Scalvini, G. (Giovi ta)
cSelections» 19133
Scritti varii
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Presente d to the
LIBRARY ofthe
UNIVERSITY OF TORONTO
by
Professor S, B, Chandler
SCRITTI VARII
G. SCALVINI
SCRITTI VARII
raccolti da
Gina Martegiani
LANCIANO
R. CARABBA, EDITORE
1913
PROPRIETÀ LETTERARIA
DELL'EDITORE R. CARABBA
Lanciano, tip. dello Stabilimento R. Carabba.
PREFAZIONE
« Nato in povertà, nudrito sul monti al sole, e
« al vento, di nessuno studiatore, studiato da nessu-
« no, libero, ignaro, innamorato dei boschi, dei fiumi,
« dei sassi... »— l'ampia armonia del periodo si per-
de ad un tratto, si spenge simile alla forza sdegnosa
di quelV anima ribelle che ad ogni tentativo di libe-^
razione si accascia improvvisa in desolate visioni
senza speranza: « A te il vento, i boschi, V incer-^
tezza della via ; il mondo ampio e deserto dinanzi
i tuoi passi, senza che tu veda un ricovero, un ri-
poso per te ».
Fra ansie folli e malinconie senza coraggio, ri-
bellioni rudi e rimorsi d' anima sensibilissima, pro-
getti vaghi e abbandoni disperati, desideri ardenti
e delusioni previste, pietà di sé ed auto-tormento
— così passò quella vita squallidamente tragica co-
me tutte le romantiche vite la cui tragedia più fosca
è nel nascere non nel morire.
Altri s' indugiarono e altri ancora, spero, vor-
ranno con più amore Indugiarsi a considerare gli
scritti di critica letteraria di Giovila Scalvlnl. Ma
come colui che ama le vette purissime di roccia
e di neve, io non posso fermarmi alle siepi intrecciate
nella malinconica praticità dei giorni troppo diversi
dal sogno. E una visione dolcissima di vette e di
6 Prefazione
biancori è per me V anima di Giovita Scalvini: so-
litaria e accessibile solo all' amore, tormentata da
linee d* ombre e spasimante in bagliori di sole, pro-
tesa in un desiderio prigioniero d' una forza pie-
trificata a mezza via dell' ascensione in cielo e ada-
giata nel suo destino amaramente.
Nacque Giovita Scalvini il 16 Marzo del 1791 a
Brescia. — Un triste dono gli fece il mondo prima
ancora eh' egli avesse coscienza della sua vita : pare
che il latte di una nutrice mercenaria gli abbia dato
il germe della malattia che lentamente ma fa' ale lo
portò a una morte tuttavia immatura. E quanta ama-
rezza gli lasciò nell'anima quel latte di una madre
non sua! Egli si sentiva estraneo nella famiglia che
forse veramente non abbastanza l' amava. — « Fre-
na te stesso e vedrai che i fantasimi della tua im-
maginazione sono la causa dei tuoi rammarichi! »
Certo egli portava in sé stesso il suo de stino ^
ma troppi particolari tristissimi gettati sulle pagine
in segreto, in momenti dolorosi, accusano terribil-
mente la madre soprattutto : « E quel tanto amare
sopra me mio fratello? » E nella malinconia deso-
lata egli trova nella sua disgrazia una scusa al male
che non fa, alle piccole colpe che V anima sua sen-
sibilissima ingigantiva per auto-tormento : « Oh come
il pensiero di essere meno amato mi diminuisce nella
coscienza le colpe che forse io ho verso dei miei! »
« Forse... »/ e ci sono momenti in cui si lacera di
rimorsi: « Iddio mi punirà »; e quando il padre
muore egli grida a se stesso : « Tu /' hai ucciso »
e cupamente considera: « la punizione è già comin-
ciata. — Certo è già cominciata ».
Che delitto piegava questa mite anima di fan-
ciullo dolente sotto un rimorso troppo grande per
Prefazione "7
la sua infinita capacità di soffrire? « Sono spossato
dalla vergogna del mio torto.,. ». Triste ironia!
Sensibilissimo, timido e sdegnoso non era certo
adatto a vincere le meschine vittorie della praticità.
Incapace di stadi metodici non volle ottenere i fogli
verbosi che danno valido corso all' ignoranza e umi-
liano la libera intelligenza che ha la sua forza in se.
Fu questa una delle cause di discordia con la famiglia
troppo diversa da lui. — Tristissime di verità non
dette mai, ma sentite certo troppo spesso da anime
delicate e sofferenti son le pagine delle « Memo-
rie » in cui racconta le lotte amarissime col padre,
uomo pratico e volgare, con la madre, buona, ^
forse, — e chi può vedere negli oscuri abissi
di certe anime incolte, che spesso non hanno colpa
se tormentano, ma pur tormentano con armi sotti-
lissime come le dona l'istinto, il più feroce, forse,
degli artefici ì « Oh ! come taglienti alcune sentenze
di mia madre ! » « Che domando io infine ? » « Un
giovane di ventitré anni che si contenta di pochi cat-
tivi vestiti ; che la sera è sempre ricovrato di buo-
n' ora nella casa del padre, e due ore prima de'
suoi genitori; e perchè deve sentirsi dire che non
pensa ad altro che a bere, mangiare, e far niente ?
È vero eh' io non ho ancora un impiego ! ma e gì' im-
pieghi piovon eglino ? Non ne ho io sollecitato uno
presso tutti quelli che ponno giovarmi ? ». E in qual-
che momento riflette : « Potrei andarmene. — Ma co-
me potrei io abbandonarli 'ì Come avventurarmi alla
vita raminga ì Debole, debole eh' io sono ! Che dun-
que mi restai ». E più jtardi: « Mi offro vittima
all'altrui pace... Se io posso liberarli di me, non
m'importa di morire fra pochi mesi, sarà finita:
né io avrò pia bisogno né di mangiare, né di ve-
stirmi, né di un letto per dormire ». Ed io mi do-
8 Prefazione
'mando atterrita: dunque e il cibo, e le vesti, e un
letto rinfacciava la famiglia a quest' ospite strano?
Strano ospite che molto aveva da perdonare !
Ed egli soffre, soffre, ed ha rimorso dei ma-
\menU di ira violenta: rimorso di far soffrire: po-
vera anima dolce che piange, bambina sempre, un
sogno vago che non può seppellire!
La povertà d' amore, l' incomprensione continua e
profonda, le meschinità dominanti, le miserie inde-
gne V opprimono, e la visione di un destino deserto
V assale, lo soffoca, lo vince, e nel dolore disperato
e violento si considera ed ha pietà di sé.
« Io sono debole... »
« Tutti tutti i dolori si uniscono per atterrarmi... »
« Tutto mi manca: l' amore, la gloria, la patria, la
libertà, la salute... »
Pietà di sé come il malato che vede nel limpido
specchio il suo pallore e V agonia dello sguardo e
la terribile voluttà dell' inesorabile.
Sofferente nella vita familiare, oppresso, umiliato
dai rimproveri continui, dalle continue minacce di
povertà e di esilio dalla casa paterna, sogna il mondo
lontano e ignoto, il lavoro faticoso, qualsiasi lavoro,
e la libertà finalmente, il silenzio intorno alla sua
solitudine.
Senza speranze e senza sogni partiva dalla casa
paterna: « Mi offro vittima all'altrui pace! »« Sì,
io vi sono di peso, ma vi libererò di me » « Andrò
altrove » — senza speranze e senza sogni, per libe-
rare di sé la casa a lui cara. Nulla egli vedeva lon-
tano: la certezza del suo destino di tetra malinconia
inguaribile velava agli occhi suoi ogni possibile fa-
scino : « / miei mali mi seguiranno dappertutto ». E
in un momento di ribellione : « lo trascino sempre
meco questa catena che stride: voglio spezzarla. An-
» pu
Prefazione 9
drò altrove. » Altrove? « Io so che la via è aspra
e difficile, che vi sono pericoli a dritta e a sinistra,
eh' essa viene dal baio e mette nel baio ».
E partì: povero, debole, sconsolato: lasciava die-
tro a sé ogni cosa cara: la madre crudele, il padre e
il fratello sepolti, i dolci campi che non gli era dato
godere. Partiva col rimpianto nell'anima, un rim-
pianto vago di dolcezze non vissute : « Non mi ri-
cordo di un sol bacio ricevuto dal padre o dalla
madre ». E lo consolava il pensiero di togliere V om-
bra sua importuna di tra le cose che inutilmente
amava.
E a Milano dove per pochi soldi al giorno la-
vora per la « Biblioteca italiana » (i suoi articoli so-
no i migliori al parere del Monti), in casa Melzi
dov' è precettore, in carcere, nelV esilio volontario
attraverso la Svizzera, V Inghilterra, la Francia, sem-
pre e dovunque V irrequietezza dello spirito senza
riposo sogna il suo Botticino, l'umile casa dove
visse coi suoi. Trovava egli nel mondo uno squallore
più fosco, una miseria più vasta, una delusione
più completa, un vuoto più grande, una solitudine
più dolorosa e più certa.
« Nella mia prima gioventù avevo formato il di-
segno d' esser capo-setta... »
« S'io fossi un ardito che fa forza alla fortuna
alzerei una fiaccola di guerra... »
« Tu sarai venuto e passato come quel raggio di
luna... » Sogni uccisi dalla vita, progetti morti d' ar-^
dorè, nostalgia d' una forza smarrita nel vuoto che si
apri inaspettato davanti ai suoi passi, amaro e dolce
riposo nella certezza del dolore inguaribile, del buio
eterno, del vuoto senza confini!
E una nostalgia di cose passate e sepolte e che
pur furono dolorose, ma che la lontananza riveste
10 Prefazione
di un fascino pia grande forse, ma più triste di
quello che spinge verso il futuro, lo porta attraverso
la vita col pensiero al cammino che lascia, non al-
V orizzonte lontano eh' egli non sa popolare di so-
gni, I suoi sogni nascono morti come rimpianti: « S'io
fossi un ardito... » Nostalgia di una forza grande
come il desiderio: stanca nostalgia senza speranza!
Uscito dalle miserie familiari soffre per la me-
schinità degli uomini :<< Ah! l'eterna servita! » Gli
uomini sono tutti deboli, pusillanimi, bisognosi, gli
uni servono ciecamente, gli altri si credono padroni
perchè se lo sentono dire : « è retaggio dell'uomo
la meschinità ».
E stanco del lungo peregrinare, deluso nelV unica
speranza di pace, debole, misero e solo com' era
partito, torna al suo Botticino, e nei luoghi della
sua triste fanciullezza, sognati nel lungo esilio come
la sola possibile oasi nel deserto sconfinato, egli
si sente estraneo come dappertutto nel mondo, solo,
smarrito, senza conforto. E la vecchiaia viene im-
provvisa, e con la vecchiaia il pensiero della morte
senza rimpianto, dolce di compassione per quelli
che camminano ancora.
Come certe acque che non riflettono mai il sole,
egli vide venire la notte senza rimpianto. Lungo
era stato il cammino e inutile: tornava ora come
Peer Gynt alla sua capanna e sognava di trovar sulla
soglia V ultima visione della sua nostalgia inguaribile,
e sulla soglia trovò la compagna fedele : la tristezza
monotona e lenta, invecchiata ormai e senza sorrisi.
Nulla egli aveva incontrato nel mondo che fosse
degno della sua anima, nulla, neppure un dolore.
Tale fu la vita di Giovila Scalvini: deserta di
sole; ed egli non seppe la via e non seppe le
Prefazione 1 1
stagioni, e neppure seppe il nome di quella luce
che gli mancava e si trascinò dolente come il cieco
che nacque cieco e pensa nella sua vita senza co-
lore al destino che qualcosa gli toglie e cosa non sa.
Disorientato in un mondo e in un' epoca in cui
il caso l'aveva abbandonato, il suo vago desiderio
d'azione non trovò uno sfogo possibile. Il patriot-
tismo ha debole voce in lui: sincera certo, ma ve-
lata di un'amarezza che s'intreccia e si confonde
coi motivi che ritornano sempre: non è soltanto la
servitù d' Italia che V opprime, ma la servitù ; non
è la sua incapacità d' agire per il bene della patria
che V abbatte e lo rassegna, desolato, al silenzio,
ma tutta la sua infinita debolezza.
Troppo egli vive della sua profonda interior vita
perchè possa a lungo e fissamente considerare la vita
pratica. E parte per V esilio prima che altri pensi
ad esiliarlo. Certo un senso di noia doveva venirgli
da quelV attività che si affaticava intorno a lui che
non riusciva a prestarvi un grande interesse. Egli
era V attore e lo spettatore di se stesso : « Ho sepa-
rato me da me, sì che mi vedo soffrire e godere come
fosse altro che me ».
E nel mondo letterario nulla trovò che confacesse
alla sua anima più di quel patriottismo a grandi e
inutili sacrifizi.
Trovava in letteratura la retorica della patria e,
quel che è peggio, la retorica del sentimento.
Era il tempo del cosidetto Romanticismo italiano
ed egli scrisse polemiche e satire contro i Roman-
tici, senza darvi tuttavia troppa importanza, come
chi prende appunti e scherza su cose che attirano
V attenzione col chiasso ma non avvingono V anima.
Romantico nel senso vero e profondo, — odiò
quel rafforzamento di una grande rivoluzione non
12 Prefazione
compresa e miseramente conosciuta anche in quelle
apparenze afferrabili dalla mediocrità.
Lo Zuccoli, uno del pochi studiosi dello Scalvini,
dice : « Le sue polemiche, le sue satire contro i Ro-
mantici sono dirette a coloro che vorrebbero dimen-
ticati gli antichi o contro coloro che di romantici
non hanno che il nome senza averne i nobili in-
tenti y>;(l) e più avanti accennando a quella nota fan-
tasia dello Scalvini :« La poesia romantica fu trova-
ta da Cam... y> aggiunge : a satira atroce che lo Scal-
vini coi suoi alti intendimenti civili e patriottici non
poteva certo scagliare contro i Romantici veri ». (2)
Come si vede è spinto a difendere lo Scalvini, dal-
l'accusa che gli si farebbe di anti-romantico, per
il concetto che lo Zuccoli ha di Romanticismo — mo-
vimento civile e patriottico. In questo senso del resto
lo Scalvini non sarebbe stato un gran che romantico:
V ho già detto ; era troppo solitario e rinchiuso nella
sua anima. « Vuol esser classico » dice lo Zuccoli,
« ma se del Romanticismo disprezza la forma, quasi
senza avvedersene a poco a poco del Romanticismo
si assimila il substrato etico. Non è questo. Egli
era Romantico per temperamento e quel che assimilò
era una noiosa e mediocrissima tendenza che lo portò
a scrivere cose inferiori al suo ingegno: le « Consi-
derazioni sulV Ortis », per e se m pio y che dispiacquero
a lui stesso per primo.
Nei suoi articoli per la a Biblioteca italiana » tro-
viamo qua e là come bagliori improvvisi di una ri-
bellione che non si sfoga mai. Oh! s' egli avesse cono-
sciuto i fratelli di Germania, travagliati dallo stesso
(1) Giulio Zuccoli, Giovita Scalvini e la sua critica, Brescia,
F. Apollonio, 1902 — pag. 28.
(2) V. pag. 29.
Prefazione 13
suo male, ma decisi a vivere tutta la loro vita, stretti
in una piccola schiera forte e libera, trasformante
la propria sofferenza in pensiero tormentato, in azio-
ne profonda e invincibile!
Altrove dissi che V opera e in parte la vita di
Giovila Scalvini fa « una maschera dolorosa impo--
sta dai tempi e accettata, non per viltà ma per reli-
gione del proprio dolore. La maschera piacque ab-
bastanza, era mediocre, lo faceva molto simile agli
altri, nessuno s'accorse che era una maschera, nes-
suno pensò aW anima: ed era grande ^\(1) Ma egli
non seppe mai persuadersi che quella maschera po-
tesse essere tutta la vita, e non volle, né avrebbe
potuto, spengere l'ardore del volto vivo sotto la
carta dipinta.
« Non mi sento la forza di scrivere un libro; e pur
troppo non mi credo tanto caro a nessuno da trovare
un sollievo ad aprirgli tutto il mio cuore » — egli
sapeva che la sua voce sarebbe stata strana come
un grande motivo insolito tra i lamenti patetici e le
frasi retoriche, ed era troppo timido per affrontare
V amara emozione. E così tacque, e riversò lo smarri-
mento e V ardore e il dolore della povera anima nelle
pagine delle « Memorie » che sono la sola vera ope-
ra di Giovila Scalvini.
L'ingegno può fabbricarsi la voce che vuole; —
gli scritti di critica letteraria di G. Scalvini hanno
un'importanza minima se confrontate con queste
« Memorie »; lì e' è l'ingegno vivace che molti pos-
seggono; qui c'è l'anima che è il dono prezioso
di pochissimi. Se fosse stato un ardito avrebbe inal-
(1) V. Gina Martegiani, Il Romanticismo italiano non esiste,
Firenze, Seeber, 1908, cap. Vili: Due Romantici per tempera-
mento : G. Scalvini e L. La Vista, pag. 183.
^4 Prefazione
zato(L una fiaccola di guerra » — era debole e tac-
que, soffrì e si fece dimenticare da chi non avrebbe
potuto comprenderlo: ed io credo che per un' anima
grande e delicata sia questo il destino migliore: —
pochi fratelli lontani, sconosciuti, smarriti e una se-
rena atmosfera di oblio,
Gina Marteoiani.
Firenze, Marzo 1911,
Nota. La presente scelta è fatta sul voi. degli scritti scalvi-
mani pubblicato per cura del Tommaseo (Firenze, Le Monnier).
Alcuni frammenti ho tolto anche dal buon libro di E. Clerici
sullo Scalvini (Milano, Lib. Editrice Milanese, 1912).
DI SE STESSO
A che aggirarti più brancolando come un cieco, e
cercare la gioja fra questi rumori che ora toccano
1' anima tua ; sicché ella vive per sempre nel passato
ed arde del desiderio anche de' suoi passati dolori?
Le speranze che nella prima giovinezza avevo sì
belle sull' avvenire, sono andate a poco a poco dis-
sipandosi, come vedi la sera dissiparsi da una collina
i colori nel soggetto piano.
Tu mi credi felice, e io non voglio levare questa
pietra, perchè non ne esca un lezzo di sepoltura.
Sempre il cuore tumultuoso, sempre pieno d'am-
bascia e d' un' inquieta brama di nuovi tumulti, di
nuove passioni ; sempre ansioso di urtarmi con nuo-
vi piti feroci destini, di smarrirmi nell' immensa folla
degli uomini, sempre affaccendati, sempre affannosi
dietro le tracce di un bene che non esiste.
In somma il mondo è uno spinajo da cui io non
so disbrogliarmi. Le mie piante, squarciate da tri-
boli e rovi, cercano indarno un palmo di sito dove
riposarsi senza dolore.
... Conoscerai allora che tu ti sei spesso afflitto
per cose che non meritavano il tuo dolore ; e che la
16 GIOVITA SCALVINI
imalignità, la calunnia, e il disprezzo dì molti uomini
verso te, non erano che nel tuo spirito malato.
Leva te stesso, e vedrai che i fantasmi della tua
immaginazione sono la causa de' tuoi rammarichi.
10 sono debole, e la virtù io 1' ho sempre cercata
con scarso vigore, da non lasciarmi riuscire né af-
fatto virtuoso né affatto pessimo.
Non esagero io forse a me stesso le mie passioni?
E forse per vanità.
11 pentimento del passato, e la diffidenza delFav-
venire è il mio retaggio.
Ho sempre amato gli studi che mi allontanano
dagli uomini e dal presente stato di servitù.
Non ho calunniato, non ho perseguitato con scal-
tri modi nessuno. Sono cattivo anch' io, cattivo più
di molti altri, ma in me si troveranno ancora delle
virtù.
Chi mi dice superbo, venga a vedermi quale io
sono col povero.
... Temperamento ostinato, stravagante, sensibile ;
maniera di pensare ferma, libera, impenetrabile.
... Schietto e loquace cogli amici, muto co' magnati
e timido e stupido. La verità si ode da me senza
dolore, perchè omai si considera di mio costume il
dirla sempre.
Né al ricco buono ricevere, né a me (non ansioso
di favori) diletta dare lusinghe ad alcuno.
Se io non sono molto orgoglioso, gli è perchè
ho molti bisogni.
SCRITTI VARII 17
10 sono nato con un genio impaziente di ogni
soggezione, per tal modo che per me non è piacere
alcuno nel mondo, se lo veggo venire m compagnia
di qualche benché menoma servitù, a meno che la
servitù io non me la faccia da me medesimo; e
allora trovo la mia libertà nella mia elezione.
Tutto mi manca: l'amore, la gloria, la patria,
la libertà, la salute.
11 mondo mi si è al di fuori oscurato, come se io
fossi indegno di vederlo.
Guardiamoli in viso questi fantasmi dai quali io
torco sempre lo sguardo.
Che voglion essi da me? Con che pretendono
essi di spaventarmi ?
Non ho mai letto senza risentirmi di un certo
brivido que' versi del Tasso :
E fugge Antonio, e lasciar può la speme
Deir impero del mondo, ov' egli aspira.
Affliggendomi vivamente, mi lasciava nella noja
di tutte le cose del mondo, sicché io non mi prendeva
pensiero di accomodarmi agiatamente nella vita dove
stava assai male. È questa affezione che m'ha reso
malato nella mente.
Oh potessi soffocare quella speranza che non mi
abbandona mai, e che ne' miei maggiori disagi mi
grida nel cuore: Forse il Cielo ti apparecchia mi-
gliori giorni ! Ma questa è un' infermità della mia
fantasia.
Non sai apprendere da una lunga esperienza
come si viva.
18 OIOViTA SCALVINI
Addio, bugiarde lusinghe di ricchezze, di piaceri,
di applauso.
Facciamo una volontaria consacrazione di me stes-
so alla sventura.
Vengo dall' amico mio. Io gli diceva che non oso
più innalzare gli occhi alP avvenire. Povero, senza
un' arte cui applicarmi, destinato ad uno studio che
non mi può piacere, a quello delle leggi ; sicché
da due anni eh' esser dovrebbero la sola mia occu-
pazione, io non ho in esse nulla, nulla appreso.
Ma la viltà non entrerà giammai nel mio cuore.
Se potessi giungere a persuadermi che l' uomo è
animale per sua natura cattivo ; se le mie circo-
stanze non mi attaccassero ad un padre amoroso
e ad una benefica madre, abbandonerei la società
ricovrandomi sulle rive del Benaco al coperto della
vendetta della fortuna. Il bel riso di quella natura
mi è passato in tutte le fibre.
Me n' andrò in Inghilterra. Egli è vero che i mali
mi seguiranno dappertutto : ma non saranno almeno
mali di vecchia radice ; e potrei forse medicarli. Ma
questi sono mali attaccati alle rimembranze di ven-
f anni. Io strascino sempre meco questa catena che
stride : voglio spezzarla. Andrò altrove. Se i disagi
e la solitudine mi daranno la morte, vi sarà chi mi
seppellirà in un luogo sconosciuto ; e benediranno
alcuni alle ceneri del forestiero che non ha fatto
male a nessuno.
Quante volte ho pensato di fuggirmene da casa
e darmi in braccio alla fortuna !
Voi mi parlate deirAmerica. -- Sapete che qualche
SCRITTI VARII
19
volta io vi penso sul sodo ? E se non fosse eh' io
non ho altre forze che quelle delP immaginazione...
Sebbene privo dei piaceri cari alla giovinezza, io
in me non avrei motivo di malcontento perchè amo
la oscura e pacifica libertà. Le mie afflizioni dunque
non mi vengono da me. E se io arrivi a far lieti gli
altri, posso ancora sperare di essere lieto io mede-
simo. A me non bisogna che la pace del cuore.
Io finalmente conosco me stesso, almeno quanf al-
tri mi può conoscere ; e io solo so, meglio d' ojgni
altro, quello che a me fa di bisogno. Che io non
sia di noja a nessuno, e non lo sarò mai a me me-
desimo. Che se le persecuzioni della mia fortuna, che
io ora non so prevedere, mi giungessero lontano
dalla mia patria ; la compassione di quelli al riposo
de' quali mi sono sagrificato, sarà una stilla di bal-
samo sulle ultime ore della mia vita.
Io so che la via è aspra e difficile, che vi sono
pericoli a dritta e a sinistra, eh' essa viene dal bujo,
e mette nel bujo.
Io sono nato povero e debole : ho dovuto rinun-
ziare alla casa, alla patria. E perchè mi dorrò ora
di rinunziare all' amore ?
Non essere così fuggitiva, o fortuna ; rimanti al-
men tanto che io rinvenga dalla mia perplessità nella
quale mi getta la tua subita comparsa, e prenda
cuore di porti le mani nelle chiome. Ma tu vieni e
passi, e sei già lontana quando io mi ripiglio del
mio sbigottimento, e mi accuso di viltà. Ma tu, chiu-
di gli orecchi, perchè sai forse, che ritornando mi
troveresti nel torpore di prima.
20 OIOVITA SCALVINI
L' illusione mi va sempre davanti ; io giungo e
la scena è affatto diversa. Quella bellezza, quelP ar-
monia, quel mirabile ordine di beni sempre variati,
m'accorgo che non vivevano che nella mia immagi-
nazione.
Se io dicessi dove sono i più lieti punti per me,
lungo qual fiume essi siedono, quali sono Tacque
per me che mormorano più soavemente ; nessuno
saprebbe di che io volessi parlare.
A te il vento, i boschi, V incertezza della via ; il
mondo ampio e deserto dinanzi i tuoi passi senza
che tu vegga un ricovero, un riposo per te.
Ho sortito una natura selvaggia, che, amando gli
uomini, mi ha fatto parere loro nemico. Mio padre
era buono, ma ruvido ; mia madre aveva messo il
cuore nel suo primogenito eh' ella aveva allattato ;
e io non mi ricordo di un sol bacio ricevuto dal
padre o dalla madre.
Io non sono una soave, una serena, una placida
natura di uomo. So il giusto, il bello, il vero, e li
osservo. Io non mento. Io non ferisco con parole
traverse il mio prossimo ; io provo compassione, io
mi sento fratello dell'ultimo degli uomini: ma io
non sono carezzevole, io non sono compagnevole,
io non sono trovatore di cerimonie ; sono una natura
rigida. Tu puoi fidarmi il tuo segreto, e lo terrò ;
mi farai un benefizio, e ti avrò gran gratitudine :
ma io non ti starò intorno con leggiere parole, né
ti farò ridere colle facezie.
Io non dico che non sia io stesso iracondo, ingiu-
sto talvolta ne' miei precipitati giudizi ; ma io giudico
assai più severamente di molto me stesso e i miei
SCRITTI VARII 21
giudizi : e so imporre silenzio alla mia natura cor-
porea, e stare attento a quel che mi dice la mente.
