato  lieto  di  ciò,  mandò  mal  rattenuto  un 
sospiro.  Ah  io  l' ho  inteso  quel  sospiro  ;  e  voleva 
dire  :   Ho  dato  fondo  a  tremila  lire  per  tenerti  due 


SCRITTI   VARII  31 

anni  all'  università  ;  poi  tu  hai  ricusato  di  andarvi  il 
terzo  a  prendere  la  laurea  ;  e  neppure  quest'  inver- 
no pensi  ad  andarvi.  Io  mi  sentii  sbranato  il  cuore  ; 
e  poco  mancò  che  non  corressi  a  gettarmi  a'  suoi 
piedi  disciolto  in  lagrime.  —  Anche  questa  l' avreb- 
bero detta  una  pazzia  ! 

Iddio  mi  punirà.  —  Mio  padre  sforzavasi  di  soste- 
nere la  poca  famigliola  nel  miglior  modo  eh' e'  po- 
teva, col  vivere  parco  e  con  V  industria  ;  ed  io 
intanto  in  istraniera  terra  nel  fango  del  vizio  dila- 
pidava le  sostanze  del  mio  povero  padre.  Iddio  mi 
punirà. 

Quante  gioie,  quante  dolcezze  mi  promettevo  dalla 
campagna  !  ler  sera  uscivo  in  compagnia  de'  miei 
tutto  gioia  ;  e  ho  sempre  ciarlato  con  essi,  senza 
mai  ristarmi  indietro  due  passi.  Ed  io  amo  su  ]a 
sera  dividermi  sempre  da  tutti  per  non  chiudere 
ingratamente  le  orecchie,  rimanendo  nel  tumulto,  alle 
savie  lezioni  che  suole  darmi  quella  mesta  ora  della 
sera.  —  Siamo  giunti,  e  anch'  io  mi  sono  affaccen- 
dato cogli  altri  a  comporre  la  casa  da  tanti  mesi 
disabitata.  Perchè  se  io  arrivassi  ad  acquistarmi  l'a- 
more de'  miei,  di  altro  non  mi  farebbe  bisogno.  — 
Stamattina  mi  levava  per  tempo,  ordinava  i  pochi 
miei  libri,  e  attendeva  che  mio  padre  si  levasse. 
Egli  mi  aveva  promesso  in  città  di  lasciarmi  ire 
ad  abitare  di  giorno  nel  casino  della  Posa  che  ab- 
biamo qui  sopra  casa  ;  ond'  io  aspettava  di  averne 
la  chiave  per  andare  a  visitarlo.  Poiché  dunque  si 
fu  discorso  di  varie  cose,  io  attesi  un  grosso  quarto 
d'ora,  poi  chiesi  se  voleva  additarmi  dove  fosse 
quella  chiave.  Se  avessi  accostato  il  fuoco  a  una 
cava  di  polvere,  meno  improvvisamente  e  con  manco 


32  GIOVI  T  A    se  AL  VINI 

di  rumore  avrebbe  scoppiato.  Che  non  disse  egli? 
in  quali  grida  non  ruppe  ?  —  Io  me  gli  gittava  alla 
gola  senza  dargli  luogo  a  respirare.  Io  non  pen- 
sava che  a  stramberie  dalla  mattina  alla  sera.  Aveva 
altro    che    fare    egli?  — 

E  proseguiva  sulla  medesima  corda.  —  Tranquil- 
latevi io  non  vi  ho  domandato  licenza  di  minare  la 
casa. 

Voi  siete  il  padrone.  Voi  non  avete  che  a  dirmi  : 
Non  vo'  che  tu  ci  vada;  e  tutto  sarà  finito.  —  Dio 
mi  guardi  dall'  essere  io  così  furioso  a  cinquantasei 
anni.  Ma  egli  proseguiva  infuriando  sempre  più  ; 
e  a  poco  a  poco  mi  atterrì,  sicché  io  tremando  altro 
non  gli  diceva  se  non  che  :  Voi  siete  il  padrone  : 
non  vi  andrò.  —  Ma  ciò  che  finì  di  spaventarmi 
fu  quando,  entrato  lui,  nella  saletta  dove  pranzia- 
mo, io  standomi  ritto  su  T  uscio,  gli  vidi  il  viso 
livido  dall'  ira,  e  gli  occhi  anch'  essi  lividi,  volti  al- 
l' insù,  ed  erranti  furiosamente.  Se  fossero  stati  accesi 
e  vivacissimi,  mi  avrebbero  fatto  manco  paura.  Ma 
così  biancastri  e  umidi,  quali  di  un  uomo  già  ma- 
turo che  sa  ancora  richiamare  in  due  mezzo  spente 
pupille  le  furie  della  sua  giovanezza  !  Se  quando 
io  sarò  steso  nel  letto  vicino  a  morire,  mi  si  ri- 
desterà nella  memoria  l'immagine  di  mio  padre, 
quale  l' ho  veduto  stamattina,  basterà  per  troncare 
improvvisamente  il  poco  filo  che  rimarrà  ancora  alla 
morente   mia   vita. 

Mi  ritirai.  Da  lì  a  non  molto,  mia  madre  mi  chiamò 
a  bere  il  caffè.  Il  padre  taceva  ;  ma  riponendo  la 
tazza  vuota,  ripigliava.  —  Per  carità,  gli  diss'io,  per 
carità  !  vedete  che  io  non  so  tener  salda  la  tazza  : 
mostrandogli  le  mie  mani  tutte  tremanti.  Non  ne 
parliam  più  ;  non  v'  andrò.  E  depostala  senza  sag- 
giarne goccia,  uscii.  Tacerò  come  ritiratomi  in  istan- 


SCRITTI   VARII  33 

za,  mi  abbandonai  alle  lagrime  ;  e  come,  essendo 
il  mio  pianto  accompagnato  da  grida  convulse,  tras- 
sero in  prima  mia  madre  tutta  sbigottita,  e  poi  mio 
padre  ;  e  come  la  sorpresa  ristagnando  il  dolore  e 
le  lagrime,  mi  ha  lasciato  per  tutta  la  giornata  un 
dolor  di  capo,  un  tremito  interno,  uno  stomaco  ri- 
volto. —  Mia  madre  amorosissimamente  mi  aiutava 
a  levarmi    da   terra. 

...  Sì,  io  vi  sono  di  peso,  ma  vi  libererò  di  me  ; 
io  partirò  :  sì,  vi  libererò  di  me.  —  Tacqui,  ma  V  a- 
gitazione  aumentava.  Le  lagrime  mi  gonfiavano  gli 
occhi  ;  e  per  non  far  scene  lì,  mi  sono  levato  più 
tranquillamente  che  ho  potuto,  e  sono  uscito.  Ho 
salita  rapidamente  la  scala,  e  già  le  lagrime  mi  pio- 
vevano e  i  gemiti  incominciavano.  Mi  sono  chiuso 
nella  mia  stanza,  e  allora  il  dolore  non  ha  avuto 
più  ritegno  :  mi  sono  gittato  boccone  sul  letto.  Oh 
quante  lagrime  e  quanti  acutissimi  gemiti  !  Io  mi 
sono  trovato  disteso  per  terra  :  quella  caduta  ha 
forse  fatto  accorti  i  miei  della  mia  afflizione,  perchè 
mi  pare  di  aver  sentito  più  volte  picchiare  all'uscio 
della  stanza  :  ma  sentendo  eh'  io  m'  acquietava,  erano 
forse  partiti.  Il  mio  petto  non  mandava  più  che  con- 
tinui sospiri,  e  un  sordo  gemito.  Ma  ricordandomi 
le  parole  di  mia  madre,  e  pronunziando  vivamente 
dopo  che  faccio  di  tutto  per  farli  contenti  di  me, 
le  lagrime  hanno  rinnovato,  e  sono  ricaduto  nella 
stessa  abbondanza  di  dolore.  Venuto  in  me,  e  cal- 
matomi, io  sono  stato  più  ore  lì,  stupido,  cogli 
occhi  inchiodati  al  suolo,  immobile.  Mio  padre,  e 
mia  madre,  tutti  e  due  seduti  nella  medesima  stanza, 
non  si  dicevano  parola. 

Sono    spossato    dalla    vergogna    del    mio    torto  ; 
e  dalla    mia    ingratitudine.     Tutta    la    ragione    sta 


^^  OIOVITA    SCALVINI 


per  1  miei  poveri  genitori.  E  quanto  più  di  dol- 
cezza mettono  nei  loro  consigli,  tanto  maggiormente 
mi  piange  in  segreto  il  cuore  nel  vedermi  così  cru- 
delmente al  loro  amore  rispondere  ;  e  mi  condan- 
no, e  mi  dico  figlio  sleale  e  snaturato.  Se  mi  ve- 
dessero nel  cuore,  se  ascoltassero  il  mio  gemito, 
e  le  mie  parole  interrotte  dalle  lagrime,  quando  seg- 
go solo  nella  mia  stanza  ;  se  leggessero  queste  pa- 
gine su  le  quali  io  vengo  a  versare  il  mio  cuore  !  — 
E  quando  dopo  lunga  ora  di  profonda  tristezza  in- 
chiodato in  alcuni  pensieri,  io  mi  levo  precipitoso 
dalla  scranna,  e  m'inginocchio  per  terra,  e  prego  Id- 
dio singhiozzando  a  volermi  mutare  il  cuore  ;  e  mi 
tengo  le  mani  inquiete  sul  petto,  e  mi  pare  d' a- 
prirlo,  e  strapparmi  il  cuore,  e  gittarlo  incontro  al 
cielo  con  orrende  bestemmie  !  —  Nessuno  .queste  mie 
follie  le  sa,  nessuno. 

Io  credeva  che  quella  ferita  eh'  io  ho  fatta  ai  loro 
cuori,  fosse  guarita  ;  ma  di  quando  in  quando  mi 
fanno  accorto  che  la  è  aperta  ancora,  e  fresca  affatto 
come  prima.  Oh  come  taglienti  alcune  sentenze  di 
mia  madre  ! 

Quando  di  tempo  in  tempo  m'inasprisco,  m'av- 
veggo ch'essi  diventano  migliori  verso  di  me:  per- 
chè quando  l' uomo  è  cattivo,  non  si  domanda  altro 
da  lui  se  non  che  diventi  buono:  ma  poi  quando  si 
vede  com'è  facile  il  guidarlo  a  proprio  modo,  al- 
lora si  richieggono  da  lui  grandi  cose. 
^^Iq  non  vo'  giudicare  que'  genitori  che  tentano  quasi 
il  figliuolo  ad  essere  altiero  e  iracondo,  perchè  in  tal 
guisa  si  avvede  che  gli  è  concessa  la  pace  eh'  egli 
desidera  :  ben  giudicherò  tristo  quel  figliuolo  che  sa 
procacciarsi    le    altrui    bontà    incutendo    timore. 


SCRITTI   VARII  35 

Mi  ricovrerei  volentieri  in  villa  ;  ma  né  questo 
mi  è  conceduto.  Dicono  eh'  io  andrei  a  por  sossopra 
la  casa,  che  abbrucerei  delle  legne  per  farmi  da 
mangiare,  che  qui  in  città  il  far  pranzo  per  quattro 
o  per  cinque  vale  lo  stesso  ;  ma  che  il  fare  due 
diverse  tavole  importa  quasi  doppia  spesa  ;  e  mille 
altre  cose  dicono.  Io  rispondo  che  mi  abbevererei 
colF  acqua  del  pozzo  ;  che  mangerei  il  poco  che  mi 
manderebbero  fuori,  che  intanto  farei  risparmio  di 
vesti.  Ridicono  :  balorderie,  fanciullaggini  !  Intanto  io 
passo  questa  giovanezza,  ignuda  di  ogni  conforto, 
maladetto  siccome  un  beatissimo  perdigiorno  ;  e  sen- 
to tutto  il  giorno  predicarmi  che  le  rendite  ogn'  anno 
scemano  per  lo  scemarsi  dell'  asse  della  casa  :  sicché 
a  consolazione  di  una  giovanezza  disagiata  soprag- 
giungerà forse  una  vecchiezza  miserabile.  Eppure  se 
mio  padre  (osiamo  levare  gli  occhi  nel  suo  cospetto, 
e  parliamo  il  vero  nella  presenza  di  Dio),  se  mio 
padre  avesse  conservato  a  noi  due  figli  quello  eh'  e- 
gli  ebbe  in  eredità  dal  proprio  genitore,  noi  non 
avremmo  bisogno  di  servire  a  veruno  per  acquistarci 
il  pane.  Ma  alcune  inavvertenze,  qualche  errore 
forse...  —  Oimè,  che  faccio  io  ?  Di  chi  voglio  pesare 
le  colpe  ?  È  questa  la  virtù  che  prometti  a  te  stesso 
di  praticare  ?  Così  emendi  la  tua  vita  ?  Io  sono  at- 
territo. Io  temo  di  me,  giacché  mi  conosco  così 
perverso. 

Mi  volgerò  al  padre  degli  uomini  il  quale  vorrà 
ascoltare  le  mie  preghiere,  egli  che  legge  nel  mio 
cuore   e  vede  le  lagrime  che  adesso  io  spargo. 

Né  si  tratta  mai  d' andare  una  volta  dalla  cam- 
pagna alla  città  o  dalla  città  alla  campagna,  che 
io   non   senta  sgridarmi    per   i  libri  :    per   pochi   che 


36  GIOVITA    SCALVINI 

sìeno,  caricano  sempre  troppo,  imbrogliano.  Mettono 
tutto  sossopra,  perchè  li  considerano  come  affatto 
inutili  :  riguardansi  come  la  mia  debolezza,  e  si  tol- 
lerano come  la  madre  tollera  talvolta  che  il  figlio 
mangi  V  agresto  dell'  uva,  a  forza  di  esserne  richie- 
sta. Si  ricevono,  si  cacciano  da  un  lato,  si  scuote 
il  capo,  e  mi  si  fa  sentire  il  rigore  del  benefizio. 
È  vero  che  io  pecco  di  abbondanza  spesso,  perchè 
so  che  non  ho  mai  saputo  studiare  di  una  sola  cosa  ; 
temo  sempre  che  mi  venga  voglia  ora  deir  uno  or 
dell'  altro. 

Pare  impossibile  che  i  miei  mi  conoscano  così  po- 
co ;  e  sento  che  essi  non  si  sognano  eh'  io  soffra 
così    vivamente    di    queste    cose. 

Essi  non  mi  conoscono  per  nulla  :  non  sanno  che 
io  sono  pili  debole  di  una  donnicciuola.  —  Potrei 
andarmene.  —  Ma    come    potrei    io   abbandonarli  ? 

Come  avventurarmi  alla  vita  raminga  ?  —  Debole, 
debole   eh'  io   sono  !   Che  dunque   mi   resta  ? 

Eppure  essi  non  hanno  saputo  qual  figlio  ave- 
vano, non  hanno  conosciuto  il  suo  cuore,  né  il  suo 
ingegno,  che  secondato,  avrebbe  forse  potuto  onorarli. 

Tutti  gli  affanni  che  mi  potranno  venire  in  terra 
straniera,  mi  saranno  consolati  dal  pensiero  di  averli 
fatti  lieti. 

Io  intendo  andarmene  coli'  assento  de'  miei.  Non 
voglio  cagionargli  un  secondo  acerbissimo  dolore, 
e  voglio  portar  meco  la  loro  benedizione.  Si  potrà 
colorire  la  nostra  andata  di  qualche  pretesto,  ma 
non    celarla. 

Che  domando  io  infine?  Domando  che  non  )si 
voglia    tosto    sacrificare   i  miei    giorni    in    un    posto 


SCRITTI   VARII  37 

di  scabra  fatica,  di  vile  emolumento,  e  di  nessuna 
migliore  speranza  ;  che  mi  lascino  a  me  sintanto  eh'  io 
m'abbia    procurato   un   vero   merito. 

Mi  offro  vittima  air  altrui  pace.  Ma  almeno  mi 
si  conceda  ch'io  scelga  il  modo  nel  quale  devo 
essere  sagrificato,  e  1'  altare.  Questo  solo  sia  a  me, 
tutto  il  resto  a  loro.  Io  domando  solo  di  non  essere 
sagrificato  vilmente.  E  che  apparisca  avere  io  fatto 
un   sagrificio,  e  averlo   fatto  all'  altrui   pace. 

I  miei  genitori  si  lagnano  perchè  io  sono  loro 
di  dispendio,  e  di  utile  nessuno.  Ebbene,  io  ces- 
serò di  esser  loro  di  dispendio  ;  ma  ascoltino  la 
mia  preghiera. 

Io  non  so,  né  posso,  né  voglio   forse,  per  poche 
lire  il  giorno  seppellire  la  mia  vita  né  nelle  brighe 
del  fóro,  né  in  qualunque  altro  posto  dove  la  fatica 
sia  molta,  e  sparsa  in  pigre,  illiberali,  noievoli,  di- 
speranti occupazioni.  Sia  mio  difetto,  od  altro  ;  que- 
sto,  sull'anima   mia,   noi    posso.    Io   domando '  adun- 
que,   che    il    mezzo    di    sollevarli    di    me    consista 
nell'  uscire   io   di    Brescia,  e   seguire   altrove    il   mio 
destino.  E  se  io  potessi  giungere  a  sollevarli  di  me  ; 
a  non    essere    più    considerato    qui    come    un    censo 
oneroso,  io  rinunzierò  a  mio   fratello  ogni  bene  che 
mi   potrebbe  lasciare  in   eredità  mio  padre.   Io  non 
porterò  meco  veruna  cosa.  Se  io  posso  sollevarli  di 
me,  non  m'importa  di  morire  fra  pochi  mesi.   Sarà 
fmita;   né  io  avrò   più  bisogno  né  di  mangiare,  né 
di  vestirmi,  né  di  un  letto  dove  dormire.   La  madre 
comune  mi  riceverà  nel  suo  seno  ;  io  dormirò  ripo- 
sando  tranquillamente  il   capo   nel   suo  grembo  ma- 
terno. 

Un   giovine   di   ventitré    anni,    sobrio,    temperante 
che  SI  contenta  di  pochi  cattivi  vestiti  ;  che  la  sera 


38 


GIOVI  TA    SCALVINI 


è  sempre  ricovrato  di  buon^ora  nella  casa  del  padre, 
e  due  ore  prima  de'  suoi  genitori  ;  e  perchè  deve 
sentirsi  dire  che  non  pensa  ad  altro  che  a  bere, 
mangiare,  e  far  niente  ?  È  >?ero  eh'  io  non  ho  ancora 
un  impiego  !  ma  e  gV  impieghi  piovon  eglino  ?  Non 
ne  ho  io  sollecitato  uno  presso  tutti  quelli  che  ponno 
giovarmi  ? 

Scriverò  ad...  Se  egli  potesse  chiamarmi  a  Mantova, 
mi  basterebbe  che  il  profitto  delle  mie  fatiche  potesse 
sostenermi  la  vita.  Oh  se  egli  mi  volesse  nascondere 
in  una  sua  campagna  !  Io  mi  occuperei  delle  cose  sue, 
e  imi  basterebbe  uno  scarso  vitto,  e  una  povera  stan- 
za in  un  angolo  della  casa.  —  Sconsigliato  !  Lontano 
da'  tuoi,  tu  starai  male  dappertutto.  —  Che  importa  ! 
Non  si  tratta  qui  di  fare  un  sagrifizio  per  la  mia 
pace,  ma  per  1'  altrui. 

Io  diceva  ier  sera  a...  la  volontà  de'  miei,  perch'io 
mi  trovi  un  impiego  ;  e  gli  apriva  il  mio  cuore,  e  gli 
confessava  l'indocilità  del  mio  ingegno  circa  que- 
sto ;  e  come  non  so  trovar  modo  a  vincere  questa 
mia  avversione  feroce  ad  ogni  legame.  Nessuno  di 
questa  razza  degli  Scalvini  è  nato  per  arricchire,  io 
proseguiva.  Vedi  come  tutti  quanti  conosci,  vivono 
schivi,  indipendenti,  solitari  :  e  credimi  che  nelle  vene 
de'  figli  corre  il  sangue  del  padre.  Questa  razza, 
ricca  già  cinquanta  anni,  ed  ora  povera,  ha  bisogno 
forse  di  ruinare  in  miseria,  sicché  per  qualche  tempo 
vada  mendicando  il  pane,  e  poi  tenti  a  rialzarsi  e 
venga  infine  in  splendore. 

Seduto  su  di  una  larga  sedia  d'  appoggio,  le  gambe 
distese,  e  il  ventre  convesso  per  pingue  pranzo, 
m' incominciò  a  dire  :  Farmi  che  la  povertà,  ove  fossi 
nato  povero,  mi  sarebbe  stimolo  a  salire  tanto  più 
alto,  quanto  in  più  basso  stato  m'avesse  voluto  far 


SCRITTI   VARII 


39 


nascere  la  fortuna.  Mi  pare  che  io  sarei  arricchito 
in  breve.  Io  avrei  scelto  il  mestiere  del  soldato  ; 
oppure  avrei,  come  Ugo,  coltivate  ardentemente  le 
lettere,  e  in  modo  che  mi  fruttassero  oro  e  onore. 
—  Io  taceva  ;  perchè  so  che  1'  uomo  il  quale,  elevan- 
dosi su  la  umana  debolezza,  ti  sgrida,  e  se  dicendo 
atto  ad  operare,  audacemente  mostra  la  tua  codardia, 
ha  sempre  delle  ragioni  di  più  ;  e  a  te  è  debole  scusa 
quella  debolezza  e  quel  malvolere  che  se  non  fos- 
sero attaccati  ad  ogni  umano  intelletto,  non  si  ve- 
drebbe né  un  povero,  né  un  dissipatore  delle  sue 
sostanze  e  della  sua  salute.  Quante  volte  ho  veduto 
V  uomo  prospero,  o  quello  che  usa  alteramente  della 
rigida  ragione,  svergognare  con  durezza  il  povero  e  il 
passionato,  con  un  io  farei,  io  avrei  fatto! 

Che  é  stato?  Io  non  mi  sento  suonare  intorno 
altro  che  gemiti  ;  i  miei  occhi  non  danno  più  lagri- 
me ;  il  mio  capo  è  stordito  ;  sono  ormai  passati  dieci 
giorni  e  non  è  ricomparso.  È  dunque  vero  eh'  egli 
é...  morto  ?  Figlio  ingrato,  tu  stesso  lo  hai  tante  volte 
ferito  nel  più  vivo  del  cuore  !  Tu  lo  hai  ucciso  !  Egli 
non  è  più  ;  ed  io  sono  rimasto  a  piangerlo.  Oh  po- 
tessero almeno  le  mie  lagrime  espiare  in  parte  le 
tante  colpe  eh'  io  ho  verso  di  lui  !  Ma  quando  io 
non  vivrò  qui  più,  e  lo  spirito  aprirà  le  sue  ali  verso 
il  cielo  per  andare  a  chiedergli  il  bacio  del  perdono  ; 
egli  dirizzerà  sopra  di  me  uno  sguardo  di  riprova- 
zione, e  mi  precipiterà  nel  buio  delP  inferno.  No,  no, 
egli  mi  verrà  incontro  come  ha  sempre  fatto  quaggiù, 
e  m'  accoglierà  fra  le  sue  braccia,  e  m' impetrerà  il 
perdono   dell'  Eterna   Giustizia. 

...   Così  io  parlava  ;   e  giungeva  intanto  presso  la 
croce  posta  a  capo  del  sentiero  che  mena  al  Campo- 


40  GIOVITA    SCALVINI 

Santo,  e   mi   volsi   a  quella   parte  ;   e  mentre   cammi- 
nava lungo  quel  sentiero,  mi  sentiva  venire  nell'ani- 
mo una  pia  quiete,  e  una  rassegnazione  che  mi  con- 
ciliava all'  ultimo  e  necessario  fine  dell'  uomo.  Intanto 
alla    parrocchia    suonavano    continuamente    a  lutto, 
perchè   domani   è  il   dì  de'  morti,  e   a  me   rivivevano 
nella  mente  le  rimembranze  dell'anno  scorso,  quan- 
do appunto  la  vigilia  del  dì  de'  morti,  in  una  sera 
egualmente    bella    che    questa,    io    veniva    a  questo 
medesimo    sito    accompagnando    la    famiglia    C,    ed 
era  al  fianco  di  B...  :  e  perchè  io  era  mesto,  essa  mi 
domandava  più  volte  che  avessi,  e  sentendomi  sospi- 
rare,  mi   chiedeva  un'altra  volta   che  avessi.   Mi   ri- 
cordo che  e'  inginocchiammo  tutti  dinanzi  il  santuario 
che  custodisce  quel  devoto  luogo,  a  recitarvi  le  pre- 
ghiere de'  morti  ;  e  mi  ricordo  che  essendomi  volto 
alla   figliuola,  vidi   che  le  lagrime  le  correvano  giù 
per   le  guance,   perchè   essa   aveva  potuto  vedere   il 
figlio   del    Campanaro   venire    e  gittarsi    in    atto   do- 
lorosissimo   su   le    zolle    dove    pochi    dì    innanzi    era 
stato   seppellito   il  padre   suo,   senza   abbondanza   di 
dolore,  e    senza    il    bisogno    di    rendere    anche    essa 
un  eguale  tributo  alla  memoria  del  povero  suo  padre, 
del    santissimo   vecchio,    che    riposa    nella    sepoltura 
de'  suoi. 

Quest'  anno  è  toccato  a  me,  dissi,  a  piangere  la 
vostra  perdita,  o  padre  mio  !  E  tornando  indietro  per 
il  medesimo  cammino,  mi  passava  nella  memoria  tutta 
la  vita  di  quel!'  uomo  che  mi  amava  sopra  ogni  altra 
cosa  nel  mondo.  E  1'  ho  veduto  nella  sua  giovanezza 
essere  tenuto  negli  ozi  della  vita,  senza  che  gli 
si  facesse  intravedere  nessuno  bel  lume  al  quale 
la  sua  anima  potesse  volgersi  con  affetto,  e  occul- 
tarsi così  ogni  strada  che  lo  avrebbe  potuto  far  salire 
in    onore  ;    poi,    come    la    morte    delle    persone    che 


SCRITTI   VARII  41 

egli  amava  e  da  cui  era  amato,  gli  fece  facoltà  di 
volgersi  a  quelle  cose  per  cui  più  il  suo  cuore  so- 
spirava ;  io  V  ho  veduto  passare  le  sterminate  acque 
deir  Oceano,  e  combattere,  e  sostenere  patimenti  e 
ferite  per  la  causa  deir  americana  libertà,  che  in 
quei  dì  stabiliva  il  suo  bennato  regno  fra  quei  meri- 
tevoli e  fortunati  popoli.  Poi  dopo  avere  consumato 
il  fiore  della  sua  giovanezza  fra  le  guerre,  i  peri- 
coli, i  disagi,  fra  le  nazioni  nemiche  pacificate,  tor- 
nare a  casa,  per  essere  finito  ogni  tempo  di  procac- 
ciarsi onore  ;  menar  moglie,  e  vivere  nella  solitudine 
della  villa  così  contenuto  come  se  ci  avesse  sempre 
vissuto,  e  cercare  in  quegli  ozi  e  nelle  domestiche 
consuetudini  quelle  delizie  che  né  i  popoli  stranieri 
né  le  terre  di  là  dei  mari  gli  avevano  procacciate. 
Misero,  indarno  !  che  cattivi  e  disviati  figlioli  hanno 
osato  conturbare  la  sua  pace,  e  gli  hanno  dato  a  bere 
un  calice  così  amaro,  che  hanno  abbreviata  la  sua  età. 
E  saranno  puniti  :  e  la  loro  punizione  é  già  comin- 
ciata. —  Certo,  è  già  cominciata. 

O  Padre,  tu  mi  hai  dunque  perdonato  tutti  i  miei 
errori.  E  il  tuo  pronto  (perdono  rende  piìi  amaro 
il  mio  rimorso  dell'  averti  offeso.  Come  espierò  io 
le  mie  colpe  ?  Come  verrò  innanzi  a  te  senza  am- 
mutire ? 

Sappi  dunque,  mio  caro,  che  il  dì  primo  del  passato 
maggio  mi  morì  fra  le  braccia  il  mio  ottimo  padre. 
Tu  non  puoi  immaginare  quanto  dolore  abbia  lasciato 
in  tutti  i  cuori  delle  persone  che  lo  conoscevano  ; 
e  quanto  rimorso,  oltre  a  dolore  sommo,  nel  mio, 
per  non  essere  stato  migliore  figliuolo,  e  più  cono- 
scente delle  sue  paterne  sollecitudini.  Egli  è  vero 
che  dopo  i  miei  errori  di   Bologna,  e  la  mia  ostina- 


42  GIOVI  TA    se  AL  VINI 

zione  di  non  voler  più  ritornare  air  università,  io 
mi  guardai  bene  dal  recare  nuove  ferite  all'amo- 
roso suo  cuore.  Ma  allora  io  lo  passai  crudelmente 
quel  cuore  :  e  chi  sa,  tristo  eh'  io  sono  !,  che  la  mia 
ingratitudine  non  sia  concorsa  al  rovescio  della  sua 
salute?  Io  non  saprei  fartene  un  sufficiente  elogio. 
Egli  fu  ottimo  padre,  uomo  integerrimo,  e  cittadino 
zelatore  della  patria  ;  né  io  ho  mai  conosciuto  alcuno 
che  fosse  al  pari  di  lui  sperimentato  nelle  cose 
della  vita.  Egli  combattè  tre  interi  anni  in  America 
per  l' indipendenza  degli  Stati  Uniti  :  e  non  ritornò 
alla  casa  de'  suoi  se  non  quando  fu  concessa  a  quelle 
fortunate  genti  la  libertà  colla  pace.  Conobbe  Wa- 
shington :  e  si  dilettava  nel  seno  della  sua  famiglia 
a  richiamare  alla  memoria  tutte  le  parole  che  aveva 
udito  dire  da  lui,  e  descriverne  la  persona  ed  ogni 
atto.  Fu  tra'  primi  a  entrare  in  Jork-town  quel  dì  che 
il  Cornwallis  con  tutto  il  suo  esercito  fu  preso  per 
dedizione,  ciò  che  stabilì  la  vittoria  della  fortuna 
americana.  Toccò  piìi  ferite  in  varie  battaglie  :  e  fu 
de'  meno  disgraziati  nella  funesta  giornata  de'  12 
aprile  1782.  Fu  amico  del  La-Fayette,  e  del  Bon- 
gainville  ;  e,  in  Francia,  intrinseco  del  Massena  ;  il 
quale,  quando  fu  in  Brescia,  non  fu  giorno  che  non 
visitasse  mio  padre  :  e  mi  ricordo  che  il  generale 
francese  mi  prendeva  spesso  fra  le  ginocchia,  e  mi 
cullava  amorosamente. 

