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Full text of "Storia dei Musulmani di Sicilia"

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I 


^f.   a^ .  3 


STORIA 


DEI    MUSULMANI 


DI    SICILIA. 


Proprietà  letteraria. 


STORIA 


DEI 


MUSULMANI 


DI    SICILIA 


SCRITTA 


DA     MICHELE     AMARI. 


VOLUME  SECONDO. 


FIRENZE. 

FELICE    LE  MONNIER. 
ISttS. 


A*/ 


y 


'A 


LIBRO    TERZO. 


CAPITOLO   I, 

Al  contrario  della  stanca  società  bizantina  che 
sgombrava  dì  Sicilia,  la  musulmana  che  le  sottentrò, 
portava  in  seno  elementi  di  attività,  progresso  e  di- 
scordia. Nel  primo  Libro,  toccammo  gli  ordini  gene- 
rali dei  Musulmani,  e  come  si  assettarono  in  Affrica. 
Or  occorre  divisare  più  distintamente  alquanti  capi- 
toli di  lor  dritto  pubblico ,  e  V  applicazione  che  sor- 
tirono appo  la  colonia  siciliana. 

Farem  principio  dal  reggimento  politico.  Il  di- 
spotismo che  prevalse  con  la  dinastia  omeJade,  e  si 
aggravò  con  Tabbassida,  non  era  bastato  ad  oppri- 
mere le  due  aristocrazie ,  gentilizia  e  religiosa,  tanto 
che  non  prendessero  parte ,  secondo  lor  potere ,  alla 
cosa  pubblica.  Fecerlo  in  due  modi;  cioè  con  la  inter- 
pretazione dottrinale  della  legge ,  e  con  lo  smembra- 
mento dello  impero  :  a  che  si  è  accennato,  trattando 
dell'Affrica.*  Secondo  le  teorie  distillate  per  man  dei 
dottori,*  dagli  eterogenei  elementi  della  legge  mu- 

'  Veggasi  il  Libro  I,  cap.  Ili ,  VI. 

'  Oltre  il  Corano  e  la  Sunpa,  ossia  il  supposto  precetto  divino  e  b 
esempio  del  Profeta,  la  legge  si  fondava  sullo  igtihdd,  cbe  vuol  dire  litte- 
ralmente  "  sforzo  "  degli  interpreti  ed  esecutori  ad  applicare  lo  statuto  ai 
casi  non  provvedati  espressamente. 

II.  1 


(827-9001  —  2   — 

sulmana,  lo  impero,  era  ormai,  in  dritto  e  in  fatto, 
debole  federazione  di  Stati ,  impropriamente  chiamati 
province.  Troviamo  in  Mawerdi,  egregio  pubblicista 
del  decimo  sècolo ,  doversi  tenere  lo  emir  di  provin- 
cia come  delegato  della  repubblica  musulmana ,  non 
del  califo/  Ei  veramente  esercitava  tutta  Y  autorità 
sovrana,  fuorché  la  interpretazione  decisiva  dei  dom- 
mì.'  Allo  emir  di  provincia  era  dato: 

Ordinare  lo  esercito,  distribuire  le  forze  nei  luo- 
ghi opportuni,  e  fissare  gli  stipendii  militari,  quando 
non  Io  avesse  già  fatto  il  califo  ; 

Vegliare  air  amministrazione  della  giustizia  ed 
eleggere  i  cadi  e  gli  hàkem ,  magistrati  simili  al  cadi 
nelle  città  minori  ; 

Riscuotere  tutte  le  entrate  pubbliche ,  pagar 
chi  di  dritto  su  quelle,  ed  eleggerne  gli  amministra- 
tori ; 

Difendere  la  religione  e  la  società; 

Applicare  le  pene  ad  alcuni  misfatti ,  nei  limiti 
che  appresso  si  descriveranno  ; 

Presedere  alle  preghiere  pubUiohe ,  in  persona 
o  per  delegati  ; 

'  Mawerdi,  Àhkàm-SuUania,  lib.  Ili,  edizione  di  Eoger,  p.  51. 

9  Mawerdi,  op.  dt.,  lib.  I,  p.  93,  enumera  così  i  dritti  dello  tmdm, 
ossia  califo,  pontefice  e  principe:  !<>  Conservar  la  fede  secondo  i  domrai 
cardinali  e  le  interpretazioni  concòrdi  degli  imam  precedenti ,  e  ricondurre 
air  ortodossia  i  novatori,  con  la  ragione  o  con  la  forza;  2o  Far  eseguire  le 
leggi  civili  e  criminali  ;  3<>  Vegliare  alla  sicurezza  interna  ;  4»  Fare  osser- 
vare i  precetti  religiosi;  So  Difendere  il  territorio;  6«  Portar  guerra  agli 
Infedeli;  7o  Riscuotere  le  legittime  entrate  pubbliche;  S»  Pagare  gli  sti- 
pendii e  spese  pubbliche;  9o  Adoperare  capaci  e  fidati  ministri;  10»  Trat- 
tar dassè  le  faccende  più  rilevanti.  Tolti  questi  due  ultimi  paragrafi  che 
contengono  consigli  di  condotta ,  non  ordinamenti  di  diritto  pid>blico,  gli 
altri  doveri  dell' tmdm  non  differiscono  da  quei  dello  emiro,  che  nella  po- 
testà d' interpretare  i  dommi. 


—  3  —  1827-WO.l 

Avviare  e  sovvenire  i  pellegrini  della  Mecca  ; 

E,  se  la  provincia  stesse  in  su  i  confini,  far  ia 
guerra  ai  vicini  infedeli,  scompartire  il  bottino  ai 
combattenti  e  serbarne  la  quinta  a  chi  appartenesse/ 

n  popolo,  dunque,  di  una  parte  del  territorio  mu- 
sulmano costituita  in  provincia  e  governata  da  un  emi- 
ro, non  riconosceva  il  califo  né  come  legislatore  né 
com'esecutor  della  legge;  non  vedeva  altra  autorità 
che  dello  emiro;  e  costui,  alla  sua  volta,  non  era  te- 
nuto ubbidire  che  alla  legge  ed  alla  propria  coscienza; 
né  dovea  rispettare  il  fatto  del  principe,  fuorché  nel 
caso  degli  stipendii  militari  già  determinati  da  esso. 
Il  principe  eleggeva  e  rimovea  d'  oficio  V  emiro, 
come  il  cadi,  senza  poter  dettare  alcuno  i  provvedi- 
menti,* né  all'altro  i  giudizii;  talché  tutta  la  ammi- 
nistrazione civile y  militare,  ecclesiastica  e  giudiziale 
si  conducea  come  in  oggi  quella  sola  della  giusti- 
zia negli  Stati  di  Europa  che  abbiano  magistrati  amo- 
vibili ad  arbitrio.  Bene  o  male,  era  conseguenza  lo- 
gica della  teocrazia.  Se  avvenia  che  il  califo  sforzasse 
lo  emiro  ad  alcun  provvedimento  con  minaccia  di 
deposizione,  ciò  non  costituiva  norma  d'ordine  pub- 
blico; era  abuso  di  chi  comandava  e  viltà  di  chi  ob- 
bediva. Similmente  il  califo  celava,  quasi  fosse  col- 

*  Mawerdt,  op.  cit.,  lib.  Ili»  p.  47,  48.  Questo  autore  aggiunge  che 
r  uflcio  di  emiro  pote^  essere  geoerale  ovvero  speciale;  seodo  lecito  de- 
stinare un  emiro  alle  cose  di  guerra  e  di  polizia ,  come  noi  diremmo ,  e 
un  altro  all'azienda  e  giurisdizione;  op.  cit.,  p.  51.  Ma  tal  caso  sembra  av- 
venuto assai  di  rado.  Mawerdi  stesso,  p.  54,  dice  che  nelle  province  con- 
quistate di  recente  V  uflcio  di  emir,  di  dritto,  diveniva  generale;  né  si 
potea  diminuirne  il  territorio,  nò  l' autorità.  Le  ragioni  che  ne  allega  Ma- 
werdi son  fondate  su  r assioma,  che  il  ben  della  religione  e  della  repub- 
blica musulmana  va  anteposto  al  capriccio  del  califo. 


1827-900.)  —   4^  — 

pa,  la  vigilanza  sua  sopra  lo  emiro,  affidandola  al 
direttor  della  posta/  Alla  effettiva  autorità  rispon- 
deano  le  apparenze,  e  in  particolare  la  cerimonia 
della  inaugurazione,  nella  quale  si  prestava  giura- 
mento all'emiro  non  altrimenti  che  al  califo.'  La  mo- 
neta,  nei  primi  due  secoli  dell'islamismo,  si  coniava 
spesso  col  solo  nome  dell'emiro,  per  esempio  di 
Heggiàg-ibn-Iùsuf  in  Irak ,  di  Mùsa-ibn-Noseir  in 
Affrica  e  Spagna,  e  di  Ibrahim-ibn-Aghlab  in  Affri- 
ca.' Sì  larga  essendo  la  potestà  legale  del  gdvernator 
di  provincia  e  impossibile  di  tarparla  nei  paesi  lon- 
tani dalla  metropoli,  e  stanziando  in  quelli  la  nobiltà 
armata,  ognun  vede  con  che  agevolezza  le  provin- 
ce si  poteano  spiccar  dall'  impero  ,  sol  che  le  milizie 
parteggiassero  per  T  emiro  ;  nel  qual  caso  tornava 
inefficace  la  sola  ragione  lasciata  al  califo,  cioè  dar- 
gli lo  scambio.  Cosi  nacquero  le  dinastie  dei  Taheriti 
in  Persia,  degli  Aghlabiti  in  Affrica,  dei  Tolùnidi  in 
Egitto  e  non  poche  altre.  Cotesti  novelli  principi  alla 
lor  volta,  se  mandavano  emiri  nelle  province  con- 
quistate, si  trovavano  rispetto  a  quelli  nelle  mede- 
sime condizioni  e  peggiori,  che  i  califi  verso  di  loro; 

<  L'oficio  della  posla  si  chiamava  appo  gli- Arabi  berid,  trascrizione 
della  voce  latina  veredus.  Par  che  i  Sassanidi  abbian  tenuto  la  stessa  pra- 
tica in  fatto  di  alta  polizia;  come  l'accennai  nella  versione  del  Solwdn 
d'Ibn-Zafer,  nou  24  al  ciap.  V,  p.  515,  514. 

>  Il  Baidn,  tomo  I,  p.  75,  e Nowàiri,  Storia  d'Affrica,  versione  fran- 
cese di  M.  De  Slane,  in  appendice  a  Ibn-Khaldùn,  Histoire  des  Berbera, 
tomo  I,  p.  588,  fanno  menzione  del  giuramento  (bià*)  prestato  al  nuovo 
emir  di  Affrica,  Nasr-ibn-Habib  (791). 

'  Ibrabim  non  era  al  certo  independente  in  dritto  più  che  gli  altri 
emiri  dì  provincia.  Perle  monete  di  Heggiftg  non  occorre  citazione.  Su  quelle 
di  Musa,  va  ricordato  che  la  leggenda  talvolta  fu  latina,  come  si  scorge  dalle 
lettere  di  M.  De  Saulcy ,  Journal  Asiatique,  sèrie  HI ,  tomo  VII ,  p.  500,  540 
(1859),  e  tomo  X,  p.  589,  seg.  (1840). 


—  5  —  |827.90O.| 

non  avendo  la  dignità  del  pontificato,  né  distinguen- 
dosi pur  nel  titolo  dai  governatori  delle  proprie  colonie. 
Le  esposte  norme  di  dritto  pubblico  si  osser- 
varono in  Sicilia ,  infino  ai  tempi  del  tiranno  Ibrahim- 
ibn-Àhmed  ^  e  se  alcuno  le  trasgredì,  furono  i  coloni 
più  tosto  che  il  principe.  Gli  emiri  deli*  isola  facean 
da  sé  paci  e  accordi  e  scompartivano  il  bottino ,  a 
quanto  si  può  spigolare  tra  gli  aridi  annali  musul*- 
mani;  né  si  trovan  vestigio  di  comando  esercitato  in 
Sicilia  dai  principi  d'Affrica.  Il  titolo  dell'  oficio  or  si 
legge  emtr,  or  wàli,  e,  nei  primordii  della  colonia , 
séUieb;  la  qual  voce  par  che  denotasse  il  fatto  d' una 
insolita  autorità,  e  quasi  independente,.  come  di- 
cemmo nel  secondo  Libro.  *  Men  precisi  indizii  tro- 
viamo nelle  monete.  Tra  le  poche  che  ce  ne  avan- 
zano degli  Aghlabiti ,  due  di  argento  portano  il  nome 
dello  emiro  siciliano  insieme  e  del  principe  aghiabita , 
date  di  Sicilia  il  dug|3ntoquattordici  e. il  dugento- 
venti.  Poi  ne  occorre  una  anche  d' argento ,  del  du- 
gento  trenta,  ove  leggonsi  i  simboli  religiosi,  il  motto 
di  casa  d' Àghlab  e  la  data  di  Palermo ,  senza  nome 
né  deir  emiro  né  del  principe.  In  ultimo,  un  quarte- 
ruolo  d'oro  del  dugentotrentatrè  senza  il  nome  della. 
Sicilia  né  del  principe ,  ha  ben  quel  dello  emiro  con 
la  formola  religiosa  e  il  motto  aghiabita.  Di  li  alla 
fine  della  dinastia,  qualche  moneta  che  si  crede  si- 
ciliana dalla  fattura,  senza  che  vi  si  legga  Sicilia  né 
Palermo,  offre  il  sol  nome  del  principe  Affricano.'  Da 


«  Capitolo  V,  p.  296. 

*  La  namismatica  arabo-sicala  finadesso  può  dare  scarso  aiuto  alla 
Storia,  sondo  pubblicate  pochissime  monete,  e  la  importante  collezione  di 


1827-9001  — .  6  — 

ciò  si  può  conchiudere  di  certo  che  i  primi  emiri  co- 
niassero moneta;  ma  non  che  i  successori  non  ne 
coniassero^  D' altronde  lo  esercizio  di  tal  dritto,  che 
sarebbe  assai  significativo  trattandosi  di  reami  cri- 
stiani, poco  monta  negli  Stati  musulmani  dei  primi 
cinque  secoli  dell'egira ,  quando  i  califi  lasciavan  cor- 
rere nelle  monete,  come  dicemmo ^  il  nome  degli 
emiri  di  provincia  ;  e  i  veri  principi  che  sottentra- 
fono  ai  califi  ne  lasciaron  correre  il  nome;  sì  che  passò 
in  proverbio  «  è  rimasa  al  tale  la  Khotha  e  la  zecca  w 
per  significare  un  titolo  senza  potestà/ 

Oltre  la  piena  autorità  esercitata  dagli  emiri  di 
Sicilia,  è  da  notar  che  sovente  i  coloni  non  aspetta- 
ron  licenza  dalV  ÀfiVica  per  rifar  \  emiro ,  quando 
fosse  venuto  a  morte,  e  sovente  anco  scacciarono  gli 
eletti  0  confermati  dal  principe  ;  '  appunto  com'  era 
avvenuto  in  Spagna  avanti  il  califato  di  Cordova,  e 
in  Affrica  avanti  gii  Àghiabiti.  A  cosi  fatta  usurpa- 
zione li  spìngea  T  assioma  che  lo  emiro  rappresen- 
tasse non  il  principe,  ma  il  popolo  musulmano;  e  al- 


Airoldi  non  per  anco  sludlata.  A  ciò  si,  aggiunga,  che  rimangono  poche 
speranze  per  l'epoca  aghlabita,  perchè  gran  copia  di  monete  andò  al  cro- 
giuolo per  la  gelosìa  dinastica,  1* avarizia  e  il  genio  burocratico  dei  Fate- 
miti.  Delle  monete  aghlabUe  di  Sicilia  alcune  sono  slate  pubblicate  da 
Tydisen,  Adler,  Castiglioni;  alcune  dal  Mortillaro,  il  quale  compilò,  utile 
lavoro,  una  lista  di  tutte  le  monete  arabo-sicule,  conosciute  da  lui.  Le 
quattro  che  io  ho  accennato  nel  testo,  si  trovano  le  prime  in  quelhi  lista 
(Mortillaro,  Opere,  tomo  IH,  p.  345,  seg.};  ed  io  ne  ho  dato  forse  più 
corretti  ragguagli  nel  Libro  H  della  presente  storia,  càp.  Ili,  p.  283, 
cap.  V,  p.  296,  e  cap.  VI,  p.  520,  del  primo  volume.  Le  altre  monete  agbla- 
bite  di  Sieilia  son  registrate  dal  Mortillaro  dal  n»  5  al  12. 

^  Fakhr-ed-dìn,  presso  Sacy,  Chrestomathie  Àrabe,  tomo  I,  p.  84.  Non 
ho  bisogno  di  avvertire  che  la  Khotba  sia  la  preghiera  pubblica ,  in  cui  si 
ricorda  il  nome  del  principe  e  pontefice. 

«  Veggasì  il  Libro  H,  cap.  IH,  V,  VI,  VII,  IX,  X. 


—   7  —  I82r-900.i 

tresi  la  dubbia  sovranità  degli  Aghlabiti ,  e  la  con- 
saetudìne  allo  esercizio  di  un  dritto  anteriore  all'isla* 
mismo  e  non  abrogato  :  cioè  che  tutta  associazione 
di  Arabi,  grande  o  piccioia,  tribù  o  circolo,  sempre 
scegliesse  il  proprio  capo. 

Le  altre  parti  del  civile  ordinamento  non  oc- 
corre descrivere  minatamente  ;  sendo  notissime,  né 
molto  divèrse  da  paese  a  paese.  Con  Temiro  pochi 
magistrati  eran  preposti  alla  esecuzione  della  legge. 
Cominciando  dall' amministrazione  della  giustizia,  si 
vedrà  questa  intralciata  e  sovente  arbitraria.  Decidea 
sempre  un  sol  giudice;  prendendo  avviso  legale 
da'  miiftt,  assessori  come  noi  diremmo.  V'era  un  sol 
grado  di  giurisdizione  ;  e  quattro  maniere  di  giudici 
con  mal  definita  competenza.  Prìmd  giudice  crimi- 
nale il  principe  o  l'emiro,^  che  poteva  applicar  le 
pene  scritte  testualmente  nel  Corano  e  non  altre;  ma 
al  contrario,  nella  istruzione  del  processo,  gli  era  le- 
cito lo  arbitrio  che  si  negava  al  cadi.  Nei  misfatti  di 
dritto  divino  '  T emiro  decideva  o  delegava  la  causa; 
quei  di  dritto  umano  '  eran  conosciuti  da  lui  o  dal 
cadi,  a  chi  6ÌTÌvolgessero  gli  offesi.*  L' emiro  poteva 
alzar  poi  un  tribunale  straordinario  chiamato  dei  me- 
zàlim  0  diremmo  noi  de'  soprusi,  ov'ei  sedea  coi  ca- 
di, hàkim,  giuristi,  segretarii,  testimonii  e  guardie; 
e  sì  decidea,  con  procedura  eccezionale,  su  i  richiami 
per  casi  qualunque,  criminali,  .amministrativi  e  an- 
che civili ,  quando  la  potenza  dell'  accusato  avesse 

<  Mawerdi,  op.  eli.,  lib.  li!,  p.  51,  52,  55;  lib.  XIX,  p.  375,  seg. 

*  Come  apostasia,  empietti,  stupro,  abbrìachezza  ec. 
'  Come  omicidii  e  ferite,  farti,  calunnie. 

*  Mawerdi,  op.  cit.,  lib.  Ili,  p.  48,51,53,53;  lib.  XIX,  p.  375,  seg. 


(827-9001  —  8  — 

tolto  air  offeso  d' ottenere  giustizia  ne'  modi  soliti/ 
Independente  dallo  emiro ,  il  cadi  nelle  città  maggiori 
e  lo  hàkim  nelle  altre,  esercitava  quella  tutela  delle 
persone  incapaci  e  opere  pie  che  appo  noi  va  attri- 
buita aj  pubblico  ministero;  e  inoltre  giudicava  tutte 
càuse  civili  e  le  criminali  che  richiedessero  interpre- 
tazione di  legge  0  fossero  delegate  dalF  emiro;  fuor- 
ché le  cause  civili  e  criminali  di  minor  momento,  alle 
quali  era  preposto  il  mohtesib.*  I  parenti  del  profeta 
aveano  magistrato  speciale/  Infine  il  mohtesib  eser- 
citava la  giurisdizione  meramente  esecutiva  nelle 
cose  civili,  e  nelle  criminali  quella  che  potremmo 
chiamare  correzionale,  se  esattamente  rispondesse 
alla  definizione  dei  nostri  codici  ;  e  al  medesimo 
tempo  era  oficiale  di  polizia  urbana  ed  ecclesiastica; 
vegliava  ai  mercati;  alla  giustezza  dei  pesi  e  delle 
misure;  allo  esercizio  delle  arti  liberali  o  arti  mecca- 
niche o  commercii ,  si  che  non  nocessero  ai  citta- 
dini. 

Dopo  ciò,  poco  rimane  a  dire  dell' amministra- 

'  Mawerdi,  op.  cit.,  lib.  VII,p.  128,  seg.  Veggasi  anche Sacy,  Chres- 
tomathie  Arabe,  tomo  I ,  p.  152,  seg.  Talvolta  il  principe  delegava  alcuno 
allo  esercizio  di  questa  somma  giurisdizione.  Cosi  abbiam  ricordi  di  un 
wàU'^l''me%dHm  in  Affrica  sotto  gli  Aghlabili ,  che  poi  fu  cadi  in  Palermo. 

a  Mawerdi,  op.  cit.,  lib.  HI,  p.  48,  5!,  52,  S3;  lib.  VI,  p.  107,  seg.; 
e  lib.  XX ,  p.  405  a  408.  Si  avverta  che  la  giurisdizione  non  restò,  divisa  né 
in  tutti  i  paesi  né  in  tutti  i  tempi  nel  modo  che  porta  il  Mawerdi.  Io  ho 
voluto  seguire  a  preferenza  questo  scrittore ,  perché  é  contemporaneo  alla 
dominazione  musulmana  in  Sicilia,  e  ci  mostra  l'ordinamento  normale  d'al- 
lora, meglio  che  noi  farebbero  i  trattati  relativi  all'impero  ottomano,  al- 
r  Affrica  ec,  al  giorno  d' oggi. 

s  Mawerdi,  op.  cit.,  lib.  Vili,  p.  164,  seg. 

*  Mawerdi,  op.  cit.,  lib.  XX,  p.  404,  seg.  Veggasi  ancora  presso 
Sacy,  Chrestomathie  Arabe,  tomo  I,  p.  468  a  470,  uuo  squarcio  dei  Prole- 
gomeni di  Ibn-Kbaldùn ,  il  quale  in  parte  copia  litteralmente  Mawerdi ,  o 
in  parte  aggiugne  fatti  novelli. 


—  9  —  827-900.1 

zione  civile:  della  quale  dapprima  ebbe  carico  il 
mohtesib;  ma  l'oficìo  in  alcuni  Stati  fu  diviso,  con  di- 
versi nomi  ;  e  rimase  quel  di  mohtesib  al  preposto 
dei  mercati/  La  sicurezza  pubblica,  o  sicurezza  del 
despotismo,  fu  affidata,  nelle  capitali,  a  un  prefetto 
chiamato  per  lo  più  sàheb-esseiorta,*  del  quale  v'ha 
ricordo  negli  annali  della  Sicilia  musulmana;*  e  il 
nome  rimase  per  Io  meno  infino  al  decimoterzo  se- 
colo, quando  i  capitoli  del  Regno  di  Sicilia  chiamano 
Surta  le  pattuglie  di  polizia/  U  mohtesib,  o  come  che 
si  addimandasse,  partecipava  alle  cure  edilizie  in- 
sieme col  magistrato  municipale  propriamente  detto, 
com'  oggi  r  intendiamo. 

Scarsi  quanto  siano  i  ricordi  che  ci  avanzan  di 
cptesta  parte  di  civile  reggimento  negli  Stati  musul- 
mani del  medio  evo,  pur  non  cade  in  dubbio  la 
esistenza  dei  corpi,  municipali.  Generalmente  si  ap- 
pellavano gemà\  che  suona  adunanza;  come   sap- 


<  Makkari,  presso  Gayangos,  The  M^hammedan  Dynoitiu  in  Spain, 
tomo  I,  p.  lOS;  Lane,  Modem  Egypttatu,  tomo  I,  p.  166. 

s  Ibo-Khaldùn,  Prolegomeni,  presso  GayaDgos,  op.  cit.,  tomoi, 
p.  XXXII  ;  e  nello  stesso  volante,  Makkarì,  p.  104,  e  nota  a  p.  388;  Sacy, 
Chrestomathie  Àrabe ,  Jomo  II,  p.  184.  Al  Cairo  fu  detto  wàli^l^eled^ 
prefetto  della  città;  in  Spagqa,  sd^eb-el-medlfta/ preposto  della  città, 
Meb-el-leilt  preposto  della  notte ,  e  sdAeò-e«-4ctorto.  Gli  Omeladi  aveano 
la  grande  e  picciola  sciorta,  come  noi  diremmo  alta  e  bassa  polizia. 

»  Ibn-KhalUkào,  Wafiat-eh'Àiàn ,  Viu  di  Abu-Hohammed-Iabia-ibn- 
Aktbem,  fa  menàone  del  sàheb^etsciorta  di  Palermo  sotto  il  principe  kel- 
bita  Tbikt-ed-daala.  MS.  di  Parigi,  Soppl.  Arabe,  502,  fog.  596  verso; 
e  S04,  fog.  254  recto. 

4  Capitolo  LVI  di  Giacomo ,  eXVil  di  Federigo  di  Aragona;  Diploma 
di  Carlo  d'Àngiò  del  24  ottobre  del  1269,  nella  Biblioteca  Comunale  di  Pa- 
lermo, MS.  Q.  q.  G.  2,  pei  Magiitri  sorterii  di  Palermo.  Dalle  annotazioni 
di  monsignor  Testa  ai  detti  luoghi  dei  Capitoli  del  Regno ,  si  vede  usata  in- 
iino  ai  principii  del  XVIU  secolo  in  dialetto  siciliano  la  voce  teiorta,  che  la- 
tinamente scriveano  sorta,  surla,  xurla,  ce. 


|827-900.|  —    10  — 

piamo  del  Kairewftn  sotto  gli  Aghlabiti  ;  ^  del  cali- 
fato  abbassida  nel  decimo  secolo,'  e  fino  ai  nostri 
giorni  delle  cittadi  e  tribù  deirAffrica  settentrionale/ 
Questo  ordine ,  non  istituito  da  legge  scritta,  era  ap- 
punto novella  forma  del  gran  consiglio  di  tribii  e  di 
circolo,  di  che  parlammo  nelle  istituzioni  aborigene 
degli  Arabi  :  e  in  vero  non  si  potrebbe  comprendere 
che  i  nomadi,  fatti  cittadini,  avessero  disusato  quel- 
r  ordinamento,  quando  il  novello  lor  modo  di  vivere 
lo  rendea  si  necessario,  se  non  per  trattare  le  cose 
politiche,  certo  per  provvedere,  con  mezzi  e  volontà 
comuni ,  ai  bisogni  particolari  della  città.  La  gema' 
nelle  popolazioni  arabiche  par  sia  stata  composta  dei 
capi  di  famìglie  jiobili ,  dei  dotti,  facoltosi  e  capi 
delle  corporazioni  di  arti,  le  quali  assimilavansi  a  fe- 
miglie  e  costituivano  società  di  assicurazione  reci- 
proca nei  casi  penali:  perciò  questo  corpo  munici- 
pale somigliava  in  parte  alla  curia  romana.  *  Non 
sappiamo  se  la  sciura ,  di  che  si  fa  menzione  negli 
annali  della  Spagna  musulmana  !^  sia  la  gema'  sotto 

'  Veggaosi  il  Lib.  1,  cap.  VI,  p.  lo3,  seg.,  e  p.  148;  e  il  Lib.  Il,  cap.  U, 
p.  259. 

s  Veggasi  Mawerdi,  Ahìiàm-Sultanta  ,\\h,  XX,  p.  41i  a  414. 

'  Daumas,  le  Sahara  Àlgérien,  p.  72,  280^  293;  e  il  medesimo, 
Mauri  et  Coutumet  de  V Algerie ,  p.  10. 

*  Ricordinsi  i  wagih,  seeikh  e  faUh  del  Kairewàn,  di  cui  si  fa  parola  Del 
Libro  I ,  cap.  IV,  p.  1 4S.  Mawerdi ,  1.  e,  adopera  il  nome  genericoili  diui-l^ 
mekena,  ossia  *  Dotabiii,  o  capaci;  "  i  quali  par  non  fossero  i  soli  possessori 
e  capitalisti,  poiché  si  dice  cbe  possano  contribuire  alle  opere  pubbliche, 
sia  con  danaro,  sìa  con  lavoro.  Ei  nota  essere  così  fatto  obbligo  non  indi* 
viduale  ma  deir universale,  ossia  gema*  dei  cittadini  notabili.  Lo  stesso  au- 
tore adopera  la  voce  dsui^U'tnekena  per  denotare  quella  classe  di  persone 
alle  quali  turon  date  in  euQteusi  dal  callfo  Otbmftn  le  terre  demaniali  del 
SewAd,  lib.  XVII,  p.  335. 

'  Ibn-Khallikftn ,  Wafiài^WÀidn ,  oeHa  vita  di  Ibn-Zobr  (Avensoar) 
morto  a  Cordova  il  1130,  dice  cbe  Tavolo  di  costui  a vea  tenuto  alto  grado 


—  1 1   —  |«27-0OO.| 

alti^  nome,  ovvero  una  deputazione  della  gemà\  on 
comitato  esecutivo,  diremmo  oggi,  il  quale  nei  tempi 
ordinarii  amministrasse  ì  negozii  del  municipio  deli- 
berati dalla  gema';  ma  certo  è  che  nei  tempi  tor- 
bidi reggeva  le  faccende  politiche.  Nei  tempi  ordi- 
nari! la  gema*  era  richiesta,  in  difetto  dell'  erario,  di 
provvedere,  per  contribuzioni  volontarie  di  danaro  o 
d' opera ,  alla  costruzione  o  restaurazione  degli  acque- 
dotti, delle  mura,  delle  moschee  cattedrali  e  al  sov- 
venimento  dei  viandanti  poveri.  La  richiedeva  il 
mohtesib  ;  poteva  obbligarla  il  solo  principe ,  e  nel 
sol  caso  che  la  città  fiosse  piazza  di  confini ,  onde , 
cadute  le  m«ra  o  dispersa  la  popolazione,  ne  sarebbe 
tornato  perìcolo  a  tutto  il  reame.  La  obbligazione, 
sempre  èra  collettiva,  non  individuale:  dal  che  ognun 
vede  essere  stata  la  gema'  corpo  morale ,  e  vero  muni- 
cipio. Alla  ristorazione  delle  moschee  minori  provve- 
deano  quei  circoli  o  quartieri  che  le  possedessero;  e 
trascurandosi  da  loro  cotesto  dovere,  il  mù/Uesib  era 

nella  sciùra.  Veggasi  la  versione  Inglese  di  M.  De  Slane,  tomo  IH,  p.  139, 
ed  a  p.  i40  la  nota  12,  ove  questo  erudito  orientalista  fa  considerare  che 
in  Spaglia  e  nelV Affrica  settentrionale  ogni  città  aveva  il  counsel  or  tom- 
mittee  cbe  aiutasse  il  governatore  (e  questa  non  parmi  espressione  esatta) 
nello  esercizio  del  suo  oficio,  e  si  compouea  dei  capi  dei  varii  quartieri, 
del  cftdi ,  e  delle  anticbe  e  influenti  famiglie  del  luogo.  Nel  tomo  H,  p.  901 
della  stessa  versione,  si  parla  d'un  Consiglio  simile  a  Murcia. 

A  Tripoli  fin  oltre  la  metà  del  XI(  secolo  v*ebbe  un  "Consiglio  dei 
Dieci"  die  cessò  al  conquisto  degli  Almobadi;  come  l'afTerma  Tjgiani, 
Rehela,  versione  francese  di  M.  Rousseau,  p.  186, 187.  {Journal  Àsiatique, 
février-mars  1853,  p.  13^,  136.) 

Negli  Stati  ove  è  prevalso  più  il  dispotismo,  è  rimase  in  vece  della 
gema'  un  sol  oficiale  municipale,  detto  Bceikh-el'beled,  *  V  anziano  del  pae- 
se," mezzo  tra  eletto  ed  ereditario;  come  si  ritrae  per  l'Affrica  setten- 
trionale da  M.  Worms ,  Recherches  sur  la  propriéU  ferriloriaU  dans  lei  pays 
musulmans,  p.  375,  427;  e  per  l'Egitto,  dal  Lane,  Modem  Egyplians, 
tomo  I,  p.  171. 


1827-900)  »-   12   — 

tenuto  a  farne  memoria.  ^  Ciò  conferma  il  fatto  che 
oltre  il  magistrato  municipale  della  città  ve  n'era  al- 
tri di  quartiere  o  contrada;'  istituzione  necessaria 
nelle  città  musulmane,  le  quali,  al  par  che  le  nostre 
del  medio  evo,  eran  divise  in  quartieri ,  abitati  per 
lo  più  da  nazioni  o  arti  diverse. 

Cotesti  ordini  dall' Affrica  passarono  senza  dub- 
bio nella  colonia  siciliana;  onde  v'ha  memoria  della 
gema'  di  Palermo,  costituita  come  le  altre  a  modo 
aristocratico;  e  pronta  a  trapassare  alla  usurpazione 
deir  autorità  politica.^  La  riputazione  dei  giuristi  che 
notai  trattando  dell' Affrica,  va  supposta  necessaria- 
mente in  Palermo ,  ove  fiorirono  nei  principii  del  de-^ 
cimo  secolo  gli  studii  di  dritto,  secondo  la -scuola  di 
Malek.^  Contuttociò  non  apparisce  in  Sicilia  F  umor  di 
parti  di  cittadini  e  nobiltà  militare ,  ond'  erasi  agitata 
r  Affrica  nei  principii  del  nono  secolo.  La  concordia 
durava  per  esser  fresco  il  conquisto;  e  perchè  no- 
bili e  cittadini  di  schiatte  orientali  stanziavano  la  più 
parte  in  Palermo,  uniti  da  interessi  comuni,  dalla  ge- 
losia contro  il  governo  d'Affrica,  e  dalla  brama  di 
sopraffare  i  Berberi  lor  compagni  nell'isola. 

Pria  di  passare  all'azienda  son  da  esaminare  i 
due  ordinamenti  economici  della  colonia  dai  quali 
dipendea  principalmente  la  entrata  e  la  spesa  pub- 
blica ;  cioè  ,  il  primo  ,  la  costituzione  della  proprietà 


<  Mawerdì,  op.  cit.,  lib.  XX,  p.  411,  a  414. 

3  Lane,  Modem  Eg^tiam,  tomo  I;  p.  170. 

'  Ibp-el-Athir ,  anno  336,  MS.  B,  p.  261  ;  MS.  G,  tomo  IV,fog.  3S0  ver- 
so, dice  dei  Beni Tabari,  ch'erano  degli  *aidn,  ossia  caporioni  della  gtmà* 
in  Palermo. 

«  Riadh-en^Nofus,  MS.,  fog.  79 redo,  nella  vita  di  Lokm&n-ibn-Iùsur 


—  13  —  |827-900.| 

territoriale;  il  secondo,  i  ruoli  militari.  Molto  si  è  di- 
sputato tra  i  dotti  europei  sul  dritto  di  proprietà  Dei 
paesi  musulmani;  e  manca  nondimeno  una  verace  e 
nitida  esposizione  di  tal  materia;  ond'è  forza  ch'io 
mi  provi  ad  abbozzarla.  Premetto  essere  erronea  la 
generalità,  che  si  è  troppo  ripetuta  e  renderebbe  su- 
perfluo ogni  esame;  cioè  che  tutti  i  terreni  apparten- 
gano in  proprietà  a  Dio,  e  per  lui  al  pontefice  prin- 
cipe/ Gli  eruditi  che  trovarono  tal  paradosso,  tolsero 
in  iscambio  di  dichiarazione  di  dritto  le  frasi  poeti- 
che o  teologiche,  come  voglia  dirsi,  frequentissime 
nel  Corano:  che  Iddio  è  padrone  del  Cielo. e  della 
Terra,  padrone  dei  Mondi,  e  via  discorrendo.  Al  certo 
i  Musulmani,  ammiesso  un  creatore,  lo  doveano  te- 
ner signore  di  sue  proprie  fatture  ;  ma  pensavano 
eh'  egli  avesse  lasciato  il  terreno,  non  altrimenti  che 
r acqua,  Tarla,  il  fuoco,  la  luce  ,  a  utilità  universale 
delle  creature;  non  donatolo  in  particolare  a  Mao- 
metto, e  molto  manco  ai  pontefici  che  gli  dovean 
succedere. 

Tanto  egli  è  vero  non  aver  mai  il  Profeta  pre- 


*  Una  quarantina  d'anni  fa,  sostenne  quest'assioma  il  barone  De  Ham- 
mer,  oggi  consigliere  aulico  deli'  impero  austriaco.  M.  De  Sacy  Io  confutò, 
prima  nel  Journal  des  Savants  del  1818,  poi  nella  terza  delle  sue  Memorie 
su  la  proprietà  in  Egitto,  lfémo<rc«  de  VÀcadémie  de»  Inscriptiona,  tomo  VII, 
p.  S5,  56.  Il  Martorana,  Noti%ie  storiche  dei  Saraceni  Siciliani,  tomo  II, 
p.  129  e  248,  amò  meglio  seguire  il  consigliere  aulico.,  che  il  dotto  profes- 
sor di  Parigi.  Il  signor  Benedetto  Gastiglia,  in  uno  articolo  di  giornale  che 
sopra  ho  avuto  occasione  di  lodare,  La  Ruota,  Palermo,  SO  agosto  1843, 
si  appigliò  a  questo  paradosso,  e  scrivendo  in  fretta  lo  attribuì  a  M.  De  Sacy. 
A  così  fatta  teoria  rimangono  ormai  pochi  partigiani.  La  rigetta  espressa*- 
mente  M.  Worms  nella  dotta  opera,  Reeherehes  iur  la  eonstituHon  de  la 
propriété  territoriale  dans  les  pays  mwulmans.  Né  so  come  M.  Du  Gaurroi 
riparli  di  Messer  Domeneddio  proprietario  npi versale»  Journal  Àsiatique, 
1V«  sèrie,  tomo  XII,  p.  13  (1848),  senza  allegar  nuove  autorità. 


|827-90a.|  —    14   — 

sunto  si  strano  dritto,  che,  secondo  una  tradizione 
sua,  Terba,  unico  prodotto  del  suolo  nella  maggior 
parte  dell'Arabia,  si  tenne  sì  come  l'acqua  e  il  fuoco 
proiprietà  comune  di  tutti  gli  uomini/  Tali  anco  fu- 
rono risguardati  certi  minerali  agevoli  a  raccogliere, 
come  sale,  antimonio,  nafta,  antracite.' 

Dal  dritto  nomade  volgendoci  a  quello  delle  po- 
polazioni stanziali,  è  manifesto  che  il  Corano  e  la 
Sunna  riconoscano  la  piena  proprietà  delle  terre  col- 
tivate, al  medesimo  titolo  che  la  proprietà  mobile. 
L' una  e  Y  altra  maniera  di  facoltà  va  soggetta  ad 
unica  tassa  :  dieci  per  cento  su  i  prodotti  del  suolò  , 
e  due  e  mezzo  su  la  quantità  degli  armenti,  moneta 
e  altri  beni  mobili;  la  quale  gravezza,  ragionandosi 
tiel  primo  caso  su  la  rendita  e  nel  secondo  sul  capi- 
tale, viene  a  ragguaglio,  o  torna  più  lieve  su  le 
terre  che  su  gli  altri  capitali.'  Maometto,  imitando 
così  le  decime  giudaiche ,  ne  mutolo  investimento;  e 
con  sublime  idea  chiamò  questa  tassa  sedekàt  o  vo- 
gliam  dire  offerte  di  schietto  animo,  e  zekàt  *  che 

*  Mawerdi,  iAMm-Stt//anta,  lib.  XVl,  p.  525;  Hedaya,  libro  LXV, 
tomo  IV,  p.  140. 

'  Mawerdi,  op.  cit.,  lib.  XVII,  p.  541.  Traduco  "antracite*'  la  voce 
kdr,  che  secondo  i  dizionarii  signiOca  "pece  liquida." 

'IMO  per  cento  su  la  raccolta  annuale  del  grani,  frutta,  miele  ec, 
si  ragguaglia  al  2 1/2  per  100  su  gli  armenti,  danaro,  merci»  masserizie  ec., 
sapponendo  che  cotesto  maniere  di  capitati  rendessero  il  25  per  100.  Non 
arrivando  a  sì  alto  segno  il  fruttato  dei  capitali  mobili ,  essi  vengono  a  pa- 
gare più  che  i  capitali  fissi  delle  terre.  Avvertasi  che  il  10  si  ragiona  su  i 
prodotti  del  suolo  bagnato  da  pioggle  periodiche  o  acque  sgorganti.  Le  terre 
inaffiate  con  macchine  idrauliche,  richiedendo  maggiore  spesa  di  cultura, 
8on  tassate  al  5.  Al  contrario ,  quelle  irrigate  con  acqua  di  canali  che  man- 
tiene lo  Stato,  pagano  il  20;  nel  qual  caso  il  doppio  dazio  va  per  censo 
deir  acqua. 

*  Seguo  Tuao  generale^nella  trascrizione  di  quesUi^  voce,  la  quale  se- 
condo il  modo  tenuto  nel  resto  del  mio  lavoro  andrebbe  scritta  ieké. 


—   15  —  [827-900.1 

suona  purificazioDe:  purificazione,  dir  volle ,  della 
colpa  che  ba  il  ricco  lasciando  morir  di  fame  i  po- 
veri e  mancar  le  entrate  allo  Stato.  In  vero  tassa  di 
poveri  è  questa,  non  men  che  pùbblica  contribuzio- 
ne ;  andando  tripartita  per  legge  tra  lo  erario ,  i  pa- 
renti del  Profeta  e  i  bisognosi ,  fossero  oifanelli , 
viandanti,  o  altri.'  Le  proprietà' esistenti,  rispettate 
cosi  dallo  islamismo,  si  trasmetteano,  al  par  che  i  beni 
mobili,  per  vendita,  donazione  o  successione. 

Quanto  ai  nuovi  acquisti,  Maometto  non  parlò 
che  del  legittimo  per  eccellenza:  dichiarò  che  chiun- 
que renda  alla  vita  una  terra  morta ,  così  esprimeva 
il  dissodare  un  suolo  inculto  o  fabbricarvi  sopra  ,  ne 
divenga  padrone  assoluto  ;  sì  che  né  il  principe  né 
altri  possa  togliergli  il  podere,  finch'ei  lo  coltivi.'  Nei 


*  La  %Mt  è  doYota  dai  soli  Musulmani  adulti ,  sani  di  meote  e  Uberi, 
cbe  posseggano  oltre  un  certo  valore  fissato  dalla  legge.  Si  chiama  anche 
decima.  Il  ritratto  è  stato  sovente  distolto  dalla  sua  destinazione  legale; 
usurpandolo  I  governi,  che  poi  si  sgravavano  la  cosdenaa  io  opere  di  pietà 
0  di  carità.  Veggansl  a  tal  proposito:  Mawerdi,  Àhkém>'Sultaniaf  lib.  XI, 
p.  195,  seg.,  e  lib.  XVII! ,  p.  366,  seg.:  questo  dottore  sciafeita  riferisce 
il  dritto  come  si  tenea  nella  propria  scuola,  cita  le  epinioni  delle  altre  e  i 
fatti  fino  al  tempo  e  paese  suo,  cioè  tra  il  X  e  TXI  secolo,  a  Bagdad;  S^ 
daya,  lib.  I,  versione  Inglese,  tomo  I,  p.  1,  seg.,  cbe  mostra  il  dritto  os- 
servato iìi  India  nel  XVilf  secolo  secondo  la  scuola  di  Abu-Hanlfa;  D*0hs* 
son.  Tableau  general  de  VBmpire  Ottoman,  tomo  il,  p.  403,  e  tomo  V, 
p.  13,  seg.,  cbe  riferisce  anco  H  dritto  baneflta ,  osservato  alla  stessa  epo- 
ca in  Turchia;  KballMbn-Isbàk ,  Précù  de  Jurispruienoe  mtuulmané,  tra* 
duiipar  M.  Perronj  cap.  IH,  tomo  I,  p.  5%,  seg.  Quest'autore,  di  scuola 
malekita,  visse  nel  XV  secolo.  Il  suo  compendio,  brevissimo  e  oscurissimo, 
fa  legge  in  Affrica.  Veggasi  anche  BurclLbardt,  Voyage  en  Arabie  (versione 
francese),  tomo  II,  p.  294,  che  descrive  la  pratica  dei  Wababitl,  puritani 
dell*  islamismo  ai  tempi  nostri.  Le  varie  scuole  ed  epoche  fan  poca  diffe- 
renza neir  applicazione  degli  statuti  su  la  %ekàt, 

^Mi8hhat-ul'-Ma$abih,  lib.  XII,  cap.  XI,  tomo  II,  p..43,  s^.  Data  la 
tradizione  del  Profeta ,  tralascio  di  eitare  i  trattatisti ,  alcuni  dei  quali ,  a 
dir  di  Mawerdi,  op.  cit.,  lib.  XVIf ,  p.  330,  credettero  necessaria  la  licen- 
za del  principe  a  confermare  il  dritto  di  primo  occupante.  Ognun  vede  cbe 


f82T-900.1  —  16  — 

tempi  appresso  restaron  dubbii,  secondo  le  varie 
scuole,  i  limiti  che  potesse  porre  il  principe  a  tal 
dritto  di  primo  occupante  ;  ma  la  sostanza  del  dritto 
non  fu  mai  disputata;  anzi  si  accordò  la  terra  intorno 
il  pozzo,  a  chi  primo  lo  avesse  scavato  in  terreu 
deserto.* 

Su  le  proprietà  stabili  rapite  ai  vinti,  Maometto 
non  fece  provvedimento  generale,  perchè  rado  oc- 
corse ai  tempi  suoi;  né  parlarne  troppo  ei  potea, 
proponendosi  di  conciliare  e  amalgamare  la  nazione. 
Cominciati  i  conquisti  fuori  d' Arabia,  Omar  applicò 
al  caso  qualche  esempio  del  Profeta,  e  l'ordine  po- 
sto dal  Corano  al  partaggio  della  preda  ;  onde  quattro 
quinte  andavano  divise  ai  combattenti  e  una  quinta 
serbata  a  utilità  pubblica,  e  sussidii  a  varie  classi  di 
persone.*  Per  tal  modo  furon  divise  alcune  terre  ai 
combattenti.'  Ma,  in  queir  età  eroica,  gli  Arabi  si  te- 


dò  non  torna  ad  esercizio  di  on  sapremo  dritto  di  proprietà,  ma  a  neces- 
saria misura  di  ordine  pubblico,  per  evitare  che  due  o  più  persone  si  con- 
tendessero un  podere.  È  fondato  su  la  medesima  ragione  il  divieto  di  oc- 
cupare il  suolo  bisognevole  a  pascolo  comune  9  strade ,  mercati  ec.,  di  che 
tratta  il  Mavirerdi ,  lib.  XVl,  p.  323,  seg. 

*  Bedaya,  lib.  XLV,  tomo  IV,  p.  132. 

^  Nella  sura  Vili,  verso  42,  è  detto  appartenere  la  quinta  a  Dio,  e  per  lui 
al  Profeta,  ai  parenti  di  costui,  agli  orfanelli,  agli  indigenti  e  ai  viandanti.  La 
morte  di  Maometto  die  luogo  a  cavillare  su  questa  legge.  Dei  dottori,  chi 
ha  pensato  doversi  investire  tutta  la  quinta  in  utilità  pubblica;  chi  poterne 
disporre  il  principe;  chi  doversi  esclusivamente  serbare  ai  parenti  del  Pro- 
feta ,  orfanelli  ec  Veggasi  Beidbawi ,  comento  al  citato  verso  del  Corano , 
edizione  di  M.  Fleischer,  tomo  I,  p.  367  e  368;  Mawerdi,  Op.  cit.,  lib.  XII, 
p.  239  a  242.  Koduri  vuol  che  la  quinta  si  divida  in  tre  parti  uguali  agli 
orfanelli,  poveri,  e  viandanti;  sostenendo  chela  quota  del  Profeta  si  fosse 
estinta  alla  sua  morte;  presso  Hosenmuller,  Ànalecta  Arabica ,  §  34. 

'  Questo  insertante  fatto  è  riferito  da  Mawerdi,  op.  cit.,  lib.  XVII, 
p.  334,  seg.  Avanti  la  edizione  dì  M.  Enger  del  1853,  che  noi  citiamo, 
questo  squarcio  era  stato  pubblicato  con  una  versione  francese  da  M.  Worms, 
Recherches  sur  la  constituUon  de  la  propiiété,  etc,  p.  188, 189,  e  202,  seg. 


—  17   —  1827-900.1 

diavan  di  così  fatta  ricchezia.  Tra  il  genio  di  corcete 
a  cavallo,. combattendo,  rubando  e  gridando  Akbar^ 
Allah;  e  tra. abnegazione  e  ignoranza  ,  alcuni  giund 
rinunziarono  alla  repubblica  la  parte  loro  dei- tep-- 
reni;  talché,  nella  (ertile  provincia  del  Sewàd,  Omar 
poneva  in  demanio  tutti  i  poderi  della  dinastia  regki 
di  Persia,  e  dei  privati  che  fossero  morti  o  fuggiti/ 
Tal  nuova  usanza  invalse  in  appresso;  anche  non 
volendolo  le  mUizie,  nelF  animo  d^le  quali  i  senti*^ 
menti  poetici  sempre  più  calilvano  alla  prosai.  Come 
i  combattenti,  oltre. la  quota  del  bottino,  godeano 
slipeiKlio  su  le  entrate  pubUicbe  ;  e  come  i  conquisti 
erano  da  attribuirsi  alla  potenza  comune  dei  Musul* 
mani,  anzi  che  alle  armi  di  tale  ò  tal  altro  esercito i 
così  parve  giusto,  che  i  fiutti  perenni  deUa  vittoria 
si  godessero  dallo  Stato  :  e  mdi  più  di  raro  si  effetr 
(uò  il  parlaggio  dei  quattro  quinti  delle  terre.' 

,  A  ciò. condusse  anco  il  fatto  che  i  paesi: non  si 
pigliavano  quasi-  mai  con  la  i spada  alla. mano;  ma 
per  dedizione  degli  abitatori,  assoluta  o  a  patti  ::  av- 
venendo .che,  dopo;  alcuna  vittoria^  intere  province 

ìfa  M.  Worms  non  ebbe  alle  mani  cbe  un  sol  MS.  del  Vpwerdi;  non  .si 
servì  deHe  varianti  di  quello  che  possiede  la  Biblioteca  di  Parigi;  e  d'al- 
tronde nm  colie  ^oipre  il  segno  Jielia  versione. 

'  Mawerdi,  1.  e. 

'  11  dritto  era,  secondo  Sciafei ,  cbe  le  terre  prese  con  le  anni -si  di- 
videssero, al  par  cbe  il  bottinò^  a  meno  di  cessione  volontaria  ^\  4»>inbat- 
tentL  Malek  le  dioea  proprietà  perpetua  della  repubblica.  Àbu^-Ranìfà!  ri« 
metteva  al  prìndpe  di  scompanirle  trai  com^ttenti,  lasciarle  agli  Infedeli, 
con  obbligo  di  pagare  il  kbaràg,- ovvero  dichiararle  proprietà  della  repubi 
blìca,  come  gli  paresse.  Cosi  riferisce  Mawerdi ,  lib.  XII,  p.  257,  seg.;  e 
lib.  XIII,  p.  254,  seg.  (anche  presso  Worms,  op.  cit., pu  100,  seg.;  103, 
selg;;  107,  seg.).  Ma  i  gioréconsólti  vissero  quando  i  conquisti  eran  ces- 
sati; onde  la  opinione  <loro  non  servi  che  a  lodare  o  biasimare  i  fatti  comf 
piutì.  '        .  '    • 

n.  2 


1827-900.)  —  18  — 

si  sottomettessero  neir  uno  o  nell'  altro  modo  ;  ov- 
rero  che  gli  abitatori  si  £ioessero  musulmani  prima 
deli' occupazione.  Or,  a  mente  del  Corano,  il  principe 
disponeva  ad  arbitrio  suo  delle  persone  e  roba  degli 
Infedeli  arresi  a  discrezione;  ^  in  caso  di  accordo  i 
patti  eran  legge;  e  in  caso  di  conversione  le  terre, 
secondo  alcuni  giuristi,  rimaneano  in  lib^a  proprietà 
ai  possessori  attuali;  secondo  altri,  il  principe  sce- 
gliea  tra  questo  partito  e  il  sottometterle  à  tributo.  '  I 
principi,  ad  esempio  di  Omar,  provvidero  0  stipola* 
roBo  ìA;  tre  diversi  modi,  intorno  la  proprietà  terri* 
tonale  deg^i  Infedeli  vinti.  I  demanii  del  governo  scac- 
ciato e  i  poderi  caduti  nel  fisco  per  morte,  schiavitù 
o  fuga  dei  possessori,  divennero  proprietà  perpetua  e 
inalienabile  della  repubblica  musulmana  ;  e  teneansi 
in  economia,  0  si  davano  in  enfiteusi,  per  annua  ren* 
dita,  kharàg ,  come  dissero  vagamente  gli  Àrabi,  cioè 
quel  eh'  esce,  quel  che  si  cava  dal  podere.  '  Le  al- 
tre terre  lasciaronsi  ai  possessori  infedeli,  dove  in 
piena  proprietà,  e  però  con  dritto  di  alienare,  ipote- 
care e  disporre  per  testamento  ;  e  dove  in  dominio 
utile,  ammettendo  soltanto,  com'è' pare,  le  successio- 
ni ;  in  ambo  i  casi  a  condizione  di  pagare  un  tributo, 
che  fu  detto  similmente  kharàg.  Questo,  su  le  terre 

^  fiora,  UX9  Tersi  a,  7,  8. 

'  Mawerdi,  op.  cit,  lib.  XUI«  p.  %S4;  e  presso  Worms,  ep.  dt., 
^  p.  107  e  iiOL  La  prima  era  opinioBe  di  Seiafei;  la  seconda  di.  Altu-HaDtfr. 
JL*  liedaya,  quanlonque  compilaziooe  hanefitai,  si  appiglia  nel  presente  easo 
air  opinione  di  Sdafei ,  lib.  iX,  cap^.  VU,  tomo  11,  p.»  90S.  Koduri,  anUm 
del  decimo  secolo ,  sostiene  la  prima  oiùnioney  presso  Rosenmnller,  ino* 
leda  arabica  fi  i%. 

'  '  Mawerdi,  op.  cit.,  lib.  XVII,  p^  354,1i8tt;  e  presso  Worms,  op»cit.t 
p.  189,  e  9Mt  Si  vegga  ancbe  Kodnri,  presso  Sacy,  Mémoiret  de  VAeadéh 
mie  des  iMcripiionf,  tomo  V,  p.  IO. 


—  19  —  t>^.9«0.| 

di  piena  proprietà,  tornava  a  tassa  fondiarìa,  e  ces- 
sava per  conversione  del  possessore,  o  passaggio  del 
podere  in  man  di  Musulmani  ;  e  su  le  terre  di  do* 
minio  utile  era  una  maniera  di  censo,  e  durava  ia 
perpètuo.  '  La  legge  riconoscea,  dunque:  proprietà 
libera  di  Musulmani  per  possesso  anteriore  alla  con* 
versione,  per  dissodamento  o  fabbrica ,  e  per  parlag-* 
gio  al  conquisto;  proprietà  piena  di  Infedeli,  soggetta 
a  kharàg  eventuale  ;  proprietà  vincolata  di  Musulr 
mani  e  Infedeli,  soggetta  a  kharàg  perpetuo;  e  final* 
mente  enfiteusi  di  fondi  demaniali.  Altra  origine  di 
possessione  territoriale  non  v'  era.  Il  principe  polca 
scompartire  ai  combattenti  e  abilitare  chiunque  al 
dissodamento  ;  non  mai  concedere  terreni  gratuita- 
mente; non  essendo  suoi  propriì,  ma  della  repub- 
blica o  dello  esercito  viacitore.  * 

Questo  fu  il  dritto  generale  infino  al  decimo  se- 
colo dell'era  cristiana.  Nel  fatto,  erano  già  nati  pa- 
recchi abusi  in  questa  e  queir  altra  provincia:  e  dove 
si  vedeano  proprietà  demaniali  usurpate  da  privati,  ' 
dove,  al  contrario,  par  che  i  governi  si  sforzassero  a 
confondere  il  kharàg  eventuale  e  il  perpetuo;  e  ad 
aggravare,  come  se  fossero  demaniali,  i  poderi  trìbu- 

*  Mawerdt,  op.  eit.  »  Itb.  XU,  p.  S57;  lib.  Xllf,  p.  355;  t  li6.  XIV, 
p.  299;  i  quali  squarci  si  veggano  anehe  presso  Worms,  op.  eiu,  p.  iOO» 
109,  i08,  lil;  Koduri,  presso  Saej,  Uémmtt»  de  VAeadémié  d»  Imerip' 
tions,  tomo  V,  p.  11.  Si  riscontri  col  Hb.  il,'  cap.  XII  dèlia  presente 
storia. 

*  Mawerdi ,  op.  cit.,  fib.  XVII,  p.  S30»  «eg.  ;  e  presso  Worms,  op.  dt., 
p.  184,  seg.,  e  196,  seg.  ;  alla  cui  yersione  fan  feUe  molle  correiioni.  Hi 
errato  il  Hartorana,  NoHtie  stcfiche  dei  Sgrateni  SieiUani^  tomo  11^ 
nou  247,  p.  248,  sostenendo  che  tutte  le  proprietà  musulmane  venissero 
da  concessione  del  principe. 

*  HaM^erdi,  op.  cit.,  Hb.  XVH,  p.  ^6;  e  presso  Worms,  op.  dt., 
p.  189,  e  205. 


l»^-9oo.l  —  20  — 

tarli  della  prima  o  seconda  delle  classi  dette  di  so- 
pita :  e  non  è  dubbio  che  gli  abusi  crebbero  col  tempo; 
isopra  tutto  dall' -undecimo  secolo  in  poi,  quando  la 
schiatta  turca  dominò  successivamente  la  più  parte 
degli  Stati  musulmani,  e  vi  istituì  veri  beneficìi  mi*- 
li  tari.  Dopo  dodici  secoli,  il  viluppo  cagionato  da 
coleste  vicende  nella  ragione  delle  proprietà,  è  stato 
assai  difficile  "a  penetrare;  e  si  è  corso  rischio  di 
scambiare  il  dritto  con  lo  abuso,  la  eccezionev  con  la 
regola,  la  ragion  d' un  paese  con  la  ragione  d' un  aU 
tro  :  tanto  più  che  la  voce  kharàg  ha  i  varii  stgnifi^ 
cati  che  accennammo,  e  inoltre  quello  di  censo  del- 
l' acqua  dei  canali  mantéiuti  dallo  Stato,  con  che  si 
inaffiassero  terre  decimali,  ossia  di  libera  proprietà 
musulmana.  *  E  indi  è  che  i  trattati  asciti  fin  qui  su 
tal  materia,  lasciano  tanto  a  desiderare.  '  Quanto  a 


*  Questo  Bllimo  fatto  si  ricava  MVHedaya,  lib.  IX,  cap.  VII,  tomo  II, 
p.  90!(. 

'  Prima  di  scrivere  queste  parole,  io  ho  studiato  le  dissertazioni  di 
M.  De  Sacy,  Mémoires  de  VÀcadémie  dés  Inseripliotts,  tomo  I,  V  e  VU; 
l'opera  citata  di  M.  Worms,  e  le  compilazioni  legali  musulmaDC,  come 
V  Hedaya,  D'Obsson,  Khaltl-ibn-Isbak.  Dell*  opera  di  H.  De  Hammer,  ne 
so  quanto  ne  dicono  M.  Sacy  e  M.  Worms. 

La  concbiusione  di  M.  Sacy,  che  le  terre  d' Egitto  appartenessero 
sempre  agli  auticbi  possessori  indigeni ,  e  fossero  state  usurpate  in  variò 
modo  dai  principi  e  loro  soldatésche,  è  giusta,  a  creder  mio,  ma  non  ab- 
bastanza provata ,  né  applicabile  a  tutti  i  paesi  musulmani. 

.  Quanto  a  M.  Worms,  è  da  commendare  11  metodo,  la  sagacitàr  la 
erudizione;  non  la  imparzialità  sua.  Ponendo  un'  arbitraria  distinzione  tra 
le  terre  da  seminato  e  i  giardini ,  o ,  com*  ei  dice ,  terre  di  grande  culture 
e  di  petite  culture  f  H.  Worms  pretende  che  le  prime  sian  sempre  appar- 
tenute allo  stato  in  tutti  i  paesi  musulmani,  fuorché  T,  Arabia.  Ed  io  credo 
eh*  ei  si  apporrebbe  al  vero,  se  parlasse  di  una  parte,  anche  della  più-par- 
te, dei  vasti  poderi,  ma  che  sbaglia  sostenendo  esser  tale  la  condizione 
di  tutte  le  terre  da  cereali;  e  doversi  tener  tali  per  presunzione  legale, 
selli' altre  prove.  Cosi  ei  viene  a  n^are  ì. dritti  certissimi:  !<>  di  dissoda- 
mento; 2o  di  partaggio  tra  i  soldati;  3o  di  proprietà  di  convertili  avanti 


—   21    —  1827-900.1 

noi,  ci  basta  saper  le  teorie  ammesse  da  Mawerdi,  un 
secolo  e 'poco  più,  dopò  il  conquisto  di  Sicilia:  e  avre- 
mo compiuto  il  nostro  debito  dimostrandone  coi  fatti 
la  osservanza,  se  non  nella  colonia  siciliana,  almeno 
in  tempi  vicini  e  paesi  analoghi. 

Nella  quale  investigaziobe  occorre  che  al  primo 
ordinamento  (fella  colonia  d'Affrica  (698)  furono  as- 
soggettati al  kharig  i  Berberi  non  musulmani  e  gli 
abitatori  cristiani  di  sangue  fenicio,  pèlasgico  o  ger^ 
manico,  *  e  ne  andarono  esenti  i  Berberi  musulmani  ; 
i  quali  sostennero  tal  franchigia  con  le  armi  (720 
a  740),  contro  governatori  troppo  iBscali.  '  Da  un'al- 
tra mano  sappiamo  che  il  governo  dei  calìfi,  dando 
sesto  alla  Spagna  nei  principii  del  conquisto  (720), 
divise  parte  delle  terre  ai  soldati  ;  parte  ne  serbò  in 
demanio  ;  e  parte  iascionné  agli  antichi  abitatori,  sotto 


il  cdoquislo^  e>io  di  beni  lasciati  agli  Infedeli  in  piena  proprietà,  e  indi 
passati  in  man  di  Musulmani.  Se  non  altro,  il  numero  dei  wakf,  ossia  la-* 
^iti  piiy'ch'è  grandissimo  in  tutti  i  paesi  musulmani,  avrebbe  dovuto 
avvertire  M.  Worms  della  esistenza  di  moltissime  terre  libere;  non  poten- 
dosi dai  Musulmani  fare  wàkf  senza  libera  proprietà;  né  supporre  da  Eu- 
ropei ebe  tutte  le  proprietà  private  fosser  divenute  lasciti  pìi.  Qui  parlo 
dei  wahf  a  moschee  o  altre  opere  ;  non  di  quello  in  favor  della  repubblica 
musolmaBa  che  costituisce  iV  demanio  pubblico.' 

<  Si  confirontino  :  Ibn-abd-Hàkem ,  citato  da  M.  De  Slane,  nell'  Ibn- 
Khaldotin,  Histoire  des  Berbères,  tomo  I,  p.  512,  nota  f  ;  Ibn-Khaldùn  stes- 
sa, Histoire  de  VÀfriqiie  et  de  la  Sicile,  traduzione  di  M.  Des  Vei^ers, 
p.  27;  e  il  Baidn,  tomo  I,  p.  23.  Ho  accennato  questo  fatto  nel  lib.  I, 
cap.  V,  p.  121  del  primo  volume. 

*  Si  confirontino:  Ibn-Khaldùn,  Histoire  de  VÀfrique  et  de  la  Siale, 
trad.  di  M.  Des  Vergers, p.  31 ,  34;  il  Baidn ,  tomo  11,  p.  38  ;  e  Nowalri ,  Sto» 
ria  d*  Affrica,  in  appendice  a  Ibn^Khaldóun,  Histoire  des  Berbères,  versione 
di  M.  De  Slane,  tomo  i,  p.  159.  Ho  ferma  opinione  che  M.  De  Slane  non 
s'apponga  al  vero,  rendendo  in  questo  luogo  la  voce  Khammasa  "fare 
schiavo  il  quinto  della  popolazione."  Si  deve  intendere  più  tosto  "levare 
11  quinto  della  rendita  territoriale"  ossia  porre  il  hhardg;  come  Io  mostra^ 
con  varii  esempii  il  professor  Dozy,  Glossaire  al  Bai&n,  tomo  I!,'  p.  16. 


1827-900.]  —  22  — 

tributo  :  ^  uè  è  verosimile,  anzi  non  è  possibile,  che 
siasi  fBitto  altrimenti  neir Affrica  propria,  ond'eran 
mossi  i  conquistatori  della  Spagna,  ed  ove  la  colonia 
arabica  tollerava  sì  poco  il  comando,  non  che  i  so* 
prusi,  dei  califi.  Ci  accu^  libera  proprietà  in  Affrica 
il  fatto  che  Ibrahim-ibn-Aghlab,  emiro,  comperava 
dai  Beni-Tàtùt  (801)  il  terreno  per  fabbricare  la  cit- 
tadella d'Abbàsta.  VDei  poderi  soggetti  al  kharàg  non 
è  mestieri  allegar  prove.  Dei  poderi  demaniali,  dhià, 
come  chiamavanli,  si  fa  menzione  più  volte  negli  an- 
nali d'Affrica.  * 

Ove  si  considerino  i  modi  e  il  lungo  spazio  di 
tempo  in  che  i  Musulmani  compieano  il  conquisto 
della  Sicilia ,  non  si  metterà  in  forse  che  nàscesservi 
tutte  le  maniere  di  proprietà  discorse  di  sopra.  Su- 
perfluo  sarebbe  a  dire  dei  beni  demaniali,   e  di  quei 

*  Isidoro  De  Beja,  cap.  XLVIII,  sa  rautorìtà  del  quale  hanno  registrato 
questo  fatto  M.  Reinaad,  Invanon  des  SarrMin$  en  Franca^  p.  i6;  e  il  |Mrof. 
Doty,  Gìos$aire  al  J^oidn»  tomo  U,  p.  16. 

>  Bat4i»>  tomo  I,  p.  84.  A.  questo  esempio  si  potrebbe  aggingner 
quello  delle  terre  cbe  pagavan  decima,  su  le  quali  il  secondo  principe  «gbla- 
bita,  Abd«Allab*-ibQ^lbrabim ,  comandò  (SU)  cbe  si  levasse  un  tanto  al- 
r  anno  secondo  la  misura  della  superficie,  e  non  più  la  decima  in  derrata. 
Ibrabim*ibn«Abmed,  che  avea  coaiuyiuata  o  ripigliato  tale  abuso»  U  cessò 
1*  anno  902.  Baidn ,  tomo  I ,  p.  87  e  i%S.  Nowalri.,  in  appendice  a  ii»* 
KhaUdun,  Hùtoire  ées  Berb^r^,  versione  di  M.  De  Slane,  tomo  I,  p.  402. 
Or  come  decima  in  derrata  significa  ordinariamente  ukàt,  così  le  terre 
che  ne  pagavano  si  dovrebbero  credere  libera  proprietà  de'  Masulmanl. 
Nondimeno  si  può  dare  che  i  cronisti  abbian  voluto  significare  hi  doppia 
decima,  ossia  kharàg,  dovuta  sopra  terre  tributarie,  e  che  la  ingiusta  in- 
novazione fosse  stata  soltanto  nel  modo  della  riscossione  In  danaro,  e  a  mi- 
sjxra  di  superficie.  Mi  induce  a  tal  supposto  renormezsa  che  sarebbe  stata 
a  mutare  la  %ehài  in  tassa  fondiaria;  e  mi  vi  conferma  la  opinione  di  alcuni 
giuristi,  riferita  da  Mawerdi,  op.  cit.,  lib.  XVII,  p^  335 ,  cioè  che  il  kharàg 
su  le  terre  da  seminato  non  potea  passare  U  dieci  per  cento  su  la  raccolta. 

>  Barn,  tomo  I,  p.  123,  i73,  i84,  273,  anni  289  (902>,  303  (913), 
305  (917),  405  (1014). 

*  Il  Martorana,  Nottue  9taricfu  dei  Swraceni  Siciliani,  tomo  II,  p.  XZO, 


—  25  —  [827-M0.| 

rimasi  ai  Cristiani*  *  Quanto  alle  possessioni  dei  Mu^ 
snlmani,  poiché  se  ne  oonoscon  tante  dopo  il  con* 
qnìsto  normanno,'  non  è  mestieri,  provare  che  esi- 
stessero innanzi;  ma  si  indagare  se  al  tempo  ddla 
dominasione  musulmana  ne  fossero  state  delle  deci- 
mali e  doUe  tributarie;  cioè  proprietà  libere  o  vinco- 
lale. Su  di  ciò  non  troviamo  attestati  positivi.  Ma  è 
verosimile,  che  non  mancassero  le  terre  decimali, 
acquistate  sia  per  dissodamento,  sia  per  partaggio. 
Le  prime  dd)bon  supporsi  rade  e  di  poca  estensione. 
II  partaggio  fu  al  certo  di  maggiore  importanza.  Quan- 
tunque in  Affirìca  fòsse  cominciata  a  seguirsi  nel  nono 
secolo  la:  scuola  di  Maldc,  la  quale  attribuisce  allo 
Stato  le  ferre  prese  per  forza  d'armi,*  pur  non  erano 
obbligatorie  cosi  fette  teorie,  né  la  scuola  era  ricono- 
sciuta da  tutti  i  giuristi;  e  inoltre  i  princìpi  aghiabiti, 
infino  ad  Ibrahim^^bn-Ahmed ,  poca  o  niuna  autorità 
esercitarono  su  le  milizie  di  Sicilia,  le  quali  certa- 
mente amavano  meglio  il  partaggio.  Indi  è  da  con- 
chiudere che  gli  emiri  pigliassero  in  demanio  quando 
poteano,  e,  quando  no,  scompartissero  i  quattro 
quinti  delle  terre.  Cosi  credo  si  praticò  alla  resa  di 

e  BÒU  254  a  p.  ^2,  aflierma  potersi  provai^  la  esisteina  di  così  fotti  po- 
deri col  nomi  di  città  e  castella  che  rispondooo  a  quelli  di  emiri  sieiUani. 
Ma  gli  esempii  eh*  ei  ne  dà  spn  tutti  fallaci;  e  non  lo  è  meno  il  sapposto 
che  I  poderi  demaniali  dovessero  prendere  il  nome  degli  emiri.  Né  anco 
posson  servire  di  argomento  i  beni  demaniali  dei  Normanni.  Ma  la  legge, 
r  Interesse  dei  governanti ,  e  Taso  generale  degli  Stati  musulmani ,  danno 
tal  presunzione  che  vai  meglio  di  ogni  prova. 

*  Veggasi  il  Libro  II,  cap.  XII,  p.  474  del  primo  vohune. 

'  Lasciando  da  parte  i  molti  diplomi  del  XII  secolo  che  lo  attestano, 
basti  allegare  le  Consnetudlni  df  Palermo,  cap.  XXXYI,  e  gli  Statuti  di  Ca- 
tania contenuti  in  un  diploma  del  1668  presso  De  Grossis,  Cafona  sacra, 
p.  88, 80,ciUtO  dal  Di  Gregorio,  ComideraMoni,  nota  9f ,  cap.  IV  del  Kb.  f. 

'  Veggasi  in  questo  capitolo  la  nota  3  a  p.  17. 


P27-900{,  —  2i  — 

Palermo;  il  cui  territorio,  e  forse  di  gran  parte  delia 
provincia ,  fa  tolto  ai  naturali ,  per  esser  tutti  o  fug- 
giti o  fatti  schiavi.  ^  E  veramente  a  partaggio  accen- 
nano le  discordie  che  immediatamente  seguirono, 
composte  a  mala  pena  dagli  Aghiabiti.  '  La  resa  à 
discrezione  o  presura  per  forza  d' armi,  si  rinnovò 
poscia  in  varii  luoghi ,  onde  dovea  portare  il  mec^ 
Simo  effetto. .  Le  possessioni  decimali  poteano  anco 
nascer  da  quelle  lasciate  per  avventura  in  piena  pro^ 
prietà  a  Cristiani  i  cui  figliuoli  avessero  professato 
poi  r  islamismo;  che  moltissimi  il  fecero  nel  nono  se* 
colo  in  Val  di  Mazara,  e  nel  Seguente  in  Valdi  Noto 
e  parte  del  Val  Demone.  Nondimeno,  com'è  incerta 
la  stipolazione  delia  piena  proprietà,  e  come  Tinte* 
resse  del  governo  e  degli  antichi  Musulmani  si  op- 
póneva a  lasciar  godere  là  franchigia  ai  novelli  con-^ 
vertiti,  così  non  sapremmo  supporre  frequente  ut^ 
tal  caso.  Un  cenno  che  ne  danno  le  cronache  nei 
principi!  dell*  undecime  secolo,  e  che  si  riferirà  a  suo 
luogo,  ne  fa  certi  che  i  Musulmani  dettivi  Siciliani, 
fossero  progenie  degli  antichi  abitatori,  ma  non  che  il 
khardg  posto  sopra  di  loro  lo  fosse- stato  allora  per  la ^ 
prima  volta  :  e  però  questo  fatto  non  può  dare  argo- 
mento dell'  indole  della  proprietà,  se  libera  o  vincolata.' 
In  ogni  modo  il  conquisto  musulmano  cagionò  prò-  > 

I  Ad  postremum,  capienles  panormitanam  provinciam,  cunctos  ejus 
hahilatùres  oapHvitati  dederunt.  Johannes  Diaconus,  Chronicon  EpiscopQ- 
rum  NeapolUancB  Eccita,  presso  Muratori  «  Rerum  Ilalicarum  Script 
ture»,  tomo  1,  parte  2«,  p.  313. 

>  Vegga»  il  Libro  II,  cap.  V,  della  presente  storia,  voi.  I,  pag.  294. 

'  Veggasi  il  Libro  IV,  cap.  Vili  sul  khardg  aggravato  nel  1019,  e  il. 
cap.  IX  su  le  possessioni  dei  Musolmani  d' origine  siciliana  e  d'origine  af- 
fricana. 


—  25  —  |827r900.| 

fondo  rivòlgiìnento  nella  costituzione  è  distribuzione 
della  proprietà  térritorìale  in  Sicilia.  I  poderi  dei  Mu- 
sulmani, originati  da  dissodamento  o  «partaggio, 
doveano  <  esser  molti  e  non  vasti  ;  e  a  suddividerli 
céndlìcea  la  legge  deUe  successioni,  la  quale  per- 
mette i  legati  infino  a  un  terzo  dell'asse  ereditario, 
aooardà  parti  uguali  ai  figli  e! metà  di  parti  alle 
figliuole,  e  chiama  àlF  eredità  gli  ascendenti,  anche, 
sendovi  discendenti,  e  in  mancanza  degli  uni  e  de- 
gli altri  ammette  i  collaterali/  Spicciolavansi  altresì 
le  terre  del  demanio,  affittate  o  censite  per  compar- 
timenti.' Conferman  la  suddivisione  della  proprietà 
i  moltissimi .  nomi  arabid  che  rimaneano  ai  poderi 
nel  duodecimo  secolo,,  sopratùtto  in  Yal/di  Mazara,* 
e.vé  ne  rimangono  tuttavia,  i  quali  nàcquero  al  certo 
dal  detto  rimescolamento;  poiché  le  denominazioni  to- 
pografiche son  tenacissime ,  le  antiche  si  smetton  di 
rado.' per  mutazione  -del  possessore,  le  nuove  nascon 
quasi  sempre  da  suddivisione  o  aggregamento  dei 
poderi.  Còsi  il  '  conquisto  musulmano  guarì  la  piaga 
dei  latifondi,  la  quale  avea  consumato  la  Sicilia  fino 
al  secol  nono,  e.  riapparve /con  la  dominazione  cri^ 
sliàna  nel  duodecimo. 

Più  vasto  frutto  della  vittoria,  più  divisibile,  e 
più  congeniale  alla  maggior  parte  dei  primi  coloni  di 
Sicilia  ;  era  lo  stipendio  militare.  Godealo,  in  tutti  gli 
Stati  musulmani,  il  giund,  ordine  militare  propria- 


<  Hedaya,  lib.  XXXIX,  e  LII,  tomo  IV,  p.  1,  seg.;  466,  seg.  ;  D*0h8< 
soo»  Tableau  general  de  l'Empire^  OUomcm,  tomo  V,  lib.  IV,  V,  p.  275,  seg. 

s  Si  chiamavano  in  generale  dhid\  come  notammo  di  sopra ,  e  in  Si- 
cilia e  Affrica  ancbe  ribà\ 


1827-900.]  —  26  — 

mente  detto;  del  quale  farem  parda,  lasciando  in- 
dietro le  altre  maniere  di  combattenti;  cioè  gli  schiavi 
e  liberti  che  alcana  volta  si  adoperavano  come  stan^- 
ziali,  e  le  plein,  le  quali  traeano  volontariamente  alla 
guerra  saera,  partecipavano  al  bottino,  e,  finita  la 
impresa ,  se  netomavano  a  vivere  di  limosino  o  dure 
iatiche.  Nel  giund  si  scrissero  un  tempo  tutti  i  Mu*^ 
sulmani;  poi,' a  misura  che  T impero  si  allargò,  i 
ruoli  si  ristrinsero,  com'ablnamo  accennatone! primo 
^bro.  Quivi  anco  abbiam  divisato  le  norme  dei  divani 
di  Omar;  le  quali  dorarono  e  si  modificarono  al  par  di 
tante  altre  primitive  istituzioni  dell' islamismo.  Nel  nono 
secolo,  gli  Arabi  prendean  luogo  tuttavia  nei  moli 
sopra  le  schiatte  straniere;  e  queste  tra  lóro  isecondo 
r  anteriorità  della  conversione  :  suddivisi  gli  Arabi ,  al 
par  che  gli  stranieri ,  p^  tribù  e  parentele  ;  le  quali 
prendean  grado  secooido  la  consanguineità  col  prin- 
cipe; gli  individui  secondo  la  età.  Ma  ormai  non  en- 
trava nel  giund  chiunque  il  chiedesse,  solo  i  figliudi  di 
militari,  quando  fossero  adulti,  validi,  buoni  alle  armi 
e  senz'altro  mestiere;  di  che  giudicava  il  prìn<^ipe, 
e  potea  ali^  ammettere  uomini  nuovi.  Variava  il  soldo 
a  giudizio  anco  del  prìncipe  o  dell'  emiro,  secondo  i 
bisogni,  che  è  adire  in  ragion  .del  numero  dei 
figliuoli  e  degli  schiavi,  la  quantità  dei  cavalli  man- 
tenuti e  i  prezzi  delle  vittuaglie  in  ciascun  i^ese  ; 
ma  in  ambo  i  casi  detti  era  limitato  T  arbitrio  dalla 
consuetudine  universale  e  dalla  potenza  delle  fami- 
glie componenti  il  grosso  delle  milizie.  Discendean 
esse  in  parte  dalF  antica  nobiltà  arabica  ;  orgogliose 
di  lor  tradizioni,  clientele,  pratica  e  prontezza  al 


—  27  — .  |a27«*90o.| 

combattere/  ladi  si  vede  che  il  gnmd  era  tuttavia, 
come  dissi  nel  primo  Libro,  nobiltà  armata,  ordine 
aristocratico,  temperato  alquanto  dalla  mcMiarchia. 

.  Agli  stipendii  su^  era  specialmente  destinato  il 
fei;  cioè  prestazioni  permanenti  degli  Infedeli,  fos» 
sero  tributi  collettivi  delle  popolazioni  assicurate,  o 
tributi  individuali  delle  popolazioni  soggette,  chiamati 
gexia,  kharàg  o  decima  delle  merci,  comprmidendosi 
sotto  la  denominazione  di  khatàg  il  ritratto  dei  beni 
demaniali.  ^  Nel  primo  secolo  delF  egira,  epoca  di 
c{mquisti  e  franohige,  gU  Àrabi  avean  fatto  si  rigo^ 
rosam^site  osservare  lo  investimento  del  fei,  che  il 
catifo  ncm  ne  metteva  ad  entrata'  altro  che  i  sopra- 
vanzi; nò  er^  lecito  agli  ofiii^ialt  del  tesoro  d'incas- 
sare materialmente  la  moneta^  se  i  notabili  militari 
e  civiir  6he  la  recavano  dalle  province,  non  giuras- 
sero essere  stati  pria  soddisfatti  coloro  che  avean  ra^ 
gione  su  quelle  entrate,    specialmente  le  milizie.* 

'  Mawerdi»  op.  ciL,  lib.  XVIII,  p.  3Sl,  seg.  e  5^,  là  dav«  ò  d^to 
che  senza  ricusa  di  comìMittere  o  alira  causa  legittinaa  bob  ai  poua  lamiere 
lo  stipeodiOfl  <  seado  il  gttmit  esercito  del  popolo  musuluHiiio,  »  Si  coiv- 
firoDli  col  Ub.  IH,  p.  50^  oi^ie  si  scorge  che  lo  emir  di  provincia  potea, 
seBù  permesso  del  califo,  accords^re  lo  sUpendioai  figtiooli  di  BMlitari  per* 
venuti  ad  età  da  portar  arme. 

'  Mawerdi ,  op.  cit.,  lib.  XII ,  p.  218,  seg.. 

>  Àk/ibdr'MeQmùa'--Hflim-el-ÀitMpa.  MS.  delia  fiiblioteca  Impe. 
riale  di  Parigi,  Ancien  Ponds,  706,  fog.  99  recto.  In  questa  ioiportanle 
cronica  del  X  secolo  si  lei^ge  :  e  Quando  recavansi  ai  caliA  le  entrate 
»  (gebéuUy  delle  città  e  province,  ciascuna  somma  en  aeeompagnaU  da 
»  dieci  personaggi  dei  notabili  del  paese  e  del  giund;  né  si  incassava 
»  nel  tesoro  (^ii-«^-mdl)  una  sola  moneta  d' oro  o  argento,  se  costoro 
»  non  giurassero  pròna  per  quel  Dio  eh' è  unico  al  mondo»  essersi  levato 
»  il  denaro  eecondo  il  dritto,  ed  essere  sopravanzo  degli  stipendii  dei 
»  soldati  e  famiglie  loro  nel  paese,  ciascun  dei  quali  fosse  stato  soddi« 
/s&ttO'  di  quanto  per  diritto  gli  apparteneva.  Or  avveane  che  si  rec6  al 
»  califo  il  kharàg  d'Affriea,  la  quale  di  quel  tempo  non  si  teneacome  prò* 
9  vincià  di  frontiera;  e  il  denaro  era  veramente  avanzo,  sendosi  pria  sod^ 


1827-000.]  —   2S  — 

Crésciute  poscia  nel  principato  le  forze  e  le  brame, 
e  abbassate  le  milizie  per  là  istituzione  degli  stan- 
ziali, tanto  pure  avanzò  delle  costumanze  antiche 
che  il  fondo  degli  stipendii  non  si  menomò.  ^  Si  pa- 
gavano oramai'  in  molte  province,  se  non  in  tutte, 
per  delegazione  sul  kharàg  di  un  dato  podere  ò  ter- 
ritorio, secondo  la  somma  registrata  nel  catasto,  che 
s' agguagliass^e  a  quella  dello  stipendio  registrato  nel 
ruolo  militare.  La  delegazione,  oltre  il  kharàg,  si  fecea 
sopra  altre  entrate  di  fei,  Ghiamavasi  iktà';  tàglio, 
come  suona  in  lingua  nostra.'  Portava  al  governo  ri-^ 
sparmio  delle  spese  e  fatiche  della  riscossione;  ma 
aggravava  i  contribuenti;  corrompea  le  stesse  miK^ 
zie,  mutate  in  torme  di  gabellieri  e  concussionarii 
privilegiati;  e  tornava  alla  fin  fine  a  rovina  dello 
Stato,  per  le  infiacchite  forze  nazionali,  le  entrate 
distratte,  i  popoli  spolpati,  e  gli  sciolti  legami  tra  le 


»  disfotti  gli  stipendii  del  giund^U  prestazioni  dovute  air  altra  gente.  Ar- 
»  riTate  con  cotesto  danaro  otto  persone  in  presenza  del  califo,  ch'era  di 
»  quel  tempo  Solimano  (715-7t7),  furono  richiesti  di  giurare  ;  e  in  fatto 
9^  fecero  sacramento  ec.  »  Questo  fotte  deirVHI  secolo  risponde  perfetta- 
mente alla  massima  di  Mawerdi,  op.  cit.,  lib.  HI,  p.  SO,  ohe  l'emirdi 
provincia  mandi  all'tmdm  gli  airàinzi  del  fei,  e  quando  ve  ne  abbia,  pagati 
tutti  gli  stipendii.  » 

'  Secondo  Mawerdi,  1.  e,  mancando  il  danaro  del  fei  in  ona  provin- 
cia^  dovea  supplire  il  tesoro  del  califo.  Negli  annali  dal  terzo  al  quinto  se- 
colo dell'egira  credo  non  si  trovi  un  solo  esempio  di  stipendii  menomati.' 

'  Mavrerdi,  òp.  cit.,  lib.  XVII,  p.  537  a  341,  enumera  i  varìi  casi  e 
i  tarii  pareri  dei  giuristi,  relativamente  alFtiSp^d'.'Non  si  tenea  lecito  trat- 
tandosi di  kharàg  eventuale,  cioè  dovuto  da  Infedeli  che  avessero  pieno 
diritto  di  proprietà,  e  però  andassero  sciolti  dal  tributo  come  dalla  ge%ia, 
facendosi  musulmani.  II  kharàg  perpetuo,  se  dovuto  in  danaro  e  non  va- 
riabile secondo  il  raccolto,  si  potea  concedere.  Pare  che  gli  iMà'  si  fossero 
anco  tentati  sopra  le  decime  legali,  ossia  %ekAt;  poiché  i  giuristi  si  sfor- 
zavano a  dimostrarne  la  nuIlitS.  Questo  luogo  di  Mawerdi  è  stato  tradotto 
da  M.  Worms,  Recherehtisur  la  propriélé  etc,  p.  2C6,  seg.;  la  cui  inter- 
pretazione non  sempre  mi  pare  esatta. 


—  29  —  (827-900] 

milizie^  la  pubblica  aatorìtà.  Tanto  più  che  alle  mi- 
Hzie  Viktd'  soleasi  concedere  a  vita,  e  talvolta  con 
sostitazione  dei  figliuòli  ;  quantunque  i  giuristi  dichia- 
rassero nullo  tal  modo/  Sospetto  che  le  concessioni 
per  ordinario  fossero  state  collettive  in  fóvore  di  un 
^mncì:  naturalissimo  e  pessimo  espediente.  Che  che 
ne  sia^  i  beneficii  militari,  nati  nella  precoce  deca- 
denza della  societlk  arabica,  aiutarono,  con  gli  altri 
vizii,  alla  rovina  di  sua  dominazione.  La  istituzione 
degli  emiri  di  provincia  primeggiò,  come  dicemmo, 
tfa  le  cause  che  smembravano  l'impero  in  reami:  gii 
iktd'  cooperarono  a  rìnnafóare  rabbassata. aristocra- 
zia e  spingerla  ;a]r  anarchia  feudale;  poiché  le  mi- 
lizie divennero  come  forza  privata  dei .  capi  '  loto  ; 
ónde  avvenne 'che  alcuno  occupasse  il  principato,*  o, 
peggio ,  che  molti  sei  contèndessero.  Còsi  fu  in  Spa- 
gna ;  così  in  Sicilia  nello  undecimo  secolo. 

Ordinata  per  tal  ìooiodó  che  la  entrata  principale 
si  applicìaisse  al  principale  bisógno  dello  Stato,  poco 
rima  Dea  per  le  altre  spese,  che  pur  cresceano  con  lo 
incivilimento  e  con  gli  sforzi  dei  principi  tendenti. al 
potere  assòluto.  Piìiche  in  niun' altra  parte  di  governo, 
apparisce  nèir  azienda  il  radicai  difetto  della  teocrazia 
musulmana.  Il  Corano  avea  provveduto  appena  al  bi- 
lancio, com' oggi  si  dice,  d'un  misero  governo  di 

'  Mawerdi,  1.  e,  delia  edizione  dlEnger,  e  p.  207,  seg.,  della  versione 
del  Worms,  enumera  gli  uficii  pei  qnali  si  tenea  permesso  lo  iktà*  e  le 
condizioni  necessarie  nei  yarii  casi.  La  regola  generale  che  se  ne  cava , 
messi  da  canto  i  dispareri  dei  giuristi  su  i  punti  secondari!,  è  :  lo  di  esclu- 
dere le  concessioni  oltre  una  vita  d*uomo;  2^  permettere  le  vitalizie  ai 
soli  militari;  3»  permettere  le  delegazioni  per  parecchi  anni  agli  impiegati 
permanenti,  come  muedsin  e  imam  delle  mo^hee;  e  >  limitarle  a  un  anno 
nel  non  permanenti,  come  càdu  hdkim,  segretarii  e  impiegati  d'aseienda. 


1807-960.1  —  30  — 

tribù.  Per  aoddis&re  alle  spese  d'  odo  impero»  con- 
venne dunque  cercare  entrate  lubr  dalla  legge;  come 
fa  appunto  il  kharàg  statuito  da  Omar;  e,  quando 
né  anco  bastò,  for^a  fu  di  trapassare  e  legge  e  ccmr 
suetudine.  I  giuristi  allora,  che  si  arrogavano  il  po- 
tere legislativo  mediante  le  interpretazioni,  si  mos- 
sero a  tirar  coi  denti  qualche  capitolo  del  Corano  e 
della  Sunna  per  adattarlo  ai  bisogni  attuali,  o  sosten- 
nero che  non  v'era  modo*  I  prìncipi  posero  balzdli 
a  dispetto  della  legge  e  degli  interpreti  ;  e  rasparon 
danaro  qua  e  là,  su  la  quinta  del  bottina,  su  la  zekàt^ 
sul  fei:  su  le  quali  entrate  eran  certi  ì  dritti  dello 
Stato,  milizie,  parenti  del  Pirata  e  indigenti,  ma  in-^ 
certe-  le  quote.  Tolsero  dal  kharàg  gli  stipendi!  degli 
oficiali  civili,  oltre  quei  delle  milizie;  serbaronsi 
quel  che  lor  piacea  dei  beni  demaniali  o  ne  concèdete 
tero  a  favoriti  ;  talvolta  consumarono  il  pan  dei  po- 
veri, cioè  la  zekdt  e  la  quinta,  in  opere  di  utilità  pub- 
blica e  di  vanità  puUdica  e  di  vanità  monarchica.  Da 
ciò  nacquero  frequenti  contrasti  tra  i  principi  e  i  giu- 
reconsulti; contrasti  senza  uscita  legale,  e  però  no- 
cevoUssimi:  né  mai  la  finanza  musulmana  fu  regolata 
da  unico  e  vasto  pensiero,  né  adattata  ai  tempi,  né 
rassodata  dal  dritto.  ^  In  Sicilia  i  balzelli  aii)itrarii  par 
che  cominciassero  nel  decimo  secolo,  forse  un  poco 
avanti,  sotto  il  regno  di  Ibrahim-ibn-Ahmed.  Finallora 
la  quinta,  e  il  fei,  abbondanti  per  cagion  della  guerr 
ra,  e  la  decima,  bastavano  ai  bisogni  della  colonia 


<  Su  le  varie  entnCe  k^ali  e  te  opmioni  dei  gturisU ,  cilerò  io  generale 
Mawerdi,  Àhkàm-SuUania^  Ub.  XI,  XII,  XiiI,  XIV,  XVII,  XVIII.  I  faUi  gene- 
rali cbe  allego  si  cavano  dalla  storia  dei  primi  cinque  secoli  deirislamisino* 


—  31   —  |S»T-9d0.1 

mititare,  non  obbligata  a  mandar  danaro  in  Af* 
frica.  * 

Dopo  gli  ordinamenti  è  da  ricercare  quali  gene- 
razioni d uomini  fossero  venute  a  stanziare  in  Sicilia, 
sotto  il  nome  di  Musulmani.  Scarseggiando  cosi  fatte 
notizie  appo  i  cronisti ,  sarà  uopo  aiutarci  coi  nomi 
topografici  relativi  a  schiatte  o  analoghi  a  quei  d^al* 
tri  paesi  musulmani.  Cotesta  via  d'induzione  non  ri- 
pugna alla  sana  crìtica;  poiché  i  popoli  musulmani, 
come  tutti  altri  ^  usarono  ripetere  nelle  colonie  i  nomi 
delia  madre  patria;  e  fu  tanto,  che  appo  loro  sì  com- 
izio un  dizionario  apposta  di  omonimie  geografiche.' 
Nondimeno  la  medesimità  del  nome  può  nascere  tal- 
volta da  analogia  di  condizioni  locali ,  verbigrazia 
Cam^l-Jhmmay  il  ^  Castel  dei  Bagni ,"  che  se  ne  tro- 
vava in  Sicilia,  in  Affiica  e  altrove;  o  può  venire  da 
epoche  più  remote,  da  somiglianza  casuale  dei  voca- 
boli, da  altra  origine  ignota  a  noi  :  per  esempio,  in  Si- 
cilia stessa  Segesta  e  Mazara ,  i  quali  nomi  rispondono 
al  Segestàn,  provincia  della  Persia,  e  a  Mazar,  vil- 
laggio del  Loristàn  anco  in  Persia/  Sendo  notissime 
neir antichità  quelle  due  città  siciliane,  la  identità  dei 
nomi  porterebbe  per  avventura  a  confermare  la  origine 
orientale  dei  Sicani,  e  non  sarebbe  cagion  di  errore 

'  SI  peroomno  nel  Libro  11  le  vicende  della  cokNiia  inQno  al  teoipo 
di  evi  si  tratta*  e  si  leàth  appena  un  dono  di  spoglie  e  prigioni  di  Castro* 
giOYaimi  fotlo  daUo  enir  di  Sicilia  al  principe  ag^labita,  e  da  questi  al 
califo. 

s  iMitcdato  il  MoBeitarik,  opera  di  lakùt,  geografo  del  XIII  secolo,  n 
testo  arabico  è  stato  pubblicato  a  Gottinga  dal  dotto  e  infaticabile  dottor 
Witotenreld. 

'  Veggasi  il  Moicitarik,  alla  toce  Étéiar.  È  noto  a  latti  dre  gli  anti- 
chi supposero  il  nome  di  Segesta,  mutato  per  eufemismo  da  Egesta;  ma 
r  autorità  degli  antidii  è  debolissima  in  fatto  di  etimologie. 


1827-900.1  —  32   — 

quanto  ai  tempi  masulmani.  Ma  )'  esempio  ci  ammor 
nisce  vieppiù  a  stare  guardinghi,  e  ricusare  gli  indizii 
di  questa  fatta  che  non  trovino  riscontro,  nelle  vicende 
isteriche. 

La  diversità  di  schiatte  della  colonia  sicilianai  è 
attestata  da  Teodosio  monaco  con  parole  enfatiche,  e 
pur  veraci,  là  dov'ei  sciama  adunarsi  in  Palermo  la 
genia  saracenica  dei  quattro  punti  cardinali  del  mon^ 
do  :  ^  che  dov^a  trasecolare  il  prigion  di  Siracusa,  pas- 
sando dalla  monotonia  d' un  capoluogo  di  provincia 
bizantina,  al  tumulto  della  crescente  capitale:  coloni  e 
mercatanti  viaggiatori;  e,  misti  ai  Siciliani,  ai  Greci,  ai 
Longobardi,  a' Giudei,  Arabi;  Berberi,  Persiani,  Tartari, 
Negri;  chi  avvolto  in  lunghe  vesti  e  turbanti,  chi  in 
pellicge  e  chi  mezzo  ignudo;  facce  ovali,  squadrate, 
tonde,  d'ogni  carnagione  e  profilo;  barba  e  capelli 
variidi  colore  e  di  giacitura;  ragunati  insieme  i  sem^ 
bianti,  le  fogge^  le  lingue,  i  portamenti,  i  costumi 
di  tanti  popoli  abitatori  dell'impero  musulmano.  I 
nomi  di  tribìi  ricordati  nel  Libro  precedente,  n^ostràno 
tra  i  coloni  ambo  le  schiatte  di  Kahtàn  e  Adnàn  e  so- 
pratutto la  seconda.'  Scendendo  alle  divisioni  nate 
dopo  l'islamismo,  si  ritrae  che,  oltre  gli  Arabi  tfAf- 

'  Veggasi  il  Libro  U,  cap.  IX,  p.  4Ò7  del  primo  volume. 

s  Alla  prima  apparteneano  tba-Gaotb  (Libro  U,  cap.  Ili,  p.  28S  del 
primo  volume),  un  della  tribù  di  Hamadàn  (Libro  II,  cap.  VI,  p.  514  del  pri-i 
^0  volume),  i  Kelbiti,  che  furono  emiri  di  Sicilia  nel  X  secolo^  e  fin  nel 
XII  secolo  un  della  tribù  di  Kinda,  cbe  comperò  una  casa  in  Palermo  da 
un  Berbero  di  Lew&ta.  Della  seconda  nasceàno  gli  AgMabitl,  che  man- 
darono molti  loro  coDgianti  in  Sicilia:  e  si  trovano  inoltre  i  nomi  delle 
tribù  di  Kin&na,  Fez&ra  e  altre  dello  stesso  ceppo.  Tra  i  poeti  arabi  dì 
Sicilia,  ctae  Gorìrono  la  più  parte  neirxi  e  XJI  secolo ,  voggiamo  tre 
rami- soli  di  Kahtàn  e  moltissimi  di  Adoftn,  non  ostante  la  signorìa  dei 
kelbiti. 


—  33  —  1827-900  } 

frica,  ve  n'ebbe  di  Spagna;  *  fors'anco  di  Siria,  Egitto 
e  Mesopotamia.*  V'ebbe  al  certo  la  progenie  dei  Kho- 
rassaniti  e  altri  Persiani  passati  in  AflFrica  nello  ot- 
tavo secolo;  e  non  fu  di  poco  momento,  vedendosi 
primeggiare  tra  i  Musulmani  di  Palermo,  nelle  guerre 
d' independenza  del  decimo  secolo,  un  Rakamuwéih, 
nome  persiano,  e  la  potentissima  famiglia  dei  Beni- 
Taberi,  oriunda  della  beristàn;  oltreché  nel  territorio 
di  Palermo  trovansi  i  nomi  topografici  di  Ain-Scindi ,' 

<  Per  gli  Spagnuoli  veggasi  il  Libro  11, cap.  Ili,  p.  264,  e  cap.  IV, 
p,  286  e  288  del  primo  volume.  SI  potrebbe  anco  aUribuire  alti  Spagnuoli 
il  BDme  di  GaìUbelloUa  *la  Rocca  delle  Qaerce,*^  identico  a  quello  di 
Kalat^el-bellùt,  presso  Cordova.  Ma  ognun  vede  cbe  il  nome  potea  nascere 
dalla  condizione  del  luogo. 

'  Càsr^a'd  chiama  vasi  secondo  lbn-6iobair  (Voyage  en  Sieile  de  Mù- 
hammed^ibn'Djobair ,  Journal  Asiatique,  sèrie  IV,  tomo  VI,  1845,  p.  510, 
e  tomo  VII,  1846,  p.  75,  e  nota  34)  nn  castello  nelle  vicinanze  di  Palermo, 
fondato  fin  dai  primi  tempi  della  dominazione  musulmana.  Era  nome  di 
tribù  arabica  di  Adnftn,  stanziata  in  Siria  e  in  Egitto ,  jcome  si  ritrae  da 
Màitrlzi,  Et^Baiàn^wa-'l-rràb,  edizione  del  Wiistenfeld,  p.  fi  a  14;  dalla 
quale  tribù  vennero  i  nomi  di  quattro  diversi  luoghi  in  Oriente,  che  oc- 
corrono ne\.Mo8Citarik  di  lakùt,  p.  447 ,  e  d*un  villaggio  presso  Mehdta, 
in  Affrica,  ricordato  nel  dizionario  biografico  di  Sefedi,  MS.  8i  Parigi, 
Snppl.  Arabe  706,  articolo  su  Kbazrùn;  e  da  Edrisi,  Géographie,  versione 
francese,  tomo  I,  p.  277. 

Belgio,  secondo  Edrisi,  era  castello  sul  fiume,  or  detto  Belici,  che 
scorre  tra  Gibellina  e  Santa  Margarita ,  e  mette  foce  presso  Selinunte.  Il 
nome  or  del  castello  e  or  del  fiume,  nei  diplomi  latini  dall' XI  al  XV  secolo 
si  vede  scritto<  BeHch,  Belichi,  Belice,  Belix,  Bilichi.  In  altra  regione,  tra 
Polizzi,  cioè,  e  Gollesano,  si  ricorda  nel  XIV  secolo  iln  Castel  Belici.  Veg- 
gansi  i  diplomi  presso  Pirro,  Sicilia  Saera,  p.  605, 736, 842, 845;  Di  Gre- 
gorio, Biblioteca  Aragonese ,  tomo  II ,  p.  469, 489, 492;  Del  Giudice,  Descri^ 
%ione  del  tempio  diMorreale,  appendice,  p.  8,seg.,  dipi,  del  1182.  Fanno 
menzione  degli  stessi  nomi:  Amico,  Lexicon  Topographicum,  in  Val  di  Mazara 
e  Val  Demone  ;  e  Villabianca ,  Sicilia  Nobile»  tomo  I ,  parte  II,  p.  25. 

Il  medesimo  nome,  sotto  la  forma  di  Belgi  e  Belgidn ,  si  trova  a  Bas- 
sora  e  presso  Marw  in  Khorassàn ,  secondo  il  Meràsid^el-Itlild*.  Inoltre  un 
picciol  fiume  che  si  scarica  neirEufrate  presso  Rakka,  chiamato  antica^ 
mente  Bileka,  porta  oggi  il  nome  di  Belioh,  o  Bel^ich,  secondo  la  pro^ 
nnnzia  inglese,  come  si  nota  nel  Journal  ofth»^  Rogai  Geographical  Society, 
anno  1835,  tomo  IH,  p.  235. 

'  Volgarmente \Dennismnt ,  fonte  presso  Palermo,  tra  i  palagi  della 

11.  3 


I 


(827-900.1  -—  34  — 

Balharà,*  eSégana;*  e,  un  po' più  discosto,  quei 
di  Menzìl*-Siadi  e  Gebel-Sindi,'  i  quali  tutti  van  rife- 
riti alle  schiatte  dello  estremo  oriente.  I  nomi  dei 
luoghi,  al  par  che  gli  avvenimenti  storici,  mostrano 
che  gli  Arabi,  e  altri  popoli  di  Levante,  tenessero  le 


Cuba  e  della  Zfisa.  In  un  diploma  hiina  del  1215,  presso  ItfortUiaro, 
Catalogo  dei  diplomi  della  cattedrale  di  Palermo ,  p.  55,  questo  nome  è 
scritto  Ayrucmdi;  e  Àynisindi  nello  Ànonymi  Chronieon  Siculum,  opera 
del  XIV  secolo,  presso  Di  Gregorio,  Biblioteca  AragoneBe,  tomo  II,  p.  129. 
Ibn-Haakal,  nel  X  secolo,  dava  a  questa  fonte  il  nome  di  Um-a6i-5a'l(f. 
Journal  Àiiatique,  IV  sèrie,  tomo  V,  p.  90  e  09  (20  e  29  deir estratto). 

*  Del  Tillaggio  di  Balhard,  fa  menzione  Ibn-Haukai,  1.  e.  11  sitò  ri* 
sponde  senza  dubbio  a  quel  di  Monreale  ;  e  il  nome  par  sia  rimaso  a  un 
mercato  di  Palermo,  ch'era  frequentato  probabilmente  dagli  abitatori  di 
Balharà,  il  quale,  nel  medio  evo,  fu  chiamato,  come  attesta  Fazzellò,  Se* 
gehallaret,  e  oggi,  tralasciata  la  voce  iuk  o  tug,  "mercato,"  si  addimanda 
Ballarò,  Io  V  ho  avvertito  alla  nota  35  alla  mia  versione  di  Ibn-Haukal. 
Or  In  India  avvi  un  monte  dello  nei  medio  evo  Balhard,  e  scrRto  da» 
gli  Arabi  precisamente  con  la  stessa  ortografia  del  testo  di  Ibn-Haukai, 
Ne  fa  menzione  il  medesimo  autore,  e,  seguendo  lui ,  Ibn-Sa'td,  MokUuer-- 
Gighrafia,  MS.  di  Parigi,  fog.  53.  Balbarà  era  anche  titolo  di  un  prin- 
cipe  d'India,  al  dir  di  Masudi,  Morùg-eMséhth,  versione  Inglese  di 
Sprenger,  tomo  1,  p.  193,  e  Reinaud,  Mémoire  tur  VJndé,  p.  i29. 

*  Sdgana,  vasto  podere,  e  un  tempo  feudo,  tra  le  montagne  a  ponente 
di  Palermo.  Il  nome  resta  tuttavia.  Se  ne  fa  menzione  in  un  diploma  di 
Guglielmo  II,  del  1176,  del  quale  v'ha  una  copia  in  arabico  nell'archivio 
del  Monastero  di  Morreale,  con  una  versione  latina  contemporanea,  pub- 
blicata da  Del  Giudice,  DescriMone  del  tempio  di  Uprreale,  appendice,  p.  i8. 

Saqhéniàtì  chiamavasi  una  città  della  Tarlarla  independente ,  al  sud- 
est di  Samarkand;  e  seri  vessi  con  le  medesime  lettere  radicali  che  nel 
diploma  di  Morreale,  se  non  che  in  questo  l'accento  e  la  finale  son  diver- 
si :  in  luogo  di  Sagh&niànt  Sàghanù.  È  superfluo  rieordare  che  nel  IX  se* 
"colo  l'impero  arabico  si  estendeva  alla  Tarlarla  fino  a  Fergana;  e  che  Bok- 
bara,  Samarkand  e  altre  città  di  quella  provincia,  fìirono  patria  di  dottissimi 
scrittori  a^rabi. 

*  Men%iU'Sindi,  ricordato  da  Edrisi,  e  situato  presso  Corleone;  e 
Gebel-Sindi,  vasto  podere  presso  Girgentl ,  di  oui  sì  £ai  menzione  in  un  di- 
ploma del  1408,  presso  Di  Gve$ono ^  Biblioteca  Aragonese,  tomo  li,  p.  49. 
Significano  l'uno  *la  posta  o  Tillaggio ,"  e  T altro  *  il  monte"  del  Slndf, 
0  Vogliam  dire  uom  del  Sind.  Il  nome  di  Sindis,  a  levante  di  Corleone, 
occorre  di  più  in  un  diploma  presso  Pirro,  Sicilia  Saera,  p.  764.  Bloham- 
med-ibn-Sindi  capitanò  l'armatetta  uscita  di  Palermo  c<mtro  i  Bizantini 
nelV^5.  Veggasi  il  Libro  11,  cap.  V,  p.*302  del  primo  volume. 


—  35  —  ^        1837-900.1 

parti  sèttentrìonali  del  Val  4i  Mazara,  nel  quale,  co* 
me  il  dicemmo,  erano  ristrette  le  colonie  musulmane 
nel  nono  secolo.  Palermo,  fatta  capitale  dell'isola, 
era  lor  sede  principale;  e  par  che  lungo  la  costiera 
quelle  popolazioni  si  estendessero ,  vei-so  ponente , 
infine  a  Trapani. 

La  schiatta  berbera,  com'è  noto,  accompagnò 
^li  Arabi  nel  conquisto  di  Sicilia;  sendone  venute 
alcune  tribù  nelF  esercito  di  Ased*ibn-Foràt ,  altre 
col  berbero  spagnuolo  Asbagh-'ibn-Wekil ,  altre  senza 
dubbio  nelle  varie  espedizioni  che  successero ,  ed  alla 
spicciolata.  Fu  parte  non  piccola  della  colonia  ;  poi- 
ché potè  sostenere  lunga  guerra  civile  contro  gli 
Arabi.  Occupò  le  regioni  meridionali  del  Val  di  Ma* 
zara.  E  veramente  tra  una  ^lozzina  di  nomi  berbe- 
ri, su  la  orìgine  dei  quali  non  cade  alcun  dubbio, 
la  pili  parte  si  trova  in  quella  regione,  nel  tratto 
che  corre  da  Mazara  a  Licata.    Girgenti,  guerreg- 

*  Dei  ttoni  che  pvesentano.tal  certezsa,  sei  sono  vicmlssimi  a  €ir- 
genti;  due  in  qiuesU  e  Palermo;  due  presso  Palermo;  uao  nei  dintorni 
di  Messina  ;  nno  in  quei  di  Siracusa,  ficco  i  nomi  : 

I.  Àndrahi,  casale  tra  Sciacca  e  Girgenti  «  da  nn  diploma  d^  1239, 
CoiMtìUiones  Regni  SieUim,  edizione  del  Carcani,  p.  268.  Aleroni  o  in- 
darmU  è  F aggettivo  etnioo  di  Andata,  tribù  Inerberà»  ricordata  da  Ibn- 
Kbaldùn ,  Siaria  dei  Iferberi,  testo  arabico,  tomo  I,  p.  108  e  179,  e  versione 
francese  di  M.  De  Slane,  tomo  T,  p.  170, 275. 

II.  Kerkùd,  nome  di  villa  in  Sicilia  secondo  il  Kerànd^-^ltHlà'  e 
il  Ho'gim  di  lalLùt,  MS.  del  BriUsfa  Httseam,  n»  16640  e  166K0,  neU'arU* 
colo  KarketU  (Girgenti):  forse  là  Karcbes  di  un  diploma  del  1177  a  favor 
del  vescovo  di  Girgenti,  ne^i  Opuseoli  di  autóri  MOtitam,  tomo  Vili,  p.554. 
Kerkuéa  è  tribù  berbera,  secondo  lbn«*IUialdftn,  op.  cit.,  testo,  tomo  I, 
p.  177;  versione,  iomo  I,  p.^274. 

HI.  Mesitino,  nome  di  collina  neU'  antica  baronia  di  Belici  presso  GasteV 
vetrano,  secondo  Villabianca,  Sicilia  Nobile,  tomo  li,  p.  345.  Jfesisa  è  tribù 
berbera,  secondo  ibn-Kbaldùn,  op.  ett.,  testo,  tomo  I,  p.  153;  versione, 
tomo  I,  p.  241.  La  mutazione  della  »  in  s  non  mette  in  forse  la  etimologia. 

IV.  Meehinesi,  antico  casale  sul  cui  sito  sorge  in  oggi  Acquaviva ,  se- 


(827-000  l  —  36  — 

giante  spesso  contro  Palermo  e  sèmpre  rivale ,  era 
senza  dubbio  la  città  più  importante ,  e  come  la  ca- 
pitale dei  Berberi.  . 


ccndo  Amico,  Lexicon  Topographicum.  Miknas^  o  Uiknasa  è  nome  notissimo 
di  tribù  berbera. 

V.  Minseidr,  castello,  secondo  Edrisi,  presso  il  sito  presente  di  Ra- 
calmuto;  e  Muxaro  (Sant'Angelo  di)  iù  oggi  comune  a  14  miglia  da  Gir- 
genti ,  scritti  entrambi  con  varianti  nei  diplomi  del  medio  evo.  Minsciàr 
era  nome  di  una  montagna  in  Afifrlca ,  appartenente  alla  tribù  berbera  dei 
WetdAgia,  secondo  Ibn-Khaldùn,  Bisteire  de  l'Àfrique  et  de  la  Sicilef 
versione  di  M.  Des  Vergers,  testo  arabo,  ^  S6,  e  versione,  p.  128.  . 

>  VI.  Modiuni  si'  addlmanda  in  oggi  il  fiume  detto  anticamente  Selinus, 
presso  Selinunte.' Ifadiuna  è  nome  di  tribù  berbera,  secondo  Ibn-Khaldùn, 
Stòria  dei  Berberi,  testo,  tomo  I,  p.  109,  e  versione,  tomo  I,  p.  172. 

VII.  Sanagi  o  Sinagia,  si  cbiamò  la  sorgente  del  fiume  Mazaro,  e  un 
podere  nel  territorio  di  Salemi,  secondo  un  diploma  del  1408,  presso  Di 
Gregorio,  Biblioteca  Aragonese,  tomo  II,  p.  489,  e  Vii  la  bianca,  5fct/ta  No- 
■bile,  tomo  II,  p.  396.  Sanhdgia,  o  Sinhagia,  come  ognun  sa,  è  delle  prin- 
cipali tribù  berbere. 

Vili.  Notissima  al  paro  quella  di  Zenata.  Hager  ei~Zenati  e  Rahl  e%- 
Zenati  che  suonan  "  La  rupe,*  e  "  il  villaggio  *  di  quel  di  Zènata,  sono  nomi 
di  luogo  presso  Corleone,  ricordati  nei  diplomi  :  del  1093,  presso  Pirro,  Si*- 
cilia  Sacra,  p.  695  e  842;  del  USO,  1153,  1301,  presso  Mongìtore,  SacroR 
Domus  Mansionit..,,  Panormit  Monumenta  historica,  cap.  XIII;  e  del  118S, 
presso  Del  Giudice,  Descrizione  del  tempio  diMorreale,  Appendice,  p.  11. 
Di  quest'  ultimo  diploma  avvi  una  copia  apbica  neir  archivio  del  monastero 
di  Morreale.  Negli  altri,  che  son  tutti  latini ,  si  legge  talvolta  Petra  de  Zi- 
neth ,  Raalginet ,  Ragahinet  ec. 

IX.  Magagi  in  latino  eMaghdghi  in  arabico,  secondo  il  diploma  del  1 182 
presso  Del  Giudice»  1.  e,  è  nominata  una  villa  nel  territorio  dell'antica 
Olato,  noo  lungi  dall'odierno  comune  di  San  Giuseppe  li.Mortilli.  Maghàga, 
tribù  berbera,  secondo  Ibn-Khaldùn,  Storia  dei  Berberi,  testo,  tòmo  I, 
p.  108;  versione,  tomo  I,  p.  171. 

X.  Cutemi,  Cutema,  Gudemi,  terra  presso  Vicari,  sul  confine  delle 
diocesi  di  Palermo  e  Girgenti,  ricordata  in  un  diploma  del  1244,  presso 
Pirro,  Sicilia  Sacra,  p.  147.  Il  ^ome  deriva  da  Kotàma  o  Kutdma,  tribù 
berbera,  di  cui  ci  occorrerà  far  parola.  Avvertasi  che  questa  e  Sanhagia 
fórse  non  vennero  in  Sicilia  prima  del  X  Tuna,  e  l'altra  dello  XI  secolo. 

XI.  Cùmta,  nome  di  due  villaggi  vicino  Messina,  e  di  una: tribù  ber* 
beta,  di  cui  Ibn-Khaldùn,  op.  dt.,  testo,  p.  109  ec.,  e  versione,  tomo  I, 
p.  172  ec. 

XII.  MelilU,  nome  di  città  ^  dodici  miglia  da  Siracusa.  Melilae  Melili, 
cfttadi  d' Affrica ,  l' una  su  la  costiera  del  Rif  di  Marocco ,  V  altra  nello 
Zab;  e  Melila,  tribù  berbera,  di  cui  Ibn-Khaldùn,  op.  cit.,  testo,  tomo  I, 


—  57   —  1827-900.1 

« 

La  moltiplicità  delle  schiatte  invelenì  al  certo 
molte  querele  private  ;  sì  mescolò  forse  alle  altre  ca- 
gioni d' ira  negli  scambi!  degli  emiri  ;  ma  non  potea 
produrre  tante  fazioni ,  quante  nazioni.  Inoltre  la  prò* 
genie  di  Kahtàn  sembra  pochissima  in  Sicilia  innanzi 
i  Kelbiti ,  che  vennero  nel  decimo  secolo.  I  Persiani 
par  che  dimenticassero  la  rivalità  loro  contro  gli  Ara- 
bi, già  mitigata  dal  tempo  in  Affrica.  Lo  stesso  av- 
venne agli  altri  sminuzzoli  di  schiatte  orientali,  troppo 
deboli  per  far  parte  dassè,  interessati  tutti  a  stringersi 
intorno  gli  Arabi  di  Adnàn  per  soverchiare  i  Berberi. 

Arabi  e  Berberi  dunque  :  ecco  la  profonda,  iur 
sanabile  divisione  della  colonia  siciliana.  Tra  gli  uni 
e  gli  altri  non  era  divario  di  condizione  legale.  Men^ 
tre  in  Affrica  molte  tribìt  berbere  pagavano  tuttavia 
il  khar^  e  rimanean  prive  d^li  stipendii  militari, 


p.  107  ec.,  e  yersione,  p.  170  ec.  Ma  il  oome  potrebbe  esser  pure  d' ori" 
gioe  latina.  « 

Do  la  presente  Usta  com' abbozzata  appena  ;  perocché  nò  si  trovan  rac- 
colti, nò  io  tutti  li  SD,  i  nomi  topografid  secondari!  della  Sicilia ,  di  monti-, 
poded,  scaturigini  d' acqua  ec.  Da  un'altra  mano  scarseggiano  le  potizie 
su  le  denominazioni  etniche  di  second*  ordine  e  su  le  topografiche  relative 
ai  Berberi  d'Affrica,  e  la  lingua  loro  appena  si  è  cominciata  a  studiare  da 
Europei  ;  ond'  è  possibile  che  siano  berberi  molti  nomi  topografici  attuali 
della  Sicilia  o  di  quei  ricordati  nelle  carte  dal  XH  al  XV  secolo,  la  cui  ori- 
gine non  pare  arabica,  né  greca,  he  latina,  né  francese.  Son  certo  che  si 
arriverà  a  scoprirne  col  tempo  molti  altri.  Avverto  infine  che  moltissimi 
dati  anco  dalla  schiatta  berbera  non  si  riconosceranno  giammai  ;  perchè 
gli  uomini  di  quella  prendeano  sovente  nomi  o  soprannomi  arabici.  Occor- 
rono inoltre  parecchi  nomi  berberi  tra  i  poeti  siciliani  dell'  XI  e  XII  se^ 
colo.  La  storia  ricorda,  neir  Xt  secolo^  Ibn-Meklàti ,  uno  dei  regoli  che  si 
divisero  risola,  uom  della  tribù  di  Meklata,  di  cui  Ibn-Kbaldùn,  op.  cit., 
testò,  tomo  I,  p.  108  ec;  versione,  tomo  I,  pag.  172  ec.  L'atto  di  vendita 
di  una  ^sa  in  Palermo,  dato  il  ii32,  porta  il  nome  del  venditore  Abd-er- 
Ralimai^-ibn-Omar-ibD....>-el-Lewàti,  cioè  di  Lewàta,  notissima  tribù  ber* 
bera;  testo  arabico  presso  Di  Gregorio,  Dt  siippuiandis  apud  Arabos  SicU' 
los  tempQnbus,  p.  44. 


1827-900. 1  —  58  — 

per  essere  state  sottomesse  con  la  forta^  in  Sicilia 
le  due  genti ,  Tenute  insieme  a  Vibmbatter  }a  guerra 
sacra,  vantavano  uguale  dritto  ai  premii  della  vitto- 
ria. Se  non  che,  in  fatto,  gli  emiri  dell'  esercitò  sici- 
liano nascean  di  sang^e  arabico,  al  par  che  i  principi 
aghlabiti;  di  sangue  arabico  o  persiano  i  dottori,  gli 
ottimati,  la  più  parte  dei  cavalieri  del  giiind  ;  né  pò- 
leano  smettere  in  Sicilia  1  orgoglio  e  cupidigia  da  nobi- 
li ;  né  dimenticare  la  maggioranza  della  schiatta  loro 
in  Affi*ica.  I  Berberi  poi  non  si  tenean  da  meno  di 
loro  :  conscii  del  proprio  numero,  valore,  dritti  d'isla- 
mismo e  dritti  di  natura.  Un  moderno  e  sagace  os- 
s^vatore,  il  generale  Daumas,  notando  il  divariò  ch'è 
tra  le  istituzioni  sociali  degli  Arabi  e  dei  Berberi,  e 
trattando  particolarmente  dei  Beì^beri  della  Kabilia 
Grande,  *come  chiaman  la  regione  tra  Dellys,  Aumdle, 
Setif  e  Bugia,  ben  ha  dipinto  quella  nazione  col  motto 
di  "  Svizzera  salva tica.  "  Cantoni  e  villaggi ,  al  dir 
suo ,  fanno  unità  politiche  ;  rannodansi  tra  loro  per 
leghe  più  o  meno  durevoli  :  repubblichette  democra*- 
tióhe,  ove  ognuno  ha  voce  in  consiglio  ;  ì  magistrati 
elettivi,  di  breve  durata  e  poca  autorità  ;  case  ndbili 
preposte  sovente  alle  leghe,  per  ambito  o  riputazione, 
non  per  dritto;  e,  più  che  ai  magistrati  o  ai  nobili, 
si  obbedisce  ai  marabuti,  frateria  che  molto  somiglia 
al  monachismo  del  medio  evo:  la  gema'  rende  ragione 
in  materia  criminale,  non  secondo  il  Corano  ma  con 
le  antiche  consuetudini  del  paese  :  Y  omicida  dichia- 
rato fuor  della  legge  ;  per  gli  altri.deliiti,  pene  pecu- 
niarie, e  non  mai  staflBilate  come  appo  gli  Arabi. 
Pensa  il  lodato  autore  ch'^bbian  ordini  analoghi  le 


—  39  —  (S27.900.I 

altre  popolazioni  berbere  dell' Algeria;  ^  ed  io  ag- 
gicignerei  che,  si  eccettuino  le  tribù  nomadi  e  alcuni 
periodi  in  cui  tribù  agricole,  o  leghe,  si  son  gover- 
nate a  monarchia,  e  del  resto  si  tengano  le  consue- 
tudini di  civile  uguaglianza  come  osservate  in  tutta 
la  schiatta  berbera  fin  da  tempi  remotissimi.  *  Dopo  il 
conquisto  musulmano  ne  danno  indizio  quella  gene* 
rale  inclinazione  dei  Berberi  alle  sétt^  kharegite  ;  e 
lo  spirito  d' independenza  della  tribù  di  Kotàma  a  fronte 
dei  caiifi  fatemi  ti;  ^  eA  magistrati  della  medesima 
tribù  e  di.Zenàta  neirundecimO  secolo,  analoghi  a 
quelli  di  cui  parla  il  generale  Daumas  ai  di  nostri  :  ^ 

*  Mveurs  ^i  Coutumes  de  V Algerie,  par,  le  géDéml  Daumas,  Paris  1SS5, 
p.  148,  (66,  seg.  ;  191,  seg. 

>  Iba*KbaldAa,  sì  vaggente  in  filosofia  storica  e  si  accorato  ooni^a- 
tor  degli  annali  dei  Berberi ,  fa  una  distinzione  tra  i  Berberi  nomadi  e  gii 
agricoltori,  dei  quali  i  primi  taglieggiaTano  i  secondi  e  si  teneano  più 
nobili  di  loro ,  Storia  dei  Berberi,  versione  francese  di  M.  De  Slane,  to- 
mo I ,  p.  167,  seg.  Par  che  i  nomadi  non  solamente  esercitassero  quella 
maggioranza,  com^  pia  forti,  soprti  gli  agricoltori,  ma  anco  inclinassero  al- 
l' aristocrazìa  nello  ordinamento  interiore  di  loro  tribù.  Quanto  alla  demo- 
crazia, ancorché  Ibn-Khaldùn  non  ne  parli,  trasparisce  dai  fatti  che  io 
andrò  accennando';  e  fora'  anco  quello  storico  si  accorse  della  dirersità 
del  reggimento  politico,  quando  notò  che  i  Berberi  lontani  dalle  grandi 
città  e  però  non  soggetti  alla  dominazione  romana,  vandala  o  bizantina, 
«  avean  le  forze,  ordini,  nuaciero  di  genti,  re,  capi,  reggitori  {nkiàl  plorale 
»  di  kdit)  e  comandanti  che  lor  piacessero;  »  poiché  la  diversità  di  cotesti 
governanti,  scrivendo  Io  autore  in  arabico  e  non  in  berbero,  mostra  dif- 
ferenza non  df  mero  titolo,  ma  ancora  di  autorità  e  natura  del  magistrato. 
Veggasi  il  testo  arabico,  voi.  I,  p.  132;  e  la  versione,  voi.  I,  p.  207,  che 
non  è  litterale. 

*  Il  califo  fatemita  MoVzzF-fi-dln-Allah,  verso  il  966,  apprestandosi  9à 
conquisto  di  Egitto,  volea  porre  governatori  suoi  e  riscuotere  le  decime 
legali  nel  paese  della  tribù  di  Kotàma.  Rifiutaroqll.  Chiamati  a  corte  alcuni 
sceikbi  della  tribù,  Mo'ezz,  non  li  potendo  intimidare,  lor  disse  che  l'avea 
fatto  per  prova,  e  che  si  rallegrava  di  avere  a' suoi  Mrvigi  uomini  di  al 
aUi  spiriti.  Veggasi  Makrid,  citato  da  M.  Qoatreaière,  Viedu  Khalife  fp» 
timite  MeeKk^^in-AlUih,  p.  30,  31. 

*  Qoeste  due  tribù  sondo  state  in  guerra  contro  i|  principe  leirita 
d*  Affida ,  Mo'ezz-iba-Badls,  gli  mandarono  il  1026  loro  soeikbi  a  tratun 


1827-900.1  —  40  — 

che  sé  talvolta  sarsQro  in  quel  popolo  principi  o 
dittatori,  si  ricordi  taji  usurpazioni  avvenir  più  agé- 
volmente negli  Stati  democràtici  c&e  sotto  r  aristo- 
crazia. Da  ciò  si  può  conchiudere  che  le  popolazioni 
berbere  passate  in  Sicilia,  e  non  soggette  a  principi 
loro,  poiché  ubbidivano  agli  àghlabiti ,  fossero  infor- 
mate dal  genio  d' uguaglianza  che  le  dovea  vieppiù 
alienare  dagli  Arabi,  é  rendere  intolleranti  dei  signor 
rili  soprusi  di  quelli.  Le  inclinazioni  economiche  di- 
videario  alsì  V  una  dall'  altra  gente  :  gli  Arabi  oziósi, 
i  Berberi  industri;  gli  uni  pastori  di  vassalli,  poiché 
lor  n'  eraù  caduti  in  mano  in  vece  di  cameli  è  pe- 
core; gli  altri  sempre  agricoltori.  Doveano  dunque  i 
primi  bramar  che  si  lasciassero  le  terre  ai  vinti  si- 
ciliani ;  i  secondi  che  le  si  dividessero.  E  bastava  sol 
questa,  se  fosse  mancata  ogni  altra  cagione,  a  susci- 
tar la  guerra  civile  ! 

Dal  detto  fin  qui  si  comprende  la  origine  dei 
due  movimenti  diversi,  che  cominciarono  ad  agitare 
la  colonia  di  Sicilia,  entro  mezzo  secolo  dalla  fonda- 
zione sua.  L'uno  era  sfoi-zo  della  colonia  a  gover- 
narsi dassé  ;  e  risolveasi  in  contrasti  tra  la  nobiltà 
palermitana  e  i  prìncipi  aghlabiti ,  per  la  elezione 
dell'  emiro.  Appartenendo  all'  emiro  quella  piena  au- 
torità che  abbiam  detto,  e  non  potendo  cadere  in 
ménte  del  principe,  né  dei  coloni,  né  dì  nìun  Musul- 
mano, di  riformare  ìa  legge  ;  ciascuna  delle  due  parti 


UDO  accordo  con  esso  lui:  Ibn-al-Atblr^  MS.  C,  tomo  V,  fog.  59  recto, 
anoo  4t7.  Le  inilizie  di  Kotàma ,  stanziate  al  Cairo  al  priocipiò  del  regfio 
di  Hà£ein-birAmr-ÀUah  (966),  non  Tollero  che  si  ingerisse  Jielle  faccende 
loro  altri  che  un  proprio  loro  sceikb^.  Veggasì  labia^ibn-Sald ,  Continua- 
%ione  deìgli  àimali  d*  Eutichio^  MS.  di  Parigi,  Ancien  Fonds,  131  A,  p.  62. 


—   41    —  1827-900.1 

cercava  a  por  mano  alla  esecuzione  :  fare  esercitare 
Foficio  di  emiro  da  uom  suo,  e  a  comodò  suo. 
Racchiudessi  in  celesta  contesa  quella  di  finanza  : 
Se  la  colonia  dovesse  pagar  tributo  o  no  ;  poi- 
ché il  principe  non  avea  ragione,  che  nei  sopra- 
vanzi, e  all'emiro  stava  di  trovarne  o  non  trovar- 
ne. Indi  il  principe  eleggea  Io  emiro,  e  i  coloni  lo 
scacciavano;  o  costoro  coglieano  un  pretesto  di  no- 
minarlo ,  e  il  principe  lo  rimovea  ;  né  pofea  durar 
la  quiete. 

L' altro  movimento  era  la  lotta  tra  gli  Arabi  e  i 
Berberi.  OKre  il  partaggio  delle  terre  al  quale  accen- 
nammo, oltre  le  véndette  private  che  degeneravano 
in  véndette  dì  tribù,  nacque  verso  la  fine  del  nono 
Secolo  una  causa  perenne  di  lite.  A  misura  che  com- 
pieasi  il  conquistò  dell'isola,  mancava  il  bottino  e 
cresceva  il  /et,  o  yogliam  dire  rendita  militare.  Per 
caso  intervenne  al  medesimo  tempo  che  le  armi  della 
dinastia  macedone  sforzassero  a  uscir  di  Calabria  i 
Musulmani,  Barberi  in  gran  parte,  come  cel  mostrano 
i  nomi  dei  capi.  I  Berberi  dunque  delle  tribù  più  tur- 
bolente, quei  che  non  amavano  a  vivere  di  agricol- 
tura, doveano  procacciar  lo  stipendio  sul  /et.  Ma  que- 
sto non  si  scompartiva,  come  il  bottino,  con  legge 
immutabile  e  precisa ,  tra  tutti  ì  combattenti  ;  anzi 
stav^  ad  arbitrio  tra  dell'  emiro  e  del  principe  ;  e  gli 
Arabi  potean  pretendere  che  ne  fossero  esclusi  gli 
stranieri,  toccando  a  loro  il  primo  luogo  nei  ruoli. 
Niun  cronista  fa  motto  di  tal  contesa  ;  ma  la  non  pe- 
lea non  accadere  ;  e  ce  ne  conferma  il  fatto  che  la 
Sicilia  fu  insanguinata  per  la  prima  volta  in  guerra 


1827-900.1  —  42  — 

civile  pochi  mesi  dopo  il  ritorno  delle  masnade  che 
Nioeforo  Foca  scacciò  dalle  Calabrie.  ^ 

Quei  due  movimenti  si  frastagtiavan  sovente,  e 
il  secondo  cadde  in  acconcio  al  pHncipe  aghlabita 
che  volle  davvero  soggiogare  la  colonia.  Ricapitolando 
i  fatti  che  narrammo  nel  Libro  secondo,  si  scorge  la 
lotta  d' independenza  principiata  proprio  alla  fonda- 
zione della  colonia  palermitana;  sopita  da  savii  emiri 
di  sangue  aghlabita  r  ridesta  verso  Y  ottocento  ses- 
santuno ,  come  n'  è  indizio  il  frequente  scambio 
degli  emiri.  Quel  valoroso  e  nobilissimo  Ehafdgia , 
ucciso  a  tradimento  da  un  Berbero,  sembra  cadesse 
vittima  deir  altra  discordia  ;  se  pur  Arabi  e  Berberi 
non  s'erano  uniti  per  brev'ora  contro  le  usurpa- 
zioni del  poter  centrale.  Così  fatta  resistenza  durava 
nei  principii  del  regno  d' Ibrahim-ibn-Ahmed,  come 
il  provano  gli  scambii  degli  emiri  verso  V  ottocento 
settàntuno.  Poi  entrambe  le  divisioni  divampano  àk 
medesimo  tempo.  Tra  T  autunno  dell'  ottocento  ottan-^ 
tasei  e  la  primavera  delF  ottantasette,  %li  Arabi  del 
giund  e  i  Berberi  vengono  al  sangue:  la  nimistà  loro, 
se  non  la  aperta  guerra  civile,  arde  tuttavia  per  dieci 
anni,  ^  che  viene  a  dettare  lo  scandaloso  patto  di 
torsi  a  vicenda  dall'  una  e  datr  altra  gente  gli  £ta- 
tichi  da  consegnarsi  ai  Cristiani  (894-895).  Nello 
stesso  decennio  la  tenzone  della  colonia  col  principe 

'  Veggasi  il  Libro  II,  cap.  X,  p.  424  ;  e  cap.  XI,  p.  440  del  primo  alarne. 
Secondo  Ibn-el-Atbir,  e  il  Baiàn,  la  cacciau  dei  Mosulmani  da  Amantea  e 
Santa  Severina  seguì  il  272  (17  giugno  885  a'  6  giugno  886) ,  la  qual  data  si 
riscontra  con  quella  degli  annali  bizantini.  La  prima  guerra  dvile  tra  Avabl 
e  Berberi  In  Sicilia  scoppiò  tra  T  autunno  dell*  886  e  la  primavera  dell' 887. 
secondo  la  testimonianza  della  Cronica  di  Cambridge,  combinata  con 
qneUa  del  Baidn. 


—  45  —  4W-9oa.| 

arriva  agli  estremi:  ribellione  armata  da  una  parte; 
dairaltra,  repressione  con  le  armi  e  fors'anco  vio- 
lazione della  legge  fondamentale  che  affidava  al- 
l'emiro il  governo  della  colonia.  Perocché  il  popolo 
di  Palermo,  mentre  guerreggia  la  prima  fiala  contro 
i  Berberi  (886-B87),  mette  ai  ferri  e  caccia  in  Affrica 
lo  emir  Sewàda  e  gli  dà  Io  scambio  ;  tre  anni  ap- 
presso (890)  combatton  Siciliani  contro  Affricani«  che 
è  a  dire  contro  le  forze  mandate  dal  {principe  ;  a  capo 
di  due  anni  un  emiro  rientra  per  forza  in  Paler- 
mo ;  e  corsi  pochi  mesi,  nel  dugento  ottanta  dell'egira 
(893-^94),  Femirato  di  Sicilia  è  conferito  al  gran  qiam- 
bellano  che  stava  accanto  a  JUv^ahim ,  cioè  la  cotonia 
è  oppressa  e  spogliata  di  sue  franchige ,  ovvero  ha 
scosiSM^.il  gi<^o;  e  di  cetto  par  ohe  labbia  seosso 
tr&  il  novantacinque  e  il  novantasei  quando  èf(^mata 
pace  coi  Cristiani/  Si  scorge  in  cotesti  travagli  il  dop- 
pio effetto  della  condizione  politica  dìei  popoli  e  delle 
passioni  d'un  uomo.  La  condizione  dei  Berberi  ri- 
spetto-agli Arabile  della  odonia  rispetto  alla  madre 
patria,  avea  dato  principio  alle  due  tenzoni.  Ibràhim- 
Ibn-Ahmed  le  spinse  al  segno  a  che  aitìvarono  ne- 
gli nltimi  anni  del  nono  secolo.  Per  domar  meglio  la 
colonia  di  Palermo,  aizzò  i  Berberi  di  Gitanti.  Volle 
domar  la  colonia,  perchè  a  questo  il  portava  sua 
natura  esorbitante  e  feroce;  e  per  trarne  danaro  e 
adoperarlo  all'altro  disegno,  d'abbattere  e  calpestare 
Taristocrazia  arabica  in  Affrica;  il  che  ei  fece  sì  bene, 
che  distrusse  la  base  della  dinastia  aghlabita,  onde 
questa  entro  pochi  anni  croitò, 

*  Veggasi  il  Libro  il,  cap.  X,  p.  429,  seg.,  del  primo  Tolume. 


»  / 


|87»-90l.|  —   44  — 


CAPITOLO  II. 

Ibrahim-^ibn-Àhmed  non  solamente  avviluppò  in 
questa  guisa  la  condizione  politica  della  colonia,  e 
poi  sciolse  il  nodo  con  orribile  catastrofe,  ma,  non 
sazio  di  quel  sangue  musulmano,  venne  ei  medesimo 
in  Sicilia  a  sterminare  gli  ultimi  avanzi  de' Cristiani  ; 
prosegui  la  vittoria  in  Calabria  ;  e  minacciava  tutta 
la  terraferma  d'Italia,  quand'ei  morì  com' Alarico  sotto 
le  ùiura  di  Cosenza.  Pertanto  debbo  dir  di  costui  più 
particolarmente  che  non  abbia  fatto  degli  altri  prin- 
cipi afifricani.  Il  voglio  anche  pei'ctìè  T indole  dlbrahim, 
sembra  fenomeno  unico  nella  storia  morale  deìFuomo, 
né  si  può  definir  con  parole ,  né  délinear  con  qualche 
tratto.  Unico  fenomeno  parve  a  quei  che  il  videro  da 
presso;  ì  quali,  facendosi  a  spiegarlo  e  non  trovan- 
dovi modo  con  la  psicologia  del  Corano,  ebbero  ri- 
corso alle  teorie  dei  materialisti  che  già  penetravano 
appo  gli  Arabi,  miste  alla  fìlosoiBa  greca;  supfioser 
quest'uomo  invasato  di  non  so  che  bile  negra  :  ma- 
linconia, come  la  chiama  tecnicamente  Ibn-RakJk/ 

ce  Niun  dee  misfare  fuorché  il  principe.  La  ra- 
gione di  questo  é  che,  ove  gli  ottimati  e  i  ricchi  si 
sentan  possenti  nei  beni  della  fortuna,  uom  non  vi- 
vrà sicuro  dalla  loro  insolenza  e  malvagità.  Se  il  re 

'  Citato  da  Ibn-KbaldÙD,  Histoire  de  VAfrique  et  de  la  Sicile,  tradu- 
zione dì  M.  Des  Vergers,  p.  139.  Nel  lesto  si  legge  in  caratteri  arabici 
Mdlankhùnia  (MsÀayxo^ta).  Forse  attinse  alla  stessa  sorgente  l'autore  del 
Baiàny  tomo  I,  p.  126,  il  quale,  in  luogo  di  trascrivere  la  denominazione 
della  malattia,  la  traduce:  "bile  negra." 


—  45  —  |gr».9or| 

cessi  di  calcarli,  ecco  che  si  fidano;  gli  resistono;  gli 
traman  contro!  In  vero  il  succo  vitale  del  principato 
è  la  plebe/  Il  signor  che  lasciassela  opprimere,  per- 
derebbe Futile  ch*ei  ne  ricava;  ed  altri  jsel  godrebbe, 
rimanendo  a  Ini  il  sol  danno.  »  ^  Così  parlava  Ibra- 
him-ibn-Ahmed,  vantandosi  di  abbattere  la  nobiltà 
arabica  deir Affrica  :  teorie  e  gergo  molto  owii,  che 
rìvetan  sempre  il  tiranno  di  buona  scuola.  Sagacis-^ 
Simo  fu  veramente  Ibrahim  nelle  cose  di  stato;  uom 
di  mente  vasta  e  savia,  quando  non  l'offuscava  la  sete 
del  sangue.  Ebbe  genio  alieno  dalle  scienze ,  dalle 
lettere  e  dalla  poesia ,  eh' erano  state  in  onore  appo 
ì  suoi  maggiori:  e  qualche  versacelo  ch'ei  fece,  come 
nato  e  cresciuto  in  una  corte  arabica,  somiglia  forte 
a  quelli  di  Carlo  d'Angiò,  per  la  insipidezza  e  T  ar- 
roganza.^ In  fatto  di  religione  si  mostrò  osservatore 

'  Litteralmente  *la  materia  onde  cresce  il  re,  sono  i  rai'a.*  Questa 
voce  arabica,  come  ognan  sa,  ^uol  dir  gregge;  ed  è  passata  in  termine 
tecnico  per  designare  il  popol  minuto  delle  città  «  campagne. 

>  Nowairi,  Storia  d' Affrica ,  MSS.  di  Parigi ,  Ancien  Fonds,  702,  e 
703  A,  fog.  25  recto  del  primo ,  e  54  del  seconda.  MI  allontano  alquanto 
dalie  versioni  non  precise  che  han  dato  di  questo  passo «M.  Des  Verger^, 
e  M.  De  Slane,  il  primo  in  nota  a  Ibn-Kbaldùo,  Histoire  de  VAfrique  et  de 
la  Sitile ,  p. .  139,  e  V  altro  in  appendice  a  Ibn-KhaldAn  stésso»  Bittoire  det 
JBerbères,  tomo  I,  p.  455. 

s  Ibn-Abbàr,  MS.  delia  Società  Asiatica  di  Parigi,  fog.  32  verso. 
,  L'autore  allega  in  esempio  il  distico  dMbrahim: 

e  Astri  Siam  noi,  figli  degli  astri ;,avol  nostro  la  luna  del  cielo,  Abu- 
»  NogiQm-Tamlm; 

»  Avola  nostra  il  Sole.  Or  chi  s' agguaglia  a  noi,  discesi  di  duesl  no- 
•  bili  scbiatte?  • 

A  cbt  non  conosce  1*  arabico  è  da  avvertire  che  in  quella  lingua  la 
«luna  è  di  genere  maschile,  il  sole  femminino,  e  Abi^Nogif^m  significa  "pa^ 
dre  delle  steire.** 

Gonde,  Dominacion  de  los  Arabes  en  Espana,  parte  II*,  cap.  LXXV, 
riferisce,  sènza  citare  sorgente,  un  aneddoto  anacreontico,  seguito  forse 
nella  prima  gioventù  dì  Ibrabim.  Certo  poeta,  per  domandargli  non  so  che 
grazia  j  scrivea  due  versi  in  un  polizzino,  e  il  nascondea,  come  noi  /ac- 


del  culto,  più  che  delle  pratiche  di  devozione;  si  ri- 
dea  ddla  morale  quando  non  gli  andava  avversi; 
ma  era  sopratutto  intollerantissimo  verso  gli  al^ 
tri.  Visse  senz'amore,  né  amicizia.  Seguì  voluttadi 
nella  prima  ^gioventù,  e  presto  gli  vennero  a  tedio  ; 
e  allora  incrudelì  nelle  donne  più  rabidamente  che 
negli  uomini;  e  le  abborrì  di  strano  e  sospetto  aMxn*'- 
rimento.  Violava  in  tutti  i  modi  le  leggi  delia  natura. 
•  A  venticinque  anni  saFi  al  trono  per  uno  sper- 
giuro. Mohammed ,  suo  fratello,  venendo  a  morte,  la- 
sciava il  regno  al  proprio  figliuolo  bambino;  commet^ 
tea  la  tutela  a  Ibrahim;  faceagli  far  sacraménto  di 
non  attentar  mai  ai  dritti  del  nipote,  né  metter  pie 
nel  Castel  Vecchio,  ove  quegli  dovea  soggiornare  con 
la  corte.  E  Ibrahim ,  nella  moschea  cattedrale  del  Eai- 
rewàn,  dinanzi  gli  adunati  capi  di  famiglie  di  sangue 
aghlabita  e  i  magistrati  e  notabili  della  capitale,  giu- 
rollo  solennemente;  ripetè  cinquanta  fiate  il  tener  del 
giuramento ,  com'  era  usanza  nelle  cause  criminali. 
Sepolto  il  fratello  (febbraio  S?5),  cominciò  a  regger 
lo  Stato,  ben  diverso  da  lui,  con  somma  forza  e  giu- 
stizia. Indi  i  cittadini  del  Kairewàn  a  pregarlo  di  pren- 
dere a  dirittura  il  regno:  il  che  ricusò,  pretestando 
suoi  cinquanta  giuramenti;  e  di  lì  a  poco,  noi  sap- 
piam  come,  si  fa,  i  buoni  borghesi, tornarono  a  sup- 
plicare più  fervorosi,  e  Ibrahim  non  seppe  dir  no. 
Uscito  di  Kairewàn  alla  testa  del  popolo  in  arme ,  oc- 
cupava il  Castel  Vecchio  ;  si  facea  gridar  principe  ;  e 

ciamo  nei  confeUi,  eoiro  una  rosa,  presenUta  a  Ibrabim  mentre  sedeva  in 
un  giardino  tra  le  sue  donne.  Una  lesse  e  cantò  i  versi;  e  Ibrabim  donò 
'al  poeta  cento  monete  d' oro.  . 


—   47   —  |875.W1.| 

prestare  omàggio  di  fedeltà  dai  notabili  d'Affrica  e  da 
non  pochi  di'  casa  d' Aghiab.  Con  tutta  la'  bruttura 
dèlio  spergiuro  e  della  commedia  che  servì  a  rico- 
prirlo, Ibrahim  non  va  chiamato  usarpalore.  U  dritto 
di  primogenitura  non  era  allignato  mai  appo  gli  Ara* 
bi  ;  la  designazione  del  principe  antecessore,  era  abu- 
so ;  ta  investitura  del  califo ,  ormai  vana  cerimonia  ; 
e  il  popolo^  che  potea  deporre  ed  eleggere,  partecipò 
alla  tumultuaria  esaltazione  non  sforzato,  forse  mezzo 
raggirato  e  mezzo  no.  Gli  umori  delle  città  contro 
Taristocrazia  militare ,  ci  persuadono  che  la  cittadi- 
nanza abbia  francamente  parteggiato  per  Ibrahim. 

Severi,  ma  di  rigor  salntare,  i  primordii  del  re- 
gno. Trattando  sempre  dassè  le  feccende  pubbliche , 
Ibrahim  cessò  i  soprusi  degli  oficiali  e  governatori  di 
province  :  rendea  ragione  ogni  lunedì  e  venerdì  nella 
moschea  t^attedrale  del  Eairewàn ,  ascoltando  con  pa- 
zienza i  richiami,  e  provvedendo  immantinenti ;  die 
di  sua  persona  esempii  di  astinenza  e  pietà  ;  ristorò 
la  polizia  ecclesiastica;  sgombrò  le  strade  dei  ladroni 
che  le  infestavano;  assicurò  il  commercio,  spense  i 
violenti  e  gli  scapestrati.  Si  narra  di  lui  che  obbli- 
gasse Ja  madre  al  pagamento  dì  un  debito,  minac- 
ciando di  lasciarla  ti^durre  dinanzi  il  cadi  :  ^  la  ma- 
dre, sola  creatura  umana  rispettata  da  quel  mostro. 
Attese  molto  alle  opere  pubbliche.  A  comodo  del  cit- 
tadini, costruì  un  gran  serbatoio  d'acqua  al  Kairewàn. 

f 

*  Goafirontinsi:  Ibinel-Athlr,  MS.  A,  tomo  II,  fog.  02  recto;  e  MS.  C, 
UNno  IV,  fog.  346  verso ,  anno  261  ;  Baidn,  tomo  1 ,  p.  110,  seg.  ;  llm* 
Vlialdto,  BUtoire  de  l'Àfrique  tt  de  la  Sieile,  traduz.  d!  H.  Des  Vergers, 
p,  196,  seg.;  Nowairi,  in  appendice  a  Ibn-Khaldùo,  Bisioire  dei  Berbere», 
tndns.  di  M.  De  Slane,  tomo  I,  p.  424,  seg. 


|«75.90<.]  ^   48  — 

Per  magnificenza  e  pietà  innalzò  una  moschea  catte^ 
(Irale  a  Tunis;  e  aggrandì  quella  del  Kairewàn;  ag- 
giuntavi inoltre  una  cupola  che  poggiava  su  trenta^ 
due  colonne  di  marmo.  Circondò  Susa  di  mura.  Com- 
piè su  la  ioostiera  del  reame  una  linea  di  torri  e  posti 
di  guardia,  ordinata  a  far  segnali  coi  fuochi,  sì  che 
in  una  notte  potea  tramandarsi  avviso  da  Ceuta  ad 
Alessandria  di  Egitto.  '  Cotesta  pratica  antichissima 
era  scesa  con  le  tradizioni  dell'impero  infino  ai  Bi*^ 
zantini;  i  quali  nella  prima  n>età  del  nono  secolo 
l'adoperavano  a  significare  i  tristi  casi  di  lor  guerre, 
da  Tarso  a  Costantinopoli.'  E  v'  ha  ragioni  da  credere 
eh' e' se  ùe  fossero  avvalsi  anco  in  Sicilia,  e  che  quivi 
avesserla  appreso  gli  Arabi  d'AfiVica.' 

i  Vcggansi  le  autorità  citale  nella  nota  precedente  ;  e  tì  si  aggiunga- 
no: Bekri,  D^crizione  dell'Affrica  nelle  Notices  et  extraiti  des  MSS.,  to- 
mo XII,  p.  470;  Tigiani,  Rehela  net  Journal  Asialiquef  sèrie  IV,  tomo  XX 
(agosto  1852),  p.  99;  e  tomo  XXI  (febbraio  1853),  p,  133;  !bn-Wuedràn, 
MS.  arabo,  §  6;  e  versione  di  M.  Cberbonnean,  nèha  Rèvue.de  VXkient, 
decembre  1853,  p.  428.  H  primo  parla  solUnto  della  Moschea  di  Kairewàn; 
r ultimo  di  quella  di  Tunis,  e  del  serbatoio  d'acqua. 

'  Theophanes  cmtinmtus  ,\\h.  IV,  cap.  XXXV,  p.  197;  Gonstantinns 
Porphyrogenitus,  De  Cerimonm  aulce  ByMntina,  appendice  al  Io  libro, 
p.  492;  Symeon  Magister,  De  Michele  et  Theodor  a,  cap.  XLVl,  p.  681. 
I  pesti  in  tutto  erano  nove,  compreso  quello  di  Costantinopoli.  Il  naméro 
diverso  dei  fuochi  indicava  diversi  casi,  come  :  assalto  dei  Musulmani,  bat- 
taglia, incendio,  etc.  Leone,  arcivéscova  di  Tessalonica  e  professore  alla 
Magnaura,  al  dire  di  Symeon  Magister,  avea  perfezionatp  questo  sistema 
telegrafico,  ponendo  a  tarso  ed  a  Costantinopoli  due  orologi  che  si  suppo- 
neano  isocroni  (s|  t^ou  xoc/Avovra).  L' imperator  Michele  V  ubbriaco  fece 
j$opprimere  1  segnali  a  vista  della  capitale,  perchè  i  sinistri  avvisi  non  K> 
venissero  a  sturbare  tra  i  giochi  deir  ippodromo. 

'  Questa  conghiettura  è  fondata  su  gli  indizii  seguenti.  Primo,  che  i 
fuochi  di  segnali  usati  in  Sicilia  fino  agli  ultimi  anni  del  secolo  passato 
per  dare  avviso  dei  corsali  barbareschi  che  si  avvistassero,  si  chiamavan 
fàni,  appunto  la  stessa  voce  ^ avos ,  che  troviamo  nei  citati  scrittori  bisan^- 
tini.  Da  ciò  par  che  V  usanza  risalga  ai  tempi  in  cui  il  linguaggio  ofidale 
in  Sicilia  era  il  greco.  Secondo,  che  la  montagna  ove  sorgea  V  antica  So- 
lunto,  alla  estremità  orientale  del  golfo  di  Palermo,  si  addimanda  tuttavia 


bnanzi  ogùi  altra  opera  pubblica,  Ibrahiéoi  ^ea 
costruito  una  cittadella ,  centro  di  gravità  della  tirao* 
nide  eh'  di  macchinava  :  fortézza  ove  porre  sua  corte 
^  ordinar  novelli  pretoriani  per  disfarsi  degli  antichi , 
i  liberti  di  casa  aghlabita,  ridotti  nel  Castel  YeccUio, 
stati  fin  allora  padroni  del  popolo  e  del  principe.  Fece 
por  mano  a'  lavori  il  dugento  sessantatrè  (  23  settem- 
bre 876  a  44  settembre  877],  in  luogo  discosto  quat^ 
tro  miglia  dal  Kairewàn  e  chiamato  Bakkàda,  ^  Soa^ 
ndenta  "  come  suona  appo  noi.  *  Entro  un  anno , 
fomite  le  mura,  innalzata  una^J^é  che  addimanda- 
rono  di  Abu- 1-Feth,'  Ibrabim  itidiiàg^brolla  con  sangui- 
noso tradimento.  Era  avvenuto  che  i  liberti  del  Castel 
Vecchio  tumultuassero  contro  di  lui  per  aver  fatto 
morire  un  di  lor  gente  :  e  allora ,  ito  loro  addosso  per 
comando  dlbrahim  il  popolo  della  capitale,  i  liberti, 
vedendosi  sopraffatti,  avean  domandato  e  ottenuto 
perdono.  Ma  il  dì  che  dovean  toccar  lo  stipendio, 
Ibrabim  li  chiama  alla  torre  di  Abu-1-Feth  ;  li  fa  en- 
trare a  uno  a  uno;  disarmare;  incatenare:  e  die  mano 

Gatalfano,  voce  seorciata  da  Calalalfano  e  compósla  dati*  arabico  kala't  (roc- 
ca) e  da  f  oéi^os  ;  il  che  prova  cbe  vi  fosse  stata  una  torre  da  segnali  al 
tempo  della  dominazione  musulmana,  o  anche  prima.  Terzo,  che  i  segnali 
con  fuochi  furono  tentati  neir  847  durante  lo  assedio  di  Lentini,  come  già 
narrammo  nel  Libro  II,  cap.  VI,  p.  317  del  primo  volume. 

<  Confrontinsi  :  il  Baiàn,  tomo  I,  p.  215;  Nowairi,  in  appendice  alla 
Sistoire  des  BetUres  par  Ibn-Khaldoun,  versione  di  M.  De  Slane,  tomo  I, 
p.  4i4;  Bekri,  Descrizione  d' Affrica  nelle  Notiee9  et  ExtrniU  de»  MSS.  j 
tomo  XII,  p.  476,  477;  Ibn-Wuedràn,  MS.  arabo,  §  Q^.  I  due  ultimi  scrit- 
tori riferiscono  la  fondazione  di  Rakkftda  agli  anni  273  e  274.  Il  nome 
nacque,  seeoiiéo  s^ni,  dall'amenità  del  aito  che  inebbriasse  di  voluUà  e 
sforzasse  al  ionno;  secondo  altri,  da  un  gran  mucchio  di, cadaveri  che  vi 
al  tmfàrona  •  dormir  I*  uHIax)  sonno. 

*  Si  prpniMuziino  le  ultime  due  lettere  ciascuna  col  proprio  suono,  non 
unite  con  quello  della  ih  inglese.  Il  nome  vuol  dir  "Padre  della  vit- 
toria. " 

II.  4 


|«75-90l  1  —  80  — 

ai  sopplizii;  ch'altri  morì  sotto  il  bastone,  altri  coAdan- 
nato  a  perpetuo  carcere  in  Kairewàn  ;  altri  bandito, 
in  Sicilia/  In  luogo  dei  liberti,  comperò  Schiavi  in 
grandissimo  numero;  prima  negri,  poi  anco  di  schiatta 
slava:  li  vestì;  li  esercitò  nelle  areni;  ne  fece  un  grosso 
di  stanziali ,  valorosi ,  ingiuriti  alle  fatiche  ;  '  massa  di 
bruti  della  zona  torrida  e  del  settentrione  disuma-* 
nati  dal  servaggio  e  di  piìi  dalla  disciplina.  Così  pas- 
sarono i  primi  sei  anni  del  regno;  lodevoli  del  resto 
a  detta  di  tutti  i  cronisti ,  i  quali  tenean  forse  necesr 
saria  la  carnificina  di  Abu-1-Feth.  Poi  sfrenossi  a  dar 
di  piglio  nella  roba  e  nel  sangue;  peggiorando  di 
anno  in  anno,  come  nota  Fautore  del  Baiane 

Perchè,  non  bastando  le  entrate  ordinarie  dello 
stato  a  spesare  gli  stanziali,  le  fabbriche  e  la  guerra 
che  sopravvenne  (an.  880,  881)  contro  un  principe 
d'Egitto  della  dinastia  usurpatrice  dei  Beni-Tolùn, 
era  strascinato  Ibrahim  ai  maltolti.  L'anno  dugento 
settantacmque  (888-889)  battè  nuova  moneta  d'ar* 
gento,  che,  rifiutata  dai  mercatanti  dèi  Kairewàn, 
die  occasione  a  tumultuarie  rimostranze,  imprigiona- 
menti, sollevazi(»ie:  e  Ibrahim,  al  solito,  restò  di  so- 
pra. Donde  facea  coniare  altri  dirhem  e  dinar  deci- 
mali, com*ei  li  chiamò,  perchè  i  primi  d'argento  e  i 
secondi  d'oro  stavano  in  valore  come  uno  a  dieci;  e 
tolse  di  mezzo  le  buone  monete  dell'impero  abbassi- 

*  M.  De  Slane,  op.  eli.,  p.  429,  ba  tradòilo  queste  parole  del  Ifcywiidri 
f  un  certain  nombre  d'entr'eux  parviot  à  se  réfugìer  en  Sicile.  i  Ma  il 
teslo  dice  chiaramente  "  rilegare,  "  e  cosi  lo  ha  interpretato  M.  Des  Ver- 
gerà in  nota  a  Ibn-Kbaìdùn,  Histoire  de  VAfnque  et  dt.  la  Siàie,  p.  127. 

>  CIÒ  è  notato  da  Nowairi,  op.  cK. ,  p.  4^,  e  437.  Veggansi  per  cote* 
sU  fatti:  Nowairi,  1.  e;  e  U  Batdn, tomo  I,  p.  liO. 

5  Tomo  I,  p.  1«6. 


—  51   —  1875-90 1.|. 

da/  Oltre  questo  espediente  di  finanza,  ponea  nuove 
gabelle;*  aumentava  le  tasse  prediali  e  riscuoteale  in 
danaro,  non  più  in  derrate;^  richiedeva  i  cittadini 
che  apprestassero  a  servigio  dello  Stato  loro  schiavi 
e  giumenti;  in  cento  modi  li  espilava  per  accumular 
tesori.* 

A  DCiisura  degli  aggravii  prorompean  pure  le 
sollevazioni;  e  a  misura  di  quelle  incrudeliva  Ibrahim. 
Ne  noterò  solo  i  fatti  rilevanti.  Ribellavansi  ricusando 
le  tasse,  Tanno  dugentosessantotto  (881-882),  le 

*  Baiàn,  tomo  1,  p.  114<  Q!oìvì  si  fa  menzione  di  due  diverse  emis- 
sioni di  moneta.  L' una  fa  di  dirhem  iihàh ,  ossiano  *  schietti,  "  come  li 
chiaman  il  principe.  Cosi  ei  soppresse  le  riUglie  d*  oro  senza  coniò,  con 
cbe  si  solcano  pagare  le  frazioni  di  valori,  per  lo  scrupolo  religioso  di  non 
cambiar  ntetailo  con  metallo;  onde  si  tenea  biasimevole  pagando,  per 
esempio,  ona  merce  d^  valore  di  mezzo  dinftr,  dar  al  venditore  un  dinftr 
e  riceverne  mezzo  din&r  in  altra  moAeta.  Per  questa  ragione  nei  paesi  mu- 
salmam  i  cambiatori,  nféfi,  come  H  dicono,  erano  per  lo  più  giudei.  Non 
sappiamo  se  desse  laogo  al  malcontento  quello  scrupolo  di  coscienza,  ov- 
vero la  cattiva  lega  dei  dirhem.  Represso  il  tumulto ,  aggiunge  il  Baidn , 
rimasero  abolite  per  sempre  in  Affaìca,  n^a  solo  le  ritaglio  {hUd%  ma  an» 
che  i  ttoiktkl,  cbe  signiica  buona  moneta  in  generale,  e  qui  parmi  si  debba 
intendere  di  quella  dei  califl ,  che  avea  corso  in  tutti  i  paesi.  Venne  dopo 
ciò  la  ooniazioiie  dei  dlrbem  e  dinftr  deUi  'asceri,  ossia  decimali.  La  nu- 
mismatica ci  permette  di  aggiugnere  che  Ibrahim  coniasse  altresì  quarte 
di  din&r  in  oro  ;  che  ve  n'  ha  pubblicate  parecchie,  e  nna  ne  ho  veduto  nel 
Gabinel  des  Hedailles  di  Parigi,  useiu  probabilmente  dalla  Zeoca  di  Sicilia 
r  anno  268,  e  del  peso  di  un  grammo  e  cinque  centesimi,  che  valea  da  tre 
lire  e  sessanta  centesimi  pria  della  attuale  perturbazione  nel  pregio  dell'oro. 

*  Boiàttf  tomo  I,  p.  I2S.  Quivi  è  usato  il  vocabolo  kabàUU,  al  singo- 
Uire  habdla  o  gabdlat  poiché  la  prima  lettera  partecipa  del  suon  della  g. 
Indi  è  agevole  a  riconoscervi  la  nostra  Yoce  gabella.  Etimologicamente  si- 
gniiloa  promessa  •  offerta ,  prestazione. 

'  Baidn,  1.  e.  11  testo  porta  che  nel  2S9  Ibrahim,  riformando  parecchi 
abusi  del  proprio  governo  t  prese  le  decime  in  frumento  e  rilasciò  il  kharàg 
»  di  un  anno  ai  possessori  delle  dh\d\  »  Le  varie  significazioni  di  queste 
voci,  di  che  abbiamo  discorso  nel  capitolo  precedente,  lasdan  dubbio  se 
te  decime  fossero  seiexU,  ovvero  tributo  fondiario  su  i  grani ,  e  il  khwrég 
rilasciato,  questo  medesiaio  tributo,  ovvero  censo  ;  e  in  fine  se  si  tratti  di 
dhUi\  poderi  demaniali,  .ovvefo  beneficii  militari. 

*  ilofdn,  tomo  f,  p.  il7,  anno  280  (883*894). 


(875-904.1  —  52  — 

tribù  berbere  di  Wuezdàgia,  Howàra  e  Lewàta:  ed 
erano  oppresse,  Tuna  da  Mohammed-ibn^Korhob, 
ciambellano,  le  altre  da  Abd-Allah  figliaolo  d'Ibra- 
bim,  mandatovi  con  gran  gente  di  giund,  liberti,  leve 
in  massa,  e  ausiliarii  fomiti  al  certo  da  altre  tribù 
berbere:  si  fermo  Ibrahim  guidava  tutti  i  cavalli  del 
carro,. poiché  s' ebbe  aggiustata  in  mano  quella  ferrea 
sferza  degli  schiavi  stanziali.  ^ 

Poi  surse  in  arme  la  colonia  di  Belezma,  gente 
arabica  della  tribù  di  Kais,,  venuta  la  più  parte  nei  ' 
principii  del  conquisto,  e  stanziata  da  parecchie  ge- 
nerazioni in  quella  città,  sul  confin  meridionale  del- 
r  odierna  provincia  di  Costantina,  in  mezzo  alla  ca- 
tena degli  Aurès,  donde  teneva  a  segno  la  tribù 
berbera  di  Kòlàma.  Gli  agguerriti  Arabi  di  Belezma 
ributtarono  Ibrahim,  ito  in  persona  a  combatterli: 
ond'ei  perdonò  loro;  attirò  a  Rakkàda,  prima  alcuni 
capi  sotto  specie  di  trattar,  faccende,  poi,  con  altri 
pretesti,  più  numero  di  gente;  lor  die  splendide  ve- 
stimenta,  onori  quanti  ne  vollero  e  atioggiamento  in 
uno  edifizio  circondato  di  mura  con  una  sola  porta, 
nel  quale  settecento  o  mille  cavalieri,  che  tanti  se 
n'erano  accolti,  se  pur  pensavano  allo  esempio  dei 
liberti  del  Castel  Vecchio,  si  fidavano  al  certo  di  af- 
frontar chi  che  si  fosse.  E  così  ogni  evento  delle 
istorie  avvera  la  sentenza  del  Machiavelli,  che  colui 
che  inganna,  troverà  sempre  chi  si  lascerà  inganna- 

<  Nowairi,  in  appendice  all'  Bistoire  de»  Berbèrett  par  Ibn-Khaldaun, 
versione  di  M.  De  Slane,  tomo  f,  p.  496;  Ibn-Khaldùn  stesso,  Bisioire  de 
VÀfrique  et  de  la  Sicile,  versione  di  M.  Des  Vergerà,  p.  128.  Secondo  Ibn- 
Khaldùn,  ebbe  infino  a  3,000  schiavi  stanziali;  secondo  il  Bat'dfi  a  5,000,  e 
Nowairi  dice  100,000 ,  forse  il  numero  totale  dello  esercito. 


—  83  —  1875-904.) 

re.  *  Il  dì  che  le  altre  soldatesche  toccavan  la  paga, 
inebbriate  di  danaro,  fors'anco  di  vino,  Ibrahim  le 
lanciava  allo  scannatoio  ov'  eran  serrati  i  guerrieri  di 
Belezma;  i  quali  (893-894)  valorosamente  si  difese- 
ro; e  tutti  perirono.*  La  pena  di  tal  misfatto,  come 
spesso  accade,  la  pagò  non  Ibrahim,  ma  la  dinastia; 
poiché,  decadendo  Belezma,  la  tribù  di  Kotftma  im- 
baldanzì, e  condusse  al  trono  i  Fatemiti.'  Più  pronto 
gastigo  minacciava  la  sollevazione  generale  delle  mi- 
lizie arabiche ,  scoppiata  immediatamente  e  rinnova- 
tasi poi  varie  fiate;  ma  Ibrahim  trionfò  di  tutti,  mercè 
le  mura  di  Rakkàda,  la  virtù  militare  del  figliuolo 
Abd-ÀUah,  e  gli  schiavi  armati;  dei  quali  accrebbe 
il  numero;  lor  affidò  la  reggia;  e  pose  capitani  sopra 
di  loro  due  schiavi,  Meimùn  e  Rescìd.  Accentrò  al 
medesimo  tempo  Ibrahim  grande  autorità  in  persona 
di  Hasàn-ibn-Nàkid,  nuovo  suo  ciambellano,  capi- 
tan di  eserciti,  emir  di  Sicilia,  e  rivestito  di  altri 
oficii,  scrive  la  cronica  ,*  piobabilmente  le  amministra- 
zioni di  finanza,  e  il  tribunale  dei  soprusi  nelle  pro- 
vince sollevate* 

Tra  i  casi  di  questa  rivoluzione  seguirono  non 
più  udite  enormezze  dei  soldati  regii,  i  quali,  presa 
Tunis  per  battaglia,  fecero  schiavi  tra  i  Musulmani, 
sforzaron  le  donne  e  sparsero  gran  sangue  (893-894). 
Dato  avviso  della  vittoria  a  Rakkàda  per  lettere  le* 


*  Il  Principe,  <iap.  XVIII. 

s  B0iàn,  tomo  I,  p.  ii6;  Nowairì  nell'  opera  ciuta ,  p.  427,  il  quale 
registra  questo  fatto  due  anni  prima  del  Batdn,  cioè  nel  378. 
>  Questa  riflessione  si  legge  nel  Baiàn,  l.  e. 

*  Nowairì,  op.  cit.,  p.  408.  Veggasi  ciò  che  notai  a  questo  proposito 
nel  Libro  II,  cap.  X,  p.  430  e  430  del  primo  volume. 


1875-004. 1  —  S4  — 

gate  al  collo  dei  colombi,  Ibrahixn  rescriBse  di  cari^ 
care  i  cadaveri  su  le  carra;  mandarli  a  Kairewàa;  e 
condurli' in  giro  per  le  strade.  Comandò,  non  guarì 
dopo  (894-895),  di  mettere  a  morte  i  nobili  della 
tribù  di  Temim,  ceppo  di  sua  famiglia,  e  appendere 
i  cadaveri  alle  porte  di  Tunis.  Ministro  di  tal  vendette 
era  stato  Meimùn,  nominato  dianzi,  donde  venne  fie- 
ramente in  odio  a. quei  cittadini;  ma  Ibrahim,  non 
prima  n'  ebbe  sentore ,  che  gli  mandò,  diremmo  noi , 
un  beir  ordine  cavalleresco:  all'  oso  di  que' tonici  coi- 
lana  d' oro  e  vestimenta  dì  seta  ricche  d  oro,  disegni 
e  svariati  colori;  e  il  manigoldo  in  tanto  sfarzo  ca* 
valcò  trionfalmente  in  Tunis.  Un  anno  appresso,  fat- 
tevi rizzar  nuove  fortezze,  vi  andò  a  soggiornare  il 
tiranno  in  persona;'  meditando  già  la  impresa  di  Sici- 
lia, 0  parendogli  Rakkàda  mal  sicura  senza  k>  scampo 
del  mare:  o  volle  sfogare  la  superbia  dell*  animo  suo 
sopra  Ja  città  ribelle,  prostratagli  ai  pie  come  cadava^e. 
Il  medesimo  anno  della  rivolta,  Ibrahim  allagò 
di  sangue  la  reggia  per  sospetto  di  una.  congium 
degli  eunuchi  e  stanziali  schiavoni  contro  la  vita  di 
lui  e  della  madre:  '  dal  qqial  tempo  in  poi,  aspettane 
dosi  che  alcuno  dei  tanti  che  tremavano  trovasse 
modo  ad  aoimazzarlo,  per  meglio  guardarsi,  con* 


'  €oDfrontiDSÌ  :  il  Baiàn,  lomo  I,  p.  i  i7, 133  ;  Morrai  ri»  op.  ett^  p^  498, 
429;  Ibn-Khaldùo ,  HiMoire  de  VAfrique  et  de  la  Sicile,  versione  dì 
M.  Des  Vergers,  p.  130  a  i32.  —  11  Baiàn,  dal  qaale  tenghìamo  la  narra- 
zione degli  onori  resi  a  Meimùo,  dice  donategli  tre  sorie  di  vesU  di  seta  : 
lo  kher*,  o  diremmo  noi  Blos^a,  seU  grossolana  dei  Ijouoli  farsLiì  dal 
baco  ;  2o  wesci,  credo  drappo  intessuCo  d*  oro;  e  3o  dibéiOf  dtai^  operato 
e  di  varii  colorì.  È  trascrizjone  dal  persiano  dibàh,  pnaso  alla  fina  volta  dal 

'  Nowairi,  op.  cit.,  p.  427. 


—■55  —  (875-901.1 

« 

saltò  astrologhi  e  ariolì,  nei  quali  ponea  molta  fede. 
Gli  dissero  dover  morire  di  certo  per  man  d' un  pic- 
cino; se  di  statura  o  di  anni,  i  furbi  maestri  noi  di- 
scernean  bene  in  lor  arte  :  ond'  egli  visse  in  sospetto 
ile' giovani  paggi  schiavoni;  e  se  gliene  venia  veduto 
alcuno  audace  e  fiero  in  volto,  vago  di  maneggiar  la 
spada,  pensava  tra  sé:  ecco  T assassino;  e  lo  fecea 
spacciare.  Quando  n*  ebbe  ucciso  molti ,  temè  la  ven- 
detta dei  rimagnenti  :  onde  li  uccise  tutti  ;  ^  e  tolse 
paggi  negri  in  luogo  dei  bianchi;  e  non  tardò  a  fare 
sgombero  anche  di  quelli ,  Y  anno  dugento  ottantot- 
to (900).  *  Ma  nel  lungo  suo  regno  i  domestici  eccidii 
sovente  si  rinnovarono  e  cominciaron  prima  della  ti- 
rannide di  fuori;  bastando  Tira  ad  aizzarlo  quanto 
il  sospetto,  e  quanto  V  uno  e  T  altra  la  gelosia:  Aveva 
egli  vietato  sotto  pene  severe  la  vendita  del  vino  a 
Kairewàn;  la  tollerava  a  Rakkàda  '  in  grazia  forse 
dei  ^oi  stanziali  ;  e  beveva  egli  stesso  senza  scru- 
polo nei  penetrali  dello  harem.  Or  accadde  che  fat- 
tosi mescer  vino  da  una  donna,  nei  primi  credo  io  del 
regno,  e  datole  a  tenere  il  ftizzoletto  di  seta  con  che 
si  asciugava  le  labbra,  colei  lasciosselo  cader  di 
mano,  e  un  eunuco  il  trovò  e  nascose.  Ibrafaim  non 
sapendo  qoal  fosse  costui,  tutti  i  trecento  eunuchi 
die  avea  fé' morire,  ^  per  seppellii  forse  con  loro  il 
segreto  della  regia  intemperanza.  Diversa  cagione 


'  Batdn,  tomo  I,  p.  ii6. 

'  GonfrontiDsi:  il  Baién,  1.  e;  e  Mowalrì,  op.  cit.,  p.  427. 

s  Ibn-Abb&r,  MS.  della  Sodetà  Ajùat.  di  PaHgl,  fog.  33  recto. 

«  ConfrontìDsi:  WBaiàn,  tomo  I,  p.  il6;  Nowairi,  op.  cit.,  p.  436;  e 
Ibn-KbaldùD,  Hisioire  de  VAfrìqut  et  de  la  SieUe,  tradu.  di  M.  Des  Ver^ 
gers,  p.  ^139. 


1875-901.1  —  56  — 

ebbe  la  morte  di  sessanta  sciagurati  giovanetti  eh'  ^i 
teneasi  in  palagio,  e,  calpestando  più  d'uno  dei  pre- 
cetti di  sua  religione ,  ogni  sera  lor  dava  a  ber  vino , 
e  poi  non  voleà  che  troppo  dimesticainente  vivesser 
tra  loro.  Avutane  spia,  chiamolli  dinanzi  a  sé;  in  ter- 
rogolli,  e  confessaiido  alcuni  il  fallo,  e  negandolo  tra 
gli  altri  audacemente  un  fanciullo  molto  amato  da 
lui,  Ibrahim  gli  spezzò  il  cranio  con  una  mazza  di 
ferro  :  gli  altri  fece  morire  a  cinque  o  sei  il  di,  tra 
sofiTocati  nella  stufa  e  arsi  nella  fornace  del  bagno.  ^ 

Né  men  geloso  in  punto  di  religione,  aggravò  la 
vergogna  degli  dsimmi,  come  se  non  bastassero  al 
suo  zelo  i  segni  esteriori  di  vassallaggio  che  si  costu- 
mavano innanzi.  ^  Comandò  Ibrahim  che  portassero 
su  le  spalle  una  toppa  bianca,  con  la  figura,  i  Giudei 
d'una  scìmmia  e  i  Cristiani  d'un  maiale;  e  che  gli 
stessi  animali  si  dipingessero  in  tavole  con^tte  su 
le  porte  di  lor  case.  '  Il  martirio  eh'  ei  die  ài  quat- 
tro Siracusani  si  é  narrato  di  sopra,  su  la  fede  delle 
agiografie  cristiane.  ^  Non  sappiam  se  pia  dei  mar^ 
tiri  siracusani  un  Sewàda,  di  cui  scrivon  le  crona- 
che  musulmane  che  proffertogli  l' oficio  di  direttore 
della  tassa  fondiaria,  se  rinnegasse,  e  rispondendo 
egli  che  non  barattava  la  fede,  Ibrahim  lo  fece  spac- 
care in  due  e  sospender  mezzo  cadavere  a  un  palo, 
mezzo  ad  un  altro,  l' anno  dugentosettantotto  del- 
l' egira  (891-892).  "  Tuttavia  gli  eretici  dell'  islamismo 

'  Baidn,  tomo  I,  pag.  i27;  Nowaìri,  op.  cit.,  p.  437. 

s  Veggasi  il  Libro  H,  cap.  XU,  p.  476. 

'  Biadh-eih'nofùi ,  MS.  iog.  SS  verso. 

*  Libro  II,  cap.  XII,  p.  511. 

'  Baidn,  tomo  I,  p.  116.  Su  qaesta  maniera  di  snpplieio,  usata  nei 


—  57  —  1875-901] 

poteana  invidiare  la  condizione  de'  Crisliani.  Dopo  le 
stragi  d' una  battaglia ,  vinta  sopra  la  tribù  berbera 
di  Nefùsa,  Tanno  dugentottantaquaUro  (897-898), 
Ibrahim  interrogò  un  dottore  che  si  trovava  tra  i 
prigioni:  ''Che  pensi  di  Ali?''  «'Era  infedele  e  però 
sta  in  inferno;  e  chi  non  dice  così,  andrà wi  con  lui," 
rispose  il  prigione  ;  scoprendosi  Kharegita  a  questo 
parlare.  Il  tiranno  allora  gli  domandava  se  tutta  la 
tribù  di  Nefùsa  teiiesse  tal  credenza,  e  si^puto  di  si, 
ringraziava  il  Cielo  d'averne  £atto  macello.  I prigioni, 
eh'  eran  cinquecento,  se  li  fece  recare  innanzi  a  uno 
a  uno:  egli  assiso  in  alto,  tenendo  in  mano  un  suo 
lanciòtto,  cercava  con  la  punta  sotto  T  ascella  ove 
fosse  il  vano  tra  costola  e  costola  dell' uomo,  ^  e  poi 
data  una  spinta,  andava  a  trovar  dritto  il  cuore,  e 
facea  passare  un  altro,  finché  tutti  gli  trafisse.  Cosi 
il  Nowairi.  '  L' autore  del  Batàn  scrive  che  i  prigioni 
fossero  trecento,  eh'  ei  ne  avesse  fieitto  spacciar  uno 
e  poi  trattogli  il  cuor  con  le  proprie  mani,  e  fattolo 
trarre  agli  altri,  infilzati  in  una  funicella  i  trecento 
cuori,  e  sospesi  a  festone  su  la  porta  di  Tunisi.  '  Ambo 
le  tradizioni  bene  stanno  ad  Ibrahim-ibn-Ahmed, 
e  possono  ammettersi  insieme. 

Innanzi  tal  pia  scelleratezza,  era  ito  Ibrahim  a 
Tripoli  (896-897),  governata  per  lui  da  un  suo  cu- 

paeii  mosalmani  aliAeno  fino  al  XVI  secolo,  si  veggano  Sacy,  Chrestomathie 
arabe,  tomo  1,  p.  468;  QnatremèFe,  arsione  dell'opera  di  Makrisi,  flù- 
toire  dei  SttUam  Mamlouki,  tomo  I,  pag.  72  e  i SS;  De  Fremóry»  nel  /otir- 
nal  Àsiaiique,  sèrie  IV,  tomo  MI  (geDoaio  1844),  p.  124. 

'  Mi  discosto  ia  questo  passo  dalla  versione  di  M.  De  Slane. 

s  Op.  cit.,  pag.  430. 

s  Baiàn^  tomo  I,  p.  iS4.  Ho  seignito  piuttosto  la  cronologia  di  questa 
compilazione  che  del  Nowairi,  il  quale  reca  il  latto  nel  28i  (884-805). 


1875-901.1  —   58  — 

già  carnale,  Mohammed-ibn-Ziadet-AUah,  uomo  di 
egregii  costaipi,  erudito,  poeta  e  scrittore  d' una  sto-* 
ria  di  casa  aghiabita  :  onde  il  tiranno  ignorante 
r  invidiava  fin  dalla  gioventù,  ma  adoperavate  per 
averne  bisognò.  U  coperto  odio  divampò,  quando  il 
califo  abbassida  Mo'tadhed,  risapendo  le  enormezze  di 
Tanis,  minacciò  in  parole,  e  secondo  altri  scrisse  a 
dirittura  a  Ibrahim,  ch'ei  lo  avrebbe  deposto,  e  sur- 
rogatogli il  cugino,  specchio  di  virtù.  Pertanto  n(m 
ccmtentossi  Ibrahim  d'ucciderlo;  ma  volle  fosse  appic* 
cato  il  cadavere  a  un  palo  come  di  mal&ttore.  *  So- 
miglianti sospetti  di  Stato  lo  spinsero,  prima  e  poi, 
a  mandare  a  morte  ciambellani,  ministri,  cortigiani, 
e  un  povero  segrettóo,  chiuso  vivo  nel  feretro.  Otto 
fratelli  suoi  proprii  erano  scannati  al  suo  cospetto  ; 
un  de' quali,  obeso  e  infermo  che  non  potea  ri^- 
gersi,  implorava  gli  si  lasciassero  quei  pochi  giorni 
di  vita;  e  Ibrahim  rispose:  "Non  fo  eccezioni;"  e 
accennò  il  carnefice  di  percuotere.  Abu-1-Aghlab  suo 
figlio  ebbe  tronco  il  capo  dinanzi  a  lui;  dicesi  per 
trame  di  Stato.  Abd-Allafa,  maggior  tra  i  figliuo- 
li, erede  presuntivo  della  corona,  folgor  di  guerra 
che  spezzava  nei  campi  di  battaglia  i  viluppi  cpeati 
dalla  tirannide  del  padre,  Abd-AUah  ubbidiente  trop- 
po, virtuóso,  dotto,  modesto,  pur  si  sentiva  ad  ogni 
istante  sul  collo  la  scimitarra  del  carnefice.' 

i  Goofrontìnsi:  ibn-Abbàr,  MS.  della  Società  Asialict  di  Parigi, 
fog.  35  recto;  Baiàn,  tomo  I,  p.  9S1;  lirnvairì,  op.  eit.,  p.  430. 

>  Go9frontÌD8i:ilBat4n,  tomo  f,  p.  115  a  127;  Ibn^Ahblr,  1.  e; 
Nowairì,  op.  dt.,  p.  438,  436,  437;  Ibn-KhaldÙD ,  Ei8U>ir€  de  VÀfrique  et 
de  la  Sieiie,  fog.  139,  il  quale  accenna  appena  le  cradellà  del  (tiranno. 

H)n-el-Atbtr,  risoluto  a  lodarlo  come  principe  forte  e  sostegno  del- 
l' islamismo,  salta  a  pie  pari  tatti  quei  miitfatti,  e  narra  solo  i  prtncipii  del 


—  89  -^  |875-9<H.| 

Inviperiva  Ibrahim  ogni  dì  piii  che  l' altro;  cia- 
scun mis&tto  tirandosene  dietro  parecchi;  incarnan- 
dosi ogni  vizio  con  V  a^  e  con  la  età  ;  aggravan- 
dosi in  lui  l'atrabile,  la  monomania,  la  causa  qual  si 
fosse  che  lo  portava  al  sangue  ;  su  la-quale  decida  chi 
mai  arriverà  a  penetrare  l'arcano  della  umana  volontà. 
Chi  raccoglie  i  fotti,  noterà  due  sintomi  atrocissimi. 
L'  un  che  costui  nelle  vittime  segnalate  per  la  eo* 
stanza  dell'  animo ,  ricercava  rabidamente  il  cuore , 
sede  del  pensiero  secondo  gli  Arabi  ;  quasi  il  tiranno 
volesse  dar  di  piglio  alla  causa  materiale  di  lor  con- 
tumacia. Il  disse  ei  medesimo  a  San  Procopio  ve- 
scovo di  Taormina,  mandandolo  al  supplizio  (903).' 
Parecchi  anni  innanzi  avea  notomizzato  il  cuore  di 
un  altro  valoroso,  Ibn-Semsàma,  suo  primo  ministro; 
il  t|uale  straziato  di  ciuquecento  battiture,  non  avea 
detto  un  ahi,  né  s' era  mosso;  e  a  ciò,  comandando 
Ibrahim  di  uccideiio,  s' era  vantato  di  aprire  e  chiu- 
der la  mano  tre  fiate  dopo  recisogli  il  capo,  e  avea 
X  tenuto  parola.  ' 

L' altra  orribilità  mi  sembra  un'  avversione,  un 
dispetto,  un'invidia  ch'ei  sentisse  della  perpetuità 

regno  e  la  morte  di  Ibrahim  ;  por  si  lascia  sfuggir  dalia  penna  che  i'  eroe 
AI>«r4*AM)as  virea  in  continso  immote  della  e  maMgnt  indole  del  padre.  > 
MS.  A,  tomo  II,  fog.  92  e  172;  MS.  C,  tomo  IV,  fiotg.  249  ▼erso,  e  279  recto, 
anni26ie289. 

*  V9gga^i  in  q«esto  medesimo  Ubro  11  cap.  IV. 

'  Baidn,  tomo  I,  p.  ii5.  Aggiogne  il  cronista  che  Ibrahim  trovò  con 
maraviglia  il  cuore  confuso  (leggo  nel  testo  fànian)  col  fegato,  e  irsuto  di 
peli.  In  Sìdtìa  si  dice  d'vom  tristo  e  vendicativo  di' abbia  il  cuor  peloso; 
il  quale  pregiudizio  o  la  frase  può  ben  venire  dagli  Arabi.  Quanto  ai  mo- 
vimenti convulsivi  che  si  narrano  di  Ibn-SemsAma,  non  mi  sembrano  più 
inaravif  liosi  di  quei  che  la  storia  ricoida  di  tanti  altri  decapìiaU;  nò  parmi 
strano  che  vi  concorra  il  proponimento  fermatosi  in  mente  da  un  uomo 
nell'atto  di  ricevere  11  colpo  mortale. 


1875-901.1  —  60  — 

della  umana  schiatta.  Non  dirò  delle  mogli  e  concu- 
bine che  facea  strangolare,  murar  vive,  sparar  loro  il 
corpo ,  se  incinte  :  e  tuttociò  senza  lor  colpa,  forse 
senza  gelosia.  Lungo  tempo  così  era  vissuto,  non  par- 
lando à  donne  fuorché  la  madre,  la  Sida  che  è  a  dir 
^'Signora''  come  chiamavanla  a  corte.  Costei,  cercando 
ridurlo  ad  alcun  sentimento  umano,  un  di  che  le 
parve  di  umor  men  tetro,  gli  appresentò  due  leggia- 
dre  donzelle^  alle  quali  fe'  recitare  il  Corano  e  cantar 
versi  su  la  chitarra  e  il  liuto.  A  che  parendo  si  com- 
piacesse il  tiranno,  rallegrato  anco  dal  vino,  la  ma- 
dre gli  offrì  in  dono  le  due  schiave  ;  éi  le  accettò, 
e  lo  seguirono.  Ed  entro  un'  ora  veniva  alla  Stda  Io 
schiavo  fidato  d'Ibrahim  con  una  cesta  ricoperta  di 
ricco  drappo.  Trovò  le  due  teste;  e,  gittando  un 
grido,  cadde  svenuta;  ma  tornata  in  sè^  le  prime  pa- 
role che  profferì  furono  maledizioni  sopra  il  figliuolo. 
Pur  era  serbata  a  veder  maggiore  empietà.  Avea  co- 
mandato Ibrahim  di  mettere  a  morte  ogni  figliuola 
che  gli  nascesse;  e  talvolta  non  avea  aspettato  che 
venissero  alla  luce.  E  la  Sida  pur  osava  trafugare 
e  far  nudrire  occultamente  le  bambine.  Nell'età 
matura  del  figliuolo,  coltolo  un'  altra  fiata  in  velleità 
di  clemenza ,  si  provò  a  mostrargli  le  fanciulle  cre- 
sciute come  lune  di  bellezza,  dice  la  cronica;  e  cre- 
dette aver  vinto  quando  gliele  sentì  lodare.  Si  fa  al- 
lora più  ardita;  gli  svela  che  son  sua  prole;  gli  ras- 
segna i  nomi  loro  e  delle  madri.  Il  tiranno  uscì  dalla 
stanza.  Chiamato  un  suo  negro  ''Meimùn,"  dissegli, 
"  arrecami  le  teste  delle  donzelle  che  tien  la  St- 
da."  Il  carnefice  non  si  movea.   ^Obbedisci,  scia- 


—  61   —  |87»-004.| 

gurato  schiavo,''  ripigliava  Ibrabim,  "^o  ti  farò  an- 
dare innanzi ,  ed  esse  dopo.  "  E  Meimùn  tornò  poco 
stante,  avvolgendosi  alle  mani  le  sanguinose  chio- 
me di  sedici  teste,  e  le  gettò  a  mucchio  sul  pa- 
vimento. ^  La  critica  non  può  mettere  in  forse  cote- 
ste  orribilità.  Ancorché  noi  le  tenghiamo  di  seconda 
mano,  è  evidente  la  veracità  degli  scrittori  primitivi, 
cittadini  del  Eairewàn  o  d'Affrica  al  certo,  e  concordi 
tra  loro,  non  avversi  punto  a  casa  aghiabita,  vissuti 
in  tempi  vicinissimi  e  di  cultura  letteraria.  D'altronde 
i  misfatti  narrati  ben  s'attagliano  T  uno  all'altro  ;  e 
molti  particolari  chq  rivelano  queir  istinto  d'  uom 
tigre,  sono  ricordati  quasi  con  le  medesime  parole 
dai  Musulmani  e  dai  Cristiani,  tra  i  quali  il  diligen* 
tissimo  contemporaneo  Giovanni,  diacono  napoletano.* 

'  Confronlinsi  il  Baidn,  tomo  1,  p.  i26  e  127,  e  Nowairi,  op.  bit., 
pag.  436  seg.  Entrambi  citano  II)D-Raklk,  cronista  affricano  del  X  secolo, 
e  il  Baidn  aggingne  aver  trovato  cotesti  fiitti  ancbe  in  altri  autori.  Ibn- 
Abb&r,  MS.  citato  della  Società  Asiatica  di  Parigi,  fog.  35  recto,  solo 
narra  fl  fatto  deHe  donne  incinte  sparate  per  cavarne  il  feto,  dicendo  che 
seguì  l'anno  2S3  (896-897)  e  concbiudendo  con  la  esclamazione  :  e  enor- 
me peccato  contro  Iddio,  cb*  ei  sia  esaltato.  »  Immediatamente  appresso 
cita  Ibn-Rakik  per  uno  aneddoto  rebitivo  alla  deposidone  di  Ibrabim.  In 
generale  per  la  vita  di  questo  tiranno  si  veggano  i  tre  scrittori  or  citati  e 
Ibn-el  Atbir,  Ibn-Kaldùn ,  e  gli  altri  compilatori  che  più  o  meno  ripetono 
gU  stessi  fatth  La  più  parte  del  racconto  di  Nowairi  era  stata  tradotta , 
prima  diU .  De  Slane,  da  M.  Des  Vergers,  nelle  note  a  Ibn-Kbaldùn,  Histoire 
de  VAfrique  et  de  la  Sicile ,  pag.  138,  seg. 

*  Martirio  di  San  Procopio  vescovo  di  Taormina ,  cavato  dalla  Trasla- 
zione del  corpo  di  San  Severino  alla  città  di  Napoli ,  presso  Gaetani,  Vita 
Sanctorufn  Sicutorum,  tomo  11,  p.  60,  seg.;  e  presso  Muratori,  Rerum  Itali" 
earum  Scriptores,  tomo  I,  parte  11,  p.  269.  L'autore  è  lo  stesso  della  cronica 
dei  Vescovi  di  Napoli,  come  lo  prova  il  Muratori  nel  tomo  citato  del  Rerum 
Italiearum,  pag.  287,  seg.  L'altra  narrazione  alla  quale  alludo  è  il  martirio 
dei  fratelli  siracusani,  presso  Gaetani,  op.  cit.,  tomo  II,  p.  39. 


—  62  — 


CAPITOLO  ni- 


Contro  lo  scellerato  signore  s'era  levata  la  colo- 
nia siciliana,  Àrabi  e  Berberi  al  paro;  e  da  quattro 
anni  tenean  fermo,  succedendo  a  lor  posta  i  tumulti 
d Affrica,  quando,  T ottocento  novantotto,  non  so^r 
qual  ribollimento  di  sangui  o  magagna  d'Il^ahim, 
tornarono  i  Berberi  ad  assalire-il  giund.  Vedendo  fitti 
icoloni^neir  assurdo  intento  di  scuotere  il  giogo  senza 
cessare  di  straziarsi  Tun  Taltro,  Ibrahim,  rìdendose- 
ne, entrò  di  mezzo:  scrisse  ad  ambe  le  fazioni  eh'  ei 
perdonerebbe,  se  tornassero  alla  ubbidienza,  e  che 
sarebbe  contento  a  gastigare  i  capi  soli  ;  eh'  erano  y 
dei  Berberi  un  Abu-Hosein-ibn-Iezìd ,  coi  figliuoli;  e 
del  giund  un  Hadhrami,  oriundo,  come  lo  mostra  tal 
nome,  dell'Arabia  meridionale.  Affrettaronsi  i  solle- 
vati a  consegnarli  di  peso  alle  soldatesche  affricane, 
di  presidio,  credo  io,  a  Mazara:  dalle  quali  furono 
imprigionati,  imbarcati  per  l'Affrica,  e  quivi  dati  al 
supplizio.  Il  Berbero,  per  fuggirlo,  bevve  un  veleno 
che  di  presente  lo  fé' morire;  talché  non  rimase  ad 
Ibrahim  che  d'appiccare  il  cadavere  al  patibolo  e 
scannare  i  figliuoli  del  suicida.  Sfogò  con  nuovo  ar- 
gomento di  tortura  sopra  l' Hadhrami.  Fattoselo  recare 
innanzi,  disse  a  un  carnefice  pien  di  facezie,  come 
tanti  ve  n'ha,  che  tentasse  il  condannato  con  mot- 
teggi  e  buffonerie  :  e  quando  il  mìsero  cominciava  a 
sperarne  salvezza  e  gli  spuntava  il  riso  in  faccia,  *'No,*' 
proruppe  Ibrahim,  ''non  è  ora  da  burle:"  e  fé' cenno 


—  63  —  |899.| 

al  manigóldo;  il  quale  a  colpi  di  bastone  lo  ammazzò/ 
Mandava  poi  Ibrahim  a  reggere  la  Sicilia  un  uom 
di  sangue  aghlabita,  statovi  emiro ,  com' e' sembra , 
una  ventina  d'anni  innanzi,  per  nome  Abu-Màlek- 
Ahmed-ibn-Omar-1bn-Abd-Allah.*Con  la  riputazione 
del  casato  sperava  il  tiranno  lusingare  o  tenere  in  ri- 
spetto i  popoli;  e  con  la  imbecillità  della  costui  porr 
sona  si  fidava  governar  la  colonia  a  suo  piacimento 
dairAifrica.  Ma  le  due  inveterate  discordie  che  sopra 
toccammo,  non  si  poteano  comporre  si  di  leggieri;  e 
per  giunta  gli  sdegni,  i  rancori,  i  rimproveri,  che 
tengOQ  dietro  ad  una  rivoluzione  repressa,  fecer  i^a-^ 
scere  nuove  scissure.  Donde  J'anno  ottocento  novan- 
tanove ,  tante  pìccole  fazioni ,  confusamente  combat** 
tendo,  empiean  la  Sicilia  di  sangue.' Per  ovviare  alla 

'  CoiffronUnsì:  il  BMdn,  tomo  I,  p.  134,  anno  385  (37  gennaio  896 
a  15  gennaio  899)»  e  il  Chfònieon  Cantabri§ieme,  presso  Di  Gregorìo,  He" 
rum  Àraìneàrum,  p.  45,  anno  6406  (t«  settembre  897  a  SI  agosto  898). 
Sopponendo  precise  qoélie  due  date ,  l' avvenimento  si  ristringe  ai  sette 
mesi  elle  corsero  dalla  fin  di  gennaio  a  quella  d*  agosto  898.  Si  noti  che  il 
Baidn  non  spiega  chi  fosse  il  capo  dei  Berberi,  e  chi  degli  Afsbi.  Ma  ti 
supplisce  il  nomo  di  Hadbrami  ;  poiché  1*  Hadramaut  è  regione  a  levante 
de!  lemen.  Se  tuttavia  rimanesse  dubbio,  lo  toglie  la  Cronica  di  Cambridge 
dicendo  che  i  Berberi,  dopo  assalito  il  giund,  consegnarono  agli  Affricanì 
Abù-Hosein  e  i  suoi  figliuoli.  Quegli  era  danque  il  lor  capo.  Ho  corretto 
secondo  la  Cronica  di  Cambridge  il  soprannome  di  costui,  che  nel  Baidn 
si  legge  Abu-Hasan. 

'  Veggasi  il  Libro  li,  cap.  IX,  p.  390  del  l»  voi.»  nota  4.  Ho  scrìtto  il 
nome  come  si  trova  in  Ibn-<l-Athtr,anno387,MS.  A,  tomo  II,  fog.  i67 recto; 
eMS.di  Bibars,  fiog.  133 recto.  Il  Nowairi,  Storia  di  Sicilia,  presso  di  Grego- 
rio, Rerum Arabicarum,  p.  il, dà  il  nome  di  Abii-Malek*Ahmed-ibn-Iakùb- 
ibn*Omar-ibn-Abd-Allah-ibn-lbrafaim->ibn-AghIab.  Questo  compilatore , 
che  in  tatto  merita  minor  fede,  dice  che  Abmed  governò  la  Sicilia  per  ven« 
Usei  anni  (correggasi  38),  dal  359  al  387  (873  a  900);  dimenticando  che 
Della  Storia  d'Affrica  egli  stesso  avea  nominato  in  quello  spazio  di  tempo 
due  altri  emiri  di  Sicilia.  Perciò  suppongo  che  Ahmed  fosse  stato  scarna 
biato  una  prima  volta,  e  rieletto,  dopo  molti  anni,  verso  il  387.  v 

^  Chronieon  Cantabrigienae,  presso  di  Gregorio,  Rerum  Arabiearum, 
p.  43.  La  versione  stampata  porta  :  Anno  6407  commissum  eet  prmlium  in 


pool  —  tri  — 

debolezza  di  Àhmed,  dicon  le  croniche ,  o  piuttosto 
per  domare  la  Sicilia  nel  solo  modo  che  si  poteva, 
Ibrahim  vi  mandò  un  esercito  poderoso,  capitanato 
dal  proprio  figliuolo  Abu-Abbàs-Abd-AUah,  vincitor 
dei  ribelli  d'Affrica/ 

Salpò  costui  con  centoventi  navi  da  trasporto  e 
quaranta  da  guerra ,  il  ventiquattro  luglio  dei  nove- 
cento; arrivò  a  Mazara  il  primo  d'agosto;  '  donde  mo- 
vea  air  assedio  di  Trapani.  A  ciò  Tesercito  palermita- 
no, ch'era  uscito  a  far  guerra  contro  que'di  Girgenti, 
si  ritrasse  immantinente  alla  capitale;  e  inviò  al  campo 

Franco  Forth,  Le  due  parole  del  testo,  nelle  quali  parve  di  ravvisare  que- 
sto nome  geograGco,  sono  sbagliate  nelle  edizioui  di  Caruso  e  Di  Grego- 
rio; poiché  nel  MS.  originale,  secondo  la  collazione  che  me  ne  ha  fatto  il 
cortese  signor  Povrer  bibliotecario  dell'università  di  Cambridge,  si  legge 
chiaramente  la  seconda  voce  mofdreka;  eia  prima,  mancante  di  punti  dia- 
critici, si  compone  delle  seguenti  lettere:  ì^  f,  ovvero  h;  1^  r;  3o  h,  I,  th, 
ovvero  t,  n;  4»  A,  g,  ovvero  kh;  5^  a.  Badando  alle  sole  radicali,  non  esito 
a  dire  che  siano  f,  r,  g  con  che  si  scrive  il  verbo/ereg,  "scindere,  fendere;" 
e  son  certo  che  questa  parola  mal  copiata  o  piuttosto  male  scritta  in  ara- 
bico dair  autore,  grecò  di  Sicilia,  sia  il  plurale  irregolare  di  un  vocabolo 
che  significasse  "  scissura }"  proprio  il  greco  ^xicf*^.  Non  lascia  luogo  a 
interpretarla  altrimenti  la  voce  precedente  mofdreha,  che  si  accorda  gram- 
maticalmente con  questa,  e  che  è  V  aggettivo  feminino  cavato  dalla  tette 
forma  del  verbo  fer^k,  *  separare,  disgregare.*  Si  corregga  dunque  la  ver- 
sione :  e  L' anno  6407  varie  fazioni  guerreggiaron  ira  loro.  » 

Occorre  di  aggiugnere  che  il  nome  di  Francoforte  o  altro  simile  non 
poteva  esistere  in  Sicilia  avanti  i  Normanni;  e  che  non  v'ha  in  oggi,  né 
v'  è  mai  stato.  Il  comune  attuale  di  Francofonte ,  e  non  Francoforte ,  fu 
fondato  nel  XIV  secolo. 

'  Ibn-el-Àth!r,  anno  287,  MS.  A^  tomo  II,  fog.  167;  MS.  di  Bibars, 
fog.  135  recto.  Il  Nowairl,  nella  Storia  di  Sicilia  presso  Di  Gregorio,  Rentm 
Arabiearum^  p.  il,  senza  fare  menzione  delle  guerre  che  seguirono,  dice 
Abd-AUah  eletto  emir  di  Sicilia  il  287;  e  nella  Storia  d*  Affrica  data  da 
M.  De  Slane  in  appendice  a  Ibn-Khaldùn,  E»/otre  des  Berbères,  p.  43t,  lo 
fa  andare  in  Sicilia  il  284,  sbarcare  nel  mese  di  giumadi  primo  (giugno  897), 
espugnare  Palermo,  e  accordare  poi  Tamàn.  Da  ciò  si  conferma  la  incer- 
tezza delle  sue  compilazioni. 

'Xa  Cronica  di  Cambridge  dice  che  Abd- Allah  "passò"  di  Affrica  a 
Mazara  il  24  luglio;  Ibn-el-Athtr  che  *  arrivò**  in  Sicilia  il  primo  di 
scia'bàn,  che  risponde  al  primo  agosto. 


—  65  —  |900.| 

affrìcano  il  cadi  e  parecchi  sceikhi ,  a  protestare  obf 
bedienza  verso  il  prìncipe,  e  scusarsi,  bene  o  male, 
dello  assalto  sopra  Girgenti.  Vennero  al  medesimo 
tempo  messaggi  di  cotesta  città  a  dolersi  dellesor^ 
bitanza  dei  Palermitani:  e  sufolarono  airorecchio  di 
Abd-Allah,  non  si  fidasse  di  quel  popol  contumace, 
sènza  legge  né  fede ,  né  di  sua  simulata  e  frodolentà 
sommessione;  e  che,  se  volea  pescare  al  fondo  della 
magagna,  chiamasse  di  Palermo  il  tale  e  il  tale,  e  se 
ne  chiarirebbe.  Ed  ei  si  chiamoUi  :  ma  ricusarono  ;  e 
tutta  la  città  dichiarò  che  non  andrebbero.  Àbd-Al- 
lah,  a  questo,  ritien  prigioni  gli  oratori  palermitani, 
rilasciato  il  solo  cadi;  e  poco  appresso  mandavi,  a 
portar  forse  orgogliosi  comandi,  otto  sceikhi  Wfica- 
ni.  Gli  Arabi  di  Palermo  a  lor  volta  li  imprigiooav^tK); 
e  risolveansi  a  tentar  la  sorte  delle  armi.  Fu  capo  in 
questo  periodo  di  rivoluzione  un  Rakamùweih,  uom 
di  nome  persiano.  Fu  emir  degli  stolti,  dice  amara- 
mente Ibn-el-Athtr  che  visse  tre  secoli  appresso: 
contemporaneo  del  gran  Saladino ,  scrittor  non  ser- 
vile, incapricciatosi  dIbrahim-ibn-Ahmed,  per  quella 
sua  feroce  severità.  Perciò  doveano  parere  savii  ad 
Ibn-el-Athtr  colorò  che  di  quoto  si  lasciasser  divo- 
rare dalla  tigre;  perciò  V annalista  metteva  in  non  cale 
i  dritti  dei  Musulmani,  le  sacre  franchige  calpestate  da 
Ibrahim,  valorosamente  difese  dal  popol  di  Palermo! 
Lascio  indietro,  perchè  sembra  error  di  compi- 
lazione ,  l'episodio  narrato  da  un  altro  storico  :  ^  che  i 

*  Questi  è  Ibn-Khaldùn,  nella  Hhtoire  de  VÀfrique  et  de  la  Sieik, 
p*  57  del  testo,  e  IM  delia  versione  di  M.  Des  Vergers.  Non  so  donde 
abbia  cavato  tal  particolare  l'autore,  che  nel  resto  del  racconto  com- 
pendia Ibn-el-Àtiilr. 

II.  5 


I060.|  —  66  — 

Gii^entioi ,  dopo  di  avere  stigato  Abd-Allah ,  si  unis- 
sero coi  Palermitani  contro  di  lai.  Movea  di  Palermo 
il  di  quindici  agosto,  alla  volta  di  Trapani,  lo  esercito 
capitanato  da  un  Mesùd-Bàgi/  L'armata  d'una  tren* 
tina  di  vele  uscì  non  guari  dopo:  fu  colta  da  una 
tempesta  nella  breve  e  difficile  navigazione  eh'  è  da 
Palermo  a  Trapani ,  onde  la  più  parte  dei  legni  perì; 
quegli  scampati ,  senza  potere  altrimenti  offendere  il 
nemico,  si  ridussero  a  casa.  L'oste  intanto  assaliva 
il  campo  affrìcano  sotto  Trapani:  si  combattea  fìera^ 
mente  da  ambo  le  parti  con  gran'  sangue,  e  rima- 
neva indecisa  la  vittoria.  Ma  il  ventidue  agosto,  rap- 
piccata  dai  Palermitani  la  zuffa,  mantenuta  con  uguale 
fortuna  infino  a  vespro,'  prevalse  in  ultimo  la  espe^ 
rienza  di  guerra  di  Abd-AUah,  o  il  numero  degli  Af- 
fricani  che  arrivava  al  certo  a  quattordici  o  quindici 
mila  uomini,  se  si  risguardi  ai  centoventi  legni  che 
li  avean  portato.  Abd-AUah,  usando  la  vittoria,  prese 
la  via  di  Palermo  su  le  orme  del  nemico;  indirizzò  a 
Palermo  Tarmata  che  aveva  ormai  libero  il  mare,  e 
poteva  assaltare  la  città  e  molestar  anco  Toste  che 
SI  rìtraea.  Lenti  e  minacciosi  ritraeansi  i  Palermitani, 


*  1M  óM  MSS.  di  lbii-el*AUitr  si  trova  il  secondo  nome  senza 
pinti  diacritici.  Credo  vada  letto  Bdgi.  Questo,  a  detta  del  Lobb^l- 
Lobbdb  di  Sojuti,  edizione  del  Vetb,  può  esser  nome  di  ikmiglia  per- 
siana, 0  nome  etnico  derivato  da  Bàgla,  eliè  cosi  addimandavasi  una 
città  della  penisola  spagouola  (Beja  in  Portogallo);  uii  villaggio  in  Af- 
frica (Bedja  nell*  odierno  reame  di  Tunis,  città  dentro  terra  a  poca  di- 
stanza da  Tabarca);  e  un  villaggio  presso  Ispahan  in  Persia. 

*  Traduco  "  vespro  *  la  voce  'atr  che  indica  una  delle  ore  della 
preghiera,  e  risponde  a  venuin'ora,  secondo  rantleo  modo  italiano, 
doè  nei  primi  di  setteBdl>re,  e  in  Palermo,  alle  tre  e  mezza  dopo  mez- 
zodì. Veggansl  le  tavde  delle  ore  delle  preghiere  musulmane  alla  la- 
titudine del  Cairo,  presso  Lane,  Modem  Egyptians,  tomo  I,  p.  309. 


—  67  —  {900.| 

come  quelli  che  sapean  difendere  patria  e  libertà;  si 
che  fecero  far  al  viacitore  una  sessantina  di  miglia 
in  quattordici  giorni;  e  al  decimoquinto,  che  fa  Tetto 
settembre ,  gli  presentaron  la  terza  battaglia.  Pugna- 
rono dieci  ore  continue  dall'  alba  a  vespro ,  in  una 
delle  due  valli,  credo  io,  che  sboccano  nell'agro  pa*- 
lermitano  a  dritta  e  a  sinistra  di  Baida/  Alfine  meno- 
mati, rifiniti,  sopraffiitti,  sbaragliaronsi  fuggendo  verso 
la  città  vecchia  :  gli  Àffricani  da  vespro  a  sera  ferono 
orrìbil  macello  di  loft>;  occuparono  i  8oU)orghi;  sao- 
cheggiaronli,'  a  spreto  della  legge  che  vietava  di  por 
mano  nella  roba  e  nel  sangue  dei  ribelli  musulmani. 
Gon  tuttociò  non  si  fe  ricordo  di  enormezze  come 
qnelle.di  Tunisi,  dalle  quali  rifùggia  Vanirne  alto  e 
gentile  di  Abd-Àllah.  Gli  increbbe  anco  della  batta- 
glia, se  ci  apponghiamo  al  sentimento  di  tre  versi , 
che  improvvisò  in  Sicih'a,  forse  quel  di  stésso;  nei 
quali,  disgustato  delle  stragi,  incendii  e  distruzioni. 


*  U  Zkné»  dice  oondiattaU  la  gionau  e  alle  porte  deUe  città;  » 
il  che  ai  deve  intendere  fuori  i  sobborghi ,  poiché  lbo*-el-Athtr  dke  ^ 
occupati  qne&U  dopo  la  vittoria.  È  da  rtoocdavsi  che  la  strada  da  Tnh 
paal  a  Palernso  hnibo  alla  metà  del  XII  secolo,  e  ttate  più  oltre,  pas- 
sava per  Carini,  come  il  mostrano  gli  itinerarìi  di  Edrisi.  Però  dorea  cor- 
rere per  una  delie  valli  che  fiaieheggiano  Monte  Cuocio,  e  uscire  alla 
pianura,  sìa  tra  Bocca  di  Falco  e  Baida,  sia  tra  questa  e  la  OMOtagna  di 
Petraoi,  lungo  Ui  linea  della  nuova  strada  da  mota  di  Torretta. 

'  Riscontrinsi  :  Ibn-el-Athlr,  anno  287,  MS.  A,  tomo  II,  fog.  107,  seg.; 
e  MS.  di  Blbars,  fog.  133  recto,  seg.;  i^atdn,  tomo  I,  p.  135;  Ibn-Khal- 
dùn, flttfoire  de  VAfripte el  de  la  SieiU,  p.  IS2,  seg.;  Chronktm  tanta' 
irigienUf  p.  45;  Giovanni  Diacono  di  Napoli,  IVaslazIoiie  del  corpo  di 
San  Severino,  presso  Gaetani,  Vita  Sanctarum  Sioulorumf  tomo  li,  p.  dO, 
ripubblicato  da  Muratori,  Rerum  Itaìiearum  Seriptorei,  tono  I,  parte  IK 
p.  960.  fi  maraviglioso  lo  accordo  di  Giovanni  Diacono  col  cronisti  musulmaiii 
intorno  la  importanza  dei  £aitti  ;  e  della  Cronica<(li  Cambridge,  di  origine  gre- 
ca, con  Iba-el-Athlr,  su  la  data  della  battaglia  df  Palermo ,  che  l' uno  porta 
il  IO  di  ramadbin,  ei'  altro  V  otto  di  settembre,  che  è  appunto  il  riscontro 
del  calendario  cristiano  col  musulmano. 


|900.]  —  68  — 

quel  prode,  sospirando,  pensava  a  qualche  giorno 
tranquillo,  vivuto  nei  giardini  di  Rakkàda,  in  mezzo 
alle  sue  donne  e  figliuoli/ 

Palermo  ingrossando  di  quartieri  suburbani, 
stendeasi  in  questo  tempo  dalla  parte  di  scirocco 
infino  alla  sponda  dell'  Oreto  ;  da  ponente  ne  saliva 
una  catena  di  abituri  per  due  miglia  e  piii  infino  al 
villaggio  di  Baida,  ossia  alle  falde  dei  monti:  sob- 
borghi sì  importanti  che  racchiudeano  da  dugento 
moschee  e  però  vi  si  debbon  supporre  a  un  di  presso 
due  quinti  di  tutta  la  popolazione  palermitana.'  Su  quel 
vasto  aggregato  di  ville  da  diletto  ed  umili  case  della 
gente  industriale,  torreggiava  la  città  antica,  afforzata 
di  bastioni  e  di  lagune,  il  Cassaro  come  l'appellarono 
gli  Arabi,  spaziosa  cittadella  di  figura  ovale  che  tenea 
quasi  il  mezzo  dell'  odierna  città.  '  Occupati  i  sobbor- 

*  Questi  Tersi  sono  trascrìtti  da  Ibn-el-Àtbtr  nella  notizia  biografica 
jAì  Abd-Allah,  anno  389,  MS.  A,  tomo  lì  ,rog.  172  recto;  MS.  G,  tomo  IV, 
fog.  279  recto;  e  MS.  di  Bibars,  fog.  129  verso;  e  con  qualche  variante  da 
Ibn-Abbàr,  MS.  della  Società  Astaiica  di  Parigi,  fog.  33  verso.  Mettendo 
nell'ultimo  verso  un  punto  diacritico  .Botto  la  h  della  voce  b  hdr  e  leggen- 
dola bigidr,  che  vuol  dire  accanto,  in  vicinanza,  traduco  così  : 

e  Bevo  la  salutar  bevanda >  in  (erra  straniera,  lungi  da' miei  e  dalla 
»  mia  casa: 

»  Ahi  1  soleva  altre  volte  appressarla  a'  labbri,  quand'  io  tutto  otez- 
»  zava  dì  muschio  e  d'aloe; 

»  Ed  or  eccomi  in  mezzo  al  sangue,  tra  1  vortici  del  fumo  e  il  poi- 
f  verio.  » 

Ho  reso  "salutar  bevanda  "  la  voce  dewé,  medicamento,  farmaco* 

*  lakùt  nel  Mo'gim  el-Boldàn,  MS.  di  Oxford,  articolo  Palermo,  tra- 
scrive uno  squarcio  della  descrizione  d' Ibn-^Haukal,  nel  quale  si  dà  questo 
numero  di  moschee  e  si  ripete  quel  di  300  del  resto  della  città,  che  si  co- 
noscea  secondo  la  descrizione  da  me  pubblicata.  Quel  passo  va  or  corretto 
secondo  lakùt,  la  cui  aggiunta  ne  compie  la  sintassi  che  rimanea  sospesa. 

'  Oltre  ciò  che  ho  detta  su  la  topografia  di  Palermo  nei  capitoli  pre- 
cedenti, veggasi  Ibn-Haukal,  Deteription  de  Palerme^  da  me  pubblicata  nel 
Journal  Asiatique,  IV  sèrie,  tomo  V,  p.  94,  95;  e  néìV Archivio  Storico 
Italiano,  appendice  XYl,  p.  22.  I  nomi  delle  porte  della  città  antica  che 


—  69  —  |9oo.| 

ghi  dai  nemico,  i  cittadini  si  difesero  nel  Gassaro 
per  dieci  giorni  e  stipularono  un  accordo;  onde  fu- 
rono Schiuse  le  porte  ad  Abd-Allah ,  il  diciotto  set- 
tembre. Per  patto,  o  innanzi  che  si  fermasse,  gran- 
dissimo numero  di  cittadini  con  lor  donne  e  figliuoli 
andavano  a  rifuggirsi  in  Taormina  ;  Rakamùweih  e  i 
più  intinti  nella  rivoluzione  facean  vela  chi  per  Co- 
stantinopoli ,  chi  per  altri  paesi  di  Cristianità ,  ove 
mai  non  potesse  arrivare  il  braccio  d' Ibrahim.  Dopo 
lo  sgombro,  rimase  pure  uno  stuolo  di  ottimati  so- 
spetti che  Abd-Allah  inviava  al  padre  in  Aflfrica; 
forse  di  qudli  cui  non  v'era  pretesto  ad  uccidere, 
poiché  le  croniche  non  parlan  di  supplizio  loro.  Così 
riluce  per  ogni  verso  la  umanità  del  vincitore.* 

^i  lunghe  discordie  non  poteano  ignorarsi  dai 
Cristiani.  Que'di  Val  Demone  le  aveano  usato  nella 
tregua  dell'ottocento  novantacinque ,  nella  quale  sem- 
bra entrato,  allora  o  poi,  lo  stratego  di  Calabria;  at- 


troviamo  in  Ibii-Haukal ,  ci  permettono  di  fissare  il  perimetro.  Movendo 
dalla  odierna  parrocchia  dt  Sani'  Antonio  saliva  verso  libeccio  per  V  altura 
ov'  è  il  monastero  delle  Vergini ,  continuava  per  la  strada  del  Gelso  fino  a 
Sant'  Agata  la  Guilla,  volgessi  a  scirocco  lungo  una  linea  cbe  or  si  tirasse 
dalla  cattedrale  allo  Spe/lal  grande ,  e ,  ripiegandosi  verso  greco ,  toccava 
gli  attuali  monisteri  dei  Benfratellì  e  Santa  Chiara,  Università  degli  studii, 
Uflcio  della  Posta,  Monistero  dì  Santa  Caterina,  donde  tornava  alla'chiesa 
di  Sant'  Antonio.  Figura  ellittica ,  il  cui  asse  maggiore  coincidéa  con  la 
strada  del  Gassaro  d'oggi  presa  dalla  cattedrale  a  Sant'Antonio.  A  gue- 
st' asse  éorrean  quasi  pàralelle,  d' ambo  i  Iati,  due  strade  cbe  agevolmente 
oggi  si  riconoscono,  anguste  e  serpeggianti  come  tutte  quelle  del  medio 
evo  ;  l' una  dal  Monastero  delle  Vergini  alla  Beccheria  vecchia  {Ocidituri\  ; 
r  altra  dal  Palagio  Comunale  al  monastero  di  Santa  Chiara.  Non  si  badi 
molto  alla  pianta  del  Morso,  Palermo  anticoy  cbe  si  riferisce  ai  tempi  nor- 
manni ,  e  d' altronde  è  inesattissima. 

*  Riscontrinsi  :  Ibn-el-Athtr ;  il  Baidn;  e  Ibn-Khaldùn  ai  luoghi  citati 
nella  nota  2  della  p.  67  del  presente  voi.  il  Baidn  dice  espressamente  che 
Abd-Allah  entrava  dopo  accordato  l' amdn  il  venti  di  raroadh&n. 


4000.1  —  70  — 

teso  che  Giovaani^  Diacono  di  Napoli  dice  provocata 
da  cotesto  accordo  là  guerra  di  Abd-AIlah  io  quella 
provincia/  Nel  medesimo  tempo  Sant'Elia  da  Castro- 
giovanni,  ancorché  ottuagenario  e  infermo,  si  appre* 
stava  a  ripassare  in  Sicilia,  lusingato,  forse  richie- 
sto, dair imperatore  Lecme  il  Sapiente  :  Elia  da  Ca- 
strQgiovanni ,  stato  ausiliare  di  Basilio  Macedone  nel 
tentato  racquisto  dell'  isola  venti  anni  innanzi  ;  e  il 
vedremo  tra  non  guari  incoraggiare,  a  modo  soo,  al- 
restrema  difesa  il  popolo  di  Taormina.  '  Yedrem  anco 
novelli  sforzi  dei  Bizantini:  un  patrizio  e  un  presidio 
mandati  a  Taormina;  grand' oste  adunata  a  Reggio; 
armata  venuta  di  Gostantinopoli  a  Messina.  I  quali 
fatti  mostrano  ad  evidenza  che  Y  impero  fé'  disegno 
nelle  guerre  civili  dei  Musulmani  e  nel  bisogno  che 
avea  di  lui  la  colonia  ribelle.  Dopo  la  occupazione  di 
Palermo,  l' impero  armò  un  poco  ;  suscitò  al  riscatto 
le  popolazioni  cristiane  dell'isola,  alla  guerra  quelle 
di  Calabria;  trascinato  egli  stesso  dai  Musulmani  ri- 
fuggiti a  Taormina;  a  Costantinopoli  e  in  Calabria ,  i 
quali  speravano  gran  cose  al  certo  e  molte  più  ne 
diceano. 

Abd-AUah ,  sapesse  o  no  coteste  pratiche,  do- 
Vea  combattere  la  guerra  sacra,  per  dare  sfogo  agli 
agitati  ànitni  dèi  Musulmani  di  Sicilia ,  per  soddisfare 
a  sé  stesso,  alla  opinione  pubblica,  al  padre.  Non 
tardò  dunque  a  uscir  di  Palermo;  cavalcò  il  contado 
di  Taormina;  svelse  le  vigne;  molestò  il  presidio  con 

*  Johannis  Diaconi  Neapolitani,  Martirio  di  San  Procopio  presso  il 
Gaelani,  Ft/ce  Sanctorum  Siculorum,  lonto  U,  p.  60;  e  presso  Muratori, 
k^rum  Italicarum  Scriptore^,  tomo  I, parte  1I>>  p.  269. 