Ho separato me da me, tanto eh' io mi guardo pa-
tire e godere come guardassi altri che me. Ma que-
sta separazione eh' io ho fatto di me da me, mi ha
pur fatto inamabile fra gli uomini, e parere oscuro
e misterioso : e però hanno volto il piede da me
come da chi non è compreso, e mal sai se con virtìi
o colpa, e qualsiasi il frutto eh' egli porti. E quando
durava in me la guerra tra il senso e la ragione, e
io stava muto e inoperoso, io parvi infingardo e
fantastico ; quand' era scontento di me, parvi scon-
tento di altrui.
Non mi sento la forza di fare un libro ; e pur
troppo non mi credo tanto caro a nessuno, da trovare
un sollievo ad aprirgli tutto il mio cuore, e da spe-
rare che riceverebbe con piacere e con indulgenza
le mie confessioni. Ho lasciato trasparire a Voi qual-
che cosa di me : molto ne celo ancora, non per-
chè avessi a vergognarmene rivelandolo, ma perchè
temo di noiare ; né so trovar parole. Quando, a ra-
gione o a torto, credo che altri sia freddo verso
di me, rientro in me stesso, torno al mio silenzio ;
ricalo il velo sopra di me. Questo, in ogni modo,
m' ha più nociuto che giovato alla vita.
Son lieto e sereno con chi mi ama : ma io sde-
gno di lottare per vincere gli animi avversi ; e di-
nanzi ai superbi, a quelli che non sanno che corri-
spondere con artifiziata gentilezza alla gentilezza che
esce dal cuore, io son rigido, muto ; e paio, e forse
sono, superbo.
Non fuggo gli uomini. Tristo colui che non sente
nel cuore un affetto per tutti i suoi simili, che non
22 OIOVITA SCALVINI
prova bisogno di guardare nell' occhio dell' uomo e
di udir la sua voce. Io non fuggo che i tristi. Anzi
non li fuggo : che son sì pochi, che basta, per non
conoscerli, non li cercare. Ma piuttosto che solo,
sto cogli stolti. Imparo che lo stolto è più savio
di me : e m' avveggo che le mie parole non son senza
frutto. Fuggo anche gli uomini vani, e i ruvidi ; e
sto con loro senza amarli né disamarli, come 1' albero
sta vicino all' albero scaldandosi ambedue al mede-
simo sole, ravvivandosi ai medesimi aliti dell' aria,
senza che niuno dica all' altro : io porto migliori
frutti di te. Ma dal più stolto de' miei simili, se non
è né tristo né superbo, io imparo più assai che da me
solo.
10 mi son sempre affannato a domandare alla vita
qualche cosa, un non so che d' incognito eh' essa
non può dare. Questo fu l'affanno della mia prima
giovanezza, e di tutti i miei giorni : 1' ho domandato
agli studi, alla voluttà, all' amore... stolto che non
sono ancora disingannato.
11 mio destino è quello di tutte le anime buone
ed ardenti, lentamente distrutte dalle fredde e spie-
tate ! Oh non foss' io mai uscito dalla casa di mia
madre !
Io veggo troppo gli squarci e lo sdrucito del man-
tello nel quale altri si avvolge ; né degnerò di sve-
stirlo.
Mi sono corretto di alcune cose che altri mi appo-
neva a difetto ; ma non mi son migliorato per questo.
Con alcuni difetti, se ne sono andate anche alcune
qualità che potevano essere buone. Ma gli uomini
mi han voluto così. Ora penso che il meglio quasi
SCRITTI VARI! 23
sarebbe il veder di rimanere quello che sono, giacché
1' età e la poca salute e i necessari disinganni rapi-
scono all'uomo ogni dì qualche cosa.
La fortuna mi dice : Tu hai sempre poste le spe-
ranze nelP avvenire ; e quando 1' avvenire io te 1' ho
reso presente, T hai sdegnato, e hai tuttavia guar-
dato più innanzi. Perchè ti rinnoverò io quel tempo
che non hai mai saputo apprezzare? Non hai tu
sentito da tutte le generazioni sorgere un lamento
della brevità della vita, e della irreparabilità de' be-
gli anni ? Sei tu nato il primo sopra la terra, che
hi non potessi fare saviezza della follia de' milio-
ni ? Molti piangono gli anni perduti, e mi domandano
una seconda gioventù.
Volle la nostra debolezza che non fossimo né savi,
né pazzi, né felici né miseri, né buoni né tristi ; e che
né volessimo né disvolessimo in tutto, perché la
nostra vita non si riposasse giammai.
Ci par di provare affetti nuovi, da nessun altro
sperimentati ; e sono affetti comuni : ci par d' essere
esempio di miserie nuove, e sono miserie comuni ; ci
par d' amare e di soffrire come nessuno ha mai amato
e sofferto, e le nostre stesse parole sono nella boc-
ca di chiunque ama e soffre.
Storie comuni, vicende volgari. —
Hai tu mai provato quell' angoscia dell' anima,
quando sei disingannato delle tue speranze, quando
hai sperimentato l' impotenza di tutti i tuoi desi-
derii, quando hai battuto indarno ai cuori a' quali
tu volevi domandare amore ; quando ti dibatti nella
vita, simile al prigioniero che, demente, dà qua e
là del petto contro le sbarre che lo racchiudono ;
^^ OIOVITA SCALVINI
Tu Innt '^ ^T^f^ P".' *' ^'■"'P'''-*^ immensamente
più lontano che tu non hai forza da andare ?
E non sono io infelicissimo? Io deluso nelle mie
passioni, lontano, povero, malaticcio. E non mi la-
auantt n'hnTÀ*' "'''""° ""' "" '^"'^ *^"to male
quanto n ho fatto io a me stesso. Oh mio Dio, se
potessi tornare a te, e temerti e sperare in te !
àeZ 7,r''-^^ "?^*'' " '*'"'' P'" '^"«t^' n" «ten-
deva sul pavimento, e piangeva ; quando pur le la-
grime mi erano concesse. Perchè le lagrime mi sono
spesso negate. Io supplico perchè mi sia concesso il
loro refrigerio ; e i miei occhi restano aridi Le la-
grime, che mi prorompono sì facilmente per la com-
passione de' mali altrui, mi sono negate per i miei
propri mah. Io sono senza compassione di me stes-
so, 10 disprezzo me stesso.
Io piango sul romanzo e sul dramma, e non ho
lagrime pe' miei dolori.
A me sono ignoti tutti i conforti. Beati quelli che
quando soffrono, entrano in una chiesa, e inloc-
chiati dinanzi l'altare, trovano consolazion'enéllf pre-
ghiera ! Beat, quelli che possono piangere ! I m Li
occhi sono aridi: hanno pianto in giovanezza...
Senza gloria, senza amore, senza famiglia, senza
tetto, senza speranza ; e tu mi vuoi lieto ? Vuoi tu
eh 10 viva come l'animale, per il sole, per l'aria
pel sonno, pel cibo? ' i ' <»na,
Perchè non son io morto in fasce quando mio
padre, trovatomi morente dalla nutrice, sull' andar-
sene diede ordine come dovevano fare il mio fu-
SCRITTI VARII 25
La vita comune degli uomini non fa per te ; e te
n'è preclusa ogni altra, quando disprezzi tutti i di-
letti che cerchi per dissipare il tuo pensiero, quando
sei superbo e infingardo ; quando domandi al cielo
maggiori facoltà e non sai usare di quelle che egli
ti ha date ; quando hai un cuore che sente, e un
animo debole ; quando sali sempre colla mente al
cielo, e sempre ricadi nel fango.
Io sollevava la mia povertà sulla vostra inclita
condizione, perchè io non sono mai stato umile di-
nanzi chi si crede privilegiato sugli altri.
Io non voglio male a nessuno ; ma a me il cielo
fece un dono funesto : egli mi diede occhi da vedere
sotto le parole menzognere, sotto le adulazioni, e
da spiare profondamente nel segreto dei cuori altrui,
come da spiare nel mio.
Io non sono nato per avvolgermi in questo fango;
per meschino ch'io sia, son nato per salire più
in su. Ciascun corra la sua via. A ciascuno il pensiero
della sua infamia, o della sua rettitudine.
Io non ho saputo correre da me la mia via, non ho
saputo farmi le mie sorti.
Io non odo le parole delle persone fra le quali
sono ; io dimentico quel che mi fu detto, e quel
che aveva proposto. LMeri mi è slegato dall'oggi, e
V oggi dal dimani. Quello eh' io vorrei fare, è ap-
punto quello eh' io non f o ; e f o appunto quello
eh' io non aveva pensato di fare. Ho rimorso di colpe
che non ho commesse ; e l' ansietà e il dubbio mi
accompagnano in tutto ciò eh' io pensi o eh' io faccia.
Talvolta io ho creduto che avrei potuto esser fé-
26 OIOVITA SCALVINI
lice in prigione, solo e chiuso in una povera stanza:
tanto sentiva il valore della pace dell' anima.
Sono sempre stato un malaccorto nelle cose della
vita.
Ho bisogno di cuori che m' insegnino a moderare i
desiderii, e a sorgere migliore ; ma che non vogliano
troppo da me, che mi lascino uomo. Perchè io torno
sempre il medesimo, se mi domandano forze che
non mi sento, se vogliono farmi uscire in tutto dalla
mia natura, e trasformarmi in tutto. Non salirò nep-
pure un gradino, se mi mostreranno la necessità
di montare per una scala infinita.
Quella dimenticanza che voi temete morendo, io la
desidero.
Quand'io era per partire la bella A... mi accom-
pagnò una sera, mestissima, fino sulla soglia della
sua casa. Tu parti — ella mi disse : e i suoi occhi
erano pieni di lagrime.
— Il mio amore è troppa poca cosa per te ! —
Sarò ancora io così cieco da continuare a fidarmi
dell'avvenire? Tanti anni che, passati nel dolore,
erano pur quelli nei quali io fondava le più liete
speranze nel tempo che li ha preceduti ?
Che voglio io dunque dalF avvenire ? Esso verrà
recando altre noie, altre afflizioni, ed io continuerò
a protrarre le mie speranze, finché saranno interrotte
e dissipate dalla morte.
Io non sono avido di piaceri. Lo fui qualche volta,
ma il desiderio era senza spine, esso nasceva puro
neir anima, era celeste come ella che lo concepiva ;
ma il conseguimento non era senza dolore, e ben
SCRITTI VARII 27
io sentiva che i mezzi onde metterlo ad effetto erano
umani, materiali, infermi. La mia felicità dunque non
si compone di delizie, di voluttà. Io non ho bisogno di
ravvicinare a me le gioie, ma solo d' allontanare i
fastidi. Ho bisogno che nessuno mi molesti imponen-
domi doveri : ho bisogno di non avere soggezioni :
di non dover pensare a compartire il mio tempo. Il
riposo, la solitudine, la libertà, l' ozio, la certezza
che nessuno venga a interrompermi ne^ miei pensieri,
nelle mie astrazioni, nei miei sogni di felicità, d' amo-
re, di nuova e stranissima vita. Ho bisogno di la-
sciar andare come vuole il pensiero, componendo
a talento e scomiponendo V universo, ordinando a fan-
tasia la società, fantasticando nuovi uomini, popo-
landone nuove terre, ed io ponendomi fra loro. E
se io volessi anche tentare V onore degli studi : cre-
dimi, io sono fatto per certe maniere di cose, va-
gheggio certe materie che non si possono degnamente
pensare, né scrivere, se non con povertà, solitudine,
indipendenza e sdegno nell' animo. Certo io sono
vano : ma tutto ciò che può dare la fortuna non
recherebbe nel mio cuore il contento che mi ha
qualche volta recato lo starmi, nel silenzio della
sera, in una povera stanza, scrivendo le mie fantasie,
o inspirandomi nella vista della campagna e nel ta-
cito volgere dell' universo sotto V impero della not-
te. E se a nessuno piacessero quei miei sogni, pa-
zienza ; avrebbero dilettato me, mi avrebbero fatto
trascorrere beatamente i miei giorni.
LA FAMIGLIA
... Egli si valeva de' miei occhi per sapere se
vi erano delle pere sulle piante ; poi incontrandosi in
28
GIOVITA SCALVIMI
un arboscello inserito da lui, ne apriva la bocca
del cartoccio e vi guardava giù per entro, ed io
m' accorgeva subito della sua gioia s' e' germinava.
Io guardava in queir atto mio padre, e diceva fra
me : quando egli sarà morto, e che queir albero sarà
cresciuto, io ritornando in questo luogo, lo vedrò
lì posto in quel modo, e lo descriverò a quelli che
mi staranno d' intorno. Così mi ricordo che una sera
io ritornava a casa insieme con mia madre. Io le
camminava muto pochi passi addietro, e guardava
questa ottima delle donne ; e quel suo viso emunto ed
affettuoso mi empieva di tristezza, e mi prendeva
il dolore di aver pure a perderla quando che fosse.
Ma io la vedrò sempre per questa via, diceva fra
me, a quesf ora, così vestita di bianco, così atteg-
giata di mestizia ; e la campana dellMi^^ Maria che
suonerà pur allora, gioverà a farmi viepiù presente
questa sera. Ed io certo non passo ormai per quella
via, che io non la rivegga come se fosse presente:
e corro a casa a vederla, e a consolarmi, e a ringra-
ziare Iddio che non la richiama a sé. Con mio padre
abbiamo poi errato ancora lungamente, e visitato le
piantagioni di questo autunno, e divisato nuove cure
e provvedimenti. Egli è pur utile pei figli, che i loro
padri si dimentichino qualche volta di essere mor-
tali.
... Io sento mio fratello che fa grande romore
giù sotto la loggia in qualche suo lavoro. Uomo
felice ! Persuaso di non avere sufficiente attitudine
per attendere a quelle cose che richiedono mente
e meditazione, egli le ha abbandonate. Egli non vuole
che essere uomo onesto, e lascia che altri logori la
sua vita, e s' affanni dietro quelle cose che altro
forse non sono infine che illusioni da scena, appa-
SCRITTI VARI! 29
renze, sogni. Uomo felice ! Egli ha pochi desiderii,
e pace nel cuore. Io alP incontro invaghito dello
splendore della gloria, e arso sempre da mille stem-
perati desiderii, che ho fatto io ? perplesso sempre
fra i piaceri di cui il mio cuore sente il bisogno,
e fra le lusinghe di un po' di rinomanza, mi sto
immobile sul bivio ; e finora la mia vita è trascorsa
senza lode e senza consolazione.
La contesa con mio fratello è avvenuta mentr' io,
cessando dalla mia colazione, ero uscito a vedere
che ora era ; e perchè rientrai conturbato, ho dovuto
scrivere per disacerbare il mio dolore, e per poter
discendere in pace a pranzo. — Questa pero è la con-
solazione dell' uomo vendicativo, che non si dà pace
se non retribuisce male per male. Io avrei dovuto
piuttosto mitigare in me V ira.
E quel tanto amare sopra me mio fratello ? Questa
ingiustizia del vostro cuore, oh quante volte mi ha
fatto riguardare con indifferenza le mie gravi abi-
tudini e l' affanno che vi causavano, perchè in tal
modo mi pareva di vendicarmi.
Tutti, tutti i dolori s' uniscono per atterrarmi. E
mi viene un' altra volta dinnanzi, come nefando fan-
tasma, V amore parziale di mia madre verso mio
fratello.
E mi dicono molti che sin da fanciullini apparve
in essa questa differenza d' amore. Ma come vanno
le cose ! Essa ha sofferto tanto per mio fratello ; le
piaghe le avevano consunto il petto. E sempre si
ama più la cosa che ha costato molti dolori.
— Le bestie amano di amore eguale i loro fi-
gliuoli. — Quanto a me, io perdono, madre, questa
parzialità.
30 OIOVITA SCALVINI
Oh come il pensiero di essere meno amato mi di-
minuisce nella coscienza le colpe che forse io ho
verso de' miei !
Quanti consigli, quanti rimproveri, quante esor-
tazioni perch' io continui i miei studi di legge ! E
quando trovo che tutti mi si oppongono, dopo brevi
difese mi taccio, e li ascolto, e sospetto della verità
delle mie risoluzioni.
Io sono rimasto sempre in fra due, perchè la
mia volontà ha dovuto sempre pugnare con quella
de' miei. Vedendoli sempre disprezzare i miei studi,
hanno fatto che io non vi attendessi mai con quel
quel fervore e queir affetto che unico suggella le
opere umane del carattere dell' immortalità. In que-
sto contrasto continuo non abbiam fatto nulla né
gli uni né l'altro. Al reprimere che han fatto in me
r amor della gloria, a quelle continue disapprovazioni
de' miei studi, si è aggiunto la incuria che io ho
sempre avuta delle ricchezze. E molti talvolta sal-
gono in qualche fama (colpa e vergogna delle uma-
ne voglie) cercando gli agi e la splendida vita.
Ho fatto solenne giuramento, dal dì che mia ma-
dre mi minacciò la povertà e 1' esilio dalla casa na-
tia, di non lasciarmi mai menare ad operar per
timore, di non andar più a nessuna università, di
vivere padrone di me. Non ho io dieci volte più di
quello che all'uomo bisogna?
Mentr' io diceva ìer sera a mio padre di voler
questo inverno studiare il paesaggio ; egli, dopo
essersi mostrato lieto di ciò, mandò mal rattenuto un
sospiro. Ah io l' ho inteso quel sospiro ; e voleva
dire : Ho dato fondo a tremila lire per tenerti due
SCRITTI VARII 31
anni all' università ; poi tu hai ricusato di andarvi il
terzo a prendere la laurea ; e neppure quest' inver-
no pensi ad andarvi. Io mi sentii sbranato il cuore ;
e poco mancò che non corressi a gettarmi a' suoi
piedi disciolto in lagrime. — Anche questa l' avreb-
bero detta una pazzia !
Iddio mi punirà. — Mio padre sforzavasi di soste-
nere la poca famigliola nel miglior modo eh' e' po-
teva, col vivere parco e con V industria ; ed io
intanto in istraniera terra nel fango del vizio dila-
pidava le sostanze del mio povero padre. Iddio mi
punirà.
Quante gioie, quante dolcezze mi promettevo dalla
campagna ! ler sera uscivo in compagnia de' miei
tutto gioia ; e ho sempre ciarlato con essi, senza
mai ristarmi indietro due passi. Ed io amo su ]a
sera dividermi sempre da tutti per non chiudere
ingratamente le orecchie, rimanendo nel tumulto, alle
savie lezioni che suole darmi quella mesta ora della
sera. — Siamo giunti, e anch' io mi sono affaccen-
dato cogli altri a comporre la casa da tanti mesi
disabitata. Perchè se io arrivassi ad acquistarmi l'a-
more de' miei, di altro non mi farebbe bisogno. —
Stamattina mi levava per tempo, ordinava i pochi
miei libri, e attendeva che mio padre si levasse.
Egli mi aveva promesso in città di lasciarmi ire
ad abitare di giorno nel casino della Posa che ab-
biamo qui sopra casa ; ond' io aspettava di averne
la chiave per andare a visitarlo. Poiché dunque si
fu discorso di varie cose, io attesi un grosso quarto
d'ora, poi chiesi se voleva additarmi dove fosse
quella chiave. Se avessi accostato il fuoco a una
cava di polvere, meno improvvisamente e con manco
32 GIOVI T A se AL VINI
di rumore avrebbe scoppiato. Che non disse egli?
in quali grida non ruppe ? — Io me gli gittava alla
gola senza dargli luogo a respirare. Io non pen-
sava che a stramberie dalla mattina alla sera. Aveva
altro che fare egli? —
E proseguiva sulla medesima corda. — Tranquil-
latevi io non vi ho domandato licenza di minare la
casa.
Voi siete il padrone. Voi non avete che a dirmi :
Non vo' che tu ci vada; e tutto sarà finito. — Dio
mi guardi dall' essere io così furioso a cinquantasei
anni. Ma egli proseguiva infuriando sempre più ;
e a poco a poco mi atterrì, sicché io tremando altro
non gli diceva se non che : Voi siete il padrone :
non vi andrò. — Ma ciò che finì di spaventarmi
fu quando, entrato lui, nella saletta dove pranzia-
mo, io standomi ritto su T uscio, gli vidi il viso
livido dall' ira, e gli occhi anch' essi lividi, volti al-
l' insù, ed erranti furiosamente. Se fossero stati accesi
e vivacissimi, mi avrebbero fatto manco paura. Ma
così biancastri e umidi, quali di un uomo già ma-
turo che sa ancora richiamare in due mezzo spente
pupille le furie della sua giovanezza ! Se quando
io sarò steso nel letto vicino a morire, mi si ri-
desterà nella memoria l'immagine di mio padre,
quale l' ho veduto stamattina, basterà per troncare
improvvisamente il poco filo che rimarrà ancora alla
morente mia vita.
Mi ritirai. Da lì a non molto, mia madre mi chiamò
a bere il caffè. Il padre taceva ; ma riponendo la
tazza vuota, ripigliava. — Per carità, gli diss'io, per
carità ! vedete che io non so tener salda la tazza :
mostrandogli le mie mani tutte tremanti. Non ne
parliam più ; non v' andrò. E depostala senza sag-
giarne goccia, uscii. Tacerò come ritiratomi in istan-
SCRITTI VARII 33
za, mi abbandonai alle lagrime ; e come, essendo
il mio pianto accompagnato da grida convulse, tras-
sero in prima mia madre tutta sbigottita, e poi mio
padre ; e come la sorpresa ristagnando il dolore e
le lagrime, mi ha lasciato per tutta la giornata un
dolor di capo, un tremito interno, uno stomaco ri-
volto. — Mia madre amorosissimamente mi aiutava
a levarmi da terra.
... Sì, io vi sono di peso, ma vi libererò di me ;
io partirò : sì, vi libererò di me. — Tacqui, ma V a-
gitazione aumentava. Le lagrime mi gonfiavano gli
occhi ; e per non far scene lì, mi sono levato più
tranquillamente che ho potuto, e sono uscito. Ho
salita rapidamente la scala, e già le lagrime mi pio-
vevano e i gemiti incominciavano. Mi sono chiuso
nella mia stanza, e allora il dolore non ha avuto
più ritegno : mi sono gittato boccone sul letto. Oh
quante lagrime e quanti acutissimi gemiti ! Io mi
sono trovato disteso per terra : quella caduta ha
forse fatto accorti i miei della mia afflizione, perchè
mi pare di aver sentito più volte picchiare all'uscio
della stanza : ma sentendo eh' io m' acquietava, erano
forse partiti. Il mio petto non mandava più che con-
tinui sospiri, e un sordo gemito. Ma ricordandomi
le parole di mia madre, e pronunziando vivamente
dopo che faccio di tutto per farli contenti di me,
le lagrime hanno rinnovato, e sono ricaduto nella
stessa abbondanza di dolore. Venuto in me, e cal-
matomi, io sono stato più ore lì, stupido, cogli
occhi inchiodati al suolo, immobile. Mio padre, e
mia madre, tutti e due seduti nella medesima stanza,
non si dicevano parola.
Sono spossato dalla vergogna del mio torto ;
e dalla mia ingratitudine. Tutta la ragione sta
^^ OIOVITA SCALVINI
per 1 miei poveri genitori. E quanto più di dol-
cezza mettono nei loro consigli, tanto maggiormente
mi piange in segreto il cuore nel vedermi così cru-
delmente al loro amore rispondere ; e mi condan-
no, e mi dico figlio sleale e snaturato. Se mi ve-
dessero nel cuore, se ascoltassero il mio gemito,
e le mie parole interrotte dalle lagrime, quando seg-
go solo nella mia stanza ; se leggessero queste pa-
gine su le quali io vengo a versare il mio cuore ! —
E quando dopo lunga ora di profonda tristezza in-
chiodato in alcuni pensieri, io mi levo precipitoso
dalla scranna, e m'inginocchio per terra, e prego Id-
dio singhiozzando a volermi mutare il cuore ; e mi
tengo le mani inquiete sul petto, e mi pare d' a-
prirlo, e strapparmi il cuore, e gittarlo incontro al
cielo con orrende bestemmie ! — Nessuno .queste mie
follie le sa, nessuno.
Io credeva che quella ferita eh' io ho fatta ai loro
cuori, fosse guarita ; ma di quando in quando mi
fanno accorto che la è aperta ancora, e fresca affatto
come prima. Oh come taglienti alcune sentenze di
mia madre !
Quando di tempo in tempo m'inasprisco, m'av-
veggo ch'essi diventano migliori verso di me: per-
chè quando l' uomo è cattivo, non si domanda altro
da lui se non che diventi buono: ma poi quando si
vede com'è facile il guidarlo a proprio modo, al-
lora si richieggono da lui grandi cose.
^^Iq non vo' giudicare que' genitori che tentano quasi
il figliuolo ad essere altiero e iracondo, perchè in tal
guisa si avvede che gli è concessa la pace eh' egli
desidera : ben giudicherò tristo quel figliuolo che sa
procacciarsi le altrui bontà incutendo timore.
SCRITTI VARII 35
Mi ricovrerei volentieri in villa ; ma né questo
mi è conceduto. Dicono eh' io andrei a por sossopra
la casa, che abbrucerei delle legne per farmi da
mangiare, che qui in città il far pranzo per quattro
o per cinque vale lo stesso ; ma che il fare due
diverse tavole importa quasi doppia spesa ; e mille
altre cose dicono. Io rispondo che mi abbevererei
colF acqua del pozzo ; che mangerei il poco che mi
manderebbero fuori, che intanto farei risparmio di
vesti. Ridicono : balorderie, fanciullaggini ! Intanto io
passo questa giovanezza, ignuda di ogni conforto,
maladetto siccome un beatissimo perdigiorno ; e sen-
to tutto il giorno predicarmi che le rendite ogn' anno
scemano per lo scemarsi dell' asse della casa : sicché
a consolazione di una giovanezza disagiata soprag-
giungerà forse una vecchiezza miserabile. Eppure se
mio padre (osiamo levare gli occhi nel suo cospetto,
e parliamo il vero nella presenza di Dio), se mio
padre avesse conservato a noi due figli quello eh' e-
gli ebbe in eredità dal proprio genitore, noi non
avremmo bisogno di servire a veruno per acquistarci
il pane. Ma alcune inavvertenze, qualche errore
forse... — Oimè, che faccio io ? Di chi voglio pesare
le colpe ? È questa la virtù che prometti a te stesso
di praticare ? Così emendi la tua vita ? Io sono at-
territo. Io temo di me, giacché mi conosco così
perverso.
Mi volgerò al padre degli uomini il quale vorrà
ascoltare le mie preghiere, egli che legge nel mio
cuore e vede le lagrime che adesso io spargo.
Né si tratta mai d' andare una volta dalla cam-
pagna alla città o dalla città alla campagna, che
io non senta sgridarmi per i libri : per pochi che
36 GIOVITA SCALVINI
sìeno, caricano sempre troppo, imbrogliano. Mettono
tutto sossopra, perchè li considerano come affatto
inutili : riguardansi come la mia debolezza, e si tol-
lerano come la madre tollera talvolta che il figlio
mangi V agresto dell' uva, a forza di esserne richie-
sta. Si ricevono, si cacciano da un lato, si scuote
il capo, e mi si fa sentire il rigore del benefizio.