Le  persone  che  ci  erano  assai  care,  e  che  la  morte 
se  le  ha  rapite,  noi  non  possiamo  ricordarle  per 
qualche  tempo  dopo  la  loro  scomparsa  senza  risen- 
tirci di  un  certo  orrore,  e  senza  che  la  nostra  commo- 
zione sia  dolorosissima  :  ma  poiché  più  anni  sono 
trascorsi,  quel  raccapriccio  d'orrore,  che  prima  non 
potevamo  sostenere,  si  muta  in  una  soavissima  me- 


SCRITTI   VARII  43 

stizia,  in  un  patetico  desiderio  di  esse,  che  è  tra 
le  più  care  commozioni  del  cuore. 

Noi  parliamo  di  esse  volontieri  ;  ci  andiamo  ri- 
chiamando alla  mente  tutti  i  piaceri  di  cui  abbiamo 
insieme  goduto  ;  visitiamo  i  luoghi  dove  le  abbiamo 
vedute  ;  stabiliamo  con  loro  una  certa  affettuosa 
corrispondenza,  che  sembra  il  preludio  di  doverci 
ad  esse  tra  non  molto  riunire.  —  Oh  mio  padre, 
oh  mio  fratello  !  io  non  poteva  prima  sostene- 
re la  vista  delle  stanze  che  voi  solevate  abitare  : 
ora  mi  stendo  volentieri  sul  letto  dove  vi  ho  veduti 
morire,  e  quivi  mi  riconcilio  all'  ultima  fine  deir  uo- 
mo, e  mi  sento  partire  dalle  cose  di  quaggiù,  e  av- 
vicinarmi   a  voi. 

Ma  io  sento  la  vostra  voce,  la  quale  mi  racco- 
manda che  questa  umile  casa  degli  antichi  nostri  avi 
non  sia  lasciata  possedere  da  ignoti  eredi,  e  non 
trovino  in  essa  nessuna  cara  rimembranza.  Voi  mi 
raccomandate  di  consegnarla  in  eredità  a  dei  pietosi 
figliuoli,  i  quali  abitandola  si  ricordino  di  noi,  e 
benedicano  alla  nostra  memoria,  e  la  tramandino  alla 
nostra  posterità.  Che  sarebbe  se  qui  entrasse  un 
estraneo  il  quale  guastasse  e  dissipasse,  senza  niun 
amore  e  rispetto,  &>n  pretesto  di  abbellire,  quelle 
cose  che  a  noi  tutti  erano  così  care,  che  disformasse 
quei  luoghi  che  ci  hanno  veduti  bambini,  i  quali 
guardando,  noi  ci  sentivamo  come  rivivere  tutto  il 
tempo  passato  ! 

Ma  chi  vorrà  essere  compagno  della  mia  vita, 
chi  mi  piacerà,  se...  non  può  essere  mia  ?  Di  chi  gli 
abbracciamenti  mi  saranno  cari  quanto  un  suo 
sguardo  ? 

Mia  madre  è  bensì  ottima  donna  ;  ma  senza  espe- 
rienza di  faccende  ;  onde  mi  conviene  provvedere  per 


44  GIOVI  TA    SCALVIMI 

non  lasciarla  in  imbarazzi.  Avevamo  anche  disposto 
d' ire  in  campagna  alla  cura  dei  filugelli,  col  guada- 
gno dei  quali  soddisfare  ad  alcuni  debitucci  che  ho 
dovuto  contrarre  per  le  disgrazie  degli  anni  scorsi  ; 
la  morte  di  mio  padre  e  di  mio  fratello. 

...  E  mia  madre  va  dicendo  a  tutti  i  bisogni  della 
nostra  casa  ;  e  non  sa  che  chi  scopre  la  propria 
piaga,  più  allontana  da  sé  i  circostanti  destando  in 
essi  schifo  e  ribrezzo. 

Era  FAve-Maria,  ed  io  mi  posi  in  cammino.  Quando 
fui  sopra  gli  alti  argini  del  Reno,  sotto  quegli  alti 
pioppi,  io  mi  fermai  a  guardarmi  air  intorno.  Tutto 
era  vastissima  solitudine  e  silenzio.  Mi  volsi  a  man 
destra  guardando  la  montagna  di  Oriente  ;  e  scor- 
rendo cogli  occhi  la  sua  sommità,  mi  ricordai  di  quel 
giorno  che  con  mio  fratello  viaggiammo  lungo  tutta 
quell'  altissima  vetta  ;  e  sulla  sera  si  era  dilungato 
da  me,  si  eh'  io  lo  chiamai  con  alte  grida  lungo  tempo, 
e  tutto  pieno  di  sbigottimento  ;  sin  eh'  egli  mi  rag- 
giunse ;  e  mi  raccontava  eh'  e'  s'  era  smarrito  fra  di- 
rupi eh'  e'  non  poteva  sormontare,  e  s'  affannava,  e 
vedeva  la  notte  sopravvenire,  e  sentiva  le  mie  grida, 
e  mi  rispondeva,  ma  la  sua  voce  non  poteva  venire 
sino  a  me,  che  si  rimaneva  profonda  fra  que'  sassi. 
Che  fratellanza  quella  sera,  che  amore,  che  conforti  ! 
come  le  nostre  anime  si  versavano  1'  una  nell'  altra  ! 
Ed  oh  come  la  solitudine  ravvicina  i  cuori,  e  li  fa 
buoni,  e  rannicchia  gli  stemperati  ardimenti  del  de- 
siderio !  E  pensando  a  quei  giorni,  e  alle  sventure 
della  mia  casa,  io  mi  sentii  penetrare  l' anima  da 
quell'  arcana  malinconia  cui  sole  possono  destare  la 
rimeimbranza  del  passato  e  la  solitudine.  Ebbi  un 
padre   e  un   fratello,   esempi   di   bontà,  e   tutti   e  due 


SCRITTI   VARII  45 

mi  furono  nel  giro  di  un  anno  rapiti.  E  io  trovava 
non  so  come  certo  presagio  certa  consonanza  fra 
queir  essersi  mio  fratello  sepolto  tra  dirupi  eh'  e' 
s' affannava  di  sormontare  a  mezza  la  via,  intanto 
che  la  notte  gli  rapiva  la  luce  di  cui  aveva  bisogno 
per  seguire  il  suo  aspro  cammino,  e  la  sua  morte 
nel  fiore  dell'  età,  e  la  sua  mirabile  costanza  colla 
quale  lottò  colF  infermità  per  forte  desiderio  di  ri- 
manersi  con   sua   madre   e  con   suo    fratello. 

Ohimè,  invano  !  ma  perchè  visse  buono,  morì  co- 
me un  santo. 

...  Potete  ben  pensare  eh'  io  non  mi  sono  deter- 
minato a  domandare  il  posto  di  Bibliotecario  perchè 
ne  speri  contentezza,  ma  spintovi  da  una  certa  neces- 
sità. Le  cose  mie  non  si  sono  mai  accomodate  con 
mia  madre.  Qualunque  modo  di  accomodamento  si 
proponesse,  ha  sempre  trovato  ostacoli,  si  è  sempre 
protratto  a  tempo  più  opportuno  :  si  è  promesso  ; 
e  non  si  è  fatto  nulla.  Alla  mia  età  si  mette  l'occhio 
nell'  avvenire,  e  si  ripugna  ad  andarvi  incontro  spen- 
sieratamente. Quell'  impiego  mi  darebbe  una  casetta, 
e  un  emolumento,  eh'  io  farei  all'  uopo  bastare.  An- 
drei a  finire  sopra  una  trista  riva  ;  ma  almeno  a 
riva.  Sento  che  la  vita  mi  va  scemando.  E  queste 
cose  le  dico  a  Lei  ;  e  desidero  che  non  le  guardi  come 
fantasie  di  un  animo  scontento.  E  il  poco  che  mi 
resta  da  vivere,  vorrei  almeno  che  fosse  con  qualche 
quiete,  senza  nuove  afflizioni  ;  giacché  ne  porto  meco 
tante,  e  irrimediabili  che  mi  vengono  dal  passato. 
E  nessuna  quiete  troverei  mai,  andando  innanzi  così. 
Tutte  piccole  molestie  forse,  se  si  riguardano  ad 
una  ad  una  ;  ma  perchè  molte  e  continue,  finiscono 
coli'  attristare  la  vita,  e  inasprire  i  dolori  più  gravi. 

Non  posseggo  nulla.  Non  mi  si  è  reso  nulla  :  mi 


46  OIOVITA    SCALViNI 

si  è  fatto  sentire  eh'  io  viveva  dell'  altrui  ;  benché 
la  mia  coscienza  mi  dica  tutt'  altro.  Voglio  evitare 
le  cagioni  di  avvilirmi,  di  affliggermi,  d' inasprir- 
mi. Non  posso  a  cinquant'  anni  ridivenire  un  fan- 
ciullino,  chiudermi  in  un  circolo  meschinissimo  di 
cose,  vivere  come  un  interdetto,  come  un  pazzo. 
Non  posseggo  nulla  legalmente  :  e  la  legalità  è  tutto. 
Me  ne  sono  spossessato  per  salvare  ;  e  1'  ho  perduto 
più  certamente  e  più  stolidamente  che  se  l' avessi 
lasciato  andare  nelle  mani  del  fisco.  Lei  che  mi 
consiglia  ?  Le  apro  tutto  V  animo  mio.  In  casa  mia 
mi  angustio,  mi  sento  troppo  avvilito.  Ho  detto  che 
se  non  si  distruggeva  quella  cessione,  sarei  forzato 
ad  allontanarmi  di  casa  ;  ho  insistito  con  tutte  le  mie 
forze  :  non  si  è  fatto  nulla.  Chi  doveva  accordarmi 
questo  giusto  desiderio,  si  è  doluto  di  me,  ha  spar- 
lato di  me,  ha  voluto  screditarmi  ;  e  nessuno  pur 
troppo,  né  i  miei  nemici,  hanno  mai  cercato  di  farmi 
tanto  danno  nell'opinione  degli  uomini  come  la  per- 
sona da  cui  avrei  dovuto  aspettarmi,  se  non  amore, 
benevolenza. 


RELAZIONI  COL  MONDO 

Io  sono  così  usato  a  seguitare  le  mie  fantasie, 
e  a  spaziare  sempre  fuori  di  questo  mondo,  che  quan- 
do rivengo  in  me,  mi  pare  di  discendere  a  ripigliare 
il  corpo  che  io  avevo  abbandonato  non  so  dove  colla 
benedizione  del  cielo.  Poi,  quando  mi  vi  sono  incar- 
nato, se  mi  prende  il  capriccio,  mi  presento  allo 
specchio,  per  vedere  se  ho  saputo  riassumere  il  corpo 
del  dì  innanzi  ;  e  mi  pare  gran  maraviglia  eh'  io  non 
abbia  sbagliato,  e  abbia  potuto  riconoscerlo. 

—  I  miei  amici,  certo,  devono  avere  gran  noia  di 


SCRITTI   VARII  47 

me  ;  e  parimenti  non  è  poca  pena  la  mia,  quando 
essi  mi  fanno  qualche  proposta  nella  quale  m'  accor- 
go che  mi  converrà  stare  in  cervello,  e  attendere  a 
movere  le  gambe  piuttosto  di  qui  che  di  là,  salire  o 
discendere,  ascoltare,  rispondere,  e  vedere  quello  che 
mi  verrà  p9rto  dinanzi  ;  o  altrimenti  sentirsi  cantare 
la  litania,  di  stucchevole,  insensato,  trasognato,  stupi- 
do. E  m' è  più  caro  lasciarli  gridare  a  gola  siffatte 
gentilezze,  perchè  ho  spesso  la  fortuna  di  non  le 
udire. 

Siccome  io  molte  volte  dico  ciò  che  sento,  molti 
mi    abborrono,  e    alcuno    mi    compiange    in    secreto. 

Io  sono  trascurato,  ed  alle  volte  persino  strava- 
gantemente incivile.  Ma  poi  sono  debole,  e  non  so 
comportare  V  idea  di  poter  spiacere  a  quelli  che  mi 
sono  cari.  Io  sono  debole  ;  e  se  vi  è  alcuno  che  mi 
ami,  io  lo  prego  a  compatirmi  se  talvolta  gli  parlo  di 
me,  e  mi  compiango  in  sua  presenza.  Appresso,  gli 
prego  a  non  credermi  superbo  se  talvolta  mi  veg- 
gono aspro  e  taciturno,  perch'  io  sono  un  infelice 
travagliato  da  molte  effettive  e  immaginarie  affli- 
zioni. E  mi  avranno  veduto  molte  volte  farmi  man- 
sueto e  sorridere  per  una  sola  loro  parola.  E  prego 
quelli  che  sono  morti,  e  che  mi  hanno  in  vita  cono- 
sciuto, se  hanno  ricevuto  il  merito  delle  loro  virtù, 
ad  impetrarmi  riposo  dal  nostro  comune  Padre. 

Ecco  io  mi  svio,  e  comincio  a  piangere.  Ohimè  ! 
io  non  dovrei  almeno  essere  in  disprezzo  di  nessuno. 

Perchè  io  sono  di  un  umore  insocievole  spesso, 
e  malinconico,  e  taluno  mi  crederà  stravagante  e  su- 
perbo ;  di  tanto  in  tanto  faccio  uno  sforzo  sopra  di 
me,  quando  m'  avveggo  che  potrò  riuscirci,  nelle  ore 
della   mia   maggior  pace,   per   usare   una   cortesia   a 


48  GIOVITA    SCALVINI 

chi  ho  da  molto  tempo  trascurato.  Così  egli  s'  avvede 
che  io  non  ho  nulla  con  lui,  ed  io  mi  trovo  bene, 
perchè  sento  che  potrò  abbandonarmi  al  mio  umore 
per   qualche  tempo   ancora. 

Ho  caro  V  introdurmi  nella  conoscenza  di  un  uomo 
con  un  atto  gentile. 

Male  si  raccomanda  chi,  venendo  a  me,  aperto 
V  uscio  della  imia  stanza,  ride  in  su  V  entrata. 

S' io  arrivo  a  rompere  il  ghiaccio,  allora  forse  vi 
nuoto  meglio  che  altri,  e  fo  in  breve  gran  cammino. 
E  così  m'avvenne  sempre,  che  i  modi  piti  schietti 
gli  usai  colle  persone  nuove  per  me.  In  un  tratto 
io  divento  V  amico  più  cordiale  di  un  uomo  ;  e  col 
volgere  del  tempo,  con  quello  stesso  divento  so- 
vente contegnoso  e  diffidente.  Appunto  il  contrario 
di  ciò  che  avviene  fra  i  più,  ai  quali  bisogna  gran 
tempo  prima  di  levarsi  d' intorno  quei  veli  e  quelle 
maschere  onde  su  le  prime  si  coprono  dinanzi  a 
tutti. 

Io  guardava  x.  così  ben  attillato,  ma  non  lezioso, 
che  vive  cogli  uomini  più  sperimentati,  e  si  fa  amare  ; 
colto,  ma  senza  portare  nel  mondo  il  peso  della  sua 
dottrina  ;  io  lo  guardava,  e  diceva  a  me  :  E  tu,  po- 
vero rozzo,  tu  non  hai  mai  potuto  far  tregua  colle 
usanze  de'  tuoi  fratelli.  Eppur  nel  tuo  cuore  non  le 
condanni. 

Perchè  quelle  grida,  come  se  io  violassi  il  sacrario, 
quando  difendo  la  mia  opinione  diversa  dalla  vostra  ? 
Voi  dunque  vi  presumete  incapaci  di  fallire  ;  ma 
questa  stessa  presunzione  è  matto   fallire. 

Io  non  danzo,  io  non  parlo  di  gazzette,  perchè 
non   le   leggo.  —  Una   fanciulla   a  Santa   Redegonda 


SCRITTI   VARII  4Q 

vedendomi  mesto  mi  chiese  :  Non  danza  ella  ?  Figlia 
mia,  risposi,  dacché  i  miei  piedi  si  movono  su  questa 
faccia  della  terra,  non  hanno  mai  altro  saputo  che 
camminare,  e  presto  se  ne  dimenticheranno  fors'  an- 
che, poiché  devo  starmene  tutto  il  dì  seduto  a  sten- 
dere articoli  per  un   giornale. 

Che  vado  io  a  cercare  in  casa  Melzi  ?  Non  conosco 
io  ancora  me  stesso  ?  Non  so  io  che  condizione  di  vita 
mi  bisogni  ?  Che  fa  a  me  una  biblioteca,  una  capitale, 
.  e  i  suoi  letterati  ?  le  politiche  dicerie,  la  sede  del 
governo,  il  tumulto,  il  rimescolamento  delle  arti  e 
delle  scienze  ?  —  Mi  farò  uomo.  Fanciullo,  tu  vi  hai 
soggiornato  tre  mesi  ;  e  ti  sei  tu  malato  ?  Tu  volgevi 
il  tuo  pensiero  a  Botticino.  Ti  sovvenivano,  fra  Io 
strepito  e  nella  compagnia  de'  dotti,  l' orto  e  i  per- 
golati della  tua  casa.  Tu  sei  ritornato  timido  come 
prima  :  così  solitario,  così  da  nulla  come  prima. 

Io  li  ho  fuggiti,  e  non  sono  loro  malevolo  per  que- 
sto :  e  mi  basta  di  poter  dire  ch'io  non  fui  né  superbo, 
né  immemore  della  benevolenza,  né  vendicativo,  fug- 
gendoli. Non  m'hanno  essi  deriso  come  pazzo  ?  non 
hanno  voluto  porre  la  loro  saviezza  esempio  alla 
mia  ?  la  loro  volontà  nella  mia  ?  non  hanno  voluto 
farsi  giudici  d'ogni  mio  atto,  d'ogni  mia  parola? 
non  hanno  investigato  persino  ogni  mio  pensiero,  e 
tiratili  al  peggio  coli'  assiduità  di  un  nemico  ?  non 
sono  stati  anzi  essi  gì'  immemori  ?  Non  mi  sono 
io  pentito  e  scusato  de'  falli  che  mi  apponevano, 
o  che  io  non  aveva  commessi  ?  Ho  io  mai  dissimulato 
con  loro  nessun  mio  fallo  ?  e  coi  perpetui  loro  rim- 
proveri non  mi  hanno  essi  fatto  dubitare  persino  del 
mio  discernimento  ?  Ma  io  non  poteva  dubitare  della 
mia  coscienza  ;   ed  essi  volevano  darmene  un'  altra, 


50  OIOVITA    SCALVIMI 

come  se  essi,  e  non  io,  fossero  dentro  di  me.  Mi 
hanno  tratto  a  perdermi  con  loro,  e  poi  mi  han  la- 
sciato. 

Abbiamo  colto  lagrime  dalle  nostre  passioni  ;  e 
fummo  disamati  perchè  non  abbiam  saputo  essere 
né  scaltri,  né  adulatori,  né  bugiardi,  né  inverecondi. 

Oh  quand'  io  era  in  prigione,  oh  come  avrei  date 
allora  tutte  le  bugiarde  gioie  dei  circoli  per  un  alito 
d'  aria  di  questo  oceano,  per  pochi  passi  fra  le  sabbie 
di  queste  dune  !  Quanto  è  vana  e  inutile  e  fastidiosa, 
e,  per  facile  che  sìa,  comperata  pur  sempre  a  troppo 
gran  prezzo,  la  scienza  di  una  certa  condizione  della 
società  !  La  scienza  di  quella  parte  degli  uomini 
che  si  crede  privilegiata  ;  che  vivono  in  piccol  croc- 
chio fra  loro,  eh'  hanno  il  modello  in  tasca  del  come 
debbono  essere  fatti  gli  uomini  ! 

Tocca  a  noi  forse  di  affannarci  dei  giudizi  dei 
circoli  ?  noi  che  abbiamo  patito  la  fame  e  la  sete  ? 

Ho  veduto  da  vicino  quello  che  si  chiama  bel 
mondo  e  gran  mondo  ;  ho  veduto  le  vili  passioni 
che  governano  i  suoi  abitanti  ;  i  loro  errori,  le 
loro  cecità,  le  loro  superbie.  Mi  hanno  spruzzato 
in  volto  il  loro  veleno,  hanno  creduto  umiliarmi  :  ma 
non  un  solo  momento  mi  sono  sentito  minore  di 
loro  perchè  fossi  povero  e  negletto  da  loro.  A  sif- 
fatte anime  volgari  pare  strano  e  fantastico  tutto  ciò 
che  eccede  il  loro  pensiero,  ciò  che  non  è  basso  e  vile 
come   loro. 

Mi  disprezzano  perchè  non  sono  millantatore,  per- 
chè non  sono  bugiardo,  perchè  non  sono  cortigiano, 
perchè    non    sono    sfacciato,    perchè    non    m'avvento 


SCRITTI    VARII  51 

sulla  donna  che  amo,  come  la  belva  sulla  belva, 
perchè  invece  sto  sommesso  e  silenzioso  a'  suoi 
piedi. 

Perchè  non  sono  giulivo  ;  perchè  il  mio  corpo  è 
debole,  perchè  non  sono  rapido  come  loro  nella 
caccia,  perchè  non  sostengo  come  loro  il  vento  e 
le  pioggie  ;  perchè  non  so  contraffare  come  loro 
il  superbo,  lo  scemo,  il  balbuziente,  lo  storpio,  — 
mi  disprezzano.  Ma  che  son  essi  ?  dove  sono  le 
loro  virtù  ?  Io  non  li  disprezzo,  loro,  ma  essi  che 
sono,  che  disprezzano  altrui  ? 

Mi  disprezzano  perchè  son  timido,  impacciato,  fan- 
tastico. 

Gli  animi  freddi  ed  ipocriti  s'incontrano,  si  leg- 
gono negli  occhi  sotto  le  loro  maschere  ;  se  le  levan 
dal  volto  e  si  ravvisano  scambievolmente,  e  allora 
dicono  :  camminiamo  insieme  ;  e  mettendo  V  uno  nel 
braccio  dell'altro,  si  avviano  nella  vita.  Ingannano 
tutti,  s'ingannano  anche  fra  loro  talvolta,  ma  si  per- 
donano con  indulgenza.  Io  non  voglio  la  vostra  scien- 
za, anime  fredde  e  menzognere  :  sarò  calpestato  nella 
via  ;  calpestato  e  deriso  :  ma  io  mi  sentirò  sempre 
levato  sopra  di  voi,  e  tant' alto  che  non  mi  giungerà 
neppure  il  vostro  ghigno. 

Io  era  schietto,  senz'  arte  della  vita  ;  era  vissuto 
così  sino  a  trenf  anni  :  ma  quando  sono  stato  con 
costoro,  ho  gustato  del  frutto  amaro  di  una  nuova 
scienza.  Ho  veduto  come  gli  uomini  si  accarezzino 
straziandosi  in  segreto  :  ho  veduto  come  chi  ha  paura, 
dice:  non  ho  paura;  come  chi  ti  odia,  ti  dice:  // 
amo  ;  con  quanti  innumerevoli  e  diversi  e  meravi- 
gliosi modi  l'uomo  sa  dire  al  suo  simile:  lo  son 
buono;   come   uno    paia    parlar    d'altri    teco,  e   vuol 


52  GIOVI  TA    SCALVIMI 

parlare  di  te  a  te  ;  come  porre  in  bocca  d' altri 
quello  che  non  osa  dire  egli  stesso  ;  come  il  fratello 
strazii  r  onore  del  fratello,  la  sorella  della  sorella, 
r  amico  deir  amico  ;  come  si  provocano  le  maldi- 
cenze parendo  farsi  propugnatori  della  virtij.  E  che 
non  ho  io  veduto  ?  E  tutto  ciò  ha  rovinato  il  mio 
primo  modo  ;  m' ha  fatto  amaro  neir  anima,  m' ha 
pressoché  fatto  impazzare  ;  perch'  erano  tutte  cose 
ignote    a  me. 

A  me  che  fa  soggiornare  in  una  vasta  città  ?  Tutte 
queste  mura,  queste  case  mi  sono  straniere.  Io  passo 
loro  dinanzi  e  dico  loro  :  non  vi  conosco.  Ma  tutto  mi  è 
caro  della  mia  casa  :  quelle  ripide  scale,  giù  per  le 
quali  tante  volte  in  fanciullezza  mi  sono  rovesciato, 
mi  piacciono  più  che  queste  marmoree,  ampie  e  ap- 
pena inclinate  :  i  ragnateli,  che  pendono  giù  dai  sof- 
fitti delle  mie  stanze,  mi  sono  più  cari  alla  vista  delle 
cortine  di  seta  che  m' involgono  le  finestre  e  il  letto. 
I  fessi  dei  muri,  il  pavimento  ineguale,  quegli  ar- 
redi di  dugenf  anni,  non  possono  essere  ricordati 
da  me  senza  sentirmi  stringere  il  cuore  di  desiderio. 
Là  mi  riposo  tranquillamente.  Le  colonne  del  mio 
portico  mi  conoscono,  mi  amano  :  e  se  taluno  volesse 
persuadermi  ch'esse  hanno  lo  stesso  sentimento  per 
me  di  quelle  di  S.  Lorenzo  qui  in  Milano,  io  lo  avrei 
per  nemico. 

GLI  UOMINI 

Un  uomo  superbo,  è  bello  guardarlo  fra  quelli 
che  ha  più  famigliari.  —  Egli  teme  sempre  di  pa- 
rere uguale  a  loro.  —  Ogni  domanda  che  gli  vien 
fatta  mette  i  suoi  nervi  in  uno  stato  di  contrazione  ; 
e  ogni   sua  risposta  è  in   modo  impaziente  e  dispet- 


SCRITTI   VARII  53 

toso  ;  include  la  tacita  appendice  :  come  osa  costui 
innalzarsi  sino  a  me  e  interrogarmi?  Egli  non  vuole 
apprendere  nulla  da  alcuno  ;  e  se  è  costretto  di  ascol- 
tare qualche  cosa,  nella  sua  mente  inquieta  si  prepara 
a  contraddire.  —  Sapete  V  avvenimento  di  stamat- 
tina? 

—  E  con  una  amarezza  che  ti  leva  ogni  buona 
volontà  di  raccontarglielo  ;  ed  egli  facendo  sembian- 
za di  attendere  ad  altro,  non  ti  sollecita  certamente 
del  tuo  racconto.  —  Che  ora  è...  ?  —  Perchè  devo 
sapere  io  che  ora  è  ?  —  E  si  muove  sulla  seggiola  ; 
e  m'  avveggo  che  per  alcuni  minuti  non  può  ritornare 
alla  calma  di  prima.  E  certo  saprà  anco  che  ora 
sia  ;  e  se  non  la  vuol  dire,  non  basta  un  tranquillo 
noi  so? 

Io  veramente  sento  compassione  e  dolore  allora 
quando  penso  a  certi  signorotti  di  questa  città,  i 
quali  sprezzano  il  povero,  solo  perchè  nacque  povero, 
ed  esaltano  sé  stessi  perchè  si  trovano  in  altro  stato, 
senza  saperne  il  come,  e  conoscerne  il  jDerchè.  Il 
solo  Cigola  conosce  sé  stesso,  e  sa  di  non  essere 
dissimile  da  tutto  il  resto  degli  uomini.  È  vero  che 
anch' egli  ha  qualche  principio  fuori  delF  ordine  na- 
turale, che  richiede  schiettezza  e  libertà  sì  di  pensare 
che  di  operare,  ma  questi  forse  l' educazione  glieli 
avrà  fatti  :  e  poi  nel  mondo  è  impossibile  trovar  per- 
sona esente  da  tutti  i  difetti. 

Chi  potesse  persuadere  a  sé  stesso  che  mentre 
egli  crede  di  acquistarsi  fama  o  di  bello  spirito  o 
di  scienziato,  un  tacito  giudizio  degli  astanti  lo  chia- 
ma maligno,  ignorante,  superbo  ;  non  si  troverebbero 
in  società  tanti  millantatori  di  sé  stessi,  che,  costretti 
ad  ascoltarli,  si  corre  rischio  di  morire  per  gli  orec- 


54  OIOVITA    SCALVINI 

chi.  Questo  ho  detto  per  fare  una  correzione  a  me 
stesso,  avendo  questa  mattina  qualche  cosa  detto  di 
me,  cioè  del  mio  modo  di  pensare,  in  mezzo  a  per- 
sone che  tutto  all'opposto  pensano.  Lo  stesso  sag- 
gio deve  guardarsi  dal  palesare  la  sua  virtù  ;  perchè 
gli  uomini  sprezzano  o  per  invidia  o  per  non  intel- 
ligenza tutto  ciò  di  che  sono  essi  privi. 

