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Full text of "Storia della repubblica di Genova dall' anno 1528 al 1550: ossia le congiure di Gian Luigi ..."

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STORIA 
DELLA REPUBBLICA DI GENOVA 



DALL'ANNO 1528 AL 1550 



^■• 



Proprietà letteraria. 



V 



STORIA 



DELLA 



REPUBBLICA DI GENOVA 



dall'anno 1528 AL 1550 



OSSIA 



LE CONGIURE DI GIAN LUIGI FIESCO 



GIULIO CIBO 



COLLA LUCE DEI NUOVI DOCUMENTI 



NARRATE ED ILLUSTRATE 



PER IL COMMEKDATORE AVVOCATO 

MICHEL-GIUSEPPE CANALE 



CIVICO BIBLIOTECARIO 



Post fata resurgo. 





GENOVA 

TIPOGRAFIA DEL R. ISTITUTO SORDO-MUTI 

1874 



-^-^Z. /. 



/// 



ALL ILLUSTRE BARONE 

« 

ANDREA PODESTÀ 

SINDACO DELLA CITTÀ DI GENOVA 

CHE ALLA SINGOLARE PERSPICACIA DELL' INGEGNO 

ACCOPPIA l' alacrità DELLE OPERE 

E 

L* INDOMITA COSTANZA DEI GRANDI PROPOSITI 

A TESTIMONIANZA 

DI OMAGGIO , DI STIMA , DI RICONOSCENZA 

Q.UESTA SUA STORIA 

L* AUTORE 

D. D. 



LIBRO PRIMO 



CAPITOLO PRIMO 



La Repubblica di Genova per opera di Andrea Doria trapassa dal governo di Francia 
sotto la protezione dell' imperiale di Carlo V. Gicciata dei Francesi ; descrizione 
della fortezza del Gutelletto, sue varie vicende e sua resa; provvedimenti di di- 
fesa contro le minacele francesi; ambasciatore di questi venuto in città a racco- 
mandare il mantenimento della data fede al Re ; fiera risposta del Senato ; assedio 
e resa di Savona, di Novi, Ovada e Gavi. 



I. — Il nome di Andrea Doria suona tuttora grande 
ed immortale, non solo per egregia virtù spiegata nelle 
imprese marittime de* suoi tempi, ma per sapienza di 
stato, conche bastò ad ordinare il genovese dominio 
che per dugento sessantanove anni durò. Coloro che 
m tanto spazio di tempo, sua mercè, tennero il go- 
verno della Repubblica non fecero eh* esaltarne le gesta, 
celebrarne il merito, e dilatarne la fama. Il ricercare 
più addentro di lui, chiedere se lodevoli tutte le gesta. 



8 

sincero il merito, immacolata fosse la fama, non solo 
venia vietato, ma imputavasi a colpa, e tornava a 
pericolo. Stette dunque quel nome per tanto giro di 
anni rigidamente guardato , d' idolatria agli uni , di 
spauracchio agli altri. La storia genovese altra non 
potea essere di quella che s'informava alle ragioni 
del Principato da esso stabilito; quindi tutti coloro 
che tolsero a favellarne procedettero copiandosi, gli 
uni camminando sulle orme degli altri, e se alcunché 
aggiunsero , fu qualche nuova parola d' encomio. Bene 
parecchi oltramontani scrittori si avvisarono di metter 
mano in quella malagevole materia, ed osarono negar 
fede a tutto quanto i nazionali affermavano; gittarono 
sospetti, mormorarono sommesse accuse, ma sforniti 
di documenti, che inesorabilmente chiudevansi allóra 
negli Archivi, furono di menzógna almeno, se non 
di calunnia imputati. E qui le cose si condussero fino 
all'anno di 1797; quando dissonnate le menti dalla 
grande tempesta della Rivoluzione di Francia, fu dato 
air universale 1' arbitrio di rivedere e rimescolare quei 
pericolosi argomenti; senonchè, come dapprima la ra- 
gione dei pochi, così dopo le faziose passioni dei molti 
fecero di guisa velo al giudizio, che con esempio sfi'e- 
nato di vandalica rabbia fino la statua si volle distrutta 
di colui che fu pure un grande lume d'Italia ed or- 
namento della sua patria. Succeduti tempi più tem- 
perati in cui potè meglio adoperarsi l'imparzialità della 
mente, fii allora che sceverandosi il vero dal falso, si 
discese ad investigare le cause di quanto agli uni sem- 



9 

brato era irreprensibile, agli altri biasimevole, e fra 
le due opposte sentenze, cominciossi ad instituire più 
sano giudizio. 

Ed io, che per buona ventura mi trovo alle mani 
abbastanza svolti tutti i termini della famosa quistione 
spero di risolverla a norma di verità e di giustizia, 
concedendo a questo nome ora idolotrato, ed ora 
vilipeso, quanto gli si addice di lode insieme e di 
biasimo. 

II. — Io non posso far senza di dare principio alla 
presente epoca che col nome di Andrea Doria, poiché 
tutta da lui ha vita, nome, e potenza. Egli nobile, e 
ghibellino , richiamò al possesso della repubblica i 
nobili e ghibellini che n' erano stati discacciati fino 
dal 1359, egli mutò dunque la forma del governo, 
ne istituì un novello, fu bene o male? ecco la vitale 
e sincera quistione. Meglio era che governassero i 
popolari air ombra dell' influenza francese , o i nobili 
a quella di Spagna? Questa aduggiò ogni gentil seme 
in Italia, avrebbe la francese fatto altrettanto? Andrea 
Doria nel distogliere Genova dall' alleanza di Francia 
per abbandonarla in baUa di Spagna e d' Austria prov- 
vide meglio agi' interessi privati che a quelli della 
patria? Questi sono i casi che noi dobbiamo risolvere; 
per farlo narriamo gli avvenimenti come ci si offrono 
dalla storia.' 

in. — Imperversava la pestilenza, oltre una grande 
carestia, per cui ogni sestiero, e 4 oncie di grano ven- 
devansi venti lire di genovine o danari 60 d' argento; 



IO 



il più d<^li uomini ridotto trovavasì a pascersi d'erbe 
e radiche svelte alle piante. Accadeva allcx'a che non 
pochi dd vicini luoghi, da quell' ingrato e mìsero 
cibo consunti e per estrema ddx>lezza estenuati, e 
smunti, quasi spettri ed ombre perissero, dei quali 
furono sventuratamente ben oltre a 90,000 fra la città 
e i sobborghi, nelle riviere e luoghi drcostantì. Con- 
sunta in. tal guisa dalla fiune e daUa peste la miglior 
parte dei cittadini, terribile mostravasi la nuova soli- 
tudine, ad ogni pie sospinto, e fuori e dentro città, 
non senza orrore scorgevansi cadaveri. Parve questo 
ad Andrea Doria il tempo più addatto di mettere ad 
effetto il proprio disegno. 

Le condizioni del nuovo servizio, mandate in Ispagna 
dal Doria pel cugino Erasmo addi 19 luglio 1528, erano 
sottoscritte da Carlo V gli undici del successivo agosto; 
quindi egli messe in pronto le sue dodici galee, salpava 
per Napoli, che riusciva a scioglierne interamente V as- 
sedio, né credendo essere colà più necessaria la sua pre- 
senza, tanto più dopo la morte del francese generale 
Lautrec, e la totale dispersione di quell'esercito, si 
partiva alla volta di Genova, prosperamente giun- 
gendo al golfo della Spezia. 

In Genova la fame e la peste avevano sparso la 
desolazione, lo spavento e la morte; il presidio stesso 
francese ridotto a soli 200 uomini col Governatore 
Teodoro Trivulzio stavasi appiattato n^Ua fortezza 
del Castelletto. Questi, non appena ebbe udito che il 
Doria voltato si era agli stipendi di Spagna, temendo 



II 

che colla flotta che avea potentissima sotto di lui, 
muovessesi ad invadere la città, fece istanza al signor 
di Saint-Poi per due mila pedoni che acquartieravansi 
in Lombardia; e già erano essi sulle mosse vicini a 
Lodi, incamminati per Genova,. quando i dodici Rifor- 
matari, che forse n* erano indettati d* Andrea, spedi- 
rono issofatto al generale francese un Bartolomeo 
Garbarino, il quale affermava regnare in città la so- 
litudine per la terribile pestilenza che ne mieteva le 
vite, quindi non essere il bisogno di quelle forze non 
solo, ma mancarvi il soldo per pagarle; e vennero fatte 
tornare addietro. 

A dire il vero, da quanto in seguito accadde, po- 
trebbe sorgere il sospetto che non il solo terrore della 
peste facesse sgombra Genova della maggior parte de* 
suoi cittadini, ma vi si dovesse, annoverare ancora un 
cotale artifizio, per cui il governo di Francia fatto 
sicuro della desolazione, e del vóto prodotto dal ma- 
lore non pensasse alla più necessaria difesa, e di ciò 
Éurebbe persuasi l'ambasciata del Garbarino, che pre- 
testando la solitudine, V inutilità del presidio e il di- 
fetto dei soldi, recò il richiamo dei duemila fanti già 
mdirizzati alla volta di Genova. Certo è che ogni cosa 
appare preordinata d'accordo coi dodici riformatori; 
che ogni £itto si svolse allora coinè il filo di una 
vasta trama precedentemente meditata e disposta. 

IV. — Litanto i tristi umori crescevano, poiché 
fra le altre cagioni, vi era quella della enorme dimi- 
nuzione degl'introiti e dei guadagni scemati non solo 



12 

per la peste, ma per il deviamento delle mercanzie, 
le quali non più per la parte di Genova, ma condu- 
cevansi in Lombardia, per quella di Savona, dove il 
governo francese affrettavasi al lavoro delle fortifica- 
zioni. Il signore avvocato Edoardo Bernabò Brea fira i 
vari documenti inediti da lui lodevolmente raccolti e 
pubblicati il 1863, sulla Congiura del Conte Gian Luigi 
Fieschi, e a cui mi è qui grato di testimoniare la più 
sincera stima (i), ha inserito un decreto del Re Fran- 
cese I di Francia colla data del 1/ luglio. Da questo 
si riconosce che il monarca firancese. mandava ordine 
al Governatore di Genova e suo Vicario che. gli an- 
ziani e cittadini genovesi . venissero per esso reintegrati 
nel primitivo diritto e nel libero possesso della città 
é distretto savonese, nonché dei magazzini, del sale, 
del grano, del commercio, e giurisdizione, ecc. Per 
tale decreto, si dedusse che il Doria mancava di questo 
importante motivo per risolversi ad abbandonare il ser- 
vizio di Francia, quando egli stipulava la convenzione 
addi 19 colla Spagna, essendoché il primo di luglio 
Francesco I avesse già restituita Savona. Trattandosi 
di cosi dilicata materia, noi non possiamo far senza 
di rilevare che s' é vero il reale decreto del i." luglio 
con cui si ordinava la reintegrazione di Savona, non 
é men vero che quel decreto non venne mai eseguito, 
mentre se lealmente fosse stato concesso dal Re, vi 

(i) Il signore avvocato Edoardo Bernabò Brea, era un alacre 
e nobile ingegno, studiosissimo delle cose patrie, impiegato nei 
Regii Archivi di Genova mancato ha poco a' vivi. 



13 
era tutta la possibilità di eseguirlo, rimase invece let- 
tera morta non solo dal i.' luglio fino al 19, epoca 
della missione di Erasmo Doria in Ispagna colle con- 
dizioni proposte di Andrea, ma fino al 9 agosto suc- 
cessivo in cui si accettarono , e sottoscrissero da 
Carlo V. Questa inesecuzione ci fa abbastanza certi 
delle secrete intenzioni di Francesco I, ci prova col 
fatto eh' ei non voleva, né volle restituire Savona, 
che il decreto fii anch'esso una trama per abbindolare 
il Doria, e farlo cadere nelle insidie che gli erano tese 
dai ministri francesi. Infatti continuò il presidio, e il 
governatore del Re a risiedervi, 1' opera delle fortifi- 
cazioni, e i lavori del porto nonché intermettersi con 
maggiore alacrità si proseguirono, le mercanzie per 
colà si avviarono tuttavia deviando da Genova, e gli 
ambasciatori savonesi stettero in Corte di Francia fa- 
voriti ed ammessi alla regia udienza, mentre non potea 
avervi accesso il genovese; il quale ne faceva querela 
con sua lettera scritta ai dodici Riformatori. A questa 
lettera aggiungevasi un' assai mesta notizia sparsasi 
per la città, che il Governatore Trivulzio, vivendo 
in sospetto dei cittadini, invitato avesse d' Alessandria 
duemila firancesi per contenere ogni moto di novità 
che minacciava destarsi. Oltreciò, il popolo che nella 
sua semplicità per non dire nella sua ignoranza temendo 
lo scopo, non distingue il mezzo, andava mormorando 
che i ministri del Re per desolare la città, vi avessero 
introdotta la peste; la quale voce, sebbene creata da 
un' esaltata imaginazione pigliava fondamento dalla leg- 



14 
gerezza de' francesi, dall' odio loro contro il Doria, e 
dall'oppressione contro di Genova. Laonde, tutti gli 
ordini de' cittadini mostravansi avversi allo Stato di 
Francesco I, e desiderando di riscuoterlo, per opera 
del Magistrato dei Riformatori che aveano segreta in- 
telligenza col Doria, mandarono a lui occultamente 
Giovanni Davagna onde tenerlo informato di quanto 
accadeva, rappresentando che tutto era pronto, ed essi 
disposti in ogni guisa a secondarlo. Dal golfo della 
Spezia, affrettossi egli alla volta di Genova, con tre- 
dici galee; vi giunse addi 9 settembre, e a 300 sol- 
dati spagnuoli concedette la libertà, divisando servir- 
sene come di mezzo efficace alla meditata intrapresa. 
Addì undici accostavasi al porto, le galee avendo or- 
dinate fra il Molo e la Lanterna in forma di mezza 
luna, né sapendo ancora a qual consiglio appigliarsi 
tenevasi sulle àncore. Intanto i francesi stavansi in iSe- 
rissima angustia, sia per la pestilenza, sia per la tema 
del vicino rivolgimento, pochi erano, che la guardia del 
Castelletto di molto assottigliata non giungeva a due- 
cento soldati, e la. metà loro italiani, soggetti a due 
corsi, svizzeri l'altra metà, cui veniva affidata la custodia 
del pubblico palazzo. Ma il Governatore Trivulzio, non 
si tosto vide il Doria gettare le àncore nel porto, che 
sospettando quel eh' era, né le forze avendo bastanti 
al pericolo, risolse di destreggiarsi, e pigliando rimedio 
dal tempo, rimuovere i cittadini dai disegni del Doria; 
quindi la stessa mattina in cui apparve questi alla vista 
della città, sceso dal Castelletto, seguitato da pochi fami- 



15 
gliari, e con alcune guardie si condusse nella pìzzzz 
di Banchi, e quella maggior parte di cittadini che potè 
quivi raccolse, e tutto fece per serbarli fermi e costanti 
nella osservanza del dominio francese. La domane, con- 
vocò il Senato, parlò della difesa contro ogni assalto 
quando volessero mostrarsi costanti e fedeli allo Stato 
del Re, consigliando una deputazione di quattro cit- 
tadini al Doria, per conoscere le sue intenzioni, e per- 
suaderlo a non intraprendere novità. Si fece subitamente 
r elezione dei quattro deputati, Francesco Fiesco, Bat- 
tista di Geronimo Lomellino, Gio. Batta di Agostino 
Doria, Tommaso di RaflFaele Giustiniano Fornetto, i 
quali recatisi alla Capitana dell' Ammiraglio, sposero 
secondo il mandato, l'incarico del Trivulzio; ma questo 
fetto avendo pubblicamente, ristrettisi a segreto ragio- 
namento con lui rappresentarono gli ordini contrari 
ricevuti dal Magistrato della Balia, e dell'opera assai 
bene cominciata raccomandarono V esito e la perfe- 
zione, conchiudendo che da tanti fausti auspici egli 
dovea prendere ardimento a liberare la patria, della 
quale i migUori cittadini avrebbero secondato il suo 
coraggio, e benedetto il suo nome. L'Ammiraglio, 
rispose in pubbUco accomodate parole all' occasione , 
ma in segreto a Gio Batta Doria uno degli amba- 
sciatori, fece cónto l' animo suo, mostrando che ad 
ogni patto porrebbe a terra la sua gente, con questa 
aiuterebbe i cittadini a levarsi di collo l'odiato giogo 
straniero, andrebbe incontro al desiderio loro; ciò detto, 
accommiatavali. 



i6 

Il Trivulzio, cui di ritornagli ambasciatori rende- 
vano conto dell'operato, j^fv^ rimanersi tranquillo, 
e tornossi in Castelletto. Iwn "^cosi però che alcuni 
ufficiali del presidio non ispingesse fuori della fortezza 
con incarico di raccogliere quanta più gente fosse loro 
possibile, e al Conte di Saint-Poi raccomandasse di 
spedire alcune truppe di Lombardia a rinforzo. 

Il Doria due giorni intertenevasi innanzi il porto 
per dar ordine a' suoi disegni , mandava in S. Pier- 
d' arena e in Albaro per affirettare il ritorno in città 
di tutti coloro che si erano per la pestilenza allonta- 
nati, raccomandava, mentr' egli dalla parte di mare, 
essi per terra si adoperassero al divisato fine. 

Cadeva la notte del secondo giorno, quando sopra 
gli schifi delle galee imbarcava una mano delle proprie 
milizie; doveano di cheto trarre alla spiaggia di Sar- 
zano, esplorare il momento più acconcio, e se questo 
avvenisse, farsi innanzi arditamente. Ma d'improvviso 
richiamavali, imperocché le galee francesi che trova- 
vansi nel porto, temendo di qualche intestino rivol- 
gimento, protette dalle tenebre, finsero dapprima vo- 
lersi azzufFare con quelle del Doria, indi rivolte le 
prore verso occidente, scomparvero, ricoverandosi in 
Vado. Né parve bene ad Andrea d' inseguirle , e mi- 
gliore preda gli si offerse con due altre galee firancesi 
che ignare dell' accaduto , navigavano a sicurtà al 
porto di Genova. 

V. — Venivagli intanto a notizia che violando i 
patti per cui la città si era sottoposta alla Francia, il 



Governatore Trivulzio, procacciavasi nuovi presidi!, 
facea d' ogni parte raccolta di armi e d' armati. E 
parmi giusto di bon mettere in sodo questa circo- 
stanza, affinchè nulla sia ommesso di quanto gli può 
servire a discolpa. Fu allora, che posposto ogni mag- 
giore rispetto inalberava per la prima volta sulla sua 
Capitana lo stendardo imperiale, e con tredici triremi 
dava fondo sotto le mura della Malapaga. Quivi in 
due schiere partiva la sua gente, composta la prima 
di una buona mano di spagnuoli , che fatti due giorni 
innanzi disciogliere dalle catene, pose a terra presso 
la villa di Paolo Sauli in Carignano, dandone il co- 
mando a Filippino Boria ; V altra schiera tutta d' ita- 
liani affidava a Cristoforo Pallavicino e Lazzaro Doria, 
i quali per la porta della Giarretta del Molo fecero il 
loro ingresso in città. Per questa discorrendo aveano 
ordine di levare il popolo gridando: S. Giorgio e Li- 
bertà, Né senza grave ragione era tal grido, imperocché 
il presidio francese, metà era d' italiani comandati da 
due Corsi, e l'altra metà di svizzeri, i primi tene- 
vano le porte del Molo, dell' Arco e di S. Tommaso, 
i secondi il pubblico palazzo. Ora, in quel tempo la 
Corsica stava soggetta al dominio di S. Giorgio, di 
guisaché il nome di questo obbligava ad obbedienza 
sotto pena di ribellione tutti coloro eh' erano nativi 

dell'isola, né sarà temerità il conghietturare che al 

• 

moto del Doria dovea segretamente partecipare l'am- 
ministrazione politica del famoso Magistrato , senza 
di che egli non avrebbe osato di pretendere al tumulto 



i8 

quel- grido di guerra. Certo è che Giovanni Brando 
a custodia del Molo con cento fanti non appena udì 
5. Giorgio che posta mano al cappello, e scoperto il 
capo per riverenza, esclamava: S. Giorgio* é mio signore, 
né io posso farmi nemico al suo governo. Ciò detto, mu- 
tate le insegne di bianche in rosse, si uni al Palla- 
vicino. La stessa cosa accadeva alla porta d' Arco che 
con 60 soldati presidiava il Capitano Corso per nome 
Borasino, occupata essendo da Filippino, il quale nel 
medesimo modo sottomise T altra di S. Tommaso , 
dove la guardia composta pure di Corsi, insieme e 
d' itaUani , trovavasi senza il suo Capitano Girolamo 
Archinto milanese ridottosi nel Castelletto per ordine 
del Trivulzio. Rimanevano gli svizzeri del Palazzo 
Ducale, ma essi ancora gittate le armi si congiunsero 
tosto a' tumultuanti. Filippino Doria, Cristoforo Pal- 
lavicino e Lazzaro Doria aveano in tal guisa, e recando 
ad esecuzione i comandi di Andrea, interamente fatta 
sgombra e libera la città. 

VL — La quale avventurosa notizia recata all' Am- 
miraglio egli per la porta del Molo, si condusse in 
città, e venuto sulla piazza di S. Matteo che tutta 
intorno circondano le abitazioni dei Doria, quivi al 
cospetto d'innumerevole moltitudine tratta all'insolito 
avvenimento, si fece in tal modo a favellare: « Giunto 
» egli è il giorno che per calde preci, e lunghi voti 
» implorai alla misericordia divina. Rotto è il ferreo 
» giogo straniero, rimosso il periglio, cessato ogni 
» ostacolo, tornata alla nostra patria la libertà. La 



^9 

» quale, gli avi fortissimi, vollero ad ogni cosa pre- 
» posta, né per crudi aflfanni, né per penosissima 
» morte, giammai indugiarono a ricuperarla; talmente 
» che questo ligure nome di che siamo superbi, sonò 
» di eterna gloria, e di formidabile potenza a' più 
» remoti popoli. Ahi! dura sventura, che non sì tosto 
» noi fummo dalle intestine fazioni lacerati cTie la li- 
» berta andò in dileguo, si spersero le dovizie, vóto 
» r erario, la pubblica miseria afflisse il popolo, e a 
» tale lo ridusse di calamità che piegato il collo, la 
» dolorosa oppressione, la più sozza tirannide soflSri; 
» Genova per il valore e la concordia de' padri sol- 
» levata, a tant'altezza di fama che potentissimi re n'eb- 
» bero sgomento , allora fu data in balia d' ogni più 
» spregevole barbaro. Dirò io quanti in mare ne tra- 
» vagliarono disastri, quanti in terra ne contristarono, 
» e come per somma vergogna spogliati d' ogni bene, 
» queste fraterne discordie ci ridussero a povertà? Le 
» principali provincie del ligure dominio poterono im- 
» punemente agitarsi, sciogliersi dall'antico patto fer- 
» mate con noi; i savonesi in ispecie, che mercé gli 
» aiuti, le cure, la industrie dei genovesi divenuti sono 
» ricchi ed opulenti, voi lo vedete, l'imperio accettato 
» e giurato dispregiano, da sé rispingono, né a questo 
» paghi, l'estremo eccidio nostro van macchinando; 
» locchè in breve avverrà se tolti i più necessari pro- 
» venti , dissecate le fonti del più utile commercio , 
» rapita la finanza del sale, distolto il traffico della 
» Lombardia, resteremo senz' altra speranza che ada- 



20 

» giarsi costretti al giogo straniero. Della quale mi- 

» serevole condizione io sopramodo dolente, ai pri- 

» vati comodi, e vantaggi anteponendo il bene, e la 

» salute della patria, più e più fiate, come ragione 

» mi dettava, il Re pregai e scongiurai, che i savo- 

» nesi contro i più vitali interessi e i più sacri diritti 

» della Repubblica non favorisse, non ne alienasse la 

» città dal corpo di questa , non n' erigesse il porto 

» a danno del nostro, non menomasse le ragioni 

» del sale a S. Giorgio in ispregio delle conven- 

» zioni che ne avea collo stesso suo predecessore Re 

» Luigi XII, non infine nuocesse con si crudele ed 

» ostinato proposito alle misere sorti di quel popolo 

» che per difenderne la maestà, e conservarne il go- 

» verno avea tanto sofferto da vedersi orribilmente 

» dai suoi nemici saccheggiato. Che mai ne ottenni? 

» L* aperta persecuzione si mutò in insidia, i ministri, 

» i cortigiani, mi accusarono di ambizione, di firode, 

» di tradimento , tramarono contro il mio grado , il 

» mio onore, la propria mia vita, tentarono di occu- 

» parmi la flotta, di ribellarmi il nipote Filippino, di 

» insignorirsi della mia persona. Vero egli è, che il 

» I." luglio il Re Francesco mostrando di far ragione 

» agli ambasciatori genovesi diede ordine affinchè ci 

» fosse restituita Savona, cogli altri proventi e diritti 

» commerciali. Ma questa restituzione è ella mai av- 

» venuta? O non anzi dopo quasi due mesi e mezzo 

» di quel decreto, non si soUicitano le fortificazioni . 

» di quella città contro di noi? Non si accresce il 



21 



» SUO porto? Non continua il presidio francese a go- 
» vernarla? Non si niega al nostro ambasciatore La- 
» sagna di aver accesso alla regia presenza? Non si 
» concede invece frequentissimamente agi' inviati savo- 
» nesi? Conoscendo io queste arti, nulla più sperando, 
» tutto temendo da così insidioso e sleale governo, 
» sciolto dal giusto, militare sacramento, ne ho la- 
» sciato i servigi, nulla a me, tutto alla mia patria 
» pensando, qui. Dio proteggendomi, mi sono con- 
» dotto, E voi, cittadini, ed uomini valorosi consiglio, 
» e muovo a liberarvi di tanta ignominiosa servitù, 
» che non mai più fausta occasione, ne porse per con- 
» seguire l'intento, forze francesi non sono in città 
» che siano bastanti ad opporcisi; la regia flotta si 
» mise in fiiga appiattandosi nel porto di Vado , il 
» timore della peste, il difetto dei soldi, e l'assedio 
» di Pavia, tiene lontani i rinforzi. Non vi sgomenti 
» se scarsi noi siamo di soldati, che Iddio è là per 
» tutelare la giustizia della sua causa e difendere i di- 
» ritti degli oppressi, non temete, egli scudo e forza 
» ci starà. E che? Non siamo noi sangue di quei 
» liguri invitti che dal nulla levando , e d' angusto 
» sito traendo questa città la fecero grande. ed illustre? 
» Non aveano essi minori forze di noi quando Saraceni, 
» Pisani, Veneziani, Greci e Aragonesi debellarono? 
» Quando già tre volte cacciarono questo esoso go- 
» verno di Francia? Animo adunque, o illustri discen- 
» denti d' uomini invincibili e liberissimi, meco deli- 
» beratevi alla magnanima impresa, esprimete al fine 



22 

» schiettamente quanto è il proposito vostro, e vivete 
» sicuri, che io sono qui pronto a secondarvi in ogni 
» modo, e quello eseguire che a voi piacerà di co- 
» mandarmi. » 

Ciò detto si tacque, e il silenzio per tutta la nume- 
rosa assemblea dyrava, allorché sorse Francesco Fiesco 
preside dei dodici Riformatori con cui venia dato l'uf- 
ficio di raccogliere le diverse opinioni, ed egli fece 
ai radunati particolare interrogazione se la perduta 
libertà, e per aiuto divino, e per opera generosa di 
Andrea Doria loro conceduta, volessero mantenere. 
Al che riconoscendo favorevoli gli animi , aggiunse 
essere mestieri sì grave negozio trattare in Senato, 
per il che, si rimise al domani , nel quale giorno ma- 
gistrati e popolo recaronsi nella gran sala del pubblico . 
palazzo, e colà, presente il Doria, e dinanzi a maggior 
moltitudine che non era quella del giorno antecedente, 
rinnovandosi, ed inculcandosi i sentimenti medesimi 
che il Doria aveva il di avanti espressi, si venne a 
conchiudere che bene., e tosto il forestiero governo si 
dovesse cacciare; fosse Andrea Doria decretato Libe- 
ratore e Padre della Patria; si formasse l'unione di 
tutti i cittadini, abolite le fazioni e le parzialità, vólti 
in fuga li stranieri, venisse ordinato uno stato di tutta 
la cittadinanza congiunta in un solo corpo, con leggi 
accomodate e propri magistrati; distribuito il governo 
fra i migliori, ripresa il Senato 1' antica autorità. 

Avendo queste cose esposte il Fiesco, richiese i ra- 
dunati dei loro pareri, e propose si procedesse ad una 



2? 

pubblica deliberazione col mezzo de' voti, rogandosene 
atto solenne. Ciò accadeva il 12 settembre; che fii 
decretato solenne per legge e festeggiato in appresso 
come l'anniversario della ricuperata libertà. Il di 13, 
rinnovavasi la stessa radunanza, presieduta dai due 
magistrati degli Anziani e dei Riformatori, con tutti 
gli altri, congiuntamente ai 400 del Consiglio Ordi- 
nario. Ambrogio Senarega Segretario della Repubblica, 
dava regolare forma alle proposizioni delle precedenti 
adunanze, ne riassumeva il concetto, dimostrando, che 
sebbene la città avesse ricuperata la sua libertà per me:(^^o 
del chiarissimo e benemerito cittadino Andrea Boria, al 
cui :(elo , ed alla cui condotta la Repubblica era grande- 
mente obbligata, ciò nondimeno, sicure non essere le 
cose, i nemici fortificarsi in Genova e Savona, ribelli 
tuttora i cittadini di questa; Pavia assediata dai fran- 
cesi, sareb*be in -breve caduta in loro balia, quindi le 
armi che V avrebbero espugnata, rivolger ebbonsi a un 
tratto contro di Genova; i contumaci Savonesi le rin- 
forzerebbono, il funesto esempio potrebbe venire imi- 
tato dagli altri popoli della riviera, armarsi gagliar- 
damente era questo il supremo ed incalzante bisogno; 
ed a ciò, essere di mestieri una ragguardevole quan- 
tità di pecunia; e poiché il pubblico erario ritrovavasi 
esausto, la carità de' cittadini dovervi sola sopperire, 
considerando lieve tornare il sacrificio appetto di quello 
che ne sarebbe ridondato loro di danno, se la patria 
per essi lasciata senza bastante difesa, fosse invasa, e 
spietatamente saccheggiata dai nemici. 



24 

Ad avvalorare quei sentimenti sorgeva Battista Lo- 
niellino del fu Gerolamo, e con più stretto discorso 
conchiudeva: si decretasse : i dodici Riformatori conti- 
nuassero quanto aveano lodevolmente cominciato; per 
altri mesi sei si prorogasse loro il magistrato; si con- 
cedesse facoltà di recare a fine , e stabilire le nuove 
leggi, i cittadini obbligare ad osservarle; si prò vedesse 
ai gravi bisogni della repubblica, si costringessero tutti 
a concorrervi presenti come assenti, non eccettuate le 
eredità giacenti, coloro che spontanei non si presta- 
vano, con suprema legge ne fosse fissata la parte; 
Andrea Doria si pregasse la generosa impresa a voler 
condurre al suo fine. 

Queste proposizioni incontrato avendo 1'. universale 
accoglimento^ si deliberò: si ponessero in iscritto, si 
approvassero e stabilissero per legge ; locchè venne 
tosto eseguito, 

E siccome il Lomellino avea per il primo pòrto 
l'esempio, offerendo la somma di mille scudi d'oro, 
imitaronlo la maggior parte dei convenuti, e special- 
mente Andrea Doria che ragguardevole somma versò 
alla Camera. 

VII. — Avendo in tal modo compiuto ai più im- 
portanti uffizi dello Stato che voleasi ordinare, i Ge- 
novesi si volsero a renderne per messaggi e per let- 
tere consapevoli tutti i Principi cristiani. Scrissero quindi 
al pontefice Clemente VII, a Carlo Imperatore, ai Ve- 
neziani, ai Fiorentini e a molti altri Principi, Stati e 
signori italiani, ma il più strano, se ne scusarono col 



25 

cristìamssimo di Francia per una speciale lettera indi- 
rizzata a Benedetto Vivaldi e Gaspare Bracelli oratori 
genovesi presso quel Re. 

E dico essere strano, ed aggiungerò anche il modo 
sfacciato, poiché la scusa, diceva fra le altre cose, 
che il capitano Andrea Doria aveva quei fatti operati 
contro il volere e opinione de* tutti j^ e benché altro aves- 
simo in animo e solum fossimo intenti ala defen^^ione del 
stato regio per il quale come sapete in ogni tempo e in 
questo maxime havemo fatto quelo che si conveniva a veri 
subdicti e afectuosi, visto la mente del detto Capitano la 
quale in qualche tempo non era del tutto contraria alla 

mente regia non potendo fare altrimenti. )) Indi si 

soggiungeva: Questi sono li successi corno si é detto che 
se vi denotano a ciò che possiate far noto a la Maestà 
. X.fna del Re la verità loro cum la quale corno più presto' 
potete preso il tempo accomodato, ritroverete, e narrateli 
la verità de li successi , la supplichereti da parte nostra 
a prendere le cosse seguite nel modo che in vero sono 
state prima cum tutta nostra mala contentesa et escen- 
tiale displicentia sen:(a simulatione alchuna, ecc. E più 
sotto: 

Cum queste e molte altre ragioni e justifica:(ioni che 
adur poterete e che in fato tutte vere sono, fermamente 
speremo, e cr edemo che Sua Maestà debia restar satiffacia 
de casi seguiti poi che corno si l detto sen:(a colpa nostra 
seguiti sono. Cossi la supplicarete da parte nostra e quando 
tossa segua che la resti satisfacta lo havemo per gra:(ia 
singolarissima e ne riporteremo quel frutto che la nostra 



26 

sincera^ fede e nostra vera servita verso Sua Maestà 
ha in ogni tempo meritato, ecc. 

Conchiudevasi: — Vogliamo credere che non vi biso- 
gnerà descendere a simile pratiche quando come speramo 
siate i primi che notificate a Sua Maestà li caxi seguiti, 
e T ordine e il come, e la nostra bona mente, siate adunche 
presti et persuadete Sua Maestà, la cita nostra esser af- 
fectuosima de quela corona non obstante le novità seguite, 
la quale se con retto judicio serano ben pensate si troverà 
haver fatto noi supra vires per deffensione del Stato regio, 
ma che contra il non potere bona volontà non basta re- 
scrivendone con tutta la celerità possibile di quello havessi 
fatto sperassi da fare (i). 

Vili. — Ora queste parole scrivevansi dai dodici 
Riformatori il giorno stesso 12 settembre 1528, in cui 
il Priore di esso Francesco Fiesco, perorava pubbli- 
camente dinanzi all' assembrata moltitudine la cacciata 
del governo di Francesco I, dimostrava le ingiustizie 
e le oppressioni di quello, mentre poco avanti Gio- 
vanni Davagna del Corpo loro, si era mandato alla 
Spezia quando vi si trovava il Doria, per informarlo 
della loro risoluzione , tenendolo avvisato di quanto 
operava il Governatore Trivulzio, sollicitandolo alla 
meditata impresa , significandogli , secondochè nota 
l'annalista Filippo Casoni: « Esservi dunque pericolo. 



(i) Sulla Congiura del Conte Gio. Luigi Fieschi. Documenti 
inediti raccolti e pubblicati dall' Avvocato Edoardo Bernabò Brea, 
pag.. 129^ Doc. IV. 



27 

» che la città rimanesse oppressa, se il Doria, seguendo 

» il suo costume e la solita pietà verso la patria non 
» fosse venuto subitamente a farsi autore, ed esecutore 
» insieme della di lei liberazione. Si assicurasse, che 
» siccome erano a parte del medesimo disegno i mi- 
» gliori e più degni cittadini , cosi concorrerebbero i 
» medesimi a partecipare seco del pericolo e della 
» gloria di quel tentativo » (i). 

Oltreciò, allorché il Governatore francese, convo- 
cato il Senato , mandava per questo quattro amba- 
sciatori al Doria per intendere i suoi disegni e per- 
suaderlo a non tentar novità, in segreto essi come 
ne aveano avuto ordine dal Magistrato dei Riformatori 
Io pregarono a perfe:(ionare V opera, con tanta sua gloria 
e con si lieti auspici di felicità cominciata, di liberare la 
patria, poiché sarebbe da tutti i cittadini seguitato il suo 
coraggio, e applaudito il suo nome (2). 

Ed egli rispondend© alle pubbliche rimostranze , 
apriva poi in segreto a Gio. Batta Doria uno degli 
ambasciatori V animo suo, di volere ad ogni modo man- 
dare in terra la sua gente, per aiutare i cittadini, a 
scuotere il giogo della servitù, siccome sapeva eh' essi 
desideravano. 

Tutto questo ci fa bastantemente testimonianza che 
quel moto non solo fu desiderato ed aiutato dai Rifor- 
matori, ma presone dal Doria concerto con essi, i quali 

(i) Casoni, annali della Repubblica di Genova, voi. 2, pag. 7. 
(2) Casoni, loc. cit. pag. io. 



28 

adoperarono i più artificiosi e scaltriti modi affinchè i 
rinforzi chiamati dal Trivulzio non rispondessero alla 
chiamata , e la città fosse priva di difesa per meglio 
cadere in balia del Doria. 

Ora con qual fronte affermarono la loro virtù e 
sincerità? Come potevano senza una ineffabile sfac- 
ciataggine invocare la propria lealtà e il difetto delle 
forze? Io non ignoro che a detta di Tito Livio, av- 
valorato dalla politica autorità del Segretario Fio- 
rentino: la patria si debbe difendere o con ignominia o 
con gloria; ed in qualunque modo é ben difesa. Che 
per sentenza del Vecchio C osimo dei Medici gli Stati 
non si reggono con i pater nostri in mano. Ma la 
smaccata impudenza e la manifesta viltà non fiirono 
mai arte di stato, tanto più quando non giovando ad 
alcun utile effetto, dimostrano ad un tempo la per- 
fìdia e Tabbiezione di chi le adoperava inutilmente. Qui 
non era come presso i Consoli romani, un esercito 
da salvare, sebbene ignominiosamente, senza di che 
scema d'ogni difesa ne sarebbe perita, la patria. E che 
cosa mai potevano sperare i Riformatori scrivendo al 
Re di essere sudditi fedeli, che erano solamente intenti 
alla difesa del suo governo, e quanto era avvenuto, 
incontrato aveva la loro mala contentezza ed essenziale 
dispiacenza senza simulazione alcuna, il giorno stesso 
in cui Francesco Fiesco, priore di essi, pubblicamente 
al cospetto d' innumerevole moltitudine di cittadini ne 
ingiuriava il governo e concorreva colla eloquenza delle 
parole e coli' aiuto dei fatti all'impresa di abbatterlo? 



29 

Io non m' intratterrei tanto sopra di questo , se non 
avessi in animo di esattamente dimostrare a quali 
arcane fila fosse affidata con premeditato disegno 
la famosa trama del Doria che si disse poscia della 
ricuperata libertà, e come gliene venisse il nome di 
Padre della Patria da colui che con palese macchia 
del proprio, nella qualità di Priore de' Riformatori, 
il giorno medesimo 12 settembre, quinci vergava al 
Re Francesco bugiarde e vilissime parole, senza ra- 
gione veruna di politica necessità, quindi pubblicamente 
lo chiariva tiranno e ne affrettava la rovina del go- 
verno. 

IX. — Oltre i messi spediti a' Principi e Stati, di 
cui più sopra ho fatto cenno, inviossi Ottaviano Sauli 
al Conte di . S. Polo capitano dell' esercito di Francia 
in Lombardia. Doveva egli rendere ragione delle deli- 
berazioni dei genovesi, e com' essi si fossero ricondotti 
a libertà; certificarlo dell' osservanza e del rispetto, in 
cui tenevano tuttavia la persona del Re; pronti ad ogni 
sbaraglio per la dignità e vantaggio di lui ; né potersi 
recare ad ingiuria, se rivendicati eransi in libertà, alla 
quale impresa soventissime fiate egli medesimo li avea 
consigliati. Ma il capitano firancese ben lungi dal far 
buon viso a queste parole , rispondea franco e mi- 
naccioso: 

« Avere i genovesi per lievi cagioni errato nel disco- 
» starsi dal Re, immemori dei benefici ricevuti da esso, 
» specialmente nell'ultimo rivolgimento, per cui, i 
» suoi ministri trattati aveanli benignamente, e restituiti 



30 
» al possesso della loro libertà. Essere V accaduto, un 
» ambizioso disegno del Doria il quale avea loro ap- 
» piccato il proprio veleno facendoli entrare nei se- 
» greti della sua macchinazione che da gran tempo or- 
» dita contro la Francia, riusciva adesso di mandarla ad 
» effetto colla rovina, e col pericolo di tutta Italia, con 
» danno irreparabile di quei concerti, e di quelle spe- 
ranze, che quasi tutti i Principi e le Repubbliche 
d' Europa animarono al conseguimento di un equo, 
indipendente governo. Ma il Re essere forte sulle 
armi, e sebbene il rivoltarsi del Doria ne avesse 
in mare rese periclitanti le sorti, ciò nondimeno, 
un fioritissimo esercito tenere il campo nel mila- 
nese ; apparecchiarsi il Re stesso nell' anno ve- 
gnente a scendere le alpi, conducendo seco forze più 
numerose e gagliarde, sicché mal potrebbe V Impe- 
ratore, scemo d'aiuto, distolto per ogni lato dai molti 
principi contro di lui collegati, bastare al peso e alla 
mole di tanta guerra. Non potersi sperare, che la 
fortuna sempre varia, si rimanesse costante, perocché 
per un subito né preveduto avvenimento era stata 
sforzata, dimostrando V esperienza, che là finalmente 
corre dove consiglio più maturo , forze e giustizia 
abbondano. E in tale condizione trovarsi il Re Fran- 
cesco signore del più grande, bellicoso e fiorito regno 
d' Europa, e al quale aderivano . i maggiori principi 
del mondo, deliberati tutti, a riporlo nel dominio 
di quelle provincie d' Italia che a lui appartenevano 
per legittimo retaggio degli avi. A ciò chiamarlo il 



. 31 

» beneplacito del Pontefice , e il sentimento di tutta 

» Italia, la quale vedea quali migliori destini potesse 

» aspettarsi dalla Francia, anziché dalla Spagna e dal- 

» r Austria, nemiche entrambe naturali della sua li- 

» berta e della sua potenza. Commettere i Genovesi 

» gravissimo errore nel porre loro fede nel Doria; 

» costui ayere ordita una sottile trama di assoggettare 

» a sé la Repubblica con false apparenze di libertà , 

» mentre gli antichi nobili ghibellini dei quali egli 

» era, aveasi indubitatamente prefisso di ricondurre al 

» governo, ad esclusione dei popolari; non sapersi 

» persuadere com' essi non si accorgessero dell' in- 

» ganno, ed anzi concorressero colla opera propria a 

» meglio agevolarne V effetto. Volere il Doria fare di 

» Genova un feudo dell' Impero, a lui ed alla sua fa- 

» miglia investito , e l' Imperatore Carlo V un feudo 

» di tutta Italia, i principi della quale avrebbero ad 

» essere suoi vassalli. Tenessersi bene in mente co- 

» deste verità per non averne poi a provare l'amaro 

» fi*utto, provvedessero a sé medesimi, si riconcilias- 

» sero col Re, unico modo che rimaneva loro di 

» salute, egli si sarebbe prestato a mediatore di una 

» felice riconciliazione, anteponendo questo desidere- 

» vole ufficio a quello di esecutore dei regi risenti- 

» menti. Imperocché, senza un pronto ed amichevole 

» accordo, avrebbe tosto mosso 1' esercito suo vitto- 

» rioso , resp feroce dalla prospera fortuna , alla più 

» ostile e dolorosa invasione della patria loro ». 

Queste cose risolutamente dette il Conte di Saint-Poi, 



32 

ordinava intanto venisse V ambasciatore genovese trat- 
tato coi più cortesi modi, sperando di tal mezzo va- 
lersi a conchiudere un onesto componimento tra il 
Re e la Repubblica. 

Ma in questa afFrettavansi le difese al vicino peri- 
* colo; non isfuggendo che sciolto l'assedio di Pavia, 
non potendo oggimai più essere termini di amichevole 
accordo tra Francesco I e la città, di corto, V esercito 
francese si sarebbe dagli apenjiini precipitato sopra di 
lei. Laonde, di fuori, e di dentro lo Stato raccoglie- 
vansi milizie; venivano settecento uomini di Corsica, 
diverse compagnie dalle due riviere , tutti i nobili dalle 
montagne soprastanti, dai loro feudi, traevano gente, 
e in ispecie il Conte Sinibaldo Fieschi, il quale non 
prevedeva di certo come aiutando il Doria in queir o- 
pera, apparecchiava la imminente rovina della propria 
famiglia; né tale previsione potea cadere in animo di 
Lorenzo Cibo, cui la stessa sorte toccava, comecché 
singolarissima cosa la é, che Gian Luigi Fieschi e 
Giulio Cibo avessero a padri coloro che meglio d'ogni 
altro colla potenza dei feudi, colle numerose forze e 
colla copia del danaro che molto avevano, soccorrendo 
alla povertà di Andrea Doria ne facessero grande la 
fortuna a distruzione di sé medesimi. 

Essendosi d' ogni parte siffattamente ritratti i più 
efficaci aiuti da . presidiare non solo l'interno, ma da 
uscir fuori occorrendo alla campagna, si attese a strin- 
gere di rigoroso assedio la fortezza del Castelletto, 
chiudendone ogni accesso per i soccorsi. 



33 
X. — Antichissimo è questo luogo del Castelletto, 
e sebbene in seguito fu parecchie volte accresciuto , 
circondato di mura e di fossi, e quasi sempre in ogni 
rivolgimento politico , distrutto , tuttavia il Castello , 
propriamente detto il Castelletto, deve avere preceduta 
la formazione dello stesso Comune genovese. In un 
atto del 1 145 , in cui è fatta menzione del pia7io di 
Castelletto, vertendo quistione per quello tra i Consoli, 
e i Monaci di S. Siro, si legge che Alberico abate di 
questo, produceva una carta di donazione donde risul- 
tava che il Castelletto dal Vescovo di Genova già era 
stato dato alla chiesa di S. Siro; che però i due pre- 
cedenti Consolati (1143-44) aveano sentenziato appar- 
tenere al Comune, ed ora per queir atto, V abate coi 
monaci pagavano spontaneamente ' ad esso Comune 
lire 60 di danari genovesi per poterlo ritenere, mentre 
il piano interposto a' confini determinati nell' atto, ri- 
maneva in proprietà di quello. Non sarebbe quindi 
temerario il congetturare che il Vescovo 'quivi avesse 
le sue più antiche abitazioni, e per avventura il feu- 
dale dominio , quando la popolazione , per timore e 
pericolo delle infestazioni saracinesche dal littorale 
dove prima soggiornava si volse alla collina, e il ca- 
stello e palazzo di S. Silvestro sorgesse a residenza 
dell' Arcivescovo allorché, cessato quel timore e peri- 
colo si ricondusse dalla collina al mare. È questo un 
argomento di molta importanza che bene studiato po- 
trebbe dare gran lume sui primi governi di Genova, 
vedano i dotti del mio paese come possano rischia- 

3 



34 

rarlo , che io noi posso , tirato dalla molta materia 
che mi fa forza. 

Un' antica torre pertanto esisteva sovra questo piano 
e chiamavasi il Castelletto, cinta da un forte muro, e 
da un alto fosso all'intorno, quando nel 140 1 il Ma- 
resciallo di Bonciquaut che tenea il governo di Ge- 
nova in nome di Carlo VI Re di Francia, per sicu- 
rezza del dominio forestiero ampliò quella torre, ridu- 
cendola a vera forma di castello con muraglie grosse 
e forti, e in mezzo una seconda torre, e due altre 
all' estremità del nuovo muro di cinta , minando la 
chiesa di S. Onorato contigua al piano dichiarato 
neir atto del 1 145 di proprietà del Comune, ed ordi- 
nando che dentro il castello venisse ricostrutta. L' an- 
nalista Giovanni Stella lodò quell' opera, che pure for- 
tificava il servaggio straniero, con sette esametri latini 
di pessimo gusto, i quali dicevano: che questa rocca 
eccelsa soprastava a Genova conservando le ragioni e 
i diritti del Re dei Franchi, edificata dal magnanimo 
Giovanni Lemengle, regio Maresciallo Governatore, 
solerte oltre ogni umana natura, cultore della pace e 
dell' equità, che quindi doveva Genova esultare beata 
sotto di cotanto monarca. 

Ma questa beatitudine a' Genovesi tornò molesta, 
e il 1409 avendola veramente a schifo y cacciarono il 
governo firancese, e data la battaglia al Castelletto lo 
ebbero in breve in poter loro. Di un' altra siffatta 
beatitudine si purgarono il 1435 quando il Duca di 
Milano Filippo Maria Visconti, sotto di cui erano i 



35 

Genovesi , la segnalata vittoria riportata da essi nelle 
^ acque di Ponza, facendo prigioniero lo stesso Alfonso 
Re d* Aragona, converti a loro disdoro, restituendo a 
costui il regno e Genova iniquamente privando del 
frutto di tanto valore. Fu allora che il suo governa- 
tore Opizzino d' Alzate venne a furore di popolo uc- 
ciso, ed Erasmo Triulzio * riuscito a salvarsi nel Ca- 
stelletto , vi fu assediato , combattuto e costretto ad 
arrendersi, e la fortezza senza dimora distrutta. La 
maledizione delle parti trasse di bel nuovo la Repub- 
blica sotto il dominio forestiero di Gian Galeazzo 
Sforza Duca di Milano il 1464. Il quale non osser- 
vando i patti della cessione, seminando odii e discordie 
fra nobili e popolari, né abbastanza di tal mezzo sicuro, 
venne in deliberazione di volere accrescere la fortezza 
del Castelletto fino al mare minando e deformando 
tutti gli edifizi interposti, acciocché per questa via le 
potesse col mare dare, soccorso, e cosi vendicarsi il 
libero dominio di Genova. Ma appena se ne scava- 
vano i fondamenti, che il popolo dato di mano alle 
armi, obbligava il Governatore a starsi rinchiuso, né 
più comparire in pubblico. Mandavansi ambasciatori 
al Duca per dissuaderlo, facendogli presenti le male 
soddisfazioni del suo governo, il danno della città, il 
disonore del popolo. Era loro ritardata V udienza, 
per cui uno di essi Francesco Marchisio Dottore, 
inviava a Galeazzo un vaso pieno di basilico. Il Duca, 
non sapendo che si volesse significare, conoscendo ad 
un tempo la saviezza del Marchisio, gliene chiedea la 



36 

ragione. E quegli; la natura de* Genovesi, signor Duca, 
rispondea, é simile al basilico, il quale dolcemente ma- 
neggiato odora, aspramente^ pu:(^a e genera scorpióni. 
Queste parole, lo muovevano a soprassedere, mentre 
per suo ordine gli si spedivano altri otto ambasciatori, 
i quali liberamente sponevangli, che: «. Né guerra, né 
» armi, né forze aveano sforzato i genovesi a mettersi 
» sotto la sua protezione^ che però pensassse, che né 
» i soldati , né gli apparati di guerra , né la fabbrica 
» di una nuova fortezza, bastavano a far quello che 
» faceva la loro volontà. » Rimetteva egli allora in 
arbitrio di essi V incominciato lavoro, e il popolo con 
indicibile ardire accingevasi a distruggerlo dai fonda- 
menti aggiungendovi lo scherno, e i motti pungenti 
contro il Duca , il quale pentito della fatta conces- 
sione e parendogli menomata la sua autorità, alle- 
stiva un esercito per ripigliare colla forza quanto gli 
avea tolto la viltà dell'animo suo. Ma correndo il di 
26 dicembre del 1476 Y iniquo signore veniva da tre 
nobili giovani milanesi pugnalato, la città si liberava 
da quel governo , e la fortezza del Castelletto rima- 
neva senza T accrescimento che il popolo aveva impe- 
dito. Ora nel 1528, pare che avesse un triplice cerchio 
di muraglie tortuose con ispessi baluardi, le quali rac- 
chiudevano la sommità del Colle, ovvero il Castelletto. 
Questo Colle avea un braccio , ove finiva il monte 
Peraldo , oggi Castellaccio , nel cui declive verso la 
città innalzavasi, sovrastando al porto, e alla città 
tutta che divideva quasi in due parti, quinci termi- 



37 

nando alla chiesa di S. Siro vicino al mare , quindi 
riguardando il monte del Castellaccio , ed aprendo in 
tal modo l'ingresso a chi volesse introdursi nella 
città. Neir erta del Colle, di mezzo a due recinti sor- 
geva r antica torre , le di cui mura al di fuori mo- 
stravano fondamenti grandissimi e mole smisurata. 
Questa fortezza ridotta dal maresciallo Bonciquaut a 
stato più ampio e gagliardo, ebbe successivi accresci- 
menti da tutti coloro che tennero la signoria di Ge- 
nova, quantunque sempre interrotti ogni qualvolta il 
popolo rivendicava la pristina libertà. Apertesi le vie 
nuova e nuovissima, il Castelletto perdette quelle opere 
avanzate che mettendolo in communicazione col mare, 
partivano in due la città. Giaceva quasi di nessun mo- 
mento sotto gli ultimi tempi della Repubblica, né il 
governo francese di Napoleone I. V ebbe in cale fa- 
cendolo sicuro da ogni tumulto popolare la sterminata 
sua potenza. Restauratesi quasi interamente le antiche 
sorti d' Europa, Genova unita ai regj dominii dell' au- 
gusta Casa di Savoia, fii creduto savio di accrescere, 
e con nuove opere ringagliardire l' esosa fortezza , 
ma nel 1848 il Re Carlo Alberto concedute le firan- 
chigge costituzionali a' suoi popoli, il Castelletto fu 
smantellato, discatenato ed uguagliato al suolo, sicché 
dove sorgeva il temuto propugnacolo della straniera 
tirannide , torreggiano adesso cittadine abitazioni bel- 
lissime, che hanno reso quel luogo ridente di nume- 
rosa ed agiata popolazione. 
Teodoro Triulzio essendo't'isi allora rifuggiato scar- 



38 
saggiava di gente e di munizioni, sia per la pesti- 
lenza che aveva assottigliata la prima, sia perchè 
abbindolato dalla balia de' Riformatori , non gli era 
riuscito di ricevere i rinforzi, sebbene già ordinati e 
partiti, del Conte di S. Polo. Ora, versando in peri- 
colose condizioni, questo sollecitava a prestamente 
accorrere in suo soccorso con tutto V esercito , o al- 
meno tremila fanti mandargli, sperando con essi di 
ripigliare il governo della città. 

XI. — Nella quale fervendo l'opera della difesa, fu 
deliberato dal Senato, adunato nella Casa di S. Giorgio, 
che tosto si riscuotessero i tributi sopra le case, come 
provvidenza da straordinaria necessità voluta, e decre- 
tatisi ad un' anime suffiraggio 9000 luoghi di banco, 
ordinossi il subito attacco del Castelletto, affidandone 
l'impresa a Filippino Doria. Ed egli essendo il di vi- 
gesimo ottavo di settembre, un'eletta mano conducendo 
di giovani genovesi , si accinse all' oppugnazione. Il 
medesimo Andrea Doria accompagnato da molti pa- 
trizi ne porgeva imitabile esempio ponendo mano alla 
fune di un cannone di bronzo e prendendo a trarre 
colà ove la strada volge a S. Rocco. 

E siccome il Magistrato dei dodici Riformatori più 
non bastava all' uopo , cosi fu creato un novello che 
dall'uffizio cui venia destinato, ebbe il nome dei 
Prefetti della Guerra, Primi in esso furono Ansaldo di 
Baldassarre Giustiniano, Geronimo di Tobia Lomel- 
lino, Stefano Spinola di Borgo, e Giovanni Franchi. A 
Domenico Giustiniani Qrechetto con altri capitani si 



39 

diede danaro per arruolare soldati, e la difesa dell' oc- 
cidentale riviera. La città, perchè meglio ne fosse age- 
volato il presidio, si divise in quattro regioni, che si 
affidarono a quattro capitani: Bartolomeo Imperiale 
Ballano , Vincenzo Francesco Pelliccione , Nicola di 
Giorgio Grimaldi e Paolo Battista Calvi Giudice. 

Mentre queste cose ordinavansi , sforzavasi Pavia 
da' francesi, saccheggiavasi ferocemente colla uccisione 
di molti suoi cittadini, di guisachè il Conte di Saint-Poi, 
come avea promesso all' ambasciatore Sauli con cele- 
rissima mossa levava l' intero esercito alla volta di 
Genova, e già sopra di questa pendeva. Il governo 
facea decreto che donne, bambini e vecchi con quanto 
di beni poteansi portar seco , si raccogliessero sulle 
navi e barche delle riviere , a ciò destinate. E ciò si 
voleva , non tanto per riporre quei preziosi pegni in 
luogo più sicuro , quanto per togliere ogni esca più 
agognata a' soldati stranieri. Tutti gli altri, sia geno- 
vesi, sia liguri dal i8.° al 50.° anno doveano prendere 
le armi; il Castellacelo difendeva con 200 fanti Got- 
tardo Borasino Corso, lo stesso che disertando già le 
schiere francesi, cui serviva, e abbandonando fraudo- 
lentemente la porta dell' Arco, si era dato al Doria. 

Da quattro lati collocate le artiglierie, il di trente- 
simo di settembre Filippo Doria cominciò a battere il 
Castelletto; ma il nemico a grandi passi accostandosi 
alla città, i genovesi vennero costretti ad interrompere 

r attacco. 
Imperocché, superate i francesi le pendici degli Apen- 



.40 

nini , l'antiguardo loro già scendeva a Rivarolo , e i 
genovesi mossisi con singolare audacia contro di essi, 
non pochi ne trassero prigionieri in città; locchè in- 
fiammando gli animi de' cittadini, con nuova sortita 
proruppero entro gli .stessi alloggiamenti nemici. De' 
prigionieri, i firancesi destina vansi alle galee , i liguri 
sospendeansi col laccio ai verroni del ducale palazzo, 
ed un breve ponendo loro al tergo che dicea: Per tra- 
dimento alla patria. E poiché, non ignoravasi che molti 
de' genovesi i quali studiavano le diverse parti, mili- 
tavano nel campo francese, cosi getta vasi il bando, 
che quanti essi fossero^ fermato il termine di 24 ore 
tornassero in Genova; dove disubbidissero, si chiaris- 
sero nemici, s'incamerassero i beni, a capitale pena 
'si dannassero le persone; chi li uccidesse duemila 
scudi d' oro si riportasse se delle famiglie Fregoso ed 
Adorno; se delle ventotto nuovamente elette a comporre 
la genovese nobiltà, mille; duecento se delle rimanenti. 
A me par bene notare coteste differenze, essendo che 
ci fanno piena fede del sincero intendimento del Doria 
che interamente muoveva il nuovo stato di cose, e gli 
bastava il cuore di mettere al prezzo di duemila scudi 
la vita de' suoi stessi benefattori, quali erano i Fregosi, 
che pure lo aveano raccolto, educato e tratto di po- 
vertà , tanto è vero che i grandi benefici colle grandi 
ingratitudini si compensano! 

Cosi essendo le cose , cadendo la notte del primo 
ottobre, un Araldo con un trombetta inviato dal campo 
francese si presenta alla porta di S. Tommaso e dato 



41 

il segno; chiede di venire introdotto al Supremo Magi- 
strato. Annottando di già, gli si rispose di attendere 
la domane, come fu sorta V aurora, ragunatosi il Se- 
nato , ordinate le milizie lunghesso la via che dovea 
trascorrere, venne ammesso al cospetto di quello, ed 
il Trombetta con favella francese, usci in questi accenti. 