È vero che io pecco di abbondanza spesso, perchè
so che non ho mai saputo studiare di una sola cosa ;
temo sempre che mi venga voglia ora deir uno or
dell' altro.
Pare impossibile che i miei mi conoscano così po-
co ; e sento che essi non si sognano eh' io soffra
così vivamente di queste cose.
Essi non mi conoscono per nulla : non sanno che
io sono pili debole di una donnicciuola. — Potrei
andarmene. — Ma come potrei io abbandonarli ?
Come avventurarmi alla vita raminga ? — Debole,
debole eh' io sono ! Che dunque mi resta ?
Eppure essi non hanno saputo qual figlio ave-
vano, non hanno conosciuto il suo cuore, né il suo
ingegno, che secondato, avrebbe forse potuto onorarli.
Tutti gli affanni che mi potranno venire in terra
straniera, mi saranno consolati dal pensiero di averli
fatti lieti.
Io intendo andarmene coli' assento de' miei. Non
voglio cagionargli un secondo acerbissimo dolore,
e voglio portar meco la loro benedizione. Si potrà
colorire la nostra andata di qualche pretesto, ma
non celarla.
Che domando io infine? Domando che non )si
voglia tosto sacrificare i miei giorni in un posto
SCRITTI VARII 37
di scabra fatica, di vile emolumento, e di nessuna
migliore speranza ; che mi lascino a me sintanto eh' io
m'abbia procurato un vero merito.
Mi offro vittima air altrui pace. Ma almeno mi
si conceda ch'io scelga il modo nel quale devo
essere sagrificato, e 1' altare. Questo solo sia a me,
tutto il resto a loro. Io domando solo di non essere
sagrificato vilmente. E che apparisca avere io fatto
un sagrificio, e averlo fatto all' altrui pace.
I miei genitori si lagnano perchè io sono loro
di dispendio, e di utile nessuno. Ebbene, io ces-
serò di esser loro di dispendio ; ma ascoltino la
mia preghiera.
Io non so, né posso, né voglio forse, per poche
lire il giorno seppellire la mia vita né nelle brighe
del fóro, né in qualunque altro posto dove la fatica
sia molta, e sparsa in pigre, illiberali, noievoli, di-
speranti occupazioni. Sia mio difetto, od altro ; que-
sto, sull'anima mia, noi posso. Io domando ' adun-
que, che il mezzo di sollevarli di me consista
nell' uscire io di Brescia, e seguire altrove il mio
destino. E se io potessi giungere a sollevarli di me ;
a non essere più considerato qui come un censo
oneroso, io rinunzierò a mio fratello ogni bene che
mi potrebbe lasciare in eredità mio padre. Io non
porterò meco veruna cosa. Se io posso sollevarli di
me, non m'importa di morire fra pochi mesi. Sarà
fmita; né io avrò più bisogno né di mangiare, né
di vestirmi, né di un letto dove dormire. La madre
comune mi riceverà nel suo seno ; io dormirò ripo-
sando tranquillamente il capo nel suo grembo ma-
terno.
Un giovine di ventitré anni, sobrio, temperante
che SI contenta di pochi cattivi vestiti ; che la sera
38
GIOVI TA SCALVINI
è sempre ricovrato di buon^ora nella casa del padre,
e due ore prima de' suoi genitori ; e perchè deve
sentirsi dire che non pensa ad altro che a bere,
mangiare, e far niente ? È >?ero eh' io non ho ancora
un impiego ! ma e gV impieghi piovon eglino ? Non
ne ho io sollecitato uno presso tutti quelli che ponno
giovarmi ?
Scriverò ad... Se egli potesse chiamarmi a Mantova,
mi basterebbe che il profitto delle mie fatiche potesse
sostenermi la vita. Oh se egli mi volesse nascondere
in una sua campagna ! Io mi occuperei delle cose sue,
e imi basterebbe uno scarso vitto, e una povera stan-
za in un angolo della casa. — Sconsigliato ! Lontano
da' tuoi, tu starai male dappertutto. — Che importa !
Non si tratta qui di fare un sagrifizio per la mia
pace, ma per 1' altrui.
Io diceva ier sera a... la volontà de' miei, perch'io
mi trovi un impiego ; e gli apriva il mio cuore, e gli
confessava l'indocilità del mio ingegno circa que-
sto ; e come non so trovar modo a vincere questa
mia avversione feroce ad ogni legame. Nessuno di
questa razza degli Scalvini è nato per arricchire, io
proseguiva. Vedi come tutti quanti conosci, vivono
schivi, indipendenti, solitari : e credimi che nelle vene
de' figli corre il sangue del padre. Questa razza,
ricca già cinquanta anni, ed ora povera, ha bisogno
forse di ruinare in miseria, sicché per qualche tempo
vada mendicando il pane, e poi tenti a rialzarsi e
venga infine in splendore.
Seduto su di una larga sedia d' appoggio, le gambe
distese, e il ventre convesso per pingue pranzo,
m' incominciò a dire : Farmi che la povertà, ove fossi
nato povero, mi sarebbe stimolo a salire tanto più
alto, quanto in più basso stato m'avesse voluto far
SCRITTI VARII
39
nascere la fortuna. Mi pare che io sarei arricchito
in breve. Io avrei scelto il mestiere del soldato ;
oppure avrei, come Ugo, coltivate ardentemente le
lettere, e in modo che mi fruttassero oro e onore.
— Io taceva ; perchè so che 1' uomo il quale, elevan-
dosi su la umana debolezza, ti sgrida, e se dicendo
atto ad operare, audacemente mostra la tua codardia,
ha sempre delle ragioni di più ; e a te è debole scusa
quella debolezza e quel malvolere che se non fos-
sero attaccati ad ogni umano intelletto, non si ve-
drebbe né un povero, né un dissipatore delle sue
sostanze e della sua salute. Quante volte ho veduto
V uomo prospero, o quello che usa alteramente della
rigida ragione, svergognare con durezza il povero e il
passionato, con un io farei, io avrei fatto!
Che é stato? Io non mi sento suonare intorno
altro che gemiti ; i miei occhi non danno più lagri-
me ; il mio capo è stordito ; sono ormai passati dieci
giorni e non è ricomparso. È dunque vero eh' egli
é... morto ? Figlio ingrato, tu stesso lo hai tante volte
ferito nel più vivo del cuore ! Tu lo hai ucciso ! Egli
non è più ; ed io sono rimasto a piangerlo. Oh po-
tessero almeno le mie lagrime espiare in parte le
tante colpe eh' io ho verso di lui ! Ma quando io
non vivrò qui più, e lo spirito aprirà le sue ali verso
il cielo per andare a chiedergli il bacio del perdono ;
egli dirizzerà sopra di me uno sguardo di riprova-
zione, e mi precipiterà nel buio delP inferno. No, no,
egli mi verrà incontro come ha sempre fatto quaggiù,
e m' accoglierà fra le sue braccia, e m' impetrerà il
perdono dell' Eterna Giustizia.
... Così io parlava ; e giungeva intanto presso la
croce posta a capo del sentiero che mena al Campo-
40 GIOVITA SCALVINI
Santo, e mi volsi a quella parte ; e mentre cammi-
nava lungo quel sentiero, mi sentiva venire nell'ani-
mo una pia quiete, e una rassegnazione che mi con-
ciliava all' ultimo e necessario fine dell' uomo. Intanto
alla parrocchia suonavano continuamente a lutto,
perchè domani è il dì de' morti, e a me rivivevano
nella mente le rimembranze dell'anno scorso, quan-
do appunto la vigilia del dì de' morti, in una sera
egualmente bella che questa, io veniva a questo
medesimo sito accompagnando la famiglia C, ed
era al fianco di B... : e perchè io era mesto, essa mi
domandava più volte che avessi, e sentendomi sospi-
rare, mi chiedeva un'altra volta che avessi. Mi ri-
cordo che e' inginocchiammo tutti dinanzi il santuario
che custodisce quel devoto luogo, a recitarvi le pre-
ghiere de' morti ; e mi ricordo che essendomi volto
alla figliuola, vidi che le lagrime le correvano giù
per le guance, perchè essa aveva potuto vedere il
figlio del Campanaro venire e gittarsi in atto do-
lorosissimo su le zolle dove pochi dì innanzi era
stato seppellito il padre suo, senza abbondanza di
dolore, e senza il bisogno di rendere anche essa
un eguale tributo alla memoria del povero suo padre,
del santissimo vecchio, che riposa nella sepoltura
de' suoi.
Quest' anno è toccato a me, dissi, a piangere la
vostra perdita, o padre mio ! E tornando indietro per
il medesimo cammino, mi passava nella memoria tutta
la vita di quel!' uomo che mi amava sopra ogni altra
cosa nel mondo. E 1' ho veduto nella sua giovanezza
essere tenuto negli ozi della vita, senza che gli
si facesse intravedere nessuno bel lume al quale
la sua anima potesse volgersi con affetto, e occul-
tarsi così ogni strada che lo avrebbe potuto far salire
in onore ; poi, come la morte delle persone che
SCRITTI VARII 41
egli amava e da cui era amato, gli fece facoltà di
volgersi a quelle cose per cui più il suo cuore so-
spirava ; io V ho veduto passare le sterminate acque
deir Oceano, e combattere, e sostenere patimenti e
ferite per la causa deir americana libertà, che in
quei dì stabiliva il suo bennato regno fra quei meri-
tevoli e fortunati popoli. Poi dopo avere consumato
il fiore della sua giovanezza fra le guerre, i peri-
coli, i disagi, fra le nazioni nemiche pacificate, tor-
nare a casa, per essere finito ogni tempo di procac-
ciarsi onore ; menar moglie, e vivere nella solitudine
della villa così contenuto come se ci avesse sempre
vissuto, e cercare in quegli ozi e nelle domestiche
consuetudini quelle delizie che né i popoli stranieri
né le terre di là dei mari gli avevano procacciate.
Misero, indarno ! che cattivi e disviati figlioli hanno
osato conturbare la sua pace, e gli hanno dato a bere
un calice così amaro, che hanno abbreviata la sua età.
E saranno puniti : e la loro punizione é già comin-
ciata. — Certo, è già cominciata.
O Padre, tu mi hai dunque perdonato tutti i miei
errori. E il tuo pronto (perdono rende piìi amaro
il mio rimorso dell' averti offeso. Come espierò io
le mie colpe ? Come verrò innanzi a te senza am-
mutire ?
Sappi dunque, mio caro, che il dì primo del passato
maggio mi morì fra le braccia il mio ottimo padre.
Tu non puoi immaginare quanto dolore abbia lasciato
in tutti i cuori delle persone che lo conoscevano ;
e quanto rimorso, oltre a dolore sommo, nel mio,
per non essere stato migliore figliuolo, e più cono-
scente delle sue paterne sollecitudini. Egli è vero
che dopo i miei errori di Bologna, e la mia ostina-
42 GIOVI TA se AL VINI
zione di non voler più ritornare air università, io
mi guardai bene dal recare nuove ferite all'amo-
roso suo cuore. Ma allora io lo passai crudelmente
quel cuore : e chi sa, tristo eh' io sono !, che la mia
ingratitudine non sia concorsa al rovescio della sua
salute? Io non saprei fartene un sufficiente elogio.
Egli fu ottimo padre, uomo integerrimo, e cittadino
zelatore della patria ; né io ho mai conosciuto alcuno
che fosse al pari di lui sperimentato nelle cose
della vita. Egli combattè tre interi anni in America
per l' indipendenza degli Stati Uniti : e non ritornò
alla casa de' suoi se non quando fu concessa a quelle
fortunate genti la libertà colla pace. Conobbe Wa-
shington : e si dilettava nel seno della sua famiglia
a richiamare alla memoria tutte le parole che aveva
udito dire da lui, e descriverne la persona ed ogni
atto. Fu tra' primi a entrare in Jork-town quel dì che
il Cornwallis con tutto il suo esercito fu preso per
dedizione, ciò che stabilì la vittoria della fortuna
americana. Toccò piìi ferite in varie battaglie : e fu
de' meno disgraziati nella funesta giornata de' 12
aprile 1782. Fu amico del La-Fayette, e del Bon-
gainville ; e, in Francia, intrinseco del Massena ; il
quale, quando fu in Brescia, non fu giorno che non
visitasse mio padre : e mi ricordo che il generale
francese mi prendeva spesso fra le ginocchia, e mi
cullava amorosamente.
Le persone che ci erano assai care, e che la morte
se le ha rapite, noi non possiamo ricordarle per
qualche tempo dopo la loro scomparsa senza risen-
tirci di un certo orrore, e senza che la nostra commo-
zione sia dolorosissima : ma poiché più anni sono
trascorsi, quel raccapriccio d'orrore, che prima non
potevamo sostenere, si muta in una soavissima me-
SCRITTI VARII 43
stizia, in un patetico desiderio di esse, che è tra
le più care commozioni del cuore.
Noi parliamo di esse volontieri ; ci andiamo ri-
chiamando alla mente tutti i piaceri di cui abbiamo
insieme goduto ; visitiamo i luoghi dove le abbiamo
vedute ; stabiliamo con loro una certa affettuosa
corrispondenza, che sembra il preludio di doverci
ad esse tra non molto riunire. — Oh mio padre,
oh mio fratello ! io non poteva prima sostene-
re la vista delle stanze che voi solevate abitare :
ora mi stendo volentieri sul letto dove vi ho veduti
morire, e quivi mi riconcilio all' ultima fine deir uo-
mo, e mi sento partire dalle cose di quaggiù, e av-
vicinarmi a voi.
Ma io sento la vostra voce, la quale mi racco-
manda che questa umile casa degli antichi nostri avi
non sia lasciata possedere da ignoti eredi, e non
trovino in essa nessuna cara rimembranza. Voi mi
raccomandate di consegnarla in eredità a dei pietosi
figliuoli, i quali abitandola si ricordino di noi, e
benedicano alla nostra memoria, e la tramandino alla
nostra posterità. Che sarebbe se qui entrasse un
estraneo il quale guastasse e dissipasse, senza niun
amore e rispetto, &>n pretesto di abbellire, quelle
cose che a noi tutti erano così care, che disformasse
quei luoghi che ci hanno veduti bambini, i quali
guardando, noi ci sentivamo come rivivere tutto il
tempo passato !
Ma chi vorrà essere compagno della mia vita,
chi mi piacerà, se... non può essere mia ? Di chi gli
abbracciamenti mi saranno cari quanto un suo
sguardo ?
Mia madre è bensì ottima donna ; ma senza espe-
rienza di faccende ; onde mi conviene provvedere per
44 GIOVI TA SCALVIMI
non lasciarla in imbarazzi. Avevamo anche disposto
d' ire in campagna alla cura dei filugelli, col guada-
gno dei quali soddisfare ad alcuni debitucci che ho
dovuto contrarre per le disgrazie degli anni scorsi ;
la morte di mio padre e di mio fratello.
... E mia madre va dicendo a tutti i bisogni della
nostra casa ; e non sa che chi scopre la propria
piaga, più allontana da sé i circostanti destando in
essi schifo e ribrezzo.
Era FAve-Maria, ed io mi posi in cammino. Quando
fui sopra gli alti argini del Reno, sotto quegli alti
pioppi, io mi fermai a guardarmi air intorno. Tutto
era vastissima solitudine e silenzio. Mi volsi a man
destra guardando la montagna di Oriente ; e scor-
rendo cogli occhi la sua sommità, mi ricordai di quel
giorno che con mio fratello viaggiammo lungo tutta
quell' altissima vetta ; e sulla sera si era dilungato
da me, si eh' io lo chiamai con alte grida lungo tempo,
e tutto pieno di sbigottimento ; sin eh' egli mi rag-
giunse ; e mi raccontava eh' e' s' era smarrito fra di-
rupi eh' e' non poteva sormontare, e s' affannava, e
vedeva la notte sopravvenire, e sentiva le mie grida,
e mi rispondeva, ma la sua voce non poteva venire
sino a me, che si rimaneva profonda fra que' sassi.
Che fratellanza quella sera, che amore, che conforti !
come le nostre anime si versavano 1' una nell' altra !
Ed oh come la solitudine ravvicina i cuori, e li fa
buoni, e rannicchia gli stemperati ardimenti del de-
siderio ! E pensando a quei giorni, e alle sventure
della mia casa, io mi sentii penetrare l' anima da
quell' arcana malinconia cui sole possono destare la
rimeimbranza del passato e la solitudine. Ebbi un
padre e un fratello, esempi di bontà, e tutti e due
SCRITTI VARII 45
mi furono nel giro di un anno rapiti. E io trovava
non so come certo presagio certa consonanza fra
queir essersi mio fratello sepolto tra dirupi eh' e'
s' affannava di sormontare a mezza la via, intanto
che la notte gli rapiva la luce di cui aveva bisogno
per seguire il suo aspro cammino, e la sua morte
nel fiore dell' età, e la sua mirabile costanza colla
quale lottò colF infermità per forte desiderio di ri-
manersi con sua madre e con suo fratello.
Ohimè, invano ! ma perchè visse buono, morì co-
me un santo.
... Potete ben pensare eh' io non mi sono deter-
minato a domandare il posto di Bibliotecario perchè
ne speri contentezza, ma spintovi da una certa neces-
sità. Le cose mie non si sono mai accomodate con
mia madre. Qualunque modo di accomodamento si
proponesse, ha sempre trovato ostacoli, si è sempre
protratto a tempo più opportuno : si è promesso ;
e non si è fatto nulla. Alla mia età si mette l'occhio
nell' avvenire, e si ripugna ad andarvi incontro spen-
sieratamente. Quell' impiego mi darebbe una casetta,
e un emolumento, eh' io farei all' uopo bastare. An-
drei a finire sopra una trista riva ; ma almeno a
riva. Sento che la vita mi va scemando. E queste
cose le dico a Lei ; e desidero che non le guardi come
fantasie di un animo scontento. E il poco che mi
resta da vivere, vorrei almeno che fosse con qualche
quiete, senza nuove afflizioni ; giacché ne porto meco
tante, e irrimediabili che mi vengono dal passato.
E nessuna quiete troverei mai, andando innanzi così.
Tutte piccole molestie forse, se si riguardano ad
una ad una ; ma perchè molte e continue, finiscono
coli' attristare la vita, e inasprire i dolori più gravi.
Non posseggo nulla. Non mi si è reso nulla : mi
46 OIOVITA SCALViNI
si è fatto sentire eh' io viveva dell' altrui ; benché
la mia coscienza mi dica tutt' altro. Voglio evitare
le cagioni di avvilirmi, di affliggermi, d' inasprir-
mi. Non posso a cinquant' anni ridivenire un fan-
ciullino, chiudermi in un circolo meschinissimo di
cose, vivere come un interdetto, come un pazzo.
Non posseggo nulla legalmente : e la legalità è tutto.
Me ne sono spossessato per salvare ; e 1' ho perduto
più certamente e più stolidamente che se l' avessi
lasciato andare nelle mani del fisco. Lei che mi
consiglia ? Le apro tutto V animo mio. In casa mia
mi angustio, mi sento troppo avvilito. Ho detto che
se non si distruggeva quella cessione, sarei forzato
ad allontanarmi di casa ; ho insistito con tutte le mie
forze : non si è fatto nulla. Chi doveva accordarmi
questo giusto desiderio, si è doluto di me, ha spar-
lato di me, ha voluto screditarmi ; e nessuno pur
troppo, né i miei nemici, hanno mai cercato di farmi
tanto danno nell'opinione degli uomini come la per-
sona da cui avrei dovuto aspettarmi, se non amore,
benevolenza.
RELAZIONI COL MONDO
Io sono così usato a seguitare le mie fantasie,
e a spaziare sempre fuori di questo mondo, che quan-
do rivengo in me, mi pare di discendere a ripigliare
il corpo che io avevo abbandonato non so dove colla
benedizione del cielo. Poi, quando mi vi sono incar-
nato, se mi prende il capriccio, mi presento allo
specchio, per vedere se ho saputo riassumere il corpo
del dì innanzi ; e mi pare gran maraviglia eh' io non
abbia sbagliato, e abbia potuto riconoscerlo.
— I miei amici, certo, devono avere gran noia di
SCRITTI VARII 47
me ; e parimenti non è poca pena la mia, quando
essi mi fanno qualche proposta nella quale m' accor-
go che mi converrà stare in cervello, e attendere a
movere le gambe piuttosto di qui che di là, salire o
discendere, ascoltare, rispondere, e vedere quello che
mi verrà p9rto dinanzi ; o altrimenti sentirsi cantare
la litania, di stucchevole, insensato, trasognato, stupi-
do. E m' è più caro lasciarli gridare a gola siffatte
gentilezze, perchè ho spesso la fortuna di non le
udire.
Siccome io molte volte dico ciò che sento, molti
mi abborrono, e alcuno mi compiange in secreto.
Io sono trascurato, ed alle volte persino strava-
gantemente incivile. Ma poi sono debole, e non so
comportare V idea di poter spiacere a quelli che mi
sono cari. Io sono debole ; e se vi è alcuno che mi
ami, io lo prego a compatirmi se talvolta gli parlo di
me, e mi compiango in sua presenza. Appresso, gli
prego a non credermi superbo se talvolta mi veg-
gono aspro e taciturno, perch' io sono un infelice
travagliato da molte effettive e immaginarie affli-
zioni. E mi avranno veduto molte volte farmi man-
sueto e sorridere per una sola loro parola. E prego
quelli che sono morti, e che mi hanno in vita cono-
sciuto, se hanno ricevuto il merito delle loro virtù,
ad impetrarmi riposo dal nostro comune Padre.
Ecco io mi svio, e comincio a piangere. Ohimè !
io non dovrei almeno essere in disprezzo di nessuno.
Perchè io sono di un umore insocievole spesso,
e malinconico, e taluno mi crederà stravagante e su-
perbo ; di tanto in tanto faccio uno sforzo sopra di
me, quando m' avveggo che potrò riuscirci, nelle ore
della mia maggior pace, per usare una cortesia a
48 GIOVITA SCALVINI
chi ho da molto tempo trascurato. Così egli s' avvede
che io non ho nulla con lui, ed io mi trovo bene,
perchè sento che potrò abbandonarmi al mio umore
per qualche tempo ancora.
Ho caro V introdurmi nella conoscenza di un uomo
con un atto gentile.
Male si raccomanda chi, venendo a me, aperto
V uscio della imia stanza, ride in su V entrata.
S' io arrivo a rompere il ghiaccio, allora forse vi
nuoto meglio che altri, e fo in breve gran cammino.
E così m'avvenne sempre, che i modi piti schietti
gli usai colle persone nuove per me. In un tratto
io divento V amico più cordiale di un uomo ; e col
volgere del tempo, con quello stesso divento so-
vente contegnoso e diffidente. Appunto il contrario
di ciò che avviene fra i più, ai quali bisogna gran
tempo prima di levarsi d' intorno quei veli e quelle
maschere onde su le prime si coprono dinanzi a
tutti.
Io guardava x. così ben attillato, ma non lezioso,
che vive cogli uomini più sperimentati, e si fa amare ;
colto, ma senza portare nel mondo il peso della sua
dottrina ; io lo guardava, e diceva a me : E tu, po-
vero rozzo, tu non hai mai potuto far tregua colle
usanze de' tuoi fratelli. Eppur nel tuo cuore non le
condanni.
Perchè quelle grida, come se io violassi il sacrario,
quando difendo la mia opinione diversa dalla vostra ?
Voi dunque vi presumete incapaci di fallire ; ma
questa stessa presunzione è matto fallire.
Io non danzo, io non parlo di gazzette, perchè
non le leggo. — Una fanciulla a Santa Redegonda
SCRITTI VARII 4Q
vedendomi mesto mi chiese : Non danza ella ? Figlia
mia, risposi, dacché i miei piedi si movono su questa
faccia della terra, non hanno mai altro saputo che
camminare, e presto se ne dimenticheranno fors' an-
che, poiché devo starmene tutto il dì seduto a sten-
dere articoli per un giornale.
Che vado io a cercare in casa Melzi ? Non conosco
io ancora me stesso ? Non so io che condizione di vita
mi bisogni ? Che fa a me una biblioteca, una capitale,
. e i suoi letterati ? le politiche dicerie, la sede del
governo, il tumulto, il rimescolamento delle arti e
delle scienze ? — Mi farò uomo. Fanciullo, tu vi hai
soggiornato tre mesi ; e ti sei tu malato ? Tu volgevi
il tuo pensiero a Botticino. Ti sovvenivano, fra Io
strepito e nella compagnia de' dotti, l' orto e i per-
golati della tua casa. Tu sei ritornato timido come
prima : così solitario, così da nulla come prima.
Io li ho fuggiti, e non sono loro malevolo per que-
sto : e mi basta di poter dire ch'io non fui né superbo,
né immemore della benevolenza, né vendicativo, fug-
gendoli. Non m'hanno essi deriso come pazzo ? non
hanno voluto porre la loro saviezza esempio alla
mia ? la loro volontà nella mia ? non hanno voluto
farsi giudici d'ogni mio atto, d'ogni mia parola?
non hanno investigato persino ogni mio pensiero, e
tiratili al peggio coli' assiduità di un nemico ? non
sono stati anzi essi gì' immemori ? Non mi sono
io pentito e scusato de' falli che mi apponevano,
o che io non aveva commessi ? Ho io mai dissimulato
con loro nessun mio fallo ? e coi perpetui loro rim-
proveri non mi hanno essi fatto dubitare persino del
mio discernimento ? Ma io non poteva dubitare della
mia coscienza ; ed essi volevano darmene un' altra,
50 OIOVITA SCALVIMI
come se essi, e non io, fossero dentro di me. Mi
hanno tratto a perdermi con loro, e poi mi han la-
sciato.
Abbiamo colto lagrime dalle nostre passioni ; e
fummo disamati perchè non abbiam saputo essere
né scaltri, né adulatori, né bugiardi, né inverecondi.
Oh quand' io era in prigione, oh come avrei date
allora tutte le bugiarde gioie dei circoli per un alito
d' aria di questo oceano, per pochi passi fra le sabbie
di queste dune ! Quanto è vana e inutile e fastidiosa,
e, per facile che sìa, comperata pur sempre a troppo
gran prezzo, la scienza di una certa condizione della
società ! La scienza di quella parte degli uomini
che si crede privilegiata ; che vivono in piccol croc-
chio fra loro, eh' hanno il modello in tasca del come
debbono essere fatti gli uomini !
Tocca a noi forse di affannarci dei giudizi dei
circoli ? noi che abbiamo patito la fame e la sete ?