...  Lo  fa  per  comprarsi  la  tua  gratitudine,  e  ma- 
neggiarti poi  comunque  a  lui  piace  ne'  tuoi  bisogni. 
Prova  a  non  ti  umiliare  avanti  a  chi  ti  ha  beneficato  ; 
lo  udrai  tosto  rinfacciarti  i  suoi  benefizi,  e  trion- 
fare del  tuo  avvilimento. 

Quando  considero  come  l'uomo  pugna  sempre  e  si 
affaccenda  per  sottrarsi  alla  servitù,  ed  è  pur  sempre 
servo  ;  e  come  noi  supponiamo  negli  altri  ardi- 
mento e  forza  d'animo,  e  nobiltà  quasi  sovrumana, 
onde  stiamo  timidi  tutti  innanzi  a  loro  ;  e  sono  poi 
tutti  deboli,  pusillanimi,  bisognosi  come  siam  noi, 
e  come  è  il  più  meschino  uom  della  terra  ;  io,  anziché 
prevalermi  della  umana  debolezza,  mi  sento  stringere 
il  cuore  e  empiere  gli  occhi  di  lagrime  nel  pensare 
a  questo  retaggio  dell'  uomo,  la  meschinità.  Ma  io 
mi  sento  cadere  in  un  compassionevole  avvilimento 
quando  guardo  questo  gran  gregge  degli  uomini  che 
serve  ciecamente,  e  senza  mai  cercarne  il  perchè, 
ad  alcuni  altri  pochi  ciechi  che  gli  comandano,  e 
che  se  ne  credon  padroni  solo  perchè  se  lo  sentono 
dire  da  quelli  stessi  che  servono. 

Gli  uomini  promettono  per  l'avvenire,  e  promet- 
tono largamente  per  fuggire  i  fastidii  del  presente. 
L' uomo  verace  è  raro  ;  l' uomo  per  il  quale  la  pa- 
rola è  schietta  veste  del  pensiero,  e  il  dire  non  è 
'da  meno  del  fare. 


SCRITTI   VARII  55 


LE  DONNE 

Un  giorno  passeggiando  per  Regent-Park  con  Ugo 
Foscolo,  egli  si  doleva  che  una  fanciulla  eh'  egli 
aveva  cara,  si  fosse  data  in  braccio  ad  altri.  E  poi 
soggiunse  :  le  donne  si  tengono  in  tre  modi  ;  col- 
l' amore,  col  danaro,  col  terrore.  Coli'  amore,  disse, 
è  impossibile  a  me  ormai  vecchio  e  brutto.  Né  ho 
denari.  Io  V  ho  tenuta  col  terrore  lungo  tempo  :  ed 
in  vero  mi  teme  ancora.  Sì,  gli  dissi  :  ma  che  cuore 
dev'  essere  quello  di  un  uomo  che  sa  d'  essere  odiato 
in  segreto,  che  le  carezze  che  riceve  muovono  da 
paura  ;  e  può  pensare  che,  dove  il  suo  orecchio  non 
arriva,  ivi  è  deriso  e  tradito  !  So  che  è  nostro  ^prin- 
cipio il  far  paura.  Ma  chi  non  ha  che  il  furore  delle 
parole,  chi  non  ha  eserciti,  chi  non  ha  artiglierie^ 
chi  non  ha  oro,  finisce  eh'  egli  è  deserto  da  tutti. 
II  potente  trova  dei  vili,  per  le  speranze  e  i  timori 
che  sa  incutere  ;  ma  l' impotente  non  trova  cortigiani 
che  vogliano  tremare  o  mostrar  di  tremare,  per  dargli 
piacere.  Foscolo  tacque  un  poco  ;  e  poi  soggiunse  : 
La  donna  ama  chi  teme.  Ella  cerca  nel  nostro  sesso 
la  forza,  e  voi  trovarla  a  costo  anche  di  dolori  e 
di  rovina  per  essa.  E  argomentò  a  lungo  su  ciò. 
Ma  ad  ogni  modo  Sofia  lo  abbandonò  quando  egli 
cominciava  a  infermare,  ed  era  povero  e  destituto. 
Egli  che  aveva  voluto  tutti  spaventare,  morì  abbando- 
nato. Non  osarono  affrontarlo  vivo,  ma  gli  volser 
le  spalle  ;  ed  alzano  ancora  la  voce  a  maledirne  le 
ceneri.  Era  un  uomo  di  fantasia  e  d' ingegno,  ma 
di  nessuna  virtù  d'  animo.  Non  seppe  ire  cogli  altri, 
e  gli  altri  andarono  senza  lui  :  il  suo  sapere  era  già 
antiquato.    Volendo    sottomettere   gli    altri    alle    sue 


56  GIOVI T A    SCALVIMI 

stravaganze,  dolendosi  di  tutti,  non  fece  in  fine  che 
danno  a  se  stesso.  Non  so  quan;to  sìa  vero  quel 
eh'  egli  disse  del  tenere  le  donne  col  terrore,  né  mi 
curo  sapere  se  è  vero. 

Gli  animi  alti,  le  virtìi  severe  danno  poco  nel 
talento  delle  donne.  Vi  è  non  so  che  di  misterioso 
nel  cuor  loro,  che  fa  eh'  elle  preferiscano  i  tristi 
ai  buoni,  quelle  che  le  pigliano  a  giuoco,  a  quelli 
che  le  pongono  sugli  altari.  Come  deboli,  amano  la 
forza;  e  quesf  è  bene;  ma  pigliano  la  tristizia  per 
forza.  Esse  dicono  che  sono  come  la  Provvidenza, 
che  si  compiace  più  d' un  traviato  che  si  ravvia,  «  che 
di  novantanove  altri  perfetti  ».  Ed  esse  amano  fare 
de'  miracoli,  operare  delle  conversioni  :  ma  altri  dice 
che  si  dilettano  de'  tristi,  perchè  promettono  di 
ridurle  per  la  più  corta  al  fine  de'  loro  segreti  desi- 
derii.  Non  parlo  delle  fanciullette,  di  que'  fiori  mo- 
desti e  romiti  ;  ma  di  fiori  dischiusi,  e  schierati  lungo 
i  viali  ^de'  giardini. 

Certe  donne  si  godono  in  pensare  che  la  loro 
bellezza  è  simile  al  corno  di  Astolfo,  che  fa  cadere 
gli  orribili  giganti. 


SCRITTORI 

Giudizi  e  notizie 

Da  Camillo  Ugoni  a  pranzo  ci  andava  mal  volen- 
tieri ;  e  adesso  ho  gusto  di  esserci  andato.  Vi  era 
un  Acerbi,  che  ha  stampati  certi  suoi  viaggi,  che 
fu  amico  del  Klopstok,  il  quale  si  affezionava  sola- 
mente a  chi  o  traduceva  in  altra  lingua  i  suoi  versi, 
o  ne   metteva    in   musica,    oppure    dipingeva   o  inci- 


SCRITTI   VARII  57 

deva  soggetti  tratti  dal  suo  poema.  Acerbi  comperò 
la  sua  amicizia  colla  moneta  della  musica. 

Il  signor  Arici  ha  già  interamente  tradotta  la 
Georglca;  e  dobbiamo  consolarci,  che  in  questa  fa- 
tica avrà  avuto  minor  campo  di  esercitare  quella 
sua  naturalissima  propensione  a  far  suo  V  altrui, 
eh'  egli,  evangelizzando,  chiama  amor  di  adozione. 
E  chi  ignora  quanto  ultimamente  egli  abbia  perfe- 
zionata questa  sua  carità  adottiva  ?  O  beato  gregge 
degli  addottrinati,  a  cui  V  onesto  e  il  disonesto,  e 
tutto  quanto,  è  concesso  !  Il  loro  merito  nelle  lettere 
ben  a  ragione  deve  far  dimenticare  in  loro  ogni 
altra  ruga  dell'  anima  ;  e  deve  essere  un  mantello 
col  quale  tutto  vistire.  Ed  oh  nuovo  miracolo  de' 
dotti  !  Coprire  col  giubboncello  del  giovanetto  Aci 
V  ampia  campagna  delle  spalle  di  Polifemo. 

Questa  mattina  è  stato  a  trovarmi  l'Arici,  del  quale 
io  non  aveva  ancora  cercato,  non  sapendo  qual  fosse 
l' animo  suo  verso  di  me,  dopo  quella  mia  critica 
del  suo  poema.  Ma  egli  fu  oortesissimo.  Ho  saputo  da 
lui  che  il  Nicolini  è  stato  eletto  professore  di  storia 
nel  Liceo  di  Verona  ;  per  lo  che  l'Arici  vorrebbe  eh'  io 
concorressi  alla  cattedra  di  Rettorica  che  rimarrà 
vacante  qui  in  Brescia.  Ma  io  noi  farò,  quand'  io 
sappia  per  mezzo  vostro  che  il  marchese  Trivulzio 
tiene  ancora  lo  stesso  pensiero  intorno  a  me.  Quel 
carico  di  Bibliotecario  presso  un  così  ottimo  e  dotto 
signore  mi  sta  dinanzi  con  troppo  grandi  lusinghe. 

Ho  letto  questa  mattina  il  panegirico  di  Pietro 
Giordani  a  Napoleone.  Lo  stile  è  veramente  italia- 
no, elevatissime  sono  le  immagini  ;  ma  due  difetti 
mi  spiacciono  :  l' uno  si  è  il  voler  fare  eccellere  su 


58  GIOVITA    SCALVINI 

tutti  gli  altri  Napoleone,  non  per  le  virtù  dì  cui 
egli  ha  saputo  ornarsi  col  forzare  la  sua  volontà  ad 
operare  il  giusto,  ma  il  costituirlo  virtuoso  perchè 
la  natura  lo  ha  di  tali  fibre  organizzato  che  non  può 
non  sentire  che  il  retto,  cosicché  il  panegirico  non 
è  a  Napoleone,  ma  alla  natura.  Il  secondo  difetto  io 
Io  significo  paragonando  quest'orazione  ad  un  ma- 
gnifico tempio,  ma  costituito  in  modo  che  si  pa- 
lesano agli  sguardi  dello  spettatore  e  le  travi  tut- 
te, e  i  ferrei  puntelli  che  Io  sostengono.  Vo  per 
altro  pensando  tra  me,  che  se  Napoleone  fosse  il 
sommo  fra  i  mortali,  non  avrebbe  bisogno  di  elogi  ; 
le  nazioni  direbbero  :  —  E  chi  havvi  fra  noi  che  di 
quel  giustissimo  non  conosca  ogni  giorno  le  celesti 
virtù  ?  Noi  tutti  le  portiamo  nel  nostro  cuore,  non 
havvi  alcuno  che  riconoscente  non  sia  della  felicità 
che  ci  dona.  —  Sarebbe  dunque  ridicolo  l'oratore 
che  scrivesse  il  panegirico  del  sommo  fra  i  mortali, 
come  sono  quei  poeti  che  han  detto  lucente  il  sole. 
Non  eh'  io  non  ammetta  virtù  in  Napoleone  :  mi 
è  pur  d' uopo  conoscere  che  alla  sua  scienza  politica 
unisce  anche  qualche  virtù  :  V  trias  etiam  in  ho  si  e 
delectat. 

Il  Giordani  col  berretto  da  notte  a  mezza  notte 
viene  da  Labus  a  domandare  i  Fioretti  di  S.  Fran- 
cesco, 

Andavo  jeri  dopo  pranzo  passeggiando,  e  senza 
accorgermi  avevo  preso  la  via  di  S.  Pietro,  quando 
veggo  Ugo  Foscolo  seduto  vicino  alla  porta  del 
convento  de'  Padri  Riformati,  il  quale  parlava  con 
un  pezzente.  Mi  fermai  lungo  tempo  a  ragionare 
seco,  che  per  fortuna  l'ho  ritrovato  di  buon  umore. 
Faceva  molte  domande  a  quel  povero  uomo,  e  gli 
ha  donato  una  moneta  d'  argento. 


SCRITTI   VARII  59 

II  Foscolo  è  ancora  a  Brescia,  ed  io  Io  conosco, 
ma  della  sua  traduzione  del  divino  Omero  non  so 
nulla.  Egli  è  un  grand'  uomo  ;  ma  sarebbe  stato  me- 
glio che  avesse  tradotto  i  Paralipomeni  di  Quinto 
Smirneo. 

(Al  Foscolo)  ho  letto  il  vostro  Sterne,  ed  ho  tro- 
vato un  libro  nuovo,  malgrado  le  più  volte  che  io 
aveva  letto  questo  autore  nella  versione  francese. 
Sarà  il  mio  libro  dell'  imminente  autunno,  quando 
coli'  anima  riposata  passeggerò  le  mie  colline.  — 
Perdonate  se  io  vi  trattengo  parlandovi  di  me  ;  ma 
chi  porta  la  mia  memoria  a  voi  se  non  io  ?  Di  voi 
parla  l' intera  Europa. 

Ho  ascoltato  attentamente  la  Ricciarda  del  Fosco- 
lo ;  e  m' intesi  più  volte  scorrere  sotto  la  pelle  il 
ribrezzo  del  terrore.  Essa  non  dev'  essere  una  tra- 
gedia storica,  ma  di  nuda  invenzione,  perchè  pare 
che  l' autore  abbia  cercato  di  raccogliere  in  essa  i 
luoghi  topici  del  terrore.  Pare  in  certa  guisa  abboz- 
zata sul  Don  Garzia,  e  che  abbia  tolta  qualche  si- 
tuazione anche  dal  Filippo:  come  quella  di  aver 
il  padre  prima  alla  figlia  concesso  lo  sposo,  e  poi 
tolto.  Ho  eccitato  Camillo  a  scrivere  di  ciò  al  Fo- 
scolo per  sentir  che  ne  dice  quell'  indocile  ingegno. 
Ma  checche  ne  dica,  egli  non  ha  ingegno  atto  alla  tra- 
gedia. I  versi  del  signor  Foscolo  vengono  diretta- 
mente dalla  testa,  eh'  egli  ha  calda  ;  chiaro  vi  si 
scorge  Io  studio,  e  vedevisi  palesemente  V  arte.  Spes- 
so cade  nell'  errore  di  fare  il  ritratto  di  sé,  volendo 
fare  quello  de'  suoi  attori.  L' arte  del  dialogo,  qui 
non  la  trovi  neppure  per  ombra.  Gli  attori  di  rado 
s' incalzano,  fortemente  e  poeticamente  e  passionata- 
mente  ragionando  ;  sono  il   più  delle  volte  due  ar- 


60  OIOVITA    SCALVINI 

rabbiati,  che,  come  Menalca  e  Dameda,  sembrano 
gareggiare  a  chi  dirà  migliori  versi.  Ma  dappertutto 
senti  l'opera  della  testa,  e  vedi  sempre  la  testa  che 
va  rintracciando  quel  che  parlerebbe  il  cuore  pas- 
sionato. — 

Il  signor  Foscolo  è  dotato  di  molto  ingegno,  ma 
non  ha  un  ingegno  propriamente  inventore.  Egli 
ha  molto  buon  gusto,  e  alto  studio  de'  migliori  ;  quin- 
di si  sostenta,  e  modella  le  proprie  su  le  bellezze 
degli  altri.  Ha  osservato  quel  che  più  in  altri  piace  ; 
e  se  ne  vale  spesso  in  diverse  guise.  In  tutto  che  di 
esso  leggerai,  vedrai  sempre  un'  acre  ostinazione  di 
voler  far  bene,  malgrado  ancora  un  ingegno  che  non 
sempre  spontaneo  s'  arrende  ;  e  vi  riesce  a  forza  di 
fare  e  disfare,  e  connettere  e  sconnettere,  perchè  egli 
ha  buon  gusto  e  alto  studio.  Vanta  spesso  il  cuore  ; 
ma,  senza  avvedersi,  scambia  spesso  il  caldo  della  sua 
testa  con  quello  del  suo  cuore.  Avidissimo  di  fama, 
egli  non  è  né  adulatore  né  servo,  perché  si  è  accorto 
che  il  mondo  onora  chi  tale  non  è.  Si  adira  spesso 
e  grida,  perchè  ha  veduto  che  gli  uomini  si  con- 
tengono col  timore.  Tutti  i  suoi  gravi  movimenti,  il 
suo  sogguardare,  il  suo  silenzio,  vengono  dalla  sua 
testa  calcolatrice  degli  effetti  di  tutte  queste  ciarla- 
tanerie. La  spontaneità  insomma  non  la  trovi  in  al- 
cuno dei  suoi  scritti,  quella  spontaneità  che  il  Vol- 
taire ha  iposseduta  in  un  grado  eminente. 

L' ingegno  del  signor  Foscolo  si  può  paragonare  ai 
raspi  che  danno  ancora  del  sugo  violentemente  pi- 
giati. Il  vero  ingegno  è  come  i  grappoli,  che,  punti 
appena,  gemono  il  liquore  soavissimo. 

(Delle  «  Grazie  »).  I  versi  del  Foscolo  sono  pochi 
e  scuciti  ;  però  non  credo  che  sieno  da  offrire  al 
pubblico   con   corredo  di    erudizione. 


SCRITTI   VARI!  61 

...  Che  se  per  ventura  il  signor  Foscolo  torni 
a  dormire  nel  bello  ovile  (voi  intendete),  e  adempia 
egli  il  comune  desiderio  meglio  che  noi  ora  non  pos- 
siamo, e  se  ne  dia  anche  compiuti  cotesti  Inni  alle 
Grazie,  io  penso  che  la  vostra  stampa  de'  presenti 
squarci  non  tornerà  perciò  affatto  inutile.  Anzi  par- 
mi  che  gioverà  ad  apprendere  a  chiunque  vorrà  con- 
siderare i  mutamenti  fattivi,  come  la  bontà  dell'  in- 
telletto trovi  prontissime  le  prime  forme  dell'  im- 
magini, e  quelle  con  lungo  studio  accordi  poscia  al- 
l' intenzione  dell'  arte,  e  faccia  perfette,  sdegnosa  di 
stare  contenta  a  quei  facili  dettati  che  soddisfareb- 
bero gli  ingegni  mezzani.  E  gli  studiosi  indagando 
le  ragioni  di  que'  mutamenti,  troveranno  forse  di 
per  sé  stessi  alcune  norme  che  li  guidino  a  migliorare 
gli  scritti  loro. 

Il  Monti  mi  è  venuto  incontro  stringendomi  la 
mano  con  un  lieto  sorriso.  Non  è  forse  una  vanità 
quel  fanatico  desiderio  di  vedere  gli  uomini  sommi  ? 
Sa'  tu  eh'  io  per  vedere  l'Alfieri,  mi  sarei  contentato 
di  rimanere  poi  in  una  prigione  per  un  lungo  mese  ? 
Mi  rodo  a  pensare  eh'  io  sono  così  lontano  da  questi 
sommi  uomini.  Ma  penso  in  fine  :  cosa  sono  anche 
questi  uomini  sommi  al  confronto  dell'immensa  scien- 
za della  natura? 

Chi  legge  le  opere  del  Monti,  non  si  aspetta  quella 
fisotiomia.  Chi  legge  Ortis,  si  aspetta  un  Foscolo. 
—  Qual  differenza  tra  Foscolo  e  Monti  !  Foscolo  mi 
sembra  abitato  da  uno  di  que'  Dei  che  i  Germani  sen- 
tono passare  nelle  foreste  ;  Foscolo  per  me  è  un 
mistero.  E  noi  non  diventeremo  mai  da  nulla  ?  Que- 
sto pensiero  mi  morde  il  cuore.  Io  sono  ambizioso,  e 
non  vorrei  chiudere  nella  tomba  il  mio  nome.  Se 
talora   m' accorsi   di   avere   scritti   degli   errori,   dico 


62  OIOVITA    SCALVINI 

fra   me  :    forse   questi    susciteranno   qualche   disputa, 
ed  io  intanto  sarò  sul  labbro  d' alcuni. 

Mi  ricordo  la  sera  avanti  ch'io  dovea  andare  da 
Vincenzo  Monti.  —  Io  era  afflitto,  afflittissimo,  per- 
chè mio  padre,  mia  madre  e  mio  fratello  prete  mi 
predicavano  che  non  aveva  calzoni  buoni  per  pre- 
sentarmi. Credete  voi,  risposi,  che  il  poeta  del  secolo 
giudicherà  di  me  da'  calzoni  ?  Ch'  io  non  debba  ve- 
dere Vincenzo  Monti  per  causa  de'  calzoni  ?  —  Alla 
fine  vi  andai  con  un  pajo  di  mio  padre,  che,  a  dire 
il    vero,    non    erano    ne' anco    quelli    de'  più    buoni. 

Il  Monti  dice  :  A  questi  semi-letteratucci,  che  inso- 
lentiscono contro  le  opere  de'  grandi  uomini,  con- 
vien  rendere  la  pariglia  con  un  buon  bastone.  Se 
un  cane  mi  viene  a  pisciare  vicino,  io  ho  diritto  di 
dargli  un  calcio  o  una  bastonata.  —  Gli  uomini  gran- 
di, soggiungeva  il  Monti,  debbono  render  ragioni, 
non  venire  colla  spada  alla  mano.  —  Mentre  così 
diceva,  senza  avvedersi,  condannava  sé  stesso.  Che 
non  ha  egli  detto  di  quel  povero  De  Coureil,  nella 
nota  al  Cavallo  alato  d'ArsinoeP  Gli  antichi,  certo, 
non  fecero  mostra  mai  di  tanto  fiele. 

Monti  si  stava  radendo  la  barba.  —  Fruga  nella 
mia  tasca,  disse,  e  troverai  una  lettera  del  Principe 
di  Carignano.  Vedi  che  mi  scrive  egli.  —  Io  la  trassi, 
e  andando  verso  lui,  —  Vedi,  diss'  egli  volgendosi, 
tutta  di  suo  pugno!  —  Io  lessi.  —  Hai  badato,  dis- 
s'  egli,  volgendosi  un'  altra  volta,  a  quella  parola  ve- 
nerazione? Voi  non  avete  bisogno,  diss' io,  delle  lodi 
di  principi,  né  ve  ne  dovete  compiacere.  — 

Monti  è  ito  in  fretta  a  Fusignano  per  salvare  il 
suo  avere  dalle  brame  di  un  nipote  a  cui  lo  aveva 


SCRITTI   VARII  63 

affidato.   Egli  ha  il   carico   di   scrivere  una  Cantata 
per  la  venuta  dell'  imperatore. 

Io  sono  per  natura  così  lontano  dall'  adulare  (e 
voi  lo  sapete),  che  mi  fa  maraviglia  come  possiate 
dubitare,  eh'  io  possa  ora  cambiare  la  mia  natura 
per  farmi  piaggiatore  del  marchese  Trivulzio.  Lo- 
derò come  merita  quel  libretto,  ma  nulla  più.  Le  cose 
che  ho  dette  in  prò  del  Monti  nell'  articolo  intorno  al 
Mancini,  erano  dettate  dalla  coscienza,  non  dalla 
amicizia.  E  le  avrei  forse  dette  ancorché  fossi  stato 
suo  nemico  :  dico  forse,  perchè  veggo  che  le  ruggini 
dell'  animo  fanno  gli  uomini  non  di  raro  ciechi  an- 
che al  merito. 

(  ?)  Egli  era  comandato,  egli  era  forzato  a  far 
ciò.  —  Chi  può  forzare  ad  operare  contro  la  propria 
coscienza  ? 

L'abate  Mai  inviando  il  suo  Eusebio  al  signor...  gli 
ha  scritto  egli  solo  nascosamente  dallo  Zorhab,  quasi 
fosse  egli  solo  l' editore.  Quegli,  che  non  lesse, 
com'è  naturale,  la  dedica,  inviò  in  dono  una  tabac- 
chiera al  Mai  con  lettera  a  lui  solo  diretta.  Lo  Zorhab 
mostrò  che  ad  esso  spettava  la  metà  del  dono  ;  e  il 
Mai  non  potè  negarlo.  Ma  dovendo  quello  recare 
la  tabacchiera  a  casa  Litta  per  mostrarla,  il  Mai 
ne  volle  ricevuta  formale.  Lo  Zorhab  quando  fu  a 
restituirla  al  Mai,  volle  anch'  esso  ricevuta  formale 
quanto  alla  sua  metà  ;  e  il  Mai  la  negò.  Sono  in  gran 
dissensione,  né  so  come  si  disbrigherà  la  faccenda. 
È  cosa  comica  a  vedere  la  scrittura  che  fecero  quan- 
do convennero  di  stampare  insieme  questo  libro  : 
dove  si  parlava  ancora  in  qual  luogo  si  dovesse 
porre  il  nome  dello  Zorhab,  e  dove  quello  del  Mai, 
e  qual    prima    e  qual    dòpo.    Certo    il    Mai,    indotto 


64  GIOVITA    SCALVINI 

della  lingua  armena,  nulla  avrebbe  potuto  fare  senza 
lo  Zorhab. 


Il  signor  Renonard,  registrato  nel  suo  catalogo  il 
libro  di  Longo  sofista,  ritocca  la  vieta  questione 
dello  scorbio  fatto  dal  signor  Courier  al  manoscritto 
della  Laurenziana.  Dove,  fra  T  altre  cose,  dice  che 
gV  Italiani  s' indispettirono  allora  contro  il  Courier 
per  avversione  che  avevano  al  governo  francese  ; 
quasi  che  non  fosse  quotidiana  la  petulanza  de'  Fran- 
cesi in  Italia,  e  non  avesse  già  le  mille  volte,  prima 
di    quel    fatto,    offerta    opportunità    di    risentimento. 

Il  signor  Furia  avrebbe  certamente  dovuto  tacere, 
e  crescere  di  quel  fatto  il  novero  delle  cortesie  per 
consuetudine  usate  da'  Francesi  agP  Italiani.  Ognuno 
tenne  per  fermo  che  il  Courier  non  avesse  a  bella 
posta  scarabocchiato  quel  luogo.  La  qual  opinione  era 
già  prima  tenuta  da  coloro  che  sanno  non  essere 
esso  Courier  affatto  sperimentato  nelle  cautele  che 
voglionsi  adoperare  svolgendo  e  trascrivendo  gli  an- 
tichi manoscritti  ;  e  tutti  furono  contenti  di  ringra- 
ziare il  cielo  che  tanti  preziosi  codici  in  ogni  tempo 
dagr  Italiani  scritti  e  ordinati,  fossero  caduti  in  mani 
più  esperte  che  non  sarebbero  state  quelle  di  filo- 
logi uguali  al  Courier. 

GV  Italiani  poi  si  confortarono  interamente  della 
perdita  di  quel  Codice,  quando  sorse  tra  loro  chi 
operò  affatto  contrariamente  al  Courier  ;  il  quale 
le  anteriori  scritture  trascuratamente  cancellò,  mentre 
il  nostro  (vogliam  dire  V  abate  Mai),  le  già  cancel- 
late ripose  in  essere,  e  al  desiderio  dei  dotti  re- 
stituì. 

—  Taluno  è,  mio  carissimo,  che  ha  tutti  e  due 
gli  occhi  spenti  nel   capo,  e  le  occhiaje  vote,  che  è 


SCRITTI   VARII  65 

più  cieco  di  una  cavalla  da  vetturale  ;  eppure  ditegli 
soltanto  guercio,  che  lo  vedrete  incollerire,  e  dare 
nelle  furie,  come  se  aveste  detto  leccardo  al  Battista 
che  imangiava  grilli  e  cavallette.  Tal  altro  appena 
può  ire  innanzi  penzolone  dalle  grucce,  che  per  lui 
le  gambe  sono  come  se  le  avesse  in  tasca  :  (ma 
provatevi  a  dirgli  «  tu  zoppichi,  »  che  tosto,  dovesse 
anche  stramazzare  su  la  via,  alza  V  una  di  quelle 
grucce,  e  ve  la  dà  a  traverso  per  azzoppare  anche 
voi. 

Il  lazzo  sorbo  non  mette  il  fico.  È  s'  egli  ha  manco 
ingegno  d' una  capra,  non  è  sua  colpa.  Ma  che  costui 
essendo  piìi  cieco  d'  una  cavalla  da  vetturale,  giuri  nel 
nome  del  Signore,  e  ne  dia  poscia  prova  dicendo 
tondo  al  quadro,  e  pozzo  al  campanile,  non  sappiam 
tollerarlo. 

Simile  a  un  vulcano  partoriente,  manda  fiamme, 
sassi  infocati  e  fetida  lava  ;  guai  a  chi  tocca  una 
sassata,  guai  a  chi  non  è  presto  a  turarsi  il  naso  : 
il  malanno  gli  entra  per  le  narici. 

...  Apparecchia  i  panioni  e  la  civetta,  mio  buon 
amico,  che  il  nostro  poeta  si  è  come  augellino 

per  riverenza  ascoso 
Nel  boschetto  odorifero  e  frondoso, 
Il    più   vicino   al    mormorante   rio. 

E  se  tu  lo  saprai  ben  bene  uccellare  con  quel 
tuo  fischio  che  chiama  le  capinere  lontane  le  mille 
miglia,  quand'  egli  ti  fa  dal  boschetto  capolino,  sarà 
finita  questa  commedia,  che  certo  t'  avrà  cominciato 
a  nojare:  e  mentre  tu  lo  inviti,  e  la  tua  civetta  lo 
inchina,  io  mi  starò  ascoltando  il  suo  canto. 