^  Vita  di  Sant'  Elia,  presso  il  Gaetani^  op.  cit.,  tomo  II,  p.  73. 


—  71   —  (904.1 

avvisaglie;  e  oome  rmverao  s'innoltrava,  sperando 
ridurre  più  agevolmente  Catania,  città  in  pianura,  la 
assediò;  ma  indarno.  Periochè,  tornato  in  Palermo  a 
svernare,  appareochiÒL  più  poderosi  armam^iti,  e, 
abbonacciala  la  stagione ,  fe*  salpare  il  navilio  a'  ven- 
ticinque tnarzo  del  novecento  uno.  Egli  con  Teser- 
cito  andò  a  porre  il  campo  a  Demona;  piantò  i  man* 
gani  contro  le  mura;  le  battè  per  diciassette  giórni;  ^ 
ma  risaputo  d'un  grande  sforzo  di  genti  che  i  Bizan-» 
tini  adunavano  in  Calabria,  lasciò  stare  il  presidio  di 
Demona  buono  a  difendersi  e  non  ad  offendere;  e 
volò  con  r esercito  a  Messina.  Par  che  Tarmata  ì4 
fosse  ita  innanzi,  e  che  la  città  si  fosse  di  queto  sot- 
tomessa. Abd-AUah  passava  immantinenti  lo  stretto. 
Trovata  Toste  sotto  le  mura  di  Reggio,  un'accozza- 
glia dei  presidii  bizantini  delT  Italia  meridionale  e  di 
Calabresi  che  li  abborrivano,  i  Musulmani  la  sbara* 
gliaron  col  spio  terrore,  dice  Giovanni  Diacono.  Men- 
tre i  fuggenti  correano  da  ogni  banda  per  la  campa- 
gna ,  Abd-Allah  irruppe  senza  ostacolo  in  città  il  dieci 
giugno.  Le  feroci  genti  sue  cominciarono  una  strage 
indistinta:  poi  Tavarizia  consigliò  di  far  prigioni;  d^ 
ne  ragunarono  diciassettemila,  tra  i  quali  fu  tratto  in  ' 
carcere^  come  scrive  Giovanni,  il  venerando  vescovo 
dal  crin  bianco  e  dalla  faccia  colorita,  spirante  dol- 
cezza. Immenso  il  cumulo  della  preda:  oro,  argento, 
suppellettili  ;  rigorosamente  custodito  dai  vincitori , 
continua  il  medesimo  autore,  e  ben  si  riscontra  con 
la  legge  musulmana  che  vieta  di  scompartire  il  bot- 
tino in  territorio  nemico.  Yi  si  aggiunsero  i  tributi  e 
presenti  delle  città  vicine,  le  quali  si  affrettavano  a 


1901-902.1  — .   72   — 

mandare  oratori  chiedendo  Tamàn  ;  poiché  Abd-ÀUah 
avea  dato  voce  di  volere  stanziare  a  Reggio.  Ma  im- 
provvisamente ei  ripassa  lo  stretto,  sapendo  arrivata 
da  Costantinopoli  a  Messina  un  armata  greca;  e  la 
coglie  nel  porto;  le  prende  trenta  legni;  fa  diroccar 
le  mura  della  città,  per  gastigo  o  cautela.  Intanto  tra- 
ghettavano continuamente  da  Reggio  a  Messina  le 
navi  da  carico,  zeppe  di  roba  e  schiavi.  Abd-Aliah 
condusse  di  nuovo  Y  armata  su  le  costiere  di  Terra- 
ferma; combattè  altri  nemici,  forse  gente  dei  duchi 
Franchi  di  Spoleto  e  Camerino,  condotti  ài  soldi  del- 
ikimperatore  di  Costantinopoli.  In  questa  impresa  il 
principe  aghlabita  occupò,  il  venti  luglio,  una  città 
di  cui  non  ben  si  legge  il  nome,  forse  Nardo;  ^  e  si 
ridusse  alfine  cpn  tutte  le  genti  in  Palermo,  donde 
mandò  nunzii  al  padre  col  racconto  delle  vittorie  e 
il  meglio  del  bottino.  Fino  alla  primavera  del  nove- 
centodue, quando  andò  a  trovarlo  ei  medesimo  in 
Affrica,  Abd-Allah  soggiornò  nella  capitale  della  Si- 
cilia, reggendo  i  popoli  con  giustizia  e  bontà.* 


*  Si  troYa  nel  solo  Ibn-el-AtbIr,  in  un  passo  di  cui  abbiamo  tre  MSS. 
con  tre  lezioni  diverse  :  Barlibùa,  Jartinùa,  e  nel  BIS.  ordinariamente  più 
corretto, Bartono6t2a.  Facendo  astrazione  delle  vocali  non  accentuate,  il 
nome  si  riduce  a  sette  lettere,  alcune  delle  quali  posson  variare  secondo  i 
punti  diacritici.  Le  lettere  sono:  1«  6,  t,  n,  t,  th,  e  può  anche  rispondere 
alle  nostre  p  e  v;  2«  r,  ovvero  %i^t;  4*  e  3f  stesse  lettere  che  la  prima; 
6*  w,  ovvero  u;  7«  a,  la  quale  potrebbe  esser  muta,  onde  la  finale  è  an- 
che incerta  tra  u  e  wa.  Combinando  le.  consonanti  con  varie  vocali,  la 
migliore  lezione  sembra  JVert^lnu,  che  risponde  al  nome  dato  dai  geografi 
antichi  ai  popoli  di  Neritum  in  terra  d'Otranto.  Neritum,  oggi  Nardo,  città 
poco  lontana  dal  mare,  fìi  assai  importante  nel  medio  evo,  fatta  sede  ve- 
scovile nel  XV  secolo.  Ma  la  mia  congbìettura  è  tanto  più  incerta,  quanto 
sappiamo  assai  vagamente  la  regione  di  cui  si  tratti ,  come  diremo  nella 
nota  seguente.  > 

>  Rlscontrinsi  :  Ibn-el-Athtr,  anno  287,  MS.  À  ^  tomo  II,  fog.  167  ver- 
so; e  MS.  di  Bibars,  fog.  123  recto,  seg.;  ed  anno  261,  MS.  A,  tomo  11, 


—  73  —  190^.1 

Corse  fama  in  Italia  che  Ibrahim ,  iatendendo  dai 
messaggi  del  figliuob  la  impresa  di  Reggio ,  prorom- 

fog.  93;  MS.  C,  tomo  IV,  fon^.  SISfeno;  e  MS.  di  Bibars,  fog ;  Joban- 

pes  DiacoQQS,  Translatio  corporis  Sancii  Severini,  presso  Gaelant,  Vita 
Sanetorum  Siculorum,  tomo  li,  p.  60;  e  presso  Muratori,  Rerum  Italica- 
rum  Seriptores,  tomo  1,' parte  lU,  p.  968^  seg.;  Baidn,  tomo  I,  p.  195, 
annoÌ88;  Chronicon  Cantabrigiense,  presso  Di  Gregorio,  Rerum  Àrabiea- 
rum,  p.  44;  Ibn-Khaldùn,  HistoirederAfiriquettde  la  Stct7e,  Torsione  di 
M.  Des  Vergers,  p.  i37,  i38;  e  il  ceìioo  cbe  ne  U  Nowairì,  con  errore  di 
data,  nella  Storia  d'Affrica,  in  appendice  alla^t>/otre  des  Jìerbères,par  Ibn^ 
Khaldoun,  versione  di  M.  De  Slane,  tomo  I,  p.  431  ;  Chronicon  VuUumenset 
presso  Muratori,  Rerum  Italicarum  Scriptores,  tomo  I,  parte  U«»  p.  415. 

Più  che  ad  ogni  altro  si  badi  a  Ibn-el-Atbtr,  e  Giovanni  Diacono. 
Nei  MSS.  A  e  di  Bibars  si  legge  che  le  navi  musulmane  tornavan  da  Reg- 
gio a  Messina  cariche  di  roba  e  dakik,  che  vuol  dir  ferina  »  ma  credo  vada 
corretto  raktk,  schiavi.  La  battaglia  di  Reggio  è  riferita  da  Ibn-el-Athlr  al 
mese  di  regeb  (91  giugno  a  90  luglio  901),  e  dàlia  Cronica  di  Cambridge 
precisamente  al  10  giugno;  e  questa  data  io  lio  seguito,  ma  forse  è  erro- 
nea, e  si  dee  correggere  10  loglio,  mutando  una  sola  lettera  nel  testo  ara- 
bico, e  leggendovi  iuliu  In  vece  di  iuniu,  il  Baidn  in  luogo  di  Rtwa  (Reg- 
gio) ha  %  la,  che  si  potrebbe  supporre  Scilla,  ma  è.  alterazione  del  primo 
di  questi  nomi.  Ibn-Khaldùn,  per  errore,  credo  io,  di  memoria,  frettolosa- 
mente compendiando  questi  annali,  scrisse  che  Abd-AUàb,  andato  da  Taor- 
mina a  Catania,  e  trovandola  ostinata  alla  difesa,  se. ne  tornò  per  ripu- 
gnanza a  spargere  sangue  musulmano.  Ciò  non  si  legge  in  ibn-el-Athtr; 
né  è^  probabile  -che  Catania  a  questo  tempo  fosse  già  divenuta  colonia 
musulmana.  Anzi,  la  espugnazione  del  vicino  castello  di  Aci  nel  909, 
eh'  era  tenuto  dai  Cristiani ,  li  fa  supporre  signori  anco  di  Catania. 

Adessa  debbo  allegar  le  testtmoniftoze  di  quell*  ultima  impresa  di 
Abd-Allab,  dopò  la  distruzione  delle  mura  di  Messina.  Ibn-el-^Atbtr,  ab- 
bozzando sotto  r  anno  961  una  biografla  di  Ibrahim-ibn-Ahmed ,  dice 
che  proponendosi  costui  il  pellegrinaggio  e  la  guerra  sacra,  andò  a  Sosa 
l'amio  969  (909)  e  e  indi  passò  còl  navilio  ili  Sfciiia,  e  potè  il  campo  a 
»  Dem&na,  Assediatala  per  diciassètte  giorni ,  andò  a  Messinat  e  pauò  a 
»  Bisggio,  ove  s*  era  adunata  gran  gente  dei  Rum,  Ei  li  combatteva  alle 
»  parte  della  città;  li  sbaragliava  ;  e  prendea  Reggio ,  con  la  spada  alla 
»  mano,  del  mese  di  regeb.  Saccheggiatola,  fece  ritorno  a  Messina,  di 
»  cui  abbattè  le  mura;  e,  trovando  in  porto  le  navi  arrivate  da  Costan* 
»  tinopoli,  ne  prese  trénta.  Andò  poi  a  HeriPinù  {Bartibù  etCw),  e  se  ne 
»  insignori  alia  fine  di  regeb,  Ei  die  esempi  di  giustizia  e  di,  òuona 
f  condotta  verso  i  sudditi.  Andò  poi  a  Taormina  etci,  »  segqendoa  nar- 
rare la.espugoaaione  di  questa  città  nel  909.  Or  lo  squarcio  cbe  bo  messo 
io  carattere  corsivo  è  compendio  esatto,  e  in  molti  luoghi  trascrliione,  di 
quello  che  contiene  le  imprese  di  Abd-Allah  dèi  901 ,  il  quale  si  trova 
sotto  Tanno  987;  se  non  cbe  in  quest* ultima  inanca  la  impresa  di  Ne- 
ritlnù.  £  evidente  dunque  cbe.  Ibn-el-Atblr,  o  il  copista,  replicò  nella 


|9<M.|  ~  74  — 

pessé  ìd  rampogne:  «  Non  esser  suo  sangue,  no,  te- 
ner daUa  lùadre ,  questo  svenevole  che  s' impietoi^va 
dei  Cristiani  e  tornava  addietro,  principiate  affiena 
le  vittorie  !  Se  ne  venisse  dunque  a  poltrire  in  Atìpi- 
ca, che  egli,  Ibrahim-^ibn-Abmed,  andrelrfje  a  hìo^ 
strare  ai  nemici  di  Dìo  e  degli  uomini  il  valor  vero 
della  schiatta  dAghIab.  »  A  queste  parcrfe  d'ira  s'ag* 
giugneano  romori  contraddittori!  :  che  Abd-AUah  se- 
gretamente sopraccorresse  a  corte  per  felso  avviso 
della  odorte  del  padre;  che  Ibrahim  vistoselo  accan* 
to,  in  luogo  di  incrudelire,  gli  rinunziasse  il  regno  e 
ponessegli  al  dito  il  proprio  anello.* 

Cosi  tra  le  fole  si  risapea  la  verità.  Al  dir  d^una 
cronica  araba,  la  verità  era  che  richiamatisi  i  Mu- 
sulmani di  Tunis  appo  il  califo  abbassida  Mo'tadhed- 
Billah  delle  enormezze  che  aveano  a  sopportare,  e 
mostratogli  che  certe  schiave  che  Ibrahim  gli  avea 
mandato  in  dono,  fosser  le  mogli  e  figliuole  loro,  Mo** 

guerra  d' Ibrahim  parecchi  faui  di  quella  di  Abd-AUah  dett'amio  pvece- 
dente.  £  eTÌdente,  dico,  per  lo  assedio  di  Demona,  Yittofia  di  Reggio, 
presura  delle  navi  greche  a  Messina,  e  distruzione  delle  mura  di  ìin^ 
sta  citt^.  Mi  pare  probabile  per  la  occupazione  di  Nerlttnù. 

fi  Ciò  perchè  Ibn-Kbaldùn,  il  quale  compendiava  gli  annali  di  Ibn-^^ 
Atblr,  e  on* altra  cronica  più  antica,  dopo  tuUe  le  imprese  di  Abd«<Allah 
eone  noi  le  abbiamo  narrato,  fino  alla  distruzione  delle  mura  di  Messina, 
continna  :  t  Indi  tras^ttd  ndla  ticina  parte  d' Italia  (cosi  va  resa  la  deDomi- 
»  nai^nedi  a'dwet-^er'-Rùm)  ;  combattè  con  popoH  Frandii  d' oltre  il  mare; 
»  e  toittò  in  Sicilia.  9  La  città  dunque  il  cui  nome  leggiam  sì  male  inttaHeK 
Athir,  par  che  giacesse  nella  regione  vagamente  chiamata  a'éweU^'-RAmj 
che  non  si  può  intendere  del  solo  stretto  di  Messina,  ma  di  tutta  la  co- 
stiera òhe  guarda  la  Sicilia,  se  si  ricordi  il  valor  della  deoominazione  ana- 
loga di  Berr-el-i'cfwa  in  Affrica.  1  Fnuichi  eombauuti  da  Abd-Allah  non 
poteano  esser  che  le  genti  dei  duchi  di  Spoleto  e  Camerino  condotti  ai  soldi 
di  Leone  il  Sapiente.  Rltraggiamo  infatti  ch'egli  nel 904  abbia  mandato  da- 
naro «t  Franchi  per  rinforzire  r  esercito  destinato  contro  la  Sidfia.  Veg- 
ipasi  11  cap.  lY  del  presente  Libro  >  p.  87, 89. 

'  Johannes  Dtacoius  Neapolita&ns«  i.  e. 


—   7t)  —  |90<.) 

tadhed  inorrìdito  «i  risovv^iva  d' essere  pontefice  e 
imperatore.  Facea  duuque  sentire  in  Affrica,  la  prima 
volta  da  nn  secolo,  i  Viveri  del  successor  del  Profe* 
ta^  Significava]!  per  nn  mèssag^iero;  al  quale  Ibrahìm 
volle  fskirsi  incontro  in  attestato  di  riverenza,  con* 
tenendo  i  superbi  movimenti  dell'  animo,  con  si  doro 
sforzo,  eh*  ei  ne  fu  colpito  di  malattia  biliosa ,  e  co- 
stretto a  sostare  alla  ^kha,  o  vogliam  dire  stagno 
salmastro  di  Tunis.  Abboccatosi  quivi  segretamente 
con  r ambasciatore,  promesse  di  ubbidire  al  califo; 
il  quale  per  bocea  di  costui,  senza  comando  scritto, 
g^i  ingittgnea  di  rìsègnare  il  governo  al  figKuolo 
Abd-Allah  e  rappresentarsi  in  persona  a  Bagdad.  * 
Tanta  pKxlestia  civile  d' Ibrafaim  si  comprenderà  me- 
glio, considerando  eh'  ei  già  sentiva  crollare  il  trono 
aghiabita.  Una  sètta  politica,  dèlie  tante  che  ne  co- 
vavano sotto  la  teotorazia  musulmana,  s' era  appresa 
alla  forte  tribù  berbera  di  Kotàma  ;  e  scoppiava  già 
in  aperta  ribellione,  minacciando  al  paro  il  principato 
d'Affrica  e  il  dalilato.  In  Affrica,  Arabi  e  Beii)eri,  or^ 
todossi  e  scismatici,  nobiltà  menomata  dai  supplizi! 
e  plebe  spolpata  sotto  pretesto  di  farle  giustizia  con^ 

*  Nowafri,  Storia  d^À/frica,  MS.  di  Parigi  702  A,  fog.  83  verso;  e 
tnduione  «y  M.  Be  Siane,  ìnappendiee  a  llm-Klialdfta,  BUt^ire  4e$  Iteiv 
bères,  tomo  I,  p.  431  ;  Ibn-Kbaldùn,  Histoire  de  VAfrique  et  de  la  SicUe, 
Torsione  di  H.  Des  Vergefrs,  p.  138  e  139.  Avvertaci  die  M.  De  SlaDe  Iia 
toUato  il  kiojgo  del  Nowairi,  o?e  si  dice  della  malattia  che  colpln  Ibfabtm 
in  questo  momento.  Quanto  alla  tradizione ,  sembra  che  il  Nowairi  r  abbia 
tolto  da  Ibn-Reklk;  al  par  di  Ibn-Khaldùn,  il  quale  lo  attesta  espressamen- 
te. £gU  è  vero  cb«  Ibn^Abb&r,  MS.  detta  Società  Asiatie»  df  Parigi,  fog.  35 
recto,  riferisce  aver  letto  nella  Storia  d' Ibn-Reklk,  che  Mo'tadbed  ìniriie* 
ciò  di  deporre  Ibrahim  e  surrogargli,  non  il  figliuolo»  mail  cugino Mobam- 
med;  ma  questo  si  dee  tenere  Come  folto  divereo,  seguito  appunto  nel- 
VSd^t  prima  della  uecisione  dei  detto  Mohammed,  della  quale  abbiam 
fatto  parola  nel  Capitolo  precedente,  p.  58. 


1904.1  —Te- 

tro i  nobili,  a  una  voce  tutti  maledivan  T  Empio, 
come  il  chiamarono  per  antonomasia./  Minacciavalo 
di  più,  dall'Egitto,  la  dinastia  dei  Beni-Tolùn ,- po- 
tentissimi di  ricchezze  e  d'ardire,  imparentati  col 
califo,  usurpatori  che  per  far  più  guadagno  s' offrian 
sostegni  alla  legittimità.  Sovrastandogli  dunque  no- 
vella guerra  civile,  complicatissima,  spaventevole, 
senza  speranze  di  uscirne  vincitore,  ei  riformò  il 
governo  e  abdicò,  fingendo  d'uldndìre  al  califo.  No- 
tevole è  che  un  altro  cronista,  copiato  o  abbreviato 
nel  Baiàn,  senza  far  parola  del  messaggio  di  Mo'ta- 
dhed,  attribuisce  a  dirittura  le  riforme  d'Ibrahim  ai 
movimenti  della  tribù  di  Kotàma ,  e  dice  che  allora 
ei  volle  fersi  grato  air  universale,  e  riguadagnare  gli 
animi  degli  antichi  partigiani  di  casa  d'Aghlab.  ' 

Pose  il  nome  d' anno  della  giustizia  al  dugen- 
tottantanove  deir  egira  (1 6  dicembre  901  a  4  dicem- 
bre 902)  che  incominciava  tra  quelle  vicende;  abolì 
le  gabelle  ;  disdisse  le  novazioni  nel  modo  di  riscuo- 
tere le  decime  ;  '  rimesse  agli  agricoltori  un  anno  di 
tributo  fondiario;  Uberò  i  prigioni  di  stato;  manomesse 
i  proprii  schiavi  ;  cavò  dalli  scrigni  grosse  somme 
di  danaro  e  dielle  ai  giuristi  e  notabili  di  Eairewàn 
per  dispensarle  ai  bisognosi  ;  ma  ebberle,  iiggiugne 
un  cronista,  queiche  men  le  meritavano  e  furono  scia-* 
lacquate.^   Con   ciò   premurosamente    scriveva  ad 


i  EU-Fàsik.  Questo  soprannome  si  legge  in  Il)n*Abbàr,  op.  cit., 
fog.  32  verso. 

>  Baidn^  tomo  I,  p.  125  e  126. 

'  Veggasi  nel  Capitolo  II  del  presente  libro  la  nota  2  a  p.  53. 

*'  Riscontrinsi:  U  Baian,  1.  e.;  e  Nowatri,  Storta  d*  Affrica  ^  Dell' op. 
cìt. ,  p.  432. . 


—   77  —  [902.1 

Abd-Allah  di  venire  in  Affrica;  il  quale,  lasciato 
r  esercito  in  Palermo  ai  proprii  figliuoli  Abu-Mo- 
dbar  e  Abu-Ma'd,  andò  ih  fretta  con  cinque  galee 
sole.  *  Arrivato  ch'ei  fu,  Ibrahim,  del  mese  di  rebi' 
primo  (13  febbraio  a  14  marzo  902),  gli  risegnava  il 
principato.  Quanto  a  sé ,  non  potendo  rimanere  in 
Affrica  né  volendo  ire  a  Bagdad ,  scrisse  al  califo 
eh'  ei  si  metteva  in  pellegrinaggio  per  la  Mecca.  Poi 
pretestò  che  convenia  passare  per  l'Egitto,  e  che 
ei  noi  potea  senza  azzuffarsi  coi  Beni-Tolùn  ;  onde 
inviò  a  Bagdad  un'altra  lettera  :  che  ad  evitare  spar- 
gimento di  sangue  musulmano,  vedi  s' egli  era  con- 
trito, e  a  compiere  insieme  i  due  precetti  del  pelle- 
grinaggio e  della  guerra  sacra,  piglierebbe  la  via 
di  Sicilia.  ^  Forse  agitava  in  mente  il  pazzo  disegno 
di  andare  alla  Mecca  per  a  traverso  i  torri torii  di 
Cristianità,  il  Bosforo  e  TAsia  Minore,  poich'  egli 
non  avea  rinunziato  al  figliuolo  la  signoria  di  Si- 
cilia, e  pensò  al  certo  al  conquisto  d  Italia,  e  in  Italia 
parlò  di  quel  di  Costantinopoli.  '  Che  che  ne  fosse , 
Ibrahim,  sceso  dal  trono,  parea  rifatto  altr'uomo. 
Dissepolti  i  suoi  tesori  e  armerie,  indossò  a  mo'  de- 
gli anacoreti  un  cilicio  tutto  rattoppato;  andò  a  Susa 
a  bandire,  la  guerra  sacra.  Di  lì  il  sedici  di  rebi'  se- 
condo (30  marzo)  parte  per  Nùba,  castello  in  su  la 
marina  tra  Susa  e  Iklibia  {Clypea)  ;  ove  fa  la  mostra 

*  Ibn-el-Athlr,  anno  287,  MS.  A,  tomo  II,  fog.  i67  verso;  e  BIS.  di 
Bibars,  fog.  i25  recto,  seg. 

'  Riscontriosi  :  Nowairi,  I.  e.  ;  Ibn-ei-Alblr,  anno  961,  MS.  A,  tomo  lì, 
fog.  02  recto;  e  MS.  C,  tomo  IV,  fog.  246  verso  ;  Baidtii  tomo  I,  p.  126. 

'  Jobamnes  Diacooos,  Translulio  eorporii  S,  Severinif  presso  Gaetani, 
Yilas^  Sanciorum  Sieulorum,  tomo  II,  p.  ^;  e  presso  Muratori ,  Jtemm 
Ilalicarum  Scriptores,  tomo  I,  parte  II*,  p.  269,  seg. 


I 

I  V 


[m.\  .       -~  78  — 

dei  vok>ntarii;  li  provvede  d'armi  e  cavalli;  dispeDsa 
venti  dinar  a  ogni  cavaliero  e  dieci  a  ogni  fante  ;  e 
con  loro  fa  vela  per  la  Sicilia.  ^ 


CAPITOLO  IV. 

Il  tiranno  penitente  trovò  perdono  e  anche  sé- 
guito in  Sicilia.  Sbarcato  a  Trapani*  verso  la  fine 
di  maggio  '  si  messe  a  fer  grate  :  poi  cavalcò  alta 
volta  di  Palermo  ;  giansevi  Y  otto  di  lu^io,  ma,  c(m)'ei 
sembra,  non  entrava  in  città.  "  Comandando  tuttavìa 
da  re  non  ostante  Y  abdicazione,  Ibrahim  alzò  in  Pa-- 
iermo  il  Tribunal  dei  Soprusi  ;  deputò  altri  a  prese- 
dervi; ed  egli,  intento  anima  e  corpo  alla  guerra 
sacra,  conduceva  a  soldo  marinai,  largheggiava  sti- 
pendii  a  cavalieri  ;  talché  tra  gli  Affricani  che  avea 
seco  e  i  Musulmani  di  Sicilia  che  arruolò,  mqsse  in 

*  Ibn^^Atìitr  e  Nowaìri,  II.  ce.  Nella  Yersione  di  H.  De  Slane  la  daU 
della  partenza  per  Nuba  è  posta  per  errore  di  stappa  in  vece  del  i6  il  22 
di  rebi*  secondo,  che  tornerebbe  al  5  aprile. 

>  Trapani  eertameote,  come  scrlTe  Ibn-Khaldftn ,  ancorché  nel  lesto 
di  Nowairi  si  legga  Trìpoli.  Nelle  opere  arabiche  quei  due  nomi  son  con- 
fusi spesso.  Ma  qui  il  testo  di  Nowairi  non  lascia  luogo  a  dubbio,  portando 
ebe  Ibrahim  da  Nùba  nmfigò  a  quella  città,  e  che  indi  eavakò  per  a  Pa* 

Iermo. 

>  In  maggio,  secondo  la  dilfgentissima  Cronica  di  Cambridge.  Secondo 
n  conto  di  No^raìrì  lo  sbarco  sarebbe  smreiinto  nella  seconda  metà  di  giu- 
gno, poiché  Ibrahim  si  intrattenea  diciassette  giorni  a  Trapani;  ma  questa 
dfra  può  essere  sbagliata,  come  lo  è  di  certo  quella  del  soggiemo  in  Pa- 
lermo. 

*  Giovanni  DiaooAO  napoletancr  espressameoie  nota  che  IbraUm  sde- 
gnasse d' entrare  in  Palermo,  come  casa  propria.  Air  incontro  Nowairi  ri- 
ferisce tanti  particolari  da  non  potersi  meltere  in  forse  Tandata.  Il  detto 
che  fibrahìra  non  tenne,  ma  fe^  tenere  da  altri  il  Tribunale  dei  Sopmsf, 
mi  fa  supporre  che  il  liraono  fosse  rimase  fuor  la  città  vecchia. 


'   —  79  —  (902  I 

ponto  un'  oste  poderosa.  Il  diciassette  di  luglio  mo- 
vea  con  quella  sopra  Taormina.  ^ 

Per  fortezza  di  sito,  numero  di  popolo,  tradi- 
zioni ,  e  monumenti ,  era  ormai  questa  la  capitale 
della  Sicilia  bizantina,  degli  aspri  luoghi,  cioè,  tra 
TEtna  e  la  Peloriade,  ne' quali  un  pugno  d'uomini  di- 
fendeva ancora  il  vessillo  della  Croce.  Non  potendo 
abbandonar  costoro  senza  vergogna,  Leone  il  Sa- 
piente li  aiutava  com'ei  sapea  ;  che  è  a  dire,  poco, 
tardi,  e  strambo.  Quel  che  conosciam  di  certo  è 
che,  sovrastando  il  pericolo  pei  notissimi  appresti 
d' Ibrahim,  Leone  teneva  i  soldati  dell'  armata  a  Co- 
stantinopoli a  fare  i  manovali  nella  fabbrica  di  due 
chiese  e  d' un  monastero  di  eunuchi  ;  e  eh'  avea  già 
mandato  a  Taormina  un  presidio  con  Costantino  Cara- 
malo  '  e  Michele  Characto  ;  dei  quali  il  primo  fé'  mala 


*  Riscontrfnsi:  Nowairì,  SìùTìa  d'Affrica,  MS.  di  Parigi  702  A,  fog.  53 
vejso;  e  tradluioBe  francese  ài  M.  De  Slane,  in  appendice  a  Ibn-Khaldloi, 
Histoire  des  Berbèrest  tomo  I ,  p.  452  ;  Um-Kbaldùn ,  HUtoire  de  VAfriqm 
et  de  la  Sieile,  versione  di  M.  Des  Vergers,  p.  142;  Johannes  Diaconns 
NeapoliUmus,  TranslaHo  corfom  Sanati  Severini,  presso  Gaetani,  Viim  San- 
etorum  Sieulorum,  tomo  li,  p.  61.  Non  cito  Ibn-el-Athìr  perchè  il  testo  è 
Tidato,  cerne  dissi  nel  capitolo  precedente,  nota,  p.  75.  ÀTTertasi  che 
la  versione  di  M.  De  Slane  tn  questo  luogo  del  Nowairì  sembra  poco  esat- 
ta, e  V  ha  qualche  error  di  stampa  nelle  date,  oltre  lo  errore  del  Nowairi 
che  Ibrahim  arrivato  in  Palermo  il  28  regeb  (8  luglio) ,  e  soggiornatovi 
quattordici  giorni,  ne  fosse  partito  il  7  scia'bàn  (17  luglio).  M.  De  Slane  ha 
soppresso  quest'  ultima  data,  accorgendosi  che  fòsse  sbagliata. 

<  n  nome  di  Costantino  si  legge  nella  Vita  di  Sant'Elia  da  Gastrogio- 
vanni,  e  gli  è  dato  fi  titolo  di  patrislo.  I  cronisti  bizantini  scrivon  che 
e  fosse  In  Taormina,  >  al  tempo  deHa  espugnazione^  Garamalo,  conuB 
e*  pare,  capitano  del  presidio ,  quantunque  non  gli  dian  titolo  di  patrizio, 
né  altro.  Penso  io  dunque  che  si  tratti  d' un  medesimo  personaggio  per 
nome  CostanthM),  e  di  casato  Garamalo.  I  bizantini  non  dicono  né  anco  il 
grado  di  Michele  Characto,  ma  eh'  egli  accusò  di  viltà  e  tradimento  il  Ga- 
ramalo, quand' entrambi  si  rifuggirono  a  Costantinopoli.  Da  ciò  la  con- 
ghiettura  che  il  Characto  fosse  secondo  in  grado,  o  capitanasse  qualche 


1002.1  — .  80  -^ 

prova  ;  e  il  secondo,  inferiore  in  grado,  non  potè  ri- 
parare ,  o  almeno  il  die  a  credere.  ^  Al  medesimo 
tempo  Leone  richiedeva  Elia  da  Gastrogiovanni  di 
pregare  per  la  salate  dell'impero,  dice  l'agiografo, 
i  fotti  mostrano,  di  andare  a  Taormina;  ov'egli,  Sici- 
liano, con  la  sua  fama  di  santità^  rozza  eloquenza,  e 
venerabile  aspetto,  prendesse  due  colombi  a  un  favo, 
come  pareva  alla  corte  bizantina  :  incoraggiare  cioè 
i  combattenti  ;  e  mondarli  dalle  peccata,  dalle  quali 
fermamente  si  credea  che  venisse  ogni  sconfitta 
delle  armi  bizantine.  Elia,  ottuagenario,  infermo,  so- 
stenuto in  pie  dair  indomabile  costanza  dell' animo, 
passava  incontanente  col  fidato  suo  Daniele,  di  Cala- 
bria in  Sicilia,  sotto  specie  di  venire  a  baciar  le  ossa 
di  San  Pancrazio,  primo  vescovo  di  Taormina  ;  e  si 
messe  air  opera  con  impeto.  Rinfacciava  alla  misera 
città  non  mancarle  nessun  peccato  ;  rampognava 
Costantino  che  non  sapesse  ritenere  i  soldati  dagli 
omicidii,  oltraggi,  gozzovìglie,  dissolutezze  ;  gli  par- 
lava d' Epaminonda  e  di  Scipione,  uomini  di  si  spec- 
chiati costumi  da  far  arrossire  i  Cristiani  di  quei 
tempi  corrotti;  gli  ricordava  la  temperanza  e  la  con- 
tinenza, come  necessarie  virtù  di  chi  s' appresti  alta 
guerra.   Rincalzò,  al  solito ,  i  savii  consigli  con  la 

corpo  ausiliare,  il  quale  vìrluosamenle  avesse  combaUulo  contro  Ibrabim. 
.Giorgio  Monaco  fa  supporre  clie  Eustazio,  drungario  dell'armata,  fosse 
stato  inviato  a  Taormina  o  incaricato  di  recarle  aiate  ;  il  che  ei  non  fece, 
e  indi  ne  fu  -punito.  Ma  par  che  il  cronista  supponga  questa  colpa,  oon« 
fondendola  con  quella  che  certamenle  commise  Èustasio,  mandato  contro 
r  armata  di  Leone  da  Tripoli  di  Siria. 

«  Riscontrinsi:  Georgius  Monachus,  De  leone  Batiìii  filio^  §  25, 
p.  B61  ;  Theophanes  continuatut,  lib.  Vi,  2  18,  p.  3d5;  Symeon  Magister» 
De  Leone  Bafilii  filio,  §  9,  p.  704;  Leoois  Grammatici,  Chronographia, 
p.  274, 


—  81   —  •  (0O2.| 

macchina  epica  :  vaticinò,  e  non  era  sforzo  di  prò* 
fezia,  il  passaggio  imminente  del  fier  Brachimo  Af- 
fricano  ;  il  guasto,  la  carnificina  ,  V  arsione  di  Taor- 
mina. Giacendo  infermo  a  casa  del  cittadino  Chrisio* 
ne,  Elia  diceva  all'ospite  :  "  Vedi;  qui  in  questo  letto 
si  adagerà  Brachimo  vincitore  :  ed  ahi  quanta  strage 
insanguinerà  queste  mura  !  "  Un'  altra  fiata,  andando 
per  la  piazza  maggiore,  s' alzava  i  panni  a  ginocchio, 
e  richiesto  del  perchè,  rispondea  :  "  Veggo  abbon- 
dare i  rivi  di  sangue.  "*  Poi  girava  le  strade,  in 
mutande,*  stranamente  avviluppato  dicatene;  si  po« 
neva  un  giogo  di  legno  sul  collo  :  per  lui  non  restò 
di  sbigottire  soldati  e  cittadini,  se  punto  credeano  a 
profeti  viventi.  Cosi  la  religione  dei  Bizantini  sba- 
gliava sempre  il  segno.  Elia,  fatto  ludibrio  della 
gente,  non  perdonò  all'  ultima  cerimonia  di  scuoter 
.  la  polvere  da'  sandali ,  uscendo  dalla  città  ;  e  come 
Ibrahim  s' appressava  ,  così  egli  navigò  ad  Amalfi. 

Comparso  il  nemico,  i  difenditori  di  Taormina 
non  si  stetter  chiusi  entro  le  mura.  Scendendo, 
com'  e'  sembra,  alla  marina  di  Giardini,  presentarono 
la  battaglia  ad  Ibrahim;  virtuosamente  la  combat- 
terono con  gran  sangue  d' ambo  le  parti  :  e  già  le 
schiere  musulmane  balenavano;  serpeggiava  tra 
quelle  un  pensier  di  fuga  ;  perdeasi  al  vento  la  voce 
d^  un  che  aveva  intonato  per  rincorarli  le  parole  di 
lor  sacro  libro  :  ^  Sì  che  ti  daremo  segnalata  vitto- 

*  La  versione  latina  ha  :  Quippe  lumbare  lineum  supra  lumhos  suos 
ponete.  Dunque  il  buon  vecchio,  gittata  la  cocolla,  si  mostrava  con  le 
sole  mutande,  per  imitare^  credo  io,  la  foggia  deglf  schiavi.  Vita  Sancti 
EH<B  Junior Ì8  presso  Gaetani,  Vitce  Sanctorum  Sieulorumy  tomo  11,  p.  73 
e  74;  e  nella  collezione  dei  Bollandisti,  i7  agosto,  p.  479,  seg. 
II.  6 


|902.|  —Si- 

ria, "  ^  quando  Ibrahiiu  lanciossi  nella  mischia.  Volto 
a  quel  pio  guerriero:  "  Perchè  non  reciti,  *  :gli  gridò, 
"^  cotesti  altri  versi  :  —  Ecco  due  litiganti  che  dispu- 
tano chi  sia  il  Signor  loro.  Ma  agi'  Infedeli  son  ap* 
parecchiate  vestimenta  di  fuoco  e  mazze  di  ferro  :  su 
le  teste  loro  si  verserà  acqua  bollente,  da  strugger 
viscere  e  pelle.""  *  E  quando  quegli  ebbe  fornito  i  due 
vèrsi:  ^'O  sommo  Iddio,*  ripigliava  Ibrabim,  "di  te 
disputiamo  quest'oggi  io  e  gli  Infedeli;  "*  e  tornò  aK 
Fassalto,  caricando  con  essolui  gli  uomini  più  vaio* 
rosi  e  di  piii  alto  consiglio;  i  quali  fecer  impeto  che 
spezzò  r  ordinanza  nemica.  Allora  i  Cirìstiani  a  fug* 
gire  sparpagliati  ;  i  Musulmani  a  inseguirli  su  p^  le 
vette  dei  monti,  dicon  le  croniche,  e  in  fondo  ai 
burroni.  Altri  scampavano  su  le  navi  ;  e  tra  questi 
forse  i  due  capitani  bizantini.  Altri  riparavansi 
alla  città;  coi  quali  alla  rinfusa  salirono  il  monte 
ed  entrarono  i  vincitori;  e  incalzaronli  fino  alla  cit- 
tadella, Castel  di  Mola,  come  oggi  s' addimanda,  che 
sovrasta  air  erta  di  Taormina  da  un'  erta  assai  più 
scoscesa  e  superba,  a  distanza  d' un  miglio.  Ibrahim 
pur  tentò  un  colpo  di  mano  :  impaziente  di  fer  ma- 
cello tra  la  popolazione  che  s' era  messa  in  salvo 
nella  rócca,  mentre  le  ultime  schiere  vi  si  rìtràean 
combattendo.  Girata  intorno  intomo  la  costa ,  sparsi 
i  suoi  d'ogni  lato,  Ibrahim  scoprì  un  luogo  ove  gli 
parve  ch'uom  potesse  inerpicarsi  con  mani  e  pie; 
e  a  furia  di  promesse  cacciò  su  per  quei  dirupi 
un  drappello  de*  suoi  stanziali  negri  ;  i  quali  supera- 

<  Corano,  Sura  XLVUI»  verso  1. 
3  Corano,  Sura  XXII,  yersi  20  e  31. 


—  83  —  |902.| 

roQ  r  altezza,  e  a  un  tratto  tuonarono  agli  orecchi 
dei  guerrieri  cristiani  ^  Akbar  Allah.  **  S' erano  essi 
adagiati  a  prendere  un  po'  di  cibo,  fidandosi  nel  sito 
inespugnabile;  stanchi  della  sanguinosa  giornata;  te- 
nendo guardie  nei  luoghi  accessibili  e  negli  altri  no; 
quando  li  percosse  il  noto  grido  di  guerra  dei  ne- 
mici. Scompigliati  e  confìisi,  non  corrono  a  gittar  a 
basso  delle  rupi  quel  pugno  di  schiavi,  non  a  difen- 
dere la  strada  del  castello.  Ibrahim  dunque,  udito  il 
segno  de'  suoi,  sali  senza  contrasto  con  le  altre  schie- 
re ;  spezzò  le  porte  ;  e  comandò  Y  eccidio.  Era  la  do- 
menica, primo  d' agosto  novecento  due.  * 

Ibrahim  efferatamente  abusò  questa  vittoria.  Alla 
prima  fe'trucidare,  con  gli  uomini  da  portar  armi,  anco 
le  donne,  i  bambini,  i  chierici,  cui  la  legge  musulmana 
perdona  la  vita  ;  fece  porre  fuoco  alla  città;  dar  la  cacr 
eia  ai  fuggenti  per  le  foreste  di  que  monti  ed  entro  le 
caverne;  addurre  a  se  i  cattivi,  perchè  ninno  di  cui 


<  Ritedntriosi:  Ibn-eWAilitr,  anno  961 ,  MS.  A,  tomo  il,  fog.  09; 
MS.  G,  tomo  IV,  fog.  246  verso;  e  MS.  di  Bibars;  Nowairi,  Storia 
d'Affrica ,  testo  nel  MS.  di  Parigi  702,  A,  fog.  83  verso,  e  traduzione  pressò 
De  Slane,  op.  cit.,  p.  439,  433;  Uut^Klialdùa,  Biiioir^  de  yAfrifU0  el  d$ 
la  Sicile,  p.  149;  Ckronieon  Cantabrigiense ,  presso  Di  Gregorio,  Rerum 
Arabicarum,  p.  44;  Johannes  Diaconus  presso  Gaetani,  Vita  Sanctorum 
Siculorum,  tomo  II,  p.  61.  Non  cito  i  Bizantini  perchè  non  portano  par- 
ticolari del  fatto,  né  date.  Nella  Cronica  di  Cambridge  V  anno  è  sbagliato 
dal  copista  che  scrìsse  9i(ta  (sei)  in  luogo  di  sena  (anno),  la  qoal  voce 
diffieri^ee  4aj|a  prima  per  «n  sol  punto  diacritieo.  Così  vi  si  trova  6419 
in  l«oi(0  di  6440,  cioè  908  in  luogo  di  909.  Ma  le  altre  tesftiaioniaiise 
storiche  non  iasci^n  dubbio  su  la  v^ra  lezione;  e  a  ritrovarla  basterebbe 
^co  il  calendario ,  porcile  la  Crwilca  di  Cambridge  espressamente  dice 
presa  Taormina  la  domenica  primo  d' agosto,  il  qual  dì  incontrò  in  dome* 
alca  il  909,  e  non  il  908.  U  giorno  deyignato  da  Ibn-el-Atblr,  è  il  99 
sda'bl^n  989,  ohe  risponde  «satiamente  al  1»  agosto  909.  La  Cronica  del 
Monastero  di  Volturno,  presso  Muratori,  Rerum  Ilalicarum  Scriptores,  to- 
mo I,  parte  II«,  p.  413,  accenna  senza  data  la  espugnazione  di  Taormina. 


•• 


1902.1  —  84  — 

potea  comandare  la  morte  non  gli  escisse  di  mano  per 
umanità  o  avarizia  altrui.  Così,  recatagli  una  gran  tor- 
ma  nella  quale  si  trovb  Procopio  vescovo  della  città, 
Ibrahim  chiamatolo  a  sé  :  ""  Cotesti  tuoi  capelli  bian- 
chi "  gli  disse  *'mi  ti  fan  parlare  pacatamente.  Se  e'  ti 
rendon  savio,  abiura  la  fede  cristiana;  e  salverai  la  tua 
vita  e  di  tutti  costoro;  e  ti  darò  tal  grado,  che  in 
Sicilia  sarai  secondo  a  me  solo.  "  Procopio  sorrise 
senza  rispondere;  e  incalzandolo  il  Musulmano:  "Ma 
tu  non  sai  chi  ti  parla?"  replicò.  ^'Sì;  Tè  il  demo- 
nio per  bocca  tua  ;  e  indi  rido.  "  Onde  Ibrahim  volto 
agli  sgherri  comandava  :  **  Sparategli  il  petto ,  cava- 
tegli il  cuore,  eh'  io  vo'  cercarvi  gli  arcani  di  cotesta 
mente  superba  :  "  linguaggio  del  vero  conio  di  Ibrahim. 
Il  santo  vecchio,  dato  al  supplizio,  finché  potè  arti- 
colare la  voce,  imprecò  contro  il  tiranno,  confortò 
i  Compagni  al  martirio.  Aggiugne  Giovanni  Diacono, 
autor  della  narrazione,  che  Ibrahim,  furibondo  a  tal 
costanza,  digrignando  i  denti,  arrivò  a  chiedere  che  gli 
dessero  a  mangiar  il  cuore;  e  se  non  compì  l'orrenda 
Jaltanza,  fece  scannare  gli  altri  prigioni  sul  cadavere 
del  vescovo,  arderli  tutti  insieme,  e  alla  fine  della  festa 
si  levò  mormorando  :  "  Così .  sia  consumato  chi  mi 
resiste  ^"^  *         * 

^  Johannes  Diaconus,  I.  e.  È  verosimile  e  perciò  non  r  ho  tolto  Via» 
quel  vanto  da  cannibale  che  Ibrahim  forse  non  intendeva  di  consumare. 
Nel  Baién^  tomo  I,  p.  1^,  leggiamo  che  il  285  (896)  egli  avea  fatto  ucci* 
dere  quindici  persone  a  Taurg;ha  neU*  odierno  Stato  di  Tripoli,  e  cuocerne 
le  teste,  come  se  volesse  Imbandirle  a  mensa  ;  il  che  fu  cagione  che  la  più 
parte  del  proprio  esercito  k)  abbandonasse.  Un  MS.  della  Biblioteca  di 
Bamberg,  dello  XI  secolo,  citato  neir opera  di  Pérts,  Scrtp/ores,  tomo  lU, 
p.  548,  in  nou  alla  Cronica  Salernitana,  accenna  il  martirio  di  San  Proco- 
pio ,  evidentemente  compendiando  e  alterando  là  narrazione  di  Giovanni 
Diacono. 


—  85  —  (002 1 

Lieve  opera  fu  alla  caduta  di  Taormiua  di  ri- 
durre il  rimanente  del  Val  Demone.  Ibrahim,  venduti 
i  prigioni  e  il  bottino,  e  spartito  il  prezzo  tra' suoi, 
mandava  quattro  forti  schiere;  una  col  nipote  Zia- 
det-AUah  a  Mico  o  Vico ,  fortissimo  castello  dentro 
terra,  non  hingi,  credo  io,  dal  Capo  Scaletta;  '  l'altra 
col  proprio  figliuolo  Abu-Aghlab,  sopra  Demona;*  la 
terza  capitanata  dall'altro  figliuol  suo  Abu-Hogir  '  so- 
pra Rametta;  l'ultima  contro  il  caste!  di  Aci  *  condotta 
da  un  Sa'dùn-el-Gelowi.  Delle  quali  castella,  le  due 
prime,  sendo  state  sgombrate  già  dai  terrazzani  alla 
nuova  del  caso  di  Taormina,  fruttaron  solo  ai  Musul- 

<  Nei  Tàrii  MSS.  d*  Ibn-el-Alhtr,  Ibn-Kbaldùn  ;  e  Nowairi  qaesto  no- 
me si  legge  Blkesc,  Benfesc,  Hfesc,  Mlnisc,  Minia,  e  talvolta  è  scritto 
senza  punti  diacrìtici.  Edrisi  pone  tra  Messina  e  Taormina,  in  luogo  aspro 
e  montuoso,  a  15  miglia  verso  mezzodì  da  Monforte,  una  terra  Hlkosc,  Ml- 
kos.  Minia,  secondo  i  varii  MSS.  Non  trovo  in  oggi  nomi  somiglianti  ;  ma 
Il  luogo  risponde  tra  il  Capo  di  Scaletta  e  il  Monte  Scuderi  ;  sia  Àrtalia ,  o 
Pozzolo.  Superiore,  o  Giampileri  ec  Castello  par  cbe  non  ne  rimanesse  n^ 
anco  al  tempo  di  Edrisi;  Il  nome  mi  par  latino  o  greco,  Vicus,  mJ^^s  Miqxocc 
0  ancbe.  Himì,  Mandanici,  cbe  darebbe  quest'ultimo  nome  aggiunto  a  quel 
di  MficvjpM,  non  risponderebbe  ^alla  detta  distanza  da  Monfprte,  cbe  per 
altro  può  essere  inesatta  o  sbagliata  nel  MS.  di  Edrisi. 

'  Veggasi  la  nota  4  a  p.  468  del  I  Volume»  lib.  il,  cap.  XII,  inlomo 
il  sito  del  caste!  di  Demona. 

'  Si  pronunzìi  come  Hodjr  in  francese,  e  in  inglese  Bojr,  Non  V  bo 
scritto  Hogr  perchè  darebbe  un  suono  diverso» 

*  Certamente  El-^lagi,  quantunque  alcun  MS,  porli  El^Bàqi,  Et^ 
làgi  ec,  mutando  i  pùnti  diacritici,  e  altro  dia  le  lettere  senza  punti.  Edrisi 
Io  scrive  Liàgi,  come  si  I^ge  nel  migliori  MSS.,  dovendosi  negli  altrì  ag- 
giugneve  un  punto  diacritico  alla  ietterà  h  e  mutarla  così  in  t,  Liag  o  Liagi 
in  luogo  di  Lebag  cbe  si  è  trascritta.  La  differenza  di  ortografia  tra  Edrisi 
e  le  memorie,  di  certo  anteriori  a  lui,  su  le  quali  compilò  Ibn-el-Atbtr, 
dà  luogo  a  una  curiosa  osservazione  fljologica.  Nel  X  secolo ,  al  quale  van 
riCerite  quelle  memorie,  il  nome  di  ^Axts  e  AcU,  pronunziato  in  Sicilia,  co- 
m' oggi  9  loci,  eoo  la  prima  vocale  strisciante  nel  modo  cbe  avvertii  per 
Enna,  era  scriUo  dagli  Arabi  col  loro  articola  ej;  probabilmente  perchè  i 
Greci  V  usavano  ancbe  con  V  articolo.  Neihi  prima  metà  del  XII  secolo,  in 
.cui  visse  Edrisi,  Si  dlcea  Li  Àch  con  V  articolo  italiano ,  il  che  può  agglu- 
gnersi  alle  altre t>rove  cbe  la  lingua  nostra  già  si  parlasse  in  Sicilia. 


|902.1  —  86  — 

mani  quel  po'  di  roba  che  vi  era  rimasta.  I  cittadini 
di  Rametta  offrivano  di  pagar  la  gezta;  ma  non  lo 
assentì  Àbu-Hogir  e  volle  gli  abbandonassero  la  ròc- 
ca; e,  avutala,  la  smantellò,  quanto  potea.  Similmente 
que'd'Aei  e  delle  rócche  e  fortezze  dei  contorni,  fat- 
tisi insieme  a  chieder  patti,  non  ottennero  altro  che 
la  vita,  fors'anco  la  libertà  delle  persone:  e  uscendo 
dalle  mura  che  avéan  si  lungamente  e  gloriosamente 
difeso,  le  videro  diroccar  dai  nemici  e  gittarne  i  sassi 
in  mare.  '  Pietro  Diacono,  monaco  cassinese  del  duo- 
decimo secolo,  su  quest'eccidio  di  Taormina  fabbricò 
l'apocrifa  narrazione  accennata  da  noi  nel  prime 
Libro;  nella  quale  affermò  che  Agrigento,  Catania, 
Trapani,  Partinico,  Iccara,  e  le  distrutte  già  pa- 
recchi secoli  innanzi  Cristo,  Tindaro,  Segesta,  Solunto, 


'  Riseontrinsi  :  Ibn^l^Alhtr,  Ibn-Khaldùo,  e  Nowairi,  )].  ce.  Il  rac- 
conto di  Nowftiri,  che  in  qaesto  laogo  è  particolareggiato  più  che  gli  altri, 
éopo  ayer  detto  di  Bico,  Demena  e  Rametta,  continua:  e  E  mandò  sopra 
»  Ad, con  un'altra  schiera,  Sa*dùn-el*6elowi.  Tutte  le  popolazioni  in- 
»  sieme  si  rivolsero  a  costai,  profferendo  la  ge^ia;  ma  egli  non  l'accettò, 
1  né  volle  altro  patto  che  l' uscita  loro  dalle  fortezze.  Uscironne  dunque  : 
»  ed  egli  distrusse  tutte  le  ròcche  e  castella,  e  ne  gittò  le  pietre  in  mare.  > 
Questo  passo  prova  che  la  denominazione  di  Ad,  al  principio  del  X  secolo, 
comprendesse  parecchie  castella  ;  ovvero  che  Ad  fosse  come  la  capitale  di 
quelle  sparse  sul  flanco  orientale  deU'  Etna.  Tra  i  due  suppoiAi,  terrei  piut* 
tosto  il  primo  ;  perchè  ai  tempi  di  Ed  risi ,  Aci  par  éBe  fosse  nominata  al 
plorale,  come  dissi  nella  nota  precedente  ;  e  in  oggi  v'ha  infino  a  sette  co^ 
munì  di  tal  nome,  poco  lontani  l*un  dall'altro.  Qual  fosse  la  fortezza  prhi* 
dpale  nel  903,  non  so.  Porse  Castel  d*  Ad,  posto  sopra  un  masso  df  basalto 
in  sul  mare,  rimpetto  alll  scogli  de'  Ciclopi,  o  Faraglioni  come  or  diiamansi  : 
Le  Uole  di  Ad  di  Edrisi«  Castel  d' Ad  è  famoso  nelle  guerre  degli  Angioini 
contro  gli  Aragonesi.  Potrebbe  darsi  ancora  che  la  ròcca  principale  fòsse 
stata  svi  vicin  *'  Capo  del  Molini  "  ove  si  trovano  ruderi  antichisìBimi;  ovvero 
nel  quartier  della  odierna  Adreale,  detta  Fatane,  che  ha  avanzi  di  un  edi- 
Azio  romano  o  bizantino,  e  vi  si  è  scavata  una  grossa  pietra  di  lava,  col 
noto  monogramma  del  motto  *Gesù  Cristo- vince*  che  si  sole»  porre  nelle 
fortezze  e  bandiere  bizantine.  Veggasi  su  le  antichità  dette  l'erudito  la- 
voro di  Lionardo  Vigo,  NòHMie  thriehe  d'Aei  Beate,  cap.  II. 


—  87   —  1902.1 

fossero  ville  della  Badia  di  Monte  Cassino,  quando 
vennero  di  Babilonia  e  d'Affrica  innumerevoli  Sara- 
ceni capitanati  da  Ibrahim  a  rapir  quei  ricchi  poderi, 
immolando  le  migliaia  di  frati  che  li  tenessero.* 

Ma  pervenute  a  Costantinopoli  le  infauste  nuove 
di  Taormina,  Leone  gravemente  se  n'accorò,  scrivon 
le  cronache  musulmane;  e  per  sette  dì,  ricusava  di 
cinger  la  corona ,  dicendo  non  star  bene  ad  uom  tribo- 
lato. Continuano  a  narrare  che  sorgea  neir  universale 
il  generoso  pensiero  di  aiutare  i  Cristiani  di  Sicilia; 
ma  che  lo  sturbò  la  voce  che  Ibrahim  si  apprestasse 
ad  andar  sopra  Costantinopoli;  onde  Leone  afforzava 
la  capitale  con  un  esercito  e  pur  avviava  forti  schiere 
alla  volta  di  Sicilia.  *  Il  véro  è  eh'  egli  volle  mandar 
danaro  in  Calabria  per  levar  gente  e  assoldare  i  fenda- 
tarli  longobardi  o  franchi  che  passassero  in  Sicilia.  Lo 
ricaviamo  dalle  memorie  bizantine  che  si  accordano 
con  le  musulmane  nella  esposizione  dei  sentimenti, 
se  non  de' fatti.  Leone  condannò  a  morte  il  Caramalo 
per  la  viltà  o  tradimento  suo  a  Taormina;  e  ai  pre* 
ghi  del  patriarca  di  Costantinopoli,  commutò  il  sup- 
plizio in  professione  monastica:  strana  gradazione  di 
pene  in  una  età  in  cui  la  vita  monastica ,  assomigliata 

<  VegKasI  U  Libro  1,  cap.  IV,  p.  i<X>,  seg.,  e  nota  i  ailt  pag.  102. 
L'episodio  di  Ibrabim  appartiene  esclasivamente  a  Pietro  Diacono.  Si  con- 
aerva  manoscritto  nella  Biblioteca  di  Monte  Gassino;  come  ritraggo  dalla  lista 
messa  in  appendice  al  trattato  di  Pietro  Diacono,  De  viris  Ulustribtu  €09- 
4^.;  presso  Muratori,  JUrum  Italicarum  ScripioreSf  tomo  VI.  É  pubbli- 
cato dal  Gaetani,  VUm  Sanetorum  Sieulùrum^  tomo  I,  p.  181 ,  seg. ,  con 
noce  che  condannano  qnalche  bugia  è  mostrano  gli  anacronismi  sconci  delia 
narraitoiie,  compilata,  come  dice  Pietro  Diacono,  sa  la  Cosmografia  di 
Teofone,  e  la  *  Cronologia  dei  Pontefici  Romani.* 

s ^bn-el-Athtr ,  anno  361,  MS.  A,  tomo  II,  fog.  02,  seg.;  MS.  C,  to- 
mo IV,  iiog.  246  verso. 


1902.1  —  88  — 

all'essere  degli  angioli,  si  teoea  com'apice  di  perfe- 
zione cristiana!  *  Vero  altresì  che  si  temesse  a  Co- 
stantinopoli l'assalto,  sia  d'Ibrabim  stesso  che  minao- 
ciava  di  andarvi,'  sia  del  rinnegato  Leone  da.Trippli 
di  Siria;  il  quale  con  cinqaantaquattro  navi,  armate  in 
Siria  stessa  e  in;  Egitto  e  rinforzate  di  Schiavoni,  nei 
principii  della  state  del  novecento  quattro,  accennò 
alla  capitale  bizantina;  fé' voltar  faccia  a  due  ammira- 
gli; e,  gittatosi  sopra  Tessalonica,  entrovvì  dopo  tre 
giorni  d' assalto  il  trentuno  luglio.  '  Neir  occupazione 

*  Georgios  Monachss,  De  Leone  Basilii  filio,  Ì  25,  p.  860, 861  ;  e  Leo 
Grammaticus,  Chronografthia^  p.  S74>,  dicono  espressamente  condannati  a 
morte,  pel  fatto  di  Taormina,  ii  Caramalo  ed  Eustàzio  drungario  dell'  ar- 
mata ;  e  nominano  i  due  monasteri  diversi  nei  quali  furono  mandati  per 
commutazion  di  pena.  Contuttociò  Giorgio  Monaco  nel  §  29,  narrando  la 
impresa  di  Leone  da  Tripoli  che  seguì  due  anni  dopo,  dice  mandatovi  Eo» 
statio  con  tutte  le  forze  navali  ;  il  quale  tornd,  allegando  non  aver  potuto 
trovare  il  nemico.  Pare  dunque  cbe  la  condanna  debba  riferirsi  a  questo 
secondo  fatto;  ma  non  è  inverosimile,  trattandosi  della  corte  bizantiD», 
cbe  dopo  la  prima  prova  sia  stato  tratto  Eustàzio  dal  monastero,  per  affi- 
dargli di  nuovo  r  armata  e  la  fortuna  dell'  impero. 

^  Jobannis  Diaconi  Neapol. ,  Translatio  etc. ,  presso  Gaetani,  Yitc^ 
Sànctorum  Siculorum ,  tomo  II,  p.  62. 

'  Johannes  Cameniata,  De  Excidio  Thessaloniciensi,  esattamente  narra 
tutti  i  particolari  di  cui  fu  testimone  oculare;  e  tra  gli  altri,  al  i^lS^p.  51S^ 
la  nazione  del  soldati  capitanati  dal  rinnegato  Leone.  Perciò  il  Rampóldi 
grossolanamente  sbagliò.  Annali  Musulmani ,  scrivendo  sotto  Tanno  902 
cbe  i  <  Musulmani  Agblabiti ,  radunata  una  flotta  in  Affrica  e  in  Sicilia , 
»  prendeano  Lenno ,  e  minacciavano  Costantinopoli ,  comandati  da  Leone 
»  di  Tripoli.  >  Lo  seguì  in  questo  errore  il  Martorana,  NoH%ie  dei  Sartp- 
ceni  Siciliani,  tomo  I,  cap.  Il,  p.  69;  e  nota  88,  p.  20;  e  scrisse  i  fatti  di 
Lenno  e  Tessalonica  «  tra  le  belle  gesta  cbe  pur  fecero  i  Saraceni  Sicilia- 
»  ni ,  »  ingannalo  ancbe  dalla  concisione  di  Cedreno ,  il  quale  sufkpoàe 
Taormina  e  l' isola  di  Lenno  occupate  nella  medesima  impresa.  Lenno.  fu 
presa  dai  Musulmani  di  Cilicla,  capitanati  da  un  altro  rinnegato  per  nome 
Damiano,  Tanno  903;  come  si  scorge  dalie  autorità  cbe  cita  il  Le  Beati, 
Hiitoire  du  Bas  Empire,  lib.  LXXII,  §  31  ;  e  in.  particolare  da  Sym^n 
Magister,  De  Leone  Basilii  filio y  §  9  e  10,  p.  704,  il  quale  porta  in  anni 
diversi  i  due  fiotti  di  Taormina  e  di  Lenno.  Oltre  Giovaoni  Cameniata  si 
veggano  per  la  impresa  di  Tessalonica,  Theepkanes.  continualus,  lib.  VI, 
cap.  XX,  p;  366,  seg.;  Symeon  Magister,  §  15, 14,  p.  705;  Leo  Gramma- 
ticus,  p.  277;  Georgius  Monacbus,  §  20,  p.  862. 


—  89  —  (9oa.| 

della  quale  città  si  narra  un  episodio  che  attesta  e  le 
cure  di  Leone  il  Sapiente  a  favor  dei  Siciliani ,  e  la 
scempia  guisa  in  che  si  mandavano  ad  effètto.  Rodo- 
fiio  eunuco  e  camerier  dello  imperatole,  viaggiando 
con  cento  libttt*e  d>ro  destinate  air  esercito  che  d<>- 
vea  mandarsi  in  Sicilia  /  s' era  intrattenuto  a  Tessa- 
Ionica  per  faccende,  o,  com' altri  scrive,  per  malattia 
da  curarsi  coi  bagni  ;  quando  pionibaron  su  la  città  i 
Musulmani  di  Siria  e  di  Egitto.  Allora  ei  metteva  in 
salvo  il  tesoro ,  inviandolo  in  una  provincia  vicina  ; 
ma  fatto  prigione  ei  medesimo  quand'entrò  Leone  da 
Tripoli,  questi  n'ebbe  spia,  gliene  domandò  conto,  es 
non  credendo  alla  scusa  che  allegava ,  lo  fé*  morir 
sotto  le  verghe.  Poi  s'ebbe  il  danaro,  minacciando 
d'ardere  Tessalonica.  ' 

Ibrahim-ibn-Ahmed  non  soggiornò  a  lungo  tra 
le  ruine  di  Taormina.  Ragunate  le  schiere  che  avea 
mandato  a)le  dette  fazioni ,  marciò  sopra  Messina; 
stettevidue  dì  soli;  e  il  ventisei  di  ramadhan  (3  set- 
tembre) tra  le  preci<,  i  digiuni,  le  luminarie  del  mese 

<  Cento  Ubbre  d*oro  secondo  Giorgio  Monaco,  la  Continuazione  di 
Teofane,  e  Symeon  Magister,  11.  ce.  Giovanni  Gameni^ta  accenna  prima 
vagamente  una  grossa  somma  di  danaro,  e  poi  due  talenti  d*oro,  op. 
cit.,  §  59,  p,  869.  Il  secondo  aggiagne  che  il  danaro  servisse  agli  sti- 
pendii  e  spese  dell'esercito  in  StciUa( rbu  xceroè  lutlU*  «t/^octoù),  nia  si 
deve  intendere  di  quello  che  si  pensava  f^f  passare  di  Calabria  in  Si- 
cilia. Symeon  magibter  dice  che  le  cento  libbre  d' oro  eran  chiuse  in 
un  cestellino  (xociHmio^  per  recarle  ai  Franchi.  Senza  dubbio  ^  tratta 
degli  stessi  Franchi  di  cui  fa  menzione  Ibn-Rhaldùn  nel  901  ;  e  probabil- 
mente erano  i  duchi  di  Spoleto  e  Camerino,  che  nel  IX  e  X  secolo  fecero 
un  po'  i  capiUni  di  ventura.  Si  vegga  sopra  a  pag.  72,  74. 

>  Johannes  Cameniata,  op.  cit.,  §  39  e  64,  p.  569  e  576;  TAeopAoK 
nea  eontinuatusjlib.  \ly  cap.  XX,  XXI,  p.  566,  seg.;  Symeon  Magister, 
De  Leone  Bàsilii  filio^  S  ^3>  ^^>  P-  '7^>  s^g.;  Georgius  Monachus,  De 
Leone  BasiUi  fUio^  §  29,  50,  p.  862,  seg.;  Leo  Grammaticus,  p.  277. 
Veggasi  anche  Le  Beau,  Bistoire  ìuBm Empire ^  ìib.  LXXII,  §  52,  seg. 


Id02 1  -r  90  — 

santo  e  il  fanatisnìo  che  ne  crescea ,  valicò  il  Faro 
con  tutto  r esercito.  Attraversò  F  ultima  Calabria  senza 
trovar  nemici;  sostò  non  lungi  da  Cosenza;  *  dove, 
traendo  al  campo  ambasciadori  delle  atterrite  città  a 
chieder  patti,  Ibrahim  li  intrattenne  alquanti  dì;  poi 
rispose  nella  insolenza  della  vittoria  :  "  Tornate  ai 
vostri  e  dite  che  prenderò  cura  io  delFItalia  e  che 
farò  degli  abitatori  quel  che  mi  parrà  !  Spe^an  forse 
resistermi  il  regolo  greco  o  il  franco?  Cosi  ibssermi 
attendai!  qui  innanzi  con  tutti  gli  eserciti  1  Aspettate- 
mi dunque  nelle  città  vostre;  m*  aspetti  Roma,  la  dita 
delvecchiarello  Piero,  coi  suoi  soldati  germanici;  e 
poi  verrà  T  ora  di  Costantinopoli  !  " 

Indi  gli  oratori  a  tornarsene  frettolosi;  e  le  città 
ad  apprestarsi  contro  T  estrema  fortuna  :  risarcir  mu- 
ra, alzare  bastioni,  far  provigioni  di  vitto,  ridurre 
ne*  luoghi  forti  quanti  arredi  preziosi  o  derrate  fos- 
sero nelle  campagne.  Il  terrore  giunse  infino  a  Na- 
poli. Tra  gli  altri  provvedimenti,  Gregorio  console, 
Stefano  vescovo  e  gli  ottimati  della  città,  deliberavano 
di  abbattere  il  Castel  Lucullanq,  come  chiainavasi, 
a  Capo  Miseno  :  villa  costruita  da  Mario  ;  comperata 
e  profusa  di  delizie  da  Lucullo;  teatro  di  laidezze  e 
domestici  misfatti  degli  imperatori  di  Roma;  vergo- 
gnoso confino  d'Àugtistolo  che  vìssevi  d'una  pensione 
_  d'Odoacre  (479);  mutata  poscia  in  monastero  e  mo- 


«  Ibn-el-Àthìr,  1.  e.  ;  Nowdirì,  SU>ria  d'Affrifsa,  HS.  di  Parig!,  709,  A, 
tog.  83  verso  ;  e  la  tradazione  franeese  presso  M.  De  Slane ,  op.  cit. , 
p.  433;  Ibn-Klialdikn,  Eistmé^e  VAfriqut  et  de  la  Sieile,  p.  143,  dice 
Ibrabim  tornato  in  SidKa ,  e  morto  air  assedio  di  Cosenza  cb'ei  non  sapeva 
essere  in  Calabria.  Il  li^etto  ritorno  è  evidente  sbì^io  nàto  dal  confondere 
questa  impresa  dì  Ibrabim  con  qn^a  ^el  figliuolo  Tamio  Hmanzi. 


—  91   —  |002.| 

aumento  sepolcrale  di  San  Severino  (496);  afforzata 
di  mura ,  oocapata  dai  Musulmani  di  Sicilia  (846)  : 
vera  tavola  cronologica  delle  rivoluzioni  della  società 
italiana  per  nove  secoli.  I  Napoletani  a  ragione  to- 
rneano che  quelle  moli  non  fossero  occupate  di  nuovo 
dalle  navi  di  Sicilia  per  intercettale  la  navigazione 
del  golfo.  Lavorarono  dunque  popolarmente  per  cin- 
que di  a  spiantarle  e  a  cercar  tra  le  tombe  le  ossa 
di  San  Severino  che  volean  serbare  con  gli  altri  te- 
sori in  città;  domandandole  T  abate  del  monastero 
dello  stesso  nome  a  Napoli.  Trovatele,  o  credutolo, 
ruppero  tutti  in  lagrime  di  gioia:  e  il  di  appresso, 
che  fu  il  tredici  ottobre ,  le  sacre  reliquie  erano  con- 
dotte in  processione  alla  città;  uscendo  all'incontro  i 
magistrati,  il  popolo  e  i  chierici  che  salmeggiavano, 
come  parlavansì  due  lingue  a  Napoli,  chi  in  greco  e 
chi  in  latino.  Per  una  settimana  gli  animi  s'agitavano 
tra  cosi  fatte  effervescenze  religiose  e  le  male  nuove 
di  Calabria,  quando,  a  soverchiarli  di  paura,  scherzò 
nel  firmamento  non  più  vista  moltitudine  di  stelle  ca- 
denti, la  notte  del  diciotto  ottobre,  secondo  Giovanni 
Diacono,  del  ventisette  al  dire  del  Baiàn,  o  più  fiate 
in  quella  stagione,  come  par  che  voglia  significare 
Ibn-Abbàr.  Aggiugne  questi  che  si  sparnazzavano  a 
dritta  e  a  manca  a  somiglianza  di  pioggia.  Le  inno- 
centi asteroidi,  o  meteore  elettriche,  o  che  che  fos- 
sero,  che  la  scienza  per  anco  noi  sa,  passaron  tosto 
in  buon  augurio,  poiché  San  Severino,  comparso  in 
sogno,  secondo  il  costume,  a  un  fanciullo,  mandò 
a  dire  ai  Napoletani  che  nulla  ne  temessero  e  si 
fidassero  in  lui  che  11  difendea  nella  corte  del  Cie- 


|902.|  —  92  — . 

lo.'  Risaputasi  poscia  la  morte  di  Ibrahim,  non  fu  jn 
Italia  chi  non  credesse  in&Uibilmente  averne  dato  se- 
gno le  stelle  cadenti.  Un  Tedesco,  più  scaltro,  pensò 
che  questo  fenomeno,  non  essendosi  visto  in  Italia  sola, 
dovea  risgnardar  tutti  i  popoli,  onde  probabilmente 
era  venato  a  compiere  una  profezia  ricordata  nel 
vangelo  di  San  Luca;  *  il  che  torna  air  annunzio  del 
finimondo  aspettato  tante,  volte  in  Cristianità.  Gli 
Àrabi  d' Affrica,  come  se  fossero  stati  meno  super- 
stiziosi, contentaronsi  a  chiamar  queir  anno  T  anno 
delle  stelle:  ond'ebbe  tre  nomi,  notano  i  croni- 


*  GioYaoni  Diacono,  testimone  oculdie  ed  autor  di  questo  raccon- 
to, dice  che  la  demolizione  del  castello  Lucullano  fu  compiuta  il  12 
(quarto  idus)  4' ottobre;  il  corpo  di  San  Severino  recato  a  Napoli  il  d\ 
appresso  ;  e  te  snelle  cadenti  viste  dopo. sei  dì,  che  tornerebbe  al  18  o 
al  i9.  Il  Baidn,  tomo  I,  p.  126  e  127,  riferisce  questo  fenomeno  al  22 
del  mese  di  dm^UICaia^  cioè  dal  tramonto  del  27  al  tramonto  del  28 
ottobre:  e  merita  maggior  fede,  non  s61o  per  la  solita  diligenza  di  co- 
testa  compilazione,  ma  ànce  per  l'uso  degli  Arabi  di  scrivere  i  numeri 
alla  distesa ,  più  tosto  che  in  cifre.  D' altronde  potrebbe  sùpporsl  che  il 
copista  di  Giovanni  Diacono  avesse  notato  VI  in  luogo  dì  XVI  o  di  XV  i 
giorni  corsi  dal  ritrovamento  delle  Ossa  di  San  Severino  alle  stelle  caden« 
U.  Ibn-Abbàr,  MS.  della  Società  Asiatica  di  Parigi,  fog.  33  verso»  ci  con- 
duce ad  ammettere  l'una  e  l*  altra  data,  poiché  fa  supporre  replicato  il 
fenomeno  più  o  meno  per  molte  sere,  dicendo  :  e  In  dm-Uka^da  di  que- 
r  st*  anno  morì  Ibrahim-ibn-Ahmied;  e  da  quel  momento  furon  viste  stelle 
^1  cadenti  spamazzantisi  come  pioggia^a  desthi  e  a  sinistra;  onde  fu  chia- 
»  mato  r  anno  delle  stelle.  >  Questo  squarcio  è  stato  tradotto  inesatta- 
mente da  Gonde»  Dominacion  de  ìo&  Àrabes  en  Espam,  parte  II«,  cap.  73. 
lo  mi  sono  intrattenuto  sì  lungamente  ad  esaminare  questa  data,  poi- 
ché gli  scienziati  osservano  un  periodo  annuale  in  tal  fenomeno,  e  che  sia 
più  notabile  verso  il  dieci  agosto.  Gol  medesimo  intento  il  barone  De  Ham- 
mer  ha  raccolto  nel  Journal  Asiatique,  serie  IH*,  tomo  III  (i837),  p.  391 , 
*  alcuni  ricordi  d' autori  arabi  in  fatto  di  stelle  cadenti  ;  e  il  baron  De  Siane 
vi  ha  fatto  qualche!  correzione  nel  tomo  IV  della  medesima  serie,  p.  291. 
^  >  Evangelium  secundum  Lucam,  XXI,  25.  Questa  riflessione  è  deU 
l'anonimo  autore  d' un  MS.  deir  XI  secolo,  posseduto  dalla  Biblioteca  di 
Bamberg,  e  ciùito  nella  raccolta  di  Pertz,  Seriptoretj  tomo  III,  p.  348,  in 
nota  alla  Cronica  Salernitana.  L' anonimo  evidentemente  ebbe  alle  roani  la 
narrazione  di  Giovanni  Diacono,  ch'ei  compendia  e  guasta. 


—  95  —  |902:| 

sti;  poiché  Ibrabim  gli  avea  voluto  porre  anno  della 
giustizia  e  altri  Tavea  detto  della  tirannide.  Ma  niùn 
Musulmano  potea  fer  grave  caso  delle  stelle  cadenti, 
sapendo  dal  Corano  ciò  che  fossero  appunto  :  demonii 
euriosi,  fulminati  dagli  Angioli,  quando  s'appressan 
troppo  ad  origliare  alle  porte  del  Cielo.  ' 

Non  ostante  sue  minacce  agli  ambasciatori  delle 
città,  Ibrahim  tardò  a  investir  Cosenzat.  Ei  che  avea 
saputo  maneggiare  queir  esercito  innumerevole  e  di- 
scorde,' in  cui  fermentavano  tanti  odii,  era  sforzato 
adesso  di  restare  al  retroguardo  per  una  dissente- 
ria mortale  ;  e  invano  si  studiava  ad  occultare  suo 
pericolo  con  la  tenacità  dei  tiranni.  Pur  fece  dar  mano 
air  assedio  il  primo  ottobre  ;  accampare  le  genti  su 
le  sponde  del  Crati  ;  '  fronteggiar  tutte  le  porte  di 
Cosenza  dai  suoi  figliuoli  o  uomini  fidati,  con  forti 
schiere  ;  drizzare  i  mangani  contro  le  mura  :  ma 
par  eh'  ei  poscia  nón^  abbia  potuto  esercitare  né  vo- 
luto delegare  il  comando,  né  altri  abbia  osato  pigliar- 
1q.  Per  più  di  venti  giorni  dunque  si  scaramucciò  con 
disavvantaggio  degli  assedianti  ;  ai  quali  cadeau  le 
braccia,  non  più  sentendosi  reggere  da  quella  feroce 
e  ferma  volontà  del  capitano.  Aggravatoglisi  il  morbo, 
perduto  il  sonno,  Ibrahim  s' andò  a  chiuder  tutto  solo 
in  una  chiesetta  ;  *  ove  spirò  il  sabato  ventitré  otto- 

*  Corano,  Sura  XV,  verso  18;  SoraXXXVIT,  verso  8,  seg. 
s  Così  lo  chiama  GiovanDi  Diacono. 

'^  11  Nowairi  dice  il  fiume.  Potrebbero  esser  dae,  poiché  il  Busento 
confluisce  col  Crati  sotto  Cosenza. 

*  Gli  altri  particolari  della  malattia  d'ibrahim  si  cavano  dai  cronisti 
musalmani.  Giovanni  Diacono  dice  Ibrahim  morto  nella  chiesa  di  San  Mi- 
diele.  In  qoetla  di  San  Pancratfo  aflTerma  la  Cronica  di  Bari  presso  il  Mu- 
ratori, ÀtUiquUaies  Italio<B  Medii  JEvi,  tomo  I,  p.  51;  e  il  Muratori  vuol 
correggere  chiesa  di  San  Bertario. 


./  - 


1  --94- 

bre,  a  cinquantatrè  anni  di  età,  dopo  ventisette  anni 
di  tirannide  e  sette  mesi  di  penitenza  ;  trapassato 
come  un  santo ,  guerreggiando  la  guerra  sacra,  di- 
sponendo di  tutto  il  contante  in  Umosine,  degli  sta- 
igli in  opere  pie.  Non  prima  saputo  eh'  ei  boccheg- 
giava, i  capitani  dell'oste,  adunatisi  in  segreto,  ca- 
valcarono alla  tenda  di  Ziadet-Allah ,  figliuolo  del 
suo  figliuolo  Abd-Allah,  e  instantemente  il  richiesero 
che  si  mettesse  alla  testa  dell'  esercito  per  ricondurlo 
in  Affrica.  Al  quale  segno  d' ammutinamento,  il  gio- 
vane, pigro,  dissoluto,  vigliacco,  scellerato  senza  il 
vigor  dell'avolo,  tentano 4  volea  scaricarsi  del  su- 
premo comando  sopra  lo  zio  Abu-Aghlab;  ma 
questi  gU  uscì  di  sotto.  Capitanando  dunque  suo 
malgrado  la  ritirata,  Ziadet-Allab  aspettava  che  tor- 
nassero al  campo  le  gualdane  sparse  intorno  a  far 
preda:  accordava  patti  ai  Cosentini  che  di  nuovo 
ne  avean  chiesto,  ignorando  la  morte  d' Ibrahim  :  e  poi 
eoa  tutto  r  esercito  e  le  rapite  ricchezze  e  le  salme- 
rie  prendea  la  vk^  di  Sicilia;  portando  seco  il  corpo 
dell'  avolo  in  un  feretro.  Dice  uno  scrittore^  cristiano 
che  al  ritorno  gran  parte  delle  genti  perisse  per 
naufragio.  Giunto  Ziadet-Allah  in  Palermo ,  secondo 
Nowairi  e  il  Baidn^  fuvvi  sepolto  Ibrahim  quaranta- 
tre giorni  dopo  la  morte ,  e  innalzato  un  monumento 
su  la  sua  fossa.  Secondo  altri,  lo  recarono  al  Eai- 
rewàn  :  talché  s' ignora  qual  delle  due  terre  sia  pro- 
fanata da  quelle  ossa.  ^ 

<  mscontrinsi:  tbn-^^^Athlr»  anno  261,  MS.  A,  tomo  11,  fog.  92,  seg.; 
MS.  C,  tomo  IV,  fog.  246  Terso;  e  MS.  di  fiibar«;Bai4ii,  tomo  I,  p.  i26; 
Ibn-Abbàr,  MS.  della  Società  Asiatica  di  Parigi»  fog.  35  verso;  Nowairi, 


—  95  —  |doa.| 

La  morte  d' Ibrabim »  avendo  liberato  Tltalia 
merìdioiiale  senza  fatica  degli  abitatori ,  vi  fa  tenuta 
necessariamente  opera  del  Cielo.  Scrive  Giovanni 
Diacono  cbe  mentre  i  Napoletani  stavan  tra  si  e  no 
su  r  augurio  delle  stelle  cadenti,  venne  a  confermar 
la  rivelazione  di  San  Severino  un  prigione  testé  fbg^ 
gito  di  Cosenza.  Narrava  questi  a  Gregorio  Console 
di  Napoli,  che,  dormendo  Ibrahim  nella  chiesa  di 
San  Michele,  gli  era  parato  di  vedere  un  vegliardo 
di  maestoso  aspetto,  il  quale  minacciato  di  morte  dal 
tiranno  perchè  osava  entrar  nella  stanza,  gli  scagliò 
un  bastoiie  che  avea  alle  mani  e  si  dileguò.  Destatosi, 
ma  pur  sentendosi  ferito  al  fianco  Ibrahim ,  richiedea 


storia  d'Affrica  9  MS.  di  Parigi,  703,  A,  fog.  53  verso  e  54  recto;  e  la  tra- 
duzione francese  presso  De  Siane,  op.  cit. ,  tomo  I,  p.  435, 434;  Ibn-Klia]- 
dOn,  HistoiredeVAfrique  et  de  la  Sicile»  p.  143,  i44;  Ibq-WuedrAn,  §  6; 
e  versione  di  M.  Cberbonneau,  nella  Revue  de  i'Orienf ,  déoembre  1855, 
p.  429  ;  Ibn-Abi-Dlnàr  (El-Kalrouani),  MS.  di  Parigi,  fbg.  21  verso  ;  e  tra- 
duzione firàncese»  p.  86;  Abulfeda,  ÀntuUes  MoslenUci,  anno  261  ;  Johannes 
Dlaconus,  Translatio  etc,  presso  Gaetani,  Vitce  Sanetorum  Siculorum, 
tomo  n,  p.  62;  Chronicon  Barauet  anno  902,  presso  Muratori,  Àntiquita- 
tes  Italica  Medii  £vi^  tomo  I,  pag.  31  ;  e  presso  Pertz,  Scriplor€$f  tomo  V, 
p.  52;  MS.  di  Bamb^  ciuio  nella  raccolta  stessa  di  Pertz,  Seriptortif  Uh 
mo  IH,  p.  548,  in  nota. 

La  data  della  morte,  non  scritta  precisamente  dall'  accurato  e  con- 
temporaneo Giovanni  Diacono  t  si  ritrae  dai  Musulmani.  La  recan  tutti 
nel  mese  d$u-4'ka'da  del  289,  ma  v'ha  divario  nel>giomo:  secondo  il 
Baiàn,  il  lunedi  17;  secondo  Nowairi,  il  sabato  18;  e  secondo  Ibn-el- 
Athìr,  Ibn-Wuedr&n,  e  Abulfeda,  il  sabato  diciannove:  che  tornano  ai 
23,  24  e  25  ottobre  902.  Or  poiché  i  giorni  della  settimana  coincidono 
nel  nostro  calendario  o  nel  musulmano,  e  il  i7  dstt-l-ìsa'da  289  comin- 
ciò al  tramonto  del  22  e  Onì  al  tramonto  del  23  ottobre,  giorno  di  sa- 
bato, è  evidente  un  lieve  sbaglio  in  tutte  quelle  date.  Qual  che  fosse 
stata  la  cagione  dell'errore,  mi  è  parso  di  ritenere  la  data  del  sabato 
23  ottobre. 

Nelki  versione  del  No^vairi,  M.  De  Slane  ha  detto  t  quand  la  ma- 
•  ladie  inteme  dont  Ibrahim  souffirait,  etc.;  >  ma  confrontando  con  Ibn- 
el-Athlr  e  Ibn-Abi-Dinàr  son  certo  che  si  debba  sostituire  "malattia 
viscerale.  ** 


|902.|  —  96  ^ 

di  alcun  prigion  latìoo,  e,  addottogli  il  aarratore,  gli 
domandava  se  conoscesse  il  vecchio  Pietro  di  Roma, 
o  n'avesse  mai  visto  la  effigie;  e  sapato  ohe  lo  si 
dipìngea  di  grande  statara,  raso  i  capelli  e  la  barba, 
ravvisò  lo  spettro  del  sogno,  e  in  breve  tempo  gli 
s' ingan^enì  la  ferita.  *  Il  biografo  di  Sant'  Elia  da 
Gastrogiovanni  toglie  V  impresa  a  San  Pietro  per  ono- 
rarne il  suo  protagonista;  il  quale,  riparato  ad  Amalfi, 
tanto  pregò  eoa  lagrime,  digiuni  e  cilizii ,  che  il  fier 
Brachimo,  mentre  assediava  Cosenza  e  pensava  a  Co- 
stantinopoli, venne  a  morte,  *  percosso  non  si  sa  come 
dalla  orazione  del  sant'uomo.  Un  altra  tradizione 
italiana  ripetuta  da  parecchi  cronisti,  senza  macchina 
di  iddii  minori,  lo  fé' spacciare ,  all'antica,  con  una 
folgore.  * 

*  Johannes  Diaconus,  op.  cit.,  presso  Gaetan!,  Vita  Sanctorum  Si' 
eulorum,  tomo  H,  p.  62;  e  presso  Mnraiori,  Rerum  Italicarum  Serijh 
loTM.  tomo  I,  parte  Ih,  p.  273. 

*  Vita  Sancii  EHtB  Junioris,  presso  Gaetant ,  Vita  Sanctorum  Siculch 
rum,  tomo  II,  p.  74. 

*  Chnmieon  Barense^  anno  902,  presso  Muratori,  Antiquitates  Ita- 
lica Meda  JEvi ,  tomo  I,  p.  31  ;-  Vita  di  San  Bertario  citata  qaìvi  in  nota 
dal  Muratori;  Lttpi,  ProtogJMitCB  (Protospatarii)  Chronicony  anno  00 1, 
presso  Muratori,  Rerum  Italicarum  Scriptoret,  tomo  V;  presso  Pratilli, 
Hi$loria  Prine,  Langob,^  tomo  IV,  p.  20;  e  presso  Pertz,  Scriptores,  to- 
mo V,  p.  63;  Romaaldi  Salernitani,  Chronicon,  anno  902,  presso  Murato- 
ri, Rerum  Italicarum  Seriptùres,  tomo  V. 

Non  cito  la  Cronica  delia  Cava,  e  la  Cronica  di  Calabria  pubblicata 
nella  stessa  raccolta  di  Pratilli,  tomo  III  e  tomo  IV,  perchè  la  prima  è  in- 
terpolata, la  seconda  apocrifa  del  tutto. 

Il  Martorana,  Notizie  Storiche ,  tomo  1,  tiap.  II,  p.  00,  pensò  di  impa- 
stare in  uno  tatti  1  racconti  delle  croniche.  Scrisse  che  <  annottando 
1  remfaro  Ibrahim  intomo  ali*  assedio,  e  accaduto  un  gran  temporale  con 
>  frequenti  detonazioni ,  vi  fìi  colpito  A  malamente  da  nn  folmine  elettrico, 
»  che  dovè  ievarsi  tosto  dall'  ossidione;  ppi  morì  di  sfiracello  tra  mille  do- 
»  lori  entro  al  suo  palazzo,  nella  città  di  Palermo.  » 


97  —  |Sec.  VUiBl 


CAPITOLO    V. 

Non  bastando  ormai  alla  storia  il  classico  qua- 
dro dei  fatti  e  delle  passioni  umane ,  se  non  siano 
anco  divisati  gli  oMinì  e  le  opinioni  che  nascono  da 
scorgenti  assai  remote,  forza  è  ch^io  interrómpa  nuo- 
vamente la  cronica  di  Sicilia,  e  torni  addietro  parec- 
chi secoli ,  per  rintracciare  in  Asia  le  cagioni  del  mu- 
tamento di  dinastia  che  s'apparecchiava  alla  morte 
d' Ibrahim-ibn-Àhmed.  Lo  apparecchiava  la  setta 
ismaeliana,  della  quale  mi  fo  ad  esporre  Forigijij^,  Tin- 
dole,  ì  progressi. 

L'autorità  deirimperò  musulmano,  simonie  por- 
tava sua  natura  mista,  fu  combattuta  da  tre  maniere 
di  nemici:  le  fazioni  politiche,  gli  scismi  religiosi,  e 
le  sètte  partecipanti  dell  uno  e  dell'altro.  Fazioni 
chiamo  quelle  che  agognavano  a  mutare  il  principe 
non  le  lèggi;'  onde  né  impugnarono  durante  la  lotta, 
né  toccarono  dopo  la  vittoria,  quegli  assiomi  teologici 
e  civili  che  costituivano  l'islamismo  ortodosso  ;  cioè 
la  fède  che  parea  diritta  al  maggior  numero.  Parec- 
chi  Stati  in  fatti  continuarono  a  rispettar  come  pon- 
tefice il  califo,  cui  disubbi^divano  come  prìncipe.  Fino 
gli  Ometadi  di  Spagna,  con  lor  pretensioni  di  legitti- 
mità, esitarono  per  un  secolo  e  mezzo  a  ripigliare  il 
sacro  titolo  di  Gomandator  dei  Credenti,  usurpato, 
dicean  essi,  dalla  casa  di  Àbbàs,  ima  pure  assentitole 
dalla  più  parte  dei  popoli  musulmani. 

Al  contrario  nacquero  di  molte  eresie,  i  cui  set- 

II.  7 


|Sec.  VlialX.I  —  98  — 

tatori  non  si  proposero  dominazione  politica,  né  vol- 
lero sostener  le  opinioni  con  la  forza  delle  armi;  n)a 
la  ragione  o  Terrore^  la  coscienza  o  la  superbia  del- 
l'in tellettd,  li  spinsero  a  propagar,  dottrine  diverse 
dalle  sannite;  affrontanido  spesso  la  crudeltà  dei  prin- 
cipi, il  furor  della  plebe,  i  disagi  delle  persecuzioni, 
la  fatica  d'una  continua  lotta,  il  pesante  biasimo  delle 
moltitudini.  Svilufpossi  tal  movimento  tra  la  metà  del 
primo  e  la  metà  del  terzo  secolo  dell'  egira  ^  nella  Me- 
sopotamia  e  province  persiane  ;  nelle  quali  regióni  e 
nel  qual  tempo  la  schiatta  arabica,  venendo  a  contatto 
con  genti  più  incivilite ,  apprese  le  speculazioni  del- 
l'umano  intelletto  accumulate  per  sessanta  secoli  da 
panteisti,  politeisti,  dualisti,  unitarii,  ra^nalisti.  Del* 
tero  niateria  agli  seismi  maomettani  quelle  tesi  che 
gli  uomini  in  tutti  i  tempi  han  proposto  sì  facilmente 
e  poi  sonvisi  avviluppati  come  in  laberinto  di  spine: 
la  natura  dell'Ente  supremo;  la  influraza- di  quello 
sopra  le  azioni  umane  e  però  predestinazione,  libero 
arbitrio,  grazia;  il  merito  della  Fede  e  delle  opere; 
i  gastighi  serbati,  a  ohi  peccasse  nell'una  o  nelle  al- 
tre; e  via  discorrendo.  Su  cotesti  argomenti  T  autorità 
sunoita  s*  era  appigliata  sovente  al  partito  più  ripu- 
gnaiìte  alla  ragione.  Basti  in  esempio  il  domma  orto- 
dosso della  eternità  del  Corano,  negata  dai  Motaze- 
liti;  i  quali  furono  perseguitati;  finché,  persuaso 
alcun  califo  ahbassida,  a  lor  volta  divennero  perse- 
cutori. Ma  gli  scandali,  i  tumulti,  il  i^angue  sparso 
per  questa  e  altre  lìti  teologiche^  n<Hi  portarono  a  rivol* 
gimenti  politici.  Dei  settantadue  scismi  che  novera  la 
storia  ecclesiastica  dei  Musulmani,  una  ventina  siman- 


—  99  —  [Scc.  TIIoW.) 

teone  entro  i  detti  limiti  della  disputa;  come  i  Kaderili 
sostesitori  del  libero  arbitrio;  i  Geberiti  dell'opera 
passiva  dell'uomo;  i  Motazditi  che  faceano  eterna  la 
sola  sostanza. della divÌBità;  i  Sefetiti  che  le  accomur 
Davano  nella  eternità  i  suoi  accidenti  o  qualità;  ì  pigri 
Mórgii  aOìdantisi  tutti  nella  Fede;.i  Nizàmiti  che  ne- 
gavano la  libera  volontà  di  Dio,  e  s'accostavano  ai 
filosofi  materialisti;  e  altre  sètte  i  cui  nomi  e  opinioni 
sarebbe  superfluo  a  ripetere.  \ 

.  Avviati  eh' e  furono  a  libero  esame,  i  pensatori 
musuljmanì  non  pòteano  trattenere  il  pie ,  che  dallo 
eresie  non  passassero  ai  razionalismo.  A  ciò  li  con- 
dusse la  serena  luce  della  sciènza  greca,  la  quale 
cominciò  a  splendere  nell'  impero  dei  califi  più  presto 
che  non  si  crederebbe.  Qualche  libro  di  filosofia  era 
stato  voltato  in  arabico  dal  greco  e  dal  copto  verso 
la  fine  del  settimo  secolo  dell'era  cristiana,  primo 
dell'era  n^usulmana,  per  opera  di  KhAIed-ibn-Ieztdn 
ibn-Moa'wia,  principe  del  sangue  pmetade,  sopran-* 
nominato  il  filosofo  della  casa  di  Merwan.  '  Ma  acce* 
lerato  r incivilimento  dai  Persiani  che  esaltarono  la 
casa  di  Abbàs ,  '  si  die  mano  a  volgarizzare  i  pochi 
libri  che  avanzavano  in  Persia  della  letteratura  in- 
diana e  nazionale  dei  tèmpi  sassanidi;  si  pose  mag-^ 
giore  studio  a  interpretare  i  libri  scientifici  dei  Greci: 

'  Per  cotesti  fotti  notissiùii  non  occorrono  ciCaùonh  I  ptrticoiari  bì> 
possono  vedere  in  Sciarestani  e  nelle  altre  oiiere  che  mi  occorrerà  in  breTe> 
di  ricordare. 

*  Questo  &ito  mi  è  4>cporso  per  la  prima  volta  nel  KUàb-él^FihrM , 
HS.  di  Parigi ,  tomo  II,  fog.  75  ve^.  MolU  di  quei  libri  tratUvàno  di  v»» 
terinaria;  e  forse  l'amor  dei  cavalli  fu  la  prima  cagione  che  condaoesse 
gli  Arabi  n^l  santuario  delle  scienze  greche. 

'  Veggasi  ilLibro  I»  Icsp.  VI,  p.  J4t,  143  del  t»  voi. 


|Sec.  VII  a  IX.|  —   IQO  — 

iinmeaso  beneficio  che  la  civiltà  riconosce  dar  calìfl 
Mansùr  (754-755)  e  Mam.ùn{813-8a3),  e  da' costui 
ministri  della  schiatta  persiana  di  BarQiek.  Le  scienze 
greche  penetrarono  allora  nella  società  miisulmanisiper 
triplice  via:  di  Siria,  di  Persia  e  dell' impero  bizanti- 
no; perchè  in  quelle  due  province  dei  califi  se  ne  sei^-^ 
bavanoJe  tradizioni  e  qualche  scritto;  e  dalle  province 
bizantine  s'ebbero  moltissimi  libri  per  richiesta  che 
ne  fece  Mamùn  agli  imperatori  di  Costantinopoli 

Così  fiorivano  nella  capitale  àbbassida,  e  poscia 
in  altre  città  dell'  impero,  gli  studii  di  medicina,  astron 
nomia,  geografia,,  matematiche,  storia  naturale,  lo^ 
giea,  metafisica;  e  correano  per  le  mani  dei  dqtti  le 
opere  degli  antichi  filosofi,  massime  di  Aristotile.  '  Yò' 
dir  di  passaggio  clie  quelle  di  Empedocle  d'Agri^ 
gento  o  d'alcun  suo  discepolo. furono  anco  studiate  in 
Oriènte;  e  che  nei  principii  del  decimo  secolo  un  Mu- 
sulmano di  Spagna  tentò  di  fondare  con  tai  dottrine 
una  scuola,  la  quale  non  resse  alle  persecuzioni.  '  La 
filosofia  greca  da  una  mai\p  die  armi  agli  eresiar-* 
ehi  musulmani  dei  quali  abbiam  detto  di  sopra;  dal^ 

^  Veggansi  in  generale  Hagi  Khalfa  nei  Prolegomeni;  Pocoeke ^  Spe- 
citnen  historia  ^raòum /Wenricb,  De  auctorum  grcecorum  veirmnibus  etc. 
Il  KHdb-el^Fihrist ,  MS.  di  Parigi,  tomo  li,  fog.  67  verso,  seg»,  fornisca 
dati  importanti  a  chi  vqglla  approfondire  questa  epoca  della  storia  inteU 
lettuale  delT  umanità.  \ 

«  Tarikh-^l-Hokemà;  MS.  di  Parigi ,  Suppl.  Ar.  672,  p.  15.  L'autore, 
cbe  visse  nel  XII  secbio,  afferma  aver  veduto  in  una  btbfioteca  di  Gerusa- 
lemme, t£9  i  libri  provenienti  dal  laseito  dèlio  sceiith' Aburl-Fetii-Nasr- 
ibn-fbrahim  di  Gerusalemme  stessa,  un  trattano  di  Empedocle  contro  la 
immortalità  delle  anime,  del  quale  èi  non  dà  il  titolo,  e  nota  .Soltanto  che 
Aristotile  V  avesse  confatato,  e  chef  altri  avesse  voluto  scusar  Empedocle 
supponendo  allegorico  il  suo  linguaggio;  ma  r autore  aggiugne  non  vedervi 
punto  allegoria.  Hagi-Khalfa^  ediz.  Fiuegel,  tomaV,p.  144, 152,  ni  10,448 
e  10,500,  attribuisce  ad  Empedocle  :  !<>  i2n  **  libro  della  Metafisica,*  cosi  in- 


—   101   •—  |S«.  VlIalX.l 

f  ditra  mano  fe'nascere  varie  scuole  di  liberi  pensatori 
che  combat teano,  più  o  meno  apertamente  ì  principit 
•d'ogni  religione.  Tali  i  Bàteni  che  presero  il  nome 
dal  significato  latente,  o  vogliam  dire  allegorico,  sup- 
posto da  loro  nei  libri  sacri;  ma  alcuni  arrivavano  a 
pretto  ateismo;  per  esempio ,  il  cieco  Abcr-l-'Ala  da 
Me*arra  in  Sìria,  il  quale,  in  versi  che  parrebbero  di 
Lucrezio,  sferzava  insieme  Giudei,  Magi,  Cristiani, 
Musulmani;  e  conchiùdea  che  Tuman  genere  va  spar- 
tito in  due:  pensatori  senza  religione,  e  devoti  senza 
<3erveilò.  ^  Le  denominazioni  delle  i^cuole  razioiialiste 


titolato  al  par  di  quello  notissimo  d' Aristotile,  e  2«  lin  "Libro  sa  la  re- 
surrezione 6pirituafe  è  su  l'assurdo  che  le  anime  risorgano  coùie  (si  rin« 
novano)  i  corpi.'  Ma  il  Wenricb, De  audorum  grtzcorum  venionibus  etc., 
p.  90,  li  crede  apocrifi  entrambi ,  non  trovandoli  in  Diogene  Laerzio. 

Che  che  ne  sia  di  questo  argomento  negativo,  par  che  appartengano 
ad  Empedocle,  o  almeno  ad  alcun  di  sua  scuola,  i  libri  col  nome  del  filo- 
sofo agrigentino,  dei  quali  gli  Arabi  possedeano  le  versioni.  Penso  cosi 
perchè  le  opinioni  fondamentali  attribnite  ad  Empedocle  dal  Kitàb-el" 
Bokemd,  e  più  distintamente  da  Sciarestani ,  testo  arabico,  p.  260,  seg., 
ben  si  accordano  col  panteismo  che  ritraggiamo  dai  frammenti  di  queste 
filosofo  e  dàlie  notizie  che  ce  ne  danno  gli  scrittori  antichi*  Al  dir  de'dne 
eruditi  arabi,  la  Divinità  d' Empedocle  era  V astrazione  della  scienza,  vo* 
Ionia,  beneficenza,  potenza,  giustizia,  verità  ee.;  non  già  on,  essere  reale 
dotato  di  dette  qualità  e  chiamato  con  queWariinomi.  La  nota  dottrina-di 
Empedocle  is«  l'amore  e  l'odio,  ossia  l'attrazione  e  repulsione,  si  vede 
anco  chiaramente  nella  cosmogonia  che  gli  attribuisce  Sciarestani,. 

IL  filosofo  spagnuolo  che  al  dire  del  Kitdò^l'Hokemà  tolse  sue  dot- 
trmé  da  Empedocle,  ebbe  nome  Mobammed-ibn-Abd-Allah-ibn-Hesarra- 
ibn-Naglh,  nato  in  Cordova  l'SSS  e  morto  il .031.  Costui,  dopo  avere  stu- 
diato alia  scuola  d^l  proprio  padre  e  di  due  altri  dotti  spagnuoli,  fu  perse- 
guitato come  zindlk,  per  troppo  zelo  di  spargere  le  dottrine  d'Empedocle; 
talché  si  rifuggiva  in  Oriente.  A  capo  di  lunghi  anni,  tornato  in  Spagna,  ri- 
ncominciò a  insegnare  la  stessa  filosofia  più  copertamente  e  cadde  <di  nuovo 
in  sospetto  d'empietà. 

Un  compendio  di  quest'  articolo  del  Tarìkh^el-Hokemà  si  legge  in 
Ibn-abi-^seibi'a,  MS.,  di  Parigi,  Suppl.  Ar.  673,  fog.  ^  recto,  e  Suppl. 
Ar.  674,  fog.  40  verso. 

'  Abulfeda,  iiUHi^.lCo^Ieintet»  an.  448  (I057)f,  notando. la  n^orte  di 
questo  gran  poeta ,  inserisce  senza  scrupolo  ì  versi  che  cito. 


|See.  VnalXI  —    102   -^ 

furono  sempre  confuse  appo  i  Musalmani,  tra  per 
cautela  degli  adetti,  sforzati  a  nascondersi  sotto  i 
misteri  e  gli  equivoci  di  sètte  men  radicali,  e  tra  per 
la  ignoranza  della  comune  degli  uomini  e  la  pronta 
calunnia  dei  devoti.  Appiccaron  costoro  maligna- 
mente a  tutti  i  liberi  pensatori  Fappellazione  di  zindtk, 
perch*éra  abborrita  in  persona  dei  comunisti  persiani 
e  fatta  sinonimo  dempio,  com'or  si  dirà.  Quando 
poi  suonarono  si  terribili  in  Oriente  i  nomi  dlsmae- 
liani,  Karmati,  Drusi,  Assassini,  novelle  sètte  miste 
aiut^ntisi  con  le  spiegazioni  allegoriche,  i  devoti  col- 
sero il  destro  di  gridarli  a  gran  voce  Baleni;  met- 
tendo i  filosofi  a  fascio  con  loro.  E  così  è  pervenuta 
la  storia  agli  eruditi  europei  del  nostro  secolo;  i  quali, 
con  loro  preoccupazioni  politiche  e  religiose,  o  non  si 
sono  accorti  di  quegli  errori  o  non  si  sono  affrettati 
a  chiarirli.  Indi  si  è  esagerata  la  parte  ch'ebbe  la  filo- 
sofia  greca  nelle  sètte  più  odiose.  Indi  si  è  supposta 
tra  varie  sètte  queir  analogìa  di  modi  è  d'intenti  che 
di.  certo  non  ebWo./  E  però  è  mestieri  ch'io  tratti 
questa  materia  più  minatamente  che  non  si  addica  a 
quadro  generale;  ma  tra  due  scogli  mi  par  meno 
male 'la  digressione  che  Terrore. 

Gran  tratto  innanzi  i  dissentimenti  speculativi, 
s  erano  mostrate  neir islamismo  le  sètte  miste  d'ere- 
sia e  di  fazione;  i  due  ceppi  delle  quali,  suddivisi  in 
rami  secondo  le  opinioni  accessorie,  si  chiamarono 
Khàregi  e  Sciiti.  Il  nome  dei  primi  s' intese  quando 

*  Sdaresunif  Kitùb^ìr-Mikl  *Llbro  delle  ^ètte/  testo  arabico,  p.  i47, 
seg.,  nou  la  differenza  che  correa  tra  i  B&teni  antichi,  ossia  filosofi  razio- 
naligtl»  e  i  Ei&tent  moderni»  sètte  miste»  chiamate  con  varii  nomi  in  varii 
paesi. 


—  i05  —  ISec.  VUàlX.J 

il  càlifo  OihmàD  conninciò  a  falsare  la  democrazia  mu^ 
sulmàna.  Difenditori  della  democrazia,  i  Khàregi  eran 
uoAìini  di  schiatte  arabiche,  e  non  pochi  tra  loro  ri- 
nomati per  virtù,  sapere  e  pietà.*  CoUegaronsi  con 
gli  Ottimati  religiosi  *  e  coi  partigiani  di  Ali  ;  e  tutti 
insieme  spensero  Othmàn:  se  non  che  raccordo  di 
ire  azioni,  sì  diverse  negli  intendimenti  loro,  sì  ruppe 
alla* esaltazione  di  Ali,  prima  che  fosse  abbattuto  il 
terrìbile  nemico  comune,  eh' era  V  antica  nobiltà,  ca* 
pitanata  da  Mo'awia-ibn-abi-Sofiàn.  La  parte  più 
turbolenta  degli  ottimati  religiósi  levossi  contro  Ali; 
fu  sconfitta  nella  giornata  che  chiamarono  del  Game* 
lo;  e  i  Khàregi  tuttavia  seguirono  il  vincitore  su  i 
campi  di  Sefiein^  ov'  ei  si  scontrò  con  Mo'awia.  Ma 
posatele  armi  per  lo  noto  compromesso,  i  Khàregi 
^piccavansì  d^  Alt,  vedendolo  sospìnto  da' suoi  parti- 
giani alla  monarchia  assoluta  di  dritta  divino.  A  rin- 
tuzzare sì  pericolosi  principiì  d'usurpazione,  ì  Khà* 
regi  immantinente  bandiscono  non  necessario  nella 
repubblica  musulmana  il  calìfo;  se  talvolta  il  popolo 
creda  espediente  dì  noiQÌnamé ,  possa  sceglierlo  di 
qualunque  schiatta  e  condizione,  coreiscita  o  no,  li- 
bero o  schiavo;  sia  tenuto  il  catifò  a  governare  ser 
ooodo  c^ti  .patti  fondamentali  ;  declinando  lui  dalle 
vie  della  giustizia,  il  popolo  possa  deporto,  combat- 
terlo, metterlo  a  morte.  Quanto  ad  Ali,  per  rispon- 
dere air  apoteosi  che  ne  faceano  1  suoi ,  i  Khàregi  a 
dirittura  lo  mcolparono  di  peccato  per  V  accettato 

*  IHakrtei,  presso  S*ey,  Exp^  de  la  nligioa  dea  Druaes,  tomo  I, 
p.  XIII,  attesla  questo  flitto*  La  origitie  arabica.»  vede  ancbe  dal  nomi 
dei  capi  di  parie  Ttferici  da  Seiarestani. 

'  Veggasi  il  Libro  1,  cap.  HI,  p.  69  del  !<>  volume. 


(Sm.  VlIalXI  —  104  — 

compromesso;  e  poco  stante,  per  cagìon  di  questo 
o  d' altri  atti  di  governo;  lo  chiarirono  infedele  ia 
religione  ;  alfine  pubblicamente  Io  maledissero,  per 
avere,  combattendo  contro  di  loro,  messo  a  morte 
gli  uomini  da  portar  arme,  fatto  bottino  dei  beni  e 
menato  in  cattività  le  donne  e  i  fanciulli  :  crudel  ri-: 

f 

gore  di  guerra ,  lecito  solo  contro  Infedeli  e  hoii  usatp 
da  Ali  verso  gli  altri  nemici  musulmani.  Quest'  ultimo 
fatto  prova  che  Ali  tenne  i  Khàregi  non  solo  ribelli , 
ma  sì  eretici.  E  veramente  quei  loro  assiomi  sì  precisi 
di  sovranità  del  popolo,  tomava90  a  scisma  secobdo 
le  idee  musulmane;  e  a  scisma  tornava,  secondo  le 
idee  di  tutti  i  popoli ,  il  dichiarar  peccatore  e  infedele 
un  pontefice,  e  affermare  che  le  peccata  gravi  portas- 
sero a  infedeltà.  ^  Del  resto  ognun  vede  quanto  sém- 
plice, e,  direi  quasi,  pratica  sia  stata  còtèsta  eresia^ 
nata  dalla  schiatta  arabica,  al  paragon  delle  sottilità 
straniere.  Sursero  poi  novelle  sètte  khàregite  più  fé* 
roci  in  lor  teorie  rivoluzionarie .  e  più  speculative  e 
audaci  in  puntò  di  eresia;  €ome  portava  da  una  mano 
la  rabbia  della  persecuzione  e  la  coscienza  della  pro-^ 
pria  debolezza,  dalF  altra  il  miscuglio  coi  forastieri. 
Ognun  sa  che  Ali  cadea  sotto  il  pugnale  dei  Khàregi 
e  che  due  altri  despoti  in  erba  ne  campavamo  a  mala 
pena.  Il  ramo  kharegita  detto  dagli  A^ràkiti ,  Qhe  poi 
levò  tanto  remore  in  Oriente,  disse  infedele  chi  dis- 
simulava in  parole  o  in  opere  trovandosi  in  pericolo, 
e  chi  non  correva  alla  guerra  sacra,  quella  cioè  di 

*  Sdarestani,  Kitàb-el-Milel^- lesto  arabico,  p.  85,  seg.  L' autore 
nota  tra  ì  principii  comuni  alle  sètte  khàregite  che  il  peccato  gAve  porti 
infedeltà,  ma  noi  ripete  tra  le  opinioni  particolari  dei  primi  Kb&regi  del 
tempo  dì  Ali. 


—   105  — -  lSec,VUalX.| 

ior  sètta  òpntro  ogni  altra;  e  fé  lecito  dì  uccidere 
fin. le  donne  e  bambini  dei  dissidenti;  ma  altri  rami 
non  arrivarono  a  tali  estremi.  Quanto  alle  leggi  estra- 
nee alla  contesa  politica,  gli  Azrftkiti  abolirono  la 
pena  di  morte  per  stupro  ;  altri  permessero  il  matri^ 
monio  con  la  figlinola  della  propria,  figlia  e  qon  la 
figlia  di  fratello  o  sorella,  e  alsi  il  matrimonio  di 
Musulmana  con  uomo  infedele;  nei.  quali  punti  di 
S9i^ma  traspariseon  le  dottrine  persiane.  Altre  sen- 
tenze teologiche  e  casuistiche  tolsero  or  dai  Motaze- 
liti  or  da  altri  eterodossi:*  Segnalaronsi  le  sètte  kha- 
regite  per  indomito  ardire  contro  la  tirannide ,  sì  nel 
campo  e  si  in  faccia  al  supplizio.  Per  due  secoli  acce- 
sero atrocissime  guerre  nelle  province  orientali  e  in 
Affrica;  e  molte  dure  scosse  dettero  allo  Impero;  ma 
alla  fine  gli  eserciti  dei  califi  trionfaron  di  loro.  Tanto 
ardua  impresa  ella  era  di  ristorare  la  democrazia  di 
Abu-Bekr  e  di  Omar  tra  ìna^se  di  popolo  eterogenee, 
ignoranti,  superstizio^  ;  e  tanto  nocquero  air  intento 
quei  mezzi  rabbiosi  ed  efferati,  che  al  certo  discredi- 
tarono e  assottigliarono  i  Kàhregi.  più  che  non  li  rin- 
forzassero col  terrore. 

A  un  tempo  con  quei  campioni  biella  libertà 
erano  comparai  i  settatori  più  frenetici  che  abbìan 
mai  sostenuto  r autorità,  gli  Sciiti  o  Scfi,  come  si  do- 
vrebbe scrivere^  e  significa  Partigiani.  L' erano  di 
Ali.  Téneano  :  il  pontificato  non  procedere  dalla  comu- 
nità musuhnana,  né  potersi  conferire  da  uomini  ;  eli- 
sero fondato  su  dritto  divino,  che  il  Profeta  stesso 
non  ebbe  autorità  di  cancellare  né  modificare;  tra- 

*ì 

*  Sciarestani,  op.  cit.,  p.  87  a  102. 


(Sec.  VllalX.I  —    106  — 

mandarsi  ii  pontificato  per  successione  di  sangue  e 
designazione  del  predecessore  ;  appartenere  eviden- 
temente ad  Ali  e  sua  schiatta.  In  ciò  sì  accordavamo 
a  un  di  presso  tutti  i  rami  di  setta  sciita.  Dissenti- 
vano sa  r  ordine  della  successione  d' Ali.  Inóltre  i 
Kaisaniti,  ramo  sciita,  compendiavano  stranamente 
la  religione  nella  assoluta  obbedienza  al  pontefice.  ^ 
I  Gholà,  altro  ramo, 'scoprirono  nei  pontefici  alìdi 
non  so  che  ipostasi  divina,  non  so  che  spirito  trasmi- 
grante da  persona  a  persona,  e  vi  fu  chi  sostenne, 
dopo  la  morte  di  Ali,  ch'ei  fosse  salito  in  cielo  per 
tornare  al  mondo  quando  che  fosse  a  ristorar  la 
giustizia,  e  che  aspettasse  passeggiando  su  i  nugoli; 
e  sentian  la  sua  voce  nel  tuono  ;  e  vedean  guizzare 
nelle  folgori  la  frusta  dell'  immortai  cavaliero.  Prìn- 
cipii  filosofici,  miti,  pensieri,  imaigini,  estranei  tutti 
alla  schiatta  arabica  ;  nei  quali  non  è  chi  non  raffi- 
guri il  sogno  indiano  delle  incarnazioni ,  la  supersti- 
zione tibetana  del  ponteiBce  Iddio,  e  la  trasmigrazion 
delie  anime,  e  l'aspettativa  del  Messia,  e  un  mito 
eroico  di  vero  conio  indo-europeo.  Cotesto  merci  stra- 
niere entrarono  neir  impèro  musulmano  coi  liberti 
che  avean  prima  professato  magismo ,  sabeismo,  giu- 
daismo, cristianesimo,  o  alcuna  setta' di  esse  religio- 
ni; e  veramente  un  liberto  di  Ali  per  nome  Ks^isàn 
die  origine  e  nome  al  ramo  sciita  ricordato  di  sopra; 
un  Giudeo  rinnegato,  per  nome  Abd-Altah-ibn-Saba, 
fu  il  primo  dei  Gbolà;  e,  vivendo  Ali /aveva  osato 


'  Seiarestani,  op.  cit,  p*  flOB,  109. 

'  È  plurale  deir aggettivo  Ghàli,  che  significa  "eccedente,  smo- 
derato." 


—  107   —  |S«c.  VII  a  IX.| 

dirgli  ''Tu  sei  tu*'  che  volea  sijgiìificar  '^séi  Dio."*  1  ba- 
rattieri che  cercavano  un  capo  di  parte  e  gli  scioc- 
clìi  sì  correvoli  ad  ogni  maraviglia , .  avean  trovato 
bello  e  pronto  il  soggetto  del  mito:  Ali, cugino,  fra- 
tello elettivo,  genero,  compagno  dall'infanzia,  e  im- 
pavido  difensore  di  Maometto;  il  guerrièro  dalla  spada 
a  due  tagli,  il  quale  mai  non  combattè  uomo  che  noi 
vincesse;  il  novello  Sansone  che  air  assalto  di  Kbai- 
bar  avea  schii»ntat(()  la  porta  dai  cardini  e  fattosene 
scudo;  Ali  nqbilissimo,  caritatevole,  liberale,  e  con 
ciò  ambizioso  e  le^iero.  Indi  V  apoteosi  presto  fu 
compiuta.  Ali,  che  in  su  le  prime  avea  lasciato  fere, 
b'  accorse  della  empietà  alla  quale  il  tiravano,  e  sbandi 
il  giudeo  Ibn-Saba  ; ^  poi,  incalzandolo  altri  adoratori; 
inorridito,  accese  il  fuoco  e  chiamò Kanbàr ,  comedi- 
cea  poetando  egli  stesso,  per  significar  che  gli  avesse 
fatto  ucòidere  e  ardere  i  cadaveri  da  qud  suo  liber- 
to. ^  Afa  là  superstizione  non  si  dileguò  a  tal  esem- 
pio; non  alla-  morte  del  setnideo.^  La  stirpe  di  Ali, 
atrocemente  proscritta,  forniva  alla  leggenda  alti'e  pa- 
gina spiranti  tragica  pietà:  Hagian,  avvelenato  dagli 
Ometadi  per  man  della  propria  moglie,  le  perdona 
dal  letto  di  morte;  Hosein  con  un  pugno  di  uomini 
fa  tèsta  a  un  esercito  è  cade,  ultimo  dei  combattenti, 
tra  i  cadaveri  dei  congiunti,  con  un  fanciullo  figliupl 
SUD  trafittogli  nelle  braccia  ;  i  discendenti  si  segnalano, 


<  Sciarestani,  op.  dt.,  p.  109, 152, 153;  il  quale  rintracdando  il  cam- 
mino dì  coleste  opinioDi,  e  ignorando  r orìgine  indiana  della  incarnazione 
{Efpiùli  la  attribaisce  ai  Cristiani.  Si  vegga  anche  Makrizi,  presso  Sacy, 
Exposé  dà  la  religian  de$  Vnues,  tomo  I,  p.  xiH-xiy. 

'  Quest'ullimp  fatto  da  Sciarestani,  bp.  cit.,  p.  133. 

'  Maitrizì,  presso  Sacy,  Exposé  de  la  religion  des  DntseSfiinno  \,  p.  xnf . 


(Scc.VIIalX.I  —   108  — 

quali  per  dottrina  o  valore,  quali  per  pietà  e  rasse- 
gnazione, e  per  lo  più  son  vittima  anch'  essi  dei  so- 
spetti di  Stato;  il  glorioso  nome  di  Ali  per  ses- 
«ant'anni  è  maledetto  nella  pubblica  preghiera  del* 
r  impero.  Pertanto  la  compassione  dei  popoli  accre- 
sceva ^  infocava  i  partigiani  della  sacra  schiatta,  ì 
quali  le  attribuivano  novelli  miracoli,  6  correano  al 
martirio  per  ristorarla  in  sul  tròno  ;  ma  prevalendo 
sempre  sopra  di  loro  le'^armi  deicalifi,  si  ordinarono 
alfine  in  società  segreta.  Fuori  da  quella  congrega , 
continuò  il  fanatismo  delle  moltitudini  ad  esaltare  gli 
eroi  di  casa  alida;  sfogossi  in  sedizioni  contro  i  Sun- 
niti; e  fino  a  questi  di  nostri  ardentissimp  si  mani- 
festa in  Persia  e  nelle  popolazioni  musulmane  del- 
l'India. 

La  società  segreta^  che  i^accolse  le  forze  popo- 
lari '6  le  adòprò  ad  esaltare  in  Affrica  i  veri  o  suppo- 
sti discendenti  di  Ali,  ebbe  origine  da  sodàlizii  più 
antichi.  Esaminando  i  due  elementi  dei  quali  neces- 
sariamente si  componea,  cioè  le  dottriùe  e  gli  òrdirii, 
si  trovano  entrambi  nella  schiatta  persiana.  Le  dot- 
trine nacquero,  o  a  dir  meglio,  presero  forma  pro- 
pria e  novella,  nei  principii  dell'era  volgare  e  in 
Persia  ;  ove  il  magismo  avea  già  cominciato  ad  ascol- 
tare le  teorie  buddiste  dell'Asia  eentrale,  le  avea 
trasmesso  insieme  con  le  proprie  heiF  Asia  anterió- 
re, e  questa  gli  avea  rimandato  le  nne  q  le  altre 
modificate  d^l  cristianesimo.  In  fatti  il  gran  riforma- 
tore della  setta  sciita,  quegli  che  la  ordinò  in  società 
segreta,  seguiva  tuttavia  la  scuola  d'un  eresiarca 

»  • 

del  secondo  secolo,  rimaso  incerto  tra  il  magismo 


—   109  —  |Se«.  VlIalX.I 

e41cristiaiiesimo,  Ilm-rDaisftn,  o  Bardesane,  come  chia- 
masi oca  forma  siriaca:  dottore  ascetico  e  dualista, 
il  quale  immaginò  r  uomo  mediatore  tra  la  Luce  e  le 
Tenebre.  *  Ma  i  Daisaniti  sono  stati  confusi  spesso 
coi  Manichei,  setta  analoga  che  levò  assai  maggior 
grido.  Mani,  come  ognun  sa,  non  contento  di  recar 
da  mero  profeta  un  libro  dettato  dal  Cielo,  osò 
a&rmai;e  con  idea  buddista  e  linguaggio  cristiano 
ch'ei  chiudesse  in  petto  lo  spìrito  paracielo  o  divìn 
consolatore  del  vangelo;  predicò  in  Persia,  Tartaria 
e  India  una  novella  religione  accozzata  di  varie  al- 
tre, soprattutto  di  magismo  e  cristianesimo;  dove,  tra 
motte  assurdità  teologiche  e  molti  ottimi  principii  di 
morale,  insegnò  aver  tutti  gli  uomini  uguale  diritto 
al  godimento  dei  beni  e  piaceri  del  mondo.  '  Spento 
Mani  dai  monarchi  sassanidi  (272) ,  e  costretti  i  di- 

*  Su  le  sèue  del  magismo  ci  danno  molto  lume  Mohammed-ibn-Ishak,, 
aatoie  M  EMb*el^Fihmt,  e  SciareaUni  ricordato  di  sopita;  i.  quali  vis* 
seiTO  l'uno  nel  decimo,  Taltró  neirundeeimò  secolo >  ebbero  alle  mant 
gran  copia  di  materiali  persiani,  ed  erano  entrambi  uomini  da  saperne  ca- 
nre  costrutto.  Ciò  non  ostante  mancaron  loro  le  cognizioni  che  a  noifor* 
nisce  lo  studio  del  buddismo,  il  quale  ebbe  tanta  influenza  su  le  varie  sètte 
dei  magi.  Per  quella  d*  Ibn-Daisàn  si  vegga  il  Kitdìh^l'FihrUt ,  MS.  di  Pa- 
rigi, Siippl.  Ar.,  i400,  tomo  il,  fog.^  i94  recto,  e  211  recto  e.  verso;  C|  Scia- 
restani ,  op.  cit.,  p*  194, 196.  il  Kitàìh-e^Fihrisi  porta  il  cominciamenlo 
deB*eresia  d*  Ibn-Dais&ri  una  trentina^' anni  dopo  quella  dei  Marcioniti,  ai 
quali  assegna  il  primo  anno  d'Antonino  imperatore  (i38);  e  alla  eresia  di 
Mani' il  secondo  anno  di  Gallo  (252).  ^ 

'  Questa  teoria  sociale  è  attj^ibuita  a  Mani  nella  compilazione  turca 
della  crònica  di  Tabari,  uno  squarcio  della  quale,  tradotto  ini  inglese,  è 
usdtCt.alla  luce  nel  Journal  of  the  American  orientai  Society»  tomo.!, 
p»  445>  NewrHaven,  1849.  SI  trova  altresì  nelle. compilazioni  orientali  cbe 
compendiano  Tabari  e  si  copian  tra  loro,  lo  presto  fede  a  tale  tradizione 
per  .la  condizione  ppliUca  della  Persia  al  tempo  di  Mani,  e  percbè  Mazdak, 
predicatore  del  comunismo  in  Persila,  segni  va  la  sua  scuola.  Nondimeno 
debbo  avvertire  die  non  ne  fan  moUo.il  Kitéb~el-Fihri8t^,  tomo  II,  fog* 
192  verso  a  212  verso,  né  Sciarestanì,  op.  cit.,  p.  119  a  196,  in  lor  dottis- 
sime analisi  della  religione  maniphea. 


ISM.YUalX.l  —   110   — 

scepolì  a  rifuggirsi  nella  Transaxiana,  ricomparvero 
dopo  il  conquisto  musulmano  in  Khorassàn  e  altre 
province  deir impero,  e  fino  a  Bagdad;  ove  se  ne 
contava  trecento  nella  seconda  metà  del  decimo  seco- 
lo.  Or  ignorati  or  perseguitati,  e  una  volta  (908-932) 
tollerati  per  intervenzione  dei  principi  dell'Asia  cen^ 
trale,'  i  Manichei  deir  impero  musulmano  ordina- 
rono una .  gerarchia  occulta,  la  cui  sede  era  per  Io 
piìj  in  Babilonia  e  nei  tempi  difficili  la  trasportavano 
ove  poteano.  ' 

Surse  anche  sotto  i  Sassanidi  Mazdak,  ^  sacer- 
dote e  teologo  di  scuola  manichea;  il  quale,  specu- 
lando novità  gu  la  teoria  socialista  del  maestro,  tal- 
mente la  allargò ,  che  ne  venne  a  baìxdìre  il  comunir 
smo  dei  beni  e  delle  donne  e  la  licenza  di  soddisfare 
a  ogni  desiderio  che  ppq  nuocesse  alla  persona  al- 
trui:  esortando,  del  resto,  i  proseliti  alla  beneficenza, 
ali!  ospitalità,  ad  astenersi  dall' uccisione  e  afflizione 
corporale  degli  uomini  e  fin  degli  animali.  Per  tren- 
t*anni  (498-531  )  Mazdak  sconvolgea  l'ordine  cestii 
tuito  in  Persia:  e. arrivò  a  impadroilirsi  della  autorità 
pubblica  e  mettere  in  pratica  alcuna  di  sue  d(4trine; 
fioche  il  principato  e  la  nobiltà,  uniti  insième,  Io 

<  Gonfronlìnsi  il  KUàb^l-Fihrist  e  Scìarestaoi,  U*  co.  Onesta  passo 
dei  KUùìh-el'Fihrist  è  stato  tradotto  dà  M.  Reinaud,  Géographie  d'Abùìd" 
feda^  Introdoclion^  p.  cgclxi. 

s  Kitttlh^U'Fihrist,  tòmo  II,  fog.  203  verso  e  909  recto.  Quivi  si  dice 
MRdk,  ossia  capo,  e  della  Ratta,  o.vogllam  dire  direztonè  centrale,  de' 
lianicbeì  a  B&bel,  sotto  Waltd  i  (7d5-71tS). 

'  Secondo  il  Kitalh'd-Fihristt  tomo  ì\ ,  fog.  216  verso  e  217  recto , 
v'ebbe  due  personaggi  nominati  Mazdak.  Del pdmo  non  si  dice  l'epoca, 
masolo  ch'ebbe  sonito  nel GebM,  Aderbaigiàn , emonia, Reilera,  Ham»* 
dàn  oFars.  I  suoi  seltalorUuron  dettiKhorràmii.  llsecondoMazdàkèqnelle 
di  cui  si  conosce  la  istoria,  e  i  settatori  presero  iì  nome  di  MazdakianL  . 


—   Ili   —  lS«c.  VlIalXJ 

spensero  con  uno  spaventevole  eccidio  de'  seguaci.  ' 
Le  teorìe,  che  sopravvissero,  divamparon  di  nuovo, 
due  secoli  appresso,  in  quelle  medesime  regioni  si* 
gnoreggtate  ormai  dai'  Musulmani. 

Perchè  le  sètte  dell!  antica  religione  dei  Persiani, 
incoraggiate  dall' antagonismo  nazionale  contro  i  vin- 
citori, tentarono  una  serie  di  movimenti  religiosi  a 
insieme  politici  e  sociali;  nei  quali  apparisce  sovente 
il  lavoro  di  società  segrete,  e  sempre  vi  primeggia 
la  superstizione  indiana  deir  ipostasi.  Voile  dapprima 
un  Khawàf,  verso  la  metà  dell' ottavo  secolo,  innestare 
il  manicheismo  sulF islam;  e,  denunziato,  com'  e'  pare> 
da  una  setta  rivale ,  fu  messo  a  morte  dal  governatore 
musulmano  a  Nisapùr:  se  non  che  i  suoi  proseliti  lo 
vider  salire  in  cielo  ^opra  un  bel  cavallo  baio  dorato, 
e  lungamente  poi  ai^pettarono  che  tornasse  giù  a  far 
vendetta.  *  Nel  medesimo  anno  o  poco  innanzi,  Abn- 
Moslim,  ^  anch'  egli  del  Ehorassàn,  metteva  in  trono 
gli  A}>bassidi  con  una  cospirazione ,  tramata  sotto 
forme  di  società ,  segreta  :  il  quale  ucciso  poi  a  tradi- 
mento dagU  Abbassici  (754) ,  moltissimi  uomini  del 

*  ConfronliDsi:  Procopio,  De  Bello  Persioo.,  lib.  !,  cap.  V;  Tabari, 
compilazione  turca,  Tersìone  del  barone  De  Hammer,  nel  Journal  Asiati- 
que,  qltobre  1850,  p.  544;  fUéb-el^Fihmt,  l  e;  Sclarestani ,  op.  cit., 
p.  192,  seg.;  Mirltond,  presso  Sacjr,  Antiquités  de  la  Perse,  p.  353,  seg.; 
Mogimel-et-Tewàrikk ,  versione  di  M.  Mohl,  nel  Journal  Anatique  di  lo- 
glio ^893,  p.  117,  e  di  maggio  1853,  p.  SOé.  Nella  Introduzione  al  Solwàn 
é'  Ibn^afer ,  io  bo  toccato  questo  punt»  di  storia ,  mettendo  tu  forse  i  rac- 
conti dei  cronisti  sul  comunismo  di  Mazdak  ;  e  penso  tutta? ia  eh' e!  non  abbia 
mandato^  ad  effetto  (ulte  le  sue^teorle  nel  tempo  che  tenne  lo  Stato.  Ma  la 
licenza  di  quelle  teorie  non  si  può  negare  dopo  r  autorevole  tes^tlmontanza 
del  KHàk^-rFihrist,  nel  quale  si  cita  un  trattato  speciale  di  Thelgi  su  que- 
sto argomento. 

'  Sciarestani,  op.  cit.,  p.  187. 

5  VeggasiU  Libro  I,  cap.  Vi,  p.  140  e  141  del  !<>  volume. 


ISw.  VUalXI  —  112  — 

Khoràssan^  Io  tennero  non  morto  >nè  mortale  ;  e  for- 
marono un  novello  ràpio  di  setta  Mazdakiana ,  che 
fa  detto  degli  Abumuslimiti.  *  Un  altro  ramo  si  chiamò 
dei  Rawendi;  i  quali  pensarono  adorar  come  iddio  il 
califo  abbassida  Mansùr  (75SJ,  ed  egli  molti  ne  impri- 
gionò; gli  altri  apertamente  sollevaronsi  contro  il  nuovo 
lor  nume.  *  Non  andò  guari  cbe  Mokanna,  come  l'ap- 
pellarono gli  Arabi  dall'  uso  di  andar  coperto  d' una 
maschera  di  metallo,  spacciava  in  Khorassàn  che  Io 
spirito  di  Dio,  trasmigrando  di  profeta  in  profeta,  e, 
poc'  anzi,  in  persona  d'Abu-Moslim,  fosse  venuto  per 
ultimo  ad  albergare  in  lui;  e  raggirava  i  proseliti  con 
tiri  da  saltimbanco;  accendeali  dì  fanatismo;  resisteva 
alle  armi  del  califo;  ridotto  allo  stremo  xp.  una  for- 
tezza  (776),  dava  la  morte  a  sé  e  ai.  compagni  Le 
quali  repressióni  non  interruppero  la  propaganda  oc- 
culta di  tutte  queste  sètte  del  magismo,  dei  Zindik, 
come  furono  detti  ^  con  voce  generica  che  credesi 
derivata  dal  noto  nome  di  Zend.  Mehdi ,  di  casa  ab- 
bassida, fieramente  li  perseguitava  (784-785);  isti- 
tuiva contro  di  essi  un  magistrato  speciale  detto 
il  Preposto  degli  Zinijtk,  *  e,  nell'atto  di  mandarne 
alcuno  al  supplizio,  esortava  il  figliuolo  Hadi  a  con- 
tinuare la  proscrizione,  succedendogli  nel  caKfato, 


«  GoDfrontinsi:  il  Ji^i/dM^>FMr»^  tomo  II,  Cog.  220  recto,  e  Scia- 
restani,  op.  cit.,  p.  194.  Entrambi  noverano  la  setta  di  Aba-Moslim  tra 
quelle  derivate  da  Bfazdak. 

'  Ihn-el-Athlr ,  anno  14f ,  MS.  C,.  tomo  IV,  fog.i25  verso;  e  Abulfeda 
cbe  lo  copia,  Annaies  ìimUmm,  an..l4t. 

'  Ibn-el-Atbtr,  anni  159  e  161 ,  MS.  €,  tomo  iV,  log.  148  verso  e 
180  verso;  Abulfeda,  pp.  cit,  an.  165.  Ma  seguo  la  cronologia  d*  Iba-el- 
Athlr.  . 

4  Ibn-el-Atblr,  an.  166,  MS.  A,  tomo  I,  fog.  29  verso* 


—  115  —  [Sec.  VUalX.J 

per  essere  i  Zindik,  com'ei  diceva,  Manichei,  scel- 
lerati che  vietavano  di  mangiar  carne,  viveano  in 
ippocrita  astinenza,  credeano  a  dae  prìncipii  Luce  e 
Tenebre,  praticavano  schifo  abluzioni,  permetteano  il 
matrimonio  con  le  figliuole  e  sorelle,  e  andavano^ u- 
bando  i  bambini  altrui  per  educarli  al  culto  della 
Luce. Mi  poeta  Besciàr-ibn-Bord,  cieco  e  vecchio  di 
novantanni,  era  stato  messo  a  morte  da  Mehdi  (782) 
nella  medesima  persecuzione,  la  crudeltà  della  quale 
par  consigliata  da  sospetto  di  Stato,  più  chte  di  fisina- 
tismo  religioso.  *  Poi  un  Giàndewàn  ^  aspirò  agli  onori 
divini;  tenne  la  fortezza  di  Bedsds^  neirAderbaigiàn ; 
ebbevi  adoratori  e  soldati;  e  spianò  la  via  a  Babek 
oriundo  di  Medàin,  assai  più  terribile  impostore.  Per- 
chè alla  morte  di  Gidndewàn ,  la  moglie  attestava  ai 
partigiani  aver. visto  raccogliere  dal  giovane  Babek 
il  soffio  divino  reso  dal  moribondo;  ed  essi,  avendo 
mestieri  d'un  capo,  credean  queste  e  tante  altre  fa- 
vole. Babek  segui  necessariamente  i  dommi  della 
trasmigra^ion  delle  anime  e  della,  divinità  dei  ciur- 
madori antecedenti;  seguì  le  dottrine  coDauniste  di 
Mazdak,  trascorrendo  sino  airincesto;  ma  a  quel  ver- 
gognoso epicureismo  aggiunse  ì  furori  dei  Khàregi , 
il  dovere  di  far  guerra,  la  licenza  di  commettere 
guasti,  rapine,  omicidii  sopra  insegnaci  d'altre  cre- 
denze. La  loro  fu  chiamata  dagli  Àrabi  la  religione 

*  IbQ-el-Alhir,  an.  170,  MS.  A,  tomo  I».fog.  30  verso. 

*  Abulfeda» .innato  Mosl^iei,  ap.  166. 

3  Questo  sopnnnoffle,  al  dire  d' llm-el-Atblr,  sigoiflca  *L*  Eterno:* 
Il  nome  patronimie^  era  Ibn-Sahl. 

*  Così  nel  Meràtid'^lUUa'.  '  1  cronisti  la  scrivono  con  l' articolo. 
Dando  alla  leuera  tifai  il  valore  di  semplice  d  sì  pronuizlerebbe  Bedd^  e 
El-Bedd, 

II.  8 


|IX  secolo!  '—  114  — 

del  libertinaggio,  e  ai  settatori  dieroD  anco  il  nome 
di  Kiiorramii ,  o  dipemmo  noi  gli  Sfrenati.  Traendo 
alle  bandiere  di  Bàbek  uomini  rotti  ad  ogni  scelle- 
ratezza, costui  per  venti  anni  (816-836)  affrontò  e 
sovente  sconfìsse  gli  eserciti  abbassidi  nelle  regioni 
settentrionali  della  Persia,  ove  si  dice  abbia  fatto  in- 
credibili carnificine.  In  ultimo,  presagli  la  cittadella  di 
BedsdSy  inseguito,  raggiunto  in  Armenia,  condotto  a 
Bagdad,  messo  ad  orribili  supplizii,  li  durò  fino  alla 
morte  con  fortezza  da  eroe.  ^ 

Non  guari  dopo  cotesti  estremi  sfòrzi  della 
schiatta  persiana,  veggiamo  cominciare  il  movimento 
con  altre  forme  nella  schiatta  arabica.  Ne  fu  autore 
un  Abd-Àllah-ibn--Meimùn ,  detto  il  Kadddh  ossia 
r Oculista,  della  gente  di  Kuzeh  *  presso  Ahwftz  nel 
Kuzistàn,  uom  di  setta  deisanita  al  par  che  il  padre, 
come  sopra  accennammo.  '  Meimùn  avea  promosso 
un  novello  ramo  che  prese  nome  da  lui.  Il  figlio 
salì  in  maggior  fama,  per  arte  d'indovino  e  prestigli 
di  fisica  e  destrezza  di  mano;  "  imbeccando  alla  gente 
che  gli  bastava  Tanimo  di  passare  in  un  baleno  da 
un  capo  all'altro  del  mondo;  e  s'indettò  con  astrologi 

*  Gonfrontinsi :  KUàb^l'FÌhri$t ,  MS.  di  Parigi,  tomo  11,  fog.  217 
recto,  seg.;  lbQ«el-AUilr,  aimì  901 ,  S90,  ttl  >  MS.  G,  tomo  IV,  fog.  191  recto, 
203  veriso,  205  recto,  seg.;  Alralfeda',  Ànnalet  Motlemiei,  anno  226. 

'  Questo  nome  si  trova  nel  solo  Kiidb^el-Fihript ,  né  son  certo  della 
lesione  di  qnel  mediocrissimo  manoscritto. 

>  Così  il  Kilàìh-el-Fihrisi,  che  toglie  ogni  dubbio.  Bfòkrizi,  credendo 
patronimico  il  noìne  di  Deiaàai,  scrisse  Meimùn  figlio  di  Deisàni  e  M.  De 
Sacy  sospettò  qualche  errore  noi  noto  Bardesane  ;  ma  noi  chiari.  Veggasi 
la  sua  ChrestonuUhU  Arabe,  tomo  11,  p.  88  e  04^  Ho  detto  della  setta  dei- 
sanità  a  pag,  100. 

*  Nel  KUàlh'a'Fikmi  si  legge  See'Mis,  che  significherebbe  *  giochi 
di  mano"  o  di  prniidigUaiim,  come  dicono  i  Francesi.  Mi  par  che  qui  si 
debba  prendere  in  senso  più  generale. 


—  it5  —  ICXsMolo.l 

e  iatriganti  e  con  qualche  tardo  discepolo  di  Babele 
e  altri  rottami  delle  sètte  dei  magi:  *  i^he  par  leg* 
geré  le  memorie  di  Cagliostro  a  quel  congegno  di 
scienze  naturali ,  imposture  d'ogni  maniera  e  cospi- 
razioni; a  quel  sì  lontano  scopo  politico,  paziente- 
mente apparecchiato  ai  figli  dei  figli.  Lo  scopo  di 
Abd-Allah  sembra  di  far  ubbidire ,  se  non  a  sé  me- 
desimo almeno  a  sua  gente  e  a  sue  dottrine,  la  schiatta 
vincitrice,  invano  combattuta  con  le  armi  persiane 
da  Mokanna  e  da  Babek.  Perciò  volle  impadronirsi 
della  fazione  sciita,  sì  grossa  e  zelante  e  fin  allora 
disordinata  ;  volle  innestar  su  quel  robusto  ceppo  gli 
ordinamenti  misteriosi  dei  Persiani;  onde  i  capi 
della  setta  lo  sarebbero  stati  anche  di  una  graA 
parte  della  società  arabica,  e  avrebbero  rivoltato  1ò 
impero  e  mutato  la  dinastia.  Tra  gli  Sciiti,  come 
accennammo,  si  notavano  vani  rami,  ciascun  dei 
quali  tenea  legittima  una  diversa  linea  di  imam,  o 
vogliam  dire  califi,  del  sangue  di  Ali;  chi  i  succes- 
sori di  Mofaammed  figliuolo  di  Ali  e  di  Hanefia;  chi 
quelli  di  Hasan  e  chi  di  Hosein  figli  di  Ali  e  di  Fatima; 
e  nella  discendenza  di  Hosein  si  correa  d'accordo  in- 


*'  I  Tarii  racconti  6be  correano  so  la  origine  della  seitt  itmaeliana  li 
leggono,  più  distintamente  che  altrove,  nel  Kiiàb^^FihrUt ,  MS.  di  Pa- 
rigi, Ionio  II,  Tog.  S  terso  a  0  verso,  dove  Tautorè  cita  un  trattato  speciale 
sopra  questa  setta,  scritto  per  combatterla,  da  Àbu-Abd-ÀlIa)i-ibn-Zoràm 
(o  Rizflm).  Non  ostante  la  diversità  delle  tradisioni,  date  come  dubbie  nel 
Kitàìh'el^Fihrisi,  mi  par  che  molto  ben  si  connettano  insieme  e  che  si  possa 
accettare  il  grosso  di  tutti  ipie^fatti.  Si  veggano  altresì  Makrizi»  presso  Sacy, 
Chrestomathie  Araffe,  tomo  11*  p.  88;  Sacy  stesso,  Ewpoté  de  la  religion  àés 
Ihrutes,  tomo  I,  p.  LXiii  e  Lxx,  seg.  —  filakrizi  sostiene,  e  M.  de  Sacy  ri- 
peto  con  incredibile  semplicità  »  che  Abd-AUah-ibn-Heimfto  fabbricasse 
qaesta  gran  macchina,  nùA  ad  altro  Qne  cbe  di  propagare  l'ateismo  e  il  li- 
bertinaggio! ' 


|iX  secolo.}  ^  116  — 

fioo  a  GiaYar,  detto  il  Verace  (a.  765),  Eda  poscia  al- 
tri ricoQOScea  Musa,  quarto  figliuolo  lui,  altri  i  figli 
d'Ismaele,  secoadogeuito  premorto  a  Gia'far:  onde  i 
partigiani  di  cotesta  linea  furon  chiamati  Ismaelianii  ^ 
Costoro  par  non' avessero  in  pronto  chi  mettere  in 
trono,  poiché  o  spacciavan  vivente  tuttavia  Mobam- 
med  figlio  d'Ismaele,  o  favoleggiavano  in  sua  stirpe 
una  serie  di  imdm  mestùr,  o,  diremmo  noi,  pon- 
tefici nascosi,  che  il  vólgo  non  dovea  saperne  né 
anco  i  nomi.  Per  la  comodità  di  tal  mjstero  o  per 
altra  cagione  che  fosse,  lo  straniero  Ibn-Kaddàh 
elesse  a  suoi  disegni  questo  ramo  della  faa^one 
sciita. 

Dalla  Persia  meridionale  venuto  a  Bassora, 
Ibn-Kaddàh  cominciavi  sue  mene  ;  scoperto  indi  e 
costretto  a  fuggire,  tramatasi  in  Selamia  presso 
flmesa;  vi  compera  poderi,  e,  infingendosi  d' atten- 
dere airagricol  tura,  va  spacciando  qua  e  là  dWt,  o  vo- 
gliam  dire  missionarii,  un  dei  quali,  nel  distretto  di 
Gufa ,  indettava  Hamdan-ibn-Asci  ath ,  soprannomi- 
nato il  Kirmit,  uom  di  schiatta  arabica,  che  parve 
ottimo  strumento  ad  Àbd-AUah.  Ma^  T-Arabo,  rubata- 
gli Tarte,  si  fé'  capo  d' una  setta  novella  che  da  lui 
si  addimandò  dei  Earmali,  o  iheglio  direbbesi  Kir- 
miti.*  Dopo  venti  anni  (899)  levaron  la  tèsta  in 


'  Senza  moltiplicare  le  citazioni  mi  riferirò  al  solo  Seiarestani,  op.  cit., 
testo  arabico,  p.  15, 16, 127. 

'  Kitàlh-el^Fihrist ,  volume  citato,  fog.  6  recto  e  verso.  11  nome  pro- 
prio Hamdan  è  dato  da  Ibn-el-ÀthIr.  La  pronum^à<di  Kirmit  è  determinata 
da  Sefedi,  Di^onario  biografico,  MS.  di  Parigi,  Supp).  Ar., 706,  articolo  so- 
pra So1eiman-ibn*Hasan.  Varie  etiìmologie  si  danno  di  questo  soprannome 
che  al  dir  del  Kitdb-^t^Fihrist  si  rlierisce  a  un  castèllo.  Su  i  Catti  si  Vegga 
anche  Makrizi,  presso  Sacy,  Chretlomathie  Arabe,  tomo  H,  p.  89. 


—  117  —  |IXMeolo.| 

Babrein,  provincia  d'Arabia,  ove  la  setta  s'era  age- 
volmente propagata  tra  fiera  e  libera  gente,  che  poco 
temeva  il  califato  lontano.' Negli  ordini  loro  si  scerne 
il  miscuglio  delle  superstizioni  e  dottrine  persiane 
col  genio  independente  della  schiatta  arabica:  da 
una  mano  la  ipostasi  dello  imam,  e  novelle  prati* 
che  religiose,  manichee  anzi  che  musulmane;  dal- 
l'altra  qualche  eccesso  di  comunismo  ùiazdakia- 
no  e  tutte  le  virtù  e  i  vizii  della  democrazia  khare- 
gita.  Sembrami  error  manifesto  degli  eruditi  di 
noverare  i  Karma  ti  tra  gli  lémaeliani,  coi  quali  "non 
ebbero  altra  comunanza  che  le  pratiche  condotte 
e  poi  spezzate  tra  il  Kirmit  e  Ibn-Eaddàh;  né 
altra  somiglianza  che  di  qualche  forma  e  qualche 
mistero.  Del  rimanente  correano  per  due  vie  oppo- 
ste e  come  a  due  poli  del  mondo.  Gli  Ismaeliani, 
ritennero  gli  ordini  di  associazione  segreta  quando 
non  n'era  mestieri,  dopo  la  esaltazione  cioè  della  di- 
nastia fatemita  (910),  e  dopo  la  ribellione  di  Hasah- 
ibn-Sabbah  ad  Alamùt  (1 090)  ;  né  disdissero  mai  il 
nome  maomettano;  e  s'abbian  promosso  il  dispo- 
tismo e  la  superstizione  lo  mostrano  i  lor  disce- 
poli Drusi  e  Assassini.  I  Karmati  al  contrario,  non 
conlenti  di  calpestare  l'iislamismo,  si  risero  d'ogni 
domma  e  rito,  e  si  tediarono  di  star  nelle  tenebre 
dell'  associazione  occulta  :  costituirono  uno  Stato  li- 
bero e  forse  licenzioso  ;  ebbero  non  principe  semi- 
deo,  ma  capo  politico,  non  altrimenti  chiamato  che 
Kabtr,  ossia  superiore;  e  talvolta,  in  luogo  d'uno, 
ubbidirono  a  sei  magistrati  con  titolo  di  sdid  che 
suona  signori,  come  que'  della  Mecca  avanti  Mao- 


lIX,ì«eolo.J  ->-  118  — 

metió  e  delle  nostre  repubbliche  del  medio  eyo:^ 
OgQUQ  sa  che  i  Karmati,  per  tutto  il  decimo  secolo, 
fieramente  combatterono  dall'Arabia  fino  airEgftto 
il  califalo  abbassida  e  pòi  anco  il  fatemita;  che  spar- 
sero fiumi  di  sangue  ;  che  presero  la  Mecca,  e  por- 
taron  via  la  sacra  pietra  nera  della  Caaba ,  per  ri- 
venderla a  carissimo  prezzo  ai  devoti  Musulmani; 
e  che  da  lor  venne,  in  parte,  )a  rovina  dello  impero 
musulmanp. 

La  società  segreta  degli  Ismaeliani  per  una  tren- 
tina d' anni  lenta  camminò,  sotto  parecchi  gran  mae- 
stri della  Schiatta  di  Abd-Allah-ibfi-Kaddàh ,  succe- 
duti r  uno  air  altro  fino  a  Sa  M-ibn-Hosein  (874-883) 
il  quale  incalzò  la  propaganda  in  Persia ,  Arabia.  Si- 
ria, ^  e  par  abbia  compiuto  l'ordinamento.  Era  stretta 
gerarchia  :  un  dà't  supremo,  o  gran  maestro  che  noi 
diremmo  ;  sotto  di  lui  altri  dd't  di  provincia  e  altri 
di  distretti,  città,  villaggi,  che  ciascuno  eleggeva  il 
subordinato  e  ìion  conosceva  altri  che  costui  e  X  im- 


I  Ibn^el-Alblr ,  anno  278,  MS.  C,  tomQ  IV,  fog.  369  verso,  dà  un  lungo 
ragguaglio  su  la  orìgine ,  dottrine  e  riti  dei  Karmati  ;  del  qual  capitolo  la 
parte  meno  importante  fu  trascritta  dal  Nowairi  e  ti'adotta  dal  Sacy,yol.cit, 
p.  97.  Veggasi  ancora  il  Sacy,  pag.  126  di  esso  volume,  li  mio  giudizio, 
formato  su  la  tendenza  diversa  degli  Ismaeliani  e  Karmati,  si  conferma  coi 
panieolari  d'Ibn-eUAtblr.  Notò  anche  questa  differeoza  il  Taylor  neU^  ope- 
ra, The  hi8tory  óf  Mohammedùm  and  it»  «ec/5,  p.  172,  quantunque  ei  non 
abbia  avuto  alle  mani  tutti  i  fatti  da  poterla  provare.  L' analogia  dei  Kar- 
tnati  con  gli  Ismaeliani  era  stata^sosteouta  dah  M.  De  Sacy,  ExpoU  de  la 
religion  des  Lrmes,  p.  lxiii;  seg.,  e  da  M.  De  Hammer,  Hiàtoire  deVordre 
des  Assassins,  p.  47,  48,  su  la  fede  degli  autori  musulmani  citati  da  loro. 
Il  Baian,  cbQ  ailor  non  si  eonoseea  t  contiene  a  pag.  393,  seg.,  del  (o  vo- 
lume, un  racconto  sugli  Ismaeliani  e  Karmati;  ove  si  replicano  con  molti 
particolari  i  fatti  già  noti,  e  tra  gli  altri  lo  scandalo  della  notte  lor  festiva 
detta  della  Jmamta,  e  il  nome,  troppo  stgnifieatiyòy  di  figliuoli  della  frater- 
nità, dato  ai  fanciulli  che  nasceano  da  qué' baccanali. 

"  KHà^l-Fihrisi ,  MS.  di  Parigi,  tomo  II,  fog.  6  verso. 


—   lltì  —  llXwcolo.j 

mediato  superiore.  I  dai  affiliavano.  Una  contribu- 
zione forniva  il  danaro  ai  bisogni  della  associazione 
0  de'  capi;  e  quando  gittavan  la  maschera,  teueano 
appareccliiala  una  fortezza,  ''Casa  del  Rifugio"  la  chia- 
mavano in  lor  gergo;  e  quando  regnarono,  apriron 
adunanze  pubbliche  in  una  ""Casa  delta  Sapienza"  ove 
il  dà'i  leggea  sermoni  su  i  misteri  e  la  morale.  Tanto 
si  ritrate  con  certezza  storica.  Sembra  che  abbiano 
avuto  varii  gradi  d' iniziazione  ;  dicono*  nove,  dal  pri- 
mo vestibolo  ai  penetrali  di  un  ultimo  mistero ,  o  piut- 
tosto fin  di  mistero  ;  cioè  svelar  che  imami  e  xeligione 
e  morale,  tutto  fosse  una  burla.  ^  11  dà'i  cominckva  a 
tentare  il  neofito  con  dubbii  sopra  alcuni  punti  deirisla-* 
mismo;  si  facea  giurar  segreto  e  ubbidienza;  lo  con- 
ducea  successivamente  fino  al  grado  di  che  gli  parca 
capace:  passando  dalla  confermazione  dei  dommi  e 
precetti  dell'islamismo, alla  eredità  dello  imamato  negli 
Abdi  e  nella  linea  d'Ismaele  ;  alla  dottrina  dell'  imam 
nascoso,  noto  al  Mi  supremo;  alla  spiegazione  alle- 
gorica del  Corano  :  e  le  allegorie  si  assottigliavano  a 
mano  a  mano,  e  in  ultimo  si  dileguavano  nella  incre- 
dulità. Ma  quest'ultimo  stàdio  pormi  quello  del  Gran 
Maèstro,  il  quale  spacciando  di' tenére  in  serbo  un 
Messia  non  potea  veramente  credere  all'islamismo 
né  a  religione  ohe  fosse  al  monda.  Gli  altri  gradi 
d' iniziazione  deUneano  esattamente  la  piramide  che 
si  yolea  fabbricare:  tutti  i  Musulmani  alla  base;  so- 
vrappostivi gli  Sciiti  ;  a  questi  i  partigiani  d' Ismaele  ; 
ad  essi  i  dottori  in  miti  manichei;  e  sul  vertice  la 
famiglia  persiana  d' Ibn-Kaddah.  * 

*  Su  V  associazione  ismaeliana  si  veggano  Sacy,  Espose  d€  la  rtligion 


1895.1  —  120  — 

Saì(d-ibn-HoseiQ ,  di  qaesta  geo  te,  (enea  la  fila 
della  gran  trama  in  Selamta ,  quando  Ibn-Hausceb, 
dai  del  lemen ,  pensò  mandar  neir  Affrica  Setten^ 
trionale  chi  dissodasse  il  terreno,  come  diceàsi.  nel. 
gergo  della  setta.  Lavoraronvi  prima  un  Ibn-So- 
fiàn,  indi  un  Holwànì;  alla  morte  del  quale,  Ibn- 
Hausceb  gli  surrogò  uomo  di  maggior  .pólso,  che 
per  antonomasia  fu  detto  lo  Sciita.  Ebbe  nome  Abu- 
Abd-Allah-Hosein-ibn-Ahmed ,  da  Sana  a  nel  lemen; 
ardente  partigiano  degli  Alidi  ;  stato  una  volta  Mob te- 
sib,  03sia  magistrato  di  polizia,  degli  Abba^sidi  presso 
Bagdad;  audace,  dotto  e  pratichissimo  d'ogni  via 
coperta  ed  obbliqua.  Con  danari  della  setta ,  costui  si 
reca  (893)  dal  lemen  alla  Mecca,  a  far  proseliti  tra 
gli  Affricani  che  vi  attirava  il  pellegrinaggio;  e  adoc- 
chiavi, uno  sceikh  della  gente  di  Kotàma  e  Y  onorevole 
brigata  che  lo  seguiva.  Facendo  le  viste,  d'imbattersi 
per  caso  tra  costoro,  Abu-Abd-rAllah  si  insinua,  K  tenta 
e  comincia  a  fare  e  ricever  visite  ;  e  conosciutili  Iba- 
diti^  setta  kharegita,  come  dicemmo,  a  poco  a  poco 
si  scopre  anch' egli  nemico  dei  califi:  aver  lasciato 
il  servigio  loro  perchè  nulla  v'  era  di  bene  ;  voler 
vivere  ormai  spiegando  il  Corano  ai  giovanetti  ;  ame- 
rebbe a  farlo  in  Occidente,  ove  non  gli  parean  di- 
sperate le  sorti  del  popolo  musulmano.  Tra  lusinghe 
e  dotto  parlare  e  apparenza  di  pietà,  austerità  e  liberi 
sentimenti,  si  cattivò  gli  animi  di  quegli  stranieri,  sì 

des  Druses,  Introduzione;  Quatremère,  Mémoires  historiques  sur  les  Fati- 
mites,  iìe\  Journal  Asiatiqùe,  agosto  1835,  e  le  autorità  musulmane  citate 
da  essi.  Merita  molta  attenzione  il  racconto  di  Makrizi,  presso  Sacy,  Chrei- 
tomathie  Arabe,  tomo  II,  p.  140,  seg.,  su  gli  ordini  della  setta  trionfante 
nel  regno  dei  Fatemiti.  . 


—  1^1   —  |895-a00.| 

bene  che  il  pl*egavanp  di  accompagnarli  in  Affrica  ed 
aprirvi  scuola;  ma  noa  rispose  uè  sì  oè  do,  lascian- 
dosi trarre,  quasi  contro  voglia^,  alle  capitali  dèlio 
Egitto  e  deir  Affrica;  ove  indagò  profondamente  le 
'condÌ2;ioni  delle  tribù  berbere  ;  e  Kotàma  gli  parve 
proprio  il  caso.  Allor,  come  vinto  da' preghi  dei  Ko- 
tamii,  accetta  la  ospitalità  e  gli  oficii  di  imam  d' una 
loco  moschea  e  di  pubblico  professore  ;  ma  ricusa  lo 
stipendio  ;  fa  vedere  ai  più  intrinsechi  un  gruppo  di 
cinquemila  dinar;  accenna  alla  sorgente  misteriosa  e 
inesauribile  di  queir  oro;  alla  sacra  schiatta  d' Ali  ; 
alle  migliaia  di  migliaia  che  cospiravano  per  essa 
in  tutta  musulmanità;  ai  premii  maravìgliosi  che  do- 
vea  aspettarsi  in  questa  vita  e  nelF  altra*  chiunque 
aiutasse  alla  esaltazione  del  pontefice  nascoso.  Le 
quali  pratiche  non  piacquero  a  tutti  tra  quella  gente 
ibadita  e  però  nimica  air  autocrazia  di  Ali  ;  ma  il 
maggior  numero  odiava  mille  volte  più  Ibrahim-ibn- 
Ahmed  vivo,  che  Ali  sepolto  da  secoli;  più  la  domi- 
nazione straniera,  che  ildispotismo;  e  il  giogo  stesso 
del  dispotismo  tanto  lor  parea  duro  a  portarlo  sul 
collo,  quanto  comodo  e  piacevole  a  metterlo  addosso 
altrui.  Ebbe  dunque  gran  séguito  Abu-Abd-Allah; 
gli  proffersero  avere  e  sangue;  i  misteri  guanto  più 
assurdi,  tanto  più  furibondo  accendeano  lo  zelo;  un 
capo  uccìse  di  propria  mano  il  fratello  che  andava 
gridando  impostore  Abu-Abd-Allah.  A  capo  di  sette 
anni,  correndo  il  novecento  dell'era  volgare,  costui 
cominciava  a  scoprirsi  *  presso  Setif,  nei  monti  detti 

*  Confrontìnsl:  Warrftk,  cronista  spagnuolo  del  X  secolo,  citato  nel 
fiaiàn,  tomo  I,  p.  117-118;  Makrizi»  pressoSacy,  Ckretlomathie  Arabe, 
tomoli,  p.  Ili,  seg. 


HK)o.|  ^  122  — 

di  Ikgiàn,  sede  d' una  tribù  delld  gente  di  Kotàma.  ^ 
La  gente  di  Kotàma  tenea  la  più  parte  della 
odierna  provìncia  di  Costantina  :  un  quadrilatero  da 
Bugia  e  Bona  su  la  costiera,  a  Belezma  e  Baghaia 
nella  catena  degli  Aurès  :  territorio  montuoso,  dove 
coltivato  dàlie  tribù  stanziali,  dove  abbandonato  a 
pascolo  e  corso  dalle  tribù  nomadi  della  medesima 
gente.  Si  distinguea  questa  dagli  altri  Berberi  per 
non  so  che  divario  di  tradizioni,  usanze,  dialetto; 
tanto  che  gli  eruditi  vi  trovarono  appicco  a  consan- 
guineità con  la  schiatta  arabica.  Che  che  ne  fosse,  i 
Kotamii  non  si  àffì^atellarono  punto  coi  vincitori ,  ne 
lor  ubbidiron  altrimenti  che  di  nome,  né  si  piegarono 
a  tributo,  non  che  smettere  lor  costumi  aborigeni. 
Com'ogiìi  altra  nazione  berbera,  i  Kotamii  par  sian 
vissuti  in  rozza  confederazione,  vincolo  di  schiatta 
più  che  di  legge;  il  quale  se  non  bastava  a  campar 
le  tribù  loro  dalla  guerra  civile  né  dalla  dominazione 
straniera,  potea  stringarle  insieme  ad  un  tratto  in 
brevi  ma  gagliardi  sforzi.  Allo  entrar  del  decimo  se- 
colo, fortissima  era  la  nazione  kotamia  per  numero 
totale  degli  uomini  o  relativo  degli  armati  ;  poiché  la 
tradizione  esagerando  portò  che  ne  andassero  tre- 
centomila ad  assalire  Kairewàn;  e  da  più  certi  ri- 
cordi sappiamo  (juanti  eserciti  kotamii  corsero  in  quel 
secolo  fino  air  Atlantico  e  oltre  il  Nilo  sotto  le  bàn- 
diere  dei  Fatemìti  :  nelle  quali  imprese  la  nazione 
kotamia  si  dissanguo;  si  trovò  menomata  a  quattro- 
mila uomini  verso  la  metà  del  duodecimo  secolo; 

*  Su  questo  sito  8i4;oiisn1tf  una  nota  di  M.  Chorbonnean ,  Journal  Asia- 
tique,  décembre  1852,  p.  b09. 


—  123  —  1004.1 

nel  decimoquarto,  qualche  tribù  che  né  rimanea  sof- 
friva il  giogo  di  Tunis,  e  in  oggi  se  n'è  dileguato  il 
nome.  *  Non  primeggiava  per  vero  nella  confedera- 
zione la  tribù  stanziata  a  Ikgièn.  Ma  la  mente  di 
Abu-Àbd-Àllah ,  Y  accentramento  e  ardore  della  setta 
ismaeliana  le  dettero  tal  vigore,  da  soggiogare  qual- 
che tribù  rivale,  tirarsi  dietro  le  altre,  e  unire  la  na* 
zion  kotamia,  anzi  una  gran  parte  della  schiatta  ber- 
bera,  contro  i  vmcitori  Arabi.  Ibrahim-ibn-Ahmed 
dal  suo  cauto  aveva  arato  quel  terreno  più  che  ì  mi- 
stici agricoltori  ismaeliani;  fin  avea  liberato  la  nazione 
kotamia  del  disagio  che  le  davano  i  bellicosi  Arabi  di 
Belezma. 

Ed  egli  stesso  gittò  la  prima  scintilla.  Risaputo  dal 
governatpr  di  Mila  come  l'oscuro  professore  d'Ikgiàn 
osasse  accusare  d' eresia  Abu-Bejkr  e  Omar ,  mandò 
ad  ammonirlo  di  frenare  la  lingua;  e,  se  no,  ve- 
drebbe. Abu-Abdr-AUah,  itivece  di  rispondere,  si  mo- 
stiK)  in  campo  (901)  con  giusto  esercito,  con  simboli 
non  più  vi^ti,  scritti  su  le  bandiere,  nei  suggelli 
delle  lettere  e  nel  marchio  dei  cavalli  ;.  ordinò  gli 
oficii  d' amministraziobe  militare;  afforzò  la  casa  del 
rifugio  a  IkgiAn;  die  il  motto  di  guerra  ^'In  sella,  ca- 
valieri di  Dio;"  apertamente  bandi  la  rivoluzione  po- 
litica e  religiosa.  Così  la  società  ismaeliana,  compiuti 
i  lavori  a  suo  beli'  agio  tra  genti  guerriere  e  luoghi 
inacbessibili  alla  vigilanza  dei  governanti,  uscia  dal(e 
tenebre  improvvisamente  in  sembianza  di  Stato  an- 

'  Confrontinsi :  Edrìsi,  Geografia,  versione  firancese  di  H.  Jaobert, 
tomo  I,  p.  246;  Ibn-KbaldÙQ,  Giorni  dei  Bèrberi,  versione  francese  di 
M.  De^SlaDe,  tomo  1,  ft.  291;  Cronica  di  Gotha^  presso  NìcìmuÌsoq,  4»  a(^ 

coutU  Qfthe  e^khlishmint  oflk$  FtUenùti  ^rkOBly^  p.  88. 

w 


|902.|  —  124  -^ 

tico  che  fdcesse  guerra,  non  di  moltitudine  tumnl- 
tUante  e  confusa.  Sbigottì  Ibrahim  a  quel  terribil  se- 
gno. Comprese  che  la  vfva  forza  da  lui  sciupata  si 
stoltamente,  ormai  non  bastava  contro  la  ribellione 
sciita  :  pertanto  si  provò  a  suscitar  la  guerra  civile 
tra  i  Kotamii  ;  a  calmare  gli  altri  pòpoli  con  le  ri- 
forme; e  si  affrettò  air  abdicazione.  Scéndendo  dal 
trono  raccomandò  al  figlinolo  che  non  assalisse  mai 
primo  gli  Sciiti,  si  difendesse,  e  abbandonato  dalla 
fortuna  si  ritraesse  in  Sicilia/ 


CAPITOLO  VI. 


S'uom  potQa  riparare  alla  rovina  di  casa  aghla- 
bita,  quel  desso  era  Abd-Allah,  successor  del  tì- 
ran'no.  Abd-Allah  par  modello  dell'  ottimo  prìncipe 
musulmano, del  medio  evo:  prode  della  persona,  cava- 
liere e  schermidore  perfetto,  savio  capitano,  belF in- 
gegno,'poeta,  dialettico^  erudito,  rettorico,  e,  quel  che 
monta  a^ai  più,  giusto,  magnanimo,  benigno,  tem- 
perato nell'esercizio  del  comando,  osservatore  d'ogni 
precetto  di  sua  religione.  Preso  lo  Stato  alla  abdica- 
zione del  padre,,' mandò  lettere  circolari  da  leggersi 
\  •  ■   ■_     . 

'  Gonfrontiùsi  :  Baidn,  tomo  I,  p.  il8;  Ibo-Kbaldùa,  Histoire  de 
VÀfrìque  et  de  la  Sicile,  versiode  di  M.  Dqs  Vergers,p.  145-147;  Hakrizi, 
presso  Sacy,  Chrestomathie  Àrabe ^  tòmo  11,  p.  115,  seg.;  ibn-Hammàd, 
MS.  di  M.  Cherbonneaa,  fog.  1  verso. 

s  Credo  il  22  rebi'  primo  del  289  (5  maìrzo  902)  più  tosto  cbe  »  mezzo 
giugno  de)  medesimo  anno.  L'uria  e  l'altra  data  si  legge  nei  medesimi  au- 
tori :  ma  forse  non  è  errore ,  e  la  prima  va  intesa  dello  esercizio  del  potere 


—  145  —  1902.| 

al  popolo  adunato,  per  le  quali  promettea  zelo  nella 
guerra  estera,  e  nel  governo  umanità,  giustizia,  amor 
del  ben  pubblico.  E  che  non  sciìvesse  ciance  di  prin- 
cipe nuovo  provoUo  coi  fatti,  chiamando  appo, di  sé 
un  consiglio  di  molti  savii  e  dotti  uomini  (queste 
son  lei  parole  dlbn-el-Athtr) ,  che  lo  aiutavano,  a  con- 
durre gli  affari  secondo  giustizia  e  proponeano  i  prov- 
vedimenti richiesti,  dalle  condizioni  del  popolo.  Come 
i  predecessori,  sedetegli  stesso  nel  Tribunal  dei  so- 
prusi. Volle  che  i  magistrati  ordinarii  rendessero  ra- 
gione, senza  contemplazion  di  persone ,  contro  oficia- 
li,  cortigiani,  congiunti  o  figli  del  principe  e  contro 
lui  medesimo.  Eletto  il  novello  cadi  dal  Eairewàn, 
gli  commise  di  reprimere  severamente  i  soprusi  dei 
riscuotitori  delle  tasse  e  proteggere  gli  oppressi.  Ri- 
fondò al  tempo  stesso  la  corte  :  vestitosi  di  lana  come 
i  primi  califi  ;  sgombrati  que'  nugoli  di  pretoriani  ; 
fuggito  a  precipizio  dalle  insanguinate  castella  del 
padre,  si  che  soggiornò  nei  primi  tempi  in  uìia  ca- 
Sttccia  di  mattoni,  poi  ne  fece  acconciare  una  più 
spaziosa,  comperate  entrambe.del  proprio.  Forte  di  sua 
virtù,  sdegnando  i consigli  tiberiani  del  padre,  Abd- 
Allah  mandava  contro  gli  Sciiti  un  esercito  capita- 
nato dal  proprio  figliuolo,  altri  dice  fratello,  sopran- 
nominato Ahwàl.  E  già  la  vittòria  seguiva  gli  auspi- 
cio del  principe  guerriero  ;  e  la  contentezza  de'  popoli 
promettea  che  la  ribellione ,  ristretta  a  una  tribù , 
presto  sarebbe  spenta. 

sapremo,  la  aecoDda  della  solenne  inaugnrasione  per  la  quale  forse  si  aspettò 
il  diploma  del  califo  abbassida.  Veggansi  le  aatoriià  citate  qni  sopra  a  p.  77| 
e  Ibn-Abb&r,  MS.  della, Società  Asiatica  di  Parigi,  fog,  33  Terso,  che  porta 
appunto  la  data  del  22  rebi'  primo. 


[DOSI  _  ÌÌ26  — 

Quando  un  vii  parricida  troncò  ogni  jsperanza 
degli  Arabi  d' Affrica;  Ziadet-Allah,  figliuolo  di  Abd- 
A]lah,  rimaso  a  reggere  la  SicOia  dopo  la  morte 
d'Ibrabim,  s'era  dato  a  vita  sozza  e  bestiale  con 
vili  cortigiani  che  Io  stigavano  contro  il  padre  per- 
chè sentiansi  soffocare  da  quella  severa!  riforma.  Ri- 
sapendo tai  vergogne,  Abd-AUah  deponea  d'oficio 
il  figliuolo;  chiamavalo  a  Tunis;  e,  arrivato  eh' ei 
fu  del  niese  di  maggio  noveceptotrè ,  come  a  fan^ 
ciullo  discolo,  gli  tolse  danarp  e  arredi  e  sì  il  chiuse 
in  un  appartamento  del  palagio,  messi  in  prigione 
a  parte  i  iSuoi  cagnotti.  Ma  le  mura  non  furon  osta- 
colo  a  una  congiura  di  corte  che  si  ordì,  consape- 
vole Ziadet- Allah.  Il  mercoledì  ventisette  di  luglio,! 
uscito  Abd-AUah  dal  bagno  e  gittatpsi  a  dormire  in 
parte  solitaria  del  palagio  sopra  un  sofà  di  stuoie^  tre 
eunuchi  schiavoni  eh'  ei^  tenea  molto  fidati  gli  si  ap- 
pressano; un  trae  pian  piano  la  spada  di  sotto  il  ca- 
pezzale; e  d' un  fendente  tagliò  netto  e  collo  e  barba 
e  intaccò  la  stuoia.  Gorre  un  altro  alla  prigione  di 
Ziadet-Allah;  scala  il  muro;  lo  saluta  re;  gli  fa  pressa 
di  mostrarsi  alla  corte  :  ma  quei  temendo  doppio 
tradimento,  risponde  che,  se  dice  il  vero,  gli  re- 
chi la  testa  del  padre:  onde  T eunuco  andò  e  tornò 
e  gli  gittò  la  testa  d' in  sul  muro.  Prèsala  in  mano, 
raffiguratala,  il  parricida  balzò  di  gioia;  fé' spez- 
zare le  porte  della  prigione;  assembrare  i  grandi 
di  casa  aghlabita;  i  quali  sospettando,  o  no,  il  vero, 

*  11  mercoledì  alUipoi  secondo  Ibo-elrAtbir ,  e  ^nullimo  giorno,  se- 
condo il  Baiàn^  del  mese  di  sciàb&n  290.  Indi  si  vede  che  T  nno  segue  il 
calendario  astronomico,  e  1*  altro  il  conto  civile,  di  che  si  è  fatta  parola  al 
cap.  HI  del  Libro  1,  pag.  57,  del  1<^  volarne. 


t 


—  127  —  p05.| 

per  paura  degli  stanziali,  o  perchè  la  virtù  di  Àbd- 
Allah  lor  fosse  stata  anco  molesta,  giararono  fedeltà 
al  successore.  A  cancellar  sue  proprie  vestigia,  questi 
fece  scannare  immantinente  i  tre  sicarii,  e  appendere 
i  cadaveri  al  patibolo. 

Pria  che  si  risapesse  il  misfatto,  Ziadet-Allah 
scriv^a  col  suggello  del  padre  ad  Ahwàl  di  venir 
subito  a  Tunis;  il  quale  senza  sospetto,  lasciò  Io 
esercito,  e  per  via  fu  preso  e  morto.  Uccisi  al  paro  da 
trenta,  tra  fratelli ,  zii  e  cugini  del  novello  tiranno,  in 
un  isolotto'  ove  li  mandò  sotto  colore  di  rilegazione; 
dato  lo  scambio  a  primaria  magistrati;  gratificati  con 
largo  donativo  gli  oficiali  pubblici.  Dei  rimanente,  non 
curando  se  lo  Stato  andasse  ben^e  o  male,  Ziadet-^ 
Allah  ripassava  dal  sangue  nel  fango  :  regnava  sette 
anni  trescando  con  sicarii,  giullari,  beoni,  concubine 
e  giovani  svergognati  ;  arrivava  a  far  batter  moneta 
coi  nome  del  paggio  Khattàb  ;  e  quando  avea  mala 
nuova  della  guerra  sciita,  diceva  al  coppiere:  *Mesd- 
mi;  e  anneghiamola  in  questa  tazza.*  ' 

Abu-Abd-Allah  intanto   conquistava  l'Affrica. 

'  Delta  G€%iret'el'Kerràth ,  ossìa  *  Isola  dei  Porri."  Così  fu  cliiamato 
dagli  Arabi  an  isolotto  a  Capo  Passaro  in  Sicilia,  ctie  ritien  oggi  il  nome 
voltato  in  italiano.  Ma  eredo  qulsi  tratti  della  Gexirel*el-Kerrilh  in  Affrica, 
a  ì%  miglia  da  tunis. 

*  Cbnfrontinsi :  Ibn-el-Athlr,  MS.  A,  tomo  II,  fog.  172  recto,  seg., 
aQ.  2S9,  e  MS.  G,  tomo  iV,  fog.  979,  stesso  anno,  e  fog.  286  recto»  seg., 
an.  296  »  e  MS.  Bibars»  an.  289,  fog.  129  verso  ;  Ibn-Abbàr,  MS.  della  So- 
detà  Asiatica  di  Parigi,  fog.  35  verso  e  54  recto;  Baiàn ,  tomo  I,  p.  128, 
J3B,  139;  N^wairi ,  Storta  d*  Affrica,  in  appendice  alla  Huioire  des  Berbera 
par  Ibn-Kbaldùn,  versione  di  M.  de  Slane,  tomo  1,  p.  438  a  440;  Ibn-KbaI* 
duo ,  HUtoiré  de  l'Àffiqu^  et  de  la  Sieiìe ,  versione  di  M.  Dos  Vergers,  p.  il  46 
a  149;  Ibn-Abi-Din&r,  testo  MS.,  fog.  21  verso,  e  tradui^lpne,  p.  87;  ibn- 
Wuedr&n,  nella  Revue  de  l'Orient,  décembre  1855,  p.  429,  seg.;  Cronica 
di  Gotha,  versione  di  Nicbolson,  p.  51,  74,  75.  ' 


1903-907.1  — 128  r- 

Nei  regno  dlbrahim-ibn-Ahmed  avea  soggiogato 
qaalcbe  popolazione  agricola  (904  )  è  combattuto  nna 
tribù  guerriera  della  nazione  stessa  dé'Kòtàmii.  Ve- 
nuto alla  prova  contro  gli  eserciti  agblabiti  al  tempo 
d'Abd-Allah,  il  ribelle  or  vinse  or  fu  vinto;  e  n^avea 
la  peggio,  quando  Ziadet-Allah  lo  cavò  di  briga  col 
parricidio  e  il  fratricidio  (903).  Poscia,  tra  le  vicende 
della  guerra,  sali  pur  sempre  la  parte  sciita.  Nqn 
solo  tutta  la  gente  kotamia,  ma  anco  altre  popolazioni 
berbere  seguiron  volentieri  un  capo  che  promet- 
tea  la  venuta  del  Messia  e  quanto  prima  soggiogati 
tutti  i  popoli  della  Terra,  e  fatto  spuntare  il  -sole  di 
Ponente;  e  dava  pur  qualche  arra  de' prodigi!.  Arra 
la  vittoria,  il  bottino,  la  propria  temperanza,  austjerità, 
abnegazione ,  T  abolizione  del  kharàg  o  diciamo  tri- 
buto territoriale ,  antichissimo  sopruso  diagli  Arabi 
sopra  i  Berberi  :  e  questo  ribelle ,  entrato  a  Tobnà,  e  . 
recatogli  il  danaro  pubblico,  rendeva  il  kharàg  ai  pos- 
sessori musulmani;  aboliva  le  tasse  non  prescritte  nel 
.  Corano  p  nella  Sunna  ;  e  bandiva  ai  popoli  che  ormai 
non  avrebbero  ad  osservare  altre  leggi  che  i  sacri 
testi.  Air  incontro  i  sudditi  fedeli  pagavan  troppo 
caro  le  vergogne  di  Ziadet-Allah.  Gli  eserciti,  ac- 
cozzati di  stanziali  e  avanzi  del  giund,  che  è  a  dire 
di  tormentatori  e  tormentati,  marciavano  di  pessima 
voglia;  e  talvolta  sbaragliavano!  pria  di  venire  alle 
mani ,  non  ostante  gli  immènsi  appresti  d' armi  e 
macchine  da  guerra;  e  quali  capitani  lor  potea  dare 
tal  principe?  Entro, pochi  anni,  Abu-Abd-Allah  mi- 
nacciò la  metropoli  dell' Affrica  (907).  Il  tiranno, 
provatosi  a  far   grande  armamento   e    montare  a 


—   129   —  [907-909.1 

cavallo  egli  stesso,  tornò  addietro  spaurito  a  Rakkà- 
da,  rifatta  sede  della  corte  aghlabita;  afforzolliei  con 
mura  di  mattoni  e  mota;  *  affidò  l'esercito,  troppa  tar- 
di, ad  un  uom  di  guerra  di  sangue  aghlabita,  per  nóme 
Ibrahim-ibn-abi-Aghlab;  la  cui  virtù  non  valse  che 
a  ritardare  la  vittoria  del  nemico.  Di  marzo  novecento 
nove,  Ziadet-ÀUah,  all'avviso  di  un'ultima  sconfitta 
dlbl-ahim,  tenendosi  spacciato  e  tradito  da  costui,  dal 
primo  ministro,  dai  soldati,  dai  cittadini,  si  deliberò  a 
fuggire  incontanente.  Dà  voce  di  riportata  vittoria; 
fa  tagliar  le  teste  ai  miseri  che  teneva  in  carcere  e 
condurle  a  trionfo  per  le  strade  di  Kairewàn,  come 
se  fossero  dei  nemici  uccisi  in  battaglia;  e*intanto  a 
Rakkàda,  ch'era  discosta  a  quattro  miglia,  entro  il 
palagio  si  caricavano  trenta  cameli  d'arredi  preziosi, 
oro,  gioielli;  mille  Schiavoni  della  guardia  erano  messi 
in  .ordinanza,  è  dato  loro  a  portar  mille  dinar  d'oro 
per  cadauno;  le  mógli  e  le  più  gradite  concubine  del 
tiranno  montavano  in  lettiga.  Al  cader  del  giorno  ei 
con  la  corte  cavalcò  in  fretta  ^lla  volta  di  Tripoli, 
per  jpassaré  indi  in  Egitto. 

Risaputa  la  quale  fuga,  tutta. Rakkàda  sgombrò, 
eh' era  soggiorno  di  scrivani  e  servidori  di  corte:  a 
lume  di  fiaccole  tante  famiglinole,  con  loro  ròbe  pre- 
ziose, correano  per  la  campagna  su  le  orme  del  prin- 
cipe. Ma  il  popolaccio  di^airewàn,  invidioso  e  tur- 
bolento, piombò  la  dimane  sopra  la  città  regia;  per 
sei  giorni  continui  frugò  le  case  cercando  tesori  se- 

'  Rendo  così  la  voce  arabica  iàbia,  donde  lo  spagnuolo  tapia  e  credo 
anco  il  siciliano  taju.  In  quest'  altima  voce  la  b  par  mutata  dapprima  »  alla 
greca,  in  v,  e  poscia  dileguata  nelP;. 

II.  9 


(909.)  —  130  — 

polli,  e  portò  vìa  ma^erizie;  finché  comparve  la  van- 
gaardia  di  K^tàma,  che  ricacciollo  alla  capitale.  Pove 
la  schifosa  anarchia  della  paura  avea  consumato,  in 
questo  mezzo,  quel  pò*  di  forza  vitale  che  rimaneva 
alla  schiatta  arabica.  Ibrahim~ibn--abi-AghIab,  usando 
un  attimo  di  favor  popolare,  convocò  i  giuristi ,  i  capi 
delle  famiglie  nobili  della  città  e  i  principali  merca- 
tanti ;  lor  disse ,  che  se  Ziadet-Allah  se  n- era  fuggito, 
tanto  meglio;  poiché  la  mala  fortuna  se  ne  andrebbe 
con  quel  poltrone;  or  si  potrei^  fkr  la  guerra;  lo 
aiutassero  di  danari  ed  egli  saprebbe  rannodare  Teser- 
cito,  salvar  Tenore  e  la  dominazione  degli  Àrabi  :  per 
Dio  non  «si  dessero  in  mano  di  quelle  frotte  di  vinti 
rivoltati,  di  barbari  settatori  d'un  eretico,  calpesta- 
tori  d' ogni  legge.  Ma  i  notabili  risposero ,  al  solito , 
ferocemente  0  chi  parlava  di  onore  e  di  pericoli; 
conchiusero  che  il  danaro  lor  serviva  a  ricattare 
dalia  schiavitù  sé  stessi  e  le  famiglie;  e  replicando 
Ibrahim  che  si  potean  togliere  i  capitali  dei  lasciti 
pii,  radunanza  gridò  sacrilegio.  Sdegnosamente  usci 
Ibrahim  dalla  sala;  e  in  piazza  ebbe  a  sóSHre  gli  in- 
suiti  della  plebe  che  ripeteva  a  modo  suo  gli  argo- 
menti dei  barbassori,  e  dava  mano  anco  ai  sassi:  se 
non  <)he  VAghlabita  con  uno  stud  di  cavalli  si  fe' 
largo  caricando  fìno  alle  porte  deUp  città.  Audace, 
anzi  temerario,  andò  a  Trìpoli,  sperauoi^o  dì  scuotere 
Zii^ét-Allab;  e  per  poco  non  incontrò  la  sorte  del 
primo  ministro;  il  quale  s' enà  imbarcato  per  la  Sici- 
cilia,  ma  i  venti  lo  spìnsero  a  Tripoli,  nelle  mani 
del  tiranno,  ch'egli  avea  confortato  alla  difesa,  e  or 
n'  ebbe  in  merito  la  morte.  Ziadet-AUah ,  chiesta  li- 


—  131   --  '  |909.) 

ceoza  dal  califo  abbassida,  soggiornò  or  in  Egitto  or 
in  Siria,  sperando  sempre  che  il  ealifo  riconquistasse 
TAffrica  per  lai  ;  e  mentre  aspettava,  rubato  dai  proprii 
servitori,  ammonito  per  $ue  infami  dissolutezze  dai 
magistrati^,  vilipeso  da' governanti,  impoverito,  in- 
vecchiato in  pochissimi  anni,  mori  (916)  di  malattia 
o  di  veleno.  *  Così  cadde  dopo  un  secolo  la  dinastia 
d'Aghlab. 

Finì  con  vergogna  non  minore  la  dominazione 
degli  Arabi  in  Affrica.  La  municipalità  di  Kairewàn, 
sbrigatasi  da  quella  molesta  virtù  d-Ibrahim-ibn-abi- 
Aghlah,  mandava  in  fretta  oratori  allo  Sciita  poc'anzi 
scomunicato  con  tanta  rabbia  dai  giuristi;  il  quale  era 
entrato  a  Bakkàda  (26  marzo  909)  con  sue  miriadi 
di  Berberi^  Uvincitore  accordò  Yamdn,  distogliendo  a 
gran  fatica  i  capi  di  tribù  di  Kotàma  dal  promesso 
saccheggio  di  Kairewàn.  Né  solamente  assicurò  vita 
e  sostanze  al  popolo  della  capitale,  e  acquanti  altri  si 
sottomettessero,  ma  anco  alla  parentela  degli  Aghlabiti 
e  ai  condottieri  del  giund.  Prepose,  agli  oficii  pubblici 
molti  capi  kotamii  e  qualche  giureconsulto  arabo 
sciita;  rinnovò  i  simboli  della  moneta,  bandiere,  atti 
pubbh'ci,  senza  porvi  nome  di  principe;  mutò  due 
parole  mWidsàn,  o  diremmo  appello  alla  preghiera;  * 

*  Coiifrontinsi:  Ibn-el-Alhtr  »  MS.  G,  tomo  IV,  fog.  286  recto,  seg., 
an.  t96;  Ibn-Khallikàn ,  WepM^Bl'-'Aiàn,  versiooe  inglese  di  M.  DeSlaae» 
tomo  1,  p.  46S;  Baiàn,  tomo  I,  p.  i55  a  147,  e  Cronica  di  Gotha,  presso 
Nìcbolson,  p.  8S^a  91;  Ibn-Rhaldùn ,  Bintoire  de  VAf^ique  et  de  l&Sicile, 
yersione  di  M.  Des  Vergèrs,  p.  150 a  156;  Nowairi,  Storia d'Afftiea,  in ap« 
pendice  aUa  Histoire  des  Berbères  par  Ibn^Khaldoun,  versione  di  M.  De 
Slane»  toi^  I,  p.  441  à  447;  Madirìzi,  presso  Sacy,  ChrtMtomathit  Arabe, 
tomo  I^  p.  U3a  115^ 

>  Secondo  i  Sunniti  era  :  *  Venite  aila  pregbiejra  cli'è  migliore  del  soo* 
no."  Gli  Sciiti  corressero:  "Venite  alla  preghiera  eh' è  l'opera  migliore." 


(909.J  —  152  — 

del  rimanente  non  .molestò  gli  ortodossi;  né  sparse 
,  altro  sapgue,  che  degli  schiavi  negri  soldati  di  casa 
d'AghIab.  D' ogni  parte  delF  Affrica  pròpria,  gli  Àrabi 
sottometteansi  ad.  uom  sì  civile  che  tenea  in  pugno 
trecentomila  barbari.  Non  che  i  cittadini ,  piegavan 
la  fronte  i  nobili  del  qiunà;  non  sentendosi  forza  di 
salvar  sé  stessi  e  i  figliuoli  dalla  schiavitù;  *  onde 
credéano  uscirne  a  buon  patto  se  non  perdean  altro 
che  la  dominazione.  E  al  solito  avvenne  che  il  giogo 
si  aggravò  quando  X  ebbero  assestato  sul  collo. 

Perchè  lo  Sciita  tra  non  guari  risegnava  il  co- 
mando.  Sembra  che  tanti  anni  innanzi,  i  capi  kota- 
mii  iniziati  a  Ikgiàn  non  avessero  voluto  mettere  a 
rischio  vita  e  sostanze  senza  sapere  per  chi;  onde 
lo  Sciita  Jor  additava  il  custode  de)  gran  segreto  in 
Selamia  di  Siria.  Andativi  i  messaggi  di  Kotàma,  .tro- 
varono Sald-ibn-ftosein;  il  quale,  richiesto  di  sve- 
lare il. pontefice,  rispose  ^'son  fo,**  aggiugneudo  chia- 
marsi, per  vero  Obeid- Allah  ;  e  infilzava  una  genea- 
logia fino  ad  Ismaele,  e  da  questi  ad  Ali  e  Fatima, 
figliuola  del  Profeta.  Indi  T  appellazione  di  Fatemita 
'  che  usurpò  questa  dinastia  persiana,  detta  altrimenti 
Obeidita,  dal  nome  del  primo  monarca.  In  sul  trono 
non  le  mancaron  poi  dottori  che  provassero  genui- 
na la  parentela  con  Ali;  joietìt re  i  dottori  di  parte 
abbassida  la  negavano  con  pari  asseveranza:  gli  ar- 
gomenti prò  e  cóntro  rimasero  per  mantener  viva  la 
lite,  tra  gli  eruditi  musulmani  più  moderni;  e  fin 

^  Gonfrootipsi:  jBaidn,  tomo  I,  p.  137, 141  a  149»  e  Cronica  di  Gotha, 
versione  di  Nicbolson,  p.  64,  92,  96,  seg.;  Makriù,  presso  Saòy,  Oiresto- 
mathie  Arabe,  tomo  II,  p;  115;  9acy,  Eùcposé  de  lareligion  des  Drusesj  to- 
mo^ ,  p.  GGLXx,  seg.  * 


—   133  —  |909.1 

oggi  dotti  europei  han  creduto  alla  legittimità  dei 
Fatemiti.  *  Ma  Abu-Abd-Allah  lo  Sciita,  vero  fon- 
dator  del  calffato  d'Affrica,  non  mi  par  complice  di 
queir  albero  genealogico  falsato  per ,  tiro  del  Gran 
Maestro. 

Trapelando  intanto  il  segreto ,  e  sondo  venuto 
Obeid-Allab  in  sospetto  ai  luogotenenti  del  califo  in 
Siria,  per  quei  misteriosi  andamenti  e  visite  di  stra* 
liieri,  fuggissi  in  Egitto  col  giovanetto  Abu-1-Kasem, 
che  dovea  far  la  parte  di  Alida,  s' ei  noi  potesse.  *  Ap- 
parve in  questa  fuga,  mirabile  effetto  dell'  affiliazione 
ismaeliana  :  quegli  occhi  d' Argo  che  spiavan.  sopra 
le  spie  del  governo;  quelle  mani  pronte  e  fedeli  per 
ogni  luogo;  è  la  verga  délForo  che  veniva  a  sciogliere 
tutti  i  nodi.  Accortosi  Obeid-AUah  che  gli  Abbassidi 
lo  cercassero  in  Egitto,  lor  tòlse  la  traccia,  passando 
a  Tripoli  d' Affrica  e  di  lì  a  Segelmessa ,  q^tà  su 
le  falde  meridionali  del  Grande  Atlante ,  in  og^i 
decaduta  e  soggetta  a  1Vf arocco ,  allora  capitale .  del 
principato  dei  Beni-Midràr,  berberi,  eretici  di  setta 
Sifrita  e  independenti  degli  Aghlabiti.  S' appréseàtò 
come  ricco  mercatante  che  bramasse  far  soggiorno 


'  VeggaDsi  le  autorità  citate  <)a  H.  Sacy,  Bxpoàé  de  la  rdigion  det 
Druses,  tomoi,  p.  ccxlvii,  seg.,  e  Chrestomathie  Arabe»  tomo U,  p.  88  a 92 
e  95;  e  da  M.  Quàtremère^  Journal  Asiatique,  aott  1836,  p.  99,  seg.,  il  primo 
dei  quali  sostiene  e  V  altro  confuta  le  pretensioni  dei  Fatemiti.  Si  aggiun- 
gano: Kitài^el'Fihrist ,  MS.  di  Parigi,  tomo  II,  fol.  6  verso;  Baidn,  tomoI, 
p.  293,  seg.;  Ibn-Abb&r,  MS.  della  Società  Asiatica  di  Parigi  ,fog.  37  verso. 
Non  cadendo  in  dubbio  cbe  Sald,  o  vogUam  dire  Obeid-Allab,  discendesse 
da  £1-Kaddàh,  i  partigiani  dei  Fatemiti  éov^an  provare  la  parentela  di  El- 
Kaddàh  con  Ali;  ma  njuno  l'ha  fatto. 

>  Questo  aneddoto  è  narrato  nel  Kitdb^l-FihrUl  MS.  dì  Parigi,  tomo  U, 
fol.  7  recto,  dove  Abu^l-Kasein  non  è  detto  figlìuplo  d*Obeid-AUab,  come 
quésti  lo  spacciò  e  come  scrivono  tutti  gli  altri  cronisti. 


|909.|  —  134  — 

nel  paese;  entrò  in  grazia  del  regolo,  per  nome  Eliseo; 
e  si  tenea  sicuro ,  quando  Ziadet-Allah  die  avviso  a 
quei  d!  Segelmessa  che  il  capo  di  cotesta  setta  ster- 
minatrice  dell' Affrica  si  ascondesse  appo  di  lui.  Per- 
ciò caddero  i  sospetti  sul  mercatante  straniero  ;  e  fu 
sostenuto,  interrogato,  confrontato  col  figlio  e  coi  fa- 
migliari e  costoro  torturati  a  frustate  ;  ma  tutti  nega- 
vano e  parlavano  a  un  modo.  Eliseo  non  s'appose 
al  vero,  finché  lo  Sciita,  trionfante  a  Rakkàda,  non  gli 
domandava  con  lusinghe  e  promesse ,  la  liberazione 
d'Obeid-AIiah.  Ricuàò;  gittò  le  lettere  in  faccia  agli 
ambasciatori;  e  li  fé  mettere  a  morte.  Lo  Sciita,  dicon 
le  croniche,  tremando  per  Obeid-Allah^  dissimulava 
r insulto;  tornava  a  pregare;  e  di  nuovo  gli  furono 
uccisi  i  messaggi.  AUor  con  gran  furore  miossé  di 
Rakkàda  (maggio  9Ò9)  sopra  Segelmessa. 

E  forse  in  suo  segreto  il  men  che  bramasse  era 
di  liberare  Obeid-Allah.  Fin  dai  principi!  della  ribel- 
lione d' Affrica,  lo  Sciita,  per  lealtà  alla  verace  schiatta 
d' Ali  o  ambizione  propria,  par  si  fosse  studiato  a  te^ 
ner  lungi  dallo  esercito  T  impostore  di  Selamia.  Ma 
noi  potèa  disdire  apertamente,  avendo  amici  e  nemici 
tra  i  capi  di  Kotàma,  padroni  dell'  esercito,  abbocca- 
tisi con  Obeid-Allah  in  Oriente ,  entrati  in  queir  or- 
ditura  di  spionaggio,  menzogne  e  superstizioni ,  nella 
quale  era  avvolto  lo  stesso  Sciita,  e  le  fila, maestre 
teneale  in  mano  Obeid-Allah.  Con  ciò  le  moltitudini 
cominciavano  a  ripetere  il  nome  del  pontefice  na- 
scoso; a  saperlo  in  pericolo;  né  forza  umana  le 
avrebbe  ritenuto.  Lo  Sciita,  non  osando  dunque  spez- 
zare l'idolo  fabbricato  con  le  proprie  mani,  gli  si  prò- 


—   155  —  |90«.9«0.l 

strò  il  primo;  differì  i  disegni;  sperò  che  i  meriti 
avrebbero  caBcellato  le  ofifese;  che  il  novello  principe 
non  avrebbe  potuto  far  senza  di  Ini  :  e  quando  s'ac- 
còrse deir  errore,  mormorò,  cospirò,  e  fu  spento. 
Ed  ora  cavalcando  alla  testa  dell'esercito  vit- 
torioso, vedea.le  altre  nazioni  berbere  sottomettersi 
di  queto  o  sgombrargli  il  passo;  gìugnea  a  Segei- 
messa;  rompea  le  genti  d'Eliseo,  uscite  a  combat- 
terlo; ed  occupava  la  città.  Ansiosamente  corre  alla 
prigione  di  Obeid-AUah,  coi  cafn  kotamii;  i  quali,  a 
vederlo  salvo,  proruppero  in  lagrime  di  gioia.  Lo  con-, 
dusserò  al  campo  (80  agosto  909)  con  riverenza 
che  puzzava  d' adorazione  :  Obeid-AIIab  e  il  figliuolo 
soli  à  cavallo,  ogni  altro  a  pia;  e  primo  lo  Sciita,  che 
andava  gridando  ""Ecco  il  mio  e  il  vostro  Signore!" 
Si  rinnovò  tal  rito  a  Rakkàda  (gennaio  91 0),  quand'ei 
fé'  la  entrata  trionfale  coli' esercito  ;  uscitogli  all'  in- 
contro li  popolo  di  Kairewàn  co'  soliti  plausi;  né  man- 
carono poeti  che  lo  rassomigliassero  alla  divinità. 
Prese'  titolò^  di  Comandator  dei  credenti  e  soprannome 
di  Mehdi,  eh*  è  a  dire  ''Guidato  da  Dìo;"  e  così  fu  ri^ 
cordato  ogni  venerdì  nella  ftfto<6a.  Oltre  Io  stato  di 
Segelmessa ,  lo  Sciita  gli  avea  conquistato  poc'  anzi 
qiirt  di  Taiort,  mdependente  dagli  Aghlabiti:  onde 
l'imperò  Fatemita  fin  dal  principio  si  estese  a  iutta 
l'Affrica  settentrionale,  eccetto  le  estreme  province 
di  ponente,  tenute  dagli  Edrisiti.  ^ 

*  Gdùflraatinsi:  rabla-ibn^Sald»  Continua%ioHe  degli  Annali  d'Euti- 
ehio,  MS.  di  (Hirigi,  Ancien  Fopds,  131  A,  fog.  87  verso,  seg«;  KitdIh'eU- 
Fihmt,  MS.  di  Parigi  y  tomo  H,  fog.  6  verso,  seg.;  Ibn-el^Atlitr,  an.  996, 
MS.  A,  tomo  U,fog.  197  verso,  e  MS.  Ci  tomo  IV,  fog.  290;  Baiàn,  tomo  I, 
pag.  149,  seg.;  Cr<mica  di  Gotha,  versione  di  Nicfaiolsoiiy  p.  lÓO,  seg.; 


(910-0201  —  156  — 

Fornite  le  cerimonie,  il  Mehdi  cUè  opera  a  fab- 

r 

bricar  le  fondamenta  del  nuovo  impero.  Alla  tolte- 
r^nza  religiosa  d' Abu-Abd-Allah  era, già  auccedulo 
il  fanatismo  del  fratello  preposto  ali*  Affrica  propria 
durante  la  guerra  di  Segelmessa  ;  il  quale  perseguitò 
molti  ortodossi.  Ed  or  il  Mehdi  faceva  osservare 
più  rigorosamente  le  pratiche  sciite  nei  punti  di  di- 
sciplina ecclesiastica  o  .diritto  civite  in  che  differi- 
vano dalle  sunnite:  le  parole  mutate  nell'appello;  un 
digiuno  sostituito  a  una  preghiera;  maledire. i  com^ 
pagni  del  Profeta  fuorché  Ali;  permettere  altre  for- 
me di  divorzio  ;  dar  più  larga  parte  alle  figliuole  nei 
retaggi  ;  e  somiglianti  novazioni,  qual  ridicola  e  qual 
seria,  odiosissime  tutte  agli  Arabi  d'Affrica.  *  Con  peg- 
gior  consiglio  ei  tentò  d*  incorporar  lo  Stato  alla  setta. 
Ai  capi  berberi  di  Eotàma  richiese  il  giuramento  di 
fedeltà  ^'per  la  Verità  di  chi  intenda  i  misteri  :*  al  qual 
gergo  ismaeliano  erano  avvezzi,  e  passò, Ma  la  schiatta 
arabica  vide  con  orrore  seder  prò  tribunali  a  Rakkàda 
una  mano  di  d£t  preseduti  dallo  Scer^,  più  alto  dignita- 
rio, i  quali,  chiamavano  i  cittadini  per  affiliarli  alla  setta 
con  lusinghe ,  poi  con  minacce  ;  e  mandavano  in  car- 
cere i  ricusanti;  e  quattromila  ne  furono  uccisi,  per 
comando  del  principe  o  brutalità  dei  satelliti  kotaniii. 
Gontuttociò  i  proseliti  arabi  si  contarono  a  dito.  U 

Makrìzi ,  presso  Sacy,  Chrestomathie  Arabe,  tomo  II,  p.  1Ì4,  Ì15.  Traggo 
la  dau  del  20  agosto  909  da  Ibn-Abb&r,  MS.  della  Società  Asiatica  di  Pa- 
rigi ,  tog.  38  recto. 

*  ConfrontiDsi:  Riddh-en-nofus ,  MS.  di  Parigi,  fog.  67  verso;.  Ibn-el> 
Atblr,  MS.  A,  tomo  II,  fog.  197  verso,  seg,;MS.  C,  tomo  IV,  fog.  290,  9eg., 
an.  296;  Baidn,  tomo  I,  p.  158, 159;  Makrizi,  MQÌ6àffa\  MS.  di  Parigi,  An* 
cien  Foods,  675,  fog.  222  recto;  Ibn-Hammàd,  MS.  di  M.  Cberbomieau, 
fog.  3  recito. 


—  137  —  1940-920.) 

Miehdi,  necessitalo  alfine  a  smetter  la  violeo^a,  riempi 
le  logge  ismaeli^ne  cpme  potea.  *  Fallì  lo  scopo  d' im- 
beccare ^lle  moltitudini  quella  sua  ipostasi,  onde 
avrebbe  regnato  con  doppio  comando*",  di  re  é  d' Id- 
dio. Trapiantata  poi  la  sede  m  Egitto,  i  successori 
rincalzarono  la  propaganda:  il  più  pazzo,  il  più  co- 
dardo, il  più  crudele  tra  i  Fatemiti,  V  empio  Hakem- 
biamr-illah,  arrivò  per  tal  modo  agli  onori  divini;  e  i 
Drusi  r  adoran  tuttavia. 

Ma  il  Medbi^  non  potendo  soggiogar  le  coscien- 
ze, assestò  ogni  altra  cosa  dauòm  di  Stato.  Prodigò 
facóltadi,  carezze,  óficii  militari  e  civili  ai  Kotamii 
più  che  non,  avesse  fatto  lo. Sciita;  e  pur  non  si  ab- 
bandonò tutto  alle  milizie  loro,  ordinò  un  esercito 
stanziale  di  liberti  e  schiavi,  p^nte  di  schiatta  greca 
e  italiana,* e  parte  negri.  Pose  diligenza  e  regola  nel- 
ramministrazione  delle  entrate  pubbliche;  onde  fé' sen- 
tir meno  il  peso  ^d  ebbe  abilità  di  aggravarlo  senza 
remore.  '  S' impossessò  non  solo  dei  beni  degli  Aghla- 
biti,*  ma  sì  dei  lasciti  pii  e  dei  patrimonii  pub- 
blici d'  alcune  città  ;'  tolse  le  armi  serbate  nelle  torri 

*  GonfroDtinsi  Ibo-el-ÀlMr  e  Makrìzu  li.  ce.  Veggasi  aoche-nel  Riddh- 
en-nòfùs,  fog.  penultimo ,  verso ,  un.  curioso  aneddoto  cbe^  si  Darra  nella 
iniziazione  d' Ibn-Gbàzi. 

'  lahta-ibn-Saìd ,  continuatore  di  Eutichio ,  scrive  Rum ,  il  qual  nome 
si  dava  ad  ambe  le  scbiatte  e  comprendea  perciò  i  Siciliani.  La  più  parte 
probal)ilmenté  erano  cristiani  di  Sicilia,  convertiti  o  no.  Uscì  da  questi 
giannizzeri  fatemiti  Giawher  conquistatore  del  Marocco  e  dell' Egitto,  cb' è 
chiamato  ora  kumi  ed  or  i$tftH/t,' ossia  siciliano.  . 

,'  si  legge  nel  Baiàn,  tomo  1,  p.  175  e  184,  cbe  il  Mebdi  nel  303 
(913-16)  fece  il  catasto  dei  poderi  tributarli  (dAt'd)  prendendo  la  media  tra 
il  massimo  e  il  mìnimo  fruttato;  e  cbe  nel^  (917-18)  levò  unatassa  ad- 
dizionale sotto  pretesto  di  arretrati.  La  sottile  avarizia  della.  Gnanza  fate- 
mita  si  ritrae  da  tante  altre  fonti. 

Mabta-ibnHSald»  fog.  89  recto. 

"  Riddh-^en-nofùs,  fog.  Q7  verso.  11  testo  dice:  e  Prese  i  beni  de*  lascili 


I94Ò-020.1  —  138  — 

della  co^iera;  abbattè  i  palagi  fortificati  degli  Aghla- 
biti;  caticellò  per  le  castella  e  moschee  i  nomi  dei 
priocipi  fondatori,  e  scolpivvi  il  suo. 'Oltre  le  nova- 
zioni che  accentravano  T  autorità,  il  Mehdi  come  i 
predecessori  sedette  nel  Tribunal  dei  soprusi,  e  trattò 
dassè  le  faccende  pubbliche,  * 

Varie  tribù  e  città  barbere  levaron  la  testa;  ed 
ei  le  domò  con  milizie  di  Kotàm'a  capitanate  dallo 
Sciita.  Poi  risapendo  che  questi  sparlava,  che  capi 
kotamii  gli  tlavan  orecchio,  e  che  si  mettea  in  forse 
se  stesse  in  sul  trono  il  verace  imam  guidato  da  Dio, 
un  giorno  convita  Abu-Abd-Allab  e  il  fratello  ;  li  fa 
appostare  air  uscita  e  trucidare  ;  con  ippecrìta  pietà 
recita  egli  stesso  la  preghiera  su  i  cadaveri  (féb^ 
braio  94.1);  e  quetamente  li  seppellisce  nel  giardin 
della  reggia.  Spense  gli  altri  capi  di  Kotàhia  disaf- 
fetti. Ad  un  che  gli  domandava  miracoli  in  prova  di 
sua  divinità,  fé'  di  presente  troncar  la  testa.*  Un  altro 
Kotamio  spacciò  sentirsi  addosso  lo  spirito  divino; 
noi  provò  con  la  vittoria;  e  fu  preso  e  mandato  al 
supplizio.  " 

Non  cessavano  con  tutto  ciò  i  tumulti  del  popolo 
di  Kàirewàn  e  d'altre  città  arabiche,  la  pertinace  ni- 

>  II.  '  r  ' 

»  l^li  6  aeNe  forlezse.  »  Qaest^olUiiia  voce  sigi^ca  seiuut  dabbio  le  dtià 
di  piOTlnctft. 

*  Rtùàh-en-ncfHs,  1.  e;  Ibn-Hammdd,  MS.  di M.  Cherbonneau,  fog.  2 
recto. 

sfabla-ibn-Sald,!.  «. 

«  GonfronliDSi  :  Iborel-AAlr ,  an.  296,  MS.  A,  tomo  II,  fog.  IdS  versoi 
e  MS.  C,  tomo  IV, fog.  290  verso;  Ibn-Kballik&fl,  netta  vita  di  Abn-Abd-Allab 
lor  Sciita ,  Versione  inglese  di  H.  Oe  Slaiie ,  tomo  I ,  p.  46^;  Baidn,  tomo  I, 
p.  158,  seg.  ;  Ibn-Abb&r,  MS.  della  Società  Asiàtica  di  Parigi, fbg.  58  recto; 
Ibn-Hammftd,  MS.  de  M.  Gherbonnean,  fog.  2  recto  e  vi&rso. 

'  labta-ibn-Sald,  fog.  89  Terso. 


—   159  -—  1040-920.1 

mista  dei  giureconsulti  e  nobili ,  la  petulanza  degli 
sgherri  kotamii,  le  rìbéllioni  d' altre  genti  berbere; 
tra  le  quali  quella  esaltazione  del  nome  d' Ali  prò*- 
VOGÒ  novello  furore  delle  sètte  kharegite ,  e  ne  sor- 
geva, a  capo  di  parecchi  anni,  uh  terribile  dema- 
gogo del  ramo  detto  de'  Nakkariti.  Il  Mehdi  dun- 
que, non  potendo  fondarsi  sopra  alcuna  schiatta 
né  vasta  opinione,  ma  sol  su  quella  sua  macchina 
di  governo,  dovea  metterla  in  salvo  da  un  impeto 
degli  elementi  ostili,  con  maggior  cura  che  non 
avessero  fatto  gli  Aghlabiti  ;  né  parvegli  acconcia 
Rakkàda,  sì  vicina  a  Kairéwàn;  né  altra  città  di 
Arabi.  Con  alto  consiglio  volle  porsi  in  sol  mare, 
ove  r  armata  gli  servisse  a  difesa  ed  a  minaccia 
sopra  stranieri  e  Affricani .  e  Siciliani  impazienti  del 
giogo;  ed  ove  il  commercio  creasi  ricchezze  e 
nuova  popolazione.  Percorsa  tutta  la  costiera  a  le- 
vante di  Cartagine,  elesse  una  penisoletta  ch'esce 
tra  i  golfi  di  Hammamet.  e  di  Kabes,  in  forma  di 
palma  di  mano  aperta,  e  T istmo  raffigura  il  polso. 
Le  die  nome  di  Mehdia,  ma  fu  detta  anco  Affrica^ 
còme  capitale.  Ampliò  con  maravigliose  opere  il 
porto,  da  renderlo  capace,  dicon,  di  settecento  galee; 
costruì  arsenale,  castelli,  torri,  porte  di  ferro  mas- 
siccio di  mole  non  più  vista ,  fosse  di  grano,  cisterne 
d'acqua;  soprantese  in  persona  ai  lavori;  sciolse 
problemi  meccanici;'  trovò  in  sua  dietrologia  il  giorno 
e  Torà  di  gettar  la  prima  pietra,  spuntando  in  cielo 

*  Non  si  trovava  modo  di  pesar  eotoste  masse  dì  ferro.  Egli  086  una 
barca  da  bilancia  idrostatica,  caricandovi  le  porte  e  segMaòB  ove  arrivasse 
il  pel  deiracqoa.  Alle  porte  fii  sostituita  poi  tanta  zavorra  ;  e  qnosia  si  pesò 
coi  modi  ordinarii. 


1940-920.)  —  140  — 

il  Lione  ;  profferì  facili  profezie  ;  usò  la  scienza  e  impio- 
stura  dei  suoi  veri  antenati  persiani,  che  per  esser 
nuova  parea  tanto  più  miracolosa  in  Occidente.  Ed  a 
capo  di  cinque  anni  (920),  quando  vide  fornita  la 
inespugnabile  capitale,  sclamò:  *^ Or  si  regneranno  i 
Fatemiti.*** 


CAPITOLO  VII 

*  • 

La  colonia  siciliana,  dissanguata  nella  guerra  ci- 
vile  del  novecento,  stette  cheta  o  quasi,  per  nove 
anni;  nelqual  tempo  la  ressero  quattro  emiri:  Ziadet- 
Allah  (902-903);  Mohammed-ibn-Siracusi ,  surroga- 
toglr  dal  padre  (màggio  903);*  e,  dopo  il  parricidio, 
Ali-ibn-Mohammed-ibn-Abi-Fewàres  ;  é  Ahmed- 
ibn-àbi-Hosein-ibn-Ribbàh,  di  nobil  casa  modharifa, 
stanziata  in  Sicilia  da  una  sessantina  d' anni,  illustre 
per  valorosi  capitani  e  governatori.  Ali,  al  dir  d'  una 
cronica,  fu  deposto  da  Ziadet-Allah  :  '  probabil  è  che 
lo  avesse  eletto  il  popolo^  di  Palermo,  quando  vide 
insanguinato.il  trono  dal  parricìdio,  e  ne  sperò  uno 
scompiglio  che  gli^  desse  agio  a  ripigliare  suoi  dritti. 

'  Goofrontinsi  i  Bekri  »  veréione  di  M.  Quàtremère  nelle  NoHces  et 
Extraits  de  MSS.,  tomo  XU,  p.  479,  seg.;  labta-ibn-Saìd ,  ContiDuazione 
d'Euticfaio,  MS.'di  Parigi, Ancien Fonds,  t51  A,fog.  SDyer^;  Ibn-el-Atbtr, 
an.  305,  presso  Tornberg,  Annales  Regum  Mauritania^ ,  .tomo  II,  p.  575; 
Ibn-Abbàr ,  MS.  della  Società  Asiatica  di  Parigi ,  fog.  58  recto. 

s  Ìbn*el-Atbir,  an.  289,  BjlS.  A,  tomo  II,  fog.  172  recto;  MS.  G, 
tomo  IV,  fog.  279  r^cto;  Ibn-Kbaldùn,  Histoire  de  VAfrique  et  de  la  Sicile, 
p.  i46;  Nowairi,  presso  Di  Gregorio,  Merum  ÀrabicOrutn,  p.  11. 

'  Nowairi,  1.  e.  1  fasti  della  famiglia  Ribbàh  si  veggano  nel  Voi.  I 
della  presente  istoria,  p.  521^  522, 530,  543,^,  principiando  dà  la'kùb- 
ibn-Fezara,  padre  di  Ribbàbi 


—  141   —  .  1902-940.1 

Non  prima  si  riseppe  iii  Palermo  la  fuga  di 
Ziadet-AUah ,  che  il  popolo,  stigato  dal  m^de&imo  Ali, 
solievpssi  air  entrar  d' aprile  del  novecentonove  :  ir- 
ruppe  in  palagio,  saccheggiò  la  roba ,  prese  Ahmed , 
ed  esaltò  in  suo  luogo  Ali.  \  Posòia  venuti  avvisi  della 
occupazione  di  Rakkàda,  i  Palermitani  mandavano 
Ahmed  prigione  in  AfiPrica,  e  chiedeano  allo  Sdita  la 
confermazione  di  Ali.  Concedettela  ;  raccomandò  con 
questo  di  ripigliar  la  guerra,  sacra ,  smessa,  sotto  il  re- 
gno di  Ziadet-AUah  ;  '  nel  qual  tempo  i  Cristiani  erano 
tornati  ad  afforzarsi  in  loro  rócche  del  Yaldemone, 
per  incuria  di  chi  reggea  le  cose  in  Sicilia  o  forse  per 
trattato  con  l'impero  bizantino. ^'  Del  resto  non  segui 
evento  d' importanza  fino  alla  esaltazione  del  Melidi. 
Né  altrimenti  si  ricorda  il  nome  di  Sicilia 'che  nella 
persecuzione  di  Abinl-Kàsim-Tirazi,  cadi  di  Palermo 
sotto  gli  Aghlabiti;  cacciato,  probabilmente  con  Ahmed 
e  vergJieggiato  in  piazza  pubblica  di  Kairewdn,  iii- 
sieme  col  dotto  cadi  di  Tripoli,  entrambi  rei  di  co- 
stanza nel  rito  ortodosso.* 

Ove  si  consideri  Y  esser  della  Sicilia  in  questo 
interregno,  si  vedrà  la  rivoluzione  del  novecento  d'un 
subito  tornata  a  galla,  quando  mancò  con  gli  Aghla-* 
biti  la  man  che  V  avea  represso.  Oltre  le  forze  pro- 
prie ristorate  in  un  decennio ,  la  colonia  rinvigorì , 
com'  ei  sembra ,  di  nobili  arabi  che  per  avventura  si 

'  GoDfrootìDSi:  Nowairi,  1.  e,  e  Chranicùn  Cantabrigiénse ,  p.  44, 
dove  si  leggau  Ibn-Ribb&b ,  ia  luogo  di  Ibn-Ziagi. 

'  Nowaiìpi,  I.  e.  •    • 

*  Si  lègge  nella  Cronica  di  Gotha,  yersione  del  Nicbolsoo,  p.  79,  che 
nel  294  (90^7)  ZiadeUAIlàh  mandò  ambasciatori  a  Costantinopoli  ed  ac- 
colse onorevolmente  a  Rakkàda  un  oratore  bizantino. 

*  AiddÀ-en-no/ìSs,  manoscritto. di  Parigi,  fogv  67  verso. 


|940.)  —  142  — 

fossero  rifuggiti  d' Affrica  nel  primo  terrore  *  ,o  nelle 
persecuzioni  sempre  crescenti  ;  la  lealtà  dei  quali  a 
casa  d' Aghlab  ormai  s' accordava  con  gli  Umori  d' in- 
dependenza  siciliana.  Ma  avendo  al  fianco  quella  piaga 
dei  Berberi  di  Girgenti,  T  aristocrazia  palermitana,  ti- 
tubante a  ripigliare ,  le  armi  contro  V  Affrica,  conten- 
tavasi  di  tener  lo  stato  con  Y  antico  espediente  d' un 
emiro  tutto  suo.  Ali  sembra,  in  fatti,  il  caporione  della 
nobiltà  ;  sì  eh'  essa  fece  come  volle  neir  interregno. 
Sperando  poi  di  raggirare  il  Mehdi  ed  appagarlo 
cpn  ubbidienza  nominale,  Ali  cbiesegli  di  andare  a 
Bakkàda  per  abboccarsi  con  lui  ;  e  il  Mehdi  tutto, 
lièto  assenti.  Avutolo  in  Affrica,  lo  fa  imprigionare; 
manda  a  regger  risola,  un  uom  suo,  provato  in 
missioni  cosi  fatte ,  Hasan-ibn-Ahmed-ibn-Ali-^ibn- 
]^oleYb,  soprannominato  Ibn^abi-Khinzir,  ch'era  stato 
prefetto  di  polizia  di,  Eairewàn  sotto  lo  Sciita.  ' 


*  Abd-Allah^ibn-Sàìgh,  ultimo  vizir  di  Ziadet-AIlab,  $'  era  imbarcato 
per  la  Sicilia  quando  il  principe  prese  la  fuga.  Veggasi  Nowairi,  Storia 
d'Affrico,  in  appendice  alla  Histoire  des  Berbere»  par  Ibn^Khaldoun,  ver- 
sione di  M.  De  Slane,  tomo  I,  p.  444.  Certamente  Ibn-S&igb  non  fu  11 
solo  a  tentar  questa  via. 

^  I  fatti  esteriori  si  ritraggoito  riscontrando  Ibn^KAthlr  e  Nowairi, 
11.  ce.  ;  Ibn-Kbaldùn,  Histoire  de  l'Afriqtie  et  de  la  Sicile,  trad.  di  N.  Des 
Vergers,  p.  158, 159;  Abulfeda,  Annalès  Mosletnici,  an.  296,  presso  Di  Gre- 
gorio, p.  78;  Scebab-ed-dln,  ibid.,  p.  59. 

Il  nome  compiuto  di  Ibn-abi-Kbinztr  si  legge  ttel  Baiàn,  tomo  I« 
p.  148;  al  par  cbe  l' oflcio  di  wéli,  conferito  dallo  Sciita,  a  lai  nella  città 
(li  llairewlifl  e  ad  un  altro  fratello  per  nome  Kbalf  nel  Castel'-Teeebio. 
Ibn-KbaldùQ,  l."c.,  afferma  cbe  Ibn-abi-Kbinzlr  fosse  stato  dei  notabili 
dqlla  tribft  di  Kotami.  Lo  credo,  piuttosto  dei  principali  della  setta,  ma 
di  scbiatta  arabica.  L*  HafUrirì  cbe  si  legge  tra  i  nomi  di  questo  gover- 
natola di  Sicilia  nella  versione  latina  di  Abulfeda,  è  falsa  lezione  di 
Abi-Kbiiiz)r.  Questo  soprasBone  poi  del  pklre,  suona  in  lingua  nostra 
"  Quel  dal  eingbf ale.  ** 

È  bene  avvertire  cbe  il  Rampoldi,  Annali  Mutulmanii  aa.  909»  tomo  V , 
p.  119,  125;  sognd  un  viaggio,  del  Mebdi  io  Sicilia  e  parecchi  aneddoti 


—   145   —  1910.914  .| 

Gli  ìnteQ(|[ii)ì^^i  àel  prìncipe  e  le  condÌ2Ìoiii  dèlia 
colonia  appariscono  da*  primi  atti  d' Ibn-abi-Khinzir. 
Sbarcato  a  ÌMazara  il  dieci  dsu-l-higgia  del  dugento 
novantasette  (20  agosto  940),  deputava  un  suo  fra- 
tello  per  nome  Ali  ^  governatore  a  Girgenti  ;  del  quale 
oficio  non  V  ha  ricordo  sotto  gli  AgUabiti ,  e  pare 
trovato  del  Mehdi  per  lusingare  i  Berberi  e  attizzare 
fa  discordia  tjra  loro  e  gli  Arabi.  Al  medesimo  tempo 
fece  "cadi  di  Sicilia  un  Ishàk-ibn-Minbàl  ;  il  primo, 
aggiungono  gli  annali ,  che  vi  sedesse  a  nome  del 
Mehdi:  '  e  ciò  mostra  che  per  più  d' un  anno  s' era 
amministrata  la  giustizia  secondo  il  dritto  sunnita  e 
da  un  eletto  delF  emirO;  Ibn^abi-Khinztr  prepose  alla 
azieotda  uomini  nuovi,  i  quali  furono  accusati  di 
aggravii;  o  forse  v'istituì  nuovi  oficii^  secondo  i 
volie^ri  del  principe.  '  Il  ^  Preposto  della  Quinta  "  di 
cui  si  &  ricordò  poco  appresso,  sembra  nuovo;  e 
di.  certo  fu  posto  a  scemar  T  autorità  delF  emiro, 
sia  che  avesse  carico  di  spartire  il  bottino  e  le  terre 
prese  ai  vinti  e  serbarne  la  quinta  all'erario,  sia 
che  anco  amministrasse  il  ritratto  della  quinta.*  La 
primavera  o  state  seguente  (941)  Temiroy  sostando 
alquanto  da'  negozi  fiscali ,  copducóva  V  esercito  so- 
pra Demona,  ove  i  Cristiani  avean  levato  la  testa: 
ed  arse  il  contado, -predò,  fece  prigioni;  ma  non  osò 

della  sollevazione  di  Palermo  contro  Aliaied*1bn^bwHoseih-*ibB^ibbfth; 
i  qaali  nob  sembraDo  errori  di  compilatori  arabi  oh*  egli  avesM  avuto  per 
le  iQaaiy.ma  paKicolari  aggìonti  del  proprio  al  Nowairi  e  agli  ifiDali  chia* 
mati  dì  Scehab^ed-dlo. 

