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STORIA
DELLA REPUBBLICA DI GENOVA
DALL'ANNO 1528 AL 1550
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Proprietà letteraria.
V
STORIA
DELLA
REPUBBLICA DI GENOVA
dall'anno 1528 AL 1550
OSSIA
LE CONGIURE DI GIAN LUIGI FIESCO
GIULIO CIBO
COLLA LUCE DEI NUOVI DOCUMENTI
NARRATE ED ILLUSTRATE
PER IL COMMEKDATORE AVVOCATO
MICHEL-GIUSEPPE CANALE
CIVICO BIBLIOTECARIO
Post fata resurgo.
GENOVA
TIPOGRAFIA DEL R. ISTITUTO SORDO-MUTI
1874
-^-^Z. /.
///
ALL ILLUSTRE BARONE
«
ANDREA PODESTÀ
SINDACO DELLA CITTÀ DI GENOVA
CHE ALLA SINGOLARE PERSPICACIA DELL' INGEGNO
ACCOPPIA l' alacrità DELLE OPERE
E
L* INDOMITA COSTANZA DEI GRANDI PROPOSITI
A TESTIMONIANZA
DI OMAGGIO , DI STIMA , DI RICONOSCENZA
Q.UESTA SUA STORIA
L* AUTORE
D. D.
LIBRO PRIMO
CAPITOLO PRIMO
La Repubblica di Genova per opera di Andrea Doria trapassa dal governo di Francia
sotto la protezione dell' imperiale di Carlo V. Gicciata dei Francesi ; descrizione
della fortezza del Gutelletto, sue varie vicende e sua resa; provvedimenti di di-
fesa contro le minacele francesi; ambasciatore di questi venuto in città a racco-
mandare il mantenimento della data fede al Re ; fiera risposta del Senato ; assedio
e resa di Savona, di Novi, Ovada e Gavi.
I. — Il nome di Andrea Doria suona tuttora grande
ed immortale, non solo per egregia virtù spiegata nelle
imprese marittime de* suoi tempi, ma per sapienza di
stato, conche bastò ad ordinare il genovese dominio
che per dugento sessantanove anni durò. Coloro che
m tanto spazio di tempo, sua mercè, tennero il go-
verno della Repubblica non fecero eh* esaltarne le gesta,
celebrarne il merito, e dilatarne la fama. Il ricercare
più addentro di lui, chiedere se lodevoli tutte le gesta.
8
sincero il merito, immacolata fosse la fama, non solo
venia vietato, ma imputavasi a colpa, e tornava a
pericolo. Stette dunque quel nome per tanto giro di
anni rigidamente guardato , d' idolatria agli uni , di
spauracchio agli altri. La storia genovese altra non
potea essere di quella che s'informava alle ragioni
del Principato da esso stabilito; quindi tutti coloro
che tolsero a favellarne procedettero copiandosi, gli
uni camminando sulle orme degli altri, e se alcunché
aggiunsero , fu qualche nuova parola d' encomio. Bene
parecchi oltramontani scrittori si avvisarono di metter
mano in quella malagevole materia, ed osarono negar
fede a tutto quanto i nazionali affermavano; gittarono
sospetti, mormorarono sommesse accuse, ma sforniti
di documenti, che inesorabilmente chiudevansi allóra
negli Archivi, furono di menzógna almeno, se non
di calunnia imputati. E qui le cose si condussero fino
all'anno di 1797; quando dissonnate le menti dalla
grande tempesta della Rivoluzione di Francia, fu dato
air universale 1' arbitrio di rivedere e rimescolare quei
pericolosi argomenti; senonchè, come dapprima la ra-
gione dei pochi, così dopo le faziose passioni dei molti
fecero di guisa velo al giudizio, che con esempio sfi'e-
nato di vandalica rabbia fino la statua si volle distrutta
di colui che fu pure un grande lume d'Italia ed or-
namento della sua patria. Succeduti tempi più tem-
perati in cui potè meglio adoperarsi l'imparzialità della
mente, fii allora che sceverandosi il vero dal falso, si
discese ad investigare le cause di quanto agli uni sem-
9
brato era irreprensibile, agli altri biasimevole, e fra
le due opposte sentenze, cominciossi ad instituire più
sano giudizio.
Ed io, che per buona ventura mi trovo alle mani
abbastanza svolti tutti i termini della famosa quistione
spero di risolverla a norma di verità e di giustizia,
concedendo a questo nome ora idolotrato, ed ora
vilipeso, quanto gli si addice di lode insieme e di
biasimo.
II. — Io non posso far senza di dare principio alla
presente epoca che col nome di Andrea Doria, poiché
tutta da lui ha vita, nome, e potenza. Egli nobile, e
ghibellino , richiamò al possesso della repubblica i
nobili e ghibellini che n' erano stati discacciati fino
dal 1359, egli mutò dunque la forma del governo,
ne istituì un novello, fu bene o male? ecco la vitale
e sincera quistione. Meglio era che governassero i
popolari air ombra dell' influenza francese , o i nobili
a quella di Spagna? Questa aduggiò ogni gentil seme
in Italia, avrebbe la francese fatto altrettanto? Andrea
Doria nel distogliere Genova dall' alleanza di Francia
per abbandonarla in baUa di Spagna e d' Austria prov-
vide meglio agi' interessi privati che a quelli della
patria? Questi sono i casi che noi dobbiamo risolvere;
per farlo narriamo gli avvenimenti come ci si offrono
dalla storia.'
in. — Imperversava la pestilenza, oltre una grande
carestia, per cui ogni sestiero, e 4 oncie di grano ven-
devansi venti lire di genovine o danari 60 d' argento;
IO
il più d<^li uomini ridotto trovavasì a pascersi d'erbe
e radiche svelte alle piante. Accadeva allcx'a che non
pochi dd vicini luoghi, da quell' ingrato e mìsero
cibo consunti e per estrema ddx>lezza estenuati, e
smunti, quasi spettri ed ombre perissero, dei quali
furono sventuratamente ben oltre a 90,000 fra la città
e i sobborghi, nelle riviere e luoghi drcostantì. Con-
sunta in. tal guisa dalla fiune e daUa peste la miglior
parte dei cittadini, terribile mostravasi la nuova soli-
tudine, ad ogni pie sospinto, e fuori e dentro città,
non senza orrore scorgevansi cadaveri. Parve questo
ad Andrea Doria il tempo più addatto di mettere ad
effetto il proprio disegno.
Le condizioni del nuovo servizio, mandate in Ispagna
dal Doria pel cugino Erasmo addi 19 luglio 1528, erano
sottoscritte da Carlo V gli undici del successivo agosto;
quindi egli messe in pronto le sue dodici galee, salpava
per Napoli, che riusciva a scioglierne interamente V as-
sedio, né credendo essere colà più necessaria la sua pre-
senza, tanto più dopo la morte del francese generale
Lautrec, e la totale dispersione di quell'esercito, si
partiva alla volta di Genova, prosperamente giun-
gendo al golfo della Spezia.
In Genova la fame e la peste avevano sparso la
desolazione, lo spavento e la morte; il presidio stesso
francese ridotto a soli 200 uomini col Governatore
Teodoro Trivulzio stavasi appiattato n^Ua fortezza
del Castelletto. Questi, non appena ebbe udito che il
Doria voltato si era agli stipendi di Spagna, temendo
II
che colla flotta che avea potentissima sotto di lui,
muovessesi ad invadere la città, fece istanza al signor
di Saint-Poi per due mila pedoni che acquartieravansi
in Lombardia; e già erano essi sulle mosse vicini a
Lodi, incamminati per Genova,. quando i dodici Rifor-
matari, che forse n* erano indettati d* Andrea, spedi-
rono issofatto al generale francese un Bartolomeo
Garbarino, il quale affermava regnare in città la so-
litudine per la terribile pestilenza che ne mieteva le
vite, quindi non essere il bisogno di quelle forze non
solo, ma mancarvi il soldo per pagarle; e vennero fatte
tornare addietro.
A dire il vero, da quanto in seguito accadde, po-
trebbe sorgere il sospetto che non il solo terrore della
peste facesse sgombra Genova della maggior parte de*
suoi cittadini, ma vi si dovesse, annoverare ancora un
cotale artifizio, per cui il governo di Francia fatto
sicuro della desolazione, e del vóto prodotto dal ma-
lore non pensasse alla più necessaria difesa, e di ciò
Éurebbe persuasi l'ambasciata del Garbarino, che pre-
testando la solitudine, V inutilità del presidio e il di-
fetto dei soldi, recò il richiamo dei duemila fanti già
mdirizzati alla volta di Genova. Certo è che ogni cosa
appare preordinata d'accordo coi dodici riformatori;
che ogni £itto si svolse allora coinè il filo di una
vasta trama precedentemente meditata e disposta.
IV. — Litanto i tristi umori crescevano, poiché
fra le altre cagioni, vi era quella della enorme dimi-
nuzione degl'introiti e dei guadagni scemati non solo
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per la peste, ma per il deviamento delle mercanzie,
le quali non più per la parte di Genova, ma condu-
cevansi in Lombardia, per quella di Savona, dove il
governo francese affrettavasi al lavoro delle fortifica-
zioni. Il signore avvocato Edoardo Bernabò Brea fira i
vari documenti inediti da lui lodevolmente raccolti e
pubblicati il 1863, sulla Congiura del Conte Gian Luigi
Fieschi, e a cui mi è qui grato di testimoniare la più
sincera stima (i), ha inserito un decreto del Re Fran-
cese I di Francia colla data del 1/ luglio. Da questo
si riconosce che il monarca firancese. mandava ordine
al Governatore di Genova e suo Vicario che. gli an-
ziani e cittadini genovesi . venissero per esso reintegrati
nel primitivo diritto e nel libero possesso della città
é distretto savonese, nonché dei magazzini, del sale,
del grano, del commercio, e giurisdizione, ecc. Per
tale decreto, si dedusse che il Doria mancava di questo
importante motivo per risolversi ad abbandonare il ser-
vizio di Francia, quando egli stipulava la convenzione
addi 19 colla Spagna, essendoché il primo di luglio
Francesco I avesse già restituita Savona. Trattandosi
di cosi dilicata materia, noi non possiamo far senza
di rilevare che s' é vero il reale decreto del i." luglio
con cui si ordinava la reintegrazione di Savona, non
é men vero che quel decreto non venne mai eseguito,
mentre se lealmente fosse stato concesso dal Re, vi
(i) Il signore avvocato Edoardo Bernabò Brea, era un alacre
e nobile ingegno, studiosissimo delle cose patrie, impiegato nei
Regii Archivi di Genova mancato ha poco a' vivi.
13
era tutta la possibilità di eseguirlo, rimase invece let-
tera morta non solo dal i.' luglio fino al 19, epoca
della missione di Erasmo Doria in Ispagna colle con-
dizioni proposte di Andrea, ma fino al 9 agosto suc-
cessivo in cui si accettarono , e sottoscrissero da
Carlo V. Questa inesecuzione ci fa abbastanza certi
delle secrete intenzioni di Francesco I, ci prova col
fatto eh' ei non voleva, né volle restituire Savona,
che il decreto fii anch'esso una trama per abbindolare
il Doria, e farlo cadere nelle insidie che gli erano tese
dai ministri francesi. Infatti continuò il presidio, e il
governatore del Re a risiedervi, 1' opera delle fortifi-
cazioni, e i lavori del porto nonché intermettersi con
maggiore alacrità si proseguirono, le mercanzie per
colà si avviarono tuttavia deviando da Genova, e gli
ambasciatori savonesi stettero in Corte di Francia fa-
voriti ed ammessi alla regia udienza, mentre non potea
avervi accesso il genovese; il quale ne faceva querela
con sua lettera scritta ai dodici Riformatori. A questa
lettera aggiungevasi un' assai mesta notizia sparsasi
per la città, che il Governatore Trivulzio, vivendo
in sospetto dei cittadini, invitato avesse d' Alessandria
duemila firancesi per contenere ogni moto di novità
che minacciava destarsi. Oltreciò, il popolo che nella
sua semplicità per non dire nella sua ignoranza temendo
lo scopo, non distingue il mezzo, andava mormorando
che i ministri del Re per desolare la città, vi avessero
introdotta la peste; la quale voce, sebbene creata da
un' esaltata imaginazione pigliava fondamento dalla leg-
14
gerezza de' francesi, dall' odio loro contro il Doria, e
dall'oppressione contro di Genova. Laonde, tutti gli
ordini de' cittadini mostravansi avversi allo Stato di
Francesco I, e desiderando di riscuoterlo, per opera
del Magistrato dei Riformatori che aveano segreta in-
telligenza col Doria, mandarono a lui occultamente
Giovanni Davagna onde tenerlo informato di quanto
accadeva, rappresentando che tutto era pronto, ed essi
disposti in ogni guisa a secondarlo. Dal golfo della
Spezia, affrettossi egli alla volta di Genova, con tre-
dici galee; vi giunse addi 9 settembre, e a 300 sol-
dati spagnuoli concedette la libertà, divisando servir-
sene come di mezzo efficace alla meditata intrapresa.
Addì undici accostavasi al porto, le galee avendo or-
dinate fra il Molo e la Lanterna in forma di mezza
luna, né sapendo ancora a qual consiglio appigliarsi
tenevasi sulle àncore. Intanto i francesi stavansi in iSe-
rissima angustia, sia per la pestilenza, sia per la tema
del vicino rivolgimento, pochi erano, che la guardia del
Castelletto di molto assottigliata non giungeva a due-
cento soldati, e la. metà loro italiani, soggetti a due
corsi, svizzeri l'altra metà, cui veniva affidata la custodia
del pubblico palazzo. Ma il Governatore Trivulzio, non
si tosto vide il Doria gettare le àncore nel porto, che
sospettando quel eh' era, né le forze avendo bastanti
al pericolo, risolse di destreggiarsi, e pigliando rimedio
dal tempo, rimuovere i cittadini dai disegni del Doria;
quindi la stessa mattina in cui apparve questi alla vista
della città, sceso dal Castelletto, seguitato da pochi fami-
15
gliari, e con alcune guardie si condusse nella pìzzzz
di Banchi, e quella maggior parte di cittadini che potè
quivi raccolse, e tutto fece per serbarli fermi e costanti
nella osservanza del dominio francese. La domane, con-
vocò il Senato, parlò della difesa contro ogni assalto
quando volessero mostrarsi costanti e fedeli allo Stato
del Re, consigliando una deputazione di quattro cit-
tadini al Doria, per conoscere le sue intenzioni, e per-
suaderlo a non intraprendere novità. Si fece subitamente
r elezione dei quattro deputati, Francesco Fiesco, Bat-
tista di Geronimo Lomellino, Gio. Batta di Agostino
Doria, Tommaso di RaflFaele Giustiniano Fornetto, i
quali recatisi alla Capitana dell' Ammiraglio, sposero
secondo il mandato, l'incarico del Trivulzio; ma questo
fetto avendo pubblicamente, ristrettisi a segreto ragio-
namento con lui rappresentarono gli ordini contrari
ricevuti dal Magistrato della Balia, e dell'opera assai
bene cominciata raccomandarono V esito e la perfe-
zione, conchiudendo che da tanti fausti auspici egli
dovea prendere ardimento a liberare la patria, della
quale i migUori cittadini avrebbero secondato il suo
coraggio, e benedetto il suo nome. L'Ammiraglio,
rispose in pubbUco accomodate parole all' occasione ,
ma in segreto a Gio Batta Doria uno degli amba-
sciatori, fece cónto l' animo suo, mostrando che ad
ogni patto porrebbe a terra la sua gente, con questa
aiuterebbe i cittadini a levarsi di collo l'odiato giogo
straniero, andrebbe incontro al desiderio loro; ciò detto,
accommiatavali.
i6
Il Trivulzio, cui di ritornagli ambasciatori rende-
vano conto dell'operato, j^fv^ rimanersi tranquillo,
e tornossi in Castelletto. Iwn "^cosi però che alcuni
ufficiali del presidio non ispingesse fuori della fortezza
con incarico di raccogliere quanta più gente fosse loro
possibile, e al Conte di Saint-Poi raccomandasse di
spedire alcune truppe di Lombardia a rinforzo.
Il Doria due giorni intertenevasi innanzi il porto
per dar ordine a' suoi disegni , mandava in S. Pier-
d' arena e in Albaro per affirettare il ritorno in città
di tutti coloro che si erano per la pestilenza allonta-
nati, raccomandava, mentr' egli dalla parte di mare,
essi per terra si adoperassero al divisato fine.
Cadeva la notte del secondo giorno, quando sopra
gli schifi delle galee imbarcava una mano delle proprie
milizie; doveano di cheto trarre alla spiaggia di Sar-
zano, esplorare il momento più acconcio, e se questo
avvenisse, farsi innanzi arditamente. Ma d'improvviso
richiamavali, imperocché le galee francesi che trova-
vansi nel porto, temendo di qualche intestino rivol-
gimento, protette dalle tenebre, finsero dapprima vo-
lersi azzufFare con quelle del Doria, indi rivolte le
prore verso occidente, scomparvero, ricoverandosi in
Vado. Né parve bene ad Andrea d' inseguirle , e mi-
gliore preda gli si offerse con due altre galee firancesi
che ignare dell' accaduto , navigavano a sicurtà al
porto di Genova.
V. — Venivagli intanto a notizia che violando i
patti per cui la città si era sottoposta alla Francia, il
Governatore Trivulzio, procacciavasi nuovi presidi!,
facea d' ogni parte raccolta di armi e d' armati. E
parmi giusto di bon mettere in sodo questa circo-
stanza, affinchè nulla sia ommesso di quanto gli può
servire a discolpa. Fu allora, che posposto ogni mag-
giore rispetto inalberava per la prima volta sulla sua
Capitana lo stendardo imperiale, e con tredici triremi
dava fondo sotto le mura della Malapaga. Quivi in
due schiere partiva la sua gente, composta la prima
di una buona mano di spagnuoli , che fatti due giorni
innanzi disciogliere dalle catene, pose a terra presso
la villa di Paolo Sauli in Carignano, dandone il co-
mando a Filippino Boria ; V altra schiera tutta d' ita-
liani affidava a Cristoforo Pallavicino e Lazzaro Doria,
i quali per la porta della Giarretta del Molo fecero il
loro ingresso in città. Per questa discorrendo aveano
ordine di levare il popolo gridando: S. Giorgio e Li-
bertà, Né senza grave ragione era tal grido, imperocché
il presidio francese, metà era d' italiani comandati da
due Corsi, e l'altra metà di svizzeri, i primi tene-
vano le porte del Molo, dell' Arco e di S. Tommaso,
i secondi il pubblico palazzo. Ora, in quel tempo la
Corsica stava soggetta al dominio di S. Giorgio, di
guisaché il nome di questo obbligava ad obbedienza
sotto pena di ribellione tutti coloro eh' erano nativi
dell'isola, né sarà temerità il conghietturare che al
•
moto del Doria dovea segretamente partecipare l'am-
ministrazione politica del famoso Magistrato , senza
di che egli non avrebbe osato di pretendere al tumulto
i8
quel- grido di guerra. Certo è che Giovanni Brando
a custodia del Molo con cento fanti non appena udì
5. Giorgio che posta mano al cappello, e scoperto il
capo per riverenza, esclamava: S. Giorgio* é mio signore,
né io posso farmi nemico al suo governo. Ciò detto, mu-
tate le insegne di bianche in rosse, si uni al Palla-
vicino. La stessa cosa accadeva alla porta d' Arco che
con 60 soldati presidiava il Capitano Corso per nome
Borasino, occupata essendo da Filippino, il quale nel
medesimo modo sottomise T altra di S. Tommaso ,
dove la guardia composta pure di Corsi, insieme e
d' itaUani , trovavasi senza il suo Capitano Girolamo
Archinto milanese ridottosi nel Castelletto per ordine
del Trivulzio. Rimanevano gli svizzeri del Palazzo
Ducale, ma essi ancora gittate le armi si congiunsero
tosto a' tumultuanti. Filippino Doria, Cristoforo Pal-
lavicino e Lazzaro Doria aveano in tal guisa, e recando
ad esecuzione i comandi di Andrea, interamente fatta
sgombra e libera la città.
VL — La quale avventurosa notizia recata all' Am-
miraglio egli per la porta del Molo, si condusse in
città, e venuto sulla piazza di S. Matteo che tutta
intorno circondano le abitazioni dei Doria, quivi al
cospetto d'innumerevole moltitudine tratta all'insolito
avvenimento, si fece in tal modo a favellare: « Giunto
» egli è il giorno che per calde preci, e lunghi voti
» implorai alla misericordia divina. Rotto è il ferreo
» giogo straniero, rimosso il periglio, cessato ogni
» ostacolo, tornata alla nostra patria la libertà. La
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» quale, gli avi fortissimi, vollero ad ogni cosa pre-
» posta, né per crudi aflfanni, né per penosissima
» morte, giammai indugiarono a ricuperarla; talmente
» che questo ligure nome di che siamo superbi, sonò
» di eterna gloria, e di formidabile potenza a' più
» remoti popoli. Ahi! dura sventura, che non sì tosto
» noi fummo dalle intestine fazioni lacerati cTie la li-
» berta andò in dileguo, si spersero le dovizie, vóto
» r erario, la pubblica miseria afflisse il popolo, e a
» tale lo ridusse di calamità che piegato il collo, la
» dolorosa oppressione, la più sozza tirannide soflSri;
» Genova per il valore e la concordia de' padri sol-
» levata, a tant'altezza di fama che potentissimi re n'eb-
» bero sgomento , allora fu data in balia d' ogni più
» spregevole barbaro. Dirò io quanti in mare ne tra-
» vagliarono disastri, quanti in terra ne contristarono,
» e come per somma vergogna spogliati d' ogni bene,
» queste fraterne discordie ci ridussero a povertà? Le
» principali provincie del ligure dominio poterono im-
» punemente agitarsi, sciogliersi dall'antico patto fer-
» mate con noi; i savonesi in ispecie, che mercé gli
» aiuti, le cure, la industrie dei genovesi divenuti sono
» ricchi ed opulenti, voi lo vedete, l'imperio accettato
» e giurato dispregiano, da sé rispingono, né a questo
» paghi, l'estremo eccidio nostro van macchinando;
» locchè in breve avverrà se tolti i più necessari pro-
» venti , dissecate le fonti del più utile commercio ,
» rapita la finanza del sale, distolto il traffico della
» Lombardia, resteremo senz' altra speranza che ada-
20
» giarsi costretti al giogo straniero. Della quale mi-
» serevole condizione io sopramodo dolente, ai pri-
» vati comodi, e vantaggi anteponendo il bene, e la
» salute della patria, più e più fiate, come ragione
» mi dettava, il Re pregai e scongiurai, che i savo-
» nesi contro i più vitali interessi e i più sacri diritti
» della Repubblica non favorisse, non ne alienasse la
» città dal corpo di questa , non n' erigesse il porto
» a danno del nostro, non menomasse le ragioni
» del sale a S. Giorgio in ispregio delle conven-
» zioni che ne avea collo stesso suo predecessore Re
» Luigi XII, non infine nuocesse con si crudele ed
» ostinato proposito alle misere sorti di quel popolo
» che per difenderne la maestà, e conservarne il go-
» verno avea tanto sofferto da vedersi orribilmente
» dai suoi nemici saccheggiato. Che mai ne ottenni?
» L* aperta persecuzione si mutò in insidia, i ministri,
» i cortigiani, mi accusarono di ambizione, di firode,
» di tradimento , tramarono contro il mio grado , il
» mio onore, la propria mia vita, tentarono di occu-
» parmi la flotta, di ribellarmi il nipote Filippino, di
» insignorirsi della mia persona. Vero egli è, che il
» I." luglio il Re Francesco mostrando di far ragione
» agli ambasciatori genovesi diede ordine affinchè ci
» fosse restituita Savona, cogli altri proventi e diritti
» commerciali. Ma questa restituzione è ella mai av-
» venuta? O non anzi dopo quasi due mesi e mezzo
» di quel decreto, non si soUicitano le fortificazioni .
» di quella città contro di noi? Non si accresce il
21
» SUO porto? Non continua il presidio francese a go-
» vernarla? Non si niega al nostro ambasciatore La-
» sagna di aver accesso alla regia presenza? Non si
» concede invece frequentissimamente agi' inviati savo-
» nesi? Conoscendo io queste arti, nulla più sperando,
» tutto temendo da così insidioso e sleale governo,
» sciolto dal giusto, militare sacramento, ne ho la-
» sciato i servigi, nulla a me, tutto alla mia patria
» pensando, qui. Dio proteggendomi, mi sono con-
» dotto, E voi, cittadini, ed uomini valorosi consiglio,
» e muovo a liberarvi di tanta ignominiosa servitù,
» che non mai più fausta occasione, ne porse per con-
» seguire l'intento, forze francesi non sono in città
» che siano bastanti ad opporcisi; la regia flotta si
» mise in fiiga appiattandosi nel porto di Vado , il
» timore della peste, il difetto dei soldi, e l'assedio
» di Pavia, tiene lontani i rinforzi. Non vi sgomenti
» se scarsi noi siamo di soldati, che Iddio è là per
» tutelare la giustizia della sua causa e difendere i di-
» ritti degli oppressi, non temete, egli scudo e forza
» ci starà. E che? Non siamo noi sangue di quei
» liguri invitti che dal nulla levando , e d' angusto
» sito traendo questa città la fecero grande. ed illustre?
» Non aveano essi minori forze di noi quando Saraceni,
» Pisani, Veneziani, Greci e Aragonesi debellarono?
» Quando già tre volte cacciarono questo esoso go-
» verno di Francia? Animo adunque, o illustri discen-
» denti d' uomini invincibili e liberissimi, meco deli-
» beratevi alla magnanima impresa, esprimete al fine
22
» schiettamente quanto è il proposito vostro, e vivete
» sicuri, che io sono qui pronto a secondarvi in ogni
» modo, e quello eseguire che a voi piacerà di co-
» mandarmi. »
Ciò detto si tacque, e il silenzio per tutta la nume-
rosa assemblea dyrava, allorché sorse Francesco Fiesco
preside dei dodici Riformatori con cui venia dato l'uf-
ficio di raccogliere le diverse opinioni, ed egli fece
ai radunati particolare interrogazione se la perduta
libertà, e per aiuto divino, e per opera generosa di
Andrea Doria loro conceduta, volessero mantenere.
Al che riconoscendo favorevoli gli animi , aggiunse
essere mestieri sì grave negozio trattare in Senato,
per il che, si rimise al domani , nel quale giorno ma-
gistrati e popolo recaronsi nella gran sala del pubblico .
palazzo, e colà, presente il Doria, e dinanzi a maggior
moltitudine che non era quella del giorno antecedente,
rinnovandosi, ed inculcandosi i sentimenti medesimi
che il Doria aveva il di avanti espressi, si venne a
conchiudere che bene., e tosto il forestiero governo si
dovesse cacciare; fosse Andrea Doria decretato Libe-
ratore e Padre della Patria; si formasse l'unione di
tutti i cittadini, abolite le fazioni e le parzialità, vólti
in fuga li stranieri, venisse ordinato uno stato di tutta
la cittadinanza congiunta in un solo corpo, con leggi
accomodate e propri magistrati; distribuito il governo
fra i migliori, ripresa il Senato 1' antica autorità.
Avendo queste cose esposte il Fiesco, richiese i ra-
dunati dei loro pareri, e propose si procedesse ad una
2?
pubblica deliberazione col mezzo de' voti, rogandosene
atto solenne. Ciò accadeva il 12 settembre; che fii
decretato solenne per legge e festeggiato in appresso
come l'anniversario della ricuperata libertà. Il di 13,
rinnovavasi la stessa radunanza, presieduta dai due
magistrati degli Anziani e dei Riformatori, con tutti
gli altri, congiuntamente ai 400 del Consiglio Ordi-
nario. Ambrogio Senarega Segretario della Repubblica,
dava regolare forma alle proposizioni delle precedenti
adunanze, ne riassumeva il concetto, dimostrando, che
sebbene la città avesse ricuperata la sua libertà per me:(^^o
del chiarissimo e benemerito cittadino Andrea Boria, al
cui :(elo , ed alla cui condotta la Repubblica era grande-
mente obbligata, ciò nondimeno, sicure non essere le
cose, i nemici fortificarsi in Genova e Savona, ribelli
tuttora i cittadini di questa; Pavia assediata dai fran-
cesi, sareb*be in -breve caduta in loro balia, quindi le
armi che V avrebbero espugnata, rivolger ebbonsi a un
tratto contro di Genova; i contumaci Savonesi le rin-
forzerebbono, il funesto esempio potrebbe venire imi-
tato dagli altri popoli della riviera, armarsi gagliar-
damente era questo il supremo ed incalzante bisogno;
ed a ciò, essere di mestieri una ragguardevole quan-
tità di pecunia; e poiché il pubblico erario ritrovavasi
esausto, la carità de' cittadini dovervi sola sopperire,
considerando lieve tornare il sacrificio appetto di quello
che ne sarebbe ridondato loro di danno, se la patria
per essi lasciata senza bastante difesa, fosse invasa, e
spietatamente saccheggiata dai nemici.
24
Ad avvalorare quei sentimenti sorgeva Battista Lo-
niellino del fu Gerolamo, e con più stretto discorso
conchiudeva: si decretasse : i dodici Riformatori conti-
nuassero quanto aveano lodevolmente cominciato; per
altri mesi sei si prorogasse loro il magistrato; si con-
cedesse facoltà di recare a fine , e stabilire le nuove
leggi, i cittadini obbligare ad osservarle; si prò vedesse
ai gravi bisogni della repubblica, si costringessero tutti
a concorrervi presenti come assenti, non eccettuate le
eredità giacenti, coloro che spontanei non si presta-
vano, con suprema legge ne fosse fissata la parte;
Andrea Doria si pregasse la generosa impresa a voler
condurre al suo fine.
Queste proposizioni incontrato avendo 1'. universale
accoglimento^ si deliberò: si ponessero in iscritto, si
approvassero e stabilissero per legge ; locchè venne
tosto eseguito,
E siccome il Lomellino avea per il primo pòrto
l'esempio, offerendo la somma di mille scudi d'oro,
imitaronlo la maggior parte dei convenuti, e special-
mente Andrea Doria che ragguardevole somma versò
alla Camera.
VII. — Avendo in tal modo compiuto ai più im-
portanti uffizi dello Stato che voleasi ordinare, i Ge-
novesi si volsero a renderne per messaggi e per let-
tere consapevoli tutti i Principi cristiani. Scrissero quindi
al pontefice Clemente VII, a Carlo Imperatore, ai Ve-
neziani, ai Fiorentini e a molti altri Principi, Stati e
signori italiani, ma il più strano, se ne scusarono col
25
cristìamssimo di Francia per una speciale lettera indi-
rizzata a Benedetto Vivaldi e Gaspare Bracelli oratori
genovesi presso quel Re.
E dico essere strano, ed aggiungerò anche il modo
sfacciato, poiché la scusa, diceva fra le altre cose,
che il capitano Andrea Doria aveva quei fatti operati
contro il volere e opinione de* tutti j^ e benché altro aves-
simo in animo e solum fossimo intenti ala defen^^ione del
stato regio per il quale come sapete in ogni tempo e in
questo maxime havemo fatto quelo che si conveniva a veri
subdicti e afectuosi, visto la mente del detto Capitano la
quale in qualche tempo non era del tutto contraria alla
mente regia non potendo fare altrimenti. )) Indi si
soggiungeva: Questi sono li successi corno si é detto che
se vi denotano a ciò che possiate far noto a la Maestà
. X.fna del Re la verità loro cum la quale corno più presto'
potete preso il tempo accomodato, ritroverete, e narrateli
la verità de li successi , la supplichereti da parte nostra
a prendere le cosse seguite nel modo che in vero sono
state prima cum tutta nostra mala contentesa et escen-
tiale displicentia sen:(a simulatione alchuna, ecc. E più
sotto:
Cum queste e molte altre ragioni e justifica:(ioni che
adur poterete e che in fato tutte vere sono, fermamente
speremo, e cr edemo che Sua Maestà debia restar satiffacia
de casi seguiti poi che corno si l detto sen:(a colpa nostra
seguiti sono. Cossi la supplicarete da parte nostra e quando
tossa segua che la resti satisfacta lo havemo per gra:(ia
singolarissima e ne riporteremo quel frutto che la nostra
26
sincera^ fede e nostra vera servita verso Sua Maestà
ha in ogni tempo meritato, ecc.
Conchiudevasi: — Vogliamo credere che non vi biso-
gnerà descendere a simile pratiche quando come speramo
siate i primi che notificate a Sua Maestà li caxi seguiti,
e T ordine e il come, e la nostra bona mente, siate adunche
presti et persuadete Sua Maestà, la cita nostra esser af-
fectuosima de quela corona non obstante le novità seguite,
la quale se con retto judicio serano ben pensate si troverà
haver fatto noi supra vires per deffensione del Stato regio,
ma che contra il non potere bona volontà non basta re-
scrivendone con tutta la celerità possibile di quello havessi
fatto sperassi da fare (i).
Vili. — Ora queste parole scrivevansi dai dodici
Riformatori il giorno stesso 12 settembre 1528, in cui
il Priore di esso Francesco Fiesco, perorava pubbli-
camente dinanzi all' assembrata moltitudine la cacciata
del governo di Francesco I, dimostrava le ingiustizie
e le oppressioni di quello, mentre poco avanti Gio-
vanni Davagna del Corpo loro, si era mandato alla
Spezia quando vi si trovava il Doria, per informarlo
della loro risoluzione , tenendolo avvisato di quanto
operava il Governatore Trivulzio, sollicitandolo alla
meditata impresa , significandogli , secondochè nota
l'annalista Filippo Casoni: « Esservi dunque pericolo.
(i) Sulla Congiura del Conte Gio. Luigi Fieschi. Documenti
inediti raccolti e pubblicati dall' Avvocato Edoardo Bernabò Brea,
pag.. 129^ Doc. IV.
27
» che la città rimanesse oppressa, se il Doria, seguendo
» il suo costume e la solita pietà verso la patria non
» fosse venuto subitamente a farsi autore, ed esecutore
» insieme della di lei liberazione. Si assicurasse, che
» siccome erano a parte del medesimo disegno i mi-
» gliori e più degni cittadini , cosi concorrerebbero i
» medesimi a partecipare seco del pericolo e della
» gloria di quel tentativo » (i).
Oltreciò, allorché il Governatore francese, convo-
cato il Senato , mandava per questo quattro amba-
sciatori al Doria per intendere i suoi disegni e per-
suaderlo a non tentar novità, in segreto essi come
ne aveano avuto ordine dal Magistrato dei Riformatori
Io pregarono a perfe:(ionare V opera, con tanta sua gloria
e con si lieti auspici di felicità cominciata, di liberare la
patria, poiché sarebbe da tutti i cittadini seguitato il suo
coraggio, e applaudito il suo nome (2).
Ed egli rispondend© alle pubbliche rimostranze ,
apriva poi in segreto a Gio. Batta Doria uno degli
ambasciatori V animo suo, di volere ad ogni modo man-
dare in terra la sua gente, per aiutare i cittadini, a
scuotere il giogo della servitù, siccome sapeva eh' essi
desideravano.
Tutto questo ci fa bastantemente testimonianza che
quel moto non solo fu desiderato ed aiutato dai Rifor-
matori, ma presone dal Doria concerto con essi, i quali
(i) Casoni, annali della Repubblica di Genova, voi. 2, pag. 7.
(2) Casoni, loc. cit. pag. io.
28
adoperarono i più artificiosi e scaltriti modi affinchè i
rinforzi chiamati dal Trivulzio non rispondessero alla
chiamata , e la città fosse priva di difesa per meglio
cadere in balia del Doria.
Ora con qual fronte affermarono la loro virtù e
sincerità? Come potevano senza una ineffabile sfac-
ciataggine invocare la propria lealtà e il difetto delle
forze? Io non ignoro che a detta di Tito Livio, av-
valorato dalla politica autorità del Segretario Fio-
rentino: la patria si debbe difendere o con ignominia o
con gloria; ed in qualunque modo é ben difesa. Che
per sentenza del Vecchio C osimo dei Medici gli Stati
non si reggono con i pater nostri in mano. Ma la
smaccata impudenza e la manifesta viltà non fiirono
mai arte di stato, tanto più quando non giovando ad
alcun utile effetto, dimostrano ad un tempo la per-
fìdia e Tabbiezione di chi le adoperava inutilmente. Qui
non era come presso i Consoli romani, un esercito
da salvare, sebbene ignominiosamente, senza di che
scema d'ogni difesa ne sarebbe perita, la patria. E che
cosa mai potevano sperare i Riformatori scrivendo al
Re di essere sudditi fedeli, che erano solamente intenti
alla difesa del suo governo, e quanto era avvenuto,
incontrato aveva la loro mala contentezza ed essenziale
dispiacenza senza simulazione alcuna, il giorno stesso
in cui Francesco Fiesco, priore di essi, pubblicamente
al cospetto d' innumerevole moltitudine di cittadini ne
ingiuriava il governo e concorreva colla eloquenza delle
parole e coli' aiuto dei fatti all'impresa di abbatterlo?
29
Io non m' intratterrei tanto sopra di questo , se non
avessi in animo di esattamente dimostrare a quali
arcane fila fosse affidata con premeditato disegno
la famosa trama del Doria che si disse poscia della
ricuperata libertà, e come gliene venisse il nome di
Padre della Patria da colui che con palese macchia
del proprio, nella qualità di Priore de' Riformatori,
il giorno medesimo 12 settembre, quinci vergava al
Re Francesco bugiarde e vilissime parole, senza ra-
gione veruna di politica necessità, quindi pubblicamente
lo chiariva tiranno e ne affrettava la rovina del go-
verno.
IX. — Oltre i messi spediti a' Principi e Stati, di
cui più sopra ho fatto cenno, inviossi Ottaviano Sauli
al Conte di . S. Polo capitano dell' esercito di Francia
in Lombardia. Doveva egli rendere ragione delle deli-
berazioni dei genovesi, e com' essi si fossero ricondotti
a libertà; certificarlo dell' osservanza e del rispetto, in
cui tenevano tuttavia la persona del Re; pronti ad ogni
sbaraglio per la dignità e vantaggio di lui ; né potersi
recare ad ingiuria, se rivendicati eransi in libertà, alla
quale impresa soventissime fiate egli medesimo li avea
consigliati. Ma il capitano firancese ben lungi dal far
buon viso a queste parole , rispondea franco e mi-
naccioso:
« Avere i genovesi per lievi cagioni errato nel disco-
» starsi dal Re, immemori dei benefici ricevuti da esso,
» specialmente nell'ultimo rivolgimento, per cui, i
» suoi ministri trattati aveanli benignamente, e restituiti
30
» al possesso della loro libertà. Essere V accaduto, un
» ambizioso disegno del Doria il quale avea loro ap-
» piccato il proprio veleno facendoli entrare nei se-
» greti della sua macchinazione che da gran tempo or-
» dita contro la Francia, riusciva adesso di mandarla ad
» effetto colla rovina, e col pericolo di tutta Italia, con
» danno irreparabile di quei concerti, e di quelle spe-
ranze, che quasi tutti i Principi e le Repubbliche
d' Europa animarono al conseguimento di un equo,
indipendente governo. Ma il Re essere forte sulle
armi, e sebbene il rivoltarsi del Doria ne avesse
in mare rese periclitanti le sorti, ciò nondimeno,
un fioritissimo esercito tenere il campo nel mila-
nese ; apparecchiarsi il Re stesso nell' anno ve-
gnente a scendere le alpi, conducendo seco forze più
numerose e gagliarde, sicché mal potrebbe V Impe-
ratore, scemo d'aiuto, distolto per ogni lato dai molti
principi contro di lui collegati, bastare al peso e alla
mole di tanta guerra. Non potersi sperare, che la
fortuna sempre varia, si rimanesse costante, perocché
per un subito né preveduto avvenimento era stata
sforzata, dimostrando V esperienza, che là finalmente
corre dove consiglio più maturo , forze e giustizia
abbondano. E in tale condizione trovarsi il Re Fran-
cesco signore del più grande, bellicoso e fiorito regno
d' Europa, e al quale aderivano . i maggiori principi
del mondo, deliberati tutti, a riporlo nel dominio
di quelle provincie d' Italia che a lui appartenevano
per legittimo retaggio degli avi. A ciò chiamarlo il
. 31
» beneplacito del Pontefice , e il sentimento di tutta
» Italia, la quale vedea quali migliori destini potesse
» aspettarsi dalla Francia, anziché dalla Spagna e dal-
» r Austria, nemiche entrambe naturali della sua li-
» berta e della sua potenza. Commettere i Genovesi
» gravissimo errore nel porre loro fede nel Doria;
» costui ayere ordita una sottile trama di assoggettare
» a sé la Repubblica con false apparenze di libertà ,
» mentre gli antichi nobili ghibellini dei quali egli
» era, aveasi indubitatamente prefisso di ricondurre al
» governo, ad esclusione dei popolari; non sapersi
» persuadere com' essi non si accorgessero dell' in-
» ganno, ed anzi concorressero colla opera propria a
» meglio agevolarne V effetto. Volere il Doria fare di
» Genova un feudo dell' Impero, a lui ed alla sua fa-
» miglia investito , e l' Imperatore Carlo V un feudo
» di tutta Italia, i principi della quale avrebbero ad
» essere suoi vassalli. Tenessersi bene in mente co-
» deste verità per non averne poi a provare l'amaro
» fi*utto, provvedessero a sé medesimi, si riconcilias-
» sero col Re, unico modo che rimaneva loro di
» salute, egli si sarebbe prestato a mediatore di una
» felice riconciliazione, anteponendo questo desidere-
» vole ufficio a quello di esecutore dei regi risenti-
» menti. Imperocché, senza un pronto ed amichevole
» accordo, avrebbe tosto mosso 1' esercito suo vitto-
» rioso , resp feroce dalla prospera fortuna , alla più
» ostile e dolorosa invasione della patria loro ».
Queste cose risolutamente dette il Conte di Saint-Poi,
32
ordinava intanto venisse V ambasciatore genovese trat-
tato coi più cortesi modi, sperando di tal mezzo va-
lersi a conchiudere un onesto componimento tra il
Re e la Repubblica.
Ma in questa afFrettavansi le difese al vicino peri-
* colo; non isfuggendo che sciolto l'assedio di Pavia,
non potendo oggimai più essere termini di amichevole
accordo tra Francesco I e la città, di corto, V esercito
francese si sarebbe dagli apenjiini precipitato sopra di
lei. Laonde, di fuori, e di dentro lo Stato raccoglie-
vansi milizie; venivano settecento uomini di Corsica,
diverse compagnie dalle due riviere , tutti i nobili dalle
montagne soprastanti, dai loro feudi, traevano gente,
e in ispecie il Conte Sinibaldo Fieschi, il quale non
prevedeva di certo come aiutando il Doria in queir o-
pera, apparecchiava la imminente rovina della propria
famiglia; né tale previsione potea cadere in animo di
Lorenzo Cibo, cui la stessa sorte toccava, comecché
singolarissima cosa la é, che Gian Luigi Fieschi e
Giulio Cibo avessero a padri coloro che meglio d'ogni
altro colla potenza dei feudi, colle numerose forze e
colla copia del danaro che molto avevano, soccorrendo
alla povertà di Andrea Doria ne facessero grande la
fortuna a distruzione di sé medesimi.
Essendosi d' ogni parte siffattamente ritratti i più
efficaci aiuti da . presidiare non solo l'interno, ma da
uscir fuori occorrendo alla campagna, si attese a strin-
gere di rigoroso assedio la fortezza del Castelletto,
chiudendone ogni accesso per i soccorsi.
33
X. — Antichissimo è questo luogo del Castelletto,
e sebbene in seguito fu parecchie volte accresciuto ,
circondato di mura e di fossi, e quasi sempre in ogni
rivolgimento politico , distrutto , tuttavia il Castello ,
propriamente detto il Castelletto, deve avere preceduta
la formazione dello stesso Comune genovese. In un
atto del 1 145 , in cui è fatta menzione del pia7io di
Castelletto, vertendo quistione per quello tra i Consoli,
e i Monaci di S. Siro, si legge che Alberico abate di
questo, produceva una carta di donazione donde risul-
tava che il Castelletto dal Vescovo di Genova già era
stato dato alla chiesa di S. Siro; che però i due pre-
cedenti Consolati (1143-44) aveano sentenziato appar-
tenere al Comune, ed ora per queir atto, V abate coi
monaci pagavano spontaneamente ' ad esso Comune
lire 60 di danari genovesi per poterlo ritenere, mentre
il piano interposto a' confini determinati nell' atto, ri-
maneva in proprietà di quello. Non sarebbe quindi
temerario il congetturare che il Vescovo 'quivi avesse
le sue più antiche abitazioni, e per avventura il feu-
dale dominio , quando la popolazione , per timore e
pericolo delle infestazioni saracinesche dal littorale
dove prima soggiornava si volse alla collina, e il ca-
stello e palazzo di S. Silvestro sorgesse a residenza
dell' Arcivescovo allorché, cessato quel timore e peri-
colo si ricondusse dalla collina al mare. È questo un
argomento di molta importanza che bene studiato po-
trebbe dare gran lume sui primi governi di Genova,
vedano i dotti del mio paese come possano rischia-
3
34
rarlo , che io noi posso , tirato dalla molta materia
che mi fa forza.
Un' antica torre pertanto esisteva sovra questo piano
e chiamavasi il Castelletto, cinta da un forte muro, e
da un alto fosso all'intorno, quando nel 140 1 il Ma-
resciallo di Bonciquaut che tenea il governo di Ge-
nova in nome di Carlo VI Re di Francia, per sicu-
rezza del dominio forestiero ampliò quella torre, ridu-
cendola a vera forma di castello con muraglie grosse
e forti, e in mezzo una seconda torre, e due altre
all' estremità del nuovo muro di cinta , minando la
chiesa di S. Onorato contigua al piano dichiarato
neir atto del 1 145 di proprietà del Comune, ed ordi-
nando che dentro il castello venisse ricostrutta. L' an-
nalista Giovanni Stella lodò quell' opera, che pure for-
tificava il servaggio straniero, con sette esametri latini
di pessimo gusto, i quali dicevano: che questa rocca
eccelsa soprastava a Genova conservando le ragioni e
i diritti del Re dei Franchi, edificata dal magnanimo
Giovanni Lemengle, regio Maresciallo Governatore,
solerte oltre ogni umana natura, cultore della pace e
dell' equità, che quindi doveva Genova esultare beata
sotto di cotanto monarca.
Ma questa beatitudine a' Genovesi tornò molesta,
e il 1409 avendola veramente a schifo y cacciarono il
governo firancese, e data la battaglia al Castelletto lo
ebbero in breve in poter loro. Di un' altra siffatta
beatitudine si purgarono il 1435 quando il Duca di
Milano Filippo Maria Visconti, sotto di cui erano i
35
Genovesi , la segnalata vittoria riportata da essi nelle
^ acque di Ponza, facendo prigioniero lo stesso Alfonso
Re d* Aragona, converti a loro disdoro, restituendo a
costui il regno e Genova iniquamente privando del
frutto di tanto valore. Fu allora che il suo governa-
tore Opizzino d' Alzate venne a furore di popolo uc-
ciso, ed Erasmo Triulzio * riuscito a salvarsi nel Ca-
stelletto , vi fu assediato , combattuto e costretto ad
arrendersi, e la fortezza senza dimora distrutta. La
maledizione delle parti trasse di bel nuovo la Repub-
blica sotto il dominio forestiero di Gian Galeazzo
Sforza Duca di Milano il 1464. Il quale non osser-
vando i patti della cessione, seminando odii e discordie
fra nobili e popolari, né abbastanza di tal mezzo sicuro,
venne in deliberazione di volere accrescere la fortezza
del Castelletto fino al mare minando e deformando
tutti gli edifizi interposti, acciocché per questa via le
potesse col mare dare, soccorso, e cosi vendicarsi il
libero dominio di Genova. Ma appena se ne scava-
vano i fondamenti, che il popolo dato di mano alle
armi, obbligava il Governatore a starsi rinchiuso, né
più comparire in pubblico. Mandavansi ambasciatori
al Duca per dissuaderlo, facendogli presenti le male
soddisfazioni del suo governo, il danno della città, il
disonore del popolo. Era loro ritardata V udienza,
per cui uno di essi Francesco Marchisio Dottore,
inviava a Galeazzo un vaso pieno di basilico. Il Duca,
non sapendo che si volesse significare, conoscendo ad
un tempo la saviezza del Marchisio, gliene chiedea la
36
ragione. E quegli; la natura de* Genovesi, signor Duca,
rispondea, é simile al basilico, il quale dolcemente ma-
neggiato odora, aspramente^ pu:(^a e genera scorpióni.
Queste parole, lo muovevano a soprassedere, mentre
per suo ordine gli si spedivano altri otto ambasciatori,
i quali liberamente sponevangli, che: «. Né guerra, né
» armi, né forze aveano sforzato i genovesi a mettersi
» sotto la sua protezione^ che però pensassse, che né
» i soldati , né gli apparati di guerra , né la fabbrica
» di una nuova fortezza, bastavano a far quello che
» faceva la loro volontà. » Rimetteva egli allora in
arbitrio di essi V incominciato lavoro, e il popolo con
indicibile ardire accingevasi a distruggerlo dai fonda-
menti aggiungendovi lo scherno, e i motti pungenti
contro il Duca , il quale pentito della fatta conces-
sione e parendogli menomata la sua autorità, alle-
stiva un esercito per ripigliare colla forza quanto gli
avea tolto la viltà dell'animo suo. Ma correndo il di
26 dicembre del 1476 Y iniquo signore veniva da tre
nobili giovani milanesi pugnalato, la città si liberava
da quel governo , e la fortezza del Castelletto rima-
neva senza T accrescimento che il popolo aveva impe-
dito. Ora nel 1528, pare che avesse un triplice cerchio
di muraglie tortuose con ispessi baluardi, le quali rac-
chiudevano la sommità del Colle, ovvero il Castelletto.
Questo Colle avea un braccio , ove finiva il monte
Peraldo , oggi Castellaccio , nel cui declive verso la
città innalzavasi, sovrastando al porto, e alla città
tutta che divideva quasi in due parti, quinci termi-
37
nando alla chiesa di S. Siro vicino al mare , quindi
riguardando il monte del Castellaccio , ed aprendo in
tal modo l'ingresso a chi volesse introdursi nella
città. Neir erta del Colle, di mezzo a due recinti sor-
geva r antica torre , le di cui mura al di fuori mo-
stravano fondamenti grandissimi e mole smisurata.
Questa fortezza ridotta dal maresciallo Bonciquaut a
stato più ampio e gagliardo, ebbe successivi accresci-
menti da tutti coloro che tennero la signoria di Ge-
nova, quantunque sempre interrotti ogni qualvolta il
popolo rivendicava la pristina libertà. Apertesi le vie
nuova e nuovissima, il Castelletto perdette quelle opere
avanzate che mettendolo in communicazione col mare,
partivano in due la città. Giaceva quasi di nessun mo-
mento sotto gli ultimi tempi della Repubblica, né il
governo francese di Napoleone I. V ebbe in cale fa-
cendolo sicuro da ogni tumulto popolare la sterminata
sua potenza. Restauratesi quasi interamente le antiche
sorti d' Europa, Genova unita ai regj dominii dell' au-
gusta Casa di Savoia, fii creduto savio di accrescere,
e con nuove opere ringagliardire l' esosa fortezza ,
ma nel 1848 il Re Carlo Alberto concedute le firan-
chigge costituzionali a' suoi popoli, il Castelletto fu
smantellato, discatenato ed uguagliato al suolo, sicché
dove sorgeva il temuto propugnacolo della straniera
tirannide , torreggiano adesso cittadine abitazioni bel-
lissime, che hanno reso quel luogo ridente di nume-
rosa ed agiata popolazione.
Teodoro Triulzio essendo't'isi allora rifuggiato scar-
38
saggiava di gente e di munizioni, sia per la pesti-
lenza che aveva assottigliata la prima, sia perchè
abbindolato dalla balia de' Riformatori , non gli era
riuscito di ricevere i rinforzi, sebbene già ordinati e
partiti, del Conte di S. Polo. Ora, versando in peri-
colose condizioni, questo sollecitava a prestamente
accorrere in suo soccorso con tutto V esercito , o al-
meno tremila fanti mandargli, sperando con essi di
ripigliare il governo della città.
XI. — Nella quale fervendo l'opera della difesa, fu
deliberato dal Senato, adunato nella Casa di S. Giorgio,
che tosto si riscuotessero i tributi sopra le case, come
provvidenza da straordinaria necessità voluta, e decre-
tatisi ad un' anime suffiraggio 9000 luoghi di banco,
ordinossi il subito attacco del Castelletto, affidandone
l'impresa a Filippino Doria. Ed egli essendo il di vi-
gesimo ottavo di settembre, un'eletta mano conducendo
di giovani genovesi , si accinse all' oppugnazione. Il
medesimo Andrea Doria accompagnato da molti pa-
trizi ne porgeva imitabile esempio ponendo mano alla
fune di un cannone di bronzo e prendendo a trarre
colà ove la strada volge a S. Rocco.
E siccome il Magistrato dei dodici Riformatori più
non bastava all' uopo , cosi fu creato un novello che
dall'uffizio cui venia destinato, ebbe il nome dei
Prefetti della Guerra, Primi in esso furono Ansaldo di
Baldassarre Giustiniano, Geronimo di Tobia Lomel-
lino, Stefano Spinola di Borgo, e Giovanni Franchi. A
Domenico Giustiniani Qrechetto con altri capitani si
39
diede danaro per arruolare soldati, e la difesa dell' oc-
cidentale riviera. La città, perchè meglio ne fosse age-
volato il presidio, si divise in quattro regioni, che si
affidarono a quattro capitani: Bartolomeo Imperiale
Ballano , Vincenzo Francesco Pelliccione , Nicola di
Giorgio Grimaldi e Paolo Battista Calvi Giudice.
Mentre queste cose ordinavansi , sforzavasi Pavia
da' francesi, saccheggiavasi ferocemente colla uccisione
di molti suoi cittadini, di guisachè il Conte di Saint-Poi,
come avea promesso all' ambasciatore Sauli con cele-
rissima mossa levava l' intero esercito alla volta di
Genova, e già sopra di questa pendeva. Il governo
facea decreto che donne, bambini e vecchi con quanto
di beni poteansi portar seco , si raccogliessero sulle
navi e barche delle riviere , a ciò destinate. E ciò si
voleva , non tanto per riporre quei preziosi pegni in
luogo più sicuro , quanto per togliere ogni esca più
agognata a' soldati stranieri. Tutti gli altri, sia geno-
vesi, sia liguri dal i8.° al 50.° anno doveano prendere
le armi; il Castellacelo difendeva con 200 fanti Got-
tardo Borasino Corso, lo stesso che disertando già le
schiere francesi, cui serviva, e abbandonando fraudo-
lentemente la porta dell' Arco, si era dato al Doria.
Da quattro lati collocate le artiglierie, il di trente-
simo di settembre Filippo Doria cominciò a battere il
Castelletto; ma il nemico a grandi passi accostandosi
alla città, i genovesi vennero costretti ad interrompere
r attacco.
Imperocché, superate i francesi le pendici degli Apen-
.40
nini , l'antiguardo loro già scendeva a Rivarolo , e i
genovesi mossisi con singolare audacia contro di essi,
non pochi ne trassero prigionieri in città; locchè in-
fiammando gli animi de' cittadini, con nuova sortita
proruppero entro gli .stessi alloggiamenti nemici. De'
prigionieri, i firancesi destina vansi alle galee , i liguri
sospendeansi col laccio ai verroni del ducale palazzo,
ed un breve ponendo loro al tergo che dicea: Per tra-
dimento alla patria. E poiché, non ignoravasi che molti
de' genovesi i quali studiavano le diverse parti, mili-
tavano nel campo francese, cosi getta vasi il bando,
che quanti essi fossero^ fermato il termine di 24 ore
tornassero in Genova; dove disubbidissero, si chiaris-
sero nemici, s'incamerassero i beni, a capitale pena
'si dannassero le persone; chi li uccidesse duemila
scudi d' oro si riportasse se delle famiglie Fregoso ed
Adorno; se delle ventotto nuovamente elette a comporre
la genovese nobiltà, mille; duecento se delle rimanenti.
A me par bene notare coteste differenze, essendo che
ci fanno piena fede del sincero intendimento del Doria
che interamente muoveva il nuovo stato di cose, e gli
bastava il cuore di mettere al prezzo di duemila scudi
la vita de' suoi stessi benefattori, quali erano i Fregosi,
che pure lo aveano raccolto, educato e tratto di po-
vertà , tanto è vero che i grandi benefici colle grandi
ingratitudini si compensano!
Cosi essendo le cose , cadendo la notte del primo
ottobre, un Araldo con un trombetta inviato dal campo
francese si presenta alla porta di S. Tommaso e dato
41
il segno; chiede di venire introdotto al Supremo Magi-
strato. Annottando di già, gli si rispose di attendere
la domane, come fu sorta V aurora, ragunatosi il Se-
nato , ordinate le milizie lunghesso la via che dovea
trascorrere, venne ammesso al cospetto di quello, ed
il Trombetta con favella francese, usci in questi accenti.
« Uomini genovesi, il mio generale conte di S. Polo,
» legato del cristianissimo re in Italia, mi ha dato il
» comando di accompagnare il presente ambasciatore,
» ed egli , concedendogU voi autorità di p-arlare , vi
» dirà le ragioni per le quaU di qui recarci a noi
» fu imposto ».
Accordata la richiesta facoltà, V Araldo , cosi prese
a favellare: « Genovesi, il Conte di S. Polo m'in-
» giunse che a voi ambasciatore mi conducessi , per
» conoscere se al cristianissimo re principe e signor
» vostro legittimo , da cui vi allontanaste , vi piaccia
» di fare ritorno, e con esso lui riconciliarvi; la qudl
» cosa dove per voi venga fatto, promette con ispec-
» chiata fede di accogliervi benignamente, come altra
» volta , e prima d' ora vi tenne , e fervidamente vi
» esorta a farlo, per V amore eh' ei nutre alla vostra
» città. Che se perdurar vi avvisate nella presente
» contumacia , io a nome del Re , estrema , e crudel
» guerra. v'indico. A quale consiglio appigliar vi con-
» venga, considerate e scegliete; »
n preside de' Riformatori sorgeva allora, ed alta-
mente esclamava: « Cittadini udiste, quali le volontà
del cristianissimo Re, rispondete, ne avete il diritto.
42
se no, noi, ai quali testé conferiste i più ampi poteri,
risponderemo.
' Fu un terribile rumore di tutta quella moltitudine
che le parole dell' ambasciatore e del preside sufFocava,
quindi il segretario Ambrogio Gentile Senarega, otte-
nuto alfine silenzio, le dette cose facea palesi all' adu-
nanza, chiedendo si rispondesse - Libertà - Una sola
voce di tante come ruggito di leone , usciva da tutti i
lati della sala , al quale suono quasi rimbombo d* ar-
tiglierie, pareva andarne sossopra il palazzo. Cessato'
il rumore. Agostino Pallavicino, uno dei dodici Ri-
formatori, sorse a dar la risposta per consenso loro:
« Stupore ci ha mosso ciò che dicesti o Araldo ,
tanto più , quanto la repubblica nostra sempre la
maestà del tuo re, ebbe in onore e venerazione.
Noi per difenderla, innumerevoli mali abbiamo sof-
ferti, che a parole narrar non si possono. E ben egli
si ricorda il funestissimo saccheggio, e i tanti gra-
vissimi danni in terra ed in mare, i quali perchè a
lui notissimi, meraviglia ci fa che usciti li sieno di
mente. Perchè ora ci chiarisca le presenti ostilità,
spiegare non ci possiamo, comecché abbiamo per
fermo , che ninna ingiuria ad alcuno recammo , se
coir animo cupido, né tralignato, quella libertà vo-
lemmo rivendicarci , che gli ottimi sospirano , gli
oppressi anelano è tutti desiderano , se liberi in-
somma volemmo colle patrie leggi governarci e
vivere ordinati a quello stato, a cui il cristianissimo
istesso ci fé' atiimo. Va pertanto, e di' al tuo ca-
43
» pitano che in nome del suo e tuo Re a noi ti manda,
» che aflSdate alle navi le sostanze, le madri, le con-
» sorti, i bambini, le più preziose cose nostre, noi
» qui rimanemmo per meglio difendere la patria no-
lo stra, che il suo esercito nulla troverà che ne invogli
» la ingordigia, che attragga la rapacità, all' infuori dei
» petti nostri gagliardissimi, pronti e deliberati a so-
» stenerne e propulsarne le offese, poiché o qui con-
» servare la libertà, o qui tutti abbiam deciso di
» seppellirci sotto le rovine di quella. Che se tale
» risposta non basti, e ancora ingius^ desiderio lo
» vinca di provare le armi sue contro un valoroso
» popolo , gli rammenta , che Ludovico Re suo pre-
» decessore , non ha molti anni , asssediandoci con
» oste ben maggiore, fidando nella fame e nel bi-
» sogno, e nella discordia cittadina , ebbe a sentire i
» più pericolosi effetti dall' avere tratte le numerose
» sue coorti fra le dirupate strettezze dei nostri monti,
» p/er cui di tanto esercito poco mancò che orribil-
» mente assottigliato, non fosse vergognosa la scon-
» fitta. Ora, questa è la considerazione che noi fac-
» clamo, questa la scelta ».
Ciò detto Agostino Pallavicino si tacque , e T A-
raldo , brevi parole ancora aggiungendo proruppe :
« Uomini genovesi , fate ragione se sotto larva di
» libertà, non si ceU qualche novello giogo, o servitù,
«
» se peculiare interesse d' alcuno non vi spinga in
» crudeli angustie e tanto più lunghe e insuperabili,
» quanto più lusinghiere ed astutamente preparate ».
44
Senti la puntura il Doria , e acceso di forte ira ,
deposto il consueto contegno di prudenza e tranquil-
lità che non mai da lui scompagnavasi: « In Francia,
» esclamava , o Araldo , non in Genova trovansi i
» seduttori e gì' impostori. A lui, che qui ti manda ,
» di' pure, che i Genovesi per la difesa della ricupe-
» rata libertà spregianp sacrificando la vita. Ben venga,
» con tutto il suo esercito, all' oppugnazione delle no-
» stre mura, con i quali abbia a provare le armi sue,
» ti do fede io , che gli fia dato di accorgersi in
» breve. »
Partiva l' Araldo colla scorta di alquanti cittadini, e
si usava 1' artifizio di collocare la maggior copia de'
soldati che si avevano, lunghesso le vie che trascor-
rere doveva; sicché giunto al campo ebbe a narrare
meravigliando il numero degli uomini che presidia-
vano la città.
XII. — Correva il 15 di ottobre, quando levavasi
il rumore che il retroguardo francese, varcati i gioghi,
e i cavalieri superato il promontorio accostavansi vi-
cinissimi alla città, ed una e più valorosa schiera di
essi alla parte orientale , ponea il campo verso il Bi-
sagno. A siffatto annunzio, sferrava il Doria 500 schiavi
delle sue galee, e avendo loro date le armi prometteva
la libertà dove tratto prigioniere un francese si fosse
posto in luogo di ciascuno di essi. E già quei dispe-
rati correvano alla battaglia , ma falso era il grido e
richiamaronsi tosto. I soldati più vicini al Bisagno
aveano avuto oi«dine di scoràzzare pria dell' alba i cir-
45
costanti monti, sicché udito il rumore de' tamburi fu-
rono riputati francesi che scendessero alla pianura.
Senonchè il Conte di Saint-Poi ben altro disegno
volgeva in mente; per difetto di danaro, non si tro-
vava egli in tutto che quattromila fanti de' suoi ,
quelli condotti da Montigian , e mille mandati dal
campo con Niccolò Doria ; singolare contrasto , che
mentre Andrea si era tolto agli stipendi di Francia
per raffazzonare la Repubblica a suo modo sotto la
protezione di Spagna, Niccolò, venia contro la patria
per toglierla a questa e riporla sotto di quella , en-
trambi della stessa famiglia, ma l'uno più valoroso,
r altro più astuto. Si aggiunga che quei pochi che al
capitano francese rimanevano , si andavano per le
continue diserzioni scemando, talmentechè, disperato
dell'impresa, mandò Montigian con trecento fanti a
Savona, la quale già avendo cinta di rigoroso assedio
i genovesi, e con le trincee per ogni parte chiusa,
non riusci loro di entrarvi. Per tutte queste ragioni
fece egli consiglio a dieci di ottobre di ritirarsi in
Alessandria, indi a Senazzara tra Alessandria e Pavia,
dove, quasi del tutto abbandonato dalla sua gente, si
abboccò col Duca di Urbino capitano generale della
lega, col quale si andò consultando delle comuni fac-
cende. Dimostrò il Duca che tra i Veneziani e lo
Sforza di Milano appena si aveano quattromila fanti,
mentre Antonio da Leyva Capitano di Carlo V. tra
Milano e fuori , numerava quattromila tedeschi , sei-
cento spagnuoli e 1400 italiani, pronti ad ogni sba-
46
raglio. Fu pertanto d' accordo deciso , eh' egli sareb-
besi ritirato in Pavia, e San Polo in Alessandria, pro-
curando colà di soldare nuovi fanti, e poi se aiutassero
i tempi , volgersi contro Abbiategrasso , Mortara e il
castello di Novara.
La levata del nemico campo, sentitasi in Genova,
non pochi accingevansi ad inseguirlo e Filippo Doria
per obbliqui sentieri , e per le góle dei monti volea
chiudergli il passo, ma quell' ardore venne frenato da
più savio consiglio, col noto adagio che a nemico che
fugge un ponte d' oro.
Cionondimeno , li abitanti della Polcevera, di Sestri
e del Bisagno , postisi suir erta più scoscesa dei loro
monti colle artiglierie che aveanvi a grande fatica
recate, e coi sassi, recavano un grave danno a' fran-
cesi, quando specialmente riputandosi sicuri riposavansi
fra le anguste strette degli apennini e nei torrenti;
né pochi pigliavanne prigionieri, che spaventati e col-
piti dal grandinare delle pietre, gettate le armi sì da-
vano alla fiiga. Il perchè, volendo il senato rimunerarne
r amor della patria e la prodezza fece decreto che per
tre anni concedeva immunità ed esenzioni ai popoli di
Polcevera, Sestri e Bisagno.
Liberata la città .dal timore dell' esercito di Francia,
si <iava air espugnazione del Castelletto , edificavansi
batterie, preparavansl mine, divisavansi gli assalti. Dal
che tutto commosso il Governatore T^ìulzio che né di
vettovaglie e di uomini, né dei soccorsi oggimai più
nudriva speranza, si die a trattare la resa. Largheggiò
47
a lui la Repubblica ne' patti; avesse l'uscita libera
colla soldatesca e coi bagagli, e fosse provveduto di
some e di scorte per condur quelli in .sicuro. Occu-
pata la fortezza, lasciati illesi alcuni bastioni che pro-
minenti verso la città, ne difendevano il recinto, venne
il resto a furore di popolo schiantato dalle fondamenta.
XIIL — Oggimai Savona sola restava, e 1' esercito
che trovavasi a guardia della città, uscito d' ogni altro
incarico venne avviato colà. La somma della guerra
fii data ad Agostino Spinola e Filippino Doria; tribuni
della milizia Andrea Giustiniani e Stefano Spinola di
Borgo. Il di 21 di ottobre poste in ordine tutte le
forze , disponevansi a combattere le mura, e già da-
vasi il segno dell' attacco, quando i savonesi, non po-
tendo più fare assegnamento veruno sopra gli aiuti di
Francia, e vedendosi esposti a discrezione e al sac-
cheggio dei vincitori , mandarono ambasciatori a trat-
tare la resa. Si convenne : che se fra sette giorni non
giungessero loro tali soccorsi che obbligassero i geno-
vesi a ritratta, e a sgombrare l' assedio , cederebbero
la città coli' abbandono delle persone e de' beni in
mano de' vincitori, eccettuati gli averi del R. Legato,
le macchine e le artiglierie del Re allogate in Savona.
Questi patti 1' una e 1' altra parte • avendo conchiusi ,
si ricevettero dai genovesi gli ostaggi di Savona e se
ne accomiatarono gli ambasciatori. Appena se n' ebbe
in Genova la itDtizia che il Senato vi spedi Andrea
Doria e Sinibaldo Fiesco affinchè pigliassero in nome
della Repubblica il possesso della terra, ed essi adem-
48
piendo al mandato, e fatto V ufficio loro , la custodia
ed il governo commisero ai presidi Battista Cattaneo
Lasagna e Battista di Stefano Lomellino.
Essendosi in tal modo ricuperata Savona, fii grande
quistione nei consigli del governo, sopra le sorti de'
suoi abitanti. Due erano le parti , V una portava opi-
nione di smantellarla e i più colpevoli dannati all'ul-
timo supplicio, i rimanenti in altra stanza si traslocas-
sero; fondavasi questa opinione sopra i passati fatti,
sulla contumacia continua de' savonesi, sulla slealtà
loro, sulla impossibilità di ridurli a più sano consiglio,
sulla necessità di fare tranquilla la Repubblica, i/ de-
lenda Cartago serviva di autorità a cotesto partito, del
quale mostravasi campione Giambattista Defornari ,
uno dei dodici Riformatori.
L' altra parte, opinava che posti i savonesi in condi-
zione di non potere in avvenire essere più di nocumento
alla Repubblica , recidendone i nervi cosi delle forze ter-
restri, come delle marittime, si dovessero del resto trat-
tare con mansuetudine e clemenza; e di questa opinione
singolare propugnatore appariva Pallavicino, parimenti
uno dei dodici, e colui che con decoroso ardimento avea
risposto testé all'Araldo di Francia. A chi conosce l' ar-
tifizio di tali consulte si parrà di leggieri, che volendo
deliberare quanto poscia si operò a rovina delle mura
e del porto di Savona, era ben d'uopo per riuscire
a questo di minacciare il molto, e servirsi forse di
un popolare cui ricadeva l' odiosità della peggiore
sentenza, per lasciare ad un nobile il merito della più
49
mite. Infatti il Pallavicini la vinse sul Defornari, e la
maggior parte de' consiglieri piegò al suo parere; indi
fu decretato:
i." Che senza licenza espressa del Podestà, i savo-
nesi non potessero mai più in avvenire convocare i
generali consigli.
2." Che uguagliate al suolo venissero le mura della
città, quelle dello Sperone specialmente.
3." Che il porto si colmasse con barche piene di sassi.
4." Che i principali nobili di Savona col Corpo della
città rappresentato dagli anziani, dovessero recarsi in
Genova , donde non potrebbero partirsi senza aver
dato prima sicuro pegno della loro fede.
Domata Savona, scriveva V inviato Ottaviano Sauli
da Milano a Domenico suo fratello; esser colà giunte
le prospere nuove, quindi necessario di appigliarsi alla
neutralità mandandola ad offrire a Venezia, e del modo
di ottenerla si sarebbe rilevato da quanto egli stesso
se ne apriva con Andrea Doria; senonchè venia scritto
a Milano che a Genova si dovea fare una grossa rac-
colta di gente per invadere lo stato dello Sforza e
cominciare a Gavi e Novi senz' altro. A lui pareva
questo un grandissimo errore, perchè non sarebbe
tale la via da potersi guadagnar gli animi del resto
d' Italia, ma di voler soggiogarla interamente alla Maestà
Cesarea. E perchè questi colpi non si poteano dare a
Qiisura, in questo gli sembrava che consistesse V er-
rore, quando le cose fossero cosi passate. Essere suo
avviso che fosse consiglio migliore di mantenere an^
50
Cora per qualche giorno la neutralità e non disperare
il Duca di Milano e i Veneziani i quali desideravano
il bene dei genovesi e lo avrebbero meglio operato
mentre che s' era Savona ricuperata. Ma , soggiungeva,
che se si ammettesse gente cesarea a Genova per farla
passare in Lombardia, sarebbe questo uno stesso che
far disperate le cose e ridurre gli amici a nemici, oltre
il pericolo di far V Imperatore tanto grande che i gè-
novesi medesimi avrebbero dovuto interamente rima-
nere a sua discrezione.
In questa lettera faceva ancora sentire 1' obbligo di
ricompensare adeguatamente un cotale Ruschino, che
avea per avventura indotto in errore il capitano fran-
cese Montigian il quale mandato da Saint-Poi con
trecento fanti a Savona, non era riuscito ad entrarvi,
ed ora, scoperto 1' occorso, il Ruschino trovavasi per-
seguitato dai francesi, per cui era stato costretto ad
uscire dalle loro compagnie , per la qual cosa pareva
al Sauli che la Comunità avrebbe dovuto dargli in
rimunerazione scudi 50.
Temeva del resto che non si facesse dì là qualche
colpo di gran momento a loro danno perchè pregava
di essere per sua norma di tutto avvertito. A nulla
tornarono siffatti consigli; ed il Sauli correndo peri-
colo di trovarsi esposto a tutti i danni di una sinistra
politica, ebbe per il meglio di ricondursi di cheto in
Genova (i).
(i) Documenti inediti pubblicati per 1* avvocato Edoardo Ber-
nabò Brea, pag. 124.
51
XIV. — Sebbene domata Savona , rimanevano ri-
bellate tuttavia oltre giogo le terre di Nove , Ovada e
Gavi. Teneva la prima madama Origo de' Conti Gam-
bara di Brescia, vedova di Pietro Fregoso, la seconda
la famiglia Trotti, la terza il Conte Antonio Guasco.
Si elessero all' impresa Commissari generali dell' armi
Agostino e Bartolomeo Spinola, e provveditore del
campo Battista Pinello di Adamo. Questi con buona
mano di milizie mossero contro di Ovada, i Trotti
vi faceano resistenza vigorosa, ma piantatevi dinanzi
le artiglierie furono costretti ad uscirne. Si volgeva
allora all' espugnazione di Nove, e il tradimento della
famiglia Cavanna la diede loro in mano; rimaneva
Gavi, ma per questo non fu mestieri di forza poiché
il conte Antonio Guasco s'indusse di leggieri ad ab-
bandonare la rocca ricevutane in compenso una di-
screta somma di danaro, la quale per lo stremo della
pubblica finanza non potendo essergli pagata, il dominio
di Gavi si cedette all' ufficio di S. Giorgio facendosi
scrivere a credito di Antonio Guasco Luoghi mille
nel banco di quello, che vi spedi a Commisari per
pigliarne il possesso, Geronimo Defornari e Gio. Batta
Lercaro del fu Domenico.
CAPITOLO SECONDO
Riforma delle leggi oprata da Andrea Doria ; istituzione dei 28 tAlberghi, prima ori-
gine di essi; tentativo fatto dai Francesi per assalire e sorprendere la città, va-
lorosa difesa di Andrea Doria; ordinamento delle milizie cittadine, trattato tra
Giano Fregoso per tornare Genova sotto il dominio del Re di Francia; luttuose
condizioni d'Italia; trattato di Barcellona tra Clemente VII e Carlo V; di
Cambray tra Carlo V e Francesco I; turpe abbandono fatto da entrambi dei
loro alleati ; Andrea Doria con i j galee trasporta l' Imperatore da Barcellona in
Genova; suo ricevimento solenne, ed alloggio nel pubblico Palazzo; incorona-
zione di lui in Bologna a re d' Italia ed imperatore per mano di Papa Clemente VII ;
quistione di precedenza tra gli ambasciatroi genovesi e il senese; spedizione di
Andrea Doria contro Federico Barbarossa Signore di Algeri, e di Michele Defer-
rari contro un corsaro di Valenza; provvedimenti per meglio fortificare la Città
e leggi diverse finanziarie , sommarie e politiche emanate dal nuovo governo; Am-
basciatori inviati dalla Repubblica al Duca di Milano, e al Re di Francia affinchè
i mercanti genovesi vengano riammessi a commerciare nei porti della Provenza e
del Delfinato.
XV. — Sgombro era il ligure suolo d' ogni fran-
cese Signoria, volevasi quindi ordinare a nuova forma
di stato , e questa dovea naturalmente essere conforme
alle ragioni, e alle ambizioni di chi operato aveva -cosi
memorabile rivolgimento. Il maggiore studio stava in
ciò che a' diversi interessi era mestieri indirizzare quel
mezzo, e quello scopo medesimo già serviti in addietro
ad altro governo. E qui è d'uopo riconoscere il molto
53
e destro ingegno di Andrea Doria che perfettamente
vi riusci. Ricordiamo che sotto il dogato di Ottaviano
Fregoso , per generoso disegno di questo ottimo cit-
tadino si divisava di fare 1' unione di tutti i cittadini,
tolti via i vari colori delle fazioni, e la Repubblica in
una sola forma di reggimento popolare , appianate le
disugguaglianze , ordinare ad un intero corpo di cit-
tadinanza. Cotale divisamento non fu più intralasciato,
sebbene allora turbato ed interrotto per opera dell' ar-
civescovo Federigo Fregoso fratello di Ottaviano , il
quale si accorse come i nobili 1' avessero tutto vòlto
a proprio profitto. E di vero , essendo la Repubblica
sotto la dominazione di Francia , tornò in onore , e
concorrendovi lo stesso Governatore Triulzio, si eles-
sero dodici Riformatori, i quali ebbero gradatamente
l'incarico coi più ampj poteri e sotto il velo di ope-
rare la concordia e V unione dei cittadini, di riformare
con piena balia lo Stato. Per riconoscere che stato
voleasi da essi apparecchiare, basterà il notare che di
dodici quanti erano, tre appena si annoveravano* della
fazione popolare, e per conseguenza non potea dubi-
tarsi quale unione di cittadini avrebbe dovuto uscire
da uomini siffatti che appartenevano per tre quarte
parti alla nobiltà feudale (Fieschi, Spinola, Doria, Pal-
lavicini, Centurioni, Lomellini, Grimaldi, Demarini e
Cattaneo). Il pensiere dell' unione non era pertanto
nuovo, nuovo bensì il concetto di rivolgerne il van-
taggio ed il fine ad una sola condizione di persone,
non poche delle quali aveano una cittadinanza di più
. 54
recente ascrizione che quella non era di tante altre
. che pur venivano escluse.
Rimaneva il mezzo e il trovato degli Alberghi ^ e
qui fa mestieri che in cosa di si grave momento io
mi allarghi in più diffuse parole.
XVI. — Fin d' allora che formossi il genovese Co-
mune, altro mezzo non si adoperò che quello di un' ag-
gregazione di famiglie riunite in società di commercio,
sottratesi al sistema feudale, le quali giuravano il patto
deir Unione o dell' Albergo Comunale e si obbligavano
vicendevolmente a condizioni di mutua difesa e di of-
fesa contro chiunque avesse loro attentato. Vivere a
comune significava nulla più che vivere sciolti dai
vincoli feudali che li chiarivano vassalli di una stra-
niera potestà; in seguito, entrarono nell' unione i No-
bili delle circostanti campagne che la comunale potenza
costringeva ad abbandonare i propri feudi, e ad ascri-
versi in quella, infine il popolo o le arti diverse che
servirono di aiuto ai nuovi aggregati per prevalere
sugli antichi. Fu allora che il Comune si trasformò
in Repubblica, in prima col Capitaneato ghibellino col
popolo, indi col Dogato. Ma i NobiU (e i Nobili chia-
mavansi coloro eh' esercitavano giurisdizione feudale),
esclusi per legge di quest'ultimo, dagli onori e dalle
principali magistrature dello Stato , rinnovellarono il
patto di una singolare associazione, ordirono di rites-
sere r antico Comune per mezzo di tanti Alberghi dove
si allogarono.
Correndo il secolo XV dierono più regolare e sta-
55 .
bile assetto al loro disegno, moltiplicarono li stessi
Alberghi distribuiti fra le otto Compagne o quar-
tieri della città. Secondo una lista riferita dal Mar-
chese Serra , sei erano nella Compagna del Castello ,
quattordici in quella di S. Lorenzo, sette nella Com-
pagna della Porta , tre in Mascherona , cinque in
Portanuova, dieciotto nel Borgo, dodici in Soziglia,
sei in Piazza lunga; sommavano in tutti a settantuno
Alberghi.
Per megUo dimostrare di quali famiglie venissero
composti, basti jì dire che non vi si ricettarono né
Adorni, né Fregosi, né Guarchi, né Montaldi, né Boc-
canegra, né Zoagli, né Sauli, né Giustiniani, né De-
franchi, né Promontori, né le altre più illustri stirpi
che tennero il governo e colle gesta più famose si
distinsero nel XIV, e in tutto lo stesso secolo XV.;
che di tutti quelli Alberghi soltanto i due dei Def or-
nari, e àegV Italiani y o Inter iani venivano considerati
tra i popolari.
Ora nel 1528, non ne rimanevano che 24, essendosi
gli altri assottigliati, e venuti meno per l'ultima pe-
stilenza che aveva mortalmente contristata la città.
Parve pertanto al Doria e a coloro che per mede-
simezza di condizione ne secondavano gì' interessi che
questi Alberghi fossero il più acconcio, e potente ad-
dentellato per istabilire il governo che aveansi divisato,
e perciò deliberaronsi le seguenti cose:
I.* Verrebbero annoverati e distribuiti sotto di ven-
totto Alberghi i nomi di coloro che per merito di
.56
nascita, d'ingegno e di ricchezze sarebbero riputati
* degni del governo e di tutti questi s' istituirebbe un
ordine di Nohiliy al quale si concederebbe per T avve-
nire l'adito ai pubblici onori, e commetterebbesi T am-
ministrazione dei magistrati.
2." I nomi e cognomi di siffatti nobili e loro posteri,
come di quelli che per T avvenire si ammettessero
nel medesimo ordine, si registrerebbero in un libro,
da conservarsi dal Collegio de' Procuratori della Re-
pubblica.
3.* Per formare un Albergo si richiederebbero sei
case aperte in Genova , e quelli eh' entrassero sotto
di esso abbandonerebbero il proprio cognome , e le
solite insegne gentilizie, assumendo quelle dell'albergo
medesimo.
4.* A quest' ordine di nobiltà, composto di ventotto
Alberghi, aggregherebbe il Senato nel principio di cia-
s.chedun anno sette abitanti della città e tre delle ri-
viere, scegliendo coloro, i quali onesti di nascita e di
costumi , e^ per meriti verso la Repubblica ; cosi agli
altri andrebbero innanzi che stim'ati verrebbero uguali
ai nobili.
5." Questa incorporazione' delle diverse famiglie negli
Alberghi alterar non dovrebbe la distribuzióne dei la-
sciti e limosine, ossiano dispense di loro proprie che
resterebbero intatte a chiamati dai testatori, dimodoché
la nuova aggregazione non conferirebbe diritto veruno
alle famiglie che formavano li alberghi.
6." Da tutto r ordine dei nobili, posti i nomi loro
57 .
in un* urna, si estrarrebbero in ciascun anno a sorte
trecento, dai quali si eleggerebbero a palle altri cento,
con misura proporzionata ed uguale distribuzione dal
numero fra i vento tto Alberghi, i quali quattrocento
uniti costituirebbero il gran consiglio, munito di piena
autorità e dignità nella Repubblica, con tutte le distin-
zioni e prerogative del Principato.
7.» Da questi quattrocento del Consiglio generale
si trarrebbero a sorte cento , dei quali formerebbesi il
minor consiglio, che insieme coi due Collegi dovrebbe
deliberare le pubbliche faccende di più lieve momento,
eleggendo i magistrati della città.
8.** Dal Grande Consiglio si eleggerebbero a palle
otto Senatori, i quali insieme col Doge godrebbero
del potere legislativo , senz' accrescere autorità a sé
medesimi , amministrando la giustizia , deliberando le
cose politiche di minor conto , maturando quelle di
maggior peso, sottoponendole all' esame dei due Con-
sigli.
9.' Il Doge si eleggerebbe dal Consiglio generale, e
durerebbe in carica due anni.
IO." La cura dell' Erario Pubblico, o dei diritti della
Camera, si affiderebbe ad otto procuratori, nei quali
per due anni entrerebbero gli otto Senatori , tutti i
i Dogi in perpetuo, gli uni e gli altri finito il loro
biennio.
II.* Si costituirebbe un magistrato di cinque censori
coir obbligo d' invigilare all' osservanza delle leggi af-
finchè non cadessero in dissuetudine. Avrebbero essi
58
ancora una suprema autorità per tenere a sindacato i
magistrati tutti e gli ufficiali della Repubblica, inffig-
gendo loro le prescritte pene quando eccedessero i
confini dell' ordinaria giurisdizione.
XVII. — Questa è pertanto la forma di governo,
e la sostanza delle leggi che si addottarono per opera
di Andrea Boria nel 1528, si dissero la ricuperata li--
berta, e segnarono il passaggio dello stato democratico
o popolare, all' aristocratico o quello degli antichi no-
bili. I dodici Riformatori per rimunerarne chi a tanto
li aveva indirizzati e secondati, e poteva solo col fa-
vore di Carlo V, quei nuovi destini assicurare e di-
fendere, decretarono a riguardo del Boria:
I.* Che fosse perpetuo Priore del Magistrato de*
Censori e Sindacatori, nei quali risiedeva veramente
il principal nerbo , e la più ampia potestà della Re-
pubblica.
2.® Che siedesse in Senato dopo il decano dei Senatori.
3." Che avesse perpetua esenzione di tutti i pesi e
gravezze pubbliche, cosi ordinarie, come straordinarie,
per sé, pel conte Filippino, Pagano e Tommaso Boria
suoi cugini e loro successori in perpetuo.
4.® Che del pubblico dannalo si comperasse, e do-
nasse a lui una casa nella piazza dei Boria di S. Matteo
colla iscrizione:
5. C. Andrea de Auria Patria Liberatori Munus Publicum.
5.* Che infine s'innalzasse a lui nella sala del gran
consiglio una statua di bronzo.
59
Ma questa si mutò nell* anno seguente in una mar-
morea, posta nel cortile del palazzo pubblico colla
iscrizione:
Andrea Auria Civi Optimo felicissimo Vindici,
Atque Auctori Publica Libertatis, Senatus Gennensis posuit.
Ai Riformatori parve ancora non doversi trascurare
Sinibaldo Fiesco, il quale meglio di Andrea Doria avea
fatti di molti sacrifici d' uomini e di danaro all' edifi-
cazione del nuovo stato, e cosi ordinarono che siedesse
nel soglio fira i Senatori nel penultimo luogo. Di Lo-
renzo Cibo non si parlò.
Dei vecchi Alberghi, come più sopra notai, rimane-
vano 24, e volendo compiere il numero legale di 28.
quattro si aggiunsero e furono di popolari, Giustiniani,
Promontorii, Sauli e Defranchi,
Come si vede il desiderio dell'unione di tutti i cit-
tadini in un corpo solo non fii che un politico disegno
di ricondurre al governo della Repubblica i nobili che
n'erano stati legalmente espulsi col primo dogato
popolare. Si seguitò dai dodici Riformatori lo stesso
artifizio nello sbandire i popolari genovesi dal governo,
che ì fiorentini aveano già usato nel cacciarne i nobili.
La Repubblica fiorentina ordinando il Corpo delle arti
sue, quattordici minori e sette maggiori prescrisse
dapprima che tutti i nobili dovessero registrarsi nella
matricola di alcuna di esse, indi riconoscendo che la
chiarezza del nome li rendeva ad ogni modo dagli
altri distinti, volle che lasciassero il proprio, e ne ad-
6o
dottassero un popolare. Nel senso contrario, i Riforma-
tori, o per meglio dire Andrea Doria tenne una stessa
regola, stabilendo che i popolari allogandosi in un
Albergo che pigliava nome e carattere da un nobile,
rinunciassero al proprio, nominandosi da quello.
Ma quello che veramente diede stabile fondamento
allo stato aristocratico, si fu che li Alberghi allora esi-
stenti, e determinati col numero di 28, per moltiplicare
e decrescere di case aperte, non si dovessero mai più
mutare. Questo era il serrar del consejo prescritto in
Venezia sotto il Dogato di Pier Gradenigo., era l'ar-
restare e circoscrivere la Repubblica nel privilegiato
ed angusto cerchio di poche famiglie, le quali certa-
mente più meriti non aveano delle popolari, né queste
più demeriti di quelle; poiché se Adorni e Fregosi,
Boccanegra, Guarchi e Montaldi si erano per 189 anni
contrastato il Dogato, Fieschi, Grimaldi, Doria e Spi-
nola aveano la Repubblica avvolta nelle più sanguinose
guerre civili sotto il governo dei Consoli, del Podestà
e dei Capitani del popolo per più di tre secoli, la sola
differenza fra gli uni e gli altri si riduceva alle colpe
più vicine di quelli , più remote di questi , ma tutti
intinti della stessa pece, tutti aveano peccato di ambi-
zione , di tirannide e d' ingiustizia. Non m' intratterei
tanto sopra di siffatto doloroso argomento se non
fosse per dimostrare che la quistione non era di
equità , né di unione , ma di fazione e di assoluta
signoria, di guisaché, a mio giudizio, si concederà ad
Andrea Doria il vanto di avere con molta destrezza
6i
d' ingegno, cogliendo V opportunità de' tempi , riposti
i nobili della propria fazione al governo sotto il pro-
tettorato, e la maligna influenza della Spagna e del-
l' Austria, ma non già quello di una vera unione nel
senso leale di questa parola, né di avere tutta la cit-
tadinanza genovese equamente raccolta in un solo
corpo politico.