Ho veduto da vicino quello che si chiama bel
mondo e gran mondo ; ho veduto le vili passioni
che governano i suoi abitanti ; i loro errori, le
loro cecità, le loro superbie. Mi hanno spruzzato
in volto il loro veleno, hanno creduto umiliarmi : ma
non un solo momento mi sono sentito minore di
loro perchè fossi povero e negletto da loro. A sif-
fatte anime volgari pare strano e fantastico tutto ciò
che eccede il loro pensiero, ciò che non è basso e vile
come loro.
Mi disprezzano perchè non sono millantatore, per-
chè non sono bugiardo, perchè non sono cortigiano,
perchè non sono sfacciato, perchè non m'avvento
SCRITTI VARII 51
sulla donna che amo, come la belva sulla belva,
perchè invece sto sommesso e silenzioso a' suoi
piedi.
Perchè non sono giulivo ; perchè il mio corpo è
debole, perchè non sono rapido come loro nella
caccia, perchè non sostengo come loro il vento e
le pioggie ; perchè non so contraffare come loro
il superbo, lo scemo, il balbuziente, lo storpio, —
mi disprezzano. Ma che son essi ? dove sono le
loro virtù ? Io non li disprezzo, loro, ma essi che
sono, che disprezzano altrui ?
Mi disprezzano perchè son timido, impacciato, fan-
tastico.
Gli animi freddi ed ipocriti s'incontrano, si leg-
gono negli occhi sotto le loro maschere ; se le levan
dal volto e si ravvisano scambievolmente, e allora
dicono : camminiamo insieme ; e mettendo V uno nel
braccio dell'altro, si avviano nella vita. Ingannano
tutti, s'ingannano anche fra loro talvolta, ma si per-
donano con indulgenza. Io non voglio la vostra scien-
za, anime fredde e menzognere : sarò calpestato nella
via ; calpestato e deriso : ma io mi sentirò sempre
levato sopra di voi, e tant' alto che non mi giungerà
neppure il vostro ghigno.
Io era schietto, senz' arte della vita ; era vissuto
così sino a trenf anni : ma quando sono stato con
costoro, ho gustato del frutto amaro di una nuova
scienza. Ho veduto come gli uomini si accarezzino
straziandosi in segreto : ho veduto come chi ha paura,
dice: non ho paura; come chi ti odia, ti dice: //
amo ; con quanti innumerevoli e diversi e meravi-
gliosi modi l'uomo sa dire al suo simile: lo son
buono; come uno paia parlar d'altri teco, e vuol
52 GIOVI TA SCALVIMI
parlare di te a te ; come porre in bocca d' altri
quello che non osa dire egli stesso ; come il fratello
strazii r onore del fratello, la sorella della sorella,
r amico deir amico ; come si provocano le maldi-
cenze parendo farsi propugnatori della virtij. E che
non ho io veduto ? E tutto ciò ha rovinato il mio
primo modo ; m' ha fatto amaro neir anima, m' ha
pressoché fatto impazzare ; perch' erano tutte cose
ignote a me.
A me che fa soggiornare in una vasta città ? Tutte
queste mura, queste case mi sono straniere. Io passo
loro dinanzi e dico loro : non vi conosco. Ma tutto mi è
caro della mia casa : quelle ripide scale, giù per le
quali tante volte in fanciullezza mi sono rovesciato,
mi piacciono più che queste marmoree, ampie e ap-
pena inclinate : i ragnateli, che pendono giù dai sof-
fitti delle mie stanze, mi sono più cari alla vista delle
cortine di seta che m' involgono le finestre e il letto.
I fessi dei muri, il pavimento ineguale, quegli ar-
redi di dugenf anni, non possono essere ricordati
da me senza sentirmi stringere il cuore di desiderio.
Là mi riposo tranquillamente. Le colonne del mio
portico mi conoscono, mi amano : e se taluno volesse
persuadermi ch'esse hanno lo stesso sentimento per
me di quelle di S. Lorenzo qui in Milano, io lo avrei
per nemico.
GLI UOMINI
Un uomo superbo, è bello guardarlo fra quelli
che ha più famigliari. — Egli teme sempre di pa-
rere uguale a loro. — Ogni domanda che gli vien
fatta mette i suoi nervi in uno stato di contrazione ;
e ogni sua risposta è in modo impaziente e dispet-
SCRITTI VARII 53
toso ; include la tacita appendice : come osa costui
innalzarsi sino a me e interrogarmi? Egli non vuole
apprendere nulla da alcuno ; e se è costretto di ascol-
tare qualche cosa, nella sua mente inquieta si prepara
a contraddire. — Sapete V avvenimento di stamat-
tina?
— E con una amarezza che ti leva ogni buona
volontà di raccontarglielo ; ed egli facendo sembian-
za di attendere ad altro, non ti sollecita certamente
del tuo racconto. — Che ora è... ? — Perchè devo
sapere io che ora è ? — E si muove sulla seggiola ;
e m' avveggo che per alcuni minuti non può ritornare
alla calma di prima. E certo saprà anco che ora
sia ; e se non la vuol dire, non basta un tranquillo
noi so?
Io veramente sento compassione e dolore allora
quando penso a certi signorotti di questa città, i
quali sprezzano il povero, solo perchè nacque povero,
ed esaltano sé stessi perchè si trovano in altro stato,
senza saperne il come, e conoscerne il jDerchè. Il
solo Cigola conosce sé stesso, e sa di non essere
dissimile da tutto il resto degli uomini. È vero che
anch' egli ha qualche principio fuori delF ordine na-
turale, che richiede schiettezza e libertà sì di pensare
che di operare, ma questi forse l' educazione glieli
avrà fatti : e poi nel mondo è impossibile trovar per-
sona esente da tutti i difetti.
Chi potesse persuadere a sé stesso che mentre
egli crede di acquistarsi fama o di bello spirito o
di scienziato, un tacito giudizio degli astanti lo chia-
ma maligno, ignorante, superbo ; non si troverebbero
in società tanti millantatori di sé stessi, che, costretti
ad ascoltarli, si corre rischio di morire per gli orec-
54 OIOVITA SCALVINI
chi. Questo ho detto per fare una correzione a me
stesso, avendo questa mattina qualche cosa detto di
me, cioè del mio modo di pensare, in mezzo a per-
sone che tutto all'opposto pensano. Lo stesso sag-
gio deve guardarsi dal palesare la sua virtù ; perchè
gli uomini sprezzano o per invidia o per non intel-
ligenza tutto ciò di che sono essi privi.
... Lo fa per comprarsi la tua gratitudine, e ma-
neggiarti poi comunque a lui piace ne' tuoi bisogni.
Prova a non ti umiliare avanti a chi ti ha beneficato ;
lo udrai tosto rinfacciarti i suoi benefizi, e trion-
fare del tuo avvilimento.
Quando considero come l'uomo pugna sempre e si
affaccenda per sottrarsi alla servitù, ed è pur sempre
servo ; e come noi supponiamo negli altri ardi-
mento e forza d'animo, e nobiltà quasi sovrumana,
onde stiamo timidi tutti innanzi a loro ; e sono poi
tutti deboli, pusillanimi, bisognosi come siam noi,
e come è il più meschino uom della terra ; io, anziché
prevalermi della umana debolezza, mi sento stringere
il cuore e empiere gli occhi di lagrime nel pensare
a questo retaggio dell' uomo, la meschinità. Ma io
mi sento cadere in un compassionevole avvilimento
quando guardo questo gran gregge degli uomini che
serve ciecamente, e senza mai cercarne il perchè,
ad alcuni altri pochi ciechi che gli comandano, e
che se ne credon padroni solo perchè se lo sentono
dire da quelli stessi che servono.
Gli uomini promettono per l'avvenire, e promet-
tono largamente per fuggire i fastidii del presente.
L' uomo verace è raro ; l' uomo per il quale la pa-
rola è schietta veste del pensiero, e il dire non è
'da meno del fare.
SCRITTI VARII 55
LE DONNE
Un giorno passeggiando per Regent-Park con Ugo
Foscolo, egli si doleva che una fanciulla eh' egli
aveva cara, si fosse data in braccio ad altri. E poi
soggiunse : le donne si tengono in tre modi ; col-
l' amore, col danaro, col terrore. Coli' amore, disse,
è impossibile a me ormai vecchio e brutto. Né ho
denari. Io V ho tenuta col terrore lungo tempo : ed
in vero mi teme ancora. Sì, gli dissi : ma che cuore
dev' essere quello di un uomo che sa d' essere odiato
in segreto, che le carezze che riceve muovono da
paura ; e può pensare che, dove il suo orecchio non
arriva, ivi è deriso e tradito ! So che è nostro ^prin-
cipio il far paura. Ma chi non ha che il furore delle
parole, chi non ha eserciti, chi non ha artiglierie^
chi non ha oro, finisce eh' egli è deserto da tutti.
II potente trova dei vili, per le speranze e i timori
che sa incutere ; ma l' impotente non trova cortigiani
che vogliano tremare o mostrar di tremare, per dargli
piacere. Foscolo tacque un poco ; e poi soggiunse :
La donna ama chi teme. Ella cerca nel nostro sesso
la forza, e voi trovarla a costo anche di dolori e
di rovina per essa. E argomentò a lungo su ciò.
Ma ad ogni modo Sofia lo abbandonò quando egli
cominciava a infermare, ed era povero e destituto.
Egli che aveva voluto tutti spaventare, morì abbando-
nato. Non osarono affrontarlo vivo, ma gli volser
le spalle ; ed alzano ancora la voce a maledirne le
ceneri. Era un uomo di fantasia e d' ingegno, ma
di nessuna virtù d' animo. Non seppe ire cogli altri,
e gli altri andarono senza lui : il suo sapere era già
antiquato. Volendo sottomettere gli altri alle sue
56 GIOVI T A SCALVIMI
stravaganze, dolendosi di tutti, non fece in fine che
danno a se stesso. Non so quan;to sìa vero quel
eh' egli disse del tenere le donne col terrore, né mi
curo sapere se è vero.
Gli animi alti, le virtìi severe danno poco nel
talento delle donne. Vi è non so che di misterioso
nel cuor loro, che fa eh' elle preferiscano i tristi
ai buoni, quelle che le pigliano a giuoco, a quelli
che le pongono sugli altari. Come deboli, amano la
forza; e quesf è bene; ma pigliano la tristizia per
forza. Esse dicono che sono come la Provvidenza,
che si compiace più d' un traviato che si ravvia, « che
di novantanove altri perfetti ». Ed esse amano fare
de' miracoli, operare delle conversioni : ma altri dice
che si dilettano de' tristi, perchè promettono di
ridurle per la più corta al fine de' loro segreti desi-
derii. Non parlo delle fanciullette, di que' fiori mo-
desti e romiti ; ma di fiori dischiusi, e schierati lungo
i viali ^de' giardini.
Certe donne si godono in pensare che la loro
bellezza è simile al corno di Astolfo, che fa cadere
gli orribili giganti.
SCRITTORI
Giudizi e notizie
Da Camillo Ugoni a pranzo ci andava mal volen-
tieri ; e adesso ho gusto di esserci andato. Vi era
un Acerbi, che ha stampati certi suoi viaggi, che
fu amico del Klopstok, il quale si affezionava sola-
mente a chi o traduceva in altra lingua i suoi versi,
o ne metteva in musica, oppure dipingeva o inci-
SCRITTI VARII 57
deva soggetti tratti dal suo poema. Acerbi comperò
la sua amicizia colla moneta della musica.
Il signor Arici ha già interamente tradotta la
Georglca; e dobbiamo consolarci, che in questa fa-
tica avrà avuto minor campo di esercitare quella
sua naturalissima propensione a far suo V altrui,
eh' egli, evangelizzando, chiama amor di adozione.
E chi ignora quanto ultimamente egli abbia perfe-
zionata questa sua carità adottiva ? O beato gregge
degli addottrinati, a cui V onesto e il disonesto, e
tutto quanto, è concesso ! Il loro merito nelle lettere
ben a ragione deve far dimenticare in loro ogni
altra ruga dell' anima ; e deve essere un mantello
col quale tutto vistire. Ed oh nuovo miracolo de'
dotti ! Coprire col giubboncello del giovanetto Aci
V ampia campagna delle spalle di Polifemo.
Questa mattina è stato a trovarmi l'Arici, del quale
io non aveva ancora cercato, non sapendo qual fosse
l' animo suo verso di me, dopo quella mia critica
del suo poema. Ma egli fu oortesissimo. Ho saputo da
lui che il Nicolini è stato eletto professore di storia
nel Liceo di Verona ; per lo che l'Arici vorrebbe eh' io
concorressi alla cattedra di Rettorica che rimarrà
vacante qui in Brescia. Ma io noi farò, quand' io
sappia per mezzo vostro che il marchese Trivulzio
tiene ancora lo stesso pensiero intorno a me. Quel
carico di Bibliotecario presso un così ottimo e dotto
signore mi sta dinanzi con troppo grandi lusinghe.
Ho letto questa mattina il panegirico di Pietro
Giordani a Napoleone. Lo stile è veramente italia-
no, elevatissime sono le immagini ; ma due difetti
mi spiacciono : l' uno si è il voler fare eccellere su
58 GIOVITA SCALVINI
tutti gli altri Napoleone, non per le virtù dì cui
egli ha saputo ornarsi col forzare la sua volontà ad
operare il giusto, ma il costituirlo virtuoso perchè
la natura lo ha di tali fibre organizzato che non può
non sentire che il retto, cosicché il panegirico non
è a Napoleone, ma alla natura. Il secondo difetto io
Io significo paragonando quest'orazione ad un ma-
gnifico tempio, ma costituito in modo che si pa-
lesano agli sguardi dello spettatore e le travi tut-
te, e i ferrei puntelli che Io sostengono. Vo per
altro pensando tra me, che se Napoleone fosse il
sommo fra i mortali, non avrebbe bisogno di elogi ;
le nazioni direbbero : — E chi havvi fra noi che di
quel giustissimo non conosca ogni giorno le celesti
virtù ? Noi tutti le portiamo nel nostro cuore, non
havvi alcuno che riconoscente non sia della felicità
che ci dona. — Sarebbe dunque ridicolo l'oratore
che scrivesse il panegirico del sommo fra i mortali,
come sono quei poeti che han detto lucente il sole.
Non eh' io non ammetta virtù in Napoleone : mi
è pur d' uopo conoscere che alla sua scienza politica
unisce anche qualche virtù : V trias etiam in ho si e
delectat.
Il Giordani col berretto da notte a mezza notte
viene da Labus a domandare i Fioretti di S. Fran-
cesco,
Andavo jeri dopo pranzo passeggiando, e senza
accorgermi avevo preso la via di S. Pietro, quando
veggo Ugo Foscolo seduto vicino alla porta del
convento de' Padri Riformati, il quale parlava con
un pezzente. Mi fermai lungo tempo a ragionare
seco, che per fortuna l'ho ritrovato di buon umore.
Faceva molte domande a quel povero uomo, e gli
ha donato una moneta d' argento.
SCRITTI VARII 59
II Foscolo è ancora a Brescia, ed io Io conosco,
ma della sua traduzione del divino Omero non so
nulla. Egli è un grand' uomo ; ma sarebbe stato me-
glio che avesse tradotto i Paralipomeni di Quinto
Smirneo.
(Al Foscolo) ho letto il vostro Sterne, ed ho tro-
vato un libro nuovo, malgrado le più volte che io
aveva letto questo autore nella versione francese.
Sarà il mio libro dell' imminente autunno, quando
coli' anima riposata passeggerò le mie colline. —
Perdonate se io vi trattengo parlandovi di me ; ma
chi porta la mia memoria a voi se non io ? Di voi
parla l' intera Europa.
Ho ascoltato attentamente la Ricciarda del Fosco-
lo ; e m' intesi più volte scorrere sotto la pelle il
ribrezzo del terrore. Essa non dev' essere una tra-
gedia storica, ma di nuda invenzione, perchè pare
che l' autore abbia cercato di raccogliere in essa i
luoghi topici del terrore. Pare in certa guisa abboz-
zata sul Don Garzia, e che abbia tolta qualche si-
tuazione anche dal Filippo: come quella di aver
il padre prima alla figlia concesso lo sposo, e poi
tolto. Ho eccitato Camillo a scrivere di ciò al Fo-
scolo per sentir che ne dice quell' indocile ingegno.
Ma checche ne dica, egli non ha ingegno atto alla tra-
gedia. I versi del signor Foscolo vengono diretta-
mente dalla testa, eh' egli ha calda ; chiaro vi si
scorge Io studio, e vedevisi palesemente V arte. Spes-
so cade nell' errore di fare il ritratto di sé, volendo
fare quello de' suoi attori. L' arte del dialogo, qui
non la trovi neppure per ombra. Gli attori di rado
s' incalzano, fortemente e poeticamente e passionata-
mente ragionando ; sono il più delle volte due ar-
60 OIOVITA SCALVINI
rabbiati, che, come Menalca e Dameda, sembrano
gareggiare a chi dirà migliori versi. Ma dappertutto
senti l'opera della testa, e vedi sempre la testa che
va rintracciando quel che parlerebbe il cuore pas-
sionato. —
Il signor Foscolo è dotato di molto ingegno, ma
non ha un ingegno propriamente inventore. Egli
ha molto buon gusto, e alto studio de' migliori ; quin-
di si sostenta, e modella le proprie su le bellezze
degli altri. Ha osservato quel che più in altri piace ;
e se ne vale spesso in diverse guise. In tutto che di
esso leggerai, vedrai sempre un' acre ostinazione di
voler far bene, malgrado ancora un ingegno che non
sempre spontaneo s' arrende ; e vi riesce a forza di
fare e disfare, e connettere e sconnettere, perchè egli
ha buon gusto e alto studio. Vanta spesso il cuore ;
ma, senza avvedersi, scambia spesso il caldo della sua
testa con quello del suo cuore. Avidissimo di fama,
egli non è né adulatore né servo, perché si è accorto
che il mondo onora chi tale non è. Si adira spesso
e grida, perchè ha veduto che gli uomini si con-
tengono col timore. Tutti i suoi gravi movimenti, il
suo sogguardare, il suo silenzio, vengono dalla sua
testa calcolatrice degli effetti di tutte queste ciarla-
tanerie. La spontaneità insomma non la trovi in al-
cuno dei suoi scritti, quella spontaneità che il Vol-
taire ha iposseduta in un grado eminente.
L' ingegno del signor Foscolo si può paragonare ai
raspi che danno ancora del sugo violentemente pi-
giati. Il vero ingegno è come i grappoli, che, punti
appena, gemono il liquore soavissimo.
(Delle « Grazie »). I versi del Foscolo sono pochi
e scuciti ; però non credo che sieno da offrire al
pubblico con corredo di erudizione.
SCRITTI VARI! 61
... Che se per ventura il signor Foscolo torni
a dormire nel bello ovile (voi intendete), e adempia
egli il comune desiderio meglio che noi ora non pos-
siamo, e se ne dia anche compiuti cotesti Inni alle
Grazie, io penso che la vostra stampa de' presenti
squarci non tornerà perciò affatto inutile. Anzi par-
mi che gioverà ad apprendere a chiunque vorrà con-
siderare i mutamenti fattivi, come la bontà dell' in-
telletto trovi prontissime le prime forme dell' im-
magini, e quelle con lungo studio accordi poscia al-
l' intenzione dell' arte, e faccia perfette, sdegnosa di
stare contenta a quei facili dettati che soddisfareb-
bero gli ingegni mezzani. E gli studiosi indagando
le ragioni di que' mutamenti, troveranno forse di
per sé stessi alcune norme che li guidino a migliorare
gli scritti loro.
Il Monti mi è venuto incontro stringendomi la
mano con un lieto sorriso. Non è forse una vanità
quel fanatico desiderio di vedere gli uomini sommi ?
Sa' tu eh' io per vedere l'Alfieri, mi sarei contentato
di rimanere poi in una prigione per un lungo mese ?
Mi rodo a pensare eh' io sono così lontano da questi
sommi uomini. Ma penso in fine : cosa sono anche
questi uomini sommi al confronto dell'immensa scien-
za della natura?
Chi legge le opere del Monti, non si aspetta quella
fisotiomia. Chi legge Ortis, si aspetta un Foscolo.
— Qual differenza tra Foscolo e Monti ! Foscolo mi
sembra abitato da uno di que' Dei che i Germani sen-
tono passare nelle foreste ; Foscolo per me è un
mistero. E noi non diventeremo mai da nulla ? Que-
sto pensiero mi morde il cuore. Io sono ambizioso, e
non vorrei chiudere nella tomba il mio nome. Se
talora m' accorsi di avere scritti degli errori, dico
62 OIOVITA SCALVINI
fra me : forse questi susciteranno qualche disputa,
ed io intanto sarò sul labbro d' alcuni.
Mi ricordo la sera avanti ch'io dovea andare da
Vincenzo Monti. — Io era afflitto, afflittissimo, per-
chè mio padre, mia madre e mio fratello prete mi
predicavano che non aveva calzoni buoni per pre-
sentarmi. Credete voi, risposi, che il poeta del secolo
giudicherà di me da' calzoni ? Ch' io non debba ve-
dere Vincenzo Monti per causa de' calzoni ? — Alla
fine vi andai con un pajo di mio padre, che, a dire
il vero, non erano ne' anco quelli de' più buoni.
Il Monti dice : A questi semi-letteratucci, che inso-
lentiscono contro le opere de' grandi uomini, con-
vien rendere la pariglia con un buon bastone. Se
un cane mi viene a pisciare vicino, io ho diritto di
dargli un calcio o una bastonata. — Gli uomini gran-
di, soggiungeva il Monti, debbono render ragioni,
non venire colla spada alla mano. — Mentre così
diceva, senza avvedersi, condannava sé stesso. Che
non ha egli detto di quel povero De Coureil, nella
nota al Cavallo alato d'ArsinoeP Gli antichi, certo,
non fecero mostra mai di tanto fiele.
Monti si stava radendo la barba. — Fruga nella
mia tasca, disse, e troverai una lettera del Principe
di Carignano. Vedi che mi scrive egli. — Io la trassi,
e andando verso lui, — Vedi, diss' egli volgendosi,
tutta di suo pugno! — Io lessi. — Hai badato, dis-
s' egli, volgendosi un' altra volta, a quella parola ve-
nerazione? Voi non avete bisogno, diss' io, delle lodi
di principi, né ve ne dovete compiacere. —
Monti è ito in fretta a Fusignano per salvare il
suo avere dalle brame di un nipote a cui lo aveva
SCRITTI VARII 63
affidato. Egli ha il carico di scrivere una Cantata
per la venuta dell' imperatore.
Io sono per natura così lontano dall' adulare (e
voi lo sapete), che mi fa maraviglia come possiate
dubitare, eh' io possa ora cambiare la mia natura
per farmi piaggiatore del marchese Trivulzio. Lo-
derò come merita quel libretto, ma nulla più. Le cose
che ho dette in prò del Monti nell' articolo intorno al
Mancini, erano dettate dalla coscienza, non dalla
amicizia. E le avrei forse dette ancorché fossi stato
suo nemico : dico forse, perchè veggo che le ruggini
dell' animo fanno gli uomini non di raro ciechi an-
che al merito.
( ?) Egli era comandato, egli era forzato a far
ciò. — Chi può forzare ad operare contro la propria
coscienza ?
L'abate Mai inviando il suo Eusebio al signor... gli
ha scritto egli solo nascosamente dallo Zorhab, quasi
fosse egli solo l' editore. Quegli, che non lesse,
com'è naturale, la dedica, inviò in dono una tabac-
chiera al Mai con lettera a lui solo diretta. Lo Zorhab
mostrò che ad esso spettava la metà del dono ; e il
Mai non potè negarlo. Ma dovendo quello recare
la tabacchiera a casa Litta per mostrarla, il Mai
ne volle ricevuta formale. Lo Zorhab quando fu a
restituirla al Mai, volle anch' esso ricevuta formale
quanto alla sua metà ; e il Mai la negò. Sono in gran
dissensione, né so come si disbrigherà la faccenda.
È cosa comica a vedere la scrittura che fecero quan-
do convennero di stampare insieme questo libro :
dove si parlava ancora in qual luogo si dovesse
porre il nome dello Zorhab, e dove quello del Mai,
e qual prima e qual dòpo. Certo il Mai, indotto
64 GIOVITA SCALVINI
della lingua armena, nulla avrebbe potuto fare senza
lo Zorhab.
Il signor Renonard, registrato nel suo catalogo il
libro di Longo sofista, ritocca la vieta questione
dello scorbio fatto dal signor Courier al manoscritto
della Laurenziana. Dove, fra T altre cose, dice che
gV Italiani s' indispettirono allora contro il Courier
per avversione che avevano al governo francese ;
quasi che non fosse quotidiana la petulanza de' Fran-
cesi in Italia, e non avesse già le mille volte, prima
di quel fatto, offerta opportunità di risentimento.
Il signor Furia avrebbe certamente dovuto tacere,
e crescere di quel fatto il novero delle cortesie per
consuetudine usate da' Francesi agP Italiani. Ognuno
tenne per fermo che il Courier non avesse a bella
posta scarabocchiato quel luogo. La qual opinione era
già prima tenuta da coloro che sanno non essere
esso Courier affatto sperimentato nelle cautele che
voglionsi adoperare svolgendo e trascrivendo gli an-
tichi manoscritti ; e tutti furono contenti di ringra-
ziare il cielo che tanti preziosi codici in ogni tempo
dagr Italiani scritti e ordinati, fossero caduti in mani
più esperte che non sarebbero state quelle di filo-
logi uguali al Courier.
GV Italiani poi si confortarono interamente della
perdita di quel Codice, quando sorse tra loro chi
operò affatto contrariamente al Courier ; il quale
le anteriori scritture trascuratamente cancellò, mentre
il nostro (vogliam dire V abate Mai), le già cancel-
late ripose in essere, e al desiderio dei dotti re-
stituì.
— Taluno è, mio carissimo, che ha tutti e due
gli occhi spenti nel capo, e le occhiaje vote, che è
SCRITTI VARII 65
più cieco di una cavalla da vetturale ; eppure ditegli
soltanto guercio, che lo vedrete incollerire, e dare
nelle furie, come se aveste detto leccardo al Battista
che imangiava grilli e cavallette. Tal altro appena
può ire innanzi penzolone dalle grucce, che per lui
le gambe sono come se le avesse in tasca : (ma
provatevi a dirgli « tu zoppichi, » che tosto, dovesse
anche stramazzare su la via, alza V una di quelle
grucce, e ve la dà a traverso per azzoppare anche
voi.
Il lazzo sorbo non mette il fico. È s' egli ha manco
ingegno d' una capra, non è sua colpa. Ma che costui
essendo piìi cieco d' una cavalla da vetturale, giuri nel
nome del Signore, e ne dia poscia prova dicendo
tondo al quadro, e pozzo al campanile, non sappiam
tollerarlo.
Simile a un vulcano partoriente, manda fiamme,
sassi infocati e fetida lava ; guai a chi tocca una
sassata, guai a chi non è presto a turarsi il naso :
il malanno gli entra per le narici.