66  OIOVITA    SCALVINI 

...  Ora  si  paragona  a  una  mula,  ora  a  una  formica, 
ora  a  una  gazza,  ora  alle  anime  del  Purgatorio.  —  E 
ci  raccomanda  di  rileggere  la  sua  prefazione,  e  noi 
gli  diciamo  che  ci  scusi,  ma  che  non  ne  abbiamo  vera- 
mente la  voglia  ;  che  rispettiamo  sua  madre  e  la  sua 
Amarillide    e  la   sua   sirocchia. 

...  Spropositi  nelle  parole,  ne^  pensieri  ;  spropo- 
siti nella  sintassi,  spropositi  nell'ortografia!...  Voi 
mi  ricordate  quella  casa  descritta  dal  Forteguerri, 
dove  tutti  gli  oggetti  erano  diavoli.  —  Demoni  i 
topi,    demonio    la    gatta. 

...  Noi,  a  volergli  dare  un  libero  consiglio,  eh'  e- 
gli  troverà  forse  maligno,  ma  che  ci  detta  l' animo 
sincero  e  caritatevole,  noi  lo  preghiamo  a  cessare 
dal  voler  essere  letterato,  a  godersi  nelle  delizie 
di  quella  sua  villetta,  che  ha  sulla  collina  alle  spalle 
di  Genova,  gli  ultimi  giorni  di  una  vita  che  ormai 
declina  a  vecchiezza.  Ivi  raccolga  gli  amici,  giuochi 
al  bigliardò  ;  negli  animosi  estri,  intorno  al  fuoco 
V  inverno  e  alla  fresca  ombra  la  state,  canti,  o  faccia 
alP  altalena,  o  si  lasci  scivolare  le  cinquanta  volte 
dalle  montagne  russe. 

...  Quelle  diciott'  ore  al  giorno  che  dona  allo  stu- 
dio, in  atto  piti  degno  spendendole,  quante  staja  di 
frumento  avrebbe  potute  seminare  in  un  anno,  e  quan- 
te raccoglierne,  e  di  quanto  maggiore  utile  essere 
a  sé  ed  a'  suoi  cittadini  ?  Né  questa  dimanda  la  ti 
faccio  per  ischerzo  od  imbizzarrimento,  ma  con  tutto 
il  candore,  e  per  soddisfare  a  quel  debito  universale 
che  si  contrae,  volendo  godere  dei  vantaggi  della 
società,  di  procurarle  il  maggior  vantaggio  possi- 
bile. 


SCRITTI   VARII  67 

—  La  vostra  risposta,  cavalier  Giusti,  alle  mie  os- 
servazioni, mi  è  venuta  graditissima  ;  però  eh'  io  in- 
cominciavo a  temere  che  voi  voleste  abbandonare  al 
silenzio  e  alla  dimenticanza,  siccome  non  d'  altro  me- 
ritevole, uno  scritto  che  può  parere  dettato  con  ani- 
mo malevolo.  E  allora  il  mio  avvilimento  sarebbe 
stato  troppo.  Ma  io  non  desideravo  la  vostra  ri- 
sposta, perchè  per  essa  avrebbero  acquistato  rilievo 
le  mie  osservazioni,  e  sarebbono  apparse  non  degne 
di  trascuranza,  ma  perchè  mi  stava  fitto  nell'  animo 
il  bisogno  di  ridirmi  verso  di  voi  di  alcuni  modi 
oltraggiosi  che  indecentemente  in  esse  ho  adoperato. 
Né  forse,  persistendo  voi.  Cavaliere,  nel  vostro  si- 
lenzio, io  ci  sarei  mai  venuto,  temendo  non  fosse 
trovato  dell'  affettato  eh'  io  volessi  ricredermi  di  un 
oltraggio  di  cui  niuno  con  magnanimità  aveva  voluto 
mostrarsi  offeso,  e  del  quale  mi  trovavo  già  abba- 
stanza punito  coir  essere  trascurato.  Ma  voi  avete 
risposto  ;  e  così  m'  avete  dato  campo  a  sdebitarmi  ; 
e  avete  risposto  con  modi  non  manco  oltraggiosi 
de'  miei;  per  lo  che  quand' io  mi  sarò  sdebitato, 
il  dolore  che  doveva  rimanere  nella  mia  anima,  te- 
nendo voi  il  silenzio,  verrà  forse  nella  vostra.  — 
Ho  poca  stima  de'  vostri  meriti  letterari,  ma  non 
sono  questi  che  più  onorino  l' uomo  ;  che  l' onestà 
sovrasta  alla  dottrina.  È  vero  eh'  io  non  vi  conosco, 
e  della  vostra  onestà  non  saprei  che  mi  dire  :  ma  io 
non  sono  qui  per  fare  il  vostro  panegirico,  ma  per 
protestare   il   mio   errore. 

E  un  oltraggio  gratuitamente  fatto,  fosse  anche 
al  più  malandato  degli  uomini,  non  ischermerebbe 
per  ciò  di  gravità  ;  e  l' oltraggiante  sarebbe  ad  ogni 
modo  tenuto  a  domandare  di  esserne  perdonato.  — 
Io  scrissi  quelle  osservazioni  negli  ozii  della  villa, 
spensierato  di  ciò  che  ne  dovesse  avvenire  :  ed  es- 


.68  GIOVI  TA    se  AL  VINI 

sendo  io  sempre  stato  tale  che  non  ho  mai  fatto  gran 
conto  del  merito  letterario,  mi  pensavo  non  fosse 
grande  offesa  il  sospettare  che  in  altri  fosse,  e  scri- 
veva per  alleviare  V  animo,  come  la  fantasia  sugge- 
riva. 

Ma  poiché  venni  a  Milano,  e  vidi  come  molte  per- 
sone di  altro  non  si  sostentano,  altra  gloria  non 
hanno,  altra  aura,  a  camminare  baldanzosi  nel  cam- 
mino della  vita,  che  un  poco  di  lettere  ;  e  che  un 
poco  di  reputazione  che  hanno  fra  poche  persone 
forma  la  gloria  grande  e  la  consolazione  unica  della 
loro  vita  ;  mi  pensai  allora  che  è  troppo  grande  cru- 
deltà, e  che  è  proprio  un  sotterrare  vivo  un  uomo, 
tentando  vituperarlo  nel  merito  letterario,  e  mi  pentii 
nel  mio  cuore  dei  vituperii  fatti  a  voi.  E  poiché  vidi 
qual  maniera  di  letterati  sia  quella  che  si  volge  agli 
altrui  strazii,  sentii  allora  schifo  di  me  medesimo, 
vedendo  ch'io  pure  meritava  di  andare  a  fascio  con 
essi.  E  i  modi  eh'  essi  sogliono  usare  mi  fecero  pen- 
tire de'  miei,  e  la  loro  sfrenatezza  mi  chiamò  alla 
moderazione  ;  in  quella  guisa  che  i  libri  rilasciati 
valgono  spesso  a  volgere  gli  animi  gentili  alla  virtù  ; 
perché    veggono    allora   tutta   la   turpezza   del   vizio. 

La  giovanile  baldanza  mi  ha  condotto  a  usare  con 
voi  di  una  albagia  che  è  propria  dell'  ignoranza  ;  e 
tanto  più  può  vedersi  nel  mio  scritto  un  animo 
maligno,  che  quel  vostro  discorso,  di  cui  niuno  faceva 
caso,  non  meritava  eh'  io  vi  spendessi  intorno  tante 
parole. 

Le  guerre  letterarie  si  vanno  perpetuando  in  Ita- 
lia ;  i  letterati  non  la  cedono  mai.  Ma  io  non  sono 
letterato  ;  non  aspiro  che  ad  essere  un  uomo  onesto  ; 
e  a  me  è  concesso  di  ricredermi.  Io  domando  perdono 
a  voi  di  tutto  ciò  che  ho  detto  con  sarcasmo  e  con 
amarezza.  Quanto  alle  mie  opinioni  letterarie,  riman- 


SCRITTI   VARII  69 

gono  quali  erano  prima.  Di  una  sola  ho  dubbio.  Io 
non  faccio  gran  conto  del  vostro  merito  letterario  ; 
ma  questo  non  doveva  darmi  diritto  di  essere  villano  ; 
che  vi  sono  tanti  uomini  nudi  affatto  di  lettere  e  assai 
più  onorandi  di  tanti  che  sono  gonfi  di  sapere.  Se 
voi  verrete  a  Milano,  mi  pregierò  di  venirvi  dinanzi  in 
atto  di  umiltà,  e  di  impetrare  da  voi  il  perdono  del 
mio  torto  ;  e  voi  sarete  tanto  generoso  da  conceder- 
melo. Bisognerebbe  che  fosse  ben  vile  e  perduto 
un  uomo  che,  dòpo  aver  offeso  altrui  senza  esserne 
offeso,  non  venisse  a  pentimento.  Non  vi  dirò  qui  il 
mio  nome  che  è  oscuro,  e  che  non  è  mai  uscito  per 
le  stampe.  Ma  la  mia  casa  è  in  P.  N.  al  No...  Voi  ivi 
potrete  trovarmi,  o  farmi  sapere  dove  io  possa  tro- 
varvi. 

Credo  che  non  vi  offenderete  se  io  ho  usato  il 
voi.  Voi  dovete  avere  V  anima  alquanto  piìi  nobile 
de'  nostri  gazzettieri,  i  quali  mutano  il  voi  nell'  ella 
delle  lettere  che  ricevono. 

Ma  i  sensi  e'  ho  espressi  in  questa  mia  lettera 
v'  avranno  fatto  conoscere  ciò  non  essere  per  manco 
di  stima.  Avrei  potuto  inviarla  a  voi  privatamente  ; 
ma  poiché  io  v'  ho  offeso  in  pubblico,  e  voi  pubblica- 
mente avete  dette  le  vostre  ragioni,  doveva  essere 
altresì  pubblica  la  mia  ammenda,  perchè  molti  avreb- 
bero potuto  sosipettare  eh'  io  avessi  dissimulato  la 
vostra  difesa,  e,  com'è  usanza,  fossi  rimaso  nel  mio 
parere,  e  risomi  segretamente  di  voi.  Né  credo  inu- 
tile un  esempio  di  moderazione  e  di  pentimento  an- 
che in  fatto  di  questioni  letterarie,  in  questo  tempo 
in  cui,  combattendosi  con  armi  che  non  distruj^gono 
V  inimico,  né  mai  dall'  una  parte  né  dall'  altra  ce\ 
dendosi  alla  ragione,  le  guerre  durano  implacabili 
e  scandalose. 


70  OIOVITA    SCALVINI 

Il  signor  Arrivabene  consigliere,  volendo  degna- 
mente rispondere  alla  gratitudine  dal  pubblico  dimo- 
strata verso  la  sua  parafrasi  al  Dante,  ha  divisato 
di  parafrasare  tutte  le  poesie  del  signor  cavalier 
Vincenzo  Monti,  come  quello  che  piìi  meritamente 
si  è  acquistato  il  titolo  d'i  Dante  ingentilito  :  e  può 
senz'  ombra  di  superbia  assicurare  i  dotti  e  gV  indotti, 
che  la  prosa  di  questa  nuova  parafrasi  non  cederà 
menomamente  né  in  nerbo  né  in  eleganza  né 
in  fluidità  a  quella  della  parafrasi  del  Ghibellino.  — 
Il  signor  Arrivabene  si  fa  pure  un  dovere  di  avvertire 
il  pubblico  che  la  nuova  sua  opera,  acciocché  non 
lasci  nulla  a  desiderare,  sarà  corredata  di  ampio  e 
utilissimo  commento  sopra  varie  parole  usate  dal 
signor  Monti  ;  lavoro  di  suo  fratello  autore  del 
Dizionario  domestico.  Questa  parafrasi  sarà  anch'  es- 
sa, come  V  altra,  dedicata  a  tre  persone  :  e  sebbene 
d' esse  noi  non  abbiamo  certa  contezza,  crediamo 
di  poter  dare  qualche  speranza  al  signor  Gianni  e 
al  signor  Foscolo  di   essere  due  del  numero  eletto. 

Poich'  ella  crede,  come  sento  dire,  eh'  io  mi  tengo 
da  qualche  cosa  nella  letteratura,  e  quindi  si  affac- 
cenda per  mostrarsi  altrui  un  povero  indotto,  io  mi 
prendo  la  seccatura  d'  avvertirla  eh'  in  tal  modo  ella 
cerca  balzarmi  da  un  posto  nel  quale  io  non  mi  sono 
trovato  mai,  né  ho  mai  creduto  di  trovarmici,  e  così 
bastona  il  vento.  —  So  che,  oltre  a  indotto,  ella  mi 
predica  pazzo  e  disprezzevole  ;  e  qui  mi  vien  mara- 
viglia, eh'  ella,  poeta  di  quella  vaglia  che  tutti  sanno, 
parafraste  di  Dante,  giudice  in  una  Corte  veneran- 
da, frequente  commensale  a  nobili  mense,  si  degnasse 
parlare  tanto  di  me,  né  poeta,  né  parafraste,  né  giu- 
dice, né  frequentatore  di  nobili  mense,  e  mettermi 
fra   i  molti,   eh'  ella   spesso   onora    delle   sue   maldi- 


SCRITTI   VARII  71 

cenze.  —  Che  mi  sono  io  meschino  da  meritarmi 
tanto  ?  So  eh'  ella  tragge  argomento  a  trovarmi  igno- 
rante e  da  nulla,  dal  non  aver  io  scritto  ancora  alcun 
libro  ;  ed'  io  pure  so,  forse  piti  eh'  ella  noi  sa,  di 
essere  ignorante  e  da  nulla  ;  ma  so  ancora,  più 
eh'  ella  non  mostra  di  saperlo,  che  non  si  diventa 
qualcosa  scrivendo  cattivi  libri.. 

Io  sono  afflittissimo  nel  piìi  profondo  dell'  animo 
per  un'  offesa  grande  che  ho  fatta  al  signor  Pezzi  ; 
perch'  io  scrivendogli  una  lettera,  gli  parlai,  anzi 
che  coli'  ella,  col  voi,  cioè  col  modo  con  cui  parlasi 
a  Principi,  a  Papi,  e  a  Dio,  senza  pensare  che  io 
parlava  ad  un  Gazzettiere.  E  il  Gazzettiere  leggen- 
do quella  lettera  è  entrato  in  una  matta  furia. 

Preghiamo  la  signoria  del  Gazzettiere  a  dirci  con 
che  parole  di  rispetto  dobbiamo  rivolgerci  alla  sua 
magnificaggine,  perchè  noi  sapremmo  ben  dargli  quei 
titoli  che  meritamente  gli  si  convengono,  ma  forse 
non  sarebbero  quelli  eh'  e'  desidera  ;  però  deside- 
reremmo che  egli  stesso  ce  ne  mandasse  una  lista 
per  servircene  all'  opportunità. 

Io  che  le  scrivo,  sono  un  miserabile  pedagogo, 
e  sento  anch'  io  una  certa  dissonanza  nelle  cose  del 
mondo,  e  ho  bisogno  anch'  io,  come  V.  G.,  di  dir  male 
d'  alcuno,  e  di  dirne  male  in  istampa.  Noi  dunque  ci 
attaccheremo.    Bacio    le    mani    a  Vostra    Gazzetteria. 

Oh  !  se  io  ti  dicessi  tutte  le  pazzie  della  mia 
mente  quando  mi  disposi  di  rimanere  a  Milano  !  Io 
mi  vedevo  già  aperte  le  case  di  molti  dotti  che 
sono  costà,  io  aspettavo  i  loro  consigli,  e  mi  pareva 
che  dalla  loro  bocca  fluisse  la  dottrina  e  la  sapienza. 

Ma  che  differenza  in  ogni  cosa  !  che  contegno  nei 


72  GIOVI  T  A    se  AL  VINI 

dotti  !  Che  diffidenza  !  E  i  loro  libri  mi  sembrano 
anche  assai  migliori  della  loro  conversazione,  sicché 
parmi  veramente  eh'  essi  non  appoggino  la  loro  fama 
che  ai  libri  che  dettano,  e  non  si  curino  di  fare  vir- 
tuosa la  loro  vita  e  graditi  i  lor  modi  a  chi  gli  ac- 
costa, ma  sì  di  empiere  di  virtù  e  di  moderazione 
e  di  liberalità  le  pagine  che  scrivono,  come  quelle 
che  viaggiano  dov'  essi  non  vanno,  a  far  testimo- 
nianza di  loro,  e  che  dovranno  durare  e  vivere  quanto 
una  pietra  posta  sul  loro  cadavere. 

Dei  grandi  non  ti  so  dir  nulla,  mio  caro  ;  appena 
ne  ho  vedtito  alcuno  dietro  dai  cristalli  delle  car- 
rozze, sdrajone  col  capo  appoggiato  ai  cuscini,  non 
so  se  dormente  o  cogitante.  —  Questi  dotti,  a  dirti  il 
vero,  mi  pare  che  stieno  troppo  attaccati  al  presente, 
troppo  al  loro  secolo,  alle  cose  che  avvengono  nel 
loro  paese. 

Vantiamo  amore  dell'  umanità,  e  siamo  più  inutili 
deir  artigiano.  Tentiamo  i  ventosi  guadi  della  fama 
non  per  altro  che  per  la  boria  d'  averli  varcati. 

Corriamo  dietro  alle  scienze  come  a  fantasmi  e 
a  sogni   d' infermo. 

...Ma  i  grandi  di  cui  l'arte  e  la  scienza  s'onora 
erano  tali  che  nella  loro  salita  da  cosa  nessuna 
si  lasciavano  impedire  ;  nec  revertebantar,  cam  am- 
bularent.  (Ezechiello,  Cap.  I.)  Noi  facciamo,  come 
sogliono  i  cani  che  vanno  al  passeggio  :  prima  di 
andare  innanzi  quattro  passi,  ne  han  fatti  quat- 
trocento. 

Ecco  una  moltitudine  d' insetti  nati  da  pochi  gior- 
ni, che  fra  pochi  altri  dovranno  morire,  e  di  cui 
tutto  l' insti  tu to  della  vita  è  di  rompere  con  monotono 
metro  il  silenzio  notturno. 


SCRÌTTI   VARII  73 

Gli  antiquari  vi  sanno  ben  dire  con  quali  dita  gli 
Areopagiti  mettevano  il  calcolo  nell'  urna. 

Credo  che  a  formare  degli  eruditi  possa  giugnere 
anche  la  chimica. 

Uomini  ridicolissimi,  balbettano  francese  e  tedesco 
pubblicamente  per  parere  gran  sapienti,  e  scrivono 
poi  la  propria  come  parlano  le  altre.  Un  francese 
si  fa  ben  intendere  parlando  con  essi  italiano,  ma 
e'  s'ostinano  a  voler  seco  parlar  francese,  perch' egli 
è  Francese. 

Fanno  le  oscure  congreghe  contro  gli  uomini  di 
grande  riputazione,  e  gli  s*  affannano  intorno  per  at- 
terrarli, come  fanciulli  che  colle  palette  da  focolare 
s' arrabattano  per  rovesciare  le  querele.  Vanno  pro- 
clamando i  difetti  de'  grandi  uomini,  e  perchè  niuno 
nota  i  loro  si  credono  di  non  n'  avere.  E  non  s'  avveg- 
gono che  l'ombra  non  è  veduta  se  non  dove  è  luce. 
Quanto  è  a  me,  voglio  piuttosto  venerare  gli  altri 
dalla  lunga,  ed  essere  ignorato  da  loro,  che  diventare 
V  amico  e  il   patrocinato  da   quegli   infimi. 

Alcuni  sudano  e  s'  affacchinano  per  diventare  risi- 
bili e  vituperevoli  ;  perdere  la  cara  pace  dell'  anima, 
e  logorarsi  in  istudii  a  cui  sono  inetti,  e  così  venire 
a  peggior  condizione  che  non  sono  le  jDCCore  e  le 
oche,  le  quali  sanno  pur  serbarsi  intatto  il  poco  senno 
che  basta  loro  a  compiere  le  loro  sorti.  Eglino  tra- 
vagliano della  febbre  della  superbia,  e  vogliono  es- 
sere letterati,  anziché  sposi,  padri,  cultori  di  campi, 
guardiani  di  mandre,  castaidi,  cuochi,  strigliatori  di 
cavalli  :  da  meno  dell'  uomo  eh'  abbia  tanta  facoltà 
di  ragione  da  sedersi  quando  sia  stanco,  e  prender 
l'ombrello  quando  piove. 


74  OIOVITA    SCALVINI 

È  da  rimproverare  agli  ingegni  potenti  di  non  aver 
saputo  tacere  co'  vili,  e  lasciar  fitti  nel  gran^  bujo 
che  gV  involve  d'  ogni  intorno,  coloro  a'  quali  è  pro- 
pria la  falsità  come  un  cattivo  stomaco  è  proprio 
all'uomo  di  scienza. 

Chi  risponde  alle  ingiurie  de'  vili  s' imbratta  ;  e 
il  silenzio  è  più  decorosa  risposta  a  siffatta  lordura. 

È  contro  dignità  l' adirarsi  agli  spregevoli.  —  E 
di  cotali  ingiuriatori  è  da  trarre  quello  spasso  che 
ci  pigliamo  ne'  teatri  a  vedere  que'  draghi  di  car- 
tone che  lanciano  dalle  gole  la  pece  accesa,  e  ne' 
divincolamenti  loro  finiscono  col  pigliar  fuoco  da 
sé,  e  abbruciare  e  consumarsi,  fra  le  allegrezze  degli 
spettatori,  di  quella  fiamma  stessa  con  che  volevano 
mettere  spavento  ad  altrui. 

Tersiti,  che  non  siete  ancora  stati  battuti  dalla 
forza  d'  Ulisse,  —  io  rido,  e  vi  guardo  con  quell'  oc- 
chio che  messer  lo  Dio  Giove  osserva  un  sorcio  che 
rode  una  montagna. 

Si  è  osservato  che  la  marmaglia  poetica  corre  tutta 
dietro  a  certe  figure  che  di  false  apparenze  ador- 
nano i  suoi  versi.  Così  al  nostro  poeta  va  a  sangue 
il  poter  dire  :  il  padre  di  Radamanto  e  di  Minosse, 
invece  di  Giove  ;  la  figlia  d' Iperione,  invece  del- 
l'Aurora ;  la  figlia  di  Mnemosine,  per  Urania  ;  il 
figlio  di  Maja,  piuttosto  che  Mercurio  ;  il  figlio  di 
Giunone,  anziché  Marte  ;  il  figlio  del  Sonno  e  della 
Notte,  invece  di  Momo  ;  e  tutte  queste  e  simili  cian- 
ciafruscole  si  affastellano  in  pochi  versi.  E  fu  opi- 
nione di  tutti  i  sommi  che  la  poesia  deve  essere, 
semplice,  come  la  natura  eh'  ella  vuole  imitare. 

Voi   ci  dipingete  la   figlia  d' Iperione,   che  sporge 


SCRITTI   VARII  75 

fuora,  come  cane  che  fiuta,  il  vermiglio  suo  viso  ; 
e  altrove  ci  dite  che  l'Aurora  è  figliola  del  sole  e 
della  luna,  e  che  signora  del  dì  nascente  rappresentasi 
in  vermiglio  palazzo  vagamente  vestita  e  sovra  lu- 
centissimb  cocchio  seduta.  Che  bel  vedere  quel-' 
l'Aurora  andare  in  cocchio  per  le  sale  in  vermiglio 
palazzo  ! 

Lasciamo  in  cielo  le  Muse,  e  Minerva  nel  capo 
di  Giove. 

Oche   poeti!    (vai    sclamando)    oche 
Poeti  !  —  che   non    dici  :   poeti    oche  ? 

...  Stile  allindato,  affettatuzzo,  cascantello,  di  sman- 
cerie e  di  lezii,  fluente  di  quelle  dolciate  delizie 
de'  Monsignori  cinquecentisti.  Ci  sono  gli  uomini 
piacevoloni  che  si  dilettano  di  dar  le  berte  ;  le  foro- 
sette  che  sono  latte  e  sangue,  i  denti  bianchi  come 
/'  avorio  più  schietto,  le  labbra,  in  paragone  delle 
quali  sarebbe  vinto  il  corallo  :  la  rosseggiante  au- 
rora, che  prese  in  mano  le  cerulee  briglie  de'  suoi 
rosati  corsieri,  cavalca  per  lo  cielo... 

...  Aliti  pili  rigidi  eziandio  di  quelli  del  nort  che  si 
riversano  dagli  accidiosi  petti  de'  poeti  e  prosatori 
di  Milano... 

Insulsi  infilzatori  di  parole,  magri  pedanti,  senza 
discernimento,  senza  ingegno,  senza  dignità,  senza 
animo,  quando  cesserete  dal  credere  e  dal  voler  far 
credere  ispirati  dalle  nove  Muse  i  vostri  freddi  e 
noievoli  e  stomachevoli  cicalamenti  ?  quando  sarà  che 
non  vorrete  fare  i  danzatori  voi  che  avete  le  gambe 
bistorte,  che  non  vorrete  cantare  voi  che  avete  nel 
gorgozzule  la  piva  di  Pulcinella  ?  Quando  vi  studie- 
rete    d' essere   onesti,  e   vivere    piti    consolati    e  non 


76  GIOVITA    SCALVIMI 

d'are  noia  al  prossimo  ?  Certo  è  la  terribile  vendetta 
e  la  punizione  di  un  Dio  corrucciato,  che  giunge 
in  taluno  alla  cecità  delF  intelletto  e  alla  sterminata 
vanità,  V  amore  pertinace  dello  studio,  perchè  s' af- 
fanni, e  si  furi  ad  ogni  consolazione,  e  diventi,  quan- 
to si  sprofonda  piìi  negli  studi,  tanto  più  scervellato, 
e  s^  angustii  ad  accumulare  sopra  sé  le  tenebre  del- 
l' obblivione. 

Questa  mattina  mi  sono  accordato  colTAcerbi  a 
questi  patti.  Egli  mi  dà  V  alloggio  e  tre  lire  milanesi 
il  giorno,  ed  io  devo  badare  alla  direzione  della 
Biblioteca  Italiana.  Ho  accettato  ;  benché  con  sì  me- 
schino stipendio  mi  converrà  vivere  assai  mediocre- 
mente... 

Suggestioni  accorte  di  Monti  affinchè  io  non  iscriva 
più  nella  Biblioteca  italiana.  CW  io  devo  avere  più 
cara  la  di  lui  amicizia  che  quella  delFAcerbi  ;  ch'egli 
m'  ama  davvero  ;  che  non  può  sostenere  di  udir  dire 
eh'  io  mi  sono  venduto  all'Acerbi  ;  che  il  Giordani  ha 
disputato  molto  sostenendo  eh'  io  non  poteva  avere 
nobilita  d' ingegno  seri  endo  per  l'Acerbi  ;  che  se  la 
signora  Calderara  sapesse  eh'  io  sono  amico  del- 
l'Acerbi, pregherebbe  lui  di  non  presentarmi  ad  essa  ; 
che  i  miei  scritti  sono  i  migliori  che  appariscano 
nella  Biblioteca,  e  che  per  ciò  è  un  vitupero  per 
me  far  quell'onore  a  quel  disgraziato  giornale.  E 
voi,  signor  Monti,  avete  ragione  ;  e  quali  che  sieno  i 
motivi  che  vi  spingono  a  parlare  così,  pur  mi  d'ite 
il  vero,  tuttoché  trascorriate  a  lodarmi.  Ma  quel  vo- 
stro Giordani  è  grande  ingegno,  ma  soverchiato  dal- 
l' orgoglio  :  perché  poniamo  eh'  io  abbia  aspetto  che 
non  dica  nulla  ;  poniamo  eh'  io  non  gli  abbia  fatto  né 
male,  né  bene,  per  avere  qualche  acuta  rimembranza 


SCRITTI   VARII  77 

di  me  :  ma  egli  è  però  vero  eh'  io  lo  visitava  spesso 
a  Bologna,  raccomandatogli  dalFArici  ;  eh'  io  lo  vidi 
spesso  V  anno  scorso  in  casa  di  Labus  ;  che  un 
dì  egli  stesso  mi  accompagnò  poich'  io  avevo  smarrita 
la  via  ;  che  gli  recai  dòpo  una  lettera,  e  molto  me  ne 
ringraziò.  Or  che  vuol  dire  che  avendomi  voi  sta- 
mattina presentato  a  lui,  egli  mostrò  di  non  avermi 
mai  veduto  nel  mondo  ?  S'  egli  s' è  davvero  dimenti- 
cato di  me,  non  fa  caso  ;  ma  mi  dorrebbe  che  queste 
fossero  affettazioni  troppo  puerili  in  un  uomo  del 
suo  ingegno,  del  suo  sapere,  e  della  sua  fama. 