Ora le famiglie sia dei 24 Alberghi tuttavia esistenti,
sia dei quattro che di fresco formati si aggiunsero a
quelli, furono: Calva, Cattanea, Centuriona, Cibo,
Cicala, Doria, Fieschi, Pomari, Franchi, Gentile, Giu-
stiniana. Grillo, Grimaldi, Imperiale, Interiana, Lercari,
Lomellina, Marini, Negra, Negrona, Pallavicina, Pi-
nella, Promontoria, Sai vaga ^ Sauli, Spinola, Vivaldi,
Usodimare.
Sebbene colle leggi testé emanate l' elezione dei
consigli e quella stessa del Doge, de' Governatori e
Procuratori fosse stata concessa all' arbitrio della sorte,
però , la prima volta , volendosi procedere con mag-
giore maturità di giudizio, si fece a scrutinio di voti,
e in tal modo vennero eletti il Doge, che fu di fa-
zione popolare, Oberto Lazzaro, allogato nell' Albergo
dei Cattanei, i due Collegi e il Magistrato de' Cen-
sori, detto poscia de' supremi sindacatori.
XVIII. — Seguite queste cose, siccome di molto an-
guste e dolorose erano le condizioni del pubblico erario,
cosi si accomiatarono la maggior parte delle forze che
la Repubblica aveva assoldate per difendersi da' fran-
cesi. Ma gli avanzi di questi svernando in Alessandria,
62
sapendo come i genovesi incautamente si fossero spogli
delle principali difese , audacissima fazione macchina-
rono; sorprendere alla sprovveduta la città, e far cat-
tivo Andrea Doria, che nel sobbórgo di Fassolo fuori
porta di S. Tommaso avea dimora. Questo avendo
ordito e deUberato, cadendo la sera del 20 dicembre,
con mille pedoni e pochi cavalli muovevano d' Ales-
sandria. Nessuno di loro , eccettuati i due generali
Montejean e Vallercercie che li conducevano, sapeva
per dove recassesi. Camminarono l'intera notte, quando
ei giunsero all' Elma terra degli Spinoli, 20 miglia di-
scosta da Genova, albeggiava appena, colà ristoraronsi,
ma brevissimamente, che il desiderio di giungere presto
e impreveduti li spinse a seguitare il viaggio. Intanto
villici, pastori , conduttori quanti incontravano sulla
via arrestavano, e seco loro traevano. Seppero nulla
conoscersi, nulla voce correre in Genova, della propria
spedizione. Baldanziti dallo sperato esito, fidarono oc-
cupare Genova, assaccomannarla orribilmente, menare
strage degl' indifesi cittadini nelle case, nelle piazze e
nelle vie. Già erano vicini, quando un montanino degli
Apennini avendoli scòrti , ne diede voce al Doria ,
non volle crederlo , finché un secondo avviso venne
viemmeglio a certificarlo. Allora con atto di eroica
risoluzione, ed è questo tra i più generosi fatti di sua
vita, mandatane tosto la notizia in città, affinchè il
Governo potesse in tempo preparar la difesa, egli de-
cise di sostenere il primo impeto de' nemici, con botti
piene di ruderi ed altri arnesi asserragliò la strada, vi
63
pose a guardia sei armati suoi famigliari, fece alzare
il ponte ed apri la cataratta, indi chiamò gli abitanti
del sobborgo ad opporre ogni più vigorosa resistenza
a' francesi che aveano già coli' usata furia cominciato
r attacco. Due ore durò il conflitto, nel quale Andrea
apparve veramente meraviglioso nelle prove più ardue
di valore e d' intrepidità , senza mai allontanarsi dal
combattimento che quando morti parecchi de' suoi, e
i borghesi spaventati dal fuoco de' nemici che pone-
vano alle case loro presero a ritirarsi, sicché al rado
ed inesperto popolo prevaleva il valore, e 1' ordinanza
de' soldati. L'ammiraglio vedendosi in tal guisa esposto
a manifesto pericolo, in forse di perdere la vita o la
libertà, pensò di ritirarsi. Diede quindi avviso al pre-
sidio della porta di S. Tommaso che uscisse a soste-
nerlo, e per tale mezzo gli venne fatto di ricoverarsi
in città. Ciò fatto, richiuse* le porte, asceso egli con
più valoroso ardimento il contiguo baluardo, di là si
accinse a dar ordine alla difesa, disponendo, e rego-
lando a più sicuro punto le artiglierie, qualora i ne-
mici si arrisicassero coli' assalto. Ma estenuati e spos-
sati dalle fatiche della marcia, e da quelle della bat-
taglia, oltreciò diradati di numero , poiché non pochi
di essi e tra i più valorosi caduti e feriti, fecero con-
siglio di ritirarsi, e lasciato speditamente Fassolo, non
senza prima appiccare il fuoco alle case del sobborgo
e principahnente a quelle del Doria, sull'imbrunire del
giorno ripresero il cammino di Alessandri^, né sosta-
rono finché non furono colà pervenuti. E ne aveano
64
ben donde , imperocché volgendo V ora quinta del
giorno approdava in Genova una nave onusta di sol-
datesca spagnuola.
XIX. — Rimosso il pericolo, considerossi ìJlora
come fosse d'uopo di ordinare una stabile difesa della
città che impedisse il ritorno di ogni futura aggressione.
Né solo questa necessità , ma il timore di repentini
interni tumulti dettava un militare provvedimento.
Venne in acconcio il decreto del Senato che coman-
dava una levata di diecisette centinaia d' uomini scelti
dal fiore della gioventù, e cui preponevansi altrettanti
capitani di guerra, i quali distribuiti nei più opportuni
luoghi della città, fossero pronti ad ogni bisogno sia
per r interiore, sia per V esteriore difesa. Il di 24 feb-
braio del 1529 le nuove milizie raccoglievansi a mostra
dopo il meriggio nel ducale palazzo, dove il -Senato,
concorrendovi una grandissima moltitudine di popolo,
sovranamente sedendo, Gio. Batta Zino, allogato nel-
r albergo dei Grimaldi, e segretàrio della Repubblica,
cosi loro parlò:
« Ridonataci Iddio T antica libertà, da gran teinpo
y> perduta, considerò seriamente il Senati, che dopo
» le leggi , si volea apparecchiare una valida cittadina
» forza, per il rispetto, e la conservazione loro. Ver-
» sando in tempi in cui la patria mal può difendersi
» senz' armi , queste armi devono non più alle infide
» mercenarie, ma alle cittadine braccia affidarsi, e
» quindi un' inclita gioventù é solennemente chiamata
» air onorevole uffizio di queste armi. Ella si farà
65
» insieme uno studio, una difesa ed una gloria, al-
» r ombra di queste a|-mi leali riposerà tranquilla la
» libertà, e la più prospera fortuna di Genova. A
» voi», dunque, o capitani, se ne commettono! ves-
» siili, affinchè ne usiate da forti e valorosi. Tutti
» noi, nella fede, nella perizia, e nella saviezza vostra,
» poniamo fondamento e speranza ».
Ciò detto, le rannate milizie levavano le destre in
atto di obbedienza e di fedeltà, le insegne ricevendo
dai Senatori, e giurando tenerle e conservarle a di-
fesa-delia libertà e della patria, senza che fatiche, o
pericoli avessero ad allontanare dal generoso uffizio,
pronti ad affrontare dove d' uopo la morte. Ordina-
ronsi poscia per tre file in isquadra, e salutando i
Padri, lasciarono il Palazzo.
Senonchè, per meglio ridurre a prezioso firutto la
nuova istituzione , i Capitani nelle ore pomeridiane dei
di festivi, quelle giovani milizie guidavano armate
fiiori di città, esercita vanle , proponendo premi a chi
meglio si mostrava perito nelF uso delle artiglierie.
Militari istruttori vennero invitati in Genova, chia-
mati Sergenti, "ì quali li ammaestravano a porre in
ordine le falangi, a formare rombi, a voltar fi-onte,
a stringere le masse, a disporre a cunei le truppe,
cosi conducendòle , a istituir suoni d' appello e di ri-
tirata, a ferir direttamente o di fianco, a sostenere o
respingere attacchi, e tuttoché si addice a' soldati.
Di colali ammaestramenti cavarono in breve siffatto
{MTofitto da reputarsi piuttosto veterane che firesche e
66
giovani milizie. I capitani loro erano tutti uomini nella
repubblica pregiati, non deve però tralasciarsi di no-
tare che dei diecisette, nove appartenevano agli an-
tichi nobili ed otto soltanto ai nuovi aggregati. Questa
differenza a favore dei primi che noi la troviamo fin dal
principio del nuovo governo istituito dal Doria, di-
venta gradatamente sensibile, e infine facendosi enorme
precipita la Repubblica nella guerra civile.
XX. — Intanto le cose d' Italia , volgendo a male
per il Re di Francia, e prosperamente per V imperatore,
davano forza allo stato instituito in Genova sdtto gli
auspici di lui. Vinto Antonio di Léyva, il 21 giugno
del 1529, aveva i fi'ancesi a Landriano colla prigionia
del loro capitano generale, il conte di S. Polo. Tra
questo e il duca d' Urbino era somma discrepanza d'opi-
nioni per la condotta della guerra, stavasi incerti se far
si dovesse Tiìtìpresa di Milano o quella di Genova. Gli
Archivi Imperiali di Parigi contengono V esemplare
di un trattato addì 18 marzo del 1529, conchiuso a
Verona tra Giano Fregoso e il Vescovo di Auranches,
ambasciatore fi'ancese a Venezia, autorizzato espres-
samente dal Re. Giano, tanto al proprio nome, quanto
a quello de' suoi figli, si obbligava e prometteva di
riporre la città di Genova sotto la dominazione fi'an-
cese nel termine di due mesi, col patto però che a-
vrebbe a sua disposizione 3000 fanti e cento cavalli.
Nel caso di feUce riuscita non dovea esservi né sac-
cheggio, né violenze, ma una clemente punÌT^ione miti-
gata dalla regia benignità. Cesare Fregoso, figlio di
6?
Giano, doveva essere il governatore di Genova e di-
Savona , la quale ultima sarebbe indissolubilmente con-
giunta alla prima; ei ne farebbe omaggio al Re, e ne
riceverebbe in guiderdone l'ordine di S. Michele, ed una
compagnia di 60 lancie. Giano patteggiava per sé in par-
ticolare 6000 scudi di pensione. Altre pensioni venivano
inoltre fissate dai 200 ai 400 scudi per Vintromettitore
del Trattato, e per colui che avrebbe dato il porto,
o aperta una delle porte della città .ai Francesi. La
ratificazione del Re voleva essere rimessa dall' amba-
sciatore nel termine di sei settimane , senza di che la
Convenzione si doveva tenere come non avvenuta (i).
Né di fatti la ratificazione ebbe luogo, poiché ninna
spedizione accadde, comecché la sconfitta de' francesi
toccata a Landriano ne facesse scomparire il disegno,
e il trattato di Barcellona tra Clemente VII e Carlo V,
e la pace di Cambray tra questo e Francesco I, mu-
tasse talmente l'aspetto delle cose italiane da rendere
inopportimo per non dire impossibile ogni siffatto ten-
tativo.
n Pontefice e il Re di Francia non poteano durare
nello stato in cui trovavansi. Angustiavano il primo le
(i) I poteri dal Re delegati all' ambasciatore sono espressi sotto
la data dell' 11 febbraio 1529. Giano Fregoso trattando al proprio
nome e a quello di suo figlio, promette di ottenere la ratifica di
Cesare Fregoso assente, la quale succede a Ripalta l'ultimo di
Aprile. L' esemplare del trattato che si conserva negli Archivi
Imperiali è quello appunto che mostra segnata la ratifica di Ce-
sare Fregoso.
68
discordie della lega, la quale, sebbene stretta per la
sua liberazione, riusciva sempre nelle varie sue parti
a lui nemica ; la cacciata della sua famiglia da Firenze
che ordinata si era a popolare repubblica, gli scherni,
le villanie usategli dai proprii concittadini, il desiderio
di riporvi Alessandro de' Medici suo figlio naturale.
Francesco I, non dissimilmente sentivasi affaticato
dalla guerra sempre a lui sfavorevole, agognava alla
restituzione de' figli, desiderava la pace, disposto a
farle ogni più duro sacrificio, non escluso quello del
proprio onore. Entrambi i principi poi divisarono ser-
virsi ad ottenere il segreto loro fine, dei confederati
italiani, lusingandogli di assistenza e di aiuto, promet-
tendo di non mai abbandonarli in quello appunto che
già li aveano , nonché abbandonati, vergognosamente
traditi.
Mentre questi umori ribollivano, mandavasi dalla
Repubblica ambasciatore a Cesare. in Barcellona Sini-
baldo Fiesco, che a proprie spese sosteneva la gra-
vissima legazione, e veniva con ogni maggior cortesia
trattato dall' Imperatore. Senonchè , i grandi e mala-
gevoli negozii che pendevano, e stavano per decidere
dei supremi destini d^ Italia, richiedevano che alla pre-
senza di Carlo V. si recasse quell'uomo ch'essendone
divenuto il più efficace aiuto, ne sapea conoscer l'a-
nimo, e il più atto mostravasi a moderarne le dispo-
sizioni. Quest'uomo era Andrea Doria, invitato per
soprapiù in Barcellona colla sua flotta per trasportarlo
in Italia, egli vi si conduceva da Genova con nume-
69
roso seguito di nobili italiani, quattrocento dei quali
della gioventù genovese, e addi 6 maggio con quin-
dici galee salpava dal porto, gettando le àncore a Bar-
cellona il 28 dello stesso mese.
XXI. — Farmi necessario il dire che fra quei nobili
Italiani annoveravasi Luigi Alamanni. Costui nel 1522
quando il cardinale Giulio de' Medici, che fu poscia
Papa Clemente VII, tenea il governo di Firenze, gli
congiurò contro, divisando di ridurre quella città a
vivere più libero. Scoperta essendosi la congiura do-
vette andarsi in esiglio, pel quale errò in diversi paesi,
e alfine rifliggiossi in Genova, dove V ornamento delle
lettere che molte aveva e il valore che mostrava nella
poesia, gli acquistarono la grazia e V amicizia di Andrea
Doria. Questi venuto ad intima dimestichezza con lui,,
gli appalesò quanto fosse vivo il suo desiderio perchè
Firenze non ricadesse nel dominio de' Medici, con-
ciossiachc la libertà di Genova avrebbe ricevuto un
valido appoggio con quella di Firenze, e senza di
essa trovavasi sola ed esposta a singolare pericolo:
aggiungeva che le cose de' Francesi mal potevano
reggersi in Italia, per -la ragione che quel Re, né vo-
lontà aveva né indole adatta a comportarsi amorevol-
mente, deliberato anzi a sacrificare tutti coloro che si
affidavano a lui per la restituzione dei suoi figli, per
ricuperare i quali, e per provvedere a se stesso, tutto
avrebbe senza distinzione, e colla più vergognosa slealtà
ceduto ali* imperatore. Essere pertanto sua opinione che
bene avrebbe fatto Firenze a non abbandonarsi cosi
70
in balia di lui che non le rimanesse ancora modo di
salvarsi patteggiando con Carlo. In questo avviso del
Doria conveniva interamente il gonfaloniere e quelli
altri che desideravano dare solide basi al nuovo go-
verno popolare; e sebbene vi fosse un partito fiera-
mente contrario, ciò nondimeno V Alamanni per com-
missione dei Dieci recavasi parecchie volte ad Andrea
Doria per conoscere da lui , quanto di più intimo e
segreto si trattava in quel momento tra T imperatore,
il Re ed il Papa. Infine tornava in Firenze, riferendo
che il Doria con le galere andrebbe tosto in Ispagna
a fare riverenza all'imperatore, e offeriva intanto alla
città ogni favore appresso di questo. Parve quindi che
r Alamanni si portasse col Doria in Ispagna,. e Firenze
tenesse avvisata di quanto più importava alla salute
sua. Infatti giunto colà, subodorò che il Papa praticava
con Cesare cose importanti e nocive alla libertà della
Patria, e senza più scriverne, che prudente non gli
sembrò, per istigazione e consiglio dell' istesso Doria,
si ricondusse in Firenze, e manifestò alla Repubblica
come il Papa studiava modo di accordarsi con Carlo,
e l'accordo seguito sarebbe, se questi gli dava pro-
messa di rimettere il governo de' Medici in Firenze;
che Carlo ancora a ciò deciso non era, ed aspettava
se i fiorentini volessero dire o far nulla. Ammoniva
sempre a nome del Doria, a considerare maturamente
quel punto, il quale preso a rovescio avrebbe portata
benissimo la rovina di quel governo. Il quale, abbin-
dolato essendo dal partito francese, cui Francesco I,
71
avendone in quel momento più duopo, raddoppiava
le promesse e le lusinghe, deliberò di starsi ad ogni
patto colla Francia.
Volli questo con minuti particolari raccontare, dimo-
strando quali fossero gli intimi pensieri di Andrea Doria,
e com* egli avvisasse di salvare la libertà di Firenze ,
coi mezzi non delle parole , ma dei più prudenti fatti.
Poiché, se forza era che la libertà delle italiane città,
potesse solo conservarsi coli' influenza straniera, tutto
suggeriva in quel momento di sottostare alla prepon-
derante imperiale, non potendo in alcun modo con-
tarsi sulla fede e sull^ onore del Re Francesco I. Gli
avvenimenti che seguirono dierono ragione al Doria,
e noi gli rendiamo giustizia accennandone le ragioni.
XXII. — Stringevasi la convenzione tra il Papa e
Carlo V, addi 20 giugno 1529; ragioni gravissime l'uno
e r altro stimolavano ad un pacifico accordo. Muoveva
il primo, tornare la propria famiglia alla signoria di Fi-
renze, con Alessandro de' Medici figlio di Lorenzo, quindi
aiuti di forze, che le proprie non bastavano a schiantare
la novella repubblica, e stabilità di favori per met-
tere e mantenere in seggio il figlio o nipote. Il secondo
tormentavano i torbidi di Germania sorti dalle novità
luterane, che non bene avrebbero potuto comporsi,
senza 1' opera del Pontefice , il quale ancora volevasi
rendere affezionato, sia per ispiccarlo da ogni amicizia
colla Francia, sia per ristabilire la pace in Italia, agi-
tata sempre e sospesa fira le parti imperiale e firancese.
Enorambi dunque mirando ad un fine, si affrettarono
72
a trattar di concordia, e Cario V inviò il cardinale di
S. Croce a Roma commettendogli restituisse al Pon-
tefice Ostia, Civita-Castellana, Civita- Vecchia, Viterbo^
ed altre terre che avea dovuto questi, ad ottenere li-
bera la persona, porre in mano degli imperiali sac-
cheggiatori. Intanto il re di Francia da tanti disastri
abbattuto, tenero de' figliuoli rimasti in ostaggio, aven-
done istanza dal Papa, mandava egli pure ambasciatori
a Roma, e quivi ancóra uno straordinario vi giungeva
del Re d'Inghilterra, tutti mostravano desiderare la
pace, e Clemente VII esserne l'arbitro. Ma esso meglio
a se che agli antichi amici provvedendo, spedito se-
gretamente il vescovo di Vasone, maestro suo di casa,
in Ispagna, conchiuse coli' Imperatore in Barcellona,
separato dagli altri uno speciale ^trattato, la cui somma
era: Avrebbe Carlo j' investitura del Regno di Napoli
coir obbligo di un cavai bianco per annuo tributo alla
chiesa, il giuspatronato di 24 chiese nello stesso regno ^
libero passaggio alle sue genti e la corona imperiale.
Avrebbe alla sua volta Clemente VII la signoria in
Firenze del nipote Alessandro de' Medici, cui Cario
darebbe in isposa la propria figlia naturale Margherita
d' Austria, aiuterebbelo alla ricuperazione di Cervia,
Ravenna, Modena e Reggio, tenute dai Veneziani e
dal duca di Ferrara. Queste principalmente, altre con-
dizioni poi di minor momento si pattuivano tra Cle-
mente e Carlo, rivolte a ristingere con più saldi nodi
tra loro la recente amicizia.
L' esempio del Pontefice' che aveva trattato separa-
73
tamente da' suoi alleati coli' Imperatore mosse Fran-
cesco I a far altrettanto con questo dopo 46 giorni,
sicché addi 5 agosto 1529, segui n^Ua città di Cambray
la convenzione fra Carlo e il Re di Frància che fii
detta la pace delle dame, perocché conchiusa tra Mar-
gherita d' Austria zia del primo, e Luisa di Savoia
madre del secondo. Principali condizioni furono: Re-
stituiti sarebbero i figliuoli al Re, che pagherebbe al-
l' imperatore un milione e 400 mila ducati, de' quali
dugentomila al re d' Inghilterra ; cederebbe le terre
tutte possedute nel regno di Napoli e nella Lombardia,
non farebbe né alleanza, né concerto contro di Carlo
con alcun principe o stato d' Italia o di ,Germania.
Comprendevansi nel trattato per parte dell' Imperatore
il duca di Savoia come suo alleato; per parte del Re
i Veneziani, i Fiorentini, e il Duca di Ferrara, colla
condizione però, se fra certo determinato tempo con-
venuti si fossero delle differenze loro coli' Imperatore,
locchè equivaleva ad abbandonarli alla discrezione di
questo, di cui rimaneva pure in balia il Duca di Mi-
lano che neppure nominavasi.
Cosi dai tre maggiori potentati sacrificavansi gli altri
minori Stati, e siccome tra i primi prevaleva l' Impe-
ratore, cosi in suo pieno arbitrio era la fortuna e la
vita loro. Alla repubblica di Genova toccò il più ver-
gognoso inganno, per non dire il più nero tradimento
per parte di Carlo. A lui Andrea Doria avea piena-
mente dato se e la patria in potere ; con lettere parti-
colari avvisatolo di mutare 1' ambasciatore Don Lopez
74
de Soria perocché sospetto, " come già residente in Ge-
nova al tempo degli Adorni e di quelli amicissimo, oltre
ciò lo avvisava che grandissime offerte gli si erano fatte
per parte* del Re di Francia quand' egli volesse solo
operare che la città rimanesse neutrale, ed egli averle
tutte sdegnate, per cui chiudeva la lettera : V. M. può
esser certa che fincV io viva , e se sarà possìbile anche
dopo la morte, non mancarò mai d' esserli quel fidelissimo
servitore che li son tenuto.
XXIII. — Intanto il rifiuto del Doria spingeva il
Re a considerar Genova apertamente per inimica, di
guisa che il primo riscriveva all' imperatore supplican-
dolo si degnasse talmente favorirla che le persone e i
beni di essa non rimanessero in preda di firancesi, ma
che fossero espressamente nominati ed inclusi nella
pace, come di aderenti e devoti di S. M. secondo
aveano fede e speranza in Lei, e secondo dallo amba-
sciatore della Repubblica ne sarebbe più largamente in-
formata.
Infatti spedito si era all'Imperatore il conte Sini-
baldo Fiesco, incaricato specialmente di ottenere da
lui « che in ogni e qualunque pratica d' accordo, pace
» o tregua che si concluda, si facci menzione espressa
» della nostra libertà ».
E r imperatore per dare apparente soddisfazione a
siffatte istanze, inviava in Genova il nuovo ambascia-
tore Francesco Gomez, in luogo del Soria, ordinan-
dogli richiedesse al Senato se volesse che la Repubblica
entrasse nel trattato di pace nominalmente o princi-
75
palmente da se, o come confederata di lui. La proposta
portata al maggior Consiglio e da questo rimessa ai
due Collegi e ai Supremi stava per risolversi, quando
improvvisamente si senti la conclusione del trattato di
Cambray senza che pure della Repubblica fosse fatto
motto. Stupiti tutti rimasero per V indebita e fraudo-
lenta omissione, ed affrettaronsi ad un nuovo tentativo;
avendo certa notizia, che il 23 dicembre di quel-
l'anno 1529 stringersi doveva un nuovo trattato tra
l'Imperatore, il Papa, Francesco II Sforza Duca di
Milano ed altri principi, fu rispedito a Carlo V lo
stesso conte Sinibaldo Fieschi, con istruzioni: I^ Di
fare in modo che la Repubblica venisse compresa nella
lega che si stava trattando; 2**. Di procurare alla Re-
pubblica medesima un diploma d' investitura dei luoghi
di Novi, Cavi, Ovada, Fiaccone, sui quali vantava pre-
tese; 3^ Di ottenere che il Duca smettesse dall' assu-
mere nei proprii atti la intitolazione di T)ominus JanucB
ma anzi esplicitamente rinunciasse ad ogni velleità di
signoria sullo stato di Genova « acciò che per simili
vani titoli col tempo non si venisse in scandalo ». 4°. In-
fine che i mercanti genovesi potessero liberamente traf-
ficcare in tutto il ducato di Milano.
Le nuove rappresentazioni dell' inviato non ebbero
nuglior eflFetto delle prime, segui il trattato, senzachè
a questa volta pure il Cesare austriaco si degnasse far
menzione della Repubblica che tanto sagrificio di onore
e delle sue più utili ragioni avea fatto per lui; fii al-
lora che con ispeciale lettera del 26 dicembre il Doge
76
e i Governatori se ne dolsero ricordando i servigi
prestati, per i quali si era persuasi che S. M. avesse
dovuto far loro grazia; « la quale mancando, conchiu-
» devano, siamo pur restati alquanto meravigliati. Non-
» dimanco, quando consideriamo la servitù e devotion
» nostra e de tutto il paese verso detta Vostra Ce-
» sarea Maestà , sotto V ombra de la quale pensemo
» reggersi e mantenersi, insieme cum la prudenzia e
» bontà di detta Vostra Maestà, si confortiamo e pro-
» mettiamo ogni honesta grazia, e tanto più quanto
» che le domandate di sopra, al debile judicio nostro,
» non solamente sono giuste, ma riguardano la con-
» servazione, quiete, e stabilimento di questa Repub-
» blica; il che nun può esser se non congiunto col
» servizio di detta Vostra Cesarea Maestà, la quale
» cum quanto più affetto possiamo supplichiamo in
» questi trattati disporre talmente le cose, che siamo
» de queste honeste domande compiaciuti, etc ».
Ma tutto era già disposto e condotto a termine,
r Imperatore non avea voluto comprender la Repub-
blica come sua alleata nel trattato di Cambray per non
considerarla come stato uguale ed indipendente, né
far valere le sue ragioni in quello dello Sforza per non
ispogliarsi dei diritti che pretesi da questo sopra di Ge-
nova doveansi da lui ereditarsi quando alla morte del
Duca sarebbesi il milanese aggiudicato all' Impero,
come infatti pochi anni appresso segui; mente sua era
aver la Repubblica in ogni caso a sé dipendente e ,
soggetta; Andrea Doria si era posto in tal condizione
77
che ottener più oltre non poteva senza inimicarsi colui
col nome e la potenza del quale lo stato per esso for-
' mato in Genova poteva soltanto reggersi e conservarsi
da lui e suoi discendenti, né Carlo era così poco ac-
corto che non sei sapesse e non volesse cavarne tutto
il profitto. Quind' innanzi noi, nello svolgersi dei suc-
cessivi avvenimenti, assistiamo a un giuoco di segreti
raggiri, di mene coperte, d' ipocrite protestazioni di
devozione, di ossequio da una parte, di graziose pa-
role, di fallaci promesse dall' altra, ma in questa e in
quella la diffidenza, V inganno, la fi"ode turpemente si
adoperaiK) e si avvicendano e lo stato intanto reg-
gendosi a tali arti non avea vita né propria, né si-
cura, e gli umori malsani vieppiù crescendo ilei corpo
dell' inferma Repubblica, ne minacciavano ad ogni pie
sospinto la rovina. Questo abbiamo . voluto notare
affinchè si riconoscesse come di quanto segui pochi
anni appresso fossero cagione non tanto li esterni av-
venimenti, quanto le interne vacillanti ed ingrate condi-
zioni politiche apparecchiate a riceverne ogni qualsiasi
più avventurosa mutazione.
XXIV. — In questo, i conchiusi trattati poneansi
ad effetto, la repubblica di Firenze, mal giovando il
valore de' suoi difensori, segnatamente di Francesco
Ferruccio, per le armi riunite dell' Imperatore e del
Papa, ma più pel tradimento di Malatesta Baglioni, ca-
deva per sempre, venendovi stabilito con suprema au-
torità e titolo di Duca Alessandro de' Medici; a Fran-
Cesco Sforza restituivasi il ducato di Milano, riservati
78
però il Castello e la città di Como, che ritenevasi
r Imperatore per guarentigia di certa somma di denaro
che si era il Duca obbligato di pagargli; il Papa rice-
veva Ravenna e Cervia , e V Imperatore alcune altre
terre nella Puglia dai Veneziani; col Papa pure ricon-
ciliavasi il duca di Ferrara deputando entrambi ad ar-
bitro delle loro differenze lo stesso Imperatore, in
mano di cui depositavasi la città di Modena. Con ciò
la pace pareva, e sopra codeste' basi di subdole arti,
di inganni, di tradimenti fondata, dovesse diffondere i
suoi beneficii nel seno del mondo cristiano; tion ri-
maneva che a farne più solenne e pubblica la mostra,
e i due supremi capi della cristianità pensarono di porvi
allora il suggello colla loro più intima unione, conce-
dendo l'uno, accettando l'altro, la doppia corona di
re d' Italia e d' Imperatore Romano , così la servitù
religiosa e politica nonché d' Italia, d' Europa tutta ve-
niva con la santità del rito fatta sicura.
A cingere le ambite corone ponevasi in viaggio
Carlo V; e Andrea Doria con quindici galee e con nu-
meroso seguito di nobiltà italiana salpava dal porto di
Genova per trasportare l' austriaco Cesare in Italia.
Preveniva la sua partenza una lettera al Segretario
Imperiale D. Francesco di Covos , dell' ambasciatore in
Genova D. Gomez Suarez de Figueroa, addi 8 giugno
del 1529, in cui ponevasi in diffidenza la persona del
Doria, .dicendosi che s' egli era troppo potente perchè
non fosse necessario alla causa di Spagna, si trattasse
pure convenevolmente in aperto, ma non si mettesse
79
tanto di leggieri a parte dei segreti disegni, in tal guisa
l'Imperatore, ove mutassero le circostanze, potrebbe
senza molti ostacoli liberarsene. Questa lettera, oltre
le altre ragioni che avevano di gelosia e di odio, fii
cagione che i cortigiani tentarono d' insinuare nelF a-
nimo di Carlo, sentimenti di livore e di avversione
contro il Doria, sicché il dissuadevano dall' abbando-
narsi tanto liberamente in sua balia in quel- viaggio,
scongiurandolo a non commettere la salute di tanti
regni, la quale nella conservazione della sua reale ed
imperiale persona unicamente consisteva, a talento di
uomo straniero che uso era di mutar massime e pa-
droni a seconda delle speranze e delle congiunture che
gli offerivano più larghi stipendii ed onori più segna-
lati. Ma Carlo troppo era accorto e profondo cono-
scitore degli uomini per non sapere che la morte sua
nonché benefizio, recato avrebbe manifesto danno al
Doria, che quello stato per esso fondato in Genova,
e sopra il quale doveva esercitare tanta autorità e colla
stessa trasmetterlo a' suoi successori, senza la potenza
imperiale ito sarebbe in dileguo , né colla Francia potea
sperare uguale fortuna, che delle parti, rimosse dal go-
verno dei nobili popolari si aiutava, e specialmente dei
Capela:(^^i, Adorni e Fregosi, i quali non avevano le
stesse ragioni di attenersi alla Spagna dei nobili an-
tichi che colà per negozi di banca e di commercio
tenevano implicati i molti loro e ragguardevoli capitali,
e quindi i larghi guadagni che ne ritraevano gli fa-.
ceano stretti per interesse alla Spagnuola monarchia.
8o
mentre dalla Francia nulla da sperare, ma tutto ave-
vano da temere.
Né s' ingannando in queste considerazioni, ma giusta
cogliendo T idea delle nuove condizioni politiche della
Repubblica di cui era il Doria l' autore, non solo V Im-
peratore non diede ascolto agi' insulsi consigli , ma
profondamente certo di quello che si faceva con atto
che a' meno veggenti parve di magnanimità, e a lui
e al Doria non potea sfuggirne il vero senso, volle
anzi di buon mattino un giorno in Barcellona, dove
Andrea era giunto, imbarcarsi sulle galee di lui, e sa-
lito senza V usata guardia sulla capitana, comandò che
si salpasse dal porto, quasi desiderasse fare la prova
della velocità del vascello, della disciplina ed esperienza
de' naviganti; si sarpò e fatto un giro di alcune miglia
tornossi, e Carlo si trattenne in quel frattempo a fa-
vellare famigliarmente coli' ammiraglio, informandosi
della scienza nautica, del modo di governo e di trat-
tare la disciplina delle galee. Imbarcavasi poco dopo
sopra l'armata di 35 galee, e altrettante navi, sulle
quali salivano 9 mila fanti con mille cavalli, molti
grandi e nobiH di Spagna di accompagnamento alla
persona del Principe; isoffrirono venti gagliardi, il mare
tempestoso, sicché pieno di travagli e di percicoli fu
quel viaggio, infine dopo quindici giorni afferrarrono
il porto di Vado. Ivi a nome della Repubblica reca-
ronsi a complimentare l' Imperatore otto ambasciatori,
capo dei quali Battista Lomellino che gli offerse le
chiavi di quella città, e tutto quello che in suo ser-
8i
vigio potea far la Repubblica. Dagli ambasciatori venne
a Genova accompagnato, ricevuto quivi trionfalmente;
il Doge e il Senato, precedendoli tutta la nobiltà, lo
ricevettero allo sbarco e seguitaronlo al pubblico pa-
lazzo destinatogli ad alloggio, dove fu intrattenuto a
spese del pubblico per tutto quel tempo che rimase
nello Stato.
XXV. — Intanto giungevano in Genova tre Car-
dinali dal Papa inviati per fargli ossequio ed invitarlo
a Bologna. Dapprima, scelta per quel solenne, impor-
tantissimo abboccamento era stata Genova, come quella
che meglio prestavasi per molte ragioni, e già si aveva
esplorato sopra di ciò il governo della Repubblica,
poscia, ed è fama per voler del Pontefice che non la
stimò luogo abbastanza sicuro, né addatto alla segreta
trattazione di quelle cose che voleva conchiudere col-
r Imperatore , venne invece anteposta Bologna , che
compresa trovavasi nei dominii della Chiesa e a lei
soggetta. Quindi essendosi Carlo trattenuto per alcuni
giorni in Genova, prese alfine le mosse per la Lom-
bardia, e accomiatandosi da quella città regalò di ven-
ticinque mila scudi Andrea Doria, ordinandogli di se-
guirlo a Bologna; nella quale avealo preceduto Cle-
mente VII colla sim corte quando Carlo vi comparve
accompagnato da tanto numero di nobiltà spagnuola,
italiana e tedesca che 1' ampio giro di quella città mal
poteva capirla. Pontefice e Imperatore alloggiavano
uniti nello stesso palazzo, ed insieme convennero di
molte cose per la conservazione della pace, e più an-
6
82
Cora del modo di porre un argine alle dottrine lute-
rane, che allargatesi in Germania, già minacciavano di
traboccare in Italia e in Francia. Ebbe poco dopo luogo
la solenne incoronazione di Carlo V a Re d* Italia e
Imperatore. Romano. Nella quale occasione curioso
fatto accadde tra gli ambasciatori genovesi e senese ,
per ragione di precedenza. Non potendosi oggimai con-
tendere di libertà e indipendenza, che cadute erano in
Italia, si contendeva di più onorevole servitù, e di. chi
tra gli stati ed uomini italiani dovessesi tenere in fatto
di quella più distinto e pregiato. Ora V ambasciatore
senese preceder voleva a' genovesi, eh' erano Francesco
Fieschi, Niccolò Giustiniano, e Gio-Batta Lercaro, ve-
nutisi a parole e queste tornando inadeguate, il Ler-
caro che più giovane essendo in età de* compagni,
sentivasi bollente rifluir nelle vene il sangue, scese
repentino al paragone delle mani dando di una solenne
guanciata sul viso al senese che fu obbligato a partirsi.
Il fatto destando rumore, e movendo Carlo a fiero
sdegno, ordinò che di là i genovesi ambasciatori sgom-
brassero, ma il Lercaro intrepido ritrattosi dall' altra
parte della capella, fermossi e stette, dicendo con ac-
cento alto e risoluto, che la sua Repubblica essendo
cosi benemerita dalla Santa Sede ' teneva quel posto
meglio onorato che gli si addiceva fra la Corte Pon-
tificia. Interposersi per i Sanesi il cardinale Piccolomini
e per i genovesi il cardinale Cibo, e pregossi l'Im-
peratore a definire il ridicolo piato, ma per allora noi
volle, in appresso, una simile disputa sorta essendo
83
nella corte Cesarea, tra gli ambasciatori Ferraresi,
Fiorentini e Genovesi, sentenziò egli a favore di que-
st' ultimi,
I veneziani negavano restituire a Carlo le terre di
Puglia, e al Pontefice Cervia e Ravenna, il primo do-
vendo partire per la Germania , né volendo quel!' ap-
picco di qualche nuova commozione lasciarsi dietro
di sé in Italia, dava incarico al Doria di appianare le
differenze; ed egli un suo fidato. Federico Grimaldi,
spediva a Venezia profferendosi mediatore presso di
Cesare a quel Senato, il quale pretestando parole di
ringraziamento, rispondeva non poter esser sicuro del
buon animo dell' Imperatore, mentre T esercito di lui
rompeva a continue devastazioni contro le terre Bre-
sciane; in seguito per caldi uffici del Pontefice le terre
in contesa vennero restituite tanto a lui come a Carlo.
XXVI. — In questo, Ariadeno Barbarossa signore
di Algeri, con poderose forze infestava le coste di
Spagna accennando a Cadice, ricchissimo emporio del-
l' oceano, Andrea Doria armava firettolosamente venti
galee, e navigando contro di lui, avuta notizia che un
capitano suo con parte delle navi e delle galee, en-
trato fosse nel golfo di Cercelli muoveva contro di
quella terra. Disbarcate le milizie sotto gli ordini di
Erasmo Doria e Cristoforo Pallavicini vigorosamente
assalivala, e sebbene disperata fosse la resistenza riu-
sciva ad occuparla, parte dei barbari chiudendosi nel
castello, parte sparsi e disordinati fuggendo alla cam-
pagna , ma i vincitori avuta la terra^ disordinandosi
84
-davansi al più crudele saccheggio, allora i mori ritrat-
tisi nel castello prorrompevano sui saccheggiatori, e
rinforzati dai terrazzani dal patito saccheggio inferociti,
gli uni e gli altri ne menavano strage, sicché intiera
rotta sarebbe toccata a' Cristiani, se rinsaviti e riuni-
tisi insieme sotto i capitani, opponendo valida difesa,
protetti dal cannone delle galee non si fossero ritirati
al mare.
Nello stesso tempo sei vascelli con un galeone spe-
divansi comandati da Michele Deferrari contro Gagliego
corsaro di Valenza, il quale con due grosse navi sco-
razzava pirateggiando per il mare inferiore dMtalia.
Erano col Gagliego molti fuorusciti genovesi , ed altri
uomini arrisicati delle Riviere. Il commissario della
Repubblica, Antonio Defranchi , che navigava sopra
quei legni, avea ordine che preso il corsaro con quanti
si trovavano, tutti facesse impiccare, ma non gli venne
fatto, poiché il Gagliego salvavasi nei porti di Spagna,
donde poi fatto prigioniero , per ordine di Carlo
fii dannato a morte. Tuttociò fé' intanto sentire alla
Repubblica il bisogno di meglio ordinare le proprie
difese, quindi fortificaronsi le eminenze dei monti vi-
cino alla città, posesi mano a ristaurare lo sdruscito
forte del Castellacelo, e in molti punti si ripararono
le mura da molto tempo trascurate e cadenti in rovina;
si diede facoltà di tener armate venti galee, si stabili
un fondo permanente per le spese della Repubblica,
di un granaio per il mantimento della città; e per T oc-
corrente dispendio, quando non bastasse il ritratto della
8S
gabella, della macina e dell' olio, rifarsi con un nuovo
balzello sopra il sale ed il vino, si ricorse infino a
S. Giorgio, dandogli per i nuovi prestiti quanto get-
tavano le poste gravezze, colla fondazione eziandio di
maggiori luoghi nelle compere di quello. Si modera-
rono ad un tempo stesso le doti trascorrenti ad ec-
cesso; riformar onsi la Ruota e gli altri magistrati cosi
civili come criminali, alleggerironsi i carichi della Do-
gana, e si provvide alla più sicura e regolare circola-
zione del contante; infine fii deliberato che a' Collegi
appartenesse 1' elezione dei Padri del Comune con due
terzi di voti, e i soggetti di quelli in varii tempi en-
trassero ad esserne i membri, di guisa che la parte am-
ministrattiva che fino allora si era conservata indipen-
dente dal governo, fii anche a questo soggetta. Seguite
queste riforme e provvidenze per meglio far sicuro e
stabile il nuovo ordine interno, si rivolse all'esterno,
a rendere pacifiche e^ durevoli le relazioni della Repub-
blica coi diversi stati. Si mandarono quindi ambasciatori
al Duca di Milano, non tanto a congratularsi secolui
del ducato restituitogli dall'Imperatore, quanto ad in-
durlo a conservare i reciproci confini accennati nel
precedente trattato di lega, dove erasi convenuto il
patto dell* ufi possidetiSy ovvero di mantenere i possessi
come eguali allora si avevano tra l'uno e l'altro Stato.
Ma il più che alla Repubblica tornava di grave im-
portanza era di rannodare le antiche amichevoli com-
merciali corrispondenze colla Francia, poiché il Re
Francesco altamente sdegnato come essa si fosse ri-
86
stretta cosi intimamente coli' Imperatore , vendicavasi
deir offesa perseguitando dovunque i genovesi, ed ogni
commercio ne aveva loro chiuso e vietato nelle Pro-
vincie della Provenza e del Delfinato con gravissima
jattura degl* interessi e degli stati della Repubblica.
Nella presente occasione, per assistere al solenne giu-
ramento che il Re Francesco doveva prendere 'sopra
la pace dianzi conchiusa in Cambray, gli si spedì
Francesco Spinola ambasciatore, ed ebbe speciale istru-
zione non solo che Genova fosse riconosciuta per con-
federata coir Imperatore, siccome compresa nel trattato
di pace, ma il solito commercio venisse a suoi nazio-
nali restituito nei porti della Provenza e del Delfinato.
Lo Spinola sebbene si adoperasse singolarmente a que-
st* ultimo fine, nulla potè ottenere, che il Re gli negò
ogni udienza, né i suoi ministri gli diedero più lusin-
ghieri affidamenti. Però sullo scorcio di quest'anno 1530
più benigno ricevimento incontrarono i nuovi ambascia-
tori Girolamo Defornari e Girolamo Grimaldo Cebà,
che in qualità di straordinari recaronsi in quella corte
per assistere alla incoronazione di Eleonora, sorella
di Carlo V, nuova moglie dello stesso Francesco I.
Parve questi mitigato mostrarsi loro dell'animo colla
Repubblica, quantunque i firancesi pretendessero, che
non espressamente nominata nel trattato, neppur vi si
dovesse considerare per virtualmente . compresa.
CAPITOLO TERZO
Funesti effetti dei trattati di Barcellona , Madrid e Gimbrai, disegni di Francesco I ,
nei qtiali ùl entrare il Pontefice Clemente VII; lamentevoli condizioni del Com-
mercio dei Genovesi, impedito dai divieti, e infestato dalle piraterie del governo
di Francia ; fiera tempesta nel porto di Genova seguita da un terribile incendio ;
ascrizioni alla nobiltà ; V esercito turco e l' imperiale si trovano a fronte senza
venire a combattimento , perchè il primo è costretto ad accorrere alla difesa della
Morea onde impedire le conquiste che vi andava facendo Andrea Doria; il Ponte-
fice Clemente VII spaventato dai favorevoli successi delle armi imperiali rompe
ogni trattativa con Francesco I e si ristringe con Carlo V ; abboccamento in Bo-
logna , progetto di lega tra gli Stati italiani , in prima osteggiato, e poi conchiuso;
Ambasciatori dei genovesi coli per muovere l' Imperatore contro il Re di Francia
a tutela del loro commercio ; venuta in Genova di Carlo V , ospitato principesca-
naente da Andrea Doria nel suo palazzo di Fassolo ; matrimonio di Catterina de*
Medici nipote del Papa con Enrico figlio secondogenito di Francesco I ; viaggio
del Papa a Marsiglia, suo incontro colà, e particolari concerti col Re di Francia,
sua venuta ed accoglienza in Genova; tentativi di conciliazione tra la Repubblica
e Francesco I, specialmente pel ristabilimento delle relazioni commerciali inter-
rotte dalla perfidia del Duca di Milano; preparativi guerreschi fatti dalla Francia,
accompagnati da congiure ordite contro il nuovo governo stabilito dal Doria in
Genova, scoperte e punite colla morte dei loro autori.
XXVII. — I trattati di Barcellona, di Madrid e di
Cambray, le incoronazioni di Bologna piuttosto che
definire le questioni e pacificare gli Stati d' Italia e di
Europa non aveano che meglio commossi gli animi,
non solo de' popoli caduti in turpe servitù, ma de'
principi stessi che n' erano stati essenziale cagione. Dava
a tutti sospetto l'Imperatore che l'esercito suo il quale
condotto aveva Alessandro de' Medici ad essere ia
88
luogo della Repubblica signore di Firenze, ancora te-
nevasi ordinato e minaccioso in Italia, con tanta sua
spesa, ed incomodo e terrore degl' italiani popoli. Ftan-
ceso I apertamente mostrava che addivenuto era a
quelle pregiudizievoli condizioni per sola impazienza
di liberare i figliuoli, né certo avere in animo di os-
servarle; vedevasi anzi inclinato a seguitare i consigli
de* suoi ministri che stimolavanlo a nuova guerra
contro il Duca di Savoia e la Repubblica di Genova,
le quali due imprese, dicevano, potersi agevolmente e
giustamente fare, sia perchè lontano V Imperatore, de-
boli le Provincie, disuniti i principi, malfermi e sgan-
nati i popoli per le nuove ed ingrate loro costituzioni,
sia perchè, il Duca di Savoia come principe italiano
soltanto si era compreso nel trattato di pace, né già
come sovrano delle sue provincie d' oltremonte; né la
Repubblica di Genova doversi tenere in conto veruno,
imperocché trattavasi di uno stato soggetto alla Francia
e a questa ribellatosi.
A questi torbidi umori che ribollivano nelle intime
parti delle potenze d' Europa, si aggiungeva a farne te-
mere più pericoloso lo sfogo , il Pontefice stesso , il
quale non era pago che l'Imperatore gli avesse colle
armi proprie fatta sicura la signoria di Firenze al ni-
pote o figlio suo Alessandro de' Medici, congiungendolo
ancora in matrimonio colla figlia Margherita d'Austria,
ma profondamente mostravasi irato con lui, comeché ar-
bitro nelle controversie tra il Duca di Ferrara ed esso per
Modena e Reggio , tuttoché lo avesse per siffatta pratica
89
affidato in Bologna, dichiarato aveva quelle città essere
feudo imperiale e dovessero appartenere al Duca; e di
Ferrara collo sborso di loo mila scuti, e il solito annuo
censo alla Chiesa, gliene avesse il Pontefice ad accor-
dare la investitura; mentre Carlo, opponente tuttavia
il Papa, restituiva Modena al Duca. Francesco I subo-
dorati questi tristi umori, divisava di meglio intorbi-
darli , e farne suo prò , proponendo a Clemente VII
le nozze di Catterina de' Medici sua nipote con Enrico
Duca di Orleans secondogenito di Francia.
XXVIII. — Intanto le sorti della Repubblica non
solo incerte, ma correvano funeste, e sfavorevoli, peg-
giori ancora in questo tempo di pace che noi fossero
state in quello della recente guerra. Gli armatori fi'an-
cesi per ordine, certo, e consentimento del Re depre-
davano navigli e mercanzie, espulsi erano i genovesi
dai porti della Provenza^ e del Delfinato, trattati da ne-
mici. Il nuovo governo si era per la loro mediazione
rivolto air Imperatore e al Papa affinchè facessero
opera col Re a cessare gli effetti di tanta ostilità ,
ma il primo avvolto come trovavasi nelle guerre di
Germania ben altre cure il preoccupavano che quelle
di attendere seriamente alle lagnanze dei genovesi ; e
il secondo che già colla mente affrettava la conclusione
dell'ambito connubio non voleva guastarsi col Re, né
gli rincresceva questa ruggine tra la Repubblica e la
Francia essendo di suo interesse presente che quelle
cagioni inducessero i genovesi ad accostarsi com' egli
faceva all' alleanza con Francesco. Intanto , i travagli
92
V
tite le vittorie inopinate e le conquiste della Morea
colla ritirata di Solimano, si ristette, e ad altro tempo
più propizio rimandò il divisato tentativo. Né dissimil-
mente si comportò il Pontefice , il quale posto in isgo-
mento dalle prosperità imperiali in Morea, e dall'im-
minente ritorno in Italia di Carlo, ruppe di botto ogni
pratica d' accordo con Francia e mostrò di meglio vo-
lere ristringersi col primo. Il quale infigendosi ignaro
di quei maneggi , e bastandogli che la sola autorità
del suo nome gli avesse mandati in dileguo, propose
al Pontefice un abboccamento in Bologna per ivi cogli
altri principi trattare di tutto ciò che potea far sicura
la pace e la quiete della penisola. Si radunarono in-
fatti in quella città Carlo e Clemente VII, insieme a
ministri e ambasciatori dei vari stati e principi italiani.
La Repubblica vi mandò Ansaldo Grimaldo, Tommaso
Cattaneo e Paolo Battista Giudice. Questi nella prima
udienza fecero congratulazioni all' Imperatore per le
vittorie di Morea , per il felice arrivo suo in Italia ;
ma nelle successive esposero quanto più cuoceva alla
Repubblica dicendo che il re di Francia seguitava a
molestarla colle più crudeli ostilità, considerava i ge-
novesi come i più crudeli nemici, ogni maniera di co-
municazione, ed ogni agio o necessità di commercio vie-
tando loro in modo eh' era contrario allo stesso diritto
delle genti in fatto di popoli confinanti. Questa insolita
ed ingiusta guisa di procedere, aggiungevano essi, altro
fine non avesse che separare la Repubblica dalla sua
unione coli' Imperatore facendole violenza affinchè fosse
93
costretta a collegarsi con lui. Nel che, s' egli viveva in
errore, che non mai avrebbe rinunziato alla propria li-
bertà, né disgiunta si sarebbe dal magnanimo suo benefat-
tore , temer ben si doveva che il malcontento de' suoi
popoli immiseriti dal difetto di ogni più utile traffico colla
Francia, V astringesse per naturale indebolimento a
qualche pericoloso partito; quindi essere di suprema
necessità eh' ei la sollevasse da tanta calamità o col-
r autorità o coli' armi. Notavano, averne l'Impera-
tore tanto più obbligo in quanto che quelle molestie
erano una rappresaglia dei danni toccati a' francesi
d' Andrea Doria mentre si trovava combattendo al suo
servizio; conchiudevano, desiderare che nella rinnova-
zione della lega , tali condizioni si apponessero a far
salva la Repubblica dai lamentati disastri.
Rispondeva benigno l' Imperatore ai genovesi legati,
che sebbene di molto gli stesse in cuore il benessere
della Repubblica , non aver potuto com' ei bramava ,
muovere ancora ad aiutarla e difenderla efficacemente,
occcupato ed impedito dalla guerra coi Turchi; ma di
presente , secondochè essi stessi vedevano , radunato
avere quel Congresso per provvedere con certi e sta-
bili modi alle sorti d' ItaUa , e specialmente a quelle
della loro Repubblica ; si confortassero , e riferissero
eh* egli aveva in animo di proporre e far adottare tali
rimedii che avrebbero posto freno a chi era cagione
di tanta rovina, né aspirava che a turbare continuo lo
stato della Cristianità.
E alle lusinghiere parole volendo seguitassero i più
94
utili effetti, ai convenuti ambasciatori, e principi in Bo-
logna dimostrava la necessità di stringersi più intima-
mente in una lega a difesa comune, per cui i francesi
uscendo di speranza di eflfettuare quei disegni che pò-,
nevano a cqntinuo cimento la pa^ce del mondo, avrebbe
egli potuto sciogliere V esercito, di tanto incomodo a
se per l' enorme dispendio, e di naturale gelosia altrui.
Ma prima di scioglierlo voleva far sicuri la Repubblica
di Genova e il Duca di Savoia principale segno delle
ostilità del Re, che pretestava poterli inquietare e com-
battere senza violazione dei trattati di Madrid e di
Cambray. Quei due stati doversi specialmente assicu-
rare e difendere dalla lega, perocché entrambi custodi
essendo delle porte d' Italia, nella loro sicurezza e di-
fesa, riposava la forza e la libertà di quella.
Senonchè , i principali dei convenuti non credendo
che alla lusinga dei detti rispondesse la sincerità delle
intenzioni imperiali , cominciarono ad ondeggiar ne'
partiti, e primi i Veneziani negarono di aderire alla
nuova lega adducendo che nell'antecedente, ei si erano
soltanto obbligati alla difesa del regno di Napoli e del
ducato di Milano , né volevano adesso astringersi a
maggiori obbligazioni. Il Pontefice togUendo il destro
di quel rifiuto , tergiversò , allegando che meglio era
continuare nella prima lega, affinché non concorrendo
nella proposta i veneziani, non paresse esistere cagioni
di dissenso fi'a essi e l' Imperatore. Il Duca di Ferrara
ricisamente rifiutossi, sia perché non avesse né denari,
né forze che bastassero per sostenere sé stesso, nonché
95 •
a difesa di altrui, sia perchè avendo a nemico dichia-
rato il Pontefice, conveniente non era di entrare seco
in una lega. Tutte queste ragioni mosse piuttosto dal
.timore di accrescere colle armi proprie la potenza im-
periale in Italia, che da ciò che apparentemente signi-
ficavano, si opposero per allora ai disegni di Carlo V,
il quale però prevalendo alfine coli' autorità sopra di
tutti, vinti gli ostacoli, la lega ebbe effetto, eccettuati
i Veneti che ricusarono ad ogni patto di parteciparvi.
Pertanto nei primi giorni del 1533 confederavansi il
Pontefice, l'Imperatore, il Re dei Romani, i Genovesi,
i Fiorentini, i Sanesi, i Lucchesi, i Duchi, di Milano,
di Savoia e di Ferrara per lo spazio di sei mesi ob-
bligandosi a tener quieta V Italia , e a difenderla in
guerra contro di coloro che tentassero di perturbarla
concorrendovi colle armi e col denaro ; e per que-
st' ultimo obbligavansi in ciascun mese l' Imperatore
a 30 mila- ducati , a 20 mila il Pontefice per se e i
Fiorentini, a io mila il Duca di Milano e quel di Fer-
rara, a 6 mila i Genovesi, a 2 mila i Sanesi, a mille
i Lucchesi; della poca somma i Genovesi, e dell'es-
serne del tutto esente il Duca di Savoia era ragione
il danno gravissimo per essi sofferto nelle passate
guerre, la continua difesa de' confini cui si trovavano
costretti contro gli assalti de' fi-ancesi. Seguita la nuova
lega r Imperatore per meglio cattivarsi l' animo del
Papa, e tirarlo dalla sua parte, gli offerse di maritargli
la nipote col Duca di Milano, ma quegli ringraziando,
ricusò, sperando di provvedere in più utile modo a'
. 9^
suoi interessi , col vagheggiato parentado del Re di
Francia, cui anzi si uni subitamente per due cardinali
che questi gì' inviò i quali conchiusero la pratica. Cle-
mente VII fece scusa con essi, mostrando che la nuova
confederazione non poteva recare danno alla Francia,
perocché ninno de' confederati voleva in fondo osser-
varne i patti, che anzi avrebbe avuto per sicuro effetto
lo scioglimento dell' esercito imperiale e cosi data fa-
coltà sarebbe al Re di scendere Uberamente in Italia.
XXX. — Volgendo i primi mesi dell'anno 1533
conducevasi in Genova l' Imperatore , gli andavano
incontro a' confini Stefano Raggio, Gio-Batta Lomel-
lini, Filippo Dinegro e Simone Mortaro, ambasciatori
della Repubblica, a metà via si aggiungevano loro
altri 16, e nella valle di Polcevera veniva ricevuto dal
Doge Battista Lomellino eletto di fresco e dai Senatori,
accompagnato dai quali pigliava egli alloggio nel pa-
lazzo a Fasciolo di Andrea Doria. Era questi a grande
ricchezza e potenza salito, perocché oltre ciò che ri-
tratto avea dalle spedizioni sue vittoriose e dal fissato
annuo assegnamento per le 15 galee, per l' Imperatore
era stato provveduto di onorevole trattamento e con
generose mercedi ricompensato , col dono eziandio del
ducato di Melzi nel Regno di Napoli che gettava 40000
scudi all' anno. Per cosi grande mutamento di for-
tuna , che in povertà era nato , Andrea il sontuoso
palagio faceva di meravigliose pitture e sculture dei
più valenti pittori e scultori adornare , forniva di
preziose suppelletili, sicché potea meglio ad una reggia
97
di sovrano principe che alla dimora d' un privato
cittadino rassomigliare. Ivi accolto a superba magni-
ficenza Carlo V , quanto vi si trovava contenuto
di ori e di argenti, e sontuosi arredi tutto il Doria a
lui profFerse, e quegli accettando, pose per condizione
serbassesi tutto fino al suo ritorno in Italia. Dodici
giorni soggiornò in Genova, e di titoli, e di onoji
largheggiò a molti de* nobili ; partì alla volta di Spagna
con trentasei galee comandate dal Doria, il quale nel
ritorno soccorse a Corone in Morea assediata stretta-
mente dai turchi, e la rese sicura.
XXXI. — Al Pontefice per la {Partenza di Carlo
dall' Italia venuto essendo meno il timore che aveva
di lui, davasi egli sollecitamente al parentado della ni-
pote col secondogenito del Re di Francia, trattava di
un abboccamento con questo nella città di Nizaa, ma
siccome il Duca di Savoia non volea alienarsi V animo
deir Imperatore, oppose ostacolo alla concessione della
rocca che gli si richiedeva a quel fine. Allora Cle-
mente VII decise condursi di persona in Francia.
Quindi una squadra di galee firancesi navigò a Porto
Pisano, e colà imbarcata Caterina de' Medici la portò
a Nizza, ritornata la flotta in Porto Pisano il Papa
con molti cardinali vi salivano sopra, e prosperamente
navigando giunsero al porto della Spezia ; Ansaldo Giu-
stiniani , Giacomo Grimaldi , Vincenzo Pallavicini , e
Francesco Doria in nome della Repubblica vi si reca-
rono ad ossequiarlo, ma tosto ne ripartirono, Sjentendo
che con celerità egli desiderava di continuare il viaggio
7
98
senza entrare in alcun porto della Liguria, avrebbe
bensì, al suo ritorno accettati gli onori, e le fauste ac-
coglienze che la Repubblica gli facesse. Veleggiava fe-
licemente a Marsiglia dove già stava ad attenderlo
Francesco I; presero entrambi stanza nello stesso pa-
lazzo, e celebrato e consumato il matrimonio di Enrico
con Catterina che vi si era da Nizza trasferita, avvi-
sarono quindi al miglior modo di collegarsi più stret-
tamente insieme; proponeva il Re lo aiutasse all' a-
cquisto del milanese per Enrico ora marito della nipote,
e volesse ancora venire a qualche onesto termine di
accomodamento col Re d' Inghilterra che in ispregio
della Sede Apostolica ripudiata la moglie Caterina di
Aragona, aveasi tolta seco Anna Bolena; ma alla prima
proposta non volle Clemente VII pubblicamente ob-
bligarsi non lasciando però di dare al Re promesse e
parola che a tempo più maturo lo avrebbe in ciò sod-
disfatto; della seconda non si potè ottenere un utile
effetto opponendovisi i modi intemperanti, e li sconci
costumi deir inglese monarca , di guisa che lo stesso
Francesco ebbe ad abbandonarne il pensiero. Ciò fatto,
soggiornato essendo il Papa per un mese in Marsiglia
parti di là sopra le galee francesi alla volta di Savona,
dove lasciate quelle, e postosi al bordo delle genovesi,
e di alcune di Andrea Doria navigò a Civitavecchia,
e da questa tornossi a Roma. Ma poco tempo potè
godere della nuova fortuna, che in breve venne colto
da morte, succedendogli nel pontificato il Cardinale
Farnese col nome di Paolo III.
99
XXXII. — Interrotta sempre durava ogni commer-
ciale relazione colla Francia con grave jattura della
Repubblica, con molestia de* popoli, e dispetto loro
contro il nuovo governo che dall' esserci tutto dato
in balìa dell'Imperatore a lui ne riferivano la sola e
vera cagione, quando un Pier Francesco Noceto ge-
novese fatta avendo lunga dimora in Francia , prima
di tornare in patria volle riappicarne nuove trattative
col contestabile Signor di Montmorancy; questi accettò
di ripigliare il negozio , e tenerne ragionamento col
Re dove prima dalla Repubblica ne venisse la domanda;
della quale cosa fatto tosto conscio il Governo , si
mandarono perciò a quella Corte Gio-Batta Lercaro,
e Benedetto Vivaldi; abboccavansi essi col Contesta-
bile , indi presentatisi al Re , gli chiesero licenza di
trattarne con quello, e avutala, già tanto si era pro-
ceduto innanzi nella pratica che a' convenuti capitoli
la sola regia firma mancava, quando con lusinghiere
speranze, e con modi cortesi vennero accommiatati. Del
subito mutamento si diede ragione che in quel mentre
Francesco alterato oltremodo nelF animo per uno scel-
lerato fatto avvenuto in Milano , deliberato aveva
nuova guerra in Italia, e perciò certi maneggi ripresi di
congiure e di sediziosi moti in Genova, non volle quindi
per senso di lealtà affidarla con un trattato che ne avrebbe
posto in evidenza la perfidia. E di vero, un cotale Mo-
rigia dopo 25 anni di soggiorno in Francia che tanto
ito era innanzi colà nei regi favori da divenire scudiero
del Re, desideroso di rivedere la patria correndo V anno
100
di grazia 1535 tornava in Milano; lietissime accoglienze
gli si faceano dal Duca, servendogli di efficace entra-
tura il proprio nipote Francesco Taverna Cancelliere
ducale, anzi lo Sforza mostrò desiderio che rimanesse
presso di sé quale ambasciatore del Re, ma sic-
come ciò avrebbe posto in grave sospetto Y Impera-
tore, si addotto a temperamento che in secreto tenute
si sarebbero le lettere credenziali, palesi soltanto le
commendatizie del Re, ostensibili ad ogni evento.
Seguito r accordo, il Morigia restossi in Milano, e con
tanto favore, ed insolita frequenza ricevuto dal Duca
che sorse, come si temeva, profondo il sospetto nei
ministri imperiali i quali lo trasmisero ali* Imperatore
medesimo , a tale che fieramente indignato contro il
Duca, e presolo in diffidenza, stava per rompere il
matrimonio di Cristierna figlia del Re di Danimarca,
e suo nipote già stabilito con quello. Lo Sforza, tra
perchè di natura pusillanime, tra perchè infermiccio e
debole di corpo , che già , come fu scritto , il veleno
propinatogli gU rodeva le viscere, tentò giustificarsi,
e mise fuori le reali commendatizie, ma non bastarono,
r Imperatore non gli die fede, il Duca a procacciarsela
con qualche segno più persuasivo , tes^ un insidioso
agguato al Morigia; tolse a pretesto una contesa da
lui avuta con un nobile di casa Castiglione, per la
quale venuti alle mani i domestici suoi, con gli sgherri
di questi , n' erano gli ultimi rimasti feriti e malconci.
Volendosi ora tenere del premeditato tafieruglio autore
principale venne il Morigia imprigionato , e nel giro
lOI
di tre giorni troncatogli il capo e al pubblico esposto.
Come del doloroso fatto ebbe notizia il Re, fiera-
mente ìnfianmiato d*ira se ne dolse col Duca, cogli
altri principi, coli* Imperatore istesso, cui per vitu-
perio del primo rimise gli originali delle lettere che
il Morigia abilitavano e riconoscevano a suo amba-
sciatore; indi dato di piglio alle armi prorompeva
a nuova guerra in Lombardia; approssimandosi però
il verno, ne differì il cominciamento alla più propizia
stagione.
E agli apparecchi guerreschi cui si poneva mano in-
defessa, volendo congiungere tutti gli altri spedienti che
poteano favorirne ed avvalorarne il successo, il Re
francese rappiccava le intelligenze in Genova colla fa-
zione dei popolari affinchè al moto delle armi sue ri-
spondesse quivi qualche politica commozione che T a-
iutasse. Diffatti il nuovo governo che vigilava con in-
quieta cura alla propria sicurezza venne in cognizione
che un Agostino Granara, un Corsanico e un Tom-
maso Sauli, dei quali i primi due molta autorità eser-
citavano sulla plebe, e il terzo era nobile popolare e do-
vizioso, trattato avevano col Re francese , offerendosi
il Granara e il Corsanico di destare un tumulto di
plebe, quando egli con un certo numero di pronte
navi lo avesse aiutato. Il Sauli essendo in Bologna
aveva fatte al cardinale Agramente le stesse promesse
col favore dei nobili popolari che molti erano dalla
sua parte, capitali nemici degli antichi venuti al pos-
sesso della Repubblica. Scopertasi la trama, il Gra-
102
nara e il Sauli furono decapitati. Il Corsanico salva-
tosi colla fuga, cadde alcun tempo dopo nelle mani di
Andrea Doria , che senz* altro lo fece sommergere in
mare.
CAPITOLO QUARTO
Grtnde armamento ed impresa contro di Tunisi; sotto gli ordini di Andrea Doria«
presente Carlo V, presa della Goletta e della città di Tunisi, fuga del Pirata
Ariadeno Barbarossa che ne avea usurpato il dominio, ristabilimento del Sovrano
Muleassen che n* era stato espulso con obbligo di omaggio all' Imperatore Girlo V.
XXXIII. — Mentre questi fatti teneano in grande
agitazione gli animi, deliberavasi T impresa di Tunisi.
Ariadeno Barbarossa rinegato greco dell'isola di Mct
telino pirateggiando con 70 galee infestava il mare
inferiore di qua dal Faro, e minacciava il ligustico, né
con quelle forze soltanto, ma con altre maggiori di
una nuova armata che allestivasi in Barberia. Di re-
pente però il formidabile Pirata, dato il guasto ai lit-
torali di Napoli e Sicilia si volta incontro l'Affrica,
afferra Tunisi, ne occupa la città, ne caccia Muleassen
che n* era il sovrano. La quale occupazione appena fu
nota fece con ragione temere che il Barbarossa da
quell' importante stazione si potesse in breve tratto pre-
cipitare sopra tutte le coste del Mediterraneo. A que-
sto pericolo si aggiunse il nuovo danno che Corone
nella Morea conquistato per la flotta di Andrea Doria
104
venne ripreso dai Turchi, ritrattosi il presidio degli
Spagnuoli in Sicilia.
Prevalevano quindi i Turchi, e Francesco alleato di
quelli, il mare turbato era ed infestato, V Italia in balia
di nuova guerra, Genova più che altra sua città espo-
sta a tutti pericoli. Il nuovo governo temendo la so-
prastante procella teneva pronti vascelli e navi, aumen-
tava presidj, ordinava a' scelti starsi preparati ad accorrere
al soccorso delle terre invase, visitavansi le mura, e tro-
vato avendo che alcune caverne erano state aperte ad
arte sotto di Carignano, donde da esse nella città, e
dalla città poteasi liberamente ad esse comunicare, strug-
gevansi, e riempiute ed otturate venivano con sassi;
deputavansi ancora cinque capitani che sorvegliassero
alla difesa e sicurezza dei diversi quartieri della città.
Ciò fatto, davasi sollecita opera all'armamento delle
galee che doveano destinarsi all' impresa di Tunisi, di
cui capitano generale eletto dall' Imperatore era An-
drea Doria. Il Pontefice cui stava a cuore la spedizione
perocché libero da quelle paure che nell' animo suo
mantenevano le infestazioni turchesche, desiderava di
provvedere stabilmente alle cose italiane, non senza
disegno di migliorare le proprie, quanto più potea cal-
deggiavala, e avutane facoltà dalla Repubblica armava
quivi nel porto nove galee fornite di gente libera a
soldo, le quali poi con tre galee congiunte, tutte in-
sieme commetteva agli ordini di Virginio Orsini. Nello
stesso tempo ad onorare il Doria, gli spediva uno stocco
consecrato col manico tempestato di gemme, e il fo-
105
dero a vaghi disegni scolpito, ed un cappello di vel-
luto, doni, e particolari distintivi soliti dai Pontefici a
concedersi ai principi che più avessero ben meritato di
Santa Chiesa.
XXXIV. — Ferveva V opera dell' armamento che
componevasi di novanta galee; 15 di Andrea Doria,
cinque di Antonio Doria, due di Onorato Grimaldi
Signore di Monaco, di Visconte Cigala altrettante, tutte
queste con danari di Carlo assoldate; a spese della
Repubblica erano 12, le quali unite alle nove del
Pontefice, ebbero in quel tempo i Genovesi in mare
45 galee. Delle navi il numero fii maggiore di 200,
delle quali 37 armate in Genova; le milizie che le sa-
lirono giunsero a quasi 40 mila uomini; nobili in. gran
copia vi si trovavano fra i più cospicui di Spagna,
Fiandra ed Italia ; nobilissimi molti condottieri, de' Ge-
novesi Agostino Spinola e Giovanni del Carreto; le
altre 45 galee appartenevano ai principi collegati
negli stati e regni dell' Imperatore apprestate.
Cosi fatta flotta veleggiava per Barcellona dove tolto
seco r Imperatore sulla Capitana Reale mirabile per
isquisitezza d' interno lavoro, magnificenza di arredi, e
armoniosa disposizione di parti, indirizzavasi in Sarde-
gna, di questa alla costa settentrionale dell'Affrica donde
dalle spiaggie dell' antica Cartagine entrava nel porto
di Utica detto Porto Farina, e vólto il Capo di Car-
tagine, accosto alla Torre dell' Acqua Morta, poneva
a terra fanti, cavalli ed artiglierie. Si tenne consiglio
se subitamente dovessesi oppugnar Tunisi, o la Go-
io6
letta che è forte, il quale guarda la bocca di un ca-
nale che si allunga in ampio porto, indi poco lontano
dalla città di Tunisi. Quèst' ultimo partito sostenuto
dal Doria la vinse, e la Goletta fieramente si prese a
combattere; e sebbene da' Turchi valorosamente difesa,
dopo un mese, addi 1 3 luglio datale da' Cristiani ge-
nerale e sanguinosa battaglia si arrese. Occupata la
fortezza, era mente di Carlo muovere difilato all' espu-
gnazione della città, senonchè la maggiore e più rag-
guardevole parte de' suoi sconsigliavalo, adducendo,
avere colà entro Ariadeno 150 mila armati di gente
firesca ed eletta, inferiori assai di numero i nostri, con-
sunti dalla lunga fatica, dai sofferti disagi, e da pesti-
lenziale morbo, non bastando a ' reggersi in piedi sotto
quel sole ardentissimo e quella terra infocata, e d'acqua
e di ciò che più abbisognavano in grandissima penuria.
Ma Carlo non dissimulando la verità di que' fatti, tut-
tavia portato da natura a compiere sempre quanto avea
dapprima intrapreso, e il Doria avvalorandolo, si tenne
saldo nel primo proposito, e decise innanzi si proce-
desse. Ordinato 1' esercito, prese le mosse, fu cammi-
nato per quasi otto miglia, quando 1' oste nemica quasi
sciame gli si fé' incontro ; si venne a conflitto ; e il
valore dell' antiguardo cristiano composto di veterani
italiani e spagnuoli con siffatto disperato impeto pro-
ruppe sugi' infedeli, che li sgominò, gì' impauri, e li
pose in disordinata e rapida fiiga, talché nel breve
spazio di un' ora colla morte di molti di loro tutti gli
altri spaventati si dileguarono. Allora il campo cristiano
107
colla vittoria in pugno appressossi alla città. Regnava
il più cupo silenzio, e dal sommo della fortezza sven-
tolava una bandiera. Due Numidi fuggiti dalla città
avendo raggiunto la piccola squadra di Muleassen che
spogliato del trono d' Ariadeno unito s* era a* Cristiani,
e militava sotto il vessillo della Croce, portarono la
novella che il rinegato usurpatore, tradito da' suoi, e
uscito d*ogni speranza, abbandonava la terra; quindi
parecchi de* rinegati, custodi della fortezza, liberati al-
cuni schiavi cristiani, e tutti insieme congiunti aver uc-
cisi circa dugento infedeli; essi coloro essere che aveano
inalberata la bandiera, con cui intendevano di avvisare
r esercito cristiano che T adito alla città era loro dis-
chiuso. Ciò udito impetuosamente i nostri precipitansi
entro di quella, e menano strage orribile de' nemici;
dopo la strage segui il sacco ; rimasero dell' uno e del-
l' altro sesso presi 15 mila; 12 mila schiavi cristiani
si liberarono dalla schiavitù. Con questi prosperi sue-
cessi rimesso 1' esercito, trattò T Imperatore con Mu-
leassen che ristabili sul trono di Tunisi, col patto di
pagargli per ragion. di tributo ogni anno sei cavalli
barbari, dodeci falconi, e dodecimila scudi per mante-
'nimento e spesa del presidio di mille fanti spagnuoli
che lasciava nella Goletta sotto gli ordini di Bernardino
Mondegia ; quindi ritorno facendo a questa, venne loro
riferito che nel porto d' Ippona , la moderna città di
Bona, stavano a sicurtà dodici galee nemiche, l' Impe-
ratore per meglio investigare la cosa spedi colà Adamo
Centurione, il quale confermato il fatto, diede ordini
io8
al Doria che senza intermessa navigasse ad insigno-
rirsene. Ma in questo gì' infedeli avuto sentore del pe-
ricolo si erano di repente posti in salvo, sicché il
Doria per vendetta della sottratta preda, espugnata.
Bona e fieramente saccheggiatala tornò a Carlo che.
coir esercito vittorioso salparono insieme di colà per
la Sicilia. Intanto a mille strane avventure andò sog-
getto il rinegato* Ariadeno ; fuggito da Tunisi, avea
navigato ad Algeri, infine a Costantinopoli dove Soli-
mano dichiaravalo Bascià del mare ; con questa dignità
assaliva T isola di Minor ca, occupava Porto Maone col-
r uccisione di 400 circa Cristiani, grandissima preda e
moltissimi prigionieri condotti in ischiavitù. L'impe-
ratore dalla Sicilia recavasi a Napoli, dove disfatto
r esercito, ricevuto veniva trionfalmente, ivi celebrando
egli con pubblica e solenne pompa le nozze della pro-
pria figlia con Alessandro dei Medici, da lui testé fatto
Duca di Firenze ; dopo di avere rimosse con partico-
lare giudizio le opposizioni che faceangli i fiiorusciti
fiorentini privati da quello deìla patria, dei beni e della
libertà.
CAPITOLO QUINTO.
Gnerra de' Francesi in Piemonte ; morte di Francesco Duca di Milano ; quistioni per
la successione di quel Ducato ; Andrea Doria consiglia Girlo V ad appropriarselo ;
rianorazione della lega dell' Imperatore coi principi d' Italia ; infelice spedizione
delle armi imperiali in Provenza, e delle Francesi condotte da Cesare Fregoso
contro di Genova; fine infausta della guerra di Provenza, morte di Antonio di
Leyva clie 1* avea consigliata ; venuta in Genova dell' Imperatore , e rapido suo
ritorno in Ispagna ; nuove provvidenze fatte dalla Repubblica per meglio fortificar
la Città, generosità di molti cittadini, specialmente delle confi-atemite delle Ca-
saecie e di Ansaldo Grimaldi, origine delle sue ingenti ricchezze.
XXXV. — Ardeva la guerra in Piemonte che col-
legavasi di certo con quella d' Ungheria mossa da So-
limano, colle piraterie, e coli' occupazione di Tunisi
per parte del rinegato Ariadeno ; Francesco I preten-
deva spogliare d' ogni stato il cognato Carlo Duca di
Savoja allegando che alla madre Luisa di Savoia so-
^rella di quello, ma consanguinea di Filiberto, doveva
appartenere, non a Carlo figlio del secondo matrimo-
nio e fratello uterino di esso Filiberto di cui questi avea
raccolta 1* eredità. Nizza ancora aveva ad essere sua pe-
rocché parte del Ducato di Provenza, ed Asti costi-
tuita in dote da Gian Galeazzo Visconti alla figlia Va-
lentina maritata col Duca d' Orleans. Ora mentre per
coteste ragioni, ovvero per cotali pretesti le armi di
no
Francia, campeggiavano e devastavano le terre piemon-
tesi e r infelice Duca posto in mezzo tra le ambizioni,
e gli odj del cognato e del nipote Imperatore andava
tapino, nuova e più crudele cagione di discordie sorse
a concitar gli animi correndo Tanno 1535. Moriva
improvvisamente addi i Novembre Francesco Duca di
Milano. Costui per i favorevoli uffizj di Papa Leone X
collegato con Carlo V, divenuto era nel 1522 Duca
di Milano, ma inetto essendo di sua natura potè fra
mille dolorose vicende reggersi nel Ducato finché lo
sostennero i consigli del suo ministro Gerolamo Mo-
rone; tristo, ma scaltro, e grandissimo ingegno; dopo
la morte di lui, abbandonato a se stesso, la naturale
sua viltà e perfidia non ebbe più ritegno ; cosicché il
mal governo che si aiutava d'imposte, di estorsioni,
di confische e di torture, unite ai saccheggi degl* im-
periali e alla peste che mieteva le vite a migliaia, fece
di quel ricco e nobile paese il più* povero ed. infelice
del mondo. Senza fondamento di diritto lasciò lo stato
a Carlo V, il quale da profondo ipocrita eh' egli èra,
mostrò non volersene impadronire senz' aver prima il
parere de' suoi più savj ministri ; radunati da lui a con-
siglio, chi r una, chi l'altra cosa propose, ma senza sua
soddisfazione, quando levossi Andrea Doria che tro-
vavasi fra di essi, mostrò egli tre essere i partiti che
intorno a quel Ducato si offerivano all'Imperatore,
darlo al Re di Francia, o investirlo ad un principe
italiano, o ritenerlo per se. Sconsigliava il primo par-
tito, poiché non per questo si sarebbe fatto pago Fran-
Ili
Cesco, che oltre il Milanese, voleva Nizza, e il Pie-
monte nonché il regno di Napoli per le ragioni della
Casa d'Angiò, e certo era che ottenuto il Milanese,
servito si sarebbe delle forze di esso, e di cosi impor-
tante parte d' Italia, per mandare ad effetto i suoi dise-
gni imitando l'esempio del suo predecessore Luigi XII.
Sconsigliava ugualmente V investitura in un principe
italiano che debole troppo essendo per difendersi dalle
ambizioni di Francia ne avrebbe sempre sposata la
causa, e cosi postosi in condizione di perpetua inimi-
cizia contro r imperatore; non vedeva quindi altro mi-
glior partito che il terzo, cioè, che Carlo sei ritenesse;
grandissimo vantaggio tornare, diceva egli, dall'unione
di esso cogli altri suoi regni e stati d' Italia ; avendo in
sua balia in tal guisa la parte bassa e alta della peni-
sola poteva agevolmente tenere in rispetto i suoi prin-
cipi che nulla sarebbero mai stati òsi di fare nonché
contro di lui, ma senza sua espressa approvazione.
Non si peritasse dunque, ponesse un valido presidio
nello stato milanese che fosse come baluardo inespu-
gnabile contrp gì' interni e gli stranieri nemici di Sua
Maestà imperiale. Piacque senza dubbio all' Imperatore
il consiglio che era ciò che già si avea fisso in mente,
dichiarò quindi Antonio di Leyva suo governatore ge-
nerale del Ducato, ma non parendogli ancora oppor-
tuno per la guerra di Francia di scoprire i suoi pen-
sieri, dichiarò di aver in animo di disporne in guisa
che fosse di aggradimento ai principi itaUani, i quali
pregava gli facessero sentire i proprj desiderj, e gli in-
112
dicassero e proponessero quale via si avesse a tenere
per serbare illesa quella pace che con tanti stenti e
sacrificj era riuscito a stabilire in Italia.
In cotesto modo dalla famiglia degli Sforza, il Du-
cato di Milano trapassò agli Spagnuoli ed Austriaci,
né qui posso far senza di trascrivere alcune generose
e schiette parole di quel dotto nobilissimo ingegno che
fu il conte Pompeo Litta. « Dopo 85 anni, egli scrive,
)} terminò in lui (Francesco II) il dominio sforzesco;
» la gloria dell' avo rimase isolata : il Duca suo zio fu
» ucciso : Gio. Galeazzo mori ignoto ; il padre, il fra-
» tello in prigione : egli disonorato. Dopo gli Arago-
» nesi, gli Sforza furono i primi a sparire tra i sovrani
» d' Italia, la quale fii in un baleno inondata di stra-
» nieri. Il Ducato di Milano fu ceduto nelle mani dei
» Re di Spagna,' fu consegnato a' governatori incaricati
» di amministrarlo con quei modi che sono prescritti
» per conservare le provincie lontane, quando hanno
» perduto i loro principi naturali. Essi nella plebe fo-
» mentarono T ignoranza, perchè mansueta si sottopo-
» nesse a* pregiudizj che dalla politica si doveano iri-
» trodurre: alla nobiltà persuasero Tozio, come vera
» prerogativa di candore d' illustre stirpe, onde all'an-
» tica austerità, e all' antico valore, subentrasse la mol-
» lezza e la pusillanimità ; e al Clero affidarono nuove
» interpretazioni delle leggi divine, associandole alla
» scienza del governo perchè intiepidisse il coraggio,
» che r integrità di queste ispira all' uomo, e perche
» più facile di quelle fosse l' ammissione. Venner meno
» perciò i lumi, Y industria, le popolazioni, V agricola
» tura, ogni elevazione d' animo, ogni origine di viver
» civile : idee indecorose formaron parte di nobile edu-
» cazione ; fii prudenza T indifferenza alle sventure ; la
» viltà fii saviezza ; V amor patrio fu tacciato di deli-
» rio ; e la Santità di una Religione che il Dio della
» Sapienza, della Pace, della Verità avea dato all' uomo, .
» perchè formasse le delizie del cuore, divenne pascolo
» di puerilità, strumento di persecuzione, e guida alle
» stravaganze della fantasia. Quando lo Stato fii com-
» piutamente rovinato, rimase ancora un ammasso d'uo-
» mini, i quali in tempo di pace retrocedevano in verso
» la barbarie, e ne' tempi delle calamità dello Stato erano
» finanche incapaci di poter concepire l' idea di amare
» il loro Re. (i) »
XXXVI. — La dissimulazione di Carlo nel promet-
tere che nulla circa il Milanese avrebbe risoluto con-
tro le inclinazioni e i voleri de' principi italiani gli ot-
tenne r effetto da lui desiderato, imperocché potè con
quelli stringere contro il Re di Francia una lega alle
stesse condizioni contenute nel precedente trattato;
Francesco più acerbamente offeso attese allora con ogni
sollecitudine alla guerra d' Italia ; già sotto le armi sue
cadute erano Torino, Pinerolo, Possano ed altre mi-
nori terre, stava per occupare Vercelli ed indi aprirsi
il passaggio in Lombardia, quando glielo tolse Antonio
(i) Famiglie Nobili d' Italia; Famiglia degli Sforma, Tavola VI
ed ultima.
8
114
di Leyva, accorso con numerose forze per soccorrerla.
Carlo di Napoli recavasi a Roma, e in pubblico con-
cistoro muoveva querele ed accuse contro di France-
sco di Francia, lui affermando violatore della pace, per-
turbatore del mondo ; da Roma conducevasi a Firenze ;
la Repubblica ad ossequiarlo vi mandava Niccolò Ne-
grone, e a Sarzana dove avea proseguito il viaggio,
per conto del Magistrato di S. Giorgio, sotto il go-
verno di cui stava allora quella città, andavano ad esso
ambasciatori Ansaldo Grimaldi, Battista Spinola, Gio.
Batta Sauli, Stefano Raggio , Nicolò Giustiniano, e
Tommaso Cattaneo, facendogli le spese dell' alloggio
il pubblico. Fece poco dopo passaggio in Lombardia,
e giunto in Asti chiamò altra volta a consiglio il Doria
co' suoi più stimati ministri. Trattossi a qual punto in-
dirizzare le armi, e malgrado 1' assennata opposizione
di Andrea, del marchese del Vasto e di Ferrante Gon-
zaga, prevalse il partito di Antonio di Leyva, che sulla
fede di un segreto trattato con alcuni di Marsiglia consi-
gliava di invadere la Provenza , a lui come a Spagnuolo
credette meglio Carlo che ai tre italiani sebbene molto
innanzi fossero questi a quello per ingegno, per espe-
rienza e perizia di guerra. Allestito un numeroso
esercito, l' Imperatore, fra mille disagi, ed ostacoli di
scoscese montagne discese nella riviera occidentale di
Genova, e lunghessa valicate le Alpi marittime, e il
Colle di Tenda , sboccò nella Provenza , e di quella
parecchie terre occupate, si trasse vicino a Marsiglia,
invano aspettandosi che secondo la promessa di Leyva
vi scoppiasse qualche moto che gliene schiudesse V ac-
cesso. Vedendo come si mantenesse quieta , lasciò
quella città e volsesi ad attaccare Aix; senonchè, Carlo
che avea mente sagacissima, si accorse come fallito
andasse il tentativo, e temendone la sinistra impressione
suir animo de' suoi alleati, si affrettò a giustificarsi e
ad assicurarli, e un Ascanio Colonna suo fidato ebbe
da lui commissione di recarsi presso i diversi stati
d' Italia, persuadendoli che queir impresa della Pro-
venza era da lui fatta per difesa, e sicurezza della loro
libertà, perocché Ariadeno Barbarossa alleato del Re
di Francia accingevasi ad infestare e saccheggiare le
spiaggie d* Italia, tenessersi quindi sulle guardie, né
de' suoi soccorsi, né della lealtà sua dubitassero, sa-
pendo che quanto al ducato di Milano, sebbene e come
signore diretto di quello, ed erede testamentario del
defunto Francesco Sforza avesse V incontestabile diritto
di appropriarselo, ciò nondimeno, per togliere ogni
sospetto, era suo fermo volere concèderlo ad un prin-
cipe, o, stato italiano. Cosi il Colonna a nome del-
l' Imperatore sponeva in Genova ai due Collegi , ed
altrettanto faceva al cospetto degli altri stati d' Italia.
XXXVII. — Pertanto le cose della Provenza sini-
strando. Cesare Fregoso genovese, ed uno tra i più rag-
guardevoli e valorosi capitani che militassero aglistipendj
di Francia propose al Re, di dare improvviso assalto
alla città di Genova, imperocché occupata questa città
à. rompeva ogni comunicazione dell' esercito imperiale
di Provenza coli' Italia. In tal guisa le nuove forze do-
né
Vendesi congnmgere eoa quelle che guerr^giavano
vittoriosamente in Piemonte, avrebbero dal loro pas-
saggio cólto E maggiore fimtta con ima più decisiva
£tdone. Assentì il Re, e nella pìccola cittì di Miran-
dola governata dalla famigtia dsi Pico che part^giava
per la Francia, si allestì un esercito di 12 mila £uiti ed
800 cavalli sotto ^ ordini di Cesare ed Ercole fra-
telli Fr^oa, Guido Rangone, Cagnino Gonzaga, Bar-
naba Visconti, ed altri £miosi condottieri italiani e
france^ Era il di 20 di lu^o del 1536 quando quelle
squadre presero le mosse dalla Mirandola, e cammir
nando per 37 giorni trovaronsi sotto Tortona il 27 di
agosto. Ripresa la vìa, varcati gli Apennini, passarono
in Polcevera, e appena albeggiando giunsero nel luogo
di S. Francesco della Chiappetta, indi a Rivarolo, donde
spedirono un uomo loro al Senato che ìa nome del
Re di Francia dovesse chiedergli il dominio della città.