*  Il  nome  di  eostai  si  legge  nel  Baidn,  tomo  I,  p.  130. 
?  Ibn-el-Atblr  e  Ibn-KlttldAa,  11.  ce. 

'  Nowairi,  presso  Di  Gregoiio,  Rerum  Àrabieorum,  p.  19. 

*  Idem,  p.,  1^,  e  Chronicon  Cmiiairiffienu,  presso  Dì  Gregorio,  p.  44. 


[HA.]  —  144  — 

assalire  la  ròcca.  *  La  qual  debole  fazione  scòpre  i  tra- 
vagli che  aveano  in  casa  i  Musulmani  di  Sicilia'  e 
r.agitamento  generale  della  schiatta  arabica  contro  i 
Fatemiti ,  il  quale  scoppiavaad  cura  ad  ora  nelle  citte 
d' Affrica.  ' 

Tra  cosi  fotte  disposizioni  ti'  animi ,  Ibn-abi- 
Khinzir  volle  dare  un  banchetto  ai  primarii  nobili 
nel  palagio  di  Palermo.  I  convitati  sedeano  nella  sa- 
la, quando  alcun  s'addiè,  o  il  finse,  '  d'una  sinistra 
commozione  tra  gli  schiavi  dell'  emiro  ;  d' un  luccicar 
di  spade  che.  si  porgessero  V  un  V  altit)  ;  e  balzando 
in  piedi  sclamò  :  ^  Siam  traditi  ;  "  e  tutti  corsero-  alle 
finestre  a  gridare:  ^  Ali'  armi  ;  all', armi  !  "  Fresca  era 
la  memoria  dello  Sciita,  trucidato  insiem  col  fratello 
alle  soglie  del  Mehdi  ;  *  Ibn~abi-Khinzir.  non  pareva 
ùom  da  scrupoli  ;  F  universale  degli  Arabi  di  quél  se- 
colo ridea,  certo,  come  di  tòmanzo  della  ospitalità 
cavalleresca  de' lor  padri  Beduini  :  tra  tanti  Vizii,  tra 
tanti  odii,  credibilissimo  il  tradimento,  e  assai  volen- 
tieri creduto.  D' un  subito,  dunque,  trasse  il  popolo 
in  piazza;  s' affollò  dinanzi  il  palagio  ;  trovate  chiuse 
le  porte,  v'  appiccò  fuoco  ;  né  si  racchetò  quando  usci- 
ron  sani,  e  salvi  i  convitati ,  i  quali  a}  certo  non  dis- 
sero che  avean  sognato.  Ibn-abi-Kinzir,  fattosi  ad 
arringare  il  popolo,  perdeva  indarno  il  fiato.;  gli  tron- 

*. Ibo-el-Athtr  e  ibn-Khaldùn,  11.  qc. 

«  Baiàn,  tomo  I,  p.  fS8  a  i72. 

>J1  solo  croDisla  che  racconti  qaesto  episodio  adopera  qui  una  yoce 
che  può  significare:  *  suppose  o  diede  a  credere.  * 

*  Al  dir  del  cronisti,  più  degni  4i  fede.  Io  Sciita  fir  assassinato  di 
febbraio  911.  Il  tuiQjulta  di  Palermo  accadde  nella  state  seguente  o  più 
tardi;  poicbè  lbn-abi-4^htnztr,  Tenuto  d'agosto  910;  ànd(k  all'  impresa  di 
Demoua  nella  primavera  o  nella  sute  del  ^1 1 . 


—  145  —  |9I2.) 

cavan  le  parole  con  minacce  e  villanie  ;  finché  vistili 
in  punto  d' irrompere  nelle  sue  stanze,  cercò  scampo 
saltando  in  una  casa  contigua ,  ma  cadde,  si  spezzò 
una  gamba,  e  fu  preso  e  messo  in  carcere.  Per  tal 
modo  fallì  il  tradimento  dell'  emiro  o  riusci  la  calun- 
nia dei  nobili  :  eh'  io  noi  so.  I  nobili  scriveano  il  caso 
al  Mehdi  ;  il  quale  perdonava  ai  sollevati  e  deponea 
dòficio  Ibn-abi-Khinztr,  bastandogli  che  fosse  posato 
il  tumulto  in  Palermo  e  preso  il  governo  provvisio- 
nalmente da  Khalil,  Preposto  della  Quinta.  ^  Seguiron 
cotesti  avvenimenti  innanzi  il  ventisette  dsu-1-higgia 
del  dugentonovantanove  (13  agosto  912),  quando 
giunse  in  Sicilia,  mandato  dal  Mehdi,  un  novello  emiro 
per  nome  Ali-ibn-Omar-Belle\yi.  * 

Yivea  di  questo  tempo  in  Sicilia  un  Ahmed-ibn- 
Ziadet-Allah^ibn-Korhpb  ;  ^  uom  d'  alto  aflare ,  di 
molta  ricchezza,  di  nobil  casa  arabica  devota  agli 

*  Sàhelh^l'Khomi,  Per  errore  del  Caruso  {Chrmieon  Cantabriyiense, 
àn'.  6421),  seguito  dal  Di  Gregorio,  dal  Martóraua  e  dal  Wenricb,  questo 
titolo  di  olido  fu  tradotto  *  Signore  d' Alcamo:  *  ed  è  sbaglio  da  nou  per« 
donarsi  ad  orientalista.  M.  Caussio.  che  t*  era  caduto  anch*egli,  eerrà  di 
correggerlo  nella  versione  francese  del  Nowairi,  pubblicata  in  Parigi,  p.  24. 

.'Si  confrontino:  lbn-«l*Alhlr,  an.  296,  MS.  A,  tomo  U»  fog.  196 
verso;  MS.  G,  tomo  iV,  fog.  290;  Nowairi»  presso  Di  Gregorio,  Rerum 
Arabicarùm,  p.  12,  i5;  Ibn-Kbaldùa,  Hisioire  de  VAfrique  etdelaSieile, 
p.  '1S9. 1  particolari  del  tumulto  e  il  <go verno  provvisionale  di  Kballl  sod 
riferiti  dal  solo  Nowairi.  Ho  seguito  quest'  ultimo  per  la  data  dell'  arrivo 
di  Ali-ibn-Omar  in  Sicilia. 

Ibn-et*Athlr,  an.  296,  MS.  A,  tomo  H,  fog.  200  recto;  e  MS.  G,  to« 
mo  IV,  fog.  290  verso,  nel  capitolo  intitolato  'Raccénto  della  uccisione 
di  Abu-abd-Allah >lo  Sciita,"  narra  la  rivolu  di  un  Ibn-Wabb  in  Sicilia. 
Hiscontrandola  coi  capitoli  dei  .&tti  di  Sicilia  posti  sotto  la  rubrìca  del  296 
e  del  3Ò0,  si  vede  cbe  quella  narrazione  non  regge;  e  che  fu  tolta,  sema 
molta  crìtica,  da  qualche  racconto  della  rivoluzione  d*  Ibn-Korhob  nel  300, 
nel  quale  erano  sbagliati  il  nome  e  la  data. 

'  Così  in  uno  squarcio  di  A'rtt>,  inserito  nel  Baidn,  tomo  I,  p.  169. 
Gli  altri  cronisti,  accorciando,  scrivono  Ahmed-ibn^Korhob. 

II.  10 


|942.|  —  146  — 

Àgbiabiti  ;  che  dei  suoi  maggiori,  un  fu  primo  mini- 
stro d'Ibrahim-ibn-Ahmed;  un  altro,  forse  il  padre, 
espugnò  Siracusa,  '  e  un  congiunto  ò  fratello  avea 
tenuto  poc^anzi  il  governo  dell'  isola.'  Par  che  il  prin- 
cipe fatèmita,  non  trovando  modo  a  maneggiar  la  co- 
lonia siciliana,  se  ne  fosse  consultato  con  Ibn-Korhob, 
avversario  sì ,  ma  intero  e  leale  ;  poiché  sappia- 
mo che  costui  scrisse  ài  Mehdi  :  «  Se  vuoi  dar  sesto 
»  al  paese,  mandavi  grosso  esercito  che  lo  domi  e 
»  strappi  la  potestà  di  mano  ai  capi  ;  se  no,  la  colo- 
}>  nia  rimarrà  in  perpetuo  disubbidiente  alle  leggi  ; 
»  ad  ogni  pie  sospinto  moverà  tumulto  contro  gli 
r>  emiri  e  te  li  rimanderà  a  casa  svaligiati,  i»  '  In  suo 
laconismo,  Ibn-Korhob  accennava,  com' io  credo,  con 
una  voce  sola  alle  due  maniere  di  capi  eh'  erano  nelle 
popolazioni  musulmane  deir  isola  ,>  i  magistrati  cioè 
dèi  Berberi  e  i  nobili  degli  Arabi  ;  capi  di  consorterie 
di  due  nature  diverse,  ma  preposti  in  entrambe  a 
molti  nego'zii  civili  e  insieme  al  comando  delle  mili- 
zie. Tale  la  potestà,  capitaneria,  dice  litteralmente  la 
cronica,  che  occorreva  abolire  in  Sicilia.  Mettendo  da 
parte  i  Berberi  e  risguardando  agli  Arabi ,  cotesta 
espressa  testimonianza,  confermata  da  tutti  i  ricordi 
dei  tempi  susseguenti ,  mostra  cresciuto  ormai  e  so- 
verchiante  nella  colonia  un  terzo  male,  non  men  grave 

j  <  Veggadi  il  Lib.  U,  cap.  IX,  tomo  1  »  p.  400,  nota. 
'  filohamined-ibn-Sirakasi  eletto  emir  nel  903.  Sfraeosa  fa  presa, 
distratta  e  abbandonata  nen'878.  Il  padredunque.non  poteva  esser  nato  in 
quella  città,  e  dovea  A  noane  di  Siracusano  alla  littoria. 

*  Ibn-el-Athlr»  an.  300,  BIS.  A,  tomo  II,  fog.  206  recto;  MS.  B, 
tomo  IV,  fog.  203  recto.  Il  primo  MS.  in  yeee  della  lezione  *  domi  *  ha 
"disperda.*  Questo  squarcio  ft|  dato  da  M.  Des  Vergers,  nello  Ibn- 
Khaldùn ,  p.  Ì6I ,  nota. 


—  147  —  |9ià,i 

dell'  antagonismo  di  schiatta  e,  direi  quasi,  del  dispo- 
tismo affricano.  L' insolenza,  dei  nobilf  non  era  ap- 
parsa per  lo  addietro^  non  essendo  adulta  la  cittadi- 
nanza che  potesse  risentirsene,  come  quella  dei  Kai- 
rèwàn  è  d' altre  città  d' AfiPrica.  Però  si  notava  degli 
ottimati  la  sola  resistenza  al'  principato  e  confondèasi 
col  sentimento  di  libertà  coloniale;  però  la  plebe  di 
Palermo,  parteggiava  tuttavia  per  toro  e  tardò  altri 
trent'  anni  a  tediarsene.  Mancando  dunque  il  popolo, 
altro  partito  non  rimaneva  che  sceglier  tra  due  mali, 
dispotismo  fatemita  o  sfrenamento  d' oligarchia  ;  e  ad 
Ibn-Korhob  parvB  meno  intollerabile  il  primo.  Ciò  dia 
la  misura  dell'  altro.  E  dimostri  anco  la  virtù  di  c[uel 
gran  cittstdino,  ch'era  nobile,  ortodosso,  affezionato 
agli  Aghlabiti  e  Siciliano  :.e  die  consigliò  contrario  a 
tutti  interessi  e  umori  di  parte.  Non  andò  guari  ch'ei 
coinpiva  maggior  sagrifizio,  gettandosi  nella  voragine 
della  rivoluzione  ;  non  per  leggerezza,  non  per  vanità, 
non  per  ambizione,  maad  occhi  aperti,  per  religion 
d'animo  generoso,  quando  conobbe  che  v'era  da  tentar 
con  un  dado  contro  cento,  la  liberazione  della  patria 
dall'Affrica  insieme  e  dall'anarchia. 

.  Entrando  l'anno  di  Cristo  novecento  tredici,  tutta 
la  Sicilia  era  levata  di. nuovo  a  remore:  cacciato  di 
Palermo  il  Bellewi,  debil  vecchio  e  molesto;*  cacciato 
di  Girgenti  Ali-ibn-abi-Khinzìr,  fratello  di  Basan,  e 
saccheggiatagli  la  casa;  *  ucciso  a  dì  venzetté  gen- 
naio dai  Palermitani  Amràn,  Preposto  della  Quin- 

*  Ibii-el-Àlblr,  an.  300,  MS.  À,  tomo  li,  fog.  205  verso,  MS.  C, 
tomo  iV,  fog.  295;  Nowairi,*pres80  Di  Gregorio,  Rerum  Arabicarum,  p.  15; 
Ibn-KhaldÙD,  Hiitoire^de  l'Affique  et  de  la  Sicile,  p.  159. 

3  Baian,  tomo  I,  p.  i69. 


|942-9<5.|  —  148  — 

ta/  il  quale  par  abbia  voluto  por  mano  al  reggimento 
come  il  predecessore  Khalil.  In  tal  moto  generale  con- 
tro  r  autorità  fatemita,  svolazzò  nelle  menti  il  solito 
proponimento  di  concordia  ;  tanto  che  Arabi  e  Berberi 
insieme  formavano  di  chiamare  di  governo  delV  isola 
Abmed-ibn-Korhob.  Ei  che  coQOScea  la  tempra  di 
cotesti  affratellamenti,  ricusò;  fuggì;  corse  a  nascono 
dorsi  in  una  grotta  ;  venuti  a  trovarlo  i  notabili  di  tótta 
la  Sicilia  musulmana,  stette  salda  a,l  niego  e  a  dir  j^he 
non  si  fidava  di  loro.  Ma  incalzando  essi  neir  inchie- 
sta, e  giurandogli  d' ubbidirlo  infino  alla  morte ,  '  si 
raccomandò  a  Dio  ed  accettò.  Il  lunedi  diciòtto  di 
maggio,  il  popolo  siciliano  lo  investiva' solennemente 
deir  oficio  di  emìro.^  Esordi  compiendo  il  primo  pre- 
cetto di  legge  musulmana,  con  mandare  uno  stuolo 
in  Calabria',  nella  state  del  novecentotredici  ;  il  qua- 
le, assaliti  i  Cristiani,  ne  riportò  bottino  e  prigioni/ 
Indi  Ibn-Korhob  levò  Tanimo  a  maggiore  impre- 
sa. Dopo  la  guerra  d' Ibrahim-ibn-Ahmed,  i  Cristiani 

• 

dì  Valdemone  aveano  ristorato,  con  Demona  e  altre 
castella,  anco  Taormina:  opera  di  gran  momento,  poi-« 
che  i  cronisti  musulmani  in  questo  incontro  chìamanla 
Taormina  la  Nuova.  Si  accingeva  egli  dunque  ad 
espugnarla  un'altra  fiata,  con  intendimento,  come  si 
vociferò,  di  riporvi  sue  sostan;ze,  fa;niglia  e, schiavi, 
ed  afforzarvisi  in  caso  di  guerra  civile  ;  ma  il  dise- 
gno sembra  piuttosto  di  compiere  ed  assicurare  il 

*  Chronicon  Cantabrigietue,  presso  Di  Gregorio,  op.  cit.,  p.  44. 
^  Baiàn,  I.  e.        . 

s  Ibn-el-Atbtr,  Baian,  Nowairi,  Ibo-KJial^ùn ,  11.  ce.  La  data  precisa 
nella  sola  Cronica  di  Cambridge,  1.  e. 

♦  lbn-el*AtWr,l.  e. 


—  149  —  10<5.| 

conquisto,  del  Yaldemone.  Che  cheiie  fosse,  mandavvi 
il  proprio  figliuolo  Ali  con  un  esercito  ;  il  quale  stette 
per  tre  mesi  air  assedio,  finché  molte  schiere,  forse 
dei  Berberi,  si  abbottìnaron  gridando  non  voler  com- 
battere per  mettersi  un'altro  giogo  sul  collo  :  ed  ar^ 
sero  bagaglio  e  padiglioni  del  capitano;  e  lo  cerca- 
vatìo  a  morte ,  sé  non  che  fu  difeso  dagli  Arabi.  Ma 
la  imprésa  si  abbandonò:  \ 

Tentava  Ibn-Korhob  nel  medesimo  tempo*  di 
ordinare  la  Sicilia  in'  legittimo  e  stabile  reggimento, 
con  tutta  quella  libertà  che  mai  avessero  imàginato , 
i  Musulmani  ortodossi.  Il  modo,  pianissimo,  era  di  ri- 
conoscere  il  nome  del  califó  abbassida  Moktader-- 
billah  ;  il  quale  da  Bagdad,  nelle  misere  condizioni 
in  cui  si  travagliava  il  califato,  non  avrebbe  potuto 
né  levar  tributi,'  né  esercitar  comando  di  sorta,  né 
scegliere  V  emir  di  Sibilia ,  né  altro  far  che  investire 
lo  eletto  dei  Siciliani.  Quanto  air  emir,  la  investitura 
gli  veniva  à  dare  iin  po'  di  séguito  e  di  riverenza; 
togliea  qualche  pretesto  ai  macchinatori  di  novità; 
mettea  qualche  lieve  intoppo  allo  sdrucciolo  di  co- 
testa  autorità  senza  forza  pubblica:  del  rimanente  non 
aumentava  i  pericoli  d' una  tirannide,  né  i  capi  riot- 
tosi potean  temerne  tròppo  rigor  di  giustizia.  Però  la 
nobiltà  arabica  di  Sicilia  toccava  il  bello  ideale  del 
governo  di  genio  suo;  quel  che  aveva  ambito  per  lo 
innanzi,  quel  che  desiderò  in  appresso  e  mai  noi  potè 

*  IbiHel-Athlr,  an.  300,  MS.  A,  tomo  II,  fog.  205  verso;  MS.  B» 
tomo  IV ,  fog.  295  recto  ;  Ibn-Khaldùn,  HUtoire  de  VAfriqué  eidela  5tct/e, 

^  Né  la  lettera  né  il  senso  dei  testi  fan  supporre' che  Iba-Korhob  ab- 
bia preso  tal  partito  dopo  l'ammutinaménto  di  Taormina,  e  per  rimediarvi. 


\9U.\  —  ISO  — 

conseguire.  I  Berberi  foceano  eome  chi  si  gitti  in 
mare  dalla  nave  che  arde  :  vessati  dal  principato  d'Af* 
frica  e  dagli  Arabi  lor  compagni  neir  isola,,  concorda*' 
ron  questa  volta  col  più  vicini  '  Tutta  la  Sicilia  dun* 
que  a  una  voce  assenti  ad  Ibn-Korhob,  quand'  ei 
messe  il  partito  della  obbedienza  agli  Abbassidi.  In- 
contanente, tolto  dalla  khotba  il' nome  del  Mehdi,  si 
pregò  nelle  solenni  adunanze  dei  Credenti  per  Mokta* 
der.  Mandaronsi  lettere  e  messaggi  a  Bagdad;  ove 
il  califo,  con  sussiègo  pontificale,  approvò,  fece  com- 
pilare un  bel  diploma  d'investitura  in  persona  di 
Ahmed-ibn-Ziadet-Allah-ibn-Korhob ,  e  glieF  inviò, 
com'era  usanza,  per  legati  apposta,  accoinpagnato 
col  solito  dono  degli  emblemi  del  coman(fa>  :  bandière 
negre,  toghe  nere,  collana  d' oro  e  smaniglie.'  Arrivò 
in  Palermo  T  ambasceria  di  Bagdad  poco  appresso 
Y  armata  siciliana,  che  tornava  in  portò  con  splendida 
vittoria.  ' 

Disdetto  il  nome  dèi  Mehdi,  s'era  apprestato 
Ibn-Korhob  a  provar  su^  ragione  con  la  spada  ;  e 
come  prima  iseppe  uscito  un  navilio  affricano  ad 
assaltare  la  Sicilia,  ovvero  a  guerreggia^  contro 
r  Egitto  e  le  città  d'  Affrica  rivoltate,  *  fece  salpare, 
a'  nove  luglio  novecento  quattordici,  il  navilio  sicilia- 
no, condotto. dal  proprio  figliuolo  Mohammed.  Ai  di- 
ciotto luglio,  trovò  nel  porto  di  Lamta,  presso  Medhia, 
r  ammiraglio  nemico,  Hasan-ibn-abi-Kbinztr,  quel 

*  Di  coleste  riflessiooi  oon  è  rispoDsabile  alcun  cronista. 

*    '  ConfroDtiiifti  Ibn-el-ÀtblF,  Baiàn,  Nowairi,  Ibn-Kbaldùo,  U.  ce. 
B  Ciò  à  Yede  dall'  ordine  dei  fiitli  presso  ibn-^l-Atlilr  e  ibnrKhaldùn. 

*  Veggasi  il  Baidn,  tomo  1,  anni  300  e  seguenti;  ibn*KbaldÙB, 
Storia  dei  ÌPaiemiti,  in  appendice  alla  Bistoire  da  JtorMrei'elc.  del  me- 
desimo autore,  versione  di  M.  De  Slane,  tomo  11»  p.  ^4. 


—  151   —  4944.1 

campato  a  mala  pena  nel  tumulto  di  Palermo;  e  dato 
dentro,  rbppe  gli  Affricani,  arse  tutte  lor  navi,  fé  da 
secante  prigioni  e  tra  gli  altri  Basan»  Mòhammed  de- 
turpò la  vittoria,  scannandolo  di  propria  mapo  e  fa- 
cendogli mozzar  mani  e  pie,  e  mandò  la  testa  al  pa- 
dre in  Palermo:  crudeltà  provocata  forse  da  antiche 
òfTese  in  Sicilia,  di  certo  dagli  esempii  di  barbarie  che 
avean  dato  gli  eserciti  fatemi  ti  nelle  oittà  ribelli  d'Af-^ 
firica  e  dalla  strage  indistinta  degli  Arabi  di  parte 
aghlabita.  Sopravvennero  dopo  la  sconfitta  genti. che 
il  Mehdi  mandava  in  fretta  da  Rakkàda  ;  nla,  sbarcati 
i  Siciliani,  le  combatterono  e  vinserle  con  tanta  rètta, 
che  preser  tutte  le  bagaglio  del  campo.  Indi  T  armata 
assaltò  e  distrusse  Sfax,  che  si  ténea  pei  Fatemiti; 
e,  passando  oltre,  si  mostrò  a  Tripoli.  Trovatovi  El- 
Kàim  figliuolo  del  Mehdi  con  T  esercito  che  tornava 
d'Egitto,  rivolser  le  prore  verso  la  Sicilia.  * 

La  riputazione  di  tal  vittoria  e  della  investitura 
rincorò  Ibn-Korhob , .  sì  ohe  diede  opera  più  alacre- 
mente alle  cose  pubbliche ,  con  forza  e  prudenza, 
scrive  un  cronista  '  secondo  la  fórmola  ;  lasciandoci 
a  tradurre  in  numeri  cotesti  segni  d'algebra  ;  e  di  più 
ad  imaginare  le  difficoltà  che  si  paravano  innanzi  al 
.  novello  reggitor  delia  Sicilia  :  le  pretensioni  contrarie 
de'  Berberi  e  della  nobiltà  arabica ,  delle  antiche  fa- 
mìglio  musulmane  e  dei  Siciliani  convertiti,  degli  ot- 
timati militari  e  'dei  giuristi  ;  le  confuse  brame  del 

'Si  coAfrontiBo:  Cknmwn  CantabngieMe,  1.  c.^  an.  6422;  Ibn-el- 
Atktr,  1.  e;  Baién,  anni  300  e  SOI ,  tomo  1,  p.  169  e  172;  Ibn-Kbaldftn , 
Stmrìa  d'Affrica,  e  Sioria  dei  FatemiH,  U.  ce.  Le  da^  al  rUraggon  dalla 
81^  Cronica  di  Cambridge. 

>  Baiàn,  tomo  1 ,  p;  160. 


(9U-945.I  —  152  — 

pbpol  ipiauto;  e  quanti  soprusi  e. dilapidazioni  erau 
da  riparare,  a  quante  ambizioni  dovea  resistere  Um- 
Eorhob,  a  quante  cedere ,  a  quante  cupidigie .  por 
freno,  da  quanti  invidiosi  schermirsi,  quanti  ladroni 
gastigare  o .  liisingare ,  quante  pa^zze  ire  a  comporre, 
quanti  calunniatori  ad  affrontare,  quanti  sciocchi  a^ 
far  contenti  :  nelle  dette  condizioni  della  colonia ,  tra 
uomini  si  mal  connessi  insieme  b  ciascun  persuaso 
che  la  rivoluzione  s' era  fatta  a  suo  beneficio  partico^ 
lare.  Una  impresa  che  tentò  Ibn-Korhob  in  Calabria, 
quasi  dimenticando  ch'aveva  alle  spalle  i  Fatemiti, 
mostra  ch'ei  temesse  molto  più  le  divisioni  interiori 
e  quel  pomo  di  discordia  del  fei\  onde  si  studiava  ad 
appagare  i  più  bramosi  col  bottino  della  guerra  sa- 
cra. L'esercito  che  passò  il  Faro,  saccheggiò^  die  il 
guasto,  afflisse  gli  indifesi  Cristiani  della  punta  meri- 
dionale di  terraferma. VMa  Tarmata  fece  naufragio,  il 
primo  settembre  del  medesimo  anno  novecento,  quat- 
tordici p  del  seguente,  a  Gagliano  presso  il  capo  di 
Leuca,  ovvero  Gallico  presso  Reggio.  '  Questo  fu  prin- 
cipio della  rovina  d' Ibn-Korhob.  Occórso  di  combat- 
ter nuovamente  le  forze  navali  dei  Fatemiti  che  -in- 
grossavano su  la  costiera  d'Affrica,  T  armata  sicilia- 
na, scemata  da  quel  disastro  dì  Calabria,  fu  vinta  e 

'  Ibiv-el-À(hìr,'l.  e.  senza >orre  la  data  a  ciascun  fatto  della  rivolu- 
sione  d'Ibn-Korhob,  cb'ei  narra  in  un  Caiscio  nel  300. . 

'  Chronieon  CarUabrigiense,  I.  c.ian.>6425.  Secondo  la  cronol<^ia  se- 
guita costantemente  in  questa  cronica,  la  data  torna  senza  dubbio  al  9U. 
Ma  supporrei  piuttosto  uno  sbàglio  del  cronista,  che  lo  armamento  di  due* 
nayilii  siciliani  al  medesimo  tempo ,  ovvero  tale  rapidità  di  movimenti 
deir  unica  armata,  che  avesse  vinto  il  18  luglio  a  Lamta,  poi  >ost6ggiato 
Sfax  è  Tripoli,  poi  toccato  il  porto  di  Palermo,  e  si  fosse  trovata  finalmente 
ne*  mari  di  Calabria  il  lo  settembre.  11  nome  di  luogo  è  scritto  nel  testo 
senza  punti  dfacritici. 


—  155  —  |945-d46.| 

prese  tutte  le  navi.  ladi  una  mala  contentezza  nei 
popoli  ;  e  ogni  provvedimento  d' Ibn-Korhob  comin- 
ciò ad  andar  di  travèrso;  i  turbolenti ,  che  s'erano 
acquattati  per  timore ,  alzaron  le  creste.  * 

Na^rra  il  Gedreno  che  Zoe,  mentre  reggalo  stato 
pel  figliuolo  Costantino.  Porfirogenito  di  minore  età,  vo- 
lendo concentrare  le  forze  contrq  i  Bulgari  che  nuo- 
vamente minacciavano  la  capitale,  fermò  la  pace  coi 
Saraceni  di  Sicilia,  affinchè  cessassero  la  infestagione 
della  Puglia  e  Calabrie  racquistate  dalla  dinastia  ma- 
cedone. Eustazio,  gentiluomo  di  camera,,'  com'or  si 
chiamerebbe,  dello  iiioiperatore  e  stratego  di  Calabria, 
stipo)ava  a  questo  fine  con  Temir  di  Sicilia  di  pagar- 
gli tributo  di  ventiduemila  bizantini  d' oro  air  anno, 
che  tornano  a  un  dipresso  a  trecentomila  lire.  *  Con- 
tinua r  annalista,  come  surrogato  ad  Eustazio  un  Gio- 
vanni MuzalonOj  costui  si  iniquamente  governò,  che 
i  Calabresi,  ribellati  aìrimpero^  diersi  a  Landolfo 
principe  di  Benevento ,  dopo  la'  esaltazione  di  Ro- 
mano Lecapeno  al  trono  di  Costantinopoli  :\ì  quali 
avvenimenti  designando  la  data  che  manca  nel  rac- 
conto, fan  tornare  la  pace  di  Sicilia  al  novecento 
quindici  o  principii  del  novecento  sedici,  e  però  al 
tempo  d' Ibn-Korhob.  ^  Vergogna  air  impero,  gloria 

'  Iba-el-Athtr,  I.  <;.,  il  quale  non  parla  del  naufragio  in  Calabria. 

•    *  Nel  IX  secolo  il  xP^ùo*  Talea  da  13  a  14  franchi  in  peso  dì  metallo. 

.  *  Cedreno,  ediz.  Niebubr,  tomo  li,  p.  385. 
0  La  guerra  coi  Bulgari,  condotta  dopo  il  trattato  con  la  Sicilia t  fo 
combattuta  il  917;  Romano  Lecapeno  fu  coronato  a' 17  dicembre  919;  la 
ribellione  di  Calabria  segui  nel  920  e.92h  Pertanto  il  Le  hem^SUtoire 
du  Ba»  Empire,  lib,  73,  cap.  XllI,  con  buona  crit^»  ha  posto  il  trattato 
di  Sicilia  nel  916.  Un  cenno  di  Giorgio  Monaco,  edìz.  Niebuhr,  p.  8S0, 
porterebbe  questo  fatto  alla  3*  indizione  (914-13).  Ad  ogni  modo,  come 


recò  questo  trattato  alla  colonia  musalmana  di  Sici- 
lia e  al  valente  uom  che  la  reggea.  E  pur  non  mà- 
ravijglierei ,  se  un  di  o  T  altro  si  trovasse  in  qualche 
cronaca  che  i  ventiduemiia  bizantini  d' oro  eran  ca- 
cone di  nuove  discordie  tra  le  milizie  arabiche  e 
berbere;  che  le  fazioni  calunniavan  T emiro  d'essersi 
venduto  agli  Infedeli  per  scialacquare  lor  moneta  coi 
suoi  sgherri. 

La  reazione  contro  Ibn-Korhob  incominciò,  co-> 
me  era  da  aspettarsi ,  dalla  schiatta  berbera.  Correndo 
Fantìo  trecentotrè  dell'  egira  (16  luglio  915,  a  3  lu- 
glio 91 6),  i  Girgentini  disdiceano  Tautorità  sua;  man- 
davano per  lettere  ad  offerirsi  al  Mehdi  ;  tiravano  a 
sé  altre  popolazioni,  Si  fé'  capo  della  parte  un  Abu- 
Ghofàr.  *  Coi  principali  dei  sollevati ,  volle  in  persona 
intimare  a  Ibn-Korhob,  .àe  ne  andasse  con  dio  fuor  di 
Sicilia,  poiché  spiaceva  al  popolo:  ai  quali  l'emiro  paca^- 
tamente  rispose  aver  preso  lo  stato  richiesto  e  costretto 
da  lóro  stessi;  e  ricordò  il  dato  giuramento,  e  si  sforzò 
a  persuaderli  che  non  guastassero  T  in^resa  ben  .co* 


dalla  siate  del  916  alla  primavera  del  017  non  v'  ebbe  in  Sicilia  alcun 
goiremOt  cosi  par  che  il  trattalo  si  debba  mettere  avanti  la  ristorazione 
deir  autorità  fatemita ,  e  però  al  tempo  d' Fbn-^orbob.  Posporre  non  si 
dee,  sapendosi  che  un'armata  dei  Uehdi  assaliva  Reggio,  d' agosto  918. 

Ma  anche  lasciato  da  parte  Io  esame  se  il  trattato  si  fosse  fermato  nel 
91K  0  nel  918  e  anche  919,  prima  dell' esaltazione  di  Romano  Lecapeno, 
égli  è  certo  che  non  si  può  collocare  nel  928  come  ha  creduto  il  Marte- 
réna  (tomo  I,  p.  86),  seguito  dal  Wenrlch  (lib.  I,  cap.  XII,  §  105).  11 
Martorana  ha  pi^esò  i  particolari  del  trattato  da  Cedreno  e  la  data  da 
Nowairì.  Ma  panni  evidente  che  quésta  si  debba  riferire,  non  al  trattato 
primitivo,  ma  alla  rinnovazione  di  quello  tra  Costantinopoli  e  i  Fatemlti; 
come  spiegherò  a  suo  luogo, nel  capitolo  Seguente. 

*  Questo  nome ,  dato  dal  solo  Novralri,  è  senza  vocali  nel  maDoscritio. 
Senza  dubbio  non  è  patronimico,  ma  soprannome;  e,  come  io  lo  leggo, 
significa  *  Quel  dal  collo  e  faccU  irsuti  di  peli.  * 


—   188  —  [915-940.1 

minciala  dai  Siciliani  :  ma  ostinaronsi;  ed  ei  non  volle 
cedere  a  minacce.  Anzi,  mantenendogli  molti  altri 
la  fede,  s'afforzò,  com'ei  pare,  in  Palermo  e  si 
venne  alle  armi.-  Poi,  sia 'che  T  avvantaggio  fosse 
rimase  ai  sollevati,  sia  che  gli  rifuggisse  T  animo 
dal  continuar  quello  spargimento  di  sangue  civile, 
Ibn-Korhob  deliberossi  a  volontario  esilio  in  Spagna. 
Non  è  inverosimile  che  gli  abbia  dato  il  tracollo 
q^ella  terribil  quo  va  dell'  assedio  della  colonia  al  Ga- 
rìgliano,  di  che  potea  parer  causa  la  pace  fermata 
coi  Bii^antini.  *  Noleggiati  dunque  i  legni,  trasporta- 
tavi gran  salmeria  delle  robe  proprie  e  de' suoi, 
Ibn-Korhob  stava  per  dar  le  vele  al  vento,  il  quat- 
tordici luglio  del  novecento  sedici.  ^  ìn  questo  una 
turba  ingombra  la  spiaggia;  salta  furibonda  su  le 
navi  ;  saccheggia;  pon  le  mani  addosso  air  emiro,  ai 
figliuoli,  agli  amici  che  segui van  sua  fortuna,  tra  i 
quali  un  Ibn-fKhami,  il  cadi.  Messi  ai  ferri,  gittati  sur 
una  barca,  li  mandarono,  per  colmo  d'infamia,  al- 
l'usurpator  fatemita  a  Siisa.  ^'E  che  ti  mosse  a  sco- 
noscere il  sacro  dritto  della  casa  d'Ali  e  ribellarti  da 
noi?"  dìcea  superbamente  il  Mehdi  ad  Ibn-Korhob, 
fattosel  recare  incatenato.  ** I  Siciliani/'  rispose,  ''mi 
esaltarono  mio  malgrado,  e  mio  malgrado  m' han  de- 
posto." AiinandoUo  allora  in  carcere,  è  divisò  il  sup- 

^  Veggasi  il  capitolo  seguente.  L'assèdio  iocominciò  il  ligiagno  916. 
L'accusa  sarebbe  stau  ingiusta,  perchè  i  ladroni  del  Oarigliano  non  ubbi- 
divano air  emir  di  Sicilia.  Ma  quando  mai  l' amor  di  parie  giudicò  giusto 
i  nemici? 

*  La  data  precisa  è  nella  sola  Cronica  di  Cambridge.  Rispondevi  con 
pochissimo  divario  il  Jlatdn,  ponendo  rimprìgionamentod' Ibn-Korhob 
nell'anno  305,  che  finì  il  3  luglio  016,  e  l'arrivo  a  Sosa  nel  mese  di  mobar- 
rem  304,  cioè  dal  4  luglio  al  2  agosto. 


19461  —  156,— 

plizio  più  che  potesse  insolito  e  ignominioso.  Montato 
a  cavallo,  meiiava  seco  i  prigioni  a  Rakkàdà,  capi- 
tale tuttavia  deirìmpero.  E  faor  la  porta  della  Pace,  * 
là  dov'  eran  sepolti  i  miseri  avanzi  di  Hasah-ibn-abi- 
Khinzfr  ucciso  dopo  la  battaglia  di  Lamta,Ibn-Ko'rbob, 
i  figliuoli,  gli  amici  politici,  come  ladroni  di  strada, 
eran  vergheggiati  a  morte;  mozzati  loro  mani  e  pie; 
e  sospesi  i  cadaveri  a  tanti  pali  dinanzi  la  tomba.^  ' 

Insieme  con  lor  nobili  vittime  i  controrfvoluzio- 
narii  di  Sicilia  mandarono  al  Mehdi  una  petizione 
arrogante.  Sognando  di  potere  rinnegare  il  dritto  e 
mantenere  il  fatto,  scriveangli  non  aver  bisogno  dì 
Soldati  né  di  alcuno  aiuto  da  lui  :  nominasse  un  go- 
vernatore e  un  cadi ,  ed  essi  penserebbero  al  re- 
sto; aggiugnendo  altre  condizioni  c^e  lo  empieron  di 
collera  e  di  furore,  scrivono  i -.cronisti  senza  partico- 
lareggiarle.  '  E  il  Mehdi  che  sapeva  usar  le  occalsiò^ 
ni,  in  vece  del  trave  della  favola  eh' et  bramavano, 
mandò  in  Sicilia  uno  sperimentato  capitano,  *  Abu- 

*  Bab-M^selm.  .  ^ 

'  CoDfrontiDsi:  Chranicon  Cantabrigienu,  an.  6424  (1/*  settembre  915 
a  31  agósto  916),  presso  Dì  Gregorio,  Rerum  Àrabicarum,  p.  44;  Baiàn, 
an.  505  e  504,  tomo  I ,  pag.  175, 176;  Ibn-el-Atblr,  ah.  300 ,  MS.  A,  tomo  H, 
fòg.  206  recto,  MS/G,  tomo  IV,  fog.  293  recto;  Nowairi,  presso  Di  Gre- 
gorio, p.  13;  Ibn-^baldùn ,  Hittoiré^VAfriqueetdela  Sieile,  p.  160, 161 
e  Storia  dei  Futemili,  in  appendice  alla  Histoire  des  Berbères,  etc.  »  tomo  If , 
p.  525.  Ibo-el-Atblr,  (bn-Khaldùn  che  lo  copia  e  Nowairi,  pongono  tutti  i  ^ 
fatti ,  con  error  di  data ,  nel  300. 

^Baiàn,  an.  304, 1.  e. 

^  lahia-ibn-Saìd,  continuatore  degli  annali  di  Eutichio,  MS.  di  Pa* 
rigi,  fog.  89  verso,  accennando  la  rivoluzione  d*  Ibn^Korhob,  la  dice  do- 
mata da  un  capitano,  del  Mehdi  per  nome  Bagana  o  Bogona,  etc.,  (ch'ei 
non  mette  vocali)  il  quale  ridusse  anche  le  città  ribelli  di  Barca  e  Tuggurt. 
Non  ostante  la  inesjittezza  della  narrazione,  è  evidente  che  si  trattf  di 
Abu-Saìd  eh'  atea  forse  queir  altro  nome,  berbero,  com'  ^i  mi  suona  al- 
r  orecchio.  ' 


—  157  —  (9i6.| 

Sa-ì<l-MusaMbn-Ahmed  r  soprannorainato  Dhaìf ,  eh'  è 
a  dir  r Ospite,  con  un'armata  e  forti  schiere  di  Ko- 
tamii,  capitanate  da  loro  sceikhi.  Approdò  a  Trapani  il 
quindici  agosto  ;  dove  andati  a  trovarlo  i  notabili  di 
Girge^ti,  molto  li  onorò ,  li  presentò  di  ricche  vesti- 
menta,  si  studiò  a  lusingarli  e  tirarli  alle  sue  voglie; 
ma  quando  vide  che  era  niente,  d'un  colpo  di  mano 
fé  catturare  il  procace  Abu-Ghofàr  e  metterlo  ai 
ceppi.  A  tempo  fuggi  un  costui  fratello  per  nome 

Ahmed;  corse  a  Girgenti.a  cUamareJl  popolo  alle 

• 

armi.  Gosi.i  Qerberi  a  capo  di  due  mesi,  e  pur  era 
troppo  tardi,  raccesero  la  rivoluzione  eh'  aveano 
spento  con  le  proprie  mani.  Altre  città  e  castella  se- 
guiron  r  esempio.  * 

Abu-Sa'id  senza  dimora  andò  sopra  la  capitale. 
Sapendo  mtércetto  il  pammino  da .  popolazioni  tumul- 
tuanti, 0  manqo  difesa  la  città  dalla  parte  di  mare, 
il  condottiero  affrìcano  audacemente  imbarcò. suoi 
Kotamiì;  e  con  Tarmata  entrò  nel  porto  dì  Palermo 
a'  ventotto  settembre.  *  La  i)occa  del  porto  era  quella 
ch'or  s' addimanda  la  Cala;  le  lagune  e  it  gran  ca- 
nale, in  oggi  ricolmi,  penetravano  assai  dentro 
terra  sino/ai  ripari  della  città  vecchia;  talché  la- 
sciavan  d'ambo  i  Iati  due  bracci ^  tutti  scogli  ed 
arene ,  disabitati,  com'  ei  sembra.  '  Abu-Sald  pose 

*  ConfronliDSi;,  Chronùson  Caniabrigienw,  Ibn-el-Atbìr ,  Baiàn,  No- 
wai]:i«  Ibo-Kbaldùn,  Hiitoirejie  VÀfrique  et  de  la  Sieih»  U.  oc.  IMiam- 
poldi»  tomo  V,  anni  9U,  915, 916,  917,  rimpastò  e  trinciò  a  mo^b  suo 
tutti  questi  avvenimenti,  tolti  dalla  Cronica  di  Cambridge  e  da  NowairL 
U  Martorana,  tomo  f ,  p.  81,  e  il  Wenrìch,  lib.  I,  cap.  XI,  §  103,.  ban 
fatto  d'un  solo  due  capitani:  Mosa-ribn-Abmed,  e  Abu-Sald-Aldbaif; 
e  il  Wenrìcb  ba  fatto  venire  bi  Sicilia  il  primo  nel  9i3,  e  r  altro  nel  916. 

'  Confrontinsi:  Chronicon  Canta^giense,  ^  Ibn-el-AtbIr,  11.  ce. 

'  Si  vegga  la  nota  a  p.  68 ,  69,  di  questo  volume;  Il  mare  dell' antico 


|946.|  —   158  — 

le  genti  su  Ynn  ^ei  bràcci  ;  vi  si  afforzò  di  frónte 
con  una  muraglia  tirata  per  traversò  dal  porto 
alla  spiaggia  esteriore;  assicurato  ai  fianchi  e  alle 
spalle  dal  mare,  eh' et  tenea  con  Tarmata  è  sì  chiù- 
dealo  agli  assediati.  '  Dapprima  potè  far  poco  male  alla 
città: 'sotto  gli  occhi  suoi  il  diciassette  d'ottobre  i 
Palermitani  gìuravan  la  lega  con  gli  ambasciatori  di 
Girgenti  e  d'altre  città;  tra  i  quali  si  ricordano  i  no- 
mi d' Ibn-Ali  ed  Awa-es-^àVi.  '  Ma  par  che  il  pe- 

porto  s!  è  ritirato  notabikiiente  in  pochi  secoli;  sia  per  solleTameoto  del 
saoloy  Aia  per  alluvione  del  fiome  Papireto,  sia  per  l'nnaé  per  Taltro  Insie- 
me. L*anno  972,  quando  venne  in  Palermo  Ibn-Haai&al,  il  gran  porlo  gia- 
cca nel  quartiere  delli  Scbiavoni  (chiesa  di  San  Domenico ,  contrada  del 
Pizinto  ec.)».e  T arsenale^  alla  jPdit«a«  cittadella  fabbricata  dai  Fatemili 
il  957;  la  quale,  dice  Ibn-Haokal»  era  circondata  dal  mare,  fuoròhè  dalla 
parte  di  mezzogiorno.  Indi  è  evidente  che  le  acque  occupavan  quella  che 
si  chiama  tuttavia  "  Piazza  della  marina  *  ancorché  più  non  guardi  il  m^re. 
Fazzello  afferma  cba  al  priucipio  del  XVI  secolo,  tirando  gagliardi  venti 
di  tramontana,  le  onde  balteano  una  porta  della  città  e  allagavan  la 
piazza  contigua^  e  che  cib  non  avveniva  più  quand'  egli  scrisse,  cioè  verso 
il  15S0.  (De  rebus  sicùUSf  deca  1,  lib.  VII ,  cap.  l.j  In  oggi  il  mar  grosso  di 
greòo-tramontana,  che  dà  per  dritto  entro  la  Cala,  manda  appena  qualche 
sprazzo  a  pie  delie  case  e  ricaccia  i  rigagnoli  dentro  gli  aquidotti  della 
Piazza-marina.  Però  io  credo  che  al  principio  del  X  secolo  i  due  bracci 
fossero  stati  sì  bassi  da  non  poiervisi  far  soggiorno.  Alla  punta  di  quel 
di  Tramontana  è  in  oggi  il  Castello,  fabbricato  sopra  scogli  a  fior  d'acqua, 
II  braccio  della  kaUa  o  Gausa,  come  si  cliiama  tuttavia  questo  quartiere 
ed  è  la  KhàlUaàei  Fateròilij  si  distingue  tuttavia  benissimo  a  quella  schiena 
che  8' alia,  tra  la  passeggiata  della  farina  propriamente  detta  e  la  Piazza 
deUa  marina.  Quivi  sono  il  palagio  Butera ,  la  strada  dello  stesso  nóme , 
la  chiesa  della  Catena ^del  porto  antico),  la  Zecca,  i  Tribunali,  dei  quali 
ediOzii  il  più  antico  arriva  al  XIV  secolo;  e  sursevi  fino  al  ISSI  la  chiesa 
della  Kalsa ,  eh*  era  anche  del  XIV  o  XIU. 

*  Ibn-^l-Athlr,  1.  e.  Le  circostanze  locali  ch'ei  narra  ^tan  bene  nel- 
Tuno  e  neir altro  bràccio,  e  la  testimonianza  d' Ibn-Haukal,  che  il  porto 
giacca  nel  quartier  delll  Scbiavoni,  non  toglie  i^ dubbio;  polche  la  Kbftlisa 
avea  pur  r  arsenale,  o  porto  militare.  Anzi  è  probabile  che  il  braccio  set- 
tentrionale, come  più  basso  dell'altro  e  però  paludoso,, non  fosse  atto  per 
anco  a  porvi  un  campo. 

*  La  data  e  i  nomi  de^ll  ambasciatori  sf  leggono  nella  cronica  di 
Cambridge;  il  cenno  di  Girgenti  e  altire  città  In  Ibn-el-Atbtr.  Awa  oUwa 
par  nome  proprio  berbinro. 


—  159  —  |9I6-W7.1 

rìcolo  comunìe  non  facesse  dimenticare  là  nimistà,  e 
che  il  rimanente  della  Sicilia  non  mandasse  aiuti; 
poiché  gli  assedianti  seippre  più  strinsero  Palermo. 
In  un  combattimento  erano  sconfitti  i  Siciliani;  rima- 
nea  su)  campo  di  battaglia  grande  numero  di  lor 
nobili  ;  i  feroci  Kutamii  irrompeano  nei  sobborghi; 
metteano  al  taglio  della  spada  gli  abitatori,  fin  le 
donne  e  i  fanciulli;  sforzavano  le  donzelle,  guasta- 
vano e  saccheggiavano  ogtii  cosa.  Nondimeno  la  città 
vecchia  tenne  fermo  :  Abu-Saìd  chiese  ed  ebbe  dal 
Méhdi  nuovi  aiuti  d'uomini  e  di  navi;  finché,  scarseg- 
giando le  vittuaglie,  rincarito  anco  il  sale  a  poco  men 
che  una  lira  air  oncia,  ^  i  cittadini  si  calarono  agli 
accordi  dopo  sei  mesi  d' assedio.  Si  stipulò  pien  per- 
dono, fuorché  a  due  capi  ribelli  :  e  i  cittadini  con  la 
solita  alacrità  li  consegnarono,  e  fecero  entrare  Abu- 
Saìd  a'  dodici  marzo  novecento  diciassette.  Contro  i 

4 

patti,  com'egli  é  manifesto,  svelse  le  porte,  abbattè 
mura,  tolse  le  armi  e  i  cavalli  da  battaglia,  pose  una 
taglia  su  la  città,  e,  imprigionati  molti  uomini  di  nota, 
li  mandò  in  Affrica  al  Mehdi.  Quésti  senza  strepito  li 
fé' mazzerare  ;  e  poi  spacciò  in  Sicilia  una  clementis- 
sima  amnistia.  Di  settembre  del  medesimo  anno  Abu- 

*  Qaesto  sì  legge  celia  sola  Cronica  di  Cambridge.  Il  Cariiso  e  gli 
orieDtalisli  che  lo  aiatarono  alla  pabblicazione,  lessero  Tariàin  e  Inter* 
pretarono  due  tari.  Ma  oltreché  la  voce  tari'  bI  scriverebbe  in^  arabico 
dtr^em,  il  manoscritto  ha  chiaramente  harbatoin,  che  tz  letto  kharrobatain, 
e  significa  dqeifcAarroÒe,  maniera  di  peso  e  di  moneta,  la  cui  denomina» 
Siene  pftre  tradotta' dal  latino  nliqua.  La  moneta  torna  a  1/40  di  ditidr;  e 
però 0,36  di  lira  italiana,  L'oncia  di  sale  costava  dunqne  0,73:  probabil- 
mente r  oncia  romana,  che  fa  m  uso  in  Sicilia  fin,  dopo  la  dominazione 
musulmana  e  ne  fa  menzione  Edrfsi.  Secondo  il  valore  che  le  dà  Edrisl, 
non  niolto  divèrso  da  quello  dell* antica  oncia  romana,  tornerebbe  allMn- 
cìrca  a  50  grammi. 


« 


1882*945.1  —   160  — 

Saìd,  col  navilio  e  T  esercito,  Jtomava  in  Affrica,  la^- 
sciando  a  reggere  la  Sicilia  Sàlem-ibn-Ased-ibn- 
Ràscid,  affidato  in  una  forte  schiera  di  Kotamii.  ^  La 
rivoluzione  d' indepèndenza  parve  morta  e  sepolta. 


CAPITOLO  VIIL 

Tra  le  raccontate  guerre  civili  dell' isola,  gli  Ita- 
liani  di  Terraferma,  arrivati,  con  rara  vicenda  di  for- 
tuna, a  collegarsi  per  pochi  mesi,  estirparono  i  Mu- 
sulmani dal  Garigliano.  Durevoli  accordi  poteano  se- 
guirne men  che  prima  allo  entrar  del  decimo  seco- 
lo ,  quando  i  feudajtarii  deir  Italia  di  sopra  si  fecero 
quasi  principi  assoluti  ;  V  autorità  delF  impero  occi- 
dentale calò  tuttavia,  per  esser  piccioli  e  troppi  i 
pretendenti;  le  armi  bizantine  valser  né  più  né  meno 
quanto  bastava  a  non  poterle  cacciare  dall' Italia 
meridionale;  la  tiara  pontificale  s'avvili,  nei  misfatti, 
nelle  atrocità,  nelle  brutture,  dispensata  alfine  per 
man  delle  Marozìe  e  delle  Teodoro.  E  pure,  com'  è  ca- 
pricciosa la  storia,  quella  lega  italiana,  sì  giusta,  sì  ne- 

<  SI  confrontino:  Chronieon  Cantabrigiense,  1.  e,  an.  6425  e  6426; 
Ibn-el-Alhlr,  I.  e;  Baiàn,  e 'Artb,  an.  304,  tomo  I,  p.  176;  Ibn-KhaMùn, 
HUtoire  de  VAfirique  et  de  la  SiciU,  p.  161 ,  162.  Ibn-Khaldùn  erronea- 
mente suppone  in  Trapani  la  guerra^-cbe  fu  in  Palermo.  11  Nowairi,  presso 
Di  Gregorio,  Rerum  Arabicarum»  p.  13,  la  confonde  coi. fatti  di  GirgenU. 
Il  nome  delnaovo  emiro  è  scritto  neUa  Cronica  di  Cambridge,  Sftjem  sol- 
tanto; nel  Baidn,  Slilem-ibn-abi-B&scid ;  in  Ibn-Khaldùn,  Sftlem-ibn- 
Ràscid;  nel  Nowairi,  SalenHibn-Ased-ei-Kenàni.  Credo  si  deblia  correggere 
Eotàmi;  non  essendo  verosimile  cbe  il  Mehdi  avesse  posto  m  arabo  della 
tribù  di  ^fn&na,  sopnaie  soldatesche  della  tribù  berbera  di  KoUma,  la- 
sciate in  Sicilia. 


—  f6Ì  —  1882-945.1 

cessarla,  si  feliòe  nel  successo,  ei)be  origine  a  Roma 
in  mezzo  di  tanto  vitupero  ;  V  eroe  della  impresa  fu 
Giovanni  decimo,  nato  di  scandalo,  esaltato  per  dop- 
pio scandalo,  si  che  gli  scrittori  ecclesiastici  te  V ab- 
bandonano. * 

Quando  Giovanni  decimo  sali  al  pontificato  (91  i), 
queVdel  GarigTiano  stavano  in  sul  termine  di  passar 
da  ladróni  a  conquistatori.  Accozzati,  come  narram- 
mo, dei  Musulmani  che  avean  guerreggiato  in  qudie 
parti  al  tempo  di  Giovanni  ottavo,  inaugurarono  la  nuo^ 
va  compagnia  con  saccheggi  di  monasteri  :  la  scon- 
fitta che  toccarono  in  Calabria  deU\ottooento  ottanta- 
cinque  li  fiaccò  ;  V  poi  è  verosimile  che  si  fossero  ri- 
fomiti, sótto  il  regno  d' Ibràhim-ìbn-Ahmed  »  di  fuo- 
rusciti Affricani  e  sopratutto  dei'  Siciliani  del  nove- 
cènto. Il  passaggio  d'Ibrahim  (902)  in  Calabria  lor 
die  ardire  e,  credo,  rinforzi  ;  credo  lor  siasi  raggiunta 
la  più  parte  della  banda  d' Agropoli,  il  cui  nome  spa- 
risce, dopo'  la  fine  del  nono  secolo  ;  onde,  s'eri  ne  Te- 
lato qualche  drappello,  stava  ai  sQldi  delia  repubblica 
napoletana.'  Cresce,  air  incontro,  per  tutte  le  croniche 
di  questo  tempo,  lo  spavento  dèi  barbari  del  Gari- 
gliano,  cui  ci  dipingono  infestissimi  e  piii  terribili 
degli  lingheri  che  despiavano  la  Lombardia  ;  '  e  pur 
venendo  ai  particolari  ninno  accasa  i  Musulmani 
d' aver  arsa^  cernie  fecero  gli  Ungheri,  le  centinaia 
di  prigióni.  Il  véro  è  che  i  Musulmani  non  avanza- 

«  Veggasi  il  Uh.  Il,  cap.  XI ,  pag.  440  e  458,  seg. 

*  Probabiìmente  eran  di  questi  drappelli  i  Masulmani  che  insieme 
coi  Napoletaol  uccisero  Irenù  cilladini  di  Gapua  Tanno  novecento  cinque. 
Veggasi  Chronicon  Saneti  Benedietit  presso  Pertz,  Seriptore»,  ec.,  tomo  HI, 
p.  306. 

'  Liutprando,  ÀntapodesU,  lib.  Il,  cap.  XLIV,  XLV. 
n.  11 


(882-945.)  —  162  — ' 

vano  i  Magiari  di  crudeltà,  uè  di  numero  ;  si  bene 
di  sveltezza,  di  perseveranza  e  d'ordini.  Già  già  ap- 
pariva, nel  bel  mezzo  della  nostra  costiera  del  Tirrè- 
no, quel  nocciolo  normale  dello  stato  musulmano  :  il 
Kairewàn.  ^  Il  campo  del  Garigliano  cominciava  a 
prendere  aspetto  di  città  :  aveanlo  afforzato  di  ripari 
e  torri;  *  vi  tenean  le  donne>  i  figliuoli,  i  prigioni,  H 
bottino.  '  I  gioghi  del  vicin  colle ,  eran  cittadella  nel 
pericolo  estremo.  Il  breve  tronco  del  fiume ,  naviga- 
bile a  barcbe,  rendea  comoda  la  stanza  e  agévoli  gli 
aiuti  ;  sedendo  alla  foce  i  confederati  cristiani  di  G^eta, 
e  un  pò'  più  lungi  la  repubblica  di  Napoli,  che  sì  facea 
rispettare,  ma  in  fondo  era  amica.  Non  si  ritrae  che  co- 
storo ubbidissero  agli  Aghlabiti,  né  poscia  ai  Fatemi- 
ti,  né  mai  agli  emiri  di  Sicilia.  Facean  corpo  politico 
dassè,  fuor  della  legge  ;  come  tante  altre  compagnie 
musulmane  in  vari  tempi  e  luoghi:  a  Greta,  a  Bari,  a 
Taranto,  a  Frassineto.  Al  par  che  quelle  scegliean  lor 
capo,  che  un  cronista  italiano  chiama  califo^e  sMn-* 
titolava  forse  così.  -  . 

Guardando  su  la  carta  d'Italia  i  nomi  dei  lup* 
ghi  infestati,  si  védran  le  gu^ldane  spiccarsi  dalla 
Stanza  del  Garigliano,  come  raggi  che  vadano  a  ferire 
per  tutta  V  area  d' un  vasto  semicireolo  ;  se  non  che 
i  raggi  son  corti  e  rintuzzati  tra  mezzogiorno  e  le- 
vante, ove  incontravano  Najpòli  e  i  principati  iongo- 

.       *  '  * 

*  Vftggasi  il  primo  Voi.,  p.  113. 

*  Muhitionei,  dice  LibtpniDda;  iut^res,  il  monaco  Benedetto  di  San- 
t' Andrea. 

'  LiatpniBdo ,  l  e. 

^.Chronieon  eomitum  Capwe,  presso  Pertz,  Scriptores,  ec,  tondo  tif, 
p.  208. 


—  465  —  1882-915  J 

bardi  ;  e  corron  lungi  assai  tra  ponente  e  tramontana 
per  entro  lo  Slato  Ecclesiastico.  Provocati  da  qualche 
insolito  guasto  di  que*  del  Garigliano  dopo  la  guerra 
d' Ibrahim-ibn-Ahmed,  i  Cristiani  vennero  ad  osteg- 
giarli alla  sponda  del  fiume,  di  giugno  del  novecen* 
totrè  ;  e  toccarono  sanguinosa  sconfitta.  ^  Àtenolfo 
principe  di  Capua,  testé  insignoritosi  di  Benevento 
(900),  volle  ritentare  la  sorte  delle  armi,  il  novecento 
otto:  tirasse  alla  lega  i  Napoletani  e  gli  Amalfitani  ; 
raccolta  gran  gente ,  pa^sò  il  Garigliano  sopra  un 
ponte  di  barche  a  Sétra,  comesi  chiamava  il  luogo 
presso  Traietto  ;  dove  fortuneggiò  in  un  assalto  not- 
turno dei  Musulmai^i  e  dei  Gaetini'lor  ausiliari;  ma, 
ristorata  la  battaglia,  ruppe  i  nemici  enrinseguilli  fino 
ai  ripari  '  Visto  poi  che  non  bastassero  le  for^zjet  a 
quella  espugnazione,  ovvero  che  i  Napoletani  bale- 
nassero nella  lega ,  mandò  il  figliuolo  Landolfo  a 
chi€i4ere  aiuti  a  Leone,  al  quale  premeva  altrettanto 
d' assicurare  i  dominii  bizantini  in  Italia.  E  cosi  la  im- 
presa si  apparecchiava  a  Costantinopoli,  quando  Lan<- 
dolfo  ebbe  a  tornare  a  Benevento  per  la  morte  del 
padre  (91 0),  e  mancò  di  lì  a  poco  (94 1)  lo  stesso  Leo- 
ne.  Landolfo,  presolo  stato,  rinnovò  il  novecento- 
undici i  patti  con  la  repubblica  di  Napoli  ;  la  quale 
in  parole  gli  promesse  d' aiutarlo  contro  i  Musulmani 
come  se  Benevento  fosse  terra  sua  propria  ;/  ma  in 

'  Ckronica  Saneti  BetmdUti,  presso  Peitz,  stesso  volarne,  p.  t06. 
Probabilmente  vuol  dire  dei  Longobardi  di  Capua  e  Benevento  e  dei  Nà* 
poletani. 

'  Leo  Osiiensis,  lib.  I ,  cap.  L. 

'  Op.  ctt.,  cap.  Lll. 

*  Il  diploma  di  Gregorio  daca  di  Napoli  tratta  anco  di  altri  patU  in- 


fatti  par  non  abbia  cessato  quel  gioco  d'equilibrio 
incominciato  ottant'anni  prima.  La  fortuna  delle  ar* 
mi  fu  varia.  I  Musulmani  condotti  da  Alliku,  come 
leg^esi  il  noine  nella  cronica,  avean  fatto  una  punta 
fino  alla  costiera  dell*  Adriatico ,  quando  Landolfo  li 
raggiunse  e  ruppe  in  due  scontri  a  Siponto  *  e  Ga- 
noéà.  '  Tornaron  fuori  con  novelle  forze  ;  dettero  il 
guasto  a  Venosa,  Frigento,  Taurasi^  Avellino,  e  al 
contado  proprio  di  Benevento.'  In  ultimo  saccheg- 
giarono e  arsero  il  monastero  d' Alife.  * 

Maggior  danno  recarono  dalla  pTarte  di  Roma.  Il 
monastero  di  Farfa,  celebre  nel  medio  evo  per  grandi 
possessioni  e  baldanza  contro  i  papi,  fu  distrutto  in 
questo  tempo,  Y  anno  non  si  sa ,  abbandonato  dai  frati 
quando  si  sentirono  addosso  i  Musulmani.*  Giace  Farfa 
nella  Sabina  ;  la  qual  provincia  era  tutta  corsa  al  par 
che  la  Campagna  di  Roma  e  il  territorio  di  CicuU,  con 
uccisioni,  incendii,  saccheggi.  Si  spinsero  i  nemici  oltre 
il  Tevere  a  N^pi;  salirono  fino  ad  Orta  e  a  Narni,  nelle 
quali  città  stanziarono.  '  Impadroniti  cosi  dei  passi» 


ternazioDali  con  BeneTento»  come  per  esenipio  le  leggi  seconda  Iq  ^oali 
giudicarsi  le  liti  tra  sùdditi  dei  due  Stati,  fi  dato  la  14*  indizione,  e  tra- 
scriuo  in  un  diploma  del  dùca  di  Napoli  Giovanni,  presso  Pratilii^  Intona 
Principum  Langobardorum,  tomo  HI»  p.  228. 

*  Oggi  Manfredonia. 

*  Chronicon  comitum  Capua,  1.  e.  Questo  Alìiku  è  quel  clié  la  cro- 
nica dice  califo  degli  Agareni  di  Traietto  e  Garlgliano. 

'  ibidem. 

*  Chronicim  Vulturnense,  presso  Muratori,  Rerum  Italiearum  Serip- 
tores,  tomo  I,  parte  li,  p.  418.  La  cronica  dice  aTTennto  questo  fatto  verso 
U9I6: 

^  Chronicon  Farferue,  presso  Muratori,  Rerum  Italiearum  Scriptore» 
tomo  II,  pane  II,  p.  454. 

*  Benedicti  Sancti  Andreae  monachi  Chronicon,  oap.  XXVil,  presso 
Pertz,  Scriptóreà,  ee,>  tomo  HI,  p.  7t5. 


—  165  —  (882-9451 

misero  grave  taglia  sopra  i  Cristiani  che  andassero 
in  pellegrinaggio  alla  tomba  degli  Apostoli.  Il  contado 
della  metropoli  fu  si  fattamente  infestato,  che  uno  sto- 
rico mordace  scrivea  quindici  anni  appresso,  aver 
tenuto  mezza  città  di  Roma  i  Romani  e  mezza  .gli 
Affricani.  * 

Tra  tanta  calamità,  apprèsentossi  a  Giovanni 
dècimo  un  Musulmano,  disertóre  per  ingiurìe  avute 
da' suoi;  il  quale  si  vantò  di  rintuzzarli,  sol  che 
IL  papa  gli  desse  una  man  di  forti  giovani,  armati 
di  targa,  brando,  giavellotto,  cinti  di  legger  saio, 
provveduti  d^  un  po'  di  cibo  :  alla  quale  descrizione 
si  ravvisa  la  milizia  degli  almugaveri  Catalani,  si  fa- 
mosi nelle  guerre  del  vespro  siciliano.  '  Giovanni  de- 
cimo  gli  die  una  sessantina  d'  uomini  ;  coi  quali  il 
disertore,  appostati  gli  antichi  compagni,  li  svali- 
giò in  uno  stretto  passo.  Indi  i  Roìnani  a  rincorar- 
si ;  ad  uscire  alla  campagna  ;  a  combattere  con  av- 
vantaggio la  guerra  spicciolata.^  Un  Akiprando  di 
Rieti  feòe  oste,  con  altu  longobardi  e  gente  della  Sa- 
bina, cóntro  i  Saracèni  afforzati  nelle  ruine  di  Tre- 
vi :  *  e  li  vinse  ìe  passò  a  fil  di  spade.  Da  un'  altra 
banda  i  terrazzani  di  Nepi  e  di  Sutri  felicemente 
combatteauo  gli  Infedeli  a  campo  Baccani.  Dopo  le 
quali  sconfitte,  le  schiere  musulmane  di  Narni  e  di 
Cìculi  si  ritrassero  al  Garigliano.  ^      •       , 

/ 

•  t 

*  Lialprandp,  op.  cit.,  llb.  H,  càp.  XLIV,  XLV. 

*  El-^ugamr  in  arabieo  significa  scorridoìre,  o,  come  or  dicesi  ^ 
guerrigliero, 

*  Liatprando,  ibid.,  cap.  XLIX,  L. 

*  Civitaiie  vetuetate  coneumpla,  (il  mopaco  Benedetto  non  è  scrupo- 
loso in  fatto  di  concordanze)  nomine  Tribulana, 

'  Benedieti  Sancii  Àndreoi  monachi,  op.  cit.,  cap.  XXIX. 


.  (916.1  —  166  — 

Perchè  il  papa  «  Landolfo,  accorgeodosi  ch'era 
niente  superare  il  nemico  qua  e  là,  se  non  lo  si  0stir- 
pava  da'  suoi  ridotti,  in  men  di  due  abni  aveano  man- 
dato ad  effetto  un  abbozzo  di  crociata.  Bìstorarono 
e  allargarono  la  lega  del  novecento  dieci  :  il  papa  vi 
trasse  la  imperatrice  Zoe ,  Alberico  duca  di  €am6ri- 
Tko ,  Berengario  duca  dei  Friuli  che  avea  da  tanti 
anni  il  titolo  ed  or  quasi  la  potenza  di  re  d'Italia. 
Berengario,  aiutato  di  danari  dal  papà,  veniva  a  Ro- 
ma in  su  la  fine  del  novecentoquindici:  ira,  plausi 
che  non  fu  uopo  di  comperare  si  cingea  la  corona  im- 
periale. Alla  nuova  stagióne ,  congiunti  per  la  prima 
e^  ultima  volta  a  ben  deir  Italia,  il  papa  e  V  impera- 
tore marciarono  al  Gàrigliano.  Li  seguian  ie  milizie 
dei  ducati  di  Camerino  e  Spoleto.  Landolfo  andò  al 
ritrovo  con  la  genti  del  principato  di  Capua  e  Bene- 
vento. L' impero  bizantino  die  valido  aiuto  :  T  armata, 
grosse  schiere  di  Pugliesi  e  Calabresi,  è  la  greca 
astuzia  dello  stratego  Niccolò  Picingli  ;  il  quale  trdsse 
alla  lega  il  principe  di  Salerno,  e  quél  che  più  era, 
Napoli  e  Gaeta,  lusingando  i  due  duchi  col  titoto  di 
patrizii,  e  minacciando  di  opprimerli  se  favorissero 
tuttavia  gli  Infedeli. 

Del  mese  di  giugno  il  navjlìo  greco  saliva  su 
pel  Gariglianp;  il  papa  in  persona  e  i  collegati  ita- 
liani stringèano  dagli  altri  lati  ;  davansi  fieri  asigaltì, 
nei  quali  Alberico  e  Landolfo  meritarono  lode  di  va- 
lorosi. Sforzati  nei  ripari,  i  Musulmani  si  rifuggirono 
alle  alture  del  monte  ;  dove  il  cerchio  delle  armi  cri- 
stiane piii  stretto  li  rinserrò.  I  Bizantini  innalzarono 
un  castello  a  pie  della  costa  ripida  donde  gli  asse- 


—  167  —  '       |9I6-918.| 

diati  soleano  far  le  sortite  per  procacciar  vettovaglia. 
Dòpo  tre  mesi,  perdata  assai  gente  negli  scontri; 
pressati  dalia  fame  ;  per  segreto  consiglio,  (X)me  si 
sparse,  dei  duchi  ài  Napoli  e  di  Gaeta,  i  Musulmani 
poser  fuoco  agli  allogamenti,  e  nel  trambusto  chi 
potè  cercò  scampo  nei  boschi  d' intorno ,  ove  i  Cri* 
stiani  dando  loro  la  caccia ,  tutti  li  occisero  o  fecèr 
prigioni.  Cosi  ebbe  fine  la  colonia  del  Garigliiano,  d'ago- 
sto novecento  sedici.  Né  mancarono  i  frati  di  spacciare 
eh'  avean  visto  con  gli  occhi  proprii  San  Pietro  e  San 
Paolo  mescolarsi  tra  i  combattenti.' 

La  qual  vittoria  non  liberò  tutta  Italia.  A  setten- 
trione ì  Musulmani  di  Frassineto,  venuti  di  Spagna, 
gittatisi  nelle  Alpi ,  corsero  per  un  secolo  o  poco 
meno  (889-973)  F  odierno  territorio  del  Piemonte, 
non  che  la  Svizzera  e  la  Francia  meridionale  ;  dei 
quali  non  dirò,  sondo  fupr  dell'argomento  pro- 
postomi. '  Air  altro  capo  della  penisola  non  durò  a 
lungo  la  pace.  For^  il  principato  fatemita  non  volle 
osservare  i  patti  s tipolati  dal  ribelle  Ibn-Korhob.  Più 


A  Si  cOQfiPontioo:  LìutpÀndo,  ÀtUapode$is,  Irb.  Il,  eap.  XLIX  e  LIV, 
, presso  Pertz,  Seriptores,  ec,  tomo  IH,  p..297,  298;  Chronicon  comitum 
CafnuBt  presso  Pertz,stes5o  ▼ol.,p.208;iiina/e«^Cii«tnalefMe«,ibid.,p.  171; 
Ànnaiei  Beneventani,  ibid.,p.  174;  Chronicon  BeneditU  Saneli  Àndrem  etc., 
ìbid.»  p.  713, 714;  Chronicon  Farfense,  presso  Muratori,  Uerum  Italiearum 
Scriptores,  tomo  ir,  parte  li,  p.  4SK(;  Chronicon  Pitanum,  presso  Mttra- 
tori,  ibid.,  tomo  VI,  p.  107,  seg.,  an.  917;  Lapo  Protospatario,  presso 
Pertz,  'Seriptores,  ec.«  tomo  V,  p.  53;  Marangone,  neW  Archivio  Storico 
Italtano,  tòmo  VI,  parte  II,  pag.  4,  an.  907;  Leonis  Ostlensis,  lib.  f, 
cap.  Lìi,  Le  autorità  priacipali  sono  Liulprando  e  Benedetto  di  Sant'  An- 
drea, contomporanei;  e  Leone  d* Ostia,  eh*  ebbe  alle  mani  ricordi  contempo- 
ranei. La  data  varia;  ma  si  determina  con  l^' incoronamento  di  Berengario. 

'  1  fatti  jde*  Musulmani  di-  Frassineto  sono  stati  con  molta  critica  ri- 
cercati e  lacidamento  esposti  da  U,  ReiUatHl  nell'opera:  Imnuiom  des 
SarraMns  en  Francé  etc,  parte  Hi. 


' 


|9I8|  --  168  — 

certamente,  r  impero  bizantino  non  seppe  guardar 
quelle  province  con.  la  spada,  né  farvi  osservare  la 
pace,  nella  condizione  precaria  con  che  le  tenea. 

A  trattare  i  popoli  col  bastone  vuoisi  avere  .in 
pugno  un  baston  sodo  e  dare  ad  occhi  aperti  ;  ma 
r  impero,  con  sue  triste  soldatesche  ed  amministra^ 
zìone  scomposta,  troppo  si  affrettava  a  sipossessare 
ad  un  tempo  i  princìpi  longobardi,  estirpare  la  no- 
biltà feudale,  assoggettare  i  comuni,  e  spolpare  e 
calpestare  il  popolo.  Dopo  aver  dunque  racquistato, 
verso  la  fine  del  nono  secolo,  le  Calabrie  e  gran  tratto 
della  Puglia,/  i  Bizantini  presero  e  riperdetterd  entro 
quattr'anni  (891-895)  lo  stato  di  Benevento  ;  si  pror 
varono  indarno  cóntro  Gapua  e  Salerno  ;  furon  co- 
stretti a  collegarsi  coi  principati  longobardi  (908- 
91 6)  contro  i  Musulmani  del  Garigliano  ;  *  non  sep- 
pero né  prevenire  né  reprimere  la  ribellione  di  tante 
città  di  Puglia  e  di  Calabria  che  si  davano  (921)  a 
Benevento  ;  né  V  impero  le  riebbe  altrimenti  che  per 
pratiche  col  principe  Landolfo.  '  In  questo  mentile 
non  si  pagò  il  tributo  ai  Musulmani  di  Sicilia. 

E  per  dieci  anni  i  miseri  popoli  dell'  Italia  mèri- 
dionale  vider  venire  di  Sicilia,  sotto  le  insegne  fate- 
mite,  nuove  facce  di  predoni  stranieri  r  in  cambio 
d'Arabi,  di  Berberi,  di  Negri,  più  fiera  genia  setten- 
trionale. Perché  il  Mehdi  par  non  si  fidasse  di  ren- 
dere le  armi  air  universale  de'  Musulmani  in  Siciha, 
non  degli  Arabi  in  Affrica;  i  Kotamii  suoi  gli  servi- 


*  Si  veggaillib.  lf,cap.  XI. 

3  Si  vegga  il  capitolo  pcecejdente. 

'  Cedreno,  ediz.  Niebubr ,  tomo  li,  p.  3^5,  356. 


—  169  -^  1948.) 

vano,  a  spegnere  gli  mcendii  in  casa  ed  a  tentare  il 
conquisto  d,  Egitto,  massima  ambizione  di  sua  dina- 
stia. Adocchiò  iBillora  i  giannizzeri  prediletti  dlbrahim** 
ibn-Àbmed:  gli  Slavi,  derrata  di  prima  qualità  nel 
commercio  di  schiavi  che  conduceasi  nel  JMediterra- 
neo  dal  «ottimo  al  decimo  secolo,  talché  par  abbian 
dato  il  nome  alla  cosa.  ^  Gente  sobria  dèi  resto;  .pròde 
nelle  armi ,  amante  di  libertà  più  che  niun  altro  po- 
polo di  quo'  tempi  ^  nelle  province  europee  dov'  era 
costituita  a  governo  suo  proprio;  gente  anco  umana 
verso  gli  schiavi  che  riteneva  in  casa:*  ma  non  le 
par^a  male  di  vendere  gli  uomini  del  ^o  stesso  san- 
gue e  del  germanico,,  presi  nelle  guerre  e  nei  ladro- 
necci di  confini/  Allora,  sì  com!oggi,  il  grosso  della 
schiatta  slava  occupava  T Europa  orientale;  s'adden- 
tellava coi  popoli  finnici ,  con  T  impero  germanico,  coi 
Magiari,  con  T impero  bizantino:  Schiavoni,  Croati, 
Serbi  ed  altri  rami  slavi  ingombravano  le  regioni  a 
levante  dell'  Adriatico  ;  mettean  tralci  infino  al  Pelo- 
ponneso ;  frammezzati  ad  avanzi  più  o  meno  frequenti 
delle  antiche  popolazioni;  fatti  cristiani  di  fresco;  e 
dóve  vicini  temuti,  dove  tributarii,  dove  sudditi  di 

'  Su  gli  stanziali  ed  enoudii  slavi  comperati  dai  principi  musalmani 
io  cotesti  tempi,  si  vegga  Reidand,  Invasiotu  des  Sarra»in$  en  Franee  etc., 
parte  IV ,  pag.  ^,  seg.  —  I  nostri  antichi  non  soo  mica  esenti  di  biasimo 
nel  commercio  degli  schiavi.  Neir  ottavo  aecplo  i  Veneziani  ne  cavavano 
gran  guadagno  e  ne  teneano  mercato  aocfae  a  Roma.  .H  papa  Zaccaria  lo 
vietò  nel  748.  Veggasi  Anastasio  Bibliotecario  presso  Maratori ,  Rerum 
Italicarum  Sariptans^  tomo  Ili ,  p.  164.  Carlomagno  riprese  Adriano  I  nel 
785  di  tollerare  questo  scandalo;  e  il  papa  si  scusò  dicendo  che  lo  faceano 
i  Greci  e  i  Longobardi.  Veggasi  Cedex  CaroHnu»t  ediz.  Gretser,  epls(.  75. 

'  Leonis  imperatoria,  Taetiea,  cap.  XViU,  presso  Meursius,  Opera, 
tomo  IV ,  e  versione  francese  di  Maiìeroi. 

*  Su  questa  promiscuità  di  schiatte  che  si  menavano  al  m6r<^to,  veg- 
gansi  le  autorità  allegate  da  M.  Reinaud,  op.  cit.^  p.  235,  936. 


|9l8-92b|  —  no  — 

Costantinopoli.  '  Lo  sbocco  principale  di  loro  schiavi 
era  T  Adriatico;  gli  emporìi  eran  tenuti  da  essi  e  dalle 
città  latine  e  greche  della  costiera  orientale  ;  i  navi- 
gatori della  costiera  italiana  aiutavano  al  trasporto;  i 
Musulmani  del  Mediterraneo,  dalla  Spagna  alla  Siria, 
più  che  altri  popoli ,  consumavan  cotesta  merce ,  -  in 
soldati,  paggi  ed  eunuchi.  E  il  Mehdi  ne  congegno 
una  macchina  produttrice  di  novelle  derrate:  il  bot- 
tino, dico,  e  i  prigioni  che  gli  Slavi  gK  andassero  a 
buscare  in  terraferma  d*  Italia.  ' 

La  prima  frotta,  passata  d' Afifrica  in  Sicilia  su 
barcacce,  piombava  di  notte  a  Reggio,  nella  state 
del  novecentodiciotto  ;  prendea  la  città  senza  con- 
trasto.' Sopravvenne,  del  novecento  ventiquattro.  Io 

^  '  ConsUntini  Porphyrogenili,  De  aimirMirtunào  imperio,  cap.  29, 
51,  49,  90.  Si  ooDfronti  con  V  importSDle  studio  di  Lelewel,  Geographie 
du  motr^f»  age,  Bruxelles  1853»  tomo  lU ,  capitolo* Shvia: 

'  Con  queste  bande  di  schiavi ,  la  più  parte  forse  non  Musulmani ,  si 
^teva  eluder  la  legge  che  accorda  quattro  quinti  della  preda  ai  combat- 
tenti. Si  vegga  più  innanzi  l'aneddoto  del  bottino  d'Oria. 

'  Chronicon  Cantabrigimuet  presso  Di  Gregorio  ^  Rerum  Àrabicarumi 
p.  45,  an.  6S46  (1«  settembre  917  a  51  agosto  918).  Debbo  qui  accennare 
altre  fazioni  che  si  sono  supposte.  11  Rampoldi,  Annali  Muuilmani,  919, 9Si 
(tomo  V,  p.  148, 150),  fa  occupare  da  Salem-ibn-Ràscid ,  emir  di'Sicilia, 
prima  Lipari,  pei  vari  luoghi  sul  Volturno  e  sul  GarìgUane;  e  lo  fa  com- 
battere a  'capo  d*  Anzio  contro  Giovanni  X.  Qnest'  ultima  è  ripetizione  gra- 
tuita del  fette  del  916  del  Garigliano.  Il  nome  di  Salem  è  tolto  da  No^airi  ; 
^uel  di  Lipari  non.  so  donde;  il  resto  è  accozzato  di  fantasia  su  qualche 
cenno  degli  annalisti  italiani.  Il  Màrtorana,  tonpo  I,  p.  84,  ed  il  Wenricb, 
lib.  I,  cap.  Xil,  §  104,  replicano  cotesti  fatU,  citando  ttampoldì,  che  ne 
dee  rispondere  veramente,  e  il  Giannone,  lib.  ^VII,  cap.  IV;  il  quale  n«n 
recò  tutte  quelle  favole,  ma  cenfìisamente  vi  accennò  e  v'aggiunse  una 
nocella  banda  saracena  alàrsjitasì  al  Gargano.  Cosi  gli  parve  correggere 
la  voce  Garlgliano  e  con  essa  r  anacronismo  di  Lintprando,  Antapodens, 
lib.  lf,4»p.  XLV. 

Si  legge  nel  Muralori,  Annali  d*  Italia^  e  Indi  in  quei  che  l'banno 
compendiato  o  anche  combattuto.  Che  nel  919  Landolfo  e  Atenolfo  ri- 
fiortassero  non  pòche  vittorie  sopra  i  Saraceni  >è  i  Gred.  La  sorgente  è 
un  passo  della  Cronica  del  monastero  al  Volturno,  presso  Muratori,  Re- 


—  171  —  i9a$.| 

schiavo  0  liberto  slavo  Mes*ud/  con  venti  galee;  il 
quale  occupò  la  rócca  di  Sant'Agata,  quella,  credo 
io,  presso  Reggio,  e  tómossene  a  Mebdia  coi  prigio- 
ni. '  Assaporato  il  qual  guadagno,  il  principe  appre- 
sto  maggiore  espedizione,  affidata  all' Ad(/i6,  o  vogliam 
dir  primo  ministro,  Abu-Ahmed-Gia far-ibn-Obeid ; 
il  quale  veniva  il  medesimo  anno  con  armata  pode<- 
rosa  a  svernare  in  Sicilia.  ^  Alla  primavera  del  nove* 
centoventicinque  passò  in  Calabria  ;  s  insignoii  di 
Bruzzano*  e  di  molti  altri  luoghi;  alfine  andò  ad 
osteggiare  Oria,  in  Terrà  d'Otranto.  Fazione  impor- 
tantissima,  sanguinosa,  notata  nelle  cronache  cristiane 
con  Tepigrafe  :  quest'  anno,  <lel  mese  di  loglio,  Oria 
fu  presa;'  se  non  che  oggi  l'attestato  d'uno  scrittore 
6breo  che  vi  fu  fatto  prigione  dà  precisamente  il 
primo  luglio;-^  ed  un  brano  d'annali  musulmani  ci 

/  .  *     .  > 

r  • 

rum  ItaUf^arum  Scripiores,  tomo  I,  parte  li,  p.  418,  Del  qvftle  si  fa  ^uel 
vagò  cenno  senza  data,  dopo  un  docamento  del  016.  Ma  il  testo  si  riferi- 
seé  in  generale  al  regno  di  que'  dae  principi ,  e  però  allude  alle  vitiorie 
cbe  rlportarooo  contro  i  Musulmani  dei  ciarigliano  il  916  e  innanzi,  e 
contro  i  Bizantini  dopo  ii  920.' 

Finalmente  le  interpolazioni  alla  Cronaca  della  Ca?a  e  la  falsa  Cro- 
nica di  Calabria,  portano  tanti  scontri  dei  paesani  eoi  Musulmani;  di  ohe 
il  Blartorana  ha  accettato  alcuni  e  altri  no. 

*  Questo  ò  dèi  nomi  cl»e  i  Musulmani  solean  porre  agli  scbiavi. 
'  In  Calabria  sola  y*  ba  tre  luoghi  di  tal  nome* 

>  Confroatinsi:  ChranieonCanttUtrigieim,  I.  e,  an.  6431  (1»  settem- 
bre 9^  a  51  agosto  924),  e  Baiàn,  M>mo  I,  p.  192,  an.  310  (30  aprile 
922  a  19  aprile  923). 

*  Baiàn,  tomo  I ,  p.  194,  an.  312  (6  aprile  924  a  27  mano  923). 

'  Ghronieon  CatUahrigiense,  1.  e,  an.  6433.  Il  nome  è  scritto  senza 
ponti  diacritici;  ma  Bruzzano  par  la  lezione  più  plausibile* 

<  Chranican  Barenu,  presso  Muratori,  ÀtUiquitaiet  JUUiem,  tomo  L, 
p.  31  ;  e  Lupo  Protospatario,  presso  Muratori,  Rerum  liàliearum  SeripUh 
ra,  tomo  V,  p.  38;  dei  quali  il  priofo  attribuisco  l'impresa  ai  Savaoéni,  e 
parls  di  uccìsi  e  di  prigioni;  il  secondo  la  riferisce  agli  Sciavi,  l'anno  924. 

\  Sciàbui  (0  Sabbatbai)  Donolo,  prefazione  al  libro  Haìmumi,  nella 
raccolta  di  Miscellanee  ebraiche,  intitolata  Melo~Seiolkayim,  e  pubblicata 


1925.  J  —  172  — 

fa  argomentare  che  si  fossero  ridotte  in  Oria  le 
forze  bizantine  della  Calabria,  riparate  le  popola- 
zioni d'un  gran  tratto  di  paese,  sostenuto  un  as* 
sedie  o  almen  mostrata  la  faccia  a*  nemici  nelV  assal- 
to. Tanto  significa  il  fatto  che  GiaYar  v'  uccise  seimila 
combattènti,  tra  la  battaglia  e  dòpo,  s'intende;  òhe 
trassene  diecimila  prigioni  e  presevi  un  patrizio,  il 
quale  riscattava  sé  stesso  e  la  città  per  cinquemila 
mithkàl  d'oro,  o  vogliam  dir  settantaduemila  lire 
italiane.  Mi  capitan  musulmano  stipulò  anco  la  tre- 
gua per  tutta  la  Calabria ,-  datigli  statichi  a  sicurtà 
del  tributo,  lo  stratego  d^Ua  provincia  e  un  Leone 
vescovo  di  Sicilia;*  coi  quali  ripartì  per  l'isola  a'di- 

dal  signor  Geiger,  rabbino  di  Breslau^  Berlino  1840,  p.  31  ;  da  confron- 
tarsi col  BIS.  ebraico  della  biblioteca  imp.  di  Parigi,  Ancien  Fonds,  266. 
Il  nome  della  città,  scritto  senza  segni  vocali  aur  s,  fece  supporre  una 
volta  che  si  trattasse  di  Aversa;  ma  non  è  dubbio  che  vada  letto  Aurias, 
Il  giorno  della  occupazione  è  il  lunedì  9  di  tammuz  dell'anno  ebraico  4665. 
Debbo  cotesti  ragguagli  al  dotto  orientalista  signor  Derembourg ,  che  ha 
esaminato  il  MS.  di  Parigi. 

Donolo  (AÓjuivouXof)  ricomparisce  medico  famoso  In  Calabria  verso  la 
metà  del  decimo  secolo,  e  rivaleggia  in  sua  arte  col  taumaturgo  San  Nilo 
lì  giovane.  Vengasi  Vita  tùncti  patrit  N'ili  juniorii  etc. ,  greco-latina , 
pubblicata  dà  Gio.  Mat.  Garyophiìo,  Roma  1624,  in-4,  p.  88. 

<  Baidn  e  'Arlb,  tomo  l ,  p.  195. 

s  II  fhUhkàl  è  nome  di  peso,  e  in  oro  equivale  al  dinar',  chVio  ragiono 
a  un  di  presso  a  lire  14,  50. 

*  Chronicon  Cantabrigietue,  presso  Di  Gregorio,  Rerum  Araìnearum^ 
p.  46,  an.  6434  (l^'sett.  925  a  3t  agosto  926).  La  testimonianza  ;concorde 
di  Lupo  Protospatario,  del  Baidn  e  di  Sciabtal  Donolo  ci  fa  supporre  che 
la  Cronica  di  Cambridge  abbia  registrato  ii  fatto  nel  settembre,  ^ando 
forse  arrivò  in  Palermo  Gia'far  con  la  preda  e  i  prigioni.  lì  Baidn  e  la 
détta  Cronica  mi  è  parso  che  accennassero  a  due  patti  diversi  ;  l' uno  per 
Jà  città  d'Orla,  l'altro  per  tutta  la  Calabria;  sotto  11  qual  nome  andava 
anco  la  terra  d'Otranto.  Di  quale  diocesi  In  Sicilia  fosse  vescovo  Leone 
non  si  ritrae.  Non  era  egli  al  certo  lo  stratego  di  Calabria,  come  ha  sup- 
posto il  Wenrich  (lib.  I,  cap.  XII,  §  105,  p.  141),  male  interpretando  la 
Cronica  di  Cambridge,  e  non  riflettendo  che  T impero  bizantino  non  affidò 
mai  governi  ai  vescovi. 


ciannpve  di  luglio.  ^  Par  si  fosse  fermato  il  trattato 
a  Taranto;  poiché  Fautore  che  testé  citai,  nato  pro- 
babilmente in  Calabria ,  il  dotto  medico  Sciabtai 
Donolo,  narra,  che  preso  ad  Oria  con  molti  altri  Giu- 
dei, fu  condotto  a  Taranto  e  quivi  riscattato.'  Giiinto 
in  Sicilia  GiaYar  significò  immantinenti  la  vittoria  al 
principe  fatemi ta;  indi  gli  recò  egli  stesso  il  bottino  a 
Mehdia:  fece  ammonticchiare  in  una  sala  della  reggia 
drappi  di  seta  a  disegni  e  colori,*  gioielli,  moneta  e 
ogni  roba  di  pregio.  Il  Mehdi  se  li  godea  con  gli  occhi , 
quando  un  cortigiano  che  gli  era  allato  ""  Oh  padrone,* 
sclamò,  ^'noa  vidi  mai  si  gran  tesoro!''  e  il  Mehdi  a 
lui:  ""È  il  bottinò  d'Oria."  Onde  Tadulatore  per  bruciare 
incenso  al  primo  ministro,  ""Pupi  chiamare  uom  fida- 
to,'' ripigliò,  ^'chi  ti  riporta  a  casa  tutto  questo.^  Ma  il 
principe  avaro  gli  troncò  la  parola  :  ^Perdio,  s' è  man7 
giato  il  camélò  e  me  ne  reca  gli  orecchi  !  "  M  pri- 
gioni furono  venduti  in  Affrica.  * 

Intanto  si  fermava  tra  le  corti  di  Mehdia  e  di 
Costantinopoli  un  trattato  che  ratificò,  a  quanto  par- 
mi,  i  patti  di  Calabria  e  que'  d' Ibn-Korhob.  Narra  il 
Cédreno,  com'  apprestandosi  Simeone  re  dei  Bulgari 
a  nuovo  assalto  sopra  la  capitale  dell' impero,  man- 
dala a  propor  lega  al  principe  d' Affrica  eh'  aiutasse 
dalla  parte  sua  col  navilio;  e  T  Affricano  assentiva  e 

'  11  25  rebi*  secondo  dei  313.  Boidn»  1.  e.  U  testo  dice  po^lUvsmente 
che  Giatar  arrivò  tn  SieiHa  quel  giorno.  Le  altre  aatorità  citate  mi  portano 
à  correggere  che  parii  per  Ut  Sicilia  quel  giorno. 

^  SciabUlDónoio,  1.  e. 

'  Nel  testo,  dibàg,  che  è  corruzione  della  voce  greca  il^fù^f  per- 
tenuta  agli  Arabi  per  mezzo  dei  Persiani,  1  quali  la  scrivono  dibàh, 

•Baidit,Lc. 

s  Lupo  Protospatario,  Le. 


rinviava  gli  ambasciatori  bulgari  insieme .  coi  propri 
per  ultimarla  cosa,  quando  gli  uni  è  gli  altri  caddero 
in  mah  de' Greci  in  Calabria  e  furon  addotti  a  Co* 
stantinopol).  Romano  Lecapeno,  per  sturbare  la  lega, 
ritenne  i  prigioni  bulgari  ;  rese  gli  affricani  al  signor 
loro,  con  doni  e  profferta  di  soddisfare  il  iributo 
della  Calabria  ;  e  sì  bene  condusse  la  pratica,' che  il 
Fatemila  fermava  la  pace  con  esso  lui  e  gli  rimettea 
metà  della  spmma  promessa  dalla  imperatrice  Zoìb  ; 
onde  il  tributo  scemò  a  undicimila  bizantini  air  anno. 
E  così  rimase  in  dritto  fino  alla  esaltazione  di  Nice- 
foro  Foca  (963);  ma  in  fatto,  gli  strateghi  di  Cala- 
bria onesti  il  pagavano,  e  i  ladri  si  metteano  il 
danaro  in  tasca.  ^  Tanto  il  Cedreno ,  senza  data  pre- 
cisa e  sbagliando  il  nome  del  Mehdi  ;  '  il  che  non 
porta  punto  a  mettere  in  dubbio  la  cosa. 

Cotesta  pace  e  le  vicende  che  le  tenner  dietro, 
dettero  argomento  a  supporre  altra,  maggiore  vergó- 
gna deir  imperò  bizantino,  che  si  è  ripetuta  inflno  ad 
oggi  e  sembra  esagerata,  anzi  trasnaturata.  Liutpran- 
do,  trent'  anni  appresso  il  trattato,  *  scrivea  avere 
inteso  a  dire  che  Romano  Lecapeno,  quando  gli  si 

*  Cedreno,  ediz.  di  Parigi,  tomo  II,  p.  650;  ediz.  di  Bonn,  II,  556,  seg. 

s  II  nome  pel  testo  è  ^oct^^uv;  forse  dovés  dire  f>QeT/uioi;y,  perchè  il 
Blehdi  non  ebbe  tra  1  suoi  nomi  questo  di  Fadhl;  e,  da  un'  altra  mano,  le 
lettere  X  e  /^  si  scambiano  assai  facilmente  nei  manoscritti  greci.  Le  Béau^ 
Htsiotre  du  BaéEmpire,  lib. LXXIII,  §  55,  pone  quésta  negoziazione  nel  925, 
eh' è  la  dita  d'una  delle  tante  imprese  di  Simeone  contro  Costantinopoli 
Ma  I»  nanraaione  del  Cedreoo  si  può  ben  applicare  ai  tre  anni  seguenti , 
fino  alla  morte  di  Simeone.  P' altronde,  la  pratica  di  Simeone  col  Nebdi 
precedette  forse  di  parecchi  anni  la  conchiusione  della  pace  tra  il  Mebdi  e 
Romano. 

>  Liatprando,  Aniapùdem,\\b,  II,  cap.  LXV,  presso  Pertz,  Seriptores, 
tomo  111 ,  p.  296.  Si  sa  che  l'autore  oominiciò  a  scrivere  a  Francfort  verso 
il  958.  Pertz,  voi.  cit.,  p.  264. 


■*-  176  —  (92$-926.| 

ribellaron  le  Calabrie  e  la  iPuglia,  non  trovando 
modo  à  ripigliarle ,  chiese  aiuto  ai  Musulmani  d' Af- 
frica ;  eh'  essi  vennero  in  Italia  con  esèrcito  innume- 
revole ;  che ,  soggiogate  le  province ,  reserle  ai  Gre- 
ci ;  e  fornita  lor  cortesia ,  «  giraron  verso  Roma  e 
s' andarono  a  porre  al  Garigliano  :  »  il  quale  anacro^ 
nismo  di  mezzo  secolo,  '  per  certo  nonaggiugne  fede 
al  racconto.  Nelle  altre  croniche  cristiane,  negli  an- 
nali musulmani,  non  troviamo  vestigia  di  cótesta  av- 
ventura ;  '  a  meno  che  il  trattato  riferito  del  Cedreno 
non  si  voglia  supporre  anteriore  alla  fazione  d'Oria, 
e  questa  combattuta  non  contro  le  armi  bizantine  ma 
contro  i  ribelli  :  che  sarebbe  far  troppo  lavoro  di  fan- 
tasia. Pertanto  io  tengo  falsa  la  tradizione;  la  quale 
nacque  dal  trattato  di  pace  e  dall'  odio  immepso  e 
giusto  che  portavano  tutti  gli  Italiani  ai  Greci.  Liut- 
prando  l'accettò  lietamente,  non  solo  per  quel  suo 
mortalissim'  odio  ,^  e  disprezzo  e  dispetto  contro  la 
corte  di  Costantinopoli ,  ma  anche  per  l' analogia  dei 
fatti  che  seguivano  al  suo  tempo,  quando  gli  strato^ 
ghi  bizantini  di  Calabria  sfacciatamente  traccheg- 
giavano con  gli  eniiri  di  Sicilia.  II  sol  patto  tacito 
o  esprèsso  da  sospettarsi  tra  il  novecentoventicinque 

f  Romuno  Leoapeno  sali  al  trono  il  010;  regnò  solo  dal  990;  perdo 
la  Calabria  il  921.  I  Musalmani  si  afforzarono  ai  Garigliano  verso  l'832, o 
B6  forano  scaceiati  il  916.' 

s  II  monaco  delio  stato  romano  Benedetto  di  Sant'  Andrea,  che  scrisse 
negli  ultimi  anni  del  decimo  secolo  una  rozza  cronica  infiorata  di  romanzi, 
accenna  (presso  Pértz»  Scriptons,  ec,  tomo  Ili,  p.  713);  le  ambascerie 
dei  Romani  a  Baìatmo  et  Àfriee,  perchè  yénis^ero  a  pigliare  il  regno  d^Ita* 
Ha,  e  dice  eh'  essi  andarono  per  tal  cagione  ad  Amalfi  e  al  GarìgHàho.  Ha 
dò  si  riferisce  evidentemente  alle  praUebe  d' Atanasio  vescoTO  di  Na- 
poli (879-88S)}  è  non  avvalora  le  parole  di  Liatprando,  né  porta  ad  ana- 
cronismi. 


I9a7.d28.|  -^  176  — 

6  1  novecentotrenta,  è  che  i  Bizantini  esclùdessero 
dalla  tregua  e  designassero  ai  Fatemìti  le  città  di 
Calabria  e  Puglia  che  lor  non  obbedivano  e  però 
non  pagavan  la  quota  del  tributo  musulmano.  A  ciò 
dunque  si  ristringa  il  biasimo  dei  Bizantini;  e  si 
cancelli  dalla  storia  quella  impossibilità  dell'Italia 
meridionale  racquistala  da  loro  con  eserciti  musul- 
mani. ^ 

Tra  gli  stati  independenti  dall' impero  greco, 
le  città  che  gli  si  ribellavano,  e  gli  strateghi  che  dif- 
ferivano ^  pagare  il  tributo,  non  mancò  occasione  di 
preda  alle  soldatesche  slave.  Di  luglio  novecento  ven- 
tisei preser  Siponto,  capitanati,  al  dir  d' una  cronica, 
da  Michele  re  loro,  ^  forse  supano,  come  si  chiamava 
il  primo  magistrato  delle  repubbliche .  slave  delta 
Dalmazia ,  e  però  venuto  a  dirittura  e  dassè ,  '  non 
d' Affrica  da  servidore  del  Mehdi.  Ma  il  costui  pag- 
gio slavo  Sàin,  Y  anno  appresso,  che  cadde  nel  tre- 
centoqujttdici  della  egira,  passava  d'Affrica  in  Sici- 
lia con  quarantaquattro  navi  la  più  parte  dà  guerra: 
accozzate  le  sue  pon  le  genti  dello  emìr  di  Sicilia, 
facea  vela  per  Taranto  ;  assediava  la  città,  difesa  vi- 

'  Non  ci  dee  ritenere  la  grande  autorità  del  Machiavelli ,  il  quale  ac- 
cettò il  racconto  di  Lintprando  in  un  quadro  generale  (Istorie  fiorentine, 
Ub.  I,  nel  paragrafo  che  principia  "  Eca  intanto  morto  Carlo  imperatore"). 
Ognun  sa  che  ai  tempi  del  Segretario  Fiorentino  le  sorgenti  della  storia 
d' Italia  erano  la  più  parte  ignote  o  incerte.  La.  stessa  ragione  non  vale  t 
favor  del  piannone,  lib.  VII,  cap.  IV;  e  molto  meno  del  Martòrana,  tomo  I, 
p.  84,  cap.  IH,  e  del  Wenricb,  Ub.  I,  cap.  XII,  §  104,  p.  139,  140. 

*  Confrontlnsi:  Lupo  Protospatarlo  e  la  Cronaca  d»  Bari,  presso  Pertz, 
Scriptores,  tomo  V,  p.  54;  Chronicon  Sanctm  Sophim  Beneventi,  pressi^ 
Muratori,  Àntiquitaie$  Italtca,  tomo  1,  p.  253;  Romualdo  Salernitano, 
pressoUwSiiOitìy  Rerum  Italicarum  Scriptores,  tomo  V,  an.  926.  L'indi* 
zione  15*  corregge  lo  sbaglio  della  Cronica  di  Bari  che. dà  Panno  928.  Il 
nome  d' Istachael  scritto  in  alcune  edizioni  di  Lupo,  va  letto  Michael. 


—   177  —  1027-928. 1 

rilmente  dagli  abitatori;  entrava  d'assalto;  menava 
strage  degli  nomini  da^ portar  arme,  e  mandava  il  ri^ 
nìànenté  della  popolazione  a  vendere  in  Affrica.  ^  Del 
novecentoventotto,  par  che  T  esercitò  di  Sicilia  e  gli 
Slavi  si  fossero  divisi  per  portar  la  guerra  in  due  pro^ 
vince  diverse.  Il  primo,  andato  a  campo  ad  Otranto , 
espugnavala  il  diciassette  agosto;  distrnggea  le  case 
e  s-  apprestava  a  correre  altri  paesi , ,  quando  una 
moria  lo  costrinse  a  tornarsi  in  Palermo.  '  Sdin 
co' suoi  Slavi  assaliva  i  principati  longobardi  dalla 
parte  del  Tirreno;  prendèavi  parecchie  fortezze,  tra 
le  quali  le  memorie  musulmane  notano  una  Ghiràn 
Ossian  ""  Le  Grotte,"  ed  una  Kalat-^l-Khesceb^  cfh'  è  a 
dir  ^  La  Rocca  del  Legno  :  "  nomi  da  non  si  ricono- 
scere agevolmente  nella  nostra  topografia  del  mediò 
evo,  pòi  eh' è  evidente  che  i  vincitori  li  posero  a  ca^ 
pricciooli  tradussero/in  lór  linguaggio.  Fatto  fardelld 

'  SiconfroBtioo:  IbD-et-Àlblr,  an.  315,  MS.  A.tompir;  fbg.  £$4  verso; 
e  MS.  0,  tomo  IV,  toff.  3D4  recto  ;  Baidn ,  tomo  I,  p.  199«  an.  315  (7  màN 
zo  017  a  ^  febbfaio  d28)  ;  Nowairij  presso  Di  Gregorio,  Rerum  Àrabiearum, 
p.  13;  14,  an.  316;  Lupo  Protospatarìo;  e  Cronica  di  Bari,  I.  e,  )ao.  927; 
Ibn-KhaMùDt  Bisfoiré  deVAfrique  et  de  la  Sicile,  p.  162.  Nella  Cronolo- 
gia historica,  di  Hazi  Halifè  (HagiEhalfa),  versione  del  eonte  Carli,  Véne- 
zia  169^,  p.  ìSQt  si  léggè^  questa  impresa  di  Taranto ,  che  manca  nel  testo' 
persiano  di  Parigi. 

Debbo  avvertire  che  la  discrepanza  delle  croniche  mi  sforza  ad  ordi- 
nare i  fatti  9lla  roeglfo,  sènza  laceirtezza  eh'  io  soglio  ricercare.  Per  «sem- 
pio, un  tlice  che  Satn  venne  con  44  navi  ;  un  altro  gli  dà  33  navi  da  guer- 
ci; chi  parla  delle  forze  unite  di  Satn  e  dell'emir  di  Sicilia,  chi  di  Satn 
solo;  chi  sbaglia  evidentemente  le  date;  chi  confonde  in  un  sol  anno  luite 
le  imprese;  chi  ppne  ì  nomi  geografici,  e  chi  no;  chi  li  scrive  in  guisa  da 
detèrsi  indovinare  la  giusta  lezione.  Ciò  sia  detto' per  tutte  queste  faziouf 
dal  927  al  929.  ' 

*  Ibn-el-Àthtr  e  Nowairi ,  If.  ce.  Prendo  la  data  dalla  Cronica  di  (Cam- 
bridge, 1.  e.,  an.-6496'(l<^  seUembre  927  a  31  agosto  928),  ove  credo  sf 
debba  leggere  Otranto  in  vece  di  Zarniwaht  che  fu  messo  a  caso  nelle 
edizioni  precedenti.  Otranto  si  legge  chiaramehte  negli  irltri  due  autori* 
Citati. 

II.  12 


|020.|  —  178  — 

quanto  potè,  Sàio  si  appresebtava  a  Salerno;  i  cui 
cittadini  comperaron  la  pace  a  prezzo  di  danaro  e 
drappi  di  seta  dibàg.  '  Donde  passato  a  Napoli,  la 
sforzava  a  simil  patto  ;  se  non  che  prese  danaro  e 
vesti,  dice  la  cronica:'  senza  dubbio  per  significar 
le  pezze  di  tela  di  quel  lavorìo  che  non  avea  pari  al 
mondo  e  facea  la  ricchezza  della  città ,  com'  afferma 
il  mercatante  arabo  Ibn-Ha^ukal ,  trovatosi  a  Napoli 
una  quarantina  d' anni  appresso*  '  Sàin  riscosse  anco 
il  tributo  della  Calabria  «  fece  ritorno  in  Palermo  col 
bottino  e  numero  grandissimo  di  prigioni/ 


1 

'  Si  vegga  la  liota  5  »  a  pag.  it5  di  questo  volume. 

'  lì  Baidn,  sola  sorgente  di  questo  fatto ,  adopera  la  voce  thidb,  plu- 
rale dt  thaub;  e  significherebbe  vestiroenta,  in  generale,  ovvero,  secondo 
Fuso  moderno  d'Egitto,  un  camicione  che  \e  donne ^doglion  mettere  sopra 
tutti  gli  altri  abiti  quand'escono  fuor  di  casa:  una  specie  di  dominò.  Si 
vegga  Doay^  Dietiannaire  délailU  etc.y  p.  lOd.  Ma  ibn^ukal  -parlando^  ip- 
punto  di  Napoli,  come  si  vedrà  nella  nota  seguente,  usa  la  stessa  voce  al 
singoiare  e  al  plurale,  nel  significato  certissimo  di  tela  di  lino  In  pezza. 
Le  pezse  che  valean  da  cinque  a  secento  lire  ^ciascuna  non  fàceano  in- 
gombro: e  così  interpretato  parrà  più  verosimile  questo  pas|SO  del  J^atdiu 

>  Ibn-Hauìcal,  testo  arabico,  nella  mia  Biblioteca^  Arabo-Sicula, 
p..iO,'il,  cap.  IV,  §  1  ProbabUmente  questo  infaticabile  viaggiatore  andò 
a  Napoli  poco  prima  o  poco  appresso  di  Palermo,  ove  si  trovò  r  anno*  3^ 
deir  egira  (972-5).  Ibn-Haukal  dice  aver  veduto  egli  stesso'  a  Napoli  que- 
sti bellissimi  tessuti  di  lino,  cbe  da  un'  altra  espressiioti  del  testo  possiam 
supporre  anco  ricamati  ovvero  operati  a  damasco.  Ogni  ihaub,  lungo 
100  dsira'  e  largo  da  10  a  15,  si  vendea  più  o  meno  150  ribd%  o  vogliam 
dir  quarteruoli  d'oro.  Cotesta  moneta  us^ta  in  Sicilia  dai  X  al  XIÌ  secolo 
toma  in  peso  di  metallo  a  lire  5,80.  La  dsira',  o  dra,  cóme  pronunziali  oggi, 
viiol  dir  braccio;  e  tra  le  varie  maniera, che. ve  n'ebbe  e  v.e  n'ha  in 
Oriente,  è  probabilissimo  che  Ibn-Haukal  abbia  ragionato  con  quella  chia.- 
niata  *  negra  *  eh'  era  a  un  di  presso  0,48  metri:  S' aggiunga  questo  agli 
altri  copiosi  materiali  che  abbiamo  per  la  storia  dell'industria  italiana  nel 
medio  evo.  Spiéghin  poi  gli  eruditi  il  lavorio  di  cotesta  tela  sì  fina»  larga 
da  5  a  7  metri,  che  si  .Vendea  570  lire  la  spezza  di  48  metri,  e  dieaao  se 
si  debba  supporre  errore  nei  numeri  scritti  da  Ibn-Haukal. 

*  Gonfrontinsi:  Chronicm  Cantabrigimse,  1.  e,  an.  6457  (!<>  settem- 
bre 928  a  3i  agosto  929),  e  Nowairi,  1.  e.  La  prima  dice  Che  in  Lombardia 
non  fu  espugnata  da  Sàin  alcuna  "  città  ;  "  e  ciò  si  accorda  con  la  tradizione 


—  179  —  |92M-055.| 

.  Ma  r  anno  seguente ,  com'  e'  par  che  gli  strale* 
gbi  di  Calabria  andasser  *sempre  a  rilento  nel  pa- 
gare, Sàin  si  mostrò  nelF  Adriatico,  con  quattro  navi 
grosse,.  Imbattutosi  nello  stratego  che  n'avea  ben 
sette,  io. slavo  Qon  se  la  stette  a  pensare  che  Y  assali 
e  il  vinse.  Sbarcato  poi,  prendea  Termoli  nel  mese  di 
settembre  o  d'ottobre;  e  si  ridncea  alfine  a  Mehdia 
con  dodici  migliaia  di  prigioni/  Fu  ultima  di  sue 
scorrerie  questa  del  povecentoventinove.  E  credo 
che  in  tal  tempo  T  armata  e  le  genti  slave  fossero 
venute  a  svernare  ogni  anno  in  Palermo,  e  che 
parte  ve  ne  rimanesse  a  mercatare  dopo  la  par* 
tenza  di  Sàin;  poiché  il  rione  più  grosso  della 
qittà,.  contìguo  al  porto,  si  addimandò  il  Quartiere 
degli  Slavi.* 

Lunga  pezza  poi  respirò  l' ftatia  meridionale 
sondo  stato  soddisfatto  il  tributo  dai  Bizantini  fino 
alla  morte  del  Mehdi  ;  *  racceso  poscia  il  fuoco  della 
guerra  civile  in  Sicilia;  e  nel  frattempo  rivolte  le  forze 
navali  dei  Fatemiti  contro  Genova.  In  que*  primordii 
della  repubblica,  sembra  già  cresciuto  il  commercio^ 
poiché  attirò  gli  avvoltoi,  fatemiti.  Abu-1-Kasem- 
Mohammed,  figliuolo  del  Mehdi,  salitò  al  trono  il 

del  Baiàn,  citata  di  sopra.  La  data  postit  nella  Cronica  di  Cambridge  par 
qvella  del  ritorno  fin  Palermo  sul  finir  della  state,  é  però'  nel  928. 

'  Gonfrbntlnsl:  iCAronieon  Cantnbrigieme,  1.  e,  an.  6458  (!•  settem- 
bre 929  a  3!  agosto  930);  Buidn;  tomo  I,  p.  .204,  an.  517  (13  febbraio  929 
a  i  febbraio  930).  Le  due  croniche  potano  concordemente  essere  stata 
cpésta  la  terza  espedizioae  di  8&in.  Ho  scritto  così  il  nome  secondo  la  le- 
zione delia  Cronica  di  Cambridge,  e  di  quella  di  Gotha.  Il  Howalri  ba  Sàreb. 
li  dotto  editore!  del  Baién  corresse  Sfilar. 

'  lbn*Hauka1  nella  descrtziQne  di  Palermo  dà  questo  nome  topografico. 
In  oggi  si  diiamn  il  Quartìer  det  Capo. 

•  Noirairi,  1.  e. 


1054-955. 1  —  180  — 

jiovecentotrehtaqaattro,  allestiva  immaatmenti  un'ar- 
mata di  trenta  legni  da  guerra;'  con  la  quale  JaMb-- 
ibn-Ishak  corse  la  riviera  ligure ,  sbarcò  nei  contorni 
di  Genova,  fece  vi  bottino  e:  prigioni.  '  Donde  Abu-1- 
Easem,  ragunato  novello  esercito  il  novecentotrenta*- 
cinque,  rimandavalo  in  quelle  parti.  I  Musulmani  allor 
posero  r assedio  alla  città;  apriron  la  breccia;  '  en^ 
trati  con  la  spada  alla  mano  fecero  carnificina  degli 
uomini,  preser  le  donne  e  i  fanciulli,  saccheggiaron 
le  case  e  i  tesori  delle  chiese  V  e  rimontarono  su  lor 
legni.  Di  passaggio  approdano  in  Sardegna;  opprimon 
col  numero  que  fieri  isolani  ;  lor  ardono  miolte  navi; 
fan  lo  stesso  gioco  in  Corsica  ;  ^  e  impani  se  ne  tor- 
nano a  Mebdia,  recando  in  .cattività  un  migliaio  di 
donne  italiane.  *  Così  leggiamo  ne'  ricordi  loro  il  la^ 
grimévol  caso  di  Genova,  ^  accennato  appena  dai 

4  Osehébi.  Mi  par  bene  dì  accennare  distintamente  la  origine  dei  par- 
.ticohrì  che  sappiamo  di  questo  fatto-importante  della  storia  italiana. 

^  Ibn-el-Atbtr,  Ibn-Kbatdùik  Nel  confuso  racconto  di  Osebebi  si  £9 
ancbe  cenno  d' un  assalto  anteriore  a  quello  in  cui  fa  presa  la  città. 

*Dsehebi. 

*  Liutprando  :  Cuneiosque  eivitatU  et  eeplesiarum  ihesauroi.  Non 
credo'  si  debba  intendere  der  comune  e  della  chiesa ,  ma  de'  cittadini  etc. 

<^  Cosi  chiaramente  nel  manoscritto  41  Dsehpbi*  In  que*  d' ibn-ei-Atbtr 
si  legge  cbiàramente  Karkesia,  e  così  in  uno  de' due  squarci  d' Ibn-Kbal- 
dOn»  ove  si  aggiugne  *su  le  spinge  di  Siria.  '  Ciò  ha  spinto  l'erudito  barón 
de  Siane  a  correggere  *  Cesarea;  "  sondo  grossolano  errorie  Karl^esia.  Ma 
ibn-Kbaldùn,  0  il  <?opi6ta,  par  che  abbia  aggiunto  quella  spiaggia  di  Siria^ 
appunto  perchè  oon  gli  venne  a  ipente  che  si  trattava  della  Corsica.  Ciò  mi 
par  certo  dalla  narrazione  d'ibn-el-Albìi;,  il  quale  parla  d$  uQicaespedizionir 
n  Genova,  i&  Sardegna  e  in-  quel  terzo  paese. 

•  DsebebL 

'  Si  confrontino  ;  Chronicon  Caatabrigierae,  presso  Di  Gregorio,  Aerurn 
Àrc^bicarum,  p.  46,  an.  6442  (l»  settembre  933  a  31  agosto  954);  Ibn-el* 
Athìr ,  MS.  B,  tomo  I,  p»  149  e  163,  e  ÌH^.C^  toma  IV,  fog.  321  verso  e 
32^  verso,  anni  322  (21  dicembre  92^  a  9 dicembre  934) ,  e  323  (10 dicem- 
bre 934  à  28  novembre  935)  ;  Baiàn,  tomo  l*  p.  216;  Now^iri,  presso  Di 
Gregorio,  op.  cit.,  pag.  ìAyDsehét^ÙTarikh-el'ìsldrit,  an.  323,  manoscritto 


—  181   —  |034-95b| 

nostri  scrittori  del  tempo,  con  giunta  deir  avviso  che 
n'  avesse  dato  il  Cielo,  tin^ndo  di  sangue  una  polla 
d' acqua.  *  Alla  fine  del  decimóterzo  secolo ,  non  ba- 
istandó  tal  prodigio  alla  repubblica  potente  e  vitto- 
riosa ,  si  finse  una  terribile  vendetta  :  come  la  gio- 
ventù genovese  fosse  ita  fuori  con  Tarmata;  come 
al  ritorno,  vedendo  la  città  vota,  d'un  subito  rivolte 
fé  prore  in  caccia  de' Saraceni,  colseli  che  si:  godean 
r  acquisto  in  un  isolotto  disabitato  presso  la  Sardegna, 
ne  fece  un  mónte  di  cadaveri,  e  riportò  a  casa  le 
mogli,  le  sorelle,  i  figliuoli.  Tavoletta  sì  semplice 
che  par  trovata  pei  bambini  ;  e  sta  bene  in  bocca  di 
chi  la  compose  o  la  ripetè:  Iacopo  da  Varaggio, 
arcivescovo  di  Genova,  compilator  della  Leggenda 
Dorata.  * 


CAPITOLO   IX. 


Non  fia  lungo  a  narrare  le  vicende  interiori  della 
Sicilia  da  una  rivoluzione  ad  un^  altra.  Ressela  per 
,ventì  anni,  con  titolo  di  emir,  quel  Sàìem-ibn-Rescid, 


di  Parigi,  Ancien  Fonds,  646,  fog.  5Ò5  Terào;  fbfi-KbaldÙD,  Hi$toire  de 
V A  frique  eie.  ^p,  162,  163,  e  Storia  dei  Fatemiti,  manoscrttto  di  Parigi 
^  742  qjoater^  tomo  IV,  fog.  18  verso,  con  la  versione  datane  da  M.  De 
Siane  nella  Bistoire  des  Berbères^Wo  stesso  Ibn-Kbaldùn,  tomo  II,  p.  529, 
appendice.  *  ' 

^  liutprando,  Antapodeèi»,  lib.  IV,  cap.  V,  presso  Pertz,  Seriptofea  ec, 
'  tomo  Ili,  p.  316. 

*  lacopi  de  Varagine  Chionieon,  pre^^è  Muratori ,  Rerum  liaticaruni 
Scriptores,  tomo  IX,  p.  10. 


(947-957.)  —  182   — 

lasciatovi  alla  partenza  tf  Abu-5a'td.  *  Ma  T  autorità 
era  mutilata.  Le  fazioni  in  Terraferma,  com'abbiam 
visto,  si  condussero  per  capitani  mandati  apposta  d'Af- 
frica; nelle  quali,  se  talvolta  andò  Sàlem,  fu  d^  au- 
siliare. '  Il  oavilio  siciliano,  che  die  tanta  briga  al 
Mehdi  al  tempo  d'Ibn-Korbob,  combatteva  ora  gli 
ortodossi  sudditi  degli  Abbassidi  in  Egitto  ;  i  quali 
ben  sapeano  che  i  Siciliani  ci  andassero  contro  voglia. 
E  però  dopo  la  giornata  navale  che  guadagnarono  gli 
Abbassidi  ftiori  Rosetta  (919),  menati  a  terra  i  prigio- 
ni,  il  popolo  di  Misr  né  scevro  i  Eotamìi  per  ammaz- 
zarli ;  perdonò  la  vita  ai  Siciliani,  Tripolitani  e  abita^ 
tori  deirAOrica  propria.''  Del  novecentoveritisette;  ven- 
ne d'Affrica  a  por  taglie  *  su  la  Sicilia ,  il  Ogiiuolo  del- 
l' emiro  Sàlem,  con  due  sceikhi^  detti  il  Belezmi  e  jl 
Kalesciani  ;  e  tornovvi  del  trentadue,  con  prepósti  nuo- 

.1  ■  . 

'  H  Martorana,  tomo  I ,  p.  86  e  215»  nota  it5,  seguilo  dal  Weniricb, 
crede  personaggi  diversi  Salem  emiro  del  9i^  e  Salem  del  937,  fondandosi 
In  su  questo,  cbò  Nowairi  aggiunga  nel  primo  caso  il  nome  patronimico 
Ibn-Ased;  e  Àbulfeda  nel  secondo,  Ihn-pescld.  Tal  supposto  or  si  dilegua 
con  V  autorità  degli  altri  compilatori  citati  ^lel  capo  VII,  p.  160,  e  soprat- 
tutto d' Ibn-rel-Atbtr,  il  quale  sotive  S&lem-ibq-Rescìd  sì  nel  513  e  sì  nel 
925  dell»  egira. 

'Si  vegga  il  Capitolo  precedente,  p.  170,  seg.,  176. 

>  Eutichii ft  Patr.  4^exandrini  annales,  tomo  li,  p.  508,  509.  Questo 
scrittore,  poco  àen  cbe  contemporaneo,  è  il  solo  che  narri  l'episodio 
dei  prigioni  risparmiati;  tra  I  quali  pone  in  primo  luogo  i  Siciliani.  Gi 
riferisce  la  battaglia  al  307  dell*  egira;  ma  Ibn-el-Àtbtr,  MS.  G,  tomo  IV, 
fog.  298  recto  e  verso,  la  scrive  nel  306  (13  giugno  918  a  1  giugno  919); 
e  la  Cromca  di  Cambridge  nota  nel  6427  (t  settembre  918  a  31  agosto  .9i9) 
}a  spedizioiie  dei  Fatemiti  in  Alessandria.  ^    , 

*  Tuglieoffiare  è  versione  litterale  del  testo  arabico.  Donde  sappiamo 
questo  dazio  insolito  e  gravoso,  ma  non  di  cbe  natui^a  ei  fosse. 

^  Così  la  Cronica.  Sceihh ,  vecchio,  indi  anziano,  senatore.  Capò  d'una 
frazione  di  tribù,  (^po  d*  un  villaggio ,  o  semplicemente  preposto  o  dottore. 

^  Cioè  il  primo  di  Belézma,  città  d' Afifrica  cbe  abblam  citato  altrove; 
il  secondo,  di  Kalesciaoa  a  ^miglia  da  Katreveàn,  della  quale  il  Bekri, 
Notices  et  Extraits  des  MSS.^  tomo  XII,  479. 


—    185   —  19*7-957.1 

vi  :  Ibn-Selcda  e  Ibn-Dàia  ;  i  quali  aggravaron  la  mano 
sul  popolo,  ma  rappresentatisi  a  corte  Tanno  appres- 
SO,  caddero  in  disgrazia  del  padrone;  parendogli 
forse,  t;he  del  camelo^  com'ei  solea  dire,  gliene 
avessero  recato  gli  orecchi.  *  Veggiamo  infine  che 
.  Sàlem  accordava  la  tregua  a  Taormina  e  altre  ca- 
stella dei  Cristiani  dì  Sicitìa  nella  state  del  nove- 
centodiciannove. '  Da  tutto  ciò  è  manifesto  che  il 
Mebdi  adoperasse  in  Sicilia  Y  espediente  tollerato  dai 
pubblicisti  musulmani  del  tempo:  scindere  remirato 
in  due  oficii,  Tun  di  guerra  e  polizia,  Y  altro  di  azienda 
e  giurisidizione  ;  *  e  che  non  contento  a  ciò,  togliesse 
r  occasione  e  le  forze  da  far  la  guerra.  Un  capitan 
generale  della  sbirraglia  con  l'antico  titolo  d'emir; 
un  presidio  di  Kotamii  o  fanti  poliziotti,  com'or  di- 
remmo ;  pace  coi  Cristiani  delusola,  per  lasciarvi  di- 
sarmati i  coloni;  gli  affari  d'azienda  e  di  guerra  accen- 
trati in  Affrica  :  con  questi  ordini  il  Mehdi  tenne  la  Si- 
cilia. Usò  modi  somiglianti  con  le  popolazioni  arabiche 
d'Affrica.  In  generale  serbò  la  pace  con  l'impero  bizan- 
tino, e  con  le  popolazioni  berbere  iridependenti.  Me-  . 
glio  che  la  spada,  amò  la  penna,  i  raggiri  fiscali,  gli 
artifizii  da  gran  maèstro,  ai  quali  era  stato  educato. 
Condusse  per  man  del  figliuolo  la  guerra  d' Egitto, 
saviamente  ostinandosi  a  quel  conquisto  ;  ma  non  gli 
riuscì. 

La  morte  del  Mehdi,  seguita  il  tre  marzo  nove- 
centrentaquattro  »  si  riseppe  in  Sicilia  il  venticinque 

<  Cronica  di  Cambridge,  op.  cH.,  p.  45. 

'  Si  vegga  al  GapKoIo  Vili,  p.  173,  t73. 

"  Cronica  dì  Cambridge ,  op.  cK.,  anno  6427. 

*  Si  vegga  il  Capitolo  I  di  questo  Libro  IH,  p.  3  in  nota. 


agosto  ;  poiché  il  figliuolo  che  gli  saccedette,  Abu-1- 
Kasem-Mobammed,  spprantiominato  El-Kàiin-bi^ipr- 
illah,  la  occultò  quanto  ei  potè,  '  temendo  gli  ^^lQri 
ostili  degli  Àrqibi  d' Affrica,  le  sètte  karegite  dei  Ber^ 
Jberi  e  lo  scompigliò  che  dovea  recare  nella  setta 
ismaeliana  la  disparizione  del  seoiideo.  A' dieci  marzo . 
del  medesimo  anno,  fu  morto  dinanzi  il  palagio  di  Sa- 
lem in  Palermo,  un  Rendasc,  govematpre  di  Taormi- 
na :  '  questo  sol  ne  sappiamo  ;  ma  il  nome  greco  ci 
porta  a  supporlo  capitan  del  municipio  cristiano  che 
avesse  infranto  la  tregua,  e  caduto  in  mano  di  Sàlem 
fosse  mandato  al  supplizio.  Il  diciannove  poi  d' otto- 
bre ,  ingrossati  per  piogge  i  torrenti  delle  montagne 
che  circondano  Palermo,  calamità  troppo  frequente, 
si  rovesciarono  su  la  città ,  portaron  via  molte  case 


'  ConfrontiDsi :  Croma  di  Cambridge,  op.  c.it.,  p.  ^,  aDno6443;  Ibn- 
el-Atblr,  anno  322,  MS.  B<  p.  149,  MS.  G,  tomo  IV,  fog.  321  verso; 
Baiàn,  tomo  1,  p.  216.  Questi  dae  ultimi  difiono  oecultato  il  caso  più 
ahingo, 

'  Cronica  di  Cambridge,  op.  cit.,  p.  47,  anno  6442.  11  nome  somiglia 
a  qael  di  Randazzo,  grossa  città  surta  in  Sicilia  nel  medio  evo,  ehe  in 
Edrisi  leggiamo  Rendag.  Setanbra  di  origine  greca ,  poiché  la  Storia  Miseella, 
presso  Muratori,  Rerum  ilalicarum  Scriptores,  tomo  I,  parte  I,  p.  150, 
ricorda  un  patrizio  Sisinnio  soprannominato  H^daeium^soXio  Leone  l^au- 
rico;  e  la  Continuaziobe  di  Teofane  nel  regno  di  Romano  Lecapeno,  {  4, 
parla  di  un  'p<vTòéxto$,  nom  dell'Attica,  e  forse  ateniese,  parente  dei  pa- 
trizio Nlceta;.  il  qual  nome  è  scritto  con  le  stesse  lettere  da  Giorgio  Mo- 
naco j  e'PsvTocxYi$  da  Simeone  (ediz.  Bonn,  p.  399,891,  732).  Nulla  toglie 
che  il  governatore  di  Taormina  fosse  appartenuto  alla  medesima  famiglia , 
e  che  da  lui  o  da  altri  fosse  venuto  il  nome  di  Randazzo.  Che  i4  caso  se- 
guisse in  Palermo  non  mi  par  dubbio,  Quantunque  la  Cronica  dica:  «  in- 
nanzi il  palagio  {Kasr)  di  Sàlem.  »  Non  v'  ha  memona  di  terra  in  Sicilia 
chiamata  Kasr  Sdlem  (il  nome  attuale  di  Salemi  è  corruzione  dell'  ara- 
bico Senem,  idolo  o  statua);  e  la  stessa  Cronica,  notando  poi  la  morte 
dell'emiro,  aggiugne  che  segui  nel  suo  katr.  Probabilmente  il  palagio 
vecchio,  al  quale  rimase  il. nome  di  Salem,  per  essere  stato  l'ulti- 
mo emiro  che  vi  soggiornò;  tramutati  poi  gli  oflci  pubblici  ecc;. nella 
Khalesa.  • 


-7  18P  —  (956-937.1 

fuori  e  de^tfO  le  mura,  e  v  annegò  della  genie/  Corso 
poco  più  d'  un  anno,  Y  undici  luglio  del  trentasei , 
soffiò  sopra  r  isola  uno  scirocco  si  infocato ,  eh'  arse 
le  frutta  in  sugli  alberi;  né  qiiella  stagione  si  potè 
far  vendemnìia.  ' 

Rid^s tossi  nel  trentaisette  la  rivoluzione  a  Gir- 
genti  ;  la  quale  città  par  che  il  governo  fatemita  non 
s(VQSse  disarmato  ^è  imbrigliato  al  par  di  Palermo,^ 
in  grazia,  sia  del  sangue  berbero,  sia  della  pinta  data 
a.  Ibn-rj^orhojb.  Ciò  non  togliea  né  T  avarizia,  del.  fisco, 
né  i  soprusi  degU  oftciali  di  $àlem  ;  sul  quale  pjombò 
r  odio  dei  Girgentini,  come  d'ogni  altro  musulmano  di 
Sicilia.  1.6 vatosi  dunque  il  popolo,  a' diciassette  apri- 
le, coatro  Ibn-Amràn  eh'  era  'dmi7,  o,  diremmo  noi, 
delegato  di  Sàlem  in  Girgenti,  lo  andarono  ad  assa- 
lire  in  Caltabellotta,  forte  ròcca  a  trentadue  miglia, 
ov'ei  si  tenea  sicuro  con  suoi  gendarmi;  Ve,  fatto 
impeto  nella  fortezza,  il  capo  fuggi;  gli  sgherri  fa- 
reno  svaligiati.  Al  quale  annunzio .  Sàlem  mandava 
Abu-Dekàk,  Kotamio,  con  le  genti  di  sua  tribù^  le  mi- 
lizie siciliane,  e  ì  fanti  di  Meimùn-ibn~Musa,  che  sem- 
brali altra  caterva  di  gendarmi  :  e  Abu-Dekàk  s' era 

messo  a  stringere  'Asra,  terrà  dMncerto  sito,*  fra  Pa- 

I,  - 

<  GonfroDtìDsi :  Cronica  di  Cambridge,  aon.  6445,  pre3sq  DJ  Grego- 
rio, Rerum  Arabicarum,  p.  47;  Nowajri,  op.  cit,  p.  14. 

*  Cronica  (fi  Cambridge,  I.  c^,  anno  6444.. 

'  11  testo  ba  N  rd  barin,  che  non  dà  signiQcato.  I  primi  editori  les- 
sero Brediarms,  Probabilmente  è  la  Yoge  persiana  Bardaddr,  guardie 
palatine. 

.*  11  nome  non  sare|)bo  molto  diverso  dsi  Asaro,  r  antica  Assords;  ma 
Va  scritta  oon  un' ai»  indica  origine  arabica;  e  il  sito  di  Asaro  presso 
Lepnforte  si  allontana  troppo  a  levante  dalla  via  tra  Palermo  e  Girgenti. 
Uai^cando  di  vocaU  il  JtfS.,  questo  nome  si  potrebbe  leggere  Osra,  che 
signìGciièrebbe  "  asilo,  riparo,*  e  sarebbe  nome  di  luogo  p^^i  sconosciuto. 


lermo  e  Girgenti  e  rivoltata  anch'  essa,  quando  lo  so- 
praggiunsero i  Girgeutini.  Appiccata  la  zuffa  il  venti- 
quattro giugno,  par  che  i  soli  a  combattere  tra  i  regii 
fossero  stati  que'  di  Kotama;  poiché  di  lor  soli  si 
narra  la  sconfitta  e  la  strage,  nella  quale  cadde  anco 
il  capitano^  e  la  prigionia  dei  rimagnenti.  I  vincitori 
marciarono  sopra  Palermo.  Dove,  o  che  il  popolo  non 
,  si  fidasse  per  anco  di  levar  la  testa,  o  che  il  movesse 
r  antica  nimistà  coi  Girgentini,  si  lasciò  condurre  da 
Sàlem  e  da  Meimùn-ibn-Musa  a  combattere  ^  per  gli 
oppressori.  Scontrati  i  Girgentini,  il  due  luglio,  a  Me^^ 
sid-Bàifs,)  ì  Palermitani  li  ruppero  dopo  fiero  com- 
battimento ,  e  li  inseguiron  fino  a'  mulini  di  Mari- 
neo.  '  Se  fosse  lecito  di  ristorar  a  conghietture  le 
memorie  de' tempi,  diremmo  risolutamente  che  la  no- 
biltà palermitana  non  prosegui  volentieri  la  guerra 
contro  i  ribelli  ;  che  cercò  di  patteggiare  col  governo 
e  resistergli ,  avendo  di  nuovo  le  -  armi  alla  mano. 
Certo,  ohe  la  rivoluzione  non  fu  repressa  a  Gir^ 

*  La  Cronica  di  Cambridge,  la  sola  cbe  foraisca  qoeslo  e  gli  altri 
particolari  della  gaerra,  dà  11  secondo  vocabolo  in  guisa  da  potersi  anco 
leggere  T&Us,  N&lìs»  làlis  e  Màlis.  Il  primo  è  suscettivo'  della  ottima  le- 
zione Mosciaiad,  cbe  significherebbe  *edifizip,  monumento."  Non  mi  sov* 
viene  di  nomi  topogsafioi  antichi  o  moderni  di  Sicilia  cbe  ci  aiutino  a  tro- 
vare il  véro  nome  e  il  sito  preciso,  cbe  dorea  essere  molto  vicino  a  Palermo. 
Ma  B&Its  è  nome. d'una  provincia  tra  il  Sind  e  il  Segest&n,  Geografia 
d'Edrisi,  versione  francese,  I,  444,  449.  Bàlis  o  Bàles  era  picciola  città 
sttla  sponda  occidentale  dell* Eufrate.  Veggansl  i  Ibn-Hankai.,  MS.  di  Parigi, 
Suppl.  Arabe,88S,fog.  85  recto;  Edrìsi,  op.  dt.,  1,355;  lakfH,Jfefd<td, 
ediz,  di  Lèyde,  I,  122;  Abulfeda,  Geografia,  testo  arabo,  ediz.  di  Parigi, 
p.  98d.  In  fspagna  era  città  (Velez  Bianco?)  nella  provincia  di  Begiftia  e 
porto  tra  Alicante  e  Gartagena.  (Edrisi,  op.  cit.^  tomo  II,  p.  14,  39.)    . 

^  Lo  stesso  MS.  ha  if  r  nuh,  Marinéo,  a  h  miglia  da  Palermo,  so- 
vrasta al  fiume  di  Misilmeri ,  appunto  su  la  strada  per  la  quale  doveano 
ritirarsi  i  Girgentini.  Le  due  battaglie  senza  particolari  di  leggono  in  Ibo- 
èl-Athtr,  annosa;  e  in  Nowairi,  prèsso  Di  Gregorio, p.  14, 13.  Abulfeda, 
anno  335,  dà  appena  un  cenno  della  rivoluzione. 


—  187  —  jOST.j 

genti)  e  che  a  capo  di  due  mesi  divampò  in  Palermo. 
Dove  la  domenica  diciassette  settembre  sorgea 
contro  Sàiem  il  popolo  condotto  da  un  Ibn-Sebàia  e 
un  Abu-Tdr;  ^  ai  quali  l'emiro  fé' testa,  notandosi  che 
gli  fu  ucciso  nella  zuffa  nn  Abu-Nottàr,  detto  il  Ne- 
gro: qualche  gran  colonna  della  polizia  al  suo  tempo. 
Nondimeno  rimase  T avvantaggio  a  Sàlem,  poiché  ei 
diceva  impalare  parecchi  ribelli  il  dì  venti  neir  arse- 
nale. Più  poderosi  stuoli  corsero  alle  armi,  il  sette 
ottobre;  ritentarono  la  prova;  e  f areno  sconfitti  di 
nuovo  da  Sàlem  ed  assediati  nella  città  vecchia, 
ov'  e  si  ritrassero,  *  Pure  finì  senza  molto  sangue. 
Avea  Sàlem  fin  dai  primi  movimenti  scritto  al  prin- 
cipe ;  tutta  la  Sicilia  essere  rivoltata  ;  se  npn  la  votea 
perdere,  mandasse  rinforzi  ;  e  i  notabili  dell' isola, 
titubanti  nella  ribellione,  aveano  , spacciato  altre 
lettere  nelle  quali  diceano  voler  obbedire  al  calif- 
fo, ma  che  non  poteano  sopportare  quel  tiranno 
di  Sàlem.  Donde  Kàim ,  lor  ne  mandò  un  altro  di 
tempra  più  fina;  Con  possente  esercito,  nel  quale 
contavansi   parecchi  condottieri,'  forse   di  solda- 


*  Così  \9  Cronica  di  Cambridge,  11  Nowairl  ba  invece  Ishftk-Bostàni 
(oss!ail  giardiniere)  e  Hohammed-ibn-Hamw.  Probabilmente  son  le  med&> 
8ime  persone.  IbinSebAia  potrebbe  essere  fl  none  patronloiioo  d'Ishtt  a^ 
prannominato  11  Giardiniera;  ed  Aba-T&r,  il  soprannome  di  Mohammed. 
Quanto  al  nome  patronimico  di  qoest*  ottimo,  Corse  va  corretto  Hamn^owéib, 
6  sarebbe  d'origine  persiana.  Il  Ibiiorana»  tomai,  p.  88»  e  con  lui  tt 
Wentìcb,  arbitrariamente  dani^o  i  due  primi  come  capi  del  tumulto  del  17 
settembre,  e  i  due  secondi  di  quello  del  7  ottobre^ 

*  Croniùa  di  Cambridge,  op.  cit.,  p.  48,  anno  6440,  etea'lia  un  cenno 
in  Ibn-el-Athlr,  anno  525,  e  in  Ndsairì,  op.  cit.«  p.  15. 

^  lbn«eV*AtMr  e  Nowaki,  II.  ce  11  secondo,  che  par  abbia  copiato 
qui  la  cronica  primitiva,  dice:  t  con  qb  esercito  e  parecchi  kliid.»  Perciò 
questa  Toce  non  sembra  adoperata  nel  signiQeato  generale  di  capitani 
d' esercito,  ma  In  quel  di  condottieri  di  corpi  minori. 


1957.1  -   188  ^ 

dàtescbe  mercenarie.' Il  capitan  supremo  ebbe  nome 
Abu-Abbàs-Khalfl-ibn-^Ishàk-ibn-Werd.  Nato  in  Tri- 
poli di  nobile  famiglia  arabica,  s  era  dato  in  gioventù 
agli  studiii  alla  devozione,  alle  ascetiche  fòntasie  dei 
sufi;  poi  s'era  vetìduto  ai  Fatemitì,  Mtosì  ministro 
d*  espilazioni  e  di  supplizi  contro  ì  proprii  concittadi- 
ni; rimeritato  con  oficii  d'azienda,  con  governi  di 
città  ;  e  n'abusò,  sapendosi  che  pericolò  la  vita  sotto 
Tavaro  Mehdi,  e  che  campò  per  intercessione  di  Kàim; 
il  quale,  salito  al  trono,  lo  fé' capitano  della  cavalle- 
ria d'  Affrica,  con  giurisdizione  sul  gimd  e  sul  na*- 
vilio.  '  Questo  suo  fidatissimo.  deputò  all'  impresa 
di  Sicilia.  Seiìibra,  che  parte  dell'armala  fosse  alle- 
stita in  frétta  a  Susa.  Poiché  tofna  a  tal  tempo  la  leg- 
genda affricana  che,  avendo  J  calafati  svelto  i  cippi  del 
cimitero  di  Siisa  per  far  puntello  alle  navi  che  si  rac- 
conciavano per  la  spedizione  di  Sicilia,  niuno  osò  toc* 
care  la.  pietra  sepolcrale  del  devoto  lehia-ibn-Omar- 
ibn-Iusùf,  dalla  quale  si  vedea  raggiare  una  portra- 
tosa  luce.  ' 

Khalìl,  arrivato  in  Palermo  a' ventitré  ottobre,* 
fé'  buon  viso  ai  cittadini,  che  gli  si  appresentarono 
protestando  lealtà  al  califo;  ed  ascoltò  lor  querele 
contro  Sàlem  ;  le  quali  furono  ripetute  con  molte  la- 
grime e  strida  dalle  donne,  uscite  anch'  esse  dalla 
città,  menando  seco  i  fanciulli:  doloroso  spettacolo 


<  CpDfronUnsi:  Ibn-rAbbàr,  MS.  delia  Società  Àsiatioa  di  Parigi, 
fog.  104  reclp;  e  Baiàn,XGmo  h  p.  229,  amlo  325. 

'  Riadh'en-Kofui,  fog.  60f8cto»  Idiia  era  ìnorio  verso  il  290.  Però 
ito  sappostp  che  si  tratti  'di  questa  impresa  o  dell*  altra  dei  916. 

?  Così  la  Cronica  di  Cambridge,  op.  dt.»  p.  48 ,  anno  6446.  Nowairi , 
op.  cit.,  dice  alla  flne  del  323;  il  che  torna  allo  stesso  con  poco  divario. 


—  189  —  1957  1 

che  commosse  quanti  il  videro,  scrive  Ibnr-el-Athtr, 
e  ne  piansero  per  pietà.  Bipeteano  tantosto  le  accuse 
contro  Sàlem  i  deputati  delle  altre  terre  dell'  isola,  e 
i  Gìrgenttni  medesimi  che  si  sottomessero.  Khalif 
soddisfece  in  apparenza  ai  Siciliani  con  deporre  d'ofi- 
cio  gli  'dmil  di  Sàlem:  commedia  ripetuta  e  applau- 
dita in  tutti  i  tempi.  Quanto  a  «Sàlem,  né  andò  via  da 
Palermo,  né  perde  il  titoi  di  emiro,  né  pak*  gli  fosse  tolta 
altra  autorità,  che  il  comando  dell'  esercito.  ^  Di  che 
imbaldanziva  tanto  V  animo  servile ,  da  non  sapersi 
frenare  una  volta  che,  abboccatosi  coi  deputati  gir* 
gentini  e  punto  forse  da  loro,  rimbeccò:  non  ridessero 
poi  tanto  ;  aspettassero  «  e  vedrebbero  se  il  principe 
non  «avea  mandato  Khaltl  a  vendicare  il  sangue  del 
soldati  uccisigli  nella  rivoluzione.** 

Calmati  che  parvero  i  Siciliani,  Kbaltl  die  opera 
al  freno  da  por  loro  in  bocca.  Il  palagio  o  castella 
degli  emiri  in  Palermo  giacea  fiior  la  città  vecchia, 
nel  medesimo  luogo  ov'è  adesso  la  reggia/  Provano 
ciò  le  stanze  dei  soldati  rimaste  lì  presso  nel  decimo 
secolo,^  e  il  portico,  o,  come  lo  chiamarono  ai  tempi 
normanni,  la  Via  coperta,  che  dalla  cattedrale  riusciva 
a  quel  sito  e  che  per  certo,  ai  tempi  musulmani, 


*  Sr  vegga  qui  appresso,  Lib.  IV,  Cap.,  1^  p.  33G..Sàlem  rimase  al  certo 
in  autorità  insieme  con.  KhalU.  Senaa  questo  non  si  può  trovare  ragione- 
plausibile  delP  abboccamento  coi'  Girgentini,  né  dell*  essere  lui  rlmaso  in 
palagio  vepcbio;  né  del  titolo  di  emir  cbe  gli  si  dà  alla  morte. 

*  Confrontinsl  :  Ibn-el-Athlr,  Nowairi  e  Ibn-Khaldùn,  11.  ce, 

'  Fazzello,  Deca  I,  lib.  Vili,  cap.  II,  scrive  del  palagio  reale  di  Pa^ 
iermo:  Bone  (arcem)  a  Sarraeenit  ptimum  Panormum  adeptis,  iuper  vttt" 
fù.arcMYttifitf  txeUniam  Utera  inea  mcUa  indicane  Ma  nè'egii  dà,  nò  si 
ò  mai  trovata  la  iscrizione,,  e  però  non  allego  Val  tesllmooiaDza. 

«  Ibn-Haukal,  De«crtpfton  de  Pa/erme,  nel /owmaiilna<iaiie,  IV*  sèrie, 
tomo  V,  p.  OS». 


1937.1  -  190  "-- 

avea  congiunto  il  {Palagio  alla  mo^cbea  giàrn{  ;  sì  co- 
me a  CoriJova:,  *  a  Kairewàn^  *  e  ad  Algeri.  '  Posto 
dunque  ad  un  miglio  dal  mare,  e  standovi  di  mezzo 
città  si  forte  e  popol  sì, contumace,  il  palagio  non 
era  bel  soggiorno  agli  emiri  negli  spessi  tumulti  pa*^ 
lermitani.  Al  contrario,  la  penisola  in  sul  porto  dove 
par  si  fosse  accampato  Abu-Sald  neir  assedio  del  no- 
vecento sedici ,  *  offeriva  sito  difendevole ,  aperto  agli 
aiuti  di  fuori,  ed  acconcio  a  vietarne  ai  Palermitani. 
Kbain  vi  gettò  subito  le  fondamenta  d'una  cittadella 
cui  die  nome  El-Khàlisa,  che  suona  "L'eletta;^  e  in 
vero  dovea  rinserrare  il  fior  dei  leali:  l'emiro,  ì  bx\oì 
mercenarii  da  spada  e  da  penna  ;  palagio,  arsenale, 
oficii  pubblici  ;  prigione  :  tutta  la  macchina  gover-^ 
nativa;  come  una.Mehdia  in  piccolo,  circondata  di 
murai  e  molto  bene  afforzata/  All'oso  dei  tempi, 
Kalll  risparmi^  danari,  sforzando  la  gente  a  lavorar- 
vi ;  ^  oltreché  fece^^abbattere  le  mura  della  città  vec- 
chia, e  toglierne  un'altra  fiata  le  porte.  ^  I  Palermi- 
tani  fremevano,  è  non  poteano  dar  crollo:  Ma  i  Gir- 


<  9Vakkari,  MohammédandynasUea  in  Spàin^  versione  di  Gayangos, 
tomo  I,  p.  220  ;  Edrisi^  Geagraphie,  vers.  di  Jaobert,  tomo  li,  p.  58scg. 

^  Bekri,  versione  di  Quatremère,  Noiices  et  Extrait»,  tomo  XII,  p.  47$. 

'  Bargès,  descrizione  della  Moschea  principale  d'Algeri  ai  1830,  nel 
Journal  Asiatique,  sèrie  Ul^tomo  XI,  p.  182.  Quivi  non  si  dice  in  vero  ebe 
di  ona  porta  cki  comunicazione  col  palagio  del  jgovernatere. 

*  Veggasi  il  cap.  VII  di  questo  LìlH'o,  p.  IS7,  158. 

'  Ibn-Haakal,  Descf  tpfioji  de  Balerme,  nel  Journal  Àsiatique.tétie  iV*, 
tomo  V,  p.  22, 23;  Novir^iri,  Enoieloìpedia,ìti\à.y  p.  104,  Bdrisi,  Géographie, 
versione  di  Jaabert,  tomo  II,  p.  77. 

^  Ibn-eT-Atbtr,  anno  525,  scrive  che  da  gente  fu  molto  aggravata 
nella  costruzione  della  cittadella.»  I  pahMicisti  mustlmanl,  priocIpsrlmeDte 
Mawerdi,  ci  danno  il  comento.  Veggasi  il  cap.  1^  di  questo  Libro,  p.  10, 
nota  4. 

^  Cronica  di  Camhfidgei  Ibn-«l-Athlr  «  Ibn-Khaldùu,  U.  ce. 


—  191   —  1938  1 

geDtitii,  addandosi  che  Sàlem  avea  ragione,  vollero 
ripigliare  le  ermi  pria  che  KhaUl  non  architettasse 
qualche  altra  cittadella  in  casa  loro. 

Onde  afiforzan  le  mura  alla  meglio;  fanno  prepa- 
i;amenti  di  guerra:  Khalil,  dal  suo  canto,  accozzò 
grosso  esercito,  tra  i  Siciliani  e  le  forze  recate  d' Af- 
frìca  ;  coi  quali  movea  di  Palermo  il  nove  marzo  del 
novecentrentotto.  Usciti  i  Girgentini  allo  scóntro,  vin- 
sero  per  sanguinosa  battaglia,  nella  quale  cadeano 
due: capi  di  gran  nome  tra  i  regii:  Jbn-abi-Khinzir, 
oh*  è  lo  stesso  casato  dell'  emiro  del  novecentoundi- 
ci; ed  Ali-ibn-abi-Hosein  della  trìbii  di  Kelb,  genero 
di  Sàiem  e  ceppo  della  dinastia  che  poi  regnò  in  Si- 
cilia. Pur  l'esercito  regio,  poderoso  e  condotto  dalla 
volontà  inflessibile  di  Khalil,  non  ostante  la  prima 
sconfitta,  continuò  Tassodio  per  otto  mesi;  nei  quali 
non  passò  giorno  che  poco  o  molto  non  si  com- 
battesse; finché,  sovrastando  la  stagione  piovosa, 
Khah1  levò  il  campo  a' ventidue  ottobre.  Svernò  alla 
Khàlèsa;  fece  venir  d Affrica  altri  Berberi,  come  il 
provano  i  nomi  de' capitani  Wasàmd  e  Ibn-Modù;  ^ 
ed  attese  a  levar  novelli  tributi  su  le  popolazioni  si-* 
ciliane  che  gli  ubbidivano.  Onde,  oppresse  della  gra- 
vezza, mosse  dairesempio  e  dalle  istigazioni  dei  Gir- 
gentini, si  chiarirono  ribelli  tutte  le  castella  e  il  popol 
di  Mazafa,  scrive  Ibn-el~Athir ,  particolareggiando 
molto  ì  casi  di  cotesta  guerra.  E  le  castella  si  deve 

'  Colesti  oomi. dalla  sola  Cronica  di  Cambridge.  La  sillaba  tua  enln 
in  parecchi  oomi  berberi  in  vece  deli'  arabico  tftfi,  figlio.  ModH  sembra  delio 
stesso  conio  ;  non  arabico  al  oeru>.  Si  trova  in  £drisi  con  ortografia  poco 
diversa  il  nome  d'un  castelletio  (ra  Raodaazo  e  Gastigiione,  cbe  risponde- 
rebbe a  Hijo  d*  oggidì. 


[9391  —   192  — 

intendere  del  Val  di  Mazara;  trovandosi  tutti  in  quetia 
provincia  i  nomi  dei  quali  si  fa  ricordo;  né  parendo 
da  altro  indi:iio  che  fossero  per  anco  sparse  le  colonie 
musulmane  a  levante  del  Salso.  «  Misero  in  Campo 
»  (continua  Ibn-^el-Athir)  loro  gualdane;  la  ribellione 
»  fece  passi  da  gigante;  scrissero  all'imperatore  di 
»r  Costantinopoli ,  chiedendo  aiuti;  il  quale  mandò 
))  navi  (X)n  uomini  e  frumenti.  »  A  tal  pdit*titò  si  scòrge 
la  disperazione;  ed  anco  air  insolito  accorda  che  par 
sia  stato  tra  gli  Arabi  e  i  Berberi  dell' isola;  ed  alla 
ostinatissima  resistenza  :  e  viùcean  la  prova ,  se  Pa- 
lermo voleva  o  potea  tentare  uno  sforzo  estremo;  se 
i  sollevati  sapeano  sottomettersi  ad  unità  di  comando; 
é  sfi  la  carestia  non  combatteva  anco  pei  Fatemiti. 
Khalfl,  nella  primavera  del  novecentrentanové,  co- 
minciò la  guerra  ai  passi  delle  Madonie  :  espugnò  CaK 
tavuturo,  Kalat-és-siràt,  *  Siclafani;  le  quali  non  si  ri-: 
trae  che  fossero  state  soccorse  dai  distretti  meridio- 
nali. Assicurate  cosi  le  spalle  e  le  vittovaglie,  volse 
a  ponente;  occupò  Mazara;  '  indi  una* penisola,  ch'io  * 
credo  il  Capo  San  Miarco,  dóve  fu  preso  un  condot- 
tiero bizantino  o  dr  schiatta  siciliana ,  per  nome  Foca 
o  simile,  cui  Kbalil  fé  nìorire  tra  i  tormenti:  '  indi 

*  Risponde  a  Gollesanod*  oggidì  secondo  le  distanze  nolate  da  Edrisi^' 
fi  qtiale  la  òi  con  qaesto  nome  istesso  dT  Kalat-es-Siràt. 

•'  L'jordine  delle  operazioni  militari  di  Khaltl  è  dato  dalla  Ctonita  di 
Cambridge  e  sta  bene  a  martello,  il  nom^  che  scrivo  Mazara  è  cc/6«ra/ 
fetta  dai  primi  traduttori  Kalbara,  arbitrariamente  nella  prima  Sillaba.  Cor^ 
reggendo  Mazara  non  si  viene  ad  alterare  alcun  dei  tratti  pi;incipali  e  si 
trova  la  importante  città  nominata  da  Ibn-el-Àlfatr.  Quanto  a  Kalbàra,  o 
come  che  si  legga,  la  prima  sillaba»  non  v'  ha  nome  noto  da  potervisi' adat- 
tare ;  e.  non  è  dà  pensare  né  anco  per  ombra  alla  Calabria. 

3  11  fatto  e  ii  nome  nella  sola  Crgnaca  di  Cambridge,  ove  il  secondo 
è  selrilto  senza  vocali  Fkh  e  si  potrebbe  legger  Foca^  o  con  altra  vocale 


—  193  —  (059.| 

mosse  oon  tutte  le  genti  air  assedio  di  Caltabeilotta. 
Ebbela  a  patti,  dopo  sanguinosa  battaglia  vinta  il  dieei 
luglio  ;  ne  potè  fare  altra  impresa  fino  al  settembre , 
quando  messe  il  campo  a  Platani.  La  quale  giaceva 
a  dieci  miglia  in  circa  da  Caltabeilotta,  una  ventina 
dt  Girgenti  e  sei  dal  mare:  antica  fortesza  d'un  mi^ 
glie  in  giro,  su  la  cima  del  monte  chiamato  in  oggi 
di  Platanella,  che  sorge  stagliato  e  dirupato  d'ogni 
banda  su  la  ripa  destra  del  Hume  di  Macasoli  e  so  la 
sinistra  del  Lieo,  il  quale  ha  mutato  il  nome  in  Pla^ 
tani.  La  trovarono  i  Musulmani  al  conquisto;  la  ten<- 
ner  anco  sotto  i  Normanni,  foriODidabile  e  munita 
d'una  rócca;  vi  s'afforzarono  nelle  guerre  civili  al 
principio  del  regno  di  Federigo  S ve vo,  quando  par 
siano  slati  smantellali  i  ripari,  e  il  villaggio  conceduto 
coi  terreni  alla  Cattedrale  di.  Palermo.  Tantoché  nel 
decimosesto  secolo  ne  avanzavan,  dice  Fazzello?  mira- 
bili rovine,  ed  oggi  il  nome  di  Calata  .attesta  su  le 
carte  geografiche  il  sito  della  ròcca.  ^ 

che  fu  preferita  nella  Tersiòo  latina,  e  non  è  bello  ripeterla  in  Italiano.  An^ 
cerche  Fikh  significhi  in  arabico  la  scienza  del  dritto,  qui  è  nome  d*uomo 
e  d'un  Inoipa  che  il  prese  da  lui;  né  credo  abblan  gli  Arabi  tal  nome  pro- 
prio. Al  contrario  è  noto  ad  ognuno  nelle  istorie  bizantine  il  casato  Poca, 
illustre  in  qiie*  tempi  :  e  ciò  mi  ha  suggerito  la  prima  lezione.  Nondimeno 
il  latino  e  (perchè  not)  l'Italiano  potean  anco  fornire  il  soprannome  d'ai** 
cun  cristiano  di  Sicilia ,  il  cui  braccio  avessero  accettalo  i  ribelli  musul- 
mani, sì  come  avéan  chiesto  gli  aiuti  di  Costantinopoli.  B  In  vero  presso 
il  Capo  di  San  Marco  è  un  luogo  detto  Picana.  Questo  appunto,  e  la  ooin<* 
cidenza  del  sito  presso  Hazara  e  Caltabeilotta,  mi  ha  persuaso  che  si  tratti 
della  penisola  del  Capo  San  Marco.  Uo  interpretato  penisola  la  voce  geaira 
del  testo,  cbe  vuol  dire  ^ncbe  isola. 

'  Si  vegga  pel  XU  secolo  la  geografia  d' Edrisi  ;  pel  XIII  e  XtV,  i  di- 
plomi accennati  da  Pirro,  SieiHa  Sacra,  p.  136,  e  da  HuiUard-Breholles, 
BUtoria  éi^maiiea  Frederìci  II imperatorU,  tomo  I,  p.  il S,  194;  Horlil-' 
laro.  Catalogò  dei  diplomi  della  Catledrale  di  Palermo,  p.  90  ;  .e  pel  XVI, 
la  descrnlone  di  Fazzello,  Deca  I,  lib.  X,  cap.  Ili. 

II.  13 


(030.)  —  494  ~ 

Indarao  travagliossi  Khattt  contro  Plalatii;  anzi 
abbandonò  o  perde  Caltabéllotta  ;  a  ripigliar  la  quale 
avendo  spiccato  parte  de'  suoi,  i  Gii^entitii  una  notte 
di  novembre  assalivano  improvvisi  I-uno  e  T altro 
campo;  sformavano  quel  di  CaltabeMotta ;  lo  saccheg-* 
giavano,  metteano  in  fuga  gli  assedianti.  Rbalfl  alt^ 
rìsoltttamentie  lasciò  anco  l'assedio  di* Platatii,p€fr  con-r 
centrar  tótte  le  forze  contro  Girgenfi ,  nodd  princfpale 
della  guerra  ;  per  chiudere  quegli  audaci  entrò  loi^ 
miìra,  sì  che  non  gli  facessero  altra  vergogna,  e  che 
sentissero  più  crudelmente  la  fame. 

La  quale  straziava  tutta  T  ìsola;  prodotta  non 
tanto  da  inclemenza  di  stagioni  e  da'guasti  inévitabiti 
della  guerra,  quanto  da  satanic  arte  dkKballl;  ri  qàale 
non  mentì  al  certo  quando  van tossi  d'avere  spento 
di  ferro,  e  di  fame  centinaia  di  migliaia  d' anime  in  Si^ 
citia.  Ormai  tutta  la  strategia  ^tava  nel  niidrire  i  pro^ 
prii  soldati,  poiché  i  nemici  sarebbero  morti  senza 
ferite:  e  il  capitano  computista  d'Affrica,  facendo  ra- 
pir ogni  maniera  di  t;ibb  che  potesse,  conseguiva  a 
un  tratto  la  salute  de  suoi  e  la  distruzion  de' Siciliani., 
La  carestia  ingombrò  cittadi  e  campagne,  scrive  la 
cronica  del  paese;  padri  e  madri  mangiarono  i  cada- 
veri dei  figli  ;  abbandonate  dagli  uomini,  rovinarono 
le  castella;  le  tèrre  coltivate  rinsal vatichirono :  una  in- 
finità di  gente,  aggiugne  il  Amd» ,  fuggendo  )a  carestia 
e  i  sicarii  di  Kbalil ,  riparò  qua  e  là  nei  paesi  di  Bum, 
eh' è  ^  dire  Italia  o  Grecia;  dove  la  più  parte  si  fe- 
cero cristiani.  Mentre  seguia  nell'  isola  cotesto  scem^ 
pio,  KhaM  stava  ali* assedio  di  Girgenti:  poi  lasciovvi 
forte  schiera  con  Abu-Kelef-ibn-Harùn,  ed  egli  si  ri- 


—  i95  -—  |94a*a4i.| 

dusse  ia  Palermo ,  certo  ormai  deir  esito.  E  di  marzo 
del  noveceiMpiaranta,  Platani  jnespugiiatrile  s'arrendè; 
Girgenti  tenue  il  férmo  finché  i  piò  savii  o  avventurati 
si  £;alvarqno  con  la  ftiga;  i  rimagnedti  aprirono  le  portef 
a  patto  d' uscire  salvi,  il  venti  novefmbre:  boa  Kbaìil, 
quandi ebbell  nelle  sue  fòrze,  spezzando  la  fede  me- 
molli  ili  Palermo.  Le  altre  castola  spaventate  a  que- 
sto eccesso  s'  affrettmt)no  a  chiedere  perdono,  sjpé- 
rando  placare  it  tiranno:  latta  la  Sicilia  tornò  at  nomef 
dei  Ffttemiti.  KhaUI  mandava  a  Kdim  i^  Affrica  le  ca^ 
tevve  dei  prigioni  da  vendere  ;  *  uè  andò  guari  che' 
parendogli  queta  ógni. cosa,  s'imbarcò  egli  slesito^ 
per  r  Affrica  a' dieci  settembi^d  novecenquàrantutto; 
la$(Jiando  al  governo  (^i  Palermo  due  delegati,  per 
nome  Ibn--Ki]fi  e  Ibn<- Attàf  della  tribù  di  Azd;  '  òhe 
SSkm  era  morto  V  hanno  innanzi.  Si  tirò  dietro  in  al- 
tro legno  i  n6tat)ili  di  Girgenti.  E  ìà  atto  mare  co- 
mandò di  sfondare  la  nave;  sì  che  tutti  perirono.  ' 

Donde  gli  annalisti  musiilmani  si  spoton  di  loro' 
aritmetica  impass;ibiiìtà,  venendo  a  parlare  di  questo 
Khalfl;  e  chi  rinfeima  d'aver  ecceduto  ogni  limite  di 

'  La  Crmita  di  Cambridge  accenoando  sola  questo  fatto,  osata  espres- 
sione sebi,  che  vuol  dir  prppriameoie  le  donne  e  fanduUi  prigioni.  Panni- 
qur  adoperata  in  significato  più  largo. 

*  11  nome  etnico  di  'Altàf  è  dato  d^l  «olo  Ibn-Kbaldùn,  Histoire  de 
l'AMiue  ti  de  la  SiciU ,  p.  165/ 

'  Qaest*  ultimo  periodo  deità  rivoluzione  si  ricava  in  parte  dalla  Oro- 
mead!CambHdge,anni6447a04S0,  presso  Di  Gregorio,  Aerii^ilra6teartif|i. 
p.  48,  49  ;  in  parte  da  Ibn-el-Atblr,  anno  3%S.  Si  veggano  anche  il  Baiétn, 
edix.  Doz:f,  tomo  f,  p.  285;  Aboifeda,'  anno  3^;  Ibn-Khaldùn,  Histoire  de 
l'Afrique  et  de  la  Sieile,  versione,  p.  104, 168.  Il  Nowairì,  presso  Di  Gre- 
gorio, p.  i3,  accenna  la  venuta  e  la  partenza  di  KbaHI,  senza  far  motto 
delta  guerra.  Il  Rampoldl,  Annali,  tomo  V,  p.  3i5,  2t7, 22f,  285,  930,' 
annf  937, 958,  989, 940,941,  aggiugné  éi  capo'  suo  una  ribellione  tn  Pa^ 
lermo  ia  questo  secondo  perìodo,  aiutata  dal  Bizantini  ;  e  ciré  il  governo 
d'Aflhrica  mandasse  grani  in  Sicilia. 


IWI.J  —  1%  — 

efferata  barbarie,  chi  nota  aver  costai  fatto  in  Si- 
cilia ciò  che  niun  altro  Musulmano  osò  prima  né  poi 
m  alcun  paese.  Si  narra  che  al  ritorno  in  Mehdia,  se- 
dendo  un  giorno  a  brigata  coi  primi  della  città,  ca^ 
dttto  il  discorso  su  la  guerra  di  Sicilia,  tempio  si 
millantava:  ^'Non  saprei  giusto  giusto  quanti  ve  ne 
feci  morire;  non  furono  più  d'un  milione,  non  meno 
di  secentomila. "  E  fatta  breve  pausa,  ripigliò:  ^Slper 
Dio,  passarono  i  secentomila."  E  una  voqe  s'alzò,  del 
maestro  di  scuola  Àbu-abd-Allah ,  che  gli  rispose 
senza  cirimonie:  *  ''Va,  Abu-1-Abbàs,  che  ti  basta  un 
omicidio  solo,**  '  alludendo  al  grave  peccato  ch'ero  di 
sparger  sangue  per  caso  di  maestà.  ^ 

Non  andò  guari  che  KhalQ  n'e^^be  il  gastigo 
dalle  mani  degli  uomini;  Minacciata  Katrevvàn  dal  ri- 
belle Abu-Iezid,  e  tentennando  i  cittadini  tra  la  pipiura 
delle  sfrenate  sue  moltitudini ,  e  V  odio  contro  casa 
fatemit^,  Kàim  vi  mandò  il  gran  sicario  della  dina- 
stia con  una  banda  di  mille  Negri  a  cav|illo.  Il  quale, 
all'usanza  vecchia,  cominciò  a  velare  e  maltratta- 
re, e  tentava  anco  la  cura  della  fame,  spazzahdo  il 
contado  con  orribile  guasto;  ma  fé' contrario  effetto, 
poiché  i  cittadini  mormorarono,  poi  cospirarono,  e, 

'  Era  modo  familiare  il  chiamare  col  ftente^^pssia  primo  soprannome, 
anzicbè  col  nome  proprio  o  coi  titolo  di  dignità. 

'  Confrontinsi:  Batdn,  l.  c.„e  Ibn-Abbàr,  MS.  della  Società  Asiatica 
dì  Parigi,  fog.  104  recto. 

'  Peccato,  poiché  i  pubblicisti  più  accreditati  non  permettetiiao  di  ucci- 
dere i  ribelli  presi  con  le  armi  alla  mano»  né  di  tenerli  in  prigione  finita 
che  fosse  la  gaerra,  né  di  prendere  i  loro  bèni,  né  di  far  cattive  lor  donne 
e  figliuoli.  Veggasì  Mawordi,  AhMm.  Sullanta,  ediz.  Enger,  p.  98  e  seg.; 
The  Hedaya,  versione  inglese  di  Hamilton,  lib.  IX,cap.  iX,  nel  tomo  II,  p.  2^. 
Nell'impero  ottomano  prevalsero  poi  dottrine  più  tiranniche,  le  quali  si 
ricerchino  in  D'Ohsson,  Tableau  de  V Empire  Ottomani  tomo  VI,  p.  253. 


—   197  —  I944.J 

come  minor  male,  ehiamarono  Abu-Ieztd.  Appres- 
sandosi r  esercito  ribelle  (ottobre  944),  Khalfl  perde 
r animo  :  uscì  alla  battaglia  quasi  sforzato;  fuggi  pria 
che  si  venisse  alle  mani;  e  corse  a  chiudersi  nel  pa- 
lagio di  Kairewàn.  Dove  preso  dai  ribelli,  T  uccisero 
coi  suoi  sgherri,  e  appiccarono  il  cadavere  a  un  pa- 
lo, alla  porta  chiamata  di  Rebi\  * 


CAPITOLÒ  X. 


Fortoneggiarono  i  Fàtemitì  m  questa  rivoluzio- 
ne. I>icemmo  noi  che  le  sètte  kharegite  ardeanò  ab 
antfco  tra  i  Berberi,  or  covando,  or  divampando!  Dal 
ramo  degli  Ibaditi  si  spiccò,  com'  egli  avviene,  novella 
affiliazione  che  prése  nome  di  Nekkariti;'  e  contaminò 
la  giustizia  dello  scopo  con  la  stolta  iniquità  dei  mezzi  ; 
insegnando  legitthni,  T  omicidio,  lo  stupro,  la  rapina 
su  tutti  i  non  Nekkariti;  ch'era  a  dir  quasi  tutto  il 
genere  umano.  Gli  ultimi  proseliti  par  che  oggidì  ri- 
mangano ^ente  ìndustre  e  tranquilla,  ned*  isola  delle 
Gerbe  ;  Ove  ài  certo  fecero  gran  parte  della  popola- 
zione e  corpo  politico  dassè,  infino  al  decimoquarto 
e  al  decimoquinto  secolo.  *  La  setta  prese  subito 

<  Gonfrontinsi:  Ibn-Àbb&r,,  MS.  della  Società  Asiatica  di  Parigi, 
fog.  104  recto;  Baidn,  tomo  I,  p.  233;  lbo-el»Atbtr,  MS.  C,  tomo  IV, 
fog.  545  recto,  anno  333. 

'  Significa,  *Qaé*cÌ)e  dicono:  Ncmvogliam  saperne  nulla,*  (proprio  co^ 
me  i  Enow'W>thing8  d'America. 

'  Veggasi  :  Tigiani  nel  Journal  Asiat. ,  sèrie  I V»,  tomo  XX,  p.  I7J ,  seg.  ; 
tbu-KbaldÙn,  Hi$toire  dea  Berbères,  passim. 


1944.1  -  i98  - 

augumento,  aei  principii  del  decimo  secolo,  aUa  esal- 
tazione dei  Fatemili;  quaiKlo  bì  vide  per  prova  la  - 
eiBcacia  di  coleste  traine  nella  «cbiatta  berbenai  e 
quando  la  servile  superstiskme  ismaeliaaa  iumìtò 
p.provooò  i  liberi  spirili  dei  Kharegi*  Sorse  allora 
nel  Gertd  tunisino ,  p  vogliao)  dire  regione*  me- 
ridionale deir  odierno  Stato  di  Tunis ,  un  Abi|*^Iezidr 
Mokballed-ibn-Eeidàd  dèlia  tribù  d'^Ifren  e  nazione 
di  Zonata  ;  uom  povero,  piccino,  zoppo,  deforme  in 
volto,  ma  di  grande  intelletto  e  animo  da  bastare  a 
qualunque  impresa  ;  il  quale,  noiato  di  stentar  la  vita 
insegnando  il  Corano  ai  giovanetti,  si  mescolò  coi 
dottori  nakkariti  che  volean  fare  e  non  sapeano  ;  di- 
venne  dei  principali  della  setta  ;  os6  allarf^ria.  e  mu- 
tarla io  cospirazione.  A  capo  d'uaa  ventifia  4' aiwi 
4' affaticamento  e  persecuzioni,  imprigionato  dal  go- 
vernatore diTai|zer,  liberato  da'suoi  per  audace  colpo 
di  mano,  si  rifuggiva  all'altra  estremità  deli* impero 
fatemi ta,  tra  i  monti -Aurès  ;  dove  accozzatisr  eoo.  esso 
^ttri  rami  di  fiètt?  kbaregite  ed  alcune  trìbii  della 
nazione  di  Howdra,  Tanno  trecentrentuoo  (942-43) 
si  deliberò  ì^  ribellione  :  che  Abu-Iezfd  ne  fosse  capo, 
p  che,  caccìaU  i  FatemUi ,  Y  Affrica  si  regge^s^  a  re- 
pubblica. Abu-Ieztd  s'intitolò  democraticaipenteSceikh 
(lei  Gredeotì  ;  si  mostrò  alla  testa  degli  eserciti,  ve- 
stito d  un  rozzo  saip  di  lana;  montato  sur  un  asi- 
nelio balzano  ;  onde  gli  dissero  "^  Il  cavalìer  del  ciu- 
co. "  E  con  centomila  Berberi  di  varie  tribii,  di  va- 
rie  sètte,  feroci  tutti  e  indisciplinati,  occupò  T  Affrica 
propria.  Delle  molte  battaglie  eh'  ei  combattè  con  va- 
ria fortuna,  sempre  con  valore  e  costanza,  rìpordere- 


—  199  —  1944.^ 

mo  sol  diiev  pelle  quali  gir  stette  a  fronte  un  Siciliano, 
probabilmente  di  schiatta  greca,  per  noaie  Boscerà,.' 
schiavo  di  KAiro.  Aveva  il  caltfo  a  un  tempo  mandato 
KhaiU-il^-Ishak*  a  Kairew^,  e  questo  Bosoera  con 
un'esercito  a  Regia,  città  dentno  terra  tra  Tupis  e 
Bona,  perchè  la  difendesse  contro  jl  ribelle  che  s'avan- 
zava a  quella  volta,  T  anno  quarantaquattro.  Appic- 
cata la  zuffa  andavano  in  volta  i  seguaci  d'  Abu- 
le^d,  quand' ér corso  addosso  ai  fuggenti,  smontava 
dal  destrier  di  battaglia ,  si  fiicea  recare  il  bastpn  da 
pellegrino,  e  T  asindlo  balzano;  lo  cavalcava  gridan- 
do: ^Co6i  fo  cbi^vuol  non  fuggire,  ma  vincere  o 
morire  !  "^  Li  rattestò  ;  girò  di  fianco,  tanto  che  giunse 
dietro  gli  accam{^amenti  di  Bcseera,  nunacpiando  ta- 
gliargli la  ritirata.  Alia  quale  mossa,  il  capitano  fa- 
tornita  fé -stonare  a  raccplta;  precipitosamente  prese 
la  via  di  Tunis,  inseguito  da  Abu-Ieztd  ;  il  quale  gli 
uccise  gran  gènte  ;  pkiese  e  messe  a  sacco  Begia  ; 
occupò  Tunis ,  abbandonata  anco  da  Boscera  che  in- 
dieliaeggiava  a  Susa.  Quivi  gli  giuAsero  rinforzi  di 
Mehdia ,  e  ordini  di  Kéim  che  ripigliasse  le  o£kse. 
Onde  uscito  da  Susa,  trovandosi  a  frónte  un  Ioq^ok 
tenente  d'  Abu-Ieztd  per  iiome  Aiùb-ibti-Kbetràn , 

<  È  iroce  arabùHi  che  significa  "baona  nuova;  *  un  de'  nomi  cbe  ve- 
lentierì  si  davano  ali!  scbiairi.  Andrebbe  meglio  trascriua  in  francesaBoeJkm, 
che  no»  si  pa6  rendm^sol  nostro  sifibeto.  Tiglani  dice  cosmi  siciliano  (si* 
UUiì;  il  testo  d' Ibn-KtialdOn  pubblicato  da  M.  De  Slane  poru  Schiavo- 
ne(8aklabi);  né  so  determinar  la  vera  lesione.  La  critica  storica  ci  ricorda 
che  tra  gli  schiavi  ^  ìnercenarii  dei  Fatemiti  vi  fossero  al  paro  e  Siciliani 
6  Slavi.  La  dilferensa  Ira  ooteste  due  voci  in  scrittura  arabica  è  lievissima, 
e  però  il  merito  dei  MSS.  non  può  servìee  di  argomento  decisivo.  Nondi- 
meno, Tigiani  fu  erudito  più  diligente  che  Ibn-Kkaldùn,  e  i  HSS.  deHe 
sue  opere,  co|rfaii  assai  men  sovente  cbe  <|uelli  d*lbn*Khaldta,  sembrano 
men  sospetti  d*  orrore. 


I94S.I  -   200  — 

combatterono  ad  flerkla ,  com'  or  si  cbiama ,  io  sul 
golfo  di Hammamet;  dove  trionfò Bosceracon  grande 
strage  dei  nemici;  maritirossi  a  Mebdia  prì^  cbe  lo 
sopraggiugnesse  Abu-^Iezìd,  col  grosso  dell'  Qjserclto.  ' 
Così,  facendo  una  punta  quando  si  poteva,  Kèim  900-* 
teS|8  r  Affrica  ai  ribelli  ;  senza  iinpedire  cbe  il  soe^ 
desimo  anno  cacciassero  i  suoi  d'ogni  luogo,  fuorché 
Snsa  e  Méhdia,  e  lo  assediassero  nella  capitale  {gQn- 
naie  945).  Occuparono  tosto  i  sobborghi  ì;  dettero  as-^ 
salti  pila  fortezza,  un  de' quali  (luglio  945)  recò  tajl 
paura;  che  grande  nùmero  di  cittadini,  massime  i 
mercatanti,  Hfuggivansi  chi  in  Tripoli,  chi  in  Egitto, 
molti  in  Sicilia. 

Nondimeno  le  fortificazioni  di  -Mebdia  salvarono 
la  dinastia,  dando  tempo  alla  dissoluzic»ie  delle  forsse. 
d'Abu-Ieztd  che  si  componemmo  d' elementi  eterog^ 
nei.  La  cittadinanza  di  Kairewàn,  e,  poco  più  poco 
meno,  il  rimanente  d^la  schiatta  aral»ea,  mal  soffriva 
la  eresia  nekkarita ,  quantunque  Abu-Iezid  per  sod*- 
disfar  loro  avesse  ristorato,  in  pubblico  il  culto  orto- 
dosso. Peggio  potean  tollerare  le  licenze^  e  rafiline 
deir  esercito,  e  la  dominazione  dei  Bèrberi.  Però  ta 
municipali tà  di  Kairewàn,  quando  apri  le  porte  ad 
Al)u-Iezid ,  fece  secolui  un  accordo  che  si  chiamas- 
sero gli  Omeiadi  di  Spagna  ;  ai  quali  furpno  mandati 
veramente  oratori  :  e  gli  Omeiadi  promesser  molto, 
ma  non  si  venne  a  conchiusione. 'Intanto  Ab|i~Iezid, 

<  Queste  due  baUaglie  sono  raccontale  da  Tigiaai»  Journal  Àsiatique, 
sèrie  IV«,  tome  XX,  p.  IO!,  seg»  Si  TOgga  anche  Ilm^^KlialdCin,  Storia  dei 
Berberi,  teste  arabo,  tomo  II,  p.  18,  i9. 

^  I  dotti  e  la  cittadinansa  di  Kairewàn  seguirono  con  molto  ze\o  Abu-. 
leztd  all'assedio  di  Mehdia.  Gbi  mai  scriTorà  questo  bel  tratto  di  storia. 


~  20i    ~  I1M6.1 

inebbrìato  dell'  aver  che  fare  con  genlilaaminì,  si  ve- 
sti di  seta,  montò  bei  cavalli^  e  si  alienò  gli  animi 
dei  Kharegi  più  schietti  o  più  «rozzi  ;  de'  quali  un  gli 
surse  cpnti^o  con  le  armi  ;>  altri  a  poco  a  poco  i'  ab- 
bandonavano ;  né  gli  valse  allora  ripigliar  V  asinelio 
e  la  casacca  di  lana.  La  diflSpoltà  dell' impresa  di 
Mehdia,  accrebbe  le  discordie  tra  gli  assedianti;  Vi  si 
aggiunse  la  virtù  d'Ismaele  figliuolo  di  Kàim,  giovane 
animoso,  eloqaentissimio,  attivo,  dotato  di  sagacità 
politica  e  di  gran  vedere  nelle  cose  di  guerra,  al 
quale  il  padre  affidò  il  comando  supremo. 

Donde  Abu-Iezid,  ributtato  in  varii  assalti,  ve- 
dendo assottigliare  Y  esercito  da'  malcontenti  che  se 
ne  andavano  b  da'  masnadieri  che  correanD  qua  e  là 
per  V  Affrica  in  busca  di  più  facii  prèda ,  partitosi  di 
Mehdia  (gennaio  946),  osteggiò  Susa,  cui  sperava  ri- 
durre di  leggieri;  e  gli  falli.  Venuto  intanto  a  morte 
Kàim  (maggio  946),  Ismaele  T  occultò;  poi,  avuti  se- 
gnalati avvantaggi  sopra  il  ribelle,  promulgò Ja  esaU 
tazione  al  trono;  preso  il  soprannome  di  Mansùìrr- 
biamr-IUah ,  0  diremmo  *"  Vittorioso  per  voler  di  Dio. '^ 
Continuando  la  guerra  in  persona,  incalzò  Abu-ìezid 
ritrattosi  negli  Aurès;  dopo  fieri  combattimenti  Io  as- 
sediò in  un  castello  tra  i  monti  di  Kiàna;  donde  il  ri- 
belle tentò  una  sortita:  fu  colpito  in  ironie  e*  alle  sfal- 
le; fuggi;  lo  presero;  e  dopo  pochi  giorni  mori  di  sue 

non  dimenUebi  le  noUxIe  che  ne  dà  il  RUUth-^n-NofiU ,  fog.  SO  vnrso 
a  91  vèrso.  Qdìtì  si  nsm  la  deliberazione  press  dai  fakih  nells  Moschea 
gismi'  di  Ksirewftn;  i  dotU  ehe  s'amavano;  le  corperaiioni  due  veniano 
in  arnesi  di  guerra  con  lor  liSndiere  di  varH  ckàoH  scritte  con  varie  leg- 
gende; i.  martiri  caduti  in  battàglia  ec.  11  dotto  Abo-l«<Avab,  eh' era -dei 
capi  rivploiiònarii,  sciamava  all'assediò  di  Mehdia:  "Ho  scritto  di  mia 
mano  1500  trattati;  ma  il  combatter  qui  vai  meglio  che  iania  dottrina!  " 


ferite  (a^to  947).  I  Nekkariti  mtanto  erano  oecisi 
jper>  iattei  l'Affrica  alla  -  épiociolata.  FadU,  figliuolo 
di  Aba-Iettd,  che  rimase  in  sa  le  armi  dopo  il  pa- 
dre, fa  morto  a  tradioi^oto  e  mandata  la  tasta  a  Man- 
sur;  molato  a  tr^imeoto  ÀiA6,  altro  figlioolo  rinoivato 
scrittoio  di  genealogie  berbere;  pertegaìiata  fiera- 
meotè  fotta  la  tribù  d' Ifren.  - 

€osì  ebbe  fine  dopo  quattro  anni  la  ribelli(Hie 
nekkarita.  Kftim  -,  serrato  ta  Mabdià,  non  s' era  trovati 
jaltri  amici  fedeli  che  la  tribù  di  Sotàma.  e  una  parte 
della  nazione  di  Sanhdgia  che  ubbidiva  a.Q^i-^iJbn^ 
Menàd:e  da  ciò  venne  la  grandezza  della  casa  di 
Ztrì,  che  regnò  in  Affrica  per  due  secoli.  Capitario 
e  consigliere  fidatissimo  di  Mansùr  nella  medesi- 
ma  guerra  fu  Aba-l-Kftsem-Hasan-ibn-Ali-ibn-Abi^ 
Hosein,  dèlia  tribù  arabica  dt-Kèlb;  rimunerato incon* 
tanmte  òo\  governo -della  Sicilia,  che  rimase  per  un 
secolo  a'  suoi  discendenti.  ^  Aggiugne  uri  diligente 
compilatore,  essersi  dato  ad  Hasan  tal  altro  carico 
che  parrebbe  macchia  ai  nomi  più  infiunati  dei  nostri 
dì  ;  ma  k)  possiam-  credere  al  decimo  secolo ,  si  come 
i  posteri  sarà  forza  ohe  crédano  al  secol  decimonono 
il  si^)plìzio  del  bastone  in  Italia.  Quel  prode  e  collo 
MansAr  avea  fatto  scorticare  il  cadavere  d'Abu-Iezid, 
imbottir  di  bambagia  la  pelle  e  condurre  il  misero 

'  11,  cenno  che  do  di  questa  grande  rivoluzione  è  tolto  da  Ibn-el-Atlitr, 
anni  853,  ISSé;  MS.  0,  tomo  V,  fog.  345  recto  a  546  recto;  Béidn,  tomo  i, 
p.  900  a/228;  Tigiant,  Jmrml  AHtUique ,  sèrie  V«,  tomo  t,  p.  f7S,  seg.; 
lbn*Khaldùri,  Storia  dei  Berberi,  lèBìOi  tomo  II,  p.  16a  33;  Ibo-HamnM , 
Journal  iftoftfire» sèrie IV«, tomo XX, p.  470,8eg.  Per  le  date,  segao  t  prele- 
fenza  Ibn-el-Atbtr.  Si'Veggano  anche  ii  fitd(l4*e»-JVò/iiit,  fog.  S9  verso,  aeg.  ; 
Iehiaribn<-Sa1d ,  Con/<JMM»ione  di  Eu^hia,  fog.  87  vei^ao;  Ibn-fiballikàn,  ' 
veisióne  di  M.  De  Slane,  tomo  I,  p;  ilS,  seg.,  e  ili,  p.  185. 


—  205  —  |f4l-»47.| 

deaibiante  per  cinque  m^i  per  le  cUtò  prìaci(Mili  d'Af- 
fì*ikiai  legalo  kppra  im  camelo,  in  mè^zo  a  due  scìmmie 
addestrate  a  is;ehta(feggiarìo  e  pelargli  la  barba.  Or  si 
narra  che  Sasaa  dovesse  recarlo  a  spettacolo  ìq  Sietlìa, 
lesoii  giiiata  della  tèsta  illi  Fadtii,  iie^iso  di  fresco.  Se 
non  che  il  legóo  fece  naairagio;  la  pelle  d'Abu-^Iezid 
ftt  salvata;  e  si  tenfienè  contesti  d'appeoderia  a  quella 
stessa  porta  di  MebdSa,  ov'  egli  era  arrivato  a  pian- 
jtare  noa  lancia  al  tempo  dell'  assdiio.  ^ 

*  In  Sicilia  per  sei  anni  non  s'erano  più  adite  ne 
^[Uitrre  nò  tumulti,  ma  Farti,  soprusi,  violenze  private: 
il  forte f  dice  la  cronica,  si  mangiava  il'debole;*  ae- 
feennando  senza  dubbio  alle  enormezze  dei  nobili  e 
dei  condotticfri  berberi  e  mercraarii  che  avea  lasciato 
KhaUI.  Né  rabboiHlanza  potea  succedere  alla  fame^  là 
dove  mancavan  le  braccia  a  ccdiivare  il  suoIoj^dopQ 
la  orrenda  cavata  di  sangne  del  novèeenquaranta.  In 
questo  incontro  un  Crinite,  armeno,  stratego  di  Gala*- 
bria,  '  incettava  frumento  a  basso  prezzo  nella  pith 
vinda  e  rivendealo  a  peso  d' oro  nella  Sicilia  oppressa 
(son  le  parole  di  Cedreno)  dalla  fome  e  dalla  gfierra 
che  vi  portarono  i  Cirenaici;  nella  quale  guerra  i  Ro- 
mani dettero  asilo  ai  fuggitivi  Cartaginesi,  né  lor  na- 

*  ibfi-Hammàd.  op.  cit.,  p.  497. 
'       >  Cronica  di  Cambridge,  op.  ci,  p.  49,  an.  6450. 

s  *Q  KpnnTai.^oLliloLi  T^KoK>«6/9(as  ycyó/uvos  ^rpangyòt.  Nella  edi- 
zione di  Parigi  fa  aggiaoto  tra  parentesi  [uoLpi]  dopo  il  nome  proprio;  e 
fu  tradotto  Crenita  Chaldia  in  Calabria  prefecUts;  la  quale  visione  non 
h  mutata  nella  edizione  di  Bonn,  ancorché  sia  stato  ridotto  a  miglior  lezio- 
ne il  testo,  Cbaldia  era  nonfe  d*  Un  tenia  bizantipo,  cbe  avea  per  capitale 
Trebisonda  neir  Armenia  minore;  e  qui  indica  la  patria  di  quel  barattiere, 
non  la  sua  sede  .in  Calabria ,  ove  non  fu  mai  luogo  di  tal  nome.  Si  vegga 
per  Galdia,  Costantino  Porflrogenito,  De  Thematibus,  p.  30,  e  l)e  adminis- 
trando  impem»  p.  199,  209,  226,  ediz.  di  Bonn. 


I944-W7.J  —  204  — 

ztone  osò  ridomaDdàrli  né  esigere  ì)  tribolo,  temendo 
non  i  Romani  negassero  le  vittuaglie.  '  Traducendo 
cotesti  nomi  di  storia  antica  che  i  Bizantini  non  sa- 
peano  smettere,,  si  ba  la  confermazione  di  quanto  ci 
narrano  gli  scrittori  araU.  Si  ritrae  che  Jl  Crinite  con- 
tinuava suo  traffico  almen  fino  al  novecenquaranta^ 
cinque;  poiché  T  imperatore  che  Io  spogKò  deiroficio 
e  dei  danari  mal  tolti ,  fu  Costantino  Porfirogentto.  * 
Veramente  la  colonia  di  Sicilia  in  questo  brev<e 
tratto  era  divenuta  ludibrio  delle  genti  vicine.  Ibn- 
'Aftftf  e  Ibn-*Eufi  preposti  da  Khalil,  qùand'ei  tomosfii 
in  Affrica ,  sembrano'proprìo  il  capo  bargello  e  iloapo 
riscotitore;  né  alcimo  avea  titolo  d'emir,  come  poc'anzi 
Sàtem:  f?)otetoaUtV  in  fatti,  li  chiama  la  cronica  sicilia- 
na, che  vuol  dire /"delegati"  e  litteralmente  *pseudo^ 
vi^àii.''  '  Forse  fu  surroga tor  il  ùòvecènbrentaquattro,  un 
Ibn-Asci'ath  a  Ibn-Kufi,  che  tra  i  due  sembra  il  risco- 
titore; forse  Ibn-Attàf,  il  bargello,  ebbe  autorità  un 
po' più  larga  il  novecentrentacinqué,  quando,  il  caUfi) 
fòtemita  pericolava  in  Affrica  e  ricominciavano. le 
mormorazioni  in:  Palermo.  *  Ma  la  debolezza  che  i 

*  Cedreno»  èdiz.  di  Bonn,  tomo  II,  p.  357. 

'  Cedrano,  1.  e»  CosuiitiDQ  riprese  il  comaBdo  dell'  impero  in  dicem- 
bre 944. 

>  Cronica  di  Cambridge,  I.  e.  U  cronista  avea  ben  dato  il  titolo  di 
emir  a  tatti  i  precedenti  infino  a  Sàlem  ;  e  noi  dimentica  parlando  poco 
appresso  del  kelbita  Hasan-ibn-Aìi. 

*  Nowafri,  presso  Di  Gregorio,  p.  15,  sènza  nominare  Ibn-Kufi.  IJ 
Nowairi  direbbe  secondo  la  versione:  o  Anno  SSà,  proBfecUa  eleetus  fait 
Mohùmmed  ben  el  Àsckaat,  qui  wque  ad  annurh  556  leniter  gessit  impe^ 
rium;  »  ma  ya  corretto  secondo  il  testo:  «  Fa  wàli  in  Sicilia  l'anno  334 
Mobammed-ibn-Àsd'atfa  ;  e  resse  gli  affari  infifno  al  336  (Ibn)'Àttàf.  • 
L'oscurità  di  questo  passo,  che  mosse  H.  Caussin  a  considerare,  fuor 
d' ogni  regola  grammaticale ,  il  nome  proprio  'Àtt&f  come  sostantivo  o  ag- 
gettivo, viene  appunto  dalla  dubbiezza  del  compilatore;  il  quale,  trovando 
due  nomi  di  governanti  nello  stesso  tempo,  impiastrò  l*uno  essere  stato 


ooinpilatorìi  appongono  a  Ibn-'Attàf  era  per  vero  ia 
poca  autorità  deiroficio,  da  non  poter  armare  la 
gioventù,  dare  gli  stipendii,  osteggiare  gii  Infedeli, 
strappar  loro  il  ti^ibuto  o  far  colta  di  boltinp  e  prigio* 
ni.  Kàim ,  segaendo  e  rincalzaiido;  la  pratica  del  pa- 
dre, avea  tanto  accentrato  3:  governo  in  Affrica  e  in* 
debolito  la  colonia,  da  toglierle  il  principio  vitale  della 
sooiQt»  musulmana ,  di'^ra  la^erra:  perpetuo  errore 
dèi  despoti  a  tener  il  popolo  tra  morto  e  vivo  per  as- 
sicurarsi di  lui.  U  che  nuoce  al  popolo,  nuoce  al  des^ 
pota  e  non  impedisce  le  rìvoluzicmi;  poiché  e  gli 
oppressi  «n'  avran  voglia  sempre  e  V  oppressore  non 
potrà  prevenirle  sempre^.  Di  tutte  le  città  musulmane, 
Palermo  avea  patito  minordanno  nella  gueira  idiKhaltl. 
La  nobiltà,  i  giuristi,  la  plebe,  mal  soffrendo  tanta 
abiezione;  suscitati  dalle  nuove  d'Affrica,  dove  Abu- 
lezld  tuttavia  combattea,  non  seppero  star  cheti  Tanno 
novecenquarantasette  alla  fine  del  ramadban ,  quando 
le  pratiche  religiose  e  la  frequenza  del  popolo  in  piazza 
riscaldan  più  le  teste  ai  Musulmani. 

Nella  festa  che  sorvenne  del  primo  scewèl  tre-* 

1V&U  fino  al  34,  e  V  litro  avere  tenuto  la  aomnui  delle  tose  fino  al  56^  Ibn-^ 
el^Atblr,  incontrata,  com'ei  pare,  la  stessa  difScoltii  nelle  croniche,  aè 
né  cavò  col  silenzio.  Non  disse  degli  altri  ;  non  disse  del  tempo  io  cai 
Ibn-'àttftf  prendesse  il  geverno;  ed  oooorrendogli  di  nomiiiarlo ,  non  gft 
die  aleno  titolo.  Se  si  volesse  seguire  il  Nowalri  senta  badare  airambi- 
goità  delle  sue  parole  né  al  silenzio  delia  Cronica  di  Cambridge  e  d' Ibn- 
eUAtblr,  si  potrebbe  supporre  cbe  nel  34  fu  fatto  emiro  ibo-Asd*ath;  e 
dal  35  al  36  governò  di  nuovo  Ibft-'Att^L  II  Rampoldi,  temo  V,  p.  256,. 
anno  945,jBttaIo  dal  Martorana,  tomo  I,  p.  317,  nota  13,  dice  cbe  ilobam- 
med-ibn-»A8ci'atb  fesse  stalo  precettore  di  Maoslhr.  Non  credo  cbe  i  com- 
pendi! eh*  egli  ebbe  alle  mani  gli  abbiaa  potato  fornire  tal  notizia.  Al  ano 
modo  di  compilare  supporrei  piuttosto  un^enorm^ anacronismo  obe  rabbia 
portato  a  eoi^fondere  questo  Ibn-Asci'atb  con  V  autore  della  setta  del  Iar« 
matl,  del  quale  ho  fette  cenno  nel  Libro  III,  cap.  V,  p.  ii6  di  questo  vo- 
lume. 


j947  1  —  806   — 

centreatacinque;  (84  aprile  947),  i  Beai-Tabari,  ooMI 
casato  d'origine  persiana  ch'era  dei  primi  nel  consi- 
glio mariicipale  di  Palermo,  levano  il  romore  contra 
Ibìì-'Attàf,  gridando  che  per  la  costui  dappocaggine 
6  Yiltà  i  Crisl^m  calpestano  il  nome  musulmano,  ÌE(i 
rìdon  dei  patti  e  da  tanti  anni  non  pagan  iribnto.  Il 
popolo  li  segni:  uscito  in  piazza  'Attàf  ed  fatiti  del 
bargello,  si  vien  alle  mani;  sbaragliati  i  faAti  e  molti^ 
uccisi;  prese  le  bandiere  e  le  taballe  di  'Attàf;  i^  che 
a  mala  pena  arrivò  a  <jhiudersi  in  castdlo.  I  cittadini 
se  ne  tornavano  a  lor  case  senza  incalzarlo  altrìm^ntf. 
Attàf  indi  a  scrivere  i  soliti  letteroni  al  principe^  chef 
mandasse  stuoli  di  soldati  subito  subilo.  I  capi  dei 
tumulto  procacciaron  dal  cinto  loro  dì  ritrar  come 
andasse  la  guerra  d' Abu-Iezid  e  che  iatendessé  di 
£are  in  Sicilia  Mansùr.  Saputo,  eh'  egli  fi>S8e  per  com- 
mettere il  governo  deir  isola  ad  Hai^n-ibn-Ali,  par- 
tirono per  Mebdia  Ali-ibn--Tabari  ed  altri  uomini  dì 
mt£|,  a  chiedere,  in  seambiodi Basan,  un  emimdi  lor 
piacimento.  Il  qual  fine  si  pfoponeano  di  conseguii^ 
per  amore  ot  per  forza  *,^  raccomandando  ai  parti- 
giani  in  Palermo  che  non  lasciass^o  entrare  in  città 
Hasan-ibn-Ali ,  né  sbarcare  ì  seguaci  dalle  navi;  ma 
aspettassero  le  lettere  eh' e^i  avrebbero  scritto  dal- 
l'Affrica  dopo  r  abboccamento  con  Mansùr.  '  Cotesta 

<  ConfroDtMisì  :  IbiHel- Atblr ,  attuo  656;  Ibr^i^tdaiì,  EiitùWt  de 
Vàfrique  et  de  la  Sieik,  p.  165,  i66,  e  il  brave  eomo  del  Now;à>rì  prdMO- 
Di  Gnegerio,  p.  iS.  II  passo  di  quest'  autore  clid  Di  Gregorio  tradusse:  4 De 
pefturbat0  rerum  SéeilietfMkm  ^aiu^  et  4uod  in  eatum  cimintt^iKKoitcì 
nómulh  Pitia  tfref^nMent;  >  e  H.  Gaussiii:  <  la  peine  qrn  lui  dommiem 
le9  kfMant$  et  le  mauvaii  éleA  dei  afairièe;  »  si  renderebbe  più  cctretta-^ 
meato  :  «  Cbe  i  SlciUafff  rimbaMaiiaivaao,  e  piesa^anò  al  male,;  >  cioè  si. 
disponeano  alla  ribelUoiie. 


—  207  —  [m] 

pratica  si  dèe  riferire  alla  state  del  oovec^eDquaraD- 
(otto,  quando  Mansùr,  spenti  gli  aitimi  avanzi  della 
rìbeliione  in  Affrica,  ebbe 'agio  di  pensare  alla  Si- 
cilia.* • 

Oiv€rso  dagli  emiri  che  vennero  per  lo  addietro 
a  ripigliar  lo  stato  in  Sicilia ,  Hasan-ibn*^AIi  sciolse 
d*Affi*ica  con  poche  navi:  sbarcato  a  Mazara  senza  stre- 
pito, stettevi  tutto  il  dì,  come  in  qndrantena;  non  fa^^ 
ceqdósi  anima  vivente  a  dargli  il  benvenuto.  A  notte 
scura  comparve  una  man  di  Kotamii,  d'Arabi  d'Affri- 
ca* e  d'altre  genti,  scusandosi  che  non  l'avessero 
osato  prima  per  timore  dei  Beni-Tabari  e  di  loro  ade- 
renti, e  ragguagliandolo  deir  ambasceria  in  Affrica  e 
altre  disposizioni  della  parte.  Né  andò  guarì  che  giunse 
a  Mazara  una  brigata  della  parte,  a  speculare  le 
forze  e  intendimenti  di  Basan.  Vistolo  sprovveduto,  da 
poterlo  menare  com' e  voleano ,  gli  contaron  fole:  ed 
e  fé'  le  viste  di  be versele;  promettendo  che  non  mo- 

*  lbn-e)-Alhlr;  da  cui  tenghiamo  i  i^tieolari  di  qaesU  fatti  e  di  quei 
che  segairoDo  ali*  arrivo  di  Basan  ìa  Sicilia ,  oon  segna  altre  date  cbe  il 
tamulto  di  Palermo  a  !«  scewU  355,  e  la  elezione  di  Hasan  ii  336  (32  la* 
gllo  947  a  9  luglio  948).  La  Cronica  di  Cambridge  non  porta  altra  data 
deir  arrivo  di  Hasan  cbe  il  64a6  (I  sett.  947  a  3t  ag.  948);  ma  nn  fatto 
cbe  racconta  dopo,  ci  porta  a  supporre  l'arrivo  verso  II  ine  dell' aon» 
costantinopolitano.  Da  un'  altra  mano  si  sa  (Ibn-Hammftd  citato  di  sopra 
ap.  203y  che  MansOr  sino  ^la  fine  di  giumadi  3»  del  355  (gennaio  948)  facea 
condurre  per  le  strade  di  Kalrevràn  la  pelle. imbottita  di  Abo^Ieitd;  die  poi 
Yolea  mandar  in  Sicilia  quella  e  la  testa  di  FadhI  con  Hasan;  e  cbe  la  barca 
fece  naufragio*  ec.  Infine ìbn-eUAthtr  nota  che  dopo  i'urccisione  di  Padbl, 
figlinolo  di  Abu-iezld,  il  califp  tornava  a  Mebdia,  di  raiùadhaD336(marso 
ed  aprile  948);  ed  è  da\sopporre  cb'  ei  non  abbia  pensalo  alle  cose  di  Si- 
cilia prima  di  questo.  Però  credo  che  y  arrivo  di  Hasan  ib  Sicilia  si  debba 
protrarre  ino  a  giugno  o  luglio  948. 

>  Ibih-eUAlbtr,  solo  narratore  In  questo  luogo,  scrive:  la  gente  d'Af- 
frica. Senza  II  menomo  dubbio  accenda  agli  Arabi  venati  di  reoenlé  dal- 
l'AiTrica.  I  coloni  si  chiamavano  SieiHanl;  i  Berberi,  i  KoUmli,  eiaseuno 
col  suo  nome. 


im.\  —  208  - 

verebbe  od  passo  da  Mazara  s' e'  non  andassero  a  Pa^ 
termo  e  tornassero  con  la  risposta:  che  probabilm^te 
aveao  pretestato  doverne  deliberare  la  gema\  Ma  co- 
me prima  seppeli  partiti ,  cavalcò  per  altra  via  con 
picciolo  stuolo  per  andare  a  guadagnar  loro  le  mosse 
in  Palermo;  dove  era  manifesto  che  avrebbero  adu* 
nato  tutti  i  fautori  e  sollevato  la  città  contro  di  lui. 
La  parte  dunque  consultava  comodamente  e  rideasi 
forse  di  Hasan,  quando  si  sparge  che  il  novello 
emiro  è  a  Baida,  alle  porte  della  città.  L  Hàkim,  ^  gli 
oficiali  pubblici,  tutti  coloro  che  bramavano  il  buono 
stato,  scrive  Ibn-^l-Alhir,  e  par  non  significhi  que- 
sta volta  i  vigliacchi  e  i  pecoroni,  tutti  gli  vanno  al- 
r  incontro;  ed  Basan  ad  onorarli,  a  infornuirsi  delle 
condizioni  e  bisogni  della  città,  senza  quel  cipiglio 
sbirresco  che  da  tanti  anni  si  solea  vedere  in  volto  ai 
governanti.  Ismaele-ibn-Tabari ,  capo  delia  fezionc^ 
aristocratica,  sapendo  che  tutta  la  città  usciva  ad  9c- 
coglier  Temiro,  non  potè  far  che  non  andasse  con  gli 
altri;  e  al  par  che  gli  altri,  o  forse  più,  fu  ricambiato 
di  cortesie.  Tornato  alle  sue  case  che  si  sentiva  scap- 
par di  mano  le  fila  della  trama ,  peggio  ijadispetti  sa- 
pendo che  Basan  se  n'era  ito  bel  bello  in  palagio,  e 
che  gli  s'accostavano  non  solamente  gli  avversarli 
ma  i  partigiani  stessi  dei  Beni-Tabari.  Pensando  ai 
modi  di  frastornare  la  opinione  pubblica,  il  migliore 
gli  parve  una  calunnia. 

*  Cosl.Uui*el*AUitr.  Menno  avea  on  cadi;  osde  il  titolo  di  Hdkim 
è  generico  qiiì  itt  significato  di  magistrato*  ovfero  ò  adoperalo  perchè  va- 
casse FoQcio  in  qoel  tempQ,  e,  invece  di  cadi  eletto  dal  principe,  ren- 
desse ragione  on  sapplente.  Hftkim  si^addimandò».  dopo  il  conquisto  nor- 
manno, il  capo  delia  monicipalità  di  Malta;  ma  mi  sembra  fatto  ^eccezionale, 
nato  dalla  dominazione  cristiana* 


—  209  —  1948.1 

Ùd  cittadino,  cagnotto  suo,  gitta  gli  occhi  addosso 
ad  un  negro  della  guardia  d'Hasàn  ch'avea  nome 
d'domo  valorosissimo  e  amato  indi  dair  emiro;  gli  si 
avvicina  con  1)ei  modi;  lo  invita  ad  entrare  ndle  sue 
stanze;  quando  ve  Tebbe  attirato,  salta  fuori  gridando: 
"Accorrete ,  accorrete ,  questo  masnadiere  mi  s'  è 
ficcato  in  casa  e  vuole  sforzarmi  la  moglie  in  faccia 
mia."  Il  popolo  trasse  al  remore.  Ismaele  non  mancò 
di  cacciarsi  in  mez20  borbottando  :  *"  Bel  preludio  ! 
Non  son  padroni  per  anco  del  paese,  e  ci  trattan  così! 
Che  dobbiamo  aspettarci  quando  metteranno  radice?" 
E  suggeriva  d'andare  a  chieder  vendetta  all'emiro; 
supponendo  eh'  ei  non  Ist  farebbe ,  e  che  il  popolo  in^ 
fiammato  di  sdegno  romperebbe^i  al  tumulto  e  ne 
sarebbe  cacciato  Basan.  La  plebe  »  seguendo  lo  zim- 
bello che  non  cessava  dalli  schiamazzi,  trasse  dinanzi 
air  emiro.  H  quale  ascolta  pacatamente  la  querela; 
risponde  a  quelluomo:  ^Se  dici  il  vero,  giuralo  dinanzi 
a  Dio;"  e  poiché  lo  sciagurato  giurava,  comandò,  in- 
contanente di  mozzar  la  testa  allo  schiavo.  Al  quale 
supplizio  inaspettato,  rallegrossi  tutta  la  città:  ''Ecco 
la  prima  volta,  sclamavano,  che  veggiam  fòr  la  giù- 
stizia;  òr  si  può  viver  sicuri  in  Palermo."  Ismaele  si 
rannicchiò.^ 

EdHasan,  come  se  nulla  fosse  stato,  lo  vezzeg- 
giava al  par  che  gli  altri  capi  della  parte;  la  qual 
commedia  durò  sino  allo  scorcio  del  novecenquaran- 

totto.  Dello  scioglimento  abbiamo  due  tradizioni:  la 

^  •> 

'  Ibn-èl-Àtiilr,  anno  336;  Ibn-Kbaldùn,  HistoiredeVAfrique  etdéki 
SicUe,  p.  166.  Quivi  si  legga  sempre  *Tabari"  invece  di  "Uatir,"  cVè 
errore  del  MS.  sul  quale  fece  la  versione  H.  Des  Vergers. 

n.  14  . 


1948.)  -  210  - 

prima,  riferita  da  Ibn-el-Àlhtr  e  scritta  evideàte- 
mente  nelle  croniche  musulmane  d'Affrica;  la  secon* 
da,  è  immediata  testimonianza  d'un  Siciliano,  di  pro- 
fessione 0  almen  d'origine  cristiano:  e  runa  rappre- 
senta la  sostanza  del  fatto;  Taltra  l'apparenza  che  gli 
dia  il  governo.  Al  dir  della  prima,  il  calìfo,  che  avea 
senza  dubbio  tenuto  a  bada  gli  ambasciatori  della  fazio- 
ne, sapendo  ben  avviate  le  cose  di  Palermo,  li  fé'  d'un 
subito  catturare  in  Affrica  :  che  furono  Ali-ibn-Tabà- 
ri,  Mohammed-ibn-'Abdùn ,  Mohammed-ibn-Genà  e 
altri  di  minor  nome;  e  scrisse  ad  Hasan  che  pren- 
desse lor  compagni  ;  il  quale ,  giudicando  ardua  cote- 
sta  impresa,  la  compiè  a  tradimento.  La  cronica  del 
paese,  narra  in  vece  che  quei  di  Palermo  congiura- 
vano contro  Hasan;  e  ch'egli  addandosene  «  li  colse 
alla  rete:»  questa  è  proprio  la  parola,  la  quale  si  di- 
rebbe rubata  ai  liberti  che  scrivean  le  croniche  degli 
Omeiadi  di  Spagna  e  ne  palliavano  i  delitti.'  Ma  ognun 
vede  che  le  due  tradizioni  s'addentellano  come  pezzi 
d'antica  iscrizione  che  il  caso  abbia  fatto  trovare  in 
tempi  diversi.  11  venticinque  dicembre  del  quaran- 
totto* Hasan  mandava  a  dire  da  buon  compagnone 

I  Questo  riscontro  mi  è  suggerito  dal  bello  studio  del  professore  Doty, 
8Q  le  fontf  della  storia  de*  Musulmani  Spàgnuoli,  Eittoire  de  t^Afirique  etc, 
intiiulée  At-BayarKh-'l'Moghrib,  Introduction,  p.  16,  seg. 

'  La  Cronica  di  Cambridge,  cbe  sola  porta  la  data  e  il  soppliido,  dice: 
evenuto  il  giorno  di  mt/a>  cbe  fu  un  lunedì,  l'emiro  etc.»  La  voce  che 
bo  trascritto  daU' arabico  e  cbe  è  chiara  nel  MS.,  significa  il  Natale  de* Cri- 
stìani,  sol  che  vi  si  aggiunga  un  d  alla  fine  ove  bo  messo  le  virgolette.  I 
primi  editori  supplendo  invece  "un*  altra  lettera  scrissero  Mi*àd  'giorno 
prefisso*  come  si  potrebbe  tradurre.  Ma' questa  voce  oltreché  sarebbe  in- 
soliu,  imbroglierebbe  il  fatto  or  che  Ibn-el-Athlr  ci  racconta  l'ordine  del 
tradimento  palatino*  e  farebbe  mancar  la  data  del  giorno;  la  quale  non 
ò  probal^e  che  il  cronista  avesse  trascurata^  mentre  designava  il  giorno 
della  settimana.  11  Natale  del  948  cadde  appunto  in  lunedi. 


—  211    —  (048.) 

ad  Ismaele:  '^ M'hai  promesso  di  condarmi  a  diporto 
nel  tuo  giardino;  vien  dunque  al  castello  e  andre- 
mo insieme.*  Somigliante  messaggio  inviò,  a  nome 
d* Ismaele,  agli  altri  notabili  della  fazione.  Entrati  tutti 
senza  sospetto,  lasciando  gli  stuoli  di  lor  séguito  alle 
porte  del  palagio,  Temiro  li  intrattenne  con  bei  ragio- 
namenti e  cortesie 4no  ad  ora  larda;  non  traspirando 
fuor  le  mura  altro  che  allegrezza:  poi  richiese  la  bri- 
gata di  spender  quella  notte  in  festa  secolui  e  che 
la  dimane  si  cavalcherebbe  alla  villa  dei  Beni-Tabari 
e  fé' dire  ai  seguaci  di  fuori,  si  ritirassero  a  casa  e 
tornassero  la  dimane,  poiché  lor  signorie  rimanean 
ospiti  dell'emiro.  Al  sacro  nome  d'ospitalità  ninno 
pensò  a  male.  E  la  dimane  si  videro  appiccati  ai 
pali  tanti  cadaveri  mutili  delle  mani  e  dei  pie.  Erano 
Ismaele-ibn-Tabari ,  Regià-ibn-<jenà,  un  Mohammed 
e  parecchi  altri  di  cui  non  si  ricordano  i  nomi.'  Tenne 
dietro  al  supplizio  la  conflscazion  dei  beni.  Fatto  il 
colpo,  crebbero  i  partigiani  di  Basan;  il  reggimento 
piacque  air  universale  dei  cittadini;  la  colonia  posò 
dai  tumulti;  ripigliò  animo  e  forze:  così  litteralmente 
le  croniche.*  Ed  e'  si  comprende  come  T  utile  colpa 
sia  stata  approvata  non  solo  da  chi  scrisse,  ma  anco 

^  '  Debbo  «vfertire  che  Ibn-el-Athtr  dal  quale  tenghiamo  i  nomi,  narra 
il  uadimenio  •  la  caUura,  la  eonfiscazione,  non  il  supplizio  :  il  casato  che 
dovrebbe  trovarsi  dopo  il  nome  di  Mohammed  è  lasciato  in  bianco  in  uno 
dei  MSS.,  e  manca  al  lutto  negli  altri  dne.  La  Cronka  di  CamkHdge  al 
contrario  dice  della  uccisione  dei  e  q^lti  alla  rete,  tra  i  quali  un  Marisc  (in 
inglese  sarebbe  ttarish)  e  i  suoi  compagni.»  Questo  nome  fu  scritto  dai 
traduttore  inglese,  Goreish;  ma  il  codice  dà  chiartesuna  la  inaiale  m. 
Non  V  ho  scritto  nel  testo»  parendomi  soprannome  e  che  debba  indicare  il 
capo  della  fazione,  cioè  Ismsele-ibn-Tabari;  e  ciò  sembra  confermato  dai 
significati  della  voce  Markt  daU  dal  fifenimski,  cioè  "saetta  impennata*  e 
una  specie  di  pomo.  Maris  sarebbe  dei  nomi  che  si  danno  ai  leone. 
*  Confroutinsi:  Cronaca  dt(7omfrrùi(jfe,ibn-el-Àthlr,lbn-Paldùn,ll. ce. 


(948.)  —gia- 

da cbi  vide  e  forse  dalla  più  parte  del  popolo  che  ne 
fruì.  Oltre  i  costumi  dei  tempi,  oltre  F ammirazione 
volgare  della  vittoria,  oltre  T invidia  soddisfatta  di 
questo  e  di  quello,  ei  non  si  può  negare  che  il  misfatto 
di  Hasan  tornò  utile  al  pubblico;  poiché  i  labari ,  i 
Genft,  i  nobili  di  Palermo  e  lor  clientele  «  non  erano 
al  certo  tribuni  zelanti  del  ben  pubblico ,  ma  tiran- 
nelli  che  disputavan  tra  loro  e  ad  un  tiranno  più  gran- 
de il  dritto  di  sopraffare  la  gente  minuta.  Donde  pos- 
Siam  dire  anche  noi  :  bene  stia  ai  vinti.  Né  però  as- 
solviamo il  vincitore,  il  quale  esordì  a  Mazara  con  la 
menzogna:  rincalzò  air  entrare  in  Palermo  col  sup- 
plizio del  soldato  innocente;  compì  T opera  con  far 
trappola  delle  proprie  case  e  arme  della  giustizia  il 
tradimento.  Come  dovea  navigare  Hasan  tra  cotesti 
due  scogli,  lo  lasciamo  a  risolvere  ài  casisti.  L'in- 
segnamento che  vogliamo  cavarne  è  che  gli  Stati  non 
ordinati  secondo  uguaglianza  e  libertà ,  non  hanno  rir 
medio  ai  mali  loro  che  sia  scevro  di  colpa. 


CAPITOLO  XI. 


Terminando  in  questo  tempo  la  lotta  della  in- 
dependenza  e  principiando  un  periodo  più  culto,  è 
bene  rassegnare  gli  elementi  civili  che  rimaneano. 

Le  vicende  dei  Cristiani  nella  prima  metà  del 
decimo  secolo  mostrano  eh' e  tenessero  tuttavia  il  lato 
orientale  dell' isola.  Ibrahim-ibn-Ahmed  avea  distrutto 


—  213  —  |805-948.| 

si  loro  fortezze]  ma  le  guèrre  civili  impedirono  ai  Mu- 
sulmani di  porre  colonie  in  quelle  parti.  Però  non 
avvi  ricordo  d'alcuna  terra  di  Valdemone  o  Val  di 
Noto  nella  sanguinosa  storia  di  Khalil,  né  in  altra 
rivoluzione  della  colonia  fino  al  novecensessantanove; 
però  nella  guerra  di  Manuele  Foca  (964)  i  Bizantini 
sbarcarono  come  in  luoghi  amici  per  tutta  la  costiera 
da  Messina  a  Lentini.  E  cotesta  guerra  si  accese  ap- 
punto»  perchè  i  Musulmani  voleano  porre  stanza  e 
possedere  terreni  nella  Sicilia  orientale/ 

Begione  fatta  squallida  e  desolata,  a  dispetto 
della  natura,  in  quel  dubbio  confine  di  due  epoche; 
quando  la  dominazione  bizantina,  nelF  andarsene,  le 
avea  lasciato  il  tristo  retaggio  di  suoi  vizii  sociali;  e 
i  Musulmani,  anziché  veri  padroni,  eran  tuttavia  ne- 
mici, liberi  si  di  correre  la  provincia.  Di  certo  mancar 
dovea  T agricoltura  con  la  popolazione,  diradata  dalle 
stragi  d'Ibrahim  e  dalle  emigrazioni  in  Calabria  e 
altri  paesi  cristiani;  e  n'è  prova  la  lunga  carestia, 
nella  quale  una  metà  dell'  isola  non  bastava  a  sfamar 
r  altra  metà  afflitta  dalla  guerra  civile.  *  Con  la  ric- 
chezza e  con  la  popolazione  si  dileguavan  anco  gli 
ultimi  avanzi  di  coltura  intellettuale;  talché  sparisce 
in  questo  tempo  ogni  vestigio  di  scrittori  cristiani 
di  Sicilia.  • 

La  stessa  religione  par  abbi^  perduto  nelle  prò- 

*  Si  vegga  il  Libro  IV,  capitolo  IH. 

>  Capitolo  X  del  presènte  Libro,  p.  203-204  di  questo  volarne. 

'  Non  va  in  questo  periodo  r  autore  anonimo  della  Vita  di  San  Nrce- 
foro  vescovo  di  Mileto  di  cui  or  or  si  dirà.  Questo  autore,  probabilmente 
siciliano,  visse  .nella  seconda  metà  del  decimo  secolo.  11  testo  greco  è 
nella  Biblioteca  imperiale  di  Parigi,  N»  1181  ;  e  M.  Hase  ne  ba  pubblicato 
uno  squarcio  io  nota  a  Leone  Diacono,  edizioqe  di  Bonn,  p.  442. 


1895-948.1  —  214  — 

vince  orientali ,  se  non  la  speranza  eh'  è  sua  radice, 
certo  gli  effetti  esteriori  che  mostran  viva  la  pianta. 
Mancano  infatti  le  memorie  ecclesiastiche  di  quel 
perìodo.  Nessuna  agiografia  ne  at)biamo;  se  non  che 
r  autore  anonimo  della  Vita  di  San  Niceforo  vescovo 
di  Mileto  vagamente  parla  della  gran  copia  di  *  veg- 
genti in  Dio"  che  vissero  in  Sicilia  (964),  dei  quali 
nomina  il  solo  Prassinachio;  com'è  pare,  romito, 
stanziante  in  su  Io  Stretto  di  Messida;  uomo  famo- 
sissimo per  pietà,  e  per  avere  presagito  la  sconfitta 
dì  Manuele  Foca/  E  quest'abbondanza  di  profeti  è 
pur  segno  infallibile  dì  presente  miseria,  di  che  la 
ragione  umana  vegga  chiusa  ogni  uscita.  Torna  alla 
stessa,  0  alla  precedente  generazione,  Ippolito  ve- 
scovo  di  Sicilia,  non  sappiamo  di  qual  città,  autore 
di  certi  vaticini!  molto  oscuri  su  la  caduta  della  po- 
tenza musulmana,  i  quali  erano  io  voga  a  Costantino- 
poli nella  seconda  legazione  di  Liutprando. 