« Uomini genovesi, il mio generale conte di S. Polo, 
» legato del cristianissimo re in Italia, mi ha dato il 
» comando di accompagnare il presente ambasciatore, 
» ed egli , concedendogU voi autorità di p-arlare , vi 
» dirà le ragioni per le quaU di qui recarci a noi 
» fu imposto ». 

Accordata la richiesta facoltà, V Araldo , cosi prese 
a favellare: « Genovesi, il Conte di S. Polo m'in- 
» giunse che a voi ambasciatore mi conducessi , per 
» conoscere se al cristianissimo re principe e signor 
» vostro legittimo , da cui vi allontanaste , vi piaccia 
» di fare ritorno, e con esso lui riconciliarvi; la qudl 
» cosa dove per voi venga fatto, promette con ispec- 
» chiata fede di accogliervi benignamente, come altra 
» volta , e prima d' ora vi tenne , e fervidamente vi 
» esorta a farlo, per V amore eh' ei nutre alla vostra 
» città. Che se perdurar vi avvisate nella presente 
» contumacia , io a nome del Re , estrema , e crudel 
» guerra. v'indico. A quale consiglio appigliar vi con- 
» venga, considerate e scegliete; » 

n preside de' Riformatori sorgeva allora, ed alta- 
mente esclamava: « Cittadini udiste, quali le volontà 
del cristianissimo Re, rispondete, ne avete il diritto. 



42 

se no, noi, ai quali testé conferiste i più ampi poteri, 
risponderemo. 

' Fu un terribile rumore di tutta quella moltitudine 
che le parole dell' ambasciatore e del preside sufFocava, 
quindi il segretario Ambrogio Gentile Senarega, otte- 
nuto alfine silenzio, le dette cose facea palesi all' adu- 
nanza, chiedendo si rispondesse - Libertà - Una sola 
voce di tante come ruggito di leone , usciva da tutti i 
lati della sala , al quale suono quasi rimbombo d* ar- 
tiglierie, pareva andarne sossopra il palazzo. Cessato' 
il rumore. Agostino Pallavicino, uno dei dodici Ri- 
formatori, sorse a dar la risposta per consenso loro: 
« Stupore ci ha mosso ciò che dicesti o Araldo , 
tanto più , quanto la repubblica nostra sempre la 
maestà del tuo re, ebbe in onore e venerazione. 
Noi per difenderla, innumerevoli mali abbiamo sof- 
ferti, che a parole narrar non si possono. E ben egli 
si ricorda il funestissimo saccheggio, e i tanti gra- 
vissimi danni in terra ed in mare, i quali perchè a 
lui notissimi, meraviglia ci fa che usciti li sieno di 
mente. Perchè ora ci chiarisca le presenti ostilità, 
spiegare non ci possiamo, comecché abbiamo per 
fermo , che ninna ingiuria ad alcuno recammo , se 
coir animo cupido, né tralignato, quella libertà vo- 
lemmo rivendicarci , che gli ottimi sospirano , gli 
oppressi anelano è tutti desiderano , se liberi in- 
somma volemmo colle patrie leggi governarci e 
vivere ordinati a quello stato, a cui il cristianissimo 
istesso ci fé' atiimo. Va pertanto, e di' al tuo ca- 



43 

» pitano che in nome del suo e tuo Re a noi ti manda, 
» che aflSdate alle navi le sostanze, le madri, le con- 
» sorti, i bambini, le più preziose cose nostre, noi 
» qui rimanemmo per meglio difendere la patria no- 
lo stra, che il suo esercito nulla troverà che ne invogli 
» la ingordigia, che attragga la rapacità, all' infuori dei 
» petti nostri gagliardissimi, pronti e deliberati a so- 
» stenerne e propulsarne le offese, poiché o qui con- 
» servare la libertà, o qui tutti abbiam deciso di 
» seppellirci sotto le rovine di quella. Che se tale 
» risposta non basti, e ancora ingius^ desiderio lo 
» vinca di provare le armi sue contro un valoroso 
» popolo , gli rammenta , che Ludovico Re suo pre- 
» decessore , non ha molti anni , asssediandoci con 
» oste ben maggiore, fidando nella fame e nel bi- 
» sogno, e nella discordia cittadina , ebbe a sentire i 
» più pericolosi effetti dall' avere tratte le numerose 
» sue coorti fra le dirupate strettezze dei nostri monti, 
» p/er cui di tanto esercito poco mancò che orribil- 
» mente assottigliato, non fosse vergognosa la scon- 
» fitta. Ora, questa è la considerazione che noi fac- 
» clamo, questa la scelta ». 

Ciò detto Agostino Pallavicino si tacque , e T A- 
raldo , brevi parole ancora aggiungendo proruppe : 

« Uomini genovesi , fate ragione se sotto larva di 

» libertà, non si ceU qualche novello giogo, o servitù, 

« 

» se peculiare interesse d' alcuno non vi spinga in 
» crudeli angustie e tanto più lunghe e insuperabili, 
» quanto più lusinghiere ed astutamente preparate ». 



44 

Senti la puntura il Doria , e acceso di forte ira , 
deposto il consueto contegno di prudenza e tranquil- 
lità che non mai da lui scompagnavasi: « In Francia, 
» esclamava , o Araldo , non in Genova trovansi i 
» seduttori e gì' impostori. A lui, che qui ti manda , 
» di' pure, che i Genovesi per la difesa della ricupe- 
» rata libertà spregianp sacrificando la vita. Ben venga, 
» con tutto il suo esercito, all' oppugnazione delle no- 
» stre mura, con i quali abbia a provare le armi sue, 
» ti do fede io , che gli fia dato di accorgersi in 
» breve. » 

Partiva l' Araldo colla scorta di alquanti cittadini, e 
si usava 1' artifizio di collocare la maggior copia de' 
soldati che si avevano, lunghesso le vie che trascor- 
rere doveva; sicché giunto al campo ebbe a narrare 
meravigliando il numero degli uomini che presidia- 
vano la città. 

XII. — Correva il 15 di ottobre, quando levavasi 
il rumore che il retroguardo francese, varcati i gioghi, 
e i cavalieri superato il promontorio accostavansi vi- 
cinissimi alla città, ed una e più valorosa schiera di 
essi alla parte orientale , ponea il campo verso il Bi- 
sagno. A siffatto annunzio, sferrava il Doria 500 schiavi 
delle sue galee, e avendo loro date le armi prometteva 
la libertà dove tratto prigioniere un francese si fosse 
posto in luogo di ciascuno di essi. E già quei dispe- 
rati correvano alla battaglia , ma falso era il grido e 
richiamaronsi tosto. I soldati più vicini al Bisagno 
aveano avuto oi«dine di scoràzzare pria dell' alba i cir- 



45 
costanti monti, sicché udito il rumore de' tamburi fu- 
rono riputati francesi che scendessero alla pianura. 

Senonchè il Conte di Saint-Poi ben altro disegno 
volgeva in mente; per difetto di danaro, non si tro- 
vava egli in tutto che quattromila fanti de' suoi , 
quelli condotti da Montigian , e mille mandati dal 
campo con Niccolò Doria ; singolare contrasto , che 
mentre Andrea si era tolto agli stipendi di Francia 
per raffazzonare la Repubblica a suo modo sotto la 
protezione di Spagna, Niccolò, venia contro la patria 
per toglierla a questa e riporla sotto di quella , en- 
trambi della stessa famiglia, ma l'uno più valoroso, 
r altro più astuto. Si aggiunga che quei pochi che al 
capitano francese rimanevano , si andavano per le 
continue diserzioni scemando, talmentechè, disperato 
dell'impresa, mandò Montigian con trecento fanti a 
Savona, la quale già avendo cinta di rigoroso assedio 
i genovesi, e con le trincee per ogni parte chiusa, 
non riusci loro di entrarvi. Per tutte queste ragioni 
fece egli consiglio a dieci di ottobre di ritirarsi in 
Alessandria, indi a Senazzara tra Alessandria e Pavia, 
dove, quasi del tutto abbandonato dalla sua gente, si 
abboccò col Duca di Urbino capitano generale della 
lega, col quale si andò consultando delle comuni fac- 
cende. Dimostrò il Duca che tra i Veneziani e lo 
Sforza di Milano appena si aveano quattromila fanti, 
mentre Antonio da Leyva Capitano di Carlo V. tra 
Milano e fuori , numerava quattromila tedeschi , sei- 
cento spagnuoli e 1400 italiani, pronti ad ogni sba- 



46 

raglio. Fu pertanto d' accordo deciso , eh' egli sareb- 
besi ritirato in Pavia, e San Polo in Alessandria, pro- 
curando colà di soldare nuovi fanti, e poi se aiutassero 
i tempi , volgersi contro Abbiategrasso , Mortara e il 

castello di Novara. 
La levata del nemico campo, sentitasi in Genova, 

non pochi accingevansi ad inseguirlo e Filippo Doria 

per obbliqui sentieri , e per le góle dei monti volea 

chiudergli il passo, ma quell' ardore venne frenato da 

più savio consiglio, col noto adagio che a nemico che 

fugge un ponte d' oro. 

Cionondimeno , li abitanti della Polcevera, di Sestri 
e del Bisagno , postisi suir erta più scoscesa dei loro 
monti colle artiglierie che aveanvi a grande fatica 
recate, e coi sassi, recavano un grave danno a' fran- 
cesi, quando specialmente riputandosi sicuri riposavansi 
fra le anguste strette degli apennini e nei torrenti; 
né pochi pigliavanne prigionieri, che spaventati e col- 
piti dal grandinare delle pietre, gettate le armi sì da- 
vano alla fiiga. Il perchè, volendo il senato rimunerarne 
r amor della patria e la prodezza fece decreto che per 
tre anni concedeva immunità ed esenzioni ai popoli di 
Polcevera, Sestri e Bisagno. 

Liberata la città .dal timore dell' esercito di Francia, 
si <iava air espugnazione del Castelletto , edificavansi 
batterie, preparavansl mine, divisavansi gli assalti. Dal 
che tutto commosso il Governatore T^ìulzio che né di 
vettovaglie e di uomini, né dei soccorsi oggimai più 
nudriva speranza, si die a trattare la resa. Largheggiò 



47 
a lui la Repubblica ne' patti; avesse l'uscita libera 
colla soldatesca e coi bagagli, e fosse provveduto di 
some e di scorte per condur quelli in .sicuro. Occu- 
pata la fortezza, lasciati illesi alcuni bastioni che pro- 
minenti verso la città, ne difendevano il recinto, venne 
il resto a furore di popolo schiantato dalle fondamenta. 
XIIL — Oggimai Savona sola restava, e 1' esercito 
che trovavasi a guardia della città, uscito d' ogni altro 
incarico venne avviato colà. La somma della guerra 
fii data ad Agostino Spinola e Filippino Doria; tribuni 
della milizia Andrea Giustiniani e Stefano Spinola di 
Borgo. Il di 21 di ottobre poste in ordine tutte le 
forze , disponevansi a combattere le mura, e già da- 
vasi il segno dell' attacco, quando i savonesi, non po- 
tendo più fare assegnamento veruno sopra gli aiuti di 
Francia, e vedendosi esposti a discrezione e al sac- 
cheggio dei vincitori , mandarono ambasciatori a trat- 
tare la resa. Si convenne : che se fra sette giorni non 
giungessero loro tali soccorsi che obbligassero i geno- 
vesi a ritratta, e a sgombrare l' assedio , cederebbero 
la città coli' abbandono delle persone e de' beni in 
mano de' vincitori, eccettuati gli averi del R. Legato, 
le macchine e le artiglierie del Re allogate in Savona. 
Questi patti 1' una e 1' altra parte • avendo conchiusi , 
si ricevettero dai genovesi gli ostaggi di Savona e se 
ne accomiatarono gli ambasciatori. Appena se n' ebbe 
in Genova la itDtizia che il Senato vi spedi Andrea 
Doria e Sinibaldo Fiesco affinchè pigliassero in nome 
della Repubblica il possesso della terra, ed essi adem- 



48 

piendo al mandato, e fatto V ufficio loro , la custodia 
ed il governo commisero ai presidi Battista Cattaneo 
Lasagna e Battista di Stefano Lomellino. 

Essendosi in tal modo ricuperata Savona, fii grande 
quistione nei consigli del governo, sopra le sorti de' 
suoi abitanti. Due erano le parti , V una portava opi- 
nione di smantellarla e i più colpevoli dannati all'ul- 
timo supplicio, i rimanenti in altra stanza si traslocas- 
sero; fondavasi questa opinione sopra i passati fatti, 
sulla contumacia continua de' savonesi, sulla slealtà 
loro, sulla impossibilità di ridurli a più sano consiglio, 
sulla necessità di fare tranquilla la Repubblica, i/ de- 
lenda Cartago serviva di autorità a cotesto partito, del 
quale mostravasi campione Giambattista Defornari , 
uno dei dodici Riformatori. 

L' altra parte, opinava che posti i savonesi in condi- 
zione di non potere in avvenire essere più di nocumento 
alla Repubblica , recidendone i nervi cosi delle forze ter- 
restri, come delle marittime, si dovessero del resto trat- 
tare con mansuetudine e clemenza; e di questa opinione 
singolare propugnatore appariva Pallavicino, parimenti 
uno dei dodici, e colui che con decoroso ardimento avea 
risposto testé all'Araldo di Francia. A chi conosce l' ar- 
tifizio di tali consulte si parrà di leggieri, che volendo 
deliberare quanto poscia si operò a rovina delle mura 
e del porto di Savona, era ben d'uopo per riuscire 
a questo di minacciare il molto, e servirsi forse di 
un popolare cui ricadeva l' odiosità della peggiore 
sentenza, per lasciare ad un nobile il merito della più 



49 
mite. Infatti il Pallavicini la vinse sul Defornari, e la 
maggior parte de' consiglieri piegò al suo parere; indi 
fu decretato: 

i." Che senza licenza espressa del Podestà, i savo- 
nesi non potessero mai più in avvenire convocare i 
generali consigli. 

2." Che uguagliate al suolo venissero le mura della 
città, quelle dello Sperone specialmente. 

3." Che il porto si colmasse con barche piene di sassi. 

4." Che i principali nobili di Savona col Corpo della 
città rappresentato dagli anziani, dovessero recarsi in 
Genova , donde non potrebbero partirsi senza aver 
dato prima sicuro pegno della loro fede. 

Domata Savona, scriveva V inviato Ottaviano Sauli 
da Milano a Domenico suo fratello; esser colà giunte 
le prospere nuove, quindi necessario di appigliarsi alla 
neutralità mandandola ad offrire a Venezia, e del modo 
di ottenerla si sarebbe rilevato da quanto egli stesso 
se ne apriva con Andrea Doria; senonchè venia scritto 
a Milano che a Genova si dovea fare una grossa rac- 
colta di gente per invadere lo stato dello Sforza e 
cominciare a Gavi e Novi senz' altro. A lui pareva 
questo un grandissimo errore, perchè non sarebbe 
tale la via da potersi guadagnar gli animi del resto 
d' Italia, ma di voler soggiogarla interamente alla Maestà 
Cesarea. E perchè questi colpi non si poteano dare a 
Qiisura, in questo gli sembrava che consistesse V er- 
rore, quando le cose fossero cosi passate. Essere suo 
avviso che fosse consiglio migliore di mantenere an^ 



50 

Cora per qualche giorno la neutralità e non disperare 
il Duca di Milano e i Veneziani i quali desideravano 
il bene dei genovesi e lo avrebbero meglio operato 
mentre che s' era Savona ricuperata. Ma , soggiungeva, 
che se si ammettesse gente cesarea a Genova per farla 
passare in Lombardia, sarebbe questo uno stesso che 
far disperate le cose e ridurre gli amici a nemici, oltre 
il pericolo di far V Imperatore tanto grande che i gè- 
novesi medesimi avrebbero dovuto interamente rima- 
nere a sua discrezione. 

In questa lettera faceva ancora sentire 1' obbligo di 
ricompensare adeguatamente un cotale Ruschino, che 
avea per avventura indotto in errore il capitano fran- 
cese Montigian il quale mandato da Saint-Poi con 
trecento fanti a Savona, non era riuscito ad entrarvi, 
ed ora, scoperto 1' occorso, il Ruschino trovavasi per- 
seguitato dai francesi, per cui era stato costretto ad 
uscire dalle loro compagnie , per la qual cosa pareva 
al Sauli che la Comunità avrebbe dovuto dargli in 
rimunerazione scudi 50. 

Temeva del resto che non si facesse dì là qualche 
colpo di gran momento a loro danno perchè pregava 
di essere per sua norma di tutto avvertito. A nulla 
tornarono siffatti consigli; ed il Sauli correndo peri- 
colo di trovarsi esposto a tutti i danni di una sinistra 
politica, ebbe per il meglio di ricondursi di cheto in 
Genova (i). 

(i) Documenti inediti pubblicati per 1* avvocato Edoardo Ber- 
nabò Brea, pag. 124. 



51 
XIV. — Sebbene domata Savona , rimanevano ri- 
bellate tuttavia oltre giogo le terre di Nove , Ovada e 
Gavi. Teneva la prima madama Origo de' Conti Gam- 
bara di Brescia, vedova di Pietro Fregoso, la seconda 
la famiglia Trotti, la terza il Conte Antonio Guasco. 
Si elessero all' impresa Commissari generali dell' armi 
Agostino e Bartolomeo Spinola, e provveditore del 
campo Battista Pinello di Adamo. Questi con buona 
mano di milizie mossero contro di Ovada, i Trotti 
vi faceano resistenza vigorosa, ma piantatevi dinanzi 
le artiglierie furono costretti ad uscirne. Si volgeva 
allora all' espugnazione di Nove, e il tradimento della 
famiglia Cavanna la diede loro in mano; rimaneva 
Gavi, ma per questo non fu mestieri di forza poiché 
il conte Antonio Guasco s'indusse di leggieri ad ab- 
bandonare la rocca ricevutane in compenso una di- 
screta somma di danaro, la quale per lo stremo della 
pubblica finanza non potendo essergli pagata, il dominio 
di Gavi si cedette all' ufficio di S. Giorgio facendosi 
scrivere a credito di Antonio Guasco Luoghi mille 
nel banco di quello, che vi spedi a Commisari per 
pigliarne il possesso, Geronimo Defornari e Gio. Batta 
Lercaro del fu Domenico. 



CAPITOLO SECONDO 



Riforma delle leggi oprata da Andrea Doria ; istituzione dei 28 tAlberghi, prima ori- 
gine di essi; tentativo fatto dai Francesi per assalire e sorprendere la città, va- 
lorosa difesa di Andrea Doria; ordinamento delle milizie cittadine, trattato tra 
Giano Fregoso per tornare Genova sotto il dominio del Re di Francia; luttuose 
condizioni d'Italia; trattato di Barcellona tra Clemente VII e Carlo V; di 
Cambray tra Carlo V e Francesco I; turpe abbandono fatto da entrambi dei 
loro alleati ; Andrea Doria con i j galee trasporta l' Imperatore da Barcellona in 
Genova; suo ricevimento solenne, ed alloggio nel pubblico Palazzo; incorona- 
zione di lui in Bologna a re d' Italia ed imperatore per mano di Papa Clemente VII ; 
quistione di precedenza tra gli ambasciatroi genovesi e il senese; spedizione di 
Andrea Doria contro Federico Barbarossa Signore di Algeri, e di Michele Defer- 
rari contro un corsaro di Valenza; provvedimenti per meglio fortificare la Città 
e leggi diverse finanziarie , sommarie e politiche emanate dal nuovo governo; Am- 
basciatori inviati dalla Repubblica al Duca di Milano, e al Re di Francia affinchè 
i mercanti genovesi vengano riammessi a commerciare nei porti della Provenza e 
del Delfinato. 



XV. — Sgombro era il ligure suolo d' ogni fran- 
cese Signoria, volevasi quindi ordinare a nuova forma 
di stato , e questa dovea naturalmente essere conforme 
alle ragioni, e alle ambizioni di chi operato aveva -cosi 
memorabile rivolgimento. Il maggiore studio stava in 
ciò che a' diversi interessi era mestieri indirizzare quel 
mezzo, e quello scopo medesimo già serviti in addietro 
ad altro governo. E qui è d'uopo riconoscere il molto 



53 

e destro ingegno di Andrea Doria che perfettamente 
vi riusci. Ricordiamo che sotto il dogato di Ottaviano 
Fregoso , per generoso disegno di questo ottimo cit- 
tadino si divisava di fare 1' unione di tutti i cittadini, 
tolti via i vari colori delle fazioni, e la Repubblica in 
una sola forma di reggimento popolare , appianate le 
disugguaglianze , ordinare ad un intero corpo di cit- 
tadinanza. Cotale divisamento non fu più intralasciato, 
sebbene allora turbato ed interrotto per opera dell' ar- 
civescovo Federigo Fregoso fratello di Ottaviano , il 
quale si accorse come i nobili 1' avessero tutto vòlto 
a proprio profitto. E di vero , essendo la Repubblica 
sotto la dominazione di Francia , tornò in onore , e 
concorrendovi lo stesso Governatore Triulzio, si eles- 
sero dodici Riformatori, i quali ebbero gradatamente 
l'incarico coi più ampj poteri e sotto il velo di ope- 
rare la concordia e V unione dei cittadini, di riformare 
con piena balia lo Stato. Per riconoscere che stato 
voleasi da essi apparecchiare, basterà il notare che di 
dodici quanti erano, tre appena si annoveravano* della 
fazione popolare, e per conseguenza non potea dubi- 
tarsi quale unione di cittadini avrebbe dovuto uscire 
da uomini siffatti che appartenevano per tre quarte 
parti alla nobiltà feudale (Fieschi, Spinola, Doria, Pal- 
lavicini, Centurioni, Lomellini, Grimaldi, Demarini e 
Cattaneo). Il pensiere dell' unione non era pertanto 
nuovo, nuovo bensì il concetto di rivolgerne il van- 
taggio ed il fine ad una sola condizione di persone, 
non poche delle quali aveano una cittadinanza di più 



. 54 
recente ascrizione che quella non era di tante altre 
. che pur venivano escluse. 

Rimaneva il mezzo e il trovato degli Alberghi ^ e 
qui fa mestieri che in cosa di si grave momento io 
mi allarghi in più diffuse parole. 

XVI. — Fin d' allora che formossi il genovese Co- 
mune, altro mezzo non si adoperò che quello di un' ag- 
gregazione di famiglie riunite in società di commercio, 
sottratesi al sistema feudale, le quali giuravano il patto 
deir Unione o dell' Albergo Comunale e si obbligavano 
vicendevolmente a condizioni di mutua difesa e di of- 
fesa contro chiunque avesse loro attentato. Vivere a 
comune significava nulla più che vivere sciolti dai 
vincoli feudali che li chiarivano vassalli di una stra- 
niera potestà; in seguito, entrarono nell' unione i No- 
bili delle circostanti campagne che la comunale potenza 
costringeva ad abbandonare i propri feudi, e ad ascri- 
versi in quella, infine il popolo o le arti diverse che 
servirono di aiuto ai nuovi aggregati per prevalere 
sugli antichi. Fu allora che il Comune si trasformò 
in Repubblica, in prima col Capitaneato ghibellino col 
popolo, indi col Dogato. Ma i NobiU (e i Nobili chia- 
mavansi coloro eh' esercitavano giurisdizione feudale), 
esclusi per legge di quest'ultimo, dagli onori e dalle 
principali magistrature dello Stato , rinnovellarono il 
patto di una singolare associazione, ordirono di rites- 
sere r antico Comune per mezzo di tanti Alberghi dove 
si allogarono. 

Correndo il secolo XV dierono più regolare e sta- 



55 . 

bile assetto al loro disegno, moltiplicarono li stessi 
Alberghi distribuiti fra le otto Compagne o quar- 
tieri della città. Secondo una lista riferita dal Mar- 
chese Serra , sei erano nella Compagna del Castello , 
quattordici in quella di S. Lorenzo, sette nella Com- 
pagna della Porta , tre in Mascherona , cinque in 
Portanuova, dieciotto nel Borgo, dodici in Soziglia, 
sei in Piazza lunga; sommavano in tutti a settantuno 
Alberghi. 

Per megUo dimostrare di quali famiglie venissero 
composti, basti jì dire che non vi si ricettarono né 
Adorni, né Fregosi, né Guarchi, né Montaldi, né Boc- 
canegra, né Zoagli, né Sauli, né Giustiniani, né De- 
franchi, né Promontori, né le altre più illustri stirpi 
che tennero il governo e colle gesta più famose si 
distinsero nel XIV, e in tutto lo stesso secolo XV.; 
che di tutti quelli Alberghi soltanto i due dei Def or- 
nari, e àegV Italiani y o Inter iani venivano considerati 
tra i popolari. 

Ora nel 1528, non ne rimanevano che 24, essendosi 
gli altri assottigliati, e venuti meno per l'ultima pe- 
stilenza che aveva mortalmente contristata la città. 

Parve pertanto al Doria e a coloro che per mede- 
simezza di condizione ne secondavano gì' interessi che 
questi Alberghi fossero il più acconcio, e potente ad- 
dentellato per istabilire il governo che aveansi divisato, 
e perciò deliberaronsi le seguenti cose: 

I.* Verrebbero annoverati e distribuiti sotto di ven- 
totto Alberghi i nomi di coloro che per merito di 



.56 

nascita, d'ingegno e di ricchezze sarebbero riputati 
* degni del governo e di tutti questi s' istituirebbe un 
ordine di Nohiliy al quale si concederebbe per T avve- 
nire l'adito ai pubblici onori, e commetterebbesi T am- 
ministrazione dei magistrati. 

2." I nomi e cognomi di siffatti nobili e loro posteri, 
come di quelli che per T avvenire si ammettessero 
nel medesimo ordine, si registrerebbero in un libro, 
da conservarsi dal Collegio de' Procuratori della Re- 
pubblica. 

3.* Per formare un Albergo si richiederebbero sei 
case aperte in Genova , e quelli eh' entrassero sotto 
di esso abbandonerebbero il proprio cognome , e le 
solite insegne gentilizie, assumendo quelle dell'albergo 
medesimo. 

4.* A quest' ordine di nobiltà, composto di ventotto 
Alberghi, aggregherebbe il Senato nel principio di cia- 
s.chedun anno sette abitanti della città e tre delle ri- 
viere, scegliendo coloro, i quali onesti di nascita e di 
costumi , e^ per meriti verso la Repubblica ; cosi agli 
altri andrebbero innanzi che stim'ati verrebbero uguali 
ai nobili. 

5." Questa incorporazione' delle diverse famiglie negli 
Alberghi alterar non dovrebbe la distribuzióne dei la- 
sciti e limosine, ossiano dispense di loro proprie che 
resterebbero intatte a chiamati dai testatori, dimodoché 
la nuova aggregazione non conferirebbe diritto veruno 
alle famiglie che formavano li alberghi. 

6." Da tutto r ordine dei nobili, posti i nomi loro 



57 . 
in un* urna, si estrarrebbero in ciascun anno a sorte 
trecento, dai quali si eleggerebbero a palle altri cento, 
con misura proporzionata ed uguale distribuzione dal 
numero fra i vento tto Alberghi, i quali quattrocento 
uniti costituirebbero il gran consiglio, munito di piena 
autorità e dignità nella Repubblica, con tutte le distin- 
zioni e prerogative del Principato. 

7.» Da questi quattrocento del Consiglio generale 
si trarrebbero a sorte cento , dei quali formerebbesi il 
minor consiglio, che insieme coi due Collegi dovrebbe 
deliberare le pubbliche faccende di più lieve momento, 
eleggendo i magistrati della città. 

8.** Dal Grande Consiglio si eleggerebbero a palle 
otto Senatori, i quali insieme col Doge godrebbero 
del potere legislativo , senz' accrescere autorità a sé 
medesimi , amministrando la giustizia , deliberando le 
cose politiche di minor conto , maturando quelle di 
maggior peso, sottoponendole all' esame dei due Con- 
sigli. 

9.' Il Doge si eleggerebbe dal Consiglio generale, e 
durerebbe in carica due anni. 

IO." La cura dell' Erario Pubblico, o dei diritti della 
Camera, si affiderebbe ad otto procuratori, nei quali 
per due anni entrerebbero gli otto Senatori , tutti i 
i Dogi in perpetuo, gli uni e gli altri finito il loro 
biennio. 

II.* Si costituirebbe un magistrato di cinque censori 
coir obbligo d' invigilare all' osservanza delle leggi af- 
finchè non cadessero in dissuetudine. Avrebbero essi 



58 

ancora una suprema autorità per tenere a sindacato i 
magistrati tutti e gli ufficiali della Repubblica, inffig- 
gendo loro le prescritte pene quando eccedessero i 
confini dell' ordinaria giurisdizione. 

XVII. — Questa è pertanto la forma di governo, 
e la sostanza delle leggi che si addottarono per opera 
di Andrea Boria nel 1528, si dissero la ricuperata li-- 
berta, e segnarono il passaggio dello stato democratico 
o popolare, all' aristocratico o quello degli antichi no- 
bili. I dodici Riformatori per rimunerarne chi a tanto 
li aveva indirizzati e secondati, e poteva solo col fa- 
vore di Carlo V, quei nuovi destini assicurare e di- 
fendere, decretarono a riguardo del Boria: 

I.* Che fosse perpetuo Priore del Magistrato de* 
Censori e Sindacatori, nei quali risiedeva veramente 
il principal nerbo , e la più ampia potestà della Re- 
pubblica. 

2.® Che siedesse in Senato dopo il decano dei Senatori. 

3." Che avesse perpetua esenzione di tutti i pesi e 
gravezze pubbliche, cosi ordinarie, come straordinarie, 
per sé, pel conte Filippino, Pagano e Tommaso Boria 
suoi cugini e loro successori in perpetuo. 

4.® Che del pubblico dannalo si comperasse, e do- 
nasse a lui una casa nella piazza dei Boria di S. Matteo 
colla iscrizione: 

5. C. Andrea de Auria Patria Liberatori Munus Publicum. 

5.* Che infine s'innalzasse a lui nella sala del gran 
consiglio una statua di bronzo. 



59 

Ma questa si mutò nell* anno seguente in una mar- 
morea, posta nel cortile del palazzo pubblico colla 
iscrizione: 

Andrea Auria Civi Optimo felicissimo Vindici, 
Atque Auctori Publica Libertatis, Senatus Gennensis posuit. 

Ai Riformatori parve ancora non doversi trascurare 
Sinibaldo Fiesco, il quale meglio di Andrea Doria avea 
fatti di molti sacrifici d' uomini e di danaro all' edifi- 
cazione del nuovo stato, e cosi ordinarono che siedesse 
nel soglio fira i Senatori nel penultimo luogo. Di Lo- 
renzo Cibo non si parlò. 

Dei vecchi Alberghi, come più sopra notai, rimane- 
vano 24, e volendo compiere il numero legale di 28. 
quattro si aggiunsero e furono di popolari, Giustiniani, 
Promontorii, Sauli e Defranchi, 

Come si vede il desiderio dell'unione di tutti i cit- 
tadini in un corpo solo non fii che un politico disegno 
di ricondurre al governo della Repubblica i nobili che 
n'erano stati legalmente espulsi col primo dogato 
popolare. Si seguitò dai dodici Riformatori lo stesso 
artifizio nello sbandire i popolari genovesi dal governo, 
che ì fiorentini aveano già usato nel cacciarne i nobili. 
La Repubblica fiorentina ordinando il Corpo delle arti 
sue, quattordici minori e sette maggiori prescrisse 
dapprima che tutti i nobili dovessero registrarsi nella 
matricola di alcuna di esse, indi riconoscendo che la 
chiarezza del nome li rendeva ad ogni modo dagli 
altri distinti, volle che lasciassero il proprio, e ne ad- 



6o 

dottassero un popolare. Nel senso contrario, i Riforma- 
tori, o per meglio dire Andrea Doria tenne una stessa 
regola, stabilendo che i popolari allogandosi in un 
Albergo che pigliava nome e carattere da un nobile, 
rinunciassero al proprio, nominandosi da quello. 

Ma quello che veramente diede stabile fondamento 
allo stato aristocratico, si fu che li Alberghi allora esi- 
stenti, e determinati col numero di 28, per moltiplicare 
e decrescere di case aperte, non si dovessero mai più 
mutare. Questo era il serrar del consejo prescritto in 
Venezia sotto il Dogato di Pier Gradenigo., era l'ar- 
restare e circoscrivere la Repubblica nel privilegiato 
ed angusto cerchio di poche famiglie, le quali certa- 
mente più meriti non aveano delle popolari, né queste 
più demeriti di quelle; poiché se Adorni e Fregosi, 
Boccanegra, Guarchi e Montaldi si erano per 189 anni 
contrastato il Dogato, Fieschi, Grimaldi, Doria e Spi- 
nola aveano la Repubblica avvolta nelle più sanguinose 
guerre civili sotto il governo dei Consoli, del Podestà 
e dei Capitani del popolo per più di tre secoli, la sola 
differenza fra gli uni e gli altri si riduceva alle colpe 
più vicine di quelli , più remote di questi , ma tutti 
intinti della stessa pece, tutti aveano peccato di ambi- 
zione , di tirannide e d' ingiustizia. Non m' intratterei 
tanto sopra di siffatto doloroso argomento se non 
fosse per dimostrare che la quistione non era di 
equità , né di unione , ma di fazione e di assoluta 
signoria, di guisaché, a mio giudizio, si concederà ad 
Andrea Doria il vanto di avere con molta destrezza 



6i 

d' ingegno, cogliendo V opportunità de' tempi , riposti 
i nobili della propria fazione al governo sotto il pro- 
tettorato, e la maligna influenza della Spagna e del- 
l' Austria, ma non già quello di una vera unione nel 
senso leale di questa parola, né di avere tutta la cit- 
tadinanza genovese equamente raccolta in un solo 
corpo politico. 

Ora le famiglie sia dei 24 Alberghi tuttavia esistenti, 
sia dei quattro che di fresco formati si aggiunsero a 
quelli, furono: Calva, Cattanea, Centuriona, Cibo, 
Cicala, Doria, Fieschi, Pomari, Franchi, Gentile, Giu- 
stiniana. Grillo, Grimaldi, Imperiale, Interiana, Lercari, 
Lomellina, Marini, Negra, Negrona, Pallavicina, Pi- 
nella, Promontoria, Sai vaga ^ Sauli, Spinola, Vivaldi, 
Usodimare. 

Sebbene colle leggi testé emanate l' elezione dei 
consigli e quella stessa del Doge, de' Governatori e 
Procuratori fosse stata concessa all' arbitrio della sorte, 
però , la prima volta , volendosi procedere con mag- 
giore maturità di giudizio, si fece a scrutinio di voti, 
e in tal modo vennero eletti il Doge, che fu di fa- 
zione popolare, Oberto Lazzaro, allogato nell' Albergo 
dei Cattanei, i due Collegi e il Magistrato de' Cen- 
sori, detto poscia de' supremi sindacatori. 

XVIII. — Seguite queste cose, siccome di molto an- 
guste e dolorose erano le condizioni del pubblico erario, 
cosi si accomiatarono la maggior parte delle forze che 
la Repubblica aveva assoldate per difendersi da' fran- 
cesi. Ma gli avanzi di questi svernando in Alessandria, 



62 

sapendo come i genovesi incautamente si fossero spogli 
delle principali difese , audacissima fazione macchina- 
rono; sorprendere alla sprovveduta la città, e far cat- 
tivo Andrea Doria, che nel sobbórgo di Fassolo fuori 
porta di S. Tommaso avea dimora. Questo avendo 
ordito e deUberato, cadendo la sera del 20 dicembre, 
con mille pedoni e pochi cavalli muovevano d' Ales- 
sandria. Nessuno di loro , eccettuati i due generali 
Montejean e Vallercercie che li conducevano, sapeva 
per dove recassesi. Camminarono l'intera notte, quando 
ei giunsero all' Elma terra degli Spinoli, 20 miglia di- 
scosta da Genova, albeggiava appena, colà ristoraronsi, 
ma brevissimamente, che il desiderio di giungere presto 
e impreveduti li spinse a seguitare il viaggio. Intanto 
villici, pastori , conduttori quanti incontravano sulla 
via arrestavano, e seco loro traevano. Seppero nulla 
conoscersi, nulla voce correre in Genova, della propria 
spedizione. Baldanziti dallo sperato esito, fidarono oc- 
cupare Genova, assaccomannarla orribilmente, menare 
strage degl' indifesi cittadini nelle case, nelle piazze e 
nelle vie. Già erano vicini, quando un montanino degli 
Apennini avendoli scòrti , ne diede voce al Doria , 
non volle crederlo , finché un secondo avviso venne 
viemmeglio a certificarlo. Allora con atto di eroica 
risoluzione, ed è questo tra i più generosi fatti di sua 
vita, mandatane tosto la notizia in città, affinchè il 
Governo potesse in tempo preparar la difesa, egli de- 
cise di sostenere il primo impeto de' nemici, con botti 
piene di ruderi ed altri arnesi asserragliò la strada, vi 



63 

pose a guardia sei armati suoi famigliari, fece alzare 
il ponte ed apri la cataratta, indi chiamò gli abitanti 
del sobborgo ad opporre ogni più vigorosa resistenza 
a' francesi che aveano già coli' usata furia cominciato 
r attacco. Due ore durò il conflitto, nel quale Andrea 
apparve veramente meraviglioso nelle prove più ardue 
di valore e d' intrepidità , senza mai allontanarsi dal 
combattimento che quando morti parecchi de' suoi, e 
i borghesi spaventati dal fuoco de' nemici che pone- 
vano alle case loro presero a ritirarsi, sicché al rado 
ed inesperto popolo prevaleva il valore, e 1' ordinanza 
de' soldati. L'ammiraglio vedendosi in tal guisa esposto 
a manifesto pericolo, in forse di perdere la vita o la 
libertà, pensò di ritirarsi. Diede quindi avviso al pre- 
sidio della porta di S. Tommaso che uscisse a soste- 
nerlo, e per tale mezzo gli venne fatto di ricoverarsi 
in città. Ciò fatto, richiuse* le porte, asceso egli con 
più valoroso ardimento il contiguo baluardo, di là si 
accinse a dar ordine alla difesa, disponendo, e rego- 
lando a più sicuro punto le artiglierie, qualora i ne- 
mici si arrisicassero coli' assalto. Ma estenuati e spos- 
sati dalle fatiche della marcia, e da quelle della bat- 
taglia, oltreciò diradati di numero , poiché non pochi 
di essi e tra i più valorosi caduti e feriti, fecero con- 
siglio di ritirarsi, e lasciato speditamente Fassolo, non 
senza prima appiccare il fuoco alle case del sobborgo 
e principahnente a quelle del Doria, sull'imbrunire del 
giorno ripresero il cammino di Alessandri^, né sosta- 
rono finché non furono colà pervenuti. E ne aveano 



64 

ben donde , imperocché volgendo V ora quinta del 
giorno approdava in Genova una nave onusta di sol- 
datesca spagnuola. 

XIX. — Rimosso il pericolo, considerossi ìJlora 
come fosse d'uopo di ordinare una stabile difesa della 
città che impedisse il ritorno di ogni futura aggressione. 
Né solo questa necessità , ma il timore di repentini 
interni tumulti dettava un militare provvedimento. 
Venne in acconcio il decreto del Senato che coman- 
dava una levata di diecisette centinaia d' uomini scelti 
dal fiore della gioventù, e cui preponevansi altrettanti 
capitani di guerra, i quali distribuiti nei più opportuni 
luoghi della città, fossero pronti ad ogni bisogno sia 
per r interiore, sia per V esteriore difesa. Il di 24 feb- 
braio del 1529 le nuove milizie raccoglievansi a mostra 
dopo il meriggio nel ducale palazzo, dove il -Senato, 
concorrendovi una grandissima moltitudine di popolo, 
sovranamente sedendo, Gio. Batta Zino, allogato nel- 
r albergo dei Grimaldi, e segretàrio della Repubblica, 
cosi loro parlò: 

« Ridonataci Iddio T antica libertà, da gran teinpo 
y> perduta, considerò seriamente il Senati, che dopo 
» le leggi , si volea apparecchiare una valida cittadina 
» forza, per il rispetto, e la conservazione loro. Ver- 
» sando in tempi in cui la patria mal può difendersi 
» senz' armi , queste armi devono non più alle infide 
» mercenarie, ma alle cittadine braccia affidarsi, e 
» quindi un' inclita gioventù é solennemente chiamata 
» air onorevole uffizio di queste armi. Ella si farà 



65 

» insieme uno studio, una difesa ed una gloria, al- 
» r ombra di queste a|-mi leali riposerà tranquilla la 
» libertà, e la più prospera fortuna di Genova. A 
» voi», dunque, o capitani, se ne commettono! ves- 
» siili, affinchè ne usiate da forti e valorosi. Tutti 
» noi, nella fede, nella perizia, e nella saviezza vostra, 
» poniamo fondamento e speranza ». 

Ciò detto, le rannate milizie levavano le destre in 
atto di obbedienza e di fedeltà, le insegne ricevendo 
dai Senatori, e giurando tenerle e conservarle a di- 
fesa-delia libertà e della patria, senza che fatiche, o 
pericoli avessero ad allontanare dal generoso uffizio, 
pronti ad affrontare dove d' uopo la morte. Ordina- 
ronsi poscia per tre file in isquadra, e salutando i 
Padri, lasciarono il Palazzo. 

Senonchè, per meglio ridurre a prezioso firutto la 
nuova istituzione , i Capitani nelle ore pomeridiane dei 
di festivi, quelle giovani milizie guidavano armate 
fiiori di città, esercita vanle , proponendo premi a chi 
meglio si mostrava perito nelF uso delle artiglierie. 
Militari istruttori vennero invitati in Genova, chia- 
mati Sergenti, "ì quali li ammaestravano a porre in 
ordine le falangi, a formare rombi, a voltar fi-onte, 
a stringere le masse, a disporre a cunei le truppe, 
cosi conducendòle , a istituir suoni d' appello e di ri- 
tirata, a ferir direttamente o di fianco, a sostenere o 
respingere attacchi, e tuttoché si addice a' soldati. 
Di colali ammaestramenti cavarono in breve siffatto 
{MTofitto da reputarsi piuttosto veterane che firesche e 



66 

giovani milizie. I capitani loro erano tutti uomini nella 
repubblica pregiati, non deve però tralasciarsi di no- 
tare che dei diecisette, nove appartenevano agli an- 
tichi nobili ed otto soltanto ai nuovi aggregati. Questa 
differenza a favore dei primi che noi la troviamo fin dal 
principio del nuovo governo istituito dal Doria, di- 
venta gradatamente sensibile, e infine facendosi enorme 
precipita la Repubblica nella guerra civile. 

XX. — Intanto le cose d' Italia , volgendo a male 
per il Re di Francia, e prosperamente per V imperatore, 
davano forza allo stato instituito in Genova sdtto gli 
auspici di lui. Vinto Antonio di Léyva, il 21 giugno 
del 1529, aveva i fi'ancesi a Landriano colla prigionia 
del loro capitano generale, il conte di S. Polo. Tra 
questo e il duca d' Urbino era somma discrepanza d'opi- 
nioni per la condotta della guerra, stavasi incerti se far 
si dovesse Tiìtìpresa di Milano o quella di Genova. Gli 
Archivi Imperiali di Parigi contengono V esemplare 
di un trattato addì 18 marzo del 1529, conchiuso a 
Verona tra Giano Fregoso e il Vescovo di Auranches, 
ambasciatore fi'ancese a Venezia, autorizzato espres- 
samente dal Re. Giano, tanto al proprio nome, quanto 
a quello de' suoi figli, si obbligava e prometteva di 
riporre la città di Genova sotto la dominazione fi'an- 
cese nel termine di due mesi, col patto però che a- 
vrebbe a sua disposizione 3000 fanti e cento cavalli. 
Nel caso di feUce riuscita non dovea esservi né sac- 
cheggio, né violenze, ma una clemente punÌT^ione miti- 
gata dalla regia benignità. Cesare Fregoso, figlio di 



6? 
Giano, doveva essere il governatore di Genova e di- 
Savona , la quale ultima sarebbe indissolubilmente con- 
giunta alla prima; ei ne farebbe omaggio al Re, e ne 
riceverebbe in guiderdone l'ordine di S. Michele, ed una 
compagnia di 60 lancie. Giano patteggiava per sé in par- 
ticolare 6000 scudi di pensione. Altre pensioni venivano 
inoltre fissate dai 200 ai 400 scudi per Vintromettitore 
del Trattato, e per colui che avrebbe dato il porto, 
o aperta una delle porte della città .ai Francesi. La 
ratificazione del Re voleva essere rimessa dall' amba- 
sciatore nel termine di sei settimane , senza di che la 
Convenzione si doveva tenere come non avvenuta (i). 
Né di fatti la ratificazione ebbe luogo, poiché ninna 
spedizione accadde, comecché la sconfitta de' francesi 
toccata a Landriano ne facesse scomparire il disegno, 
e il trattato di Barcellona tra Clemente VII e Carlo V, 
e la pace di Cambray tra questo e Francesco I, mu- 
tasse talmente l'aspetto delle cose italiane da rendere 
inopportimo per non dire impossibile ogni siffatto ten- 
tativo. 

n Pontefice e il Re di Francia non poteano durare 
nello stato in cui trovavansi. Angustiavano il primo le 

(i) I poteri dal Re delegati all' ambasciatore sono espressi sotto 
la data dell' 11 febbraio 1529. Giano Fregoso trattando al proprio 
nome e a quello di suo figlio, promette di ottenere la ratifica di 
Cesare Fregoso assente, la quale succede a Ripalta l'ultimo di 
Aprile. L' esemplare del trattato che si conserva negli Archivi 
Imperiali è quello appunto che mostra segnata la ratifica di Ce- 
sare Fregoso. 



68 

discordie della lega, la quale, sebbene stretta per la 
sua liberazione, riusciva sempre nelle varie sue parti 
a lui nemica ; la cacciata della sua famiglia da Firenze 
che ordinata si era a popolare repubblica, gli scherni, 
le villanie usategli dai proprii concittadini, il desiderio 
di riporvi Alessandro de' Medici suo figlio naturale. 
Francesco I, non dissimilmente sentivasi affaticato 
dalla guerra sempre a lui sfavorevole, agognava alla 
restituzione de' figli, desiderava la pace, disposto a 
farle ogni più duro sacrificio, non escluso quello del 
proprio onore. Entrambi i principi poi divisarono ser- 
virsi ad ottenere il segreto loro fine, dei confederati 
italiani, lusingandogli di assistenza e di aiuto, promet- 
tendo di non mai abbandonarli in quello appunto che 
già li aveano , nonché abbandonati, vergognosamente 
traditi. 

Mentre questi umori ribollivano, mandavasi dalla 
Repubblica ambasciatore a Cesare. in Barcellona Sini- 
baldo Fiesco, che a proprie spese sosteneva la gra- 
vissima legazione, e veniva con ogni maggior cortesia 
trattato dall' Imperatore. Senonchè , i grandi e mala- 
gevoli negozii che pendevano, e stavano per decidere 
dei supremi destini d^ Italia, richiedevano che alla pre- 
senza di Carlo V. si recasse quell'uomo ch'essendone 
divenuto il più efficace aiuto, ne sapea conoscer l'a- 
nimo, e il più atto mostravasi a moderarne le dispo- 
sizioni. Quest'uomo era Andrea Doria, invitato per 
soprapiù in Barcellona colla sua flotta per trasportarlo 
in Italia, egli vi si conduceva da Genova con nume- 



69 

roso seguito di nobili italiani, quattrocento dei quali 
della gioventù genovese, e addi 6 maggio con quin- 
dici galee salpava dal porto, gettando le àncore a Bar- 
cellona il 28 dello stesso mese. 

XXI. — Farmi necessario il dire che fra quei nobili 
Italiani annoveravasi Luigi Alamanni. Costui nel 1522 
quando il cardinale Giulio de' Medici, che fu poscia 
Papa Clemente VII, tenea il governo di Firenze, gli 
congiurò contro, divisando di ridurre quella città a 
vivere più libero. Scoperta essendosi la congiura do- 
vette andarsi in esiglio, pel quale errò in diversi paesi, 
e alfine rifliggiossi in Genova, dove V ornamento delle 
lettere che molte aveva e il valore che mostrava nella 
poesia, gli acquistarono la grazia e V amicizia di Andrea 
Doria. Questi venuto ad intima dimestichezza con lui,, 
gli appalesò quanto fosse vivo il suo desiderio perchè 
Firenze non ricadesse nel dominio de' Medici, con- 
ciossiachc la libertà di Genova avrebbe ricevuto un 
valido appoggio con quella di Firenze, e senza di 
essa trovavasi sola ed esposta a singolare pericolo: 
aggiungeva che le cose de' Francesi mal potevano 
reggersi in Italia, per -la ragione che quel Re, né vo- 
lontà aveva né indole adatta a comportarsi amorevol- 
mente, deliberato anzi a sacrificare tutti coloro che si 
affidavano a lui per la restituzione dei suoi figli, per 
ricuperare i quali, e per provvedere a se stesso, tutto 
avrebbe senza distinzione, e colla più vergognosa slealtà 
ceduto ali* imperatore. Essere pertanto sua opinione che 
bene avrebbe fatto Firenze a non abbandonarsi cosi 



70 

in balia di lui che non le rimanesse ancora modo di 
salvarsi patteggiando con Carlo. In questo avviso del 
Doria conveniva interamente il gonfaloniere e quelli 
altri che desideravano dare solide basi al nuovo go- 
verno popolare; e sebbene vi fosse un partito fiera- 
mente contrario, ciò nondimeno V Alamanni per com- 
missione dei Dieci recavasi parecchie volte ad Andrea 
Doria per conoscere da lui , quanto di più intimo e 
segreto si trattava in quel momento tra T imperatore, 
il Re ed il Papa. Infine tornava in Firenze, riferendo 
che il Doria con le galere andrebbe tosto in Ispagna 
a fare riverenza all'imperatore, e offeriva intanto alla 
città ogni favore appresso di questo. Parve quindi che 
r Alamanni si portasse col Doria in Ispagna,. e Firenze 
tenesse avvisata di quanto più importava alla salute 
sua. Infatti giunto colà, subodorò che il Papa praticava 
con Cesare cose importanti e nocive alla libertà della 
Patria, e senza più scriverne, che prudente non gli 
sembrò, per istigazione e consiglio dell' istesso Doria, 
si ricondusse in Firenze, e manifestò alla Repubblica 
come il Papa studiava modo di accordarsi con Carlo, 
e l'accordo seguito sarebbe, se questi gli dava pro- 
messa di rimettere il governo de' Medici in Firenze; 
che Carlo ancora a ciò deciso non era, ed aspettava 
se i fiorentini volessero dire o far nulla. Ammoniva 
sempre a nome del Doria, a considerare maturamente 
quel punto, il quale preso a rovescio avrebbe portata 
benissimo la rovina di quel governo. Il quale, abbin- 
dolato essendo dal partito francese, cui Francesco I, 



71 
avendone in quel momento più duopo, raddoppiava 
le promesse e le lusinghe, deliberò di starsi ad ogni 
patto colla Francia. 

Volli questo con minuti particolari raccontare, dimo- 
strando quali fossero gli intimi pensieri di Andrea Doria, 
e com* egli avvisasse di salvare la libertà di Firenze , 
coi mezzi non delle parole , ma dei più prudenti fatti. 
Poiché, se forza era che la libertà delle italiane città, 
potesse solo conservarsi coli' influenza straniera, tutto 
suggeriva in quel momento di sottostare alla prepon- 
derante imperiale, non potendo in alcun modo con- 
tarsi sulla fede e sull^ onore del Re Francesco I. Gli 
avvenimenti che seguirono dierono ragione al Doria, 
e noi gli rendiamo giustizia accennandone le ragioni. 

XXII. — Stringevasi la convenzione tra il Papa e 
Carlo V, addi 20 giugno 1529; ragioni gravissime l'uno 
e r altro stimolavano ad un pacifico accordo. Muoveva 
il primo, tornare la propria famiglia alla signoria di Fi- 
renze, con Alessandro de' Medici figlio di Lorenzo, quindi 
aiuti di forze, che le proprie non bastavano a schiantare 
la novella repubblica, e stabilità di favori per met- 
tere e mantenere in seggio il figlio o nipote. Il secondo 
tormentavano i torbidi di Germania sorti dalle novità 
luterane, che non bene avrebbero potuto comporsi, 
senza 1' opera del Pontefice , il quale ancora volevasi 
rendere affezionato, sia per ispiccarlo da ogni amicizia 
colla Francia, sia per ristabilire la pace in Italia, agi- 
tata sempre e sospesa fira le parti imperiale e firancese. 
Enorambi dunque mirando ad un fine, si affrettarono 



72 
a trattar di concordia, e Cario V inviò il cardinale di 
S. Croce a Roma commettendogli restituisse al Pon- 
tefice Ostia, Civita-Castellana, Civita- Vecchia, Viterbo^ 
ed altre terre che avea dovuto questi, ad ottenere li- 
bera la persona, porre in mano degli imperiali sac- 
cheggiatori. Intanto il re di Francia da tanti disastri 
abbattuto, tenero de' figliuoli rimasti in ostaggio, aven- 
done istanza dal Papa, mandava egli pure ambasciatori 
a Roma, e quivi ancóra uno straordinario vi giungeva 
del Re d'Inghilterra, tutti mostravano desiderare la 
pace, e Clemente VII esserne l'arbitro. Ma esso meglio 
a se che agli antichi amici provvedendo, spedito se- 
gretamente il vescovo di Vasone, maestro suo di casa, 
in Ispagna, conchiuse coli' Imperatore in Barcellona, 
separato dagli altri uno speciale ^trattato, la cui somma 
era: Avrebbe Carlo j' investitura del Regno di Napoli 
coir obbligo di un cavai bianco per annuo tributo alla 
chiesa, il giuspatronato di 24 chiese nello stesso regno ^ 
libero passaggio alle sue genti e la corona imperiale. 
Avrebbe alla sua volta Clemente VII la signoria in 
Firenze del nipote Alessandro de' Medici, cui Cario 
darebbe in isposa la propria figlia naturale Margherita 
d' Austria, aiuterebbelo alla ricuperazione di Cervia, 
Ravenna, Modena e Reggio, tenute dai Veneziani e 
dal duca di Ferrara. Queste principalmente, altre con- 
dizioni poi di minor momento si pattuivano tra Cle- 
mente e Carlo, rivolte a ristingere con più saldi nodi 
tra loro la recente amicizia. 
L' esempio del Pontefice' che aveva trattato separa- 



73 
tamente da' suoi alleati coli' Imperatore mosse Fran- 
cesco I a far altrettanto con questo dopo 46 giorni, 
sicché addi 5 agosto 1529, segui n^Ua città di Cambray 
la convenzione fra Carlo e il Re di Frància che fii 
detta la pace delle dame, perocché conchiusa tra Mar- 
gherita d' Austria zia del primo, e Luisa di Savoia 
madre del secondo. Principali condizioni furono: Re- 
stituiti sarebbero i figliuoli al Re, che pagherebbe al- 
l' imperatore un milione e 400 mila ducati, de' quali 
dugentomila al re d' Inghilterra ; cederebbe le terre 
tutte possedute nel regno di Napoli e nella Lombardia, 
non farebbe né alleanza, né concerto contro di Carlo 
con alcun principe o stato d' Italia o di ,Germania. 
Comprendevansi nel trattato per parte dell' Imperatore 
il duca di Savoia come suo alleato; per parte del Re 
i Veneziani, i Fiorentini, e il Duca di Ferrara, colla 
condizione però, se fra certo determinato tempo con- 
venuti si fossero delle differenze loro coli' Imperatore, 
locchè equivaleva ad abbandonarli alla discrezione di 
questo, di cui rimaneva pure in balia il Duca di Mi- 
lano che neppure nominavasi. 

Cosi dai tre maggiori potentati sacrificavansi gli altri 
minori Stati, e siccome tra i primi prevaleva l' Impe- 
ratore, cosi in suo pieno arbitrio era la fortuna e la 
vita loro. Alla repubblica di Genova toccò il più ver- 
gognoso inganno, per non dire il più nero tradimento 
per parte di Carlo. A lui Andrea Doria avea piena- 
mente dato se e la patria in potere ; con lettere parti- 
colari avvisatolo di mutare 1' ambasciatore Don Lopez 



74 

de Soria perocché sospetto, " come già residente in Ge- 
nova al tempo degli Adorni e di quelli amicissimo, oltre 
ciò lo avvisava che grandissime offerte gli si erano fatte 
per parte* del Re di Francia quand' egli volesse solo 

operare che la città rimanesse neutrale, ed egli averle 
tutte sdegnate, per cui chiudeva la lettera : V. M. può 

esser certa che fincV io viva , e se sarà possìbile anche 

dopo la morte, non mancarò mai d' esserli quel fidelissimo 

servitore che li son tenuto. 

XXIII. — Intanto il rifiuto del Doria spingeva il 
Re a considerar Genova apertamente per inimica, di 
guisa che il primo riscriveva all' imperatore supplican- 
dolo si degnasse talmente favorirla che le persone e i 
beni di essa non rimanessero in preda di firancesi, ma 
che fossero espressamente nominati ed inclusi nella 
pace, come di aderenti e devoti di S. M. secondo 
aveano fede e speranza in Lei, e secondo dallo amba- 
sciatore della Repubblica ne sarebbe più largamente in- 
formata. 

Infatti spedito si era all'Imperatore il conte Sini- 
baldo Fiesco, incaricato specialmente di ottenere da 
lui « che in ogni e qualunque pratica d' accordo, pace 
» o tregua che si concluda, si facci menzione espressa 
» della nostra libertà ». 

E r imperatore per dare apparente soddisfazione a 
siffatte istanze, inviava in Genova il nuovo ambascia- 
tore Francesco Gomez, in luogo del Soria, ordinan- 
dogli richiedesse al Senato se volesse che la Repubblica 
entrasse nel trattato di pace nominalmente o princi- 



75 
palmente da se, o come confederata di lui. La proposta 
portata al maggior Consiglio e da questo rimessa ai 
due Collegi e ai Supremi stava per risolversi, quando 
improvvisamente si senti la conclusione del trattato di 
Cambray senza che pure della Repubblica fosse fatto 
motto. Stupiti tutti rimasero per V indebita e fraudo- 
lenta omissione, ed affrettaronsi ad un nuovo tentativo; 
avendo certa notizia, che il 23 dicembre di quel- 
l'anno 1529 stringersi doveva un nuovo trattato tra 
l'Imperatore, il Papa, Francesco II Sforza Duca di 
Milano ed altri principi, fu rispedito a Carlo V lo 
stesso conte Sinibaldo Fieschi, con istruzioni: I^ Di 
fare in modo che la Repubblica venisse compresa nella 
lega che si stava trattando; 2**. Di procurare alla Re- 
pubblica medesima un diploma d' investitura dei luoghi 
di Novi, Cavi, Ovada, Fiaccone, sui quali vantava pre- 
tese; 3^ Di ottenere che il Duca smettesse dall' assu- 
mere nei proprii atti la intitolazione di T)ominus JanucB 
ma anzi esplicitamente rinunciasse ad ogni velleità di 
signoria sullo stato di Genova « acciò che per simili 
vani titoli col tempo non si venisse in scandalo ». 4°. In- 
fine che i mercanti genovesi potessero liberamente traf- 
ficcare in tutto il ducato di Milano. 