All'Acerbi  piace  il  mio  articolo  fin  dove  dispia- 
ce a  te  (  ?)  e  all'Arrivabene  ;  ma  quanto  diletta  voi 
pare  a  lui  troppo  seria  cosa,  piena  di  noja  e  di  mole- 
stia. Egli  vorrebbe  che  si  dicessero  cose  facili,  lu- 
cide, scorrevoli,  che  tutti  intendessero,  pensassero, 
sapessero  prima  di  leggerle.  Vuole  però  ad  ogni 
patto  stamparne  una  gran  parte  :  e  ha  voluto  che 
promettessi  di  riordinarlo  levando  tutta  la  parte  sto- 
rica. Vorrebbe  anche  ch'io  gli  dessi  VAleppe  (1) 
da  essere  stampato  capo  per  capo  nella  Biblioteca. 
Io  non  ho  promesso  nulla.  Questi  letterati  i  quali 
non  veggono  negli  scritti  che  la  moneta  che  lor 
possono  fruttare,  indlirrebbero  me  ad  affaticare  senza 
onore  ;  a  stordirmi  il  capo  per  parere  maligno,  o 
leggero.  —  Ma  la  Biblioteca  è  all'  agonia,  perchè  il 
Governo  vedendo  che  non  si  disponeva  mai  a  sorger 
sana  e  rubizza,  non  vuole  più  far  le  spese  a  una 
inferma  e  tisichuzza  che  non  fa  che  consumare  dodici 
mila  lire  l' anno  in  pessimi  beveroni  che  ammor- 
bano chiunque  la  accosta  :  e  il  suo  direttore  spiri- 
tuale credo  che  la  lascerà  passare  da  questa  a  niun 


(1)  Romanzo  satirico.  È  andato  perduto. 


^^  GIOVITA    SCALVINI 

altra  vita,  non  avendo  di  che  soccorrerla  ;  e  solo 
starà  attento  che  quand'elia  spiri  l'anima,  niun  altro 
che  lui  possa  intascare  il  poco  che  si  troverà  avere 
intorno.  —  Ti  scrivo  senza  sapere  quello  che  io  mi 
dica.  Ma  certo  è  che  gli  articoli  non  si  pagano  più.  — 
Abbiamo  veduto  più  cose,  e  udite  più  persone.  Molto 
ancor  ci  rimane  da  vedere  e  da  udire. 

AMICI 

(A  Vincenzo  Monti).  Finora  non  vi  ho  scritto  per- 
chè sono  stato  venti  giorni  in  villa  sbrigando  alcune 
mie    faccende,  e    conducendo    una    vita    da    estatico, 
altro  non   facendo  che  passeggiare  o  sedere  all'  om- 
bra, e   refocillando   colF  ozio   e  colle   lunghe  passeg- 
giate il  corpo  e  V  animo,  aggravato  di  tante  penose 
cure  sostenute  in  Milano.  Ma  il  mio  cuore  non  fu  mai 
diviso  da  voi,  ottimo  amico  mio  ;  e  mi  sto  così  sicuro 
del  vostro  affetto,  che  non  temo  essere  stato  da  voi 
dimenticato  ancorché  fossi  negligente  nello  scrivervi. 
Le  opere  del  vosero  ingegno  vengono  sempre  meco  ; 
ma   le   parole   che    escono    dal   vostro    cuore,   quelle 
schiettissime  e  affettuose  parole  che  rivelano  la  no- 
bile  e  candida   indole   dell'animo   vostro,   io  non   le 
odo   più.  I    vostri   versi    mi    contentano    V  intelletto  ; 
ma  oltre  al  poeta  io  ho  bisogno  dell'amico. 

(Al  medesimo).  Torno  spesso  col  pensiero  a  quel 
caro  asilo  dove  son  nato.  La  vostra  amicizia  mi 
conforta  del  mio  esilio  e  delle  mie  lunghe  sogge- 
zioni e  de'  miei  doveri  penosi.  Mi  pare  un  sogno 
quando  penso  che  sono  conosciuto  da  voi,  che  posso 
vedervi,  parlarvi,  e  che  mi  chiamate  vostro  amico. 

...   Io  ho  già   detto  a...   di   avvolgerti   le  mani   ne' 


SCRITTI   VARI!  79 

capelli,  e  romperti  nella  testa  V  alto  sonno  gridan- 
doti :  scrivi  cose  meglio  degne  del  tuo  ingegno  e 
dei  tuoi  studi. 

...  Io  vo'  pur  finalmente  darvi  notizia  di  me,  per- 
chè almeno  sappiate  eh'  io  sono  ancora  uno  de'  vivi  ; 
perchè  la  mia  amicizia  per  voi,  è  come  un  puro  e 
tacito  culto  del  cuore  senza  fasto  di  cerimonie. 

La  lettera  eh'  io  ti  scrissi  per  mezzo  di  Pippo 
Ugoni,  e  che  tu  hai  lasciata  senza  scambio,  credo 
che  attestasse  la  leale  amicizia  che  mi  ti  lega,  e  come 
tu  sei  sempre  stato  fra  le  mie  più  care  memorie. 
Però  mi  fai  gran  dispiacere  quando  dubiti  di  me, 
e  ritocchi  eh'  io  devo  essere  diventato  superbo.  Mi- 
glior prova  della  tua  umiltà  sarebbe  stata  scrivermi 
allora,  e  non  dopo  piìi  che  quattro  mesi,  tornando 
sopra  i  tuoi  dubbi  della  mia  disaffezione  verso  di 
te,  e  mostrando  così  di  reputare  bugiarde  le  mie 
parole.  Però  tornerà  lo  stesso  il  tacermi,  e  tu  seguirai 
a  pensare  a  tuo  modo,  e  troverai  qualche  altra  mar- 
chesa alla  quale  paragonare  un  disgraziato  pedagogo. 

Veggo  che  tu  attribuisci  un  gran  potere  sopra  gli 
animi  umani  alle  cose  esteriori  ;  il  che  non  so  se 
faccia  buon  testimonio  di  te.  Chi  può  immaginare 
che  altri  s' inorgoglisca  della  condizione  servile,  me- 
rita di  sostenerne  il  mal  governo  sino  ad  esserne 
scorticato.  Chi  vede  con  che  prezzo  taluno  deve  ri- 
parare alla  povertà  della  sua  fortuna,  trova  consola- 
zioni e  lagrime  che  sono  stille  d'i  balsamo  sulle  al- 
trui piaghe,  non  derisioni,  né  parole  che  aggiungono 
amarezze  ad  amarezze,  e  tolgono  persino  la  speranza 
che  rimanga  un  cuore  amoroso  nel  quale  deporre  gli 
affanni  del  proprio.  Dico  tutte  queste  cose  forse  per- 
chè ho  ragione  ;  fors'anche  perchè  oggi  sono  di  umor 


80  GIOVITA    SCALVINI 

tristo  ;  ma  certo  perchè  ti  amo  moltissimo.  Tu  mi  devi 
aver  obbligo  se   finisco,   perchè   non  muterei   corda. 

Alcuni  che  mi  si  dicevano  amici,  mi  hanno  abban- 
donato perchè  non  ho  voluto  fare  a  loro  modo  ;  indi 
sfacciatamente  hanno  pubblicato  quel  eh'  io  aveva 
affidato  al  loro  secreto. 

Come  potrei  io  essere  l' amico  di  un  sordo  ?  Vi 
sono  alcune  cose  che  devono  essere  dette  a  mezza 
voce,  quando  il  cuore  parla  piìi  che  il  labbro. 

...  I  nostri  nodi  furono  stretti  in  queir  età  nella 
quale  nessun  vile  interesse  spinge  all'  amicizia.  Verso 
i  30  anni  il  cuore  si  raffredda,  e  il  viso  mette  la 
maschera. 

Le  lettere  che  ci  vengono  dagli  amici  sono  come 
V  acqua  del  fonte  con  cui  la  fanciulla  conforta  il 
fiorellino,    quandb    mancano    a  lui    quelle    del    cielo. 


I  FILOSOFI 

Vuoi  tu  eh'  io  ti  dica  che  cosa  siamo  noi  i  quali 
siamo  stati  detti  filosofi  ?  Increduli  di  mente,  pu- 
sillanimi e  superstiziosi  di  cuore  :  irrequieti,  ogni  co- 
sa  vogliamo   abbracciare. 

Mi  ricordo  anni  sono,  eh'  io  volevo  imitare  le 
azioni  de'  filosofi,  e  avevo  incominciato  da  Diogene, 
calcando  il  fasto  di  tutti,  e  vivendo  sobriamente.  Ma 
la  natura  repugnava,  e  la  società  mi  abborriva.  — 
Volli  seguire  Pirrone,  cominciai  a  spargere  lo  scet- 
ticismo, e  mi  ricordo  che  mi  si  era  così  rivoltato 
il  cervello,  che  ero  scettico  realmente  :  osservavo  i 


SCRITTI   VARZI  81 

moti  del  mio  corpo,  tutti  i  miei  passi,  ed  ero  in  un 
caos  di  dubbi  e  di  affanno. 


AMMONIMENTI  E   SENTENZE 

Abbi  una  sana  coscienza,  e  tu  non  sarai  mai  nh 
in  tutto  contento  di  te,  né  temerario  innanzi  gli 
altri.  Essi  sono  sfacciati  iperchè  hanno  perduto  il 
senso  del  vero  e  del  bello,  perchè  sono  ingannati 
di  sé  medesimi,  perché  hanno  intorno  gli  adulatori. 

Le  cose  inanimate  destano  in  te  il  senso  del  bello, 
e  sublimano  la  tua  anima  :  ma  ogni  tuo  affetto  è 
sterile,  e  V  amor  del  vero  e  del  bello  non  genera 
nessuna  virtù,  se  tu  non  istai  cogli  uomini  ;  se  non 
apprendi  da  essi  quel  eh' è  veramente  gentile  e  de- 
gno  dell'  uomo. 

Rivedere,  vuol  dire,  di  nuovo  separarsi. 

L'uomo  veramente  virtuoso  non  è  timido  né  di- 
sprezzato da  nessuno  :  egli  sa  in  sé  rispettare  dapper- 
tutto, fra  tutti,  la  dignità  della  virtù.  Perchè  sei 
tu  timido,  se  sei  senza  rimorsi  ? 

...  Compiangere  la  natura  umana,  perdonare  e  di- 
menticare ;  non  domandare  più  felicità  che  non  può 
essere  concedtita  agli  uomini,  più  amore  che  non 
può  capire  in  cuore  umano,  più  virtù  che  non  s'  appar- 
tiene  alla   nostra   comune   natura   di   possedere. 

Io  vorrei  dire  a'  giovani  :  Non  andate  incontro  a 
dolori  che  non  saranno  compianti  da  nessuno,  a  quei 
dolori  oscuri  che  consumano  1'  anima  solitaria.  I  vo- 
stri dolori  siano  alti,  degni  di  essere  palesi,  utili 
ai  vostri  simili,  e  tali  che  diano  ad  altri  desiderio  di 


82 


GIOVITA    SCALVINI 


patire  come  voi.  Ahi  non  è  peggiore  sventura  che 
patire  per  cose  che  tu  medesimo  riconosci  indegne  di 
addolorartene. 

Le  indoli  forti,  le  volontà  potenti  fanno  approvare 
e  (perdonare  i  loro  difetti  e  i  loro  vizi  :  le  indoli 
deboli,  le  volontà  perplesse  fanno  disapprovare  e 
biasimare  le  loro  stesse  virtù  :  tanto  è  vero  che 
r  uomo  è  nato  per  operare,  e  quindi  vuoisi  piuttosto 
un  uomo  che  possa  operare  anche  il  male  di  quello 
che  un  uomo  che  non  possa  operar  nulla. 

Abbi  pietà  di  te  stesso  :  levati  in  dignità  :  vivi  da 
uomo,  e  non  ti  curare  se  altri  ti  ama  o  ti  odia. 
L'uomo  dee  perdonare  ma  non  dimenticare  tutti  i 
disprezzi.  L'uomo  che  getta  sé  all'altrui  derisione 
merita    di    esser    deriso. 

Sorgi  !  Slega  il  tuo  pensiero  da  questo  punto  im- 
ipercettibile  dell'universo.  Non  curi  l'oceano,  non 
le  alpi,  non  il  firmamento,  spargi  il  tuo  pensiero 
nell'immenso.  La  sua  bellezza  inaridisce,  ella  scen- 
derà nel  sepolcro,  e  nessuno  se  n'  avvedrà  nel  mondo, 
nessuna  cosa  ne  darà  segno.  Non  cadrà  dall'albero 
una  foglia  per  ciò.  Eccoti  innanzi  1'  universo  :  il  mon- 
do colle  belle  e  infinite  varietà  delle  sue  apparenze, 
la  mente  e  il  cuore  dell'uomo  coi  loro  abissi. 

Quando  ella  sarà  sparita,  si  potrà  dire:  ella  è 
stata. 

Ma  se  la  fiamma  del  sole  disseccasse  l'oceano  o 
se  ardesse  le  selve,  tutto  il  creato  leverebbe  un 
pianto... 

LA  VITA 

...  La  mia  anima  si  aggirava  sempre  intorno  alla 
vita  e  alle  speranze  dell'  avvenire,  ed  oh  quante  era- 


SCRITTI   VARII  83 

no  !  Così  noi  siamo  sempre  intorno  a  questo  fan- 
tasma della  vita,  e  sempre  siamo  occupati  a  corteg- 
giare noi  medesimi  ;  come  que'  polli  che  fanno 
riverenze  e  cortesie  e  torneamenti  alla  loro  ombra 
che  veggono  sul  pavimento,  e  vorrebbero  che  ella 
s'  arrestasse  senza  che  si  arrestino  loro. 

Ho  veduto  un  contadino  il  quale  camminava  in- 
nanzi a  un  suo  mulo  carico  di  legne  ;  e  l'uomo  alla 
cintola  aveva  una  corda  che  lo  cingeva,  e  sulle  reni 
stretto  fra  la  cintola  e  il  giubboncello  alquanto  fieno. 
In  tal  guisa  adescava  quella  bestia,  alla  quale  pur 
sempre  parendo  di  raggiungere  quel  fieno,  erano 
men  gravi  le  legne,  e  passava  la  via  quietamente. 
Il  buon  uomo  di  tratto  in  tratto  se  ne  lasciava  carpire 
una  parte  senza  già  arrestarsi,  ma  abbreviando  il 
passo,  e  in  modo  che  la  bestia  creder  potesse  non 
dalla  maggior  lentezza  del  padrone,  ma  dalla  sua 
maggiore  velocità  ciò  venire.  —  Questa  cosa  mi  com- 
moveva ;  e  mi  pareva  la  storia  dell'  uomo,  di  cui  la 
vita  è  segnata  qua  e  là  da  qualche  gioia  eh'  egli  va 
pur  continuamente  cercando.  —  E  Dio  è  come  quel 
contadino  :  di  tanto  in  tanto  egli  ci  largisce  qualche 
consolazione,  acciocché  noi  non  ci  stanchiamo  per 
via,  vedendo  l' inutilità  delle  nostre  continue  ricerche 
del  ben  vivere,  e  non  ci  venga  disgusto  della  vita. 

Oggi  tornavo  alla  sentenza  di  stamattina  vedendo 
come  un  villano  il  quale  aveva  comperato  un  vitellino 
al  mercato,  perchè  camminasse  per  luoghi  affatto  a 
lui  nuovi  e  lontano  dalla  dolce  madre  e  dalla  mandra, 
traeva  spesso  un  granello  di  sale,  e  postoselo  sulla 
palma  della  mano  lo  dava  a  leccare  a  quella  be- 
stiuola  ;  e  spesso  alzava  la  sferza.  Così,  o  vitellino, 
tutta  la  tua  vita,  io  dicevo  ;  tutta  così. 

Tutto  è  frantendere  e  travedere  nel  mondo  ;  e  noi, 


84 


OIOVITA    SCALVINI 


pazzi  che  siamo,  fondiamo  ogni  nostra  speranza,  e 
vogliamo  derivare  ogni  bene  da  quesf  aria  e  ombra 
che  ci  illude:  ed  essendo  sempre  la  contraddizione 
e  la  follia  naturale,  a  noi,  V  un  cuore  ci  mena  a  far 
lagni  dei  mali  della  vita,  V  altro  a  spaventarci  della 
morte,  e  vorremmo  cessare  da  ogni  bisogno  e  com- 
mercio degli  uomini  morendo,  e  lasciare  indietro  un 
desiderio  dì  noi,  ed  essere  nominati  e  compianti. 
Il  vero  senno  sarebbe  né  desiderare  né  temere  la 
morte. 

Mi  sono  ormai  avvedtito  che  il  cammino  della  vita 
è  seminato  di  spine,  e  che  ognuno  deve  correrlo  da 
per  sé,  senza  speranza  d^  essere  sostenuto  o  ajutato 
da  chi  ha  passo  più  fermo,  e  stinchi  più  vigorosi. 

Dolorosa  vita  e  piena  d^  errori.  Se  ne  compra  il 
sostentamento  colla  schiavitù  e  colla  fatica  ;  e  quasi 
che  fossimo  immortali,  affatichiamo  sino  alle  ulti- 
me ore   senza   gustarne    i  frutti   giammai. 

Ogni  giornata  che  si  apre,  e  -passa,  é  come  un 
fiore  che  schiudendo  il  seno  consegna  alle  aure  le 
polveri  gravide  di  miir  altri  fiori. 

La  fortuna  non  è  poi  così  terribile  quando  non 
le  si  dia  occasione  e  potere  di  prendere  a  turbarci 
la  coscienza. 

Le  cure  si  succedono  ;  e  le  ultime  fanno  parer 
ridevoli  le  prime.  Così  verremo  all'ultima  giornata 
della  vita,  e  tutto  il  passato  ci  sembrerà  meschinità 
e  fastidio,  e  che  non  merita  il  prezzo  di  essere 
pianto. 

Noi  dormiamo  tranquilli  sui  nostri  anni  e  serbiamo 
tutto  air  avvenire  :  e  ci  destiamo  poi  improvvisamen- 


SCRITTI   VARII  85 

te,  come  il  pellegrino  che  si  adagia  sotto  un'ombra, 
intanto  che  passino  le  infocate  ore  del  mezzogiorno, 
e  si  sveglia  sbigottito  perchè  trova  che  le  tenebre 
della  notte  già  si  addensano.  L' età  dell'  amore  in 
puerili  paure,  in  illusioni.  Quando  abbiamo  la  giovi- 
nezza e  il  vigore  manchiamo  dell'  arte,  e  quando  1'  ar- 
te entra  per  una  porta,  se  ne  sono  già  iti  per  l' altra 
la  giovinezza  e  il  vigore. 

Le  generazioni  sorgono  e  passano  e  tutti  si  affan- 
nano a  cercare  chi  sia  degno  dei  loro  affetti  :  e  il 
bisogno  d'  amare  fa  dir  loro  d'  averlo  trovato,  e  tutti 
infine  confessano  d'  esser  stati  illusi. 

Tutti  al  mondo  si  affannano  a  parlare  d' amore 
e  di  fede,  e  non  conoscono  l'uno  né  sanno  cosa  sia 
r  altra,  e  s' ingannano  scambievolmente,  e  non  osano 
lagnarsi  di  essere  ingannati,  perchè  tutti  nel  loro 
segreto  si  sentono  infine  rei  e  bugiardi. 

Ciò  che  v'  ha  di  più  tristo  nella  vita,  è  di  sperimen- 
tare l' impotenza  delle  nostre  passioni,  l' impotenza 
dell'amore,  l'impotenza  dell'odio,  l'impotenza  spes- 
so dei  più  temperati  desideri. 

Eppure  bisognerebbe  trovare  qualche  rimedio  alla 
vita  :  perchè  dovrà  ella  sempre  essere  così  ?  Il  futuro 
come  il  presente,  come  il  passato? 


IL  MONDO 

Questo  mondò  organato,  tutto  quanto  veggiamo  e 
tocchiamo,  è  apparenza,  prestigio,  ed  illusione  del- 
l' intelletto,  che  si  dissiperà,  senza  che  nessuna  esi- 
stenza venga  meno,   appena   che   Dio   depurerà   gli 


S6  GIOVITA    SCALVINI 

spiriti  prestigiati  per  trarli  presso  di  sé  in  luogo  di 
consolazione    e  di    beatitudine. 


GIUDIZI  VARI 


Questo  Francese  è  un  uomo  di  cuore  ed  onorato, 
e  dice  alquanto  male  della  sua  nazione  ;  e  a  me  cui 
piace  poco  il  conversare  con  tut  a  la  razza  maligna 
ch'abita  al  di  là  delle  Alpi,  pure  con  Francesi  mi 
accomodo  bene  perchè  gli  piace  in  tutte  le  cose 
dire  il  vero. 

Il  Rousseau  con  la  sua  filosofia  non  fece  che  ren- 
dersi infelice. 

La  Francia  si  credeva  d'innalzare  una  repubblica 
de'  teschi  di  tante  migliaia  d'uomini  decapitati.  El- 
l' ha  decapitato  il  suo  re  ;  e  ha  preteso  recare  la 
libertà  e  la  pace  all'  Italia.  Ma  la  Francia  ha  posto 
sul  soglio  un  altro  mortale  :  e  non  fu  che  la  vena- 
lità che  indusse  a  varcare  l'Alpi,  la  cupidità  di  de- 
rubare quanto  avevan  di  più  caro  queste  belle  con- 
trade. 

I  Francesi  leggieri  e  arroganti,  gì'  Inglesi  superbi 
e  bisbetici. 

Senti  nella  oscurità  soggetta  il  gridò  dei  popoli  e 
delle  nazioni  vendute,  il  giuramento  delle  nazioni 
congiurate  contro  la  Francia  ;  senti  il  loro  commo- 
versi. A  poco  a  poco  la  tenebria  si  ristringe  ;  le 
nazioni  moventisi  hanno  dintorno  una  luce,  dinanzi  a 
cui  fugge  l'oscurità.  Quella  luce  scopre  le  piaghe 
non  cicatrizzate  ancora. 


SCRITTI  VARII  87 

Miseri  uomini,  che  rimasti  alle  grandi  catastrofi, 
ed  alle  inondazioni  a  cui  andò  soggetto  il  nostro 
globo,  rimanevano  lì  stupidi  e  muti,  osservando  cal- 
mata alquanto  V  ira  di  quella  natura  che  parca  vicina 
a  perire  ;  ma  cadevano  di  poi  in  nuovi  delirii,  mentre 
V  acque  ascondevano  di  nuovo  al  loro  sguardo  la 
faccia  della  terra. 

Oli  uomini  cercando  libertà  vivono  in  catene  per- 
chè loro  manca  la  forza  della  concordia. 

GÌ'  Italiani  sono  d'  assai  tempo  specchio  di  morali 
virtù,  massime  di  pazienza. 

Che  giova  ricordare  che  noi  fummo  signori  del 
mondo?  E  che  l'Italia  dava  leggi  all'Italia?  Eli' è 
una  lacera  femmina  che  va  offerendo  monete  e  di- 
spensando viglietti,  avvisando  ov'  ella  sta  di  casa,  e 
pregando   che  vadano   a  trovarla. 

Se  l' Italia  non  si  fa  libera  entro  a  non  molt'  anni, 
la  cosa  andrà  poi  molto  per  le  lunghe  :  perchè  le  mu- 
tazioni degli  Stati  si  fanno  solamente  nell'  età  infer- 
me :  e  se  non  si  fa  adesso  che  quel  d' Italia  è  nuovo  e 
nell'  infanzia,  ove  lascisi  rassodare,  bisogna  aspet- 
tare che  cada  nella  vecchiaia.  Ciò  porta  il  volgere 
di  molti  secoli.  (1813). 

C'è  una  tenacità  straordinaria  d'abitudini  nelle 
nazioni,  alla  quale  è  inutile  opporsi.  Guai  a  chi  non 
sente  com'  esse.  Vive  tristo,  o  muore  senz'  esser  com- 
pianto. 

Nulla  mi  ha  mai  tanto  persuaso  della  vanità  della 
vita,  come  il  vedere  il  passo  grande  che  tutta  una 
generazione  ha  fatto  verso  il  sepolcro.  Pare  che  tutti 


88 


GIOVITA    SCALVINI 


siano  stati  percossi  da  qualche  grande  spavento.  Di- 
menticando il  tempo  passato,  si  direbbe  che  tutti 
hanno  immensamente  patito. 


LA  SOLITUDINE 

In  questa  solitudine  della  campagna  scopro  viepiù 
sempre  il  bisogno  del  mio  cuore,  che  è  libertà  e 
solitudine. 

Io  vivrò  solo.  La  debolezza  ch'io  porto  dapper- 
tutto con  me,  mi  rende  troppo  travagliata  la  vita  della 
società.  Io  vivrò  solo  colla  mia  fantasia,  che  empie 
di  fiori  le  campagne  strette  dal  ghiaccio. 

Io  vi  amo  quanto  si  possa  amare  uomo  ;  e  dalle 
vette  dei  monti  stendo  spesso  le  braccia  verso  il 
cielo  sotto  cui  vivete  ;  e  v'  invoco,  e  mi  pare  che  voi 
intendiate  di  lontano  la  invocazione  di  chi  vi  ama,  e 
mi  rispondiate  con  una  voce  di  desiderio.  —  E  qui, 
più  che  dei  libri,  godo  del  vagare  lunghe  ore  di 
monte  in  monte,  e  sedermi  nella  valle,  e  errare  di 
fantasia  in  fantasia.  Tuttavia  non  mi  passa  giorno 
che  io  non  legga  qualche  verso  d'i  Omero  o  di  Dante, 
o  qualche  scena  di  Shakespeare,  e  talvolta  alcuna  pa- 
gma  delle  vite  di  Plutarco. 

Ho  pur  voglia  di  riposarmi  in  quei  dolci  ozii  ! 
Nella  solitudine  ci  è  anche  più  caro  il  ricordare  delle 
persone  che  amiamo. 

Quandi  io  mi  sento  ammalato,  mi  pare  che  mi 
troverei  pur  bene  lontano  da  tutti  i  viventi  in  una 
di  quelle  sterminate  solitudini  d'Africa,  steso  sotto 
un  largo  albero  ad  aspettare  tranquillamente  la  sa- 
lute o  la  morte. 


SCRITTI   VARII  8Q 


VITA   CON    LA   NATURA 

Viene  la  sera  ;  i  timori  sottentrano  alle  speranze  ; 
e  l' immagine  della  caduta  del  giorno  luminoso  ti 
mette  nell'  anima  il  sentimento  d'ella  distruzione  delle 
tue  più  ridenti  fantasie,  le  quali  si  vanno  velando  di 
un  velo  misterioso  di  mano  in  mano  che  le  tenebre 
della  sera  velano  le  cose  create. 

La  quiete  d'ella  notte  ci  fa  passare  dinanzi  tutti  i 
mali   e  tutti  i  beni  di   questa  agitata  vita. 

Il  mio  patrimonio  sono  le  notti  serene,  la  luna, 
V  orizzonte   rosato. 

Altro  conforto  non  trovo,  che  correre  lungamente 
incontro  ai  venti,  e  alto  gridare,  ed  avvolgermi  nella 
procella,  e  confondere  il  mio  gemito  col  susurro  del 
vento  che  percuote  le  frasche  del  bosco,  e  discendere 
nelle  valli,  e  accompagnare  gridando  le  onde  dei 
torrenti   strepitosi,  e   così   dimenticare   me   stesso. 

Io  amo  l'oceano.  Seggo  senza  avvedermi  lunghe 
ore  sulle  sue  rive  ;  e  cogli  occhi  tesi  sulle  acque,  il 
mio  pensiero  va  vagando  per  T  immenso.. La  fortuna 
dei  popoli,  la  virtù  dell'  anima  umana,  il  mistero 
del  mondo,  son  tutti  argomenti  eh'  io  amo  a  fanta- 
sticare dentro  di  me  in  faccia  all'  Oceano  :  come  fo, 
quandi  non  sono  dinanzi  ad  esso,  in  faccia  al  cielo 
stellato,  ascoltando  una  musica.  Egli  mi  è  immagine 
dell'  infinito  nella  sua  immensità  ;  e  il  perpetuo  rin- 
novarsi e  frangere  delle  sue  onde,  è  a  me  lo  svolgersi 
delle   cose  mutabili   e  passeggere   fuori   del   grembo 


^0  GIOVITA    SCALVIMI 

di  Dio.  E  vo  recitando  i  versi  de'  poeti  che  hanno 
tratto  molte  diverse  immagini  dal  mare.  E  a  me  sta 
innanzi  un  altro  mare  del  quale  questa  terra  mi  pare 
la  riva  ;  e  anelò  a  solcarlo,  senza  eh'  io  sappia  dove 
riuscire. 


NOSTALGIA  DELLA  CAMPAGNA 
E  DELLA  FANCIULLEZZA 

Volentieri  darei  le  mie  membra  al  sepolcro  dove 
sarebbero  coperte  dalle  piante  che  colle  loro  ombre 
coprirono  gli   anni   della  mia   fanciullezza. 

Dimmi  :  quando  ti  senti  piìi  la  tua  anima  conso- 
lata ;  quando  t' inebrii  delle  delizie  cittadine,  o  allor 
quando  seduto  in  capo  a  un  solco  del  tuo  poderetto 
stavi  contando  gli  anni  al  melo  che  ti  sorgeva  dinan- 
zi ?  Quello  era  tempo  felice...  Facevo  merenda  sulle 
colline,  sull'  erba  ;  e  mangiava  del.e  insalate  prepa- 
rate dalle  fanciulle  ;  dove  ci  rubavamo  il  pane  ed  il 
vino,  ci  pungevamo  le  mani  con  il  pugnitopo,  ci 
spruzzavamo  il  viso  coli'  acqua  de'  rigagnoli,  e  sag- 
giavamo una  bottiglia  del  vecchio  vin  santo  fatto 
da  certi  preti  zii  di  mio  padre,  e  che  mi  piace  moltis- 
simo :  o  stavo  per  i  campi  a  raccogliere  le  biade  colle 
fanciulle   de'  miei   lavoratori,  o   a  zappare. 