Né  è  da  lasciare  inosservata  cotesta  strana  ap- 
pellazione di  vescovo  di  Sicilia,  che  comparisce  a 
un  trattò  e  si  dilegua  alla  metà  del  decimo  secolo. 
Oltre  Liutprando,  l'adopera  la  Cronica  di  Cambridge, 
parlando  d'un  Leone  che  fu  mandato  in  ostaggio  a 
Palermo  nel  novecenventicinque  ;  *  dond'  è  evidente 


'  LeoDis  Diaconi  Galoensis,  1.  e.  L' anonimo  dice  che  i  Veggenti  per 
virtù  divina  abbondavano  in  Sicilia  com'  ogni  altro  prodotto  del  suolo. 

T^  ^8  xaì  aerò  tivo$  twv  «v  t^  X^P^  ^socrr^xéliv  (oXsovcxrsT  vaè^  xat  r^ 
TOuruv  f  opa  tìi$  aXXyic  eù^ir]Vta$  oùx  c>aTro«.) 

'  Liotprandi  legalto,  presso  Mnratori,  'Rttumlìoikca'nm  Seriptorts, 
tomo  II,  parte  I,  p.  4$S.  e  Hippolytus  quidam  SiciUen!8i8  epiaeopus,  »  La 
Cronica  di  Cambridge  citata  al  capitolo  Vili  di  questo  Libro,  p.  173,  ha: 
e  Leone  vescovo  della  Sicilia;»  né  la  costruzione  arabica  permette  d'inter- 
pretare e  uno  dei  vescovi  di  Sicilia.» 


—  215  —  1895-948.1 

aver  que'  due  scrittori  ripetala  ud  modo  di  dire  che 
correva  in  Palermo  e  in  Gost^Knopoli  verso  il  no- 
vecensessantotto,  quando  vissero  entrambi.  I  titoli  ca- 
nonici delie  sedi  siciliane  non  erano  al  certo  mutati; 
ma  supposto  che  ne  rimanesse  in  piedi  una  sola,  il 
vescovo  eomunemente  si  dovea  chiamar  di  .Sicilia, 
non  di  tale  o  tal  città.  E  fors*  era  quello  di  Taormina. 
'  Cotesti  indizii .  messi  insieme  provano  il  picciol 
numero  a  che  era  ridotta  la  gente  greca  e  italica 
della  Sicilia  orientale  e  la  vita  che  vivea  di  stenti, 
di  fetiche,  di  pericoli.  Le  città  independenti  eran 
fatte  tributarie  dopo  la  guerra  d'  Ibrahim-ibo- 
Ahmed  ;  spezzato  pertanto  ogni  legame  con  Y  impero 
bizantino,  tanto  più  dopo  la  pace  che  fermò  l'im- 
pero coi  califi  fatemiti.  ^  Costantino  Porfirogenito,  in 
fatti,  nella  descrizione  delle  province,  confessa  per- 
duta r  isola  di  Sicilia,  le  cui  città,  dice  egli,  «  parte 
»  son  abbandonate,  parte  si  tengono  dagli  atei  Sa- 
»  raceni.  a  *  Che  se  rimase  negli  almanacchi  di  corte 
il  tema  di  Sicilia,  significava  soltanto  la  Calabria 
che  una  volta  ne  avea  fatto  parte;  consolandosi  ìél 
povertà  bizantina  con  dare  air  accessorio  il  titolo  del 
principale:  onde  il  governatore  si  chiamò  promiscua- 
mente stratego  di  Sicilia,  stratego  di  Calabria  e 
anche  duca  di  Calabria.'  Le  popofazioni  tributarie 
di  Sicilia  reggeansi  necessariamente  a  municipio;  V 

'  Si  vegga  il  cap.  VII  del  presente  Libro,  p.  173. 

'  Be  Thematibuf,  p.  S8,  ediz.  di  Bonn,  tomo  HI,  delle  opere  di  Co- 
stantino: xa2  To({  Xoiuoii  wXtti  rdi  fih  ^fv^ittètiiitoLi,  toc$  ii  Xfarou/Acvat 
zmfòi  Twv  Zoepoexiivwy. 

>  Costantino  PonQrogeniio,  op.  cit.,  p.  00,  «  De  adminutrando  im^ 
perio ,  p.  S25. 

*  Ubro  II,  cap.  XII,  p.  470,  471  del  primo  volnme. 


1895-948.1      '  — .  216   — 

soddisfaceano  il  tcibutQ  quando  non  poteàno  ricusarlo 
impunemente  ;  rials^an  le  mura  per  poco  che  i  |ffu- 
sulmani  non  ci  badassero;  e  di  tratto  in  tratto,  or 
adescate  da  occasione  propizia,  ora  esasperate  da  so* 
pruso  de'  vincitori,  ritentavan  la  prova  di  resistere. 
Tàorù)ip$i  così  ;  cosi  qualche  altra  rócca^  ^  .Yal  De- 
mone. Del  Val  di  Noto  non  si  fa  motto,  Af^  ia  ca- 
duta di  Siracusa  e  delle  città  dell'  Etna^.  Forse  la 
popolazione,  menomata  delle  migliaia  che  si  mena- 
vano in  schiavitù  in  altre  parti  dell'  isola  ^  o  fuori, 
rimase  si  poca  e  sparsa  che  nulla  osò,  e  niuno 
parlò  di  lei. 

Mi  conferma  in  tal  supposto  la  sovrabbondanza 
di  abitatori  che  si  notava  a  ponente  del  Salso  ;  a  spie- 
gar la  quale  non  basterebbero  né  le  migrazioni  dal- 
l'Affrica,  né  il  naturale  accrescimento  di  popolo  che 
prosperi.  Del  fatto  non  si  può  dubitare.  Ibn-Haukal, 
venuto  in  Palermo  il  novecentosettantadue,  fornisce 
dati  da  ragionare  la  popolazione  della  capitale  a  più 
di  trecentomila  anime.  *  Ehaltl,  trént'anni  prima  fece 
morire  oltre  secentomila  persone  nel  Val  di  Mazara, 
esclusa  Palermo,  dove  Tefferato  animo  non  trovò  pre- 
testo a  sfogarsi.  A  suppor  dunque  distrutto  in  quat- 
tro anni  (938-41)  un  terzo  della  popolazione  della 
provincia  musulmana,  il  Val  di  Mazara,  cioè,  con  Pa- 
lermo, le  si  debbon  dare  innanzi  il  novecentrentotto 
due  milioni  d'abitatori,  quanti  ne  ha  adesso  tutta 
l'isola.  Men  della  metà  erano  Musulmani.' 

<  Libro  n,  cap.  Vf  e  IX,  voi.  primo,  p.  525, 525, 407. 
^  >  Journal  Ànatique,  sèrie  IV*,  voi.  V,  1845,  p.  105,  noU  9. 
'  Veggasi  il  Libro  IV,  cap.  Ili,  su  la  popolazione  musulmana  al  962. 


—  217  —  I895-IM8.1 

Quanto  alle  schiatte,  credo  gran  parte  di  tal 
popolazione  antichi  abitatori  deHa  Sicilia  tatta,  ridotti 
in  Val  di  Mazara  ;  tra  liberti,  vassalli  e  schiavi  ;  tra 
cristiani,  rinnegati  e  giudei:*  questi  ultioii  stanziati 
nelle  città;  gli  altri,  in  città  e  ville.  Non  occorre  di 
replicare  ciò  che  dicemmo  degh  antichi  coloni  mu- 
sulmani. Ma  quei  venuti  d' Affrica  nella  prima  metà 
del  decimo  secolo,  furono  di  tre  maniere:  indù- 
striali,  soldatesche,  e  rifuggiti.  Pei  primi  non  sarebbe 
necessario  allegare  testimonianze  e  poche  possono 
rimanerne  :  pure  abbiamo  il  ricordo  d' un  Saìd- 
ibn-Heddàd ,  di  famiglia  artigiana  come  lo  accenna  il 
nome  patronimico ,  al  quale,  sotto  il  regno  d'Ibrahim- 
ibn-Ahmed ,  mori  in  Sicilia  un  fratello  che  gli  la- 
sciò quattrocento  dinar,  guadagnati  com'ei  pare, 
con  alcuna  industria.  '  Dal  novecento  al  novecentren- 
tanove  quattro  grossi  eserciti  erano  stati  mandati 
a  ripigliar  io  stato  in  Sicilia  ;  un  altro  (9.02)  e  parec- 
chi stuoli  minori  vi  erano  passati  andando  in  Cala- 
bria. Ma  di  cotesta  massa  soldatesca  di  Berberi,  Ne- 
gri, Slavi  e  milizie  arabiche  d'Affrica,  sbarcati  nel- 
risola  in  men  di  mezzo  secolo,  chi  fu  spento,  chi 

*  V'eralD  Palermo  Od  borgo  di  Giudei.  Ibn-Haokal,  nei  Journal  Ària- 
iique,  voi.  dt.,  p.  97. 

>  Riddh-en^NofiU,  fog.  71  recto.  Sald  morì  il  302.  Il  biografo  aggia- 
gne  che  costui  toccò  i  danari  per  Caivore  di  Ibrabim-ibn-Ahmed  ;  non  sap- 
piamo se  per  aver  tolto  qualche  difficoltà  fiscale»  ovvero  per  avergli  ùMo 
pagare  i  400  dinar  con  tratta  sul  tesoro  di  Kairewftn.  Sald ,  avvezzo  a 
vita  peggio  che  frugale,  spese  300  dinar  a  fabbricarsi  una  casa;  SO  in  ve- 
stimenta;  SH)  in  tappeti,  stoviglie  e. altre  masserizie ì  e  ne  serbò  100  per 
mantenimento  del  resto  della  sua  vita.  Di  che  riprendendolo  gli  amici  » 
rispose  che  avea  a  ufo  dei. 100  dinar,  poiché  il  quarto  d' un  rotolo  di  carne 
gli  bastava  una  settimana.  U  primo  .giorno  »  dicea,  mangio  il  brodo  delle 
ossa;  il  secondo  quel  dei  tendini;  dal  terzo  al  sesto  certi  piatti  di  bietole 
mescolati  or  a  fave,  or  a  ceci,  or  a  pastinache;  e  il  settimo  dì  la  carne! 


|8W-948.|  —gis- 

se ne  tornò;  picciola  parte  è  da  sapporre  rimasa 
a  soggiorno  :  e  di  ciò  si  ha  indizio  pei  soH  Sbvr, 
che  diedero  nome  al  più  grosso  qaartier  della  capi- 
tale/ Sembra  di  maggiore  importanza,  per  lo  numero 
e  per  la  qualità  degli  uomini ,  la  migraziiMie  dei  par- 
tigiani di  casa  aghlabita  e  dei  fervidi  ortodossi  che 
lasciavano  T Affrica,  per  paura  o  dispetto,  al  mu- 
tamento della  dinastia  e  alle  varie  perseicuzioni  che 
seguirono.  Ai  quali  la  Sicilia  era  asilo,  come  paese 
più  lontano  dagli  occhi  sospettosi  dei  governanti  .e 
come  quello  che  odiava  i  Fatemiti  e  vivea  più  o  meno 
apertamente  in  rivoluzione. 

E  cresciuta  la  popolazione ,  cessate  le  continue 
guerre  del  conquisto ,  incominciavano  a  metter  fron- 
de, se  non  per  anco  fiori  e  frutti,  gli  studii;  sturbati 
sì  nelle  guerre  d'independenza  dal  romor  delle  armi, 
ma  molto  più  promossi  dal  principio  civile  che  accom- 
pagna i  moti  politici  e  fa  lor  precedere  o  seguire  da 
presso  lo  svegliamento  degli  ingegni.  Favoriva  anche 
gli  studii  il  contatto  più  familiare  eòi  vinti,  la  liberale 
educazione  e  dottrina  dei  rifuggiti  d'Affrica  e  Tesem- 
pio  dei  giuristi  mandati  a  tenere  i  magistrati. 

Per  cominciar  dagli  avanzi  dell'  antica  .civiltà  del 
paese,  ricorderemo  l'opera  che  prestò  un  dotto  Sicilia^ 
no  nella  versione  della  materia  medica  di  Dioscoride. 
Aveva  abbozzato  questo  gran  lavoro  a  Bagdad  verso  la 
metà  del  nono  secolo,  Stefano  cristiano  di  Siria;  il  quale, 
sapendo  la  lingua  meglio  che  la  scienza ,  tradusse  i 
nomi  dei  semplici  più  ovvii,  e  di  molti  altri  trascrisse 
la  denominazione  greca  senza  il  riscontro  in  arabico. 

*  lim-Haakail,  Journal  imliftie,  voi.  dt,^  p.  93. 


—  219  —  1895-949.] 

Si  dóieano  dunque  della  imperfetta  versione  i  medici 
ehe  fiorirono  sotto  gli  Omeiadi  di  Spagna,  quando  del 
novecenquarantotto ,  trattato  un  accordo  tra  Romano 
imperatore  di  Costantinopoli  e  Tomeiade  Abd-6r- 
Rahman-Naser-lidin-illah,  Romano  gli  inviò,  tra  gli 
altri  doni,  il  testo  latino  delle  storie  di  Paolo  Orosio 
ed  un  manoscritto  greco  di  Dioscoride,  con  belle 
miniature  delle  piante.  Deste  a  ciò  le  speranze  dei 
dotti  di  Cordova,  come  ci  narra  Ibn**GioIgiol  che  fu 
medico  della  corte  nel  regno  seguente,  il  càUfo  Abd- 
er-Rahman  richiedeva  a  Romano  un  interprete  di 
greco  e  di  latino;  e  mandatogli  del  novecentocinquan- 
tuno  il  monaco  greco  Niccolò,  fu  riveduta  o  piuttosto 
rifatta  la  versione  con  l'aiuto  dei  disegni.  Se  ne  dèe 
merito  a  parecchi  medici  arabi  di  Spagna,  al  dotto 
medico  giudeo  Hasdai-ìbn-Bescrùt,  «IF  interprete 
Niccolò  ed  al  siciliano  Abu-abd-AUah,  che  parlava 
r arabo  e  il  greco  e  conoscea  la  materia  medica;  tan- 
toché la  difficile  interpretazione  tecnica  fu  compiuta, 
né  altro  rimase  ad  appurare  che  una  diecina  di  sem- 
plici di  poco  rilievo.  Fin  qui  Ibn-^iolgiol,  il  quale  in 
gioventù  conobbe  e  praticò  tutti  i  collaboratori.  Del 
Siciliano  altro  ei  non  dice  ;  ma  ben  si  può  supporre  di 
schiatta  greca  e  convertito  di  fresco,  non  avendo  no- 
me patronimico ,  e  prendendosi  sovente  dagli  uomini 
nuovi  il  nome  proprio  di  Abd-Allah,  che  fiignifica 
servo  di  Dio.^  Possiamo  supporre  di  gran  momento 
la  cooperazione  sua,  poiché  si  narra  di  lui  solo  che 
unisse  le  nozioni  tecniche  alle  filologiche. 

'  Squarcio  doUt  viu  di  Ibn-Giolgiol  (io  fraoeese  Djol4iol)  per  IbD- 
aM-^OMibia,  testo  e  arsione  di  M.  Sacy»  io  appendice  atta  Réiotion  de 
VE9ypl€  far  Abdallatif,  p.  5i9,  seg.,  e  495,  aeg. 


1^95-948.)  —  220  — 

Dalla  medicina  passiamo  di  sbalzo  alla  giurispru- 
denza; non  concedendo  quadro  più  compiuto  le  me- 
morie che  abbiamo.  Ma  se  giurisprudenza  vuol  dir  la 
base  d'ogni  civiltà;  se  V incivilimento  europeo  si  debbe 
alla  legge  romana^  piii  che  a  niun  altro  libro  o  istitu- 
zione; lo  studio  del  dritto  ebbe  neir islamismo  confini 
assai  più  larghi  e  maggiore  influenza  civile  e  letteraria 
che  neir  Occidente  pagano  o  cristiano.  Accennammo  già 
la  importanza  politica  dei  giuristi  musulmani  dell'ot- 
tavo e  nono  secolo/  Lo  studio  loro  abbracciava  tutte 
le  scienze  che  noi  chiamiamo  morali  e  politiche,  tra- 
scorrea  fino  alla  teologia,  chiamava  la  filologia  a 
darle  aiuto  nella  interpretazione  del  Corano,  adope-* 
rava  la  biografia  come  strumento  di  critica  della  tra- 
dizione, arrivava  alle  soglie  della  matematica  compu- 
tando le  tasse  legali  e  le  frazioni  nel  partaggio  delle 
eredità.  Però  non  fa  torto  all' Affrica  se  non  coltivò 
con  onore  altra  scienza  che  questa.  Ve  la  illustrarono 
nel  nono  secolo  Ased-ibn-Foràt,  conquistatore  della 
Sicilia,  e  Sehnùn;^  entrambi  della  scuòla  di  Malek.  Né 
tardò  molto  a  passare  in  Sicilia  mediante  i  discepoli 
di  Sehnùn.  Fra  i  quali  levò  grido  un  lehia-ibn-Omar- 
ibn-Iusùf  morto  in  Snsa  il  novecentotrè  in  odore  di 
santità*  e  maestro  del  siciliano  Abu-Bekr-Ahmed"- 

'  Veggasi  il  Libro  I,  cap.  VI,  e  Libro  II,  cap.  II,  nel  volome  primo, 
p.  149,  seg.,  285,  seg.  ,  / 

'  Questo,  era  soprannome.  Il  nome  intero  Abu-Saìd-Abd-es-Selftm- 
ibn-Sald-ibn-Qablb-ibn-Hasftn-ibn-Hel&I-ibn-Bekk&r-ibn-Rébia' ,  della 
tribù  arabica  di  Tonùkh.  Cosi  il  Riodk-en^Nofus,  fog.  59  verso.  Gonfroo* 
tisi  Ibn-Kballikàn,  versione  inglese,  tomo  II,  p.  151. 

'  Si  vegga  il  cap.  IX  di  questo  III  Libro  nel  presente  volume,  p.  188. 
La  data  della, morte  si  argomenta  dal  posto  dato  a  questa  biografia  nel 
Riàdh-^n'-Nofùs,  fog.  57  verso.  lebia-ibn-Omar  spese  seimila  dinar  per 
lo  stadio  della  giurisprudenza.  Andò  in  Spagna,  donde  fa  detto  AndalosI; 


ibn-^Mobammed-ìbn-Iehia,  corei^cita,  devoto  famige- 
rato/ Più  che  la  voce  di  tal  discepolo,  giovò  ana 
grande  opera  di  Iehia-ibn-Omar,^intitolata  ''Comanda- 
menti della  fede  e  leggi  dell'isiàm  ,**  la  quale  si  leggea 
nelle  scu(de  di  dritto  di  Sicilia  e  d'Affi*ica,  e  chiama- 
vanla  comunemente  il  Libro  dei  Miracoli.  Vivendo 
Tautore,  un  liberto  degli  aghlabiti,  diligentissimo  edi- 
tore, '  s*  era  venduto  il  giubbone  per  comperare  per- 
gamena vecchia'  da  copiar  questa  o  altra  opera  di 
lehia-ibn-Omar;  e,  com'egli  ebbe  fornita  la  copia, 
un  altro  zelante  e  povero  letterato  fé'  lungo  viaggio 
a  piedi  per  lamor  di  leggerla  e  trascriverla.  Parecchi 
anni  appresso  un  giurista  siciliano  o  stato  nel!'  isola, 
infervorato  del  Libro  de' Miracoli  sei  vide  in  sogno 
tutto  illuminato  d' una  luce  che  scendea  dal  cielo. 
A  tal  venerazione  era  giunta  l'opera  d'Iehia  e  la 


e  in  Oriente,  dove  fece,  come  tutti  coloro  che  il  poteano,  an  eorso  di 
lingua  e  poesia ,  dimorando  nelle  tende  dei  Beduini  in  Arabia.  In  cotesta 
peregrinazione  scientifica,  durata  selle  anni ,  consumò  quasi  il  suo  avere. 
Riddh-en^NofUs,  1.  e. 

*  Riddh-en^Nofus ,  fog.  79  recto. 

'  Intendo  non  solamente  copista,  come  suonerebbe  tal  voce  nel  me- 
dio evo,  ma  uom  dotto  cbe  sovente  compilava  sul  dettato  dei  maestri.  Co- 
stai segnalavasi  tra  gli  editori  d'Affrica  per  tenace  memoria  «scrupolosa 
esattezza.    « 

>  Il  testo  dice  che  costai^  per  nome  Abmed-Kasri  (ossia  del  Castel 
vecchio  presso  Kairewàn),  non  avendo  da  comperar  carta,  si  vendè  fi  giub- 
bone e  col  prezzo  acquistò  dei  rokùk.  Tal  voce  secondo  i  dizionari  ò  plu- 
rale di  Rekk,  *  carta  o  pergamena.*  La  definizione  è  vaga,  o  il  senso  variò 
coi  tempi  e  i  paesi.  Ha  leggiamo  in  Blasudi,  BibUotpea  Àrabo^Sieula,  p.  3, 
che  la  pomice  di  Sicilia  si  adoperava  a  radere  lo  scrìtto  nei  difter  e  nei 
rohùk.  Indi  mi  par  manifesto  cbe  quest*  ultima  voce  significava ,  nel  X  se* 
colo  i  *  pergamena  vecchia.  *  La  voce  che  lio  reso  carta  h'  wark,  jSi  com- 
prende poi  benissimo  che  la  carta  nuova  dovesse  costare  in  Affrica  assai 
più  cara  che  i  codici  latini  e  greci ,  merce  inutile,  da  ripassarsi  con  la  po- 
inice  prima  dj  adoperarli.  Quanti  preziosi  Manoscritti  antichi  dovettero 
perire  in  questa  guisa! 


I895-W8  I  —  222  — 

scienza  ch*ei  coltivò!  Io  Palermo  insegnava  per  quat- 
tordici anni  la  Modawwana,  celebre  manuale  di  dritto 
secondo  Malek,  il  professore  Abu^aìd-Lokmàn-ibn- 
lusùf /  della  tribù  arabica  di  Ghassàn  ;  trapassato  a 
Tnnis  il  trecentodiciotto  dell'egira  (930-31);  martire 
della  didascalia,  s'egli  è  vero  che  mori  d'una  piaga 
fattasi  al  costato  con  Y  angolo  della  tavola  sulla  quale 
solca  scrivere  e  spiegare  il  testo.  Si  nota  di  costui 
che  possedette  dodici  rami  diversi  di  scienze  ;  *  né  fa 
maraviglia,  atteso  la  vastità  degli  studii  che  rannoda- 
vansi  al  dritto.  * 

Segnaiossi  tra  i  discepoli  dì  Sehnùn,  per  dottrina 
e  austera  integrità,  un  Àbu- Amr-Meimùn-ibn-'Amr, 
il  qtaaJé  die  alla  Sicilia  beir  esempio  delle  virtù  di 
magistrato.  Promosso  a  cadi  dell'  isola ,  da  delegato 
eh*  egli  era  al  tribunale  dei  soprusi  di  Kairewftn , 
andando  a  Susa  per  imbarcarsi,  Meimùn  si  volse 
alla  gente  che  gli  dava  il  buon  viaggio.  *" Cittadini," 
lor  disse,  *ecco  la  giubba  e  il  inantello  che  ho  indos- 
so ;  ecco  lo  zaino  coi  miei  libri,  e  cotesta  schiava  ne- 
gra che  mi  fa  i  servigi  di  casa,  con  una  giubba  e  un 
mantello  né  più  né  mancò  di  me  :  ponete  ben  mente, 
e  vedrete  in  che  arnese  tornerò  di  Sicilia.*  Giuntò  in 
Palermo,  come  poi  narrò  il  siciliano  SaYd-ibn-Othman , 
e  c(mdotto  alla  casa  dei  cadi,  Meimùn  quando  la  vi- 

<  llfd<fA-efi-M)/lu,rog.  79  recto.  ' 

<  Ce  ne  fornisce  un  esempicciirioso  il  MS^  della  Biblioteca  ài  Parigi, 
Ancien  PoDds,  277,  fog.  iOO  recto,  aeg.  In  questa  compilazione  legale  del 
secolo  X  vi  si  tratta  tra  le  altre  cose  delle  acque  stagnanti  delle  quali  fosse 
lecito  ht  uso  nelle  abknieni.  Come  la  tndiaione  vuol  che  queste  acque 
abbian  certo  wlnme,  cosi  il  compilatore  si  crede  obbligato  a  indicare  i 
modi  geodetici  di  misurar  la  superficie  delU  sUgsi,  e  fa  a  .quesi'  effetto  un 
lungo  trattato  con  figure  geometriche. 


—  223  —  [MS^8.] 

de,  ricusò  d'entrarvi,  dicendo  non  saper  come  accon- 
ciarsi in  sì  gran  palagio;  e  volle  albergare  in  una  pie- 
ciòla  casetta.  Dove,  senza  aguzzini  né  uscieri ,  quando 
alcun  picchiava  alla  porta,  borrea  la  negra  ad  aprire, 
rispondeva  :  "^  or  ora  parlerete  al  cadi  ;  "  e  chiama- 
tolo, se  ne  tornava  a  filare  per  vendere  il  refe  e  sup- 
plire allo  scarso  mantenimento  del  padrone.  Il  qual 
magistrato  non  è  a  dire  se  fosse  caro  a  tutta  la  cit* 
tè.  Poi  si  ammalò.  Non  vedendolo  uscir  di  casa  da, 
tre  di,  gli  amici,  andati  a  visitarlo,  lo  trovarono  gia- 
cente, in  vece  di  tappeto,  sopra  una  stuoia  di  papiro, 
manifattura  indigena ,  ^  appoggiando  il  capo  su  due 
cuscini  imbottiti  di  fieno.  Piangendo  lor  disse  avere 
atteso  airoficio,  che  n'era  testimone  Iddio,  finché 
gli  eran  bastate  le  forze;  né  li  avrebbe  abbandonati 
giammai  se  non  fosse  stato  per  quella  incurabile  in- 
fbtmità  che  si  sentiva.  Volle  andare  a  morire  in  pa« 
tria.  E  quando  partì  :  *  Che  Dio  vi  conceda  un  sue* 
cessore  miglior  di  me,  "  furon  le  ultime  parole  di 
Mdmùn  ai  Palermitani;  e  quelli  a  benedirlo  ed  a  pre^ 
gargli  salute.  Né  dimenticò,  messo  il  piò  a  Susa ,  di 
mostrare  alla  gente  Q  sacca  dei  libri,  le  vestimentà 
fatte  pili  logore  e  la  stessa  schiava.  ' 

Pier  certo  le  relazioni  politiche  con  rA£Frica  frut- 
tarono alla  Sicilia  un  utilissimo  commercio  d'idee 
e  di  studi!.  Si  novera  tra  i  discepoli  di  Sehnùn, 

/  Ag^uDgo  questo  percbò  Ibn-Haukal  pària  del  papiro  di  Palermo, 
nel  Journal  AHatique^  sèrie  !¥•,  tomo  V,  p.  88; 

>  Biàdk''€n'Nofii8f  fog.  77,  verso.  Ancorcbò  intesta  biografia  si  legga 
nel  316,  sembra  errore  da  correggersi  Zìi,  secondo  1*  ordine  cronologico 
cbe  comincia  poco  innanii  nel  Riddh.  Secondo  DsebebI ,  ÉSUUHeU-'iber, 
MS.  di  Parigi,  Ancien  Fonds,  046,  tomo  I,  anno  590,  segui  In  questo  anno 
la  morte  di  Meimftn,  ormai  centenario,  paralitico  e  rimbambito. 


un  Diamd-ibn-Mohammed ,  morto  il  dagentonovanta- 
sette  (909-910),  ch'era  stato  cadi  di  Sicilia  sotto  gli 
Aghlabiti/  Con  T  insegnamento  ortodosso  trapelavan 
anco  i  novelli  ardimenti  filosofici  dei  Musulmani;  sa- 
pendosi che  ir  giureconsulto  Àbu-Giafar-Mohammed- 
ibn-Hosein-Marwazi,  com^ei  pare,  oriuado  persiano, 
trapassato  in  Sicilia  del  dugentonovantatrè  (905-9Ò6) 
era  forte  sospetto  di  miscredeniza.  *  Sembrano  inco- 
minciati in  Sicilia  nella  stessa  metà  del  decimo  se- 
colo gli  studii  filologici;  poiché  il  primo  Siciliano  let- 
tor del  Corano  e  grammatico  di  cui  si  trovi  il  nome 
nelle  raccolte  biografiche,  è  Àbu-abd-AIlah-Moham- 
med-ibn-Khorassàn,  liberto  degli  Aghlabiti^  nato  il 
trecentosei  (918-19),  di  schiatta  persiana  anch' egU, 
se  è  da  stare  all' indizio  del  nome  patronimico.' 

Appariscono  al  tempo  stesso  in  Sicilia  i  primi 
esempii  d'una  maniera  di  erudizione  che  fu  molto 
in  voga  appo  i  Musulmani,  dico  i  racconti  biografici 
che  correano  nelle,  scuole  e  ritrovi  dei  dotti  :  officine 
delle  eflemeridi  letterarie  di  quel  tempo.  Taluno  li 
messe  in  carta  ;  poi .  vennero  i  compilatori  che  ci 
hanno  serbato  cotesti  materiali  di  Storia  letteraria, 
chiamati  per  lo  più  Tabakàt,  o  vogliam  dir  classi , 

^  Baiàn,  testo  arabico,  tomo  I,  p.  i60. 

>  Op.  cit.,  p.  138.  Marwazi  è  nome  etnico  cbe  si  riferisce  a  Merw  in 
Kborassàn,  ad  un  borgo  di  Bagdad,  é  fors'anco  ad  un  villaggio.  Veggasi 
il  Lobb^el^Lobbdb  di  Soiuti,  ediz.  di  Leyde,  p.  242,  con  la  nota  ^ 

'  Makrizi,  Mokaffa,  MS.  di  Leyde  1366,  al  nome  Mohammed  ;  Soioti, 
Tabakài-^l^Lùghawin,  MS.  di  Parigi^  Suppl.  Arabe,  681 ,  e  MS.  del  dot- 
tor Jobn  Le^,  allo  stesso  nome.  L'època  e  la  qualità  dì  liberto  degli  Aghla- 
biti,  fan  supporre  nato  costui  in  Sicilia,  ove  si  fossero  rifoggiti  i  geni- 
tori.  La  famiglia  par  di  origine  peniana  a  cagion  di  quel  nome  di  Korassàn, 
quantunque  non  abbia  la  forata  di  aggettivo  patronimico  cbe  sariebbe 
Kborassàn)i.  1  Beni-Korassftn  furon  signori  di  Tunis  nel  Xli  secolo. 


—  225   —  ^  1895-94  8. 1 

seado  ordinati  i  cenni  biografici  in  classi,  di  giure- 
consulti, grammatici,  poeti,  lessicografi  e  simili: 
Delle  più  antiche  e  preziose,  è  il  Riddh-en-Nofùs, 
da  noi  ricordato  sovente;  il  quale,  trattando  dei 
giuristi  e  santi  musulmani  d' Mrica  fin  oltre  la 
metà  del  decimo  secolo,  ci  dà  i  nomi  dei  Siciliani 
che  tramandarono  parecchi  aneddoti  a  voce  o  in 
iscritto.  Indi  veggìamo  che  Abu-Bekr-Ahmed,  citato 
dianzi  tra  i  discepoli  di  lehia-ibn-Omar,  lasciò  ricor- 
di ,  scritti  com'  e'  pare ,  intorno  il  pio  giurista  Abu- 
Harùn-Andalosi,  vissuto  in  AflFrica;  pei  quali  fatti 
Abu-Bekr  or  si  dà  come  testimone  oculare,  or  allega 
i  detti  altrui.*  Il  medesimo  Abu-Bekr,  su  la  fede  del- 
l'altro Siciliano  Abu-abd-Allah-Mohammed-ibn-Kho- 
rassàn,^  riferisce  aneddoti  d'un  Ibn-Ghazi  da  Susa, 
devoto  un  tempo  e  rinomato  lettóre  del  Corano  per 
la  melodia  della  voce ,  poi  infame  tra  gli  Ortodossi 
perché  alla  esaltazione  del  Mehdi  lo  adulò  vilmente, 
è  s'aflSliò  a  setta  ismaeliana.  '  Abu-Bekr,  avendo  in 
sua  giovinezza  conosciuto  lehia-ibti-Omar  (m.  903) 
ed  Abu-Harùn-Andalosi  (m.  905),  visse  nella  prima 
metà  del  decimo  secolo.  Contemporaneo  di  lui,  e  al 
par  siciliano  Sald-ibn-Othman  ;  il  quale  raccontò 
a  voce  i  fatti  del  cadi  Meimùn  in  Palermo.  *  Un  altro 


'  Riddh^en-Jiofus,  fog.  60  recto.  L'autore  Maleki,  il  quale  bod  visse 
,  di  certo  innanzi  ia  fine  del  X  o  priiicipii  deirXI  secolo,  cita  qui  con  la  fra- 
se :  Narra  Abu-Bekr  etc.  Da  ciò  argomentiamo  che  Maleki  atea  sotto  gli 
occhi  uno  scritto,  non  un  t'acconto  inserito  da  autore  più  moderno,  11  cuf 
nome  atrebbe  citato  com'ei  suole. 

'  Costui  non  è  detto  siciliano  nel  Riàdh;  ma  lo  sappiamo  d'altronde. 
Si  Tegga  a  p.  224,  nota  3* 

'  AtddA^n-iVo/tts,  fog.  107  verso. 

*  Si  vegga  la  p.  222. 

a.  in 


I8D5-948.1  —  226  — 

Aba-Bekf,  per  uome  Mohammed-ibn-Ahuìed-ibB- 
Ibrahim,  maestro  di  scuola,  detto  il  Siciliano,  forniva 
air  autore  del  Riàdh  alcuni  aneddoti  del  devoto  afri- 
cano Abu-Iunis-ibn-Noseir,  morto  il  trecentoquat- 
tro (916-17)  del  quale  ei  fu  amico  ed  ospite.*  ir  Sici- 
liano Abu-Hasan-Harlri,  o  diremmo  il  Setaiolo,  morto 
il  trecentoventidue  (934),  che  guadagnò  con  ascetiche 
stravaganze  un  cenno  biografiìco  nel  Riàdh,  può  pas- 
sare anch' egli  tra  gli  agiografi;  poiché  si  seppero 
dalla  sua  bocca  le  dolci  visioni  di  Moferreg,  '  le  zuffe 
d'Abu-AIi  da  Tanger  col  nemico  del  genere  umano,  * 
e  le  vicende  del  pellegrino  Abu-Sari-Wàsil,  ritrattosi 
in  eremitaggio  presso  il  castello  Dtmàs  in  Affrica.  ^ 
Per  quanto  si  voglian  supporre  perduti  i  ricordi 
di  quella  età,  la  somma  è  che,  innanzi  la  dominazione 
kelbita,  la  cultura. intellettuale  della  Sicilia  si  ristrin- 
gea  quasi  alla  scienza  del  dritto  ;  né  lasciò  nomi  il- 
lustri. L' argomento  negativo  che  viene  dal  Riàdh  e 
da  altre  compilazioni  parziali,  pienamente  si  conferma 
col  dizionario  generale  d' Ibn-Khallikàn ,  dove  si 
leggono  le  biografie  di  Siciliani  del  duodecimo  e  un- 
decimo  secolo,  ma  nessuna  ve  n'  ha  del  decimo.  Ciò 
non  vuol  dire  che  gli  studii  tontani  dalla  giurispru- 
denza^  V  erudizione,  le  lettere ,  la  poesia  fossero  tra- 

'  Riàdh'^en-Nofus,  feg.  73  feifso. 

*  Si  vegga  il  Labro  II,  eap.  X,  p.  430,  del  primo  Tolume. 

'  Riddh-^n^NofUs,  fog.  79,  verso.  È  da  avvertire  che  la  biografia  di 
Abu-Hasan*HarìrÌ  è  messa  il  316,  ma  trovaniiosi  tra  il  323  e  il  335,  è  da 
supporre  uno  sbaglio  nella  data. 

*  Rtàdh'-m'IiofAs,  fog.  61  recto.  La  morte  di  Wàsil  è  riportaU 
al  294.  Ho  scritto  il  soprannome  Sari ,  secondo  DsebebI ,  MS.  di  Parigi , 
Ancien  Fonds,  803,  il  quale  avverte  che  un  altro  nome  scritto  in  arabico 
con  le  stesse  consonanti  si  pronunzia  Sorri. 


—  227  —  (805-94S.I 

scurati  al  tatto  in  Sicilia ,  avanti  i  Kelbiti.  Sarebbe 
bastata  a  recarveli  la  sola  famiglia  aghlabita,  che  sì 
larga  diramossi  allato  al  regio  ceppo  d' Ibrahim.  Per- 
chè nel  nono  secolo  que'  nobili  rami  dieron  molti 
emiri  alla  Sicilia  ;  \  una  lor  famiglia  anco  par  trapian- 
tata nella  colonia  :  '  e  dall'  altra  mano  sappiamo  colti- 
vate  dai  discendenti  d' Aghlab  logica,  dialettica,  astro- 
nomia 0  astrologia  che  dir  si  voglia,  rettorica,filologia} 
e  lo  stile  peregrino  di  scrivere;  ne  troviamo  anche 
un  che  dettò  cronica  o  storia  della  casa  d' Aghlab  ; 
e  dei  verseggiatori  non  v'ebbe  penuria.'  Ma  in  Af- 
frica cotesto  discipline  non  fiorirono  mai  al  par  del 
dritto,  né  salirono  al  ragguaglio  delle  letterature  con- 
temporanee dei  califati  d' Oriente  e  di  Spagna  :  e  la 
colonia  siciliana,  che  le  toglieva  in  prestito  dalla  ma- 
dre patria,  pur  dovea  rimanere  più  addietro.  Non  si 
veggono  Affricani  né  Siciliani  nel  letimat-ed-dahr , 
antologia  poetica  di  Th'àlebi,  oriundo  persiano  vivuto 
nei  principii  dell'  undicesimo  secolo  ;  il  quale ,  ricer* 
cando  i  poeti  buoni  e  mediocri  dell' Oriente  musul- 
mano, gittò  pure  uno  sguardo  sa  quei  della  Spagna.^ 

«  Si  vegga  il  Libro  II,  cap.  V,  VII,  IX,  X,  voi.  I,  p.  300,  542,  seg.^ 
3K3,  391 ,  423,  427;  Libro  III,  cap.  Ili,  VI,  voi.  Il,  p.  63,  64, 134. 

*  Ibo-Haukal ,  Journal  Asiatiquet  IV  serie,  voi. V,  p.  99,  parla  d*una  mi- 
niera di  ferro  presso  Palermo,  ch'era  stata  posseduta  da  un  di  casa  d'AghIab. 

'  Veggasi  Libro  III,  cap.  II,  p.  58  di  questo  volume,  e  Ibn->Abbàr,  MS< 
della  Socieili  Asiatica  di  Parigi,  fog.  35  recto,  36  recto,  148  verso.  Da 
quest'ultimo  luogo  Casirl  trasse  la  notixia  ristampala  dal  Di  Gregorio, 
Rerum  Àrahicarum,  p.  237,  lin.  6,  la  quale  non  appartiene  propriamente 
alla  storia  letteraria  di  Sicilia. 

«  Th'&lebi  avverte  (MS.  di  Purigi,  Ancien  Fonda,  1370,  sezione  pri- 
ma,  lib.  X,  fog.  66,  recto)  c^e  del  Maghreb  (Aflfrica  e  Spagna)  non  avea  alle 
mani  antologie,  ma  poesie  volanti  raccolte  qua  e  là.  Pure  è  notevole 
ch*ei  ne  dia  di  molti  Spagnuoli,  di  pochi  appartenenti  alla  corte  fòtemita 
d' Egitto  e  di  nessun  Affricano  né  Siciliano.  Un  sol  tripolitano  che  vi  si 
trova  è  di  Trìpoli  di  Siria. 


(805-948.1  —  228  — 

Gì  torna  da  tutti  i  lati  queir  operoso  commercio 
tra  la  Sicilia  e  Y  AlSrica,  che  necQSsariameate  dovea 
nascere  dalie  relazioni  politiche  de'dae  paesi  e  che 
portava  seco  una  somiglianza  di  industrie,  d 'incivi- 
limento letterario,  e  di  costumi.  Al  frequente  passag- 
gio che  si  è  visto  di  uomini  notabili  dall'  Affrica  in 
Sicilia,  si  può  contrapporre  il  tramutamento  di  coloni 
che  andavano  a  tentar  la  sorte  nella  madre  patria, 
ai  quali  si  dava,  sia  per  nascita,  sia  per  lungo  sog« 
giorno,  il  nome  di  Siciliani.  Taluno  salì  ad  alto  grado 
in  Affrica.  Leggiamo  tra  i  governatori  di  Tripoli  uno 
Scekr,  detto  il  Siciliano,  che  die  principio  il  dugen- 
tosessantanove  (883-83)  alla  fabbrica  d' una  cisterna 
monumentale,  e  compiè  una  cupola  nella  moschea 
giami\  ^  Le  mura  della  stessa  città  furono  ristorate 
ed  ampliate  il  trecentoquarantacinque  (956-957)  da 
Abu-l-Feth-Ziàn  il  Siciliano,  motewalli,  o  vogliam 
dire  delegato  al  reggimento  del  paese.  '  E  poco  fa  ci 
è  occorso  di  nominare  il  capitan  siciliano  Boscera 
nelle  battaglie  dei  Fatemiti  contro  Abu-Iezid.  ' 

Perchè  poi  non  mancasse  alla  colonia  un  vizio 
grave  della  madre  patria,  veggonsi  i  Siciliani  gareggiar 
coi  fratelli  d'oltremare  nei  fasti  dell'  ascetismo  musul- 
mano. Operano  le  superstizioni  nei  popoli  come  i  li- 
quori inebbrianti  nel  corpo  umano  ;  i  quali  all'  assag- 
giarli dan  vigore  e  brio  ;  poi  turbano  il  cervello , 
concitano  sovente  a  rabbioso  furore;  alla  fine  sner- 
van  r  uomo ,  lo  fan  cadere  in  letargo  o  senile  imbe- 

<  Tigiani,  Ae/ie/a,  MS.  di  Parigi,  fog.  97  Terso,  s^g.  Traduzione 
francese,  p.  190,  seg. 
«  Ibid. 
3  Si  vegga  in  questo  Libro  III,  capi  X,  p.  199. 


—  229  —  [895-948.] 

ciliità.  La  macchiDa  soprannaturale  déir  islamismo, 
dopo  avere  aiutato  a  conseguire  gli  effetti  morali,  so- 
ciali e  politici ,  ai  quali  aspiravano  le  nazioni  del- 
l'Asia  anteriore,  invasò  i  Musulmani  d' infecondo  ar- 
dore teologico  è  li  assopì  nei  vaneggiamenti  delle 
espiazioni  e  propiziazioni  :  e  così  quello  zelo  eh'  èra 
stato  virtù  giovando  air  universale,  si  mutò  in  vizio, 
quando  portò  a  sanguinose  discordie,  o  peggio,  alla 
devota  misantropia,  allo  straziar  sé  stesso  senz'al- 
trui prò,  allo  sciogliersi  dai  legami  della  famiglia  e 
della  città,  allò  scambiar  la  moneta  sonante  delle  virtù 
limane  con  polizze  su  T  altro  mondo,  non  pur  sot- 
toscritte dal  fondator  di  loro  religione,  ma  dagli  inter- 
preti di  seconda  e  terza  mano.  Vercorreudo  il  Riàdh- 
en-Nofus,  si  veggono  comparire  successivamente  tra  i 
Musulmani  d'Affrica  tre  tipi  di  perfezione  inorale:  nel 
settimo  e  ottavo  secolo,  il  guerriero  del  conquisto, 
ambizioso  di  martirio;  nel  nono  secolo  il  giureconsulto 
che  impavido  affronta  tiranni  e  plebi;  nel  decimo  il 
motéabbed,  uom  di  santa  vita  diremmo  noi,  che  si 
macera  d'astinenza,  si  stempra  in  lagrime,  passa  di  e 
notte  pregando  e  ruminando  fatti  soprannaturali,  e  di 
rado  avvien  che  si  levi  di  gitiocchioni ,  per  vedere  se 
i  concittadini  sian  vivi  o  morti.  Pur  i  bacchettoni  pe- 
naron  lungo  tempo  a  ragguagliar  la  devozione  mu- 
sulmana a  quella  dell'impero  bizantino,  spogliandola 
della  virtù  guerriera  e  della  carità  spirate  da  Mao- 
metto. 

Ce  ne  dà  esempio  Mofarreg,  il  primo  santone  si- 
ciliano che  si  presenti  nel  Riàdh,  il  quale,  se  consu- 
mò il  rimanente  della  vita  in  sterile  penitenza,  avea 


[895-948  1  —  230  — 

sparso  prima  (882?)  il  sangue  per  la  patria.*  Aba- 
Hasan  il  setaiolo,  autor  di  questo  aoeddoto  d'agio- 
grafìa, raccontava  anco  i  travagli  di  Abu-AH ,  oriundo 
di  Tanger ,  nato  o  stanziato  in  Sicilia ,  eh'  ei  conobbe 
di  persona  e  passò  la  vita  tra  indefesse  austerità  ; 
lontano  dalle  cure  mondane;  assorto  tutto  nella 
preghiera.  Cui  soleva  comparire  il  demonio,  in  sem- 
biante d'uomo,  scongiurandolo  per  Dio  di  smetter 
sua  dura  penitenza,  '"con  la  quale,*'  aggiugneva  il  ma- 
ligno spirito,  ^'non  ti  avverrà  mai  dì  sentir  pace  nel- 
r animo.'' Ed  Abu-Ali  a  rispondergli:  "Via  di  qui, 
Tentatore  ;  se  Dio  m' aiuti,  continuerò  a  tuo  dispet- 
to. ""  Ma  coltolo  un  di  che  dormiva  sur  una  panca, 
Satan  gli  die  una  voltolata  ;  onde  cadendo  a  terra  si 
spezzò  la  fronte  ;  ed  enfiatagli  la  piaga,  e  prenden- 
dogli tutta  la  faccia ,  que'  tornava  a  sosurrargli  : 
""  Smetti ,  e  d' un  subito  ti  guarirò.  "  Finché ,  ostinan- 
dosi il  devoto  a  respingerlo  e  a  dirgli  che  amava 
meglio  morire,  il  demonio  lo  abbandonò  al  suo  fato, 
che  non  tardò  guari  a  compiersi,  *  Di  questo  Abu- 
Hasan  setaiolo,  rimase  un  ricordo  biografico  scritto 
da  Abu-^leiman-Rebf-Kattan,^  erudito  affricano  che 
soleva  andare  cu  visitarlo  in  casa  presso  la  moschea 
d' Abu-Zarmuna,  credo  a  Kairewàn ,  ov'  ei  gli  nar- 
rava quei  fotti  de'  devoti  di  Sicilia.  Par  che  Rebi',  si 
fosse  invogliato  di  conoscere  il  Setaiolo,  per  le  ma- 
raviglie che  sentiva  di  sua  pietà  :  uà  uom  fitto  sem- 
pre a  suo  telaio;  triste  e  silenzioso,  se  non  che  a  volta 

<  Si  Tegga  il  Libro  U ,  capitalo  X,  p.  420  del  primo  TolBme. 

'  Rìàdh^n-'ìiotu»,  fog.  79  verso. 

s  Kùiìàn  signica  tessitore  o  mercalaoto  «fi  cotone. 


—  231   —  (89^948.1 

a  volta  prorompeva  in  ringraziamenti  e  lodi  a  Dio  ; 
e  air  annunzio  delle  preghiere  canoniche,  metteasi  a 
gemere,  a  trascinarsi  in  terra,  a,  dolersi  delle  peccata, 
a  gridare  ^Ahimè  e'  ho  dissipato  la  vita  mia  negli  er- 
rori i"*  Il  dotto  giurista,  mezzo  devotò  anch' egli,  ma 
di  zelo  più  robusto,  ammirava  pure  le  ubbie  di  Àbu- 
Hasan;  né  seppe  trattenersi  dal  dirgli:  "^Tu  mi  colmi 
di  gioia, ^  quando  gli  senti  ripetere  aver  fitto  ormai 
ogni  suo  pensiero  nella  morte,  né  altro  bramar  che 
r  ora  di  comparire  al  cospetto  di  Dio.  '  Così,  secondo 
la  tempra  degli  animi,  variavano  i  sintomi  della  de- 
vozione, mentre  si  corrompea  l'islamismo.  Né  man- 
carono superstizioni  più  puerili.  Kazwfni,  compilatore 
di  cosmografia  e  storia  naturale  nel  decimoterzo  se- 
colo, ci  serbò,  nel  capitolo  deir  ictiografia  del  Medi- 
terraneo, il  racconto  d' un  bqon  Musulmano  d' Occi- 
dente ;  il  quale  navigando  in  quel  mare  il  dugentot- 
tantotto  (901)  vide  un  giovane  siciliano  ch'era  seco 
nella  barca,  gìttar  la  rete  e  cogliere  certo  pesciolino 
^miracoloso  il  quale  portava,  a  mo'  di  collana,  tutto  il 
simbolo  musulmano  :  avea  scritto  su  la  mascella  de- 
stra a  Non  v'  ha  dio  che  il  Dio  ;  »  nell'occipite  «  Mao- 
metto ;  »  e  su  la  mascella  sinistra  «  è  T  apostol  di 
Dio.  »  * 

«  fiiddfc-cn-iVo/a*.  fog.  79  verso. 

>  Zaccaria el-Gazwinrs,  Cosmographie,  testo  arabico  deir  'Àgià'ilH 

el-MekhUkdt  pubblicato  dal  prof.  Wiistenfeld ,  p.  123.  L'autore  dice  un 
pesce  lungo  una  spanna,  e  che  la  nave  era  prèsso  B  rlùn;  il  ^\Jii\e  non  so 
a  che  luogo  risponda. 


—  233  —  [94t| 


LIBRO    QUARTO. 


^k9im 


CAPITOLÒ  I. 


La  tribù  di  Kelb,  '  rampollo  di  Kodhà'a,  e  però 
del  ceppo  himlarita,  die  soldati  agli  eserciti  che  pas- 
savano in  occidente  al  principio  dell' ottavo  secolo;  oc^ 
correndo  poco  dipoi  nella  storia  di  Affrica,  e  Spagna 
emiri  kelbiti  di  gran  fama ,  '  dei  quali  Biscìr-ibn'r- 
Sefwàn  capitanò  una  correria  sopra  Ja  Sicilia.  '  Prevalsi 
poi  in  Affrica  gli  Arabi  di  Adnàn ,  i  quali  in  ogni  modo 
abbassarono  e  calpestarono  la  schiatta  di  Gahtàn,  si 
vede  tuttaviav  un  capitano  kelbita  ucciso  nelle  guerre 
civili  alla  fin  dell'ottavo  secolo,  ch'avea  tenuto  Mila 
presso  Costantina ,  *  e  però  nei  luoghi  ove  facea  sog- 
giorno la  tribù  di  Kotama.  Preso  infine  lo  stato  dalla 
casa  modharita  d' Aghlab,  si  dilegua  il  nome  kelbita 

dalle  storie ,  fino  alla  esaltazione  dei  Fatemiti  ;  ai  quali 

• 

*  Ktlb,  yrnoi  dir  "cane."  Questo  nome  d*  un  dei  progenitori  della  tribù 
fu  dato  fprse,  come  usavano  gli  Arabi  avanti  Maometto,  pél  caso  d'essersi 
visto,  0  sentito  abbaiare,  un  cane  alla  .nascita  del  lanciuUo. 

3  Libro  1,  capitolo  VI,  p.  135,  nota  1,  e  p.  136  del  primo  volume.  Si 
vegga  anche  Ibn-Khaldùn,  Histoire  de  l'Àfrique  et  de  la  Sicitet  versione 
di  M.  Des  Vergers,  passim;  Conde,  DominaeUm  de  los  Arabes  en  Bspana, 
parte  I,  cap.  22,  32,  33,  33;  Makkari,  Mohammedan  d^fnasties  in  Spain, 
versione  del  prof.  Gayangos,  tomo  li,  p.  41,  66. 

'  Libro  I,  capitolo  VII,  p.  171  del  primo  volume. 

*  Nowairi ,  Storia  d'Affrica ,  in  appendice  alla  Histoire  des  Berbères 
par  Iba-'Khaldoun ,  versione  del  baron  De  Slane,  tomo  I,  p.  391. 


[W8.1  --  234  — 

era  ragione  che  si  accostassero  gli  avanzi  dei  nobili 
arabi  nemici  della  passata  dinastia.  Intanto  uomini 
kelbiti  aveano  acquistato  séguito,  e  forse  stretto  pa- 
rentele, nella  gente  di  Kotama,  che  amava  ad  ara- 
bizzare;  poiché  nei  tempi  appresso  (986)  veggìamo 
sceikh  de'Kotamii  in  Egitto,  capo  connivente  a  loro  in- 
solenza  e  non  dato  al  certo  dai  califi,  un  Kelbita  della 
casa  appunto  degli  emiri  di  Sicilia.  '  Sia  dunque  in 
grazia  dei  Kotamii,  sia  della  setta  ismaeliana  o  d'altri 
servigi  i  Beni-abi-Hoseiii  di  Kelb  furono  ben  visti  a 
corte  del  Mebdi;  '  Ali  di  quella  gente,  moii  a  tiirgénti 
combattendo  per  Eàim;  '  Basan ^  figlio  di  Ali,  guada- 
gnò nuovi  meriti  appo  Mansùr,  come  si  è  detto,  Affi^ 
dando  a  costui  la  Sicilia,  Mansùr  potea  fare  assegna- 
mento, non  meno  su  la  fedeltà  e  il  valor  dell'uomo, 
che  su  le  qualità  della  Simiglia:  nobile  e  però  rive- 
rita dal  popolo;  nuova  in  Sicilia  e  però  sdolta  d'ogni 
legame  con  la  parte  aristocratica  del  paese. 

Non  occorre  di  esaminare  la  sognata  concessione 
feudale  (fella  Sicilia  ad  Basan,  che  si  fondava  su  la 
versione  erronea  del  testo  d' un  plagiario  ;  e  i  mo- 
derni compilatori  T  hanno  abbandonata,  conoscendo 
quanto  ripujgnasse  agli  ordini  musulmani.  *  In  vece  di 

*  Hakrizi,  cHato  da  Sacy,  ChriitomaiU  Amht,  tomo  I,  p.  157. 

'  NoWairi,  presso  Di  Gregorio,  Hwum  Arahie^rum,  p.  15.  La  ver- 
sione  «  tum  fpxòd  de  majofihtts  mU  optime  meritui  fitUset,  »  si  corregfl^a: 
«  ed  anche  per  essere  stali  i  maggiori  di  Basan,  fedeli  servitori  degli  an- 
tenati di  Mansùr.  »  Così  eTìdeatemente  si  risalisce  ài  Bfelidi. 

9  Veggasi  il  Lìlrro  IH,  cap.  IX,  p.  191. 

*  Sìapeodo  male  l'arabico  e  peggio  il-  dtriito^musijdmaBO,  Marca  Dobello 
Giteron  tradusse:  «  dedit  insidam  Sicilia  in  feuduntec.,  •  nei^i  estratti  di 
Sceb&b^d-din-Omari ,  presso  Di  Gregorio,  Rerum  Afyibicarum,p.  59.  Il 
Di  Gregorio  sospettò  l' errore,  ilùd.,  nota  f;  e  con  minore  incertezza  lo  ha 
condannato  il  Wenrìch,  lib.  li,  cap.  S50,  p.  270,  971.  11  ftito  di  cui  né 


—  235  —  1W8.1 

quella  impossitHlità  legale,  il  Martorana  pensò  che  il 
califo  fatemita,  a  un  tempo  con  la  elezione  di  Hasan, 
avesse  ordinato  il  governo  di  Sicilia  con  titolo  più 
illustre  ed  autorità  più  larga,  accordando  alV  isola 
^'un  emirato  soo  proprio."  ^  Ma  veramente,  né  ri  nome 
era  nuovo,  né  rautorità.  La  prima  cosa,  Toficio  di 
wàli,  che  il  Martorana  crede  inferiore  a  quel  d'emiro, 
è  il  medesimo,  semprechè  si  tratti  d'una  provincia; 
e  vale  tanto  a  dir  wàli  d'Africa,  d'Egitto,  di  Sicilia,  o 
simili,  quanto  emiro:  e  ciò  in  linguaggio  comune  al 
par  che  in  linguaggio  legale.  '  In  secondo  luogo,  nes- 
suno scrittore  &  motto  di  mutati  ordini  al  tempo  di 
Hasan  ;  ^  nessuno  serba  a  lui  ed  ai  successori  il  titolo 
di  emir  ed  ai  predecessori  quello  di  wdli:  fin  dai  prin- 
cipii  del  conquisto  di  Sicilia,  son  adoperati  da  sino- 
nimi, or  Tuno  or  T altro,  come  portava  Tuso  della 
lingua  e  il  capriccio  dello  scritt(»*e;  allo  stesso  modo 
che  gli  ÀghUbiti  or  son  detti  wàli^  ed  or  emiri  d'Af- 
frica. In  fine,  se  per  ^^ emirato  suo  proprio"  s'intenda 
governo  che  non  aUbracciasse  altra  provincia,  la  Si- 

r  UDO  ne  r  altro  si  accorsero,  è  che  il  compilatore  copiava  Abulfeda,  e  che 
però  aM>tamo  il  testo  araMeo,  qnaMunque  siasi  perduto  il  MS.  di  ScelUl^ 
ed-dtn.  Or  Abulfeda  dice  merameote  che  MaasOr  die  il  waliato  (ossia  oficio 
d'emir)  di  Sicilia  ad  Hasan.  Ànnales  MoBUmici,  tomo  II,  p.  446,  anno  536. 
Il  Martorana  s6ans(>  V  errore  senz»  confutarlo. 

'  NoH%ie  storiche  dei  Saraceni  SicUiuni,  tomo  1,  p.  03,  II,  p.  15. 

9  L'ho  accennato,  Libro  I,  capitolo  IV,  p.  147,  del  primo  volume,  e 
Libro  U\f  cap.  1»  p.5,  del  presenta  Wéli,  in  rapporto,  di  annessione  con 
altri  titoli  dì  magistrato,  significa  altro.  Emir,  legato  alla  voce  *  esercito,* 
significa  meraiiaente  "capitano."  In  tempi  più  recenti  si  son  chiamati  emir 
tutti  i  discendenti  di  Simiglia  principesca  ed  andbe  que'  di  Maometto. 

'  Nò  anco  la  Cronica  di  éambrUge*  scritta  al  tempo  dei  KelbitL  Pur 
fu  questa  che  suggerì  la  dislinsione  id  Martorana,  poiebè  Hasan  è  il  primo 
emiro  di  cui  noti  la  elezione  (d48).  Ma  defli  altri  il  cnmisla  non  la  disse, 
ignorando  forse  la  data;  e  in  ogoi  modo  ai  Im  dli  U  tM  d' emiro  a  Sa- 
lem (917-937), 


[948  1  —  23G  — 

cilia  se  l'ebbe  sempre  sotto  i  Masulmani.  E  se  voglia 
significarsi  emirato  con  pien  potere,  oficio  di  wàii  o 
emir  generate,  come  lo  chiamano  i  pubblicisti,  la  Si- 
cilia r  ebbe  senza  interruzione  fino  air  ottocentoset- 
tantotto,  e  di  tratto  in  tratto,  nei  settant'anni  che  se- 
guirono infino  al  novecenquarantotto,  quante  volte  i 
principi  d' Affrica  non  poteano  calpestare  i  coloni  a 
lor  talento.  '  In  ciò  si  dèe  dunque  correggere  la  sen- 
tenza. Da  un'  altra  mano  la  si  dèe  spiegare  alla  più 
parte  dei  lettori.  "Governo  proprio*  significava  in  Si- 
cilia, venti  o  trent'anni  addietro,  un  luogotenente 
del  re  di  Napoli,  albergato  più  o  meno  splendida- 
mente nella  reggia  di  Palermo,  ed  un'amministrazione 
civile,  finanziaria  e  giudiziale  independente  dai  mi- 
nistri napoletani  :  il  qual  ordine  bramavano  que'  Sici- 
liani che  non  odiasser  molto  la  dinastia  regnante;  e 
loro  ne  fu  conceduta  una  sembianza  che  durò  qual- 
che anno.  Donde  ^emirato  proprio  della  Sicilia,"  era 
frase  grata  a  taluni  e  credo  al  Martorana,  chiarissima 
a  tutti  nel  paese;  e  nel  nostro  caso,  rendea,  propria- 
mente o  no,  una  idea  giusta;  poiché  T ordine  del 
milleottocentrentadue  somigliò  molto  a  quello  del  no- 
vecenquarantotto,  astrazion  fatta  dagli  antecedenti  e 
dalle  conseguenze.  Il  Wenrich ,  non  avendo  alle  mani 
tal  cemento,  si  appigliò  alla  innovazione  di  titolo 
e  d'autorità,  ch'era  la  parte  più  debole  del  concetto 


<  Veggaosi:  Libro  II,  oap.  V,  VI,  VII,  IX,  X,  e  tutto  il  libro  III.  Pren- 
dendo a  caso  qualche  esempio  in  Ibn-^1-Atbtr,  si  trova  il  titolo  di  emir 
di  Sicilia  negli  anni  835,  8^1,882,  895,  925  ;  frammessovi  talvolta  il  titolo 
di  wdli,  fi  chiamandosi  sempre  r  oficio  waliato.  Cosi  negli  altri  annalisti 
musulmani.  Il  Bàian  dà  nelF  835  il  titolo  di  Sàheb ,  del  quale  si  è  detto  a 
suo  luogo. 


—   237  —  [948  1 

di  Martorana;  Vi  persistè  non  ostante  gli  schiariménti 
datigli  dalla  erudizione  orientale  ;  e  con  troppa  fretta 
si  cavò  da  cotesta  esamina  di  dritto  pubblico.  ^ 

La  quale  a  me  par  molto  piana.  Il  dritto  musut 
mano  ammette  due  forme  di  governo  provinciale; 
autorità  civile  e  militare  raccolta  in  unica  mano,  o 
divisa.  La  prima  forma,  obbligatoria  nei  nuovi  con- 
quisti enei  paesi  confinanti  con  Infedeli,  fu  adoperata 
necessariamente  in  Sicilia,  dove  i  coloni  la  tiravano 
a  independenza.  Ibrahim-ibn-Ahmed,  Mehdi  e  Kàim 
vollero  provar  T altra  forma;  e  non  bastaron  fiumi  di 
sangue  a  farla  allignare.  Mansùr,  più  generoso,  più 
savio,  0  che  gli  aprisse  gli  occhi  la  rivoluzione 
d'  Àbq-Iezid,  rinunziò  al  gusto  di  reggere  la  Sicilia, 
come  un  villaggio  d'Affrica,  dal  suo  sofà,  e  di  espi" 
larla  a  suo  talento  per  commissarii:  le  rese  il  governo 
normale  di  grande  provincia  di  confini,  con  mandarvi 
un  viceré,  com'oggi  si  direbbe.  Il  qual  fatto  non  fu, 
ne  poteva  essere,  accompagnato  da  novello  statuto, 
né  da  novello  titolo.  * 

<  WeDrich,  Commentarii^Mb.  I,  §  2S9,  p.  269.  I  passi  eh' ei  ciU  del- 
l'opera delbarone  De  Hammer  su  la  Costituzione  dell' impero  musulmano 
doyeano  farlo  accorto  del  vero  ;  lauto  più  che  De  Hammer  gli  forniva  il 
nome  di  un  emir  di  Sicilia  neirSSO;  e  che  egli  stesso  ne  avrebbe  potuto 
tedere  molli  altri  nei  testi  arabici.  Ne  uscì  scrivendo:  Utcumque  vero  ras 
se  habuerit ,  id  eerte  constai  digniiatem  illam  in  Hasani  Calbilce  familia , 
hereditario  quasi  jure  poslmodum  remansisse,  E  col  quasi  sdrucciolò  su 
quell'altro  intoppo  dell'oficio  rimaso  per  un  secolo  nella  medesima  famiglia. 

>  Lo  stesso  punto  di  diritto  pubblico  si  trattò  per  l'Affrica  propria 
nel  361  (971-72),  allorché  Moezz,  trapiantando  la  sede  in  Egitto,  dovea 
non  ristorare  ma  ìnstituire  1*  emirato  nella  provincia.  Proffertolo  ad  un 
Gia'far-ibn-ÀIi  di  schiatta  arabica ,  questi  domandò  pien  potere  nella  ele- 
zione dei  magistrati ,  nell'  amministrazione  della  finanza  e  in  ogni  altro 
atto  di  governo;  senza  obbligo  di  render  conto  dell'azienda  né, di  aspet- 
tare l'approvazione  del  califo  per  mandare  ad  effetto  i  provvedimenti.  Moezz 
gli  rispose  in  collera  che  volea  farsi  principe  in  vece  di  lui.  Accomiatatolo, 


(948.]  -^  *38   — 

Molto  manco  potea  Mansùr  istituire  T  emirato 
ereditario.  La  successione  del  quale  oficio  in  una  fa- 
mìglia si  vede  sovente  nelle  storie  musulmane ,  dagli 
Aghiabiti  d'Affrica  infino  agli  odierni  pascià  d'Egitto, 
ma  sempre  nacque  di  fatto  e  durò  con  le  sembianze 
di  elezione  che  venisse  dalla  volontà  del  principe^  Co- 
minciò sempre  da  un  emir  temporaneo  ;  finì  sempre 
col  fatto  di  novella  dinastia  independente;  passando 
per  una  serie  di  vicende,  che  da  una  dinastia  all'altra 
si  assomigliano  come  le  figure  simili  in  geometria; 
procedono  secondo  unica  legge;  e  danno  agli  occhi 
lo  stesso  aspetto.  Morto  Mansùr ,  pochi  anni  appresso 
la  elezione  di  Hasan,  i  successori  del  primo  non 
mutarono  la  famiglia,  degli  emiri  in  Sicilia,  perchè 
r  era  potentissima  a  corte  e  governava  T  isola  tran^ 
quiilamente.  Quando  pòi  i  Kelbiti  caddero  in  disgrazia 
al  Cairo,  i  califi  fatemiti  si  accorsero  di  non  poterti 
sradicare  dalla  Sicilia.  Perchè  già  era  avvenuto  il  caso 
che  nascea  necessariamente  dagli  ordini  sociali  e  po-^ 
litici  dei  Musulmani,  come  altrove  accennammo.  La 
nobiltà  militare,  i  soldati  mercenarii,  i  dottori  erano 
avvinti  alla  famiglia  kelbita  dal  saldo  vincolo  dell'in-^ 
teresse,  per  via  degli  stipendii  e  del  patrocinio;  la 
plebe  nudrita  con  le  scorrerie  contro  i  Cristiani  e  le 


8i  volse  al  berbero  Boliikkin,  fondatore  della  dinastia  ztrita  ;  il  qaale  d^ 
mandò  al  contrario  cl>e  il  califo  ele^sgesse  i  magistrati,  gli  ami^ainistratori 
della  finanza,  i  capitani  delle  milizie;  che  gli  affari  più  rilevanti  si  tratta»* 
sere  in  no  consiglio  degli  oficiali  pubblici  ;  e  cb'  egli,  Bolukkin,  facesse  es^ 
guire  le  deeisioni  del  Consiglio.  Moezz  scelse  lo  Ztrita  ;  dicendo  pure  a 
un  suo  fidato,  che  quegli  andrebbe  per  via  più  lunga  allo  stesso  scopo  al 
quale  Gia*far  volea  giugnere  d'un  salto.  Makrìzi',  KUàb-'es^Siilùk ,  versione 
presso  Qnatremère,  Fte  rfs  coii/'e  fatimite  Mo€%%;  Journal  AHaiique^  (no- 
vembre 1836  e  gennaio  1831)»  estratto,  p.  87, 88. 


—  239  —  (W8.1 

limosine  in  patria;  T  universale  soddisfatto  delle  en* 
trate  che  s' investiano  in  còfnodo  pubblicò  o  di  pri- 
vati siciliani,  degli  edifizii  che  sorgeano,  dello  splen* 
dor  d'una  corte  protettrice  di  begli  ingegni,  del 
reggimento  condotto  secondo  i  bisogni  o  il  genio  dei 
cittadini  dì  Sicilia,  nmi  degli  impiegati  di  Mehdia;  sod« 
disfatto  delle  colonie  che  moveano  dal  Val  di  Mazara 
a  ripopolare  le  città  della  Sicilia  orientale,  a  colti* 
vame  le  campagne  o  godersi  i  tributi  di  quelle  ove 
rimanessero  i  Cristiani.  Però  non  è  a  domandare  se 
i  Musulmani  dell'isola  volessero  correre  il  rischio 
d' un  governo  d' uomini  nuovi ,  che  avrebbe  potuto  ri- 
mutar tutto  e  ricondurre  i  bargelli  é  i  commissari! 
fiscali  del  tempo  di  Sàlem.  Una  volta  che  il  califo  fa-* 
temila  il  tentò,  acconsentendo,  com'è' pare,  la  casa 
kelbitaper  la  promessa  di  maggiore  stato  in  Egitto, 
i  Siciliani  corsero  alle  armi  (969)  ;  e  il  califo  non  trovò 
altro  modo  di  porre  fine  ai  tumulti  che  d' inviare  al 
più  presto  un^  emiro  kelbita.  In  venti  anni  dunque  era 
fondata  di  fatto  là  eredità  dell'  emirato,  la  quale  pre- 
meva tanto  ai  Siciliani. 

E  però  era  già  surto  un  principato  di  Sicilia: 
Bonza  decreto  nò  plebiscito  che  potesse  registrarsi  dai 
cronisti,  ognuno  ormai  sei  vedeva.  Ibn-Haukal,  venuto 
in  Palermo  del  trecentosessantadue  (97S--3),  parla  del 
palagio  ove  albergava  il  Sultano  ;  la  qual  voce  è  usata 
già  dagli  scrittori  del  decimo  secolo  per  designare 
principi  di  fatto,  riconosciuti  o  no  dal  califo:  e  vera- 
mente ella  ha  valore  radicale  di  violenza;  e  quando 
il  tempo  onestò  la  <;osa  e  il  pome  e  mutò  questo  in 
titolo  pubblico,  significò  impero  privo  della  sacra 


(948.1  —  240  — 

potestà  dei  califi.  *  Sia  che  Ibn-Haukal  abbia  ripe- 
tato  là  voce  Sultano  perchè  la  sentiva  in  Palermo,  d 
che  rabbia  detto. dassè  per  definire  T ordine  di  cose 
che  toccava  con  mano,  l'attestato  è  di  gran  momento 
collimando  con  lo  scopo  della  rivoluzione  divampata 
in  Sicilia  tre  anni  prima,  e  col  ritratto  delle  vicende 
che  seguirono  fino  alla  metà  dell'  undecime  secolo. 
Dal  novecensettanta  in  poi  non  muovon  d'Affrica 
né  d'Egitto  eserciti  che  combattano  in  terraferma 
d'Italia,  non  che  in  Sicilia,  insieme  coi  Musulmani 
dell'isola.  I  Siciliani,  quando  lor  pare,  depongono  un 
emir  kelbita  e  ne  scelgono  un  altro  nella  famiglia. 
Che  se  il  califo  manda  tuttavia  al  designato  dairemir 
predecessore,  o  dal  popolo,  un  diploma,  con  le  inse- 
gne dell'  o&cio  e  col  titol  sonante  di  Corona  dell'Im^ 
pero,  Spada  della  Fede  e  simili,  ciò  significa  soltanto 
che  la  Sicilia  riconoscea  pontefici  i  fatemiti.  Né  montai 
il  nome  loro  stampato  nelle  monete  siciliane  fino  alla 
metà  dello  undecime  secolo.  Abbiamo  notato  più  volto 
che  nel  medio  evo  i  Musulmani  tenesser  poco  conto 
di  tal  regalia,  si  gelosamente  custodita  dai  principi 
cristiani.  Inoltre  il  nome  dei  Fatemiti  dava  corso  più 
largo  al  conio  siciliano  nei  frequenti  commerci  con 
r  Affrica  e  l' Egitto ,  per  la  qual  ragione  non  ebbero 
scrupolo  a  contraffarlo  o  imitarlo  i  principi  longobardi 


'  Adopero  iDdistìntamente  Sultano  e  Saldano  che  donf  varianti  di 
trascrizione;  Tuna  secondo  Tuso  nostro  d'oggi,  l'altro  come  suonava 
agli  orecchi  dei  nostri  padri  al  tempo  che  le  repubbliche  italiane  teneano 
i  commerci  del  Levante.  I  principi  ottomani  seguendo  le  tradizioni  dei 
princìpi  turchi  dell'  Asia  Minore  e  delle  varie  dinastie  d' Egitto  dopo  Sa- 
ladino, preferiscono  tuttavia  il  titol  di  Sultano  a  quel  di  califo,  ch'ebbero 
per  cessione,  al  certo  illegale,  della  seconda  dinastia  abbassida. 


—  241   —  [948.1 

di  Salerno.  *  Ma  niuno  sosterrà  che  V  isola  obbediva 
al  califo  feteinita  Daher.o  Zàbìr  (1021-1036)  perchè 
v^  abbian  di  lui  e  del  successore  tante  monete  battute 
in  Palermo,  '  (Juaiodo  i  Idr  nomi  non  si  ricordano 
punto  né  pocd  nella  sollevazione  contro  i  Kelbiti;  né 
que'califi  se  ne  dierono  briga  ;  né  pensò  a  loro  la  casa 
kelbita,  né  alcuna  delle  fazioni  che  agognavano  al  po- 
tere dello  Stato:  anzi  una  parte  che  cercò  aiuti  di 
fuori,  si  volse  agli  emiri  zfriti  d'Affrica,  tninac-: 
ciendo,  s*  è"  ricusavano,  di  chiamare  a  dirittura  i  Bi- 
zantini. 

Àiutaron  óotesta  emancipazione  della  Sicilia,  la 
potenza  dei  Kelbiti  a  corte,  com'  abbiam  detto;  il  tra- 
mutamento  della  sede  fafemita,  da  Mehdia  al  Cairo  ; 
le  guerre  orientali  dei  primi  califi  d'Egitto;  la  pazzia 
e  debolezza  degli  altri  ;  la  emancipazione  contempo- 
ranea dejr  Affrica.  Pur  la  cagione  principale  fu  che 
i  Siciliani  voleano.  Raro  avvien  che  rimangano  fru- 
strati i  pòpoli  quando  fermamente  si  propongano .  e 
tenacemente  procaccino  di  scuotere  il  giogo:  che  se 
una  generazione  fallisca,  per  colpa  propria  o  forte;zza 
del  nemico,  un'altra  coglierà  il  nemico  sprovveduto 
e  avvolto  in  alcuna  delle  brighe  ohe  non  mancano 
mai  agU  oppressori  ;  e  vincerà,  forse  senza  combat- 


'  Si  veggan  queste  nell'opera  di  Domenico  Spinelli  principe  di 
San  Giorgio,  Monete  cufiche  e(c.»  Napoli  1844,  un  voi.  in<94,  p.  I,  seg. 
Ma  dubito  di  alcune,  delle  quali  non  mi  sembrano  ben.  trascritte  le  leg- 
gende. 

>  Si  vegga  la  lista  in  HortiUaro ,  Opere ,  tomo  Ili,  p.  577,  seg».  Se  ne 
aggiungano  altre  14  che  ve  n*lia  nella  collezione  del  Cabinet  des  Médailles» 
a  Parigi,  e  tre  altre  pubblicate  dal  sig.  Federigo  Soret,  ExtraUdesMemoi" 
mdela  Società  imp,  d*  Àrehé<dosie,  Saint-Petersbourg,  1851,  p.  50|  51, 
ni  122, 124, 125. 

II.  16 


im.\  —  242  — 

tere«  Il  sangue  sparsa  per  gessant'anDi^  fruttò  alla 
Sicilia  che  Del  uoTeceuquaraQtotto,  eoi  romor  d'un 
tumulto,  riebbe  T  e tnir  generale  ;  e  nel  uovecens^t- 
tanta ,  con  breve  guerra ,  sì  Sciolse  dalf  arbitrio  del 
califo  nelle  elezioni  :  che  è  a  dire  salì  assommo  grado 
di  libertà  d' un  popolo  musulmano.  E  prima  vi  sa- 
rebbe giunta  la  colonia,  se  non  fosse  stato  per  le  di- 
visioni etniche ,  .municipali  e  sociali,  ohe  sempre  la 
dilaniarono. 


CAPITOLO  II 

Fin  dalla  niorte  del  Mehffi,  o  vogliàm  difé  dalla 
rivolta  di  Gìrgenti,  r  impero  bizantino  non  soddisfa- 
ceva il  tributo  dì  Calabria  ;  ^  le  città  assicurate  di 
Sicilia  lo  avean  anco  smesso  begli  ultimi  tempi.  Ma, 
risaputo  come  Basan  dava  sesto  alla  cosà  pubblica, 
Venne  tosto  ih  Palermo  un  frate  a  recare  i  decoi'Bi 
di  tre  anni  da  parte  di  qualche  città.  ^  Altre  di  Si- 
eiiia  0  di  Calabria  che  noi  fecero,  faron  punite  dal 
novello  emiro  con  aspre  correrìe  ;  onde  chiesero  aiuti 
a  Costantinopoli.  '  Dove  rimaso  inaspettatamente  pa- 
drone il  Porfirogenito,  gli  parve  indegno  della  maestà 

*  Gedreno»  ediz.  di  6«ao,  Kate»  lly  p;  558. 

>  rrm^«-Atblf/dnDO  rm,  US, G,toflio1V»fog.550 verso;  ièn-KIuiIddo, 
Bistoire  de  VAfrique  et  de  h  Sicile,  p.  i67;  i  quali  autori  parlano  di  Atfm, 
t  si  deve  intendere  di  que*  soU  di  Siciliaf  poióbè  CostanUno  rlcssò  di  pagare 
il  tribato  per  la  Calabria. 

*  lbn*el'Atblr,  amie  9ld|  C,  tomo  tV,  fog.  358,  verso.  L' anealisia 
qui  dice  Rum  di  meilia;  ms  par  si  debba  kitmidere  di  Calabria  e  di  ^Sl- 
cbe  città  più  forte  di  Sicilia,  come  Taormina  e  Rametta. 


—  243  —  [im.] 

imperiale  pagar  qael  tributo  ai  Barbari.  Sforzandosi, 
quanto  il  poteva  un  picciolo  irfgegno  ed  una  natara 
inerte^  a  ristorare  gli  ordini  della  civiltà  romana  ch'egli 
aveà  studiato  su  i  libri  ed  affastellato  in  sue  compi- 
lazioni, Costantino  Porfirogenito  non  lasciò  da  canto 
r amministrazione  militare,  né  la  disciplina;  di  cbe 
tornò  qualche  frutto  all'  impero,  ed  egli  molto  più  se 
né  prométteva.  Ji^  però  mandava  in  Italia,  in  vece 
d' oratori  col  tributo ,  <|ue'  che  gli  parean  capitani  é 
soldati.  I  quali  alla  prima  si  diedero  a  maltrattare  e 
taglieggiare  i  sudditi,  peggio  che  non  avrebbe  fatto 
il  nemico.  * 

Hasan,  dal-  suo  cantò,  còm'ei  seppe  sbarcati 
i  Bizantini  ad  Otranto,  chiese  rinforzi.  Mandatigli 
da  Mansùr  settemila  cavalli  e  tremila  cinquecento 
uòmini  da  pie,  oltre  i  soldati  d'armata  e  le  navi  da 
guerra  e  da  carico,  giugneano  in  Palermo,  il  due  lu-^ 
gtio  novecéncinquanta ,  condotti  dal  liberto  schiavone 
Farag-Mohadded.  L' esercito  siciliano  era  in  punto  ; 
sì  che  a'  dodici  luglio  poderoso  sforzo  mosse  per 
mare  e  per  terra  alla  volta  di  Messina,  sotto  il  co- 
mando di  Hasan.  Immantinenti,  valicato  io  stretto, 
assalirono  Reggio,  cui,  trovaron  vota  di  abitatori. 
Hasan  spargeva  i  cavalli  a  fer  preda  intorno  ;  an- 
dava egli  col  grosso  delle  genti  air  assedio  di  Gera-- 
ce;  da  vale  indarno  aspri  assalti;  e  già  la  riducea, 
tagliatole  V  acqua  da  bere,  qoando  ebbe  nuove; 
deir  esercito  biizantino  che  venisse  a  trovarlo.  Perlo- 

'  Cedreno,  i.  c«  Èddi  credere,  p^  men  vergogna*  delle  armf  bfzaoti* 
ne»  che  le  deite  forze  fossero  venute  parte  immoz!  e  parte  dopo  la  state 
del  959*  QBdfeoo,  come  ognun  sa ,  non  ricorda  mai  le  date. 


1954. 1  —  244  — 

che,  composto  coi  Geracini  e  presone  danari  e  siati- 
chi,  raccolti  i  suoi,  mosse  ccmtro  i  Greci;  i  quali  pre- 
cipitosamente si  rifuggirono  ad  Otranto  e  Bari.  Ha- 
san,  inseguendoli,  poneva  il  campo  sotto  Gassano; 
infestava  i  dintorni.  Combattuta  per  un  mese  la  città 
senza  frutto,  e  sopravvenuto  T inverno,  feT accordo 
come  a  Gerace;  ripassò  il  Faro;  lasciò  Tarmata  a 
svernare  nel  porto  di  Messina;  ed  ei  tornò  alle  stanze 
in  Palermo.  '  I  psUti  di  Gerace  e  Cassano  sembrs^no 
tregua  per  un  anno,  comperata  con  una  taglia  che- si 
pagava  parte,  in  contanti,  e  si  davano  gli  statichi  in 
sicurtà  del  resto,  * 

S'adunavano  intanto  in  Calabria  le  armi  bizan- 
tine, che  Tanno  innanzi  o  non  eran  tutte  passate. in 
Italia,  ovvero  avean  osteggiato  i  dominii  beneven- 
tani in  Puglia,  ove  occuparon  Ascoli.'  L'armata 
obbediva  ad  un  Macrojoanni,  o  diremmo  noi  Gio- 
vanni il  Lungo;  T esercito ,^  che  fu  grosso  se  non 

'  CoDfroDtinsi  :  Cronica  di  Cambridge,  anni  6459^460,  pressò  Di 
Gregorio,  Aerumiirafttcarttm,  p'.49, 50;  Ibii«-el-AtbSr,  anni  536  e  340,  |AS.  B, 
p.  263,  seg.,  MS. C, tomo IV,  fog.  350 verso,  seg., e353  verso;  Ibn-KhaldiÌD, 
Histoire  de  VAfrique  et  de  la  Sieikt  versione  di  M.  Des  Vergers,  p.  167, 
168,  dove  in  vece  di  Sire  Doghous  si  legffa  stratego;  e  Storta  dei  Fatemiti, 
MS.  arabo  di  Parigi,  Suppl.  Arabe,  743  qaater,  tomo  IV,  fog.  18  verso, 
con  la  traduzione  di  M.  De  Slane  in  appendice  alla  Histoire  dee  Berbères 
par  Ibfi-Khaldoun,  tomo  li,  p.  529.  È. da  avvertire  che  Ibn-el-Athlr  narra 
i  medesimi  fatti  con  circostanze  diverse,  nei  due  capitoli  del 336  e  del  34Q. 
Goi^  anche  Ibn-Khaldùn  nei  due  luoghi  eh*  io  cito,  il  seeondo  dei  quali 
contien  parecchi  errori.  Ho  tradotto  $almerie  la  vooe  che  la  versione  la- 
Una  della  Cronica  di  Cambridge  rende  came/t,  aggiugnendo  aUesto,  un 
ponto  diacritico  che  non  v*  ha.  in  vero  questa  voce  arabica  non  ha  la  for- 
ma che  apparterrebbe  al  plurale  di  nave  oneraria,  o  salmeria.  Ma  che  an- 
davano a  fare  1  cameli  nelle  montagne  e  selve  di  Calabria  ? 

*  La  Cronica  di  Cambridge  dice  di  soli  staticbi,  Ibn-el-Athir  di  solo 
danaro;  né  l' una  né  V  altro  particolareggiano  i  patti. 

'  La  presa  d' Ascoli  è  registrata  da  Lupo  Protospatario,  presso  Pertz, 
Scriptores,  tomo  V,  p.  54.  La  data  cb'è  del  950  par  si  debba  correggere  951 . 


—  245  —  19S2.1 

valido,  al  patrizio  Malaceno,  col  quale  si  accozzarono 
le  genti  di  Pasquale  stratego  di  Calabria/  Hasan, 
per  comando  del  caltfo,  riassaltava  la  terraferma  in 
primavera  del  novecencinquantadue.  L' otto  maggio, 
che  fu  queir  anno  tra  i  dì  festivi  alla  Mecca ,  scon- 
travansi  i  due  eserciti  sotto  Gerace  :  della  quale  bat^ 
taglia  gli  annali  arabici  dicono  non  essersi  unque 
vista  più  aspra  e  fiera;  gli  aùnali  greci  attestano' 
averne  il  nemico  riportata  nobilissima  vittoria  ;  e  par 
tomi  a  quésto,  che  i  Cristiani  avean  Tavvantaggio  del 
numero,  i  Musulmani  degli  ordini  e  della  fiducia  nel 
capitano ,  '  il  valoj^  si  pareggiava.  Li  sbaragliati  poi, 
sfrenatamente  fuggirono;  inseguendoli  i  Musulmani 
infino  a  notte,  con  grande  strage,  cattura  d'uomini, 
preda  d' armi,  cavalli,  bagaglio  :  e  a  mala  pena  cam- 
parono il  patrizio  e  lo  stratego.  '  Le  teste  degli  uc- 
cisi mandate  a  trionfo  nelle  varie  città  di  Sicilia  e 


I  CedrenOi  1.  e.  Si  vegga  la  nota  1  della  pagina  242. 

s  Cedreno  dice  che  il  capitan  mosnlmano,  innanzi  la  battaglia,  con- 
fortò i  snòi  a  non  tenlere  nn  esercito  ove  i  soldati  erano  maltrattati  dai 
condottieri;  alludendo  alle  taglie  e  ingiurie  con  che  il  patrizio  e  lo  stratego 
aveano  offeso  i  sùdditi.  Mi  è  parso  di  accettare  il  fitto  morale^  non  il  ma- 
teriale del  discorso  di  Basan;  il  quale  sembra  dettato  al  Cedreno  dall'arte 
rettorica  con  che  sì  è  scritta  la  storia  per  tanto  tenipo. 

"Confrontinsi:  Cronica  di  CamMàge,  anno  6461,  op.  cit.,  p.  50;  Ce- 
dreno, Ibn-el-Athtr ,  Ibn-Khaldùo,  II.  ce;  Lupo  Protospatario,  anno  951 
presso  Pertz,  Scriptores,  tomo  V,  p.  54,  dove  si  legge:  tMalachianwfecit 
pralium  in  Col&bria  eum  Saraeenis  et  cecidit.  >  Il  giorno  della  battaglia  s! 
ricava  da  Ibn-el-Athtr,  il  quale  lo  dice  diverso  nei  due  racconti  del  536  e 
del  540;  che  son  d' origine  evidentemente  diversa.  Nel  primo  è  la  festa  di 
Arafat  ossia  il  9;  nel  secondo  quella  del  Dhohd  ossia  il  10  dìdsu-t-higgia; 
il  qual  divario  vien  forse  dal  conto  astronomico  che  precede  il  civile  di 
mezza  giornata.  II  nome  del' patrizio  MaXaxsvo;,  dato  dal  Cedreno,  Ò  tra- 
scritto nella  Cronica  di  Cambridge  M^ithgén  o  Mwthgdn  e  in  Lupo  Ma' 
laehianus.  Novella  prova  del  fatto  da  noi  già  notato,  che  in  Sicilia  il  n  si 
pronunziava  e  ovvero  g,  almen  dal  IX  secolo  in  poi.  In  Paglia  si  rendea 
con  V  antico  suon  latino  eh. 


[952. [  —  246  — 

d'Affrica,  come  tuttavia  porta  il  brutto  costmue degti 
Arabi.  Hasan  strinse  d'assedio  Geraoe,  qhe  di  nuovo 
fé'  bella  difesa,  non  ostante  la  mancata  speranza  d'aiuti. 
Pur  Costantino  mandava  il  segretario  Giovanni  Pilato 
all'emir  di  Sicilia;  il  guaio,  notano  i  Bissantini,  noti 
s' inebbriando  nelle  vittorie,  assenti  Ja  tregua/  Fer*- 
mossi  nella  state  del  cinquantràue;  e  sembra  limitata 
dapprima  a  Gerace,  poi  resa  CQiOune  a  tulli  i  luoghi 
di  Calabria  che  obbedivano  all'  imperatore^  e  stipu- 
latovi il  solito  patto  dèi  tributo  e  di  più  la  tolleranza 
del  culto  musulmano.  Uno  stuolo  mandato  da  Hasaa 
saccheggiava  intanto  Petracucqa ,  cam^  par  si  chia- 
masse a  quel  tempp  una  grossa  terra  tra  i  oàjpi  di 
Sparavento  e  di  Bruzzano.  *  Altri  assalivano  un -altra 

'  Gonfrootinsi  :  Ibn-el-Athtr,  e  Cedrenó,  11.  ce.  Ho  notato  sopra  che 
Iborel^tbtr  dia  doe  ttanrasionì  diverse  di  qo6$ta  Smpresa  dal953.  Le  tiarnk- 
zioni  differiscono  anche  sul  modo  della  tregua;  leggendosi  nel  cap.  del336 
che  entrato  Tanno  541  (28  maggio  952),  e  stando  Basan  tuttavia  all'as- 
sedio di  Gerace,  venne  a  trovarlo  un  ambasciatore  di  Costantinopoli ,  col 
quale  fece  la  tregua  e  passò  indi  a  Reggio.  Lo  stesso  autore,  nel  capitolo 
del  340»  scrive  che,  assediata  Gerace,  fu  fatta  composizione  per  danaro,  e 
che  Hasan  poscia  mandò  uno  stuolo  alla  città  di  Petracucca»  ]La  tregu^i  di 
Gerace  fu  dunque  per  la  sola  città,  e  si  eslese  poi  alla  provincia;  ov^iso 
si  fermò  a  Gerace  per  tutta  la  Calabria?  In  quest'  ultimo  caso  si  potrebbe 
supporre  che  Pietracucca  fosse  stata  assalita,  sia  contro  j  patiti j^  sia  perchè 
non  obbediva  all'  imperatore  e  però  non  entrava  nella  tregua. 

3 11  fatto  è  indubitabile,  leggendosi  nella  Cronica  di  Cambridge  e  in 
Ibn-el-Athtr.  Il  nome  nella  Cronica  è  B  tra*uka,fio\e  si  potrebbe  porre  uia/i 
ovvero  un  h  al  luogo  che  ho  segnato  con  virgolette,  mancandovi  ì  punti 
(liacritici.  In  ogni  modo  è  inesatta  la  trascrizione  e  versione  latina,  ilo  ve 
le  prime  tre  consonanti  furono  attribuite  al  nome  geografico  e  delle  al- 
\re  si  compose  un  avverbio,  mollo  inopportuoo.  1  MSS.  d'Iba-el-'Athir 
hanno  B  tr  Hka,  La  stessa  lezione  si  trova  nel  Mo'gem^el-Bolddn  di  lakClt, 
il  quale  trascrive  un  passo  dMbn-Haukal,  che  pone  appunto  B  tr  kùka  tra 
Gerace  e  Reggio  ;  e  la  menzione  fattane  in  suo  breve  cenno  prova  che 
nel  X  secolo  fosse  terra  importante  per  popolazione  o  commerciq.  Due  se- 
eoli  dopo  Ibn-Haukal,  Edrisi  ha  B  tr  kOnat  secondo  i  MSS.  di  Parigi,  i 
quali  sondo  di  scrittura  africana,  vi  si  può  leggere  uu  altro  k  in  vece 
della  »  senza  far  violenza  al  testo.  Ed  è  nome»  dice  Gidnsi»  d' uu  Quioi- 


—  247   —  1952.1 

terra,  non  sapremmo  dir  se  Roseto  su  i  confini  della 
Calabria  con  la  Basilicata,  ovvero  le  isole  di  Tremiti, 
presso  il  Gargano  :  '  e  si  nota  in  questo  medesimo 
anno  saccheggiato  il  santuario  del  Gargano  e  infestati 
parecchi  luoghi  dello  Stato  di  Benevento.'  I  prigioni 
di  Petracucca  e  di  Roseto,  o  Tremiti,  che  faron  molti; 
andavano  di  Sicilia  in  Affrica  ;  e  con  essi,  incatenato 
il  capitano,  del  navilio  musulmano,  per  nome  Abu- 
Mehell;  il  quale,  giunto  a  Mehdia,  era  punito  con 
r  estremo  supplizio.  S' ignora  il  delitto  :  se  infrazion 
della  tregua,  se  peculato. sul  bottino  ;  che  è  più  ve^ 
rosimile.  * 

Mentre  i  suoi  infestavano  le  costiere  delF  Adria- 


celto  che  metie  foce  a  tre  miglia  dal  capo  Geflra  (Zephjrìani)  e  sei  miglia 
da  Bruzzano  :  come  va  corretta  la  versione  di  H.iaubert,  tomo  11,  p.  tl6, 
che  salta  queste  e  altre  cifre  di  distanze.  Invano  Ìjo  cerco  nelle  carie  e  de- 
scrisioiii  della  Calabria  il  nome  moderno  di  questo  luogo.  Il  sito  risponde 
a  Pietrapennata  o  Brancaleone,  e  si  dèe  supporre  in  monte,  atteso  quel 
nome  di  Petra.  Cocca,  cucco,  e  simili  son  voci  di  bassa  latinità  e  bassa 
grecità,  [tassate  nell'idioma  nostro  e  nei  dialetti  di  Calabria  e  di  Sicilia 
dove  cucca  significa  civetta,  coccoveggia. 

'Nella  sola  Cronica  dt  Cambridge  troviamo  dopo  B  trahùka  l'altro 
nome  geograGoo  Rm  t  sa.  Rametta  in  Sicilia  non  pu(»  essere  ;  poiché  la 
stessa  Cronica  scrive  il  nome  altrimenti.  Roselo  e  Tremiti  mi  sembrano 
le  lezioni  più  probabili;  la  seconda  ddle  quali  s'^iccorderebbecon  V assalto 
al  Gargano. 

^  Chronicon  Sanctx  SQphicB,^  presso  Muratori,  Àniiquitates  Italica 
Meda  Mvi,  tomo  I,  p.  253.  Gli  assalitori  poteano  esser  Cretesi;  ma 
sembra  più  probabile  che  V  armata  sioUiana ,  dopo  hi  tregva  coi  filieafitfni, 
abbia  infestato  i  dominii  di  Benevento. 

^  Crmica  di  Ca$nbtidge»  l  e,  la  quale  porta  questi  fatti  nel  6461 
ti  sett.  95fì  a  51  agosto  955)  quando  forse  Basan  lece  ritomo  in  SicUla« 
11  Rampoldi,  tomo  V,  p.  284,  anno  954,  fa  sequestrata  il  navilio  siciliano»  • 
condiirlo  in  Afifrica,  cioè  applica  ai  legai  ciò  che  la  cronica  scrive  del  Ca« 
pitano.  MarbMrana  e  Wenrich  lo  seguono.  E  én  avvertire  che  gli  Apoali 
arabici  dan  sempre  HasaB  come  capitan  supremo  nelle  d«e  impreae  del  951 
e  del  952.  Coleste  vittorie  de' Musulmani  in  Calabria  sono  ricordate  ìd  ter» 
miù  generali  da  lehia-ibn-Saìd,  MS.  di  Parigi,  AndenFondaJSi  A« 
fog.  87  verso. 


[952-055  1  -—  248  — 

tico,  Basan,  ritrattossi  da  Gerace  a  Reggio,  apriva' 
nel  bel  mezzo  della  città  una  moschea  ;  cospicua  al 
minaretto  spiccantesi  in  alto  da  un  angolo ,  perchè 
tutti  il  vedessero  e  ne  sentissero  la  cantilena  del 
Inuezzin.  Stipulò  in  fatti  libero  ai  Musulmani  l'ap- 
pello alla  preghiera  e  ogni  altro,  rito  pubblico  ;  che 
cristiano  non  mettesse  mai  pie  nella  moschea  ;  che 
la  desse  legittimo  asilo  ad  ogni  musvlmano,  anche 
prigione  di  guerra  ed  anche  fatto  cristiano,  al  quale 
paresse  di  rifuggirvisi.  E  minacciò  che ,  sapendo  tol- 
ta, non  che  altro,  una  pietra  della  moschea  di  Reg- 
gio, farebbe  diroccar  le  chiese  cristiane  per  ogni 
luogo  di  Sicilia  e  d'Affrica.  I  quali  patti,  i  Cristiani 
umilmente  osservarono ,  scrive  tutto  lieto  Ibn-el- 
Athtr;  ignorando  che  la  moschea  di  Reggio  non  durò 
oltre  quattro  anni.  '  E  preoccupato  del  gran  dispetto 
degli  Infedeli,  passò  sotto  silenzio  la  vera  importanza 
del  fatto  :  il  ci  vii  pensamento  di  Hasan  ad  usar  la 
vittoria  in  favore  del  commercio,  ch'era  operoso  al 
certo  tra  la  Sicilia  e  la  Calabria  e  molto  più  potea 
progredire  con  la  tolleranza  dell'islamismo  a  Reggio. 
Non  guari  dopo  F  impresa  di  Calabria^  venuto  a 
morte  Mansùr  (marzo  953),  e  rifatto  califo  il  figliuolo 

» 

'  Il  testo  dice  fabbricò;  par  sì  debba  intendere  che  aeeoneiò  ad  uso 
dì  moschea  qaalche  edìfizio  delia  città. 

*  Ibn-el-Àthtr,  anno  356,  MS.  B,  p.  265;  Ibn-Kbaldùn,  HUtoire  de 
ri/Wfue  et  de  la  Sicile,  p.  168, 169,  dove  per  errore  di  stampa  è  detto: 
«  El  Ha^n  retoorna  alors  à  Kbaradja  où  il  bàtit  etc.  >  In  luogo  di  Kbara- 
dja,  dèe  dire  Reggio,  come  nel  testo  arabico.  Terminando  il  racconto  di 
queste  imprese  di  Hasan  in  Calabria,  avverto  averne  escluso!  fatti  che  si 
Iieggono  dal  Otó  al  952  nella  Cronica  di  Arnolfo  e  nelle  interpolazioni  alla 
Cronica  della  Cava,  pubblicate  l' una  e  le  altre  dal  Pratilti,  tomi  111  e  IV; 
della  quale  impostura  non  diffidò  sempre  il  Martorana,  uè  prima  di  lui  il 
De  Meo,  Amali,.,  del  Regno  di  Napoli^  tomo  V,  p.  288  a  325. 


—  249  —  |^85.§56.1 

Àbtt-Taminoi-Ma'àd ,  che  fu  soprannominato  Moezz- 
li-dfn-illah,  T  emiro  Hasan  andìava  a  corte  a  Mebdia; 
lasciato  al  governo  della  Sicilia  il  proprio  figlio  Abu- 
Hasan-Ahmed.  E  Moezz  ratificava  :  il. quale  atto  ri- 
feriscono i  cronisti  con  parole  diverse  ;  ma  la  gom- 
ma è  che  il  califo  lasciò  T  emirato  ad  Hasan  con 
sostituzione  d  Ahmed  in  caso  d' assenza  e  di  morte.  ^ 
Segnalatissimo  favore ,  da  potersi  comprendere  col 
bisogno  che  avea  Moezz  del  vincitor  di  Gerace  per 
r impresa  d'Egitto,  la  quale  poi  si  difTerì.  Dovea  forse 
combattervi  V  esercito  afi'ricano,  tornato  di  Calabria 
in  Sicilia,  il  quale  ripassò  in  Aflrica  poco  dopo  il  viag* 
gio  di  Hasan.  ' 

Mentre  si  pensava  a  tal  conquisto,  V  emiro  andò 
ad  audace  fazione  in  Spagna.  Era  occorso  che  spacciato 
un  corriere  di  Sicilia  in  Affrica  con  lettere  per  Moez^, 
s'imbattè  in  una  nave  di  mole  non  più  vista  in  que' 
tempi,  fatta  costruire  da  Abd-er-Rahman  caUfo  omeia- 
de  di  Spagna  e  mandata  a  mercatare  in  Egitto  ;  le 
gelati  della  quale  detter  di  piglio  piratescamente  al  le- 

*  Ibn-el-Alhtr,  anno  340,  MS.  C,  tomo  IV,  fog.  353  verso,  ed  Ibn- 
Kbaldùn,  1.  e,  scrivono  cbiaramente  cbe  Hasan  lasciò  in  luogo  suo  il  figlio; 
ma  è  certo  più  esatto  il  linguaggio  di  Abiilfeda ,  Ànnales  Moslemicif  tomo  II, 
p.  446,  anno  336,  e  di  Ibn-Abi-Dìnar,  MS.  di  Parigi,  Sappi.  Arabe,  851, 
fog.  37  verso,  dei  qoali  il  primo  aggiugne  che  Moeu  confermò  Abmed  ie 
il  secondo,  più  precisamente,  che  lasciato  da  Hasan  a  reggere  la  Sicilia 
in  sua  vece  Abmed ,  il  califo  rinnovò  V  atto  di  ele%ione  in  persona  di  co- 
stui. Abulfed»  trascrive  le  parole  d*lbn-Sceddad ,  autore  del  XU  secolo. 
Nowairi,  presso  Di  Gregorio,  Rerum  Araìncarum»  p.  15,  dice:  e  E  Hasan 
chiese  a  Moezz  che  onorasse  suo  figlio  Abo-Hasan  col  titolo  di  wali  di  Si- 
cilia etc;  »  come  si  dèe  leggere  la  vece  dell'erronea  versione  e  a  quo  cum 
nohilissimus  /ilius  ejus  etcì  La  data  esatta  si  trova  anche  in  Abolfeda;  se- 
condo il  quale  Hasan  era  rimase  in  Sicilia  cinque  anni  e  due  meai  ;  e  però 
la  partenza  per  V  Affrica  va  posta  in  giugno  o  luglio  9^. 

*  Cronica  di  Cambridge  ^  presso  Di  Gregorio,  op.  cit.,  p.  50,  anno  6462 
(1  sett.  953  a  3Ì  agosto  954).  ^ 


{955.950  1  —  2S0  — 

gnetto  siciliano,  né  rispettarono  gli  spacci.  Il  che  ri- 
saputo da  Moezz,  commetteva  ad  Basan  di  far  la  ven- 
detta con  T  armata  di  Sicilia.  Entrato  nel  porto  d' Al- 
moria ,  V  emir  bruciò  quanti  legni  v'  erano  ;  prese  il 
naviglio  che  avea  fatto  T  insulto,  tornato  già  d' Ales- 
sandria con  ricche  merci  e  giovani  cantatrici  per 
Abd-er-Bahman  ;  poi  sbarcò,  messe  Almeria  a  san- 
gue ed  a  ruba  ;  e  salvo  si  ridusse  a  Mebdia.  Due 
correrie  delli  Spagnuoli  sa  le  costiere  d' Affrica  mal 
rendeano  la  pariglia;  essendosi  combattuto  con  va- 
ria fortuna.  Seguì  Y  assalto  d' Alnoeria  V  anno  trecen- 
quarantaqoattro  (26  aprile  955  a  1 3  apr.  956).  * 

Maggior  guerra  richiamò  Hasan  in  Sicilia.  La 
tregua  coi  Bizantini,  era  stata  rinnovata  il  cinquan- 
taquattro forse  per  altri  due  anni,  venuto  a  ciò  in 
Palermo  un  frate  Assiropulo.  '  Ma  Costantino ,  mal 
soffrendo  sempre  il  tributo ,  e  rinfrancato  dal  valore 
che  cominciavano  a  mostrare  i  suoi  contro  i  Musul^ 
mani  dell  Asia  Minore ,  volle  ritentar  la  fortuna  in 
Italia.  Mandovvi  le  soldatesche  di  Tracia  e  Macedo- 
nia col  patrizio  Mariano  Argirio,  e  Tarmata  che  ub- 

,  *  Confrontins!:  Ibn-el-Athtr,  anno  344,  MS.  B,  p.  286;  AbUIfedà,  An- 
nales  Mosìemici,  stesso  anno,  tomo  II,  p.  469;  Ibn-KbaldOn ,  Storia  dei 
fiatemiti ,  MS.  di  Parigi ,  Suppl.  Arabe,  743  quater,  tomo  IV,  fog.  20  verso; 
Gonde,  Dominùcion  de  loi  Arobes  ete.,  patte  n,«ap.S5;  (^atremère,  Vie 
de  Uoe%%  nel  Journal  Aàiatique,  novembre  1836,  serie  HI,  tomo  II,  p.  404, 
dove  è  citato  ttitallro  hiogo  di  Ibn-KfaaldÙn.  L'armata  (;be  assalì  la  Spagna 
è  detta  siciliana  da  (bn-Kbaldùn  nel  primo  de!  passi  citati.  Conde  scrive  cbe 
vi  fossero  navi  <)*Affi'ica  e  di  SiclUa,  e  dà  altri  particolari,  cavati  forse  da  aa- 
tori  spagnnoli  ;  ma  non  oì  i^oasìam  fidare  alla  sua  critica  né  alle  sne  versioni. 
*  Oronioa  di  Ccmbridse,  anno ^462  (^-54)  presso  W  Gregorio,  op. 
cit.«  p.  30.  Il  uomo  è  Asfurbls  con  la  prima  s  del  suono  della  p  francese. 
Sembra  composto  da  Av^u/^iof  e  tJwXot  cbe  in  greco  moderno  è  deslnenta 
patronimica;  e  però  la  voce  intera  sarebbe  nome  di  persona  ofiamlglfa 
discendente  da  quella  cbe  I  Bizantini  s'ostinavamo  a  chiamare  classicamente 
Assiria. 


—  251   —  |(MJ6-957.| 

bidiva  a  due  capitani  minori,  Crambóa  e  ItloroleoAe , 
il  noveeencinqttantaseì ,  ^  quando  spirava  la  iMgua, 
L' Argifio  comiticii^  da  Napoli,  notata  allora  a  corto 
come  ribelle  e  amica  de'  Musnlmani  per  antichi  e  forse 
anco. recenti  patti:  la  stringe  per  mare  e  per  tèrra; 
bruciò  il  contado  ;  ridusse  i  cittadini  a  riconoscere  la 
signoria  bizantina  fiùchè  avessero  il  coltelto  alla  gola^ 
Varii  luoghi  dei  principati  longobardi  e  di  Calabria, 
più o  meno  disubbidienti,  si.sottomesserodel  pari;' e 
chi  sa  se  coi  voti,  fors'  anco  con  pratiche,  nOn  chia- 
mavano  i  Musulmani .?  I  quali  non  tardarono.  'Am* 
mar,  fratello  di  Basan,  giunto  d  Affrica  con  Tarmata 
il  nove  agosto  del  cinquantbsei,  svernò  in  Palermo 
ed  à  pHmavera  assaltò  la  Calabria/  Non  che  correte 
il  paese,  par  abl^a  dovuto  afforcarsi  'Ammàr  in  qnal* 
che  luogO;  e  chiamare  iu  soccorso  il  fratello  ;  v^den^ 
dosi  chiuso  a  settentrione  dal  grosso  d^e  forze  bi^ 
zaàtine ,  mentre  al  suo  fianco  o  alle  Bpalle  tentava 
audiacissima  fazione  Basilio,  protocarebo,  o  direm  noi 
capitan  di  vascello,  oou  lim'  armatetta.  Sbarcato  a 
Reggio  I  costili  distruggeva  la  moschea  ;  poi  risoluta- 

'  La  data  del  985,  che  va  correità  9S6,  si  trova  in  Lupo  Protospatario. 
Veggasi  Muratori,  Annali  d'Itùtia, 

*  CoBfrontiiisi:  TketffOumu  eotiUnuatut,  edii.  di  Bood  »  p.  40$,  4ti4i  ^ 
Cedreno,.  tomo  U,  p.  3SS9  ;  delle  quali  la  prima,  è  cronica  di  corte  e  coptem- 
poranea  ;  la  seconda,  compilazione  del  Xlf  secolo  e  differente  dalla  cronica 
ìd  molti  particolari ,  fioa  si  sa  dove  aklifiii.  Né  V  ona  uè  V  sMitt  mettondale 
0  riscontri  cronologici.  Quanto  alla  guerra  coi  Musulmani  di  Sicilia ,  gU 
anmll  arabi  tacciono;  tè  abbiamo  altra  guida  sicura  che  quakhe  cenno 
della  Cronica  di  Camkridge,  e9ù  ebe  potremo  tutet^etare  la  fsgi  r«Uo- 
rica  e  spesso  bugiarda ,  de'  due  bizantini. 

'  Cronica  di  Cambridge t  anno  6464  (096*7) ,  op.  cit.*  p.  HO;  Ibn-el- 
Àthtr,  anno  345  (14  aprile  956  a  2  aprile  957),  MS.  B,|i.  Ì88,  iciifve:  «  Que- 
«  8t*aimo  Hasan<*iltt-Ali  »  séheb  di  Sicilia^  «6d  eoiigrDìnom«ttio.eoiitro  il 
•  paese  dei  Bum.  i 


19W.958  1  ^  252  — 

mente  drizzava  le  prore  al  bel  mezzo  della  colonia 
musulmana  di  Sicilia;  prendea  Termini  a  ventiquattro 
miglia  di  Palermo;  assaliva  indi  la  città  di  Mazara.  Do- 
ve sopraccorso  Hasan,  Y  emiro  ebbe  la  peggio,  e  perde 
molti  de'  suoi:  ^  pur  Basilio  se  ne  andò  senza  infestar 
r  isola  altrimenti.  L' anno  appresso  (958),  Hasan  con 
r  armata  siciliana  toccava  le  costiere  di  Calabria  ;  con- 
giungea  le  forze  con  'Ammdr;  e  insieme  andavano  ad 
affrontare  ad  Otranto  Tarmata  bizantina >  capitanata 
da  Mariano  Àrgirio  in  persona.  Dalle  tre  narrazioni , 
diverse  e  mutile,  che  abbiam  di  questa  fazione,  si  ri- 
trae come  un  gagliardo  vento  levatosi  contro  T  ar- 
mata di  Sicilia  quando  si  veniva  alle  mani,  desse  agio 
al  patrizio  d' uscir  di  briga  senza  battaglia,  e  di  pren- 
dere una  nave  musulmana  imbattutasi  tra  le  sue.  Le 
altre,  ricacciate  dalla  medesima  tempesta  vèr  la  Si- 
cilia, la  più  parte  fecero  naufragio.  I  Siciliani  poi  si 
vantarono  della  fuga  delf  Àrgirio  ;  questi  impiastrò  a 
Costantinopoli  che,  aiutandolo  il  vento ,  avea  distrutto 
e  affondato  tutte  lor  navi  ;  un  cronista  bizantino ,  di 
cui  s' ignora  la  età,  scrisse  che  i  Musulmani  accampati 
a  Reggio,  mentre  Y  armata  bizantina  stava  per  passare 
d'Otranto  in  Sicilia,  presi  di  timor  panico,  se  ne  tornaro- 
no a  furia  ed  annegarono  nei  mari  di  Palermo.  E  in  ve- 
ro, se  *Ammàr  avea  le  stanze  presso  Reggio,  i  cittadini 
dovean  credere  precipitosa  fuga  quel  montar  delle  sue 
genti  su  le  navi  d' Hasan,  delle  quali  poi  si  riseppe,  non 
r andata  ad  Otranto,  ma  il  naufragio  presso  la  Sicilia/ 

*  Ibid.  SoppoDgo  dai  fatti  segnentl  la  dimora  di  AmmAr  in  Calabria 
e  la  ritirau  di  Basilio  dall'isola. 

*  Confirontinsi:  Tkeophaneseontinuatus,  edix.  di  Bonn,  p.  454,  455, 
e  Cedreno,  stessa  edizione,  tomo  li»  p.  550,  560;  Cranica  di  Cambridgef 


—   253  —  [9S9-960.I 

Iq  ogni  modo,  il  patrìzio  né  assali  risola,  ne 
tentò  altra  impresa  di  che  si  faccia  memoria.  Hasan 
in  men  d' nn  anno  rifece  V  armata  siciliana.  ^  Non  è 
inverosimile,  ma  né  anco  provato,  che  in  qaesto 
tempo  nn'armatetta  musulmana  abbia  osteggiato  Na- 
poli per  parecchi  dì,  fatto  prigioni^  perduto  la  mag- 
gior nave  in  un  assalto,  e  in  fine  assentito  a  lasciar 
tranquilla  la  città,  prendendone  taglia  in  moneta  e  va- 
sellame d'oro  e  d'argento:  e  può  credersi  anco  ch'al- 
cun dei  prigioni  avesse  visto  in  sogno  San  Gennaro 
e  Sant'  Agrippino,  i  quali  gli  promettessero  il  riscatto 
che  poi  seguì.  ^  Da  miglior  fonte  sappiamo  che  segui- 
rono avvisaglie:  il  novecensessanta  preso  dai  Musul- 
mani un  Afrina  o  come  che  si  chiamasse,  capitan 
greco  al  certo,  e  dai  Bizantini  un  Ibn-Baslùs  e  me- 
nato a  Costantinopoli  ;  il  novecesessantuno  venuto  in 
Sicilia  un  legato  bizantino  che  portava  il  gran  nome 
di  Socrate,  il  quale  riscattò  con  danaro  Afrina  e  gli 
altri  prigioni  di  sua  gente.  '  La  debole  guerra  finì  con 
una  tregua,  fermata,  com'ei  pare,  il  medesimo  anno, 
e  durata  infino  all'  esaltazione  di  Niceforo  Foca.  * 


1.  e.»  anni  6466,  6467  (1  settembre  957  a  31  agosto  959).  La  Continaa- 
zione  di  Teofane  dà  evidenteinente  il  rapporto  oficiale  del  patrizio,  con 
reticenze  e  confusione  di  tempi.  Gedreno  ci  ha  conservato  1*  altra  tradi- 
zione, che  non  si  trova  nei  cronisti  contemporanei  conosciuti  da  noi. 

*  Cronica  di  Camhridge,  I.  e. 

*  De  Meo,  Annali  del  Regno  di  Nàpoli^  tomo  V,  p.  558,  anno  958. 11 
solo  mallevadore  è  T  autore  anonimo  degli  Atti  di  Sant' Agrippino.  Se  il 
fatto  si  può  ammettere,  panni  abbia  ragione  il  De  Meo  a  porlo  il  958  piut- 
tosto cbe  il  961,  com*  altri  avea  pensato. 

'  Cronica  di  Cambridge,  1.  e,  anni  6468  e  6469  (i  settembre  959 
a  31  agosto  961).  Il  nome  cbe  trascrivo  Afrina  coi  primi  editori,  è  scritto 
senza  punti:  onde  può  esser  composto  delle  lettere  seguenti:  1.  a  o  i;  2. 
f,  k;  3.  6,  i,  ih,  n,  i;  4.  idem  ;  5.  a  ovvero  h  aspirata. 

*  Cedrone,  I.  e. 


(961]  —  254  — 


CAPITOLO  in. 


Posate  le  armi,  Basan  suggellò  con  due  gravi 
fatti  la  novella  amistà  tra  la  dinastia  fatemita  e  la 
colonia  siciliana  ;  obbedientìssima  ormai  di  contuma- 
cissima che  sempre  era  stata.  S'affrettò  a  comparire 
a  corte  dì  Mehdia  col  figliuolo  Ahmed  e  con  trenta 
de'primarii  nobili  musulmani  dell'isola;  i  quali,  al  dir 
d' un  Compilatore,  prestarono  giuramento  a  Moezz  ;  * 
al  dir  della  cronica  contemporanea,  Basan  li  fece  en- 
trar nella  setta  del  Principe  dei  Credenti  :  *  ond'e'  mi 
par  manifesto  che  s' affiliassero  alla  società  ismaelia- 
na,*  Non  era  avvenuto  mai  a' Fa  temiti  d'accalappiare 
a  un  tratto  tanti  e  si  illustri  proseliti.  Moezz  non  ri- 
finava  dunque  d' onorarli  ;  presentavali  di  Khira,  o  vo- 
gliam  dire  sontuose  sopravvesti  degli  opificij  regii , 


*  Ibn-Sceddftd,  dal  quale  è  loUo  questo  passo  d'Àbulfeda,  Ànnales 
Uoslemiei^  iomo  \\U  P*  ^^i  seg.,  aonp  536.  Vi  si  accorda  Ibn-abi-DioàPi 
MS.  di  Parigi,  fog.  37  verso.  Entrambi  pongono  il  fatto  nel  347  (24  mar- 
zo 058  a  12  marzo  959),  e  dicono  solo  delPandata  di  Ahmed  coi  trenta,  senza 
nomiaafe  Basan. 

*  Cronica  (H  Cambridge,  anno  6469  (i«  sett.  960  a  3t  a^.  961),  presso 
Di  Gregorio,  Rerum  Arabicarum,  p.  SO,  dicendo  di  Basan  e  non  di  Ahmed. 
Il  divario  della  data  non  monta,  o  accenna  viaggi  diversi. 

'  fi  Martorana,  tomo I,  p.  100, e  il  Wenricb,  lib.  I,  cap.  XIV»  g  128, 
p.  16lf  interpretano  che  i  trenta  fossero  iti  a  far  professione  di  rito  sciita. 
Ma  le  parole  della  Cronica  che  ho  citato  portano  piuttosto  ad  alBIiazione 
aHa  setta  ismaeliana.  Il  giuramento  non  occorrea  per  la  esaltazione  del 
pripcipe ,  riconosciuto  In  Sicilia  da  parecchi  anni.  Né  giuramento  poi ,  né 
solenne  professione  si  facea  del  rito  sciita;  il  quale,  differiva  dalPortodosso 
in  una  fAse  dell'appello  alla  preghiera  e  in  pochi  punti  di  dritto,  é  però 
la  pratica  di  quello  dlpendea  dagli  ofìciali  del  governo ,  né  i  privati  ci  avean 
che  fare.  D'altronde  si  é  già  notato  quanto  agognasse  la  uovella  dinastia 
a  far  proseliti  alla  setta  ismaeliana.  Veggasi  Libro  IH,  cap.  VI,  p.  i36, 137. 


—  2S5  —  [<ML| 

e,  ooa  Uberalità  pia  sustanziale,  accrebbe  loro  gli  6ti- 
p!^dii  militari^  e  fors'anco  promise  più  larghe  con- 
cessiODi. 

Perocché  leggiamo  nella  crònica  che  quegli  ot- 
timati sollecitavano  il  califo  a  un'impresa  sopra  Taor^ 
mina.  '  Il  qual  cenno  e  gli  effetti  segniti  X  anno  ap- 
presso, mostrano  che  si  trattò  di  allargare  le  colonie 
musulmane  nel  Val  Demone  e  Val  di  Noto,  sottc^rre 
al  khardg,  e,  secondò  i  casi,  confiscare  o  dividere  te 
t^rre  delle  due  province  ;  mutarvi  la  condieiooe  dèi 
Cristiani,  da  cittadini  di  municipii  trtbatarìi  a  meri 
d&imm  0  schiavi.  Questo  sembra  il  vero  scopo  del 
viaggio  in  Affrica,  e  diali' affiliazione  alla  setta*  Moexz, 
guardando  sèmpre  air  Oriente  e  agli  Àbbassidi,  nemici 
comuni  suoi  e  dell'  imperò  bizantino,  avea  forse  ri- 
ousato  al  solo  Basan ,  assentì  forse  a  malincuore  a 
tutta  la  nobiltà  siciliana  queir  impresa  che  metteva 
in  pericolo  la  pace  con  Costantinopoli.  Ma  non  potea 
dir  no  senza  ridestare  i  tumulti  in  Sicilia.  Sondo  tem- 
poranea per  natura  la  sicurtà  accordata  ai  municipii 
tfibutarii,  non  mancava  ai  cdoni  il  dritto  d'occupar 
quelli  con  la  forza.  Non  mancava  loro  la  brama,  o 
forse  il  bisogno,  sondo  la  soopma  del  tributo  a  gran 
pezza  daifiore  della  gezta  e  del .  kharàg.,  ooQ  che  del 
fruttato  diretto  ddle  terre.  Fu  di  certo  Hasan  l' au- 
tore e  promotore  del  consiglio,  premendogli  più  che 

'  Cronica  di  Cambridge,  1.  e.  La  Toee  che  traduco  *  sUpendii  militari  * 
si  potrebbe  leggera  in  oNjtq  modo» e  tfgiifieberebbe  "acquisii.*  Ma  qai 
toroano  a  sifiODimi  ;  peri^bè,  oom  essendoti  per  aoeo  terre  da  divider^,  il 
principe  non  potea  d(«erne  di  <|tteUe  dett»  State,  ma  solo assagnwe  tem- 
poraneamente le  entrate  di  esse.  Veggasi  il  Ubro  Ili,  cap.  I,  p.  t6,  seg., 
di  questo  volume. 

*  Cronica  di  Cambridge,  1.  e. 


1962.)  —  256  — 

a  niun  altro  di  metter  mano  sulla  Sicilia  orientale, 
per  accrescere  il  gitsnd,  empierlo  d' uomini  suoi,  rad- 
doppiare le  entrate  e  le  forze  dello  Stato  ;  ad  onor 
della  corona  fatemita  e  profitto  immediato  di  sé  me- 
desimo e  dei  figliuoli. 

Tornati  in  Sicilia  Ahmed  e  i  nobili  '  che  di  gioia 
non  capivano  nella  pelle,  si  aprì  la  primavera  del 
novecensessantadue  con  tripudio  universale  dei  Mu- 
sulmani, dal  palagio  degli  emiri  all'infimo  tugurio. 
Avea  bandito  Moezz  per  tutto  l'impero  che  il  dì  della 
circoncisione  del  proprio  figliuolo,  sarebbero  anco  cir- 
concisi i  fanciulli  maturi  a  ciò  di  ciascuna  famiglia, 
spesando  lui  le  feste ,  che  soglion  farsi  in  tal  solenne 
passaggio  deir  uomo  dal  grembo  della  madre  al  con- 
sorzio della  città:  '  che  tai  larghezze  usano  tuttavia  i 
facoltosi  musulmani  verso  lor  clienti,  e  i  poveri  del 
paese  partecipano  dei  banchetti  imbanditi.  '  Alla  nuo- 
va luna  dunque  di  rebi'  primo  del  trecencinquantuno 
(8  aprile  962),  scritti  innanzi  tratto  i  fanciulli,  si  com- 
piè il  rito,  cominciando  dal  figliuolo  e  dai  fratelli  del- 
l'emiro  Ahmed,  e  via  scendendo  ai  nobili  ed  alla 
gente  minuta ,  che  in  Sicilia  sommarono  a  quindici- 
mila giovanetti  ;  e  da  parte  del  califo  lor  furono  di- 
spensati centomila  dirhem  e  cinquanta  some  di  vesti- 
menta  e  piccioli  regali.^  La  circoncisione,  eh' è  uso 
antichissimo  degli  Arabi,  non  precetto  del  Corano,  non 


'  Abidfeda,  e  Ibn-abi-Dioftr,  U.  ce.  SlDtende  ch'essi  non  fanno  motto 
dei  pensieri  ch'io  attribuisco  a  Moezz,  ad  Basan  ed  ai  nobili  Siciliani. 

'  Nowairì  ciuto  da  Qoatrèma^,  Vie  de  MaitA  nel  Journal  AHati» 
que,  III*  sèrie,  tomo  II,  p.  490. 

'  D'Ohsson,  Tableau  de  l'empire  oUoman,  libro  II,  cap.  17. 

*  Abolfeda  e  Ibn-abi-Dinàr,  li.  oc. 


257   ^  '  1962.1 

ha  tempo  determinato  ;  sì  fa  per  ordinario  a  sette  an- 
ni, la  differisce  qualche  famiglia  più  o  meno  infino 
assedici.  Però  il  namero  che  notammo  non  ne  darà  con 
certezza  quello  degli  abitatori  musulmani  di  tutta  riso- 
la; pure  servirà  a  ragionarlo  a  un  di  presso.  * 

Senza  dimora,  Àhmed  mandava  ad  effetto  il  di- 
segno. Mosse  del  mese  di  maggio,  con  esercito  di  Si- 
ciliani e  Àffricani,  sopra  Taormina;  i  cui  cittadini, 
com'era  manifesta  la  causa  dell'assalto,  s'erano  ap- 
parecchiati a  difendere  fino  agli  estremi  la  roba  e  li- 
bertà. E  valorosamente  il  fecero  ;  né  li  sgomentaron 
le  nuove  soldatesche  di^asan-ibn-Ammàr,  cugino 
d'Ahmed,  venuto  d' Affrica  in  Palermo  il  primo  ago- 
sto e  sopraccorso  al  campo.  Ma  quando  i  Musulmani 
tagliarono  l'acqua  che  dava  da  bere  alla  città,  fu 
forza  calarsi  all'accordo.  Ricusato  ogni  onesto  patto 
da  Ahmed,  che  sapea  quel  ch'ei  volea,  la  tortura 
della  sete  sforzò  i  Taorminesi  a  risegnare  tutto  ciò 
che  possedeano  e  darsi  schiavi ,  salva  la  vita  sola  : 
e  così  uscirono  dalla  rócca  il. ventiquattro  dicembre, 
dopo  sette  mesi  e  mezzo  d'assedio.  Le  facoltà  dei 
vinti,  scrive  Ibn-el-Athir,  divennero  fei;  eh' è  a  dire 
i  terreni  caddero  nel  fisco,  per  investirsi  in  sti pen- 
dii militari.  L'emiro  mandava  a  Moezz  mille  sette- 

<  Secondo  le  tavole  di  popolazione  di  Francia  e  di  qualche  provincia 
d* Italia  che  ho  avuto  alle  mani,  i  fanciulli  maschi  dì  7  anni  sono  il  cente- 
simo della  popolazione.  Supponendo  metà  dei  15,000  di  sette  anni  e  metà 
oltre  gli  otto,  la  popolazione  mnsulmana  di  Sicilia  nel  972  tornerebbe 
a  750,000  il  qua!  numero  non  discorda  dai  computi  che  abbiam  fatto  con  al** 
tri  dati,  Libro  IH,  cap.  XI,  pag.  316  di  questo  volume,  li  Palmieri,  nella 
Somma  della  Storia  di  Sicilia,  Palermo  1834,  voi.  I,  p.  376,  su  questo 
medesimo  dato  ragiona  i  Musulmani  dell'isola  a  300,600.  E  sbaglia;  per- 
chè suppone  istituita  allora  la  circoncisione  dai  Fatemiti ,  e  che  si  fosse 
praticata  in  Sicilia  per  la  prima  volta,  e  però  su  tulli  i  fanciulli  di  ogni  età. 
II.  17 


|962  1  -  258  ~ 

cento  settanta  dei  prìgiooi.  '  E  mettea  presidio  di  qual- 
che centinaio  di  Musulmani  nella  città,  mutando  il 
nome,  a  onor  del  califo,  da  Taormina  in  Moezzia.* 
Il  che  dà  a  vedere  un  primo  principio  di  colo- 
nia e  fa  supporre  T  ordinamento  che  si  tentasse  in 
tutta  la  regione  orientale.  Perchè  Moezzia  non  fosse 
una  bicocca  da  schiavi  o  da  liberti,  fu  lasciata  al 
certo  la  popolazione  agricola  nel  contado ,  e  la  gente 
minuta,  mercatanti  o  artefici,  nella  città.  Le  terre  in- 
difese o  scarse  di  abitatori  chiedeano  ai  certo  e 
otteneano  V  amàn,  prima  o  dopo  Taormina  ;  scenden- 
do i  cittadini  a  condizione  di  dsimmi  e  scansando  la 
schiavitù,  fors'  anco  lo  ^spogliamento  dei  beni  privati  ; 
e  cominciò  a  stanziare  alcun  picciolo  stuolo  del  giund 
nei  luoghi  più  importanti.  In  particolare  noi  sappiam 
che  di  Siracusa,  dove  comparisce  due  anni  appresso 
debole  colonia  che  non  bastava  a  difendersi  da  qual- 
che galea  bizantina,  ma  a  capo  d' altri  cinque  anni  la 
si  scorge  adulta^  da  farsi  sentir  nella  guerra  civile.  ^ 


*  Nowatri  dice  1570.  Nel  supposto  che  fosse  la  qainta  del  principe  si 
ragionerebbe  a  9000  anime  ia  popolazione  di  Taormina.  Ma  forse  non  era 
luogo  ad  osservare  la  proporzione  legale,  perocebò  lloezz  potea  aver  man* 
dato  soldatesche  di  schiavi ,  e  prender  come  sua  propria  la  parte  che  lor 
toccava  dei  prigioni  e  del  bottino. 

'  Si  confrontino:  Cronica  di  Cambridge,  anno  6470-71,  op.  cit. ,  p.  \^i; 
Ibn-el-Athtr,  anno  551,  MS.  B,  p.  302;  Àbulfeda,  Ànnales  Moslemici, 
anni  336  e  351 ,  tomo  II»  p.  446,  se«.,  478  ;  Nowalri,  presso  Di  Gregorio, 
Rerum  Àrabicarum^  p.  15,  16;  Ibn-Khaldùn ,  Hietùre  de  k'Àfrique  et  de 
ìa  SiciU,  p.  170,  e  Sieria  dei  Fatemili,  MS.  di  Parigi,  Supk  Arabe,  743  qua- 
ter»  voL  IV,  fog.  20  verso,  e  traduzione  di  M.  De  Slane  in  appendice  aUa 
Hifloire  dee  Bérbèree  par  Ibn'Kkaldeun,  tomo  II»  p.  54i;  Ibn-abi-Dindr , 
MS.  di  Parigi,  fog.  37  verso,  seg.;  Lupo  Prolospatario»  presso  Pertz,  Seri' 
ptore»,  tomo  V,  p.  54. 

3  Si  vegga  per  Siracusa  nel  964,  il  sógoito  del  presente  capitolo,  e 
nel  969  il  capitolo  V  di  questo  Libro  IV.  Per  s^tre  città  non  ho  testi  da 
poter  citare. 


-  259  -  19«5.| 

ProbabiI  è  dunque  che  abbian  messo  pie  nelle  ruine 
d' Acradina  e  d' Ortigia  verso  il  novecentosessanta- 
due  ;  trovandovi  già  raggranellato  un  pò*  di  popola- 
zione cristiana.  In  ogni  modo»  dopo  la  occupazione 
di  Taormina,  tutta  la  Sicilia  obbediva  ai  Musulmani, 
fuorché  Rametta ,  solo  avanzo  de'  municipii  greci  e 
romani  di  Sicilia;  antico  asilo,  com'io  penso,  dei  più 
valorosi  cittadini  di  Messina,  '  ed  or  di  quanti  altri 
cristiani  della  provincia  amassero  meglio  guardar 
la  morte  in  faccia  che  soffrire  Y  ignominia  del  vas- 
sallaggio. 

Nò  veggo  nelle  istorie  qual  popol  abbia  mai  sor- 
tito fine  più  magnanima»:  tanta  fu  la  saviezza  dei 
preparamenti,  la  costanza  della  volontà,  il  valdt  nel 
combattere,  e  con  sì  poca  speranza  d' aiuto  gettarono 
il  guanto  ai  vincitori.  Che  morto  Romano  secondo  im- 
peratore (15  marzo  963)  e  succedutigli  due  bambini, 
si  disputava  il  comando  tra  la  rea  lor  madre  e  un 
eunuco;  né  potea  sapersi  in  Sicilia  T esito  della  rivo- 
luzione militare  eh'  esaltò  Niceforo  Foca  (  1 6  agosto 
963),  quando  Hasan-ibn- Ammàr  poneva  il  campo  a 
Rametta  T  ultimo  di  regeb  trecentocinquantadue  (23 
agósto  963);  venendo  a  punir  la  ribellione,  come  al 
solito  si  chiamò.  Si  dubitava  tanto  poco  dell'esito,  che 
r  emiro  Ahmed  partì  al  tempo  stesso  per  Y  Affrica  '  a 
compier,  com'ei  sembra,  T  ordinamento  amministra- 
tivo deir  isola  con  Moezz  ;  il  quale  comandò  che  Ibn- 
'Ammdr  riducesse  intanto  Rametta.  E  quegli  piantò 


<  Si  v«gga  il  Libro  II,  cap.  X,  pag.  426  del  primo  volume. 
*  Si  confrontino:  Cronica  di  Cambridge,  anno  6471  (96S-5),  op.  cit., 
p.  51,  e  Nowairi,  op.  cit. ,  p.  16. 


1964.1  —  200  - 

suoi  mangani  e  'arràde,  *  a  batter  le  mura  ;  si  provò 
ad  affaticare  i  cittadini  ogni  di  con  assalti;  e  nulla  ap- 
prodava. Tanto  che,  pensando  ridurli  per  fame,  passò 
tra  que'  monti  Tinverno  e  la  primavera  e  la  state  ap- 
presso ,  trinceato  bene  il  campo,  e  costruitovi  un  ca- 
stello per  sé  e  casipole  ai  soldati.  ' 

Que'  di  Rametta  intanto  chiesero  aiuti  a  Nice- 
foro  Foca,  il  Domestico,  come  il  chiamano  sempre  gli 
Arabi,  dall'alto  oficio  che  tenne  pria  dell'impero  e 
che  illustrò,  a  danno  loro,  col  conquisto  di  Creta 
(maggio  961  )  e  altre  belle  vittorie.  »  Salito  al  trono, 
volle  levare  air  Impero  la  vergogna  del  tributo  che  si 
pagava  ai  Musulmani  ;  e  sperò  che  bastassero  gli  au- 
spicii  suoi  e  le  medesime  armi  a  ripigliar  la  Sicilia 
col  fiivor  della  popolazione  cristiana.  Onde  adunò  po- 
deroso esercito,  dicesi  più  di  quarantamila  uomini,* 
di  varie  nazioni  :  Armeni,  antichissimi  difenditori  del- 


*  Golesta  Toce  e  il  fatto  si  troTanouel  soloNowairi.  Le  *arràde,  macchine 
da  gitto  più  picciole  del  mangano,  come  le  spiegano  i  dizlonarii,  erano  già 
in  nso  nel  decimo  secolo  appo  gli  Arabi,  facendone  menzione  Mawerdi, 
ediz.  Enger,  p.  7S.      ^ 

s  Nowairi,  I.  e. 

'  Secondo  gli  autori  bizantini  citati  da  Le  Beao,  Histoire  du  Bas  Empi- 
re, Libro  LXXIV,  cap.  46,  ambo  i  califl,  abbassida  e  fatemita,  abbandona- 
rono i  Cretesi,  tisto  non  poterli  aiutare.  Presso  alcuni  annalisti  musulmani 
corse  l'errore  cbe  Moezz  avesse  mandato  forze  cbe  liberaron  Creta;  il  qual 
fatto  M.  Quatremère  notò  in  una  compilazione  persiana,  e  giudiziosamente 
lo  suppose  dato  per  anacronismo  invece  della  sconfitta  di  Costantino  Gon- 
gilo del  958.  Veggasi  il  Journal  Asiatique,  II1«  sèrie,  tomo  II,  p..420,  421. 
Ha  mi.  è  avvenuto  di  trovare  appunto  lo  stesso  racconto  in  Ibn-el-Athir , 
anno  351  (962),  MS.  C,  tomo  IV,  V,  e  nelPaltro  MS.  di  Parigi,  Supl.  Àrabe, 
741  bis,  fog.228  verso;  se  non  cbe  in  un  MS.  si  legge  ben  Greta,  e  nel  se- 
secondo  "l'isola  di . . .  .*  lasciando  il  nome  in  bianco.  Indi  si  potrebbe  sup- 
porre cbe,  in  vece  d'anacronismo,  lo  sbaglio  fosse  nel  nome.  E  mi  è  parso 
di  farne  menzione,  perchè  l'isola  potrebbe  per  avventura  esser  Malta. 

*  Ibn-el-Atbir. 


—  261   —  [964.1 

r  impero  ;  mercenarii  russi,  *  battezzati  di  fresco  ;  e 
gli  eretici  Pauliciani  *  che,  trasportati  in  Tracia ,  mi- 
litavano  sotto  le  insegne  dei  loro  persecutori  con  ri- 
putazione di  ferocissimi  soldati  :  dei  quali  i  Russi  e 
i  Pauliciani  avean  testé  fatto  buona  prova  a  Creta.  * 
Si  apprestarono  legni  di  non  più  vista  grandezza  per 
traghettare  le  genti  ;  le  navi  da  battaglia  robuste  e 
munite  di  fuochi  ;  ^  il  terrore  dell'  oste  accresciuto  da 
grande  salmeria  di  macchine  da  gitto  ;  ^  deputato  a 
pregare  il  cielo  in  buona  forma  e  vigilare  sì  sospetta 
accozzaglia  di  costumi,  lingue,  e  coscienze  straniere, 
con  oficio  di  cappellano  m^lggiore,  come  noi  direm- 
mo, un  iSiceforo,  uom  di  molta  pietà  e  mollo  isenno, 
prete  di  corte,  poscia  vescovo  di  Mileto  e  in  ultimo 
santo  canonizzato.  "  Fin  qui  V  imperatore  provvide  da 
vecchio  soldato.  Se  non  che  elesse  i  condottieri  -  per 
fovpre  e  corta  scaltrezza  di  palagio.  Non  uno  ma  due 
condottieri ,  patrizii  entrambi  ;  dei  quali  il  primo  fra- 
tello del  protovestiarìo,  o  maggiordomo  che  noi  di- 
remmo>  ebbe  npme  Niceta  ;  eunuco  pien  di  religione, 
erudito  negli  scritti  dei  Santi  Padri ,  ma ,  sbagliata  la 
via,  si  trovava  in  quella  stagione  protospa tarlo,  che 


*  Nowairi. 

3  Nowairi.  Questo  compilatore  scrìve  Magi.  Il  Di  Gregorio  tradusse 
Penis;  M.  Quatremère,  op.  cit.,  notò  in  parentesi  Normands.  Senza  il 
menomo  dubbio-  si  tratta  de' Pauliciani,  ai  quali  l'eresia  manichea  potea 
beh  meritare  appo  i  Musulmani  la  volgare  appellazione  di  Magi.  Noi  sap- 
piamo che  le  legioni  di  Tracia  erano  composte  di  Pauliciani  e  cbe  aveano 
trionfato  a  Greta.  Si  veggano  Le  Beau,  op.  cit.,  libro  LXXIV,  cap.  14,  e 
Gibbon,  Decline  and  Fall^  cap.  LIV,  nota  4. 

'  Le  Beau,  1.  e. 

*  Leone  Diacono  Galoense. 
»  Ibn-el-Athlr. 

^  Vita  di  San  Niceforo  vescovo  di  Milelo. 


[964. 1  —  262  — 

suona  aiutante  di  campo  dell'imperatore.  Eìjtoe  co- 
stui il  grado  di  drungario,  o  vice-ammiraglio,  il  co- 
mando particolare  del  navilio*  e  supremo  dell'im- 
presa.* L'altro,  Manuele  figliuol  naturale  di  Leone 
Foca,  nipote  però  di  Niceforo,  fatto  generale  della  ca- 
valleria :  giovane  d'animo  bollente,  testa  dura  e  cieco 
valore.  '  De'  due  omessi  insieme,  pensò  Niceforo  com- 
porre un  ottimo  capitano,  senza  avere  ricorso  ad  al- 
cun di  que'suoi  sperimentati  commilitoni  dell'Asia 
Minore,  il  quale  andasse  in  Sicilia  a  guadagnare  nuova 
riputazione  e  poi  mettersi,  com'egli  stesso  a vea  fat- 
to, su  la  via  del  trono  :  é  questo  non  gli  fece  veder 
r  errore  di  porre  un  forzuto  e  fiero  principe  del  san- 
gue mezzo  a  ragguaglio  e  mezzo  sotto  d'un  soldato 
da  tavolino.  Pur  a  Costantinopoli  non  era  chi  dubi- 
tasse delia  vittoria.  Oltre  la  potenza  di  tanto  sforzo, 
n'  erano  pegno  lor  nuovi  libri  sibillini  detti  le  Visioni 
di  Daniele,  ed  i  vaticinii  d' Ippolito  vescovo  di  Sicilia 
dei  quali  nessuno  s'era  visto  fallire;  e  vi  si  leggea  co- 
me il-  lione  e  il  lioncello  dovessero  un  giorno  divo- 
rare r  onagro.  Parea  chiaro  ai  Greci  che  le  due  belve 
con  le  zanne  simboleggiassero  i  due  imperatori  di 
Cristianità,  Niceforo  e  Olone,  e  l'altra  belva  del  de- 
serto Moezz  ;  se  non  che ,  quattr'  anni  dopo  la  scon- 
fitta, il  nostro  Liutprando  si  beffò  di  loro  che  non 
avessero  capilo.  Òtone  e  il  figliuolo,  ei  rimbeccò,  ve- 
raci  leoni,  doveano  manicarsi  Niceforo,  asino  selva- 
tico vano  ed  incestuoso,  che  avea  sposata  la  comare. 


*  Leone  Diacono,  e  Vita  di  SanJNieeforo. 

*  Vita  di  San  Niceforo. 
^  Leone  Diacono. 


—  265  —  |964.| 

E  il  mordace  vescovo  di  Cremona  parlava  tanto  da 
senno,  che  appose  la  vittoria  dei  Musulmani  alla  fi- 
danza che  n'  avessero  presa ,  interpretando  appunto 
come  lui  la  profezia  d*  Ippolito.  * 

Risaputi  i  preparamenti  del  nemico,  Àhmed  rac- 
conciò e  armò  in  fretta  il  navilio  siciliano  ;  scrisse 
marinari  e  soldati,  e  chiese  immediati  rinforzi  a  Moezz. 
il  quale,  non  perdonando  a  spesa,  mandava  il  navi- 
lio. d'Affrica  con  molte  schiere  di  Berberi/ capitanate 
da  Hasan,  padre  d'Ahmed.  Giunti  del  mese  di  ramadh^ 
an  (H  settembre  a  10  ottobre  964),^ Hasan  avviava 
uno  stuolo  al  campo  di  Rametta,  rimaneva  egli  col  gros- 
so delle  genti  in  Palermo,  sovvenendogli  dello  sbarco 
di  Basilio  nella  Sicilia  occidentale  (957).  Già  Toste 
bizantina,  traghettato  V  Adriatico,  s'era  raccolta  in  su 
la  punta  di  Calabria.  Principiò  il  tre  scewàl  (12  otto- 
bre), fornì  in  nove  giorni  il  passaggio  dello  stretto  ; 
occupò  a  prima  giunta  Messina  ;  afforzolla  con  fossati , 
e  risarcì  le  mura.  ^  Intanto  altri  stuoli ,  recati  al  certo 
dall'armata,  si  mostravano  per  le  costiere  di  setten-* 
trione  e  di  levante  ;  prendeano  nell'una  Termini  d'as- 
salto, ed  era  bene  per  togliere  gli  aiuti  di  Hasan  ; 
neir altra  vanamente  sparpagliavansi  tra  Taormina, 
Lentini  e  Siracusa,  delle  quali  ebber  le  prime  due  di 


*  Liulpraildo.  Ognun  sa  la  sua  rabbia  contro  i  Bizantini,  come  lombar* 
do;  e  contro  Niceforo  Foca  perchè  t'accolse  freddamente  o  peggio, quando 
Otone  primo  il  mandò  oratore  a  Costantinopoli. 

'  ibn-ei-Atbir,  Nowatri  e  gli  altri  Arabi.  li  nome  di  Berberi  si  ricava 
dalla  sola  Cronica  di  Cambridge,  dove  fu  franteso  dai  primi  edttorl  e  con 
essi  dal  Di  Gregorio;  talché  tradussero  in  latino:  ''oum  eoptis^tn^Aber," 
In  veoe  di  questo  nome  proprio,  si  dèe  leggere  senza  il  menomo  dubbio 
Berdber,  cli^  è  il  plurale  di  Berbero. 

'  Ibn-el-Atbir,  Nowairl,  e  gii  altri  Arabi. 


(064.1  -^  264  — 

queto,  la  terza  per  battaglia/  Cotest' errore  di  allon- 
tanar troppa  gente  da  Messina,  pianta  della  guerra, 
e  la  mala  disciplina  de' soldati,  non  isfuggirono  agli 
ansiosi  cristiani  di  Sicilia.  Ci  si  narra  che  Prassina- 
chio ,  uom  di  specchiate  virtù ,  che  s  era  posto  in  un 
romitaggio  in  su  Io  Stretto  ed  era  tenuto  lucidii^simo 
'  tra  i  ''veggenti  in  Dio"'  del  paese,  avesse  presagito  la 
sconfitta  al  cappellano  maggiore  bizantino  ;  il  quale 
non  s'aspettava  altro  da  quella  marmaglia  armata'  che 
gli  avean  dato  in  guardia. 

JVlentre  Niceta  guazzava  per  trecento  miglia  di 
costiere  col  grosso  del  navilio,  Manuele  Foca  s'av^ 
viluppo  col  grosso  de' cavalli  tra  i  precipizii  dei  monti 
Nettunii,  per  dare  aiuto  a  Rametta.  La  quale,  a  guar- 
darla in  su  la  carta,  è  vicina  a  nove  miglia  .a  Messina;^ 
ma  vi  si  frappone  erto  il  Dinnamare,  che  guarda  en- 
trambe  le  acque  del  Ionio  e  del  Tirreno  e  dalla  cima 
sovrasta  a  quelle  per  tremila  trecento  piedi.  Pertanto 
chi  cavalchi  da  Messina  a  Rametta,  dèe  prender  lungo 
giro  intorno  la  montagna  per  settentrione  e  ponente 

<  Coleste  fazioni  sodo  accennate  dal  solo  Leone  Diacono,  in  mezzo  a 
laogbì  comuni  di  reltorica,  che  mi  fecero  stare  in  forse  se  lo  scrittore  ci. 
avesse  anche  Gccato,  come  luogo  comune  di  erudizione,  tutti  ì  nonrì  clas- 
sici che  gli  sovvenivano  della  geograOa  di  Sicilia.  Ei  dà  a  Termini  T antico 
nome  dMmera,  nh  fa  parola  di  Rametta.  I  Siciliani  non  potendo  difendere 
le  città,  si  ritraggono  sui  monti  e  nelle  selve,  i  Romani,  inseguendoli  là 
'  dove  i  fronzuti  rami  togltean  la  vista  del  sole ,  sciolgono  la  falange ,  onde 
son  còlti  dai  barbari  in  un  agguato  tra  greppi  e  caverne,  ec.  Pur  tra  co- 
teste  frasi  da  scuola, le  fazioni  delle  quattro  città  nominate  hanno  sembianza 
di  vero;  tantopiù  che  sappiamo  da  altre  fonti  che  1  Musulmani  dopo  le  vitto- 
rie di  Rametta  e  del  Faro,  ebbero  a  combattere  in  varii  luoghi.  Perciò  am- 
metto la  testimonianza. 

'  6eo7r?-txc5v. 

'  Credo  così  render  meglio  che  con  versione  litterale  il  testo  avayMyiav 
wXsiffTriv  T«v  ffTpKTKjyóJv,  YHo  di  San  Niceforo  vescovo  di  Mikto, 
*  Veggasi  Libro  III,  cap.  X,  pag.  427  del  primo  volume. 


—  265  —  (%4.| 

infino  a  Spadafora,  o  per  mezzogiorno  infino  a  Mili, 
e  risalir  dalF  una  o  dall'  altra  per  le  convalli  ;  delle 
quali  strade  la  prima  corre  ventiquattro  miglia,  Taitra 
più  di  trenta.  Sboccano  in  una  pianura  ritonda  di  tre 
o  quattro  miglia  di  diametro;  in  mezzo  alla  quale 
spiccasi  in  alto  una  collina  o  piuttosto  immane  masso , 
che  vi  si  poggia  per  un  sol  viottolo  aspro  e  faticoso 
di  mezzo  miglio  ;  e  la  xima  disuguale  è  tutta  coronata 
di  mura.  Quest'  è  Rametta.  Il  piano  d' intorno  sembra 
l'arena  di  un  circo  apparecchiato  ad  eserciti  per 
duellare  a  ultimo  sangue.  Gli  fan  chiostra  scoscese  e 
spaventevoli  coste,  fendendosi  quanto  basti  ad  aprir 
la  via  per  settentrione  a  Spadafora,  per  mezzogiorno 
a  Mili;  e  un'  altra  gola  verso  ponente  conduce  a  Mon- 
forte.  Dal  lato  orientale  taglia  la  pianura  un  burrone 
tirato  quasi  a  filo  per  parecchie  miglia  da  mezzodì 
a  tramontana:  profondo  squarcio  di  terreno  silicea, 
targo,  precipitoso;  e  all'imo  fondo  è  talvolta  sta- 
gliato come  fosso  di  fortezza,  che  non  dà  via  a  ca- 
larvi. Così  lo  descrivono  i  cronisti  arabi  ;  e  mei  con- 
fermavan  uomini  pratichi  dei  luoghi,  dai  quali  seppi 
qtiant'  io  ne  ho  scritto.  Delle  tre  gole  fanno  anco  mea- 
.  zione  gli  Arabi ,  ma  danno  il  nome  di  quelle  sole  di 
Mikos  e  Demòna;  nell'una  delle  quali  oggi  mette 
capo  la  via  di  Mili  e  nell'  altra  la  via  di  Monforte.  E 
s' addimandavan  così  da  due  fortezze  molto  importanti 
in  quel  tempo  ;  onde  già  ci  è  occorso  di  farne  parola.* 

<  Si  vegga  il  Libro  II,  cap.  XII,  voi.  I,  pag.  468,  nota  4,  ed  il  Libro  HI, 
cap.  IV,  pag.  83,  nota  i.  I  nomi  topografici  son  dati  qui  dal  solo  Nowairi; 
nei  due  MS.  del  quale.  Demona  si  riconosce  con  certezza.  Non  cosi  Taltro 
nome  che  ba  le  lettere  *»K8c  ovvero  »»£«,  rimanendo  molto  dubbie  le  prime 
due^  Preferisco  la  lezione  del  migliore  tra  i  MSS.  di  Edrìsi, 


1964.)  —   266  — 

Aveva  Ibn- Ammàr  dato  avviso  dello  sbarco  ad 
Ahmed  :  e  questi  incontanente  mosse  di  Palenno  ;  ' 
ma  non  potè  giungere  avanti  Manuele,  il  quale,  non 
prima  raccolte  le  genti  a  Messina,  le  menò  in  furia 
a  Ramelta,  la  notte  innanzi  il  quindici  scewàl  (S4 
ottobre).  Mandò  una  schiera  a  tentare  il  passo  di  ATi- 
kos,  un'altra  quel  di  Demona,  una  terza  a  inter 
cettare  gli  aiuti  su  la  strada  di  Palermo:  egli,  con 
T  esercito  spartito  in  sei  schiere,  segui  la  marina  fino 
a  Spadafora;  indi  poggiò  alla  volta  di  Rametta.  E  quivi 
Ibn- Ammàr  avea  dovuto  scemarsi  anco  di  tre  schiere 
per  chiudere  i  passi  di  Mikos  e  Demona,  e  fronteg- 
giare gli  assediati,  se  tentassero  la  sortita.  Altro  non 
gli  rimanea  dunque  che  un  buon  nodo^  tutto  o  la  più 
parte  d*  Arabi  Siciliani;  col  quale  si  fece  incontro  a 
Manuele.  Air  alba  appiccarono  la  zuffa.  * 

Al  fragore  non  si  stettero  i  cittadin  di  Rametta 
che  non  facessero  impeto  nello  stuolo  musulmano 
messo  in  guardia  ;  il  quale  li  ricacciò  dentro  le  mura. 
Con  uguale  fortuna  que'che  teneano  i  passi  di  mezzo- 
giorno e  di  ponente  respinsero  i  Bizantini.  *  Ma  gli  Ara- 
bi che  &ì  erano  travagliati  lunga  pezza  contro  Manuele 
con  grande  strage  del  nemico  e  loro,  imberciati  nella 
stretta  serra ,  com'  e'  sembra ,  dai  tiri  delle  macchine , 


'  Nowairi;  ma  non  dice  se  per  terra  o  per  mare.  £  più  probabile  il 
primo,  e  ebe  Àbmed  abbia  dovuto  allungare  il  cammino  per  iscansare  Ter- 
mini, occupata  dal  nemico. 

*  Gonfrontinsi:  !bn-*M-'Athlr  e  Ifowairì.  Questi,  come  drcemmo,  non  dà 
il  nome  della  strada  che  teinne  "Manuele;  ma  la  sola  che  gli  reslava,  e  la  più 
breve  delle  due  praticabili ,  era  quella  df  Spadafora.  Tal  conseguenza  nt- 
cessarla  è  confermata  dal  hiio  della  schiera  posta  su  la  via  di  Paltrmo. 

'  ibn-el-Atb!r,  e  Nowairi. 


-  267  -  i%4.i 

cominciarono  a  ritrarsi  negli  alloggiamenti  :  *  e  i  Cri- 
stiani ad  incalzarli,  ad  irrompere  nella  pianura,  a  cir- 
condare il  campo  :  se  li  abbiamo  cacciati  dal  passo, 
che  faranno  or  che  li  tenghiamo  in  mezzo  e  lor  to- 
gliamo F  aria  da  respirare  ?  E  per  troppa  certezza 
della  vittoria  par  si  fossero  disordinati  i  Bizantini. 
Gli  altri ,  certissimi  ed  ormai  bramosi  della  morte,  * 
voglion  finirla  a  un  tratto  ;  intonano  i  versi  dell'  an- 
tico poeta  arabo  : 

((  Indietreggiai  per  amor  della  vita  ;  paa  vita , 
»  ah ,  non  sento  in  petto  se  non  ripiglio  Y  assalto  ! 

D  Che  le  ferite  del  codardo  gli  tingano  le  calca- 
»  gna.  À  noi  le  ferite  piovon  sangue  su  la  punta  del 
»  pie.  » 

E  s  avventano  con  Ibn- Ammàr  :  la  misura  del 
verso  li  uni  in  un  sol  impeto  da  farsi  far  largo.  Il  ca- 
ptano, visto  che  in  vece  di  morire  si  può  vincer  tut- 
tavia, grida  a  tutto  fiato:  ""OhDio,  se  m'abbandonano 
i  figli  d' Adamo  non  mi  lasciar  tu  :  "  e  die  un'  altra 
carica,  che  scompigliò  i  nemici;  e  invano  lor  patrizii 


<  I  compilatori  dicono  che  !bn->'Anunàr  andò  incontro  a  Manuele,  a^nia 
particolareggiare  il  luogo  doTe  si  combattesse  avanti  la  ritirata  nel  campo. 
Ha  è  evidente  che  fti  nella  gola  di  Spadafora.  lbn-*Ammàr  non  poteva  aspet- 
tar nel  piano  un  nemico  sì  superiore  dì  numero  e  di  cavalli. 
.  '  Ibn-el-Atbìr.  Nowairi  ec.  ^ 
>  Cotesti  versi,  dati  dal  solo  Ibn-el-Atblr,  sono  di  Hosein-ibn-Homàm 
deHa  tribù  di  Morra,  e  si  leggono  neir antologia  poetica  intitolata  Bamaaa 
ossia  "della  virtù  in  guerra,*  testo  arabico  pubblicato  dal  Freytag,  p.  92,93. 
Hosein  visse  avanti  rislAoismo;  il  poco  che  sappiam  di  lui,  si  vegga  nel 
Commentario  àeWBamaM,  1.  c.,ein  Ìbn*Doreid  "Libro  etimologico,"  testo 
pubblicato  a  GoUinga  dal  Wiistenfeld,  p.  186.  I  versi  recitati  dai  combai* 
tenti  provano  che  questi  fossero  Arabi,  e  però  della  colonia  siciliana;  poi- 
ché MoecB  a vea  mandato  d'Affrica  soldatesche  l>eri>ere.  11  giund  arabico 
d'Affirica,  se  pur  ne  rimaneva  in  questo  tempo,  era  ridotto  a  picciol  nomeiv 
e  niente  disposto  a  venire  in  Sicilia. 


|964.|  —  268  — 

fecero  prova  a  rattestarli  con  le  parole  e  coir  esem- 
pio. Manuele  spronava  nella  mischia  con  un'  eletta  di 
cavalli  ;  rinfacciava  a'  suoi  che  si  fossero  millantati 
tanto  coir  imperatore  ed  or  fuggissero  dinanzi  un 
pugno  di  barbari.  Ferì  in  questo  dire  tra  i  Musulma- 
ni ;  uccise  di  sua  mano  un  uomo  ;  e  si  trovò  avvi- 
luppato, picchiato  di  lance  d'ogni  banda;  ma  non  pas- 
savano la  grave  armadura.  Tirano  dunque  al  cavallo, 
chi  dì  punta,  chi  di  taglio  a' garretti;  caduto  a  terra  col 
suo  signore  gli  si  abbaruffano  addosso  Arabi  e  Gre- 
ci ;  alfine  fu  spacciato  Manuele  e  chi  V  aiutò.  Gli  al- 
tri si  sbaragliarono.  Era  tra  mezzodì  e  vespro.*  Il 
grosso  degli  Arabi  eran  fanti,  come  si  vede  neir  epi- 
sodio di  Manuele  che  terminò  la  battaglia. 

Durò  la  caccia, la  fuga,  la  carnificina  infino  a  notte. 
A  compier  l'epico  terrore  del  caso,'  un  negro  nembo 
che  ottenebrava  quella  chiostra  di  monti,  scoppiando 
a  folgori  e  tuoni  quando  fu  decisa  la  giornata,  incru- 
delì sopra  i  fuggenti,  accrescendo  i  pericoli  degli 
ignoti  e  rotti  luoghi.  Uno  squadrone  messosi  a  briglia 
sciolta  giù  pel  burrato,  precipitò  nella  fossa;  che  la 
colmaron  uomini  e  cavalli,  e  i  vincitori  passaronvi  su 
di  galoppo,  dicono  i  loro  annali,  né  par  mica  impos- 
sibile. D'ogni  lato,  pe' greppi  e  per  le  boscaglie,  inse- 
guirono gli  spicciolati,  li  scannarono  quanto  loro  ba- 
stavan  le  forze  a  ferire:  pochi  patrizii  o  altri  uòmini 

% 

^  Nowairi  scrive  :  fin  dopo  la  prece  del  Zohr ,  che  sì  fa  passato  mez* 
zodì;  IbD-el-Athtr  all'ora  ùeW'Àsr,  che  in  quella  stagione  torcerebbe  a 
Tentim'ora  e  mezza,  a  modo  dei  nostri  antichi. 

*  Ritraendosi  coiesti  particolari  dagli  Arabi,  non  T*ha  il  menomo  so- 
spetto di  faUura  rettorica.  Non  è  al  certo  in  ior  annali  che  gli  Arabi  dan 
volo  air  immaginazione. 


—  269  —  [964-965.) 

di  nota  fatti  prigioni,  per  avarizia  del  riscatto.  Po- 
chissimi camparono  fuggendo.  Più  di  diecimila  i 
morti  ;  bottino  infinito  di  cavalli,  robe,  armi  ;  tra 
le  quali  si  trovò  una  spada  ch'era  passata  dai  MusuK 
mani  ai  Cristiani  in  Oriente,  e  que'la  riebbero  nel  san- 
guinoso campo  di  Rametta.  Su  la  quale  era  inciso  in 
caratteri  arabici:  "Indiano  è  questo  brando;  pesa  cen- 
settanta  mithkàl;  e  molto  ferì  dinanzi  Tapostol  di  Dio.'' 
Cotesta  reliquia  delle  prime  guerre  dell'islam  era 
mandata  poscia  a  Moezz  con  altre  preziose  armi  e  pia- 
stre e  maglie;  *  aggiuntovi  una  resta  di  capi  mozzi  e 
dugento  prigioni  barbari ,  dice  una  cronica ,  '  che 
sembran  degli  Armeni  o  dei  Russi. 

Ma  come  i  trofei  erano  recali  in  Palermo,  uscito 
all'incontro  l'emiro  Hasan,  fu  commosso,  dice  Ibn- 
Khaldùn,  di  tanta  e  sì  improvvisa  gioia  che  gli  scop- 

A  Si  confrontino:  lbn-el-Athlr,Àbulfeda,  Nowairi,lbn-KhaIdùn.  II  Di  Gre- 
gorio, Rerum  Arabicarum,  p.  18,  tradusse  l'ultima  parte  della  leggenda  incisa 
su  la  spada  "multum  is  sanguinem  fadit  in  manibus  Apostoli  Dei,*  scostando^ 
dalla  versione  francese  di  M .  Gaussìn;  il  quale  (Histoire  de  Sicile, . .  du  Nowairi, 
pag.  54,  in  appendice  a  Riedesel,  Voyages  en  Sicile  ec)  gli  rimbeccò  che 
la  frase  arabica  "  nel  mezzo  delle  mani  "  significa  non  già  "  nelle  mani  *  mt 
*in  presenza."  E  ciò  è  verissimo;  quantunque  si  potrebbe  allegare  a  difesa 
del  Di  Gregorio  qualche  raro  esempio  eh* egli  non  conoscea  di  certo,  nel 
quale  la  detta  frase  ha  il  significalo  liiterale  "nelle  mani"  ovvero  "per  le 
mani."  Ma  nel  caso  nostro  parmi  dubbio  essere  stata  cotesta  spada  in  pu- 
gno non  che  di  Maometto,  ma  d'alcun  dei  primi  guerrieri  dell'islamismo. 
Litteralmente  abbiamo:  "lungo  (è)  quanto  fu  percosso  con  esso  (brando)  nel 
mezzo  delle  mani  ce.  ;"  il  che  si  può  intendere  in  presenza  di  Maometto, 
dalla  parte  sua  o  dalla  parte  contraria.  E  mi  appiglierei  a  quest'ultimo 
supposto  anzi  che  ai  pripoo ,  per  l'ambiguità  che  pare  studiata,  e  sopratutto 
perchè  manca  la  formola  (feri)  "  nella  via  di  Dio  "  cioè  in  difesa  della  reli- 
gione. H  peso  della  spada  torna  da  sette  ad  ottocento  grammi,  variando  il 
mithkal  secondo  i  tempi  e  i  luoghi. 

*  Nowairi.  L'appellazione  'Ilg  non  si  dava  ordinariamente  ai  Bizantini 
{Rum)  né  ai  Persiani  {*Agem}.  Il  compilatore,  o  forse  il  cronista,  adoperò 
la  stessa  voce  Hlg  per  designare  il  Palata  alemanno,  o  piuttosto  armeno,  di 
cui  nel  Libro  II,  cap.  I,  p.  247  del  primo  volume. 


(965.1  —  270  — 

piò  una  febbre  maligna;  della  qaale  mori,  del  mese 
di  novembre,  a  cinqaantatrè  anni/  Tacciono  tal  dram- 
matica infermità  gli  altri  annalisti:  onde  potè  per  av- 
ventura immaginarsela  quell'ardito  e  primo  scrittor 
della  Scienza  Nuova ^*  cercando  sempre  dentro  la  sto- 
ria medesima  la  cagione  del  fatto  la  quale  spesse 
volte  si  trova  fuori.  Fu  pianto  da  tutti  Basan,  va- 
loroso, savio,  fondator  d'una  dinastia  e  però  macu- 
lato dei  vizii  del  mestiere,  che  poi  spariscono  nel  ba- 
glior  d^una  corona. 

I  martiri  di  Rametta  intanto  bevvero  infine  al- 
Fultima  stilla  il  calice  amaro  che  la  fortuna  porgeva 
insieme  con  lor  santa  corona.  Tennero  il  fermo  dopo 
la  sconfitta  dei  Greci  ;  ma  Io  stremo  delle  vittuaglie 
li  sforzò  a  mandar  via  le  bocche  inutili:  mille  della 
povera  gente,  com'è' sembra,  tra  vecchi,  donne  è  faur 
ciullil  Ibn-'Ammàr,  in  vece  di  rispingerli  nella  fortezza 
é  affrettar  la  dedizione  di  quella,  li  accolse  e  mandò 
in' Palermo;  ma  fu  crudo  coi  rimagnenti.  Fatti  pelle 
ed  ossa,  tuttavia  combattevano,  entrato  già  il  nove- 
eènsessantacihque  ;  quando  un  giorno  Ibn-Àmmàr 
apparecchia  le  scale,  dà  T assalto,  lo  protrae  fino  a 
notte;  e  allora  una  mano  dei  suoi  salì  su  le  agognate 
mura  di  Ramettai  Passati  a  fil  di  spada  gli  uomini  ; 
menate  in'  cattività  le  donne,  i  fanciulli  ;  saccheggiata 
la  città,  e  fattovi  grande  bottino.  Partendosi  dopo  un 
anno  e  mezzo  da*  selvaggi  luoghi  illustrati  con  tanto 

'  Coofrontiosi  :  Abulfeda ,,  ^owairi,  Ibn-KbaldùQ.  La  data  della  morte 
sì  trova  soltanto  nel  primo  e  nella  Cranica  di  Cambridge,  secondo  Vvmo 
del  mese  di  dsu-1-ka'da  (8  novi  a  8  dic.)i  secondo  l'altra  in  novembre. 

'  Ibn-Kbaldùo,  si  come  il  nostro  Vico,  notò  cbe  tentava  una  scienza 
novella.  Si  vegga  la  Introduiiohe  nel  primo  volume  della  presente  Storia, 
pag.  Liv. 


—  271  —  (%5.| 

sangue,  Ibo-'Àminàr  lasciò  nella  rócca  presidio  e  abi* 
latori  musulmani.  ^ 

In  questo  mezzo  Abmed  guadagnava  una  batta- 
glia navale.  Saputa  la  rotta  di  Manuele  mentr  ei  si 
affrettava  marciando  sopra  Rametta/  tirò  dritto,  co^ 
m'ei  pare,  a  Messina'  per  cavar  la  voglia  d'un  novello 
sbarco  ai  Bizantini  che  s'eran  messi  in  salvo  a  Regr 
gio.  Seguiron  poi'  in  Sicilia  tanti  altri  scontri/  non 
sappiamo  i  luoghi;  e  d'un  solo  il  Bome  del  capitan 
bizantino,  il  maestro  Essaconte,  il  quale  fu  sconfitto 
con  grande  strage/  Donde  è  manifesto  che  i  Musul^ 
mani  ripigliavano  ad  una  ad  una  le  terre  occupate; 
mentre  il  navilio  greco  pigramente  stava  li  a  Reggio 
per  raccorrà  i  presidii.  Àbmed  si  pose  alla  vedetta  a 
Messina  con  quante  forze  potè.  Quando  Tarmata  ne* 
mica  sciolse  le  vele  per  Costantinopoli,  risolutameute 
ei  Tassali  ;  con  tanta  disparità  di  preparamenti  navali, 
che  i  Musulmani  gittaronsi  talvolta  a  nuoto  per  appic- 
care il  fuoco  ai  legni  nemici/  Aspro  e  lungo  indi  il 

<  Ibn-el-Atbtr  e  qualche  particolare  dà  Nowairi. 

•  Nowairt. 

'  1  cropifti  bizantìBl,  comificiaDdo  da  Leone  DiaciHiOy  s6n  ^  mal^  in* 
formati,  che  dicono  preso  il  navilio  bizantino  nel  porto  di  Messina  dal 
nemico  che  hisegaiva  gli  avanzi  delli  sbaragliati  di  Rametta.  La  nuova 
corse  al  par  confusa  nell*  Italia  di  mezzo,  poiché  Liutprando  dice  ucciso  Ma- 
nuele e  preso  Niceta  nella  stessa  battaglia  tra  SeiUa  e  Cariddf. 

*  Gonfrontinsi  :  Ibn-ei-Athlr,  Nowairi,  Ibi^Kbaldàn. 
s  LittCprando. 

B|hn-el-Àihtr,  e  in  due  luoghi  Ibn-Khaldùn.  Il  professore  Fleiscber, 
rivedendo  le  stampe  della  Bibiiattea  AfabO''Sieula,  ba  proposto  di  leggere 
qui  "sfondare"  invece  di  "ardere;  *  !  quali  due  verbi  non  differiscono  ià 
Acritlura  arabica  .che  per  un  punto  diacritico  su  la  prima  lettera.  Ma  i  MSS: 
sono  nniforini  nella  lezione  che  io  seguo.  B  la  probabilità,  in  nna'battagUa 
navale,  mi  par  maggiore  per  l'effetto  di  appiccare  T incendio  gittandosi  a 
nuoto  con  una  fiaccola  di  fuoco  greco,  che  per  quello  di  tulBire  con  un  palo 
di  ferro  e  lavorar  su  i  Banchi  di  una  grossa  galea. 


1065.1  -  272  -« 

combattimento,  che  ne  rosseggiò  il  mar  di  sangue, 
scrivono  gli  Arabi ^  in  metafora,  e  può  passare.  Com- 
piuta fu  lor  vittoria  nella  battaglia  dello  Stretto,  come 
la  chiamarono.  Àffoudate,  arse  o  prese  tutte  le  navi 
bizantine;  fatto  grandissimo  numero  di  prigioni,  con 
cento  patrizii  e  mille  altri  nobili ,  se  la  non  è  metafora 
aritmetica  d'Ibn-Khaldùn.  Il  bottino  e  i  prigioni  erano 
recati  in  Palermo.'  Tra  gli  altri  Teunuco  ammiraglio, 
il  quale  fu  mandato  a  Moezz,  e  dimorò  due  anni  a 
Mehdia'  in  comoda  prigione,  ingannando  il  tempo  a 
copiar  le  omelie  di  San  Basilio  e  qualche  altro  pio  te- 
sto greco,  in  più  di  dugento  fogli  di  pergamena:  bel 
volume  ch'è  adesso  nella  Biblioteca  di  Parigi ,  soscritto 
con  data  e  nome  e  titoli  e  donazione  a  una  chiesa 
di  Costantinopoli ,  condotto  dal  principio  alla  fine  con 
mano  uguale  e  ferma ,  di  buon  calligrafo ,  rubriche  ad 
oro  e  colori,  larghi  margini  e  puliti,  colonne  e  righi 
tirati  a  squadra  e  compasso,  che  Temistocle  e  Archi- 
mede avrebbero  potuto  invidiare  tant'  arte  a  Niceta/ 
Ahmed,  toltosi  costui  dinanzi,  spingea  le  gualdane 
contro  le  città  greche,  com'io  credo,  di  Calabria;  le 
quali,  visto  depredati  i  contadi  e  intercetti  i  commer- 


'  Nowairi. 

s  GoDfrontiDsi:  Ibn-el-Atblr  e  Ibn-Kbaldùn.  Entrambi  dicono  espres* 
samenle  che  la  battaglia  dello  Stretto  segai  nel  334. 

'  Leone  Diacono,  Liutprando,  lo  scrittore  anonimo  della  Vita  di  san 
Nieefaro,  e  Gedreoo. 

*  MS.  greco ,  Ancien  Fonds,  497,  proveniente  dalla  biblioteca  di  Coir 
bert.  La  soscrldone  è  pubblicata  dal  Hontfaucon,  Paléographie,  45  A ,  e 
meglio  da  M.  Base,  io  nota  alla  pagina  67  del  testo  di  Leone  Diacono.  La 
soscrizione  a  p..444,  data  nella  prigione  di  Africa,  come  si  chiamava  an- 
che Mehdia  (èv  tJ  SaittazinplGi  'A^p«x^fi),  è  di  settembre  indizione  deci- 
ma (967).  Niceta  non  vi  dimenticò  i  titoli  dì  protospatario  e  dr angario  del- 
Tarmata. 


—  275  —  [695. 1 

ci,  altro  partito  non  ebbero  che  di  far  la  tregua,  pa- 
gando tributo  ai  vincitori.  ^  Questo  fine  sortì  la  im- 
presa di  Niceforo  Foca.* 

A  Ibn-el-Àthlr  e  Ibn-Khaldùn  che  dicono  entrambi  cittadi  dei  Rftm.  Ma 
questi  non  poteano  essere  di  Sicilia  ove  i  Musalmani  non  si  contentavano 
al  certo  di  tributo  che  pagasse  il  municipio. 

'  Si  confrontino:  Leonis  diaconi  Catoènsis,  ec, ed.  di  Bonn,  p.  65-67; 
VUa  di  San  Niceforo  vescovo  di  Mileto,  d'anonimo  siciliano  o  calabrese, 
MS.  greco  di  Parigi,  Ancien  Fonds,  1181,  squarcio  dato  da  M.  Hase  in  nota 
a  Leone  Diacono,  op.  cìt.,  p.  442  ;  Cedreno,  tomo  H,  p.  3S3  e  560,  ediz. 
di  Bonn;  Liutprando,  Legatio,  presso  Pertz,  Scriptores,  tomo  iil,p.  355, 556; 
Lupo  Protospatario,  anno  965,  presso  Pertz,  Scriptores,  tomo  V,  p.  55;  Cronica 
di  Cambridge,  presso  Di  Gregorio,  Rer«m4raòtcartim,  p.51,  la  quale  è  inter- 
rotta appunto  al  principio  di  questa  impresa;  Ibn-el-Athlr,  anno  553,  MS.  B, 
p.  306 seg.,  G  IV,fog.  561  verso;  Abulfeda, innaies  Moslemici,  anno  336, 
tomo  U,  p.  448;  Nowaìri,  presso  Di  Gregorio,  op.  cit.,  p.  16  a  i8;  Ibn- 
Khaldùn,  Histoire  de  VAfrique  ec,  p.  170,  17i,  e  Storia  dei  Fatetnitt, 
MS.  di  Parigi,  Suppl.  Arabe,  742  quater,  tomo  IV,  fog.  21  recto,  con  la 
versione  di  M.  De  Slane,  in  appendice  alla  Histoire  des  Berbères  dello  stesso 
Ibn*Khaldùn,  tomo  II,  p.  529  seg.;  Hagi-Kbalfa,  Cronologia,  anno  353,  nella 
versione  italiana  del  Carli,  p.  63;  Ibn-abi-Dinàr,  MS.  di  Parigi,  Supl.  Ara- 
be, 851,  fog.  26  verso,  e  37  verso,  seg.  Il  Rampoldi,  Annali  Musulmani,  to- 
mo V,  p.  506,311  e3i 4,  con  incredibile  sbadataggine,  fa  sbarcare  e  morire 
Manuele  il  963;  lo  fa  tornare  in  Sicilia  il  964,  e  inventa  nel  965  una  guerra 
dei  Cristiani  di  Girgenti,  che  sembra  replica  della  rivoluzione  del  938.  Il 
Quatremère,  nella  Vita  di  Moezz,  Journal  Asiatique,  Ille  serie,  tomo  IH, 
p.  65  a  68,  fa  [il  [racconto  di  questa  impresa  su  1  testi  di  Abulfeda  e  di 
Nowairi.  Una  lezione  erronea  del  secondo,  portò  l'illustre  orientalista  a  tra- 
durre *Les  Musulmana  étaient  animés  par  le  sentiment  de  rhonneur"  in 
vece  di  "entrarono  nel  proprio  campo*  come  si  ha  di  certo,  confrontando 
il  testo  d'Ibn-el-Athtr. 


n. 


18 


|90G-967.|  —  274  -— 


CAPITOLO   IV. 

Due  anni  dopo  le  raccontate  vittorie,  correndo  il 
trecencinquantasei  (16  die.  966,  5  die.  967)  Moezz 
significò  air  emir  di  Sicilia  la  pace  fermata  con  V  Im- 
pero, e  gli  ingiunse  di  riattare,  meglio  oggi  che  do- 
mani, dicea  lo  scritto,  le  mura  e  fortificazioni  di  Pa- 
lermo ;  ordinare  in  ogni  ikltm  dell'  isola  una  munita 
città  che  avesse  moschea  giamf  e  pulpito  ;  e  ridurvi 
la  gente  dell*  ikltm ,  vietandole  di  soggiornare  sparsa 
pei  villaggi.  Ahmed  fece  metter  mano  immantinenti  ai 
lavori  in  Palermo,  e  mandò  per  tutta  risola  sceikhi 
preposti  ad  inurbare  le  province.  Tanto  e  non  più 
una  cronica  musulmana.*  Ed  Ibn-Haukal,  venuto  in 
Palermo  sei  anni  appresso,  ammirava  le  forti  muraglie 
del  Cassare  e  della  Khàlesa  ;  e  intendea  come  delle 
nove  pòrte  del  Cassare  tre  fossero  state  innalzate  da 
Ahmed,  una  delle  quali  tramutata  da  debole  a  difen- 
devo! sito.'  Delle  città  ristorate  oltre  la  capitale  nulla 
sappiam  di  certo.  *  Ma  pili  monta  indagare  V  ordine 

*  Nowairi,  presso  Di  Gregorio,  Rerum  Àrabiearum,  p.  i9.  Se  avessi 
più  osato,  avrei  tradotto  "preposti  aU* inurbamento,*  cbe  sarebbe  proprio 
la  Toce  del  testo  :  'imàra.  Avvertasi  che  la  cronica  copiata  da  Nowairi 
dice  "fabbricare."  Ma  le  mara  di  Palermo  erano  ai  certo  più  anticbe.  Sì 
deve  intender  anco  *  riattare  "  là  dove  parla  delle  città  di  provincia. 

>  Journal  Asiatique,  iV»  sèrie,  tomo  V,  p.  92  a  95. 

>  Il  Di  Gregorio,  Rerum  Àrabiaarum,  p.  Ì67,diè  il  disegno  ridotto 
d*un'a  iscrizione  del  castel  di  Termini,  nella  quale  si  leggono  certamente 
i  nomi  di  Moezz-li-dln-AlIab  e  di  Ahmed.  Ma  ia  data  del  340,  anche  ag- 
giuntavi una  cifra  d'unità,  ed  anche  supposta  tal  cifra  di  nove,  sarebbe 
anteriore  al  fatto  nostro;  e  in  ogni  modo  mancano  altri  compartimenti  che 
doveano  contenere  "  fabbricato  per  comando  ec.  per  le  cure  deiremiro  ec* 


—  275  —  [066-967.1 

militare  ed  amministrativo  accennati  si  laconicamente 
dal  cronista.  Ed  a  ciò  ne  proveremo;  e  direm  poi 
della  pace. 

La  prima  cosa  è  da  vedere  che  valga  qui  iklim; 
la  qual  voce  gli  Arabi  tolsero  del  greco,  al  par  di 
noi  ;  ^  le  serbarono  il  significato  che  aveva  in  geogra- 
fia fisica  ;  e  v'  aggiunser  quello  di  circoscrizione  ter- 
ritoriale. Cosi  la  troviamo  in  Affrica  nel  decimo  seco- 
lo, '  in  Sicilia  nel  duodecimo  ^  e  in  Egitto  nel  deci- 
moquarto ;  ^  dinotando  per  lo  più  quel  tratto  mezzano 
di  paese  eh'  oggi  chiameremmo  distretto,  o  cantone  : 
né  altro  vuol  dire  al  certo  in  questo  rescritto  di  Moezz. 
La  moschea  giami'  e  il  pulpito  non  portano  a  supporre 
più  vasto  r  iklim  ;  ma  solo  che  il  capoluogo  fosse  città 
importante,  da  farvisi  la  prece  pubblica  del  venerdì. 

Pertanto  questa  iscrizione,  come  tutte  ie  altre,  è  da  rivedersi  sul  monu- 
mento, se  si  potrà;  e  per  ora  accerta  soltanto  che  il  Castel  di  Termina 
fa  edificato  nel  regno  di  Moeu. 

'  Schivando,  per  genio  di  tor  lingua,  due  consonanti  in  principio  di 
parola,  premessero  a  xìt/xa  una  o/e/ con  la  vocale  t. 

>  Ibu-Haokal,  Geografia,  capitolo  dell'Affrica,  MS.  di  Parigi,  Suppl. 
Àrabe,  885,  p.  56,  45,48,  51,  52,  dice  degli  iklim  della  penisola  Bàscia 
(oggi  Dakhel),  di  Susa,  Setfura,  Laribus,  Asctr,  e  Cafsa. 

>  Edrisi,  Gtogrufia.^eì  capitolo  di  Sicilia,  dice  degli  ihlim  di  Sira- 
cusa, Noto,  Mazara,  Marsala,  Trapani,  Cefalà,  Rahl-Meukùd;  chiama 
Sciacca  la  metropoli  degli  iklim  (al  plurale),  che  prima  dipendeano  da  Cal- 
tabellotta;  anelie  al  plurale  accenna  quei  di  Castrogiovanni  e  quei  di  Pie* 
traperzia  :  e  inGne  dice  che  da  Caronia  cominciasse  l' iklim  di  Demona. 
Tolto  quest'ultimo,  che  pare  risponda  al  Val  Demone,  gli  altri  sono  o 
distretti  o  circondarii,  non  mai  province. 

*  Presso  Sacy,  Description  de  l'Egypte  par  Àbdallatif,  appendice, 
p.  586  seg.  il  titolo  è  appunto  "  Dei  luoghi  (che  si  comprendono)  negli 
ihiim  d*  Egitto.'  Percorrendo  la  lista,  si  trova  il  solo  tifili  di  Nesterawa, 
e  le  altre  circoscrizioni  sono  denominate  talvolta  *aml  (governo),  talvolta 
ih^ghr  (frontiera).  'Ami  sembra,  anche  in  Edrisi,  sinonimo  di  iklim,  se  pur 
non  ìndica  meramente  la  circoscrizione  del  governo  civile,  quando  iklim 
sia  riserbato  alla  circoscrizione  militare;  il  che  suppongo  senza  poterlo  af- 
fermare. Thaghr  avea  il  valore  che  diamo  oggidì  a  "piazza,"  in  linguaggio 


(966-967  I  —  276  — 

I 

Ma  la  gente  *  che  si  dovea  dai  villaggi  ridurre  nei 
capoluoghi,  non  poteva  essere  T  universale  degli  abi- 
tatori :  cristiani  o  musulmani  ;  liberi,  dsimmi  o  schia- 
vi ;  nobili  e  plebei.  Poco  meo  assurdo  sarebbe  a  in- 
tender tutti  i  Musulmani,  non  esclusi  i  conladini,  che 
al  certo  ve  n'  erano  in  Val  di  Mazara  ;  e  quanto  agli 
artefici  e  mercatanti,  non  occorrea  comando  del  prin- 
cipe perchè  soggiornassero  nelle  città.  Però  trattavasi 
della  sola  milizia,  dei  nobili  cioè  con  lor  lunghe  paren- 
tele; e  chi  altro  era  tenuto ^en^e  nel  medio  evo,  fosse  in 
Cristianità  o  in  terra  d' isiàm?  Ignoriam  noi  se  nel  Val 
di  Mazara,  conquistato  ormai  da  un  secolo,  le  milizie 
fossero  pagate  dall'  erario  in  moneta  sonante,  ovvero 
con  Ìktà\  o  vogliam  dire  delegazioni,  sul  khardg  di  un 
dato  territorio,  che  riscuotessero  con  lor  proprie  ma- 
ni ,  '  stanziando  qua  e  là  nelle  ville.  Ma  ciò  seguiva 
pecessariamente  in  Val  Demone  e  Val  di  Noto,  per 
la  fresca  mutazione  del  tributo  dei  municipii,  in  gezia 
degli  individui  a  khardg  dei  poderi  ;  mancando  il 
tempo  di  stendere  i  ruoli  e  i  catasti,  secondo  i  quali 
l'azienda  pubblica  riscuotesse  il  danaro  o  il  frumento 
del  khardg.  E  però  non  si  eran  fatti  né  anco  iktd'  in  buo- 

■  r 

na  forma;  ma  nulla  toglie  che  le  milizie,  con  partaggio 
provvisionale  e  tumultuario  assentito  o  non  assentito 
dall'emir  Ahmed,  avessero  diviso  tra  loro  alla  grossa 
le  entrate  mal  note  delle  nuove  provìnce,  e  si  fossero 

d'amministrazione  militare.  È  da  notare  che  nel  detto  documento  di  Egitto 
Vlia  21  divisioni;  che  gli  *aml  racchiudono  un  numero  di  luoghi  molto 
diverso,  da  583  a  190  ed  anche  meno.  ìikaghr  di  Alessandria,  Rosetta  e 
Oamiata  ne  hanno  molto  meno;  e  Vihlim  di  Nésterawa  sol  einqtèe. 

*  Il  testo  ha  la  voce  Ahi,  popolo,  famiglia,  gente  in  generale. 

>  Veggasi,  Libro  IH,  capitolo  1,  pag.  28  seg.,  di  questo  volume. 


—  277'—  |906-9«7.1 

sparse  nelle  campagne,  esattori  a  libito  e  pagatori  di 
sé  medesimi.  La  qual  rapina  permanente  rovinava  i 
sadditi  cristiani ,  snervava  )o  Stato  musulmano,  per 
le  sciupate  rendite  presenti,  la  inaridita  sorgente  di 
.  quelle  avvenire  e  la  sciolta  disciplina  militare.  A  cote- 
sti danni  volle  ovviare  Moezz,  forse  in  Val  di  Mazsh 
ra,  di  certo  nella  Sicilia  orientale,  con  X  ordinamento 
novello  ;  per  lo  quale  par  fosse  affidata  a  magistrati 
civili  la  riscossione,  e  deputati  gli  stessi  o  altri  ofi- 
ciali  in  ciascun  capoluogo  a  vegliare  i  governati ,  e 
significar  loro  la  parola  del  principe  ;  il  che  si  facea 
d'ordinario  nella  khotba,  e  però  dal  pulpito,  neUa 
moscjhea  giami'/  Quali  fossero  allora  i  nomi  e  li- 
miti degli  ikltm  di  Sicilia ,  e  se  mere  circoscri- 
zioni militari,  o  anco  di  azienda,  nessun  ricordo  di 
quei  tempo  cel  dice  ;  né  vi  si  può  supplire  con  indu- 
zioni. Sol  dobbiamo  supporre  che  gli  ikltm  fossero 
stati  adattati  ai  corpi  del  giund,  non  questi  a  quelli: 
perocché,  eccettuati  gli  stanziali,  le  altre  milizie  facean 
corpo  secondo  le  parentele,  né  agevolmente  si  potea 
dividere  un  corpo,  né  tranquillamente  tenerne  insie- 
me  due  o  più  di  schiatte  diverse.  Da  questo  e  dalla 
diversità  delle  entrate  pubbliche  sopra  territorii  uguali 
in  superficie,  *  nascea  la  disuguaglianza  grandissima 
di  estensione  degli  ikltm,  che  si  nota  in  varii  Stati 
musulmani;  e  che  durava  in  Sicilia  infino  al  duode- 
cimo secolo.  ' 


.    *•  Nei  primi  tempi  dell'islamismo  oravano  dal  pulpito  i  oalifi  o  gli  emiri 
delle  province.  Poi  si  ebbero  khaiib^  (predicatori)  stipendiati. 

*  Non  solo  per  la^diversa  ubertà  del  territorio;  ma  anche  perchè  lo 
Stato  in  alcnni  possedeva  le  terre,  in  altri  riscoteva  il  dazio  solo. 

'  Per  esempio,  il  territorio  di  Ciato  giognea  da  una  parte  a  Sagana 


1906.967.]  —  278  — 

La  pace  parve  tempo  opportaoo  a  tale  riforma 
d' ammmistrazione  militare  ;  o  forse  nelle  pratiche 
della  pace  Tavea  chiosata  il  governo  bizantino,  per  tem- 
perare coi  consigli  i  mali  dei  Cristiani  di  Sicilia,  che 
non  avea  saputo  prevenire  con  le  armi  e  che  non  po- 
teva ignorare,  ne  forno  le  viste  coi  frati  e  il  clero  di 
Sicilia.  I  quali  consigli,  utili  anco  al  principe  musul* 
mano ,  più  gratamente  doveano  essere  ascoltati  nella 
stretta  amistà  che  allor  nacque  tra  le  corti  di  Costan- 
tinopoli e  di  Mehdia  da  comuni  interessi.  L' uno  era 
il  sospetto  di  Otone  di  Sassonia,  il  quale  volle  regnare 
in  Italia  quanto  Carlomagno  e  più  :  ubbidito  ormai 
senza  contrasto  dalle  Alpi  al  Tevere  ;  coronato  impe- 
ratore a  Roma  (962)  ;  padrone  della  città;  fattosi  giu- 
dice a  gastigare  o  vendicare  i  papi,  ed  arbitro  ^i 
eleggerli  e  depòrli  ;  e  si  voltava  già  ai  favori  del  prin- 
cipe di  Benevento  e  contro  Niceforo;  assaltava  (968) 
la  Calabria,  e  minacciava  però  la  Sicilia.  ^  Ma  in  Oriente 
stringea  Moezz  a  Niceforo,  pascione  più  gagliarda, 
la  brama  di  spogliare  altrui.  Il  califato  abbassida,  mu- 
tilo da  più  tempo  delle  estreme  province,  comandava 
or  appena,  e  di  nome  solo,  a  Bagdad  e  in  breve  cer- 
chio. I  Bttidi  0  Boweidi  teneano  la  Persia  ;  la  casa  di 
Hamdàn  la  Mesopotamia  ;  la  dinastia  d' Ikhscìd  la  Si- 
ria e  l'Egitto;  i.  Karmati  T  Arabia,  donde  terribili 

presso  Palermo  e  dall' altra  presso  Calatafimi:  che  sono  circa  teoti  miglia 
siciliane  di  lunghezza.  Il  territorio  di  Mazara  prendea  qaasi  lutto  il  distretto 
odierno  di  tal  nome  e  metà  di  quello  d* Alcamo,  confinando  col  territorio 
di  Giato;  cioè  ayea  da  trenta  miglia  di  lunghezza.  Si  vegga  il  diploma  del 
1182  presso  Del  Giudice,  Deicrnione  del  real  tempio,...  di  Monreale,  ap- 
pendice, p,  8,  9,  10.  Air  incontro  il  territorio  di  Palermo  e  molti  altri 
erano  brevissimi.    . 

*  Si  vegga  il  capitolo  VI  di  questo  Libro. 


—  279  —  [966-967.1 

ìrrompeano  fuori.  Lo  stesso  nome  di  califo  rimanea 
per  ipocriida  o  compassione  dei  vicini  usarpatori^  dei 
ministri  o  capitani  di  ventura  avvicendatisi  nella  si- 
gnoria della  capitale,  i  quali  vendettero  gli  oficii  pub- 
blici in  faccia  ai  successori  di  Omar  e  di  Harùn  Ra- 
scid,  saccheggiarono  la  reggia,  messer  loro  le  mani 
addosso,  lor  fecero  stentare  la  vita  con  una  pensioncel- 
la;  menare  i  mercenarii  turchi  o  deilemiti  e  la  plebe  ad 
ogni  pie  sospinto  insanguinavano  le  strade  di  Bagdad. 
Tra  tanta  rovina  del  califato,  Niceforo  Foca  (962-7) 
trionfando  nelVÀsia  Minore,  s'era  innoltrato  due  volte 
in  Siria;  avea  preso  Aleppo,  Laodicea  e  molti  altri  luo^ 
gbi,  e  assediato  Antiochia,  che  fu  indi  espugnata  da' 
suoi.  '  Venuto  così  Niceforo  alle  mani  con  gli  Ikhsci- 
diti,  nemici  immediati  di  Moezz,  probebil  è  che  si 
trattasse  tra  V  uno  e  V  altro  di  operare  d' accordo. 

Tanto  più  che  Moezz  ebbe  con  un  ambasciatore 
bizantino  quella  famigliarità  che  sovente  nasce  tra 
svegliati  ingegni.  Costui  chiamossi  Niccolò,  mandato- 
gli più  volte  da  Costantinopoli  a  Mehdia  ed  al  Cai* 
ro  ;  *  forse  il  medesimo  che  stipulò  la  detta  pace  del 
novecensessantasette ,  recati  a  Moezz  splendidi  doni 
di  Niceforo,  e  avutone  per  riscatto  o  in  cortesia  Teu* 
nuco  Niceta.'  L'ambasciatore,  sostato  per  viaggio  in 

*  Veggansì  per  questa  epoca  gli  Annali  Musulmani  d*  Abulfeda,e  la 
Storia  del  B<mo  Impero  di  Le  Beaa. 

'  Ibn-abi-Din&r,  che  narra  quest'aneddoto,  dice  precisamente  'an- 
dare e  tenire  più  volte."  .        . 

*  La  data' della  pace  e  i  doai  che  recò  l'ambasciatore  si  ritraggono 
da  Nowairi,  presso  di  Gregorio,  Rerum  Àrabiearum,  p.  Ì9.  Al  dir  di 
Liutpraado,  presso  Pertz,  Seriptoree,  tomo  HI,  p.  3ES6,  Nicela  fo  riscat* 
tato  con  tanVorò,  che  niun  uomo  di  senno  ne  avrebbe  dato  mai  per  un 
eanooo.  Mi  sembra  più  probabile  che  l^foezz  1*  avesse  reso  senza  riscatto, 
come  afferma  il  Le  Beau,  Histoire  du  Bae  Empire,  lib.  LXXV,  cap.  XI.  Na 


1066-967. 1  —  280  — 

Sicilia,  andava  misurando  la  possanza  fatemita:  ac- 
colto onorevolmente  dal  governatore  dell'  isola,  e  no- 
tato il  bell'aspetto  dell' esercito;  viste  poscia  a  Susa 
le  grosse  schiere  che  v'erano  apparecchiate.  Ma  a 
Mehdia  il  greco  si  facea  strada  a  stento  nella  calca 
dei  soldati,  famigliari  e  cortigiani,  finché,  entrato  nella 
reggia,  uno  splendore  lo  abbagliò:  e  condotto  a 
Moezz  che  sedea  maestosamente  Sul  trono,  gli  parve 
proprio  il  Creatore  del  mondo,  non  uomo  mortale  ;  che 
se  si  fosse  vantato  dì  salir  su  in  cielo  gli  avrebbe 
risposto  :  "^  è  incredibile,  ma  tu  lo  farai.''  Tanto  si  dice 
che  confessasse  Niccolò,  pochi  anni  dopo,  al  principe 
medesimo,  il  quale,  chiamatolo  in  segreto  nella  reg- 
gia del  Cairo,  gli  avea  domandato  :  "^  Ti  sovviene  del 
tal  di  eh'  io  ti  prediceva  in  Mehdia  saresti  venuto  a 
salutarmi  re  in  Egitto?  '*—*'  È  vero,"  rispose;  e  Moezz: 
""  Ci  ritroveriBmo  adesso  a  Bagdad;  tu  ambasciatore,  ed 
io  califo.  ''  Ma  il  Greco  stiè  zitto  ;  e ,  sforzato  da  Moezz, 
gli  fé' quel  racconto  della  luce  sfolgorante  di  Mehdia  e 
che  adesso  vedea  negra  di  tenebre  la  capitale,  e  am- 
morzata nella  sua  faccia  quella  terribile  maestà;  donde 
giudicava  rovesciata  e  sinistra  la  fortuna.. Moezz  ab- 
bassò gli  occhi  tacendo  ;  s'ammalò;  e  non  guari  dopo 
morì  (975).  Che  che  sia  di  cotesto  dialogo,  il  quale 
non  disconviene  a  due  adetti  d' astrologia  del  decimo 
secolo,  si  accetteranno  i  particolari  della  prima  amba- 
sceria che  fanno  all'  argomento  nostro  :  la  condizione 
cioè  deir esercito  siciliano;  e  che  Moezz  volentieri 

le  autorità  che  cita  il  compilatore  francese  noi  dicono  né  punto  nò  poco; 
né  parlano  della  spada  di  Maometto  che  avesse  mandata  Niceforo  a  Moezz; 
la  quale  mi  par  la  stessa  presa  a  Rametta,  e  che  Le  Beau  abbia  confuso  il 
fatto  0  rabberciatolo  a  modo  suo. 


—  281   —  [968  1 

ragionasse  di  sue  ambizioni  orientali  coi  legati  di  Co- 
stantinopoli. ^ 

Già  Me  guerre  di  Niceforo  e  le  irruzioni  dei  Kar- 
mati  in  Siria  batteano  la  dinastia  turca,  fondata  in 
Egitto  da  Ikbscid,  capitano  degli  Abbassidi,  il  quale 
avea  occupato  la  provincia  commessagli  e  V  avea  la«- 
sciata  a' suoi.  Venuto  a  morte  (maggio  968)  il  loro 
liberto  Kafiir  che  tenne  con  man  ferma  lo  Stato, 
succedettegli  di  nome  un  Ahmed,  nipote  dlkhseid, 
fanciullo  di  undici  anni,  e  di  fatto  un  reggente  e  due 
ministri  i  quali  si  sfamarono  in  rapine  e  soprusi. 
Indi  tumultuavano  le  soldatesche  ;  i  cittadini  malcon- 
tenti prestavano  orecchio  alle  pratiche  di  Moezz  ;  e 
un  sensale  giudeo  di  Bagdad,  che  s'era  fatto  musul- 
mano e  straricco  e  strumento  necessario  delFazienda 
d' Egitto,  visto  che  i  nuovi  signori  stendesser  le  mani 
a  pelarlo,  si  rifuggì  appo  il  Fatemita;  gli  svelò  le  con* 
dizioni  del  paese  e  le  vie  di  insignorirsene.  La  pesti- 
lenza e  la  carestia  che  in  quel  tempo  desolavan  orri- 
bilmente r  Egitto,  aiutarono  al  precipizio.  ' 

Moezz  ebbe  sapienza  e  genio  di  amministrazio- 
ne ,  di  che  solca  trar  vanto.  Narrasi  che  una  volta, 
per  sermonare  i  grandi  della  vezzeggiata  e  temuta 
tribù  di  Kotama,  si  fece  trovare  in  farsetto,  nel  suo 


Questo  tango  aneddoto,  tolto  al  certo  da  antica  cronica  affricana,  si 
trova  intero  in  Ibn-abl-Dinàr,  MS.  di  Parigi,  fog.  28  recto,  dal  qaale  io 
traduco,  saitando  molte  parole  qua  e  ià,  ma  senza  aggiangerne  aicana. 
Ibn-ei-Athlr,  MS.  A,  tomo  III,  fog.  7  verso,  8  recto,  lo  dà  qaasì  con  le 
stesse  parole,  se  non  clie  vi  mancano  l'andata  in  Sicilia  ed  a  Sosa.  La  vcn 
sione  delio  squarcio  di  Ibn-el-Atbtr  si  vegga  presso  Quatremère,  Vie  de' 
Moau^-^in-'Àllah ,  nel  Journal  AHatique,  I1I«  sèrie,  tomo  11,  18S6,  p.  i31 
dell' esUraUo. 

>  Ibn-Kballikan,  Vita  di  Giawher,  versione  inglese  dì  11.  De  Slane, 
tomo  I ,  p.  310^  seg. }  Qaatremère^  op.  cit. ,  p.  27  seg. 


(968.1  -  282  - 

studio,  tra  libri  e  dispacci:  "^d  ecco,''  lor  disse,  ''compio 
speodo  i  giorni  a  far  di  mia  mano  il  carteggio  con 
r  Oriente  e  T  Occidente,  in  vece  dì  sedere  a  desco 
profumato  di  muschio,  vestito  di  sete  e  pellicce,  a 
sbevazzare  al  suono  di  strumenti  musicali  e  canto  di 
belle  giovani  !  Chi  mai  in  questo  popolo  crederebbe 
che  il  principe  è  serrato  in  camera  a  procacciare  la 
sicurezza  e  prosperità  del  paese  e  il  trionfo  vostro  su 
i  nemici?"  E  finì  con  ricordar  loro,  da  moralista  e  da 
medico,  tutte  le  virtù,  anche  di  star  contenti  a  una 
moglie;  promettendo  che,  s'è' lo  ascoltassero,  così 
conquisterebbero  i  paesi  orientali,  com'avean  fatto  del 
Ponente.'  E  con  ciò  a  consultare  gli  astrologi  e  più 
sovente  le  spie;  tenere  mandatarii  con  le  man  piene 
d*  oro  nei  paesi  agognati  ;  e  biechi  bargelli  su  le  po- 
polazioni arabiche  d' Affrica.  Ond'ei  parrebbe  a  legger 
di  Filippo  secondo  di  Spagna,  se  nei  costumi  di  Moezz 
si  notasse  fanatismo  ed  ipocrisia ,  anziché  un  animo 
generoso  e  un  colto  ingegno ,  vago  di  poesia,  vivace 
e  facondo,  pratico  in  varie  lingue;  il  berbero,  il  negro 
e  lo  slavo.  '  Del  rimanente  uom  di  stato  non  ordinò 
mai  vasto  disegno  con  maggior  arte,  ch'egli  il  con- 
quisto d'Egitto.  Oltre  le  dette  pratiche,  si  procacciava 
séguito  nelle  due  città  sante  dell'  Arabia  ;  si  assicu- 
rava in  Affrica;  accumulava  tesori;  ordinava  gli  eser- 
citi; e  cercava,  per  mandarli  ai  conquisto,  un  gran  ca- 
pitano senz'ambizione. 

Lo  trovò  o  lo  fece  egli  stesso  :  un  Siciliano  di 
schiatta  cristiana,  *  Giawher,  che  suona  "'gioiello;"  se 

'  Quatremère,  op.  dt.,  p.  23,  seg.,  che  cita  Makrizi. 

>  Qaatrenière,  op.  ciL,  p.  134, 135,  ancbe  da  ITakrizf. 

3  KbodbJk'i,  MS.  di  Parigi,  Anden  PoAdà,  761,  log.  ii6  ireao;  Ibo- 


—  283  —  [968.J 

pur  questo  non  è  il  vocabolo  arabico  raddolcito  dalla 
nostra  pronunzia.  Figliuolo  d' un  Abd-Àllah,  che  pare 
schiavo  rinnegato,  Giawher  fu  comperato  da  un  eu- 
nuco affricano ,  rivenduto  a  un  secondo  e  da  questi 
a  un  altro  ;  il  quale  ne  fece  dono  al  califo  iatetnita 
Mansùr.  '  Messolo  a  lavorar  coi  segretari!,  Mansur  poi 
r  affrancò;  donde  entrava,  secondo  legge  musulmana, 
nella  famiglia.  Era  giovane  di  bello  aspetto,  lodevoli 
costumi j  pronto  ingegno,  affaticante,  vigilante,  sen- 
nato  scrittore  e  pulito,  che  ne  resta  di  lui  l'editto 
della  sicurtà  data  al  popolo  egiziano  ;  e  molto  amò 
la  poesia  e  le  lettere,  protesse  cui  le  coltivasse,  e  sa- 
lito a  potenza  fu  largo  coi  poeti.  Moezz,  sperimene 
tatolo  in  varii  oficii  pubblici,  Io  fece  vizir;  poi  si  con- 
sigliò di  mandarlo  (958)  con  un  esercito  di  Berberi 
a  ridurre  le  province  occidentali  d' Affrica ,  di  cui  al- 
cuna s'accostava  agli  Ometadi  di  Spagna  :  e  Giawher 
in  men  di  due  anni  occupava  per  molti  combattimenti 
r  odierno  Stato  di  Marocco;  mandava  a  Moezz  i  pesci 


el-Athlr,  anno 358,  MS.  C,  tomo  V,fog.  7  recto;  Ibn-Khallìk&o,  Tersione 
inglese  di  M.  De  Slane,  tomo  I,  p.  540,  seg;.;  e  il  Baidn,  testo,  tomo  I, 
pag*  239,  dicono  espressaiqenteGia'wberiZtfmt,  che  lignifica,  come  ognun 
sa,  di  schiatta  greca  o  latina.  Nella  moschea  el-Azhar  \\.  Cairo,  fondata 
da  Giawher  il  561  (97t)  è,  ocra,  una  iscrizione  trascritta  da  Makrizi  e  po- 
sta prabab^lmente  dal  conquistatore  medesimo,  il  quale  non  vi  s'idtitola 
altrimenti  che  "  Giawher  il  segretario  siciliano.*  Perchè  si  legge  chiara- 
mente SikilH  nei  quattro  MS^.  di  Parigi ,  eh*  io  ho  citato  nella  Biblioteca 
Àràbo^Sicula,  testo,  p.  669^070,  ó  lo  stesso  nella  recente  edizione  di  Bulak  in 
Egitto  che  ho  notato  nelle  aggiunte.  Però  non  posso  accettare  la  conghiet- 
,iura  dt  M.  Qnatremère»  òp.  cit.,  p.  75,  il  quale  tradusse  "Esclavon;"  leg- 
gendo Saklabi,  perchè  tanti  Slavi  si  trovavano  negli  eserciti  fatemiti.  Ho 
avvertito  altrove  che  questa  voce  in  scrittura  arabica  si  confonde  facil- 
ménte con  Sikilli,  ma  nel  presente  caso  non  è  luogo  a  dubbio;  perchè 
nn  Rumi  poteva  ben  essere  Siciliano»  e  non  mai  Slavo. 

^  Khodh&l  e Bafd»,  11.  ce.;  Iba-Hammàd,  MS.  di  M.  Cherbonneau, 
fog.  8  recto. 


(969.1  —  284  — 

e  le  alghe  presi  nelF  Atlantico,  e  gli  recava  egli  stesso 
in  gabbie  di  ferro  i  princìpi  di  Segelmessa  e  di  Fez. 
Però)  deliberata,  dòpo  la  morte  di  Eafùr,  T  impresa 
d' Egitto ,  Moezz  là  commetteva  al  liberto  siciliano  ; 
provvedeva  con  esso  lai  ad  ogni  cosa,  fatti  financo 
scavar  pozzi  nel  deserto  di  Barca  su  la  strada  che 
dovea  battere  V  esercito  da  Sort  a  Taiùm.  Giawher 
s' infermò  a  morte  in  questo  tempo  ;  e'  il  califo  a  vi- 
sitarlo ed  assisterlo  ;  e  sicuro  dicea  :  "  Non  morrà , 
poiché  mi  dèe  conquistare  l'Egitto.  "  * 

Air  entrar  di  febbraio  del  novecensessantanove, 
ragunate  le  genti  nei  piani  di  Rakkàda  per  muovere 
all'impresa,  apparve  più  brutta  che  mai  T  uguaglianza 
dei  dispotismo.  Giawher  smontava  di  sella,  baciava 
la  mano  di  Moezz  e  Y  unghia  del  pontificai  palafre- 
no ;  e  alla  sua  volta,  cavalcando  con  l' esercito ,  si  ve- 
dea  camminar  dinanzi  a  pie,  per  comando  del  cali- 
fo,  i  costui  figliuoli  e  congiunti,  non  che  i  grandi  del 
regno.  I  centomila  uomini  che  gli  danno  i  cronisti,  si- 
gnificano che  fii  possente  Y  esercito  ;  i  cameli  carichi 
d'oro  gittate  in  forma  di  macine,  simboleggiano,  a  ino' 
delle  Mille  ed  una  notte,  il  provvedimento  necessario 
a  chi  andava  a  combattere  in  paese  afiamato,  con 
giunta  d'infinite  barche  stivate  dì  grano  che  segui- 
vano l'armata  alle  bocche  del  Nilo.  Nei  primi  di  giu- 
gno, non  lungi  da  Fostat,  sede  del  governo,  Giawher 


>  Si  confrontino  Ibn-Kliallilcan ,  1.  e,  e  gli  altri  aatori  arabi  citati  da 
Bf .  Quatremère,  op.  cit.,  pag.  9  ad  11,  e  35. 11  capitolo  d' Ibn-el-Athtr  so  le 
imprese  di  Giawher  Ono  all'Oceano  è  stato  pubblicato  da  H.  Tornberg  io 
nota  agli  Ànnakst  Regum  Mauritania,  (Kartàs),  tomo  11»  p.  382.  Abol- 
feda,  GeÒQrafia,  versione  di  M.  Relnaud,  tomo  U,  pag.  ^4,  indica  preci- 
samente la  linea  di  operatone  disegnata  da  Moezz. 


—  285  —  [969.1 

fermava  un  accordo  coi  principali  cittadini  ;  '  conce- 
dendo a  tutto  il  popol  d' Egitto  la  sicurtà  della  vita, 
sostanze  e  famiglie ,  a  nome  del  califo  ;  il  quale,  mosiso 
a  pietà  del  paese,  avea  mandato  sue  armi  invitte 
a  liberarli  dai  ladroni  e  dagli  empii  e  farvi  rifiorir 
la  giustizia.  Scendendo  alle  realtà,  promettea  di  ri"* 
lanciare  le  indebite  esazioni  del  fisco  su  i  retaggi; 
fornir  le  spese  necessarie  alle  moschee;  rispettare 
le  opinioni  religiose ,  ^  e  i  giudizi!  secondo  V  usanza 
del  paese ,  non  contraria  al  Corano  né  alla  sunna  ;  e 
mantenere  i  dritti  dei  dsimmi,  *  Si  recò  allora  in 
parti  la  città;  chi  sdegnava  r  accordo  usci  a  combat- 
tere e  fu  rotto  ;  il  vincitore,  confermati  saviamente  i 
patti,  entrava  a  Fostat  nei  primi  di  luglio.  Altro  non 
mutò  dei  riti  che  il  nome  del  principe  nella  £%otAa, 
r  appello  alle  preghiere,  e  il  color  delle  vestimenta  de- 
gli oficiali  pubblici,  di  nero  in  bianco.  Provvide  al- 
l'azienda da  uomder mestiere;  pose  in  ogni  uficio 
un  egiziano  e  un  aifricano  ;  amministrò  rettamente 
la  giustizia  ;  e  con  rara  modestia  esercitò  il  pien  po- 
tere commessogli.  "  Piantajto  il  campo  presso  Fostat, 
disegnovvi  la  novella  capitale,  la  Kàhira,  ossia  trion- 

'  GonfroDtinsì  :  Ibo-Khallikan ,  K  e,  e  le  aatorttà  date  da  M.  Quatre- 
mère  •  op.  cit.,  p.  40  seg. 

'  U  testo  ba  qui  la  voce  milla,  *  credenza  religiosa.* 

9  Ibn-Hammàd,  MS.  di  M.  Gbì)rbonneau ,  fog.  8  verso  e  9  recto.  Qoe- 
st'  atto  è  segnato  di  scia'bàn  358  da  *  Giawber  segretario,  scbiavo  del  prin- 
cipe dei  Credenti  ec.*  £  r  amftn  è  accordato  a  tutto  il  popolo  delRlfe  del 
Sald,  ossia  basso  ed  alto  Egitto.  Credo  cbé  il  testo  risponda  a  quello  cbe 
M.  Quatremère  ha  tolto  dalIMS.  Le;srdedel^Nowairi  e  datone  il  principio  neU 
Top.  cit.,  p.  4i  a  43;  quantunque  manchino  nella  versione  i  patti  importanU 
di  coi  io  fo  parola.  Da  questi  si  vede  che  i  Fatemiti  non  vietavano  affatto  il 
rito  sunnita,  e  che  si  limitavano  ad.  innovare'  la  formola  dell*  appèllo  alle 
preghiere,  sì  come  ho  notato  in  questo,  volume,  p.  131, 136,  lib.  lU,  cap.  VI. 

*/  Ibn-Hamm&d,  fog.  8  verso;  Quatremère,  op.  cit.,  p.  31,  36. 


|969r97ri  --  286  — 

fatrice  ;  e  die  mano  immantinente  a  edificarla.  '  Quivi 
innalzò  la  moschea  Àzahr,  che  fa  compiuta  entro  due 
anni  ;  nella  quale  il  fondatore  volle  tramandare  ai  pò* 
steri  il  nome  della  patria  siciliana  e  dell'  oficio  ch'era 
stato  principio  di  sua  grandézza.' Assicurò  il  conqui- 
sto reprimendo  chi  si  levasse  nelle  province  ;  e  dando 
una  memorabile  sconfitta  (971)  ai  Earmati,  che  ved* 
nero  ad  assalirlo  al  Cairo.  ' 

Intanto  il  nome  di  Moezz  era  gridato  alla  Mecca 
e  Medina  ;  capitani  minori  mandati  da  Giawher  gli 
acquistavano  parte  di  Siria  ;  *  non  ostante  i  Karmati, 
o  forse  per  la  paura  che  avean  di  loro  i  Musulmani , 
parea  che  i  popoli  da  Suez  all'Eufrate  volesserlo  ri- 
conoscere signore.  Onde  Giawher  tanto  insistè,  che  il 
trasse  a  trasferir  la  sede  in  Egitto  ;  il  che  se  non 
bastò  a  dare  ai  Fatemiti  Tambìto  impero  musulmano, 
fece  durar  due  secoli  la  dinastia,  la  quale,  rimasa  in 
Affrica ,  sarebbe  stata  spiantata  di  corto.  La  prodi- 
giosa fertilità  deir  Egitto  ;  la  postura  che  ne  fa  scala 
del  commercio  tra  T  Oriente  e  V  Occidente  ;  la  poppla- 
zione  gran  parte  cristiana,  docile  o  servile  e  attaccata 
al  suolo,  offrian  salda  base  a  una  dominazione  reg- 
gentesi  sugli  ordini  dell'azienda,  d'  una  setta  e  d'una 
tribù  berbera,  non  su  popolo  ed  armi  di  sua  propria 
nazione  :  oltreché  i  padroni  d'Egitto,  per  necessità 

<  Quatremère,  op.  di.,  p.  48. 

*  fioco,  secondo  Makriii,  riscriiione  in  giro  della' copola  sul  primo 
portico  :  t.  In  nome  di  Dio  ec.  EidiBcata  per  comando  del  servo  e  amico  di 
»  Dio  A1;)tt-Temlm<-Ma*dd-Bfoez£*U-din-AUalr  prìncipe  dei  Credenti  (sol 
9  qoale  e  sugli  e|{regi  suoi  progenitori  e  discendenti  siano  le  benedisioni  di 
»  Dio) ,  e  per  opera  del  servo  di  esso  prindpe,  Giawher  il  segretario  siei« 
»  liano ,  l*  anno  360.  i  BibHoteea  araba^CMla,  p.  609^70. 

*  Qoatremère,  op.  cU.,  p.  57,  83»  seg. 

*  Qaatremère,  op.  cit.,  p.  51, 65, 69,  seg. 


—  287  —  imi 

geografica ,  comandaron  sempre  alla  Siria  e  tennero  le 
chiavi  deir  Arabia  occidea^e.  In  Affrica,  al  contra- 
rio^ i  Fatemiti  non  avean  potuto  vincere  la  nimistà 
dei  cittadini  arabi  in  sessant'  anni  di  terrore  e  di 
sferza,  '  non  spegnere  V  antagonismo  del  sangue  ber- 
bero racceso  dalie  sètte  kharegite  ;  e  mentre  e'  con- 
quistavan  T  Egitto,  erano  necessitati  raccomandarsi 
alla  tribii  di  Sanhàgia  per  reprimere  un  altro  ribelle 
che  seguìa  le  orme  di  Abu^Iezid.'  Né  Sanhàgia,  con- 
dòtta dalla  famiglia  zìrita,  lor  prestava  le  armi  con  si 
cieca  lealtà  da  far  serva  sé  stessa.  Né  i  Kotamii  sof^ 
frivano  che  il  califo  comandasse  in  casa  loro  :  '  né 
d' altronde  bastavano  a  tener  Y  Affrica,  fecondo  insie- 
me  da  pretoriani  in  Egitto  e  un  pugno  anco  in  Sicilia. 
Moezz  si  deliberò  dunque  à  sgomberare  d'Affrica 
per  sempre,  recando  seco  arredi,  tesori,  armerìe  e 
fin  le  ossa  degli  avi.  Partì  d' agosto  novecensettanta- 
due;  sostato  alquanto  a  Sardegna,  villa  dV Affrica  che 
par  abbia  preso  il  nome  dai  Sardi  che  vi  soggiorna- 
rono,* con  magnifica  lentezza  entrò  al  Cairo  di  giti- 

^  Si  veggano  i  molti  falli  che  provanì  qaeslo,  nei  Riddh'-en^Nofus , 
fog.  9i  Tèrso ,  03  verso,  96  verso  ec,  e  le  altre  citazioni  di  qaestp  MS.  die 
Ila  fatte  M.  Qaalrenière,  op.  cit.,  p.  Ì3  seg«  Non  intendo  dire  delie  cagioni 
del  trasferimento  (iella  sede  in  Egitto>  su  la  qnale  il  concetto  mio  è  al 
tutto  diverso.  ' 

*  Ibn-^l-Attiir,  MS.  C,  tomo  V,  anno  3SB,  fog.  367  recto.  11  nome  del 
capo  era  Abu-Kharz  o  Abu*Kherez  della  tribù  di  Zenata,  e  1  suoi  seguaci 
delle  due  sètte  sifrita  e  naklcarita.  Nei  MSS.  d'Ibn-Kbald&n  è  chiamato  Abu- 
Gia'fiir:  HUloiredu  Berbères,  versione,  temo,  II,  pag.  5i8,  Appendice.  Sì 
vegga  anche  Quatremère,  op.  cit.,  p.  62.         ^ 

s  Per  Sanhàgia  si  vegga  ibo-el-Athìr,  MS.  C,  tomo  V,  «nno36t; 
per  I^otama»  Mal^rìzl»  citato  da  M.  Quatremère  nella  detta. opera»  p*  30. 

*  Ibn-el-Athlr,  I.  e;  Bekri  e  Ibn-Khaldùn  citaM  da  M.  Quatremère, 
stessa  opera ,  p.  86,  npta  t^  Indi  è  venuto.,  come  avverte  questo  dotto 
orientalista,  1*  errore  di  un  supposto  viaggio  di  MoeH  nell*  isola  dt  Sarde- 
gna. Si  vegga  anche  Wenricb,  Cimmentarii,  Ub.  1,  cap.  Xill,  §  113. 


IW2.1  —  288  — 

gno  novecensettantatrè  ;  assestò  le  cose  pabblicKe 
con  Giawher  ;  poi  messe  da  canto  Y  illustre  liberto,  il 
quale  mori  il  nQvantadue  ;  e  il  suo  figliuolo  Hosèin, 
generalissimo  del  nipote  di'Moezz,  fu  ucciso  da  quello 
a  tradimento.  ^ 

Di  rado  ci  occorrerà  ormai  di  ^  tornare  alla  sto- 
ria dell'  Egitto  ;  e  di  Moezz ,  basterà  aggiugnere  gli 
ordini  politici  lasciati  nelle  antiche  province.  Presto 
ei  depose,  se  pur  T  ebbe  mai,  il  pensiero  di  commetr- 
tere  V  Affrica  a  un  Àrabo  di  nobil  sangue ,  il  quale , 
non  sarebbe  stato  contento  a  picciola  autorità  ;  né 
bastante  a  tenere  il  paese  coi  coloni  arabi  contu- 
maci. '  Si  volse  pertanto  ai  Berberi ,  alla  tribù  di 
Sanbàgia,  alla  famiglia  ztrita,  al  capo  Bolukktn,  e, 
per  arabizzarlo^  gli  die  nome  di  lùsuf-abu-l-Folùh  e 
titolo  di  Seif-ed^-^wla,  ossia  Spada  dell'  imparo;  Il 
quale  gli  avea  prestato  mano  forte  contro  i  ribelli , 
come  il  padre  al  padre  di  lui;  e  sapea  bene  Moezz, 
che,  non  lasciandolo  governatore,  quei  si  potea  far 
prìncipe.'  Bolukldn,  che  il  sapeva  anco,  non  si  dolse 
che  gli  scemassero  X  impaccio  del  governo  civile  : 
che  Moez2^  eleggesse  i  cadi ,  e  qualche  capo  di  mili- 
zia ;  *  che  un  consiglio  degli  oficiali  pubblici  trattasse 
la  soqaima  degli  affari  ed  egli  facesse  eseguire  le  deli- 


^  Ibn-KbaUlkan ,  versionie  inglese  di  M.  De  Siane,  tomo  i,  p.  340,  seg. 
'  Qaatremère,  op.  cit,  p.  S7,  da  Makrizi.  Si  yegga  nel  presente  Tela- 
rne, pag.  237,  nota  2. 

*  Ibn-el-Athir ,  anno  361 ,  MS.  G ,  t<Mno  IV,  fog.  370  recto  e  Terso ,  e 
tomoV,  fog.  iO  Terso. 