... Apparecchia i panioni e la civetta, mio buon
amico, che il nostro poeta si è come augellino
per riverenza ascoso
Nel boschetto odorifero e frondoso,
Il più vicino al mormorante rio.
E se tu lo saprai ben bene uccellare con quel
tuo fischio che chiama le capinere lontane le mille
miglia, quand' egli ti fa dal boschetto capolino, sarà
finita questa commedia, che certo t' avrà cominciato
a nojare: e mentre tu lo inviti, e la tua civetta lo
inchina, io mi starò ascoltando il suo canto.
66 OIOVITA SCALVINI
... Ora si paragona a una mula, ora a una formica,
ora a una gazza, ora alle anime del Purgatorio. — E
ci raccomanda di rileggere la sua prefazione, e noi
gli diciamo che ci scusi, ma che non ne abbiamo vera-
mente la voglia ; che rispettiamo sua madre e la sua
Amarillide e la sua sirocchia.
... Spropositi nelle parole, ne^ pensieri ; spropo-
siti nella sintassi, spropositi nell'ortografia!... Voi
mi ricordate quella casa descritta dal Forteguerri,
dove tutti gli oggetti erano diavoli. — Demoni i
topi, demonio la gatta.
... Noi, a volergli dare un libero consiglio, eh' e-
gli troverà forse maligno, ma che ci detta l' animo
sincero e caritatevole, noi lo preghiamo a cessare
dal voler essere letterato, a godersi nelle delizie
di quella sua villetta, che ha sulla collina alle spalle
di Genova, gli ultimi giorni di una vita che ormai
declina a vecchiezza. Ivi raccolga gli amici, giuochi
al bigliardò ; negli animosi estri, intorno al fuoco
V inverno e alla fresca ombra la state, canti, o faccia
alP altalena, o si lasci scivolare le cinquanta volte
dalle montagne russe.
... Quelle diciott' ore al giorno che dona allo stu-
dio, in atto piti degno spendendole, quante staja di
frumento avrebbe potute seminare in un anno, e quan-
te raccoglierne, e di quanto maggiore utile essere
a sé ed a' suoi cittadini ? Né questa dimanda la ti
faccio per ischerzo od imbizzarrimento, ma con tutto
il candore, e per soddisfare a quel debito universale
che si contrae, volendo godere dei vantaggi della
società, di procurarle il maggior vantaggio possi-
bile.
SCRITTI VARII 67
— La vostra risposta, cavalier Giusti, alle mie os-
servazioni, mi è venuta graditissima ; però eh' io in-
cominciavo a temere che voi voleste abbandonare al
silenzio e alla dimenticanza, siccome non d' altro me-
ritevole, uno scritto che può parere dettato con ani-
mo malevolo. E allora il mio avvilimento sarebbe
stato troppo. Ma io non desideravo la vostra ri-
sposta, perchè per essa avrebbero acquistato rilievo
le mie osservazioni, e sarebbono apparse non degne
di trascuranza, ma perchè mi stava fitto nell' animo
il bisogno di ridirmi verso di voi di alcuni modi
oltraggiosi che indecentemente in esse ho adoperato.
Né forse, persistendo voi. Cavaliere, nel vostro si-
lenzio, io ci sarei mai venuto, temendo non fosse
trovato dell' affettato eh' io volessi ricredermi di un
oltraggio di cui niuno con magnanimità aveva voluto
mostrarsi offeso, e del quale mi trovavo già abba-
stanza punito coir essere trascurato. Ma voi avete
risposto ; e così m' avete dato campo a sdebitarmi ;
e avete risposto con modi non manco oltraggiosi
de' miei; per lo che quand' io mi sarò sdebitato,
il dolore che doveva rimanere nella mia anima, te-
nendo voi il silenzio, verrà forse nella vostra. —
Ho poca stima de' vostri meriti letterari, ma non
sono questi che più onorino l' uomo ; che l' onestà
sovrasta alla dottrina. È vero eh' io non vi conosco,
e della vostra onestà non saprei che mi dire : ma io
non sono qui per fare il vostro panegirico, ma per
protestare il mio errore.
E un oltraggio gratuitamente fatto, fosse anche
al più malandato degli uomini, non ischermerebbe
per ciò di gravità ; e l' oltraggiante sarebbe ad ogni
modo tenuto a domandare di esserne perdonato. —
Io scrissi quelle osservazioni negli ozii della villa,
spensierato di ciò che ne dovesse avvenire : ed es-
.68 GIOVI TA se AL VINI
sendo io sempre stato tale che non ho mai fatto gran
conto del merito letterario, mi pensavo non fosse
grande offesa il sospettare che in altri fosse, e scri-
veva per alleviare V animo, come la fantasia sugge-
riva.
Ma poiché venni a Milano, e vidi come molte per-
sone di altro non si sostentano, altra gloria non
hanno, altra aura, a camminare baldanzosi nel cam-
mino della vita, che un poco di lettere ; e che un
poco di reputazione che hanno fra poche persone
forma la gloria grande e la consolazione unica della
loro vita ; mi pensai allora che è troppo grande cru-
deltà, e che è proprio un sotterrare vivo un uomo,
tentando vituperarlo nel merito letterario, e mi pentii
nel mio cuore dei vituperii fatti a voi. E poiché vidi
qual maniera di letterati sia quella che si volge agli
altrui strazii, sentii allora schifo di me medesimo,
vedendo ch'io pure meritava di andare a fascio con
essi. E i modi eh' essi sogliono usare mi fecero pen-
tire de' miei, e la loro sfrenatezza mi chiamò alla
moderazione ; in quella guisa che i libri rilasciati
valgono spesso a volgere gli animi gentili alla virtù ;
perché veggono allora tutta la turpezza del vizio.
La giovanile baldanza mi ha condotto a usare con
voi di una albagia che è propria dell' ignoranza ; e
tanto più può vedersi nel mio scritto un animo
maligno, che quel vostro discorso, di cui niuno faceva
caso, non meritava eh' io vi spendessi intorno tante
parole.
Le guerre letterarie si vanno perpetuando in Ita-
lia ; i letterati non la cedono mai. Ma io non sono
letterato ; non aspiro che ad essere un uomo onesto ;
e a me è concesso di ricredermi. Io domando perdono
a voi di tutto ciò che ho detto con sarcasmo e con
amarezza. Quanto alle mie opinioni letterarie, riman-
SCRITTI VARII 69
gono quali erano prima. Di una sola ho dubbio. Io
non faccio gran conto del vostro merito letterario ;
ma questo non doveva darmi diritto di essere villano ;
che vi sono tanti uomini nudi affatto di lettere e assai
più onorandi di tanti che sono gonfi di sapere. Se
voi verrete a Milano, mi pregierò di venirvi dinanzi in
atto di umiltà, e di impetrare da voi il perdono del
mio torto ; e voi sarete tanto generoso da conceder-
melo. Bisognerebbe che fosse ben vile e perduto
un uomo che, dòpo aver offeso altrui senza esserne
offeso, non venisse a pentimento. Non vi dirò qui il
mio nome che è oscuro, e che non è mai uscito per
le stampe. Ma la mia casa è in P. N. al No... Voi ivi
potrete trovarmi, o farmi sapere dove io possa tro-
varvi.
Credo che non vi offenderete se io ho usato il
voi. Voi dovete avere V anima alquanto piìi nobile
de' nostri gazzettieri, i quali mutano il voi nell' ella
delle lettere che ricevono.
Ma i sensi e' ho espressi in questa mia lettera
v' avranno fatto conoscere ciò non essere per manco
di stima. Avrei potuto inviarla a voi privatamente ;
ma poiché io v' ho offeso in pubblico, e voi pubblica-
mente avete dette le vostre ragioni, doveva essere
altresì pubblica la mia ammenda, perchè molti avreb-
bero potuto sosipettare eh' io avessi dissimulato la
vostra difesa, e, com'è usanza, fossi rimaso nel mio
parere, e risomi segretamente di voi. Né credo inu-
tile un esempio di moderazione e di pentimento an-
che in fatto di questioni letterarie, in questo tempo
in cui, combattendosi con armi che non distruj^gono
V inimico, né mai dall' una parte né dall' altra ce\
dendosi alla ragione, le guerre durano implacabili
e scandalose.
70 OIOVITA SCALVINI
Il signor Arrivabene consigliere, volendo degna-
mente rispondere alla gratitudine dal pubblico dimo-
strata verso la sua parafrasi al Dante, ha divisato
di parafrasare tutte le poesie del signor cavalier
Vincenzo Monti, come quello che piìi meritamente
si è acquistato il titolo d'i Dante ingentilito : e può
senz' ombra di superbia assicurare i dotti e gV indotti,
che la prosa di questa nuova parafrasi non cederà
menomamente né in nerbo né in eleganza né
in fluidità a quella della parafrasi del Ghibellino. —
Il signor Arrivabene si fa pure un dovere di avvertire
il pubblico che la nuova sua opera, acciocché non
lasci nulla a desiderare, sarà corredata di ampio e
utilissimo commento sopra varie parole usate dal
signor Monti ; lavoro di suo fratello autore del
Dizionario domestico. Questa parafrasi sarà anch' es-
sa, come V altra, dedicata a tre persone : e sebbene
d' esse noi non abbiamo certa contezza, crediamo
di poter dare qualche speranza al signor Gianni e
al signor Foscolo di essere due del numero eletto.
Poich' ella crede, come sento dire, eh' io mi tengo
da qualche cosa nella letteratura, e quindi si affac-
cenda per mostrarsi altrui un povero indotto, io mi
prendo la seccatura d' avvertirla eh' in tal modo ella
cerca balzarmi da un posto nel quale io non mi sono
trovato mai, né ho mai creduto di trovarmici, e così
bastona il vento. — So che, oltre a indotto, ella mi
predica pazzo e disprezzevole ; e qui mi vien mara-
viglia, eh' ella, poeta di quella vaglia che tutti sanno,
parafraste di Dante, giudice in una Corte veneran-
da, frequente commensale a nobili mense, si degnasse
parlare tanto di me, né poeta, né parafraste, né giu-
dice, né frequentatore di nobili mense, e mettermi
fra i molti, eh' ella spesso onora delle sue maldi-
SCRITTI VARII 71
cenze. — Che mi sono io meschino da meritarmi
tanto ? So eh' ella tragge argomento a trovarmi igno-
rante e da nulla, dal non aver io scritto ancora alcun
libro ; ed' io pure so, forse piti eh' ella noi sa, di
essere ignorante e da nulla ; ma so ancora, più
eh' ella non mostra di saperlo, che non si diventa
qualcosa scrivendo cattivi libri..
Io sono afflittissimo nel piìi profondo dell' animo
per un' offesa grande che ho fatta al signor Pezzi ;
perch' io scrivendogli una lettera, gli parlai, anzi
che coli' ella, col voi, cioè col modo con cui parlasi
a Principi, a Papi, e a Dio, senza pensare che io
parlava ad un Gazzettiere. E il Gazzettiere leggen-
do quella lettera è entrato in una matta furia.
Preghiamo la signoria del Gazzettiere a dirci con
che parole di rispetto dobbiamo rivolgerci alla sua
magnificaggine, perchè noi sapremmo ben dargli quei
titoli che meritamente gli si convengono, ma forse
non sarebbero quelli eh' e' desidera ; però deside-
reremmo che egli stesso ce ne mandasse una lista
per servircene all' opportunità.
Io che le scrivo, sono un miserabile pedagogo,
e sento anch' io una certa dissonanza nelle cose del
mondo, e ho bisogno anch' io, come V. G., di dir male
d' alcuno, e di dirne male in istampa. Noi dunque ci
attaccheremo. Bacio le mani a Vostra Gazzetteria.
Oh ! se io ti dicessi tutte le pazzie della mia
mente quando mi disposi di rimanere a Milano ! Io
mi vedevo già aperte le case di molti dotti che
sono costà, io aspettavo i loro consigli, e mi pareva
che dalla loro bocca fluisse la dottrina e la sapienza.
Ma che differenza in ogni cosa ! che contegno nei
72 GIOVI T A se AL VINI
dotti ! Che diffidenza ! E i loro libri mi sembrano
anche assai migliori della loro conversazione, sicché
parmi veramente eh' essi non appoggino la loro fama
che ai libri che dettano, e non si curino di fare vir-
tuosa la loro vita e graditi i lor modi a chi gli ac-
costa, ma sì di empiere di virtù e di moderazione
e di liberalità le pagine che scrivono, come quelle
che viaggiano dov' essi non vanno, a far testimo-
nianza di loro, e che dovranno durare e vivere quanto
una pietra posta sul loro cadavere.
Dei grandi non ti so dir nulla, mio caro ; appena
ne ho vedtito alcuno dietro dai cristalli delle car-
rozze, sdrajone col capo appoggiato ai cuscini, non
so se dormente o cogitante. — Questi dotti, a dirti il
vero, mi pare che stieno troppo attaccati al presente,
troppo al loro secolo, alle cose che avvengono nel
loro paese.
Vantiamo amore dell' umanità, e siamo più inutili
deir artigiano. Tentiamo i ventosi guadi della fama
non per altro che per la boria d' averli varcati.
Corriamo dietro alle scienze come a fantasmi e
a sogni d' infermo.
...Ma i grandi di cui l'arte e la scienza s'onora
erano tali che nella loro salita da cosa nessuna
si lasciavano impedire ; nec revertebantar, cam am-
bularent. (Ezechiello, Cap. I.) Noi facciamo, come
sogliono i cani che vanno al passeggio : prima di
andare innanzi quattro passi, ne han fatti quat-
trocento.
Ecco una moltitudine d' insetti nati da pochi gior-
ni, che fra pochi altri dovranno morire, e di cui
tutto l' insti tu to della vita è di rompere con monotono
metro il silenzio notturno.
SCRÌTTI VARII 73
Gli antiquari vi sanno ben dire con quali dita gli
Areopagiti mettevano il calcolo nell' urna.
Credo che a formare degli eruditi possa giugnere
anche la chimica.
Uomini ridicolissimi, balbettano francese e tedesco
pubblicamente per parere gran sapienti, e scrivono
poi la propria come parlano le altre. Un francese
si fa ben intendere parlando con essi italiano, ma
e' s'ostinano a voler seco parlar francese, perch' egli
è Francese.
Fanno le oscure congreghe contro gli uomini di
grande riputazione, e gli s* affannano intorno per at-
terrarli, come fanciulli che colle palette da focolare
s' arrabattano per rovesciare le querele. Vanno pro-
clamando i difetti de' grandi uomini, e perchè niuno
nota i loro si credono di non n' avere. E non s' avveg-
gono che l'ombra non è veduta se non dove è luce.
Quanto è a me, voglio piuttosto venerare gli altri
dalla lunga, ed essere ignorato da loro, che diventare
V amico e il patrocinato da quegli infimi.
Alcuni sudano e s' affacchinano per diventare risi-
bili e vituperevoli ; perdere la cara pace dell' anima,
e logorarsi in istudii a cui sono inetti, e così venire
a peggior condizione che non sono le jDCCore e le
oche, le quali sanno pur serbarsi intatto il poco senno
che basta loro a compiere le loro sorti. Eglino tra-
vagliano della febbre della superbia, e vogliono es-
sere letterati, anziché sposi, padri, cultori di campi,
guardiani di mandre, castaidi, cuochi, strigliatori di
cavalli : da meno dell' uomo eh' abbia tanta facoltà
di ragione da sedersi quando sia stanco, e prender
l'ombrello quando piove.
74 OIOVITA SCALVINI
È da rimproverare agli ingegni potenti di non aver
saputo tacere co' vili, e lasciar fitti nel gran^ bujo
che gV involve d' ogni intorno, coloro a' quali è pro-
pria la falsità come un cattivo stomaco è proprio
all'uomo di scienza.
Chi risponde alle ingiurie de' vili s' imbratta ; e
il silenzio è più decorosa risposta a siffatta lordura.
È contro dignità l' adirarsi agli spregevoli. — E
di cotali ingiuriatori è da trarre quello spasso che
ci pigliamo ne' teatri a vedere que' draghi di car-
tone che lanciano dalle gole la pece accesa, e ne'
divincolamenti loro finiscono col pigliar fuoco da
sé, e abbruciare e consumarsi, fra le allegrezze degli
spettatori, di quella fiamma stessa con che volevano
mettere spavento ad altrui.
Tersiti, che non siete ancora stati battuti dalla
forza d' Ulisse, — io rido, e vi guardo con quell' oc-
chio che messer lo Dio Giove osserva un sorcio che
rode una montagna.
Si è osservato che la marmaglia poetica corre tutta
dietro a certe figure che di false apparenze ador-
nano i suoi versi. Così al nostro poeta va a sangue
il poter dire : il padre di Radamanto e di Minosse,
invece di Giove ; la figlia d' Iperione, invece del-
l'Aurora ; la figlia di Mnemosine, per Urania ; il
figlio di Maja, piuttosto che Mercurio ; il figlio di
Giunone, anziché Marte ; il figlio del Sonno e della
Notte, invece di Momo ; e tutte queste e simili cian-
ciafruscole si affastellano in pochi versi. E fu opi-
nione di tutti i sommi che la poesia deve essere,
semplice, come la natura eh' ella vuole imitare.
Voi ci dipingete la figlia d' Iperione, che sporge
SCRITTI VARII 75
fuora, come cane che fiuta, il vermiglio suo viso ;
e altrove ci dite che l'Aurora è figliola del sole e
della luna, e che signora del dì nascente rappresentasi
in vermiglio palazzo vagamente vestita e sovra lu-
centissimb cocchio seduta. Che bel vedere quel-'
l'Aurora andare in cocchio per le sale in vermiglio
palazzo !
Lasciamo in cielo le Muse, e Minerva nel capo
di Giove.
Oche poeti! (vai sclamando) oche
Poeti ! — che non dici : poeti oche ?
... Stile allindato, affettatuzzo, cascantello, di sman-
cerie e di lezii, fluente di quelle dolciate delizie
de' Monsignori cinquecentisti. Ci sono gli uomini
piacevoloni che si dilettano di dar le berte ; le foro-
sette che sono latte e sangue, i denti bianchi come
/' avorio più schietto, le labbra, in paragone delle
quali sarebbe vinto il corallo : la rosseggiante au-
rora, che prese in mano le cerulee briglie de' suoi
rosati corsieri, cavalca per lo cielo...
... Aliti pili rigidi eziandio di quelli del nort che si
riversano dagli accidiosi petti de' poeti e prosatori
di Milano...
Insulsi infilzatori di parole, magri pedanti, senza
discernimento, senza ingegno, senza dignità, senza
animo, quando cesserete dal credere e dal voler far
credere ispirati dalle nove Muse i vostri freddi e
noievoli e stomachevoli cicalamenti ? quando sarà che
non vorrete fare i danzatori voi che avete le gambe
bistorte, che non vorrete cantare voi che avete nel
gorgozzule la piva di Pulcinella ? Quando vi studie-
rete d' essere onesti, e vivere piti consolati e non
76 GIOVITA SCALVIMI
d'are noia al prossimo ? Certo è la terribile vendetta
e la punizione di un Dio corrucciato, che giunge
in taluno alla cecità delF intelletto e alla sterminata
vanità, V amore pertinace dello studio, perchè s' af-
fanni, e si furi ad ogni consolazione, e diventi, quan-
to si sprofonda piìi negli studi, tanto più scervellato,
e s^ angustii ad accumulare sopra sé le tenebre del-
l' obblivione.
Questa mattina mi sono accordato colTAcerbi a
questi patti. Egli mi dà V alloggio e tre lire milanesi
il giorno, ed io devo badare alla direzione della
Biblioteca Italiana. Ho accettato ; benché con sì me-
schino stipendio mi converrà vivere assai mediocre-
mente...
Suggestioni accorte di Monti affinchè io non iscriva
più nella Biblioteca italiana. CW io devo avere più
cara la di lui amicizia che quella delFAcerbi ; ch'egli
m' ama davvero ; che non può sostenere di udir dire
eh' io mi sono venduto all'Acerbi ; che il Giordani ha
disputato molto sostenendo eh' io non poteva avere
nobilita d' ingegno seri endo per l'Acerbi ; che se la
signora Calderara sapesse eh' io sono amico del-
l'Acerbi, pregherebbe lui di non presentarmi ad essa ;
che i miei scritti sono i migliori che appariscano
nella Biblioteca, e che per ciò è un vitupero per
me far quell'onore a quel disgraziato giornale. E
voi, signor Monti, avete ragione ; e quali che sieno i
motivi che vi spingono a parlare così, pur mi d'ite
il vero, tuttoché trascorriate a lodarmi. Ma quel vo-
stro Giordani è grande ingegno, ma soverchiato dal-
l' orgoglio : perché poniamo eh' io abbia aspetto che
non dica nulla ; poniamo eh' io non gli abbia fatto né
male, né bene, per avere qualche acuta rimembranza
SCRITTI VARII 77
di me : ma egli è però vero eh' io lo visitava spesso
a Bologna, raccomandatogli dalFArici ; eh' io lo vidi
spesso V anno scorso in casa di Labus ; che un
dì egli stesso mi accompagnò poich' io avevo smarrita
la via ; che gli recai dòpo una lettera, e molto me ne
ringraziò. Or che vuol dire che avendomi voi sta-
mattina presentato a lui, egli mostrò di non avermi
mai veduto nel mondo ? S' egli s' è davvero dimenti-
cato di me, non fa caso ; ma mi dorrebbe che queste
fossero affettazioni troppo puerili in un uomo del
suo ingegno, del suo sapere, e della sua fama.
All'Acerbi piace il mio articolo fin dove dispia-
ce a te ( ?) e all'Arrivabene ; ma quanto diletta voi
pare a lui troppo seria cosa, piena di noja e di mole-
stia. Egli vorrebbe che si dicessero cose facili, lu-
cide, scorrevoli, che tutti intendessero, pensassero,
sapessero prima di leggerle. Vuole però ad ogni
patto stamparne una gran parte : e ha voluto che
promettessi di riordinarlo levando tutta la parte sto-
rica. Vorrebbe anche ch'io gli dessi VAleppe (1)
da essere stampato capo per capo nella Biblioteca.
Io non ho promesso nulla. Questi letterati i quali
non veggono negli scritti che la moneta che lor
possono fruttare, indlirrebbero me ad affaticare senza
onore ; a stordirmi il capo per parere maligno, o
leggero. — Ma la Biblioteca è all' agonia, perchè il
Governo vedendo che non si disponeva mai a sorger
sana e rubizza, non vuole più far le spese a una
inferma e tisichuzza che non fa che consumare dodici
mila lire l' anno in pessimi beveroni che ammor-
bano chiunque la accosta : e il suo direttore spiri-
tuale credo che la lascerà passare da questa a niun
(1) Romanzo satirico. È andato perduto.
^^ GIOVITA SCALVINI
altra vita, non avendo di che soccorrerla ; e solo
starà attento che quand'elia spiri l'anima, niun altro
che lui possa intascare il poco che si troverà avere
intorno. — Ti scrivo senza sapere quello che io mi
dica. Ma certo è che gli articoli non si pagano più. —
Abbiamo veduto più cose, e udite più persone. Molto
ancor ci rimane da vedere e da udire.
AMICI
(A Vincenzo Monti). Finora non vi ho scritto per-
chè sono stato venti giorni in villa sbrigando alcune
mie faccende, e conducendo una vita da estatico,
altro non facendo che passeggiare o sedere all' om-
bra, e refocillando colF ozio e colle lunghe passeg-
giate il corpo e V animo, aggravato di tante penose
cure sostenute in Milano. Ma il mio cuore non fu mai
diviso da voi, ottimo amico mio ; e mi sto così sicuro
del vostro affetto, che non temo essere stato da voi
dimenticato ancorché fossi negligente nello scrivervi.
Le opere del vosero ingegno vengono sempre meco ;
ma le parole che escono dal vostro cuore, quelle
schiettissime e affettuose parole che rivelano la no-
bile e candida indole dell'animo vostro, io non le
odo più. I vostri versi mi contentano V intelletto ;
ma oltre al poeta io ho bisogno dell'amico.
(Al medesimo). Torno spesso col pensiero a quel
caro asilo dove son nato. La vostra amicizia mi
conforta del mio esilio e delle mie lunghe sogge-
zioni e de' miei doveri penosi. Mi pare un sogno
quando penso che sono conosciuto da voi, che posso
vedervi, parlarvi, e che mi chiamate vostro amico.
... Io ho già detto a... di avvolgerti le mani ne'
SCRITTI VARI! 79
capelli, e romperti nella testa V alto sonno gridan-
doti : scrivi cose meglio degne del tuo ingegno e
dei tuoi studi.
... Io vo' pur finalmente darvi notizia di me, per-
chè almeno sappiate eh' io sono ancora uno de' vivi ;
perchè la mia amicizia per voi, è come un puro e
tacito culto del cuore senza fasto di cerimonie.
La lettera eh' io ti scrissi per mezzo di Pippo
Ugoni, e che tu hai lasciata senza scambio, credo
che attestasse la leale amicizia che mi ti lega, e come
tu sei sempre stato fra le mie più care memorie.
Però mi fai gran dispiacere quando dubiti di me,
e ritocchi eh' io devo essere diventato superbo. Mi-
glior prova della tua umiltà sarebbe stata scrivermi
allora, e non dopo piìi che quattro mesi, tornando
sopra i tuoi dubbi della mia disaffezione verso di
te, e mostrando così di reputare bugiarde le mie
parole. Però tornerà lo stesso il tacermi, e tu seguirai
a pensare a tuo modo, e troverai qualche altra mar-
chesa alla quale paragonare un disgraziato pedagogo.
Veggo che tu attribuisci un gran potere sopra gli
animi umani alle cose esteriori ; il che non so se
faccia buon testimonio di te. Chi può immaginare
che altri s' inorgoglisca della condizione servile, me-
rita di sostenerne il mal governo sino ad esserne
scorticato. Chi vede con che prezzo taluno deve ri-
parare alla povertà della sua fortuna, trova consola-
zioni e lagrime che sono stille d'i balsamo sulle al-
trui piaghe, non derisioni, né parole che aggiungono
amarezze ad amarezze, e tolgono persino la speranza
che rimanga un cuore amoroso nel quale deporre gli
affanni del proprio. Dico tutte queste cose forse per-
chè ho ragione ; fors'anche perchè oggi sono di umor
80 GIOVITA SCALVINI
tristo ; ma certo perchè ti amo moltissimo. Tu mi devi
aver obbligo se finisco, perchè non muterei corda.
Alcuni che mi si dicevano amici, mi hanno abban-
donato perchè non ho voluto fare a loro modo ; indi
sfacciatamente hanno pubblicato quel eh' io aveva
affidato al loro secreto.
Come potrei io essere l' amico di un sordo ? Vi
sono alcune cose che devono essere dette a mezza
voce, quando il cuore parla piìi che il labbro.
... I nostri nodi furono stretti in queir età nella
quale nessun vile interesse spinge all' amicizia. Verso
i 30 anni il cuore si raffredda, e il viso mette la
maschera.