Ma non appena costui giimto al Capo di Faro, o alla
Lanterna venne preso dai soldati che vi stavano di
guardia, e il Senato avutone avviso, ordinò non gli
fosse permesso di entrare in città; due giorni venne
sostenuto in prigione, al terzo fu rimandato ' libero
a' suoi.
Intanto al rumoreggiare inopinato di quelle armi,
versava Genova in grandissima agitazione, le antiche
parti riscuotevansi, la plebe accennava a tumulto, ma
il Senato non ismarrivasi, e dava pronta mano alla
difesa ; nominava Provveditori della guerra Franco Do-
ria, Girolamo Spinola Frisetto, e Stefano Pasqua,
117
mandava avviso del soprastante 'pericolo ad Andrea
Doria che trovavasi in Provenza, e quegli Antonio
Doria con otto galee ed ottocento fanti capitanati da
Agostino Spinola spediva subitamente al soccorso;
mille tedeschi venivano dalla città di Alessandria. Con
queste forze, ordinavasi la difesa; ponendo Agostino
Spinola alla guardia di Fasciolo, e dei circostanti siti,
dalla parte opposta di Bisagno Gomez Suarez amba-
sciatore di Carlo coi mille tedeschi; fra lui e lo Spi-
nola Antonio Doria ; il governo delle otto galee con-
fidavasi a Melchiore Doria fratello di lui; parecchie
altre genti raccoglievansi e nei luoghi più deboli col-
iocavansi. Date queste provvidenze attendevasi lo scop-
pio deir imminente procella.
Infatti, non poca parte delle due valli del Bisagno
e Poicevera mostravasi sollevata al nome dei Fregosi,
e r esercito assalitore procedendo innanzi e ingrossando
di gente avvicinavasi al ponte di Corhigliano, quivi
attestatosi dividevasi, e un assai cospicuo numero di
esso condotto da Ercole Fregoso trapassava alla volta
dei Bisagno, per dare ad un tempo stesso dalle due
parti r assalto. Ad esplorare lo stato della città sali-
vano poscia le alture di Granarolo, e colà aspettavano
qualche moto che secondo le intelligenze che vi ave-
vano li secondasse ; ma ossia che non si osasse, ossia
che gì* ipiprevisti e subiti apparecchi di difesa fatti dal
Senato ne avessero tolto V agio, la città mantenevasi
tranquilla. Sorgeva V alba del 2 settembre allorché con
grande impeto si viddero assalite le mura di Fasciolo, e
ii8
già poste le scale si superavano dagli assalitori; con molto
valore essendo rispinti , riusciva ciò nondimeno ad un
alfiere del conte Guido Rangone ad inalberare sulla
torre dello sperone la bandiera, e bene fissatala ferma
animosamente teneala colla mano, ma un capitano
Battista corso lungamente noi sofferse, e con tutto il
corpo dalla torre prosteso, afferrò la bandiera, e di
mano strappoUa dell' Alfiere, e a sé tirandola in mille
brani la fece, precipitato colui dalle scale. Senonchè i
nemici con maggiori sforzi spingevansi innanzi, ferveva
la mischia, e già colla peggio degli assaliti che bale-
nando ritraevansi dalla difesa delle mura; ciò vedendo
Agostino Spinola vi mandava Antonio Calvo con una
grossa mano di soldati che prendendo tosto viva parte
* al combattimento dava animo agli assaliti, perdendolo
gli assalitori, che vedendo niun moto, come speravano,
accadere dentro la città, pensavano ad altri consigli;
confermavanli in questi, le notizie che avevano del-
l'altra loro gente della parte orientale, ributtata non
solo dai Tedeschi, ma fiilminata dai grossi cannoni di
artiglieria delle otto galee che Melchior Doria poste
avea dinanzi alla bocca del Bisagno, talmentechè spa-
ventati, e versando in grave pericolo datisi a precipi-
tosa fuga, e inerpicatisi a* monti non si erano fermati
che presso a Montobbio. Mentre queste cose succe-
devano, venivano pure a sapere che Bartolorpeo Spi-
nola con ottocento fanti accorso era alla difesa della
città, quindi diffondendo la voce eh' essi con più effi-
caci forze stavano la domane per rinnovare V assalto,
119
protetti dalla notturna oscurità, di cheto invece partiti
per le Cabanne, presero la via del Piemonte dove uniti
all' esercito francese che vi campeggiava, dierono bat-
taglia a Carignano e Carmagnola.
Liberata la città da quel pericolo; il Senato si volse
a castigare coloro che aveano parteggiato per gli ag-
gressori, e in ogni modo aiutatili, molti uomini della
Polcevera, e del Bisagno specialmente, vennero con-
dannati alcuni nel capo, altri coir esigilo, tutti nei beni»
XXX Vili. — A dolorosissimo fine volgeva l'impresa
di Provenza consigliata a Carlo dall'Antonio di Leyva;
lo stremo dei viveri, le strade tutte rotte, mille difl5-
coltà e disagi, la pestilenza infine aggiuntasi a tutto
ciò, già aveano dell' esercito imperiale fatti perire più
che 20 mila uomini. L'imperatore volea passare il
Rodano e venire a giornata prima che le sue genti
tutte gli mancassero per la peste, quando lo stesso An-
tonio di Leyva preso da gravi dolori di corpo e dai
più acerbi dell' animo per avere egli solo contro il
parere dei più savi confortato si infelice fazione rendè
lo spirito, invitto ed avventuroso guerriero senza dub-
bio, ma né esperto né sagace capitano. Carlo da tanti
disastri costretto deliberò il ritorno, e indirizzossi alla
volta di Genova; giunto a Ventimiglia gli andarono
incontro per il Magistrato di S. Giorgio cui soggetta
era quella città, Vincenzo Sauli, Antonio Vivaldi, Et-
tore Fiesco e Martino Mongiardino ; seguitando a Sa-
vona quivi per la Repubblica gli fecero omaggio Gio.
Batta Lasagna, Gio. Batta Dinegro, Bernardo Giusti-
120
niano, Agostino Doria, Paolo Spinola di Francesco,
Gio. Batta Grimaldi, Pietro Camogli e Simone Recco ;
accompagnato dai quali pervenne in Genova addi i6 ot-
tobre del 1536, avendo prima per la valle di Albenga
rinviate le misere ed estenuate sue soldatesche in Pie-
monte. Tre giorni dimorovvi, e il genero Alessandro
de* Medici inconscio dell' infelice fato che in breve lo
attendeva, venne a visitarlo, nominato da lui al grado
di generalissimo che già teneva V estinto Antonio di
Leyva; navigò quindi frettolosamente in Ispagna con
44 galee da contrarj venti sempre combattuto.
XXXIX. — Il passato pericolo e i nuovi rumori di
guerra che per parte de' Francesi si faceano più vicini
sentire, mossera la Repubblica a premunirsi più effi-^
cacemente; si richiamarono da Milano 300 tedeschi
mandativi poco innanzi a tutelarla, crearonsi capitani
della città Gio. Batta Pallavicino, Niccolò Guastavino,
Antonio Fornari, Accellino Spinola, Leonardo Lomel-
lino. Paolo Doria, Jacopo Gallo, Oberto Calvo Bel-
locchio, Pellegro RebufFo e Bisagnino ; ma il più ch'era
di sommo momento si deliberò di- fortificare le mura
di Fascinolo, essendo cosa indegna, per una città che
avea fama tra le più cospicue d' Italia, di dovere ad
ogni pie sospinto rimaner soggetta ad assalto e tre-
mare di venire occupata. Vero è bensì che la gran-
dezza dell' opera, l'ingente spesa, V esausto erario, e la
malagevolezza a trovare danaro vi si opponevano, ma la
necessità e la carità della patria prevalsero, e il 14 set-
tembre in pieno Consiglio venne presa la deliberazione.
121
Ragìonossi per allora essere settantamila scudi sola-
mente bastanti, de* quali, consentendolo i partecipi,
17500 se n'ebbero da S. Giorgio, gli altri fornirono
l'imposti balzelli, i doni del pubblico, la particolare
liberalità di molti cittadini. Fa d' uopo dire però che
infin di opera la spesa toccò fino ai cinquecento mila
Scudi. Ora il di 29 decembre tutto il Senato, dovendo
darvi principio, divotamente recossi in processione alla
fortificazione dello Sperone, e dopo molte preghiere,
nel nome santissimo di Gesù Cristo, validissimo fon-
damento di libertà e di salute, quello delle nuove ge-
novesi mura colla prima pietra il Doge pose.
Fra coloro che generosamente concorsero alla edi-
ficazione loro non vanno dimenticate alcune confirater-
nite di cittadini chiamate dai Genovesi col nome di
Casaccie, le quali fecero dono alla Repubblica di molti
luoghi di S. Giorgio, acciocché 1' annuo reddito di quelli
servisse al riparo delle deliberate fortificazioni, ma in
singoiar modo deve con onorata menzione segnalarsi
il nome di Ansaldo Grimaldi, che institui in S. Giorgio
un fondo di quattro mila luoghi, il provento de' quali
crescendo a moltiplico, dovesse ogni anno in altri luo-
ghi investirsi finché fossero pervenuti in numero di
64 mila luoghi. I fi'utti avevansi annualmente a spen-
dere parte a favore del pubblico somministrando lo
stipendio al Doge e a' Governatori, parte per condurre
Maestri di lettere umane e di studj legali, parte a be-
nefizio de' particolari, dotando infine figlie di famiglia,
e sovvenendo a' poveri della città e ad Opere Pie.
122
* Com* era giustizia, tanta munificenza di elargizioni recò
il nome di Ansaldo Grimaldo sino alle stelle, e statua
nella sala del gran Consiglio, e in quella di S. Gior-
gio gli venne decretata ed eretta, e gli scrittori tutti
ne dissero amplissime lodi; ma verità istorica vuole
pure si dica che V origine delle ingenti ricchezze da
lui possedute andava intinta di nerissima macchia, im-
perocché racconta negli Annali Filippo Casoni, e il
suo racconto è confortato d* altri scrittori di cose ge-
novesi, che nel 1522 accaduto Torribile saccheggio
dato a Genova dagl' Imperiali, il Grimaldi per mezzo
di. Alfonso d'Avaloz marchese di Pescara che li con-
duceva e di cui era egli amicissimo, comprò a vilis-
simo prezzo da' saccheggiatori gli oggetti più preziosi
per essi a' cittadini derubati che ei vendette poscia a
carissimo, accumulando in tal guisa le maravigliose
ricchezze ;. disortachè il largheggiare di queste a prò' del
pubblico parrebbe potersi in lui meglio a rimorso di
coscienza e ad amenda di colpa commessa che a vero
sentimento d' animo generoso riputare ; in queir età
appunto in cui mancando ogni audace baldanza, i pen-
sieri di un' altra prossima vita tormentano gli ultimi
giorni di questa che sta per tramontare.
CAPITOLO SESTO
Si raccende la guerra tra Francesco I e Carlo V , si recano in Genova a compimento
le fortificazioni, morte del Duca Alessando dei Medici, successione di Cosimo dei
Medici. Il papa Paolo III induce ad un abboccamento e ad una tregua il Re di
Francia e V Imperatore in Kizza. Trattato di lega contro il Turco tra il Papa ,
l'Imperatore e i Veneziani; venuta, in Genova dei primi due. Abboccamento di
Carlo V e Francesco I in Acquemorte di Provenza sulla capitana di Andrea Doria ,
incontro di questi col Re, e sue fiere risposte. Guerra del Papa, Imperatore e dei
Veneziani contro il Turco; sleale condotta di Andrea Doria che ricusa di vincere
per indebolire e disonorare i Veneziani, affinchè più ^cilmente si abbandonino in
balla dell* Imperatore , e sia così compiuta la servitù d' Italia. Il Papa istesso
veduta la firode di Carlo e la slealtà del Doria consiglia Venezia ad accordarsi col
Turco ad ogni patto.
XL. — Sorgendo T anno 1537 a Cristoforo Rosso
succedeva nel Dogato Gio. Batta Doria senatore, e
correndo voce che per mediazione del Pontefice trat-
tavasi di pace tra Carlo V e Francesco I. si mandò
ambasciatore al primo lo stesso Ansaldo Grimaldi,
conmiettendogli che laddove dalle due Corone si scen-
desse veramente ad un trattato, con forma speciale vi
si comprendesse la Repubblica come confederata del-
l' Imperatore, affinchè non le si rinnovassero quei danni
medesimi de' quali era stata cagione l'averla ommessa
nell'antecedente.
Ma nulla era delle concepite speranze, che France-
sco più che mai attendeva a calare in Italia con nuove
124
e maggiori forze, laonde fu d'uopo invece di provve-
dere la città di altre più strenue difese, si ordinarono
leve di compagnie, si elessero 17 capitani per esercitare
le milizie, si compiè la fortificazione dello Sperone, sten-
dendosi a tale lunghezza la muraglia che giungesse da
quello air Acquasola, e da questa a Fascinolo ; si spedi
Giovanni Salvago in Lombardia per levarvi due mila
fanti tedeschi già con danari della Repubblica dal Go-
vernatore di Milano assoldati^ affirettossi pure V Impe-
ratore di dar ordine per la sua parte ad ogni cosa, e
specialmente invitando Andrea Doria che dalla Spagna
trasportasse in Italia quelle milizie che per tal fine
erano state condotte. Trasferi infatti in Genova il Doria
le milizie che seguitare dovevano per la Lombardia,
ma strano accidente fu allora di Alessandro dei Medici
Duca di Firenze e genero di Carlo ucciso a tradimento
dal proprio cugino Lorenzino, laonde quelle genti dis-
viate, indirizzaronsi alla volta di Toscana dove si te-
mevano sollevazioni di popolo che per la quarta fiata
espulsa la famiglia Medici tornar volesse alla Repubblica,
locchè non avvenne mercè l'accortezza del cardinale Ci-
bo, di Francesco Campana segretario dell'estinto Duca e
più delle armi di Alessandro Vitelli e Ridolfo Baglioni
che subitamente da quelli chiamati ad aiuto accorsero
tosto e tennero in rispetto quei cittadini che stavano
pensando ad una mutazione di governo. Intanto per
parere e istigazione dello storico Francesco Guicciar-
dini, dai 48 radunati a consiglio in Firenze, venne di-
chiarato e pubblicato a successore del morto Alessan-
125
dro, Cosimo de' Medici giovine di età, ma maturo di
senno, e della più profonda dissimulazione dotato, tal-
ché colse in inganno lo stesso vecchio Guicciardini,
uomo della più fina politica de' suoi tempi consumato,
che lusingato da lui ne avrebbe tolta la figlia in isposa,
s' indusse a promuoverne la Signoria in Firenze, men-
tre Cosimo divenuto Signore, e per investitura dell' Im-
peratore Duca, ruppe ogni promessa, e s' impalmò con
Eleonora di Toledo figlia del Viceré di Napoli, paren-
tado che meglio si addiceva a' suoi interessi politici, e
il Guicciardini scornato, fama é, ne morisse di cruccio.
XLI. -^ L' accesa guerra tra Carlo e Francesco se-
guitava tuttavia, e il Pontefice Paolo III desiderando
cessasse, indusse i due Sovrani ad una sospensione di
ostilità, promuovendo ad un tempo stesso un abboc-
camento fira di loro nella città di Nizza ; per la quale
partendo egli da Roma si mosse primo, e passando a
Sarzana due procuratori di S. Giorgio Vincenzo Sauli,
e Vincenzo Pallavicino con quattro ambasciatori della
Repubblica Ansaldo Grimaldi, Gio. Batta Spinola,
Gip. Batta Sofia, e Giovanni Davagna fiirono a com-
plimentarlo; da Sarzana varcato 1' Apennino venne a
Piacenza, e colà quattro ambasciatori genovesi Corrado
Sofia, Giacomo Grimaldi, Giacomo Doria ed Ettore
Fieschi gli si fecero pure incontro; quindi procedette
verso Alessandria, rivarcato l' Apennino scese a Sa-
vona, Giovanni Salvago che vi era podestà accolse
51 Papa con ogni più squisita maniera di onorevole
trattamento; una squadra di legni pontificj rinforzata
òz -iiz" 2hrz i: g-snrrrfs sa'^para dal porto saT<mese tras-
pnrrzGr z X^tzs; àjve in breve per mare sopra le
pùee d£ Dcria cqitò T Imperatore e per terra il Re
e: Fratria Paolo HI tra:T:agSosn con loro a£Bnchè con-
corr^sero ìnàezìe ad ima lega contro il Turco, e seb-
bene aoc TÌ2sz2sse pare die T uno e V altro si par-
assero, ma £3sse d^u^opo dii c^ stesso or da questo
or da qoeCo si portasse per dar ordine alle comuni
farcende, ogrenne tuttavia una tregua di dieci anni, nello
spazio de' quali le cose rimasero come si trovavano.
XLIL — Intanto le armi di Solimano dicevano gran<£
progressi, da una parte assaliva V Ui^ieria ,- dall* altra
tribolava in Levante i possesà VenezianL In Roma si
era pubblicata la confederazione tra il Papa, l'Impe-
ratore e i Veneziani, ma questi ultimi si peritavano
ad una formale lega contro i Turchi, Solimano anzi
offeriva amplissime condizioni loro, e Andrea Doria
lasciava pure che le terre veneziane venissero da quelli
depredate, non si sa se per antico odio stimolato, o
per istruzione dell' Imperatore, sperando questi che ab-
bandonati a sé soli sarebbero alfine costretti a salda-
mente unirsi con lui. In queste strette il Senato Ve-
neto nel mese di febbraio del 1538 aderì alla lega;
convennero quindi:
i.° Si allestissero dugento galee con cento altre
navi, e 50 mila fanti, de' quali 20 mila italiani, altret-
tanti tedeschi e diecimila spagnuoli; si provvedessero.
di 4500 cavalli e di ogni altro sufficiente apparecchio di
guerra.
127
2.° Al Papa toccasse l'obbligo di fornire 36 galee,
all'Imperatore oltre le onerarie 82, a Venezia altrettante.
3.° Le spese per una sesta parte sostenesse il Pon-
tefice, per tre V Imperatore, per due Venezia.
4.° Colla malleveria di Carlo partecipasse Ferdi-
nando alla lega, e dalla parte di Ungheria attaccasse
il Turco.
5.° Al Re di Francia fosse lasciato ampio ed ono-
rato luogo per entrare nella lega quando a lui piacesse.
6.° Si adoperasse il Papa affinchè il Re di Polo-
nia si accostasse alla lega, e procacciasse che quanti
principi italiani più poteva vi entrassero.
7.° Le quistioni sorte tra i collegati decidesse il
Pontefice.
8.° Le fiinzioni marittime e il sommo comando
delle flotte collegate affidati fossero ad Andrea Doria;
le Éizioni terrestri a Francesco Maria d' Urbino.
Il Papa aveva non solo conseguito V intento della
tregua e della lega ma dall' Imperatore il dono della
città di Novara, e la promessa in isposa di Madama
Margherita figlia di lui naturale, e vedova del Duca
Alessandro per il nipote Ottavio figlio di Pier Luigi
Farnese. Le quali cose mentre si maneggiavano la Re-
pubblica stando in sospetto di quanto in Nizza si trat-
tava vi spedì due ambasciatori Niccolò Negrone e
Battista Zoagli per conoscere dall' Imperatore quali
fossero le particolari condizioni della tregua convenuta
col Re.
XLIII. — Scioglievasi il congresso, il Re ne' suoi
128
Stati, Carlo sulle galee del Doria, il Papa sopra quelle
di Francia conducevasi in Genova. Ricevuti a granr
dissimo onore erano quivi dal Senato e da tutta k
città, e il Pontefice nel palazzo de' Fieschi in Violato,
r Imperatore in quello di Fascinolo del Doria veniva
alloggiato. Passati alcuni giorni Paolo III a Roma,
r Imperatore sulle galee del Doria recavasi in Spagna;
senonchè pensatamente, e cosi avendone concerto col
Re, sostava questi ad Acque Morte in Provenza, donde
Francesco ito pure colà colla moglie sorella di Carlo,
i figli, il cardinal Lorena, ed altri principali personaggi
trasferivasi sulla capitana del Doria, furono insieme a
ragionamento di molti particolari che tendevano a ri-
conciliazione delle due parti, quinci e quindi una grande
intimità apparendo e cortesia d' animo, e $i disse che
Carlo con solennità di parola promettesse a Francesco
per il suo secondogenito il Ducato milanese ; ma a chi
ben conosceva la coperta, e dissimulata natura del
primo non dubitò di aflfermare che cercasse di abbin-^
dolare il secondo cui in tali arti di molto prevaleva
per pigliar tempo e rimaner tranquillo finché non fosse
al sicuro delle cose sue che a male volgevano nelle
Fiandre. Posto fine a quei ragionari secreti mostrò de-
siderio il Re che da Carlo gli venissero presentati i
suoi capitani, fira i quali Andrea Doria che appena
quegli entrato in galea si era a prora ritratto. Vedu-
tolo Francesco, gli disse che di buon animo lo acco-
glieva nella sua grazia intercedendolo suo firatello V Im-
peratore ; a tali parole il Doria con quella libera asprezza
129
che è singolare natura dei Liguri, Maisl, rispose, V. Mi
ha ragione di far ciò, chi mentre io fui a' suoi servigj,
ni di rispetto^ ni di fedeltà le venni mai meno. Parve il
Re a quei detti si alterasse, tuttavia infingendosi e am-
mettendolo al bacio della mano, volle con seco da
poppa a prora visitar la galea che grande molto era
ed ornatissima. Essendo a prora fissò la sua attenzione
sopra un grosso pezzo di cannone che portava V arme di
Francia, quindi vóltosi al Doria : Io adesso ne faccio di
lega assai migliore e al vostro servitilo ; ed egli subita-
mente : La lega dell' Imperatore fu sempre della mederà
sima bontà, del resto, riservato sempre il servigio impe-
riale, io offro a V. M. tuttoció che la mia debole^^T^a il
concede. Benignamente ringrazioUo il Re, e lodòUo po-
scia alla presenza di Carlo.
Risoluto fira di loro quanto stimavano ai comuni in-
teressi confacente, T Imperatore seguitava per la Spagna
condotto dal Doria, che colà sbarcatolo, riconducevasi
in Genova per assumere il comando di tutte le altre
galee che gli stava quivi apparecchiando il suo luogo-^
tenente Gianettino Doria, e servir dovevano per la
lega contro i Turchi.
XLIV. — I quali con centocinquanta legni sotto gli
ordini del rinegato Barbar ossa scorrevano l'arcipelago,
e le isole signoreggiate dai Veneti tutte mettevano a
sacco, ed a fuoco ; tentavano pure T isola di Candia^
e in Suda scendevano, ma ne venivano colla peggio
respinti, facevano inutilmente impeto contro di Cas-
sano e di Napoli di Romania che i Veneziani strenua-
9
130
jnente difendevano ; con altri fatti ponevano a travaglio
la Dalmazia. Però il nerbo della guerra stava nel golfo
dell'Arta; in questo introdotte si erano le galee del
Pontefice, locchè sentito essendosi dal Barbarossa, nel
golfo lanciavasi mettendosi alla sua bocca eh' era an-
gusta, chiudendola colle forze che aveva per opprimerle.
Erano i Veneti a Corfii quando giungeavi il Doria
con oltre a cinquanta galee ; aveano anch' essi rivocato
il loro comandante Pesaro, perocché dissentendo dal-
l' Ammiraglio genovese non voleano avesse questi
cagione veruna di quistione , ordinando a Vincenzo
Capéllo posto in vece del Pesaro, dovesse in ogni cosa
tonvenirsi con lui, e se tra loro nascesse disparere se
ne rimettesse al giudizio dei più. Si tenne a consiglio
di quello a far si dovesse, e malgrado 1' opinione di
Ferrante Gonzaga, cui prestavano obbedienza le truppe
da sbarco, che voleva con una fazione terrestre contro
di Nicopoli, oggidì Prevesa, fulminare per mezzo delle
artiglierie poste sul promontorio la flotta ottomana,
impedirne l' uscita dal golfo, e impossessarsene, vijise
il disegno del Doria cui si accostavano i Veneziani che
meglio per mare che per terra si avesse a combattere;
e quindi tutta l'armata sgombrasse Corfii, che se il
Barbarossa non uscisse a combattere si navigasse nel
golfo di Lepanto , si espugnasse, e quanto di quella
spiaggia si distende fino all'istmo di Corinto si po-
nesse a devastazione ed a saccheggio; certo essere
che alla notizia di tanto sterminio sboccato fiiori il
Barbarossa avrebbe dovuto incontrare la battaglia. Ac-
131
cingevansi ad eseguire il divisato disegno, e Y armata
confederata forte di centotrenta galee con due galeazze
ed alcune altre navi armate sostatasi alquanto nel porto
di Comunizia, veleggiava a S. Maura verso V Arta.
Avutone avviso il capitano turco stava in forse, il
luogo dove riposto si era a sicurtà non sapea abban-
donare, evitare il conflitto tornavagli viltà; punto da
questo ultimo sentimento, e dalle istanze de' suoi, usci
fuori dal golfo e gettossi in alto mare, ma il veneziano
Capello fieramente rintuzzavalo, ed obbligavalo a ran-
nidarsi colà dond' era uscito, e sforzandosi a troncargli
la ritirata pel Doria mandava che tosto colle navi ac-
corresse, aiutasselo alla certa vittoria; ma colui non
consentendo alla chiamata, ordinava invece a raccolta,
e traevasi dietro il promontorio di Leucade, ovvero di
S. Maura. Levavansi i più acerbi rimproveri contro di
lui, ed egli a sedarli, tolte le ancore, a gonfie vele
ali* Arta nuovamente indirizzavasi. Il Barbarossa riavu-
tosi del subito sconcerto, una seconda fiata lasciava il
golfo, e contro i cristiani volgevasi; questi apparec-
chiavansi al combattimento. Tenea V estremo corno de-
stro vólto all'alto mare il Doria, il Veneziano Capello il
mezzo, il sinistro lato rivolto a terra Marco Grimani colle
galee pontificie, patriarca di Aquileia. Mente dei Tur-
chi mostravasi lunghesso il lido di oltrepassare la flotta
Cristiana, indi accolto il prospero vento gittarsi contro
di essa; allora il Doria di ciò avvedutosi, ordinava
a' suoi, bene si attenessero alla spiaggia impedendo il
passo a* nemici, i quali, calmato il vento, con tale un
132
impeto e con sì maestrevole mossa si governarono che
r intento loro conseguirono. Tutti intenti pendevano
aspettando i Cristiani che cosa il Doria si decidesse,
desiderando che cólta V occasione, dasse il segno della
battaglia, e col maggiore sforzo contro i nemici si av-
venturasse, nulla di questo facendo, ei tenevasi al largo
bordeggiando, e Ài tratto in tratto con qualche colpo
di artiglieria contro il Barbarossa, combatteva lontano
senza dar segno eh' ei volesse venire a più sincera e
stretta battaglia. Fu sopra un palischermo il Capello
a lui, gli chiese ragione della misteriosa inoperosità, e
con calde parole lo animò al combattimento, mentre
d' ogni galea e nave de' confederati alzavasi un solo
rumoroso grido : Battaglia, Vittoria. Il Doria parve ar-
rendersi e muovevasi verso i Turchi, non perciò tanto
eh' ei volesse ingaggiare la pugna, seguitava anzi per
r alto mare bordeggiando ; alcune venete navi soltanto
si attaccarono colle ottomane senz' altro effetto che il
danno delle une e delle altre. Caduta la notte, An-
drea Doria, abbandonate quelle acque veleggiava per
Santa Maura e Comunizia, indi con aspetto di vinto
ricoveravasi nel porto di Corfù.
Gli Ottomani inseguivano alle spalle i Cristiani che
volgevansi in ritirata, li travagliavano colla presa e
P incendio di parecchie navi venete come imperiali. II
Barbarossa salito in orgoglio per l'inattesa vittoria
sostava a Paxò, sfidava a cimento i Cristiani, e come
codardi svillaneggiavali ; i Veneziani mal sofferenti la
ingiuria, chiedevano di essere condotti alla battaglia,
^53
oflFerivansi al Doria di accettare al loro bordo gli Spa-
gnuoli che aveano già rifiutato. Il Doria nel pertinace
proposito raflFermandosi, negava ogni aiuto, né voleva
uscir fuori del golfo. Barbarossa menando trionfo riti-
ravasi ad Arta.
Cosi strana, e dolorosa condotta dell' Ammiraglio
genovese di molte e poco oneste ragioni fu sospettata.
Il Muratori il più leale e temperato degli storici al-
l' anna 1538, scrive che: // Daria quando venne il
tempo della battaglia, con perpetuo suo scorno si ritirò,
lasciando esposti i VencT^iani al furore del Barbarossa con
perder essi due galee ed aver come miracolosamente sai-
vato a Cor fu il lor' galeone che faceva acqua da tutte le
bande.
E veramente il vero motivo era di sacrificare al
Turco Venezia, o almeno tanto la sua forza marittima
porne a repentaglio che per salvarsi da quello si ab-
bandonasse come tutti gli altri stati d' Italia in cieca
balia dell' Ijnperatore. Quella repubblica la sola che te-
nevasi oggimai indipendente da lui, d' uopo era di ag-
guagliare alla comune condizione di servitù spagnuola,
e infelicissimo strumento del disegno vedevasi Andrea
Doria; dalchè ben si argomenta quanto dovesse egli
pagar caro il principato repubblicano che a sé, e alla
propria famiglia avea a così trista condizione ottenuto
da Carlo V; se dovea pender incerto tra i nuovi
godimenti del conseguito beneficio e il disdoro del
noiiie che mostravasene il prezzo. E poiché valoroso
•ed accorto da natura non potea non sentire la fatale
sorte in cui versava, quindi qualche fiata ancora intra
due dibattevasi, ed ora divisando di emendare il mal
fatto cacciavasi con tutta la flotta tra le bocche di
Cattar o, e vi espugnava Castelnuovo tenuto dai Tur-^
chi, lasciandovi a presidio que' Spagnuoli medesimi non
voluti riceversi dalle navi veneziane, perocché uomini
scelleratissimi, ultimi avanzi di altri loro compagni di
uguale trista natura, fatti decapitare da Ferrante Con—
zaga in Sicilia, e dal Marchese del Vasto in Milano.
Però anche di cotesta impresa non gli si volle dar
lode, opinando che ei ben prevedeva come cosi poca
gente sebbene arrisicatissima e per disperazione ad
ogni più crudele prova addimesticata, non avrebbe po-
tuto resistere all'invadente forza turchesca, locchè in-
fatti in breve addivenne, che tutta vi rimase colla per-
dita di quella terra sterminata.
Il Pontefice intanto indignato per i mali comporta-
menti del Doria, e conoscendo essere oggimai palese
il fine cui in nome dell' imperatore mirava, scriveva a
Venezia si acconciasse ad ogni patto col Turco, meno
da questo che dalla lega aver essa a temere.
CAPITOLO SETTIMO
Sollevazione di Gant contro Girlo V, il quale passando di Francia per recarsi a
reprimerla viene incontralo, e ricevuto colla più onorevole e cordiale accoglienza
da Francesco I che inganna e vilmente offende colla promessa del Ducato di Milano »
e delle nozze della propria figlia con Carlo d' Orleans cui 1* avrebbe investito ;
entrambi poi ingannano la Repubblica di Venezia , la quale avvedutasi dell' inganno
si scosta dalla l^a e conchiude con grave suo pregiudizio una pace col Turco.
Grandissima carestia in Genova , fondazione dei pubblici granai , creazione dell' Of-
fiòo dei Poveri, tentativi infelici di seminare a grano le terre di Porto Vecchio
in Corsica , fifibbrica delle mura di Porta d' Arco , accrescimento della torre del
Pubblico Palazzo , e ampliazione del Porto. Presa del corsaro Dragut , vergognoso
mercato che si fa della sua liberazione per opera di Andrea Doria; infierisce la
carestia; inaspettata estrazione di grano dalla Provenza ottenuta da Francesco I
per Cesare Fr^oso a favore di Genova. Abboccamento in Lucca dell' Imperatore
con Paolo III Pontefice , che lo esorta a conciliarsi col Re , ostinazione dell' Im>
peratore. Assassinio dei due ambasciatori francesi Antonio Rincone e Cesare Fregoso ,
perpetrato com'è £una, dal Marchese del Vasto per ordine di Carlo V.
XL V. — Questi fatti accadevano, allorché soUevavansi
a Carlo i Gantesi, egli per . condursi più sicuramente
nel Brabante desiderava passare per la Francia ; ma
per non parerlo mandava al Doria andasse a levarlo
sulle galee e colà il trasferisse. Francesco I, sentore
avendo del desiderio suo gli andò con principesca cor-
tesia innanzi ; spedi ambasciatori a fargliene singolaris-
simo invito, né questo bastando, i suoi due figliuoli in-
viògli fino oltre i Pirenei che lo accompagnassero nel
viaggio; e giunto in terra di Francia non vi fii onore.
I 36
non splendore di feste colle quali non gli mostrasse il
più grande, il più grazioso ricevimento ; sperava il Re
colla gentilezza squisitissima de' modi, coll'abbandonarsi
seco ad ogni più magnanimo sentimento di espugnamela
durezza alemanna e la doppiezza spagnuola e fu un mo-
mento che tale speranza gli si mutò quasi in sicurezza,
perocché Carlo gli si manifestava lieto, sorridente, ar-
rendevole, diverso assai da quello lo avea per V addietro
stimato ; venuti essendo suU' argomento del Milanese,
che tanto stava a cuore di Francesco , V Imperatore
gli fece sentire eh' ei difficoltà veruna non avea di ren-
derlo pago, quel Ducato investendo a Carlo d' Orleans,
anzi colle promesse vincendo le regie speranze gli
avrebbe conceduta in isposa una sua figlia; sicché il
mondo si persuadesse della sincera intimità dell'unione
loro, e con maggiore frutto potessero insieme colle-
gati combattere il Turco. Il Re sei credette, per na-
tura e pel carattere, leale e magnanimo essendo, e colui
sen rise che all' ombra della regia credenza, meglio e
senza timore delle armi firancesi potea ridurre ad ob-
bedienza le Fiandre, ed ogni altro suo disegno man-
dare ad eflFetto sicuramente in Italia.
Che se l' Imperatore in tal guisa ingannava il Re,
entrambi pensavano ad ingannare Venezia e in questo
essi sinceramente si accordavano. Inviavano ambascia-
tori straor dinar j di grande levatura a quel Senato esor-
tandolo a perseverare nella lega, a continuare animoso
la guerra. Ciò pubblicamente dicevano essi, ma in se-
greto separatamente consigliavano non avesse fede Ve-
137
nezia nelle imperiali e regìe parole, V Imperatore, e il
Re non altro prefiggersi a fine che di ridurla colla lega
e colla guerra a stremo di forze affinchè più agevol-
mente si abbandonasse dell' uno, e dell' altro in potestà.
Laonde tra per questo, e per i rovesci sofferti, il Senato
deliberava scostarsi dalla lega, e venire in ogni modo
pace con Solimano, la quale, dopo molte trattative , che
rendevano malagevoli, l'ambasciatore fi-ancese in Co-
stantinopoli, e il residente in Venezia colla perfidia e la
corruzione de' suoi magistrati, si cónchiuse finalmente
mercè il grave sacrificio di molta quantità di oro non
solo, ma delle terre di Malvasia e di Napoli di Ro-
mania. Questo fii il vero scopo della lega e della
guerra contro il Turco eh' ebbe l' Imperatore, cui con-
corse innocentemente il Pontefice, turpemente Andrea
Doria.
XLVI. — Sotto gli ordini del quale essendo la Re-
pubblica, sofferse in questi anni una grandissima ca-
restia, che in molta parte d' Europa, e nell' Italia spe-
cialmente affliggeva i popoli per la sterilità de' campi
dalla continua guerra devastati ; impedito il commercio
delle biade, chiuse le tratte di Lombardia, la città ne
provava fiero travaglio ; si armarono quindi due navi
affidate al comando di un Martino Botto il quale sol-
cando il mare doveva muovere in traccia di navigli
carichi di grano, e per ragione di necessità intratte-
nerli pagandone però il prezzo a' padroni. Dalla Sicilia
quanto le angustie della penuria generale il comporta-
vano se ne ricevette ugualmente, e per tutto ciò fii
138
sollevata la repubblica; a' poveri cittadini la distribu-
zione venne fatta a minore prezzo che non era il grano
costato. Si diede da queir epoca principio alla fonda-
zione di pubblici granaj e per proposta di Leonardo
Cattaneo si creò un magistrato di otto cittadini, che
fa detto l'officio de* Poveri, cura del quale era di
provvederne al bisogno, e in queir anno quasi quattro
mila uomini si sostentarono per esso ; lo composero
per i primi Leonardo Cattaneo , Benedetto Centu-
rione, Francesco Pinello Adorno, Martino Giustiniano
Mongiardino , Gio. Batta Grimaldi , Jacopo Doria
Invtea, Filippo Di Negro, ed Andrea Pallavicino
Scaglia.
Ma non contentandosi il Senato a siflFatte provvisioni,
pensò ancora a liberar la Repubblica dalla dipendenza
delle Provincie forestiere, seminando grano in proprj
campi, da* quali tanto ogni anno se ne raccogliesse che
bastasse alla cittadina sussistenza. Parve a tal fine por-
gersi molto acconcia l'isola di Corsica; per la qual
cosa i Protettori di S. Giorgio sotto il dominio di cui
si trovava, mandaronvi due cittadini che fatta diligente
ricerca, riconosciuta la natura e qualità dei luoghi,
quella parte scegliessero che più accomodata trovassero
all'uso prefisso. Vi si recarono Francesco Grimaldo
Bracelli e Troilo Negrone, e le terre di Porto Vec-
chio giudicarono le più adatte. Ne fecero relazione tor-
nati a Genova, e approvato il parere, si decise per
l'unanime suftagio de' Partecipi dell' entrate di S. Gior-
gio che in cotesta opera si ponessero fino a quaranta
139
mila scudi. Con tali sussidj fa edificata una città a
Porto Vecchio, e affinchè gli operai che vi attendevano
fossero dalle infestazioni de' Corsari fatti sicuri vi si
trasferi Bartolomeo Spinola con un presidio di soldati,
e vi fa dedotta una specie di colonia, e quei campi
conceduti per seminarvi a pigione. Ma dopo tanta spesa,
e tante fatiche la sterilità del suolo, V insalubrità del-
l' aria fecero tornar vana V impresa.
XLVII. — Correndo gli anni di 1539 e 1540 venne
troncato il capo ad un Valerio Zuccarello sacerdote
perocché si ebbero indizj che appiccate pratiche con
Francesco di Francia macchinasse qualche rivolgimento
a danno della Repubblica. Si fabbricarono ancora le
mura della porta dell' Arco, sotto il governo dei Padri
del Comune Martino Fiesco Botto, Andrea Spinola di
Benedetto e Ceva Doria; si accrebbero la torre del
palazzo e il porto erogandovi la spesa di 500 scudi.
Cotali opere mostravansi di somma necessità mentre
al sorgere di primavera del 1540, molti corsari con
ladronecci, ed ostili scorrerie perturbavano i mari.
Capo loro era certo Dragut turco che cupido di fama
e di potenza spargeva il terrore dovunque appariva.
Andrea Doria stando in Sicilia avendo notizia che quei
corsari costeggiavano la Corsica ordinava a Gianettino
Doria che con una squadra navigasse in quelle acque
per combatterlo. Nel seno di Giralatte ei lo trovava e
dandogli battaglia facealo con nove suoi vascelli pri-
^oniero liberando in tal guisa duemila cristiani che
tenea schiavi. Condotto Dragut in Genova ornò il
140
trionfo delle galee vittoriose di Andrea e Gianettino ;
e siccome di grande spavento non solo, nu di gra-
vissimi danni era egli sempre stato cagione a tutti i
popoli d' Italia, e specialmente ai Genovesi, così spe-
ravasi che caduto adesso in mano di coloro che aveano
ben donde più che ogni altro a temerne, per il futuro
tempo non avrebbe più infestato i mari d' Italia ; folle
speranza ! che se ne fece un tristo mercato, i Barbari
voleano ricattarlo, Andrea Doria pretendeva una somma
eh' ei non aveano, per procurarsela ei li rivolse alla
famiglia Sopranis, la quale forni a loro il prezzo ri-
chiesto dal Doria a titolo di oneroso prestito , e per
guarentigia del pagamento dierono essi in pegno a
Sopranis l'isola di Tabarca.
XLVIII. — Infieriva più che mai in quest' anno
di 1541 la carestia in Genova; fallite oggimai erano
le speranze per li arrivi di Sicilia, e per i grani di
Lombardia, dove anzi per fame crudelmente travaglia-
vansi i popoli, quando donde meno si avea ragione di
attenderlo, venne inaspettato il soccorso. Prevaleva nei
consigli del Re di Francia l' autorità del genovese Ce-
sare Fregoso, di cui si era egli servito, e giovavasi
tuttavia nelle più gravi e dilicate faccende ; questi, ben-
ché dalla patria sbandito, e dal Doria mortalmente odiato,
mentre alla famiglia Fregoso doveva i principj della sua
grandezza, non immemore però del luogo natio, tanta
fece opera presso il Re, che lo indusse a ritessere le
antiche relazioni commerciali coi Genovesi, state in-
terrotte dopo il 1528, e che i suoi ministri residenti
141
in Provenza consentissero l' estrazione di colà de' grani
per Genova , sicché una grande quantità ne fu tra-
sportata che non solo della riviera di ponente , ma
bastò ancora alla sussistenza di tutto lo stato. A
saper grazie al Re dell'inatteso beneficio si manda-
rono dalla. Repubblica in Francia ambasciatori Gio.
Batta Lercaro e Gerolamo Sauli che onorevolmente
ricevuti restituironsi in patria d' ogni cosa soddi-
sfatti.
In questo stesso anno ardendo la guerra civile fi'a
le molte fazioni che si laceravano in Chiavari, spedito
colà con alcune schiere di soldati Troilo Negrone, pu-
niti avendo nel capo alcuni de' più restii, ricompose
quella terra a quiete.
XLIX. — Intanto abbocca vansi in Lucca ^d impor-
tante convegno il Pontefice e l' Imperatore, e il primo
esortava il secondo a riconciliazione col Re di Francia,
quindi a dare una sicura pace a tutta la cristianità;
mostrava solo e potente mezzo ad ottenerla essere la
cessione del Ducato milanese a Francesco I; che
perciò prometteva congiungere tutte le sue forze colle
imperiali contro i Turchi a difesa dell' Ungheria, e
della Germania , versanti entrambe in gravissimo pe-
ricolo, per una segnalata vittoria riportata dianzi da
Solimano contro il Re Ferdinando. Ma Carlo ad
ogni esortazione e preghiera del Pontefice opponendo
una viva resistenza, malgrado le molte promesse già
fatte al Re, ostinatamente negò; la guerra stava
dunque per riardere più accanita, quando un fiero
142
accidente, ne .ruppe ogni indugio e ne affrettò le
ostilità.
Stava in Costantinopoli un Antonio Rincone fuoru-
scito spagnuolo ambasciatore per il Re di Francia, ca-
rissimo a lui ; costui dopo di avere disposti gli animi
degli Ottomani contro di Cesare e cattivatigli a Fran-
cesco, che di molto ingegno, e graziosi modi era do-
tato, tornato in Francia portatore di egregi doni di
Solimano, riconducevasi in Costantinopoli accompa-
gnato dal genovese Cesare Fregoso, il quale ultimo de-
stinato veniva ad eccitare contro V Imperatore la Re-
pubblica Veneta. Varcate avendo amendue le Alpi,
discesi in Piemonte, divisavano di recarsi a Venezia.
Consigliava il Fregoso di tenere la via dei Grigioni
che se più disagevole tornava più sicura, non avendo
fede nei Ministri imperiali quantunque ancora fra l'Im-
peratore e il Re durasse la tregua ; il Rincone invece
che grosso era di corpo, e cagionevole per il travaglio
della gotta anteponeva di fare il viaggio per acqua sul
Po. In questo dissenso la caparbietà dello spagnuolo
la vinse sulla prudenza dell' Italiano, e fu deciso a ta-
lento di quello. Per maggior cautela però Monsignor
di Bellai governatore allora pel Re in Torino richiese
ed ottenne un passaporto dal Marchese del Vasto go-
vernatore di Milano. Posersi in viaggio, ma giunti dove
il Ticino mette in Po, furono assaliti e presi d' alcuni
soldati spagnuoli che scorrevano per il fiume sopra
barcacce, e barbaramente entrambi trucidati; e siccome
è presunzione che autore del delitto sia quegli d' ordi-
Hi
nario cui giova, si volle imputare allo stesso Marchese
del Vasto che sinceramente, o apparèntemente mostran-
dosene indignato ne rigettò la colpa a' masnadieri che
solevano infestare quei luoghi; ma fu universale cre^
denza eh' egli ne avesse dato V ordine per conto del-
l' Imperatore, e prima dell' uccisione, i due ambascia-
tori fossero stati sottoposti alla tortura, per conoscere
i particolari della commissione che avevano, 1' uno per
Costantinopoli e 1' altro per Venezia ; indi cavato loro
di bocca ogni segreto, venissero in tal guisa assassi-
nati colà donde poco discosti si trovarono alcuni giorni
dopo i corpi insepolti, e fatti a brani. La destra del
Fregoso mancante del dito dove portava un anello di
egregio valore, e per avventura troncato dagli assassini
per non poterlo agevolmente estrarre, riconosciuto dal-
l' addolorata consorte fu da lei recata innanzi al Re di
Francia, per meglio colla sanguinosa vista infiammarlo
alla vendetta; e di vero, colle più violenti parole egli
ne diede tosto notizia a tutti gli stati, e all'Impera-
tore aspramente ne scrisse ; ma costui rispose colla
maggior calma che potea essere 1' eflFetto o della sicu-
rezza di un'lmperturbata coscienza, o della più profonda
dis6Ìmulazione, non essere credibile che un suo Mini-
stro in cui riposta aveva la sua fiducia e della più spec-
chiata integrità nel suo servizio, tanto trascorso avesse
oltre i termini di ragione e di onestà da commettere
siffatto attentato ; avere d' uopo quel fatto di venire .
con diligenza esaminato, e prima di condannare il Mar-
chese, o rimetterlo come si pretendeva, a mani del
144
Re, voleva sentirne egli stesso le giustificazioni. Que-
ste fiirono che il Del Vasto sfidò a duello chiunque
affermasse o dicesse essere lui autore, o complice del-
l' assassinio ; ma ninno il duello accettò , ed egli in
tal guisa chiarissi innocente, non la pubblica opinione
però che seguitò a tenerlo per reo.
CAPITOLO OTTAVO
Nuova lega di Francesco I con Solimano imperadore dei Turchi contro Carlo V;
costui intraprende una spedizione per occupare Algeri per mezzo di numerosa flotta
sotto gU ordini di Andrea Doria ; furiosa tempesta che ne impedisce l' approdo , e
distruggendone la maggior parte delle navi ne manda a male il tentativo; onori
e premi ^^' Imperatore conferiti ad Andrea Doria che avea sconsigliau V impresa ;
riarde la guerra in Lombardia', Fiandra, e nei luoghi finittimi della Spagna ; pira-
terie esercitate dal Barbarossa nel Mediterraneo , dalle quali si premunisce Genova
con nuore fortificazioni lungo le due Riviere. Assedio e liberazione di Nizza per
parte dei Turchi, essendo la flotta loro sbattuta e dispersa dalla tempesta. Luigi
Alamanni mandato da Francesco I ùl proposte in nome di questo al Senato della
Repubblica, che vengono rigettate; piraterie del corsaro Barbarossa. Vittoria dei
Francesi contro gì* Imperiali in Piemonte; pace di Crespy fra Girlo e Francesco;
dissensioni civili in Genova tra i Nobili Antichi che si erano impossessati del
governo e i Nuovi che ne venivano espulsi ; ristaurazione e purgazione del porto.
L. — Ora tra per questo e per credersi beffato
dall' Imperatore circa il Ducato di Milano , tante volte
promesso , il Re di Francia si accingeva sollecitamente
alla guerra; inviava un Antonio Polino a Solimano,
ordinandogli che nel suo passaggio in Venezia, ten-
tasse di muovere il Senato ad unirsi con lui. Ma il
veneto governo si scusò, dimostrando come la Repub-
blica non potea altrimenti che tenersi neutrale ; in
Costantinopoli , benché dapprincipio si mostrassero gli
animi poco disposti a favore di Francesco, improve-
io
146
randogli Solimano di non avere in Piemonte combat-
tuta la guerra con quelle forze eh* ei poteva, e aveva
promesso, abbandonati poscia gli ottomani per la
tregua di Nizza mentre più si rendeva facile la vit-
toria, ciò nondimeno V ingegno destro e pronto del-
l' Inviato seppe confutare vittoriosamente quelle accuse,
e vincendo ogni ostacolo indurre Solimano alla pro-
posta lega; perciò promise ed obbligossi alla guerra
per terra e per mare contro di Carlo, mandando con
ragguardevole numero di navi e di galee il Barba-
rossa a devastare ed invadere le spiaggie del Mediter-
raneo.
Senonchè , i preparativi della nuova e più terribile
guerra che stava per iscoppiare avevano di mestieri
di molto tempo, né per quell'anno di 1545 poteva
quindi aver luogo. Di ciò Carlo V fatto certo, e per
avventura in seguito alle confessioni estorte colla tor-
tura ai due miseri assassinati, divisava ed avventura-
vasi all'impresa di Algeri, opinando e consigliando
in contrario il Doria; il quale dovendo però sottostare
a' suoi ordini raccolse la flotta nel golfo della Spezia
dove da Lucca trasferitosi , vi sali sopra V Imperatore.
Noveravansi 35 galee, ed altri maggiori e minori
legni, de' quali la più gran parte de' Genovesi; por-
tavano al loro bordo seimila tedeschi, molti italiani
di recente arruolati da Camillo Colonna ed Agostino
Spinola, e qualche schiere di vecchi spagnuoli. Sal-
pato avendo 1' armata, e veleggiando verso la Corsica,
una fiera procella cominciò a sbaragliarla; abbonac-
147
ciatosi il mare, e rallentata la furia del vento, il dì-
sperso naviglio potè ricongiungersi nel porto di Boni-
facio. Di là navigossi alle Baleari , e da queste si potè
alfine approdare ai lidi di Africa innanzi ad Algeri,
dove riunironsi all'armata le galee di Spagna e di
Sicilia con molti altri legni, talché tutta quella forza
navale si compose di 400 vele, fra le quali 100 navi
grosse Biscaine e Fiamminghe, 150 italiane e diverse
parecchie di altre nazioni. Appena fu alla vista della
città che due fiiste ottomane volendo entrare in Al-
geri awenivansi nell' antiguardo cristiano; ma la galea
genovese comandata da Visconte Cicala con un colpo
di cannone colò al fondo V una di esse, V altra colla
rapidità del corso salvòssi. Sventuratamente, la fusta
algerina affondata dal Cicala fu quanto di bene incolse
a' cristiani; che stati fermi sulle àncore per due giorni
attendendo cessasse il violento soffiare de' venti, e al
terzo finalmente tramontando il sole, sbarcati, una
nuova e più fiera tempesta li percosse, per la quale
i legni sbattuti , gli uni contro gli altri conquassavansi,
o costretti in terra investivansi; la oscurità della so-
pravvenuta notte rendeva più spaventevole il pericolo
ed orrido il danno; le galee che gran tempo si erano
tenute salde sulle àncore, mal sapendo più governarsi,
recisi i canapi, rompevano agli scogli. Il gran senno
soltanto, e la singolare intrepidità di Andrea Doria, sal-
vava la Capitana, forte egli fino all' ultimo sostenutosi
sulle àncore, sicché quanti ne imitarono l'esempio anda-
rono illesi; versò in grave pericolo invece Gianettino,
148
che temendo V urto di una vicina galea , che di fianco
stava per investirlo , ruppe a terra , dove i Mori e gli
Arabi soldati precipitatisi tosto con numerose schiere
contro di lui, V avrebbero senza dubbio ucciso se a
sua difesa non accorreva Agostino Spinola col reg-
gimento italiano che facendo prove di egregio valore
riuscì a liberarlo.
Andarono in quel naufragio sommerse e perdute
undici delle quattordici galee del Boria, e intorno a
cento degli altri minori legni. U ammiraglio genovese
com' era stato colui che sconsigliato aveva la infelice
spedizione, cosi fu il primo a consigliare dopo tanto
disastro la subita partenza; V Imperatore pentito della
passata caparbietà acòolse volenteroso il consiglio or-
dinando si imbarcassero i fanti al Capo di Metifiis,
luogo il più addatto di quelle sinistre spiaggie. Già-
nettino pose allora in opera i suoi marinai facendo
loro celeremente costrurre un ponte di tavole, pel
mezzo di cui potè la gente risalire le navi. Ciò fatto,
salpò r armata da quelli infausti luoghi , navigando a
Majorca, indi a Cartagenova ove scese a terra 1* Im-
peratore; il quale prima di accommiatarsi dal Boria,
volle dargli particolare segno della molta sua stima
e riconoscenza sia per averlo dapprima saviamente
dissuaso dalla sventurata impresa, sia perchè sottratto
ad un estremo pericolo, sia infine per risarcirlo del
danno patito, quindi gli fece dono del Protonotario
del Regno di Napoli, con una rendita di tremila scudi
sopra gli Uffìzi Fiscali di quello; poco dopo gli con-
149
cedette ancora la città di Tursi nella provincia della
Basilicata.
LI. — Rompevasi la nuova guerra tra V Imperatore
e il Re; combattevasi in Lombardia, in Fiandra, e nei
luoghi finittimi della Spagna; la Repubblica rimanendo
tra i due belligeranti neutrale, sentiva però la neces-
sità di premunirsi contro ogni interno ed esterno pe-
ricolo , temendo specialmente la squadra turchesca che
sotto gli ordini del Barbarossa scorreva il Mediter-
raneo devastandone le coste; laonde fortificavansi i
più importanti porti delle Riviere, e della fede dei
Savonesi dubitando, sapendoli disposti a levarsi contro
di Genova, si mettea opera alla fortezza di quella città
per mantenerli in rispetto, sopravegghiando al lavoro
Andrea Usodimare e Stefano Pasqua; si ristorava an-
cora il castello di Portofino ; e le mura di Portove-
nere, cadenti per vetustà, si riedificavano, altre provvi-
denze si davano, affinchè la città e gli altri paesi del
ligustico littorale fossero', quant' era possibile, fatti
sicuri.
E bene si era avvisato, che il Barbarossa uscito da
Costantinopoli con 150 legni, sbarcata la gente in
Calabria, assaliva e saccheggiava la città di Reggio;
navigando quindi in Provenza univansi a lui 22 galee
e dieciotto navi grosse firancesi, con queste forze muo-
veva contro di Nizza. Lasciato il porto di Marsiglia,
rasentando la riviera, giungeva in quello di Villafiranca ,
quando Polino, ambasciatore di Francia, che seguitava
r armata e moderava co' suoi consigli le operazioni
148
che temendo V urto di una vicina galea , che di fianco
stava per investirlo , ruppe a terra , dove i Mori e gli
Arabi soldati precipitatisi tosto con numerose schiere
contro di lui, V avrebbero senza dubbio ucciso se a
sua difesa non accorreva Agostino Spinola col reg-
gimento italiano che facendo prove di egregio valore
riusci a liberarlo.
Andarono in quel naufragio sommerse e perdute
undici delle quattordici galee del Boria, e intorno a
cento degli altri minori legni. L' ammiraglio genovese
com' era stato colui che sconsigliato aveva la infelice
spedizione, cosi fu il primo a consigliare dopo tanto
disastro la subita partenza; V Imperatore pentito della
passata caparbietà accolse volenteroso il consiglio or-
dinando si imbarcassero i fanti al Capo di Metifiis,
luogo il più addatto di quelle sinistre spiaggie. Già-
nettino pose allora in opera i suoi marinai facendo
loro celeremente costrurre un ponte di tavole, pel
mezzo di cui potè la gente risalire le navi. Ciò fatto,
salpò r armata da quelli infausti luoghi , navigando a
Majorca, indi a Cartagenova ove scese a terra 1* Im-
peratore; il quale prima di accommiatarsi dal Doria,
volle dargli particolare segno della molta sua stima
e riconoscenza sia per averlo dapprima saviamente
dissuaso dalla sventurata impresa, sia perchè sottratto
ad un estremo pericolo, sia infine per risarcirlo del
danno patito, quindi gli fece dono del Protonotario
del Regno di Napoli, con una rendita di tremila scudi
sopra gli Uffìzi Fiscali di quello; poco dopo gli con-
149
cedette ancora la città di Tursi nella provincia della
Basilicata.
LI. — Rompevasi la nuova guerra tra V Imperatore
e il Re; combattevasi in Lombardia, in Fiandra, e nei
luoghi finittimi della Spagna; la Repubblica rimanendo
tra i due belligeranti neutrale, sentiva però la neces-
sità di premunirsi contro ogni interno ed esterno pe-
ricolo , temendo specialmente la squadra turchesca che
sotto gli ordini del Barbarossa scorreva il Mediter-
raneo devastandone le coste; laonde fortificavansi i
più importanti porti delle Riviere, e della fede dei
Savonesi dubitando, sapendoli disposti a levarsi contro
di Genova, si mettea opera alla fortezza di quella città
per mantenerli in rispetto, sopravegghiando al lavoro
Andrea Usodimare e Stefano Pasqua; si ristorava an-'
Cora il castello di Portofino ; e le mura di Portove-
nere, cadenti per vetustà, si riedificavano, altre provvi-
denze si davano, affinchè la città e gli altri paesi del
ligustico littorale fossero', quant' era possibile, fatti
sicuri.
E bene si era avvisato, che il Barbarossa uscito da
Costantinopoli con 150 legni, sbarcata la gente in
Calabria, assaliva e saccheggiava la città di Reggio;
navigando quindi in Provenza univansi a lui 22 galee
e dieciotto navi grosse firancesi, con queste forze muo-
veva contro di Nizza. Lasciato il porto di Marsiglia,
rasentando la riviera, giungeva in quello di Villafiranca ,
quando Polino, ambasciatore di Francia, che seguitava
Tarmata e moderava co' suoi consigli le operazioni
148
che temendo V urto di una vicina galea , che di fianco
stava per investirlo , ruppe a terra , dove i Mori e gli
Arabi soldati precipitatisi tosto con numerose schiere
contro di lui, V avrebbero senza dubbio ucciso se a
sua difesa non accorreva Agostino Spinola col reg-
gimento italiano che facendo prove di egregio valore
riusci a liberarlo.
Andarono in quel naufragio sommerse e perdute
undici delle quattordici galee del Boria, e intorno a
cento degli altri minori legni. L' ammiraglio genovese
com' era stato colui che sconsigliato aveva la infelice
spedizione, cosi fu il primo a consigliare dopo tanto
disastro la subita partenza; V Imperatore pentito della
passata caparbietà accolse volenteroso il consiglio or-
dinando si imbarcassero i fanti al Capo di Metifiis,
luogo il più addatto di quelle sinistre spiaggie. Già-
nettino pose allora in opera i suoi marinai facendo
loro celeremente costrurre un ponte di tavole, pel
mezzo di cui potè la gente risalire le navi. Ciò fatto,
salpò r armata da quelli infausti luoghi , navigando a
Majorca, indi a Cartagenova ove scese a terrai* Im-
peratore; il quale prima di accommiatarsi dal Doria,
volle dargli particolare segno della molta sua stima
e riconoscenza sia per averlo dapprima saviamente
dissuaso dalla sventurata impresa, sia perchè sottratta
ad un estremo pericolo, sia infine per risarcirlo del
danno patito, quindi gli fece dono del Protonotaria
del Regno di Napoli, con una rendita di tremila scudi
sopra gli Uffìzi Fiscali di quello; poco dopo gli con-
149
cedette ancora la città di Tursi nella provincia della
Basilicata.
LI. — Rompevasi la nuova guerra tra V Imperatore
e il Re ; combattevasi in Lombardia, in Fiandra, e nei
luoghi finittimi della Spagna; la Repubblica rimanendo
tra i due belligeranti neutrale, sentiva però la neces-
sità di premunirsi contro ogni interno ed esterno pe-
ricolo , temendo specialmente la squadra turchesca che
sotto gli ordini del Barbarossa scorreva il Mediter-
raneo devastandone le coste; laonde fortificavansi i
più importanti porti delle Riviere, e della fede dei
Savonesi dubitando, sapendoli disposti a levarsi contro
di Genova, si mettea opera alla fortezza di quella città
per mantenerli in rispetto, sopravegghiando al lavoro
Andrea Usodimare e Stefano Pasqua; si ristorava an-'
Cora il castello di Portofino ; e le mura di Portove-
nere, cadenti per vetustà, si riedificavano, altre provvi-
denze si davano, affinchè la città e gli altri paesi del
ligustico littorale fossero', quant' era possibile, fatti
sicuri.
E bene si era avvisato, che il Barbarossa uscito da
Costantinopoli con 150 legni, sbarcata la gente in
Calabria, assaliva e saccheggiava la città di Reggio;
navigando quindi in Provenza univansi a lui 22 galee
e dieciotto navi grosse firancesi, con queste forze muo-
veva contro di Nizza. Lasciato il porto di Marsiglia,
rasentando la riviera, giungeva in quello di Villafiranca ,
<pando Polino, ambasciatore di Francia, che seguitava
1* armata e moderava co' suoi consigli le operazioni
148
che temendo V urto di una vicina galea , che di fianco
stava per investirlo , ruppe a terra , dove i Mori e gli
Arabi soldati precipitatisi tosto con numerose schiere
contro di lui, V avrebbero senza dubbio ucciso se a
sua difesa non accorreva Agostino Spinola col reg-
gimento italiano che facendo prove di egregio valore
riusci a liberarlo.
Andarono in quel naufragio sommerse e perdute
undici delle quattordici galee del Boria, e intorno a
cento degli altri minori legni. L' ammiraglio genovese
com' era stato colui che sconsigliato aveva la infelice
spedizione, cosi fu il primo a consigliare dopo tanto
disastro la subita partenza; V Imperatore pentito della
passata caparbietà accolse volenteroso il consiglio or-
dinando si imbarcassero i fanti al Capo di Metifiis,
luogo il più addatto di quelle sinistre spiaggie. Già-
nettino pose allora in opera i suoi marinai facendo
loro celeremente costrurre un ponte di tavole, pel
mezzo di cui potè la gente risalire le navi. Ciò fatto,
salpò r armata da quelli infausti luoghi , navigando a
Majorca, indi a Cartagenova ove scese a terra 1* Im-
peratore; il quale prima di accommiatarsi dal Doria,
volle dargli particolare segno della molta sua stima
e riconoscenza sia per averlo dapprima saviamente
dissuaso dalla sventurata impresa, sia perchè sottratto
ad un estremo pericolo, sia infine per risarcirlo del
danno patito, quindi gli fece dono del Protonotario
del Regno di Napoli, con una rendita di tremila scudi
sopra gli Uffìzi Fiscali di quello; poco dopo gli con-
149
cedette ancora la città di Tursi nella provincia della
Basilicata.
LI. — Rompevasi la nuova guerra tra V Imperatore
e il Re ; combattevasi in Lombardia, in Fiandra, e nei
luoghi finittimi della Spagna; la Repubblica rimanendo
tra i due belligeranti neutrale, sentiva però la neces-
sità di premunirsi contro ogni interno ed esterno pe-
ricolo , temendo specialmente la squadra turchesca che
sotto gli ordini del Barbarossa scorreva il Mediter-
raneo devastandone le coste; laonde fortificavansi i
più importanti porti delle Riviere, e della fede dei
Savonesi dubitando, sapendoli disposti a levarsi contro
di Genova, si mettea opera alla fortezza di quella città
per mantenerli in rispetto, sopravegghiando al lavoro
Andrea Usodimare e Stefano Pasqua; si ristorava an-
cora il castello di Portofino ; e le mura di Portove-
nere, cadenti per vetustà, si riedificavano, altre provvi-
denze si davano, affinchè la città e gli altri paesi del
ligustico littorale fossero', quant' era possibile, fatti
sicuri.
E bene si era avvisato, che il Barbarossa uscito da
Costantinopoli con 150 legni, sbarcata la gente in
Calabria, assaliva e saccheggiava la città di Reggio;
navigando quindi in Provenza univansi a lui 22 galee
e dieciotto navi grosse firancesi, con queste forze muo-
veva contro di Nizza. Lasciato il porto di Marsiglia,
rasentando la riviera, giungeva in quello di Villafiranca ,
quando Polino, ambasciatore di Francia, che seguitava
r armata e moderava co' suoi consigli le operazioni
I50
del Barbarossa , per incarico del Re , indirizzavasi alla
Repubblica, facendola sicura che niun danno dovea
temerne a' suoi Stati, i popoli de' quali aveano fa-
coltà di continuare quei traflSci che poco innanzi avea
loro il Re consentiti ; a maggiore prova di siffatte as-
sicurazioni inviava egli liberi i genovesi rimasti schiavi
dei Turchi. Il Senato rispondeva, riferendo grazie,
sponendo come- costretto era il governo a rimanersi
neutrale, godendo intanto quei benefìzi de' quali cor-
tese mostravasi la bontà del Re.
Combattevasi da' Turchi e Francesi insieme colle-
gati la città di Nizza che veniva alfine espugnata; ma
la fortezza, la più disperata resistenza opponendo,
porgeva agio al Marchese del Vasto che da Milano
con un forte nerbo di milizie calando dalle Alpi ma-
rittime, e ad Andrea Boria colle forze marittime, vi
balenassero al soccorso ; l' armata ottomana fii perciò
obbligata a levare 1' assedio e ritirarsi in Antibo. Ma
qui scoppiata un' improvvisa tempesta, quattro galee
del Doria andavano sommerse senza che alcuno di
quelli che le salivano riuscissero a salvarsi; versavano
le altre in grave pericolo. Monsignor d' Anghiens,
principale della Casa Reale e generale della gente di
Francia, voleva che il Barbarossa , cogliendo il destro
del fiero disastro toccato da' cristiani, facessesi innanzi
con lui, e ingaggiasse il conflitto, ma colui, o perchè
il vento non gli spirasse propizio, o perchè, meglio,
mala soddisfazione avesse de' Francesi, temporeggiò
dapprima, rifìutossi da ultimo. Abbandonavasi Nizza,
la flotta del Doria riparava malconcia nel porto di
Genova, una parte di quella del Barbarossa discorreva
lunghesso la riviera occidentale per metterne a sacco
qualche più ragguardevole terra. Gettossi contro di
San Remo, ma Lucca Spinola che vi era podestà, col
proprio e col valore dei terrazzani ributtò cosi fiera-
mente i Turchi che dovettero, pieni di sanguinose
ferite, ritirarsi. Lasciava il Barbarossa il seno ligustico,
e navigava in Provenza per isvernarvi.
LIL — Il Re di Francia bramava ardentemente di
scostar Genova dalla parte dell' Imperatore e a sé più
strettamente avvincerla, per questo le prime e feroci
minacce ed ostilità, per questo usava adesso le molte
e inaspettate cortesie verso di lei. Essendo V anno 1543
spediva egli un suo fidato di Corte, il quale mentre
porgeva speciali scuse per quanto avea il Barbarossa
tentato contro S. Remo, imputandolo alla barbarie e
slealtà di quel pirata, chiedeva a nome del Re tre
cose al Senato : accogliesse la Repubblica a suo. am-
basciatore Luigi Alamanni, fuoruscito fiorentino, uomo
di molte lettere e dottrina, amicissimo di Andrea
Doria; ricoverasse ne' suoi porti le armate di lui; gli
accordasse a prestito una cotale quantità di danaro;
con ciò, conchiudeva l' Inviato, si pareggerebbe la
sua condizione di neutraUtà che avea coli' Imperatore
con quella che verrebbe ad essere ugualmente sincera
con luL Posto a queste strette, rispondeva il Senato,
niuna difficoltà vi sarebbe che 1' ambasciatore firancese
risiedesse in Genova, ma temeva fortemente non ne
152
sorgessero mali umori e sconcerti da siffatta presenza
coi ministri dell' Imperatore cui la Repubblica non
potea mancare dei dovuti riguardi. Libero essere il
Re di mandare le sue flotte nei porti liguri quando
però non fossero unite a quelle degl' infedeli ; infine,
non potersi consentire ad alcun prestito di danaro per
il vóto deir erario in seguito alle grandi spese occorse
in questi tempi per difesa dello Stato; che se ali* Im-
peratore si erano fatti dei prestiti, questi essere da
particolari cittadini sopra i quali il governo non po-
teva esercitare autorità veruna e cui volendo anche il
Re era libero di rivolgersi.
Queste cose dette all' incaricato regio, a maggiore
giustificazione si fecero dal Senato esporre alla Re^a
Corte per mezzo di uno speciale ambasciatore che fu
Benedetto Centurione, il quale anzi incontrando lo
sdegno del Re, venne con mal garbo e con amare
parole accommiatato.
LIII. — Il Barbarossa, passato il verno nei porti di
Provenza, al tornare di Primavera ricondusse T ar-
mata in Levante, e passando per il porto di Vado,
dove per provvedersi d' acqua trattenevasi, fece cono-
scere alla Repubblica aver ordini severi dal Re di
usare ogni rispetto a' suoi popoli , né al suo passaggio
recar loro danno o molestia alcuna, locchè se ne aveva
la facoltà sarebbe come amico passato. Il Senato 'ri-
spose prestando il consenso, ed assai ringraziandone
a ciò pago mandògli rinfreschi e preziosi doni di seta
e~^di atei oggetti; a queste cortesi dimostrazioni del
153
governo si unirono pur quelle di Andrea Doria in
verso il greco rinnegato, il quale se passando alla
vista di Genova parve contenersi, non cosi tosto tro-
vossi nella riviera orientale che, gittata la maschera,
violata la fede, fattosi incontro ad una nave savonese
carica di preziose mercanzie predòUa e la si appropriò,
indi navigando minacciò V isola di Piombino poiché
Appiano, signore di quella, negava di dargli in mano
un garzoncello turco, ma battezzato e fatto cristiano;
prese e saccheggiò Telamone, porto florido dei Sanesi,
vinse Porto Ercole, assali Orbitello, e portatosi verso
Napoli, diede pure al saccheggio l'isola d'Ischia,
combattè Pozzuolo, volse all' isola di Capri, e di là
a quella di Lipari che pose egualmente a sacco; infine
con 7 mila schiavi cristiani ritornossi a Costanti-
nopoli.
LIV. — Intantochè questi /atti avvenivano i Francesi
vincevano gì' Imperiali nel luogo di C eresole in Pie-
monte, e gl'Imperiali i Francesi alla Stradella, disfatto
avendo Pietro Strozzi che alla notizia della vittoria
cercava di gittarsi sopra Milano e cogli aiuti di Pier
Luigi Farnese Duca di Parma e Piacenza occuparlo.
Vòlto a male il tentativo, a grande stento salvossi
lo Strozzi con alcune delle sue genti, e calato dal-
l' Apennino, scese in Polcevera continuando il cam-
mino senza commettere però atto di ostilità, per cui
la Repubblica gli concedette libero il passaggio, quan-
tunque i Ministri imperiali fieramente dissentissero,
ed ogni sforzo adoperassero aflinchè glielo impedisse.
154
Infine fra i due Sovrani si venne a pace in Crespy,
e r Imperatore prometteva in isposa la figlia sua pri-
mogenita ad Enrico Duca di Orleans secondogenito
del Re mercè la dote di tutta la Fiandra, ovvero ad
arbitrio di Francesco, toccando destramente quella ma-
teria che più lo stimolava, una figlia del Re Ferdinando
con la dote del Ducato Milanese. La Repubblica, ve-
nuto a sua cognizione il trattato che si andava con-
chiudendo, spediva all'Imperatore Vincenzo dei For-
nari, commettendogli rappresentasse la cessione del
Milanese si facesse senza suo pregiudizio. Seguito il
trattato tutti i principi d' Europa vi fiirono compresi
e in ispecialità la genovese Repubblica.
LV. — La quale agitavasi sempre fira gli sdegni e i
rancori della parte eh' erasi posta alla piena Signoria,
e quella cui se ne concedeva un' apparenza dopo di
averne dal 1339 fino al 15^8 posseduta l'intera somma.
Queste due parti si dicevano dei Nobili Vecchi e dei
Nobili Nuovi, i primi venuti al potere per virtù di
Andrea Doria, i secondi ottenendo quanto erano stati
quelli sulle prime costretti ad accordare, ma già sicuri
nel nuovo possesso stavano per rapire loro ; e siccome
i Nobili Vecchi radunavansi in una loggia presso la
contrada di S. Luca, e i Nuovi in un' altra vicino la
chiesa di S. Pietro, cosi gli uni chiamavansi del Por-
tico di S. Luca, gli altri del Portico di S. Pietro. Per
rabbonirli i Nobili Vecchi aveano permesso una cotale
consuetudine che il Doge il quale eleggevasi ogni due
anni con alterna vece si nominasse ora di un Portico,
155
ora dell' altro , quegli che adesso terminava il suo do-
gato era infatti un Andrea Pietrasanta che apparteneva
ai Nobili Nuovi ; mentre il precedente Leonardo Cat-
taneo annoveravasi fra gli Antichi. Ora i primi invaniti
per audaci speranze e forse da segrete istigazioni e
promesse stimolati dal Re Francese, presero a volere
che cessato il Pietrasanta fosse il successivo Doge del
Portico Nuovo; opponevansi quelli di S. Luca, ed essi
travagliandosi strettamente uniti fra loro, fecero brogUo
che i 28 dai quali doveansi scegliere i quattro che
proponevansi al Gran Consiglio per la nomina Ducale
appartenessero tutti alla propria fazione ; al qual fine
riusciti essendo, rimase eletto Gio. Batta Defornari
dell' ordine popolare , e del portico di S. Pietro ; il
quale o perchè mal veduto, ed osteggiato dalla con-
traria fazione, o perchè veramente nodrisse disegni
ambiziosi e pregiudizievoli allo stato della Repubblica,
mostrandosi amicissimo della plebe, e in grande inti-
mità coi principi stranieri cessato il suo biennio ,
venne accusato, e chiarito di tenere colpevoli intelli-
genze col Re di Francia, carcerato, e condannato po-
scia alla rilegazione in Fiandra.
LVL — Sulla fine dell'anno di 1545 s'inviò Vin-
cenzo Pallavicino al nuovo Duca Pier Luigi Farnese
per congratularsi seco lui che il Pontefice Paolo III
lo avesse innalzato a tal dignità colla Signoria delle
città di Parma e Piacenza.
E correndo il 1546 essendo Padri del Comune Ga-
sparo Bracelli, Paolo Casanova, e Cattaneo Pinello,
156
si attese alla restaurazione del Porto riducendolo in
modo che tornasse comodo alle galee par isvernarvi,
rivolgendo altrove le chiaviche delle immondizie che
vi mettevano, purgando T alveo, e rompendo li scogli
di guisa che V acqua vi potesse entrare fino all' altezza
di 12 piedi.
LIBRO SECONDO
CAPITOLO PRIMO
Vére cagioni della congiura di Gian Luigi Fieschi. Malcontento dei Nobili Nuovi,
colla riforma delle Leggi del 1528 operata d'Andrea Doria sottoposti all'autorità
ed incorporamento dei 28 Alberghi , quasi tutti composti dei Nobili Vecchi ; neces-
siti del Doria e della sua frazione di mettere la Repubblica in balla di Girlo'V
per poterne interamente maneggiare il governo. Funeste cons^uenze di siffatta
politica nonché per Genova, per l' Italia tutta ; primi tentativi di congiura contro
il nuovo stato repressi col sangue. Povertà della discendenza di Andrea, diversa
da quella famosa dei Deria vincitori alla Meloria, a Curzola, al Bosforo, e alla
Sapienza; egli astutamente si aiuta delle ricchezze di Adamo Centurioni, Ansaldo
G^mald^, e Sinibaldo Fiesco', prodigalità di quest* ultimo a £avore del governo
istituito dal Doria , per le quali muore lasciando nelle maggiori strettezze la pro-
pria famiglia.
LVII. — Or mi si fa innanzi la Congiura di Gian
Luigi Fiesco a descrivere, argomento dolorosissimo,
la trattazione del ^quale hanno reso, nonché malage-
vole, direi quasi anche pericolosa fino addi nostri
medesimi le passioni degli uomini che alterandone i
caratteri principali e secondo le parzialità loro espo-
nendone i fatti posero a tali strette chi ancora ne
Éivelli da non poter evitare il biasimo o dell'una, o
158
dell' altra parte, e forse d' entrambe proponendosi
senza odio ed ira di scriverne il vero; me non isfugge
il duro cimento cui vado incontro, e se il potessi
senza pregiudizio di queste istorie che sto dettando.
volentierissimo ommetterei di trattarne, ma poiché
non mi è dato, a malincuore il farò, dichiarando cio-
nondimeno, che io entro nel soggetto con animo de
liberato a dirne senz' amore di parte tutta la verità,
e il posso oggidì, per i nuovi documenti e molti sco-
perti che la maggior luce recarono 5opra quell' infauste
avvenimento, quindi valendomi di quelli, io mi pro-
pongo di non esporre né affermare se non quante
verrà provato per essi.
LVIII. — Non v* ha dubbio che nella istituzione
del nuovo stato del 1528 fatta dai dodici Riformatori
avvalorati dall' illustre nome di Andrea Doria molta
accortezza si era adoperata, né senza molta sapienza
politica apparivano le leggi che venivano poste in
vigore, senonchè, mentre si volevano estinguere le fa-
zioni, si promuoveva il trionfo dell'una sulla depres-
sione dell' altra, 1' antica ingiustizia della fazione pa
polare che sino dal 1339 esclusa voleva la nobiltà
da tutte le più elevate magistrature della Repubblica,
veniva succeduta da quella dei Nobili che per una
cotale rappresaglia toglieva ogni essenziale ingerenza
nell' alta amministrazione dello stato a' popolari. Il
trovato dei 28 alberghi, nuovo come base politica di
stato, era fallace nel suo principio ed ingiusto nelk
appUcazione. Fallace perchè ai soli qualificati nobili
159
dovea appartenere il governo, né i popolari poteano
parteciparvi se non venivano a quelli aggregati, perchè
a sole 28 famiglie rimaneva infeudata la Repubblica;
ingiusto neir appUcazione perchè la condizione per cui
veniva circoscritto a soli 28 il numero degli alberghi
o delle famiglie che li componevano, era che dovea
ciascuna possedere cinque diramazioni o case aperte
in città; ora siccome le famiglie nobili soltanto esse
poteano oflFerire siffatta condizione per V uso più fre-
quente e convenzionale d' imparentarsi fra di loro, il
governo per conseguenza restava alle sole loro mani
aflSidato; infatti dei 28 ben 23 alberghi si composero
di nobili, soli di famiglie popolari cinque, le quali
poteano già quasi qssq pure per nobili qualificarsi, use
com' erano a congiungersi con quelle da qualche tempo
e ad avere stretta attinenza colle medesime. Oltreciò,
ingiusta dovf a ancora riguardarsi T espressa esclusione
dal formare albergo delle quattro grandi popolari fa-
miglie degli Adorni, Fregosi, Guarchi e Montaldi,
pretestandosi che avvolta avevano la Repubblica nei
disastri delle intestine discordie, in allora se questo
era il sincero motivo dell' esclusione perchè non esclu-
dere ugualmente le quattro grandi famiglie nobili
Doria e Spinola, Fieschi e Grimaldi che non meno
r aveano ferocemente perturbata? Forse perchè queste
in tempo più lontano, e quelle più vicino? Ammessa
però questa distinzione, non era men vero che Spi-
nola e Doria, Fieschi e Grimaldi non si fossero sempre
frammischiati nelle più recenti dissensioni, che non
i6o
avessero anzi ben di sovente suscitati Adorni e Fre-
gosi, Guarchi e Montaldi a combattersi fra di loro,
a lacerarsi continuamente colla più dolorosa civile
discordia e col segreto intendimento che a vicenda
V un r altro distruggendosi si sarebbero in tal guisa
più agevolmente aperta la via al potere.
Esisteva pertanto il germe del vizio nel principio
delle stesse nuove istituzioni, da stupirsi quindi non
era se svolgendosi quello a misura che queste veni-
vano applicate, se ne facevano sentire i più amari
frutti. Ora, non volendosi per una parte rinunciare dai
nobili alla conquistata autorità, e per V altra temendo
di non poterla di per sé soli conservare, si fu costretti
di rivolgersi ad una forza esterna che più ad essi fe-
vorevole per antichi legami di parte, e più salda e
capace d' ogni altra fosse pronta ad accorrere in aiuto
e difesa ogni qualvolta il nuovo govèrno si trovasse
minacciato od osteggiato; ed ecco la necessità di se-
guire ciecamente la fazione imperiale di Carlo V, per
opera di Andrea Doria, non rade fiate obbligato
sventuratamente a sagrificare, ed è nostro avviso con
vera angustia dell' animo , la legittima causa d' Italia
tutta per non dire di Genova sua, agi' interessi, e ai
cupi e tirannici disegni del prepotente protettore. Le
cose che andrò man mano sponendo daranno piena
ragione di questi lamentevoli fatti.
LIX. — E di vero, non appena la maggior parte
de' cittadini aggregati si avvide del tranello che stava
nascosto per entro le leggi del 1528, che cominciò
i6i
il malcontento, e la speranza di reintegrarsi del per-
duto ad ogni più propizia occasione si fosse offerta.
Contendevano allora Carlo V e Francesco I del pri-
mato che ciascuno di essi voleva esercitare in Europa^
e in ispecie in Italia, e fatalmente servivansi entrambi
d' uomini italiani che li soccorrevano nell' ambito pro-
posito. Fin d' allora che Andrea Doria lasciati avendo
gli stipendi di Francia, posto si era a quelli di Carlo,
e confondendo colle preprie, le ragioni della repub-
blica, questa avea com' esso medesimo posta ed or-
dinata sotto gli auspici e la difesa dell' Imperatore, il
Re punendo in essa il mutamento di quello, disgra-
ziata la Repubblica, fece divieto a' Genovesi d' ogni
relazione commerciale colla Francia, e singolarmente
colla Provenza, i porti della quale liberamente apri-
vansi loro donde traevano biade in gran copia ed
altre utili e preziose derrate. Il nuovo governo sen-
tendo il grave danno che ne ridondava, tentò ogni
opera coli' Imperatore e col Papa dopo di avere per
mezzo de' suoi ambasciatori praticati inutilmente tutti
i più possibili uffizi collo stesso Francesco I, affinchè
fosse rivocato il divieto. Infine nel 1533 un Pier
Francesco Noceto, come più sopra si narrò, riuscito
già era nel sospirato intento per mediazione del con-
testabile di Montmorancy, quando di repente vennero-
disconclusi e licenziati gli ambasciatori genovesi che
portatori essere doveano in patria di favorevoli capi-
tolL n subito commiato dato loro avea per causa che
il Re nella vicina guerra che stava per muovere in
II
l62
Italia aiutato si era in Genova col partito degli ag-
gregati popolari, per trasferire in essi dai capi dei 28
alberghi il governo della Repubblica sotto la regia
protezione in luogo dell' Imperiale. Fu allora che due
capi e grandi . agitatori di plebe che molto seguito si
traevano seco in Genova un Agostino Granara, ed
un cotale Corsanico ordirono congiura, secondata dai
nobili nuovi per opera di un Tommaso Sauli, che
uomo essendo di maggior levatura, ne avea conchiuso
trattato col cardinale d' Agramonte per un mutamento
di governo, e di politica esterna, senonchè V avvedu-
tezza dei governatori fece andar a vóto la trama e ne
ebbero tronca la testa il Granara ed il Sauli, il Cor-
sanico riuscito essendo colla fuga a porsi in salvo,
venne indi appresso a cader nelle mani di Andrea
Doria , eh' esercitando il sommo imperio della Repub-
blica da lui instaurata, lo prese e fecelo sommergere
in mare. Due anni appresso per il tentativo di Cesare
Fregoso di sorprendere la città coi francesi , la nuova
Repubblica ebbe ad accorgersi come già fossero nu-
merosi i suoi nemici, specialmente nelle due valli del
Bisagno e della Polcevera, gli abitanti delle quali si
erano in gran parte sollevati al nome de' Fregosi.
Qualche anno dopo era talmente cresciuta la forza
e r influenza del partito avverso al governo che questo
non potè impedire che fosse eletto un Doge voluto
da quello, che di certo apparteneva alla fazione popo-
lare, e con molta probabilità trovàvasi avvolto nella
congiura che l'anno appresso segui.
163
LX. — Cotali commovimenti persuasero i Reggi-
tori del nuovo stato, e specialmente il Doria che
interamente ne moderava i Consigli, di ristringersi
viemmeglio ali* Imperatore e in tal guisa andare ai
versi ed operare a talento di lui che sia per proprio
interesse, sia per atto di animo riconoscente ìossq
obbligato a tutelarne e mantenerne la conservazione;
da tutto ciò ebbe a derivarne quello che se poteva
tornar utile alla condizione dei nobili antichi tanto per
il sovrano potere dalle loro mani tenuto , quanto per
i ragguardevoli capitali allogati in Ispagna, doveva
essere di mortale pregiudizio nonché a Genova alla
intera Italia. Quindi ci si rende ragione perchè il Doria
nel consiglio adunato da Carlo V per sapere quale
destino dovesse toccare al Ducato di Milano dopo la
morte di Francesco Sforza, egli arditamente propo-
nesse che lo si appropriasse ; perchè nel fatto di Santa
Maura egli si conducesse inesplicabilmente a tale da
mutare la vittoria certa in una quasi sconfitta; facesse
&coltà del riscatto del pirata Dragut a' Barbareschi
coir imprestito de' Sopranis affinchè la sconfitta e le pi-
raterie continue che più affliggevano i Veneziani, ricon-
ducessero quella Repubblica ad abbandonarsi ciecamente
come la genovese in potere dell' Imperatore; da ciò
ancora, perchè dal nuovo stato a Francesco I che
avea finalmente rivocato il decreto del divieto di com-
mercio colla Provenza, pretestandosi la neutralità, si
negò perfino di ricevere un' suo ambasciatore in Ge-
nova, eh' era pure amicissimo del Doria. Era dunque
164
impossibile che questi fatti ed altri non pochi della
medesima specie, non facessero pullulare gli odii, non
svegliassero ire intestine contro coloro cui non tanto
incolpavano di aversi con sottile artifizio attribuito il
sommo potere in patria, quanto per essere i consi-
glieri, gli aiuti e i ' più efficaci sostegni e campioni
della mala signoria che tutta a sé volea soggiogata
r Italia e serva V Europa.
Apparecchiato di tal modo il terreno, moltiplican-
dosi i malcontenti alla stregua degli avvéniijienti che
rendeano oppressa V Italia sotto T impero di Carlo V,
e il nuovo governo di Genova essendo potente stru-
mento ad effettuarne i perigliosi disegni, non v' ha
dubbio che si grande incendio covando, la più piccola
scintilla da qualunque parte venuta doveva farlo di-
vampare.
LXL — Andrea Doria non discendeva dal glorioso
ramo dei vincitori della Meloria e di Curzola, del Bosforo
e della Sapienza, ma da un oscuro della stessa famiglia
che, caduto in povertà, si era trasferito ad abitare in One-
glia. Andrea, venuto da giovinetto a soggiornare in Ge-
nova, si era per tempo fatto chiaro per la potenza del suo
ingegno, la chiarezza del suo valore, e V egregia virtù
nelle cose marittime; andato agli stipendi di Francia, a lui
doveva il Re Francesco I il primato che mercè sua
la Nazione francese aveva acquistato in mare, e spe-
cialmente la splendida vittoria di Salerno. Passato dagli
stipendi firancesi a quelli di Carlo V, certo è che la
potenza austro-spagnuola non avrebbe potuto esten-
ié5
dersi né fortificarsi cosi durevolmente in Italia senza
r opera e i consigli suoi, come senza il sostegno im-
periale non sarebbe riuscito al Doria di raffazzonare
la Repubblica a suo talento.