*  M.  Qnatrembre,  op.  cit.,  p.  88,  secondo  Malurizi,  dice  t  eapì.  Farmi 
si  deliba  intendere  di  qualcht  capò;  poicbè  si  trattaTa  certamente  del«mer* 
cenarli  e  delle  milisie  arabe  ;  non  già  della  Teca  forza,  cioè  la  tribù  di  San- 
b&gia»  la  quale  aToa  gli  ordini  militari  suoi  proprii. 


—  289  —  19TJ.I 

bera^oni/ Assentì  anco  a  più  duro  taglio:  che  fosse  po- 
sto da  Moezz  un  direttore  sul  kharàg^  ed  un  sii  le  tasse  ' 
diverse,  entrambi  mezzo  independenti  dal  governo 
d'Affrica;*  i  quali  lungo  tempo  mandarono  moneta  in 
Egitto.'  Ond' era  proprio  quel  governo  bipartito  che  la 
dinastia  volle  porre  in  Sicilia  e  non  le  venne  fatto. 
Né  Moezz  si  promettea  di  perpetua  obbedienza  da 
Bolukkin  ;  ^  ma ,  come  fan  sovente  gli  uomini  di  sta- 
to,  fruiva  del  comodo  oggi  e  rimetteva  al  domani  le 
cure  del  pericolo  che  non  si  polea  causare. 

Assestata  così  Y  Affrica  fatemita  con  un  viceré 

<  Qoatremère,  1.  e,  da  Makrizi. 

>  Ibn-el-Atbtr,  1.  e,  e  Ibn-Khaldùn ,  Storia  dei  Fatemiti,  in  appen- 
dice alla  Hisioire  de»  Berbere»  del  medesimo  autore,  tersione,  tomo  H, 
p.  550.  Il  primo  aggiugoé  che  Moezz  comandò  ai  due  direttori  di  earteg- 
giarsi  con  Bolukkto.  Certamente  per  la  forma,  e  per  aver  mano  forte  al- 
l'uopo. Si  noti  la  distinzione  delle  amministrazioni  del  hharàg  e  delle  tasse 
diverse.  La  distinzione  pàrmi  fatta  non  solo  perchè  eran  diversi  i  modi  di 
riscossione,  cioè  l'uno  tassa  invariabile  e  diretta,  com'oggi  diciamo,  e 
gli  altri  tasse  mutabili  e  in  parte  indirette,  ma  anche  per  la  diversità  dei 
territorii  e  delle  genti.  Il  hiarég  principalmente  si  dovea  trarre  dall'Affrica 
propria ,  né  credo  sia  stato  mai  consentito  dalle  piil  forti  tribù  berbere. 
Koiama  né  anche  volea  pagare  la  decima  musulmana.  Si  vegga  Quatre- 
mère ,  op.  cit. ,  p.  50. 

3  11  Baiàn,  testo,  tomo  I,  p.  238,. narra,  V  anno  366  (976-7)  e  il  se- 
guente, che  400,000  dinar  raccolti  a  Kairevvàn  furono  mandati'in  Egitto  dal 
direttore.  Questo  fatte  tronca  ogni  dubbio. 

^  Lo  dice  espressamente  Ibn-el-^Athlr.  È  da  notare  che  su  questi  primi 
ordini  del  governo  zirita  i  compilatori  orientali  differiscono  dagli  affricani. 
Ibn-el-Athlr,  e  più  di  lui  l'egiziano  Makrizi,  ristringono  T autorità  di 
Bolukktn.  Ibn-Khaldùn,  nel  luogo  tesiè  citato,  riferisce  in  compendio  gli 
stessi  fatti;  ma  nella  EUioire  de»  Berbere»,  versione,  tomo  II,  p.  fO, 
dice  quasi  lasciato  assoluto  potere  a  Bolukkin.  Iodi  è  manifósto  che  i  primi 
compilavano  sui  cronisti  egiziani,  e  che  Ibn-Kbaldùn  nella  Storia  dei  Fa- 
lemlti  copiò  Ibn-el-Athtr,  e  in  quella  dei  Berberi  seguì  le  autorità  affricane, 
seliza  curarsi  della  contraddizione:  il  che  gli  avvien  sovente.  Ognun  poi 
vede  che  i  Cronisti  d'Egitto  sotto  i  Patemiti  sosteneano  ir  dritto  della  di- 
nastia, e  quei  d'Affrica  sotto  gli  Ztriti,  già  scioltisi  dall'obbedienza  all'E- 
gitto ,  voleano  fare  risalire  l' independenza  fino  ai  primi  principi!  del  go- 
verno ztrita. 

u.  19 


|969.|  —  290  — 

che  comandasi^e  dalle  rive  occideutali  del  golfo  di 
Cabès  fin  dove  potesse  verso  T  Atlantico,  il  cauto 
Moezz  eccettuò  Trìpoli,  Adgàbia  e  Sort  a  mezzo- 
giorno del  golfo;  commettendole  ad  altre  mani,  per 
aver  libero  il  passaggio  dall'Egitto,  se  mai  venisse 
in  capo  a  Bolukkfn  di  tentar  novità.  Eccettuò  anche 
la  Sicilia,  data  da  tanti  anni  e  testé  confermata  ai 
Beni--abi-Hosein  di  Kelb.  ^ 


CAPITOLO  V. 

Moezz  volle  auco  far  prova  a  raccogliersi  in 
mano  il  fren  della  Sicilia.  Del  trecencinqiiantotto 
(24  nov.  968,  12  nov.  969),  mentre  Giawher.  era 
in  su  le  mosse  per  T Egitto,  si  notò  che,  giunto 
in  Mehdia  pn  oratore  bizantino  con  ricchi  presenti, 
il  califo  comandava  di  smantellare  Taormina  e  Ra- 
metta ,  ristorate  poc'  anzi.  Il  che  fu  si  grave  ai  Mu- 
sulmani deir  isola'  che  X  appiccarono  a  consiglio  degli 
Infedeli  :  come  X  odio  pubblico  lascia  sovente  le  giu- 
ste accuse,  e  va  a  trovare  le  più  assurde.  L'emiro 
Ahmed,  temendo  peggio  che  parole,  mandovvi  con 
genti  il  fratello  Abù-l-Kasem  e  lo  zio  Gia'far  ;  i  quali, 
accampatisi  tra  le  due  città,  le  fecero  diroccare  ed 
ardere.'  Era  il  preludio  d'un  colpo  di  stato;  perchè 

<  Iborel-Àtbtr,  anno  361 ,  MS.  C,  tomo  IV,  fog.  370  recto,  e  tomo  V, 
fog.  40  recto ,  ison  le  varianti  cbe  bo  notato  nella  Biblioteca  Àrabo-Sieula, 
p.  ^67  del  testo. 

'Nowairi,  presso  Di  Gregorio,  Rerum  Àrabicarumt  p.  19. 

'  Nowaìri,  1.  e.  Là  frase  che  il  Di  Gregorio  stampò  erroneamente  nel 


-^  291    — -  [069.1 

Moezz  lo  stesso  anno  richiamò  in  Aflrica  Abmed  con 
tatti  i  suoi,  ^  il  quale  volentieri  ubbidì..  Ei  fu  preposto 
al  navilio,  *  ed  il  cugino  Ibn-Ammàr  ad  una  sqbiera 
che  sì  dovea  mandare  di  rinforzo  a  Giawher;*  Mo- 
hammed ,  fratello  d' Abmed ,  rimase  a  corte  fincb'  ei 
visse,  fidalo  e  Caro  a  Moezz  sopra  ogni  altro  amica/ 
Manifesto  egli  è  dùnque  che  ai  Beni-abi-Hosein  fu 
promesso  alto  stato  appo  il  califo  in  Affrica  o  in  Egitto; 
e  che  Taormina  e  Rametta  furono  spiantate  perchè  le 
tenean  gli  Arabi  Siciliani,  i  quali  era  mestieri  disarmare 
pria  di  offenderli.  Abmed  se  ne  andava  dopo  sedici 
anni  e  nove  mesi  di  governo,  in  su  la  fine  deltre- 
cencinquattotto  (ottobre  o  nov.  969).  Fece  uno  sgom- 
bero di  casa  :  figliuoli,  fratelli,  congiunti,  famigliari, 
clientela,  ricchezze,  arredi,  quanto  si  potea  portar 
via; caricatone  trenta  navi  salpò  l'emiro  per  Mehdia. 
Lasciò  un  solo  liberto  del  padre^  per  nome  la'isc  ;  al 
quale  Moezz  commise  il  reggimento  della  Sicilia.  ' 

^ 

I 

testo»  e  tradusse  vi  earum  edificia  di^icerent,  va  corretta  "onde  en« 
trambi  (Abu-l-Kasem  e  Giatar)  posero  il  campo  tra  le  due  città."  Cosi 
anche  IMia  spiegato  M.  Quatremère,  op,  cit. ,  p.  68.  É  supposizione  natia 
cbe  si  attribuisse  tal  provvedimento  ai  doni  dei  Bizantini;  ma  se  no»  per* 
che  accoppiar  quei  due  fatti  ? 

«  Nowairi,  1.  e.  ;  Abulfeda,  Ànnales  Moilemiei,  an.  336  ;  Ibn^-abi-DinAr, 
MS.  di  Parigi,  fog.  38  recto. 

9  Àbolfeda  e  Ibn-abi-Dinàr ,  11.  ce. 

3  Quatrémère,  op.  cit.,  p.  84. 

*  Makrizi,  Mokaffn,  MS.  di  Leyde,  tomo  1,  sotto  il  nome  di  Mobam- 
med*ibn-Hasap-ibn-Ali  etc,  detto  il  Siciiianp.  Il  biografo  aggiugpe  cbe 
ammalatosi  costui, al  Cairo,  Moezz  l'andava  a  visitare,  e  che  venuto  a  morte 
del  363  (973-4)  lo  compose  egli  stesso  nel  feretro,  e  recitò  la  prece  sul 
cadavere.  Questo  Mobammed  era  nato  il  310  (931),  e  però  prima  della  ve- 
nuta del  padre  in  Sicilia.  > 

>  Sì  confrontino:  Nowairi,  Abulfeda,  Makrizi  e  H>n*abi-DinSir,  11.  ce., 
ma  r  ultimo  sbaglia  la  data.  Tutti  dicono  la*isc  surrogato  dallo  stesso 
Abmed.  Ma  convien  meglio  alla  ragion  del  fatto  la  narrazione  d*  Ibn-el- 
Alhir,  anno  359,  MS.  G,  tomo  IV,  fog.  368  verso,  e  (omo  V,  fog.  9  recto, 


K|  -  292  ~ 

Ma  le  tribù,  leggiamo,  asseóibrate  neir  arsenale 
vennero  a  contesa  coi  liberti  di  Kdtama ,  li  combat- 
terono e  ne  fecero  strage.  *  Le  tribù  di  certo  signi- 
ficano i  corpi  del  giand  d' arabi  siciliani ,  ordinati  se- 
condo loro  schiatte.  Liberti  di  Eotama,  di  certo  gli 
stranieri  Negri,  Slavi,  Berberi  e  d*  altre  tribù,  e 
fors'  anco  rinnegati  cristiani  di  Sicilia  o  di  Terrafer- 
ma, che  i  capi  di  Eotama  aveano  manomessi  ed  ar- 
mati per  rinforzar  loro  squadre,  troppo  poche  ormai 
ai  bisogni  della  dinastia.  Né  parmi  abusafe  il  dritto 
d' interpretazione  se  aggiungo  che  il  giund  siciliano 
sì  fieramente  nimicasse  i  liberti  di  Eotama  per  cagio- 
na del  /i3t,  creduto  suo  proprio  retaggio,  del  quale  ve- 
dea  partecipare  quegli  usciti  di  schiavitù;  e  fórse  lor 
erano  stati  concessi  gli  slipendii  ricaduti  per  la  par- 
tenzà  dei  Eelbiti.  Il  tumulto  par  che  fosse  seguito 
allo  scorcio  del  novecensessahtànove.  '  L' arsenal  di 
Palermo  sondo  po^to  nella  Ehalesa ,  '  e'  si  vede  che 

cbe  la*isc  fosse  stato  eletto  da  Moezz.  Ibo-Khaldùn ,  Bistoire  de  l'Apique 
et  de  la  Sicile,  versione,  p.  172,  segue  questa  tradizione t  ma  erronea- 
mente dice  che  Abmed  fosse  stato  eietto  dai  Siciliani  alla  morte  del  padre. 
Si  confronti  il  presente  volume,  Libro  IV,  cap.  Il,  pag.  249,  nota  1. 

'  Ibo-el-Atbtr,  anno  350,  MS.  C ,  tomo  IV,  fog.  368  verso,  e  tomo  V, 
fog.  9  recto.  Il  testo  ha  habàil,  plurale  di  kabila,  che  significa  ana^  delle 
suddivisioni  della  tribù  arabica.  Gli  scrittori  arabi  del  decimo  secolo  che 
parlan  dell'  Affrica  usano  cotesto  nome  generico  per  designare  le  tribù  sia 
d'Arabi,  sia  di  Berberi,  ed  in  oggi  nelle  province  d'Algeri  e  di  Orano  (non 
già  in  tutta  r Algeria  né  in  tutto  il  resto  dell'Affrica)  si  chiamano  Kabili, 
come  ognun  sa,  i  soli  Berberi.  Nondimeno  nel  presente  passo  d'Ibn-el- 
Atbìr,  copiato  da  croniche  del  X  o  XI  secolo  la  voce  kabdil  non  si  può 
Intendere  altrimenti  che  tribù  di  Arabi  Siciliani;  primo  perchè  è  messa 
assolutamente  senza  appellazione  etnica  cbe  la  determini;  e  secondo,  per- 
chè in  Sicilia  a  quei  tempo  la  lite  non  potea  nascere  se  non  che  tra  1  coloni 
arabi  ed  i  pretoriani.  I  Berberi  della  Sicijla  meridionale  non  contan  più 
dopo  la  guerra  del  940,  e  non  fecero  mai  parte  della  popolazione  di  Palermo. 

*  In  novembre  969  partirono  i  Kelbiti ,  e  in  giugno  970  tornarono. 

'  Ibn-Haukai,  Deseriptioh  de  Palerme,  nel  Journal  Atiatiqtie ,  IV«  sè- 
rie, tomo  V,  p.  93. 


—  295  —  1970.1 

la'ìso,  perduti  ì  suoi  sgherri  entro  la  stessa  cittadella, 
non  ebbe  difesa  contro  i  sollevati. 

Com'  avvenne  sempre  in  Sicilia ,  il  fuoco  di  Pa- 
lermo si  appigliò  subito  alle  altre  città  :  ammazzati 
nelle  partì  *  di  Siracusa  i  liberti  kotamii  ;  subbugli 
e  zuffa  per  tutta  Y  isola  ;  rotto  il  freno  alle  nimistà  : 
indarno  la'isc  cercò  di  racchetare  gli  animi,  sospetto 
com'egli  era,  senz  armi  né  séguito,  onde  ninno  lo 
ascoltò.  Le  milizie  trascorsero  a  rapine  e  violenze 
sopra  i  terrazzani;'  dettero  addosso  alle  città  cristiane 
assicurate:  *  difendendo  lor  proprii  dritti,  non  ebbero 
rispetto  agli  altrui.  La  forza  fatta  ai  Cristiani  mostra 
che  in  fondo  si  dolessero  della  distribuzione  del  fei,  e 
che  pretendessero  riparare  T  ingiustizia . prendendo? 
selo  dassè.  Moezz,  risaputo  cotesto  scompìglio  quando 
forse  non  era  spenta  la  ribellione  della  tribù  di  Zenata 
in  Affrica,^  ed  i  Karmati  gli  minacciavano  il  recente 
conquisto  d'Egitto,  non  si  ostinò  contro  i  Siciliani, 
lieposto  la'isc,  mandò  nell'  isola  Abu-1-Kasem-Ali- 
ibn-Hasan,  con  grado  di  vicario  del  fratello  Ahmed; 
per  dar  a  vedere  che  non  avesse  mai  pensato  a  mu- 
tare né  gli  ordini  né  gli  uomini.  Al  cui  arrivo,  che 
seguì  il  quindici  scia'bàn  del.  cinquantanove  (S2  giù- 


«  Così  litteralmente  il  testo  :  parti ,  contrada ,  viclnaùza.  Porse  si  tratta 
del  distretto  0  f'MIm. 

.  *  Il  testo  ba  uo  vocabolo  analogo  e  derlTato  dalla  stessa  radice  che 
il  ra'ta,  che  tatti  sentiamo  ripetere  nei  fatti  dèi  paesi  mosulmani  d'oggi- 
dì. È  però  si  deve  intendere  principal niente  dei  sudditi  cristiani. 

>  Questo  importantissimo  fatto  della  rivoluzione  contro  la'isc  è  riferito 
dal  solo  ibn-el-Athlr»  1. e,  e  appena  accennato  da  Ibn-Kbaldùn,  Bistoire 
de  l'Afirique  et  de  la  Sieiìe,  versione,  p.  173. 

^  Seconda  Ibn-el-Atlilr ,  anno  388,  MS.  G,  tomo  V ,  fog.  367  recto,  il 
capo  di  quésta  ribellione  si  sottomesse  di  rebi'  secondo  359  (febbraio  e 
mano  970).  Sul  nome  si  vegga  qui  innanzi  la  nota  2  della  pag.  287. 


[970-972  1  —  294  — 

gDO  970),  posarono  i  tumulti  ;  la  colonia  lietissima 
r  accolse  e  docile  gli  ubbidì.  * 

Entro  pochi  u^esi  Ahmed ,  veleggiando  con  Y  ar- 
mata affricana  alla  volta  d' Egitto  »  s' infermava  a  Tri- 
poli,  dove  di  corto  morì.  E  in  novembre  del  nove- 
censettanla  Moezz  scriveva  insieme  ad  Abu-l-Ea^em 
lettere  di  condoglianza  per  la  morte  del  fratello  e  il 
diploma  d' investitura  ad  emir  di  Sicilia.  '  Lo  stato  sì 
rassodò  nelle  mani  di  quel  gii^sto  e  generoso.* 

Capitò  in  questo  tempo  (972-^73)  in  Palermo 
Abu-1-Kasem-Mohammed-ibn-Hàufcal  che  ci  ha  la- 
sciato una  descrizione  della  città.  ^  Ibn-Haukal  nato  a 

<  Si  coiifrontiDO  :  Ibn-el-Athtr,  anno  359,  MS.  G,  tomo  IV,  fiog.  368 
Terso;  lbn*Kba1dùn,  1.  e.  ;  Abulfeda,  Annales  Modefi\ieif  tomo  li,  anno 336; 
Nowairi,  presso  Di  Gregorio,  Rerum  Arabicarum,  p.  19;  ìbn-abi-Dinàr, 
MS.  di  Parigi,  fóg.  38  recto,  il  giorno  della  venata  d' Abu^l-Kasem  in  Pa- 
lermo risponde  esattamente  al  computo  degli  anni  del  suo  governo  che  fa 
Ibn^el-Àlbìr,  narrando  la  sua  morte  seguiu  il  20  mobarrem  372.  Egli  avea 
tenuto  r  oficio,  al  dir  dell'  annalista,  12  anni,  5  mesi  e  5  giorni,  che  sono 
secondo  il  calendario  musulmano  4405  giorni.  Si  vegga  Ibn-e)»Atblr,  an- 
no 371 ,  che  citeremo  in  fin  del  capitolo  V(  del  presente  libro.  Abulfeda 
dà  la  stessa  cifra  di  Ibn-el-Àtblr;  Ibn-abi-Din&r  dice  in  numero  tondo 
ìi  annU  e  il  Baidn  con  errore  il. 

*  Si  confrontino:  Abulfeda,  Annùles  Moslemiei,  an.  336, tomo  II, p.  446, 
seg.  Nowairi ,  presso  Di  Gregorio,  RerumArabicarum ,  p.  19;  Ibn-Khaldùn, 
Sistoire  de  VAfrique  et  de  la  SidUt  versione,  p.  172.  Secondo  il  primo, 
Ahmed  morì  negli  ultimi  mesi  del  359  (fino  al  2  nov.  970),  e  Moezz  scrisse 
al  fratello  il  360  (dal  5.nov.). 

'  Ibn-Rhaldùn ,  l.  e.  La  versione  ha  *  integro  *  invece  di  "  generoso,* 
come  bo  tradotto  appigliandomi  alla  variante  di  un  MS.  di  Tanis. 

^  Questo  capitolo  della  geografia  d'ibn-Haukal  fu  pubblicato  da  me 
con  versione  franceì^e  nel  Journal  Atiatique  del  i8i5;  IVe  série^  tomo  V, 
p.  73,  seg.;  poi  in  iuliano  nellMrcAtvto  Storico,  appendice  XVI  (1847), 
p.  9,  seg. ,  con  le  varianti  ricavate  dal  MS.  di  Oxford.  Adesso  due  arti- 
coli del  M'ogem-^l^Rolddn,  di  lakùt,  che  do  nella  Biblioteca  Arabà^Sicula, 
p.  107  e  120  del  testo  arabico ,  mi  abilitano  a  correggere  alcuni  luoghi  e 
supplire  altre  notizie  le  quali  mancano  nelle  copie  d' Ibn-Haukal,-  che  ab- 
biamo in  Europa;  ma  si  trovavano  al  certo  nella  edizione  ch'ebbe  per  le  mani 
làkùL  Le  differenze  che  si  vedranno  tra  quel  che  scrivo  adesso  e  le  mie 
versioni  del  1845  e  1847  vengono  in  parte  dalle  dette  corréuoni  e  in  parte 


—  295  —  (972  J 

Bagdad  in  mezzo  air  anarchia  pontificale ,  viaggiò 
trentanni  (943-76)  per  genio  di  studiare  i  paesi  e 
gli  uomini,  e  bisogno  di  mercalare  ;  percorse  la  più 
parte  degli  stati  musulmani,  dalF  Indo  alle  spiagge* 
settentrionali  d'Affrica;  *  e  s'ei  non  passò  in  Spagna, 
toccò  pure  la  terraferma  italiana  a  Napoli ,  dove  traean 
per  loro  traffichi  i  Masulmani  d/Ogni  parte  del  Medi- 
terraneo. '  La  geografia  d' Ibn-Haukal ,  compilata  in 
parte  su  gli  altrui  Scritti  ed  in  parte  sul  taccuino  di 
viaggio, pecca  al  soIHodi  preoccupazioni,  giudizi!  pre- 
cipitósi, fatti  facilmente  creduti  air  altrui  ignoranza  o 
passione  :  opèr^  d' ingegno  non  esercitato  in  scienze 
né  lettere;  pur  ^'  ha  un  tal  senno  mercantile  che  dà 
nel  segno  discorrendo  le  cose  pubbliche;  e  se  ne  ca- 
vano genuini  ragguagli  su  gli  itinerari!,  le  usanze, 
le  derrate,  le  entrate  pubbliche  e  gli  ordini  ammini- 
strativi. Della  Sicilia  Ibn-Haukal  altro  non  dice,  se 
non  essere  lunga  sette  giornate  di. cammino  e  larga 
quattro,  tutta  abitata  e  coltivata,  montuosa,  coperta 
di  ròcche  e  di  fortezze,  ed  esserne.  Palermo  metro- 
poli e  sola  città  importante  per  numero  di  abitatori  e 
fama  nel  mondo.  E  di  Palermo  discorre  più  e  meno 
del  bisogno  ;  tacendo  i  fatti  economici  che  suol  andar 
notando  per  paesi  anco  minori  e  che  son  forse  per- 
duti con  un  opuscolo  ch'egli  intitolò:  "I  Pregi  dei 

r 

da  migliore  riflessione,  e,  se  mi  si  vòglia  concedere,  da  on  poco  più  di 
pratica  nella  lingna.  Oltre  a  ciò  debbo  avvertire  cbè  nella  versione  italiana 
e  più  nelle'  note  corsero  moltissimi  errori  di  stampa.  La  citazione  d' Ibn- 
Hankal  e  lakùt  valga  per  tatto  il  resto  del  presente  capitolo. 

•  *  Su  la  vita  e  le  opere  dMbn-Haukal  si  veggano :.Uylenbroekt  ^''fl- 
fié^tnìcm  descriptio,  Leyde,  1822,ìn-4e;  e  Reinaud,  Géographie  d*ÀbQul- 
feda;  introduzione,  p.LXXXii,  seg. 

*  Si  vegga  il  Libro  III,  cap.  Vili,  pag.  178,  nota 2,  di  questo  volume. 


[972.)  —  296  — 

Siciliani,  "  ovvero  con  uq  altro  libercolo  o  capitolo  della 
Geografia,  del  quale  ci  è  sol  rimase  qualche  fram-  ' 
mento.  * 

La  pianta  di  Palermo,  eh' agevolmente  si  può  deli- 
neare con  questa  scorta  e  coi  ricordi  archeologici^  ri- 
trae le  vicende  essenziali  della  Sicilia  fin  dal  conquisto 
musulmano  e  la  sorte  della  colemia  che  si  bilanciava 
tra  una  virtù  e  un  vizio.  Virtù  di  accentramento  e 
civiltà;  vizio  di  divisione:  le  schiatte,  le.  classi,  le  re- 
ligioni, per  mutuo  sospetto  separate  d'animi  e  di  sog- 
giorno; onde  ne  crescea  tanto  più  la  ruggine  tra  loro. 
jChe  se  furon  tali  tutte  le  metropoli  del  medio  evo, 
Palermo  né  anco  serrava  i  cittadini  in  un  muro  e  una 
fossa.  Spartivasi,  dice  Ibn-Haukal,  in  cinque  regioni 
{hàràt);  ma  poi  chiama  cittadi  '  due  di  quelle,  come 
bastionate  e  vallate  ciascuna  dassè!  L'una,  detta  Gas- 
sarò  [Kasr)^  la  vera,  ei  nota,  ed  antica  Palermo,  affor- 
zata d' alte  e  robuste  muraglie  di  pietra ,  fiancheggia- 
ta di  torri,  abitata  dai  mercatanti  e  dalla  nobiltà  mu- 
nicipale. '  L'altra,  la  Khàlesa,  cinta  di  minor  piuro, 
soggiorno  del  sultano  e  suoi  seguaci ,  non  avea  mer- 
cati né.  fondachi,  ma  bagni,  oficii  pubblici,  Tarsena- 

V 

^  L' autore ,  ne*  MS.  che  abbiamo  in  Earopa ,  accenna  il  primo  opu- 
scolo in  fin  della  descrizione  della  Sif^lia.  11  titolo  e  qualche  altro  panico- 
lare  sì  leggono  nel  citalo  passo  del  Mo'gem^UBoldàn ,  di  lakùt ,  il  quale 
ebbe  certamente  alle  mani  il  secondo  opuscolo  su  la  Sicilia,  o  altra  edi- 
zione più  copiosa  della  Geografia. 

*  Così  nel  testo  che  abbiaiho.  Neiraltra  edizione  di  cui  lakùt  ci  serba 
i  frammenti,  par  che  Ibn-Hankal  abbia  chiamato  anche  cittadi  le  altre  tre 
regioni. 

'  (bn-Haukal  dice  di  proposito  dei  soli  mercatanti;  ma  venendo  a 
toccare  la  «pperbia  dei  cittadini,  come  innanzi  si  vedrà,  confessa  senza 
volerlo  che  soggiornassero  nel  Kasr  le  famiglie  ragguardevoli  che  avean 
moschee  proprie  e  vi  si  davan  lezioni  di  dritto;  cioè  Smembri  della  gema\ 
la  nobiltà  cittadina,  come  noi  diremmo. 


—  297   -~  (972.1 

le,'  la  prigione.  Più  popolosa  e  grossa  che  le  due 
solenni  città  del  municipio  e  del  governo,  la  regione 
non  murata  detta  delli  Schiavoni,  dava  stanza  alla 
marineria  ed  ai  mercatanti  stranieri  che  traeano  in 
Palermo.  '  Eran  altresì  aperte ,  e  non  dissimili  T  una 
dair  altra,  le  Regioni  Nuova  e  della  Moschea ,  le  quali 
racchiudeano  i  mercati  e  le  arti  :  cambiatori ,  olian* 
dòli,  venditori  di  frumento,  droghieri ,  sarti,  armaiuo- 
li, calderai,  e  via  dicendo  ciascun  mestiere  dassè, di- 
viso dal  rimanente  ;  se  non  che  i  macellai  teneano 
oltre  cencinquanta  botteghe  in  città 'e  molte  più  fuori. 
Due  contrade,,  eh'  Ibn-Haùkal  intitola  regioni  senza 
porle  nel  novero  delle  cinque,  si  addimandavano  dei 
Giudei  e  di  Abu-Himàz.  Similmente  il  Me^sker,  che 
suona  Stanza  di  soldati,  par  fosse  ricinto  a  parte.  *  I 
sobborghi  che  serbavan  vestigia  dei  guasti  durati 
nelle  guerre  dell' independenza,  correano  a  scirocco 
frammezzo  ai  giardini  fino  air  Oreto ,  ove  si  sparpa- 
gliavano su  la  sponda;  ed  a  libeccio  salivano  dal 
Mésker  in  fila  continua  fino  al  villàggio  di  Baida.  ^  La 
postura  delle  regioni  si  ravvisa  di  leggieri.  HCassaro 

*  *  .  ■ 

*■  Ibn'-Haukal  non  dice  la  condizione  e  nazione  degli  abitatori,  ma 
che  quiyi  era  il  porto:  il  che  basta.  D'altronde  sappiam  che  fossero  in 
quél  quartiere,  gli  stabilinienti  dei  Genovesi,  infino  ài  ^VH  secolo;  e  y\ 
ripoane  tuttavia  la  Chiesa  di  San  Giorgio  detta  dei  Genovesi.  Quivi  anche 
giacea  nel  XI (secolo  la  contrada  detta  degli  Amalfitani,  come  ritrasse  dai 
diplomi  il  Fazzello,  il  quale  aggingne  che  del  suo  tempo  v'  era  una  chiesa 
di  Sani' Andrea  degli  Amalfitani. 

*  Ibn-Haukal  seri  ve  helei,  che  è  vago  t]uanto  paese.  Par  che  vòglia 
dire  di  tutte  le  cinque  regioni,  non  delle  due  sole  murate. 

'  Lo  fu  di  certo  nel  XII  secolo,  onde  il  nome  che  portava  di  halkà, 
in  cui  la  prima  lettera  si  irascrivea  in  modi  diversi  nei  diplomi  ;  sì  come 
dirò  a  suo  luogo.  Ibn*Haukal,  senza  notarlo  espressamente,  parìa  del 
Me'sktr  come  di  contrada  fuor  la  città  vecchia.  ^ 

*  Si  vegga  la  pag.  68  di  questo  volume. 


[972]  —  298  — 

in  mezzo,  in  forma  di  nave  che  volgesse  la  prora  a 
tramontana.  Come  ancorata  per  traverso,  a  greco,  la 
Khàlesa;  da  levante  a  libeccio  la  Regione  della  Mo- 
schea, la  Regione  nuova  e  il  Me'sker:  gli  Schiavoni, 
in  line^  paralella  al  Cassaro,  dal  lato  di  ponente. 

Il  mare,  si  come  è  manifesto,  entrando  per  una 
stretta  foce  che  non  è  punto  mutata,  disgiungea  la 
Khàlesa  dalla  estremità  settentrionale  delli  Schiavoni  ; 
e  imbattendosi  nella  punta  del  Gassaro,  si  fendeva  in 
due  bacini  o  lagune  ;  dei  quali  su  l' occidentale  era 
costruito  nelli  Schiavoni  il  porto  di  commercio;  su  quel 
di  levante  nella  Khàlesa ,  V  arsenale.  Se  mai  nel!'  an- 
tichità le  lagune  bagnarono  tutti  i  fianchi  della  città, 
erano  rattratte  nel  decimo  secolo  al  tronco  e  ai  due 
bacini;  di  che  resta,  dopo  novecént' anni ,  il  sol  tronco 
detto  la  Gala.  *  Perchè  scrive  ibn-Haukal  che  parec- 
chi grossi  rivi,  ciascuno  da  for  girare  due  macine. 


*  Nel  XVll  secolo  un  Giambattista  Harìogo,  sn  vaghe  antoritii,  disegnò 
una  carta  dell'  antica, Palermo»  copiata  poscia  a  colori  in  certi  quadri  »uno 
dei  quali  passò  nella  Biblioteca  Comunale.  11  Morso  fé' ridurre  e  incidere 
oosì  fatta  pianta  e  vi  fabbricò  sopra  la  sua  Palermo  dei  tempi  normanni , 
nella  quale  le  navi  veleggiano  troppo  dentro  terra  d*ambo  i  lati  della  città 
veccliia.  V  attestato  d' Ibn-Haukal  tronca  adesso  ogni  lite,  poich*  ei  ci 
dice  quali  acque  Separavano  la  città  vecchia  dalli  Schiavoni,  e  che  dairal- 
tro  Iato  si  usciva  nella  regione  della  Moschea  e  dei  Giudei ,  delle  quali 
sappiamo  il  sito  attuale ,  cioè  P  oficio  della  posta,  la  strada  dei  calderai,  ec. 
Ma  in  vero  i  diplomi  dell' XI  e  XII  secolo  non  concedeano  al  Morso  di  ti- 
rar sì  in  alto  il  mare.  Ei  Io  fece  arrivare  fino  alla  Biblioteca  Comunale  odier- 
na, supponendo  Che  gU  statuti  di  una  confraternita  della  Madonna  delle 
Naupactitesse,  i  quali  si  leggono  in  una  pergamena  greca  della  cappella 
palatina,  lo  appartenessero  alla  città  di  Palermo;  2o'che  vi  fosse  fatta 
menzione  di  un  quartiere  di  Naupactitessi ,  anziché  di  un  monastero  di 
Naupactitesse  |jt»  t>ì  tóJ»  vaJtraxTiTTjwMtf  /*ovv]);  e  S*  che  questa  voce  si- 
gnificasse *  costruttori  di  navi"  non  già  "donne  di  Lepanto  ■  (WaucraxTo?). 
A  sno  luogo  dirò  più  particolarmente  di  cotesto  diploma,  eh'  è  stato  alle- 
gato per  provare  la  fondazione  di  detta  confraternita  ptima  del  conquisto 
normanno. 


-   299   -  |D72| 

frastagliavano  tatto  il  terreno  tra  il  Cassaro  e  li 
Schiavoni;  e  dove  oìffrìan  comodo  ai  mulini,  dove 
si  spandeano  in  laghetti ,.  dove  facean  pad  oli  che  vi 
crescea  la  canna  persiana  o  vi  si  coltivavan  piante 
d' ortaggio,  *  a  Tra  così  fatti  luoghi ,  ei  dice ,  è  una 
fondura  coperta  del  papiro  da  scrivere ,  oh'  io  pensai 
non  venisse  altrove  che  in  Egitto,  ma  qui  ne  fabbri- 
cano cordame  per  le  navi  e  quel  po'  di  fogli  che  occor- 
rono al  sultano.  »  E  però  non  sembra  inverosimile 
che  sia  di  Sicilia,  anzi  che  d'Egitto,  il  gran  papiro 
con  lettere  arabiche  a  mo'  di  marchio. di  manifattura, 
sul  quale  è  scritta  una  bolla  di  Giovanni  ottavo  a  prò 
deirabbadia  di  Tournus  in  Francia ,  data  il  primo  anno 
di  Carlo  il  Calvo  imperatore  (875)  e  serbata  nella  Bi- 
blioteca di  Parigi.'  La  pianta  egiziana  ministra  dell' an- 
tico papere,  recala  forse  dai  Greci  a  Siracusa  e  dagli 
Arabi  in  Palermo,  crebbevì  oziosa  fino  al  secol  decimo 
sesto,  quando,  prosciugato  lo  stagno,  gli  rimase  il 
nome  e  si  chiama  anch'  oggi  il  Papireto. 

Invece  di  paduli  ed  umili  culture,  la  campa- 
gna di  levante  lussureggiava  d' orti  e  giardini  da 
diletto  su  le  sponde  delFOreto,  che  s'  addimandava 

'  Ibn-Haakal  precisamente  dice:  ottime  piantagioni  di  iucche. 

*  Bulle  de  Toumw,  lltografiata  per  uso  deU*École  des  Ghartes,  Pa- 
ris 1835.  Si  vegga  anche  Marini,  Papiri  Diplomatici,  p.  26,  27,  222,  225. 
Questo  papiro  è  lungo  parecchi  metri ,  e  largo  58  centimetri.  La  leggenda 
arabica ,  tramezzata  di  qualche  line»  rossa ,  si  scòrge  in  capo  del  ruolo  in 
caratteri  corsivi  grandi  e  franchi,  tratteggiati  con  un  pennello  a  colore 
fn  oggi  bruno,  anziché  nero  d'inchiostro;  ma  sendo  molto  frusto  il  papiro 
in  quella  estremità,  vi  si  può  leggere  appena  qualche  congiunzione  e  pre- 
posizione, qualche  sillaba  interrotta,  la  voce  allah,  ed  un  brano  di  nome 
Sa*id-ibik„„  li  commercio  della  Sicilia  musulmana  con  Napoli,  e  le  note 
relazioni  di  Giovanni  Vili  con  quella  città  e  coi  Musulmani ,  dan  valido  ar- 
gomento a  supporre  p'alermilano  cotesto  papiro ,  il  quale  per  altro  sembra 
più  grossolano  che  quei  d'Elgitto. 


1972.1  -  300  - 

Wed-AU>às,  e  cosìmfino  ai  tempi  normanni  e  sve- 
vi  ;  ^  ma  oggi  ^a  ripigliato  il  nome  classico.  Salivano 
i  giardini  e  si  mesceano  ai  vigneti  presso  il  villag- 
gio di  Balharà,  *  voce  indiana ,  '  vinta  adesso  dalla 
latina  appellazione  di  Monreale,  presso  il  quale  giaceva 
una  miniera  di  ferro,  posseduta  prima  da  un  di  casa 
d'Aghlab  ed  or  dal  stiltano  che  adoperava  il  metallo  alle 
costruziotii  navali.  Il  fiume  volgea  gli  altri  mulini  ab- 
bisognevoli  a  si  gran  popolo.  E  scende  Ibn-Haukal  a 
rassegnare  le  scaturigini  d' acqua  della  città  e  dei 
dintorni ,  delle  quali  alcuna  serba  il  nome  ;  *  ma  egli 
ne  tace  due  di  nome  arabico,  onde  sembrano  sco- 
perte neir  undecime  secolo.  '  Contro  l'opinion  co- 
mune, e' si  vede  che  ì  Musulmani  di  Palermo  sciupa- 


*  Abbesìn  un  diploma  del  1164,  presso  Hongitore,  Laerte  domus 
Mamionis..,.  Monumenta,  cap.  V;  Hahes  in  an  diploma  dd  1206  presso 
Pirro,  Sicilia  Sacra,  p.  i29,  e  Audhahes,  Àvedhabes,  o  Leudhabes  in  altri 
del  1207  è  i21 1 ,  op.  cit. ,  p.  130,  i36,  con  le  note  del  D*  Amico.  Non  occorre 
di  spiegare  che  Aud,Àved,  Leud,  sieno  trascrizioni  della  voce  arabica  Wedf 
fiume.  Àbbàs  è  nome  proprio  d'uomo. 

*  \\  nome  agevolmente  sì  riconosce  nel  Bulehar  di  Fazzello^  Deca  I, 
Hbro  Vili,  cap.  1,  e  nel  Segeballarath ,  ibld.,  come  un  tempo  si  chiamava, 
al  dir  dello  slesso  autore,  la  piazza  odierna  dì  Ballare,  Senza  dobbio  era 
corruzione  di  Suk-Balharà,  *il  mercato  di  Balbard,*il  quale  villaggio  ap- 
punto s'accostava  da  quel  lato  alla  città. 

"  Si  vegga  il  Libro  III,  cap.  I,  p.  34  del  presente  volume. 

*  Ghirbàl,  'cribruro,"  oggi  Gabrieli.  Il  nome  arabico  potea  beo  essere 
il  latino  del  quale  ha  la  significazione. 

Fauidra,  "polla  d'acqua,"  oggi  La  Favara. 

Àin^Abi'Sa'id  "fonte  di  Abu-Sald,"  che  fu  un  tempo,  al  dir  d'ibn- 
Hankal,  governatore  del  paese.  Si  vegga  il  Libro  III,  cap.  VII,  p.  157  di 
questo  Volume.  11  Fazzello  trovò  nei  diplomi  Àin^Seitim;  oggi  Ànnisiinni  o. 
Dennisinni. 

B  Gàrraffu  eGarraffeddu,  diminutivo  siciliano  del  primo.  Gharrdfè  ag- 
gettivo *  abbondante  (d'acqua).  *  Ìl  situerà  laguna  o  padule  al  tempo  d'ibn- 
H^okal ,  giacendo  fuor  la  punta  settentrionale  del  Kasr.  B  però  queste  due 
fonti,  0  almen  la. prima,  furono  scoperte  tra  il  X  secolo  e  la' metà  del  XII, 
pria  che  si  cominciasse  a  dileguare  il  linguaggio  arabico. 


—  301    —  [972.] 

van  tanto  tesòro  di  acqae.  Ibn-Haakal,  nato  in  sul 
Tigri,  chiama  pure  il  Wed-Abbàs  gran  riviera,  onde 
fa  supporre  che  lo  ingrossassero  tante  polle  oggi 
condotte  ad  uso  della  città.  '  Né  dimentica  che  del 
territorio  parte  fosse  adacquata  con  canali,  parte 
delle  sole  piogge  si  come  in  Siria.  Fecegli  maggiore 
meraviglia  che  li  abitatori  della  parte  orientale  del 
Cassare,  della  Khàlesa  e  dei  quartieri  di  quella  banda, 
bevessero  la  greve  acqua  di  lor  pozzi.  Donde  è 
manifesto  che  non  si  debba  riferire  alla  dominazione 
musulmana  quella  egregia  economia  idraulica  che 
in  oggi  dà  acque  correnti  in  tutte  le  parti  della  città, 
fino  ai  piani  più  alti  delle  case.  Risguardando  alle 
voci  tecniche  dei  fontanieri  di  Palermo  che  son  me- 
scolate greche,  latine  ed  arabiche,  si  scopre  T opera 
comune  delle  tre  schiatte  unite  sotto  i  Normanni:  e 
,però  differiamo  a  trattarne  neir  ultimo  libro. 

Venendo  ai  monumenti,  Ibn-Haukal  notava  la 
Moschea  gidrni'deì  Cassare,  una  volta  tempio  cristia- 
no; nella  quale  serbavansi,  al  dire  dei  logici  della 
città,  le  ossa  d'Aristotile;  ma  ei  noti  si  fa  malleva- 
dorè  che  d'aver  visto  il  feretro,  appeso  in  alto,  e 
udita  la  tradizione  che  gli  antichi  Greci  solessero  im- 
petrare  miracoli  dalle  ceneri  del  filosofo  in  tempi  di 
siccità,  pestilenze  o  guerra  civile.  Donde  è  libero  il 
campo  a  porre  il  mito  e  il  monumento  innanzi  o  dopo 
l'èra  cristiana;  richiamandoci  il  nome  all'antichità, 

*  si  potrebbe  aggiugoere  a  questa  cagione  la  mutata  o  trascurata  col- 
tura delle  montagne  che  accresce  le  piene  del  torrenti,  ma  fa  menomare  le 
acque  perenni.  La  valle  di  questo  fiume>  là  dove  fa  grotta  nel  sasso,  mo* 
stra  che  un  tempo  il  letto  dovea  essere  assai  più  largo  e  profondo  del 
presente. 


1972]  -  302  — 

forse  al  culto  d'Empedocle,  ma  la  qualità  ed  uso  del 
santuario  s'adattau  meglio  alla  pietà  cristiana.  Ne 
sembra  strano  che  alla  dedizione  di  Palermo  si  fòsse 
pattuito  di  lasciare  in  pie  tutta  o  parte  la  chiesa;  e  che 
quando  la  fu  mutata  affatto  in  moschea,  i  nuovi  pa- 
droni, tra  credere  e  non  credere,  avesser  lasciato  sì 
comodo  palladio  in  qualche  cantuccio  fuor  Tedifizio; 
che  esempli  v'  ha  di  chiese  bipartite  tra  le  due  reli- 
gioni nei  primi  conquisti;  e  non  meno  di  supersti- 
zioni reciprocamente  tolte  in  prestito  non  che  tolle- 
rate, quando  si  rattiepidì  lo  zelo/  It  Cassare,  avale, 
era  tagliato  neir  asse .  maggiore  dalla  strada  dritta 
ch'oggi  ne  ritiene  il  nome,  la  quale  s'appellava  Simdt 
0  diremmo  la  ** Fila:"  che  tal  era,  di  fondachi  e  botte- 
ghe, e,  raro  pregio  nel  mediò  evo,  tutta  selciata. 
Avea  la  città  vecchia  nove  pòrte,  delle  quali  si  ricono- 
sce il  sito;*  ed  una  era  quella  che,  in  grazia  d'ésoticha 
lettere  intagliafe  su i  arco  e  in  un  mtnaretto  vicino,  fu 
creduta  infino  al  secol  passato  opera  dei  fondatori  ebrei 

'  I  fatii  delle  chiese  e  moschee  di  Damasco  e  di  Cordova  sono  noti  a 
tulli.  Sa  anche  ognuno  che  nel  medio  evo  principi  musulmani  onorarono 
e  credettero  ecclesiasUci  cristiani  famosi  per  sapere  o  pietà  o  arcana  vista 
deiravvenire;'  e  similmente  principi  cristiani  i  dotti  o  astrologi  qiasulmaiki. 
Secondo  T  autorevole  testimonianza  di  Lane,  Modem  Egyptiqns,  Lon- 
dra  1857,  voi.  i,  p.  322,  i  Musulmani  e  i  Giacobiti  d'Egitto  fan  tutUvia 
fraterno  scambio  di  superstizioni. 

^  Ibn-Haukal nomina,  1  Bàb-el^-Bahr  "la  porta  del  mare;*  2Bd6-«- 
tcefd  "  la  porta  della  Medicina"  così  detta  da  utia.fòùte  vicina;  3  Bàb-Seian' 
taghàth^'h  porta  di  Sant'Agata;"  4  Bab-Rùta  "la  ^orU  di  Ruta"  dal  no- 
me d'un' altra  fonte  (  At2/  in  arabico  "  fiume"  dal  persiano  Rùd  e  si  trova 
il  nome  in  Spagna);  5  Bab^er-riàdh  'la  porta  dei  giardini"  fabbricata 
in  vece  di  quella,  6,  detta  Bab-ibn^Korkob  dal  nome  del  noto  ribelle; 
7  Bab^l^bnà  "la  porta  dei  figli;"  8  Bab-el^Hadi  "la  porta  del  Ferro;* 
9  una  porta  nuova  senza  nome.  La  più  parte  di  cotesti  nomi  si  trova  nei 
diplomi  delXU  secolo^  come  ho  detto  nelle  annotazioni  ad  Ibn^^Hankal 
nel  Journal  Àsiatique  e  neW  Archivio  storico  italiano. 


—  303  —  (972.) 

o  caldei  di  Palermo.  Demolita  la  porta  e  il  minaretto 
da  un  viceré  spagDUoio  ;  serbati  da  dotti  del  paese  i 
disegni  dei  caratteri  che  inghirlandavano  il  minaretto, 
ancorché  traspósti  e  mutili ,  come  s'  €;raoo  mesco* 
late  e  perdute  in  parte  Io  pietre,  ognun  vi  scorge  una 
bella  é  severa -scrittura  cufica,  e  se  ne  può  accozzare 
la  data  del- quarto  secolo  dell'egira  e  tre  versetti,  del 
Corano,  di  quei  soliti  a  porre  nelle  moschee./   La 

^  La  pojTta  dei  Patitelli  fa  demolita  nel  1564,  e  andò  a  male  la  iscri- 
zione che  vi  si  vedea  al  tempo  di  Fazzello,  il  quale  errò,  credo  io,  a  sup- 
porla  diversa  dalla  Behilhaekal  (Bab-el*Bahr)  di  cui  avea  trovato  11  nome 
nelle  scritture  antiche.  La  torrìcciuola  vicina  che  si  addimandava  di  Baich, 
dìveìiuta,  di  minaretto  di  moscKea,  abitazione  d*  un  cittadino,  fu  intac- 
cata <I al  lato  occidentale  n,el  iS34  per  farvi  certe  ristauraziopi  ;  e  si  co- 
minciò allora  a  dislocare  le  pietre  nelle  quali  correa  riscrizione  in  unica 
-linea  al  sommo  deiredlGzio;  se  non  che  Fazzello,  accorse,  gridò,  le  fece 
rimettere,  e  copiò  fedelmente,  ma  confusi,  ed  alcim  capovolto,  i  gruppi 
di  tre  0  quattro  lettere,  ch'erano  intagliati  in  ciascuna  pietra.  Ei  publ^licò 
il  disegno,  in  picciolo ,  nella  sua  Storia,  deca  1,  lib.  Vili,  cap.  I,  credendo 
s^rbai^il testo  caldaico  scritto  poco  dopo  il  Diluvio.  Nel  i564,  il  viceré  spa- 
gnuolo  che  prolungò  il  Gassare  e  gli  die  il  nome  di  Toledo ,  abbattè  senza 
riguardo  la  torricciuola;  ma  per  le  cure  deirèrudito  Marco  Antonio  Mar- 
tinez  si  trasportò* la  più  parte  delle  pietre  scolpile  nel  palagio  di  città,  e  se 
ne  trassero  i  disegni:  ottantaquattro  pietre,  delle  quali  mancavano  ventuna. 
Cosfrimase  la  iscrizione,  a  un  di  presso  ordinata  al  modo  d'un  lungo  rigo 
di  caratteri  da  stampa  che  sian  caduti  a  terra  e  un  analfabeta  li  abbia  ri- 
messi insieme  in  cinque  o  sei  lìnee,  dopo  averne  gittate  via  la  quarta 
parte*  Così  la  pubblicò  due  secoli  appresso,  per  la  prima  volta,  il  Torre- 
mazza  (SiciliiZ  etc.  Imeriplionum,  2«  edizione)  e  indi  il  Di  Gregorio  {Re- 
rum  Arahicarum)  e  il  Morso  {Palermo  Antico).  L'Àssemannj  accertò  la  na- 
tura dei  caratteiri;  ma  pochi  ne  lesse.  Il  Tychseix  vi  ritrovò  una  cifra  cro- 
nologica e  il  frammento  d'un  versetto  del  Corano,  lo  Ve  n'ho  letto  un  al- 
tro; è  il  resto  M.  Reinaud;  il  quale,  com'io  lo  consultai  su  la  mia  lezione, 
la  confermò,  e  incontanente  la  prosegui.  Ecco  la  traduzione  delfak  data  e  dei 
versetti,  nella  quale  il  carattere  corsivo  mostra  le  parole  che  si  è  arrivato 
ad  accozzare.  Accenno  le  linee  secondo  la  copia  di  Martinez: 

Linea  3.  Trecento,  —  Tychsen  ;  aggiugnendo  con  dubbio  trentuno.  Mi 
/     ^         parrebbe  più>  tosto ,  ma  non  lo  affermo ,  sestania. 

Linea  4.  (Corano,  sur.  XXI V«^  v.  36.)  in  edifiiii  [i  quali]  permesse  Dio 
che  fonerò  innalzati. 

Linee  5,  6,  7,  8,  9:  e  che  si  rieordasse  in  quelli  Usuo  nome,  lodan  lui 
mattino  e  sera  (v.  37)  uomini  [cui]  non  distoglie  traffico  né 


|972.|  —  304  — 

Ehàlisa  avea  mora  senza  altre  porte  che  quattro 
dal  Iato  di  terra,  a  mezzogioroo.  Sorgeano  fuor  le 
mura,  credo  del  Gassaro,:  iu  stil  bacino  di  levante 
i  ribàt,  come  chiamavansi  nelle  città  di  confine  Je 
stanze  dei  volonlarii  spèsati  su  le  limosino  legali  o 
su  lasciti  pii,  per  uscire  in  guerra  contro  gli  Infe- 
déli; Ja  quale  genia,  come  si  allargò  e  corrappeT isla- 
mismo, somigliava  ormai  per  la  disciplina  ai  ribaldi 
negli  eserciti  feudali,  e  per  V  òzio  ai  frati  mendicanti 
nei  paesi  che  n  han  troppi.  Molti  ribdt,  dice  Ibn-Hau- 
kal,  sono  in  Palermo  in  riva  al  mare,  pieni  zeppi  di 
sgherri,  scostumati,  gente  di  mal  affare:  vecchi  e 
giovani,  perversi  e  infingardi,  mascherati  di  devazione 
per  carpir  la  moneta  e  intanto  svergognar  le  donne 
oneste,  fare  i  mezzani  e  peggior  brutture;  riparati  colà 
pef  non  aver  condizione  né  pan  né  tetto. 

A  computare  il  numero  degli  abitatori,  Ibn-Hau- 
kal  ci  dà  questo  bandolo:  che  la  moschea  de\ beccai, 
un  diche  v'erano  ragunati  tutti  con  lor  famiglie  e  at- 
tenenti, racchiudea  da  settemila  persone.  La  quale  arte 
stando  negli  odierni  censimenti  della^  città  a  tutta  la 
popolazione  come  uno  a  cento,  il  numero  tornerebbe 
nel  decimo  secolo  a  settecentomila;  e,  fattavi  pur 
grossa  tara  per'  le  mutate  condizioni  ]  non  si  può  ra- 
gionar meno  di  trecento  o  trecencinquanta  mila  ani- 


vendita  dal  ricordare  Dio ,  far  la  preghiera  e  pagar  la  limon- 

na;  iemeriti  quel  giorno  in  cui  saranno  confusi  i  cuori  e  U 

mie,  —  Reinaud. 
Linea  12.  (Sur.  11,  y.  2S6.)  Non  [v*ba]  Dio  se  non  Lui,  il  VivenU,  il 

Sempitèrno. -^Tychsen. 
Varie  parole  delie  linee  4, 6,  7>  8,  di  Martinez  rispondono  alle  linee  6, 7,8,0 
di'Fazzello;  e  mostrano  viemeglio  qaanlo  i  disegni  di  questo  storico  si^no 
più  esatti  che  quelli  del  Martinez, 


—  505  —  (972.1 

me/  À  ciò  ben  s' adatta  T  altro  dato  delle  cinquecento 
moschee  ch^  erano  in  Palermo,  delle  quali  tre  quinti 
nella  città  vecchia  e  grosse  regioni  e  due  quinti  nei 
sobborghi  :  moschee  tutte  acconce  e  frequentate,  tra 
pubbliche,  di  corporazioni  e  di  privati.  Né  Ibn-Haukal 
tante  ne  avea  viste  mai  in  cittadi  uguali  e  maggio- 
ri; né  sapea  trovarne  riscontro  se  non  a  Cordova,  il 
numero  delle  cui  moschee  gli  era  stato  raccontato,  ma 
in  Palermo  Favea  ritratto  con  gli  occhi  suoi  prò- 
prii  e  tutti  i  cittadini  gliel  confermavano.  Cordova  in 
vero^  decaduta  nel  decimoquarto  secolo,  ebbe  da  set- 
tecento moschee  *  e  poco  meno  Costantinopoli  fino  ài 
decimosettimo  secolo.' 


*  In  numeri  tondi,  i  beccai,!  loro  garsoni,  gli  impiegati  nei  maceiU* 
e  i  Tenditori  .di  interiora,  con  le  famiglie,  ragionate  a  cinque  teste  per 
casa,  sommavano  nel  1844  a  2000.  La  popolazione  era  circa  200,000.  Ma 
la  cifra  di  700,000  che  avremmo  con  tal  proporzione  nel  972  dèe  scemarsi 
per  le  cause  seguenti:  lo  la  istituzione  dei  macelli  pubblici,  che  diminuisce 
og'gi  il  bisogno  di  molte  braccia;  S»  la  maggiore  consumazione  di  carne  da 
suppprsi  nella  capitale  della  Sicilia  musulmana,  mentre  le  classi  meno  agia- 
te, nelle  presenti  condizioni  lagrimevoli  della  città,  mangian  carne  poco  o 
punto;  30  i  giorni  di  magro  ai  quali  non  erano  astrettì  i  Musulmani;  i»  la 
poligamia,  la  quale,  se  a  lungo  andare  fa  più  mal  che  bene,  pure  In  un  pe- 
rìodo di  ricchezza  crescente  poteva  aumentare  la  proporzione  da  5  a  6  0  7 
a  famiglia ,  però  dare  minor  numero  di  capi  di  casa  ossia  minor  numero 
di  botteghe  a  numero  uguale  d'individui.  Per  queste  considerazioni  pongo 
che  il  numero  d*anime  dell'arte,  stc^sse  al  numero  d' anime  della  città 
cenile  mo  a  cinquanta,  non  come  uno  a  cento  eh' è  in  oggi  ;  e  metto  in  conto 
dalle  5  teste  a  famiglia  anche  i  bambini  lattanti  che  Ibn-Haukal  di  certo 
non  vide  nelle  32  file  (  1  numeri  sono  scritti  non  già  accennati  in  cifre)  di 
circa  200  persone  ciascuna,  che  assisteano  alla  preghiera.  Se  dunque  pecca 
il  mio  computo,  non  è  di  eccesso.  L'area  dell'abitato ,  che  ha  guadagnato 
un  poco  su  le  acque  e  perduto  molto  dentro  terra ,  conferma  tal  giudizio. 
Debbo  avvertire  che  nelle  note  alle  due  versioni  italiana  e  francese, 
posi  la  popolazione  di^Palermo  170,000  ànime.  Il  censimento  che  si  fé  poco 
appresso  la  mostrò  molto  maggiore,  e  così  l'ho  corretto  a  dugentomila. 

'  Gayangos  nelle  note  a  Hakkari,  Mohammedan  Dynasties  in  Spain, 
tornò  i,  p.  4SIÌ. 

'  D'Ohsson  nel  XVIll  secolo  contava  più  di  200  moschee  nell'ambito 

li.  20 


[972.]  —  306  — 

Dalla  quale  sovrabbondanza  Ibn-Haokal  cava  ar- 
gomento di  riprendere  i  Palermitani  che  ciascuna  fa- 
migHa  per  superbia  e  vanità  volesse  la  sua  cappella 
particolare,  fin  due  fratelli  che  abitavan  muro  a  muro. 
E  narra  che  un  Abu>Mohammed  oriundo  di  Cafsa, 
giurista  in  materia  di  contratti,  ^  arrivò  a  fabbricare 
vicino  a  venti  passi  alla  propria  una  moschea  pel 
figliuolo,  aifincbè  vi  desse  lezioni  di  dritto.  Notato  poi 
che  più  di  trecento  pedagoghi  ìnsegnavan  lettere  ai 
giovanetti,  v'appicca  la  chiosa  che  eleggean  tal  me- 
stiere per  iscusarsi  dalla  guerra  sacra,  anche  in  caso 
d' irruzione  del  nemico;  eh' e'  si  vantavano  di  probità 
e  di  religione  e  facean  da  testimonii  nei  giudtzii  e  nei 
contratti;  ma  in  fondo  nulla  era  in  essi  di  bello  né  di 
buono., Né  era  in  alcun  altro.  In  fatti,  il  cadi  Othman- 
ibn-Harràr,  uom  timorato  di  Dio,  conosciuti  alla  prova 
chi  fossero  i  suoi  concittadini ,  avea  ricusato  lor  tesli^ 
monianze,  grave  o  leggiero  che  fosse  il  caso;  onde 
s'era  messo  a  terminar  tutte  le  liti  con  accordi;  e 
infermatosi  gravemente  ammonì  chi  dovea  prendere  il 
magistrato  non  si  fidasse  d' anima  vivente.  AI  quale 
succedette,  continua  Ibn-Haukal,  un  Abu-Ibrahimrf 
Ishak-ibn-Màhili ,  che  fece  ridir  di  sé  molte  scem- 
piaggini.* Che  più,  se  non  usano  la  circoncisiona^^è 


di  CosUntiDopoli  e  300  nei  subborglii,  aggiugnendo  che  non  ve  oé  fossero 
più  nelle  case  dei  nobili:  quello  appunto. che  faceta  il  gran  numero  delle 
Moschee  in  Palermo.  Tableau  general  de  Vempire  oUoman^tùo  li,  p.455, 
seg. ,  edizione  di  Parigi  1788,  in-8. 

*  Questo  è  il  significato  detta  voce  wethàiki,  die  si  legge  trascriUa 
altrimenti  e  non  tradotta  nelle  mie  due  versioni  francese  ed  italiana.  Si 
vegga  Hagi-Khalla,  ediz.  Flùegel,  VI,  p.  423.  N.  14»174. 

*  Ei  le  narrava,  ma  lakùt  le  troncò  in  questo  passo  del  testo  che  ci  ha 
conservato. 


—  307  —  (972.1 

osservano  le  preghiere,  uè  pagan  la  limosina  legale, 
né  vanno  in  pellegrinaggio;  e  appena  avvien  che  di- 
giunino il  ramadhan  e  che  facciano  il  lavacro  in  un 
sol  caso  !  È  scaglia  la  sentenza  :  non  essere  in  Paler- 
mo begli  ingegni,  né  uomini  dotti,  né  sagaci,  né  reli- 
giosi ;  non  vedersi  al  mondo  gente  meno  svegliata ,  né 
più  stravagante;  men  vaga  di  lodevoli  azioni,  né  piii 
bramosa  d' apprendere  vizii. 

Ma  si  tradisce  col  filosofare  :  che  la  radice  di 
tanto  male  è  il  gran  mangiar  che  fanno  di  cipolle 
crude,  mattina  e  sera,  poveri  e  ricchi;  ond'han  gua- 
sto il  cervello  e  ammorzato  il  senso/  In  prova,  ecco, 
bevon  dei  pozzi  anziché  cercar  le  dolci  acque  correnti  ; 
ai  ragionar  con  essi  t'accorgi  c'han  le  traveggole ^ 
nel  guardarli  vedi  alla  cera  la  complessione  intristita. 
Ghiottoni,  che:  non  si  sgomentano  a  puzzo  di  cibi.  Su* 
dici  di  loro  persone,  da  far  parer  mondi  i  Giudei.  Allato 
^1  negrume  di  lor  case  diresti  bigio  un  focolare.  Nelle 
più  splendide ,  vedi  correre  i  polli  e  sconciare  la 
stanza  e  fino  i  guanciali  del  padrone.  Arrogo  che  in 
Sicilia  il  frumento  non  si  serba  da  un  anno  air  altro; 
e  sovente,  sì  malvagio  è  Taere,  inverminisce  su  Taia. 

Il  tempo  è  passato  che  scrivendo  la  storia  si  pren- 
dea  battaglia  per  simili  argomenti ,  e  che  la  carità  pa- 
tria, bamboleggiando,  avvampava  sol  nelle  inezie.  Pur 


*  I  medici  arabi  del  medio  evo  credono  fermamente  che  la  cipolla  of- 
fenda il  cerebro  a  ehi  se  ne  cibi.  lakùt,  nel  JfoV^m-ef-fioMfi,  Biblioteca 
Arabo-Sicula,  cap.  XI,  p.  107  del  testo,  mette  per  cemento  a  qoesto  passo 
d'Ibn-Haukal  l'ìestrattQ  d'un  libro  arabico  di  medicina,  oto  si  spiega  ap- 
punto con  IMndebolimento  del  cervello  e  dei  sensi ,  il  fatto  che  bevendo 
acqua  salmastra  dopo  aver  mangiato  cipolle ,  nomnon  senta  il  mal' sapore 
dell'acqua. 


iwa.l  —  508  — 

non  debbo  ricusare  ai  miei  concittadini  musulmani  di 
nove  secoli  addietro  il  giusto  giudicio,  secondo  parer 
mio,  come  farei  pei  Medi  o  i  Cinesi:  Dico  dunque 
che  la  storia  letteraria  della  Sicilia  dalia  metà  del 
decimo  alla  metà  del  duodecimo,  secolo. non  mostra 
pè  ingegni  grossi  né  studii  negletti;  e  Ibn-^Hajukal  me- 
desimo cel  dà  a  vedere  quando  ricorda  i  logici  che 
favellavano  d'Aristotile,  i  trecento  maestri  di  scuola 
e  le  tante  moschee ,  parte  delle  quali  serviva ,  come 
ognun  sa,  agli  studii  eh' or  diciamo  unWersitarii.  Cer- 
tamente, nel  secolo  che  corse  da  Ibn>Haukal  alla  guerra 
normanna  la  cultura  progredì  sotto  i  Kelbiti  ;  ma  non 
poteva  giacer  sì  bassa  al  suo  tempo.  Lo  stesso  penso 
deir  incivilimento  esteriore,  che  pur  era  sì  notevole 
nella  detta  guerra  e  dopo,  come  l'attesta  qualche  poe- 
sia d'Ibq-Hamdis ,  al  par  che  una  geografia  anonima,^ 
e  Ibn-Giobair  e  Ugone  Falcando  e  con  essi  tutta  la 
storia  della  dominazione  normanna.  Quanto  alle  virtù 
religione  secondo  lor  setta,  le  meno  importanti  si  spn 
viste  nelle  biografie  dei  devoti  :  la  primaria,  oh'  era 
il  genio  guerriero,  splendè  in  due  nobilissime  vittorie 
riportate,  l!una  pochi  anni  innanzi  a  Rametta  sopra 
l'impero  bizantino,  l'altra  pochi  anni  appresso  in 
Calabria  sopra  Otone.  secondo.  Però  l' aspra  censura 
è  accozzata,  come  per  lo  più  avviene,  d' errori  e  di 
verità.  Errore  fu  d' Ibn-Haukal ,  che. ,  praticando  coi 


<  L'opera  anonima  intUolata  Geografia,  compilata  di  certo  nel  X  se- 
colo ma  interpolata  appresso,  cava  da  Ibn-Haukal  alcune  notizie  su  la  Si- 
cilia, e  aggiugne  che  i  cittadini  di  Palermo  si  segnalassero  su  tutti  i  po- 
poli yicini  per  eleganza  di  arredi  e  di  \esMmenta  e  urti^nità  nel  tratto  ec. 
Ma  è  dubbio  se  la  fonte  di  questo  passa  sia  del  X  secolo  ovvero  dei  due  se- 
guenti. 11  testo  si  legge  nella  Biblioteca  ArabO'Sieula,  cap.  V,  p.  12  e  13. 


—  509   —  [972.1 

mercatanti  del  paese,  ritrasse  la  nobiltà,  i  dottori  e 
la  plebe  con  tutte  le  sembianza  che  qaei  lor  davano 
per  invidia  di  classe.  Errore,  ch'ei  condannò  come 
vizii  fisici  e  morali  tutte  le  qualità  insolite  eh'  ei  no- 
tava in  quei  Musulmani  misti  di  sangue  greco  e  la- 
tino; mezzo  stranieri  ai  lineamenti  del  volto,  alla 
carnagione,  alla  pronunzia,  àgli  usi,  né  ben  domati  a 
tutte  pratiche  delF islamismo.  Verità  era  il  fermentar 
dei  molti  elementi  eterogenei  dr  che  sf  componea  la 
popolazióne  della  Sicilia  e  sopratutto  di  Palermo: 
taùte  schiatte  ;  islamismo  '  e  avanzi  palesi  o  latenti 
di  cristianesimo;  diritti  civili  disugnali,  ricchezza  e 
miseria,  violènza  guerriera  e  industria;  torre  di  Ba- 
bele, in  cui  dovèano  pullulare  superbia,  rancori,  abie- 
zione e  infitiite  piaghe  sociali.  Se  molte  n'esagerava 
nella  sua  mente  il  buon  mercatante  di  Bagdad,  molte 
pur  ne  toccava  con  mano. 

'  E  in  Sicilia  non  solo,  ma  in  Spagna,  ma  in  tutti 
gli  stati  musulmani  del  Mediterraneo.  A  leggerei  suoi 
scritti  lo  si  direbbe  disingannatq  e  dispettoso  del 
non  aver  trovato  in  Ponente  la  virtii  civile  che  man- 
cava a  Bagdad;  comei  mali  pròprii  s'appongon  sem- 
pre al  destino,  e  gli  altrui  a  chi  li  patisce.  Similmente 
avviene  che  giudicando  gli  stranieri  si  vegga  in  molte 
cose  la  superficie,  si  sconoscano  le  virtù,  ma  s'im- 
bercin  diritto  i  vizii  fondan^entali  ;  il  che  mi  par  ab- 
bia fatto  Ibp-Haukal  nella  descrizione  generale  del 
Mediterraneo.  Toccando  quivi  di  Cipro  e  Creta  :  «  Le 
tennero  »  éi  dice  a  i  Musulmani,  i  figliuoli  dei  com- 
battenti della  guerra  sacra;  ma  T invidia  e  la  crudeltà 
invasaron  cotesti  popoli,  al  par  che  que'dei  Confini 


* 

(972  1  —   310  — 

deir impero,  della  Mesopotamìa  e  della  Siria  ;  proruppe 
tra  loro  il  mal  costume,  la  iniquità,  V  ingordigia,  la 
discordia,  la  perfidia,  Tedio  scambiévole  ;  si  che  co- 
storo apriron  la  strada  ai  nemici  e  serviranno  tl^àm- 
monimento  a  chi  ben  consideri  gli  «venti.  »  ^  E  pria 
di  terminare  il  capitolo:  a  In  oggi,  r>  ripiglia,  <c  i  Rum 
offendono  i  Musulmani  con  ogni  maniera  di  scorrerie 
su  le  costiere  di  questo  mare ,  e  fan  preda  di  nostre 
navi  d'ogni  banda;  né  abbiam  chi  ci  aiuti  né  ci  di- 
fenda. Abietti  si  calano  i  nostri  principi ,  pieni  d' ava- 
rizia e  di  superbia  in  casa;  i  dotti  non  curano  né 
intendono,  ti  danno  responsi  commentando  come  a 
lor  piace,  né  pensano  a  Dio  né  alla  vita  futura  ;  pes- 
simi i  mercatanti,  non  rifuggon  da  cosa  illecita  né  reo 
guadagno;  i  devoti  balordi,  pronti  a  voltar  casacca, 
fanno  cammino  in  ogni  calamità  e  spiegan  la  vela 
ad  ogni  vento  :  e  però  i  confini  e  le  isole  rimangono 
in  balia  dei  nemici,  e  la  terra  si  lagna  con  Dio  della 
iniquità  di  cui  la  tiene.  »  ^    \ 


CAPITOLO   VI. 

In  questo  tempo  T  ateista  di  Moezz  con  Niceforo 
par  abbia  preso  quella  sembianza  di  lega  che  i  ero- 
nisti  occidentali  rinfacciano  air  impero  bizantino.  Già 


*  Ibn-Hat(kal,  GiMgrafia,  MS.  di  Leyde,  p.  69,  e  fog.  97  della  copia  di 
Parigi,Siippl.  Àrabe,  889. 

>  Op.  cit.,  p.  71  del  MS.  di  Leyde  e  fog.  98  verso  della  copia  dr  Pa- 
rigi. 


-r-  311    —  [968-9691 

da  parecchi  anni  Otone  primo,  cominciava  a  colorire 
i  disegni  sopra  T  Italia  meridionale,  come  accennam* 
mo  ;  profferiva  da  sovrano  feudale  aiuti  a  PandolfoCapo 
dr  ferro  principe  di  Capua  e  Benevento  contro  Nice- 
foro  rivoltò  al  racquistp  della  Puglia  ;  tentava  senza 
frutto  di  tirare  a  sé  il  principe  di  Salerno  ;  d^  ottobre 
del  sessantotto, correa  con  incendìi  e  rapine  i  confini  di 
Calabria  e  dello  stato  salernitano  ;  accattava  forze  na* 
vali  dai  Pisatii  che  poco  appresso  @i  veggono  com- 
battere in  Calabria  ;  '  di  marzo  del  sessantanpve  in->> 
calzava  V  assedia  di  Bari  tenuta  dai  Bizantini  ;  e  in 
quel  tomo  inviava  aiuti  a  Pandolfo,  che  fu  vincitore 
e  poi  vinto  a  Bovino.  *  La  pratica  del  matrimonio  del 
figliuolo  con  la  principessa  greca  Teofane,  anziché 
comporre,  rinvelepì  gli  animi  (giugno  ad  ottobre  968) 
per  la  perfidia  che  v'  odorò  la  corte  bi;zantina,  la 
ingiurìa  che  incontrò  a  -Costantinopoli  V  ambascia- 
tore Liutprando,  e  il  vero  o  supposto  tradimento 
dei  Bizantini  che  dettero  addosso  in  Calabria  alle 
genti  di  Otone  quando  liete  venianp  a  ricever  la 
sposa  (969).  Seguirono  dunque  in  Puglia  tra  le  armi 
de-  due  imperi  parecchi  scontri  che  non  occorre  di- 

'  Del  963.  Otone  andò  a  Pisa,  ove  rimasero  alcuni  nobili  tedeschi:  Sar- 
do, Crùnaea  Pisana,  ueWÀrehivio  Storico  italianOf  tomo  VI,  parte  II,  p.  75. 
Del 971  furono  in  Calabria  i  Pisani:  Marangone,  Cronaca  Pitana,  nello 
stesso  volume  àeW  Archivio,  p.  4,  ovvero  nel  969  secondo  la  Chronica  Pi* 
sana,  presso  Muratori,  Rerum  Italicarum  Scriptores,  tomo  VI,  p.  107,  seg. 

>  Si  confrontino,  la  Cronica  anonima  Salernitana  presso  Pertz ,  Scri- 
ptores, tomo  III,  p.  554,  che  nbn  porta  date  precise,  e  Lupo  Protospatario, 
presso  Pertz,  Scriptores,  tomo  V,p.  55,  anno  969,  dove  il  passaggio  d'Otone 
in  Calabria  è  riferito  air  ottobre  dello  stesso  anno  in  cui  fu  una  eccllsse  di 
sole  in  dicembre.  Lo  stesso  troviamo  negli  Annales  Casinatenses ,  Pertz, 
Scriptores^  III,  171.  L* eccllsse  seguì  il  22  die.  968.  Romualdo  Salernitano 
autore  del  XII  secolo  dà  i  medesimi  fatti  con  qualche  divario  presso  Mura- 
tori, Rerum  Italicarum  Scriptores,  tomo  V,  anno  967. 


[970-975]  —  312  — 

visar  qui.'  NeiruQ  dei  quali  for^e  il  novecensessaototto 
due  Landolfi,  fratello  e  figliuolo  di  Pandolfo  Capo  di 
ferro,  combatteano  in Qrdoua  contro  i  Greci  e  i  Musul- 
mani uniti  insieme  e  metteanli  in  fuga  ;  ma  il  giovane 
Landolfo  vi  toccò  una  ferita.*  Atto  figliuol  del  marchese 
Trasimondo  di  Spoleto,  del  novecensettantadue,  ruppe 
un  capitan  musulmano  Bucoboli,  e  insegnino  infino  a 
Taranto  :  '  forse  ausiliare  mandato  da  Moezz  pria  della 
morte  di  Niceforo  Foca  ;  forse  capitan  di  ventura  ai 
soldi  del  principe  di  Salerno,  o  della  repubblica  di 
Napoli,  la  quale  era  stata  poc'  anzi  (970)  assalita  da 
Olone.        *       . 

Ma  Zimisce,  ucciso  Niceforo  (1 1  dicembre  969)  e 
salito  sul  trono,  fermò  la  pace  con  Otone  e  le  nozze 
di  Teofane  col  figliuolo  ;  ^  talché  mancava  una  ragione 
deir  accordo  tra  Costantinopoli  e  i  Fatemiti,.  3vanì 
r  altra  ragione  per  le  vittorie  di  Zimisce  in  Siria  e  di 
Moezz  sopra  i  Karmati  ;  donde  tolti  via  i  nimici  cor 
muni,  cominciarono  V  un  contro  T altro  a  digrignare.  '^ 


<  Si  \egga  Muratori ,  Annali  d'Italia,  968  a  970. 

>  Chronica  Sancii  Benedicti,  presso  Pertz,  Scriptores,  HI,  p.  209,  nel 
cenno  i^a  l^andolfo  l'Ardito  che  cominciò  a  regnare  il  9S8(si  corregga  908). 

'  Lupo  Protpspatario,  presso  Pertz,  Scriptores,  tomo  V,  p.S5.  Ei  dà.  il 
lìlolo  di  Caylus  (Kald)  a  questo  Bucoboli,  forse  Abu-Kab^ii,  con  40,000  Sa- 
raceni, 0  secondo  altri  MS.  14,000.  Alto  avea  secondo  alcuni  MS.  60,000  uo- 
mini. Queste  cifre  non  sono  da  attendere  né  punto  né  poco;  e  certo  si  tratta 
d'una'  piccola  schiera,  poiché  non  fan  memoria  di  questa  impresa  gM  annali 
musulmani  d'Affrica  né  di  Sicilia.  Si  vegga  anche  De  ileo  ^  Annali  di  Napo- 
li, tomo  VI,  p.  90,  il  quale  s'affatica  a  mostrare  che  questa  battaglia  se- 
guisse il  973.  Lascio  indietro  le  fazioni  di  Saraceni  in  Calabria  interpolate 
nella  Cronica  della  Qava,  edizione  del  Pratili!,  anni  970,  973.    . 

*  Chronicon  Sc^lernitanum,  presso  Pertz,  Scriptores,  tomo  ili,  p.  956, 
anno  970.  Si  vegga  anche  Le  Beau,  Hisloire  du  Bai  Empire,  lib.  LXXV, 
§51. 

s  I  Fatemili  sul  fine  del  974  e  il  principio  del  975  presero  Tripoli  di 
Sira  e  Beirut,  cacciati  i  presidii  bizantini  Si  vegga  Qualremére,  Vie  de 


—  513   — *  |976.| 

Morirono  poi  entrambi  entro  due  settimane  (24  di- 
cembre 975, 7  gennaio  976);.e  ricaduto  l'impero  bizan- 
tino in  gare  di  corte  e  guerre  civili,  non  seguirono  altri 
effetti  contro  i  Fatemiti,  ma  non  si  rappiccò  né  anco  la 
pace.  In  Puglia  intanto. eran  già  venuti  alle  armi.  Del 
novecensettantacinque  uno  Zaccaria,  che  par  greco 
al  nome,  avea  preso  Bi tonto,  ucciso  prioia  Ismaé- 
le,  musulmano  al  nome,  condotlier  ausiliare  odi 
ventura.  ' 

L' ardimento  di  sbarcar  non  guari  dopo  a  Mes- 
sina, mostra  che  i  Bizantini  andassero  co'  nuovi  con- 
tro i  vecchi  amici.  Tornano  a  quésto  tempo  i  prepa^ 
ramenti  navali  di  Niceibfo,  maèstro ^  come  s'intitolò, 
di  Calabria,  il  quale,  secondo  lègge  bizantina,  fece 
armare  salandre  a  spese  delle  città  per  difender  le 
costiere  e  assaltare  la  Sicilia  ;  e  tanto  aggravò  quei 
di  Rossano;  eh'  arser  le  navi  e  ammazzarono  i  proto- 
carebi;'e  il  governatore,  dopo  molte  minacce,  per- 
donò loro  a  intercessione  di  San  Nilo  il  giovane,  o 
perchè  non  era  agevol  cosa  a  punire.  *  Sembra  che 
coi  Bizantini  si  siano  accozzati  i  Pisani,  testé  venuti 
in  Calabria  ai  servigi  dell'Impero,  e  che  abbian  fatto 

Moe%%,  estratlò  dal  Journal  Atiatiqu$t  p.  126  e  128.  L'ambasciatore  Nio* 
colb  era  tornato  a  corte  di  Moeupoco  avanti  la  costui  morte,  ma  si  è  visto 
già  come  gii  parlava. 

.  '  Lupo  Protoepaiario,  anno  975,  presso  Pertx,  Seripiores,  tomo  V, 
p.  8K. 

*  Vita  di  San  Nilo  il  giovane,  testo  giìeco  e  versione  latina  (li  Giovan 
Matteo  Garyopbilo,  Roma  1824,  in-4,  p.  Ii2,  seg.  Questo  Niceforo,  che  pri- 
mo e  solo  ebbe  ebbe  tictìlo  di  fióiyivFpoq  in  Calabria  si  dice  mandato  dai  pli 
imperatori,  e  però  da  Basilio  e  Costantino,  e  dopo  la  morte  di  Zimisce. 
D'altronde  la  data  s'adatta  alla  età  che  avea  allora  San  Nilo,  la  cui  vita 
r agiografo  tratta  con  ordine  cronologico;  e  gli  avvenimenti  mostrano  che 
dal  965  jsino  alla  Bne  del  secolo!  Bizantini  non  poteano  avere  il  ticchio  di 
assalii  ia  Sicilia  che  nel  976. 


|976j  —  314  — 

l'impresa  con  forze  navali  soltanto.  Occupavan  Messina 
alla  prima.  SopracGorreayi  Abti-l-Kàsem  con  resercito 
siciliano  e  gran  compagnia  di  dotti  e  virtuosi  cittadini , 
scrìve  Ibn-él-Athtr,  quasi  a  smentire  Ibn-Haukal.  Del 
mese  di  ramadhan  del  trecensessantacinque(mag.976) 
entrava  nella  città,  dove  i  nemici  non  Taspettarono. 
Inseguendoli  pertanto  di  là  dallo  stretto,  rìsali  con  le 
genti  fino  a  Cosenza;  la  quale  assediò  parecchi  giorni  ; 
e  chiestogli  raccordo  per  danaro,  assenti;  e  andò  a 
porre  la  taglia  nella  stessa  guisa  alla  ròcca  di  Cellara, 
indi  ad  altre  terre.  Mandava  intanto  il  fratello  Kà'sem 
con  Tarmata  su  le  costiere  di  Puglia,^  commettendogli 
dì  spingere  le  gualdane  giù  per  la  Calabria  ov'ei 
guerreggiava  ed  grosso  delle  genti.  *  l  Musulmani 

<  Iq  lluì-el-Athir,  $olo  cbe  dia  il  faUo,  si  legge  barbuta.  Ciò  mi  fece 
pensare"^ a  Paola  di  Calabria;  e  si  proposi  questa  lezione  nella  Biblioteca 
ArabiHSiculfi,  <p.  268  del  testo.  Poscia  ho  considerato  cbe  la  prima  voce  sia 
da  leggere  barr  "  terra,*  però  la  seconda  bùlia,  ossia  Puglia ,  aggiugnendo 
una  lettera  dopo  la  l.  A  ciò  mi  conduce  anche  la  fazione  di  bravina. 

>  Sì  riscontrino:  Ibn»el-Atbtr,  anno  365;  MS.  A,  tomo  HI,  fog.  9  verso; 
MS.  B,pag.375;MS.C,tomoV,fog.  16  recto ec.;Abulfeda,  Annales  Moslemi- 
ci,  365,  tomo  II,  p.  534,  ed  Hagi'-Khalfa,  Cronologia,  versione  italiana  del  Carli, 
p.  65.  Dei  MS.  dMbn-^el-Athìr,  6,  ha  con  le  vocali  Kosenta;  gli  altri  e  Abul- 
feda  non  pongono  vocali  e  sbagliano  i  punti  diacrilici.  L'altra  città  è  scritta 
Gelwaìn  6,eneirantografo  d*Aba1feda,MS.  della  Biblioteca  di  Parigi,  Snppl, 
Arabe,  750,fog.  163  verso;  degli  altri  MS.  dei  due  annalisti,  qual^  hstGtlwa, 
quale  £7«iu;a.  Lo  scambio  tra  la  u;  e  la  r  che  si  vede  sovente  nei  MS;  arabi 
sopratutto  in  caratteri  affricani,  ci  dà  animo  a  leggere  Cellara:  che  la  g 
arabica  risponde  alla  nostra  e,  e  la  doppia  l  noh  si  dovea  scrivere  ma  ac- 
cennare soltanto  con  un  segno  ortografico.  Cellara  è  picciol  comune  del- 
Todierno  distretto  di  Cosenza  tra  quésta  città  e  Rogliano.  Io  ogni  modo 
non  si  può  assentire  a  M.  Des  Vergerò  la  lezione  CaÙagirone  ch'ei  vien 
proponendo  nel  dare  questo  squarcio  d' Ibn-el-Alblr,  in  nota  a  Ibn-Kbal- 
dùn,  Bistoire  de  VAfrique  et  de  la  Sicile,  p.  175; 

,  Marcò  Dobelio  Citerone  nella  versione  di  Scehab-ed-dln-*Omari,o  al- 
cuni degli  eruditi  siciliani  che  la  stamparono,  lessero  ih  vece  di  Counia^ 
Catania;  e  in  vece  di  Geliva,  Avola,  indi  il  Wenricb,  Commentarii,  lib.  I, 
4»p.  XV,  §  131 ,  a  supporre  una  rivoluzione  in  Catania  ed  Avola  di  Sicilia. 
Ma  né  il  testo  di  Abulfeda  copiato^  da  Scehad-ed-dtn,  né  il  complesso  dei 


—  M5  —  [976-977,1 

assaliron  Gravina  ìd  Puglia,  che  fu  indarDo,  al  dir  d'una 
cronica  latina  ;  al  dir  d' un'  altra  la  presero  :  ma  forse 
s'appongono  entrambe  al  vero,  se  finì  con  pagare  la 
taglia/  Sparso  molto  sangue,  fatto  gran  bottino  e  copm 
di  prigioni ,  Y  emiro  e  il  fratella  tornavano  in  Cicilia.* 
^  Dove  Abu-i-Kàsem,  non  dimenticato  l'assalto  di 
Messina,  ristorava  la  forte  rócca  di  Rametta,  Tanno 
retcensessantasei  (29  agosto  976,17  agosto  977),  e  vi 
ponea  presidio  capitanato  da  un  suo  schiavo  negro.  ' 
Ripassò  poscia  in  Terraferma,  investì  Sant'Agata,  quella 
forse  cbe^  s' addimanda  di  Reggio  ;  tantoché  i  citta-* 
dini  ne  uscirono  per  accordo,  consegnatagli  la  rócca 
e  quanta  roba  v'era/  Così  Ibn-el-Athtr  :  un  altro  cro- 
nista arabico  dice  sbarcato  Abu>l-Kàsem  alle  ^Torri'' 
{Abràgia^^dove  messosi  l'esercito  a  rapire  pecore  e  buoi 
e  trd:endosene  dietro  una  infinità  che  impediva  il  cam^ 
mino,  il  capitano  li  fece  sgozzar  tutti  in  un  luogo,  al 
quale  indi  rimase  infino  ai  dì  del  cronista  il  nome  di 
Monakh-el-bakar  o  diremmo  noi  la  "Posata  del  bestia- 
me."^ Appressandosi  i  Musulmani  a  Taranto,  i  citta- 


falli  permelloDO  questo  sopposlo,  Unto  meno  perdonabile  (fMSìiò  il  Mar- 
torana,  tomo,  I,  p.  22S,  nota  155,  avea.  mostrato  la  dritta  strada. 

*  Si  riscontrìoo  Lupo  Protospatario,  aano  976,  e  Romualdo  Salermita- 
no,  stesso  anno,  nei  citati  Tolumi  di  Pertz  e  M aratori. 
.    ^  Ibn-el-AUilr  e  Abulfeda ,  il.  ce. 

.  3  Si  riscontrino  Ibo-el-Alblr,  L  e,  e  Nowairi  presso  il  DI  Gregorio, 
Umim  Arùbiearum,  p.  19. 

«  U)ii-el*Atblrt  1.  e. 

6  Abolfòda,  inno/ea  MMlemid,  tomo  li,  p.  450,  sotto  Tanno  356,  Ira* 
scrivendo  Ibn-Scedd&d.  Perciò  si  deve  intendere  del  XII  secolo.  Risponde^ 
rebbe  per  avventura  al  significato  di  JtfofiaJ(^-e/-Baitor  il  nome  di  Vaccariszo 
nella  Calabria  citeriore,  distretto  di  Rossano.  Ma  v*ha  Beva,  Bovino  e  tante 
appellazioni  delia.stessa  etimologia  nel  regno  di  Napoli,  cbe  non  si  pub  fare 
congbiettura  ben  fondata.  Lo  stesso  si  dica  del  nome  topografico  :  Le 
Torri. 


[977.1  —  316  — 

dini  sgaisciaron  via ,  chiùse  le  porte  in  atteggiamento 
di  difesa,  per  intrattenere  il  nemicò  :  e  questi  saliva 
le  mura,  credendo  dar  battaglia  ;  se  non  che,  accor- 
tosi della  burla,  pose  fuoco  alla  città  e  distrussene  a 
suo  potere.  Giunse  Abu-^l-Kàsem  ad  Otranto;  corse 
altre  città  delle  quali  non  ci  si  dicono  i  nomi  ;  ^  ma 
sappiam  che  Oria  in  Terra  d' Otranto  e  Bovino  in  Ca- 
pitanata, furon  arse  entrambe ,  e  il  popol  minuto  d'Oria 
condotto  prigione  in  Sicilia.  '  Assalita  per  ultimo  una 
città  che  mi  par  da  leggere  Gallipoli,  '  e  presone  la 
taglia,  r  esercito  si  riduceva  in  Sicilia,  con  -torme  di 
prigioni,  salmerie  di  ricche  spoglie,  e  vanto,  che  paréa 
gloria,  d'aver  dato  il  guasto  a  sì  vasto  tratto  di  paese 
che  fa  in  oggi  mezzo  il  reame  di  Napoli.  *  I  cronisti 
noverano  due  altre  imprese  tf  Abu-1-Kàsem  in  Ter- 
raferma tra  il  settantotto  e  T  ottantuno,  senza  nar- 
rarne i  particolari." 

Inaspettatamente  qui  viene  un'  agiografia  greca 
ad  attestare  il  gentil  animo  dell'  emir  di  Sicilia.  Ma 
principieremo  da  più  alto,  poiché  i  costumi  del  pò- 

*  Ibn-el-Athir,  I.  e. 

*  Si  riscontrino  Lupo  Protospatario,  anno  977,  e  Romualdo  Salernita- 
no, 976,  nei  citali,  volami  di  Pertz  e  Muratori. 

'  il  fatto  è  nei  solo  ibn-el-Athlr,  e  in  tutti  i  MS.  questo  nome  è  quasi 
senza  punti  diacritici.  H.  Des  Vergers  nella  nota  che  citai  propóne  di  leg- 
gere Gravina.  Ma  v'ba  la  differenza  del  tempo  e  del  luogo,  polche  Gravina 
fu  assalita  il  976  é  giace  in  Puglia.  Oltre  a  ciò  si  dovrebbe  mutata  di  for- 
ma qualche  lettera.  Leggendo  GaripoU  non  aggiungo  altro  che  i  punti  dia- 
critici, e  posso  ben  supporre  che  i  Musulmani  del  X  secolo  pronunziassero 
in  questo  modo  Gallipoli,  come  i  Siciliani  d'oggidì.  Va  avvertito  qui  che  si 
potrebbe  trattare  per  avventura  d'un  casale  presso  Catanzaro  chiaroata^ 
Garopoli  nel  XVill  secolo.  Veggasi  Sacco,  Dizionario  geografi^.o  del  regno 
di  Napoli ,  Napoli ,  i  795-6,  iu-8. 

*  ibn-ei-Aiblr  e  Abulfeda,  11.  ce. 

»  Nov7airi,l.  e,,  novera  cinque  imprese  d'Abu-WKàsem  in  Terraferma, 
delle  quali  l'ultima  il  372,  e  la  prima  il  3éS. 


—   517   —  (977  1 

polo  assalito,  e  uà  po' anco  degli  assalitori,  per  tatto 
il  decimo  secolo  son  come  l' ordito  di  cotesto  scrìtto, 
con  tramia  sì^discreta  di  soprannaturale,  da  non  far 
impedimento  alla  vista.  Diciamo  della  Vita  di  San  Nilo 
da  Rossano,  dettata  da  un  compagno  e  discepol  suo 
alla  fine  del  decimo  a  princìpio  dell'  undecime  seco- 
lo. Nacque  San  Nilo  verso  il  novecentotrè;  morì  verso 
il  novantotto.  Studiò  i  santi  padri,  cioè  Antonio  Sa- 
ba, e  Uarione,  scrive  il  discepolo;  quantunque  non  gli 
mancassero  libri  ne  ingegno  da  apprendere  negro- 
manzia, se  Tavesse  voluto/  Una  febbre  lo  fé'  pensare 
alla  morte,  giovane  di  trent'  anni  ;  perilchè  abbando- 
nati i  beni  ed  una  figliuola  naturale  ch'avea,  si  ton- 
surò nel  monastero  di  San  Mercurio  e,  corse  a  cer- 
care ^silo  in  quel  di  San  Nazario,  *  dove  non  arrivas- 
sero le  branche  del  governatore  bizantino,  il  quale  Io 
vQlea  sfratare  e  tornare  al  duro  giogo  di  decurione. 
Fuggendo  dunque  solo  é  a  pie  in  riva  al  mare,  ecco 
saltargli  addosso  dalle  fratte  un  barbaro  saraceno,  se-^ 
guito  da  Etiopi  con  occhi  di  bragia  che  avean  li  ti- 
rata loro  barca.  E  il  barbaro  a  interrogarlo;  e,  inteso 
che  andasse  a  fare  i  voli  monastici,  si  messe  umana- 
mente a  persuaderlo  d' aspettar  la  vecchiaia  a  lasciare 
il  mondo.  Vistolo  risoluto,  T  accomiatò  che  tremava  da 
capo  a  pie  ;  ma  pensato  meglio,  li  corse  dietro  gri- 
dando :  "Fratello,  aspetta  aspetta;  **  e  volle  provve- 


<  Viù  citata  di  San  Nilo  il  giovane,  p.  4.  Il  testò  lia  fu>axrflè  ed  c^o/> 

*  Il  De  Meo,  Annali  di  Napoli,  tomo  V,  p.  257,  anno  938,  spiega  che 
il  monistero  di  Saù  Nazario,, poi  detto  di  San  ^ilareto ,  ad  un  miglio  da-Se- 
minara  e  sei  ila  Palma ,  apparteneva  allo  stato  di  Salerno  e  quel  di  San  Mer- 
curio ai  Bizantini. 


[m.]  —  518  — 

derlo  per  Io  viaggio  di  pani  finissitnì,  scusaDdosi  che 
non  avesse  in  pronto  altro  da  mangiare.  Fu  costrutta 
poi  in  miracolo  tal  ordinaria  carità  inusudmana  a 
povero  viandante:  fu  creduto  il  demonio  in  carne  e  in 
ossa  un  gentiluomo,  il  quale  cavalcando  presso  San 
Nazario,  intendendo  il  proponimento  del  giovane,  lo 
chiamò  pazzo ,  poiché  se  volea  salvar  r  anima  potea 
far  penitenza  in  casa  senza  ficcarsi  tra  1  frati,  ^avari," 
dicea,  ** pieni  di  vanagloria,  dati  tutti  alla  crapula;  che 
un  caldaio  di  lor  cucine  capirebbe  me  ritto  in.  piedi 
e  mezzo  questo  mio  cavallo.  "  Preso  T  abito,  tornato 
a  San  Mercurio  dopo  un  pezzo,  Nilo  si  segnalò  per 
obbedienza  monastica,  flagellarsi,  pregare,  vestir  ci- 
uccio che  mutava  una  volta  ogni  anno,  pazienza  dello 
schifo  e  disagio;  ed  anche  assiduità  allo  studio,  belle 
massime  di  carità  cristiana,  e  -mondana  sagacità  e 
prudenza.  * 

Donde  sali  in  fama  di  saiitità  :  riveirito  .dai  magi- 
strati; andaron  vescovi,  arcivescovi,  ciambellapi  dì  Co- 
stantinopoli  é  i  governatori  stessi  di  Calabria  a  richie- 
derlo di  vaticinii  e  c(msigli  ;  '  fondò  il  monastero  di  Grot- 
taferrata  presso  Roma;  vinse  T antipatia  della  schiatta 
italica  e  oltramontana  a  sua  favella  e  greca  profusione 
di  capelli  e  barba;'  fii  onorato  in  sua  vecchiezza  a 
Monte  Cassino,  a  corte  dei  principi  di  Capua^  dallimper 
ratore  Otone  terzo  e  da  Gregorio  quinto,  dai  quafi  im- 
petrò grazia  all'antipapa  Filargato,  *  Pria  di  pervenire  a 

'  Vita  di  San  Niloy  pag.  5  a  37. 
'  Op.  cfl.,  passim. 

B  Vita  di  Sant'Adalberto,  Ada  Sanctorum,  33  aprile. 
•  Vita  di  San  Nilo,  p.  124  a  133,  e  si  eonfrpDtio  le  citate  agiografie  d! 
Sant'Adalberto. 


—   319  —  (977.| 

tanta  altezza,  avea  patrocinalo  rei  minori,  come  i  solle- 
vati di  Rossano  di  cui  dicemmo,  ed  un  giovane  di  Bisi- 
gnano  che  svaligiò  ed  uccise  un  giudèo,  ed  i  magistrati^ 
Io  volean  dare  in  mano  alla  ^comunità  israelita.  *  San 
Nilo  gareggiò  a  suo  modo  nelFarte  salutare  col  medico 
giudeo  Sciabtai  Donolo,  uom  di  molta  sapienza  a  quel 
tempo  in  Calabria.  '  E  pome  ci  véngon  visti  nella  vita 
del  Donolo,'cpsì  anco  in  quella  di  SanNilo  i  Musulmani 
di  Sicilia, ch'erano  per  fermo  il  flagello  principale  delle 
Calabrie,  dopo  i  governatori  bizantini.  In  una  spaven- 
tevole incursione,  quella,  come  parmi,  d'Hasan  del  no- 
vecencinquantuno  o  del  cinquaptadue,  i  monaci  di  San 
Mercurio  si  rifuggivan  qua  e  là  per  le  castella;  San 
Nilo  rimanea  nel  romitaggio  d'  una  spelonca  vicina, 
donde  vide  la  polvere  dei  cavalli  nemici  ;»e,  campato 
su  nella  montagna,  tornando,  trovò  che  gli  avean  ru- 
bato  fino,  un  sacco  di  cilicio,  e  il  monastero  deso« 
lato,  e  mancava  un  fedél  suo  compagno.  Cui  volendo 
riavere  o  rimaner  prigione  con  essolui,  si  poneva  al- 
l'aperto  in  mezzo  alla  strada;  vedea  venir  dieci  ca- 
valieri vestiti,  armati  e  cinti  le  teste  dì  fazzoletti  *  alla 
foggia  dei  Saraceni  ;  quand'  eccoli  smontare,  inginoc- 
chiarsi :  ed  erano  gli  aUtatori  d' un  castello,  che  così 
travestiti  scorreano,  se  per  far  bene  o  male  non  so, 
i  quali  lo  accertarono  essere  salvo  il  compagno.*  Po- 
sate  poscia  le  ^rmi  musulmane,  seguitoli  tumulto  di 
Rossano  che  narrammo,  San  Nilo  presagì  la  novella  ^ 

«Op.  ciL,  p.  65. 

•  Op.  cil. ,  p.  88,  seg. 

'  Si  Tegga  il  presente  volume,  p.  171-172 ,  Libro  HI,  cap.  VIIJ. 

s  Yiia  di  5a»  tm^  p.  54. 


1977.1  —  320  - 

tempesta.  Tornò  allora  a  Rossano  rarcivescovo  Ylatto, 
con  molti  prigioni  riscattati  in  Affrica ,  per  credito 
delia  sorella  cb'  era  moglie,  come  diceano,  del  re  dei 
Saraceni  :  qualche  schiava  favorita  del  Mehdi  o  di 
Kàim.  Dondecbè  proponendosi  Ylatto  di  andar  nuo- 
vamente in  Affrica  a  liberar  altri  Calabresi,  San  Nilo 
lo  ammonì  non  si  arrischiasse  in  quella  tana  di  vi- 
pere che  alla  fin  fine  l'avrebbero  morso:  e  in  fatti, 
andato,  mai  più  non  tornò.  *  In  quel  medesimo  tempo 
si  raccendea  la  guerra  musulmana  in  Calabria;  vati- 
cinava San  Nilo  che  la  non  finirebbe  di  corto ,  e  dis- 
togliea  lo  stratego  Basilio  dal  fabbricare  una  chiesa, 
che  gli  Infedeli,  dicea,  la  demolirebbero  immantinente 
occupando  il  paese.  "  Nella  guerra ,  forse  del  nove- 
centosettaEktasette,  riparatosi.  San  Nilo  nel  castello 
di  Rossano,  rimasero  nel  cenobio  tre  frati,  che  furpn 
menati  prigioni  in  Sicilia.  ' 

A  riscattarli  ei  vendea  delle  canove  del  jnonar 
stero  il  valsente  di  cento  bizantini  d' ero,  ^  e  con  un 
frate  fidato  e  un  giumento  donatogli  da  Basilio  stra- 
tego, li  mandò  in  Palermo,  con  lettere  per  quel  prin- 
cipe, dice  la  cronica,  cui  chiamano  Amira,  e  altjre  ad 
lan  segretario,  -  braV  uomo  e  cdstianissimo;  Il  quale 
tradotta  V  epistola  air  emiro ,  quei  la  lodava  di  dot- 
trina e  prudenza,  e  vi  raffigurava  lo  stile  d' un  ami- 
co ^  di  Dio  :  onde  onorato  molto  il  messaggiero  e  re- 


<  Op.  cit.,p.  117, 118. 
s  Op.  cit. ,  p.  123. 
»  Op.  clt. ,  p.  120. 

'  VOTOC^lOV. 

*  È  versione  liiterale  della  voce  arabica  walh  *  eletto,  amìcoi  santo  ec. 


—  521  —  [m\ 

galatolo,  mandava  a  San  Nilo  an  presente  di  pelli  di 
cervi  e  aggiagneavi  questa  lettera:  a  Colpa  tua,  ch'eb^ 
bero  dispiacere,  i  tuoi  frati  ;  poiché  se  me  n  avessi 
richiesto,  ti  avrei  spacciato  una  cifera^  che  bastava 
affissarla  in  su  la  piazza,  e  niuno  avrebbe  molestato, 
il  monastero,  né  sarebbe  occorso  fuggirtene  via. 
Adesso,  se  non  temi  di  venirne  appo  di  me,  potrai 
soggiornare  liberamente  nel  paese  che  m'obbedisce, 
dove  sarai  rispettato  ed  onorato  da  tutti.  »  '  Del  quale 
scritto  mi  par  genuino  il  senso,  e  fin  direi  il  tenore. 
Morto  intanto  Otone  prima  (973) ,  Otone  secon- 
do, che  meritò  esser  detto  dai  Romani  il  Sanguina-^ 
rio ,  ritentava  \  impresa  dell'  Italia  meridionale  ;  pa- 
rendogli quivi  men  salda  che  mai  T  autorità  dei 
fratelli  deHa  moglie ,  regnanti  a  Costantinopoli  con 
poca  riputazione  e  impedimento  di  nuove  guerre. 
AHo  scorcio  dell' ottantuno,  calato  a  Benevento  dando 
voce  del  passaggio  contro  gli  Infedeli ,  espugnata  Sa- 
lerno elle  gli  ricusava  X  omaggio  e  gli  aiuti,  Otone  si 
apparecchiò  al  conquisto  delle  Calabrie.  '  Le  quali , 
scrive  Ditmar,  uom  sassone  d'alto  legnaggio,  ve- 
scovo e  contemporaneo,  eran  gravemente  afflitte  dai 
Greci  e  dai  Saraceni.  *  Un  altro  cronista  tedesco  di 
quell'età,  afferma,  che  gli  imperatori  bizantini,  non 
potendo  stogliere  Otone  da  cotesta  impresa,  condus- 

<  9if]/ui(toii  "segno,*  probabilmente  \*a}àma,  ossfft  motto  e  titolo  scritto 
da  un  segnatario  a  capo  dei  dispacci,  che  tenea  luogo  della  soscriaione 
nostra. 

»  Op.  cit. ,  p.  120. 

^  Metterò  le  citazioni  alla  fin  del  fatto,e  qai  le  accennerò  soltanto.  La 
datadellai  venata  a  Benevento  e  Salerno  si  trova  nella  Crtmta  di  Santa 
Sofia  e  la  confermano  i  diplomi  citati  dal  Maratorì  negir  Annali. 

*  Ditmar. 

II.  21 


(98U982.1  —   322  — 

sero  a  soldo  i  Saraceni  di  Sicilia  e  altre  isole,  e  fin 
d' Affrica  e  d' Egitto ,  per  lanciarglieli  addosso.  '  Gli 
annali  musulmani,  che  maravigliosamente  accordansi 
con  Ditmar  in  molti  particolari,  nòtan  solo  che  Àbu~l- 
Kàsetn  bandì  la  guerra  sacra,  poiché  il  re  dei  Fran- 
chi  movea  contro  la  Sicilia.  '  Manifesto  egli  è  dunque 
cGe  i  Bizantini  e  i  Musulmani  di  Sicilia ,  rinnovan- 
dosi il  comun  pericolo,  rifacessero  la  lega  come  al 
tempo  di  Niceforo  e  di  Moezz.  *  Lo  stratego  di  Cala- 
bria assoldò  forse  qualche  compagnia  musulmana,  che 
stanziò  in  quelle  parti  e  militò  con  essolui.  Ma  l'eser- 
cito siciliano  non  operò  mai  insième  coi  Greci  :  che 
gli  uni  e  gli  altri  combattessero  contro  Otone  sul  me- 
desimo campo  di  battaglia,  è  falso  supposto  di  mo* 
demi  scrittori,  i  quali  si  fidarono  alle  compilazioni, 
mettendo  da  parte  le  croniche  originali. 

In  primavera  dell'ottantadue,  Olone  venne  sopra 
Taranto,  e  in  breve  la' espugnò,  mal  difesa  dai  Gre- 
ci. *  Nella  poderosa  oste  militavano  Sassoni,  Bavari  e 
altri  Tedeschi ,  Italiani  delle  province  di  sopra  e  dei 
principati  longobardi;  condotti  dai  grandi  vassalli 
deir  Impero  laici  ed  ecclesiastici,  dal  fior  della  nobiltà 
di  Germania  e  d' Italia.  '  Scarseggiando  di  forze  na* 

*  Annali  di  San  Gatto. 
«  lbn-e»-Alhlr/ 

s  E  senza  ciò  Abn-t-Kdsem  non  passava  in  Calabria  a  rischio  di  far 
unire  a' suoi  danni  le  genti  d'Olone  e  i  Bizantini. 

*  DUmar.  Gli  Annalef  Lolnemea  presso  Pertz,  ScrijUore»,  tomo  I,  p.  31  i , 
dicono  nel  9S2  cbe  Otone  celebrò  il  Natale  a  Salerno  e  la  Pasqua  a  Taranto. 
La  data  si  vede  anco  dai  diplomi  citati  dal  De  Meo.  Secondo  gli  Annali  di 
San  Gatto 9  Olone  volea  occupare  l'Italia  fino  al  mare  Siculum  fli  portum 
Traipiiam  (var.  Travertut)  che  poUrdtbe  essere  falsa  lezione  di  Taranto.  E 
Taranto  si  dèe  correggere,  o  Rossano,  il  nome  cbe  Ìbn-el^Atbir  sprive 
leto,  e  lbn»»Rhaldùn  Raoietla.  ^ 

'  Si  veggano  i  nomi  alla  fine  del  racconto. 


—  325  —  ^  |9S2.] 

vali,  OtOQjB.  s'acconciò  coi  protocarebi  di  due  saiandre, 
mandate  fin  dai  tempi  di  Niceforo  Foca  a  raccoglierei  le 
tasse  di  Calabria;  i  quali  gli  preme tteano  d'ardere  il  na- 
villo  musulmano:  ch'era  doppio  tradimento, e  quei  ten- 
tennavano nella  fede  del  signor  loro,  e  si  disponeano  a 

* 

seguir  Otone  vincitore,  e  vinto  abbandonarlo.  Erano 
navi,  scrive  Ditmar,  di  mirabile  lunghezza  e  celerità, 
con  doppia  fila  di  remi  e  cencinquanta  uomiiii  cia^ 
scuna  ;  armate  di  quel  fuoco  cui  nulla  spegne  se  non 
Faceto.  Due gualdane di  Musulmani  fUron  sopraffatte 
dair  esercito  d' Otone  ;  *  una  delle  quali ,  o  una  terza 
che  fosse,  si  difese  in  una  città,  credo  io  Rossano,  poi 
si  dette  alla  fuga.  ' 

,  Abu-1-Kàsem,  partito  con  1  esercito  del  mese  di 
ramadhan  trecentosettantuno  (27  aprile  a  26  mag- 
gio 982),  saliva  lungo  la  costiera  orientale  di  Cala^ 
bria ,  dove  ebbe  più  certi  avvisi  delle  forze  del  nemi-^ 
co  accampato  a  Rossano.  '  Perchè  non  si  fidando  d'as^ 
salirla,  adunati  i  capitani  che  voleaùo  andare  innaqzi^ 
risolutamente  ordinò  la  ritirata:  e  mandavala  ad 
effetto  con  T  esercito  e  il  navilio,  quando  i  legni  ne- 
mici che  stavano  alla  vedetta,  addandosene,  manda- 
rono spacci  ad  Otone  che  corresse  sopra  i  Musulma- 
ni sbigottiti.  ^  Ei  lascia  addietro  gli  impedimenti  e  col 


«  Ibn-el-Albtr. 

^  DHtnar.  Quoi  primo  infra  urbem  quondam  claùsos  fiigmfU  devipiot, 
postqtie  eosdem  in  campo  ordinato  fertiter  adiem  etc.  11  riseonlr»  con  Ibn* 
el-ÀtbIr  mostra  che  la  prima  fu  avvisaglia  contro  una  piccioh  «cbiem  e  la 
seconda  giusta  giornata  contro  r  esercito. 

s  Ibo-eUAtblr.  Aggiungo  io  Rossano  perchè  quivi  era  riinasta  la  im- 
peratrice e  la  corte  quando  Otone  si  messe  a  inseguire  Abu*l-I[is6m. 

*  Ibn-el-Àtblr.  Ditmar  dice  similmente  di  avviai  dati  ad  Otooe  dagli 
esploratori. 


1982.)  —  3^4  — 

fior  dei  suoi  fa  tate  diligenza  che  «opraggiugne  i  Si- 
ciliani  il  quindici  luglio  *  su  la  marina  di  Stilo.  *  Vi- 
stili da  lungi  sparuti  di  numera,  sciama  òhe  sono 
masnadieri,  non  soldati^,  e,  incontanente  comanda  di 
dar  dentro.'  Abu*-l~Kàsem ,  facendo  alto,  s'era  già 
messo  in  ordine  di  battaglia.  * 

Dopo  aspro  menar  di  mani  avvenne  che  uno 
squadrone  imperiale  caricando  il  centro  de'  Siciliani 
lo  ruppe  e  volse  in  fuga.  Trapassando  nell'  impeto 
fino  alle  bandiere  difese  da  Abu-1-Kàsem  con  un  forte 
nodo  di  nobili  e  prodi  cavalieri ,  tennero  il  fermo;  fu- 
ron  tutti  mietuti  je  Y  emiro  ucciso  d' un  colpo  al  som- 
mo della  testa/  ma  immolandosi  strapparon  la  vittoria 
di  mano  all'imperatore  tedesco.  Che  a  quelrespitto  li 
sbaragliati  si  rannodano,  precipitano  alla  riscossa, 
scrive  Ibn-el-Athtr ,  deliberati  a  morire;  i  vincitori, 
scrive  Ditmar ,  dopo  breve  scontro  sonò  soverchiati 
e  tagliati  a  pezzi:"  ne  fa  maraviglia  tal  subito  scam- 
bio di  sorti  quando  il  centro  de'  Siciliani  sconfitto  ri- 


*  Secondo  lbii"el«>Alblr  il  venti  di  moliarrem  die  risponde  col  conto 
astronomico  al  14  e  col  civile  al  15.  Ditmar,  teriio  idus  julii,  cioè  il  15;  le 
necrologie  date  da  Pertz,  Scriptqres,  tomo  III,  p.  765,  nota  59,  hanno  se- 
emào  idusjulU  e  idibus  julii;  e  Lamberto  idibu»  julii ^  cioè  il  14  e  il  15. 

'  Presso  il  mare,  secondo  tu),ti.  Lupo  Protospatario  ba  nei  varii  MS. 
Cotruna,  Golumnse,  Colupna  etc;  Rombaldo  Salernitano  dice  Stilo,  alla 
qual  voce  greca  risponde  Colonna.  Mi  appiglio  a  questa  tradizione  perchè 
Rossano  giace  a  45  miglia  da  Cotrone.  Jl  campo  di  battaglia  dovette  essere 
assai  più  lontano,  secondo  i  particolari  della  ritirata  d'Abu-l-Kàsem  e  della 
fuga  di  Otone*  ^ 

'  Armali  di  San  GaUo. 

Mbn-d^Athtr. 

'  Ibn-el-Athir.  La  morte  di  Buleassimus  è  ricordata  da  Lupo  Proto- 
spatario. 

*  Ditmar,  come  Ibn-el-Atbìr,  diòe  vinta  la  battaglia  dalla  schiera  sba- 
ragliata che  si  rannodò.  Gli  Annali  di  San  Gallo  ricorrono  al  trovato  anti- 
chissimo d'un  agguato  e  delle  miriadi  di  nemici  che  ne  sbucassero. 


—  325  —  f082.| 

facea  testa  più  addietro,  e  le  ali  rimase  intere  si 
chiudevano  su  le  spalle  del  nemico.  Il  rimanente  del- 
l' esercito  otoniano  si  dileguò  fuggendo.  Lasciò  sul 
campo  qustttromila  morti  e  grande  numero  di  otti- 
mati prigioni.  *  Tra  questi  noverossi  il  vescovo  di 
Vercelli  mandato  ad  Alessandria  d'Egitto  e  riscatta- 
tosi dopo,  lunghi  anni,  al  par  che  tanti  altri  chierici 
e  laici,  i  quali  a  poco  a  poco*  si  vedean  tornar  in 
Germania.*  Degli  uccisi,  le  croniche  italiane  ricordano 
Landolfo  principe  di  Capua,  Atenolfo  suo  fratello  e  i 
nipoti  Ingulfò,  Vadiperto  e  Guido  di  Sessa;'  le  te- 
desche,  Arrigo  vescovo  d'Augsburg,  Wernhìsr  abate 
di  Fulda,  e  molti  altri  prelati;^  e  dei  gran  baroni 
un  Richar,  un  duca  Odone,  i  conti  Ditmar,  Bécelino, 
Gevehardo,  Guntero,  Bertoldo,  Eccelino  e  un  altro 
Bécelino  fra  tei  suo,  con  Burchardo,  Dedone,  Corrado, 
Irmfrido,  Arnoldo,  e  altri  che  Iddio  solo  conosce, 
scrive  Ditmar,  il  quale  vi  perde  uno  zio  della  madre.  ' 
Otone  il  Sanguinario,  fuggendo  a  briglia  sciolta 
col  cugino  duca  di  Baviera,  avvistò  le  due  salandre 
greche  presso  la  spiaggia,  e  si  tenne  salvo.  *  Ma  ar- 
restatoglisi  il  destriero,  un  giudeo  suo  fidato  che  lo 
seguiva  gli  grida  :  '^  Prendi  il  mio  e  dà  pane  ai  miei 
figli  s'io  ci  muoio,"  onde  Otone  montato  in  sella ^ 

*  Ibn-el^Atbtr.  11  MS.  di  Lupo  Protospatario  aggiugpae  un  zero  alla 
cifra  dei  morti  e  la  raggira  air  esercito  siciliano. 

'  Annali  di  San  Gnìlo, 

'  Si  confrontino  Chronieon  Sancii  Benedica,  presso  P^tx,  Seriptonst 
III,  p.  209,  e  Leone  d'Ostia,  lib.  Il,  cap.  9. 

*  Lamberti  Annales ,  Ànnales  Ottemburani.  . 

s  Si  confrontino  Ditmar,  Lamberto  e  le  cronicbe minori. presso Perts, 
Scripiores,  III,  p.  134, 145,  e  le  necrologie  citate  quivi  à  p.  765,  nota  59. 
B  Ditmar. 
7  lbn-el-Atblr,il  quale  dice  che  il  cavai  d' Otone  si  fermò,  senza  lu 


[982.|  —  326  — 

spinse  il  cavallo  in  mare;  gridò  e  fé'  cenno  al  noc- 
chiero; e  quei  tirò  dritto.  Tornato  a  proda,  trova  il 
giudeo,  Calonimo  il  suo  nome,  che  l'attendeva  an- 
sioso di  lui  non  di  sé  stesso:  il  cugino  era  ito,  che 
già  si  vedean  venire  a  spron  battuto  i  Musulmani. 
"*£  che  farò?''  sclamava  Otone.  ''Ma  sì  ho  ancora  un 
amico!*'  elanciossi  di  nuovo  nelF  onda  col  cavallo  del 
giudeo.'  QuestLfu  ucciso.'  Ricettò  Y  imperatore  Taltra 
salandra  che  passava,  conoscendolo  un  ofiziale  schia- 
yone.  '  Fatto  posare  dal  protocarebò  sul  pròprio  letto 
e  interrogato,  accertò  sé  essere  Otone:  lo  pregò  d'ac- 
costarsi a  Rossano,  tanfo  che  prendesse  seco  la  mo* 
glie  e  i  tesori;  eh'  ei  non  voleva  rimetter  pie  su  Fin- 
fausta  terra,  ma  andare  a  Costantinopoli,  ove  i  pii 
imperatori  renderebbero  merito  a  chi  avesse  tolto  a 
sicura  morte  il  cognato.  Il  Greco  assenti  :  navigando 
dì  e  notte  giunsero  a  Rossano.  ^  Otone  mandava  lo- 
Schiavone  a  terra,  e  non  guari  dopo  fu  vista  scendere 
alla  marina  la  imperatrice  con  Thierry  vescovo  di 
Metz  ed  una  fila  di  giumenti  che  recavano,  come 
diceasi,  il  tesoro;  a  che  il  capitan  greco  gittò  l'an- 
cora. S' accosta  con  barchette  il  vescovo;  monta  su  la 
nave  egli  e  pochi  ;  parla  ad  Otone  ;  e  questi ,  per  ac- 

menzione  del  mare.  Ma  Ditmar  scrive  che  Olone  sì  gIttò  a  nnoto  col  csk 
vallo  del  giudeo. 
«  Ditmar. 

*  Ibn-el-Atblr.  Il  nome  dato  da  Ditmar  farebbe  sapporre  questo  giu- 
deo calabrese  o  pugliese,  parteggiarne  contro  1  Greci  dei  quali  parlava 
probabilmente  la  lingua. 

'  Ditmar  dice:  ab  Heir^rico  milite  e^us  qui  i%lttvoniee  %okmia  vocatur 
agnitus  ihtròmittitur.  Più  sotto  parlando  dello  stesso  Io  chiama  binomius. 
Però  lo  credo  schiavone. 

*  Ditmar  :  et  perdiù  et  pemox  ad  eondictum  pertingeré  loeum  propera- 
vit.  Sembra  almeno  una  intera  giornata.  Giovanni  Diacono  di  Venezia  dice 
che  Olone  fu  ritenuto  su  la  nave  tre  giorni. 


—  327   — -  1982.1 

cogliere  onorevolmente  la  imperatrice,  indossa  abiti 
dr  gala,  arriva  passeggiando  al  bordo:  e  giii  in  mare 
d' un  salto.  Un  della  ciurma  che  Io  volle  ritenere,  fu 
trafitto;  gli  altri  ricacciati  indietro  dagli  altri  fami- 
gliari saliti  con  Tarme  alle  mani;  e  Otone  intanto  affiBr- 
rava  la  spiaggia  :  talché  i  Danai  truffatori  d' ogni  gente 
furono  burlati ,  conchiude  soddisfatto  Ditmar.  ^  Nel 
cui  racconto  io  non .  veggo  nulla  ohe  rassomigli  a  fa- 
vola. Altri  recò  il  caso  un  po'  diverso,  come  l'andava 
ritraendo  la  fama  ;' chi  venne  appresso  v'aggiunse  e 
tolse  quanto  gli  parve;  '  falsarli  moderni  lo  ricompo- 
sero alòr  modo:*  e  in  fine  i  critici  nauseati  sono  stati 
lì  lì  per  rigettar  tutti  gli  episodii  in  un  fascio.'  I  ricordi 
arabici  convengono  con  Ditmar ,  si  nei  primi  accidenti 
della  fuga  e  sì  nel  successo,  dicendo  che  Otone  si 
ridusse  allo  accampamento  ov'  era  la  moglie;  é  con 
lei  tornossi  a  Roma.  • 

E  veramente,  soggiornato  alquanto  a  Capua,  passò 
nelK  Italia  di  sopra ,  adunò  del  novecentottantatrè  la 
dieta  deir Impero  a  Verona,'  s'  apprestò  a  far  vendetta 
sopra  la  Sicilia,  van tossi  di  gittare  un  ponte  di  barche 
su  lo  stretto  di  Messina ,  ^  e  venne  a  morire  a  Roma 
(7  die.  983);  meno  avventuroso  d'Abu-I-Kàsem,ch'era 

*  Gìrinna/t  ài  San  Gallo  danno  la  somma  del  faUo,  dicendo  che 
Otone  "a  mala  pena  scampò  in  nave  ad  un  castello  de'saoi." 

^    3  Arnolfo,  Giovanni  Diacono  di  Venezia,  dice  espressamente  che  si 
salvò  sa  dae  Zalandrìm  greche. 

s  Hermanno  Contratto,  Sigeberto,  ee. 

*  Pratilli,  nelle  interpolazioni  alla  Cronaca  della  Cava. 

s  Muratori,  Annali  d'Italia  ;  e  Saint-Marc,  Abregé  chronologique  de 
Vhistoire  d'Italie. 

6  Ibn-el-Athlr. 

^  Ditmar.  Si  veggano  in  Muratori,  Annali,  le  leggi  promulgate  in 
questa  dieta.  Sul  soggiorno  a  Gàpua  si  riscontri  il  De  Meo. 

"  Annali  di  San  Gallo,  Arnolfo. 


[982.1  ~  328  -- 

caduto  sul  campo  di  battaglia.  Dove  la  stirpa  arabica 
pagò  alla  stirpe  italiana  Y  affitto  della  Sicilia,  coi  buon 
colpi  che  sbarattarono  un  esercito  germanico  e  fecer 
morire  di  rabbia  e  disagi  T imperatore,  TOtone,  pas- 
seggiante  ormai  su  Y  estrema  punta  della  penisola.  E 
forse  Salernitani,  Romani,  e  Italiani d'  altre  province 
tratti  a  forza,  sotto  l'insegna  imperiale,  benedissero 
le  scimitarre  orientali  che  loro  balenavana  dinanzi 
gli  occhi.  Prepotente  forza  delle  necessità  geografi-* 
che  su  le  vicende  delle  nazioni,  a  vedere  i  Musulma- 
ni  di  Sicilia ,  guelfi  innanzi  tratto ,  guadagnare  in  Cà-^ 
labria  una  prima. Legnano!  * 

^  Le  aotorilà  arabiche  sono:  Ibn-el-Àlbtr,  anno  57i,  fifS.  À«  tomo  HI, 
p.  35  recto  ;  il  compendio  che  ne  fa  Ibn-Khaldùn ,  Bistoire  de  VÀfrique  et 
de  la  Sicile,  p.  173,  174;  e  i  cenni  di  Abulfeda,  Annalei  MosL,  anno  33B, 
forno,  II,  p.  446,  seg.  ;  Baiàn»  testo,  tomo  I,  p.  248,  anno  372  ;  Nowairi,  pressQ 
Dì  Gregorio,  op.  cit. ,  p^  20;  Ibn-abl-Dinàr,  MS.  di  Parigi,  fog.  38  recto; 
Hagi  Khalfa,  Cronotoyia,  versione  del  Carli,  anno  372,  p.  66.  Notisi  cbe  Ibn-» 
el-Àtbìr  e  Ibn-Kbaldùn  chiamano  T imperatore  franco,  in  vece  di  Olone , 
ìierdtvU,  dal  nome  di  Baldovino  cbe  suonò  tanto  nelle  Crociate. 

Le  autorità  latine  :  Theitmari,  Chronieon,  lib.  IH  ,cap.  Ì2,  pressoPertz, 
Scriptores,  tomo  III,  p.  765,  766  (Dltmar  dei  conti  di  Waldeck,  vescovo  di 
Mersebourg,  nacque  il  976  e  morì  il  1018);  Ànnalfis  Sangaìlenses  Majores, 
presso  Pertz,  op.  cit. ,  tomo  I,  p.  80  (l'autore  di  questa  parte  dice  aver 
veduto  tornare  varii  prigioni  riscattati);  Joannis  Diaconi,  Chronieon  Vene- 
tum,  presso  Pertz,  op.  cit.,  tomo  VII,  p.  27  (l'autore  finì  di  scrivere  il  1008); 
Richari  Historiarum,  presso  Pertz,  op.  cit.,  t.  HI,  p.  561  (l'autore  scrisse  tra 
il  996  e  il  998,  ma  fa  un  brevissimo  cenno)  ;  Lamberti,  Ànnales,  presso  Pertz, 
op.  cit.,  tomo  III,  p.  65  (l'autore  visse.alla  metà  dell'XI  secolo);  Herimanni 
Aug.,  Chronieon f  presso  Pertz,  op.  cit,,  tomo  V,  p.  117.  (Ermanno  Con- 
tratto, come  fu  soprannominalo,  nacque  il  lQt3>mor)il  1054.)  A  queste  cro- 
niche vanno  aggiunti  i  cenni  di  altre  minori  presso  Pertz,  op.  cit.»  tomo  I, 
p.  211,  242;  111,  p.  5,  6^,  124, 145;  V,  p.  4.  Dei  cronisti  latini  d'Italia  del- 
l'XI e  XII  secolo,  Lupo  Prolospalario,  e  l'anonimo  di  Bari,  presso  Pertz, 
op.  cit.)  tomo  V»  p.  55,  dicono  meramente  Che  Olone  combattè  con  Bul- 
cassimo  re  dei  Saraceni,  il  981 ,  e  l'uccise  e  vi  perirono  40,000  uomini  ;  Ama- 
to, VYsioire  de  li  Normant,  lib.  VI,  cap.  22,  ricorda  per  le  generali  la 
sconfitta  di  Olone;  Leone  d'Ostia,  lib.  II,  càp.  9,  presso  Perlz,  op.  cit., 
tomo  VII,  p.  635,  ne  dice  breve  ed  esalto;  e  più  largamente  Arnolfo,  Gè- 
9ta  Episeopor.  ifediol,  presso  Pertz,  op.  cit,  tomo  Vili,  p.  9.  In  fine  Ro- 
mualdo Salernitano,  presso  Muratori,  Rerum  IlaUcarum  Seriptores,  tomo V, 


—  329  —  19821 

Rimasti  i  Siciliani  signori  del  campo,  assumea 
le  veci  d'emiro  Giàber,  figliuolo  d'Abu-l-Kàsem;  il 
quale  immantinente  fé' suonare  a  raccolta,  non  con- 
cedendo di  continuare  il  bottino;  né  pur  di  racco- 
gliere le  armi  e  attrezzi  di  guerra  lasciati  dal  nemico 
da  rifornirne  gli  arsenali  di  Sicilia.  Nou  sì  ritraet  se 
fu  necessità,  pauk^a  o  gelosia  d' affrettarsi  a  pigliar  lo 
slato  in  Palermo;  né  s' ei  pensò  a  recar  seco  il  ca- 
davere del  padre.  Ma  alle  costui  virtù  rese  merito 
il  popolo,  che  chiamollo  ''Il  Martire,"  ed  affidò  alla 
storia  questa  epigrafe  :  Giusto ,  di  specchiati  '  co- 
stumi, tutto  amore  ai  sudditi,  affabile,  elemosiniere, 
che  non  lasciò  ai  suoi  figliuoli  né  una  moneta  d' oro, 
né  una  d' argento  ,^  né  un  pezzetto  di  terreno,  avendo 
legato  ogni  cosa  ai  poveri  ed  opere  di  carità.  ^ 

anno  961 ,  squadernò  nella  seconda  metà  del  XH  secolo  che  Olone  vinse  a 
Stilo  e.  poi  prese  Reggio. 

II  Pratiili  nelle  interpolazioni  alla  Cronica  della^  Cava ,  toma  IV  della 
sua  raccolta,  pose  una  lunga  favola  su  questa  impresa  nel  962;  ed  un'al- 
tra nel  tomo  IH  nella  Cronica  dei  Ducbi  di  Napoli,  anno  961 ,  fingendo  una 
battaglia  navale  a  Malta. 

Queste  sono  le  autorità  tra  buone  e  triste;  né  ho  pur  notato  tutte  le 
compilazioni  dall*  XI  secolo  in  poi.  Tra  ì  compilatori  assai  male  rabberciò 
Cotesta  guerra  di  Otonell  il'Sigónio,  Bistorta  de  Regno  Italico ,  Wh.  VII, 
il  quale  suppose  una  prima  vittoria  del  96i,  ed  una  sconfitta  del  962  alla 
città  di  Basentello  in  Calabria;  dove  da  un  lato, combattessero  Greci  e  Sa* 
raceni;  e  dall'altro  lato  i  Romani  e  i  Beneventani  per  vendetta  abbando- 
nassero Otone.  Questi  due  fatti  li  imaginò;  e  si  capisce.  Ma  non  so  in  quale 
istoria  0  geografia  abbia  trovato  Basentello.  II  Basente,  il  quale  forse  die 
luogo  air  errore,  è  grosso  fiume  di  Basilicata  che  sbocca  nel  golfo  di 
Taranto,  tra  la  città  di  questo  nome  e  Rossano.  Il  Muratod  cominbiò  a  rad- 
drizzare così  fatti  errori  negli  Annali  d'Italia,  98i,  e  il  De  Meo,  Annali  del 
Regno  di  Napoli,  tomo  VI,  p.  158,  seg.,  171, 174,  se^.,  notò  mo^te  utili  date. 
Nondiméno  Terrore  è  durato  dopo  la  correzione;  e  fin  oggi  si  vanno  rican- 
tando le  due  giornate,  la  fuga  dei  Greci  al  primo  scontro  della  seconda 
.  battaglia  e  il  nome  di  Basentello. 

4  Ibn-el-rAtbtr;,  e  ibn*Kbaldùn,  II.  ce. 


f»g2-985  1  '  —   330  — 


CAPITOLO   VII. 

•  \ 

Sì  com*  era  incerta  la  elezione  degli  emiri  tra  il 
fatto  e  il  dritto,  cosi  i  cronisti  variamente  scrissero 
diGiàber,  qaal  notando. che  i  Musulmani  di  Sicilia  lo 
esaltarono  senza  diploma  del  califo;  ^  e  qual  che 
'Aztz-billah ,  succeduto  (975)  a  Moezz,  in  buona  for- 
ma Io  nominò.  *  Fu  r  uno  e  Y  altro  di  certo.  Gìàber , 
dato  a  voluttà,  lasciò  correre  al  peggio  le  cose  pub- 
bliche: donde  i  Siciliani  il  deposero,  '  o  se  ne  ricbia- 
marono  al  Cairo,  dove  una  gelosia  di  corte  spia- 
nò loro  la  via.  Perchè  Ibn-Kellas,  vizir  del  califo,  si 
adombrava  forte  di  Gia'far^ibn-Mohammed  della  fa- 
miglia dei  Kelbiti  di  Sicilia,  intimo  di  'Aztz  tanto  e 
più  che  il  padre  Mobammed  non  Y  era  stato  di  Moezz.  ^ 
Avendo  pensato  fin  dalla  morte  d'Àbu-I-Kàsem  tórsi 
d'addosso  il  rivale  con  splendido  esilio,  Ibn-Kellas 
persuase  adesso  'Aztz  a  farlo  emir  di  Sicilia*  in 
luogo  del  cugino:  e  chi  sa  quanto  rincalzò  le  querele 
dei  Siciliani,  e  se  noi  fece  domandar  proprio  da 
loro?  Dicon  gli  annali  arabi  che  Giàber  dolentissimo 
lasciò,  e  Gia'far  a  malincuore  prese  Y  oficio.  Noa- 
dimeno,  arrivato  in  Sicilia  del  trecentosettantatrè 
(14  giugno  983,  2  grugno  984) ,  rassettò  e  fece  prò- 

<  Abùlfeda,  e  IbiKAbi-Dinàr»  11.  ce. 

'  No^ralri,  1.  e. 

Mbn-Khaldùn,!.  0. 

*  Si  vegga  per  questo  Mohammed  il  Gap.  V  del'preseiite  libro,  p.  291 . 

"  Abolfeda,  1.  e.  È  mio  il  sopposto  dei  ricbiami  dei  Siciliani  in  Egitto. 
Abulfeda  non  jie  fa  motto  ;  ma  Ibn^KhaldOo  dice  di  più,  come  si  è  potuto 
vedere. 


—  351   —  |98b-097.1 

sperare  il  paese;  lodatp  anco  per  amore  degli  studi! 
e  liberalità.  Morto  il  quale  del  settantacinque  (S3  mag. 
985, 1 1  mag.  986),  succedettegli  il  fratello  Abd-Allah, 
che  segui  il  bello  esempio,  e  in  breve  anch' egli  tra-* 
passò ,  del  mese  di  ramadhan  trecensettanlanove 
(die.  989);  lasciato  V  oficio  d' emir  al  proprio  figliuolo 
Abu-1-Fotùh-Iùstif.  Così  espressamente  il  ^owairi  e 
Ibn-abi-Dinàr;  né  vi  ripugna  il  dir  degli  altri  com- 
pilatori. Aggiugne  il  Nowairi ,  che  'Azfz  gli  mandò 
poscia  il  rescritto  d' investitura.  ^ 

Arrivò  air  apice  in  questo  tempo  e  repente  ro- 
vinò la  potenza  dei  Beni-abi-Hosein  a  corte  del 
Cairo.*  Hasàn-ibn-'Ammàr ,  il  vincitor  diltametta,  per 
riputazione  propria  nelle  armi  e  di  sua  parentela 
appo  la  tribù  di  Kotama,  si  trovò  sceikhj  spontanea- 
mente eletto,  credo  io,  dei  Kotamii  stanziati  in  Egitto, 
ch'eran  tuttavolta  i  pretoriani  di  casa  fatemita:  ed 
egli  a  un  tempo  lor  patrono  e  fidato  capitan  del  ca- 
Ufo;  tantoché  *A2iz,  venendo  a  morte  (ottobre  996), 
gli  raccomandò  il  figliuolo  Mansùr,  soprannominato 
Hàkem-biamr-allah,  fanciullo  d'undici  anni.  Alla  cui 
esaltazione^  ì  condottieri  kotamii  lo  «sforzarono  a  dare 
il  governo,  dello  Stato  a  Ibn-Ammàr,  con  oficio  nuo- 
vo, che  si  chiamò  il  Wi^tYa/ ossia  Intermediario;  e 
vi  si  aggiunse  il  titolo  di  Amin-^dr^wla,  che  suona 
''Il  Fidatìssimo  dell' impero."  Onoranza  anche  nuova 
a  corte  fatemita  e  di  mal  augurio;  quando  gli  em^r- 
el-Omrd  che  posero  in  tanto  vitupero  il  càlifato  ab- 


<  Si  rìscontrìoo*.  Abulféda,  Nowairi,  ibn^Rhaldùn  e  IbiH&bi-Din&r,  li. 
ce.  La  morte  di  Abd-AUab  e  aaccessiODe  dU  figlio  si  legge  «ncbe  sei  Baién, 
testo,  tomo  I,p.  254. 


4 

[997. 1  —  332  — 

bassida  s' addimaDdavano  per  simil  forma  La  CoIoq- 
na»  La  Pietra  singolare,  La  Spada,  e  che  so  altro,  del- 
l' impero.  E  per  poco  i  Beni-abi-Hosein  non  copia- 
rono il  rimanente  :  che  già  il  vecchio  capitano  mostrava 
fìusto  e  superbia  da  re;  ne)la  corte ,  nella  milizia  stre- 
mava le  spese  per  arricchire  i  Kutamii,  e  lor  dava  im- 
punità d' ogni  licenza  e  d' ogni  misfatto.  Un  eunuco 
di  corte  presto  lo  sgarò,  fondandosi  in  su  gli  stan- 
ziali turchi  i  quali  spezzaron  la  boria  ai  Kotamii;  onde 
Ibn~Àmmàr  fu  deposto  dal  comando  (997),  onorato  e 
tenuto  in  disparte  per  pochi  anni;  finché  il  pupillo, 
che  andava  assaporandoli  sangue,  (1000)  lo  fece 
assassinare.  V 

Parve-cosa  degna  di  nota  che  nel  breve  predo- 
minio d'Ibn-'Àmmàr  ad  un  tempo  règgessero,  egli 
TEgitto  e  il  cagino  lùsuf  la  Sicilia:  '  sì  com'  oggi  ve- 
dremmo con  meravìglia,  due  stretti  parenti,  l'uno  gran 
vizir  a  Costantinopoli,  Y  altro  pascià  d'Egitto.  Pertanto 
a  tutti  era  già  manifesta  la  independenza  della  Sicilia; 
né  faceva  specie  che  la  corte  fatemita,  per  procaccio, 
com'è' sembra,  d' Ibn-'Ammàr,  desse  a  lùsuf  il  pri- 
vilegio di  Thiket^ed-dawla  che  suona  fidanza  del- 
l'impero."'  Né  solamente  si  noverava  la  Sicilia  tra 
gli  stati  musulmani  di  momento  in  sul  Mediterraneo, 

'  Si  confrontino:  l0hìa-ibn-Sa1d,MS.  di  Parigi,  Ancien  Fonds,  131, A, 
p.l38,  seg.; Ibn-el-Athlr,  MS.  G,  tomo  V,  fog.  53  recto,  anno  386,e  le  autorità 
citate  da  M.  De  Sacy,  Chréslorjuathie  Àrabe,  2*  ediz.,  tomo I,  p.  1,37,  158, 
ed  Exposé  de  la  Religion  dei  Druses,  p.  CCLXXXIII,  seg.  La  corte  fatemita 
par  cl^e  fino  allora  non  ayesse  dato  di  somiglianti  titoli  onorifici  ette  a  Bo- 
lukkin ,  vicario  d' Affrica.  Si  vegga  Ibn-el-Atbìr ,  citato  qui  innanzi  a  p.  888, 
e  Ibn-Kbaldùn,  HUtoire  des  Berhères,  versione,  tomo  II,  p-  10. 

>  Abulfeda,  Annate»  Moilemid,  anno  336,  toiho  II ,  p.  430,  il  quale 
trascrive  lbn<-Sceddàd ,  e  questi  probabilmente  alcun  più  antico  cronista. 

'  Nowairi  e  Ibn-Kbaldùn;  11.  ce. 


—  333  —  f 990-  998  ] 

ma  gli  altri  cominciavano  ad  invidiar  sua  sorte.  Alla 
&ma  in  arme  che  le  avean  dato  i  primi  tre  emiri 
ketbiti,  s' aggiunse  la.  prosperità  sotto  i  discendenti 
del  kelbita  cortigiano  Mohammed,  tra  i  quali  segnala- 
vasi  questo  lùsuf.  Leggiamo  in  una  cronica  che  al 
suo  tempo  il  popolo  godè  ogni  ben  che  si  potesse  de- 
siderare; il  governo  si  condusse  efficace  e  tranquillo; 
furono  soggiogati  parecchi  paesi  bizantini,  e  V  emiro 
moi^trò  quella  magnanimità,  liberalità  e  giustizia,  che 
mancava  in  tanti  altri  principati  musulmani/  Chi 
lodalo  di  fermezza  insieme  e  di  bontà  in  verso  i 
sudditi;  '  chi  d' aver  superato  tutti  i  predecessori  in 
gloria  e  virtù.  ^  La  cultura  sua  e  della  corte  ci  torna 
dalle  biografìe  dei  poeti  contemporanei. 

E  prima  d' Ibn-Moweddib  da  Mehdia,  cervello 
strano  dato  air  alchimia  e  alla  pietra  filosofale,  uom 
di  brutti  costumi,  cupido  e  taccagno,  vago  d' an- 
dare qua  e  là  per  lo  mondò  a  buscar  danaro  con 
meschini  versi  ;  il  quale  ,  viaggiando  alla  volta 
d' un'  isola  adiacente  alla  Sicilia ,  era  stato  preso  dai 
Bizantini  e  ritenuto  in  lunga  cattività.  Rimandato  in 
Palermo  con  ^  altri  prigioni ,  quando  lùsuf  fermò 
una  tregua  con  T  Impero,  Ibn-Mówéddib  ringra* 
ziavalo  con  un  poemetto,  e  T  emiro  lo  regalava; 
ma  non  tenendosene  soddisfatto,  si  me^se  a  sparlare 
di  lùsuf  sì  apertamente ,  che  fu  ricerco  dal  bargello. 
Si  nascose  appo  un  conoscente ,  artigiano  dell'  ar- 
sensde.  Ma  uscito  una  sera  ubbriaco  per  comperar 


<  Batdn,  testo,  tomo  I,  p.  254. 

3.  Nowairi  presso  Di  Gregorio,  op.  cit. ,  p.  20. 

'  Ibn-Khaldùn,  HUtoire  de  VAfriqut  et  de  la  Sieile,  versione,  p.  US. 


[990-908.1  —  334  — 

nuov.' esca  da  bére /  lo  colsero;  e  il  prefetto  della 
città  '  condasselo  immanUDeote  a  lùsuf.  Il  qaale  lo 
rinfacciava:  ^Sciagurato,  che  è  questo  che  sento  dir  di 
ter  E  il  poeta  a  lui:  ''Ciarle  di  spioni,  che  Iddio  aiuti 
il  signor  emiro."  — ''Ma  ti  sovviene,"  riprese  lùsuf,  ""il 
nome  di  chi  cantò:  Ecco  il  valentuomo  messo  con  le 
spalle  al  muro  dai  figli  di  male  femmine?"— ''Sì,"  ri- 
spose Ibn-Moweddib,  "il  medesimo  che  fé  l'altro  ver- 
so: L'inimicizia  dei  poeti,  tristo  chi  se  V  accatta  !"  Alla 
qual  proata  citazione  di  Motenebbi,  '  T  emiro  non  gli 
disse  altro;  ma, gli  fece  contare  cento  quartigli*  d'oro, 
a  condizione  di  andarsene  tosto  della  città;  perchè 
temo,"  aggiugnea,  "che  s'una  volta  gli  hoperdopato, 
un'altra  me  la  pagherebbe  cara."* 

Già  la  fama  attirava  alla  corte  di  lùsuf  non  men 
belli  ingegni  e  animi  più  alti ,  come  Mohammed-ibn-^ 
'Abdùn  nato  a  Sussi  d'illustre  casa  del  Kairewàn, 
pregiato  tra  i  suoi  per  buona  lingua  e  stile  semplice 
e  vigoroso.  Il  quale  avendo  cantato  le  lodi  dell'  emi- 
ro, si  gli  piacque,  ch'ei  lo  volle  compagno  del  prò- 


'^  Nakl  son  le  froU»  secche  e  i  confètti  che  gli  orientali  sogUooo  man- 
giare centellando  col  vino. 

'  Sdheìh-eS'iciorta,  Si  vegga  il  Lìb.  Ili,  cap.  I,  p.  0  di  questo  tolame. 

'  Dico  cosi,  perchè  cercando  di  ehi  fossero  cotesti  due  emisUchii,  li 
bo  trotati  in  Motenebbi ,  entrambi  in  naa  Katida  indirizzata  a  Bedr^ibn- 
'Àmnfi&r.  Si  vegga  il  diwano  coi  comentarii,  MS.  della  Biblioteca  di  Parigi 
Snppl.Arabe,i4SS,fog.448recto.  Motenebbi,  che  suona  il  profekutro,  chia- 
mato cosi  per  aver  voluto  fare  lì  profeta,  è  dei  più  celebri  poeti  arabi  ai 
tempi  dell'islamismi.  Morì  il  354  (965). 

^  Rebé'i,  Altri  MS.  hanno  dinar .  lìrehAH  è  ricordato  conie  mo- 
neta corrente  in  Sicilia  nel  XII  secolo,  e  par  che  valesse  un  quarto  di  dinar 
d*oro;  al  qual  proposito  si  vegga  il  testo  dMbn-Giobair,  edizione  diWrigbt, 
p.  329,  335,  e  la  nota  dell'edUore  a  p.  23  della  lutroduzione. 

s  Si  confrontino:  lbn*Kbaliì)^ào, edizione  del  Wiìstenfeld,  fase. X,p.  28; 
e  il  iktéUk'^^btàr,  MS.  di  Parigi,  Ancien  Fonds,  1372,  fog.  120  verso. 


—  335  —  [990-998.] 

prio  figliuolo  Gia'&r  dilettante  di  versi,  ^  e  questi  gli  si 
strinse  di  cara  amistà.  Tanto  che  volendo  rimpatria- 
re, 6i  afar,  saccedoto  nel  governo  al  padre  infermo,' 
glie!  negò,  ancorché  Mohammed  lo  chiedesse  a  Ini 
ed  al  padre  con  rime  piene  d'a£Fetto.  Che  anzi  ;  inva- 
ghito tanto  più  di  quel  bello  ingegno,  GiaYar  s'adontò 
che  persistesse;  gli  vietò  d'entrare  in  palagio;  ed  a 
rappattumarsi  furon  uopo  novelli  versi,  e  che  il  poeta 
li  porgesse  di  furto  mentre  GiaYar  stava  a  sollazzo 
in  un  casino.  '  Il  quale  sentendosi  rassomigliare  alla 
luna  e  che  pari  a  quella  si  nascondesse  a  chi  volea 
far  ossequio,  gli  vennero  le  lagrime  agli  occhi  e  donò 
al  poeta  un  tesoro/ 

Quanto  fosse  pagata  non  so,  ma  valea  molto  a 
lor  gusto,  una  Kasida  indirizzata  a  lùsuf ,  innanzi  il 
novecentonovantotto,  '  per  la  festa  del  Sagrifizio,' 
da  un  Abd-Allah  della  tribù  di  Tonùkh,  detto 
Il  figliuolo  del  cadi  di  Mila,  ond' ei  pare  oriundo 
d'Àfifrica.  Il  qual  poemetto  ci  serbò  Ibn-Khallikàn, 


'  11  testo  noi  dice,  ma  lo  sappiamo  d'altronde,  come  si  dirà  a  sao 
laogo. 

*  Ciò  si  dee  sapporre  dal  fatto  stesso,  ancorcltè  non  si  legga  nel  testo. 

'  Monteuh,  looga  di  dileUo,  casino ,  tilld»  talvolta  loggia.  Il  nome  di  * 
Gia'far  mi  fa  pensare  al  casino  reale  dei  Normanni  detto  della  Pavara  o  di 
Maredolce,  presso  Palermo;  il  quale^par  che  fosse  chiamato  dai  Musulmani 
Kiur^ia'fttr  fino  ai  tempi  dì  Gaglielmo  il  Buono.  Si  vegga  Ibn-'Giobair^  nel 
Journal  Àsiatique,  serie  III,  tomo  VII  (1846),  p«  76. 

«  Tigiani,  Rehla,  US.  di  Parigi,  Supp).  Arabe,  911  bis,fog.  16  recto, 
y  autore  tolse  questo  squarcio  da  Ibn^Resdk. 

^  Queiranno  lùsuf  paralitico  sarrogò  il  Qgliuolo  al  dir  delle  croniche. 
Ma  dallfr  misura  delle  jodi  che  si  dispensano  a  Ini  ed  a  GiaYar ,  mi  sembra 
che  iòsnff  senza  lasciare  per  anco  11  gOTcrno,  si  fosse  associato  il  figlio  nel 
tHolo  soltanto. 

>  li  fO  del  mese  di  dsu-Uhiggia,  grande  solennità  appo  i  Musulmani 
di  rito  malekita.  fi  anche  delie  feste  che  si  celebrano  alla  Mecca  alla  fine 
del  pellegrinaggio,  e  però  nel  |K>ema  si  dice  Canto  del  pellegrhìagglo. 


|»9a-d»8.j  —  336  — 

ohe  lettolo  per  caso  su  la  coperta  d' un  libro ,  lo  tra- 
scrisse nelle  Biografie  degli  uomini  illustri ,  teraendo 
non  andasse  perduto.  Come  richiedea  la  classica  im- 
mutabilità della  Kasida^  esordisce  con  lamenti  amo- 
rosi ,  e  visione  di  belle  che  sembrano  allegoriche ,  né 
scfaiudon  le  labbra  se  non  a  ricordare  i  riti  del  pel- 
legrinaggio; talché  pervenghiamo  per  lungo  giro  alla 
festa  del  Sagrifizio,  a  lùsuf  e  al  figliuolo.  La  festa» 
sfarzosamente  abbigliata,  luccicante  gli  omeri  del  sot- 
tile drappo  deir  Iràk ,  venia  dopo  un  anno  a  visitare 
Thiketr-ed^dafjola,  che  Tornava  di  collana  e  pendenti, 
e  GiaYar  accoglievala  con  lieti  augurii.  Ma  quale 
gemma  piti  lucente  che  Tuno  e  T  altro  re,  nobili 
raùipoUi  della  gente  di  Kodhà'a?\E  chi,  dato  fondo 
al  proprio  avere ,  -  sperando  aiuto  da  lùsuf,  restò  mai 
deluso?  Queir  lùsuf  che  corse  l'arringo  della. gloria 
coi  principi  ed  ei  solo  toccò  la  meta;  il  solo  eroe  che 
abbia  potere  di  emendar  il  tristo  secolo  ;  il  brando 
sguainato  contro  i  nemici  della  Fede;  il  forte,  scudo 
dei  Musulmani  ;  la  mente  che  vede  ogni  cosa  e  sa  al- 
ternare mansuetudine  e  forza  ;  il  guerriero  armato  di 
due  spade,  che  son  la  costanza  e  il  fino  acciaro.  Ecco 
r  esercito  inondar  la  terra  nemica;  le  lance  rodeini- 
te  *  avventarsi  come  fieri  serpi  addosso  ai  fuggenti  ; 
i  condottieri  nemici  tagliati  a  pezzi  e  spiccato  da' busti 
capo  insieme  ed  elmetto;  né  cessa  il  martellar  delle 
spade,  perché  le  armature  che  testé  luccicavamo  all'alba 
sian  gialle  di  polvere,  anzi  al  polverio  tutto  s'oscuri  il 

*  Kodhà'a  h  un  dei  ceppi  della  schiatta  himiarita,  alla  qaale  apparte- 
nea  la  tribù  di  Kelb. 

*.  Così  cbiamano  ipoetile  lance  sottili  e  dritte,  dal  nome  di  Rodeina, 
moglie  d*aa  celebre  armaiuolo  di  Bahrein. 


__  337  —  [990-998.1 

sole.  Indarno  sperano  i  miscredenti  risarcire  lòr  gua- 
sti; indarno  s'apprestano  a  raccogliere  le  primizie  dei 
campi,  eh'  ogni  anno  gli  stuoli  che  tu  mandi  in  guer- 
ra, battono  lor  monti  e  lor  pianure,  lasciando  vestigio 
d' ignudi  cadaveri  capelluti  e  barbuti;^  e  chi  scampa 
si  riman  soletto,  senza  la  famiglia  eh' è  menata  in  cat- 
tività; e  trova  sì  svaligiati  suoi  tempii,  che  gli  è  forza 
smettere  T  idolatria.  Salve,  o  lùsuf,  vigile  scolta  del- 
l'islam  neRa  notte'^di  questa  misera  età.  Lieta  siati 
la  festa;  lunghissimi  ì  tuoi  giorni  al  ben  fare,  al  re- 
gno, alla  gloria;  e  perenne  suoni  il  tuo  nome  dal  pul- 
pito. '  Così  il  poeta  metteva  a  un  paro  con  le  veraci 
virtù  là  sanguinosa  intolleranza  religiosa  e  lo  straziò 
de'  vicini  :  e  fosse  dileguato  al  tutto  tal  empio  errore 
in  religioni  più  mansuete  e  popoli  più  civili! 

Pur  la  corte  kelbita  di  Palermo  avea  fama  iù 
Italia  di  quella  ch'era  gentilézza  secondo  i  tempii 
come  l'attesta  sOn  Centone  d'istoria  e  romanzò,  scrìt- 
to, un  anno  più  o  un  anno  meno,  al  mille  di  nostr'èra. 
L'attesta,  dico,  trasponendo  nel  passato,  come  so- 
vente si  fa,  le  idee  presenti.  L'autore,  monaco  a 

:  '  I  devoti  greci  del  medio  evo,  per  falsa  ioierpretasìone  d*un  testo,  te- 
Deano  a  peccato  di  tosarsi,  onde  i  Longobardi  e  i Franchi  liderideano  fino 
al  XI [  secolo,  come  qui  fa  il  poeta  musulmano.  ^ 

*  Ibn-KlialUkàn ,  edizione  del  WQstenfeld,  fase.  X,  p.  28,seg.  Questa 
Kaalda  ha  61  versi  più  che  doppii  de' nostri  endecasillabi.  Come  ognuno 
comprende;  non  ho  fatto  la  traduzione  litterale  né  anche  ^i  tulli  i  versi  che 
giovano  all'argomento  nostro;  ma  ho  raccolto  le  frasi  più  signiBcative,  tra- 
sponendole talvolta,  troncando  molte' imagini,  e  nessuna  aggìugnendone. 
Debbo  avvertire  che  il  passo  "gli  è  forza  sméttere  r idolatria*  risulta  da 
una  bella.correzione  che  ha  fatta  il  professore  Flelscher  alla  p.  640  della 
mia  BibUoUe^'Mtfìfo^Sicula  dove  occorre  il  verso:  "Tu  li  hai  percosso  in 
lor  famiglie,  al  «he  li. hai  fatto. rimaner  soletti;  e  nei  loro  riti,  sì  che 
ìkanno  iatetalo  il  euUo' degli  idoli.'  La  frase  che  ho  messo  in  corsivo  è 
espressa  da  una  sola  voce  che  avea  varianti»  e  nessona  plausibile,  nei  MS. 
d' Ibn-Khallikftn. 

II.  22 


[900-998.1  '  —  338  — 

Roma  0  nei  dintoroi,  narra  i  primi  assalti  dei  Musul- 
mani sopra  la  Terraferma  d'Italia  (842)  in  questo 
modo  :  che  Fiorenti  re  palermitano ,  innamorato  per 
fama  della  bella  Gisa  sirocchia  del  principe  Romual- 
do, per  rapirla  adunava  sciami  infiniti  di  Saraceni 
d'Africa,  Palermo  e  Babilonia;  sbarcava  ad  Amalfi; 
aiutato  dal  perfido  Radalgiso,.  assediava  Benevento; 
finché  Romualdo  gli  uccise  quarantamila  uomini  in 
una  rotta,  dalla  quale  Fiorenti  a  mala  peife  campò  la 
vita.  *  La  qual  favola  è  documento  non  solo  della  pos- 
sanza ,  ma  sì  della  cultura  dei  Eelbiti  allo  scorcio  del 
decimo  secolo;  poiché  loro  si  attribuisce  proprio  un 
fatto  di  'Cavalleria.  *  Il  cronista  poi ,  partigiano  d' Otone 
terzo,  non  dimenticò  di  riferire  la  fondazione  della 
terrìbile  colonia  del  Garigliano  (883)  alla  medesima 
cagione  alla  quale  si  apponea  la  sconfitta  d' Otone  se- 
condo (982),  cioè  che'i  Bizantini  avessèr  mandato  a 
Palermo  ed  Africa ,  offrendo  il  regno  tf  Italia  ai  Sa- 
raceni. V 

Qual  che  fosse  stato  l'accordo  tra  l'impero 
d'  Orie>nte  e  i  Musulmani  di  Sicilia,  finì  con  la  vita 
d' Otone  secondo.  Perchè  i  Bizantini ,  vedendo  sgom- 
brare dopo  la  sanguinosa  giornata  i  vincitori  al  par 
che  i  vinti ,  ripigliarono  tranquillamente  le  Calabrie  e 
con  un  ^o'  di  fatica  la  Puglia.  Dominarono  da  Reggio 

'  BenedicM  Sancii  AiidpesìioiMicbl  CAronieofi^pres^  Pertz,  Sèriptores, 
tomo  III,  p.  700.  Sa  reta  e  raaiorità  del  cronista  si  vegga  la  prefazione 
dell'editore  a  p.  695. 

*  .Nella  detta  prefazione  si  nota  cbe  qnesto  Benedetto  sembri  il  primo 
0  tra  i  primi  cbe  abbiano  scritto  il  supposto  viaggio  di  Cario  Magno  in 
Terrasanta.  Siam  dunque  precisamente  nel  romanzi  di  cavalleria,  coi  irova- 
tori,  le  cortesie  e  ì  cavalieri  erranti. 

'  Op.  cit.,.p.  713. 


—  359  —  [986-988] 

al  golfo  di  Pólicastro  sul  pendio  occidentale  d'Apen* 
nino,  e  sul  pendio  orientale  da  Reggio  al  Tronto: 
posta  la  sede  del  governo  a  Bari,  e  mandativi  a  lor 
usanza  gli  strateghi,  i  quali,  verso  il  mille,  comin- 
ciarono a  prender  titolo  di  Catapano.  ^  Ma  non  mu- 
tossi  la  rapacità,  corruzione  e  debolezza  del  reggi- 
mento bizantino.  Dalla  ritirata  dunque  d'Otone  alla 
occupazione  dei  Normanni,  quella  provincia  si  trava- 
gliò tra  ifisoffribile  tirannide  e  impotenti  sforzi  a  libe*- 
rarsene;  e  talvolta  v'ebbe. chi  per  disperazione  chia- 
mò i  Musulmani  di  Sicilia;  ì  quali  sempre  da  ausiliari 
o  da  nemici  corsero  il  paese,  eccetto  brevi  tregue, 
di  che  una  sola  è  certa  e  Tanno  nemmen  si  sa/  Lor 
fazioni  non  sono  specificate  dagli  annalisti  arabi;  i 
latini  le  pongono  con  ignorante  brevità,  date  dubbie, 
nomi  guasti,  e  ninna  connessione:  come  cicatrici  di 
cui  non  si  sa  F  origine  ma  non  si  cancellano  mai 
nella  memoria  delle  genti.  Ordineremo  dunque  gli 
sparsi  cenni  il  manco  male  che  si  possa,  principiando 
avanti  e  terminando  dopo  il  regno  di  lùsuf ,  perchè 
non  son  molti,  e  perchè  non  si  abbiano  ad  interrom- 
pere nei  capitoli  seguenti  i  successi  di  Sicilia. 

Saccheggiata  del  novecentottantasei  Santa  Ciriaca 
0  Gerace  ;'  l'anno  appresso  fatte  altre  scorrerie  in  Cala- 
bria; Tottantotto,  assediata,  presa  e  desolata  Cosenza,* 

'  GomizioDe  di  capitaneus^  come  avvisa  il  Ducaoge;  o  derivato  da 
xccToè  e  oroèv»  come  pensano  altri  dotti  ellenisti. 

'  Si  vegga  qai  sopra  a  p.  3$S.  Tra  il  983.  e  il  998,  poicbè  lustif  non 
avea  per  anco  lasciato  il  governo  al  figliuolo^ 

9  Lupo  Protospatario ,  anno  986.  Cito  qai  e  appresso  la  edizione  di 
Pertz,  SeripioreSf  toma  V,  p..^,  56.  « 

*  Romualdo  Salernitano,  anno  987.  Qui  ed  appresso  da  Muratori,  IZe- 
rum  littiiàQrum  Seriptores,  tomo  V. 


1994-40021  —  340  — 

assaliti  altresì  i  villaggi  presso  Bari  e  riportatone  uo- 
mini e  donne  prigioni  in  Sicilia.  '  Si  trovò  il  novan- 
tuno r  oste  musulmana  a  Taranto;  dove  sopraccorso 
un  conte  Atto  con  gente  di  Bari,  cadde  nella  zuffa 
egli  e  parte  de' suoi.'  Tornavano  il  novantaquattro 
a  quelle  regioni;  stringeano  per  tre  mesi,  espugna- 
vano al  quarto,  Matera,  che  fu  incendiata  e  avea  pa- 
tito tal  fame  nell'assedio,  che  si  narra  d' una *donna 
i  cibatasi  delle  carni  del  figlio.  '  Dandosi  intanto  gli  Ita- 
liani oppressi  a  cospirare  contro  i  Bizantini ,  accadde 
d' ottobre  del  novantotto  che  Smagardo  da  Bari,  ac- 
cozzatosi con  Un  condottiero  Basito,  che  par  suoni 
AbU'SaM,  giunse  chetamente  alla  città;  gli  fu  aperta 
una  porta;  ma  il  Musulmano,  vistolo  uscire  da  un'al- 
tra, si  ritrasse  temendo  tradimento,  o  che  fosse  fallito 
il  colpo  ;  *  talché  veramente  fallì.  Succeduta ,  t;om'  «' 
sembra,  la  tregua  per  qualche  anno,  fors' anco  durando 
la  tregua  col  catapan  bizantino,  ch'indi  suscitasse  i 
Musulmani  a  molestare  gli  Stati  independenti  in  sul 
Tirreno,  a  dì  tre  agosto  del  mille  e  due  si  mostra- 
rono a  Benevento  con  forze  eh'  è  mestieri  chiamar 
esercito,  e  présa  la  notte  medesima  la  via  di  Capua, 
posero  r  assedio,  alla  città;  poi  corsero  infino  a  Na- 
poli, con  qual  successo  lo  ignoriamo,  forse  di  metter 
grosse  taglie  e  ritrarsi.  ^  Di  marzo  mille  e  tre,  innol- 


'  Lapo  ProlospaUrio,  d88. 

s  Lupo  Protospatario,  991,  e  Adodìdìo  di  Bari  nella  stessa  pagioa  del 
Perù.  11  nome  ha  le  varianti  Asto,  Otbo,  Ano. 

'  Sì  riscontrino:  Lupo  Proto8patario,'994;  Anonimo  di  Bari,  996;  Ro- 
mualdo Salernitano,  994. 

*  Lupo  Protospatarlo,  e  Anonimo  di  Bari,  99S;  Bosito  è  intitolato  eay- 
tu$,  cioè  kaid,  condottiero. 

'  Si  riscontrino  le  varie  lezioni  della  Croniea  di  Santa  Sofia  di  Bene*' 


—   341    —  (1005-1005.1 

tratisi  dentro  terra  nel  golfo  di  Taranto,  assediavano 
senza  frutto  Montescaglipso/  Guerra,  non  incursione 
di  predoni,  fu  l' altra  che  seguì  il  mille  e  quattro^  ca- 
pitanando i  Musulmani  il  kàid  Safi,  rinnegato.  Il 
quale  iti  su  Y  entrar  di  maggio  poneva  il  campo  a 
Bari,  vi  chiudea  Gregorio  Catapano  della  provincia; 
e  avrebbe  espugnata  la  capitale  senza  le  armi  dei 
Vinizìani^ pronti  ad  aiutar  l'impero  greco  quando  ne 
andava  la  sicurezza  dell'  Adriatico.  Perchè  Pietro  Or- 
seolo  doge  di  Venezia,  salpato  con  rarn;iata  a  dieci 
agosto,  approdava  a  Bari  il  sei  settembre  in  faccia 
ai  nemici ,  che  invano  instrussero  i  cavalli  su  la  co- 
stiera e  fecero  avvisaglie  con  lor  navi.  Rifornita  Bari 
di  vettovaglie,  il  doge  ordinò  ogni  cosa  per  fare  ad 
un  tempo  la  sortita  dal  sobbórgo  e  dar  battaglia  navale. 
E  per  tre  di  fu  combattuto  ad  armi  bianche  e  dardi 
artifiziati  con  fuoco;  finché  Safi  vedendo  averne  la 
peggio,  chetamente  levò  il  campo  la  notte  del  venti- 
due settembre.  ' 

Minori  sembran  le  forze  e  meglio  giudicata  ia 
vittoria,  nella  battaglia  navale  che  si  travagliò  il  sei 
agosto  del  mille  e  cinque  a  Reggio;  dove  i  Pisa- 
ni, emuli  ormai  di  Venezia,   ruppero  i  Musulma- 


vento,  runa  delle  quali  porta  precisamente  la  data  di  agosto  1003,  XV«  indi- 
zfoiie,  presso  Muratori,  AfUiquitatesItafiem,  tomo  1,  p.  287  ;  e  le  altre  presso 
Pertz,  Serìptores,  III,  p.  177.  Si  ?egga  anebe  Romualdo  SaleniitaBO,  iOOl. 

*  Lupo  Protospaiario  ed  Anonima  di  Bari,  1005. 

*  Si  riseontrino  :  Giovanni  Diacono  di  Venera,  contemporaneo,  presso 
Pertz,  Seripiorei,  tomo  VII,  p.  38;  Anonimo  di  Bari,  anno  1003,  presso 
Muratori, iliiftfiiito^ef  IUlUcìb,  tomO|I,p.  33; Lupo Protospatario, anno  iOOl 
(var.  lOOS).  La  data  del  1004  si  trova  pressò  Giovanni  Diacono,  al  par  che 
i  particolari  dellMmpresa.  Si  vegga  anche  il.Dandòlo,  lib.  IX,  cap.  I,  par* 
te  44,  presso  Muratori,  Rerum  Italicarum  Scriptoru,  tomo  XII,  p.  233,  con 
data  erronea. 


[4009-40H.]  —  542  — 

ni.  *  D'agosto  del  mille  e  nove,  spezzato  il  patto  del 
capitano  Sato,  o  cred'io  Saìd^  i  Musulmani  occupavano 
un'  altra  volta  Cosenza.  *  Poi  si  legge  che  un  Ismaele 
combatteva  insieme  coi  Saraceni  Tantio  mille  undici  a 
Montepeloso;  ch'era  ucciso  nella  zuffa  un  Pasiano  e  che 
Ismaele  entrava  nel  castel  di  Bari;  iiel  qual  testo  par 
si  debba  legger  Melo  in  luogo  dlsmaele:^  e  sarebbe  il 
nome»  se  fausto  o  male  auguralo  non  so,  al  certo  véne-^ 
rabile  e  grande,  del  cittadin  di  Bari,  il  quale,  levatosi 
come  Smagardo  contro  la  tirannide  bizantina,  com- 
però indi  a  poco  le  spade  normanne.  Che  gli  emiri 
kelbiti  abbiano  aiutato  a  cotesti  movimenti  di  Puglia 
non  può  chiamarsi  in  dubbio  :  e  se  ci  fossero  ignote 
lor  fazioni  di  guerra,  basterebbe  la  cura  che  posero 
le  croniche  pugliesi  a  notare  le  mutazioni  di  signoria 
dei  Musulmani  dal  mille  quindici  al  mille  e  venti,  ta- 
cendo al  tutto  quelle  che  precedettero  e  che  segui- 
rono. ^ 


<  Chrùniea  Varia  Pisana,  presso  Maratorì,  B.erum  Italiearum  Seri- 
ptores,  tomo  VI,  p.  i07  e  i67^  MaraogòDe,  neW  Archivio  Storico  ItaliaMt 
tomo  vi,  parie  II,  p:  4.  La  data  eh' è  io  tutti  del  1006  si  dee  scemare  d'un 
anno,  cadendo  In  agosto  e  contandost  l'anno  alla  pisana. 

*  Lupo  Protospalario,  anno  1009. 

B  ChroniconBarenset  presso  Muratori,  Antiquiiates  IlaliccB,  tqmo  I, 
p.  33,  anno  1011,  e  le  varianti  del  Pertz  nella  edizione  messa  a  riscontro  di 
Lapo  Protespatario. 

«  Gesll  pensa  De  Meo,  Annali  di  Na^li,  tonao  Vii,  p.  12, 13,aiL  1010. 

s  Lapo  Protospalario,  ediz.  di  Pertz,  Smptore8,Xom^  V»  p.  37^  an.  1015. 
«  Apparuit  stella  comelae  mense  februarii  ^.  Samu^  rex  obiit  et  regnavit 
»  fiUos  ^U9....  4016.  Occisus  est  ipse  fillus  praefati  Samuelis  a  suo  conso- 

•  brino  Alio  Aronis  et  regnavit  ipse....  lOSO  Deseenderunt  Sarraceni  cum 
»  Rayca  et  qbsederunt  Bisioianttm  et  apprefaeoderwit  «am  et  mortuus  est 

•  ipse  àdfflira  (amira»  amila  eie.)  et  Melis  dui  Apuli®.  >  L'abdicazione  di 
lùsnf  innanzi  H  lOdti;  H  fralrteidi»  di  Gia'faroel  1013;  eia  «aeciata  di  oo- 
stuì  nel  1019  che  si  kiggeranno  nel  capitolo  seguente,  rispondooo  a  un  di 
presso  ai  fatti  accennati  da  Lupo  :  né  monta  la  inesattezza  dei  particolari» 


—  343  —  rittWj 

Per  cagioQ  della  rivoluzione  militare  del  mille- 
qaindici  onde  furono  menomate  le  forze  dei  Kelbiti, 
è  da  supporre  venuti  d'Affrica,  non  di  Sicilia ^  i  Mu- 
sulmani i  quali  del  mille  e  sedici  posero  a  terra  a 
Salerno;  strinsero  un  pezzo  la  capitale  con  Tarmata 
e  con  V esercito;  alfine  furono  costretti  abbandonare 
r  impresa. .  ^  Altri  narra  che  trovandosi  per  caso  in 
Salerno  quaranta  gentiluomini  normanni,  reduci  dal 
pellegrinaggio  di  Gerusalemme,  sentendosi  ribollire  il 
sangue  nelle  vene  alla  vista  degli  Infedeli  baldanzosi 
e  dei  terrazzani  che  tremanti  s' apprestavano  a  pagar 
la  taglia,  chiedean  armi  e  cavalli,  prometteàno  libe- 
rare i  Cristiani  col  ferro;  e  lor  era  creduto  alle  ro- 
buste persone  e  guerriero  piglio  ed  aspetto:  tanto- 
ché, assaliti  alla  sprovveduta  i  nemici,  li  sbaraglia- 
vano con  grande  strage.  Il  qual  episodio  parmi  da 
accettare,  sol  che  s' aggiungano  al  drappello  straniero 
i  cavalli  e  i  fanti  del  principato  salernitano,  e  che  si 
tolga  qualche  zero  alla  cifra  dei  ventimila  Saraceni 
che  leggiamo  in  una  compilazione.  1  pii  guerrieri  ri- 
cusavano ogni  guiderdone ,  ripigliavano  il  viaggio  ad 
onta  di  tutte  promesse  e  preghiere:  onde  il  principe 
di  Salerno  mandò  secoloro  un  legato  che  conducesse 
a' suoi  soldi  campion  più  mondani,  recando  in  Nor- 
mandia la  mostra  del  ben  di  Dio  che  si  godeva  in  Italia: 
vestimenta  di  porpora ,  briglie  di  cavalli  ricoperte  a  la- 
nò.  io  sbaglio  dei  Domi.  Riteogo  perunto  che  1»  cronica  intenda  dire  dei 
KelMti  dì  Sleilla,  non  di  qualche  avventnrìere  musalmano  cbe  avesse  ten- 
tato di  farsi  signore  in  Calabria,  che  sarebbe  sopposizione  sema  alcun  fon- 
damento. 

'  Si  confrontino:  Lupo  Protospatario  e  Anonimo  di  Bari,  anno  1016,  e 
gli  Annali  dei  Monastero  di  Santa  Sofia  di  Benevento,  nella  edisione  del 
Pertz,  Scriptora,  tomo  III,  p.  177,  slesso  anno. 


|40iè  1  —  344  — 

mine  d'oro,  melarance ,  >inandorle  e  noci  confettate.  ^ 
E  gli  stranieri  corsero  air  esca;  ma  divorarono  in- 
sieme la  man  che  la  porgea. 


*  Si  confroDtino:  Amato,  L'Ystoire  de  li  Narmani fWh,  I,  cap.  17,18^19; 
Leone  d'Ostia,  lib.  Il,  cap.  57,  presso  Pertz,5crf ptore«,  tomo  VII,  p.  65i, 
652;  nei  qaali  è  da  notare  cbe  Amalo,  scrittore  più  antico,  pon  meno 
episodi!  da  romanzo  di  cavalleria:  del  resto  si  vede  cbe  entrambi  attin- 
sero ad  unica  fpnte.  Delle  circostanze  importanti  il  divario  è  questo,  cbe 
Amato  dice  giunti  i  Normanni  durante  V  assedio  e  Leone  d'Ostia  prima  ; 
che  Tuno  soppone  i  Saraceni  venuti  a  riscaotere  il  solito  tributo  il  quale 
cessòperstmpre  dopo  quell'impresa,  e  l'altro  reca  il  fatto  come  un  deisoliti 
assalti  che  finivano  pagando  una  taglia.  Si  accordano  a  un  di  presso  nella 
data,  dicendo  l'uno  avan  mille  e  l'altro  circa  sedici  anni  avanti  il  1017.  Ma 
come  entrambi  riferiscono  agli  allettamenti  dell'ambasciatore  salernitano 
la  venuta  dei  venturieri  che  comparvero  in  Italia  il  1017,  così  mi  è  parso  di 
segOir  la  data  di  Lupo  Protospatario  e  della  Cronica  di  Santa  Sofia  di  B^ 
nevento;  la  quale,  oltre  l'autorità  di  que' cronisti ,  convien  meglio  ad  una 
pratica  di  questa  fatta  che  non  potea  durare  sedici  anni.  D'altronde  la  data 
del  principio  del  secolo  poteva  essere  vagamente  indicata  nei  ricordi  so  | 
quali  scrisse  Amato  verso  il  1080,  e  Leone  d'Ostia  nei  principii'del  XII 
secolo. 

Non  ho  fatto  menzione  dei  compilatori  successivi ,  per  esempio  Odo- 
rico  imitale  (morto  il  1141),  il  quale  dà  20,000  ai  Saraceni  e  100  ai  Normanni, 
e  son  tra  questi  Drogone  ec.  Al  contrarlo,  i  critici  moderni  mi  par  abbiano 
negato  troppo  facUmenie  l'episodio  de' quaranta  pellegrini,  il  quale,  tolti 
gli  ornamenti  della  Tavola  Rotonda,  non  ha  nulla  che  discordi  dall' indole 
degli  uomini  e  dei  tempi. 

DeU)o  avvertire  che  nella  edizione  della  Cronica  di  Santa  Sofia  di 
Benevento,  Pertz,  Scriptores,  III,  p.  176, 177,  si  leggono  le  altre  scorrerie 
qui  appresso  notate,  cavate  da  aggiunte  della  edizione  di  Pratilli,  tomo  IV, 
p.  358,  cbe  non  si  trovano  negli  altri  MS.  Si  vegga  nel  detto  volume  dd 
Perù,  p.  173,  l'avvertimento  dell'editore  tedesco,  il  quale  parmi  non  siasi 
ricordato  che  le  aggiunte  veniano  dalle  stesse  mani  che  interpolarono  la 
Cronica  della  Cava,  fabbricarono  quelle  di  Calabria  e  dei  Duchi  di  Napo- 
li ec.  Però  non  accetto  quelle  notizie  come  genuine  : 

Anno  982.  Dopo  la  sconfitta  di  Otone,  i  Saracèni  saccbeggian  tutta  la 
Calabria.  (Noi  sappiamo  che  se  ne  tornarono  in  fretta  in  Sicilia.) 

Anno  ^002;  Prima  della  marcia  sopra  Benevento  (che  è  nelle  altre  edi- 
zioni), vengono  a  Bari  e  prendono  e  ardono  Ascoli  e  il  Castel  di 
Santangelo. 

Anno  1007.  Nuova  iofestagione  di  Capua. 

Anno  1009.  Presa  di  Bìtonto  e  del  Castrum  Natii 

Anno  1016.  Durante  l'assedio  di  l^alerno,  dato  il  guasto  fino  ad  Agro- 
poli e  Capaccio. 


—  345  —  *  [I020-4#54.1 

Mentre  le  armi  normanne  comuiciayano  con 
pieooli  anspicii  a  mostrarsi  in  Puglia ,  i  ribelli  avendo 
uopo  dì  pili  forti  aiuti ,  non  restarono  di  chiamare  i 
Musulmani  di  Sicilia.  I  quali  del  mille  e  venti, 
accozzatisi  con  un.  Rayca,  pugliese ,  assediarono  e 
presero  Bisignano:*  che  sembra  la  prima  impresa 
deir  emiro  Akhal.  Si  legge  poi  che  di  giugno  del 
milleventitrè  un  kàid  Gia'fer  con  Rayca  pòse  il  campo 
a  Bari  ;  donde  partitosi  il  di  appresso  ,^  espugnò  Pala- 
sciano:'  nel  qual  testo  il  nome  va  corretto  forse 
Abu-Gia'far  è  sarebbe  il  medesimo  Akhal/  Delle 
altre  scorrerie  di  costui,  dèlle^  arsioni  e  guasti  e 
saccheggi  in  Calabria ,  vagamente  accennati  negli 
annali  arabici/  ignoriamo  i  particolari,  non  avendo 
croniche  cristiane  di  Calabria  in  questo  tempo ,  ma* 
sol  qualche  ricordo  della  Puglia.  Tornò  ad  osteggiar 
la  Puglia  il  milleventinove  Già  far,  o  Akhal,  insieme 
con  Rayca;  assediò  il  castello  d' Obbìano;  e  si  ri-* 
trasse  per  accordo  ,coi  terrazzani  che  dessergK  pri- 
gióni gli  stranieri,  com'  ei  pare,  il  presidio  bizantino/ 
Stavano  per  cominciare  in  Sicilia  i  rivolgimenti  che 
distrussero  la  dinastia  kelbita  e  la  dominazione 


*  Lupo  Prolosptttario»  presso  Perir,  Seriptoret,  tomo  V,  p.  {S7. 

*  Ibidem.  Il  nome  è  scrino  laffari.  Zaffati  eie.  Si  aggiugne  criii  ch^ 
par  da  leggere  catti. 

*  Atuied-ibn-lfisfifi  sopraDoominato  AJkhal»  è  dilamato  sempre  da 
Cedreno  Apollofar.  Da  un'altra  mano  gli  annali  musulmani  ci  dicono  che 
il  suo  figliuolo  Gia'far  rimaneva  al  governo  in  Sicilia  quand'  egli  andava  a 
far  guerra  in  Terraferma.  E  però  il  suokeniet,  come  lo  chiamano  gli  Ara- 
bi, par  sia  sUto  Abu-Gia'far,  "  il  padre  di  Gia'far." 

*  Si  riscontrino:  U>B-e1-AUilr  sotto  Vanno  484,  US.  A,  tomo  IV, 
fog.  ^34  recto,  seg.;  Abulfeda,  Annalet  Jfoi/emici,  tomo  Ili  i  p.  274,  seg.  ; 
Nowairi,  presso  Di  Gregorio,  Rerum  Arabiearum,  p.  23. 

s  Lupo  ProtQspatario,  1.  e. 


H0S<-4060  1  —  346  — 

musulmana,  quando  di  giugno  milletrentuno  i  Mu~ 
sttlmani  occupa van  Gassano;  e  il  tre  luglio  davano 
una  rotta  al  catapslno  Pòtho.  ^ 

D' allora  in  poi  non  s  intende  d' assalti  loro  in 
Terraferma ,  ne  v'  ha  luogo  a  supporne ,  ove  si  con- 
sideri lo  scompiglio  deir  isola,  la  vittoria  di  Maniace, 
r  ingrossar  dei  venturieri  normanni  in  Puglia  e  Ca- 
labria. I  Musulmani  che  rimasero  quivi  fino  al  con- 
quisto della  Sicilia,  erano  rifuggiti  o  mercatanti.  Tale 
al  certo  la  popqlazione  infedele  di  Reggio,  la  quale 
il  millesessant^  s' accozzò  coi  Cristiani  in  una  infelice 
fazione  navale  contro  là  patria,  per  isfogare  odii  di 
parte  o  mostrar  fede  ai  novelli  signori.'  Qualche  altro 
esule  sventurato,  qualche  avventuriere  dì  negozio 
o  di  scienza,  stanziò  in  questo  tempo  a  Salerno, 
come  sarà  detto  a  suo  luogo.  Ma  il  flagello  che  aveva 
afflitta  per  due  secoli  Tltalia  dal  Tevere  al  Faro,  si 
trovò  spezzato  innanzi  la  metà  dell' undecimò. 

Le  battiture  del  quale.,  furono  al  certo  piii  spesse 
e  crudeli  che  non  ci  sia  venuto  fatto  di  raccontarle 
su  i  ricordi,  pochi  e  dispersi,  di  due  secoli  oscurià- 
simi;  delle  quali  notizie  alcune  si  trovano  senza 
data  né  certezza  di  nomi  topografici  nelle  agiografie; 
e  però  non  ci  si  può  fare  assegnamento.'  Migliore 
testimonianza  danno  i  nomi  che  leggiam  tuttavia 
su  le  carte  geografiche  in  luoghi  di  cui  non  fan  motto 
gli  annali  cristiani  né  dello,  islam:  i  quali  nomi,  e 

<  Lapo  Protospatario,  I.  e. 

*  Amalo,  L'Yatoire  de  H  Tfortìiwnt,  lib.  V,  cap.  XI. 

'Si  veggano  qdella  di  San  Nilo,  Ub.  IV,  dap.  VI,  p.  317,  seg.»  di  que- 
sto volume; e  di  San  Viule,  San  Lnea  di  Demena  e  San  Giovanni  Tberi- 
sta,  lib.  IV,  cap.  XI. 


—  347   —  [Scti.lXeXI.j 

tanti  che  ne  ignoriamo,  e  tanti  che  si  sono  dileguati, 
ragion  vuole  derivino  dai  casi  del  noùo  e  de- 
cimo secolo,  anzi  che  del  decimoterzo,  quando 
le  squadre  musulmane  di  Federigo  secondo  e  di 
Manfredi  non  faceano  un  passo  che  gli  scrittori 
guelfi  immantinenti  non  ne  ritraessero  Forma.  Nido 
dei   Musulmani  par  sia  stato   nel   nono  secolo   il 

• 

Monte  Saraceno,  come  si  addimanda,  su  la  costa 
meridionale  del  Gargano ,  *  a  settentrione  del  qual 
promontorio,  tra  Yiesti  e  il  lago  di  Varano,  è  anche 
una  Punta  Saracena.  Un  monte  Saraceno  s' innalza 
rimpetto  al  comune  di  San  Bartolomeo  di  Capitanata 
su  r  altra  sponda  del  Fortore.  Un  altro  in  Calabria 
Citeriore,  a  ponènte  di  Rocca  imperiale.  Nella  stessa 
provincia  s' addimanda  Saracena  un  Comune  posto 
a  libeccio  di  Castrovillari  a  poche  miglia;  e  sbocca 
nel  Jooio,  tra  Amendolara  e  la  focQ  del  Crati,  il 
fiumicello  Seracino;  presso  al  quale  in  sala  marina 
è  una  Torre  Saracina  come  la  chiamano.  Lo  stesso 
nome  di  Torre  Saracena  si  scorge  nelle  carte  del 
secò!  decimotlavo  in  Calabria  Citeriore,  tra  Longo* 
buco  e  Bocchigliero.  Fino  nello  Stato  papale  a  poche 
miglia  ci  greco  da  Tivoli  giace  la  teri'a  di  Saracinesco; 
a  mezzogiorno  della  quale  è  T  altra  detta  Siciliano: 
nómi  lasciati  per  avventura  nei  principii  del  decimo 
secolo  dalle  mansnade  del  Garigliano,  o  alta  fine  del- 


«  Leandro  Alberti,  DeseritHone  di  tutta  Italia^  Venezia  fSSSS,  fóg.  2i5 
verso,  fa  dà  per  fatta,  aggiugnendo:  f  Inaino  ad  oggidìisi  vedono  le  isepol- 
1  ture  nei  sasso  cavate  secondo  !  loro  malvagi  riti  et  profane  oerimenie.  » 
Ma  i  *  malvagi  riti*  dei  Musulmani  portano  dì  Inumare  i  cadaveri,  non  già 
di  chiuderli  in  avelli  dì  pietra.  Perciò  non  son  questi  al  certo  i  vestigii-ehe 
lasciarono  sul  monte  Gargano. 


|09.8.j  —  348  -^ 

l' undecìino  dai  Musulmani  di  Sicilia ,  che  ìneDÒ  seco 
Roberto  Guiscardo ,  per  liberare  papa  Ildebrando  dai 
Romani  e  dai  Tedeschi. 


CAPITOLO  vm. 

Dopo  otto  anni  di  prospero  reggimento,  lùsuf, 
colpito  d'emiplegia  del  lato  sinistro,  risegnò  Temi- 
rato  al  figKuoló  Gia'far,  al  quale  avea  già  procacciato 
in  cancelleria  d' Egitto  il  diploma  di  sostituzione  :  ^ 
e  adesso  a  nome  del  califo  Hàkem-biamr-^AlIah  gli 
erano  inviate  le  bandiere  del  comando,  con  prero- 
gativa di  Tàg-ed-4axDla  e  Seif-el-milla ,  che  suonan 
«  Corona  dell*  Impero  e  Spada  della  ÌFede.  »  '  Faccende 
di  cancelleria,  parendo  che  ormai  i  caliti  fatemiti 
non  pretendessero  esercitare  autorità  in  Sicilia,  ne 
eleggerne  gli  emiri,  ma  sol  mantenere  le  cerimonie 
deir investitura,  come  foceabo  in  Affrica;  dove  ciò  non 
togliea  che  gli  emiri  ziri  ti  loro  contendessero  qual- 
che città  di  frontiera  con  le  ragioni  e  con  la  spada.' 
E  veramente  nella  vita  di  Hàkem,  di  che  sappiam 
tante  minuzie,  non  si  fa  motto  mai  della  Sicilia,  né 


'  NoY^iri  afferma  la.sostitnzioDé  coDcednta  prima  della  riounzia  di 
I&sttf.  N*è  prova  anco  la  poesia  di  Abd^allah-Tonùlii  ^ella  quale  abbiam 
£itto  parola  oel  Gap.  VII,  pag.  335,  della  quale  si  vegga  la  nota  4. 

*  Si  riscontrino:  Ibn-el-Atblr,  anno  484,  MS.  A,  tomo  IV,  fog.  134 
i*ecto,  e  seg.;  Abulfeda,  Annakt  Moslemiei,  annp  336,  tomo  U,  p.  44^, 
seg.,  ed  anno  484,  tomo  HI,  p.  374;  Nowafri,  presso  Di  Gregorio,  Rerum 
Àrabiearumi  p.  aO;  Ibn^haldùD,  Htsiotrede  l'ÀfiiQ^  «^  ^^  ^  SieiU,  p.  178; 
Ibo-abi-Dinar;  MS.,  fog.  37  verso,  seg. 

^  Si  vegga  qui  appresso,  pag.  336. 


—  549  —  [098-4014.1 

del  reggiDieato  né  degli  emiri  di  quella  ;  se  non  che 
alcun  Siciliano,  nativo  ovvero  oriundo,  comparisce 
nella  storia  politica  e  letteraria  delV Egitto,  non  altri- 
menti che  gli  stranieri,  dell' Iràk,  di  Siria,  d'Affrica. 
Di  cotesti  Siciliani  direnK)  là  dove  cadrà  in  acconcio. 
Da  un'  altra  mano  la  corte  degli  emiri  in  Palermo 
del  tutto  si  ordinava  come  di  principi  independenti. 
Si  veggono  nel  regno  di  Gia'far  gli  oficii  di  vizir  e 
di  hàgib,  ossia  ministro  e  ciambellano;  i  quali  mai 
non  furono,  né  il  poteano,  appo  gli  emiri  di  pmvin- 
eia.  I  poeti  in  loro  apostrofe  a  lùsuf  e  al  figliuolo 
chiamavanli  Malek,  che  suona. re,  titol  nuovo  nel* 
r  islamismo;  e  scrivean  come  se  mai  non  fosse  stato 
al  mondo  il  califato  d' Egitto./ 

Giafar  ebbe  dal  padre,  insieme  col  principato , 
ciò  che  si  potea  tramandare  per  liberale  educazione  : 
non  le  virtù  dell'  animo  né  della  mente.  Fece  medio* 
cri  versi;  entrò  nelle  antologie  degli  Arabi  in  grazia 
d' un  epigramma  improvvisato  in  Egitto  (1 035),  dove 
andò  a  finir  comodamente  la  vita  quando  il  caccia- 
remo  di  Sicilia  :  volgare  antitesi  sopra  due  paggi  che 
gli  venner  visti  in  abiti  di  dibdg  *  V  un  rosso  e  l' altro 
nero  ;  la  qual  freddura  piacque  assai  in  quell'Arcadia 
arabica  dell'  undecimo  e  duodecimo  secolo.  '  Del  ri- 
manente, indole  pigra,  avara,  Crudele:  nelle  sue  mani 
casa  kelbita  die  la  volta  al  comun  precipizio  delle 


'  Si  vegga  la  poesia  citata  nel  cap.  Vllj  p.  S35,  seg. 

.'  Drappo  di  seta ,  sul  quale  si  vegga  la  Dota  I ,  pag.  S<i>.del  presente 
volume. 

9  Iméé-eA^ìn.Khafida,  MS.  di  Parigi,  ÀncieoFonds,  lS7d|  fog.  40 
verso, ed  lbn*KlialUkftn,  edizione. del  Wiistenfeld,  fascicolo. X,.p.  32^ 
vita  805. 


11645.1  —  350  — 

dinastie  musulmane,  nelle  quali  ad  una  o  due  gene- 
razioni di  guerrieri  succedettero  per  lo  più  i  Sar- 

». 

danapali  ;  come  se  il  naturale  intristir  dei  sangui  rea- 
gii s' affrettasse  dentro  le  mura  dell'  harem,  dove  si 
sciupa  il  padre,  e  la  fiacca  prole  alla  sua  volta  vi 
lascia  quel  po'  di  spirito  rimaso  nella  razza^ 

Dal  martire  Abn-1-Eàsem  in  poi,  gli  emiri  sici- 
liani aveano  amato  meglio  i  piaceri  della  reggia  in  Pa- 
lermo che  i  combattimenti  di  Terraferma.  Così  il  buon 
lùsuf ,  così  Gia'far  ;  il  quale  par  quel  desso  eh'  edi- 
ficò il  Castel  di  Maredolce  tra  le  abbondanti  acque  e 
i  lieti  giardini  che  furon  poi  delizia  dei  re  normanni/  I 
capitani,  intanto,  mandati  in  guerra ,  ripoi'tavano  a 
casa,  con  qualche  poco  di  bottino,  la  vergogna  della 
ritirata  a  Bari  (1 004)  e  della  sconfitta  a  Reggio  (1 005)  : 
il  principe  stracurato  e  i  ministri  procaccianti  apriaa 
la  strada  a  domestiche  ambizioni.  Donde  Ali,  figliuolo 
di  lùsuf,  congiurò  contro  il  fratello  coi  Berberi  e  gli 
schiavi  negri;  coi  quali  negli  ultimi  di  gennaio  del 
mille  e  quindici,  ridottosi  in  un  luogo  non  lungi  di 
Palermo,  si  chiarì  ribelle.  Gia'far  gli  mandava  incóntro 
sènza  indugio  il  giund  e  le  milizie  della  capitale  :  *  a 
dì  trenta  gennaio  si  venne  alla  zuffa,  la  quale  finì  con 
molto  sangue  dei  sollevati,  e  il  rimanènte  diessi  alla  ' 
fuga.  Ali  preso,  menato  al  fratello;  il  quale  comandò 

<  IbDTGiobair,  nel  Joumai  Aiiaiique,  serie  IV,  tomo  VII  (1846) ,  p.  76, 
chiama  Kasr-Gia'far  il  sito  regio  di  Maredolce.  Dei  tre  emiri  che  portarono 
tal  nome,  non  veggo  altri  che  il  Ggliuolo  di  ICUuf  che  abbia  avuto  genio 
e  tempo  da  fondare  questa  villa  regia ,  della  quale  terremo  proposito  nel 
libro  VI. 

a  Secondo  Ibn-el-Aibir  *  un  giund"  e  secondo  NòWairi  un  *Asher  os- 
sia "esercito,"  voce  generica  la  quale  può  comprender  anche  le  milizie  ma- 
nicipali  oltre  quella  della  nobiltà. 


—  351   —  (4015.] 

di  metterlo  a  morte ,  non  curando  le  lagrime  del  padre 
paralitico  :  talché  entro  otto  giorni  il  temerario  gio- 
vane si  giocò  la  testa  e  la  perdette.  Già  far  fé'  truci- 
dar dal  primo  air  ultimo  gli  schiavi  ribellati ,  e  i 
Berberi  scacciò  dalF  isola  con  le  famiglie  loro,  ninno 
eccettuato;  i  quali  si  ridussero  in  Affrica.  ^ 

Le  croniche  danno  un  insolito  barlume  su  la 
ragione  degli  avvenimenti,  aggiugnendo ,  che  rimase 
a  GiaYar  il  solo  giund  siciliano  e  menomato  V  eser- 
cito, i  Siciliani  imbaldanzirono  contro  i  governanti.' 
Indi  si  vede  essere  stati  i  Negri  squadre  stanziali.  I 
Berberi,  avanzo  delle  colonie  spopolate  un  tempo  (940] 
da  Khaltl-ibn-Ishak,  o  piuttosto  delle  soldatesche  ve- 
nute d'Affrica  sotto  i  due  primi  emiri  kelbiti,  sembran 
anco  milizia  stanziale:  squadre  di  giund  che  gli  emiri 
tenessero  appo  di  loro,  pronte  a  servirli  in  casa  e 

*  Sì  rìscontrioo  :  Ibn-el-Albtr,  Nowairi  e  Ibn-Kbaldùn,  U.  ce;  Il  passo 
dMbn-KhaldùD  :  *ma!s  il  épargna  ses  partisans  *  Tìen  da  una  lezione  erronea 
del  testo,  e  ^a  corretto  *  cacciò  i  Berberi  e  gli  scliiavi  negri.  "  È  da  avver- 
tire che  Nowairi  dice  seguita  la  battaglia  il  mercoledì  sette  di  scia'bàn  40S; 
11  qoal  giorno  risponde ,  nel  conto  astronomico,  alla  domenica  30  gennaio, 
e  nel  conto  civile  al  lanedì  31  gennaio  1013.  Il  giorno  della  settimana  è 
dunque  sbagliato  nel  testo;  o  l'errore  vien  dairusò  ortodosso  di  contaro 
fl  primo  del  mese  arabico  dal  dì  che  si  fosse  vista  con  gli  occhi  la  luna 
nuova,  checché  ne  notasse  il  calendario. 

In  ogni  modo,  la  data  del  16  febbraio  che  si  legge  nel  Martorana  ed  è 
fedelmente  copiata  dal  Wenrich ,  vien  da  un  errore  corso  nella  edizione  del 
Di  Gregorio,  Rerum  Arahicarum,  p.  21 ,  nota  e.  Secondo  il  Martorana  e  il 
Wenric|i  i  ribelli  furon  parte  Affricanl  e  parte  servi  di  AH;  ma  pei  primi 
i  testi  dicono  precisamente  Berberi ,  e  pei  secondi  'Àbid,  ossia  Schiavi  ne- 
gri; né  s*aggiugne  che  fossero  schiavi  di  Ali,  anzi  il  fatto  li  mostra  soldati 
stanziali. 

Non  merita  esame  il  fatto  recato  dal  Rampoldi,  Annali  Mutvimani, 
1009,  che  l'emiro  *  Thajo  dawta  per  la  sua  iniquissima  ammioistrasione  e 
le  enormi  sue  crudeltà  "  fa  deposto  e  sosUtuitogli  il  fratello  Abmad.  fi  ana- 
cronismo della  rivoluzione  del  1019,  che  l'annalista  senza  accorgersene  re- 
plica pòi  a  suo  luogo. 

*  Ibn-el-Aiblr  e  Nowairi,  11.  ce. 


|<oiwo<9.i  —  352  — - 

fuori,  stipendiate  con  assegnazione  temporanea  di 
dhià,  0  vogliam  dir  poderi  demaniali  :  picciola  mano 
di  gente ,  poiché  tornò  sì  agevole  di  cacciarla  via. 
L'attentato  di  Ali  fu  dunque  cospirazione  militare. 
Giatar  con  le  stragi  e  il  bando  volle  vendicarsi  e  as- 
sicurarsi; ma  non  pensò  che,  rimanendo  nelle  forze 
di  coloro  che  Y  avean  mantenuto  sui  trono,  non  potea 
maltrattarli  senza  pericolo. 

A  nulla  forse  ei  pensava  se  non  alle  vanità  e 
voluttà  del  principato;  rimettendo  ad  altri  la  cura  di 
trovar  moneta  che  bastasse  allo  spèndio.  Per  sua 
mala  sorte  s'avvenne  in  un  segretario  Hasan-ibn- 
Mohammed  da  Bàghàia  in  Affrica,'  e  fecelo  "^zf r.  Ai 
cui  consigli  Già  for  comandava  che  in  luogo  dell'  an- 
tica tassa  invariabile  d' un  tanto  ad  aratala  *  su  i  ter- 
reni, si  levasse  il  dieci  per  cento  su  i  grani  e  le 
frutta;  allegando  V usanza  generale  degli  Stati  mu- 
sulmani.' I  terreni,  s'intenda,  tassati  a  khardg  perpe- 
tuo :  ed  era  arbitrario  Y  alto  ;  non  potendosi  in  giure 
musulmano  mutar  né  la  quantità  né  il  modo  di  ri- 
scossione fermati  al  conquisto  e  diversi  secondo  i 
paesi,  talché  la  costumanza  degli  altri  luoghi,  molti  o 
pochi,  non  pptèa  far  legge  in  Sicilia.*  Che  tal  nova- 

r  *  Città  8u  la  catena  degli  Aarès;  oggidì  in  proTincia  di  Costantina. 

*  El'-Mug-^l'baker  "  Coppia  di  buoi.  "  Senza  dubbio  la  superficie  da 
lavorarsi.in  una  stagione  con  un  aratro.  Si  vegga  il  Lib.  I»  cap.  VI,  primo 
Tokime,  p.  1SS5,  nota  1. 

'  Si  riscontrino  Ibn-el-Atbir  e  Nowairi,  11.  ce;  il  primp  dei  quali 
adopera  la  voce  generica  ghallat  *  prodotti  del  suolo,"  e  il  secondo  le  due 
voci  te'ém  e  ikemr,  delle  quali  Tona  qui  significa  firomento  e  l'altra  il  fhilto 
degli  alberi  a  arbusti,  e  però  comprende  le  olive  e  le  uvei 

*  Ciò  si  ritrae  cbiammente^da  Hawerdi,  edis.  di  Enger,  p.  3S0  e260. 
Quest'autore  parlicolareggia  i  casi  nei  quali  era  permesso  d'accrescere  o 
diminuire  il  ì^ràg:  cioè  l'aumento  o  diminuzion  dt  valore  che  non  venisse 


—  353  —  |40«9:| 

zioDe  aumentasse  il  peso,  non  occorre  dimostrarlo, 
quando  il  mii^stro  e  remiro  la  vollero,  e  i  posses- 
sori se  ne  mossero  a  far  quel  che  fecero.  Il  vizir  ag- 
gravò il  mài  tolto  trattando  con  modi  villani  e  su- 
perbi i  kài4  e  gli  scetkhi^  che  è  a  dire  i  capi  delle 
nobili  famiglie  militari  e  i  notabili  della  cittadinanza. 
E  r  emiro,  al  quale  è  naturale  che  se  ne  richiamas- 
sero, parlò  ed  operò  leonino.*  <;• 
Riposava  sicuro,  nella  severità  sua  e  sanità 
del  ministro,  quando,  il  sei  di  moharrem  del  quattro- 
cento dieci  (13  maggio  1019),  sollevatasi  repènte  la 
capitale,  nobili  e  plebei  trassero  al  palagio;  F  assa- 
lirono, abbatterono  certi  casamenti  esteriori  e  facen- 
dosi notte  intorniarono  le  mura  come  in  assedio: 
Già  già  majQcavàn  le  forze  ai  pochi  difensori  ;  Je  turbe 
stavano  per  saltar  dentro,  quando  si  vide  uscire  in 
portantina  il  paralitico  lùsuf  ;  e  per  carità  e  riverenza 
s'arrestarono  a  un  tratto  gli  assalitori.  Il  quale  si 
studiò  a  calmarli  con  parole  e  promessa  di  far  quan- 
ta e'vorrebbono;  e  quelli  al  veder  il  povero  vegliardo 
rifinito  dagli  acciacchi  e  dall'  ansietà,  ruppero  in  la- 

da  fatto  del  proprietario.  Per  esempio  si  accresceva  il  khardg,  se  un'acqua 
Inopinatamente  sorgesse  da  ìnaffiare  il  podere,  e  si  diminuiva  se  un'acqua 
venisse  meno;  ma  non  si  mutava,  se  la  industria  del  possessore  miglio- 
rasse, 0  la  sna  incuria  facesse  andar  a  male  la  coltura.  Si  vegga  anche  ciò 
che  ne  abbiam  detto,  Lib.  Ili,  cap.  I,  pag.  18,  t9,  del  presente  volume. 
Non  si  trattava  al  certo  di  terréni  decimali  ossia  libera  proprietà  di  Musul- 
mani ,  nel  qual  caso  la  violazione  sarebbe  stata  assai  più  grave.  Non  di  po- 
deri demaniali,  polche  l  nobili  del  ginnd  non  andavano  al  certo  a  coltivarli 
da  affittaiuoli.  Non  di  poderi  dei  Cristiani,  poiché  que' che  se  ne  risenti- 
ron  furono  i  Musulmani. 

*  Si  riscontrino:  Ibn-el^Athir,  Àbnlfeda,  Nowalri  e  Ibtt-Khaldftn, 
11.  ce.  Il  primo  dice  che  Gia'far  '  oppresse  i  suoi  fratelli  (In  islam)  e  li  trattò 
con  superbia."  NowaiH  che  ^  vilipese  1  Slpiliani  e  gli  sceikhi  del  paese,  e  li 
trattò  con  superbia." 

II.  23 


[1019]  —  354  — 

grime  :  qqasi  supplicando  si  rifecero  a  contargli  tutte 
le  angherie  sostenute.  lùsuf  rispondea  farsi  malle- 
vadore del  figliuolo,  e  eh'  ei  medesimo  volea  gasti- 
garlo,  e  dargli  lo  scambio  in  persona  di  cui  lor  pa- 
rasse. Domandarono  T  altro  figliuolo  Ahmed,  sopran- 
nominato Akhal  ;  ^  e  incontanente  lùsuf  facea  promul- 
gare la  deposizione  di  Gia'far,  e  la  esaltazione*  di 
Ahmed.  Domandarono  Hasan  di  Bàghàia  e  il  ciam- 
bellano Abu-Ràfi';  i  quali  consegnati  al  popolo  furono 
entrambi  uccisi  e  condotta  in  giro  per  la  città  la 
testa  del  vizir,  eh*  era  più  odiato,  e  arso  il  tronco, 
senza  sepoltura.  E  ciascuno  se  ne  tornò  a  casa. 

lùsuf  intanto  temendo  non  inviperissero  peggio 
gustato  il  sangue,  avea  fatto  imbarcare  GiaYar  sopra 
un  legno  che  sciogliea  per  TEgitto;  e  poco  appresso 
in  altra  nave  ei  lo  seguì.  Moriron  poscia  entrambi 
in  Egitto ,  dove  avean  recato  decoloro  in  contanti 
seicento  settantamila  dinar,  che  son  circa  dieci  milioni 
di  lire  italiane.  I  cronisti  arabi,  lodando  a  lor  uso  la 
carità  e  liberalità,  notano  che  lùsuf.  possedeva  in  Sici- 
lia tredici  o  quattordici  mila  giumente ,  senza  contarvi 
gli  altri  animali  da  sella  e  da  soma,  e  che  venendo 
a  morte  non  lasciò  pure  un  ronzino.  '  Ma  a  consi- 

'  Ahhal  (le  lettere  ft  ed  A  qui  rendono  non  una  ma  dae  lettere  divèrse) 
signiflca  ttom  da'cijgli  oegrissiini  da  parer  UnU  col  kohl.  S'intènda  dei 
dgli  propriamente  detti  »  non  delle  sopraccigliai. 

*  SirisooYitrino:  Ibn-el-Acbtr,  Abalfedia,  Nowairf,  Ibn^Kbaldùn  e  Ibn- 
abi-Dìnftr»  li,  ce.  11  palagio  nel  quale  fu  assediato  Gia'far  non  sembra  la 
cittadeUadettaiaKbàlesa,inarantico  castello  degli  emiri  nel  sitò  della  reggia 
attuale ,  ovvero  un  palagio  nella  Klialesa.  È  da  notare  inoltre  cbe  Nowairi 
dioe  seguito  il  tumatto  il  lunedi  sei  di  mobarrem;  ma  quel  giorno  risponde 
secondo  il  conto  astronomico  al  mercoledì  13,  e  secondo  il  conto  civile  ai 
giovedì  i4  maggio.  Il  Di  Gregorio  tradusse  male  nel  Nowairi,  p.  21  :  "e/ 
omnia  peuum  dabat.  Tum  etiam  Giafaro  imputabatur  quod  univenat  pò- 


—  355  —  [975-995,1 

«derar  meglio  i  fatti,  quello  .stupendo  armento,  per 
QOQ  dir  nulla  dei  dieci  milioni  di  moneta ,  prova  la 
quantità  dei  poderi  tenuti  in  demanio  nei  regni  di 
làsuf  e  di  Gia'far.  È  verosimile  che  costui,  cacciati  i 
Berberi  ribelli  del  mille  e  quindici,  abbia  ritenuto  i 
poderì,  anziché  concederli  in  beneficio  militare  ai 
Siciliani;  e  che  il  dispetto  di  tal  avarizia  abbia  fatto 
sentir  più  dura  F offesa  dell'aggravata  tassa  prediale. 

M^tre  germogUavano  in  Sicilia  cost  fatte  di- 
scordie, crebbe  in  Affrica  la  dominazione  zirita;  la 
cui  potenza  e  le  vicende  interiori  e  il  crollo  che  le 
die  una  nuova  irruzione  di  Arabi,  a  volta  a  volta  si 
risentirono  neU'  isola.  Bolukktn  con  le  armi  di  Sanbà- 
già,  la  riputazione  di  Moqzz,  e  gli.  ordini  dell'antica 
colonia  arabica,  occupò  tanto  o  quanto  il  paese  infìno 
a  Centa;  raffrenò  gli  Omeiadi  di  Spagna  che  tenean 
parte  della  costiera;  si  spinse  a  mezzogiorno  del- 
F Atlante;  rintuzzò  la  rivale  nazione  dì  Zonata;  ebbe 
dal  caiifo  Aztz  le  città  su  i  confini  delf  Egitto,  nega- 
tegli nella  prima  concessione:  talché,  venendo  a 
morte  (984),  era  ubbidito  più  come  prìi;icipe  che  vi- 
cario da  Tripoli  a  Fez.  Snccedettegli  il  figliuolo  Man- 
sùr,  il  quale  mantenne  con  varia  fortuna  la  potenza 
del  padre;  sottopose  al  giogo  la  tribù  diKotama.'  E 

ptdi  siciliensis  opes  diriperet;"  e  p.  22:  *  ab  conspectu  eorum  non  abscessu' 
rtim/  Questi  due  ppssi  vau  ccrreui  :  'accadesse  checbe  accadesse  (nel  rao- 

colto).  Inoltre  Gia'far  mostrò  dispregio  pei  Siciliani. cbe  non  sì 

allontanerebbe  dai  loro  consigli.*  Infine  nella  stessa  p.  22  la  frase  "ego 
itdmmUtrationii swb rependi  vieem'  va  spiegata  più  precisamente* Vi  ri- 
sponderò io  dei  fatti  suoi  e  lo  punirò  io."  ' 

<  Si  riscontrino:  Ibn-el-Atbìr,  anni  361 ,  565,  579, 3S6,  MS;  G,  to- 
mo V,  fog.  10  verso, ....  27  verso,  34  verso;  Baiàn,  testo  arabico,  tomo  I, 
p.  222,  238,  240^  seg.;  Ibn-Kbaldùn ,  fffs^otre  de»  Berbères,  versione  di 
M.  De  Slane»  tomo  II,  p.  9 a  16. 


[096-999.1  —  356  — 

eh'  ei  si  sentisse  saldo  ìq  sol  trono ,  Io  mostran  le 
parole:  ^'Mio  padre  e  Tavolo  comandarono  con  la 
spada;  quanto  a  me  non  adoprerò  forza  se  non  che 
ì  benefìzii.^  E  T altro  detto:  ^Ho  ereditato  questo 
reame  da'  miei,  nói  tengo  in  virtù  d'un  rescritto,  né 
mei  farà  lasciare  un  rescritto.  "  ^ 

Furon  serbate  contuttociò  le  apparenze;  sì  che 
esaltato,  alla  morte  di  Mansùr,  il  figliuolo  Badts  (996), 
gli  vennero  del  Cairo,  a  nome  di  Hakem,  le  vesti- 
menta  ,  il  diploma  '  e  il  titolo  di  Nasf^ed-^wh^  ch'è 
a  dir  **  Sostegno  dell' Impero/*  Ma  a  capo  di  tre  anni, 
il  governatore  di  Tripoli  per  Badis,  tradito  il  signor 
suo,  offriva  la  città  alla  corte  fatemita;  e  questa,  come 
di  furto,  se  la  prendea,  commettendola  a  lànis  il  Si- 
ciliano, governatore  di  Barca,  forse  liberto  di  sangue 
cristiano.  Àppo  il  quale  mandando  Badts  a  dolersi, 
rispose  altero:  e  il  principe  d' Affrica ,  quasi  il  califo 
non  ci  entrasse  e  fosse  la  contesa  tra  lui  e  lànis , 
gr  inviava  diMehdià  con  genti  un  GiaTar^bn-Habib; 
il  quale  pose  il  campo  ad  Agiàs  tra  Cabès  e  Tripoli. 
Mandò  poi  a  dire  a  lànis  che  di  tre  partiti  scegUesse 
Tuno  :  rappresentarsi  a.Badis;  mostrare  il  diploma  che 
avessegli  affidato  il  governo  di  Tripoli;  o  disporsi 
alla  battaglia.  E  lànis  gli  scrivea:  ^'Gh'io  vada  a 
corte  del  tuo  signore,  non  ne  parliamo.  Esibir  diploma 
non  debbo,  sondo  io  vicario  del  Principe,  dei  Credenti 
in  provincia  maggior  di  Tripoli,  Dell'altro  caso,  che 
rimane,  non  darti  briga:  aspetta  dove  sei,  che  ci 

<  Baiàn»  testo,  tornò  I,  p.  249. 

^  IbQ-el-Athtr,  anno  386,  MS.  Gy  tomo  V,  fog.  34  Terso. 

'  Ibn-Kballik&n,  versione  inglese  di  M.  De  Slane,  tomo  1,  p.  248. 


—  357  —  Hooo-ioo4.| 

Vedrem  presto."  Entrambi  mossero;  s'affrontarono 
tra  gli  uliveti  di  an  villaggio  detto  Zftnzùr.  Dove  lànìs 
fu  rotto  con  molta  strage  Tanno  trecentonovanta  (12 
die.  999  —  30  novembre  1 000);  e  fatto  prigione,  pregò 
il  recassero  a  GiaYar,  ma  gliene  portaron  la  sola  testa. 
Li  sbaragliati  s' afforzarono  a  Tripoli/  la  quale  debol- 
mente aiutata  dal  siciliano  Zeidàn ,  com'  altri  legge, 
Io  scbiavone  Reidàn,  '  che  reggeva  allora  la  corte 
del  Cairo,  tornò  in  potere  di  Badis,  dopo  lunghe  vi- 
cende che  a  noi  non  occorre  di  raccontare.' 

Fortunosa  età  per  la  schiatta  berbera,  Is^  quale 
dopo  due  secoli  si  sciógliea,  senza  ferir  colpo,  dalla 
dominaziotìe  degli  Àrabi,  serbando  gli  elementi  di 
civUtà  di  quegli  stranieri  :  religione,  leggi,  scienze, 
lettere,  industrie,  ed  una  popolazione  cittadinesca  data 
a  cotesti  esercizii ,  impotente  ormai  per  numero  e 
tener  di  vita  a  ripigliare  il  comando.  Gli  aborigeni 
del  continente  affricano  dal  Mediterraneo  al  Tro- 
pico, non  erano  mai  stati  sì  padroni  in  casa  loro,  dac- 
ché Cartaginesi ,  Romani ,  Vandali ,  Bizantini,  Àrabi 
occuparono  X  un  dopo  V  altro  la  regione  settentrio- 
nale. Ma  il  veleno  della  discordia  e' hanno  nel  san- 
gue, sempre  lor  tolse  di  cacciare  gli  stranieri;  e 
quando  rimaser  soli,  non  fé' allignar  tra  loro  né  fra- 

*  Si  riscontrino  Ibn-el-Atbtr ,  anno  389,  MS.  A,  tomo  HI,  fog.  100 
recto;  e  Tigiani,  AeAeZa,  MS.  di  Parigi,  fog.  74  recto,  e  86  verso ,  e  tra- 
duzione ne)  Journal Asiatique,  serie  V,  tomo  I,  (février-marsl8SS5),p.i04 
e  t32;  nel  primo  dei  quali  luoghi  Tigiani  riferisce  la  battaglia  come  Ibn- 
el-Atfair  al  380,  e  nel  seconda  al  389. 

*  Baiàn,  testo.  Comò  I,  p.  266,  anno  S92.  La  variante  *Reidan  Sak- 
labi  "  si  legge  nei  testi  citati  da  M.  De  Sacy,  Expoii  de  laReligion  du  Dru-^ 
tes,  tomo  1,  p.  ccxcui,  dove  per  altro  non  si  dice  dei  fatti  di  Tripoli. 

>  Si  veggano  i  particolari  in  Ibn-eMthtr ,  MS.  G,  tomo  V,  fog.  40  re- 
cto ,  anno  393;  e  nel  Baiàn  ;  ì.  e. 


H005.J  —  358  — 

tellanza,  ììè  amistà,  né  almeno  persuasione  di  dover 
vivere  insieme  ;  ed  ha  negato  all'  aniversale  infino  a 
questi  dì'  nostri  rincivilioiento  al  quale  gli  individui 
parrebbero  maravigliosamente  disposti.  Senza  dir 
deir  antagonismo  tra  i  >arii  rami  del  ceppo  bèrbero 
e  soprattutto  dei  Zenata,  che  furon  sempre  dei  piii 
selvatichi,  contro  i  Sanhàgia,  che  sembrano  di  piii 
docil  natura,  la  divisione  nacque  nella  stessa  casa 
ztrita ,  sotto  il  regno  di  Badts ,  quando  Hammàd , 
figlino!  deir  avolo  Bolukkin,  dopo  aver  combattuto  a 
prò  della  dinastia,  ribellatosi  (1014),  fondò  uno 
Stato  independente  nelle  odierne  province  di  Costan- 
lina  ed  Algeri,  *  Altre  calamità  piovvero  su  que' la- 
cera ti  dalla  guerra  civile. 

Del  trecentooovantacinque  (1004-^^),  al  dir  del 
contemporaneo  Ibn-Rekik,  la  carestia  e  la  pestilenza 
'  si  mossero  a  gara  a  spopolar  T  Affrica  propria;  i 
contadini  fuggirono  dalle  terre  non  trovando  di  che 
mangiare;  deserti  i  villaggi;  consumato  presto  quel 
che  teneasi  in  serbo  nelle  città;  e,  in  alcune  tribìi,  i 
Berberi  s' ammazzaron  tra  loro  per  isfamarsi  di  carne  . 
umana.  Ad  un  tempo  la  peste  mieteva  a  centinaia 
e  migliaia  gli  abitatori  dèlie  città:  chi  ha  visto  Tor- 
rida  scena  con  gli  occhi  suoi  la  raffigura  nei  par- 
ticolari narrati  dal  cronista.  Fu  tanto  che  a  Kaire- 
vvàn  rimasero  abbandonate  moschee  ,  forni ,  bagni, 
chi  non  avea  da  ardere,  andava  a  far  legna  nelle 
porte  e  nei  tetti  delle  case  senza  padrone.  Cacciati 

'  Si  fftggain  generate  VBiiMrédeBBBrbèn$pftrIhH'KhMoun,  pia 
volte  citata,  e  in  particolaire  il  tomo  U,  p.  il  e  44. 

'  Il  testo  ha  le  due  voci  webà  e  té'un,  cheìodicano  al  certo  due  pesti- 
lenze diverse. 


—  359  —  t<ooì>-40i6.i 

da  quei  flagelli  /  moltissimi  abitatori  delle  città  e  delle 
campagne  ripararono  in  Sicilia.  La  tìioHa  cessò;  la  ca- 
restia miligossi;  'poi  ricomparve,  con  le  cavallette  e 
con  la  guerra  civile,  Tanno  quattrocentosei  (1 01 S-1 6) 
e  di  nuovo  il  qnattrocéntcmove  (101S-19)  e  il  quat-* 
trpcentotredicì  (40SISI-83),  e  così  di  trattp  in  tratto.* 
Morto  intanto  Badìs  (aprile  1016)  ed  esaltato  il 
figliuolo  Moezz  ,  Scerf-^edr-dawla,  ossia  "^ Gloria  del- 
l!Impero*'  come  era  scrìtto  nella  patente  del  califo,  ' 
divampò  in  quelle  parti  crudelissima  proscrizione  re* 
ligiosa.  Gli  ortodossi  d' Affrica,  calcati  per  un  secolo 
dagli  Sciiti,  rimbaldanzirono  alla  sgombrar  della  corte 
fatemita:  oi'mai  sì  grossi  e. rabbiosi,  che  Hammàd 
fece  assegnamento  sopra  di  loro  per  togliere  mezzo  il 
regno  ai  nipoti;  onde,  chiaritosi  ribelle,  ristorò  (1 01 4) 
il  culto  sannita,  pose  mano  al  sangue  degli  eretici  nelle 
province  che  gli  ubbidivano,  ed  entrato  per  forza 
d'armi  a  Bugia,  tanto  stigò  i  cittadini  di  Tunis  che 
ammazzarono  popolarmente  que'  della  setta,  *  degni 
di  mille  morti,  perchè  non  volean  ripetere  che  Abu- 
Bekr  ed  Omar  fossero  in  grazia  di  Dio.  Così  la  cupi-- 
diigia  e  la  vendetta  prendon  sempre  una  maschera 
più-  brutta  delio  stesso  ceffo  loro ,  se  lo  mostrassero 
scoperto.  Soffiavan  entro  il  fuòco  dal  Kairewàn  que- 
gli indomiti  dottori  di  schiatta  arabica;  rincalzando 
forse  gli  argomenti  teologici  con  Y  esemplo  delle  or- 

'  Baiàn,  testo,  tomo  I,  p.  967,  anno  595. 

s  Si  riscontrino  :  Ibn-eì-Atfalr,  anni  iD6,  4t5,  452,  MS.  C,  tomo  V, 
fog.  46  verso,  56  verso  e  74 recto;  e  Baiàn,  teato,  tomo  I,  p.  980,  an- 
no 409  ee. 

^  Ibn-el-Aibtr,  anqp  406,  voi.  citato,  fog.  46  recto  e  verso. 

*  lbn-Kha!ékto  «  Storio  dei  Berberi,  testo,  tomo  T,  p.  932,  e  versione 
di  M.  De  Slane,  tomo  II,  p.  44.* 


lioiG]  —  360  — 

ribilità  ebe  faceva  ogni  dì  in  Egitto  il  poatefice  delli 
Sciiti,  il  sangainarìo  è  matto  Hàkepi,  arrivato  non 
guarì  dopo  al  colmo  d'ogni  empietà,  quando  (1016^ 
1 021  )  assenti  a  dirsi  Iddio  in  una  religióne  di  suo 
conio,  e  per  diletto  mise  a  sangue  ed  a  fuoco  la  ca- 
pitale.*  L  opinione  pubblica  trapelava,  com' avviene, 
nella  stessa  reggia  degli  Ztrìti;  dove  il  precettore  di 
Moezz  stillò  la  credenza  ortodossa  neir  animo  bal- 
danzoso d' un  re  d'otto  anni.  Ond'  ecco  un  di  (lu- 
g1ÌQ  1016)  che  cavalcando  il  fanciullo  nelle  vie  di 
Kairewàn,  gli  sfugge  di  bocca  una  benedizione  ad 
Abu-Bekr  ed  Omar;  e  ne  scoppia  repentina  scompi- 
glio tra  il  popolo  e  i  seguaci  del  principe  che  in  parte 
erano  Sciiti.  Fatti  questi  miseri  in  pezzi,  cominciato 
a  saccheggiare  le  case,  a  ricercare  per  ogni  luogo  i 
sospetti  di  quella, e  di  quàl  si  fosse  eresia,  ad  am- 
mazzarli, uomini j  donne  e  fanciulli;  e  ardean  poscia  i 
cadaveri  e  rapivano^  quanto  poteano.  La  proscrizione 
tumultuaria  propagossi  in  un  attimo  a  Mehdia  e  per 
tutte  le  città  dell' Affrica  propria;  s'allargò  nei  vil- 
laggi. Fra  qite'  che  morirono  difendendosi,  e  quei  che 
furono  scannati  come  pecore,  sommarono  a  parec- 
chie migliaia.  Rimase  il  nome  di  ""Lago  di  Sangue'' 
alla  contrada  ove  caddero  i  primi  tremila,  e  il  fatto 
passò  in  proverbio,  come  la  Saint-Bartbélemi. 