Qui  mi  passano  nella  mente  i  più  bei  giorni  della 
mia  vita,  quand'  io,  libero  d'  ogni  soggezione,  vivevo 
in  seno  della  mia  famiglia  alla  campagna.  Gli  agi, 
le  morbidezze,  i  tumulti,  non  mi  hanno  compensato 
quei  riposi  in  una  oscura  povertà.  Mi  sono  rivolto 
a  diritta  e  a  sinistra,  e  non   ho   trovato   che  tribola- 


SCRITTI   VARII  Ql 

zioni.  O    modesti    desinari,  o    liete    cene    nella    casa 
de'  miei  ! 

Io  ho  bisogno  della  solitudine,  e  delle  selve.  L'asi- 
lo antico  de'  miei  padri  mi  fa  sentire  un  soave  de- 
siderio di  sé,  che  parmi  eh'  egli  mi  mandi  la  sua 
voce  e  m' affretti.  —  Io  ho  bisogno  di  trovarmi  vi- 
cino alla  sepoltura  de'  miei,  e  di  derivare  i  precetti 
della  saviezza  dal  -cumulo  di  zolle  che  coprirà  le 
mie  ossa.  Ho  bisogno  di  sentire  sulla  sera  il  triste 
metro  del  gufo  che  rompe  il  vasto  silenzio  delle 
rupi,  anziché  le  voci  de'  teatri.  Io  ho  bisogno  di 
rivedere  i  siti  che  serbano  le  rimembranze  della  mia 
fanciullezza. 

Vorrei  poter  dissipare  fra  quest'  aure  ogni  tristo 
pensiero  ;  vorrei  poter  sollevare  il  mio  cuore  da 
questi  affanni,  diventare  lieto  e  gioioso,  abbando- 
narmi ai  dolci  miei  studi  ;  riposarmi  nella  casa  de' 
miei  con  mia  madre,  e  vedere  passarmi  la  vita  in 
contentezza  e  moderazione.  Oh  s' io  fossi  là  !  Vorrei 
sedermi  sulla  sera  sulle  deserte  rupi  che  fanno  argine 
al  Rino  ;  volgermi  verso  mezzogiorno  e  vedere  la 
chiesa  della  parrocchia,  e  i  lontani  pioppi  del  mu- 
linello. 

...  Tutti  buoni  piaceri,  mio  caro  :  ma  non  si  sta 
veramente  bene  che  a  Botticino.  E  che  ci  hai  tu  là  en- 
tro ?  Gradi,  autorità,  ricchezze  ?  nulla  :  vi  ho  una  cuci- 
nuccia  con  una  grossa  colonna  nel  mezzo,  che  la 
sostiene  ;  ma  ve  1'  ha  fatta  porre  il  mio  avo.  —  Ah  ! 
tu  non  sai  :  ivi  tutte  le  pietre,  le  piante,  i  monti 
mi  conoscono.  Quando  io  un  bel  giorno  di  autunno 
erro  per  la  collina,  mi  pare  che  non  vi  sia  cosa  la 
quale  non  mi  saluti,  che  non  si  rallegri  della  mia 
buona  cera,  che  non  si  ricordi  della  mia  fanciullezza. 


92 


OIOVITA    SCALVINI 


DIO  E  RELIGIONE 


No,  più  mai  non  lascerò  la  passeggiata  d'ella  colli- 
na, dóve  Iddio  diffonde  con  sì  larga  mano  le  bellezze 
d'ella  natura.  Io  n'  ero  commosso  sino  nel  fondo  del- 
l'anima,  e  un  sentimento  di  riconoscenza  mi  trasse 
a  inginocchiarmi  e  a  ringraziarne  P  autore.  Io  non  sa- 
pevo che  l'anima  potesse  esser  presa  di  una  così 
delicata  voluttà  piegando  le  ginocchia  dinanzi  al  no- 
stro Padre  comune,  per  mostrargli  che  non  siamo 
sordi  né  ciechi  alle  opere  ammirabili  sue.  Io  mi  ero 
gettato  ginocchione  credendo  di  fargli  una  preghie- 
ra, ma  non  mi  uscirono  di  bocca  che  parole  interrotte  : 
e  finii  col  pormi  tacitamente  sotto  la  sua  guardia, 
dicendogli  ch'io  pure  ero  suo  figlio.  Se  io  avessi 
voluto  resistere  a  quel  naturale  impulso,  mi  sarei 
sentito  un  peso  sul  cuore.  Io  camminavo,  e  la  mia 
anima   aveva   abbandonato   il    soggiorno   della   terra. 

Ci  sono  nella  vita  alcune  ore  nelle  quali  l'uomo 
si  sente  tanto  superiore  ad  ogni  umana  debolezza, 
che  se  quello  stato  durasse,  non  avrebbe  altro  luogo 
degno   di    possederlo,    che    il    cielo. 

Io  mi  guardavo  d' intorno  sbigottito  ;  mi  pareva 
che  la  Divinità  mi  si  affacciasse  maestosa  da  que- 
gl' immensi  dirupi  che  io  intravedevo  fra  le  tenebre 
che  incominciavano  a  calare  —  e  ben  tosto  si  disten- 
devano su  tutto  il  creato.  —  Se  non  che  erano  tem- 
perate dal  raggio  della  luna,  che,  giovinetta,  inchi- 
nava  all'  occidente. 

Mio  Dio,  perdonami  le  mie  colpe.  Io  ho  potuto 
celarle  agli  uomini,  ma  non  a  te  ;  ma  mi  sembra 
che  tu  mi  abbi  perdonato,  perchè  hai  Veduto  le  cagioni 
che  mi  vi  hanno  spinto.  Mi  pare  che  vi  abbia  certa 


SCRITTI   VARII  93 

tacita  corrispondenza  di  affetti  fra  noi,  e  che  tu, 
che  sei  tutto,  non  disdegni  la  creatura  ;  e  V  universo 
eh'  io  contemplo  è  il  mediatore  fra  noi.  —  Tu  mi  ami 
ancora  ;  le  stelle  mi  splendono  ancora  di  luce  cara, 
e  caro  mi  è  l' aere  sereno,  e  il  silenzio  notturno,  e 
i  mondi  lontani,  e  m' invitano  a  versare  una  piena  di 
affetti  che  mi  fanno  dentro  tumulto.  —  L' universo 
vive  ancora  per  me  ;  ma  quando  tu  mi  maledirai,  le 
stelle  mi  si  veleranno  dinanzi  gli  occhi,  i  quali  sa- 
ranno impressi  delle  cose  dell'  universo,  ma  V  impres- 
sione non  arriverà  sino  all'  anima. 

Noi  leveremo  il  nostro  intelletto  fino  a  Dio. 

A  che  più  tardo  di  ritornare  alla  mia  religione? 
perchè  mi  terrò  disgiunto  dalla  speranza  di  ricon- 
giungermi in  cielo  a  mio  padre  e  a'  miei  fratelli, 
di  confortarmi  con  essi  dell'  esilio  lungo  e  degli  stra- 
zii  sofferti  nel  cammino  sparso  di  spine  della  vita? 
di  aspettare  colà  quella  a  cui  gli  uomini  non  hanno 
voluto  che  mi  accostassi  qui  in  terra?  Ella  vi  sa- 
lirà, eletto  angiolo  di  Dio. 


MALINCONIE 

Sempre  tra  la  plebe  spettatrice  della  commedia  ! 
E  il  peggio  è  eh'  io  mi  son  uno  di  quelli  che  seg- 
gono al  teatro,  e  invece  di  badare  al  dramma  che 
si  rappresenta,  si  stanno  leggendo  quello  che  si 
è  rappresentato  la  sera  innanzi.  —  Eppure,  qual  frut- 
to ho  io  avuto  dal  mio  stare  spenzolone  sui  libri  ? 

Mi  tengo  raccolto  le  intere  giornate  in  questa 
mia  stanza  povera  e  mestissima  :  e  nell'  ore  eh'  essa 
più   mi   spiace,    io    conforto    la   noja    che   mi   viene 


Q4  GIOVITA    SCALVIMI 

da  lei  col  ripensare  mestamente  a  quel  verso  del 
Tasso: 

«  Stanza  conforme  alla  dolente  vita  ».  È  in  ciò 
un  sentimento  nascoso  di  vanità  che  non  ti  saprei 
definire. 

...  Io  sospiro  in  quesf  aura  vuota  di  te.  E  per 
te  mi  sono  allontanato  così.  E  mi  sto  qui  a  logorare 
r  ingegno   e  la  vita  in   meschini   e  servili   studi. 

Qui  mi  tengono  celato  come  chi  ha  tabacco  in 
casa,  per  giovarsi  poscia  di  me  ;  e  si  cerca  di  dirmi 
che  bisogna  contentarsi,  e  che  bisognerebbe  avere 
un  grande   ingegno   per   volere   trarne  profitto. 

Studierò  la  fisica,  la  botanica,  e  1'  altre  parti  della 
storia  naturale  ;  mi  ritirerò  nella  mia  campagna,  ed 
ivi  passerò  tranquilli  i  miei  giorni. 

Le  cose  dure  a  dirsi,  o  che  m' hanno  lasciato  nel 
cuore  o  troppa  paura  o  gioja  troppa,  non  le  narro 
giammai  ;  perchè  altra  volta,  che  mi  fui  provato, 
non  vi  riuscii. 

Giacché  le  infermità  dello  spirito  e  del  corpo  mi 
sono  venute  per  aver  fatto,  o  Natura,  contro  a  te,  tu 
vuoi  che  io  vi  cerchi  riparo  fuori  di  te  :  neir  arte  ; 
giacché  fu  r  arte  che  fece  di  me  questo  tristo  governo. 

Bisogna  affatto  rinunziare  a  questo  fantasma  della 
gloria,  rinunziarvi  affatto.  Bisogna  fare  questo  so- 
lenne sacrifizio. 

Tu  puoi  morire  ignoto  a  tutti  senza  che  nessuno 
turbi  di  maledizioni  le  tue  ceneri.  Tu  sarai  venuto 
e  passato  come  quel  raggio  di  luna  che  sorge  e 
tramonta  nei  deserti  spazi  del  mare,  e  non  risplende 
che   suir  immensità    delle    acque. 


SCRITTI   VARII  95 

Le  rovine  fann'  ombra  agli  armenti  che  vanno  a 
sdraiarsi    sulle    soglie    dei    santuari. 

Giorni  fa  andai  fra  i  monti  lungo  un  torrente  in 
una  valle  profonda,  dove  in  giovanezza  io  soleva 
sdraiarmi  e  addormentarmi  lungo  le  acque.  L' altro 
giorno  io  pensava  :  se  in  quella  età  io  fossi  morto  ; 
quanti  dolori  di  meno  !  E  le  stesse  gioie  che  ho 
godute  dopo,  non  sono  ora  forse  un  tormento  a 
ricordarle  ?  E  insieme  vorrei  esser  morto  in  quel- 
la età  ;  essere  già  morto.  Così  vado  fantasticando  : 
e  tuttavia  sento  che  sono  aridi  questi  conforti.  Io 
perirò  qui  col  nome  di  stravagante  ;  1'  erede  si  dorrà 
eh'  io  non  fossi  più  ricco  :  Ella  in  terra  straniera. 
E  vi  sarà  chi  danza  e  chi  beve  nell'ora  in  cui  noi 
moriamo. 


DESIDERI,  ASPIRAZIONI 
INQUIETITUDINI,  AMAREZZE 

Tu  hai  una  madre  colla  qual  vivere  insieme,  e 
che  il  cielo  non  ti  lascerà  sempre  :  tu  hai  un 
poderetto  che  sufficientemente  provvede  a'  bisogni 
della  tua  vita,  e  dove  sono  tutte  le  care  rimem- 
branze della  tua  gioventìi.  E  tu  vuoi  vivere  sotto 
cielo  straniero,  alle  mani  d'  avidi  mercenari,  senz'  a- 
gi,  senza  diletti,  e  senza  libertà. 

E  di  che  sorte  crediamo  noi  di  trovare  gli  uomini 
fuori  di  patria?  La  confidenza,  che  tu  hai,  mio  Luigi, 
nella  loro  commiserazione,  mi  ti  dimostra  di  buon 
cuore,  ma  inesperto.  E  a  chi  trascorri  ad  affidare 
il  tuo  sostentamento  ?...  Che  speri  tu  in  una  terra 
straniera,  dove  le  brighe  de'  paesani  ti  precideranno 


96  GIOVITA    SCALVINI 

astutamente  ogni  via  nella  quale  ti  metterai  per  ac- 
quistarti il  pane  ;  dove  la  mostra  che  farai  di  probità 
sarà  creduta  una  scaltra  ipocrisia,  consigliata  dalla 
miseria,  e  dove  ti  sospetteranno  di  tristizia  o  almeno 
di  pazzia  perchè  ti  vedran  vagabondo.  Tu  salirai  e 
scenderai  per  le  scale  del  ricco,  che  ti  trafiggerà 
sempre,  e  protrarrà  sempre  il  suo  beneficio  alla  do- 
mane. Chi  ti  abbevererà  coli'  acqua  del  suo  pozzo, 
ti  farà  sentire  di  essersi  meritata  la  tua  perpetua 
riconoscenza.  E  allora  disingannato  nelle  tue  più  liete 
speranze,  sarai  costretto  rivolgerti  al  tuo  paese,  dove 
la  tua  malaventura  verrà  inasprita  dai  molti  che 
dileggeranno  la  tua  puerile  credulità,  facendoti  acer- 
bamente sentire  la  loro  saviezza  nel  deridere  la  tua 
follia.  Anch'  io,  già  tempo,  mi  vedeva  tutto  bello 
dinanzi,  e  aperte  tutte  le  braccia  per  accogliermi  ; 
il  riso  del  mio  cuore  si  rifletteva  in  tutte  le  cose  di 
cui  mi  vedeva  circondato  ;  e  mi  creava  gli  avveni- 
menti colle  bizzarrie  della  mia  immaginazione.  Ma 
gV  infruttuosi  tentativi,  e  gli  errori  e  i  travagli  che 
n'  ebbi  m' aprivano  in  parte  il  vero.  E  quantunque 
mi  trovi  d' indole  da  non  poter  fare  a  modo  degli 
altri,  ho  però  conosciuto  che  fra  gli  uomini  mi  è 
pur  anche  impossibile  il  fare  a  modo  mio. 

...  Se  noi  a  Roma  potessimo  aprire  Scuola,  dove 
insegnare...  che  cosa  ?  A  dir  vero  io  non  so  bene 
niente  :  e  sento  che  ogni  più  legger  peso  è  troppo 
grave  «  per  V  omero  mortai  che  se  ne  carca  ». 

...  Che  tu  pregassi  Morcelli  a  scrivere  a  Roma 
cercandoci  mezzo  di  sussistenza,  e  che  noi  aspet- 
tassimo fino  a  tanto  che  le  risposte  che  egli  n'a- 
vrebbe, ci  dicessero  con  quali  speranze  possiamo 
trasferirci  in  una  terra  sconosciuta,  lasciando  la  pa- 


SCRITTI   VARII  Q7 

terna,  dove  la  povertà,  che  ci  aspetta  forse  in  ogni 
angolo  del  mondo,  potrebbe  almeno  essere  conso- 
lata dalla  compassione  delle  persone  che  ci  amano. 

...  Che  idea  è  la  mia?  Intanto  perdo  gli  anni, 
deviando  sempre  dal  cammino  nel  quale  solo  saprei 
ire  innanzi.  —  Se  ora  sento  piìi  che  mai  tutte  le 
dolcezze  che  incominciavano  a  venirmi  dalle  cose  do- 
mestiche, e  questa  mia  andata  a  Milano  non  mi  par 
bella,  che  sarà  quando  io  vi  sarò,  mentre  io  soglio 
spesso  trovar  triste  anche  ciò  che  da  prima  m' a- 
veva   aspetto   lietissimo? 

Io  allora  sentirò  una  voce  la  quale  mi  parlerà  ; 
torna  alla  tua  selvatica  e  libera  vita  ;  va  a  porti  ritto 
sulle  alte  cime  delle  tue  rupi,  dalle  quali  guardando 
V  aspetto  rude  e  non  per  anco  guasto  dell'  uomo  della 
natura,  ti  senti  intatta  quella  generosa  ferocia  della 
[prima    indole    dell'uomo.    Torna    al    tuo    villaggio... 

Bisogna  disingannarsi  ;  bisogna  levare  questo  ma- 
gico velo  di  cui  la  gioventù  orna  tutto  ciò  che  vede, 
e  dal  quale  non  iscorgo  trasparire  che  ridenti  im- 
magini di  voluttà,  di  ricchezza  e  di  gloria. 

S' io  fossi  un  ardito  che  fa  forza  alla  fortuna, 
alzerei  una  fiaccola  di  guerra  e  scorrerei  villaggi 
incitando  le  genti  alla  ribellione.  Esse  non  atten- 
dono che  lo  spirito  ardito  che  voglia  operare.  Io 
vedrei  ad  ogni  ora  ingrossare  il  mio  esercito  :  solle- 
citerei il  loro  ammaestramento  ;  vorrei  dare  a  tutti 
una  patria  da  difendere  e  da  rispettare.  Non  ha  forza 
chi  vuole  e  disvuole  in  odio  a'  decreti  del  re.  E 
già  la  leva  di  15  mila  uomini  ordinata  dal  principe, 
non  ha  sortito  alcun  effetto,  perchè  tutti  hanno  aper- 
tamente disdegnato  6!  essere  coscritti.  Io  forse  sarei 


98  GIOVITA    SCALVINI 

la  ruota  che  moverebbe  tutto  l' esercito  italiano  alla 

liberazione   della    dolce   terra    natia. 

» 

Perchè  affannarti  sospirando  il  bene  della  tua  Ita- 
lia, quando  tu  alla  fine  sei  un  meschino  che  non 
può  nulla?  Non  t'avvedi  che  tu  sei  simile  alla  for- 
mica che  si  lagnasse  di  non  potere  smovere  la  mon- 
tagna che  toglie  il  sole  della  sera  all'orlo  della  sua 
buca? 

Oh  bastasse  il  solo  mio  braccio  e  il  solo  mio 
sangue  !  Io  sarei  contento  se  potessi  fra  le  mie 
agonie   veder   libera   la    mia   patria. 

Che  sono  le  declamazioni  de'  filosofi  retori  ;  le 
quali  non  fanno  che  scuotere  i  nervi  ?  Che  sono  le 
belle  arti  ?  Che  sono  i  nostri  sterili  ed  inutili  studi, 
coi  quali  ci  separiamo  da  ogni  più  cara  consolazione 
della  vita? 

Hai  tu  mai  provato  quanto  è  vana  la  scienza  quan- 
do il  cuore  domanda  d'  esser  felice  ;  quanta  aridità 
è  negli  studi  ?  La  tua  ragione  ti  parla  altamente, 
ma  il  tuo  cuore  non  sa  ammantarsi  :  egli  è  ostinato 
come  un  fanciullo  al  quale  fu  tolto  un  balocco  ; 
che  non  finisce  di  strillare,  di  adirarsi,  e  ributta 
ogni  altra  cosa  che  in  un  altro  istante  gli  sarebbe 
parsa  più  desiderabile  e  cara.  A  petto  dei  bisogni 
del  cuore,  che  sono  mai  le  orgogliose  voluttà  della 
mente  ?  Beato  lo  stolto  se  può  credere  d' imparare 
qualche  cosa  ;  che  in  suo  cuore  dice  :  io  so  molto  ! 
Ma  quando  tu  sei  disingannato  della  scienza,  il  tuo 
cuore  allora  grida  più  alto  :  e  tu  domandi  ad  esso 
quei  conforti  che  non  hai  trovato  altrove. 

Che  significano  questi  deliri  ?  questi  lamenti  ?  que- 
sta forza  del  cuore  e  della  mente,  che  si  spandono 


SCRITTI   VARII  QQ 

nel  vano,  né  tendono  a  nulla,  né  creano  nulla  ?  L'  uo- 
mo è  fatto  per  operare  :  queste  forze  non  ti  sono 
state  date  perchè  si  ritorcessei*o  in  sé  stesse.  Ridu- 
cile  a  produrre    qualche    cosa. 

E  tu  pUx-e  fa'  :  fa'  qualcosa,  fa'  versi,  se  non  sai 
altro  ;  alleva  uccelli,  pianta  de'  fiori  ;  ma  fa'  e  storna 
il  tuo  pensiero  da  te  stesso. 

Che  farò  ?  vuoi  tu  eh'  io  racconti  agli  uomini  le 
mie  sventure  ?  Essi  mi  racconteranno  le  loro  ;  o 
sogghigneranno  dell'  amante  disdegnato,  o  mi  daran- 
no una  sterile  pietà. 

Scriverò  ?  svergognerò  i  tristi  ?  Ma  potrò  io  far 
sentire  la  mia  voce  ?  o  dove  riuscissi,  chi  saprà  a 
eh'  io  accenni  ?  E  se  dicessi  il  lor  nome,  chi  lo  cono- 
scerebbe ?  e  che  importerebbe  di  loro  e  di  me  agli 
altri  ?  I  privati  affetti,  i  propri  dolori,  i  propri  casi 
possono  mai  essere  buona  materia  dell'  arte  ?  Potrò 
io  recare  ad  atto  una  trista  consolazione,  indegna 
di  un  nobile  petto  ?  Sprecherò  l' ingegno  per  dipin- 
gere l' adulatore,  l' orgoglioso,  il  pazzo  ?  Per  dire 
gli  affetti  della  donna  profanati,  la  crudelità  del 
buono  verso  il  calunniatore?  Del  cuore  umano  non 
avvi  che  la  virtù  e  gli  alti  affetti,  degni  che  siano 
raccontati  ;  ma  le  sue  viltà,  le  sue  fatuità,  le  sue 
turpitudini  chi  regge  a  narrarle,  e  chi  ad  udirle  nar- 
rare ?  Allora  io  mi  vorrei  piuttosto  gettare  nel  mondo 
dei  fantasmi,  o  vorrei  piuttosto  conversare  colle  indo- 
lenti rupi  dei  monti  e  colle  acque  del  mare. 

Volgi  il  tuo  pensiero  da  te  stesso.  Al  mondo  non 
importa  nulla  de'  tuoi  affetti,  se  tu  sii  stato  in  essi 
felice  o  infelice.  Ciascuno  ha  i  suoi  dolori  e  i  suoi 
amori  ;  ciascuno,  come  dice  Omero,  ama  la  sua  donna, 
e  quella   a  lui    pare    bella.    Al    mondo    non    importa 


100  OIOVITA    SCALVINI 

sapere  se  tu  hai  patito  ;  ma  come  tu  hai  patito, 
se  da  uomo.  Vuole  che  i  tuoi  patimenti  gli  siano  di 
scuola.  E  ciascuno  non  apprezza  delle  tue  passioni  se 
non  ciò  che  sente  nel  suo  proprio  cuore,  e  ciò  che 
gli  torna  in  buon  consiglio. 

I  tuoi  affetti,  i  tuoi  piagnistei,  i  tuoi  dolori,  le 
tue  ire  non  importano  al  mondb  ;  al  mondo  importano 
le  tue  opere.  Egli  non  ti  domanda  se  hai  patito  o 
goduto,  ma  che  hai  fatto.  Se  tu  ti  siedi  perchè  non 
sai  andare  cogli  uomini,  essi  andranno  senza  di  te, 
senza  porgerti  la  mano  ipèr  aiutarti  ad  andare  con 
loro,   senza   volgersi    indietro   per   vedere   che    fai... 

Ravvediti.  Interroga  tutti  quelli  che  hanno  veduto  1 
declinare  la  loro  giovanezza  ;  ed  essi  ti  diranno  ge- 
mendo :  Ahi  la  vita  ci  è  passata  fra  le  irresoluzioni  ; 
abbiamo  sempre  mandato  al  domani  e  la  saviezza 
e  il  vero  godimento.  Abbiamo  navigato  sul  fiume 
d'ella  vita  guardando  alle  sue  rive  fiorite,  a'  loro 
verdi  declivi  ;  e  abbiam  detto  :  scenderemo  poi  a  go- 
dere di  quella  verdura  e  a  cogliere  di  quei  fiori. 
E  abbiam  seguitato  innanzi,  finché  il  fiume  ha  per- 
dtito  le  sue  liete  rive,  e  non  correva  più  che  fra 
sterili  sassi.  Abbiamo  allora  mandato  indietro  il  pen- 
siero :  e  sempre  ci  stanno  nella  mente  quei  giocondi 
pendii  dinanzi  ai  quali  siamo  passati  spensierata- 
mente. Il  pensiero  risale  il  fiume  della  vita  ;  ma  il 
nostro  legno  corre  sempre  all'  ingiù.  Nessuno  sa  na- 
vigare questo  fiume  a  ritroso.  E  la  bassezza  delle 
nubi,  e  la  sterile  ampiezza  della  campagna,  ci  addi- 
tano che  non  è  lontano  l'oceano  nel  quale  mettere- 
mo per  affondare... 

Verso  sera  cominciava  a  scintillare  la  bella  luce 
■della  luna  ;   e  la  più  bella  ancora,  d'Arturo  ;  ed  io 


SCRITTI   VARII  101 

stendendo  un  braccio:  là,  dicevo,  là  sopra  quelle 
stelle  !  E  guardandovi,  mi  pareva  di  essere  giù  in 
una  profondità  interminabile,  e  mi  sentivo  angustia- 
to, e  provavo  tutta  V  infermità  e  la  debolezza  del- 
l'uomo.  Mi  pareva  come  se  fossi  proteso  sul  pavi- 
mento dell'  oceano,  e  che  V  alte  colonne  delle  sue 
acque  mi  pesassero  sul  petto,  e  vedessi  sull'  altis- 
sima sommità  dell'onde  cerulee  le  ninfe  sorridermi 
e  farmi  cenno  di  salire  a  loro,  ed  io  non  potessi 
staccarmi,  aggravato  ed  infermo  su  quel   fondo. 

Nella  mia  prima  gioventù  avevo  formato  il  dise- 
gno d'  essere  capo-setta  :  avevo  raccolti  alcuni  com- 
pagni ;  e  di  più,  incominciato  un  libro  di  legislazione 
e  costumi.  Il  disegno  fu  rovesciato  dalla  difficoltà 
di  ritrovare  seguaci  d' ingegno,  fedeli,  non  invidiosi 
d'ella  mia  gloria,  e  costanti  al  pericolo. 

Orsù  logora  la  vita,  spendi  i  cari  giorni  della  gio- 
ventù, affievolisci  la  tua  salute,  scompagnato  da  tutte 
le  consolazioni,  per  farti  dotto  e  sapiente,  svolgi  an- 
tichi e  moderni  libri,  studia  greco  e  latino,  pesa  i 
pianeti,  misura  il  corso  delle  stelle,  scomponi  T  aria  ; 
ecco  viene  chi  sa  muovere  gli  stinchi  a  destra  e  a 
sinistra,  chi  sa  trarre  dal  gorgozzule  armoniosa  la 
voce,  chi  sa  colle  forbici  tagliare  un  giubbone  alla 
foggia  ;  ed  ecco  turba  di  servi  e  cocchi  e  lauta  vita 
sono  sempre  con  lui,  e  poche  ore  gli  bastano  per 
tutto  questo  acquistare  ;  e  tu  devi  affacchinare  dì 
e  notte  per  meritarti  il  pane  !  Ed  io  sono  pur  così 
meschino  ora  !  Eppure  ti  ho  abbracciata,  o  vita,  con 
tutte  le  forze  della  immaginazione.  Il  mio  agile 
pensiero,  simile  ad  un  etere  purissimo,  si  è  sparso 
per  tutte  le  tue  voluttà,  per  tutti  i  tuoi  prestigi,  ha 
veduto  tutto  ciò  di  che  tu  puoi  essere  liberale  all' a- 


102  OIOVITA    SCALVINI 

nima  delV  uomo.  Ed  era  sempre  mosso  e  tenuto  vivo 
da  un  fuoco  di  desiderio,  e  accompagnato  dalla  spe- 
ranza. 

Allora  fioriva  la  mia  giovinezza  !  Ella  è  finita  ben 
presto  !  Sempre  nei  miei  sogni  di  felicità  disingan- 
nato dagli  eventi  e  dal  funesto  vero,  anche  V  imma- 
ginativa non  trova  più  forza  da  creare  un  mondo 
dove  trasportarmi  con  tutti  i  sentimenti  della  vita, 
e  F  anima,  il  pensiero,  la  fantasia  sono  ricaduti  so- 
pra se  stessi  e  non  sono  rimasti  aperti  che  al  dolore 
che  mi  circonda. 


RIMPIANTI 

Io  mi  pasceva  di  sogni,  e  viveva  in  un  mondo  dove 
voi  non  avete  mai  avuto  ali  da  volare  ;  e  voi  m'  avete 
fatto  discendere  nel  vostro  mondo  ;  da  quella  am- 
piezza al  breve  spazio  della  realtà,  nel  quale  voi  mi 
aggirate  ;  da  quella  luce  alle  vostre  ombre,  mi  vi 
avete  fatto  discendere,  col  sogghigno,  col  sarcasmo, 
colla  derisione  di  ogni  cosa  che  non  era  voi  né  quello 
che  piace  a  voi  e  che  giugnete  a  comprendere  voi. 
E  vi  stimate  saggi  perchè  non  avete  potenza  di  desi- 
derare nulla  che  sia  fuori  del  vostro  possesso,  anzi 
possedete  piti  che  non  desiderate.  E  purché  gli  uo- 
mini vi  credan  savii,  vi  basta.  Non  arrossite  che  gli 
uomini  vi  credano  quello  che  non  siete... 