Senonchè, oltre il suo ingegno, la sua molta perizia
nelle cose marittime e la profonda accortezza de' suoi
consigli, vi avea d' uopo di molto danaro cosi per
soccorrere all' Imperatore nelle diverse imprese che
tentava per difesa e conservazione del vastissimo do-
minio , còme a far sicuro e stabile quello che avea il
Doria inaugurato in Genova; e poiché di danaro di-
fettava egli , costretto era perciò di accattarlo dai nobili
più doviziosi, i quali come lui sentivansi interessati,
sia al mantenimento del governo che teneansi in mano,
sia a favore dell' Imperatore cui per mezzo di Andrea
ne doveano la forza e la stabilità; fra i più doviziosi
primeggiavano Adamo Centurioni, Ansaldo Grimaldi
e Sinibaldo Fiesco, dal Doria avvedutamente adope-
rati e per i larghi prestiti a Carlo V, per le bisogna
della Repubblica, e in particolare per la magnificenza
delle ambascerie. Nelle ultime principalmente entrava
innanzi ad ogni altro il Fiesco, che con raro esempio
di singolare, ma a sé pregiudizievole generosità, volle
di proprio sostenerne le spese senza accettare nulla
dalla Repubblica. Oltreciò, dovendo questa contrarre
alcune investiture di feudi sborsò egli in nome di lei
ragguardevoli somme senza darne conto alla Camera;
ed ugualmente per amore sincero della patria s' indusse
a favore e sicurezza della nuova Signoria, e in nome
i66
della libertà, a rinunziare alla porta degli Erchi che
ei possedeva ed a molti altri beni posti in continua-
zione di quella verso oriente, accettando a compenso,
certo inadeguato, per sé e per tutta la linea de' Fieschi
r esenzione dalle gabelle che potevano occorrere, e la
somma di quattro mila lire annue a lui ed a* suoi
discendenti (i). Ora tra per questo e la grandezza
dell' antico casato Sinibaldo Fiesco veniva senza dubbio
tenuto in grande, pregio dal Doria che cercava ogni
modo .di renderselo bene affezionato. Ma intanto questi
atti di principesca liberalità, e i gravi dispendi nei
quali traevanlo di continuo a tale che vivendo con
regia splendidezza fu posto dall' Ariosto alla fontana
di Malagigi fra i persecutori della fiera, simbolo della
avarizia (2), ne aveano assottigUato il patrimonio, e
nonché egli pensasse a scostarsi dal precipizio cui tro-
vavasi incamminato, avventuravasi invece a nuove
enormi spese, e ricuperando dal Duca di Milano la
terra di Pontr emoli, già posseduta da' suoi maggiori,
(i) Tutto ciò si rileva da una lettera di un Giulio Fiesco a
Benedetto Varchi colla data del 28 maggio 1550, tratta dagli
Archivi fiorentini e pubblicata dal chiarissimo signor Cesare
Guasti. Forza è però notare che il nome di Giulio Fiesco come
figlio di Sinibaldo Fiesco e firatello di Gian Luigi non figura in
alcuna genealogia tanto stampata quanto manoscritta, che si
hanno di quella famiglia ; cionullameno da più recenti documenti
venuti in luce, risulta che insieme ad un altro, di cui non si
aveva notizia finora, egli era pure figlio illegittimò di Sinibaldo.
(2) Ori. Fur. C. 26. St. L.
167 '
né avendo V occorrente prezzo , lo riceveva a prestanza
dallo stesso Andrea Doria.
Moriva egli nell'anno di 1532, sepolto alla grande,
coperto di panni d' oro, con orazione funebre del Par-
tenopeo ed esequie regali nel Duomo di Genova;
lasciava con tutto ciò la nìoglie Maria della Rovere,
nipote del Pontefice Giulio II, incinta, con sei figli
quattro maschi, tre legittimi, e Cornelio naturale, e
due femmine Catterina e Camilla ed una succes-
sione gravata di enormi debiti ; laonde la vedova
e gli orfani figli costretti erano ad abbandonare il
soggiorno della città e ritirarsi a vivere solitari sul-
r Apennino ligure nel loro castello di Montobbio. La
umile vita cui si vedevano trapassati dalla splendida e
principesca, non poteva far senza che non si accen-
desse in loro più vivo il desiderio della perduta, e la
memoria non si volgesse all' antica potenza e gran-
dezza della famiglia. La vedova Maria della Rovere
sortita natura uguale a quella dello zio ne provava
di certo più violento il dolore, e il petto sdegnoso
covava profondo odio contro chi vedevasi ricco e po-
tente innalzato sulle rovine della ricchezza e del do-
minio de' Fieschi. Arroge, che dopo la morte del
marito non si volle dalla Signoria osservare quanto
avea pattuito con esso, negandosi di pagare agli eredi
le quattro mila lire annue cui si era obbligata per la
rinunzia a lei fatta della porta degli Erchi, e degli
altri beni e luoghi fortificati dipendenti da quella, di
che Gian Luigi sdegnato cominciò a chiedere quanta
i68
suo padre avea rinunziato, né già mai potè venirne
a capo veruno (i). L' animosa vedova considerava
che senza T efficace aiuto e prodigalità del consorte
non avrebbe quel nuovo stata potuto metter radice,
né il Doria salirne al più eminente grado; che la
grandezza di lui si fondava quindi sulla presente po-
vertà dei suoi figli. Questi sentimenti pertanto di ran-
core e di cruccio profondo nell' animo loro istillava
€ specialmente in quello del maggiore Gian Luigi, e
ne avea ben donde.
(i) Lettera di Giulio Fieschi a Benedetto Varchi. — Pisa, 28
Maggio 1550.
CAPITOLO SECONDO
Origine e grandezza, della famiglia Fieschi, illustri personaggi di essi; natura e
carattere di Gian Luigi; ingiusto e indegno paragone che gii scrittori della con-
giura, fanno di lui con Alcibiade e Catilina; suoi motivi particolari, e ragioni di
avversione e di odio contro di Gianettino Doria, fomentate in lui dai suoi famigliari.
LXII. — Antichissima origine hanno i Fieschi;
trovandosi annoverati fra le cinque grandi famiglie
che signoreggiarono le due liguri Riviere; nella occi-
dentale i conti di Ventimiglia e del Carretto, nella
orientale i marchesi Malaspina, i signori Dapassano,
e i Conti di Lavagna o i Fieschi. Il Comitato di Lu-
nigiana formava parte del già marchesato di Toscana,
il quale scioltosi per la morte della contessa Matilde,
giungeva fino ai confini dei Franchi , quindi vi si tro-
vava compresa la Liguria , la quale poi vi si sottrasse,
e si suddivise in altri parecchi Comitati; i signori
Dapassano e i Fieschi erano probabilmente una dira-
mazione dei marchesi Malaspina, o loro consorti, e
Valvassori. In una scrittura dell' anno 994 Oberto
Marchese facendo giustizia di alcuni uomini coli' assi-
stenza de' suoi consiglieri e giudici del Sacro Palazzo
170
lauda, e pronunzia certa sentenza a favore dell' Ab-
badia di S. Fruttuoso alla presenza di Tedisio q. Oberto,
Ariberto, Alberico, Gotifredo, Lanfranco', Brunengo
e Vuiberto, conti in Lavagna.
Essendosi formato il Comune genovese e volendosi
liberare dalle offese dei feudatarj che irrompevano con-
tro di esso dai soprastanti Apennini, e dalle due Ri-
viere, li obbligò ad ascriversi cittadini, all'abitazione
della città, a fargli omaggio delle loro terre, e a ri-
cevervi il consolato, a questo dovettero pure sotto-
porsi i Conti di Lavagna che diventarono nello stesso
tempo cittadini e vassalli della Repubblica. Fra essi
primeggiarono i Fieschi ; la quale famiglia rimasta in
un solo ramo unita fino ad Ugone, si suddivise in due
nei figliuoli di questo Opizzone e Tedisio; e i discen-
denti del primo si dissero di Savignone ed ebbero il
Gatto per insegna, quelli del secondo si chiamarono
di Torriglia, e addottarono per insegna il Basilisco,
benché più comune ai due rami fosse il Gatto. Inno-
cenzo IV pontefice grandissimo, era fratello dì Opiz-
zone e Tedisio ; e Adriano V , figlio di Tedisio ,
illustre pontefice egli pure, fornito di singolari ric-
chezze, che li scrittori contemporanei fecero ascen-
dere a cento mila marche d' oro di entrata, largheg-
giando a' nipoti di giurisdizioni e feudi , porse per le
acquistate ricchezze ad essi facile occasione della di-
visione dei due rami nella famiglia , prevalendo quin-
di innanzi quello di Torriglia , la cui discendenza of-
fre una continuata serie d' uomini ricchissimi e pò-
171
tentissimi, arbitri quasi sempre del governo della
Repubblica.
A difendersi, e fortificarsi contro la quale avvisarono
i Fieschi, imperando ancora il primo Federigo, ad ot-
tenere in feudo per privilegio di lui le terre, o le tre
plebanie di Lavagna, di Sestri, e del fiume Vara, colla
signoria delle acque, il pedaggio delle strade, e gli
uomini liberi. Questo privilegio venne loro nel 1227
confermato dall'Imperatore Federico II ampliato, e
successivamente esteso ad una maggior copia di feudi,
di signorie e di diritti da tutti gV imperatori fino a
Carlo V.
LXIII. — Fra coloro che ne vennero più onorati, e nello
stesso tempo si distinsero meglio degli altri personaggi
della stirpe de' Fieschi per ingegno e potenza singolare di
Stato si hanno ad annoverare Niccolò, Giacomo, Carlo,
Gio. Filippo, Obietto, ^Gio. Luigi, e Sinibaldo Fiesco
padre del cospiratore. Niccolò Fieschi Vicario impe-
riale, per privilegio di Guglielmo imperatore fii nel 1250
investito del luogo di PontremoU col diritto di batter
moneta, creato cavaliere; e comechè egli fosse do-
viziosissimo comprò prima da Guglielmo Vescovo di
Luni e poi dai Signori di Carpena suoi parenti gran
parte della Lunigiana e della Riviera di Genova Orien-
tale, insomma meglio di 60 fira castelli e villaggi rag-
guardevolissimi negli anni 1252 e 1256.
Giacomo Fiesco uomo chiarissimo venne da Papa
Innocenzo IV. suo zio investito del regno di Napoli
nella conquista che ne fece a nome~di S. Chiesa.
172
Carlo Fiesco cavaliere pensionarlo del Re Carlo II
di Napoli e suo parente, investito dall' imperatore En-
rico VII nel 13 13 delle terre e castello di Pontremoli
e Calestano, fii de' guelfi potentissimo, siccome signore
d' importanti Castella ; entrato trionfante in Genova,
scacciandone con grandi forze i ghibellini, si elesse su-
premo capitano e signore della Repubblica insieme con
Gaspare di Grimaldi Tanno di 13 17.
Gio. Filippo Fiesco si comprese nella pace generale
d' Italia r anno di 1441 quasi signore di stato indipen-
dente, e possedendo Portovenere, e Portofino ebbe
modo e agevolezza di perturbar il dominio a Pietro
Fregoso Doge di Genova suo gran nemico, col quale
però conchiuse una tregua nel 1452 e indi a poco la
pace per mediazione e sentenza arbitrale del Duca di
Milano Tanno 1453; le condizioni della quale lo re-
sero luogotenente e capitano generale di tutta la ri-
viera orientale con grandissima notabile autorità su-
prema, con lire 7500 annue di provvigione, e col grado
di Almirante perpetuo delT armate di mare, dandogli
facoltà di eleggere la metà dei magistrati e distribuire
molti officj benefiziali nelT istessa città di Genova. Nel
dominio di cui serbò infatti non minor parte del Doge,
per la qual cosa essendosi in lui aumentata tant' auto-
rità e potenza ed avendo congiunto a si gran numero
di feudi, amicizie ed aderenze di molti principi e tito-
lati che lo seguivano in ogni fortuna, venne in tutte
le leghe d'Italia compreso, e considerato fira i più
grandi principi d' allora.
173
Obietto Fiesco sulla fine del decimoquinto e nei
primi anni del XVI secolo tolse, e rimise in Genova
la signoria dei Fregosi, degli Adorni e degli Sforza di
Milano, arbitro quasi assoluto della Repubblica; mo-
rendo, ed essendo a lui fatti solennissimi funerali, nel
tempo di questi si sospesero le corti, ed ogni ma-
gistratura vacò air uso de' Principi.
Ma colui tra i Fieschi che raggiunse il più luminoso
grado di potenza e di autorità nelle cose d' Italia non
che in quelle di Genova fii Gian Luigi padre di Si-
nibaldo. Costui con maggior imperio del firatello Ob-
bietto fece e disfece i Dogi Adorni, e Fregosi, sotto-
pose e tolse la Repubblica al governo degli Sforza,
la diede infine in protezione a Luigi XII re di Fran-
cia, da cui venne ornato dell' Ordine di S. Michele
con scudi 6000 di annua provvigione, restando in
grandissima grazia di quel Sovrano a tale che per lui
governò lo stato di Genova in luogo del governatore
francese Filippo di Cleves, il quale non facea cosa che
non fosse approvata dal Fiesco. U anno di 1502 venuto
il Re in Genova fu alloggiato da esso con magnificenza
più che regale nel suo palazzo di Violata. Intanto
pel regio favore innalzando l'animo a vasti pensieri,
aspirò al dominio di Pisa la quale sarebbe divenuta la
capitale de' suoi numerosissimi feudi, che dalla riviera
di Ponente avanzandosi per gli Apennini liguri occi-
dentali, proseguendo per i settentrionali, e volgendo
agli orientali , ivano degradando verso il confine del-
l' Agro Pisano. Per questo suo disegno egli si oppose
174
alteramente affinchè i Genovesi non ne accettassero
la Signoria la quale loro ofFerivasi dagli stessi Pisani,
quando stremi oggimai d' ogni mezzo di difesa ricor-
revano per soccorso alla Repubblica contro de' Fio-
rentini. La quale prepotente sua opposizione fa in
gran parte cagione del moto popolare che' scoppiò
quindi in Genova contro il governo del Re da lui
sostenuto e per sua opera ed autorità ristabilito poco
dopo sulla rovina ed oppressione dei popolari. Infine
Gian Luigi Fiesco fu quasi un piccolo re tra i primi
signori d'Italia, ed ebbe i titoli di Principe, di Mar-
chese, di Conte, di Signore, di Vicario e Consi-
gliere imperiale , d' illustre ed eccelso qualificato
dallo stesso Imperatore nell' investitura di cotanti
feudi , e dalla Repubblica con titolo pari a quello
dei Dogi.
Cosi segnalata grandezza somigliante alla regia venne
tutta a raccogliersi nell' ultimo suo figlio Sinibaldo in
cui si unirono per la morte dei firatelli gli onori, gli
stati e feudi paterni investitili dall' Imperatore Carlo V
con titoli e privilegi importantissimi. Per la quale cosa
esercitando come il padre sulla Repubblica una prin-
cipesca autorità, fornito di ampie ricchezze, non avrebbe
di certo Andrea Boria nel 1528 potuto operare la
nuova riforma delle leggi senza il suo prepotente pre-
sidio ; a ricambio del quale fu Sinibaldo creato uno
del Magistrato de' Supremi con titolo d' illustre e man-
tenuto per legge nel possesso di sedere sopra gì* illu-
strissimi Procuratori in Senato, nominatamente incluso
175
nella pace di Bologna fra l'Imperatore e i Francesi
Tanno di 1530.
' Ora queste sono le memorie che Maria della Ro-
vere coir animo di Giulio II informava quello de' suoi
figli, del primogenito in ispecie ; questo il sangue che
in Gian Luigi Fiesco ribolliva nelle vene; erano suoi
avi due grandi Pontefici, moltissimi Cardinali, quattro-
cento mitrati, un Re di Napoli, parecchi arbitri della
Repubblica, molti principi di grandissimo stato in Ita-
lia ; a petto di cotesta grandezza che cos* era il ramo
di Oneglia dei Doria? che mai Gianettino figlio di un
Tomaso tessitore di seta? (i) gente nova tirata ad al-
tezza coi subiti guadagni premuti aT sangue e alla li-
beralità dei Fieschi, per cui tanto quello era salito,
quanto gli ultimi immiseriti trovavansi e caduti in basso.
LXIV. — A cotesti stimoli che di per se soli ba-
stati sarebbero a commuovere la natura del giovinetto
Gian Luigi, univansi in lui le doti eminenti dello spirito
e quelle del corpo ; le prime , di una mente vasta e
capace d' ogni più grande pensiero, e d' ogni più smi-
surato desiderio, congiunta ad una volontà tenacissima
che quanto più difiicile e lontano se ne' dimostrasse
r eflfetto tanto più si ostinava nell' ambito proposito ,
le seconde, viso bellissimo, persona ben formata, no-
bilissima, ad ogni esercizio di arte cavalleresca adde-
strata, modi gentili, parlare cortese e di tale accento
(i) Is Thomae Auriae filius in re tenui educatus sericam
textrinam quod apud illos minime ignobile est, exercuerat. (Jac.
Auc. Thuani Historiar, lib. 3, pag. 75 B.).
176
ed amabilità che a se di leggieri traeva chiunque vo-
lesse. Da coloro che scrissero di lui, fu paragonato ad
Alcibiade e a Catilina , ma il paragone se in alcuna
parte potea essere sincero, parve nel resto odiosamente
trovato per vituperarlo. Imperocché, non in tutto sta
come Alcibiade, malissimo regge con Catilina. Può bene
convenire in quella parte col Greco, dell' ambizione
e del desio di voler sempre essere il primo, non cer-
tamente nei costumi, né in tutti quei mezzi che ado-
però sfacciatamente questi per rendersi sovrano della
sua patria; che in Alcibiade fu vita dissoluta, e de-
pravata, ebbrietà schifosa, amori in&mi e sacrileghi,
dispregio degli Dei, insolenza di modi, vesti eflFemi-
nate di porpora; che se Gian Luigi Fiesco congiurò
contro il Doria, e divisò farsi principe della Patria,
Alcibiade insidiò, calunniò, persegui Nicea, che potea
considerarsi per lui come il Doria nel Fiesco, e con-
dannato d' Atene perché avesse mutilate le statue di
Mercurio, derisi i misteri delle feste Adonie, com-
messi parecchi atti d' empietà contro gli Dei, costretto
a mettersi in salvo, ricorse ad asilo a' Spartani i più
feroci nemici della sua patria, a' quali fece deliberare
di rompere in Sicilia le forze degli Ateniesi mandan-
dovi per capitano Gilippo che ne disfece poscia la
flotta; di muovere la guerra in Grecia ad Atene; di
fortificare la città di Decelia nell' Attica , la quale più
che altro consumò e ruppe la potenza Ateniese e com-
piendone egli la rovina, ribellandone quasi tutta T Jonia.
Violato il talamo , ed oltraggiata Y ospitalità del Re
177
Agide che V avea accolto presso di sé, discacciato
da' Spartani, non vergognossi di ricorrere perfino a' Per*
siani, talché correva proverbio che la Grecia non
avrebbe sopportati due Alcibiadi. Quindi se nella bel-
lezza del corpo, e nella gentilezza dei modi il Fiesco
somigliava ad Alcibiade, bene dal Greco si differen-
ziava, non già come scrive Carlo Botta, perché questi
combatté per la libertà della Patria ed ei la volle porre
al giogo, imperocché, entrambi avendo il medesimo
disegno, V ateniese servissi quanto il genovese di mezzi
feroci e lamentevoli per occuparla, ma perchè di co-
stumi castigatissimo il Fiesco, di laidi, vergognosi, e
viziosissimi Alcibiade.
LXV. — Molto più frequente e direi quasi da essi
prediletto, trovasi negli scrittori tutti della congiura il
paragone del genovese cospiratore col romano Catilina.
Mostro satanico era questi, di natura perversa, di
animo audace, subdolo, vario, cupido di cose immo-
derate, incredibili, alle quali si apriva la via coi de^
litti, orribili cose sono narrate di lui. Da giovinetto
violò una Vestale, poi usò colla propria figliuola, uc-
cise la moglie e quindi il proprio figliuolo per ispo-
sare un* Aurelia Orestilla, che presente quello non
voleva entrare in sua casa. Fu partigiano ardente di
Siila, menò fieramente le stragi contro i proscritti per
rifarsi di sua fortuna dispersa in lussurie, uccise il
firatello, e fece lui porre morto fra i proscritti e ne
prese gli averi. Poscia continuò in stupri e stravizzi,,
si affogò di nuovo nei debiti, per uscire dai quali
12
178
diede mano a congiure e vagheggiò nuove proscri-
zioni.
Sebbene coperto d' infamia, cominciò di buon* ora a
correre la via delle cariche ; fu dapprima pretore di
Affrica, e vi esercitò crudeli rapine. Poi reduce a Roma
chiedeva T ufficio di Console, ma dovè rimanersi da
quella domanda, perchè gli Àffricani gli dettero ac-
cusa di ladro, e la legge vietava di chiedere gli onori
a chi avesse addosso un processo. Allora egli fremente
ordì con Antonio e con Siila la prima congiura e
tentò vanamente la prova due volte di uccidere i con-
soli. L* accusa delle rapine di Affrica gli fii rinnovata
in appresso anche da Clodio, né gli riusci di andarne
assoluto, ^e non perchè Torquato uno dei , consoli
eh' egli aveva congiurato di uccidere, spinto da paura
per uomo si scellerato parlò in suo favore. Riprese
le trame, brigò il consolato per V anno 691, ed essen-
dogli fallito per V elezione di Cicerone, più che mai
si diede alle cospirazioni, quanti tristi e malcontenti
erano in Roma e in Italia raccolse sotto di lui, né
solo del virile, ma del sesso femminile, giacché s'in-
tendeva con cortigiane, e con donne nobili come aiu-
tatrici air impresa, sperando per mezzo di esse tirarne
alla congiura i mariti, o scoprirne i segreti; e tra qssq
più capitale faceva di Sempronia, una donna dotta di
greco e latino, di ganto e di danza, e rotta senza modo
ad ogni più brutta libidine. Principalmente suoi com-
plici erano giovani nobili tutti olezzanti di* unguenti,
colle chiome bene acconciate e vestiti di toghe finis-
179
sìme : gente usa a consumare le notti in conviti, in
ebbrezze, in giochi, in stupri di donne. Ei li ammae-
strava a vibrar pugnali, a mescer veleni e più degli
altri ricercava e coltivava i più giovani perchè meglio
pieghevoli alle sue voglie. Li allettava con doni, in-
segnava loro a spregiar la fede, a tenere in non cale
i pericoli. In proposito delle sue relazioni con questi
satelliti sono scritte incredibili cose, perocché narrano
che li spingeva agli omicidj per semplice esercizio af-
finchè non perdessero V uso di spargere il sangue, e
che in un' adunanza notturna in cui apri loro i segreti
della congiura li obbligò a mantenergli la fede giurata
costringendogli a bever sangue umano misto nel vino,
finalmente è detto che nei loro convegni coronati di
fiori, ed ebbri concertavano, in braccio a male donne,
i modi di incendiare la città, di menare sterminio dei
buoni e metter tutto a sangue, a ferro, a rapina.
Questo è scjitto di Lucio Sergio Catilina, da Cice-
rone e Sallustio, e questo io traggo, desunto da essi,
dalla dotta e generosa Istoria d' Italia dell* eruditissimo
Atto Vannucci. Quali onesti termini di confironto tra
r in&me romano e il Fiesco possano essere dopo cosi
vituperevole quadro, noi so, e vergogno che le ab-
biette passioni di parte, o l'obbligo di stipendiati scrit-
tori abbia condotto a tanto accecamento uomini per
altro dotti e pregevoli da non ripugnare V indegna
comparazione (i). E Giacomo Maria Campanaccio poi-
(i) Non si deve prestare alcuna fede ad Agostino Mascardi
il quale nella istoria che scrisse di quella congiura traducendo il
i8o
che più d'ogni altro non si peritò d'istituirne uno spe-
ciale confronto, egli per le stesse sue parole ci prova
come l'uno interamente fosse dissimile dall'altro, né
quindi ninna rassomiglianza esistere fra loro se non
quella di una congiura ordita dal Catilina in Roma,
dal Fiesco in Genova.
LXVI. — Gli stimoli della passata grandezza degli
avi venuta meno, specialmente colle nuove istituzioni
politiche alla grandezza del Boria raccomandate, gl'in-
segnamenti e i conforti della madre, la baldanza di
un vigoroso e colto intelletto, e il sangue non trali-
gnato, non furono però i soli che deliberarono il gio-
vine Fiesco all'audace proposito; comechè dopo un
soggiorno di otto anni fatto nel castello di Montob-
bio, contando il diciottesimo dell' età sua, ricondottosi
colla famiglia in Genova per celebrare quivi il suo
matrimonio con Eleonora Cibo dei Marchesi di Massa,
gli si offrissero nuove cagioni che ne riscossero l' animo
Sigonio e il Thuano, né di proprio aggiungendovi che le am-
plificazioni rettoriche e le scempiate orazioni afferma che il Fie-
schi Fin da giovanetto diede manifesti segni di una immatura fe-
rocia, ciò non essendo detto né dai prefati storici, né dal Bon£idio
che scriveva presente al fatto, si ha a ritenere in conto di un' ostile
invenzione dello stesso Mascardi, come tante altre che si leg-
gono in esso, venduto al partito che reggeva il governo dal Doria
stabilito; né dissimili da lui si devono considerare il Campa-
naccio e il Capellone, scrittori ignobili e venderecci, e l'ultimo
vera schiatta di servidorame addetto alla casa di A4gmo Centu*
rioni, come si legge in certo registro di spese del 1545 esi-
stente in Genova nell'archivio del Principe Doria.
i8i
e meglio lo infiammarono determinandolo a quanto
forse dapprima non era che un mal concetto pensiero.
Ritornato in città che appena decenne avea abbando-
nato, senti non più essere il gran feudatario fira gli
omaggi de' vassalli, il solo da tutti riverito^ ma star-
gli di fronte e superarlo chi di povera fortuna sorto
dianzi, né di per sé a inaspettata potenza levato, rapi-
vagli i primi onori, col fasto insolente, colla pompa
delle ricchezze, e col seguito dei partigiani. Era questi
Gianettino Doria nato di un Tommaso che per V an-
gustia delle cose domestiche si era per lo addietro
travagliato nella tessitura della seta. Lui Andrea Doria
aveva adottato in figlio e successore della propria gran-
dezza, a lui afiidàto il comando delle venti galere sotto
i suoi ordini poste, a lui procacciate illustri nozze colla
figlia di Adamo Centurioni, il più ricco cittadino di
Genova e il più umile servitore di Carlo V (i); a lui
quindi rivolti tutti gli sguardi, le speranze, e le am-
bizioni come a sole d' oriente, mentre Andrea vecchio
ottuagenario stava presso al tramonto. E siccome d' or-
dinario accade a chi di umile stato per improvviso ac-
cidente s' innalzi che V animo noni bene temperato a
(i) Questo si rileva dalle sue lettere ali* Imperatore, nelle
quali si sottoscrive umilissimo servitore che gli bacia non solo
le mani, ma i piedi. Quale diversità, e tralignamento di stirpe
tra questo Adamo, e Oberto Spinola che alteramente minaccioso
protesta alla presenza dell'Imperatore Federigo Barbarossa che
la Sardegna era' de' Genovesi, e se i Pisani osassero di recar-
visi taglierebbero loro i nasi e le orecchie !
l82
grandezza s' insuperbisca, ed inebbrii, cosi Gianettino
vedutosi da inattesi favori di prospera fortuna privi-
legiato, ogni moderazione di pensieri, e di modi pre-
termessa, già mostrando di conversare non più fra gli
eguali, ma fra soggetti, passeggiavate vie della città
con altero portamento, e aspetto di signore accompa-
gnato sempre da un numeroso drappello di giovani
nobili, di adulatori, e di cagnotti che lui consideravano
dover essere in breve V arbitro della Repubblica ; ar-
roge, che gli abiti marinareschi contratti da esso, e
parecchi fatti valorosi operati ne accrescevano V orgo-
glio naturale rendendone le maniere, e -le parole aspre,
ricise, ed acerbe. Tutto ciò gli aveva alienati gli animi
deir universale, imperoccI;è coloro eh' erano de' nobili
nuovi odiavanlo a morte, gli altri temevanlo. Tutti
consideravano che se quella natura assai diversa dallo
zio, vivente costui e mal pativa e già riscuoteva il freno,
morto che fosse avrebbe senza dubbio prorotto ad ogni
eccesso, né paga alla presente condizione aspirato alla
tirannide.
Ma più di tutti a quella vista ne provava amaris-
simo cruccio e strazio Gian Luigi che sei vedeva seco
stesso comportarsi non diversamente che con gli altri,
e trattarlo men da eguale che da soggetto, quindi il
profondo risentimento cagionava dispetto, il dispetto
r odio, r odio vendetta ; tanto più s' è vero come nota
il Casoni ne' suoi annali esistere memoria che Ginetta
figlia di Adamo Centurioni sposata a Gianettino fo'^se
dapprima promessa al Fiesco, e il padre gli rompesse
i33
la fede perchè Andrea Doria gli manifestò che non
il Fiesco, ma Gianettino stato sarebbe come succes-
sore di lui, il più potente di Genova (i). Arroge, che
altra e più feroce cagione d'ira inestinguibile e d'odio
mortale, essere dovette infine quella che alcuni testi-
moni esaminati poscia nel famoso processo (2) , de-
posero, cioè, che Gianettino Doria, manteneva una
tresca scandalosa con Eleonora moglie di Gian Luigi,
e questo assente la frequentava, per cui al marito es-
sendone venuta la notizia s'infiammò del più vivo de-
siderio di vendetta contro l'odiato seduttore. Congiunge-
vansi pertanto allora e concorrevano insieme efficaci ad
esacerbare V animo dell' offeso giovane le memorie della
passata fortuna, le amarezze della presente, il desiderio
di migliorarla, la gelosia, 1' avversione di Gianettino, il
favore dell* ordine popolare, le istigazioni, gì' inviti di
Francia, le lusinghe forse, e i consigli dei Farnesi.
Ancora, fra le domestiche mura, a lui vicino, oltre
la madre, dopoché ristabilito aveva in Genova il suo
soggiorno nuovi strumenti si erano aggiunti a vie-
maggiormente pungerlo, e concitarlo. Presso al suo
palazzo di Violato abitava un Gio. Batta Verrina, uomo
sopra ogni altro arrisicato, e feroce, mortale nemico
della vecchia nobiltà, appartenente alla nuova e dì
nuove cose cupidissimo, sia per odio contro di quella,
sia per speranza di trovare rimedio alle strettezze fa-
(i) Casoni, Annali, an. 1550, pag. 250.
(2) V. Allegazione, pag. 3 $5-56-58.
i84
migliari che travagliavanlo. La fierezza, T audacia di
costui fecero viva impressione sul Fiesco, incontrarono
favorevole accoglienza, di guisachè tosto insieme si
ristrinsero entrambi e il Verrina divenne in breve il
consigliere , il confidente più intimo e V arbitro dei
suoi pensieri. Secondo al Verrina, era un Raffaele
Sacco savonese giureconsulto, e di cui si serviva per
giudice nei feudi che possedeva; caldissimo partigiano
de' Francesi ; veniva terzo un Vincenzo Calcagno da
Varese fin dalla più tenera età vissuto con esso in
Montobbio, che seguendolo dovunque, ne moderava i
pensieri, e teneramente lo amava, ma dai due primi
assai diverso sconsigliavalo da ogni imprudente ten-
tativo che ne ponesse a repentaglio lo stato e la vita,
o questo facesse per sincero e caldo affetto che gli
portava, o per indole timida e pacifica che da ogni
perigliosa intrapresa lo rimuoveva. Ora è a vedere
come con siffatto violento concorso di sentimenti, di
fatti e di persone fosse dato principio alla macchina-
zione, e donde la prima scintilla sorgesse dell' incen-
dio che doveva avvampare.
CAPITOLO TERZO
Prime pratiche della Congiura tenute forse dal Fiesco cogli Adomi ; probabili tenta-
tiri di accordo di lur>col Papa; ragioni di odio di questo contro di Gu-lo V e
Andrea Doria ; viaggio di Gian Luigi a Roma e a Piacenza ; trattlLtive di esso con
Paolo III, con Guglielmo di Bellai ambasciatore di Francia e Pier Luigi Farnese
Duca di Parma e Piacenza; suo ritorno in Genova, e consiglio ivi tenuto da lui
con Gio. Batta Verrina, Raffaele Sacco e Vincenzo dlcagno; confessioni del
primo e rivelazioni del secondo; il console dei tessitori di seta si presenta al
Fiesco per eccitarlo al soccorso di quell* arte caduta in povertà dopoché i capitali
dei nobili vecchi invece di servire' a sostenerla e ùltìa prosperare s' impiegavano
ad usura in Ispagna; cortese accoglienza fatta dal Fiesco al console, e poi ai
tessitori cui egli soccorre e promette di sovvenire più largamente in avvenire.
LXVII. — È fama che le prime pratiche per vol-
tare lo stato di Genova si appiccassero dal Fiesco con
Barnaba Adorno figlio dell' ultimo Doge Antoniotto ;
non essendo verosimile che come alcuni scrittori della
congiura narrarono egli trattasse con Cesare Fregoso
e Cagnino Gonzaga quando essi nel 1536. vennero al-
l' oppugnazione di Genova, imperocché in quell'anno
egli non ancora contava il quattordicesimo dell' età
sua, vivendo sotto la madre nel suo castello di Mon-
^bbio. Oltreciò, non si sarebbe mai congiunto a' Fre-
gosi, mentre fireschi erano gli assassinj che questi
^ntro i Fieschi, e i Fieschi contro i Fregosi com-
messi avevano, per i quali tra l' una, e l'altra famiglia
Profonda e mortale inimicizia esisteva. Che se è vero
i86
che tra le scritture di Cesare Fregoso trovate dal
Marchese del Vasto, quando, secondo che ne corse
la voce,' venne da lui assassinato in riva al Po, si ebbe
a discoprire cotale intelligenza tra il Fiesco e il Fre-
goso, non potendo però per le ragioni sopradette, me-
ritare fede alcuna, debbe credersi essere stato questo
uno stratagemma dello stesso Fregoso per rivolgere
più facilmente T animo del Re alle cose di Genova,
millantando avere eziandio dalla sua parte, il potente
aiuto dei Fieschi. Ma le pretese scritture non sareb-
bero QssQ stesse una impostura del Marchese del Va-
sto, mentr'è da storici accuratissimi di quei tempi
affermato che dei due legni sorpresi in riva al Po
da' suoi sicarj quello che recava i compagni del Fre-
goso, i danari, e le scritture si diede subitamente alla
fuga né potè cadere in loro balia ?
Egli è pertanto più al vero consentaneo il conghiet-
turare che de' suoi rancori facesse il Fiesco per la
prima volta partecipe Barnaba Adorno, il quale vivendo
lontano dalla città, andava seco stesso nella solitudine
del suo castello di Silvano mulinando di far risorgere
egli pure la grandezza della propria famiglia dal nuovo
governo abbattuta ; quindi è fama che il Conte indu-
cesse r Adorno a congiungersi insieme di consigli e
di forze, opponendosi virilmente al maggiore ingran-
dimento dei Doria, e cólta la prima occasione che si
offerisse propizia si procacciasse il Dogato, e a sé
quella autorità consentisse che tenuta già aveva nella
Repubblica 1' avol suo Gian Luigi, col particolare ed
i87
intero governo della Riviera Orientale sotto il protet-
torato del Re Luigi XII posseduto da quello. I quali
divisamenti si avessero a comunicare al Re di Fran-
cia, affinchè colle sue forze ne aiutasse T effetto, e
dove r impresa mettesse a buon fine il rifatto governo
fosse posto sotto la sua protezione e fatto sicuro dalle
offese imperiali. Siffatti concerti maneggiando un frate
Badaracco, vennero a notizia del Senato, per rivela-
zione di alcuni nobili cui si era egli confidato, fu
quindi preso e convinto per alcune lettere dell'Adorno
che gli si trovarono addosso, torturato, e condannato,
n' ebbe mozza la testa. Sotto i tormenti profferì i nomi
di Gian Luigi del Fiesco, e di Pietro Paolo Lasagna,
nobile dell' ordine popolare, e cittadino di grandissima
stima, ma niun altro indizio essendosi di prova rin-
venuto nelle carte del frate poterono essi andar liberi
d' ogni molestia.
Laonde finora non sono che sospetti, o se qualche
indizio di tentativo, rimane pure avvolto nell' oscurità,
poiché del concerto tra il Fiesco e V Adorno nes-
sun* altra notizia abbiamo che quella che ci porge il
Casoni, e delle intelligenze col Fregoso e lo Strozzi
di cui Éin cenno gli storici coetanei, i più autorevoli
di essi ne mostrano V inverosimiglianza, e la impro-
babilità. Ad ogni modo i sospetti vi erano come le
o^oni che doveano di necessità farli nascere; né
stimo che Andrea Doria ne avesse interamente Y animo
sgombro, non già che il giovine Gian Luigi riputasse
capace di un risoluto attentato contro le nuove isti-
i88
*
tuzioni , ma esacerbato dal vedersi tanto nella presente
fortuna lontano da quella de' suoi maggiori e tuttavia
incamminato a peggiore. Fu per avventura questo pen-
siero, e la tema che quanto si sospettava del Fiesco
non si avverasse un giorno, che lo mosse ad ottener-
gli nel 1544 una pensione annua di duemila scudi
d' oro dall' Imperatore, da pagarseli sopra le rendite
ordinarie e straordinarie dello stato di Milano per
quattro rate trimestrali di scudi 500 ciascuna. Ma tal
mezzo con cui il Doria sperato aveva di riconciliarne
l'animo' e mutarne le disposizioni se ostili erano an-
dando fallito , poiché quella pensione non fu mai
pagata come ci attesta il Bonfadio stesso, tornò di
derisione, e di maggior fomite all' interno rammarico
del Fiesco.
LXVIII. — Le priiiie mosse però alla congiura ven-
nero da Roma. Il Papa Paolo III viveva pieno di
amarezza e di dispetto contro Carlo V e Andrea Do-
ria; rimproverando a quello di avergli prima data e
poi violata la promessa dell' investitura del Ducato di
Milano dopo la morte dello Sforza al proprio nipote,
di essersi i cardinali e prelati della fazione imperiale
protetti da Carlo nel Concilio di Trento comportati
nel modo più ostile contro 1' autorità Pontificia ; che
contro i seguaci della setta luterana in Germania l' im-
peratore si fosse peritato sempre di adoperare quei
rimedj coercitivi e soltanto efficaci a sanare il male;
infine di avere fino allora disconosciuta 1* elezione di
Pier Luigi Farnese al Ducato di Parma e Piacenza.
i89
Ad Andrea Doria apponeva il più autorevole e ri-
soluto consiglio a Carlo di non dismembrare lo stato
di Milano dal dominio imperiale, opponendosi all'in-
vestitura del Farnese ; e più recente e sanguinosa of-
fesa ricevuta da lui, che gli stava profondamente nel-
l'animo riposta. Morto era un Imperiale Doria Vescovo
di Savona lasciando una pingue eredità nel regno di
Napoli ed istituendone erede Andrea suo parente colla
condizione di sollevare alcuni loro congiunti posti in
bassa fortuna. Ma i ministri pontificj pretestando tutta
quella facoltà doversi alla Camera Apostolica per ra-
gione dello spoglio se ne posero incontanente al pos-
sesso ; e con tanta avidità vi stesero sopra le rapaci
mani che appropriaronsi i capitali, e devastaronne i
beni, più ladroni che legittimi collettori. Avvisato il
Doria dell' ingiusto operato, e del brutto ladroneccio
se ne dolse col Pontefice allegando invano le giuste
ragioni alla contesagli eredità, che i Qollettori eccle-
siastici negarongli ogni diritto. Il cardinale Alessandro
Farnese nipote del Papa offerivagliela, quando volesse
qual dono accettarla da lui; locchè sdegnosamente il
Doria rifiutando pensò alla vendetta, e a Gianettino
diede ordine, partisse, pigliassesi le galee pontificie,
conducessele nel porto di Genova; cosi fu eseguito;
destò meraviglia il fatto, e a chi ne chiedeva rispon-
deva il Doria che Gianettino si avea tolte le galee
del Papa perchè le sue più numerose erano e più forti
fi quelle ; nel che veramente stavano i termini della
contrastata eredità, che il Papa più forte di lui aveasi
192
vasi che nìuno di essi avesse pensato di farsi innanzi
nelle dignità di quella Corte dove tante gloriose me-
morie serbavansi degli avi loro ; che quando a ciò si
fossero deliberati egli non era per mancar lóro di
quella riconoscenza che al padre doveva.
Questo ragionamento che se vero è, altro non era
forse che il principio con che divisava eseguirsi il pre-
stabilito disegno, venne meglio svolto ed ampliato dal
Cardinale nipote Alessandro Farnese con oflFerte par-
ticolari, laonde Ettore Fiescbi che per quanto accadde
in appresso può bene aversi sospetto di complicità nella
congiura, tornato ih Genova, e della amorevole acco-
glienza del Pontefice, delle sue dimostrazioni di stima,
e delle graziose profferte fatto consapevole il Conte,
lui mosse a condursi a Roma dove un* agevole via gli
si apriva di futura grandezza, ed ei vi si portò con Raf-
faele Sacco, e venuto alla presenza del Papa, si ebbe
da questo il più affettuoso ricevimento. Riconoscesi
dalle rivelazioni del medesimo Sacco, e narrasi dal
Casoni, mentre gli altri storici della congiura onamet-
tono il fatto, o lo pongono in dubbio (i), che si ral-
(i) Il Sigonio e il Tuano scrivono dell* acquisto delle galee
pontifìcie ma nulla dicono di promesse date dal Papa al Fiesco
quando volesse tentare qualche gran fatto da potere in Genovt
ristabilire la potenza della propria famiglia ; il Bonfadio che det-
tava gli annali sotto il pontificato di Paolo III lo lascia in dab'
bio, e scrive : « Temere autem, an ex vero, nobis non est com-
» pertum, et quod ambiguum est, non videtur prò certo $0-
» mendum, »
^93
legrasse vedendolo, e conoscerlo per quello che gli era
stato dipinto, e crescergli affe:(ione ; perloché sfor:(ato tro-
vavasi egli ancora dirgli, quello sapeva avergli detto il
Duca suo figlio, che il Prìncipe era vecchio, e eh' esso
doveva attendere a noti restar lui^ né lasciar la casa sua
soggetta ad altri, e che in tal caso, sempre che gli acco-
modasse, oltra le forze del Duca suo figliuolo, gli offe-
riva ancor le proprie (i).
.Ricopio le parole delle rivelazioni del Sacco, am--
pliate dall' annalista Casoni, il quale vi aggiunge, che
il Papa stesso concludesse : che per cominciare a dargli
saggio del suo buon animo, gli offeriva il Generalato delle
sue gàlee ; a condi:(ione (e qui sorrise il Pontefice) che
si guardasse di cadere in mano di Gianettino, e di la-
sciarle condurre in arresto nel porto di Genova, come al-
tre volte era succeduto.
Ora continuando la narrazione sulla fede delle me-
desime relazioni, e di quella che ce ne porgono i di-
(i) Il Federici e lo stesso Agostino Mascardi, dopo avere narrato
il fatto, soggiungono che non può con certezza affermarsi, tanto
più, che in seguito Apollonio segretario molto confidente del
Duca Farnese, ritenuto prigione a Milano e con acerbi tormenti
interrogato sopra di ciò da D. Ferrante Gonzaga, negò sempre
costantemente che il Duca ed il Pontefice avessero avuto parte
nella congiura dei Fieschi. Il solo Filippo Casoni si mostra uni-
forme alle rivelazioni del Sacco, e vi aggiunge ancora di proprio
senza dirci donde ha egli attinte le nuove circostanze che riferi-
sce ; Carlo Botta lo ricopia senza darsi la pena di sceverare il
vero dal fisilso, ovvero dall' incerto, che è menda non infrequente
di quello per altro grande storico moderno.
13
194
versi storici, pare che il Fiesco fosse dal Papa rimesso
al Cardinale Nipote aflSnchè con questo meglio fer-
masse opportuni concerti, indi si abboccasse col Car-
dinale Agostino Trivulzio protettore di Francia che
lo strinse assai con offerirgli partiti molto certi e grandi
per parte del Re^ il che lo indusse a risolversi arrivato
che fosse a Genova assai presto e datone parte a qualche
amico suo (i).
Le condizioni che in nome del Re di Francia si
proponevano dal Cardinale al Fiesco, secondochè le
riferisce il Mascardi, senza che si sappia donde abbia
potuto legittimamente ricavarle, sono le seguenti:
« i."* Che subito passato al soldo Regio ricevesse
» il danaro, per mantenimento di sei galere;
» 2.° Che gli fossero assicurati gli stipendi per
» dugent' uomini da porsi in presidio nella Rocca di
» Montobbio ;
» 3.° Che fosse dichiarato Capitano di cavalli;
» 4.° Che gli si assegnassero dodicimila scudi
» r anno per sua provvisione (2). »
Soggiungesi dallo stesso, che siffatte condizioni gli
furono ratificate d' ordine Regio da D. Giovanni Ca-
racciolo Principe di Melfi fuoruscito di Napoli.
Tornato il Fiesco in Genova, il Cardinale Trivulzio
temendo che V indugio potesse ipipedire la più pronta
(i) V. Rivelazioni di Raffaele Sacco. Doc. cxi, Pag. 170. {Atti
della Società Ligure di Storia Patria, Voi. vin).
(2) V. Agostino Mascardi, Congiura del Conte Già. Luigi
de' Fieschi, pag. 45.
195
esecuzione dell' ordito disegno, si affrettò a mandarvi
Niccolò Foderato cavalier Savonese parente di lui,
aflSnchè quanto si era pattuito in Roma venisse da
esso sottoscritto. Posto a quella stregua il Fiesco sotto-
scrisse, ma indi radunati a consiglio il Verrina, Sacco,
e Calcagno, sorse una grande differenza di partiti fira
di loro, e il Verrina fieramente opponevasi a che si
trattasse colla Francia, proponendo che senza di quella
il Fiesco bastava a rendersi Signore di Genova, eh' egli
stesso sarebbesi adoperato affinchè ne cingesse la co-
rona, alle quali parole arrendendosi il Conte, mandò
dietro in posta a revocar il pacchetto con la capitolatione
che portava il cavallero Fodrato; il Sacco però giusta
quanto egli afferma dissuadeva il raioto, dicendo : che
sempre ha veduto alle cose grandi impedimenti non consi--
derati, soggiungendogli che. non credeva la cosa tanto fa-
cile, considerando che in ristretto tutta la sua fede e spe-
ranT^a consisteva in fede di popolo vano e villano, e che
ogni poco (i) contrasto che ritrovasse, egli ne potrebbe
con molta vergogna e biasimo di tutto il mondo, restar
disfatto, e che simili cose e di tanto momento non erano
da risolversi cosi facilmente ; (2).
Le quali considerazioni del Sacco non giovavano a
rimuover 1' animo del Fiesco dal suo tristo pensiero ;
t cosi atti 22 di novembre restò conclusa quella nefanda
congiura di amma:(^ar il Principe, il Capitano (Gianet-
(i) Vi ha un guasto nel documento.
(2) V. Rivelazioni, pag. 171.
196
tino), Messer Adan (^Centurioni) e tutta la nobiltà di
condÌT^ione, efratanio che si andasse considerando la forma,
attender a dissimularey secondo il solito con tutti
Da questa deposizione parrebbe che per consiglio di
Verrina si dovesse tentar V impresa senza V obbligo
di sottomettere poscia Genova al dominio di Francia,
rivocandosi il trattato che il Fiesco avea già sotto-
scritto ; seno'nchè T ambasciatore Figueroa notificando
air Imperatore colle rivelazioni del Sacco quanto si
avea procacciato di sapere dalle confessioni dello stesso
Verrina, scrive aver qijesti affermato che per il Conte
si era praticato quel negozio molto con il Re di Fran-
cia, il quale gli prometteva seimila ducati di provvi-
gione air anno, cinquanta lande coli' ordine di San
Michele, e che suo disegno era di toglier di mezzo la
maggior parte dei gentiluomini dopo di avere ucciso
il Principe e Gianettino Doria e tenere la città a di-
vozione di Francia (i). Il Sacco poi aggiunge, chea
qualche segno veduto da lui, dalV altro canto il Verrina,
con altri capi popolari insieme, dovesse poi uccider il Conte,
per non voler star soggetti a cosi empio tiranno, ed ah-
borrendo per natura a tutta la nobiltà.
Nella conclusione poi delle rivelazioni del Sacco,
e delle confessioni del Verrina, secondochè le riferisce
il Figueroa, si contiene che alcuni giorni dopo di quel
consiglio Stefano Spinola Signor della Rocca si recò
#
a ritrovare il Conte e gli disse che se voleva si pò-
(i) Doc. cix, pag. 167.
197
irebbe fare uno stato di Adorni, del quale esso reste-
rebbe signore avendo assai più autorità che mai alcuno
avesse avuto in Genova, alla quale proposta rispose
egli non sapere in qual modo si bastasse ciò ad ese-
guire, né ch'egli pure vi pensava, che anzi tanto gli
dispiaceva simile pratica, che quando avesse opinione
si dovesse eseguire, fosse certo la pubblicherebbe. Se
vere sono queste circostanze, forza è dire, o essere
false le prime intelligenze affermate dal Casoni con
Barnaba Adorno, od essersene in seguito il Fiesco
cosi rimosso da doverne perfino minacciarne la de-
nuncia quando gli fosse noto che si mandavano .tutta-
via ad effetto ; la qual cosa voglio ricordare per dimo-
strare quante contraddizioni s' incontrino nei particolari
di questo avvenimento e come d'uopo sia di proce-
dere cauti nel prestar fede a tutto ciò che ne fii scritto.
LXX. — Fratanto e prima e dopo del narrato con-
siglio, il Fiesco col Sacco recavasi in Piacenza (i)
presso il Duca Pier Luigi Farnese per dar termine al
contratto delle quattro galee, ma verosimilmente per
meglio convenirsi intorno al prossimo moto che si
divisava per esso di tentare in Genova. Primamente
si diede motivo alla visita di volere riconoscere Pier
Luigi nuovo Signore di quello Stato, di cui il Fiesco ri-
(i) Tra i documenti raccolti e pubblicati dal fu Sig. Avvocato
Edoardo Bernabò Brea vi ha una lettera del Fiesco colla data
del 28 Settembre 1545 che scrive da Piacenza dove si trovava,
d Doge e ai Governatori della Repubblica consigliandoli a com-
plimentare il nuovo Duca Pier Luigi Farnese. (V. op. e. pag. 7).
198
maneva feudatario per i luoghi di Borgo Valdetaro e
Calestano, che possedeva sul territorio di lui. In ef-
fetto sT trattarono i particolari del fatto che si stava
congiunti per intraprendere ; pare , dai documenti
prodotti in luce dall' Archivio di Simancas, che il
Duca promettesse al Conte quattordicimila fanti
pronti a dargli soccorso; che la coQipra delle quat-
tro galee delle quaU per tre sole riceveva stipendio
dal Pontefice fosse simulata, e dal Duca cosi vo-
luta, non amando che il tentativo si facesse colle in-
segne e sotto gli auspicj del Papa, poiché non riuscendo
la cosa, si avesse sempre modo di cavarsene fiiori,
quando cosi tornasse utile. Ragionavasi la compra ac-
ciocché Gerolamo firatello di Gian Luigi si avvezzasse
neir arte del navigare, di molto dilettandosene. Ma
Paolo Panza saputa la cosa sembra per opera del Sacco
che di Piacenza gliene scrisse, subodorandone la vera
cagione, rispose, che a lui non era sfuggito il segreto
di quel trattato, che suo consiglio, o gradito, o disgra-
dito che fosse, era che quella compra delle galee non
potea tornare che dannosa al Conte, sia per non avere
danaro in cassa da pagarle, sia perché non voleva na-
vigare, sia perché i suoi firatelli non gli sembravano
da tanto ; infine, perchè negozio di sì grave momento
non dovea deUberarsi, inconsapevole Andrea Doria,
cui tanto andava obbligato lo stesso Conte, e che non
sapendolo, forse se ne offenderebbe.
Le galee ciò nondimeno acquistavansi e ponevansi
sotto il comando di Gerolamo Fiesco firatello di Gian
199
Luigi, e Gianettino n' ebbe invidia. « Vedeva egli (cosi
» afferma la lettera che sotto il nome di Giulio Cibo
» a Benedetto Varchi colla data del 28 Maggio 1550,
» estratta dall' Archivio fiorentino venne pubblicata
» dal chiarissimo Cav. Cesare Guasti) che pur gli
» Fieschi erano grandi in terra, et cercavano ora farsi
» grandi per mare ; onde non lo poteva patire : et
» non avendo giustissima causa di potergli impedire
» questa grandezza loro voleva che le galee di mio
» firatello abbassassero lo stendardo, tenendosi egli am-
» miraglio del mare, et mio firatello che tirava soldo
» dal Papa et non dallo Imperatore, non volse mai
» abbassarlo. La qual cosa vedendo Giannettino, co-
» minciò a dire che un giorno con una minima barca
» affonderebbe le nostre galee. Le quali essendo un
» giorno per non so che sue faccende ite a Messina,
» cariconno inavedutamente le sete dei mercatanti gè-
» novesi: et Giannettino che pur veniva per tale ef-
» fetto , si ritrovò gabbato, et n' ebbe tanto sdegno
» quanto aver si possa ; e minacciò di tal sorte il
» Sig. Girolamo mio firatello. Capitano delle sopradette
» galee, che se egli avesse avuti tanti legni quanti aveva
» lui, si sarebbero aflfrontati insieme »
LXXL — Tutto ciò non faceva che invelenire gli
odj, e meglio infiammare quel fuoco che non potendo
più segreto covarsi, stava per divampare ; il Conte dis-
simulò, aggiunse pur questa alle altre cagioni di risen-
timento, ed aflfrettossi alla vendetta. Tornato di Pia-
cenza si condusse a' suoi feudi, esercitò i sudditi nel
200
maneggio delle armi, addestrolli, e rese pronti alle
marcie, e ad ogni altro militare esercizio, apparec-
chioUi ad un suo cenno, apparentemente mostrando
temere il vicino Duca di Piacenza ; e in tal guisa pas-
sati alcuni mesi, cadendo l'autunno del 1546 si ri-
condusse in Genova. Quivi si pose tutto co' nobili
nuovi o di S. Pietro,, sgannati dell'aggregazione dei
28 Alberghi, nemici dei Doria, devoti in gran parte
a Francia, e di leggieri li trasse alla sua parte; eoa
fa del popolo che più dei nobili di S. Pietro, -odiava
quelli di S. Luca ricordandosi che, aveano 40 anni
circa, venuti erano essi in compagnia del Re Luigi XII
di Francia abbattendo il Dogato di Paolo da Novi, to-
gliendone la Signoria eh' era la sua ; oltreciò, il de^
cadere del commercio, le frequenti guerre aveano di
tal guisa le diverse arti immiserite, scemati i guadagni
che dove prima da quelle i popolari traevano i mezzi
di un' onorata, ed agiata sussistenza, ora dipendevano
dalla carità de' patrizj , che i capitali loro invece di ap-^
plicarli al commercio, o- alla industria come negli an-
dati tempi, gì' impiegavano ad usura in Ispagna, o pen-
savano d' investirli in maggioraschi e fedecommessi,
togliendoli alla circolazione, rendendoli immobili per
assicurarsi con una ricchezza non peritura, ed una sta-
bile potenza, il continuo maneggio della Repubblica
nelle proprie famiglie. Poco vi volle che il Fiesco
coir amabilità del viso, la cortesia dei modi, e più an-
cora colla copia de' soccorsi li si cattivasse, ed ora
aiutandoli, ora commiserandoli, ora gittando una pa-
201
rola di conforto e di speranza, entrasse talmente nel-
l'animo loro da volgerli a talento dove tornasse più
a lui. Si narra, che chiamato hel suo palazzo di Vio-
lato il Console dei tessitori di seta, numerosissimi
in Genova, e chiestogli delle condizioni di queir arte,
e sentito, come oltremodo decaduta, la maggior parte
di essi vivevansi nella più lamentevole miseria, ordi-
nogli che i più miseri e bisognosi mandasse a lui ;
al quale ordine avendo il Console obbedito, una co-
tale quantità di quei poveri tessitori gli si presentò
dinanzi, ed egli con tanta benevolenza, con si dolce
sembiante, con maniere cosi amabili, e con parole
tanto graziose li accolse che ne rimasero stupiti, né
sapeano persuadersi che usi com* erano al severo, e
cupo contegno di Andrea, all' insolente, e superbo fa-
sto di Gianettino, all' arcigno, e spigolistro di Adamo
Centurione potessero ritrovarsi riunire cosi rare e
soavi doti in un personaggio che era pure il nobilis-
simo di tutti. Il Fiesco seguitando quel fare, accor-
g^dosi dell' effetto che produceva, meglio si porgeva
loro, e qui ad entrare nei particolari di quella miseria,
a udirne con attenzione, e commosso a tenerezza e
pietà, i dolorosi racconti, e promettere di alleviarne le
pene, e intanto provvedendo alle urgenti necessità fra
le quali travagliavansi volere che venisse divisa fra di
essi una certa quantità di grano, dicendo che questo
sempre era stato il costume della sua famiglia di soc-
correre a' poveri, nel che egli non voleva di certo
degenerare da* maggiori, laonde quando essi mancas-
202
sero di ciò che più si abbisognava al sostentamento
delle proprie famiglie, a lui si volgessero che sempre
di quanto aveva avrebbe loro fatta parte, raccoman-
dava però noi dicessero, aflSnchè la sua compassione
e pietà per si povera gente non paresse più desiderio
di vana ambizione che sincero sentimento di amore
e di benevolenza che provava per loro. Cosi favellando
li accommiatava, ed essi andavansi con Dio, dal pro-
fondo del proprio cuore ringraziandolo e benedicendolo.
CAPITOLO QUARTO
Nuovo Consiglio tenuto dal Fiesco con Verrina, Sacco e Calcagno; loro pareri
diversi circa lo scopo che si doveva prefiggere alla congiura, circa il mezzo e il
tempo di eseguirla; si fissa la seconda notte di gennaio del 1547.
LXXII. — Con siflfatte arti, la plebe, i nobili nuovi
ei si avea guadagnato, né Andrea Doria, né da ultimo
dissimulando lo stesso Gianettino trascurato, che offi-
cioso, sommesso, e sollecito delle visite con quello,
cortese, arrendevole con questo dimostravasi ; per la
qual cosa, allorché gli parve acconcio il tempo, e tutto
volgeva propizio a seconda del proprio disegno, chiamò
a nuovo consiglio i tre suoi confidenti. Discutevasi
quale lo scopo non solo, ma la forma di governo che
si sarebbe adottata, quali i mezzi per metterla in atto ;
tutti concordavano togliere la Repubblica dall'essere
soggetta ad ogni volere di Carlo V, cacciandone quindi
i Doria che nella vergognosa soggezione la mantene-
vano e con essi le nuove istituzioni a tale uopo stabilite,
conformi alla ragione e al talento de* pochi, richieste
dalla tirannide straniera, che da Genova divisava esten-
dersi all'intera Italia, poiché oppresso il Papa, tradita
Venezia, usurpata Milano, distrutta la repubblica fio-
204
rentina, niuna più resistenza rimaneva contro la tra-
bocchevole ingordigia dell' aquila grifagna.
Viva però questione faceasi intorno alle condizioni
politiche che sarebbonsi introdotte in Genova dopoché
sgombra fosse rimasta del dominio di Carlo V e dei
Doria. Secondochè scrive il Mascardi, opinava il Sacco
seguitando i passati esempi sottomettere la Repubblica
a protezione di Francia, da cui soltanto i promessi
ajuti, le forze bastanti poteansi aspettare per la forma-
zione e la stabilità del nuovo stato; Gian Luigi vi
avrebbe tenuto quella grandezza, e quel grado che vi
avea V avo di lui sotto del Re Luigi duodecimo. Op-
ponevasi a quel partito sdegnosamente il Verrina, assai
di cotesti governi stranieri da' quali sbattuta ed avvi-
lita era la misera Genova, oggimai, diceva, essere ve-
nuto il tempo di cacciarne l' ignominia, e reggersi di
per sé, cosi la più sana parte del portico di S. Pietro,
cosi il popolo pensare, e volere diventar liberi, ma in-
dipendenti, né scuotere il giogo, per mutarlo in un
altro, dunque non si poteva discacciare il governo di
Spagna senza cadere in servitù di Francia? che Spa-
gna, che Francia, esclamava, genovesi dobbiamo essere
senza mescolanza, ed obbrobrio di forestieri. Il* Conte
Doge e Signore sarà senza l'alto dominio, o la pro-
tezione di estraneo governo ; per questo noi abbiamo
rigettate le capitolazioni , per questo finora ci siamo
travagliati, se altrimenti noi facessimo la nuova domi-
nazione francese, o ci renderebbe suoi vili strumenti
come fa di presente lo spagnuolo dei Doria, e invece
205
del favore e della stima de' nostri cittadini avremmo
r odio, e la maledizione loro, o ci confonderebbe con
tutti gli. altri da lei tuttavia oppressi e vilipesi. Io al-
tamente dichiaro che se il Conte tal partito accettasse
non liberatore, ma traditor diverrebbe della propria
patria e noi con esso ; ed io lo respingo e quanto so
e posso mi vi oppongo. La fierezza dell* uomo, i modi
rotti e violenti, le risolute parole, la vinsero, parve
almeno, sopra il Conte, e il Sacco, che il Calcagno
o non chiari V animo suo, o per timidezza disdisse
ogni moto, pronto a seguire il Fiesco però in ogni
evento essendo affezionatissimo a lui. Dissi, parve, co-
mechè non bene egli è noto se il Conte si arrendesse
ai consigli del Verrina o s'infingesse temendolo per
non istaccarlo da lui e con esso tutto quel numero
di partigiani popolari che tiravasi dietro, e doveano
il più prestante ajuto essere della congiura. Mosso io
sono a credere ciò, imperocché il Sacco racconta in
fine della sua rivelazione , eh' egli disse di nuovo al
Conte: lo timore che questo Verrina non disegnasse ve--
dendo il suo animo tanto mal inclinato contro tutta la
nobiltà, senT^a essergliene mai stata data la causa, sotto
la ombra loro di far un viva popolo, solamente per ta-
gliar a peT^T^i i gentiluomini, e poi essi stessi in appresso,
non vedendosi in lui cosa piti ferma che una estrema
avidità di estinguere tutti i nobili. Ma il Fiesco altera-
mente gli rispose, non aver più bisogno di consiglio
ma di ajuto.
Le quali ultime parole ci rendono sempre più in-
206
certi di quello che fosse veramente risoluto dal Conte,
o s'ei, non ostante la revoca delle capitolazioni con-
tinuasse nel disegno di giovarsi degli ajuti di Francia,
assoggettandovi poscia il dominio della città, o se ot-
tenuto r intento pensasse di rendersi poi indipendente
da quella. Delle intelligenze continuate non si può du-
bitare, poiché lo depone lo stesso Verrina, se si deve
prestar fede alle rivelazioni sue mandate dall* Amba-
sciatore Figueroa all'imperatore addi 30 luglio 1547;
facendo anche senza di quelle, e di altri documenti
che ce lo affermano , bastante prova se ne avrebbe
dair essere il Verrina stesso dopo appena scoppiata
la congiura con una galea recatosi a Marsiglia per ot-
tenere i promessi soccorsi.
LXXIII. — Qualunque sia la decisione che in quel
consiglio si prendesse, che il fallito moto ci ha tolto
di conoscere interamente i disegni più riposti de* con-
giurati, e specialmente del Fiesco, e del Verrina, certo
è che la uccisione del Doria, di Gianettino, di Adamo
Centurioni, e di altri nobili a costoro più aderenti del
Portico di S. Luca fu deliberata ; ma il modo di ese-
guire ciò diede causa a nuova quistione fra di loro.
Convenivano tutti, tempo essere quello più addatto,
Doge non v* era, il presidio di Genova non più di
dugento soldati ; inutili alla difesa le galere del Doria,
imperocché sebbene numerose stavano disarmate sver-
nando nel porto ; d' ogni sospetto sgombri Andrea e
Gianettino, viversi trascurati senza guardia né pub-
blica, né privata, essere agevole introdurre nella prò-
207
pria loro dimora un buon nerbo di gente scelta dai
castelli, mentre colla stessa facilità sarebbesi potuto
per la via di mare impadronirsi delle galee ; venuti
intanto i fanti di Piacenza, avrebbero questi servito a
reprimere le sollevazioni de' cittadini.
Senonchè d'uopo era trovare il modo con cui si
potea più speditamente liberarsi dei Doria, del Cen-
turioni, e degli altri principali nobili, efficace sostegno
dell' odiato governo. Si divisò da principio 1' occasione
di una messa nuova nella Chiesa di S. Andrea alla
quale verrebbero invitati, ma il Conte sdegnosamente
lo rigettò, parendogli che oltreché Andrea scusandosi
coli' età vi avrebbe mandato in sua vece colla soUta
limosina Filippino Doria o altro suo congiunto, ne-
&nda cosa era il dare cominciamento alla liberazione
della patria con un sacrilegio. Questo rifiuto attestato
dagli stèssi scrittori della congiura ligj tutti al governo
dal Doria istituito ne smentisce vieppiù non solo
l'odioso paragone da essi fatto del Fiesco con Alci-
biade e Catilina, ma ne rileva il nobile carattere,
mostrandolo ripugnante da ciò eh' era pure comune
a quei tempi, o poco innanzi, poiché aveano appena
68 anni che il 26 aprile del 1478 nella chiesa di
s. Reparata di Firenze, celebrando la messa il cardi-
nale Riario, nipote del Pontefice Sisto IV e congiu-
rato , nell' atto convenuto , orribile a dirsi ! eh' egli
alzava V ostia sacrosanta , si pugnalava per la congiura
de' Pazzi Giuliano, e ferivasi Lorenzo, fi^atelli dei
MedicL E due anni avanti era stato cosi pugnalato
208
nella chiesa di s. Stefano di Milano il Duca Gio. Maria
Sforza dai tre giovani congiurati Lampugnani, Olgiati
e Visconte; laonde ne conseguita che Gian Luigi
Fiesco avea animo più virtuoso, coscienza più timo-
rata, abborrente da cosi scellerata nefandità, del car-
dinale Riario , dell' arcivescovo Salviati e di parecchi
sacerdoti tutti avvolti nella congiura dei Pazzi. Sono
questi i confronti che ad omaggio della verità avreb-
bero dovuto istituire li antichi scrittori che trattano di
queir avvenimento , meglio retori e venderecci in gran
parte, che sinceri e intemerati storici. Pensarono allora
alle prossime nozze che stavano per contrarsi tra una
sorella di Gianettino, e Giulio Cibo Marchese di Massa
cognato di Gio. Luigi ; a quest' uopo invitasse egli a
cena in compagnia della sposa, e di parecchie dame,
Andrea , Gianettino , Adamo Centurioni ed altri dei
più cospicui nobili e nel tripudio delle ospitali mense,
alcuni sicarj balenati fuori da* nascondigli improvvisa-
mente, gittassersi sopra di loro, e tutti li uccidessero.
Di questo come dell' altro violento partito, istigatore
e caldo propugnatore era il Verrina; ei consigliava
che seguita T uccisione, subitamente il Conte co' suoi
complici uscisse, discorresse la città chiamando il po-
polo a libertà ; levato il tumulto si occupasse il Pa-
lazzo Pubblico ; quivi il Verrina stesso con accomo-
date parole velando il disegno dell' assoluto principato,
mostrando indispensabile la riforma del governo reso
inatto e codardo sotto il dominio di Spagna, e per
essa dei Doria, incoronasse il Fiesco come Doge della
209
Repubblica, invitando la plebe già da lui corrotta, al
giuramento di fedeltà ; che se alcuno sì opponesse,
fosse tosto ucciso affinchè dall' esempio sgomentato
ninno altro sorgesse a contradire.
Ma tuttociò, che io ritraggo dal Mascardi, ch'egli
va ricopiando da Gio. Luigi Campanaccio, dal Tuano,
Sigonio, Bonfadio e Federici, posto ancora sia vero,
che di prove sicure non si hanno che le loro asser-
zioni, sono però tutti questi, eccettuato il Bonfadio,
concordi nell' aggiungere che anche siffatto partito sde-
gnò il Fiesco abborrendo dal contaminare la ospitalità,
convertendo una festa nuziale, negli orrori di una
strage (i). Nota però solo il Bonfadio che egli pre-
gava il Doria che seco andasse a cena in Carignano
ed ottenevalo; stàbilivasi quindi il giorno del banchetto
e dovea essere il 4 di gennaio, nel quale avea luogo
la creazione del nuovo Doge , la nomina di cui fa-
cendosi da quattrocento cittadini nel Palazzo chiusi, e
durando quasi sempre una gran parte della notte, por-
geva la maggiore opportunità al tentativo. Ma sog-
giimge che il Doria fii travagliato dalla podagra, e a
Gianettino per non so quale accidente occorsogli, con-
veniva il giorno disegnato partir da Genova, cosi dubi-
tandosi che questa cosa troppo maneggiata si discoprisse
(i) Cosi si esprime il Sigonio : « Quae sententia, a Flisco, quia
» atrox erat, turpisque, ac crudeli nimis complurium, eorumque
» insontium caede , aedes , penatesque suos cruentatura , vel
» invito, et frustra reclamante Verrina, explosa est. » (Caroli
Sigonii Vita Andrae Doriae pag. 1201).
U
210
differendosi più, mutossi pensiero, ed affrettandosi, venne
fissata ad eseguirla, la seconda notte di Gennaio. Per
la quale narrazione apparirebbe che «e non furono in-
sanguinate le ospitali mense, non procedette già dalla
ripugnanza del Fiesco, ma da circostanze imprevedute
che si opposero alla sua volontà. Ciò nondimeno, io
credo che Jacopo Bonfadio scrittore condotto e prez-
zolato dal governo del Doria, questo scrivesse tacendo
la vera cagione del differimento , per maggiormente
infamare la memoria del Fiesco che tanto si voleva
da coloro che gli ordinavano di scrivere quelli annali
meglio pregevoli per la parte letteraria che per la
storica, e tanto m' induce a credere vedendo non solo
che, tranne lui, niun altro scrittore della congiura osa
affermarlo, quanto né il Doria (i) né i ministri Ce-
sarei che di tutti i particolari del fatto coi termini
più odiosi e ostili al Fiesco, fecero relazione esatta
air Imperatore non toccano mai di questo in guisa da
renderlo verosimile.
LXXIV. — Vero é che le condizioni supreme cui
trovavasi la cospirazione avviata non pativano più
maggiore indugio, avvegnaché, queir apparecchiarsi di
fanti in Piacenza, e d' armi insolite in Francia, quel-
r addestrarsi degli uomini del Fiesco , avea desto a
grave sospetto il governatore di Milano Ferrante Gon-
(i) Il Doria nelle due relazioni Tuna all' Imperatore, l'altra
a Ferrante Gonzaga dice bensì essersi saputo che il Conte va-
leva invitare a cena Gianettino per ammazzarlo, ma non parla
d' invito fatto a lui nonché di averlo accettato.
211
zaga, vigile, e sagace custode del dominio imperiale
in Italia, uomo per natura dotato d'ingegno polizie-
sco, perspicace a scoprire, pronto ad accusare, cupido
per speranza di lode, di onori, e di premj, riferendo
bene o male, di entrare in ispeciale grazia e fiducia
dell* augusto padrone, trista ^ mal nata genia, neces-
saria a paurosi ed assoluti governi, vilissima con essi
e ad ogni più turpe servigio accomodata finché ei po-
tenti signoreggiano, infedele ed ingrata quand' ei ba-
lenano, e cadono. Costui scriveva all' Imperatore es-
sergli pervenuto un avviso di Francia che un fratello
del Conte di Fiesco era stato in corte del Re e si
credeva per alcun maneggio delle cose di Genova, il
quale avviso, soggiungeva, aver egli comunicato allo
ambasciatore Figueroa in Genova perchè lo conferisse
con il Principe Doria e vedesse insieme con lui che
provvisione paresse farsi sopra tali sospetti che' si
aveano delle cose in quella città ; rispondevagli averlo
fatto, ma dal Doria non essere riuscito altro a cavarne
che in vita sua nulla si aveva a temerne (i). Nello
stesso tempo 1' Ambasciatore Veneziano in Francia
scriveva alla propria Repu^bblica, tramarsi in Corte
qualche gran fatto, ma non averne potuto penetrare
i particolari, perocché si osservava il più misterioso
silenzio, sicché avvisi, e voci d' imminenti moti giunge-
vano d' ogni parte che al Conte, e a' partecipi tutti di
quella macchinazione manifestavano ch'egli era d'uopo
romper gli indugi e venirne al più sollecito effetto.
(i) Doc.. VII, pag. II. Archivio di Simancas.
212
Laonde fatta venire da Civitavecchia Tuna delle
quattro galee comprate, od ottenute dal Papa, per la
quale non ne ritraeva stipendio, sotto il pretesto di
volerla, spedire armata in corso nelF Arcipelago, il
Conte la provvide di una quantità di gente che tratto,
tratto in picciol numero e a diverse volte fece venire
da' suoi feudi ; indi si diede a preparare con più dili-
gente e spedito modo ogni cosa, amicandosi i nobili
di S. Pietro, fra i quali i più giovani, visitando ogni
giorno nel suo palazzo il Doria, e vieppiù mostran-
dosegli affezionato, comportandosi col più sereno viso
con Gianettino, mentre il Verrina mescolandosi fra la
plebe sopra di cui prevaleva, disponevala colla gagliar-
dìa e la fierezza del carattere al vicino moto ; intanto
stava pronta al varco la Francia, e il Duca di Piacenza
nulla intralasciava per accorrere tosto colle sue genti
in ajuto, e affinchè d' ogni sua partecipazione all' im-
minente sconvolgimento fosse meglio allontanato il
sospetto, teneva più frequente corrispondenza colla Si-
gnoria della Repubblica per mezzo di commendatizie
alla stessa ora per V uno, ed ora per V altro de' suoi
sudditi (i) protestandole ogni riguardo di buon vici-
nato. Nello stesso tempo spesseggiavano gli avvisi alla
stregua degli apparecchi, il Capitano di Chiavari scri-
veva al Governo che in una festa di Fontanabuona
era gridato : Adorni e Gatto (2).
(i) Documenti inediti sulla Congiura di Gio. Luigi Fieschi,
pag. 8, 9, IO, e II.
(2) Documenti come sopra pag. 11.
CAPITOLO QUINTO
Il Verrina infiamma gli animi del popolo alla imminente sollevazione; il Fiesco si
. reca al palazzo del Principe Doria, suoi modi cortesi che tolgono ogni sospetto
contro di lui tanto nel Doria , come nell* Ambasciatore Spagnuolo ; ottiene da
Gianettino quanto gli domanda; partito di là, visita le diverse case dei Nobili di
S. Pietro , invitando questi ad una cena nel suo palazzo di Violato ; descrizione
di esso ; parlata del Fiesco ai convenuti ; suo ultimo addio alla consorte Eleonora;
ordini e incarichi da lui dati ai congiurati ; morte di esso e di Gianettino ad un
tempo ; fuga di Andrea Doria ; paura dell' ambasciatore Spagnuolo ; confusione e
terrore nel Senato che manda frequenti de^tazioni per conoscere il vero essere
di quel tumulto; Gerolamo Fiesco fratello di Giam Luigi si pone a capo de* sol>
levati, ma udita la morte di quello, la maggior parte di essi si allontana dal
seguirlo.
LXXV. — Cosi erano le cose quando sorgeva il
2 Gennaio 1547 destinato dai congiurati alla divisata
azione. Tutto quel giorno, cadeva in Domenica, era
un affaccendarsi d' uomini che venuti da Piacenza, e
da' feudi, parte il Fiesco fa entrare alla sfilata per
diverse porte in città provvedendo d* armi, parte fa
trasportare sulla galea da lui armata; oltreciò, alcuni
soldati del presidio che gli erano sudditi, od obbligati
'per il posto sua mercè ottenuto, introduce nel proprio
palazzo ; appresso s' intrattiene coli' uno, e coli* altro,
e r animo ne sdalda , ed apparecchia al soprastante
tentativo ; più ancora di lui il Verrina s' intromette
fra il popolo, a' più fidi rivela il disegno senza indi-
214
carne il momento dell' effetto, tenersi vigili, e presti
raccomanda, in breve doversi soddisfare al lungo de-
siderio; agli altri con più ardenti e supreme parole
agita, e accende V animo, ravviva le speranze, promette
i premj, largheggia di denaro. Trascorso in tal guisa,
tutto quel giorno, cadendo la sera, il Fiesco si porta
al palazzo del Principe, caracollando col suo cavallo,
facendo la più leggiadra mostra di sé, attraendosi gli
sguardi di tutti, e colla gentilezza della persona, e V ama-
bilità de' saluti, 1' ammirazione, e l' amore de' popolani.
Era allora il Doria a ragionamento ristretto coli' am-
basciatore Spagnuolo , recatosi da lui participandogli di
un nuovo e più incalzante avviso ricevuto da Milano,
come veramente un giovine dei Fieschi macchinava
novità pregiudizievoli alla Repubblica, stasse in guar-
dia, provvedessesi soUicitamente, e il Doria rispondere,
come non essere possibile, non altro giovine dei Fieschi
conoscere che Gian Luigi a sé come jSglio devoto ed
affezionato, e per tante ragioni obbligato, incapace non
solo a tentare, ma neppure a pensare siffatte cose,
quando nel calore di quel discorso gli si presenta di-
nanzi il Conte con portamento cosi vago e seducente,
con aspetto cosi amorevole, con parole cosi dolci e
gentili che Andrea sommesso all' Ambasciatore : Oh !
vi par' egli che cosi cara persona possa imaginare, non
che ordire si pravi disegni ? e colui a quella vista ei
pure sedotto si chiariva sgannato, e confessava infon-
dati i sospetti. Il Fiesco dopo ch'ebbe fatto i suoi
convenevoli all' uno e all' altro, traeva in disparte Già-
215
nettino e a lui narrava che delle quattro galee soltanto
di tre riceveva stipendio dal Pontefice, che la quarta
"che aveva fatta venire da Civitavecchia, tornandogli
di molta spesa voleva mandarla armata in corso cón-
tro i pirati neir Egeo. Gianettino lodava il disegno,
però non gli nascondeva che meglio gli sarebbe piia-
ciùto di porla a servigio dell' Imperatore, al che lui
consentendo, sarebbesi volentieri adoperato per ciò ;
che. se per avventura Cesare non avesse aderito ad
accrescere il numero delle sue galee egli presterebbesi
ad indurre Andrea che la ricevesse nel numero delle
proprie. A queste parole il Fiesco riferite colla maggior
cortesia molte grazie a Gianettino, soggiungeva, che
in altra occasione con lieto animo si sarebbe giovato
delia gentile opera sua, ma per allora amava meglio
commettere quella galea a favor di fortuna qualunque
si fosse, chieder soltanto lui che non ne fecesse motto
con Andrea, affinchè, durando la tregua tra Cesare e
Solimano, non temesse che per siffatta spedizione si
considerasse violata; anzi a tal eflfetto, aggiungeva,
avere da' suoi feudi fatta venire una certa quantità
d* uomini al servizio della stessa galea, e quella notte
medesima deliberato che partisse, cosicché, dove per
caso udisse qualche strepito di bombarda o d' altro non
si dasse pensiero, conoscendo benissimo che siffatte
qperazioni non poteansi senza qualche rumore ese-
guirsi. E Gianettino prendendo tali parole per quel
senso che apparentemente mostravano tutto promet-
teva quanto il Conte gli domandava.
2l6
LXXVI. — Il quale in tal guisa provveduto avendo
al suo proposito, pigliava da lui, dal Principe e dal-
l' Ambasciatore commiato, conservando la stessa ila-
rità dell' aspetto, e la più lusinghiera dolcezza dei modi
e delle parole, sicché tutti lasciavali colla certezza che
si amabile persona nel più bel fiore dell' età fosse le
mille miglia lontano da quello che nell' animo pure
covava, e di lui sospettavasi. Neil' atto eh' ei si partiva
gli vennero tra le gambe saltellando incontro i due
figliuoletti di Gianettino, Gian Andrea e Pagano, ed
egli a torsegli in braccio, e colmargU di baci. Partito
appena. Gigante Corso capitano del presidio vedendosi
mancare parecchi suoi uomini all' appello, e avendo
sentito essere stati da Gio. Luigi condotti in Cari-,
gnano, datone avviso alla Signoria, ne fu riferito al
Doria, del che richiesto Gianettino , rispose essergli
nota ogni cos^ e poiché Andrea instava voler sapere
che si &)ssQy Gianettino replicava ; ciò aver luogo per
l'armamesto di una galea del Fiesco che spediva in
corso, ma il Principe ordinare a lui che tosto accor-
resse ad impedirlo ; al qual ordine notava colui non
poter senza offesa dell' onor suo ottemperare avendo
promesso al Fiesco di aiutarlo anzi nella spedizione;
e qui a supplicare il vecchio affinché non lo costrin-
gesse a violare la data fede; per le quaU preghiere
arrèsosi il Doria trascuravasi quel rimedio che solo
per avventura avrebbe potuto preservare dall'imminente
sconvolgimento.
Intanto Gian Luigi uscito dal palazzo del PrincipCi
217
recavasi alla casa di un Tommaso Assereto detto VerT^Cy
ove raccolti alcuni nobili condottivi dal Verrina, si
congiunse ad essi; indi altre case e diverse logge
trascorse, dalle quali tolse molti giovani che sapeva a
lui aderenti, e tutti insieme uniti avviaronsi verso le
ore cinque di sera alla sua abitazione di Violato. Nello
stesso tempo il Verrina andava attorno per la città, e
quelli già da lui designati del popolo sopra i quali
sapeva poter fare fondamento sicuro, menava ugual-
mente seco e a Violato con tal compagnia incammi-
navasi. Usciva di bel nuovo il Fiesco dal suo palazzo,
raccomandato avendo prima a Paolo Panza suo isti-
tutore di tener compagnia alla moglie Eleonora, ag-
giravasi nuovamente per case e per logge ed altri gio-
vani e nobili nuovi particolarmente invitava seco ad
allegra cena, allettandoli colla bellissima sera da uno
splendido raggio di luna illuminato, promettendo loro
sollazzevoli giuochi, lauto banchetto, e festevoli ra-
gionar) ; e tutti, parte tratti da quella speranza di darsi
buon tempo, parte dalla cortesia di si nobile perso-
naggio accettano volentieri V invito, e sen vanno lie-
tamente con lui.
LXXVI. — Superbo innalzavasi sul colle di Cari-
gnano il palazzo de' Fieschi, posto in sito amenissimo
che per la copia delle viole che vi nascevano, e soave
fragranza vi diffondevano intorno Violato appellavasi.
Prospettava V oriente fronteggiando la deliziosa collina
4i Albaro, e specchiandosi nelle acque dei sottoposto
fiume di Bisagno; ad occidente gli si distendeva alle
2l8
falde il seno ligustico, ivi accanto maestosa la città,
che pareva ad esso soggetta obbedirne lo imperio;
al manco suo lato aveva Tabbaziale chiesa che per
suo testamento del 1336 voleva costrutta il Cardinale
Luca Fieschi ; tutto quello spazio occupava, che al
presente dalla piazzetta della stessa chiesa si dilunga
fino air altra di S. Maria di Carignano, fiibbricata po-
steriormente. Dagli scavi che vi si vanno facendo og-
gidì (Aprile del 1871) si riconosce che la mag^or
porta d' ingresso di questo, più castello che palazzo,
I
aveva volta a levante, e per un' altra a ponente si
dava probabilmente accesso alla marina; vastissima è
la pianta del fabbricato che bene adesso si scorge, vi-
cino air ingresso è un grandioso salone, e intorno a
quello altre sale ; corre sotto di esso una strada co-
perta che doveva riuscire verso il Bisagno. Dalla in-
terna parte del muro a destra dell' ingresso s' innalza
una specie di condotto che per avventura esser doveva
destinato all' interna comunicazione colla sommità di
qualche torre che presidiava il dinanzi dell' edifizio. Al
di dentro si trovano avanzi di forno che dalla speciale
sua costruzione pare servisse alla fusione de' metalli
p'cr il conio delle monete, del quale aveano i Fieschi
il diritto fino dall'anno 1249 per imperiale privilegio
di Guglielmo, e da cui soltanto lo ricevettero e po-
terono es'ercitarlo i Doria dopo la congiura di Gian
Luigi, per i feudi di questi in loro trapassati colla
confisca, e a' quali quel diritto era annesso. Sinibaldo
padre di Gio. Luigi avea cosi grandiosa sede della
219
propria famiglia in Genova abbellita di ricchissime
suppellettili e fregiata del più splendido ornamento
delle arti belle, talché a reggia di vero e potente so-
vrano potea somigliarsi; ivi da esso con principesca
magnificenza erano stati alloggiati il Re Luigi Duo-
decimo di Francia e il Pontefice Paolo Terzo, ed ivi
ora suonava d' armi e d' armati ogni luogo e aprivasl
a campo di esiziale guerra civile (i). Alcuni dei venuti
introdotti colà dove ben diverso mostravasi V aspetto di
un convito, rimanevano cólti da insolito stupore, altri
più addentro nel fatto che stava per intraprendersi,
comprendevano quello essere il momento designato, .
tutti però coir animo sospeso attendevano di conoscere
i veri disegni del Fiesco. Questi rientrato nel palazzo,
e dato rigoroso ordine che ninno dovesse uscirne, ve-
stitosi tutto d' armi, comparve nella sala in cui i ra-
gunati stavano da diverse passioni compresi aspettan-
dolo, e postosi a capo di una tavola eh' era net mezzo
(i) Addi 30 Marzo del 1468 in atti del Notare Francesco di
Camogli Luca e Matteo Fratelli Fieschi q. Daniele eredi della
q. D. Ginevrina loro madre fanno estimo dei beni fra di loro,
e vi si nomina la casa del detto q. Daniele posta nella villa di
Carignano con loggetta, cappella, e piazza davanti in prospetto
del mare con cisterna e terra con giardino in vicinanza di
S. Giacomo colle coerenze della via pubblica ad occidente e ad
oriente, quella del comune a mezzodì, a tramontana una casa
con terra di Francesco di Monte in parte, e in parte la terra con
casa degli Eredi del q. Oberto di Rocca. (Ex foliatio Notariorum
Voi. 4, Foliatium Instrumentorum Francisci de Camulio an. 1460
Qsqtte in 1465).