•  s 


'  Gli  atroci  particolari  del  regno  di  H&kem  si  leggano  nello  Exposé  de 
laMeligion  des  Drmes,  di  M.  De  Sacy,  tomo  I,  p.  cctcui,s6g.  Il  oomin- 
ciamento  deirapoteosi  del  tiranno  nel.  407  si  legge  a  p;  gcclxxxiii,  seg. 

'  Si  riscontrino:  lbnHel-Athlr,.anno  407,  MS.  G,  tomo  V,  fog.  SS3  re- 
cto; Baidn,  anni  407  e  429,  testo,  tomo  I,  p.  279  e  285;  N'owaìri,  Storia 
d'Affrica,  MÌS.  di  Parigi,  Ancien  Fonds,703,  fog.  36  verso;  e  Ibn-Khaldùn, 
Histoire  des  Berbères ,  versione  di  M.  De  Siane ,  tomo  U ,  p.  20;  i  qaali  non 
diiferiscono  in  altro  che  nei  particolari. 


—  361   -  |I0I6.4(H9.| 

Darò  almoD  due  attui  la  persecuzione ,  metten- 
dovi mano  il  principe  per  risparmiar ,  com'  ei  pare , 
il  sangue;  e  non  stando  sempre  a'  patti  il  popolazzo. 
Perchè,  del  quattrocentonove  (19  maggio  1018, 
7  maggio  1019)  si  nota  V  eccidio  d'una  man  di  Sciiti 
che  se  n'  andavan  esuli  in  Sicilia.  Da  dugento  ^  uo- 
mini, montati  a  cavallo,  e  forse  disarmati,  i  quali  con 
lor  famiglinole  e  lor  genti  di  casa  viaggiavano  sotto 
scorta  di  cavalleria  alia  volta  di  Mehdia,  per  imbar- 
carsi. Pernottando  alia  borgata  detta  di  Eàmil,  ri- 
morse la  coscienza  ai  villani  de'  contorni  se  li  lascias- 
sero andar  vivi:  s'armarono;  dettero  addosso  agli 
eretici  non  difesi  da  loro  guardie  e  tutti  li  trucida- 
rono ;  delle  donne  quante  eran  giovani  e  quante  lor 
parvero  belle  disonorarono  e  poscia  le  uccisero.^ 
Il  miserando  caso  ci  attesta  che  al  par  dei  cacciati 
dalla  fame  del  mille  e  cinque ,  riparavano  in  Sicilia 
gli  eretici  perseguitati  in  questi  due  anni,  e  che  il 
goviemo  d'Affrica  sopravvedeva  all'uscita,  fomia  forse 
le  navi. 

Suggellossi  col  sangue  degli  Sciiti  l'amistà  della 
nuova  dinastia  e  delle  pq>olazioni  arabiche,  ristrette 
ormai  nelle  città  ;  poiché  prima  gli  Aghlabiti,  poscia 
i  Fatemiti,  per  córta  ragion  di  Stato,  avean  battuto  e 
annichilato  i  nobili  del  giund  stanziati  nei  villaggi.  * 
In  molte  città  i  Berberi,  in  alcune  anche  gli  Aferika, 


*  Baiàh,[  testo,  tomo  I,  p.  380. 

>  Si  Teggano  nel  presente  volarne  il  Ub.  Ili,  cap.  II ,  VI.  Coi  Fate- 
miti  vennero  d'Oriente  a  poco  a  poco  1  partii^ani  loro  e  gli  affiliati  alla 
setta,  ai  qaali  è  probabilissimo  olle  oltre  gli  ofioii  pubblici  siano  stale  con- 
cedute pensioni  mililari.  In  AfiQrica  gli  Sciiti  erano  ctiiamati  ordinariamente 
Orientali. 


|10I9.<052.|  —  362  — 

avanzi  de' CrìstiaDi  dei  paese,  soggiornavaDo^^on  gli 
Àrabi/  e  già  parea  che  le  varie  genti  e  la  novella 
dinastia  si  acconciassero  a  far  una  naztooe.  Già  gli 
ZIriti,  aUiandonata  l'antica  lor  sede  dì  Asctr  neDe 
montagne  di  Titeri,  s' eran  posti  a  Mansuria  a  mezzo 
miglio  del  Eairewàn,  o  piuttòsto  dentro  la  stessa 
capitale  arabica,  la  quale  fu  poi  congiunta  da  fortifica- 
zioni a  Mansuria.  '  Fiorirono  in  questo  tempo  le  mani- 
fatture  e  i  commerci,  condotti  da  una  mano  nel  Me- 
diterraneo con  Sicilia,  Spagna  e  altri  paesi  marittimi;' 
dair  altra  mano  con  le  regioni  interne  del  continente 
afiricano.  La  quale  prosperità  industriale  si  potrebbe 
d'altronde  argomentar  dallo  smodato  lusso  della  corte 
zfrita  in  feste  pubbliche,  sposalizii,  funerali,  doni  ai 
califi  d'Egitto;  ed  anche  dallo  sminuito  valore,  o 
vogliasi  dire  cresciuta  copia ,  dei  preziosi  metalli. 


•  » 


*  Bekri,  nelle  Notices  et  Exiraits  des  MSS.,  tomo  XII,  p.  462  e  511. 
Si  vegga  il  Uh,  I ,  cap.  V,  ne)  1«  volume ,  p.  105,  nou  i* 

3  Bekri,  Noticu  et  ExtraiU  de$  MSS.,  tomo  XII,  p.  472.  QoesU  ciUà, 
altrimenti  detta  Sabra,  fu  fondata  e  prese  il  primo  nome  dal  califo  fate- 
mita  Mansùr,  ciie  vi  trasferì  la  corte  da  Mehdia  nel  947.  Si  vegga  ancbeil 
Béién,  testo,  tomo  1,  p.  322. 

'  Sul  commercio  e  industria  dell*  Aflfrlca  propria  abbiamo  le  relazioni 
'd*1bn-Hattkal ,  che  viaggiò  quivi  nieHa  seconda  metà  delX  secolo^edi 
Bekri  che  scrisse  nel  1067.  Il  primo  dice  del  commercio  di  Tripoli  col  porti 
dei  Rum  (Italia  e  Grecia);  di  Tenès  ed  Orano  con  la  Spagna;  di  tutta  l'Àf- 
friea  propria  con  rodente,  ove  si  mandavano  scfaiava  moUtleéscbiavi  ne* 
gri ,  Rum  e  Scbiavoni,  ambra  grìgia,  e  seta;  delle  manifatture  di  lana  ad 
Àgdabia  e  Tripoli;  della  pesca  del  corallo  a  Tenès,  Ceuta  e  Mersa-Kbarez 
[Journal  Àsiatique ,  111*  sèrie,  paig.363,  seg.)*  il  aeeondo  {jNoiices  ei  E9traitB 
des  MSS.t  tomo  XII)  fa  menzione,  oltre  i  prodotti  ordinarli  del  suolo ,  delle 
canne  da  zucchero  a  Kairew&n,  p.  484;  del  cotone  a  Usila,  p.  515;  del- 
r  indago  a  San,  o  Sanab,  p.  455;  deigeisi  coltivati  e  la  seta  prodotta  a  Ka- 
bes,  p.  463.  Ricorda  altresì  le  mani^iUvre  41  paini  e  tele  di  Kairev^rào, 
Susa,  Kafsa,  p.  4S8,  505;  iUommeiolo  dell'.alio  di  Sfai  con  la  Sicilia  e 
paesi  di  Rum,,  p.  465;  le  navi  mercantili  siciliane  e  d*t1tre  nazioni  che  In- 
gombravano il  porto  di  Metidia ,  p.  480. 

*  Il  Baidn  ci  dà  minuti  ragguagli  di  questo  lusso,  ritratli'da  Ibn-Re- 


—  565  —  11019-4052.) 

Attestano  i  commerci  eoa  T Affrica  eentrale  i  presenti 
mandati  a  Mansùr  dai. principi  del  Sudan  (992)  e  la 
barbarica  pompa  degli  Ztritì  che  in  lor  solenni  caval- 
cate usciàno  con  elefianti ,  e  giraffe ,  oltre  le  belve 
indigene  dell'Atlante.  V    . 

Né  la  potenza  sembrava  minore  del  fasto  nel 
regno  di  Moezz-ibn-Badis,  temuto  da  tutti  per  mezizo 
secolo,  com'  uomo  intraprendente  e  savio  nei  consigli 
e  gagliardo  nelle  armi.  Infine  agli  ultimi  anni,  quando 
subita  rovina  lo  ridusse  quasi  al  nulla  (iOS3),  ei  fu  per 
vero  il  più  possente  principe  musulmano  delle  re- 
gioni bagnate. dal  Mediterraneo.'  Comprendendo  là 
comodità:  che  gli  dava  il  mare  ad  allargar  suo  do- 
minio, egli  il  primo  dì  sua  schiatta,  provvide  a  ri- 


klk»  cronista  contemporaneo;  il  quale  spesso  allega  i  detti  di  mercatanti 
sol  valore  dei  corredi  Daziali  etc.  là  veggano  i  particolari  nel  testo  arabico, 
tomo  1,  p.  249  a  284,  anni 373  a  415.  Per  dame  qualche  esempio:  man^ 
dati  il  373  io  presente  al  califo  di  Egitto,  cavalli»  arnesi,  e  altre  robe, 
del  valsente  d' un  milione  di  dinftr  ,p.  249  ;  il  419,  nelle  nozze  d'una  6gliaola 
di  Badls,  i  gioielli,  gli  arredi,  i  vasi  d*oro  e  d'argento  e  le  riccbe  tende 
recali  dalla  sposa  furono  stimati  mn  altro  miliODe  di  dinar,  p.  284;  nel  406, 
in  una  sconfitta  dei  Beni-Hamm&d  ^  si  trovarono  addosso  a  (al  prigione 
50,000  dlnftr,  a  tal  altro  8,000  ec.  Ancorché  alcune  somme  siano  esagerate 
di  eerto,  noi  serobran  tutte.  lbn«4f.baldùn,  BìUoire  de$  Berhères,  tomo  II, 
p.  19,  riferisce  altri. esempli}  tolti  da  Ibn-Rekik,! quali  non  si  trovano  nel 
Baidn,  , 

'  Baién,  testo,  tomo  I,  p.  258  e  258,anni  362  e  387,  n^l  primo  dei 
quali  luoghi  sì  dice  d'una  girafl[a  mandata  dal  Sud&p  con  gli  altri  doni.  Donde 
sembra  che  alla  One  del  deciit»  secolo  sì  tenesse  già  un  commercio  diretto 
di  caravane  ira  rAfrica  proprièa  e  il  Sudan.  ibo-Haukal  terso  la  moti  dello 
stessp  secolo  paVla  <olo  dei  commercio  del  Sudan  con  Segeknessa  nello 
Stato  «tiefuo  di^Marocco,  la  quale  fu  uccupaAa  talvolta  dagli  Ztriti  ma  non 
rimase  in  poter  loro.  L'aiAondava  dell'oro,  che  secondo  i  tempi  ci  £1  tanta 
maraviglia,  veniva  forse  dal  commercio  eoi  Sudan. 

<  Si  veggano  i  particolari  del  regno  di  Moeu  in  ibnH9l-Atbtr,an.415, 
417 ,  427^  431,  MS.  €,  lomo  V,  fog.  56  Terso ,  59  recto ,  69  verso,  74  re- 
cto; Jtoidfi/ testo,  tomo  I,  p.  286  e  287;  e  iba-KhaidOo,  BiUeire  des  Ber» 
bères,  vers.  frane,  tomo  II,  p.  18  a  20. 


ji<Md-40»2.|  —  364  — 

storare  il  navilio  affricano,  del  quale  non  si  fa  motto 
da  che  il  califo  fatimìta  Moezz  mutò  la  sede  e  portò 
via  quanto  potè  in  Egitto.  Del  mille  ventitré ,  Moezz- 
ibn-^fiàdis  fecea  racconciare  gli  arsenali  di  Mehdia, 
fabbricare  attrezzi  navali  in  copia  non  più  vista,  co- 
struir legni  da  guerra  e  bandire  V  arruolamento  dei 
marinari:*  ed  a  capo  di  pochi  anni ,  r armata  affiri-» 
cana,  collegata  con  la  siciliana ,  combattea  contro  i 
Bizantini  nelF  Arcipelago  ;  e  il  principe  zfrìta  facea 
prova  a  Insignorirsi  della  Sicilia.  Sventura  dei  Musul- 
mani dell'isola  eh'  egli  ebbe  tanto  rigoglio  quando  co- 
minciaron  tra  loro  le  guerre  ^civili,  e  si  trovò  povero 
e  disarmato  quando  si  fece  in  pezzi  lo  stato  kelbita. 


CAPITOLO  IX. 

Akhal  cominciò  con  lieti  auspici!^  Ridotto  al- 
l' obbedienza  qualche  castello  che  se  ne  fosse  spic- 
cato agli  avvisi  della  rivoluzione;  *  avuto  da  Hàkem  il 
titolo  di  TeatJr-ed-dawlà  (Sostegno  dell'impero),  attese 
alle  faccende  pùbbliche  ;  ristorò  la  tranquillità  e  con- 
tentezza in  casa  e  la  guerra  fuori.  *  Né  sol  mandava 


*  Baiati j  testo,  tomo  I,  p.  282,  anno  414. 

s  IbD-el-Athlr,  Abulfeda  e  Nowairi»  copiando  tolti,  eom'  ò eTidepto, 
Dna  stessa  cronica,  scrivono  «  cbe  ubbidirono  ad  Alibaf  tolte  le  rócche 
di  Sicilia  possedute  jdai  Masalmani.  »  Da  ci6  argomento  cbe  alcune  nei 
principii  non  gli  avessero  ubbidito.  In  questo  tempo  non  era  in  Sicilia 
alcuna  terra  che  non  fosse  tenuta  da  Musulmani. 

s  Ibn-el-Atblr ,  anno  484,  MS.  A,  tomo  IV,  fog.  i34  recto  ;  Abnifeda, 
ÀnnaUi  Motlemici»  anno  484,  tornò  IH,  p.  274,  seg.  ;  Novrairi ,  presso  Di 
Gregorio,  Aemm  Àrabitarum,^,  22;  i b^-Kbaldùn ,  Histoire  de  VÀfirique 
et  de  la  Sicile,  versione,  p.  179. 


—  565  —  (402a.| 

te  gualdane  ia  Terraferma,  che  sovente  capitanò  egli 
stesso  gli  eserciti,  f^iivoreggiando,  com'abbiam  detto  7 
i  ribelli  di  Paglia.  * 

Donde  Basilio  imperatore,  uom  d'armi,  ch'avea 
testé  rintuzzati  in  Oriente  e  Musulmani  e  Russi  e  Bul- 
gari, pensò,  con  tutti  i  suoi  sessantott' anni,  di  recar 
la  guerra  egli  stesso  in  Sicilia.  Mandò  Innanzi 
r  eunuco  Oreste ,  fidatissimo  ciambellano  ed  aiutante 
di  campo,  con  grosse  schiere  di  sudditi  ed  ausiliari  : 
Macedoni,  Yallachi,  Bulgari,  Russi,  che  solean  mili* 
tare  sotto  le  insegne  bizantine;  '  i  quali  cacciarono  i 
Siciliani  dì  ogni  luogo  che  occupavano  in  Calabria. 
Reggio  allora  fu  ristorata  per  le  cure  del  Catapano 
Boioanni,  che  servisse  di  stanze  d'inverno  all'oste, 
la  quale  per  passar  lo  Stretto  aspettava  altre 
forze  con  l'imperatore'  e  il  navilio  con  un  suo  paren- 

'  Si  vegga  il  capitolo  VII  de)  presente  Libro,  p.  545,  346. 

'  Si  riscontrino  :  Cedreno,  ediz.  di  Bonn, tomo  Il,p.  479,sotlo  l'an.6354 
(1025-6)  ;  Anonimo  di  Bari,  presso  Pertz,  Seriptore$t  tomo  V,  p.  55,  dove 
il  1027  senza  il  menomo  dubbio  va  corretto  1025.  Il  Cedreno  dà  il  nome  e  la 
misera  condizione  d'Oreste  ;  l'Anonimo  i  nomi  delle  genti  che  si  notavano 
nell'esercito,  alle  qoali  aggiugne  i  Vandali,  che  si  dee  leggere  probabile 
mente  Varangi.  11  nome  del  capitano  vi  è  detto  Ispo  ehilonili  e  peggio  in 
altre  edizioni  petpoHu  Niem^  etc;  ma  la  giusta  lezione  è  quella  di  Lupo: 
OreHi  ehetòniti,  ossia  Oreste  ciambellano  (xoctoiy»'nq«).  Il  titolo  di  pro- 
tospatario,  ossia  aiutante  di  campo  dell'  imperatore,  è  dato  dal  Cedreno 
a  p.  406. 

Ci  è  occorso  più  volte  di  notare  che  accozzaglia  di  genti  diverse 
fossero  gli  eserciti  bizantini!  Nel  comento  delle  poesie  di  Motenebbi,  un 
autore  arabo  dice  che  l'eseircito  mandato  del  343  (854)  contro  Seif-èd- 
dawla  delia  dinastia  di  Hamdah,  si  corapenea  dì  Armeni,  Russi,  Slavi  « 
Bulgari  ^e  Khòzari.  Presso  Sacy,  Christomathie  Arabe,  tomo  Ui,  p.  5, 
seconda  edizione. 

*  Si  riscontrino  :  Ibn-el-Atblr,  anno 4i 6,  (1035-6),  MS.  A,  tomo  III, 
fog.  lOS'verso,  pub|)licato  da  H.  deaVergers  in  nota  a  Ibn-Khaldùn,  Htsioire 
de  VAfriqneet  de  la  Sieite,  p.  180;  e  Anonimo  di  Bari,  1.  e.  Il  nome  di 
Reggio  è  neir  Anonimo.  Ibn-el-Atbtr  parla  della  cacciata  dei  Musulmani 
da  quelle  parti  d' Italia  e  della  costruzione  delle  stanze  per  l' esercito 


|i026]  —  3W  — 

te.  '  Si  differì  poi  V  impresa  per  V  infermità  di  Bag- 
lio, che  di  corto  ne  morì  in  dicembre  del  milleventi- 
cinque.  ' 

Divulgatosi  il  pericolo  delia  Sicilia,  Moezz-ibn- 
Bàdts  profferse,  ed  Akhal  accettò  aiuti;  poiché  ban- 
dissi in  Affrica  la!  guerra  sacra;  alla  quale  l'am- 
bizioso signore  agevolmente  spingea  quelle  turbe  sì 
infocate  contro  gli  eretici.  Tanto  che  li  stivò  in  quat- 
trocento barcacce:  di  gennaio  del  miileventisei  li 
avviò  alla  volta  di  Sicilia,  fidandosi  in  Dio  e  neJla 
bonaccia.  Presso  Pantellaria  si  leva  un  turbine  di 
vento,  ed  ecco  a  un  tratto  capovolti  e  a£fondati  i  legni  ; 
campando  pochi  uomini  dal  tiaufragio.  '  Più  efficaci 
ausiliari  furono  ad  Akhal  la  balordaggine  di  Gostan- 


bizantino  :  il  cbe  si  deve  intendere  manifestamente  di  Reggio;  e  eonfenna 
nell*  Anonimo  la  lezione  :  Et  Regium  restaurata  est  a  Vulcano  eatepano. 
Delle  varie  edizioni  di  celesta  cronica,  alcuna  ba  al  contrario  che  Reggio 
fosse  distrutta;  e  sembra  ignorante  correzione  di  qualche  copista.  In  gene- 
rale son  pessimi  i  MSS.  /degli  Annali  o  Anonimo,  come  cbe  voglia  chia« 
marsi ,  di  Bari.  Il  nome  del  Catapano  ba  le  varianti  Bulcanoi  Bugiano ,  Ba*- 
giano.  Baiano,  nelle  quali  si  riconosce  il  Be't'Mtxvyic^é  sotto  Basilio  il 
governò  felicemenle  la  provìncia,  come  narra  Cedreno,  toma  II,  p.  546, 
parlando  d'un  suo  figliuolo  o  nipote  dell^stesso  nome, sconfitto  in  Puglia 
dai  Normanni  il  HMl.  Questo  Boioannl,  trasnuHato  in  Vulcano,  parve  ad 
alcuni  eruditi  non  uomo  ma  vukano  cba  vomitasse  lave  sopra  Reggio  ; 
della  cui  distruzione  indi  accusarono  il  Vesuvio,  eh*  è  lontano  anzi  chìrno. 
Siteggann  avvertimento  del  Martorana,  iVo/tue  Storiche  dei  Saraceni 
iStotiiani,  voi.  ni,  p.  2  a  6. 

4  Ibn-el-Athlr,  1.  e. ,  dice  "il  figlluol  della  sorella  dell' imperatore,* 
nel  che  v'  ha  anacronismo  col  patrizio  StefiiDo  mandato  il  lOBS,  o  si  tratu 
di  qualche  figliuolo  di  Giovanni  Oracolo  cbe  dovesse  capitanare  Tarmata 
veneziana.  Giovanni  Orseolo,  fratel  cognato  dell'imperatore  Romano  Argi* 
rio,  era  morto  nel  1006. 

*  Cedréno,  tomo  II,  p.  479. 

'  Ibn-el-Athlr,  1.  Cr»  il  quale  parla  di  400  tofa,  che  appoigU  Arabi 
sembra  nome  generico,  ooóae  noi  diremmo  vele.  Nondbneno  parmi  la 
stessa  voce  eattìu  e  gathu  cbe  nelle  cronache  di  Pisa  é  nel  Malaiwra 
(XI  secolo)  denou.una  sona  di  navi. 


—  367  —  [«026-40551 

tino  ottavo  rimaso  scAo  sul  trono  a  Costantinopoli , 
una  dissenterìa  che  s'apprese  in  Calabria  air  esercitò 
e  la  ninna  esperienza  d'  Oreste  nel  governare  la 
guerra.  I  Siciliani,  assalitolo  improvvisamente,  gli 
diedero  una  sanguinosa  rotta  ;  per  vendicar  la 
quale,  Rojnano  Argino  ch'era  succeduto  a  Costan- 
tino (novembre  1028)  racimolò  nell' Eliade  e  Mace- 
donia gue'  che.  gli  pareano  i  migliori  soldati  e  sì 
mandolli  in  Italia.  Ma  nulla  fecero,*  o  fuggirono  dinanzi 
i  Musulmani  nelle  due  ricordate  battaglie  del  mille 
trentuno.' 

S' arrischiaron  poi  gli  Affricani  e  i  Siciliani  a  lon- 
tane  scorrerie  navali  contro  Y  Impero.  Un'  armatetta 
musulmana,  di  qual  nazione  non  si  sa,  dato  il  guasto 
alle  costiere  d'illirìa,  corseggiava  infino  a  Corfù:  con- 
tro là  quale  uscito  il  navilio  di  Ragusa  e  il  patrizio 
Niceforo  governatore  di  Nauplìa,  la  vinsero;  presero 
la  più  parte  dei  legni,  e  quei  che  scamparono  fecero 
naufragiqne'mari  di  Sicilia,  del  milletrentuno  in  sul  fin 
della  state.'  Del  trentadue,  gli  Affricani  con  grande 
sforzo  infestavano  le  costiere  ed  isole  di  Grecia^  e  il 
patrizio  Niceforo,  superatili  anco  in  battaglia,  lor. fé' 
cinquecento  prigióni.  ^  Affricani  e  Siciliani  di  maggio 
milletrentacinque  si  spinsero  depredando  tra  le 
Cicladi  fino  alla  costiera  di  Tracia;  della  quale  teme- 
rità bastarono  a  punirli  i .  governatori  di  provincia 
che  mandatine  altri  cinquecento  prigioni  a  Costan- 

*  Cedreno ,  tomo  II,  p.  496 ,  497 ,  senza  data  precìsa  tra  il  6857  e 
116539(1029-31). 

'  Si  vegga  il  Cjip.  vai,  pag.  346. 
'Cedreno,  tomo  li»  p.  499. 
Cedreno ,  tomo  II ,  pc  300. 


1403$.)  '  —  368  — 

tìnopoli,  impalarono  i  rìmanenti  lungo  la  marina 
d'Asia,  da  Adramito  a  Strobifo.  Né  T  esempio  atterrì 
tanto  i  corsari  d'Affrica  e  di  Sicilia  che  nella  state 
un'  altra  armatetta  loro  non  tentasse  la  Licia  e 
isole  vicine  :  i  quali  parimenti  sconfitti  dal  navilio 
provinciale  e  presi,  furono  mazzerati,  fuorché  una 
terza  frotta  di>  cinquecento  che  portò  testimonianza 
di  vittoria  alla  capitale.  In  questo  mezzo  la  corte 
bizantina  avea  mandato  all'  emir  di  Sicilia  un  Gior- 
gio Probatp,  a  trattar  la  pace».'  o  piuttosto  a  pit- 
targli un  laccio  al  collo.  Altro  oratore  greco  andava 
appo  MoezzHlbn-Bàdis  con  ricchi  presenti  di  sete, 
arnesi  e  rarità.  * 

Akhal  s' era  messo  per  un  mal  terreno,  eh'  ane- 
lando d'uscirne  prese  la  scorciatoia  al  precipizio. 
Narrano  gli  annali  com'  egli  stando  in  su  le  armi 
in  terra  di  nimici,  sovente  lasciasse  il  reggimento 
dell'  isola  al  figliuolo  per  laome  Gia'far,  eh'  era  l'op- 
posto di  lui:  né  giusto  né  umano  coi  sudditi.  E 
senza  appicco,  voltando  pagina,  leggiamo  che  Akhal, 
assembrati  l  Siciliani,  dice  volerli  sgravare  degli  Af- 
fricani  partecipanti  di  lor. paesi  e  poderi;  '  esser  di- 
sposto a  cacciar  quegli  intrusi,  A  che  i  Siciliani  rispon- 
deano  non  potersi,  quando  gli  Affricani  s'erano  im- 
parentati con  esso  loro  e  commiste  le  due  genti  e  di- 
'  ■  ' 

'  Cedrenó,  tomo  II,  p.  513  e  514,  H  qu^le  scrive  la  daU  di  maggio  6543, 
per  la  scorrerìa  di  Tracia,  poi  accenna  l'ambasceria  di  Giorgio  Probaio 
ed  altri  dtily^e  tra  gli  iiUimi  avvenimenti  dell'anno  la  scorreria. di  Licia 
cbe  torna  cosi  all' agosto. 

^.Baidn,  testo,  tomo  I,  pag.  286,  anno  496  (15  novembre  1034a5 
novembre  1035). 

'  Questa  nltima  paroU  si  grave  è  nel  sole  Nowairi.  Ibn-el-Atblr  non 
la  dà. 


—  369  —  [losi-ioss.i 

venute  tutf  una.  L'emiro  li  accomiatò.  Chiamati  a  sé 
gli  Affricani,  proponea  Io  stesso  pat*tito  contro  i  Si- 
ciliani: ed  assentirono.  Indi  Akhal  a  favorire  gli  Affri- 
cani :  se  li  messe  attorno  ;  francò  lor  poderi  e  levò  il 
Kharàg  da  que'  soli  dei  Siciliani.  ^  Tra  cotesti  cenni 
vaghi,  disparati  ed  a  prima  vista  contraddittorìi,  dob- 
biamo discemere  il  fatto  che  scompigliò  e  capovolse 
la  Sicilia  musulmana. 

Ne'  ricordi  dei  due  primi  secoli  dell'  egira  i  giund 
prendono  nóme  ordinariamente  dal  paese  ove  sog- 
giornano  :  i  Sirii,  gli  Egiziani,  i  Khorassaniti  che  pas- 
sano di  tratto  in  tratto  in  Affrica  e  Spagna,  son  le 
milizie  arabiche  di  Siria,  Egitto  e  Khorassan,  mesco- 
lati coi  proprii  liberti  delle  schiatte  vinte.  Si  poteano 
chiamar  dunque  Siòiliani,  verso  il  mille,  i  discendenti 
dai  primi  conquistatori  arabi  del  paese  ;  ed  Affricani 
i  figliuoli  dei  soprawBuuti  quando  cadde  la  dinastia 
aghlabita  (91 0), quando  s'innalzò  la  kelbita(948)  inflno 
a  quei  che  testé  avea  caccialo  d'Affrica  (1 004-1 01 9)  la 
fame  e  la  persecuzione  religiosa.  Ma  cimentando  tal  sup- 
posto con  le  condizioni  che  dà  la  cronica,  in  parte  vi 
si  adatterebbero  e  in  parte  nb.  Starebbe  bene  a  dire 
gli  Affricani  partecipanti  del  paese,  cioè  degli  oficii 
pubblici  e  stipendi!  militari;  si  potrebbe  ammettere, 
in  significato  più  largo,  la  partecipazione  loro  nella 
proprietà  territoriale;'  ma  sarebbe  duro  a  credere  che 

<  Ibn-el-Atbtr,  anno  484»  MS.  A,  tòmo  IV,  fog.  134  recto,  e  Nowairi 
presso  Di  Gregorio ,  Rerum  Arabiearum ,  p.  2Ì ,  trascrivono  entrambi 
qnesto,  come  par  manifestamente,  squarcio  di  cronica.  La  sola  variante 
che  rilevi  è  la  voce  "  possessioni  "  aggiunta  da  NoWairi  |iel  laogo  che  notai. 
AbolCeda,  inna^  lfos/6mief,  484,  tomo  UI,  p.  276,  e  lbn-Kha1dùn,ff»(otr6 
de  VÀfriqut  et  de  la  Siclle,  versione,  p.  179,  accennano  appena  il  successo. 

'  Cioè  che  si  fossero  concedute  anche  a  loro  le  terre  da  dividersi  ai 
II.  24 


H03I-4055.I  —  370  — 

poche  famiglie  di  rifaggi  ti  e  di  avventurieri  fossero 
cresciute  a  tal  numero  che  Akhal  vi  potesse  far  as- 
segnamento contro  r  antica  nobiltà  e  il  popolo  musul- 
mano deir  i^ola.  Inverosimile  parmi  che  un  principe 
arabo  di  nobil  sangue  abbassasse  alla  condizione  di 
ra'ia,  o  plebe,  il  fior  della  nobiltà,  cancellandoli  dal 
giund:  che  a  questo  torna  la  voce  "cacciare •  adope- 
rata nel  testo,  non  a  cacciar  dal  paese.  Inverosimile 
ch'ei  levasse  il  khardg  su  i  poderi  delF  antica  nobiltà 
e  condonasselo  alla  nuova  :  ingiustizia  da  non  venire 
in  mente  a  tiranno  musulmano.  Ma  intendendo,  all'uso 
nostrale,  Siciliani  la  progenie  degli  antichi  abitatori 
educata  neir  islamismo,  ed  Affricani  la  progenie  del 
giund  d'Affrica  trapiantato  neir isola  in  varii  tempi,  i 
nomi  convengono  alle  origini  e  si  decifera  bene  il  testo. 
Akhal  volendo  stigare  i  Siciliani,  ricorda  loro  che  gli 
intrusi  godonsi  in  parte  il  retaggio  degli  avi;  e  quan- 


combattenU  e  il  dritto  di  occupare  le  terre  incqlte;  soli  modi  di  conces* 
Sion  di  terre  leciti  ad  un  principe  mosolmano.  Ma  questi  non  poteano  aver 
luogo  0  erano  rarissimi  nel  X  secolo,  quando  vennero  le  nuove  famìglie 
d'Affrica;  perchè  il  conquisto  era  fatto,  e  le  terre  prese  nella  costiera 
orientale  che  allora  fu  occupata,  si  tennero  in  fei,  cioè  demanio  pubblico» 
per  espressa  testimoniauEa  degli  annali. 

Non  mi  valgo  del  significato  tecnico  che  potrebbe  darsi  al  verbo, 
spereh,  adoperato  qui  alla  terza  forma,  il  quale  denoterebbe,  non  che 
*  partecipazione,*  ma  "^promisciiità.  *  Il  professor  Dozy,  nelle  sue  sagaci 
investigazioni  su  la  Spagna  Musulmana ,  ha  notato  che  nella  prima  costi- 
tuzione della  proprietà  territoriale  verso  il  719,  i  conquistatori  si  posero 
nelle  terre  dei  vinti  lasciandole  loro  a  coltivare,  e  si  chiamarono  gli  uni 
e  gli  altri  scerift,  ossia  "comproprietario.*  Si  vegga  il  Baiàn,  tomo  11, 
p.  i6)  nel  glossarlo.  Applicato  quest' esempio  al  nostro  caso,  tronche- 
rebbe ogni  dubbio;  e  "i  Siciliani'  sarebbero  i  vinti ,  ai  quali  i  vincitori 
avrebbero  preso  una  porzione  di  terre,  come  in  Italia  si  tolse  "la  parie 
dei  Barbari.  '  Ma  su  questo  solo  argomento  non  si  può  affermare  un  ordine 
così  contrario  alla  legge  e  pratica  dei  Musulmani;  il  quale  in  Spagna  fu 
eccezione,  se  pur  non  va  interpretato  altrimenti  che  il  faccia  il  dotto  pro- 
fessore di  Leyde. 


■—  371    —  [1034-1053.1 

d' ei  passa  dalle  arti  oratorie  ai  fotti,  distingue  le  pro- 
prietà '  degli  udì  e  degli  altri  :  lascia  o  rende  immuni 
quelle  dei  vincitori,  aggrava  quella  dei  vinti,  con  una 
rivendicazione  di  dritti  fiscali,  alla  quale  non  avevan 
che  rispondere  i  giuristi  della  scuola  di  Màlek.  '  Si 
ritrova  in  Sicilia  così  la  generazione  d'uomini  che 
non  potea  mancarvi  ;  quella  che  in  Spagna  si  chiamò 
dei  MowaUed  ed  aiutò  alla  dissoluzione  del  califeto;  * 
quella  che  a  capo  di  dieci  anni  da  questa  novazione 
d'Akhal  occupò  lo  stato  nella  Sicilia  centrale;  gli 
'^  uòmini  ignobili,"  come  li  chiaman  allora  le  croniche/ 
Veramente  la  divisione  di  Affricani  e  Siciliani,  toma  a 
vincitori*e  vinti,  a  nobili  e  popolo:  come  in  ogni  paese 


'  Àmlàk  plurale  di  tnilk  e  di  molh*  Tra  queste  due  Yoef ,  derivate 
entrambe  dalla  stessa  radice ,  si  è  preteso  adesso  porre  una  distinzione 
pToveaiente  daUMdea  di  alcuni  orientalisti  francesi»  cbe  il  dritto  musul- 
mano non  ammetta  vera  proprietà  fuorché  nel  principe,  e  ebeai  privati, 
0  almeno  alla  più  parte,  non  dia  altro  cbe  il  possesso.  La  quale  distin- 
zione è  giusta,  ma  applicata  troppo  facilmente  e  largamente;  come  accen- 
nai nel  Liib.  III»cap.  I,  p.  13  seg.,  del  presente  volume.  Quanto  alla  diversa 
denominazione,  mi  pare  arbitraria,  ovvero  nata  di  recente  in  Turchia,  che 
non  è  la  Toscana  degli  Arabi ,  né  il  modello  del  dritto  pubblico.  I  pubbli* 
cisti  arabi  del  decimo  secolo  non  fanno  differenza  nella  denominazione;  e 
Mawerdi ,  il  quale  sapea  la  lingua  e  il  dritto ,  non  distingue  altrimenti  i 
due  modi  di  possesso  che  chiamando  "  proprietà  della  repubblica  nmsuK 
mana"  quella  delle  terre  il  cui  possessore  fatto  musulmano  debba  pagare 
tuttavia  il  khardg,  e  *  proprietà  d'infedeli*  quella  delle  terre  che  tornano 
decimali,  ossia  libere  di  iUk4ird(f,  se  pervenute,  In  man  di  Hnsulmani.  Dun- 
que la  voce  amìdh  ci  lascia  al  punto  donde  movemmo. 

'  Akhal  potea  pretendere  di  rivendicare  un  dritto  usurpate  ;  cioè 
sostenere  che  al  conquisto  quelle  terre  fossero  state  appropriate  alla  re* 
pubblica  musulmana  e  lasciate  ai  Cristiani  sotto  censo,  e  che  poi,  divenuti 
musulmani  i  possessori,  per  abuso  fosse  stato  rimesso  loro  il  khardg,  e 
levata  la  sola  decima  legale. 

'  Si  veggano  le  belle  osservazioni  del  Dozy,  nella  Introduzione  al 
Baión,  §  t ,  p.  6.  MowaLléd  significa  propriamente  "nato  in  casa*  e  indi 
*  arabo  di  sangue  misto  *  nato  di  padre  arabo  e  madre  straniera ,  o  di  ma- 
dire  libera  e  padre*  schiavo.  Indi  la  vece  nostra  Ifiilofto. 

*  Si  vegga  il  capitelo  XllI  del  presente  Libro. 


[1054-4055.1  —  372  ^ 

conquistato,  mescolandosi  la  schiatta,  ne  avanza  la 
distinzione  di  classi  :  in  Italia,  gli  Italiani  fatti  popolo 
e  i  Longobardi  nobiltà  ;  in  Francia,  i  Galli  e  i  Franchi  ; 
in  Inghilterra,  i  Sassoni  e  i  Normanni.  Non  ho  par- 
lato del  supposto  che  Siciliani  fossero  gli  Arabi ,  ed 
Affricani  i  Berberi,  perchè  sarebbe  mollo  alieno  dal- 
l' uso  del  linguaggio  e  dai  fatti  della  storia,  i  quali  ci 
mostrano  ridotta  al  nulla  la  schiatta  berbera  in^  Si- 
cilia* * 

La  nobiltà  era  scemata  e  fiaccata,  come  in  ogni 
altro  stato  musulmano,  per  la  lotta  contro  il  princi- 
pato. Dopo  gli  Aghlabili  e  i  primi  Fa  temiti,  le  die 
duro  crollo  (948)  Hasan-ibn-Ali,  il  Kelbita  ;  il  figliuolo 
Ahmed  ne  accarezzò  «d  imbrigliò  li  avanzi  (966);  e 
l'altro  figliuolo  Abu-1-Kàsim  li  trasse  seco  al  marti- 
rio sul  campo  di  Stilo  (982).  Talché  i  nobili  per  loro 
virtù  nelle  guerre  d' independenza  e  di  religione,  per 
loro  vizii  nei  tumulti  dell' oligarchia ,  avean  perduto 
il  sangue  vitale,  mal  supplendolo  le  famiglie  che  ve- 
rnano d'Affrica  :  menomati  di  numero  e  facoltà,  co- 
minciarono fors'  anco  a  tediarsi  della  guerra  quando 
i  Kelbiti  premossero  le  lettere,  le  cortesie  e  il  viver 
lieto. 

Intanto,  corsi  due  secoli  dal  conquisto,  era  venuto 
su  il  popolo,  ò  cittadinanza  che  dir  si  voglia.  Da  una 
mano  i  Musulmani  mercatanti  e  artigiani  che  passa- 
vano d'Affrica  in  Sicilia  e  raggranellavano  danari  con 
la  industria  ;  dall'  altra  mano,  assai  maggior  numero, 

'  Non  occorre  avvertire  che  cotesti  nomi  non  hanno  che  fare  con 
quelli  simili  che  dà  il  Gedreno  ai  corsari  dei  dae  stati  Zìrita  d' Affrica  e 
Kelbita  di  Sicilia,  i  quali  andavano  a  infestare  i  domini!  bizantini  di  Le- 
vante. 


—  373  —  [1051-4035.1 

ì  Cristiani  del  paese,  proprietarii  ed  affiUaiuoli  delle 
terre  che  si  voltavano  air  islamismo  ;  i  liberti  dì  case 
nobili,  che  convertiti  s'avviavano  agli  ofioii  pubblici 
ed  alla  milizia;  i  figliuoli  degli  uni  e  degli  altri,  spe* 
sati  negli  studii  legali  e  fatti  notabili  per  sacro  dritto 
della  scienza,  componeano  tal  classe  che  per  numero 
vmcea  di  gran  lunga  la  nobiltà,  né  avea  da  invi- 
diarle gli  avvantaggi  della  ricchezza  né  delF  intellet- 
to ;  le  si  accomunava  negli  oficii  dello  stato  e  la  su- 
perava nei  consigli  municipali.  La  cittadinanza  di  Pa- 
lermo comparisce  adulta  fin  dalla  metà  del  decimo 
secolo ,  quando  favorì  Hasan  contro  i  nobili;  e  la  plebe, 
come  avvien  sempre,  abbandonò  i  nobili  e  seguì  i 
popolani  grassi.  Nelle  città  minori  doveano  interve- 
nire i  medesimi  effetti,  col  divario  che  portava  il  mi- 
nor numero  dei  popolani  oriundi  d'Affrica.  I  villaggi, 
sede  della  popolazione  rurale,  eran  tenuti  dai  pro- 
prietarii minori  d' origine  siciliana,  con  poca  o  niuna 
mescolanza  di  nobili.  La  nobiltà  prevalea  solo  nella 
costiera  orientale,  occupata  di  recente,  la  quale  es- 
sendo abitata  tuttavia  da  Cristiani,^  le  classi  inferiori 
non  entravano  nella  repubblica  musulmana.  Nel  rima- 
nente dell'isola  la  cittadinanza,  favorita  èa  qui  dai 
principi  kelbiti,  si  sentia  più  forte  de'  nobili.  Pur  Fin- 
vidia  non  avea  partorito  per  anco  guerra  civile.  S'era 
dimenticato  l'infausto  vocabolo  dopo  spenti  i  Berberi: 
quando  si  pigliavano  le  armi  in  piazza  l' era  per  ca- 
var la  bizzarria  ad  un  ministro  o  un  emiro. 


<  Tn  fatti  nelle  rìToluzioni  del  1042,  la  Sicilia  orientale  restò  ai  no- 
bili, la  centrale  ed  occidentale  ai  popolani ,  come  si  vedrà  nel  capitolo  XII 
di  questo  Libro. 


|I054.I03S>|  —  574  — 

Ma  il  prìncipato,  per  necessità  o  cupidigia,  accese 
la  discordia.  Le  milizie  siciliane  er^no  scemate  con 
la  nobiltà;  cacciati  i  mercenarii  (4015)  non  rimanea 
ninno  a  difendere  la  reggia  (101 9),  e  pochi  a  difender 
Io  stato.  Akhal  vi  pose  mente,  riscosso  dal  pericolo 
degli  assalti  bizantini  e  degli  aiuti  di  Moezz  (1 0SI5)  ; 
fors'  anca  gli  piacea ,  com'  uomo  di  guerra  eh'  ei  si 
mostrò  in  Calabria,  di  tirarsi  dietro  più  grosso  eser- 
cito, e  imitare,  la  virtii  dei  primi  Kelbiti»  Ma  nelle  pre- 
senti condizioni,  Y  esercito  non  si  potea  rifornire  che 
di  mercenarii  ;  le  entrate  dei  poderi  demaniali  non 
bastavano  alla  spésa,  o  egli  le  volea  serbare  alla  cor- 
te; e  aggravare  il  kharàg  non  osava,  dopo  l'esempio 
del  fratello.  Altro  m^do  non  avea  dunque  che  dividere 
i  sudditi,  i  quali  uniti  avean  cacciato  GiaYar;  trarre 
a  sé  una  parte,  e  con  lo  aiuto  di  quella  strappar  il 
danaro  dalla  borsa  delF  altra.  Le  parti  eran  fatte;  la 
scella  non  dubbia  tra  nobili  e  popolani  :  gli  uni  sde- 
gnosi della  gente  nuova,  correvoli  ai  sorrisi  di  corte, 
ordinati  ed  usi  a  milizia;  gli  altri  intesi  a  loro  indu- 
strie, senza  storia  né  legame  di  casati;  e,  come,  piti 
erano,  più  potean  pagare.  Akhal  parlò  airorecchio  agli 
uni  ed  agli  altri  per  tastarli  e  aizzarli ,  prima  di  ve- 
nirne alla  commedia  delle  adunanze.  Fermato  bene 
F intento,  colta  T occasione  della  guerra  in  Calabria  o 
di  qualche  lagnanza  contro  il  proprio  figliuolo,  con- 
vocò i  notabili  siciliani  ;  espose  il  bisogno  dello  stato; 
lor  die  r  eletta  tra  un  partito  impossiUle  e  uno  spia- 
cevole :  fornir  essi  la  gente  air  esercito  o  la  moneta. 
Quando  ricusarono  Tuno  e  T  altro,  ei  compì  il  dise- 
gno, assentito  già  certamente  dai  nobili.  Bandisce 


—  575  —  II05I-I055.1 

che  i  Siciliani  abbiano  a  pagare  il  kharàg  ossia, 
com'  ei  pare,  la  doppia  decima  invece  del  dazio  fisso: 
leva  il  danaro  col  braccio  forte  dei  nobili  e  dei  mer- 
cemarii  che  allora  accozzò,  chiamali  in  Palermo,  stan- 
ziati  nella  Khalesa  ed  altri  luoghi  opportuni.  Co^ì  mi 
par  da  delineare  il  colpo  di  stato  di  Akbal,  che  va 
messo  tra  il  mille  trentuno  e  il  mille  trentacinqne  ; 
perchè  innanzi  il  trentuno  si  combattes^  tuttavia  in 
Calabria,  e  gli  scrittori  bizantini  ^  accennano  in  sa  lo 
scorcio  del  sei  mille  cinquecenquarantatrè  (1  settem- 
bre 1034  a  31  agosto  103S)  il  princìpio  della  guerra 
civile  in  Sicilia  ;  gli  scrittori  arabici  pongono  nel 
quattrocento  venzette  (4  novembre  1 035  a  23  otto- 
bre  1 036)  la  reazione  degli  oppressi.  * 

Il  biasimo  ricadrebbe  sopra  Akhal,  se  i  demd- 
nii  bastavano  alla  ristorazione  dell' esercito;  e,^e 
no,  andrebbe  divìso  tra  i  Siciliani,  che  ricusavano 
il  bisognevole,  e  l'emiro  che  sei  prendea  con  astu- 

^  Gedrena,  tomo  H,  p.  514. 

s  IbD-el-Alhtr  e  Nowairi^,  Abulfeda  e  Ibu-KhaldOiB,  11.  ee. 

Non  ho  bisogno  di  avvertire  cbe  sa  questa  novazione  d' Akbal, 
principio  della  rovina  delia  Sicilia  masulmana ,  bò  tenuto  presente  il  con- 
cetto del  Martorana,  tomo  I,  cap.  IV,  p.  198,  seg.,  al  quale  si  conformò  il 
Wenrich ,  Lib.  i,  cap.  XVf ,  §  CXL.  Ma  ben  altra  mi  è  parsa  1*  indole  gene- 
rale, altri  i  particolari  del  fatto;  della  quale  interpretazione  ho  spiegato 
largamente  le  ragioni. 

11  Martorana  e  con  lui  il  Wenrich  non  so  perchè  riferiscano  ad 
Hasan-ibn-Iùsuf ,  soprannominalo  SifMàm-eMiawla ,  la  pace  con  V  im- 
pero bizantino  che  seguì  in  principio  della  guerra  civile,  e  che  però  fu  sti- 
polata  di  certo  da  Akhal.  In  vero  il  Gedreno ,  che  ne  fa  parola ,  dà  ali'  emhro 
di  Sicih'a  il  nome  di  Apolafar  Mucbumet  11  quale  non  risponde  né  al 
soprannome  Akhal,  né  al  nome  proprio  Abmed.  Ma  Apolafar  sembra  alt^ 
razione  d*Abu-Gìa'far  (si  vegga  il  Gap.  VU  del  presente  Lib.,  p.S45);ein 
ogni  modo  la  data  del  Gedreno  è  sì  precisa  da  non  lasciar  luogo  a  dubbio. 
La  Vita  di  San  Filareto,  presso  Gaetani,  Sanctorum  Skulorum,  tomo  11, 
p.  114,  seg.,  e  presso  i  BoilandisU,  1« aprile,  p. 605, seg., conferma  piena- 
mente così  fatto  sincronismo. 


(4055  )  —  376  — 

zia  e  violenza,  non  iscusate  dallo  SQopoi  Jia  tn 
questa,  come  in  cento  altre  vicende  di  maggior  mo- 
mento e  più  note  e  più  vicine,  la  storia  non  arriva  a 
cogliere  in  flagrante  il  primo  colpevole.  Prim^i  a  pren- 
dere le  armi  furono  i  Siciliani;  dei  quali  par  siasi 
fatto  oapó  un  Abu-Hafs,  *  fratello  dAkhal,  impaziente 
di  torgli  il  regno,  sì  come  Tavea  tentato  T altro  fratello 
Ali,  contro  GiaYar  e  lo  stesso  Akhal,  fattolo  volontaria- 
mente o  no:  che i  figli  del  buon  lùsuf  rassomiglian  forte 
agli  Atridi.  Primo  a  chiedere  aiuti  stranieri  sembra 
sia  stato  r  emiro  ;  appo  il  quale  venuto  a  trattar  la 
pace,  dopo  il  maggio  mille  trentacinque,  Giorgio  Pro- 
bata ,  ''sì  destramente  condusse  il  negozio ,  "  scrivono 
i  Bizantini,  ch'ei  tornò  a  Costantinopoli  col  figliuol 
deir  emiro  :  ed  avanti  la  fine  d' agosto  la  pace  era 
fermata;  Akhal  avea  accettato  dalF  impero  il  titol  di 
Maestro;  e,  sendo  combattuto  e  incalzato  da  Abu- 
Hafs,  avea  chiesto  aiuti  al  novello  padrone,  il  quale 
s' apprestava  a  mandargli  Maniaco  con  un  esercito.  * 
Maestro  era  dignità  di  corte  maggiore  del  Patrizio  ed 
anco  gradò  militare,  come  diremmo  noi  Maresciallo:' 
onde  veggiamo  intitolarsi  Maestri  dei  militi  i  dachi  di 
Napoli  e  alcun  doge  di  Venezia,  *  capi  di  stati  che 
dipendean  di  nome  dalla  corte  bizantina;  e  veggiam 

'  'Attox^'I'  è  trascrizione  esattissima  nel  modo  cbe  usavano  i  Greci. 
Con  le  n^edesime  lettere  diedero  il  nome  di  Àbu-Ha&  (Òmar-ibo-Scio'aib) 
conquistatordi  Creta.  Si  vegga  ìlLib.l,cfip.VI,  voi.  1,  p.'161  il  Rampoldi, 
cbe  non  badava  a  queste  minuzie,  trascrisse  Abu-Kaab,  e  cosi  r  ^an  ripe- 
tuto il  Martorana  e  il  Wenricb..; 

'  Cedreno ,  tomo  II,  p.  $13,  514. 

'  Ducang^,  Glossario  greco,  alla  voce  Mayt<rrsp,  e  (r/oss.  LaL,  2eediz. 
alle  voci  Magister  nUlitum  e  Magister  offleiorum. 

*  Ducange,  op.  cit.,  Magister  militum. 


—  377   —  II05IM037.1 

dato  da  queUa  onor  di  patrìzia  or  a  dogi,  amici  or  a 
principi  longobardi  che  si  piegavano  a  lei.  ^  Però  il 
titolo  di  Akhal  non  era  vana  parola.  Marchio  di 
vassallaggio  ;  vergogna  a  Kelbita  ed  a  Musalmano  ; 
ottimo  pretesto  ai  sudditi  disaffetti,  ad  un  fratello 
ambizioso  e  ad  un  potente  vicino. 

Le  quali  pratiche  di  Akhal  e  qualche  successo 
della  guerra  civile  sospinsero  i  ribelli  ad  imitarlo. 
Dopo  il  quattro  novembre  milletrentacinque,  andavano 
a  Moezz-ibn-Bàdìs  messaggi  dei  Siciliani  a  profferir- 
gli r  isola ,  s' ei  liberassela  dagli  insopportabili  soprusi 
d' Akhal;  e  se  no,  minacciavano  di  darsi,  come  uomini 
disperati,  all'impero  bizantino.  E  Moezz  mandò  loro 
il  figliuolo  Abd-Allah,  con  tremila  cavalli  e  tremila 
fanti.  Il  quale  in  lunga  guerra  più  volte  si  scontrò 
con  l'emiro,  ed  aveane  Favvantaggio'  con  l'aiuto  della 
parte  siciliana  e  di  Abu-Hafs,  quando  Leone  Opo  man- 
dato (1034)  a  capitanare  l'esercito  d'Italia  in  luogo 
d'Oreste,  passò  il  Faro,  l'anno  milletrentasette,  solle- 
citato da  Akhal,  che  avea  l'acqua  alla  gola.  Leone  gli 
fé  largo;  ruppe  le  genti  di  Moezz  :  poi  temette,  o  il 
disse,  che  i  perfidi  Musulmani  si  rappattumassero  tra 
loro  per  tagliare  a  pezzi  l' esercito  battezzato  ;  e  tor- 
nossene  in  Calabria,^  senz'  altro  frutto  che  di  liberare 
quindicimila  Cristiani  prigioni,  o  piuttosto  abitatori 

^  Per  esempio,  il  titolo  ()i  patrìzio  fu  dato  il  788  ad  Arigiso  prìncipe 
di  Benevento;  il  916,  aldaca  di  Napoli  e  al  prìncipe  di  Salerno;  11999,  a 
Giovanni  figliuolo  e  socio  in  oficio  di  Pietro  Òrseolo  doge  di  Venezia. 

3  Si  confrontino  le  due  narrazioni  arabica  e  greca ,  la  prima  delle 
quali  si  legge  in  Ibn-el-Atbir ,  Abulfeds^,  Nowatri  e  Ibn-Khaldùn  e  r.  altra 
in  Cedreno,  11.  ce.  Il  fatto  è  senza  ombra  di  dubbio  lo  stessor  poiché  Ge- 
dreno  dice  cbe  restando  vincitore  Apolofar,  T  altro  fratello  chiamò  in  aiuto 
Temir  degli  emiri  d' Affrica,  sUpolando  di  dargli  parte  dell'isola. 


II05T-I038.1  —  578  — 

di  Sicilia  cacciati  dalla  paura  di  qaeir  atroce  guerra 
civile.  ^  Allora  prevalsero  le  armi  di  Moezz  e  de'  par- 
tigiani.* Akhal  non  ebbe  altro  rifugio  che  le  mura 
della  Khftlesa,  dove  fu  assediato  e  alfine  ucciso.  Per- 
chè, fatta  sperienza  per  due  anni  del  rimedio  attos- 
sicato che  sono  in  guerra  civile  cotesti  aiuti  stranieri, 
Tuniversale  dei  Musulmani  di  Sicilia  già  se  ne  tediava, 
già  accennava  di  voler  liberare  Akhal  :  quando  i  prin- 
cipali della  rivoluzione  li  prevennero  ;  fecero  assas- 
sinare r  emiro  nella  sua  propria  fortezza ,  e  presen- 
taron  la  testa  ad  Abd-Allah  figliuolo  di  Moezz.  ' 
Abd-Allah  era  rimase  come  padrone  della  capitale 
e  di  tutta  isola,  quando  gli  piombò  addosso  Maniaco. 

<  Cedreno,  tomo  11,  p  503, 516, 5i7,  nelF  anno  6545  (1»  sett.  1036  a  31 
agosto  1057),  Il  quale  dice  i  15,000  prigioni  romani,  ossia  biianUul,  O  si 
dee  togliere  un  zero,  o  supporli  vassalli  cristiaoi  di  Sicilia. 

*  Si  confroDtino  Cedreno,  e  gli  annalisti  arabi,  II.  ce.     . 

>  Si  confrontino  :  Ibn-el-Athtr,  Abulfeda,  Nowairi,  é  Ibn-Kiialdùn,  e  il 
cenno  d*Hagi-Kbalfa, anno  427,  cb'è  mal  reso  nella  versione  del  Carli,  p.  70. 
Ibn-Kbaldùn,  op.  e,  p.  180,  della  versione  francese,  guasta  fatti  e  date, 
aggingne  nomi  e  cambia  cifre.  Un  errore,  comMo  lo  credo,  del  MS.  di 
Parigi  ba  portato  poi  M.  Des  Vergers  a  tradarre  :  "  et  citèrent  en  leur  pré- 
sence  Témir  El-Akbal,  qui  fut  décapfté  par  leur  ordre;  "  in  vece  di  :  "ed 
assediarono  il  loro  emira  Akbal,  H  quale  poi  fu  ucciso."  La  YUa  di  Sun 
Filareta,  dianzi  citata ,  della  quale  abbiam  la  sola  versione  latina,  dice  che 
Michele  Paflagone  mandò  Tesercito  da  Sicilia  c(ufii  ab  ^tu  provincia^  Toparea, 
tum  a  Sioulis  nonnuUis  «epe  rogatus;  t  e  porta  il  fa^to  come  gli  Arabi: 
e  Interim  vero  Barbarorum  tyrannus,  eo  qui  in  Sicilia  dominabatur  per 
dolam  sublato,  bona  illius  omnia  depredattts  et  ifi  regnum  qnod  ille  admi- 
niatrabat  invadens,  nemine  omnino  obtisténte ,  Panarmi  totiwque  Sicilie^ 
potitur;  t  e  poi  narra  V  impresa  di  Maniaco.  La  voce  Toparea,  come  ognun 
vede,  è  generica  e  bene  appropriata  secondo  il  linguaggio  greco  a  desi- 
gnare un  prìncipe  di  picciolo  stato. 

*  Nilo  Monaco,  Vita  di  San  Filareto  il  giovane,  presso  Gaetanl,  Saneto- 
rum  Siculorunì,  tomo  II,  p.  114. 11  biografo  intese  i  fatti  da  San  Filareto  < 
che  in  questo  tempo  avea  17  o  18  anni  e  mori  di  50.  La  quale  testimo- 
nianza non  ebbe  sotto  gli  occhi  il  Martorana  né  il  Wenrich  ;  e  toglie  ogni 
dubbio  sul  sincronismo  delle  due  serie  di  fatti  riferite  1*  una  dagli  Arabi 
e  r altra  da  Cedreno.  Notai  sopra  come  fossero  certe  d'altronde  le  date 
della  prima  chiamata  dei  due  stranieri  cioè  Bizantini  e  Ztrìti.  Adesso 


—  379  —  140581 


CAPITOLO    X. 

L' qUimo  e  iqeii  tristo  sforzo  dell-  impero  greco 
sopra  la  Sicilia,  fa  ordinato  da  un  frate  eunuco,  per 
nome  Giovanni,  il  quale  pervenuto  era  al  comando  per 
magagna  senza  esempio  :  .messo  innanzi  un  garzo- 
naccio  fratel  suo,  che  se  ne  invaghisse  Zoe,  vicina 
ai  cinquant'  anni  ;  fattole  avvelenare  Romano  Argirio, 
e,  mentre  spirava,  gridar  imperatore  il  drudo,  spo- 
sarlo la  dimane  dinanzi  il  patriarca  di  Costantinopoli 
che  benedisse  le  nozze.  Michele  Paflagone ,  salito  al 
tremo  per  tal  via,  mezzo  scimunito  e  mezzo  pentito, 
dava  il  nome  ;  Zoe  stava  come  prigione ,  e  Giovanni 
reggea  lo  stato  con  fortezza;  diligenza  ed  astuzia. 
Ritratto  lo  scompiglio  ch'era  in  Sicilia,  il  monaco  mi- 
nistro adescò  Akhal  ;  deliberò  Y  impresa  ;  ne  fé'  capi- 
tano Giorgio  Maniace,  il  quale  nelle  guerre  di  Siria 
avea  dato  prove  (4  030,  1 034)  di  grandissimo  valore 
e  pronto  consiglio.  Ma  Giovanni,  tra  nipotismo  e  dif- 
fidenza, prepose  al  navilio  uno  Stefano,  marito  della 
sorella,  nò  uom  di  mare,  né  di  guerra,  né  di  alcuna 
virtù.  Chiamato  Maniace  dai  confini  deHY  Armenia,  * 
passaron  due  anni  tra  andirivieni  e  preparamenti  e 

agghingo  che  va  cancellata,  come  raddoppiamento  di  raecooto»  la  chia- 
mata dei  Bizantini  per  Simsàm-ed-Dawla  e  la  seconda  degli  Ziriti  per  Aba- 
Kaab  ;  &  cbe  1*  emirato  di  Simsftm  va  messo ,  non  prima ,  m^  dopo  la  guerra 
di  Maniace.  11  Martorana  fa  tratto  in  errore  nn  po'  da  Rampoldi;  e  il  Wen- 
rich  al  tutto  da  Mariorana,  Raropoldl,  anni  1035  e  1036,  avea  mescolato 
e  alteralo  come  in  sogno  d*  infermo  i  racconti  di  Nowairi  e  di  Gedreao  e 
aggiuntivi  fatti  di  capo  suo. 

*  Cedreno ,  toibo  U,  p.  491,  500,  504,  seg*^  513,  514. 


[4038.1  —  580  — 

ridarre  a  disciplina,  quanto  si  potesse,  il  nuovo  eser- 
cito. II  quale  ridondò  al  solilo  di  stranieri  :  Russi ,  * 
Scandinavi,  '  Italiani  di  Puglia  e  Calabria  e  con  essi 
una  compagnia  di  ventura,  di  qualche  cinquecento 
cavalli,  mescolati  Italiani  e  Normanni,  la  quale  s'era 
condotta  ai  soldi  del  principe  di  Salerno  e  recayagli 
or  comodo  ed  or  molestia,  si  eh'  ei  volentieri  la  die 
in  prestito  a  Maniaco.  ' 

Le  gesta  dei  guerrieri  scandinavi  del  Baltico  e 
di  lor  colonia  di  Normandia,  ci  sono  pervenute  per 
due  maniere  di  tradizione  inoUa  d} verge.  Gli  Scaldi  di 
Norvegia  e  d' Islanda,  in  lor  %Qqht  non  raccomandate 
alla  scrittura  innanzi  il  duodecimo  secolo,  racconta- 
vano le  vicende  di  casa  loro  in  guisa  da  raffigurarsi 
la  cronica  in  mezzo  al  rustico  fogliame  rettorìco;  ma, 
quanto  ai  fasti  di  lor  gante  in  paesi  lontani,  ne  pren- 

4  Gli  Annolei  Barenses,  presso  Pertz,  Scriptores,  tomo  V,  p.  54, 
anno  1041,  dicono  di  sobiere  rosse  tornate  in  Pogila  dalla  impresa  di 
Siidlia. 

*  I  Varangi,  famosi  pretoriani  della  corte  bizantina  dal  X  secolo  in 
poi,  erano  venturieri  di  schiatta  scandinava  che  capitavano  a  Costantinopoli 
per  la  via  di  Russia.  La  venuta  loro  a  questa  impresa  si  ricava  da  altre 
autorità  che  quella  citala  nella  nota  precedente,  la  quale  accenna  forse 
ad  ausiliari  sudditi  dei  principi  russi.  Su  i  Varangi  si  vegga  Gibson, 
Decline  and  Fallf  cap.  LV-,  con  le  aggiunte  del  Hilman,  ed  una  nota  di 
Samuele  Laing,  nella  versione  deW  Heimskringla  di  Snorro  Sturleson, 
tomo  ni,  p.  4.  Il  nome,  derivato  dalle  voci  scandinave  TKeftr,  vaer,  o  Ware, 
è  tradotto  dal  Laing  "  the  defenders.  " 

'Si  confrontino  Amato,  L'Yslotre  de  HNormanl',  lib.  II,  cap^  Vili, 
p.  38,  Malaterra;  lib.  I,  cap.  Vii;  Guglielmo  di  Puglia,  lib.  I,  Pkbt  Um- 
bardorum  Gallii  admixta  quibusdam  ec;  Cronica  di  ^Roberto  Guiscardo 
presso  il  Caruso ,  Bibliotheea  SieiUa,  p.  830,  presso  il  Muratori,  Rerum  léa^ 
liearum  Scriptores,  tomoV,e  nella  versione  francese,  lib.  I,  cap.  iV,  p.  966, 
del  volume  stesso  di  Amato,  li  Cedrone,  tomo  II,  p.  545,  dice  circa  500 
i  Normanni  e  Ìor  condottiero  Ardoino.  Secondo  Amato,  e  Leone  d'Ostia, 
eran  300,  capitanati  da  Guglielmo  di  Hauteville.  All' incontro  Guglielmo  di 
Puglia,  come  s'è  veduto,  attestaci^  ve  ne  fosse  picciol  nomerò  nella 
compagnia ,  e  mi  pare  il  più  verosimile. 


—  381    —  [^058.| 

deano  il  tema  e  lo  foggiavano  in  romanzo  poco  o 
punto  storico.  Sbrigliavansi  tanto  più  neir  immagi- 
nare, quanto  le  saghe,  dettate  nel  proprio  idioma, 
si  recitavano  per  diletto  delle  brigate  e  vi  s' incastra- 
van  qua  e  là  frammenti  ritmici.  I  cronisti  norman- 
ni, all'incontro,  cresciuti  in  Francia  sotto  il  giogo 
della  letteratura  latina,  favoleggiavano  con  minore 
licenza  entro  que'  che  parean  limiti  conceduti  dalla 
storia  classica;  se  non  che  il  romanzo  francese  di 
cavalleria,  teste  venuto  in-  voga,  li  allettava  ad  ag- 
giugnere  qualche  bel  colpo  di  lancia.  Tennero  lo 
stesso  metro  i  monaci  italiani  che  vissero  sotto  i 
princìpi  normanni;  sì  per  mal  vezzo  e  adulazione, 
e  sì  per  non  avere  il  più  delle  volte  altri  testimonii 
che  quei  principi  e  que' guerrieri:  massimamente 
nelle  prime  imprese  di  ventura  in  Italia,  scritte  setT 
tanta  o  novanta  anni  dopo,  su  ricordi  orali  passati 
per  due  generazioni.  Però  è  da  far  tara  diversa  alle 
tradizioni  scandinave,  ed  alle  normanne.  Ed  a  ciò 
avremo  riguardo  or  che  ci  occorrono  per  la  prima 
volta  le  autorità  settentrionali;  studiandoci  a  cavarne 
il  vero  e  addentellarìo  nei  ricordi  greci  e  latini. 

Giorgio  Maniaco  e  il  patrizio  Michele  Doceano 
soprannominato  "^il  Fusaiolo,"  *  eh'  avea  dato  lo  scam- 
bio a  Leone  Opo,  ragunate  le  genti  a  Reggio,  pas- 
savano il  Faro  r  anno  mille  trentotto.  '  Narrano  gli 
scrittori  di  parte  nprmanna  come  V  esercito  posto  a 

*  ifóySiy^oi,  ì\  verlicillum  dei  Latini. 

'  SI  confrontino  :  Lupo  Protospatario  presso  Pertz,  Scriptores,  tomo  V, 
p.  58, anno  1038;  Cedreno, tomo  II, p. 520, anno 6546,  VI* indizione (t 037-58), 
Croniaa  di  Roberto  Guiscardo,  11.  ce;  Nilo  Monaco,  Vila  di  San  Filareto, 
presso  il  Gaetani,  Sanctorum  Siculorum,  tomo  11,  p.  115,  e  presso  1  BoUan- 
disti ,  6  aprile,  p.  608. 


[4058.1  —  582   — 

terra  non  lungi  da  Messina ,  lentamente  marciò  in 
ordinanza  vèr  la  città;  donde  impetuosi  uscirono  i 
Musulmani,  nulla  curando  il  numero  dei  nemici.  Allo 
scontro  balenavano  i  Greci,  quando  Guglielmo  di 
Hauteville  soprannominato  Braccio  di  ferro,  condot- 
tiero d'uno  squadrone  normanno,  confortati  i  suoi  con 
maschie  parole,  fece  sonar  la  carica  :  e  spronano  stretti 
a  schiera,  spezzano  i  nemici^  li  volgono  in  fuga,  li 
inseguono  fino  ai  ripari  ;  altri  aggiugne  che  occupas- 
sero una  porta.  La  città  tantosto  s^ arrese  a  Maniaco/ 
Ma  questa  fazione,  nella  quale  non  abbiam  cagione  di 
ricusare  la  virtù  normanna,  sembra  mero  combatti- 
mento di  vanguardia^  I  Musulmani  in  lor  guerre  di 
Sicilia  non  fecero  mai  assegnamento  sopra  Messina , 
città  cristiana  ;  né  mai  T  aCTorzarono;  né  tennervi  pre- 
sidio di  momento. 

Il  nodo  della  guerra  era  a  Rametta,  dove  soprac- 
corso, com'  e'  pare,  il  grosso  dell'  esercito  affricano, 
stava  in  sul  collo  a  Maniaco  da  vietargli  di  dare  un 
passo  nell'  isola.  Ond'  egli  andatili  a  trovare  tra  lor 
gole  e  prècipizii ,  lor  mostrò  sé  non  essere  Manuele 
Foca,  né  alcun  sito  potérsi  dir  forte  senza  la  virtù  degli 
uomini.  Ruppeli  con  tanta  strage  che  gli  annalisti  v'ap- 
piccicano r  antica  metafora  del  campo  dilagato  dai 
rivi  del  sangue.  '  Pur  la  vittoria  poco  approdò ,  difen- 

Si  confrontino:  Andato,  Malaterra,  e  Cronica  di  Roberto  Guiscardo, 
i  quali  non  sono  d'accordo  nei  particolari.  11  primo  non  dà  né  anco  il 
nome  di  Messina,  ma  dice  solo:  "et  ont  combatu  à la  cité et  ontyainchat 
lo  cbastel  deli  Sarrazin;*  ma  per  ci7é  par  voglia  significare  Siracasa.  Ma- 
làterra  non  h  cenno  della  porta  occupata.  Cedreno  non  dice  né  punto  né 
poco  di  questo  combattimento.    ' 

'  Cedreno,  tomo  H,  p.  520,  il  quale  dà  ai  Cartaginesi  S0,O0O  uomini 
e  dice  espressamente  seguita  la  battaglia  xarà  toc  >cyó/Aeva  'p«iaara. 
Questo  nome  risponde  al  Rimetta,  Rimecta  eie.  dei  diplomi  dell*  XI  e  XII 


—  385  —  l^  038.1 

dendosi  ostinatamente  gli  Arabi  Siciliani  in  lorcittadi 
e  castella  ;  sì  che  Maniace  non  ne  occupò  più  di  tredici 
in  due  anni.  '  Della  qual  guerra  spicciolata,  non  ci 
avanzano  ricordi  storici;  ma  dette  argomento  lì  su  le 
rive  del  Baltico  a  millanterie  di  veterani,  invenzioni  di 
scaldi  e  aggiunte  dì  chi  venne  dopo.  Dico  dell'  Eneide 
a  lor  modo  che  intesson  le  saghe  con  le  imprese  gio- 
vaniii  di  Aroldo  il  Severo  che  poi  fu  re  dì  Norvegia. 
Rimondata  delle  fovole,  la  tradizione  toma  a  questo: 
che  Aroldo  capitanò  la  squadra  dei  Yarangi  nelF  eser- 
cito di  Maniace  ;  che  a  lungo  combattè  in  Sicilia  con- 
tro  Arabi  del  paese  e  Berberi;  che  andò  in  nave 
a  qualche  fazione  su  la  costiera ,  che  prese  qualche 
terra  per  ìmpeto  d' armi  e  strsltagemmi  ;  e  sopratutto 
che  fece  fardello  di  ricco  bottino,  mandollo  a  ser- 
bare  a  corte  di  Russia  e  di  lì  portosselo  a  casa.  E 
forse  ne  rimane  qualche  briciolo  ne'  musei  di  Copen- 
hagen, Cristiania  e  Pietroburgo,  tra  le  monete  mu- 
sulmane d'oro  trovate  intorno  it  Baltico,  avanzo  dei 
peculìt  che  raccoglieano  quegli  svizzeri  dell'  impero 
bizantino.* 


seòolo  e  aUa  Rimèie  di  cai  parla  VYstoire  de  li  Nùrmant ,  llb.  V,  cap.  XX, 
nelle  prime  imprese  del  conte  Ruggiero.  Il  aito  e  i  ricordi  delle  guerre 
precedenti  fanno  comprendere  che  gli  Affricani  abbiano  amato  a  decider 
la  sorte  delle  armi  a  Rametta  più  tosto  che  a  Messina.  Si  spiega  con  pari 
agevolezza  il  silenzio  di  Cedreno  sul  combattimento  di  Messina,  e  dei  cro- 
nisti normanni  su  la  battaglia  di  Rametta;  poiché  il  primo  seriveà  delle 
giornate  campali,  senza  partfcolareggiare  le  fazioni  minori;  e  i  secondi 
seri  Teano  de' trofei  di  lor  gente,  senza  curarsi  del  resto,  o  trascurandolo 
a  bella  posta.  In  ogni  modo  i  due  combattimenti  son  distinti. 

*  Cedreno ,  I.  e.  . 

'  Debbo  alla  cortesia  del  sigpor  P.  P.  Broch,  erudito  orientalista  di 
Cristiania,  la  cognizione  di  questa  impresa  di  Aroldo  il  Severo,  e  di  quelle 
sorgenti  che  io  ho  potuto  studiare,  come  tradotte  in  Ialino  o  in  inglese.  Il 
professore  P.  A.  Muncb ,  autore  d' una  Storia  di  Norvegia  dettata  nell'  idio- 


H058-l(»9.1  —  384  - 

A  luogo  si  travagliò  Tassedio  di  Siracusa,  del 
quale  ci  si  narra  il  solo  episodio  che  un  condottièro 


ma  nazionale,  mi  ha  poi  favorito  qualche  schiarimento  per  meazo  del  si- 
gnor Brocb.  e 

I  fasti  ài  Aroldo'il  Severo  (Harald  Haardraade)  si  leggono  nella  rac- 
colta delle  Saghe  intitolata:^ 5crtp/a  Historica  Islandorum,  tomo  VI, 
(Copenhagen,  1835,  in  S»),  p.  119  a  161,  e  nell'  opera  di  Snorro  Sturleson, 
autore  islandese  deUa  fine  del  XII  e  principio  del  Xllt  secolo,  intitolata: 
Heimtkringla  or  Chronicle  of  the  Kings  of  Norway,  versione  inglese  di 
Samuele  Laing,  Londra  1844,  in  8<>,  tomo  III,  pag.  1  a  16,  saga  IX,  cap.  I 
a  XV.  Araldo,  fratello  uterino  di  Ciaf  il  Santo  re  di  Norvegia,  combattè 
con  valore,  giovanetto  di  15  anni, nella  battaglia  di  Stiklestad  (1030],  ove 
il  re  fu  morto  ed  egli  gravemente  ferito.  Nascoso  da  fedeli  partigiani ,  andò 
a  certe  di  laroslaw  1»  principe  di  Russia,  dal  quale  umanamente  accolto, 
militò  con  lode  so  i  confini  di  Polonia.  Chiesta  in  isposa  Elisabetta  figliuola 
del  re,  laroslaw  gli  fece  intendere  che  forse  gliela  darebbe  quand'avesse 
acquistato  terreno  e  danaro.  Aroldo  pertanto  andossjcne  a  cercar  ventura 
con  la  spada.  (Tuttociò  sembra  di  buon  conio.  S' allega  l' autorità  d 'Aroldo 
stesso  e  de' contemporanei;  un  dei  quali  dicea  averlo  visto  giovanetto  con 
un  bel  saio  rosso,  sembiante  regio  e  marziale i  volto  pallido, folle soprac- 
<!iglld,  gesti  un  pò*  violenti  ma  rattenuti.) 

Andò  a  combattere  in  Polonia,  («ermania,  Francia  e  Italia;  donde 
passò  a  Costantinopoli  con  una  compagnia  di  ventura,  sotto  il  mentito 
nome  di  Nordbrikt;  perchè  gli  imperatori  non  volean  tra  i  Varangi  uomini 
di  sangue  reale.  (Autorità  vaghe  o  non  citate.  La  peregrinazione  da.ven- 
toriere  in  Germania,  Francia  e  Italia  sembra  favolosa.) 

Regnavano  a  Costantinopoli  Zoe  e  Michele  Catalacto  (volean  dire 
Calafato  e  si  dee  correggere  Paflagone,  senza  che  vi  sarebbe  anacronismo), 
dai  quali  fu  mandato  a  combattere  nel  mar  di  Grecia.  (Porse  il  1035  contro 
gli  Afiricani  e  Siciliani  che  infestavano  l' Arcipelago  ;  ma  non  si  può  affer- 
mare.) 

Aroldo  indi  fu  fatto  capo  dei  Varangi  (non  generale  in  capo  che 
s'intitolava  Acolutho,  ma  della  divisione  mandala  in  Italia),  e  partì  con 
Girgir  (Giorgio  Maniace)  il  quale  girava  le  isole  greche:  e  sovente  com- 
battè coi  corsali.  (Maniace  non  v'era  per  cesto.)  Sta  per  venire  alle  mani 
con  Girgir  perchè  facendo  alto  1'. esercito  una  notte,  Aroldo  si  era  atten- 
dato sur  una  collina  evitando  i  luoghi  bassi  insalubri  in  qu^l  paese,  e 
Girgir  volea  mettersi  nel  medesimo  sito*  Finisce  che  si  tira  a  sorte  il 
luogo  ed  Aroldo  per  scaltrezza  o  frode  resta  dov'  è.  (Fatto  verosimile , 
forse  vero,  incorniciato  di  favole.) 

Aroldo  guerreggiando  insieme  coi  Greci  non  fa  mai  dar  dentro  i  Va- 
rangi; ma  quand'è  solo,  cpml)9tte  disperatamente ,  e  sempre  riporta  la 
vittoria.  Girgir  biasimato  del  non  guadagnar  mai  nulla,  scarica  la  colpa  sa 
i  Varangi;  alfine  l'esercito  si  «epsira  in  due:  Girgir  coi  Greci  ed  Aroldo 
coi  Varangi  e  i  Latini;  questi  riporta  infinite  vittorie,  e  quegli  se  ne  torna 


—  585  —  ii<S8-<(S9.i 

ferocissimo  uscito  della  città  quando  appresentossi 
r  oste  di  Maaiace,  fea  strazio  dei  Greci  e  dei  Lougo- 


scornato  a  Costantinopoli,  abbandonato  ancbe  dai  giovani  greci  cbe 
vogliono  rimaner  con  Aroldo.  (La  prima  parte  si  riscontra  un  po'  con  le 
memorie  nonìianne.  Le  altre  son  favole  intessute  su  la  disgrazia  di  Ma* 
niace.) 

Aroldo  allora  passa  con  l' armata  in  Affrica ,  detta  la  terra  dei  Sara- 
ceni ;  ove  conqirista  ottanta  città  o  cestella  ;  vince  in  campo  il  re  d'Affrica; 
guerreggia  parecchi  anni;  fa  gran  bottino  d'oro,  gioielli  e  altre  cose  pre- 
ziose,, e  il  manda  in  Russia,  com'abbiam  detto;  poi  assalta  la  costiera 
meridionale  di  Si<;llia.  (Gitali  varil  squarci  di  poesie.  La  ipimaginaria  im- 
presa in  Affrica  è  tolta  dal  combattere  in  Sicilia  contro  gli  Affricani.  Gli 
ottanta  castelli  son  la  più  parte  in  aria  ;  il  re  d' Affrica  può  dinotare  Abd^ 
Allah  figliuolo  di  Moezz,  alla  battaglia  di  Traina.) 

In  una  battaglia  navale  guadagnata  da  Aroldo  sopra  gli  Affricani,  i 
cadaveri  degli  uccisi  son  buttati  su  l'arena* alle  spiagge  meridionali  della 
Sicilia  che  son  tinte  di  sangue.  (Citata  una  poesìa.  Quest'  episodio  non  si 
può  affermare  né  negare.) 

Aroldo  va  con  l' arotiata  in  Blaland  (questo  nome  Àtmo  le  saghe  al 
paese  dei  Negri  d' Affrica  a  mezzodì  della  Serkiand,  oyàa*  Affrica  Setlen- 
irÌonale),overJporta  altre  vittorie  e  toma  a  Costantinopoli.  Zoe  gli  domanda 
una  ciocca  di  capélli^  e  che  ricambio  ei  ne  vuole  si  legga  nella  versiobe 
latina.  Guarisce  poi  per  miracolo  una  pazza;  libera  il  paese  vicino  d'un 
gran  dragone;  va  a  combattere  un'oste  di  Pagani  ai  confini  dellMm- 
pero;  vince  con  l' aiuto  di  Sànt'  Olaf  cbe  appare  sopta  un  cavallo  bianco; 
e, per  voto  fabbrica  una  chiesa  a  Costantinopoli.  (Non  occorre  notare  che 
801^  tutte  favole.  Il  cavai  bianco  di  Sant'  Olaf,  è  lo  stesso  di  Sant'  Ignazio 
di  GostaniinopoU  afla  battaglia  di  CaltavutarO'iieU'SSS,  Voi.  I,  p.490, 
Lib.  II,  Cap.  X,  e  di  San  Giorgio  alla  battaglia  di  Cerami  nel  1063.) 

Mandato  su  l' armata  con  Girgir  a  saccheggiare:  la  Sicilia ,  ^ndevl 
quattro  città.  La  prima»  scavatavi  sotto  una  mina,  per  la  quale  sbucò  nel 
bel  mezzod'un  palagio  dóve  allegramente  si  banchettava.  La  seconda,  molto 
più  forte,  non  si  potea  avere  per  battaglia.  Perciò  Aroldo,  visto  che  taiati 
stormi  di  uccelletti  volassero  dalla  città  al  bosco  vicino,  fa  impiastrar  di 
bitume  certi  alberi,  e  presi  gli  uccelli  lor  fa  attaccare  addosso  schegge  di 
pino  sparse  di  zolfo  e  cera,  e  messovi  fuoco  lascia  gli  innocenti  animali; 
sì  che  tornandosi  a  lor  nidi  nei  tetti  di  strame,  appiccarono  l' incendio  per 
ógni  luogo  della  città  e  la  fu  obbligata  ad  arrendersi.  (Lo  stesso  tiro  è 
attribuito  nelle  saghe  alla  granduchessa  Olga,  ai  re  di  DaiDimarca  Hadding 
e  Fridl^elf  ed  a  Gurmund  pirata.)  Un'altra  città  più  grossa,  lungamente  asse- 
diata, ^adde  con  questo  stratagemma:  che  Aroldo  s' infinse  malato, e  poi 
morto,  e  volle  farsi  seppellire  con  sontuoso  funerale  in  città;  dove  i  frati 
fecero  a  gara  per  averlo  ciascuno  in  sua  chiesa.  Armati  di  sotto  e  coperti 
di  lunghe  gramaglie  egli  e  pochi  Yarangi  recavan  la  bara  ;  mettean  mano 
alle  spade  quando  furono  in  su  la  porta,  ^d  aprivano  il  passo  a  tutto 
II.  •  25 


II05M039.]  —  386  — 

bardi,  si  come  il  lapo  sqoI  delle  peoore.  Mosso  a 
pietà  dei  fratelli  cristiani,  Guglielmo  Braccio  di  ferro 
cerca  nella  mischia  l'Ettore  musulmano;  prende  del 
campo  e  lo  passa  fuor  fuora  con  la  lancia  ;  al  qual 
colpo  allibbiti  que'  del  presidio,  si  rifuggono  eiitro  le 
mura ,  amando  meglio  a  scagliar  sassi  e  frecce  dal- 
Talto,  che  venire  alle  strette. coi  guerrieri  >del  Nòrd/ 

resereito.  (SomigliaDte  fitratuganma  è  atiribvilo  a  Roberto  Gaisoardo  in 
Calabria,  à  Frode  I,  re  di  Danimarca  ed  a  motti  altri  condouierì.)  Infine 
auingendo  un  castello  inespognabile,  i  Varaogl  fingono  di  avvicinarsi 
sena*  arme  e  giocar  tra  loro  per  beffarsi  del  presidio  ;  i  soldati  del  presi- 
dio ,  per  non  parer  da  meno,  fan  lo  stesso;  e  replicato  Io  scberao  parec- 
chi di,  i  Varangi  nna  volta  traggono  lor  coltellacci  nascosi  ed  occupano  al 
solito  la  porla,  con  aspro  combattimento,  nel  quale  AroMo  fece  andare 
innanai  con  la  bandiera  un  Haider  che  fu  ^avemente  ferito  e  rinfacciò  tt 
re  di  codardia.  CQoesto  pare  men  favoloso  ;  oltre  -  Haldor  cbe  tornò  con 
una  cicatrice  alla  guancia,  v'  è  nominato  un  Ulf-Ospaksson  etc^) 

Dopo  dlcioUo  battaglie  vinte  in  Sicilia ,  raccolto  gran  bottino ,  Arol- 
do  e  Girgir#  cbe  fii  sempre  la  parte  dell'  Arlecchino^ in  commedia,  se  ne 
tornano.  Aroldo  poi  va  a  conquistare  coi  soli  Varangt  Gerusalemme,  a 
bagnarsi  nel  Giordano  ;  è  imprigionato  a  Costantinopoli  per  dispetto  amo* 
róso  di  Zoe  o  gelosia  del  novello  suo  marito  CostanUno  Monomaco;  è 
liberato  per  virtù  di  Sant'  Olaf,  apparsogli  in  sogno;  fuggendo  rapisce  e 
poi  lascia  una  principessa  greca,  e  dopo  altre  avventure,  fposa  la  Elìsa* 
betta  di  Russia  a  Novogorod,  si  collega  col  re  di  Sveaia  per  torre  la  corona 
di  Norvegia  a  Magnus  figliuol  di  Sant^  Olaf,  e  alfine  i^gna  insieme  col  ni- 
pote (1047). 

Or  il  finto  conquisto  di  Terrasanta ,  la  Sieilia  non  ricopiata  mai  come 
paese  musulmano,  e  tanti  altri  iDdiaii,  mostrano  cbe  la  Eneide  di  Aroldo 
nel  Mediterraneo  fu  inventata  dopo  le  Crociate»  Dunque  non  è  né  anco 
contemporanea;  né  possiam  su  la  sua  fotde  accettar  quegli  episodii  cbe 
soffliglian  meno  a  menzogna  :  per  esempio  il  combatUmento  navale  su  le 
eostiere  meridionali  di  Sicilia,  e  1* ultimo  dei  quattro  stratagemmi  narrati 
disopra.  Del  resto,  le  due  autorità  cVbo  citato  non  s'accordan  tra  loro 
nei  particolari,  e  questi  variano  nelle  altre  saghe  non.  tradotte ,  come 
ritraggo  dal  signor  Brocb. 

Ho  fatto  parola  delle  monete  musulmane  tgrovale  nel  Baltico  al  par 
che  molto  dell* impero  bizantino.  So  la  presunta  origine  di  esse  gli  eruditi 
sono  d'accordo.  Si  vegga  la  nota  del  signor  Laing,  op.  cit.,  tomolll,  p.  4. 

*  Si  confrontino:  Malaterra ,  lib.  1,  cap.  VII,  e  la  Cronica  di  Roberto 
Guiscardo,  tosto  e  versione,  U.  oc«  La  voce  Àrehadm,  data  per  nome  pro- 
prio del  condottiero,  è  titolo,  come  tutti  sanno,  di  grado  militare ,  Kdid, 
più. tosto  cbe  di  magistrato,  Kàdhi, 


—  387  —  [1040.) 

Che  che  ne  sia  della  prova  del  Braccio  ài  ferro,  Si- 
racusa resistè  tanto  che  i  Musulmatìi  rifecero  V  eseN 
cito  e  minacciarono  gli  assedianti. 

Con  rinforzi  d'Affrica  Àbd-Àllah  mise  insieme 
parecchie  migliaia ,  dicon  sessanta ,  di  soldati,  bene 
o  m^le  armati  ;  *  coi  quali  si  accampò  nelle  pianure 
di  Traina  a  settentrione  dell'Etna;  donde  potea  cor- 
rere per  la  valle  deli' Alcantara  a  Taormina  o  per 
quella  del  Simeto  a  Catania  e  Siracusa.  Fanti  là  più 
parte  ;  poiché ,  venendo  a  giornata,  Abd-AIlah  s' af- 
fidava nei  triboli  di  ferro  seminati  a  man  piene  in 
fronte  delF  ordinanza ,  non  sapendo  che  i  cavalli  ne- 
mici, ferrati  a  larghe  piastre,  poco  o  nulla  ne  sareb- 
bero offesi.  '  Maniaco  eh'  avea  dinanzi  la  forte  e  mu^ 
nita  Siracusa ,  né  signoreggiava  dell'  isola  se  non  che 
la  costiera  orientale,  '  fu  costretto  tornare  addietro 
per  levarsi  dalle  spalle  il  nemico.  Pose  il  campo  ad 
una  quindicina  di  miglia  a  levante  di  Traina,  là 
dóve  furono  nel  duodecimo  secolo  una  terra  e  un' ab- 
badia  addimandate  da  lui,  e  il  nome  vi  dura  finoggi.  ^ 

*  Così  Malaterra.  Il  monaco  Nilo  dice  400,000;  Cedreno  fk  supporre 
molto  più,  portando  a  50,000  il  numero  degli  uccisi.  Da  un'altra  mano 
l'Anonimo  par  non  giunga  al  vero  dando  ai  Musulmani  soli  15,000  uomini. 

11  nome  della  città  non  è  dubbio  :  traina  in  Malaterra  e  nell'Anonimo; 
àpùtytvoti  in  Cedrone.  Il  campo  in  pianura  è  ricordato  altresì  da  Godrono  e 
dal  monaco  Nilo;  se  non  cbe  questo  non  dà  il  nome  della  città,  leggen- 
doti nella  versione  non  Umge  ab  urbe,  sia  che  i  copisti  avessero  saltato  il 
nome,  sia  cbe  San  Filareto  fosse  di  Traina  stessa.  La  toce  ttóXti  che  dovea 
essere  nel  testo  non  si  può  intendere  capitale,  e  però  Palermo,  contro  le 
testimonianze  di  Cedreno  e  dei  cronisti  Normanni  citati  di  sopra. 

>  Nilo  Monaco,  i.  e. 

>  Cedreno  non  parla  qui  dell'  assedio  di  Siracusa,  anzi  dice  aver  Ma- 
ttiate soggiogato  tutta  l' isola.  La  posizione  del  Musulmani  a  Traina  Io 
smentisce, 

*  Il  nome  basta  a  provare  cbe  vi  stanziò  Maniaco,  e  conferma  cbe 
il  campo  di  battaglia  fosse  stato  nelle  pianure  tra  quel  luògo  e  Traina. 


(4040.1  —  388  — 

Spartito  r esercito  in  tre  schiere,  gagliardamente  feri, 
aiutato  da  un  vento  che  dava  nel  voltò  ai  nemici,  o 
secondo  altri  dall'  impeto  della  compagnia  normanna , 
talché  al  primo  scontro  le  tarbe  dei  Musulmani  sba- 
ragliaronsi;  furono  orribilmente  mietute  dai  vincitori. 
Abd-AUah  campava  a  mala  pena  con  pochi  seguaci. 
Segui  quésta  battaglia  nella  primavera  o  nella  state 
del  millequaranta/ 

Poi  s' intese  nel  campo  un  bisbiglio  che  mosse 


La  terra  che  s' addimandò  Maoiace  è  descrìtta  da  Edrisi,  di  cui  si  vegga 
il  testo  neìla  Biblioteca  Arabo-Sieula,  cap.  VII,  pag.  64,  la  versione  fran- 
cese del  Joubert,  tomo  II,  e  ti  compendio  presso  il  Di  Gregorio,  Rerum 
Àrabimrum,  pag.  i23.  Portava  l'altro  nome,  al  certo  anteriore,  di 
Ghiràn^d-dekìk  ossia  *Le  grotte  della  Farina."  Al  tempo  di  Fazzello 
ne  avanzavan  ruine  e  si  chiamavano  il  Gasalino  ;  De  Rebus  Siculis,  deca  I, 
lib.  X,  cap.  f .  Su  Tabbadia  che  fu  io  parte  distrutta  dai  tremuoti  del  1693, 
si  veggano,  oltre  il  Fazzello,  i  diplomi  del  XJI  secolo  presso  Piero,  Sicilia 
Saera,  p.  396,  4S6,  977, 1004.  Sì  riscontri  D'Amico,  Iea;tcon  Stctito  Ta- 
pogrùfieum /tomo  \\f  dWai  ^oce  Maniaeis, 

*  Si  confrontino:  Cedreno,  tomo  II,  p.  512,  Vita  di  San  Filar eto,  1.  e; 
Halaterra,  lib.  I,  cap.  4;  Cronica  di  Roberto  Guiscardo ,  presso  Caruso  v 
Biblioiheca  Sieula,  p.  933,  lib.  I,  cap.  V,  p.  S66,  della  versione  francese. 
Questa  Cronica  dà  molto  diversa ,  e  manifestamente  imaginaria,  la  postura 
dei  luoghi  e  le  circostanze  delta  battaglia.  Al  par  che  Malaterra  la  dice 
guadagnata  dai  soli  Normanni.  La  data  si  scorge  dall'  ordine  in  che  pone 
questo  fatto  il  Cedreno  nel  6348  (1039-1040)  e  dal  ritorno  dei  Catapano 
Doceano  in  Terraferma  di  novembre  1040. 

Secondo  il  monaco  Nilo,  il  tiranno  de'  Barbari  (Abd-Allab),  dopo  la 
fuga  a  cavallo,  se  ne  tornò  in  Africa  su  picciolo  legno  e  ridusse  a  casa  le 
reliquie  dell'  esercito.  Cedreno  narra  che  il  capitano  cartaginese  fuggendo 
giunse  alla  spiaggia,  donde,  montato  sur  una  barchetta  riparò  in  Affrica; 
facendo  mala  guardia  su  la  costiera  T ammiraglio  bizantino,  cui  Maniaco 
avea  raccomandato  d' iinpedir  la  foga.  Chi  suppose  così  fatta  precauzione 
di  Maniaco,  ignorava  al  certo  che  Traina  giace  a  più  di  trenta  miglia  dal 
mare  e  che  sorgevi  di  mezzo  l'altissima  giogaia  di  Garonia.  Da  un'altra 
mano,  gli  annali  arabi  portano  che  Abd-Allah  fu  cacciato  in  Africa  per 
sollevazione  dei  Musulmani  di  Palermo,  come  si  narrerà  net  seguente 
Capitolo.  Indi  è  chiaro  che  il  biografo  d«  San  Filareto,  e  molto  più  la  tradi- 
zione bizantina  riferita  dal  Cedreno,  confusero  in  un  solo  due  fatti  distinti, 
cioè  la  sconfitu  di  Traina  che  costrinse  Abd-Allah  a  rifuggirsi  in  Palermo 
e  li  tumulto  di  Palermo  che  lo  cacciò  in  Affrica.  .  ^ 


—  389  —  lioio.l 

forse  a  riso  i  soldati.  La  compagnia  normanna 
ubbidiva  ad  Ardoino  lombardo,  valvassoro  dell' ar- 
civescovo di  Milano,  nobil  uomo/  grande  d'intelletto 
e  dì  cuore;  il  quale  soggiornando  poc'anzi  in  Puglia, 
vedendo  la  gente  che  parlava  il  suo  medesimo  lin^ 
guQggio  calpestata  e  mal  soffrente  il  giogo  e  trovan- 
dosi allato  milizia  sì  valorosa,  tra  carità  ed  ambizione, 
andava  meditando  novità  contro  i  Bizantini  aborriti 
e  spregiati.  '  AI  par  di  lui  amava  i  Bizantini  la  com- 
pagnia, la  quale  in  questa  guerra  era  stata  lodata 
sempre  in  parole  da  Maniaco  e  méssa  innanzi  nei 

'  Amato  lo  dice  :  *  Arduyn  servicial  de  Saint-Ambroise  arcbevesque  de 
Milan;  *  Leone  4'  Òstia  *  A|y)uinas  quidam  Lambardus  (cioè  della  Lombar- 
dia d'oggidì]  de  famulis  seilicet  Sancii  Ambrosi!  ;*  Malaterra  " Arduinnm 
quendara  Italum;  "  Lupo  Protospatario  '  Arduinus  Lombardus;*  Cedreno 
"Arduino....  signore  independente  di  un  certo  paese  {'kpiovXtoit^,*  xoSpac 
Ttvòs  oipxovrcc,  xaì  iitù  unStyòi  elyó/xevov)."  In  questo  medesimo  passò, 
tomo  II ,  p.  345»  Cedreno  dice  positivamente  cbe  la  compagnia  normanna 
era  capitanata  da  Ardoino,  ialchè  si  riscontra  con  Guglielmo  di  Paglia,  lib.  I, 
Inter  collecio»  erat  Hardoinm  etc.  e  col  Chronicon  Breve  Northman.,  presso 
.  Muratori,  Rerum  llaliearum  Scriptores,  tomo  V,  p.  278,  ebe  dice  assalita  la 
Puglia  il  1041  dai  Norroapni,  duce  H^rdoino:  Tutte  le  circostanze  del  pre- 
sente fatto  e  dell*  ordinamento  a  Melfi,  provàn  lo  stesso.  Amato,  Malaterra 
e  gli  altri  scrittori  di  parte  normanna  aman  meglio  a  far  capitano  della 
compagnia  Guglielmo  Braccio  di  ferro,  cbe  nel  1038  conducea ,  probabil- 
mente uno  squadrone  e  cbe  arrivò  al  sommo  grado  nel  1043. 

'  Amato,  Hb.  II,  cap.  XVI  e  Leone  d'Ostia,  lib.  II,  cap.  66,  quasi  con 
le  stesse  parole  di  lui ,  scrivono  che  ardoino  ^  preposto  dai  Bizantini  al 
governo  di  varie  città  di  Puglia  dopo  la  ingiuria  ricevuta  in  Sicilia  della 
quale  si  volea  vendicare,  accarezzasse  e  suscitasse  occultamente  I  popoli 
alla  rivoluzione.  Il  fatto  si  dee  tener  vero ,  ma  si  dee  porre  innanzi  V  im- 
presa di  Sicilia  ;  perchè  è  impossibile ,  con  tutta  la  corruzione  del  governo 
bizantin,o,cbe  fosse  stato  affidato  quell*oOcio  ad  Ardoino  dopo  la  diserzione; 
e  d'altronde  non  lascia  luogo  a  tal  fatto  il  breve  tempo  che  corse  tra  la 
fuga  della  compagnia  dall'  esercito  di  Sicilia  e  la  occupazione  di  Melfi. 
Amato,  che;  ignorava  le  date  e  i  particolari,  cadde  focilmente  in  quest'ana- 
cronismo. Ardoino  sembra  della  nobiltà  minore  che  si  sollevò  il  1038  contro 
r  arcivescovo  di  Milano  e  fu. vinta.  È  verosimile  parimenU  ch'egli  ed  altri 
rifuggiti  e  stranieri  avessero  fatto  una  compagnia  di  ventura,  e  che  innanzi 
il  1038,  trovandosi  ai  soldi  dei  Bizantini,  gli  fosse  stato  affidato  il  comando 
milit|ire  di  qualche  città  di  Puglia. 


|io«o.|  —  390  — 

pericoli,  ma  lasciata  addietro  nei  guiderdoni.  Fattole 
torto  nello  spartir  la  preda  dopo  la  battaglia  di  Tr^ina^ 
Ardoioo  andò  a  querelarsene  appo  il.^ capitano,  con 
aspre  parole  ;  e  quegli  che  nulla  soffHva  né  temeva 
al  mondo,  risposegli  con  brutali  fatti:  comandò  di 
spogliarlo  ignudo  e  frustarlo  per  gli  alloggiamenti  con 
corregge  di  cuoio.  Patì  Y  ignomini$i  Ardoino  ;  tomos- 
sene  alle  stanze  della  compagnia;  e  rattenne  chi  vo- 
lea  sciupar  la  vendetta  pigliando  Varme  immaoti- 
nenti  Contro  tutta  T  oste  grieca.  AI  contrario,  s' infìnge 
rassegnato,  ma  ch'ei  non  può  rimanere  nello  eser- 
cito dopo  tal  onta;  e  così  impetra  da  un  segretario 
di  Maniaco  la  licenza  di  tornarsi,eg1i  solo  in  Terra- 
ferma. Avuto  in  mano  lo  scritto,  cavalca  con  tutta 
la  gente;  fa  diligenza  nel  cammino  ;  arriva  a  Ubs- 
sipa;  passa  Io  Stretto,  mostrando  T ordine  di  Maniace;, 
va  a  trovare  gli  altri  condottieri  normanni  ch'erano 
rimasi  in  Terraferma;  grida  libertà  ai  popoli;  e  at- 
tacca il  fuoco  eh'  arse  come  stoppie  la  dominazione 
bizantina  in  Italia.  ^ 

Intanto  era  surta  un'  altra  discordia.  Per  mala 
guàrdia  del  navilio  bizantino,  Abd-Allah  imbarcatosi 
a  Garonia  o  Cefalù  avea .  riparato  in  Palermo,  donde 
potea  ricominciare  la  guerra/  Maniaco  ne  sali  in  tanta 

'  Si  confrontino:  Malatiefra, lil^.  i,  cap«  Vili;  Amato»  lib.  n,cftp. XIV 
a  XVIII;  Guglielmo  di  Puglia,  lib.  I,  Cumque  triumphatfl  etc,  Cronica  di 
Roberto  Gniscardo  presso  Carolo»  Bibliolheca  Sietda ,  p.  853,  e  nella  ver- 
sione francese,  lib.  1,  cap.  V;  Leone  d'Ostia,  lib.  Il,  cap.  LXVII;  Cedro- 
no,  tomo  11»  p.  545.  Queste  autorità  differiscono  molto  nei  particolari  dei 
t^rto  tatto  alla  compagnia,  ed  altri  ne  dà  la  colpa  a  Manìace»  altri  a  Michele 
Doceano»  succedutogli  nel  comando  in  Italia.  Ho  seguito  a*preferensa  il 
Malaterra»  la  cui  narrasione  è  piii  Tcrosimile  e  s*  incatena  meglio  con  gli 
altri  fata. 

'  Cedreno  che  narra  più  distinto  questo  fatto,  suppone  fuggito  il  capitan 


—  391  —  14M0.I 

collera  che  veau togli  tra  i  pie  F  ammiraglio,  il 
chiamò  poltrone»  vigliacco,  traditor  dell' impero;  gli 
die  in  sul  capo  due  e  tre  volte  d' an  sao  bastone. 
E  Stefano  se  n'  andò  a  comporre  lettere  air  eanaco 
Giovanni:  questo  piglio  di  principe  assoluto,  questa 
violenza  contro  i  proprii  parenti  dell' imperatore , 
mostrar  chiaro  T  animo  ribelle  di  Maniaco:  badas* 
seci  o  sei  vedrebbe  piombare  a  Costantinopoli  con 
r  esercito  ^pronto  a  seguirlo  in  ogni  attentato.  ^ 

Era  già  caduta  Siracusa,  dove  par  che  Maniaca 
desse  opera  a  ristorare  le  fortificazioni,  il  culto  e  gli 
ordini  pubblici;  rimanendo  fin  oggi  il  suo  nome  al 
castello  della  punta  estrema  di  Orligia.'  Si  narra 
in(dtre  eh' ei  mandasse  in  un'arca  d' argento  a  Co- 
stantinopoli il  corpo  di  santa  Lucia ,  additatogli  da 
un  vecchio  mstiano^  disseppellito  in  presenza  della 
compagnia  normanna;  e  trovato  intero  e  fresco  dopo 

mosulmano  a  dirittura  verso  r  AflfHea,  e  che  Manlace  si  adirò  tanto  con 
l' ammiraglio  percliè  appunto  gli  avea  eonunesso  di  guardar  bon  la  eostien 
che  nessuno  campasse  dà  quella  via.  Ia  postura  di  Traina ,  la  testimo- 
nianza del  monaco  Wto  e  quella  degli  annalisU  arabi  die  ho-  notate  di 
sopra  (pag.  388,  nota  I) ,  dimostrano  cbe  la  colpa  fu  d' averlo  lasciato  in* 
barcare  In  qualche  punto  della  costiera  e  navigare  verso  Palermo.  Iodi  bo 
notato  i  due  luoghi  nel  quali  pi*  probabll  è  elisegli  entrasse  lo  nave. 
ETidentemente  Gedreno  e  il  monaco  Nilo  presero  il  principio  e  la  flne  della 
fuga  d'Abd-Allah  e  trascurarono  I  fatti  intermedii,  cbe  soli  possono  spie- 
gare la  collera  di  lluihice. 

*  Gedreno,  tomo  II,  p.  922,  523. 

'  Pazzello ,  deca  I,  lib.  IV,  cap:  I,  afferma  senz* altra  prova,  cbe  Ma- 
niaco ed  iflcèr  il  castello,  e  aggiugne  eh*  ei  fe'gittare  in  bronzo  1  du^  arieti 
f  qualt  stettero  in  su  la  porta  del  easullo  fino  al  Ii48,  quando  piacque  ad 
im  marchese  di  Ceraci  d'adornarne  un  suo  palagio  a  Casteihuono.  Confiscati 
per  ribellióne  d^'un  altro  marchese  di  Geracl ,  gli  arieti  vennero  In  Palerà 
mo;  si  tran^utarono  d'nno  atf  altro  edlAzio;  e  fino  al  1848  si  videro  tn 
una  sala  tlella  reggia.  Ma,  presa  quesu  dal  popolo,  un  degli  arieti  si  trovò 
speziate,  cornee' par  da  una  palla  di  oannone;  e  il  Gomitato  di  governo 
collocò  r  altro  nel  Museo  dell' Università.  La  fattura  mi  sembra  antica  piò 
tosto  che  bizantina. 


[404<^^04l.|  —  392  — 

settecent'  anni  :  come  raccontava  a  capo  d' un  altro 
mezzo  secolo  qualòhe  veterano  normanno  a'  monaci 
di  Monte  Cassino,  o  almen  qnei  lo.  scrìssero/  Simil- 
mente nelle  altre  città  occupate ,  Maniaco  ordinò 
castella  con  forti  presidii ,  per  cavar  la  voglia  ai 
terrazzani  di  scuotere  il  giogo.  Gli  acquisti  si  ras- 
sodavano; poco  avanzava  ormai  perchè  tu.tta  V  isola 
tornasse  all'impero  e  al  cristianesimo.  Ma  repente 
per  segreto  comando  della  corte ,  il  capitano  vinci- 
tore  fu  preso ,  imbarcato  per  Costantinopoli,  gittate 
in  fondo  d' un  carcere;  e  commesso  di  ultimare  la 
guerra  a  quel  mei^esimo  Stefano  ed  aireunùco  Ba- 
silio Pediadite.  * 

Mancò  Maniace  air  esercito  nel  fortunoso  mo- 
mento, che  Ardoino  e  i  Normanni  levarono  V  insegna 
della  ribellione  in  Puglia  ;  donde  il  Catapano  Michele 
Doceano  fu  necessitato  ripassarvi  con  parte  deiresef- 
cito  nell'autunno  del  millequaranta.*  I  Musulmani 
di  Palermo,  che  non  era  stata  mai  occupata,^  ripiglia- 
rono allora  gli  assalti.  Stefano  e  ¥  eunuco,  inetti  en- 
trambi e  ladri,  né  seppero  combattere  alla  campagna, 
né  mantenere  i  presidii  ordinati  da  Manìaco;  e  il  Cata- 
pano, toccate  dai  Normanni  due  sanguinose  sconfitte 
(17  marzo  e  i  maggio  1041),  richiamò  di  Sicilia, 
com' ultima  speranza,  i  Calabresi,  i  Macedoni  e  i  Pau- 

\  Amato ,  lib.  Il»  cap.  IX  ;  Uose  4*  CÉtia,  Ub.  Il,  cap.  LXVI. 

'  Gedreno,  tomo  II,  p.  5i3. 

'  Secondo  gli  Annali  di  Bari,  presso  PerU,  Seripiore»,  tomo  V,  p*  54» 
Duceano,  reduce  di  Sicilia,  eqlrò  in  Bari  di  novembre  lOéO.  (Scrìtto  1041  » 
perchè  il  nuovo  anno  si  coniava  dal  1«  aettembre.) 

*  Erroneamente  si  è  inferita  la  occupazione  di  Palemno  dal  verso  di 
Guglielmo  di  Puglia,  lib.  I,  Premia  milUibus  Regina  $olveret  urbe.  Il  cro- 
nista vuol  dire  Reggio ,  non  *  la  città  regia." 


—  593  —  |I044.|<M2.| 

liciaai.  *  Pertanto  dei  presidii  bizantini  qual  non  fu 
cacciato  se  ne  andò  dassè.' Crebbe  il  disordine,  per 
la  mutazione  di  Btato  e  incertezza  di  consigli  a  Co- 
stantinopoli, dove,  morto  Michele  Paflagone  (dicem- 
bre 1 041  ),  era  salito  al  trono  un^ltro  giovinastro  che 
sol  pensava  a  disfarsi  di  Zoe  e  dei  ministri  del  pre- 
decéssore:  e  così  Stefano  e  il  Pediadite  furono  richia- 
mati e  mandato  sènza  forze  a  ristorar  la  guerra  in 
Sicilia  Doceano  che  Tavea  si  infelicemente  governata 
in  Terraferma;*  il  quale  fece  quel  si  doveva  aspet- 
tare da  lui.  Air  entrar  del  miltequarantadue,  l'impero 
avea  riperduto  risola,  da  Messina  ih  fuori. 

Tenea  Messina  un  protospatai;io  Catacalone,  so- 
prannominato l'Arsiccio,*  con  trecento  cavalli  e  cin- 

* 

quecento  pedoni  del  tema  d'Armenia  ;  quando  venne 
ad  osteggiarlo  (1042' marzo?)  una  massa  di  Musul- 
mani  levata  popolarmente  in  tutta  la  Sicilia,  condotta, 
a  quel  eh' e' pare,  da  un  principe  kelbita,  forse  Sim- 
sàm.'^  L' Arsiccio  si  serrò  per  tre  dì  nelle  mura,  senza 
darsegno  di  vita,  lasciando  il  neinico  a  predare  e  ga- 

*  Annali  di  Bari,  ).  e. 

*  Cedreno,  tomo  li,  p.  533.. 

.  s  Si  confrontino  gli  Annali  di  Bari,  e  Lapo  Protospatarìo  presso 
Pertz,  Scriptorès,  tomo  V,  p.  94,  88,  con  Cedreno,  tomo  II,  p.  53S(. 

*  Ktya/AC  v«$. 

>  Gedreno»  solo  astore  di  qneata.  tradizione,  dice  àggianii  rinforzi 
cartaginesi  alla  leva  in  massa  di  Sicilia  e  capitanata  1*  òste  dall*  emiro  Apo- 
ìofor.'  HI  seodirano  sbàgli  di  parole:  cbe  ignorando  la  morte  di  Akbal  e 
sapendo  lì  Temir  di  SiciDa ,  l  Bizantini  abbiano  scritto  il  nome  di  Apoiofar; 
vedendo  i  disertori  berberi,  li  abbiano  deflinito  ausiliarii  cartaginesi.  Leg- 
geransi  nel  cap.  Xli  i  fotti  seguiti  tra  i  Musulmani  dal  i040  al  1043,  pd 
quali  credo  si  possa  accettare  dalla  tradizione  di  Cedreno  la  qualità  del  ca- 
pitano emir  di  Sicilia,  mutare  la  persona  e  sopprimere  la  uccisione.  H 
Martorana,  tomo  I,  p.  14i,  ben  s'appose  al  nome  di  Simsftm;  se  non 
die  lo  fece  andare  in  Egitto  e  tornare  con  rinforzi  del  càlife  fotemita,  che 
sono  sogni  del  Rampoldi,  Annali  Muwlmani,  1040. 


HOtó.)  —  394  — 

vazzare  alF intorno  e  persuadersi  ch'egli  avesse 
paura.  Al  quarto  dì,  occorrendo  una  festa,  ^  raguna 
il  presidio  in  chiesa;  &  esortarlo  dal  palpito  a  com- 
battere fortemente  per  la  fede  e  T impero;  fa  celebrar 
la  messa;  si  comunijja  con  tutti  i  suoi,  ed  in  su  Torà 
di  pranzo ,  apponendosi  che  gli  Infedeli  stessero  a 
inala  guardia,  schiusa  le  porte,  li  assaltò.  Soprappresi 
non  poterono  dar  di  piglio  alle  armi ,  non  che  ordi^ 
narsi  :  Catacalone  li  sbaragliò ,  ne  fé'  macello ,  sac- 
cheggiò r  accampamento  ;  e  tornò  glorioso  in  città, 
mentre  gli  avanci  degli  assedianti  fuggivano  a  preci- 
pizio verso  Palermo.  * 

La  quale  vittoria  gipy^  soltanto  a  differir  di 
qualche  anno,  o  di  qualche  mese,  che  Y  appunto  non 
si  sa,  la  perdita  di  Messina  e  con  quella  d*  ogni  spe* 
ranza  su  la  Sicilia.  Perchè  la  rivoluzione  dei  popoli  e 
la  compagnia  di  ventura,  ingrossata  ogni  dì  più  che 
r  altro  di  Normanni  e  d' Italiani  dell'  Italia  di  sopra,  ^ 
irresistibilmente  scacciavano  i  Bizantini  dalla  Terra- 

'  Cedreno  scrive  pósitivdìiienle  la  Penteooste;  ma  voltata  qoaidie 
pagina  (tomo  II,  p..  838) ,  lo  dimentica,  narrando  che  Gatacalone  portò  egli 
stesso  a  Costantinopoli  il  nunzio  della  vittoria  di  Messina,  nell*  atto  che  il 
popol  s*  era  levato  a  remore  contro  it  naova  imperatore  Michele  Calafato. 
Or,  secondo  lo  stMSo  Cedreno,  la  sedizione  che  tolse  il  tròno  al  Gah&to, 
cominciò  il  Innedl  della  seconda  settimana  dopo  Pasqna  del  i04i,  e  però 
innanzi  la  Pentecoste.  Della  Pentecoste  del  104t  non  si  può  ragionare  al 
certo ,  la  quale  cadde  il  10  maggio  »  cioè  quando  non  enm  partite  per  anco 
di  Sicilia  le  schiere  dei  Macedoni,  PaulìciiBi  è  Calabresi.  D'altronde 
Vjnmmùo  della  vittoria  sarebbe  staU)  un  po'  tardo.  Perciò  jnippongoaba- 
gMau  la  festa  e  che  debba  dir  la  domenica  delle  PaliiMs  o  altra. 

*  Cedreno,  tomo  II,  p.t&35,  9)4.  Lascio  da  canto  Apollofiir,  ucciso 

nella  tenda  in  mezso  al  vino;  I  aoldatl  che  non  si  reggeai^o  in  pie daU'  eb* 

ebrezza;  le  valli  e  i  letti  dei  fiumi  pieni  di  cadaveri;  r oro ,  argento,  pedo 

e  altre  gemme  che  si  trovarono  nel  campo  musulmano,  divise  a  moggia 

(/Af^i/ftV9(,«)  tra  i  vincitori. 

'  Cedreno,  tomo  II,  p.  546,  dice  di  cotesti  aiuti  degli  Italiani  della 
regione  tra  il  Po  e  le  Alpi. 


—  595  —  11042-104$.] 

ferma.  Maniace  stesso ,  liberato  di  prigione  in  un  lu- 
cido intervallo  della  corte  e  rimandato  in  Italia  (apri- 
le. 404S)  segnalossi  per  prudente  valore  in  guerra» 
s' inferno  per  crudeltà  efferate  contro  i  terrazzani,  ri- 
pigliò qualche  città ,  ma  non  arrivò  a  vincere  i  Nor- 
manni. In  questo,  un  terzo  ma^to%di  Zoe  lo  provocò 
o  piuttosto  sforzò  a  ribellarsi;  tantoché  fattosi  grì* 
dar:  imperatore,  passò  con  Y  esercito  in  Grecia  (feb- 
braio 1 043),  azzjuffossi  con  le  genti  di  Costantino  Mo- 
nomaco,  e  le  avea  messe  in  rotta,  quando  un  colpo  ti- 
rato a  caso  lo  freddò  in  sul  cavallo.  Pochi  dì  appresso 
Costantinopoli  applaudiva  ai  codardi  che  portavano 
in  giro,  confitta  a  una  lancia ,  la  testa  di  Maniace.  * 


CAPITOLO   X! 

Ai  mis,eri  Cristiani  di  Sicilia  parve  risorgere  a 
vita  nuova  quando  fu  innalberata  in  Jor  cittadi  e  ca^ 
stella  la  insegna  della  croce  col  motto  di:  ^'Cristo 
vince."  San  Filareto,  il  quale  si  trovò  forse  a  Traina 
la  dimane  della  battaglia,  '  solea  narrar  che  rendet- 

«  Si  eoofjroQUao:.Qedrénio,  tomo  11,  p.  SAI,  K47  a  fM;  Miobele 
AttaUQta,  Bistoria^  pubblicau  a»  V.  Bronet-de^Pj^sle ,  p.  li,  i8,  19; 
.Cnglielmo  di  Puglia,  Kb.  Ulnterea  magno  Da»aùmete.  ,.8ino  «Jla  fine  del 
libra;  iiiMo/i  di  ^t  e- Lapo  Pro^OApaiacio,  presso  >P€rU,  ^r^oret» 
tomo  V,  p.  54,  98,  anoi  1043,  1045;  Chrwiican  Brete  Notthman,,  presso 
ìfuratori ,  Aerwm  /^ad'eoriim  5ertplor<s,.tomo  V,  p.  S78,.attiìi  1043, 1043. 
Cedreoo  dà  ad  intendere  cbe  Maniace  ripigliò  sopra  i  Noroiaani  tutta 
V  Italia  air  fnfuejri  di  poicJie  eitià,  li  die  è  falso* 

'  SI  vegga  la  nota  1  della  pag.  ^7,  nel  capitolo  precctdenlo.  l  parti- 
colari della  battaglia  e  del  seguito  cbe  ebbe»  portano  a  credere  presente 
il  narratore  a  Traio^. 


H045-<06^|  -.596  — 

tero  grazie  solenni  nelle  chiese  ;  che  spezzarono  i 
ceppi  meissi  ai  pie  a  lor  fratelli  prigioni;  che  cadalo 
il  terrore  di  quel  fier  tiranno  affricano,  respirarono 
in  libertà/  La  qual  Voce  sappiam  che  significhi 
quando  due  religioni  cQntendon  tra  loro.  Alla  santa 
esultanza  del  riscatto  si  mescolò  la  vendetta^  T  in- 
giuria; né  andò  guari  che  costrette  le^  armi  bizan- 
tine a  sgombrare  di  Sicilia,  molti  -abitatori  cristiani 
emigrarono  in  Terraferma ,  *  aspettandosi  la  pariglia 
dai  Musulmani.  Il  grosso  del]a  popolazione  battez- 
zata, com-avvien  sempre  per  amore  della  patria,  ne- 
cessità)  o  tiepidezza  d'animo,  restò  lì  dov'era.  E  cosi 
al  conquisto  normanno  il  Yaldemone  si  trovò  pien 
di  Cristiani,'  e  sminuzzoli  anche  se  ne  contavano  per 
le  valli  di  Notò  e  di  Mazara,  in  Siracusa,*  Palermo, '^ 


'  Nilo  Monaco  nella  Vita  diSttnFUareto,  presso  Osetani,  Sanetorum 
Sieulorum,  tomo  11,  p.  115,  e  presso  i  Bollandisti,  tomo  I,  di  aprile, 
p.  609.  San  Pilareto  avea  allora  diciotf  anni.  Il  tiranno  era  Abd-Allah 
igltaolo  4i  Hoezz. 

'  Così  la  famiglia  di  San  Filareto  ;  la  quale  non  sì  può  supporre  sola 
a  prendere  tal  partlito. 

'  Mettendo  da  parte  le  memorie  dei  cospiratori  cristiani  di  Messina, 
più  probabili  che  autentiche,  delle  quali  tratteremo  nel  seguente  libro,  si 
veggano  pei  Cristiani  di  Traina ,  Malaterra ,  lib.  Il,  ca'p.  XVII%  e  la  Crtmiea 
ài  Roberto  Guiscardo ,  presso  Caruso,, p.  838,  e  versione  francese,  lib.  I, 
cap.  .XV;  é  per  lo  rimanente  del  Valdemone  stesso ,  Amato ,  lib.y,cap.XXI 
e  XXV,  e  Malaterra,  lib.  Il,  cap.  XIV. 

*  in  un  diploma  di  Tancredrconte  di  Siracusa  »  dato  del  I  f  Q4,  si  legge 
che  il  conte  Ruggiero  neir  istituire  il  vescovato  di  Siracusa  (1093)  gli 
aveva  assoggettato  tutto  il  clero  greco  e  latino.  11  primo  non  era  .venuto 
al  certo  coi  Normanni.  Il  poeta  siracusano  Ibti-Hamdls,  ricordando  le  sue 
scappate  giovanili.  Biblioteca  Àrabo^Sicula ,  cap.  LIX,  §  1  *  p.  549,  dice 
di  un  monistero  di  donne,  ov'egli  ed  altri '$ca{>^trati  andavano  a  bere  il 
vino  •color  d*  oro.*' 

s  Malaterra,  lib.  Il,  cap.  XLV,  dice  dell' arcivescovo  che  si  sforzava  a 
ihantener  la  fede  in  Palermo  pria  che  v'entrassero  i  Normanni.  Avea-no- 
me  Nicodemo, secondouna bolla  di  Calisto ÌU presso  Pirro,  SioUia Sacra, 
l)ag.  55. 


VicaFÌ,  «  Petralia,"  ed  aKii  luòghi.*  Le  vicènde 
della  guerra  normanna  nelle  quali  bastarono  due 
anni  ad  occupare  il  Yaldemohe  e  ce  ne  vollero  trenta 
a  soggiogar  le  altre  due  valli ,  provano  similmente 
che  ^elfa  prima  regione  fossero  pochi  presidii  mu- 
sulmani nelle  principali  città  e  fortezze  in  mezzo  a 
popolazioni  cristiane  tìmide  ma  nemiche  ;  e  nel  rir 
manente  dell'  isola,  al  contrario,  pochissimi  Cristiani 
sofifocati.  tra  le  turbe  dei  circoncisi. 

Ne  mu tossi  la  condizione  legale  dei  Cristiani; 
sole  da  supporre  aggravati  i  soprusi  tra  il  millequa- 
rantatrè  e  il  millesessantuno;  dapprima  per  la  ven- 
detta dei  Musulmani  che  torna van  su;  poscia  per  la 
divisiQne  loro  in  pjiccoli;  principati,  tanto  più  molesti 
e  rapaci.  Caduti  gli  ultimi  comuni  tributarii  tra  il  no- 
vecensessantadue  e  il  séssantacinque  /  da  indi  in 
pòi  non  ne  abbiamo  ricordi;  né  possiamo  immaginare 
qual  necessità  o  caso  li  avrebbe  fatto  risorgere.  ICrì^ 
stiani  che  sottòmettonsi  al  conte  Ruggiero  ed  a  Ro- 
berto Guiscardo  nei  principi!  della  guerra,  son  vari 
dsimmi  '  paganti  tributo,  agricoltori  o  borghesi ,  ed  i 
primi  parte  possessori  e  parte  servi  della  gleba;^  le 

■  Si  vegga  il  diploma  del  1098  pel  monastero  di  Santa  Maria  di  Vicari, 
cbe  citiamo  nel  capitolo  seguente. 

>  Manterrà,  lib.  II ,  e.  XX,  narra x^e  gli  abitatori  fossero  parte Cri- 
stiaoi  e  parte  Musulmani. 

'  Malaterra ,  lib.  I,  cap;  XVII,  qarrando  tìna  scorrerla  del  conte  Rug- 
giero da  Messina  a  Girgenti  nota  cbe  gli  si  fecero  incontro  ^  Christidni 
prwineiàrum,  cbe  deve  intendersi  del.  Valdemone  e  Val  di  Mazara.  Si 
vegga  ancbe  il  cap.  Xltl  di  questo  libro. 

'  *  Si  vegga  il  Gap.  Ili  del  presente  Libro,  pag.  257,  seg.,  del  volume. 

'Si  veggano  i  luogbi  di  Malaterra  e  d*Amato,  testé  citati.  Le  condi- 
zioni ritratte  dal  primo  nel  lib.  I,  cap.  Xf  V,  s*adatuno  appinniino  agli  dsimmi. 

*  Si  veggfa  il  Libro  V,  cb'  ò  il  laogo  proprio  di  trattarne,  poicbè  le 
prove  di  coleste  due  condizioni  compuriscon  dopo  il  conquisto  normanno. 


11045-1061.)  —  598  — 

■J 

quali  popolazioni  aveao  di  certo  lor  magistrati  mu- 
nicipali, ma  non  fprmavan  corpo  politico.  Di  schiavi 
cristiani  posseduti  da  Musalmahi  non  abbiamo  me- 
moria, ond'e'par  non  siane  rimase  tanto  ^numero 
da  farsi  sentir  tra  le  vicende  del  conquisto.  Forse  la 
più  parte,  per  migliorar  loro  condizione,  *  fatti  Mu- 
sulmani, e  chi  manomesso,  chi  no,  andavano  confusi 
nella  società  dei  vincitori: 

Se  le  schiatte  antiche  non  si  sbarbicano  di  leg-- 
gieri,  i  Cristiani  dell  isola  eran  tuttavia  mescolati 
Greci  ed  Italici.  A  ciò  par  abbian  posto  mente  i  Nor- 
manni, nelle  cui  croniche  le  genti  battezzate  che 
abitavano  la  Sicilia  al  principio  della  guerra ,  son 
chiamate  doveiìreci  o  Greci  Cristiani,  e  dove  a  di- 
rittura Cristiani;  e  si  distinguono  i  primi  con  T  attri- 
buto di  perfidi,  come  portavano  le  idee  occidenta- 
li.' Un  altro  barlume  ci  dà  lo  scrittor  della  vita  di 
San  Fila  reto,  notando  tra  i  pregi  della  Sicilia  la  car- 
nagione bianca  e  vermiglia  e  le  belle  e  aperte  fat- 
tezze di  molti  abitatori,  le  quali  non  somigliàìio  al 
sembiante  del  greco  San  Filareto,  e  vi  si  potrebbe 
per  avventura  raflBgurar  il  tipo  italiano.  '  Della  me- 


*  Libra  11,  cap.  XI,  pag.  484  del  primo  Toloine. 

*  Malaterra,  lib.  I,  cap.  XIV,  XVdl  e  XX,  oiiaU  di  sopra,  paria  di 
Cristiani  di  Valdemone,  di  Traina  e  deUe  province  (tra  Messinia  e  Girgènti); 
e  cap.  XXIX,  dei  Greci  di  Traina  cbe  sembran  parto  della  popolazione 
cristiana. di  quella  città.  UDi  Gregorio,  C<mnd€ra%ioni  $opra  la  Storia  di 
Sicilia,  lib.  I,  cap.  I,  ritiene  la  stessa  distinzione  di  schiatte  e  allega, 
notes,  3,  la  stessa  autorità.  Aggiugne,  nota  4,  un  esempio  di  Ceraci  tolto 
dal  Ub.  il,  cap.  XXIV,  di  Maiaterr»;  sul  quale  non  voglio  fiire  assegna- 
mento, non  essendo  certo  m  si  tratti  di  Ceraci  In  SicQia  o  della  città  dello 
stesso  nome  in  Calabria. 

'Nilo  Monaco^  Vita  di  San  Filareto,  presso  il  Gaetani,  Sdnetofum 
Sieulorum,  tomo  li,  p.  1 19,  e  presso  i  Bollandisti,  6  aprile,  p.  607. 


—  399   —  [048-1064.1 

desima  schiatta  sembrano  i  frati  di  San  Filippo  d'Ar- 
gka  in  Sicilia  i  quali  nella  seconda  metà  del  decimo 
secolo  andavano  a  Roma:  insolito  viaggio  a  gente 
greca  in  queir  età:.  *  Come  i  due  linguaggi,  che  è  a 
dir  le  due  schiatte,  durarono  insieme  nel  medio  evo 
nelle  parti  della  penisola  eh'  aveano  avuto  colonie 
greche  kieir  antichità,* cosi  anche  rimasero  in  Sicilia; 
s&  non  che  la  lingua  greca  prevalea  neir  undecime 
secolo.*  E  la  cagione  parmi,  che  i  Cristiani  di 
sangue  italico  e  punico  della  Sicilia  occidentale, 
ayean  rinnegato  la  più  parte  sotto  la  dominazione 
musulmana,  per  essere  stati  più  tosto  domi;  se  pur 
non  si  lasciariui  domare  più  tosto  per  antagonismo 
contro  il  sangue  greco  e  il  dominio  bizantino.  La 
religione  loro,  fors'anco  la  lingua,  si  dileguò  nella 
società  musulmana.  La  religione  si  mantenne  insieme 
con  la  lingua  nella  Sicilia  orientale,  sede  primaria 
delle  antiche  colonie  greche. 

Ci  mancò  nella  prima  nxetà  del  decimò  secolo 
ogni  memoria  d' incivilimento  appo  i  cristiani  di  Sici- 
lia: '  noa  nei  cent'  annìi  che  seguono  ne  ricomparisce 
q miche  vestigio.  Della  fine  del  decimo  secolo  abbiamo 
un'agiografia,  scritta,  com'ei  sembra,  da  un  Greco 
siciliano/^  Yerìso  il  miìietrenta  ci  si  parla  di  preti 
cristiani  che  insegnavan  lettere  ai  giovanetti  a  Castro- 


I  Si  vegga  qui  appresso  la  vita  di  San  Vitale  di  Demena. 

*  NoD  t'  ba  un  sol  rigò  uè  un  sol  nome  latino  tra  I  ricordi  della  do* 
mlnaXIoiie  normanna  cbe  possano  riferirsi  all'epoca  precedente. 

*  Si  vegga  il  ÌÀh.  ili,  cap.  XI,  p.  313,  Sii  di  qvesto  volume. 

*  Si  veggano  nel  cap.  Ili  del  presente  Libro  i  ragguagli  cavati  dalla 
YUa  di  San  Niceforo  mmovo  di  Milito,  e  il  cenno  cbe  do  di  questa  agio- 
grafia  alla  fine  dello  stessa  capitolo ,  p.  373  del  volume. 


1996-^99. 1  —   400  — 

novo  in  Val  di  Mazara;  '  fors'anco  a  Demona.  '  Nella 
seconda  metà  dell' undecimo  secolo  un  ricco  cristiano 
del  paese,  faccendiere  dei  Normanni  e  poi  monaco, 
avea  dato  òpera  a  raccogliere  libri  e  dipinture  in  Mes- 
sina/1  quali  indizi!  fan  piena  prova  ^  quando  la  storia 
politica  mostra  che  dovea  necessariamente  avve- 
nire così.  Del  novecentodxie  passò  sul  Yaldemone 
la  sanguinosa  folce  d' Ibrahim^ibn-Ahmed  ;  poj  su 
tutta  r  isola  la  falce  della  fame;  e  sul  Val  di  Ma- 
zara quella  di  Khaltl-ibn-Ishak:  ma  la  guerra  ci- 
vile dei  vincitori,  fece  respirare  i  Cristiani  del  Val- 
demone.  Cioè  la  popolazione  rurale,  1  cui  tugurii  non 
avea  potuto  frugare  Ibrahim,  e  qualche  cittadino  spa- 
triato che  dopo  là  tempesta  tornava  ai  diletti  luoghi, 
povero  e  feroce.  Quei  che  ristorarono  Taormina,  quei 
che  meritarono  tanta  fama  a  Rametla ,  ebber  sì  le 
mani  pronte  a  combattere  e  rabberciare  lor  mura;  la 
mente  fitta  a  difender  sé  ed  ammazzare  i  Musulmani, 
ma  non  si  curavano,  credo,  di  dipinture,  né  di  libri, 
né deir alfabeto:  efacean  bene.  Sopraffatta  alfine  quella 

r 

virtù  dalle  armi  kelbite,  i  Cristiani  s' ebbero  a  cónten- 
tare  degli  umili  compensi  che  conaede  il  servag^o. 
Assestandosi  appo  i  Musulmani  Taziepda  pubblica, 
repressa  la  rapacità  delle  milizie ,  favoriti!  commerci 
con  là  Terraferma,  prosperanti  le  regioni  occidentali 

'  Vita  di  San  Vitale  abate,  presso  Gaetani,  Vil<B  Sanetorum  SieuUh 
rum,  tomo  II,  p.  86;  e  pressò  i  BoUaDdisti,  9  marzo,  p.  26. 

>  Vita  di  San  Luea  di  Dmona^  presso  Gaetani ,  op.  cit.,  p.  96;  e 
presso  i  Bollaodisti,  I& ottobre,  p.  337. 

'  Si  vegga  il  teslao^eDto  del  Prete  Scolaro  del  lli4  prèsso  Pirro, 
Sicilia  Saera,  p.  iOOS.  Costui  lascia»  al  Monastero  djel  Salvatore  iu  Mes- 
sina trecento, codici  greci  e  *  bellissime  immagini  coperte  d'oro."  Ma  è 
da  avvertire  che  avea  fatto  viac^i  in  Grecia  e  che  soìea  comperare  da 
mercatanti  di  quella  nazione. 


—•,401   —  |948-^06I  1 

dell'isola  e  venuti  i  padroni  a  stanziare  nella  region 
di  levante,  si^rinfrancò  la  industria  degli  abitatori  cri- 
stiani. Rifatti  alquanto  di  sostanze  e  di  nucoero,  ri- 
salirono  a  quel  gradò  d'incivilimento  dei  lor  fratelli 
di  Calabria.  Chi  voglia  conoscere^  in  volto  i  Cristiai^i 
del  Yaldemone  di  questa  età,  legga  in  Malaterra  il 
racconto  ài  qujBi  che  s' appresentavano  V  anno  mille 
sessantuno  a  Ruggiero  nella  prima  scorreria  grossa  a 
che  si  rischiò  dentro  terra.  Tutti  lieti  gli  recavano 
vittuaglie  e  altri  doni;  e  tosto  correvano  a  scusarsi 
coi  Musulmani  :  averlo  fette  per  forza ,  per  salvar  le 
persone  e  la  roba  da  codesti  predoni.  ^  Alla  quarta 
generazione  ^li  eroi  di  Ra^nelta  eran  fatti,  come  or 
si  direbbe,  onesti  e  pacifici  ^cittadini.    . 

I  quali  in  punto  di  religione  sembrano  tiepidi 
anzi  che  no.  Dopo  Y  impresa  d' Ibrahim-ibn-Ahmed 
(902),  si  sbaragliò  il  clero  siciliano.  Gli  imperatori  bi- 
zantini, egli  è  vero,  promulgando  la  lista  delie  sedi 
soggette  a  lor  patriarca,  proseguono  infino  al  secol 
decimoterzo  a  noverar  quelle  di  Sicilia  quali  sa- 
peansi  neirottavo  secolo,  salvo  qualche  errore  di  copia; 
ma  dimenticano  che  T  isola  è  stata  tolta  allo  impero 
dai  Musulmani  ed  a  costoro  dai  Normanni;  che  le 
sedi  sono  state  distrutte  dai  primi,  rifatte  dai  secondi 
a  lor  modo,  e  rese  al  pontefice  romano.  *  Però  quei 
ruoli  di  cancellaria  non  attestano  condizioni  contem- 
poranee, più  che  noi  faccian  oggi  i  titoli  di  vescovi 
d'Eraclea,  d'Adana  e  altri  largiti  dal  papa.  Appunto 
coQìe  cotesti,  sembrano  vescovi  in  partibus  quel  di 

'  Malaterra^  lib.  II,  cap.  XIV.  Si  vegga  ancbe  Amato,  lib.  V^  cap.  XXf^ 
>  Si  vegga  ri  Lib.  Il,  cap.  XII,  nel  primo  volume,  p.  485  e  486,  nota  % 
II.  26 


|948-*0C<.1  —  402  — 

Gatanm  e  TÀrci vescovo  di  Sicilia^  dei  quali  abbiamo 
le  soscrizioni  in  carte  del  decimo  e  deirundecimo  se- 
colo. *  Al  contrario  par  abbia  esercitata,  quando  che 
fosse,  la  dignità  vescovile  quel  Leone  che  poi  sog- 
giornò in  Calabria  e  venne  in  Sicilia  (925)  da  stati- 
co. '  Esercitolla  per  fermo  Nicodetìio  che  i  Norman- 
ni (1 072)  trovarono  arcivescovo  in  Palermo.  '  Egli  è 
verosimile  che  nel  decimo  secolo,  rimase  in  tutta  la 
Sicilia  un  sol  vescovo,  abbia  mutato  e  titolo  ^  e  sede, 
ponendosi  nella  capitale  allato  alla  corte  degli  emiri 
per  mantenere  più  efficacemente  i  dritti  spirituali  e 
temporali  del  povero  suo  gregge;  come  il  patriarca 
giacobita  d' Alessandria  e  il  primate  nestoriano  di  Se- 
leucia  s'eran  tramutati,  Tuno  al  Cairo,  Taltro  a  Bagdad. 
Palermo  fatta  capitale  dai  Musulmani ,  lor  ùebbe  dun- 
que, strana  vicenda  della  sorte,  la  dignità  di  chiesa 
metropolitana;  la  quale  non  fu  conceduta  da  Roma, 
noi  sembra  da  Costantinopoli  ;  e  niuno  là  sognava  iti- 

*  Alla  fln  del  IX  secolo  sembrano  anche  vescovi  in  partibw,  o  fuggi- 
tivi, qae*di  Cefalù,  Atesa,  Messina  e  Catania,  che  si  trovarono  al  Concilio 
di  Costantinopoli  (870).  Non  conto  ne!  X  secolo  San  Procopio  i^so^vo  di 
Taormina  che  incontrò  il  martirio  nel  902.  Noi>  parlo  del  vescovo  di  Ca- 
merino nelle  Marche  (963-967)  che  altri  sappose  di  Camerina  In  Sicilia. 
liOone  vescovo  di  Catania  è  spscrltlo  Ut  nna  decfatala  del  patriarca  di  Co* 
stantinopoli  del  995,  di  cui  il  Pirro»  Di$qui$iHo  de  Patriarca  SicUia, 
S  VII,  no  5.  Umberto  monaco  in  Lorena,  è  sottoscrìtto  col  titolo  di  ard- 
veaeovo  di  Sicilia  nel  eoDcUio  romano  del  1049;  ani  quale  si  vegga  11 
Pirro,  p.  51 ,.  e  te  autorilà  citale  dal  Martorana,  Nothie  Storiche  dei  Sa- 
raceni Siciliani,  tomo  II,  p.  217,  note  133, 134. 

s  Si  vegga  II  Llb.  ili,  cap.  Vili,  p.  172  ài  questo  votame.  Non  facT 
clamo  parola  del  vescovo  Ippolito,  nob  sapendosene  appunto  il  tempo. 

'  Si  veggano  la  autorità  citate  poc'anzi,  p.  396,  noU  tk  I  Normanni 
Ikon  fecero  conto  dell'  areìvescof»  greco  più  che  di  un  tnlom  di' moschea; 
e  certo  non  gli  dettero  un  titolo  ch'el  non  avesse.  iLa  corte  di  Roma 
non  solo^  lo  riconobbe  a  Nicodemo  ed  agli  arcivescovi  normanni^  ma  n*avea 
già  investito  a  modo  suo  Umberto.      ^ 

*  Si  vegga  il  Lib.  HI ,  cap.  XI,  p.  214  di  questo  volume. 


—  403  —  id48-«06«.} 

nanzi  il  decimo  secolo,  ma  alla  metà  dell'  uodeci*- 
mo  Diano  la  mise  iti  forse.  È  chiaro  che  la  assunse 
l'eletto  dei  Fedeli  confermato  dagli  emiri  :  poster  d'mia 
provincia  che  avea  avuto  sedici  diocesi  tra  vescovili 
e  arcivescovili,  e  d' una  città  eh'  era  seconda  solo  a 
Costantinopoli  e  Bagdad. 

Passando  al  clero  inferiore,  basterà  dir  che  i 
monasteri  nei  quali  tutto  si  racchiudea,  sì  fiorenti 
dopo  san  Gregorio,  ormai  sembrano  poco  men  che 
distrutti.  Quel  di  San  Filippo  d' Argira,  di  regola  ha* 
sìliana,  scomparisce  verso  il  novecensessanta,  quando 
le  colonie  musulmane  trapassavano  in  Valdemone.  ^ 
I  Normanni  trovano  in  Val  di  Mazara  il  monastero  di 
Santa  Maria  a  Vicari,  pregante  per  la  vittoria  dei 
Cristiani,  possedente  un  po'  di  servi,  bestiame  e  ter* 
reni,  ma  negletto  ed  oscuro.  '  Trovano  molte  ruine  di 
monasteri  in  Valdemone,'  e  di  due  soli  abbiam  cer- 


*  San  Luea  di  Demona  e  San  Vitale  di  Gastronovo,  dei  quali  or  or  di« 
scorrerenio  le  \ile,  presero  entrambi  l'abito  monastico  a  San  Filippo 
d*Argira;  e  morirono  in  Calabria,  Tuno  il  99$,  l'altro,  come  si  suppone, 
il  994.  Dall' agiografla  di  San  Vitale  si  scorge  cbe  in  gioventù  egli  èon 
altri  frati  dal  monastero  di  San  Filippo  andò  a  Roma,  e  cbe,  tornando  dopo 
due  anni  in  Sicilia,  visse  da  romito  sa  V  Etna  rimpetto  l' antico  suo  cfaio^ 
stro.  San  Luca  di  Demona  era  uscito  dallo  stesso  monastero  il  058  o  poco 
prima.  Però  la  cagione  della  partenza  di  entrambi  par  lo  sgombero  del 
moimsteroy  il  quale  rìsf»ondèrebbe  a  un  di  presso  ai  fatti  del  Valdenrene 
cbe  narrammo  nel  cap.  HI  di  questo  Libro,  p.  255,  seg.,  del  volMme. 

>  Questo  mi  sembra  il  valore  de\  tedio  a^Xudct «roci^  (/a««^),  Diploma 
del  i0^  pubblicato  con  versione  italiana  da  Niccolò  Buscemi,  nel  glordale 
ecclesiasiiCa  di  Palermi  che  s' inttlolava  BibHoieùa  Sacra,  tomo  I ,  p.  319» 
seg.  Il  Hartorana  in  ana  risposta  al  BqsceBi,  astratta  dal  Giwrnah  di 
Scien*e  ec.  per  la  Smlia,  p.  30,  si  sforzò  invano  a  distmggere  l' attestala 
ebecoDti^fi  questo  diploma.  Il  conte  Ruggiero  vf  dice  ebiaramente  avere 
emfBrmatò  (tsr«xu/)w)  le  possessioni*  Dunque  il  momistefo  esisteva,  e  non 
vWea  di  limctekio  avaati  il  conquista  normanno^ 

'  Non  occorre  citare  tatti  i  diplomi  normanni  che  lo  attestano  In  varie 
guise.  Fra  gli  altri  uno  del  1093  presso  Pirro,  Sicilia  Saera,  p.  1016, 


|048-i05l.|  —  404  — 

tezza  che  rimanessero  in  pie:  quel  di  Sant'Angelo  di 
Lisico,  presso  Brolo,  i  cai  frati  s'affrettavano  a  far  con- 
fermar dal  conte  Rugjgiero  la  proprietà  dei  monti,  col- 
line, acqae;  terreni  e  mobili  che  diceano  aver  tenuto 
sotto  gli  empii  Saraceni;  *  e  quel  di  San  Filippo  in 
Demona,  un  frate  del  quale,  vivuto  fino  al  millecento 
e  cinque,  affermava  aver  patito  nel  santo  luogo  gli 
oltraggi  degli  Infedeli.  '  Poco  o  nulla  s' è  perduto  dei 
documenti  di  tal  fatta,  gelosamente  custoditi  e  rin- 
novati dair ecclesiastica  prudenza:  donde  si  può  argo- 
mentare che  alla  metà  deir undecime  secolo,,  appena 
rimanesse  una  mezza  dozzina  di  monasteri  con  frati 
e  di  che  vivere. 

Né  era  comando  di  legge,  uè  effetto  di  costu- 
manza generale  dei  Musulmani ,  sotto  il  cui  do- 
minio durarono  e  durano  tante  sedi  vescovili  e 
grossi  monasteri  in  Egitto,  in  Siria,  nelle  regioni 
tra  r  Eufrate  e  il  Tigri.  Ma  le  ondate  di  Arabi  che 
irruppero  in  Occidente  sembran  pia  cupide  e  quelle 
popolazioni  cristiane  men  tenaci  nella  fede  e  disci- 
plina ecclesiastica;  e  il  monachismo /  pianta  esotica 
appo  noi,  non  resse  alle  intemperie  sì  come  in  Oriente. 
A  coleste  tre  cagioni  unite  mi  par  da  apporre  il  subito 

pro^  che  restava  in  pie  la  chiesa  soltanto  nel  monastero  di  San  Michele 
Arcangelo  in  Traina. 

'^Diploma  del  1144  nel  qnale  re  Roggiero  accenna  il  decreto  del 
pàdroj  presso  Pirro,  Sicilia  . Saera;  p.  1031.  Il  Martorana  nella  risposta 
citata  vuole  inforsare  1*  attestato;  ma  non  può  canceliare  quel  tenebant  et 
fòsndebant  tempore  impiorùm  SaracenorUm,  come  tradusse  il  Lascari,  e  gli^ 
si'  pu6:  credere  ancorché  non  si  conosca  V  originale  greco.^ 

*  Testamento  di  Gregorio  categumeno  del  monastero  di  San  FHippo 
di  Demoi^a.  U  testo  greco  con  altri  diplomi  del  monastero  fu  pubblicato 
dal  Buscemi,  op.  cit.,  p.  381  a  388,  e  più  correttamente  dal  Martorana, 
op,  cit. ,  p.  60  a  64  con  novella  versione  italiana  di  monsignor  Grispi ,  va- 
lente ellenista  siciliano,  morto  non  è  g^arl:     .  . 


—  405  —  |W8-4064.| 

decadiiDQDto  del  Cristianesimo  in  Sicilia,  al  parche 
in  Affrica  e  Spagna,  direi  quasi  al  primo  tocco  del- 
l'islam. Presi  i  beni  ecclesiastici  e  sconfortato  il  clero, 
ìnenomarono  le  sedi  vescovili,  crebbe  Torba  nei  con- 
venti; e  la  credenza  delle  popolazioni,  non  riscaldata 
dalla  voce  del  sacerdozio  né  dalla  assiduità  del  cul- 
to, calò  a  poco  a  poco.  Ma  è  mestieri  pur  che  quella 
massa  per  propria  natura  mal  ritenesse  il  calore; 
poiché  lo  zelo  dei  Fedeli ,  chierici  e  laici,  avrebbe  alla 
sua  volta  vivificata  la  gerarchia  a  dispetto  dei  gover- 
nanti e  della  povertà,  come,  per  esempio,  avvenne 
in  Siria,  appo  i  Maroniti. 

11  fervore  religioso  non  si  ridestò  neir  ultima  lotta 
delle  popolazioni  cristiane  di  Sicilia  (91 3-964),  quando 
la  povertà  e  i  pericoli  allettavan  poco  i  dignitarii 
ecclesiastici  a  tornar  dalla  Calabria;  ^  e  il  popolo,  ve- 
nuto alle  prese  con  la  morte,  chiedea  miracoli  troppo 
biblici.  Pertanto  la  riputazione  di  santità  tornò  tutta 
ai  romiti  profetizzanti,  clero  rivoluzionario  da  non 
sbigottir  tra  quelle  tempeste.  Tale  il  Prassinachio,  del 
quale  dicemmo,  e  gli  altri  di  cui  non  è  maraviglia  se 
ignoriamo  i  nomi,  V poiché  le  agiografie  si  scriveano 
nei. monasteri,  non  per  le  celle  dei  romiti,  quando 
pur  sapeano  scrivere.  Pomate  in  Sicilia  le  armi  e  man- 
cati i  monasteri,  il  clero  mal  si  riforni:  quei  che  ne 
sentiano  vocazione^  passavano  in  Calabria  dove  si 
parlava  la  stessa  lingua,  si  trovavano  spesso  i  ccm- 
cittadini  ;  e  la  dominazione  greca  apria  largo  campo 


*  Sì  ricordi  il  fatto  del  vescovo  Leone  nei  925. 

*  Si  vegga  il  cap.  XI  del  Lib.  Ili,  e  il  cap.  Ili  del  Lib.  IV,  V  2U 
e  261  del  presente  volume. 


1948-4061. 1  —  M&  — 

alla  modesta  pietà,  alle  fantasie  riscaldate  ed  alle  am^ 
bizioni  monacali.  À  legger  le  vite  dei  santi  di  Cala* 
bria  in  questo  tempo,  ognun  vede  che  si  pasceano, 
come  tutta  la  chiesa  greca,  delle  leggende  degli  anti- 
chi padri  della  Tebaide  e  di  Siria;  se  non  che  la  na- 
tura occidentale  rifuggiva  da  quelle  orrende  penitenze, 
dalla  perpetua  solitudine,  dalla  oziosa  contemplazione 
che  non  si  diffondesse  in  altrui.  E  però  i  '  romiti  si 
associavano  tra  loro;  procacciavano  seguito  nelle  cose 
mondane.  L' apice  deHa  virtù  religiosa  era  la  fonda- 
zione d' uno ,  anzi  di  parecchi  monasteri,  di  cui  uóm 
divenisse  abate  in  vita  e  santo  tutelare  dopo  la  morte. 
Ed  a  quésto  aspirò  e  pervenne  alcun  riAiggito  siciliano. 
Correndo  la  prima  metà  del  decimo  secolo, 
nacque  a  Castronovo,  nel  bel  mezzo  delle  colonie  mu- 
sulmane  e  dicesi  di  ricchi  genitori,  Sergio  e  Crisoni- 
ca,  un  Vitale;  il  quale  educato  nelle  lettere  sacre, 
ma  amando  poco  lo  studio,  andò  a  chiudersi  nel  Mo- 
nai^tero  di  San  Filippo  d'Àrgira.  Con  altri  frati  passò 
a  Roma,  dice  lagiografia,  senza  aggiungere  il  tempo 
né  il  perchè,  ai  quali  noi  ci  possiamo  apporre;  e  sa- 
rebbe  per  avventura  la  raccontata  vicenda  del  nove- 
centosessanta,  quando  una  man  di  Musulmani  avesse 
preso  a  stanziare  nella  patria  di  Diodoro  Siculo  ed 
occupato  i  beni  di  San  Filippo.  Fatto  per  via  un  mi- 
racoluccio  a  Terracina,  e  da  Roma  tornato  addietro 
ad  un  romitaggio  presso  Sanseverina  di  Calabria^  San 
Vitale  ripassò  in  Sicilia,  visse  d'erbe  salvatiche  ben 
dodici  anni  nelle  solitudini  dell'Etna,  in  faccia  del- 
Tantico  suo  chiostro.  Ripigliato  alfine  il  cammin 
della  Terraferma,  mutò  stanza  otto  o  nove  fiate  tra 


—  407  —  10S»0.994.| 

I 

Calabria  e  Basilicata;  s' abboccò  ad  Armento  con  San 
Luca  di  Demona  che  levava  grido  in  quelle  parti;  e 
fatto  venir  di  Sicilia  un  sao  nipote  per  nome  Elia, 
fondò  un  monastero  presso  BapoUa»  oye  mori,  come 
credesi,  il  nove  mar;zo  novecentonovantaquattro.  Dei 
molti  prodigii  che  gli  si  appongono  in  vita  e  in  morte, 
è  da  notar  quello  del  monastero  di  Sant'Adriano, 
dove  piombati  i  Musulmani  di  Sicilia,  i  frati  fuggi- 
rono, fuorché  San  Vitale;  cui  fattosi  incontro  un  Sara- 
ceno  dispettoso  del  non  aver  trovato  danari  né  be* 
stiame^  e  tirato  a  tagliargli  la  testa ,  Vitale  fé'  il  segno 
della  croce;  una  folgore  strappò  la  scimitarra  di  mano 
al  barbaro  e  lo  atterrò  semivivo;  se  non  che  il  SantQ 
lo  facea  rinvenire.  Trentanni  dopo  morte,  il  corpo  di 
San  Vitale  fu  rubato  ai  monaci  di  Rapolla  da  quei  fli 
Turi,'  il  cui  vescovo  recosselo  in  città  come  palladio 
contro  gli  immondi  Agareni  di  Sicilia  che  tornavano 
a  dar<s  il  guasto  alla  Basilicata.  Di  cotest'  agiografia, 
scritta  da  un  Greco  contemporaneo,  abbiam  la  sola 
versione  latina  che  ne  fece  fare  alla  fin  del  duodecimo 
secolo  Roberto  vescovo  di  Tricarico;  nella  quale  la 
crìtica  può  sol  rigettare  i  fatti  che  trapassano  gli  ordini 
della  natura,  * 


'  Antica  sede  del  vescovato  di  Tricarico. 

'  Presso  Gaetani,  ViUe  Sanetonm  Sicukrum,  tomo  III  p.  S6,  e 
presso  i  Bollandisti,  9  marzo,  p.  06. 1  soli  dati  cronologici,  oltre  Tanno  della 
versione,  sono  la  contemporaneità  con  San  Laca  di  Demona,  il  tlioto  di 
GiAapano  di  Calabria  cfae  ocoorre  nel  raicoonto,  e  il  nome  del  monastero 
di  Armento ,  il  quale  si  sa  fondato  nella  seconda  metà  del  decimo  secolo. 
La  morte  septimo  idus  marta  feria  seooia  faa  portato  ì  Bollandfsti  a  notare 
r  anno  904.  Si  vegga  anche  De  Meo,  Annali  di  Napoli,  tomo  VI,  anno  094. 
I  nomi  dei  luoghi  in  Calabria  ove  si  dice  soggiornato  San  Vitale  |o  rona^ 
Kiìggio  dopo  il  ritorno  dalla  Sicilia ,  son  Lìporaco  presso  Cassano ,  Pieir^ 


[950-904. 1  —  408  — 

Lo  stesso  parrà  della  vita  di  San  Luca  da  De- 
mona,  dettata  da  pn  discepol  di  lai  co^  semptice- 
mente  che  i  predigli  cadón  dassè  e  spicca  r  opera 
d'un  uom  di  questo  mondo,  sagace,  affaticante,  ani- 
moso, ambiziosucoio,  ma  a  buon  fine.  Si  dice  al 
solito  nato  di  parenti  nobilissimi,  Giovanni  e  Tbedibia; 
entrato  nel  monastero  di  San  Filippo  d'Argira;  pas- 
sato di  lì  a  Reggio,  per  apprendere  da  un  Elia ,  ve- 
nerabile romito,  le  discipline  dei  Santi  Padri:  ch'ai 
compitava  appena  Tofizio,  ma  la  pratica  d'Elia  e 
particolare  grazia  del  Cielo,  prosegue  l'agiografo^ 
gli  apriron  la  mente  ad  ogni  dottrina,  fino  i  misteri 
delle  sottilità  filosofiche.  Lesse  senza  nebbia  nell'  av- 
venire  cìDb  s'  aspetta van  di  nuovo  i  Saraceni ,  stru- 
mento delia  vendetta  celeste  su  la  Calabria  ;  onde 
uscito  di  sua  spelonca  si  messe  a  predicar  contro  i 
peccatori  ;  trascorse  fino  a  Noja,  dove  soggiornò  sette 
anni  in  una  basilica.  Rincrescendogli  poi  V  aura  po- 
polare, se  ne  andò  su  le  sponde  dell'Agri,  a  fabbri- 
care  il  monastero  di  San  Giuliano;  gli  raccapezzò 
qualche  poderetto  per  carità  dei  fedeli  ;  fece  scompa^ 
rir,  non  si  sa  come,  un  Landolfo  possessore  vicino, 
invidioso  della  prosperità  dei  frati  ;  e  correndo  sem- 
pre incontro  alla  fama,  ch'ei  faceale  viste  di  fuggire, 
diessi  ad  esorcizzare  demonii,  a  sovvenire  i  poverelli, 
a  curare  i  malati  con  impiastri  e  medicine,  scrive  l'agio- 
grafo, per  nascondere  la  virtù  del  miracolo.  Finché, 
al  tempo  di  Niceforo  imperatore,  calato  dalle  Alpi  un 
feroce  che  si  messe  a  depredare  le  città  greche  d'Ita- 

di  Roseto ,  Rappaco  presso  San  Quìrìco ,  Misandii,  Armento,  SanC  Adriano 
presso  Basidia ,  una  cella  presso  Turi ,  e  infine  RapoUa. 


—  409  —  I050-9W  1 

lia,*  San  Luca  e  saoì  frati,  e  tra  quelli  lo  scrittore, 
ripararono  ad  un  castello  vicino.  Poi  vergognando  di 
vivere  a  casa  de'  laici,  San  Luca  adocchiò  tra  le  rupi 
d'Armento  un  sito  da  potersi  afforzare  senza  fatica,  e 
v'  innalzò  un  altro  monastero,  che  fu  come  V  acropoli 
d' una  colonia  basiliana,  di  tanti  chiostri  minori  e  ro- 
mitaggi e  cappelle,  sparsi  nella  provincia,  fondati 
la  più  parte  da  San  Luca,  lavorandoci  tn  di  sua  mano; 
dei  quali  lo  riconobbero  abate,  e  veramente  fu  capi- 
tano. Perchè  una  volta  venuti,  i  Musulmani  di  Sicilia  a 
dare  il  guasto,  s'erano  attendati  alla  pianura  presso 
una  cappella  e  profanavs^nlà  e  scorreano  i  dintorni,  ri- 
portandone gran  tratta  di  prigioni  incatenati.  San  Luca 
scortili  dall'alto  della  rócca,  intona  i  salmi  ;  ritto  in  su 
la  porta  del  chiostro  fa  la  rassegna  ;  arma'  i  frati  più 
gagliardi,  lascia  i  deboli  in  presidio:  e  con  la  croce 
in  mano,  conduce  il  bruno  stuolo  sopra  i  nemici;  i 
quali  si  sbaragliarono,  gittaron  le  armi  al  subito 
assalto  ed  alla  vista  del  Santo,  che  loro  apparve 
sul  mitico  destrier  bianco,  raggiiante  di  luce.  Ma  ciò 
non  tolga  fede  alla  valente  fazione.  Con  pari  animo 
andò  girando  ad  assistere  da  medico  e  padre  spiri- 
tuale  i  frati  della  colonia,  mentre  ardeavi  spaventosa 
moria.  Venuta  poi  di  Sicilia  a  visitarla  una  sorella 
sua  per  nome  '  Caterina ,  madre  di  due  altri  santi 
Antonio  e  Teodoro,  fondò  pressò  Armento  un  mo- 
nistero  di  donne.  Talché  salito  San  Luca  al  sommo 
della  fama  claustrale,  mori  il  tredici  ottóbre  novecento- 


*  Olone  I,  come  notaron  bene  il  Gaetan!  e  i  BoHandisti.  E  però  torna 
al  968  0  969  nelle  scorrerie  che  abbiamo  accennato  al  cap.  VI  del  presente 
Libro  kP*  311  del  volume. 


1<020-I070  1  —  410  — 

novantatrè,  noQ  par  vecchio,  s'egli  è  véro  che  lo  coiu- 
pose  Della  fossa  quel  medesitno  Saa  Saba  stato  suo 
superiore  a  San  Filippo  d'Àrgira.  Del  quale,  né  dei 
xlue  nipoti  di  Luca,  non  si  fo  memoria  altrove,  nò  si 
sa  come  abbiano  meritato  T appellazione  di  santi/ 

Similmente  s' illustrò  in  Terraferma,  e  ci  è  noto 
per  gli  scrìtti  d'un  greco  di  Calabria,  San  Filareto,  del 
quale  accennammo  nella  guerra  di  Maniaco.  Nato  di 
schiatta  greca,  forse  a  Traina,  *  mandato  a  scuola  appo 
un  sacerdote,  delibò  degli  studii  quanto  gli  parve  ab^ 
bastanza,  dice  l'agiografo  :  giovane  frugale,  mansueto, 
assiduo  in  chiesa,  aiutava  a  lavorare  i  poderetti  pa* 
terni  e  vide  la  liberazione  e  il  subito  precipizio  dei 
Cristiani  di  Sicilia.  Perchè  passata  la  famiglinola  a 
Reggio,  indi  a  Sinopoli,  e  messosi  col  padre  agli  altrui 
servigi!  in  campagna,  gli  strati  della  vita,  la  lontananza 
dalla  patria  profondamente  sbigottirono  queir  animo 
tenero  e  malinconico.  Sperando  pace  nel  chiostro  e 
non  sapendo  lasciare  il  padre  e  la  madre ,  egli  unico 
figliuolo;  dopo  lunga  perplessità  lor  si  fece  innanzi,  si 
gittò  ginocchioni,  svelò  il  proponimento  ;  ed  assenti- 
togli, ruppe  in  lagrime  baciando  mani  e  piedi  ai  ge- 
nitori. A  venticinque  anni  proferi  i  voti  nel  mona- 
stero di  Aulina  tra  Seminàra  e  Palmi,  fondato  da 

*  Vita  di  San  Luca  di  Demona^  versione  dai  testo  greeo  che  sembrai 
perduto,  presso  il  Gaetanì,  op.  cit.,  tomo  11,  p.  06,  e  presso  i  BoliaodisU, 
13  ottobre  (tomo  Vi) ,  p.  332.  Questa  seconda  e  recente  edizione  è  illu- 
strata di  erodite  auDotationi.  11  sant'fiUa  di  Reggia  primo  maestro  di 
San  Luca,  fu,  al  dir  dei  Bollandisti ,  lo  Speleote  che  dimorava  a  Melicocca 
prèsso  Seminàra,  op.  cit.,  p.  ^33,  §  V.  Per  error  di  stampa  nel  Gaetani  è 
recata  quest'  agiografia  il  13  settembre,  quando  yì  si  legge  teriio  idus  octo' 
hri$,  l'anno  dell'  Incarnazione  993  e  del  mondo  6493  secondo  V èra  ales- 
sandrina. 

'  Si  vegga  il  capitolo  precedente,  p.  387. 


—  411  —  l^oao-^o7o.l 

Sant'Elia  di  Castrogiovanni  /  del  qaale  poi  solea  leg* 
gere  assiduamente  e  contemplare  la  vita;  ma  né  Tin- 
dote  i^ua,  nò  ìfi  condizioni  delle  cose  lo  portavano  ad 
imitare  il  missionario  demagogo  del  nono  secolo.  Nel* 
l'adunanza  dei  frati  solennemente  gli  furon  vestite, 
dice  ragiografo,  le  armadure  simboliche,  la  tunica 
usbergo  di  carità,  il.  mantèllo  scudo  di  fede,  il  cap- 
puccio elmo  di  speranza,  il  cingolo  freno  contro  libi* 
dine  ;  impugnò  a  guisa  d' asta  la  croce  :  e  mutato 
il  nome  di  Filippo  in  Filareto,  dato  a  tutti  il  bacio 
fraterno,  lo  mossero  a  guardare  gli  armenti  del  mo- 
nastero. Durissima  vita  a  chi  era  avvezzo  a  qualche 
agio  ed  un  po'  allo  studio.*  Si  sobbarcò  pur  lietamen* 
te  ;  fu  spècchio  d' obbedienza  monastica,  di  pietà,  di 
buoni  costumi  ;  e  non  fece  miracoli  mai  :  se  non  che 
due  anni  dopo  morte^  una  luce  che  usciva  dalla  se- 
poltura v'attirò  i  devoti,  indi  i  malati;  e  cominciarono 
le  guarigioni  miracolose.  Era  morto  Filareto  di  cin* 
quant'anni,  verso  il  millesettanta.  Un  piccino,  gra- 
cile, dal  volto  ovale,  scuro  e  pallido,  dagli  occhi  az- 
zurri  e  poca  barba,  tardo  al  parlare.  Cosi  lo  dipinge 
il  oionaco  Nilo,  il  quale  in  tutta  T  agiografia  ora  ri- 
pete, or  dice  passar  sotto  silenzio  i  particolari  che  gli 
avea  sentito  raccontare,  su  le  cose  domestiche  e  pub- 
bliche al  tempo  di  sua  gioventù.  Candide  tradizioni, 
su  le  quali  il  compilatore  incolto  una  rettorica  né  bella 

*  Si  veggi  il  Liki.  n.  Cip.  Xil,  5i7  ù6\  primo  voUirae. 

'  L'agiografo  scl«ua:  Wtn  in  <|uelie  toIKudini  il  soffice  letto,  ia 
pulita  sUnaa,  il  tappeto,  leatuoje,  i  bagDi«  le  brigate  <U  amici,  il  pan 
fino,  i  pesoi,  V dio,  i  condimenti,  le  frotte,  il  vino,  la  lettura  del  Vec- 
chio e  del  Nuoto  Testamento?  Ma  par  eh'  ei  voglia  accennare  il  contrasto 
con  la  Tiu  di  qualche  prelato  di  Calabria,  piuttosto  che  con  quella  dt 
San  Filareto  stesso  in  gioventù. 


(964-4034  I  412  — 

né  bratta,  una  pietà  verbosa  ma  non  ciarlatana,  che 
i'  una  e  V  altra  agevolmente  si  staccano;  e  ne  rimane 
quel  buon  documento  storico  che  ci  è  occórso  e  ci 
occorrerà  tuttavia  di  citare/ 

Così  gli  scuri  sembianti  d'Ippolito  e  Prassina* 
chio,  Io  zelo  claustrale  di  Luca  di  Demona  e  Vitale  da 
Castronovo,  e  la  rassegnazione  di.  Filareto  rispondono 
alle  tre  vicende  principali  della  opinione  pubblica  appo 
i  Cristiani  di  Sicilia  dal  principio  del  decimo  secolo  alla 
metà  deir  undecimo.  Delle  altre  agiografie  di  questo 
tempo,  è  spuria,  a  detta  degli  stessi  Boliandisti,  quella 
di  Santa  Marina.*  La  leggenda  di  San  Giovanni  Tberì- 
sta^  non  regge  alla  critica  :  tanti  casi  da  romanzo  intes- 
suti sopra  un  anacronismo.'  Non  meno  maravigliose 
e  pur  son  verosimili  e  cavate  in  parte  da  buone  au-^ 
torità,  le  avventure  di  San  Simeone,  che  nacqua.a  Si- 
racusa nella  seconda  metà  del  decimo:  secolo ,  di  padre 
bizantino  e  madre  calabrese,  e  mori  a  Trevéri  il  :  mille 
trentaquattro.  Soggiornò  in  Sicilia  infìno  a  sette 
anni,  quando   il  padre  per  dovere  di  milizia  pas* 

'  Vita  di  San  Filareto,  presso  il  Gaetani ,  VUcr  Sanetorum  Siculorum, 
tomo  il ,  p.  112,  seg.  ;  e  presso  i  BoilandisU  6  aprile  (tomo  1),  p.  dOsi,  seg., 
Tsrsioae  d' un  testo  greco  che  sembra  perduto. 

'  Si  vegga  il  Gaetani ,  op.  cit.,  tomo  II  »  p.  109,  che  se  la  bevve;  e  1 
BoUandisti,  il  luglio  (tomo  iV) ,  p.  288. 

s  Presso  il  Gaetani ,  op.  cit.,  tomo  II,  p.  107 ;  e  presso  i  Bollandistf, 
24  febbraio  (tomo  IH),  p.  479:  il  primo  dei  quali  lo  fa  morire  il  lOS^;  e  I 
secóndi  il  1129.  Figliuolo  d*.un  conte  calabrese  che  fu  ucciso  nelle  scoitene 
dei  Musulmani  di  Sicilia,  nacque  in  Palermo  dalla  madre  condotta  In  schia- 
vitù ,  e  sposata  da  un  Musulmano  ;  andò  in  Calabria  a  batteuarsl  e  trovare 
i  tesori  nascosi  del  padre;  si  fece  monaco  sotto  SanNiló{morto  il  998), operò 
In  vita  molti  miracoli,^  e  morendo  risanò  d*  un'  ulcera  Ruggiero  Guiscardo 
nipote  di  Roberto ,  il  quale  die  in  merito  grandissimi  beni  al  monastero. 
Questo  Ruggiero  Guiscardo,  che  la  storia  non. conosce,  questo  sbalzo  dalla 
Une  del  X  alla  fine  dell' XI  secolo,  convengon  bene  alle  avventóre  favolose 
che  abbiamo  appena  accennate. 


—   413  —  [964-1051.1 

sava  a  Costantinopoli,  dice  la  leggenda;  e  però 
sembra  soldato  fatto  prigione  nella  guerra  di  Ma- 
nuele Foca ,  liberato  per  riscatto.  Forse  il  parlare 
arabico  che  il  fenciuUo  avea  appreso  in  Sicilia,  lo 
spinse,  fatti  ch'ebbe  gli  studii  in  Costantinopoli,  ad 
andare  a  Gerusalemme  :  ove  s' infiammò  delle  geste 
dei  padri  del  deserto,  volle  vivere  or  frate  ora  ro- 
mito a  Betlem,  al  Giordano,  al  Sinai,  in  una  grotta 
del  Mare  Rosso  ;  la  comunità  del  Sinai  poi  mandoUo 
a  riscuotere  le  grosse  limosino  che  le  solea  porgere 
Riccardo  conte  ^i  Normandia.  Così  venne  a  Rouen, 
dove  trovando  morto  Riccardo  (1 Ó26)  e  gretto  il  suc- 
cessore, passò  a  Treveri;  ed  acconciatosi  con  T  arci- 
vescovo, mostrò  a  que' buoni  Tedeschi  esempio  di  pe- 
nitenza orientale,  chiudendosi  tutto  solo  nella  vecchia 
torre  di  Porta  Negra,  ritrovo  dei  dimonii.  Gli  assalti, 
dei  quali  per  tanti  anni,  di  e  notte,  respinse  con  sue 
preci  ;  e  si  comprende.  Ma  dopo  una  inondazione  che 
disertò  il  paese ,  accorsa  la  plebe  co'  sassi  in  mano 
chiamando  a  morte  il  frate  incantatore  della  torre, 
Simeone  non  se  ne  mosse  più  che  dei  dimonii  :  pro- 
segui a  recitar  V  ofizio  tanto  che  i  preti  racchetarono 
quel  furore.  Dopo  morte  preti  e  plebe  a  gara  gli  at- 
tribuirono miracoli.  Di  certo  col  dir  eh'  ei  facea.  delle 
calamità  di  Terrasanta,  e  con  quel  suo  strano  tener 
di  vita  in  Normandia  e  in  Germania,  Simeone  da 
Siracusa  fu  un  dei  mille  mantici  della  Crociata.  ^ 


*  La  vita  di  San  Simeone  da  Siracusa  fu  scrilta  per  ordioe  dell'  arci- 
teseovo  di  Treveri  da  an  Eberwio  abate  de!  monastero  di  Sao  Martino,  il 
quale  avea  praticato  con  Simeone  nella  torre  e  l'aveva  assistito  a  morte. 
Si  vegga  presso  ilGaetani,  YìIìb  Sanctorum  Siculorumf  tomo  II,  p.  101;  o 


Dal  detto  fin  qui  si  vede  che  il  Cristianesimo  si 
ristriose  e  rattiepidì  in  Sicilia  sotto  la  dominazione 
masalmana;  ma  non  ne  venne  a  mancare  giammai^ 
la  credenza  né  il  culto  palese.  L'attesta  un  autore 
arabo  dell' undecime  secolo,  con  dir  preciso  che 
"s'eran  fatti  musulmani  la  più  parte  degli  abitatori.*'* 
Che  se  Urbano  secondo,  nella  bolla  del  millenovanta- 
tré,  lamentava  la  religione  spenta  neir  isola  per  tre 
secoli,  non  volea  significar  altro  ebe  la  misera  con-' 
dizione  dalla  Chiesa  siciliana  e  il  picciol  numero 
dei  Fedeli,  se  tali  pur  gli  pareano  quei  di  rito  greco/ 
Sembra  privo  d'ogni  fondamento  il  supposto  che 
i  Cristiani  di  Sicilia  al  conquisto  normanno  fossero  i 

meglio  presso  i  Bollandlsti ,  I  giugno,  p.  87,  seg.  Si  riscòotrila  Cronica  di 
Sigeberlù,  anno  1010,  presso  il  Pertz»  Scnptores,  tomo  VII,  p.  88S. 

1  Si  cominci  dai  Cristiatii  cbe  compiangeano  i  prigioni  di  Siracu- 
sa (878)  nelle  strade  di  Palermo,  Lib.  If,  cap.  IX,  p.408  del  primo  volame;  8l 
scenda  via  via  nei  X  secolo  ai-paui  di  Basan  in  R^gio,  alla  gaerradi  Taor- 
mina e  Ramelta,  al  segretirio  cristiano  d' Abu-1-Kdsim ,  Lib.  IV,  cap.  il», 
in ,  Vi,  p.  247,  357  e  3M  di  questo  volarne;  e  si  arrivi  nel  presente  ca-* 
pitolo  ai  fatti  dell'  XI  secolo ,  e  si  vedrà  durar  sempre  il  cristianesimo. 

Di  questa  opinione  sono  stati  quasi  tutti  gli  scrittori  delle  cose  ecele- 
siasticbe  di  Sicilia,  come  si  può  vedere  del  Mongitore,  Oputeoli  d'Autori 
Siciliani,  tomo  VII,  p.  119,  seg.  Il  Di  Gregorio  tenoa  la  stessa  aesteBss, 
Consideraiioni  su  la  storia  di  Sicilia ,  lib.  I ,  cap.  I. 

La  seatenaa  contraria  è  stata  di  recente  sostenuta  dal  Marto'rana,  Ab- 
tiiie  Storiche  dei  Saraceni  Siciliani,  tomo  II ,  p.  43  a  75;  al  quale  rispose  il 
sacerdote  Niccolò  Buscemi,  Biblioteca  Sacra  per  la  Sicilia ,  (Palermo  1852), 
voi.  1,  p.  195  seg.,  373  seg;.,  ed  egli  replicò  in  varii  articoli  del  domale  di 
Scien%e  e  Lettere  per  la  Sicilia  del  1834,  raccolti  poi  in  an  volumetto^ 
p.  17  seg.,  133  seg.  Io  bo  citato  di  sopra  alcuni  documenti  allegati  dairnno 
e  dall'  altro,  e ,  com'  è  naturale,  ho  tenmo  presenil  le  ragioi^  pm  e  cen- 
tra ,  ma  non  posso  qnl  esaminarle  partitamente.  ,  . 

'  Nel  Uo'gem-el'Boldàn  di  Jakùt,  Biblioteca^arabo-sicula ,  testo, 
p.  HI. 

'  Presso  Pirro,  Sicilia  Saera,  p.  617,  nella  notìzia  della  Chiesa. sira- 
cusana, n  comento  si  trova  non  solo  nei  fatti  che  abbiamo  esposto,  m^ 
anche  in  un  diploma  di  re  Ruggiero  dato  il  6612  (1134),  il  quale  attesU  la 
sollecitudine  del  padre  a  liberare  dagli  Agareni  la  Sicilia  e  t  suoi  abitatori 
erislianiì  presso  Pirro ,  p.  975. 


—   415  —  ^  [827-^001  I 

venuti  al  tempo  di  Maniace,  poiché  questi  condasse 
soldati,  non  coloni;  e  i  soldati,  come  si  è  dettò,  dod 
tardarono  a  ripassare  in  Terraferma.  ^ 

All'incontro  la  libertà  del  culto  si  deve  intendere 
entro  i  limiti  osservati  in  generale  negli  Stati  musul- 
mani ;  *  senza  persecuzione  o  par  insolito  rigore,  di 
che  non  v'ha  alcun  indizio  in  Sicilia  dal  principio 
alla  fine  della  dominazione  musulmaba.  Ma  va  messo 
in  fórse,  come  affermazióne  di  cronica  moderna  e  zeppa 
di  errori ,  che  uà  principe  musulmano  dell'  isola  ac- 
cordasse ai  Cristiani  di  celebrare  pubblicamente  gli 
oficii  divini  e  recare  V  eucaristia  ai  moribondi.  '  Va 
rigettata  ritondamente  la  istituzione  d' una  confra- 
ternita nella  chiesa  di  San  Michele  del  monistero 
d^lle  Naupactitesse  in  Palermo,  Fanno  mille  e  qua- 
rantotto, nella  quale  fossero  ordinate  processioni  ogni 
mese  e  festa  annuale  ed  esequie  solenni  dei  con- 

'  Questo  supposto  è  del  Marlorana,  Noli%ie  giartche,  tomo  H,  p.  68 
a  73;. il  quale  oon  so  se  v|  sia  stato  condotto  dal  Rampoldi  che  sognò  una 
tregua  di  tre  anni  tra  i  Musulmani  e  i  Bizantini  di  Sicilia,  dopo  la  partenza 
di  Maniace.  Si  vegga  la  risposta  del  Martorana ,  p.  16,  nota.  Il  Martorana 
cadde  in  errore»  credendo  che  V  appellazione  di  Greci,  sV  frequente  in  Sicilia 
nello  Xi  e  XII  secolo,  tion  dinotasse i  Siciliani  di  linguaggio  greco,  mane* 
cessariamente  si  dovesse  riferire  a  gente  venuta  di  fresco  dalle  province 
bizantilio. 

'  SI  vegga  il  Lib.  Il,  cap.  XU,  p.  476  seg.  del  primo  volume. 

^  Questa  cronica  in  forma  di  lettera  di  Fra  Corrado ,  priore  del  con- 
iFe^to  dlomenicano  di  Santa  Caterina  in  Palermo,  ha  una  data  che  risponde 
al  i290.  Si  vegga  presso  Caruso,  Bibliolheea  Histwka  regni  SìcUUb, 
tomo  I,  p.  47,  questo  calliv»  compendio  di  fatti  dal  1097  al  1283,  del 
quale  non  eonosciam  tutte  le  sorgenti  ed  alcuna  si  potrebbe  supporre  ver- 
sione inesauissima  dall'  arabico.  Olire  gli  errori  madornali  su  i  faitti  e  1 
nomi ,  vi  si  nota  V  anacronismo  d*un  secolo  nella  scorreria  dello  spagnuolo 
Meimùn4bn^haDia  in  Sicilia,  ob'è  messa  il  1037  in  vece  del  XII  secolo. 
In  ogni  modo,  ancorcbè  la  stòria  sembri  più  tosto  alterata  da  errori  di 
compilazione  odi  copia  che  falsata  a  disino,  non  st  può  ^re  alcuno  asse- 
gnamento su  r  attestato  di  Fra  Corrado. 


1827-4001.1  —  416  — 

fratelli  jDOrti.  lì  diploma  di  rinnovazione  di  quegli  an- 
tichi statuti,  che  è  serbato  neir  archivio  della  cappella 
palatina  di  Palermo,  non  fa  menzione  della  città,  uè 
il  nome  topografico  che  vi  occorre*  appartiene  a  Pa- 
lermo né  ad  altra  terra  di  Sicilia.  Anzi  le  pregliiere 
da  farsi  per  gli  «  ortodossi  imperatori  e  il  santis^ 
Simo  patriarca  e  metropolitano  »  mostrano  che  il  paese 
ubbidisse  air  impero  bizantino.  Forse  Bari  o  altra 
città  deir  Italia  meridionale ,  dove  nelle  guerre  di  re 
Ruggiero  qualche  capitano  bibliofilo  die  di  piglio  a 
questo  ruolo  di  pergamena  in  capo  al  quale  vedea 
luccicare  una  Madomaetta  bizantina  su  fondo  d'oro.* 


«  Cirio. 

*  La  versione  latina  di  questo  diploma  fa  pubblicata  dal  Df  Giovanni, 
Codex  Sicilia  diplomalioui,  no  CGXCVUl,  p.  347;  il  testo  greco  dal  Morto, 
Palermo  arUico,  p.  32 1,  6  dal  Garofalo,  nel  Tabularium,^.  captilo^  coUt" 
yiattR.,..  in  regio  panormitano  palatio,  p.  I ,  seg.;  e  tutti  han  credutosi 
trattasse  d*una  confraternita  in  Palermo;  massime  il  Morso,  il  quale  vi 
fabbricò  sopra  la  strana  conghieltura  da  noi  accennata  nel  cap.  V  del 
IH  Libro,  p.  298  di  questo  voi.  in  nota. 

'  Ma  quella  preghiera  pel  patriarca  e  per  gli  imperatori  (6a«iXcMv)  mal 
conveniva  ad  un  corpo  morale  esistente  in  Palermo  neirxi  e  Xli  secolo. 
Il  Martorana,  Noti%ie  ec,  tomo  If ,  p.  219,  pensò  doversi  riferire  la  fon- 
dazione ai  Greci  bizantini  ch*ei  suppone  oceupatori  di  Palermo  nella  guerra 
di  Maniaco;  e  mise  anco  in  forse  Inautenticità  del  diploma.  Il  Moriillaro 
in  un* aspra  critica  contro  Garofalo,  Opere i  tornali,  p.  67,  seg. ,  rincalzò 
cotesto  sospetto. 

A  me  non  par  luogo  di  credere  apocrife  la  pergamena;  mantengo 
certo  cbe  la  confraternita  delle  liaupactitesse  non  sia  stala  mai  in  Pa- 
lermo. Dapprima  i  nomi  dei  confratelli  sottoscritti ,  greci  la  più  parte ,  mi 
avean  fatto  pensare  ad  alcuna  delle  città  ed  isole  di  Grecia  assalite  dai  Nor- 
manni di  Sicilia;  ma  consultatone  M.  Hase,  ha  notato  che  tra  quo' nomi 
Te  n'abbia  di  forma  italiana,  e  cbe  il  nome  di  un  Rugjpero .Nanainà  ci 
richiami  alla  Puglia.  Però  debbo  alP  autorità  del  maestro  il  pensiero 
che  seguo  nel  testo.  Aggiungo  che  la  voce  imperatori,  al  plurale,  fa  cre- 
dere rinnovati  gli  statuti  mentre  Sedea  più  d*uno  sul  trono  di  Costantino- 
poli; e  ciò,  dopo  il  1048  data  del  primo  diploma  «stornerebbe  al  regno  di 
Costantino  Duca  (1060-^7) ,  il  quale  si  associò  i  figliuoli ,  o  di  quesU  e  della 
madre  (1068)  ;  e  sarel^be  appunto.prima  della  occupazione  di  Bari  per  Ro- 
berto Guiscardo.  i 


^ 


—  417  —  |I040| 


CAPITOLO   XII.  * 

Siam  pervenuti  adesso  al  tratto  piìi  oscuro  di 
queste  istorie.  D^po  la  esaltazione  dèir  emiro  lùsuf 
gli  annali  arabici  della  Sicilia  cambiano  stile;  le  sor- 
genti impoveriscono  ;  e  pur  si  tien  dietro  al  racconto 
sino  alla  occupazione  di  Moezz.  '  La  guerra  di  Ma- 
niaco, passata  sotto  silenzio  dai  Musulmani,  ^i  ritrae 
tanto  o  quanto  dai  nemici  loro.  Ma  nei  venti  anni 


•  *■  Ibn-el-Albtr  dà  i  fatti  in  ordine  cronologico  infino  agli  armamenU  dei 
bizantini,  il  416  (cap.  IX  di  questo  Libro  a  p.  365  del  volume)  ;  e  indi  salta 
ail  484  raccogliendo  in  nn  capitolo  ttitti  gli  avvenimenti  dalla  abdicazione 
di  lùsuf^  il  388  (998),  al  compiuto  conquisto  dei  Normanni  (1091)  ;  nel  cfuale 
capitolo  la  data  e' particolari  scarsegglanoi  da  lùsuf  alla  occupazione  di  Moezz 
(K)37),  e  mancano  ai  tutto  d' allora  infine  alla  chiamata  dei  Normanni  (1080). 
Òr  appunto  alla  fine  del  X  secolo,  cioè  al  tempo  di  lùsuf,  giugno  la  cronica 
d^Ibn-Rektk  (Introduzione,  p^.  xkxvii  del  primo  volume).  Ibn-Resclk 
supplì  forse  i  >prirai  qnarant*anni  deirXI  secolo,  ibid.  I  cenni  sn  la  seconda 
metà  sembrano  cavati  da  Abu-Salt-I-Omeìa  o  da  Ibn-Sceddàd  (Introduzione» 
p.  xxxviii),  i  quali  scrivendo  nel  XII  secolo,  quando  era  giù  la  domina- 
ziìone  musulmana  di  Sicilia,  o  non  conobbero  o  non  vollero  raccontare 
tutti  i  particolari  delia  caduta. 

Questo  concetta  si  conferma  a  legger  Abulfeda ,  Nowairi  e  Ìbn-Kbal' 
dùn.  Dei  quali  si  vede  jnanifestamente  la  stessa  lacuna ,  ancorché  non  ab- 
biàn  sempre  copiato  o  compendiato  Ibn-el-Atb!r,  ed  abbiano  avuto  in 
originale  alcune  sorgenti.  Abulfeda  muta  un  po'  la  divisione  della  materia. 
D*  un^to  ei  dà  nell'anno  336  tutta  la  storia  degli  emiri  kelbiti  di  Sicilia» 
trascritta  da  un  autore  eh*  è  al  certo  Ibn-Sceddàd  :  capitolo  aggiunto  dopo 
la  prima  copia  o  edizione,  poich*  è  scritto  di. mano  d*  Abulfeda  stessb  in 
margine  del  MS.  di  Parigi,  Suppl.  Arabe,  75Ò.  Poi  nel  484  fa  un  capitolo 
comprendiate,  cornee!  pare,  sopra  ibn-el-Atb!r,  dov'ei  viene  a  ripetere 
alcnùr  fiitti  del  capitolo  del  ^36,  non  avendo  badato  a  cancellarli  quando 
aggiunse^ lo  squarcio  d'Ibn-Scedd&d.  Novrairi  e  Ibn-Kbaldùn,  dividendo 
loro  storie  generali  per  dominazioni ,  non  per  anni ,  fanno  capitoli  apposta 
su  le  cose  di  Sicilia;  ma  vi  allogano  gli  stessi  fiitti  d*  lbn-eI*-Athtr,  più  a 
meno  particolareggiati  e  sempre  interrotti  nei  periodo  ohe  notammo. 
Tutti  .par  abbiano  inorato  le  stprie  .particolari  della  Sicilia  scritte  da 
Ibn-Kattà'  e  da  Abn-Alt-Hasai^  (lotroduzion^,  p.  xxxvii,  n^  I,  V). . 
II.  27 


H040.1  —  418  — 

che  córsero  tra  la  cacciata  dei  Moezziani  e  la  scon- 
fitta d' Iba-Thimna ,  il  nesso  degli  avvenimenti  si 
spezza;  appena  v'ha  un  cenno  dell'anarchia  seguita  in 
Sicilia,  e  più  lungo  racconto  dell'ingiuria  diMeimùna 
che  affrettò  F  ultima  catastrofe.  Le  notizie  biografiche 
degli  uomini  di  lettere  »  ancorché  abbondino  in  quel 
tempo,  dan  poco  lume  ^u  la  storia  politica.  E  forza 
dupque  aiutarci  a  conghietture  ;  adoprare  spesso 
quella  forma  dubitativa  si  spiacente  nella  storia,  si 
audacemente  scansata  dai  inaestrì  antichi ,  per  amor 
deirarte.  ^ 

Spento  Àkha),  rimasa  la  Sicilia  ad  arbitrio  d' Abd- 
Àllah-ibn-Moezz,  ed  assalita  al  medesimo  tempo  da 
ManiacO;  non  è  dubbio  che  Moezz,  per  difendere  il 
nuovo  acquisto  v'  abbia  mandato  d' Affrica  quante 
forze  ei  poteja.  Torme  di  Berberi,  dunque,  amiche  e 
non  amiche  a  casa  ztrita,  adescate  con  un  po' di  de- 
naro e  molte  speranze;  masnadieri  senza  disciplina,  di 
quei  che  dieci  anni  dopo,  assaliti  in  casa  loro  dagli 
Arabi  d'oltre  Nilo,  spulezzarono  trentamila  contro  tre- 
mila alla  prima  battaglia.  *  Non  fecero  miglior  prova 
nella  giornata  di  Traina,  mescolati  coti  gli  Arabi  di  Si- 
cilia, ch'eran  tratti  a  forza,  e  lor  cominciava  a  puzzare 
la  dominazione  affricana.  La  strana  fuga  d'4bd-Allah 
di  fianco  verso  là  marina  e  indi  per  nave  a  Palermo, 
dimostra  l'esercito,^  non  che  scompigliato,  ammutina- 
to, minacciante  l'infelice  capitano.  Senza  ciò,  pe^  co- 
dardo e  inesperto  che  fosse  costui,  spronava  per  la 

*  Nel  1052.  Si  vegga  Ibn-Ebdldùn,  m$toire  des  Berbera,  versione  di 
M.  Desiane,  tomo  I,  p.  54,35;  é  Ibo-el-Atbìr)  MS.  (^  tomo  V/fog.  8lirer- 
80,  e 82  recto ,  che  particolareggia  motto  più  i  fatti. 


— •  419  —  [1040 1 

più  corta  alla  capitale,  con  la  speranza  di  rannodare 
le  genti,  in  tre  o  quattro  giornate  di  cammino  tra  ca- 
stella e  luoghi  fortissimi  per  natura. 

Scoppiaron  al  certo  dopo  la  rotta  di  Traina  nelle 
milizie  siciliane,  nella  cittadinanza  di  Palermo  e  d'al- 
tri luoghi  del  Val  di  Mazara,  le  querele  che  gli  annali 
arabici  portan  dopo  la  morte  di  Akhal,  senza  Tappunto 
del  tempo,  luogo  e  causa  prossima;*  ma  Vha  quella 
stampa  di  costernazione  d'un  popolo  che  vegga  il  su- 
Hsso.  Altercavano  i  Musulmani  di  Sicilia,  avversarii 
e  partigiani  di  Moezz,  rinfacciandosi  recìprocanlente: 
"Voleste  mettervi  in  casa  gli  stranieri  1  Per  dio!  che 
rè  finita  bella:' ecco  il  fruito  dell'opera  vostra!"*  E 
pentiti  gli  uni  e  gli  altri,  si  univano  ai  danni  d' Abd- 
Allah.  Si  venne  al  sangue  in  Palermo,  col  presidio 
o  con  alcuna  'schiera  leale  che  tornasse  di  Traina  :  il 
figliuolo  di  Moezz,  perduti  ottocent' uomini  '  nella 
zuffa,  si  gittò  coi  rimagnenti  su  Tarmata;  é  scampò 
in  Affrica.  I  sollevati  rifecero  emiro  Basan,  sopranno- 
minato  .  Simsdm  o  Sirnsàm-^ed-Dawla  (  Brando  del- 
rimpero),  fratello  di  Akhal;*  forse  quel  desso  che 

<  Sapendosi  di  certo  dagli  adtòrf  crisliani  che  lo  sconfìtto  a  Traina 
fu  Abd->Allali-ibn-Moezi,  il  tumulto  che  lo  cacciò  avvenne,  di  necessità 
dopo  là  battaglia,  non  immediatamente  dopo  la  uccisione  di  Akhal. 

s  Traduco  quasi  litteralmente  da  Ibn^^UAtfaìr  dove  si  legge  'Per  dio 
la  fine  deirepera  vostra ,  ec.  ;  *  là  qual  voce  fa  supporre  un  recente  e  grave 
caso. 

'  Alcuni  autori  portan  trecento;  ma  è  differenza  di  copia,  potendosi 
scambiare  lacilmente  le  due  voci  arabiche  che  signiBcano  quei  due  numeri. 
Qual  dei  due  sia  il  vero  qoì  so* 

*  Si  riscontrino  :  Ibn^l-Atbtr,  anno  484,  MS.  C,  tomo  V,  fog.  109,  recto, 
seg.;  Abulfeda«  AnnaUs  Moskmici,  stesso  anno, .tomo III,  p.  274,  seg.; 
NÒwàIri,  presso  Di  6regorio,  op.  cit.,  p.  23;  IbnrKhMtLxt  ^  Hktoire  de 
VAftique  et  de  la  Sieile,  p.  181  ;  Ibn-Abi-pindr ,  MS. ,  fog.  37  yerso,  seg» 
Questa  ultimo  è  il  solo  che  aggiunga  il  compimento  ed-dawla  al  soprannome 
Simsdm  e  mi  sembra  però  più  corretto. 


[1040*1032  1  —   420  — 

cinque  anni  iananzi  s'era  ribellato  coi  Siciliani, con- 
tro il  fratello. 

A  salto  a  salto,  gli  annali  arabici  continiianp 
dopo  la  esaltazione  di  Simsàm,  che  la  Sicilia  si  scon- 
quassò; ch'uomini  di  vii  condizione,  di  qua,  di  là, 
détter  di  piglio  al  comando.  *  Il  Kàid  Abd-AIlah-ibn^ 
Menkùt  s'insignoriva  di  Trapani,  Marsala,  Mazara, 
Sciacca  e  di  tutta  le  pianure  occidentali;  il  Kàid  Àli- 
ibn-Ni'ma,  soprannominato  Ibn-Hawwàsci,  di  Girgentt, 
Castrógiovanni  e  Castronovo  con  lor  distretti.  '  La  co- 


'  Si  riscontrino:  Ibn-el-Allilr,  Abulfeda,'  e  IbD-KbaldOn,  11.  cc.,i 
quali  copiano  con  varianii  unico  testo.  Nowairi,  1.  e,  non  dice  degli 
uomini  di  villssima  condizione.  E  forse  copiando  come  gli  altri,  saltò 
quelle  parole  perchè  gli  parvero  contraddittorie  al  fatto  trovato  nei  mede- 
simo testo,  0  altrove,  e  dato  da  Ini  solo;  cioè  il  governo  degli  Sceikbi  in 
Palermo.  Abulfeda,  in  fin  del  capitolo  su  ì  Kelbiti  eh*  ei  trascrive  da  Ibn-^ 
Scedd&d,  dice  che  s*  impadronirono  delia  Sicilia  i  Khareqji,  ossia  ribelli. 

'  Si  riscontrino:  Ibn-el-Atbtr,  Abulfeda,  Ibn-Khaldùn  e  Nowairì^  ll.cc. 
I  primi  tre  aggiungonal  novero  dei  regoli  Ibn-Tbìmna;  ma  Now^iri,  eh*  è 
il  più  diligente  di  tutti  in  questo  periodo,  dice  costui  surto  appresso  :  e  ciò 
si  accorda  meglio  con  gli  altri  fatti; 

Ibn-MenkOt  sembra  di  schiatta  arabica.  Questo  nome  che  in  uà  sol 
MS.  di  Nowairi  si  legge  con  la  variante.  Melkùt,  non  può  essere  diverso 
da  queir  IbU'-Menkud  da  cui  si  addomandò  un  castello  appunto  in  Val  di 
Mazara,  ricordato  da  Edrisi,  presso  Di  Gregorio,  Rerum  Àrabiearum, 
p.  119  della  versione  latida.  Nacque  di  certo  della  famiglia  e  probabil- 
mente fu  predepessore  d*  un  K&id  A'bù-Mohammed-Hasan-^ibn-Omar-ibn- 
Menkùd,  poeta  siciliano  ricordato  da  Im&d-ed-dtn  nella  JTAartda,  MS.  di 
Parigi,  Ancien  Fonda,  1375, fpg.  45  recto.  tJn  Kaid  Abd-Aliah-ibn-Men- 
kCkt,  della  stessa  tribù  e  forse  della  stessa  famiglia,  gì  vede  alla  corte  di 
Tamim,  principe  zìrita  di  Mehdia,  il  481  (1088^9)  presso  Ìbn-^l^Ath!r, 
MS.  C,  tomo  V ,  fog.  106  verso ,  con  la  variante  Menkùr  nel  Baidn ,  tomo  I, 
Jp,  SlO.del  testo  arabico.  E  con  le  varianti  Metkùd,  Medkùr,  si  trova  lo 
stesso  nome  in  AJQfrica  nel  XIll  secolo  presso  Ibn-Kbaldùn,  Histoire  de$ 
Berbères,  versione  di  M.  De  Slane,  tomo  11,  p..l03,  222.  Le  dette  va- 
rianti sbn  dei  copisti,  né  montano.  Quella  tra  Menkùt  e  Menkùd  potrebbe 
venir  dal  suono  similìssimo.che  hamio  quelle  due  lettere  finali  nella  prò- 

*    '  ■  '  .  ' 

nunzia  degli  Arabi.  Infine  è  dai  avvertirà  che  1*  Una  e  1*  altr^  voce  ha  si- 
gnificalo in  arabico. 

Quanto  ad  Ibn-Hawwàsci  (le  ultime  tre  lettere  corrispondenti,  al  eh 
francese  e  sh  inglese),  questo  nome  si  legge  anche  Hawfts  e  Qiawàs^  e  li 


—  421  —  Hwo- 1032.1 

stiera  settentrionale  €i  Y  orientale,  oh'  abl)andonaron 
ultima  i  Bizantini,  par  abbian  seguita  la  sorte  di  Pa- 
lermo; ^  ae  non  che  il  Kdid  Ibn-Meklàti  occupò  Ca- 
tania qualche  anno  appresso.  '  La  capitale  si  resse  a 
nomedi*Simsàm;  poi  lo  cacciò  via;  e  gli  sceikhi,  ch'è 
a  dir^  i  notabili  municipali,  presero  lo  stato.*  Questo 
fu  il  primo  periodo  dell' anarchia,  cominciato  con  la 
cacciata  di  Abd-Allah-ibn  Moezz  il  quattroòentotren- 
tuno  (22  settembre  1 039  a  9  settembre  4040),  chiuso 
con  la  deposizione  di  Sims&m,  com'è' pare,  l'anno 
quattrocentoquarantaquattro    (  2    maggio    1 052    a 

credo  errori  di  copie.  ITauni^dfct  significherebbe  "Tagitatore,  il  demagogo," 
e  ben  converrebbe  a  quegli  cl\e  Ibn-^Tbimna  diceva  appo  i  Tforonanni 
'servo  suo  rivoltalo  '  (Leone  d*  Ostia ^  llb.  Ili,  cap.  45^  un  che  umut  h 
peuple  et  lo  chaeerentde  la  ette  et  U  fist  amirai  (Amato,  llb.  V.,  cap.  8). 

£  da  avvertire  infine  che  in  Ibn-Kbaldùn  leggiamo  Abd-Allab-ibn- 
Haww&sci  signor  di  Mazara  e  Trapani,  e  non  si  vede  il  nome  di  Ali-ibn-Ni*ma» 
né  si  parla  di  Castrogiovanni  e  Girgenti.  Viene  probabilmente  da  un  rigo 
saltato  nella  copia  in  questo  modo  :  "  a  Ma^ra  e  Trapani  Abd-AUab-ibn- 
Menkùt  ed  a  Castrogiovanni  il/t-tÌ6n-ÌVrma  detto  J6n-Haww&sci  ec.  * 

'  Ali*  assalto  dei  Normanni,  il  1062,  era  venuto  in  soccorso  di  Messina 
il  navilio  palermitano.  Diremo  a  suo  luogo  del  navilio  del  principe  di  Sicilia 
che  si  trovò  il  445  (1053^)  a  Susa  nvoltaU  contro  gli  Zìriti. 

s  Nel  due  H^S.  di  Nowalri  si  trova  Kel&bi  e  MekI&bi,  ma  ìa  giusta 
lezione  data  da  Ibn-Khaldùn  è  Meklàti,  che  differisce  jdall*  ultima  pei  punti 
diacritici  d*  una  sola  lettera,  e  dalla  prima  per  questi  e  per  un  picclol  nodo 
che  segna  la  m,  e  che  faciliàente  sfugge  alla  vista  in  una  scrittura  fretto* 
Iosa.  D'altronde  Ibn,  o  Ben,  Mekiftti,  risponde  al  Benneclerus  di  Mala- 
terra  (lib.  Il,  cap,  2,  3),  il  quale  scrisse  probabilmente  Benmecletut. 

Nella  i:/i(ir<da  d' imftd-ed-din ,  MS.  di  F'arigi,  Ancien  Fonda,  1375, 
fog.  36  terso,  abbiamo  tre  lamentevoli  versi  del  poeta  siciliano,  il  K&id 
Abu^l-Potùb  figliuolo  del  Kàid  Bedi^  (o  Bodeir)  Sened-ed-^awla,  Ibn- 
Hfeklftti  òiambelian  del  sultano.  Trovandosi  nel  capitolo  tolto  da  ibn- 
Kattft^'  gradito  e  filologo  siciliano  che  morì  nel  principio  del  XII  secolo, 
Bedìr  o  Hfigliuolo  è.  probabilmente  il  signor  di  Catania,  il  sultano  dèi  quale 
egli  si  intitolò  flagtfr ,  (ciambellano)  poi  soprannome  di  *  Base  dell*  impero,* 
pare  SImsàm,  che  in  sua  misera  condizione  tenesse  corte  e  desse  titoli. 

In  ogni  modo  Meklàta  era  tribù  berbera  e  forse  ramo  di  Kotlma, 
come  ti  legge  Jn  Ibn-KbaldOn,  Hiftoire  des  Berbères,  versione  dì  M.  De 
Slane,  tomo  1 ,  p.  173,  227 ,  294,  e  tomo  II,  p.  257. 

'  Nowairi,  I.  e.  GII  altri  tacciono  questo  fatto  importante. 


11040-4052.)  —  422  — 

21  aprile  1053)  che  una  cronologìa  assegna  a  ter- 
mine 46lla  ìdinastia  kelbita  di  Sicilia.  ' 

Si  narra  che  nel  medesimo  tempo,  V  anno  al 
giusto  non  sappiamo,  combattuta  Malta  dai  Bizantini, 
ridotti  i  Musulmani  a  tale^  che  il  tiemico  volea*da  loro 
tutte  le  facoltà  e  le  donne;  ràgunaronsi ,« consiglerà* 
rono  il  numero  degli  schiavi  ecceder  quello  degli  uo- 
mini liberi  ;  e  trassero  Y  ultimo  dado.  Profferiscono 
alli  schiavi  T  emancipazione  e  il  partaggio  dei  beni, 
s'è'  vogliono  armarsi  coi  padroni  e  tutti  insieme  vin^- 
cere  e  godersi  la  libertà,  o  morire.  A  che  assentendo 
gli  Schiavi,  gli  uni  e  gli  altri  in  una  ^ola  £eJange  fe- 
cero impeto  su  i  Bizantini;  li  ruppero  e  cacciarono 
dair  isola:  e  dopo  la  vittoria  si  compiè  la  riforma  pro- 
méssa ;  il  nuovo  popolò  di  Malta  si  ordinò  con  sì  bella 
concordia,  e  indi  tanta  forza  in  picciola  massa,  che 
i  Cristiani  non  osarono  assalirlo  mai  più.  Scrivea  cosi 
un  contemporaneo;  al  quale  si  potrebbe  credere 
cotesto  esempio  di  felice  prudenza  senza  accettarne 
tutti  i  particolari.  I  nemici  erano  al  certo  schiera 
spiccata  dair  esercito  di  Maniace.  Il  partito  fu  preso 
pubblicamente  quando  i  bizantini  occupate  le  caìupa- 
gne  di  Malta  strignessero  d' assedio  la  città  ;  o  piut- 
tosto nacque  in  una  cospirazione  dèi  Musulmani,  sog- 

^  Hagi*Kbalfa ,  compilatore  assai  mo^erao,  è  il  solo  che  porU  questa 
data  Del  I'afcti;tm-e/-reuNSHilcA  (Cronologia)^,  edisione  di  GostaDtinopoli , 
p.  60.  Pur  si  adatta  |>eDissiiDO  io  mezzo  aqnel  tratto  di  venti  anni*  che  gli 
^knnalistì  lasciano  si  oscuro.  S' aggiunga  ,che  Ibnnel-Athlr,  Àbulfeda  e 
Nowairi ,  i  quali  non  scrivono  la  data  delia  elezione  né  della  deposi^one 
di  Simsàm,^  pongono  appunto  nel  444(1052-53)  il  primo  passaggio  dei 
Normanni  con  Ibn-Thìmna,  che  seguì  nove  anni  dopa  (1061).  Sembra 
dunque  che  le  croniche  lette  da  loro  abbiano  confuso  la  caduta  dei  Kelbiti 
con  la  chiamata  dei  Normanni.  Ibn-Kbaldùn  s' allontana  da  ogni  probabi- 
lità ,  dando  Sims&m  cacciato  di  Palermo  e  poi  uccisa  il  431  (t030-40). 


—  423  —  14040-40521 

gipgati  móanzi  il  mille  quaranta,  e  sollevattsi  ap< 
presso,  ad  esempio  della  Sicilia.  ^ 

Dove  la;  caceiata  dei  Bizantini  avea  dato  anco 
la  pint9  éir  ordine  sociale  ingiusto  e  mal  fei'mo,  surto 
dal  conquisto,  musulmano;  ma  ni&ir isola  piccina, Io  si 
racconciò  i)atriarcalmente  con  una  riforma;  neir  isola 
grande  gli  éleiùenti  più  complicati,  diverbi  secondo 
le  regioni  ed  aizzati  già  dalla  guerra  civile,  non 
potendo  accordarsi,  scissero  il  paese  in  più  Stati. 
À  misura  che  sgombravano  i  Bizantini ,  )  i  Musul- 
mani sottentrarono  confusamente.  Qui  la  moltitudine 
occupò  senza  trar  colpo  il  castello  afforzato  e  poscia 
abbandonato  dal  Qemico;  là  avventossi  contro  picciol 
pi;esidio  e  fecelo  in  pezzi;  a  tal  ajtro  luogo  corse 
una  frotta  di  disertori  berberi  dell' esercito  di  Moezz, 
o  uno  stuolo  di  giund  siciliana  con  la  bandiera  di  Sim- 
sàm  o  senza.  Cosi  dobbiamo  affigurarci  il  racquisto 
della  più  parte  delF  isola,  che  i  Musulmani  credean 
fare  di  propria  virtù,  ed  era  la  stoltéziza  della  corte 
bizantina,  la  quale  gittò  in  carcere  Maniaco  ;  era  la 
mente  d'Àrdoino  e  la  spada  delle  compagnie  italiane  e 
normanpe  che  sbarattayano  le  schiere  greche,  come 
ripassavano  il  Faro  ad  una  ad  una.  I  legami  tra  ca- 
pitale  ^  province  spezzati  dalla^  occupazione  bizanti- 
na ;  quei  degli  antichi  Musulmani  coi  nuovi,  ossia  dei 
nobili  coi  popolani,  spezzati  dalle  arti  d'Akbal  e  dal 


'  CosmograQa  4i  Kazwtni,  in^tolata  Athàr^l^BUàd ,  testo  arabico, 
p/  383.  Q  compilatore  che  visse  nel  XIII  sècolo ,-  dice  avvenuto  il  caso 
dopo  il  440  (15  giugno  1048  a  5  giugno  1049).  Il  cronista  di  cui  trascrive 
le  parol^  wa  non  dà  il  nóme,  fii  al  eerto  cont0aiponineo ,  perebè  visse 
avanti  roccapaùone  normanna  dei  1091.  Forse  Abu-rAJt«Hè$aa tintore 
d*  una  storia  di  Sicilia ,  citato  altrove  da  Kaiwini. 


11040-10521     .  —  424  — 

mutare  e  riputare  igiund  j^er  sei  anni  continui/  le 
plebi  corse  alle  armi,  fatte  conquistatrici  ciascuna 
dassè  ;  i  corpi  franchi  di  Berberi  ;  la  rabbia  di  Sici- 
liani ed  Affricani  ridesta  necessariamente  quando  fa 
scosso  il  giogo  ztrita;  quello  scompaginsùnento  so- 
ciale; queirautorità  monarcbica  rimessa  su  in  un  tu- 
multo senza  forze  proprie  né  entrate,  togtieano  ai  Kel- 
biti  ogni  modo  di  rassettare  la  cosa  pubblica.  La  scon- 
fitta di  Simsàm,  o  certo  della  esercito  sotto  le  mura 
di  Messina/  dileguò  la  speranza  se  alcuna  ne  rima- 
nea.  L'emiro  che  i  Bizantini  dicono  ucciso,  e  per  sua 
sventura  noi  fu,  perde  allora  il  solo  dritto  òhe  dà  co- 
mando nelle  rivoluzioni.  Che  sperar,  che  temere  di 
lui?  Lo  stormo  delli  sbaragliati  si  sparpagliò  per  tu/la 
r  isola  :  ognuno  s' acòonciò  in  casa  propria  p  neil'^  al- 
trui, non  essendovi  forza  maggiora  che  lo  respin- 
gesse. Questo  significano  in  loro  stile  gli  annali  ara- 
bici, dei  quali  abbiam  dato  il  tenore. 

Come  in  natura  ogni  più  strano  disordine  è 
ordinato  in  sé  stesso  secondo  le  eterpe  leggi  della 
materia ,  cosi  in  quel  ribollir  di  tutte  le  genti  <;he  al- 
tre vicende  avean  cacciato  insieme  in  Sicilia,  nacquero 
vani  grumi:  e  ciascuno  fece  uno  stato;  e  in  ciascuno 
si  scopre  T  affinità  degli  elementi  che  gli  davano  prin- 
cipio. Lo  stato  del  centro,  di  cui  fu  capitale  Castro^- 
giovannt,  erano  territorii  agricoli  fatti  da  lunghissimo 
tempo  musulmani;  si  che  v'era  accaduta  la  vicenda 
del  menomarsi  la  nobiltà  militare,  dileguarsi  i  vas- 

'  Prima  da  AkbaI  ;  poi  daUe  dae  parti  nella  guerra  eivile  e  in  nitimo 
da  Abd-AIlah-ibn-Moezz.  Noi  dicono  gli  annalisti,  ma  non  cade  in  dubbio. 
*  Si  vegga  il  cap.  X  di  questo  Libro,  p.  9d5,  391. 


—  425  —  |io4o-ios2| 

salii, cristiani  e  crescere  i  popolani  dèli  antica  schiatta; 
la  parte  Siciliaìia  come  si  era  chiamata  in  princifHO 
dalla  guerra  civile.  Ónde  vi  prevalsero  que'  che  le 
croniche  appellano  uomini  di  vii  condizione^  finché  un 
se  ne  fece  signore:  Ibn-Hawwasci / ''IL  Demagogo," 
schiavo,  0  liberto  plebeo/  Questo  statò  vincea  di 
potenza  ogiu  , altro  dell' isola;  come  si  vedrà  negli 
avvenimenti  che  seguono  t)ér  quarant' anni.  Ibn- 
Menkùt,  messo  negli  annali  a  capolista  degli  uomini 
ignobili  che  vengon  su  nella  rivoluzione ,  comanda 
nella  punta  occidentale,  paese  marittimo,  sede  di  an- 
tiche  colonie  arabiche  e  però  di  molta  cittadinanza 
d' orìgine  musulmana.  Quivi  la  popolazione  sta,  o  ten- 
tenna,  tra  le  due  fazioni  affrìcana  e  ciciliana,  o  vogliam 
dir  nobile  e  plebea:  onde  v'ha  poco  divario  con  la 
cittadinanza  palermitana;  e  non  guari  dopo  sparisce 
qiiésto  stato  d' Ibn-Menkùt,  attirato  da  Palermo  o  da 
Gastrogioyanni.  Palermo  fa  parte  dassè.  La  costiera 
orientale ,^<abitjata  la  più  parte  da  vassalli  cristiani, 
obbedisce  a  ^imsàm  e  poscia  al  capo  della  nobiltà  ,* 
e  veggiama  i  nobili  prevalere  nella  più  illustre  città 
di  quelle  parti;'  e  Ja  seconda  ch"^ era  Catania,  tenersi 
pria  dal  condottiero  berbero  Ibn-Meklàti ,,  ma  sotto- 
mettersi al  signor  di  tutta  la  regione  orientale.  In  vero 
Ibn-Meklàti,  con  qùé'suoi  titoli  di  ''Base  dell'Impero* 
e  ciambellan  del  Sultano,  rassomiglia  a  governatore  di 
provincia  per  Simsàm.^Guerrier  di  ventura,  sia  delle 

e  *  Lìtteralmeote  significa  *  Il  figlio  del  Demagogo.  *  Là  citaiione  è  a 
p.  420,  nota  2. 

'  Si  veg^a  il  cap.  XV  del  presente  Libro. 

'  À^ Siracusa,  come  si  scorge  dalie  poesie  d*  Ibp-Hamd!s. 

*  Si  vegga  la  nota  2,  p.  421. 


[4040-1052.]  —  426  — 

antiche  colonie  berbere,  sia  diseffore  deir esercito 
moezziano ,  cacciatosi  tra  le  turbolenze  della  «Subita, 
salito  in  fovor  della  corte  ;  dopo  il  naofragio  della 
qaale  si  provò  ad  afferrare  la  tavola  cb'  avèa  presso. 
Le  divisioni  tornano  dunque  a  tre  :  nobiltà  militare, 
popolo  delle  province,  e  cittadinanza  della. capitale. 

Avendo  dettò  abbastanza  delle  du^  prime,*  ci 
rimane  ad  investigar  gli  umori  di  parte  in  Palermo. 
Ab  antico,  vi  prevalse  come  notammo,*  la  nobiltà, 
cui  seguivano  docilmente  popolo  e  plebe  difendendo 
le  franchigie  coloniali^  Crésciuto  il  popolo  di'nuoiero, 
facoltà  e  lumi,  gli  rincrebbe  la  licenza  aristocratica  ; 
applaudì  al  primo  emir  kelbita  che  la  raffrenava  :  la 
gemà\  nella  quale  veniano  mancando  i  nobili  proscritti 
e  sottentravano  i  giuristi  popolaiu,  tendea,  come  un 
tempo  quella  di  Kairew&n,  alla  costituzióne  dei  primi 
califi  sotto  un  principe  elettivo  ;  quella  via  di  mezio 
di  libertà,  che  la  turbolenta  schiatta  arabica  smarrì  io 
brev'ora  e  non  potè  ritrovarla  n^ai  più.  Quando  la  di&* 
cordia  tra  nobili  e  popolo  fu  matura,  quai^d'Akhal  mutò 
la  base  del  principato  dal  popolo  nei  nobili»  si  parteg* 
giò  forse  nella  capitale,  ov*  eràn  ambo  gli  elementi,  e 
il  popolare  eh*  era  il  piiì  forte  prevalse  :  come  il  mostra- 
no quelle  soldatesche  chiamate  dal  principe,  qneiràs- 
secKodi  ch'egli  fu  stretto  nella  Kbalesa,  eh' è  a  dir  la 
Metropoli  rivolta  contro  la  cittadella  che  t  Fatemiti 
le  avean  piantato  in  seno.  Palermo  ubbidì  al  figliuolo 
di  Moezz  per  difender  lo  stato  dai  Bizantini  ;  lo  scac- 
ciò quando  s' accorse  che  sapeva  opprimere  ma  non 

'  Si  Tegga  il  capitolo  IX  di  questo  Libro,  p*.  575  del  ▼olome. 
'  Si  vegga  il  Lib.  Ili ,  cap.  VUI  e  X,  p.  i46  seg.,  e  348  seg.,  di  questo 
volume. 


—  427   —  [4<M0-IO$2.| 

'     -  *  *  ' 

dìTendere  ;  e  ristorò  il  principato  kélbita  sola  ancoi^ 
di  salvezza  in  quella  tempesta.  La^emd'  di  Palermo 
par  abbia  tenuto  il  cammin  dritto,  mentre  guazza* 
vano  neir  anarchia  le  altre  popolazioni  a  ponente  dal 
Salso  :  contadini  e  cittadini  delle  città  minori,  dove 
sogliono  essere  più  stizzose  le  ire,  più  procaci  gli  uo- 
mini rozzi,  men  chiaH  alla  vista  gli  interessi  pub- 
blici. In  particolare  vi  6i  dovea  coltivar  meno  lo  studio 
del  dritto  che  Racchiude  ogni  idea  politica  dei  Musulr 
maiii;  ^  e  la  schiatta  siciliana,  assai  meno  mescolata 
coù  l'arabica,  le  si  dovea  mostrare  più  ostile. 

Per  qual  vicènda  fosse  cacciato  Simsàm  di  PaléN 
mo  si  ignora.Ma  la  Sicilia  centrale  era  perduta;  la  re* 
gione  di  levante  obbediva  forse  di  nome;.(lue8to ^Bran- 
do deir impero''  non  era  uom  di  guerra  né  di  stato,  e 
volle  far  troppo'  il  re  in  Palermo,  o  parve  inutile  im- 
paccio alla  gemà\  Gli  dissero  dunque  di  andarsene 
con  Dio,  e  vollero  provare  la  repuW)lìca;  se  pur  non 
aveano  esaitato  e  deposto ,  tra  i  Kelbitt  e  la  repub- 
Uica,  un  principe  che  regnasse  qualche  atino  o  qual* 
che  mese  ,  Abd-er-Rahman-ìbn~LùIù ,  soprannomi^ 
nato  Sceikk-edr-Dawla  (  Anziano  dell'  Impero  )  che 
rifuggissi  in  Egitto.'  Si  vedrà  neir  ultimo  capitolo» 

'  È  da  fare  eccezione  per  poòhe  ciuà  marittime  come  Mazara,  Har- 
sah,  Trapani,  le  quali  per  la  vicinanza  con  l' Affrica  e  r  anùcbitii  Mie 
colonie;  ^ojpratatto  Maura,  doveano  serbare  ordini  e  tendènze  politiche 
analoghi  a  que*di  Palermo.  Il  dritto  non  si  trascurò  di  certo  a  Bfazara,  doye 
sorse  il  più  celebre  ginreconsulto  del  tempo. 

s  Im&d-^-dtn,  nella  KhaHàa»  MS.  di  Parigi ,  A.  F. ,  i^,  fòg.  133 
recto,  lo  pone  tra  i  poeti  egiziani,  notando  pure  che  si  dovrebbe  noverar 
ira  qaei  di  Sicilia.  Il  titolo  che  gli  dà  di  Sàheh-Sikilha,  mi  porta  alla  con- 
ghiettura  <die'  annunzio  nel  testo.  Pare  si  potrebbe  supporre  dimenticata 
qualche  parola,  dopo  Sàheb,  per  esempio»  Sèiorta,  nel  qua!  caso  sarebbe 
stato  prefetto  di  polizia  in  Sicilia. 


(XI  Séeolo]  —  428  -T- 

coine  la  capitale,  bramósa  tattavia  di  ricomporre  Io 
stato,  abbia  promosso  o  accettato  un  re  novello  di 
schiatta  nobile  ;  il  qaale  finì  peggio  dei  predecessori. 


CAPITOLO  xm. 

Sfasciandosi  per  tal  modo  gli  ordini  pubblici,  fa- 
cea  pur  la  Sicilia  bèlla  mostra  al  di  fuori:  grosse 
e  frequenti  città,  valide  fortezze,  monumentf,  indu- 
stria agraria  e  cittadinesca,  commercio,; lusso,  scienze, 
lettere.  Le  iquali  parti  di  civiltà  sendosi  maturate  sotto 
la  dinastia  kelbità  che  più  o  meno  le  promosse/ noi 
le  verremo  esponendo  in  questo  e  nel  capitolo  se- 
guente, recando  la  storia  letteraria  sino  al  fin  delia 
guerra  normanna  ;  e  farem  anco  parola  dei  dotti ,  i 
quali  non  trovando  patria  sotto  il  giógo  cristiano , 
vollero  serbarne  schietto  il  simulacro  neir  esilio,  si 
che  andarono  raminghi  in  Spagna,  AflVica,  Egitto  ed 
Oriente,  nella  prima  metà  del  duodecimo  secolo.  Con 
essi  porremo  quei  pochi  di  cui  s'abbiano  potizie  senza 
data  certa.  E  serbiamo  ^1  ^sesto  libro  i  dotti  musul- 
mani; del  paese  o  stranieri,  segnalatisi  in  Sicilia  sotto 
i  Nornranni  ;  è  gli  altri  che  conseguiron  fama  fuori 
r  isola  dopo  la  metà  del  duodecimo  secolo. 