...  Allora  io  era  giovane,  pieno  di  speranze,  pieno 
di  benevolenza  per  tutti  ;  l'amore  mi  sollevava  sulle 
cose  terrestri  ;  il  mio  petto  era  senz'  ira.  Colla  giova- 
nezza é  perita  l' anima  mia,  V  innocenza  degli  affetti, 
l'impeto  del  cuore,  il  candore. 

Aver   così   sprecata    la   vita   in    illusioni,    in    vane 


SCRITTI   VARI!  103 

speranze  ;  sempre  fanciullo  in  qualunque  età,  senza 
norma  alla  vita,  senza  governo  di  me  stesso  !  E 
che  oggi  ancora  io  corra  a  quegli  affanni  che  non 
erano  scusabili  che  a  venf  anni  !  E  quando  penso  a 
tanti  anni  lasciati  dietro  a  me,  e  a  me  presente,  e 
alla  morte  della  mia  vita,  mi  vergogno  di  me  stesso,  e 
mi   taccio. 

Guardo  nelF  avvenire  ;  e  i  suoi  confini  sono  angu- 
stissimi. Ciò  che  mi  rimane  da  vivere,  è  poco.  Io  ho 
in  me  un  presentimento  di  essere  verso  il  fine. 
Morrò  convinto  che  tutto  è  vanità  nella  vita.  E  la 
vita  mi  sarà  fuggita  così  1  oh  disperazione  ! 

Ma  quei  tempi  non  torneranno  più.  Li  ho  lasciati 
per  sempre  dietro  a  me.  E  forse  questi  dolori,  me  li 
merito  ora,  perchè  ho  fatto  anch'  io  dolere  altrui 
per  la  confidenza  e  la  spensieratezza  con  cui  ho  pas- 
sato quel  tempo,  improvido  delP  avvenire,  e  neppur 
grato  nel  cuore  a  chi  mi  dava  que'  bei  giorni.  Ho 
dato  dei  dolori  a  chi  era  riservato  a  provarne  di 
così  grandi  e  irreparabili. 

Oh  se  avessi  potuto  preveder  V  avvenire  !  Vorrei 
poter  distruggere  il  passato,  per  non  essere  stato 
cagione    di    afflizioni.    La    vita    è  ormai    inutile. 

Mi  è  cara  per  istinto,  per  debolezza  perchè  inchino 
alla  vecchiaia.  Ma  se  ho  fatto  soffrire  altrui,  ne 
faccio  ora  ammenda.  Il  mio  cuore  non  è  più  commos- 
so, il  mio  intelletto  è  senza  nutrimento. 

Di  quante  stranezze  devo  chiederti  perdono...  Ma 
tutti  quei  fantasmi  sono  ora  spariti.  Ed  io  vor- 
rei pure  che  insorgessero,  che  almeno  mi  facevano 
sentire  la  vita...  Sono  stato  fuori...  ho  percorso  tanti 
luoghi  dove  fui  con  te.  Mi  son  seduto  sotto  le  tre 
piante...   Ho  messo  la  mano  dove  tu  V  avevi  messa, 


104  OIOVITA    SCALVINI 

dov'  io  V  aveva  baciata.  Sono  stato  dinanzi  al  bosco 
di...  mi  son  seduto  su  quel  tronco  steso  nel  campo.     1 
Ho  ricalcato  tutti  i  sentieri  del  bosco... 


AMORE   DELLE  COSE  LONTANE 

Io  imi  sono  sempre  tenuto  così  straniero  alle  genti 
fra  le  quali  vivo,  e  quasi  al  paese  nel  quale  cammino, 
che  ho  sempre  avuto  piìi  curiosità  di  conoscere  il 
vestire  di  un  principe  della  China,  che  di  quello 
sotto  il  cui  impero  vivevo  ;  più  la  geografia  di  un'  iso- 
la divisa  da  immensi  mari  da  me,  di  quel  che  sia  la 
nostra  Italia  ;  più  il  nome  che  aveva  una  contrada 
tremila  anni  addietro,  di  quel  che  il  suo  nome  di 
adesso. 

LA  SERVITÙ 

Queste  campagne  mi  sono  affatto  nuove  :  mi  trovo 
sotto  un  cielo  straniero.  Queste  piante  non  mi  cono- 
scono :  nessun  affetto  del  cuore  io  ho  mai  sfogato 
sotto  le  loro  ombre,  ed  esse  stanno  dinanzi  a  me 
ed  io  dinanzi  a  loro  col  contegno  di  due  persone 
che  si  veggono  la  prima  volta.  Io  dico  loro  :  Voi 
avete  ragione  ;  non  mi  avete  mai  vedtito  ;  è  la  prima 
volta  eh'  io  vi  compaio  dinanzi  :  tutto  sta  contro  di 
me.  Io  servo  meschino.  —  Sì  ;  mi  pare  che  le  mi 
rispondano  ;  quando  il  Negro  schiavo  della  Florida 
si  adagia  sotto  le  ombre  delle  nostre  sorelle,  il 
padrone  viene,  e  le  fa  radere  dalle  radici.  T'allon- 
tana adunque  :  chi  è  servo,  non  deve  cercare  le  fre- 
sche ombre  delle  foreste  ;  per  lui  non  son  fatte  le 
rive  de'  ruscelli,  non  gli  aliti  delle  aure  della  sera. 


SCRITTI   VARII  105 

...  l' altrui  bontà  rende  meno  aspra  la  condizione 
della  servitù,  e  la  bontà  rara  la  rende  quasi  soave. 
—  È  vero,  dove  sia  la  confidenza  :  ma  senz'  essa, 
V  altrui  bontà  ti  fa  quasi  sentire  più  il  dolore  del 
tuo  stato,  perchè  credi  derivare  da  tuo  demerito, 
se  non  vedi  gli  altri  usare  teco  quei  modi  confidenti 
che  la  bontà  sa  trovare.  Chi  riceve  salario  non  è  mai 
fatto  1'  amico  di  chi  lo  paga.  Chi  paga,  vede  natural- 
mente in  altri  il  dovere,  non  sente  gratitudine  di 
nessun  diligente  uffizio. 

...  Ed  eri  nato  con  un  ingegno  non  ignobile,  e 
tu  lo  hai  avvilito  nella  servitù. 

Quando  tu  eri  libero,  tu  eri  anche  buono.  La  dolce 
libertà  che  il  cielo  ti  aveva  fatta,  non  doveva  essere 
deturpata  con  opere  indegne  di  così  bel  dono.  Tu 
sentivi  la  nobiltà  della  tua  anima  ;  e  il  rimorso  ti 
avrebbe  troppo  vivamente  straziato  se  non  avessi  con 
ferma  volontà  atteso  a  raffermarla.  Dopo  che  ti  sei 
fatto  servo,  il  tuo  cuore  si  è  guasto  ;  e  pare  che  tu 
abbia  detto  fra  te  :  Se  io  devo  porre  la  mia  volontà 
alla  balìa  dei  capricci  di  un  uomo,  tanto  fa  che 
possa  io  venderla  anche  alle  lusinghe  delle  mie  pas- 
sioni. 

Sono  stato  a  visitare  le  fiere.  Il  leone  era  anno- 
iato, si  sdraiava,  sbadigliava.  Io  ebbi  con  esso  lui 
una  lunga  conversazione.  Ho  veduto  in  lui  tutta  la 
noia  della  servitù  in  un  animo  che  non  sa  adirarsi 
alla  sua  sorte,  e  che  vi  è  rassegnato. 

Sono  invecchiato  in  pochi  mesi  per  molti  anni.  Il 
cuore  è  nelP  inerzia,  l' immaginativa  è  spenta  ;  e  l' u- 
mana  dignità,  che  altra  volta  sentivo,  mi  pare  trop- 
po alta  cosa  per  me,  e  così  fuor  de'  miei  desideri 
come  i  trionfi  de'  Cesari.  Onde  presto  sarò  uno  stu- 


106  GIOVI TA    SCALVINI 

pido,  e  veramente  pedagogo  e  se  tu  tarderai  molto 
a  venire  a  Milano,  mi  troverai  di  legno  ;  e  dirò  allora 
il  contrario  di  ciò  che  diceva  Priapo  :  Una  volta  era 
un  uomo,  or  sono  un  fico. 

Sarò  reputato  pazzo  e  stolto,  tutto  quello  che  vo- 
gliono, ma  io  non  so  resistere  a  questo  ferrea  desi- 
derio di  libertà.  Io  trovo  che  ha  fatto  più  male  a 
me  un  anno  di  servitù  che  non  tutti  i  vizi,  tutte  le 
passioni,  tutti  i  deliri  della  mia  giovinezza.  —  Non 
sai  vivere  —  dirà  taluno.  Io  non  so  vivere  :  e  qua! 
colpa  è  in  me  se  non  so  vivere? 

Ascoltate  tutti,  o  uomini  miei  simili  ;  io  ho  bi- 
sogno di  parlare  a  voi.  Udite  un  mio  consiglio.  Cre- 
dete almeno  una  volta  eh'  io  possa  dire  la  verità  : 
dopo,  disprezzatemi,  perseguitatemi,  maledite  persi- 
no il  mio  cadavere:  ma  una  volta  ascoltate  la  mia 
voce.  Non  vi  fate  mai  servi.  Ecco  T  ampio  universo 
dinanzi  a  voi,  ecco  campi  da  coltivare,  ed  arti  e 
mestieri  da  esercitare,  che  vi  daranno  tanto  da  so- 
stentare la  vostra  fuggitiva  vita. 


PRECETTORATO 

Io  precettore  ?  Stravaganza  che  mi  move  a  riso. 
Io  che  non  ho  mai  potuto  dar  regole  a  me  stesso, 
studiare  per  darle  altrui  ? 

Giova  che  mi  faccia  vedere  io  a  disegnare  senza 
nulla  dirgli.  Giova  fargli  leggere  dei  dialoghi. 
Giova  non  gli  rispondere  sopra  cose  indifferenti, 
per  avvezzarlo  a  non  avere  risposta  sopra  cose  c*he 
non  deve  sapere. 


SCRITTI   VARII  107 

Mi  converrà  essere  caritatevole  anche  per  I'  esem- 
pio. Del  qual  esempio  hanno  assai  bisogno  i  ric- 
chi, naturalmente  crudeli. 

Chi  fa  il  Chirone,  è  mezzo  bestia  davvero  ;  o  gli 
antichi  vollero  simboleggiare  che  bisogna  che  sia. 
Ma  io  diventerò  bestia  in  intero. 

Che  faccio  io  strascicandomi  ai  fianchi  da  mane  a 
sera  un  sordo,  col  quale  sono  privo  dell'  unica  con- 
solazione che  può  avere  uno  che  è  preposto  all'  al- 
trui istruzione,  quella  di  parlare,  di  aprire  il  proprio 
animo,   di   partecipare   quel   poco   eh'  ei   sa  ? 

(Lettera  al  Melzi)  ...  Una  malattia  d'occhi  che  mi 
molesta  già  da  più  che  un  anno,  mi  costringe  a  pro- 
vare se  il  riposo,  la  vita  libera,  e  1'  aria  natia  potes- 
sero porvi  riparo.  Questo  è  il  principale  motivo  della 
mia  deliberazione  :  ma  poiché  io  voglio  interamente 
aprire  a  Lei  il  mio  cuore,  debbo  pur  confessare,  che 
io  sento  non  essermi  in  tutto  conveniente  il  posto  da 
me  finora  tenuto.  Volentieri  io  potrei  accordarmi 
a  insegnare  quelle  cose  che  i  miei  pochi  studi  mi 
han  fatto  conoscere  :  ma  le  parti  d' ajo  son  troppo 
avverse  alla  mia  indole,  alle  abitudini,  e  per  avventura 
all'  età  mia.  E  mi  pare  che  quand'  anche  io  inchinassi 
per  natura  e  per  prova  ad  assumere  un  tal  incarico, 
non  vorrei  farlo  in  una  grande  città  dove  dominano 
tanti  errori,  e  si  va  dietro  a  tante  false  imagini  di 
bene,  da  cui  è  dura  fatica,  e  soverchia  per  me,  pre- 
servare gli  alunni,  che  sono  sempre  mossi  più  as- 
sai dagli  esempi  che  dalle  parole.  E  se  io  sento  trop- 
po gravi  adesso  per  me  i  miei  doveri,  che  sarebbe 
ne'  futuri  anni  ne'  quali  certamente  s' addoppieran- 
no  ?  E  che  si  direbbe  allora  di  me,  se  io,  non  li  po- 
tendo  sostenere,   me   ne   sottraessi  ?   Tolga   il    cielo 


108 


GIOVITA    SCALVINI 


che  io  pensi  essermi  state  affidate  più  cose  che  non 
si  dovesse:  che  anzi  dubito  d'averne  adempiute  me- 
no che  non  sarebbe  stato  del  debito  mio.  E  pure  le 
adempiute  son  già  troppo  per  me.   So   che  mi  può 
essere   risposto   che   io   avrei   dovuto   prevedere   ciò 
di  che  ora  mi  lagno,  e  meglio  ponderare  prima  d'  as- 
sumere.  Forse  per  inconsideratezza  io  non   fui  pre- 
vidente ;  fors'  anche  fu  poco  conoscimento  delle  cose 
della   vita   sociale,  e    della   qualità    d' educazione   ri- 
chiesta a'  figliuoli  nati   in  ricco  stato,  e  diversa  da 
quella  che  la  mia  povera  condizione  concesse  a  me  : 
e  forse  è  da  dire   che  quegli  uffici   che  legano  più 
alle   persone   che    alle    cose,    recano   seco    doveri    e 
incomodi   impossibili   a  determinare.    Però   significai 
dapprima   all'Acerbi,   che   desideravo   sperimentarmi, 
ma   non   mi    legare   affatto.    Non   pertanto   le   posso 
affermare  che  dóve  non  mi  fosse  sopravvenuto  que- 
sto  danno  degli   occhi,   avrei    (essendole   in   grado) 
seguitato  a  rimanere  alla  sua  servitù  ;  per  veder  pure 
se  le  abitudini   potevano   far  parer   lieve   un   carico 
trovato  molesto  :  —  benché  sia  dtira  cosa  abbisogna- 
re delle  abitudini  per  temperare  la  noia  d' una  con- 
dizione.  Io  posi  ogni  cura  per  avvezzarmi   alla  mia 
condizione,   ma   sempre    invano  ;    e  dovetti   alla    fine 
persuadermi    (ed    Ella    lo   sa),    esserci    certi   uomini 
che  non  son  fatti  per  certe  cose,  per  accomodarsi  a 
certe  soggezioni,   ad  una   continua  dipendenza  ;   per 
vedersi  nell'universale  opinione   gli  ultimi   di   tutti, 
abietti  agli  occhi  perfin  di  quelli  che  sono  costretti 
apprestargli  i  loro  servigi  ;  esservi  alcuni  uomini  che 
hanno  altro  desiderio  che  quello  degli  agi  ;  che  tro- 
vano il  loro  diletto  fuori  di  quelle  cose  nelle  quali 
il  mondo  lo  suole  trovare  ;  che  credono  non  essere 
poi  tanto  preziosa  la  vita  che  meriti  d'  essere  conser- 
vata al  prezzo   dell'intera  libertà.  E  allora  il   cuore 


SCRITTI   VARII  109 

alza  la  sua  voce,  e  richiama  l'uomo  al  dblce  soggior- 
no della  nostra  fanciullezza,  e  ci  fa  conoscere  che 
lo  stato  migliore  è  quello  nel  quale  dalla  Provvi- 
denza eravam   collocati. 

L'  esperienza  conduce  al  disinganno  :  essere  testi- 
mone degli  altrui  godimenti  non  è  godere  ;  e  il  poco 
bene  che  danno  gli  agi,  non  vale  il  prezzo  con  che 
dev'  essere  comperato.  E  queste  cose  le  dico  candi- 
damente a  Lei  come  a  persona  che  per  gli  studi,  per 
V  uso  della  vita,  per  la  nobile  e  sincera  indole  dei- 
animo,  per  la  noncuranza  in  che  tiene  ogni  apparenza 
di  piacere,  è  fatto  meglio  che  ogni  altro  persuaso 
de'  miei  sentimenti.  Tutte  queste  cose  le  ho  dette, 
non  perchè  io  creda  che  a  Lei  fosse  tanto  utile 
l'opera  mia  da  abbisognare  di  molte  (parole  per 
disporla  a  farne  senza,  ma  solo  per  iscusare  il  pas- 
so al  quale  io  sono  condótto. 

Oltre  di  che  io  non  ho  altro  al  mondo  che  un  poco 
di'  amore  agli  studi  ;  e  in  questo  ufficio  di  precet- 
tore, oltre  al  mancarmi  il  tempo  a  studiare,  io  non  so 
come  mi  è  venuta  meno  anche  1'  attitudine  a  appren- 
dere. Aggiungasi  che  il  maggiore  de'  suoi  figli  è 
tanto  sfortunato,  da  non  potere  non  esser  cagione 
di  perpetua  mestizia  a  chi  gli  prende  affetto  ;  ed 
io  sono  per  natura  così  poco  disposto  al  piacere, 
che  non  sarebbe  saviezza  andar  volontario  incontro 
al   dolore. 

ESILIO 

Abbiamo  fallito  l' intento  della  vita,  e  aggiunti  i 
nostri  propri  errori  agli  altrui,  per  renderla  mise- 
rabile e  inutile.  Abbiamo  voluto  essere  sciolti  d'ogni 
soggezione  ;  ci  siamo  creati  una  soggezione  peggiore, 
perchè   abbiamo   dovuto   domandare   asilo   allo   stra- 


^^0  OIOVITA    SCALVINI 

niero,  e  accettare  protezione  e  soccorso.  Abbiamo  vo- 
luto essere  virtuosi:  siamo  rimasti  perplessi.  Ave- 
vamo sortito  nobile  ingegno,  e  l'abbiamo  trafficato 
come  una  merce  per  campare  la  vita  ;  abbiamo  gri- 
dato anzi  che  operare,  pianto  anzi  che  aiutarci.  Ab- 
biamo disdegnato  le  arti  della  vita  ;  e  quando  ci 
sono  bisognate,  ci  siam  trovati  stolti  e  disarmati. 
Abbiamo  superbamente  voluto  edificarci  un  mon- 
do più  alto  del  reale  ;  e  siamo  precipitati  in  esso, 
stanchi,  offesi,  irati,  senza  virtù  di  rilevarci. 

Ora  la  nostra  vita  è  come  una  veste  logora  e 
lacera  che  si  è  logorata  e  guasta  nei  ripostigli,  sen- 
za che  fosse  mai  d'  utile  a  nessuno. 

Io  aveva  casa  e  beni  più  che  non  bisognano  al 
sostegno  della  mia  vita,  contento  di  poco  ;  e  molti 
altri  erano  come  me  :  e  abbiamo  dovuto  stender  la 
rnano.  Abbiamo  dovuto  mendicare.  En-ammo  disper- 
si, ci  rincontrammo  per  caso  ;  e  parlando  la  mede- 
sima lingua,  rammentammo  le  medesime  cose  che 
insieme  avevamo  conosciute  ed  amate  in  patria,  i 
comuni  amici,  le   comuni  abitudini. 

Se  tu  dici  :  le  mie  merci  affondarono  in  mare,  il 
foco  ha  arso  le  mie  case,  la  grandine  ha  diserto  i 
miei  campi,  tu  trovi  commisierazione  ;  ma  se  tu  dici  : 
io  sono  sbandito  ;  egli  è  come  se  tu  dicessi  :  io 
sono  un  pazzo.  Aggiungi  che  il  falsario,  il  ladro, 
l'assassino,  il  vagabondo  prendono  il  mantello  della 
tua  sventura  ;  e  tu  che  sei  povero,  vai  a  rischio  d'  es- 
sere creduto  un  di  loro. 

Noi  morremo  nei  nostri  letti,  come  infingardi.  Ab- 
biamo errato  il  cammino  della  vita  :  e  non  possiamo 
riuscire  più  a  nulla.  Siamo  nati  in  tristi  tempi,  siamo 
stati    traditi    nei  nostri    affetti,  delusi    nelle    nostre 


SCRITTI   VARII  111 

speranze,  derisi  o  puniti  della  nostra  virtù,  avuti  in 
sospetto  della  nostra  innocenza,  redarguiti  dagli  stol- 
ti, e  posposti  agli  astuti.  Facciamo  almeno  di  non 
essere  tristi  :  questo  è  ciò  che  solo  resta  a  chi  ha 
errato  il  cammino  della  vita,  a  chi  non  ha  più  né  gio- 
vanezza, né  casa,  né  parenti.  Deponiamo  le  nostre 
ossa  in  terra  straniera,  e  le  copra  V  obblio. 

Quanti  venti  aveva  già  questa  nave  sostenuti  !  quan- 
te volte  solcato  il  mare  in  tempesta,  e  sempre  si 
era  condòtta  salva  nel  porto  !  Ma  la  procella  ha  poi 
soffiato  più  forte  :  ed  ella  era  già  stanca  e  logora  dai 
lunghi  suoi  corsi  ;  e  finalmente  ha  rotto  ed  affon- 
dato. Or  le  reliquie  sono  messe  in  rottami,  e  an- 
dranno qua  e  là  dissipate. 

Beato  quegli  che  pose  il  suo  cuore  nella  fanciulla 
che  poi  'fece  compagna  della  sua  vita,  ed  ebbe  casa 
e  famiglia  ;  quegli  che  va  co'  suoi  concittadini  alla 
chiesa,  e  prega  con  essi  ;  quegli  che  sostiene  la  vec- 
chiaia de'  suoi  genitori  ;  quegli  che  cresce  i  suoi 
figli  ;  quegli  insomma  che  compie  i  destini  segnati 
all'umanità.  Quegli  ha  cagione  di  migliorare  se  stes- 
so, quegli  trae  compiacenza  della  sua  virtù,  perchè 
la  vede  utile  ai  suoi  simili.  Ma  noi,  noi  siamo  senza 
genitori,  senza  tetto,  senza  figli.  Il  passato  è  dolo- 
roso a  ricordare,  e  1'  avvenire  è  senza  promesse. 

L'  esule  dal  proprio  paese,  al  quale  è  venuta  meno 
la  gioventù  e  il  vigore,  e  che  pure  ha  patito  in  esi- 
lio quelle  cose  che  mai  in  patria  non  avrebbe  avuto 
a  sostenere  ;  egli  si  è  fatto  maestrucolo  di  lingua, 
e  gazzettiere,  e   compilatore   d' antologie. 

Ahi  !  io  sono  stato  in  prigione,  solo  e  gettato  sulla 
paglia  :  ma  allora  la  mia  natura  si  aiutava,  e  la  mia 
anima  invigoriva  dentro  di  me  ;  io  mi  sentiva  uomo 


112  OIOVITA    SCALVIMI 

allora,  e  più  uomo  che  mai  non  mi  era  sentito.  Ma 
adesso  io  mi  sento  debole,  e  da  meno  di  me  medesimo. 

Il  sole  splende  sereno  su  queste  rovine.  Il  mare 
è  abbonacciato,  simile  ad  un  nemico  che  si  riposa 
presso  il  cadavere  del  suo  nemico,  lieto  della  ven- 
detta. Ma  vedi  queste  vuote  conchiglie  :  son  tutti 
naufraghi.  Un  tempo  erano  condotti  per  l'acque  da 
una  vita  che  ci  dimorava  dentro  ;  ed  ora  sono  come 
quelle  navi  che   la  tempesta  ha  vuotate. 

Nato  in  povertà,  nudrito  sui  monti  al  sole  ed 
al  vento,  di  nessuno  studiatore,  studiato  da  nessuno, 
libero,  ignaro,  innamorato  dei  boschi,  dei  fiumi,  dei 
sassi  ;  il  mio  pensiero  tornò,  con  un  desiderio  e  una 
mestizia  non  provata  sino  allora,  al  mio  paese  na- 
tale. Dopo  tanti  anni  di  lontananza  mi  si  affacciavano 
tutti  gli  oggetti  sì  vivamente,  eh'  io  li  vedeva  ed 
udiva.  Io  udiva  il  romore  di  un  torrente,  che  m'  era 
portato  più  o  meno  forte  dal  vento  nella  mia  casa  ; 
vedeva  tutte  le  rupi  dei  monti,  i  sentieri  tortuosi, 
il  pino  accanto  alla  casetta,  il  santuario  sulla  cima 
del  colle  fra  i  densi  tigli  ;  e,  cosa  mirabile,  io  sentiva 
veramente  l'odore  delle  erbe  selvatiche  su  per  la 
costa  del  monte,  l' esalazione  dei  prati  ;  sentiva  il 
fresco  dell'ombra  lungo  le  fredde  correnti. 

E  mi  sentiva  debole  e  avvilito  e  solo  :  solo  e  sban- 
dito da  tutto  ciò  che  avevo  di  più  caro,  ed  errante  per 
paesi  e  per  genti  eh'  io  non  conosceva,  e  da  cui  non 
era  né  conosciuto  né  amato.  E  allora  m'inginocchia- 
vo (a  pregare. 

RITORNO  DALL'  ESILIO 

Io  cercava  cogli  occhi  tutti  i  luoghi  ai  quali  era 
collegata   qualche   dolce    memoria  ;   ma    come    tutto 


SCRITTI   VARII  113 

era  cangiato  !  le  zolle  sulle  quali  ero  stato  sedtito, 
erano  sepolte  sott'  acqua  ;  i  tronchi  degli  alberi  in 
rottami  :  da  per  tutto  lo  squallore  era  succeduto  alla 
bellezza  ed  al  verde,  come  il  disinganno  succede  agli 
inganni,  e  il  triste  vero  a^  bei  sogni.  Sì  certo,  io 
volgo  la  fantasia  nel  passato  ;  ma  non  sono  più  che 
cose  fantastiche,  mentre  una  dolorosa  realtà  mi  sta 
innanzi. 

Vado  per  monti  ;  ma  ogni  sito  che  tanto  m' era 
caro,  i  sentieri  che  io  soleva  frequentare,  i  sassi  sui 
quali  soleva  sedermi,  ora  mi  mettono  nelP  anima 
una  profonda  mestizia  ;  e  li  fuggo  con  dolore,  perchè 
mi  ricordano  giorni  periti  iper  sempre,  e  mi  fanno 
sentire  quanto  io  sia  mutato. 

Sono  uscito  qui  ieri  dopo  oltre  a  diciassette  anni. 
M' immaginava  di  poter  salire  questi  colli  colla  le- 
stezza della  gioventù  ;  ma  mi  sono  affaticato,  e  mi 
è  entrata  nell'  anima  una  profonda  mestizia.  Mi  sono 
accorto  di  essere  vecchio.  E  la  natura  non  mi  parla 
più  neir  anima  come  un  tempo.  I  colli,  i  monti  sono 
quei  medesimi  ;  ma  io  sto  dinanzi  ad  essi  come 
dinanzi  a  una  donna  che  avesse  cessato  d' amarmi, 
e  non  avesse  più  nulla  da  dirmi.  Non  son  più  fatto 
pei  boschi,  per  la  solitudine,  ma  per  la  città  e  per 
le  genti. 

Sento  pietà  di  questo  paese  ;  e  mi  adirerei  anche, 
se  non  sentissi  che  è  brutto  adirarsi  contro  il  paese 
natio.  Ma  in  vero  io  qui  sono  ora  straniero.  Ora 
qui  mi  pare  che  la  razza  umana  nasca  per  affaticare, 
soffrire,  figliare,  e  morire  ;  e  per  nuli'  altro. 

Cerco  di  piegare  la  mia  natura  ad  esser  contenta 
delle  cose,  delle  usanze,  delle  persone  fra  le  quali 
<Ievo  pure  stare.  Bisogna  ch'io  mi  avvezzi  alla  spor- 

8 


114  GIOVI  T  A    se  AL  VINI 

cizia,  alla  stoltezza,  all'  ignoranza  e  alla  miseria  dalle 
quali  non  potrei  uscire.  Ma  avverrà  che  potrà.  Il 
mio  bello  e  lieto  vivere  è  finito  ;  mi  riguardo  come 
morto.  Quest'  è  un  sopravvivere  dolorosamente  a  tut- 
to ciò  che  solo  può  meritare  d^  essere  chiamato  vita. 

Ho  trovato  Botticino  in  una  gran  rovina  :  gran 
parte  delle  viti  seccate,  i  muri  crollanti.  E  per  met- 
termi a  riparare  alle  cose,  è  omai  tardi  ;  né  potrei. 
La  mamma  non  se  n'  è  accorta  ;  come  non  ci  accor- 
giamo dei  guasti  del  tempo,  che  scava  un  volto  che 
Siam  soliti  vedere  ogni  giorno.  La  trascurataggine, 
la  sporcizia  di  questa  popolazione  passa  ogni  cre- 
dere. 

M.  non  mi  riconobbe  in  Milano  ;  e  stentò  perfino 
mia  madre,  la  quale  stette  a  guardarmi  sospesa.  E 
le  prime  parole  che  disse,  furono  volgendosi  a  un 
suo  nipote  :  Non  ha  piti  la  stessa  fisonomia.  E  par- 
ve meglio  accettarmi,  che  riconoscermi. 

Era  meglio  anche  per  mia  madre,  eh'  io  morissi 
quand'  ero  lontano.  Ella  s'  era  avvezzata  a  far  senza 
di  me. 