220
forte quella battendo col pugno. « Giovani valorosi,
esclamava, ad una nuova invero, e preziosa cena io
vi ho finalmente qui convitato, alla liberazione della
vostra Patria oppressa da pochi, minacciata dalla
imminente tirannide di un solo, è questa la cena,
queste sono le vivande che vi ho apparecchiato;
Gianettino di misero stato salito a grande e potente
già ne minaccia col fasto insolente, colla subita ric-
chezza, egli ci riguarda tutti come vilissima plebe,
e già ci forbisce le catene che devono stringerci
nella sua vicina ed assoluta tirannide, egli ne ha
promessa fede da Carlo V, dal quale testé è ritor-
nato trionfante e sicuro, egli tutti vi estima per ne-
mici, e tutti ha deliberato d' insidiarvi, perseguitarvi,
e in ogni modo liberarsene, e me più che altri, poi-
ché gli é noto che io solo valgo ad opporgli il mag-
giore ostacolo ed impedimento, poiché sa che io
sto qui risoluto ed intrepido a proteggere la vostra
salute, a difendere le vostre famiglie, e sostenere la
libertà della vostra patria, poiché conosce che cal-
cando le orme de' miei maggiori , non mai tralignato
da quelli, io vi sarò sempre di schermo per preser-
varvi dal giogo che disegna d' imporvi ; per la qual
cosa notte e di m' insidia e prima col veleno, ed
ora col ferro mi minaccia la vita come ne ho cer-
tezza per lettere confidenziali del Duca di Castro e
*del Cardinale Farnese che quando voi vogliate posso
mostrarvi. Ora questo stato che non solo dal governo
vi rimuove, ma la patria, V onore, la vita vi toglie
221
» non si dee più patire, ed io ho tutto disposto e pre-
» parato affinchè questa notte istessa da voi ajutato
» e seguito, abbia fine per sempre. Non temete, sicuro
» è r esito, la città è in nostra balia, trecento soldati
» pronti colle armi sono con noi, favorevoli abbiamo
)) quelli in gran parte che stanno a guardia del pub-
» blico palazzo, corrotti i guardiani delle porte non
» aspettano che un mio cenno ; attende nel porto una
» galea fornita di una gran copia di uomini armati,
» per età, per animo gagliardi; millecinquecento ar-
j» tigiani da me dipendono, e appena ci veggano mossi,
» d* ogni parte accorreranno a noi ; dalle mie terre
» sul nascer del giorno duemila uomini saranno in città;
» altrettanti di Piacenza devono seguitarli. S. Giorgio,
j> Popolo e libertà ecco il nostro grido, ecco il nuovo
» stato che ha da succedere a questo da' pochi am-
» ministrato da un solo tiranneggiato ed oppresso (i). »
(i) In questo discorso posto in bocca al Fiesco, attenendomi
a quello portato dal Memoriale che il Governo stesso della Re-
pubblica consegnò il i8 Gennajo 1547 a Ceva Doria suo Am-
basciatore a Carlo V, non è toccato né di Andrea Doria, né
degli ajuti francesi; tra gli scrittori della congiura il Bonfadio
solo parla del primo, il Sigonio e il Thuano dei secondi. Certo
è che se Gian Luigi oltre Tira, e il disegno di vendetta contro
di Gianettino avesse pure mostrato di voler attentare alla vita
di Andrea Doria, e assoggettare Genova alla Francia, non avrebbe
mancato il Governo di riferirne particolarmente all'Imperatore;
le relazioni dell' Ambasciatore Spagnuolo residente in Genova, e
di Ferrante Gonzaga governatore di Milano serbano intorno a ciò
lo stesso silenzio; quelle di Andrea Doria soltanto recano che
222
Queste parole faceano diversa impressione negli
animi secondochè erano le passioni dei convenuti.
Ciò nondimeno, fatte ad essi il Fiesco distribuire le
armi, tutti promisero, e giurarono di seguitarlo, ec-
cettuati due soli Gio. Batta Cattaneo "Bava, e Gio.
Batta Giustiniano, i quali adducendo non bastare al
cimento, e servir quindi più d'inciampo che di utilità,
furono lasciati in casa, chiusi però in una camera.
Egli poi, mentre recavansi in giro alcune vivande,
passava nelle stanze della moglie che da funesti pre-
sagi assalita stava in compagnia di Paolo 'Panza ad
un finestrone che dava verso il mare , riguardando al-
l' agitarsi di quello, e gli ondeggianti riflessi della luna
che ora mostravasi splendida, ora nascondevasi da pro-
cellosa nube velata; di tratto in tratto distolta, e tur-
bata da un lontano, indistinto rumore che le pareva
essere di armi, e vieppiù accresceva i suoi sinistri
presentimenti; quando in questa mesta condizione del
cuor suo , le comparisce improvviso dinanzi il marito,
tutto d' armi vestito e le espone in breve quanto per
esso divisavasi, a qual punto già le cose fossero av-
viate , come tutto pronto , e preparato ali* imminente
il Fiesco voleva ammazzar lui, e dai sollevati si gridò il nome
di Francia; probabilmente se ne comprende il motivo, il quale
era di provare all'Imperatore che la congiura non già avea per
fine r odio e una vendetta privata, ma venia ordita contro di
lui per r uccisione del suo ammiraglio, e la chiamata in Genova
de' Francesi; in tal guisa si dava luogo alla confìsca de' feudi,
parte de' quali potea ottenersi dal Doria come infatti accadde.
223
effetto, e che la domane o la più misera delle donne
di Genova o la più potente di tutte sarebbe.
E qui r infelice Eleonora insieme col Panza a muo-
vere, e scongiurare il marito affinchè desistesse dalla
malaugurata impresa, dimostrandogli il danno e V ine-
vitabile rovina di lui e di tutta la sua casa, e le
lacrime mescolando alle preghiere , abbracciargli le
ginocchia, e tentare ogni modo ed ogni sforzo per
trattenerlo; ma egli disciogliendosi dall' una e dal-
l' altro lasciava entrambi nella desolazione, e nei più
crudeli timori di un fatto dolorosissimo.
Ritornato il Fiesco alla presenza dei convenuti, ode
dal Verrina da lui spedito ad esplorare le condizioni
della città, come tutta era tranquilla, ne alcuna sospi-
zione si aveva di novità, che la galea bene allestita,
piena di ardente gioventù, stava per chiudere a debito
tempo la bocca della Darsena, assediando quasi quelle
del Doria.
LXXVII. Correva 1' ora decima di notte allorché
tutta quella mano d' uomini uscita dal palazzo sulla
contigua piazza era passata in mostra, ed ordinata da
lui; procedeva innanzi .una coùipagnia di cento cin-
quanta eletti fra i più audaci e periti delle militari
fazioni; seguitava esso in mezzo a' nobili con altri
dugento. È fama che scendendo di Carignano un piede
gli fallisse e sdrucciolasse, e il gemito di un cane, e
le lacrime della consorte , ne ponessero T animo in
forse ; ma di subito riavendosi dicesse : A che pendere
incerto? indietreggiare non posso, duvunqm fortuna ini-
224
trae, correre é mestieri. Venne nel borgo de' Lanieri;
distribuiva le porte della città, a Cornelio fratello suo
naturale quella dell' Arco che venne agevolmente oc-
cupata, a' due fratelli legittimi Girolamo ed OttobuonO
la porta di S. Tommaso, questa però quando udissero
il segno della galea di un colpo di artiglierìa; egli per
r arco di S. Andrea calato a S. Donato, trascorsa la
piazza de' Salvaghi si conduce co' compagni al ponte
de' Cattanei, mentre il Verrina sale sulla galea che
dar doveva il segnale e Tommaso Assereto tentare
di occupar la Darsena, dove come ministro di Gia-
nettino, venne sulle prime da' Guardiani ricevuto, ma
accortisi poco dopo della moltitudine di armati che si
traeva dietro rimase con grand' impeto respinto. In-
tanto duopo essendo che si aprisse la porta a Gian
Luigi, Scipione Borgognino suo suddito, messosi con
alcuni soldati in barchette già apprestate per la via di
mare penetrò nella Darsena e ne schiuse a' congiurati
r ingresso dalla parte della gabella del vino. Il Fiesco
trovavasi in questo giunto egli pure alla Darsena, e
il convenuto segno attendeva, impaziente del ritardo,
perocché il legno muovendosi, e avendo il fondo toc-
cato si durò molta fatica a rimuoverlo. Scrive il Bon-
fadio che per siffatto inaspettato indugio , si accese contro
Dio, e narrasi che, siccome egli era d* animo fiero, disse
parole piene d' orrore e d' empietà (i).
(i) Annali de' Genovesi, traduzione del Paschetti, lib. IV. i
pag. 363.
225
Se ciò sia vero, o scritto invece per aggravare la
memoria del conte a difesa , e profitto del governo
del Doria che lo pagava, lascio ad altri il deciderlo.
Finalmente il segno fu dato, e Gio. Luigi balzò co*
compagni sulle galere del Doria. Allora remiganti e
marinai vedendosi assaliti improvvisamente da uomini
armati, una confusione levano fi*a di loro di grida,
un rumore, uno strepitoso e suonar di catene e di
voci che tutta assordano V aria; al nome di S. Giorgio,
di popolo e di libertà sfrenavansi li forzati, tentavano
di darsi alla fuga, egli per evitare il danno che da
questa potea derivargli, correa celer emente alla capi-
tana, la quale per il trambusto, e l'agitarsi della gente
che vi era dentro quinci e quindi muovevasi ed on-
deggiava, salito sopra la tavola di legno che scalati-
drone chiamano i marinai, il quale per un capo sul
lito, per l'altro alla scaletta di poppa appoggiavasi ,
questo per 1' ondeggiar della galea scostatosi alquanto
dalla scaletta, ruinò in mare, e con quello il Fiesco;
il peso delle armi non concedendogli di nuotare, né
l'oscurità della notte, né il tumulto che accadeva di
essere né veduto, né udito, miseramente si sommerse
piuttosto in una gora di acqua limacciosa che veramente
nel mare; contuttociò i congiurati presero e presidia-
rono le galere.
Nello stesso tempo Gerolamo ed Ottobuono udito
il tiro dell' artiglieria assalivano la porta di S. Tom-
maso, e dopo qualche resistenza opposta dal presidio,
e in ispecie dai due fratelli Lercari, capitano l'uno,
15
226
alfiere l' altro, riuscivano ad impossessarsene. Tuttociò
levava un maggior rumore, e le grida, e lo strepito
delle armi che qui si faceva, e quello non minore
della Darsena, giungevano al palazzo del Doriar, per
cui risvegliata la moglie di Gianettino, lui riscosse
temendo qualche ammutinamento de' remiganti; ed
egli sebbene essa lo dissuadesse a non uscire, come
il tirava il suo fato, con due paggi, l'uno de' quali
gli portava innanzi una torcia accesa, scese dal palazzo,
indirizzandosi alla porta, alteramente ordinando che gli
si aprisse. Fu aperto , m' appena il capo ebbe posto
entro la porticella, che parecchi colpi d' archibugio lo
stesero morto a terra ; e si dice che fosse in quel punto
medesimo in cui Gian Luigi sommergevasi in mare.
Occupata la porta di S. Tommaso , ucciso Gianettino,
non si corse però al palazzo del Doria, né questo ad
occidere come da' congiurati agevolmente poteasi, im-
perocché il Fiesco ne avesse fatto divieto; il Bonfadio,
seguitato dal Mascardi ne dà per motivo il timore che
venisse dalla moltitudine de' soldati derubata, e dispersa
gran parte della preziosissima supelletile che tutta vo-
leva a sé solo riservata, si fa ovvio il notare che
se veramente avesse il Fiesco divisato la morte di
Andrea, non sarebbe stato certo il pericolo di perdere
gli arredi comunque ricchissimi di casa Doria che lui,
possessore di uguali e forse maggiori, avrebbe potuto
rimuovere dal suo proposito; infatto di stato coteste
ragioni sono piuttosto ridicole che vere.
Facendosi più vivo e spaventevole il rumore, n^
227
il Doria vedendo tornare Gianettino, mandò inquieto
per esso, seppe: la città caduta in mano di Gio. Luigi
Fiesco, la Repubblica versare in estremo pericolo; il
popolo metter grida sediziose di libertà, di S. Giorgio,
di Fieschi, uomini correre ogni via furiosamente armati.
A queste notizie narrasi, volesse il Doria uscire, prov-
vedere in qualche modo al periclitante governo, ma la
consorte, i famigliari lo impedirono, e lui costrinsero
a porsi in salvo , quindi posto sopra una mula venne
trasportato a Masone castello allora di Adamo Cen-
turioni quindici miglia circa discosto dalla città.
In questo, il rumore, il rimbombo delle voci, delle
armi, lo scorazzare dei congiurati per le vie cresceva
a dismisura, e più terribile faceasi per V oscurità della
notte; i forzati parte liberati uniti eransi al popolo
sollevato, parte rifiiggiavansi e correvano dove meglio
speravano di essere sicuri; ma la notizia della morte
del Fiesco avea intiepiditi gli animi, fallita la speranza
del moto, Gerolamo Fiesco sebbene esortasse i suoi
seguaci a non . abbandonarlo , vedeva diradarne le fila,
il popolo spulezzava, quelli che rimanevano meglio
per tema di maggior danno, che per elezione lo se-
guivano, che in lui l'ingegno, e il concetto del fra-
tello mancava epperò l'indirizzo tutto e il maneggio
più savio dell' impresa.
CAPITOLO SESTO
Pietro Paolo Lasagna solleva l' animo dell' ambasciatore spagnuolo spaventato dal
tumulto dei G>ngiurati. Deputazioni mandate dal Senato per conoscerne il disegno ;
si scopre che Gian Luigi non è più ma Gipo loro il fratello Gerolano; la scom-
parsa del primo dirada il numero di coloro che segmtavano il secondo ; Discussione
in Senato sul modo di trattare i Congiurati ; si delibera im generale perdono ;
Elezione in Doge di Benedetto Gentile; Avvisi che giungono al Governo di moti
che tutti si collegano a quello dell* accaduta Congiura.
LXXIX. Trascorsa era già di molto V ora decima
quando alcuni Senatori accorsero al pubblico palazzo,
e vi si condussero pure molti nobili fra i quali il
Cardinale Doria, Adamo Centurione e l' Ambasciatore
di Spagna; il quale ultimo però non senza esserne
indutto, e stimolato da Pietro Paolo Lasagna. Impe-
rocché, appena succeduto quel tumulto cólto dalla più
brutta paura già stava per mettersi in salvo abbando-
nando la città, senonché il Lasagna, uomo di grande
autorità fra i popolari, la maggior parte de' quali te-
nevasi ad un suo cenno pronta a sollevarsi, seguitan-
done i disegni e le voglie, si presentò, da lui chiamato,
e consigliollo a bene sperare eh' egli con un valido
presidio di armati lo avrebbe circondato e difeso; at-
tendesse tutta quella notte per vedere a che quel moto
riuscisse, se a vanità, nulla si sarebbe tentato, se con qual-
che prospero successo, allora congiunto cogli Spinola,
229
provveduto di molte forze, e da numeroso concorso
di giovani seguito , avrebbe corsa la città , gridando il
nome Adorni , e Barnaba proclamato doge , cui la
maggior parte de' popolari e della plebe a quel nome
affezionata aderirebbe, anzi quelli stessi che i Fieschi
seguitavano. Per le quali parole il Figueroa fatto si-
curo, lasciato il disegno di fuggirsi, decise di attendere,
e al pubblico palazzo anch' egli presentossi.
Mi occorre di richiamare a memoria che questo
Pietro Paolo Lasagna è lo stesso col quale il Fiesco
e con Barnaba Adorno pare tenesse la prima pratica
di rivolgere lo stato di Genova, maneggiata, come
già ho narrato più addietro , da un jfrate Badaracco
che convinto per alcune lettere dell' Adorno fii giu-
stiziato. Probabilmente in seguito il Fiesco, consigliato
e mosso dal Verrina, ne abbandonò ogni pensiero, e
fa perciò, che da quanto dicono, se vere sono le rive-
lazioni dello stesso Verrina (i), e del Raffaele Sacco,
(i) Pongo dubbio intorno alla verità delle rivelazioni, special-
mente del Verrina, leggendo negli annali di Filippo Casoni, che
preso Montobbio e decapitato egli per V ultimo « mostrò un animo
» superiore alla solita umana fragilità, avendo nella notte ante-
» cedente fatto animo agli altri due (Cangialanza e Gerolamo
» Fiesco), ch'erano nella stessa prigione, dicendo, che la morte
» si doveva accettare volentieri in quel punto e in quella forma
» che Iddio si compiaceva mandarla. Discorse anche di molte cose
» indifferenti con sicurezza e con senno, ma non*voUe confessare,
» né prima, né dopo di essere condannato, alcuna particolarità della
» congiura né altra cosa, che fosse potuto essere utile alla patria »
(Casoni, ann. 1547, pag. 139).
230
ne venne di bel nuovo ricercato da Stefano Spinola
proponendogli di mettere a capo di quel moto Ago-
stino Spinola, e Barnaba Adorno, cui egli sdegnosa-
mente rifiutò, avendo per suggerimento e sprone del
Verrina medesimo deliberato di esser egli solo il capo
dell'impresa. Questi fatti vanno ricordati poiché ser-
vono a provare che non una, ma due e forse più
congiure si ordivano contemporaneamente , V una dei
nobili nuovi aderenti ai Capellazzi che avea a capi gli
Adorni e gli Spinoli e specialmente Stefano, Agostino
Spinola e Barnaba Adorno , 1' altra di alcuni nobili
nuovi, ma in gran parte di plebe sollevata dal Verrina
cui da questo venia preposto il Fiescó, la prima sin-
golarmente si appoggiava alla Francia, e certo è che
il non essersi potuti congiungere trasse a rovina i
tentativi di entrambe.
I radi Senatori radunati in quello stremo, agitati,
sospesi fra il pericolo, e il bisogno di conservare e
difendere lo Stato, deliberavano che Bonifacio Lomel-
lino, Cristoforo Pallavicino, ed Antonio Calvo coli' Al-
fiere della guardia e cinquanta soldati muovessero a
difesa della porta di S. Tommaso , ma incontratisi coi
congiurati, abbandonati dai soldati furono costretti di
trarsi a rifugio presso di Adamo Centurione, indi
aggiuntisi in loro compagnia Francesco Grimaldo,
Domenico Doria, e altri parecchi per diverso cam-
mino conducèvansi alla porta, la quale ben presidiata,
rimasto prigioniero lo stesso Lomellino , tornavansi
ancora addietro , seguitati poco* dopo da lui che
231
riusciuto era a fuggirsi. Della morte del Fiesco non
ancor bene sapeasi; il Verrina vedendo senza di quello
in forse T impresa , dovunque aggiravasi , e indarno
ricercandolo, riducevasi al fine sulla galea; pensando
che se quelF opera con si fausti auspici cominciata
volgeva a bene, egli colla Darsena serbava il nerbo
delle migliori forze, se precipitava a rovina salva vasi
con la galea a Marsiglia. Il Senato ondeggiando fra
molti partiti una nuova deputazione mandava fuori
composta di Gerolamo Fiesco e Benedetto Canevale
che in nome pubblico trovato il Conte, gli chiedesse
ragione di tutto quel moto; allo stesso incarico, spe-
rando che meglio varrebbero T eminenza del grado,
e i legami del sangue, destinava il Cardinale Gero-
lamo Doria, accompagnato da due Senatori Gio. Batta
Lercaro e Bernardo Castagna; ma gli uni e gli altri
più maturatamente considerando la cosa vennero ben
tosto richiamati per non esporli a pericolo ed inutile
tentativo. Scelsero invece e come all' uopo più addatti,
Agostino Lomellino, Ettore Fiesco, «Ansaldo Giusti-
niano, Ambrogio Spinola e Giovanni Ballano. Ettore
Fiesco era colui che recatosi pochi mesi innanzi a
Roma aveva ottenuto il Vescovato di Savona per il
figlio in luogo dell' altro morto, e conferito col Papa
e col Cardinale Nipote circa le cose di Genova e la
opportunità di far quivi risorgere la grandezza della
Euniglia Fiesca, tornato quindi in patria induceva Gian
Luigi a condursi colà e a trattarne particolarmente con
essi; in seguito, come in breve racconterò, tanto egli
232
quanto Ansaldo Giustiniano continuarono la trama di
Gian Luigi, e vennero segnalati quali capi di un nuovo
moto che si stava macchinando contro il governo del
Doria (i); ora il saperli segretamente parziali del
Conte, né senza fondamento di ragione collegati con
esso li fece dal Senato credere come abili strumenti
a trattare utilmente con lui. Ma invece di Gian Luigi
incontrarono Gerolamo che alla testa de' sollevati con
Tommaso Assereto veniva verso la chiesa di S. Siro, i
quali appena vedutigli, diedero mano alle armi, talché
il Lomellino, ed Ettore Fiesco fuggirono; più animoso
Ansaldo Giustiniano, o meglio nella congiura impli-
cato, accostossi a Gerolamo, chiedendogli del Conte
cui voleva esporre quanto il Senato aveva loro com-
messo ; ma quegli fieramente atteggiandosi, rispondeva:
Non essere mestieri ricercare del Conte, poiché egli
era quel desso, e chiedeva gli si consegnasse tosta-
mente il palazzo. Alle imprudenti parole il Giustiniano
bene si appose che Gian Luigi più non esisteva, e
tornato coi compagni in Senato, e riferita la notizia,
i Senatori rimesso V animo diedero sollecita opera alle
più energiche provvisioni, ordinando a' dodici de* No-
bili che nel palazzo trovavansi di raccogliere quanti
più uomini potevano della guardia del popolo, e con
(i) Si deve pure notare che l'Ansaldo Giustiniano ebbe il
fratello bandito Battista Giustiniano , per anni dieci , siccome di-
chiarato complice della Congiura di Gio. Luigi con bando del
12 febbraio 1547 (V. docum. pubblicati dall' avv. Edoardo Ber-
nabò Brea pag. 139).
233
quelli si opprimessero gli avanzi de' congiurati. I quali
assottigliati seguitavano irresoluti e disanimati Gero-
lamo perocché la maggior parte non vedendo più il
Fiesco, né il Verrina in cui la plebe specialmente
aflSdavasi, già albeggiando, temendo di essere cono-
sciuti, e per il fallito moto a severe pene sottoposti,
si erano dispersi. Gerolamo pervenuto a S. Lorenz o
con si poco numero de' suoi, e colle forze cresciute
del governo, deposto il pensiero di assalire il palazzo,
deviò a S. Donato, e a lenti passi mosse verso la
porta dell' Arco. Il Senato rinvigorito dall' insperato
successo, trapassò incontanente dalla subita paura al-
l' imperiosa audacia, quindi alcuni de' Senatori propo-
nevano che le adunate forze facessero impeto contro le
rade dei Fieschi, né si avvilisse la maestà di quell' au-
gusto consesso, col venire ad accordo veruno co' ri-
belli. Ma i più numerosi, tra i quali erano principali
Ettore Fiesco, Ansaldo Giustiniano, e Niccolò Doria
cognato del Conte, partecipi senza dubbio della con-
giura, dolenti forse che non avesse felice fine conse-
guito, virilmente si opposero, adducendo, non essere
né prudente, né onesto il pensare a battaglia fra' cit-
tadini; si considerasse che potrebbe altrimenti darsi
luogo a qualche inaspettato avvenimento il quale met-
tesse ad estremo pericolo, la Repubblica; oltrecciò,
consegnando le armi ad uomini non abbastanza sicuri,
né certo bene affezionati a quel governo, in tempo
di notte, con molti già dichiarati ribelli, sarebbe uno
stesso che rimescolare queUi umori che si doveano
234
ricomporre a quiete. Il sospetto che si aveva di chi
in tal guisa opinava , il maggior numero loro la vinse
sul contrario partito, e fu deliberato mandar Paolo
Panza, cori Nicolò Doria cognato del Fiesco a* solle-
vati, prescrivendo a Gerolamo di sgombrar la città,
rimandando tutti quelli che il seguivano, e per parte
della Repubblica sotto di tale condizione verrebbe dato
un perpetuo silenzio alle cose passate e conceduto a
tutti indistintamente che si erano in quelle mescolati
un generale perdono. Questo accordo, in cui la fede
pubblica interpose Ambrogio Senarega Segretario del
Senato, venne accettato da Gerolamo che lasciata su-
bitamente la città si recò nel suo castello di Mon-
tobbio (i). Il Verrina, Ottobuono Fiesco, il Calcagno
(i) Ecco il testo dell'accordo come venne pubblicato dal fìi
Signore Edoardo Bernabò Brea (sulla Congiura di Gio. Luigi
Fieschi, Documenti inediti, pag. i86).
Remissio oc condonatio pene facta illis qui ceperunt arma cantra
Rempuhlicam , cum revocatone postea facta,
1546 (sic) 3 Januarii.
Considerando rill.«* Signoria e Magnifici Procuratori della
Eccelsa Republica di Genoa non esser cosa che magiormente im-
porti alla conservation del stato e pacifico vivere quando maxime
accadono in le città e Republiche repentini caxi con vero tumul-
tuare, corno attendere cum tutto il studio e cum ogni celerità
e prestessa queli smorzare et estinguere sopprimendo le cause,
e i mezi li quali pottesseron indugiando produr contrarii effetti;
e essendosi in la oscurità della notte passata quando alcun mancho
vi pensava per soi fini et designi il Conte Gio: L." dal Fiesco
impatronito delle doe porte della Città acciocché cum magior
certessa conducesse l'intento suo al dexiderato fine, e per
235
ed il Sacco che si erano ricoverati sulla galea di Gian
Luigi, salparono per Marsiglia, menando seco prigio-
questa novità essendosi tumultuato in la Città, e molti con-
fuzamenti levatto arme seguendo esso Conte, e da queste no-
vità essendone sortiti molti altri inconvenienti, dexiderando
per questo essa 111.»* Signoria quiettar tutti gli humori , e ridur
presto la Città a la solita quiete e pacifico , essendo maxime in
questa oscura notte statto fatto impeto alle galere del signor
Principe Doria e quelle per la magior parte dizarmato, morto
il Signpr Gio : capitano d' esse. Per queste et altre infinite ra-
gioni tutte persuasive e concludente a non dover omettere cosa
né provixione alcuna la quale pottessi promettersi la già detta
desiderata quiete e pacifico, cognoscendo ch'el vero rimedio a
estinguere tanto incendio era il recuperar delle porte senza expe-
rimentar le forse e far uscire della Città li tumultuanti, e essen-
doci riferto che cum perdonar e fare una remission generale si
conseguiteriano gl'intenti della Republica: per tanto in virtù di
queste nostre lettere di fede, perdono e remissione, risolutossi
prima a balotole comò è di costume , essa 111.*»* Signoria e Ma-
gnifici Procuratori persuaza anche da una infinità di Cittadini
che in essa oscura notte corseron al pallazzo per conservation
della Republica , remete , perdona , libera e assolve al detto Conte
Gio : L.co, leronimo et tutti soi firatelli dal Fiesco , e cossi ad ogni
altro sia chi si voglia cittadino , o habitante in la presente Città ,
distrettuale o ver sudito, et ogni forastiero di qual grado stado
qualità e condition si siano, ogni e qualunque delitoet excesso
in li quali fiisseron per qual si voglia modo incorsi per haver
seguitto esser signor Conte alla impresa della passata note in
lo prendere delle porte e invadere le galere e in fare gridare
et eseguire quel tanto che hanno adoperato gridato et exequito
cossi cum arme come senza, o gli havesseron datto consegli
agiuto e favore in questa tal machinacione , congiura, o vero
tnmultuacione, e che in qualunque modo si fusseron intromessi
236
nieri Sebastiano Lercaro, Manfredo Centurione, e Vin-
cenzo Vaccaro che posero poco dopo in libertà alla
cum fatti cum parole in questa conspiratione o congiura comprezo
anche il delito e il crimen della leza Maestà, talmenti che per
questi tal delitto o delitti niguno delli sopranominati né in ge-
nerale né in particolare possino giamai per lo avenire , né in li
beni né in la 'persona essere inquisiti né in modo alcuno inquie-
tati intendendo che questo perdono e remissione sia generale e
generalissima , e comprenda ogni persona e ogni delitto dipen-
dente da questa congiura , e per haver segoito esso Signor Conte
air executione di essa compreso come é deto il crimen della
Leza Maestà dandoli sicome s'è detto per le cose suddette
e dependenti da quelle amplissimo e generalissimo perdono e
tanto ampio quanto dir si possi.
1557 (sic) die 2ijanuaru.
Li supranominati 111.™° e Magnifici Signori Duce e Governa-
tori della prefata Republica di Genoa: sapiando pozo d* haver
fatto e concesso la remission e permission e perdono di sopra:
haver consultato e quello lungamente essaminato e ricognosciuto
di ragion non valere corno fatto per timore : e per questo haver
dechiaratto per ribelli: confiscatto li beni: banditi cosi in perpetuo:
così per tempo così esso Signor Aluiso dal Fiescho, soi fratelli
comò molti altri contenuti in la publicatione e bandi e crida
uscita da la cancelleria della prefata IH.™* Signoria a che s' abbi
in ogni tempo relatione. E dexiderando essa IH.»* interamenti
quiettar la Città e metter fine a tanti disordini e timori vegliando
usar misericordia con l'universale di coloro che potesseron in
qualche modo haver fallito in le cosse e disordini de sopra:
come meglio può e de plenitudine potestatis
Di novo comprovemo e confirmemo la sovrascritta general
remissione e perdono e quello di novo concederne in tutto e per
tutto come di sopra si contiene talmente che comprhenda ogni
237
bocca del Varo. Essendo per la fuga della galea ri-
masta quindi libera la porta di mare, fu cagione che
trecento schiavi turchi, cogliendo il propizio momento
della generale confusione, armassero la Temperan:(a del
Doria, e navigassero alle coste dell' Africa senza che
le due galee di D. Bernardino di Mendozza che ala-
cremente la inseguivano bastassero a raggiungerla.
Nello stesso tempo poterono darsi alla fuga i galeotti
forzati e gli armamenti e gli arredi delle galere venir
saccheggiati. Ma poco appresso gran parte del saccheg-
giato potè ricuperarsi (i), e i forzati medesimi tornarono
all'antica pena, in ciò adoperandosi di molto Adamo
Centurioni. Raffazzonate in qualche modo le cose come
meglio venne fatto, Andrea Doria invitato dal Senato
fece ritorno in Genova e volgendo la notte del 4 gen-
naio fu eletto a Doge Benedetto Gentile che già in
•
persona e delitto delli contenuti nel sovradetto perdono al quale
intieramente s' abbi relatione , escluso però dalla presente confir-
matione e general remissione tutti li nominati in la sovrascritta
crida e pubblicatione li quali non intendemo che godino né pos-
sine godere del sovrascritto perdono ma s'intendono chabbino
a restare' condennati e puniti in le pene in essa crida e pubbli-
catione r-espettivamente contenute, alle quali parimente s'abbi
relatione , et escluso anchora li stippendiati e che servivano a
soldo della Repubblica , in li quali anche s' intende connumerato
Gier.o d' Urbino.
(i) Due proclami furono per le cose tolte nelle galere pub-
blicati sotto ogni più rigorosa pena dal Governo ed entrambi si
l^gono nei documenti inediti stampati dal Signore Bernabò Brea,
pag. 159 e seg.
238
Corte di Roma correndo la via delle dignità ecclesia-
stiche, di repente deposti gli abiti clericali, aveano
pochi giorni, erasi ammogliato con Benedettina figlia
di Paride Fiesco. Ora sebbene i sospetti che si aveano di
Roma, e il parentado dei Fieschi non dovessero in-
spirare una grande fiducia nell' eletto, mostrando anzi
per questa elezione la maggioranza degli elettori aliena
dal governo del Doria , ciò nondimeno T ambasciatore
Figueroa dandone notizia il 6 gennaio al Principe Fi-
lippo, scrive che secondo pareva era buon servitore di
Sua Maestà (i). Intanto il sinistro successo della Con-
giura, il sembrare che il nuovo stato avesse cosi
messe più salde radici , mosse i diversi governi d' I-
talia a condolersi del corso pericolo , e rallegrarsi del-
l' esito felice. La* città però tutta ancora mostravasi
commossa, e specialmente il popolo non era persuaso
che il Fiesco fosse morto, ma sulla sua galea porta-
tosi a Marsiglia credeva dovesse in breve cogli aiuti
di Francia ritornare e riprendere più sicuramente il
primo tentativo, quando un cotale Palliano ritrovò il
corpo di lui, e fii lasciato per quasi due mesi lo squal-
lido cadavere esposto a ignobile doloroso spettacolo
de' riguardanti, indi per ordine espresso di Andrea
Doria gittato in mare dicendo: che poiché si era egli
scelta quella sepoltura, era giusto che questa si avesse (2)-
(i) Docum. di Simancas. Doc. xviii, pag. 32.
(2) Lettera in data 8 gennaio 1547 dell' ambasciarore Figueroa
air imperatore Carlo V. Doc. dell' archivio di Simancas, pag- 34*
239
LXXXI. — Mentre siffatte cose accadevano, scrì-
vevasi addi 4 gennaio da Gasparo De Fornari Capi-
tano della Spezia, che otto cavalli erano giunti colà dalla
parte di Massa colla notizia che il Sig/^ Giulio Cibo
Marchese di essa città, con quello di Fosdinuovo ed
altri Marchesi trovar si dovevano la medesima mat-
tina al Bor ghetto, luogo poco discosto, con 150 uo-
mini destinati per Genova; egli aveva tosto spedito
il suo Vicario in compagnia di un Venturino Massa,
e parecchi altri della Spezia per intendere da quei
Signori la causa di tanta novità , avvertendo bene a
quello si facevano, poiché parevagli essere in pregiu-
dizio del presente governo della Repubblica, pregan-
doli ancora non volessero passare innanzi, ordinando
allo stesso Vicario, quando fosse al Borghetto, spe-
disse per posta a Genova, di tutto dando avviso alle
signorie loro; sette giorni dopo una seconda lettera
del Fornari, dava nuovi ragguagli intorno ad una ras-
segna e mostra di soldati che facevasi in tutti i luoghi
del Ducato di Firenze e, come correva voce, da do-
versi mandare a Pontremoli; lo stesso avveniva negli
stati del Duca Pier Luigi Farnese, e specialmente in
Piacenza; contemporaneamente, Andrea Doria, scri-
veva addi 9 e IO gennaio a Cesare e al Principe Fi-
lippo che il Marchese Caracciolo fuoruscito napoletano,
già principe di Melfi, ai servigi di Francia, si era con
un nerbo di firancesi accostato al Mondovi in Pie-
monte; volendo provare con ciò che la Congiura
ordita da Gian Luigi non aveva motivo di odio e
240
vendetta personale contro di Gianettino, ma rivolta
era contro il governo imperiale , per la quale cosa
doveasi dichiarare reo di fellonia, privandolo del pos-
sesso de' feudi, parte di cui sperava devoluta alla sua
famiglia.
LIBRO TERZO
CAPITOLO PRIMO
Disegni diversi e raggiri dopo la congiura, di Ferrante Gonzaga , dell* Ambasciatore
Spagnuolo, di Andrea Doria e dell'Imperatore, tutti cercano di appropriarsi la
maggior parte dei feudi posseduti dai Fieschi; il Gonzaga e l'Ambasciatore Fi-
gueroa specialmente consigliano l' Imperatore di afferrare quell* occasione per me-
glio £arsi soggetta la Repubblica servendosi di Agostino Spinola il più affezionato
de* suoi servitori. Congiura di questo cogli Adorni che si compenetra con quella
dei Fiesco, e viene contemporaneamente ordita con una terza. L'Imperatore invia
r ordine a Ferrante Gonzaga di occupare le terre dei Fieschi , inducendo nello
stesso tempo Andrea Doria e Agostino Spinola a riformare il governo di Genova
in modo che fosse più dipendente dall'Imperiale. Il Doria recatosi in Senato, non
ostante la più viva opposizione fa rivocare il decreto di perdono poco innanzi ai
congiurati accordato. Innovi tumulti in Genova , ed avvisi da Roma e da Piacenza
di nuove congiure che dipendenti da quella dei Fieschi si vanno tramando contro
il governo dal Doria istituito. Esecuzione del bando contro i congiurati ; lettera
,di Scipione Fiesco fratello minore di Gian Luigi al Doge e ai Governatori per ri-
vendicarsi il dominio de* feudi dal quale dovevano decadere i suoi maggiora fra-
telli ; astuto parere di Ferrante Gonzaga a Carlo V per impedirne 1' effetto.
LXXXII. — Venuto a tal punto della mia narra-
tone, debbo adesso provare quale giudizio dei fatti
£nòra raccontati si avessero formato i Ministri del-
l'Imperatore, quale volesse, e per quali ragioni, rap-
presentarlo Andrea Doria, come procedessero vera-
mente le cose, quanti gli artifizi, e i raggiri degli uni
^ degli altri per alterarle e cavarne occasione di scam-
i6
242
bievole profitto; sicché non era che un continuo ten-
tativo di aggirarsi e ingannarsi a vicenda. Questo ri-
sulterà dai documenti inediti sulla Congiura pubblicati
dal fu avvocato Edoardo Bernabò Brea, e da quelli più
copiosi tfatti dall' archivio di Simancas; colla scorta di
essi verrà dimostrato quanto arduo sia in questa gara
di simulazione, di sotterfugi e di tenebrose mene il
distinguere chi più, chi meno fosse colpevole, per cui
Gian Luigi, vedute e conosciute tutte le vie che la
parte contraria percorse per arrivare al proprio intento,
non potrà di soverchio rimproverarsi, se fatta ra-
gione de' tempi , per le stesse s' incamminò onde
ottenere- quello che male acquistato si desiderava da'
suoi nemici di conservare. Ma allora può essere fon-
data r accusa che gli si *fa che i mezzi de' quali ei
si servi fossero in lui 1' effetto di una naturale mal-
vagità aiutata dalla continua lettura della vita di
Catilina, di Nerone e del Principe di Macchiavelli?
In prima, dove potea leggere di Catilina e di Nerone
se non in Sallustio , Cicerone , Plutarco , Svetonio e
Tacito? ma questi erano letti e studiati da tutti, e
formavano specialmente nel secolo XVI il fondamento
di una civile e signorile educazione , né deve parere
strano se a lui educato nelle lettere dal dottissimo
Paolo Panza , erano famigliari quei classici. Quanto
poi al Principe di Nicolò Macchiavelli, non era gii;
né questo é un libro teorico, ma un' applicazione, e
•
dirò meglio , una sincera esposizione di . quei mezzi
politici che si adoperavano allora da tutti gli uoniini
243
di Stato cominciando dai Borgia di Roma , scen-
dendo fino ai piccoli signori della Mirandola e di
Piombino; che certo non aveano duopo di leggere
e studiare il Principe di Macchiavelli , Carlo V,
Filippo II, il Duca Valentino, i Marchesi di Pescara
e del Vasto, Pier di Toledo, Ferrante Gonzaga, Ge-
rolamo Morone, Francesco Guicciardini, Pier Luigi
Farnese, Lorenzo, Alessandro e Cosimo I dei Medici;
questi poteano insegnare a Machiavelli, non imparare
da lui, ed egli nel suo Principe non tutte senza dubbio
indicò le arti subdole, e scellerate, di cui quelli si ser-
virono per acquistare e conservare li stati o proprii o
di coloro dei quali fatto si aveano ignobile stromento.
LXXXII. — Non appena successa la Congiura, che
una viva corrispondenza epistolare cominciò tra Fer-
rante Gonzaga Governatore di Milano, Figueroa am-
basciatore Spagnuolo in Genova , Andrea Doria e
r imperatore Carlo V. Quest' ultimo desiderava co-
gliere la propizia occasione per istàbilire con modo
più diretto il proprio governo in Genova, servivasi
quindi del Gonzaga che sapea bene quanto valesse,
e fosse tale uomo da non indietreggiare dinanzi ad
impresa per quantunque scellerata ed iniqua (i), ma
né l'uno, né l'altro amava di far cosa che alienasse
r animo del Doria, e con esso Adamo Centurioni. Il
(i) Ferrante Gonzaga il più perfido ed infame dei Ministri di
Carlo V, fu perciò stesso l'unico italiano con cui egli si dime-
sticasse ; la sua vita fu una serie di spergiuri, di slealtà, d' insidie
e di tradimenti commessi a profitto del governo degli Spagnuoli
244
primo di questi desiderava bensì che i Fieschi e co-
loro che aveano partecipato alla cospirazione venissero
rigidamente puniti sino a quel punto eh* era necessario
alla sicurezza e cpnservazione del governo da lui isti-
tuito, e al benefizio che potea ridondarli dalla deca-
denza dei feudi dell' avversa famiglia , ma non mai
oltre tali termini, che sotto la specie di meglio ras-
sodare lo stato della Repubblica, si fosse dall'Impe-
ratore arrogata una maggiore ingerenza, la quale ne
avesse posto a pericolo il maneggio che alle sue mani
volea solo raccomandato, quindi dimostrare il moto
dei Fieschi, dai più abbietti soltanto della plebe seguito,
questi severamente puniti non doversi d' altro temere
che quel governo avea per sé la maggiore e più eletta
parte de' cittadini; ridotto in tal guisa l' accaduto alle
più leggiere ed ispregevoli proporzioni dove i fatti
avessero provato il contrario , allegare anzi che le
commozioni e i tumulti che d' ogni parte sorgevano
nella Repubblica come fila connesse della prima trama,
non erano che' dimostrazioni a favore delle nuove
istituzioni.
In questo insidioso armeggiamento degli uni contro
gli altri, e ciascuno col secreto fine di meglio avvan-
taggiarsi delle cose successe, io vò continuando la nar-
razione dei fatti col conforto dei nuovi documenti.
Ferrante Gonzaga udite le prime notizie del tumulto
»
eh' egli rappresentava in Italia, e nei quali egli poneva tanto pi"
di zelo e di calore quanto più temeva che come italiano fosse
avuto in sospetto di quelli.
245
di Genova, allestiva una forza di mille fanti e muo-
veva per Voghera, pronto a recarsi in Alessandria
e scrivendo all' Imperatore di quelle sue mosse sug-
gerivagli di castigare i Fieschi nei beni cominciando
dal luogo di Pontremoli continuando poi a insignorirsi
degli altri; dello stesso tenore scriveva il Figueroa; il
Doria accordavasi con essi significando a Cesare im-
portare sommamente fare esemplare esecuzione contro
le cose del Fieschi per dar terrore ai ribaldi ed animo
ai buoni, avuto riguardo che con facilità si poteva far
levare da Don Ferrante tutto quello che trovavasi nello
stato di Milano ed altri luoghi; né lasciare il sangue
sparso di Gianettino suo servitore senza dimostrazione
contro li traditori e tenere quei poveri suoi figli per
raccomandati, poiché tutti erano destinati alla morte,
come nati in servizio di S. M. Ma più animoso ed astuto
incalzava il Gonzaga, inviando a Genova il , Cavaliere
Cicogna, per consiglio del quale da lui insinuato, il
Senato aveva accresciuta la guardia che teneva ordi-
nariamente al Palazzo dai 300 ai 500 uomini; il quale
accrescimento serviva di appicco ad un disegno che
si aveva egli insieme divisato coli' ambasciatore Fi-
gueroa, cioè negoziar destramente che i Genovesi
si eleggessero per loro capitano generale Agostino'
Spinola che la stessa Signoria avea da Milano chia-
mato a soccorso: « Egli è parzialissimo, scriveva al-
» r Imperatore, di V. M. e di lui può veramente
» confidare quanto di qualunque altro suo servitore
» e promettersi che lui non sia per aver altro fine
246
» in quella città che la conservazione di essa nel ser-
» vizio e divozione di V. M. in quella parte. E benché
» le ragioni sieno molte, dirò solamente queste come
» più solide, che essendo Agostino predetto fidelissimo
» di lei ed avendo le forze della città in mano, avrehhe
)) anche forma di mostrare la fedeltà sua, e potrebbe con
}> quella incamminare detta città e piegarla al fine che
» volesse lui per servi:(io di V. M., e con le medesime
» opporsi a qualunque si fosse che pensasse, o trat-
» tasse contro il detto servizio ; poi sotto questa forma
» di libertà la città si governeria con pubblica ed uni-
» versale soddisfazione sua; ed essendo liberi V. M.
» non si conciteria odio nessuno; si che pensassero
» a mutar governo o migliorare sotto alcun altro.
» Ed essendo le forze in mano (come ho detto) di
» persona di vota e partiale di lei," potrà fare quelli
» medesimi disegni sopra la detta città che farebbe se
» ella vi avesse dentro un castello, senza che colla
» introdutione di questo carico al presente, si potrà
)) anche introdurre poi alla morte di detto Agostino
» che facessero elezione di persona dipendente da
» V. M. , e per questa via mantenerla sempre nei
» medesimi termini detti di sopra. Questo per ragioni
» dette, a mio giudicio, saria il vero cammino e facile
» dello assicurarsi V. M. perpetuamente la città di
» Genova » (i).
(i) Docum. Ispano-Genovesi tratti dagli archivii di Simancas.
Doc. xxm, oltre i precedenti.
247
Ed ecco che Agostino Spinola viene da Ferrante
Gonzaga, di concerto coli' ambasciatore Figueroa, di-
chiarato per il più idoneo e sicuro mezzo da poter
assoggettare la Repubblica all' immediato e diretto do-
minio di Carlo V. Senonchè, noi rammentiamo, ed
io più sopra già 1' accennai, che Stefano Spinola, come
si rileva dalle rivelazioni del Verrina e del Sacco, pre-
sentatosi al Fieschi gli proponeva di formare uno stato,
capi di cui sarebbero Barnaba Adorno e Agostino
Spinola, ed egli ne diverrebbe il primo signore. Ora
io domando questa cospirazione che si ordiva contro
il governo del Doria dagli Adorno e Spinola, e alla
quale si voleva far partecipare il Conte, era d' accordo
col governo imperiale o a sua insaputa? Il vedere
l* Agostino Spinola con tanto calore raccomandato e
cosi prediletto da porgli in mano le forze tutte e lo
arbitrio della Reppulica ci costringe ad abbracciare la
prima opinione, tanto più che le successive lettere del
Gonzaga e del Figueroa ci manifestano l' odio che
esisteva tra gU Spinola e i Doria, e come 1' Agostino
fosse destinato ad esplorare e riferire ogni fatto di
Andrea, e si divisasse dall' Imperatore e dai suoi Mi-
nistri sostituirlo a lui, essendo strumento più ma-
neggevole e sicuro. Quindi alla Congiura di Gian
Luigi Fiesco fa di mestieri unire contemporaneamente
questa seconda di Adorno e Spinola, e bentosto ne sco-
priremo una terza, per le quali Nobili antichi. Nobili
nuovi, e popolo si contrastano il potere, e le istituzioni
del Doria nonché avere per esse la maggioranza de*
248
cittadini da lui vantata si trovano combattute e mi-
nacciate da ogni classe di persone, non rappresentan-
done che una sola eh' era riuscita a soverchiare le altre.
LXXXIV. — L' Imperatore stimulato dalle frequenti
istanze del Gonzaga, dell'Ambasciatore e' dal Doria,
affinchè le terre dei Fieschi venissero occupate, e spe-
cialmente da quest' ultinio , il quale studiavasi dimo-
strare avere avuto la Congiura lo scopo soltanto del
dominio francese in Genova cacciandone l'imperiale,
inviava il suo gentiluomo Rodrigo di Mendoza col-
r ordine al Gonzaga di procederne all' occupazione
mandando nel tempo medesimo istruzioni al Figueroa,
per le quali, vedesse modo d'indurre Andrea Doria,
e Agostino Spinola, traendo occasione e profitto dei
torbidi successi, a qualche riforma che più la Repub-
blica rendesse dipendente dal governo imperiale; che
se si accorgesse mostrarsi a ciò restii, dicesse, questa
non altro essere che la sua opinione, poiché S. M.
preferiva quella maniera di Repubblica che stimava
molto più conveniente d' ogni altra ordinata a capei-
ìai^i (i).
Inanimito dalle lusinghiere parole di Cesare, soddi-
sfatto nella ordinata occupazione delle terre dei Fieschi,
il Doria presentavasi in Senato, e arditamente propo-
neva la revoca del perdono accordato a' congiurati,
colla condanna e bando loro. Vivissima facevasi allora
la disputa fra i Senatori, si opponevano alcuni allc-
(i) V. Docum. come sopra; Doc. xxvm e seguenti.
249
gando, macchiarsi con brutta violazione la fede pubblica
la quale sì era interposta nell'accordo, e poi le. cose
non essere ancora abbastanza tranquille perchè non si
dovesse temere che V atto proposto cosi contrario ad
ogni principio di giustizia non ispingesse gli animi a
nuovo e più pericoloso tentativo; la Repubblica aver
bisogno di pace e di concordia per ricomporsi, non
di rigore che ripulluUasse gli odii in coloro che di-
sperando d'ogni onesta composizione li costringesse
a gittarsi ad ogni estremo.
Ma il Doria a queste ragioni rispondeva che il
Conte Fiesco violate aveva seco le leggi dell'ami-
cìzia e della gratitudine, si era ad un tempo fatto reo
di lesa maestà verso l' Imperatore e verso la Repub-
blica, occupando di quella le galee, questa volendola
schiava sottoposta alla sua tirannide; della stessa colpa
essere rei i fratelli e i suoi seguaci, quindi ad esempio
di tutti, a solUevo de' buoni, a confusione de' tristi,
si doveano condannare il Conte nella memoria, gli
altri nella vita e nei beni. L' indulto del Senato essere
nullo sia perchè estorto dallo spavento , sia perchè
mancante del numero legale. Vinse il partito del Doria,
meno per le sue ragioni però che per essere con lui
la forza e gli aiuti di Carlo V.
LXXXV. — Siccome aveanlo preveduto gli oppositori
del bando, nuovi tumulti, e notizie di nuove congiure po-
nevano a grave pericolo la Repubblica; nelle due notti del
2;) e 30 Gennajo i cittadini armati scorrevano la città,
e gran parte di essi gridava Adorni e Spagna e se-
250
condo che ne scrive V Ambasciatore Spagnuolo ali* Im-
peratore il 29 gemiaio (i), vi era una confusione di
voci e di sospetti poiché alcuni credevano si dovesse
introdurre uno stato degli Adorni, alcuni che l'Im-
peratore voleva essere Signore assoluto, altri infine
richiamare al potere la parte Fregosa. La Signoria
intanto scriveva al suo Ambasciatore Ceva Doria, che
fino dal 18 Gennajo avea inviato a Carlo, che dove
questi gli fosse entrato nell' argomento di quei moti,
facesse sentire che il portar le armi de' cittadini, altro
non era che per conservar quella libertà alla continua
divozione e servizio di Sua Maestà, e per troncare li
disegni di coloro che avessero il pensiero contrario
a questo loro fine (2) Nello stesso tempp, e intorno
queir epoca, giungeva avviso da Roma che per lettere
del serenissimo Ettore Fiesco si manifestava esistere
un trattato tra il Papa e i gentiluomini genovesi, a
nome de' quali scriveva, esser essi contenti della pro-
messa di Paolo III eh' era di armare gagliardamente
per le cose di Napoli allora in tumulto, ragionevol-
mente il principe Doria manderebbe colà le sue galee
con gente del Duca di Fiorenza, o di Don Ferrante
per soccorso; le quali partite, avendo ancora rinforzata
la guardia in Parma, andrebbero con galere in Ge-
nova, ed una notte piglierebbero il Principe nella pro-
pria casa sua; e quelli della congiura occuperebbero
(i) V. Doc. Simancas, Doc. Lxm, pag. 97.
(2) V. Documenti pubblicati dall' avv. Edoardo Bernabò-Brea,
pag. 55-
251
il palazzo di Genova facilmente, ed una porta ; ed in
questo mezzo arriverebbero le forze di Parma, alle
quali aggiunte quelle delle galere, la terra verrebbe in
loro mano (i).
Altro avviso di un agente segreto, da Piacenza, re- •
cava le stesse trame, e le intelligenze che i Fieschi
seguitavano a mantenere in Genova col Duca di Pia-
cenza, chiarivasi che alcuni popolari e gentiluomini vi
si trovavano mescolati ; delli Popolari ignoravasi il
nome, ma dei Gentiluomini nominavansi Stefano Rag-
gio padre del bandito, Ansaldo Giustiniano fratello del
bandito, Nicolò Doria cognato del Conte, Gio. Battista
Ballano cognato del Verrina, e il Signor Ettore Fie-
sco; dicevasi, che avrebbero la porta dell'Arco, avendo
un caporale della guardia a loro divozione, di cui non
sapeasi il nome ; che disegnavano nascondere le genti
nel Lazzaretto presso la marina; che non manche-
rebbe loro la milizia del Duca di Piacenza, con tutti
quelli favori che il Papa e lui potrebbero fare ; che il
signor Cornelio di Fiesco con il capitano Scipione .
Borgognone da dieci giorni in qua era stato a parla-
mento secretamente con il Duca di Piacenza, e poi
erano andati alla Mirandola, dove si darebbero da-
nari (2); che il Giustiniano fu dal Duca di Piacenza,
(i) Documenti dell'Archivio di Simancas, Doc. lx.
(2) A prova di ciò scriveva da Venezia il 22 Gennajo il Se-
gretario Mbntesa al Gonzaga e al Doria, essere avvisato eh' erasi
Tecato alla Mirandola uno dei Fieschi accompagnato d' alcuni ca-
'valli di Pier Luigi (Farnese) chiedendo ajuto di gente e di de-
252
e poi si parti per Roma facendosi guidare fiiori del
diritto cammino per non toccare lo stato di Firenze (i).
Se questi avvisi sono veri, quando non invece stu-
diosamente trovati dal Gonzaga, abilissimo maestro di
siffatte imposture per indurre il Doria con cotali spau-
racchi ad accettare quelle condizioni e forme di go-
verno che gli si voleano imporre dall' Imperatore ; forza
è dedurne che non erano né pochi gli aderenti del Fia-
sco, né gente tutta di bassa e mala condi:(ione e sorte,
come facendo relazione dell* accaduto scriveva Andrea
Doria a Cesare e al Governatore Gonzaga (2). Ad
ogni modo gì' indicati mostrano che Nobili, Popolo e
Plebe tutti avversavano lo stato da lui istituito.
LXXXVI. — Poneasi ad esecuzione il bando con-
tro i congiurati, che ripubblica vasi il 12 Febbrajo. Fino
dal di 8 dello stesso mese si era data mano alla di-
struzione del Magnifico Palazzo di Violato; Gio. Luigi
Fiesco, Gerolamo, Ottobone, e Cornelio suoi fratelli
naro al Conte Galeoto e a Pietro Strozzi per tener guardate certe
sue castella a divozione del Re di Francia; alla quale domanda
risposero che nulla poteano dargli, ma che ne renderebbero av-
visato r ambasciatore di Francia a Venezia ; locchè essendo se-
guito, e r ambasciatore avendone scritto al Re, fii deliberato che
si dovesse frattanto nel miglior modo possibile intrattenere H
Fiesco. Il Montesa conchiudeva notando che gli era sembrato di
dare con diligenza questo avviso a S. E. il Signor Principe, p^'
che col tempo si potrebbe celare un* altra Mirandola in Italia, (Do-
cumenti dell' Archivio di Simancas, Doc. xrv, pag. 7}).
(i) Documenti dell'Archivio di Simancas, Doc. lxil
(2) V. Documenti SJmancas. Doc. xiv e xv, pag. 21 e seg)
253
venivano banditi perpetuamente dalla città e dominio,
pubblicati e confiscati tutti li beni loro ed applicati
alla Camera della Repubblica. Chiariti e condannati
per ribelli e nemici di questa Raffaele Sacco, Vincenzo
Calcagno, Giacomo Conte ; le case dei quali come
quelle dei 'Fieschi minate. La medesima condanna in-
flitta a Gio. Batta Defiranchi, Verrina, Scipione del Car-
retto, Domenico Bacigalupo, Geronimo Garaventa, e
Desiderio Cangialanza, confiscati i loro beni, e la ruina
delle case posta in arbitrio del Magnifico Magistrato.
Confiscati ugualmente i beni alla Camera e banditi per
anni cinquanta Battista Imperiale del q. Pantaleo, Ba-
llano Geronimo Usodimare, Maggiolo Gaspare, Fiesco
Botto, e Lazzaro di Caprile. Oltreciò condannati e
banditi per anni otto Francesco Pinello da Gavi, per
cinquanta Francesco Curio, Bernardo Celesia, Tom-
maso Axereto detto Verze , Geronimo Maragliano ,
Giulio Fregoso ; per anni dieci Geronimo dal Fiesco,
Battista Giustiniano, Paolo Geronimo dal Fiesco, Fran-
cesco e Pantaleo fratelli Badarachi macellari in Sozi-
glia, Nicolò Valdetaro, Gio. Batta di Retiliaro, e Be-
nedetto Botto ; per anni cinque Francesco Maragliano,
e Andrea di Savignone. I quali tutti doveano sgom-
brare la città e tutto il dominio e distretto della Re-
pubblica nel termine di giorni quindici sotto pena di
perder la vita (i).
Dopo la pena contro le persone, pensavasi ad ese-
(i) Documenti Bernabò-Brea, pag. 139. Id. di Simancas, Doc. li,
n»^ o.
254
guire quella dei beni loro, e primi si oflFerivano come
i più desiderati i castelli, e le terre dei Fieschi cui
insiememente concorrevano V Imperatore, il Duca di
Piacenza, la Repubblica, e la famiglia Doria, dal primo
però dipendeva a' termini della ragione feudale, il do-
minio diretto di essi, quindi dopo la pronunciata de-
cadenza dei Fieschi, l'investitura degli altri. Carlo V
avea bensì dato ordine al Governatore di Milano Fer-
rante Gonzaga di occupare le terre che comprese tro-
vavansi nel Ducato Milanese, ma d' uopo era di far
seguire alla occupazione il decreto di decadenza; e
poscia quei feudi tolti ai Fieschi assegnare od inve-
stire a coloro che più si mostravano ligj ai voleri del
Signore diretto. Ed era perciò mente di Carlo che
dovessero servire particolarmente di compenso alla Re-
pubblica e ai Doria se non in quanto si fossero la-
sciati signoreggiare da lui. In questo, il minore dei
fratelli Fiesco per nome Scipione, figlio postumo del
Conte Sinibaldo, che non ancora toccava V anno se-
dicesimo, il quale trovavasi nel borgo dì Vàlditaro,
addì 17 Gennaio scriveva, o gli si faceva scrivere una
lettera al Doge e ai Magnifici Governatori, in cui mo-
strando il più acerbo dolore dei fatti avvenuti, e per
le novità tentate d' alcuno di casa sua, specialmente con-
tro le cose del Principe^ il quale ha sempre preso la ^
stra protezione e fatti tanti heneficj ed al quale intendeva
ip ogni tempo essere buon servitore e perch' era in-
nocentissimo pregava le Signorie loro fossero contente
di accettarlo ed averlo per buon figliuolo della Rc'
255
pubblica si com' era e voleva essere pronto per la
grandezza sua ad esporsi a qualsivoglia pericolo, sup-
plicandole che come membro suo non volessero ab-
bandonarlo ; ed avere pietà a tanta ruina, né consen-
tire che fallo d' altri potesse pregiudicarlo né portargli
danno (i). Preceduta ed avvalorata da siffatta protesta,
mandava egli all' Imperatore poco dopo una domanda
per ricuperare tutto quello che possedeva il Conte suo
fratello primogenito, non ostante che vi precedessero
due altri fratelli viventi e colpevoli nella sollevazione
di Genova, confortava la domanda d'antichi privilegi
e testamenti con strettissimi fedecommessi confermati
da S. M. e da' suoi predecessori. Ma Ferrante Gon-
zaga, mentre spediva a Carlo V. sollecito avviso di
tutto ciò, astutamente gli consigliava che quando non
si &cesse condanna alcuna del Conte morto, e dei
due fratèlli complici vivi, non potrebbe il minore pre-
tendere ragione alcuna, e si terrebbero i loro beni
come di ribelli e nemici di S. M. senza ingiuria o
torto di alcuno ; al qual proposito egli non permette-
rebbe che dalla Repubblica si procedesse per conto di
fellonia né contra la memoria del Conte morto, né dei
fratelli per questo rispetto (2).
(i) Documenti pubblicati da Edoardo Bernabò-Brea, pag. 189.
(2) Documenti dell' Archivio di Samancas, Doc. lxxi, pag. i io.
CAPITOLO SECONDO
Istanze e differenze dei diversi contendenti per apf^ropriarsi le lettere dei Fiescbi;
s'inviano all' Imperatore due ambasciatori Ceva Doria per parte della Repubblia,
e Francesco Grimaldi per quella di Andrea Doria, per conto del quale il Grimaldi
ottiene da Carlo V tutto ciò che il Ceva Doria aveva istruzione di procurare
a benefizio della Repubblica; brutto nuneggio di Andrea in siffatto negozio; si
delibera 1' espugnazione del castello di Montobbio ; descrizione del sito; T imjH-esa
viene affidata ad Agostino Spinola.
LXXXVII. — Ripetute intanto ed incalzanti si suc-
cedevano le istanze d' ogni parte per la divisione delle
terre dell' infelice famiglia, e le usurpazioni ancora vi
si aggiungevano. Il Duca di Piacenza pigliavasi Ca-
lestano e Valdetaro, mentre il Gonzaga , e V Amba-
sciatore Figueroa ne porgevano querela all' Imperatore;
e il primo di essi occupava Pontr emoli; la Repubblia
impossessavasi di Varese e Roccatagliata, domandava
Montobbio, Calice e S. Stefano. Antonio Doria pre-
tendeva gli si donasse Santo Stefano che adduceva
esser già stato comperato dai Malaspina, e posseduto
dai suoi; il Cardinal Cibo chiedeva a nome di sua
nipote Eleonora Cibo vedova del Conte Gian Luigi
il Castello di Cariseto in Lunigiana a lei obbligato
per la sua dote di novemila scudi d' oro con istrumento
dell' 8 Gennaio 1543. Semi lice servirmi ditalfigu^^
257
erano gli awoltoj che calavano a dividersi i brani del-
l' esangue cadavere. Mandavasi, come già ebbi ad ac-
cennare, dalla Repubblica Ambasciatore Ceva Doria
all' Imperatore, con un Memoriale in cui si pregava
volesse unire le terre e luoghi già del Conte al ter-
ritorio e giurisdizione sua, gli si ordinava, che quando
ne porgesse la domanda per la investitura, s'inten-
dessero esclusi quelli che S. M- avesse designato, o
pensasse di accordargli in mercede all' Ambasciatore
Figueroa, perocché in tal caso dovrebbe riputarsi in
quella parte istessa che lo gratificasse, essere la Re-
pubblica medesima gratificata. Poco dopo gli si scri-
veva che con domanda particolare si chiedessero Tor-
tiglia, S. Stefano e Montobhio ; avvisandolo che di Calice
già si era. preso il possesso (i). Ma mentre la Repub-
blica colla proposta di gratificare all' Ambasciatore con
qualche parte di quelle disgraziate terre si sperava senza
dubbio di cattivarne 1' animo ; colui, mosso e dalle in-
sinuazioni del Doria e dalle ragioni del proprio go-
verno rappresentava a Cesare, che Montobbio veniva
pure richiesto dal Doria, a suo giudicio pAò, meglio
sarebbe che rimanesse in potestà di S. M. per tener
in freno quella città; senonchè, considerando che il
Principe era molto, e devoto servitore suo, che molti
danni avea sofferti per T avvenuto moto, giusto pare-
vagli che l' Imperatore non trascurasse di ricompen-
sarlo con qualche parte dello stato del Conte; avvisava
(i) Documenti Bernabò-Brea pag. 52-62.
17
2s8
quindi, essere opinione dello stesso Principe, che Pon-
tremoli si donasse a Ferrante Gonzaga per la vici-
nanza che aveva col suo feudo di Guastalla, alla Re-
pubblica Varese, Roccatagliata ; il borgo di ValdttarOy
Torriglia, e Montobbio al Principe per i figli di Già-
nettino ; dei luoghi che confinavano colle terre degK
Spinola, se ne facesse dono al colonnello Agostino
Spinola; aggiungeva, essere ancora avviso del Doria
che S. Stefano dovesse darsi ad Antonio Doria, e che
tali concessioni e doni far si dovessero dall' Imperatore
per solo suo intermezzo ; conchiudeva, che quella mat-
tina aveva lo stesso Doria spedite due galee ad occu-
pare un luogo chiamato Monleone nella Riviera di Po-
nente che apparteneva al firatello minore del Conte
ovvero a Scipione Fiesco, ordinando venisse conqui-
stato in nome di S. M. potendosi avere senza spesa
di lui, essendo il medesimo che od esso, o il Gon-
zaga lo togliessero, quando a disposizione restar do-
veva della prefata M. S. (i). Qualche giorno appresso
il medesimo Ambasciatore (io Febbrajo) tenea infor-
mato r Mperatore, che d' Andrea Doria come parti-
colare suo inviato e con proprie istruzioni, di lui, gli
si spediva un Francesco Grimaldo di parte Fregoso,
compagno, o socio di commercio di Adamo Centu-
rioni, e nelle mani di cui stavano tutti i negozj di
questo. Notava che si era tenuto consiglio in Senato
che laddove S. M. concedesse alla Repubblica il ca-
(i) Documenti dell* Archivio di Simancas, Doc. LXiv, pag. 99-
259
stello dì Montobbio per rovinarlo, conveniva di farne
la spesa; era perciò suo parere che lo si donasse al
Principe con facoltà di poterlo distrurre, alienare, o
ridare a suo talento, imperocché di tal guisa la Re-
pubblica otterrebbe quanto desiderava, e il Principe
caverebbe alcuna ricompensa per i danni ricevuti, men-
tre, ben considerato, quel castello a tenerlo, non va-
leva, secondo le informazioni che ne aveva, quattro-
cento scudi. Avvertivalo, che lo stesso Principe gli
aveva raccomandato nuovamente Antonio Doria per il
castello di S. Stefano^ e per altro guiderdone consimile
il colonnello Agostino Spinola, per cui egli supplica-
vaio quanto poteva, e per quello servizio che sempre
gli avea prestato a serbarlo vivo nella sua memoria,
comecché veramente non avesse chi più di lui lo ser-
visse con maggior fede ed amore ; dopo di esso nella
devota servitù imperiale indicava uguali per merito
Stefano Spinola e Domenico Centurione. Infine sup-
plicava ancora per sé stesso, che dovendo al Principe
e agli altri accordare i beni dello stato de' Fieschi,
fosse egli incaricato di farne la trasmissione, e rice-
verne gli atti di fedeltà e di omaggio, né già questo
desiderava per ritrarne alcun beneficio , che né dal
Principe né dagli altri potea sperarlo, ma per una co-
lale soddisfazione del proprio servizio, donde tutti ve-
dessero che tenuto in istima era da S. M. e presente
lo aveva alla sua memoria (i).
(i) Documenti dell' Archivio di Simancas, Doc. Lxxin,
pag. ii8, 119.
2éo
LXXXVIII. — Intanto che queste cose scrivevansi
e trattavansi, due Ambasciatori V uno della Repubblica,
r altro particolare di Andrea Doria trovavansi di fronte
presso r Imperatore, con commissioni diverse, e il se-
condo contrario al primo, avea incarico di ottenere
ciò che tornava di pregiudizio, e -pericolo a quel go-
verno ^medesimo dal Doria istituito, anzi contro quella
Ubertà di cui tanto egli menava vanto. La Repubblica
dapprima i castelli, e le terre in genere chiedeva dei
Fieschi, indi la domanda riduceva ai soli tre luoghi
di Torriglia, Montobbio e S. Stefano; il Doria voleva
per sé i primi due, e T ultimo per Antonio Doria.
Montobbio però si abbandonava da esso alla Repub-
blica, che lo si occupasse, quando si avvide che per
sé r Imperatore o divisava tenerlo, o a spese altrui
espugnato, concedevalo a chi meglio di loro piaceva
ma per sempre distrutto. Tuttociò patteggiavasi da
Francesco Grimaldo con Carlo V, e coi suoi Ministri
ad insaputa del Ceva Doria, di guisachè allorché co-
stui si accorse di essere ciurmato, poiché con sotter-
fugi, e maliziose reticenze il Grimaldo rifiutava comu-
nicargli quanto aveva concordato, chiese, aspreggiato
r animo, licenza di potersi ritornare. Infatti, dopo molte
tergiversazioni. Monsignor di Raas significa vagli avere
S. M. deUberato a favore della RepubbUca per i luoghi
di Montobbio, Varese e Roccatagliata, quanto agh ^1"
tri due di Torriglia e S. Stefano ninna deliberazione
essere finora stata presa per lui; medesimamente per
i primi la sua imperiale volontà avrebbero meglio in-
2él
tesa dal Principe cui V avea confidata per Francesco
Grimaldo partito allora per Genova; questo volea si-
gnificare che la maggiore parte di quanto domandava,
negavasi alla Repubblica, e quel tanto che le si con-
cedeva, dovea pure dal Doria riceverlo. Ecco a quali
termini d'indipendenza e di libertà egli aveva ordi-
nata la patria! (i). ♦
LXXXIX. — Risoluta la espugnazione di Montob-
bio secondo le condizioni prescritte dall' Imperatore si
dava opera a raccogliere le forze necessarie per ispe-
dirvele. Era quella una rocca sopra il sommo di un
colle edificata, di cui le falde lambono sottoposti per
tre parti due fiumicelli il Laccio, e la Pentema che
formano la' Scrivia ; altissimi monti tutt' intorno la
cingono, soltanto verso settentrione si schiude una
valle profonda distesa a pianura, donde porre potevansi
le artiglierie da combatterla. Girolamo Fiesco vi si
era chiuso con molti de' suoi, e soldati arruolati da
Piacenza e dalla Mirandola; Gio. Batta Verrina, e
(i) Di quanto qui scrivo si vedano i Memoriali e le istruzioni
date dalla Repubblica all' ambasciatore Ceva Doria, e le sue re-
lazioni ne' documenti pubblicati dall' Avv. Edoardo Bernabò-Brea.
Si riconoscerà evidentemente che mentre di concerto col Doria
il Governo inviava il medesimo Ceva Doria all' Imperatore, An-
drea Doria vi spediva il Grimaldo incaricato di trattare a suo
vantaggio per tutto quello che avea prima concordato a profitto
della sua patria ; e «che a questo particolare fine ne aveva scritto
addi 25 Gennaio 1547 allo' stesso Imperatore per commissione del
Governo (V. Documenti dell' Archivio di Simancas. Doc. xt.vii,
Pag. 74).
262
Vincenzo Calcagno vi si riducevano pure, ritornando
di Francia dove si erano portati, colla promessa di
prossimi ed efficaci ajuti ; ai quali tuttavia attendeva
Ottobono, e Cornelio Fiesco viaggiando dall' una al-
tra parte, ed ora in Francia, ora in Piacenza e alla
Mirandola conducendosi per ottenerli. Il Senato sen-
tendo che la divisata impresa non era certo di agevole
effetto appigliavasi dapprima alle trattative, e Paolo
Panza inviava a Gerolamo affinchè scendesse ad ami-
chevole componimento, cedesse il castello, prometten-
dogli a compenso 50 mila scudi, cosi almeno, scrive
il Bonfadio ; ma Gerolamo negando di accettare l'of-
ferta, rispondeva non essere libero di farlo, poiché
quel luogo non più a lui ma ad un potente signore
si apparteneva ; alluder volendo con ciò al Re di Fran-
cia; forse era vero, o forse cosi fingeva per allonta-
nare il Senato dall' intraprenderne 1' espugnazione. Ma
questo incalzato dal Doria nominava due senatori Cri-
stoforo Grimaldi Rosso, e Lionardo Cattaneo destinati
alla spedizione; radunavansi per essi duemila uomini
per circondare d' ogni parte gli assediati, impedendo
ogni accesso ed ogni soccorso che potesse venir loro
mandato ; commissarj dell' impresa erano scelti Dome-
nico Franco e Domenico Doria; il comando della
quale stette per qualche tempo incerto, imperocché
dapprima il Governo desiderava affidarlo per volontà
di Andrea ad Antonio Doria, ma egli se ne schermi»
adducendo eh' egli era occupato nel servizio di S. M-
né poteva accettarlo ; allora si rivolsero al colonnello
263
Agostino Spinola pregando l'ambasciatore Figueroa
che gliene scrivesse, locchè pure fece il Principe. Lo
Spinola a quegl' inviti recossi da Milano in Genova
deliberato ad un rifiuto, si per esserne stata prima ad
altri fatta l'offerta, si per il sospetto in cui era dal
governo del Doria tenuto, ma le istanze dell' Amba-
sciatore Spagnuolo, il quale gli consigliò 1' obblio del
passato, anche per il meglio del servigio di S. M. lo
persuasero all' accettazione (i).
(i) Documenti dell' Archivio di Simancas, Doc. xci, pag. 546.
CAPITOLO TERZO
Assedio del Castello di Montobbio; resistenza degli assediati; trattative di accordo;
discussioni e diversità di pareri in Senato sull* accettazione delle condizioni pro-
poste dagli assediati; in pendenza di quelle il generale Spinola corrompe una
parte dei soldati forestieri allo stipendio dei Fieschi , e per tradimento occupa la
fortezza ; notizia datane d' Andrea Doria a' Girlo V ; Uffiziali , Dottori , e Giudici
mandati in Montobbio per V esame e il processo dei congiurati ; nuova discussione
in Senato sulla sorte dei medesimi ; il peggiore partito si vince per Andrea Doria ;
Gerolamo Fiesco, Gio. Batta Verrina e Desiderio Cangialanza vengono condannati
a morte che tosto si eseguisce in Montobbio, mentre accaduta appena l' occupazione
di quella fortezza, senza forma di giudizio, sono scannati per ordine del Commis-
sario Domenico Doria, Vincenzo Calcagno, Gerolamo Manara e due altri servitori
dei Fieschi ; distruzione del Castello di Montobbio ; divisione delle terre della *&-
miglia dei Fieschi fra l'Imperatore, il Duca di Parma e Piacenza, Andrea Doria,
Antonio Doria ed Ettore Fiesco.
XC.^ — Cominciossi pertanto l'assedio sui primi giorni
di maggio, la fortezza del sito, e la stagione che correva
piovosa toglievano alle artiglierie di fare il più utile,
effetto ; ringagliardivasi la difesa, mentre V animo degli
assalitori veniva meno ogni giorno, arroge, la penuria
di polvere per dar fuoco a cosi grandi pezzi di arti-
glieria, e doverla condurre da luoghi cosi lontani;
molti pezzi ancora non bastando al frequente tiro scop-
piarono improvvisamente colla morte di coloro che li
governavano ; secondo V annalista Casoni furono spa-
rate più di 10,000 cannonate senza far danno di con-
siderazione alle mura; già si facevano dagli assalitori
265
i più sinistri pronostici, e prevedevasi V imminente ne-
cessità di abbandonare con vergogna V impresa senza
ottenerne il divisato fine ; ma i nuovi soccorsi che si
mandarono dal Duca di Toscana sebbene a malincuore
delDoria (i), e quelli maggiori d'uomini della po-
desteria di Recco, dove si fece una levata dagli anni
18 fino ai 70 sotto pena di ribellione, o d' altra pe-
cuniaria o corporale in arbitrio del Governo (2), mu-
tarono Io stato delle cose ; quindi ingrossato il numero
degli assedianti, aumentate, e meglio regolate le arti-
glierie si prese a combattere il Castello con maggior
forza e firequenza, talché una parte della muraglia venne
finalmente aperta, ed indi più larga rovina vi si fece;
gli assediati allora usciti di speranza di ricevere aiuti,
con gente raccogliticcia che cominciava a mostrarsi
restia, deliberarono di scendere a' patti ; mandavano
fuori un tamburo chiedendo un salvocon dotto per due
persone incaricate dell' accordo ; essendosi conceduto
dallo Spinola, recaronsi a lui Gerolamo Garaventa, e
Tommaso Assereto con un memoriale che conteneva
le condizioni, le quali non vennero accettate, comecché
fuori dei termini delle sue facoltà, ma rimesse al Se-
nato. Mentre in seno di questo stavasi fieramente di-
sputandosi se accogliere o rigettar si dovessero, lo
Spinola metteva fuori un bando di guisa che penetrar
potesse nel castello, e per cui dicevasi tutti coloro che
non aveano partecipato alla congiura, né alla morte di
(i) V. Documenti di Simancas, Doc. xc, pag. 145.
(2) V. Documenti pubblicati dall' Avv. Bernabò-Brea, pag. 171.
266
Gianettino Doria fossero liberi di andarsene colle armi
e cogli averi senza pregiudizio o danno di sorta. Il
pericoloso fine del quale ben considerato avendo Ge-
rolamo Fiesco col Verrina e il Calcagno , vennero
allora a questa convenzione di offerire la fortezza
uscendone fuori essi salvi gli averi e le persone. I nuovi
patti trasmessi al Senato destarono nuovamente acerba e
violenta la contesa tra il maggior numero che chiarivasi
favorevole all' accettazione, e il minore contrario, ma
questo confortava e invigoriva il preponderante suf-
fragio e la sconfinata autorità del Doria, tanto più,
che dagli assediati richiedevasi una particolare guaren-
tigia che li assicurasse dalla vendetta di lui. Queste
cose trattavansi consumandovisi due giorni senza che
si paresse quale delle due parti avrebbe riportata la
vittoria, quando pendendo le trattative, dallo Spinola
poste in non cale, si dava opera ad una nuova bat-
teria che fulminava il castello, i soldati forestieri, pa-
recchi de' quali già corrotti, presentavansi allora al
coàte Gerolamo, e i patti mostrandogli che loro faceva
il generale nemico domandarono licenza di potersene
andare ; negando egli, ferocemente ribellavansi, e con-
giuntisi a quelli di fuori, apersero loro la porta della
fortezza dove tosto la compagnia del capitano Lercari
con grande impeto irruppe, e appresso entrò il resto
di tutto il campo assediarne. Fu in tal guisa meno per
virtù d' espugnazione e valore d' armi che per vero
tradimento occupato Montobbio, né vale raffermarsi
audacemente il contrario dal Bonfadio sulla testimo-
267
nianza, com' egli scrive, i' uomini gravissimi che furotio
presenti ad ogni cosa (i), che quello che io qui narro,
letteralmente lo traggo dalle due relazioni che ne fa-
ceva l'Ambasciatore Spagnilolo, che non poteva né
avea donde di mentire, V una all' Imperatore, 1' altra
più circostanziata scritta al Principe Filippo, entrambe
lo stesso giorno dell'occupazione 11 Giugno 1547;
laonde il prezzolato annalista o veniva ingannato da
quelli uomini gravissimi, o mentiva con essi (2).
Pertanto dopo il quarantesimosecondo giorno che
si era oppugnata la fortezza, rimase nel sopradescritto
modo occupata. Gerolamo Fiesco, il Verrina, il Cal-
cagno, e tutti gli altri seguaci loro rimanevano presi,
e severameate custoditi, ma scannati venivano subita-
mente Vincenzo Calcagno, Gerolamo Manara e due
altri servitori dei Fieschi per ordine del Doria, in
vendetta della morte da essi data a Gianettino. Non
appena quindi se n' ebbe dalla Repubblica e dal Doria
avviso, che V una e 1' altro gareggiavano nella solleci-
tudine di spedirne la notizia a Carlo V, locchè face-
vano con due loro lettere, quella della Repubblica più
riservata e tranquilla, V altra del Doria più animosa
ed intemperante, cosi concepita :
« Poi di molte difficoltà et spese fatte per la expu-
» gnatione del Castello, è piacciuto a Dio che questa
A mattina se sia pr6so a discretione, et cossi resta
(1) Annali Genovesi, lib. iv, pag. 403.
' (2) Documenti dell' Archivio di Simancas , Doc. e e ci,
pag. 154-156.
268
» preso buon numero di quelli tristi intervenuti nella
» sceleragine et tradimento passato. Domani se li man-
» deranno dottori et ' officiali di qui ad examinarli, per
» vedere se si può ritrovar qualche altra cosa di più
» circa la pratica che già scrissi a V. M., et di tutto
» sarà avvisata ; et in appresso si attenderà a rimediar
» et assicurar che per un* altra volta non possano se-
» guir simili inconvenienti. La città sta pacifica et in
» la sua solita devotione verso il servicio di V. M.,
» et ogni di spero che se li anderà più confirmando.
» Mi è parso dar noticia a V. M. di questo bon suc-
» cesso, perchè son certo ne bavera piacere (i). »
XCI. — I dottori, e li officiali che si dovevano man-
dare per gli esami del Gerolamo Fiesco e suoi seguaci,
di cui si trattava nella riferita lettera, quello stesso
giorno undici Giugno venivano con Patenti del Doge,
Governatori, e Procuratori nominati, ed erano li Ma-
gnifici Gioan Maria Paulucio uno degli Ufficiali di Rota
e Tomaso Doria, giureconsulti entrambi e commis-
sar j della Repubblica ; doveano essi trasferirsi al luogo
di Montobbio ad esaminare ed interrogare tutti quelli
eh' erano stati presi e fatti prigionieri in quella rocca,
o parte di essi che loro sembrasse e fare scrivere ed
annotare da pubblico notajo le risposte che darebbero
intorno a ciò di' cui fossero interrogati. In virtù di
siffatte patenti si conferiva ad esrf facoltà non solo di
esaminare, ma di usar quelli modi e forme che gli oo-
(i) V. Documenti dell' Archìvio di Simancas, Doc. xcvin e
xcix, pag. 153 e 254.
269
correranno espedienti e di ragione dovuti per venir in co-
gnÌT^ione di quanto gli occorrerà interrogarli, conferen-
dogli tutta quella autorità e balia che avevano circa
tali interrogazioni ed esami, acciò che dopo avere for-
nito tali esami, ritornando ben istruiti, abbiano a ri-
ferire quel tanto che avranno inteso per poter essi
esaminare e- determinare quello che loro occorrerà, e
giudicheranno tornar meglio a salute e beneficio della
Repubblica (i).
Sotto il velo di coteste parole si nasconde senza
dubbio la potestà di porre gli accusati a' tormenti, e
secondo lo stile di que' tempi e le barbare leggi che
vigevano estorcere loro colla torturala confessione
delle colpe imputate false o vere che fossero; cosi
r andazzo dell' età! Quindi, se contro quanto ne scrive
il Casoni, più sopra da me riferito, si può prestar
fede alle rivelazioni del Verrina significate dall' amba-
sciatore Figueroa all' Imperatore (2) non altro mezzo
che la tortura fii adoperato di certo per ottenerle.
La nomina dei due Dottori colle facoltà conferite
loro, notificavasi al Generale, e ai Gommissaij di Mon-
tobbio, i quali addi 13 Giugno rispondevano* essere
colassù giunti e averli accolti con ogni cortese dimo-
strazione, promettendo dare ad essi quelle comodità
che il loco ed il tempo permettessero. Aggiungevano :
attendere firattanto che la rocca e i prigionieri restas-
sero ben guardati come si conveniva, e vivere ben
fi) Documenti pubblicati dall' A vv. Bernabò-Brea, pag. 173.
(2) V. Documenti degli Archi vj di Simancas, Doc. cix, pag. 167.
272
quello che mai non si è voluto concedere alli con-
dannati in contumacia, concederla in pregiudizio del
decreto vecchio sinora osservato in non ammettere
alcuno condannato in contumacia a nuove difese.
Per queste assurde e triste dottrine rispingendosi le
difensive scritture violavasi il sacro diritto della difesa.
Non potevano però dissimularsi i Giudici che se
le SS. LL. IH."' non provvedevano, erano messi nel
maggiore travaglio del mondo, comechè alcuni ima-
ginerebbonsi che quella maledetta causa, se V avessero
tolta per particolare, eppure sapevano quanto avessero
fatto perchè loro fosse usata grazia di non dargli tal
carico. Per la qual cosa quanto più potevano devota-
mente li supplicavano che il più presto possibile vo-
■
lessero liberarli da quella intensa molestia risolvendosi
chiaramente, o di ammetterli alle nove difese non
ostante tutte le ragioni sopradette, o si rivocasse il se-
condo decreto, stabilendo che si procedesse conforme
alla ragione e secondo la disposizione del primo ese-
cutivo ; conchiudevano attendendo prontissima risposta.
Quale questa sia stata similmente s' ignora, si ha
però in fatto la prova che il primo decreto, malgrado
r impHcita deroga del secondo, venne eseguito; la Si-
gnoria, sforzata dal Doria , pronunciò dopo molto e
tempestoso dibattimento, sentenza di morte contro Ge-
rolamo Ficsco, Gio. Batta Verrina, e Desiderio Can-
gialanza ; di galea e di bando per alcuni ufHziali che
allo stipendio della Repubblica, seguitato aveano il
•
Conte, e concorso alla cospirazione da lui ordita; ai
273
dodici del mese di luglio, sorgendo T alba, segui T ese-
cuzione in Montobbio dei primi tre; e di tutti il primo
impiccato fu il Congialanza, venne appresso decapitato
Gerolamo Fiesco, per ultimo il Verrina, dichiaratisi
confessi e convinti dell' attentato. Ma innanzi di tutti
questi e appena accaduta V occupazione di Montobbio,
senza forma di giudizio erano scannati Vincenzo Cal-
cagno, Gerolamo Manara e due altri servitori dei Fie-
schi, che la notte della congiura si accusavano di es-
sere intervenuti alla morte di Gianettino ; locchè si
operò non per comando della Signoria, ma per arbi-
trio del Commissario Domenico Doria che ne avea
ricevuto V ordine da Andrea, diguisachè il malcontento
si sparse non solo nella moltitudine de' cittadini, ma
nel popolo tutto, perocché si fosse proceduto oltre i
termini di giustizia. Cosi ritraggo da una lettera del-
l' ambasciatore Figueroa scritta addi 8 luglio del 1547
all' Imperatore (i) ; la esposizione della quale concorda
con quanto ne scrive 1' annalista Filippo Casoni (2).
Intanto secondo gli ordini di Cesare e per le con-
dizioni da lui apposte alla concessione di Montobbio,
quella fortezza doveva essere dalle fondamenta spian-
tata ; usciva quindi il decreto della Repubblica che ne
ordinava la rovina, vietando sotto formidabili pene che
potesse mai più per 1' avvenire essere ricostrutta ; e il
decreto si diceva fatto per consiglio ed autorità di An-
(i) V. Documenti dell' Archivio di Simancas^ Doc. evi, pag. 164
e 165.
(2) Annali di Genova, an. 1547, pag. 192.
18
274
drea Doria, imperocché avea voluto T Imperatore che
per le mani di quello ricevessesi Montobbio, che appena
espugnato ed occupato si doveva distruggere (i).
XCIII. — Venivasi poscia alla divisione delle terre
dei Fieschi; Varese, Roccatagliata, Neirone e nulla
più acquistò la Repubblica per le ragioni dell' alto do-
minio che vi avea. Il Duca di Parma andò al pos-
sesso di Valdetaro t Calestano feudi di sua giurisdi-
zione; Ferrante Gonzaga a nome dell'Imperatore
s'impadronì di Pontr emoli, Torriglia, Loano, Carrega,
Grondona , Barbagia , S. Stefano di Aveto , Calice ,
Veppo ed altri luoghi e giurisdizioni; ma Cesare, ri-
tenuto Pontremoli che rimase riunito allo stato di
Milano, donò al Doria Torriglia eretta in marchesato,
Carrega, Garbagna, Grondona ed altri castelli ; ad An-
tonio Doria che teneva quattro galee al servigio di
lui. San Stefano di Aveto; né colle mani vuote si
rimase Ettore Fiesco per compensarlo del pericolo
che avea corso quando dal Senato era stato la notte
della congiura spedito a Gerolamo Fiesco, o piuttosto
per amicarselo, sapendolo in quella implicato.
(i) Si veda il Decreto alla pag. 135 dei Documenti inediti rac-
colti, e pubblicati dall' Avv. Edoardo Bernabò-Brea, sopra la Con-
giura del Conte Gio. Luigi del Fiesco.
CAPITOLO QUARTO
Contesa delle diverse fazioni che aspirano ad impossessarsi della Repubblica ; relazione
sulle vere condizioni di essa di un Pancino Gismondi inviato a tale uopo in Genova
da Gonzaga, per consiglio del quale l' Imperatore cogliendo il destro di quelle dis>
sensioni propone che a difesa efficace si ordini im sufficiente presidio in Genova
al comando di cui si nomini Agostino Spinola , e si rifabbrichi ad un tempo la
fortezza di Castelletto ; il Doria per ischermirsene manda Francesco Grimaldi a
Carlo V ; suo abboccamento in Milano ^con Ferrante Gonzaga sopra i partiti che
dividono la Repubblica ; giudizio che ne forma il Gonzaga e suoi consigli all' Im-
peratore, nuove proposte a questo di Andrea Daria , e pareri allo stesso mandati
dall* Ambasciatore Figueroa.
XCIV. — Divisa, lacerata dalle fazioni era la Re-
pubblica più che mai colla vantata unione de' no-
bili coi popolari operata dal Doria. Dopo specialmente
la fallita congiura quinci stavano i partigiani de' Fieschi,
vinti ma non domati capo de' quali Ettore potentis-
simo, e fuori due fratelli ancora di Gian Luigi ajutati
dai favori di Francia, dal Papa, dal Duca di Piacenza,
dal Signore della Mirandola, quindi gli Adorni e gli
Spinola che aveano per capo Agostino Spinola; oltreciò,
la parte de' Fregosi apparentemente seguace del Doria
attendeva il destro di muoversi e ripigliarsi lo stato;
Adamo Centurione colle sue molte ricchezze mentre
soccorreva all' Imperatore, e al Doria, si appianava la
276
via a quel potere che vedea vacillante in mano di
quest' ultimo ; Andrea in mezzo a siffatte ambizioni,
cospirava a far prevalere la propria, e molto innanzi,
per gli eminenti servigi prestati, nella grazia di Carlo V,
o per meglio dire assai temuto da lui, accortamente ser-
vivasi di tutti, per sollevare sé solo, si trattava infine
se Signore di Genova doveva essere o un Fiesco, un
Adorno, uno Spinola, un Fregoso, un Centurione,
un Boria ; ridotta a questi termini la quistione, si potrà
agevolmente giudicare del vero carattere della congiura
de' Fieschi, il capo della quale venne con si neri co-
lori tramandato alla memoria de' posteri per nuli' al-
tra ragione eh' egli fii vinto, e vincitore il Doria.