Le nuove rappresentazioni dell' inviato non ebbero 
nuglior eflFetto delle prime, segui il trattato, senzachè 
a questa volta pure il Cesare austriaco si degnasse far 
menzione della Repubblica che tanto sagrificio di onore 
e delle sue più utili ragioni avea fatto per lui; fii al- 
lora che con ispeciale lettera del 26 dicembre il Doge 



76 

e i Governatori se ne dolsero ricordando i servigi 
prestati, per i quali si era persuasi che S. M. avesse 
dovuto far loro grazia; « la quale mancando, conchiu- 
» devano, siamo pur restati alquanto meravigliati. Non- 
» dimanco, quando consideriamo la servitù e devotion 
» nostra e de tutto il paese verso detta Vostra Ce- 
» sarea Maestà , sotto V ombra de la quale pensemo 
» reggersi e mantenersi, insieme cum la prudenzia e 
» bontà di detta Vostra Maestà, si confortiamo e pro- 
» mettiamo ogni honesta grazia, e tanto più quanto 
» che le domandate di sopra, al debile judicio nostro, 
» non solamente sono giuste, ma riguardano la con- 
» servazione, quiete, e stabilimento di questa Repub- 
» blica; il che nun può esser se non congiunto col 
» servizio di detta Vostra Cesarea Maestà, la quale 
» cum quanto più affetto possiamo supplichiamo in 
» questi trattati disporre talmente le cose, che siamo 
» de queste honeste domande compiaciuti, etc ». 

Ma tutto era già disposto e condotto a termine, 
r Imperatore non avea voluto comprender la Repub- 
blica come sua alleata nel trattato di Cambray per non 
considerarla come stato uguale ed indipendente, né 
far valere le sue ragioni in quello dello Sforza per non 
ispogliarsi dei diritti che pretesi da questo sopra di Ge- 
nova doveansi da lui ereditarsi quando alla morte del 
Duca sarebbesi il milanese aggiudicato all' Impero, 
come infatti pochi anni appresso segui; mente sua era 
aver la Repubblica in ogni caso a sé dipendente e , 
soggetta; Andrea Doria si era posto in tal condizione 



77 
che ottener più oltre non poteva senza inimicarsi colui 
col nome e la potenza del quale lo stato per esso for- 
' mato in Genova poteva soltanto reggersi e conservarsi 
da lui e suoi discendenti, né Carlo era così poco ac- 
corto che non sei sapesse e non volesse cavarne tutto 
il profitto. Quind' innanzi noi, nello svolgersi dei suc- 
cessivi avvenimenti, assistiamo a un giuoco di segreti 
raggiri, di mene coperte, d' ipocrite protestazioni di 
devozione, di ossequio da una parte, di graziose pa- 
role, di fallaci promesse dall' altra, ma in questa e in 
quella la diffidenza, V inganno, la fi"ode turpemente si 
adoperaiK) e si avvicendano e lo stato intanto reg- 
gendosi a tali arti non avea vita né propria, né si- 
cura, e gli umori malsani vieppiù crescendo ilei corpo 
dell' inferma Repubblica, ne minacciavano ad ogni pie 
sospinto la rovina. Questo abbiamo . voluto notare 
affinchè si riconoscesse come di quanto segui pochi 
anni appresso fossero cagione non tanto li esterni av- 
venimenti, quanto le interne vacillanti ed ingrate condi- 
zioni politiche apparecchiate a riceverne ogni qualsiasi 
più avventurosa mutazione. 

XXIV. — In questo, i conchiusi trattati poneansi 
ad effetto, la repubblica di Firenze, mal giovando il 
valore de' suoi difensori, segnatamente di Francesco 
Ferruccio, per le armi riunite dell' Imperatore e del 
Papa, ma più pel tradimento di Malatesta Baglioni, ca- 
deva per sempre, venendovi stabilito con suprema au- 
torità e titolo di Duca Alessandro de' Medici; a Fran- 
Cesco Sforza restituivasi il ducato di Milano, riservati 



78 

però il Castello e la città di Como, che ritenevasi 
r Imperatore per guarentigia di certa somma di denaro 
che si era il Duca obbligato di pagargli; il Papa rice- 
veva Ravenna e Cervia , e V Imperatore alcune altre 
terre nella Puglia dai Veneziani; col Papa pure ricon- 
ciliavasi il duca di Ferrara deputando entrambi ad ar- 
bitro delle loro differenze lo stesso Imperatore, in 
mano di cui depositavasi la città di Modena. Con ciò 
la pace pareva, e sopra codeste' basi di subdole arti, 
di inganni, di tradimenti fondata, dovesse diffondere i 
suoi beneficii nel seno del mondo cristiano; tion ri- 
maneva che a farne più solenne e pubblica la mostra, 
e i due supremi capi della cristianità pensarono di porvi 
allora il suggello colla loro più intima unione, conce- 
dendo l'uno, accettando l'altro, la doppia corona di 
re d' Italia e d' Imperatore Romano , così la servitù 
religiosa e politica nonché d' Italia, d' Europa tutta ve- 
niva con la santità del rito fatta sicura. 

A cingere le ambite corone ponevasi in viaggio 
Carlo V; e Andrea Doria con quindici galee e con nu- 
meroso seguito di nobiltà italiana salpava dal porto di 
Genova per trasportare l' austriaco Cesare in Italia. 
Preveniva la sua partenza una lettera al Segretario 
Imperiale D. Francesco di Covos , dell' ambasciatore in 
Genova D. Gomez Suarez de Figueroa, addi 8 giugno 
del 1529, in cui ponevasi in diffidenza la persona del 
Doria, .dicendosi che s' egli era troppo potente perchè 
non fosse necessario alla causa di Spagna, si trattasse 
pure convenevolmente in aperto, ma non si mettesse 



79 
tanto di leggieri a parte dei segreti disegni, in tal guisa 
l'Imperatore, ove mutassero le circostanze, potrebbe 
senza molti ostacoli liberarsene. Questa lettera, oltre 
le altre ragioni che avevano di gelosia e di odio, fii 
cagione che i cortigiani tentarono d' insinuare nelF a- 
nimo di Carlo, sentimenti di livore e di avversione 
contro il Doria, sicché il dissuadevano dall' abbando- 
narsi tanto liberamente in sua balia in quel- viaggio, 
scongiurandolo a non commettere la salute di tanti 
regni, la quale nella conservazione della sua reale ed 
imperiale persona unicamente consisteva, a talento di 
uomo straniero che uso era di mutar massime e pa- 
droni a seconda delle speranze e delle congiunture che 
gli offerivano più larghi stipendii ed onori più segna- 
lati. Ma Carlo troppo era accorto e profondo cono- 
scitore degli uomini per non sapere che la morte sua 
nonché benefizio, recato avrebbe manifesto danno al 
Doria, che quello stato per esso fondato in Genova, 
e sopra il quale doveva esercitare tanta autorità e colla 
stessa trasmetterlo a' suoi successori, senza la potenza 
imperiale ito sarebbe in dileguo , né colla Francia potea 
sperare uguale fortuna, che delle parti, rimosse dal go- 
verno dei nobili popolari si aiutava, e specialmente dei 
Capela:(^^i, Adorni e Fregosi, i quali non avevano le 
stesse ragioni di attenersi alla Spagna dei nobili an- 
tichi che colà per negozi di banca e di commercio 
tenevano implicati i molti loro e ragguardevoli capitali, 
e quindi i larghi guadagni che ne ritraevano gli fa-. 
ceano stretti per interesse alla Spagnuola monarchia. 



8o 

mentre dalla Francia nulla da sperare, ma tutto ave- 
vano da temere. 

Né s' ingannando in queste considerazioni, ma giusta 
cogliendo T idea delle nuove condizioni politiche della 
Repubblica di cui era il Doria l' autore, non solo V Im- 
peratore non diede ascolto agi' insulsi consigli , ma 
profondamente certo di quello che si faceva con atto 
che a' meno veggenti parve di magnanimità, e a lui 
e al Doria non potea sfuggirne il vero senso, volle 
anzi di buon mattino un giorno in Barcellona, dove 
Andrea era giunto, imbarcarsi sulle galee di lui, e sa- 
lito senza V usata guardia sulla capitana, comandò che 
si salpasse dal porto, quasi desiderasse fare la prova 
della velocità del vascello, della disciplina ed esperienza 
de' naviganti; si sarpò e fatto un giro di alcune miglia 
tornossi, e Carlo si trattenne in quel frattempo a fa- 
vellare famigliarmente coli' ammiraglio, informandosi 
della scienza nautica, del modo di governo e di trat- 
tare la disciplina delle galee. Imbarcavasi poco dopo 
sopra l'armata di 35 galee, e altrettante navi, sulle 
quali salivano 9 mila fanti con mille cavalli, molti 
grandi e nobiH di Spagna di accompagnamento alla 
persona del Principe; isoffrirono venti gagliardi, il mare 
tempestoso, sicché pieno di travagli e di percicoli fu 
quel viaggio, infine dopo quindici giorni afferrarrono 
il porto di Vado. Ivi a nome della Repubblica reca- 
ronsi a complimentare l' Imperatore otto ambasciatori, 
capo dei quali Battista Lomellino che gli offerse le 
chiavi di quella città, e tutto quello che in suo ser- 



8i 

vigio potea far la Repubblica. Dagli ambasciatori venne 
a Genova accompagnato, ricevuto quivi trionfalmente; 
il Doge e il Senato, precedendoli tutta la nobiltà, lo 
ricevettero allo sbarco e seguitaronlo al pubblico pa- 
lazzo destinatogli ad alloggio, dove fu intrattenuto a 
spese del pubblico per tutto quel tempo che rimase 
nello Stato. 

XXV. — Intanto giungevano in Genova tre Car- 
dinali dal Papa inviati per fargli ossequio ed invitarlo 
a Bologna. Dapprima, scelta per quel solenne, impor- 
tantissimo abboccamento era stata Genova, come quella 
che meglio prestavasi per molte ragioni, e già si aveva 
esplorato sopra di ciò il governo della Repubblica, 
poscia, ed è fama per voler del Pontefice che non la 
stimò luogo abbastanza sicuro, né addatto alla segreta 
trattazione di quelle cose che voleva conchiudere col- 
r Imperatore , venne invece anteposta Bologna , che 
compresa trovavasi nei dominii della Chiesa e a lei 
soggetta. Quindi essendosi Carlo trattenuto per alcuni 
giorni in Genova, prese alfine le mosse per la Lom- 
bardia, e accomiatandosi da quella città regalò di ven- 
ticinque mila scudi Andrea Doria, ordinandogli di se- 
guirlo a Bologna; nella quale avealo preceduto Cle- 
mente VII colla sim corte quando Carlo vi comparve 
accompagnato da tanto numero di nobiltà spagnuola, 
italiana e tedesca che 1' ampio giro di quella città mal 
poteva capirla. Pontefice e Imperatore alloggiavano 
uniti nello stesso palazzo, ed insieme convennero di 
molte cose per la conservazione della pace, e più an- 

6 



82 

Cora del modo di porre un argine alle dottrine lute- 
rane, che allargatesi in Germania, già minacciavano di 
traboccare in Italia e in Francia. Ebbe poco dopo luogo 
la solenne incoronazione di Carlo V a Re d* Italia e 
Imperatore. Romano. Nella quale occasione curioso 
fatto accadde tra gli ambasciatori genovesi e senese , 
per ragione di precedenza. Non potendosi oggimai con- 
tendere di libertà e indipendenza, che cadute erano in 
Italia, si contendeva di più onorevole servitù, e di. chi 
tra gli stati ed uomini italiani dovessesi tenere in fatto 
di quella più distinto e pregiato. Ora V ambasciatore 
senese preceder voleva a' genovesi, eh' erano Francesco 
Fieschi, Niccolò Giustiniano, e Gio-Batta Lercaro, ve- 
nutisi a parole e queste tornando inadeguate, il Ler- 
caro che più giovane essendo in età de* compagni, 
sentivasi bollente rifluir nelle vene il sangue, scese 
repentino al paragone delle mani dando di una solenne 
guanciata sul viso al senese che fu obbligato a partirsi. 
Il fatto destando rumore, e movendo Carlo a fiero 
sdegno, ordinò che di là i genovesi ambasciatori sgom- 
brassero, ma il Lercaro intrepido ritrattosi dall' altra 
parte della capella, fermossi e stette, dicendo con ac- 
cento alto e risoluto, che la sua Repubblica essendo 
cosi benemerita dalla Santa Sede ' teneva quel posto 
meglio onorato che gli si addiceva fra la Corte Pon- 
tificia. Interposersi per i Sanesi il cardinale Piccolomini 
e per i genovesi il cardinale Cibo, e pregossi l'Im- 
peratore a definire il ridicolo piato, ma per allora noi 
volle, in appresso, una simile disputa sorta essendo 



83 

nella corte Cesarea, tra gli ambasciatori Ferraresi, 
Fiorentini e Genovesi, sentenziò egli a favore di que- 
st' ultimi, 

I veneziani negavano restituire a Carlo le terre di 
Puglia, e al Pontefice Cervia e Ravenna, il primo do- 
vendo partire per la Germania , né volendo quel!' ap- 
picco di qualche nuova commozione lasciarsi dietro 
di sé in Italia, dava incarico al Doria di appianare le 
differenze; ed egli un suo fidato. Federico Grimaldi, 
spediva a Venezia profferendosi mediatore presso di 
Cesare a quel Senato, il quale pretestando parole di 
ringraziamento, rispondeva non poter esser sicuro del 
buon animo dell' Imperatore, mentre T esercito di lui 
rompeva a continue devastazioni contro le terre Bre- 
sciane; in seguito per caldi uffici del Pontefice le terre 
in contesa vennero restituite tanto a lui come a Carlo. 

XXVI. — In questo, Ariadeno Barbarossa signore 
di Algeri, con poderose forze infestava le coste di 
Spagna accennando a Cadice, ricchissimo emporio del- 
l' oceano, Andrea Doria armava firettolosamente venti 
galee, e navigando contro di lui, avuta notizia che un 
capitano suo con parte delle navi e delle galee, en- 
trato fosse nel golfo di Cercelli muoveva contro di 
quella terra. Disbarcate le milizie sotto gli ordini di 

Erasmo Doria e Cristoforo Pallavicini vigorosamente 
assalivala, e sebbene disperata fosse la resistenza riu- 
sciva ad occuparla, parte dei barbari chiudendosi nel 
castello, parte sparsi e disordinati fuggendo alla cam- 
pagna , ma i vincitori avuta la terra^ disordinandosi 



84 

-davansi al più crudele saccheggio, allora i mori ritrat- 
tisi nel castello prorrompevano sui saccheggiatori, e 
rinforzati dai terrazzani dal patito saccheggio inferociti, 
gli uni e gli altri ne menavano strage, sicché intiera 
rotta sarebbe toccata a' Cristiani, se rinsaviti e riuni- 
tisi insieme sotto i capitani, opponendo valida difesa, 
protetti dal cannone delle galee non si fossero ritirati 
al mare. 

Nello stesso tempo sei vascelli con un galeone spe- 
divansi comandati da Michele Deferrari contro Gagliego 
corsaro di Valenza, il quale con due grosse navi sco- 
razzava pirateggiando per il mare inferiore dMtalia. 
Erano col Gagliego molti fuorusciti genovesi , ed altri 
uomini arrisicati delle Riviere. Il commissario della 
Repubblica, Antonio Defranchi , che navigava sopra 
quei legni, avea ordine che preso il corsaro con quanti 
si trovavano, tutti facesse impiccare, ma non gli venne 
fatto, poiché il Gagliego salvavasi nei porti di Spagna, 
donde poi fatto prigioniero , per ordine di Carlo 
fii dannato a morte. Tuttociò fé' intanto sentire alla 
Repubblica il bisogno di meglio ordinare le proprie 
difese, quindi fortificaronsi le eminenze dei monti vi- 
cino alla città, posesi mano a ristaurare lo sdruscito 
forte del Castellacelo, e in molti punti si ripararono 
le mura da molto tempo trascurate e cadenti in rovina; 
si diede facoltà di tener armate venti galee, si stabili 
un fondo permanente per le spese della Repubblica, 
di un granaio per il mantimento della città; e per T oc- 
corrente dispendio, quando non bastasse il ritratto della 



8S 

gabella, della macina e dell' olio, rifarsi con un nuovo 
balzello sopra il sale ed il vino, si ricorse infino a 
S. Giorgio, dandogli per i nuovi prestiti quanto get- 
tavano le poste gravezze, colla fondazione eziandio di 
maggiori luoghi nelle compere di quello. Si modera- 
rono ad un tempo stesso le doti trascorrenti ad ec- 
cesso; riformar onsi la Ruota e gli altri magistrati cosi 
civili come criminali, alleggerironsi i carichi della Do- 
gana, e si provvide alla più sicura e regolare circola- 
zione del contante; infine fii deliberato che a' Collegi 
appartenesse 1' elezione dei Padri del Comune con due 
terzi di voti, e i soggetti di quelli in varii tempi en- 
trassero ad esserne i membri, di guisa che la parte am- 
ministrattiva che fino allora si era conservata indipen- 
dente dal governo, fii anche a questo soggetta. Seguite 
queste riforme e provvidenze per meglio far sicuro e 
stabile il nuovo ordine interno, si rivolse all'esterno, 
a rendere pacifiche e^ durevoli le relazioni della Repub- 
blica coi diversi stati. Si mandarono quindi ambasciatori 
al Duca di Milano, non tanto a congratularsi secolui 
del ducato restituitogli dall'Imperatore, quanto ad in- 
durlo a conservare i reciproci confini accennati nel 
precedente trattato di lega, dove erasi convenuto il 
patto dell* ufi possidetiSy ovvero di mantenere i possessi 
come eguali allora si avevano tra l'uno e l'altro Stato. 
Ma il più che alla Repubblica tornava di grave im- 
portanza era di rannodare le antiche amichevoli com- 
merciali corrispondenze colla Francia, poiché il Re 
Francesco altamente sdegnato come essa si fosse ri- 



86 

stretta cosi intimamente coli' Imperatore , vendicavasi 
deir offesa perseguitando dovunque i genovesi, ed ogni 
commercio ne aveva loro chiuso e vietato nelle Pro- 
vincie della Provenza e del Delfinato con gravissima 
jattura degl* interessi e degli stati della Repubblica. 
Nella presente occasione, per assistere al solenne giu- 
ramento che il Re Francesco doveva prendere 'sopra 
la pace dianzi conchiusa in Cambray, gli si spedì 
Francesco Spinola ambasciatore, ed ebbe speciale istru- 
zione non solo che Genova fosse riconosciuta per con- 
federata coir Imperatore, siccome compresa nel trattato 
di pace, ma il solito commercio venisse a suoi nazio- 
nali restituito nei porti della Provenza e del Delfinato. 
Lo Spinola sebbene si adoperasse singolarmente a que- 
st* ultimo fine, nulla potè ottenere, che il Re gli negò 
ogni udienza, né i suoi ministri gli diedero più lusin- 
ghieri affidamenti. Però sullo scorcio di quest'anno 1530 
più benigno ricevimento incontrarono i nuovi ambascia- 
tori Girolamo Defornari e Girolamo Grimaldo Cebà, 
che in qualità di straordinari recaronsi in quella corte 
per assistere alla incoronazione di Eleonora, sorella 
di Carlo V, nuova moglie dello stesso Francesco I. 
Parve questi mitigato mostrarsi loro dell'animo colla 
Repubblica, quantunque i firancesi pretendessero, che 
non espressamente nominata nel trattato, neppur vi si 
dovesse considerare per virtualmente . compresa. 



CAPITOLO TERZO 



Funesti effetti dei trattati di Barcellona , Madrid e Gimbrai, disegni di Francesco I , 
nei qtiali ùl entrare il Pontefice Clemente VII; lamentevoli condizioni del Com- 
mercio dei Genovesi, impedito dai divieti, e infestato dalle piraterie del governo 
di Francia ; fiera tempesta nel porto di Genova seguita da un terribile incendio ; 
ascrizioni alla nobiltà ; V esercito turco e l' imperiale si trovano a fronte senza 
venire a combattimento , perchè il primo è costretto ad accorrere alla difesa della 
Morea onde impedire le conquiste che vi andava facendo Andrea Doria; il Ponte- 
fice Clemente VII spaventato dai favorevoli successi delle armi imperiali rompe 
ogni trattativa con Francesco I e si ristringe con Carlo V ; abboccamento in Bo- 
logna , progetto di lega tra gli Stati italiani , in prima osteggiato, e poi conchiuso; 
Ambasciatori dei genovesi coli per muovere l' Imperatore contro il Re di Francia 
a tutela del loro commercio ; venuta in Genova di Carlo V , ospitato principesca- 
naente da Andrea Doria nel suo palazzo di Fassolo ; matrimonio di Catterina de* 
Medici nipote del Papa con Enrico figlio secondogenito di Francesco I ; viaggio 
del Papa a Marsiglia, suo incontro colà, e particolari concerti col Re di Francia, 
sua venuta ed accoglienza in Genova; tentativi di conciliazione tra la Repubblica 
e Francesco I, specialmente pel ristabilimento delle relazioni commerciali inter- 
rotte dalla perfidia del Duca di Milano; preparativi guerreschi fatti dalla Francia, 
accompagnati da congiure ordite contro il nuovo governo stabilito dal Doria in 
Genova, scoperte e punite colla morte dei loro autori. 



XXVII. — I trattati di Barcellona, di Madrid e di 
Cambray, le incoronazioni di Bologna piuttosto che 
definire le questioni e pacificare gli Stati d' Italia e di 
Europa non aveano che meglio commossi gli animi, 
non solo de' popoli caduti in turpe servitù, ma de' 
principi stessi che n' erano stati essenziale cagione. Dava 
a tutti sospetto l'Imperatore che l'esercito suo il quale 
condotto aveva Alessandro de' Medici ad essere ia 



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luogo della Repubblica signore di Firenze, ancora te- 
nevasi ordinato e minaccioso in Italia, con tanta sua 
spesa, ed incomodo e terrore degl' italiani popoli. Ftan- 
ceso I apertamente mostrava che addivenuto era a 
quelle pregiudizievoli condizioni per sola impazienza 
di liberare i figliuoli, né certo avere in animo di os- 
servarle; vedevasi anzi inclinato a seguitare i consigli 
de* suoi ministri che stimolavanlo a nuova guerra 
contro il Duca di Savoia e la Repubblica di Genova, 
le quali due imprese, dicevano, potersi agevolmente e 
giustamente fare, sia perchè lontano V Imperatore, de- 
boli le Provincie, disuniti i principi, malfermi e sgan- 
nati i popoli per le nuove ed ingrate loro costituzioni, 
sia perchè, il Duca di Savoia come principe italiano 
soltanto si era compreso nel trattato di pace, né già 
come sovrano delle sue provincie d' oltremonte; né la 
Repubblica di Genova doversi tenere in conto veruno, 
imperocché trattavasi di uno stato soggetto alla Francia 
e a questa ribellatosi. 

A questi torbidi umori che ribollivano nelle intime 
parti delle potenze d' Europa, si aggiungeva a farne te- 
mere più pericoloso lo sfogo , il Pontefice stesso , il 
quale non era pago che l'Imperatore gli avesse colle 
armi proprie fatta sicura la signoria di Firenze al ni- 
pote o figlio suo Alessandro de' Medici, congiungendolo 
ancora in matrimonio colla figlia Margherita d'Austria, 
ma profondamente mostravasi irato con lui, comeché ar- 
bitro nelle controversie tra il Duca di Ferrara ed esso per 
Modena e Reggio , tuttoché lo avesse per siffatta pratica 



89 

affidato in Bologna, dichiarato aveva quelle città essere 
feudo imperiale e dovessero appartenere al Duca; e di 
Ferrara collo sborso di loo mila scuti, e il solito annuo 
censo alla Chiesa, gliene avesse il Pontefice ad accor- 
dare la investitura; mentre Carlo, opponente tuttavia 
il Papa, restituiva Modena al Duca. Francesco I subo- 
dorati questi tristi umori, divisava di meglio intorbi- 
darli , e farne suo prò , proponendo a Clemente VII 
le nozze di Catterina de' Medici sua nipote con Enrico 
Duca di Orleans secondogenito di Francia. 

XXVIII. — Intanto le sorti della Repubblica non 
solo incerte, ma correvano funeste, e sfavorevoli, peg- 
giori ancora in questo tempo di pace che noi fossero 
state in quello della recente guerra. Gli armatori fi'an- 
cesi per ordine, certo, e consentimento del Re depre- 
davano navigli e mercanzie, espulsi erano i genovesi 
dai porti della Provenza^ e del Delfinato, trattati da ne- 
mici. Il nuovo governo si era per la loro mediazione 
rivolto air Imperatore e al Papa affinchè facessero 
opera col Re a cessare gli effetti di tanta ostilità , 
ma il primo avvolto come trovavasi nelle guerre di 
Germania ben altre cure il preoccupavano che quelle 
di attendere seriamente alle lagnanze dei genovesi ; e 
il secondo che già colla mente affrettava la conclusione 
dell'ambito connubio non voleva guastarsi col Re, né 
gli rincresceva questa ruggine tra la Repubblica e la 

Francia essendo di suo interesse presente che quelle 
cagioni inducessero i genovesi ad accostarsi com' egli 
faceva all' alleanza con Francesco. Intanto , i travagli 



92 

V 

tite le vittorie inopinate e le conquiste della Morea 
colla ritirata di Solimano, si ristette, e ad altro tempo 
più propizio rimandò il divisato tentativo. Né dissimil- 
mente si comportò il Pontefice , il quale posto in isgo- 
mento dalle prosperità imperiali in Morea, e dall'im- 
minente ritorno in Italia di Carlo, ruppe di botto ogni 
pratica d' accordo con Francia e mostrò di meglio vo- 
lere ristringersi col primo. Il quale infigendosi ignaro 
di quei maneggi , e bastandogli che la sola autorità 
del suo nome gli avesse mandati in dileguo, propose 
al Pontefice un abboccamento in Bologna per ivi cogli 
altri principi trattare di tutto ciò che potea far sicura 
la pace e la quiete della penisola. Si radunarono in- 
fatti in quella città Carlo e Clemente VII, insieme a 
ministri e ambasciatori dei vari stati e principi italiani. 
La Repubblica vi mandò Ansaldo Grimaldo, Tommaso 
Cattaneo e Paolo Battista Giudice. Questi nella prima 
udienza fecero congratulazioni all' Imperatore per le 
vittorie di Morea , per il felice arrivo suo in Italia ; 
ma nelle successive esposero quanto più cuoceva alla 
Repubblica dicendo che il re di Francia seguitava a 
molestarla colle più crudeli ostilità, considerava i ge- 
novesi come i più crudeli nemici, ogni maniera di co- 
municazione, ed ogni agio o necessità di commercio vie- 
tando loro in modo eh' era contrario allo stesso diritto 
delle genti in fatto di popoli confinanti. Questa insolita 
ed ingiusta guisa di procedere, aggiungevano essi, altro 
fine non avesse che separare la Repubblica dalla sua 
unione coli' Imperatore facendole violenza affinchè fosse 



93 
costretta a collegarsi con lui. Nel che, s' egli viveva in 
errore, che non mai avrebbe rinunziato alla propria li- 
bertà, né disgiunta si sarebbe dal magnanimo suo benefat- 
tore , temer ben si doveva che il malcontento de' suoi 
popoli immiseriti dal difetto di ogni più utile traffico colla 
Francia, V astringesse per naturale indebolimento a 
qualche pericoloso partito; quindi essere di suprema 
necessità eh' ei la sollevasse da tanta calamità o col- 
r autorità o coli' armi. Notavano, averne l'Impera- 
tore tanto più obbligo in quanto che quelle molestie 
erano una rappresaglia dei danni toccati a' francesi 
d' Andrea Doria mentre si trovava combattendo al suo 
servizio; conchiudevano, desiderare che nella rinnova- 
zione della lega , tali condizioni si apponessero a far 
salva la Repubblica dai lamentati disastri. 

Rispondeva benigno l' Imperatore ai genovesi legati, 
che sebbene di molto gli stesse in cuore il benessere 
della Repubblica , non aver potuto com' ei bramava , 
muovere ancora ad aiutarla e difenderla efficacemente, 
occcupato ed impedito dalla guerra coi Turchi; ma di 
presente , secondochè essi stessi vedevano , radunato 
avere quel Congresso per provvedere con certi e sta- 
bili modi alle sorti d' ItaUa , e specialmente a quelle 
della loro Repubblica ; si confortassero , e riferissero 
eh* egli aveva in animo di proporre e far adottare tali 
rimedii che avrebbero posto freno a chi era cagione 
di tanta rovina, né aspirava che a turbare continuo lo 
stato della Cristianità. 

E alle lusinghiere parole volendo seguitassero i più 



94 

utili effetti, ai convenuti ambasciatori, e principi in Bo- 
logna dimostrava la necessità di stringersi più intima- 
mente in una lega a difesa comune, per cui i francesi 
uscendo di speranza di eflfettuare quei disegni che pò-, 
nevano a cqntinuo cimento la pa^ce del mondo, avrebbe 
egli potuto sciogliere V esercito, di tanto incomodo a 
se per l' enorme dispendio, e di naturale gelosia altrui. 
Ma prima di scioglierlo voleva far sicuri la Repubblica 
di Genova e il Duca di Savoia principale segno delle 
ostilità del Re, che pretestava poterli inquietare e com- 
battere senza violazione dei trattati di Madrid e di 
Cambray. Quei due stati doversi specialmente assicu- 
rare e difendere dalla lega, perocché entrambi custodi 
essendo delle porte d' Italia, nella loro sicurezza e di- 
fesa, riposava la forza e la libertà di quella. 

Senonchè , i principali dei convenuti non credendo 
che alla lusinga dei detti rispondesse la sincerità delle 
intenzioni imperiali , cominciarono ad ondeggiar ne' 
partiti, e primi i Veneziani negarono di aderire alla 
nuova lega adducendo che nell'antecedente, ei si erano 
soltanto obbligati alla difesa del regno di Napoli e del 
ducato di Milano , né volevano adesso astringersi a 
maggiori obbligazioni. Il Pontefice togUendo il destro 
di quel rifiuto , tergiversò , allegando che meglio era 
continuare nella prima lega, affinché non concorrendo 
nella proposta i veneziani, non paresse esistere cagioni 
di dissenso fi'a essi e l' Imperatore. Il Duca di Ferrara 
ricisamente rifiutossi, sia perché non avesse né denari, 
né forze che bastassero per sostenere sé stesso, nonché 



95 • 
a difesa di altrui, sia perchè avendo a nemico dichia- 
rato il Pontefice, conveniente non era di entrare seco 
in una lega. Tutte queste ragioni mosse piuttosto dal 
.timore di accrescere colle armi proprie la potenza im- 
periale in Italia, che da ciò che apparentemente signi- 
ficavano, si opposero per allora ai disegni di Carlo V, 
il quale però prevalendo alfine coli' autorità sopra di 
tutti, vinti gli ostacoli, la lega ebbe effetto, eccettuati 
i Veneti che ricusarono ad ogni patto di parteciparvi. 
Pertanto nei primi giorni del 1533 confederavansi il 
Pontefice, l'Imperatore, il Re dei Romani, i Genovesi, 
i Fiorentini, i Sanesi, i Lucchesi, i Duchi, di Milano, 
di Savoia e di Ferrara per lo spazio di sei mesi ob- 
bligandosi a tener quieta V Italia , e a difenderla in 
guerra contro di coloro che tentassero di perturbarla 
concorrendovi colle armi e col denaro ; e per que- 
st' ultimo obbligavansi in ciascun mese l' Imperatore 
a 30 mila- ducati , a 20 mila il Pontefice per se e i 
Fiorentini, a io mila il Duca di Milano e quel di Fer- 
rara, a 6 mila i Genovesi, a 2 mila i Sanesi, a mille 
i Lucchesi; della poca somma i Genovesi, e dell'es- 
serne del tutto esente il Duca di Savoia era ragione 
il danno gravissimo per essi sofferto nelle passate 
guerre, la continua difesa de' confini cui si trovavano 
costretti contro gli assalti de' fi-ancesi. Seguita la nuova 
lega r Imperatore per meglio cattivarsi l' animo del 
Papa, e tirarlo dalla sua parte, gli offerse di maritargli 
la nipote col Duca di Milano, ma quegli ringraziando, 
ricusò, sperando di provvedere in più utile modo a' 



. 9^ 

suoi interessi , col vagheggiato parentado del Re di 
Francia, cui anzi si uni subitamente per due cardinali 
che questi gì' inviò i quali conchiusero la pratica. Cle- 
mente VII fece scusa con essi, mostrando che la nuova 
confederazione non poteva recare danno alla Francia, 
perocché ninno de' confederati voleva in fondo osser- 
varne i patti, che anzi avrebbe avuto per sicuro effetto 
lo scioglimento dell' esercito imperiale e cosi data fa- 
coltà sarebbe al Re di scendere Uberamente in Italia. 
XXX. — Volgendo i primi mesi dell'anno 1533 
conducevasi in Genova l' Imperatore , gli andavano 
incontro a' confini Stefano Raggio, Gio-Batta Lomel- 
lini, Filippo Dinegro e Simone Mortaro, ambasciatori 
della Repubblica, a metà via si aggiungevano loro 
altri 16, e nella valle di Polcevera veniva ricevuto dal 
Doge Battista Lomellino eletto di fresco e dai Senatori, 
accompagnato dai quali pigliava egli alloggio nel pa- 
lazzo a Fasciolo di Andrea Doria. Era questi a grande 
ricchezza e potenza salito, perocché oltre ciò che ri- 
tratto avea dalle spedizioni sue vittoriose e dal fissato 
annuo assegnamento per le 15 galee, per l' Imperatore 
era stato provveduto di onorevole trattamento e con 
generose mercedi ricompensato , col dono eziandio del 
ducato di Melzi nel Regno di Napoli che gettava 40000 
scudi all' anno. Per cosi grande mutamento di for- 
tuna , che in povertà era nato , Andrea il sontuoso 
palagio faceva di meravigliose pitture e sculture dei 
più valenti pittori e scultori adornare , forniva di 
preziose suppelletili, sicché potea meglio ad una reggia 



97 
di sovrano principe che alla dimora d' un privato 
cittadino rassomigliare. Ivi accolto a superba magni- 
ficenza Carlo V , quanto vi si trovava contenuto 
di ori e di argenti, e sontuosi arredi tutto il Doria a 
lui profFerse, e quegli accettando, pose per condizione 
serbassesi tutto fino al suo ritorno in Italia. Dodici 
giorni soggiornò in Genova, e di titoli, e di onoji 
largheggiò a molti de* nobili ; partì alla volta di Spagna 
con trentasei galee comandate dal Doria, il quale nel 
ritorno soccorse a Corone in Morea assediata stretta- 
mente dai turchi, e la rese sicura. 

XXXI. — Al Pontefice per la {Partenza di Carlo 
dall' Italia venuto essendo meno il timore che aveva 
di lui, davasi egli sollecitamente al parentado della ni- 
pote col secondogenito del Re di Francia, trattava di 
un abboccamento con questo nella città di Nizaa, ma 
siccome il Duca di Savoia non volea alienarsi V animo 
deir Imperatore, oppose ostacolo alla concessione della 
rocca che gli si richiedeva a quel fine. Allora Cle- 
mente VII decise condursi di persona in Francia. 
Quindi una squadra di galee firancesi navigò a Porto 
Pisano, e colà imbarcata Caterina de' Medici la portò 
a Nizza, ritornata la flotta in Porto Pisano il Papa 
con molti cardinali vi salivano sopra, e prosperamente 
navigando giunsero al porto della Spezia ; Ansaldo Giu- 
stiniani , Giacomo Grimaldi , Vincenzo Pallavicini , e 
Francesco Doria in nome della Repubblica vi si reca- 
rono ad ossequiarlo, ma tosto ne ripartirono, Sjentendo 
che con celerità egli desiderava di continuare il viaggio 

7 



98 

senza entrare in alcun porto della Liguria, avrebbe 
bensì, al suo ritorno accettati gli onori, e le fauste ac- 
coglienze che la Repubblica gli facesse. Veleggiava fe- 
licemente a Marsiglia dove già stava ad attenderlo 
Francesco I; presero entrambi stanza nello stesso pa- 
lazzo, e celebrato e consumato il matrimonio di Enrico 
con Catterina che vi si era da Nizza trasferita, avvi- 
sarono quindi al miglior modo di collegarsi più stret- 
tamente insieme; proponeva il Re lo aiutasse all' a- 
cquisto del milanese per Enrico ora marito della nipote, 
e volesse ancora venire a qualche onesto termine di 
accomodamento col Re d' Inghilterra che in ispregio 
della Sede Apostolica ripudiata la moglie Caterina di 
Aragona, aveasi tolta seco Anna Bolena; ma alla prima 
proposta non volle Clemente VII pubblicamente ob- 
bligarsi non lasciando però di dare al Re promesse e 
parola che a tempo più maturo lo avrebbe in ciò sod- 
disfatto; della seconda non si potè ottenere un utile 
effetto opponendovisi i modi intemperanti, e li sconci 
costumi deir inglese monarca , di guisa che lo stesso 
Francesco ebbe ad abbandonarne il pensiero. Ciò fatto, 
soggiornato essendo il Papa per un mese in Marsiglia 
parti di là sopra le galee francesi alla volta di Savona, 
dove lasciate quelle, e postosi al bordo delle genovesi, 
e di alcune di Andrea Doria navigò a Civitavecchia, 
e da questa tornossi a Roma. Ma poco tempo potè 
godere della nuova fortuna, che in breve venne colto 
da morte, succedendogli nel pontificato il Cardinale 
Farnese col nome di Paolo III. 



99 
XXXII. — Interrotta sempre durava ogni commer- 
ciale relazione colla Francia con grave jattura della 
Repubblica, con molestia de* popoli, e dispetto loro 
contro il nuovo governo che dall' esserci tutto dato 
in balìa dell'Imperatore a lui ne riferivano la sola e 
vera cagione, quando un Pier Francesco Noceto ge- 
novese fatta avendo lunga dimora in Francia , prima 
di tornare in patria volle riappicarne nuove trattative 
col contestabile Signor di Montmorancy; questi accettò 
di ripigliare il negozio , e tenerne ragionamento col 
Re dove prima dalla Repubblica ne venisse la domanda; 
della quale cosa fatto tosto conscio il Governo , si 
mandarono perciò a quella Corte Gio-Batta Lercaro, 
e Benedetto Vivaldi; abboccavansi essi col Contesta- 
bile , indi presentatisi al Re , gli chiesero licenza di 
trattarne con quello, e avutala, già tanto si era pro- 
ceduto innanzi nella pratica che a' convenuti capitoli 
la sola regia firma mancava, quando con lusinghiere 
speranze, e con modi cortesi vennero accommiatati. Del 
subito mutamento si diede ragione che in quel mentre 
Francesco alterato oltremodo nelF animo per uno scel- 
lerato fatto avvenuto in Milano , deliberato aveva 
nuova guerra in Italia, e perciò certi maneggi ripresi di 
congiure e di sediziosi moti in Genova, non volle quindi 
per senso di lealtà affidarla con un trattato che ne avrebbe 
posto in evidenza la perfidia. E di vero, un cotale Mo- 
rigia dopo 25 anni di soggiorno in Francia che tanto 
ito era innanzi colà nei regi favori da divenire scudiero 
del Re, desideroso di rivedere la patria correndo V anno 



100 

di grazia 1535 tornava in Milano; lietissime accoglienze 
gli si faceano dal Duca, servendogli di efficace entra- 
tura il proprio nipote Francesco Taverna Cancelliere 
ducale, anzi lo Sforza mostrò desiderio che rimanesse 
presso di sé quale ambasciatore del Re, ma sic- 
come ciò avrebbe posto in grave sospetto Y Impera- 
tore, si addotto a temperamento che in secreto tenute 
si sarebbero le lettere credenziali, palesi soltanto le 
commendatizie del Re, ostensibili ad ogni evento. 
Seguito r accordo, il Morigia restossi in Milano, e con 
tanto favore, ed insolita frequenza ricevuto dal Duca 
che sorse, come si temeva, profondo il sospetto nei 
ministri imperiali i quali lo trasmisero ali* Imperatore 
medesimo , a tale che fieramente indignato contro il 
Duca, e presolo in diffidenza, stava per rompere il 
matrimonio di Cristierna figlia del Re di Danimarca, 
e suo nipote già stabilito con quello. Lo Sforza, tra 
perchè di natura pusillanime, tra perchè infermiccio e 
debole di corpo , che già , come fu scritto , il veleno 
propinatogli gU rodeva le viscere, tentò giustificarsi, 
e mise fuori le reali commendatizie, ma non bastarono, 
r Imperatore non gli die fede, il Duca a procacciarsela 
con qualche segno più persuasivo , tes^ un insidioso 
agguato al Morigia; tolse a pretesto una contesa da 
lui avuta con un nobile di casa Castiglione, per la 
quale venuti alle mani i domestici suoi, con gli sgherri 
di questi , n' erano gli ultimi rimasti feriti e malconci. 
Volendosi ora tenere del premeditato tafieruglio autore 
principale venne il Morigia imprigionato , e nel giro 



lOI 

di tre giorni troncatogli il capo e al pubblico esposto. 
Come del doloroso fatto ebbe notizia il Re, fiera- 
mente ìnfianmiato d*ira se ne dolse col Duca, cogli 
altri principi, coli* Imperatore istesso, cui per vitu- 
perio del primo rimise gli originali delle lettere che 
il Morigia abilitavano e riconoscevano a suo amba- 
sciatore; indi dato di piglio alle armi prorompeva 
a nuova guerra in Lombardia; approssimandosi però 
il verno, ne differì il cominciamento alla più propizia 
stagione. 

E agli apparecchi guerreschi cui si poneva mano in- 
defessa, volendo congiungere tutti gli altri spedienti che 
poteano favorirne ed avvalorarne il successo, il Re 
francese rappiccava le intelligenze in Genova colla fa- 
zione dei popolari affinchè al moto delle armi sue ri- 
spondesse quivi qualche politica commozione che T a- 
iutasse. Diffatti il nuovo governo che vigilava con in- 
quieta cura alla propria sicurezza venne in cognizione 
che un Agostino Granara, un Corsanico e un Tom- 
maso Sauli, dei quali i primi due molta autorità eser- 
citavano sulla plebe, e il terzo era nobile popolare e do- 
vizioso, trattato avevano col Re francese , offerendosi 
il Granara e il Corsanico di destare un tumulto di 
plebe, quando egli con un certo numero di pronte 
navi lo avesse aiutato. Il Sauli essendo in Bologna 
aveva fatte al cardinale Agramente le stesse promesse 
col favore dei nobili popolari che molti erano dalla 
sua parte, capitali nemici degli antichi venuti al pos- 
sesso della Repubblica. Scopertasi la trama, il Gra- 



102 



nara e il Sauli furono decapitati. Il Corsanico salva- 
tosi colla fuga, cadde alcun tempo dopo nelle mani di 
Andrea Doria , che senz* altro lo fece sommergere in 
mare. 



CAPITOLO QUARTO 



Grtnde armamento ed impresa contro di Tunisi; sotto gli ordini di Andrea Doria« 
presente Carlo V, presa della Goletta e della città di Tunisi, fuga del Pirata 
Ariadeno Barbarossa che ne avea usurpato il dominio, ristabilimento del Sovrano 
Muleassen che n* era stato espulso con obbligo di omaggio all' Imperatore Girlo V. 



XXXIII. — Mentre questi fatti teneano in grande 
agitazione gli animi, deliberavasi T impresa di Tunisi. 
Ariadeno Barbarossa rinegato greco dell'isola di Mct 
telino pirateggiando con 70 galee infestava il mare 
inferiore di qua dal Faro, e minacciava il ligustico, né 
con quelle forze soltanto, ma con altre maggiori di 
una nuova armata che allestivasi in Barberia. Di re- 
pente però il formidabile Pirata, dato il guasto ai lit- 
torali di Napoli e Sicilia si volta incontro l'Affrica, 
afferra Tunisi, ne occupa la città, ne caccia Muleassen 
che n* era il sovrano. La quale occupazione appena fu 
nota fece con ragione temere che il Barbarossa da 
quell' importante stazione si potesse in breve tratto pre- 
cipitare sopra tutte le coste del Mediterraneo. A que- 
sto pericolo si aggiunse il nuovo danno che Corone 
nella Morea conquistato per la flotta di Andrea Doria 



104 

venne ripreso dai Turchi, ritrattosi il presidio degli 
Spagnuoli in Sicilia. 

Prevalevano quindi i Turchi, e Francesco alleato di 
quelli, il mare turbato era ed infestato, V Italia in balia 
di nuova guerra, Genova più che altra sua città espo- 
sta a tutti pericoli. Il nuovo governo temendo la so- 
prastante procella teneva pronti vascelli e navi, aumen- 
tava presidj, ordinava a' scelti starsi preparati ad accorrere 
al soccorso delle terre invase, visitavansi le mura, e tro- 
vato avendo che alcune caverne erano state aperte ad 
arte sotto di Carignano, donde da esse nella città, e 
dalla città poteasi liberamente ad esse comunicare, strug- 
gevansi, e riempiute ed otturate venivano con sassi; 
deputavansi ancora cinque capitani che sorvegliassero 
alla difesa e sicurezza dei diversi quartieri della città. 
Ciò fatto, davasi sollecita opera all'armamento delle 
galee che doveano destinarsi all' impresa di Tunisi, di 
cui capitano generale eletto dall' Imperatore era An- 
drea Doria. Il Pontefice cui stava a cuore la spedizione 
perocché libero da quelle paure che nell' animo suo 
mantenevano le infestazioni turchesche, desiderava di 
provvedere stabilmente alle cose italiane, non senza 
disegno di migliorare le proprie, quanto più potea cal- 
deggiavala, e avutane facoltà dalla Repubblica armava 
quivi nel porto nove galee fornite di gente libera a 
soldo, le quali poi con tre galee congiunte, tutte in- 
sieme commetteva agli ordini di Virginio Orsini. Nello 
stesso tempo ad onorare il Doria, gli spediva uno stocco 
consecrato col manico tempestato di gemme, e il fo- 



105 

dero a vaghi disegni scolpito, ed un cappello di vel- 
luto, doni, e particolari distintivi soliti dai Pontefici a 
concedersi ai principi che più avessero ben meritato di 
Santa Chiesa. 

XXXIV. — Ferveva V opera dell' armamento che 
componevasi di novanta galee; 15 di Andrea Doria, 
cinque di Antonio Doria, due di Onorato Grimaldi 
Signore di Monaco, di Visconte Cigala altrettante, tutte 
queste con danari di Carlo assoldate; a spese della 
Repubblica erano 12, le quali unite alle nove del 
Pontefice, ebbero in quel tempo i Genovesi in mare 
45 galee. Delle navi il numero fii maggiore di 200, 
delle quali 37 armate in Genova; le milizie che le sa- 
lirono giunsero a quasi 40 mila uomini; nobili in. gran 
copia vi si trovavano fra i più cospicui di Spagna, 
Fiandra ed Italia ; nobilissimi molti condottieri, de' Ge- 
novesi Agostino Spinola e Giovanni del Carreto; le 
altre 45 galee appartenevano ai principi collegati 
negli stati e regni dell' Imperatore apprestate. 

Cosi fatta flotta veleggiava per Barcellona dove tolto 
seco r Imperatore sulla Capitana Reale mirabile per 
isquisitezza d' interno lavoro, magnificenza di arredi, e 
armoniosa disposizione di parti, indirizzavasi in Sarde- 
gna, di questa alla costa settentrionale dell'Affrica donde 
dalle spiaggie dell' antica Cartagine entrava nel porto 
di Utica detto Porto Farina, e vólto il Capo di Car- 
tagine, accosto alla Torre dell' Acqua Morta, poneva 
a terra fanti, cavalli ed artiglierie. Si tenne consiglio 
se subitamente dovessesi oppugnar Tunisi, o la Go- 



io6 

letta che è forte, il quale guarda la bocca di un ca- 
nale che si allunga in ampio porto, indi poco lontano 
dalla città di Tunisi. Quèst' ultimo partito sostenuto 
dal Doria la vinse, e la Goletta fieramente si prese a 
combattere; e sebbene da' Turchi valorosamente difesa, 
dopo un mese, addi 1 3 luglio datale da' Cristiani ge- 
nerale e sanguinosa battaglia si arrese. Occupata la 
fortezza, era mente di Carlo muovere difilato all' espu- 
gnazione della città, senonchè la maggiore e più rag- 
guardevole parte de' suoi sconsigliavalo, adducendo, 
avere colà entro Ariadeno 150 mila armati di gente 
firesca ed eletta, inferiori assai di numero i nostri, con- 
sunti dalla lunga fatica, dai sofferti disagi, e da pesti- 
lenziale morbo, non bastando a ' reggersi in piedi sotto 
quel sole ardentissimo e quella terra infocata, e d'acqua 
e di ciò che più abbisognavano in grandissima penuria. 
Ma Carlo non dissimulando la verità di que' fatti, tut- 
tavia portato da natura a compiere sempre quanto avea 
dapprima intrapreso, e il Doria avvalorandolo, si tenne 
saldo nel primo proposito, e decise innanzi si proce- 
desse. Ordinato 1' esercito, prese le mosse, fu cammi- 
nato per quasi otto miglia, quando 1' oste nemica quasi 
sciame gli si fé' incontro ; si venne a conflitto ; e il 
valore dell' antiguardo cristiano composto di veterani 
italiani e spagnuoli con siffatto disperato impeto pro- 
ruppe sugi' infedeli, che li sgominò, gì' impauri, e li 
pose in disordinata e rapida fiiga, talché nel breve 
spazio di un' ora colla morte di molti di loro tutti gli 
altri spaventati si dileguarono. Allora il campo cristiano 



107 

colla vittoria in pugno appressossi alla città. Regnava 
il più cupo silenzio, e dal sommo della fortezza sven- 
tolava una bandiera. Due Numidi fuggiti dalla città 
avendo raggiunto la piccola squadra di Muleassen che 
spogliato del trono d' Ariadeno unito s* era a* Cristiani, 
e militava sotto il vessillo della Croce, portarono la 
novella che il rinegato usurpatore, tradito da' suoi, e 
uscito d*ogni speranza, abbandonava la terra; quindi 
parecchi de* rinegati, custodi della fortezza, liberati al- 
cuni schiavi cristiani, e tutti insieme congiunti aver uc- 
cisi circa dugento infedeli; essi coloro essere che aveano 
inalberata la bandiera, con cui intendevano di avvisare 
r esercito cristiano che T adito alla città era loro dis- 
chiuso. Ciò udito impetuosamente i nostri precipitansi 
entro di quella, e menano strage orribile de' nemici; 
dopo la strage segui il sacco ; rimasero dell' uno e del- 
l' altro sesso presi 15 mila; 12 mila schiavi cristiani 
si liberarono dalla schiavitù. Con questi prosperi sue- 
cessi rimesso 1' esercito, trattò T Imperatore con Mu- 
leassen che ristabili sul trono di Tunisi, col patto di 
pagargli per ragion. di tributo ogni anno sei cavalli 
barbari, dodeci falconi, e dodecimila scudi per mante- 
'nimento e spesa del presidio di mille fanti spagnuoli 
che lasciava nella Goletta sotto gli ordini di Bernardino 
Mondegia ; quindi ritorno facendo a questa, venne loro 
riferito che nel porto d' Ippona , la moderna città di 
Bona, stavano a sicurtà dodici galee nemiche, l' Impe- 
ratore per meglio investigare la cosa spedi colà Adamo 
Centurione, il quale confermato il fatto, diede ordini 



io8 

al Doria che senza intermessa navigasse ad insigno- 
rirsene. Ma in questo gì' infedeli avuto sentore del pe- 
ricolo si erano di repente posti in salvo, sicché il 
Doria per vendetta della sottratta preda, espugnata. 
Bona e fieramente saccheggiatala tornò a Carlo che. 
coir esercito vittorioso salparono insieme di colà per 
la Sicilia. Intanto a mille strane avventure andò sog- 
getto il rinegato* Ariadeno ; fuggito da Tunisi, avea 
navigato ad Algeri, infine a Costantinopoli dove Soli- 
mano dichiaravalo Bascià del mare ; con questa dignità 
assaliva T isola di Minor ca, occupava Porto Maone col- 
r uccisione di 400 circa Cristiani, grandissima preda e 
moltissimi prigionieri condotti in ischiavitù. L'impe- 
ratore dalla Sicilia recavasi a Napoli, dove disfatto 
r esercito, ricevuto veniva trionfalmente, ivi celebrando 
egli con pubblica e solenne pompa le nozze della pro- 
pria figlia con Alessandro dei Medici, da lui testé fatto 
Duca di Firenze ; dopo di avere rimosse con partico- 
lare giudizio le opposizioni che faceangli i fiiorusciti 
fiorentini privati da quello deìla patria, dei beni e della 
libertà. 



CAPITOLO QUINTO. 



Gnerra de' Francesi in Piemonte ; morte di Francesco Duca di Milano ; quistioni per 
la successione di quel Ducato ; Andrea Doria consiglia Girlo V ad appropriarselo ; 
rianorazione della lega dell' Imperatore coi principi d' Italia ; infelice spedizione 
delle armi imperiali in Provenza, e delle Francesi condotte da Cesare Fregoso 
contro di Genova; fine infausta della guerra di Provenza, morte di Antonio di 
Leyva clie 1* avea consigliata ; venuta in Genova dell' Imperatore , e rapido suo 
ritorno in Ispagna ; nuove provvidenze fatte dalla Repubblica per meglio fortificar 
la Città, generosità di molti cittadini, specialmente delle confi-atemite delle Ca- 
saecie e di Ansaldo Grimaldi, origine delle sue ingenti ricchezze. 



XXXV. — Ardeva la guerra in Piemonte che col- 
legavasi di certo con quella d' Ungheria mossa da So- 
limano, colle piraterie, e coli' occupazione di Tunisi 
per parte del rinegato Ariadeno ; Francesco I preten- 
deva spogliare d' ogni stato il cognato Carlo Duca di 
Savoja allegando che alla madre Luisa di Savoia so- 
^rella di quello, ma consanguinea di Filiberto, doveva 
appartenere, non a Carlo figlio del secondo matrimo- 
nio e fratello uterino di esso Filiberto di cui questi avea 
raccolta 1* eredità. Nizza ancora aveva ad essere sua pe- 
rocché parte del Ducato di Provenza, ed Asti costi- 
tuita in dote da Gian Galeazzo Visconti alla figlia Va- 
lentina maritata col Duca d' Orleans. Ora mentre per 
coteste ragioni, ovvero per cotali pretesti le armi di 



no 

Francia, campeggiavano e devastavano le terre piemon- 
tesi e r infelice Duca posto in mezzo tra le ambizioni, 
e gli odj del cognato e del nipote Imperatore andava 
tapino, nuova e più crudele cagione di discordie sorse 
a concitar gli animi correndo Tanno 1535. Moriva 
improvvisamente addi i Novembre Francesco Duca di 
Milano. Costui per i favorevoli uffizj di Papa Leone X 
collegato con Carlo V, divenuto era nel 1522 Duca 
di Milano, ma inetto essendo di sua natura potè fra 
mille dolorose vicende reggersi nel Ducato finché lo 
sostennero i consigli del suo ministro Gerolamo Mo- 
rone; tristo, ma scaltro, e grandissimo ingegno; dopo 
la morte di lui, abbandonato a se stesso, la naturale 
sua viltà e perfidia non ebbe più ritegno ; cosicché il 
mal governo che si aiutava d'imposte, di estorsioni, 
di confische e di torture, unite ai saccheggi degl* im- 
periali e alla peste che mieteva le vite a migliaia, fece 
di quel ricco e nobile paese il più* povero ed. infelice 
del mondo. Senza fondamento di diritto lasciò lo stato 
a Carlo V, il quale da profondo ipocrita eh' egli èra, 
mostrò non volersene impadronire senz' aver prima il 
parere de' suoi più savj ministri ; radunati da lui a con- 
siglio, chi r una, chi l'altra cosa propose, ma senza sua 
soddisfazione, quando levossi Andrea Doria che tro- 
vavasi fra di essi, mostrò egli tre essere i partiti che 
intorno a quel Ducato si offerivano all'Imperatore, 
darlo al Re di Francia, o investirlo ad un principe 
italiano, o ritenerlo per se. Sconsigliava il primo par- 
tito, poiché non per questo si sarebbe fatto pago Fran- 



Ili 

Cesco, che oltre il Milanese, voleva Nizza, e il Pie- 
monte nonché il regno di Napoli per le ragioni della 
Casa d'Angiò, e certo era che ottenuto il Milanese, 
servito si sarebbe delle forze di esso, e di cosi impor- 
tante parte d' Italia, per mandare ad effetto i suoi dise- 
gni imitando l'esempio del suo predecessore Luigi XII. 
Sconsigliava ugualmente V investitura in un principe 
italiano che debole troppo essendo per difendersi dalle 
ambizioni di Francia ne avrebbe sempre sposata la 
causa, e cosi postosi in condizione di perpetua inimi- 
cizia contro r imperatore; non vedeva quindi altro mi- 
glior partito che il terzo, cioè, che Carlo sei ritenesse; 
grandissimo vantaggio tornare, diceva egli, dall'unione 
di esso cogli altri suoi regni e stati d' Italia ; avendo in 
sua balia in tal guisa la parte bassa e alta della peni- 
sola poteva agevolmente tenere in rispetto i suoi prin- 
cipi che nulla sarebbero mai stati òsi di fare nonché 
contro di lui, ma senza sua espressa approvazione. 
Non si peritasse dunque, ponesse un valido presidio 
nello stato milanese che fosse come baluardo inespu- 
gnabile contrp gì' interni e gli stranieri nemici di Sua 
Maestà imperiale. Piacque senza dubbio all' Imperatore 
il consiglio che era ciò che già si avea fisso in mente, 
dichiarò quindi Antonio di Leyva suo governatore ge- 
nerale del Ducato, ma non parendogli ancora oppor- 
tuno per la guerra di Francia di scoprire i suoi pen- 
sieri, dichiarò di aver in animo di disporne in guisa 
che fosse di aggradimento ai principi itaUani, i quali 
pregava gli facessero sentire i proprj desiderj, e gli in- 



112 

dicassero e proponessero quale via si avesse a tenere 
per serbare illesa quella pace che con tanti stenti e 
sacrificj era riuscito a stabilire in Italia. 

In cotesto modo dalla famiglia degli Sforza, il Du- 
cato di Milano trapassò agli Spagnuoli ed Austriaci, 
né qui posso far senza di trascrivere alcune generose 
e schiette parole di quel dotto nobilissimo ingegno che 
fu il conte Pompeo Litta. « Dopo 85 anni, egli scrive, 
)} terminò in lui (Francesco II) il dominio sforzesco; 
» la gloria dell' avo rimase isolata : il Duca suo zio fu 
» ucciso : Gio. Galeazzo mori ignoto ; il padre, il fra- 
» tello in prigione : egli disonorato. Dopo gli Arago- 
» nesi, gli Sforza furono i primi a sparire tra i sovrani 
» d' Italia, la quale fii in un baleno inondata di stra- 
» nieri. Il Ducato di Milano fu ceduto nelle mani dei 
» Re di Spagna,' fu consegnato a' governatori incaricati 
» di amministrarlo con quei modi che sono prescritti 
» per conservare le provincie lontane, quando hanno 
» perduto i loro principi naturali. Essi nella plebe fo- 
» mentarono T ignoranza, perchè mansueta si sottopo- 
» nesse a* pregiudizj che dalla politica si doveano iri- 
» trodurre: alla nobiltà persuasero Tozio, come vera 
» prerogativa di candore d' illustre stirpe, onde all'an- 
» tica austerità, e all' antico valore, subentrasse la mol- 
» lezza e la pusillanimità ; e al Clero affidarono nuove 
» interpretazioni delle leggi divine, associandole alla 
» scienza del governo perchè intiepidisse il coraggio, 
» che r integrità di queste ispira all' uomo, e perche 
» più facile di quelle fosse l' ammissione. Venner meno 



» perciò i lumi, Y industria, le popolazioni, V agricola 
» tura, ogni elevazione d' animo, ogni origine di viver 
» civile : idee indecorose formaron parte di nobile edu- 
» cazione ; fii prudenza T indifferenza alle sventure ; la 
» viltà fii saviezza ; V amor patrio fu tacciato di deli- 
» rio ; e la Santità di una Religione che il Dio della 
» Sapienza, della Pace, della Verità avea dato all' uomo, . 
» perchè formasse le delizie del cuore, divenne pascolo 
» di puerilità, strumento di persecuzione, e guida alle 
» stravaganze della fantasia. Quando lo Stato fii com- 
» piutamente rovinato, rimase ancora un ammasso d'uo- 
» mini, i quali in tempo di pace retrocedevano in verso 
» la barbarie, e ne' tempi delle calamità dello Stato erano 
» finanche incapaci di poter concepire l' idea di amare 
» il loro Re. (i) » 

XXXVI. — La dissimulazione di Carlo nel promet- 
tere che nulla circa il Milanese avrebbe risoluto con- 
tro le inclinazioni e i voleri de' principi italiani gli ot- 
tenne r effetto da lui desiderato, imperocché potè con 
quelli stringere contro il Re di Francia una lega alle 
stesse condizioni contenute nel precedente trattato; 
Francesco più acerbamente offeso attese allora con ogni 
sollecitudine alla guerra d' Italia ; già sotto le armi sue 
cadute erano Torino, Pinerolo, Possano ed altre mi- 
nori terre, stava per occupare Vercelli ed indi aprirsi 
il passaggio in Lombardia, quando glielo tolse Antonio 



(i) Famiglie Nobili d' Italia; Famiglia degli Sforma, Tavola VI 
ed ultima. 