Tra  il  novecensettantatrè  e  il  millécinquantaquat- 
tro  deirèrà  cristiana,  tra  il  mercatante  Ibn-Haukal 
che. appuntava  maraviglie  e  vizii  in  qualche  osteria 
di  Palermo,  e  ÌEdfisi  prole  di  principi,  che  stendea  la 


* 


—  429  —  [Xl  Secolo.l 

desGrìzìQne  dell' isola  sotto  gli  occhi  di  re  Raggierb, 
vissero  in  Sicilia  due  eruditi  i  quali  ci  lasciaron  alcun 
cenno  geografico.  Scrittori  entrambi  dì  storia  o  co- 
nica del  paese,  T  uno  verso  il .  millecinquanta  per 
nome  Abu-Àli-Hasan  ;  Taltro,  alla  fine  del  secolo,  ni- 
lustre  filologo  Ibn-Kattà':  ed  entrambi  ebbero  alle 
mani  memorie  più  antiòhe.  Fiorì  anche  nell*  unde- 
cime secolo  il  geografo  spagnuolo  Bekri,  due  cenni 
del  quale  su  la  Sicilia  si  trovano  presso  uno  scolia- 
sta.  ^  Dobbiamo  i  frammenti  di  Àbu  Ali  e  dlbn-Kattà' 
air  erudito  lakùt;  il  quale  pubblicò  il  milledugentóven- 
totto  il  Mp'gernr-èl-Bolddny  ossia  Di/jonario  geografico, 
e  par  abbia  tolto  da  loro  quasi  tutte  le  notizie  che 
dà  sulla  SiciHa.^  Si  scoprono  neH  Mo'gém  pochi  nomi 
raddoppiati  e  altre  mende  inevitabili  in  compilazioni 
di  tal  fatta,  non  gravi  errori  da  scemar  fede  al- 
l' opera.  . 

i  •      ■  ■,       i^ 

'  Lo  scoliasta  è  IbDrScebb&l.  Gli  estratti  di  Bekri  «  sono  |>abblicaU 
niella  mia  Bibliaieca.  Arabo-Sicula ,  p.  209,  seg.,  del  testo»  secondo  un 
MS.  di  M.  Alphonse  Rousseau.  '  .  > 

s  Quest'  opera  di  lal^ùt  è  la  principale  raccolta  di  notizie  di  geografia 
descrittiva  che  ci  rimanga  sii  i  paesi  maSolmani  del  medio  evo.  SI  veggano 
i  ragguagli  che  ne  dà  M.  Reinaiid,  Géogràphie  d'Àboulfeda,  Introduzione, 
p.  cxxix,  seg.  Ormai  ve  ne  ha  in  Europa  varii  MSS.,  si  che  si  può  sperar 
qnanto- prima  una  buona  edizióne  del  Mo'gem,  Ritraggo  la  data  della  pub- 
blicazione dal  MS.  del  British  Muséum,  16,649.  ProUgameni,  fog.Z^ recto. 

Gli  articoli' su  la  Sicilia  e  sue  città  e  terre ,  che  lobo  dato  nella  detta 
Biblioteca,  p.  105  a  126  del  testo ,  son  tratti  dai  due  soli  MSS.  di  Oxford 
e  British  Mnseum.  I  no^i  stessi  leggonsi  nel  Compendio  del  Mo'gem  inti- 
tolato Merand^el'^luilU' ,  pubblicato  reòentemenie  a  Leyde  dal  professor 
Juynboll;  ed  io  li  ho  posti  nella  Bibl^teca,  p.  127  a  f32.  lafcftt  non  co- 
nobbe forse  l'opera  di  Edrisl,  e  di  certo  hon  la  usò  trattando  della  Sici- 
lia :  la  sola  notizia  che  s*  accordi  un  po'  con  Edrisl  j  è  quella  di  Catania,  di 
cui  diremo  più  innanzi.  Oltre  i  nominati  pel  testo,'  lakùt  cita  in  due  articoli 
IbiwHerawi  ed  Abo-Hasan-ArMbn-Badts.  Infine  i  versi  eh' ei  trascrive 
da  una  satira  d'ìbn-Kalakis,  venato  in  Sicilia  al  tempo  di  Guglielmo  il 
Buono;  gli  fornirono  un  so]  nome  geografico  novello,  c|oè  Oliver)»  e  nessuna 
notizia  imporunte:  D'  lbn«^Kal&kis  diremo  ne)  Libro  VI.  ^ 


|»Smo1o.|  —  4^  — 

Al  dire  d*  un  cadi  Abu-Fadhl,  citato  da  Àba-Ali, 
si  noveravano  in  Sicilia  diciotto  città  e  più  di  tre- 
centoventi ròcche;  '  ed  Uìn-Eattà'  attestava  aver  letto 
nelle  annotazioni  d'un  anonimo  ch'erano  héir isola 
ventitré  cittadi,  tredici  fortezze' e  innumerevoli  gruppi 
di  case  rurali.  Coteste  due  notizie  pur  si  riferiscono 
entrambe  alla  seconda  nìetà  del  decimo  ó  alla  prima 
deirundecimó  secolo;  nè^fo  caso  il  divario,  quando 
le  appellazioni  ct«à,  /br^eisisa,  o  rócca  corron  sì  va- 
lghe ed  arbitrarie  appo  gli  Arabi  come  %ippo  noi  quelle 
di  città,  terra,  o  villaggio.  Il  numero  diverso  dèlie 
città  non  prova  dunque  mutata  la  condizion  delle  cose, 
è  però  diversa  reta  degli  eruditi  che  le  scrissero. 
Quanto  alle  rócche  annoveriate  dal  primo,  tornano  a 
un  di  presso  a  quel  che  oggi  diremmo  Comuni;  per- 
chè allora  tra  guerre  straniere  e  guerre  civili,  le  pò- 
polazioni  amaron  siti  forti  ed  alpestri,  e  quelle 
chiamate  al  piano  dall'  agricoltura  o  dal  traffico  eb- 
bero sempre  qualche  castello  su  nel  monte  dove  po- 
tersi rifuggire.  *  La  più  parte  dunque  delle  ròcche 

<  Mo'genn  nella  Biblioieea  ÀrabihSiculat  testo,  p.  115. 

*  Ibidem:  ecco  il  passo  di  lakftì:  «  Ho  veduto  scritto  di  propria  mano 
»  d' Ibo-Kattft*  SII  la  coperta  del  Tdiikh'-SikaHa  (Storia  di  Sicilia)  qaeste 
»  parole:  Trovo  io  alcana  copia  della  Sirt^SìkUlia  la  nota  tnargioate  che 
»  sono  in  qiiest'  isola  ventitré  città  ec.  >  La  voce'firal  signiflca  *  Memoria, 
cronica,  *  ma  non>  sappiamo  se  qui  sia  nome  generico  o  titolo  speciale  del 
libro.  V 

s  Dhia'  che  vuoi  dir  proi^riamente  *  podere  cfemaniale*  e  in  generale 
podere,  possessione  rurale.  Come  ogni  podere  avea  i  suoi  proprii  colòni  o 
agricoltori.,  cosi  i^  nome  si  estendeva  agli  abituri  pothi  o  molti;  epei^  il 
significato  può  variare  da  Masseria  o  villa  inòno  a  Villaggio* 

*  Questo  fatto  fu  generale  in  Europa  nel  medio. ^vo;  Ma  in  Sicilia, 
tra  Jstituzioni  o  confi^urasione  del  suolo,  dura  fin  oggi.  Ali* infuori  di 
alcune  regioni  dove  1^  agricoltura  è  progr0dita  per  ecoezionfe,  gli  abitatori 
battuti  ^  Impoveriti  non  hanno  avuto  alacrità  che  basti  à  scender  dalle 
loro  vette  per  avvicinarsi  alle  terre  da  teolUvare  e  alle  strade. 


—  431    —  piSe»lo.| 

d' Abtt-Fadhl  erati  le  acropoli  degli  abitatóri  di  quelle 
masserie  e  villaggi,  dei  quali  avea  perso  il  conto 
TaDDOtatore  citato  da  Ibn-Kattà\  In  oggi  il  nomerò 
dei  Comuni  risponde  a  un  di  presso  a  quello  d' Abu- 
Fadhl;  ma  non  sarebbe  si  malagevole  a  noverar  le 
borgsde  rurali ,  che  scemarono  a  mano  a  mano  dalla 
istituzione  alla  abolizione  della  feudalità,  dal  conqui- 
sto normanno  al  parlamento  del  milleottocento  do* 
dici,*  * 

I  nomi  di  città  notati  nel  Mo*gem,  i  quali  senza 
troppo  discostarci  dal  vero  possiamo  supporre  tolti 
da  Abu-Àti  e  Ibn-Eattà',  '  sono  in  ordine  alfabe- 
tico  :    Adornò,  '   Alcamo,    Boèo,  *  Bonifato,  *   Cari- 

*  Il  nomerò  dei  comuni  alloali  è  di  352 ,  cominciando  da  Palermo  ' 
e  terminando  a  San  Carlo  che  ba  men  di  300  anime.  Secondo  Abo«-AIÌ» 
neir  XI  secolo  si  contavano  almeno  340  tra  città  e  ròcche.  Spiegherò 
nei  Vi  libro  la  osservazione  che  qai  accenno  su  la  diminuzione  del 
viilaggi. 

>  Ibn-Haokal,  del  qnaìe  copiò  tanti  squarci  T  autore  del  Mo'gém^  non 
dicea  forse  d*  altra  città  che  Palermo. 

'  il  Jfp'gem  e  il  Meràfid  hanno  AdsvnH  che  si  dovrebbe  leggere 
Otranto»  Ma  anziché  supporre  V  errore  di  frasferirsi  quella  città  in  Sicilia, 
parml  si  debba  muure  la  ^  finale  in  tir  e  leggere  Àdnrnó, 

*  Il  Mo'gemt  citando  Abu-Ali,  dice  che  el^BMw  era  "città*  impor- 
tante anzi  che  no,  sol  promontorio  occidentale,  nel  luogo  e  men  coltivato  e 
men  ferace  dell'  isola;  >  Senza  dubbio  dunque  Lilibea,  al  quale  già  gli 
Arabi  davano  l'attuale  forma  di  Boèo  mutando  in  articolo  arabico  le 
prime  due  sillabe.  Occorrendo  intanto  il  qome  di  Blarsa-AIi  (Marsala)  nel 
fatti  storici  del  1040,  come  dicemmo  nel  capitolo  precedente,^  p.  420  di 
questa  volume,  è  da  supporre  che  quella  città,  nella  prima  metà  del  secolo 
avesse  già  doppio  nome,  il  nuovo  di  Porto  d*Àli  e  l'antico  mutato  in 
Boèo,  ovvero  che  coesistessero  le  due  terre,  l'una  erescente,  e  V altra  in 
decadenza. 

>  Cosi  addimandasi  tuttavia  il  monte  che  sovrasta  ad  Alcamo^  nel 
quale  il  Faizello,  Deca  I,  lib.  VII,  oap.  IV,  afferma  che  sorgea  l'antica 
Alcamo,  tramutata  nel  sito  attuale  per  comando  di  Federigo  d' Aragona 
il  1332.  Potrebbe  darsi  che  Alcamo  fosse  stata  sempre  dove,  è  oggi.  Edrisi 
(1154)  la  chiama  mentii  ossia  stazione,  e  I)l>ih>6iobair  (1184)  beUda  ossia 
terra  :  il  che  prova  che  non  era  fortezza  nel  Xli  secolo.  Da  un*  altra  mano 
il  castello  sul  monte  si  chiama  tuttavia  Boóifato,  e  nelXil  secolo  era  li 


ni/  Castrogiovanni,  Catania,'  CefaIù,CorIeoiìe,  Demona,'' 
Gelso,^  Khalesa,*  Marsala,  Mazara,  Messina,*  Milazzo,^ 
Mineo,  Palermo,  Partinico,  Patti,  ^ciacca,  Scopello/* 

presso  un  villaggio  dello  stesso  «ome ,  con  600  salme  di  territorio ,  come  si 
scorge  da  nn  diploma  del  i  182  presso  Del  Giudice ,  Detcri^ionB  del  Tempio 
di  florreale,  appendice,  p.  i4.  Posto  ciò,  non  abbiam  ragione  di  supporre 
che  lakftt  dia,  come  due  citti,  due  nomi  diversi  delia  stessa.  Rìvfdendo  i 
diplomi  citati  dal  Fazzéllo  e  d^l  D*  Amico  nel  Diiionario  topogra/ho, rìoet' 
candone  altri,  ed  esaminando  con  occhio  d'archeologo  1  ruderi  di  Bodì- 
foto  e  le  vecchie  mura  d' Alcamo  attuale,  si  potrà  sciogliere  il  nodo. 

*  Nel  testo  ^  JS:»r»&ina.  Non  dubito  che  sia  da  aggiugnere  hn  puAto 
alla  b  arabica ,  e  leggere  Karìna, 

*  Nel  testo  si  .legge  in  due  articoli  Katàna  e  Katdnia,  date  entrambe 
come  città,  ed  è  probabile  che  le  due  notizie  vengano^  fonti  diverse. 

s  Manca  in  Edrisi  ;  e  i  diplomi  del  XII  secolo  non  ne  parlan  come  di 
città  esistente.  Ragione  di  più  per  sopporre  che  lakùt  abbia  preso  questo 
nome  da  Abu-Alì  o  da  lbn-Kattà\  Si  vegga  jì  Lib.  Il,  cap.  XII,  p.  468,  seg., 
del  I  volume.  '  , 

*  WMo'gem  ha  Giélimh;  e  un  diploma  arabo  e  latino  del  il 83  per  la 
chiesa  di  Morreale,  ha  nell*  arabico  6td/»»,re  nel  latino  (al  genitivo] 
laidi:  che  pare  trascrizione  di  alcun  dei  chierici  francesi  che  in  quel  tempo 
venivano  a  mettersi  in  prelatura  in  Palermo,  fi  vero  nome  sembra  ritaliìtno 
"Gelso"  che  ritien  tuttala  quel  podere.  Nel  secolo  XII  si  noverata  tra  i 
^n^SSi  9  come  si  vede  dal  detto  diploma,  pual  maraviglia  dunque  che 
neirXl  fosse  stata,  come  dice  lakftt,  <  città' nello  interno  della  Sicilia?  » 
Il  sito  risponde. a  tramontana  di  Corieone. 

*  Nel  X  secolo  era  cittadella  o  città  distinta  da  Palermo  e  contigua, 
come  si  vede  da  Ibn-Haokal ,  p.  296  del  presente  volume.  Gli  Arabi  d' Af- 
frica leneano  città  distinte  Mehd la  é  Zawila,  Kairewàn  eMansnria,  poco 
più  0  poco  men  distanti  che  Palermo  e  la  Khalesa  nel  X  secolo.  La  distìn-» 
sione  era  ragionevole,  s|  per  la  importanza  delle  popolazioni,  e  sì  per 
r agevolezza  di  mantenersi  In  una  città,  quando  V altra  fosse  occupata  dal 
nemico,  lakùt  avverte  che  ai  tempi  suoi,  al  dir  d'un  Aba-Hasan-ibn- 
Bàdls,  la  Khalesa  era  quartiere  dentro  la  città  di  Palermo. 

^  Messina  nello  stesso  articolo  del  M&gem  è  detta  prima  holeida  a  poi 
fliedifia.  Queit'  ultimo  in  un  libro  attribuito  falsamente  a  Tolomeo;  il  primo 
sema  citazione.  Se  si  riferisse  ai  tempi  in  cut  Messina  par  lùeiio  abban- 
donala ?  Si  vegga  il  Lib.  H,  cap.  X,  p.  427  del  volume  I. 

*  MUd$  nei  Uo^gem  è  data  come  villaggio  ;  nel  Meràetd  oome  città. 
Vi  si  lògge  inoltre  Milde  e  forte  ròcca  su  la  spiaggia  »  che  potrebbe  essere 
r  attuale  Mili  nello  Stretto  di  Messina»  o  piuttosto  variante  d'ortografia, 
come  Katàna  e  Katànta. 

s  fn  oggi  è  home  d'una  tonnara  nel  golfo  di  Gastellamare.  La  ri- 
corda come  terra  abitata  un  diploma  del  10d8  prèso  Pirro,  Sicilia  Sacrai 
p.  294:  ed  è  detta  villaggio  in  due  del  iitOè  1251  che  cita  D' Amico,  IM- 


—  433  —  |XI  Seeolo.] 

Siracusa,  Trapani,  ^  che  sommano  a  ventiquattro;  e 
tolto  il  raddoppiamento  di  Marsala  chiamata  Boèo  da 
Abu-^41i,  farebbero  appunto  il  numero  d' Ibn-Kattà'.  • 
Gol  nome  di  beled  (paese)  lakùt  aggiugne  Camerata, 
Termini  e  Girgeati,  scaduta  al  certo  nel  decimo  se- 
colo dopo  la  ribellione.  Chiama  beleda  (terra)  Cinisi, 
Tusa  e  Mascali;  6o/eùib  (paesetto)  Yillanuova;  *  Arato' 
(ròcca)  Taormina,  Tripoli ,  Aci  e  Bellùt  (Caltabellotta); 
keria  (villaggio)  Mili,  *  Giattini  ^  e  Sementara;  *  dhia' 
(podere  o  villa)  Kerkùd,^  e  dà  senza  qualificazione 
Qliverì,  e  Garonia.    Ma  è  da  notare  che  le  terre  mi- 

-tAùnarù)  iopogrofieo,  agli  articoli  CeUaria  e  Scupellum,  Cetaria,  città  aetica 
secondo  Tolomeo,  forse  detta  così  dalla  pesca  dei  tonni  che  vi  si  facea 
come  oggi.  Scopello  fu  colonia  di  ghibellini  lombardi  rifuggiti  In  Sicilia, 
ai  quali  poi  V  imperatore  Federigo  11  concedette  la  città  di  Corljeone. 

<  Per  manifesto  errore,  Trapani  è  messa  due  volte  con  ortograBa 
diversa,  e  la  prima  volta,  con  la  forma  Itràbiniic  è  data  come  beltda  (terra). 

s  Si  ùoti  il  gran  divario  con  la  geograGa  di  Edrisi ,  nella  quale  si  dà 
il  nome  di  città  alle  sole:  Castrogiovànni,  Catania,  Girgenti,  Marsala, 
Mazara ,  Hessiba,  Noto,  Palermo,  Randazzo  e  Siracusa.  Si  vede  bene  che 
v'  era  passato  per  lo  mezzo  il  conquisto  normanno  e  la  immigrazione 
italiana. 

*  Billanoha,  patria  del  poeta  siciliano  Billanobi,  sembra  distrutta 
t)ria  del  conquisto  normanno  ;  non  leggendosi  nei  tanti  diplomi  che  al)- 
biamo  dal  fine  deir  X(  secolo  in  qua.  Billanobi  fiorì  alla  metà  di  quel 
secolo,  come  innanzi  diremo. 

*  Si  vegga  la  nota  7  della  pagina  precedente. 

B  Giattin  fu  patria, secondo  lakùt,  di  un  dotto  musulinauo.  Un  diflOma 
arabo-latino  del  1182  dà  il  nome  in  arabico  Getina  e  in  latino  latina. 

^  STtmtntàr,  patria  d'un  altro  dotto,  secondo  lakùt.  Samanteria  era 
r/yma,  ossia  podere,  della  chiesa  romana  in  Sicilia  secondo  un'epistola  di 
San  Gregorio,  lib.  VIU  ep.  63,  presso  il  Pirro,  Sicilia  Saera ,  p.  52. 

^  Bibiioteca  AraborSicula ,  p.  124  del  testo  e  variante  del  MS.  di 
Oxford  nelle  aggiunte,,  p.  41  dèlia  Introduzione.  lakùt  scrive  Kerkùr,  che 
ho  corretto  secondo  Ibn-Khaldùn ,  Histoire  des  Berbères,  versione,  tomo  I, 
p.  274.  Il  testo  del  Mo*gem,  dice  :  ]*  Kerkùr  una  delle  ville  di  Sfòx  in  Sici- 
lia. "  Si  potr^be  intendere  villaggio  popolato  da  uomini  di  Sfax  o  meglio 
correggere  "delle  ville  di  Sfax  ed  altra  in  Sicilia." 

^  Oltre  a  ciò  neir  articolo  "  Sardegna  "  lakùt  aggiugne  che  secondo  al- 
cuni ei^  anche  nome  di  città  in  Sicilia;  nota  Saklab ,  quartiere  di  Palermo; 
e,  con  manifesto  errore,  poiie  Taranto  in  Sicilia. 

n.  '  28 


IXlSeeolo.l  —  434  — 

nori  non  si  ricordano  nel  Mo'ffem  per  la,  importanza 
loro,  ma  perchè  occorreano  nella  storia  letteraria  de- 
gli Arabi,  che  l'autore  si  propose  d'illustrare  con  si 
vasto  dizionario  geografico. 

Le  terre  minori  e  villaggi  che  si  leggono  in  Edrìsi 
e  altri  scrittori  arabi  dd  duodecimo  secolo  e  nei  di- 
plomi  infino  al  decimoquinto»  sommano  quasi  a  no- 
vecento; dei  quali  se  una  parte  fu  fondata  da  co- 
loni cristiani  nel  secol  duodecimo,  altrettanta  per  lo 
meno  si  dee  supporre  distrutta  nella  guerra  nor- 
manna ;  onde  lo  stelsso  numero  si  può  anco  ritenere 
innanzi  il  conquisto.  '  I  nomi  d' origine  arabica,  o  ber- 
bera, o  sou  prettamente  arabici,*  o  si  scernono  per 
note  etimologie  di  schiatte'  e  per  voci  ch'entrino  nelle 
appellazioni  composte  :  ain  gar,  ras,  menztl,  rahl^  kaW 
burgi:  *  e  dinotano  a  un  di  presso  i  novelli  nodi  di  po- 
polazione formati  neir  epoca  musulmana  da  una  parte 
dei  coloni  arabi  e  berberi ,  mentre  un'  altra  parte 
prendeva  a  stanziar  nelle  ville,  castella  e  città  ch'erano 
in  pie;  onde  non  perdeano  i  nomi  antichi/  I  novelli. 


'  Io  ho  raccolto  con  pazienza  i  nomi  dei  villaggi  nel  dizionario  topo- 
grafico del  D'Amico,  nel  Pirro,  netta  SkiUa  nobile  del  Villabianca,  nei 
diplomi  dette  cliiese  di  Palermo  e  Morreate,  in  qae' delta  Commenda  della 
Magione,  in  que*dati  dal  DI  Gregorio  in  appendice  agli  scrittori  deirepoc» 
aragonese,  e  in  altri  pubblicati  qua  e  là.  Mi  propongo  di  porli  in  appendice 
alla  versione  della  Biblioteca  Arabo^Sicula. 

'  Si  vegga  11  Lib.  HI,  cap.  I,  p.  35,  seg.  di  questo  volume. 

'  ^ Fonte,  grotta,  capo,  posata,  stazione,  rOcca,  torre."  La  voce  rahl 
entra  in  cento  sette  nomi  topografici  di  Sicilia.  La  voce  kala^  o  kalaH,  In 
venti  ;  la  voce  menftH  In  diciotto. 

*  Tali  per  esempio  Cedrano  (ghidrdn,  palude).  Balda  (la  Bianca), 
Abdelali  (Abàg-el-Ali  nome  proprio) ,  Zyet  {Xeid  nome  proprio),  Gbadra  e 
Cadara  (Àiadra,  la  verde)  ec. 

>  Tra  i  nomi  delle  24  città  riferiti  di  sopra  v'  ha  di  origine  arabica  le 
sole  Alcamo ,  Kbalesa,  Marsala  e  Sciacca. 


—    435    —  |XI86C0ÌD.| 

senza  contarvi  qoei  di  fiumi,  monti,  cale  e  capi  disa- 
bitati che  moltissimi  pur  ve  n'ha  d'origine  arabica,* 
tornano  a  trecentoventotto,  dei  quali  dugentonove  io 
Val  di  Mazara,  cento  in  Val  di  Noto  e  diciannove  in 
Val  Demone.  Se  risguardiamo  air  area  di  ciascuna 
valle  '  cotesti  numeri  confermano  ciò  che  sappiam 
dalla  storia,  che  i  Musulmani  occupassero  tutto  il  Val 
di  Mazara,  e  avessero  posto  qualche  presidio  in  Val 
Demone.  E  dimostrano  il  fatto  accennato  soltanto  dalle 
croniche,  dico  le  grosse  colonie  che  si  sparsero  in 
Val  di  Noto.  » 


<  P^r  esempio  Wadi-^iusa  {lì  Osine  di  Mosè)  il  Slmelo;  Dittaiao 
(Wadi't'iin  il  fiame  fangoso)  il  Chrysas  degli  antielii;  Mana-^-tcegira 
(Porto  dell'albero)  la  Punta  di  Circia  presso  il  Pachino;  Rasfgelbi  (RaS" 
el^kelb  o  ghelb,  h  PanU  del  Cane)  pressso  Cefaiù;  0»i2A-i6b(b  (le  fonli 
d'Abbàa)le  Tre  Fontane  presso  Selìaunte;  Ras^Selél  (il  capo  degli 
archi  o  del  lastricato)  il  capo  Granitola  ec. 

*  Qaesla  è»  secondo  gii  ultimi  dati  geografici,  4095  miglia  quadrate  di 
Sicilia  per  le  province  di  Palermo,  Trsipani,  iGirgentl  e  Caltanissetta , 
che  rispondono  a  un  di  presso  al  Val  di  Mazara;  2320  per  quelle  di  Catania 
e  Noto,  che  rispondono  quasi  al  Val  di  Noto;  e  f  180  per  ta  provincia  di  Mes* 
Sina,  che  torna  all'  aiìtico  Val  Demone.  Il  quale  dopo  il  XII!  secolo  fu  In- 
grandito a  mezzodì  infine  a  Catania  ed  a  ponente  oltre  Cefalù.  La  propor* 
zione  dunque  della  superficie  dei  tre  valli  è  di  0,52,0,31  e0,i7;  e  i328 
luoghi  arabici  vi  stanno  alla  ragione  di  0>64|  0,30  e  0,06.  La  popolazione 
attuale  (1853)  èdistribuita  così: 

Palermo 541,326 

^   Trapani 508,279 

Galtanùactta. ISój&M 

1,179,9W 

l    Catania 4ii,822 

Val  di  Noto.    .  .   I   jj^^     / .  254^593 

666,426. 
Val  DoMM».  .  .   I   Mnsiaa. 384,664 

ITotale.  .    .  2,291  »0S0 

Donde  hi  proporzione  della  popolazione  in  oggi  toma  a  0,52>  0,30  e  0,18. 
'  Si  vegga  il  cap.  XI,  del  iib.  UT,  e  i  cap.  Ili  é  XI  di  questo  Libro, 
p.  213 ,  seg. ,  258  e  ^8 1  seg. ,  del  volume. 


.  Descrizioni  di  città  non  avvene,  fuorché  di  Pa- 
lermo per  Ibn-Haukal  ;  par  si  raccoglie  qua  e  là  qual- 
che particolare.  Sappiamo  da  Bekri,  e  però  innanzi  la 
guerra  normanna,  che  Siracusa,  grande  città,  occu- 
pava la  penisola,  congiunta  alla  spiaggia  per  sottile 
istmo,  tra  il  maggiore  e  il  minor  porto,  tra  i  quali 
era  condotto  un  fosso  che  si  varcava  sopra  un  ponte; 
che  Tera  circondata  di  trìplice  muro,  credo  io,  dalla 
parte  deir  istmo;  e  che  il  gran  porto  apprestava  sta- 
zione d' inverno  alle  navi.  ^  Ibn-Herawi,  nel  duode- 
cimo secolo,  narrava  che  nelle  parti  orientali  di  Ca- 
tania rimanessero  le  tombe  d' una  trentina  di  martiri 
musulmani^  quivi  uccisi  nel  primo  secolo  dell' egira; 
e  che  tra  Catania  e  Castrogiovanni  fosse  il  sepolcro 
d' Ased-ibn-Forat,  conquistatore  della  Sicilia.  D'altra 
sorgente,  che  sembra  più  antica,  abbiamo  Catania 
chiamarsi  anco  la  Città  dell'Elefante,  da  un  simulacro 
di  pietra  in  figura  di  questo  animale,  e  ammirar- 
visi  bei  monumenti  dei  tempi  andati,  e  chiese  con 
pavimenti  di  marmo  bianco  e  nero.  '  Cefalù,  al  dir 


<  Da  Ibn-Scebb&t,  nella  Biblioteca  Arabo-Sicula,  p.  Sii,  812  del 
testo. 

'  Mo'gem,  nella  Biblioteca  Àrabo  Sicula,  aggiunte  al  testo,  p.  40  della 
Introduzione.  Quest'  ibn-Hei'awi ,  pare  lo  stesso  che  Ati-ibn-Abi<^Bekr  da 
Mosùl  detto  Herawi  come  oriundo  di  Herat:  il  quale  fu  in,  Sicilia  dopo 
il  1175.  lakùt  dà  come  dubbia  questa  tradizione  dei  sepolcri  dei  Tabi\ 
ossia  Musulmani  della  generazione  dopo  Maometto. 

3  Da  lakùt,  Mo'gem  e  Meràiid^  nella  Éiblioteca  Àrabo-Sieula ,  p.  123 
e  131.  La  notizia  precedente  è  data  con  la  lezione  di  Katdnia  e  la  presente 
di  Kaiàna,  delle  quali  d' altronde  il  compilatore  riconosce  1*  identità.  £i  non 
dice  da  chi  abbia  cavato  questa  seconda  notizia  ;  non  copiata  al  certo  da 
Edrisi.  Questo  autore  nota  il  doppio  nome  di  Città  dell'  Elefante,  che  Tenia 
.dal  simulacro  di  pietra  <  messo  anticamente  in  un  eccelso  edifizlo,  e  adesso 
trasportato  dentro  la  città  nella  chiesa  dei  Monaci  >  (benedettini).  Edrisi 
in  Tece  delle  chiese  lastricate  di  marmo,  dice  delle  0tamt*e  moschee,  del 


—  437    —  |XI  Secolo] 

d'AburAli,  era  forte  città,  guardata  dà  un  castello 
sovra  alta  rape  a  cavaliere  della  spiaggia;  *  Castro- 
giovanili,  maraviglia  del  secolo,  gran  città  su  la  vetta 
d'  un  monte  che  fa  centro  air  isola ,  avea  scaturigini 
abbondanti,  terre  da  seminato  e  giardini,  chiusi  tutti 
entro  il  muro  che  torreggiava  11  a  m^zz*  aria.  *  Non 
obliò  il  diligente  lakùt  di  notare  la  postura  astro- 
nomica delle  tre  città  primarie,  Palermo,  Messina  e 
SivaiCusdi^  secondo  il  Kitdb-^-Melhema ,  o^sia  ^^  Libro 
della  Divinazione  "  '  attribuito  a  Tolomeo,  composto  da 
qualche  astrologo  arabo  o  siriaco;  il  quale  sapea 
leggere  forse  nei  destini,  ma  sbagliava,  come  i  con- 
temporanei, le.  latitudini  e  longitudini/ 


fiqme  ialermittente  (!' Ainenapo) ,  del  porlo  frequentato,  e  di  altri  -partico- 
lari ignoti  a  lakùt.  Su  r  elefante  di  lava  si  vegga  il  Lib.  f ,  cap.  IX,  p.  219 
del  1  volume. 

*  Mo*gem  e  Meràsid,  nella  Bibliotena  Aràbo-Sicula ,  p.  Ili ,  e  128  del 
testo. 

*  Mo'gem,  op.  cit.,  p.  il6, 123  e  130.  Qui  lakùt  non  cita  Abu-Ali, 
ma  par  cbe  tolga  le  notizie  da  lai.  Aggiugne  cbe  la  giusta  ortograBa  fosse 
Katr-ianik  e  cbe  il  Secondo  fosse  pome  rumi  (latino  o  greco)  d' un  uomo. 
Già  era  avv^nuta  la  trasfonnaaiione  di  cui  dissi  Ub.  Il,  pag.  280  del  lo  voi. 

'  Si  vegga  Reinaud ,  Géographie  d*Aboulfeda,  Introduzione,  p.  cxxxil. 

*  Mù'gem  nella  Biblioteca  Ànbo^Sieula ,  p.  1 12, 117 ,  e  126 del  testo. 
Le  longitudini,  sembrano  prese  dalla  "cupola  d'Arln'  ai  modo  di  al- 
cuni antichi  geografi  arabi,  su  la.  quale  si  confrontino Reiaaud ,  op.  cit., 
p.  CXL,  seg.  ;  e  Sédillot ,  Mémoire  $ur  les  syitémes  géographiqueè de$  Grees 
et  des  Arabe9 ,  Paris  1842 ,  In  4». 

Il  falso  Tolomeo  dà  a  Palermo  40o  di  longitudine  e  35i>  di  latitudine, 
oroscopo  la  Vergine  e  casa  di  regno  a  dieci  gradi  deir  Ariete  ec;  a  Mes- 
sina, 390  longitudine,  380  40*  laiitudioe,  oroscopo.il  Sagittario,  casa 
della  vita  a  O""  27'  di  quel  segno;  a  Siracusa,  39o  18'  longitudine,  39o  lati- 
tudine, oroscopo  la  Zampa  del  Lione,  casa  della  vita  a  13»  del  Cancro ,  casa 
del  regno  ad  altrettanti  dell' Ariete  ec.  ^ 

Gli  errori  degli  Arabi  su  la  posizione  geograCca  di  Palermo  giunsero 
fino  ai  tempi  d' Abulfeda,  come  si  vede  nella  costui  Géographie  ^  versione 
di  M.  Reinaud»  tomo  II,  p.-  273,  seg.,  dovè  la  longitudine  è  notata  35o 
dair isola. del  Ferrosi  e  la  latitudine,  36o  10'  ovvero  36o  30'.  Nondimeno 
Abu-Hasan-Ali,  astronomo  di  Marocco,  segnava  più  correttamente  lalitu- 


ixr  smoIò.i  —  438  — 

Più  sodi  ragguagli  ritrdggiamo  in  questo  tempo 
deirEtna,  si  mal  noto  ai  primi  cosmografi  arabi. 
Masùdi,  scrivendo  a  Bagdad  nella  prima  metà  del 
dècimo  secolo,  aveva  ignorato  il  gran  monte  di  Sici- 
lia, o  confusolo  con  T  Isola  di  Vulcano;  favoleggiato 
che  nelle  eruzioni  saltasser  fuori  strane  sembianze 
d'uomini  mozzi  del  capo;  che  il  fuoco  rischiarasse  la 
terra  e  il  mare  oltre  cento  parasanghe;'  né  coiioscea 
bene  altro  prodotto  vulcanico  che  le  pomici,  adope- 
rate  a  levigare  le  pergamene  e  tavolette  da  scrivere 
e  stropicciare  i  piò  nel  bagno.  *  Ma  Abu-Ali-Hasan 
vide  i  luoghi  e  forse  alcuna  eruzione.  «  Il  monte  del 
fuoco,  die'  egli,  altissimo  sovrasta  al  mare  tra  Catania 
e  Mascali ,  non  lungi  da  Taormina  :  gira  la  base 
tre  giornate  di  cammino;  abbondante  di  alberi  frutti- 
feri; irsuto  di  boschi  la  più  parte  di  castagne,  nocelle, 
pini  e  cedri;'  ricoperto  la  cima  di  neve  anche  la 

dine  37»  50^,  e  più  sconretlaniente  longttndiot  4Si9^;  presso  SédiUot, 
Imtrumeraf  atiroMmiqiUB  de$  Artibe$y  tomo  11 ,  p.  904. 

Per  comprendere  od  pò*  il  gergo  del  KfUth^el^élhema^  dirò»  a  chi 
fion  sta  saputo  in  astroIo(|ia»  cbe  la  posicene  si  detcrmuiava  su  I  segni 
del  zodiaco.  Quello  ebe  spunta  alPoriasoiite  in  faccia  al  hiogo  n*  è  l' oro- 
scopo principale,  il  tàli\  come  dicono  gli  Arabi.  Le  *eaae  *  della  vita  del 
regno  e  degli  altri  destini,  rispondono  ai  punti  dell*ecclittlca  divisa  in 
dodici  parU  uguali  facendo  capo  dal  téli',  in  un  MS.  d'astrologia  intitolato 
KifaÌHen'Nogiùm ,  Biblioteca  di  Parigi ,  Ancien  Fonda,  1146,  fog.  i3  recto, 
Intasa  della  vita  è  appunto  ali* oroscopo i  e  quella  del  regno  al  quarto 
scompartimento  a  sinistra;  il  cbe  non  risponde  al  sistema  del  falso  Tolo- 
meo. Ancbé  le  denomhnazioni  son  alquanto'  diverse;  e  il  campo  al  sistemi 
era  libero  In  vero  agli  astrologi. 

<  Trecento  miglia.  * 

s  Marùg-ed^DBeheb  e  Tenbik  nella  MhUééeea  irabe^icttfo.  lesto, 
p.  I,  V.  Masndi  alle  altre  f!ivo|e  aggingne  cbe  perì  nell'Etna  Porfirio, 
autor  dell*  Isagoge. 

*>  11  testo  ba  Ànen  cbe  i  dlzionarli  arabi  definiscono  vagamente  albero 
di  legno  durissimo  da  far  bastoni,  ma  è  precisamente  il  cedrò.  Non  si  no- 
verano tra  gli 'altri  alberi  le  querce. 


—  439  -*  |XIS«eolo.] 

siate,  ammantata  di  nugoli  ;  ma  il  verno  è  tutto  neve 
dal  capo  al  pia  Sorgongii  intorno  molti  edifizii  e 
maestosi  avanzi  dei  tempi  andati,  e  rovine  che  danno 
a  vedere  la  frequenza  del  popolo  che  vi  soggiornava; 
di  che  narrasi,  Tura  antico  re  di  Taormina  '  aver 
messo  in  campo  sessantamila  combattenti.  In  su  Talto 
s' aprono  spiragli  '  ond'  esce  fuoco  e  fumo  ;  e  talvolta 
il  fuoco  scorrendo  da  alcun  .lato  brucia  che  che  trovi, 
poi  si  fa  scorie,  come  quelle  del  ferro,  onde  gli  si  dà 
nome  di  akhbàth  ;  '  dove  oggi  non  spunta  fil  d' erba» 
né  animale  vi  s'arrischia,  d  *  Al  tempo  d' Abu-Ali  spes- 
seggiarono gli  incendii  nella  costa  orientale,  poich'egli 
scrive  che  alcuni  anni  il  fuoco  scendea  come  rivo 
infine  al  mare  e  tanto  sfolgorava,  che  parecchie  notti 
in  Taormina  e  altre  terre  non  si  acceser  lumi  e  si 
viaggiò  per  que'  pae^i  come  se  fosse  giorno.  ^  Cosi 
egli  eh'  era  nato  o  avea  fatto  dimora  in  Sicilia.  Un 
cristiano  di  Calabria  di  quell'età,  rassegnandole  ma- 

<  Questo  personaggio  par  favoloso^  Edrisi  chiama  Tur  il  monte  di 
Taormina,  santuario  famoso;  e  questo  ricorda  la  falsa  etimologia  di  ir»>iv 
lavpóM  xaì  /Acyua«9  SU  la  quale  facea  sì  gravoso  scherzo  l'arcivescovo 
Teofane  Ceramèo. 

*  Kazwini,  trascrivendo  questo  passo  come  nel  Mo*gem,  aggiugne  U 
voce  "  sulfurei ,  *  eh'  è  giudizio  forse  suo  proprio  e  non  d*  Àbu^Ali. 

>  fi  il  plurale  di  khebeth,  scoria.  Questa  voce,  non  è  rimasa  nel  dia- 
letto siciliano,  nel  quale  la  lava  Impietrata  si  chiama  "sciara:*  e  parmi 
bella  e  buona  la  voce  arabica  scia*rd  che  significa  propriamente  *  irsuta* 
e  in  sostantivo  "luogo  coperto  di  piante"  e  "bosco.* 

*  Presso  H  Mo'gem,  p.  118, 119  della  Biblioteca  Àrahih-Sicula,  testo 
arabo.  Il  medesimo  passo  di  Abu-Ali  è  trascritto  da  Kazwini,  neW^Àgidib- 
el^MehhMkàt,  p.  166;  e  nello Àthdr-'el'BUdé,  p.  143,  seg.,  dei  testi  pub- 
blicati dal  Wùstenfeld. 

^  lakùt  e  Kazwini  pongono  questo  fatto  in  fin  della  citazione  d' Abu- 
Ali,  dopo  le  parole  *e  dicesi  esser  quivi. (nell'Etna)  miniere  d'oro; 
end' è  che  i  Rftm  lo  chiamavano  il  monte  dell'oro."  Quel  'dicesi*  po- 
'  irebbe  interrompere  la  citasione;  il  che  gli  Arabi  dinotano  ordinaria- 
mente con  la  voce  '  fioìsoe*  ma  spesso  la  dimenticano. 


IXI5ecolo.l  —  440  — 

ravigUe  della  Sicilia,  non  descrive  conflagrazioni  del- 
l'Etna, ma  ne  fa  supporre  seguite  di  recente,  pdchè 
riflette  che  tanti  filosofi  de'  tempi  antichi  e  de'  «noi 
proprìi  avean  sottilizzato  su  T  orìgine  di  quel  fuoco 
senz' altra  conchiusione  che  d'accrescere  i  dubbii  e 
provar  la  ignoranza  dei  mortali.'  Bekri,  contemporaneo 
e  straniero,  parla  solo  del  borkdn  in  due  isolette  adia- 
centi ,  dalla  parte  di  settentrione ,  al  certo  Strooiboli  e 
Vulcano:  prodigio  di  natura,  dove  tacendo  il  vento  me- 
ridionale s'udiva  un  terrìbil  fragore  come  di  tuono.' 
Altri  scrivean  del  fuoco  perenne  dell'  Etna  Ài  quale 
uom  non  osava  appressarsi;  ed  aggiungeano  niaravi- 
giiando  che  la  materia  ignita  tolta  dal  suo  luogo  si 
spegnesse  incontanente.  '  Le  medesime  eruzióni  che 
Àbu-Ali ,  o  alcuna  più  recente ,  vide  il  dotto  e  devoto 
Siciliano  Abu-l-Kàsim-ibn--Hàkim ,  rifuggito  a  Bag- 
dad; dov'ei  narrava,  forse  il  miltecentoventidue,,^  al 
viaggiatore  Abu-Hàmid  da  Granata,  il  fuoco  dell'Etna 
risplendere  talvolta  a  dieci  parasanghe ,  in  guisa  che 
noii  occorre  fiaccola  né  lucerna  nei  villaggi  o  strade 
di  campagna.  Tra  le  fiamme,  proseguia,  scagliansiin 
alto  massi  di  fuoco,  somiglianti  a  balle  di  cotone,  i 
quali  infrangendosi  ricadon  a  terra  e  si  fan  pietra 
bianca,  o  in  mare  e  tornano  in  pietra  nera  e  porosa, 
runa  e  l'altra  lieve  da  galleggiare  sull'acqua.  Aggiu- 
gnea  suoi  prodigi  :  i  sassi  e  la  sabbia,  tocchi  da.quel 

'  Vita  di  San  FUaretù  presso  il  Gaetaai,  Sanctcrum  ^Siculorum, 
tomo  U,  p.  113,  e  presso  i  BollandisU,  tomo  I,  di  aprile,  pag.  607. 

^  Presso  ibn-Scebb&t,  nelja  Biblioteca  Àrabo^Sicula,  te^to,  p.  210. 

'  Mo'gem,  op.  cit.,  p.  116.,  L*  autore  non  cita  in  questo  luogo.  Si 
vegga  anche  Kazwinì,  'Agidib,  p.  166,  seg.,  e  neU'  Aihàr,  p.  143,  seg. 

*  AburUàmid  sì  trovò  ia  quali*  anno  a  Bagdad.  Si  vegga  Reioaad» 
Géographie  d'Àboulfeda,  lotroduzioDe ,  p.  cxii. 


—  441   —  |XI  Secolo! 

fuoco,  avvampar  quaìsi  bambagia,  e  divenir  polve  ne- 
gra simile  air  antimonio;  tna  Terbe  e  le  vestimenta  non 
acK^endersi  alla  lava,  che  consuma  soltanto  le  pietre 
e  gli  animali,  sì  com'  è  scrìtto  del  fuoco  della  gehenna/ 
Un  altro  barbassoro  musulmano  di  Sicilia  iafifermava 
al  viaggiatore  Herawi  dopo  il  millecentosettantatrè, 
che  un  uccello  color  di  piombo  in  forma  d' una  qua- 
glia sSolea  svolazzare  dal  fuoco  dell'Etna  e  rìtuffarvisi^ 
ed  era  appunto  la  salamandra  ;  ma  io  non  ho  visto 
altro  ohe  pomici  nere,  aggiugné  Herawi.  '  Tanto  ri-^ 
.caviamo  dagli  Arabi  su  la  storia  naturate  dell'Etna: 
nel  che  non  ho  voluto  metter  da  canto  né  le  minuzie 
né  le  £eivole,  e  con  Herawi  son  giunto  infino  alle  eru- 
zioni della  seconda  metà  del  duodecimo  secolo,  ricor- 
date ormai  dagli  scrittori  latini.  Notevol  ècheEdrisi, 
dicendo  del  Monte  del  Fuoco,  non  faccia  motto  delle 
eruzioni,  e  poi  descriva  minutamente,  anzi  che  no,  i 
fenomeni  di  Stromboli  e  Vulcano.  E  ciò  parmi  indizio 
di  lungo  ripòso  dell'Etna  nella  prima  metà  del  duor- 
decimo  secolo  dopo  gli  incendiideir  undecime,  suppo- 
sti fin  qui  su  debolissimi  argomenti,'  e  provati  adesso 
dalle  testimonianze  di  Abu-Ali  e  d'Abu-1-Kàsim- 
ibn-Hàkim. 

Dall'  Etna  faremo  principio  alle  produzioni  mine- 

<  Tohfet'él'-Albàb  di  Gbarnati,  nella  Biblioteca  Àrab(HSieula ,  testo, 
p.  74,  75.  Il  passo  del  Corano  a^che  allude  l'autore  è  ttel  verso  23  della 
dora  11. 

*  Kitdb^el-Àscidrdt  di  Herawi ,  ibid. ,  e  se  ne  vegga  la  versione  in- 
glese del  professor  Samuele  Lee,  hi  appendice  allo  Ibn-Batuta'a  Traveb, 
Londra,  1829,  in  4»,  p.  6.  Herawi  venne  in  Sicilia  dopo  H  1175,  e  morì  ad 
Aleppo  il  1215.  Si  vegga  Reinaud,  Géograpkie  d'Aboulfeda,  Introduzione, 
p.  Gxxvii ,  seg. 

.  3  Si  vegga  in  questo  periodo  la  Storia  (srUica  delle  eru%iom  delV  Etna 
del  canonico  Giuseppe  Alessi. 


[Il  Sccoiò.i  —  442  — 

rati  della  Sicilia ,  tra  le  quali  Masùdi  pone  il  diaspro 
ch*ei  tenea  rimedio  al  mal  di  ventre,  applicandolo 
esteriormente;  ed  anche,  non  so  come,  base  del  co- 
rallo. ^  Del  diaspro  par  Che  dica  lalùt  supponendo 
trovarsene  montagne  in  Sicilia  :  '  eh' è  esagerazione, 
non  tutta  bugìa.  Si  cavava  dall*  Etna  il  sale  ammo- 
niaco, gran  capo  di  commercio  con  la  Spagna  ed  altri 
paesi.  '  Delle  pomici  abbìam  già  detto,  adoperate  dagli 
Arabi  nel  bagno  e  nello  scrittoio;  *  e  Bekri supponea 
costruite  di  pomici  di  Sicilia  le  volte  del  teatro  romano 
a  Su  sa.  *  In  lista  con  le  ricchezze  minerali  del  Mon- 
gibello  Abu-Àli  ponea  Toro,  argomentandolo  dalle 
note  miniere  d'Ali,  ovvero  «da  qualche  pirite;  ed  imma- 
ginò, non  so  per  quat  errore,  l'Etna  aver  preso  nome 
in  lingua  rumi  dall'oro  che  chiudea  nelle  viscere.* 
Con  ciò  narrano  si  cavasse  neir  isola  ogni  altro  me- 
tallo d'uso  comune,  argento,  rame,  ferro,  piombo, 
mercurio.  '  L' autor  della  vita  di  San  Filareto  parla 
del  cristallino  e  lucente  salgemma  di  Sicilia.  *  Gli 

'  TenUh,  nella  Biblioteca  AraboSicùla ,  testò,  p.  % 

*  Il  nome  è  gsasto  in  tutti  i  MSS.  ta  buona  lentnie  ni  sekibra  inw/' 
(in  francese  yaehf)  variante  di  iascb  che  adopera  Masùdi.  Come  ognun 
vede,  l' una  e  l' altra  è  il  Ialino  ja«pt5,  d'origine  semitica,  del  quale  i  Fran- 
cesi ban  fatto  jaspe»  Gli  Arabi  rendono  indistintamente  eoo  lina  f  o  una  b 
la  p  che  manca  in  loro  alfabeto.  Ognun  sa  la  copia,  mole  e  qualità  dei 
diaspri  e  soprattutto  delle  agate  di  Sicilia.  GII  antichi  favoleggiavano  sa 
le  proprietà  mediche  dell*  agata,  più  o  meno,  come  Masùdi. 

>  Mó'gem  nella  Biblioteca  Àrabo^Sicitla ,  testo,  p.  118. 

*  Si  vegga  a  p.  439. 

«  Notices  et  Extraits  des  MSS;,  tomo  Xll ,  p.  463. 

•  Mo'gem,  op.  cit.,  p.  116, 118.  L'etimologia  sembra  piuttòsto  con- 
fusa col  nXouTos  che  ai  tempi  dei  Pagani,  come  ai  nostri,  era  il  Dio  del- 
l' oro  e  dell*  inferno. 

'  Mo*gem  5  pp.  cit.,  p.  116  e  118.  81  ricòrdi  anche  la  miniera  di  ferro 
presso  Palermo ,  di  cui  Ibn-Haukal. 

•  Presso  Gaetani,  Sanehrum  Sictdorum,  tomo  li,  p.  Il3,  e  presso 
i  BoUandisti ,  tomo  I,  di  aprile,  p.  607. 


—  443  —  ÌXIS«eolo.] 

Arabi  ccHìtemporaaei  noverano  T  antimonio,  T allume 
e  il  vitriplo/Lo  zolfo  è  la  pafta,  adoperati  allóra  nei 
fuochi  da  guerra  e  non  ignoti  ai  Masulmani  di  Sicilia 
neir  undecimo  secolo,'  par  non  si  fossero  cavati  nel- 
r  isola  che  alla  fine  del  duodecimo.  * 

L*  abbondanza  delle  acque  di  fonti  o  fiumi  acceur 
nata  per  le  generali  da  lakùt,  ^  sembra  veramente 
maggiore  deirattuale^  ove  si  risguardi  allia  descrizione 
parUcolareggiata  che  faceane  Edrisi  il  mitlecencin- 
quantaquattro  ed  ai  fiumi  eh'  ei  dice  navigabili  a  bai^ 
cacce  di  trasporto  ed  or  più  noi  sono/  E  così  dovea 
intervenire  per  la  distruzione  dei  boschi  che  s' è  fatta 
dal  duodecimo  secolo  in  qua  ;  ^  la  quale  non  credo 
incominciata  per  man  d^gli  Arabi,  poiché  il  sapiente 
agricoltore  rispetta  i  boschi,  e  Io  sciocco  e  affamato 
li  taglia.  Di  notizie  precise,  Abu-Ali  ne  fornisce  su 
le  due  regioni  boschive  che  per  natura  sono  le  prin- 
cipali deir  isola:  V  Etna  e  la  catena  d'Apennino*  Della 
prima  delle  quali  abbiam  fatto  parola.  Dell'altra 
Abu-Ali  afferma,  le  eccelse  montagne  e  spaziose  vaUi 
sopra  Cefalù  abbondar  d'ogni  maniera  di  legname 

*  Mo'genif  op.  cit.,  p.  118. 

*  Ibn-Hamdls  in  aoa  poesia  cbe  ho  pubblicato  nella  Biblioteca  Ataho- 
Siculo,  testo,  p.  565,  dice  de' fuochi  lancIaU  dall' annalelta  siracusana  in 
una  impresa  contro  i  Cristiani. 

'  lakat  non  ne  fa  parola,  né  Edrisi.  U  primo  cbe  li  accenni  è  I|ni* 
Scebbàt,  Biblioteca  Arabo  Sicula,  testo,  p.  210,  Degli  estratU  non  già  di 
Bekrì,  ma  del  continuatore  per  nome  Ibn-Gbalanda. 
,  *  ifo'gem,  op.  cit.^  p.  115. 

s  1  fiumi  di  Lentìni,  Ragusa  e  Mazara. 

*  1  diplomi  deirxi  e  XII  secolo  dicono  di  foreste  e  boschi  or  di- 
strutti, come  la  foresta  del  monte  Linario  presso  Messina,  il  bosco  Adrano 
tra  Frizzi  e  Bivona  ec,  L^Etnà  perde  molto  dei  suoi  da  un  secolo  in  qua. 
Il  Monte  Pellegrino  di  Palermo  fu  terreno  boschivo  finp  al  XV  secolo. 
Edrisi  dice  della  Benii  (Pineta)  a  ponente  di  Buccheri  ec. 


|XI  Seeolo.]  —  444  — 

atto  a  costituzioni  navali/  Il  monaco  Nilo  loda  i  cedri 
di  Sicilia ,  i  cipressi  e  i  pini  dritti  e  maestosi ,  i  cai 
rami  servivan  di  fiaccole.  * 

Yengon  poscia  le  ubertose  produzioni  dei  giar- 
dini, dei  campi  e  della  pastorizia  lodate  da  Bekrì;'  le 
frutta  d'ogni  colore  e  sapóre  che  non  mancavano 
state  né  verno,  scrive  lakùt,  forse  da  Abu-AIi  ;  *  le 
mèssi  che  coprivano  la  più  parte  dell'  isola  secondo 
Ibn-Haukal  ;  *  lo  zafferano  che  vi  germogliava  spon- 
taneo ;  *  il  cotone  e  il  canape  coltivati  a  Giattini  ^  e 
altrove;  il  primo  dei  quali  sembra  venuto  dell' Affrica^* 
gli  ortaggi  che  parean  troppi  ad  Ibn-Haukal.  *  Nes- 
suno scrittore  arabo  fa  menzione  degli  ulivi,  che  in 
Sicilia  comunemente  si  credono  accresciuti  in  quella 
età,  perchè  i  contadini  soglion  chiamar  saracinesco 
qual  veggano  piti  possente  di  ceppo,  e  pittoresco  di 
tronco  e  rami.  Nel  che  i  contadini  s' accostano  forse 
al  vero,  e  gli  altri  no.  La  coltura  dell'  ulivo  in  Sicilia 
risalisce  al  quinto  secolo  innanzi  l'era  volgare,  né  mai 
si  abbandonò,  ma  decadde  al  par  che  tante  altre  sotto 

<  Mo'gemt  op.  cìt.,  p.  HI. 

*  Vita  di  San  Filareto ,  1.  e. 

>  Squarcio  dato  da  Ibn-Scebb&t,  Biblioieea  Araho-Sicula,  testo, 
p.  210. 

*  Mo'getn,  op.  dt. ,  p.  116. 

s  Si  vegga  il  cap.  V  di  questo  Libro,  p.  295  del  volume,  e  un  altro 
squarcio  d' Ibn-Haukal  trascritto  nel  Ma'gem,  op.  cit.^  p.  119,  ove 
leggiamo  •  La  più  parte  del  terreno  di  Sicilia  è  da  seminato.  » 

«  Mo'gem,  op.  cit.,  p.  116.  Il  testo  dice:  "e  la  terra  di  Sicilia  pro- 
duce lo  zafferano.  *  Tutto  questo  squarcio  par  ^1  debba  attribuire  ad 
Abu-Alì. 

^  Mo'gem,  op.  cit. ,  p.  HO. 

^  Ibn-Haukal  dice  del  cotone  coltivato  a  Cartagine  ed  a  Bfsila.  Di' 
sùrhione  deW Affrica,  versione  di  H.  De  Slane,  nel  Journal  Asiatiqve , 
serie  IH,  tomo  XUI. 

9  Si  vegga  sopra ,  cap.  V  del  presente  Libro ,  p.  299  a  307 


—  445  —  (XlSeeolo.] 

i  Romani/ né  rifiorì  sotto  gli  Àrabi;  poiché  sappiamo 
dell  olio  che  TASrica  vendeva  alla  Sicilia  nel  nono,  un- 
decimo  e  duodecimo  secolo/  Farmi  piuttosto  che  l'isola 
debba  ai  Musulmani  le  melarance  e  altri  agrumi  ch'or 
son  capo  si  ricco  di  commercio  ;  '  ed  anco  la  canna 
da  zucchero,  ^  i  datteri^  e  i  gelsi,  o  almeno  la  seta/ 
Al  contrario  se  la  vite  non  si  sbarbicò  per  ogni  luogo, 
se  i  poeti  arabi  di  Sicilia  lodarono  il  vin  del  paese  con 
tal  fervore  anacreontico,  i  vigneti  scemarono  contut- 
tociò  sotto  la  dominazione  musulmana  ;  e  si  lenta- 
mente si  rifornirono  in  due  secoli,  cbe  la  Sicilia  facea 
venir  vini  da  Napoli  verso  la  fine  del  decimoterzo.  ^ 

Si  vegg;a  il  Lib.  I,  cap.  IX,  p.  206  del  volume  I,  nota  3;  e  il 
Lib.  II,  cap.  X',  p.  415^ dello  stesso  volarne.  Per  TXI  secolo  l'attesta  Bekri; 
pel  XI  li  diplomi. 

*  Le  poesie  arabiche  a  lode  del  re  Ruggiero,  delle  quali  si  tratterà 
a  suo  luogo ,  des;crivono  le  piantagioni  di  agrumi  nella  villa  regia  di  F^- 
vara  o  Maredolce  presso  Palermo.  Un  diploma  del  iOdi  presso  Pirro» 
Sicilia  Sacra,  p,  770,  dice  di  una  Via  de  Arangerii$  presso  Patti. 

Da  un'altra  mano  si  sa  cfae  varie  sorta  di  melarance  vennero  dal- 
r  India  in  Siria  ed  Egitto  dopo  il  principio  del  quarto  secolo  doli*  egira 
e  decimo  deli'  èra  cristiana.  Veggasi  una  nota  di  M.  de  Sacy  air Abdal- 
latif.  Relation  de  VEgypie,  p.  tl7.  Probabilmente  la  Sicilia ,  la  Spagna, 
e  con  esse  gli  altri  paesi  in  sul  bacino  occidentale  del  Mediterraneo 
ebbero  gli  aranci  e  i  cedri  in  questo  medesimo  tempo  dalla  Siria  e  dal- 
l' Egitto. 

s  La  canna  da  zucchero,  secondo  Ibn-Haukal,  e  però  nel  X  secolo,  si 
coltivava  in  Affrica  (versione  di  M.  De  Slane,  nel  Journal  Àtiatique»  III  serie» 
tomo  XIII);  secondo  Ibn-Aww&m,  e  però  nell'XI,  era  nottesirna  in 
Si»gna;  «n  diploma  del  1176,  parla  di  un  molino  da  cannamele  In  Pa- 
lermo ;  e  però  non  è  dubbio  che  cotesta  indasirla  risalisse  In  Sicilia  a1- 
V  XI  0  anche  al  X  secolo.  v  ' 

*  La  piantagione  di  datteri  a  San  Giovanni  dei  Leprosi  fuori  Palermo, 
posta  accanto  a  un  oli  veto,  è  ricordata  in  un  diploma  del  1249  prèsso 
Mongitore,  Sacra  domu»  Manrionit*..  Monumenta,-  cap.  IV.^  Fu  tagliata 
nel  XIV  secolo  dall'esercito  angioino  che  assediò  Palermo. 

B  Edrtsi  dà  il  nome  di  Nahr^Tùt  *  fiume  Gelso  '  al  fiume  detto  oggi 
Arena  a  mezzogiorno  di  Mazara,  e  dice  dell'abbondanza  della  seta  pro- 
dotta a  San  Marco  in  Val  Demone. 

^  Si  scorge  da  due  diplomi  del  1284,  e  dalla  Cronica  di  D'Esdot, 


|XI8efioIo.|  —  4r46  — 

Le  razze  eqaine  di  Sicilia,  ricordate  dagli  Àrabi 
neirundecìmo  secolo/  fornivano,  al  dir  d'un  autore  cri- 
stiano, animosi  destrieri,  d'egregie  forme  e  vario  pelo;' 
abbondavano  i  muli'  dalla  zampa  sicura  nelle  mon- 
tagne, adoprati  alla  soma  ed  al  tiro;*  e  eoa  quelli, 
asini,"  buoi,  vaste  greggi  di  pecore;^  né  era  smessa 
r antica  educazione  delle  api.  Copiosa  la  pesca,  e  nei 
porti,  scrive  il  mopaco  Nilo,  le  ostriche,  e  le  conchi- 
glie che  danno  la  porpora.^  Le  foreste  e  montagne 
ripiene  di  cacciagione/ Né  vi  mancan  le  belve,  che 
giovano  a  spirare  il  timor  di  Dio  negli  animi  sem- 
plici, riflette  il  frate,*  volendo  significare  al  certo  i 
lupi.  Gli  Arabi,  avvezzi  ad  altro  che  spauracchi  da 
bambini ,  noveravano  tra  i  pregi  della  Sicilia  non 
esservi  lioni,  leopardi,  iene,  né  grossi  serpenti,  e 
gratuitamente  aggiugneano  né  vipere,  né  scorpioni.  ** 

L'ubertà  del  paese  non  si  riconoscea  dalla  sola 
matura,  come  direi  forse  trattando  d'altri  tempi;  che 
possentemente  l'aiutava  la  industria  degli  abitatori, 

Gap.  ex,  dei  quali  ho  fallo  cenno  nella  GuermdH  Yetpro  Siciliano,  edi* 
zióne  di  Firenze ,  1831 ,  cap.  X ,  p.  209^ 

<  Mo'gem,  nella  Biblioteca  Arabo-lSicula,  testo,  p.ll6. 

*  Vita  di  San  Filareto,  presso  Gaetani,  Sanetarum  Siéulorum, 
tomo  li,  p.  113,  e  presso  i  Bollandisti,  tomo  1,  di  aprile,  p.  607. 

^Mo'gem,\.e. 

*  Vita  di  San  Filareta,  1.  e.  La  versione  latina  del  Padre  Fiorito  ba: 
ad  vehieula  trahenda  aptissimi;  ma  mancando  il  testo  greoo,  non  Siam 
eerU  se  si  tratti  di  carri  o  di  lettighe. 

'  Mo'gem,  I.  e. 

«  Mo'gem  e  Vita  di  San  Filanto  ;  IL  cc;  Si  ricórdin  anco  i  grandi 
armenU  dell*  emiro  UMif ,  cap.  Vili  del  presente  Libro,  p,  3SU  del  vdoiDe. 
'  Vita  di  San  FilarBto,  L  e. 

8  Mo'gem  e  Vita  di  San  Filatelo,  11.  ce. 

9  Vita  di  San  Filanto ,  l.  e. 

«*>  Mo'gem,  op.  cit. ,  p.  ii6  a  118.  In  Sicilia  le  vipere  e  gli  scorpioni 
sono  assai  più  rari  e  men  letadi  che  in  Affiica,  Egitto  ed  Oriente. 


—  447  —  |USeeob.{ 

sulta  quale  dà  un  po' di  lame  il  **  Libro  deir  agricol- 
tura **  dlhn-rAwwàm ,  spagnaolo  dplla  metà  deirun- 
decimo  secolo,  sagace  compilatore  degli  insegaameoii 
d'opere  più  aoticbe  forse  fin  dal  tempo  de'  Nabatei , 
alle  quali  aggiunse  le  proprie  osservazioni  su  le  pra- 
tiche agrarie  della  Spagna.  Da  lui  sappiamo  che  il 
modo  più  acconcio  di  piakitare  gli  ortaggi ,  sopratatto 
le  cipolle  e  i  poponi,  era  detto  alia  Siciliana;  e  la 
minuta  descrizione  ch'ei  ne  fa,  risponde  appunto  a 
quel  congegno  di  schiene  e  rigagnoli  che  si  pratica 
tuttavia  in  Sicilia.'  Le  voci  arabiche  d'orticultura  che 
rimangono  nel  dialetto  siciliano,  non  lascìan  dubbio 
sul  tempo  in  cui  ebbero  origine  queste  e  simili  pra- 
tiche.* Un  fiore  che  forse  la  malvetta  rosata ,'  si  chia- 
mava in  Spagna  al  tempo  dlbn-'Awwàm  Malva  si- 
ciliana, onde  sembra  venuto  di  Sicilia.^  Quinci  passò 
in  Spagna  una  composizione  di  mostarda  con  miele 
e  senape,  descritta  per  filo  e  per  segno  in  un  luogo 
d'Ibn-Besàl.  *  Ma  importantissima  sopra  ogni  altra  la 
pratica  di  porre  il  cotóne  in  terreni  ingrati  che  Ibn- 
Fassàl  citato  da  Ibti-Awwàm  riferisce  ai  Siciliani,  e 
la  dice  imitata  con  profitto  nelle  costiere  di  Spagna/ 

*  libro  de  Àgricultura,  ni  autor.,*,  ebn  el  Àw9m  Sevillane,  versione 
spagDOola  di  Baoqtieri,  col  testo  aiabico,  Madrid,  1802,  in  fdfio,  tomo  II, 
p.  105  e  SI.  Si  tratta  d'anaspeeiedi  popone,  dettalo  arabico  iVir/l^»  credo 
quei  che  in  Sicilia  si  dicono  meloni  da  tavola,  ovvero  i  meloni  d'inverno. 

*  "  Naara  *  (in  arabico  nowAr,  secondo  lbn-*Awwftm ,  tomo  II,  p.  313) 
si  addimanda  raji  di  popoitf,  succbe,  cocomeri;  "vaitali'  [vt.  bctU)  il 
rigagnolo  del  giardini  :  "gebbla*  (ar.  gU^ia)^  an  gran  serbatoio  d*  acqua 
per  irrigare  gli  orti  ec 

'  La  malvetta  rosata,  come  la  chiamiamo  in  Sicilia,  è  il  Ftlargonium 
ruàula  roteitm  dei  botanici. 

*  Ibn-*Awwam,  op.  ciu ,  tomo  II ,  p.  296. 
'  lbnw*Awwlim,  op.  cit. ,  tomo  II,  p.  418. 
«  lbn-*Awwftm ,  op.  cit. ,  tomo  II ,  p.  104. 


\XÌ  Secolo.]  —  4tt  — 

Un  altro  trattato  arabico  d'agricoltura  ricorda  che  i 
Siciliani  sarchiassero  fino  a  dieci  volte  il  terreno  da 
seminare  a  cotone/  Rimase  in  Sicilia  Futile;  pianta 
nel  duodecimo  secolo;*  e  infino  alla  metà  del  deci- 
moterzo;^  ma  allo  scorcio  del  decimoquarto  se  n'era 
ita ,  seguendo  quasi  la  schiatta  arabica-,  in  Malta , 
Stromboli  e  Pantellaria:^  ed  appena  par  che  cominci 
a  tornare  adesso  nelle  spiagge  di  Pachino  e  su  le 
sponde  del  Simeto. 

In  fatto  d'opificii  abbiam  ricordo  del  prezioso 
drappo,  al  certo  di  seta,  detto  di  Sicilia,  del  quale 
si  trovò,  una  catasta  tra  i  tesori  d'Abda,  figliuola 
del  califo  fktemita  Moezz,  morta  in  Egitto  in  su  la 
fine  del  decimo  o  princìpio  delFundecimo  secolo.' 
Che  innanzi  quell'età  si  lavorasse  la  seta  in  Si- 
cilia lo  prova  d'altronde  la  biografia  del  pio  Abu- 

I 

<  Kitah-el-Felaha,  d' Aba-abd-AUab-Mohamined-ibo-Hosein ,  citato 
da  M.  CherÉonneau  in  una  Memoria  su  la  Culture  arabe  au  mayen-dge 
negli  Anwde$  de  la  .Cohnisation  algérietUM;  giugno  1854. 

'  Diploma  del  il 40,  pel  quale  si  concedono  alla  Chiesa  di  Gataoia 
e  duas  terras  ad  bombacea  »  presso  De  Grossis,  Decacordum^  tomo  I» 
p.  77.  Edrìsi  nota  che  il  coione  si  colUvata  in  gran  copia  a  Pariinioo. 

Bibn-Sa'ld,  Kitàìnel-Badi ,  nella  Biblioteca  Arabo-Sieula,  testo 9 
p.  157,  e  Mokhtaser  Gighrafia,  op.  cit.^  p.  134,  con  la  correzione  a  p.  45 
deir  Introduzione  »  ove  si  tratta  di  Pantellaria. 

*  Fanello,  Deca  I,  lib.  I,  cap.  1. 

•  Abu-Mehasin,  Storia  d'EgUlo,  MS.  di  Parigi,  Ancien  Fonds,  060, 
fog*  105  recto,  facendo  parola  di  Rasdda  e  Abda  figlinole  di  Moezzi 
naie  innanzi  il  97i  e  morte  sotto  11  regno  di  Hikem  (996-1031),  dice  aver 
la  prima  lasciato  il  valsente  dM,700,000  di  dinar,  in  drappi  di  varie  sorte 
e  profomi,  e  la  seconda  un  moggio  di  smeraldi,  tanti  quintali  d'argeiv- 
to.ec,  e  trentamila  eeikke  (0  sciukke)  siciliane.  Questa  voce  significa 
taglio  d' abito ,  né  sappiam  se  sia  nome  generico  ovvero  appellazione  spe* 
dale  di  questo  drappo.  Se  in  quelle  cifre  si  sente  l' odor  delie  mille  e 
una  notte,  il  cronista  cb'ebl>e  aUe  mani  Abu-Mehasin,  non  inventò 
quella  maniera  di  drappo.  D'altronde  abbiam  fatto  cenno  dei  gran  lasso 
degli  Zirtti  in  Affrica:  e  le  ricchezze  dei  despoti  son  talvolta  di  queQe 
verità  verissime  che  han  sembiante  di  favola. 


—  449  —  (XI  Secolo.! 

jSasaa-Harìrì/  e  v'accenna  il  nome  di  Kalat-^t-Tiraii, 
qastella  ih  oggi  abbandonato  presso  Gorleone,  '  non 
che  il  regio  Tiràz  di  Palermo,  avanzo  dell' ìndastria 
arabica  nel  duodecimo  secolo ,  di  che  sarà  detto 
a  suo  luogo.  Similmente  abbiam  pochi  cenni  del 
comniercio ,  per  non  curanza^  degli  scrittori  o  disper- 
sione degli  scritti.  Oltre  la  esortazione  del  sale  am- 
moniaco testé  ricor(idta,V  sappiamo  la  importazione 
déir  olio  da  Sfax/  e  la  frequènte  navigazione  dalla 
Sicilia  a  Mehdì^  e  Susa.  ^  I  patti  di  Hasan^ibn-Ali 
del  novecencinquaùtadue  *  ci  attestano  V  importanza 
del  traffico  tra  V  isola  e  Reggio;  né  picciok  parte  do- 
Tea  tornare  alla  Sicilia  dalle  relazioni  commerciali 
cV  6^^  ^  Musulmani  la  costiera  di  Terraferma  ba- 
gnata^ dal  Tirreno.  Lasciando  le  regioni  dal  Tevere  in 
$U ,  lo  conferma  Ibn-Haukal  per  Napoli ,  Salerno , 
Amalfi;'  lo  qonfel'ma  il  doppio  nome  dì  Keitonor-el^ 
Arab  .che  ritenne  il  Promontorio  Circeo  fino  al  tempo 
di  Edrisi;  nome,  analogo  a  quel  che  davano  ad  una 
cUtà  nelle  parti  meridionali  della  Sardeigna/  ed  a  quel 
♦     ,       '  '   ■   " .       -  .  ' 

'  ^  Si  vegga  il  cap.  XI  del  Lib.  Ili,  p.  230  di  questo  volume. 
/'  Si  chiama  volgarmente  Calatraai.  Tirazi  vuol  (dire  artefice  del  iirà%t 
ossia  opificio  regio  delle  vesti, di  seta  ricamata.  Si  vegga  so  questo  in- 
dizio di  Kaial-^t'^Tiraù  una  nota  nell'  erudita  opera  di  M .  Francisque* 
Michel,  Rtehetehei  mr  U»  étofèi  de  tote  au  moyen'-4ge,  Paris,  1852,  in  4», 
tomo  I,  p.  77,  al  quale  io  ho  dato  questa  notizia  e  in  cambio  ne  to- 
.glierò  cento,  spigolale  nelle  antiche  poesie  francesi,  che  serviranno  a  illu- 
strare questa  industria  siciliana  nel  Xlf  e  XIll  secolo. 

B  Si  vegga  la  p.  445.  . 

«  Bekri,  Ihtiee»  et  ExtraiU  dee  MSS.^  tomo  XII,' p.  465. 

•  Op.  cit.,,p.480;  48ÌB. 

^  Si  vegga  il  cap.  U  di  questo  Libro,  p.  347,  seg. 

*  Ho  datoli  testo  di  quel  pai^rafò  nella  Biblioteca  Àrabo^Sicufa,  p.lO. 
'.  *  Edrfsi,  Gio^aphie,  versione  dì  M.  Jaobert,  tomo  U,  pàg.  ft6e09 

Io  quest'  ultimo  luogo  M.  Jaobert  non  so  perchè  abbia  preferito  la  variaote 
FUàna. 

II.  29 


|XI  S6eol».|  —  4f50  — 

e'  ha  tuttavia  la  Gatona  in  feccia  a  Messina.  '  Àfag- 
giore  d'ogni  altra  prova  è  che  alaterno,  fors'aDco 
a  Napoli  e  Amalfi ,  si  coiitraffacea  ;  non  per  frode 
ma  per  bisogno  del  commercio,  la  moneta  d' oro  di 
SiciUa,' come  infino  ne' tenipi  nostri  v'ebbero  belli  e 
buoni  colonnati,  di  Spagna  battuti  in  altri  paesi. 

,Ove  ppnghiamo  esente  al  genio  randagio  d?gli 
Arabi ,  alla  comunanza  di  leggi ,  usi ,  costami  e  in 
0ran  parte  anca  di  schiatta, dei  Musulmani  che  teneano 
il  bacino  occidentale  del  Mediterraneo,  non  staremo 
in  forse  che  la  Sicilia  partecipò  delle  arti' e  lusso  della 
Spagna. e  costiera  d' Afirica ,  si  come  è  provato  che 
ebbe  analoghe  vicende  politiche  e  cultura  di  lettere. 
Cosi  anco  dei  monumenti.  Perirono  nella  guerra  nor- 
manna quasi  tutti  que'  dei  Musulmani  ;  e  pur.  non  vi 
ha  menomo  dubbio  del  loro  splendore  ,  quando  T au- 
tor della  vita  di  San  Filareto  lodava  i  tempii  ed  altri 
sontuosi  edifizii  delle  città  maggiori  della  Sicilia  ;*  e 
il  conte  Ruggiero,  dopo  averci  lavorato  per  trpnt' an- 
ni con  ferro  e  fuoco ,  scrivea  patetico  iq  yn  diploma 
del  millenoyanta ,  delle  vaste  e  frequenti  roviiie  delle 
città  e  castella  saracene;  de' vestigi!  di  lor  palazzi, 
fabbricati  con  mirabile  artifizio,  adatti,  qon  che  ai 
comodi ,  ,ad  ogni  lusso  e  delizia  della  vita.*  Nel  sesto 


*  Keilùn  nel  ^ialello, aràbico  di  Siria  ed  EgitlOi  vuol  dìtetr^liglio 
Q  magQ%iino,  Viene  dal  greco  Kotrùv  che ,  dai  significato  primitivo  di 
leito,  passò  a  quelli  di  camera  ^  alb^go,  ej  presso  i  Greci  del  medio 
/évo,  guardaroba  e  8ta%ìone  di  navi:  i  quali  $ì  veggano,  nella  nuova/ edi- 
zione del  Thesaurus  di  Enrico  Etienne. 

*  Si  vegga  il  fine  del  presente  capitolo. 

'  Presso  Gaetani ,-5aft€/orttm  Sicutorum,  tomo  Ili  P*  it?»  ^  presso 
IBoIlandisti,  tomo  1,  d'aprile,  p,  Ó07. 

*  Presso  Pirro, -Sicj/la  5acra,,  p.  842. 


—  451  —  |X|  Seeolo.j 

libro  toccheremo  T  architettura  arabica  sotto  i  t!^or- 
manni ,  alla  quale  dobbiam  tutti  i  monumenti  che 

r 

avanzano  in  Sioilia  del  medio  évo,  da  pochissimi  in 
fuori.  Dico  due  o  tre ,  da  che  la  iscrizione  neskhi  io- 
tagliata  a  mo'  di  fregio  nelle  mura  del  palagio  della 
Cuba ,  porta  il  Jiome  dire  Guglielmo  secondo  eia 
data  del  miliecentottanta/ 1  Bagni  di  Cefalà  e  il  pala- 
gio della  Zisa  sembrano  più  antichi ,  alla  gravità 
della  scrittura,  cufida  che  altra  volta  li  coronò;*  e 
il  palagio  e  bagno  di  Maredolce,  ancorché  non  vi 
si  trovino  iscrizioni,  parrebbe  contemporaneo;  ma 
rimanendo  sempre  incerta  Tepoca,  e  sendo  stale  rao- 
conce  le  febbriche  di  poi,  e  la.  Zisa  anche  abbellita 
dai  Normanni,  non  vi  si  può  fondare  giudizio  su 
r  arte  arabica  di  Sicilia  neir  undecime  secolo.  Questo 
sòl  noterò,  chele  linee  di  prospetto  del  cubo  allun- 
gato e  dell'arco  aguzzo  dei  tempi  normanni  si  tro- 
vano nelle  cornici  delle  iscrizioni  arabiche  di  Sicilia 
deir  epoca  musulmana.  Qui  un  rettangolo  sormontato 
da  una  punta  in  forma  di  mitra  vescovile;'  li  inscritto 
dentro  il  rettangolo  un  arco  spezzato  in  tre  lobi  alla 
foggia  che  s' è  chiamata  moresca/ 

Àyvien  sempre  che  sfugga  alla  più  cruda  rab- 
bia  di  guerre  o  persecuzioni  qualche  monumento  di 

*  Io  pubblicai  questa  iscrizione  neHa  Revue  Archéologìque  di  Parigi, 
del  Mi  9  p.  669,  seg*  Alcuni  erodiU  palermitani  vorrebbero  mantenere 
alla  Cuba  un  altro  secolo  o  due  d' antichità ,  supponendo  1*  iscrizione  più 
moderna  dell'  edifizio*  Ma  non  riflettono  che  la  non  è  incisa  in  lapide,  ma 
proprio  scolpita  in  giro  delie  mura,  senza  vestigie  di  racconciamenti. 

'Glrault  de  Prapgey,  Essai  $ur  Vanhileéiure  arabe ,  Paris  1841, 
tavolaXin,no3,.4. 

*  In  ona  cok)nna  della  cattedrale  dì  Palermo,  presso  il  Di  Gregorio» 
Rerum  Àrabicttrum,  p.  137. 

*  In  due  iscrizioni  sepolcrali  presso  Di  Greaorio,  op.  cit.,  p.  146, 183. 


|xi  SmoIo]  —  452  — 

minor  mole»  per  trascuranza  o  stanchezza  delie  mani 
vandaliche)  per  capriccio  o  gusto  d'alcun  uomo:  e 
così  parecchie  iscrizioni  arabiche  della  dominazione 
musulmana  rimasero  in  Sicilia,  senza  contar  quelle 
de!  tempi  normanni  delle  quali  si  dirà  a  suo  luogo.. 
Quantunque  i  ramt  pubblicati  dal  Di  Gregorio  sian 
delineati  cosi  così,  e  io  non  abbia  avuto  sotto  gli 
occhi  migliori  disegni  4elle  iscrizioni  inedile ,  potrò 
pur  toccare  la  calligrafia  lapidaria,  la  quale  ed  dise^ 
gno  architettonico  è  coi  rabeschi  tenea  luogo  di  tut- 
t' arte  grafica  appo  i  Musulmani*  ^  Ci  occoi^se  già  far 
parola  delle  iscrizioni  della  torre  di  Baich  in  Palermo,* 
e  del  castello  di  Termini;  '  l' una  perduta^  se  non  che 
abbozzossi  il  disegno  d'alcun  brano;  e  l'altra  pèssima- 
mente delineata,  e.  temo  adesso  ita  a  male:  entrambe 
del  decimo  secolo.  Alla  medesima  età  mi  par  da  riferire 
la  leggenda  intagliata  nel  vecchio  édifizio  dei  bagni  di 
Cefalà,  logora  da  lungo  tempo,  e  in  oggi,  mi  si  dice, 
dileguata  del  tutto.  ^  Le  iscrizioni  conservate  sono 
sentenze  coraniche  scolpite  in  colonelte  di   marmo 


*  V*ba  Teccezione  delle  effigie  d' uomini  e  animali  io  qnakcbe  ipoDU- 
mento ,  come  i  lioni  deirAlbambra  ec  Ma  in  Sicilia  non  se  ne  vede  alcun 
esempio.  I  mosaici  d*  animali  neHa  sala  de|ia  Zisa  in  Palermo,  apparten- 
gono ai  tempi  normanni. 

s  Si  vegga  il  cap.  V  di  questo  Libro ,  p.  302,  seg.,  del  volume. 

'  Si  vegga  il  cap.  IV  di  questo  Libro,  p.274.  . 

«  Il  Di  Gregorio.,  Rerum  Àrabicarum,  p.  188,  ne  >diò  un  disino 
preso,  ad  occbio ,  come  si  usava  a]  suo  tempo ,  e  ridotto ,  nel  qi^ale  ei  con- 
fessò non  poter  leggere  cbe  qualcbe  sillaba.;  ed  io -stento  ancbe  a  questo. 
Si  vegga,  del  resto,  la  nota  delia  pagina  precedente.  11  disegno  di  poche 
lettere  che  veggiamo  neir opera  citata  di Girault  dePrangey,  Emiec., 
mostra  la  bellezza  dei  caratteri  e  la  trascuranza  di  chi  li  4kvea  ritratU 
prima.  L'amico  Saverio  Cavallari  che  mi  ragguagliò  qualche  anno  ad- 
dietro della  distruzione  dei  caratteri,  n'avea  fatto  altra  volta  oa  disegno 
che  fili  qui  non  ci  ò  riuscito  di  trovare. 


"b 


—   455  —  |X1  Secolo.) 

che  si  tolsero  dalle  moschee  e  si  murarono  nelle  chiese, 
ovvero  epitaffii  svelti  dalle  tombe,  collocati  in  musei 
o  case  private.  La  scrittura  cufica ,  semplice,  robusta, 
con  poche  fioriture,  e  nessun  ghiribizzo  quél  si  nota- 
va nella  torre  di. Baicb,  lappar  anco  nei  due  cippi 
sepolcrali  dei  Museo ^ di.  Verona,  '  in  altri  due  di  caaa 
Galzola  a  Pozzuoli,  '  nei  tre  di  Marsala!,  Siracusa 
e  Messina  r  che  non  hanno  data  ;  V  in  quello  del 
Museo  Daniele  a  Caserta,  *  e  in  un  picciol  marmo  di 


*  Si  ricordi  che  il  miglior  disegno  è  quel  pubblicato  dal  Fazzelio. 

*  11^  conte  Annibale  Maffei  viceré  di  Sicilia  li  iolse  di  Palermo  e  recò 
a  Verotia.  Scipione  Maffei. pubblicò  le  iscrizioni  nel  Museo  teroneWt 
p.  187,  e. indi  il  Di  Gregorio  nel  Rerum  Àrabiaarum,  p.  146 a  149.  Alla 
interpretàziope  alteséro  6. 8.  Asseroani  e  il  Tychsen.  Son  le  solite  formole 
e  brani  del  Corano»  cofnomi  propriì;  Tuno  dei  quali  mi  par  vada  Ietto 
Jbrahm^ibn'Khelef'Dibdgi  (in  vece  di  Jbrahimi  fHìi  Mqlaf  Aidinagi), 

'morto  il  464  ((072);  e  1*  altro  è  Abd-el-Hamtd-ibn-Abd-er-RabmanHbn- 
Scio'alb,  morto  il  470  (1078).  Secondo  il  Ubb-el-Lobàb  di  Soluti,  rappel- 
lazione  Bibaci,  vuol  dire  "  operaio  di  seterie,  '  ed  era  àncbe  nome  patroni* 
mico  nella  discendenza  del  califo  Olboman-ibn-'AfiìSin. 

'  Presso  Di  Gregorio,  op.  cit.,  p.  144  e  152,  il  quale  tolse  Tinterpre- 
tazione  da  quelle  pubblicate  dall*  alùte  De  l^nguerue  e  da  Adriano' Re- 
land. La.  prima  dà  il  nome  à^Wo  sòeikh  è  giuriàta  tagacistimo  Ahtned'^ 
tòii-5a'd-t&n-Jfd/é&-(ibn-Abd?)e(-'il&a  òMogitofo  (dell' aiuto > de/ ^i^nore 
(  non  Gubernatoris  jurisperiti  sapièntis  Àhmedis  filii  Saad  ben  el  Malak 
poietmssimi  qui  pauperò  instar  ett  erga  dùminum  sttum),  morto  il  415, 
(1023);  e  ia  seconda  di  Mohammed-4bn^Abi'Se'àdà  {non  filii  ebn  Sàadh) 

.morto  il  444  (1052  non  471 ,  ossia  1079).  Le  quali  isérizioni  non  ben  dise- 
gnate uè  ben  trascritte  in  caratteri  arabici ,  e  però  male  interpretale ,  0 

.  ftiron  tolte  di  Sicilia  6  Reggio,  0  provano  il  soggiorno  e  morte  nei  din- 

•  torni  di  Napoli  di  due  Musulmani  di  Sicilia,  Affrica  0  Spagna,  che  vi  fos- 
sero andati,  il  primo  forse  per  faccende  pubbliche  o  rifuggito,  e  il  secondo 

'  per  mercatura. 

'  '*  Presso  di  Gregorio,  p.  164, 165, 166. 1  dite  primi  non  si  possono 
interpretare  senza  più  esalti  disegni.  Neil* ultimo,  il  secondo  rigò,  mal 
deciferato  dal  Di  Gregorio,  né  ben  Corretto  da  Fraehn,  Anliquités  Moham' 

■  f?icd.,.tomo  I,  p.  15,  va  letto:  (Iddio  vivente)  "stante*  é  poi  la  sentenza 
del  Corano,  sura  XXXII,  v.  21,  (voi  avete)  *neir  inviato  di  Dio,  un  bel 
conforto.  Questo  è  il  sepolcro  d*  Abu-Bekr...  * 

B  Presso  Di  Gregorio,  p.  1 71, < il  quale  sbagliò  tutto,  fuorché  una  for- 

.  mola  è  la  data.  Va  letta  cosi  : ...  (Benedica)  Iddìo  al  profeta  Maometto  e  sua 


|XI  Secolo.)  —  4S  t  — 

casa  Emmaaaele  a  Trapani,  '  e  un  altro  del  Museo  di 
Messina:  '  le  quali  forme  dì  caratteri,  molto  svariate 
e  pur  tutte  appartenenti  alla  classe  che  ho  posta, 
non  differiscono  dallo  stile  dei  monumenti  analoghi 
sparsi  da  Cordova  infino  a  Bagdad. Frammisto  a  quello 
si  vede  nella  stessa  epoca  in  Sicilia,  sì  come  in  ogni 
altro  paese  musulmano,  con  linee  più' torltiose  e  biz- 
zarre, il  cufico  ornato  e  talvolta  intralciato  di  rabeschi, 
che  si  è  chiamato  impropriamente  scrittura  carmàtica. 
Bellissima  in  questo  stile,  né  sopraccarica  dì  capricci 
è  la  lapide  sepolcrale  di  Oma-*er-Rahman  che  si 
trovò  pochi  anni  addietro  in  Palermo,  dove  manca  la 
data,  ma  sembra  alla  vista  del  decima  o  undecime 
secolo.  •  Similmente  déir  epoca  musuhnana  le  iscri- 
zioni  coraniche  delle  Chiese  delle  Vergini  e  San  Fran- 
cesco d'Assisi  in  Palermo,  *  del  convento  dei  Fran- 
cescani in  Trapani,  '  che  son  più  o  meno  ornate,  ma 

schiatta (Chi  spende  SI  proprio  avere  in  servigio)  di  Dio,  fa^come  l'acino 

di  frumeato,  dal  quale  germogUdD  sette  spighe.^ (Iddio  prospera)  cui 

vuole  :  immenso  egif  è  e  sapiente  [sura  II,  verso  S63i •^.  (sepolcro  di) 

ibn-Hosein,  RebeM  (?),  Fàresi....  motto....  ranno  4i7  (l€Qd). 

«  Presso  il  Dì  Gregorio,  p.  i4i.  La  leggenda  mal  traacrftu  dal 
Di  Oregorto  è  "Mò  (spero)  aiuto  che  in  Dio»*  sentenza  tòlta  dal  Corano, 
sura  XI ,  verso  90. 

'Pubblicata  da  Lanci»  Trattato  delU  HmMiche  rappresentanae , 
tomo  II,  p.iS(. 

'  Un  lucido  di  questa  iscrizione  cb^  era  messa  da  architrave  in  una 
finestra,  mi  fu  mandato  il  1855  dai  signori  Agostino  Gallo  e  Saverio  Ca- 
vallari. Sondo  inedita,  mi  par  bene  darne  la  Versione:  e  In  nome  del  Dio 
9  clemente  e  misericordioso;  che  Iddio  benedica  al  profeta  Mohammed  e 
»  sua  schiattai.  "  Ogni  anima  assaggerà  la  morte,  né  avrete  vostro  guider- 
»  dono  che  il  dì  della  Risurrezione.  Chi  sarà  campiate  dal  fuoco  e  intro- 
»  dotto  nel  Paradiso ,  sarà  allor  felice:  perchè  la  vita  di  quaggiù  non  è 
»  altro  che  ròba  d* inganno."  [Sura  Ili,  v.  182.]  Questo  è.  il  sepolcro  di 
»  Oma-er-Rahman  (cioè  la  terva  di  Dio)  figlióola  di  Mohammed»  figlio  di 
»  Fàs;  la  quale  morì  il  primo » 

«  Presso  Di  Gregorio»  op.  cit. ,  p.  158  e  140. 

^  Op.  cit.»  p.  141. 11  Di  Gregorio  lesse  male  V  ultima  fhise,  uè  credo 


—  435  —  [Jl  Secolo.) 

di  beila  struttura  di  caratteri  ;  e  l' altra  assai  logora 
e  ignuda^  uè  di  forme  eteganti,  di  una  colonua  nel 
portico  meridioDale  della  cattedrale  di  Palermo.  *  Un 
bel  neskhi,  o  corsivo,  modificato  a  forme  monumen- 
tali, spoglio  di  ornamepti  e  notato  di  punti  diacritici, 
si  scorge  in  una  pietra  sepolcrale  di  Mazara,  in  parte 
logora,  se  il  vizio  non  è  nella  stampa  eh'  io  n'  ho  alle 
mani.  E  scritto  m. neskhi  grossolano,  con  qualche 
punto  diacritico  e  qualche  errore  di  grammatica,  Tepi- 
taffio  mutilo  che  si  serba  nella  Biblioteca  comunale 
di  Palermo:  e  stava  su  la  tomba  d'iin  Àbu-Hasan-Ali, 
morto  il  treceilcinquantanove  dell'  egira.  \ 

beo  rabbia  corretta  ìKLanci,  TraUaìo,delle  iimboliehe  rappresentanu  ec. 
Parigi,  1845,  tomo  II,  p.  24,  tavola  XV.  Panni  si  debba  leggero  thikati 
Allah,  "  La  DDila  fidanza  (è)  Dio.  * 

«  PreiBSo  Di  Gregorio ,  op.  elt ,  p.  131 .  Non  si  può  deciferare  sul  rame 
che  ne  pnbbllob  il  Dì  Gregorio  ieoii  la  iiiterpretazioiie  di  Tycbsen.  Ma  di 
certo  noD  V  ba  una  sillabai  del  verso  55  (si  corregga  52)  della  sarà  VII, 
cbe  crédette  leggervi  il  professore  di  Rosioek. 

'  Hi  fa  mandau  a  Parigi  il  Ì844  «dal  prioclpe  di  GraDatelli.  Il  lato 
leggibile  è  a  dritta  di  cui  guardi*  Nei  due  primi  righi  son  le  formolo; 
sei  terzo,  uà  frammento  della  sura  XXXVtli^  verso  67;  nel  quarto  " ....  se- 
polcro del  cadi  Kkldhr...;  **  il  quinto  e  sesto  non  si  scorgono  bene; 
«eleeltimo  "....  di  Dio  sopra  di  lui  (morto)  il  venerdì  cinque...;*  neir  ul- 
timo: *  quattro  e  novanta  e....  *  mancaodo  il  Secolo  cbe  sarebbe  il  quarto 
o  quinto,  della  egira  (lOdS,  o  1100).  A  destra  e  sinistra  corrono  due  rigbi 
perpendicolari  a  reo'  di  cornice,  che  non  bo  potuto  teggere4 

8  Presso  il  Di  Gregorio,  op.  cit.,  p.  154.  La  lezione  e  interpretazione 
di  Tycbsen,  date  dal  Di  Gregorio,  difettano  in  molte  parli, e  sbagliano  la  data 
eh' è  pur  chiarissima.  Eòco  come  leggo  questa  iscrizióne,  mettendo  tra 
pafentesi  le  parole  da  supplirsi»  e  indicando  con  punti  le  altre  che  man- 
cano: $  (In  nome  di  Dio) clemente  e  misericordioso,  (e  benedica  Iddio  ec.) 
»  (Dì  loro  :  Grave  annunzio  ;  e  voi  ne  ri-) fuggite  [sura  XXXVIII,  verso  67,6^. 
»  Questo  è  il  sepolcro  dello  sceilLh...^^,..  il  Kftid  egregio  Abu^Hasan-Ali 

»  figliuolo  dd...b««.  il  giusto,  «.benedetto  il  trapassato  Abu-Fadhl 

»  (figlio  del)....  e  benedetto  il  trapassato  Abd-AUab,  figlio  di  Moha(fli- 
»  med)....  (figlio  del)....  e  benedetto  il  trapassato  Ali,  figlio  di  T&her.... 
»  (che  sia  benigno  )  Iddio  a  lui.  Il  quale  morì  la  notte  del  giovedì ,  cinque 

9  del  mese. (e  fu  sepolto?)  il  venerdì,  1'  anno  trecento' cinquanta- 

»  nove (96Ì)-70)...  (morì  attestando  non  esservi  altro  DIO) cbe  All&h  ed  es- 


I 

[XI  Secolo!  —  456  — 

Farò  cenno  in  ultimo  delle  monete  dei  Mn^ulmani 
di  Sicilia,  su  le  quali  manca  un  lavoro  compiuto,  uè 
io  potrei  proyàrmici,  né  sarebbe  da  stenderlo  qui;  ' 
Mi  ristringo  pertanto  ai  risultamenti,  ritraendoli  dal- 
l' accprato  catalogo  del  Mortillaro ,  aggiugnendó 
qualche  altra  notizia  che  s' è  pubblicata  apprèsso 
e  le  monete  inedite  del  Museo  parigino.. Dogali  Agbla- 
biti,  dei  quali  è  si  povera  la  numismatica,  rimangono 
poche  monete  sicilijane.'  Per  lo  contràrio  abbondano 
le  fatemi  te;  si  che  ve  n'  ha  di  tutti  i  califi  che  regnà^ 
rono  di  fatto  o  di  nome  in  Sicilia ,  da  Obeid-allàh 
fondatore  della  dinastia  fino  ad  Àbu-Tamiin^Mostan- 
ser-Billah ,  o  meglio  al  quattrocentoquarantacinque 
dell'egira  dopo  caduta  la  dominazione  kelbila:Vun 

sere  M^omeUo.  V  inviato  di  Dio;  »  L'errore  cbè  notai  neS  testo  èdrporre  il 
nomioativo  Ab[U  io  laogo  del  géditiTO  aH  nei-due  luoghi  dove  occorre; 
<  Si  ricordi  V  avvertenza  fatta  nella  Introduzione,  p.  xvi  e  xxiv.  ^ 
a  Si  vegga  il  Llb.  1,  cap.  HI,  V  rVI,  ed  il  Lib.  Ili,  cap.  I ,  p.  283, 
284,  296, 297 ,  521  del  Tolume  1,  p.  5,  6  di  qiieato  voluiiieie  s'aggiun- 
gano le  seguenti  : 

Oro,  anno  26S,  (881-2)  di  grammi  1, 05  nel  Museo  di  Parigi.  In  fin 
della  leggenda  del  rovescio  parmi  leggere  la  voce  ro6d't.  Si  con- 
fronti con  quella  simile  pubblicata  da  CastigHoni  e  notata  da  Mor- 
tillaro, ppere,  tomo  lU,  p.  352,  ii(>  IX. 
Oro,  anno  295,  (907-8)  di  grammi4, 25  nel  Museo  di  Parigi  col  nome 
del  parricida  Abu^Modhar-Ziadet^AJilab.        ■  '     - 
Jn  queste  monete  non  si  legge  il  nome  di  Sicilia ,  ma  1  dotti  le  credono  sici- 
liane ;dairopera.  Le  altre,  monete  agblabi te  di  Sicilia  nptansi  dal  Mòriillaro, 
C|pere,  tomo  HI,  p. 343,  seg.,  no  I  aXII.        '     . 
,    .  '  Si  vegga  il  catalogo  nelle  opere  di  Mortillaro,  tomo  llU  p.  357,  seg  , 
dal  n»  XIII  all'LXXXIX.  Quivi  l' ultima  con  data  dell'anno  e  del  paese  è 
del  439,(1047-8).  ' 

A  questie  77  monete  sono  da  aggiugnere  le  seguenti  ; 

Oro,  anno  843  (954-5)  .  di  gnunini  1,05      nel  Museo  di  Parisi. 

id.     »     4Ì44  (955-6)  »         1,05i  ibid. 

id.  -  f.         1,05   l 

,  id.  ^  »  1 05   !  ^^'  ^''"*  ^^^  »  ^^1  nome 

. ,  *t.e.    \         del  califo  Moezs. 

»d.  .  i.  1,05   V 

id.     I*     Z96  (1005-6)  indicata  come  4piarto  di  din&r  da  M.  Sofct,  LtUrCi 


—  457  —  [xis«coio.] 

centinaio  di  monete,  la  più  parte  d'oro,  doe  sole 
d'argento  e  non  poche  di  vetro  di  varii  colori,  che 
sembraa  usate  in  luogo  dei  quattrini  di  ranie.  * 
Hanno  leggende  cufiche;  formolo  fatemité,  molte 
<X)n.  data  e  col  nome  della.  Sicilia.  Quelle  d'oro, 
quando  se  n'  è  fatto  saggio,  si  son  trovate  di  buona 
lega.  Son  tutte  del  peso  d'un  grammo  più  o  meùo, 
clie  torna  alla  quarta  parte  del  dinar  oméiade,  aih 
bassida  e  fatemita  :  di  certo  il  robà'i,  ossia  qoar- 
tiglio,  del  quale  si  leg^  nei  ricordi  arabici  della  Si- 
cilia nel  decimo  e  duodecimo  secolo.  *  Picciola  e  co- 


li S.  £,  etc.  de  Fraehn,  SainUP^tersboarg ,  Ì8M, 
p.  50n<»i2t. 
Oro,  anno  414  (1033«-l,ovv;  414)  di  grammi  i,00      nel  Museo  ài  Parigi, 
id.     »     421  (1030)  »         1,00  } 

id.     «*      422(1031)     '  **  1,00  {  ibid. 

id.     m     483  (103U2)  »         i,00  J 

id.    Altre  otto  jsenia  nome  ne  data  i>.  1,00  ibid. 

id.      i>      42S  indicata  come  tr/eni  da  M.  Soret,  p.  60,  n°  1  SS. 

id.      n     437(1045-6)    .  id.  p.51,nolS4: 

id.     n      445  (1053-4)  id.  p.  51,  n»  125. 

VII  Mortillaro,  voi.  cìt.,  p.  179,  seg.*  539  ,  340,  citando  il  Tyofasen 
ed  altri,  ha  sostenuto  quest'uso  der vetri  improntati;  e  mi  par  s'ap- 
ponga al  vero.  E.i  nota,  anche  a  ragione,  la  maacapza  assolutagli  monete 
arabiche  di  rame  battale  in  Sicilia  ;  alla  qttàle  non  credo  si  possa  op* 
porre  la  moneta  pubblicata  t)al .  prliicipe  di  San  Giorgio  Spinelli ,  Monete 
tujiche  dei  principi  lonffobardi  ec.,  p.  31  »  n«  CXXX.  Prima,  perchè  non  v*ha 
data  idi  anno  né,  di  luogo;  e  secondo,  per  essere  molto  dubbia  la  leg- 
genda Emir^el^MMmenin  che  T  autore,  credè  scoprirvi.  Resta  a  tro« 
vare  il  paese. e  Tetà  in  che  fu  coniata  questa  e  alire  monete  di  rame, 
certainénte  musulmane,  che  il  principe  di  San  Giorgio  db  nella  tavola  IV. 
.  s  Nei  varii  MSS.  quesu  voce  è  scritta  sensa  mozioni.  ÈJài  leggere  o 
la  prima  vocale,  come  in  aggettivo  numerale  distributivo  che  nel  nostro 
caso  significa  *di  quei  che  vanno  a  quattro"  (in  un  dinar)  prò* 
prio  il  ialino  ijuaterni.  Ho  latto  già  parola^  di  questa  sorta  di-,  moneta 
siciliana ,  nel  cap.  VII  del  presente  liliro,  p.  334  del  vólumOi  Le  autori.là 
SQuo,  in  ordine  cronologico  :  i**  Ibn-Haukal,  Geografia,  nella  BébUateca 
Arabo^Sicula,  testo,  p.  1 1 ,- secolo  X  ;  2»  lbn*KhalUfcàn  nel  luogo  che  cito'al 
càp.  Vili ,  p.  334,  il  qual  autore  trascrive  le  parale  d*  Ibn^iescik,  che  visse 
neirxi  secolo,  ma  riferiva  un  fatto,  del  X;  3»  Ibn-Giobalr,  «tessa  eiu* 


[KISmoIo.]  —  488  — 

moda  moneta  come  gli  odierni  oinque  fianchi  d'oro, 
coniata  tuttavia  sotto  i  Normanni  con  leggende  arar 
biche,  e  chiamata  tari  in  un  diploma  greco,  e  tqreni 
nelle  croniche  e  carte  Ialine  di  quel  tempo*  ' 

Il  commercio  musulmano  di  Sicilia,  non  che  maa- 
tener  suoi  robà'i  neìY  isola  sotto  la  dominazione,  nor- 
manna, avea  costretto  ad  usarli,  fin  dai  principi! 
del  decimo  secolo,  Napoli,  Salerno,  Amalfi;  ed  a 
batterne  in  casa  propria,  ed  anteporli  a  tutt'altro  co- 
nio. I  diplomi  latini  di  Napoli  di  quel  secolo  portaa 
le  vendite  in  solidi  bizantini  e  piìi  spesso  in  im,* 
dei  quali  quattro  faceano  un  solido  bizantino,  eh'  era 
lo  stesso  del  dinar  arabo.  Dai  medesimi  atti  si  rileva 
che  i  solidi  scarseggiavano  o  mancavan  del  tutto 
alla  metà  del  secolo,  ancorché  sempre  si  notassero 
come^  moneta  legale;  e  che  rimanea  quasi  solò  conio 
corrente  d'oro  il  tari.  *  Da  un'altra  mano  i  musei  dei 

^ 

ziòne,  XII  secolo;  A<*  diploma  arabico  di  Sicilia  del  1190  presso  Di  Grego- 
rio, De  supputandU  apud  arabet  temporibtu,  p.  40, 4Ì. 

'  Una  tre&thia'di  dinar  d'oro,  tra  omeiadi  e  abbassidi,  cbe  ho  pesati  nel 
Mvseo  di  Parigi,  sono  per  lo  pii^  di  è  grammi  triàboCcatìti.  Dieci  (fmdr  fate- 
miiid*  Egitto  mi  ha n  dato  lo  stesso  risultamento:  il  migliore  arriva  a 
grammi  4,35 ,  e  il  più  scadente  a  grammi  3,i5.' 

^^  Ne  diremo  più  distesamente  nel  sèsto  Libro. 
'  il  8ihgol|ire  nei  detti  diplomi  è  tare. 

s  Regii  Neapoliiani  Àrchivii  Monumenta,  Napoli,  1845,  seg.,  in  4». 
11  tari  Vi  occorre  per  la  prima  volta  in  un  diploma  di  Gaeta  del  909, 
tomo  I,  parte  1,  p.  9,  dove  si  vegga  Y  erudita  nota  degli  editori.  Poi  negli 
atti  privati  stipolati  a  Napoli  infinó  al  mille,  i  pvetà  son  pagati  per  lo 
più  in  tari  &  oro;  Nel  documento  GCXL,  anno  996,  dato  di  Napoli,  loròo  II,  * 
p.  i43,  si  legge  *^anrl  selidos  XIU  de  tari  ana  quadtuor  tari  per  nnoquoque 
soridos,"  la  quale  proporzione  è  replicata,  con  più-o  meno^ror!  di  gram- 
matica, nei  docamenti  GCXXX{ll,<anno995,  p.  129,  eCCLV,  anno 977,  seg., 
176.  Si  vegga  anche  il  diploma  del  1076  deir  Arolkivio  della  Cava,  citato 
d^  M;  Huillard-BrehoUes,  nelle  Reehtrékes  sur  le$  Monnmmis  et  l-hnioire 
de»  Normands  etc  dans  f/tefie  MéridionaU»  pubUée»  par  le$  soins  de 
M.  le  due  dà  Lui/ne»,  p.  46d|  dove  si  fu  menzione  di  soldi  d'oro,  ciascuTo  dei 
quali  tornava  a  quattro  lari  di  roònetad'  AmalQ. 


—  459  —  |XI  Secolo.] 

regno  di  Napoli  oi  mostrano  quàrtigli  d' oro  della 
stessa  forma  e  peso  di  qae'di  Sicilia,  col  nome  del  ca- 
lifo  fatemita  Moezz  (953-975);  se  non  che  comparisce 
la  mano  straniera,  al  Cufico  men  franca,  e  la  lega  m^i 
buona,  e  si  moistra  talvolta  alla  scoperta,  aggiugnendo 
in  mezzo  deir  impronta  aràbica  ** Salerno"  e  altre  let^ 
tere  latine  :  e  perfino  stampò  la  croce  tra  le  sentenze 
unitarie  dei  Fatemi  ti,  o  scrisse  sul  dritto  il  nome  di 
Gisulfo  principe  di  Salerno  (1062-1076)  e  sul  ro- 
vescio quel  di  Moezz  morto  un  secolo  innanzi.  *  Farmi 
non  cada  in  dubbio  che  i  tari  dei  diplomi  napoletani 
fossero  appunto  i  robd*i  di  Sicilia,  e  le  copie  più  o 
men  fedeli  che  se  ne  faceano  neir  Italia  meridionale. 
La  voce  tari,  ignota, di  là  del  GarigUano,  ignota  nelle 
altre  province  bizantine,  si  accosta  per  articolazióni 
ed  accento  a  dirhem  o  dirhim  pronunziata  velocje- 
mente  dagli  Àrabi  trUim,  '  ed  al  plurale  teréhtm  o 
trdhtm  e  tréUit,,  mangiandosi  T  ultima  consonante  e  bat- 
tendo r  accento  suir  t.  Le  bocche  italiane  ne  fecero 
tari.  Né  questa  è  conghiettu^a,  ove  si  ricordi  il  tari 
denominazione  di  peso,  che  risponde  senza  dubbio  al 

'  M0nete  cufiche  bailute  dai  principi  icngobarii-  te.  interpretate,.,, 
dal  principe  di  San  Giorgio  Domenico  SpineìU.  r^lja  prefazione  dell'  eri»- 
dito  signor  Michele  Tafuri,  p.  xìii,  seg.,  si  accenna  la  lega  inferiorea  quella 
di  Sicilia;, e  in  una  nota,  p.  til^  la  differensa  del  caratteri.  Le  monete 
di  cui  traliiamo  son  le  prime  trenta  della  raccolta.  li  péso  varia  da  IS  a  35 
acini  di  Napoli,  cioè  da  0,80  ad  nn  grammo.  Debbo  aggiognere  cbe,  acoei* 
taoido  le  concbiusioni  generali  dei  dotti  editori ,  non  son  d' accordo  in  tutti 
i  particolari.  Per  esempio,  varie  leggende  non  mi  sembrano  ben  trascritte  ; 
non  tengo  punto  provata  la  cronologia  che  distribuisce-  cotesto  moneto  ai 
principi  di  Salerno;  né  cbo  tutte  sieno  state  eotiiate  In  Salerno.  Vo  n*ha 
forse  d' AmalG  ;  e  forse  è  di  Napoli  il  no  XX VII. 

>  IMaLarabico  è  suono  partecipantodella  i  odellal;  e  trascrivendolo 
in  latino  0  greco,  si  rendea  sempre  con  la  f  :  per  esompio  da  ddr-et-ien'a, 
'iarsianatus,*  donde  noi  àbblam  fatto  "arcana'  e  arsenale.  * 


' 


|xi  s«coio.]  —  460  — 

dirhemy  il  quale  gli  eruditi  di  Sicilia  scrìssero  tari-^peso, 
ma  it  popolo  credo  V  abbia  detto  tempre  trappeso, 
rendendo  nella  prima  sillaba  la  volgare  pronunzia 
arabica/ Così  i  Napoletani  e  i  Siciliani  del  medio 
evo  ripigliavano  dagli  Àrabi  il  vócbìkAo' drachma, 
che  quelli  aveano  tolto  dai  Bizantini  e  mutato  in 
dtrhem. 


CAPITOLO   XIV.. 


Arrivati  a  scoprire  per  quante  vie  s*  era  messo 
lo  spirito  umano  al  tempo  dell'antica  civiltà,  i  popoli 
musulmani  le  téutaron  qua  e  là  con  ardore*  giovani- 
le; in  molte  si  lasciarono  addietro  i  Cristiani  contem- 
poranei; sovente  aggiunsero  lor  trovati  al  patritnonio 

*  Il  dtrAeff^  peso,  parte  aliquota  deWukia  (uncia)  e  dìffereote  secondo 
i  paesi,. si  adoiierava  esclosivaiiieote  per  l'argento.  Dal  peso  fn  argento 
nacque  la  denominazione  di  moneta  cb*  era  usata  fin  dai^  tempi  di  Mao- 
metto; e  rimase  sola  moneta  nisàb,  ossia  legale,  in  che  si  ragionava  la 
decima,  il  prozio  del  sangue  ec.  Il  dirbem,  moneta  effettiva,  fu  poi  diverso. 
Or  il  reM'ft  tornava  a  tre  dirbem  nitàbf  poicbè  il  dinar  si  ragionò 
dodici.  Naturalmente  gli  Arabi  di  Sicilia,  nel  commercio,  cfaiamavan 
quella  moneta  d' oro  *  un  tre  dirbem  ,*  e  neir  oso  bastava  dire  trdhim 
al  plurale.  11  vocabolo  tari.  Introdotto  in  tal  modo  presso  gì*  Italiani 
di  Napoli  e  poi  presso  I  Normanni,  e  Italiani  di  Sicilia ,  restò  deno- 
R^inaiioBe  di  moneta  d'ore;  mentre  da  nn*  altra  mano  1  Normanni  di 
Sicilia,  usando  il  sistema  degli  Arabi,  ebbero  il  dirbem  moneta  ed  ancfaé 
il  dirbem,  o  iarif  peso  di  argento,  indi  la  voce  iari^péto  o  trappeso.  Spa- 
riti con  la  dinastia  normanna  i  tari  d'oro,  la  voce  tari  restò  come 
denominazione  di  peso  e  moneta  d'argento.  Gli  eroditi  del  secolo  passato 
arrivarono,  dopo  molti  errori  e  ricerche»  a  disUnguere  i  fari  dei  diplomi 
aniicbi.da  qoei  cbe  avemo  alle  mani  e  cbe  valeano  quasi  la  quarta  parte 
dei  primi ,  coi  cblamarono  per  questo  tari  d' oro.  Il  dotto  Conte.  Casti- 
glioni  sbagliò,  come  parmi^  negando  cositatta  etimologia  della  voce  fari. 


—  401    —  pec.X.XII 

degli  antichi  ;  il  che  non  avveniva  allora  in  Cristia- 
nità. Sopra  ogni  altro  lussureggiarono  in  due  eser- 
cizii  connaturali  a  loro  società.  L'arte  della  pa- 
rola in  rima  e  in  prosa,  antico  vanto  degli  Arabi, 
mutando  corso  nell*  islamismo  e  allontanandosi  dalle 
forme  del  bello,  si  allargò  in  ogni  più  sottile  investi- 
gazione di  grammatica,  lessicografia,  versificazione, 
delle  quali  parteciparono  i  popoli  conquistati:  talché 
per  tutta  Musulmanità  fu  studiata  la  filologia  minore 
quanto  noi  fecero  mai  i  Greci  né  i  Latini;  e  se  le 
Muse  dessero  la  corona  a  chi  più  s'afiatica^  gli  Arabi 
se  l'avrebbero  senza  contrastò.  Surse  dal  Corano 
quella  scienza  mescolata  di  teologia  e  dritto,  la  qua- 
le, sendo  cóme  il  pan  quotidiano  dei  Musulmani,  non 
è  maraviglia  che  attirasse  tutti  gli  ingegni  dispo- 
sti a  cosi  fatte  contemplazioni  e  bramosi  di  onori  e 
stato.  La  filologia  e  le  scienze  coraniche,  per  aver 
sì  profonde  radici  runa  nella  schiatta  arabica,  le 
altre  nella  società  musulmana,  occuparono  quasi 
tutto  il  campo,'  rinvigorite  dalla  metafisica  e-^  dia- 
lettica deir  Occidente  ;  rimasero  sole  dopo  la  de- 
cadenza politica  e  sociale  dagli  Arabi;  e  si  pos- 
sono dir  vegete  fino  ai  di  nostri  dovunque  regga- 
la legge  di  Maometto,  dal  Gange  allo  stretto  di 
Gibilterra.  Ma  le  scienze  antiche,  come  le  chiama- 
rono gli  Arabi  per  averle  tolte  in  presto  dai  Greci , 
trovarono  ostacolo  nella  tenacità  semitica  del  popolo 
dominatore,  il  quale  se  n'era  invaghito  per  ebbrezza 
di  nuovo  acquisto,  e  d'un  subito  s'arretrò,  spa- 
ventato, dal  c^mmin  che  credea  lo  menasse  all' in- 
ferno. Poi  prevalendo  genti  più  grossiere,  in  Levante  i 


[S«e.  X.  XI.|  —  462  — 

Torchi,  in  Occidente  i  Berberi;  irrompendo  Cristiani 
d'ogni  banda  nelFiinpero  musulmano,  esacerbaronsi  le 
passioni  religiose,  rinne^òssi  il  secolo  di  Harùn 
Kascid,  e  quelle  sospette  scienze  sparvero  ad  una  ad 
una  tra  le  tenebre  ricadenti  sul  mondo  musulmano. 
Le  ristorate  dottrine  dunque  d'Aristotele,  d'Eu- 
clide» d'Ippocrate,  non  solo  ebbero  minor  tratta  di  se- 
guaci al  tempo  della  civiltà  arabica,  ma  sendo  ite  ia 
bando  dalla  terra  d'islam,  dìleguavasì  dal  decimoquarto 
secolo  in  poi  la  memoria  di  cui  le  coltivò.  I  biografi 
tuttavia  s'affaticarono  a  rintracciare  nomi  e  aneddoti 
di  grammatici ,  retori ,  lessicografi ,  intèrpreti  del  Co- 
rano ^  tradìzionisti,  giureconsulti,  teologi  e  mistici 
d'ogni  maniera,  e  vennero  a  capo  di  tmvarne  molti 
sfuggiti  alle,  ricerche  dei  predecessori;  ma  fecero 
guarda  e  passa  nelle  altre  scienze.  Similmente  si 
smettea  di  copiarne  i  libri.  Ho  voluto  notare  potestà 
disuguaglianza  nelle  propòrzionidella  storia  lettera- 
ria e  le  due  cause  da  che  venne,  perchè  la  non 
sembri  difetto  peculiare  degli  Arabi  Sidiliani.  Un 
pugno  d'uomini,  del  resto,  datisi  alla  cultura  intel- 
lettuale per  qualche  secolo  e  mezzo,  sòggio^gati 
quando  coglieano  il  frutto,  perseguitati  e  dispersi 
entrò  un  altro  secolo:  mpra viglia  è  che  ce  ne  rimanga 
qualche  brano  di  memorie  letterarie  per  carità  di 
cui  accolse  in  casa  gli  esuli  sconigiQlaU.  Nei  paesi  ri- 
masti musulmapi,  T  amor  di  patria  o  la  vanagloria 
municipale  dei  tempi  di  decadenza,  religiosamente 
ragunò  ogni  ricordo  dei  cittadini  più  o  meno  illustri. 
Ei  coloni  di  Spdgna,  più  numerosi  assai  dei  Siciliani, 
pervenuti  ali* incivilimento  dopo  tre  secoli,  n'ebber 


.—  463  —  [s«c.x.xr.i 

agio  altri  quattro  a  compiere  il  pio  ojScio  pria  che 
sgombrassero  d' Europa. 

Il  solo  autore  arabo  che  appòsitamente  abbia 
scritto  là  storia  dei  filosofi,  mateoiatici  e  m.èdici, 
noQ  ricQrda  altri  Siciliani  che  un  dei  duodecimo,  se- 
cólo  e  tre  dell' antichità,  Archimede,  Empedocle, 
Cpra€e;^sui  quali  dà  ragguagli  meno  scontraffafti 
che  non  si  potrebbero  aspettare  così  di  rimbalzo;  ma 
non  appart^gono  al  Mostro  argomento.  Del  resto,  se 
l'abbiano  ignorato  *  Zuzeni  a)  tempo  di  Federigo 
secondo  ed  Ibp-Khallikàn. nella  generazione  seguente, 
si  coltivaron  pure  le  sciente  matematiche  in  Sicilia 
sotto  la  doipinazione  arabica.  Ne  fon  fede  le  memo- 
riedei  tempi  normanni,  delle  quali  diremo  a  suo  luo- 
go ;  ed  anco  alcun  cenno  immediato  dell'  undecime 
secolo.  Makrizi  nella  Topografia  dell'  Egitto ,  venendo 
a  parlare  dell'osservatorio  che  fondò  al  Cairo  il  me- 
cenate Afdh  al  r  anno  cinquecento  tredici  (HÌ9-86),  • 
e  il  califo  Amer  spiantò  a  capo  di  sèi  anni,  novera 
tra  gli  astronomi  che  v'erano  condotti  a  stipendio,  il 
geometra  siciliano  Abu-Mohammed-Abd-d-Kerìm ,  ' 

.  '  Tarikk-^-Eokemà.  Ho  accenoato  nel  Lit)rQ  \\\ ,  cap.  V,  p.  100  del  vo- 
larne,, r  articolo  sopra  EIropedocIe.  U  testo  di  tutti  gli  estratti  di  Zuzeniè  or* 
inai  pubblicato  néih  Biblioteca  Arabo^Sicula ,  p.  613,  seg.  Nella  biografia 
d'Arébimede,  si  rìferlsce  at  grao  Siracusano  il  disino  delle  digbe'e  ponti 
che  dettero  abilità  a  coltivare  gran  tratto  della  valle  del  Nilo  nelle  inonda- 
zion.i  dicbe  fecero  cenno  gli  antichi  (veggasi  Harles,  Biblioiheea  Grceea, 
tomo  IV,  p.  172);  e  gli  si  aitribuiscono  molte  opere  genuine  o  spui'ie,  e 
tra  le  seconde,  credo  lo,  un  "Discorso  su  gli  orologi  ad  acqua  con  sone- 
ria" che  Casiri  erroneamente  suppone  significare  il  biaderò,  (Biblioiheea 
Arabico^Hispanà ,  tomo  I,  p.  383.)  Di  Corace  ^j  dà  il  noto  aneddoto  col 
discepolo  non  trascrivendo  il  nome,  ma  traducendolo  Ghordb  (Corbo,K.9f»e^), 
e  agglugnendo  che  egli  fu  greco  dell'  Isola  di  Sicilia.  Arcbimedeed  Bmpe- 
docle  si  dicono  greci  senz*  altro.  > 

3  Kitàb-el-^ewà'ii,,  ecMz^^di  Bulàk ,  tomo  1,  p,  127  ,,e  Bella  Biblioteca 


|8«c.  X.  xi.|  —  464  — 

esQle  ch'ei  sembra  dopo  il  conquisto  normanno.  Ibo- 
Kattà',  neir  Antologia  dei  poeti  siciliani ,  trascrìvendo 
alcuni  versi  di  Abu-Hafs-Omar-ibn-Hasan-ibn-Kùni 
con  dae  righi  di  cenno  biografico  »  gli  die  lode  anco 
di  geometra  ed  astronomo.  Il  titol  che  aggiugne  di 
Kàtib,  ossia  segretario;  mostra  che  quest'Omar  il  fa 
in  alcun  oficio  pubblico,  forse  nella  segreterìa  di  Stato. 
Del  quale  se  i  versi  d'amore  sòn  troppo. geometrìe!, 
v'  ha  uno  squarcio  d' elegia  che  direbbesi  scrìtto  da 
stoico  romano  anzi  che  da  credente  arabo:  si  sde- 
gnoso il  pensiero,  alto  senza  puntello  di  religione; 
ed  anco  semplice  e  grave  nella  forma;  se  non  forse 
p^r  due  bisticci  che  il  poeta  incastrò  neir  ultimo  ver- 
so. '  Ibn-Kattà'  similmente  fa  ricordo  del  Segretario 
Abu-Abd-AUàh-Mohammed-ibn-Hasan-ibn-Kereni/ 
^astronomo,  aritmetico  e  poeta/ 

Che  la  matematica  e  r  astronomia  si  fossero 
applicate  in  Sicilia  a  studii  topografici,  non  si  può 
negar  uè  affermare.  In   vero  scorgiamo  uóa  bella. 

ÀralMHSieula ,  p.  069.  Una  versione  di  qnesU)  squarcio,  per  M.  Caussia 
de  Perceval  si  legge  nelle  Notieet  el  ExlraiU  des  MSS-,  tomo  Vili, 
p.  33,  segg. 

'  Estratto  della  Dorm-Ehatira  (Perla  Egregia  ec.)  d*  Ibn-KaUA*,  inse- 
rito nella  Kh^rida  d*  lmftd-ed*dln ,  Biblioteca  Àrabo-Sicula.UdSXóy  p.  596. 
I  versi  leggonsi  nei  MSS.  della  Kharida,  di  Parigi,  Ancien  Ponds,  1375» 
log.  43  verso,  e  dei  Britisb^Musenm ,  Bicb.  7593,  fog.  35  recto.  Ecco  i 
tre  deli*  elegia  cbMo  cito,  scritta  non  sappiamo  per  quale  personaggio. 

*  Alla  morte  (opporMcn)  ciò  cbe  nasce,  non  alla  vita:  V  uomo  non  è 
cbe  ostaggio  di  essa;    /       ^ 

"Diresti  gli  anni  suoi  {fòglio)  di  cui  si  spiegbi  un  lembo,  fincbè  so- 
pravvien  U  morte  e  sei  ravvolge. 

*  chi  impreca  al  tempo  non  1*  intacca,  na;  ma  quand'osso  scocca  (suo 
strale)- non  fallisce  mal  il  colpo." 

s  Ovvero  i£enif.  L'uno  e  F Altro  è  nome  di  tribù;  e  il  secondo  ancbe 
etnico,  da  un  viliaggio  presso  Bagdad.  ^ 

>  H/^liofeca  krii6o-Siciils,  t'esito,  p.  395. 


—  465  —  [Sec.  X.  xi.i 

correzione  della  postura  dell'  isola  rispetto  air  Affrica. 
Ibn-Haukal  Bel  decimo  secolo  sapponea  la  Sicilia 
guardare  dritto  Bugia,  Tabarca  e  Marsa  Itharez 
(La  Calle);  cioè  la.  spiogea  due  gradi  più  a  ponente/ 
Ibn-Iùnis,  il  celebre  astronomo  del  Cairo,  alla  fin^  del 
decimo  secolo,  con  errore  contrario  la  tirava  ,dieci 
gradi  a  levante  di  Tunis.  '  Ma  una  notizia  anonima 
che  leggiamo  in  lakùt  e  par  si  debba  riferire  a  sor- 
genti siciliane  dell'  undecimo  secolo,  pone  vicinis- 
sin^a  alla  Sicilia  tra  le  terre  d'Affrica  l'antica  Clipea 
presso  il  Capo  Bon,  aggiugnendo  correr  tra  quella 
e  l'isola  cenquaranta  maglia,  ossia  due  giornate  di 
navigazione  coni  buon  vento,  e,  da  un  altro  lato,  lo 
Stretto  del  Faro  misurarsi  due  miglia,  là  dove 
r  isola  pili  s' accosta  alla  terraferma.  '  Donde  parmi 
che  la  correzione  sopraddetta  si  debba  riferire  ai 
navigatori  siciliani  ed  affricani,  non  agli  astrono- 
mi; tanto  più  che  lo  sbaglio  delle  longitudini  non  si 
potea  riconoscere  da  privati  senza  un  osservatorio 
fornito  di  quegli  smisurati  stromenti  che  gli  Arabi 
fìiron  primi  a  costruire.  Ignoriamo  in  quàl  tempo 
visse  chi    immaginò    X  isola    triangolo    equilatero, 

'  Mo'ffem,  nella  Biblioteca  Arab<HSi6ula ,  p.  ilO.  Qaedta  passo  ser- 
batoci da  lakùt,  manca,  come  tanU  altri,  nei  MSS.  d' Ito-Hankal  che  ab- 
biamo in  Europa.  La  carta  di  Istakhri  lo  cònfehna  pienamente. 

?  Si  vegga  la  tavola  delle  longitudini  e  latitudini  pubblicata  da  Lele- 
wel  nell'Atlante  della  Gtographié  dumoyen'^e,  Bruxelles,  1850.  Ibn- 
lùnis,  nella  lista  delle  posizioni  geogra6che  (p.  4)  segna  le  seguenti  : 

Sicilia  (fòne  a  Palermo) long.  39<*  Ut.  39<» 

TttDis 29®  33» 

"^Kairemn!  .  .  . 3i«  31®  40' 

Tripoli  d*  Affrica 40«  40'  33*» 

s  Kò'gem,  nella  Biblioteca  Arabo-Sicula ,  p.  1(5.  del  testo  dove  si  dà 
allo  Stretto  il  nome  di  Faro. 

11.  30 


[Scc.  X.  XI I  —  466  — 

misurandovi  sette  giornate  di  cammino  da  un  ver- 
tice air  altro.  '  Ibn-Haukal  s*  avvalse  forse  delle 
nozioni  che  correanó  nel  paese  e  avvicinossi  al  vero 
quando  assomigliò  la  Sicilia  a  triangolo  isoscele  con 
la  punta  rivolta  a  ponente,  '  la  base  di  quattro  gior- 
nate, e  ciascun  lato  di  sette.'Bekri  ne  fé' triangolo 
scaleno,  troppo  largo  alla  base,  di  cencinquantasette 
miglia ,  con  censettantasette  di  lato  maggiore  e  cin- 
quecento di  perimetro.  ^  Altri  die  il  giro  di  quindici 
giornate.  *  Infine  una  misura  che  sembra  oficiale  e 
deirundeciroo  secolo,  portava  undici  merhele  o 
diremmo  stazioni  di  posta,  da  Trapani  a  Messina, 
e   tre  giornate   di  larghezza  ;  *  onde  s' argomenta 


'  Op.  cit.)  p.  iU. 

*  IbD-HaukaU  op.  cU.,  p.  110,  il  qnal  passo  si  trova  soltanto  nel 
Mo'gem.  Ibn-Haukal  non  conoscea  forse  le  carte  greche  rifatte  dagli  Àrabi 
dopo  Hamùo,  poiché  T  opera  geografica  eh'  egli  amento  e  corrèsse  eoo  le 
proprie  osse'ryazìoni  era  quella  dMstakhrì;  della  quale  abbiamo  il  MS.  pub- 
blicato In  fae-Hmile  dal  Dottor  Hoéller  col  titolo  di  àiber  Climàtum, 
Golhae»  1839,  in  4».  Quivi ,  a  p.  59,  si  trova  il  disegno  pia  primiliTO  che  si 
possa  immaginare  del  Mediterraneo  :  lo  spaccato  di  un  orciolo,  nel  quale 
li  collo  aiBgura  lo  stretto  di  Gibilterra  e  la  pancia  è  piena  di  tre  palle  che 
rappresentane  la  Sicilia,  Creta  e  Cipro,  fi  circolo  della  SicAia  s' avriciiia 
alla  curva  che  sIgniQca  la  costiera  d'Affrica,  ad  un  punto  ove  è  scritto 
'Tabacca. "Questa  figura  ridotta  alia  metà, si  ritrova  anche  neU' Atlante 
della  Géograpkie  au  moyen-àgt,  del  dotto  Lelewel,  tavola  terza.  Un'altra 
figura  vieppiù  strana,  a  p.  25  dell' ediaione  di  Gotha,  spinge  la  Sicilia  a 
levante  verso  Tripoli.' 

.  ^Journal  Àti^ttque,  IV«série,  tomo  V  (1645)»  p.  9l>  e  Arehivio 
Siorieo  Italiano,  App.  XYI ,  p,  31. 

^  Squarcio  riferito  dà  Ibfr-ScebbAt,  il  cui  testò  si  vegga  oella^iMio- 
teca  Àrabo^Sieula,  p.  210. 

s  Mo'gem,  op.  cit.,  p.  lU. 

*  Op.  cit.,  p.  lisi.  La  merhela,  "cavalcata*  ossia  quel  tratto  di  strada 
che  si  percorre  d' un  flato,  è  misura  itineraria  degli  Arabi,  un  po^aga,  e 
diversa  secondo  i  luoghi.  Edrisi  nella  descrizione  dell' isola,  Bibliotèca 
Àrabo-Sicula ,  p.  48  del  testo,  ragiona  la  merhela  leggiera  a  diciotto 
miglia  in  circa.  Così  gli  il  rilievi  da  Messina  a  Trapani  secondo  il  miglio 
di  Sicilia  del  tempo  di  Edrisi  che  risponde  al  miglio  romano  e  all'attuale 


—  467   —  (Sec.  X,  IX. 1 

che  manrassero  i  rilievi  di  poeta  nella  riviera  orien- 
tale, e  le  distanze  perciò  sì  ritraessero  il  manco 
made  che  si  potea  dai  viandanti.  La  somma  è  che  i 
dotti  siciliani  stadmronfo  piuttosto  la  geografia  de- 
scrittiva dhe  la  geografia  matematica  del  sùcflo 
ov' erano*  nati. 

Lo  S(feikh  Aba-Saìd-ibn-Ibraliim ,  detto  il  Ma- 
ghrebino  e  il  Siciliano,  compilò  un  libro  di  terapeu- 
tica ,  del  qaaie  v'  hatmo  due  codici ,  ad  Oscford  e  Pa- 
rigi. S'intitola  il.  primo  Ausiliare  alla  guarigione 
d*  ogni  sorta  di  morbi  ed  acciaochi;  *  e  il  secondo  Tac- 
cuino* dei  medicamenti  semplìùi:  nmc^  opera,  della 

■ 

di  Sicilia,  tornerebbero  a  498  miglia.  Ma  ragionando  la  merhela  a  Tenti  mi- 
glia, qaella  misura  sarebbe  quasi  esatta,  poiché  gli  itinerarfi  della  posta  di 
Sleiìia  del  f83d»  portavano  172  mlgUa  a  oa\«!k>  da  Messtaa  a^PalOrmo  per  le 
Marine,  e  68  da  Palermo  a  Trapani  per  via  rotabile,  -eh*  è  necessariamente 
più  lunga.  Secondo  lo  stesso  Èdrisi,  la  giornata  di  cammino,  diversa  dalfa  ' 
merMa,era  da  24  a  56  miglia ,  e  io  media  SQ.  11  mìglio  attuale  di  Sicilia 
risponde  a  1487  metri;  il  romano  si  ragiona  1481  o  1475. 

'*  Catalogo  della  Bodlejana,  no  DLXIV  (Maish.  175],  MS.  del  1654 
deir  egira  (1624«-5).  La  voce  che  ttaduco.' Ausiliare'*  sanifica  prqpDia- 
mente  "Colui  che  rende  prospero  un  successo.*  La  voce  " acciacchi "  è 
tt*asi:tittfi,  non  che 'tradotta.  Il  teato  ha  il  plorale  ^i  Setaftma,  con  1*  arti- 
colo at'Seiakwa ,  donde  parmi  derivato  acciacco, 

*  Trascrivo  anche  questa  vóce.  Takwim,  in  arabo  vuol  dire  designa- 
zione dì  prezzo,  annotazione  precisa  e  indi  libretto  di  appunti.  Questo  MS. 
anéhe  moderno ,  ma  senza  data,  è  segnato  nella  biblioteca  Parigina,  Ancien 
Fonda,  lOSfT.  DI  certo  s'è  perduto  nella  nuova  legatura,  una  trentina  d*anni 
fo,  il  titolo  che  si  legge  nei  catalogo  stampato  e  in  un  fpglio  di  mano  del 
maronita  Ascari:  "  Takwim  al  Àd&uiat  alMofreéat,^  Il  nome  dell'  autore  è 
scritta  diverso  da  quello  diOxford:  76ra^ii»i^efiHi&^-5is<d^l^]fo^fr»-0l- 
Olofj;  ma  forse  portava  Ibn^lbrabim  e  Stkilll  In  vece  di  Olaij ,  come  lesse 
Ascari. 

nel  rlAianente  non  solo  i  due  MSS.  sono  identici  al  modo  di  prima -e 
seconda  ediziontt  colrretta,  ma  la  seconda  ediistone  eor^e  anche  sotto  il 
titolo  di  "Ausiliare  pei  Medicamenti  semplici, *' poiché  Hagi-Khalfa,  édi- 
aìotté  FlfiegeH,  tomo IV,  p.  183,  n»  I1S,I45,  dà  appunto  questo  ad  un'opera 
di  etti  Ignorava  1*  autore,  la  quale  comincra  con  le  stesse  parole  del  MS.  di 
Pflri«t.  HprlneSpio  dell'  introduzione  con  le  varianti  dèi  due  HSS.  si  legge 
nella  Biblioteca  Arabo-Sicula ,  p.  <094,  seg. ,  del  testo. 


iSec.X.XIl  —  468  — 

quale  il  manoscritto  bodleiano  parmi  il  primo  detta- 
to, e  il  parigino  la  seconda  edizione,  corretta  e  sem- 
plificata. Considerato,  che  vogliansi  adattare  i  medi- 
camenti alle  particolarità  degli  individui  e  dei  mali; 
e  che  fin  qui  le  opere  di  materja  medica  siano  state 
compilate  secondo  ì  nomi  dei  semplici  o  delle  malat- 
tie ,  r  autore  si  propone  di  presentar  V  uno  e  Y  altro 
ordine  uniti  insieme  a  colpo  d' occhio  per  sussidio  di 
memoria  al  medico.  Fa  dunque  un  volume  di  tavole 
sinottiche ,  notando  nelle  linee  orizzontali  '  ciascun 
semplice  con  sue  qualità  ed  usi,  secondo  le  divisioni 
che  fanno  le  linee  verticali  o  vogliam  dire  colonne. 
Pon  quattro  classi  di  malattie;  del  capo,  degli  organi 
respiratorii ,  degli  organi  digestivi  e  del  corpo  tutto; 
e  poi  nota  nella  linea  orizzontale  là  denominazione 
tecnica  della  infermità.  Tratta  soltanto  dei  medica- 
menti semplici  i  quali  son  messi  neir  ordine  dell' an- 
tico alfabeto  detto  Abuged,^  seguito  sempre  dai  medici 
e  matematici  arabi.  Nella  introduzione  si  discorrono 
con  dotta  brevità  i  principii  generali  della  materia 
medica.  ' 


'  Abbicci  0  meglio  il  greco  a,  6,  7,  (^,  che  era  r ordine  antico  degli 
Arabi ,  «  in  faui  presero  da  quello  le  notazioni  oomerali  In  lettere. 

'  Ecco  le  robricbe  delle  colonne  vertlcaU  nel  MS.  di  Parigi.  —  1 .  Nome 
dei  medicamento.  —  2,  Qualità  (se  vegeubileec.).  —  3.  Specie  diverse.  — 
;  4.  Quale  specie  sia  da  scegliere.  —5.  Natura  (se. caldo,  freddo,  secco  ec.).  ^ 
■  6.  Fona.  —  7.  Indicazione  nelle  malattie  del  capo.  ^a.  ìd.  degli  organi 
respiratorii.  —  9.  Id.  defili  organi  digestivi.  — 10.  Id.  generali  del  corpo.  — 
it.  Modo  di  adoperare  il  medicamento.  — 12.  Dosi.  — 13.  Effetti  nocivi.  — 
14.  Come  ripararvi.  — 15.  Surrog^ati.  — 16.,  Numera  progressivo.  —  Le  co- 
lonne 7,  8,  9»  10,  sono  molto  più  largbe  che  le  altro.  Nel  MS.  di  Parigi 
le  sedici  colonne  prendono  ambe  le  facciate  delllbro  aperto  e  v'ba  cinque 
senH[>liciy  ossia  cinque  divisioni  orizzontali,  in  ciascuna.  Il  MS.,  cbe  finisce 
al fog.  122  redo,  ba  l'ultima  pagina  in  bianco,  s\  cbe  vi  mancala  con- 
cbiusione  e  forse  alcuno  degli  ultimi  ariicoli. 


—  469  —  [Sec.  X.XI.I 

Spedito  ed  utile  masuale,  il  cui  linguaggio  tec- 
nico, le  divisioni,  le  teorie  e  qualche  tradizione 
greca  che  s' accenna  nella  introduzione,  rispondono 
al  corpo  di  dottriue  mediche  che  possedeano  gli 
Àrabi  neirundecimo  secolo,  qual  si  vede  nella  famosa 
compilazione  d' Avicenna.  Il  riscontro  col  Canone  ci 
conduce  inoltre  a  supporre  contemporaneo  o  anteriore 
ad  Avicenna  (980-1037)  il  Siciliano  Abu^-Saìd,  il  quale 
afiTerma  ninno  avere  steso  prima  di  lui  tavole  com- 
parate di  rimedii  e  malattie;  e  noi  le  troviamo  appunto 
nel  secondo  libro  del  Canone.  ^  D' Abu-Sa'id  non 
avanza  alcun  cenno  biografico.''  Tuttavia  né  menzo- 
gna né  plagio  non  son  da  sospettare,  quand'ei  fa  ca- 
tegorie patologiche  diverse  da  quelle  d' Avicenna  ;  e 
dà  un  catalogò  di  semplici  molto  minore ,  dove  pur 
se  ne  trova  di  tali  che  mancano  nel  Canone,  ed  è  di- 
versa la  disposizione  dei  nomi  identici.  Se  imitazione 
v'  ebbe,  par  dunque  T  abbia  fatta  Avicenna  da  Abu- 
Saìd,  o  ch'entrambi  abbiano  attinto  alle  medesime 
sorgenti,  e  recato  nelle  esposizione  della  materia  me- 
dica quel  genio  simmetrico  degli  Arabi,  senza  coiio- 
scere  i  lavori  V  uno  dell'  altro  in  regioni  si  lontane. 
Se  non  che  il  manuale  apposito  del  Siciliano  fu  ec- 
clissato  dal  trattato  generale  del  Persiano,  al  quale 
poi  si  è  attribuito,  come  a  Tolomeo,  Averroés  ed 


*  Si  vegga  la  bellissima  edizione  d' AviceoDa  fotta  a  Roma  il  1593 , 
coi  caratteri  Medicei,  p.  134,  segg.  Avicenna  dà  800  semplici,  Abu-' 
Sa*td  S45.  Entrambi  li  pongono  nell*  ordine  alfabetico  dell*  Abuged  ;  mii 
1*  ordine  secondario  in  ciascuna  lettera  iniziale  è  diverso.  Del  resto  Avh 
cenna  compose  qaèslo  capitolo  in  tavole,  come  Abu-Sald ,  ancorché  nella 
edi^one  romana,  per  guadagnare  spazio,  i  cenni  ch'erano  in  colonne  sian 
messi  in  continuazione. 


lSee.X.  Xl.J  —  470  — 

altri  compilatori  aolìchi  e  qkkI^oì,  tutto  T  onor  delle 
dottrme.eh* egli  coordinò  ed  espose* 

Più  che  Abu-SaYd  meritò  d^Ua  scieD^a  il  SiciUaDo 
Ahmedribn-Àbd-es-^Selàm ,  sceriffi),  eh' è  a  dir  delist 
stirpe  d'Ali,  autore  d'un  trattato  di  mediciua  cb^:  ser- 
basi a  Leyde  ed  era  intitolato:  U  libro,  dei  fmdiei 
m  tutte  le  malattie  dai  capo  alle  piante.*^  Lìmitaur- 
dosi  ai  medicaidenti  semplici,  che  i  comf^^tì^dice 
egli,  difficilmente  riescono  né  mai  né' certo  lo  speri- 
mento, Ahm^^d  breve  accenna  i  rimi^dii  indicati  se- 
condo le  diagnosi;  non  tacendO'  le  cred^ze  volgari 
e  contrapponendovi  i  dettami  dei  maestri  greci  ed 
arabi  e  sovente  la  propria  esperienza.  Divide  I-opera 
in  venti  capitoli  ;  da  alcuno  dei  quali  che  ho  percor^ 
so,  specialmente  il  paragrafo  su  T  idrofobia,  U  Libro 
dei  medici  mi  sembra  ricco  di  osservaióoni,  dettato 
con;  quella  savieizza  sperimentale  che  si  fa  scorta 
deUe  teorie  e  eh'  é  sola  viia  dritta  in  quest'  arte.  Ma 
pi^no  giudizio  non  ^e  ne  potrà  dare,  se  la  storia 
deUa  medìòifia  appo  gli'  Arabi  non  ^ia  meglio  studiata 
che  al  presente^  e  se  eruditi  medici  noa  approfondi- 

*  MS.  della  Biblioteca  pubblica  di  Leyde,  deiraoDO  899  dell*  egira, 
(1493),  no  41 ,  segnato  nel  Catalogo  del  1716,  no  727,  p.  440.  Il  titolo  hi 
arabico  che  leggiamo  nel  catalogo  non  si  trova  più  nel  MS.  lo  T  ho  pubbli^ 
calo  con  la  introduzione  e  la  tavola  dei  capitoli  nella  Biblioteca  Arabo- 
Siculo,  p.  697  del  testo. 

Ecco,  la  tavola  dei  capitoli:  ì.  Medicamenti  semplici  giovevoli  contro 
la  cefalgià  ;  2....  contro  le  malattie  degli  occhi;  3....  degli  orecchi;  4....  del 
naao;  5,...  della  bocca;  6^.,.  della  gola  e  del  collo;  7-..  del  fegati  e  ideilo 
stomaco;  8.,..  degli  intestini  e  purgativi^  9....  del- sedere  e  tumori  che  vi 
nascono;  10*.. .  delle  reni;  U...^  della  vescica;  13»...  desfi  oi^gani  oiaAchtH; 
13.... 4ella  matrice;  14»...  delle  articolazioni;  15<....  ferite;  16«...  tumóri 
è  pustole  (&tt/Aur,  donde  i  butteri  del  vaiolo),;  17.>..  malattie  polmonari; 
18.*..  Febbri  e  mar  aria  ;  19....  Veleni  e  morsioatiire.  di  animali  ;'^m.»  So- 
stanze  proficue  alla  sanità  generale  della  persona. 


—  471  —  [Scc.x.  xi.| 

scano  quesV  opera,  la  quale  a  prima  vista. sembra  di 
gran  momento.  Àhmed  ne  compose  un  altra,  forse 
tf  igiene,  intitolata:  Conservazione  della  sq^lute ; àiwìsdi 
in  ottanta  capitoli  e  dedicata  ad  un  Àbu-Fàres-^Àbd- 
el-Àziz-ibn-Ahmed  ;  della  quale  tanto  sol  sappiamo 
da  Hagi-Khalfa,  e  che  T  autore  si  appellava  Siciliano 
e  TunisÌBO.  ^  Di  lui  non  troviamo  cenno  nelle  biografie 
dei  medici  arabi;  talché  dobbiam  lasciarlo  tra  quei 
d'età  incerta,  non  potendo  affidarci  ad  an  barlume 
cbe  ci  condurrebbe  air  ultima  emigrazione  dei  Musul- 
mani di  Sicilia,  sotto  Federigo  secondo  imperatore.  ' 
Visse  di  certo  nella  dominazione  musulmana  Àbu- 
Abd-Allah-Mobammed-ibn-Hasan-ibn-Tazi ,  poeta  e 
letterato  di  gran  fama  in  Sicilia ,  al  quale  Ibn-Kattà' 
dà  appellazione  di  medico,  senza  dirne  altro;'  e  noi 
ne  riparleremo  tra  1  poeti  con  V  onore  e  il  biasimo 
ch'ei  meritò.  Del  rimanente  questo  picciol  numero 
di  medici,  le  cui  notizie  ci  pervengono  come  per 
caso,  non  prova  che  la  scienza  fosse  trascurata  in 
Sicilia. 

'  Scarsi  al  paro  i  ricordi  di  cui  segui  la  filoso- 
fìa antica,  che  gli  Arabi  chiamarono  col  proprio 
pome  greco:  e  diceano  Kelàm  ossia  "" ragionamento," 
là  metafìsica  e  logica  religiosa  acconciate  a  lor  modo. 

<  Hasi-Kbftira,  JHùonurio  Bibliografieo,  edizione  di  Flaegel,  tomo  V, 
p.  75,  no  10,057. 

*  Il  mecenate  ricordato  da  Hagi-Kbalfa  non  al  trova  tra  i  principi 
d'. Africa  né  di  Spagna;  ma  quel  soprannome  e  quel  nome  proprio ,  spes- 
seggiavano nella  dinastia  hafsita  di  Tunis  che  surse  in  principio  del  Xlli  se- 
colo. Si  potrebbe  dunque  supporre  uom  di  quella  fòmiglia  che  non  avesse 
regnato  né  lasciato  memoria  di  sé  negli  annali  politici. 

B  !màd^ed'dlD«  Kharida,  nella  Biblioteca  Àrabo-Siculat  p.  589,  dei 
testo.  Questa  notizia  trovandosi  neil*  Antologia  d'Ibn-Kattd',  il  poeta  fu 
anteriore  al  principio  del  XH  secolo. 


ISec.  X.  XI.|  —  472  — 

I  filosofi ,  spesso  perseguitati  in  vita  e  dimenticati 
dopo  morte,  non  toman  a  galla  nella  storia  lettera- 
ria degli  Àrabi,  se  non  li  spinge  su  qualche  vesti-- 
mento  più  leggiero:  poesia  o  filologia.  Cosi  ci  vien 
trovato  nelle  biografie  dei  linguisti  di  Soluti ,  un: 
Sa'td-ibn-Fethùn-ibn-Mokram  da  Cordova,  della  il- 
lustre gente  dei  Togibiti,  grammatico,  filologo  e 
scrittor  di  due  trattati  di  versificazione;  dato  anche, 
dice  Soiuti,  alla  filosofia.  Fu  costui  contemporanea 
del  terribil  ministro  Ibn-Abi-'Àmir,  detto  Àlmanzor, 
protettore  delle  lettere,  persecutore  delle  scienze 
antiche  ;  quel  che  bruciò  i  libri  di  filosofia  ed  astro- 
nomia della  biblioteca  di  Cordova.  Saìd,  accusato  non 
sappiamo  se  di  scetticismo  ò  ribellione,  forse  sen- 
z'  altra  colpa  che  il  nascer  di  scliiatta  possente  e 
temuta,  fu  chiamato  da  Àlmanzor,  interrogato  seve- 
ramente e  messo  in  prigione.  Poi  lasciaronlo  andare 
in  esilio;  ed  elesse  la  Sicilia,  dove  passò  il  resto 
.de'  suoi  giorni ,  alla  fine  del  decimò  o  principio  del* 
r  undecime  secolo.  * 

Primaria  scienza  sacra  appo  loro  la  lettura  del 
Corano,  la  quale  portando  seco  interpretazione, 
riesce  a  gravi  conseguenze  legali,  dommatichè  e 
morali.  Fu  dettato  il  Corano  quando  tra  gli  Àrabi 
contavasi  a  dito  chi  sapesse  scrivere;  né  a  gram- 
matica si  pensava  pur  anco  né  ad  ortografia.  Poscia 
Othmdn  neir  edizione  canonica  eliminò  i  luoghi  apo- 
crifi, le  frasi  estranee  al  dialetto  coreiscita,  ma  non 


<  Soiuli,  Tabakdt-el'Loghewin,  nella  Biblioteca  Arabo-Sieula ,  testo, 
p.  674.  Almaozor  tenne  V  oficio  di  primo  ministro  o  piuttosto  lo  scettro 
della  Spagna  dai  976  al  1001. 


—  473   —  [Sec.X.  Xl.J 

potè  mettere  in  carta  la  sacra  parola  con  segni  più 
perfetti  che  gli  Arabi  non  ne  possedessero.  Cioè  che 
notavano  precise  tanto  o  quanto  le  consonanti/  e 
delle  vocali  sol  quelle  rinforzate  da  accento,  e  non 
pur  tutte:  donde  T ambiguità  di  tanti  vocaboli  che 
non  sono  distìnti  se  non  dalle  vocali,  di  tanti  periodi 
varii  di  significato  secondo  i  modi  grammaticali  che  si 
accennassero  leggendo.*  Il  testo  dunque  sendo  scritto, 
come  oggi  diremmo,  in  cifera  di  stenografia,  né  ba- 
stando averlo  sotto  gli  occhi  per  saperne  appunto  il 
tenore,  era  forza  supplirvi  con  la  tradizione  orale  e  con 
le  regole  della  grammatica.  Indi  i  Lettori,  i  maestri  di 
Lettura )i  trattati  e  anche  poemi  didascalici,  le  sette 
scuole  principali  di  lettura  e  non  so  quante  seconda- 
rie, gli  arabici  assottigliamenti  in  cotestà  novella 
scienza  ;  e  s'  arrivò  a  notare  il  Corano  con  segni  più 
presto  musicali  che  ortografici -.lettere,  punti,  lineette, 
sigle  che  si  dipingeano  a  varii  colori  intorno  gli 
arcaici  caratteri  negri  del  testo  d'Othmàn,  e  prescri- 
vean  le  pause,  le  modulazioni  e  oficio  dell' a,  le  arti- 
colazioni da  elidere  o  permutare  e  simili. 


<  OgnuD  sa  che  molte  consonanti  non  si  distinguono  altrimenti  che 
pei  punti  messivi  sopra  o  sotto;  e  che  la  scrittura  monumentale  chiamata 
Cufica  non  ha  punti ,  il  che  la  rendè  spesso  sì  incerta.  Ma  il  carattere 
neskhi  punteggiato  si  usò  fin  dal  primo  secolo  dell'  egira ,  com'  or  lo  pro- 
vano varii  monumenti;  né  par  che  negli  esemplari  del  Corano  sia  caduto 
mai  equivoco  su  le  consonanti. 

,  *  Questi  si  accennavo  con  vocali  e  anche  consonanti.  Ma  ipolte  conso- 
nanti prescritte  dalle  forme  grammaticali  non  si  notavano  allora,  come  il 
provano  gli  antichi  esemplari  del  Corano.  Si  veggano  i  lavori  di  M.  De  Sacy, 
Notices  et  Extrqits  des  MSS.,  tomo  VII! ,  p.  290  segg.,  355  seg.,  e  tomo  IX, 
p.  76,  seg.  La  lista  delle  lezioni  arcaiche  o  erronee  che  voglian  dirsi,  delle 
copie  primitive  dèi  Corano ,  è  molto  più  lunga,  come  si  vede  nei  frammenti 
su  Pergamena  che  possiede  la  Biblioteca  di  Parigi,  Suppl.  Àrabe. 


ISee.  X.  XI-l  —  474  — 

Fa  dei  più  rinomati  Lettori  d^l  Corano  al  suo 
tempo  AM-er-Rahmàn-  ibn-Abi-Bekr-ibn-'Atlk-ibn- 
Kbelef  da  Siracusa,  detto  IbnT-Febbàim  (U  figlio  del 
Carbonaro),  nato  il  quattrocencinquantaqualtro  (1 062), 
uscito,  eòm'  è  probabile,  alla  presa  di  Siracusa,  T ot- 
tantotto (i  095),  e  morto  il  cinquecento  sedici (1 1 22-3). 
Andò  cercando  in  Oriente  i  dottori  principi  della  Let- 
tura; praticò  con  parecchi  d' Egitto;  e  soggiornò,  forse 
die  studio,  in  Alessandria,  essendo  stato  chiamato  lo 
Sceikh  Alessandrino.  Compose  il  Soddisfacimento  a 
chi  btami  saper  bene  le  Sette  Lezioni,  e  La  Gemma 
Solitarie^  d' Ibn-Fehhàm  su  la  Lettura:  com'  è  vezzo 
degli  scrittori  arabi  di  porre  titoli  millantatori  e 
avviluppati,  purché  sembrino  bizzarri.  Si  ricorda  inol- 
tre un  suo  Commentario  su  i  Prolegomeni  Gramma- 
ticali d' Ibn-Babe^cidds  :  che  grammatico  ei  fu  anco 
e  giurista,  e  poeta.  Abbiamo,  solo  avanzo  de' suoi 
scritti,  qualche  verso,  elegante  di  lingua  e  stile,  stu- 
diato di  immagini,  se  il  raccoglitore  non  trascelse 
appunto  gli  squarci  ampollosi  per  dare  un  bel  sag- 
gio.' Nella  poesia  erotica  d' Ibn-Fehhàm  è  tenerezza 


<  Si  riscontrino  :  Iqo&d-^d-dtn,  iu^arlcfa,  squarcio  tolto  da  Ibn-Kattà*, 
nella  Biblioìeca  Àrab(h-Sicula,  testo»  p.  598;  D^eliebi,  Anbd-en-Nohàr , 
op.  cit.,  p.  645,  ed  tlagi-Kbalfa ,  edizione  di  Fluegel,  tomo  II,  p,  209, 
no  2472,  tomo  VI,  p.  S6,  no  12,632,  e  p.  70,  no  i 2,752.  H  nome  è  dato 
diversamente,  ma  si  vede  T identità  della  persona. 

Nella  Kharida  troviamo  dodici  versi  di  questo  autore.  I  primi  quattro 
son  cavati  da  una  elegia  d*  ignoto  argomento;  se  non  che  vi  leggiamo  : 

*Ed  entra  (il nemico  o  l'esercito  ec.)  in  un  deserto  che  ba  abitatori: 
entra  come  il  mare;  se  non  cbe  gli  manpaTonda  amara. 

"  Vedresti  lor  lettighe  da  camelo  piene  di  nemici  che  portan  via  la 
preda,  navigar  quasi  galèe  su  le  teste  degli  abitatori.*  MS.  di  Parigi} 
Ancien  Fpnds,  1375»  fog^  49»  v.  7,  e  del  British  Huseum,  fog.  57, 
v.  7. 


—  475  —  ISec.X.Xl.l 

e  delicatezza  d'affatto  non  comuike/  H  disiógaono 
d'  uom  battuto  dall^  fortuna  gli  dettò  un  epigramma, 
contro  il  suo  secolo,  ma  la  saetta  arriva  fin  qui.* 

Segnalossi  nella  medesiipa  scienza  Abii~Tà- 
her-Ismail-ibo-Eelef-ibn-Saìd-ibn- Amràn ,  autore 
d' un  trattato  in  nove  volumi  su  le  forme  gramma- 
ticali '  del  Corapp,  e  d' un  soouBario  intitolato  Cenno 
JM  la  Lettura:  dov'  ei  messe  a  riscontro  te  Sette 
Lezioni f  con  dettato  conciso  da  potersi  tenere  a 
mente,  'facile  agli  scolari,  bastante  anco  ai  dotti. 
Libro  rinomato  ai  tempi  d  Ibn-^Kallikàn,  comentato 
poscia  da  molti  e  rimase  in  onore  fino  al  decimoset- 
timo secolo,  quando  ne  fé  lode  Hagi-Khalfa.  Com- 
pendiò inoltre  questo  Ismail  un'  opera ,  credo  teolo- 
gica, intitolata  L' Argomento,  di  Paresi.  Fu  nove- 
rato tra  i  pritni  letterati  dell'  età  sua.  Ibn-^Khallikàn, 
su  k  fede  dello  spagnuola  Ibn-Baskowàl,  gli  dà  per 
patria  Saragozza;  Soiuti  lo  ricorda  coi  due  nomi  di 
Siciliano  e  Spegnuolo;  ed  Hagi-Kbalfa  alternst  l' uno 
e  F  altro.  Secondo  tutti,  fa  Ansdriy  cioè  oriundo  di 
Medina,  e  mori  il  quattrocentocinquantacinqae  (4063), 

*  *Le  glUo  uno  figaardo  furUvo,  Umendo  per  lei  gli  appantatorl  e  le 
spie. 

*£  vorrei  iamentarmi  seco  di  questo  immeoso  affeUo,  ma  non  oso; 
Unto  è  il  mio  pudore  I 

'Quàntanqoo  ella  sembri  avara  dell'  amor  suo ,  tutto  io  le  (lono  il  mìo 
e  la  candida  amisiti. 

*  E  nasconderoile»  quand^anco  ne  dovessi  morire  >  Tincendlo  di  dolore 
che  m' ba  messo  {in  seno)  *  MSS.  cit. 

'  "Non  domandar  agli  uomini  del  secolo  cba  operino  secondo  giusti- 
zia :  da  ciò  li  scusano  i  costumi  del  secolo  e  degli  uomini. 

*  £  se  vuoi  cbe  duri  1* amisià  col  tuo  compagno,  studiati  a  chiudere 
gli  occbi  su  quel  eh*  ei  fa.  '  MSS.  ciU 

s 'Iràb,  è  la  dottrina  delle  mutazioni  grammaticali  dei  vocaboli, 
asirazion  fatta  della  sintassi  cbe  si  chiama  tfohw.  ' 


[Secolo  xi.|  —  476  — 

in  Spagna,  credo  io,  dov'eglì  si  fosse  rifuggito, 
lasciando  la  Sicilia  quando  caddero  i  Kelbiti,  o  in 
quel  torno/ 

Visse  tiella  generazione  seguente,  e  forse  uscì 
di  Sicilia  al  conquisto,  Abu-Amr-Othmàn-ibn-Ali- 
ibn-Omar  da  Siracusa,  discepolo  d'Ibn-Fehhàm  ia 
lettura  e  d'altri  rinomati  professori  ih  tradizione, 
uomo  di  molta  dottrina  a  giudizio  del  dotto  Siléfi 
che  usò  con  lui;  autor  di  varie  opere  di  lettura, 
grammatica  e  versificazione,  linguista  inoltre  e  poe- 
ta,  il  quale  tenea  scuola  di  lettura  del  Corano  nella 
moschea  d' Amru  '  al  Cairo  vecchio,  verso  la  metà 
del  duodecimo  secolo.'  L'  età  non  sappiamo  di  Abu— 
Abd-AUah-Mohammed-ibn-Haiun,  siciliano,  che 
scrisse  al  dir  di  Casiri  un'appendice  alla  Parafrasi 
poetica  del  Corano ,  di  cui  v'  ha  un  codice  alF  Escu- 
riale.* Vengon  poscia  i  Lettori  che  non  lasciaron  opere, 


■*  Si  confrontino:  Soiuti,  Tabakdi^l^Loghewin  nella  Biblioteca  Arabo-^ 
Sicula,  testo,  p.  675,  674;  Hagi-Khalfa>  edizione  Fiuegel,  tomo  I, 
pi  356,  no 926,  e  IV,  p.  284,  n»  8398;  e  Ibn-Khallikào ,  edizione  del  WUs- 
tenfeld.  Avvertasi  che  Ibn-Besckow&l ,  secondo  H  MS,  della  Sociélé  AHor 
tique  di  Parigi,  il  solo  che  io  abbia  potuto  consaltare,  noi  ilice  di  Sara- 
gozza, ma  soltanto  spagnaolo;  né  fa  menzione  dell*  origine  di  Medina. 
Potrebbero  esser  dunque  due  Ismail-ibn-Khelef,  V  uno  spagnuolo  e  l'altro 
siciliano. 

^  Così  lachiamano  gli  Europei.  Si  pronunzierebbe  più  correttamente 
Àmr. 

'  Si  confrontino:  Dsehebi,  Ànbà-^n^Nokà  nella  Biblioteca  Arabo^Si- 
mia,  testo,  p.  647,  e  Soiuti,  Tabakàt^l-Loghewin ,  op.  cit.,  p.  676.  Hp 
corretto  secondo  Soiuti  il  nome  che  in  Dsehebi  si  legge  Omar-ibn-Ali  ec. 
Argomento  l' età  da  quella  del  suo  maestro  Ibh-Fehbàm,  lodato  di  sopra,  e 
del  celebre  tradiziònista  Silefi,  morto  il  1180,  il  quale  al  dir  di  Dsehebi 
conobbe  Omar^ibn-Ali  al  Cairo  Vecchio. 

*  Casiri,  Biblioiheea  Arabico-Hispanaf  tomo  I,  p.  501,  trascritto  dal 
Di  Gregorio,  Rerum  Arabicarum,  p.  237.  Ma  Casiri  non  dà  in  arabico  né 
il  nome  dell'autore,  né  il  titolo  del  libro.  Dice  il  primo  oriundo  siciliano 
e  nato  a  Geuta,  avendo  letto  al  certo  Sikilli  e  Siiti;  che  potrebbe  signi- 


—  477  —  (s«c.  X.  xi.| 

tra  i  quali  si  ricorda  Kholùf-ibD-Abd-Allah  da  Barca, 
dimorante  in  Sicilia  alla,  metà  del  quinto  secolo  del- 
l'egira,  dotto  nelle  due  parti  della  grammatica  cioè 
forma  e  sintassi ,  non  digiuno  delle  scienze  filosofi- 
che e  morali,  e  buon  poeta  al  dir  di  Dsehebi.'  Lettore 
e  tnoralidta  Abu-1-Kàsim-Abd-^r-Rahman-ibn-Abdr 
el-Ghani;  lettori  anco  Abu^Bekr-'Atlk-ibn-Abd- 
AUah-ibn-Rahmùn  della  tribù  di  Khaulàn,  passata  in 
Siria  e  Spagna  nei  primi  conquisti  degli  Arabi,  ed 
Abu-Hasan-Ali-ibn-Abd-el-Gebbàr-ibn-Waddàni,  il 
qual  nome  lo  mostra  oriundo  d' Affrica.  Tutti  e  tre 
poeti  e  vissuti  nel  decimo  o  undecime  secolo;  ì  pochi 
versi  dei  quali,  che  trascrive  Imàd-ed-dfn,  mi  sem- 
bran  di  pulite  forme ,  e  battono  su  la  instabilità  d^Ue 
.cose  umane  e  consolazione 'delle  sventure,  tema 
grato  ai  Musulmani.*  Nella  prima  metà  delF  undecime 
secolo,  levò  grido  il  Lettore  siciliano  Abu-Bekr-ibn- 
Nebt-«1- Orùk ,  si  che  un  valente  giovane  spagnuolo, 
che  poi  meritò  importanti  ofici  in  patria,  tornando 
dalla  Mecca  e  dall'Egitto  dove  avea  compiuto  gli 
studi! ,  fermossi  in  Sicilia  a  ripigliare  quei  di  lettura 

.ficare  *  Siciliano  stanziato  a  Geota"  o  al  rovescio.  Duolmi  che  le  difiScoIià 
deli'  Escariale  e  le  mie»  mi  abbiam  tolto  di  andare  a  studiar  qoesto  Mano- 
scritto ,  come  ho  fatto  di  tutte  le  altre  opere  d' Arabi  siciliani. 

*  Op.  cit. ,  p.  644. 

'  Im&d-ed-dln,  Kharida»  estratti  dalla  Dorrà  d*  Ibn-Katt&',  nella  Bi- 
'  blioleea  Arabo-Sicula ,  p.  597 ,  597  e  592.  Del  primo  abbiam  due  versi 
tolti  da  un'elegia  ed  un  epigramma  in  altri  due  versi;  del  secondo  due 
soli  versi;  ed  altrettanti  del  terzo. 

Ecco  Tepigramma  di  'Atìk,  nella  Kharida,  MS.  di  Parigi,  fog.  46  verso , 
e  del  Brilisb  Museum,  f.  55  verso. 

'Non  temer  {il  soggiorno)  di  un  poderetto  presso  picciol  paese;  cbè 
li  dove  si  respira ,  sì  mangerà. 

''Iddio  scompartisce  il  nutrimento  a  tutte  le  creature,  e  il  tribolarsene 
è  da  stolto.  " 


[Sec.  X.  Xl.|  —  478  — 

coranica  con  questo  Àbu-^kr,  e  del  dritto  oob  Abd— 
el-Hakk-ìbii-Harùii.'  Si  ricorda  infine  tra  i  Lettori  il 
grammatico,  linguista  e  poeta  Àbtt-6ékr-M<Aattimed— 
ibn-Àbd-AUah  che  volentieri  direi  venitlo  d'  Affrica 
in  Sicilia,*  finito  pazzo,  se  ben  m* appongo  a  quel 
che  ci  narran  di  lai.  In  sna  vita  d'  austera  morale 
e  uggiosa  pietà,  gli  veline  visto  un  giovanetto  figlio 
d'alcun  capitano  o  regolo  dell'isola;  e  non  osando 
svelare  il  bratto  pensiero  che  gli  nacque,  trafitto  di 
dolore,  si  fece  pelle  ed  ossa;  il  sangue,  dirómpendo 
dal  fegato,  che  gli  Arabi  tengon  sede  delle  passioni, 
gli  offese  il  petto,  lo  portò  via,  scrìve  Dsehebi,  dia 
questo  alV  altro  mondo,  innanzi  tempo.  Con  altro 
giudizio  che  quel  degli  Arabi ,  si  direbbe  che  la  con- 
sunzione gli  turbò  il  cervello,  il  che  pur  suole  avve- 
nire, e  com'uomo  nudrito  negli  scrupoli  immaginò 
tal  peccato  eh'  ei  non  avea.  Né  vale  la  snià  propria 
confessione  in  eleganti  versi,  degni  di  men  tristo 
argomento,  i  quali  incominciano  col  dubbio  eh'  ei  f3sse 
fuor  dì  sé,  e  si  chiudono  con  affrettare  la  morte.' 

<  lbn-Be$ckowà1,  op.  cit.  airarticolo:  Kbelef-ibn-lbrahiin-iba-Khelef, 
soprannominato  Ibo-Hass&r,  il  quale  nacque il427 e  morì  Ì1511  (1036-1117). 

*  Ancorché  le  due  sorgenti  della  sua  biografia  lo  ctilamino  entrambe 
SlkHIi,  pure  Imftd-ed-dln  lo  mette  tra  1  poeti  dell'Africa  propria»  senza 
spiegare  il  perchè. 

'  Si  riscontrino:  Im&d-ed-dln,  KhaHda,  estratto  disila  Dùrm  d'ibn- 
Rattft*,  nella  Biblioteca  Arabo-Sieula ,  p.  604  del  testo ,  e  Dsebebi,  Ànbd^ 
en-AbAd,  op.  cit. ,  p.  647.  Il  primo  dà  il  nome  di  Vobammed  fbn-Abl- 
Bekr ,  il  secondo  di  Abu-6ekr-!iohammed-ibn-Abd-Allah  ;  ma  la  supposta 
causa  della  morte,  raccontata  da  entrambi  con  poco  divario,  non  lascia 
dubbio  su  r  identità  della  persona.  1  Tersi-,  cbe  son  sette,  si  leggono  nella 
Kharida,  Il  misero  pazzo  dice  che  versava  a  tm  tèmpo  lagrime  e  sangue; 
e  finisce  coél: 

'Oh!  sventura ,  amici  miei,  fui  ferito;  e  non  v'accorgeste, die  mi 
fiedean  le  spade  di  due  pupille, 

*  11  fegato  mi  si  è  versato  nel  petto.  E  fino  a  quando  vedrò  alternar 


—  479  —  [fi€c.  X.  xi.| 

I  detti  e  pratiche  di  Maometto,  raccontati  con 
sommò  zelo  dai  contempoiranei,  messi  in  carta  da 
quei  che  vennero  appresso,  sono,  come  ognun  sa, 
la  seconda  sorgente  delia  dottrina  musulmana  nelle 
scuole  ortodosse  ;  se  non  che  Y  ampia  raccolta  non  fu 
mai  compilata  in  forma  autentica ,  non  porta  a  quel 
che  i  Musulmani  chiainan  precetto  divino,  e  i  dottori, 
secondo  Jor  giudizio,  ne  accettano  è  ricusano,  eser- 
citando la  critica  non  meno  su  F  autenticità,  che 
su  la  interpretazione  dei  vocaboli  antiquati  e  frasi 
oscure.  Studio  vasto  che  die  origine  a  scuole  mal 
note  runa  all'altra,  e  condusse  i  tradizionisti  a  lun- 
ghe peregrinazioni  qua  e  là,  dove  fosse  alcun  rino- 
mato dottore  o  chi  aveva  appreso  da  lui.  Fanno  le 
tradizioni  importantissimo  corpo  di  dritto  pubblico, 
civile  e  penale ,  e  disciplina  religiosa  ;  avvegna  che 
preveggano  alla  spicciolata  a  tanti  casi  non  contem- 
plati dal  Corano:  onde  la  tradizione  è  preparamento 
necessario,  anzi  parte  integrale  della  giurispruden- 
za/ S'ei  fosse  da  stare  ad  una  conghiettura  dell'eru- 
dito lakùt,  avrebbe  preso  soprannome  dalla  Calabria 
un  Abu-Abbas,  dei  più  antichi  critici  delle  tradi- 
zioni: discepolo  d'Abu-Ishak-Hadhrami,  e  maestro 
di  Abu-Dàwùd-Soleiman ,  che  dettò  il  Sinan,  au- 
torevole compendio.  Ma  Abù-DàwM  mori  Totto- 
centottantotto  di  nostr  èra;  onde  si  dovrebbe  sup- 
porre che  Abu-Abbàs-Kalawri  avesse  militato  nelle 
prime  squadre  musulmane,  che   d'AflFrica,   Sicilia 

la  mattina  e  la  sera,  crociato  sempre  daìi'  amore  ?  "  ItS.  di  Parigi ,  fog.  155 
recto,  e  del  Britisb  Mnseum,  fog.  100  recto. 

«  Si  regga  la  pregevole  monografia  maleltita  di  H.  Vincent ,  intitoiau 
Etudu  sur  la  hi  mmulmane,  Paris,  1842,  in  8^ 


ISec.X.  XI.|  —  480  — 

0  Greta  assaltarono  la  terraferma  d'It;alia  (842).  E 
non  reggendo  il  supposto  di  lakùt  altrimenti  che  su 
r analogia  del  nome  etnico,  né  accompagnandolo  alcun 
ragguaglio  di  biografìa,  ne  rimarremo  a\.  questo  cenno/ 
Oltre  i  giuristi  che  preliminarmente  apparavano 
la  Tradizione  e  l'arte  critica  di  quella ,  parecchi  dotti 
deir  isola  vi  attesero  particolarmente.  Fin  dai  primi 
anni  del  decimo  secolo  o  poco  innanzi,  il  siciliano 
Abu-Bekr-Mohammed-ibn-Ibrahim-ibn-Musa ,  della 
tribù  di  Temim,  passò  in  Iràk  per  approfondire  co- 
testo studio  che  fioriva  tuttavia  nella  capitale  abbas- 
sida  e  nelle  importanti  città  vicine.  Scrisse  molte 
opere  delle  quali  non  sappiamo  i  titoli,  e  die  lezioni 
a  Waset  ;  noverandosi  tra  i  suoi  discepoli  alcun  tra- 
dizionista  di  nome.  Cólto  insieme  con  V  erudizione 
il  mal  vezzo  del  misticismo  che  spuntava  allora  tra 
i  dotti  musulmani,  frequentò  le  accademie  di  Gioneid 
e  Nùri,  barbassori  sufiti;  entrò  nella  setta  *  e  lasciovvi 
nome  onorato.'  Dopo  T  Iràk  par  abbia  fatto  soggiorno 
in  Egitto,  anziché  tornare  in  Sicilia.* 

. '  Mo'gen^'^l^Boldàn  nella  Biblioteca  Àrabo^Sieula ,  testo*  p.  I2S,  ed 
Aggiaote  a  p.  40  della  Tntroduziooe.  lakùt»  non  so  su  qtial  fondamento» 
vuol  che  il  nome  "  Calabria*  si  legga  in  arabico  Killawria. 

'  Makrizi,  Mohaffà\  nella  Biblioteca  Àrabo-Sicula,  testo,  p.  665,  il 
quale  non  porta  data;  ma  ce  l'additano  i  nomi  di  Gioneid  e  Nftri,  ricordati 
da  Giami  nelle  Vite  dei  Su8ti.  Abu-l-Kasim-Gionei4  da  Bagdad,  tenuto  in 
suo  tempo  il  primo  veggente  o  visionario  dell' Irftk,  sagace  al  certo  e 
sentenzioso,  morì  il  297, 298  o  299  (909-911);  ed  Abu-Hosein-Ahmed-ibn- 
Mobammed-Nùri ,  cbe  si  credea  secondo  solo  a  Gioneid ,  era  trapassato 
pocbì  anni  innanzi.  Si  vegga  la  biografia  di  Gioneid,  tradotta  dal  persiano 
di  Giami  per  M.  De  Sacy,  Notices  et  Extraits  des  MSS.,  tomo  XII,  p.  426 
a  429  con  le  note  corrispondenti. 

'  Par  desso  rAbu-Bekr  Sikilli  cbe  Giami  pone  in  lista,op.cit.  p.400.O*al- 
tronde  Makrizi  nel  cenno  biografico  non  dimenticò  r appellazione  di  Snfita. 

*  Perchè  Makrizi  lo  cbiama  Mìsri  e  Sikilli.  Non  è  mica  probabile  eh'  ei 
fosse  nato  in  Egitto  e  venuto  in  Sicilia. 


-^  *81   —  '     IScc.X.XI.l 

Ignorasi  Vaia  del  cadi  Abu-Hasan-Ali-ibn-Mo- 
ferreg,  autor  di  un' opera  intitolata  innofoistom  de/ 
Siciliano  su  la  Tradizione,  citato  da  Beka'i ,  nel 
decimoquinto  secolo,  tra  i  testi  ch'egli  soleva  ado^ 
perare.  *  DueJiberti  siciliani,  al  cer^o  degli  schiavi 
cristiani  venduti  in  altri  paesi ,  ebbero  nome  di  tra- 
dizionisti  a  Cordova,, nella  seconda  metà  del  decimo 
secolo:  dei, quali ^  Deri;àg,  uom  di  molta  pietà  e  dot- 
trina, fu  bandito  per  sospeWL  poi  itici  e  morì  in  Orien- 
te, dopo  fatto  il  pellegrinaggio;'  e  l'altro  per  nome 
Ràik,,  studiò  tradizioni  in  Oriente  e  professoUe  poscia 
in  Spagna. '  S'applicò  alla. legge  ed  alla  tradizione, 
tenuto  uom  dottissimo  al  principia  dejrundecimo 
secolo,  l'emir  Abu-Mohammed-'Ammàr-ibn-Mansùr 
dèi  Kelbiti  di  Sicilia,  di  ramo  collaterale  ai  due  che 
regnarono.  I  frammenti  poetici  del  quale  spiran  l'or- 
goglio guerriero  della  nobiltà  .non  mansuefatto  dalle 
elucubrazioni  legali,  e  ci  svelano  che  Y  autore  navi- 
gasse a  golfo  lanciato  tra  i  tamulti  e  le  trame  che 
s' alternavano  in  Palermo.  * 

Verso  il  milletrenta ,  si  trovò  in  Spagna  Abu-» 
Fadhl-Abbàs-ibn-Amr,  siciliano,  il  quale  apprese  da 
Kàsem-ibn-Thàbit  di  Saragozza  la  spiegazióne  dei 
vocaboli  e  modi  disusati  delle  tradizioni  ed  insegnolla 

<  nagiVKhalfa ,  edizione  FJnégel ,  tomo  IV ,  p.  474,  no  92*^1. 

s  Ibn-Besckowftl,  op^cìt.,  al  nome:  Oérràg.  L'età  si  scorge  da  quella 
d' un  suo  maestro  in  Spagna ,  per  nome  Abu-Gia'far-|bn-*Awn-Allah ,  «be 
^ndò  In  petlegrihaggiT>  il  342  (953).  ' 

'  Ibn-Besckowàl ,  op.  cH.  a  questo  nome.  Un  discepolo  di  R&ik,  per 
nome  Sald-ibn-Iùsùf  dà  Calatayud ,  morì  il  395  (f004). 

*  Imàd-ed-dln,  Kharìda^  estratto  dalla  Dorrà  d*  Ibn-KaltV  nella  B/- 

blioteca  ArabO'Sieula ,  testo,  p.  595.  Il  titol  di  emiro  si  die  per  cortesìa 

a  tutti  ì  rampolli  di  famiglie  principescbe.  Mi  par  bene  tradurre  tutti  i  Tersi 

che  abbiamo  di  lui ,  alle  allusioni  tieì  quali  non  troviamo  riscontro  nelle 

II.  31 


[Sec.  X.  XI. I  —  482  — 

ad  altri  Spagnuoli;  onde  sembra  stanziato  nel  paese/ 
Abu-Bekr-Mohammed-ibn-Sàbik ,  nella  generazione 
seguente,  uscito  forse  in  pellegrinaggio,  apparò  tra- 
dizione alla  Mecca  da  parecchi  dottori,  tra  i  quali  pri- 
meggia Kartma  figliuola  di  Ahmed-Marwazi;  e  in 
luogo  di  tornare  in  Sicilia  ove  non  era  oramai  che 
guerre  e  stragi,  aprì  scuola  in  Granata;  ma  senten- 
dovi anco  mal  fermo  il  suolo,  passò  in  Egitto;  e 
quivi  mori  di  gennaio  del  mille  e  cento.  Lasciò  in 
Granata  desiderio  di  sé,  e  fama  di  gran  teologo.* 
Son  anco  ricordati  com'  ottimi  tradizionisti  il  Semen- 
tari,  Ibn-Mekki,  Ibn-Abd-el-Berr  ed  Ibn-Katlà',  del 
primo  dei  quali  diremo,  tra  i  mistici ,  e  degli  altri  tra 
i  filologi.  Sopra  tutti  s'innalzò  il  Mazari. 

Cosi  chiamato  dalla  città  nativa  e  Temimi  dalla 

croniche;  ma  Vanno  naturalmente  tra  r  abdicazione  di  lusùf,  998,  e  la  ca- 
duta della  dinastia. 

*  Ella  <aà  dtcea  :  Ho  visto  uomini  prodi ,  ma  nessuna  (ipada)  del  lemen 
agguagliò  mai  la  tua. 

*08o  tanto  ai  tumulti  deHa  plebe,  che  ormai  ti  eredi  inyulnerabile  a 
lor  sassi. 

*lfa  fino  a  quando  affronterai  temerario  i  fati,  offrirai  il  petto  alle 
laBoef 

"Ed  lo  le  risposi:  Di  toUo  bo  sentito  parlare  fin  qui,  fuorché  d'on 
Xelbita  vigliacco.  • 

E  scilsse  ad  un  suo  cugino  questo  rimbrotto: 
"TI  credei:^pada  eh' io  sguainassi  contro  il  nemico y  non  che  volges- 
sila  contro  me  nedesimo. 

*  Mi  affaticai  ad  innalzarli  ed  onorarti;  ed  eccomi  alfine  sgarato  {chiuso) 
in  nn.carcere>  non  lungi  dalle  tue  stanze.  " 

\  Homaidì^  ^ieuuat'^l'Moktahis  nella  Biblioteca  Araho^Sicula ,  testo, 
p.  578.  L'autore,  che  nacque  il  1029  e  mòri  il  1097,  trascrive  due, versi  di 
Abmed-ibn-Àbi-Moiift  eh'  eran  passati  per  la  bocca  di  Abbas-ibn-Amr 
nel  seguente  modo:  1  Àbu-Mohammed-AÌi ; 2  il  cadi  Ibn-Soffàr;3  Abbas- 
ibn-Amr;  4ThAbit  da  Saragozza,  ec.  Però  il  soggiorno  di  quel  Siciliano  in 
Spagna  par  si  di&bba  riferire  ai  primi  treni'  anni  del  secolo. 

^  Ibn-Besckow&l ,  Sileif  nella  Biblioteca  Àrabo-Sicula,  testo,  p.  578. 
Le  cagioni  che  lo  avessero  distolto  dal  tornare  in  Sicilia  e  dal  rimanere 
in  Granata,  non  son  dette  dal  biografo  ma  supposte  da  me. 


r 

—  483  —  [Sec.  X.  XI.J 

tribù,  per  nome  Abu-Abd-Allah-Mohammed-ibn- 
Ali-ibn-Omar-ibn-Mohammed,  «  giarìsta  malekita, 
aom  sommo,  scrive  Ibn-Ehallikàn ,  nella  dottrina 
testuale  e  critica  delle  tradizioni.  '  Celeberrimo  nelle 
scuòle  musulmane  il  tàno  còmentario  di  tradizione 
intltoluto  II  maestro  delle  dottrine  [cohténute)  nel 
Kbro  di  MosUm.  '  Scrisse .  anco  la  Spiegazione  dei 
(principii)  che  occorrono  nello  ^  Argomento  dei  dom- 
mV/*  ed  un  commentario  $ul  libro  intitolato  II  buon 
indiri%za,  opere  entrambe  di  teologia  scolastica;*  un 
commentario  sul  Manuale  di  Màlek  che  si  chiama  ii 
ilfotoo^^d;^  quattro  volumi  su  T insegnamento  del  cadi 
Abd-el-Wehhàb;  ^  ed  altre  di  erudizione  e  belle  let- 
tere :^  ma  fu  dotto  in  varii  rami  di  scienze  pratiche  b 
speculative/ 'fin  anco  in  medicina.  Leggiamo  in  un 

<  Makrizi  dà  il  noine  4' Aba-Abd-Allah-Mobanuned-lbn-BlosalIioi, 
(secondo,  altri,  aggiogne,  Moslim)  ibn-Mohammed ,  Eorelscita.  Degli 
altn  scrittori  che  facciano  parola  di  hii ,  Hagi-Khalfa  segue  11  noine  dato 
da  Ibn-Khallikàn,  Sointi  quel  cbe  ai  trova  in  Makrlzir  i  rimanenti  lo  ehia* 
mano  Nazari ,  o  Àbu-Abd-Allab-Mohammed-Blazari. 

*  Il  testo  d' Ibn-Khallikan  dice  "la  memoria  delle  tradialobi  e  il  Ke- 
Mm,  sopra  quelle. *  JTe/dm ,  oome  jabbiam  notato  attrove,  era  la  "scola* 
stìca  "  il  metodo  delle  scuole  teologiche.  Però  mi  sono  discostato  dalla:  ver- 
sione di  M.  De  siane  "  the  Manner  in  wbich  be  lectured  on  tbat  snbject.  '. 

B  Qui  anche  mi  è  parso  che  la  voce  "dottrine"  renda  il  testo  fewdid, 
più  precisamente  cbe  la  versione  Ittterale  inglese  "good  passages."  Di 
quest'opera  fan  parola  Ibn-Kballikftn ,  e  Makrizi ^  e  la  nota  Hagl-Khalfa, 
edteiene  FluSgel ,  tomo  II,  p.  $45,  n«  3908.     ^ 

*  B>n-Khallikàn  e  Makrizl^il  quale  la  dice  poaitivamente  di  snbietto 
teologico. 

»  Makrizì. 

*  lakftt,  nel  Moseterik,  edizione  di  Wiistenfeld  air  articolo  :  "  Mazara.  ' 
^Appendice  anonima  ad  Hagi-Khalfe,  nella  edizione  di  Flitegel, 

tomo  Vi ,  p.  050.  no  95.  * 

^  Àdab,  dicono  gli  Arabi  in  una  parola.  VSncyàìùpédie  dea  Gens  du 
monde,  sarebbe  appo  loro  un'opera  di  Adab,  la  qual  voce  racchiude  6 
.  buona  educazione. 

>  Ibn-Khallik&n  lo  dice  MoUfennin,  ossia  dotto  in  varii  rami  di  sapere; 


|Sec.  X.  \l\  -—  484  — 

comentario  malekita  come  la  gente. accorresse  a 
consultar  il  Mazari  da  medico  al  par  Qhe  giurista, 
dal  tempo  eh'  ei  si  die  con  ardore  a  quello  studia, 
punto  da  un  medico  israelita,  il  quale,  curandolo 
in  grave  infermità,  gli  rinfacciava:  "ecco  il  gran  dot- 
tore dell'islamismo  in  balia  d'un  povero  giudeo, 
che  se  il  lasciasse  morire  farebbe  opera  meritoria 
in. sua  religione  e  grave  danno  ai  Musulmani.  E 
veramente  per  tutta  l' Affrica  Settentrionale  i  con- 
temporanei il  tennero  a  luminare  di  giurisprudenza; 
si  raccontò  che  il  Profeta  gli  fosse  comparso  in  so- 
gno, confortandolo  a  scrivere,  i  posteri  lo  dissero 
ultimo  legista  inventore;  e  Khaltl-ibn-Ishak,  com- 
pilator  dell'oscuro  codice  che  or  si  osserva  in  Af- 
frica, pose  il  Mazari  e  il  siciliano  Ibn-Iùnis  tra  le 
quattro  autorità  cardinali,  citate  dopo  la  Modawwa- 
na,  '  Il  Mazari  seguì  in  teologia  la  dottrina  asci'arita' 
0  vogliamo  dire  scolàstica,  la  quale  soleva  adoprare 
la  filosofia  e  le  interpretazioni  per  difendere  il  dom- 
ma  ortodosso  dai  duri  colpi  che  gli  traeano  scisma- 
tici e  razionalisti  con  le  medesime  armi.  Uscito  di 
Sicilia,  com'ei  pare,  al  conquisto  normanno,  soggiornò 


il  furioso  teologo lbD-Mo'alTim„MS.  di  Parigi,  Suppl  Arabe,  200,  fog.  iOO 
Terso,  aggìugne:  "e  primeggiò  nella  scienza  del  detto  e  dello  speculato.  * 

'  Kbaresci,  Vomenfo  al  Compendio  di  EbàllMbii-Isbak,  Bis.  di  Pa- 
rigi, Sap.  Ar.  405.  foglio  5  verso.  Debbo  avvertire  cbe  simile  notizia,  con 
poco  divario,  mi  è  stata  data,  dall' erudito  e  svegliato  Soleiman-Eurdi  da 
Tunis ,  che  ho  conosciuto  a  Parigi ,  il  quale  ricordava  benissimo  il  fatto 
della  sepoltura  di  Mazari  a  Monastir,  cavato,  credo  io,  da  U)n-KfaaHik&n. 

'  Kharesci,  1.  e.  Si  vegga  anche  la  versione  del  Khalll,  Pricis  dejuriS' 
prudenée  musulmane  etc,  traduit  par  M.  Perron,  tomo  I,  p.  5,  e  la  nota 
del  traduttore  a  pag.  511.  Della  Modawwana  abbiain  fatto  cenno  nel  Li- 
bro Ili,  capitolo  XI,  p.  222  di  questo  volume. 

•Malgrizl  .  . 


—  485  --  [scc.  X.  Xi.i 

al  Cairo  vecchio,  ad  Alessandria;  a  Mehdia;  quindi  ad 
Alessandria  di  nuovo,  dove  insegnò  tradizioni/  Si  narra 
che  a  Mehdia  abbia  dato,  poco  appresso  il  mille,  i  primi 
rudimenti  della  scienza,  a  Mohammed-ibn-Tùmert, 
detto  poi  il  Mehdi:  un  mez2:o  Savonarola  berbero,  che 
fondò  l'impero  almohade:  '  tra  il  qual  legame  col  pro- 
feta avveù turato,  e  la  dottrina  propria  e  T  acume  del- 
l'ingegno  e  la  serena  virlii  dell' aniiùo,  il  Mazari  passò 
trat  i  beati  deir  islamismo.  Morto  in  Mehdia  d'ottan- 
tatrè  anni  lunari,  chi  dice  il  quattto  e  chi  il  venti 
ottobre^  del  millecèntoquarantuno,  *  fu  sepolto  sia  a 
Mernàk  presso  Tunis,*  sia  a  Monastir;    il  quàl  dispa- 

«  Makrizi ,  il  quale  dai  nomi  d'iin  Àhmed-ibn-Ibrabim-Razi,  maestro 
suo  al  Cairo  vecchio,  e  di  pàreccbi  discepoli  ch^^ebbe  Mazari  ad  Alessandria. 

s  Zerkesct,  Siorià  degli  Àlmohadi^  nella  Biblioteca  Arabo-Simla^ 
testo,  p.  522.  Argomento  la  data  del. soggiorno  a  Mehdia  da  quella  che  si 
assegna  al  passaggio  del  giovane  Ibn-^Tùmert  in  detta  città,  cioè  la  fine 
del  quinto  secolo  dell'  egira.  Si  veggano  Jbn-Khaldùn,  Histoire  des  Berbères, 
Tersione'di  M.  De ^lane,  tornò  It,  p.  165,  e  il  Kar4és,  versione  del  pro- 
fessore Tòrnberg,  intitolata  Ànnaki  Regum  UàuritanicR,  tomo  n,  p.  f£S()L 
Ibn-Tùmert  cojnparve  più  zelant^asci'arita  che  il  suo  maestro  Mazari;  ma 
il  maestro  era  dotto  e  galantuomo;  il  discepolo  spezzava,  strumenti  di 
musica,  sgridava  nobili  donne  per  le  strade,  aròhi  tétta  va  ndracoli;  e  su- 
scitò nella  schiatta  berbera  una  delle  più  importanti  rivoluzioni  che  mai 
vi  fossero  avvenute. 

s  Ibn-Khallik&n  dice  che  alcuni  riferissero  la  morte  di  Mazari 
il  18  rebi'  primo  delS36,  altri  il  bipedi  2  dello  stesso  noese.  Questo  giorno 
di  settimana  non  va  bene  secondo  i  nostri  calendarii.  Nel  conto  civile, 
rebl'  primo  di  queir  anno  cominciò  di  saliàto ,  e  nel  conto  astronomico  di 
venerdì;  il  che  s'aggiunga  alle  tante  prove  che  i  Musulmani  ne^  medio 
evo  contavano  i  mesi  non  sul  calendario  y  ma  su  le  testimonianze  legali  di 
«hi avesse  vista  primo  la  lununuova. 

11  Baiàn,  testo>  tomo  I,  p.  332,  dà  la  morte  di  Mazari  il  536;: 
Makrizi  il  550,  K&resci,  1.  e:,  il  536. 

«  Villaggio  ad  oUo  miglia^  0.  S.  0.,  da  Tunis.  . 

s.  Penisola .  aiia  éstb^mìtà  meridionale  dèi  Golfo  di  H^mmamet,  non 
lungi  da  Mehdia:.  Sàpeiidesi! che  Mazari  ittoii  in  Mehdia,  e  che  il  cimitero' 
di  questa  cHtàera.in  ilCifnòi/tf,  nonbo  dubbio  a  leggere  così  in  vece  di 
Menasciin,  che  nella  edizione  dei  Wiistenfeld  si  dà  come  -luogo  ilella  se- 
poltura di  questo  insigne  giurista. 


rere  su  le  minuzie  biogràfiche ,  mostra  la  grande  rino- 
manza deir  uomo,  al  par  delle  lodi  che  ne  fanno  tutti 
gli  scrittori/  Dalla  riputazione  di  santità  nacque  una 
favola  >  ripetuta  in  Affi*ica  nel  decìmoquinto  secolo, 
la  quale  dava  al  Mazarì  trecento  tredici  anni  di  vita.' 

Per  r  intima  connessione  che  hanno  le  tradizio- 
ni con.la  giurisprudenza,  si  comprende  come  questa, 
ben  avviata  già  in  Sicilia  nella  prima  metà  del  de- 
cimo secolo,'  sia  progredita  nel  corso  dell' undecimo. 

Nel  confine  di  que'  due ,  che  Y  anno  appunto  non 
si  sa ,  nacque ,  com'  e'  pare ,  in  Palermo ,  Abu-Bekr- 
Mohammed-ibn-Àbd-Allahribn-Iùnis ,  dottore  prìn- 
cipe di  scuola  malekita ,  onorato  quasi  *a  ragguaglio 
col  Mazari,  citato  insieme  con  lui,  come  dicemmo,  da 
Khalil,  detto  per  antonomasia  ilSicilianò  e  famoso  al- 
tresì per  le  prodezze  fatte  di  sua  persona  nella  guerra 

*  Si  confrontino  :  Ibn-Khallikàn ,  BioQraphical  DicOonary,  Teraione 
di  M.  De  Slane,  tomo  HI,  p.  4,  e  testo ,  tomo  I ,  p.  681 ,  e  nella  edizione 
tiel  Wastenfeld,  faflcioolo  VII,  p.  12,  biogiraOà628;  Hakri»,ir«fo/f«'.  nella 
Biblioteca  Àrabo-Siùula,  testo,  p.  667,668;  Sciati  nel  cenno  biografico 
di  Abd-el-Kerìm-Iebia^ibn-Otbman ,  Biòlioteca  Àrab<HSieula ,  p.  676; 
Zerkesci,  Hagi-Kbalfa  ed  Iba-Mo'allim,  11.  ce.  Il  libro  di  quest'ultimo,  ve- 
nntoroi  alle  mani  dopo  la  pubblicazione  della  Biblioteca  Arabo^Sicula,  fa 
scrìtto  tra  il  701  e  708  dell'egira  (1303-1308),  a, Damasco:  una  furibonda 
polemica  asci'arità ,  nella  quale  son  levali  a  delo  gli  ortodòssi  e  s' invoca 
la  spada  dei  principi  contro  cbi  differisse  d' un  pelo  dalla  loro  credenza.  II 
titolo  dell'opera  d'Ibji  Ho'allim  èStdia  del  ben  diretto,  e  laptdatMme 
del  traviato. 

Debbo  avvertire  in  ultimo  che  si  potrebbero  sopporre  due  scrittori 
contemporanei  nati  a  Mazara  entrambi  e  nominati  Mobammed  ;  cioè  il  figlio 
di  Ali  e  li  figlio  tliMosellim;tfakrizi  non  solamente  dà  al  suo  Mazari  questo 
nome  patronimico  ma  anche  altro  nome  di  tribù ,  e  lo  dice  morto  di 
scia'bftn  530  (maggio  1136);  le  quali  particolarità  tutte  differiscono  da 
quelle  che  leggiamo  in  Ibn^Kballikàn  e  negli  altri  autori  citati.  Makrizi 
avrebbe  dunque  confuso  il  Mazari  tradizionista  domiciliato  in  Alessandria 
con  quello  assai  più  rinomato  che  mori  in  Afi'rica. 

'  Zerkesici ,  1.  e. 

'  Si  vegga  il  cap.  XI  del  Lib.  Ili ,  p.  319,  segg. 


—  4-87   —  (Sec.X.XI.I 

sacra ,  quella  verosiiuil mente  di  Maniace.  Trapassò 
Ibn-Iùnis  il  venti  rebi' primo  del  quattrocencinquan- 
luno  (5  maggio  1059).*  Suo  discepolo  il  giurista  ma- 
lekita  siciliano  Abu-Mohammed-Abd^el-Hakk-ibn- 
HarÙD ,  femoso  per  le  opere  e  per  gli  illustri  disce- 
poli  spagnuoli,  Khelef-ibn-Ibrahim,  detto  Ibn-Hassàr, 
e  Soleiman-ibn-Iehia-ibn-Othmàn-ibn-Abi-Dunia  da 
Cordova;  dei  quali  il  primo,  come  s'è  detto,  lo  ri- 
trovò in  Sicilia'  e  l'altro  alla  Mecca,  inpellejgrinag- 
^io,  e  seguillo  in  Egitto,  studiando  sempre  con 
essolui.'  Scrisse  Abd-el-Hakk  la  Correzione  dei  Que- 
siti,  trattato  di  casi  legali;  e  ,i  Detti  arguti,  opera 
filologica  o  di  erudizione,  rìmasa  in  voga  fino  al 
decimoquarto  secolo.  '  Da  lui  anco  avea  appreso  il 
dritto  in  patria,  Thàbit  il  Siciliano;  il  quale,  rifuggito 
poscia  in  Ispagna ,  ne  die  quivi  lezioni  nella  seconda 
metà  del  secolo.* 


*  Raresci ,  I.  e. ,  i)  qaale  aggiugnè  clie  secondo  altri  Ibn-Iùnis  mori 
allo  stesso  giorno  di  rebr  secondo,  cioè  20  giorni  appresso. 

Probabilmente  è  questi  lo  SeeiMi  Siciliano  che  veggiamo  nell'antica 
compitazione' malekita  anoDima,  intitolata  Sdarh-el^Ahhdm ^  MS.  di  Pa- 
rigi, Ancien  Fonds,  480,  fog.  85  verso;  e  il  Siciliano  citato  da  Agibùrì 
nell'altro  Commentarlo  sopra  Eballl,  MS.  di  Parigi,  Suppl.  Arabe,  397, 
voi.  I ,  fog.  590  rècto.  Secondo  ima  lista  messa  a  capo  delle  glose  di 
Abmed  Zurkani  all'opera  di  Kalìl,  MS.  dì  Parigi,  Sappi.  Arabe,  402, 
fog.  1  recto ,  la  citazione  Sikilli  indicava  sempre  Mofaammed-ibn-Iùnis. 

>  SI  vegga  sopra  la  nota  a  pag.  478. 

*  Ibn-6èsckowàl ,  op.  cit.,  neir  articolo,  di  Soleimàn-ibn-Iebia.  Co- 
stui ,  tornato  a  Cordova,  vi  professava  dritto  malekita  nel  478  (1085).  Credo 
Abd-el-Hakk  discepolo  d'Ibn-Idnis,  perchè  lo  Sciarh'el-Ahkdm ,  dà  su 
iVautorità  sua  una  sentenza  d'Ibn-Iùnis,  1.  e. 

*  Hagi-Kbalfa,  edizione  Fluegel ,  tomo  II,  p.  479 ,  no  3785. 

'  Makkari,  Jìnalectes  sur  Vhistoire  ec.  d'Espagne,  testo  arabico, 
tòmo  I,  p.  917. 1  Èetii  arguti  sob  tra  le  venti  opere  celebri  cbe  accennò 
in  cnaque  versfi  il  letterato  spagnuolo  Ibn-Giàbir,  morto  in  Aleppo  11 780 
(1378) ,  dl^llìe  quali  Makkari  dà  i  tìtoli  compiuti.    ^ 

o^fbti-i^eéckowdl ,  op.  cit.  all'  articolo:  Tbàbit,  Sikilli. 


|Sec.  X.  Xl.|  —  488  — 

Oltre  i  giureconsulti  Ibn^Fehhàm,  ed  'Ammar- 
ibn-Mansur,  e  Mazari,  edIbn-Mekki  ricordati  di  sopra; 
Abu-Bekr-Mohammed-ibn-Hasan^ibn-Ali-Rebe'i, 
da  Girgenti,  onorato  molto  per  sapere  e  vìrtii, 
professava  giurisprudenza  malekita  in  Sicilia ,  indi 
in  AfiFrica  ed  Alessandria;  e  morì  Tanno  cinquecen* 
totrentasette  (1142-3).*  Forse  della  stessa  famiglia 
un  Ali-ibn-Othmàn-ibh-Hosein-Rebe'i ,  Sikilli,  il 
quale,  mercatando  a  Cordova,  recovvi  il  libro  d'Ibn- 
Hàtim-Adsrei,  intitolato  Splendori  sul  fondamento 
del  dritto;  e  da  lui  V  apprese  il  giurista  spagnuolo 
Abu-Ali,  Ghassàni.  *  Il  dottore  siciliano  Abii-Abd- 
Allah-Mohammed^bn-Abd- Allah ,  recatosi  dopo  il 
conquisto  normanno  in  Granata,  die v vi  lezioni  sul 
Lume  di  giurisprudenza  d' Abu-Hasan-Lakhmi ,  e 
quivi  morì  il  cinquecento  diciotto  (1 124).*  Un  Mozaflfer,- 
siciliano  o  schiavone,  cbè  spesso  si  scambiano  nella 
scrittura  arabica  ^  fii  deputato  nel  quattrocèntoquat- 
Irò  (101 3-1 4)  a  prefetto  di  Misr  e  del  Cairo  emohtesib, 
V  ultimo   dei   quali   officii  richiedea  scienza .  lega- 


<  Makrizi,  Mokaffa\  nella  Biblioteca  Arabo^Sicula,  testo ,  p.  664. 
Rebe*i  è  nome  éliileo  che  si  riferisce  a  famiglie  di  varil  cepf)[>i  arabici  : 
Nlz&r,  Azd,  Temtm,  Kelb,  ec.  V*ha  nella  raccolta  del  Di  Gregorio, 
p.  171,  la  iscrizione  sepolcrale  d' un  Rebe'i,. morto  il  1026. 

'  Ibn-Besckow&l,  op.  cit..  al  nome  d* Ali-ibn-Olbm&n  :  Il  titolo  del- 
r  opera  è  Loma'^fi-Asl'^l-Fikh,  11  nome  etnico  dell'autore  forse  ya  letto 
"Adsorbire  significberebbe  *  oriunda  deirAderbaigiàn."  Ali  potrebbe  per 
avventura  essere  il  medesimo  di  cai  rimanea  nel  Museo  di  Daniele  riscri- 
zione sepolcrale  citata  nella  nota  precedente  ;  dove  la  voce  Rebe*i  è  pre- 
ceduta da  altre  che  mancano ,  fuorché  la  sillaba  an,  eh' è  appuntò  la  desi- 
nenza del  nome  patronimico  Olfamàn.  In  tal  supposto,  V  andata  in  Spagna 
tornerebbe  nei  primi  venticinque  anni  deli' XI  secolo;  né  parrebbe  inve- 
rosìmile che  V  erudito  mercatante  fosse  ito  a  morire  a  Napoli ,  o  Salerno. 

'  ibn-Besckov«r&l ,  op.  cit. ,  a  questo  nome.  Il  titolo  dell'  opera  è 
TebHra^fU-Fikh;  la  quale  manca  in  Hagi-Kbal£ai>  al  par  che  la  precedente. 


—  489  —  |8ee.X.Xl.| 

le;  ^  Tenne  in  Egitto  il  sommo  magistrato  di  cadi  dei 
cadi,  un  Abmed-ibn^Eàsim  Siciliano, che  Imftd-ed-din 
ricorda  col  nome  di  Giusto,  trascrivendo  i  versi  eh'  ei 
compose  per  Àfdhal  (4093-1421).  La  lindura  dei 
quali  non. iscaserebb^  certi  modi  d'adulazione,' se 
non  fossero  all'  usanza  orientale  e  forse  dettati  da 
stretta  amistà.  *  D'  età  incerta  Àbu-Mohan^med- 
Hàsan-ibn-AlWbn-Ge'd ,  dottore  principe  al  suo 
tempo,  e  die  il  proprio  nome  )alle  Porzioni  Ge'dite 
secondo  la  scuola  di  ildlèk;*  porzioni  s'intenda  nel 
partaggio  delle  eredità ,  eh'  è  ramo  importante  del 
dritto  musulmano.  Ai  giureconsulti  son  da  aggiu- 
gnere  Kattàni,  ''il  Sottil  Grammatico,''  del  quale  di- 
remo tra  i  filologi  ;  ed  Abu-Omar-Othmàn-ibn-Heg- 
giàg  da  Sciacca  in  Sicilia,  dimorante  in  Alessandria, 
morto  il  cinquecento  quarantaquattro  (1149);  il  quale 
era  stato  dei  maestri  del  rinomato  tradizionista  Sìlefi 

^  filakrizi,  citato  da  Sacy,  Chresiomathie  Arabe,  4oido  I,  p.  196.  Sa 
roflScfo  di  mohUfih,  si  vegga  qm  sopra  la  p.  8,  Ub.  IH,  cap..  I. 

^  Kharida^  d* Im&d-ed-dta ,  nella  Biblioteca  Àràbo-Sicula,  testo t 
p.  604.  Un  giorno  il  cadi  entrando  nella  stanza  del  primo  ministro  Arditala 
vistogli  dinanzi  nn  calamaio  d' avorio  intarsiato  di  corallo,  improvvise:. 

"Per  divina  possanza  si  ammolli  il  ferro  nelle  mani  di  David,  sì  che 
il  filò  in  maglie  come  gli  piacque.  . 

^  'Ed  ecco  arrendevole  a  te  il  coralio ,  pietra  che  r  è,  forte  e  schiva 
al  tratto.* 

.  Un'  altra  v^Ita  »  avendo  faUo  Afdbal  condurre  nn  canale  infino  al  vii* 
laggiù  di  Kar&fa  presso  il  Cairo,  il  cadiche  possedea  quivi  una  casa  ed  un 
orto,  gli  domandò  l'acqua  per  la  casa.  11  fece  tn  sette  versi,  nei  quali  de- 
scrìvendo gli  alberi  intristiti  del  suo  giardino,  conchiude  così  : 

"All'udire  II  lamento  del  bindoli  [sul  eanaU,  gli  alberi)  dicono  con 
favella  d' afflitto  innamorato  :      ^ 

"Veggo  l'acqua  ed  ardo  di  sete,  ma  ahimè  non  ho  modo  di  andarvi 
a  bére.* 

V  han  di  lui  pochi  altri  versi  erotici. 

>  Hagi-Kbalfa,  edizione  Pluégel,  tomo  IV,  p.  388, n^ 8978.  Ibn-Ge'd 
è  chiamato  iceikh,  cioè  dottore,  e  irMlm,  cioè  principe,  onorania  che 
già  dai  capi  di  scuola  scendeva  ai  dotti  di  minor  nota. 


|S«e.X.XI.|  — •  490  — 

d'Ispahan,  6  lasciò  pareGGhi  libri  malekiti.  *  Dettò  un 
comentario  sul  Mowattd  di  Malek  il  letterato  affricano 
Ibn-Resdk,  emigrato  in  Sicilia  alla  metà  dell'  unde- 
cimo  secolo.'  Nel  medesimo  tempo  dava  fuori  opere  di 
dritto  il  Sementari,  col  quale  passiamo  a  discorrere 
la  nuova  edizione  di  devoti  che  pullulava  nell'isla- 
mismo. 

Abu-Bekr-Atìk-ibn-Ali-ibn-Dàwùd  del  villaggio 
di  Sementara  in  Sicilia,' discendente,  chi  sa?  dei 
coloni  che  possedeavi  un  tempo  San  Gregorio ,  fu 
uomo  infaticabile  di  corpo  e  d'intelletto.  Di  quei 
devoti  Siciliani,  scrive  Ibn-Kattà\  che  faceano  auto- 
rità in  giurisprudenza;*  degli  asceti  deir isola,  chia- 
rissimi per  sapere:  ed  usò  degnamente  la  vita  di 
quaggiù,  sciolto  dalle  cure  mondane,  tutto  intento  e 
fitto  neiraltra  vita.  Partì  per  rHégiàr,  compiè  il  pelle* 
grinaggio;  percorse  poi  tante  regioni,  lemen,  Siria,  Per- 
sia,Khorasàn;  praticò  quivi  coi  servi  di  Dio,  tradizioni- 
sti  ed  asceti;  raccolse  lor  detti  e  notizie  e  con  eleganza 
le  dettò.  Scrisse  a  mo'  di  dizionario  suoi  yiaggi  e  il 
frutto  del  conversare  con  que' dotti  stranieri;  e  sul 
dritto  e  la  tradizione  varie  opere  pregiate  per  ordine 
e  lucidità;  ^d  un  gran  trattato,  che  nìuno  agguagliò 
mai  in  bellezza  di  stile,  su  la  perfezione  spirituale  '  e 
3U  gli  esempii  degli  uomini  virtuosi.  Così  lo  giudi- 

'  Mo'gem  nella  Bibliotèca  Aràbo-Siouia,  testo,  p.  114. 

»  Hagi-Khalfa,  edizione  di  Flaegel ,  tomo  VI,  no  13,457 ,  p.  265. 

'  Si  vegga  il  cap.  XIII  di  questo  Libro,  p.  453,  nota  6. 

^  Moglehid,  come  si  è  detto  altrove,  signi flca  "  dottóre  che  cava  dal- 
r  analogìa  e  dalla  ragione  novelli  assiomi  o  coronarli  dì  giorisprtidenza.  * 

'Così  traduco  rtkàik,  plorale  di  reUka,  litteralmente  *  sottilità.*  Il  . 
significato  tecnico  è:  "  virtù  tli  intelletto,  di  stadio  e  di  costumi  che  innalza 
r  uomo  sì  che  s' avvicini  alla  divinità.  * 


cava  Ibn-Katté\  ^  L'  ultima  dette  opere  ricordate 
s'intitolava:  Guida  dei  Cercatori  {della  perfezione  spiri- 
twile\e  prendea  dieci  volumi.'  Uà  componimento  di 
Sementari  su  Tascestismo  musulmano,  dai  pochi  versi 
che  ne  abbiamo,  sembra  anch'oggi  nobile  sfogo 
d' intelletto  sdegnoso  della  viltà  e  tristizia  del  secolo, 
invaghito  d' una  immagipe  del  giusto  e  del  sublime, 
eh'  uom  abbozzi  ùella  propria  coscienza  e  la  dipinga 
su  roscora  tela  dell' infinito/  Morì  costui  ib  ventuno 
di  rebi!secondo  del  quattrocento  sessantaquattro  (  1 3 
gennaio  4072  )/  Contemporaneo  di  Sementari,  e  sem- 
brano usciti  entrambi  al  crollo  della  dinastia  kelbita , 
Àbtt-Hasan  Àli-ibn-Hamza ,  andato  in  Spagna  innanzi 
il  quattrocento  quaranta  (1048),  al  dir  d'Homaidi  che 
il  conobbe  e  asc(dtò;8Ufitaf  scolastico,"  dotto  in  ogni 
ramò  di  teobgia  e  d'altre  scienze;*  discepolo  del 

■*  Citato  da  lakùt,  te\  Mo'gem,  artieolo  Sefntntàri  che  si  vegga  nella 
BOMna  Àrabo^Sieida ,  t^to ,  p.  113 , 1 14.  Olire  Ibn-Kalt&V  V  autore  del 
Mo'gem  si  riferisce  ad  an  Moliibb-ed-dìn-ibn-NIggi&r ,  clie  alla  sua  volta 
allegava  Abn-Hasan  da.Gerusaleiìiine. 

.'  Mo'gem,  \.c, 

B  "Discordie  civili  incalzanti;  popolo  dimentico  {di  sé  stetso);  secolo 
che  infierisce  sul  genelre  umano: 

"Quelle  soggiornano  in  questo  a  lor  agio;  né  accennano  d'andar  via: 
coprono  (il  mondo)  tutto  d' iniquità  e  d' errore. 

"0  sconsigliato  procacciator  di  male,  seguace  d'ogni  colpa ^  che  mi 
dirai  tu?  - 

'Hai  venduto  la  tua  casa  dell'eternità  a  vilissimo  prezzo,  di  ben 
mondano  che  svanirà  quanto  prima.  * 

Si  ye&pi  il  testo  di  Oxford  nella  Bibl.  Àrabo-Sieula,  p.  36  delia  Introd. 

*  Mo'gem,  nella  Biblioteca  Arajbo-Sicula,  p.  114. 

>  Il  biografo  sorìve  che  costui  t«tóilMi//am,  cioè  lltteralmente  "ragio- 
nava; "  ma  il  significato  proprio  è  "ragionava  secondo  la  scuola  teologica 
detta  degli  Arabi  Kelàm,  che  torna  quasi  alla  nostra  teologia  scolastica." 
SI  vegga  Renan,  ivefroes  et  VAverroUme ,  p.  79-80. 

>  floridi  aggittgne  eh'  ei  '  trattava  anche  le  scienze  "  (olum)  :  si  deve 
intendere  dunque  d'altre  scienze  che  la  teologia ,  e  però  légge i  o  mate- 
matiche 0  filosofia. 


fSec. X.  HI  ^  492  — 

moralista  sciafeita  Abu-Tàher-Mohammed-ibn-Àli  da 
Bagdad.* 

I  Sufiti,  non  contenti  all'abnegazione  delle  cose 
mondane,  si  provarono  a  distruggere  ogni  idea  di 
realità ,  spegnere  il  senso ,  concentrare  V  uomo  nella 
coscienza  deiressere,  e  farlovi  con  ostinata  volontà 
sprofondare  a  grado, a  grado,  tanto  che  gli  paresse 
toccar  nel  nocciolo  delF  animo  la  Divinità  ,  imme- 
desimarsi  con  quella,  togliersi  dagli  occhi  i  veli  che 
occultano  la  scienza  e  T  avvenire.  La  qual  monoma- 
nia artifiziale  appresterebbe  bell'argomento  di  studio 
psicologico  e  patologico  se  si  giugnesse  a  scemere 
Tallucinazione  dalle  ci urmerie  e  linguaggio  allegorico 
con  che  si  è  mescolata  in  ogni  età  e  paese.  La  setta 
par  abbia  preso  nome  e,  forme  verso  la  metà  del 
nono  secolo,  quando  ne  pullularono  tante  neir isla- 
mismo ;  quando  i  devoti ,  incalzati  dalla  filosofia  greca 
che  li  sforzava  a  ragionar  sulla  missione  di  Maometto, 
si  rifuggirono  nel  misticismo  indiano.  Qualche  ram- 
pollo brahmanico  o  buddista,  che  vegetasse  ab  antico 
in  Persia,  s'innestò  con  T ascetismo  dei  compagni 
di  Maometto ,  e  ne  spuntò  questo  frutto.  Il  nome 
deriva  da  Sùf  ''lana,"  perchè  gli  adelti  ne  vesti- 
vano secondo  Fuso  dei  primi  Musulmani  ;  e  quando 
la  setta  divenne  quasi  ordine  religioso ,  il  superiore 
iniziava  il  neofitò  con  porgli  sulle  spalle  la  Khvtka , 
mantello  o  straccio  di  lana.  Durano  fin  oggi  i  Sufiti 
insieme  con  gli  ordini  plebei,  dervis  e  simili  che  co- 

*  \\  breve  ceoDO  biografico  di  costui  si  legge  nel  Geàstuet-el-Molstabis 
di  Homaidi,  MS.  della  Bodlejana,  estratto,  nella  Biblioteca  Àrabo-Sicula^ 
p.  578.  !bn-Desc](ow&l,  Ma.  deUa  Società  Asiatica  di  Parigi;  al  nome  di 
Ari-ibQ-Hamza ,  copia  il  cenno  di  Homaidi. 


—  493  —  iSo«,  X.  XI,) 

piarcmo. le  sembianze  più  goffe  della  setta.  In  origine 
fa  onesto  ritrovo  d'animi  nauseati  di  quello  scompiglio 
politico  del  califato;  teste  inquiete,  fors'anco  intel- 
letti sani,  non  soddisfipitti  dall'islamismo,  se  noii  che 
lor  parea  peggio  mutar  di  religione  o  starne  senza; 
e  panteisti  o  scettici,  si  gittarono  sovente  in  quelle 
ombre  mistiche  per  dare  un  ganghero  ^i  devoti.  Infatti 
gli  ortodossi  formalisti  li  chiamavan  empii  tutti  in  un 
fascio.  Gàzeli,  il  terribile  teologo,  sentenziò  atto  più 
meritorio  T  accoppare  un  sufì^ta  che  campar  dieci  uo^ 
mini  dalla  morte.* 

Se  si  risguardi  all'età  del  sufita  Abu-Bekr- 
Mohammed ,  al  quale  tennero  dietro  Ali-ibn-Hamza 
e  Sementari,"   si  vedrà  che  l'ascetismo  primitivo 

<  Si  vegga  la  bella  prefazione  di  M.  De  Sacy  agli  estratti  delle  Vite 
de'Sofiti  di  Gi&mi,  (^el  quali  4ié  il  testo  persiaao  e  la  traduzione  francese» 
aggiungendovi  il  testo  arabico  e  versione  d' un  capitolo  dei  Prolegomeni 
d' Ibn-Kbaldùh,  Noticeg  et  Extraits  des  MSS,,  tomo  XII,  p.  3B7,  segg. 

IbnrKlialdùn  isembra  molto  proclive  alla  dottrina  suflta ,  di  che  rife- 
risce L'origine  ai  compagni  di  Maonietto;  e  si  sforza  a  spiegare  Testasi 
sufita  con  la  doppia  sorgente  delle  percezioni  umane  dàlie  sensazioni  este- 
riori e  da  disposizioni  intèrne  che  gli  parea  non  dipendessero  da  quelle, 
come  ^ioia,  tristezza  ec.    ^ 

M.  De  Sacy  nota  la  somiglianza  con  alcuna  setta  indiana,  e  la  probabi- 
lità che  ì  Musulmani  avessero  conosciuta  questa  in  Persia,  li  primo  che  abbia 
preso  nome  di  Sufita  si  crede  un  Abu-Hàscim ,  verso,  la  metà  del  secondo 
sècolo  deir  egira  ed  ottavo  dell' èra  cristiana  ;  ma  la  dottrinaci  sviluppò 
più  tardi,  l'ordine  forse  nel  X  secolo,  e>  vestizione  della  Khirka  aila 
fine,  com'è!  pare,  dell' XI.  Argomento  ciò  dal  trattato  sufiu  di  Sadr-ed- 
dtn-Runewi ,  morto  il  675  (1 274) ,  US,  di  Parigi ,  Ancien  Ponds,  426,  poiché 
il  mistico  mantello  era  pervenuto  a  costui,  per  uiia  seguenza  di  nove  supe- 
riori ,  da  un  Mohammed  Scili ,  dal  quale  in  su  non  sincordava  vestiziqpe, 
ma  soltanto  "Sodalizio  e  insegnamenta;  "  e  questo  risaliva  ad  ^11.  Giftmi» 
che  visse  nel  XV  secolo ,  riferiva  la  vestizione  ad  Ali  stesso:  ed  è  naturale 
che  con  l' andar  del  tempo  crelcessero  le  imposture  della  setta^. 

«  Si  vegga  la  p.  480. 

*  n  titolo  del  Dalil-el~Mokd8idin  '  Guida  dei  Cercatori  *  sa  di  sufismo  ; 
poiché  "cercare",  nel  gergo  della  setta,  accennava  alla  perfezione  spiri- 
tuale, allo  spirito  divino  che  si  dovea  trovare  in  fondo  dell*  anima. 


dei  Masulmam  durato  in  Sicilia  sino  alla  metà  del 
decimo  secolo,'  non  tardava  guari  a  prender  la  novella 
foggia  mistica.  Dai  dotti  scendea  già  nel  volgo,  e  la 
devota  commedia  era  in  voga  nella  prima  metà  del 
r  undecime  secolo,  poiché  Ibn-Tàzi  la  riprende  eoa 
questi  versi: 

*  Non  istà  il  sufismo,  no,  a  vestir  lane  che  rat- 
toppi tu  stesso;  non  ad  intenerire  gli  sciocchi  ; 

*  Né  a  stridere ,  saltare ,  scontorcerti ,  cadere  in 
deliquio,  come  se  tu  fossi  impazzato. 