Senonchè, di tutto questo smembramento di parti,
bene si apponeva l' Imperatore esattamente informato
e ragguagliato da' suoi Ministri fira i quali primeggia-
vano con iscaltrite arti, ed ingegno cupo e profondo
Ferrante Gonzaga, e l'Ambasciatore Figueroa con
puerile sollecitudine, invano Andrea Doria studiava
persuaderlo, che pochi ed abbietti i malcontenti, po-
chissimi della più vile feccia erano i seguaci de' Fie-
schi, lo stato da lui istituito quello essere dalla mag-
gioranza e più eletta parte dei cittadini desiderato, e
mantenuto, che tutte le più particolari relazioni man-
date a Carlo smentendo le sue parole, provavano che
delle forze e delli favori imperiali volea soltanto aiu-
tarsi a conservare la nuova Repubblica congiuntamente
alle condizioni di uno speciale patronato trasmissibile
alla propria famiglia, diguisachè la forma di quella, de-
277
stinata fosse soltanto a velare la sostanza di un vero
principato che, per poco d'animo e d'ingegno aves-
sero posseduto, sarebbe divenuto ereditario ed assoluto
nei discendenti del Doria.
XCV. — La verità di questi fatti si facea manifesta
da quanto specialmente ne riferiva un Gismondo Pan-
cino inviato in Genova alla fine di Gennajo del
1547; per esplorarne le condizioni, da Ferrante Gon-
zaga. Egli rappresentava che la città pacifica, quieta,
e ben disposta al servizio di S. M. in apparenza, tutta
contraria in effetto per la diversità degli umori; che
il Principe, e quelli che in modo assoluto dipendevano
da lui erano facili a credere quest'apparenza, mentre
coloro che sentivano diversamente, noi mostravano
per vedere lo stesso Principe inclinato a quella libertà
che avea preteso di avere introdotta, e eh' egli voleva
fosse creduto da tutti che nelle acccadute novità si
era manifestata una particolare divozione inverso di lui,
quando invece finché non si seppe certa la morte del
Conte ninno comparve, né mostrò seguire la sua fa-
zione; che la Repubblica si dimostrava molto firedda-
e rimessa nella punizione e castigo dei colpevoli delle
stesse novità; che la provvisione fatta di aumentare
dai trecento ai cinquecento fanti la guardia della città,
con cui il Principe, presupponendo di avere dalla sua
parte i popolari, pensava potesse bastare all' interna
sicurezza, la maggior parte tenevano opinione contra-
ria adducendo la prova che pochi si erano chiariti fa-
vorevoli al nuovo governo nell' occasione del passato
278
tumulto, e all'esecuzione del castigo de* delinquenti;
che di questi era lo stesso Adamo Centurione, segui-
tato dall' ambasciatore parendogli che meglio si do-
vesse assestar le cose a servizio di S. M. senonchè
si asteneva a trattar di ciò che fosse diverso dalla
mente ed inclinazione del Principe , che l' Amba-
sciatore ed altri molti giudicavano che sebbene la
guardia dei 500 soldati fosse sufficiente a tenere la
città tranquilla, non basterebbe mai se la persona che
doveva comandarla, non convenisse, concorrendo tutti
nel medesimo sentimento che molto al proposito quella
sarebbe del colonnello Spinola, quantunque confessas-
sero essere difficile il negozio per rispetto del Prin-
cipe, come per non mettere lo Spinola in diffidenza
della città; che molti ancora pensavano che ciò mal-
grado lo Spinola non bastava, ma sarebbe stato neces-
sario di accrescere in qualche modo l' autorità di S. M.
più di quello eh' era finora, sicché venisse rispettata e
temuta, praticando in tal fatto di guisa che tutti i no-
bili e principali cittadini si accordassero a trattare della
riedificazione del Castelletto da porsi in mano de' mi-
nistri suoi ; che infine Adamo Centurione era di parere
di abbracciare altro partito, per far sicura la terra, e
per cui S. M. acquistar vi potesse una maggiore e più
certa autorità; e questo, credeva essere di accrescere
la guardia sino al numero di 700 soldati, conche la
stessa M. S. ne pagasse i duecento accresciuti, impe-
rocché di tale spesa difficile sarebbe che si volesse
dar carico il governo, né sapeva pure se questo si ac-
279
corderebbe nella scelta del colonnello per capo della
guardia (i).
XCVI. — Ora, il disegno dell' Imperatore era che
cogliendo profitto dalle genovesi dissensioni, allegando
il pericolo che correva la propria autorità anche per
r avanzata età, e la probabile vicina morte del Doria,
che facea le mostre di credere a sé interamente de-
voto, a difesa della Repubblica si ordinasse un suffi-
ciènte presidio il capo del quale fosse di tutta sua fidu-
cia, e il solo Agostino Spinola la godeva, e nello stesso
tempo si rifabbricasse la fortezza del Castelletto ; questi
due modi gU venivano consigliati dal Gonzaga, e dal
Figueroa, per molte lettere che si leggono nei docu-
menti deir Archivio di Simancas, e per essi confidavasi
che fra breve tempo Genova di tal guisa non avrebbe più
potuto sfiiggire all'assoluto imperiale dominio. Ma il
Doria che di questo soltanto voleva usare a sostegno
e difesa del proprio, osteggiava lo Spinola a coman-
dante generale della guardia, perocché congiunto agli
Adorni, lo sapeva capo di un partito che divisava
mettersi in luogo di lui nel maneggio della Repub-
blica e si opponeva virilmente alla riedificazione del
Castelletto per le stesse ragioni, la quale opposizione
se con animo e proposito irremovibile facevasi da lui,
molto circospetto però procedeva nell' escludere lo Spi-
nola. Lui non isfiiggiva che quanto presso di Carlo
aveasi egli acquistato di fama e di stima per la peri-
(i) V. Documenti dell' Archivio di Simancas. Doc. 53, pag. 55.
28o
zia delle cose marittime, tanto colui veniva pregiato
per la terrestre milizia dove spiegato aveva ingegno
pronto e sagace non disgiunto da singolare valore
nei fatti di Portofino , dell' espugnazione di Savona,
nella presa di Ovada , di Nove , ed ultimamente di
Montobbio, nel quale ultimo però prevaleva più la
frode, che il sapere, e V arte onorata della guerra. Non
ignorava il Doria le intime relazioni tra lo Spinola, il
Ferrante Gonzaga, e V ambasciatore Figueroa, i quali
lo proponevano all' Imperatore come il più devoto, e
docile servitore che si avesse in Genova, e di cui potea
sicuramente-fidarsi, e servirsi come d' abile mezzo per
ridurla in suo potere; ponendolo con più evidente uti-
lità invece di lui, per questo instavano che ad esso ve-
nisse conferito il comando generale delle armi ; il Doria
avea dapprima mosso ostacolo a che ottenesse quello
dell' assedio di Montobbio, di cui voleva incaricato
Antonio Doria ; il quale però conoscendo gli umori
e la volontà dell' Imperatore e de' suoi Ministri se
n' era scaltramente scusato ; cosicché fii anzi d' uopo
pregare lo Spinola che 1' accettasse, imperocché sde-
gnato che soltanto a difetto dell' Antonio Doria gli si
offerisse, alteramente vi si rifiutava. Per il comando
delle armi vi furono quindi tergiversazioni, raggiri, e
temporeggiamenti, infine la mente dell' Imperatore che
meglio desiderava essere intesa che spiegata, senza velo
manifestossi, e il Doria dovette suo malgrado convin-
cersi che lo Spinola gli era messo ai panni destinato
;id esplorarne ogni moto, e tenerne in rispetto ogni
28l
comando aflSnchè il suo potere non si allargasse di
modo nella Repubblica da soverchiare V imperiale, che
per opera dello stesso Spinola doveavi divenire as-
soluto.
XCVII. — Inviato Francesco Grimaldo dal Doria a
Carlo V, come particolare suo ambasciatore , abboc-
cavasi in Milano con Ferrante Gonzaga, e secondo le
ricevute istruzioni e il fine prefissosi da chi lo spediva,
feceva a colui la seguente pittura dei diversi umori
che intorbidavano la città : diceva, essere questa divisa
in quattro partiti; il primo di una sorte di uomini,
che non contenti del presente stato, erano desiderosi
di cose nuove, sperando con il mutamento e con qual-
che rivolta venire a miglior condizione. Il secondo,
formato di una qualità di persone che pascevansi di
ragionamenti, e di discorsi senza proporsi alcun fine,
o senza sapere in conclusione ciò che si volessero. Il
terzo, composto di una generazione di uomini, i quali
pusillanimi e timidi, d' ogni cosa faceansi spavento, tra
i quali nominava coloro che approvavano la ricostru-
zione della fortezza; il quarto partito infine abbrac-
ciava la sètta di quelli che desideravano la quiete e il
pacifico stato della città, dai quali, notava, venire an-
teposta una nuova fórma di governo, come stato sa-
rebbe di ristringere a minor numero quelli del reggi-
mento, e ridurlo a che non passassero i cento, o
centocinquanta cittadini, e che dove allora estraevansi
per polizza, vorrebbero che si eleggessero per voti,
oltreciò s' introducesse una guardia gagliarda insino a
282
settecento fanti con un capo, il quale fosse meglio
stimato conveniente.
Queste cose con mente cupida ed astuta ascoltava
il Gonzaga, e riferendole air Imperatore considerava:
che in quella città erano pochi che procurassero di-
rettamente il servizio di S. M., senonchè sotto questo
nome di anteporlo alle altre cose volevano ottenerne
il principato e fare il fatto loro; e poiché questo si
conosceva, essere di parere che per ora si dovesse
dissimulare ed accettare tutto quello eh' essi preferis-
sero, senza cercare più oltre, perchè persuadevasi che
nel contraddire e nel volere ora incamminare le cose
al disegno della fortezza, come si era ragionato, non
poteva nascere se non difficoltà, senza ottenere alcun
buono effetto; infatti chiamando il Grimaldi timidi e
pusillamini quelli che approvavano il disegno della
fortezza , si conosceva che il Principe e i suoi seguaci
non la volevano; dello aiuto dei quali S. M. si do-
veva principalmente servire quando detto disegno si
avesse ad incamminare. Onde, essendo per ora questa
difficoltà della, fortezza, era egli di parere, che non si
potesse fare altro che consentire a questa forma che
essi proponevano, perchè teneva per sicuro che quando
il Principe venisse a mancare, i primi che procure-
rebbero detta fortezza quelli proprii sarebbero che ora
la ricusavano, e massimamente quando le forze della
guardia si trovassero in potere di persona confidente
di S. M. che non fosse discorde dalla mente di essa
in qualsivoglia determinazione che si facesse, onde,
283
per quello eh' egli srimava , tutta la importanza di
questo negozio consisteva nella elezione di detto capo;
e però opinava che in questo S. M. dovesse insistere
che si eleggesse persona molto confidente, né a lui
altro occorreva che Agostino Spinola (i).
La sostanza pertanto di tutto ciò si raccoglieva nei
due termini, o di Genova sotto il governo imperiale
htto stabile e sicuro per la ricostruzione del Castel-
letto, o di Genova sotto quello di Andrea Doria e
suoi discendenti per mezzo di tali leggi, che a' pochi
suoi partigiani ristretta tutta T autorità , coli' apparente
forma di Repubblica, gliene guarentissero il possesso.
Qumdi Carlo V. e Andrea Doria contendevansi il
dominio della Repubblica sotto lo specioso pretesto
entrambi di conservarla, T uno colla fortezza ed una
numerosa guardia, il comando di cui si avesse chi gli
era ligio e interamente devoto, l'altro di un governo
a pochi, e tutti suoi aderenti ristretto; si lottava quindi
e schermivasi tra questi e quelli con maneggi, intrighi
e stratagemmi per riescire scambievolmente al divisato
fine. Il Doria volendo liberarsi dall' obbligo della for-
tezza, allegava che a far sicura la signoria bastava ri-
metterla in mano a pochi , gli si opponeva che il
mutamento non avrebbe potuto eseguirsi senza una
forza che lo sostenesse, ed egli vedendo che si ac-
cennava allo Spinola, soggiungeva , avrebbe ricorso ad
(i) V. Documenti dell'Archivio di Simancas, Doc. Lxxvn,
284
una mano d' uomini del Duca di Firenze, poscia tenendo
questo pure in sospetto tergiversava destreggiandosi e
promettendo invierebbe nuovamente all' Imperatore il
Grimaldi con altro e più acconcio disegno, aiutavasi
col rimedio del tempo. L' ambasciatore Figueroa, dalle
lettere di cui io ricavo tutto ciò che qui espongo,
significava all'Imperatore che quanto il Doria propo-
neva sarebbesi potuto accettare se non vi fosse l'o-
stacolo della vecchiaia di esso che toccava gli ottanta
anni, e lui morto, ninno di sua casa rimaneva che
avesse tanta autorità da succedergli nello stesso grado,
tanto più che gli era nemico il Cardinale Doria e suo
figlio, e segretamente ancora Antonio Doria; né po-
teva tornare di pubblica soddisfazione che gli venisse
surrogato Adamo Centurioni o il figlio di lui, insuf-
ficienti entrambi a tanto carico, perocché i servitori
di S. M. se assai bene si erano acconciati col Doria,
sia perchè a lui devoto, sia perchè concorrevano in
esso tutte le qualità che lo faceano degno dell'auto-
rità che teneva, non di certo vorrebbero assoggettarsi
ad altri che ne andavano interamente privi. Oltreciò,
ardevano tuttavia le discordie fi'a i gentiluomini e i
popolari , i quali ultimi non cessavano di mantener
vive pratiche con tutti i fuorusciti che nuli' altro at-
tendevano che la morte del Doria e la mancanza delle
galee, senza le quali facile loro riusciva d' insignorirsi
della città, non potendo poi sopportare che ne dovesse
rimanere il governo nel figlio di Adamo Centurioni
CAPITOLO QUINTO
Nuove nucchlnazioni contro il governo del Doria dei fratelli Fieschi , Adorni , Spi-
nola , del Girdinale e Kicolò Doria di concerto con Francia e il Duca di Parma e
Piacenza ; timori di Andrea Doria ; insistenza del Gonzaga e dell' Ambasciatore
Figueroa affinchè venga eletto a Comandante di un presidio gagliardo di difesa
Agostino Spinola , e si dia opera alla ricostruzione del dstelletto ; loro vive
istanze perciò con Adamo Centurione e Francesco Grimaldi ; pratiche ulteriori a
tal fine del Gonzaga col Cardinale Gerolamo Doria e per esso col suo inviato
Giuliano Salvago che interamente concorre nelle idee di lui per un grosso presidio
in Genova e la fabbrica della fortezza ; stratagemma dello stesso Gonzaga di una
sottoscrizione di cento nobili genovesi per V opera della fortezza ; Andrea Doria
£i intendere indirettamente all' imperatore il difetto di denaro che si aveva per
costruirla , il Gonzaga consiglia in prima di contentare il Doria coli' abbandonargli
qualche altro feudo dei Fieschi ; indi scrivergli che il medesimo imperatore era
disposto a fare le spese per la edificazione di detta fortezza. Intanto il Doria
stretto in tal guisa da ogni parte, si accinge alla riforma del governo riducendolo
vieppiù alla forma aristocratica.
XCVIII. — Mentre tutti questi dissidii pendevano
e la Repubblica versava in forse di sé medesima per
coloro che macchinavano di opprimerla col pretesto
di salvarla, Ottobono e Cornelio fratelli Fieschi, Adorni,
Spinola, il Cardinale e Nicolò Doria parte congiunta-
mente, parte disgiunti, con Francia e il Duca di Parma
e Piacenza cospiravano per invaderla. Andrea Doria,
l'Ambasciatore Figueroa e il Governatore di Milano
Ferrante Gonzaga venivano informati che nella città
di Lione dai francesi si era conchiuso trattato coi fra-
teUi Ottobono e Cornelio Fiesco per occupare il do-
minio di Genova; questi ultimi portatisi nel Borgo
286
di Valdetaro vi levavano 500 a 600 uomini con affi-
damento di averne altrettanti dal Duca di Parma e
Piacenza, ovvero di Castro, con quelli dovevano oc-
cupare la porta di S. Stefano o dell' Arco, e per questa
introdotti muovere il popolo colle grida di Francia e
Adorno, all' uccisione del Doria. Ma giuste non erano
tutte queste voci né gli Adorni uniti trovavansi con
Francia e coi Fieschi, vero invece che congiuravano
cogli Spinola per cacciare il governo del Doria, e im-
pedire che egli venendo a mancare cadesse in mano
di Adamo Centurione o del figlio; Andrea Doria
però sgomentato a questo viluppo di cose chiedeva
al Gonzaga gli si spedissero tosto quei 400 spagnuoli
destinati a reprimere i moti di Siena dove la libertà
italiana disperatamente ancora difendevasi dai fuo-
rusciti fiorentini, ma venute quelle forze in Ge-
nova , e per esse presidiata la città , allontanavasi il
pericolo dell'invasione de' Fieschi aiutati da Francia
e dal Farnese, e al Doria rinascevano i timori degK
Imperiali e delle mene degli Spinola e degli Adorni
congiunti a quelli contro di lui, sicché faceva sentire
che le cose oggimai volgevano a tranquillità, e già
la Repubblica ricomponevasi a pace senza bisogno di
altri provvedimenti. Il Gonzaga però e l' ambasciatore
Figueroa che aveano fatto fondamento sopra quella
occasione non rifinivano dall' insistere per un più sta-
bile ordinamento del governo, il quale, dicevano, non
potere ottenersi senza un permanente gagliardo pre-
sidio, quindi Agostino Spinola proponevano eletto a
287
capo di questo, e la ricostruzione del Castelletto; e
il Gonzaga con Francesco Grimaldi, e il Figueroa con
Adamo Centurioni né tenevano vivaci ragionamenti;
ma Tuno e l'altro dal Doria indettati schermi vansi,
e il Centurioni rispondeva che quando le galere tor-
nate sarebbero da Napoli dove trovavansi per difen-
dere il Viceré Pietro di Toledo minacciato dal popolo
levato a tumulto, il quale opponevasi all'uffizio della
santa Inquisizione che vi si voleva istituire, sarebbe
stato agevole il dare stabile ordine alla città , che non
potevasi per allora venire a risoluta operazione, che del
resto il Doria prometteva di fare in modo che la
Repubblica rimanesse sempre a divozione di S. M., e
siccome si replicava per parte del Figueroa che l' Im-
peratore non potea essere tranquillo senza una forza
comandata da un capo abile e sicuro , e quindi
continuamente accennavasi all' Agostino Spinola, il
Centurioni lasciava cadere il discorso né altro più
soggiungeva non sapendo come toccare così spinoso
argomento che per la parte imperiale ad altro non
riusciva che a togliere la Repubblica di mano al Doria
per darla allo Spinola disposto ad essere il più docile
ed obbediente ministro delle più assolute volontà im-
periali, a rendere in altri termini la propria patria
interamente soggetta a Carlo V.
Non altrimenti il Grimaldi inviato dal Doria al-
l' Imperatore, comportavasi nel suo passaggio in Mi-
lano col Gonzaga; questi stringevalo d'ogni parte,
mostrandogli che quelli del governo correvano peri-
288
colo di essere dal popolo o dalla plebe tagliati a pezzi
e la città tolta alla divozione di S. M. Il Grimaldi
rispondeva: essere parere del Principe e de' Gover-
natori che riducendosi lo stato colla forma già sta-
bilita , e tenendosi per due altri anni una buona
guardia, si avea per certo di vivere in pace, poiché
la parte contraria dimenticato avrebbe i rancori e le
male soddisfazioni in che era al presente. Ma il Gon-
zaga a tali parole nonché appagarsi incalzava nel pro-
posito con più efficaci ragioni, e il Grimaldi allegava
che per la difesa, per cui tanto in contrario si con-
tendeva, si pensava di acconciare le porte della città
di maniera che quelli eh' erano dentro potessero starvi
sicuri. Soggiungeva il Gonzaga che ciò non bastava,
perchè, quantunque potessero resistere per tre o quattro
giorni non V avrebbero fatto per tanto che fosse ve-
nuto quel soccorso che solo potevano aspettarsi dallo
stato di Milano. Replicava il Grimaldi che avevano
ancora pensato di fare una strada coperta che andasse
dalla porta di S. Tommaso, eh' era quella del Principe,
al baluardo di S. Giorgio, il più eminente di tutti, il
quale essendo serrato per la parte della città servirebbe
come un castello (i).
XCIX. — A queste risposte non istavasi contento
il Gonzaga, il quale per altro mezzo, quello della for-
tezza, volea raggiungere il premeditato fine, quindi
appiccava più vive pratiche col Cardinale Gerolamo
(i) V. Documenti dell' archivio di Simancas; Docum. cxv «
CXXII.
289
Doria , che anch' egli nemico di Andrea , gli portava
invidia dell' eminente dignità arrogatasi sulla Repub-
blica , e divisava porsi , come Agostino Spinola , in
sua vece. Il Cardinale a trattare seco lui, inviava in
Milano Giuliano Salvago suo fidato, il quale spone-
vagli che a tener quieta Genova non conoscevasi altro
modo che quello di mettervi dentro un vicario di S.
M. con suprema potestà sul criminale, e con la guardia
in tutto dipendente da esso. Ma il Gonzaga oppone-
vagli che neppure con ciò potevasi conservare pacifi-
cata, imperocché se la guardia fosse di poco numero
e debole non si sarebbe tolta la speranza a' tumul-
tuanti di potere levarla a sedizione quando voglia loro
ne fosse venuta, se di grosso numero e forte, come
dovea essere, in quel caso la città non vorrebbe', né
potrebbe sopportare, né tollerare la spesa ; e qui destra-
mente accennava alla fortezza persuadendolo che quello
era il vero rimedio contro tutte le infermità di quella
città ; e il Salvago soggiungeva che tutti i buoni, e che
amavano il buon vivere et ben essere (che sono molti)
giudicavano il medesimo; e il Gonzaga vedendo pro-
spero il vento, andava innanzi confermandolo nella
savia opinione, pregandolo che tanto di sua parte ri-
ferisse al Cardinale, mentre l' altro replicava che bene
conosceva cosi questo come gli altri suoi seguaci in-
clinati tutti alla medesima opinione (i). Intanto il
Gonzaga di tutto rendendo consapevole l' Imperatore,
(i) V. Documenti dell'archivio di Simancas, Doc. cxxiii.
19
290
scrivevagli che col Grimaldi mandatogli dal Doria
persistesse nella proposta perchè il Principe e i suoi
partigiani erano quelli soli che la disturbavano, ag-
giungevagli che il Domenico Doria a lui spedito in
Milano dallo stesso Principe concorreva confidente-
mente nel parere della fortezza.
Ora Andrea Doria trovavasi per ogni lato circuito
ed osteggiato nella suprema autorità che volea man-
tenere senzachè gli bastassero le assicurazioni ch'egli
andava ripetendo che quel governo da lui istituito an-
dava a sangue alla maggioranza e alla più cospicua
parte de' cittadini, non avendo a nemici che pochis-
simi e della più vile plebe; che oltre i Fieschi e co-
loro tutti che si traevano seco , gli erano contrari!
Adorni, Spinola, e il più eletto numero della stessa
famiglia dei Doria, discendenti di Oberto, di Lamba,
di Luciano e di Pagano Doria i veri, e i più grandi
personaggi di quella casa. Quelle leggi pertanto abbor-
racciate a suo talento e profitto col danaro di Adamo
Centurioni, Ansaldo Grimaldi, e Sinibaldo Fiesco mi-
nacciavano rovina, e cotanta opera cosi destramente
edificata stava per cadere con lui, quando non ismar-
ritosi del grand' animo che aveva, tornate che fossero
le galee di NapoH, gli parve venuto il tempo propizio
di aiutarsi ancora con nuovi mezzi e scongiurare in
tal guisa r irrompente procella.
La quale si addensava più grave sul suo capo per
nuovi artifizi trovati dal Gonzaga a spingerlo alfine
al partito eh' egli voleva ; scrivendo al Principe e ad
291
Adamo Centurioni, egli fingeva di avere a sua di-
sposizione cento nobili genovesi pronti a sottoscri-
vere per r opera della fortezza. Questa invenzione
li stimulava di sorte che viddero di potere trarre
un' utilità particolare da quello che senza pericolo
proprio non era più dato loro di differire. Quindi
riscrissero che si farebbe risoluzione buona e stabile
in servigio di S. M. ma che bisognava avere il
dolce da una mano e dall' altra lo acerbo; che il
dolce lo aveano, e bisognava usarne per appagar con
esso li appettiti di molti e giustificare V atto della
forza quando si avesse dovuto ricorrere a quella;
deir acerbo mancavano , e bisognava aspettarlo ed
erano le galee, delle quali si volevano valere, in caso
di violenza per aumentar le forze; infine che avendo
consultato con S. M. volevano aspettar Francesco
Grimaldo per conoscerne le intenzioni.
Il Gonzaga conobbe i' industria delle nuove dila-
zioni , e il modo, com' egli si esprime, di vender cara
a S. M. la sospirata risoluzione e vi scoperse che il
Principe con questi trovati avesse grandissima mira
e speranza al rimanente dello stato dei Fieschi, per
la qual cosa, riferendo al Ministro Granvela tutto
r occorso, significavagli che conoscendosi la via facile
e netta, e che solamente avea tanto del difiìcile e del
fangoso quanto costoro volevano, era di parere che
S. M. si scuoprisse alla libera con Francesco Grimaldi
e gli dicesse essergli occorso questo modo della for-
tezza non per levar la libertà ai Genovesi, la quale
292
intendeva che fosse sempre la medesima eh' era allora,
ma per assicurar la città e sé stessa da innovazioni,
conoscendo apertamente che di queste non potevano
mancare se le cose di quella città si lasciassero nel
presente e pericoloso stato ; aggiungendo , di voler
questo servigio per mano del Principe Doria, come
n' ebbe degli altri , ed a lui averne V obbligo ; con
questo S. M. potrebbe conchiudere che avea deliberato
con effetto di compiacerlo negli appettiti suoi circa il
contado del Fiesco. Pregava quindi il Ministro che .
S. M. facesse questa deliberazione col Principe e col
Centurioni per mezzo del Grimaldi, ed insistesse con
perseveranza fino all' ultimo, che senza dubbio le vo-
glie sue sarebbero adempiute, perchè il negozio ne
portava seco la istessa facilità, e non gli contristava
che r appettifo dei due predetti (i).
C. — Giungevano le galee, e Andrea Doria, parte
dai numerosi ed intestini e più famigliari nemici com-
battuto, parte dai beni del Fiesco adescato, risolvevasi
air opera; mille uomini chiedeva da Milano a Ferrante
Gonzaga, altrettanti da Firenze al Duca Cosimo dei
Medici, venuti i quali, presentavasi in Senato, espo-
nendo: sapersi come Sua Maestà erasi contentato di
lasciarli in libertà, nella quale aveali mantenuti porgendo
loro ogni aiuto affinchè la si potessero conservare;
che visto aveano tuttavia ciò che dal Conte Fiesco
ed altri cittadini seguaci di lui, si era tentato contro
(i) V. Documenti di Simancas, Doc. cxxvn.
293
l'Imperatore, la Repubblica, e se stesso, e poiché
poco e lieve era stato il castigo si vedevano ora fatti
più insolenti non cessando di pensare è procurare ogni
danno contro il servizio della medesima Maestà Sua, e
porre in continua agitazione quella città, per la qual
cosa divisato aveva sia per provvedere al medesimo
servizio imperiale, sia per pacificare la città, essere
necessaria la riforma della signorìa e degli altri go-
verni, e come allora otto erano i governatori col Doge
non fossero più di quattro, e quattro pure in luogo
degli otto i procuratori, il Consiglio maggiore com-
posto di 400, si riducesse a cento; ed un presidio si
stabilisse di ottocento uomini, é affinchè queste cose
avessero legalmente effetto, la Signoria nominasse una
baUa di dieci o dodici cittadini incaricata di formare un
progetto che venisse dal gran Consiglio approvato, il
quale ancora deliberasse la somma necessaria allo sta-
bilimento e stipendio del presidio.
Però queste riforme se bastavano al Doria per me-
glio assicurare a sé, e a' successori il possesso della
Repubblica; non erano quelle che si chiedevano dai
ministri imperiali al conseguimento di quel fine me-
desimo desiderato con uguale cupidità dal signor loro.
L* Ambasciatore Spagnuolo se ne apriva col Doria ,
dicendogli che la sola fabbrica della fortezza avrebbe
potuto difender la città dagl' interni ed esterni nemici,
col mezzo di cui si sarebbe risparmiata la spesa eziandio
del presidio; ma colui rispondeva che a ciò veramente
avea pensato ma che non gli pareva in quel principio
294
cosa prudente il farne motto per non alterar gli animi,
oltreché richiedevasi tempo e danaro di cui difettavasi;
e r Ambasciatore a siffatta risposta acquietavasi e scri-
vevane ali* Imperatore, essere anch* esso di parere che
vivendo il Doria si poteva per quelle riforme rimanere
sicuri, non cosi dopo la sua morte (i).
Non però dello stesso avviso mostravasi il Gonzaga
d' animo più tristo ed avveduto , geloso , nemico del
Doria per 1 favori di Carlo che gli erano fitte spine
nel core. Saputo il progetto della riforma , scriveva
tosto al ministro Granvela che il Principe accelerava
quella esecuzione , perchè quando S. M. trattasse della
fortezza, vorrebbe trovare il modo di replicare, dicendo,
che lo aver diminuito il numero di quei del Consiglio
fosse bastato. Giudicava quindi non esser bene lasciar
pigliar piede a questo modo di governo, ma che con
quelle ragioni già dette , e le altre che a S. M. e a
sua signoria occorressero, col ritorno di Francesco
Grimaldo si mandasse un gentiluomo al Principe,
dandogli instruzione delle ragioni le quali facevano
che S. M. non tenesse per durabile quel governo e
lo astringesse al fatto del castello, perchè con questo
e col soddisfarlo e compiacerlo di qualche suo inte-
resse , credeva di certo si disporrebbe a far tutto quello
che S. M. comandasse; e perchè, aggiungeva, come
V. S. vedrà, hanno trovata la scusa che di presente
mancavano del modo di poter fare il detto castello,
(i) V. Documenti di Simancas, Dee. cxxv.
295
gli pareva che a questo sì dovesse rispondere che S.,
M. di mala voglia il farebbe esso, perchè non vor-
rebbe che in questo caso si credesse la intenzione
sua essere di soggiogare quella città, che il più ono-
revole per tutti sarebbe che essi il facessero e lo des-
sero a S. M. confidati in lei , che avesse a tenerlo
per fireno d'insolenti e perpetuo stabilimento del go-
verno ultimamente fatto; che se pure insistessero e
volessero che S. M. lo facesse per lei, egli credeva
che non si potesse fare spesa migliore , né di più
gran profitto (ij.
(i) V. Documenti di Siraancas, Doc. cxxvii.
CAPITOLO SESTO
Carlo V vedendo come il ijegozio della fortezza andava fallito, ordina a* suoi
ministri che ne cessassero ogni maggiore istanza con Andrea Doria per non alie-
narne l'animo; quindi per cattivarselo gli assegna le terre del Fiesco, a sé riser-
vati Pontr emoli e Valdetaro ; e il luogo di S. Stefano d* Aveto conceduto ad
Antonio Doria ; aumento di pensione ad Agostino Spinola e nomina del figlio dì
liu a paggio dello stesso Imperatore; assegnamento di 400 scudi annui a Fran-
cesco Grimaldo ; intanto si continuano i raggiri verso il Doria dall' Ambasciatore
Spagnuolo per 1' erezione della fortezza ; Adamo Centurione con nuova proposta
tenta di renderne inutile ogni maggior tentativo; Ferrante Gonzaga con pia
astutd consiglio scrive ali* Imperatore di trattarne col cardinale Gerolamo Doria.
CI. — Per questi avvisi, e queste iterate istanze de'
ministri imperiali che oltre la nuova forma di governo,
e il gagliardo presidio consigliavano la fortezza, né si
tenevan sicuri delle cose di Genova, se non del suo
dominio che solo potea per quella ottenersi , V Impe-
ratore, trattandone pritna coli' ambasciatore del Doria
e vedendo 1' aperta opposizione di questo, sia perchè
del presidio intendeva aver esso il comando, e dopo
di lui Adamo Centurioni coi figli, sia perchè con-
trario deliberatamente alla fortezza, ordinava che senza
abbandonarne il disegno, si procedesse prudentemente
per non inquietarlo, né di Agostino Spinola si trattasse
a capo della guardia perché da lui avversato , né della
fortezza se non a tempo debito e luogo; quindi con-
formandosi al parere del Gonzaga sperando di meglio
297
disporne 1' animo soddisfacendogli di quanto più viva-
mente desiderava, voleva, e con suo sovrano decreto ^
gli assegnava le terre del Conte Fiesco e suoi jfratelli
con la giurisdizione e rendita loro, eccettuati Pontre-
moli e Valdetaro a sé riservati, e il luogo di s. Ste-
fano conceduto per intercessione dello stesso Principe
ad Antonio Doria ; coli' obbligo però di soddisfare alle
ragioni dotali di Eleonora Cibo vedova del Conte Gian
Luigi Fiesco , assicurate sul castello di Cariseto in
Lunigiana , e quello di ricevere da esso V investitura
feudale e prestargli lo stesso omaggio che soleano il
Conte Fiesco e i fratelli.
Quanto all'Agostino Spinola riconoscendo i grandi
servigi resi, e la sua profonda devozione inverso l' Im-
pero, né potendo accomodarlo di alcuna terra dei
Fieschi senza inframmettere odio, e maggiore nimi-
cizia tra- lui e il Doria, decretava che oltre la pen-
sione che avea nello stato di Milano, se gli doves-
sero pagare per ogni mese cento scudi di soldo in
aggiunta del suo ' trattamento , e il figlio di lui si ri-
cevesse a paggio presso l' Imperatore medesimo. L' am-
basciatore Francesco di Grimaldo per l' affezione da
lui dimostrata all' imperiale servizio , per tenerselo
grato, e meglio ancora per i buoni uffizj che avrebbe
fette nel procurare l' edificazione della fortezza ponendo
la sua patria in servitù gli si assegnavano in mer-
cede 400 scudi annui sulle estrazioni della Sicilia (i).
(i) Vedi documenti di Simancas. Doc. cxxx.
298
Intanto secondo gli ordini e la mente di S. M.
dovendosi regolare colla maggior cautela e prudenza,
il Figueroa in Genova destramente esplorava di bel
nuovo r animo del Boria e del Centurione e pren-
deva a dire loro , che sebbene V Imperatore si confi-
dasse interamente nel primo per la servitù ed affezione
che gli avea mostrato in ogni cosa, ed esperienza
che non poteasi meglio desiderare, vero era però che
trattandosi di affare cosi grave, negar non si poteva
la necessità inevitabile della fortezza, col mezzo di cui
soltanto era possibile di conservare la libertà di Gè-
nova, resistendo alla furia popolare e difendendo la
Signoria e la Nobiltà da essa , che ciò e tutto il resto
dipendeva da lui. Rispondeva il Boria che se potesse
darebbe persino a S. M. le chiavi del paradiso, come
quelle di Genova, che lo stesso sarebbe colla fabbrica
del castello, ma di questo proporre al presente non
gli pareva savio senza che andasse in rovina, e ne*
primi fondamenti si distruggesse quanto appena si era
cominciato; che il meglio gli sembrava di attendere
gli effetti della intrapresa riformazione , si facesse
quindi il piccolo consiglio, si stabilisse la guardia, si
procurasse il danaro necessario a mantenerla , impe-
perocchè i seicento uomini che si erano condotti
venivano pagati con danari tolti a prestanza , che in
seguito, se si vedesse non essere bastante il rimedio,
allora solo potrebbesi pensare al castello, comechè era
suo saldo proposito che si assicurasse il nuovo go-
verno colla guardia per cui quella città costantemente
299
rimanesse nel servizio di S. M. Alle quali parole re-
plicando altre cose V Ambasciatore , soggiungeva il
Doria: che il solo pericolo da temersi era quello della
sua morte, ma da quel di 6 novembre al Natale, in
• cui poneasi ad effetto la nuova riforma , poco vi
aveva, e che quantunque in cosi breve termine la sua
morte avvenisse, rimanevano tutta,via molti uomini
dabbene servitori fedeli di S. M. che del resto sapeva
come il Cardinale Doria per mezzo di Don Ferrante
Gonzaga avea inviato ad offerire la città a S. M. pe-
rocché quelli che si trovavano fuori del governo voleano
saperne più degli altri, che ne trattavano gli affari. Il
Figueroa stupito a quei dire sdegnoso e fiero del
Principe, come meglio gli venia fatto, tentò di miti-
garne r animo , certificandolo della molta fiducia che
in lui riponeva l'Imperatore, persuadendolo che pie-
namente ignorava quanto in ultimo gli riferiva; mail
Doria con accento più risentito aggiungeva : — Non
forarlo esso, che sicura notizia ne avea dalla stessa
Imperiale Corte ricevuta.
Il di seguente, recavasi Adamo Centurione in casa
dell' Ambasciatore, narravagli come alla passata notte
avea pensato intorno a ciò che del castello si era
trattato col Principe per la sicurezza di Genova, per
il mantenimento della sua libertà e per conservarla
in divozione di S. M. sopra del quale avvisava che
si poteva operare in maniera che lo stesso Amba-
sciatore significasse alla Signorìa in nome di S. M.
dicendole ch'era questa informata del mutamento di
300
governo che per meglio conservarlo .si era fatto, che
ben le piaceva, ma non lo giudicava ancora sufficiente,
rimedio per sua sicurezza, se non fosse accompagnato
da una fortezza per cui potessero guardarsi e star si-
curi da ogni evento , poiché essendo necessario , po-
trebbero anche venire ajutati da Lei. Proponendosi
la pratica in tal guisa sperava V avrebbero accolta;
se no si avrebbe avuto modo di ricorrere ad altri
mezzi. Rispondeva V Ambasciatore piacerle la proposta,
ma che avea fi'a gli altri V inconveniente che quando
la Signorìa facesse la fortezza e volesse averla in sua
mano, S. M. poco ancora potrebbe rimanerne sicura;
ma, soggiungeva il Centurioni, il più che si ha a te-
mere è il sollevamento del popolo contro la Signoria e
la Nobiltà, che si deve con S. M. favorire contro di
quello, e che per tale rispetto non era sconveniente
che la fortezza restasse nelle loro mani dalle quali
sarla più facile ottenerla dopo che fosse fatta. A questo
giro di parole V Ambasciatore gli chiedeva se di ciò
si era consultato col Principe, e avutane negativa ri-
sposta colla conclusione che non dovevasi però di
nulla trattare finché non si vedesse 1' esito di quello
che si era intrapreso, accorgevasi che tutto si veniva
a risolvere alla medesima sostanza, quantunque per
diversi termini (i).
CU. — Mentre questo accadeva tra T Ambasciatore
Spagnuolo , il Doria e il Centurioni , Ferrante Gon-
(i) V. documenti dell' archivio di Simancas. Doc. cxxxiii.
301
zaga che con più acuto e maligno discernimento
procedeva irremovibile inverso il fine prefisso facea
palese all' Imperatore che il Principe Doria dopo avere
in mercede ottenute le terre dei Fieschi, trascurava di
operare quanto aveva promesso, che era poi suo par-
ticolare disegno di non volere mandar ad effetto la
fortezza ; la quale mancando , darebbe cagione che la
città cadesse in seguito in mano a' firancesi con grave
pregiudizio di S. M. che necessario essendo un rimedio,
poiché la stessa M. S. gli avea commesso quel negozio,
egli ne tratterebbe destramente per mezzo del Cardi-
nale Doria ad insaputa del Principe sino a che si po-
tesse almeno venire a conclusione, e quando per questa
fosse inevitabile il suo intervento, si potrebbe allora
significarglielo con ciò dimostrandogli che non essendo
difficile operare senza esso, sarebbe egli di certo dive-
nuto più arrendevole, né oppostosi a che s'intrapren-
desse quello che mal poteva più impedire (i).
(i) V. documenti di Simancas. Doc. cxxxvi.
CAPITOLO SETTIMO
Tumulti di Napoli contro l'Ufiizio della S. Inquisizione voluto introdurvi da Carlo V;
fiotta sotto gli ordini di Marco Centurioni che vi naviga con proporzionate forze
per sedarli; l'Imperatore meglio avvisato rinuncia al suo disegno; congiura contro
Pier Luigi Farnese Duca di Parma e Piacenza e suo assassinio ; brutta parte che
vi prendono Ferrante Gonzaga e Andrea Doria; ipocrisia di Carlo V.
CHI. — Finora troppo più di quello che facea di
mestieri io mi intrattenni intorno ai diversi particolari
che la lamentevole istoria compongono del governo
dal Doria istituito nell'anno di 1528. Prefisso mi era
di raccoriitare ciò che tacciuto o per ignoranza, o per
parzialità veniva dagli storici nostri che scrivevano di
quei tempi, giovandomi dei nuovi documenti prodotti
in luce, colla scorta de' quali ho diligentemente tes-
suta la mia narrazione; se io non erro potei provare
che fra il cozzo delle diverse ambizioni degli antichi
Nobili venuti al governo , tutti pretessendo V amor
della patria, non vi era però alcuno di essi che
non divisasse di occuparne il dominio soggiogandola
allo straniero cui vilmente serviva e si obbligava ad
ogni più vergognosa condizione purché gli venisse
conseguito V intento , e lo straniero accorgendosi di
quelle trame, e bene conoscendone le arti, tutti gli
305
adoperava, e di tutti faceasi scherno, promettendo, e
le promesse violando, e quelli sgannati intanto segui-
vano a tramare e congiurare per dimostrarsi potenti,
riescire pericolosi, se non tanto da prevalere nell' am-
bito proposito, da offerirsi almeno a mercato più van-
taggioso e divenire più caramente comperati con da-
nari, con onori, e con terre a spese e pregiudizio della
Repubblica; qui stava e riponeano essi V amore e la
libertà della patria.
Questo posto avendo in chiaro, dalle interne divi-
sioni passo al racconto degli esterni avvenimenti che
sono a quelle connessi, e ne davano loro lo stimolo
e r esempio.
CIV. — Il volersi stabilire in Napoli da quel Viceré
D. Pietro di Toledo l'uffizio dell'Inquisizione colle
forme e col disegno che si era seguito in Ispagna,
mosse a tumulto il popolo, e cosi gravemente che il
presidio Spagnuolo collo stesso Viceré credettero per
la meglio di ritirarsi nei castelli donde colle artiglierie
e colle sortite menavano strage dei Napoletani; i
quali sdegnati,- già più dell'obbedienza all'Imperatore
non serbavano che le apparenze; reggendosi con
gov^no indipendente. Il Viceré, scarso avendo il pre-
sidio, insufficiente per difesa, quindi esposto in breve a
mortale pericolo, ebbe ricorso ad Andrea Doria per
efficaci e pronti ajuti. Avea questi il governo delle
venti galee, ma sprovvedute d' uomini e di materiali,
perocché nella notte della congiura, turchi e forzati
condannati al remo si erano fuggiti, quelli in Barberia
304
sopra la galea Temperan:(ay questi riparando alle mon-
tagne tagliate aveano le catene, di tavolati e di cor-
redi privati li scafi sicché per riordinarle, ed armarle
si richiedeva un' egregia somma di danaro, della quale,
come soleva, difettando il Doria volgevasi ad Adamo
Centurioni che gliene faceva comodità, pronto sempre
a soddisfarlo, e tenerselo obbligato che cosi a lui di-
visava succedere nel primato della Repubblica come
il figlio suo Marco Centurióni succeduto era all'ucciso
Gianettino Doria nella luogotenenza e direzione delle
galee. Infatti sotto il governo di colui navigava la squadra
in prima al golfo della Spezia imbarcando le genti che
il Governatore di Milano aveavi spedito dalla Lom-
bardia, indi a Foce d' Arno, per pigliare al suo bordo
alcune milizie fiorentine di Cosimo de' Medici; infine
giunta a Napoli ne rinforzava il presidio tenendolo
abbastanza sicuro per tutto quel tempo che stettero gli
ambasciatori a ritornare da Madrid dove la città di
Napoli aveagli inviati per comporre coli' Imperatore
il negozio dell' Inquisizione , e scusare il moto popo-
lare che vi avea data cagione. Tornati che fiirono,
recando la composizione per cui non più dovea intro-
dursi l'uffizio inquisitorio, perdonavasi la città eccet-
tuati venti de' capi del tumulto, e pagarsi dovevano
2o/mIla scudi di emenda; ciò seguito Marco Centu-
rioni colle 20 galee veleggiò verso di Genova.
CV. — Intanto ferveva la guerra in Germania de'
Cattolici contro i Protestanti; Carlo V combatteva
questi e vincevali facendo prigionieri 1' Elettore di Sas-
305
Sonia ed il Langravio d' Assia sulle rive dell'Elba; indi
con iscaltrite arti di stato per non porsi a discrezione
de' Cattolici, e tenere specialmente in isgomento il
Pontefice e meglio indurlo a suoi fini , lusingava i
Protestanti, e nelle diete di Augusta fingeva volere
trarre le due parti ad una conciliazione, mentre della
C'esca vittoria giovandosi e dell' acquistata potenza ,
costringeva i Principi e le terre fi*anche alle spese di
un esercito di 20/mila fanti e 4/mila cavalli che l' Im-
pero e li Stati di Casa d' Austria con una forte lega
fi:a di loro difendessero. Alla stregua dei prosperi
successi insaziabili facevansi le ambizioni sue, sicché
fu detto eh' egli abbracciasse la monarchia universale.
Dell'Italia, dove di questa volea recare il centro, po-
neasi intanto ad allargare i confini, e le diverse città del
Ducato milanese fortificava colle artiglierie trasportate
dalle germaniche terre per esso occupate, presidiavale
con fanti spagnuoli sopra i quali facea fondamento di
maggior fedeltà; e disegnando crear Duca di Milano
il proprio figlio Filippo richiedevale che giurassero a
favore di quello e di lui. In tutti questi immoderati
suoi fini avea per consigliere, aiuto, e maestro Fer-
rant& Gonzaga, il quale come Genova studiavasi di
porre sotto l' immediata signoria dell' Imperatore, così
volea fare di Parma e Piacenza. Che se il primo di-
segno non gli riuscia per l'astuzia del Doria, per le
ricchezze di Adamo Centurioni, che coli' egregie somme
di danaro imprestate a Carlo V lo si tenne obbligato
per modo che non ebbe animo d' inimicarselo, ed in-
20
3o6
fine per V odio agli spagnuoli del popolo genovese, e
della stessa nobiltà divisa in vecchia e nuova, di leg-
gieri invece gli venne fatto di ottenere colà il secondo
intento, mentre la nuova e mal ferma Signoria Piacen-
tina vi era odiatissima dalla Nobiltà, sola potente, cui
come vassallo obbediva il popolo, la quale avendo il
Gonzaga dalla sua parte più non trovò ostacolo. Dirò
del modo che tenne con qualche ampiezza di parole
perocché il fatto va collegato alle cose di Genova in
questi tempi accadute.
evi. — Il Pontefice Paolo III smembrava dagli
Stati della Chiesa Parma e Piacenza, aggiuntele da
Leone X, formandone un Ducato per il figlio Pier
Luigi Farnese V anno 1545. Egli ne riceveva la in-
vestitura, ma l'Imperatore non la ratificava. Il Duca
avea di fironte la nobiltà e il popolo , la prima forte
per i feudi e le castella che possedeva, avezza a vita
libera e sciolta perocché lontana dalla principal sede
del governo, sicura dei legati che vi si mandavano
da Roma , facili ad essere corrotti da lei ; il popolo
invece misero e servo, taglieggiato da' Nobili. Il Far-
nese credette far suo fondamento anzi sopra di quello
che su questi, quindi leggi e decreti tutti informati ad
abolizione dei privilegi , ad uguaglianza di tributi e
d' imposte , a proteggere i poveri contro i ricchi e
potenti, a snidar questi dalle loro rocche, obbligandoli
all'abitazione in città. Fin qui, era un fi-eno e potea
aver sembianza di giustizia , ma V imprudente ed avido
Duca non si tenne pago a ciò e volle trascorrere al-
307
r usurpazione e all'oppressione; toglieva Cortemag-
giore ai Pallavicini , Castel S. Giovanni agli Sforza
parenti suoi, Paviglio ai Gonzaga, il possesso di Ro-
magnese ai Dal Verme, e tentava di rapire la terra
di Brescello al Duca di Ferrara. Precipitavasi nello
stesso tempo a parte francese , rendeasi complice de*
Fieschi , e degli Strozzi e gli uni e gli altri ajutava
contro il dominio imperiale in Italia. Di queste sue
macchinazioni si acquistavano notizie dapprima, e certe
prove dappoi dal Ferrante Gonzaga, che volea perderlo,
e ne aveva istruzioni dall' Imperatore che gli scrivea
in seguito a relazioni a lui fatte addi 14 gennaio del
1547: Che lo Stato di Parma e Piacenza essendo di
molta importanza per T Impero, di grande utilità sa-
rebbe se si potesse fare pratiche per impadronirsene,
ma procedere si dovesse con simulazione e secreto;
ricordando che a Pier Luigi non mai gli venne ac-
cordata r investitura di quelle terre, né mai conceduto,
né fatta cosa per cui se ne potesse dedurre pregiudizio
alcuno alla natura del feudo, o diritto del sacro im-
pero , tanto più che poca sicurezza e confidenza si
davea avere in questa gente dei Farnesi, specialmente
per le pratiche e intelligenze che tenevano colla Francia,
la ricuperazione e riunione delle quali terre all' antico
Stato, sarebbe un freno all' ambizione firancese, nonché
il vero mezzo per il sostentamento e conservazione
del Ducato milanese, e per gli altri potentati d' Italia,
tanto più che il Duca di Firenze gli era per devozione
e fede soggetto. Pertanto procedesse avanti nelle pra-
3o8
tiche che gli accennava dove avessero vero fondamento,
ed altre ne intraprendesse, guadagnando sempre gente
come andava facendo al proprio disegno, di guisachè
sopravvenendo alcuna buona congiuntura o di sede
vacante od altra di cui si potesse giovare, il tentativo
mostrandosi opportuno, si avesse modo di mandarlo
ad effetto (i).
Invano dissimulava il Farnese, e avendo con potente
mano, data opera alla congiura di Gian Luigi Fiesco
credeva di mostrarsene inconsapevole, o almeno non
partecipe, consegnando al Doria i complici di quella,
postisi in salvo nelle terre del suo ducato ; invano alle--
gava di voler conservate all' Impero le castella e i
feudi di Valdetaro e Calestano da lui occupati dopo
il fallito tentativo, mentre seguitava a congiurare coi
superstiti fratelli Ottobono e Cornelio Fieschi, e ac-
coglievali presso di sé, e somministrava loro d' accordo
colla Francia ajuti d' uomini e di danaro. Il Gonzaga
esplorandone qualunque operazione stava al varco per
coglierlo e vedeva armarsi poderosamente il Farnese
in Cortemaggiore sotto pretesto di decidere colle armi
una contesa col comune di Cremona per le ghiare del
Po, e poco dopo per quella del Romagnese dar com-
missione di 8 mila archibugi alle fabbriche bresciane,
dei .quali solo 5 mila gli consentiva il veneto governo;
a questi apparecchi Ferrante Gonzaga facea formida-
bile massa di gente in Bobbio e ricorreva all'insidie,
(i) V. documenti dell' archivio di Simancas. Doc. xxxvi.
309
proponendo a Carlo V di occupare Piacenza per mezzo
di un tafferuglio di due suoi malandrini, che avrebbe
fatto nascere alle porte di quella città ; poi, suggeriva
uno stratagemma ancora più laido per rubare Parma;
Carlo, sebbene non fosse migliore del suo Ministro,
sentiva che la dignità del sovrano per arti si svergo-
gnate, ne andava di mezzo, né il cuore di padre (che
qualche fiata sei rammentava) gli bastò di vedere
esposta a grave pericolo Margherita sua figlia moglie
di Ottavio figlio di Pier Luigi; quindi disdisse le
proposte ; Ferrante non indietreggiava per ciò, stu-
diava di barattar Siena con Parma e Piacenza spe-
gnendo cosi quella generosa Repubblica, e togliendola
agli artigli di Cosimo de' Medici che già stavano per
ghermirla. Ma la condotta e la leggerezza di Pier
Luigi lo liberava dall' attendere a siffatti disegni por-
gendogli il destro di soddisfare con maggiore agevo-
lezza air iniquo proposito. Aveva il Duca dato prin-
cipio alla fabbrica di un castello, e pensando non ancor
quello bastante alla propria sicurezza, volevane un altro,
lamentavano i Piacentini la detestata opera agli avanzi
di una morente libertà esiziale, ma più la nobiltà per
i particolari rancori nemica del Farnese ne menava
scalpore, e le ire popolari infiammava ; Ferrante vide
alfine giunto propizio il momento e coli' animo pronto
e feroce si diede ad afferrarlo ; mandò tosto Luigi
Gonzaga per tentare il cuore di Giovanni Anguissola
che già congiurava, e aspettava tempo e modo per dar
compimento al tentativo, l' erezione della nuova rocca
310
ne troncò gì' indugi, e indettatosi cogli amici ne scal-
dava r animo, e deliberavali allo scoppio ; Ferrante
dava avviso all'Imperatore (13 Giugno 1547): tutto
essere pronto ; i congiurati non altro chiedere, preso
il Duca ed occupata la cittadèlla, che un po' di gente
per difesa della terra ; non potersi por tempo in mezzo,
già il Papa trattar di cedere Parma e Piacenza alla
Francia ; vedesse l' Imperatore supremo il momento,
grave il pericolo. Colui assentiva, ma ipocritamente
raccomandava non si ponessero le mani sul Duca
(12 Luglio 1547). Il Ferrante che avea divisato di*
volerlo nelle sue ne commetteva l'arresto a Luigi
Gonzaga, e al milite Gazzino ; patti erano che i con-
giurati oflBrirebbero la città a Carlo V, con questo che
fossero banditi i beni degli Ottimati avversi all'Im-
pero, e che seguito il fatto, non si tenesse conto dei
morti, e delle spogliazioni di quel di, ma tutto si ri-
tenesse di buona preda; locchè significava che impu-
nemente dovevasi assassinare il Farnese. Intanto An-
nibal Caro inviato dal Duca in Milano , scrivevagli
addi 17 Luglio di quello anno 1547. Di qua siamo
odiati, invidiatiy sospetti. Si desidera di nuocere alle cose
di V. E., e forse n' é stato fatto il disegnch.
C VII. — In questo due nuovi personaggi entravano
in iscena a rendere più ignominioso lo spettacolo, di-
mostrando come lo straniero servivasi degli odj inte-
stini a svergognare nonché a signoreggiare l'Italia,
Siccome Andrea Doria vendicavasi col rapire le galee
pontificie, dell'eredità di Visconte Doria contrastatagli
da Paolo III, cosi adesso voleva trarre vendetta della
complicità di Pier Luigi Farnese nella congiura di Gian
Luigi riesco , e della uccisione dell' addottato Gia-
nettino; quindi fin da i.° Febbrajo 1547 scriveva al
Principe Filippo che ogni di si andava più scoprendo
quel trattato della congiura del Fiesco essersi fatto in
Roma con consulta del Cardinale Farnese e notizia
del Papa e del Duca di Piacenza e con intelligenza
de' Francesi sicché, si soggiungeva, consi-
derasse S. A. se queste erano opere del medesimo
Vicario di Cristo (i). E poiché Paolo III scolpavasi
coli' Imperatore dichiarandosi affatto inconsapevole
delle macchinazioni dei Fieschi, il Doria con sua let-
tera del 19 Marzo ne smentiva le asserzioni e soste-
neva r affare delle galere del Papa accordate al Fiesco
essere stata una compra simulata, e tutto proceduto
d'accordo tra lo stesso Papa, il Duca suo figlio, e i
Francesi (2). E più specialmente addi 20 Aprile
« che il Duca di Piacenza teneva la gente
» sua pronta per dargli soccorso con quattromila fanti,
» secondo gli avea promesso, ed è da presuponere
» con ragione, che non fosse senza noticia ed intel-
» ligencia del Papa con la evidencia de la andata in
» persona, la estate passata, del détto Conte a Roma,
» et li ragionamenti del Cardinal Farnese et altri av-
» visando V. M. che ancora adesso Scipione fi^atello
» .minore del detto Conte si tiene in Roma residente
(1) V. Documenti dell' Archivio di Simancas, Doc. Lxviii.
(2) V. Documenti come sopra, Doc. lxxxv.
312
» in casa della Marchesa di Massa, il quale può es-
» sere intrattenuto a diversi oggetti, come V. M. pru-
» dentissima meglio di tutti* saprà considerare, essendo
» già pochi giorni che fii chiamato in Roma, et non
» si mostra, se non che va di notte secretamele ac-
» compagnato da ministri del Papa medesimo ; et le
» galere sono pagate al solito, non ostante stiano nel
» porto^ et quello che si avanza del soldo va in be-
» nefizio delli Fieschi, et li danno anche V entrate del
» borgo di Valdetaro et di Calestano (i). »
Ed infine addi 29 Agosto informava il Gonzaga
come i Fieschi avessero coli' ajuto di Francia e del
Farnese riannodate le fila dei loro disegni , e che il
Duca di Piacenza non cessava d' incitare, e far tutto
il peggio che poteva (2).
CVIII. — Ma qui fira il Doria e il Gonzaga rime-
scolavansi le consuete rivalità, il secondo nella sozza
impresa da lui da molto tempo ordita non volea com-
pagni, né dividere con altri il merito e il fi-utto del
meditato assassinio : il Doria oltre la vendetta che co-
vava, portava ancora speranza che chiarito il Farnese
reo dinanzi all' Imperatore avrebbe potuto trarre pro-
fitto dalla decadenza dei feudi di Valdetaro e Cale-
stano, sicché prima dell'ultima sua lettera si era posto
d' accordo con Girolamo Pallavicini di Cortemaggiore
bandito dal Farnese, e col conte Laudi, il quale spe-
cialmente confermava nel proposito della congiura,
(i) V. Documenti dell' Archivio di Simancas, Doc. xciv.
(2) V. Documenti come sopra, Doc. cxvi.
313
con promessa eziandio di soccorrerlo e d' interporsi
presso di Cesare, perchè ne ritraesse quel guiderdone
che una cosi grande azione meritavasi ; anzi scrive il
Casoni essere corsa fama che il Doria promettesse
fino al Laudi per bene premiarlo di cosi grande a:(ione
di dargli per nuora la sorella del morto Gianettino
Doria, con una dote di contanti assai ragguardevole:
La qual cosa,zggìungQ lo stesso Annalista, é stata da
molti creduta, cosi perché il suddetto matrimonio poco dopo
segui, come ancora, perché Andrea eh' era nella vendetta
assai caldo, succeduta la morte del Duca Pier Luigi,
scrisse una lettera di condoglien:i^a al Pontefice, quasi
con quelle medesime frasiy colle quali già quegli si era
seco condolso della morte di Gianettino (i).
Certo è che il Doria insieme con D. Alvaro De'
Luna castellano di Cremona, offerivano anch' essi la
città di Piacenza a Carlo V, promettendola sulla pa-
rola e la fede di Girolamo Pallavicini e del conte
Laudi. Carlo della novella trama dava notizia a Fer-
rante, il quale vedendosi turbato il disegno, né com-
portando che altri più vi si mescolasse, conchiudeva
nuovi patti coi congiurati, e li stimolava ad affrettare
il colpo, mentre fingeva 1' addolorato, e pregava si ri-
spettasse almeno la vita del figlio Ottavio allora ignaro
d' ogni cosa giunto in Piacenza, senonchè, poco dopo
partito, i capi della congiura Pallavicini, Laudi, An-
guissola e Gonfalonieri rimasti liberi, ed impazienti di
(i) Annali della Repubblica di Genova, Ann. 151.7, lib. V,
pag. 200.
raggiungere il fine, e ridomandato V obblio delle vit-
time, richiesta per patto la riduzione del censo, più
non pensarono che a compiere V impresa la quale in-
fatti ponevasi ad effetto il mezzodì del io Settembre
del 1547; r Anguissola balzato con due compagni nelle
stanze del Duca lo stese pugnalato a terra. I congiu-
rati alzato il ponte si erano impadroniti della Rocca,
la quale mostravasi tutta in iscompiglio ; la fama del
fatto era tosto corsa per la città, il popolo che amava
il Duca si levava a tumulto , il Terni capitano del
Farnese con mille fanti accorreva, e i congiurati ver-
savano in grave pericolo, quando preso il cadavere
deir assassinato lo mostrarono al popolo, e siccome
questo ancora ne dubitava , lasciaronlo cadere nella
fossa affinchè cessasse in lui ogni dubbio, e per cat-
tivarselo gli abbandonarono a saccheggio la cittadella,
lusingandolo colle grida di libertà; il Terni fu per-
suaso a desistere da ogni difesa per colui che più non
era. Intanto lo sparo del cannone avvertiva Lodi e
Crema che V assassinio era compiuto ; D. Ferrante
n' ebbe subitamente V avviso, e accostossi alla città, e
D. Alvaro de' Luna, colui che con Andrea Doria aveala
offerta a Carlo V accorreva in nome di questo ad oc-
cuparla. Due giorni dopo vi entrò il Gonzaga coi
profughi piacentini ; non so se più iniquo od ipocrita,
mostrò dolore, domandò conto del cadavere, lo fece
disseppellire, e di nobili arredi ricoperto, riporre in
cassa munita del suo suggello; perchè venisse recato
nel tempio della Madonna di Campagna. Imitandone
315
r esempio Andrea Boria ne scrisse lettera di condo-
glianza al Pontefice padre dell' assassinato, ma serven-
dosi delle stesse firasi di quella a lui scritta, come narra
il Casoni, per la morte di Gianettino; alla vendetta
aggiungeva ìa derisione ; cosi Pier Luigi Farnese con-
giurava per Francia con Fieschi contro il Doria colla
morte di Gianettino, cosi Andrea Doria per l'Impe-
ratore congiurava con Landi, Anguissola, Pallavicini,
e Gonfalonieri contro il Farnese colla morte di lui;
cosi tra Carlo V e Francesco I pendevano le misere
sorti d' Italia, e Piacenza, Parma e Genova venivano
trattale da coloro che millantavansi di esserne i libe-
ratori! Ritorno alla storia di Genova.
CAPITOLO OTTAVO
Pratiche tenute dal Gonzaga col Cardinale Gerolamo Doria per ottenere lo scopo
della fortezza; ragguagli che,<«e scrive all' Imperatore intorno al suo abboccamento
collo stesso e ai consigli dal Cardinale suggeriti per rendere a Carlo V più £adle
il dominio di Genova ; Congiura di Nicolò Doria figlio del Cardinale , coi fratelli
Fieschi, e di concerto colla Francia ; essendo scoperta, Niccolò si salva colla fuga;
avviso di essa del Gonzaga all' Imperatore ; complicità di Paolo Spinola nella
congiura de' Fieschi; essendo per le sue lettere scoperta, riesce a mettersi in si-
curo in Venezia ; lettera di lui scritta da Venezia al Doge , Governatori e Pro-
curatori della Repubblica.
CIX. — La quale città se il Doria aveva deliberato
di volerla per se, e la propria famiglia. Ferrante Gon-
zaga voleva come Parma e Piacenza assoggettarla al-
l' Imperatore, e poiché i tentativi da lui finora pro-
vati, tutti per r accortezza del Principe, e le ricchezze
del Centurioni andavano falliti volgevasi ad altro spe-
diente ed ampio glielo somministravano i maligni umori
che nella Repubblica e nella stessa famiglia di Andrea
ribollivano contro di questo. D' uopo era al Gonzaga
vincere il partito della fortezza, e di un forte presidio
sotto il comando di Agostino Spinola cagnotto di
Carlo V; invano avealo tentato fino a quel di; ora
si appigliava a nuovo mezzo. Era un Girolamo Doria
3^7
discendente dal famoso Lamba Doria vincitore de' Ve-
neziani a Curzola nel 1298, e capitano di Genova, il
quale, essendogli morta la moglie Luigia Spinola,
postosi nella carriera ecclesiastica veniva insignito del
Cappello Cardinalizio. Trovandosi ancora ammogliato
interveniva nelF anno di 1528 fra i dodici Riformatori
che le leggi decretavano di quel governo le quali a grande
potenza innalzavano Andrea. Il Cardinale Gerolamo
avea con quattro figlie avuto dal suo matrimonio colla
Spinola un unico maschio per nome Niccolò che spo-
sava a Camilla Fieschi figlia di Sinibaldo, e quindi
sorella di Gian Luigi e degli altri fratelli di costui.
Dopo accaduta la congiura il Cardinale Gerolamo ve-
dendo come Andrea procedesse contro la famiglia Fie-
sco con brutta ingordigia e con inaudita ferocia, in-
dustriandosi a far comparire un mostro il cognato del
figlio, e fratello della sua nuora, gli parve che non vi
essendo tutta in esso né la ragione, né la sincerità,
gli mancasse ancora di riguardo, e alla ingordigia delle
terre dei Fieschi, e alla premeditata ferocia per ispo-
gliarneli e perseguirli si aggiungesse pure la trascura-
tezza e il disprezzo per coloro che aveano cooperato
alla sua grandezza, sicché andandogli innanzi in ric-
chezza che ricchissimo era, ed in nobiltà perocché di-
scendente dal più glorioso ramo dei Doria, studiò modo
a rovesciarlo di queir altezza, cui egli stesso con altri
mal cauti aveanlo elevato. Il Gonzaga avutone sen-
tore non mancò di tramestarvisi per trarne profitto,
proponendosi per esso di ottenere ciò che altrimenti
3i8
non gli era riuscito ; ne fece pertanto destramente ten-
tare r animo e in ispecialità sopra il fatto della for-
tezza, e ne raccolse : che « il Cardinale era tanto
inclinato e sviscerato al servizio di S. M. quanto
si potesse dire, desiderosissimo di vedere la patria
sua stabilita nel servigio di quella e sotto V ombra
sua. Quanto allo stato presente, diceva, di conoscere
manifestamente che vi moltiplicavano tuttavia tristi
umori, non avea quiete se non apparente, e quella
forma di governo non gli pareva in alcun modo
durabile, e che sebbene la fortezza fosse il migliore
e più fermo modo che si potesse trovare per assi-
curarsene, nondimeno non gli pareva che si dovesse
proporre, né tentar ora cosi ex-abrupto cosa di
tanta importanza, e che porterebbe tanta ombra e
gelosia al popolo di volergli occupare la libertà;
né potria questa domanda farsi mai tanto modesta,
tanto coloritamente che non fosse per causare una
generale mala soddisfazione. Ma, per cominciar da
più basso, pareva al detto Cardinale che S. M. do-
vesse per ora procurare di avere la città e fortezza di
Savona, la quale essendo vicino a Genova XXV mi-
glia, et su la marina, e di tanta importanza a quella
città, che si era veduto sempre quelli essere padroni
di Genova che lo erano stati di Savona, e se non
assoluti, almeno tanto molesti, che si era veduto
manifestamente nei tempi passati che Genova non
avea mai potuto vivere con quella stecca negli oc-
chi. Questa cosa al parer suo sembrava più &cile
319
» da ottenere e meno scandalosa ; ed ottenuta questa,
» se si fosse veduto poi non bastare, si poteva ten-
» tare anco T altro rimedio della fortezza in Genova.
» E neir uno e V altro caso il detto Cardinale prò-
» metteva, e si offeriva confidentemente, di favorire
» con li dipendenti suoi il servizio di S. M, con tutte
» le forze e con tutta T autorità sua, poiché sebbene
» il principe Doria fosse servitore di S. M. nondimeno
» si vedeva chiaramente eh' egli procurava tuttavia più
» il particolare interesse, che il serviT^io imperiale, e la quiete
» della Patria. Il modo poi d' incaminare questa pare
» a lui che sia che V. M. per dar maggior autorità
Mi al fatto, mandi un suo a posta, che con l'ambasciator
» Figueroa proponga e tracti il negozio. Ma sopra
» tutto desidera il detto Cardinale che di questi par-
» ticolari che escono da lui ne sia fatta riserva e sieno
» tenuti secreti ; perchè, riuscendo o no, egli non
» abbia a restarne sullo stomaco al popolo; ed ap-
» presso che queste feste di Natale sotto colore di
» venire a visitare una sua figliuola a Valenza di
» Lombardia, vederà di abboccarsi in ogni modo
» meco in qualche luogo o su qualche caccia, mos-
» trando che sia all' improvviso per dare manco so-
» spetto che sia possibile, e se altra cosa resterà
» da risolvere, o discorrere si farà allora tra noi;
» e che fratanto mi terrà diligentemente avvisato ciò
» che alla giornata si andrà scoprendo degno di no-
» tizia; acciochè io ne possa avvisar la M. V. , o
» farne le provvisioni che da me potranno uscire ».
320
Cosi scriveva Ferrante Gonzaga ali* Imperatore il Di-^
cembre del 1547 (i).
ex. — Mentre in tal guisa il padre congiurava col
Gonzaga contro Andrea Doria e propone vasi il modo
perchè la Repubblica più facilmente venisse assogget-
tata air Imperatore, il figlio di lui Niccolò congiurava
col Cardinale De Bellais contro lo stesso Doria af-
finchè fosse sottomessa a' Francesi. Niccolò Doria,
fornito di molte ricchezze, e di gran seguito nella città,
come già dissi era cognato dei firatelli Fieschi, avendo
a consorte la sorella loro Camilla, egli ne aveva ab-
bracciate le parti, e continuava con Ottobono e Cor-
nelio Fieschi ad esser loro unito in tutti i tentativi
che tuttavia facevano, diguisachè fin dal gennajo dello
stesso anno di 1547 veniva per avviso di un agente
segreto, indicato da Piacenza come complice delle trame
ed intelligenze che i Fieschi seguitavamo a mantenere
in Genova e col Duca Pier Luigi Farnese (2). Nei primi
mesi del 1548 una grande ragunata di genti facevasi
segretamente ai confini di Modena e Reggio, e sem-
bra fossero destinate all' esecuzione del trattato che il
Niccolò Doria teneva col nominato Cardinale De Bel-
lais, cui il Papa e il Cardinale Farnese di lui nipote
consentivano ; nel tempo istesso che quelle genti si
raccoglievano, licenzia vansi da Bologna 300 fanti, che
congiunger do ve vansi con esse. U ambasciatore Fi-
(i) Vedi Documenti dell* Archivio di Simancas. Doc. cxxxvri,
pag. 223.
(2) Vedi Documenti dell' Archivio di Simancas, V. Doc. Lxn.
32.1
gueroa venuto intanto a cognizione del trattato, com-
municavane la notizia alla Signoria, che citato il Doria
a comparire assentavasi improvvisamente dalla città.
Ferrante Gonzaga avvisato di Questo ne scriveva al
Cardinale, il quale rispondeva che voleva farlo presen-
tare; ma non prestandovi egli fede, sebbene si. fosse
servito di lui per abbassare V autorità del Principe ed
agevolare il negozio della fortezza, significava all' Im-
peratore da Vigevano addi 9 marzo del 1548, che il
citarlo era stato uno stesso di avvertirlo che se ne
doveva fuggire e piacesse a Dio che qui cessasse il
male, e non fosse uscito di Genova un nuovo Strozzi.
Quanto al volerlo presentare che prometteva il Car-
dinale padre, conchiudeva : Se lo farà, sarà con tal si-
cure:(p^a che non ci sarà chi abbia animo di mirarlo, non
che far altro, e tanto più si verrà in cogni/^ione della
poca parte che ha V. M, in Genova ; la qual cogni:(ione
potrebbe generar di molti mali (i).
CXI. — Nel medesimo tempo o poco innanzi sco-
privasi la corrispondenza che coi Fieschi , e il Duca
Farnese intratteneva Paolo Spinola. Gli Spinola erano
tutti nimicissimi di Andrea Doria, ma divisi in due •
rami di S. Luca e di Luccoli, il primo di essi avendo
a capo il capitano Agostino cospirava cogli Adorni
per sottomettere interamente la Repubblica a Carlo V,
ponendosi in luogo del Doria al governo di questa,
(i) Vedi Documenti come sopra, V. Doc. cxxxix. Nota,
pag. 228-229.
2t
322
il secondo cui apparteneva Paolo Spinola parteggiava
per Francia. Sorprese le lettere di lui, recaronsi dal-
l' ambasciatore Figueroa ad Andrea Doria, e ad Adamo
Centurioni, i quali mostravansi già consapevoli. del fatto,
di cui avevano ricevuta communicazione da un fratello
dello stesso Paolo con affidamento di non fargli alcun
danno ; però dicevano esser questa pratica e intelli-
genza nuova, e che in cosa di siffatta qualità non si
poteva procedere all'arresto di sua persona senza darne
parte ai due supremi sindacatori, che ciò fatto, la se-
guente notte sarebbesi spiccato 1' ordine dell' arresto.
Ciò nondimeno si attesero due giorni, e intanto av-
visato lo Spinola si salvò colla fuga. Condottosi a
Venezia e colà riunitosi agli altri fuorusciti scriveva
poscia addi 6 Aprile del 1548, un'assai minacciosa
lettera al Doge, Governatori e Procuratori della Re-
pubblica che sebbene già pubblicata dal Sig. Avvocato
Edoardo Bernabò Brea (i), è pregio di queste istorie
di qui riferirla :
(( All' Ill.mo et Ecc.mo Duce Mag.*'* Sig.'' Guber-
» natori e Procuratori della eccelsa Republica di Gfr-
» nova.
» Ill.mo Sig." Duce Mag.*"* Sig.'' Gubernatori e Pro-
» curatori. Havendo le V. S. fatta fare per una pub-
» blica grida eh' io fra termine di uno meise me do-
» VQSSQ a presentare a render conto de' fatti miei,
(i) Sulla Congiura del Conte Gio. Luigi Fieschi, Documenti
inediti raccolti e pubblicati dall' Avvocato Edoardo Bernabò Brea,
pag. 135-
323
» altrimenti se intendese ch'io fiissi vostro ribello,
» sotto la pena contenuta nel bando, e non essendomi
» detto bando prima di adesso prevenuto alle orecchie,
» sono constrecto de far nova suplica a quelle pregando-
» le, come persone giuste quale presupongo che siano,
» che vogliano prima farmi gratìa di prolongare il
» termine e conciedermi giusto spatio e competente
» de puotermi a presentare, riponendomi nel primiero
» stato, non altrimenti se il bando fussi andato al pre-
» sente. E perchè conosco manifestamenti che in tutte
» le città sono delli maligni, massime in la Vostra
» che n' abbonda più che tutte V altre, essendovi in-
» finiti contrarli alla virtù, alla quiete, e alla libertà
» del Vostro eccelso dominio, di maniera che li po-
» veri Cittadini non hanno ormai altro di libero se
» non il nome, e colui che fussi assicurato da V. S.
» HLme, sarebbe sicuro solamente di nome e non di
» fatti, però è cosa necessaria che li homini si assi-
» curino con migliori cautele da quelli che nella città
» manifestamenti hanno occupata la libertà, che dalla
» Repubblica stessa, tra quali tenendo Andrea Doria .
yf il principato ed essendo principe in facti e nome,
» havendo più autorità e forse maggiori che non
» hanno. le S. V. Ill.me massime conoscendolo in
» eflfetti nemico capitalissimo di tutta la nostra fami-
» glia, pertanto le suplico che volendomi fare la prima
» gratia, mi facino anche la seconda da farmi bavere
» il salvo condocto e libero reducto espedito d' ogni
» molestia, travaglio palese e occulto, directe ed in-
324
» directe, per se e per altri che dependessero da detto
» Andrea Doria. In oltre perchè con vostra e mia
» vergogna manifestamenti si vede che la Sacra Maestà
» de r Imperatore si piglia più cura e pensiero di detta
» Vostra Città che s'ella fussi sua sugietta anzi schiava,
» e in nome amico e in effetti è padrone e signore, però
» essei;ido io forsato a passare per il paese de detto im-
» peratore, volendo de qua venire nella Città Vostra,
» per questo le suplico a farmi havere vero salvo con-
» ducto da Don Ferante suo luogotenente generale in
» ItaUa del medesmo tenore e substantia delli altri. E
» per fornir la mia Suplica, havendo inteiso che contro
» ogni iustitia e fiiori d'ogni costume e antiquo uso TUf-
» ficio di San Georgio à intromesso la sua autorità in
» detto bando, però saranno contente farmi havere uno
» salvo conducto del medesmo tenore delli altri da detto
» Ufficio, li quali salvi condocti havuti e ricevuti da
» subito mi verrò a porre nelle mani Vostre per remet-
» termi al Vostro buon iuditio, sapendo che non sarà
» contaminato d'altrui malevolenza, havisando quelle
» che se bene ritracto mi sonno in Venetia e congiun-
» tomi al numero delli altri fuorusciti, questo solamenti
» è facto per sicurtà della mia propria vita e non per
» contrafare e oppormi ad alcun Vostro volere, ma in
» caxo che V. S. lU.me non mi facino avere i detti
» salvi condocti e ridocti non si maraviglino s' io non
» mi apresento volendo assicurare la vitta mia sopra
» tutte r altre cose, né per questo pensarò d'haver perse
» le mie jurisditioni in altro tempo apresso di V. Ill.me
325
» Sìg/*% alla cui bona gratia humìlmente mi racco-
» mando.
» Da Venetia a di sei di Aprille del anno del 1548.
» Di V. S. IlLme
» Bon Servitore e Figliolo
» Paolo Spinola. »
LIBRO QUARTO
CAPITOLO PRIMO
Orìgine , studi , costumi , qiudità di Giulio Cibo ; sue discordie colla madre per il
marchesato di liassa; evidente di lui complicità nella congiura di Gian Luigi
Fiesco suo cognato.
CXII. — Sejionchè tutte queste trame di uomini
particolari, aveano in quel momento relazione, ed erano
parti connesse di più vasta macchinazione che si an-
dava allora tessendo contro il governo del Doria e
quello deir Imperatore, da cui il primo derivava la
propria origine e potenza. Come Niccolò Doria co-
gnato di Gio. Luigi Fiesco, tal' era Giulio Cibo mar-
chese di Massa, perocché sorella di questo, Eleonora
Cibo moglie di quello. Dirò di lui, della congiura
eh' egli ordì, delle cause che la originarono, delle arti,
e dei mezzi di cui si giovò, dell' infausto fine che la
ebbe traendolo in gran parte da una pregevole memo-
ria storica dell'Illustre canonico Francesco Musettini(i).
(i) Ricciardo Malaspina e Giulio Cybo, Memoria storica del
Canonico Francesco Musettini Vicepresidente della R. DepuU-
zione di Storia Patria per la Sotto-Sezione di Massj^-Carrara.
(Modena, per Carlo Vincenzi, 1864).
327
Alberico marchese di Massa sposava la primogenita
sua Eleonora con Scipione Fiesco zio di Gian Luigi;
morta quella il vedovo Fiesco impalmava con Ric-
ciarda secondogenita sua; moriva il Fiesco, ed essa
per volere del pontefice Leone X rimaritavasi con
Lorenzo Cibo, di cui padre Franceschetto figlio di
Papa Innocenzo Vili e madre era Maddalena di Lo-
renzo de* Medici detto il Magnifico, sorella di Pietro
Signor di Firenze e dello stesso Pontefice Leone X.
Da siffatto maritaggio nascevano Eleonora sposata
poscia al Conte Gian Luigi del Fiesco, Giulio, ed Al-
berico. Ricciarda per disposizione testamentaria del
padre dovea godere del marchesato di Massa e Car-
rara finché il primogenito che di lei fosse nato avesse
raggiunta T età dei venti anni , coli' obbligo a questo
di pagare alla madre 14 mila scudi d' oro. La quale
gelosissima del potere temendo il nuovo sposo d' in-
dole fiera ed ambiziosa, essendo Tanno di 1525, in-
dirizzavasi segretamente a Carlp V pregandolo a vo-
lerle concedere Y investitura del Marchesato, locchè le
si accordava con l'imperiale diploma del 16 luglio 1529,
per cui Massa e Carrara perduta la indipendenza dive-
nivano un feudo imperiale. Il marito Lorenzo sdegna-
tosi dell' atto inconsulto della moglie che per cupidità
di stato facea perfino vergognoso sacrificio della libertà
propria, e di quella de' suoi popoli, prese con essa un
assai fiero contegno, e fii guerra, ed odio tra' conjugi,
e Lorenzo ebbe modo coi favori di Clemente VII,
che i Medici ai Cibo andavano tenuti d' ogni grandezza
328
ecclesiastica cui erano saliti, che venisse dichiarato per
un altro diploma imperiale del 21 Marzo 1530 essere
compadrone colla moglie del marchesato di Massa e
suo successore sopravvivendole senza figli legittimi.
Questo colmò la misura de' vicendevoli risentimenti,
e decise della separazione loro; Ricciarda coi figli a
Roma , Lorenzo recossi ad abitare nella sua villa
d' Agnano vicino a Pisa. La discordia domestica
nocque all' educazione dei figli , poiché come Giulio
era prescelto dal padre, Alberico lo fii dalla madre,
e dall'esempio fimesto animati i sudditi, alcuni par-
teggiavano per Giulio, altri, per il fratello Alberico,
invano lo zio cardinale Innocenzo, e Cosimo de' Me-
dici travagliandosi a cessarne la divisione. Intanto Ric-
ciarda addi 7 Aprile del 15^3 otteneva nuovo diploma
che le facea facoltà di disporre per testamento del
feudo di Massa a favore di quello dei due figli che
più le sarebbe tornato a grado; infine con altro di-
ploma del 26 Settembre 1541 riusciva a far annullare
quello dei 21 Marzo 1530, rivocata essendo col primo
la concessione a prò di Lorenzo, che Carlo V dichia-
rava contraria ai diritti di Ricciarda, né consentanea
a giustizia. Intromettevasi inutilmente il Cardinale co-
gnato a sedare le dissensioni, e vedendo non potergli
venir fatto in alcuna guisa risolvevasi egli stesso a
condursi in Massa e prendere le redini dello stato, e
Ricciarda lietissima della risoluzione volentieri gliel con-
sentiva. In questo, il giovine Giulio correva V anno sedi-
cesimo di sua età, e qual egli si fosse lo dirò, togliendo ad
329
imprestito le parole medesime del canonico Musettini,
che meglio noi potrei di me stesso farlo: « Fornito
» da natura d' intelligenza pronta e perspicace, e d* in-
» gegno facile e accorto, avea risposto con singolare
» profitto alle cure de' suoi maestri e istitutori ; e per
» cultura di mente e per gentilezza di modi faceasi
» molto distinguere fira i giovani di sua condizione,
» dei quali era appena alcuno che Y aggiugnesse per
» avvenenza e robustezza di corpo. Il Cardinale suo
» zio scorgendo in esso insieme a molte belle qualità,
» un naturale ardente, intollerante di freno, e giu-
» dicando aver egli bisogno d' informarsi per tempo
» alla vita dei grandi e alle arti della politica; per-
» suasosi che al doppio scopo di temperarne il ca-
» ratiere e di addestrarne la mente, gioverebbe assai,
» se Giulio passasse qualche anno alla Corte, d' intesa
» con Lorenzo e Ricciarda, procurò la di lui ammis-
» sione alla Corte Imperiale in qualità di gentiluomo
» dì bocca. Ottenutone facilmente il beneplacito del-
» r Imperatore Carlo V, dispose perchè Giulio par-
» tisse tosto pel suo destino, riccamente corredato,
» come il suo rango, e lo splendore di si gran corte
» esigevano. Accolto con ogni maniera di distinzione,
» e ben presto ricercato e desiderato dalle più cospicue
» Éimiglie di Principi e Signori, non venne meno al
» decoro e nobiltà di sua condizione. Nei tre anni che
» passò lontano da' suoi , seppe si bene cattivarsi
» r amore di Carlo, e l'ammirazione dei cortigiani,
» che a tutti si rese accettissimo non meno per le
330
sue belle e nobili maniere che per la vivacità e
brio singolare di sua giovinezza. O caracolasse su
bizzarro cavallo, o in torneo manegiasse la lancia
o la spada, o si trovasse in lieti convegni, o pren-
desse parte in serie adunanze, la sveltezza, la gra-
zia, lo spirito, il senno del Marchese di Massa erano
su la bocca di tutti. Sul finire del terzo anno di sua
lontananza dall' Italia e dalla famiglia , sollecitato
dallo zio Innocenzo al ritorno, prese comiato dal-
l' Imperatore e dai numerosi suoi amici, e in lieta
compagnia di Signori e Cavalieri suoi pari si avviò
alla volta d' Italia , afiirettando in suo core il mo-
mento di riabbracciare i parenti, e più ancora quello
di far prova di sua abilità nel governo del suo Mar-
chesato, di cui, non dubitava, avrebbe ottenuto fa-
cile rinunzia dalla Madre (i). »
CXIII. — Ei s' ingannava ; conduttosi in Roma
dov' era la madre col fi'atello Alberico avviato nella
carriera ecclesiastica, dopo le liete accoglienze dei primi
giorni, fece a quella sentire com' ei desiderava di aversi
il governo dello stato suo; al che, mutando di repente
colei viso e contegno, rispose sdegnosamente : — Non
lo sperasse, essere lei la Marchesa di Massa, e mentre
viveva, niuno ne otterrebbe il governo. Giulio da tale
risposta indispettito lasciava Roma, recavasi a Massa,
dove lo zio Cardinale travagliavasi a calmarlo, indi
dal padre a Pisa ; che se questi aveva il torto di scal-
(i) Op. cit. pag. 17-18.
331
darne le ire, maggiore, e primo era quello della madre
che negava di restituire al figlio quanto per diritto del
testamento dell' avo gli apparteneva. La quale temendo
r animo ostile del marito e del figlicj, severissimi or-
dini mandava al suo castellano di Massa Pietro Gas-
sano, vietasse V accesso al Castello di Giulio, tenessesi
in guardia d'ogni inganno e sorpresa; né parendosi
ancora sicura, essa stessa si conduceva in Massa per
meglio soprawegliare ad ogni evento che gliene po-
tesse turbare il possesso. Trovavasi sul cadere del 1545
in Carrara col Cardinale cognato quando Giulio con-
cepì il disegno di sorprenderla, farla prigioniera, e co-
stringerla in tal guisa alla rinuncia di quel potere che
avea negato alle siie preghiere. E il tentativo gU riusci,
e padrone già era del Castello, quando alle istanze,
alli consigli e alle supplicazioni del Cardinale zio s' in-
dusse ad abbandonare la fortezza occupata, colla pro-
messa che quegli avrebbe composta ogni sua differenza
colla madre, e ottenutogli il governo del Marchesato.
Ma non appena ebbe sgombro colla sua gente il Ca-
stello, che Ricciarda riavutasi dallo spavento della
sorpresa, parti di repente, e riportossi a Roma, donde
più altiera ed indignata di prima spedi ordini rigoro-
sissimi al castellano Pietro Gassano per la custodia
della fortezza, commettendogli, che, lei mancando, lo
stato venisse rimesso ad Alberico suo secondogenito.
Giulio fece minacele, il Cardinale diede consigli, la
Madre spregiò le prime non ascoltò i secondi, e tirò
inflessibile innanzi nelle sue ire, e nelle sue ambizioni.