8 



114 

di Leyva, accorso con numerose forze per soccorrerla. 
Carlo di Napoli recavasi a Roma, e in pubblico con- 
cistoro muoveva querele ed accuse contro di France- 
sco di Francia, lui affermando violatore della pace, per- 
turbatore del mondo ; da Roma conducevasi a Firenze ; 
la Repubblica ad ossequiarlo vi mandava Niccolò Ne- 
grone, e a Sarzana dove avea proseguito il viaggio, 
per conto del Magistrato di S. Giorgio, sotto il go- 
verno di cui stava allora quella città, andavano ad esso 
ambasciatori Ansaldo Grimaldi, Battista Spinola, Gio. 
Batta Sauli, Stefano Raggio , Nicolò Giustiniano, e 
Tommaso Cattaneo, facendogli le spese dell' alloggio 
il pubblico. Fece poco dopo passaggio in Lombardia, 
e giunto in Asti chiamò altra volta a consiglio il Doria 
co' suoi più stimati ministri. Trattossi a qual punto in- 
dirizzare le armi, e malgrado 1' assennata opposizione 
di Andrea, del marchese del Vasto e di Ferrante Gon- 
zaga, prevalse il partito di Antonio di Leyva, che sulla 
fede di un segreto trattato con alcuni di Marsiglia consi- 
gliava di invadere la Provenza , a lui come a Spagnuolo 
credette meglio Carlo che ai tre italiani sebbene molto 
innanzi fossero questi a quello per ingegno, per espe- 
rienza e perizia di guerra. Allestito un numeroso 
esercito, l' Imperatore, fra mille disagi, ed ostacoli di 
scoscese montagne discese nella riviera occidentale di 
Genova, e lunghessa valicate le Alpi marittime, e il 
Colle di Tenda , sboccò nella Provenza , e di quella 
parecchie terre occupate, si trasse vicino a Marsiglia, 
invano aspettandosi che secondo la promessa di Leyva 



vi scoppiasse qualche moto che gliene schiudesse V ac- 
cesso. Vedendo come si mantenesse quieta , lasciò 
quella città e volsesi ad attaccare Aix; senonchè, Carlo 
che avea mente sagacissima, si accorse come fallito 
andasse il tentativo, e temendone la sinistra impressione 
suir animo de' suoi alleati, si affrettò a giustificarsi e 
ad assicurarli, e un Ascanio Colonna suo fidato ebbe 
da lui commissione di recarsi presso i diversi stati 
d' Italia, persuadendoli che queir impresa della Pro- 
venza era da lui fatta per difesa, e sicurezza della loro 
libertà, perocché Ariadeno Barbarossa alleato del Re 
di Francia accingevasi ad infestare e saccheggiare le 
spiaggie d* Italia, tenessersi quindi sulle guardie, né 
de' suoi soccorsi, né della lealtà sua dubitassero, sa- 
pendo che quanto al ducato di Milano, sebbene e come 
signore diretto di quello, ed erede testamentario del 
defunto Francesco Sforza avesse V incontestabile diritto 
di appropriarselo, ciò nondimeno, per togliere ogni 
sospetto, era suo fermo volere concèderlo ad un prin- 
cipe, o, stato italiano. Cosi il Colonna a nome del- 
l' Imperatore sponeva in Genova ai due Collegi , ed 
altrettanto faceva al cospetto degli altri stati d' Italia. 
XXXVII. — Pertanto le cose della Provenza sini- 
strando. Cesare Fregoso genovese, ed uno tra i più rag- 
guardevoli e valorosi capitani che militassero aglistipendj 
di Francia propose al Re, di dare improvviso assalto 
alla città di Genova, imperocché occupata questa città 
à. rompeva ogni comunicazione dell' esercito imperiale 
di Provenza coli' Italia. In tal guisa le nuove forze do- 



né 

Vendesi congnmgere eoa quelle che guerr^giavano 
vittoriosamente in Piemonte, avrebbero dal loro pas- 
saggio cólto E maggiore fimtta con ima più decisiva 
£tdone. Assentì il Re, e nella pìccola cittì di Miran- 
dola governata dalla famigtia dsi Pico che part^giava 
per la Francia, si allestì un esercito di 12 mila £uiti ed 
800 cavalli sotto ^ ordini di Cesare ed Ercole fra- 
telli Fr^oa, Guido Rangone, Cagnino Gonzaga, Bar- 
naba Visconti, ed altri £miosi condottieri italiani e 
france^ Era il di 20 di lu^o del 1536 quando quelle 
squadre presero le mosse dalla Mirandola, e cammir 
nando per 37 giorni trovaronsi sotto Tortona il 27 di 
agosto. Ripresa la vìa, varcati gli Apennini, passarono 
in Polcevera, e appena albeggiando giunsero nel luogo 
di S. Francesco della Chiappetta, indi a Rivarolo, donde 
spedirono un uomo loro al Senato che ìa nome del 
Re di Francia dovesse chiedergli il dominio della città. 
Ma non appena costui giimto al Capo di Faro, o alla 
Lanterna venne preso dai soldati che vi stavano di 
guardia, e il Senato avutone avviso, ordinò non gli 
fosse permesso di entrare in città; due giorni venne 
sostenuto in prigione, al terzo fu rimandato ' libero 
a' suoi. 

Intanto al rumoreggiare inopinato di quelle armi, 
versava Genova in grandissima agitazione, le antiche 
parti riscuotevansi, la plebe accennava a tumulto, ma 
il Senato non ismarrivasi, e dava pronta mano alla 
difesa ; nominava Provveditori della guerra Franco Do- 
ria, Girolamo Spinola Frisetto, e Stefano Pasqua, 



117 

mandava avviso del soprastante 'pericolo ad Andrea 
Doria che trovavasi in Provenza, e quegli Antonio 
Doria con otto galee ed ottocento fanti capitanati da 
Agostino Spinola spediva subitamente al soccorso; 
mille tedeschi venivano dalla città di Alessandria. Con 
queste forze, ordinavasi la difesa; ponendo Agostino 
Spinola alla guardia di Fasciolo, e dei circostanti siti, 
dalla parte opposta di Bisagno Gomez Suarez amba- 
sciatore di Carlo coi mille tedeschi; fra lui e lo Spi- 
nola Antonio Doria ; il governo delle otto galee con- 
fidavasi a Melchiore Doria fratello di lui; parecchie 
altre genti raccoglievansi e nei luoghi più deboli col- 
iocavansi. Date queste provvidenze attendevasi lo scop- 
pio deir imminente procella. 

Infatti, non poca parte delle due valli del Bisagno 
e Poicevera mostravasi sollevata al nome dei Fregosi, 
e r esercito assalitore procedendo innanzi e ingrossando 
di gente avvicinavasi al ponte di Corhigliano, quivi 
attestatosi dividevasi, e un assai cospicuo numero di 
esso condotto da Ercole Fregoso trapassava alla volta 
dei Bisagno, per dare ad un tempo stesso dalle due 
parti r assalto. Ad esplorare lo stato della città sali- 
vano poscia le alture di Granarolo, e colà aspettavano 
qualche moto che secondo le intelligenze che vi ave- 
vano li secondasse ; ma ossia che non si osasse, ossia 
che gì* ipiprevisti e subiti apparecchi di difesa fatti dal 
Senato ne avessero tolto V agio, la città mantenevasi 
tranquilla. Sorgeva V alba del 2 settembre allorché con 
grande impeto si viddero assalite le mura di Fasciolo, e 



ii8 

già poste le scale si superavano dagli assalitori; con molto 
valore essendo rispinti , riusciva ciò nondimeno ad un 
alfiere del conte Guido Rangone ad inalberare sulla 
torre dello sperone la bandiera, e bene fissatala ferma 
animosamente teneala colla mano, ma un capitano 
Battista corso lungamente noi sofferse, e con tutto il 
corpo dalla torre prosteso, afferrò la bandiera, e di 
mano strappoUa dell' Alfiere, e a sé tirandola in mille 
brani la fece, precipitato colui dalle scale. Senonchè i 
nemici con maggiori sforzi spingevansi innanzi, ferveva 
la mischia, e già colla peggio degli assaliti che bale- 
nando ritraevansi dalla difesa delle mura; ciò vedendo 
Agostino Spinola vi mandava Antonio Calvo con una 
grossa mano di soldati che prendendo tosto viva parte 
* al combattimento dava animo agli assaliti, perdendolo 
gli assalitori, che vedendo niun moto, come speravano, 
accadere dentro la città, pensavano ad altri consigli; 
confermavanli in questi, le notizie che avevano del- 
l'altra loro gente della parte orientale, ributtata non 
solo dai Tedeschi, ma fiilminata dai grossi cannoni di 
artiglieria delle otto galee che Melchior Doria poste 
avea dinanzi alla bocca del Bisagno, talmentechè spa- 
ventati, e versando in grave pericolo datisi a precipi- 
tosa fuga, e inerpicatisi a* monti non si erano fermati 
che presso a Montobbio. Mentre queste cose succe- 
devano, venivano pure a sapere che Bartolorpeo Spi- 
nola con ottocento fanti accorso era alla difesa della 
città, quindi diffondendo la voce eh' essi con più effi- 
caci forze stavano la domane per rinnovare V assalto, 



119 

protetti dalla notturna oscurità, di cheto invece partiti 
per le Cabanne, presero la via del Piemonte dove uniti 
all' esercito francese che vi campeggiava, dierono bat- 
taglia a Carignano e Carmagnola. 

Liberata la città da quel pericolo; il Senato si volse 
a castigare coloro che aveano parteggiato per gli ag- 
gressori, e in ogni modo aiutatili, molti uomini della 
Polcevera, e del Bisagno specialmente, vennero con- 
dannati alcuni nel capo, altri coir esigilo, tutti nei beni» 

XXX Vili. — A dolorosissimo fine volgeva l'impresa 
di Provenza consigliata a Carlo dall'Antonio di Leyva; 
lo stremo dei viveri, le strade tutte rotte, mille difl5- 
coltà e disagi, la pestilenza infine aggiuntasi a tutto 
ciò, già aveano dell' esercito imperiale fatti perire più 
che 20 mila uomini. L'imperatore volea passare il 
Rodano e venire a giornata prima che le sue genti 
tutte gli mancassero per la peste, quando lo stesso An- 
tonio di Leyva preso da gravi dolori di corpo e dai 
più acerbi dell' animo per avere egli solo contro il 
parere dei più savi confortato si infelice fazione rendè 
lo spirito, invitto ed avventuroso guerriero senza dub- 
bio, ma né esperto né sagace capitano. Carlo da tanti 
disastri costretto deliberò il ritorno, e indirizzossi alla 
volta di Genova; giunto a Ventimiglia gli andarono 
incontro per il Magistrato di S. Giorgio cui soggetta 
era quella città, Vincenzo Sauli, Antonio Vivaldi, Et- 
tore Fiesco e Martino Mongiardino ; seguitando a Sa- 
vona quivi per la Repubblica gli fecero omaggio Gio. 
Batta Lasagna, Gio. Batta Dinegro, Bernardo Giusti- 



120 

niano, Agostino Doria, Paolo Spinola di Francesco, 
Gio. Batta Grimaldi, Pietro Camogli e Simone Recco ; 
accompagnato dai quali pervenne in Genova addi i6 ot- 
tobre del 1536, avendo prima per la valle di Albenga 
rinviate le misere ed estenuate sue soldatesche in Pie- 
monte. Tre giorni dimorovvi, e il genero Alessandro 
de* Medici inconscio dell' infelice fato che in breve lo 
attendeva, venne a visitarlo, nominato da lui al grado 
di generalissimo che già teneva V estinto Antonio di 
Leyva; navigò quindi frettolosamente in Ispagna con 
44 galee da contrarj venti sempre combattuto. 

XXXIX. — Il passato pericolo e i nuovi rumori di 
guerra che per parte de' Francesi si faceano più vicini 
sentire, mossera la Repubblica a premunirsi più effi-^ 
cacemente; si richiamarono da Milano 300 tedeschi 
mandativi poco innanzi a tutelarla, crearonsi capitani 
della città Gio. Batta Pallavicino, Niccolò Guastavino, 
Antonio Fornari, Accellino Spinola, Leonardo Lomel- 
lino. Paolo Doria, Jacopo Gallo, Oberto Calvo Bel- 
locchio, Pellegro RebufFo e Bisagnino ; ma il più ch'era 
di sommo momento si deliberò di- fortificare le mura 
di Fascinolo, essendo cosa indegna, per una città che 
avea fama tra le più cospicue d' Italia, di dovere ad 
ogni pie sospinto rimaner soggetta ad assalto e tre- 
mare di venire occupata. Vero è bensì che la gran- 
dezza dell' opera, l'ingente spesa, V esausto erario, e la 
malagevolezza a trovare danaro vi si opponevano, ma la 
necessità e la carità della patria prevalsero, e il 14 set- 
tembre in pieno Consiglio venne presa la deliberazione. 



121 



Ragìonossi per allora essere settantamila scudi sola- 
mente bastanti, de* quali, consentendolo i partecipi, 
17500 se n'ebbero da S. Giorgio, gli altri fornirono 
l'imposti balzelli, i doni del pubblico, la particolare 
liberalità di molti cittadini. Fa d' uopo dire però che 
infin di opera la spesa toccò fino ai cinquecento mila 
Scudi. Ora il di 29 decembre tutto il Senato, dovendo 
darvi principio, divotamente recossi in processione alla 
fortificazione dello Sperone, e dopo molte preghiere, 
nel nome santissimo di Gesù Cristo, validissimo fon- 
damento di libertà e di salute, quello delle nuove ge- 
novesi mura colla prima pietra il Doge pose. 

Fra coloro che generosamente concorsero alla edi- 
ficazione loro non vanno dimenticate alcune confirater- 
nite di cittadini chiamate dai Genovesi col nome di 
Casaccie, le quali fecero dono alla Repubblica di molti 
luoghi di S. Giorgio, acciocché 1' annuo reddito di quelli 
servisse al riparo delle deliberate fortificazioni, ma in 
singoiar modo deve con onorata menzione segnalarsi 
il nome di Ansaldo Grimaldi, che institui in S. Giorgio 
un fondo di quattro mila luoghi, il provento de' quali 
crescendo a moltiplico, dovesse ogni anno in altri luo- 
ghi investirsi finché fossero pervenuti in numero di 
64 mila luoghi. I fi'utti avevansi annualmente a spen- 
dere parte a favore del pubblico somministrando lo 
stipendio al Doge e a' Governatori, parte per condurre 
Maestri di lettere umane e di studj legali, parte a be- 
nefizio de' particolari, dotando infine figlie di famiglia, 
e sovvenendo a' poveri della città e ad Opere Pie. 



122 

* Com* era giustizia, tanta munificenza di elargizioni recò 

il nome di Ansaldo Grimaldo sino alle stelle, e statua 
nella sala del gran Consiglio, e in quella di S. Gior- 
gio gli venne decretata ed eretta, e gli scrittori tutti 
ne dissero amplissime lodi; ma verità istorica vuole 
pure si dica che V origine delle ingenti ricchezze da 
lui possedute andava intinta di nerissima macchia, im- 
perocché racconta negli Annali Filippo Casoni, e il 
suo racconto è confortato d* altri scrittori di cose ge- 
novesi, che nel 1522 accaduto Torribile saccheggio 
dato a Genova dagl' Imperiali, il Grimaldi per mezzo 
di. Alfonso d'Avaloz marchese di Pescara che li con- 
duceva e di cui era egli amicissimo, comprò a vilis- 
simo prezzo da' saccheggiatori gli oggetti più preziosi 
per essi a' cittadini derubati che ei vendette poscia a 
carissimo, accumulando in tal guisa le maravigliose 
ricchezze ;. disortachè il largheggiare di queste a prò' del 
pubblico parrebbe potersi in lui meglio a rimorso di 
coscienza e ad amenda di colpa commessa che a vero 
sentimento d' animo generoso riputare ; in queir età 
appunto in cui mancando ogni audace baldanza, i pen- 
sieri di un' altra prossima vita tormentano gli ultimi 
giorni di questa che sta per tramontare. 



CAPITOLO SESTO 



Si raccende la guerra tra Francesco I e Carlo V , si recano in Genova a compimento 
le fortificazioni, morte del Duca Alessando dei Medici, successione di Cosimo dei 
Medici. Il papa Paolo III induce ad un abboccamento e ad una tregua il Re di 
Francia e V Imperatore in Kizza. Trattato di lega contro il Turco tra il Papa , 
l'Imperatore e i Veneziani; venuta, in Genova dei primi due. Abboccamento di 
Carlo V e Francesco I in Acquemorte di Provenza sulla capitana di Andrea Doria , 
incontro di questi col Re, e sue fiere risposte. Guerra del Papa, Imperatore e dei 
Veneziani contro il Turco; sleale condotta di Andrea Doria che ricusa di vincere 
per indebolire e disonorare i Veneziani, affinchè più ^cilmente si abbandonino in 
balla dell* Imperatore , e sia così compiuta la servitù d' Italia. Il Papa istesso 
veduta la firode di Carlo e la slealtà del Doria consiglia Venezia ad accordarsi col 
Turco ad ogni patto. 



XL. — Sorgendo T anno 1537 a Cristoforo Rosso 
succedeva nel Dogato Gio. Batta Doria senatore, e 
correndo voce che per mediazione del Pontefice trat- 
tavasi di pace tra Carlo V e Francesco I. si mandò 
ambasciatore al primo lo stesso Ansaldo Grimaldi, 
conmiettendogli che laddove dalle due Corone si scen- 
desse veramente ad un trattato, con forma speciale vi 
si comprendesse la Repubblica come confederata del- 
l' Imperatore, affinchè non le si rinnovassero quei danni 
medesimi de' quali era stata cagione l'averla ommessa 
nell'antecedente. 

Ma nulla era delle concepite speranze, che France- 
sco più che mai attendeva a calare in Italia con nuove 



124 

e maggiori forze, laonde fu d'uopo invece di provve- 
dere la città di altre più strenue difese, si ordinarono 
leve di compagnie, si elessero 17 capitani per esercitare 
le milizie, si compiè la fortificazione dello Sperone, sten- 
dendosi a tale lunghezza la muraglia che giungesse da 
quello air Acquasola, e da questa a Fascinolo ; si spedi 
Giovanni Salvago in Lombardia per levarvi due mila 
fanti tedeschi già con danari della Repubblica dal Go- 
vernatore di Milano assoldati^ affirettossi pure V Impe- 
ratore di dar ordine per la sua parte ad ogni cosa, e 
specialmente invitando Andrea Doria che dalla Spagna 
trasportasse in Italia quelle milizie che per tal fine 
erano state condotte. Trasferi infatti in Genova il Doria 
le milizie che seguitare dovevano per la Lombardia, 
ma strano accidente fu allora di Alessandro dei Medici 
Duca di Firenze e genero di Carlo ucciso a tradimento 
dal proprio cugino Lorenzino, laonde quelle genti dis- 
viate, indirizzaronsi alla volta di Toscana dove si te- 
mevano sollevazioni di popolo che per la quarta fiata 
espulsa la famiglia Medici tornar volesse alla Repubblica, 
locchè non avvenne mercè l'accortezza del cardinale Ci- 
bo, di Francesco Campana segretario dell'estinto Duca e 
più delle armi di Alessandro Vitelli e Ridolfo Baglioni 
che subitamente da quelli chiamati ad aiuto accorsero 
tosto e tennero in rispetto quei cittadini che stavano 
pensando ad una mutazione di governo. Intanto per 
parere e istigazione dello storico Francesco Guicciar- 
dini, dai 48 radunati a consiglio in Firenze, venne di- 
chiarato e pubblicato a successore del morto Alessan- 



125 

dro, Cosimo de' Medici giovine di età, ma maturo di 
senno, e della più profonda dissimulazione dotato, tal- 
ché colse in inganno lo stesso vecchio Guicciardini, 
uomo della più fina politica de' suoi tempi consumato, 
che lusingato da lui ne avrebbe tolta la figlia in isposa, 
s' indusse a promuoverne la Signoria in Firenze, men- 
tre Cosimo divenuto Signore, e per investitura dell' Im- 
peratore Duca, ruppe ogni promessa, e s' impalmò con 
Eleonora di Toledo figlia del Viceré di Napoli, paren- 
tado che meglio si addiceva a' suoi interessi politici, e 
il Guicciardini scornato, fama é, ne morisse di cruccio. 
XLI. -^ L' accesa guerra tra Carlo e Francesco se- 
guitava tuttavia, e il Pontefice Paolo III desiderando 
cessasse, indusse i due Sovrani ad una sospensione di 
ostilità, promuovendo ad un tempo stesso un abboc- 
camento fira di loro nella città di Nizza ; per la quale 
partendo egli da Roma si mosse primo, e passando a 
Sarzana due procuratori di S. Giorgio Vincenzo Sauli, 
e Vincenzo Pallavicino con quattro ambasciatori della 
Repubblica Ansaldo Grimaldi, Gio. Batta Spinola, 
Gip. Batta Sofia, e Giovanni Davagna fiirono a com- 
plimentarlo; da Sarzana varcato 1' Apennino venne a 
Piacenza, e colà quattro ambasciatori genovesi Corrado 
Sofia, Giacomo Grimaldi, Giacomo Doria ed Ettore 
Fieschi gli si fecero pure incontro; quindi procedette 
verso Alessandria, rivarcato l' Apennino scese a Sa- 
vona, Giovanni Salvago che vi era podestà accolse 
51 Papa con ogni più squisita maniera di onorevole 
trattamento; una squadra di legni pontificj rinforzata 



òz -iiz" 2hrz i: g-snrrrfs sa'^para dal porto saT<mese tras- 
pnrrzGr z X^tzs; àjve in breve per mare sopra le 
pùee d£ Dcria cqitò T Imperatore e per terra il Re 
e: Fratria Paolo HI tra:T:agSosn con loro a£Bnchè con- 
corr^sero ìnàezìe ad ima lega contro il Turco, e seb- 
bene aoc TÌ2sz2sse pare die T uno e V altro si par- 
assero, ma £3sse d^u^opo dii c^ stesso or da questo 
or da qoeCo si portasse per dar ordine alle comuni 
farcende, ogrenne tuttavia una tregua di dieci anni, nello 
spazio de' quali le cose rimasero come si trovavano. 
XLIL — Intanto le armi di Solimano dicevano gran<£ 
progressi, da una parte assaliva V Ui^ieria ,- dall* altra 
tribolava in Levante i possesà VenezianL In Roma si 
era pubblicata la confederazione tra il Papa, l'Impe- 
ratore e i Veneziani, ma questi ultimi si peritavano 
ad una formale lega contro i Turchi, Solimano anzi 
offeriva amplissime condizioni loro, e Andrea Doria 
lasciava pure che le terre veneziane venissero da quelli 
depredate, non si sa se per antico odio stimolato, o 
per istruzione dell' Imperatore, sperando questi che ab- 
bandonati a sé soli sarebbero alfine costretti a salda- 
mente unirsi con lui. In queste strette il Senato Ve- 
neto nel mese di febbraio del 1538 aderì alla lega; 
convennero quindi: 

i.° Si allestissero dugento galee con cento altre 
navi, e 50 mila fanti, de' quali 20 mila italiani, altret- 
tanti tedeschi e diecimila spagnuoli; si provvedessero. 
di 4500 cavalli e di ogni altro sufficiente apparecchio di 
guerra. 



127 

2.° Al Papa toccasse l'obbligo di fornire 36 galee, 
all'Imperatore oltre le onerarie 82, a Venezia altrettante. 

3.° Le spese per una sesta parte sostenesse il Pon- 
tefice, per tre V Imperatore, per due Venezia. 

4.° Colla malleveria di Carlo partecipasse Ferdi- 
nando alla lega, e dalla parte di Ungheria attaccasse 
il Turco. 

5.° Al Re di Francia fosse lasciato ampio ed ono- 
rato luogo per entrare nella lega quando a lui piacesse. 

6.° Si adoperasse il Papa affinchè il Re di Polo- 
nia si accostasse alla lega, e procacciasse che quanti 
principi italiani più poteva vi entrassero. 

7.° Le quistioni sorte tra i collegati decidesse il 
Pontefice. 

8.° Le fiinzioni marittime e il sommo comando 
delle flotte collegate affidati fossero ad Andrea Doria; 
le Éizioni terrestri a Francesco Maria d' Urbino. 

Il Papa aveva non solo conseguito V intento della 
tregua e della lega ma dall' Imperatore il dono della 
città di Novara, e la promessa in isposa di Madama 
Margherita figlia di lui naturale, e vedova del Duca 
Alessandro per il nipote Ottavio figlio di Pier Luigi 
Farnese. Le quali cose mentre si maneggiavano la Re- 
pubblica stando in sospetto di quanto in Nizza si trat- 
tava vi spedì due ambasciatori Niccolò Negrone e 
Battista Zoagli per conoscere dall' Imperatore quali 
fossero le particolari condizioni della tregua convenuta 
col Re. 

XLIII. — Scioglievasi il congresso, il Re ne' suoi 



128 

Stati, Carlo sulle galee del Doria, il Papa sopra quelle 
di Francia conducevasi in Genova. Ricevuti a granr 
dissimo onore erano quivi dal Senato e da tutta k 
città, e il Pontefice nel palazzo de' Fieschi in Violato, 
r Imperatore in quello di Fascinolo del Doria veniva 
alloggiato. Passati alcuni giorni Paolo III a Roma, 
r Imperatore sulle galee del Doria recavasi in Spagna; 
senonchè pensatamente, e cosi avendone concerto col 
Re, sostava questi ad Acque Morte in Provenza, donde 
Francesco ito pure colà colla moglie sorella di Carlo, 
i figli, il cardinal Lorena, ed altri principali personaggi 
trasferivasi sulla capitana del Doria, furono insieme a 
ragionamento di molti particolari che tendevano a ri- 
conciliazione delle due parti, quinci e quindi una grande 
intimità apparendo e cortesia d' animo, e $i disse che 
Carlo con solennità di parola promettesse a Francesco 
per il suo secondogenito il Ducato milanese ; ma a chi 
ben conosceva la coperta, e dissimulata natura del 
primo non dubitò di aflfermare che cercasse di abbin-^ 
dolare il secondo cui in tali arti di molto prevaleva 
per pigliar tempo e rimaner tranquillo finché non fosse 
al sicuro delle cose sue che a male volgevano nelle 
Fiandre. Posto fine a quei ragionari secreti mostrò de- 
siderio il Re che da Carlo gli venissero presentati i 
suoi capitani, fira i quali Andrea Doria che appena 
quegli entrato in galea si era a prora ritratto. Vedu- 
tolo Francesco, gli disse che di buon animo lo acco- 
glieva nella sua grazia intercedendolo suo firatello V Im- 
peratore ; a tali parole il Doria con quella libera asprezza 



129 

che è singolare natura dei Liguri, Maisl, rispose, V. Mi 
ha ragione di far ciò, chi mentre io fui a' suoi servigj, 
ni di rispetto^ ni di fedeltà le venni mai meno. Parve il 
Re a quei detti si alterasse, tuttavia infingendosi e am- 
mettendolo al bacio della mano, volle con seco da 
poppa a prora visitar la galea che grande molto era 
ed ornatissima. Essendo a prora fissò la sua attenzione 
sopra un grosso pezzo di cannone che portava V arme di 
Francia, quindi vóltosi al Doria : Io adesso ne faccio di 
lega assai migliore e al vostro servitilo ; ed egli subita- 
mente : La lega dell' Imperatore fu sempre della mederà 
sima bontà, del resto, riservato sempre il servigio impe- 
riale, io offro a V. M. tuttoció che la mia debole^^T^a il 
concede. Benignamente ringrazioUo il Re, e lodòUo po- 
scia alla presenza di Carlo. 

Risoluto fira di loro quanto stimavano ai comuni in- 
teressi confacente, T Imperatore seguitava per la Spagna 
condotto dal Doria, che colà sbarcatolo, riconducevasi 
in Genova per assumere il comando di tutte le altre 
galee che gli stava quivi apparecchiando il suo luogo-^ 
tenente Gianettino Doria, e servir dovevano per la 
lega contro i Turchi. 

XLIV. — I quali con centocinquanta legni sotto gli 
ordini del rinegato Barbar ossa scorrevano l'arcipelago, 
e le isole signoreggiate dai Veneti tutte mettevano a 
sacco, ed a fuoco ; tentavano pure T isola di Candia^ 
e in Suda scendevano, ma ne venivano colla peggio 
respinti, facevano inutilmente impeto contro di Cas- 
sano e di Napoli di Romania che i Veneziani strenua- 

9 



130 

jnente difendevano ; con altri fatti ponevano a travaglio 
la Dalmazia. Però il nerbo della guerra stava nel golfo 
dell'Arta; in questo introdotte si erano le galee del 
Pontefice, locchè sentito essendosi dal Barbarossa, nel 
golfo lanciavasi mettendosi alla sua bocca eh' era an- 
gusta, chiudendola colle forze che aveva per opprimerle. 
Erano i Veneti a Corfii quando giungeavi il Doria 
con oltre a cinquanta galee ; aveano anch' essi rivocato 
il loro comandante Pesaro, perocché dissentendo dal- 
l' Ammiraglio genovese non voleano avesse questi 
cagione veruna di quistione , ordinando a Vincenzo 
Capéllo posto in vece del Pesaro, dovesse in ogni cosa 
tonvenirsi con lui, e se tra loro nascesse disparere se 
ne rimettesse al giudizio dei più. Si tenne a consiglio 
di quello a far si dovesse, e malgrado 1' opinione di 
Ferrante Gonzaga, cui prestavano obbedienza le truppe 
da sbarco, che voleva con una fazione terrestre contro 
di Nicopoli, oggidì Prevesa, fulminare per mezzo delle 
artiglierie poste sul promontorio la flotta ottomana, 
impedirne l' uscita dal golfo, e impossessarsene, vijise 
il disegno del Doria cui si accostavano i Veneziani che 
meglio per mare che per terra si avesse a combattere; 
e quindi tutta l'armata sgombrasse Corfii, che se il 
Barbarossa non uscisse a combattere si navigasse nel 
golfo di Lepanto , si espugnasse, e quanto di quella 
spiaggia si distende fino all'istmo di Corinto si po- 
nesse a devastazione ed a saccheggio; certo essere 
che alla notizia di tanto sterminio sboccato fiiori il 
Barbarossa avrebbe dovuto incontrare la battaglia. Ac- 



131 

cingevansi ad eseguire il divisato disegno, e Y armata 
confederata forte di centotrenta galee con due galeazze 
ed alcune altre navi armate sostatasi alquanto nel porto 
di Comunizia, veleggiava a S. Maura verso V Arta. 
Avutone avviso il capitano turco stava in forse, il 
luogo dove riposto si era a sicurtà non sapea abban- 
donare, evitare il conflitto tornavagli viltà; punto da 
questo ultimo sentimento, e dalle istanze de' suoi, usci 
fuori dal golfo e gettossi in alto mare, ma il veneziano 
Capello fieramente rintuzzavalo, ed obbligavalo a ran- 
nidarsi colà dond' era uscito, e sforzandosi a troncargli 
la ritirata pel Doria mandava che tosto colle navi ac- 
corresse, aiutasselo alla certa vittoria; ma colui non 
consentendo alla chiamata, ordinava invece a raccolta, 
e traevasi dietro il promontorio di Leucade, ovvero di 
S. Maura. Levavansi i più acerbi rimproveri contro di 
lui, ed egli a sedarli, tolte le ancore, a gonfie vele 
ali* Arta nuovamente indirizzavasi. Il Barbarossa riavu- 
tosi del subito sconcerto, una seconda fiata lasciava il 
golfo, e contro i cristiani volgevasi; questi apparec- 
chiavansi al combattimento. Tenea V estremo corno de- 
stro vólto all'alto mare il Doria, il Veneziano Capello il 
mezzo, il sinistro lato rivolto a terra Marco Grimani colle 
galee pontificie, patriarca di Aquileia. Mente dei Tur- 
chi mostravasi lunghesso il lido di oltrepassare la flotta 
Cristiana, indi accolto il prospero vento gittarsi contro 
di essa; allora il Doria di ciò avvedutosi, ordinava 
a' suoi, bene si attenessero alla spiaggia impedendo il 
passo a* nemici, i quali, calmato il vento, con tale un 



132 

impeto e con sì maestrevole mossa si governarono che 
r intento loro conseguirono. Tutti intenti pendevano 
aspettando i Cristiani che cosa il Doria si decidesse, 
desiderando che cólta V occasione, dasse il segno della 
battaglia, e col maggiore sforzo contro i nemici si av- 
venturasse, nulla di questo facendo, ei tenevasi al largo 
bordeggiando, e Ài tratto in tratto con qualche colpo 
di artiglieria contro il Barbarossa, combatteva lontano 
senza dar segno eh' ei volesse venire a più sincera e 
stretta battaglia. Fu sopra un palischermo il Capello 
a lui, gli chiese ragione della misteriosa inoperosità, e 
con calde parole lo animò al combattimento, mentre 
d' ogni galea e nave de' confederati alzavasi un solo 
rumoroso grido : Battaglia, Vittoria. Il Doria parve ar- 
rendersi e muovevasi verso i Turchi, non perciò tanto 
eh' ei volesse ingaggiare la pugna, seguitava anzi per 
r alto mare bordeggiando ; alcune venete navi soltanto 
si attaccarono colle ottomane senz' altro effetto che il 
danno delle une e delle altre. Caduta la notte, An- 
drea Doria, abbandonate quelle acque veleggiava per 
Santa Maura e Comunizia, indi con aspetto di vinto 
ricoveravasi nel porto di Corfù. 

Gli Ottomani inseguivano alle spalle i Cristiani che 
volgevansi in ritirata, li travagliavano colla presa e 
P incendio di parecchie navi venete come imperiali. II 
Barbarossa salito in orgoglio per l'inattesa vittoria 
sostava a Paxò, sfidava a cimento i Cristiani, e come 
codardi svillaneggiavali ; i Veneziani mal sofferenti la 
ingiuria, chiedevano di essere condotti alla battaglia, 



^53 
oflFerivansi al Doria di accettare al loro bordo gli Spa- 
gnuoli che aveano già rifiutato. Il Doria nel pertinace 
proposito raflFermandosi, negava ogni aiuto, né voleva 
uscir fuori del golfo. Barbarossa menando trionfo riti- 
ravasi ad Arta. 

Cosi strana, e dolorosa condotta dell' Ammiraglio 
genovese di molte e poco oneste ragioni fu sospettata. 
Il Muratori il più leale e temperato degli storici al- 
l' anna 1538, scrive che: // Daria quando venne il 
tempo della battaglia, con perpetuo suo scorno si ritirò, 
lasciando esposti i VencT^iani al furore del Barbarossa con 
perder essi due galee ed aver come miracolosamente sai- 
vato a Cor fu il lor' galeone che faceva acqua da tutte le 
bande. 

E veramente il vero motivo era di sacrificare al 
Turco Venezia, o almeno tanto la sua forza marittima 
porne a repentaglio che per salvarsi da quello si ab- 
bandonasse come tutti gli altri stati d' Italia in cieca 
balia dell' Ijnperatore. Quella repubblica la sola che te- 
nevasi oggimai indipendente da lui, d' uopo era di ag- 
guagliare alla comune condizione di servitù spagnuola, 
e infelicissimo strumento del disegno vedevasi Andrea 
Doria; dalchè ben si argomenta quanto dovesse egli 
pagar caro il principato repubblicano che a sé, e alla 
propria famiglia avea a così trista condizione ottenuto 
da Carlo V; se dovea pender incerto tra i nuovi 
godimenti del conseguito beneficio e il disdoro del 
noiiie che mostravasene il prezzo. E poiché valoroso 
•ed accorto da natura non potea non sentire la fatale 



sorte in cui versava, quindi qualche fiata ancora intra 
due dibattevasi, ed ora divisando di emendare il mal 
fatto cacciavasi con tutta la flotta tra le bocche di 
Cattar o, e vi espugnava Castelnuovo tenuto dai Tur-^ 
chi, lasciandovi a presidio que' Spagnuoli medesimi non 
voluti riceversi dalle navi veneziane, perocché uomini 
scelleratissimi, ultimi avanzi di altri loro compagni di 
uguale trista natura, fatti decapitare da Ferrante Con— 
zaga in Sicilia, e dal Marchese del Vasto in Milano. 
Però anche di cotesta impresa non gli si volle dar 
lode, opinando che ei ben prevedeva come cosi poca 
gente sebbene arrisicatissima e per disperazione ad 
ogni più crudele prova addimesticata, non avrebbe po- 
tuto resistere all'invadente forza turchesca, locchè in- 
fatti in breve addivenne, che tutta vi rimase colla per- 
dita di quella terra sterminata. 

Il Pontefice intanto indignato per i mali comporta- 
menti del Doria, e conoscendo essere oggimai palese 
il fine cui in nome dell' imperatore mirava, scriveva a 
Venezia si acconciasse ad ogni patto col Turco, meno 
da questo che dalla lega aver essa a temere. 



CAPITOLO SETTIMO 



Sollevazione di Gant contro Girlo V, il quale passando di Francia per recarsi a 
reprimerla viene incontralo, e ricevuto colla più onorevole e cordiale accoglienza 
da Francesco I che inganna e vilmente offende colla promessa del Ducato di Milano » 
e delle nozze della propria figlia con Carlo d' Orleans cui 1* avrebbe investito ; 
entrambi poi ingannano la Repubblica di Venezia , la quale avvedutasi dell' inganno 
si scosta dalla l^a e conchiude con grave suo pregiudizio una pace col Turco. 
Grandissima carestia in Genova , fondazione dei pubblici granai , creazione dell' Of- 
fiòo dei Poveri, tentativi infelici di seminare a grano le terre di Porto Vecchio 
in Corsica , fifibbrica delle mura di Porta d' Arco , accrescimento della torre del 
Pubblico Palazzo , e ampliazione del Porto. Presa del corsaro Dragut , vergognoso 
mercato che si fa della sua liberazione per opera di Andrea Doria; infierisce la 
carestia; inaspettata estrazione di grano dalla Provenza ottenuta da Francesco I 
per Cesare Fr^oso a favore di Genova. Abboccamento in Lucca dell' Imperatore 
con Paolo III Pontefice , che lo esorta a conciliarsi col Re , ostinazione dell' Im> 
peratore. Assassinio dei due ambasciatori francesi Antonio Rincone e Cesare Fregoso , 
perpetrato com'è £una, dal Marchese del Vasto per ordine di Carlo V. 



XL V. — Questi fatti accadevano, allorché soUevavansi 
a Carlo i Gantesi, egli per . condursi più sicuramente 
nel Brabante desiderava passare per la Francia ; ma 
per non parerlo mandava al Doria andasse a levarlo 
sulle galee e colà il trasferisse. Francesco I, sentore 
avendo del desiderio suo gli andò con principesca cor- 
tesia innanzi ; spedi ambasciatori a fargliene singolaris- 
simo invito, né questo bastando, i suoi due figliuoli in- 
viògli fino oltre i Pirenei che lo accompagnassero nel 
viaggio; e giunto in terra di Francia non vi fii onore. 



I 36 

non splendore di feste colle quali non gli mostrasse il 
più grande, il più grazioso ricevimento ; sperava il Re 
colla gentilezza squisitissima de' modi, coll'abbandonarsi 
seco ad ogni più magnanimo sentimento di espugnamela 
durezza alemanna e la doppiezza spagnuola e fu un mo- 
mento che tale speranza gli si mutò quasi in sicurezza, 
perocché Carlo gli si manifestava lieto, sorridente, ar- 
rendevole, diverso assai da quello lo avea per V addietro 
stimato ; venuti essendo suU' argomento del Milanese, 
che tanto stava a cuore di Francesco , V Imperatore 
gli fece sentire eh' ei difficoltà veruna non avea di ren- 
derlo pago, quel Ducato investendo a Carlo d' Orleans, 
anzi colle promesse vincendo le regie speranze gli 
avrebbe conceduta in isposa una sua figlia; sicché il 
mondo si persuadesse della sincera intimità dell'unione 
loro, e con maggiore frutto potessero insieme colle- 
gati combattere il Turco. Il Re sei credette, per na- 
tura e pel carattere, leale e magnanimo essendo, e colui 
sen rise che all' ombra della regia credenza, meglio e 
senza timore delle armi firancesi potea ridurre ad ob- 
bedienza le Fiandre, ed ogni altro suo disegno man- 
dare ad eflFetto sicuramente in Italia. 

Che se l' Imperatore in tal guisa ingannava il Re, 
entrambi pensavano ad ingannare Venezia e in questo 
essi sinceramente si accordavano. Inviavano ambascia- 
tori straor dinar j di grande levatura a quel Senato esor- 
tandolo a perseverare nella lega, a continuare animoso 
la guerra. Ciò pubblicamente dicevano essi, ma in se- 
greto separatamente consigliavano non avesse fede Ve- 



137 
nezia nelle imperiali e regìe parole, V Imperatore, e il 
Re non altro prefiggersi a fine che di ridurla colla lega 
e colla guerra a stremo di forze affinchè più agevol- 
mente si abbandonasse dell' uno, e dell' altro in potestà. 
Laonde tra per questo, e per i rovesci sofferti, il Senato 
deliberava scostarsi dalla lega, e venire in ogni modo 
pace con Solimano, la quale, dopo molte trattative , che 
rendevano malagevoli, l'ambasciatore fi-ancese in Co- 
stantinopoli, e il residente in Venezia colla perfidia e la 
corruzione de' suoi magistrati, si cónchiuse finalmente 
mercè il grave sacrificio di molta quantità di oro non 
solo, ma delle terre di Malvasia e di Napoli di Ro- 
mania. Questo fii il vero scopo della lega e della 
guerra contro il Turco eh' ebbe l' Imperatore, cui con- 
corse innocentemente il Pontefice, turpemente Andrea 
Doria. 

XLVI. — Sotto gli ordini del quale essendo la Re- 
pubblica, sofferse in questi anni una grandissima ca- 
restia, che in molta parte d' Europa, e nell' Italia spe- 
cialmente affliggeva i popoli per la sterilità de' campi 
dalla continua guerra devastati ; impedito il commercio 
delle biade, chiuse le tratte di Lombardia, la città ne 
provava fiero travaglio ; si armarono quindi due navi 
affidate al comando di un Martino Botto il quale sol- 
cando il mare doveva muovere in traccia di navigli 
carichi di grano, e per ragione di necessità intratte- 
nerli pagandone però il prezzo a' padroni. Dalla Sicilia 
quanto le angustie della penuria generale il comporta- 
vano se ne ricevette ugualmente, e per tutto ciò fii 



138 

sollevata la repubblica; a' poveri cittadini la distribu- 
zione venne fatta a minore prezzo che non era il grano 
costato. Si diede da queir epoca principio alla fonda- 
zione di pubblici granaj e per proposta di Leonardo 
Cattaneo si creò un magistrato di otto cittadini, che 
fa detto l'officio de* Poveri, cura del quale era di 
provvederne al bisogno, e in queir anno quasi quattro 
mila uomini si sostentarono per esso ; lo composero 
per i primi Leonardo Cattaneo , Benedetto Centu- 
rione, Francesco Pinello Adorno, Martino Giustiniano 
Mongiardino , Gio. Batta Grimaldi , Jacopo Doria 
Invtea, Filippo Di Negro, ed Andrea Pallavicino 
Scaglia. 

Ma non contentandosi il Senato a siflFatte provvisioni, 
pensò ancora a liberar la Repubblica dalla dipendenza 
delle Provincie forestiere, seminando grano in proprj 
campi, da* quali tanto ogni anno se ne raccogliesse che 
bastasse alla cittadina sussistenza. Parve a tal fine por- 
gersi molto acconcia l'isola di Corsica; per la qual 
cosa i Protettori di S. Giorgio sotto il dominio di cui 
si trovava, mandaronvi due cittadini che fatta diligente 
ricerca, riconosciuta la natura e qualità dei luoghi, 
quella parte scegliessero che più accomodata trovassero 
all'uso prefisso. Vi si recarono Francesco Grimaldo 
Bracelli e Troilo Negrone, e le terre di Porto Vec- 
chio giudicarono le più adatte. Ne fecero relazione tor- 
nati a Genova, e approvato il parere, si decise per 
l'unanime suftagio de' Partecipi dell' entrate di S. Gior- 
gio che in cotesta opera si ponessero fino a quaranta 



139 
mila scudi. Con tali sussidj fa edificata una città a 
Porto Vecchio, e affinchè gli operai che vi attendevano 
fossero dalle infestazioni de' Corsari fatti sicuri vi si 
trasferi Bartolomeo Spinola con un presidio di soldati, 
e vi fa dedotta una specie di colonia, e quei campi 
conceduti per seminarvi a pigione. Ma dopo tanta spesa, 
e tante fatiche la sterilità del suolo, V insalubrità del- 
l' aria fecero tornar vana V impresa. 

XLVII. — Correndo gli anni di 1539 e 1540 venne 
troncato il capo ad un Valerio Zuccarello sacerdote 
perocché si ebbero indizj che appiccate pratiche con 
Francesco di Francia macchinasse qualche rivolgimento 
a danno della Repubblica. Si fabbricarono ancora le 
mura della porta dell' Arco, sotto il governo dei Padri 
del Comune Martino Fiesco Botto, Andrea Spinola di 
Benedetto e Ceva Doria; si accrebbero la torre del 
palazzo e il porto erogandovi la spesa di 500 scudi. 
Cotali opere mostravansi di somma necessità mentre 
al sorgere di primavera del 1540, molti corsari con 
ladronecci, ed ostili scorrerie perturbavano i mari. 
Capo loro era certo Dragut turco che cupido di fama 
e di potenza spargeva il terrore dovunque appariva. 
Andrea Doria stando in Sicilia avendo notizia che quei 
corsari costeggiavano la Corsica ordinava a Gianettino 
Doria che con una squadra navigasse in quelle acque 
per combatterlo. Nel seno di Giralatte ei lo trovava e 
dandogli battaglia facealo con nove suoi vascelli pri- 
^oniero liberando in tal guisa duemila cristiani che 
tenea schiavi. Condotto Dragut in Genova ornò il 



140 

trionfo delle galee vittoriose di Andrea e Gianettino ; 
e siccome di grande spavento non solo, nu di gra- 
vissimi danni era egli sempre stato cagione a tutti i 
popoli d' Italia, e specialmente ai Genovesi, così spe- 
ravasi che caduto adesso in mano di coloro che aveano 
ben donde più che ogni altro a temerne, per il futuro 
tempo non avrebbe più infestato i mari d' Italia ; folle 
speranza ! che se ne fece un tristo mercato, i Barbari 
voleano ricattarlo, Andrea Doria pretendeva una somma 
eh' ei non aveano, per procurarsela ei li rivolse alla 
famiglia Sopranis, la quale forni a loro il prezzo ri- 
chiesto dal Doria a titolo di oneroso prestito , e per 
guarentigia del pagamento dierono essi in pegno a 
Sopranis l'isola di Tabarca. 

XLVIII. — Infieriva più che mai in quest' anno 
di 1541 la carestia in Genova; fallite oggimai erano 
le speranze per li arrivi di Sicilia, e per i grani di 
Lombardia, dove anzi per fame crudelmente travaglia- 
vansi i popoli, quando donde meno si avea ragione di 
attenderlo, venne inaspettato il soccorso. Prevaleva nei 
consigli del Re di Francia l' autorità del genovese Ce- 
sare Fregoso, di cui si era egli servito, e giovavasi 
tuttavia nelle più gravi e dilicate faccende ; questi, ben- 
ché dalla patria sbandito, e dal Doria mortalmente odiato, 
mentre alla famiglia Fregoso doveva i principj della sua 
grandezza, non immemore però del luogo natio, tanta 
fece opera presso il Re, che lo indusse a ritessere le 
antiche relazioni commerciali coi Genovesi, state in- 
terrotte dopo il 1528, e che i suoi ministri residenti 



141 

in Provenza consentissero l' estrazione di colà de' grani 
per Genova , sicché una grande quantità ne fu tra- 
sportata che non solo della riviera di ponente , ma 
bastò ancora alla sussistenza di tutto lo stato. A 
saper grazie al Re dell'inatteso beneficio si manda- 
rono dalla. Repubblica in Francia ambasciatori Gio. 
Batta Lercaro e Gerolamo Sauli che onorevolmente 
ricevuti restituironsi in patria d' ogni cosa soddi- 
sfatti. 

In questo stesso anno ardendo la guerra civile fi'a 
le molte fazioni che si laceravano in Chiavari, spedito 
colà con alcune schiere di soldati Troilo Negrone, pu- 
niti avendo nel capo alcuni de' più restii, ricompose 
quella terra a quiete. 

XLIX. — Intanto abbocca vansi in Lucca ^d impor- 
tante convegno il Pontefice e l' Imperatore, e il primo 
esortava il secondo a riconciliazione col Re di Francia, 
quindi a dare una sicura pace a tutta la cristianità; 
mostrava solo e potente mezzo ad ottenerla essere la 
cessione del Ducato milanese a Francesco I; che 
perciò prometteva congiungere tutte le sue forze colle 
imperiali contro i Turchi a difesa dell' Ungheria, e 
della Germania , versanti entrambe in gravissimo pe- 
ricolo, per una segnalata vittoria riportata dianzi da 
Solimano contro il Re Ferdinando. Ma Carlo ad 
ogni esortazione e preghiera del Pontefice opponendo 
una viva resistenza, malgrado le molte promesse già 
fatte al Re, ostinatamente negò; la guerra stava 
dunque per riardere più accanita, quando un fiero 



142 

accidente, ne .ruppe ogni indugio e ne affrettò le 
ostilità. 

Stava in Costantinopoli un Antonio Rincone fuoru- 
scito spagnuolo ambasciatore per il Re di Francia, ca- 
rissimo a lui ; costui dopo di avere disposti gli animi 
degli Ottomani contro di Cesare e cattivatigli a Fran- 
cesco, che di molto ingegno, e graziosi modi era do- 
tato, tornato in Francia portatore di egregi doni di 

Solimano, riconducevasi in Costantinopoli accompa- 
gnato dal genovese Cesare Fregoso, il quale ultimo de- 
stinato veniva ad eccitare contro V Imperatore la Re- 
pubblica Veneta. Varcate avendo amendue le Alpi, 
discesi in Piemonte, divisavano di recarsi a Venezia. 
Consigliava il Fregoso di tenere la via dei Grigioni 
che se più disagevole tornava più sicura, non avendo 
fede nei Ministri imperiali quantunque ancora fra l'Im- 
peratore e il Re durasse la tregua ; il Rincone invece 
che grosso era di corpo, e cagionevole per il travaglio 
della gotta anteponeva di fare il viaggio per acqua sul 
Po. In questo dissenso la caparbietà dello spagnuolo 
la vinse sulla prudenza dell' Italiano, e fu deciso a ta- 
lento di quello. Per maggior cautela però Monsignor 
di Bellai governatore allora pel Re in Torino richiese 
ed ottenne un passaporto dal Marchese del Vasto go- 
vernatore di Milano. Posersi in viaggio, ma giunti dove 
il Ticino mette in Po, furono assaliti e presi d' alcuni 
soldati spagnuoli che scorrevano per il fiume sopra 
barcacce, e barbaramente entrambi trucidati; e siccome 
è presunzione che autore del delitto sia quegli d' ordi- 



Hi 

nario cui giova, si volle imputare allo stesso Marchese 
del Vasto che sinceramente, o apparèntemente mostran- 
dosene indignato ne rigettò la colpa a' masnadieri che 
solevano infestare quei luoghi; ma fu universale cre^ 
denza eh' egli ne avesse dato V ordine per conto del- 
l' Imperatore, e prima dell' uccisione, i due ambascia- 
tori fossero stati sottoposti alla tortura, per conoscere 
i particolari della commissione che avevano, 1' uno per 
Costantinopoli e 1' altro per Venezia ; indi cavato loro 
di bocca ogni segreto, venissero in tal guisa assassi- 
nati colà donde poco discosti si trovarono alcuni giorni 
dopo i corpi insepolti, e fatti a brani. La destra del 
Fregoso mancante del dito dove portava un anello di 
egregio valore, e per avventura troncato dagli assassini 
per non poterlo agevolmente estrarre, riconosciuto dal- 
l' addolorata consorte fu da lei recata innanzi al Re di 
Francia, per meglio colla sanguinosa vista infiammarlo 
alla vendetta; e di vero, colle più violenti parole egli 
ne diede tosto notizia a tutti gli stati, e all'Impera- 
tore aspramente ne scrisse ; ma costui rispose colla 
maggior calma che potea essere 1' eflFetto o della sicu- 
rezza di un'lmperturbata coscienza, o della più profonda 
dis6Ìmulazione, non essere credibile che un suo Mini- 
stro in cui riposta aveva la sua fiducia e della più spec- 
chiata integrità nel suo servizio, tanto trascorso avesse 
oltre i termini di ragione e di onestà da commettere 
siffatto attentato ; avere d' uopo quel fatto di venire . 
con diligenza esaminato, e prima di condannare il Mar- 
chese, o rimetterlo come si pretendeva, a mani del 



144 

Re, voleva sentirne egli stesso le giustificazioni. Que- 
ste fiirono che il Del Vasto sfidò a duello chiunque 
affermasse o dicesse essere lui autore, o complice del- 
l' assassinio ; ma ninno il duello accettò , ed egli in 
tal guisa chiarissi innocente, non la pubblica opinione 
però che seguitò a tenerlo per reo. 



CAPITOLO OTTAVO 



Nuova lega di Francesco I con Solimano imperadore dei Turchi contro Carlo V; 
costui intraprende una spedizione per occupare Algeri per mezzo di numerosa flotta 
sotto gU ordini di Andrea Doria ; furiosa tempesta che ne impedisce l' approdo , e 
distruggendone la maggior parte delle navi ne manda a male il tentativo; onori 
e premi ^^' Imperatore conferiti ad Andrea Doria che avea sconsigliau V impresa ; 
riarde la guerra in Lombardia', Fiandra, e nei luoghi finittimi della Spagna ; pira- 
terie esercitate dal Barbarossa nel Mediterraneo , dalle quali si premunisce Genova 
con nuore fortificazioni lungo le due Riviere. Assedio e liberazione di Nizza per 
parte dei Turchi, essendo la flotta loro sbattuta e dispersa dalla tempesta. Luigi 
Alamanni mandato da Francesco I ùl proposte in nome di questo al Senato della 
Repubblica, che vengono rigettate; piraterie del corsaro Barbarossa. Vittoria dei 
Francesi contro gì* Imperiali in Piemonte; pace di Crespy fra Girlo e Francesco; 
dissensioni civili in Genova tra i Nobili Antichi che si erano impossessati del 
governo e i Nuovi che ne venivano espulsi ; ristaurazione e purgazione del porto. 



L. — Ora tra per questo e per credersi beffato 
dall' Imperatore circa il Ducato di Milano , tante volte 
promesso , il Re di Francia si accingeva sollecitamente 
alla guerra; inviava un Antonio Polino a Solimano, 
ordinandogli che nel suo passaggio in Venezia, ten- 
tasse di muovere il Senato ad unirsi con lui. Ma il 
veneto governo si scusò, dimostrando come la Repub- 
blica non potea altrimenti che tenersi neutrale ; in 
Costantinopoli , benché dapprincipio si mostrassero gli 
animi poco disposti a favore di Francesco, improve- 
io 



146 

randogli Solimano di non avere in Piemonte combat- 
tuta la guerra con quelle forze eh* ei poteva, e aveva 
promesso, abbandonati poscia gli ottomani per la 
tregua di Nizza mentre più si rendeva facile la vit- 
toria, ciò nondimeno V ingegno destro e pronto del- 
l' Inviato seppe confutare vittoriosamente quelle accuse, 
e vincendo ogni ostacolo indurre Solimano alla pro- 
posta lega; perciò promise ed obbligossi alla guerra 
per terra e per mare contro di Carlo, mandando con 
ragguardevole numero di navi e di galee il Barba- 
rossa a devastare ed invadere le spiaggie del Mediter- 
raneo. 

Senonchè , i preparativi della nuova e più terribile 
guerra che stava per iscoppiare avevano di mestieri 
di molto tempo, né per quell'anno di 1545 poteva 
quindi aver luogo. Di ciò Carlo V fatto certo, e per 
avventura in seguito alle confessioni estorte colla tor- 
tura ai due miseri assassinati, divisava ed avventura- 
vasi all'impresa di Algeri, opinando e consigliando 
in contrario il Doria; il quale dovendo però sottostare 
a' suoi ordini raccolse la flotta nel golfo della Spezia 
dove da Lucca trasferitosi , vi sali sopra V Imperatore. 
Noveravansi 35 galee, ed altri maggiori e minori 
legni, de' quali la più gran parte de' Genovesi; por- 
tavano al loro bordo seimila tedeschi, molti italiani 
di recente arruolati da Camillo Colonna ed Agostino 
Spinola, e qualche schiere di vecchi spagnuoli. Sal- 
pato avendo 1' armata, e veleggiando verso la Corsica, 
una fiera procella cominciò a sbaragliarla; abbonac- 



147 
ciatosi il mare, e rallentata la furia del vento, il dì- 
sperso naviglio potè ricongiungersi nel porto di Boni- 
facio. Di là navigossi alle Baleari , e da queste si potè 
alfine approdare ai lidi di Africa innanzi ad Algeri, 
dove riunironsi all'armata le galee di Spagna e di 
Sicilia con molti altri legni, talché tutta quella forza 
navale si compose di 400 vele, fra le quali 100 navi 
grosse Biscaine e Fiamminghe, 150 italiane e diverse 
parecchie di altre nazioni. Appena fu alla vista della 
città che due fiiste ottomane volendo entrare in Al- 
geri awenivansi nell' antiguardo cristiano; ma la galea 
genovese comandata da Visconte Cicala con un colpo 
di cannone colò al fondo V una di esse, V altra colla 
rapidità del corso salvòssi. Sventuratamente, la fusta 
algerina affondata dal Cicala fu quanto di bene incolse 
a' cristiani; che stati fermi sulle àncore per due giorni 
attendendo cessasse il violento soffiare de' venti, e al 
terzo finalmente tramontando il sole, sbarcati, una 
nuova e più fiera tempesta li percosse, per la quale 
i legni sbattuti , gli uni contro gli altri conquassavansi, 
o costretti in terra investivansi; la oscurità della so- 
pravvenuta notte rendeva più spaventevole il pericolo 
ed orrido il danno; le galee che gran tempo si erano 
tenute salde sulle àncore, mal sapendo più governarsi, 
recisi i canapi, rompevano agli scogli. Il gran senno 
soltanto, e la singolare intrepidità di Andrea Doria, sal- 
vava la Capitana, forte egli fino all' ultimo sostenutosi 
sulle àncore, sicché quanti ne imitarono l'esempio anda- 
rono illesi; versò in grave pericolo invece Gianettino, 



148 

che temendo V urto di una vicina galea , che di fianco 
stava per investirlo , ruppe a terra , dove i Mori e gli 
Arabi soldati precipitatisi tosto con numerose schiere 
contro di lui, V avrebbero senza dubbio ucciso se a 
sua difesa non accorreva Agostino Spinola col reg- 
gimento italiano che facendo prove di egregio valore 
riuscì a liberarlo. 