Le lettere che ci vengono dagli amici sono come
V acqua del fonte con cui la fanciulla conforta il
fiorellino, quandb mancano a lui quelle del cielo.
I FILOSOFI
Vuoi tu eh' io ti dica che cosa siamo noi i quali
siamo stati detti filosofi ? Increduli di mente, pu-
sillanimi e superstiziosi di cuore : irrequieti, ogni co-
sa vogliamo abbracciare.
Mi ricordo anni sono, eh' io volevo imitare le
azioni de' filosofi, e avevo incominciato da Diogene,
calcando il fasto di tutti, e vivendo sobriamente. Ma
la natura repugnava, e la società mi abborriva. —
Volli seguire Pirrone, cominciai a spargere lo scet-
ticismo, e mi ricordo che mi si era così rivoltato
il cervello, che ero scettico realmente : osservavo i
SCRITTI VARZI 81
moti del mio corpo, tutti i miei passi, ed ero in un
caos di dubbi e di affanno.
AMMONIMENTI E SENTENZE
Abbi una sana coscienza, e tu non sarai mai nh
in tutto contento di te, né temerario innanzi gli
altri. Essi sono sfacciati iperchè hanno perduto il
senso del vero e del bello, perchè sono ingannati
di sé medesimi, perché hanno intorno gli adulatori.
Le cose inanimate destano in te il senso del bello,
e sublimano la tua anima : ma ogni tuo affetto è
sterile, e V amor del vero e del bello non genera
nessuna virtù, se tu non istai cogli uomini ; se non
apprendi da essi quel eh' è veramente gentile e de-
gno dell' uomo.
Rivedere, vuol dire, di nuovo separarsi.
L'uomo veramente virtuoso non è timido né di-
sprezzato da nessuno : egli sa in sé rispettare dapper-
tutto, fra tutti, la dignità della virtù. Perchè sei
tu timido, se sei senza rimorsi ?
... Compiangere la natura umana, perdonare e di-
menticare ; non domandare più felicità che non può
essere concedtita agli uomini, più amore che non
può capire in cuore umano, più virtù che non s' appar-
tiene alla nostra comune natura di possedere.
Io vorrei dire a' giovani : Non andate incontro a
dolori che non saranno compianti da nessuno, a quei
dolori oscuri che consumano 1' anima solitaria. I vo-
stri dolori siano alti, degni di essere palesi, utili
ai vostri simili, e tali che diano ad altri desiderio di
82
GIOVITA SCALVINI
patire come voi. Ahi non è peggiore sventura che
patire per cose che tu medesimo riconosci indegne di
addolorartene.
Le indoli forti, le volontà potenti fanno approvare
e (perdonare i loro difetti e i loro vizi : le indoli
deboli, le volontà perplesse fanno disapprovare e
biasimare le loro stesse virtù : tanto è vero che
r uomo è nato per operare, e quindi vuoisi piuttosto
un uomo che possa operare anche il male di quello
che un uomo che non possa operar nulla.
Abbi pietà di te stesso : levati in dignità : vivi da
uomo, e non ti curare se altri ti ama o ti odia.
L'uomo dee perdonare ma non dimenticare tutti i
disprezzi. L'uomo che getta sé all'altrui derisione
merita di esser deriso.
Sorgi ! Slega il tuo pensiero da questo punto im-
ipercettibile dell'universo. Non curi l'oceano, non
le alpi, non il firmamento, spargi il tuo pensiero
nell'immenso. La sua bellezza inaridisce, ella scen-
derà nel sepolcro, e nessuno se n' avvedrà nel mondo,
nessuna cosa ne darà segno. Non cadrà dall'albero
una foglia per ciò. Eccoti innanzi 1' universo : il mon-
do colle belle e infinite varietà delle sue apparenze,
la mente e il cuore dell'uomo coi loro abissi.
Quando ella sarà sparita, si potrà dire: ella è
stata.
Ma se la fiamma del sole disseccasse l'oceano o
se ardesse le selve, tutto il creato leverebbe un
pianto...
LA VITA
... La mia anima si aggirava sempre intorno alla
vita e alle speranze dell' avvenire, ed oh quante era-
SCRITTI VARII 83
no ! Così noi siamo sempre intorno a questo fan-
tasma della vita, e sempre siamo occupati a corteg-
giare noi medesimi ; come que' polli che fanno
riverenze e cortesie e torneamenti alla loro ombra
che veggono sul pavimento, e vorrebbero che ella
s' arrestasse senza che si arrestino loro.
Ho veduto un contadino il quale camminava in-
nanzi a un suo mulo carico di legne ; e l'uomo alla
cintola aveva una corda che lo cingeva, e sulle reni
stretto fra la cintola e il giubboncello alquanto fieno.
In tal guisa adescava quella bestia, alla quale pur
sempre parendo di raggiungere quel fieno, erano
men gravi le legne, e passava la via quietamente.
Il buon uomo di tratto in tratto se ne lasciava carpire
una parte senza già arrestarsi, ma abbreviando il
passo, e in modo che la bestia creder potesse non
dalla maggior lentezza del padrone, ma dalla sua
maggiore velocità ciò venire. — Questa cosa mi com-
moveva ; e mi pareva la storia dell' uomo, di cui la
vita è segnata qua e là da qualche gioia eh' egli va
pur continuamente cercando. — E Dio è come quel
contadino : di tanto in tanto egli ci largisce qualche
consolazione, acciocché noi non ci stanchiamo per
via, vedendo l' inutilità delle nostre continue ricerche
del ben vivere, e non ci venga disgusto della vita.
Oggi tornavo alla sentenza di stamattina vedendo
come un villano il quale aveva comperato un vitellino
al mercato, perchè camminasse per luoghi affatto a
lui nuovi e lontano dalla dolce madre e dalla mandra,
traeva spesso un granello di sale, e postoselo sulla
palma della mano lo dava a leccare a quella be-
stiuola ; e spesso alzava la sferza. Così, o vitellino,
tutta la tua vita, io dicevo ; tutta così.
Tutto è frantendere e travedere nel mondo ; e noi,
84
OIOVITA SCALVINI
pazzi che siamo, fondiamo ogni nostra speranza, e
vogliamo derivare ogni bene da quesf aria e ombra
che ci illude: ed essendo sempre la contraddizione
e la follia naturale, a noi, V un cuore ci mena a far
lagni dei mali della vita, V altro a spaventarci della
morte, e vorremmo cessare da ogni bisogno e com-
mercio degli uomini morendo, e lasciare indietro un
desiderio dì noi, ed essere nominati e compianti.
Il vero senno sarebbe né desiderare né temere la
morte.
Mi sono ormai avvedtito che il cammino della vita
è seminato di spine, e che ognuno deve correrlo da
per sé, senza speranza d^ essere sostenuto o ajutato
da chi ha passo più fermo, e stinchi più vigorosi.
Dolorosa vita e piena d^ errori. Se ne compra il
sostentamento colla schiavitù e colla fatica ; e quasi
che fossimo immortali, affatichiamo sino alle ulti-
me ore senza gustarne i frutti giammai.
Ogni giornata che si apre, e -passa, é come un
fiore che schiudendo il seno consegna alle aure le
polveri gravide di miir altri fiori.
La fortuna non è poi così terribile quando non
le si dia occasione e potere di prendere a turbarci
la coscienza.
Le cure si succedono ; e le ultime fanno parer
ridevoli le prime. Così verremo all'ultima giornata
della vita, e tutto il passato ci sembrerà meschinità
e fastidio, e che non merita il prezzo di essere
pianto.
Noi dormiamo tranquilli sui nostri anni e serbiamo
tutto air avvenire : e ci destiamo poi improvvisamen-
SCRITTI VARII 85
te, come il pellegrino che si adagia sotto un'ombra,
intanto che passino le infocate ore del mezzogiorno,
e si sveglia sbigottito perchè trova che le tenebre
della notte già si addensano. L' età dell' amore in
puerili paure, in illusioni. Quando abbiamo la giovi-
nezza e il vigore manchiamo dell' arte, e quando 1' ar-
te entra per una porta, se ne sono già iti per l' altra
la giovinezza e il vigore.
Le generazioni sorgono e passano e tutti si affan-
nano a cercare chi sia degno dei loro affetti : e il
bisogno d' amare fa dir loro d' averlo trovato, e tutti
infine confessano d' esser stati illusi.
Tutti al mondo si affannano a parlare d' amore
e di fede, e non conoscono l'uno né sanno cosa sia
r altra, e s' ingannano scambievolmente, e non osano
lagnarsi di essere ingannati, perchè tutti nel loro
segreto si sentono infine rei e bugiardi.
Ciò che v' ha di più tristo nella vita, è di sperimen-
tare l' impotenza delle nostre passioni, l' impotenza
dell'amore, l'impotenza dell'odio, l'impotenza spes-
so dei più temperati desideri.
Eppure bisognerebbe trovare qualche rimedio alla
vita : perchè dovrà ella sempre essere così ? Il futuro
come il presente, come il passato?
IL MONDO
Questo mondò organato, tutto quanto veggiamo e
tocchiamo, è apparenza, prestigio, ed illusione del-
l' intelletto, che si dissiperà, senza che nessuna esi-
stenza venga meno, appena che Dio depurerà gli
S6 GIOVITA SCALVINI
spiriti prestigiati per trarli presso di sé in luogo di
consolazione e di beatitudine.
GIUDIZI VARI
Questo Francese è un uomo di cuore ed onorato,
e dice alquanto male della sua nazione ; e a me cui
piace poco il conversare con tut a la razza maligna
ch'abita al di là delle Alpi, pure con Francesi mi
accomodo bene perchè gli piace in tutte le cose
dire il vero.
Il Rousseau con la sua filosofia non fece che ren-
dersi infelice.
La Francia si credeva d'innalzare una repubblica
de' teschi di tante migliaia d'uomini decapitati. El-
l' ha decapitato il suo re ; e ha preteso recare la
libertà e la pace all' Italia. Ma la Francia ha posto
sul soglio un altro mortale : e non fu che la vena-
lità che indusse a varcare l'Alpi, la cupidità di de-
rubare quanto avevan di più caro queste belle con-
trade.
I Francesi leggieri e arroganti, gì' Inglesi superbi
e bisbetici.
Senti nella oscurità soggetta il gridò dei popoli e
delle nazioni vendute, il giuramento delle nazioni
congiurate contro la Francia ; senti il loro commo-
versi. A poco a poco la tenebria si ristringe ; le
nazioni moventisi hanno dintorno una luce, dinanzi a
cui fugge l'oscurità. Quella luce scopre le piaghe
non cicatrizzate ancora.
SCRITTI VARII 87
Miseri uomini, che rimasti alle grandi catastrofi,
ed alle inondazioni a cui andò soggetto il nostro
globo, rimanevano lì stupidi e muti, osservando cal-
mata alquanto V ira di quella natura che parca vicina
a perire ; ma cadevano di poi in nuovi delirii, mentre
V acque ascondevano di nuovo al loro sguardo la
faccia della terra.
Oli uomini cercando libertà vivono in catene per-
chè loro manca la forza della concordia.
GÌ' Italiani sono d' assai tempo specchio di morali
virtù, massime di pazienza.
Che giova ricordare che noi fummo signori del
mondo? E che l'Italia dava leggi all'Italia? Eli' è
una lacera femmina che va offerendo monete e di-
spensando viglietti, avvisando ov' ella sta di casa, e
pregando che vadano a trovarla.
Se l' Italia non si fa libera entro a non molt' anni,
la cosa andrà poi molto per le lunghe : perchè le mu-
tazioni degli Stati si fanno solamente nell' età infer-
me : e se non si fa adesso che quel d' Italia è nuovo e
nell' infanzia, ove lascisi rassodare, bisogna aspet-
tare che cada nella vecchiaia. Ciò porta il volgere
di molti secoli. (1813).
C'è una tenacità straordinaria d'abitudini nelle
nazioni, alla quale è inutile opporsi. Guai a chi non
sente com' esse. Vive tristo, o muore senz' esser com-
pianto.
Nulla mi ha mai tanto persuaso della vanità della
vita, come il vedere il passo grande che tutta una
generazione ha fatto verso il sepolcro. Pare che tutti
88
GIOVITA SCALVINI
siano stati percossi da qualche grande spavento. Di-
menticando il tempo passato, si direbbe che tutti
hanno immensamente patito.
LA SOLITUDINE
In questa solitudine della campagna scopro viepiù
sempre il bisogno del mio cuore, che è libertà e
solitudine.
Io vivrò solo. La debolezza ch'io porto dapper-
tutto con me, mi rende troppo travagliata la vita della
società. Io vivrò solo colla mia fantasia, che empie
di fiori le campagne strette dal ghiaccio.
Io vi amo quanto si possa amare uomo ; e dalle
vette dei monti stendo spesso le braccia verso il
cielo sotto cui vivete ; e v' invoco, e mi pare che voi
intendiate di lontano la invocazione di chi vi ama, e
mi rispondiate con una voce di desiderio. — E qui,
più che dei libri, godo del vagare lunghe ore di
monte in monte, e sedermi nella valle, e errare di
fantasia in fantasia. Tuttavia non mi passa giorno
che io non legga qualche verso d'i Omero o di Dante,
o qualche scena di Shakespeare, e talvolta alcuna pa-
gma delle vite di Plutarco.
Ho pur voglia di riposarmi in quei dolci ozii !
Nella solitudine ci è anche più caro il ricordare delle
persone che amiamo.
Quandi io mi sento ammalato, mi pare che mi
troverei pur bene lontano da tutti i viventi in una
di quelle sterminate solitudini d'Africa, steso sotto
un largo albero ad aspettare tranquillamente la sa-
lute o la morte.
SCRITTI VARII 8Q
VITA CON LA NATURA
Viene la sera ; i timori sottentrano alle speranze ;
e l' immagine della caduta del giorno luminoso ti
mette nell' anima il sentimento d'ella distruzione delle
tue più ridenti fantasie, le quali si vanno velando di
un velo misterioso di mano in mano che le tenebre
della sera velano le cose create.
La quiete d'ella notte ci fa passare dinanzi tutti i
mali e tutti i beni di questa agitata vita.
Il mio patrimonio sono le notti serene, la luna,
V orizzonte rosato.
Altro conforto non trovo, che correre lungamente
incontro ai venti, e alto gridare, ed avvolgermi nella
procella, e confondere il mio gemito col susurro del
vento che percuote le frasche del bosco, e discendere
nelle valli, e accompagnare gridando le onde dei
torrenti strepitosi, e così dimenticare me stesso.
Io amo l'oceano. Seggo senza avvedermi lunghe
ore sulle sue rive ; e cogli occhi tesi sulle acque, il
mio pensiero va vagando per T immenso.. La fortuna
dei popoli, la virtù dell' anima umana, il mistero
del mondo, son tutti argomenti eh' io amo a fanta-
sticare dentro di me in faccia all' Oceano : come fo,
quandi non sono dinanzi ad esso, in faccia al cielo
stellato, ascoltando una musica. Egli mi è immagine
dell' infinito nella sua immensità ; e il perpetuo rin-
novarsi e frangere delle sue onde, è a me lo svolgersi
delle cose mutabili e passeggere fuori del grembo
^0 GIOVITA SCALVIMI
di Dio. E vo recitando i versi de' poeti che hanno
tratto molte diverse immagini dal mare. E a me sta
innanzi un altro mare del quale questa terra mi pare
la riva ; e anelò a solcarlo, senza eh' io sappia dove
riuscire.
NOSTALGIA DELLA CAMPAGNA
E DELLA FANCIULLEZZA
Volentieri darei le mie membra al sepolcro dove
sarebbero coperte dalle piante che colle loro ombre
coprirono gli anni della mia fanciullezza.
Dimmi : quando ti senti piìi la tua anima conso-
lata ; quando t' inebrii delle delizie cittadine, o allor
quando seduto in capo a un solco del tuo poderetto
stavi contando gli anni al melo che ti sorgeva dinan-
zi ? Quello era tempo felice... Facevo merenda sulle
colline, sull' erba ; e mangiava del.e insalate prepa-
rate dalle fanciulle ; dove ci rubavamo il pane ed il
vino, ci pungevamo le mani con il pugnitopo, ci
spruzzavamo il viso coli' acqua de' rigagnoli, e sag-
giavamo una bottiglia del vecchio vin santo fatto
da certi preti zii di mio padre, e che mi piace moltis-
simo : o stavo per i campi a raccogliere le biade colle
fanciulle de' miei lavoratori, o a zappare.
Qui mi passano nella mente i più bei giorni della
mia vita, quand' io, libero d' ogni soggezione, vivevo
in seno della mia famiglia alla campagna. Gli agi,
le morbidezze, i tumulti, non mi hanno compensato
quei riposi in una oscura povertà. Mi sono rivolto
a diritta e a sinistra, e non ho trovato che tribola-
SCRITTI VARII Ql
zioni. O modesti desinari, o liete cene nella casa
de' miei !
Io ho bisogno della solitudine, e delle selve. L'asi-
lo antico de' miei padri mi fa sentire un soave de-
siderio di sé, che parmi eh' egli mi mandi la sua
voce e m' affretti. — Io ho bisogno di trovarmi vi-
cino alla sepoltura de' miei, e di derivare i precetti
della saviezza dal -cumulo di zolle che coprirà le
mie ossa. Ho bisogno di sentire sulla sera il triste
metro del gufo che rompe il vasto silenzio delle
rupi, anziché le voci de' teatri. Io ho bisogno di
rivedere i siti che serbano le rimembranze della mia
fanciullezza.
Vorrei poter dissipare fra quest' aure ogni tristo
pensiero ; vorrei poter sollevare il mio cuore da
questi affanni, diventare lieto e gioioso, abbando-
narmi ai dolci miei studi ; riposarmi nella casa de'
miei con mia madre, e vedere passarmi la vita in
contentezza e moderazione. Oh s' io fossi là ! Vorrei
sedermi sulla sera sulle deserte rupi che fanno argine
al Rino ; volgermi verso mezzogiorno e vedere la
chiesa della parrocchia, e i lontani pioppi del mu-
linello.
... Tutti buoni piaceri, mio caro : ma non si sta
veramente bene che a Botticino. E che ci hai tu là en-
tro ? Gradi, autorità, ricchezze ? nulla : vi ho una cuci-
nuccia con una grossa colonna nel mezzo, che la
sostiene ; ma ve 1' ha fatta porre il mio avo. — Ah !
tu non sai : ivi tutte le pietre, le piante, i monti
mi conoscono. Quando io un bel giorno di autunno
erro per la collina, mi pare che non vi sia cosa la
quale non mi saluti, che non si rallegri della mia
buona cera, che non si ricordi della mia fanciullezza.
92
OIOVITA SCALVINI
DIO E RELIGIONE
No, più mai non lascerò la passeggiata d'ella colli-
na, dóve Iddio diffonde con sì larga mano le bellezze
d'ella natura. Io n' ero commosso sino nel fondo del-
l'anima, e un sentimento di riconoscenza mi trasse
a inginocchiarmi e a ringraziarne P autore. Io non sa-
pevo che l'anima potesse esser presa di una così
delicata voluttà piegando le ginocchia dinanzi al no-
stro Padre comune, per mostrargli che non siamo
sordi né ciechi alle opere ammirabili sue. Io mi ero
gettato ginocchione credendo di fargli una preghie-
ra, ma non mi uscirono di bocca che parole interrotte :
e finii col pormi tacitamente sotto la sua guardia,
dicendogli ch'io pure ero suo figlio. Se io avessi
voluto resistere a quel naturale impulso, mi sarei
sentito un peso sul cuore. Io camminavo, e la mia
anima aveva abbandonato il soggiorno della terra.
Ci sono nella vita alcune ore nelle quali l'uomo
si sente tanto superiore ad ogni umana debolezza,
che se quello stato durasse, non avrebbe altro luogo
degno di possederlo, che il cielo.
Io mi guardavo d' intorno sbigottito ; mi pareva
che la Divinità mi si affacciasse maestosa da que-
gl' immensi dirupi che io intravedevo fra le tenebre
che incominciavano a calare — e ben tosto si disten-
devano su tutto il creato. — Se non che erano tem-
perate dal raggio della luna, che, giovinetta, inchi-
nava all' occidente.
Mio Dio, perdonami le mie colpe. Io ho potuto
celarle agli uomini, ma non a te ; ma mi sembra
che tu mi abbi perdonato, perchè hai Veduto le cagioni
che mi vi hanno spinto. Mi pare che vi abbia certa
SCRITTI VARII 93
tacita corrispondenza di affetti fra noi, e che tu,
che sei tutto, non disdegni la creatura ; e V universo
eh' io contemplo è il mediatore fra noi. — Tu mi ami
ancora ; le stelle mi splendono ancora di luce cara,
e caro mi è l' aere sereno, e il silenzio notturno, e
i mondi lontani, e m' invitano a versare una piena di
affetti che mi fanno dentro tumulto. — L' universo
vive ancora per me ; ma quando tu mi maledirai, le
stelle mi si veleranno dinanzi gli occhi, i quali sa-
ranno impressi delle cose dell' universo, ma V impres-
sione non arriverà sino all' anima.
Noi leveremo il nostro intelletto fino a Dio.
A che più tardo di ritornare alla mia religione?
perchè mi terrò disgiunto dalla speranza di ricon-
giungermi in cielo a mio padre e a' miei fratelli,
di confortarmi con essi dell' esilio lungo e degli stra-
zii sofferti nel cammino sparso di spine della vita?
di aspettare colà quella a cui gli uomini non hanno
voluto che mi accostassi qui in terra? Ella vi sa-
lirà, eletto angiolo di Dio.
MALINCONIE
Sempre tra la plebe spettatrice della commedia !
E il peggio è eh' io mi son uno di quelli che seg-
gono al teatro, e invece di badare al dramma che
si rappresenta, si stanno leggendo quello che si
è rappresentato la sera innanzi. — Eppure, qual frut-
to ho io avuto dal mio stare spenzolone sui libri ?
Mi tengo raccolto le intere giornate in questa
mia stanza povera e mestissima : e nell' ore eh' essa
più mi spiace, io conforto la noja che mi viene
Q4 GIOVITA SCALVIMI
da lei col ripensare mestamente a quel verso del
Tasso:
« Stanza conforme alla dolente vita ». È in ciò
un sentimento nascoso di vanità che non ti saprei
definire.
... Io sospiro in quesf aura vuota di te. E per
te mi sono allontanato così. E mi sto qui a logorare
r ingegno e la vita in meschini e servili studi.
Qui mi tengono celato come chi ha tabacco in
casa, per giovarsi poscia di me ; e si cerca di dirmi
che bisogna contentarsi, e che bisognerebbe avere
un grande ingegno per volere trarne profitto.
Studierò la fisica, la botanica, e 1' altre parti della
storia naturale ; mi ritirerò nella mia campagna, ed
ivi passerò tranquilli i miei giorni.
Le cose dure a dirsi, o che m' hanno lasciato nel
cuore o troppa paura o gioja troppa, non le narro
giammai ; perchè altra volta, che mi fui provato,
non vi riuscii.
Giacché le infermità dello spirito e del corpo mi
sono venute per aver fatto, o Natura, contro a te, tu
vuoi che io vi cerchi riparo fuori di te : neir arte ;
giacché fu r arte che fece di me questo tristo governo.
Bisogna affatto rinunziare a questo fantasma della
gloria, rinunziarvi affatto. Bisogna fare questo so-
lenne sacrifizio.
Tu puoi morire ignoto a tutti senza che nessuno
turbi di maledizioni le tue ceneri. Tu sarai venuto
e passato come quel raggio di luna che sorge e
tramonta nei deserti spazi del mare, e non risplende
che suir immensità delle acque.
SCRITTI VARII 95
Le rovine fann' ombra agli armenti che vanno a
sdraiarsi sulle soglie dei santuari.
Giorni fa andai fra i monti lungo un torrente in
una valle profonda, dove in giovanezza io soleva
sdraiarmi e addormentarmi lungo le acque. L' altro
giorno io pensava : se in quella età io fossi morto ;
quanti dolori di meno ! E le stesse gioie che ho
godute dopo, non sono ora forse un tormento a
ricordarle ? E insieme vorrei esser morto in quel-
la età ; essere già morto. Così vado fantasticando :
e tuttavia sento che sono aridi questi conforti. Io
perirò qui col nome di stravagante ; 1' erede si dorrà
eh' io non fossi più ricco : Ella in terra straniera.
E vi sarà chi danza e chi beve nell'ora in cui noi
moriamo.
DESIDERI, ASPIRAZIONI
INQUIETITUDINI, AMAREZZE
Tu hai una madre colla qual vivere insieme, e
che il cielo non ti lascerà sempre : tu hai un
poderetto che sufficientemente provvede a' bisogni
della tua vita, e dove sono tutte le care rimem-
branze della tua gioventìi. E tu vuoi vivere sotto
cielo straniero, alle mani d' avidi mercenari, senz' a-
gi, senza diletti, e senza libertà.
E di che sorte crediamo noi di trovare gli uomini
fuori di patria? La confidenza, che tu hai, mio Luigi,
nella loro commiserazione, mi ti dimostra di buon
cuore, ma inesperto. E a chi trascorri ad affidare
il tuo sostentamento ?... Che speri tu in una terra
straniera, dove le brighe de' paesani ti precideranno
96 GIOVITA SCALVINI
astutamente ogni via nella quale ti metterai per ac-
quistarti il pane ; dove la mostra che farai di probità
sarà creduta una scaltra ipocrisia, consigliata dalla
miseria, e dove ti sospetteranno di tristizia o almeno
di pazzia perchè ti vedran vagabondo. Tu salirai e
scenderai per le scale del ricco, che ti trafiggerà
sempre, e protrarrà sempre il suo beneficio alla do-
mane. Chi ti abbevererà coli' acqua del suo pozzo,
ti farà sentire di essersi meritata la tua perpetua
riconoscenza. E allora disingannato nelle tue più liete
speranze, sarai costretto rivolgerti al tuo paese, dove
la tua malaventura verrà inasprita dai molti che
dileggeranno la tua puerile credulità, facendoti acer-
bamente sentire la loro saviezza nel deridere la tua
follia. Anch' io, già tempo, mi vedeva tutto bello
dinanzi, e aperte tutte le braccia per accogliermi ;
il riso del mio cuore si rifletteva in tutte le cose di
cui mi vedeva circondato ; e mi creava gli avveni-
menti colle bizzarrie della mia immaginazione. Ma
gV infruttuosi tentativi, e gli errori e i travagli che
n' ebbi m' aprivano in parte il vero. E quantunque
mi trovi d' indole da non poter fare a modo degli
altri, ho però conosciuto che fra gli uomini mi è
pur anche impossibile il fare a modo mio.
... Se noi a Roma potessimo aprire Scuola, dove
insegnare... che cosa ? A dir vero io non so bene
niente : e sento che ogni più legger peso è troppo
grave « per V omero mortai che se ne carca ».