Il  sepolcro  di  mio  padre  non  e'  è  più.  Un'  altra 
fossa  si  è  scavata  dov'  era  la  sua  ;  e  un  altro  cada- 
vere è  sceso   ad  abitarla. 

Mi  sono  accorto  subito,  che  M.  M.  s'  era  avvezzata 
a  far  senza  di  me.  In  alcune  cose  mi  pare  d'  essere 
incomoda.  Diciassette  anni  sono  lunghi.  Ha  mostrato 
desiderio  di  continuare  a  amministrar  lei  ogni  cosa  ; 
e  la  lascio  fare. 

Provo  un  dolore  più  profondo  ora,  tornando  col 
pensiero  nei  luoghi  dove  ho  passati  tanti  anni  ;  do- 


SCRITTI   VARII  115 

lore  che  non  ho  mai  provato,  quando  lasciai  V  Italia, 
a  ritornare  coli' immaginazione  qui  d'ove  sono  ora. 
E  in  quei  primi  anni  vi  era  la  speranza  del  ritorno, 
vi  era  la  novità  dei  paesi,  vi  era  da  imparare  ;  e  si 
fuggiva  un  pericolo.  Ora,  da  che  son  qui  per  il 
resto  della  vita,  non  vi  è  altro  conforto  fuorché  quello 
di  sentire  che  sarà  ben  poco  male  se  questo  resto 
sarà  breve.  Ma  le  memorie  sono  dolorosissime. 


L'ANIMA    È    SOLA 

Giovine  sventurato  !  tu  non  domandi  consolazione 
a  nessuno,  perchè  li  vedi  tutti  troppo  lieti  ;  e  altro 
ci  vorrebbe  se  corressero  a  piangere  ad  ogni  lagrima 
che  sparge  l' infelice  !  Perchè  proveranno  essi  così 
grande  afflizione  per  le  tue  disgrazie,  quando  essi 
medesimi  domani  dovranno  forse  incontrarne  di  egua- 
li o  peggiori  ?  Chi  vorrà  vivere  tutta  la  vita  nella 
malinconia  e  nel  dolore,  correndo  ad  affliggersi  per 
gli  altrui  mali,  appena  che  gli  lasciano  un  pò  d'i 
tregua  i  propri  ?  No,  no  :  vivete  pure  tutti  lietis- 
simi ;  furate  piti  momenti  che  potete  all'  avversa  for- 
tuna, che  tutti,  quando  che  sia,  ne  atterra.  Vivete 
lietissimi,  e  lasciate  eh'  io  discenda  colla  mia  sorte 
nel  sepolcro. 

Né  io  mi  aprivo  mai  ad  alcuno  ;  perchè  noi  con- 
fidiamo altrui  quei  dolori  che  supponiamo  sentiti 
anche  da  altri,  e  propri  dell'  umana  indole  ;  ma  quan- 
do pensiamo  che  siano  propri  di  noi  soli,  e  della 
nostra  mente  traviata,  allora  procuriamo  che  nessuno 
li  penetri,  per  paura  di  non  essere  intesi,  o  derisi. 
E  mi  pareva  anche  che  tutti  vivessero  lietamente,  e 
non  avrebbero  curato  di  consolarmi.  Io  conoscevo 
la  mia  malattia,  e  cercavo  di  sollevarmi  ;  ma  spesso 


116  GIOVITA    SCALVINI 

anche  mi  dimenticavo,  e  mi  abbandonavo  in  essa. 
Ora  mi  trovo  meglio  ;  e  queste  cose  le  scrivo  non 
perchè  mi  senta  guarito,  ma  per  presentare  a  me 
stesso  il  quadro  delle  mie  debolezze,  e  per  mostrar- 
mi che  le  conosco. 

Oh  !  come  pochi  son  quelli  che  hanno  un  po'  di 
cuore  !  Pare  che  in  mezzo  agli  uomini  coi  quali  vivo, 
non  si  abbia  a  sperare  felicità,  che  serranda  tutti 
gli  affetti  nei  segreti  del  cuore,  e  mentendosi  ;  e 
rinnegare  sé  medesimi,  e  trascurare  i  lontani,  e  i  vi- 
cini lodare. 

Io  vi  apriva  il  mio  cuore,  io  vi  domandava  qualche 
conforto,  io  mi  mostrava  ignudo  avanti  di  voi,  tutte 
le  mie  debolezze  e  i  miei  timori  e  M  molesto  mio 
genio  palesandovi.  Io  mi  credeva  che  gli  animi  vostri 
esser  dovessero  commossi  dagli  umili  sinceri  affet- 
tuosi modi  coi  quali  tutto  mi  vi  apriva.  Io  non  do- 
mandava le  vostre  lodi,  ma  il  vostro  amore  soltanto, 
e  qualche  consolazione,  e  vi  confessava  che  i  fantasmi 
d'ella  immaginazione  e  la  mia  poca  esperienza  della 
vita  mi  rendevano  infelice. 

Ma  voi  siete  rimasti  freddi  e  muti  alle  mie  parole  ; 
anzi  m' avete  ascoltato  sogghignando  fra  voi.  Avete 
sparso  un  ridicolo  disprezzo  su  di  me  ;  tacendo  il 
vero,  avete  riferito  quel  ch'io  non  avevo  pronunciato 
giammai,  e  m'  avete  rappresentato  come  un  fanciullo 
se^mpre  piangente  e  affannoso   per  meri   fantocci. 

È  ora  di  pensare  a  te  stesso.  È  vero,  io  ci  ho 
pensato  poco  sino  ad  ora  ;  io  mi  sono  ingannato  in 
piti  cose.  Mi  sono  creato  all'  intorno  un  mondò  im- 
maginario. Io  mi  credeva  di  aver  a  vivere  fra  gli 
uomini  come  fra  mezzo  ad  amici  e  a  fratelli.  Io, 
nuovo  nella  vita  e  innocente  e  leale,  credeva  che  tutti 


SCRITTI   VARII 


117 


mi  somigliassero  ;  e  se  m' incontrava  in  qualche  città, 
io  la  credeva  nuova  e  pellegrina  nel  mondo,  come 
ne  era  a  me  nuova  e  pellegrina  la  cognizione.  Quante 
volte  ho  disdegnato  di  pensare  al  mio  meglio,  e 
sono  andato  incontro  ciecamente  al  dolore,  dicendo 
fra  me  :  vi  saranno  quelli  a  cui  sarà  dolce  il  salvarti  ! 
E  non  badava  che  il  mondo  era  d'  antico  pelo  ;  e  che 
quando  io  vagiva  in  culla,  vi  erano  degli  ipocriti 
consumati,  de'  calunniatori,  degli  scellerati  e  degli 
egoisti.  —  Ma  io  partirò  da  questa  città  :  andrò  in 
Inghilterra. 

Chi  si  prende  pensiero  dell'uomo  che  va  solo 
e  malinconico  di  su  di  giù  per  le  contrade  delle  vaste 
città  ?  Egli  va  colla  folla,  è  creduto  uno  de'  tanti 
che  vanno  a'  fatti  loro,  ed  egli  medita  il  suo  dolore 
secreto  ;  si  trova  solo  come  in  un  deserto,  e  pensa 
qual  razza  esser  deve  questa  degli  uomini,  nella 
quale  può  viversi,  affacciarsi,  strofinarsi  con  mille 
persone  di  essa,  senza  mai  che  un  pensiero  si  tra- 
sfonda dall'uno  nell'altro. 

O  Dio,  tu  sai  che  se  i  miei  costumi  sono  stati 
pravi  talvolta,  non  fu  mai  pravo  il  mio  cuore:  an- 
ch'io alle  volte,  per  seguitare  la  moda,  ho  detto 
vi  amo  a  una  donna  che  non  amavo,  e  ho  potuto 
mostrar  dolore  di  cose  che  m'erano  indifferenti: 
ma  il  mio  cuore  disapprovò  sempre  queste  menzo- 
gne, questo  mio  cuore  che  nessuno  conosce,  perchè 
non  mi  sono  ancora  incontrato  in  anima  nata,  alla 
quale  io  osassi  aprirlo  tutto  tutto,  senza  il  timore 
d^  esser  detto  stolido  e  pazzo.  Seguo  in  vista  la  cor- 
rente :  sono  bugiardo  il  meno  che  posso:  ma  so 
tacere  gì'  intimi  miei   sentimenti  e  celarli. 

Vivo  solitario  ;  e,  più  che  le  ingiurie,  temo  i  be- 


^18  GIOVITA    SCALVINI 

nefizi.    Non    era    così    quando    io    credetti   'tutti    gli 
uomini  buoni.  — 

Sono  pur  facili   gli  uomini   ad  accusare  altrui  di 
pazzia  !  Se  vedessero  nel  cuore  di  quest'  uomo  eh'  es- 
si   dicono   pazzo  !    Se    conoscessero    tutti    i  sacrifici 
che  io  ho  fatti  per  contentare  altri  !  —  Ma  a  che  la 
loro  compassione  ?  Ingannato  che  io  era  !  Io  ponevo 
troppe  speranze  nell'amore  degli  uomini,  perchè  mi 
sentivo  portato  ad  amarli,  io  credevo  alla  loro  uma- 
nità, perchè  mi  trovavo  umano.  —  Non  più  piangere 
se  di  una   sola  parola   ci  pungano  ;  non   più  voler 
essere   ad  ogni    costo    felice.  —  Vi   sono   ben    altri 
dolori  da  sostenere.  —  Tu  pretendevi   troppo.   Non 
t' avvedevi  che  sono  gli  uomini  ?  —  Ed  io  sono  in- 
giusto  quando  mi    lagno    così    e  della   mia   povertà 
e  delle  poche  gioie  che  consolano  la  mia  giovinezza  ; 
perchè  se  mi  volgo  indietro  e  guardo  alla  turba  di 
tanti    miserabili,    io    sento    nella    coscienza    d^  insul- 
tarli ogni  volta  che  cerco  un  piacere  di  più,  e  sento 
che  dovrei  partire  con  un  éì  loro  il  tetto  nel  quale 
io   riparo   dal    freddo   del   verno,  e   il   pane  che  mi 
trovo  dinanzi  sul  desco. 


SPENGENDOSI... 

A  che  mi  parli  degli  studi,  e  volgi  il  mio  sguardo 
verso  il  lume  della  gloria  ?  Egli  è  ormai  tardi.  L' in- 
gegno è  morto. 

A  me  di  dì  in  dì  si  offusca  vie  più  V  intelletto  ; 
e  mi  fo  ogni  dì  più  mesto  e  più  taciturno.  Il  mio 
pensiero  è  disordinato  e  scompigliato,  né  so  tenerlo 
in    freno.    Le    nubi    mi    si    avvolgono    intorno    al 


SCRITTI  VARII  11^ 

sommo  della  mente,  come  intorno  alle  vette  dei 
monti.  E  un  tempo  la  mia  mente  era  serena  e  aper- 
ta nel  purissimo  cielo.  E  s' io  non  guarisco  o  non 
muoio,  io  impazzerò.  Che  se  non  tenessi  forte  il  mio 
pensiero,  e  se  non  avessi  un  lungo  abito  dell  uso 
della  mente  ;  io  mi  sento  tratto  tratto  vicino  a  farne- 
ticare. 

Saprò  patire  ;  ma  farò  come  una  voluttà  del  mio 
dolore.  Non  penso  all'avvenire,  non  gli  domando 
nulla,  non  ispero  nulla  da  esso.  Le  consolazioni  che 
dovevano  trovarsi  nella  mia  vita  hanno  avuto  la  loro 
stagione.  Anche  a  me  il  cielo  aveva  destinato  dei 
felici  momenti,  e  me  li  ha  dati  :  e  sono  passati.  Ora 
me  ne  lascia  la  memoria  :  né  gli  domando  altro. 

Di  mano  in  mano  ch'io  vado  dissipando  da  me 
stesso  la  speranza  eh'  io  soleva  riporre  neir  avvenire, 
mi  diviene  più  sopportabile  il  presente  ;  e  sono  meno 
malcontento  di  me,  meno  afflitto  da'  miei  desideri!, 
dalle  mie  illusioni,  da'  miei  disinganni,  dalle  mie 
paure,  dalle  mie  speranze. 

A  poco  a  poco  cesso  interamente  di  sperare  nel- 
r  avvenire.  Saranno  almeno  finiti  gl'inganni  della 
speranza.  —  Oramai  so  da  un  pezzo  ciò  che  sarà  ; 
e  se  non  conosco  tutto  ciò  che  posso  temere,  conosco 
tutto  ciò  che  non  posso  sperare. 

So  oramai  che  cosa  sono  gli  affetti  ;  e  desidero 
andarmene  da  questa  vita.  Se  ci  sono  ancora  attac- 
cato, gli  è  per  motivi  che  disprezzo  io  stesso. 

Ciò  che  ora  avviene,  esce  naturalmente  del  passato. 
Il  peso  delle  memorie  m  si  fa  insopportabile. 

Oh  avessi  lagrime  da  piangere  lungamente  ;  o  aves- 


120 


OIOVITA    SCALVINI 


si   almeno   parole    da   esprimere   quello    che   sento  ! 
Giorni  tristi  di  un  dolore  uniforme  !  — 

Non  ho  più  dolcezza  nell'animo.  Mi  pare  di  es- 
sere un  uomo  eh' è  stato  dliramente  calcato  sotto 
i  piedi  da  quelli  da  cui  doveva  aspettarsi  altro. 

Mio  Dio,  qual  ricompensa  a  tanto  dblore  !  soffri- 
re e  morire,  senza  un  giudice  che  dica  :  questi  ha 
sofferto:  rimeritiamolo.  Senza  una  speranza,  lascian- 
do i  tristi  a  trionfare  e  a  ridere  di  te  ! 

Ora  che  ho  perdtita  la  gioventù  e  la  salute  e  la 
mente,  e  non  mi  resta  più  che  andarmene  sotterra  ; 
a  che  mi  gioverebbe  la  mia  saviezza  ora  ?  Non  sareb- 
be egli  come  le  leggiadre  vesti  di  che  si  vestono  i 
morti  per  porli  nei  sepolcri  ?  —  Non  è  mai  tardi 
per  divenire  savio.  La  morte  non  è  che  il  principio  di 
un  lungo  viaggio,  nel  quale  non  è  da  mettersi  sprov- 
veduti. E  non  senti  tu,  avvicinandoti  alla  morte,  che 
tu  hai  bisogno  di  riconciliarti  colla  virtù,  con  tutto 
ciò  che  sorge  alto  sulle  cose  della  terra,  ed  è  dure- 
vole ed  eterno?  Hai  già  tardato  troppo.  Certo  sa- 
rebbe bello  godere  e  oziare,  e  contentare  tutti  i  no- 
stri smoderati  desiderii,  e  poi  morire  ;  morire  spen- 
sieratamente fra  le  gioie,  e  trovare  oltre  la  vita  quella 
medesima  sorte  che  troverà  il  moderato  e  il  buono  : 
ma  non  è  ancora  avvenuto  a  nessuno  di  cogliere  buon 
frutto  di  tristo  seme.  E  quando  tutte  le  tue  gioie 
sono  finite,  tu  dliri  sulla  terra  per  patire  e  pentirti, 
e  vedere  intorno  a  te  la  letizia  di  quelli  che  sono 
stati  più  savi  di  te. 

Così  vado  fantasticando,  perch'io  non  sono  stato 
savio,  né  ho  avuto  nessuna  via.  —  Altri  fu  men  sa- 
vio di  te  ;  ed  è  lieto,  e  non  si  pente  come  tu  fai.  — 
Che  fa  a  me  ?  Fammi  loro,  e  sarò  lieto  com'  essi. 


SCRITTI   VARII  121 

Se  potessi  mettermi  a  fare  qualche  cosa,  scriverei 
un  Paradiso  perduto. 

Son  fatto  pigro  allo  scrivere,  perchè  rifuggo  dal- 
l' affligger  me  stesso. 

Non  vorrei  tanto  gettare  danari  in  libri,  che  pos- 
sono rimanere  inutili  in  breve.  Leggo  molto  ;  ma 
nessun  libro  può  occupare  tutto  T  animo  mio.  Mi 
caccio  nelle  questioni  più  astruse  della  metafisica; 
e  cesso,  estenuato,  senza  aver  raccolto  nulla.  Qualche 
speranza  alle  volte  mi  si  mostra  per  V  avvenire  ;  ma 
ricado  più  mesto. 

Non  hai  tu  mai  provato  quella  specie  d'i  dolcezza 
che  si  prova  nel  coricarsi  la  sera,  in  un  giorno  che 
non  si  sta  bene,  nello  stendersi  nel  letto,  nello  star 
lì  tranquillo  ad  aspettare  indarno  il  sonno?  Allora 
ogni  altra  cosa  pare  noia  e  fatica:  proviamo  come 
un  senso  di  dolore  a  pensare  a  quelli  che  sono  nella 
via,  ne'  teatri  ;  e  ci  consoliamo  d' essere  lì  distesi. 
Ora  io  ho  pensato  molte  volte  che  questo  senso 
di  dolcezza,  questo  bisogno  di  quiete  entrava  in 
me.  Quando  sarò  presso  a  morire,  la  vita  che  lascerò 
mi  parrà  noia  e  fatica. 

Se  voglio  salire  un  monte,  le  gambe  non  rispon- 
dono al  desiderio  ;  se  voglio  far  rispondere  un'  eco, 
la  mia  voce  è  debole.  E  il  mio  pensiero  non  è  mai 
presente  ;  passa  i  monti,  e  si  spazia  in  paesi  lontani. 
Non  sopravviverò  a  questa  continuità  di  dolore.  Tal- 
volta mi  vergogno  di  me,  di  non  saper  esser  lieto 
qui  in  casa  mia,  qui  dbve  fui  tanto  lieto  in  fanciul- 
lezza :  ma  dopo  la  vergogna,  torno  a  dolermi  non 
meno  di  prima. 

E  sempre    mi    accomipagna    un    pensiero    dbloroso 


122  GIOVITA    SCALVINI 

e  carissimo  ;  una  languida  speranza,  un  cocente  de- 
siderio. 

^Non  mi   sento   sufficienti    forze   da   sostenere   né 
grandi  gioie  né  grandi  dolori. 

Ho  sentito,  senza  conforto  né  speranza,  tutto  il  mio 
dolore. 
Vi  é  un  certo  conforto  nel  disperare  affatto. 

Languire  e  morire  a  poco  a  poco,  con  tante  do- 
lorose memorie  nell'anima,  che  più  ti  tormentano 
quanto  più  perdi  di  vigore  ;  con  tanta  indifferenza 
intorno  ! 

Reggo  poco,  persino  a  leggere,  e  il  petto  mi  tra- 
vaglia un  po'  più  che  non  faceva  fuori,  segnatamente 
dbpo  che  ho  avuto  ne'  giorni  passati  un  po'  di  febbre. 

Spesso  mi  dtiole  che  la  mia  vita  sia,  per  così  dire, 
finita  in  una  età  in  cui  non  mi  pare  d'  essere  vecchio. 

È  doloroso  esser  morto  prima  di  giungere  alla 
vecchiaia.  Sarebbe  meglio  morire  davvero.  Sono  una 
pianta  corrosa  e  guasta,  che  non  può  più  portare 
né  fiori  né  frutti,  e  che  pure  vive  ancora  in  qual- 
che sua  radice. 

Né  il  sole  né  l'aria  possono  dare  la  contentezza 
né  la  salute. 

I  medici  pensano,  ed  io  lo  sento,  che  il  clima  di 
Brescia  non  si  con  faccia  alla  mia  debole  salute.  Però 
spero  di  poter  venire  a  stare  in  Milano,  almeno 
parte  dell'anno. 

Andrò  a  Napoli  e  a  Roma  per  vedere  se  mi  é 
dato  di  rifarmi  un  po'  l'animo,  e  riprendere  amore 


SCRITTI  VARII  123 

alla  vita  nell'aspetto  d'elle  belle  arti.  Se  non  m'av- 
viene ;  me  ne  partirò  quale  sono  ora  ;  tutto  sarà  finito. 

Presto  non  potrò  più  dire:  Tanno  scorso,  come 
oggi,  faceva,  stava...  Vi  è  qualche  cosa  di  assai  tri- 
ste in  ciò. 

Tardando  a  morire,  saranno  venuti  meno  quelli 
che  allora  mi  avrebbero  pianto. 

Intristisco  come  un'erba  in  un  terreno  magro. 

Egli  è  cessato   come  un   suono   di   cembalo... 


ROMANTICISMO   ITALIANO 
Giudizi 

La  poesia  romantica  fu  trovata  da  Cam  figliuolo  di 
Noè.  Ne'  quaranta  giorni  che  si  trovò  nell'arca, 
egli  fece  un  poema  dove  descriveva  tutto  ciò  che 
aveva  d'intorno.  Unì  le  idee  piìi  disparate,  perchè 
vedeva  presso  sé  l' agnello  e  il  lupo  ;  vedeva  fuo- 
ri i  pesci  sulle  cime  dei  monti  :  la  sua  musica,  le 
strida  de'  moribondi. 

Scrisse  del  modo  di  pettinarsi  tenendo  il  cappello 
in  testa,  e  di  tagliarsi  le  unghie  de'  piedi  senza  ca- 
varsi  le   scarpe.  —  Dissertazione   romantica. 

Egli  fu  un  gran  naturale.  Sapeva  affogare  gli  uc- 
celli sotto  la  campana  pneumatica,  accoppava  gatti 
con  la  pila  del  Volta,  parlava  sempre  co'  modi  della 
scienza,  e  non  diceva  al  servo  :  soffia  nel  fuoco  ; 
ma:  Manda  più  copia  di  ossigene  su  quel  combusti- 
bile, tanto  che  sviluppi  luce  e  calorico.  Egli  sapeva 


124  OIOVITA    SCALVIMI 

far  vedere  sul  bracere  fiamme  verdi,  azzurre,  perse 
e  gialle  ;  far  scoppiettare  su  l' incudine  il  fosforo 
cosperso  di  polvere  di  rame,  e  produrre  con  alcune 
polveri  tali  rumori  che  metteva  in  ispavento  tutta 
la  casa,  ed  egli  ne  moriva  dalle  risa.  Rompeva  più 
bocce  che  il  vetrajo  non  ne  facesse,  liquefaceva  le 
posate,  teneva  in  maraviglia  una  turba  di  contadini 
in  campagna,  e  così   spendeva  il   suo. 


INDICE 


Prefazione Pag-  | 

Di  se  stesso ^ 

La  famiglia ji 

Relazioni  col  mondo TX 

Gli  uomini ^ 

Le  donne      

Scrittori ^ 

Amici                                                            ....  78 


I  filosofi ^ 

!        !        .        .      82 


Ammonimenti  e  sentenze  ....      81 


La  vita 

Il  mondo •        *  ©a 

Giudizi  vari ^ 

La  solitudine ^ 

Vita  con  la  natura °^ 

Nostalgia  della  campagna  e  della  fanciullezza         .        .  W 

Dio  e  religione ^ 

Malinconie ^ 

Desideri,  aspirazioni,  inquietitudini,  amarezze  ...  95 

Rimpianti ]^ 

Amore  delle  cose  lontane *jj^ 

La  servitù ]^l 

Precettorato J^ 

Esilio 0? 

Ritorno  dall'esilio •  .\t 

L'anima  è  sola JJI 

Spengendosi "^ 

Romanticismo  italiano ^'^^ 


%\iS86  ./if  ' 


Casa    Editrice   /?.    Carabba  —  Lanciano 


SCRITTORI   NOSTRI 

COLLEZIONE   DI   VOLUMI   LETTERARI 


1.  Michelaiio;elo  Buonarroti.  Lettere.  Vo- 

lume  I.  (I49o-!5-12). 

2.  3licliel»ugelo  Buonarroti.  Lettere.  Vo- 

Jume  IL  (1542-1563). 

3.  Ser  Giovauni  Fiorentino.  II  Pecorone. 

4.  Anton  Francesco  Grazziui  detto  il  La- 

sca. La  Strega. 

5.  Traiano  Boccaìini.  Ragguagli  di  Parnaso, 

6.  Guido  Cavalcanti.  Rime. 

7.  Lorenzo  de'  Medici.  Poemi. 

8.  Auton  Francesco  Gf-azzini.   La  Sibiìla. 

9.  Vespasiano  da  Bistìcci.  Vite  di  uomini 

illustri. 

10.  Dino  Compagui.  La   Cronica,  le  Rime 

e  riut'iiìgenza. 

11.  Lodovico    Ario.sto     Elegie,    Sonetti    e 

Canzoni. 

12.  La  legc/enda  di  Dante.  Motti,  facezie  e 

tradizioni  dei  secoli  XIV- XIX. 

13.  Michelangelo  Buonarroti.  Poesie. 

14.  Gentile  Sermini.  Novelle.  Voi.  I. 
15   Gentile  Sermini.  Novelle.  Voi.  II. 

16.  Gentile  Sermini.  Novelle.  Voi.  III. 

17.  Giuseppe    Baretti.   Discours   sur  Sha- 

kespeare et  sur  Monsieur  Voltaire. 

18.  Ugo  Foscolo.  Saggi  sopra  il  Petrarca. 

19.  Sperone  Speroni.  Dialogo  delle  lingue 

e  Dialogo  della  rettorica. 

20.  Veronica  Franco.  Terze  rime  e  sonetti. 

21.  Torquato  Tasso.  Epistolario.  Voi.  I. 
2i.  Torquato  Tasso.  Epistolario.  Voi.  H. 

23.  Gabriello    Chiabrera.    Autobiografìa, 

dialoghi,  lettere  scelte. 

24.  G.  Scalvini.  Scritti  varii. 

25.  Lapo  Gianni  e  Gianni  Alfani.  Rime. 

26.  Paolo  Parata.  Storia  veneziana. 

'7.  Tommaso  Campanella.  Le  poesie.  Voi.  I. 
-<.  Tommaso  Campanella.  Le  poesie.  Voi.  IL 
i^y.  G.  Berchet.  Lettera  semiseria  di  Griso- 
stomo. 

3n.  Giuseppe  Pecchio.  Osservazioni  semi- 
serie di  un  esule  in  Inghilterra. 

1    Cjtrlo  Roberto  Dati.  Prose. 

■•■i   Ceuuiuo  Cenniui.  Il  libro  dell'arte. 

■'>.  Bernardino  Baldi.  La  nautica  e  le  e- 
g  leghe. 

'.  B    Marcello.  «Il  teatro  alla  moda>. 

.  >.  Giambattista  AnUveini.  L'Adamo. 


36.  Pietro  Aretino.  Lettere  scelte. 

37.  Cino  da  IMstoia.  Rime. 

38.  L.  B.  Alberti.  Il  trattato  della  pittura  e 

i  cinque  ordini  architettonici 

39.  Alessandro  Tassoni.  la  secchia  rapita. 

40.  IppolJtw  Nievo.  I  Capuani. 

41.  Luigi   Pulci,  A.  F.  Doni,  G.  Simeoni, 

F.  Berni,  F,  Bracciolini.  J.  Cicoguiui, 
F.  B.-ildoviui,  eiasiu,  G.  Gozzi.  ì'oe- 
metti  cont.'ìdineschi. 

42.  Fra  GiroLinso  Savt-narola    Poesie. 

43.  Feo   Belcari.    Vita   del   Hr-ato  Oiovannl 

Colombini  ita.  Siena. 

44.  BernartUno  B.il«it.  ali  epti^ranjmi   ine- 

diti, gii  apologhi  e  le  ecloghe.  Voi.  L 

45.  Bernardino  Buhìi.  Gli  epigrammi  ine- 

diti, gli  apologhi  e  le  ecloghe.  Voi.  IL 

46.  Alessandra  Macinghi  Stro/zi.   Lettere 

ai  lìglioli. 

47.  L'  antica  poesia  ab)-Ui;z."^e. 

48.  Ludovico  Ariosto.  1  cinqu.-  «anii. 
49   Torquato  Tasso.  I  dialoghi  amorosi. 

50.  Scipione  Bargagli.  Novelle. 

51.  Tommaso  Garzoni.  L' hospidale  de'  pazzi 

incurabili. 

52.  Niccolò  Machiavelli.  Lettere.  Voi.  L 

53.  Niccolò  Machiavelli.  Lettere.  Voi.  IL 

54.  Leonardo  Giastinian.  Strambotti  e  bal- 

late. 

55.  Celio  Malespini.  Novelle  scelte. 

56.  Filippo  Zamboni.  Dalle  opere. 

57.  Storie  tragiche  italiana. 

58.  Cecco  D'Ascoli.  L'Acerba. 

59.  Sebastiano  Frizzo.  Le  sei  giornate. 

60.  Luca  Pulci.  Il  driadeo  d'amore. 

61.  Niccolò   Martelli.  Dai  primo  e  dal  se- 

condo libro  delle  lettere. 
68.  Cesare  Caporali.  Rime.  Voi.  I. 

63.  Cesare  Caporali.  Rime.  Voi.  IL 

64.  Francesco  Bello.  Le  novelle  del  Mam- 

briano. 

65.  G.  P.  Lucini.  Scritti  scelti. 

66.  Fontano.  L'  asino  e  il  caronte. 

67.  Giusto  De' Conti,  Il  canzoniere.  VoL  I. 

68.  Giusto  De'  Conti.  Il  canzoniere.  Voi.  IL 

69.  Santa  Caterina  da  Siena.  Le  cose  più 

belle. 

70.  Ippolito  Nievo.  Spartaco. 


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