Andarono in quel naufragio sommerse e perdute 
undici delle quattordici galee del Boria, e intorno a 
cento degli altri minori legni. U ammiraglio genovese 
com' era stato colui che sconsigliato aveva la infelice 
spedizione, cosi fu il primo a consigliare dopo tanto 
disastro la subita partenza; V Imperatore pentito della 
passata caparbietà acòolse volenteroso il consiglio or- 
dinando si imbarcassero i fanti al Capo di Metifiis, 
luogo il più addatto di quelle sinistre spiaggie. Già- 
nettino pose allora in opera i suoi marinai facendo 
loro celeremente costrurre un ponte di tavole, pel 
mezzo di cui potè la gente risalire le navi. Ciò fatto, 
salpò r armata da quelli infausti luoghi , navigando a 
Majorca, indi a Cartagenova ove scese a terra 1* Im- 
peratore; il quale prima di accommiatarsi dal Boria, 
volle dargli particolare segno della molta sua stima 
e riconoscenza sia per averlo dapprima saviamente 
dissuaso dalla sventurata impresa, sia perchè sottratto 
ad un estremo pericolo, sia infine per risarcirlo del 
danno patito, quindi gli fece dono del Protonotario 
del Regno di Napoli, con una rendita di tremila scudi 
sopra gli Uffìzi Fiscali di quello; poco dopo gli con- 



149 

cedette ancora la città di Tursi nella provincia della 
Basilicata. 

LI. — Rompevasi la nuova guerra tra V Imperatore 
e il Re; combattevasi in Lombardia, in Fiandra, e nei 
luoghi finittimi della Spagna; la Repubblica rimanendo 
tra i due belligeranti neutrale, sentiva però la neces- 
sità di premunirsi contro ogni interno ed esterno pe- 
ricolo , temendo specialmente la squadra turchesca che 
sotto gli ordini del Barbarossa scorreva il Mediter- 
raneo devastandone le coste; laonde fortificavansi i 
più importanti porti delle Riviere, e della fede dei 
Savonesi dubitando, sapendoli disposti a levarsi contro 
di Genova, si mettea opera alla fortezza di quella città 
per mantenerli in rispetto, sopravegghiando al lavoro 
Andrea Usodimare e Stefano Pasqua; si ristorava an- 
cora il castello di Portofino ; e le mura di Portove- 
nere, cadenti per vetustà, si riedificavano, altre provvi- 
denze si davano, affinchè la città e gli altri paesi del 
ligustico littorale fossero', quant' era possibile, fatti 
sicuri. 

E bene si era avvisato, che il Barbarossa uscito da 
Costantinopoli con 150 legni, sbarcata la gente in 
Calabria, assaliva e saccheggiava la città di Reggio; 
navigando quindi in Provenza univansi a lui 22 galee 
e dieciotto navi grosse firancesi, con queste forze muo- 
veva contro di Nizza. Lasciato il porto di Marsiglia, 
rasentando la riviera, giungeva in quello di Villafiranca , 
quando Polino, ambasciatore di Francia, che seguitava 
r armata e moderava co' suoi consigli le operazioni 



148 

che temendo V urto di una vicina galea , che di fianco 
stava per investirlo , ruppe a terra , dove i Mori e gli 
Arabi soldati precipitatisi tosto con numerose schiere 
contro di lui, V avrebbero senza dubbio ucciso se a 
sua difesa non accorreva Agostino Spinola col reg- 
gimento italiano che facendo prove di egregio valore 
riusci a liberarlo. 

Andarono in quel naufragio sommerse e perdute 
undici delle quattordici galee del Boria, e intorno a 
cento degli altri minori legni. L' ammiraglio genovese 
com' era stato colui che sconsigliato aveva la infelice 
spedizione, cosi fu il primo a consigliare dopo tanto 
disastro la subita partenza; V Imperatore pentito della 
passata caparbietà accolse volenteroso il consiglio or- 
dinando si imbarcassero i fanti al Capo di Metifiis, 
luogo il più addatto di quelle sinistre spiaggie. Già- 
nettino pose allora in opera i suoi marinai facendo 
loro celeremente costrurre un ponte di tavole, pel 
mezzo di cui potè la gente risalire le navi. Ciò fatto, 
salpò r armata da quelli infausti luoghi , navigando a 
Majorca, indi a Cartagenova ove scese a terra 1* Im- 
peratore; il quale prima di accommiatarsi dal Doria, 
volle dargli particolare segno della molta sua stima 
e riconoscenza sia per averlo dapprima saviamente 
dissuaso dalla sventurata impresa, sia perchè sottratto 
ad un estremo pericolo, sia infine per risarcirlo del 
danno patito, quindi gli fece dono del Protonotario 
del Regno di Napoli, con una rendita di tremila scudi 
sopra gli Uffìzi Fiscali di quello; poco dopo gli con- 



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cedette ancora la città di Tursi nella provincia della 
Basilicata. 

LI. — Rompevasi la nuova guerra tra V Imperatore 
e il Re; combattevasi in Lombardia, in Fiandra, e nei 
luoghi finittimi della Spagna; la Repubblica rimanendo 
tra i due belligeranti neutrale, sentiva però la neces- 
sità di premunirsi contro ogni interno ed esterno pe- 
ricolo , temendo specialmente la squadra turchesca che 
sotto gli ordini del Barbarossa scorreva il Mediter- 
raneo devastandone le coste; laonde fortificavansi i 
più importanti porti delle Riviere, e della fede dei 
Savonesi dubitando, sapendoli disposti a levarsi contro 
di Genova, si mettea opera alla fortezza di quella città 
per mantenerli in rispetto, sopravegghiando al lavoro 
Andrea Usodimare e Stefano Pasqua; si ristorava an-' 
Cora il castello di Portofino ; e le mura di Portove- 
nere, cadenti per vetustà, si riedificavano, altre provvi- 
denze si davano, affinchè la città e gli altri paesi del 
ligustico littorale fossero', quant' era possibile, fatti 
sicuri. 

E bene si era avvisato, che il Barbarossa uscito da 
Costantinopoli con 150 legni, sbarcata la gente in 
Calabria, assaliva e saccheggiava la città di Reggio; 
navigando quindi in Provenza univansi a lui 22 galee 
e dieciotto navi grosse firancesi, con queste forze muo- 
veva contro di Nizza. Lasciato il porto di Marsiglia, 
rasentando la riviera, giungeva in quello di Villafiranca , 
quando Polino, ambasciatore di Francia, che seguitava 
Tarmata e moderava co' suoi consigli le operazioni 



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che temendo V urto di una vicina galea , che di fianco 
stava per investirlo , ruppe a terra , dove i Mori e gli 
Arabi soldati precipitatisi tosto con numerose schiere 
contro di lui, V avrebbero senza dubbio ucciso se a 
sua difesa non accorreva Agostino Spinola col reg- 
gimento italiano che facendo prove di egregio valore 
riusci a liberarlo. 

Andarono in quel naufragio sommerse e perdute 
undici delle quattordici galee del Boria, e intorno a 
cento degli altri minori legni. L' ammiraglio genovese 
com' era stato colui che sconsigliato aveva la infelice 
spedizione, cosi fu il primo a consigliare dopo tanto 
disastro la subita partenza; V Imperatore pentito della 
passata caparbietà accolse volenteroso il consiglio or- 
dinando si imbarcassero i fanti al Capo di Metifiis, 
luogo il più addatto di quelle sinistre spiaggie. Già- 
nettino pose allora in opera i suoi marinai facendo 
loro celeremente costrurre un ponte di tavole, pel 
mezzo di cui potè la gente risalire le navi. Ciò fatto, 
salpò r armata da quelli infausti luoghi , navigando a 
Majorca, indi a Cartagenova ove scese a terrai* Im- 
peratore; il quale prima di accommiatarsi dal Doria, 
volle dargli particolare segno della molta sua stima 
e riconoscenza sia per averlo dapprima saviamente 
dissuaso dalla sventurata impresa, sia perchè sottratta 
ad un estremo pericolo, sia infine per risarcirlo del 
danno patito, quindi gli fece dono del Protonotaria 
del Regno di Napoli, con una rendita di tremila scudi 
sopra gli Uffìzi Fiscali di quello; poco dopo gli con- 



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cedette ancora la città di Tursi nella provincia della 
Basilicata. 

LI. — Rompevasi la nuova guerra tra V Imperatore 
e il Re ; combattevasi in Lombardia, in Fiandra, e nei 
luoghi finittimi della Spagna; la Repubblica rimanendo 
tra i due belligeranti neutrale, sentiva però la neces- 
sità di premunirsi contro ogni interno ed esterno pe- 
ricolo , temendo specialmente la squadra turchesca che 
sotto gli ordini del Barbarossa scorreva il Mediter- 
raneo devastandone le coste; laonde fortificavansi i 
più importanti porti delle Riviere, e della fede dei 
Savonesi dubitando, sapendoli disposti a levarsi contro 
di Genova, si mettea opera alla fortezza di quella città 
per mantenerli in rispetto, sopravegghiando al lavoro 
Andrea Usodimare e Stefano Pasqua; si ristorava an-' 
Cora il castello di Portofino ; e le mura di Portove- 
nere, cadenti per vetustà, si riedificavano, altre provvi- 
denze si davano, affinchè la città e gli altri paesi del 
ligustico littorale fossero', quant' era possibile, fatti 
sicuri. 

E bene si era avvisato, che il Barbarossa uscito da 
Costantinopoli con 150 legni, sbarcata la gente in 
Calabria, assaliva e saccheggiava la città di Reggio; 
navigando quindi in Provenza univansi a lui 22 galee 
e dieciotto navi grosse firancesi, con queste forze muo- 
veva contro di Nizza. Lasciato il porto di Marsiglia, 
rasentando la riviera, giungeva in quello di Villafiranca , 
<pando Polino, ambasciatore di Francia, che seguitava 
1* armata e moderava co' suoi consigli le operazioni 



148 

che temendo V urto di una vicina galea , che di fianco 
stava per investirlo , ruppe a terra , dove i Mori e gli 
Arabi soldati precipitatisi tosto con numerose schiere 
contro di lui, V avrebbero senza dubbio ucciso se a 
sua difesa non accorreva Agostino Spinola col reg- 
gimento italiano che facendo prove di egregio valore 
riusci a liberarlo. 

Andarono in quel naufragio sommerse e perdute 
undici delle quattordici galee del Boria, e intorno a 
cento degli altri minori legni. L' ammiraglio genovese 
com' era stato colui che sconsigliato aveva la infelice 
spedizione, cosi fu il primo a consigliare dopo tanto 
disastro la subita partenza; V Imperatore pentito della 
passata caparbietà accolse volenteroso il consiglio or- 
dinando si imbarcassero i fanti al Capo di Metifiis, 
luogo il più addatto di quelle sinistre spiaggie. Già- 
nettino pose allora in opera i suoi marinai facendo 
loro celeremente costrurre un ponte di tavole, pel 
mezzo di cui potè la gente risalire le navi. Ciò fatto, 
salpò r armata da quelli infausti luoghi , navigando a 
Majorca, indi a Cartagenova ove scese a terra 1* Im- 
peratore; il quale prima di accommiatarsi dal Doria, 
volle dargli particolare segno della molta sua stima 
e riconoscenza sia per averlo dapprima saviamente 
dissuaso dalla sventurata impresa, sia perchè sottratto 
ad un estremo pericolo, sia infine per risarcirlo del 
danno patito, quindi gli fece dono del Protonotario 
del Regno di Napoli, con una rendita di tremila scudi 
sopra gli Uffìzi Fiscali di quello; poco dopo gli con- 



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cedette ancora la città di Tursi nella provincia della 
Basilicata. 

LI. — Rompevasi la nuova guerra tra V Imperatore 
e il Re ; combattevasi in Lombardia, in Fiandra, e nei 
luoghi finittimi della Spagna; la Repubblica rimanendo 
tra i due belligeranti neutrale, sentiva però la neces- 
sità di premunirsi contro ogni interno ed esterno pe- 
ricolo , temendo specialmente la squadra turchesca che 
sotto gli ordini del Barbarossa scorreva il Mediter- 
raneo devastandone le coste; laonde fortificavansi i 
più importanti porti delle Riviere, e della fede dei 
Savonesi dubitando, sapendoli disposti a levarsi contro 
di Genova, si mettea opera alla fortezza di quella città 
per mantenerli in rispetto, sopravegghiando al lavoro 
Andrea Usodimare e Stefano Pasqua; si ristorava an- 
cora il castello di Portofino ; e le mura di Portove- 
nere, cadenti per vetustà, si riedificavano, altre provvi- 
denze si davano, affinchè la città e gli altri paesi del 
ligustico littorale fossero', quant' era possibile, fatti 
sicuri. 

E bene si era avvisato, che il Barbarossa uscito da 
Costantinopoli con 150 legni, sbarcata la gente in 
Calabria, assaliva e saccheggiava la città di Reggio; 
navigando quindi in Provenza univansi a lui 22 galee 
e dieciotto navi grosse firancesi, con queste forze muo- 
veva contro di Nizza. Lasciato il porto di Marsiglia, 
rasentando la riviera, giungeva in quello di Villafiranca , 
quando Polino, ambasciatore di Francia, che seguitava 
r armata e moderava co' suoi consigli le operazioni 



I50 

del Barbarossa , per incarico del Re , indirizzavasi alla 
Repubblica, facendola sicura che niun danno dovea 
temerne a' suoi Stati, i popoli de' quali aveano fa- 
coltà di continuare quei traflSci che poco innanzi avea 
loro il Re consentiti ; a maggiore prova di siffatte as- 
sicurazioni inviava egli liberi i genovesi rimasti schiavi 
dei Turchi. Il Senato rispondeva, riferendo grazie, 
sponendo come- costretto era il governo a rimanersi 
neutrale, godendo intanto quei benefìzi de' quali cor- 
tese mostravasi la bontà del Re. 

Combattevasi da' Turchi e Francesi insieme colle- 
gati la città di Nizza che veniva alfine espugnata; ma 
la fortezza, la più disperata resistenza opponendo, 
porgeva agio al Marchese del Vasto che da Milano 
con un forte nerbo di milizie calando dalle Alpi ma- 
rittime, e ad Andrea Boria colle forze marittime, vi 
balenassero al soccorso ; l' armata ottomana fii perciò 
obbligata a levare 1' assedio e ritirarsi in Antibo. Ma 
qui scoppiata un' improvvisa tempesta, quattro galee 
del Doria andavano sommerse senza che alcuno di 
quelli che le salivano riuscissero a salvarsi; versavano 
le altre in grave pericolo. Monsignor d' Anghiens, 
principale della Casa Reale e generale della gente di 
Francia, voleva che il Barbarossa , cogliendo il destro 
del fiero disastro toccato da' cristiani, facessesi innanzi 
con lui, e ingaggiasse il conflitto, ma colui, o perchè 
il vento non gli spirasse propizio, o perchè, meglio, 
mala soddisfazione avesse de' Francesi, temporeggiò 
dapprima, rifìutossi da ultimo. Abbandonavasi Nizza, 



la flotta del Doria riparava malconcia nel porto di 
Genova, una parte di quella del Barbarossa discorreva 
lunghesso la riviera occidentale per metterne a sacco 
qualche più ragguardevole terra. Gettossi contro di 
San Remo, ma Lucca Spinola che vi era podestà, col 
proprio e col valore dei terrazzani ributtò cosi fiera- 
mente i Turchi che dovettero, pieni di sanguinose 
ferite, ritirarsi. Lasciava il Barbarossa il seno ligustico, 
e navigava in Provenza per isvernarvi. 

LIL — Il Re di Francia bramava ardentemente di 
scostar Genova dalla parte dell' Imperatore e a sé più 
strettamente avvincerla, per questo le prime e feroci 
minacce ed ostilità, per questo usava adesso le molte 
e inaspettate cortesie verso di lei. Essendo V anno 1543 
spediva egli un suo fidato di Corte, il quale mentre 
porgeva speciali scuse per quanto avea il Barbarossa 
tentato contro S. Remo, imputandolo alla barbarie e 
slealtà di quel pirata, chiedeva a nome del Re tre 
cose al Senato : accogliesse la Repubblica a suo. am- 
basciatore Luigi Alamanni, fuoruscito fiorentino, uomo 
di molte lettere e dottrina, amicissimo di Andrea 
Doria; ricoverasse ne' suoi porti le armate di lui; gli 
accordasse a prestito una cotale quantità di danaro; 
con ciò, conchiudeva l' Inviato, si pareggerebbe la 
sua condizione di neutraUtà che avea coli' Imperatore 
con quella che verrebbe ad essere ugualmente sincera 
con luL Posto a queste strette, rispondeva il Senato, 
niuna difficoltà vi sarebbe che 1' ambasciatore firancese 
risiedesse in Genova, ma temeva fortemente non ne 



152 

sorgessero mali umori e sconcerti da siffatta presenza 
coi ministri dell' Imperatore cui la Repubblica non 
potea mancare dei dovuti riguardi. Libero essere il 
Re di mandare le sue flotte nei porti liguri quando 
però non fossero unite a quelle degl' infedeli ; infine, 
non potersi consentire ad alcun prestito di danaro per 
il vóto deir erario in seguito alle grandi spese occorse 
in questi tempi per difesa dello Stato; che se ali* Im- 
peratore si erano fatti dei prestiti, questi essere da 
particolari cittadini sopra i quali il governo non po- 
teva esercitare autorità veruna e cui volendo anche il 
Re era libero di rivolgersi. 

Queste cose dette all' incaricato regio, a maggiore 
giustificazione si fecero dal Senato esporre alla Re^a 
Corte per mezzo di uno speciale ambasciatore che fu 
Benedetto Centurione, il quale anzi incontrando lo 
sdegno del Re, venne con mal garbo e con amare 
parole accommiatato. 

LIII. — Il Barbarossa, passato il verno nei porti di 
Provenza, al tornare di Primavera ricondusse T ar- 
mata in Levante, e passando per il porto di Vado, 
dove per provvedersi d' acqua trattenevasi, fece cono- 
scere alla Repubblica aver ordini severi dal Re di 
usare ogni rispetto a' suoi popoli , né al suo passaggio 
recar loro danno o molestia alcuna, locchè se ne aveva 
la facoltà sarebbe come amico passato. Il Senato 'ri- 
spose prestando il consenso, ed assai ringraziandone 
a ciò pago mandògli rinfreschi e preziosi doni di seta 
e~^di atei oggetti; a queste cortesi dimostrazioni del 



153 
governo si unirono pur quelle di Andrea Doria in 
verso il greco rinnegato, il quale se passando alla 
vista di Genova parve contenersi, non cosi tosto tro- 
vossi nella riviera orientale che, gittata la maschera, 
violata la fede, fattosi incontro ad una nave savonese 
carica di preziose mercanzie predòUa e la si appropriò, 
indi navigando minacciò V isola di Piombino poiché 
Appiano, signore di quella, negava di dargli in mano 
un garzoncello turco, ma battezzato e fatto cristiano; 
prese e saccheggiò Telamone, porto florido dei Sanesi, 
vinse Porto Ercole, assali Orbitello, e portatosi verso 
Napoli, diede pure al saccheggio l'isola d'Ischia, 
combattè Pozzuolo, volse all' isola di Capri, e di là 
a quella di Lipari che pose egualmente a sacco; infine 
con 7 mila schiavi cristiani ritornossi a Costanti- 
nopoli. 

LIV. — Intantochè questi /atti avvenivano i Francesi 
vincevano gì' Imperiali nel luogo di C eresole in Pie- 
monte, e gl'Imperiali i Francesi alla Stradella, disfatto 
avendo Pietro Strozzi che alla notizia della vittoria 
cercava di gittarsi sopra Milano e cogli aiuti di Pier 
Luigi Farnese Duca di Parma e Piacenza occuparlo. 
Vòlto a male il tentativo, a grande stento salvossi 
lo Strozzi con alcune delle sue genti, e calato dal- 
l' Apennino, scese in Polcevera continuando il cam- 
mino senza commettere però atto di ostilità, per cui 
la Repubblica gli concedette libero il passaggio, quan- 
tunque i Ministri imperiali fieramente dissentissero, 
ed ogni sforzo adoperassero aflinchè glielo impedisse. 



154 
Infine fra i due Sovrani si venne a pace in Crespy, 
e r Imperatore prometteva in isposa la figlia sua pri- 
mogenita ad Enrico Duca di Orleans secondogenito 
del Re mercè la dote di tutta la Fiandra, ovvero ad 
arbitrio di Francesco, toccando destramente quella ma- 
teria che più lo stimolava, una figlia del Re Ferdinando 
con la dote del Ducato Milanese. La Repubblica, ve- 
nuto a sua cognizione il trattato che si andava con- 
chiudendo, spediva all'Imperatore Vincenzo dei For- 
nari, commettendogli rappresentasse la cessione del 
Milanese si facesse senza suo pregiudizio. Seguito il 
trattato tutti i principi d' Europa vi fiirono compresi 
e in ispecialità la genovese Repubblica. 

LV. — La quale agitavasi sempre fira gli sdegni e i 
rancori della parte eh' erasi posta alla piena Signoria, 
e quella cui se ne concedeva un' apparenza dopo di 
averne dal 1339 fino al 15^8 posseduta l'intera somma. 
Queste due parti si dicevano dei Nobili Vecchi e dei 
Nobili Nuovi, i primi venuti al potere per virtù di 
Andrea Doria, i secondi ottenendo quanto erano stati 
quelli sulle prime costretti ad accordare, ma già sicuri 
nel nuovo possesso stavano per rapire loro ; e siccome 
i Nobili Vecchi radunavansi in una loggia presso la 
contrada di S. Luca, e i Nuovi in un' altra vicino la 
chiesa di S. Pietro, cosi gli uni chiamavansi del Por- 
tico di S. Luca, gli altri del Portico di S. Pietro. Per 
rabbonirli i Nobili Vecchi aveano permesso una cotale 
consuetudine che il Doge il quale eleggevasi ogni due 
anni con alterna vece si nominasse ora di un Portico, 



155 
ora dell' altro , quegli che adesso terminava il suo do- 
gato era infatti un Andrea Pietrasanta che apparteneva 
ai Nobili Nuovi ; mentre il precedente Leonardo Cat- 
taneo annoveravasi fra gli Antichi. Ora i primi invaniti 
per audaci speranze e forse da segrete istigazioni e 
promesse stimolati dal Re Francese, presero a volere 
che cessato il Pietrasanta fosse il successivo Doge del 
Portico Nuovo; opponevansi quelli di S. Luca, ed essi 
travagliandosi strettamente uniti fra loro, fecero brogUo 
che i 28 dai quali doveansi scegliere i quattro che 
proponevansi al Gran Consiglio per la nomina Ducale 
appartenessero tutti alla propria fazione ; al qual fine 
riusciti essendo, rimase eletto Gio. Batta Defornari 
dell' ordine popolare , e del portico di S. Pietro ; il 
quale o perchè mal veduto, ed osteggiato dalla con- 
traria fazione, o perchè veramente nodrisse disegni 
ambiziosi e pregiudizievoli allo stato della Repubblica, 
mostrandosi amicissimo della plebe, e in grande inti- 
mità coi principi stranieri cessato il suo biennio , 

venne accusato, e chiarito di tenere colpevoli intelli- 
genze col Re di Francia, carcerato, e condannato po- 
scia alla rilegazione in Fiandra. 

LVL — Sulla fine dell'anno di 1545 s'inviò Vin- 
cenzo Pallavicino al nuovo Duca Pier Luigi Farnese 
per congratularsi seco lui che il Pontefice Paolo III 
lo avesse innalzato a tal dignità colla Signoria delle 
città di Parma e Piacenza. 

E correndo il 1546 essendo Padri del Comune Ga- 
sparo Bracelli, Paolo Casanova, e Cattaneo Pinello, 



156 

si attese alla restaurazione del Porto riducendolo in 
modo che tornasse comodo alle galee par isvernarvi, 
rivolgendo altrove le chiaviche delle immondizie che 
vi mettevano, purgando T alveo, e rompendo li scogli 
di guisa che V acqua vi potesse entrare fino all' altezza 
di 12 piedi. 



LIBRO SECONDO 



CAPITOLO PRIMO 



Vére cagioni della congiura di Gian Luigi Fieschi. Malcontento dei Nobili Nuovi, 
colla riforma delle Leggi del 1528 operata d'Andrea Doria sottoposti all'autorità 
ed incorporamento dei 28 Alberghi , quasi tutti composti dei Nobili Vecchi ; neces- 
siti del Doria e della sua frazione di mettere la Repubblica in balla di Girlo'V 
per poterne interamente maneggiare il governo. Funeste cons^uenze di siffatta 
politica nonché per Genova, per l' Italia tutta ; primi tentativi di congiura contro 
il nuovo stato repressi col sangue. Povertà della discendenza di Andrea, diversa 
da quella famosa dei Deria vincitori alla Meloria, a Curzola, al Bosforo, e alla 
Sapienza; egli astutamente si aiuta delle ricchezze di Adamo Centurioni, Ansaldo 
G^mald^, e Sinibaldo Fiesco', prodigalità di quest* ultimo a £avore del governo 
istituito dal Doria , per le quali muore lasciando nelle maggiori strettezze la pro- 
pria famiglia. 



LVII. — Or mi si fa innanzi la Congiura di Gian 
Luigi Fiesco a descrivere, argomento dolorosissimo, 
la trattazione del ^quale hanno reso, nonché malage- 
vole, direi quasi anche pericolosa fino addi nostri 
medesimi le passioni degli uomini che alterandone i 
caratteri principali e secondo le parzialità loro espo- 
nendone i fatti posero a tali strette chi ancora ne 
Éivelli da non poter evitare il biasimo o dell'una, o 



158 

dell' altra parte, e forse d' entrambe proponendosi 
senza odio ed ira di scriverne il vero; me non isfugge 
il duro cimento cui vado incontro, e se il potessi 
senza pregiudizio di queste istorie che sto dettando. 
volentierissimo ommetterei di trattarne, ma poiché 
non mi è dato, a malincuore il farò, dichiarando cio- 
nondimeno, che io entro nel soggetto con animo de 
liberato a dirne senz' amore di parte tutta la verità, 
e il posso oggidì, per i nuovi documenti e molti sco- 
perti che la maggior luce recarono 5opra quell' infauste 
avvenimento, quindi valendomi di quelli, io mi pro- 
pongo di non esporre né affermare se non quante 
verrà provato per essi. 

LVIII. — Non v* ha dubbio che nella istituzione 
del nuovo stato del 1528 fatta dai dodici Riformatori 
avvalorati dall' illustre nome di Andrea Doria molta 
accortezza si era adoperata, né senza molta sapienza 
politica apparivano le leggi che venivano poste in 
vigore, senonchè, mentre si volevano estinguere le fa- 
zioni, si promuoveva il trionfo dell'una sulla depres- 
sione dell' altra, 1' antica ingiustizia della fazione pa 
polare che sino dal 1339 esclusa voleva la nobiltà 
da tutte le più elevate magistrature della Repubblica, 
veniva succeduta da quella dei Nobili che per una 
cotale rappresaglia toglieva ogni essenziale ingerenza 
nell' alta amministrazione dello stato a' popolari. Il 
trovato dei 28 alberghi, nuovo come base politica di 
stato, era fallace nel suo principio ed ingiusto nelk 
appUcazione. Fallace perchè ai soli qualificati nobili 



159 

dovea appartenere il governo, né i popolari poteano 
parteciparvi se non venivano a quelli aggregati, perchè 
a sole 28 famiglie rimaneva infeudata la Repubblica; 
ingiusto neir appUcazione perchè la condizione per cui 
veniva circoscritto a soli 28 il numero degli alberghi 
o delle famiglie che li componevano, era che dovea 
ciascuna possedere cinque diramazioni o case aperte 
in città; ora siccome le famiglie nobili soltanto esse 
poteano oflFerire siffatta condizione per V uso più fre- 
quente e convenzionale d' imparentarsi fra di loro, il 
governo per conseguenza restava alle sole loro mani 
aflSidato; infatti dei 28 ben 23 alberghi si composero 
di nobili, soli di famiglie popolari cinque, le quali 
poteano già quasi qssq pure per nobili qualificarsi, use 
com' erano a congiungersi con quelle da qualche tempo 
e ad avere stretta attinenza colle medesime. Oltreciò, 
ingiusta dovf a ancora riguardarsi T espressa esclusione 
dal formare albergo delle quattro grandi popolari fa- 
miglie degli Adorni, Fregosi, Guarchi e Montaldi, 
pretestandosi che avvolta avevano la Repubblica nei 
disastri delle intestine discordie, in allora se questo 
era il sincero motivo dell' esclusione perchè non esclu- 
dere ugualmente le quattro grandi famiglie nobili 
Doria e Spinola, Fieschi e Grimaldi che non meno 
r aveano ferocemente perturbata? Forse perchè queste 
in tempo più lontano, e quelle più vicino? Ammessa 
però questa distinzione, non era men vero che Spi- 
nola e Doria, Fieschi e Grimaldi non si fossero sempre 
frammischiati nelle più recenti dissensioni, che non 



i6o 

avessero anzi ben di sovente suscitati Adorni e Fre- 
gosi, Guarchi e Montaldi a combattersi fra di loro, 
a lacerarsi continuamente colla più dolorosa civile 
discordia e col segreto intendimento che a vicenda 
V un r altro distruggendosi si sarebbero in tal guisa 
più agevolmente aperta la via al potere. 

Esisteva pertanto il germe del vizio nel principio 
delle stesse nuove istituzioni, da stupirsi quindi non 
era se svolgendosi quello a misura che queste veni- 
vano applicate, se ne facevano sentire i più amari 
frutti. Ora, non volendosi per una parte rinunciare dai 
nobili alla conquistata autorità, e per V altra temendo 
di non poterla di per sé soli conservare, si fu costretti 
di rivolgersi ad una forza esterna che più ad essi fe- 
vorevole per antichi legami di parte, e più salda e 
capace d' ogni altra fosse pronta ad accorrere in aiuto 
e difesa ogni qualvolta il nuovo govèrno si trovasse 
minacciato od osteggiato; ed ecco la necessità di se- 
guire ciecamente la fazione imperiale di Carlo V, per 
opera di Andrea Doria, non rade fiate obbligato 
sventuratamente a sagrificare, ed è nostro avviso con 
vera angustia dell' animo , la legittima causa d' Italia 
tutta per non dire di Genova sua, agi' interessi, e ai 
cupi e tirannici disegni del prepotente protettore. Le 
cose che andrò man mano sponendo daranno piena 
ragione di questi lamentevoli fatti. 

LIX. — E di vero, non appena la maggior parte 
de' cittadini aggregati si avvide del tranello che stava 
nascosto per entro le leggi del 1528, che cominciò 



i6i 

il malcontento, e la speranza di reintegrarsi del per- 
duto ad ogni più propizia occasione si fosse offerta. 
Contendevano allora Carlo V e Francesco I del pri- 
mato che ciascuno di essi voleva esercitare in Europa^ 
e in ispecie in Italia, e fatalmente servivansi entrambi 
d' uomini italiani che li soccorrevano nell' ambito pro- 
posito. Fin d' allora che Andrea Doria lasciati avendo 
gli stipendi di Francia, posto si era a quelli di Carlo, 
e confondendo colle preprie, le ragioni della repub- 
blica, questa avea com' esso medesimo posta ed or- 
dinata sotto gli auspici e la difesa dell' Imperatore, il 
Re punendo in essa il mutamento di quello, disgra- 
ziata la Repubblica, fece divieto a' Genovesi d' ogni 
relazione commerciale colla Francia, e singolarmente 
colla Provenza, i porti della quale liberamente apri- 
vansi loro donde traevano biade in gran copia ed 
altre utili e preziose derrate. Il nuovo governo sen- 
tendo il grave danno che ne ridondava, tentò ogni 
opera coli' Imperatore e col Papa dopo di avere per 
mezzo de' suoi ambasciatori praticati inutilmente tutti 
i più possibili uffizi collo stesso Francesco I, affinchè 
fosse rivocato il divieto. Infine nel 1533 un Pier 
Francesco Noceto, come più sopra si narrò, riuscito 
già era nel sospirato intento per mediazione del con- 
testabile di Montmorancy, quando di repente vennero- 
disconclusi e licenziati gli ambasciatori genovesi che 
portatori essere doveano in patria di favorevoli capi- 
tolL n subito commiato dato loro avea per causa che 
il Re nella vicina guerra che stava per muovere in 

II 



l62 

Italia aiutato si era in Genova col partito degli ag- 
gregati popolari, per trasferire in essi dai capi dei 28 
alberghi il governo della Repubblica sotto la regia 
protezione in luogo dell' Imperiale. Fu allora che due 
capi e grandi . agitatori di plebe che molto seguito si 
traevano seco in Genova un Agostino Granara, ed 
un cotale Corsanico ordirono congiura, secondata dai 
nobili nuovi per opera di un Tommaso Sauli, che 
uomo essendo di maggior levatura, ne avea conchiuso 
trattato col cardinale d' Agramonte per un mutamento 
di governo, e di politica esterna, senonchè V avvedu- 
tezza dei governatori fece andar a vóto la trama e ne 
ebbero tronca la testa il Granara ed il Sauli, il Cor- 
sanico riuscito essendo colla fuga a porsi in salvo, 
venne indi appresso a cader nelle mani di Andrea 
Doria , eh' esercitando il sommo imperio della Repub- 
blica da lui instaurata, lo prese e fecelo sommergere 
in mare. Due anni appresso per il tentativo di Cesare 
Fregoso di sorprendere la città coi francesi , la nuova 
Repubblica ebbe ad accorgersi come già fossero nu- 
merosi i suoi nemici, specialmente nelle due valli del 
Bisagno e della Polcevera, gli abitanti delle quali si 
erano in gran parte sollevati al nome de' Fregosi. 

Qualche anno dopo era talmente cresciuta la forza 
e r influenza del partito avverso al governo che questo 
non potè impedire che fosse eletto un Doge voluto 
da quello, che di certo apparteneva alla fazione popo- 
lare, e con molta probabilità trovàvasi avvolto nella 
congiura che l'anno appresso segui. 



163 

LX. — Cotali commovimenti persuasero i Reggi- 
tori del nuovo stato, e specialmente il Doria che 
interamente ne moderava i Consigli, di ristringersi 
viemmeglio ali* Imperatore e in tal guisa andare ai 
versi ed operare a talento di lui che sia per proprio 
interesse, sia per atto di animo riconoscente ìossq 
obbligato a tutelarne e mantenerne la conservazione; 
da tutto ciò ebbe a derivarne quello che se poteva 
tornar utile alla condizione dei nobili antichi tanto per 
il sovrano potere dalle loro mani tenuto , quanto per 
i ragguardevoli capitali allogati in Ispagna, doveva 
essere di mortale pregiudizio nonché a Genova alla 
intera Italia. Quindi ci si rende ragione perchè il Doria 
nel consiglio adunato da Carlo V per sapere quale 
destino dovesse toccare al Ducato di Milano dopo la 
morte di Francesco Sforza, egli arditamente propo- 
nesse che lo si appropriasse ; perchè nel fatto di Santa 
Maura egli si conducesse inesplicabilmente a tale da 
mutare la vittoria certa in una quasi sconfitta; facesse 
&coltà del riscatto del pirata Dragut a' Barbareschi 
coir imprestito de' Sopranis affinchè la sconfitta e le pi- 
raterie continue che più affliggevano i Veneziani, ricon- 
ducessero quella Repubblica ad abbandonarsi ciecamente 
come la genovese in potere dell' Imperatore; da ciò 
ancora, perchè dal nuovo stato a Francesco I che 
avea finalmente rivocato il decreto del divieto di com- 
mercio colla Provenza, pretestandosi la neutralità, si 
negò perfino di ricevere un' suo ambasciatore in Ge- 
nova, eh' era pure amicissimo del Doria. Era dunque 



164 

impossibile che questi fatti ed altri non pochi della 
medesima specie, non facessero pullulare gli odii, non 
svegliassero ire intestine contro coloro cui non tanto 
incolpavano di aversi con sottile artifizio attribuito il 
sommo potere in patria, quanto per essere i consi- 
glieri, gli aiuti e i ' più efficaci sostegni e campioni 
della mala signoria che tutta a sé volea soggiogata 
r Italia e serva V Europa. 

Apparecchiato di tal modo il terreno, moltiplican- 
dosi i malcontenti alla stregua degli avvéniijienti che 
rendeano oppressa V Italia sotto T impero di Carlo V, 
e il nuovo governo di Genova essendo potente stru- 
mento ad effettuarne i perigliosi disegni, non v' ha 
dubbio che si grande incendio covando, la più piccola 
scintilla da qualunque parte venuta doveva farlo di- 
vampare. 

LXL — Andrea Doria non discendeva dal glorioso 
ramo dei vincitori della Meloria e di Curzola, del Bosforo 
e della Sapienza, ma da un oscuro della stessa famiglia 
che, caduto in povertà, si era trasferito ad abitare in One- 
glia. Andrea, venuto da giovinetto a soggiornare in Ge- 
nova, si era per tempo fatto chiaro per la potenza del suo 
ingegno, la chiarezza del suo valore, e V egregia virtù 
nelle cose marittime; andato agli stipendi di Francia, a lui 
doveva il Re Francesco I il primato che mercè sua 
la Nazione francese aveva acquistato in mare, e spe- 
cialmente la splendida vittoria di Salerno. Passato dagli 
stipendi firancesi a quelli di Carlo V, certo è che la 
potenza austro-spagnuola non avrebbe potuto esten- 



ié5 

dersi né fortificarsi cosi durevolmente in Italia senza 
r opera e i consigli suoi, come senza il sostegno im- 
periale non sarebbe riuscito al Doria di raffazzonare 
la Repubblica a suo talento. 

Senonchè, oltre il suo ingegno, la sua molta perizia 
nelle cose marittime e la profonda accortezza de' suoi 
consigli, vi avea d' uopo di molto danaro cosi per 
soccorrere all' Imperatore nelle diverse imprese che 
tentava per difesa e conservazione del vastissimo do- 
minio , còme a far sicuro e stabile quello che avea il 
Doria inaugurato in Genova; e poiché di danaro di- 
fettava egli , costretto era perciò di accattarlo dai nobili 
più doviziosi, i quali come lui sentivansi interessati, 
sia al mantenimento del governo che teneansi in mano, 
sia a favore dell' Imperatore cui per mezzo di Andrea 
ne doveano la forza e la stabilità; fra i più doviziosi 
primeggiavano Adamo Centurioni, Ansaldo Grimaldi 
e Sinibaldo Fiesco, dal Doria avvedutamente adope- 
rati e per i larghi prestiti a Carlo V, per le bisogna 
della Repubblica, e in particolare per la magnificenza 
delle ambascerie. Nelle ultime principalmente entrava 
innanzi ad ogni altro il Fiesco, che con raro esempio 
di singolare, ma a sé pregiudizievole generosità, volle 
di proprio sostenerne le spese senza accettare nulla 
dalla Repubblica. Oltreciò, dovendo questa contrarre 
alcune investiture di feudi sborsò egli in nome di lei 
ragguardevoli somme senza darne conto alla Camera; 
ed ugualmente per amore sincero della patria s' indusse 
a favore e sicurezza della nuova Signoria, e in nome 



i66 

della libertà, a rinunziare alla porta degli Erchi che 
ei possedeva ed a molti altri beni posti in continua- 
zione di quella verso oriente, accettando a compenso, 
certo inadeguato, per sé e per tutta la linea de' Fieschi 
r esenzione dalle gabelle che potevano occorrere, e la 
somma di quattro mila lire annue a lui ed a* suoi 
discendenti (i). Ora tra per questo e la grandezza 
dell' antico casato Sinibaldo Fiesco veniva senza dubbio 
tenuto in grande, pregio dal Doria che cercava ogni 
modo .di renderselo bene affezionato. Ma intanto questi 
atti di principesca liberalità, e i gravi dispendi nei 
quali traevanlo di continuo a tale che vivendo con 
regia splendidezza fu posto dall' Ariosto alla fontana 
di Malagigi fra i persecutori della fiera, simbolo della 
avarizia (2), ne aveano assottigUato il patrimonio, e 
nonché egli pensasse a scostarsi dal precipizio cui tro- 
vavasi incamminato, avventuravasi invece a nuove 
enormi spese, e ricuperando dal Duca di Milano la 
terra di Pontr emoli, già posseduta da' suoi maggiori, 



(i) Tutto ciò si rileva da una lettera di un Giulio Fiesco a 
Benedetto Varchi colla data del 28 maggio 1550, tratta dagli 
Archivi fiorentini e pubblicata dal chiarissimo signor Cesare 
Guasti. Forza è però notare che il nome di Giulio Fiesco come 
figlio di Sinibaldo Fiesco e firatello di Gian Luigi non figura in 
alcuna genealogia tanto stampata quanto manoscritta, che si 
hanno di quella famiglia ; cionullameno da più recenti documenti 
venuti in luce, risulta che insieme ad un altro, di cui non si 
aveva notizia finora, egli era pure figlio illegittimò di Sinibaldo. 

(2) Ori. Fur. C. 26. St. L. 



167 ' 

né avendo V occorrente prezzo , lo riceveva a prestanza 
dallo stesso Andrea Doria. 

Moriva egli nell'anno di 1532, sepolto alla grande, 
coperto di panni d' oro, con orazione funebre del Par- 
tenopeo ed esequie regali nel Duomo di Genova; 
lasciava con tutto ciò la nìoglie Maria della Rovere, 
nipote del Pontefice Giulio II, incinta, con sei figli 
quattro maschi, tre legittimi, e Cornelio naturale, e 
due femmine Catterina e Camilla ed una succes- 
sione gravata di enormi debiti ; laonde la vedova 
e gli orfani figli costretti erano ad abbandonare il 
soggiorno della città e ritirarsi a vivere solitari sul- 
r Apennino ligure nel loro castello di Montobbio. La 
umile vita cui si vedevano trapassati dalla splendida e 
principesca, non poteva far senza che non si accen- 
desse in loro più vivo il desiderio della perduta, e la 
memoria non si volgesse all' antica potenza e gran- 
dezza della famiglia. La vedova Maria della Rovere 
sortita natura uguale a quella dello zio ne provava 
di certo più violento il dolore, e il petto sdegnoso 
covava profondo odio contro chi vedevasi ricco e po- 
tente innalzato sulle rovine della ricchezza e del do- 
minio de' Fieschi. Arroge, che dopo la morte del 
marito non si volle dalla Signoria osservare quanto 
avea pattuito con esso, negandosi di pagare agli eredi 
le quattro mila lire annue cui si era obbligata per la 
rinunzia a lei fatta della porta degli Erchi, e degli 
altri beni e luoghi fortificati dipendenti da quella, di 
che Gian Luigi sdegnato cominciò a chiedere quanta 



i68 

suo padre avea rinunziato, né già mai potè venirne 
a capo veruno (i). L' animosa vedova considerava 
che senza T efficace aiuto e prodigalità del consorte 
non avrebbe quel nuovo stata potuto metter radice, 
né il Doria salirne al più eminente grado; che la 
grandezza di lui si fondava quindi sulla presente po- 
vertà dei suoi figli. Questi sentimenti pertanto di ran- 
core e di cruccio profondo nell' animo loro istillava 
€ specialmente in quello del maggiore Gian Luigi, e 
ne avea ben donde. 



(i) Lettera di Giulio Fieschi a Benedetto Varchi. — Pisa, 28 
Maggio 1550. 



CAPITOLO SECONDO 



Origine e grandezza, della famiglia Fieschi, illustri personaggi di essi; natura e 
carattere di Gian Luigi; ingiusto e indegno paragone che gii scrittori della con- 
giura, fanno di lui con Alcibiade e Catilina; suoi motivi particolari, e ragioni di 
avversione e di odio contro di Gianettino Doria, fomentate in lui dai suoi famigliari. 



LXII. — Antichissima origine hanno i Fieschi; 
trovandosi annoverati fra le cinque grandi famiglie 
che signoreggiarono le due liguri Riviere; nella occi- 
dentale i conti di Ventimiglia e del Carretto, nella 
orientale i marchesi Malaspina, i signori Dapassano, 
e i Conti di Lavagna o i Fieschi. Il Comitato di Lu- 
nigiana formava parte del già marchesato di Toscana, 
il quale scioltosi per la morte della contessa Matilde, 
giungeva fino ai confini dei Franchi , quindi vi si tro- 
vava compresa la Liguria , la quale poi vi si sottrasse, 
e si suddivise in altri parecchi Comitati; i signori 
Dapassano e i Fieschi erano probabilmente una dira- 
mazione dei marchesi Malaspina, o loro consorti, e 
Valvassori. In una scrittura dell' anno 994 Oberto 
Marchese facendo giustizia di alcuni uomini coli' assi- 
stenza de' suoi consiglieri e giudici del Sacro Palazzo 



170 

lauda, e pronunzia certa sentenza a favore dell' Ab- 
badia di S. Fruttuoso alla presenza di Tedisio q. Oberto, 
Ariberto, Alberico, Gotifredo, Lanfranco', Brunengo 
e Vuiberto, conti in Lavagna. 

Essendosi formato il Comune genovese e volendosi 
liberare dalle offese dei feudatarj che irrompevano con- 
tro di esso dai soprastanti Apennini, e dalle due Ri- 
viere, li obbligò ad ascriversi cittadini, all'abitazione 
della città, a fargli omaggio delle loro terre, e a ri- 
cevervi il consolato, a questo dovettero pure sotto- 
porsi i Conti di Lavagna che diventarono nello stesso 
tempo cittadini e vassalli della Repubblica. Fra essi 
primeggiarono i Fieschi ; la quale famiglia rimasta in 
un solo ramo unita fino ad Ugone, si suddivise in due 
nei figliuoli di questo Opizzone e Tedisio; e i discen- 
denti del primo si dissero di Savignone ed ebbero il 
Gatto per insegna, quelli del secondo si chiamarono 
di Torriglia, e addottarono per insegna il Basilisco, 
benché più comune ai due rami fosse il Gatto. Inno- 
cenzo IV pontefice grandissimo, era fratello dì Opiz- 
zone e Tedisio ; e Adriano V , figlio di Tedisio , 
illustre pontefice egli pure, fornito di singolari ric- 
chezze, che li scrittori contemporanei fecero ascen- 
dere a cento mila marche d' oro di entrata, largheg- 
giando a' nipoti di giurisdizioni e feudi , porse per le 
acquistate ricchezze ad essi facile occasione della di- 
visione dei due rami nella famiglia , prevalendo quin- 
di innanzi quello di Torriglia , la cui discendenza of- 
fre una continuata serie d' uomini ricchissimi e pò- 



171 

tentissimi, arbitri quasi sempre del governo della 
Repubblica. 

A difendersi, e fortificarsi contro la quale avvisarono 
i Fieschi, imperando ancora il primo Federigo, ad ot- 
tenere in feudo per privilegio di lui le terre, o le tre 
plebanie di Lavagna, di Sestri, e del fiume Vara, colla 
signoria delle acque, il pedaggio delle strade, e gli 
uomini liberi. Questo privilegio venne loro nel 1227 
confermato dall'Imperatore Federico II ampliato, e 
successivamente esteso ad una maggior copia di feudi, 
di signorie e di diritti da tutti gV imperatori fino a 
Carlo V. 

LXIII. — Fra coloro che ne vennero più onorati, e nello 
stesso tempo si distinsero meglio degli altri personaggi 
della stirpe de' Fieschi per ingegno e potenza singolare di 
Stato si hanno ad annoverare Niccolò, Giacomo, Carlo, 
Gio. Filippo, Obietto, ^Gio. Luigi, e Sinibaldo Fiesco 
padre del cospiratore. Niccolò Fieschi Vicario impe- 
riale, per privilegio di Guglielmo imperatore fii nel 1250 
investito del luogo di PontremoU col diritto di batter 
moneta, creato cavaliere; e comechè egli fosse do- 
viziosissimo comprò prima da Guglielmo Vescovo di 
Luni e poi dai Signori di Carpena suoi parenti gran 
parte della Lunigiana e della Riviera di Genova Orien- 
tale, insomma meglio di 60 fira castelli e villaggi rag- 
guardevolissimi negli anni 1252 e 1256. 

Giacomo Fiesco uomo chiarissimo venne da Papa 
Innocenzo IV. suo zio investito del regno di Napoli 
nella conquista che ne fece a nome~di S. Chiesa. 



172 

Carlo Fiesco cavaliere pensionarlo del Re Carlo II 
di Napoli e suo parente, investito dall' imperatore En- 
rico VII nel 13 13 delle terre e castello di Pontremoli 
e Calestano, fii de' guelfi potentissimo, siccome signore 
d' importanti Castella ; entrato trionfante in Genova, 
scacciandone con grandi forze i ghibellini, si elesse su- 
premo capitano e signore della Repubblica insieme con 
Gaspare di Grimaldi Tanno di 13 17. 

Gio. Filippo Fiesco si comprese nella pace generale 
d' Italia r anno di 1441 quasi signore di stato indipen- 
dente, e possedendo Portovenere, e Portofino ebbe 
modo e agevolezza di perturbar il dominio a Pietro 
Fregoso Doge di Genova suo gran nemico, col quale 
però conchiuse una tregua nel 1452 e indi a poco la 
pace per mediazione e sentenza arbitrale del Duca di 
Milano Tanno 1453; le condizioni della quale lo re- 
sero luogotenente e capitano generale di tutta la ri- 
viera orientale con grandissima notabile autorità su- 
prema, con lire 7500 annue di provvigione, e col grado 
di Almirante perpetuo delT armate di mare, dandogli 
facoltà di eleggere la metà dei magistrati e distribuire 
molti officj benefiziali nelT istessa città di Genova. Nel 
dominio di cui serbò infatti non minor parte del Doge, 
per la qual cosa essendosi in lui aumentata tant' auto- 
rità e potenza ed avendo congiunto a si gran numero 
di feudi, amicizie ed aderenze di molti principi e tito- 
lati che lo seguivano in ogni fortuna, venne in tutte 
le leghe d'Italia compreso, e considerato fira i più 
grandi principi d' allora. 



173 
Obietto Fiesco sulla fine del decimoquinto e nei 
primi anni del XVI secolo tolse, e rimise in Genova 
la signoria dei Fregosi, degli Adorni e degli Sforza di 
Milano, arbitro quasi assoluto della Repubblica; mo- 
rendo, ed essendo a lui fatti solennissimi funerali, nel 
tempo di questi si sospesero le corti, ed ogni ma- 
gistratura vacò air uso de' Principi. 

Ma colui tra i Fieschi che raggiunse il più luminoso 
grado di potenza e di autorità nelle cose d' Italia non 
che in quelle di Genova fii Gian Luigi padre di Si- 
nibaldo. Costui con maggior imperio del firatello Ob- 
bietto fece e disfece i Dogi Adorni, e Fregosi, sotto- 
pose e tolse la Repubblica al governo degli Sforza, 
la diede infine in protezione a Luigi XII re di Fran- 
cia, da cui venne ornato dell' Ordine di S. Michele 
con scudi 6000 di annua provvigione, restando in 
grandissima grazia di quel Sovrano a tale che per lui 
governò lo stato di Genova in luogo del governatore 
francese Filippo di Cleves, il quale non facea cosa che 
non fosse approvata dal Fiesco. U anno di 1502 venuto 
il Re in Genova fu alloggiato da esso con magnificenza 
più che regale nel suo palazzo di Violata. Intanto 
pel regio favore innalzando l'animo a vasti pensieri, 
aspirò al dominio di Pisa la quale sarebbe divenuta la 
capitale de' suoi numerosissimi feudi, che dalla riviera 
di Ponente avanzandosi per gli Apennini liguri occi- 
dentali, proseguendo per i settentrionali, e volgendo 
agli orientali , ivano degradando verso il confine del- 
l' Agro Pisano. Per questo suo disegno egli si oppose 



174 
alteramente affinchè i Genovesi non ne accettassero 
la Signoria la quale loro ofFerivasi dagli stessi Pisani, 
quando stremi oggimai d' ogni mezzo di difesa ricor- 
revano per soccorso alla Repubblica contro de' Fio- 
rentini. La quale prepotente sua opposizione fa in 
gran parte cagione del moto popolare che' scoppiò 
quindi in Genova contro il governo del Re da lui 
sostenuto e per sua opera ed autorità ristabilito poco 
dopo sulla rovina ed oppressione dei popolari. Infine 
Gian Luigi Fiesco fu quasi un piccolo re tra i primi 
signori d'Italia, ed ebbe i titoli di Principe, di Mar- 
chese, di Conte, di Signore, di Vicario e Consi- 
gliere imperiale , d' illustre ed eccelso qualificato 
dallo stesso Imperatore nell' investitura di cotanti 
feudi , e dalla Repubblica con titolo pari a quello 
dei Dogi. 

Cosi segnalata grandezza somigliante alla regia venne 
tutta a raccogliersi nell' ultimo suo figlio Sinibaldo in 
cui si unirono per la morte dei firatelli gli onori, gli 
stati e feudi paterni investitili dall' Imperatore Carlo V 
con titoli e privilegi importantissimi. Per la quale cosa 
esercitando come il padre sulla Repubblica una prin- 
cipesca autorità, fornito di ampie ricchezze, non avrebbe 
di certo Andrea Boria nel 1528 potuto operare la 
nuova riforma delle leggi senza il suo prepotente pre- 
sidio ; a ricambio del quale fu Sinibaldo creato uno 
del Magistrato de' Supremi con titolo d' illustre e man- 
tenuto per legge nel possesso di sedere sopra gì* illu- 
strissimi Procuratori in Senato, nominatamente incluso 



175 
nella pace di Bologna fra l'Imperatore e i Francesi 
Tanno di 1530. 

' Ora queste sono le memorie che Maria della Ro- 
vere coir animo di Giulio II informava quello de' suoi 
figli, del primogenito in ispecie ; questo il sangue che 
in Gian Luigi Fiesco ribolliva nelle vene; erano suoi 
avi due grandi Pontefici, moltissimi Cardinali, quattro- 
cento mitrati, un Re di Napoli, parecchi arbitri della 
Repubblica, molti principi di grandissimo stato in Ita- 
lia ; a petto di cotesta grandezza che cos* era il ramo 

di Oneglia dei Doria? che mai Gianettino figlio di un 
Tomaso tessitore di seta? (i) gente nova tirata ad al- 
tezza coi subiti guadagni premuti aT sangue e alla li- 
beralità dei Fieschi, per cui tanto quello era salito, 
quanto gli ultimi immiseriti trovavansi e caduti in basso. 
LXIV. — A cotesti stimoli che di per se soli ba- 
stati sarebbero a commuovere la natura del giovinetto 
Gian Luigi, univansi in lui le doti eminenti dello spirito 
e quelle del corpo ; le prime , di una mente vasta e 
capace d' ogni più grande pensiero, e d' ogni più smi- 
surato desiderio, congiunta ad una volontà tenacissima 
che quanto più difiicile e lontano se ne' dimostrasse 
r eflfetto tanto più si ostinava nell' ambito proposito , 
le seconde, viso bellissimo, persona ben formata, no- 
bilissima, ad ogni esercizio di arte cavalleresca adde- 
strata, modi gentili, parlare cortese e di tale accento 

(i) Is Thomae Auriae filius in re tenui educatus sericam 
textrinam quod apud illos minime ignobile est, exercuerat. (Jac. 
Auc. Thuani Historiar, lib. 3, pag. 75 B.). 



176 

ed amabilità che a se di leggieri traeva chiunque vo- 
lesse. Da coloro che scrissero di lui, fu paragonato ad 
Alcibiade e a Catilina , ma il paragone se in alcuna 
parte potea essere sincero, parve nel resto odiosamente 
trovato per vituperarlo. Imperocché, non in tutto sta 
come Alcibiade, malissimo regge con Catilina. Può bene 
convenire in quella parte col Greco, dell' ambizione 
e del desio di voler sempre essere il primo, non cer- 
tamente nei costumi, né in tutti quei mezzi che ado- 
però sfacciatamente questi per rendersi sovrano della 
sua patria; che in Alcibiade fu vita dissoluta, e de- 
pravata, ebbrietà schifosa, amori in&mi e sacrileghi, 
dispregio degli Dei, insolenza di modi, vesti eflFemi- 
nate di porpora; che se Gian Luigi Fiesco congiurò 
contro il Doria, e divisò farsi principe della Patria, 
Alcibiade insidiò, calunniò, persegui Nicea, che potea 
considerarsi per lui come il Doria nel Fiesco, e con- 
dannato d' Atene perché avesse mutilate le statue di 
Mercurio, derisi i misteri delle feste Adonie, com- 
messi parecchi atti d' empietà contro gli Dei, costretto 
a mettersi in salvo, ricorse ad asilo a' Spartani i più 
feroci nemici della sua patria, a' quali fece deliberare 
di rompere in Sicilia le forze degli Ateniesi mandan- 
dovi per capitano Gilippo che ne disfece poscia la 
flotta; di muovere la guerra in Grecia ad Atene; di 
fortificare la città di Decelia nell' Attica , la quale più 
che altro consumò e ruppe la potenza Ateniese e com- 
piendone egli la rovina, ribellandone quasi tutta T Jonia. 
Violato il talamo , ed oltraggiata Y ospitalità del Re 



177 

Agide che V avea accolto presso di sé, discacciato 
da' Spartani, non vergognossi di ricorrere perfino a' Per* 
siani, talché correva proverbio che la Grecia non 
avrebbe sopportati due Alcibiadi. Quindi se nella bel- 
lezza del corpo, e nella gentilezza dei modi il Fiesco 
somigliava ad Alcibiade, bene dal Greco si differen- 
ziava, non già come scrive Carlo Botta, perché questi 
combatté per la libertà della Patria ed ei la volle porre 
al giogo, imperocché, entrambi avendo il medesimo 
disegno, V ateniese servissi quanto il genovese di mezzi 
feroci e lamentevoli per occuparla, ma perchè di co- 
stumi castigatissimo il Fiesco, di laidi, vergognosi, e 
viziosissimi Alcibiade. 

LXV. — Molto più frequente e direi quasi da essi 
prediletto, trovasi negli scrittori tutti della congiura il 
paragone del genovese cospiratore col romano Catilina. 

Mostro satanico era questi, di natura perversa, di 
animo audace, subdolo, vario, cupido di cose immo- 
derate, incredibili, alle quali si apriva la via coi de^ 
litti, orribili cose sono narrate di lui. Da giovinetto 
violò una Vestale, poi usò colla propria figliuola, uc- 
cise la moglie e quindi il proprio figliuolo per ispo- 
sare un* Aurelia Orestilla, che presente quello non 
voleva entrare in sua casa. Fu partigiano ardente di 
Siila, menò fieramente le stragi contro i proscritti per 
rifarsi di sua fortuna dispersa in lussurie, uccise il 
firatello, e fece lui porre morto fra i proscritti e ne 
prese gli averi. Poscia continuò in stupri e stravizzi,, 
si affogò di nuovo nei debiti, per uscire dai quali 

12 



178 

diede mano a congiure e vagheggiò nuove proscri- 
zioni. 