332
Allora Giulio si appigliò a più decisive risoluzioni,
rivolsesi per soccorso a Cosimo de' Medici duca di
Firenze, al Principe Andrea Boria e ai Marchesi di
Lunigiana; potè nel settembre del 1546 raggranellare
mille fanti e cento cavalli, con questi invase il terri-
torio di Massa e Carrara, e se ne insignori. Ma il
castellano Pietro Gassano provvedutosi d' uomini e di
munizioni ritraevasi nella fortezza , e opponeva colà
una fierissima resistenza ; la quale non potendo Giulio
superare, mandò a Genova e il Boria richiese di ar-
tiglieri e cannoni; e colui lo soddisfece dando ordini
a Gianettino Boria che tornando da Livorno allorché
fosse rimpetto a Massa, calasse a terra e quello fa-
cesse che Giulio Cibo gli avrebbe ordinato. Avuti que-
sti artiglieri e cannoni, la fortezza si arrese non prima
però di vedersi i suoi difensori minacciati dell' ucci-
sione delle mogli, e dei figli che tutti trovavansi in
mano degli assalitori. Il castellano Gassano odiatissimo
per la sua irremovibile fedeltà a Ricciarda , fii dopo
parecchi giorni della resa sorpreso in sua casa dal ca-
pitano Moretto Venturini, fidatissimo di Giulio, e da
altri in numero di 50, quindi messo crudelmente a
morte insieme a due suoi figli e ad un nipote. Del-
l' assassinio si diede colpa a Lorenzo e Giulio padre
e figlio Cibo, senonchè, per quanto non si ha prova
che il disapprovassero, non vi ha però quella che il
comandassero, certo è che il Gassano fomentava gli
odj tra madre e figlio, e sapendosi in grande avver-
sione di quest' ultimo, infiammava l' animo della prima
333
a maggior ira contro di lui. Venuto Giulio al pos-
sesso dello stato si diede a migliorarne Y amministra-
zione, a fortificarne con gagliarde difese le parti più
deboli, a tenere in rispetto i partigiani della Madre,
indi colle alleanze a provvedersi di maggiori forze per
ogni eventualità, ristringendosi specialmente col Duca
di Firenze, e contraendo promessa di matrimonio con
Peretta Djoria sorella di Gianettino e nipote del Prin-
cipe Andrea. Egli è in questo tempo che accadde la
congiura di Gian Luigi Fiesco cognato di lui.
CXIV. — Giulio col Marchese di Fosdinuovo ed
altri Marchesi accompagnati da mille cinquecento uo-
mini muovevansi da Massa verso di Genova; il ca-
nonico Musettini nella lodata sua memoria, afferma
che tale mossa avea per fine di accorrere in favore
dei Doria; senonchè a siffatta affermazione contrasta
una lettera del capitano della Spezia Gasparo De' For-
nati scritta alla Repubblica alle ore due del 4 Gen-
naio 1547 ove riferisce che quella mattina dovevansi
trovare al Bor ghetto i detti marchesi coi 500 uomini
destinati per Genova, ed egli ciò inteso aveva spedito
colà il suo Vicario per intendere dalle loro Signorie
la causa di quella novità con avvertirli bene di ciò
che si facevano perchè gli pareva che fosse in pregiu-
dizio della RepubbUca (i). Ora se alle ore due del
di 4 dovevansi trovare al Borghetto, certo è che eransi
(i) Sulla Congiura del Conte Gio. Luigi Fieschi,^ Documenti
mediti raccolti e pubblicati dall' Avvocato Edoardo Bernabò Brea,
pag. 154, Doc. XIV.
334
mossi da Massa la mattina almeno del giorno 3, ma
se ' la congiura scoppiava la notte del due Gennaio, in
qual modo Giulio ne avea ricevuto notizia da Genova
a Massa e tempo bastante gli era conceduto ad ordi-
narli, e incamminarli al Borghetto per la mattina del
giorno 4 per vie dirupate ed alpestri quali esistevano
allora ? E procedendo innanzi, chi gli aveva spedito
r avviso ? non Gianettino eh* era ucciso, non Andrea
Doria eh' era fuggito appena udita la morte del ni-
pote, non r Ambasciatore Spagnuolo che stava egli
pure per mettersi in salvo , non quei pochi che in
quella notte si riunirono in Senato inconscii intera-
mente del fatto , né sapendo quali ne fossero i veri
autori, e quale scopo si avessero prefisso ; appena nel
decorso del giorno 3 e 4 potè rimettersi il Governo
dallo stordimento che aveanlo colpito. Se per le ad-
dutte circostanze non potea Giulio essere informato
dello scoppio della congiura, opponendosi il ristretto
termine di tempo colla difficoltà, e la distanza de* luo-
ghi, eppur lo sapeva a tale da raccogliere 1500 uomini
in tempo adatto ed utile e indirizzarli alla volta di Ge-
nova, non altrimenti questo può spiegarsi che con un
concerto precedente del Cibo coi Fieschi, che quindi
per essi non per il Doria si muovesse cogli altri
Marchesi ad ajuto, e si arrestasse nel cammino, ri-
volgendosi addietro, non già perchè più di soccorso
non abbisognasse il Principe, che non ancora era tor-
nato in Genova, e questo versava tuttavia in pericolo,
ma perchè gli pervenne che i Fieschi aveano avuto
335
la peggio ed egli sentì che senza potere rimetterne
la fortuna sarebbesi compromesso. Naturale era allora
per lui il dare a quella mossa di armati il motivo es-
sere accorso a difesa dei Doria e non dei Fieschi, e
ciò per isfiiggire ad ogni sospetto di complicità, e il
Doria sei credette, o se ne infinse e ringrazioUo, per
la qual cosa il Cibo fatte tornare addietro le solda-
tesche con duecento uomini tra cavalieri e pedoni im-
barcossi per Genova, dove a festa venne accolto dal
Principe, e la promessagli sorella di Gianettino gli
accordò in isposa colla cospicua dote di scudi d'oro
ventimila. Ma tuttociò non può essere, secondo le più
volgari convenienze, accaduto che dopo qualche tempo
della morte del nipote, imperocché nei successivi giorni
a quello della fallita congiura ben altro Andrea Doria
avea in mente che di maritare la figlia calde le ceneri
ancora del padre, e si voleva avanti ogni cosa prov-
vedere per lui alle sorti di quel governo da esso isti-
tuito, minacciato d' ogni parte dagl' interni ed esterni
nemici. Concludo quindi che Giulio Cibo era congiu-
rato col cognato Fieschi , pronto a soccorrerlo, e se
ne astenne quando conobbe di non poterlo con utile
de* congiurati, e senza pericolo suo, e il Doria dissi-
mulando conchiuse in seguito le nozze, riservandosi,
come soleva, a tempo più opportuno la vendetta.
CAPITOLO SECONDO
Giulio Cibo privato del Marchesato di Massa dalla Madre, abbandonato dal Cardinale
suo zio, dal Duca di Firenze, ingannato d' Andrea Doria e tenuto a bada da Fer*
rante Gonzaga, prende parte alia Congiura dei fì-atelli Fieschi e fuorusciti geno*
vesi coi Cardinali francesi Di Bellay, e Lorena, prima in Roma e poi in Venezia;
fatto arrestare da Ferrante Gonzaga, viene condotto nel Castello di Milano, pro-
cessato, torturato, e decapitato.
CXC. — A questa intanto andava pure pensando
Ricciarda, e cosi seppe fare, e la pratica condusse con
tanta energia e con tale un accorgimento che riusci ad
ottenere da Carlo V che commettesse al Governatore
di Milano Ferrante Gonzaga V esame delle quistioni
che dividevano madre e figlio, curandone il compo-
nimento, e disponendo a norma di giustizia (i). E il
Gonzaga ponea tosto mano all' opera, e primamente,
pendendo il giudizio, ordinava la consegna della for-
tezza» di Massa in mano dello zio Cardinale Innocenzo
Cibo, rassegnando al medesimo il governo del Mar-
(i) V. Documenti dell' Archivio di Simancas, Doc. cxxx,
pag. 109.
337
chesato, ciò per comando ed autorità dell'Imperatore
e padrone del feudo. Non cosi tosto Giulio il seppe
"che salito in istizza, e studiato modo di resistere al-
l' imperiale prescrizione pensò alla difesa. Ricorse per
consiglio ed ajuto al Duca Cosimo, al Principe Doria,
ai Marchesi di Lunigiana, ma il primo già rimpro-
verato dal Cardinale per le fornite soldatesche al ni-
pote, e più per timore di Carlo V, e del Gonzaga
che vedeva tramestati nello spinoso negozio lo con-
sigliò di arrendersi ed acconciarsi ai voleri imperiali;
il Doria parte per le stesse ragioni del Medici, e parte
forse per il sospetto in cui già teneva il Cibo gli sug-
gerì lo stesso. Uscito d' ogni speranza appigliavasi egli
a violenti disegni, partiva per Pisa, si abboccava col
padre nella villa d' Agnano; colà parecchi armati per
ordine del Duca Cosimo introduttisi intimavangli o
di arrendersi al comando dell' Imperatore, o di rima-
nere prigioniero infinchè non avesse consegnato il
Castello di Massa. Negava Giulio l' obbedienza alle
volontà di Carlo, e la consegna del Castello, costi-
tuivasi prigioniero; chiuso nella cittadella di Pisa già
d'alcuni giorni, recavasi a visitarlo il Cardinale zio,
e colla dignità del grado, e colla dolcezza delle ma-
niere, e colla persuasione delle ragioni lo ridusse a
consegnare il Castello, promettendogli che tanto sa-
rebbesi adoperato colla madre che l'avrebbe costretta
a rinunciargli il Marchesato. Infatti cosi egli traVa-
gliavasi a quest' uopo e con si saldo proposito che
Ricciarda consentiva alla rinunzia mediante una dote
22*
333
conveniente al suo stato di scudi quaranta mila d' oro
sborsatale dal figlio. Seguita dopo ciò la riconciliazione
tra r uno e V altro, Giulio avea modo di mettere in-
terne la metà di quella somma, e pagarla; dell' altra
metà non si dava pensiero , poiché sapea di poterla
sborsare colla dote della moglie. Era questa costituita
per r appunto in 20/mila scudi d' oro di cui gli an-
dava debitore Andrea Boria; gli scrisse, esponendogli
il bisogno in cui trova vasi per ricuperare lo Stato;
non rispondeva, e da nuove lettere del Cibo, e della
nipote Peretta stimulato, ristringevasi a, vaghe incon-
cludenti parole; vide allora il primo la necessità di
recarsi a Genova; parti da Fosdinuovo, e qui venne,
e accolto fu cortesemente dal Boria, ma quando si fu
air argomento della- dote , questi adducendo le gravi
spese sostenute per la congiura del Fiesco, le stret-
tezze in cui avealo lasciato, dichiarò ricisamente im-
possibile- per allora di farne lo sborso; e comechè
Giulio reiterava con maggiore vivacità le istanze, il
Boria fatto il viso severo, e superbo il contegno,
trasse fuori un conto di spese incontrate per lui nel-
r occupazione di Massa , cosicché fatto il ragguaglio
di nulla, o poco gli andava più debitore. Il Cibo
avrebbe con fondamento di ragione potuto opporgli
quelle da lui sostenute per i mille cinquecento uomini
mossi a suo soccorso nella congiura dei Fieschi, e cosa
inesplicabile , non ne fece motto ; il quale silenzio
sempre più ne dimostra che meglio a favore dei con-
giurati che del Boria essendo quegli destinati, temette
339
che il Prin(;ipe nel suo diniego, attendesse di rinfac-
ciarglielo se più avesse toccato quella dilicata materia.
Certo è che il discorso rimase troncato e indispettito
lasciata Genova portossi Giulio a Milano dove pensò
di mettersi in grazia con Ferrante Gonzaga e nar-
randogli per esteso quanjo lo teneva separato dalla
madre gli si raccomandò affinchè gli fosse cortese
dell* eflScace opera sua ; ma il Gonzaga , che come
sappiamo, era scaltrissimo e tristo, rispose vaghe pa-
role, ma chiuso in sé stesso nulla che potesse rive-
larne il recondito pensiero. Accadeva in quel mentre
la congiura contro il Farnese Duca di Parma , e la sua
uccisione; Ferrante indettato coi congiurati, suscitatore
ed aiuto degli stessi accorreva ad occupar Piacenza in
nome dell' Imperatore e nella spedizione aveva com-
pagno il Cibo, il quale sperava cosi di avvantaggiarsi
neir animo di lui, e per tale servigio col potente suo
mezzo riceverne in compenso la restituzione dello Stato.
Finita la spedizione, e interrotta quella di Parma per
la tema delle armi francesi che rumoreggiavano alle
spalle, Giulio congedossi dal Gonzaga, e trattenutosi
alcun tempo in Piacenza , per Parma e Pontremoli
tornò a Fosdinuovo. Il dolore per il dominio che
vedeva toltogli in cosi brutto modo , V inquietudine
dell' animo lo traevano di bel nuovo a Roma , spe-
rava suir opera dello zio che la madre avrebbe indutta
al condono, o alla dilazione del pagamento dei 20/mila
scudi, contava ancora di potergli in qualche guisa rac-
cogliere colà; ma tutto gli andò fallito, il Cardinale
340
zio mostravasi tiepido per non dire indiflferente , la
madre contenta fors' era nell' intimo suo che non le
si pagassero i 20/mila scudi per avere una ragione
di non restituire Io Stato ; il Gonzaga già cominciava
a sospettarlo, e quello che a titolo di deposito a nome
dell' Imperatore gli aveva occupato, divisava unirlo al-
l' impero; Cosimo de' Medici vedendolo in manifesta
disgrazia, non voleva rovinar sé per lui ; Andrea Doria
negandogli la dote dei 20/mila scudi da lui costituita
alla nipote col pretesto di un compenso delle spese
per r occupazione di Massa o lo riduceva al silenzio,
o lo costringeva a dir quello che attendeva per rim-
proverargli la sua doppiezza, e dichiarargli ch'egli
aveva un nemico di più , e il meglio formidabile di
tutti. Per questa pericolosa condizione di cose poiché da
tanti e potenti avversar] osteggiato ed insidiato, come
disperato era lo stato suo, disperato cosi fu il rimedio
cui deliberò di appigUarsi. Quindi stando in Roma, prese
a mostrarsi arrendevole alle insinuazioni del Duca di
Parma Ottavio Farnese figlio dell'assassinato Pier Luigi,,
col quale già passando per Parma, é fama, si fosse ab-
boccato, e qualche ragionaménto accadesse fira di loro
che accennava alle future trattative, Giulio sfogò seco
l'ira che lo invadeva contro Carlo V, il Gonzaga, il
Medici di Firenze, la madre, lo zio Cardinale, ma
specialmente contro Andrea Doria; dopo di questo
gli venne fatto un bel giorno d' incontrare il Cardi-
nale di Bellay che condottolo seco nel suo palagio di
Belvedere lo intratenne delle sue ragioni e dei torti
341
che gli si commettevano dai Ministri imperiali, e ve-
duto avendo che T esca pòrtagli rendea ottimo eflfetto,
andò innanzi confidandogli, sarebbesi fatto degno del
più largo favore del Re di Francia, quando di un
importantissimo affare avesse voluto torsi V incarico.
n Cibo a cosi subita proposta stette in forse, e seco
stesso pensando a più astuto concetto , rispose : aver
mestieri di pigliar tempo, fatta matura considerazione
tornerebbe. Andò quindi difilato all' ambasciatore Ce-
sareo D. Diego Mendozza, e manifestò V occorso, chie-
dendogli facoltà di trattare col Cardinale di Bellay e
cogli altri ministri fi-ancesi per bene assicurarsi di un
trattato che stavano ordinando contro V Imperatore ;
portava speranza, soggiungeva, di condurre a meta un
suo speciale disegno, per cui sarebbero caduti in balia
del Governatore di Milano due forti luoghi del Pie-
monte; reso cosi importante servigio, non dubitava,
conchiudeva, che V Imperatore non fosse per restituirgli
lo Stato.
E cosi sembrandogli avere ciurmato V Ambasciatore
Spagnuolo facea ritorno al Bellay che introducevalo
presso il Cardinale di Lorena, e V Ambasciatore fi^an-
cese. Questi gli pose innanzi che ì vincoli di parentela
eh' egli aveva per la famiglia dei Medici con Caterina
allora Regina di Francia gli davano obbligo di rendere
singolare servigio alla corona, in tal modo egli sareb-
besi Éitto degno dei premj già destinatigli dal Re. Dopo
cotesto esordio gli rivelarono il trattato che aveano
con parecchi cittadini genovesi di rivolgere lo stato
342
della Repubblica, senonchè abbisognavano di un capo
ardito e di nome illustre affinchè più sicuramente ne
indirizzasse i consigli e ne regolasse le operaàoni, e
questo capo dovea esser lui. Còlto in tal guisa dalla
vanità e dall' ambizione dei promessi premj ed onori,
il Cibo prontamente proflFerivasi, chiedendo a guider-
done r annua pensione di duemila scuti e il grado
di Colonnello di fanteria; tutto concedevangli e accom-
miatato e soddisfatto partivasi. Tornava all'ambascia-
tore Mendozza, riferiva il partito a lui fatto di ri-
nunciare lo Stato al Re di Francia, e del trattato di
cui già aveva accennato narrava confuse particolarità
che lo avvolgevano in contraddizioni. Senonchè l'av-
veduto ministro e con questo più ancora il Gonzaga
già da qualche tempo l' aveano in sospetto, e a tutte
le sue operazioni tenevangli dietro, e quanto macchi-
nava e trattava sapevano. Un cotal Paolino da Casti-
glione d' Arezzo, essendo dai primi anni molto fami-
gliare di Giulio, dal quale molti beneficj avea ricevuto,
gli era venuto in cosiflFatta intimità, che a lui ogni
confidenza faceva, e tutto conosceva quanto egli divi-
sava ed operava. Costui, abusando del segreto, e tra-
dendo il suo Signore, poneasi d' accordo colla madre
Ricciarda, ed è fama che per consiglio , e istigazione
di lei rendesse di tutto informato Ferrante. Verosimile •
è tal cosa non tanto come più favorevolmente si ama
interpretarla che la madre s' inducesse a ciò per sal-
vare il figlio, quanto invece per interamente perderlo,
•
imperocché con questo mezzo decaduto egli da ogni
343
diritto del principato, ella non temeva più ostacolo a
rivendicarlo.
CXVI. — Ora, trascorsi alcuni giorni il Cibo ri-
conducevasi a' Ministri francesi. Era bandita una cena
in casa il Cardinale De Belay; tratto egli in una se-
greta stanza, trovavasi in compagnia di Cornelio
Fiesco, di Tommaso Assereto e Paolo Spinola fuo-
rusciti di Genova; con essi conveniva del modo di
occupare la città e il Fiesco dava promessa che Ot-
tobuono suo fratello e gli altri fuorusciti, tra i quali
Nicolò Doria figlio del Cardinale Gerolamo, i quali
trovavansi a Venezia , pronti ofFerivansi con meglio
di 500 uomini a levare a tumulto la città, dove ve-
nisse fatto d' introdurveli. Il Cibo mostrava di poterlo
agevolmente per mezzo di alcune sue navi,* né temere
che queste recandosi in porto sotto il suo nome ve-
nissero visitate da quella che tenevasi a guardia di
esso, prometteva ancora con molta facilità di far en-
trare non poca, gente in Genova collo specioso pre-
testo di condurla a Milano per incorporarla nel reg-
gimento che gli avea conceduto il Gonzaga. Alle quali
proflFerte, aggiungeva Paolo Spinola che a lui bastava
l'animo di riporre in sua casa a poco a poco cento
uomini circa , i quali al tempo convenuto sarebbonsi
insignoriti del pubblico palazzo, e messa a sollevazione
la città. Trattavano quindi secondochè riferisce il Ca-
soni, deir uccisione di Andrea Doria, di Adamo Cen-
turioni, e di ^Itri cinque, o sei de' più ragguardevoli
cittadini che seguitavano la parte spagnuola, e Giulio
344
diceva che ciò si potea agevolmente eseguire per mezzo
di alcuni suoi uomini al servizio del Doria e del Cen-
turioni. Dopo di ciò sollicitato dai Ministri francesi si
mosse per Venezia. Poco prima della partenza fa dal
Cardinale Farnese nipote del Papa che gli fece animo,
dicendogli che desse opera pure alle promesse cose,
imperocché oltre il favore del Re si avrebbe quello
del Pontefice che avea deliberato di togliere gli Stati
d' Italia all' oppressione imperiale. Finora inseparabile
al suo fianco era stato Paolino, e quanto veduto aveva
ed udito, jtutto riferito al Gonzaga, giunto a tal punto
che l'intero disegno vedevasi ordito e deliberata l'ese-
cuzione, non credette né prudenza più, né bisogno di
rimanersi in sua compagnia, quindi s* infinse ammalato
e scusossi' di seguitarlo a Venezia. Nella quale città
venuto Giulio con Paolo Spinola, ed Alessandro Tom-
masi Sanese già servitore del Cardinale De Bellay, e
della Casa Farnese, datogli per consigliere, fii insieme
con essi dall' Ambasciatore di Francia , cui rimise le
lettere dei Cardinali e si riferi per diversi particolari
del negozio. Andò quindi, seguitando le stesse arti,
dall' Ambasciatore imperiale per tenerlo a bada, e rac-
contandogli del finto trattato di cui già avea intratte-
nuto a Roma il Mendozza e a Milano il Gonzaga, e
quegli come questi di ogni cosa informato e con di-
ligenza sorvegliandolo fece le mostre di credergli. La
vigilia del Natale si tenne adunanza de' congiurati in
casa di un Gaspare Botto genovese dove molti fuo-
rusciti fira i quali Ottobuono Fieschi, Ottaviano Zino
345
e il Conte Galeotto della Mirandola, egli vi rese conto
delle pratiche di Roma, della deliberazione di quei mi-
nistri, e del modo di eseguirle, vi parlò con mordace
eloquenza, e con animg singolare, talché i convenuti
dalle sue parole concitati si profFersero e chiarironsi
pronti ad ogni evento. La festa di Natale accompagnò
r Ambasciatore di Carlo V a messa in S. Marco, e
alla sera si ricondusse in casa Botto dove coi fuoru-
sciti si fecero diversi ragionamenti, decidendosi alfine
di attenersi a ciò che in Roma si era deliberato. Questo
fatto, di tutto diede ragguaglio all' ambasciatore fran-
cese aflSnchè ne informasse i Cardinali, ed egli parti-
colarmente ne scrisse a Scipione Fiesco che in Roma
pure dimorava. Alcuni giorni appresso il servitore di
questi arrivò in Venezia recando seco tremila scudi
mandati dai Cardinali, duemila per lui in conto di sua
pensione, mille per Ottobuono e Paolo Spinola. Ri-
cevuti quelli si accommiatò dall' ambasciatore firancese
e avuto da esso il contrassegno per il Governatore
di Mondovi che doveva invadere il Genovesato con
duemila fanti, ordinò allo Zino si recasse a Genova
per ivi raccoglier gente, allo Spinola andasse in Gar-
&gnana ove era la ragunata gente de' fiiorusciti per
trasportar veli, ed egli s' incamminò a Ferrara; a Fran-
colino presso il Po s' incontrò col Cardinale di Guisa
che meglio infiammoUo a seguitare l' impresa, e da
Ferrara continuò per Parma, colla medesima intrepi-
dità e sicurezza di proposito , sebbene il Duca della
prima, e il Governatore della seconda (che Ottavio
346
Farnese trovavasi in Roma ) lo ammonissero che i
Ministri Imperiali stavano in grande sospetto di lui,
per avventura già consapevoli d* ogni suo tentativo;
le medesime ammonizioni li vennero date dal Podestà
di Calestano ; il Cibo gittata la sorte, a nulla badando
procedeva oltre, e con dieci uomini a sé riuniti dello
stato di Parma, per 1' Ancisa a 22 gennaio del 1548
scendeva a Pontremoli. Colà sostatosi pel rinfresco di
cavalli, e già rimessosi in viaggio, ecco farsegli innanzi
il Governatore del luogo con una mano di archibugieri
spagnuoli che lo assalgono; all' improvvisa aggres-
sione Giulio tenta salvarsi colle grida di Gatto, Gatto
per sollevare quei terrazzani già vassalli dei Fieschi;
ferito nel capo , è fatto prigioniero , e col capitano
Sanese per comando di Ferrante Gonzaga condotto
a Milano (i); in quel castello processato, torturato,
e confessato avendo ogni cosa, come reo di maestà
collo stesso Sanese rimase condannato nel capo; e la
sentenza sopra entrambi eseguita fu la mattina del
18 maggio. Indirizzò Giulio a suo padre, madre e
zio Cardinale una lettera di raccomandazione e di
perdono , un sonetto , che ci fa fede del suo molto
valore in poesia, e con cui raccomanda la sua anima
a Dio; e ricevuti con profonda rassegnazione, gli ul-
timi conforti di nostra religione intrepido e con grande
costanza mori. Non diversa fortuna toccò poi in Ge-
nova ad Ottaviano Zino, il quale quantunque sconsi-
(i) V. Documenti dell' Archivio di Simancas^ Dee. CXXXDC
Nota, pag. 227 e 230.
347
gliato a ritornarvi, fu preso, e fatte palesi le trattative
del Congresso di Venezia, i consigli e i nomi dei
congiurati, si decapitò, e il suo cadavere in una bara
col capo tronco fii esposto al pubblico. Il delatore e
traditore Paolino non isfiiggi però alla pena che la
violata amicizia , e il più infame abuso di un' intima
confidenza si meritavano, che addi 23 luglio del 1564
venne ucciso in Milano per mano di Gaspare Ventu-
rini, fido servitore e compagno fino alla morte di
Giulio Cibo. In* Genova, gli altri congiurati, poiché
meglio sagaci si tennero lungi dai dominj imperiali,
e da quelli della Repubblica, vennero chiariti per ri-
belli, e incamerati i loro beni, fi^a quelli fu il Conte
Scipione Fiesco firatello di Gian Luigi, giovinetto di
diecisette anni, che già, scoppiata appena la congiura,
avea scritta la lettera da me più sopra riferita alla
Repubblica; V essere adesso avvolto nella nuova trama
lo fé' decadere da ogni ragione di successione nei feudi
di sua famiglia, dipendenti dall' impero, oltre il rima-
nere condannato nella pena capitale. Cosi ebbe prin-
cipio , seguito e fine la congiura di Giulio Cibo co-
gnato del Conte Gian Luigi Fiesco , e continuazione
di quella da costui ordita.
CAPITOLO TERZO
Il numero dei G>ngiurati contro il governo dal Doria istituito si va sempre più
moltiplicando ; i ministri di Carlo V , posposto ogni riguardo , chiedono con
irrevocabile proposito 1' erezione della fortezza ; il Gonzaga rimanda in Genova il
Commissario Gismondo Fanzino ; sua relazione inviata all' Imperatore ; parere
dell' ingegnere Gio. Maria Olgiati intomo al modo, luogo e spesa di tale costru-
zione ; Il Doria stretto da tante parti conviene sulla sua neceessità richiedeado
però due condizioni, 1' una che si facesse nel bastione di S. Giorgio, l'altra che
si aspettasse a &rla alla venuta del Principe Filippo ; il Gonzaga riscrìvendo all' Im-
peratore lo consiglia a non accettarle, ordinando subito «la fabbricazione.
CXVII. — Intanto il governo d' Andrea Doria sta-
bilito , d' ogni parte accennava a rovina ; egli che
millantava che soli pochi , e vili erano coloro che
l'avversavano non potea, eziandio dissimulando, non
riconoscere che quanti invece erano cittadini cospicui e
potenti, tanti mostravansi nella Repubblica i capi di varie
congiure che attentavano alla distruzione del vacillante
suo edificio; ogni di scoprivansi relazioni, intercetta-
vansi corrispondenze coi ministri fi'ancesi, coi pontificj,
col Duca Ottavio di Parma, coi fuorusciti genovesi,
che ognor più aumentavano di numero e d' audacia,
a Roma , a Parma , alla Mirandola e in Venezia ; si
cospirava contro di lui pel Re di Francia, e per l'Im-
peratore, stavano col primo i Fieschi, i Giustiniani, i
Doria del ramo più illustre e primogenito, col secondo
349
gli Spinola e gli Adorni, i De Marini, tutti governati
da capi esperti e doviziosi; era costretto egli a dif-
fidare de' suoi più intimi sopra i quali facea maggiore
assegnamento a sostegno di quello stato , lo stesso
Adamo Centurioni di cui si serviva e per consiglio
e per danaro, gli era sospetto, poiché certo strugge-
vasi r animo di lui temendo che piuttosto ad un
Centurioni che ad un Doria di sua famiglia potesse
toccare la successione di quel principato che con si
profondo accorgimento aveasi innalzato sulla patria.
Il Governo Spagnuolo avvedevasi di quelle intestine
discordie, e facendone suo prò', spingeva con più ar-
dore ed audacia innanzi la pratica della fortezza; bene
avrebbe il Doria a questa consentito, quando unica-
mente fosse servita a mantenerne la Signoria, trasmet-
tendola sicura ed integra alla propria famiglia, senonchè
li prevedeva destinata a rendere Genova soggetta inte-
ramente all'imperiale, sebbene con lusinghiere parole
da Carlo, dal Gonzaga e dal Figueroa gli si volesse
per adescarlo farli credere che ciò era per rafforzarne
il dominio^ e mantenerlo saldo ne' suoi successori.
Tra queste arti volpine pendeva la Repubblica vittima
della tirannide intestina o della straniera. A liberarsi
dalle infide e moleste istanze che d' ogni parte oggimai
lo stringevano, bene il Doria opponeva l' indipendenza
e la libertà della patria, e lo specioso argomento quan-
tunque conosciuto dagli avversarj , come effetto della
più fina astuzia, teneagli dapprima in rispetto; temevano
che insinuato dal Doria nel popolo, avrebbe peggiorate
350
le condizioni loro; infine quel timore superato, riso-
lutamente vollero venirne alla conclusione; e la for-
tezza si richiese con aperto irrevocabile proposito.
Nella seconda metà di febbraio del 1548 Ferrante
Gonzaga inviava al Principe Doria in Genova la stessa
persona della quale inconscj, ed imprudenti i francesi
servivansi per mezzo di riportar dentro e fuori di quella
città lettere ed ambasciate per un nuovo trattato contro
di questa , desiderando se era possibile , che il Doria
chiarissesi un tratto del pericolo in che stava conti-
nuamente la Repubblica e la persona sua in particolare,
operando che colui che a sé avea riferite cose tali, le
riferisse e discoprisse ancora a lui. L'inviato esegui
quanto gli era commesso , ed il Principe mostrando
di essere rimasto capace d' ogni cosa, disse manderebbe
a Milano Camillo suo segretario a trattarne col Go-
vernatore; il quale avendolo invano atteso per qualche
giorno , contro il parere anche dell' ambasciatore Fi-
gueroa, spediva in Genova il Commissario Gismondo
Fanzine destrissimo uomo e prudente con incarico di
notare e riferire sugli umori e le condizioni di quella
città , e r incaricato adempiendo al mandato , notava
e riferiva , e la sua relazione il Gonzaga inviava al-
l' Imperatore. La quale relazione poteva riassumersi
nei tre seguenti capi:
I.** Gelosia del Principe che altri che lui si me-
scoli nelle cose di Genova, poiché a sé solo vuole
riservato ogni potere, ed ogni incombenza che le ri-
guardi;
351
2.** Facilità di fortificare il baluardo di S. Giorgio;
3.*' Necessità di una fortezza alla quale con lieve
spesa potrebbe ridursi il Castelletto.
Questi due ultimi capi venivano a confondersi in
un solo, e la relazione confortata dalle parole e rac-
comandazioni del Gonzaga a Carlo V riusciva alle
seguenti conclusioni:
Che Agostino Spinola e tutti coloro che non affet-
tavano superiorità (alludevasi al Doria) e perciò giu-
dicavano senza passione ed erano umili servitori di
S. M. e il Fanzino medesimo specialmente, intende-
vano che Genova non potea essere in istato peggiore
di quello che trovavasi al presente, per le ragioni tante
volle discorsesi , che se in apparenza mostrava altri-
menti e vivevasi quieta, ciò avveniva soltanto perchè
ogniuno aspettava la morte del Principe Doria che
p^ea vicina, cui mentre viveva, aveano pur qualche
considerazione, e invero, molti non potendo aspettarla
perchè temevano di perdere la occasione pronta e fa-
cile, cercavano di accelerarla con violenza, e i firancesi
prontissimamente gli aiutavano , come si era veduto ,
e forse non appieno , giudicando e gli uni e gli altri
che la vita sola del Principe si opponesse colla sua
autorità ai disegni loro ; ma se quella mancasse aveano
per compita ogni altra cosa che disegnavano. Adunque
perchè S. M. era giunta al termine , che a lei stava
di comandare, non si credeva che fosse da indugiare
il £u:Io, per assicurarsi e in vita e in morte del Prin-
cipe da tanto male, fermandosi tuttavia in questo come
352
in evangelio, che a peggio non potea stare il servigio
suo di quello che ora si stava. Che il Principe rimet-
tendo alfine il far della fortezza allo arbitrio e coman-
damento di S. M. , né altra difficoltà' opponendo che
quella della spesa , questa per avviso dell' ingegnere
Giovan Maria Olgiati non potea esser molta, impe-
rocché quel baluardo di San Giorgio guardato che
fosse da cinquanta fanti, bastava a tener in fileno la
terra per molti di, e il Castelletto, che in Genova,
chiamavano il Vecchio , fatto già in tempo dei Dogi
e poi disfatto, si poteva ridurre in fortezza in poco
più di quaranta giorni, perchè se dalla banda di dentro
era rotto, da quella di fuori vedevasi ancora tutto sano,
si che servendo il detto baluardo per una grossa guardia,
mentrechè il Castelletto si facesse, e il castello poten-
dosi fare in cosi poco spazio, come avvisava l'inge-
gnere , non ci occorrerebbe il tempo di tre anni, né
per conseguenza tanta spesa come affermava il Prin-
cipe, e quando non si potesse condurre a perfezione,
basterebbe supplire alla sua imperfezione coli' inchiu-
dervi dentro alcuni pezzi di grossa artiglieria. Senonchè,
posto che fosse anche molta la spesa sarebbe sempre
minor male nel farla, che tenendo impegnate , si che
S. M. non potesse servirsene, venti galere, soltanto
per conservarsi i genovesi in sua divozione; le quali
galere con tuttociò non bastavano; e che i Genovesi
facessero fondamento sopra le galere. S. M. lo dovca
ritrarre da quello che Adamo Centurione diceva, cioè,
che partendo qssq per condurre il Principe Filippo
353
duopo era di accrescere la guardia della città di tre-
cento fanti. Adunque se la città non volesse e non
potesse tollerare cosi grossa spesa , come finalmente
non potrebbe e non vorrebbe, le galere volendo altre
volte partire, avrebbono da star impegnate in Genova,
perdendo S. M. cento venticinque mila scudi 1' anno
che dava loro di soldo, per non volere investirne cin-
quantamila una sola volta in una fortezza ; nella quale
investiti che fossero frutterebbero il cento per cento.
Ma se S. M. giudicasse pure che non fosse utile non
usare dell' autorità sua nel comandare la fortezza, non
almeno lasciare di attendere al negozio del baluardo
di S. Giorgio , sollicitando che subito fosse eseguito ,
perchè nel pericolo grande che si correva, ogni cosa
era salutare, e questa del baluardo non poteva non
essere tale in un caso impensato ; oltreché sarebbe un
principio, il quale potrebbe in poco spazio di tempo
terminare nella fortezza che allora disegnavasi.
Cosi riferiva il Commissario Fanzino, opinava l'In-
gegnere Olgiati, avvalorava, e scriveva il Gonzaga al-
l' Imperatore addi 20 marzo 1548 (i).
CXVIII. — Dal concorso di tante forze riunite contro
di lui, astretto il Doria, si risolvè alfine di lasciar dacanto
quella sua libertà antica, come l'ambasciatore Figueroa
si esprimeva scrivendone al Governatore Ferrante, e
congiungendosi al parere di tutti che la fortezza fosse da
farsi e tanto necessaria, che senza di essa non sarebbe
(i) V. Documenti dell' Archivio di Simancas, Doc. cxxxix.
23
354
possibile che quello Stato si mantenesse, richiedeva però
due condizioni , V una che si facesse nel bastione di
S. Giorgio, r altra che si aspettasse a farla alla venuta
del Principe Filippo ; ma V una e V altra venivano ri-
gettate e disdette dal Gonzaga, perocché il bastione,
notava, di San Giorgio era posto in un luogo detto
il Borgo, non compreso nella città, né la poteva do-
minar tutta, né giovava valersi del* soccorso che vi
entrasse , benché grossissimo , ogni volta che quelli i
quali avessero la città chiudessero una certa porta che
ci era, la quale rimarebbe in loro potere, concludevasi
pertanto che ninno sito si offeriva migliore per quello
che si disegnava, che il detto Castelletto vecchio e per
la spesa e per la forza. La quale edificazione nella si-
curtà che si aveva a pigliare di Genova , la celerità
era sommamente necessaria; e perciò, dove la venuta
del Principe Filippo o si prorogasse tanto , che poi
non si avesse tempo di fabbricare nell' anno presente,
o si rimettesse all' anno futuro , questa dilazione sa-
rebbe molto pericolosa e forse porterebbe qualche in-
conveniente, consigliavasì quindi e lodavasi che fin da
ora si procedesse all' esecuzione , senza differir più ,
mentre che il Doria trovavasi ben disposto ed era in
autorità ; imperocché l' anno vegnente non sapevasi
dove sarebbe stato, né quanto fosse per poter fare;
questi particolari riscriveva il Gonzaga all' Imperatore
mandandogli il disegno del Castelletto vecchio di Ge-
nova, il parer suo, e quello dell' Ingegnere Olgiati con
lettere del 24 e 28 maggio 1848.
CAPITOLO QUARTO
Andrea Doria per pigliar tempo invia all' Imperatore Adamo Centurioni, vita, viaggi,
azioni gloriose di questo ; venuto egli alla presenza di Carlo propone prima della
fortezza l' esperimento della riforma del governo ; V Imperatore decide doversi
quel negozio rimettere alla venuta del Principe Filippo in Genova ; Trama ordita
in Piacenza contro di questa Repubblica, la quale tosto che fatta soggetta alla Spa-
gna , il Principe Filippo verrebbe dichiarato re d* Italia ; il governo del Doria
avendone segreto avviso da Roma, provvede alla propria difesa e rispinge ogni
proposta che si faceva dal Duca di Firenze e da Ferrante Gonzaga di spedire
in Genova ragguardevole numero di gente armata col pretesto di meglio onorare
la venuta del Principe Filippo ; Riforma del governo operata dal Doria ristrin-
gendolo vieppiù in mano di pochi, colla nuova legge detta del Garibetto.
CXIX. — Versando il Doria in cosi crudeli an-
gustie quinci dall' interni dissidj , e da continui tenta-
tivi di congiure e di summosse, minacciato quindi e dalle
esterne insidie assalito, venne in deliberazione di ri-
volgersi dirittamente a Carlo, mandandogli Adamo
Centurione, V uomo che se di lui occultamente rivale,
cionondimeno era il suo più necessario sostegno, e nel
fatto di cui si trattava, avendo comunanza d' interessi,
dovea desiderare un medesimo fine. Avea egli incarico
per allontanare il pericolo e V opera della fortezza di
proporre invece di questa una grossa guardia che pre-
sidiasse la città, e la riduzione del governo in mano
di pochi.
3S6
In queste istorie che dal 1528 corrono all'anno di
1548 in cui ci troviamo, già molte fiate ci occorse
di parlare del Centurioni come il più dovizioso , più
grande cittadino di Genova, e tale da non temere il
paragone del Doria dove fornito fosse stato di più
astuto ingegno eh' egli non era, per cui rimastogli in
questo minore, dovea a quello servire di strumento, an-
ziché andargli innanzi come per molte ragioni il potea,
nel tenere il principale grado della Repubblica. La po-
tenza , la ricchezza , la nobiltà d' animo di sì famoso
personaggio rendono necessarie alcune speciali notizie
della vita ed azioni di lui. Il cognome dei Centurioni
deriva da un albergo così chiamato, per varie famiglie
principali della città che insieme si aggregavano, fra
le quali li Oltramarini. Questo nome con quello degli
Usodimare, de* Mari , de' Marini, e' indica abbastanza
l'origine loro, che nei primi tempi del Comune ge-
novese dieronsi alla navigazione e per marittime gesta
e per commerciali negozj divennero doviziosi e potenti,
infatti della virtù, scienza ed ardimento loro nelle na-
vigazioni e nei viaggi abbiamo prova segnalatissima nel
Paolo Centurione cugino di Adamo che in questi stessi
tempi proponeva allo Czar di Russia il disegno di far
passare le preziose mercanzie dell'India per la parto
del settentrione , togliendone cosi il monopolio dei
Portoghesi che lo si aveano arrogato dopo la sco-
perta del Capo. Agostino Giustiniani e Bartolomeo
Ganduccio ci narrano che un Giovanni Orsino figlio
terzo del Conte di Cole in Puglia , essendo l' anno
357
di 1241 venne mandato dal Pontefice Gregorio IX a
servizio della Repubblica con 100 uomini d' arme
mentre trovavasi questa minacciata dall' Imperatore
Federico II. Dimorando quegli in Genova si congiunse
in matrimonio con Serafina figlia di Oltramarino
principalissimo e ricchissimo cittadino e per tal modo
continuò egli la chiara prosapia degli Oltramarini,
comechè morto , un figlio postumo di lui chiamato
collo stesso nome di Giovanni , toltosi ad educare
dalla madre e dall' avolo materno , rimase solo erede
delle facoltà delli Oltramarini, e insieme del ramo pa-
terno degli Orsini , prendendo il cognome dei primi
e trasmettendolo per lunga serie d' anni a' suoi di-
scendenti finché si confuse ed estinse nell' Albergo
dei Centerioni. Ora Adamo uscito di cosi nobile e
potene schiatta ne fece vieppiù risplendere la virtù
e la grandezza; Andrea Doria conoscendone la ster-
minata ricchezza, divisò di servirsene come mezzo
necessario a' suoi fini, e la lealtà del Centurioni
soggiacque all' astuzia di lui , sicché l' ebbe per aiuto
efficacissimo nella riforma delle leggi del 1528, e dopo
di allora sempre lo si tenne auxiliario potente e congiunto
in tutto ciò che occorreva pella conservazione durevole
dello Stato da lui fondato. Adamo e per le chiare
sue imprese, militando sotto le insegne imperiali, e
per le insigni sue liberalità si rese sempre più utile
al nuovo ordine di cose talché più largo il firutto potè
raccoglierne Andrea, imperocché se lice i grandi ai
piccoli fatti comparare, il Centurioni a Pompeo, e il
358
Doria a Giulio Cesare si avrebbe a paragonare, che
al primo come al Romano ricco potente, ma modesto
e forse nelle civili Eiccende trepidante né sempre ri-
soluto non piacquero la arti subdole conche solo
avrebbe potuto al supremo posto innalzarsi, il secondo
invece scarso a danaro, d' ingegno più destro e pro-
cacciante non indietreggiò come Cesare di gittarsi a
partiti che bastavangli a dargli in balia la Repubblica,
di guisachè come Pompeo Giulio , Adamo Andrea
fece signore di quella.
Delle azioni del Centurioni si hanno a menzionare
quelle della Goletta e di Tunesi, e delle guerre Ger-
maniche specialmente, nelle quali militò sempre a sue
spese senz' alcuno stipendio ripetere dall' Imperatore,
al quale anzi , abbisognando 20o/mila pezzi per la
guerra di Algeri, si racconta, eh' ei profferse di dargli
in quella moneta che più gli fosse piacciuta, e la ri-
cevuta mandatagli dall' Imperatore , abbrucciò poscia
al camino dinanzi a lui; a' ministri imperiali nelle
più gravi urgenze fece larghi prestiti, ma i più impor-
tanti ed egregi al Doria per iscioglierlo soventi dalle
più pericolose angustie in cui trovavasi quel suo go-
verno, a sostenere il quale facea di mestieri all' arti-
fizio accoppiare il danaro di cui il Doria difettava. A
Cosimo de' Medici Granduca di Firenze in una sola
volta diede 200/mila scuti d' oro, e 800/miIa pezzi da
8 reali spese nella compera dal marchesato di Stepa
e Pedrera in Ispagna. Da Oriettina figlia di Marco
Grimaldi sua consorte gli nacquero due figli. Marco
359
che succedette a Gianettino Doria nel governo delle
galee imperiali con titolo di luogotenente generale del
Principe Andrea, non senza segreto rancore di questo
che quella carica voleva al figlio di Gianettino riservata,
morì prematuramente, vivendo il padre, e le memorie
del tempo, di tal morte inopinata, fanno misteriose
congetture; egli fu di prode e sagace ingegno, segna-
landosi in molte ragguardevoli imprese al servizio di
Carlo V. L' altra prole di Adamo fu Ginetta che sposò
con dote di éo/mila scuti d' oro a Gianettino. Si narra
eh' ei r avesse innanzi promessa al Conte Gio. Luigi
Fiesco , ma . di ciò avendo data communicazione al
Principe Andrea, aggiungendogli di avere per suo ge-
nero scelto il principale personaggio della Repubblica,
questi gli rispose di essersi errato, perocché Gianet-
tino essendo da lui destinato a succedergli sarebbe
stato maggiore del Fiesco, che quindi la figlia meglio
avrebbe allogata nel primo che nel secondo; locchè
saputosi dal Centurioni ruppe la fede data al Fiesco
e Ginetta congiunse con Gianettino; per la qual cosa
alle diverse cagioni di avversione che ebbe il genovese
cospiratore contro i Doria, si vuole che questa ancora
si aggiungesse per istimolarlo più ferocemente alla
congiura.
CCX. — Intanto Adamo Centurioni venuto alla
presenza dell' Imperatore tentando di rimuoverlo dal
disegno della fortezza proponeva anzitutto il rimedio
della riforma del governo per esperimento, e quando
questo non fosse bastato, ammetteva si potesse soltanto
360
allora procedere all' edificazione di essa; ma il Gon-
zaga cui di tutto teneva informato Carlo , disdiceva
la proposta, mostrando grave il pericolo che corre\^
in Genova il dominio imperiale sia per gì' interni ne-
mici, sia per le insidie de' firancesi e del rumoreggiare
delle armi loro nel vicino Piemonte, che secondava
il Pontefice; e siccome il Centurioni allegava che se
nel suo particolare desiderava la fortezza non potea
volerla per ragione del pubblico, consigliava il Gon-
zaga che S. M. gli facesse anteporre il suo particolare
in questi due modi: il primo la sicureT^T^a della casa,
persona e facoltà sua^ il secondo V alte:i^:(a a che sale,
perché con questo me/^T^o si fa il primo uomo di quella
città e poco meno che Signore ^ poiché S. M. riconoscerà
questo servigio in gran parte da lui e si terrà obbligato
a tirarlo pia avanti in quella Repubblica che uotno
ci sia.
. L' Imperatore intanto decideva doversi quel negozio
rimettere alla prossima venuta del Principe Filippo
in Genova; dove tra questi, il Duca d'Alba, il Gon-
zaga, l' ambasciatore Figueroa, e Andrea Doria sa-
rebbesi preso più speciale concetto di quello si avea
ad operare.
Ma sotto di cotesta dilazione covavasi una trama,
e il viaggio del Principe Filippo in Italia cui dovea
profittare era rivolto a darle forza ed effetto.
I prosperi successi testé delle armi imperiali otte-
nuti contro i Principi protestanti in Germania, aveano
alzato r animo di Carlo ad immoderati intendimenti,
^6i
sicché desiderando egli di ampliare le ragioni, e V au-
torità deir impero, divisava di renderne la dignità ere-
ditaria nella sua casa, e nel figlio Filippo. Sgomentati
essendo dalle recenti vittorie imperiali, gli elettori,
impotenti erano ad opporsi, altro non restava quindi
che ad indurre il fratello Ferdinando e il figlio di lui
Massimiliano alla rinuncia, cedendo la dignità al ni-
pote e cugino Filippo; profferivasi in compenso al
primo il Ducato di Wurtemberg, a Massimiliano l' ele-
zione al regno di Boemia col governo dei regni di
Spagna neir assenza del Principe Filippo e il matri-
monio di lui colla principessa Maria prima figlia di
Carlo; ma né Ferdinando, né Massimiliano, per quanto
iterate e larghe le profferte vollero mai consentire alla
rinuncia , per la qual cosa V Imperatore costretto a
porne giù il disegno , né per altro volendo lasciare
di far grande coli' acquisto di nuova potenza il figUo,
cosi dal Duca d' Alba e da Ferrante Gonzaga indet-
tato , deliberò di dichiararlo Re d' Italia , e perché il
divisato regno avesse fondamento sicuro e gagliarda
difesa contro i Principi italiani, insignorirsi di Genova,
colla quale verrebbe ancora ad ottenere una singolare
forza marittima. A questo fine il Duca d' Alba dovendo
accompagnare in Ispagna per le sponsalizie con Maria
r Arciduca Massimiliano , avea commissione nel suo
passaggio in Italia di stabilire quanto era necessario
air occupazione di Genova; dopo di che venuto il
Principe Filippo , uscito sarebbe V imperiale diploma
che dichiaravalo Re d' Italia.
362
Entravano nella macchinazione oltre il Duca d' Alba,
Ferrante Gonzaga, Cosimo Duca di Firenze, e vergo-
gnoso a dirsi ! Tommaso De' Marini Gentiluomo Geno-
vese gran confidente dell' Impero (copio le parole dell' an-
nalista Casoni) (i), con altri molti, i quali, mentre
r Arciduca Massimiliano a grand' onore era ricevuto
in Cenova, e nel proprio palazzo per quattro giorni
sontuosamente dal Doria ospitato, trattavano in Pia-
cenza convenuti della rovina e servitù di essa. Al mi-
cidiale congresso assistevano in persona il Conzaga,
e il Demarini con parecchi altri partecipi dell' insidioso
trattato, il Medici per mezzo di un suo ministro, e
per un Segretario il Duca d'Alba, concorrevavi il
primo per la promessa di Siena e del principato di
Piombino tolto agli Appiano , per la dignità di Go-
vernatore della sua patria ridotta in servitù di Spagna
il Demarini. Di quanto però si convenisse tra di loro
per molti giorni radunati nulla potea traspirarsi, men-
tre in grandissima angustia stavasi in Italia, e spe-.
cialmente in Roma, dove per la sorpresa di Piacenza, e
l'assassinio del Duca Farnese sapeasi il Pontefice di quali
perfidie fosse capace il Conzaga; però egli a Carlo
Orsino che in suo nome teneva il governo di Parma
scriveva, raccomandandogli ogni arte, ed ogni mezzo
adoperasse per penetrare il segreto ; e 1' Orsini veniva
in cognizione che non solo trattavasi di sorprendere
Cenova, ma Bologna, e la persona stessa del Papa
(i) Annali della Repubblica di Genova, an. 1 548, lib. v, pag. 211.
3^3
trovavasi mal sicura, cui si minacciava di fare quanto
già al suo predecessore Clemente VII. Queste notizie
spedite dall'Orsino a Gio. Batta Piovano suo agente
in Roma, a Leonardo Strata nobile genovese suo ami-
cissimo communicoUe, che subitamente trasmettevale
a Genova. Ricevute quelle fu grande turbazione in
Senato, alcuni non prestandovi fede, opinavano non
doversi ricorrere a straordinarj provvedimenti affinchè
non si mostrasse diffidenza degli Spagnuoli, altri in-
vece più assennatamente giudicando, proposero si pen-
sasse a difendersi e premunirsi contro le verosimili
insidie ; e il partito degli ultimi vincendo , crear onsi
quaranta nobili con dugento uomini d' ogni ordine,
per ciascuno di essi, incaricati d' invigilare alla sicu-
rezza della città, pronti ad accorrerne in ogni evento
alla difesa. In questo veniva meglio in luce il trattato
di Piacenza, imperocché un inviato del Gonzaga pre-
sentavasi in Genova chiedendo si dovessero alloggiare
quivi duemila cavalli e altrettanti fanti per il prossimo
arrivo del Principe Filippo, il qual male poteva, dicevasi,
per mare condursi quella gente che pur era necessaria
alla sua dignità; scriveva nel medesimo tempo il Duca
di Firenze domandando 1' alloggio per due reggimenti
di cavalleria, ed altrettanti di fanteria, poiché deside-
rando venire a Genova ad ossequiare il Principe, avea
d' uopo condursi seco per difendersi da' fuorusciti fio-
rentini. Non essendo allora più dubbio sulla verità
delle cose esposte dallo Strata rispondevasi dal Senato
al Gonzaga che non voleva alloggiar gente prima di
364
conoscer quella che seco portavasi il Principe, questa
conosciuta, si provvederebbe ; e siccome replicavasi e
sfacciatamente insistevasi dal Gonzaga , aggiungendo,
già essere pronto al viaggio con quelli uomini destinati
di guardia allo sbarco di S. A. alteramente si riscrisse :
che se con maggior comitiva di venti persone fosse
venuto, le porte gli si sarebbero chiuse in faccia. In-
fine poiché nuove e più importune istanze ripeteva
egli, conchiudevasi, non più di dugento cavalli, e tre-
cento fanti spagnuoli potesse condur seco, i quali però
non in città, ma lontano sei miglia da essa avrebbero
trovato alloggio nella villa di Sestri. Al Duca di Fi-
renze più ricisamente rispondevasi in paese amico ba-
stargli r ordinaria sua guardia, oltre questa vietarglisi
ogni vicinanza a' confini ; queste deliberazioni signifi-
cate, il Gonzaga, fu costretto a rinviare indietro le
altre genti che aveasi tratte seco, e già erano per en-
trare nei domii)]' della Repubblica; e il Medici in luogo
suo mandò il figlio dell' età d' anni dieci col seguito
di 50 persone.
CXXI. - — Mentre il Principe Filippo apparecchia-
vasi alla sua spedizione d' Italia, Andrea Doria col-
r armata avea fatta vela per imbarcarlo in Ispagna.
Alcun tempo prima però della partenza, come ne avea
fatta proposta all' Imperatore, volendo pigliar tempo
per mandar a vuoto il disegno della fortezza, le cose
di Genova si erano per lui a più stretto governo or-
dinate. I nobili vecchi, appellati di S. Luca, paghi non
si mostravano eh' espulsi dal governo fin dall' anno
3^5
di 1339, mercè le nuove leggi del 1528 avessero ciò
nuUameno potuto esservi ammessi, che sebbene ristretti
di numero pretendevano di parteciparvi in egual modo
dei nuovi detti di S. Pietro, i quali per doppia quan-
tità li superavano, diguisachè il Doria e per meglio
ristringere a sé la nuova forma di governo, liberandola
dal pericolo delle popolari sedizioni, e per soddisfare
a coloro che nel primato della Repubblica lo sostene-
vano, e per trovar modo ad un tempo da evitare la
fortezza che sotto il pretesto della pubblica sicurezza
ad ogni patto chiedeva Carlo V, ottenne dai due col-
legj r elezione di otto principali cittadini , i quali do-
vessero insieme con lui considerare quanto si conve-
niva .a far meglio sicura la Repubblica , riferendone *
poscia al Senato. Gli otto incaricati operando a talento
del Doria, stesero la relazione loro che dal Senato ap-
provata ebbe vigore di legge, e si chiamò del Qua-
rantasette e volgarmente per ischerno del Garibetto,
comechè il Doria che la promosse, fosse solito dire,
che con essa voleva dar garbo, o sesto alle pubbliche
cose. Per questa legge ordinavasi, che laddove prima
eleggevasi tutto il Consiglio dei 400 a sorte , e cosi
da cinque dei CoUegj i ventotto elettori del Doge, e
dei Governatori, in appresso invece il maggior con-
siglio fossse di trecento cittadini a sorte, e a palle gli
altri cento; da questi 300 a sorte, e cento a palle in
quest' ultimo modo se ne eleggessero cento che for-
merebbero il minor consiglio, nell' elezione dei primi
cento del Consiglio Maggiore e dei cento del Minore
TT>wTTìr ,:a£ àat CoU^ gli otto Pro-
i*nn*. i S ^^iiorpr^ i coque Sindacatori Supremi, e
. sjiiiì: -aa. Aiipsrrair 3^H Siraordinarj, e i medesimi
csnu -OS. CjEs^uir Minore fossero gli Elettori dei
"'"^Ttirctr CTL ài Vfwr larixàvano la nomina del Doge
i 4ji. ^jo^^irxainri. Li sajra le^e altro non essendo
ciu -UT r-jiìéljr Tar^yx jrrare il rumore a' Nobili di
S. T*j2irr^ ^vTsir^ i"iccoiaTÌ, imperocché per lo in-
Tum::. J iksarmi ^ Canssga ùcendosi a sorte , tutti
^ ccrradin^ aHrnri'imfrrj^ ^ccerxao partecipare del governo,
TuercTi -nràina^ x v^ci sì ne divideva il potere fra i
iar ?.:r:rci. ^^sr ci ^qxielE di S. Pietro essendo i più
lujrrwr^ ni T^jiiiTrxnc* rseUa maggior parte allontanati.
?li ^ irai»: I r:;£c:c3C£::io destatoà nel 1528, cagione
Ò0-. r;vc;. e ò£k cocpjre da noi descritte che tutti
r:?TCK"h>i:ronc ci: ìT-tì fi^cff-a trascorsi, invece di se-
^iir^s^ Tcc:5ic ccc rcu vixe querele, e macchinazioni a
ìCOCcxiT^ d-f^Tnicnòv-tsì per tutte le parti della Repub-
Kici rjjenrrc ron p^ic-i g^ antichi nobili di avere ri-
occr<^ il Govcrn^o ali* aristocrazìa , lo incanmiinavano
ili* olìcarchìa.
CAPITOLO QUINTO
Viaggio del Principe Filippo sopra una flotta di 98 legni comandata d' Andrea Doria ;
Sua domanda di voler alloggiare nel pubblico palazzo; fiera risposta e rifiuto del
Doria ; arrivo, solenne ricevimento di lui in Genova, e alloggio sontuoso nel pa-
lazzo di Fassolo.
CXXII. — Pertanto tra 1' oligarchia e la straniera
servitù pendeva lo stato quando Andrea Doria muo-
veva coir armata in Ispagna, e dopo di avere sbarcato
r arciduca Massimiliano recatosi a Vagliadolid , dove
celebrò le nozze coli' Infanta Maria, riceveva al bordo
della sua Capitana il Principe Filippo. Numerosa era
la flotta di 98 legni, dei quali cinquantotto galee, e
40 navi, delle prime, erano diecinove di Andrea Doria,
sei d' Antonio Doria, due del Signor di Monaco, due
di Visconte Cicala, le altre dei regni di Carlo ; delle
seconde, cinque genovesi condotte a prezzo, le rima-
nenti fra Biscaine, Fiamminghe e Portoghesi. Salpando
dal porto di Roses veleggiavasi per la Provenza, ma
contrarj essendo i venti per la stagione invernale fu
d' uopo qualche giorno sostare in Acquemorte , e al-
l' isole d' Jeres, dove vennero approvvigionati di viveri
5t>S
T*er :i2 vascello s;*ed:toTÌ di Genova dall' ambasciatore
Fic-icr.-vL. RirkrIiiLVisì con più favorevole tempo il viag-
or, ì n^enr-e T :irr:Lara a andava accostando alle ma-
rirìi i' Itilii, er.rr:-va il Principe Filippo a particolare
r:^l:ncr.:ì:r.to col Dorìa, e tentatolo sopra le cose di
Gen.^v::, crJeicv::^:!:, quando fosse giunto in città dove
scTiòbc il suo clloggio, « In casa mia. Altezza, dove
T i^^r.irrc £Ioì:cò T-uìr^isto Padre Vostro. » — Ma
Fi'.::^r»v-^, 50^c'"-r.ccva^li_ volere allo^snare nel Pubblico
P-'.^irro : e il Dorìa : « Monsignore volete dunque
> usjmr.i n^cno onore di quello che mi fece l'Impe-
y rjitv^re Padre Vostro, e quand'io portava speranza
Ti^ che ir.iiiMore acquisto avrei potuto procacciarmi in
T» questo primo Vostro passaggio, verrò invece a per-
V dervi di molto ? Deh ! non vogliate farmi questo
^^ :or:.^, imperocché ciascuno direbbe che mal vi te-
^^ ncsre contento del mio servizio. » Filippo nonché
arrendersi a quella risposta con maggiore pertinacia
insisteva ; dover essere sua stanza il Palazzo' della Si-
gnoria ; allora il Doria di aspetto e di accento mutato
replicava : Io r:on posso qucst' alloggiamento permet-
hTvi , non esscrJo in poter mio; allorché saremo a
Gcm>i\ì Voi ne fare'c Joman.ìa a chi ha autorità di
darlo, e se II verrà conceduto ne rimarrete servito. Temo
forte perJ che ijnei Signori che dentro vi sono, nonvor-
ranno uscirne. Lo quali parole profferite con modo
fiero e risoluto mossero a sdegno Y animo orgoglioso
del Castigliano Signore di sortachò, voltategli le spalle,
si pose con altri a favellare. Senonchè a maggiore ini
369
doveva accendersi poco dopo quando per una fregata
ebbe lettere del Gonzaga che gli davano avviso essere
ita in dileguo la trama di Piacenza per V accortezza
e antiveggenza de' Genovesi; questa notizia cosi ne
alterò la mente, turbandone gli orditi disegni, che più
non voleva sbarcare in Genova, ma in Savona passando
quindi in Lombardia ; il Duca d' Alba però mostran-
dogli nonché la sconvenienza , il pericolo di tal pro-
posto che dando ragione al sospetto de' Genovesi,
avrebbe potuto con essi sollevare qualche gran moto
in Italia, a più sano consiglio il ridusse; per la qual
cosa sceso a Ventimiglia accolse con apparente cor-
tesia i quattro Ambasciatori della Repubblica Luca
Giustiniano, Francesco Lomellino di Battista, Luciano
Spinola, e Bartolomeo Maggiolo che seguitaronlo a
Savona; nel porto di cui entrato altri otto Ambascia-
tori genovesi, capo de' quali Agostino Lomellino, ven-
nero a fargli onore. Disbarcato a Savona, costi ma-
gnificamente trattoUo Benedetta Spinola ricchissima
vedova, e furono a trovarlo i Principi e Signori, tra
i quali il Cardinal Coria Spagnuolo, Francesco d' Este
fratello del Duca di Ferrara, Ferrante Gonzaga, e" il
Principe d' Ascoli ; recossi ad udir la messa a N. D. di
Savona, e dimoratovi due giorni continuò il viaggio
per Genova. Veleggiava 1' armata verso di questa, or-
dinata in tre parti, 1' antiguardo con D. Garzia di To-
ledo generale delle galee di Napoli, la battaglia reg-
geva il Doria con le sue galee, e quelle dei particolari
genovesi, stando in mezzo la capitana; governava il
24
370
retroguardo D. Bernardino Mendozza colle galee di
Spagna. Bellissimo a vedersi era il mare tranquillo
solcato da* remi di varj colori dipinti, le poppe de' legni
per oro fregiate e risplendenti, le antenne per mille
bandiere appariscenti che alle propizie aure sventola-
vano, mentre per entro le maggiori galee i concerti
delle più liete sinfonie risuonavano. Pervenuti vicini
alla Lanterna un fiero disastro accadeva, rompendo ad
uno scoglio la galea Leona di Napoli , naufragando la
ciurma, il presidio, molti signori e cortigiani Spagnuoli;
accorsi subitamente i battelli delle altre galee, vennero
tratti a salvamento. Ora, V armata partita dal porto di
Rosas il 2 Novembre, sorgeva in quello di Genova
addi 25 dello stesso mese, fulminavano le artiglierie
della reale Capitana del Doria a lieto saluto, rispon-
devano a quello i posti della città, i castelli, i ba-
stioni, i soprastanti monti ; intanto la Capitana acco-
stavasi al borgo di Fa§ciolo dove sopra un ponte di
barche costrutto scendeva il Principe nel Palazzo del
Doria. Dugento soldati della Repubblica quinci e quindi
schierati stavano di guardia, sulla parte più eminente
del ponte erano ventiquattro Capitani circondati da
copioso numero di nobili Cittadini, il Doge e i Sena-
tori che fattisi al cospetto del Principe onorevolmente
salutandolo, accoglievanlo , indi con riverenti parole
festeggiavanlo i Cardinali Doria e Cibo, Monsignor di
Matera Nunzio del Papa, gli Ambasciatori delle Re-
pubbliche, degli Stati d' Italia, e dei Regni soggetti
alla imperiale Corona. Egli per un gran portico , a
371
queir occasione di legno vagamente apparecchiato, che
congiungeva il ponte al palazzo, in questo entrava,
dove le più magnifiche sedi vedevansi che si avesse
allora qualsiasi Principe in Italia ; perocché vi si fosse
testé condotto a meta ogni più sontuoso restauro che
da gran tempo il Doria faceavi eseguire, e i dipinti di
Pierino del Vaga, e del Pordenone, e le scolture del
Mortorsoli, e le opere famose di altri celebri artisti
per l'ampie sale, per le. scale, e negli attigui giardini
vi risplendessero in tutta la loro bellezza. , L' interior
parte delle sale ricchissimi arazzi, e broccati d' oro e
di seta, e sontuosi apparati fregiavano d' ogni parte,
le camere del Principe maravigliosamente addobbate
degnissime mostravansi dell' Ospite Augusto. Il Doria
trattò con regia sontuosità non solo lui, ma tutta la
Corte che volle in quelle sue splendide stanze allog-
giata ; e il trattamento riesci nonché generoso, ma con
prodigioso silenzio ordinato, poiché tutto a suon di
fischietto ad usanza di galea comanda vasi ed eseguiva ;
e per dare avviso di quando entrava, od usciva qual-
che gran Signore o Ambasciatore sulla piazza dinanzi
ai Palazzo collocato si era un gran globo sormontato
da corona d' oro che ad ogni entrata od uscita get-
tava razzi, e spari faceva somiglianti a colpi di arti-
glierie.
CAPITOLO SESTO
Ginsigli tenuti nel palazzo Doria dal Principe Filippo col Duca d*Alba, Ferrante
Gonzaga, e 1* Ambasciatore Spagnuolo per trattare collo stesso Doria di ciò che
si dovea operare per la sicurezza di Genova, la conservazione del suo libero stato
e per tenerla salda nel servizio imperiale ; il Doria venuto all' adunanza opina che
la riforma del governo divisata da lui doveva bastare senza ricorrere ad altro ri-
medio ; opposizioni che gli si fanno, repliche e contrasti d* ambo le parti ; con-
cludono di radunarsi altra volta ; intanto per ordine del Principe Filippo il Duca
d' Alba si abbocca con Adamo Centurioni, dalle parole del quale si accorge eh' era
suo fine di succedere al Doria nella stessa autorità che avea questi nella Repob-
blica ; si decide di conseguire per forza quanto desideravano impedendo la rifbrnu
del governo ; Ferrante Gonzaga consiglia, lasciando in disparte il Doria e il Cen-
turioni servirsi dell* opera più sicura di Antonio Doria, del colonnello Agostino
Spinola e Cardinale Doria ; obbiezioni che si fanno dal Duca d' Alba e dall' Am-
basciatore Figueroa a siffatto partito ; si conclude di nulla eseguire senza prinu
consultarne l' Imperatore. È invitato il Doria ad una nuova adunanza , la quale
pure fallisce allo scopo ; tentativo di tiunulto in Genova fatto nascere dal Prin-
cipe Filippo e dai suoi ministri per occupare con violenza il pubblico palazzo;
andato questo a vóto, cosi consigliato dal Duca d' Alba, Filippo decide di fiire il
suo solenne ingresso in città e recarsi ad udire la messa nel Duomo ; festosa ac-
coglienza a lui &tta dovunque ; suoi principeschi ricevimenti , e partenza per
Milano.
C XXIII. — Filippo, secondo il disegno del Padre
voleva essere e dichiararsi re d' Italia, e dal possesso
e dalla Signoria di Genova dovea prendere inizio la
nuova regia dignità; a questa spingevanlo, ed ajutavano
il Duca d' Alba, Ferrante Gonzaga, Cosimo de* Medici
duca di Firenze, V Ambasciatore Figueroa, e in ispecie
Tommaso Demarini, e il colonnello Agostino Spinola
373
• genovesi e servidori umilissimi imperiali. Importantis-
sime adunanze teneansi immantinenti a questo fine dal
Principe tostochè in Genova arrivato col Duca d' Alba,
il Gonzaga, e V Ambasciatore Spagnuolo e nello stesso
* palazzo che gli era cosi cortesemente e splendidamente
, conceduto ad ospitalità. Il giorno seguente al suo ar-
rivo ordinava egli che dinanzi a lui si adunassero i
tre sunominati; i quali venuti, e richiamando a me-
. moria ciò che a S. M. si era scritto dall' Ambasciatore,
da Don Ferrante, e dal Duca d' Alba, quanto loro da
; quello fii risposto, ciò che trattato con Francesco di
f Grimaldi e Adamo Centurioni intorno allo stesso ne-
gozio, decisero che il Principe si rivolgesse al Doria e
., mostrandogli grande fiducia, gli dicesse avergli S. M.
'\ Cdrdinato che tostochè giunto a Genova trattasse con
. Ini di quello si aveva ad operare cosi per la sicurezza
, di quella città e la conservazione del suo libero stato,
come per tenerla salda nel servizio di lei ; vedesse
- quindi quando si dovessero radunare , quali e quanti
trovarsi presenti con lui alla radunanza affinchè prin-
cipalmente col parer suo, si pigliassero quelle delibe-
razioni che stimate fossero più convenienti. Unifor-
^DOiandosi il Principe a quanto gli era suggerito, scrisse
al Doria, e questi rispose : stare a' suoi ordini, poter
essere presenti il Duca d' Alba, Don Ferrante, e V Am-
^basciatore, congiuntamente con essi direbbe il parer
'Sao. Sul cadere del medesimo giorno ragunaronsi; di-
.inostrò Filippo che S. M. desiderava dar ordine alle
cose di Genova, sia per il maggior bene di essa, sia
374
per la sicurezza e perpetuità del suo servizio, sia an-
cora per accrescimento e conservazione della Casa del
Doria e della costui discendenza, chiese quindi il parer
suo. Ed egli da lontano togliendo il principio del suo
discorso, disse che fin d' allora che Francesco di Gri-
maldi fu inviato a S. M. si era trattato che per conse-
guire r effetto che si voleva, conveniente stata sarebbe
r edificazione di una fortezza nella città coi danari di
essa, da riporla poscia in mano della M. S. ma che
fin d' allora come adesso, egli la stimava cosa impos-
sibile, tanto per non aver modo di sopperirvi alla
spesa, versando in grande necessità, quanto per il ti-
more di trovarsi esposti a cadere in soggezione. Ed
essendogli replicato che se la città non poteva sob-
barcarsi a tale stipendio, S. M. vi avrebbe col proprio
danaro provveduto, dove egli trovasse modo ciò si fa-
cesse col volere dei cittadini , rispose che non mai
questi vi si sarebbero di buon grado prestati ; che se
gli si domandasse il parere della forma che a tenersi
si avrebbe quando si volesse ricorrere alla forza, li-
beramente il direbbe senza tema che alcuno al mondo
facesse violenza alla sua volontà perocché ni il suo
interesse^ né quello della sua Casa gli premeva ni alito
fine aveva fuori che il solo del servi:(io di S., M. Dopo
di ciò, seguitò, che non usandosi le vie della forza,
ma regolandosi con quella umanità che S. M. soleva
adoperare nelli altri affari de' suoi sudditi, sembravagli
che occorrendo allora le feste del Natale, epoca in
cui si ha per costume di rinnovare i magistrati di
375
questa città, molto conveniente sarebbe di operarne
la riforma riducendosi il Consiglio a minor numero,
per cui non più di quattro fossero i presenti otto pro-
curatori, e con ciò, e col chieder egli che gli si desse
autorità d' intervenire in tutto come uno di essi, locchè
credeva gli sarebbe accordato per le passate macchina-
zioni ed offese contro la persona sua, ridotto il ne-
gozio in mano di pochi, facile diverrebbe il trattare
e dar ordine a quello della fortezza, o a ciò che più
convenisse ; questo essere il migliore rimedio, conchiu-
deva, per il quale con maggiore agevolezza sarebbesi
pervenuti a provvedere con istabile forma alla Re-
pubblica.
A queste parole si replicava in contrario che il ri-
medio proposto buono era per il presente, ma siccome
gli uomini sono mortali, esso mancato per V autorità
di cui la città si reggeva, non potea più applicarsi al-
l' avvenire ; oltreciò, ridotto il governo in pochi, so-
pra i quali egli prevaleva, certi soltanto si potea essere
e sicuri di quelli che componevano la Signoria, la
quale non amava senza dubbio né le novità , né le
mutazioni, ma dire non si doveva altrettanto degli
uomini sediziosi e della medesima plebe, che sollevati
a tumulto, né la Signoria sarebbe di per sé bastata a
sedarlo, né aver esso forza d' ajutarsi e difendersi.
A quest' ultima obbiezione rispondeva il Doria, essere
acconcio il rimedio di un gagliardo presidio che avrebbe
repressi i sediziosi ^ e impeditone il tumulto ; m' alla
prima non seppe che opporre , solamente osservava
376
che la fortezza sarebbe stata cosa molto sicura quando
in una sola notte potesse fabbricarsi, e alla mattina
vedersi compiuta, com' era fama che anticamente s' in-
nalzassero le castella, ma essendo mestieri di molti
giorni con maestri e materiali , mentre si lavorava,
scoppiati sarebbero i tumulti, e quelli della città po-
trebbero valersi di altre forze, ricorrere a* Francesi, o
a chi più loro piacesse, propizia avendo V occasione e
adducendo che si tentava spogliarli della propria li-
bertà, cosicché ripeteva esser d' uopo servirsi per ora
di altro mezzo eh' era la riforma del governo riducen-
dolo a minor numero. E siccome, nuovamente gli
venne replicato che una vòlta ottenuta la volontà della
Signoria per la fabbrica della fortezza, si provvederebbe
in guisa che non succedessero tumulti, né i maligni
cercassero, o potessero impedirne V esecuzione , egli
nulla più rispose, concludendo essere la pratica ridotta
a questi due termini, il primo donde e come si avesse
a trovar il danaro per la fabbrica della medesima for-
tezza, il secondo del modo e della forma con che si
potesse eseguire, ed ora suU' uno , ora suU' altro ra-
gionando riusci più risolutamente al primo spediente
della riforma del governo. Infine il riassunto di tutti
questi discorsi si fu che la materia era di tanta" gra-
vità da non potersi in una volta pigliare veruna ri-
soluzione, che meglio fosse di ben maturarla e tornare
a radunarsi ; frattanto per ordine di Filippo si abboc-
casse il Duca d' Alba con Adamo Centurioni , e fa-
cendogli per parte dell' Imperatore larghe promesse
377
per sé e per il figlio tentasse di tirarlo a quello che
si voleva. Quanto gli era commesso eseguiva il Duca,
prometteva accrescimento di grandezza ad Adamo, e alla
sua Casa, ma quegli rispondeva, a suo giudizio non es-
sere la fortezza praticabile, né quel rimedio necessario,
laddove T aumento della guardia , e la riduzione del
governo a minor numero bastavano a serbar libera la
città e in devozione di S. M. soggiungeva, che prima
d*ora erasi pr offerto a S. M. sempreché avesse voluto
colla forza mandar ad effetto il disegno del Castello, di
riporre in questo la sua persona, i suoi beni, e quelli
de' suoi amici, m' al presente, affinchè non paresse di
farvi ostacolo, abbandonerebbe la città per vivere altro-
ve, comeché avea possessioni negli stati diversi di S. M.
colle quali gli era agevole di menar comoda vita senza
che avesse d' uopo di ajuto ed assistenza per V erezione
di detta fortezza. E il Duca replicandogli che siccome il
Doria avea offerto all' Imperatore di togliersi in mano
il governo della città, ordinandolo a suo talento, senza
darsi pensiero di altro, eh' egli ne farebbe la proposta,
caldeggiandone la pratica , avvertiva lo stesso Duca
esser assai più facile la costruzione della fortezza che
il porre lo stato ad arbitrio di S. M. come proponeva
il Doria. Alle quali parole sdegnato Adamo , altera-
mente rispose che il Principe non farebbe né 1' una,
né r altra cosa , e sebbene a lui non si addicesse il
dirlo, era pur vero che non s' intendeva il Doria delle
cose di Genova, né conosceva gli umori che ne tur-
bavano la tranquilHtà, mentre avendo sempre atteso
37S
alle cose della guerra, a lui avea abbandonato T inca-
rico di conoscere e trattar i civili negozj , né perciò
dovea recare stupore che ne ignorasse le condizioni.
E incalzando il Duca : che il rimedio da lui pro-
posto non era durevole , rispondeva che in questo
mondo non si potea avere cosa alcuna che si sperasse
perpetua, che quella si provasse della riforma, e quando
fallisse a buon fine, coloro tutti che desideravano il
bene della città e del servizio della M. S. se ne rimet-
terebbero air Imperatore medesimo.
Dalle quali ultime espressioni il Duca si accorse che
fine era del Centurioni, dopo la morte del Principe,
avventurarsi all' acquisto del potere, pensando succe-
dergli nella medesima autorità, né ciò riuscendogli
confidarsi in S. M., e prestarsi allora a quello di cui
adesso si trattava. Intanto cotesta volta ancora discon-
clusi i tre chiamati a consiglio accommiatavansi da
Filippo e trascorsi alcuni giorni per ordine di esso
tornavano a radunarsi due volte e lungamente insieme
discutevano quanto dovea operarsi. Premettevano, che
il Centurioni pensava di temporeggiare per guadagnar
meglio ciascun giorno quel!' autorità che allora pos-
sedeva il Principe in Genova, e in cui divisava suc-
cedergli, che S. M. senza dimostrarlo, dovea guardarsi
dall' accrescergliela, ma vedere di diminuirla, affinchè
mancando quegli, eh' essendo vecchio e decrepito non
potea tardar di molto, non si trovassero nei medesimi
termini in cui erasi adesso col Doria; che non doveasi
approvare la riforma del governo a' pochi, giacché que-
379
sti a voglie loro V ordinerebbero mercè la stessa autorità
di S. M. allegando che conveniva ciò si facesse per
soddisfarla, non aVendo quella voluto, né potuto essi
ottenere altra forma per liberarsi dalla fortezza per la
quale con- tanta tenacità s' insisteva ; in questo modo
si avrebbero obbligati i cittadini e Y autorità imperiale
porgerebbe ad essi forza per conseguire quanto essi
desideravano ; quindi più difficilmente sarebbonsi pre-
stati ai voleri di S. M. e maggiore impossibilità
avrebbe incontrato il negozio ; manifesto essendo che
coloro i quali posti verrebbero da essi al Governo,
essendo loro tenuti ne professerebbero le stesse opi-
nioni. Parve pertanto meglio opporsi destramente alla
riforma quando volessero tentarla, due grandi vantaggi
ricavandosi dall' opposizione, Y uno la mancanza del-
l' autorità che avrebbero per quella conseguito, Y altro
che S. M. adducendo come mancato il mez^o che
consideravano qual rimedio bastante alla quiete della
città, non altro rimaneavi che questo della fortezza.
Addottato ciò si decise di valersi delle stesse parti dalle
quali travagliata era la Repubblica, e per qssq impe-
dire che la riforma si proponesse ; a tal uopo ebbe
incarico Y ambasciatore Figueroa di trattare secreta-
mente cogli avversarj del Doria e del Centurioni, af-
finchè quando in Consiglio se ne facesse la proposta,
opponessero di avere inteso che non era quella la
volontà di S. M. Però, molte difficoltà si rilevavano
nel ricorrere a siflFatto spediente, imperocché non po-
teasi prima di tutto evitare che noi sapessero il Doria
380
e il Centurioni, cui si avea riservata la pratica, locchè
sarebbe cagione di molti inconvenienti, si trattò allora
che Filippo dicesse al Boria che la cosa era di tanto
peso ed importanza eh' ei voleva consultarne S. M. e
siccome la risposta non potea giungere per le pros-
sime feste natalizie, epoca in cui si eleggevano i ma-
gistrati della Repubblica, cosi si avrebbe la dilazione
di un anno, nel qual tempo vi sarebbe agio di pen-
sare e deliberare ciò che meglio tornava di fare. 01-
treciò per rendere ferma e sicura Genova in devozione
di S. M. dopo la morte del Doria, non essendo suf-
ficiente rimedio il presidio, si discusse molto, e dopo
varj partiti si appigliarono a quello che per nessuna
via doveansi interrompere le trattative col principe
Doria e con Adamo Centurioni, perseverando nel-
l'idea che solo ed ultimo rimedio fosse questo della
fortezza temperandone il modo secondochè a S. M.
fosse piaciuto.
E qui, il Ferrante Gonzaga ponea in campo un al-
tro tentativo ; veduto avendo, egli diceva, che le per-
sone nelle quali stava la principale autorità in Genova
per avergliela data l'Imperatore, cosi male gli corri-
spondevano, bene era appiccar pratica con altri pochi,
e tali cui si potesse far sperare che S. M. saria largo
di singolare mercede, promettendo a ciascuno di essi
di renderlo il più ragguardevole uomo di quella città;
e tre,' secondo lui, doveano essere i preferiti, Anto-
nio Doria, il colonnello Agostino Spinola, e il Car-
dinale Doria, ad ognuno de' quali aveasi diversamente
38i
a parlare, per esplorarne V animo, inducendoli a favo-
rire r opera della fortezza; al cardinal Doria oltre la
promessa comune agli altri due di divenire il più auto-
revole e potente di Genova , profFerirsegli per il ri- ^.^
torno del figlio fuoruscito ; aggiungeva il Gonzaga che
per avergli altre volte parlato, avea. egli speranza di
trarlo più facilmente a quello che si desiderava ; a tutti
e tre poi raccomandar sopra tutto il segreto, e in tal
guisa continuare la pratica tanto con essi quanto col
Centurioni e col Doria ; che se i tre sunominati vio-
lassero il segreto nulla potea seguirne di male, impe- •
rocche gli ultimi due sarebbonsi accorti ch'essi pure
dissenzienti, altri si aveano sui quali poteasi fare as-
segnamento, né il Doria avrebbe ragione di dolersene
trattando soltanto di far sicura la città dopo la sua
morte.
Ma il Duca d' Alba, notava, che saputosi di ciò dal
Doria, era certo eh' ei se ne sarebbe tenuto offeso, e
mutato partito, coli' autorità che aveva da S. M. che
per niun modo gli si poteva rivocare', tutto sarebbe
per istornare e distruggere quanto per altre vie si trat-
tasse e tramasse, sentendo la diffidenza in cui si teneva,
sicché la cosa si ridurrebbe a tale da- cadere in molti
grandi inconvenienti.
Rilevava ancora l' Ambasciatore Figueroa , essere
impossibile il segreto, poiché ciascuno dei menzionati,
e particolarmente Antonio Doria, e il Cardinale Doria
aveano persone alle quali comunicavano, e davano
parte d' ogni loro negozio, il primo ad Ettore Fiesco
382
parente del Conte Gian Luigi, e cognato di esso An-
tonio, e il Cardinale , Gio. Batta Lercari, appassionato
della fazione francese, i quali ne farebbero la maggiore
pubblicità, non fosse^ altro che per ostentazione e di-
mostrazione di essere messi a parte di si grande af-
fare, onde si facea capitale sopra di essi ; inoltre Adamo
Centurioni vedendo andar in dileguo il suo disegno di
succedere come pretendeva nell' autorità del Principe
Doria, essendo in sua balia la forza delle galere, uomo
manesco com' era, avrebbe potuto salirvi sopra, trarsi
in mare concertandosi colla Francia, od apparecchiare
in tal guisa le cose in Genova che potesse tornare
agevolmente entrando in essa, destarvi il tumulto e
cosi mettervi il disordine e la disunione da conseguire
il suo intento ; già, soggiungeva il Figueroa , di tal
fine conosceva il mezzo , essendoché quando Cesare
TrivLilzio tencii quella citti per i Francesi, il Centu-
rioni il più intimo amico suo, fu il primo ad ingan-
narlo e porsi contro di lui, adoperandosi a tutt' uomo
perchè ne venisse cacciato.
Ad onta di coteste ragioni, il Gonzaga perseverava
nella prima opinione, ragionando che Antonio Doria
e il Cardinale osserverebbero il segreto per essere
capitali nemici di Andrea, del colonnello Agostino
Spinola nemmeno era da dubitarne, e niun pericolo
si correva quantunque il Principe e il Centurioni giun-
gessero ad averne notizia ; che quest' ulthno non mai
si sarebbe appigliato a qtiello che V Ambasciatore af-
fermava, con perdere V egregia quantità di danaro che
383
S. M. gli doveva insieme a que' beni che comprato
testé aveva nello stato di Milano; che infogni caso
non vi era paragone tra la perdita delle galee, e la
grandissima utilità si ricavava dall' assicurarsi del do-
minio di Genova colla fabbrica della fortezza.
L* Ambasciatore a siffatto ragionamento temperava
il suo parere e venia quasi nella sentenza di Don Fer-
rante, ma il Duca d' Alba persisteva tuttavia dicendo
che in ninna maniera si doveva trattare né in generale,
né in particolare coi summentovati tre del castello
senza prima consultarne S. M.
Si fecero quindi altre preposte, e finalmente d' ac-
cordo si convenne di non conferire maggiore autorità
al Centurioni prima di togliergli a poco a poco quella
che già possedeva ; che riguardo al presidio, non po-
tesse essere minore di 700 fanti, né accettare la dila-
zione da lui consigliata ; . non dovrebbe comporsi inte-
ramente, né di Alemanni, né di Spagnuoli, né d' Italiani;
ne avesse il comando il Figueroa ; si trattasse coi tre
ma col più prudente modo che si potesse, affinché suc-
cedendo la morte del Doria , si conservasse la città
nella divozione dell' Imperatore , e riuscisse possibile
la costruzione del Castello ; si accettasse 1' offerta del
colonnello Agostino Spinola che seguita la morte del
Principe si teneva bastante co' suoi parenti ed amici
a mantener Genova nella soggezione imperiale senza
che ne accadessero novità.
Fatta questa conclusione sciolse Filippo l'adunanza
e il giorno dopo chiamò a sé il Doria, e chiestogli del
384
giorno che meglio gli piaceva per un nuovo consiglio
col Duca & Alba, il Gonzaga e V ambasciatore, si accor-
darono per il domane di quello; ragunati che furono
e la stessa pratica posta in campo, dopo molti argo-
menti e raggiri, e malizioso destreggiarsi dell'una, e
r altra parte fu il risultato che il Doria ad altro non
si potè indurre se non che rimanesse il governo in
mano di lui e di Adamo Centurioni con altri pochis-
simi loro aderenti con una guardia che li tutelasse.
Volli tuttociò, e forse con soverchia minutezza, nar-
rare, come si legge descritto nella relazione che ne
mandò il Principe Filippo a suo padre (i), affinchè
bene- si conoscessero gli umori diversi che travaglia-
vano le intime parti della Repubblica, e quali uomini
e di qual carattere fossero quelli che se ne conten-
devano il Principato, e se chiamar si debba libertà la
forma di governo che pretendevano stabilirvi, non
piuttosto una Signoria che pendeva tra Andrea, An-
tonio, il Cardinal Doria, Agostino Spinola, e Adamo
Centurioni, né potè riuscire assoluta per il primo
meno per generosità sua, che per li insuperabili osta-
coli che vi posero gli altri , i quali pure volevanla
per essi.
CXXIV. — Intanto, sebbene tah e tante difficoltà
s' incontrassero , non si usciva però di speranza dai
ministri imperiali di sottometter Genova in ogni modo,
poiché col dominio di essa doVea Filippo salire a quello
(i) V. Documenti dell' Archivio di Simancas, Doc. cxliv.
385
di tutta Italia; e poiché col mezzo delle narrate trat-
tative, e dei diversi tentativi provati col Doria e il
Centurioni si riconosceva che dall'autorità imperiale
accettavano essi soltanto quella parte che serviva a
stabilire e far sicura la loro, pare, che volendo otte-
nere r intento mentre lo stesso Filippo trovavasi in
Genova , ricorressero ad uno stratagemma , il quale
dove fosse riuscito, li liberava da ogni altro successivo
esperimento. Il giorno 3 dicembre di queir anno 1548
per violenza degli Spagnuoli, o per sospetto del po-
polo , accadeva un gran tumulto nella città; questo
ultimo impugnate di subito le armi precipitavasi verso
il Molo dove in alcune osterie stavano i primi; i birri
della città, e i soldati della guardia di Palazzo accor-
revano, e tentavano di sedare quel moto che minac-
ciava di farsi grave e pericoloso, quando il colonnello
Agostino Spinola con maggiori forze, e più risoluta
audacia cacciavasi per entro i tumultuanti, e riusciva
a frenarli mentre faceva imbarcare gli Spagnuoli.