... Che tu pregassi Morcelli a scrivere a Roma
cercandoci mezzo di sussistenza, e che noi aspet-
tassimo fino a tanto che le risposte che egli n'a-
vrebbe, ci dicessero con quali speranze possiamo
trasferirci in una terra sconosciuta, lasciando la pa-
SCRITTI VARII Q7
terna, dove la povertà, che ci aspetta forse in ogni
angolo del mondo, potrebbe almeno essere conso-
lata dalla compassione delle persone che ci amano.
... Che idea è la mia? Intanto perdo gli anni,
deviando sempre dal cammino nel quale solo saprei
ire innanzi. — Se ora sento piìi che mai tutte le
dolcezze che incominciavano a venirmi dalle cose do-
mestiche, e questa mia andata a Milano non mi par
bella, che sarà quando io vi sarò, mentre io soglio
spesso trovar triste anche ciò che da prima m' a-
veva aspetto lietissimo?
Io allora sentirò una voce la quale mi parlerà ;
torna alla tua selvatica e libera vita ; va a porti ritto
sulle alte cime delle tue rupi, dalle quali guardando
V aspetto rude e non per anco guasto dell' uomo della
natura, ti senti intatta quella generosa ferocia della
[prima indole dell'uomo. Torna al tuo villaggio...
Bisogna disingannarsi ; bisogna levare questo ma-
gico velo di cui la gioventù orna tutto ciò che vede,
e dal quale non iscorgo trasparire che ridenti im-
magini di voluttà, di ricchezza e di gloria.
S' io fossi un ardito che fa forza alla fortuna,
alzerei una fiaccola di guerra e scorrerei villaggi
incitando le genti alla ribellione. Esse non atten-
dono che lo spirito ardito che voglia operare. Io
vedrei ad ogni ora ingrossare il mio esercito : solle-
citerei il loro ammaestramento ; vorrei dare a tutti
una patria da difendere e da rispettare. Non ha forza
chi vuole e disvuole in odio a' decreti del re. E
già la leva di 15 mila uomini ordinata dal principe,
non ha sortito alcun effetto, perchè tutti hanno aper-
tamente disdegnato 6! essere coscritti. Io forse sarei
98 GIOVITA SCALVINI
la ruota che moverebbe tutto l' esercito italiano alla
liberazione della dolce terra natia.
»
Perchè affannarti sospirando il bene della tua Ita-
lia, quando tu alla fine sei un meschino che non
può nulla? Non t'avvedi che tu sei simile alla for-
mica che si lagnasse di non potere smovere la mon-
tagna che toglie il sole della sera all'orlo della sua
buca?
Oh bastasse il solo mio braccio e il solo mio
sangue ! Io sarei contento se potessi fra le mie
agonie veder libera la mia patria.
Che sono le declamazioni de' filosofi retori ; le
quali non fanno che scuotere i nervi ? Che sono le
belle arti ? Che sono i nostri sterili ed inutili studi,
coi quali ci separiamo da ogni più cara consolazione
della vita?
Hai tu mai provato quanto è vana la scienza quan-
do il cuore domanda d' esser felice ; quanta aridità
è negli studi ? La tua ragione ti parla altamente,
ma il tuo cuore non sa ammantarsi : egli è ostinato
come un fanciullo al quale fu tolto un balocco ;
che non finisce di strillare, di adirarsi, e ributta
ogni altra cosa che in un altro istante gli sarebbe
parsa più desiderabile e cara. A petto dei bisogni
del cuore, che sono mai le orgogliose voluttà della
mente ? Beato lo stolto se può credere d' imparare
qualche cosa ; che in suo cuore dice : io so molto !
Ma quando tu sei disingannato della scienza, il tuo
cuore allora grida più alto : e tu domandi ad esso
quei conforti che non hai trovato altrove.
Che significano questi deliri ? questi lamenti ? que-
sta forza del cuore e della mente, che si spandono
SCRITTI VARII QQ
nel vano, né tendono a nulla, né creano nulla ? L' uo-
mo è fatto per operare : queste forze non ti sono
state date perchè si ritorcessei*o in sé stesse. Ridu-
cile a produrre qualche cosa.
E tu pUx-e fa' : fa' qualcosa, fa' versi, se non sai
altro ; alleva uccelli, pianta de' fiori ; ma fa' e storna
il tuo pensiero da te stesso.
Che farò ? vuoi tu eh' io racconti agli uomini le
mie sventure ? Essi mi racconteranno le loro ; o
sogghigneranno dell' amante disdegnato, o mi daran-
no una sterile pietà.
Scriverò ? svergognerò i tristi ? Ma potrò io far
sentire la mia voce ? o dove riuscissi, chi saprà a
eh' io accenni ? E se dicessi il lor nome, chi lo cono-
scerebbe ? e che importerebbe di loro e di me agli
altri ? I privati affetti, i propri dolori, i propri casi
possono mai essere buona materia dell' arte ? Potrò
io recare ad atto una trista consolazione, indegna
di un nobile petto ? Sprecherò l' ingegno per dipin-
gere l' adulatore, l' orgoglioso, il pazzo ? Per dire
gli affetti della donna profanati, la crudelità del
buono verso il calunniatore? Del cuore umano non
avvi che la virtù e gli alti affetti, degni che siano
raccontati ; ma le sue viltà, le sue fatuità, le sue
turpitudini chi regge a narrarle, e chi ad udirle nar-
rare ? Allora io mi vorrei piuttosto gettare nel mondo
dei fantasmi, o vorrei piuttosto conversare colle indo-
lenti rupi dei monti e colle acque del mare.
Volgi il tuo pensiero da te stesso. Al mondo non
importa nulla de' tuoi affetti, se tu sii stato in essi
felice o infelice. Ciascuno ha i suoi dolori e i suoi
amori ; ciascuno, come dice Omero, ama la sua donna,
e quella a lui pare bella. Al mondo non importa
100 OIOVITA SCALVINI
sapere se tu hai patito ; ma come tu hai patito,
se da uomo. Vuole che i tuoi patimenti gli siano di
scuola. E ciascuno non apprezza delle tue passioni se
non ciò che sente nel suo proprio cuore, e ciò che
gli torna in buon consiglio.
I tuoi affetti, i tuoi piagnistei, i tuoi dolori, le
tue ire non importano al mondb ; al mondo importano
le tue opere. Egli non ti domanda se hai patito o
goduto, ma che hai fatto. Se tu ti siedi perchè non
sai andare cogli uomini, essi andranno senza di te,
senza porgerti la mano ipèr aiutarti ad andare con
loro, senza volgersi indietro per vedere che fai...
Ravvediti. Interroga tutti quelli che hanno veduto 1
declinare la loro giovanezza ; ed essi ti diranno ge-
mendo : Ahi la vita ci è passata fra le irresoluzioni ;
abbiamo sempre mandato al domani e la saviezza
e il vero godimento. Abbiamo navigato sul fiume
d'ella vita guardando alle sue rive fiorite, a' loro
verdi declivi ; e abbiam detto : scenderemo poi a go-
dere di quella verdura e a cogliere di quei fiori.
E abbiam seguitato innanzi, finché il fiume ha per-
dtito le sue liete rive, e non correva più che fra
sterili sassi. Abbiamo allora mandato indietro il pen-
siero : e sempre ci stanno nella mente quei giocondi
pendii dinanzi ai quali siamo passati spensierata-
mente. Il pensiero risale il fiume della vita ; ma il
nostro legno corre sempre all' ingiù. Nessuno sa na-
vigare questo fiume a ritroso. E la bassezza delle
nubi, e la sterile ampiezza della campagna, ci addi-
tano che non è lontano l'oceano nel quale mettere-
mo per affondare...
Verso sera cominciava a scintillare la bella luce
■della luna ; e la più bella ancora, d'Arturo ; ed io
SCRITTI VARII 101
stendendo un braccio: là, dicevo, là sopra quelle
stelle ! E guardandovi, mi pareva di essere giù in
una profondità interminabile, e mi sentivo angustia-
to, e provavo tutta V infermità e la debolezza del-
l'uomo. Mi pareva come se fossi proteso sul pavi-
mento dell' oceano, e che V alte colonne delle sue
acque mi pesassero sul petto, e vedessi sull' altis-
sima sommità dell'onde cerulee le ninfe sorridermi
e farmi cenno di salire a loro, ed io non potessi
staccarmi, aggravato ed infermo su quel fondo.
Nella mia prima gioventù avevo formato il dise-
gno d' essere capo-setta : avevo raccolti alcuni com-
pagni ; e di più, incominciato un libro di legislazione
e costumi. Il disegno fu rovesciato dalla difficoltà
di ritrovare seguaci d' ingegno, fedeli, non invidiosi
d'ella mia gloria, e costanti al pericolo.
Orsù logora la vita, spendi i cari giorni della gio-
ventù, affievolisci la tua salute, scompagnato da tutte
le consolazioni, per farti dotto e sapiente, svolgi an-
tichi e moderni libri, studia greco e latino, pesa i
pianeti, misura il corso delle stelle, scomponi T aria ;
ecco viene chi sa muovere gli stinchi a destra e a
sinistra, chi sa trarre dal gorgozzule armoniosa la
voce, chi sa colle forbici tagliare un giubbone alla
foggia ; ed ecco turba di servi e cocchi e lauta vita
sono sempre con lui, e poche ore gli bastano per
tutto questo acquistare ; e tu devi affacchinare dì
e notte per meritarti il pane ! Ed io sono pur così
meschino ora ! Eppure ti ho abbracciata, o vita, con
tutte le forze della immaginazione. Il mio agile
pensiero, simile ad un etere purissimo, si è sparso
per tutte le tue voluttà, per tutti i tuoi prestigi, ha
veduto tutto ciò di che tu puoi essere liberale all' a-
102 OIOVITA SCALVINI
nima delV uomo. Ed era sempre mosso e tenuto vivo
da un fuoco di desiderio, e accompagnato dalla spe-
ranza.
Allora fioriva la mia giovinezza ! Ella è finita ben
presto ! Sempre nei miei sogni di felicità disingan-
nato dagli eventi e dal funesto vero, anche V imma-
ginativa non trova più forza da creare un mondo
dove trasportarmi con tutti i sentimenti della vita,
e F anima, il pensiero, la fantasia sono ricaduti so-
pra se stessi e non sono rimasti aperti che al dolore
che mi circonda.
RIMPIANTI
Io mi pasceva di sogni, e viveva in un mondo dove
voi non avete mai avuto ali da volare ; e voi m' avete
fatto discendere nel vostro mondo ; da quella am-
piezza al breve spazio della realtà, nel quale voi mi
aggirate ; da quella luce alle vostre ombre, mi vi
avete fatto discendere, col sogghigno, col sarcasmo,
colla derisione di ogni cosa che non era voi né quello
che piace a voi e che giugnete a comprendere voi.
E vi stimate saggi perchè non avete potenza di desi-
derare nulla che sia fuori del vostro possesso, anzi
possedete piti che non desiderate. E purché gli uo-
mini vi credan savii, vi basta. Non arrossite che gli
uomini vi credano quello che non siete...
... Allora io era giovane, pieno di speranze, pieno
di benevolenza per tutti ; l'amore mi sollevava sulle
cose terrestri ; il mio petto era senz' ira. Colla giova-
nezza é perita l' anima mia, V innocenza degli affetti,
l'impeto del cuore, il candore.
Aver così sprecata la vita in illusioni, in vane
SCRITTI VARI! 103
speranze ; sempre fanciullo in qualunque età, senza
norma alla vita, senza governo di me stesso ! E
che oggi ancora io corra a quegli affanni che non
erano scusabili che a venf anni ! E quando penso a
tanti anni lasciati dietro a me, e a me presente, e
alla morte della mia vita, mi vergogno di me stesso, e
mi taccio.
Guardo nelF avvenire ; e i suoi confini sono angu-
stissimi. Ciò che mi rimane da vivere, è poco. Io ho
in me un presentimento di essere verso il fine.
Morrò convinto che tutto è vanità nella vita. E la
vita mi sarà fuggita così 1 oh disperazione !
Ma quei tempi non torneranno più. Li ho lasciati
per sempre dietro a me. E forse questi dolori, me li
merito ora, perchè ho fatto anch' io dolere altrui
per la confidenza e la spensieratezza con cui ho pas-
sato quel tempo, improvido delP avvenire, e neppur
grato nel cuore a chi mi dava que' bei giorni. Ho
dato dei dolori a chi era riservato a provarne di
così grandi e irreparabili.
Oh se avessi potuto preveder V avvenire ! Vorrei
poter distruggere il passato, per non essere stato
cagione di afflizioni. La vita è ormai inutile.
Mi è cara per istinto, per debolezza perchè inchino
alla vecchiaia. Ma se ho fatto soffrire altrui, ne
faccio ora ammenda. Il mio cuore non è più commos-
so, il mio intelletto è senza nutrimento.
Di quante stranezze devo chiederti perdono... Ma
tutti quei fantasmi sono ora spariti. Ed io vor-
rei pure che insorgessero, che almeno mi facevano
sentire la vita... Sono stato fuori... ho percorso tanti
luoghi dove fui con te. Mi son seduto sotto le tre
piante... Ho messo la mano dove tu V avevi messa,
104 OIOVITA SCALVINI
dov' io V aveva baciata. Sono stato dinanzi al bosco
di... mi son seduto su quel tronco steso nel campo. 1
Ho ricalcato tutti i sentieri del bosco...
AMORE DELLE COSE LONTANE
Io imi sono sempre tenuto così straniero alle genti
fra le quali vivo, e quasi al paese nel quale cammino,
che ho sempre avuto piìi curiosità di conoscere il
vestire di un principe della China, che di quello
sotto il cui impero vivevo ; più la geografia di un' iso-
la divisa da immensi mari da me, di quel che sia la
nostra Italia ; più il nome che aveva una contrada
tremila anni addietro, di quel che il suo nome di
adesso.
LA SERVITÙ
Queste campagne mi sono affatto nuove : mi trovo
sotto un cielo straniero. Queste piante non mi cono-
scono : nessun affetto del cuore io ho mai sfogato
sotto le loro ombre, ed esse stanno dinanzi a me
ed io dinanzi a loro col contegno di due persone
che si veggono la prima volta. Io dico loro : Voi
avete ragione ; non mi avete mai vedtito ; è la prima
volta eh' io vi compaio dinanzi : tutto sta contro di
me. Io servo meschino. — Sì ; mi pare che le mi
rispondano ; quando il Negro schiavo della Florida
si adagia sotto le ombre delle nostre sorelle, il
padrone viene, e le fa radere dalle radici. T'allon-
tana adunque : chi è servo, non deve cercare le fre-
sche ombre delle foreste ; per lui non son fatte le
rive de' ruscelli, non gli aliti delle aure della sera.
SCRITTI VARII 105
... l' altrui bontà rende meno aspra la condizione
della servitù, e la bontà rara la rende quasi soave.
— È vero, dove sia la confidenza : ma senz' essa,
V altrui bontà ti fa quasi sentire più il dolore del
tuo stato, perchè credi derivare da tuo demerito,
se non vedi gli altri usare teco quei modi confidenti
che la bontà sa trovare. Chi riceve salario non è mai
fatto 1' amico di chi lo paga. Chi paga, vede natural-
mente in altri il dovere, non sente gratitudine di
nessun diligente uffizio.
... Ed eri nato con un ingegno non ignobile, e
tu lo hai avvilito nella servitù.
Quando tu eri libero, tu eri anche buono. La dolce
libertà che il cielo ti aveva fatta, non doveva essere
deturpata con opere indegne di così bel dono. Tu
sentivi la nobiltà della tua anima ; e il rimorso ti
avrebbe troppo vivamente straziato se non avessi con
ferma volontà atteso a raffermarla. Dopo che ti sei
fatto servo, il tuo cuore si è guasto ; e pare che tu
abbia detto fra te : Se io devo porre la mia volontà
alla balìa dei capricci di un uomo, tanto fa che
possa io venderla anche alle lusinghe delle mie pas-
sioni.
Sono stato a visitare le fiere. Il leone era anno-
iato, si sdraiava, sbadigliava. Io ebbi con esso lui
una lunga conversazione. Ho veduto in lui tutta la
noia della servitù in un animo che non sa adirarsi
alla sua sorte, e che vi è rassegnato.
Sono invecchiato in pochi mesi per molti anni. Il
cuore è nelP inerzia, l' immaginativa è spenta ; e l' u-
mana dignità, che altra volta sentivo, mi pare trop-
po alta cosa per me, e così fuor de' miei desideri
come i trionfi de' Cesari. Onde presto sarò uno stu-
106 GIOVI TA SCALVINI
pido, e veramente pedagogo e se tu tarderai molto
a venire a Milano, mi troverai di legno ; e dirò allora
il contrario di ciò che diceva Priapo : Una volta era
un uomo, or sono un fico.
Sarò reputato pazzo e stolto, tutto quello che vo-
gliono, ma io non so resistere a questo ferrea desi-
derio di libertà. Io trovo che ha fatto più male a
me un anno di servitù che non tutti i vizi, tutte le
passioni, tutti i deliri della mia giovinezza. — Non
sai vivere — dirà taluno. Io non so vivere : e qua!
colpa è in me se non so vivere?
Ascoltate tutti, o uomini miei simili ; io ho bi-
sogno di parlare a voi. Udite un mio consiglio. Cre-
dete almeno una volta eh' io possa dire la verità :
dopo, disprezzatemi, perseguitatemi, maledite persi-
no il mio cadavere: ma una volta ascoltate la mia
voce. Non vi fate mai servi. Ecco T ampio universo
dinanzi a voi, ecco campi da coltivare, ed arti e
mestieri da esercitare, che vi daranno tanto da so-
stentare la vostra fuggitiva vita.
PRECETTORATO
Io precettore ? Stravaganza che mi move a riso.
Io che non ho mai potuto dar regole a me stesso,
studiare per darle altrui ?
Giova che mi faccia vedere io a disegnare senza
nulla dirgli. Giova fargli leggere dei dialoghi.
Giova non gli rispondere sopra cose indifferenti,
per avvezzarlo a non avere risposta sopra cose c*he
non deve sapere.
SCRITTI VARII 107
Mi converrà essere caritatevole anche per I' esem-
pio. Del qual esempio hanno assai bisogno i ric-
chi, naturalmente crudeli.
Chi fa il Chirone, è mezzo bestia davvero ; o gli
antichi vollero simboleggiare che bisogna che sia.
Ma io diventerò bestia in intero.
Che faccio io strascicandomi ai fianchi da mane a
sera un sordo, col quale sono privo dell' unica con-
solazione che può avere uno che è preposto all' al-
trui istruzione, quella di parlare, di aprire il proprio
animo, di partecipare quel poco eh' ei sa ?
(Lettera al Melzi) ... Una malattia d'occhi che mi
molesta già da più che un anno, mi costringe a pro-
vare se il riposo, la vita libera, e 1' aria natia potes-
sero porvi riparo. Questo è il principale motivo della
mia deliberazione : ma poiché io voglio interamente
aprire a Lei il mio cuore, debbo pur confessare, che
io sento non essermi in tutto conveniente il posto da
me finora tenuto. Volentieri io potrei accordarmi
a insegnare quelle cose che i miei pochi studi mi
han fatto conoscere : ma le parti d' ajo son troppo
avverse alla mia indole, alle abitudini, e per avventura
all' età mia. E mi pare che quand' anche io inchinassi
per natura e per prova ad assumere un tal incarico,
non vorrei farlo in una grande città dove dominano
tanti errori, e si va dietro a tante false imagini di
bene, da cui è dura fatica, e soverchia per me, pre-
servare gli alunni, che sono sempre mossi più as-
sai dagli esempi che dalle parole. E se io sento trop-
po gravi adesso per me i miei doveri, che sarebbe
ne' futuri anni ne' quali certamente s' addoppieran-
no ? E che si direbbe allora di me, se io, non li po-
tendo sostenere, me ne sottraessi ? Tolga il cielo
108
GIOVITA SCALVINI
che io pensi essermi state affidate più cose che non
si dovesse: che anzi dubito d'averne adempiute me-
no che non sarebbe stato del debito mio. E pure le
adempiute son già troppo per me. So che mi può
essere risposto che io avrei dovuto prevedere ciò
di che ora mi lagno, e meglio ponderare prima d' as-
sumere. Forse per inconsideratezza io non fui pre-
vidente ; fors' anche fu poco conoscimento delle cose
della vita sociale, e della qualità d' educazione ri-
chiesta a' figliuoli nati in ricco stato, e diversa da
quella che la mia povera condizione concesse a me :
e forse è da dire che quegli uffici che legano più
alle persone che alle cose, recano seco doveri e
incomodi impossibili a determinare. Però significai
dapprima all'Acerbi, che desideravo sperimentarmi,
ma non mi legare affatto. Non pertanto le posso
affermare che dóve non mi fosse sopravvenuto que-
sto danno degli occhi, avrei (essendole in grado)
seguitato a rimanere alla sua servitù ; per veder pure
se le abitudini potevano far parer lieve un carico
trovato molesto : — benché sia dtira cosa abbisogna-
re delle abitudini per temperare la noia d' una con-
dizione. Io posi ogni cura per avvezzarmi alla mia
condizione, ma sempre invano ; e dovetti alla fine
persuadermi (ed Ella lo sa), esserci certi uomini
che non son fatti per certe cose, per accomodarsi a
certe soggezioni, ad una continua dipendenza ; per
vedersi nell'universale opinione gli ultimi di tutti,
abietti agli occhi perfin di quelli che sono costretti
apprestargli i loro servigi ; esservi alcuni uomini che
hanno altro desiderio che quello degli agi ; che tro-
vano il loro diletto fuori di quelle cose nelle quali
il mondo lo suole trovare ; che credono non essere
poi tanto preziosa la vita che meriti d' essere conser-
vata al prezzo dell'intera libertà. E allora il cuore
SCRITTI VARII 109
alza la sua voce, e richiama l'uomo al dblce soggior-
no della nostra fanciullezza, e ci fa conoscere che
lo stato migliore è quello nel quale dalla Provvi-
denza eravam collocati.
L' esperienza conduce al disinganno : essere testi-
mone degli altrui godimenti non è godere ; e il poco
bene che danno gli agi, non vale il prezzo con che
dev' essere comperato. E queste cose le dico candi-
damente a Lei come a persona che per gli studi, per
V uso della vita, per la nobile e sincera indole dei-
animo, per la noncuranza in che tiene ogni apparenza
di piacere, è fatto meglio che ogni altro persuaso
de' miei sentimenti. Tutte queste cose le ho dette,
non perchè io creda che a Lei fosse tanto utile
l'opera mia da abbisognare di molte (parole per
disporla a farne senza, ma solo per iscusare il pas-
so al quale io sono condótto.
Oltre di che io non ho altro al mondo che un poco
di' amore agli studi ; e in questo ufficio di precet-
tore, oltre al mancarmi il tempo a studiare, io non so
come mi è venuta meno anche 1' attitudine a appren-
dere. Aggiungasi che il maggiore de' suoi figli è
tanto sfortunato, da non potere non esser cagione
di perpetua mestizia a chi gli prende affetto ; ed
io sono per natura così poco disposto al piacere,
che non sarebbe saviezza andar volontario incontro
al dolore.
ESILIO
Abbiamo fallito l' intento della vita, e aggiunti i
nostri propri errori agli altrui, per renderla mise-
rabile e inutile. Abbiamo voluto essere sciolti d'ogni
soggezione ; ci siamo creati una soggezione peggiore,
perchè abbiamo dovuto domandare asilo allo stra-
^^0 OIOVITA SCALVINI
niero, e accettare protezione e soccorso. Abbiamo vo-
luto essere virtuosi: siamo rimasti perplessi. Ave-
vamo sortito nobile ingegno, e l'abbiamo trafficato
come una merce per campare la vita ; abbiamo gri-
dato anzi che operare, pianto anzi che aiutarci. Ab-
biamo disdegnato le arti della vita ; e quando ci
sono bisognate, ci siam trovati stolti e disarmati.
Abbiamo superbamente voluto edificarci un mon-
do più alto del reale ; e siamo precipitati in esso,
stanchi, offesi, irati, senza virtù di rilevarci.
Ora la nostra vita è come una veste logora e
lacera che si è logorata e guasta nei ripostigli, sen-
za che fosse mai d' utile a nessuno.
Io aveva casa e beni più che non bisognano al
sostegno della mia vita, contento di poco ; e molti
altri erano come me : e abbiamo dovuto stender la
rnano. Abbiamo dovuto mendicare. En-ammo disper-
si, ci rincontrammo per caso ; e parlando la mede-
sima lingua, rammentammo le medesime cose che
insieme avevamo conosciute ed amate in patria, i
comuni amici, le comuni abitudini.
Se tu dici : le mie merci affondarono in mare, il
foco ha arso le mie case, la grandine ha diserto i
miei campi, tu trovi commisierazione ; ma se tu dici :
io sono sbandito ; egli è come se tu dicessi : io
sono un pazzo. Aggiungi che il falsario, il ladro,
l'assassino, il vagabondo prendono il mantello della
tua sventura ; e tu che sei povero, vai a rischio d' es-
sere creduto un di loro.
Noi morremo nei nostri letti, come infingardi. Ab-
biamo errato il cammino della vita : e non possiamo
riuscire più a nulla. Siamo nati in tristi tempi, siamo
stati traditi nei nostri affetti, delusi nelle nostre
SCRITTI VARII 111
speranze, derisi o puniti della nostra virtù, avuti in
sospetto della nostra innocenza, redarguiti dagli stol-
ti, e posposti agli astuti. Facciamo almeno di non
essere tristi : questo è ciò che solo resta a chi ha
errato il cammino della vita, a chi non ha più né gio-
vanezza, né casa, né parenti. Deponiamo le nostre
ossa in terra straniera, e le copra V obblio.
Quanti venti aveva già questa nave sostenuti ! quan-
te volte solcato il mare in tempesta, e sempre si
era condòtta salva nel porto ! Ma la procella ha poi
soffiato più forte : ed ella era già stanca e logora dai
lunghi suoi corsi ; e finalmente ha rotto ed affon-
dato. Or le reliquie sono messe in rottami, e an-
dranno qua e là dissipate.
Beato quegli che pose il suo cuore nella fanciulla
che poi 'fece compagna della sua vita, ed ebbe casa
e famiglia ; quegli che va co' suoi concittadini alla
chiesa, e prega con essi ; quegli che sostiene la vec-
chiaia de' suoi genitori ; quegli che cresce i suoi
figli ; quegli insomma che compie i destini segnati
all'umanità. Quegli ha cagione di migliorare se stes-
so, quegli trae compiacenza della sua virtù, perchè
la vede utile ai suoi simili. Ma noi, noi siamo senza
genitori, senza tetto, senza figli. Il passato è dolo-
roso a ricordare, e 1' avvenire è senza promesse.