Sebbene coperto d' infamia, cominciò di buon* ora a 
correre la via delle cariche ; fu dapprima pretore di 
Affrica, e vi esercitò crudeli rapine. Poi reduce a Roma 
chiedeva T ufficio di Console, ma dovè rimanersi da 
quella domanda, perchè gli Àffricani gli dettero ac- 
cusa di ladro, e la legge vietava di chiedere gli onori 
a chi avesse addosso un processo. Allora egli fremente 
ordì con Antonio e con Siila la prima congiura e 
tentò vanamente la prova due volte di uccidere i con- 
soli. L* accusa delle rapine di Affrica gli fii rinnovata 
in appresso anche da Clodio, né gli riusci di andarne 
assoluto, ^e non perchè Torquato uno dei , consoli 
eh' egli aveva congiurato di uccidere, spinto da paura 
per uomo si scellerato parlò in suo favore. Riprese 
le trame, brigò il consolato per V anno 691, ed essen- 
dogli fallito per V elezione di Cicerone, più che mai 
si diede alle cospirazioni, quanti tristi e malcontenti 
erano in Roma e in Italia raccolse sotto di lui, né 
solo del virile, ma del sesso femminile, giacché s'in- 
tendeva con cortigiane, e con donne nobili come aiu- 
tatrici air impresa, sperando per mezzo di esse tirarne 
alla congiura i mariti, o scoprirne i segreti; e tra qssq 
più capitale faceva di Sempronia, una donna dotta di 
greco e latino, di ganto e di danza, e rotta senza modo 
ad ogni più brutta libidine. Principalmente suoi com- 
plici erano giovani nobili tutti olezzanti di* unguenti, 
colle chiome bene acconciate e vestiti di toghe finis- 



179 

sìme : gente usa a consumare le notti in conviti, in 
ebbrezze, in giochi, in stupri di donne. Ei li ammae- 
strava a vibrar pugnali, a mescer veleni e più degli 
altri ricercava e coltivava i più giovani perchè meglio 
pieghevoli alle sue voglie. Li allettava con doni, in- 
segnava loro a spregiar la fede, a tenere in non cale 
i pericoli. In proposito delle sue relazioni con questi 
satelliti sono scritte incredibili cose, perocché narrano 
che li spingeva agli omicidj per semplice esercizio af- 
finchè non perdessero V uso di spargere il sangue, e 
che in un' adunanza notturna in cui apri loro i segreti 
della congiura li obbligò a mantenergli la fede giurata 
costringendogli a bever sangue umano misto nel vino, 
finalmente è detto che nei loro convegni coronati di 
fiori, ed ebbri concertavano, in braccio a male donne, 
i modi di incendiare la città, di menare sterminio dei 
buoni e metter tutto a sangue, a ferro, a rapina. 

Questo è scjitto di Lucio Sergio Catilina, da Cice- 
rone e Sallustio, e questo io traggo, desunto da essi, 
dalla dotta e generosa Istoria d' Italia dell* eruditissimo 
Atto Vannucci. Quali onesti termini di confironto tra 
r in&me romano e il Fiesco possano essere dopo cosi 
vituperevole quadro, noi so, e vergogno che le ab- 
biette passioni di parte, o l'obbligo di stipendiati scrit- 
tori abbia condotto a tanto accecamento uomini per 
altro dotti e pregevoli da non ripugnare V indegna 
comparazione (i). E Giacomo Maria Campanaccio poi- 

(i) Non si deve prestare alcuna fede ad Agostino Mascardi 
il quale nella istoria che scrisse di quella congiura traducendo il 



i8o 

che più d'ogni altro non si peritò d'istituirne uno spe- 
ciale confronto, egli per le stesse sue parole ci prova 
come l'uno interamente fosse dissimile dall'altro, né 
quindi ninna rassomiglianza esistere fra loro se non 
quella di una congiura ordita dal Catilina in Roma, 
dal Fiesco in Genova. 

LXVI. — Gli stimoli della passata grandezza degli 
avi venuta meno, specialmente colle nuove istituzioni 
politiche alla grandezza del Boria raccomandate, gl'in- 
segnamenti e i conforti della madre, la baldanza di 
un vigoroso e colto intelletto, e il sangue non trali- 
gnato, non furono però i soli che deliberarono il gio- 
vine Fiesco all'audace proposito; comechè dopo un 
soggiorno di otto anni fatto nel castello di Montob- 
bio, contando il diciottesimo dell' età sua, ricondottosi 
colla famiglia in Genova per celebrare quivi il suo 
matrimonio con Eleonora Cibo dei Marchesi di Massa, 
gli si offrissero nuove cagioni che ne riscossero l' animo 

Sigonio e il Thuano, né di proprio aggiungendovi che le am- 
plificazioni rettoriche e le scempiate orazioni afferma che il Fie- 
schi Fin da giovanetto diede manifesti segni di una immatura fe- 
rocia, ciò non essendo detto né dai prefati storici, né dal Bon£idio 
che scriveva presente al fatto, si ha a ritenere in conto di un' ostile 
invenzione dello stesso Mascardi, come tante altre che si leg- 
gono in esso, venduto al partito che reggeva il governo dal Doria 
stabilito; né dissimili da lui si devono considerare il Campa- 
naccio e il Capellone, scrittori ignobili e venderecci, e l'ultimo 
vera schiatta di servidorame addetto alla casa di A4gmo Centu* 
rioni, come si legge in certo registro di spese del 1545 esi- 
stente in Genova nell'archivio del Principe Doria. 



i8i 

e meglio lo infiammarono determinandolo a quanto 
forse dapprima non era che un mal concetto pensiero. 
Ritornato in città che appena decenne avea abbando- 
nato, senti non più essere il gran feudatario fira gli 
omaggi de' vassalli, il solo da tutti riverito^ ma star- 
gli di fronte e superarlo chi di povera fortuna sorto 
dianzi, né di per sé a inaspettata potenza levato, rapi- 
vagli i primi onori, col fasto insolente, colla pompa 
delle ricchezze, e col seguito dei partigiani. Era questi 
Gianettino Doria nato di un Tommaso che per V an- 
gustia delle cose domestiche si era per lo addietro 
travagliato nella tessitura della seta. Lui Andrea Doria 
aveva adottato in figlio e successore della propria gran- 
dezza, a lui afiidàto il comando delle venti galere sotto 
i suoi ordini poste, a lui procacciate illustri nozze colla 
figlia di Adamo Centurioni, il più ricco cittadino di 
Genova e il più umile servitore di Carlo V (i); a lui 
quindi rivolti tutti gli sguardi, le speranze, e le am- 
bizioni come a sole d' oriente, mentre Andrea vecchio 
ottuagenario stava presso al tramonto. E siccome d' or- 
dinario accade a chi di umile stato per improvviso ac- 
cidente s' innalzi che V animo noni bene temperato a 

(i) Questo si rileva dalle sue lettere ali* Imperatore, nelle 
quali si sottoscrive umilissimo servitore che gli bacia non solo 
le mani, ma i piedi. Quale diversità, e tralignamento di stirpe 
tra questo Adamo, e Oberto Spinola che alteramente minaccioso 
protesta alla presenza dell'Imperatore Federigo Barbarossa che 
la Sardegna era' de' Genovesi, e se i Pisani osassero di recar- 
visi taglierebbero loro i nasi e le orecchie ! 



l82 

grandezza s' insuperbisca, ed inebbrii, cosi Gianettino 
vedutosi da inattesi favori di prospera fortuna privi- 
legiato, ogni moderazione di pensieri, e di modi pre- 
termessa, già mostrando di conversare non più fra gli 
eguali, ma fra soggetti, passeggiavate vie della città 
con altero portamento, e aspetto di signore accompa- 
gnato sempre da un numeroso drappello di giovani 
nobili, di adulatori, e di cagnotti che lui consideravano 
dover essere in breve V arbitro della Repubblica ; ar- 
roge, che gli abiti marinareschi contratti da esso, e 
parecchi fatti valorosi operati ne accrescevano V orgo- 
glio naturale rendendone le maniere, e -le parole aspre, 
ricise, ed acerbe. Tutto ciò gli aveva alienati gli animi 
deir universale, imperoccI;è coloro eh' erano de' nobili 
nuovi odiavanlo a morte, gli altri temevanlo. Tutti 
consideravano che se quella natura assai diversa dallo 
zio, vivente costui e mal pativa e già riscuoteva il freno, 
morto che fosse avrebbe senza dubbio prorotto ad ogni 
eccesso, né paga alla presente condizione aspirato alla 
tirannide. 

Ma più di tutti a quella vista ne provava amaris- 
simo cruccio e strazio Gian Luigi che sei vedeva seco 
stesso comportarsi non diversamente che con gli altri, 
e trattarlo men da eguale che da soggetto, quindi il 
profondo risentimento cagionava dispetto, il dispetto 
r odio, r odio vendetta ; tanto più s' è vero come nota 
il Casoni ne' suoi annali esistere memoria che Ginetta 
figlia di Adamo Centurioni sposata a Gianettino fo'^se 
dapprima promessa al Fiesco, e il padre gli rompesse 



i33 

la fede perchè Andrea Doria gli manifestò che non 
il Fiesco, ma Gianettino stato sarebbe come succes- 
sore di lui, il più potente di Genova (i). Arroge, che 
altra e più feroce cagione d'ira inestinguibile e d'odio 
mortale, essere dovette infine quella che alcuni testi- 
moni esaminati poscia nel famoso processo (2) , de- 
posero, cioè, che Gianettino Doria, manteneva una 
tresca scandalosa con Eleonora moglie di Gian Luigi, 
e questo assente la frequentava, per cui al marito es- 
sendone venuta la notizia s'infiammò del più vivo de- 
siderio di vendetta contro l'odiato seduttore. Congiunge- 
vansi pertanto allora e concorrevano insieme efficaci ad 
esacerbare V animo dell' offeso giovane le memorie della 
passata fortuna, le amarezze della presente, il desiderio 
di migliorarla, la gelosia, 1' avversione di Gianettino, il 
favore dell* ordine popolare, le istigazioni, gì' inviti di 
Francia, le lusinghe forse, e i consigli dei Farnesi. 

Ancora, fra le domestiche mura, a lui vicino, oltre 
la madre, dopoché ristabilito aveva in Genova il suo 
soggiorno nuovi strumenti si erano aggiunti a vie- 
maggiormente pungerlo, e concitarlo. Presso al suo 
palazzo di Violato abitava un Gio. Batta Verrina, uomo 
sopra ogni altro arrisicato, e feroce, mortale nemico 
della vecchia nobiltà, appartenente alla nuova e dì 
nuove cose cupidissimo, sia per odio contro di quella, 
sia per speranza di trovare rimedio alle strettezze fa- 

(i) Casoni, Annali, an. 1550, pag. 250. 
(2) V. Allegazione, pag. 3 $5-56-58. 



i84 

migliari che travagliavanlo. La fierezza, T audacia di 
costui fecero viva impressione sul Fiesco, incontrarono 
favorevole accoglienza, di guisachè tosto insieme si 
ristrinsero entrambi e il Verrina divenne in breve il 
consigliere , il confidente più intimo e V arbitro dei 
suoi pensieri. Secondo al Verrina, era un Raffaele 
Sacco savonese giureconsulto, e di cui si serviva per 
giudice nei feudi che possedeva; caldissimo partigiano 
de' Francesi ; veniva terzo un Vincenzo Calcagno da 
Varese fin dalla più tenera età vissuto con esso in 
Montobbio, che seguendolo dovunque, ne moderava i 
pensieri, e teneramente lo amava, ma dai due primi 
assai diverso sconsigliavalo da ogni imprudente ten- 
tativo che ne ponesse a repentaglio lo stato e la vita, 
o questo facesse per sincero e caldo affetto che gli 
portava, o per indole timida e pacifica che da ogni 
perigliosa intrapresa lo rimuoveva. Ora è a vedere 
come con siffatto violento concorso di sentimenti, di 
fatti e di persone fosse dato principio alla macchina- 
zione, e donde la prima scintilla sorgesse dell' incen- 
dio che doveva avvampare. 



CAPITOLO TERZO 



Prime pratiche della Congiura tenute forse dal Fiesco cogli Adomi ; probabili tenta- 
tiri di accordo di lur>col Papa; ragioni di odio di questo contro di Gu-lo V e 
Andrea Doria ; viaggio di Gian Luigi a Roma e a Piacenza ; trattlLtive di esso con 
Paolo III, con Guglielmo di Bellai ambasciatore di Francia e Pier Luigi Farnese 
Duca di Parma e Piacenza; suo ritorno in Genova, e consiglio ivi tenuto da lui 
con Gio. Batta Verrina, Raffaele Sacco e Vincenzo dlcagno; confessioni del 
primo e rivelazioni del secondo; il console dei tessitori di seta si presenta al 
Fiesco per eccitarlo al soccorso di quell* arte caduta in povertà dopoché i capitali 
dei nobili vecchi invece di servire' a sostenerla e ùltìa prosperare s' impiegavano 
ad usura in Ispagna; cortese accoglienza fatta dal Fiesco al console, e poi ai 
tessitori cui egli soccorre e promette di sovvenire più largamente in avvenire. 

LXVII. — È fama che le prime pratiche per vol- 
tare lo stato di Genova si appiccassero dal Fiesco con 
Barnaba Adorno figlio dell' ultimo Doge Antoniotto ; 
non essendo verosimile che come alcuni scrittori della 
congiura narrarono egli trattasse con Cesare Fregoso 
e Cagnino Gonzaga quando essi nel 1536. vennero al- 
l' oppugnazione di Genova, imperocché in quell'anno 
egli non ancora contava il quattordicesimo dell' età 
sua, vivendo sotto la madre nel suo castello di Mon- 
^bbio. Oltreciò, non si sarebbe mai congiunto a' Fre- 
gosi, mentre fireschi erano gli assassinj che questi 
^ntro i Fieschi, e i Fieschi contro i Fregosi com- 
messi avevano, per i quali tra l' una, e l'altra famiglia 
Profonda e mortale inimicizia esisteva. Che se è vero 



i86 

che tra le scritture di Cesare Fregoso trovate dal 
Marchese del Vasto, quando, secondo che ne corse 
la voce,' venne da lui assassinato in riva al Po, si ebbe 
a discoprire cotale intelligenza tra il Fiesco e il Fre- 
goso, non potendo però per le ragioni sopradette, me- 
ritare fede alcuna, debbe credersi essere stato questo 
uno stratagemma dello stesso Fregoso per rivolgere 
più facilmente T animo del Re alle cose di Genova, 
millantando avere eziandio dalla sua parte, il potente 
aiuto dei Fieschi. Ma le pretese scritture non sareb- 
bero QssQ stesse una impostura del Marchese del Va- 
sto, mentr'è da storici accuratissimi di quei tempi 
affermato che dei due legni sorpresi in riva al Po 
da' suoi sicarj quello che recava i compagni del Fre- 
goso, i danari, e le scritture si diede subitamente alla 
fuga né potè cadere in loro balia ? 

Egli è pertanto più al vero consentaneo il conghiet- 
turare che de' suoi rancori facesse il Fiesco per la 
prima volta partecipe Barnaba Adorno, il quale vivendo 
lontano dalla città, andava seco stesso nella solitudine 
del suo castello di Silvano mulinando di far risorgere 
egli pure la grandezza della propria famiglia dal nuovo 
governo abbattuta ; quindi è fama che il Conte indu- 
cesse r Adorno a congiungersi insieme di consigli e 
di forze, opponendosi virilmente al maggiore ingran- 
dimento dei Doria, e cólta la prima occasione che si 
offerisse propizia si procacciasse il Dogato, e a sé 
quella autorità consentisse che tenuta già aveva nella 
Repubblica 1' avol suo Gian Luigi, col particolare ed 



i87 

intero governo della Riviera Orientale sotto il protet- 
torato del Re Luigi XII posseduto da quello. I quali 
divisamenti si avessero a comunicare al Re di Fran- 
cia, affinchè colle sue forze ne aiutasse T effetto, e 
dove r impresa mettesse a buon fine il rifatto governo 
fosse posto sotto la sua protezione e fatto sicuro dalle 
offese imperiali. Siffatti concerti maneggiando un frate 
Badaracco, vennero a notizia del Senato, per rivela- 
zione di alcuni nobili cui si era egli confidato, fu 
quindi preso e convinto per alcune lettere dell'Adorno 
che gli si trovarono addosso, torturato, e condannato, 
n' ebbe mozza la testa. Sotto i tormenti profferì i nomi 
di Gian Luigi del Fiesco, e di Pietro Paolo Lasagna, 
nobile dell' ordine popolare, e cittadino di grandissima 
stima, ma niun altro indizio essendosi di prova rin- 
venuto nelle carte del frate poterono essi andar liberi 
d' ogni molestia. 

Laonde finora non sono che sospetti, o se qualche 
indizio di tentativo, rimane pure avvolto nell' oscurità, 
poiché del concerto tra il Fiesco e V Adorno nes- 
sun* altra notizia abbiamo che quella che ci porge il 
Casoni, e delle intelligenze col Fregoso e lo Strozzi 
di cui Éin cenno gli storici coetanei, i più autorevoli 
di essi ne mostrano V inverosimiglianza, e la impro- 
babilità. Ad ogni modo i sospetti vi erano come le 
o^oni che doveano di necessità farli nascere; né 
stimo che Andrea Doria ne avesse interamente Y animo 
sgombro, non già che il giovine Gian Luigi riputasse 
capace di un risoluto attentato contro le nuove isti- 



i88 

* 

tuzioni , ma esacerbato dal vedersi tanto nella presente 
fortuna lontano da quella de' suoi maggiori e tuttavia 
incamminato a peggiore. Fu per avventura questo pen- 
siero, e la tema che quanto si sospettava del Fiesco 
non si avverasse un giorno, che lo mosse ad ottener- 
gli nel 1544 una pensione annua di duemila scudi 
d' oro dall' Imperatore, da pagarseli sopra le rendite 
ordinarie e straordinarie dello stato di Milano per 
quattro rate trimestrali di scudi 500 ciascuna. Ma tal 
mezzo con cui il Doria sperato aveva di riconciliarne 
l'animo' e mutarne le disposizioni se ostili erano an- 
dando fallito , poiché quella pensione non fu mai 
pagata come ci attesta il Bonfadio stesso, tornò di 
derisione, e di maggior fomite all' interno rammarico 
del Fiesco. 

LXVIII. — Le priiiie mosse però alla congiura ven- 
nero da Roma. Il Papa Paolo III viveva pieno di 
amarezza e di dispetto contro Carlo V e Andrea Do- 
ria; rimproverando a quello di avergli prima data e 
poi violata la promessa dell' investitura del Ducato di 
Milano dopo la morte dello Sforza al proprio nipote, 
di essersi i cardinali e prelati della fazione imperiale 
protetti da Carlo nel Concilio di Trento comportati 
nel modo più ostile contro 1' autorità Pontificia ; che 
contro i seguaci della setta luterana in Germania l' im- 
peratore si fosse peritato sempre di adoperare quei 
rimedj coercitivi e soltanto efficaci a sanare il male; 
infine di avere fino allora disconosciuta 1* elezione di 
Pier Luigi Farnese al Ducato di Parma e Piacenza. 



i89 

Ad Andrea Doria apponeva il più autorevole e ri- 
soluto consiglio a Carlo di non dismembrare lo stato 
di Milano dal dominio imperiale, opponendosi all'in- 
vestitura del Farnese ; e più recente e sanguinosa of- 
fesa ricevuta da lui, che gli stava profondamente nel- 
l'animo riposta. Morto era un Imperiale Doria Vescovo 
di Savona lasciando una pingue eredità nel regno di 
Napoli ed istituendone erede Andrea suo parente colla 
condizione di sollevare alcuni loro congiunti posti in 
bassa fortuna. Ma i ministri pontificj pretestando tutta 
quella facoltà doversi alla Camera Apostolica per ra- 
gione dello spoglio se ne posero incontanente al pos- 
sesso ; e con tanta avidità vi stesero sopra le rapaci 
mani che appropriaronsi i capitali, e devastaronne i 
beni, più ladroni che legittimi collettori. Avvisato il 
Doria dell' ingiusto operato, e del brutto ladroneccio 
se ne dolse col Pontefice allegando invano le giuste 
ragioni alla contesagli eredità, che i Qollettori eccle- 
siastici negarongli ogni diritto. Il cardinale Alessandro 
Farnese nipote del Papa offerivagliela, quando volesse 
qual dono accettarla da lui; locchè sdegnosamente il 
Doria rifiutando pensò alla vendetta, e a Gianettino 
diede ordine, partisse, pigliassesi le galee pontificie, 
conducessele nel porto di Genova; cosi fu eseguito; 
destò meraviglia il fatto, e a chi ne chiedeva rispon- 
deva il Doria che Gianettino si avea tolte le galee 
del Papa perchè le sue più numerose erano e più forti 
fi quelle ; nel che veramente stavano i termini della 
contrastata eredità, che il Papa più forte di lui aveasi 



192 

vasi che nìuno di essi avesse pensato di farsi innanzi 
nelle dignità di quella Corte dove tante gloriose me- 
morie serbavansi degli avi loro ; che quando a ciò si 
fossero deliberati egli non era per mancar lóro di 
quella riconoscenza che al padre doveva. 

Questo ragionamento che se vero è, altro non era 
forse che il principio con che divisava eseguirsi il pre- 
stabilito disegno, venne meglio svolto ed ampliato dal 
Cardinale nipote Alessandro Farnese con oflFerte par- 
ticolari, laonde Ettore Fiescbi che per quanto accadde 
in appresso può bene aversi sospetto di complicità nella 
congiura, tornato ih Genova, e della amorevole acco- 
glienza del Pontefice, delle sue dimostrazioni di stima, 
e delle graziose profferte fatto consapevole il Conte, 
lui mosse a condursi a Roma dove un* agevole via gli 
si apriva di futura grandezza, ed ei vi si portò con Raf- 
faele Sacco, e venuto alla presenza del Papa, si ebbe 
da questo il più affettuoso ricevimento. Riconoscesi 
dalle rivelazioni del medesimo Sacco, e narrasi dal 
Casoni, mentre gli altri storici della congiura onamet- 
tono il fatto, o lo pongono in dubbio (i), che si ral- 

(i) Il Sigonio e il Tuano scrivono dell* acquisto delle galee 
pontifìcie ma nulla dicono di promesse date dal Papa al Fiesco 
quando volesse tentare qualche gran fatto da potere in Genovt 
ristabilire la potenza della propria famiglia ; il Bonfadio che det- 
tava gli annali sotto il pontificato di Paolo III lo lascia in dab' 
bio, e scrive : « Temere autem, an ex vero, nobis non est com- 
» pertum, et quod ambiguum est, non videtur prò certo $0- 
» mendum, » 



^93 

legrasse vedendolo, e conoscerlo per quello che gli era 
stato dipinto, e crescergli affe:(ione ; perloché sfor:(ato tro- 
vavasi egli ancora dirgli, quello sapeva avergli detto il 
Duca suo figlio, che il Prìncipe era vecchio, e eh' esso 
doveva attendere a noti restar lui^ né lasciar la casa sua 
soggetta ad altri, e che in tal caso, sempre che gli acco- 
modasse, oltra le forze del Duca suo figliuolo, gli offe- 
riva ancor le proprie (i). 

.Ricopio le parole delle rivelazioni del Sacco, am-- 
pliate dall' annalista Casoni, il quale vi aggiunge, che 
il Papa stesso concludesse : che per cominciare a dargli 
saggio del suo buon animo, gli offeriva il Generalato delle 
sue gàlee ; a condi:(ione (e qui sorrise il Pontefice) che 
si guardasse di cadere in mano di Gianettino, e di la- 
sciarle condurre in arresto nel porto di Genova, come al- 
tre volte era succeduto. 

Ora continuando la narrazione sulla fede delle me- 
desime relazioni, e di quella che ce ne porgono i di- 

(i) Il Federici e lo stesso Agostino Mascardi, dopo avere narrato 
il fatto, soggiungono che non può con certezza affermarsi, tanto 
più, che in seguito Apollonio segretario molto confidente del 
Duca Farnese, ritenuto prigione a Milano e con acerbi tormenti 
interrogato sopra di ciò da D. Ferrante Gonzaga, negò sempre 
costantemente che il Duca ed il Pontefice avessero avuto parte 
nella congiura dei Fieschi. Il solo Filippo Casoni si mostra uni- 
forme alle rivelazioni del Sacco, e vi aggiunge ancora di proprio 
senza dirci donde ha egli attinte le nuove circostanze che riferi- 
sce ; Carlo Botta lo ricopia senza darsi la pena di sceverare il 
vero dal fisilso, ovvero dall' incerto, che è menda non infrequente 
di quello per altro grande storico moderno. 

13 



194 

versi storici, pare che il Fiesco fosse dal Papa rimesso 
al Cardinale Nipote aflSnchè con questo meglio fer- 
masse opportuni concerti, indi si abboccasse col Car- 
dinale Agostino Trivulzio protettore di Francia che 
lo strinse assai con offerirgli partiti molto certi e grandi 
per parte del Re^ il che lo indusse a risolversi arrivato 
che fosse a Genova assai presto e datone parte a qualche 
amico suo (i). 

Le condizioni che in nome del Re di Francia si 
proponevano dal Cardinale al Fiesco, secondochè le 
riferisce il Mascardi, senza che si sappia donde abbia 
potuto legittimamente ricavarle, sono le seguenti: 

« i."* Che subito passato al soldo Regio ricevesse 
» il danaro, per mantenimento di sei galere; 

» 2.° Che gli fossero assicurati gli stipendi per 
» dugent' uomini da porsi in presidio nella Rocca di 
» Montobbio ; 

» 3.° Che fosse dichiarato Capitano di cavalli; 
» 4.° Che gli si assegnassero dodicimila scudi 
» r anno per sua provvisione (2). » 

Soggiungesi dallo stesso, che siffatte condizioni gli 
furono ratificate d' ordine Regio da D. Giovanni Ca- 
racciolo Principe di Melfi fuoruscito di Napoli. 

Tornato il Fiesco in Genova, il Cardinale Trivulzio 
temendo che V indugio potesse ipipedire la più pronta 

(i) V. Rivelazioni di Raffaele Sacco. Doc. cxi, Pag. 170. {Atti 
della Società Ligure di Storia Patria, Voi. vin). 

(2) V. Agostino Mascardi, Congiura del Conte Già. Luigi 
de' Fieschi, pag. 45. 



195 
esecuzione dell' ordito disegno, si affrettò a mandarvi 
Niccolò Foderato cavalier Savonese parente di lui, 
aflSnchè quanto si era pattuito in Roma venisse da 
esso sottoscritto. Posto a quella stregua il Fiesco sotto- 
scrisse, ma indi radunati a consiglio il Verrina, Sacco, 
e Calcagno, sorse una grande differenza di partiti fira 
di loro, e il Verrina fieramente opponevasi a che si 
trattasse colla Francia, proponendo che senza di quella 
il Fiesco bastava a rendersi Signore di Genova, eh' egli 
stesso sarebbesi adoperato affinchè ne cingesse la co- 
rona, alle quali parole arrendendosi il Conte, mandò 
dietro in posta a revocar il pacchetto con la capitolatione 
che portava il cavallero Fodrato; il Sacco però giusta 
quanto egli afferma dissuadeva il raioto, dicendo : che 
sempre ha veduto alle cose grandi impedimenti non consi-- 
derati, soggiungendogli che. non credeva la cosa tanto fa- 
cile, considerando che in ristretto tutta la sua fede e spe- 
ranT^a consisteva in fede di popolo vano e villano, e che 

ogni poco (i) contrasto che ritrovasse, egli ne potrebbe 

con molta vergogna e biasimo di tutto il mondo, restar 
disfatto, e che simili cose e di tanto momento non erano 

da risolversi cosi facilmente ; (2). 

Le quali considerazioni del Sacco non giovavano a 
rimuover 1' animo del Fiesco dal suo tristo pensiero ; 
t cosi atti 22 di novembre restò conclusa quella nefanda 
congiura di amma:(^ar il Principe, il Capitano (Gianet- 

(i) Vi ha un guasto nel documento. 
(2) V. Rivelazioni, pag. 171. 



196 

tino), Messer Adan (^Centurioni) e tutta la nobiltà di 
condÌT^ione, efratanio che si andasse considerando la forma, 
attender a dissimularey secondo il solito con tutti 

Da questa deposizione parrebbe che per consiglio di 
Verrina si dovesse tentar V impresa senza V obbligo 
di sottomettere poscia Genova al dominio di Francia, 
rivocandosi il trattato che il Fiesco avea già sotto- 
scritto ; seno'nchè T ambasciatore Figueroa notificando 
air Imperatore colle rivelazioni del Sacco quanto si 
avea procacciato di sapere dalle confessioni dello stesso 
Verrina, scrive aver qijesti affermato che per il Conte 
si era praticato quel negozio molto con il Re di Fran- 
cia, il quale gli prometteva seimila ducati di provvi- 
gione air anno, cinquanta lande coli' ordine di San 
Michele, e che suo disegno era di toglier di mezzo la 
maggior parte dei gentiluomini dopo di avere ucciso 
il Principe e Gianettino Doria e tenere la città a di- 
vozione di Francia (i). Il Sacco poi aggiunge, chea 
qualche segno veduto da lui, dalV altro canto il Verrina, 
con altri capi popolari insieme, dovesse poi uccider il Conte, 
per non voler star soggetti a cosi empio tiranno, ed ah- 
borrendo per natura a tutta la nobiltà. 

Nella conclusione poi delle rivelazioni del Sacco, 
e delle confessioni del Verrina, secondochè le riferisce 
il Figueroa, si contiene che alcuni giorni dopo di quel 
consiglio Stefano Spinola Signor della Rocca si recò 

# 

a ritrovare il Conte e gli disse che se voleva si pò- 
(i) Doc. cix, pag. 167. 



197 

irebbe fare uno stato di Adorni, del quale esso reste- 
rebbe signore avendo assai più autorità che mai alcuno 
avesse avuto in Genova, alla quale proposta rispose 
egli non sapere in qual modo si bastasse ciò ad ese- 
guire, né ch'egli pure vi pensava, che anzi tanto gli 
dispiaceva simile pratica, che quando avesse opinione 
si dovesse eseguire, fosse certo la pubblicherebbe. Se 
vere sono queste circostanze, forza è dire, o essere 
false le prime intelligenze affermate dal Casoni con 
Barnaba Adorno, od essersene in seguito il Fiesco 
cosi rimosso da doverne perfino minacciarne la de- 
nuncia quando gli fosse noto che si mandavano .tutta- 
via ad effetto ; la qual cosa voglio ricordare per dimo- 
strare quante contraddizioni s' incontrino nei particolari 
di questo avvenimento e come d'uopo sia di proce- 
dere cauti nel prestar fede a tutto ciò che ne fii scritto. 
LXX. — Fratanto e prima e dopo del narrato con- 
siglio, il Fiesco col Sacco recavasi in Piacenza (i) 
presso il Duca Pier Luigi Farnese per dar termine al 
contratto delle quattro galee, ma verosimilmente per 
meglio convenirsi intorno al prossimo moto che si 
divisava per esso di tentare in Genova. Primamente 
si diede motivo alla visita di volere riconoscere Pier 
Luigi nuovo Signore di quello Stato, di cui il Fiesco ri- 

(i) Tra i documenti raccolti e pubblicati dal fu Sig. Avvocato 
Edoardo Bernabò Brea vi ha una lettera del Fiesco colla data 
del 28 Settembre 1545 che scrive da Piacenza dove si trovava, 
d Doge e ai Governatori della Repubblica consigliandoli a com- 
plimentare il nuovo Duca Pier Luigi Farnese. (V. op. e. pag. 7). 



198 

maneva feudatario per i luoghi di Borgo Valdetaro e 
Calestano, che possedeva sul territorio di lui. In ef- 
fetto sT trattarono i particolari del fatto che si stava 
congiunti per intraprendere ; pare , dai documenti 
prodotti in luce dall' Archivio di Simancas, che il 
Duca promettesse al Conte quattordicimila fanti 
pronti a dargli soccorso; che la coQipra delle quat- 
tro galee delle quaU per tre sole riceveva stipendio 
dal Pontefice fosse simulata, e dal Duca cosi vo- 
luta, non amando che il tentativo si facesse colle in- 
segne e sotto gli auspicj del Papa, poiché non riuscendo 
la cosa, si avesse sempre modo di cavarsene fiiori, 
quando cosi tornasse utile. Ragionavasi la compra ac- 
ciocché Gerolamo firatello di Gian Luigi si avvezzasse 
neir arte del navigare, di molto dilettandosene. Ma 
Paolo Panza saputa la cosa sembra per opera del Sacco 
che di Piacenza gliene scrisse, subodorandone la vera 
cagione, rispose, che a lui non era sfuggito il segreto 
di quel trattato, che suo consiglio, o gradito, o disgra- 
dito che fosse, era che quella compra delle galee non 
potea tornare che dannosa al Conte, sia per non avere 
danaro in cassa da pagarle, sia perché non voleva na- 
vigare, sia perché i suoi firatelli non gli sembravano 
da tanto ; infine, perchè negozio di sì grave momento 
non dovea deUberarsi, inconsapevole Andrea Doria, 
cui tanto andava obbligato lo stesso Conte, e che non 
sapendolo, forse se ne offenderebbe. 

Le galee ciò nondimeno acquistavansi e ponevansi 
sotto il comando di Gerolamo Fiesco firatello di Gian 



199 

Luigi, e Gianettino n' ebbe invidia. « Vedeva egli (cosi 
» afferma la lettera che sotto il nome di Giulio Cibo 
» a Benedetto Varchi colla data del 28 Maggio 1550, 
» estratta dall' Archivio fiorentino venne pubblicata 
» dal chiarissimo Cav. Cesare Guasti) che pur gli 
» Fieschi erano grandi in terra, et cercavano ora farsi 
» grandi per mare ; onde non lo poteva patire : et 
» non avendo giustissima causa di potergli impedire 
» questa grandezza loro voleva che le galee di mio 
» firatello abbassassero lo stendardo, tenendosi egli am- 
» miraglio del mare, et mio firatello che tirava soldo 
» dal Papa et non dallo Imperatore, non volse mai 
» abbassarlo. La qual cosa vedendo Giannettino, co- 
» minciò a dire che un giorno con una minima barca 
» affonderebbe le nostre galee. Le quali essendo un 
» giorno per non so che sue faccende ite a Messina, 
» cariconno inavedutamente le sete dei mercatanti gè- 
» novesi: et Giannettino che pur veniva per tale ef- 
» fetto , si ritrovò gabbato, et n' ebbe tanto sdegno 
» quanto aver si possa ; e minacciò di tal sorte il 
» Sig. Girolamo mio firatello. Capitano delle sopradette 
» galee, che se egli avesse avuti tanti legni quanti aveva 

» lui, si sarebbero aflfrontati insieme » 

LXXL — Tutto ciò non faceva che invelenire gli 
odj, e meglio infiammare quel fuoco che non potendo 
più segreto covarsi, stava per divampare ; il Conte dis- 
simulò, aggiunse pur questa alle altre cagioni di risen- 
timento, ed aflfrettossi alla vendetta. Tornato di Pia- 
cenza si condusse a' suoi feudi, esercitò i sudditi nel 



200 

maneggio delle armi, addestrolli, e rese pronti alle 
marcie, e ad ogni altro militare esercizio, apparec- 
chioUi ad un suo cenno, apparentemente mostrando 
temere il vicino Duca di Piacenza ; e in tal guisa pas- 
sati alcuni mesi, cadendo l'autunno del 1546 si ri- 
condusse in Genova. Quivi si pose tutto co' nobili 
nuovi o di S. Pietro,, sgannati dell'aggregazione dei 
28 Alberghi, nemici dei Doria, devoti in gran parte 
a Francia, e di leggieri li trasse alla sua parte; eoa 
fa del popolo che più dei nobili di S. Pietro, -odiava 
quelli di S. Luca ricordandosi che, aveano 40 anni 
circa, venuti erano essi in compagnia del Re Luigi XII 
di Francia abbattendo il Dogato di Paolo da Novi, to- 
gliendone la Signoria eh' era la sua ; oltreciò, il de^ 
cadere del commercio, le frequenti guerre aveano di 
tal guisa le diverse arti immiserite, scemati i guadagni 
che dove prima da quelle i popolari traevano i mezzi 
di un' onorata, ed agiata sussistenza, ora dipendevano 
dalla carità de' patrizj , che i capitali loro invece di ap-^ 
plicarli al commercio, o- alla industria come negli an- 
dati tempi, gì' impiegavano ad usura in Ispagna, o pen- 
savano d' investirli in maggioraschi e fedecommessi, 
togliendoli alla circolazione, rendendoli immobili per 
assicurarsi con una ricchezza non peritura, ed una sta- 
bile potenza, il continuo maneggio della Repubblica 
nelle proprie famiglie. Poco vi volle che il Fiesco 
coir amabilità del viso, la cortesia dei modi, e più an- 
cora colla copia de' soccorsi li si cattivasse, ed ora 
aiutandoli, ora commiserandoli, ora gittando una pa- 



201 

rola di conforto e di speranza, entrasse talmente nel- 
l'animo loro da volgerli a talento dove tornasse più 
a lui. Si narra, che chiamato hel suo palazzo di Vio- 
lato il Console dei tessitori di seta, numerosissimi 
in Genova, e chiestogli delle condizioni di queir arte, 
e sentito, come oltremodo decaduta, la maggior parte 
di essi vivevansi nella più lamentevole miseria, ordi- 
nogli che i più miseri e bisognosi mandasse a lui ; 
al quale ordine avendo il Console obbedito, una co- 
tale quantità di quei poveri tessitori gli si presentò 
dinanzi, ed egli con tanta benevolenza, con si dolce 
sembiante, con maniere cosi amabili, e con parole 
tanto graziose li accolse che ne rimasero stupiti, né 
sapeano persuadersi che usi com* erano al severo, e 
cupo contegno di Andrea, all' insolente, e superbo fa- 
sto di Gianettino, all' arcigno, e spigolistro di Adamo 
Centurione potessero ritrovarsi riunire cosi rare e 
soavi doti in un personaggio che era pure il nobilis- 
simo di tutti. Il Fiesco seguitando quel fare, accor- 
g^dosi dell' effetto che produceva, meglio si porgeva 
loro, e qui ad entrare nei particolari di quella miseria, 
a udirne con attenzione, e commosso a tenerezza e 
pietà, i dolorosi racconti, e promettere di alleviarne le 
pene, e intanto provvedendo alle urgenti necessità fra 
le quali travagliavansi volere che venisse divisa fra di 
essi una certa quantità di grano, dicendo che questo 
sempre era stato il costume della sua famiglia di soc- 
correre a' poveri, nel che egli non voleva di certo 
degenerare da* maggiori, laonde quando essi mancas- 



202 

sero di ciò che più si abbisognava al sostentamento 
delle proprie famiglie, a lui si volgessero che sempre 
di quanto aveva avrebbe loro fatta parte, raccoman- 
dava però noi dicessero, aflSnchè la sua compassione 
e pietà per si povera gente non paresse più desiderio 
di vana ambizione che sincero sentimento di amore 
e di benevolenza che provava per loro. Cosi favellando 
li accommiatava, ed essi andavansi con Dio, dal pro- 
fondo del proprio cuore ringraziandolo e benedicendolo. 



CAPITOLO QUARTO 



Nuovo Consiglio tenuto dal Fiesco con Verrina, Sacco e Calcagno; loro pareri 
diversi circa lo scopo che si doveva prefiggere alla congiura, circa il mezzo e il 
tempo di eseguirla; si fissa la seconda notte di gennaio del 1547. 



LXXII. — Con siflfatte arti, la plebe, i nobili nuovi 
ei si avea guadagnato, né Andrea Doria, né da ultimo 
dissimulando lo stesso Gianettino trascurato, che offi- 
cioso, sommesso, e sollecito delle visite con quello, 
cortese, arrendevole con questo dimostravasi ; per la 
qual cosa, allorché gli parve acconcio il tempo, e tutto 
volgeva propizio a seconda del proprio disegno, chiamò 
a nuovo consiglio i tre suoi confidenti. Discutevasi 
quale lo scopo non solo, ma la forma di governo che 
si sarebbe adottata, quali i mezzi per metterla in atto ; 
tutti concordavano togliere la Repubblica dall'essere 
soggetta ad ogni volere di Carlo V, cacciandone quindi 
i Doria che nella vergognosa soggezione la mantene- 
vano e con essi le nuove istituzioni a tale uopo stabilite, 
conformi alla ragione e al talento de* pochi, richieste 
dalla tirannide straniera, che da Genova divisava esten- 
dersi all'intera Italia, poiché oppresso il Papa, tradita 
Venezia, usurpata Milano, distrutta la repubblica fio- 



204 

rentina, niuna più resistenza rimaneva contro la tra- 
bocchevole ingordigia dell' aquila grifagna. 

Viva però questione faceasi intorno alle condizioni 
politiche che sarebbonsi introdotte in Genova dopoché 
sgombra fosse rimasta del dominio di Carlo V e dei 
Doria. Secondochè scrive il Mascardi, opinava il Sacco 
seguitando i passati esempi sottomettere la Repubblica 
a protezione di Francia, da cui soltanto i promessi 
ajuti, le forze bastanti poteansi aspettare per la forma- 
zione e la stabilità del nuovo stato; Gian Luigi vi 
avrebbe tenuto quella grandezza, e quel grado che vi 
avea V avo di lui sotto del Re Luigi duodecimo. Op- 
ponevasi a quel partito sdegnosamente il Verrina, assai 
di cotesti governi stranieri da' quali sbattuta ed avvi- 
lita era la misera Genova, oggimai, diceva, essere ve- 
nuto il tempo di cacciarne l' ignominia, e reggersi di 
per sé, cosi la più sana parte del portico di S. Pietro, 
cosi il popolo pensare, e volere diventar liberi, ma in- 
dipendenti, né scuotere il giogo, per mutarlo in un 
altro, dunque non si poteva discacciare il governo di 
Spagna senza cadere in servitù di Francia? che Spa- 
gna, che Francia, esclamava, genovesi dobbiamo essere 
senza mescolanza, ed obbrobrio di forestieri. Il* Conte 
Doge e Signore sarà senza l'alto dominio, o la pro- 
tezione di estraneo governo ; per questo noi abbiamo 
rigettate le capitolazioni , per questo finora ci siamo 
travagliati, se altrimenti noi facessimo la nuova domi- 
nazione francese, o ci renderebbe suoi vili strumenti 
come fa di presente lo spagnuolo dei Doria, e invece 



205 

del favore e della stima de' nostri cittadini avremmo 
r odio, e la maledizione loro, o ci confonderebbe con 
tutti gli. altri da lei tuttavia oppressi e vilipesi. Io al- 
tamente dichiaro che se il Conte tal partito accettasse 
non liberatore, ma traditor diverrebbe della propria 
patria e noi con esso ; ed io lo respingo e quanto so 
e posso mi vi oppongo. La fierezza dell* uomo, i modi 
rotti e violenti, le risolute parole, la vinsero, parve 
almeno, sopra il Conte, e il Sacco, che il Calcagno 
o non chiari V animo suo, o per timidezza disdisse 
ogni moto, pronto a seguire il Fiesco però in ogni 
evento essendo affezionatissimo a lui. Dissi, parve, co- 
mechè non bene egli è noto se il Conte si arrendesse 
ai consigli del Verrina o s'infingesse temendolo per 
non istaccarlo da lui e con esso tutto quel numero 
di partigiani popolari che tiravasi dietro, e doveano 
il più prestante ajuto essere della congiura. Mosso io 
sono a credere ciò, imperocché il Sacco racconta in 
fine della sua rivelazione , eh' egli disse di nuovo al 
Conte: lo timore che questo Verrina non disegnasse ve-- 
dendo il suo animo tanto mal inclinato contro tutta la 
nobiltà, senT^a essergliene mai stata data la causa, sotto 
la ombra loro di far un viva popolo, solamente per ta- 
gliar a peT^T^i i gentiluomini, e poi essi stessi in appresso, 
non vedendosi in lui cosa piti ferma che una estrema 
avidità di estinguere tutti i nobili. Ma il Fiesco altera- 
mente gli rispose, non aver più bisogno di consiglio 
ma di ajuto. 
Le quali ultime parole ci rendono sempre più in- 



206 

certi di quello che fosse veramente risoluto dal Conte, 
o s'ei, non ostante la revoca delle capitolazioni con- 
tinuasse nel disegno di giovarsi degli ajuti di Francia, 
assoggettandovi poscia il dominio della città, o se ot- 
tenuto r intento pensasse di rendersi poi indipendente 
da quella. Delle intelligenze continuate non si può du- 
bitare, poiché lo depone lo stesso Verrina, se si deve 
prestar fede alle rivelazioni sue mandate dall* Amba- 
sciatore Figueroa all'imperatore addi 30 luglio 1547; 
facendo anche senza di quelle, e di altri documenti 
che ce lo affermano , bastante prova se ne avrebbe 
dair essere il Verrina stesso dopo appena scoppiata 
la congiura con una galea recatosi a Marsiglia per ot- 
tenere i promessi soccorsi. 

LXXIII. — Qualunque sia la decisione che in quel 
consiglio si prendesse, che il fallito moto ci ha tolto 
di conoscere interamente i disegni più riposti de* con- 
giurati, e specialmente del Fiesco, e del Verrina, certo 
è che la uccisione del Doria, di Gianettino, di Adamo 
Centurioni, e di altri nobili a costoro più aderenti del 
Portico di S. Luca fu deliberata ; ma il modo di ese- 
guire ciò diede causa a nuova quistione fra di loro. 
Convenivano tutti, tempo essere quello più addatto, 
Doge non v* era, il presidio di Genova non più di 
dugento soldati ; inutili alla difesa le galere del Doria, 
imperocché sebbene numerose stavano disarmate sver- 
nando nel porto ; d' ogni sospetto sgombri Andrea e 
Gianettino, viversi trascurati senza guardia né pub- 
blica, né privata, essere agevole introdurre nella prò- 



207 

pria loro dimora un buon nerbo di gente scelta dai 
castelli, mentre colla stessa facilità sarebbesi potuto 
per la via di mare impadronirsi delle galee ; venuti 
intanto i fanti di Piacenza, avrebbero questi servito a 
reprimere le sollevazioni de' cittadini. 

Senonchè d'uopo era trovare il modo con cui si 
potea più speditamente liberarsi dei Doria, del Cen- 
turioni, e degli altri principali nobili, efficace sostegno 
dell' odiato governo. Si divisò da principio 1' occasione 
di una messa nuova nella Chiesa di S. Andrea alla 
quale verrebbero invitati, ma il Conte sdegnosamente 
lo rigettò, parendogli che oltreché Andrea scusandosi 
coli' età vi avrebbe mandato in sua vece colla soUta 
limosina Filippino Doria o altro suo congiunto, ne- 
&nda cosa era il dare cominciamento alla liberazione 
della patria con un sacrilegio. Questo rifiuto attestato 
dagli stèssi scrittori della congiura ligj tutti al governo 
dal Doria istituito ne smentisce vieppiù non solo 
l'odioso paragone da essi fatto del Fiesco con Alci- 
biade e Catilina, ma ne rileva il nobile carattere, 
mostrandolo ripugnante da ciò eh' era pure comune 
a quei tempi, o poco innanzi, poiché aveano appena 
68 anni che il 26 aprile del 1478 nella chiesa di 
s. Reparata di Firenze, celebrando la messa il cardi- 
nale Riario, nipote del Pontefice Sisto IV e congiu- 
rato , nell' atto convenuto , orribile a dirsi ! eh' egli 
alzava V ostia sacrosanta , si pugnalava per la congiura 
de' Pazzi Giuliano, e ferivasi Lorenzo, fi^atelli dei 
MedicL E due anni avanti era stato cosi pugnalato 



208 

nella chiesa di s. Stefano di Milano il Duca Gio. Maria 
Sforza dai tre giovani congiurati Lampugnani, Olgiati 
e Visconte; laonde ne conseguita che Gian Luigi 
Fiesco avea animo più virtuoso, coscienza più timo- 
rata, abborrente da cosi scellerata nefandità, del car- 
dinale Riario , dell' arcivescovo Salviati e di parecchi 
sacerdoti tutti avvolti nella congiura dei Pazzi. Sono 
questi i confronti che ad omaggio della verità avreb- 
bero dovuto istituire li antichi scrittori che trattano di 
queir avvenimento , meglio retori e venderecci in gran 
parte, che sinceri e intemerati storici. Pensarono allora 
alle prossime nozze che stavano per contrarsi tra una 
sorella di Gianettino, e Giulio Cibo Marchese di Massa 
cognato di Gio. Luigi ; a quest' uopo invitasse egli a 
cena in compagnia della sposa, e di parecchie dame, 
Andrea , Gianettino , Adamo Centurioni ed altri dei 
più cospicui nobili e nel tripudio delle ospitali mense, 
alcuni sicarj balenati fuori da* nascondigli improvvisa- 
mente, gittassersi sopra di loro, e tutti li uccidessero. 
Di questo come dell' altro violento partito, istigatore 
e caldo propugnatore era il Verrina; ei consigliava 
che seguita T uccisione, subitamente il Conte co' suoi 
complici uscisse, discorresse la città chiamando il po- 
polo a libertà ; levato il tumulto si occupasse il Pa- 
lazzo Pubblico ; quivi il Verrina stesso con accomo- 
date parole velando il disegno dell' assoluto principato, 
mostrando indispensabile la riforma del governo reso 
inatto e codardo sotto il dominio di Spagna, e per 
essa dei Doria, incoronasse il Fiesco come Doge della 



209 

Repubblica, invitando la plebe già da lui corrotta, al 
giuramento di fedeltà ; che se alcuno sì opponesse, 
fosse tosto ucciso affinchè dall' esempio sgomentato 
ninno altro sorgesse a contradire. 

Ma tuttociò, che io ritraggo dal Mascardi, ch'egli 
va ricopiando da Gio. Luigi Campanaccio, dal Tuano, 
Sigonio, Bonfadio e Federici, posto ancora sia vero, 
che di prove sicure non si hanno che le loro asser- 
zioni, sono però tutti questi, eccettuato il Bonfadio, 
concordi nell' aggiungere che anche siffatto partito sde- 
gnò il Fiesco abborrendo dal contaminare la ospitalità, 
convertendo una festa nuziale, negli orrori di una 
strage (i). Nota però solo il Bonfadio che egli pre- 
gava il Doria che seco andasse a cena in Carignano 
ed ottenevalo; stàbilivasi quindi il giorno del banchetto 
e dovea essere il 4 di gennaio, nel quale avea luogo 
la creazione del nuovo Doge , la nomina di cui fa- 
cendosi da quattrocento cittadini nel Palazzo chiusi, e 
durando quasi sempre una gran parte della notte, por- 
geva la maggiore opportunità al tentativo. Ma sog- 
giimge che il Doria fii travagliato dalla podagra, e a 
Gianettino per non so quale accidente occorsogli, con- 
veniva il giorno disegnato partir da Genova, cosi dubi- 
tandosi che questa cosa troppo maneggiata si discoprisse 

(i) Cosi si esprime il Sigonio : « Quae sententia, a Flisco, quia 
» atrox erat, turpisque, ac crudeli nimis complurium, eorumque 
» insontium caede , aedes , penatesque suos cruentatura , vel 
» invito, et frustra reclamante Verrina, explosa est. » (Caroli 
Sigonii Vita Andrae Doriae pag. 1201). 

U 



210 

differendosi più, mutossi pensiero, ed affrettandosi, venne 
fissata ad eseguirla, la seconda notte di Gennaio. Per 
la quale narrazione apparirebbe che «e non furono in- 
sanguinate le ospitali mense, non procedette già dalla 
ripugnanza del Fiesco, ma da circostanze imprevedute 
che si opposero alla sua volontà. Ciò nondimeno, io 
credo che Jacopo Bonfadio scrittore condotto e prez- 
zolato dal governo del Doria, questo scrivesse tacendo 
la vera cagione del differimento , per maggiormente 
infamare la memoria del Fiesco che tanto si voleva 
da coloro che gli ordinavano di scrivere quelli annali 
meglio pregevoli per la parte letteraria che per la 
storica, e tanto m' induce a credere vedendo non solo 
che, tranne lui, niun altro scrittore della congiura osa 
affermarlo, quanto né il Doria (i) né i ministri Ce- 
sarei che di tutti i particolari del fatto coi termini 
più odiosi e ostili al Fiesco, fecero relazione esatta 
air Imperatore non toccano mai di questo in guisa da 
renderlo verosimile. 

LXXIV. — Vero é che le condizioni supreme cui 
trovavasi la cospirazione avviata non pativano più 
maggiore indugio, avvegnaché, queir apparecchiarsi di 
fanti in Piacenza, e d' armi insolite in Francia, quel- 
r addestrarsi degli uomini del Fiesco , avea desto a 
grave sospetto il governatore di Milano Ferrante Gon- 

(i) Il Doria nelle due relazioni Tuna all' Imperatore, l'altra 
a Ferrante Gonzaga dice bensì essersi saputo che il Conte va- 
leva invitare a cena Gianettino per ammazzarlo, ma non parla 
d' invito fatto a lui nonché di averlo accettato. 



211 

zaga, vigile, e sagace custode del dominio imperiale 
in Italia, uomo per natura dotato d'ingegno polizie- 
sco, perspicace a scoprire, pronto ad accusare, cupido 
per speranza di lode, di onori, e di premj, riferendo 
bene o male, di entrare in ispeciale grazia e fiducia 
dell* augusto padrone, trista ^ mal nata genia, neces- 
saria a paurosi ed assoluti governi, vilissima con essi 
e ad ogni più turpe servigio accomodata finché ei po- 
tenti signoreggiano, infedele ed ingrata quand' ei ba- 
lenano, e cadono. Costui scriveva all' Imperatore es- 
sergli pervenuto un avviso di Francia che un fratello 
del Conte di Fiesco era stato in corte del Re e si 
credeva per alcun maneggio delle cose di Genova, il 
quale avviso, soggiungeva, aver egli comunicato allo 
ambasciatore Figueroa in Genova perchè lo conferisse 
con il Principe Doria e vedesse insieme con lui che 
provvisione paresse farsi sopra tali sospetti che' si 
aveano delle cose in quella città ; rispondevagli averlo 
fatto, ma dal Doria non essere riuscito altro a cavarne 
che in vita sua nulla si aveva a temerne (i). Nello 
stesso tempo 1' Ambasciatore Veneziano in Francia 
scriveva alla propria Repu^bblica, tramarsi in Corte 
qualche gran fatto, ma non averne potuto penetrare 
i particolari, perocché si osservava il più misterioso 
silenzio, sicché avvisi, e voci d' imminenti moti giunge- 
vano d' ogni parte che al Conte, e a' partecipi tutti di 
quella macchinazione manifestavano ch'egli era d'uopo 
romper gli indugi e venirne al più sollecito effetto. 

(i) Doc.. VII, pag. II. Archivio di Simancas. 



212 

Laonde fatta venire da Civitavecchia Tuna delle 
quattro galee comprate, od ottenute dal Papa, per la 
quale non ne ritraeva stipendio, sotto il pretesto di 
volerla, spedire armata in corso nelF Arcipelago, il 
Conte la provvide di una quantità di gente che tratto, 
tratto in picciol numero e a diverse volte fece venire 
da' suoi feudi ; indi si diede a preparare con più dili- 
gente e spedito modo ogni cosa, amicandosi i nobili 
di S. Pietro, fra i quali i più giovani, visitando ogni 
giorno nel suo palazzo il Doria, e vieppiù mostran- 
dosegli affezionato, comportandosi col più sereno viso 
con Gianettino, mentre il Verrina mescolandosi fra la 
plebe sopra di cui prevaleva, disponevala colla gagliar- 
dìa e la fierezza del carattere al vicino moto ; intanto 
stava pronta al varco la Francia, e il Duca di Piacenza 
nulla intralasciava per accorrere tosto colle sue genti 
in ajuto, e affinchè d' ogni sua partecipazione all' im- 
minente sconvolgimento fosse meglio allontanato il 
sospetto, teneva più frequente corrispondenza colla Si- 
gnoria della Repubblica per mezzo di commendatizie 
alla stessa ora per V uno, ed ora per V altro de' suoi 
sudditi (i) protestandole ogni riguardo di buon vici- 
nato. Nello stesso tempo spesseggiavano gli avvisi alla 
stregua degli apparecchi, il Capitano di Chiavari scri- 
veva al Governo che in una festa di Fontanabuona 
era gridato : Adorni e Gatto (2). 

(i) Documenti inediti sulla Congiura di Gio. Luigi Fieschi, 
pag. 8, 9, IO, e II. 
(2) Documenti come sopra pag. 11. 



CAPITOLO QUINTO 



Il Verrina infiamma gli animi del popolo alla imminente sollevazione; il Fiesco si 
. reca al palazzo del Principe Doria, suoi modi cortesi che tolgono ogni sospetto 
contro di lui tanto nel Doria , come nell* Ambasciatore Spagnuolo ; ottiene da 
Gianettino quanto gli domanda; partito di là, visita le diverse case dei Nobili di 
S. Pietro , invitando questi ad una cena nel suo palazzo di Violato ; descrizione 
di esso ; parlata del Fiesco ai convenuti ; suo ultimo addio alla consorte Eleonora; 
ordini e incarichi da lui dati ai congiurati ; morte di esso e di Gianettino ad un 
tempo ; fuga di Andrea Doria ; paura dell' ambasciatore Spagnuolo ; confusione e 
terrore nel Senato che manda frequenti de^tazioni per conoscere il vero essere 
di quel tumulto; Gerolamo Fiesco fratello di Giam Luigi si pone a capo de* sol> 
levati, ma udita la morte di quello, la maggior parte di essi si allontana dal 
seguirlo. 