"  Sta  il  sufismo  neir animo  schietto,  immacolato; 
nel  seguir  là  verità,  il  Corano,  la  fede; 

"  Nel  mostrare  che  temi  Iddio ,  che  ti  penti  di 
tue  colpe ,  che  ne  sei  trafitto  di  rammarico  eterno.'  * 

Tra  gli  asceti  che  non  trascorressero  a  così 
fatte  allucinazioni,-  si  ricorda  un  Abu-l-Kàsim'-ibnr- 
Hàkim ,  dottissimo ,  come  dicono,  il  quale  nella  prima 
metà  del  duodecimo  secolo  vivea  a  Bagdad  in  casa , 
non  più  corte  ,^  del  califo.'  Mohammed-ibn-Sàbik  ed 
Abd-er-Rahman-ibn-'Abd-^l-41hani ,  nominati  di  so- 
pra, furono  r un  teologo,  T altro  moralista.*  Musa- 
ibn-Abd-Allah  daUufa,  della  schiatta  d'Ali,  teòlogo, 
poeta  ed  erudito,  verso  la  metà  dell' undecimo  secolo 
elesse  a  dimora  la  Sicilia  ;  donde  poi  passò  a  com- 
battere i  Cristiani  in  Spagna;  ed  alfine  fu  ucciso  in 

'  Si  vegga  il  Uh,  HI ,  cap.  xi,  p.  228  e  segg.  di  questo  volume. 

s  ìieWiì  Biblioteca  Àrabo-Sioula,  p.  59.0  del  testo ,  tolti  dalla  Khartda 
d'Imàd-ed-dia»  il  quale  alla  sua  volta  li  avea  presi  da  Ibn-Katt&V  Questo 
ibn-Tazi  è  tra  i  primi  nella  raccolta  d' Ibn-Eattà'. 

,  '  Abu-H&mid  da  Granata»  nella  BiblioUca  Arabo-Sicula,  iesiOtp,  74; 
e  Pseudo-Wakidi,  op.  cit.,  p.  199.  Abu-Hàmid  si  trovò  a  Bagdad  li  1132, 
come  notammo  nel  Uh.  I,  cap.  IX ,  p.  85  del  primo  volume^ 

•  Pag.  477  e  482. 


—  495  — •  iscc.  X.  XI 1 

Affrica  (1094).'  Lasciò  un  trattato  di  teologia  ABu- 
Mohammed-AM-er-Rahman-ibn-Mohammed  il  Si- 
ciliano, del  quale  ignoriamo  Tetà,  se  non  che  il 
manoscritto  unico  in  Europa  è  copiato  in  Antiochia 
il  seicentoquarantanove  delP  egira  (1251).  Compila- 
zione scolastica  ed  ortodossa,  partita  in  quattro 
capitoli  :  teologia  naturale  ,  teologia  musulmana , 
natura  e  potenza  del  demonio,  condizioni  e  doveri 
degli  uomini  in  società.*  Mi  sembra  nitida  ed  ordinata; 
logica,  quel  poco  phe  si  poteva.  Il  capitolo  sul  Ten- 
tatore, assai  più  particolareggiato  che  non  soglia 
incontrarsi  negli  scolastici  musulmani,  par  si  ran- 
nodi a  quella  fissazione  dei  devoti  siciliani  ed 
affrìcanì  sulla  fine  delnono  o  principio  del  decimo 
secolo.* 

Ad  un  tempo,  col  progresso  dalla  cieca  divozione 
al  misticismo,  si  notò  in  Sicilia,  siccome  in  ogni  al- 
tra provincia  musulmana,  novello  fervore  per  le  lette- 
re, soprattutto  gU  studii  filologici ,  cóme  s' intendeano 
da  ciascuno  fino  al  decimottavo  secolo;  i  quali  non 
fecero  rinascere  in  Oriente  quegli  antichi  poeti  arabi 
né  quél  vivo  e  conciso  parlare  dei  compagni  di  Mao- 
metto; né  altro  produssero  che  una  mediocrità  più 
generale,  uno  stile  luccicante,  ondulante  e  ridondante; 
quel  che  ammiran  da  otto  secoli  in  Hariri ,  e  che  da 
nove  0  dieci  secoli  avviluppa  presso  que'popolì  il 
pensiero  e  sovente  ne  tien  luogo.  Ma  tant'è,  che  il 


<  Ibn-Besckowàl,  MS.  deUa  Società  Asiatica  di  Parigi,  al  nome:  Masa. 
'  MS.  di  Leydc ,  No  ^S66  dell'  antico  catalogo  arabico.  Ho  pubblicato 
la  prefezione  nella  BikXiòttw  ÀraÌMh-Sifiulu,  testo,  p.  698,  699. 
'  Lib.  Ili,  cap.  XIì  p.  229  di  quésto  Tolame. 


ISm.  X.  XI.]  —  496  — 

lungo  seceato  degli  Arabi  non  ma&cò  di  pregi,  come 
nà  anco  il  secento  europeo  del  decimosetlimo  secolo  o 
del  decimODOQO.  Al  par  che  gli  Spagauoli,  Affricani, 
Egiziani  e  Sirii,  i  MusulniaDi  di  Sicilia  non  poteano 
giugnere  a  segno  più  alto;  ma  ben  toccaron  quello 
neir undecime  secolo,  né  furon  da  meno  degli  Spa- 
gnnoli;  superarono  forse  le  altre  province  dette,  nelle 
quali  la  natura  non  sorrìdeva  si  dolcemente,  e  le 
schiatte  antiche,  Semiti,  Copti,  Berberi,  non  eran  me- 
tallo suscettivo  di  tempra  si  fina. 

Dopò  Ibn-^Khorasàn,  grammatico  siciliano  della 
prima  metà  del  decimo  secolo,*  ne  comparisce  un  al- 
tfo  pqr  nome  Hasan-ibn-Ali ,  il  quale,,  andato,  in  pel- 
Jegrinaggio,  morì  alla  Mecca ,  allo  scorcio  del  trecento- 
novantuno (novembVe  1 001)  lasciando  onorata  memo- 
ria di  sé  nelle  scuole  d'Oriente.'  Qualche  mèzzo  secolo 
innanzi,  era  venuto  a  stare  in  Sicilia  Musa-ibn-As- 
bagh-Moràdi ,  da  Cordova ,  al  ritorno  d' un  viaggio  in 
Oriente:  linguista,  grammatico  e,  dicono ,  elegante 
poeta;  ma  fece  in  ottomila  versi  una  parafrasi  del 
Mobtedà^  ossia  *,Primordii;  *  forse  i  Primòrdii  del 
mondo  e  racconti  dei  Profeti  d' Abu-Hodseifa  il  Corei- 
scita/  All'entrar  dello  undecime  secolo,  visse  in  Si- 
cilia il  rifuggito  spagnuolo  SaM*ibn-Fethùn  che  rioor^ 


<  Si  vegga  n  Lib.  HI,  cap.  XI,  p.  223  di  qaesto  volanàe. 

'  Soiuti,  Tabakài-el^Logheivin ,  nella  Biblioteca  ilro5o-St>tt2a,  testo, 
p.  674.  Tralascio  i  nomi  dei  maestri  e  disoepoii  di  questo  Hasan-ibn-Ali, 
ricordati  dal  biografo, 

>  Op.  cit.,  nella  Biblioteca  Àrabo-Sieuta ,  testo,  p.  6>78.  Il  biografo 
dice  senz'  altro  il  Mobtedd, 

*  Quest'opera  si  troya  ad  Oxford, nel  MSS,  arabici,  no DCGGXLI.  Ca- 
talogo ,  tomo  I ,  p.  i82.  Si  vegga  anche  D'Herbelot*  Bibliothèque  Orientale, 
air  articolo  Mobteda. 


dammo  di  sopra:  il  quale  fu  insieme  liogoista  e  com- 
pose  un  trattato  di  versificazioae.* 

Le  guerre  civili  della  Spagna  balestrarono  anco 
in  Sicilia  Abu-1- Ala-Sàìd  da  M osi!^ ,  esercitatosi  con 
lòde  negli  studii  di  filologia  ed  erudizione  a  Bagdad, 
buon  poeta,  argutissimo  e  pronto  di  motti,  piacevole 
al  conversare,  ma  cortigiano,  menzognero,  scroccone^ 
scialacquatore,  beone;  il  quale,  andato  a  cercare  ven  tu* 
ra  in  Ispagna,  si  rimpannucciò  appo  Almatisor  (990),  e 
lui  mancato,  venne  a  provare  se  i  Kelbiti  di  Sicilia  fos- 
sero que  mecenati  che  portava  la  fama,  e  morì  il  quat- 
f rocento  diciassette  (i  026)  o  quattrocento  diciannove." 
Torna  alla  slessa  età  il  Siciliano  Abu-Iakùb-Iùsuf- 
ibn-Ahmed-ibn-Debbàgh ,  buon  poeta,  autor  di  versi 
didascalici  sulla  grammatica,  ilquale,  a  giudizio  dlbn- 
Kattà\  avanzò  ogni  contemporaneo  in  quel  che  noi 
diremmo  studio  di  storia  letteraria/  Tornano  alla 
metà- deir undecime  secolo,  Kolùf-ibn-Abd- Allah  da 
Barca,  domiciliato  in  Sicilia,  lettor  del  Corano,  dotto 
nei  due  rami  della  grammatica,*  ornato  di  varia  eru- 
dizione e  poeta^Abu^Hasan-Ali-ibn-Abd-^r-Rahman 
il  Siciliano,  che  die  studio  di  grammatici^,  com*e'sem- 


^  Si  vegga  la  citazione  a  p.  473.  \ 

'Si  confrontino:  ibn-Khallikàn ,  versione  inglese  di  M.  De  Slane, 
toma  I,  p.  632;  Dsehebi^  ilndd-en-iVoAd ;  Sefedi»  Wa^-^f.UWt{m\  e 
Soiutì,  TtòakaX-tULi^ìitvAA  nella  Biblioteca  ÀrabinSicula ,  leato,  pa- 
gine 644, 659, 673.     ' 

s  Si  confrontino:  Dsehebi,  Ànbà'en'Nohà ,  e  Soluti,  op.  cit.,  nella 
BiblipUca  Àrabo-Sieula,  testo,  p.  648,  678.  ìl  secondo  lo  chiama  Ibn- 
Debb&gfa  (il  figlio  del  Conciatore).  Ibn-RaUà*,  ciuto  da  Soluti,  dice  che 
"  costui  osservava  con  molta  cura  i  libri  degli  antichi,  e  indagava  ogni  più 
riposta  notisia  (legli  scrittori.  " 

*  Si  vegga  la  p.  475,  no^a  3. 

s  Si  vegga  la  citazione  a  p.  477. 

II.  32 


iSec.X.XJI  —  4.98  — 

bra,  a  Susa;*ed  Abu-Hafs-Omar-ibn-Hasan,  gram- 
matico di  conto,  lingaista  e  poeta.^ 

Più  che  mai  genuino  comparisce  l'innesto  di  ram- 
pollo arabo  su  ceppo  siciliano  in  persona  di  Abu-Abd- 
Allah-Mohammed-ibn-abi-Fereg-ibn-Fereg-ibn-abi- 
Ì^Kasmj  Kaitànio  vog\mm  dire*il  Linaiole,"  sopranno- 
^ìinato  il  ''Setlil  Grammatico,  "nato  in  Sicilia  il  quattro- 
cenventisette  (4  035-6;)  dove  fece  tutti  gli  stodiì  e  ne 
usci  armato  da  capo  a  pie  in  giurisprudensfa  malekita , 
grammatica,  lingua  ed  erudizione  d'ogni  maniera;  e 
nelle  due  prime  fu  tenuto  uom  sommo ,  se  non  che 
attaccandosi  ad  appuntar  gli  errori  di  questo  e  di 
quello,  tutti  gli  si  volser  contro  e  tagliarongli  i  passi.' 
Lasciata  la  Sicilia ,  com'  e'  pare  alla  caduta  di  Palermo^ 
andò  a  Bagdad  nel  Korasàn,  eaGazna;  donde  passò, 
su  le  orme  dei  conquistatori  turchi ,  in  India  :  e  per 
ogni  luogo  rifaceva  il  verso  ai  dottori  ed  appiccava 
battaglia.  Avvenne  un  di  eh' egli  entrasse  in  una  scuola, 
credo  a  Mérw  in  Khorasàn  e  di  teologia ,  *  tenuta  da 
Mohammed-ibn-Mansùr,  Sem'àni;  il  quale  cominciato 
a  dettar  la  lezione,  il  Sottil  Grammatico.Io interruppet 

<  SoKfUr  Tabokàt-el^Logheioin ,  nella  bloe^rafiiar  di  Offlar^bn-lelsc  da 
Suga,  Biblioteca  Àrab<HSicula,  testo,  p.  678.  Omar,  che  fu  discepolo  del 
Siciliaao,  daya  a  saa  volta  lezioni  nel  408  (1104);  laqual  data  mi  serve  dì 
guida.  V  ebbe  in  Oriente  al  medesimo  tempo  un  poeta  sIclKano  dello 
stesso  nome,  del  quale  diremo  innanzi. 

*Dsefaebt,  Anbà^-en^Noké ,  neHa  Bihliateea.Àrabo^Sicuìa,  lesto, 
p.  646.  Potrebbe  essere  Io  stesso  che  il  Segretario  Ibn-Kftnt^  che  ebbe  il 
medesimo  nome,  soprannome  e  nome  patronimico.  Si  vegga  )a  p.  464. 

9  Lascio  indeterminato  il  male  che  gli  abbian  fatto.  Il  testo  dice: 
*  Gridarono  contro  di  lui,  e  Indi  non  prosperò.* 

*  11  primo,  perchè  il  padre  e  il  figlio  di  Sem'àni,  entrambi  scrìttoH 
dofnosctoll ,  soggiornavano  in  Mérw.  Si  regga  fteinaud ,  Introduzione  alla 
GéographiB  d'Aboulfedur  p.  cx;  e  d'Hcrbelot,  Bìblioihèque  OHentaUt  al- 
l'articolo:  Samaani.  Suppongo  la  cattedra  di  teologia,  perébè  Soiuti  in 
progresso  del  racconto  usa  la  voce  Keìàm. 


—  499  —  ISeeoU  XI.| 

"^  Non  è  com'  ei  dice;  va  scrìtto  così  e  così.  "E  Sem'àni 
ai  discepoli:  "*  Correggete  a  saa  posta,  ch'ei  ne  sa  più 
di  me:  "  i  quali  obbedirono.  Non  guari  dopo  il  Sici- 
liano, rivolto  a  Sem'àni,  "*  Signor  mio,"  disse,  "*  ho 
sbagliato,  che  menda  non  v  era  nel  tuo  dettato  :  "  e 
quegli  pacatamente:  ""Si  rifaccia  dunque  come  stava  :" 
e  finita  la  lezione,  trovandosi  solo  con  gli  amici,  ri- 
pigliò: "  Il  Magrebino  *  mi  sfidava  per  dirmene  un 
sacco  delle  sue,  cònd'ha  fatto  con  gli  altri;  ma  gli 
uscii  di  sotto;  ed  ecco  che  s'è  condannato  di  bocca 
propria.  "  Kattàni  morì  a^  Ispahan ,  il  cinquecento 
dodici  (1148r9.)  Ebbe  a  maestro  in  dritto  il  celebre 
siciliano  Mohammed-ibn-Iùnis,  e  in  graminatica  un 
Ali-Haiùli  f  siciliano  o  dimorante  neir  isda/ 

Nella  gioventù  di  Kattàni  era  trapassato  in  Sici- 
lia un  valente  filologo  secondo  que' tempi,  per  nome, 
Àbu-'Ali-Hasan-ibn-Rescfk.  Nacque  Tanno  mille  a 
Msila  d'Affrica,  dun  liberto  di  schiatta  greca o  italica:* il 
quale  apparando  a!  figlio  la  pròpria  arte  d' orafo ,  il 
mandò  insieme  a  scuola;  e  visto  il  pronto  ingegno 
alla  poesia  ed  alle  lettere,  gli  assentì  d'andare  a 
quindici  anni,  a  Kairewàn,  antico  emporio  della 
cultura  arabica.  Dove  Ibn-Resctk  guadagnò  dottrina, 
fama  e  stato.  Un  poema  in  lode  di  Moezz-ibn-Badts 
Io  fece  entrare  al  servigio  del  principe  ;  *"  tenuto  pò- 

•  ■  .  -^ 

<  Qoè:  "di  Ponente i*^  Africa,  Sicilia  e  Spagna. . 

s  Soiutì,  Tabakài-el'Loghewin,  nella  BiblUHeea  Àrobo^SiCula,,  iea(o» 
p.  675. 

^Rùrni. 

*  Ibn-KkailikAn  e  Usehebi,  i  quali  aggiungono  che  altri  il  dicea  nato 
a  Mehdia..Fu  nominato  aaciie  Azdi,  dalla  tribù  di  Azd , dalia  quale  nasceva 
il  padrone  del  padre  divenuto  dopo  1*  affraDoamenio  patrono  Mia  famiglia; 
ed  anche  Kafrew&ni  dalla  città  dove  fece  soggiorno. 


(Secolo  XI. I  —  500  — 

scia  tra  i  poeti  di  corte,  *  e  fatto  segretario  di  guerra." 
Sino  al  limitare  della  vecchiezza,  visse  prosperamente 
a  corte,  tra  gli  studi! ,  tra  le  amistà  e  nimistà  lette- 
rarie  ed  alcun  brutto  costume,  svelatoci  dal  Siciliano 
Àbu-Àbd-AUah-ibn-Seffàr,  erudito  dabbene,  il  quale 
trovandosi  al  Kairewàn,  tutto  lieto  d'esser  fatto  in- 
timo di  Ibn-Resctk,  sì  trovò  terzo  personaggio  in  una 
strana  commedia.' 

Ma  al  conquisto  degli  Àrabi  d'oltre  Nilo ,  quando 
Moezz  era  costretto  a  chiudersi  in  Mehdia  (1057)  e 
il  poeta  ve  V  accompagnava  ,^  la  mala  fortuna ,  come 
pur  suole,  accese  discordia  tra  i  due  vecchi  amici. 
Un'armata  cristiana,  di  Pisa  forse  o  di  Genova,  s'era 
appressata  nottetempo  a  Mehdia  ;  il  principe  affaccen  - 
dato  in  sul  far  dell'  alba  à  provvedere  al  pericolo,  leg- 


<  Ibn-Abbftr,  Hollel-ei^iarà ,  MS.  della  Società  Asiatica  di  Parigi, 
fcg.  108  verso. 

s  Diivdn  di  Bellanobì,  nella  Biblioteca  Àtaho^Sieula ,  testo,  p.  681. 
Ecco  i  dae  versi  d' Ibo-RescilL,  scritti  probabilmente  in  Sicilia,  cbe  atte- 
stano questo  fatto  e  insieme  P  orgoglio  dei  liberti  delle  corti  musulmane. 

*  Segretario  io  già  fui  dell*  esercito  dell'  emìr;  e  condussi  le  faccende 
(puì^bliche)  dirittamente  : 

*Non  tenni  bottega,  no,  in  un  mercato  d*arti,  il  cui  nome  conviene 
alla  (W//ddeUa)  cosa.' 

Quisi  scherza  sulle  yocìnih  "mercato  e  plebe"  eMihàl  "arte  ed  astuzia." 
>  Scehab^ed-dtn-Omari,  dà  quest'aneddoto  in  tre  o  quattro  pagine, 
notando  cb'  ei  V  abbrevia  dal  testo  d' Ibn-Bassàoh  Io  1*  ho  pubblicato  nella 
Biblioteca  Àrabo^Sicula,  testo,  p.  651,  652,  stralciandone  molte  lamen- 
tazioni erotiche,  se  tali  possan  dirsi,  in  prosa  e  in  verso.  Ibn-Seffàr  autore 
del  racconto  afferma  cbe  in  realità  non  c'era  stato  nulla  di  male:  e  ciò 
scolpi  non  Ibn-Resclk,  ma  l'opinione  pubblica  che  condannava,  come 
ognun  vede,  quelle  sozzure. 

*  Ibn-Khallikàn  e  Scehàb-ed-din-Omari.  La  data  ch'essi  non  notano 
si  legge  in  tbn-Khaldùn,  Histoire  des  Berbères,  versione  di  M.  De  Slane, 
tomo  II,  p.  21 ,  22,  e  più  precisamente  in  Ibn-el-Atblr,  MS.  C,  tomo  V, 
fog.  81  verso,  e  seg. ,  sotto  l' anno  442;  il  quale  pone  in  ramadhan  449 
(novembre  i057),  il  saccheggio  di  Kairevirftn,  cbe  seguì  poco  dopo  la  par- 
tenza di  Moezz. 


—   501   —  (Secolo   XI.J 

gea  gli  spacci  a  lume  d' un  doppiere,  quand'  ecco  Ibn- 
Rescìk  entrare  nella  stanza,  e  porgergli  un  poema  che 
incominciava:  ^^  Fa' cuore;  non  ti  s'offwchino  i  pen- 
sieri nel  cimento:  che  già  alla  tua  possanza  ognun 
piega  il  collo»  " — **  E  come  far  cuore,"  proruppe  Moezz, 
"* quando. lu  mi  vieni  tra  i  piedi  ad  aiutarmi  così?  Per- 
chè mQ  non  stai  zitto  !  ''  E  stracciò  il  poema,  e  hru- 
ciollo  al  doppiere.  Ibn-Rescìk,  voltale  incontanente  le 
spalle,  s'imbarcò  per  la  Sicilia,'  dove  avea  amici;  sa- 
pendosi di  due  poeti  siciliani  che  si  carteggiavano 
con  essOj  e  rimanendoci  fino  i  versi  ch'ei  scrìsse  al- 
l' uno  arrivanda  a  Mazara  e  la  risposta  per  le  rime." 
Raccolto  a  grande  onore  dai  principali  della  terra,  Io 
rappattumarono  con  Ibn--Scerf ,  poeta  del  Kairewàn  e 
della  corte  di  Moezz  e  però  suo  mortai  nemico;  il 
quale,  avendo  riparato  in  Sicilia  prima  di  lui,  s'era 
messo  subito  a  lacerarlo.  'L'ospitalità  siciliana  non 
tolse  che  venuto  per  cagion  di  mercatare  un  legno 
di  Mo'tadhed ,  principe  Abbadida  di  Siviglia ,  Ibn-Re- 
scik  si  mettesse  ai  panni  al  padrone,   pregando  di 

'  Ibn-Bassàm,  squarcio  inserito  da  Sceblkb-ed-^jItiHOmari  nel  Meiàlik-' 
'  el^Àbsdr,  Biblioteca  Arabó-Sieula,  testo,  p.  650, 651.  Il  testo  ch'è  In  prosi 
rimata,  gonfio  e  voto,  diee:  e  Non  andò  guari  che  venne  un'armata  di  Rum, 
»  ed  all'  alba  il  mare  apparve  tatto  colline  minaceianti  estremi  fati  e  poni 
»  carichi  di  morte  repentina  ec.  ;  >  ma  non  aggiogne  il  successo  dell'impresa, 
né  dice  appunto  la  nazione  che  avea  messo  a  galla  le  terrìbili  colline.  I  Bi- 
jKantijii  da  tanto  tempo  non  comparivano  nel  bacino  occidentale  del  Medi- 
terraneo. All'incontro  i  Pisani  il  1054  aveano  assalito  Bona  e  Cartagine,  e 
nella  seconda  metà  del  secolo  osteggiarono  Palermo;  poi  Mehdia  insieme 
coi  Genovesi  ec. 

s  Imad-ed-din,  KhaHda  nella  Biblioteca  Arabo^Sicula ,  testo,  p.  591. 
H  nome  dell'  uno  è:  Abu-Hasan-Ali-ibn-Ibrabtm-ibn-Wadd&ni,  e  deU'al- 
irò  AtMHAdlHAUaA«Mobammed-ibn-Ali-ibn«Sebbàgb ,  il  Segretario.  1  tre 
versi  si  leggono  nei  MS.  di  Parigi,  fog.  35  recto;  e  sembrano- scritti  dal 
Maggi  0  dallo  Zappi. 

'  Ibn-Bassftm ,  op.  cit. ,  p.  65i. 


ISecoloXI.]  —  502  — 

menarlo  seco  a  corte;  il  quale  gliene  promesse  e  poi 
lo  ptanfò.  Rimaso  parecchi  aoni  tra  si  e  no  di  far  il 
viaggio  di  SpttgDa,  venne  a  morte  in  Mazara  verso  il 

mìllesettanta.^ 

Il  cui  soggiorno  tra  il  romor  delle  armi  cristiane, 
non  promosse,  credo  io,  le  lettere,  né  ad  altro  giovò  che 
a  tramandarci  qualche  aneddoto  deir  antica  corte  kel- 
bita  e  qualche  barlume  su  la  cultura  contemporanea. 
Lasciando  addietro  le  opere  perdute  d'Ibn-^Resctk,  in 
giurisprudenza,*  lingua/  storia  letteraria/  fatti  me- 
morabili deHa  storia  ,°ed  una  Cronica  dei  ^airewàn;  ' 
lasciando  addietro  le  poesie,  facili,  vivaci  e  talvolta 
oscene/  noterò  un  trattato  di  poetica  denominato  la 
Colonna ,  nel  quale  la  ragion  dell'arte  è  considerata  al 

<  Si  confrontino  :  Ibn-Kliallikàn ,  Diiionario  Biografico,  versione  io- 
glèse  di  M.  De  Stane,  tomo  l ,  p.  384;  DsehebiJ,  Antà'eh-Nohó,  nella  Bi- 
blioteca Atabth-Sicula  ^  testo,  p.  641;  Scebàb-ed-dtQ-Omarl,  op.  cU., 
p.  649  a  653.  1  due  primi  riferiscono  come  meno  autorevoli  altre  tradi- 
zioni cbe  recavano  h  morte  é*  Ibn-Resctk  nel  450  o  ne)  456.  Si  Tegga 
aocbe  il  Baién,  edizione  del  Dozy,  testo^  toI.  I ,  p.  507.  Abbad-*iba-Uotiam- 
med  soprannominato  MoHadbed-billab ,  regnò  dal  453  al  461  (1041-1069). 

"  Si  vegga  sopra  a  p.  490, 

'  Le  Pagliucee  d'oro,  Ibn-Kballikan  ed  Uagi-Kbalfa,  op.  cit.»  tomo  IV, 
1>.  509,  no  9S94 ,  ed  i  **  Neoiogimi  ;  *  Ibn'-Kallikan ,  L  e. 

*'  lì  TipOy  Hagì*Kbalfa,  op.  cil.,  tonoo  I,  p.  468,  no  tSQl  È  eilato^ 
ànebeda  Ibn-Kallikftn,  nefla  detta  biografia  ^  e  in  un  .altra  klogo  rdaliro 
^*  aneddoto  delV  emiro  kelbita  lusuf  raccontato  ^  noi  nel  «ap.  VU  di 
'^oesto  Libro,  p.  535  del  votame.  Si  v>egga  anche  Ifakkari,  ÀnaUeies  de 
Vhkknre  d^8pe0ie,  testo  arabico ,  tomo  1 ,  p.  iM4,  e  ìVMetÙiik-^l^Àhsdr, 
MS. di  Parigi,  fog.  77  recto. 

*  la  bilancia  delle  gette,  Hagi-Rbalfa,  op.  cit.  ^  tomo  Yl,  p.  385, 
N*'i5,497; 

^  Hagi-Kbalfa ,  Di%ionario  Bibliografico,  edizione  di  Flnègel,  tomo  il, 
p.  144, «0  2285.  ' 

7  Spesso  occorrono  versi  d' Ibn-Resotk  nelle  antologie,  biografie  ee. 
Molti  se  ne  trovano  nel  BHvdn  di  Belianobi ,  cbe  sembrano  raccolti  in  Si- 
cilia ,  come  diremo  trattando  di  qoei^  poota.  E  quivi  ho  lotto  i  vensi  d' Ibn- 
Resclk,  ai  qoairalludo,  nei  quali  le  parole  sono  brutte  quanto  l*aif^ 
mento . 


—  503  —  [s^oio.  xi.j 

modo  che  noi  abbiamo  appreso  dai  maestri  ^reci  ;  e 
si  aqceQQa  ad  alcan  predetto  di  quelli/  Onde  direi 
ootest' opera  compiuta  in  Sicilia  da  Ibn-Resdk,  con 
que'  pochi  lumi  dì  greche  lettere  che  vi  rimanessero: 
uB  anòoimo  Siciliano  ne  fece  poi  un  compendio  coi 
tikrio  di  PreparcmetUi  *  Piìi  chiara  apparisce  la  sofr 
gente  in  due  versi  d'UmrRescìk,  coi  quali  il  poeta 
esortando ,  com'  e'  parmi,  alcun  regolo  ileir  isola  a 
lasciarsi  menare  a  goiAzaglio  dai  dotti,  jric<»tla  forse 
il  nome  d'Atene,  e  v^  appicca  quel  della  Sicilia,  con 
una  etimologia  che  allor  correa  tra  gli  Arabi  del 
paese/ 

*  Dì  quest'opera,  che  citano  Ibn-Khallikàn ,  ibid.,  ed  Hagi-Kbalfa, 
edizione  Fluègel,  tomo  lY,  p.  265^  n»  8358, abbiamo  dueBfSS.  in  Euro- 
pa, l'uno  a  Leyde  (32  Golius,  catalogo  del  Oozy,  temo  |,  p.  l2t, 
no  CCXXXVil ,  e  l' altro  al  BritLsb  Museum «  (n»  9661 ,  GaUlogo  ccxuix  E), 
.lo  Ilo  percorso  il  MS-  di  Londra,  in  prlneifkiOyCbjè  ooii  notai  il  numero 
del  foglio ^Ibn-Resoik  dice  che  la  ragione  poetica  jdei  Junàn  (Greci  an- 
ticbit,  era  fondata  tutta  «  su  gii  obbietti  morali  o  Usici;  poiché  i  Grepi 
non  peDsar<>no  mai  a  ciò  ebe  fa  il  principale  vitnio  dei  poQti  arabi  ;  »  con 
die  vuol  significare  gli  scherzi  di  parole,  gU  enimwi,  le  tumide  me- 
tafore ee.  Non  ho  tradotto  letteralmente ,  percb^  non  son  certo  ^ella  lezione 
di^alcnue  tocì.  Il  MS. ,  in  parie  è  di  moderna  e  pessima  ecrittura  africana , 
e  in  parte  di  buon  neskbi  del  044  deir  egira. 

s  Hagi-Khalfa,  1.  e. 

'  Qi]Q$ti  due  versi  sono  dati  da  Ibn-^qebbàt,  a  proposito  della  sup- 
posta e^inologia  della  voce  Sicilia,  a  da  Soluti ,  nella  biografia  del  Siciliano 
Ibn-Abd-el-Berr,  BihlioUfM  Àraln^Sicula »  p.  212  e  072. 

"  Sorella  di  'Adina  in  un  nome  del  quale  non  partecipò  altro  paeae 
{del  mondo) ,  e  cerca  {nnB  trovi) ^     ^ 

"  Nom^  cui  Dio  illustrò  «  accennandovi  in  forma  di  gruramen&o;  —  se- 
gui [dunque  o  principe)  gli  avvisi  dei  dotti;  e,  se^n'pl  vuoi,  ,va  pure  a 
tentoni."      , 

Soiuti  aggiugne  die  le  parole  "cui  Dio  illustrò  ee."  si  riferiscano  a 
quel  verso. del  Corano  (Sura  XGV,  vers.  I),  '{Giuro)  perTetivoe  pel 
fico"  deve,  al  dir  di  alcuni  comentatori,  quei  due  alberi  sono  nominati  per 
eccellenza  tra  tutti  i  vegetabili;  e  secondo  altri  il  primo  allude  a  Gerusa- 
lemme «  e  il  secondo  a  Damasco. 

Quanto  a  'Adloa,  parmi  si  debba  intendere  M^e.  Egli  è  vero  cbe  gli 
eruditi  arabi jsogliono  scrivere  aUrimenti  questo  nome  ;  egii  è  vere  cbe  la 


(Secolo.  XI.|  —  804  — 

La  falsa  etìcaologia ,  dica,  da  due  vocaboli 
greci  che  significan  fico  ed  olivo,  ripetuta  dai  croni- 
sti latini  di  Sicilia  del  decimoterzo  secolo,*  scrìtta  per 
Io  primo  da  un  filologo  arabo  che  visse  fino  al  mil- 
lecinquantotto  e  fo  maestro  d'  Ibn-Eattà\  Ebbe  nome 
Abu-Bekr-Mohammed-ibn-Ali-ibn-Hasan-ibn-Abd- 
el'B^rr ,,  della  tribù  di  Temtm;  il  quale  uscito  di  Si- 
cilia per  proseguire' gli  studii  di  tradizioni,  gramma- 
tica e  lessicografia,  soggiornò  in  Oriente,  forse  a 
Bagdad;  e  tornando  in  patria ,  recò  il  celebre  diziona- 
no  di  Gewhari;  fu  accolto  e  messo  in  alto  stato  da  Ibn- 
Menkùd  che  regnava  allor  in  Mazara,.  principe  d'aù- 
sterissima  pietà  al  dir  del  biografo.'  Che  Ibn-Abd-el- 


prima  lettera  del  nostro  testo,  cioè  V  atn,  «ia  esclusivamente  semitica  e 
non  soglia  adoperarsi  «dagli  Àrabi  nelle  voci  straniere.  Ma  la  geografia  ara- 
bica non  offire  altro  nome  cfae  soddisfaccia  al  caso;  ed  Atene  vi  si  adatta 
appuntino  :  nome  dato  ad  onore  di  Minerva  che  recò  r  olivo  »  onde  qnc- 
8t' albero ,  In  greco,  si  dice  anco  AdTivatf. 

Debbo  qui  avvertire  che  nel  tradurre  i  dae  versi  ho  seguito  la  felice 
inlerpretazlone  del  professore  Pieiscber  e  la  correzione  sua  al  testo  delta 
BibHoteea  Àrabo^Sicula ,  p.  212.  Non  così  la  lezione  "Medina*  ch'egli 
propóne  in  vece  di  'Ad!na  ;  parendomi  che  le  condizioni  sopposte  dal  poeta 
non  convengano  punto  ali*  antica  Jaihrib ,  poi  detta  Medinel-^n-Ifebif  ossìa 
la  città  del  Profeta. 

'  GrcRce  Siealea  quod  latine  est  fieum  el  olivam ,  leggesi  neir  ÀfUh 
nymi  Chronieon  Siculum,  presso  Di  Gregorio,  Biblioteca  Aragonese, 
tomo  li,  p.  121,  e  in  Blirtolomeo  de  Neocastro,  op.  cit.,  I,  il 5.  Questa 
etimologia  di  Six^Acà  da  <ruxn  ed  ìXolIo.  ,  non  si  trova  negli  scrittori  greci 
né  anco  dei  bassi  tempi.  Mostra  grande  ignoranza  non  solo  della  istoria 
ma  anche  deHa  lingua  confondendo  il  t  e  Tv  IN  e  r<,  come  l'orecchio 
le  rendea  simili  a  chi  non  le  ayesse  mai  lette  nei  libri.  E  però  si  può 
supporre  trovato  dei^liberti  siciliani  che  sapessero  dall'  infanzia  il  greco  voi* 
gare  e  non  avessero  studiato  profondamente  altra  letteratura  che  l'arabica. 

>  Si  confrontino:  Ibn-Scebbat,  diDsehebie  Soluti,  nella  Biblioteca 
Arabo-Sicula,  p.  212,  648,  e  671,  672.  L' ultimo  cita  a  proposito  della 
detta  etimologia  un  passo  di  Ibn-abd-el-Berr,  non  sappiamo  di  qualeopera, 
trascriilo  da  Ibn-Dehìa,  autore  spagnuolo  (1153-^1 235)  nelle  storie  dei 
poeti  M^ghrebini  intitolata  il  Matreb.  Il  primo  dà  l'etimologia  sul  Telkkif-- 
ei-/f94ii,  opera  d'Ibn^Kattà', che  nataralmente  l'avea  tolta  dal  maestro 


—  505  -—  (Secolo  XI.J 

Berr  abbia  tolto  da  Ibn-Resctk  quella  falsa  etimologia 
e  la  eradizioQe  che  pur  vi  si  richiedeva ,  non  mi  par 
punto  verosimile.  Un  secolo  innanti  gli  Arabi  Sici- 
liani avevano  aiutato  alla  interpretazione  d'opere 
scientifiche  dei  Greci;  notaron  poscia  gli  avanzi  d'an^- 
tichi  monumenti;  raccolsero  qualche  fàvola  delle  co- 
lonie greèo-sicole;  ^  vissero  con  Greci  di  Sicilia  culti 
tanto  o  quanto.  Tha  cagione  dunque  di  prèsuiuere 
che  si  fosse  tentalo  dai  Musulmani  dèir isola  nella 
prima  metà  dell'  undecime  secolo  qualche  ^udio  sa 
la  letteratura  greca,  rozzo  sì,  ma  da  poter  mostrare 
agli  scrittori  arabi  un  altro  campo  come  quello  delle 
scienze  filosofiche  e  matematiche  coltivato  al  tempo 
di  Mamùn.  E  la  Sicilia  offriva  ottimo  terreno  all'espe- 
rimento.  Se  non  che  molto  più  agevole  torna  a  tra^ 
piantare  da  schiatta  a  schiatta  le  scienze  che  le  lettere; 
ed  ormài  la  virtÈi  degli  Arabi  mancava  da  per  tutto  ; 
la  colonia  siciliana  era  lì  lì  per  cadere  sotto  il  do- 
mìnio straniero. 

Quel  soprannome  dlbn-Kàttà  (  Figliuolo  del  pie- 
coniere)si  détte  ad  una  famiglia  del  ceppo  modha- 
rita  di  Temtm,  ramo  di  Sa'd-ibn-Zeid-Monat,  la  quale 
par  venuta  in  Sicilia  da  Santarem  di  Portogallo  verso 
la  metà  del  decimo  secolo.' Gia'far-ibn-Ali  di  tal  gente, 

Ibn-Àbd  el-Berr.  Il  nome  d' Ibn-Meni^ùt,  data  dal  solo  Dsehebi,  è  scritto 
Medkùd;  su  dì  che  si  vegga  il  cap.  XII  di  questo  Libco,  p.  420  del  volume. 

'  Si  vegga  il  Lib.  IH,  cap.  XI,  e  il  cap.XlU  di  questo  Libro,  p.  219 
e  459  del  volume. 

'  La  voce  Katià*,  cbeiìon  è  nei  dizionarii ,  si  trova  nella  continua* 
zfone  di  Bekri ,  ove  signiflca  i  piccoDleri  di  zolfo  in  Sicilia  ;  squarcio  dato 
da  Ihn-Scebbàt ,  Biblioteca  Araba-Sicula ,  p.  2r0.  L' ho  trovata  anche  col 
signitfcato  di  *tag1iator  di  pietra^  in  uria  leggenda  cristiana,  MS.  arabo 
di  Parigi,  Ancien  Fonds,  66,  fog.  i75  recto. 

IbRrKhàllikàn,  comincia  la  vita  di  Àli-ibn-Gia'far  Ibn-Kattà*  con  una 


filologo  di  motta  dottrina ,  rinomato  nello  stile  episto- 
lare, lodato  per  proprietà  di  lingaa^io  e  ducato 
gusto  in  poesia,  viveafinoal  millecinqaantotto/  forse 
in  un  villaggio  a  poche  miglia  di  Palermo.'  Da  lai 
nacque,  il  dieci  sefer  dei  quattrocentotrentatrè  del* 
Tegira  (8  cHtobre  1044),  illustre  figliooi  d^uomoilia- 
stre,  scrìvono  i  biografi,  Ali^bn-GiaYar,  detto  simil- 
mente Ibn-Kattà\  il  quale  ebbe  a  maèstri '^  in  lettere 
e  tradizioni  Ibn-Àbd-el-Berr  ed  i  primi  emditi  dèi 
paese;  fece  versi  a  tredici  anni,  a  andò  crescendo  di 
dottrina  e  fama,  find^,  abbattuto  l'ultimo  vessillo  mus- 
sulmano in  Sicilia,  emigrò  in  Egitto:  dove  non  fii 
onoranza  che  non  gli  fosse  resa;  anzi  il  tennero 
come  dittatore  nelle  lettere;  e  giuravano  su  VEi  così 
disse.  Il  ministro  Afdhal ,  sì  benigno  agli  usciti  sici* 
liani ,  lo  volle  maestro  dei  proprii  figiiocrii  ;  '  scrtveasi 
a  vanto  nelle  biografie  chi  gli  fosse  statò  amico  o  di- 
scepolo:^ da  lui  appresero  gii  Arabi  d'Egitto,  e  studìa- 

genealogia  che  si  rannoda  a  quella  degli  Agblabiti,  risalendo  fino  ai  primi 
prngeniiori  della  tribù  di  TeoiUn.  Egli  dice  tverìa  scHda  così  nella  bozza 
del  sao  dizionario  biografico  senza  sovvenirgli  onde  fosse  tolta;  ma  aver 
sotto  ^i  ocelli  akro  albero  di  parentela  di  propria  mano  d*  Ibn-Kattà'  nel 
quale  Qoq  entrano  ponto  gli  Agbiabiti.  Noi  ci  ai^pigtiaroo,  com'  è  naturale»  9 
riuesto,  cbc  porta  :  Ab<i*l-Kas.em-Àli-ibn-Gla'far-ibu-Ali-ibn-Mqbaramcd- 
Ibn-Abd-Allah-ibn-Hosetn ,  Sciantareni,  Sa'dl;  onde  st  vede  che  corsero 
qqtiiro  geD^rajsioQl  ira  T'emigrate  di  Santarévi,  e  il  nato  in  Sidlia  il  1041. 
Si  corregga  conforme  a  ciò  la  notizia  data  nella  Introduzione  ^  voi.  I , 
p.  XXXVII.  noi. 

'  Dsehebi,  Anbd^n-Nohd  n^la  Biblioteca  Àrabo  SieulatX^^,  p.  643; 

'  KjaV'Sa'd.  Si  vegga  il  viaggio  d*  Ibn-Giobair,  Bel  Journal  Àmtique, 
serie  IV,  tomo  VII  (1846),  p.  42.  La  conghiettora  è  fondata  su  Tideintità 
di  nome  della  tribù  e  del  villaggio.  D'altroode  Ibn«KatlA'  e0sieq4o*  detto 
moralmente  Sìkilli  era  cittadino  della  capitale. 

>  Si  confrontino:  Inwrd-ed-dtn ,  Ibo^KhamkftQ  ,  Dsehebi  e  Soiiili. 

*  Lo  Dsebebi^  nella  vita  di  NasrOu-ibD-Fotùh-ibn*H99ei|L  Kbere^i»  eì 
Soluti  in  quella  d'Isma'il-ibn-'Aii-lbfHMiksciar,  Biblioteca  4rcborSmlf$, 
p.  6i8  e  674,  notano  di  qaei  due  gramolatici  che  fossero  stati  compagni 


—  507  —  |8«soio  XLl 

rollio  con  le^ue  glose,  il  dizionario  di  Gewhari;  a 
dispetto  di  qualche  fiacceete  che  accufitavalo  di  non 
teoeme  il  t^to  autentico,  ma  una  copia  con  licenze 
posticce:^  che  par  calunnia,  poidiè  Itm-Àbd-«1'-B^r 
gli  avea  potuto  insegnare  quel  libro  ia  Sicitia.  Morto 
del  mese  dì  sefer  cinqueceutoquindici  (aprile  e  mag-* 
gìo  1421)  al  €airo  vecchio/  Io  seppellirono  accanto 
al  legislatore  Sciafe'i.' 

Gom'  egli  priolBggiò  tra  i  letterati  arabi  della  Si- 
cilia, Ibn-Kattà'  cosi  fu  quel  che  più  scrisse  delle 
cose  patrie.  Dettò  una  storia  di  Sicilia  eh' è  per- 
duta; *  sparse  qua  e  là  cenni  biografici,  geografici  e 
di  varia  erudizione  sul  paese;''  compilò unVantoIogia 

*  dMbn-*Kattà';  e  del  secondo  si  diee  essere  di  venato  celebre  ta  mercè 
del  letterato  siciliano.  Solati  nelle  biografie  di  Ased-ibn-Ali-ibn-Mo'mir, 
Boseini,  lo  ricorda  discepolo  in  tradizione  d*  Ibn-KattjSi*;  e  lo  Mesao  in 
quella  di  Ali"^t>n-Àbd^I-Oebbàf-*ibn»Abdùn,  gran  filologo  e  tradizlonisia» 
BihUoteea  Araìxh-Bicula ,  p.  d?3,^77. 

<  Soluti,  1.  e.  Ogni  libro  si  leggea  in  pubblica  scuola  con  licenza 
scritta  dair  autore  o  di  chi  il  tenesse  da  lai;  e  così  saccessivamenle.  Or  i 
leuefati  d*  Egitto,  a  proposito  del  Disionario  di  Gewharì,  spacciarono  cbe 
Ibn-Kattà' ,  vedendolo  nial  noto  e  mollo  desiderato  nel  paese,  avesse  fab- 
bricato la  ^erie  delia  iioenu  :  onde  lo  sentenziarono  aom  di  cottieBU 
*  troppo  scipita'  in  questa  maAevia.  Cesi  8oiuti;  il  cheepioga  quelPaocusa 
di  "troppa  scioltezza  nel  -riferire "  che  leggiamo  più  vagamente  ia  Ibn-r 
KbàlifcftQ^  41  DiEìonario  di  Cesari  ora  stato  piHiii^ieato  a  Nisapèr  In  Rlio- 
rasftn  il  390  (1000)^  e  V  autore  morto  il  505  o  308. 

s  La  bìograda  di  Aii-lbo^Katl&* è  data  da:  Ibo^Kballikàn^  DiMùnario 
biografeo,  versione  inglese  di  IL  De  Siane,  tomo  11,  p.  26o,  366;  Dse* 
itétìk,Atèbé^€fh'Nokd,  nella  Biblioteca  Àrabo^Siculm,  p.  646;Soluli,  Tnbàkét- 
et^Lùghewtm,  op.  pii. ,  p.  676.  isuMU-edHlla,  nella  jEAorlde,  op.  Cit.»  p.  589» 
ne  &  anche  no  breve  cenno ,  aggiugnoodo  aver  conosciuto  in  Egitto  chi 
io  av«4  veduto  viveote;  e  aver  trovato  usa  tavoletta' scrìtta  da  lui  il  009. 
Sf  vegga  anehe  Abulfeda,  Annalu  MoslemUd,  anno  iMS,  tomo  HI,  p.  À&È, 

•  Soioti ,  op.  elt. ,  p.  6T7. 

*'Bàgl-Khalfa,  Diùontirio  Bibliogràfioo,  edizione  Flnègel,  tomo  li, 
p,  I3K,  no  3243;  e  Soluti ,  op.  dt.,  néìU  MibUoteòa  Àréè(H'Skula\  testo« 
p.  677.  X'  autografo  par  cbe  Cosse  vmuto  alle  roani  di  lakùt.  Si  veggo  la 
Biblioteca  Àrabo-Siculajp.  ììb, 

>  Si  veggano  nel  capitolo  precedente ,  ia  pag.  450  ;  e  In  questo  capi- 


iSeeoloXI.]  —  508  — 

siciliana  intitolata  La  nobile  Perla  e  V  eletta  dei  poeti 
dell'isola:  della  qaale  ci, rimangono  gli  squarci  che 
piacquero  d  Imàd-ed-dtn  d'Ispahan;  e  sòn  di  quaranta- 
tre poeti/  tra  i  censettanta  che  ne  avea  trascelti  Um— 
KattàV  e  di  ciascuno  par  abbia  datala  biografia, poichè^ 
vi  messe  la  sua  propria.'  Sortirono  maggior  fama  in  Le- 
vante e  Spagna  le  opere  di  filologia  e  storia  letteraria. 
Il  Libro  dei  Verbi,  che  al  dire  d'Ifan-Khallikàn  tolse  il 
primato  a  quel  dello  spàgnuolo  Ibn-Kùtia;  *  la  Fab- 
brica.dei  nomi,  verbi  e  infiniti,  cioè  un  quadro  generale 
delle  forme  grammaticali,  lodato  anche  da  Ibn-Khalli- 
kàn,  dove  Tautore  aggiunse  forse  un  centinaio  di  nuove 
forme  spigolate  nei  glossarli  e  scrittori;  e  sembra 
r  ultimo  suo  lavoro/  In  lessicografia  lasciò  il  cemento 

lolo,  p.  490  ec.  Ibn-KattA*  par  che  abbia  dato  l-orlograQa  di  tolti  i  nomi 
topografici  deir  isola.  Oltre  quel  di  Sicilia  citato  dianzi,  v'ba  quel  drKo*- 
s)ra  {Pantellaria) ,  lìeW^ , Biblioteca  Arabo^Sieula ,  testo,  p.  i24. 

'  Kbarlda,  nella  Biblioteca  Àrabo^Sieula,  cap.  LXIII,  §  3,  p.  S89  a  598. 

'  Hagi-Kbalfa,  op.  cit. ,  tomo  U ,  p.  135,  no  2243.  Ne  £a  menzione  lo 
atesso  autore,  tomo  111,  p.  203,  N«  4935,  e  Ibn-Kbaiiikàp,  e  Sointi,  li.  co. 

^  Makkari,  Ànalectes  sur  l'hùioire  d*  Espagne  giorno  Up.  634  del 
testo  arabico,  trascrive  un  passo  dello  storico  ibn-Sald,  il  quale  dando 
r  autobiografia  si  scusava  con  V  esempio  di  tre  scrittori,  tra  i  quali  nomina 
Ibn-^KattÀ'. 

*  Ibn-Kballikàn  e  Soluti ,  II.  ce. ,  Hagi-Kbalfa,  op,  cit.,  tomo  f,  p.  373. 
No  1025.  Par  che  sia  esemplare  di  quest'opera  il  MS.  dell*  Escuriale  DLXXUI* 
che  Gasiri  tradusse-  '  Liber  Verborum  iripariitumque  " ,  ma  si  tratU  forse 
dei  "voBbi  triliteri";  e  quivi  afferma  essere  stato  lbo-Katt&',  DomieiUo 
Ct^rdubensis,  Notando  pei  l' opera  di  versificazione ,  della  quale  or  or  fa* 
remo  parola,  Gasiri  lo  spaccia  origÈne  netUus  patria  Bùpaknsis ,  ed  anche 
trascrive  male  il  nome.  Indi  gli  Ebn-al-*Eattaa  ed  Ebn-ipataa  del  Di  Gre* 
gorio.  Rerum  Àrabicarum,  p.  239.  Il  Gasiri  non  avea  punto  fatto  equivoco 
tra  il  padre  e  il  figliuolo,  ma  avea  reso  con  lettere  diverse  lo  stesso  nome, 
lo  non  so,  non  avendo  veduto  1  due  Ai  SS. ,  sevi  sia  qualche  parola  da  far 
sapporre  il  soggiorno  d^  Ibn-Kattà*  a  Gordova  e  Siviglia;  né  sarebbe  im- 
possibile che  prima  d'Egitto  ei  fosse  andato  in  Ispagna.  Ila  Gasiri  suoi 
troppo  facilmente  far  dono  alla  Spagna  di  scrittori  che  non  le  apparten- 
gano per  niun  conto. 

»  Ricordato  da  Ibn-Khallikàn  e  da  Soiuti.  Hagi-Khalfa  ebbe  alle 


^  509  —  fSceofoXI] 

al  Gewfaari;  *  la  Correzione  della  lingua  ;  *  il  Libro 
della  Spada,  glossario  de'  nomi  e  predicati  che  usano 
dar  gli  Arabi  a  queir  arme;'  il  Libro  delt Andare  e  del 
Viaggiare  anche  esso  in  ordine  airabetico,  il  quale  par 
lista  dei  verbi  che  significan  Tuno  p  l'altro;^  e  il 
Libro  delle  Interiezioni.^  Scrisse  due  trattati  di  versifi- 
cazione '  ed  un  còmentario  su  le  poesie  di  Moteneb- 
bi/  Il  compendio  intitolato  Kitab-el-Kisàr,  sembra 
dizionario  biografico  di  una  classe  di  scrittori;^  è 

mani  quest'opera,  poiché  ne  trascrive  le  prime  parole,  com*ei  suole.  Dà 
anche  uno  sc(uàrcio  della  Introduzione,  dove  Ibn*Katt&*  ricorda  le  308  forme 
di  nomi,  tra  sostantivi  e  aggettivi,  date  dal  celebre  grammatico  Sibùweih, 
le  aggiunte  d*  altri ,  e  in  fine  le  sue  proprie^  Dei  masdar,  ossia  infiniti  ado- 
perati sostantivamente  come  noi  diciamo  V  andare.,  il  fare  ec. ,  si  erano 
notate  56  forme,  e  Ibn-Kattà'  le  condusse  a  100.  Compi  questo  trattato 
in  regeb  del  513.  Hagi-Khalfa ,  op.  cit. ,  tomo  f ,  p.  146 ,  no  31. 

'  Soiuti ,  1.  e.  Uagi-Khalfa ,  op.  cit  ,  toko  IV,  p.  d4,  n*"  llU. 

s  Hagi-KUalfa,  op.  cit.,  tomo  11,^.  190,  no2429.  Nondimeno  Nawawi, 
The  Biographical  Dietionary ,  testo  arabico,  pubblicato  dal  Wiistenfeld, 
p.  126,  attribuisce  quest'opera  all'altro  siciliano  Abn-Hafs-Omar-ibn- 
Kbelef-ibn-Mekki.  Ibn-Scebbat  la  cita  a  proposito  della  Sicilia,  Biblioteca 
AraboSicula  rp.  212 ,  senza  dar  il  nome  dell'autore. 

s  Hagi-Khalfa,  op.  cit.,  tomo  V,  p.  102,  no  10,207. 

*  Op'.  cit. ,  tomo  V,  p.  151 ,  no  10,492. 

»  Op.  cit. ,  tomo  V,  p.  44,  n»  9853. 

«  L'uno  intitolato:  Il  Salutifero  nella  8cien%a  della  ver8Ìfica%ione ,  si 
trota  in  Hagi-Khalfa ,  op.  cit. ,  tomo  IV,  p.  7 ,  no  7384.  L' altro  è  all'  Escu- 
riale col  titolo  di  :  Eloquente  prosodia  in  compendio  che  (tutto)  abbraccia.  Si 
vegga  Caslri ,  Biblioteca  Arabo^Hispanica ,  tomo  I ,  p.  82,  cod.  CCGXXIX. 

7  Catalogo  dei  MSS.  arabi  del  British  Museum,  Parte  II,  p.  281, 
noDXCVII. 

B  Hagi-Khalfa, «p.  cit.,  tomo  V,  p.  136,  no  10,395.  Il  dotto  editore 
traduce  *  Liber  de  Palatiis  eorum  nominibns  et  naturae  descrlptione ,  alpha- 
betice  dispositus,"  supponendo  cosi  un  errore  nel  pronome  loro  eh'  è  re- 
plicato due  volle  nel  testo,  e  che  non  si  può  dire  se  non  di  persone;  e 
tenendo  Kiiàr  come  plurale  di  *  palagio ,  "  la  qual  forma  se  pur  si  può 
ammettere,  è  inusitata.  Inoltre  una  descrizione  di  palagi,  senza  dire  di 
qual  paese,  mi  sembra  opera  troppo  aliena  dagli  studii  d' Ibn-Kaltà'.  Però 
mi  è  avviso  di  ritenere  la  lezione  /oro,  che  trovo  altresì  nel  MS.  di  Parigi, 
e  di  considerare  Kisàr ,  come  plurale  di  Kasir,  "breve,  corto,  ttom  corto 
d'higegno  e  di  qualità,  imperfetto"  ohe  si  legge  nel  Disionatio  di  Me- 
ninski.  Sarebbe  allora  un  dizionario  biografico  di  "  Scrittori  minori ,  **  come 


|9eeol«XI.l  —  ^^0  — 

trattato  (K  storia  lettemria  il  libro  dei  Sali  contempo^ 
ranei  ;  ^  quel  dei  Luccicanti  Sali^  è  Antologia  de' poeti 
Spagnuoli.*  Le  quali  opere  quanto  foss^o  tenute  in 
conto  appo  gli  eruditi  musulmani,  lo  mostrano  la  lode 
d' Ibn-Kballikàn  che  lo  chiama  «  principe  delle  lettere, 
massime^  in  fatto  di  lingua  »  e  le  notizie  che  tolgono 
spesso  da  lui  Ibn-Khallikàn  medesimo,  Imàd-ed-dki, 
lakùt,  Ibn-Saìd  lo  storico,  Y  enciclopedista  Scehàb- 
ed-dh)-Omari,  Firuzabadi  nel  Kamés,*  e  yarii  bio- 
grafi. Da  questi  squarci,  in  vero ,  Ibd-Kattà'  sembra 
accurato  e  sottile  filologo,  ed  elegante  scrittore ,  più 
sobrio  che  non  portassero  i  tempi.  Mediocre  poeta 
comparisce  dai  frammenti  rimastici  delle  molte  poesie 
ch'ei  dettò;  e  pur  talvolta,  dimenticati  i  bisticci  e  le 
arguzie,  si  fa  a  ritrarre  le  ìmmagifH  con  semplicità 
grazio$ra/  Che  se  guardiamo  ai  precelti  più  che  alle 


noi  diremmo.  Del  resto  aTYerto  che  il  più  delle  volte  è  impossibile  di  tra- 
durre con  certezza  i  titpli  dei  libri  arabi,  quando  non  si  sappia  1* argo- 
mento, 0  non  si  abbia  alle  mani  tutta  1* opera,  per  comprendere  quegli 
enimmi. 

'  Hagi-Kbaira,  op.  cit. ,  tomo  iV,  p.  i45 ,  n»  7901 , e  tomo  Vr,  p.  109, 
no  12,867.  Lo  cita  anche  1'  autore  del  MesàliCeUAhsàr ,  nella  BihUoUca 
Àraho-Sicula ,  testo,  p.  656.  Mi  è  parso  bene  rendere  la  prima  voce  col 
significato  proprio  di  Sali.  Gli  Arabi  1*  adoperarono  a  un  dipresso  come 
noi  al  traslato ,  per  significare  "  bellezze  letterarie ,  espressioni  vivaci  ec.  " 

'  Ibn-Khallikiin ,  1.  cit.,  «  tomo  HI ,  p.  190  della  medesima  versione 
inglese.  Ma  Hagi-Kbal£a  attribuisce  ad  altri  l'opera  così  intitolata,  e  nelle 
altre  notizie  biografiche  di  Ibn-KàttiS^*  non  se  ne  £a  parola. 

'  Si  vegga  il  Dizionario  arabico  di  Freytag,  tomo  IH»  p.  170. 

*  Ibn-Khallik&n,  U  e,  afferma  che  Ibn-^atià*  lasciò  molte  poesie;  e 
ne  dà  per  saggio  tre  squarci,  un  dei  quali  non  si  trova  negli  estratti  che 
ce  ne  serba.  Imàd-ed-dln  nella  Kharida,  MS.  di  Parigi,  Ancien  Fonda,  1375, 
fog.  20  verso  a  22  recto,  e  MS.  del  Britisb  Museum,  Ricb.  7595.  II  Soluti, 
nel  Tabakàt-^l'^Loghemn ,  in  fio  .della  biografia  dMbn^Kattà',  dà  altri 
15  versi,  che  ho  copiati  dal  MS.  del  Dp^ttor  lohn  Lee,  ma  non  si  trovano 
in  quel  di  Parigi.  Abbiamo  nella  Kharida  il  primo  verso  d' una  sua  Kaslda 
a  lode  di  Aidhal ,  e  frammenti  di  cinque  altre. 


—  511    —  )deco)«XI.| 

Opere,  lo  diremmo  iniziato  à  que' primi  siudii  delle 
lettere  greche:  qoa  par  che  condanni  il  tipo  della 
Kastdà  arabica;  *  qua  rende  espresso  omaggio  alle 
bellezze  dèlf  antichità.* 

S^gnalarongi  in  variì  rami  di  filologia  i  già  no-^ 
minati  :  Ibn-Kani  linguista ,'  Abu-Bekr-MohamtpCHsl 
grammatico  e  linguista;  *  Ibn-Tazi  grammatico^  scrit- 
tore di  epistole  e  poeta;*  Ibn-Fehhàm  autore  d'un 
commentarìo  su  ì  Prolegomeni  Grammaticali  d' Ibn^- 
Babeseiàd;  '  ed  Omar  ovvero  Othman-ibn-Ali  da  Si-. 
racnsa  discepolo  d'Ibn-Fehhàm, autore  di  opere  su 
la. lingua,  la  grammatica  e  la  versificazione,  profes- 
sóre al  Cairo  vecchio ,  maestro  del  filologo  egiziano 
Abd-allah-ibn-Bera.'  Dsehebi,  senza  notarne  Tetà, 
ricorda  un  Tàher-ibn-Mohammed-ibn-Rokbàni,  della 
tribù  di  Taghleb,  siciliano,  soprannominato  il  virir, 
r  uom  più  dottò  del  tempo  suo  in  lingua  arabica,  ret- 
torica  ed  arte  di  scrivere  in  prosa  e,  in  verso,  al  quale 

*  A  ciò  parmi  cbe  alludano  i  tre  versi  trascrilti  da  Ibn-Khallikàn, 
op.  ctt. ,  ^  Cofìsume  noi  ihfs  lifè  ec;  "  nella  versione  inglese  di  M.  De  Siane, 
tomoli,  p.  266. 

*  Dalla  Khartda,  MS.  citato  di  Parigi,  fog.  21  verso. 

"  Somigliante  a  cotesta  nostra,  retò  degli  anticfai  popoli  cbe  perirono, 
sfoggiava  di  colori  e  sembianti  {affé)  non  Spregevoli. 

"La  diresti  scatola  d' oro ,  piena  di  rubini,  così  alla  rinfusa,  non 
legati." 

A  comprender  meglio  r allusione,  è  da  sapere  che  le  ^ue  vóci  che  ho 
tradotto  "alla  rinfqsa"  e  *  legato"  sono  Nethr  e  Memùm,  le  quali  hanno 
anche  il  significato ,  l' una  di  *  prosa  **  e  Taltra  di  "  poesia.  " 

'La  citazione  a  p.  464. 

♦  [d.,  p.  477,  478. 

^  Ùiehehìj  Anbd~en-Nohà,  neWn  Biblioteca  Arabo^Sicttla,  p.  6Ì7. 
Si  vegga  per  costui  V  altra  citazione  qui  innanzi  a  p.  471. 

•  W.>  474. 

I  f  ra.  476.  il  nome  di  Omar  con  la  stessa  genealogia  e  <joi)fdJzloni  è 
dato  da  Dsehebi,  Biblioteca  Arabo- Siculo ,  647;  quello  di  Othman  da 
Mal^rtzi  e  Soititi,  p.  665,  676. 


ISmoIoU.i  —  512  — 

rJvérenU  accorreano,  per  apprendere,  i  letterati  d'ogni 
paese  e  trovavano  un  naar  di  scienza:    ma  non  ne  ri- 
mane altro  vestigio  che  que  quattro  righi  datigli  dal 
biografo,  e  due  che  ne  serba  al  figliuolo  Ali,  poeta, 
erudito  in  lingua,  nelle  antiche  istorie  degli  Arabi  e  in 
ogni  altro  studio  che  appartenga  alle  lettere.'  Con 
lode  anco,  troviamo  i  nomi  di  la'kùb-ibn-Ali-Roneidi 
filologo  e  poeta,'  Abu-Mohamn^ed,  detto  Danii  a  gram- 
matico,   poeta  e  ottimo  pedagogo;  *  Abu-Abd-Al-- 
lah-Mohammed-ibn-Sados ,  grammatico,  segretario 
e  facilissimo  scrittore  in  prosa   e    in  rima;  '  Abu- 
Fadhl-Alì-ibn-Hasan-ibn-Habib,  ^ran   linguista   e 
buon    poeta;*    ed  Abd-AUah-ibn-abi-Malek-rMosìb 
della  tribù  di  Kàis,  cima  di  linguista,  al  dir  di  Se- 
fedi,  poeta  nato  e  dottò  di  più  ia  prosodia  e  versifi- 
cazione;^ Abu-Hasan-Ali-ibn-Mohammed  di  Kerkùda 
erudito;'  Ali-ibn-Abd-Allah  di  Giattini,' Siciliani  tutti 
e  d' epoca  ignota.  Avvi  tra  i  moltLcomentatori  di  Mo- 
tenebbi  neir  undecime  o  duodecimo  secolo  un  Ibn- 
Fùregia  e  un  Abu-Hasan-ibn-abi-Abd-er-Rahman, 
entrambi  Siciliani.  *^ 


*  Dsebebi,  op.  cit.,  p»  645. 
Md.  p.  646. 

»Id.  p.  648. 

*  Ibld.;  e  Soluti,  p.  673,  citando  lakùt.  . 
s  Dsehebi ,  op.  cit. ,  p.  647. 

>  id.  p.  646;  e  Soioti,  p.  677.  Ho  eorretto  U  nome  secondo  Soioti. 

'  Soluti ,  p.  675.  .     •  ' 

"  Mo'oetn ,  nella  Bibl.  Ar.  Sic.  p.  124. 

'  Jfo'gem,  op.  cIt.  p.  HO. 

40  In  un  Diwan  di  Motcnebbr,  copiato  il  1184  dell'era  volgare,  si 
notano  in  appendice  i  coinentatori ,  e  tra  quelli  si  legge  il  nome  d^on 
Sikilli-ìbn*Fùregia,  {Mines  de  VOrieni,  tomo  IV,  p.  i  12.)  Una  delle  copie 
di  qvL^X  diwano  con  simile  appendice  che  possiede  ìl.Brkish  Museum- (Ca- 
talogo orientale,  parte  II,  p.  281 ,  n»  DXGVII)  dà  tra  i  comentatori.  AJmi- 


—  S13  —  |SecoloXI.| 

Nel  passar  dalla  didattica  e  critica  al  j)roprio 
effetto  dell'arte,  troviamo,  filologo  insieme  ed  ora* 
tore,  Aba-Hafs-Òmar-ibn-Khelef-ibn-Mekki,  ricor- 
dato dianzi  nei  tradizionisti  e  giuristi.  V  lì  quale, 
rifoggito  in  Affrica  quando  le  continue  vittorie  dei 
Normanni,  forse  la  espugnazione  di  Palermo,  toglieano 
ogni  speranza  di  salute,  conseguì  ilmagistràto  di  cadi 
a  Tunis  *  che  allora  si  governava  a  repubblica.  È  at- 
tribuita ad  Ibn-Mekki  la  Correzione  della  lingua  che 
altri  riferisce  ad  Ibn-Kattà',  '  e  potrebbero  supporsi 
due  opere  col  medesimo  titolo,  che  Ibn-Kattà'  avesse 
imitato  per  gareggiare  con  quel  sommo,  <k  il  cui  valore, 
dice  egli ,  celebravano  e  ripeteano  tutte  le  lingue  per 
ogni  luogo;  quel  che  in  eloquenza  non  cedette  il 
vanto  ad  Ibn-Nobàta,  e  lasciò  modelli  di  poesia.  *  » 

Hasaa  ec.  Seikilll  (coir.  Sikllli)  ed  ibn-Fùregia,  senza flggiugnere  !1  nome 
di  Siciliano.  Costai  scrisse  a  difesa  di  Motenebbi  due  opere  :  L*  accuia 
contro  Ibn-Ginni,  e  La  vittaria  sopra  Ahu-l-Feth,  Abo-Hasan-Abd-er- 
Rabman,  potrebbe  essere  il  medesimo  rfpordato  a  p;  497,  col  nome 
proprio  dì  Ali.  » 

«  Pag.  482  e  488. 

a  Ibfl-Kbaldùtif  ETutoire  de  VÀfriqut  et  de  la  Sieile,  versione  de 
M.Des  Vergers,  p.  183. 

s  Si  vegga  la  p.  909.  La  Correiione  della  lingua,  dMbn-Mekki  è 
citata  da  Nawawi,  Bio^aphieal  Dietionary,  testo  arabico,  p.  126,  a  prò* 
polito  delle  varianti  del  nome  proprio  Abraham ,  Ibrahim  ec.  È  attribuita 
anche  ad  Ibn-Mekki  da  Ibn-Khallikàn ,  versione  di  M.  De  Slane,  tomo  I, 
p.  .435,  e  da  Solati  ;  e  con  una  variante  da  Hagi-Khalfa ,  edizione  Fluegdy 
tomo  III,  p.  604,  no  7189. 

*  Khartda ,  nella  Biblioteca  Arabo-Sieùìa ,  testo ,  p.  597.  Imad-ed-dìn 
non  solamente  cita  Ibn-KattA' ,  ma  par  che  trascriva  da  Ini  questo  squarcio 
di  prosa  rimata.  Abd-er-Rablm-^ibn-Mohammed-ibn-Nobàta,  fiorì  in  Me- 
sopotamia  nella  seconda  metà  dei  decimo  secolo.  Gli  Arabi  citano  il  ve- 
scovo Kos  e  qoesto  Ibn-Nobàta,  come  noi  faremmo  di  Demostene  e 
Cicerone  :  e  in  vero ,  serbate  le  proporzioni  tra^  i*  eloquenza  arabica  e  la 
greca  e  latina,  Ibn-Nobàta  si  può  dir  felicissimo  oratore.  Còsi  parrai 
dalle  sue  khotbe^die  ho  percorso  nel  MS.  della  Biblioteca  Parigina,  An- 
cien Fonds,  451.  Si  vegga  la  biografia  d' Ibn-Nobàta  in  Ibn-Khallikan,  ver- 
sione inglese,  di  M.  De  Slane ,  tomo  I,  p.  396. 

II.  33 


[Secolo  XI.|  -—  S14  — 

Dsehebi  anzi  lo  autepone  al  Cicerone  degli  Arabi, 
e  come  raro  esempio  aggìugue  eh'  ei  solea  porgere 
dal  pulpito  un  sermoae  novello  ogni  venerdì.*  Ma 
gli  squarci  dei  versi  d' Ibn-Mekki  san  troppo  di 
predica;  ritraggono  della  natura  umana  i  soli  viziì, 
consigliano  la  solitudine  e  T  egoismo,  né  escon  di 
vena  poetica;'  olKl'io  <)ubito  eh' ei  n'abbia  avuta 
d^  oratore. 

Air  agrume  ascetico  d' Ibn-Mekki  va  contrap- 
posta  la  spensieratezza  cavalleresca  del  segretaria 
Hàscem ,  che  argomentiamo  al  paro  dai  versi  :  i  quali 
due  tipi  si  alternano  con  poco  divario  nei  poeti  arabi 
di  Sicilia.  Abu-1-Kàsim-Hascem-ibn-Iùnis,  al  dir 
d'Ibn-Kattà\  fu  lodatissimo  scrittore  di  epistole,  motti 
arguti,  racconti  e  mekàme:^  quella  maniera  di  com- 
ponimento afcademico  che  ha  dato  rinomanza  ad 
Hartri.  Perdute  le  prose  d' Hascem  e  la  più  parte 
delle  poesie ,  ci  rimangono  varii  tagli  di  due  e  tré 
versi,  e  bastano  pure  a  mostrarlo  seguace  della  scuola 
classica  degli  Arabi.  Yi  cogliamo  anco  una  bravura, 
credo  io,  di  guerra  civile:  ilpoeta  vedendo  i  suoi 
sgomentati  senza  consiglio,  &  testa  egli  solo  ad  un 
fier  nemico  Abu-Nasr,  e  il  riiifaccia  agli  ingrati  con- 
cittadini, Altrove  accenna  ad  avventure  d'amore,  mil- 

'  Dsebebi,  Anbà^n-Nokà,  nella  Biblioteca  ÀraboSicuìa^  testo, 
p.  646, 647,  Accenni  biografici  di  Dsebebi  e  della  Kkarida,  si  aggianga 
quello  di  Soiati ,  Biblioteca  Arabo^Sicula ,  p.  677. 

s  Nella  Kharida,  MS.  dì; Parigi,  Ancien  Fonds,  i375,  feg.  45  recto 
>e  seg.»  v'banno  dodici  epigrammi  d' Ibn-fifeiLki;  su  ì  quali  è  fondato  il 
mio  giudizio.  ' 

'  Khartda^  nella  Biblioteca  Àrabo^Sieula ,  testo,  p.  595.  Ho  tradotto 
"  racconti  "  la  voce  nwàidt.  Credo  che  già  nell*  XI  secolo  prevalesse  appo 
gli  Arabi  V  uso  dei  finti  iKcconti  in  prosa,  cbiamati  riwdidt  al  par  dei  rac* 
conti  di  fatti  veri. 


-^  516  —  (Secolo  XI.J 

lantandosi  che  una  notte  negra  come  vaga  chioma, 
viaggiò  tutto  solo  al  ritrovo,  toltosi  per  ciambellano 
il  brando  tagliente ,  e  per  segretario  la  lancia  rodei- 
nita;  e  somiglianti  freddure.  ^  Citammo  già  il  nome 
d'Ibn-Tazi,  lodato  scrittore  d'epistole.' Porremo  in 

é 

lista  coi  prosatori  i  Kàtib ,  o  vegliando  dir  Segretarii  in 
oficio  pubblico ,  richiedendosi  a  questo  appo  gli  Arabi 
non  comune  erudizione  letteraria,  per  compilare  quei 
rescritti  tramezzati  di  prosa  rimata,  sì  peregrini,  si 
lambiccati  di  lingua  e  stile,  da  parer  d' altro  popolo  o 
d-  altra  età  che  gli  scritti  di  storia  o  scienze.  Leva- 
ron  grido,  com'ei  sembra,  il  segretario  Abu-Sewàb 
da  Castrogiovanni ,  ricordato  da  lakùt  nella  notizia 
geografica  di  quella  città  ;  '  Abu-Hasan-AIi-ibn-abi- 
Isàk-lbrahim*ibn-Waddàni  preposto  ad  un  oflEicio 
pubblico  in  Sicilia.  *  E  dei  poeti  d' Ibn-Kfttà'  son  detti 
Segretarii  Abu-  Ali  -  Ahmed-  ibn  -  Moham med-  ibn  - 
Kàf;  "  Abu-Ali-ibn-Hosein-ibn-Kalid,  '^  Abu-Bekr- 
Mohammed-ibn-Sahl  detto  Rozaik  ;  '  Abu-Abd-AIlah- 
Mohammed  -  ibn-  Ali  -  ibn  -  Sebbàgh  amico  d' Ibn  - 
Rescfk;  •  Abu-Feth-Mohammed-ibn-Hosein-ibn-Ker- 


«  Kharida,  MS.  citato»  fog.  40  verso,  seg.  Sono  nove  d' una  Kassida; 
undici  d*  un'  altra ,  spezzati  a  due  o  tre  versi ,  una  stanza  di  sette  versi 
brevi,  e  l' epigramma  che  fé  incidere  in  un  pugnate. 

s  Si  vegga  sopra,  p.  471  e  494. 

'  Mo*gem^~Bolddn,  nella  Biblioleca  Àrabo^Sicnkif  Correzioni  ed  ag- 
giunte che  fan  seguito  alla  Prefazione ,  p.  43. 

4  lakut^Moscterik,  edizione  del  Wùstenfeld  air  articolo  Waddàn; 
Kharida  nella  Biblioteca  Arabo-Sicula ,  p.  591 . 

'  Kharida.  estratti  dalla  Dorrà  d' Ibn-Katlà',  nella  Biblioteca  Araho- 
Sieula,  p,  S92. 

•  Ibid. 

'  Ibid. 

8  Op.  dt. ,  p.;59l . 


(Secolo  Xi.]  —  516  — 

kùdl,  copioso  scrittore  in  rima  e  in  prosa;*  IbD-Kereni 
Tastrononio  e  computista;'  Abd-el-Gebbar-ibn-Abd— 
er-Rahman-ibn-SirÌQ  ;  '  Ibn-Kùni  filologo,  astri>iiomo 
e  geometra  ;  *  Abu-Hafs-Omar-ibn-Abd-Allah  ;  *  il 
cadi  Abu-Abd-Allah  -  Mohammed-ibn  - Eàsim  -  ibu- 
Zeid  della  tribù  di  Lakhm;*  Abu-AÌKl-Ailah-Moham- 
med-ibn- At^tàr;'  ed  Abu-Hasan-Ali-ibn-Hasan-ibn- 
Tùbi ,  elegantissimo  prosatore  e  poeta/ 

Tra  tanti  ingegni  che  onorarono  la  Sicilia  musai- 
mana,  pochi  si  volsero  alla  Storia.  La  cronica^  sola  che 
ci  rimanga  è  scritta  in  arabico  sì,  ma  pensata  in  altra 
lingua  da  un  cristiano  o  figliuol  di  cristiano  di  Paler- 
mo, che  visse  alla  metà  del  decimo  secolo,  famigliare 
forse  dei  principi  kelbiti  ;  che  le  date  costantinopoli- 
tane, lo  stile  timido,  la  lingua  scarsa,  la  grammatica 
volgare,  Ta  r#icenza  dei  sentimenti  religiosi,  la  pru- 
denza cortigiana,  la  brevità  in  principio  (827)  e  la 
diligenza  in  sul  fine  (96i),  ci  svelano  tutte  le  con- 
dizioni deir  autore,  fuorché  il  nome/  La  storia  di 
Sicilia  d' Ibn-Kattà'  è  perduta.  *°  Corse  per  le  mani  di 
pochi  eruditi  fino  al  decimot^rzo  secolo  quella  del 
giurista  Abu-Ali-Hasan-ibn-Iehia,  della  quale  ab- 
biamo frammenti  che  illustrano  la  geografia,*^  e  sem- 

'  Karìda,  ecc.  nella  Biblioteca  ArahoSicula  ^  p.  595. 
>  Ibid.  Si  vegga  H  presente  capitolo,  p.  464. 
'  Op.  cU.,p.59S. 

*  Op.  cit. ,  p.  596.  Si  vegga  il  presente  capitolo»  I.  e. 
«  Op.  clt.,p.  598. 
•ib|d. 
'  Ibld. 

«  Op.  cit. ,  p.  590. 

9  Cronica  di  Cambridge,  Sì  vegga  l' Introduzione  mia  nel  primo  vo- 
larne »  p.  XL ,  no  Vii;  e  il  cap.  X  dei  Lib.  lil ,  p.  210  dei  presente  volume. 
«  Pag.  507. 
**  Si  veggano  i  particolari  nel  Capitolo  Xlil  di  questo  libro,  p.  439»  seg. 


—  Sn  —  |S6coIoXI.l 

bra  tolto  anco  da  quella  il  caso  di  Malta  nella  gnerra  di 
Maniaco;  onde  T  autore  tornerebbe  alla  metà  del- 
rundecimo  secolo:  ^  siciliano  è  da  dirsi,  per  nascita 
o  soggiorno ,  all'  argomento  eh'  elesse  ed  alla  preci- 
sione delle  notizie  locali.  L*età  né  la  patria  non  si 
scorge  d'Abu-Zeid-Gomari,  d'origine  berbera,  autore 
d'Un' altra  storia  di  Sicilia.*  Ali-ibn-Tàher,  mentovato 
di  sopra,  si  versò  nelF  antica  storia  degli  Arabi,  senza 
la  quale  mal  si  poteanp  comprendere  lor  poeti  clas- 
sici. '  Scrìsse  la  Stòria  d'  Àlgeziras  Ibn-Hamdis  da 
Siracusa.* 

Ma  venendo  ai  poeti,  il  numero  e  la  monoto- 
nia ci  distoglie  dal  trattar  di  ciascuno  partitamente; 
se  non  che  i  maggiori  nell'  arte  o  che  ^velino  le 
condizioni  e  costumi  del  paese.  E  pria  diremo  di  cui 
sì  esercitò  nel  componimento  eroico  degli  Arabi,  la 
Kastda,  che  suona  "  Trovata  :  '•  adoperata  con  altro 
nome   negli  epicedii  ed  elegie  d' amore;  poemetto 

i  Capilolo  XII  di  questo  Libro ,  p.  422.  Eazwini ,  che  dà  questo  fatto 
senza  citazione ,  allega  In  altro  luogo  (Agidib^l-MekMùhàt ,  edizione  del 
Wiìstenfetd,  testo',  p.  166)  la  Storia  di  Sicilia  di  Abu-Ali-Hasan-'ibn- 
lebia;  né  par  n'abbia  conosciuta  alcun' altra.  Si  potrebbero  anzi  supporre 
entrambi  que'  passi  tolti  di  peso  da  lakùt ,  il  quale  allega  sovente  quella 
Istoria  nel  Mo'getn-^l^BùldàntBiblMeca  Arabo-Sieula ,  p.  109,  111  i  115» 
118.  Nelle  tre  copie  a  me  note  del  Mo'gem,  manca  in  vero  l'articolo  di 
Malta;  ma  si  dee  supporre  che  Kazwini  l'abbia  avuto  sotto  gli  occhi  in 
esemplari  migliori. 

A  prima  vista  parrebbe  che  Abu-Ali-Hasàn  potesse  identificarsi 
con  1bn-Resclk,.il  quale  portò  quei  due  primi  nomi.  Ma  distruggono  tal 
supposto  il  nome  patr^onomico  Ibn-Iehia,  la  qualità  di  giureconsulto  e  la  ce- 
lebrità stessa  d'Ibn-Resctls ,  poiché  tra  le  sue  opere  notissime  ninno  anno- 
vera  la  storia  di  Sicilia.  Abu-Ali-Hasan-ibn-Iéhia,  s'egli  è,  come  sembra, 
il  narratore  del  caso  di  Malta ,  scrisse  ti»  il  1049  e  il  1091 ,  come  notai  a 

suo  lUOgOi 

s  Hagi-Khalfii,  ediz.  di  Fluegel,  tomo  II,  p.  155,  no  2245. 

>  Si  vegga  qui  innanzi  a  p.  511,  512. 

«  Hagi-Khalfa,  ediz.  di  Fluggel,  tomo  II,  p.  124,- n«  2196. 


|s«coio;xn  —  518  — 

sopra  una  sola  rima ,  ove  il  poeta  intesse  le  lodi 
proprie,  ó  di  sua  gente  o  del  mecenate,  con  digres- 
sioni erotiche,  descrizioni,  apostrofe  e  macchina 
ritraente  la  vita  dell'  avventuroso  cavaliere  nomade, 
sì  come  la  macchina  di  nostra  epopea  s'adatta  alle 
jprìme  imprese  nazionali.  Né  F  effimero  accentra- 
mento del  califato  generò  appo  di  loro  T  epopea, 
quando  popol  arabico  propriamente  non  v'era;.  La 
JEasida  antislamitica  pervenne  tal  quale  a  quel  bruli- 
chio di  stati  musulmani  del  decimo  e  undecime 
secolo;  e  la  si  udì  in  Palermo  a  corte  di  lùsuf  (9^90-8) 
in  bocca  di  poeti  africani/ 

La  generazione  seguente  s^  illustrò  in  Sicilia  per 
parecchi  autori  di  Eastde ,  tra  i  quali  va  innanzi  per 
età  e  virtii  poetica  Abu-Hasan-Ali-ibn-Hasan-ibn- 
Tùbi,'  lodilo  altresì  per  eloquenti  scritti  in  prosa, 
come  notammo,'  Viaggiò  in  Oriente  nei  principii 
dell'  undecime  secolo,  si  versò  in  accende  politiche,* 
e  fors'anco  di  amministrazione,  e  fu  chiaro  a  corte 
di  Moezz-ibn-Badts,*  le  cui  lodisi  lèggono  in  una  sua 
Kaslda.  Altre,  e  soprattutto  i  versi  d' amore,  danno 
una  fragranza  direi  quasi  della  poesia  di  Grecia  e 
d'Italia;  v'ha  un  piglio  di  passione,  unar naturalezza 
d' immagini  che  non  sembrano  tolti  in  prestito  dalle 

*  Gap.  VU  di  questo  Libro  9  p*  333  e  seg,  del  volume. 

'  Nome  derìTato  dal  castello  Tùb  nelt'  Africa  propria ,  del  quale  fosse 
stato  oriundo  il  padre,  0  alcuno  degli  avi.  Questo  nome  di  luogo  si  trova 
nel  Riddh-'en-Nofùi,  p.  191  della  Biblioteca  Àrùò<h-Sicula,'  ed  andie  nel 
Lobb^hLobdb  di  Soluti,  edizione  di  Lejde* 

'  Pag.  516. 

*  Nel  cenno  d*Imad-ed-did,  tolto  probabilmente  da  lbn-Kattà',è  detto* 
tra  le  altre  lodi ,  "Sostegno  di  sultani,  " 

*  Luogo  citato. 

«  Kkarìda,  MS.  di  Parigi ,  Ancien  Fonds ,  *373,  fog.  Zù  recto. 


—  S19   —  (Secolo  XI.  I 

muse  arabiche.*  Suol  cantare  la  gioventù,  le  donne, 
il  vino,  le  stelle,  i  fiori;  piange  i  diletti  perduti  nel- 
r  età  matura ,  senza  mai  trascorrere  alla  schifo  licenza 
di  tanti  altri  poeti  arabi;  poiché  un  suo  epigramma, 
gì  fino  da  parer  tle'  teinpi  d' Orazio  o  di  Giovenale , 
è  satira  al  certo ,  non  confessione  di  vizio.  *  Gli 
argomenti,  lo  stile,  fin  qualche  concetto  e  qual- 
che parola  d'Ibn-Tùbi,  si  ravvisano  nelle  rime 
d' Ibn-Hamdts ,  che  di' certo  il  prese  a  modello  e 
r  avanzò. 

Fioriva  in  quel  torno  o  qualche  dieci  anni  ap- 
presso,  Ibn-Sebbàgh  il  segretario,  amico  d'Ibn- 
Rescik,  forse  palermitano,  ed  intinto  nelle  pratiche 
con  Moezz-ibn-Badfs ,  al  certo  seguace  di  parte 
siciliana  nella  rivoluzione  d' Akhal ,  poiché  con 
robusti  versi,  e  talvolta  gonfii,  loda  il  valor  di 
sua  gente  contro  i  Bizantini  e  i  Kelbitì.  *  Armoniose 


«  Khartda,  MS.  citato  »  fog.  30  versò. 

*  LMneantesimo  non  sforza  altrimenti  che  le  grasde  di  costei;  Tambra 
grigia  non  (ole%%a)  altrimenti Ncbe  l'alito  suo. 

'Ignoravamo  il  suo  soggiorno,  quando  ne  venne  fuori  una  fragranza 
che  ci  fé  dire:  ella  è  qui  ce.  " 

*La  morte,  oh  bramo  la  morte,  s'io  non  debba  mai  stringerla  al 
seno  :  òhe  la  virtù,  onde  ho  vita.,  è  il  suo  Sembiante. 

"Se  mai  sitibondo  bevesti  dell* acqua  a  lunghi  sorsi,  (Mppl)  che  ciò 
è  nulla  al  {paragone  dei)  mio  {corUento  o)  baciarla  in  bocca.  " 

*  Non  potendo  lasciare  addietro  le  accuse  contro  la  società  di  cui 
ricerchiamo  la  storia,  ho  pubblicato  nella  Biblioteca  Arabo^SicUla ,  p.  590, 
quest'  epigramma  ;  e  qui ,  a  malgrado  mio ,  lo  traduco.  Ma  non  si  può  af- 
fermare che  Ibn-Tùbi  lo  avesse  scritto  piuttosto  iu  Sicilia,  die  in  Oriente 
o  in  Affrica. 

*Con  questi  versi  descrisse  un  r. eccellente  in  suo  mestiere: 

"  Quel  dai  gr|ndi  occhi  negri  che  torcea  lo  sguardo  da  me  >  mandaigli  a* 
dire  r  intento  mio  per  un  mezzano; 

'Ed  ecco  che  questi  il  mena  seco  sotto  mano,  cheto  cheto,  come 
flamma  (di  lampada)  si  tira  l' olio.  *  " 

s  Si  vegga  qui«opira  a  p.  515.  Ecco  i  versi  che  troviamo  nella  Kha- 


[Secolo  XI.]  —  520  — 

e  gentili  le  rime  d' amore  d' un  Abu-Fadhl-Mosceref- 
ibn-Ràscid,  autore  di  tre  o  quattro  Kastde  e  altri 
componimenti;  e  pur  non  gli  manca  vigor  di:  parola 
né  altezza  di  pensieri  quand'  ei  tocca  la  guerra  civile, 
forse  i  principii  della  normanna,  e  sospira  la  unione 
della  Sicilia  sotto  un  sol  capo.  * 

Non  guari  dopo ,  il  grammatico  siciliano  Àbu- 
Hasan-Ali-ibn-Àbd-er-Rahman-ibn-Biscir ,  dettava 


rida,  tolti  probabilmente  da  ana  Kaslda,-  dei  qualiJio  dato  il  testo  nella 
BibUoleca  Arabo-Sicula,  p.  SOI. 

-    "  I  miei  80Q  taV  gente,  che ,  quando  V  unghia  di  destrieri  leva  sotto 
le  nubi  {del  eielo)  nubi  di  polvere , 

"I  i)randi  loro  lampeggiano  «  mandano  sangue  dal  taglio,  come  scro- 
scio di  pioggia. 

"  Terribili  altrui ,  difficili  a  maneggiare,  or  s' avventano  ad  Himiar  ed 
oV  a  Cesare: 

"Difendono  lor  terra*,  cb' altri  non  entri  a  pascervi;  troncano  ogni 
mal  die  sopravvenga.  *  r        ' 

Himiar,  come  ognun  sa,  è  il  supposto  progenitore  della  schiatta  del 
lemen,  alla  quale  appartengono  i  Eelbiti.  La  gente  del  poeta  sono  i  suoi 
partigiani  o  i  concittadini.  Lo  credo  palermitano, -perchè  è  chiamato 
Sikilli  senz'altro  e  perchè  Ibn-Resctk,  sbarcando  a  Mazara,  gli  scrisse 
una  breve  epistola  in  versi  che  abbiamo  nella  £Aari(fa,  MS.  di  Parigi,  An- 
cien Foods,  1375,  fog.  34  verso,    . 

'  Kharida  nella  Biblioteca  Àrabo-Siculaf  p.  S83,  894.  Lasciando  il 
principio  di  una  Kasìda  data  da  Imftd-ed-dln ,  cb'è  pur  bello,  tradorrò  i 
soli  versi  che  alludono  ad  avvenimenti  politici,  il  poèta,  dòpo  la  finzione 
obbligata  del  viaggio  d' una  bella  (se  fosse  Meimuna?)  e  dell* arrivo  di  lei 
alla  collina,  ov*  era  forte  proteggitore  un  bel  cavaliero,  continua  còsi: 

"Un  da' grandi  occhi  negri ^  tinto  le  palpebre  d|  kohl:  il  quale  mi 
strappa  dalla  paziente  {rassegnoAione]  poich' è  caduto  in  dure  strette: 

"  Che  Dio  guardi  le  piagge  dell*  isola ,  se  il  principe  d' un  alto  monte 
avrà  in  guardia  gli  arpoenti  scabbiosi  che  pascono  in  quella  ! 

'  (Principe}  ì  cui  nemici  edificano  castella  inaccesse.  Ma  forse  i  baluardi 
di  Babek  respinsero  Ifscln  ? 

*Io  reco  la  verità. in  mie  parole,  né  oso  penetrare  i  segreti  di  Dio; 

"lo  il  vidi  che  già  s' era  recata  in  mano  la  somma  4el|e  cose,  il  vidi 
un  dì  bersaglio  a  una  furia  di  sassi ,  ed  ei  sorrideva. 

"Lioni  in  una  guerra  che  faceva  ardere  nel  lóro  costato  una  fiamma 
accesa  già  dagli  {antichi)  odii.  " 

Qui  finisce  inopportunamente  lo  squarcio  delia  Kastda,  della  quale  ci 


—  521    ■—  [Secolo  XI 1 

una  Kasida  ad  onore  di  Nàsir-^d-dawIa-Ibn-Hama- 
dàn,  capitanò  anzi  padrone  del  calìfo  d'Egitto/  e 
un'altra  a  lode  del  \izir  Ibn-Modebbir,  *  la  prima 
delle  qnali  sembrò  un  capo  lavoro  a  Malek-^Mansùr, 
'  principe  erudito  del  secolo  seguente.'  Un  altro  Abu- 
Ha«an^Ali-ibn-Abd-er-Rahman,  segretario  e  gram- 
matico, chiamato  Bellanobi  dalla  patria,  Ansàri  dal 
lignaggio,  ^  uscito  di  Sicilia  nella  seconda  metà  del- 
r  undecime  secolo,  rifuggissi  al  Cairo;  ove  perduta 
la  madre,  piànsela  con  una  elegia  piena  d' affetto  e 
d' immagini  poetiche.  V  hanno  inoltre  componimenti, 
brevi  e  cinque  Kastde ,  due  delle  quali  a  lode  d' una 
casa  di  Beni-]\(awkifi)  non  sappiamo  se  di  Sicilia  o 


si  dà,  in  grazia  delle  antìtesi,  quest' altro 4rerso  che  descme»  dice  Imàd- 
cd-dìn ,  i  moni  in  battaglia. 

"Redbwftn  li  arospingea  lungi  dal  dolòe  soffio  del  Paradiso,  e  Malek 
li  avvicinava  al  fiato  del  fuoco  (tnfemaZe).  * 

Non  ho  bisogno  di  avvertire  che  questi  uUimi  sono  dei  ministri  deK 
r  eterna  giustizia,  a  credere  dei  Musulmani.  11  Babek  nominato  nel  primo 
squarcio  è  il  ribelle  comunista  iil  quale  accennai  nel  Lib.  HI,  cap.  V« 
p.  i  13  di  questo  volume  ;  e  Ifsdn ,  il  capitano  turco  che  il  vinse.  La  lezione 
*  un  atto  mente*  è  la  sola  che  in!  par  si  possa  sostituire  ad  una  voi»  del 
testo  che  non  dà  significato  [fi'MioUca  Àraba-Sicula,  testo,  p.  593,  nota  8), 
e  si  adatterebbe  al  signore  di  Castrogiovanni.  infine  i  guerrieri  caduti  nelle 
mani  di  Redhwàn  e  Malek,  dovrebbero  èssere  i  Cristiani. 

*  Àkhbàr^el^Molttkfdì  Malek-Mansùr  principe  di  Hama,  nella  Biblior 
teca  Arabo^Stcula^  p.612,  613.  Il  nome  compiuto  di  questo  poeta  si  ha  da 
Nowairi.  Il  Nàsir-ed-dawla ,  citato  qui  è  il  secondo  della  casa  di  flamadftn» 
che  portò  quel  titolo;  il  quale,  costretto  a  fare  il  capitano  di  ventura  In 
Egitto,  rinnovò  al  Cairo  gli  esempli  degli  emir  el-Ororà  di  Bagdad,  e  d'Ai* 
mansor  a. Cordova ,  e  in  fine  fu  ucciso  il  465  (1073). 

*  Nowairi ,  5/oria  d'Egitto,  nella  Biblioteca  ÀraborSicula ^  ì.  e.»  in 
nota.  Ibn^Modebbir  entrò  in  officio  il  453  (1061).  Il  riscontro  del  nome  e 
del  tempo  mi  fan  supporre  che  il  poeta  sia  il  grammatico  4el  quale  parla 
Sointi ,  e  il  dice  maestro  dello  viziano  Omar-Ihn-le'isc,  il  quale  alla  sua 
volta  die  lezioni  in  Alessandria  il  488  (1104).  Biblioteca  Àrabo-iSicuìa , 
p.  678. 

>  Àkhbàr'elrMolùkf  le. 

*  Cioè  degli  Arabi  di  Medina. 


d'Egitta,*  onde  naseeva  an  mecenate  del  Bellanobi  : 
versi  studiati,  puliti  e  mediocri.  '  Né  passò  questo 
seguo  in  poesia  il  filologo  Ibn-Kattà\  del  quale 
abbiamo  detto.  'Par  fosse  uscito  di  Sicilia  neir  ado- 
lescenza   Megber-iba-Mohammed-ibn-Megber  che 


*  Mawkifi,  vnol  idUre  oHoDdo  di  Mawkif  borg&U  di  Bassohi.  Delle  daé 
Kast^jle»  ove  si  ricorda  questa  famiglia,  la  prima  fa  le  lodi  d*  un  Moliammed, 
(fog.  2  redo),  e  la  seconda  d'  un  Ai)u-1-Fereg  (fog.  10  recto),  cbe  ben 
|)Olrebbe  essere  la  stessa  persona.  Cito  la  copia  del  MS.  dell'  Escuriale  che 
mi  fu  donata  dal  conte  di  Siracusa. 

'  Degli  eruditi  Arabi,  i  soli  che  faccian  ^rola  di  Bellanobi,  sono  lakùt, 
Mù'gem  neXÌA  Biblioteca  Àrabo-Siculat  testo,  p.  106,  all'  articolo  BiUanùba, 
e  r  editore  dei  dugentotrentasei  versi  di  questo  poeta  che  si  trovano  nel 
codice  deir  Escuriale,  CCCCLV  del  catalogo  di  Casiri.  Questi  lesse  il  nome 
etnico  Albalbani ,  e  sq))pose  sqrUti  i  versi  a  lode  di  prtndpi  siciliani  e  in 
particolare  dMbn-HamÙd.  Si  vegga  il  Di  Gregorio,  Rerum  Arabiearum, 
p.  237,  e  la  nota  scritta  a  capo  del  codice  deir Escuriale,  cb'  io  ho  pub- 
blicato nella  Biblioteca  Àrabo^iùula,  p.  680,  dove  il  detto  nome  è. dato 
eon  tutu  i  segni  ortograflci,  Bellanobi.  Quivi  anche  si  legge  che  H  giurista 
Abu-<-Mobammed*-Abd-AIIah-ibn-Iehia-ibn-Hamùd,  Hazimi,  avea  recitato 
in.  Alessandria  all'editore»  Tanno  51S  (1119),  que' versi  di  Bellanobi 
sentiti  dì  sua  propria  bocca,  e  vari!  squarci  d'Ibn-Résclk  e  d'altri  poeti 
non  siciliani.  Questo  Ibn-Hamùd  non  era  della  famiglia  Alida  di  tal 
nome  che  regnò  in  Spagna  e  ne  venne  un  ramo  in  Sicilia ,  nia  della  tribù 
dUazlma  eh'  apparteneva  a  quella  di  Nabd ,  e  però  alla  schiatta  di  Kahtàn. 

Ecco  alcuni  versi  della  citata  elegia: 

"  Ottima  e  santissima  delle  madri,  m' hai  gittato  in  seno  un'  arsura, 
che  il  fuoco  non  V  agguaglia. 

"Tra  noi  si  frappone  la  distanza  dell'Oriente  all'Occidente;  e  pure 
giaci  qui  accanto ,  la  casa  non  è  lungi  da  te  ! 

*  Oh  che  s' Irrighi  la  tua  zolla ,  ad  irrigarla  scendanvi  perennemente 
nnbi  gravide  di  piog^a , 

*fi  mentr^esse  spargeranvi  stille  di  pfanU),  sorridan  lì  1  più  vaghi 
fióri.  , 

"Dite  all'Austro:  Costei  mori  musuhnana;  accompagnarohla le  preci 
della  sera  e  delja  mattina  ; 

"Sosta  tu  dunque  su  la  moschea  Akdftm,  é  tira  su  a  settentrione 
Msenza  torcere  a  manca  ec.  * 

La  moschea  Akdàm  a  Rarftfa  presso  il  Cairo,  è  ricordata  da  Makrizì 
nella  Descritiene  de^l' j^l/o  /  testo  arabico ,  stampato  di  recente  a  Billàìc , 
tomo  li,  p.  443,  dove  si  fa  parola  del  cimitero  di  Karàfa,  della  incerta 
etimologia  di  quella  denominazione  d' Akdàm,  ec; 

»  Pag.  510. 


.^523  --  iS6ooioXi.| 

studiò  in  Egitto  e  vi  fece  soggiorBo,  tenuto  in^rao 
pregio  dai  critici  arabi,  autore  di  varie  Kaside,  una 
delle  quali  al  Kàid-Àbu-Abd- Allah ,  soprannominato 
Mamùn ,  ma  noi  credo  dei  regoli  siciliani.  Con  altri 
versi,  mordendo  un  poeta  bisognoso  o  avaro,  ci  rag- 
guaglia del  sussidio  di  cinque  dinar  al  mese  che  por- 
gea  la  corte  fatemita  agli  uomini  di  lettere;  Mori 
costui  pria  della  metà  del  duodecimo  secolo:  '  T  ul- 
timo forse  dei  Siciliani  che  dopo  il  conquisto  s'erano 
affidati  alla  carità  fatemita. 

Piti  franca  ospitalità  loro  offrivano  in  Spagna 
da  dodici  dinastie  gareggianti  a  bandir  corte  per 
mostrar  che  da  vero  regnassero;  la  miglior  parte  gen- 
tiluomini arabi,  usi  a  far  della  poesia  lusso  ed  a  tener 
unica  virtii  civile  la  liberalità.  Sia  la  frequenza  dei 
commerci,  sia  il  gusto  delle  lettere,  si  strinse  con  la 
Sicilia  più  che  ogni  altro  stato  spagnuolo  quel  dei 
Beni-Abbàd  di  Siviglia:  e  già  al  tempo  di  Mo'tadbed 
(1041-1068)  s' era  rifuggito  nell'isola  un  poeta  Abu- 
Hafs-Omar-ibn-Hasan ,  di  nobil  gente  spagnuola, 
.amico  del  principe,  poscia  temuto  e  perseguitato;  il 
quale  tornato  alfine  in  patria,  Mo'tadbed  lo  fece  as- 
sassinare. '  Ma  succeduto  al  cupo  tiranno  il  figliuolo 

«  Marida f  capitolo  dei  poeti  e|[iiiani,  ■eIlftPtUtore«i  ÀràbtHSicula , 
p.  605e  seg.  Secondo  Imad-ed-din,  qitesto  poeU^  morì  avanti  il  544 
(1140-90);  onde  mal  reggerebbe  il  supposto  cbe  il  KAid^Mamùn  fosse  a1- 
<;ono  dei  regoli  di  Sicilia»  i  qaali  si  intitolavano  Kàid,  come  s*  è  dettò. 
Che  ebe  ne  fosse»  io  bo  pubblicato  nella  ^td/iò/eca  Arabo^Siùida  finiio  lo 
squarcio  di  qnesta  Kastda,  serbatoci  da  Imàd-ed«dln.  Similmente  si  leggono 
nel  luogo  citato  e  nella  prèfasione,  p«  77,  i  versi  contro  il  poeta  Hoslim, 
il  quale,  non  contento  dei  cinque  dinar,  domandò  un'ultra  p^Mione  in 
merito  delk  poeua;  -e  gU.aecrebbero  il  susddio  di  mezzo  dinar  al  mese. 
Imad'^d-din  dà  quasi  un  cenUbaio  di  versi  di  Megber. 

*  Me8àlik^l^Ab9ar ,  nella  BilioUett'^ttbO'Sieiiia ,  testo,  p.  654,  «t5. 


(SéMio  xi.)  —  524  ~ 

Mo'tamid,  che  avea  gran  cuore  in  guerra  e  in  casa, 
ed  altamente  sentiva  in  poesia,  la  corte  di  Siviglia 
fu  asilo  dei  poeti  Siciliani  Abu-1-Arab  e  Ibn-^ 
Hamdts. 

Abu-1-Arab-Mos'ab-ibn-iyfobammed-ibn -Ahi - 
Foràt,  coreiscita  della  schiatta  di  Zobeir,  nato  in  Sicilia 
il  quattrocentoventitrè  (1 033)  avea  nome  già  di  gran 
poeta,  quando,  occupata  Palermo  dai  Normanni,  impa- 
zienza del  giogo  0  stretta  di  povertà  lo  sospinsero  ad 
andar  via,  dicendo  alla  patria  eh'  essa  Y  atóandonava 
non  egli  leu  Mo'tamid  gli  avea  profferte  asilo  a  Siviglia  ; 
mentr'  egli  pur  tentennava,  sbigottito  dai  rischi  del 
viaggio,  invecchiato  a  quaranV  anni ,  aveagli  mandato 
per  te  spese  cinquecento  dtnac:  e  vedendolo  giugnere 
a  corte  dopo  un  anno  o  poco  meno  (465, 1072-73), 
r  accolse  lietamente,  gli  fu  poi  sempre  largo  di  danari 
e  d'affetto;'  e  quegli  ne  rendea  merito  coi  versi; 

%  *  Squarcio,  di  poema^  dato  da  Imad-ed-dla  nella  Kharfda ,  Biblioteca 
Arabo-Sicula,  testo ,  p.  609. 1  primi  tre  versi  e  il  settimo ,  riferiti  anco  da 
ligiaDi,  si  leggono  nella  BUtoria  Abbadidarum  del  Dozy,  tomo  il,  p.  146, 
dei  quali  si  può  vedere  la  traduzione  del  dotto  editore.  Gli  altri  son  del 
tenore  seguente  : 

"Su,  alma,  non  tener  dietro  all' accidia,  i.cni  lacci  allettano,  ma 
rè  trista  compagna. 

'Eiu,  p  patria,  poiché  mi  abbandoni,  vo'fare  soggiorno  nei  nidi 
delle  aquile  gloriose. 

** balla  terra  io  nacqui 9  e  tutto  il  mondo  sarii  mia  patria,  tutti  gli 
uotnlni  miei  congiunti. 

"  Non  mi  mancherà  un  cantuccio  nello  spano;  se  noi  trovo  qui,  lo  cerco 
aii,rove. 

*Hal  tu  ingegno?  abbi  anco  cuore:  che  l'assente  non  conseguì  mai 
suo  proposito  appo  colui  che  noi  vede.  " 

'  Ibn-Bassàm  narra  che  un  giorno  sedendo  Mot'amid  a  brigata ,  re*, 
catogli  Qu  carico  di  monete  di  argento,  ne  donò  .due  borse  ad  Abu-l-*Arab; 
il  quale  vedendo  innanzi  il  principe  tante  figurine  ^d' aml»^,  e  tra  le  altre 
una  chefingea  un  camelo  ingemmata  di  pietre  preziose,  sciamò^:  *  A  portar* 
cotesto  monete ,  che  iddio  ti  conservi^  ci  Vuol  proprio  un  caùiela.  *  E  fife- 


—  525  —  |SeooloXI.| 

par  anco  abbia  inilitato  in  alcuna  impresa  del  mece- 
nate/ Sopravvisse  Abu-1-Arab  alla  ruina'di  casa 
Abbadida  una  ventina  d'anni,  sapendosi  di  lui  fino  al 
cinquecento  sette  (111 3-1 4).  Improvvisatore,  poeta  di 
gran  fama ,  più  arabo  (he  niun  altro  Arabo  nel  pregio 
della  lingua,  dice  Ibn-Bassàm,  scherzando  sul  sopran- 
nome; e  Scehàb-ed-din-Omari ,  preso  d'un  estro  di 
prosa  rimata ,  lo  esalta  duce  e  maestro  di  tutti  i 
poeti  del  suo  secolo  e  gente.  '  In  vero  le  Easide  ed 
altri  componimenti  d'  Abu~l-Arab ,  dei  quali  non  ci 
mancano  squarci,  sembrano  elegantissimi  di  lingua  e 
stile;  arabici  pur  troppo  in  ragion  poetica,  ma  vi  si 
frammette  spesso  la  semplicità  che  dianzi  lodammo 
in  Ibn-Tùbì. 

Abd  -  el  -  Gebbàr  -  ibn-M  ohammed  -  ibn  -Hamdis 
nacque  in  Siracusa  (1056)  di  nobile  famiglia  della 
tribù  di  Azd,  che  prendea  nome  da  un  Hamdis,, capo 
biimiarìta  ribellatosi  (802)  in  Affrica  contro  Ibrahim- 

t'amid,  sorridendo,  «li  regalò  la  stataólta:  onde  il  poeta  lo  ringraziaTa  con 
versi  estemporanei.  Dal  Me$àlik^l^Àb$ar ,  nella  BibUoteta  ÀrahorSiòula , 
testo,  p.  656,  e  da  Tigìani,  nella  Hiitaria  Abbadidarum^  del  Doiy,  L  e 

*  Oltre  i  Tersi  di  risposta  alP  inulto  di  Mot'amid,  che  si  trova  nelle 
biografie  jl'  Abu-1-Arab,  la  Kkarida,  MS.  di  Parigi,  Ancien  Fonda ,  i376, 
fog.  35  recto,  e  Sappi.  Arabe  141 1 ,  fóg.  8  recto  e  verso,  dà  sqoarci  di  altri 
dae  poemi,  dei  quali  il  primo  sembra,  e  ii  secondo  è  di  certo,  indiriicsàto  a 
Mo'tamid.  Quivi  si  accenna  ad  una  impresa  in  terra  nemica,  alla  quale  si 
trovava  il  poeta,  poidi'  ei  dice:  "Notti  (gloriole)  che  tutte  le  notti  tornas- 
sero a  noi  con  le  medesime  speranze  ec.  " 

*  La  biografia  di  Abu-'l-Arab  si  ricava  da  :  Imad-ed-dtn,  Kharida 
nella  Biblioteca  Arabo^Sieula,  testo,  p.  606;  Ibn-Khallikàn ,  IH%Umario 
BiogralieOi  versione  inglese  di  H.  De  Slane,  tomo  li ,  p;  S77  nella  viu  di 
Ali-ibn-Abd-el-Ghani-el-Husri  ;  Scehàb-ed-dln-Omari,  Metàlik^l-Abtàr, 
nella  Biblioteca  Arabo^Siculai  testo,  685  e  seg.  Fa  cenno  di  lui  MeHk- 
Mansur,  op.  dt.,  p;  6IS.  Hagl-^Kfaalfo,  edizione  di  Fhiégel,  tomo  IH, 
p.  3U,  no  5678,  nota  il  diwano  delie  sue  poesie.  Non  trovo  in  alcun  an* 
toro  il  titolo  dell'  opera  di  arte  poetica  alla  qoaile  par  che  voglia  allndere 
Sceliàb-ed-dln-Oroarl. 


(Secolo  XI.  I  —  526  — 

ibn-Àghlab/  Crosciato  al  romor  delle  armi  normanne 
che  già  infestavano  il  Val  di  Noto,  Ibn~Hamdts, 
più  che  agli  stadii  si  diede  a  combattimenti,  amori, 
festini,  trincare;  finché  un  saccesso  sul  quale ^i  tocca 
e  passa,  credo  avventura  amorosa  in  nobil  casato, 
sforzollo  a  fuggire  *  in  Affrica  il  quattrocensettanta- 


«  Ibn-KbaldùD,  Histoire  de  VAfrique  ec.,  versione  dì  M.  De  Vergers» 
p.  87  y  88,  e  citazione  di  Nowairi ,  ibid. ,  noia  96.  AI  dir  di  Nowafrì,  questo 
Hamdìs  diaoendea  delia  tribù  di  Kinda,  che  sarebbe  collaterale  a  quella 
di  Azd ,  entrambe  del  lemen ,  ossia  del  ceppo  di  Kabtàn.  Soppoqgo  Ibo- 
Hamdls  natoti  447  (1055-l$6),  poiebè  morendo  il  527  (f  132-3) avea  circa 
ottant'anni,  leggendosi  nel  ano  diivAn,  BiWoUea  Arabo-Sieula ,  testo» 
p*  575 ,  i  versi  seguenti ,  un  pò*  senili: 

"Ecco  un  bastone  ch'io  non  strascino  né!  sentiero  della  vergogna  ; 
mi  r^gge  ansi  a  scosurmene. 

*0  vogliate  dir  che  V ipopugno  per  conrer  meglio  all'ottantina,  non 
per  battere  {gli  alberi  e  raccorre]  foglie  al  mio  gregge.  [SI  vegga  il  Co- 
rano ,  Sura  XX ,  verso  19.  ]  ' 

*lo  sembro  un  arco,  e  il  bastone  la  corda;  l'arciere  v'incocca  ca- 
nizie e  caducità.  " 

>  Le  allusioni  a  questo  fatto  si  raocapezsano  da  due  Kastde ,  la  prima 
delle  quali  ho  data  nella  Biblioteca  Arabo-Sieula,  p.  552  e  seg. ,  e  comìn* 
eia  così: 

*Le  sollecitudini  della  caniziefaanno  scacciato  l' allegrezza  della  gio- 
ventù. Ah  I  la  canizie  quando  comincia  a  splendere  la  t' abbuia  ! 

*  Per  UD^ombra  d' amore  il  destino  mi  spinse  lungi;  e  l' ombra  foggi 
da  me  e  sparve. 

"Una  brezza  vespertisa  mormora,  rinfistesca,  e  sospinge  soavwBenle 
{la  barca). 

"Ella  sciolse.  Evviva 4  È  la  morte  liGea  piangere  11  cielo  sugli  evinti 
che  glaoeano  in  terra. 

"  Il  mugghiti  del  tuono  Incabava  le  nubi  come  il  camdò  che  feeme 
contro  la  compagna  ribelle. 

*D*ambo  I  lati  di  lei  avvampano!  baleni,  col  lampeggiare  di  spade 
brandite. . 

*  Passai  la  notte  nelle  tenebre.  0  bianca  fronte  delt'aovon,  arreouni 
la  tace! 


*  In  quella  {terra)  è  un'  anima  amante,  che  aDa  mia  ptfUta, 
questo  sangue  che  scorreml  nelle  vene  ; 

"Luoghi  ai  quali  corrono  fonivi  I  miei  pensieri^  come  i  tapi  si  rinsel< 
vano  nella  {natia)  boscaglia. 


—  527  —  isccoioxi.l 

DO  (1 078-79).  Ma  sdegnando  i  costami  delle  tribù  ara* 
biche  scatenate  dall' Egitto  su  T  Africa  propria/  allet- 
tato altresì  dalla  fama  di  Mo'tamid~ibn-Abbàd ,  andò 
a  corte  di  Siviglia,  ove  fa  accolto  con  onore  e  libera- 
lità.* In  qael  ritrovo  dei  primi  poeti  contemporanei 


'  »  I 


Quivi  fui  compagno  dei  iioni  alla  foresta;  quivi  in  soo  covile  visitai 
la  gazzella. 

*0  mitre!  dietro  da  te  è  il  mio  giardino,  del  quale  mi  ascondi  le 
delizie  non  già  le  miserie! 

"Lì  vidi  sorgere  nna  bella  aurora,  e  lungi  di  quello  mi  coglie  il 
vespro. 

*Àbi  se  non  m' era  data. la  speme,  quando  il  mare  mi  vietò  di  porvi 
il  piede , 

"Io  montaya,  in  vece  di  barchetta,  l'arcione,  e  correva  in  quelle^ 
piagge  incontro  al  sagrifizio.  ' 

Ho  dovuto  tradurre  liberamente  le  strane  metafore  cbe  ba  il  testo 
neir  ultimo  verso.  L*  altra  Kastda ,  è  scritta  in  risposta  ad  un  amico  cbe 
par  abbia. profferte  ad  Ibn-Hamdis,  dopo  molti  anni,  di  rappattumarlo  con 
possente  famiglia  perch*  ei  tornasse  in  Sicilia,  ove  i  Musulmani,  com*  e'par- 
mi,  volean  tentar  qualche  sollevazione.  La  difiScoltà  di  ridurre  a  lezione 
plausibile  alcuni  versi  di  questo  lungo  componimento,  mi  distolse  dal 
pubblicarlo  nella  raccolta  dei  testi.  Nondimeno  vi  si  scorge  manifesta  la 
cagione  della  fuga;  e  la  fimìglia  aekmca  par  si  chiamasse  dei  Beni-^Has- 
sftn.  Il  poeta,  già  maturo  e  collocato  a  corte  di  Mo*tamid ,  ricusa  di  tornar 
di  presente  nella  Sicilia  soggiogata  dai  Normanni;  ma  perdona  a  tutti, 
e  finisce  la  Kastda  sciamando  l 

*Lode  ai  viventi,  lode  a  coloro  le  coi  ossa  giacciono  nelle  tombe, 
lode  sia  a  tutti! 

"Lode,  perchè  non  dura  quivi  il  letargo;  e  grandi  eventi  ne  riscote- 
ranno  anche  me.  " 

*  Si  vegga  la  descrizione  eh*  ei  fa  di  costoro  e  il  paragone  con  gli 
Arabi  di  Sicilia  in  una  Kastda  che  comincia  :  "  Pascon  la  bianca  foglia  il  cui 
frutto  è  sangue  (lo  stipendio  dei  meiwenarli  ec.)"  nella  Bibìioteoa  Àrabo- 
Sicula  ^  p.  561  e  segg. 

s  IbiHKhallikàn.  L' Autore  MV  Àkkbar^^Mùlùk  intitola  Ibn-Hamdls 
dkur4^m*àratein  (quel  dal  doppio  officio)  che  solea  dirsi  a  visir  investito 
di  comando  civile  e  militare:  ma  qui  mi  sembra  allusione  al  genio  poetico 
e  valor  guerriero  d' Ibn-Hamdis. 

Tra  i  molti  componimenti  indirizzati  a  Mo'tamid  ve  n'ha  uno,  nel 
qnale,  ricordando  la  patria  e  i  parenti»  conchiude  con  effusione  di  gra- 
titudine: 

"Né  tu  mi  chiudesti  la  via  dell' andar  appo  loro;  ma  ponesti  il  dono 
a  vincolo  che  mi  ritenesse  ; 


(Secolo  XI.  ^  —  528  — 

d'Occidente  rìfalse  il  genio  d' Ibn-Hamdte;  non  si  cor- 
ruppe in  corte  ranimo  franco,  liberale,  pien  d'amore^ 
del  padre,  della  Sicilia,  degli  amici,  della  gloria,  delle 
donne;  d' ogni  bellezza  di  natura  e  d' arte.  Seguì  il 
principe  nei  campi  com'  uomo  d^arme  ch'egli  era  ed 
anco  ne  facea  tro{^a  mostra  nei  versi.  Alla  batta- 
glia di  Talavera  (1086)  abbattuto  dal  cavallo  nei 
primi  scontri  che  tornarono  ad  avvantaggio  dei  Cri- 
stiani,  si  sviluppò  gagliardamente,  n  usci  con  la  co- 
razza tutta  affrappata  dai  fendenti,  più  che  a  sé 
stesso  pensando  al  figlio  giovinetto  che  combat- 
tea  li  presso  con  gran  valore/  Ma  quando  gli  Al- 
moravidi  tornarono  in  Spagna  dà  nemici;  quando. 
Mo'tamid  fu  spoglio  del  regno  e  d'ogni  cosa,  e 
scannatigli  due  figliuoli  sotto  gli  occhi,  e  con  le  figlie 
mandato  in  catene  ad  Aghmat  ("1091),  Ibn-Hamdts 
passava  in  Affrica,  andava  a  visitarlo  nella  prigione: 
dove  fecero  scambio  di  sante  lagrime  e  versi  medio- 
cri. "  Tornatosi  il  poeta  siciliano  a  Mehdia,*  saputa 

"Ed  una  generosa  amistà ,  la  cui  dolcezza  spandendosi  nel  mio  caore 
lo  rinfrescò,  arso  ch'esso  era  dal  cordoglio." 

DI  questa  Kastda  ho  dato  uno  squarcio  nella  Biblioteca  ÀrahiHSicula, 
testo  i  p.  5SS4>  SI  veggano  le  altre  poesie  indirizzate  a  Ho'tamid  e^  al 
.  costui  Ggliuolo  Resctd ,  delle  quali  ho  dato  le  rubriche  nella  stessa  raccolta, 
p.  567, 5860,570- 

<  Diwàn  d' Ibn-Hamdls ,  neiròp.  cit»  p.  569.  Il  poeta  tQrnando  a  Si- 
viglia, fece  iinesti  versi  al  6gliuolo  che  avea  nome  Abu-Hà9clm.  Suppongo 
si  tratti  di  Talavera,  poiché  il  testo  dice,  per  antonomasia,  "  la  battaglia.  * 
.  *0h  Abtt-Hftseim!  le  spade  m'hanno  sminuzzolato:  ma ,  lode  a  Dìo» 
non  voltai  fiiccia  dal  taglio  loro. 

*Ricordaimi,  in  mezzo  a  quelle,  il  tuo  sembiante,  mentre  non  mi 
prometteano  ripòso  alle  fresche  ombre.  * 

>  Questi  versi  riferiti  da  varii  annalisti  e  biografl ,  si  leggono  presso 
Dozy, ^i«/orta  Abbadidarum,  tomo  f ,  p.  246,  tomo  Il,p,  44.  Altri  ve  n*  ha 
nel  Dlwan  d' Ibn-Haradts,  accennati  nella  Biblioteea  Àrapo-Sicvla ,  p.  571. 

B  Novrairi ,  Siùriadi  Beni-Abbàd,  presso  I)ozy,  op.  elt.,  Il,  138,  e 
Biblioteea  Arabo^Sieuh,  p.  459. 


—  529  —  [Secolo  XI.] 

non  guari  dopo  la  morte  di  Mò'taniid  (1 095},'soggiornò 
parecchi  anni  nelle  due  corti  di  casa  ziri  la,  avendo 
lasciato  in  lungo  poema  la  descrizione  d'  un  palagio 
di  Mansùr  principe  hammadita  di  Bugia,  aspro  nemico 
degli Àlmoràvidi ;  *  due  Kaside  in  vita*  ed  un'elegia  in 
morte  di  lehia-ibn-teraim  (il  16)  principe  di  Mehdia;' 
e  le  Iodi  di  Ali-4bn-Iehia  (1116-21)  ed  Hasan-ibn- 
Ali  (1 1 21-11 48)  saliti  successivamente  a  quel  trono/ 
Scrisse  la  Storia  di  Algeziras.  *  Rifinito  dall'età  e 
dair  avversa  fortuna  ^  eh'  ei  s' assomigliava  ad  aquila 
che  più  non  voli  e  i  figli  le  imbecchino  il  pasto ,  *  per- 
duto il  luimè  degli  occhi,  mori  di  ràmadhan  cinque- 
centovenzette  (luglio  1 133) ,  chi  dice  a  Majorca,  chi 
a  Bugia,  sepolto  accanto  al  poeta  spagnuolo  Ibn-Lab- 
bànà,  col  quale  avea  gareggiato  nella  grazia  di 
Moìamid  a  Siviglia  e  nel  carcere.' 

<  Makkari ,  Ànalecte$  tur  VMstoire  e/e.  d*Espagne  ,  lesto  arabico , 
toiAo  I,  p.  521  eseg.,  dà  in  tre  squarci  48  versi  di  questa^  Kaslda.  Man- 
sùr-ibn-r^&sir-  ibn-'Alennàs,  regnò  da!  1088  iA  1104,  nello  stato  bam- 
madita,  .che  già  avanzava  per  territorio  e  forze  il  reame  del  ceppo  drita 
di  Mebdìa.  Si  vegga  Ibn-^Kbaldilkn ,  Histoìre  des  Serberei,  versicene  di- 
M.  De  Siane,  tomo  II,  p.  51  e  sèg.,  dove  si  fo  menzióne  dei  sontuosi  pa- 
lagi edificali  a  Biìgja  da  Mansùr  e  dal  padre. 

'  Dìwdn  (V  Ibn-Hamdis.  Le  rubriche  si  leggono,  op.  cit,  p.  573. 

'  Ibn-el-AlMr,  anno  509;  nella  Biblioteca  iira&o-Sietifo,  testo,  p.  280. 

*  Ve  n*  banno  squarci  nella  Kharida ,  le  cui  rubriche  si  lèggono  nella 
BìJ^ioiìica  Arabo-Sicula,  lesto  ,  p.  608. 

^  Hagi-Kbalfa ,  edizione  Flnègel,  tomo  II,  p.  124,  no  2196. 

•  Diwàn,  oj>.  cit.,  p.  572,  575.  ibn-Hamdis  diceva  al  raceoglitor  del 
diwan ,  aver  letto  nelle  opere  di  Storia  Maturale  questa  filial  pretà  delle 
àquile,  e  che  la  non  si  notasse  In  alcim  altro  animale. 

7  Le  notizie  d' Ibn-Hamdis,  si  ricavano  da:  Ibn-Khallikftn,  Biogro' 
pkieal  Bhtionaryy  versione  di  M.  Uè  Siane,  tomo  li ,  p.  160  seg.;  Imad- 
ed-dtn,  Kharida  neìh  Biblioteca  Arabo-Sieula ,  testo,  p.  607  e  seg.; 
Malek-Mannu,  Tabùkat-^l-Seio^ard ,  op.  cii.,  p.  619.  Scehab-ed-din- 
Omari,  IfeM^t/k-eMòsdr,  op.  cit.,p.  655  e  seg.;  e  soprattutto  daglj  avver- 
timenti premessi  a  varie  poesie,  nel  Ditvàhàì  lbn-Han[ulls$  dal  raccogli- 
tore anonimo ,  il  quale  lo  conobbe  di  persona  e  conversò  con  lui,  come  si 
II.  34 


|6«celaXLl  —  530  — 

Ingegno  felicissimo  nel  coglier  e  ritrarre  le  sen- 
sazioni, nel  colorirne  le  dipinture  che  veggiamo 
sparse  a  larga  mano  in  duemila  e  cinquecento  versi: 
dipinture  d'obietti  materiali,  avvenimenti,  passioni, 
costumi.  Delle  quali  lascerem  da  canto  ciò  che  non 
si  riferisca  alla  Sicilia:  le  gesto  di  Mo'tamid,  i  suoi 
palagi  ed  orti  o  del  principe  di  Bugia,  gli  episodii 
accademici  di  Siviglia,  la  morte  d'una  moglie,  il  nau- 
fragio d'altra  sua  donna  nel  viaggio  di  Spagna  ed 
Affrica,  le  cacce  affricane,  le  descrizioni  d'animali  e 
frutta  e  fiori,'  gli  specchi  di  pece,'  le  lampadi  a  spi- 
rito di  vino ,  '  il  piglio  feroce  dfei  masnadieri  d' oltre. 
Nilo,  cui  poneva  a  riscontro  gli  Arabi  inciviliti  di 
Sicilia.  Quei  compagni  di  sangue  chiarissima  come 
lo  splendor  delle  stelle,*  coi  quali  in  gioventù  solca 

rime  da  ana  glosa,  op.  cit,,  p.  573.  Gli  esinUi  cominciano  dalia  p.  547. 
11  Diwén  por  non  contiene  tulle  le  poesie  ;  mancandoTi  la  Eastda pel  palagio 
di  Mansùr,  dianzi  cilata,  e  altre  di  cui  si  leggono  squarci  nella  Kharìda, 
in  Ibn-el-Aibìr,  Nowairi  ec. 

*  La  giraffa 9  il  cavallo,  lo  scorpione,  le  melarance,  gli  anemoni,  i 
doppier  di  cera  ec.  Parie  di  coleste  descrizioni ,  mancanti  nel  Diwàn  d' Ibo- 
Hamdis,  son  date  da  Nowairi  in  un  volume  della  Enciclopedia,  MS.  di 
Leyde,  no  273,  e  ne  occorrono  sovente  in  va^ie  raccolte  enciclopediche, per 
esempio  il  Giémi'^t-Fonùn,  di  Ahmed  Harràni,  autor  dei  Xlll secolo, 
MS.  di  Parigi,  Ancien  Fonds,  367 ,  fog.  18  verso  e  39  recto. 

'  *  Come  se  scaldi  specchio  di  pece ,  (vedi)  il  roìsso  del  fuoco  oamminar 
su  quella  negrezza.  "  Da  Scebàb-ed-dln-Omari  nel  Mèsalik^el-Aòsdr ,  vo* 
lame  XVII,  MS.  di  Parigi ,  Ancien  Fonds,  1372,  fog.  76  versò. 

'  La  Kasida  dedicata  a  lehlMbn-Temim,  principe  di  Mehdia,  comin- 
cia con  questo  verso  : 

*È  fiamma  questa  che  squarciale  tenebre  della  notte,  o  la  lampade 
il  col  fàoco  («i  alimenfa  con)  l' acqua  dell'  uva? 

"Ovvero  sposa  che  comparisca  alta  sol  seggio  ee."  JHwdn,  nella 
Biblioteca  Araho-Sieulaip.òlt. 

«  Nella  parafrasi  di  queste  ed  altri  squarci  d'Ibn-Hamdts  non  ag- 
giugnerò  nulla  del  mio.  Tradurrò  fedelmente,  ma  scorcerò,  e  trasporrò, 
studiandomi  a  rendere  il  «aiKio  male  cbe  io  possa  II  colonie  dell'ori- 
ginale; 


—  831  —  |$60f»ioXi.| 

(Cercare  all'odorato  il  miglior  muschio»  dei  vigneti  si- 
mcusati.  Entrano  di  notte  iii  un  romitaggio;  chiuse 
le  porte,  gittan  su  le  bilancette  un  dìrhem  d' argen- 
to, e  la  Teccfaia  suora  lor  ne  rende  una  co[^  piena 
diiiquid'<:»*o;  potne  menan  via  le  sposine:  quattro 
anfore*  vergini,  impeciate  e  sepolte  da  lunghi  anni; 
elette  da  Un  tal  che  d'ogni  succo  d'uva  ti  sa  dir 
patria,  età  e  cantiba.  Ma  gli  svelti  e  jraghi  giovani 
traggono  a  sala  illuminata  da  gialli  doppieri  messi 
in  file  come  colonne  che  sostenessero  eccelsa  vòlta 
di  tenebre  ;  dove  il  signor  della  festa  bandisce  esilio 
e  morte  alla  tristezza:  e  già  le  suonatrici,  cominciando 
a  toccar  le  corde,  destan  gioia  negli  animi ^,  quella  si 
stringe  al  -petto  il  liuto,  questa  dà  baci  al  flauto:  una 
ballerina  gitta  il  pie  a  cadenza  dello  scatto  delle  dita  ; 
gentil  coppiera  va  in  giro,  mescendo  rubini  e  perle, 
avara  sì  delle  perle  che  rado  allarga  le  strfnghe  dal 
collo  della  gazzella.  *  Oh  dolci  ricordi  della  Sicilia  , 
campo  di  mie  passioni  .giovanili,  albergo  ch'era  di 
vivaci  ingegni,  paradiso  dal  quale  fui  scacciato!  e 
come  riterreimi  dal  piangerlo  ?  Quivi  risi  a  vent'anni 
spensierato;  ahi  che  a  sessanta  mi  rammarico  di 
quelle  colpe;  ma  non  le  biasmar  fu,  accigliato  cen- 
sore, poiché  le  cancellava  il  perdono  di  DioI  * 


*  Questo  vocabolo  farì)e8co  si  usa  tuttatia  io  Sicilia;  e  chi  sa  se 
venne  dagli  Arabi?  Forse  nacquero  da  quella  espressione  figurata  I  nomi 
di  moscato  e  moscaténo. 

^  Dindn,  plurale  di  denn,  orcio  lungo  che  finisce  aguzso. 
'  Cioè  rotte  di  pelle  di  gazzella  che  serviva  a  portar  V  ac^ua. 

*  Diwdn,  nella  Biblioteca  Arùbo^Sicula ,  testo,  p.  548  e  seg.  Questa 
Kasida  comincia  coi  versi  :  • 

"L'anima  sfogò  tutte  voglie -4n  gioventù,  e  la  canieie  le  ha  recato 
suoi  ammonimenti. 


|S«e«lo  XI.J  —  532  — 

figliaoli  delle  Marche  slam  noi,  cantò  altrove 
Ibn^Hamdis;  a  noi  spunta  il  sorriso  c|uando  la  guerra 
aggix)Ua  le  ciglia;  divezziamo  i  bamboli,  in  mezzo  al- 
Tarmi,  col  latte  di  generose  giumente:  rassegnaci;  e 
quanti  siamo,  tanti  campioni  c(Hìterai  che  ciascun 
vale  una  schiera.  Indietreggia  nostr  oste  per  rinno- 
vare r assalto;  ritraendosi,  sparge  la  morte:  no,  che 
tutte  le  stelle  non  sono  cadute,  e  pur  v'  ha  una  speme 
in  questa  guerra ,  e  siam  noi.  I  condottieri  ci  mostrano 
il  di  della  battaglia ,  un  drappo  da  ricamare  con  gruppi 
d'avvoltoi;  che  i  prodi  ad  ogni  carica  di  lor  nobili 
'Awagi,*  spargon  sul  terreno  larga  pastura  agli  uccelli 
voraci.  Ecco  una  colomba  messaggiera  di  strage,  volar 
secura  tra  i  lampi.  Sì;  percotemmo  i  nemici  della  Fede 
entro  lor  focolari:  piombò  un  flagello  su  le  costiere  dei 
Rum;  navi  piene  di  lioni  solcarono  il  mare,  armate  la 
poppa  d'archi  e  dardi,  lancianti  nafta  che  galleggia 
e  brucia  còme  la  pece  della  gehenna  ov'  àrdono  i 
dannati;  cittadelle  che. vengono  a  combattere  le  città 
dei  Barbari,  a  sforzarie  e  saccheggiarle.  E  «he  valser 
quei  vestiti  di  maglie  di  ferro  luccicanti ,  e  usi  a  dar 
dentro  xjuando  pur  si  ritraggono  i  prodi?  Non  piegam- 
mo noi  al  duro  scontro;  ingozzata  la  coloquinta,  gn- 
stammo  alfine  il  dolce  favo ,  e  li  rimandammo  con  le 
armadure  squarciate  e  addentellate  da  questo  sottil  filo 
de' nostri  brandi.  Perchè  r  acciaro  nelle  nostre  mani 

"  La  fortuna  non  la  i^antò  come  virgulto  in  buon  terreno»  né  poi  ne 

raccolse  i  frutti , 

"No;  fili  sorteggiato  alle  passioni  che  mi  divisero  in  pezzi  tra  loro: 
*  Logorai  le  armi  in  guerra  ;  fornii  molti  trascorsi  alla  pace  ec.  " 
'  Razza  di  cavalli  rinomata  nelle  antiche  poesie  degli  Arabi.  81^  vegga 

una  nou  di  M.  De  Slane  nel  IpunuU  Àsiatique,  Serie  ili,  tomo  V,  (1S38), 

p.  467,477. 


—  533  —  {s«coioxr| 

ragtena,*  e  nelle  altrui  si  fa  mutolo.  Ma  dalla  casa  tni 
guardauo  furtivamente  begli  occhi  travagliati  dalla 
vigilia  e  dal  pianto,  che  il  dolore  dì  e  notte  li  avea 
dipinti  di  kohl;  *  una  manina  incantatride  muove  le 
dita  a  salutanni.  Oh  dilettoso  giardino/ la  cui  sembianza 
Tiene  a  visitar  le  pupille  aggravate  di  sonno  eie  schiu- 
de all' immagina  tiva{  Io  sospiro  la  mia  terra;  quella 
nel  cui  seno  si  fan  polvere  le  membra  e  le  ossa  de' 
miei,  che  già  se  n'è  ito  il  fior  della  prima  gioventù, 
alla  quale  toman  sempre  le  mie  parole.' 

Sotto  il  bel  cielo  di  Spagna,  nelle  regioni  tempe- 
rate deirAffrica  settentrionale,  il  poèta  siracusano  non 
obbliò  mai  quel  paese  ^  cui  la  colomba  die  in  presto 
sua  cdlana,  e  il  pavone  suo  splendido  ammanto;* 
dov^  i  raggi  del  sole  awivan  le  piante  tf  amorosa 
virtù  ch'empie  l'aere  di  fragranza;  '  dove  respiri  un 
diletto  che  spegne  le  aspre  cure,  senti  una  gioia 
che  cancella  ogni  vestigio  d'avversità."*  Pur  l'alto 
sentimento  che  gli  facea  parer  più  belle  le  naturali 
bellezze  della  Sicilia,  lo  ritenne  dal  tornar  a  vederla 
serva;  gli  dettò  versi  di  rampogna  no,  ma  di  com- 
pianto e  di  verità,  eh' è  primo  debito  di  cittadino  alla 
patria.  Ripetendo  ed  esaltando  in  mille  modi  il  valore 

*  IbD-HanuitSf  adopera  altrofve  Ja  atessa  figara.  Gli  Arabi  odierni 
d*Affi4ca,  come  ognua  sa,  dicono  del  combattere  che  ** parli  la  pol- 
vere." 

*  Antimonio  o. altra  polTcre  negra  oon  cbe  le  donne  d'Oriente  (ed 
oggi  ancbe  ve  n'  ha  in  Europa)  tingono  i  lembi  delle  palpebre  e  le  oc- 
chiaie. , 

>  Diwàn  di  IbD-Hamdts  nella  Bièlioteoa  Aràbo^Steula,  p.  S65  e  segg. 

*  MeiàHk'^l'AMr  nella  BibUoiem  Arabo-Sieula,  p.  151. 

"  Diwdn  d'Ibn-Hamdis,  op.  dt.,  p.  S55,  dalla  Kaslda  cbe  abbiam 
testé  elGato  a  p.  ìB&,  nota  2. 

^  Stesso  Diwàn ,'  i^bUoieea  Arabo^Sioula^  p.  S6f . 


[SeMlo  Xl.j"  —  534  — 

delle  persone/  ricordava  sospirando ,  esser  morta  nel 

paese  la  virtù  della  guerra.*  E  in  età  più  matura 
sclamava  : 

"^  Oh  se  la  mia  patria  fosse  libera ,  tutta  Topera 
mia,  tatto  me  le  darei  con  immutabile  proponimento. 

Ma  la  patria  come  poss'  io  riscattarla  dalla  schia-^ 
vi  tu  nelle  rapaci  mani  dei  Barbari? 

{Lo  potea  forse,  quando)  il  suo  pq)Olo  si  straziava 
a  gara  in  guerra  civile,  e  ciascun  legnaiplo  vi  gittava 
esca  al  foco? 

{Quando)  ì  congiunti  non  sentivano  carità  di  pa- 
rentela; bagnavano  le  spade  nel  sangue  dei  con- 
giunti, •  ,       - 

E  {U  popolo  tutto  insieme)  avea  lo  stesso  piglio 
d'una  destra  le  coi  dita  non  giochino  Tun  a  seconda 
dell'altro?' ' 

A  tanta  altezza  di  poesia  giunse  Ibn-Hamdte! 
C(m  soave  sentimento  cantò  d'amore;  con  leggiadria 
ed  arte  e  abbondanza  d'estro  sopra  ogni  argomento 
ch'ei  toccava.  E  se  l'intemperanza  orientale  d' imma- 

'  Nella  Kaslda,  della  qaale  or  or  daròx^inqae  versi  nel  testo,  rìpU 
glia  dopQ  il  biasimo  del  popolo  le  lodi  d0i  guerrieri  :  "  uomini  che  quando 
li  Tedi  in  furore,  ameresti  meglio  il  ratto  dei  lipni....  Galoppanti  su  snelli 
Mfsieri,  a' cui  nitriti  fanno  eco  in  terra  dt  nemici  le  nenie  delle  pia- 
gnone.... Li  YOdi  caricare  or  con  la  lancia  or  con  la  spada;  ferir  d'ambo 
i  lati  non  altrimenti  che  il  re  nel  gkioco  degli  scacchi....  Muolon  della 
morte  del  valore  in  tneuo  alia  mischia ,  quando  i  vlgUaeehf  spirano  In 
mezzo  alle  donne  dal  turgido  petto.  Imbottiscon  della  polvere  de' campì 
i  cuscini  che  lor  si  pongono  sotto  gli. omeri  nella  aepoltiin.*  Quest'ul- 
timo era  costume  dei  devoti  guerrieri. 

'  Diwan,  nella  Biblioteca  Àrab(h-Sieula ,  p.  {$54. 

'  LHteralmente  "  le  falangi,  delle  dita ,  ec"  op.  dt.,  p.  558.  Questa 
lunga  Kaslda,  scritta,  com'è'  pare,  in  Àffricai  lagnandosi  di  qualche  principe 
ilrita,  comincia,  p.  554,  col  verso: 

*  Ho  vestito  la  pazienza  com'  usbergo  contro  i  colpLdella  sof  te^  O 
tristo  secolo ,  poiché  non  vuoi  la  pace ,  su  combàttiamo.  "   . 


—  835  —  (Setolo  II] 

gini,  le  antitesi,  i  bisticci,  i  vizii  radicali  della  lettera- 
tura arabica  tolgono  a  noi  di  collocarlo  tra  i  sommi 
poeti,  i  critici  di  sua  nazione  il  tenner  tale,'  e  in  Oc- 
cidente i  suoi  versi  furono  poco  men  citati  che  que' 
d'imrolkais  e  di  Motenebbi.  II  critico  Abu-Salt-Ometa, 
che  r accusò  di  plagir,  lo  dicea  ladro  illustre,  uso 
ad  abbellire  le  idee  rubate.  ' 

Dimorò  in  Affrica  o  Spagna  il  suo  figliuolo  Mobam- 
med,  più  poeta  del  padre  al  dir  d'Ibn-Bescirùn;  ma 
i  brevi  saggi  che  ne  dà ,  fan  giudicare  altrimenti/ 
Soleiman^ibn-Mohammed  da  Trapani,  oriundo  diMeh- 
dia  0  stanziatovi,  esule  dopo  il  quattrocento  qua- 
ranta (1048),  erudito  e  scostumato,  passò  in  Affrica, 
indi  in  Spagna;  ove  s' acconciò  nelle  corti  di  principi 
minori,  e  piacquero  sue  Kaside,  e  vi  lasciò  nome  non 
oscuro.*  Pili  elegante  poeta  Abu-Sa'ld-Othmàn-ibn- 
'Atik,  Siciliano,  forse  di  Palermo  come  ogni  altro  di 
obi  non  si  noti  particolarmente  la  città  natia,  andò  a 
dirittura  in  Spagna  al  conquisto  normanno,  a  corte 
del  rivale  di  Mo'tamid  in  lettere  e  munificenza  (1 054- 
1091),  il  principe  d'Almeria  Mo^tasem,  della  illustre 
stirpe  dei  Beni-Somàdih.'  Vissero  al  par  nella  seconda 

*  Ìbn-Bass&m ,  Imàd-ed-dtn  ,  Sceh&b-ed-din-Omari ,  Malek-Man- 
sur  ec,  lì.  ce. 

>  Nella  Karida,  Bibliòteea  Àrabo-Sieula ,  p.  608. 

'  Khartda  nella  Biblioteca  ArabcnSicula,  p.  608.  L'antore  lo  pone  al 
p^r  clie  il  padre  tra  1  poeti  Spagnuoli  ;  Ibn-BescirOn,  tra  quei  del  Magh- 
reb di  mezzo,  cbe  risponde  presso  a  poco  all'Algeria. 

*  lakùt  nel  Mo*gem ,  Homaidi  nella  ^  6?é(&wa ,  Ibn-EaUft'  nella  Bùrra^ 
Scebàb-ed-dln-Offlarf  nel  Mesdlik,  estratti,  nella  Biblioteca  Àrabo-Sicula , 
testo,  p.'Ì22,  377,  594,  653.  Ibn-BescIi:ow&l,  Ms.  della  Società  Asiatica 
dlTàrigl,  copia  il  cenno  df  Homaidi. 

^^Kharìda,  da  Ibn-Katt&',  neWsi  Biblioteca  Arabo-Sieula ,  p:  597..  Una 
Kisida  è  indiiizzata  a  Motasim ,  sul  quale  si  Tegga  il  Dozy,  Rechetches  sur 
Vhistoire  d'Espagne,  tomo  I,  p.  116. 


|SmoIoXI.|  —  536  — 

metà  dello  undecimo  secolo  poeti  di  Kastde,  i  segre- 
tarìiHàscem-ibn-Iunis  e  Ibn^-Kùni  e  Omar-ìbn^Abd- 
Allah,  dei  quali  si  è  detto;*  e  un  Ali-ibn-Abd-AUah- 
ibn-Sciami.' 

Ibn~Tazi,  cultor  di  scienze  e  di  lettere,*  facile 
ingegno  ed  umore  bilioso,  censo^  di  vizii  infangato 
in  brutto  costume  egli  stesso,  va  lodato  tra  i  primi 
poeti' satirici  degli  Arabi  per  vivacità  di  concetti ,  stile 
incisivo ,  e  pur  naturale ,  eleganza  e  grazia  non  infre- 
quente/ Ci  avanzan  di  lui,  dopo  che  li  vagliavano  Ibn- 
Kattà'  elmàd-ed-dln,da  ottanta  epigrammi,  tra  descrit- 
tivi ed  erotici,  se  cosi  possan  chiamarsi,  e  satirici;  ma 
sol  di  questi  diremo.  Dei  quali  è  grave  e  lepido  molto 
quel  sopra  i  SufiU  ; 'altri  con  Lindura  riprendono  vecchi 
che  tingeano  i  capelli,*  fipicce  irsute  di  barba/  e  noio- 
si cantori:'  ed  erano  ridicolaggini  del  tempo.  Su  i  vizii 
eterni  dell'umana  natura  lanciò  arguti  motti  ad  avari/ 

^  Si  vegga  sopra  a  p.  5U,  ^16. 

>  Kharida,  da  Ibn-Kattà',  nella  Biblioteca  Arabo^Sieida,  p.  596. 

s  Si  vegga  a  p.  5 li,  in  questo  capitolo. 

*  Im&d-ed-dln,  Kharida  nella  Biblioteca  Araho^Sieula ,  p.  S89,  loda 
i  saoi  versi  come  "di  buon  gìtto  e  intessati  con  gusto.  *  Si  vegga  anche 
Osehebi,  Anhà-^n-nolià,  op.  eit.,  p.  647. 1  versi  sì  trovano  nella  Kharida 
e  somman  quasi  a  dugento. 

'  Si  vegga  la  p.  ÀQA,  in  questo  capitolo. 

^  Kharida,  MS.  di  Parigi,  Ancien  Fonds,  1375,  fog.  24  verso,  6  altrove. 

^  Ibid. ,  e  25  verso.  Di  cotesti  barbuti ,  l' uno  chiamavasi  Gia*far-ibn- 
Hohammed ,  e  V  altro  Hamdùn ,  nomi  che  non  troviamo  nelle  memorie  del 
tempo.  Del  secondo  ei  diceva  :  "  La  barba  d*  Hamdùn ,  è  .una  casacca  che 
gli  serve  a  ripararsi  dal  gran  freddo.  0  piuttosto,  quand'ei  vi  s' asconde  in 
mezzo,  la  ti  pare  un  mantello  da  letto  addosso  a  una  scimmia." 

^  Op.  clt.,  fog.  24  recto,  26  recto  ec.  Ve  n'ha  non  men  die  otto, 
uh  dei  quali  è  di  lode.  A  Tog.  26  verso,  lode  d' una  ballerina. 

^  Kharida,  MS.  di  Parigi,  Ancien  Fonds,  1375,  fog.  26  recto. 

"Andai  a  fargli  visita  per  novellare,  che  alla  sua  borsa  io  non  pensava . 
per  ombra. 

"  Ma  suppose  che  venissi  a  chieder  danaro,  e  fu  11 11  per  morir  di 
paura.  " 


—  537  —  [SéMio  Xf  i 

cbiacclìieroDi ,«  pertnalosì  ;  '  né  perdonò  at  difetti  fisi^ 
ci  :  '  mise  il  dente  ove  potè  a  lacerare  con  raU>ia , 
ed  arrivò  a  chiamare  V  umanità  razza  di  vipere  e 
cani.*  Ruzaik-ibn-Sahl,  già  nominato,  toccò  Far* 
gemente  con  piìi  misura  o  men  poesia /nei  soli  versi 
che  ci  rimangon  di  lui.  V 

Meritano  i  Kelbiti  particolar  menzione  pria  di 
conl»nuarB  Ijsi  lista  dei  poeti  minori,  perchè  s'è' non 
arricchirono  gran  fatto  il  Parnaso  siciliano,  incorag^ 
giarono  e  favorirono  cui  v  aspirasse.  Dell' emiro  Àhmed 
(953-969)  si  ricordano  due  mediocri  versi  con  che 
si  lagnava  che  in  età  avanzata  noi  curasser  le  donne: 
strana  querela  in  bócca  a  principe  musulmano.*  Cantò 
più  lietamente  d' amore  Abd^r-Rahman-Jbn-Hasan, 

<  Khatida ,  nella  Éiblioteca  Àrabo-Sicula ,  testo,  p.  590  : 

"  Con  te-parole  ti  atvieipa  ogni  cosa  ;  rlchtedilo»  ed  ecco  eh'  h  lontano 
{cento  miglia),  , 

"L'amico  non  faccia  assegnamento  sa  la  sua  promessa;  il  nemico 
non  tema  mai  la  minaccia.  * 

>  Kharìda,  MS.  cit. ,  fog.  29  recto  : 

**  Gran  pezza  sopportai  là  ntol  indole  di  costai  e  dtcea  tra  me  :  s' emen- 
derà fQrse. 

"Ma  or  che  ha  tolta  moglie ,  alla  larga  !  ho  paara  delle  cornate.  " 

B  Ad  an  batterato  di  vaiolo,  e  a  dae  di  flato  puzzolente tOp.  cit.» 
fog.  e  27  recto  e  28  recto. 

*  Op.  cit.,  fog.  24  verso  :  '  0  ta  che  mi  biasimi  del  fuggire  gli  uomini 
e  viver  solitario» 

"  (Sappi),  di'  io  non  so  star  con  le  vipere.  " 

Ed  a  fog.  29  recto  :  "  Quand'  nom  ti  dice  villania ,  lascialo  andai«,  che 
Dio  ti  aiuti  !  Abbaieresli  forse  contro  il  can  che  t' abbaia  ?" 

^Kharida,  estratto  d'Ibn-Katta\  nella  Biblioteca  ÀraUnSiisula  y 
p.  592.  Ecco  i  versi  che  leggiamo  nel  MS.»  fog.  37  verso: 

"Le  in^oH  e  costumi  degli  uomini,  variano  come  le  qualità  d'acqua 
che  tu  conosci. 

"  Qui  la  limpida  e  pura»  e  puoi  gustarla  un  sol  giorno;  e  qui  la  torbida 

e  puzaolente* 

*  Negli  uomini  il  bene  è  pozzetta  inventale  che  {la  esiate)  si  corrompe;  r 
il  male  è  pozzo  ridondante  e  inesauribile.  " 

«  Dal  ÈMUik-^Absdr,  estratto,  nella  mtlioteea  Aralnh-Si^a^.p,  154. 


(S«MlelI.|  —   538  — 

iniUolato  emiro  per  ooor  di  famìglia  e  Mostakhles-^- 
datola  (L'eletto  dell'impero)  per  oficio  eli' avesse  tenuto 
a  corte  fatemìta  in  Egitto/  Abu-Mohammed-Kàsim- 
iim-Nizàr, detto  anche  emir>  contemporaneo  diÀhmed, 
poscia  prefetto  di  polizia  a  Misr ,  ci  attesta  la  punti- 
gliosa superbia  di  sua  gente  in  faccia  anco  al  prin- 
cipe,' Improvvisava  Temiro  GiafaV-ibn-Msuf  qualche 
versucciO)  e  Saiceva  ai  poeti  le  carezze  delFasino.  '  L  al- 
tro GiafaV  soprannominato  Thiket-edrdawlai  figliuò- 
lo di  Akhal,  si  scusava  in  rima  delle  promesse  iK)n 
compiute  per  la  malignità  di  saa  lortuna/  Del  dotto 
e  audace  Ammàr  ablnani  detto  e  de'  suoi  versi/  Abu- 
Easim-Abd-Allah-ibn-Selmàn  di  gente  Kelbìta,  si 
vantava  con  mediocre  poesia  d' amare  e  proteggere 
la  virtù,  esalava  lamenti  erotici,  e  attestava  T  epoca 
in  cai  visse,  dicendosi  circondato  da  nemici  che 
facean  le  viste  d' ossequiario/  Avanzò  ogni  altro 
Kelbita  nel  pregio  dei  carmi  un  Gia^far-ibn^-Taib , 

*  Kharida,  estratto  dMbn-Kattà%  nella  Bihìiùieea  Araho^Sicida , 
p.  S92.  Scudo  messo  da  Ibn-Kattà' immediatamente  prima  d'Abo-Motiam- 
med-KAsìm-ib&-Nizàr,  sembra  aDclie  dei  Kelbiti  che  sgombrarono  di*SiciIia 
con  Ahmed,  come  notammo  nel  Cap.  IV  di  questo  Libro ,  p.  291. 

3  Kharida,  estratto  d*  lbn-Kattà%  op.  cit. ,  p.  S92.  Nel  BIS.  son  questi 
versi: 

"Se  r amico  mi  fa  ingioria ,  regalo  alle  sue  ciglia  un  sllèntaiiamento, 

*  Vieto  all'  occhio  mio  dì  vederlo  :  mi  sia  cavato  l' occhio  se  IT  guarda! 
"di  liceo  negli  occhi  II  suo  proprio  traile  come-  uno  stecco; 

"Lo  pongo  giù  nell'infima  abside,  qfaafsd'ìHiche  ei  sedesse  su  le  due 
stelle  pobH; 

*  La  rompo  con  Ini  »  foss*  egli  piire  Ahmed-ibn-Abi^Hosein.  * 

s  SI  veggano  fl^ap.  VII  ed  VII!  di  questo  Libro,  p.  554  e  549  del 
volume. 

*  Si  vegga  il  cap.  IX  di  questo  Libro ,  p.  568,  e  la  KkaHda ,  estratto 
d'Ibn-Kattà',  nella  Biblioteca  Arabo^Sicula ,  p.  596.  È  chiamato  emiro.  Il 
titolo  di  Tbiiiet-'ed-daivla ,  sarebbe  lo  slesso  che  avea  portato  V  avolo  lùsuf. 

^  Si  vegga  in  questo  capitolo  la  p.  481*.    ^ 

«  MMe9ÙHk'^h^ÀMr;n«^  BtH.Àrabih'Skluh,  p.  154,  m. 


che  carleggiavasi  (Xm  Il»-KàUà',  n'ebbe  lodi  nelfÀu- 
Udogia  sicHiana  e  meritoUe^  come  provano  due  squarci 
di  Easida  e  qualche  aliro  verso  petrarchesco/  Caduta 
la  dinastia,  que'che  se  ne  divisero  le  spoglie,  ambiron 
pur  ad  onori  letterarii  che  noi  non  possiamo  assentire: 
dico,  il  kaid  Àba-Mohammedrìbn-OmaMbn-Menkùt* 
e  il  kaid  Abù-l-Fotùh  figlio  del  kaid  Bodeir-MeklàU 
ciambellana,  soprannominato  Sind-ed-^wkiy  d'nmor 
niente  allegro.'  Fé  versi  anco  Ibn-Lùlù,  detto  foi^e  per 
errore  principe  di  Sicilia/  Né  sdegnava  Farte  un  prefetto 
di  polizia  di  que  tempi,  per  non^  Abu-^Fàdhl-Àhmed- 
ibn-Ali,  coreiscita;*  nei  cadi  Abu-Eadhl-Hasan-^ibn- 
Ibrahim-ibn-^Sciàmi  j  della  tribù  di  Kinana,'  Abu- 
Abd  --Allah-Mohammed  -  ibn-EÀsi nt-il»  -Zeid ,  della 
tribù  di  Lakhm  y  e  Ahmed-itm-Késim  già  ricordato.  - 
^  ■  ■      •  ■  ^ 

*  Khartda,  estraOto  da  IborKattà*,  nella  B(5/r«/ee«  Àruho^SùaUa, 
p.  598.  Ecco  tre  versi- che  troviamo  nel  MS.  di  Parigi,  fog.  48  verso. 

"M'ange  un  dolore  eh' io  Ignorava  :  un  padrone  che  tlranBeggia^me 
debole,  ed  jo  pur  gli  servo. 

"  Una  sua  perfida  parola  mi  fa  bramar  sempre  chi  promette  e  non 
altende.^ 

"  Oh  Dio  1  accresci  in  me  il  desiderio  dell'  amor  suo ,  e  serba  sempre 
nel  mio  cuore  gli  affetti  che  lo  struggono  !" 

*  iCftoridA,  dsuatto  d*1bn*Katt&*  neHa  BildioiGsa  ÀraìnnSieula,  p.  SOd. 
Questa  famiglia  tenne  la  signoria  di  Mazara;  ma  non  sappiamo  se  Hasan  fu 
di  quer  che  regnarono ,  né  se  fu  quei  medésimo  Ibq-Bleiikùtr  di  cui.ab- 
btam  detto  in  questo  capitolo  •  p.  504. 

s  Op.  cit.,  p,  592.  Si  yegga  il  cap.  XII  di  questo  Libro,  p.  431. 1 
versi  di  costui  nella  Kharida,  MS. ,  fog.  57  recto ,  sono  : 

"Non  v'iia  letizia  al  mondo;  il  mondo  è  tutto  angosoe, 

^  Che  se  letizia  appare,  è  peea  e  npn  dureviole. 

"JLa  eletta  degli  uomini  la^ola^l  molilo;  ohe  l' una  e  l' altra  non  pes*. 
sono  stare  insieme.  "  . 

*  Sì  vegga  il  cap.  XII  di  questo  Libro,  p.  427  del  vobime. 

>  Kharida,  estratto  d'Ibn-£att&',  nella  £t5/t(}/ecairafto-^*icti2a«  p.5d5. 

*  Ibid. 

'  Op.  cit. ,  p.  598. 

^  In  questo  cap.,  p.  489. 


l$M«io  xi.|  —  540  — 

Perchè  il  verseggiare  è  fàcile  quando  non  si 
badi  alla  poesìa  del  concetto,  e  T  aiuti  un  Tinguaggio 
classico  che  risuona  sempre  agli  orecchi^  una  certa 
educazione  letteraria,  qual  ebbero  in  queir  età  tutti  i 
Musulmani  che  non  nascessero  proprio  dal  volgo,  e 
r  uso  generale  vi  sospinga,  come  avvenne  nei  tempi 
della  nostra  Arcadia.  Di  quei  citò  trattarono  argo- 
menti morali  non  spiccando  altrimenti  per  bellezze 
di  forma,  noteremo  quel  solo  che  possa  giovarne, 
cioè  com'  intendessero  la  filosofia  j^atica  della  vita  : 
gli  uni  a  cantare  il  vino,  le  ballerine,  i  passatempi, 
che  sono  Abu--Bekr-Móhammed-ibn-Ali-ibn-Abd- 
el-6ebbàr  oriundo  di  Eamùna  in  Affrica,'  Abu-Ali- 
ìbn-Hasan-ibn-Khàlid ,  il  Segretario,*  Abur-Abbàs- 
ibn-Mohammed-ibn-Kàf  ;  ^  gli  altri  austeri,  fissati  nei» 
Tal  tra  vita  e  spregianti  quella  che  fruivano  di  presente, 
come  Abu-Hafs-Omar-ibn-Hasan-ibn-Setabrtk,  de- 
voto di  grido,*  Abu-l-Eàrim-Abmed-ibn~Ibrabim 
Waddàni,*  e  i  già  ricordati  Abu-Ali-Ahmed-ibn- 
Mohammed-ibn-Kàf  il  Segretario,*  Ibn-Mekki,-  Abd- 
er-Rahman-ibn-Abd-el-Ghàni  ,*  Atìk  ,*  il  Siracusano 
Ibn-Fehhàm,"  AU-^Waddàni."  D'altri  abbiamo  descri- 

*  Kharida ,  p.  »97. 
»  Op.  cit.,  p.  592. 
»  Ibid. 

♦  op.  cil. ,  p.  897. 
s  Op.  cit.,p.  SS91. 

"  Òp.  cit. ,  p.  S92.  Questi  e  il  precedente  si  segnalano  per  elegante 
grftvità  n^  pòclii  versi  cbe  ne  abbiamo.  Abmed ,  oome  ognun  vede,  era  fra- 
tello d'Abn-Abbàs-ibn-Mobanraied  citato  poc'anzi. 

'  Pag.  515. 

8  Pag.  477. 

«Ibid. 

*o  Pag.  474. 

««  Pag.  477. 


—  541   —  ISocoUXi.) 

zionceNe,  epigrammi  sai  quali  poco  o  nulla  è  da  no- 
tare. Abu-Mohammed-Abd-el-Azìz-ibn-Hàkem-ibn- 
Omar,  della  tribù  iemenita  di  Me'àfir,  dettò  qualche 
verso  sui  corpi  celesti.*  Abu-1-Feth-Ahmed-ibn-Ali- 
Sciàini  è  lodato  dall'  autore  dell*  Antologia  siciliana , 
il  quale  gli  domandò  alcuni  versi  per  metterli  nella 
raccolta;  *  Ruzaik-ibn-Abd-Allah  fu  perseguitato  si 
ostinatamente  dalla  povertà,  che  una  volta  donatagli 
da  gran  personaggio  una  borsa  d'oro,  tornando  a  casa 
tutto  lieto,  trovò  che  un  ladro  glier  avea  svaligiata, 
e  sfogò  il  dolore  in  rime.*  Il  Segretario  Ibn-Kerkùdi 
è  detto  poeta  di  vaglia  da  Ibn-Kattà';  ma  dai  versi  non 
me  ne  accorgo/ Alla  lista  vanno  aggiunti  :  Abu-Hasan- 
Sikilli,'  Abd-el-Aztz-Bellanobi,  fratello  d'Ali,'  il  Se- 
gretario Abu-Abd-Allah-Mohammed-ibn- Attèr  ,  ' 
Abd-él-Wehtó)-ibn-Abd-Allah-ibn-Mobàrek,*  Abur- 
Hasan^ilm-Abd-AUah  da  Tripoli  o  Trapani  ,*  Abu- 
Mohammed-Abd-AUah-ibn-Mekhlùf  lo  Scilinguato,** 
e  il  Segretario  Ibn-Sirìn,^^  dei  quali  ci  rimangono 
pochissimi  versi  o  nessuno.  Ci  sono  occorsi  trattando 
d'altri  studii,  e  abbiam  detto  del  merito  che  loro  s'at- 


*  Kharida,  op,  eli,  9  p.lSidì, 

*  Kharida,  op.  cit. ,  p.  SOS. 
»  Op.  cit. ,  p.  507. 

*  Op.  cil. ,  p.  59S. 

8  Potrebbe  essere  per  avventura  il  Bellanobi  o  aUro  Abu-Hasan.  Ne 
abbiamo  soli  cinque  versi ,  senza  cènno  biografico  nelhi  Enciclopedia  di 
Nowairv,  HS.  di  Leyde  273 ,  p.  747  e  749. 

'  lakùt,  Mo'gem,  estratto,  nella  Biblioteca  Arab<h-Stcula,  p.  108. 

7  Kharida,  estratto  d'  Ibn-Katt&',  nella  Biblioteca  Arabo^Sieula,  p.  5d8. 

8  Ibid. 

»  Op.  cit. ,  p.  597. 
««  Ibid. 
"  Op.  cit. ,  p.  595. 


tribaisca  in  poesia,  Kholùf  da  Barka,'  Iba-Abd-el— 
Berr,'  Gia'far-ibn-Kattà, '  Damra,*  Jakùb  Roneidi/ 
Àli-ibQ-Hasan-ibn-Habft)/  Ibù-Sadoé,'  Tafaer-Rok- 
banì,^  e  il  costai  figlio  Ali,*  Olhman^ibn-AU' da  Sira- 
cosa/»  AliMbn^Waddani/'  Abd-Allah-ibn-Mostb, '• 
Ibn-Kereni,"  ed  Abn-Bekr-Mohatnmed.  <* 

Da  qaanto  abbiamo  esposto ,  si  può  tronchi  adere 
che  la  poesia  rifioriva  in  Sicilia,  dopo  tredici  secoli; 
e  se  noa  agguagliò  le  bdlezze  dei  tempi  di  Teocrito 
e  Stesicoro,  prodassene  qaella  specie  che  concedea 
il  Parnaso  di  Arabia.  A  noi  Italiani  non  solò,  ma  a 
tutti  Europei  nudriti  alla  scuola  dei  Greci ,  non  può 
sembrar  lieto  soggiorno  né  la  ssJa  vaporosa  d' Odin 
né  la  tenda  de'  Beduini ,  dove  si  gareggia  di  metafore 
baldanzose,  descrizioni  sopra  descrizioni,  antitetisi 
incessanti  di  pensieri  e  di  vocaboli,  paraleHi  bizzarri 
e  lambiccati,  lingua  ricercata  o  morta  e  sepolta,  gergo 
nomade  che  ormai  mal  si  adattava  alle  idee  delle 
colonie  musulmane  d'Europa,  ma  il  culto  classico 
comandava  adoperarlo.  B  però  ci  offendono  a  prima 
vista  tutti  quegli  orpelli  e  gemme  di  vetro  di  che  s'a« 

•  Pag.  -476,  477,  in  questo,  cap. 
>  Pag.  504,  in  queste  cap. 

•  P.  305,  in  questo  cap, 

•  Pag.  512,  in  questo  cap. 
Mbid. 

•  Ibid. 
'  Ibid. 

»  Pag.  5H. 

•  Pag.  8H«.  ' 
^  Pag.  176  e  511,  In  questo  cap. 

"  Pag.  477,  in  questo  cap. 
"  Pagi  412,  in  questo  cap. 
"  Pag.  461,  in  questo  cap. 
<*  Pag.  478,  in  questo  cap. 


—  543  —  {Stiooi«xi.| 

domavano  i  poeti  arabi  di  Sicilia,  cóme  ogpi  altro  di 
lor  età  e  linguaggio:  le  papille  omicide,  le  palpebre 
taglienti  come  spade,  le  guance  di  fooco  -su  cui  spanti 
il  mirto  della  barba,  o  guance  di  ro^e,  e  vi  fa  anehe 
chi  disse  di  rubino,  cui  mordessero  gli scorpé<»ii  duna 
negra  chioma  inanellata,  i  tralci  di  ben^  sormontati 
di  lune  [Hene ,  che  è  a  dire  svelti  Rovani  dal  volto 
fresco  e  splendente,  i  capelli  bianchi  '  che  spandan 
tenebre  ;  e  infinite  secenterìe  di  sknil  tempra ,  nelle 
quali  si  compiaceano  ^li  stessi  Ibn-^Hamdis ,  Ibn~TùlH> 
Abu-1-Arab ,  Ibn-Tazi ,  e  il  Bellanobi.  Ma  poi  va  con- 
siderato die  il  genio  diverso  delle  lingue  toglie  nelFuna 
a  tal  espressione  figurata  quel  sapor  aspro  che  abbia 
neir altra:  il  che  si  noterebbe  tra  le  lingue  d'unica 
famiglia  che  parliamo  in  Europa^  non  che  tra  le 
indo-europee  e  le  semitiche.  Scendendo  più  addentro, 
scopriremo  sovente  pensieri  semplici  ed  alti,  linguag- 
gio spontaneo d'afietti,  verace  colorito,  tratteggiare  ri- 
soluto, grazie  non  contigiate;  e  diremo  die  quelle  bru- 
ne muse  arabiche  se  si  abbigliassero  a  foggia  nostra, 
passerebbero  per  beUe.  Io  chieggo  che  nel  giudicare 
i  poeti  arabi  di  Sicilia  dagli  squarci  che  ho  mostrati 
e  su  le  intere  opere  che  spero  sian  date  un  giorno 
all'  Italia ,  si  guardi  al  concetto  d^Ia  mente  piuttosto 
che  alla,  forma  in  cui  si  manifestava;  e  che  per 
la  forma  s'accettino,  com'è  ragione,  i^giudizii  dei 
critici  arabi  eh'  ho  accennato  a  lor  luogo.  Forse  quei 
biografi  ed  antologisti  ci»  ci  seiimrono  frammenti 
de'  poeti  arabi  siciliani  li  defraudavano  delle  nostre 
lodi  più  meritate,  trascrivendo  appunto  i  versi  che 

* 

'  Salix  ^gypliaca. 


iSaaoUXl.l  —  544  — 

noi  avremmo  messi  da  banda,  e  tralasciando  come 
scipiti  quelli  che  noi  avremmo  trascelto/ 

Vuoisi  in  fine  &r  parola  dei  musici  che  soleano 
cantar  sul  liuto  i  versi  dei  poeti:  la  quale  usanza  gli 
Arabi  appr^^ro  dai  Persiani ,  i  devoti  musulmani  la 
condannavano,  e  quando  lor  venia  fatto  vietavanla,  ma 
i  grandi  e'  ricchi  tosto  richiamavano  nelle  brigate  mu- 
sici, cantatrici  e  ballerine.  It  gran  diletto  che  ne 
prendessero  i  Musulmani  di  Sicilia ,  é  quanto  se  ne 
travagliassero  si  ritrae  dalle  poesie,  dove  spesseg- 
giano le  descrizioni  dell'arte  che  dissipava  i  tristi 
pensieri  e  movea  alla  gioia;  né  sdegnavano  i  poèti  di 
lodare,  talvolta  anco  biasimare  i  musici:  Ibn-Tazi 
fé  ad  uno  ¥  epigramma:  ^  Ei  canta  e  ti  gitta  addosso 
noia  e  malanni;  ei  tocca  il  liuto,  affé  che  glieFavresti 
a  spezzare  ^u  le  spalle.  "  '  Le  croniche  degli  Abbadidi 
registrano  con  superstizioso  terrore  il  casa  del  Mu- 
sico Siciliano,  cosi  il  chiamano,  condotto  agli  stipendi 
di  Mo'tadhed.  Il  quale  sendosi  fitto  in  capo  (1068)  che 
sovrastassegli  la  morte  e  la  ruina  di  sua  casa,  volle  ca- 
var augurio  dai  versi  che  a  sorte  gii  fossero  recitati; 
0  fatto  venire  il  Musico  Siciliano  e  seder  seco  con 
grandi  onori  e  carezze,  e  richiestolo  di  cantare,  ven- 
ner  detti  al  Siciliano  cinque  versi ,  che  incomracia- 
vano:  ""Consumiam  le  notti,  sapendo  ch'esse  ci  deb- 

'  Ciò  si  dee  pensare  a  priori.  Lo  conferma  il  Ditvdn  d'Ibn-Hamdls, 
che  abbiamo  ìmero,  dal  quale  Imàd-ed-dln,  Ibn-KhalliVàn,  Scebàb-ed- 
dtn-Omari^  scelsero  qualche  bello  squarcio  e  parecchi  nediocrl  e  laisciarono 
i migliori,  quasi  sempre  a  rovescio  del  gusto  nostro. 

s  Kharida,  estrattr  d' Ibn-Kattà',  nel  MS.  di  Parigi,  AncTen  Fonds,  1375, 
fog.  27  verso,  e  altrì  epigrammi  d' ibn-Tazi  dal  fog.  34  recto;  altro  di 
M.oscerif-ibn-Ràscid ,  a  fog.  39  recto;  e  la  descrizióne  d' una  festa  d' Ibn- 
Hamdìs,  qui  innanzi  a  p.  831. 


—  545  -—  {Secolo  Xl,| 

boDO  consumare;  "  ed  appunto  a  capo  di  cinque  giorni 
il  principe  si  morì.* 

Aggiugnendo  i  nomi  rassegnati  in  questo  capi- 
tolo a  quei  che  notammo  nel  capitolo  XI  del  terzo 
Libro,  si  hanno  (salvo  il  raddoppiamento  di  qualche 
nome  che  non  ci  sia  venuto  fatto  di  chiarire)  a  un 
di  presso  centoventi  Musulmani  di  Sicilia  e  una  doz- 
zina di  stranieri  dimoranti  neir  isola  ^  che  segnala- 
ronsi  nelle  scienze  e  nelle  lettere  sino  al  fin  della 
dominazione  musulmana.  Il  quale  abbozzo ,  disteso  la 
più  parte  senza  conoscer  le  opere,  su  i  cenni  sola- 
mente di  autori  arabi,  è  imperfetto  di  certo;  pur 
adombrerà  la  cultura  della  Sicilia  in  quei  tempi,  sup- 
posta anzichà  conosciuta  qudnd'  io  mi  accinsi  a  co- 
teste  ingrate  ricerche.  Pervenuti  che  saremo,  nei 
sesto  Libro ,  ai  letterati  e  scienziati  che  rimasero  fino 
ai  tempi  di  Federigo ,  mi  proverò  a  indagare  la  parte 
che  si  debba  attribuire  ai  Musulmani  nel  risorgi- 
mento degli  studii  in  Italia. 


CAPITOLO  XV. 

Copiose  abbiam  visto  le  sorgenti  della  ricchez- 
za ;  coltivati  i  comodi  sociali  ;  svegliati  ingegni  va- 
ghi di  scienze  e  d' ogni  maniera  di  lettere;  gli  uo^ 
mini  ad  uno  ad  uno  non  mentire  al  valor  del  san- 
gue arabico,  greco  né  italico,  non  ignorar  arte  né 

•>  • 

^lbn-AbbAr,  presso  Dozy,  Historia Àbbadidarum t  tomo  II»  p.  6S, 
ed  estratto  nella  Biblioteea  Araba-Sieula ,  p.  539. 

n.  38 


stromento  di  guerra  che  appartmesse  a  qae  tempi. 
Costumi  tra  buoni  e  tristi:  da  un  lato,  invidia ,  avari- 
zia,  abbominazioni  di  taluno,  stravizi  di  tal  altro, 
ma  r  universale  condannarli  ;  dall'  altro  lato,  carità  di 
figliuoli,  costanti  amicizie,  liberalità ,  alti  e  generosi 
spiriti,  raggi  d'amore  che  balenavano  fin  entro  le 
mura  degli  baleni;  talché  soli  vizii  profondi  della 
società  mufitulmana  di  Sicilia  comparìscon  due:  la 
violenza  e  il  sospetto.  Né  era  menomata  di  certo 
Ut  fede  musulmana  in  Sicilia,  dove  non  prevalsero 
scuole  scettiche ,  non  si  udirono  scismi^  non  sètte 
kharegite,  né  fonatismo  di  casa  d*Àli:  allegri  gio- 
vani beveano,  dilèttavansi  di  canti  e  suoni  e  balli, 
e  poi  se  ne  pentivano;  più  numero  assai  di  devoti 
{Hratieava  e  predicava  la  rigorosa  disciplina,  la  vita 
ascetica,  e  fin  le  follie  sufité;  Il  qual  doppio  egoi- 
smo dei  gaudenti  e  degli  asceti,  inèvitabil  falto  in 
certe  religioni,  va  noverato  tra  i  sintoittì  non  tra  le 
cause  della  tabe  che  consumava  la  Sicilia ,  come  ogni 
altra  colonia  arabica ,  senz'  eccettuarne  veruna.  Tabe 
nel  vincolo  dello  stato;  quando  i  corpuscoli  sociali 
non  stanno  insieme  per  amor  di  patria  né  forza  di 
comando,  ma  ciascun  fa  per  sé.  Dicemmo  già  come 
r  impero  arabico  nacque  con  tal  germe  d' immatura 
morte:  per  T indole  dei  conquistatóri,  T  imperfetta 
assimilazione  dèi  popoli  vinti ,  T  immóbililà  delle 
leggi-,  la  neeei^sità  e  impotenza' insieme  del  dìspoti^ 
sma,  i  meréenarii  stranieri^  T  ordinàmenta  aristocra* 
ti£0  dei  gimd^  la  confusa  dènìocrazia  municipale,  le 
consorterie  per  le  multe  del  sangue  :  anarchia  generale 
sotto  sembìani^a  di  assoluta   unità  religiosa  e  poli- 


—  547  —  {4055-1060] 

tica.  Indi  s*era  scisso  il  califato;  i  pezzi  s'erano 
riaft*anti;  gli  sminuzzoli,  nello  undecimo  secolo,  si 
trituravano;  e  pur  la  forza  dissol Tonte  non  restava 
di  commuovere  e  rimescolare  quegli  atomi  dì  polvere. 
La  Sicilia,  spartita  tra  la  g'emd^  di  Palermo ,  Ibn-Haw- 
wasci,  Ibn-Mektàti,  ed  Ibn-Menkùt,  perseverò  nella 
discordia  sino  air  ultimo  compimento  del  conquisto 
normanno,  seodo  aggravato  il  vizio  delle  istituzioni 
dalla  diversità  delle  genti.  A  levante,  popolazioni  cri- 
stiane soggette  a  nobiltà  arabica;  nel  centro,  le  plebi 
di  Siciliani  convertiti  air  islam  ;  a  ponente ,  la  cittadi- 
nanza d^lle  grosse  terre;  tramezzati  in  tutto  questo 
rimasugli  di  Berberi  di  non  so  quante  immigrazioni, 
e  rifuggiti  arabi  d'  Affrica  e  di  Spagna.  Era  proprio 
la  mano  simboleggiata  da  Ibn-Hamdfs,  la  quale  nel- 
r  ora  del  pericolo  non  potè  impugnata  la  spada. 

Ai  fomenti  di  discordia  s' aggiugnea  l'ambizione 
di  Moezz-ibn-Badts  e  il  subito  danno  che  la  distrus- 
se,  il  cómtraccolpo  d(3l  quale  si  risenti  Necessariamente 
in  Sicilia.  Appunto  alla  metà  delftindecìmo  secolo,  pas- 
sarono in  quel  ch'è  oggi  lo  stato  di  Tùnis  gli  Arabi 
che  desolarono  e  ripopolarono  l'Affrica  settentrio- 
nale, ov'era  assottigliata  e  snervata  la  schiatta  dei 
primi  conquistatori.  La  causa  della  quale  irruzione 
fu  che  Moezz,  disdetta  T  autorità  pontificale  de  Fate- 
miti,  avea  gridato  il  nome  dei  califi  dì  Bagdad; 
onde  il  ministro  lazùri,  che  tenea  la  somma  delle 
coseal  Càiro,  non  potendo  ripigliare  la  provincia  con  le 
armi,  la  volle  inondare  di  masnadieri:  indettò  le.  tribù 
beduine  di  Hilàl  e  Soleim,  ospiti  infestissimi  dell'  Alto 
Egitto;  dispensò  a  ciascuno  un  mantello  e  un  dinar 


d'oro;  e  scaraveotolli  a  ponente  dei  Nilo  (1051).  Ed 
entro  sei  anni  aveano  compiuta  T opera;  sos[nnto 
Moezz  all'estrema  riva  del  mare,  sa  li  scogli  di 
Mehdia  inespugnabili ,  dond'  ei  comandava  molto  dub- 
biamente a  qualche  città  della  costiera  mercè  Y  ar- 
mata e  gli  schiavi  assoldati.  '  In  questa  guerra  gli 
Arabi  saccheggiarono  il  Kairewdn  (novembre  1 057} ,  i 
cui  cittadini  si  rifuggivano  chi  nelle  parti  più  occi- 
dentali d' Affrica,  chi  in  Spagna  e  chi  in  Sicilia.'  Pre- 
cipitando per  tal  modo  le  cose  di  Moezz,  veggiam 
calare  in  Sicilia  la  fazione  che  s' era  affidata  a  lui 
nel  principio  della  guerra  civile ,  gli  si  era  poi  volta 
contro  (10  40),  e  non  mi  sembra  inverosimile  che 
avesse  rannodato  le  pratiche,  afforzata  ch'essa  fu 
a  Castrogiovanni  e  Girgenti  con  Ibn-Hawwasci. 

Ma  cacciato  di  Palermo  Simsàm  e  poi  spento, 
par  che  la  repubblica  di  Palermo  ed  altri  grossi  mu- 
nicipii  venuti  in  sospetto  di  quelle  pratiche  si  colle- 
gassero con  la  parte  dei  nobili  a  danno  d' Ali-ibn- 
Hawwasci.  Perchè  allor  si  destava  novella  tempesta 
in  Sicilia;  '  sorgeva  improvvisamente  capo  di  parte  un 
Mohammed-ibn-Ibrahim-ibn-Thimna,  dei  principali 


*  Si  cofifroiltino:  Iba-el-Alblr ,  MS.  C,  tomo  V,  anni  455^  442,  4IS, 
453,  4S5;  Abolfeda,  stessi  anni;  Baian,  testo,  tomo  I,  p.  288  e  segg.; 
Ibn-Khaldùo,  Ekioire  des  Berbères,  versione  di  M.  De  Siane,  tomo  f, 
p.  31  e  seg.,  e  II,  p.  21;  Tigiani  nel  Journal  Àsiatique,  d'agosto  1852, 
p.  84  a  96;  Leone  Africano ,  presso  Ramusio ,  Navigatione  et  Viaggi ^yoL  I, 
fog.  3  recto  e  verso ,  edizione  di  Venezia  isè3. 

s  Marrekosd,  The  history  ofihe  Àlfnohades,  testo  arabico,  pubblicato 
dal  professor  Dozy,  p.  259. 

■  Nowairi ,  presso  Di  Gregorio ,  Rerum  Arabieartm ,  p.  24 ,  dice  che 
la  Sicilia  di  nuovo  e  si  commosse  come  le  onde  del  mare,  i  11  Di  Gregorio 
pensò  correggere  il  testo,  e  tradurre  e  et  solemnit  preeatio  prò  eo  fiebat  in 
imula,  »  accennando  ad  Ibn-Hawwasci.  Ha  il  testo  è  chiaro  e  senza  mende. 


—   0Ì9   —  1^053-1060.1 

ottimati,  se  leggiam  beoe  un  luogo  d' Iba-Khald'ùn ,  ' 
certo  non  uscito  di  sangue  plebeo ,  '  insignoritosi  di 
Siracusa,  non  si  sa  come  né  quando,  né  se  quella 
fosse  sua  patria.  Ibn-Thimna|,  assalito  Ibn-Meklati,ft:d2(2 
di  Catania,  che  avea  sposata  la  Meimuna  sorella  d'Ali- 
ibn-Hawwasci,  lo  debellò,  gli  tolse  la  vita,  lo  stato  e 
la  donna;  e,  dopo  i  termini  legali  di  vedovanza, 
chiese  ed  ottenne  la  man  di  lei  dal  fratello.  Donde  è 
chiaro  che  il  signor  di  Castrogiovanni  non  ebbe  poter 
d' aiutare  il  cognato  confederato  suo  di  certo,  né  di 
ricusar  la  sorella  all'uccisore.  Nel  medesimo  tempo 
finisce  ogni  ricordo  dei  Beni-Menkùt ,  signori  della 
punta  occidentale  dell'isola.  La  più  parte  dell'isola 
obbedì  a  Ibn-Thimna,  che  osò  prendere  il  medesimo 
titolo  d' un  califo  di  Bagdad  '  Kddir-billah,  o  diremmo 
*  Possente  per  grazia  di  Dio;  "  e  in  Palermo  si  fece 
la  Khotba  per  lui.  *  È  verosimile  che  la  gernóH  gli  ab- 
bia dato  nella  capitale  un' autorità  di  nome;  bensì 
r  abbia  aiutato  all'  impresa  di  Catania  e  altre  città 
marittime  col  navilio,  il  quale  non  si  armò  mai  al- 
trove che  in  Palermo.  Si  ristorava  così  un'apparente 

<  UUtoire  de  VAftiqm  et  de  la  Sieile,  p.  i81  della  versione  di  M.  Des 
Vergere.  Quivi  si  legge  "ran  des  principaux  cbefs  des  habiUnts  les  plus 
turbulenis  de  la  ville;  *  e  la  voce  che  ho  messo  in  corsivo,  sarebbe  tradu- 
zione.  plausibile  dell*  arabico  awghàr,  come  M.  Des  Vergers  corresse  il 
testo  dell*  unico  e  mediocre  MS.  eh'  egli  ebbe  alle  mani.  Quivi  si  legge 
arghàd,  che  significherebbe  *  uomini  di  viver  lieto  ;  "  ma  non  si  adatta  alla 
parola  *  caporioni  "  che  precede.  Ma  un  MS.  dì  Tunis,  ha  la  variante  agivàd^ 
"nobili*  che  io  seguo  nella  j&tfr/io/eca  Àrabo^Sicula ,  p.  484.  Le  lezioni 
inoltre  del  MS.  e  del  testo  di  M.  Des  Vergers ,  darebbero  voci  arcaiche  o 
neologie  ;  la  variante  dei  MS.  di  Tunis  al  contrario  è  di  uso  comunissimo,  e 
con  la  voce  precedente  fa  il  senso  preciso  "capi  dei  nobili." 

'  Si  vegga  il  passo  di  Leone  d*  Ostia  che  citai  nel  cap.  XII  di  questo 
Libro,  p.  421  in  nota. 

>  Questi  regnò ,  o  stette  sul  trono  dal  991  al  1031 . 

*  Ibn-Khaldùn  e  Nowairi. 


(4055-406O.|  —  S50  — 

unità  di  comando  di  guerra ,  se  mai  la  Sicilia  fosse 
assalita.  Suppongo  compiute  queste  vioepde  il  mille- 
cinquantatrò  dell'era  cristiana,  qus^ndo  Moezz  eracon 
r  acqua  alla  gola;  ritraendosi  che  il  quattrocento- 
quarantacinque  dell'  egira  (1053-4),  mandato  da  lai 
il  navilio  a  ridurre  Susa  che  gli  s' era  ribellata,  trovò 
in  que'  mari  V  armata  del  Sàheb  di  Sicilia,  e  temen- 
dola ostile  die  di  volta.  ^  La  quale  denommaz^one  di 
Sdheb  s' adatta  a  Ibn-Tbimna  e  non  meno  la  nimistà 
contro  casa  zìrita. 

Durò  quanto  potea  la  concordia  tra  i  due  capi 
di  parti,  r  uno  vittorioso,  sciolto  d'ogni  timor  di  fuori, 
l'altro  umiliata;  rivolti  entrambi  ad  ayvantaggis(rsi 
con  la  forza  neutrale  eh'  erano  i  municipi!.  Il  paren- 
.  tado  did  occasione  a  scoprir  nuovamente  la  nimistà. 
Meimuna,  donna  d'indole  altera,  pronto  ingegno  e 
lingua  troppo  più  pronta,  solea  bisticciarsi  col  ma- 
rito; il  quale  forse  non  l'amava  né  ella  lui,  forse 
rinfacciava  Y  indole  plebea  a|la  figliuola  del  Dema- 
gogo. Una  sera  Ibn-Thimna,  acceso  dal  vino,  rico- 
mincia i  piati  domestici,  trascorre  alle  villanie;  Mei- 
muna  gliene  dà  di  rimando;  e  il  feroce  ubbriaco,  come 
se  avesse  letto  i  fasti  di  Caligola  o  di  Nerone,  le  fa 
segar  le  vene  d' ambo  le  braccia.  Ma  un  figliuolo  di 
lui  per  nome  Ibrahim  accorreva  a  tempo,  chiamava  i 
medici ,  ed  arrestavano  il  sangue;  si  che  la  dimane 
rientrato  in  sé  Ibn-Thimna,  andò  a  scusarsi  dei  furori 
dell'ebbrezza,  e  Meimuna  fé  sembiante  di  perdonarlo. 
Dopo  onesto  spazio  di  tempo,  ella  il  pregava  le  con- 

*  Tìgianì,  TersioDe,  op.  cìt.,  p.  iOO,  e  testo  nella  Bèbiioleca  Arabo- 
Sicula,  p.  377,  378. 


eedesse  di  rivedere  i  parenti;  quegli,  o  non  sospet- 
tando 0  non  curandola,  o  ch'ei  cercasse  pretesto 
d' attaccare  briga  con  Ibn-Hawwasci ,  le  die  HcenKa; 
mandoHa  con  onorevole  scorta  e  ricchi  presenti  a 
Castrogtovanni.  Contò  allora  il  caso  al  fratello;  quei 
le  giurò  che  mai  non  la  rimanderebbe  air  efferato  si- 
gnore. Indi  Ibn-Thimna  a  rivendicar  i  diritti  di  marito 
e  di  re,  a  minacciare  quel  che  tenea  vassallo  e  plebeo  : 
ma  Ibn-Hawwasci  non  si  spuntò  dal  niego;  ed  en- 
trambi apparecchiarono  le  armi. 

Ibn-Thimna  movea  air  assedio  di  Castrogio- 
vanni;  T  altro  gli  usci  air  incontro;  lacerò  a  brani  a 
brani  T  esercito  nemico,  dicon  gli  annali,  e  lo  inse- 
guì fin  presso  Catania  con  grandissima  uccisione.  Se 
prima  o  dopo  della  sconfitta  non  si  sa,  la  Sicilia  tutta 
da  Catania,  qualche  altra  città  .air  infuori,  prestava 
obbedienza  al  vincitore,  anche  Palermo.  Indi  si  scorge 
che  la  cittadinanza  della  capitale  e  delle  città  mag- 
giori, la  quale  avea  deciso  altre  fiate  i  litigi  tra  le 
due  parti,  gittandosi  or  con  Tuna  or  con  F altra,  com- 
piè quest'altra  rivoluzione  a  favor  d\Ibn-Haw- 
wasci.  E  in  vero,  dileguato  il  timore  delle  armi  di 
Moezz,  il  capo  dei  gentiluomini  avea  dovuto  aggra- 
var la  mano  su  la  cittadinanza  al  par  che  su  la  parte 
siciliana,  e  provarsi  a  prender  in  quelle  regioni  del- 
l' isola  r  autorità,  della  quale  non  godeva  altro  che  il 
nome.  Il  terzo  partito  dunque,  com'or  si  chiama,  lo 
messe  giù  al  par  di  Akhal,  del  figliuolo  di  Moezz 
e  di  Simsàm.  Ibn-Thimna  coùdotto  agli  estremi, 
si  ricordò  che  v'erano  in  Sicilia  e  in  Calabria  i 
Cristiani.  Pratiche  s  erano  cominciate  al  certo  tra 


gli  uni  e  gli  altri  fia  quando  si  videro  sventolare  da 
Messina  su  T  altra  sponda  dello  Stretto  le  gloriose 
bandiere  normanne.  Il  signor  musulmano  si  cacciò, 
traditore  a  sua  schiatta  e  religione,  tra  le  sante  trame 
di  chi  volea  scuotere  il  giogo:  corse  a  Mileto  offe- 
rendo la  Sicilia  al  conte  Ruggiero,  con  la  solita  spe- 
ranza  eh'  ei  la  conquistasse  per  fargliene  dono/ 

'  Si  confrontino:  Ibn-el-Àlblr ,  anno  484»  nella  Biblioteca  Àrabo- 
Sieula,  p,  275,  276  del  testo;  Abulfeda;  ÀnnaUs  Moslemiei,  tomo  Hi, 
p.  274  e  seg.,  anno  484;  Ibn-Kbaldùn,  Histoire  de  V  Àfrique  et  de  la  Si- 
Cile,  versione  dì  M.  Des  Yergers,  p.  i8i  e  seg.;  Nowairi,  presso  Di  Gre- 
gorio, Rerum  Àrabicarum,  p.  23  e  seg.  ;  Ibn-Abi-Dinèr,  Storia  d' Affrica , 
nella  Biblioteca  Àrabo^Sicula ,  testo,  p.  533;  i  quali  con  più  o  men  par- 
ticolari ripetono  unica  tradizione.  Si  veggano  ancbe  Amato ,  V  Ystoire  de 
li  Normant,  Lìb.  V,  cap.  8;  1*  Anonymi  Chronieon^Siculum  ,  presso  Caru- 
so, Bibliotheca  Sicula,  p.  836,  e  versione  francese  nello  stesso  volume 
di  Amato,  p.  278;  Malaterra,  lib.  II,  cap.  3;  e  Leone  d'Ostia,  lib.  lil, 
cap.  45:  dei  qaali  cbi  dice  d'ibn-Tbimna  cacciato  di  Palermo;  chi  del 
cognato  d*  Ibn-Hawwascl  ucciso  da  lui  ;  e  da  lor  soli  si  ritrae  che  Ibn- 
Hav^wasci  fosse  riconosciuto  principe  in  Palermo.  I  nomi  storpiati  pur 
si  ravvisano.  Ibn-Thimna,  è  scritto  Bettumenus,  Vullbuminus,  Vultimi- 
noec;  Ibn-M eklati ,  Belcamedas,  Bercanet,  Benneclerus,  e  in  una  va- 
riante det  Caruso,  op.  cit. ,  p.  179,  Benemeclerus;  d*  Ibn-Hawwasci  si  è 
faUo  ma|;giore  strazio,  Belchaoib,  Belcbus  ec.  Sempre  della  voce  ibn 
rimane  la  &,  vi  s'aggiugne  la  /  deirartlcolo  che  segue,  ed  è  esatta  anche  la 
prima  consonante  del  nome  patronimico;  il  resto  si  dilegua. 

Debbo  aggiugnere  che  Ibn-Giùzi,  autor  delXllI  secolo,  dà  seriamente 
una  fiivola  assurda  che  non  cavò  di  certo  dagli  annali  musulmani ,  ma 
da  qualche  tradizione  orale  o  raccolta  d*  aneddoti.  Scrive  che  1  Franchi 
conquistarono  la  Sicilia  il  463  (1070-71) ,  chiamati  da  Ibn-Ba'ba*,  governa- 
tore dell'isola,  per  paura  del  califo  d'Egitto  il  quale  gli  domandava  il 
tributo  ed  ei  non  potea  pagarlo.  Si  legge  nel  Merat-ei^Zemin^  nella  Bi- 
blioteca Arabo-Sicula ,  p.  326. 


SOUSMARIO 

DEI  CAPITOLI  CONTENUTI  NEL  SECONDO  VOLUME. 


lilBRO    TKBSO. 

Capitolo  I. 

àn.  827  —  900.    Società  musulmana  di  Sicilia.  —  finir  di  provincia  in 

dritto  comune Pag.  ^1 

Secondo  il  fatto  in  Sicilia 5 

Amministrazione  della  giustizia 7 

Amministrazibne  civile 8 

Municipio  ossia  gema* 9 

Proprietà  delle  terre  in  dritto  comune.  . 42 

'                      Tassa  fondiaria.  EharAg 48 

Proprietà  in  Affrica 24 

E  in  Sicilia 22 

Stipendii  militari.  Giwnd ^ 2$ 

J?e».  IhiA' 27 

Altre  partì  dell'azienda 29 

Schiatte  in  Sicilia.  Arabi  e  Persiani 31 

Berberi. 55 

Antagonismo  d'Arabi  e  Berberi 37 

Tendenza  della  colonia  a  governo  proprio 40 

Contrasto  interiore  delle  due  schiatte 44 

Come  l'usa  Ibrahim-ibn-Ahmed 42 

Capitolo  n. 

S7$_  904.          Indole  d'Ibrahim 43 

Esaltazione.  Primordii  del  regno 46 

Opere  pubbliche.  Fuochi  di  segnale \  .  .  .  .  48 

Fondazione  di  Bakkftda 49. 

Tirannide ,  tumulti  e  stragi 30 

Orribili  crudeltà 34 

Parricidio  su  mogli,  fratelli,  figli  e  figliuole 38 

Capitolo  lU. 

898.  Rivoluzione  spenta  in  Sicilia ; 62 

899.  E  ridesta.  ; 63 

900.  «    Aba-Abbas  figlio  d'Ibrahim  viene  con  l'esercito 64 

»                  Combattimenti.  Resa  di  Palermo 66 


554  SOMMARIO  DEI  CAPITOLI 

an.  904 .                Gaerra  sopra  i  Crìttiani  in  Sicilia  e  in  Calabria. .  .  Pag.  69 

902.                Abdicazione  d'IbraUm 75 

Gajpttoio  nr. 

Ibrahim  in  Sicilia ^  78 

Prende  Taormtaa  d'assalto Si 

Stragi.  Martirio  di  San  Procopio S3 

Ridotte  Demone ,  Mico,  Ad  e  Bameita 85 

Deboli  proTTcdimenti  di  Leone  il  Sapiente 87 

Ibrabim  passa  in  Calabria 89 

Terrore  e  miracoli  a  Napoli 90 

Ibrabim  muore  alV  assedio  di  Cosenza 95 

Capitolo  T. 

Secolo  VII  a  IX.     Scismi  masolmani 97 

promosse  le  scienze.  Scoole  scetticbe. 99 

Sette  misto.  —  f&arey»(t 402 

Sciiti ^ 405 

loflaensa  delle  antiche  sètte  persiane 408 

Zindik,  Khorramii  ec 444 

Origine  degli  Ismaeliaqi 444 

Karmati 446 

Ordinamento  di  setto  ismaeltana 448 

893—  900.           Propaganda  in  Affrica 420 

Abn-Abd-Allah  ed  i  Berberi  di  Kotoma 422 

904.                 Pigliano  le  armi  contro  gK  Aghlabitì 423 

Capitolo  ¥1, 

902.                 Riforme  dell' Aghiabita  Abn-AUls. 424 

908.  Ucciso  per  pratica  del  figlio .  426 

»                    Bagno  di  Zìadet-Allah 427 

904  —908.           Yittorie  dello  Sdito 428 

909.  Foga  di  Ziadet-AIIah 429 

»                     Occupato  il  regno  d^li  Sciiti.       454 

>     '  Obdd-Allab  detto  il  Mehdi  supporto  discendente  d'Ali  e 

Fatima 432 

»                    Imprigionato  a  Segelmessa. 435 

940.                 Fondazione  del  califato  Fatomito 455 

910  —  920.           Ordinamenti  e  misfatti  del  nuovo  prìncipe 437 

945  ~  920.          Fabbrica  là  clttli  di  Mebdìa 439 

€aplt»U>  WU. 

902  —  940.          Emir  cbe  succedoosi  in  Palermo 440 

940.                 Ibn-Abi-Khinzir  mandato  dal  Mehdi 442 

942.                 Cacciato  dal  popolo 444 

»                    Potonza  della  nobiltà !..  445 

948.                MaeiTa  rivolniione.  Il  p^olo  etog^  emir  Ibn-Korliob.    .  447 

»                    Gverra  ai  Crìttiani:    .' 448 


CONTENUTI   NEL  SECONDO  VOLUME.  SSS5 

aa.  944.                Investìtora  de^^i  Abanidì Paf.  440 

B                   ViUoria  navale  ia  Affrica 4^0 

945—946.           Naufragio  e  aconfitta ' 454 

n                   Trattato  coi  Bizantini 453 

n                    ControriToInsìone 454 

946.  Sttpplifio  d'Ibn-Korbob 456 

947.  Asaedio  e  dediaiona  di  Palermo 457 

Capitolo  ¥||I. 

882-^945.          Colonia  dal  Garigtiano 460 

I*                    Sne  acorrerìe.  .  , *  462 

■                    Difeae  di  GioTanni  X 465 

945.  .           Laga  contro  quei  MnaiUaaoi 466 

946.  Diatrntta  la  colonia ivi 

948.  Condizione  della  Paglia  e  Calabria 468 

n                    Slavi  assoldi  dei  Fatemiti ivi 

948  —  925.           Fazioni  di  Reggio  ed  Oria. 470 

B                   Trattato  dei  Fatemiti  coi  Bizantini 473 

826  —  929.           Scorrerìe  degli  Sebiavoni  e  Siciliani  in  Terraferma.    ...  476 

934  —  935.          Affricani  a  Genova 479 

Capitolo  UL 

947  —  957.          Salem  emiro  con  scemata  autorità 484 

934—936.          Inondazione.  Vento  infocato 484 

937.  Rivoluzione  di  Girgentì 485 

E  di  Palermo. 487 

Khalil-ibn-Isbak 488 

Edifica  la  Khaleaa 489 

938.  Muove  contro  Gìrgenti 491 

»                    Stragi  e  fame  in  vai  di  Mazara.       492 

940.                I  Girgentini  8*  arrendono 495 

944.  Vanti  di  Khalil  in  Affrica  e  sua  morie 496 

'  Capitolo  X. 

>  Rivoluzione  dei  Nekkarìti  in  Affrica.  Aba-Iaiid ^^ 

n                   Boscera  il  Siciliano 499 

945.  Assedio  di  Mehdia. 200 

»                   Morte  d'Abtt-Iezid 204 

947.  Carestia,  bargelli  ed  eaattori  i«  Sicilia 203 

»                   Tumulto  in  Palermo.    .......  .^ 304 

948.  Basan  primo  emir  kalbitii .^ 207 

n                    Prende  lo  stato  in  Palermo 208 

>  E  spegne  a  tradimento  i  capi  della  nobiltà 240 

Capitolo  XI. 

895—948.          Condizione  dei  Crìatiani  in  V«ldemoBe  a  Val  di  Nato.    .  .  242 

>  Popolazione  del  Val  di  Mazara.:  ^^ 


B 

a 


556  SOMMARIO  DEI  CAPITOLI 

•D.  893^948     PrJncipii  ai  cnltora  inldleUaale ìfaQ.  218 

9o\ .  Norella  Tenione  di  Dioscoride ivi 

B  GiàrìtU  «  libri  malekiti 220 

«  Il  cidi  Meìmftn  in  Palermo 222 

"  Altri  giarisii.  Ibn^KhorattAn  filologo 224 

»  Raecontatori  di  biografie 225 

»  Meno  coltÌTati  gli  altri  sindtì 226 

»  SicillaDi  che  si  segnalarono  fuori 228 

Il  Devoti  e  superstizioni 229 

Capitolo  I. 

948.  Gasa  kelbita  dei  Beni-Abi-Hosein 253 

»  Basan  non  ebbe  nuovo  titolo  né  aatoriti,  se  non  che  di 

emlr  generale  y  come  quei  del  nono  secolo 254 

969.  L'emirato  di  Sicilia  dÌTien  di  fatto  ereditario  e  independente.  258 

Capitolo  n. 

950.  Guerra  di  Basan  in  Calabria .  242 

952.  Mosehea  a  Reggio.  Patti '.  .  248 

953.  Confermato  Basan  con  sostituzione  del  figliuolo  Àhmed.   .  249 
955.  Fazione  di  Basan  in  Spagna ivi 

956  —  960.  NuoTa  guerra  coi  Bizantini. 250 

Capitolo  UI. 

961 .  Basan  e  Ahmed  coi  nobili  sieilìani  a  corte  del  oalife  Moezz.  254 
n  Disegni  contro  i  Cristiani  di  Val  Demone «...  235 

962.  Feste  di  dreoncbione  in  Sicilia 256 

•  Presa  Taormina. 257 

965.  Rametta  sola  resiste 259 

•  Nieeforo  Foca  le  manda  in  unto  Uanuele  e  Nieeta.  .  .  .  260 

964.  Sbaroo  e  fazioni  dei  Bizantini 263 

■  Battaglia  di  BametU 264 

»  Morte  dì  Basan. 269 

965.  Espugnazione  di  Rametta 270 

»  Vittoria  nayale  dei  Musulmani 274 

Capitolo  I¥. 

967.  '  Ristorazione  di  città  e  ordinamento  degfì  iklim 274 

.  •  Pace  tra  Moezz  e  i  Bizantini 278 

•  Niccolò  ambasciatore  greco • 279 

968.  Indole  e  arti  di  regno  di  Moezz.  • 281 

»  Giawher  liberto  siciliano.     ...  ; 282 

»  Reca  le  armi  di  Moezz  fino  all' Atlantico 285 

969.  E  gli  consista  PEgitto 284 

970 .—  974 .  Conseguenze  in  Oriente 286 


CONTENUTI  NEL  SECONDO  VOLUME.  557 

nn.  972.               Moezz  mata  la  sede  in  Egitto Pag.  2S7 

»  Lascia  on  laogoteneòte  in  Affrica ,  senza  aatorìtà  su  la 

Sicilia.  . 288 

CapHolo  ¥. 

969.  I  Keibiti  richiamati  in  Affnca 290 

i>                    RÌT<9azione  in  Sicilia ìtì 

970.  Moezz  cede  e  manda  emiro  Aira-I-Kéaem-Ali ,  kelbita.   .  295 

972.                II  viaggiatore  Hm-HankAl 294 

.  »                    Descrizione  di  Palermo 296 

n                   Numero  approasimatÌYO  degli  abitatori 504 

»                   Costami  e  asanze «  .  .  •  .^.  . 506- 

»  Riflessioni  d'Ibn-Haokal  sa  i  Masolmani  di  Spagna  e 

delia  isole 509 

Capitolo  ¥1. 

968^970.          OtonelnelVIUlia  meridionale. .  .  ; 540 

»                   Lega  dei  Fatemiti  coi  Bizantini 542 

975.  SpezzaU » 545 

976.  Guerra  d'Aba-l-Kft8Ìm  in  Calabria 544 

977.  Arse  Taranto,  Oria  e  Bovino 545 

905  —  9u0.          San  Nilo  da  Rossano 547 

954.                Assalto  del  Monastero  di  S.  Mercorio 549 

977.                Frati  presi  a  Rossano ivi 

■                    Lettera  di  San  Nilo  ad  Aba-l-KAsem 520 

984.  Otone  ir  muove  contro  i  Bizantini  e  i  Masulmani.    .  .  .  524 

982.                Viene  a  Taranto  e  Rossano 522 

«  Sconfitto  a  Stilo.  Vittoria  e  morte  d'Abo-l-Kflsem.  .  .  .  524 

n                   Fuga  d'Otone. ' 525 

»                   Ritirata  dell'esercito  siciliano.' 529 

Capitolo  Vn. 

982  —  985.        Emiri.  GiAber;  Gia'far; 550 

985  —  989.        Abd-Allah  ;  e  lùsuf 55t 

990  —  997.        Potenza  dei  Keibiti  in  Egitto ~. ivi 

990  --  998.        Ottimo  governo  di  lùsuf 532 

»                  n  poeta  Ibn-Moweddib  a  corte  di  Palermo 535 

»                  E  Mobammed-ibn-'Abdftn 534 

»  Poema  di  Abd-Allah*Toookhi  a  lode  di  lAsaf  e  del  figlinolo.  555 

B                 Fama  cavalleresca  della  corte 357 

985  —  998.        l  Bizantini  occupan  la  Puglia  e  la  Calabria 558 

9S6  — 4005.      Assalti  dei  Siciliam  in  quelle  provìnce.  .  . 539 

4004.             Assedio  di  Bari 544 

4005  —  4044.      Altre  fazioni -. ivi 

4016.             I  Normanni  a  Salerno 545 

4020  —  4054 .  I  Siciliani  assaltano  tottaria  la  Puglia  e  la  Calabria.  ...  545 

»                 Altre  fazioni  loro  supposte  da  nomi  geogrefid 546 


S58  SOMMÀRIO  DEI  CAPITOLI 

CaI^ICoIo  JfWBL, 

w.  998.  Gia'far-ibii-lAsnf ,  «miro Pag.  548 

4015.  Ribellióne  e  tnpplizio  del  frtieHo  Ali 550 

I*  Nuoto  ordinamento  deiP  esercito 554 

•  Grateue. 552 

'lO'IO.  Rivoluiione  in  Palermo 553 

»  Cnedato  Gia'far  e  ^orregatogli  il  fratello  Alchal 354 

975  —  998.         Dominaiione  degli  Zlriti  in  Affrica 555 

999.  Iftnia  il  SicilUno 556 

n.  Condizioio  dei  Berberi  nelF  Affriea  propria 557 

4004^4023.       Calamità  ed  emigrazioni  d'Affrica  in  Sieilia 558 

4648.  Moen-ibn^Badts  lo  Zlrita .  539 

»  Persecnzione  degli  Sciiti ìtì 

4049.  Rifaggiti  in  Sicilia 564  < 

4049  —  4052.       Industria  e  riccliena  dell'Affrica  propria 562 

4025.  Armamenti  di  Moen 565 

Capitolo  IX. 

4025.  Prìmordii  d'Akhal  inSioiUa 364 

»  Esercito  bizantino  in  Calabria 565 

4026.  Naufragio  degli  Affrioani 566 

4034  —  4035.  Scorrerie  navali  dei  Siciliani  ed  Affrieaol  in  Grecia.  ...  367 

n  Akbal  faTorisce  in  Sicilia  U  parto  «he  si  «Uftmò  degli  Af- 

firiemU  contro  U  parte  dei  SieiUani 368 

»  Schiatto  e  condizioni  delle  due  parti 369 

»  I  nobili 372 

•  La  cittodinanza 373 

»  Intenti  e  modi  di  Akhal 374 

»  Sì  sottometto  ai  Bizantini 376 

4035  —  4037.       I  Siciliani  chiamano  Moezz.  Guerra  civile 377 

4038.  Ucciso  Akhal,  Moezz  resto  padrona  dall' isola.  ......  378 

Capitolo  X. 

»  Impresa  di  Maniaco 379 

»  Racconti  dei  mercenirìi  Scandinafi  o  Yarunp 380 

»  Vittorie  di  Maniaee. 384 

4088-^4039.       Assedio  di  Siracusa 584 

4Ó40.  Battoglia  di  Tr^na 887 

»  Rivolta  di  Ardoino  eoi  Normmni 889 

«  .  Maniaco  e  V  ammiraglio  Stofauo.  ...  1 890 

»  Maniaca  si  afforza  in  Sicilia.   .  .  ^ <  594 

4044..   .        È  scambiato  e  catturato 892 

4042.  DiferilB  di  Gatacafone  a  Messna 898 

4045.  RibeHiono  e  morto  di  Maniaca 394 


CONTENUTI  mi  SECONDO  VOLUME.  559 

aii.4(M5  — 40$4.  G^ndiiiéM  ilei  Grìflliam  di  ^ioiìia Pag.  895 

»  La  più  parte  dtimmi, 597 

»  Di  schiatta  greca  e  italica 598 

»  Stadii  e  indostrìa  loro 599 

»  Il  clero 40V 

»  I  frati. i 405 

»  Poco  teUreli^oao 404 

948—4064.  San  Vitale  da  Castroaovo 406 

9$0'-994.  San  Loca  da  Demona 408 

4020  —  4070.  San  Filareto 440 

964  —4054.  San  Simeone  da  Siracasa.    <  .  .  .  * 442 

S27  —  4064.  Il  Cristianesimo  non  mancò  giammai  )n  SieiKa 444 

»  Due  tradizioni  rigettate. 445 

Capitolo  XH. 

4040.  Difetto  di  notiaie  storiche 417 

n  Condizioni  d^  Abd^lfah-ibn-Moezz  in  Sicilia.    .....  448 

»  È  eaccrato  e  fatto  emiro  Simsfini-ed-dawla 449 

't040  —  4052.  Sorgono  ì  regoli  Ibn-ll^enkùt,  Ibn-Hawwasci,  Ib-MekUti, 

e  Palermo  si  regge  a  repubblica.  .  .   .* 42Ó 

n  Riforma  sociale  a  Malta 422 

»  Come  cadde  la  dinastia  kelbita 425 

•  Parti 424 

»  Intenti  politici  dei  Palermitani 426 

Capitolo  XIII. 

XI  Secolo.  Prosperità  materiale  e  Ietterai.  .  <  .  , 428 

»  Notizie  geografiche  d' Abìi-Ali  e  à?  Ibn^KatMi'  sa  la  Sicilia.  ivi 

«  Numero  delle  città)  ròcche  e  villaggi 450 

•  NoBit 451 

»  Distribuzione  delle  schiatte «  434 

»  Cenni  su  alcune  città 496 

*>  Descrizioni  dell' Etna  ad  eruzioni 458 

»  Prodotti  minerali  dell'  isola,  . 444 

»  Acque  e  boschi 445 

»  Agricoltura ,  .  .  .  444 

»  Pastorizia 446 

»  Pratiche  agrarie  dei  Siciliani ivi 

•  Manifatture •  .  448 

•  Commercio 449 

»  Architettura 450 

»  laarizioni  e  é41Ug(àfia 452 

>  Monete.,  . < 456 

n  Tarì  d^òro  df  Sidiìs  uiiiiati  s  Napoli ,  Si^erÀo  a  Auitlfi.  459 


» 


560  SOMMARIO  DEI  CAPITOLI. 

C^pltoto  XKV. 

XI  S«eo1o.  Stadii  degli  Arabi.  Prtnlgono  le  Mienie  eoranicbe  e  le 

lettere •  •  -  • ^"S-  ^^ 

Fonti  di  storia  letteraria ; 462 

Aetronomi  e  matematìei  sieiliaiii 465 

LaTori  dì  geografia  matematica.           464 

•  Ififliire  itinerarie  della  Sicilia 466 

»                  Scrittori  di  medicina.  Abn-Sald-ibn-Ibrablm 467 

Lo  Bceriffo  Ahmed 470 

Altri  medici 474 

Verso  il  4000.       Stndii  filosofici.  Sa'id-ibn-Fethfta  da  Cordova. 472 

>  Lettore  del  Corano ivi 

4062  — 'l'IBa.       Ibn-Fehhàm 474 

m.  4063.          Aba-TAher*-Isma'il 475 

Verso  il  4400.       Ibn-Omar  e  Ibn-Hainn 476 

B                  Altri  lettori  del  Corano 477 

»                  La  Tradirione  di  Maometto ,  .  .  .  .  479 

Verso  P84a.        Tradinonbtì:  il  Kalawri.    .  , ivi 

Verso  il  900.       Abo-Bekr-Temlmi 480 

Verso  il  4030.      AmmAr  principe  Kelbita  ed  altri  tradisionisti.     484 

•    m.  4444.          Mazarì  giarìsta ,  tradiàonista ,  teologo  e  medico 482 

m.  4039.          Stndii  legali.  Ibn-Iftnis  detto  il  Siciliano 486 

Verso  il  4030.      Abd-el-Hakk 487 

»                  Altri  scrittori  e  professori  di  dritto 488 

m.  4072.          Sementari,  giurista  e  ascetico , 490 

Verso  il  4040.       Ibn-Hamsa 494 

»                  SetU  dei  Safiti. 492 

X  e  XI  Secolo.      Safiti  SioUiani ;  .  .  .  .  493 

»                 Altri  ascetici  e  teologi 494 

»                  Opera  di  teologia  d'  Abd-er^Baliman-4Siktlli 495 

•  Lettere ivi 

»  Varii  filologi  e  grammatici  siciliani  o  veneti  in  Sicilia.    .  ivi 

4033  —  4448.      KattAni 498 

4000  —  4070.      Ibn-Resdk .  499 

•  Falsa  etimolopa  della  voce  Sicilia 304 

Verso  il  4030.       Ibn-Abd-el-Berr.  . ivi 

»                  Gia'far-ibn-KattA' 305 

4044  —4424.      Ali  suo  figlinolo ivi 

»                 Opere  d'  Ali-ibn-KattA» 307 

»                 Altri  filologi 344 

Verso  il  4070.       Ibn-Mekki  giurista  ed  oratore 345 

»                  Prosatori.  Hascem-ibD-Iùnis 344 

>  Altri  prosatori.  I  Segretarii 343 

X  e  XI  secolo.  Storia.  Cronica  di  Cambridge;  Abn-Ali,  e  pòchi  altri.  .  .  346 

n                  Poesia  arabica  in  questo  tempo 347 

verso  il  4030.       Poeti  eroici ,  ossia  di  KaMe;  Ibn-Tùbi ivi 


verso  il  4040. 
4064. 

» 
4032  —  4444. 
4056  —  4433. 

» 

«» 

Veno  il  4050. 

» 
953  —  4400. 

X  e  XI  Secolo. 

IX  e  XI  secolo. 


>|  053— 4060. 
4054  —4057. 


4053  —  4054. 

4054  —  4060. 


CONTENUTI  NEL  SECONDO   VOLUME.  561 

Ibn-Sebbàgh. Pag.  549 

Ibn-BUcir,  Billanobi  ed  altri  rifaggiti  in  Egitto 520 

GomanicazioDÌ  con  la  Spagna 523 

Aba-l-Arab 524 

Ibn-Hamdis 525 

Saa  descrizione  della  yita  dei  gioyani  nobili 530 

Vanti  gaerrieri 532 

Carità  patria  e  gindizio  scTero  su  la  Sicilia 534 

Altri  poeti  di  Koiide 555 

Satirici.  Ibn-Tazi. 536 

E  Rozaik 537 

Poeti  di  casa  kelbita ivi 

Altri  prìncipi  e  magistrati 539 

Poeti  sa  argomenti  morali 540 

E  molti  altri 544 

Come  vadano  Radicati  i  poeti  arabi  in  Sicilia 542 

I  musici. 544 

Epilogo  su  gli  stadii  dei  Mosolmani  di  Sicilia  fino  al  con- 
quisto   54^ 

Capitolo  XV. 

Condizioni  e  costumi  pubblici  e  cagioni  della  decadenza.  .  545 

Grande  avvenimento  da  Affrica 547 

Ibn-Tbimna  signor  di  Siracusa  occupa  Catania  ed  è  rico- 
nosciuto prìncipe  di  tutta  V  isola 548 

Armata  siciliana  a  Susa 550 

Meimuna  moglie  d'Ibn-Tbimna  si  rifugge  appo  il  fratello.  ivi 
Guerra  tra  Ibn-Thimna  e  Ibn-Hawwasci  signor  di  Castro- 

giovanni ^  .   .  554 

Ibn-Thimna  sconfitto  ohiama  i  Normanni ivi 


FINE  DEL  SECONDO  VOLUME. 


n. 


36 


AWVBBTBNZA   DBIX' AVTOBB. 


In  cono  di  stampa  del  presente  yolome ,  si  son  pabblicati  i  testi  nella  Biblioteca 
ÀraboSieula.  Mi  è  parso  dan^e,  nel  IV  libro,  di  dtare  la  BiUiokea  anziché 
i  MSS.  ;  e  eosì  farò  nei  libri  V  e  VI.  Per  comodo  dei  lettori ,  le  pagine  di  qnei  testi 
saranno  notate  nella  versione,  ^ando  m' avrerrà  di  darla  alla  Ince. 

Pongo  qni  in  fine  qualche  oorreiione  d'error  di  stampa  ed  alcune  aggiunte. 

Parigi,  gmnaio  4858. 


Pag.      lÀtt. 
40.       1.       Agia«bUi;f  aelMliftto 


36.      11.       «  veniMM ,  p.  128. 


37.      18.       origiM  Ulint. 


50.      13.       (903) 

75.  Un.  ult.    pncadente,  p.  58. 


92. 

32. 

agosto.  Cui 

160. 

31. 

epùt  75. 

178. 

38. 

riòiPi 

'i14. 

21. 

tratto  e  ti  dilegua  alla 

258. 

6. 

Pertbè  Mootria  non  fu* 

bieoeea  da  Mhiavi  o  da  li- 
berti fu  lasciata  al  certo  la 
popolaiiooe  agricola  nel 
contado,  e  la  gente  minata, 
mercatanti  o  arteSd ,  nella 
citU. 


263. 
276. 


22. 

19. 


toglie 
a  lAardg 


Aghlabiti;  t  di  totte  le  citU  dUOrtea  nei  primordii  deUa 
dinasUa  fatemita  (a);  dd  califato 

{a)  Il  MiAii  nsaTa  far  leggere  i  saoi  rescritti  e  cttIsì 
di  vittorie  nella  feauP  di  dascena  cittk.  Baióit,  testo, 
tomo  I ,  anni  290  a  800. 

e  versione,  p.  128.  Si  vegga  anche  Edrisi,  versione  di 
M.  Jaobert,  tomo  I,  p.  275.  li  Mtnùid,  di  lakAt,  edi- 
sioni  di  Leyde,  tomo  III,  p.  150,  nota  nna  fortesn  Min- 
«ei<fr  presso  PBofirate. 

origine  latina. 

XIII.  MuUtno,  nel  fendo  del  Landre  (vai  di  Muara), 
dUto  da  Tinabianca,  Skttia  mobile,  tomo  n,  p.  345. 
Media  era  nome  di  tribù  berbera,  secondo  Ibn-KddAn, 
HUtoire  du  Btrberu,  tomo  I,  p.  241  della  versione, 
e  1, 158  dd  testo. 

(000) 

precedente,  p.  68.  Debbo  avvertire  che  secondo  nna  va- 
riante proposta  dal  prof.  Fldscher  nd  testo  di  Nowairi, 
invece  di  "malattia  bUiosa*  d  dovrebbe  tradarre  "gli  si 
fece  incontro  con  vestimenta  negre."  BlbUoueaAraào- 
Sie»la,  testo,  p.  451,  e  Introdadone,  p.  68.  Ma  non  n'è 
certo  qod  dotto  orientaUsta  ;  né  io. 

agosto  e  in  novembre.  Col 

epist.  75.  Altri  divieU  simili  ai  Venedani  neU'887  e  960 
sono  notati  dal  Mnratori,  AmuUì  d*luUia,  900. 

robd'i 

tratto  alla 

Perohè  Moeida  non  foese  nna  bicocca ,  d  laadò  al  certo 
la  popoladone  agricola  nd  contado,  e  la  gente  minata, 
mercatanti  o  artefici,  ndla  citlk,  da  scliiavi  o  da  liberti. 


tagliare 
e  tìtarag 


Pag..     Lim. 
302.        2. 


criftUna.  Né 


ertstUna;  «  U  nidtiilM  tcMIcÙM  riìforiU  d*  Bokri  & , 
inv«ee  d  Aristotile,  il  nome  di  Gtleno ,  che  da  Roma 
andaMe  a  IroTare  i  Crbtiani  ia  Siria,  e  foese  morto,  in 
tiaggio,ia8icUia(a).  Né 

\a)  Ibn-Scebbàt ,  nella  BiblioUta  Anòe-Sieuia.  te- 
tto, p.  210. 


323.        4. 

e  quei 

0  qnei 

334.      30. 

Reèd'i 

Rabici 

»         31. 

par  che  valeisa 

valeva 

378.      13. 

Bfinleee 

Maniaca* 

»         2C. 

da  Sicilia 

in  Sicilia 

382.      26. 

Si 

*Si 

417.  iin.  ult. 

Abn-AU 

Aba-Ali 

431.  ::  15. 

ain 

Olir, 

» 

le  note  2  3  4  t'ùwtrtano  coti: 

34  2 

446.      13. 

Si 

«Si 

450.        4. 

franca 

franco 

460.      19. 

rtbd'i 

robó'i