Erano tre giorni dell* occorso fatto quando un più
gagliardo e feroce scoppiando, attestava la manifesta
volontà degr imperiali di muovere a rumore e con-
fusione la città per trarne profitto. 11 Principe Filippo
forse per concertati fini ordinava venisse imprigionato
un D. Antonio d'Arze, e a maggior sicurezza chie-
deva licenza al Senato che fosse condotto da sei sol-
dati nella torre del Palazzo. Volendosi poscia ricon-
durre air armata , ottanta archibugieri in ordinanza ,
metà de' quali con micce accese, giungevano fino al-
25
386
r ingresso del Palazzo dove Filippo voleva alloggiare,
e il Doria avea detto temere che quelli che vi erano
non volessero uscirne ; la guardia chiuse tosto i rastelli
ed essi a far impeto per entrarvi di forza; al quale
atto i soldati italiani posta mano alle armi, presero
a mettersi in difesa, intanto dai corridoj e dalle altre
parti del palazzo accorrevano colà nuovi soldati, e le
porte di esso serravansi con frequenti colpi di ar-
chibugio, per cui alcuni Spagnuoli ne cadevano uccisi;
seguiva un accorruomo di tutto il popolo sollevato
alla voce che gli Spagnuoli volessero per sorpresa
occupare il pubblico palazzo, chiudevansi le botteghe,
una numerosa e minacciosa moltitudine sopraggiungeva
sulla piazza dove gli Spagnuoli spaventati a quella vista
non sapeano che operare ; la cosa stava per riuscire
a memorabile rivolta , quando la prudenza del Doge
e dei due Governatori di Palazzo, fatte aprire le porte
tentarono di calmare quegli animi sdegnati, ma vano
sarebbe stato il loro tentativo , se non era Andrea
Doria, che girando in seggiola per la città coli' auto-
rità, e col rispetto che gli si aveva da tutti calmò il
tumulto; venne dopo di lui un segretario della Re-
pubblica che a suon di tromba ordinò di por giù le
armi, e ritrarsi ciascuno alle proprie abitazioni, sicché
il rumore fu queto. Il Doria recatosi in Senato lamentò
il fatto, e fu da questo mandato a darne soddisfazione
al Principe Filippo accusandosi la volubilità della plebe,
la confusione de' soldati, il dispiacere del governo che
non potè in tempo antivenire V accaduto. Ma al Doria
38?
e al Governo non ispiacque vedere il popolo geloso
della propria libertà subitamente commuoversi al pe-
ricolo di quella, e Filippo sia per V esito infelice della
male ordita trama , sia per vedere in non cale tenuta
la sua persona da' Genovesi montò in tale stizza che
issofatto decideva partirsi , senonchè il Duca d* Alba
mostrandogli le funeste conseguenze dell' inconsiderata
decisione non solo riuscì a trattenerlo, ma dopo quel
giorno stesso a deliberarlo di fare il suo ingresso in
città, dove fino allora non era entrato , e recarsi ad
udire la messa nel Duomo.
Quinci e quindi si gareggiava dunque di simulazione,
d' inganno, d' ipocrisia, per la qual cosa se il figlio del
grande Imperatore , nei regni di cui non tramontava
il sole, cotanto onore volea fare a Genova entrandovi
alfine a mo' di Principe, coloro che ne maneggiavano
le sorti, e voleano rimanervi nonché nello stesso, ma
in maggiore grado, doveano colla più splendida pompa
riceverlo, e tanto più in generale infingerne V esulta-
zione, quanto più vergognosamente gli erano falliti i
più reconditi disegni della Signoria genovese. Infatti^
dovunque arazzi vedeansi che adornavano* la strada e
le finestre, archi trionfali sulle piazze e per ogni luogo
dove avea a passare folla di popolo festante e plau-
dente, ed iscrizioni ed epigrafi che ne dicevano le
lodi, ne magnificavano le virtù. All'ingresso di S. Lo-
renzo il Cardinale Arcivescovo, il Doge, i Senatori,
e il Principe Doria furono ad accoglierlo insieme con
tutto il suo seguito, e dopo la messa venne accom-
' 388
pagliato al palazzo di Fasciolo. Al dopopranzo di quel
giorno, trascorsa di bel nuovo la città, visitandone le
fortificazioni, andò in Carignano, e da quel còUe si
compiacque del superbo spettaccolo del mare, dei giar-
dini e dei palazzi sottoposti; nei due giorni successivi,
visitò la moglie del Doria, di Marco Centurioni figlio
di Adamo, e la vedova di Gianettino, alle quali fece
preziosi doni di gioie e di diamanti; ammise alla sua
presenza gli Ambasciatori di Venezia, di Siena, di
Lucca, dei Duchi di Savoja, di Ferrara , di Mantova,
di Ottavio e del Cardinale Farnese di Parma, il figlio
del Duca di Firenze, e quelli del Cardinale di Burgos
e di Ravenna; fatti questi ed altri ricevimenti fira i
quali della nobiltà genovese del portico di S. Lua
in ispecie , correndo V undici di decembre parti con
tutta la Corte, avviandosi a Milano, dove per breve
tempo soffermatosi, seguitò il cammino in Germania
in cui pervenne dopo 40 giorni di soggiorno in Italia,
accoltovi festevolmente, odiatovi mortalmente, sgannato
del fine pel quale era venuto.
CAPITOLO SETTIMO
Lettere del Prìncipe Filippo d* Ala di Trento e da Roveredo ali* Ambasciatore Figueroa,
e air Imperatore suo padre, che consigliano e raccomandano di adoperare alfine la
forza sia per V erezione della fortezza, sia per un forte presidio in Genova ; nuovi
tentativi che si fanno a tale uopo dal Figueroa col Doria ; risposte fiere e riso-
lute del secondo al primo ; in un successivo abboccamento il Doria propone che
r Imperatore imisca la Repubblica allo stato di Milano ; Ferrante Gonzaga reso
consapevole di queste trattative scrive al Principe Filippo che il Doria in quelle
proposte altro scopo non si prefiggeva che di sconvolgere la pratica, gì' indica il
modo con cui l' Imperatore deve rispondergli ; Filippo fa di tutto consapevole il
padre ; e gli suggerisce quanto a lui pareva si avesse ad operare per meglio con*
durre la pratica ; scrive quindi una seconda lettera ali* Ambasciatore Figueroa ;
nuovo abboccamento di questo col Doria, nuovi artifizj usati con lui per indurlo
al fine propostosi, resi inutili ; contezza che ne dà al Principe Filippo, mentre gli
espone la maniera con cui divisava di condursi ; nuova congiura ordita da Gio.
Batta Defornari Ex-Doge, scoperta per un Frate Gemente Francescano col mezzo
della tortura ; il Defornari per corruzione dei giudici viene solamente condannato
air esigilo.
CXXV. — Non perciò questo fine poneasi ancora in
obblio, che quantunque Filippo cosi egli fallite in Ge-
nova vedute avesse le proprie speranze, non si rimaneva
tuttavia dal seguitare i suoi disegni e i più audaci
tentativi contro di quella, comechè, viaggiando pure
per r AUemagna, d* Ala di Trento , e da Roveredo
scriveva lettere al Figueroa, e al padre suo che tutte
ne manifestavano T animo in queir intento profonda-
mente fisso. Addi 23 gennaio del 1549 significava al
390
primo come Y Imperatore si fosse compiacciuto di ciò
che gli riferiva il Duca d' Alba della risposta del Doria
intorno alla contrastata fortezza, del modo che tener
conveniva per innalzarla, e come egli ne avesse al-
fine in effetto conosciuta la grande necessità senza
che si offerisse altro rimedio, che questo di adoperarvi
la forza, imperocché , sebbene da principio i cittadini
potessero mostrarsene scontenti, intenderebbero poscia
zelare la M. S. il mantenimento della loro Ubertà, e
il desiderio anzi di accrescergliela , locchè da molto
tempo .tenendo per fermo , per V amore e il rispetto
in che aveva il Doria, non volle cosi ricisamente pro-
porglielo, finché non si accorse eh* egli stesso cono-
sceva quanto disperate fossero le cose di quella città,
se non vi si provvedeva prontamente con tal rimedio;
inte'sa ora le sua risoluzione, come sperava che fosse,
era lieto di conformarvisi desiderando che venisse
posta ad effetto, e intendere ad un tempo del modo
ed ordine che a lui pareva doversi osservare, essendo
che tutto avea da eseguirsi secondo il volere e con-
siglio di lui.
E qui, Filippo raccomandava al Figueroa nell'atto
che al Doria avrebbe rimesse le lettere di S. M. di
farlo persuaso della grande fiducia e sicurezza che si
riponeva in lui , del molto amore e della stima in
che si teneva la sua persona, che quindi stendesse un
Memoriale di tutto quello che giudicava essere fatto.
Né a questo ancora standosi pago, una seconda let-
tera dallo stesso luogo di Ala di Trento, e nello stesso
391
giorno gli spediva, ingiungendogli ogni maggiore de-
strezza usasse col Doria , traendolo a spiegare nel
Memoriale particolarmente quanto meglio riuscisse
conducente al proposito.
Indi sempre nel medesimo giorno con una terza
lettera scritta pure il di 23 gennaio da Roveredo facea
palese al padre quanto credeva della risoluzione del
Doria, opinando, che avendo questi cosi liberamente
consentito a' voleri dell' Imperatore fosse piuttosto per
complire con S. M. che per tralasciare le difficoltà do-
vendo eseguirli, locchè sarebbe uno spingere innanzi
il negozio , riservandosi ad opporre la impossibilità
dell' esecuzione; infatti egli consigliava che adope-
randosi la forza, ciò succedesse quando le galere fos-
sero fuori della Darsena , per la qual cosa non si
troverebbe egli costretto a pigliarvi parte, dopodiché
domandava dove si avesse a cercar questa forza, come
e di qual maniera usarla.
In appresso, il Principe Filippo trattava dell'altra
difficoltà del danaro necessario all'uopo, e di questo,
diceva, si dovesse leggiermente passare traendo i sol-
dati Spagnuoli che sarebbonsi adoperati dal Regno di
Napoli e dallo Stato di Milano già pagati per quei
presidj, in tutto il tempo di tre o quattro mesi al più,
richiesti a porre in difesa il Castelletto, il quale me-
glio che ogni altro luogo mostravasi addatto all'o-
pera che si voleva costrurre.
Riguardo alla stessa guardia che S. M. desiderava
contemporaneamente mantenere in Genova colla for-
392
tezza, osservava che di ciò si sarebbe trattato colla
scelta del capitano quando quella fosse innalzata.
Non dovea infin,e tenersi in gran conto ciò che si
opponeva che facendosi questa imperesa, impedivasi
r altra contro il rinegato Dragut che in quel mentre
più che mai infestava le coste del Mediterraneo, con-
ciossiachè V assicurarsi di Genova che stava per to-
gliersi al dominio imperiale avesse ben maggiore
importanza delle scorrerie del pirata algerino.
Intanto come ne riceveva commissione dall' Impe-
peratore e dal Principe Filippo , T ambasciatore Fi-
gueroa rimettevasi con maggior calore e sagacità a
negoziare col Doria. Questi dissimulando quanto già
addietro intorno alla stessa pratica si era più volte
trattato, rispondeva che egli non si confidava d'in-
durre il popolo genovese di buon grado all' edifica-
zione del Castello, né credeva vi fosse persona tanto
autorevole, da renderlo contento, che però per tal via
non era possibile, e doveasi adoperare la forza, cui
non si avea a ricorrere stando in Darsena le galere.
Vedendo poi come adesso S. M. e S. A. fossero ve-
nuti in questo sentimento della forza, e ne chiedessero
il suo parere, avvisava, non esistere una giusta cagione
di farlo senza recarsi a tale che potesse dare occasione
ad alcuna guerra di grave danno alle cose di S. M.
con acquistarsi egli stesso un mal nome non solo in
Genova ma in tutta l' Italia perocché quando erasi
accordato con S. M. venendo a suo servizio, capito-
lavasi che posta avrebbe quella città in libertà e ne la
393
manterrebbe, dandole favore ed ajuto contro chiunque
tentasse perturbarla; che per tutte queste ragioni gli
sembrava non sì avesse legittimo motivo di usarle la
forza, tanto più che stava in potere di S. M. di far
quanto desiderava ogni qualvolta lo chiedesse.
A questi sensi posti per la prima volta in campo
con inaspettato ardimento dal Doria, meravigliato ri-
spondeva il Figueroa : ben sapersi egli che S. M.
•dopo di avere resa libera Genova, non mai avea la-
sciato di difenderla, sia con uomini, sia con danaro,
e ultimamente quando il Re di Francia essendo a
Torino, pareva che qualche disegno ordisse contro
di essa, comandava a lui stesso che nella difesa vi
concorresse per metà a carico dell' erario imperiale;
che nella congiura del Conte Fiesco, e nell* offesa
ricevuta dal Doria nel sangue e nelle sostanze, T Im-
peratore pensava a far sicura la città, non già toglien-
dole, ma conservandole il suo libero Stato, e affinchè
la posterità di lui acquistasse maggiore preminenza
ed autorità sopra tutte le altre genovesi famiglie.
Ciò udito, ripigliava il Doria che la congiura del
Fiesco, era affare di un privato, non di tutta la città,
e perchè V Ambasciatore gli opponeva , esser questo
un errore, mentre tranne pochissimi che lui seguita-
vano per interessi particolari, e per i danari di Adamo
Centurioni che divisava succedergli nella medesima
autorità, tutti gli altri e nobili e popolari l'avversavano,
ed osteggiandolo cospiravano colla Francia contro di
lui, e l'Imperatore che gli serviva oggimai solo di
394
scudo e di difesa, rispondeva, la cosa essere di tanta
graviti che d' uopo Éicevasi di pensarvi molto sopra,
ciò Éitto sarebbonsi riveduti, e deciso "kvrebbono quello
che con maggior calma e maturità si addiceva a ne-
gozio di tale importanza,
Rivedeansi dopo due giorni, non senza che il Doria
se ne fosse consigliato col Centurioni , e 1* esito del
nuovo abboccamento si fu che egli non vedeva modo
per cui si potesse accingere alla fabbrica del Castello,
perocché, sebbene in tal caso fossero necessarie grandi
somme di danaro per la sua costruzione, né meno di
tremila soldati per tenerla, non si sarebbe tuttavia riesciti
a mantener quieta la città, preferendo i cittadini di darsi
piuttosto al diavolo che rimanersi soggetti. Ben pen-
sando , ei soggiungeva poi , vi sarebbe un rimedio ,
ed era, che S. M. conferisse V investitura dello Stato
di Milano a S. A., aggiungcndavi pur qtiella della Re-
pubblica , nel che egli si adoprerebbe , e riuscito che
fosse, S. M. avea allora giusta ragione di usare la
forza nel disegno, e nell'esecuzione della fortezza; e
siccome V Ambasciatore chiedevagli se di tal guisa
potrebbe S. M. restar sicura, rispondeva il Doria;
non potendo veramente promettere, ma colla potenza
e grandezza che possedeva tutto essere possibibile al-
l' Imperatore, tanto più che a' genovesi tornava indi-
spensabile il traffico con Milano senza cui non poteano
vivere e il Signore di Milano lo era pure di Genova,
e maggiormente lo sarebbe S. M.
Queste cose discusse V Ambasciatore scriveva il
395
29 gennaio del 1549 a S. A. non senza fargli osser-
vare essere d' esito incerto, e sopra cui non dovea
farsi fondamento ciò che veniva proposto dal Doria,
il quale appena fosse cessato di vivere le fazioni che
allora si agitavano, e congiuravano avrebbero prorotto
a manifesta insurrezione, e reso vano ogni antecedente
rimedio dove non fossero da una stabile e gagliarda
forza impediti. Conchiudeva, avergli infine il Doria
raccomandato, che per le notizie ricevute da uno for-
zato riscattatosi, il Corsaro Dragut avendo accresciute
le sue piraterie, essere di somma necessità di opporvi
una virile resistenza, se non si voleva vedere invase
quanto prima e orribilmente devastate le isole di Sar-
degna e di Corsica.
CXXVI. — Di tutti questi fatti e tentativi usati col
Doria rendeasi pure consapevole Ferrante Gonzaga,
il quale da queir uomo astutissimo eh' egli era, lancia
spezzata di Carlo V^ nimicissimo d' ogni italica libertà,
e della Genovese Repubblica in ispecie, rispondeva al
Principe Filippo addi 6 febbraio 1549.
Che la molta spesa e il lungo tempo allegati dal
Doria nel negozio della fortezza, non erano veri a
giudizio dell' ingegnere Gio. Maria Olgiati , il quale
avea detto e confermato bastargli un mese soltanto
per ridurre a fortezza il sito disegnato del Castelletto
vecchio, in ogni caso lieve tornare sempre la spesa
di fronte all' importanza del fatto che si avea tra le
mani. Contraddirsi il Doria laddove affermava essere
ingiusta cosa e violazione delle capitolazioni di S. M.
396
refezione della fortezza proposta col consenso de*
Genovesi e con quelle condizioni da essi domandate
per la conservazione della loro libertà, e giusta invece
r investitura forzata del dominio libero di quella città
al Ducato Milanese , senz' alcuno rispetto alla stessa
loro libertà.
Ma questo modo di parlare, soggiungeva egli, era
conforme a quello sempre tenuto dd Principe in ad-
dietro, quando stretto da ragioni e dal debito suo,
non avendo risposta alcuna valida in contrario, volle
sconvolgere questa pratica; per cui potevasi di leg-
gieri conchiudere, che evidentemente il Principe Boria
conoscesse quello si proponeva essere salutare alla
patria sua, e al servizio di S. M. e di S. A. ma po-
tere in lui più che questa ragione V ambizione del-
l' esser tenuto padre della patria , e la persuasione e
forza di coloro che lo governavano, i quali pensando
da poi, la morte di lui, di fare i fatti loro sotto
l'ombra di S. M. e S. Altezza s'ingegnavano diver-
tirlo dal diritto cammino.
Ora poi, continuava, che la cosa proposta dal Doria,
vuole egli stesso si abbia a fare per forza, e S. M. ed
Altezza erano deliberati di non usarla, secondo la ri-
soluzione presa in Genova, si avrebbe a cominciare
dall' abbassar quelle persone che si opponevano per
loro disegno e innalzare le aderenti al desiderio di S. M.
e con lo andare di mano in mano trattando e dispo-
nendo le cose di maniera che dopo la vita del Prin-
cipe si potesse conseguire l' effetto che ora non si
397
poteva. Intanto per togliere a' maligni di difFormare
ed esagerare il disegno della fortezza, che certo non
potea rimanersi segreto, consigliava che S. M. stessa
lo chiarisse in forma pubblica, esprimendosi nel modo
seguente :
« Che S. M. poiché segui quel disordine del Conte
» Fiesco avendo conosciuto il pericolo nel quale
» stavano le cose di quella città, di essere occupate
» e dominate dalla temerità di particolari cittadini e
» da persone ingorde, ed essendo il servigio di S. M.
» tanto congiunto con il beneficio loro, che non può
» non avere quella gelosia e cura delle cose di essi che
» ha delle cose proprie, né non portar loro quell'istesso
» amore, che ha continuamente pensato d' allora in
» qua ai rimedii che ci sarebbono per conservar la
» quiete e libertà loro e la devozione che essi le por-
» tano; e che dopo lunghe considerazioni e diverse,
» desidereria che si fondasse un castello, il quale
» avesse a star in mano di S. M. per fireno degF in-
» solenti ed inquieti, e per sicurtà de' buoni, e pacifici;
» e, che per aver questo nome di Castello non so che
» di grave in prima faccia, S. M. dichiara, e vuole
» che sappiano che Ella non intende che le sia dato
)) in mano, né di accettarlo, se non con tutti quei
)} capitoli e tutte quelle condizioni eh' essi sapranno
» addimandare per salvezza della libertà loro presente
» e futura mentre durerà la successione di lei; men-
)) tr' Ella altra cosa non pretende di fare, se non con-
» servarli lungamente liberi a sua devozione dalle
398
ingorde voglie di coloro che cercano di opprimergli,
per questo viene con essi alla libera, e procede
chiaramente, come possono vedere per questa pro-
posta, perciò che vuole che questa chiarezza e sin-
cerità sia lor argomento della buona intenzione con
che si muove ; e che una delle principali cause che
lo confermano in questa opinione e rimedio del
Castello, è ricordarsi che quella repubblica fa gros-
sissima spesa per assicurarsi, e nondimeno sta sèm-
pre nel medesimo pericolo ; e pare a Lei che il
Castello farebbe questo primo beneficio, oltre a tutti
gli altri, che gli disgraveria in gran parte di detta
spesa, conciossiachè dove ora mantengono otto, o
settecento fanti , allora ne avrebbono a mantener
dugento soli nel Castello, e cento o centocinquanta
nel Palazzo, affrancando la spesa di tutto il resto,
e come, è detto, essi sarebbono sicuri dove ora non
sono tali ; e finalmente che, giudicando S. M. que-
sto rimedio essere necessarissimo, non ha voluto
mancar di anteporlo, perchè dove essi non lo giu-
dichino tale, e non se ne contentino , almeno lo-
noschino il buon animo di S. M. V amore che lor
porta, e la cura che tiene di quella pratica ; ed Ella
per quel che tocca , non si possa dolere di aver
mancato a sé medesima in alcun tempo » (i)
Ciò detto, andava il Gonzaga considerando quali
mali e quali beni vi potevano essere cosi la Maestà
(i) Documenti dell'Archivio di Simancas ; Doc. cxux.
399
Sua procedendo verso la Repubblica, e risolveva che
male alcuno non ve n' avea, e beni invece non pochi
fra i quali quello che quando un' altra volta, si trat-
tasse di questo negozio dopo la morte del Principe
Doria, se per allora prudenza fosse di non doverlo
recare ad effetto, non tornerebbe né nuovo (essendo
stato di tanto tempo innanzi dato a considerare e ru-
minare in pubblico), né duro , come parrebbe se si
aspettasse a proponer la fortezza al tempo che si vo-
lesse fare. Altrimenti, se questo modo non si tenesse
al presente, per assicurare il pubblico e il particolare,
né adesso né in altro tempo si potria avere speranza
di ottenere l'intento, perché come essi con la sopra-
detta proposta leverebbero il credito ai maligni , cosi
i maligni, essi tacendo, non lo toglierebbero ai buoni.
Riguardo a ciò che V Ambasciatore Figueroa diceva
che potendosi ottenere dai Genovesi che la guardia
che tengono la tenessero di Alemanni, conche si po-
trebbe star con sicurtà ; notava, non aver esso 1' Ale-
manno per buono a combattere nella città, perché
nella città vi avea bisogno principalmente di archibugi
e i Tedeschi non ne usavano se non pochi ed erano
uomini piuttosto da campagna ; che se i Genovesi ac-
cennassero che più fossero per essere loro cari i Te-
deschi nel castello che altra nazione, si potrebbe loro
proporre e promettere di tenerveli dentro sotto però
capo spagnuolo ; perché a suo giudizio, S. A. potrebbe
fidarsene interamente, massime essendo governati da
persona destra.
400
Conchiudeva, confermarsi tanto più nell* accennata
opinione, in quantochè, venendo eseguita, giustifìcavasi
ancora, a parer suo, V altro negozio di Siena, e a darsi
questo da dire, e considerare alle genti : -che S. M.
commetteva che si facesse il castello in Siena, perchè
i Sanesi ne la supplicavano , mandandovi un ambascia-
tore a domandarle forma di vivere e legge, e lasciava
di commettere che si facesse in Genova , benché ivi
fosse altrettanto necessario , solo perchè i Genovesi
non se ne contentavano ; che era segno manifesto della
sua bontà e modestia, non volendo sforzare mai i po-
poli che r erano soggetti a far cosa che tornasse con-
tro la voglia e soddisfazione loro, benché fosse a quelli
salutifera e necessaria (i).
CXXVII. — Queste cose sentite dal Principe Filippo
consigliavasene col Duca d' Alba che indivisibile per
ordine del padre gli stava a' fianchi, e dal monastero
di Erbesperg in Germania dove trovavasi , ne dava
addi 13 Febbrajo 1549 sollecita contezza all'Impera-
tore, esponendo che due cose si aveano a considerare;
r una al riguardo della lettera di Don Ferrante, V altra
di provvedere al pericolo in cui travagliavasi quella
città sia al presente sia per l'avvenire.
Che due punti dovevansi fissare per rispondere alla
lettera ; il primo che S. M. si sgravasse dell' accusa
mossagli dal Doria, che volesse violare le sue pro-
messe le quali aveagli fatte quando venne al suo ser-
(l) V. Dee. Cit. CXLIX
vizio di mantener la città in libertà; ordinando al-
r ambasciatore rispondesse al Doria : non mai S. M.
aver avuto per fine né adesso intendere di togliere
la libertà a Genova, anzi desiderato e voluto sempre
in essa conservarla, e per questo adoperati tutti i mezzi
e rimedi che sembravanli più convenienti , e il mag-
gior testimonio esserne lo stesso Principe, imperocché,
quando proponeva egli al Duca d' Alba che S. M. po-
nesse un governatore nella città ritenendola in sua
potestà, per la ragione che i molti danni ordinar] e
straordinarj che la desolavano, né vi era modo a ri-
pararvi, né quei signori del Governo aveano forza da
esercitare giustizia contro i perturbatori, e quindi im-
possibile di continuare in tal guisa, il Duca conoscendo
i voleri di S. M. rispose che non mai V avrebbe ac-
cettata, perché la era un' offesa manifesta alla sua li-
bertà; e a ciò conforme S. M. istessa li fece risposta;
che quindi lungamente si trattò dei mezzi che si vo-
levano ed abbisognavano al più stabile ordine della
Repubblica, e ninno più adatto se ne rinvenne di quello
della fortezza, e di questo sempre S. M. ebbe ad intrat-
tenersi sulla proposta e col consentimento dell' istesso
Principe.
Venendo ai rimedj che si richiedevano per il pre-
sente e per lo stato avvenire di Genova, S. A. sug-
geriva, che non s' insistesse più sulla fortezza col Do-
ria, né gli si consentisse di trattarne nei consigli della
Repubblica, poiché egli con tal modo altro non vo-
leva che far cadere in disistima la M. S. dimostrando
26
402
che egli era costretto a piegare dinanzi ad una forza
maggiore.
Riguardo alla investitura proposta dal Doria di Ge-
nova congiunta al Ducato di Milano , notava S. A.,
altro non essere che un artifizio per pigliar tempo,
diguisachè giunto questo avrebbe opposte le stesse dif-
ficoltà che ora adduceva per la fortezza.
Conchiudeva che siccome nella vita del Principe non
si potava ottener più di quello che si avea avuto finora,
rimaneva di provvedere soltanto al futuro , e questo
era di non lasciar crescere in maggiore autorità coloro
che si sapevano contrari e vedere anzi di abbassarli,
innalzando invece i più devoti, tenendosi quindi ben
affezionato Agostino Spinola con dargli alcune spe-
ranze, senza però scendere ad alcuna materiale indi-
cazione ; nello stesso modo comportarsi col Cardinale
ed Antonio Doria, ma con questi doversi procedere
più cautamente senza addivenire a particolarità, trat-
tando ciascuno di essi secondo la sua natura, e poi
sperare nel tempo che di giorno in giorno porgerebbe
migliore espediente.
Quanto al riporre la guardia sotto gli ordini del-
l' Ambasciatore come Antonio Doria consigliava al
Duca d' Alba, gli pareva buon consiglio, e riferirsene
allo stesso Ambasciatore il quale conoscendo esserne
facile r effetto di subito vi si adoperasse ; non però
servirsi de' Tedeschi, come assai bene opinava Don
Ferrante.
Per l'impresa contro Dragutte, era d'avviso, che
403
non si andasse a quella prima di aver dato sesto alle
cose di Genova.
CXXVIII. — Dopo di questa lettera, una seconda
lo stesso Principe Filippo addi 8 marzo 1549 ne in-
dirizzava da Heidelberg all' ambasciatore Figueroa in
Genova dove per lui si ripeteva tutto quanto avea
nella prima esposto ali* Imperatore suo padre aggiun-
gendoli di più che veduto e considerato il disegno di
Don Ferrante non era mente di S. M. di adottarlo,
imperocché facendosi pubblica la pratica della fortezza,
come quegli opinava, dove tanti e diversi erano gli
umori, ne sarebbe di certo derivato qualche disastro,
e data si avrebbe occasione di appiccare relazioni a
più inquieti con Francesi, e altri potentati prevenen-
doli, e di tutto tenendoli avvisati , e vedendo intera-
mente fatta palese T intenzione di S. M. non rimar-
rebbero dal tentare ogni sforzo per impedirne V effetto;
cosicché, ben ponderata ogni cosa, non conveniva di
seguir quel consiglio, ponendo in pubblico il negozio
che tornerebbe più difficile per V interpetrazione di un
fine diverso da quello che avea mosso S. M. Racco-
mandava quindi al Figueroa se ne aprisse soltanto con
alcuni che meglio stimasse bene affetti, giustificando
ma in nome proprio, il buon volere dell' Imperatore
deliberato a proteggerli e mantenerli in libertà, poiché
essendo essi persone oneste e leali e da lui ben co-
nosciute servirebbero a levare ogni ombra di sospetto.
Infine, replicavagli quanto già avea scritto al padre di
procurare che coloro i quali sapeva contrarj all'ere-
404
zione della fortezza non crescessero in autorità, e anzi
studiar modo di abbassarli con destrezza e dissimula-
zione; e qui faceagli pure raccomandazione di grati-
ficare con vaghe speranze Agostino Spinola, il Cardi-
nale, e Antonio Doria, e con questi due ultimi condursi
più cautamente ; comechè non si avesse ad irritare il
Principe, né Messer Adamo che distoglieva, e abbin-
dolava il primo pensando di succedere nella medesima
fama ed importanza che avea il Doria nella città; lo
incaricava specialmente, come pratico delle cose di
Genova, d' invigilare all' esecuzione del negozio, e go-
vernarsi secondo la conoscenza che aveva del carat-
tere di ciascuno per non obbligare il Principe a qualche
disperato partito, tanto che posto in diffidenza non te-
messe si ricorresse ad altro mezzo per tutto quello
che riguardava il servizio di S. M.
Quanto alla guardia della città lo ragguagliava do-
versi rimanere nelle sue mani come Antonio Doria
proposto aveva al Duca d' Alba , propizia occasione
essendo quella per la fabbrica del castello da doversi
cogliere quando lo giudicasse a proposito , segnata-
mente offerendosi . allora la partenza del Doria dalia
città ; e di tutto poi sempre gì' ingiungeva alfine, te-
nerli avvisati affinchè S. M. potesse conoscere secondo
r opportunità, e il successo delle cose , ciò che con-
veniva di fare.
CXXIX. — Il Figueroa ricevute quelle istruzioni
si abboccava col Doria e addi 20 marzo dell'avuto
abboccamento porgeva notizia a S. A. scrivendo : che
405
il Principe, ricordandogli quanto sempre S. M. avea
avuto a cuore la utilità, e la libertà di Genova, e quanto
fatto per conservargliela, rispondevagli, non esser me-
stiere che egli scusasse S. M. poiché credeva alle sue
intenzioni, come glielo assicurava, che quanto avean
detto, non era già per farne carico a S. M. ma sol-
tanto per dimostrare non potersi eseguire ciò che
quella e S. A. richiedevano , che se si fosse potuto
farlo intendere ad altri com' esso lo intendeva e ere-
deva, poco si avrebbe durata fatica per venirne alla
conclusione, perciò avea pensato, ed esaminato in sé
stesso, il mezzo che tener si doveva onde persuader
la Repubblica alla edificazione del castello, ma colla
ragione aver veduto non essere agevole, né colla forza
potersi tentare, traendosi seco grandi inconvenienti, e
pericolo manifesto per le cose di S. M. ed A. tornando
non solo odioso a quella città, m* a tutta Italia, vicini
essendo i Francesi, attenti sempre e cupidi per quanto
potevano ad abbassare la grandezza imperiale ; oltreciò,
non sapere che cosa avrebbono fatto il Papa, i Vene-
ziani e gli altri stati, che quindi teneva per il meglio
che S. M. si contentasse delle presenti condizioni,
senza ricorrere alla forza perché nel primo caso ne
avrebbe avuto buon nome, nell' altro odio, e tanto il
voler suo avrebbe durato, quanto la forza. Ricordarsi
del Re Luigi XII, al tempo di cui veduto aveva tre
volte perduto il castello, ed ultimamente il castello e
la lanterna, avendolo tolto ed occupato i cittadini,
senza Tajuto d! alcun principe; che quanto era stato
4o6
da lui proposto per V investitura di Genova al Ducato
di Milano, dovevasi attribuire alla considerazione che
già altre volte Genova stette sotto i Duchi di Milano,
i quali aveanla in protezione, ponendovi un governa-
tore che ne amministrava il criminale, ma i cittadini
conservavano T amministrazione civile coi proprii an-
ziani che governavano le loro faccende ; parergli questo
il mezzo più ovvio, e potersi proporre con miglior
colore di quello della fortezza. A queste parole repli-
cava r Ambasciatore, sembrargli tal mezzo più diflicile,
perocché i Genovesi per esso avrebbero interamente
perduta h libertà; e il Doria, soggiungeva negando,
per la ragione che T investitura dovea esser fatta con
accordo e capitolazioni, e si accetterebbe più facilmente,
per la necessità che Genova avea dello stato di Mi-
lano non potendo sussistere senza di essa. Venuto a
parlare del successo del Conte Fiesco, notava il Doria,
che ora ìion potria più essere perchè ninno teneva
più quel grado che egli aveva, che anzi da quel caso
doveasi toglier T esempio della dimostrazione che ne
porse la città, la quale essa sola senza V ajuto di al-
cuno si mantenne, e stette ferma nel servizio di S. M.
Il Figueroa gli fece allora osservare che Dio solo era
stato che vi pose rimedio, benché non fosse mancato
r ajuto degli uomini, e la dimostrazione della città
essersi ridotta a non pigliar parte, né per gli uni, né
per gli altri. Infine conchiuse il Doria eh* egli era
Vassallo di S. M. e di S. A. e che per V obbligo che
ne avea, sentiasi costretto a dire quanto stimava pel
407
suo giudizio esser vero, mentre sempre avrebbe ob-
bedito loro, senza interesse né della sua casa, né della
sua posterità, avendoli S. M. tanti benefizj fatti, che
ciò gli bastava; e poi doveva quella in breve condursi
in Italia, che allora recato sarebbesi a baciargli le mani
e {.piedi e trattato avrebbe con essa di tutto ciò che
occorreva. L' Ambasciatore aggiungeva, S. M. e S. A.
tenerlo entrambe in piena fiducia, e durante la sua
vita non dubitavano della quiete della città, ma dopo
di lui rimaneva questa in manifesto pericolo per non
esser persona di tanta autorità che si potesse avere in
rispetto quanto esso. Rispondeva il Doria, che questo
non doveasi temere, perché lui mancando, di necessità
la Repubblica non avea altro partito che di volgersi
a S. M. poiché tuttoché possedeva riposto era nei regni
di lei, e tanto più lo avrebbe fatto in difetto di lui
per avere chi bastantemente T aiutasse, e V indirizzasse
ne* suoi interessi; che quindi sebbene più egli non fosse
vi avrebbero persone collo stesso fine da lui prefissosi
per soccorrere, ed indirizzare la città al servizio di S. M.
ed A., che del resto alcuni che pensavano di ereditarne
la parte, esser potrebbe che ne acquistassero meno.
Questo diceva il Principe per Antonio Doria e per la
poca intelligenza che passava fira di loro, quantunque
della stessa fanìiglia, o per Agostino Spinola, assai
ben veduto dalla città, e sebbene si comportasse con
molto rispetto verso di lui da non potersene lamentare.
Per il secondo capitolo che si prescriveva di esporre
al Principe gF inconvenienti della presente condizione,
4o8
e la necessità di dare stabile assetto alle cose della Re-
pubblica, e per il bene di Sua Casa unitamente al ser-
vizio di S. M. il Doria affermava, poiché era stata
restituita a libertà non aver egli mai veduta la città
così disposta a conservarla sotto la protezione del-
l' Imperatore e di S. A. anzi per poter far questo si
era dato ordine di tenere apparecchiata la pecunia ba-
stante a pagare mille fanti che giustificava essere suf-
ficienti alla conservazione di quello stato; a questo
proposito replicava, che se quando accadde il fatto
del conte Fiesco, si fosse proposto il castello, temendo
i cittadini di trovarsi esposti ad altro siffatto caso, o
peggiore, teneva per certo vi si sarebbero acconciati ;
ma ora che avean provato quello che per sé stessi
potevano fare col danaro raccolto per il presidio di
mille uomini non gli sembrava che per veruna ma-
niera si dovesse trattarne, al quale riguardo rimette-
vasi a ciò che avea poc' anzi detto. Il Figueroa per
farsi via alle istruzioni che avea, entrava allora opportu-
namente a dire che ben sarebbe stato di procurare che
la guardia fosse di Alemanni ; ma il Doria opponeva
che riuscirebbe di difficile effetto, perché ne nasce-
rebbero sospetti, che però cadendo la necessità di
aumentarla, in tal caso ben si potria proporre per
maggior sicurezza che 1' aumento fosse di Alemmani ;
senonché V Ambasciatore accorgendosi che non si an-
dava al fine cui egli mirava, non fece più motto, poiché
era sua intenzione che non potendosi effettuare V opera
del castello, altro non vi aveva che tenere un forte
409
presidio di Alemanni da un buon capitano comandati,
il quale di concerto coi migliori aflfezionati a S. M.
ed A. sarebbesi potuta conservare la 'città in un tu-
inulto popolare di cui più facilmente si doveva temere,
finché non si fosse ricevuto ajuto o per terra dallo
stato di Milano, o per mare d' altra parte. Opinava
però che qualunque suggerimento si volesse fare al
Principe, molto bene ei lo intendeva e sapeva, indi
tanto più rendevasi necessario di procedere seco lui
cautamente, e secondo il tempo e le circostanze ac-
cordargli in fatto di tal materia quello che più si af-
facesse al proposito.
Dopo di tutto ciò r Ambasciatore intertenevasi so-
pra gli altri punti eh* erano dal Principe Filippo indicati
aflSnchè porgesse il suo ajuto, e consiglio.
Il primo era se conveniva, come proponeva D. Fer-
rante, di trattare direttamente della fortezza colla Si-
gnoria, il Figueroa rispondeva che dovendosi farne
communicazione col Doge e coi Governatori, ventidue
in tutti, e ciascuno dei quali avea opinione contraria,
avrebbono interpretata la cosa secondo la propria in-
clinazione, e però in buona o cattiva parte, e siccome
tutti erano gente che amavano li scandali, cosi in di-
versi modi sarebbesi divulgata, e V intenzione di S. M.
fi'aintesa, e calunniata dalle loro passioni, materia assai
agevole avrebbe oflFerta per essi a pensare e procurare
il male ; tanto più vedendo che non si procedeva per
mezzo del Principe Doria, giudicherebbero esser questi
d'opinione contraria, per la qual cosa non si guada-
410
gnerebbe col popolo, e molto si perderebbe col Doria,
sembrando che S. M. cercasse di avviare il negozio
per il canale dèlia Signoria mostrando diffidenza di
esso ; miglior avviso era dunque di lasciar questo in
disparte, quindi come pensavano, venendo al proposito
trattarne coi più confidenti , ma con pochi soltanto,
per la ragione che sebbene parecchi vi avessero fedeli
servitori di S. M. ed A. in siffatto argomento però
facendo molto conto della propria libertà la sentireb-
bero male, malignando le leali intenzioni di S. M.
Il secondo punto di abbassare i male ÌAclinati, e
ajutare i ben disposti specialmente Agostino Spinola,
Antonio Doria e il Cardinale, in quello che a lui spet-
tava dicea di farlo, in modo però che non ne venisse
sospetto al Doria, sempre mostrandogli che tutto da
lui dipendeva; ed eccettuato Agostino Spinola, ben si
guarderebbe di trattare con altri di tale materia, quan-
tunque Antonio Doria se ne fosse aperto col Duca d* Alba
e dato il suo parere di ciò che avesse a farsi, ma
non sapea come la penserebbe intorno alla fortezza,
quando si deliberasse di fabbricarla; del resto, egli
comportavasi con essi tutti ugualmente, e nelle pub-
bliche dimostrazioni non facea differenza tra Fr^osi
ed Adorni, tra Doria e Spinola. Vero è che offeren-
dosi il caso di chi mostrasi disposto a servire per
propria utilità, e convenienza e di quelli che sono
servitori nati in tal fede, e moriranno in essa, egli
facea differenza, e S. M. dovea ricordarsi che avendo
a gratificare alcuni, bene era preporre questi a quelli.
411
essendoché i secondi fossero servitori leali, e i primi
per necessità. Del resto (seguitava) , dopoché trova-
vasi in Genova, aver sempre procurato di conservare
alle loro M. ed A. i proprj servitori, ed altri nuovi
procacciargliene, e generalmente con tutti benevol-
mente condursi, affinché i ^buoni si conservassero, e i
cattivi si convertissero ; col Principe adoperar tutto
ciò eh' era necessario a mantenerlo in devozione di
S. M. ed A. sebbene conosceva che serviva ad esse
con intera fede, ma nella presente occorrenza, te-
neva per certo che non si spiegava abbastanza, non
fidandosi di procedere avanti in quello eh' egli avrebbe
proposto, opponendovisi V avanzata sua età, e la per-
suasione di quelli che lo circondavano. Con Messer
Adamo Centurione dissimulava tutto ciò che poteva,
perocché dopo che S. A. era partita da Genova, sem-
brava che si tenesse in disparte da ogni negozio, dando
agio al Doria che potesse parlare e fare senza esser
egli testimonio di quanto accadeva. Pensava, cosi ope-
rasse con arte, sapendo che il Principe non osava ri-
solvere alcuna cosa senza communicarglielo , infatti,
ogniqualvolta eh' esso trattava con lui di quella ma-
teria della fortezza, pigliava tempo a pensarvi, per
aver agio di porgerne communicazione col Centurioni ;
intanto, prometteva, quanto a lui di tenerseli entrambi
ben affezionati secondo il poter suo, come avea fatto
fin qui.
Riguardo al punto della guardia del Castello che
giusta il parere di Don Ferrante abbia ad essere piut-
412
tosto di Spagnuoli che di Alemanni, o almeno Spa-
gnuolo il capitano, il Figueroa rispondeva, tener esso
la medesima opinione, ed avere proposto gli Alemanni
non per il Castello, ma perchè con essi, e coi parti-
giani di S. M. ed A. si potesse meglio in un tumulto
di popolo o di altro caso qualunque conservare quella
città, e ciò che diceva a S. A. presentemente, si era
già convenuto collo stesso Principe Doria. E per quello
che si tratta a suo carico dovesse tenere la guardia
esso stesso sotto i suoi ordini, soggiungeva sarebbe
stato molto a proposito del servizio di S. M. ed A.
se si fosse seguitato il disegno stabilito con Antonio
Doria, imperocché padroni essendo del presidio far si
potrebbe quanto si richiedeva; ma come S. A. non
ignorava, avea egli già avuto questo incarico, che era
più di cerimonia che di sostanza, comechè la gente
essendo d'italiani, i capitani veniano scelti da essa, e
in caso di necessità sarebbero obbligati a recj^rsi dove
volesse mandarli, anziché dove egli dicesse , quindi
tornare più ad apparenza che ad importanza. Tuttavia,
se fosse suggerito dal Doria, accetterebbe, poiché
S. M. ed A. r ordinavano, ma credeva noi farebbe,
perocché V altre volte che fu fatto, é stato con inten-
zione che non entrasse in quella carica persona che
non dipendesse da lui; per la qual cosa era pur certo
che non V otterrebbe messer Agostino Spinola come
pensionato di S. M. (i).
(i) Archivio Simancas, Doc. cui.
4^3
Tutti questi raggiri forse troppo da me diffusamente
narrati, erano però necessarj nonché utili a sapersi,
come essi si rilevano dai Documenti dell' Archivio di
Simancas, affinchè in argomento tanto soggetto a con-
testazione addi nostri fosse ben posto in luce il carat-
tere degli uomini che vi ebbero parte principale, e come
ciascuno d' essi piuttosto che desiderare la libertà della
Patria, aspirava a signoreggiarla all' ombra del protet-
torato straniero, che alla sua volta mirava, cadendone
r opportunità, a mutarsi in aperta tirannide.
CXXX. — Intanto, se da una parte non si rima-
nevano le trame spagnuole, sventate, e tenute a freno
dalle ambizioni cittadinesche, dall' altra ripigliavansi le
francesi. Un frate Clemente francescano venendo di
Francia a Genova mentre nel suo passaggio giunto
era a Ceva di Piemonte, per ordine del Gonzaga era
fatto prigione ; e posto alla tortura, svelava una grave
macchinazione ordita da Gio. Batta Defornari stato
Doge della Repubblica dal 4 Gennaio 1545 al 3 dello
stesso mese del 1547 ; né inverosimilmente creduto
complice dei Fieschi, locché sempre più ci dimostra
con quanta falsità affermasse il Doria che il partito
de' congiurati fosse di pochi e spregevoli plebei, se lo
stesso Doge eh' era allora vi si trovava certamente av-
volto. Deponeva fra i tormenti Frate Clemente che il
Defornari, il quale allora teneva l'ufficio di Procura-
tore Perpetuo, aveva stretto un trattato col Re di
Francia per darli in balia la città, quando in essa scop-
piasse qualche tumulto, ovveramente accadesse la morte
414
del Principe Doria ; le quali cose trasmesse dal Gon-
zaga alla Signoria, questa fece prendere il Defornari,
e lo rinchiuse sotto buona custodia nella torre del pub-
blico palazzo unitamente ad altri due dei quali sospet-
tavasi. Quindi si usarono le maggiori diligenze affinchè
si ponesse in chiaro tuttociò che il frate aveva, co-
stretto dalla tortura, deposto. Allora i signori del Go-
verno conosciuta bene la trama ne riposero la causa
in mano del Podestà, dei giudici del Maleficio, e di
un Dottore della Rota, perchè deliberassero, e proffe-
rissero la sentenza, questi rimisero il processo all' in-
quisito affinchè entro un certo stabilito termine si di-
fendesse; infine il di 4 novembre del 1549 si emanò
la sentenza colla quale il Defornari venne perpetua-
mente condannato all'esiglio dalla città e suo dominio,
e confinato nel luogo di Anversa prescrittogli dalia
Signoria.
« Di siffatta sentenza, scriveva il Figueroa da Gè-
» nova addi 8 novembre 1549 (i), al Principe Fi-
» lippo, molta parte della città ebbe a rimanere mal
» soddisfatta, e specialmente i gentiluomini (ovvero i
» Nobili Vecchi del Portico di S. Luca) perchè sem-
» brava loro non fosse fatta giustizia, né frenato il
» prevalere de' Popolari incoraggiati in tal guisa ad
» intraprendere simiglianti trattati, e altri peggiori, e
» certo fu cosa di malo esempio, e che seco si trae
» grandi inconvenienti , perchè oltre il danno della
(i) Archivio di Simancas, Dee. CLm.
4IS
» città, vi ha la poca considerazione e il rispetto per-
» ciocché appartiene all' autorità di S. M. avuto ri-
» guardo che detto è specialmente nel processo, come
» in caso di tumulto, o di morte del Principe Doria,
» il Defornari avrebbe procurato che la città venisse
» in mano del Re, la qual cosa cosi vergognosa e
» colpevole non si sa pensare come siasi tenuta in
» non cale. »
Seguitava T Ambasciatore a scrivere che da quanto
poteva egli giudicare di quel negozio , non era stato
condotto secondo la volontà de' Governatori, perocché
i Giudici si fossero corrotti con lettere del Duca di
Ferrara e del Signor Gerolamo Da Correggio, essendo
di Correggio il Dottore della Rota, e di Modena il
Podestà, il quale sopra quella pratica avea rice-
vute commissioni dal Cardinale di Trento, e d'altre
particolari persone ragguardevoli e di molta impor-
tanza ; che provocarono pareri dell' Alciato , e di un
Senatore dello stato di Milano nominato Gio. Batta
Stirco cremonese; per cui si era meravigliato oltre-
modo che sapendo essi quanto a siflFatto negozio an-
dasse congiunto il servizio di S. M. abbiano avuto ar-
dimento di dare tale parere; di cui, diceva, averne
dato avviso a Ferrante Gonzaga, il quale essendo stato
promotore della cosa, a lui stava di metterla in evi-
denza. Del principe Doria, non potea giudicarsi, ma
egli credeva che ordinerebbe si facesse giustizia, né si
volle mostrare, affinchè non si ricorresse a lui. Ciò
che esso Figueroa aveva fatto, era stato di sollecitarli
4i6
a rendere giustizia per la tranquillità della Repubblia;
non per parte di S. M. giacché temeva dell' esito, il
quale restando nei presenti termini si correa rischio
di perdervi la riputazione, tanto più ch*ei non avea
mai potuto prevederlo, avendo la Signoria cosi pale-
semente dimostrata la propria risoluzione di voler pu-
nito quel trattato.
Conchiudeva, come dopo avere esposto tuttociò
a S. A. gli veniva a notizia che il Podestà ricevute
avea lettere dal Cardinale Farnese molto importanti
sul proposito, fatte da lui a petizione de' Francesi, e
credeva che i Giudici tutti fossero stati corrotti con
danari (i).
(i) Archivio di Simancas, Doc. d.* CLin.
CAPITOLO OTTAVO
CONCLUSIONE.
CXXXI. — Ed eccomi pervenuto all' anno di 1550
termine da me prefisso alla presente istoria. Se noi
rivolgiamo indietro lo sguardo sino a quello di 1528
donde presi le mosse si parrà come questi 22 anni di
cui narrai gli avvenimenti sieno tra i più tempestosi
e funesti della genovese repubblica. Bene parecchi altri
de' trascorsi nel medio evo 1' avvolsero in mezzo a
dolorose vicende di guerre intestine, di governi stra-
nieri , ma questi non erano allora che deboli ed
inetti, chiamati soltanto come ad imporre una tregua
al conflitto delle fazioni, perocché rappresentavano il
governo, ma non ne rimaneva per essi mutata né la
sostanza, né la forma; che se accennavano di oltre-
passare i termini di quelle tutelari condizioni per le
quali si erano invocati, issofatto, ed a furore eziandio
di popolo, venivano espulsi. Le discordie intestine si-
mili a quelle di Atene e di Roma non erano che un
mezzo per mantenere quel giusto equilibrio tra la no-
27-
4i8
biltà e il popolo che dell'una e dell'altro stimolan-
done l'attività, e come a cète aguzzandone l'ingegno,
toglievano ad entrambi il vicendevole soverchiarsi ed
opprimersi, e intanto quelli stimoli, e quella gara di
un reciproco fervore procacciavano alla Repubblica
una cotale vita giovanile, agitata e procellosa se vuoisi,
• ma robusta e potente, feconda di grandi fatti che ne
costituivano l'epoca della maggior sua grandezza po-
litica, commerciale e letteraria.
Ed invero, di cosi gloriosa epoca ne raggiungeva
Atene la meta nel declinare del quinto secolo av. G. C.
mentre più ardevano le dissensioni sue civili per le
due grandi parti di Pericle e di Nicla, e Roma poco
innanzi quelle di Mario e di Siila ; Firenze a' tempi
degli Albizzi e dei Ricci; Genova dal dogato di Si-
mone Boccanegra nel 1339 al 1528, ultimo termine
dello stato suo popolare che ne segna la decadenza.
Alla quale, per altro non volse che per le stesse
vicende che tutti gli altri antichi stati travagliarono
colla trasformazione loro del governo popolare nel-
r aristocratico ; imperocché, siccome soggiacque Atene
dopo la guerra peloponesiaca al prevalere in Grecia
della lacedemone oligarchia, Roma alla dittatura di
Giulio Cesare e all' impero di Augusto , Firenze alla
Signoria di Cosimo de' Medici che ben tosto minò
al principato, cosi Genova alla riforma delle leggi
operata d'Andrea Doria.
Laonde, da quanto son venuto narrando colla scorta
de' nuovi documenti, non può sorger dubbio oggimai
4^9
che gli antichi Nobili feudali per esso richiamati al
supremo comando della .Repubblica , sfrenatamente
non prorompessero a quelle immoderate cupidità di
assoluta Signoria, che il governo popolare aveva fino
allora rattenute e combattute ; non trovando quindi
più ostacolo, perocché oppressa la forza che le teneva
in rispetto ; quanti erano di quelle antiche famiglie,
tanti furono i rivali del Doria, che d' origine uguali
e di condizione, ordirono congiure, destarono moti e
tumulti per contrastargli quel dominio e quel primato
che migliore ragione di, essi non avea di rivendicare
a sé solo ; perciò, non fu più il vicendevole concor-
rere delle due classi nell' esercizio del sommo potere,
ma il permanente ed insidioso conflitto dell' una fra
i diversi uomini suoi che vilipesa la rivale, coli' ajuto
dello straniero , a lei tanto solamente dell' occupato
dominio consentirono, quanto bastava a soddisfazione
di un' apparente legalità, e a non interamente inimi-
carsi quel popolo che si aveano vinto e non domo.
Ben so che mi si opporranno le condizioni de' tempi,
e il traboccare della potenza di Carlo V cui V uno e
r altro emisfero oggimai obbedivano. Ma questa po-
tenza da chi fu fatta e mantenuta in Italia? Senza
Andrea Doria, Cosimo de* Medici Duca e poi Gran-
duca di Firen2le, e Ferrante Gonzaga avrebbe potuto
esistere, ed esistendo mettere profonde radici ? Se in-
vece di sagrificare a singolari biasimevoli fini, a basse
gelosie e detestabili ingordigie di personale o gentilizia
utilità, si fossero piuttosto confederati e vólti a ser-
420
bare illesa T indipendenza d'Italia, e l'universale li-
bertà dei singoli cittadini, che a farsi sostegno e difesa
dell' esosa tirannide spagnuola, avrebbe potuto mai que-
sta tanto allargarsi?
Perchè Andrea Doria ridurre a tale lo stato che
nonché ogni nobile delle diverse fazioni, ma quasi
ogni membro della sua stessa famiglia divenne un
capo di congiurati contro il governo da lui stabi-
lito, cosicché si può affermare senza tema di errore,
che non solo dal 1528 al 1550 in cui ho io condotte
queste istorie, ma fino al 1575, corrono 47 anni, o piut-
tosto una non mai interrotta successione di congiure,
di sedizioni, *e di tumulti che mettono a repentaglio
la Repubblica e fanno di questa sua ricuperata libertà
la più amara politica ironìa ? Né si sarebbero pure di
certo quei moti incessanti arrestati al 1575, se le leggi
di Casale dettate in quell'anno dallo straniero, non
avessero colla costui autorità presidiata l' infausta opera
sua. E perché le grandi famiglie di Adorni e Fregosi
nonché di escludere dal formare albergo, ma cosi si
studiò di opprimere e perseguitare che ninna di qssq
per il corso di 279 anni quanti ne trascorsero dal 1528
al 1797 potè mai tornare alla dignità del Dogato che
tanto illustre avea reso dal 1339 al 1528? Eppure
Andrea Doria alla magnanimità dei Fregosi andava ob-
bligato d' infiniti beneficj, e dei principj di quella gran-
dezza cui egli sali.
E seguitando, a conforto di prova lo stesso ordine
di queste idee, perché Cosimo de' Medici, e i suoi
421
successori, ipocriti, stupidi pressoché, e dissoluti tutti,
tanto corruppero la eletta e indomita indole del ge-
neroso popolo fiorentino da farne una mandra di pecore?
Perchè Ferrante Ganzaga che avea pure grande e sa-
gace intelletto e tutte le arti da divenire un nobile
principe italiano, converti il primo a raffinata perfidia,
e le seconde a nefandi raggiri, a scellerate imprese
raccomandati contro la propria patria?
Perchè tutti e tre ch'esser poteano la principale
forza, difesa e speranza d* Italia servirono turpissima-
mente allo Spagnuolo , e mendicarono ignobilmente
da quello onori, favori e privilegj, ogni concessione
de'qu^li segnava un passo di decadenza nazionale, e
apparecchiava quella politica, morale, intellettuale ser-
vitù che per tre secoli vilissimamente tutti disonorando,
ci colpi, e le famiglie principesche istesse dei due ul-
timi trasse a decrepitezza di vizio, di regno e di vita?
Mi si soggiungerà: più di Carlo V doveano forse
gittarsi in balia di Francesco I di Francia ? Ma T Ita-
lia era forse ridutta allora a cotesto stremo di non
poter altro scegliere che, o la cupa malvagità del
primo, o la leggerezza, e slealtà del secondo ? E Ve-
nezia non istava là per formare con essi tale una lega
ed una potenza che traendo seco i minori stati, e a
Paolo III dando animo e sicuro indirizzo, avrebbero
tutti insiememente avvalorata V indipendenza della Pe-
nisola ? Perchè tradirla a S. Maura ed a Lepanto , e
lasciarla sola e abbandonata a discrezione del Turco,
donde poi Cipro e Candia le vennero manco, e Scio
422
a Genova fii tolta, e in tal guisa gli ultimi avanzi di
quelli coloniali stabilimenti scomparvero che con tanta
g^<HÌa del nome italiano aveansi le due repubbliche
fiondato in Oriente; per la qual cosa entrambe an-
n^hitdte , ed adulate dall' in&usta dominazione
austro-ìspana giacquero consunte ed isterilite dai mi-
cidiali influssi di quella?
Imperocché, Venezia invano raccomandata ad una
imbelle neutralità disarmata venne da una mano di
mal arrivati condotta ad eccidio; e Genova incontrò
lo stesso ineluttabile fitto non ancora volti i 50 anni
che il magnanimo suo popolo aveva vergata la più
gloriosa pagina delle sue storie. E perchè nel 1797
nuovamente non si ridestò? sarebbe forse temerario
il rispondere, perchè dopo tanto valoroso ardimento
e largo sagrificio di nobili vite nel 1746 dimostrato,
si accorse essersi sopra di lui ribadito più duro il
giogo dell' antico governo dal Doria istituito ? Ecco le x
conseguenze di una funesta politica che altro princi-
pio e fine non aveva che V amore di sé, e che aflSdata
interamente all' ingegno di im solo uomo , quando
quello mancò ne' suoi successori, la repubblica divenne
un cadavere. Non i tempi gli uomini, ma gli uomini
sono che fanno i tempi; è la parte dello spirito che
crea e governa la materia; a questa sentenza non v'ha
obbiezione che basti.
Egli era pertanto questo il solo modo dopo i co-
piosi documenti venuti in luce, con cui essere voleano
considerati e descritti gli avvenimenti e gli uomini di
423
questi 22 anni di storia, e specialmente le vere ca-
gioni delle due congiure di Gian Luigi Fiesco e Giu-
lio Cibo cognato di lui. Già io facea osservare in pa-
recchi luoghi della presente istoria quanta poca fede
si meritino gli antichi scrittori che ne hanno trattato #
i quali o prezzolati, o ligj al governo istituito dal Doria,
o male informati e ripetendo spesso i più recenti ciò
che quelli aveano affermato, altro non fecero che ca-
lunniare, e svillaneggiare i vinti, servilissimo omaggio
tributando a' vincitori; che chi altrimenti fino al 1797
avesse osato di scrivere , il minor male che gliene
poteva incogliere era di venire V opera sua per mano
del boja abbrucciata.
Dopo quel tempo, e tra i contemporanei, colui che
scrivendone siasi veramente innalzato sulla volgare
schiera e liberatosi dall' antico pregiudizio, sacrificando
animosamente alla sola verità , parmi fuor di dubbio
il dotto ed illustre mio amico Comm. e Prof. Ema-
nuele Celesia dettando un assai elegante libro sulla
congiura dell* infelice Gian Luigi Fiesco. Che se col-
r acume di quel robusto intelletto eh' egli ha potè in-
dovinare non poche volte il vero carattere del suo
protagonista e il sincero scopo di quella cospirazione,
piuttosto che provarlo ed accertarlo coli' evidenza dei
fatti, si deve attribuire a che non anco si conoscevano
allora quei documenti che ne hanno quindi messa in
piena luce la verità. La posteriore pubblicazione di
essi estratti dagli Archivj di Simancas, fatta dalla So-
cietà Ligure di Storia Patria ha reso a me possibile^
424
ciò che non tornò a lui per difetto de* medesimi; ed
io tale ne feci tesoro per la narrazione di questi 22 anni
di storia, <:he qualunque mio giudizio intomo ai iatti
e agli uomini che vi sono rappresentati, e lo spirito
di cui li ho informati, altro non sieno che la conse-
guenza inevitabile della prova che sorge da quelli;
questo io noto affinchè ciò che narrai più che a sto-
rica verità non mi venga imputato a maligna passione
di animo nemico, che non ebbi mai, né ho.
INDICE
LIBRO PRIMO
CAPITOLO PRIMO
La Repubblica d i Genova per opera cQ Andrea Doria trapassa dal governo di Fran-
cia sotto la protezione dell* imperiale di Carlo V. dcciata dei Francesi; descri-
zione della fortezza del Gutelletto, sue varie vicende e sua resa; provvedimenti
di difesa contro le minaccie francesi ; ambasciatore di questi venuto in città , a
raccomandare il mantenimento della data fede al Re ; fiera risposta del senato ;
assedio e resa di Savona , di Novi , Ovada e Gavi Pag, 7
CAPITOLO SECONDO
Riforma delle leggi oprata da Andrea Doria ; istituzione dei 28 oilherght^ prima ori-
gine di essi; tentativo &tto dai Francesi per assalire e sorprendere la città, va-
lorosa difesa di Andrea Doria; ordinamento delle milizie cittadine, trattato tra
Giano Fregoso per tornare Genova sotto il dominio del Re di Francia; luttuose
condizioni d'Italia; trattato di Barcellona tra Clemente VII e Carlo V; di
Cambray tra Carlo V e Francesco I; turpe abbandono fiitto da entrambi dei
loro alleati; Andrea Doria con 15 galee trasporta l'Imperatore da Barcellona in
Genova; suo ricevimene solenne, ed alloggio nel pubblico Palazzo; incorona-
zione di lui in Bologna a re d' Italia ed imperatore per mano di Papa Gemente VII ;
quistione di precedenza tra gli ambasciatori genovesi e il senese f spedizione di
Andrea Doria contro Ariadeno Barbarossa Signore di Algeri , e di Michele Defer-
rari contro un corsaro di Valenza; provvedimenti per meglio fortificare la Città
e leggi diverse finanziarie , suntuarie e politiche emanate dal nuovo governo; Am-
basciatori inviati dalla Repubblica al Duca di BCilano, e al Re di Francia affinchè
i mercanti genovesi vengano riammessi a commerciare nei porti della Provenza e
del Delfiaato Pag. $2
27*
426
CAPITOLO TERZO
Funesti effetti dei trattati di Barcellona, Madrid e Gunbrai, disegni di Francesco I,
nei quali fa entrare il Pontefice Clemente VII; lamentevoli condizioni del Com-
mercio dei Genovesi , impedito dai divieti , e infestato dalle piraterìe del governo
di Francia; fiera tempesta nel porto di Genova seguita da vaa. terribile incendio;
ascrizioni alla nobiltà ; 1' esercito turco e l' imperiale si trovano a fronte senza
venire a combattimento , perchè il primo è costretto ad accorrere alla difesa della
Morea onde impedire le conquiste che vi andava facendo Andrea Doria ; il Ponte-
fice Clemente VII spaventato dai favorevoli successi delle armi imperiali rompe
ogni trattativa con Francesco I e si ristrìnge con Carlo V; abboccamento in Bo-
logna , progetto di lega tra gli Stati italiani , in prima osteggiato , e poi conchiuso;
Ambasciatori dei genovesi colà per muovere l'Imperatore contro il Re di Francia
a tutela del loro commercio ; venuta in Genova di Carlo V , ospitato principesca-
mente da Andrea Doria nel suo palazzo di Fassolo ; matrimonio di Catterina de*
Medici nipote del Papa con Enrico figlio secondogenito di Francesco I; viaggio
del Papa a Marsiglia , suo incontro colà , e particolari concerti col Re di Francia,
sua venuta ed accoglienza in Genova; tentativi di conciliazione tra la Repubblica
e Francesco I, specialmente pel ristabiliménto delle relazioni commerciali inter-
rotte dalla perfidia del Duca di Milano; preparativi guerreschi fatti dalla Francia,
accompagnati da congiure ordite contro il nuovo governo stabilito dal Doria in
Genova , scoperte e punite colla morte dei loro autore .... Pag. 87
CAPITOLO QUARTO
Grande armamento ed impresa contro di Tunisi sotto gli ordini di Andrea Doria,
presente Carlo V, presa della Goletta e della città di Tunisi, fuga del Pirata
Ariadeno Barbarossa che ne avea usurpato il dominio, ristabilimento del Sovrano
Muleassen che n* era stato espulso con obbligo di omaggio ali* Imperatore
Carlo V ............ Pag. 103
CAPITOLO QUINTO
Guerra de' Francesi in Piemonte ; morte di Francesco Duca di Milano ; quistioni per
la successione di quel Ducato ; Andrea Doria consiglia Carlo V ad appropriarselo ;
rinnovazione della lega dell'Imperatore coi principi d'Italia; infelice spedizione
delle armi imperiali in Provenza, e delle Francesi condotte da Cesare Fregoso
contro di Genova ; fine infausta della guerra di Provenza , morte di Antonio di
Leyva che l' avea consigliata; venuta in Genovs^ dell'Imperatore, e rapido sno
ritorno in Ispagna ; nuove provvidenze fatte dalla Repubblica per meglio fortificar
la Città, generosità di molti cittadini, specialmente delle confraternite delle Ca-
saccie e di Ansaldo Grimaldi, origine delle sue ingenti ricchezze. . Pag. 109
CAPITOLO SESTO
Si raccende la guerra tra Francesco I e Carlo V , si recano in Genova a compimento
le fortificazioni, morte del Duca Alessandro dei Medici, successione di Cosimo dei
Medici. Il papa Paolo III induce ad un abboccamento e ad na tregua il Re di
427
Francia e 1* Imperatore in Kizza. Trattato di lega contro il Turco tra il Papa ,
r Imperatore e i Veneziani ; venuta in Genova dei prixhi due. Abboccamento di
Carlo V e Francesco I in Acquemorte dLProvenza sulla capitana di Andrea Doria ,
incontro di questi col Re, e sue fiere risposte. Guerra del Papa, Imperatore e dei
Veneziani contro il Turco; sleale condotta di Andrea Doria che ricusa di vincere
per indebolire e disonorare i Veneziani , affinchè più &cilmente si abbandonino in
balla deir Imperatore , e sia così compiuta la servitù d' Italia. Il Papa istesso
veduta la frode di Carlo e la slealtà del Doria consiglia Venezia ad accordarsi col
Turco ad ogni patto Pag. 123
CAPITOLO SETTIMO
Sollevazione di Gand contro Carlo V, il quale passando di Francia per recarsi a
reprimerla viene incontrato, e ricevuto colla più onorevole e cordiale accoglienza
da Francesco I che inganna e vilmente offende colla promessa del Ducato di Milano ,
e delle nozze della propria figlia con Carlo d* Orleans cui l' avrebbe investito ;
entrambi poi ingannano la Repubblica di Venezia , la quale avvedutasi dell* inganno
si scosta dalla lega e conchiude con grave suo pregiudizio una pace col Turco.
Grandissima carestia in Genova , fondazione dei pubblici granai , creazione dell* Of-
ficio dei Poveri, tentativi infelici di seminare a grano le terre di Porto Vecchio
in Corsica , fabbrica delle mura di Porta d* Arco , accrescimento della torre del
Pubblico Palazzo , e ampliazione del Porto. Presa del corsaro Dragut , vergognoso
mercato che si fa della sua liberazione per opera di Andrea Doria; infierisce la
carestia; inaspettata estrazione di grano dalla Provenza ottenuta da Francesca I
per Cesare Fregoso a fstvore di Genova. Abboccamento in Lucca dell* Imperatore
con Paolo III Pontefice , che lo esorta a conciliarsi col Re , ostinazione dell' Im-
peratore. Assassinio dei due ambasciatori francesi Antonio Rincone e Cesare Fregoso ,
perpetrato com*è fiuna, dal Marchese del Vasto per ordine di Carlo V. Pag. 135
CAPITOLO OTTAVO
Nuova lega di Francesco I con Solimano imperadore dei Turchi contro Carlo V;
costui intraprende una spedizione per occupare Algeri per mezzo di numerosa flotta
sotto gli ordini di Andrea Doria ; furiosa tempesta che ne impedisce 1' approdo , e
distruggendone la maggior parte delle navi ne manda a male il tentativo; onori
• e premj dall' Imperatore conferiti ad Andrea Doria che avea sconsigliata 1* impresa ;
riarde la guerra in Lombardia , Fiandra, e nei luoghi finittimi della Spagna ; pira-
terie esercitate dal Barbarossa nel Mediterraneo , dalle quali si premunisce Genova
con nuove fortificazioni lungo le due Riviere. Assedio e liberazione di Nizza per
parte dei Turchi, essendo la flotta loro sbattuta e dispersa dalla tempesta. Luigi
Alamanni mandato da Francesco I fa proposte in nome di questo al Senato della
• Repubblica, che vengono rigettate; piraterie del corsaro Barbarossa. Vittoria dei
Francesi contro gì' Imperiali in Piemonte ; pace di Crespy fra Carlo e Francesco ;
dissensioni civili in Genova tra i Nobili Antichi che si erano impossessati
del governo e i Nuovi che ne venivano espulsi; ristaurazione e pxirgazione del
porto ... ..... ._.,. *^^%* 14$
428
LIBRO SECONDO
CAPITOLO PRIMO
Vere cagioni della congiura di Gian Luigi Fiesco. Malcontento dei Nobili Kuovi,
colla riforma delle Leggi del 1528 operata d'Andrea Doria sottoposti ali* autoriti
ed incorporamento dei 28 Alberghi, quasi tutti composti dei Nobili Vecchi; neces-
sità del Doria e della sua Duione di mettere la Repubblica in balla di Carlo V
per poterne interamente maneggiare il governo. Funeste conseguenze di siffiitta
politica nonché per Genova, per 1* Italia tutta ; primi tentativi di congiura contro
il nuovo stato repressi col sangue. Povertà della discendenza di Andrea, diversa
da quella famosa dei Doria vincitori alla Meloria, a Curzola, al Bosforo, e alla
Sapienza; egli astutamente si aiuta delle ricchezze di Adamo Centurioni, Ansaldo
Grimaldi, e Sinibaldo Fiesco', prodigalità di quest'ultimo a £[ivore del governo
istituto dal Doria, per le quaU muore lasciando nelle maggiori strettezze la pro-
pria famiglia Ptg, 157
CAPITOLO SECONDO
Origine e grandezza della famiglia Fieschi, illustri personaggi di essa; natura e
carattere di Gian Luigi; ingiusto e indegno paragone che gli scrittori della con-
giura , fanno di lui con Alcibiade e Catilina ; suoi motivi particolari , e ragioni di
avversione e di odio contro di Gianettino Doria, fomentate in lui dai suoi
famigliari Pag. 169
CAPITOLO TERZO
Prime pratiche della Congiura tenute forse dal Fiesco cogli Adomi ; probabili tenta-
tivi di accordo di lui col Papa; ragioni di odio di questo contro di Carlo V e
Andrea Doria ; viaggio di Gian Luigi a Roma e a Piacenza ; trattative di esso con
Paolo III, con Guglielmo di Bella! ambasciatore di Francia e Pier Liiigi Farnese
Duca di Parma e Piacenza; suo ritorno in Genova, e consiglio ivi tenuto da lui
con Gio. Batta Verrina, Raffaele Sacco e Vincenzo Calcagno; confessioni del
primo e rivelazioni del secondo; il console dei tessitori di seta si presenta al
Fiesco per eccitarlo al soccorso di quell'arte caduta in povertà dopoché i capitali
dei nobili vecchi invece di servire a sostenerla e farla prosperare s' impiegavano
ad usura in Ispagna ; cortese accoglienza fatta dal Fiesco al console , e poi ai tessi-
tori cui egli soccorre e promette di sovvenire più largamente in avvenire. Pag, 18$
CAPITOLO QUARTO
Nuovo Consiglio tenuto dal Fiesco con Verrina, Sacco e Calcagno; loro pareri
diversi circa lo scopo che si doveva prefiggere alla congiura, circa il mezzo • il
tempo di eseguirla ; si fissa la seconda notte di gennaio del 1 547 . Po^ . M5
429
CAPITOLO QUINTO
Il Verrina infiamma gli animi del popolo alla imminente sollevazione; il Hesco si
reca al palazzo del Principe Doria, suoi modi cortesi che tolgono ogni sospetto
contro di lui tanto nel Doria, come nell* Ambasciatore Spagnuolo; ottiene da
Gianettino quanto gli domanda; partito di là, visita le diverse case dei Nobili di
S. Pietro, invitando questi ad una cena nel suo palazzo di Violato; descrizione
di esso ; parlata del Fiesco ai convenuti ; suo ultimo addio alla consorte Eleonora;
ordini e incarichi da lui dati ai congiurati; morte di esso e di Gianettino ad im
tempo; fuga di Andrea Doria; paura dell'ambasciatore Spagnuolo; confusione e
terrore nel Senato che manda frequenti deputazioni per conoscere il vero essere
di quel tumulto; Gerolamo Fiesco fratello di Gian Luigi si pone a capo de* sol-
levati, ma udita la morte di quello, la maggior parte di essi si allontana dal
seguirlo Pag. 213
CAPITOLO SESTO
Pietro Paolo Lasagna solleva 1' animo dell' ambasciatore spagnuolo spaventato dal
tumulto dei Congiurati. Deputazioni mandate dal Senato per conoscerne il disegno ;
si scopre che Gian Luigi non è più, ma Capo loro il fratello Gerolano; la scom-
parsa del primo dirada il numero di coloro che seguitavano il secondo ; Discussione
in Senato sul modo di trattare i Congiurati ; si delibera \m generale perdono ;
Elezione in Doge di Benedetto Gentile; Avvisi che giungono al Governo di moti
che tutti si collegano a quello dell* accaduta Congiura . . . Pag, 228
LIBRO TERZO
CAPITOLO PRIMO
Diseg^ diversi e raggiri dopo là congiura, di Ferrante Gonzaga , dell' Ambasciatore
. Spagnuolo, di Andrea Doria e dell'Imperatore, tutti cercano di appropriarsi la
maggior parte dei feudi posseduti dai Fieschi; il Gonzaga e l'Ambasciatore Fi-
gueroa specialmente consigliano l' Imperatore di afferrare quell' occasione per me-
glio hni soggetta la Repubblica servendosi di Agostino Spinola il più affezionato
de* suoi servitori. Congiura di questo cogli Adomi che si compenetra con quella
del Hesco, e viene contemporàneamente ordita con una terza. L'Imperatore invia
1* ordine a Ferrante Gonzaga di occupare le terre dei Fieschi , inducendo nello
stesso tempo Andrea Doria e Agostino Spinola a riformare il governo di Genova
in modo che fosse più dipendente dall' Imperiale. Il Doria recatosi in Senato, non
ostante la più viva opposizione fa rivocare il decreto di perdono poco innanzi ai
congiurati accordato. Nuovi tumulti in Genova , ed avvisi da Roma e da Piacenza
430
di nuove congiure che dipendenti da quella dei Fieschi si vanno tramando cootro
il governo dal Doria istituito. Esecuzione del bando contro i congiurati; lettera
di Scipione Fiesco fratello minore di Gian Luigi al Doge e ai Governatori per ri-
vendicarsi il dominio de* feudi dal quale dovevano decadere i suoi maggiori. fra-
telli ; astuto parere di Ferrante Gonzaga a Gurlo V per impedirne l' effetto. Pdf. 241
CAPITOLO SECONDO
Isunze e differenze dei diversi contendenti per appropriarsi le terre dei Fie$chi;
s'inviano all'Imperatore due ambasciatori Ceva Doria per parte della Repubblica,
e Francesco Grimaldi per quella di Andrea Doria, per conto del qtule il Grimaldi
ottiene da Gurlo V tutto ciò che il Ceva Doria aveva istruzione di procurare
a benefizio della Repubblica; brutto maneggio di Andrea in siffatto negozio; si
delibera l' espugnazione del castello di Montobbio ; descrizione del sito ; 1* impresa
viene affidau ad Agostino Spinola Pag. 2$6
CAPITOLO TERZO
Assedio del Castello di Montobbio; resistenza degli assediati; trattative di accordo;
discussioni e diversità di pareri in Senato sull* accettazione delle condizioni pro-
poste dagli assediati; in pendenza di quelle il generale Spinola corrompe una
parte dei soldati forestieri allo stipendio dei Fieschi , e per tradimento occupa la
fortezza ; notizia datane d' Andrea Doria a Carlo V ; UfEziali , Dottori , e Giudici
mandati in Montobbio per 1* esame e il processo dei congiurati ; nuova discussione
in Senato sulla sorte dei medesimi; il peggiore partito si vince per Andrea Doria ;
Gerolamo Fiesco, Gio. Batta Verrina e Desiderio Cangialanza vengono condannati
a morte che tosto si eseguisce in Montobbio, mentre accaduta appena 1* occupazione
di quella fortezza, senza forma di giudizio, sono scannati per ordine del Commis-
sario Domenico Doria, Vincenzo Calcagno, Gerolamo Manara e due altri servitori
dei Fieschi ; distruzione del Castello di Montobbio ; divisione delle terre della Si-
miglia dei Fieschi fra l' Imperatore, il Duca di Parma e Piacenza , Andrea Doria ,
Antonio Doria ed Ettore Fiesco , Pag. 264
CAPITOLO QUARTO
Contesa delle diverse fazioni che aspirano ad impossessarsi della Repubblica ; relazione
sulle vere condizioni di essa di un Pancino Gismondi inviato a tale uopo in Genova
da Gonzaga, per consiglio del quale l' Imperatore cogliendo il destro di quelle dis-
sensioni propone che a difesa efficace si ordini un sufficiente presidio in Genova
al comando di cui si nomini Agostino Spinola , e si rifabbrichi ad un tempo la
fortezza di Castelletto ; il Doria per ischermirsene manda Francesco Grimaldi a
Carlo V; suo abboccamento in Milano con Ferrante Gonzaga sopra i partiti che
dividono la Repubblica ; giudizio che ne forma il Gonzaga e suoi consigli ali* Im*
peratore, nuove proposte a questo di Andrea Doria , e pareri allo stesso mandati
dall' Ambasciatore Figueroa Pag. 275
431
CAPITOLO QUINTO
Nuòve nucchinazioni contro il governo del Dona dei fratelli Fieschi , Adorni , Spi-
nola , del drdinale e Kicolò Doria di concerto con Francia e il Duca di Parma e
Piacenza ; timori di Andrea Doria ; insistenza del Gonzaga e dell* Ambasciatore
Figueroa affinchè venga eletto a G)mandante di un presidio gagliardo di difesa
Agostino Spinola , e si dia opera alla ricostruzione del Castelletto ; loro vive
istanze perciò con Adamo Centurione e Francesco Grimaldi ; pratiche ulteriori a
tal fine del Gonzaga col Cardinale Gerolamo Doria e per esso col suo inviato
Giuliano Salvago che interamente concorre nelle idee di lui per un grosso presidio
in Genova e la fabbrica della fortezza ; stratagemma dello stesso Gonzaga di una
sottoscrizione di cento nobili genovesi per 1* opera della fortezza : Andrea Doria
fii.intendere indirettamente ali* imperatore il difetto di denaro che si aveva per
costruirla , il Gonzaga consiglia in prima di contentare il Doria coli* abbandonargli
qualche altro feudo dei Fieschi ; indi scrivergli che il medesimo imperatore era
disposto a fare le spese per la edificazione di detta fortezza. Intanto il Doria
stretto in tal guisa da ogni parte, si accinge alla riforma del governo riducendolo
vieppiù alla forma aristocratica Pag, 28$
CAPITOLO SESTO
Carlo V vedendo come il negozio della fortezza andava fallito, ordina a* suoi
ministri che ne cessassero ogni maggiore istanza con Andrea Doria per non alie-
narne l'animo; quindi per cattivarselo gli assegna le terre del Fiesco, a sé riser-
vati Pontremoli e Valdetaro ; e il luogo di S. Stefano d* Aveto conceduto ad
Antonio Doria; aumento di pensione ad Agostino Spinola e nomina del figlio dì
lui a paggio dello stesso Imperatore; assegnamento di 400 scudi annui a Fran-
cesco Grimaldo ; intanto si continuano i raggiri verso il Doria dall* Ambasciatore
Spagnuolo per l'erezione della fortezza; Adamo Centiirione con nuova proposta
tenta di renderne inutile ogni maggior tentativo; Ferrante Gonzaga con più
astuto consiglio scrive all' Imperatore di trattarne col cardinale Gerolamo
Doria Pag, 296
CAPITOLO SETTIMO
Tumulti di Napoli contro TUffizio della S. Inquisizione voluto introdurvi da Carlo V;
flotta sotto gli ordini di Marco Centurioni che vi naviga con proporzionate forze
per sedarli; l'Imperatore meglio avvisato rinuncia al suo dbegno; congiura contro
Pier Luigi Farnese Duca di Parma e Piacenza e suo assassinio ; brutta parte che
vi prendono Ferrante Gonzaga e Andrea Doria; ipocrisia di Carlo V. Pag, 302
CAPITOLO OTTAVO
Pratiche tenute dal Gonzaga col Cardinale Gerolamo Doria per ottenere lo scopo
della fortezza; raggiiagli che ne scrive all' Imperatore intorno al suo abboccamento
coHo stesso e ai consigli dal Cardinale suggeriti per rendere a Carlo V più facile
432
il dominio di Genova ; Congiura di Kicolò Doria figlio del Cardinale , coi fratelli
Fieschi, e di concerto colla Francia ; essendo scoperta, Niccolò si salva colla fuga ;
avviso di essa del Gonzaga ali* Imperatore ; complicità di Paolo Spinola nella
congiura de' Fieschi; essendo per le sue lettere scoperta, riesce a mettersi in si*
curo in Venezia ; lettera di lui scritta da Venezia al Doge , Governatori e Pro-
curatori della Repubblica Pag. 316
LIBRO QUARTO
CAPITOLO PRIMO
Origine , studi , costumi , qualità di Giulio Gbo ; sue discordie colla madre per il
marchesato di Massa; evidente di lui complicità nella congiura di Gian Luigi
Fiesco suo cognato Pag. 326
CAPITOLO SECONDO
Giulio Cibo privato del Marchesato di Massa dalla Madre, abbandonato dal Cardinale
suo zio, dal Duca di Firenze, ingannato d' Andrea Doria e tenuto a bada da Fer-
rante Gonzaga, prende parte alla Congiura dei fratelli Fieschi e fuorusciti geno-
vesi coi Cardinali francesi Di Bellay, e Lorena, prima in Roma e poi in Venezia ;
fatto arrestare da Ferrante Gonzaga, viene condotto nel Castello di Milano, pro-
cessato, torturato, e decapitato . Pag. 336
CAPITOLO TERZO
Il numero dei Congiurati contro il governo dal Doria istituito si va sempre più
moltiplicando ; i ministri di Carlo V , posposto ogni riguardo , chiedono con
irrevocabile proposito 1' erezione della fortezza ; il Gonzaga rimanda in Genova il
Commissario Gismondo Fanzino ; sua relazione inviata- ali* Imperatore ; parere
dell' ingegnere Gio. Maria Olgiati intorno al modo, luogo e spesa di tale costru-
zione ; Il Doria stretto da tante parti conviene sulla sua neceessità richiedendo
però due condizioni, 1' una che si facesse nel bastione di S. Giorgio, l'altra che
si aspettasse a farla alla venuta del Principe Filippo ; il Gonzaga riscrivendo all' Im-
peratore lo consiglia a non accettarle, ordinando subito la fabbricazione. Pag. 348
CAPITOLO CIUART O
Andrea Doria per pigliar tempo invia all' Imperatore Adamo Centurioni, vita, viaggi,
azioni gloriose di questo ; venuto egli alla presenza di Carlo propone prima della
fortezza 1* esperimento della riforma del governo ; l' Imperatore decide doversi
433
quel negozio rimettere alla venuta del Principe Filippo in Genova ; Trama ordita
in Piacenza contro di questa Repùbblica, la qiule tosto che &tta soggetta alla Spa»
gna , il Principe Filippo verrebbe dichiarato re d' Italia ; il governo del Doria
avendone segreto avviso da Roma, provvede alla propria difesa e rbpinge ogni
proposta che si faceva dal Duca di Firenze e da Ferrante Gonzaga di spedir*
in Genova ragguardevole numero di gente armata col pretesto di meglio onorare
la venuta del Principe Filippo; Riforma del governo operata dal Doria ristrin-
gendolo vieppiù in mano di pochi, colla nuova legge detta del Garibetto. Paq. 355
CAPITOLO QUINTO
Viaggio del Principe Filippo sopra una flotta di 98 legni comandata d* Andrea Doria ;
Sua domanda di voler alloggiare nel pubblico palazzo; fiera risposta e rifiuto del
Doria ; arrivo, solenne ricevimento di lui in Genova, e alloggio sontuoso nel pa-
lazzo di Fassolo Pag. 367
CAPITOLO SESTO
Consigli tenuti nel palazzo Doria dal Principe Filippo col Duca d' Alba, Ferrante
Gonzaga, e l'Ambasciatore Spagnuolo per trattare collo stesso Doria di ciò che
si doveà operare per la sicurezza di Genova, la conservazione del suo libero stato
e per tenerla salda nel servizio imperiale ; il Doria venuto ali* adunanza opina che
la riforma del governo divisata da lui doveva bastare senza ricorrere ad altro ri-
medio ; opposizioni che gli si fanno, repliche e contrasti d' ambo le parti ; con-
cludono di radunarsi altra volta ; intanto per ordine del Principe Filippo il Duca
d' Alba si abbocca con Adamo Centurioni, dalle parole del quale si accorge eh* era
suo fine di succedere al Doria nella stessa autorità che avea questi nella Repub-
blica ; si decide di conseguire per forza quanto desideravano impedendo la riforma
del governo ; Ferrante Gonzaga consiglia, lasciando in disparte il Doria e il Cen-
turioni servirsi dell* opera più sicura di Antonio Doria, del colonnello Agostino
Spinola e Cardinale Doria ; obbiezioni che si fanno dal Duca d' Alba e dall' Am-
basciatore Figueroa a siffatto partito ; si conclude di nulla eseguire senza prima
consultarne l' Imperatore. È invitato il Doria ad una nuova adunanza , la quale
pure fallisce allo scopo ; tentativo di timiulto in Genova fatto nascere dal Prin-
cipe Filippo e dai suoi ministri per occupare con violenza il pubblico palazzo ;
andato questo a vóto, cosi consigliato dal Duca d* Alba, Filippo decide di fare il
suo solenne ingresso in città e recarsi ad udire la messa nel Duomo ; festosa ac-
coglienza a lui fintta dovunque ; suoi principeschi ricevimenti , e partenza per
Milano Pag. 372
CAPITOLO SETTIMO *
Lettere del Principe Filippo d' Ala di Trento e da Roveredo all' Ambasciatore Figueroa,
e air Imperatore suo padre, che consigliano e raccomandano di adoperare alfine la
forza sia per 1* erezione della fortezza, sia per un forte presidio in Genova ; nuovi
tentativi che si fanno a tale uopo dal Figueroa col Doria ; risposte fiere e riso-
434 ■'•. ' X*-
Iute del secondo al primo ; in un successivo abboccamento i( Dom propone Ac
V Imperatore unisca la Repubblica allo stato di Milano ; Ferrante Gonzaga reso
consapevole di queste trattative scrive al Principe Filippo che il Doria in quelle
proposte altro scopo non si prefiggeva che di sconvolgere la pratica, gl*infU<;a il
modo con cui 1* Imperatore deve rispondergli ; Filippo fa di tutto consapeVjiIe .il
padre ; e gli suggerisce quanto a lui pareva si avesse ad operare per meglit<-coo-
durre la pratica ; scrive quindi una seconda lettera ali* Ambasciatóre Figueroa ;
nuovo abboccamento di questo col Doria, nuovi artifizj usati con lui per iàdurlo
al fine propostosi, resi inutili ; contezza che ne dà al Principe Filigpo, mentre gli
espone la maniera con cui divisava di condursi ; nuova congiura ordita da Gio.
Batta Defomari Ex-Doge, scoperta per un Frate Clemente Francesouip col mezzo
della tortura; il Defomari per corruzione dei giudici viene solamente iiopàg/msLto
air esigilo Pag, 389
CAPITOLO OTTAVO
Conclusione Pag. 417
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