LXXV. — Cosi erano le cose quando sorgeva il 
2 Gennaio 1547 destinato dai congiurati alla divisata 
azione. Tutto quel giorno, cadeva in Domenica, era 
un affaccendarsi d' uomini che venuti da Piacenza, e 
da' feudi, parte il Fiesco fa entrare alla sfilata per 
diverse porte in città provvedendo d* armi, parte fa 
trasportare sulla galea da lui armata; oltreciò, alcuni 
soldati del presidio che gli erano sudditi, od obbligati 
'per il posto sua mercè ottenuto, introduce nel proprio 
palazzo ; appresso s' intrattiene coli' uno, e coli* altro, 
e r animo ne sdalda , ed apparecchia al soprastante 
tentativo ; più ancora di lui il Verrina s' intromette 
fra il popolo, a' più fidi rivela il disegno senza indi- 



214 

carne il momento dell' effetto, tenersi vigili, e presti 
raccomanda, in breve doversi soddisfare al lungo de- 
siderio; agli altri con più ardenti e supreme parole 
agita, e accende V animo, ravviva le speranze, promette 
i premj, largheggia di denaro. Trascorso in tal guisa, 
tutto quel giorno, cadendo la sera, il Fiesco si porta 
al palazzo del Principe, caracollando col suo cavallo, 
facendo la più leggiadra mostra di sé, attraendosi gli 
sguardi di tutti, e colla gentilezza della persona, e V ama- 
bilità de' saluti, 1' ammirazione, e l' amore de' popolani. 
Era allora il Doria a ragionamento ristretto coli' am- 
basciatore Spagnuolo , recatosi da lui participandogli di 
un nuovo e più incalzante avviso ricevuto da Milano, 
come veramente un giovine dei Fieschi macchinava 
novità pregiudizievoli alla Repubblica, stasse in guar- 
dia, provvedessesi soUicitamente, e il Doria rispondere, 
come non essere possibile, non altro giovine dei Fieschi 
conoscere che Gian Luigi a sé come jSglio devoto ed 
affezionato, e per tante ragioni obbligato, incapace non 
solo a tentare, ma neppure a pensare siffatte cose, 
quando nel calore di quel discorso gli si presenta di- 
nanzi il Conte con portamento cosi vago e seducente, 
con aspetto cosi amorevole, con parole cosi dolci e 
gentili che Andrea sommesso all' Ambasciatore : Oh ! 
vi par' egli che cosi cara persona possa imaginare, non 
che ordire si pravi disegni ? e colui a quella vista ei 
pure sedotto si chiariva sgannato, e confessava infon- 
dati i sospetti. Il Fiesco dopo ch'ebbe fatto i suoi 
convenevoli all' uno e all' altro, traeva in disparte Già- 



215 

nettino e a lui narrava che delle quattro galee soltanto 
di tre riceveva stipendio dal Pontefice, che la quarta 
"che aveva fatta venire da Civitavecchia, tornandogli 
di molta spesa voleva mandarla armata in corso cón- 
tro i pirati neir Egeo. Gianettino lodava il disegno, 
però non gli nascondeva che meglio gli sarebbe piia- 
ciùto di porla a servigio dell' Imperatore, al che lui 
consentendo, sarebbesi volentieri adoperato per ciò ; 
che. se per avventura Cesare non avesse aderito ad 
accrescere il numero delle sue galee egli presterebbesi 
ad indurre Andrea che la ricevesse nel numero delle 
proprie. A queste parole il Fiesco riferite colla maggior 
cortesia molte grazie a Gianettino, soggiungeva, che 
in altra occasione con lieto animo si sarebbe giovato 
delia gentile opera sua, ma per allora amava meglio 
commettere quella galea a favor di fortuna qualunque 
si fosse, chieder soltanto lui che non ne fecesse motto 
con Andrea, affinchè, durando la tregua tra Cesare e 
Solimano, non temesse che per siffatta spedizione si 
considerasse violata; anzi a tal eflfetto, aggiungeva, 
avere da' suoi feudi fatta venire una certa quantità 
d* uomini al servizio della stessa galea, e quella notte 
medesima deliberato che partisse, cosicché, dove per 
caso udisse qualche strepito di bombarda o d' altro non 
si dasse pensiero, conoscendo benissimo che siffatte 
qperazioni non poteansi senza qualche rumore ese- 
guirsi. E Gianettino prendendo tali parole per quel 
senso che apparentemente mostravano tutto promet- 
teva quanto il Conte gli domandava. 



2l6 

LXXVI. — Il quale in tal guisa provveduto avendo 
al suo proposito, pigliava da lui, dal Principe e dal- 
l' Ambasciatore commiato, conservando la stessa ila- 
rità dell' aspetto, e la più lusinghiera dolcezza dei modi 
e delle parole, sicché tutti lasciavali colla certezza che 
si amabile persona nel più bel fiore dell' età fosse le 
mille miglia lontano da quello che nell' animo pure 
covava, e di lui sospettavasi. Neil' atto eh' ei si partiva 
gli vennero tra le gambe saltellando incontro i due 
figliuoletti di Gianettino, Gian Andrea e Pagano, ed 
egli a torsegli in braccio, e colmargU di baci. Partito 
appena. Gigante Corso capitano del presidio vedendosi 
mancare parecchi suoi uomini all' appello, e avendo 
sentito essere stati da Gio. Luigi condotti in Cari-, 
gnano, datone avviso alla Signoria, ne fu riferito al 
Doria, del che richiesto Gianettino , rispose essergli 
nota ogni cos^ e poiché Andrea instava voler sapere 
che si &)ssQy Gianettino replicava ; ciò aver luogo per 
l'armamesto di una galea del Fiesco che spediva in 
corso, ma il Principe ordinare a lui che tosto accor- 
resse ad impedirlo ; al qual ordine notava colui non 
poter senza offesa dell' onor suo ottemperare avendo 
promesso al Fiesco di aiutarlo anzi nella spedizione; 
e qui a supplicare il vecchio affinché non lo costrin- 
gesse a violare la data fede; per le quaU preghiere 
arrèsosi il Doria trascuravasi quel rimedio che solo 
per avventura avrebbe potuto preservare dall'imminente 
sconvolgimento. 

Intanto Gian Luigi uscito dal palazzo del PrincipCi 



217 

recavasi alla casa di un Tommaso Assereto detto VerT^Cy 
ove raccolti alcuni nobili condottivi dal Verrina, si 
congiunse ad essi; indi altre case e diverse logge 
trascorse, dalle quali tolse molti giovani che sapeva a 
lui aderenti, e tutti insieme uniti avviaronsi verso le 
ore cinque di sera alla sua abitazione di Violato. Nello 
stesso tempo il Verrina andava attorno per la città, e 
quelli già da lui designati del popolo sopra i quali 
sapeva poter fare fondamento sicuro, menava ugual- 
mente seco e a Violato con tal compagnia incammi- 
navasi. Usciva di bel nuovo il Fiesco dal suo palazzo, 
raccomandato avendo prima a Paolo Panza suo isti- 
tutore di tener compagnia alla moglie Eleonora, ag- 
giravasi nuovamente per case e per logge ed altri gio- 
vani e nobili nuovi particolarmente invitava seco ad 
allegra cena, allettandoli colla bellissima sera da uno 
splendido raggio di luna illuminato, promettendo loro 
sollazzevoli giuochi, lauto banchetto, e festevoli ra- 
gionar) ; e tutti, parte tratti da quella speranza di darsi 
buon tempo, parte dalla cortesia di si nobile perso- 
naggio accettano volentieri V invito, e sen vanno lie- 
tamente con lui. 

LXXVI. — Superbo innalzavasi sul colle di Cari- 
gnano il palazzo de' Fieschi, posto in sito amenissimo 
che per la copia delle viole che vi nascevano, e soave 
fragranza vi diffondevano intorno Violato appellavasi. 
Prospettava V oriente fronteggiando la deliziosa collina 
4i Albaro, e specchiandosi nelle acque dei sottoposto 
fiume di Bisagno; ad occidente gli si distendeva alle 



2l8 

falde il seno ligustico, ivi accanto maestosa la città, 
che pareva ad esso soggetta obbedirne lo imperio; 
al manco suo lato aveva Tabbaziale chiesa che per 
suo testamento del 1336 voleva costrutta il Cardinale 
Luca Fieschi ; tutto quello spazio occupava, che al 
presente dalla piazzetta della stessa chiesa si dilunga 
fino air altra di S. Maria di Carignano, fiibbricata po- 
steriormente. Dagli scavi che vi si vanno facendo og- 
gidì (Aprile del 1871) si riconosce che la mag^or 
porta d' ingresso di questo, più castello che palazzo, 

I 

aveva volta a levante, e per un' altra a ponente si 
dava probabilmente accesso alla marina; vastissima è 
la pianta del fabbricato che bene adesso si scorge, vi- 
cino air ingresso è un grandioso salone, e intorno a 
quello altre sale ; corre sotto di esso una strada co- 
perta che doveva riuscire verso il Bisagno. Dalla in- 
terna parte del muro a destra dell' ingresso s' innalza 
una specie di condotto che per avventura esser doveva 
destinato all' interna comunicazione colla sommità di 
qualche torre che presidiava il dinanzi dell' edifizio. Al 
di dentro si trovano avanzi di forno che dalla speciale 
sua costruzione pare servisse alla fusione de' metalli 
p'cr il conio delle monete, del quale aveano i Fieschi 
il diritto fino dall'anno 1249 per imperiale privilegio 
di Guglielmo, e da cui soltanto lo ricevettero e po- 
terono es'ercitarlo i Doria dopo la congiura di Gian 
Luigi, per i feudi di questi in loro trapassati colla 
confisca, e a' quali quel diritto era annesso. Sinibaldo 
padre di Gio. Luigi avea cosi grandiosa sede della 



219 

propria famiglia in Genova abbellita di ricchissime 
suppellettili e fregiata del più splendido ornamento 
delle arti belle, talché a reggia di vero e potente so- 
vrano potea somigliarsi; ivi da esso con principesca 
magnificenza erano stati alloggiati il Re Luigi Duo- 
decimo di Francia e il Pontefice Paolo Terzo, ed ivi 
ora suonava d' armi e d' armati ogni luogo e aprivasl 
a campo di esiziale guerra civile (i). Alcuni dei venuti 
introdotti colà dove ben diverso mostravasi V aspetto di 
un convito, rimanevano cólti da insolito stupore, altri 
più addentro nel fatto che stava per intraprendersi, 
comprendevano quello essere il momento designato, . 
tutti però coir animo sospeso attendevano di conoscere 
i veri disegni del Fiesco. Questi rientrato nel palazzo, 
e dato rigoroso ordine che ninno dovesse uscirne, ve- 
stitosi tutto d' armi, comparve nella sala in cui i ra- 
gunati stavano da diverse passioni compresi aspettan- 
dolo, e postosi a capo di una tavola eh' era net mezzo 

(i) Addi 30 Marzo del 1468 in atti del Notare Francesco di 
Camogli Luca e Matteo Fratelli Fieschi q. Daniele eredi della 
q. D. Ginevrina loro madre fanno estimo dei beni fra di loro, 
e vi si nomina la casa del detto q. Daniele posta nella villa di 
Carignano con loggetta, cappella, e piazza davanti in prospetto 
del mare con cisterna e terra con giardino in vicinanza di 
S. Giacomo colle coerenze della via pubblica ad occidente e ad 
oriente, quella del comune a mezzodì, a tramontana una casa 
con terra di Francesco di Monte in parte, e in parte la terra con 
casa degli Eredi del q. Oberto di Rocca. (Ex foliatio Notariorum 
Voi. 4, Foliatium Instrumentorum Francisci de Camulio an. 1460 
Qsqtte in 1465). 



220 

forte quella battendo col pugno. « Giovani valorosi, 
esclamava, ad una nuova invero, e preziosa cena io 
vi ho finalmente qui convitato, alla liberazione della 
vostra Patria oppressa da pochi, minacciata dalla 
imminente tirannide di un solo, è questa la cena, 
queste sono le vivande che vi ho apparecchiato; 
Gianettino di misero stato salito a grande e potente 
già ne minaccia col fasto insolente, colla subita ric- 
chezza, egli ci riguarda tutti come vilissima plebe, 
e già ci forbisce le catene che devono stringerci 
nella sua vicina ed assoluta tirannide, egli ne ha 
promessa fede da Carlo V, dal quale testé è ritor- 
nato trionfante e sicuro, egli tutti vi estima per ne- 
mici, e tutti ha deliberato d' insidiarvi, perseguitarvi, 
e in ogni modo liberarsene, e me più che altri, poi- 
ché gli é noto che io solo valgo ad opporgli il mag- 
giore ostacolo ed impedimento, poiché sa che io 
sto qui risoluto ed intrepido a proteggere la vostra 
salute, a difendere le vostre famiglie, e sostenere la 
libertà della vostra patria, poiché conosce che cal- 
cando le orme de' miei maggiori , non mai tralignato 
da quelli, io vi sarò sempre di schermo per preser- 
varvi dal giogo che disegna d' imporvi ; per la qual 
cosa notte e di m' insidia e prima col veleno, ed 
ora col ferro mi minaccia la vita come ne ho cer- 
tezza per lettere confidenziali del Duca di Castro e 
*del Cardinale Farnese che quando voi vogliate posso 
mostrarvi. Ora questo stato che non solo dal governo 
vi rimuove, ma la patria, V onore, la vita vi toglie 



221 

» non si dee più patire, ed io ho tutto disposto e pre- 

» parato affinchè questa notte istessa da voi ajutato 

» e seguito, abbia fine per sempre. Non temete, sicuro 

» è r esito, la città è in nostra balia, trecento soldati 

» pronti colle armi sono con noi, favorevoli abbiamo 

)) quelli in gran parte che stanno a guardia del pub- 

» blico palazzo, corrotti i guardiani delle porte non 

» aspettano che un mio cenno ; attende nel porto una 

» galea fornita di una gran copia di uomini armati, 

» per età, per animo gagliardi; millecinquecento ar- 

j» tigiani da me dipendono, e appena ci veggano mossi, 

» d* ogni parte accorreranno a noi ; dalle mie terre 

» sul nascer del giorno duemila uomini saranno in città; 

» altrettanti di Piacenza devono seguitarli. S. Giorgio, 

j> Popolo e libertà ecco il nostro grido, ecco il nuovo 

» stato che ha da succedere a questo da' pochi am- 

» ministrato da un solo tiranneggiato ed oppresso (i). » 

(i) In questo discorso posto in bocca al Fiesco, attenendomi 
a quello portato dal Memoriale che il Governo stesso della Re- 
pubblica consegnò il i8 Gennajo 1547 a Ceva Doria suo Am- 
basciatore a Carlo V, non è toccato né di Andrea Doria, né 
degli ajuti francesi; tra gli scrittori della congiura il Bonfadio 
solo parla del primo, il Sigonio e il Thuano dei secondi. Certo 
è che se Gian Luigi oltre Tira, e il disegno di vendetta contro 
di Gianettino avesse pure mostrato di voler attentare alla vita 
di Andrea Doria, e assoggettare Genova alla Francia, non avrebbe 
mancato il Governo di riferirne particolarmente all'Imperatore; 
le relazioni dell' Ambasciatore Spagnuolo residente in Genova, e 
di Ferrante Gonzaga governatore di Milano serbano intorno a ciò 
lo stesso silenzio; quelle di Andrea Doria soltanto recano che 



222 

Queste parole faceano diversa impressione negli 
animi secondochè erano le passioni dei convenuti. 
Ciò nondimeno, fatte ad essi il Fiesco distribuire le 
armi, tutti promisero, e giurarono di seguitarlo, ec- 
cettuati due soli Gio. Batta Cattaneo "Bava, e Gio. 
Batta Giustiniano, i quali adducendo non bastare al 
cimento, e servir quindi più d'inciampo che di utilità, 
furono lasciati in casa, chiusi però in una camera. 
Egli poi, mentre recavansi in giro alcune vivande, 
passava nelle stanze della moglie che da funesti pre- 
sagi assalita stava in compagnia di Paolo 'Panza ad 
un finestrone che dava verso il mare , riguardando al- 
l' agitarsi di quello, e gli ondeggianti riflessi della luna 
che ora mostravasi splendida, ora nascondevasi da pro- 
cellosa nube velata; di tratto in tratto distolta, e tur- 
bata da un lontano, indistinto rumore che le pareva 
essere di armi, e vieppiù accresceva i suoi sinistri 
presentimenti; quando in questa mesta condizione del 
cuor suo , le comparisce improvviso dinanzi il marito, 
tutto d' armi vestito e le espone in breve quanto per 
esso divisavasi, a qual punto già le cose fossero av- 
viate , come tutto pronto , e preparato ali* imminente 

il Fiesco voleva ammazzar lui, e dai sollevati si gridò il nome 
di Francia; probabilmente se ne comprende il motivo, il quale 
era di provare all'Imperatore che la congiura non già avea per 
fine r odio e una vendetta privata, ma venia ordita contro di 
lui per r uccisione del suo ammiraglio, e la chiamata in Genova 
de' Francesi; in tal guisa si dava luogo alla confìsca de' feudi, 
parte de' quali potea ottenersi dal Doria come infatti accadde. 



223 

effetto, e che la domane o la più misera delle donne 
di Genova o la più potente di tutte sarebbe. 

E qui r infelice Eleonora insieme col Panza a muo- 
vere, e scongiurare il marito affinchè desistesse dalla 
malaugurata impresa, dimostrandogli il danno e V ine- 
vitabile rovina di lui e di tutta la sua casa, e le 
lacrime mescolando alle preghiere , abbracciargli le 
ginocchia, e tentare ogni modo ed ogni sforzo per 
trattenerlo; ma egli disciogliendosi dall' una e dal- 
l' altro lasciava entrambi nella desolazione, e nei più 
crudeli timori di un fatto dolorosissimo. 

Ritornato il Fiesco alla presenza dei convenuti, ode 
dal Verrina da lui spedito ad esplorare le condizioni 
della città, come tutta era tranquilla, ne alcuna sospi- 
zione si aveva di novità, che la galea bene allestita, 
piena di ardente gioventù, stava per chiudere a debito 
tempo la bocca della Darsena, assediando quasi quelle 
del Doria. 

LXXVII. Correva 1' ora decima di notte allorché 
tutta quella mano d' uomini uscita dal palazzo sulla 
contigua piazza era passata in mostra, ed ordinata da 
lui; procedeva innanzi .una coùipagnia di cento cin- 
quanta eletti fra i più audaci e periti delle militari 
fazioni; seguitava esso in mezzo a' nobili con altri 
dugento. È fama che scendendo di Carignano un piede 
gli fallisse e sdrucciolasse, e il gemito di un cane, e 
le lacrime della consorte , ne ponessero T animo in 
forse ; ma di subito riavendosi dicesse : A che pendere 
incerto? indietreggiare non posso, duvunqm fortuna ini- 



224 

trae, correre é mestieri. Venne nel borgo de' Lanieri; 
distribuiva le porte della città, a Cornelio fratello suo 
naturale quella dell' Arco che venne agevolmente oc- 
cupata, a' due fratelli legittimi Girolamo ed OttobuonO 
la porta di S. Tommaso, questa però quando udissero 
il segno della galea di un colpo di artiglierìa; egli per 
r arco di S. Andrea calato a S. Donato, trascorsa la 
piazza de' Salvaghi si conduce co' compagni al ponte 
de' Cattanei, mentre il Verrina sale sulla galea che 
dar doveva il segnale e Tommaso Assereto tentare 
di occupar la Darsena, dove come ministro di Gia- 
nettino, venne sulle prime da' Guardiani ricevuto, ma 
accortisi poco dopo della moltitudine di armati che si 
traeva dietro rimase con grand' impeto respinto. In- 
tanto duopo essendo che si aprisse la porta a Gian 
Luigi, Scipione Borgognino suo suddito, messosi con 
alcuni soldati in barchette già apprestate per la via di 
mare penetrò nella Darsena e ne schiuse a' congiurati 
r ingresso dalla parte della gabella del vino. Il Fiesco 
trovavasi in questo giunto egli pure alla Darsena, e 
il convenuto segno attendeva, impaziente del ritardo, 
perocché il legno muovendosi, e avendo il fondo toc- 
cato si durò molta fatica a rimuoverlo. Scrive il Bon- 
fadio che per siffatto inaspettato indugio , si accese contro 
Dio, e narrasi che, siccome egli era d* animo fiero, disse 
parole piene d' orrore e d' empietà (i). 

(i) Annali de' Genovesi, traduzione del Paschetti, lib. IV. i 
pag. 363. 



225 

Se ciò sia vero, o scritto invece per aggravare la 
memoria del conte a difesa , e profitto del governo 
del Doria che lo pagava, lascio ad altri il deciderlo. 
Finalmente il segno fu dato, e Gio. Luigi balzò co* 
compagni sulle galere del Doria. Allora remiganti e 
marinai vedendosi assaliti improvvisamente da uomini 
armati, una confusione levano fi*a di loro di grida, 
un rumore, uno strepitoso e suonar di catene e di 
voci che tutta assordano V aria; al nome di S. Giorgio, 
di popolo e di libertà sfrenavansi li forzati, tentavano 
di darsi alla fuga, egli per evitare il danno che da 
questa potea derivargli, correa celer emente alla capi- 
tana, la quale per il trambusto, e l'agitarsi della gente 
che vi era dentro quinci e quindi muovevasi ed on- 
deggiava, salito sopra la tavola di legno che scalati- 
drone chiamano i marinai, il quale per un capo sul 
lito, per l'altro alla scaletta di poppa appoggiavasi , 
questo per 1' ondeggiar della galea scostatosi alquanto 
dalla scaletta, ruinò in mare, e con quello il Fiesco; 
il peso delle armi non concedendogli di nuotare, né 
l'oscurità della notte, né il tumulto che accadeva di 
essere né veduto, né udito, miseramente si sommerse 
piuttosto in una gora di acqua limacciosa che veramente 
nel mare; contuttociò i congiurati presero e presidia- 
rono le galere. 

Nello stesso tempo Gerolamo ed Ottobuono udito 
il tiro dell' artiglieria assalivano la porta di S. Tom- 
maso, e dopo qualche resistenza opposta dal presidio, 
e in ispecie dai due fratelli Lercari, capitano l'uno, 

15 



226 

alfiere l' altro, riuscivano ad impossessarsene. Tuttociò 
levava un maggior rumore, e le grida, e lo strepito 
delle armi che qui si faceva, e quello non minore 
della Darsena, giungevano al palazzo del Doriar, per 
cui risvegliata la moglie di Gianettino, lui riscosse 
temendo qualche ammutinamento de' remiganti; ed 
egli sebbene essa lo dissuadesse a non uscire, come 
il tirava il suo fato, con due paggi, l'uno de' quali 
gli portava innanzi una torcia accesa, scese dal palazzo, 
indirizzandosi alla porta, alteramente ordinando che gli 
si aprisse. Fu aperto , m' appena il capo ebbe posto 
entro la porticella, che parecchi colpi d' archibugio lo 
stesero morto a terra ; e si dice che fosse in quel punto 
medesimo in cui Gian Luigi sommergevasi in mare. 
Occupata la porta di S. Tommaso , ucciso Gianettino, 
non si corse però al palazzo del Doria, né questo ad 
occidere come da' congiurati agevolmente poteasi, im- 
perocché il Fiesco ne avesse fatto divieto; il Bonfadio, 
seguitato dal Mascardi ne dà per motivo il timore che 
venisse dalla moltitudine de' soldati derubata, e dispersa 
gran parte della preziosissima supelletile che tutta vo- 
leva a sé solo riservata, si fa ovvio il notare che 
se veramente avesse il Fiesco divisato la morte di 
Andrea, non sarebbe stato certo il pericolo di perdere 
gli arredi comunque ricchissimi di casa Doria che lui, 
possessore di uguali e forse maggiori, avrebbe potuto 
rimuovere dal suo proposito; infatto di stato coteste 
ragioni sono piuttosto ridicole che vere. 

Facendosi più vivo e spaventevole il rumore, n^ 



227 

il Doria vedendo tornare Gianettino, mandò inquieto 
per esso, seppe: la città caduta in mano di Gio. Luigi 
Fiesco, la Repubblica versare in estremo pericolo; il 
popolo metter grida sediziose di libertà, di S. Giorgio, 
di Fieschi, uomini correre ogni via furiosamente armati. 
A queste notizie narrasi, volesse il Doria uscire, prov- 
vedere in qualche modo al periclitante governo, ma la 
consorte, i famigliari lo impedirono, e lui costrinsero 
a porsi in salvo , quindi posto sopra una mula venne 
trasportato a Masone castello allora di Adamo Cen- 
turioni quindici miglia circa discosto dalla città. 

In questo, il rumore, il rimbombo delle voci, delle 
armi, lo scorazzare dei congiurati per le vie cresceva 
a dismisura, e più terribile faceasi per V oscurità della 
notte; i forzati parte liberati uniti eransi al popolo 
sollevato, parte rifiiggiavansi e correvano dove meglio 
speravano di essere sicuri; ma la notizia della morte 
del Fiesco avea intiepiditi gli animi, fallita la speranza 
del moto, Gerolamo Fiesco sebbene esortasse i suoi 
seguaci a non . abbandonarlo , vedeva diradarne le fila, 
il popolo spulezzava, quelli che rimanevano meglio 
per tema di maggior danno, che per elezione lo se- 
guivano, che in lui l'ingegno, e il concetto del fra- 
tello mancava epperò l'indirizzo tutto e il maneggio 
più savio dell' impresa. 



CAPITOLO SESTO 



Pietro Paolo Lasagna solleva l' animo dell' ambasciatore spagnuolo spaventato dal 
tumulto dei G>ngiurati. Deputazioni mandate dal Senato per conoscerne il disegno ; 
si scopre che Gian Luigi non è più ma Gipo loro il fratello Gerolano; la scom- 
parsa del primo dirada il numero di coloro che segmtavano il secondo ; Discussione 
in Senato sul modo di trattare i Congiurati ; si delibera im generale perdono ; 
Elezione in Doge di Benedetto Gentile; Avvisi che giungono al Governo di moti 
che tutti si collegano a quello dell* accaduta Congiura. 

LXXIX. Trascorsa era già di molto V ora decima 
quando alcuni Senatori accorsero al pubblico palazzo, 
e vi si condussero pure molti nobili fra i quali il 
Cardinale Doria, Adamo Centurione e l' Ambasciatore 
di Spagna; il quale ultimo però non senza esserne 
indutto, e stimolato da Pietro Paolo Lasagna. Impe- 
rocché, appena succeduto quel tumulto cólto dalla più 
brutta paura già stava per mettersi in salvo abbando- 
nando la città, senonché il Lasagna, uomo di grande 
autorità fra i popolari, la maggior parte de' quali te- 
nevasi ad un suo cenno pronta a sollevarsi, seguitan- 
done i disegni e le voglie, si presentò, da lui chiamato, 
e consigliollo a bene sperare eh' egli con un valido 
presidio di armati lo avrebbe circondato e difeso; at- 
tendesse tutta quella notte per vedere a che quel moto 
riuscisse, se a vanità, nulla si sarebbe tentato, se con qual- 
che prospero successo, allora congiunto cogli Spinola, 



229 

provveduto di molte forze, e da numeroso concorso 
di giovani seguito , avrebbe corsa la città , gridando il 
nome Adorni , e Barnaba proclamato doge , cui la 
maggior parte de' popolari e della plebe a quel nome 
affezionata aderirebbe, anzi quelli stessi che i Fieschi 
seguitavano. Per le quali parole il Figueroa fatto si- 
curo, lasciato il disegno di fuggirsi, decise di attendere, 
e al pubblico palazzo anch' egli presentossi. 

Mi occorre di richiamare a memoria che questo 
Pietro Paolo Lasagna è lo stesso col quale il Fiesco 
e con Barnaba Adorno pare tenesse la prima pratica 
di rivolgere lo stato di Genova, maneggiata, come 
già ho narrato più addietro , da un jfrate Badaracco 
che convinto per alcune lettere dell' Adorno fii giu- 
stiziato. Probabilmente in seguito il Fiesco, consigliato 
e mosso dal Verrina, ne abbandonò ogni pensiero, e 
fa perciò, che da quanto dicono, se vere sono le rive- 
lazioni dello stesso Verrina (i), e del Raffaele Sacco, 

(i) Pongo dubbio intorno alla verità delle rivelazioni, special- 
mente del Verrina, leggendo negli annali di Filippo Casoni, che 
preso Montobbio e decapitato egli per V ultimo « mostrò un animo 
» superiore alla solita umana fragilità, avendo nella notte ante- 
» cedente fatto animo agli altri due (Cangialanza e Gerolamo 
» Fiesco), ch'erano nella stessa prigione, dicendo, che la morte 
» si doveva accettare volentieri in quel punto e in quella forma 
» che Iddio si compiaceva mandarla. Discorse anche di molte cose 
» indifferenti con sicurezza e con senno, ma non*voUe confessare, 
» né prima, né dopo di essere condannato, alcuna particolarità della 
» congiura né altra cosa, che fosse potuto essere utile alla patria » 
(Casoni, ann. 1547, pag. 139). 



230 

ne venne di bel nuovo ricercato da Stefano Spinola 
proponendogli di mettere a capo di quel moto Ago- 
stino Spinola, e Barnaba Adorno, cui egli sdegnosa- 
mente rifiutò, avendo per suggerimento e sprone del 
Verrina medesimo deliberato di esser egli solo il capo 
dell'impresa. Questi fatti vanno ricordati poiché ser- 
vono a provare che non una, ma due e forse più 
congiure si ordivano contemporaneamente , V una dei 
nobili nuovi aderenti ai Capellazzi che avea a capi gli 
Adorni e gli Spinoli e specialmente Stefano, Agostino 
Spinola e Barnaba Adorno , 1' altra di alcuni nobili 
nuovi, ma in gran parte di plebe sollevata dal Verrina 
cui da questo venia preposto il Fiescó, la prima sin- 
golarmente si appoggiava alla Francia, e certo è che 
il non essersi potuti congiungere trasse a rovina i 
tentativi di entrambe. 

I radi Senatori radunati in quello stremo, agitati, 
sospesi fra il pericolo, e il bisogno di conservare e 
difendere lo Stato, deliberavano che Bonifacio Lomel- 
lino, Cristoforo Pallavicino, ed Antonio Calvo coli' Al- 
fiere della guardia e cinquanta soldati muovessero a 
difesa della porta di S. Tommaso , ma incontratisi coi 
congiurati, abbandonati dai soldati furono costretti di 
trarsi a rifugio presso di Adamo Centurione, indi 
aggiuntisi in loro compagnia Francesco Grimaldo, 
Domenico Doria, e altri parecchi per diverso cam- 
mino conducèvansi alla porta, la quale ben presidiata, 
rimasto prigioniero lo stesso Lomellino , tornavansi 
ancora addietro , seguitati poco* dopo da lui che 



231 

riusciuto era a fuggirsi. Della morte del Fiesco non 
ancor bene sapeasi; il Verrina vedendo senza di quello 
in forse T impresa , dovunque aggiravasi , e indarno 
ricercandolo, riducevasi al fine sulla galea; pensando 
che se quelF opera con si fausti auspici cominciata 
volgeva a bene, egli colla Darsena serbava il nerbo 
delle migliori forze, se precipitava a rovina salva vasi 
con la galea a Marsiglia. Il Senato ondeggiando fra 
molti partiti una nuova deputazione mandava fuori 
composta di Gerolamo Fiesco e Benedetto Canevale 
che in nome pubblico trovato il Conte, gli chiedesse 
ragione di tutto quel moto; allo stesso incarico, spe- 
rando che meglio varrebbero T eminenza del grado, 
e i legami del sangue, destinava il Cardinale Gero- 
lamo Doria, accompagnato da due Senatori Gio. Batta 
Lercaro e Bernardo Castagna; ma gli uni e gli altri 
più maturatamente considerando la cosa vennero ben 
tosto richiamati per non esporli a pericolo ed inutile 
tentativo. Scelsero invece e come all' uopo più addatti, 
Agostino Lomellino, Ettore Fiesco, «Ansaldo Giusti- 
niano, Ambrogio Spinola e Giovanni Ballano. Ettore 
Fiesco era colui che recatosi pochi mesi innanzi a 
Roma aveva ottenuto il Vescovato di Savona per il 
figlio in luogo dell' altro morto, e conferito col Papa 
e col Cardinale Nipote circa le cose di Genova e la 
opportunità di far quivi risorgere la grandezza della 
Euniglia Fiesca, tornato quindi in patria induceva Gian 
Luigi a condursi colà e a trattarne particolarmente con 
essi; in seguito, come in breve racconterò, tanto egli 



232 

quanto Ansaldo Giustiniano continuarono la trama di 
Gian Luigi, e vennero segnalati quali capi di un nuovo 
moto che si stava macchinando contro il governo del 
Doria (i); ora il saperli segretamente parziali del 
Conte, né senza fondamento di ragione collegati con 
esso li fece dal Senato credere come abili strumenti 
a trattare utilmente con lui. Ma invece di Gian Luigi 
incontrarono Gerolamo che alla testa de' sollevati con 
Tommaso Assereto veniva verso la chiesa di S. Siro, i 
quali appena vedutigli, diedero mano alle armi, talché 
il Lomellino, ed Ettore Fiesco fuggirono; più animoso 
Ansaldo Giustiniano, o meglio nella congiura impli- 
cato, accostossi a Gerolamo, chiedendogli del Conte 
cui voleva esporre quanto il Senato aveva loro com- 
messo ; ma quegli fieramente atteggiandosi, rispondeva: 
Non essere mestieri ricercare del Conte, poiché egli 
era quel desso, e chiedeva gli si consegnasse tosta- 
mente il palazzo. Alle imprudenti parole il Giustiniano 
bene si appose che Gian Luigi più non esisteva, e 
tornato coi compagni in Senato, e riferita la notizia, 
i Senatori rimesso V animo diedero sollecita opera alle 
più energiche provvisioni, ordinando a' dodici de* No- 
bili che nel palazzo trovavansi di raccogliere quanti 
più uomini potevano della guardia del popolo, e con 

(i) Si deve pure notare che l'Ansaldo Giustiniano ebbe il 
fratello bandito Battista Giustiniano , per anni dieci , siccome di- 
chiarato complice della Congiura di Gio. Luigi con bando del 
12 febbraio 1547 (V. docum. pubblicati dall' avv. Edoardo Ber- 
nabò Brea pag. 139). 



233 

quelli si opprimessero gli avanzi de' congiurati. I quali 
assottigliati seguitavano irresoluti e disanimati Gero- 
lamo perocché la maggior parte non vedendo più il 
Fiesco, né il Verrina in cui la plebe specialmente 
aflSdavasi, già albeggiando, temendo di essere cono- 
sciuti, e per il fallito moto a severe pene sottoposti, 
si erano dispersi. Gerolamo pervenuto a S. Lorenz o 
con si poco numero de' suoi, e colle forze cresciute 
del governo, deposto il pensiero di assalire il palazzo, 
deviò a S. Donato, e a lenti passi mosse verso la 
porta dell' Arco. Il Senato rinvigorito dall' insperato 
successo, trapassò incontanente dalla subita paura al- 
l' imperiosa audacia, quindi alcuni de' Senatori propo- 
nevano che le adunate forze facessero impeto contro le 
rade dei Fieschi, né si avvilisse la maestà di quell' au- 
gusto consesso, col venire ad accordo veruno co' ri- 
belli. Ma i più numerosi, tra i quali erano principali 
Ettore Fiesco, Ansaldo Giustiniano, e Niccolò Doria 
cognato del Conte, partecipi senza dubbio della con- 
giura, dolenti forse che non avesse felice fine conse- 
guito, virilmente si opposero, adducendo, non essere 
né prudente, né onesto il pensare a battaglia fra' cit- 
tadini; si considerasse che potrebbe altrimenti darsi 
luogo a qualche inaspettato avvenimento il quale met- 
tesse ad estremo pericolo, la Repubblica; oltrecciò, 
consegnando le armi ad uomini non abbastanza sicuri, 
né certo bene affezionati a quel governo, in tempo 
di notte, con molti già dichiarati ribelli, sarebbe uno 
stesso che rimescolare queUi umori che si doveano 



234 

ricomporre a quiete. Il sospetto che si aveva di chi 
in tal guisa opinava , il maggior numero loro la vinse 
sul contrario partito, e fu deliberato mandar Paolo 
Panza, cori Nicolò Doria cognato del Fiesco a* solle- 
vati, prescrivendo a Gerolamo di sgombrar la città, 
rimandando tutti quelli che il seguivano, e per parte 
della Repubblica sotto di tale condizione verrebbe dato 
un perpetuo silenzio alle cose passate e conceduto a 
tutti indistintamente che si erano in quelle mescolati 
un generale perdono. Questo accordo, in cui la fede 
pubblica interpose Ambrogio Senarega Segretario del 
Senato, venne accettato da Gerolamo che lasciata su- 
bitamente la città si recò nel suo castello di Mon- 
tobbio (i). Il Verrina, Ottobuono Fiesco, il Calcagno 

(i) Ecco il testo dell'accordo come venne pubblicato dal fìi 
Signore Edoardo Bernabò Brea (sulla Congiura di Gio. Luigi 
Fieschi, Documenti inediti, pag. i86). 
Remissio oc condonatio pene facta illis qui ceperunt arma cantra 

Rempuhlicam , cum revocatone postea facta, 

1546 (sic) 3 Januarii. 

Considerando rill.«* Signoria e Magnifici Procuratori della 
Eccelsa Republica di Genoa non esser cosa che magiormente im- 
porti alla conservation del stato e pacifico vivere quando maxime 
accadono in le città e Republiche repentini caxi con vero tumul- 
tuare, corno attendere cum tutto il studio e cum ogni celerità 
e prestessa queli smorzare et estinguere sopprimendo le cause, 
e i mezi li quali pottesseron indugiando produr contrarii effetti; 
e essendosi in la oscurità della notte passata quando alcun mancho 
vi pensava per soi fini et designi il Conte Gio: L." dal Fiesco 
impatronito delle doe porte della Città acciocché cum magior 
certessa conducesse l'intento suo al dexiderato fine, e per 



235 

ed il Sacco che si erano ricoverati sulla galea di Gian 
Luigi, salparono per Marsiglia, menando seco prigio- 

questa novità essendosi tumultuato in la Città, e molti con- 
fuzamenti levatto arme seguendo esso Conte, e da queste no- 
vità essendone sortiti molti altri inconvenienti, dexiderando 
per questo essa 111.»* Signoria quiettar tutti gli humori , e ridur 
presto la Città a la solita quiete e pacifico , essendo maxime in 
questa oscura notte statto fatto impeto alle galere del signor 
Principe Doria e quelle per la magior parte dizarmato, morto 
il Signpr Gio : capitano d' esse. Per queste et altre infinite ra- 
gioni tutte persuasive e concludente a non dover omettere cosa 
né provixione alcuna la quale pottessi promettersi la già detta 
desiderata quiete e pacifico, cognoscendo ch'el vero rimedio a 
estinguere tanto incendio era il recuperar delle porte senza expe- 
rimentar le forse e far uscire della Città li tumultuanti, e essen- 
doci riferto che cum perdonar e fare una remission generale si 
conseguiteriano gl'intenti della Republica: per tanto in virtù di 
queste nostre lettere di fede, perdono e remissione, risolutossi 
prima a balotole comò è di costume , essa 111.*»* Signoria e Ma- 
gnifici Procuratori persuaza anche da una infinità di Cittadini 
che in essa oscura notte corseron al pallazzo per conservation 
della Republica , remete , perdona , libera e assolve al detto Conte 
Gio : L.co, leronimo et tutti soi firatelli dal Fiesco , e cossi ad ogni 
altro sia chi si voglia cittadino , o habitante in la presente Città , 
distrettuale o ver sudito, et ogni forastiero di qual grado stado 
qualità e condition si siano, ogni e qualunque delitoet excesso 
in li quali fiisseron per qual si voglia modo incorsi per haver 
seguitto esser signor Conte alla impresa della passata note in 
lo prendere delle porte e invadere le galere e in fare gridare 
et eseguire quel tanto che hanno adoperato gridato et exequito 
cossi cum arme come senza, o gli havesseron datto consegli 
agiuto e favore in questa tal machinacione , congiura, o vero 
tnmultuacione, e che in qualunque modo si fusseron intromessi 



236 

nieri Sebastiano Lercaro, Manfredo Centurione, e Vin- 
cenzo Vaccaro che posero poco dopo in libertà alla 

cum fatti cum parole in questa conspiratione o congiura comprezo 
anche il delito e il crimen della leza Maestà, talmenti che per 
questi tal delitto o delitti niguno delli sopranominati né in ge- 
nerale né in particolare possino giamai per lo avenire , né in li 
beni né in la 'persona essere inquisiti né in modo alcuno inquie- 
tati intendendo che questo perdono e remissione sia generale e 
generalissima , e comprenda ogni persona e ogni delitto dipen- 
dente da questa congiura , e per haver segoito esso Signor Conte 
air executione di essa compreso come é deto il crimen della 
Leza Maestà dandoli sicome s'è detto per le cose suddette 
e dependenti da quelle amplissimo e generalissimo perdono e 
tanto ampio quanto dir si possi. 

1557 (sic) die 2ijanuaru. 

Li supranominati 111.™° e Magnifici Signori Duce e Governa- 
tori della prefata Republica di Genoa: sapiando pozo d* haver 
fatto e concesso la remission e permission e perdono di sopra: 

haver consultato e quello lungamente essaminato e ricognosciuto 
di ragion non valere corno fatto per timore : e per questo haver 
dechiaratto per ribelli: confiscatto li beni: banditi cosi in perpetuo: 
così per tempo così esso Signor Aluiso dal Fiescho, soi fratelli 
comò molti altri contenuti in la publicatione e bandi e crida 
uscita da la cancelleria della prefata IH.™* Signoria a che s' abbi 
in ogni tempo relatione. E dexiderando essa IH.»* interamenti 
quiettar la Città e metter fine a tanti disordini e timori vegliando 
usar misericordia con l'universale di coloro che potesseron in 
qualche modo haver fallito in le cosse e disordini de sopra: 
come meglio può e de plenitudine potestatis 

Di novo comprovemo e confirmemo la sovrascritta general 
remissione e perdono e quello di novo concederne in tutto e per 
tutto come di sopra si contiene talmente che comprhenda ogni 



237 

bocca del Varo. Essendo per la fuga della galea ri- 
masta quindi libera la porta di mare, fu cagione che 
trecento schiavi turchi, cogliendo il propizio momento 
della generale confusione, armassero la Temperan:(a del 
Doria, e navigassero alle coste dell' Africa senza che 
le due galee di D. Bernardino di Mendozza che ala- 
cremente la inseguivano bastassero a raggiungerla. 
Nello stesso tempo poterono darsi alla fuga i galeotti 
forzati e gli armamenti e gli arredi delle galere venir 
saccheggiati. Ma poco appresso gran parte del saccheg- 
giato potè ricuperarsi (i), e i forzati medesimi tornarono 
all'antica pena, in ciò adoperandosi di molto Adamo 
Centurioni. Raffazzonate in qualche modo le cose come 
meglio venne fatto, Andrea Doria invitato dal Senato 
fece ritorno in Genova e volgendo la notte del 4 gen- 
naio fu eletto a Doge Benedetto Gentile che già in 

• 

persona e delitto delli contenuti nel sovradetto perdono al quale 
intieramente s' abbi relatione , escluso però dalla presente confir- 
matione e general remissione tutti li nominati in la sovrascritta 
crida e pubblicatione li quali non intendemo che godino né pos- 
sine godere del sovrascritto perdono ma s'intendono chabbino 
a restare' condennati e puniti in le pene in essa crida e pubbli- 
catione r-espettivamente contenute, alle quali parimente s'abbi 
relatione , et escluso anchora li stippendiati e che servivano a 
soldo della Repubblica , in li quali anche s' intende connumerato 
Gier.o d' Urbino. 

(i) Due proclami furono per le cose tolte nelle galere pub- 
blicati sotto ogni più rigorosa pena dal Governo ed entrambi si 
l^gono nei documenti inediti stampati dal Signore Bernabò Brea, 
pag. 159 e seg. 



238 

Corte di Roma correndo la via delle dignità ecclesia- 
stiche, di repente deposti gli abiti clericali, aveano 
pochi giorni, erasi ammogliato con Benedettina figlia 
di Paride Fiesco. Ora sebbene i sospetti che si aveano di 
Roma, e il parentado dei Fieschi non dovessero in- 
spirare una grande fiducia nell' eletto, mostrando anzi 
per questa elezione la maggioranza degli elettori aliena 
dal governo del Doria , ciò nondimeno T ambasciatore 
Figueroa dandone notizia il 6 gennaio al Principe Fi- 
lippo, scrive che secondo pareva era buon servitore di 
Sua Maestà (i). Intanto il sinistro successo della Con- 
giura, il sembrare che il nuovo stato avesse cosi 
messe più salde radici , mosse i diversi governi d' I- 
talia a condolersi del corso pericolo , e rallegrarsi del- 
l' esito felice. La* città però tutta ancora mostravasi 
commossa, e specialmente il popolo non era persuaso 
che il Fiesco fosse morto, ma sulla sua galea porta- 
tosi a Marsiglia credeva dovesse in breve cogli aiuti 
di Francia ritornare e riprendere più sicuramente il 
primo tentativo, quando un cotale Palliano ritrovò il 
corpo di lui, e fii lasciato per quasi due mesi lo squal- 
lido cadavere esposto a ignobile doloroso spettacolo 
de' riguardanti, indi per ordine espresso di Andrea 
Doria gittato in mare dicendo: che poiché si era egli 
scelta quella sepoltura, era giusto che questa si avesse (2)- 

(i) Docum. di Simancas. Doc. xviii, pag. 32. 
(2) Lettera in data 8 gennaio 1547 dell' ambasciarore Figueroa 
air imperatore Carlo V. Doc. dell' archivio di Simancas, pag- 34* 



239 

LXXXI. — Mentre siffatte cose accadevano, scrì- 
vevasi addi 4 gennaio da Gasparo De Fornari Capi- 
tano della Spezia, che otto cavalli erano giunti colà dalla 
parte di Massa colla notizia che il Sig/^ Giulio Cibo 
Marchese di essa città, con quello di Fosdinuovo ed 
altri Marchesi trovar si dovevano la medesima mat- 
tina al Bor ghetto, luogo poco discosto, con 150 uo- 
mini destinati per Genova; egli aveva tosto spedito 
il suo Vicario in compagnia di un Venturino Massa, 
e parecchi altri della Spezia per intendere da quei 
Signori la causa di tanta novità , avvertendo bene a 
quello si facevano, poiché parevagli essere in pregiu- 
dizio del presente governo della Repubblica, pregan- 
doli ancora non volessero passare innanzi, ordinando 
allo stesso Vicario, quando fosse al Borghetto, spe- 
disse per posta a Genova, di tutto dando avviso alle 
signorie loro; sette giorni dopo una seconda lettera 
del Fornari, dava nuovi ragguagli intorno ad una ras- 
segna e mostra di soldati che facevasi in tutti i luoghi 
del Ducato di Firenze e, come correva voce, da do- 
versi mandare a Pontremoli; lo stesso avveniva negli 
stati del Duca Pier Luigi Farnese, e specialmente in 
Piacenza; contemporaneamente, Andrea Doria, scri- 
veva addi 9 e IO gennaio a Cesare e al Principe Fi- 
lippo che il Marchese Caracciolo fuoruscito napoletano, 
già principe di Melfi, ai servigi di Francia, si era con 
un nerbo di firancesi accostato al Mondovi in Pie- 
monte; volendo provare con ciò che la Congiura 
ordita da Gian Luigi non aveva motivo di odio e 



240 

vendetta personale contro di Gianettino, ma rivolta 
era contro il governo imperiale , per la quale cosa 
doveasi dichiarare reo di fellonia, privandolo del pos- 
sesso de' feudi, parte di cui sperava devoluta alla sua 
famiglia. 



LIBRO TERZO 



CAPITOLO PRIMO 



Disegni diversi e raggiri dopo la congiura, di Ferrante Gonzaga , dell* Ambasciatore 
Spagnuolo, di Andrea Doria e dell'Imperatore, tutti cercano di appropriarsi la 
maggior parte dei feudi posseduti dai Fieschi; il Gonzaga e l'Ambasciatore Fi- 
gueroa specialmente consigliano l' Imperatore di afferrare quell* occasione per me- 
glio £arsi soggetta la Repubblica servendosi di Agostino Spinola il più affezionato 
de* suoi servitori. Congiura di questo cogli Adorni che si compenetra con quella 
dei Fiesco, e viene contemporaneamente ordita con una terza. L'Imperatore invia 
r ordine a Ferrante Gonzaga di occupare le terre dei Fieschi , inducendo nello 
stesso tempo Andrea Doria e Agostino Spinola a riformare il governo di Genova 
in modo che fosse più dipendente dall'Imperiale. Il Doria recatosi in Senato, non 
ostante la più viva opposizione fa rivocare il decreto di perdono poco innanzi ai 
congiurati accordato. Innovi tumulti in Genova , ed avvisi da Roma e da Piacenza 
di nuove congiure che dipendenti da quella dei Fieschi si vanno tramando contro 
il governo dal Doria istituito. Esecuzione del bando contro i congiurati ; lettera 
,di Scipione Fiesco fratello minore di Gian Luigi al Doge e ai Governatori per ri- 
vendicarsi il dominio de* feudi dal quale dovevano decadere i suoi maggiora fra- 
telli ; astuto parere di Ferrante Gonzaga a Carlo V per impedirne 1' effetto. 



LXXXII. — Venuto a tal punto della mia narra- 
tone, debbo adesso provare quale giudizio dei fatti 
£nòra raccontati si avessero formato i Ministri del- 
l'Imperatore, quale volesse, e per quali ragioni, rap- 
presentarlo Andrea Doria, come procedessero vera- 
mente le cose, quanti gli artifizi, e i raggiri degli uni 
^ degli altri per alterarle e cavarne occasione di scam- 

i6 



242 

bievole profitto; sicché non era che un continuo ten- 
tativo di aggirarsi e ingannarsi a vicenda. Questo ri- 
sulterà dai documenti inediti sulla Congiura pubblicati 
dal fu avvocato Edoardo Bernabò Brea, e da quelli più 
copiosi tfatti dall' archivio di Simancas; colla scorta di 
essi verrà dimostrato quanto arduo sia in questa gara 
di simulazione, di sotterfugi e di tenebrose mene il 
distinguere chi più, chi meno fosse colpevole, per cui 
Gian Luigi, vedute e conosciute tutte le vie che la 
parte contraria percorse per arrivare al proprio intento, 
non potrà di soverchio rimproverarsi, se fatta ra- 
gione de' tempi , per le stesse s' incamminò onde 
ottenere- quello che male acquistato si desiderava da' 
suoi nemici di conservare. Ma allora può essere fon- 
data r accusa che gli si *fa che i mezzi de' quali ei 
si servi fossero in lui 1' effetto di una naturale mal- 
vagità aiutata dalla continua lettura della vita di 
Catilina, di Nerone e del Principe di Macchiavelli? 
In prima, dove potea leggere di Catilina e di Nerone 
se non in Sallustio , Cicerone , Plutarco , Svetonio e 
Tacito? ma questi erano letti e studiati da tutti, e 
formavano specialmente nel secolo XVI il fondamento 
di una civile e signorile educazione , né deve parere 
strano se a lui educato nelle lettere dal dottissimo 
Paolo Panza , erano famigliari quei classici. Quanto 
poi al Principe di Nicolò Macchiavelli, non era gii; 
né questo é un libro teorico, ma un' applicazione, e 

• 

dirò meglio , una sincera esposizione di . quei mezzi 
politici che si adoperavano allora da tutti gli uoniini 



243 

di Stato cominciando dai Borgia di Roma , scen- 
dendo fino ai piccoli signori della Mirandola e di 
Piombino; che certo non aveano duopo di leggere 
e studiare il Principe di Macchiavelli , Carlo V, 
Filippo II, il Duca Valentino, i Marchesi di Pescara 
e del Vasto, Pier di Toledo, Ferrante Gonzaga, Ge- 
rolamo Morone, Francesco Guicciardini, Pier Luigi 
Farnese, Lorenzo, Alessandro e Cosimo I dei Medici; 
questi poteano insegnare a Machiavelli, non imparare 
da lui, ed egli nel suo Principe non tutte senza dubbio 
indicò le arti subdole, e scellerate, di cui quelli si ser- 
virono per acquistare e conservare li stati o proprii o 
di coloro dei quali fatto si aveano ignobile stromento. 
LXXXII. — Non appena successa la Congiura, che 
una viva corrispondenza epistolare cominciò tra Fer- 
rante Gonzaga Governatore di Milano, Figueroa am- 
basciatore Spagnuolo in Genova , Andrea Doria e 
r imperatore Carlo V. Quest' ultimo desiderava co- 
gliere la propizia occasione per istàbilire con modo 
più diretto il proprio governo in Genova, servivasi 
quindi del Gonzaga che sapea bene quanto valesse, 
e fosse tale uomo da non indietreggiare dinanzi ad 
impresa per quantunque scellerata ed iniqua (i), ma 
né l'uno, né l'altro amava di far cosa che alienasse 
r animo del Doria, e con esso Adamo Centurioni. Il 

(i) Ferrante Gonzaga il più perfido ed infame dei Ministri di 
Carlo V, fu perciò stesso l'unico italiano con cui egli si dime- 
sticasse ; la sua vita fu una serie di spergiuri, di slealtà, d' insidie 
e di tradimenti commessi a profitto del governo degli Spagnuoli 



244 

primo di questi desiderava bensì che i Fieschi e co- 
loro che aveano partecipato alla cospirazione venissero 
rigidamente puniti sino a quel punto eh* era necessario 
alla sicurezza e cpnservazione del governo da lui isti- 
tuito, e al benefizio che potea ridondarli dalla deca- 
denza dei feudi dell' avversa famiglia , ma non mai 
oltre tali termini, che sotto la specie di meglio ras- 
sodare lo stato della Repubblica, si fosse dall'Impe- 
ratore arrogata una maggiore ingerenza, la quale ne 
avesse posto a pericolo il maneggio che alle sue mani 
volea solo raccomandato, quindi dimostrare il moto 
dei Fieschi, dai più abbietti soltanto della plebe seguito, 
questi severamente puniti non doversi d' altro temere 
che quel governo avea per sé la maggiore e più eletta 
parte de' cittadini; ridotto in tal guisa l' accaduto alle 
più leggiere ed ispregevoli proporzioni dove i fatti 
avessero provato il contrario , allegare anzi che le 
commozioni e i tumulti che d' ogni parte sorgevano 
nella Repubblica come fila connesse della prima trama, 
non erano che' dimostrazioni a favore delle nuove 
istituzioni. 

In questo insidioso armeggiamento degli uni contro 
gli altri, e ciascuno col secreto fine di meglio avvan- 
taggiarsi delle cose successe, io vò continuando la nar- 
razione dei fatti col conforto dei nuovi documenti. 

Ferrante Gonzaga udite le prime notizie del tumulto 

» 

eh' egli rappresentava in Italia, e nei quali egli poneva tanto pi" 
di zelo e di calore quanto più temeva che come italiano fosse 
avuto in sospetto di quelli. 



245 

di Genova, allestiva una forza di mille fanti e muo- 
veva per Voghera, pronto a recarsi in Alessandria 
e scrivendo all' Imperatore di quelle sue mosse sug- 
gerivagli di castigare i Fieschi nei beni cominciando 
dal luogo di Pontremoli continuando poi a insignorirsi 
degli altri; dello stesso tenore scriveva il Figueroa; il 
Doria accordavasi con essi significando a Cesare im- 
portare sommamente fare esemplare esecuzione contro 
le cose del Fieschi per dar terrore ai ribaldi ed animo 
ai buoni, avuto riguardo che con facilità si poteva far 
levare da Don Ferrante tutto quello che trovavasi nello 
stato di Milano ed altri luoghi; né lasciare il sangue 
sparso di Gianettino suo servitore senza dimostrazione 
contro li traditori e tenere quei poveri suoi figli per 
raccomandati, poiché tutti erano destinati alla morte, 
come nati in servizio di S. M. Ma più animoso ed astuto 
incalzava il Gonzaga, inviando a Genova il , Cavaliere 
Cicogna, per consiglio del quale da lui insinuato, il 
Senato aveva accresciuta la guardia che teneva ordi- 
nariamente al Palazzo dai 300 ai 500 uomini; il quale 
accrescimento serviva di appicco ad un disegno che 
si aveva egli insieme divisato coli' ambasciatore Fi- 
gueroa, cioè negoziar destramente che i Genovesi 
si eleggessero per loro capitano generale Agostino' 
Spinola che la stessa Signoria avea da Milano chia- 
mato a soccorso: « Egli è parzialissimo, scriveva al- 
» r Imperatore, di V. M. e di lui può veramente 
» confidare quanto di qualunque altro suo servitore 
» e promettersi che lui non sia per aver altro fine 



246 

» in quella città che la conservazione di essa nel ser- 

» vizio e divozione di V. M. in quella parte. E benché 

» le ragioni sieno molte, dirò solamente queste come 

» più solide, che essendo Agostino predetto fidelissimo 

» di lei ed avendo le forze della città in mano, avrehhe 

)) anche forma di mostrare la fedeltà sua, e potrebbe con 

}> quella incamminare detta città e piegarla al fine che 

» volesse lui per servi:(io di V. M., e con le medesime 

» opporsi a qualunque si fosse che pensasse, o trat- 

» tasse contro il detto servizio ; poi sotto questa forma 

» di libertà la città si governeria con pubblica ed uni- 

» versale soddisfazione sua; ed essendo liberi V. M. 

» non si conciteria odio nessuno; si che pensassero 

» a mutar governo o migliorare sotto alcun altro. 

» Ed essendo le forze in mano (come ho detto) di 

» persona di vota e partiale di lei," potrà fare quelli 

» medesimi disegni sopra la detta città che farebbe se 

» ella vi avesse dentro un castello, senza che colla 

» introdutione di questo carico al presente, si potrà 

)) anche introdurre poi alla morte di detto Agostino 

» che facessero elezione di persona dipendente da 

» V. M. , e per questa via mantenerla sempre nei 

» medesimi termini detti di sopra. Questo per ragioni 

» dette, a mio giudicio, saria il vero cammino e facile 

» dello assicurarsi V. M. perpetuamente la città di 

» Genova » (i). 

(i) Docum. Ispano-Genovesi tratti dagli archivii di Simancas. 
Doc. xxm, oltre i precedenti. 



247 

Ed ecco che Agostino Spinola viene da Ferrante 
Gonzaga, di concerto coli' ambasciatore Figueroa, di- 
chiarato per il più idoneo e sicuro mezzo da poter 
assoggettare la Repubblica all' immediato e diretto do- 
minio di Carlo V. Senonchè, noi rammentiamo, ed 
io più sopra già 1' accennai, che Stefano Spinola, come 
si rileva dalle rivelazioni del Verrina e del Sacco, pre- 
sentatosi al Fieschi gli proponeva di formare uno stato, 
capi di cui sarebbero Barnaba Adorno e Agostino 
Spinola, ed egli ne diverrebbe il primo signore. Ora 
io domando questa cospirazione che si ordiva contro 
il governo del Doria dagli Adorno e Spinola, e alla 
quale si voleva far partecipare il Conte, era d' accordo 
col governo imperiale o a sua insaputa? Il vedere 
l* Agostino Spinola con tanto calore raccomandato e 
cosi prediletto da porgli in mano le forze tutte e lo 
arbitrio della Reppulica ci costringe ad abbracciare la 
prima opinione, tanto più che le successive lettere del 
Gonzaga e del Figueroa ci manifestano l' odio che 
esisteva tra gU Spinola e i Doria, e come 1' Agostino 
fosse destinato ad esplorare e riferire ogni fatto di 
Andrea, e si divisasse dall' Imperatore e dai suoi Mi- 
nistri sostituirlo a lui, essendo strumento più ma- 
neggevole e sicuro. Quindi alla Congiura di Gian 
Luigi Fiesco fa di mestieri unire contemporaneamente 
questa seconda di Adorno e Spinola, e bentosto ne sco- 
priremo una terza, per le quali Nobili antichi. Nobili 
nuovi, e popolo si contrastano il potere, e le istituzioni 
del Doria nonché avere per esse la maggioranza de* 



248 

cittadini da lui vantata si trovano combattute e mi- 
nacciate da ogni classe di persone, non rappresentan- 
done che una sola eh' era riuscita a soverchiare le altre. 

LXXXIV. — L' Imperatore stimulato dalle frequenti 
istanze del Gonzaga, dell'Ambasciatore e' dal Doria, 
affinchè le terre dei Fieschi venissero occupate, e spe- 
cialmente da quest' ultinio , il quale studiavasi dimo- 
strare avere avuto la Congiura lo scopo soltanto del 
dominio francese in Genova cacciandone l'imperiale, 
inviava il suo gentiluomo Rodrigo di Mendoza col- 
r ordine al Gonzaga di procederne all' occupazione 
mandando nel tempo medesimo istruzioni al Figueroa, 
per le quali, vedesse modo d'indurre Andrea Doria, 
e Agostino Spinola, traendo occasione e profitto dei 
torbidi successi, a qualche riforma che più la Repub- 
blica rendesse dipendente dal governo imperiale; che 
se si accorgesse mostrarsi a ciò restii, dicesse, questa 
non altro essere che la sua opinione, poiché S. M. 
preferiva quella maniera di Repubblica che stimava 
molto più conveniente d' ogni altra ordinata a capei- 
ìai^i (i). 

Inanimito dalle lusinghiere parole di Cesare, soddi- 
sfatto nella ordinata occupazione delle terre dei Fieschi, 
il Doria presentavasi in Senato, e arditamente propo- 
neva la revoca del perdono accordato a' congiurati, 
colla condanna e bando loro. Vivissima facevasi allora 
la disputa fra i Senatori, si opponevano alcuni allc- 

(i) V. Docum. come sopra; Doc. xxvm e seguenti. 