L' esule dal proprio paese, al quale è venuta meno
la gioventù e il vigore, e che pure ha patito in esi-
lio quelle cose che mai in patria non avrebbe avuto
a sostenere ; egli si è fatto maestrucolo di lingua,
e gazzettiere, e compilatore d' antologie.
Ahi ! io sono stato in prigione, solo e gettato sulla
paglia : ma allora la mia natura si aiutava, e la mia
anima invigoriva dentro di me ; io mi sentiva uomo
112 OIOVITA SCALVIMI
allora, e più uomo che mai non mi era sentito. Ma
adesso io mi sento debole, e da meno di me medesimo.
Il sole splende sereno su queste rovine. Il mare
è abbonacciato, simile ad un nemico che si riposa
presso il cadavere del suo nemico, lieto della ven-
detta. Ma vedi queste vuote conchiglie : son tutti
naufraghi. Un tempo erano condotti per l'acque da
una vita che ci dimorava dentro ; ed ora sono come
quelle navi che la tempesta ha vuotate.
Nato in povertà, nudrito sui monti al sole ed
al vento, di nessuno studiatore, studiato da nessuno,
libero, ignaro, innamorato dei boschi, dei fiumi, dei
sassi ; il mio pensiero tornò, con un desiderio e una
mestizia non provata sino allora, al mio paese na-
tale. Dopo tanti anni di lontananza mi si affacciavano
tutti gli oggetti sì vivamente, eh' io li vedeva ed
udiva. Io udiva il romore di un torrente, che m' era
portato più o meno forte dal vento nella mia casa ;
vedeva tutte le rupi dei monti, i sentieri tortuosi,
il pino accanto alla casetta, il santuario sulla cima
del colle fra i densi tigli ; e, cosa mirabile, io sentiva
veramente l'odore delle erbe selvatiche su per la
costa del monte, l' esalazione dei prati ; sentiva il
fresco dell'ombra lungo le fredde correnti.
E mi sentiva debole e avvilito e solo : solo e sban-
dito da tutto ciò che avevo di più caro, ed errante per
paesi e per genti eh' io non conosceva, e da cui non
era né conosciuto né amato. E allora m'inginocchia-
vo (a pregare.
RITORNO DALL' ESILIO
Io cercava cogli occhi tutti i luoghi ai quali era
collegata qualche dolce memoria ; ma come tutto
SCRITTI VARII 113
era cangiato ! le zolle sulle quali ero stato sedtito,
erano sepolte sott' acqua ; i tronchi degli alberi in
rottami : da per tutto lo squallore era succeduto alla
bellezza ed al verde, come il disinganno succede agli
inganni, e il triste vero a^ bei sogni. Sì certo, io
volgo la fantasia nel passato ; ma non sono più che
cose fantastiche, mentre una dolorosa realtà mi sta
innanzi.
Vado per monti ; ma ogni sito che tanto m' era
caro, i sentieri che io soleva frequentare, i sassi sui
quali soleva sedermi, ora mi mettono nelP anima
una profonda mestizia ; e li fuggo con dolore, perchè
mi ricordano giorni periti iper sempre, e mi fanno
sentire quanto io sia mutato.
Sono uscito qui ieri dopo oltre a diciassette anni.
M' immaginava di poter salire questi colli colla le-
stezza della gioventù ; ma mi sono affaticato, e mi
è entrata nell' anima una profonda mestizia. Mi sono
accorto di essere vecchio. E la natura non mi parla
più neir anima come un tempo. I colli, i monti sono
quei medesimi ; ma io sto dinanzi ad essi come
dinanzi a una donna che avesse cessato d' amarmi,
e non avesse più nulla da dirmi. Non son più fatto
pei boschi, per la solitudine, ma per la città e per
le genti.
Sento pietà di questo paese ; e mi adirerei anche,
se non sentissi che è brutto adirarsi contro il paese
natio. Ma in vero io qui sono ora straniero. Ora
qui mi pare che la razza umana nasca per affaticare,
soffrire, figliare, e morire ; e per nuli' altro.
Cerco di piegare la mia natura ad esser contenta
delle cose, delle usanze, delle persone fra le quali
<Ievo pure stare. Bisogna ch'io mi avvezzi alla spor-
8
114 GIOVI T A se AL VINI
cizia, alla stoltezza, all' ignoranza e alla miseria dalle
quali non potrei uscire. Ma avverrà che potrà. Il
mio bello e lieto vivere è finito ; mi riguardo come
morto. Quest' è un sopravvivere dolorosamente a tut-
to ciò che solo può meritare d^ essere chiamato vita.
Ho trovato Botticino in una gran rovina : gran
parte delle viti seccate, i muri crollanti. E per met-
termi a riparare alle cose, è omai tardi ; né potrei.
La mamma non se n' è accorta ; come non ci accor-
giamo dei guasti del tempo, che scava un volto che
Siam soliti vedere ogni giorno. La trascurataggine,
la sporcizia di questa popolazione passa ogni cre-
dere.
M. non mi riconobbe in Milano ; e stentò perfino
mia madre, la quale stette a guardarmi sospesa. E
le prime parole che disse, furono volgendosi a un
suo nipote : Non ha piti la stessa fisonomia. E par-
ve meglio accettarmi, che riconoscermi.
Era meglio anche per mia madre, eh' io morissi
quand' ero lontano. Ella s' era avvezzata a far senza
di me.
Il sepolcro di mio padre non e' è più. Un' altra
fossa si è scavata dov' era la sua ; e un altro cada-
vere è sceso ad abitarla.
Mi sono accorto subito, che M. M. s' era avvezzata
a far senza di me. In alcune cose mi pare d' essere
incomoda. Diciassette anni sono lunghi. Ha mostrato
desiderio di continuare a amministrar lei ogni cosa ;
e la lascio fare.
Provo un dolore più profondo ora, tornando col
pensiero nei luoghi dove ho passati tanti anni ; do-
SCRITTI VARII 115
lore che non ho mai provato, quando lasciai V Italia,
a ritornare coli' immaginazione qui d'ove sono ora.
E in quei primi anni vi era la speranza del ritorno,
vi era la novità dei paesi, vi era da imparare ; e si
fuggiva un pericolo. Ora, da che son qui per il
resto della vita, non vi è altro conforto fuorché quello
di sentire che sarà ben poco male se questo resto
sarà breve. Ma le memorie sono dolorosissime.
L'ANIMA È SOLA
Giovine sventurato ! tu non domandi consolazione
a nessuno, perchè li vedi tutti troppo lieti ; e altro
ci vorrebbe se corressero a piangere ad ogni lagrima
che sparge l' infelice ! Perchè proveranno essi così
grande afflizione per le tue disgrazie, quando essi
medesimi domani dovranno forse incontrarne di egua-
li o peggiori ? Chi vorrà vivere tutta la vita nella
malinconia e nel dolore, correndo ad affliggersi per
gli altrui mali, appena che gli lasciano un pò d'i
tregua i propri ? No, no : vivete pure tutti lietis-
simi ; furate piti momenti che potete all' avversa for-
tuna, che tutti, quando che sia, ne atterra. Vivete
lietissimi, e lasciate eh' io discenda colla mia sorte
nel sepolcro.
Né io mi aprivo mai ad alcuno ; perchè noi con-
fidiamo altrui quei dolori che supponiamo sentiti
anche da altri, e propri dell' umana indole ; ma quan-
do pensiamo che siano propri di noi soli, e della
nostra mente traviata, allora procuriamo che nessuno
li penetri, per paura di non essere intesi, o derisi.
E mi pareva anche che tutti vivessero lietamente, e
non avrebbero curato di consolarmi. Io conoscevo
la mia malattia, e cercavo di sollevarmi ; ma spesso
116 GIOVITA SCALVINI
anche mi dimenticavo, e mi abbandonavo in essa.
Ora mi trovo meglio ; e queste cose le scrivo non
perchè mi senta guarito, ma per presentare a me
stesso il quadro delle mie debolezze, e per mostrar-
mi che le conosco.
Oh ! come pochi son quelli che hanno un po' di
cuore ! Pare che in mezzo agli uomini coi quali vivo,
non si abbia a sperare felicità, che serranda tutti
gli affetti nei segreti del cuore, e mentendosi ; e
rinnegare sé medesimi, e trascurare i lontani, e i vi-
cini lodare.
Io vi apriva il mio cuore, io vi domandava qualche
conforto, io mi mostrava ignudo avanti di voi, tutte
le mie debolezze e i miei timori e M molesto mio
genio palesandovi. Io mi credeva che gli animi vostri
esser dovessero commossi dagli umili sinceri affet-
tuosi modi coi quali tutto mi vi apriva. Io non do-
mandava le vostre lodi, ma il vostro amore soltanto,
e qualche consolazione, e vi confessava che i fantasmi
d'ella immaginazione e la mia poca esperienza della
vita mi rendevano infelice.
Ma voi siete rimasti freddi e muti alle mie parole ;
anzi m' avete ascoltato sogghignando fra voi. Avete
sparso un ridicolo disprezzo su di me ; tacendo il
vero, avete riferito quel ch'io non avevo pronunciato
giammai, e m' avete rappresentato come un fanciullo
se^mpre piangente e affannoso per meri fantocci.
È ora di pensare a te stesso. È vero, io ci ho
pensato poco sino ad ora ; io mi sono ingannato in
piti cose. Mi sono creato all' intorno un mondò im-
maginario. Io mi credeva di aver a vivere fra gli
uomini come fra mezzo ad amici e a fratelli. Io,
nuovo nella vita e innocente e leale, credeva che tutti
SCRITTI VARII
117
mi somigliassero ; e se m' incontrava in qualche città,
io la credeva nuova e pellegrina nel mondo, come
ne era a me nuova e pellegrina la cognizione. Quante
volte ho disdegnato di pensare al mio meglio, e
sono andato incontro ciecamente al dolore, dicendo
fra me : vi saranno quelli a cui sarà dolce il salvarti !
E non badava che il mondo era d' antico pelo ; e che
quando io vagiva in culla, vi erano degli ipocriti
consumati, de' calunniatori, degli scellerati e degli
egoisti. — Ma io partirò da questa città : andrò in
Inghilterra.
Chi si prende pensiero dell'uomo che va solo
e malinconico di su di giù per le contrade delle vaste
città ? Egli va colla folla, è creduto uno de' tanti
che vanno a' fatti loro, ed egli medita il suo dolore
secreto ; si trova solo come in un deserto, e pensa
qual razza esser deve questa degli uomini, nella
quale può viversi, affacciarsi, strofinarsi con mille
persone di essa, senza mai che un pensiero si tra-
sfonda dall'uno nell'altro.
O Dio, tu sai che se i miei costumi sono stati
pravi talvolta, non fu mai pravo il mio cuore: an-
ch'io alle volte, per seguitare la moda, ho detto
vi amo a una donna che non amavo, e ho potuto
mostrar dolore di cose che m'erano indifferenti:
ma il mio cuore disapprovò sempre queste menzo-
gne, questo mio cuore che nessuno conosce, perchè
non mi sono ancora incontrato in anima nata, alla
quale io osassi aprirlo tutto tutto, senza il timore
d^ esser detto stolido e pazzo. Seguo in vista la cor-
rente : sono bugiardo il meno che posso: ma so
tacere gì' intimi miei sentimenti e celarli.
Vivo solitario ; e, più che le ingiurie, temo i be-
^18 GIOVITA SCALVINI
nefizi. Non era così quando io credetti 'tutti gli
uomini buoni. —
Sono pur facili gli uomini ad accusare altrui di
pazzia ! Se vedessero nel cuore di quest' uomo eh' es-
si dicono pazzo ! Se conoscessero tutti i sacrifici
che io ho fatti per contentare altri ! — Ma a che la
loro compassione ? Ingannato che io era ! Io ponevo
troppe speranze nell'amore degli uomini, perchè mi
sentivo portato ad amarli, io credevo alla loro uma-
nità, perchè mi trovavo umano. — Non più piangere
se di una sola parola ci pungano ; non più voler
essere ad ogni costo felice. — Vi sono ben altri
dolori da sostenere. — Tu pretendevi troppo. Non
t' avvedevi che sono gli uomini ? — Ed io sono in-
giusto quando mi lagno così e della mia povertà
e delle poche gioie che consolano la mia giovinezza ;
perchè se mi volgo indietro e guardo alla turba di
tanti miserabili, io sento nella coscienza d^ insul-
tarli ogni volta che cerco un piacere di più, e sento
che dovrei partire con un éì loro il tetto nel quale
io riparo dal freddo del verno, e il pane che mi
trovo dinanzi sul desco.
SPENGENDOSI...
A che mi parli degli studi, e volgi il mio sguardo
verso il lume della gloria ? Egli è ormai tardi. L' in-
gegno è morto.
A me di dì in dì si offusca vie più V intelletto ;
e mi fo ogni dì più mesto e più taciturno. Il mio
pensiero è disordinato e scompigliato, né so tenerlo
in freno. Le nubi mi si avvolgono intorno al
SCRITTI VARII 11^
sommo della mente, come intorno alle vette dei
monti. E un tempo la mia mente era serena e aper-
ta nel purissimo cielo. E s' io non guarisco o non
muoio, io impazzerò. Che se non tenessi forte il mio
pensiero, e se non avessi un lungo abito dell uso
della mente ; io mi sento tratto tratto vicino a farne-
ticare.
Saprò patire ; ma farò come una voluttà del mio
dolore. Non penso all'avvenire, non gli domando
nulla, non ispero nulla da esso. Le consolazioni che
dovevano trovarsi nella mia vita hanno avuto la loro
stagione. Anche a me il cielo aveva destinato dei
felici momenti, e me li ha dati : e sono passati. Ora
me ne lascia la memoria : né gli domando altro.
Di mano in mano ch'io vado dissipando da me
stesso la speranza eh' io soleva riporre neir avvenire,
mi diviene più sopportabile il presente ; e sono meno
malcontento di me, meno afflitto da' miei desideri!,
dalle mie illusioni, da' miei disinganni, dalle mie
paure, dalle mie speranze.
A poco a poco cesso interamente di sperare nel-
r avvenire. Saranno almeno finiti gl'inganni della
speranza. — Oramai so da un pezzo ciò che sarà ;
e se non conosco tutto ciò che posso temere, conosco
tutto ciò che non posso sperare.
So oramai che cosa sono gli affetti ; e desidero
andarmene da questa vita. Se ci sono ancora attac-
cato, gli è per motivi che disprezzo io stesso.
Ciò che ora avviene, esce naturalmente del passato.
Il peso delle memorie m si fa insopportabile.
Oh avessi lagrime da piangere lungamente ; o aves-
120
OIOVITA SCALVINI
si almeno parole da esprimere quello che sento !
Giorni tristi di un dolore uniforme ! —
Non ho più dolcezza nell'animo. Mi pare di es-
sere un uomo eh' è stato dliramente calcato sotto
i piedi da quelli da cui doveva aspettarsi altro.
Mio Dio, qual ricompensa a tanto dblore ! soffri-
re e morire, senza un giudice che dica : questi ha
sofferto: rimeritiamolo. Senza una speranza, lascian-
do i tristi a trionfare e a ridere di te !
Ora che ho perdtita la gioventù e la salute e la
mente, e non mi resta più che andarmene sotterra ;
a che mi gioverebbe la mia saviezza ora ? Non sareb-
be egli come le leggiadre vesti di che si vestono i
morti per porli nei sepolcri ? — Non è mai tardi
per divenire savio. La morte non è che il principio di
un lungo viaggio, nel quale non è da mettersi sprov-
veduti. E non senti tu, avvicinandoti alla morte, che
tu hai bisogno di riconciliarti colla virtù, con tutto
ciò che sorge alto sulle cose della terra, ed è dure-
vole ed eterno? Hai già tardato troppo. Certo sa-
rebbe bello godere e oziare, e contentare tutti i no-
stri smoderati desiderii, e poi morire ; morire spen-
sieratamente fra le gioie, e trovare oltre la vita quella
medesima sorte che troverà il moderato e il buono :
ma non è ancora avvenuto a nessuno di cogliere buon
frutto di tristo seme. E quando tutte le tue gioie
sono finite, tu dliri sulla terra per patire e pentirti,
e vedere intorno a te la letizia di quelli che sono
stati più savi di te.
Così vado fantasticando, perch'io non sono stato
savio, né ho avuto nessuna via. — Altri fu men sa-
vio di te ; ed è lieto, e non si pente come tu fai. —
Che fa a me ? Fammi loro, e sarò lieto com' essi.
SCRITTI VARII 121
Se potessi mettermi a fare qualche cosa, scriverei
un Paradiso perduto.
Son fatto pigro allo scrivere, perchè rifuggo dal-
l' affligger me stesso.
Non vorrei tanto gettare danari in libri, che pos-
sono rimanere inutili in breve. Leggo molto ; ma
nessun libro può occupare tutto T animo mio. Mi
caccio nelle questioni più astruse della metafisica;
e cesso, estenuato, senza aver raccolto nulla. Qualche
speranza alle volte mi si mostra per V avvenire ; ma
ricado più mesto.
Non hai tu mai provato quella specie d'i dolcezza
che si prova nel coricarsi la sera, in un giorno che
non si sta bene, nello stendersi nel letto, nello star
lì tranquillo ad aspettare indarno il sonno? Allora
ogni altra cosa pare noia e fatica: proviamo come
un senso di dolore a pensare a quelli che sono nella
via, ne' teatri ; e ci consoliamo d' essere lì distesi.
Ora io ho pensato molte volte che questo senso
di dolcezza, questo bisogno di quiete entrava in
me. Quando sarò presso a morire, la vita che lascerò
mi parrà noia e fatica.
Se voglio salire un monte, le gambe non rispon-
dono al desiderio ; se voglio far rispondere un' eco,
la mia voce è debole. E il mio pensiero non è mai
presente ; passa i monti, e si spazia in paesi lontani.
Non sopravviverò a questa continuità di dolore. Tal-
volta mi vergogno di me, di non saper esser lieto
qui in casa mia, qui dbve fui tanto lieto in fanciul-
lezza : ma dopo la vergogna, torno a dolermi non
meno di prima.
E sempre mi accomipagna un pensiero dbloroso
122 GIOVITA SCALVINI
e carissimo ; una languida speranza, un cocente de-
siderio.
^Non mi sento sufficienti forze da sostenere né
grandi gioie né grandi dolori.
Ho sentito, senza conforto né speranza, tutto il mio
dolore.
Vi é un certo conforto nel disperare affatto.
Languire e morire a poco a poco, con tante do-
lorose memorie nell'anima, che più ti tormentano
quanto più perdi di vigore ; con tanta indifferenza
intorno !
Reggo poco, persino a leggere, e il petto mi tra-
vaglia un po' più che non faceva fuori, segnatamente
dbpo che ho avuto ne' giorni passati un po' di febbre.
Spesso mi dtiole che la mia vita sia, per così dire,
finita in una età in cui non mi pare d' essere vecchio.
È doloroso esser morto prima di giungere alla
vecchiaia. Sarebbe meglio morire davvero. Sono una
pianta corrosa e guasta, che non può più portare
né fiori né frutti, e che pure vive ancora in qual-
che sua radice.
Né il sole né l'aria possono dare la contentezza
né la salute.
I medici pensano, ed io lo sento, che il clima di
Brescia non si con faccia alla mia debole salute. Però
spero di poter venire a stare in Milano, almeno
parte dell'anno.
Andrò a Napoli e a Roma per vedere se mi é
dato di rifarmi un po' l'animo, e riprendere amore
SCRITTI VARII 123
alla vita nell'aspetto d'elle belle arti. Se non m'av-
viene ; me ne partirò quale sono ora ; tutto sarà finito.
Presto non potrò più dire: Tanno scorso, come
oggi, faceva, stava... Vi è qualche cosa di assai tri-
ste in ciò.
Tardando a morire, saranno venuti meno quelli
che allora mi avrebbero pianto.
Intristisco come un'erba in un terreno magro.
Egli è cessato come un suono di cembalo...
ROMANTICISMO ITALIANO
Giudizi
La poesia romantica fu trovata da Cam figliuolo di
Noè. Ne' quaranta giorni che si trovò nell'arca,
egli fece un poema dove descriveva tutto ciò che
aveva d'intorno. Unì le idee piìi disparate, perchè
vedeva presso sé l' agnello e il lupo ; vedeva fuo-
ri i pesci sulle cime dei monti : la sua musica, le
strida de' moribondi.
Scrisse del modo di pettinarsi tenendo il cappello
in testa, e di tagliarsi le unghie de' piedi senza ca-
varsi le scarpe. — Dissertazione romantica.
Egli fu un gran naturale. Sapeva affogare gli uc-
celli sotto la campana pneumatica, accoppava gatti
con la pila del Volta, parlava sempre co' modi della
scienza, e non diceva al servo : soffia nel fuoco ;
ma: Manda più copia di ossigene su quel combusti-
bile, tanto che sviluppi luce e calorico. Egli sapeva
124 OIOVITA SCALVIMI
far vedere sul bracere fiamme verdi, azzurre, perse
e gialle ; far scoppiettare su l' incudine il fosforo
cosperso di polvere di rame, e produrre con alcune
polveri tali rumori che metteva in ispavento tutta
la casa, ed egli ne moriva dalle risa. Rompeva più
bocce che il vetrajo non ne facesse, liquefaceva le
posate, teneva in maraviglia una turba di contadini
in campagna, e così spendeva il suo.
INDICE
Prefazione Pag- |
Di se stesso ^
La famiglia ji
Relazioni col mondo TX
Gli uomini ^
Le donne
Scrittori ^
Amici .... 78
I filosofi ^
! ! . . 82
Ammonimenti e sentenze .... 81
La vita
Il mondo • * ©a
Giudizi vari ^
La solitudine ^
Vita con la natura °^
Nostalgia della campagna e della fanciullezza . . W
Dio e religione ^
Malinconie ^
Desideri, aspirazioni, inquietitudini, amarezze ... 95
Rimpianti ]^
Amore delle cose lontane *jj^
La servitù ]^l
Precettorato J^
Esilio 0?
Ritorno dall'esilio • .\t
L'anima è sola JJI
Spengendosi "^
Romanticismo italiano ^'^^
%\iS86 ./if '
Casa Editrice /?. Carabba — Lanciano
SCRITTORI NOSTRI
COLLEZIONE DI VOLUMI LETTERARI
1. Michelaiio;elo Buonarroti. Lettere. Vo-
lume I. (I49o-!5-12).
2. 3licliel»ugelo Buonarroti. Lettere. Vo-
Jume IL (1542-1563).
3. Ser Giovauni Fiorentino. II Pecorone.
4. Anton Francesco Grazziui detto il La-
sca. La Strega.
5. Traiano Boccaìini. Ragguagli di Parnaso,
6. Guido Cavalcanti. Rime.
7. Lorenzo de' Medici. Poemi.
8. Auton Francesco Gf-azzini. La Sibiìla.
9. Vespasiano da Bistìcci. Vite di uomini
illustri.
10. Dino Compagui. La Cronica, le Rime
e riut'iiìgenza.
11. Lodovico Ario.sto Elegie, Sonetti e
Canzoni.
12. La legc/enda di Dante. Motti, facezie e
tradizioni dei secoli XIV- XIX.
13. Michelangelo Buonarroti. Poesie.
14. Gentile Sermini. Novelle. Voi. I.
15 Gentile Sermini. Novelle. Voi. II.
16. Gentile Sermini. Novelle. Voi. III.
17. Giuseppe Baretti. Discours sur Sha-
kespeare et sur Monsieur Voltaire.
18. Ugo Foscolo. Saggi sopra il Petrarca.
19. Sperone Speroni. Dialogo delle lingue
e Dialogo della rettorica.
20. Veronica Franco. Terze rime e sonetti.
21. Torquato Tasso. Epistolario. Voi. I.
2i. Torquato Tasso. Epistolario. Voi. H.
23. Gabriello Chiabrera. Autobiografìa,
dialoghi, lettere scelte.
24. G. Scalvini. Scritti varii.
25. Lapo Gianni e Gianni Alfani. Rime.
26. Paolo Parata. Storia veneziana.
'7. Tommaso Campanella. Le poesie. Voi. I.
-<. Tommaso Campanella. Le poesie. Voi. IL
i^y. G. Berchet. Lettera semiseria di Griso-
stomo.
3n. Giuseppe Pecchio. Osservazioni semi-
serie di un esule in Inghilterra.
1 Cjtrlo Roberto Dati. Prose.
■•■i Ceuuiuo Cenniui. Il libro dell'arte.
■'>. Bernardino Baldi. La nautica e le e-
g leghe.
'. B Marcello. «Il teatro alla moda>.
. >. Giambattista AnUveini. L'Adamo.
36. Pietro Aretino. Lettere scelte.
37. Cino da IMstoia. Rime.
38. L. B. Alberti. Il trattato della pittura e
i cinque ordini architettonici
39. Alessandro Tassoni. la secchia rapita.
40. IppolJtw Nievo. I Capuani.
41. Luigi Pulci, A. F. Doni, G. Simeoni,
F. Berni, F, Bracciolini. J. Cicoguiui,
F. B.-ildoviui, eiasiu, G. Gozzi. ì'oe-
metti cont.'ìdineschi.
42. Fra GiroLinso Savt-narola Poesie.
43. Feo Belcari. Vita del Hr-ato Oiovannl
Colombini ita. Siena.
44. BernartUno B.il«it. ali epti^ranjmi ine-
diti, gii apologhi e le ecloghe. Voi. L
45. Bernardino Buhìi. Gli epigrammi ine-
diti, gli apologhi e le ecloghe. Voi. IL
46. Alessandra Macinghi Stro/zi. Lettere
ai lìglioli.
47. L' antica poesia ab)-Ui;z."^e.
48. Ludovico Ariosto. 1 cinqu.- «anii.
49 Torquato Tasso. I dialoghi amorosi.
50. Scipione Bargagli. Novelle.
51. Tommaso Garzoni. L' hospidale de' pazzi
incurabili.
52. Niccolò Machiavelli. Lettere. Voi. L
53. Niccolò Machiavelli. Lettere. Voi. IL
54. Leonardo Giastinian. Strambotti e bal-
late.
55. Celio Malespini. Novelle scelte.
56. Filippo Zamboni. Dalle opere.
57. Storie tragiche italiana.
58. Cecco D'Ascoli. L'Acerba.
59. Sebastiano Frizzo. Le sei giornate.
60. Luca Pulci. Il driadeo d'amore.
61. Niccolò Martelli. Dai primo e dal se-
condo libro delle lettere.
68. Cesare Caporali. Rime. Voi. I.
63. Cesare Caporali. Rime. Voi. IL
64. Francesco Bello. Le novelle del Mam-
briano.
65. G. P. Lucini. Scritti scelti.
66. Fontano. L' asino e il caronte.
67. Giusto De' Conti, Il canzoniere. VoL I.
68. Giusto De' Conti. Il canzoniere. Voi. IL
69. Santa Caterina da Siena. Le cose più
belle.
70. Ippolito Nievo. Spartaco.
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