249 

gando, macchiarsi con brutta violazione la fede pubblica 
la quale sì era interposta nell'accordo, e poi le. cose 
non essere ancora abbastanza tranquille perchè non si 
dovesse temere che V atto proposto cosi contrario ad 
ogni principio di giustizia non ispingesse gli animi a 
nuovo e più pericoloso tentativo; la Repubblica aver 
bisogno di pace e di concordia per ricomporsi, non 
di rigore che ripulluUasse gli odii in coloro che di- 
sperando d'ogni onesta composizione li costringesse 
a gittarsi ad ogni estremo. 

Ma il Doria a queste ragioni rispondeva che il 
Conte Fiesco violate aveva seco le leggi dell'ami- 
cìzia e della gratitudine, si era ad un tempo fatto reo 
di lesa maestà verso l' Imperatore e verso la Repub- 
blica, occupando di quella le galee, questa volendola 
schiava sottoposta alla sua tirannide; della stessa colpa 
essere rei i fratelli e i suoi seguaci, quindi ad esempio 
di tutti, a solUevo de' buoni, a confusione de' tristi, 
si doveano condannare il Conte nella memoria, gli 
altri nella vita e nei beni. L' indulto del Senato essere 
nullo sia perchè estorto dallo spavento , sia perchè 
mancante del numero legale. Vinse il partito del Doria, 
meno per le sue ragioni però che per essere con lui 
la forza e gli aiuti di Carlo V. 

LXXXV. — Siccome aveanlo preveduto gli oppositori 
del bando, nuovi tumulti, e notizie di nuove congiure po- 
nevano a grave pericolo la Repubblica; nelle due notti del 
2;) e 30 Gennajo i cittadini armati scorrevano la città, 
e gran parte di essi gridava Adorni e Spagna e se- 



250 

condo che ne scrive V Ambasciatore Spagnuolo ali* Im- 
peratore il 29 gemiaio (i), vi era una confusione di 
voci e di sospetti poiché alcuni credevano si dovesse 
introdurre uno stato degli Adorni, alcuni che l'Im- 
peratore voleva essere Signore assoluto, altri infine 
richiamare al potere la parte Fregosa. La Signoria 
intanto scriveva al suo Ambasciatore Ceva Doria, che 
fino dal 18 Gennajo avea inviato a Carlo, che dove 
questi gli fosse entrato nell' argomento di quei moti, 
facesse sentire che il portar le armi de' cittadini, altro 
non era che per conservar quella libertà alla continua 
divozione e servizio di Sua Maestà, e per troncare li 
disegni di coloro che avessero il pensiero contrario 
a questo loro fine (2) Nello stesso tempp, e intorno 
queir epoca, giungeva avviso da Roma che per lettere 
del serenissimo Ettore Fiesco si manifestava esistere 
un trattato tra il Papa e i gentiluomini genovesi, a 
nome de' quali scriveva, esser essi contenti della pro- 
messa di Paolo III eh' era di armare gagliardamente 
per le cose di Napoli allora in tumulto, ragionevol- 
mente il principe Doria manderebbe colà le sue galee 
con gente del Duca di Fiorenza, o di Don Ferrante 
per soccorso; le quali partite, avendo ancora rinforzata 
la guardia in Parma, andrebbero con galere in Ge- 
nova, ed una notte piglierebbero il Principe nella pro- 
pria casa sua; e quelli della congiura occuperebbero 

(i) V. Doc. Simancas, Doc. Lxm, pag. 97. 

(2) V. Documenti pubblicati dall' avv. Edoardo Bernabò-Brea, 

pag. 55- 



251 

il palazzo di Genova facilmente, ed una porta ; ed in 
questo mezzo arriverebbero le forze di Parma, alle 
quali aggiunte quelle delle galere, la terra verrebbe in 
loro mano (i). 

Altro avviso di un agente segreto, da Piacenza, re- • 
cava le stesse trame, e le intelligenze che i Fieschi 
seguitavano a mantenere in Genova col Duca di Pia- 
cenza, chiarivasi che alcuni popolari e gentiluomini vi 
si trovavano mescolati ; delli Popolari ignoravasi il 
nome, ma dei Gentiluomini nominavansi Stefano Rag- 
gio padre del bandito, Ansaldo Giustiniano fratello del 
bandito, Nicolò Doria cognato del Conte, Gio. Battista 
Ballano cognato del Verrina, e il Signor Ettore Fie- 
sco; dicevasi, che avrebbero la porta dell'Arco, avendo 
un caporale della guardia a loro divozione, di cui non 
sapeasi il nome ; che disegnavano nascondere le genti 
nel Lazzaretto presso la marina; che non manche- 
rebbe loro la milizia del Duca di Piacenza, con tutti 
quelli favori che il Papa e lui potrebbero fare ; che il 
signor Cornelio di Fiesco con il capitano Scipione . 
Borgognone da dieci giorni in qua era stato a parla- 
mento secretamente con il Duca di Piacenza, e poi 
erano andati alla Mirandola, dove si darebbero da- 
nari (2); che il Giustiniano fu dal Duca di Piacenza, 

(i) Documenti dell'Archivio di Simancas, Doc. lx. 

(2) A prova di ciò scriveva da Venezia il 22 Gennajo il Se- 
gretario Mbntesa al Gonzaga e al Doria, essere avvisato eh' erasi 
Tecato alla Mirandola uno dei Fieschi accompagnato d' alcuni ca- 
'valli di Pier Luigi (Farnese) chiedendo ajuto di gente e di de- 



252 

e poi si parti per Roma facendosi guidare fiiori del 
diritto cammino per non toccare lo stato di Firenze (i). 

Se questi avvisi sono veri, quando non invece stu- 
diosamente trovati dal Gonzaga, abilissimo maestro di 
siffatte imposture per indurre il Doria con cotali spau- 
racchi ad accettare quelle condizioni e forme di go- 
verno che gli si voleano imporre dall' Imperatore ; forza 
è dedurne che non erano né pochi gli aderenti del Fia- 
sco, né gente tutta di bassa e mala condi:(ione e sorte, 
come facendo relazione dell* accaduto scriveva Andrea 
Doria a Cesare e al Governatore Gonzaga (2). Ad 
ogni modo gì' indicati mostrano che Nobili, Popolo e 
Plebe tutti avversavano lo stato da lui istituito. 

LXXXVI. — Poneasi ad esecuzione il bando con- 
tro i congiurati, che ripubblica vasi il 12 Febbrajo. Fino 
dal di 8 dello stesso mese si era data mano alla di- 
struzione del Magnifico Palazzo di Violato; Gio. Luigi 
Fiesco, Gerolamo, Ottobone, e Cornelio suoi fratelli 

naro al Conte Galeoto e a Pietro Strozzi per tener guardate certe 
sue castella a divozione del Re di Francia; alla quale domanda 
risposero che nulla poteano dargli, ma che ne renderebbero av- 
visato r ambasciatore di Francia a Venezia ; locchè essendo se- 
guito, e r ambasciatore avendone scritto al Re, fii deliberato che 
si dovesse frattanto nel miglior modo possibile intrattenere H 
Fiesco. Il Montesa conchiudeva notando che gli era sembrato di 
dare con diligenza questo avviso a S. E. il Signor Principe, p^' 
che col tempo si potrebbe celare un* altra Mirandola in Italia, (Do- 
cumenti dell' Archivio di Simancas, Doc. xrv, pag. 7}). 
(i) Documenti dell'Archivio di Simancas, Doc. lxil 
(2) V. Documenti SJmancas. Doc. xiv e xv, pag. 21 e seg) 



253 
venivano banditi perpetuamente dalla città e dominio, 
pubblicati e confiscati tutti li beni loro ed applicati 
alla Camera della Repubblica. Chiariti e condannati 
per ribelli e nemici di questa Raffaele Sacco, Vincenzo 
Calcagno, Giacomo Conte ; le case dei quali come 
quelle dei 'Fieschi minate. La medesima condanna in- 
flitta a Gio. Batta Defiranchi, Verrina, Scipione del Car- 
retto, Domenico Bacigalupo, Geronimo Garaventa, e 
Desiderio Cangialanza, confiscati i loro beni, e la ruina 
delle case posta in arbitrio del Magnifico Magistrato. 
Confiscati ugualmente i beni alla Camera e banditi per 
anni cinquanta Battista Imperiale del q. Pantaleo, Ba- 
llano Geronimo Usodimare, Maggiolo Gaspare, Fiesco 
Botto, e Lazzaro di Caprile. Oltreciò condannati e 
banditi per anni otto Francesco Pinello da Gavi, per 
cinquanta Francesco Curio, Bernardo Celesia, Tom- 
maso Axereto detto Verze , Geronimo Maragliano , 
Giulio Fregoso ; per anni dieci Geronimo dal Fiesco, 
Battista Giustiniano, Paolo Geronimo dal Fiesco, Fran- 
cesco e Pantaleo fratelli Badarachi macellari in Sozi- 
glia, Nicolò Valdetaro, Gio. Batta di Retiliaro, e Be- 
nedetto Botto ; per anni cinque Francesco Maragliano, 
e Andrea di Savignone. I quali tutti doveano sgom- 
brare la città e tutto il dominio e distretto della Re- 
pubblica nel termine di giorni quindici sotto pena di 
perder la vita (i). 
Dopo la pena contro le persone, pensavasi ad ese- 

(i) Documenti Bernabò-Brea, pag. 139. Id. di Simancas, Doc. li, 



n»^ o. 



254 

guire quella dei beni loro, e primi si oflFerivano come 
i più desiderati i castelli, e le terre dei Fieschi cui 
insiememente concorrevano V Imperatore, il Duca di 
Piacenza, la Repubblica, e la famiglia Doria, dal primo 
però dipendeva a' termini della ragione feudale, il do- 
minio diretto di essi, quindi dopo la pronunciata de- 
cadenza dei Fieschi, l'investitura degli altri. Carlo V 
avea bensì dato ordine al Governatore di Milano Fer- 
rante Gonzaga di occupare le terre che comprese tro- 
vavansi nel Ducato Milanese, ma d' uopo era di far 
seguire alla occupazione il decreto di decadenza; e 
poscia quei feudi tolti ai Fieschi assegnare od inve- 
stire a coloro che più si mostravano ligj ai voleri del 
Signore diretto. Ed era perciò mente di Carlo che 
dovessero servire particolarmente di compenso alla Re- 
pubblica e ai Doria se non in quanto si fossero la- 
sciati signoreggiare da lui. In questo, il minore dei 
fratelli Fiesco per nome Scipione, figlio postumo del 
Conte Sinibaldo, che non ancora toccava V anno se- 
dicesimo, il quale trovavasi nel borgo dì Vàlditaro, 
addì 17 Gennaio scriveva, o gli si faceva scrivere una 
lettera al Doge e ai Magnifici Governatori, in cui mo- 
strando il più acerbo dolore dei fatti avvenuti, e per 
le novità tentate d' alcuno di casa sua, specialmente con- 
tro le cose del Principe^ il quale ha sempre preso la ^ 
stra protezione e fatti tanti heneficj ed al quale intendeva 
ip ogni tempo essere buon servitore e perch' era in- 
nocentissimo pregava le Signorie loro fossero contente 
di accettarlo ed averlo per buon figliuolo della Rc' 



255 

pubblica si com' era e voleva essere pronto per la 
grandezza sua ad esporsi a qualsivoglia pericolo, sup- 
plicandole che come membro suo non volessero ab- 
bandonarlo ; ed avere pietà a tanta ruina, né consen- 
tire che fallo d' altri potesse pregiudicarlo né portargli 
danno (i). Preceduta ed avvalorata da siffatta protesta, 
mandava egli all' Imperatore poco dopo una domanda 
per ricuperare tutto quello che possedeva il Conte suo 
fratello primogenito, non ostante che vi precedessero 
due altri fratelli viventi e colpevoli nella sollevazione 
di Genova, confortava la domanda d'antichi privilegi 
e testamenti con strettissimi fedecommessi confermati 
da S. M. e da' suoi predecessori. Ma Ferrante Gon- 
zaga, mentre spediva a Carlo V. sollecito avviso di 
tutto ciò, astutamente gli consigliava che quando non 
si &cesse condanna alcuna del Conte morto, e dei 
due fratèlli complici vivi, non potrebbe il minore pre- 
tendere ragione alcuna, e si terrebbero i loro beni 
come di ribelli e nemici di S. M. senza ingiuria o 
torto di alcuno ; al qual proposito egli non permette- 
rebbe che dalla Repubblica si procedesse per conto di 
fellonia né contra la memoria del Conte morto, né dei 
fratelli per questo rispetto (2). 

(i) Documenti pubblicati da Edoardo Bernabò-Brea, pag. 189. 
(2) Documenti dell' Archivio di Samancas, Doc. lxxi, pag. i io. 



CAPITOLO SECONDO 



Istanze e differenze dei diversi contendenti per apf^ropriarsi le lettere dei Fiescbi; 
s'inviano all' Imperatore due ambasciatori Ceva Doria per parte della Repubblia, 
e Francesco Grimaldi per quella di Andrea Doria, per conto del quale il Grimaldi 
ottiene da Carlo V tutto ciò che il Ceva Doria aveva istruzione di procurare 
a benefizio della Repubblica; brutto nuneggio di Andrea in siffatto negozio; si 
delibera 1' espugnazione del castello di Montobbio ; descrizione del sito; T imjH-esa 
viene affidata ad Agostino Spinola. 



LXXXVII. — Ripetute intanto ed incalzanti si suc- 
cedevano le istanze d' ogni parte per la divisione delle 
terre dell' infelice famiglia, e le usurpazioni ancora vi 
si aggiungevano. Il Duca di Piacenza pigliavasi Ca- 
lestano e Valdetaro, mentre il Gonzaga , e V Amba- 
sciatore Figueroa ne porgevano querela all' Imperatore; 
e il primo di essi occupava Pontr emoli; la Repubblia 
impossessavasi di Varese e Roccatagliata, domandava 
Montobbio, Calice e S. Stefano. Antonio Doria pre- 
tendeva gli si donasse Santo Stefano che adduceva 
esser già stato comperato dai Malaspina, e posseduto 
dai suoi; il Cardinal Cibo chiedeva a nome di sua 
nipote Eleonora Cibo vedova del Conte Gian Luigi 
il Castello di Cariseto in Lunigiana a lei obbligato 
per la sua dote di novemila scudi d' oro con istrumento 
dell' 8 Gennaio 1543. Semi lice servirmi ditalfigu^^ 



257 

erano gli awoltoj che calavano a dividersi i brani del- 
l' esangue cadavere. Mandavasi, come già ebbi ad ac- 
cennare, dalla Repubblica Ambasciatore Ceva Doria 
all' Imperatore, con un Memoriale in cui si pregava 
volesse unire le terre e luoghi già del Conte al ter- 
ritorio e giurisdizione sua, gli si ordinava, che quando 
ne porgesse la domanda per la investitura, s'inten- 
dessero esclusi quelli che S. M- avesse designato, o 
pensasse di accordargli in mercede all' Ambasciatore 
Figueroa, perocché in tal caso dovrebbe riputarsi in 
quella parte istessa che lo gratificasse, essere la Re- 
pubblica medesima gratificata. Poco dopo gli si scri- 
veva che con domanda particolare si chiedessero Tor- 
tiglia, S. Stefano e Montobhio ; avvisandolo che di Calice 
già si era. preso il possesso (i). Ma mentre la Repub- 
blica colla proposta di gratificare all' Ambasciatore con 
qualche parte di quelle disgraziate terre si sperava senza 
dubbio di cattivarne 1' animo ; colui, mosso e dalle in- 
sinuazioni del Doria e dalle ragioni del proprio go- 
verno rappresentava a Cesare, che Montobbio veniva 
pure richiesto dal Doria, a suo giudicio pAò, meglio 
sarebbe che rimanesse in potestà di S. M. per tener 
in freno quella città; senonchè, considerando che il 
Principe era molto, e devoto servitore suo, che molti 
danni avea sofferti per T avvenuto moto, giusto pare- 
vagli che l' Imperatore non trascurasse di ricompen- 
sarlo con qualche parte dello stato del Conte; avvisava 

(i) Documenti Bernabò-Brea pag. 52-62. 

17 



2s8 

quindi, essere opinione dello stesso Principe, che Pon- 
tremoli si donasse a Ferrante Gonzaga per la vici- 
nanza che aveva col suo feudo di Guastalla, alla Re- 
pubblica Varese, Roccatagliata ; il borgo di ValdttarOy 
Torriglia, e Montobbio al Principe per i figli di Già- 
nettino ; dei luoghi che confinavano colle terre degK 
Spinola, se ne facesse dono al colonnello Agostino 
Spinola; aggiungeva, essere ancora avviso del Doria 
che S. Stefano dovesse darsi ad Antonio Doria, e che 
tali concessioni e doni far si dovessero dall' Imperatore 
per solo suo intermezzo ; conchiudeva, che quella mat- 
tina aveva lo stesso Doria spedite due galee ad occu- 
pare un luogo chiamato Monleone nella Riviera di Po- 
nente che apparteneva al firatello minore del Conte 
ovvero a Scipione Fiesco, ordinando venisse conqui- 
stato in nome di S. M. potendosi avere senza spesa 
di lui, essendo il medesimo che od esso, o il Gon- 
zaga lo togliessero, quando a disposizione restar do- 
veva della prefata M. S. (i). Qualche giorno appresso 
il medesimo Ambasciatore (io Febbrajo) tenea infor- 
mato r Mperatore, che d' Andrea Doria come parti- 
colare suo inviato e con proprie istruzioni, di lui, gli 
si spediva un Francesco Grimaldo di parte Fregoso, 
compagno, o socio di commercio di Adamo Centu- 
rioni, e nelle mani di cui stavano tutti i negozj di 
questo. Notava che si era tenuto consiglio in Senato 
che laddove S. M. concedesse alla Repubblica il ca- 

(i) Documenti dell* Archivio di Simancas, Doc. LXiv, pag. 99- 



259 

stello dì Montobbio per rovinarlo, conveniva di farne 
la spesa; era perciò suo parere che lo si donasse al 
Principe con facoltà di poterlo distrurre, alienare, o 
ridare a suo talento, imperocché di tal guisa la Re- 
pubblica otterrebbe quanto desiderava, e il Principe 
caverebbe alcuna ricompensa per i danni ricevuti, men- 
tre, ben considerato, quel castello a tenerlo, non va- 
leva, secondo le informazioni che ne aveva, quattro- 
cento scudi. Avvertivalo, che lo stesso Principe gli 
aveva raccomandato nuovamente Antonio Doria per il 
castello di S. Stefano^ e per altro guiderdone consimile 
il colonnello Agostino Spinola, per cui egli supplica- 
vaio quanto poteva, e per quello servizio che sempre 
gli avea prestato a serbarlo vivo nella sua memoria, 
comecché veramente non avesse chi più di lui lo ser- 
visse con maggior fede ed amore ; dopo di esso nella 
devota servitù imperiale indicava uguali per merito 
Stefano Spinola e Domenico Centurione. Infine sup- 
plicava ancora per sé stesso, che dovendo al Principe 
e agli altri accordare i beni dello stato de' Fieschi, 
fosse egli incaricato di farne la trasmissione, e rice- 
verne gli atti di fedeltà e di omaggio, né già questo 
desiderava per ritrarne alcun beneficio , che né dal 
Principe né dagli altri potea sperarlo, ma per una co- 
lale soddisfazione del proprio servizio, donde tutti ve- 
dessero che tenuto in istima era da S. M. e presente 
lo aveva alla sua memoria (i). 

(i) Documenti dell' Archivio di Simancas, Doc. Lxxin, 
pag. ii8, 119. 



2éo 

LXXXVIII. — Intanto che queste cose scrivevansi 
e trattavansi, due Ambasciatori V uno della Repubblica, 
r altro particolare di Andrea Doria trovavansi di fronte 
presso r Imperatore, con commissioni diverse, e il se- 
condo contrario al primo, avea incarico di ottenere 
ciò che tornava di pregiudizio, e -pericolo a quel go- 
verno ^medesimo dal Doria istituito, anzi contro quella 
Ubertà di cui tanto egli menava vanto. La Repubblica 
dapprima i castelli, e le terre in genere chiedeva dei 
Fieschi, indi la domanda riduceva ai soli tre luoghi 
di Torriglia, Montobbio e S. Stefano; il Doria voleva 
per sé i primi due, e T ultimo per Antonio Doria. 
Montobbio però si abbandonava da esso alla Repub- 
blica, che lo si occupasse, quando si avvide che per 
sé r Imperatore o divisava tenerlo, o a spese altrui 
espugnato, concedevalo a chi meglio di loro piaceva 
ma per sempre distrutto. Tuttociò patteggiavasi da 
Francesco Grimaldo con Carlo V, e coi suoi Ministri 
ad insaputa del Ceva Doria, di guisachè allorché co- 
stui si accorse di essere ciurmato, poiché con sotter- 
fugi, e maliziose reticenze il Grimaldo rifiutava comu- 
nicargli quanto aveva concordato, chiese, aspreggiato 
r animo, licenza di potersi ritornare. Infatti, dopo molte 
tergiversazioni. Monsignor di Raas significa vagli avere 
S. M. deUberato a favore della RepubbUca per i luoghi 
di Montobbio, Varese e Roccatagliata, quanto agh ^1" 
tri due di Torriglia e S. Stefano ninna deliberazione 
essere finora stata presa per lui; medesimamente per 
i primi la sua imperiale volontà avrebbero meglio in- 



2él 

tesa dal Principe cui V avea confidata per Francesco 
Grimaldo partito allora per Genova; questo volea si- 
gnificare che la maggiore parte di quanto domandava, 
negavasi alla Repubblica, e quel tanto che le si con- 
cedeva, dovea pure dal Doria riceverlo. Ecco a quali 
termini d'indipendenza e di libertà egli aveva ordi- 
nata la patria! (i). ♦ 

LXXXIX. — Risoluta la espugnazione di Montob- 
bio secondo le condizioni prescritte dall' Imperatore si 
dava opera a raccogliere le forze necessarie per ispe- 
dirvele. Era quella una rocca sopra il sommo di un 
colle edificata, di cui le falde lambono sottoposti per 
tre parti due fiumicelli il Laccio, e la Pentema che 
formano la' Scrivia ; altissimi monti tutt' intorno la 
cingono, soltanto verso settentrione si schiude una 
valle profonda distesa a pianura, donde porre potevansi 
le artiglierie da combatterla. Girolamo Fiesco vi si 
era chiuso con molti de' suoi, e soldati arruolati da 
Piacenza e dalla Mirandola; Gio. Batta Verrina, e 

(i) Di quanto qui scrivo si vedano i Memoriali e le istruzioni 
date dalla Repubblica all' ambasciatore Ceva Doria, e le sue re- 
lazioni ne' documenti pubblicati dall' Avv. Edoardo Bernabò-Brea. 
Si riconoscerà evidentemente che mentre di concerto col Doria 
il Governo inviava il medesimo Ceva Doria all' Imperatore, An- 
drea Doria vi spediva il Grimaldo incaricato di trattare a suo 
vantaggio per tutto quello che avea prima concordato a profitto 
della sua patria ; e «che a questo particolare fine ne aveva scritto 
addi 25 Gennaio 1547 allo' stesso Imperatore per commissione del 
Governo (V. Documenti dell' Archivio di Simancas. Doc. xt.vii, 

Pag. 74). 



262 

Vincenzo Calcagno vi si riducevano pure, ritornando 
di Francia dove si erano portati, colla promessa di 
prossimi ed efficaci ajuti ; ai quali tuttavia attendeva 
Ottobono, e Cornelio Fiesco viaggiando dall' una al- 
tra parte, ed ora in Francia, ora in Piacenza e alla 
Mirandola conducendosi per ottenerli. Il Senato sen- 
tendo che la divisata impresa non era certo di agevole 
effetto appigliavasi dapprima alle trattative, e Paolo 
Panza inviava a Gerolamo affinchè scendesse ad ami- 
chevole componimento, cedesse il castello, prometten- 
dogli a compenso 50 mila scudi, cosi almeno, scrive 
il Bonfadio ; ma Gerolamo negando di accettare l'of- 
ferta, rispondeva non essere libero di farlo, poiché 
quel luogo non più a lui ma ad un potente signore 
si apparteneva ; alluder volendo con ciò al Re di Fran- 
cia; forse era vero, o forse cosi fingeva per allonta- 
nare il Senato dall' intraprenderne 1' espugnazione. Ma 
questo incalzato dal Doria nominava due senatori Cri- 
stoforo Grimaldi Rosso, e Lionardo Cattaneo destinati 
alla spedizione; radunavansi per essi duemila uomini 
per circondare d' ogni parte gli assediati, impedendo 
ogni accesso ed ogni soccorso che potesse venir loro 
mandato ; commissarj dell' impresa erano scelti Dome- 
nico Franco e Domenico Doria; il comando della 
quale stette per qualche tempo incerto, imperocché 
dapprima il Governo desiderava affidarlo per volontà 
di Andrea ad Antonio Doria, ma egli se ne schermi» 
adducendo eh' egli era occupato nel servizio di S. M- 
né poteva accettarlo ; allora si rivolsero al colonnello 



263 

Agostino Spinola pregando l'ambasciatore Figueroa 
che gliene scrivesse, locchè pure fece il Principe. Lo 
Spinola a quegl' inviti recossi da Milano in Genova 
deliberato ad un rifiuto, si per esserne stata prima ad 
altri fatta l'offerta, si per il sospetto in cui era dal 
governo del Doria tenuto, ma le istanze dell' Amba- 
sciatore Spagnuolo, il quale gli consigliò 1' obblio del 
passato, anche per il meglio del servigio di S. M. lo 
persuasero all' accettazione (i). 

(i) Documenti dell' Archivio di Simancas, Doc. xci, pag. 546. 



CAPITOLO TERZO 



Assedio del Castello di Montobbio; resistenza degli assediati; trattative di accordo; 
discussioni e diversità di pareri in Senato sull* accettazione delle condizioni pro- 
poste dagli assediati; in pendenza di quelle il generale Spinola corrompe una 
parte dei soldati forestieri allo stipendio dei Fieschi , e per tradimento occupa la 
fortezza ; notizia datane d' Andrea Doria a' Girlo V ; Uffiziali , Dottori , e Giudici 
mandati in Montobbio per V esame e il processo dei congiurati ; nuova discussione 
in Senato sulla sorte dei medesimi ; il peggiore partito si vince per Andrea Doria ; 
Gerolamo Fiesco, Gio. Batta Verrina e Desiderio Cangialanza vengono condannati 
a morte che tosto si eseguisce in Montobbio, mentre accaduta appena l' occupazione 
di quella fortezza, senza forma di giudizio, sono scannati per ordine del Commis- 
sario Domenico Doria, Vincenzo Calcagno, Gerolamo Manara e due altri servitori 
dei Fieschi ; distruzione del Castello di Montobbio ; divisione delle terre della *&- 
miglia dei Fieschi fra l'Imperatore, il Duca di Parma e Piacenza, Andrea Doria, 
Antonio Doria ed Ettore Fiesco. 



XC.^ — Cominciossi pertanto l'assedio sui primi giorni 
di maggio, la fortezza del sito, e la stagione che correva 
piovosa toglievano alle artiglierie di fare il più utile, 
effetto ; ringagliardivasi la difesa, mentre V animo degli 
assalitori veniva meno ogni giorno, arroge, la penuria 
di polvere per dar fuoco a cosi grandi pezzi di arti- 
glieria, e doverla condurre da luoghi cosi lontani; 
molti pezzi ancora non bastando al frequente tiro scop- 
piarono improvvisamente colla morte di coloro che li 
governavano ; secondo V annalista Casoni furono spa- 
rate più di 10,000 cannonate senza far danno di con- 
siderazione alle mura; già si facevano dagli assalitori 



265 

i più sinistri pronostici, e prevedevasi V imminente ne- 
cessità di abbandonare con vergogna V impresa senza 
ottenerne il divisato fine ; ma i nuovi soccorsi che si 
mandarono dal Duca di Toscana sebbene a malincuore 
delDoria (i), e quelli maggiori d'uomini della po- 
desteria di Recco, dove si fece una levata dagli anni 
18 fino ai 70 sotto pena di ribellione, o d' altra pe- 
cuniaria o corporale in arbitrio del Governo (2), mu- 
tarono Io stato delle cose ; quindi ingrossato il numero 
degli assedianti, aumentate, e meglio regolate le arti- 
glierie si prese a combattere il Castello con maggior 
forza e firequenza, talché una parte della muraglia venne 
finalmente aperta, ed indi più larga rovina vi si fece; 
gli assediati allora usciti di speranza di ricevere aiuti, 
con gente raccogliticcia che cominciava a mostrarsi 
restia, deliberarono di scendere a' patti ; mandavano 
fuori un tamburo chiedendo un salvocon dotto per due 
persone incaricate dell' accordo ; essendosi conceduto 
dallo Spinola, recaronsi a lui Gerolamo Garaventa, e 
Tommaso Assereto con un memoriale che conteneva 
le condizioni, le quali non vennero accettate, comecché 
fuori dei termini delle sue facoltà, ma rimesse al Se- 
nato. Mentre in seno di questo stavasi fieramente di- 
sputandosi se accogliere o rigettar si dovessero, lo 
Spinola metteva fuori un bando di guisa che penetrar 
potesse nel castello, e per cui dicevasi tutti coloro che 
non aveano partecipato alla congiura, né alla morte di 

(i) V. Documenti di Simancas, Doc. xc, pag. 145. 

(2) V. Documenti pubblicati dall' Avv. Bernabò-Brea, pag. 171. 



266 

Gianettino Doria fossero liberi di andarsene colle armi 
e cogli averi senza pregiudizio o danno di sorta. Il 
pericoloso fine del quale ben considerato avendo Ge- 
rolamo Fiesco col Verrina e il Calcagno , vennero 
allora a questa convenzione di offerire la fortezza 
uscendone fuori essi salvi gli averi e le persone. I nuovi 
patti trasmessi al Senato destarono nuovamente acerba e 
violenta la contesa tra il maggior numero che chiarivasi 
favorevole all' accettazione, e il minore contrario, ma 
questo confortava e invigoriva il preponderante suf- 
fragio e la sconfinata autorità del Doria, tanto più, 
che dagli assediati richiedevasi una particolare guaren- 
tigia che li assicurasse dalla vendetta di lui. Queste 
cose trattavansi consumandovisi due giorni senza che 
si paresse quale delle due parti avrebbe riportata la 
vittoria, quando pendendo le trattative, dallo Spinola 
poste in non cale, si dava opera ad una nuova bat- 
teria che fulminava il castello, i soldati forestieri, pa- 
recchi de' quali già corrotti, presentavansi allora al 
coàte Gerolamo, e i patti mostrandogli che loro faceva 
il generale nemico domandarono licenza di potersene 
andare ; negando egli, ferocemente ribellavansi, e con- 
giuntisi a quelli di fuori, apersero loro la porta della 
fortezza dove tosto la compagnia del capitano Lercari 
con grande impeto irruppe, e appresso entrò il resto 
di tutto il campo assediarne. Fu in tal guisa meno per 
virtù d' espugnazione e valore d' armi che per vero 
tradimento occupato Montobbio, né vale raffermarsi 
audacemente il contrario dal Bonfadio sulla testimo- 



267 

nianza, com' egli scrive, i' uomini gravissimi che furotio 
presenti ad ogni cosa (i), che quello che io qui narro, 
letteralmente lo traggo dalle due relazioni che ne fa- 
ceva l'Ambasciatore Spagnilolo, che non poteva né 
avea donde di mentire, V una all' Imperatore, 1' altra 
più circostanziata scritta al Principe Filippo, entrambe 
lo stesso giorno dell'occupazione 11 Giugno 1547; 
laonde il prezzolato annalista o veniva ingannato da 
quelli uomini gravissimi, o mentiva con essi (2). 

Pertanto dopo il quarantesimosecondo giorno che 
si era oppugnata la fortezza, rimase nel sopradescritto 
modo occupata. Gerolamo Fiesco, il Verrina, il Cal- 
cagno, e tutti gli altri seguaci loro rimanevano presi, 
e severameate custoditi, ma scannati venivano subita- 
mente Vincenzo Calcagno, Gerolamo Manara e due 
altri servitori dei Fieschi per ordine del Doria, in 
vendetta della morte da essi data a Gianettino. Non 
appena quindi se n' ebbe dalla Repubblica e dal Doria 
avviso, che V una e 1' altro gareggiavano nella solleci- 
tudine di spedirne la notizia a Carlo V, locchè face- 
vano con due loro lettere, quella della Repubblica più 
riservata e tranquilla, V altra del Doria più animosa 
ed intemperante, cosi concepita : 

« Poi di molte difficoltà et spese fatte per la expu- 
» gnatione del Castello, è piacciuto a Dio che questa 
A mattina se sia pr6so a discretione, et cossi resta 

(1) Annali Genovesi, lib. iv, pag. 403. 

' (2) Documenti dell' Archivio di Simancas , Doc. e e ci, 
pag. 154-156. 



268 

» preso buon numero di quelli tristi intervenuti nella 
» sceleragine et tradimento passato. Domani se li man- 
» deranno dottori et ' officiali di qui ad examinarli, per 
» vedere se si può ritrovar qualche altra cosa di più 
» circa la pratica che già scrissi a V. M., et di tutto 
» sarà avvisata ; et in appresso si attenderà a rimediar 
» et assicurar che per un* altra volta non possano se- 
» guir simili inconvenienti. La città sta pacifica et in 
» la sua solita devotione verso il servicio di V. M., 
» et ogni di spero che se li anderà più confirmando. 
» Mi è parso dar noticia a V. M. di questo bon suc- 
» cesso, perchè son certo ne bavera piacere (i). » 
XCI. — I dottori, e li officiali che si dovevano man- 
dare per gli esami del Gerolamo Fiesco e suoi seguaci, 
di cui si trattava nella riferita lettera, quello stesso 
giorno undici Giugno venivano con Patenti del Doge, 
Governatori, e Procuratori nominati, ed erano li Ma- 
gnifici Gioan Maria Paulucio uno degli Ufficiali di Rota 
e Tomaso Doria, giureconsulti entrambi e commis- 
sar j della Repubblica ; doveano essi trasferirsi al luogo 
di Montobbio ad esaminare ed interrogare tutti quelli 
eh' erano stati presi e fatti prigionieri in quella rocca, 
o parte di essi che loro sembrasse e fare scrivere ed 
annotare da pubblico notajo le risposte che darebbero 
intorno a ciò di' cui fossero interrogati. In virtù di 
siffatte patenti si conferiva ad esrf facoltà non solo di 
esaminare, ma di usar quelli modi e forme che gli oo- 

(i) V. Documenti dell' Archìvio di Simancas, Doc. xcvin e 
xcix, pag. 153 e 254. 



269 

correranno espedienti e di ragione dovuti per venir in co- 
gnÌT^ione di quanto gli occorrerà interrogarli, conferen- 
dogli tutta quella autorità e balia che avevano circa 
tali interrogazioni ed esami, acciò che dopo avere for- 
nito tali esami, ritornando ben istruiti, abbiano a ri- 
ferire quel tanto che avranno inteso per poter essi 
esaminare e- determinare quello che loro occorrerà, e 
giudicheranno tornar meglio a salute e beneficio della 
Repubblica (i). 

Sotto il velo di coteste parole si nasconde senza 
dubbio la potestà di porre gli accusati a' tormenti, e 
secondo lo stile di que' tempi e le barbare leggi che 
vigevano estorcere loro colla torturala confessione 
delle colpe imputate false o vere che fossero; cosi 
r andazzo dell' età! Quindi, se contro quanto ne scrive 
il Casoni, più sopra da me riferito, si può prestar 
fede alle rivelazioni del Verrina significate dall' amba- 
sciatore Figueroa all' Imperatore (2) non altro mezzo 
che la tortura fii adoperato di certo per ottenerle. 

La nomina dei due Dottori colle facoltà conferite 
loro, notificavasi al Generale, e ai Gommissaij di Mon- 
tobbio, i quali addi 13 Giugno rispondevano* essere 
colassù giunti e averli accolti con ogni cortese dimo- 
strazione, promettendo dare ad essi quelle comodità 
che il loco ed il tempo permettessero. Aggiungevano : 
attendere firattanto che la rocca e i prigionieri restas- 
sero ben guardati come si conveniva, e vivere ben 

fi) Documenti pubblicati dall' A vv. Bernabò-Brea, pag. 173. 
(2) V. Documenti degli Archi vj di Simancas, Doc. cix, pag. 167. 



272 

quello che mai non si è voluto concedere alli con- 
dannati in contumacia, concederla in pregiudizio del 
decreto vecchio sinora osservato in non ammettere 
alcuno condannato in contumacia a nuove difese. 

Per queste assurde e triste dottrine rispingendosi le 
difensive scritture violavasi il sacro diritto della difesa. 

Non potevano però dissimularsi i Giudici che se 
le SS. LL. IH."' non provvedevano, erano messi nel 
maggiore travaglio del mondo, comechè alcuni ima- 
ginerebbonsi che quella maledetta causa, se V avessero 
tolta per particolare, eppure sapevano quanto avessero 
fatto perchè loro fosse usata grazia di non dargli tal 
carico. Per la qual cosa quanto più potevano devota- 
mente li supplicavano che il più presto possibile vo- 

■ 

lessero liberarli da quella intensa molestia risolvendosi 
chiaramente, o di ammetterli alle nove difese non 
ostante tutte le ragioni sopradette, o si rivocasse il se- 
condo decreto, stabilendo che si procedesse conforme 
alla ragione e secondo la disposizione del primo ese- 
cutivo ; conchiudevano attendendo prontissima risposta. 
Quale questa sia stata similmente s' ignora, si ha 
però in fatto la prova che il primo decreto, malgrado 
r impHcita deroga del secondo, venne eseguito; la Si- 
gnoria, sforzata dal Doria , pronunciò dopo molto e 
tempestoso dibattimento, sentenza di morte contro Ge- 
rolamo Ficsco, Gio. Batta Verrina, e Desiderio Can- 
gialanza ; di galea e di bando per alcuni ufHziali che 
allo stipendio della Repubblica, seguitato aveano il 

• 

Conte, e concorso alla cospirazione da lui ordita; ai 



273 

dodici del mese di luglio, sorgendo T alba, segui T ese- 
cuzione in Montobbio dei primi tre; e di tutti il primo 
impiccato fu il Congialanza, venne appresso decapitato 
Gerolamo Fiesco, per ultimo il Verrina, dichiaratisi 
confessi e convinti dell' attentato. Ma innanzi di tutti 
questi e appena accaduta V occupazione di Montobbio, 
senza forma di giudizio erano scannati Vincenzo Cal- 
cagno, Gerolamo Manara e due altri servitori dei Fie- 
schi, che la notte della congiura si accusavano di es- 
sere intervenuti alla morte di Gianettino ; locchè si 
operò non per comando della Signoria, ma per arbi- 
trio del Commissario Domenico Doria che ne avea 
ricevuto V ordine da Andrea, diguisachè il malcontento 
si sparse non solo nella moltitudine de' cittadini, ma 
nel popolo tutto, perocché si fosse proceduto oltre i 
termini di giustizia. Cosi ritraggo da una lettera del- 
l' ambasciatore Figueroa scritta addi 8 luglio del 1547 
all' Imperatore (i) ; la esposizione della quale concorda 
con quanto ne scrive 1' annalista Filippo Casoni (2). 
Intanto secondo gli ordini di Cesare e per le con- 
dizioni da lui apposte alla concessione di Montobbio, 
quella fortezza doveva essere dalle fondamenta spian- 
tata ; usciva quindi il decreto della Repubblica che ne 
ordinava la rovina, vietando sotto formidabili pene che 
potesse mai più per 1' avvenire essere ricostrutta ; e il 
decreto si diceva fatto per consiglio ed autorità di An- 

(i) V. Documenti dell' Archivio di Simancas^ Doc. evi, pag. 164 
e 165. 
(2) Annali di Genova, an. 1547, pag. 192. 

18 



274 

drea Doria, imperocché avea voluto T Imperatore che 
per le mani di quello ricevessesi Montobbio, che appena 
espugnato ed occupato si doveva distruggere (i). 

XCIII. — Venivasi poscia alla divisione delle terre 
dei Fieschi; Varese, Roccatagliata, Neirone e nulla 
più acquistò la Repubblica per le ragioni dell' alto do- 
minio che vi avea. Il Duca di Parma andò al pos- 
sesso di Valdetaro t Calestano feudi di sua giurisdi- 
zione; Ferrante Gonzaga a nome dell'Imperatore 
s'impadronì di Pontr emoli, Torriglia, Loano, Carrega, 
Grondona , Barbagia , S. Stefano di Aveto , Calice , 
Veppo ed altri luoghi e giurisdizioni; ma Cesare, ri- 
tenuto Pontremoli che rimase riunito allo stato di 
Milano, donò al Doria Torriglia eretta in marchesato, 
Carrega, Garbagna, Grondona ed altri castelli ; ad An- 
tonio Doria che teneva quattro galee al servigio di 
lui. San Stefano di Aveto; né colle mani vuote si 
rimase Ettore Fiesco per compensarlo del pericolo 
che avea corso quando dal Senato era stato la notte 
della congiura spedito a Gerolamo Fiesco, o piuttosto 
per amicarselo, sapendolo in quella implicato. 

(i) Si veda il Decreto alla pag. 135 dei Documenti inediti rac- 
colti, e pubblicati dall' Avv. Edoardo Bernabò-Brea, sopra la Con- 
giura del Conte Gio. Luigi del Fiesco. 



CAPITOLO QUARTO 



Contesa delle diverse fazioni che aspirano ad impossessarsi della Repubblica ; relazione 
sulle vere condizioni di essa di un Pancino Gismondi inviato a tale uopo in Genova 
da Gonzaga, per consiglio del quale l' Imperatore cogliendo il destro di quelle dis> 
sensioni propone che a difesa efficace si ordini im sufficiente presidio in Genova 
al comando di cui si nomini Agostino Spinola , e si rifabbrichi ad un tempo la 
fortezza di Castelletto ; il Doria per ischermirsene manda Francesco Grimaldi a 
Carlo V ; suo abboccamento in Milano ^con Ferrante Gonzaga sopra i partiti che 
dividono la Repubblica ; giudizio che ne forma il Gonzaga e suoi consigli all' Im- 
peratore, nuove proposte a questo di Andrea Daria , e pareri allo stesso mandati 
dall* Ambasciatore Figueroa. 



XCIV. — Divisa, lacerata dalle fazioni era la Re- 
pubblica più che mai colla vantata unione de' no- 
bili coi popolari operata dal Doria. Dopo specialmente 
la fallita congiura quinci stavano i partigiani de' Fieschi, 
vinti ma non domati capo de' quali Ettore potentis- 
simo, e fuori due fratelli ancora di Gian Luigi ajutati 
dai favori di Francia, dal Papa, dal Duca di Piacenza, 
dal Signore della Mirandola, quindi gli Adorni e gli 
Spinola che aveano per capo Agostino Spinola; oltreciò, 
la parte de' Fregosi apparentemente seguace del Doria 
attendeva il destro di muoversi e ripigliarsi lo stato; 
Adamo Centurione colle sue molte ricchezze mentre 
soccorreva all' Imperatore, e al Doria, si appianava la 



276 

via a quel potere che vedea vacillante in mano di 
quest' ultimo ; Andrea in mezzo a siffatte ambizioni, 
cospirava a far prevalere la propria, e molto innanzi, 
per gli eminenti servigi prestati, nella grazia di Carlo V, 
o per meglio dire assai temuto da lui, accortamente ser- 
vivasi di tutti, per sollevare sé solo, si trattava infine 
se Signore di Genova doveva essere o un Fiesco, un 
Adorno, uno Spinola, un Fregoso, un Centurione, 
un Boria ; ridotta a questi termini la quistione, si potrà 
agevolmente giudicare del vero carattere della congiura 
de' Fieschi, il capo della quale venne con si neri co- 
lori tramandato alla memoria de' posteri per nuli' al- 
tra ragione eh' egli fii vinto, e vincitore il Doria. 

Senonchè, di tutto questo smembramento di parti, 
bene si apponeva l' Imperatore esattamente informato 
e ragguagliato da' suoi Ministri fira i quali primeggia- 
vano con iscaltrite arti, ed ingegno cupo e profondo 
Ferrante Gonzaga, e l'Ambasciatore Figueroa con 
puerile sollecitudine, invano Andrea Doria studiava 
persuaderlo, che pochi ed abbietti i malcontenti, po- 
chissimi della più vile feccia erano i seguaci de' Fie- 
schi, lo stato da lui istituito quello essere dalla mag- 
gioranza e più eletta parte dei cittadini desiderato, e 
mantenuto, che tutte le più particolari relazioni man- 
date a Carlo smentendo le sue parole, provavano che 
delle forze e delli favori imperiali volea soltanto aiu- 
tarsi a conservare la nuova Repubblica congiuntamente 
alle condizioni di uno speciale patronato trasmissibile 
alla propria famiglia, diguisachè la forma di quella, de- 



277 

stinata fosse soltanto a velare la sostanza di un vero 
principato che, per poco d'animo e d'ingegno aves- 
sero posseduto, sarebbe divenuto ereditario ed assoluto 
nei discendenti del Doria. 

XCV. — La verità di questi fatti si facea manifesta 
da quanto specialmente ne riferiva un Gismondo Pan- 
cino inviato in Genova alla fine di Gennajo del 
1547; per esplorarne le condizioni, da Ferrante Gon- 
zaga. Egli rappresentava che la città pacifica, quieta, 
e ben disposta al servizio di S. M. in apparenza, tutta 
contraria in effetto per la diversità degli umori; che 
il Principe, e quelli che in modo assoluto dipendevano 
da lui erano facili a credere quest'apparenza, mentre 
coloro che sentivano diversamente, noi mostravano 
per vedere lo stesso Principe inclinato a quella libertà 
che avea preteso di avere introdotta, e eh' egli voleva 
fosse creduto da tutti che nelle acccadute novità si 
era manifestata una particolare divozione inverso di lui, 
quando invece finché non si seppe certa la morte del 
Conte ninno comparve, né mostrò seguire la sua fa- 
zione; che la Repubblica si dimostrava molto firedda- 
e rimessa nella punizione e castigo dei colpevoli delle 
stesse novità; che la provvisione fatta di aumentare 
dai trecento ai cinquecento fanti la guardia della città, 
con cui il Principe, presupponendo di avere dalla sua 
parte i popolari, pensava potesse bastare all' interna 
sicurezza, la maggior parte tenevano opinione contra- 
ria adducendo la prova che pochi si erano chiariti fa- 
vorevoli al nuovo governo nell' occasione del passato 



278 

tumulto, e all'esecuzione del castigo de* delinquenti; 
che di questi era lo stesso Adamo Centurione, segui- 
tato dall' ambasciatore parendogli che meglio si do- 
vesse assestar le cose a servizio di S. M. senonchè 
si asteneva a trattar di ciò che fosse diverso dalla 
mente ed inclinazione del Principe , che l' Amba- 
sciatore ed altri molti giudicavano che sebbene la 
guardia dei 500 soldati fosse sufficiente a tenere la 
città tranquilla, non basterebbe mai se la persona che 
doveva comandarla, non convenisse, concorrendo tutti 
nel medesimo sentimento che molto al proposito quella 
sarebbe del colonnello Spinola, quantunque confessas- 
sero essere difficile il negozio per rispetto del Prin- 
cipe, come per non mettere lo Spinola in diffidenza 
della città; che molti ancora pensavano che ciò mal- 
grado lo Spinola non bastava, ma sarebbe stato neces- 
sario di accrescere in qualche modo l' autorità di S. M. 
più di quello eh' era finora, sicché venisse rispettata e 
temuta, praticando in tal fatto di guisa che tutti i no- 
bili e principali cittadini si accordassero a trattare della 
riedificazione del Castelletto da porsi in mano de' mi- 
nistri suoi ; che infine Adamo Centurione era di parere 
di abbracciare altro partito, per far sicura la terra, e 
per cui S. M. acquistar vi potesse una maggiore e più 
certa autorità; e questo, credeva essere di accrescere 
la guardia sino al numero di 700 soldati, conche la 
stessa M. S. ne pagasse i duecento accresciuti, impe- 
rocché di tale spesa difficile sarebbe che si volesse 
dar carico il governo, né sapeva pure se questo si ac- 



279 

corderebbe nella scelta del colonnello per capo della 
guardia (i). 

XCVI. — Ora, il disegno dell' Imperatore era che 
cogliendo profitto dalle genovesi dissensioni, allegando 
il pericolo che correva la propria autorità anche per 
r avanzata età, e la probabile vicina morte del Doria, 
che facea le mostre di credere a sé interamente de- 
voto, a difesa della Repubblica si ordinasse un suffi- 
ciènte presidio il capo del quale fosse di tutta sua fidu- 
cia, e il solo Agostino Spinola la godeva, e nello stesso 
tempo si rifabbricasse la fortezza del Castelletto ; questi 
due modi gU venivano consigliati dal Gonzaga, e dal 
Figueroa, per molte lettere che si leggono nei docu- 
menti deir Archivio di Simancas, e per essi confidavasi 
che fra breve tempo Genova di tal guisa non avrebbe più 
potuto sfiiggire all'assoluto imperiale dominio. Ma il 
Doria che di questo soltanto voleva usare a sostegno 
e difesa del proprio, osteggiava lo Spinola a coman- 
dante generale della guardia, perocché congiunto agli 
Adorni, lo sapeva capo di un partito che divisava 
mettersi in luogo di lui nel maneggio della Repub- 
blica e si opponeva virilmente alla riedificazione del 
Castelletto per le stesse ragioni, la quale opposizione 
se con animo e proposito irremovibile facevasi da lui, 
molto circospetto però procedeva nell' escludere lo Spi- 
nola. Lui non isfiiggiva che quanto presso di Carlo 
aveasi egli acquistato di fama e di stima per la peri- 

(i) V. Documenti dell' Archivio di Simancas. Doc. 53, pag. 55. 



28o 

zia delle cose marittime, tanto colui veniva pregiato 
per la terrestre milizia dove spiegato aveva ingegno 
pronto e sagace non disgiunto da singolare valore 
nei fatti di Portofino , dell' espugnazione di Savona, 
nella presa di Ovada , di Nove , ed ultimamente di 
Montobbio, nel quale ultimo però prevaleva più la 
frode, che il sapere, e V arte onorata della guerra. Non 
ignorava il Doria le intime relazioni tra lo Spinola, il 
Ferrante Gonzaga, e V ambasciatore Figueroa, i quali 
lo proponevano all' Imperatore come il più devoto, e 
docile servitore che si avesse in Genova, e di cui potea 
sicuramente-fidarsi, e servirsi come d' abile mezzo per 
ridurla in suo potere; ponendolo con più evidente uti- 
lità invece di lui, per questo instavano che ad esso ve- 
nisse conferito il comando generale delle armi ; il Doria 
avea dapprima mosso ostacolo a che ottenesse quello 
dell' assedio di Montobbio, di cui voleva incaricato 
Antonio Doria ; il quale però conoscendo gli umori 
e la volontà dell' Imperatore e de' suoi Ministri se 
n' era scaltramente scusato ; cosicché fii anzi d' uopo 
pregare lo Spinola che 1' accettasse, imperocché sde- 
gnato che soltanto a difetto dell' Antonio Doria gli si 
offerisse, alteramente vi si rifiutava. Per il comando 
delle armi vi furono quindi tergiversazioni, raggiri, e 
temporeggiamenti, infine la mente dell' Imperatore che 
meglio desiderava essere intesa che spiegata, senza velo 
manifestossi, e il Doria dovette suo malgrado convin- 
cersi che lo Spinola gli era messo ai panni destinato 
;id esplorarne ogni moto, e tenerne in rispetto ogni 



28l 

comando aflSnchè il suo potere non si allargasse di 
modo nella Repubblica da soverchiare V imperiale, che 
per opera dello stesso Spinola doveavi divenire as- 
soluto. 

XCVII. — Inviato Francesco Grimaldo dal Doria a 
Carlo V, come particolare suo ambasciatore , abboc- 
cavasi in Milano con Ferrante Gonzaga, e secondo le 
ricevute istruzioni e il fine prefissosi da chi lo spediva, 
feceva a colui la seguente pittura dei diversi umori 
che intorbidavano la città : diceva, essere questa divisa 
in quattro partiti; il primo di una sorte di uomini, 
che non contenti del presente stato, erano desiderosi 
di cose nuove, sperando con il mutamento e con qual- 
che rivolta venire a miglior condizione. Il secondo, 
formato di una qualità di persone che pascevansi di 
ragionamenti, e di discorsi senza proporsi alcun fine, 
o senza sapere in conclusione ciò che si volessero. Il 
terzo, composto di una generazione di uomini, i quali 
pusillanimi e timidi, d' ogni cosa faceansi spavento, tra 
i quali nominava coloro che approvavano la ricostru- 
zione della fortezza; il quarto partito infine abbrac- 
ciava la sètta di quelli che desideravano la quiete e il 
pacifico stato della città, dai quali, notava, venire an- 
teposta una nuova fórma di governo, come stato sa- 
rebbe di ristringere a minor numero quelli del reggi- 
mento, e ridurlo a che non passassero i cento, o 
centocinquanta cittadini, e che dove allora estraevansi 
per polizza, vorrebbero che si eleggessero per voti, 
oltreciò s' introducesse una guardia gagliarda insino a 



282 

settecento fanti con un capo, il quale fosse meglio 
stimato conveniente. 

Queste cose con mente cupida ed astuta ascoltava 
il Gonzaga, e riferendole air Imperatore considerava: 
che in quella città erano pochi che procurassero di- 
rettamente il servizio di S. M., senonchè sotto questo 
nome di anteporlo alle altre cose volevano ottenerne 
il principato e fare il fatto loro; e poiché questo si 
conosceva, essere di parere che per ora si dovesse 
dissimulare ed accettare tutto quello eh' essi preferis- 
sero, senza cercare più oltre, perchè persuadevasi che 
nel contraddire e nel volere ora incamminare le cose 
al disegno della fortezza, come si era ragionato, non 
poteva nascere se non difficoltà, senza ottenere alcun 
buono effetto; infatti chiamando il Grimaldi timidi e 
pusillamini quelli che approvavano il disegno della 
fortezza , si conosceva che il Principe e i suoi seguaci 
non la volevano; dello aiuto dei quali S. M. si do- 
veva principalmente servire quando detto disegno si 
avesse ad incamminare. Onde, essendo per ora questa 
difficoltà della, fortezza, era egli di parere, che non si 
potesse fare altro che consentire a questa forma che 
essi proponevano, perchè teneva per sicuro che quando 
il Principe venisse a mancare, i primi che procure- 
rebbero detta fortezza quelli proprii sarebbero che ora 
la ricusavano, e massimamente quando le forze della 
guardia si trovassero in potere di persona confidente 
di S. M. che non fosse discorde dalla mente di essa 
in qualsivoglia determinazione che si facesse, onde, 



283 

per quello eh' egli srimava , tutta la importanza di 
questo negozio consisteva nella elezione di detto capo; 
e però opinava che in questo S. M. dovesse insistere 
che si eleggesse persona molto confidente, né a lui 
altro occorreva che Agostino Spinola (i). 

La sostanza pertanto di tutto ciò si raccoglieva nei 
due termini, o di Genova sotto il governo imperiale 
htto stabile e sicuro per la ricostruzione del Castel- 
letto, o di Genova sotto quello di Andrea Doria e 
suoi discendenti per mezzo di tali leggi, che a' pochi 
suoi partigiani ristretta tutta T autorità , coli' apparente 
forma di Repubblica, gliene guarentissero il possesso. 
Qumdi Carlo V. e Andrea Doria contendevansi il 
dominio della Repubblica sotto lo specioso pretesto 
entrambi di conservarla, T uno colla fortezza ed una 
numerosa guardia, il comando di cui si avesse chi gli 
era ligio e interamente devoto, l'altro di un governo 
a pochi, e tutti suoi aderenti ristretto; si lottava quindi 
e schermivasi tra questi e quelli con maneggi, intrighi 
e stratagemmi per riescire scambievolmente al divisato 
fine. Il Doria volendo liberarsi dall' obbligo della for- 
tezza, allegava che a far sicura la signoria bastava ri- 
metterla in mano a pochi , gli si opponeva che il 
mutamento non avrebbe potuto eseguirsi senza una 
forza che lo sostenesse, ed egli vedendo che si ac- 
cennava allo Spinola, soggiungeva , avrebbe ricorso ad 

(i) V. Documenti dell'Archivio di Simancas, Doc. Lxxvn, 



284 

una mano d' uomini del Duca di Firenze, poscia tenendo 
questo pure in sospetto tergiversava destreggiandosi e 
promettendo invierebbe nuovamente all' Imperatore il 
Grimaldi con altro e più acconcio disegno, aiutavasi 
col rimedio del tempo. L' ambasciatore Figueroa, dalle 
lettere di cui io ricavo tutto ciò che qui espongo, 
significava all'Imperatore che quanto il Doria propo- 
neva sarebbesi potuto accettare se non vi fosse l'o- 
stacolo della vecchiaia di esso che toccava gli ottanta 
anni, e lui morto, ninno di sua casa rimaneva che 
avesse tanta autorità da succedergli nello stesso grado, 
tanto più che gli era nemico il Cardinale Doria e suo 
figlio, e segretamente ancora Antonio Doria; né po- 
teva tornare di pubblica soddisfazione che gli venisse 
surrogato Adamo Centurioni o il figlio di lui, insuf- 
ficienti entrambi a tanto carico, perocché i servitori 
di S. M. se assai bene si erano acconciati col Doria, 
sia perchè a lui devoto, sia perchè concorrevano in 
esso tutte le qualità che lo faceano degno dell'auto- 
rità che teneva, non di certo vorrebbero assoggettarsi 
ad altri che ne andavano interamente privi. Oltreciò, 
ardevano tuttavia le discordie fi'a i gentiluomini e i 
popolari , i quali ultimi non cessavano di mantener 
vive pratiche con tutti i fuorusciti che nuli' altro at- 
tendevano che la morte del Doria e la mancanza delle 
galee, senza le quali facile loro riusciva d' insignorirsi 
della città, non potendo poi sopportare che ne dovesse 
rimanere il governo nel figlio di Adamo Centurioni 



CAPITOLO QUINTO 



Nuove nucchlnazioni contro il governo del Doria dei fratelli Fieschi , Adorni , Spi- 
nola , del Girdinale e Kicolò Doria di concerto con Francia e il Duca di Parma e 
Piacenza ; timori di Andrea Doria ; insistenza del Gonzaga e dell' Ambasciatore 
Figueroa affinchè venga eletto a Comandante di un presidio gagliardo di difesa 
Agostino Spinola , e si dia opera alla ricostruzione del dstelletto ; loro vive 
istanze perciò con Adamo Centurione e Francesco Grimaldi ; pratiche ulteriori a 
tal fine del Gonzaga col Cardinale Gerolamo Doria e per esso col suo inviato 
Giuliano Salvago che interamente concorre nelle idee di lui per un grosso presidio 
in Genova e la fabbrica della fortezza ; stratagemma dello stesso Gonzaga di una 
sottoscrizione di cento nobili genovesi per V opera della fortezza ; Andrea Doria 
£i intendere indirettamente all' imperatore il difetto di denaro che si aveva per 
costruirla , il Gonzaga consiglia in prima di contentare il Doria coli' abbandonargli 
qualche altro feudo dei Fieschi ; indi scrivergli che il medesimo imperatore era 
disposto a fare le spese per la edificazione di detta fortezza. Intanto il Doria 
stretto in tal guisa da ogni parte, si accinge alla riforma del governo riducendolo 
vieppiù alla forma aristocratica. 

XCVIII. — Mentre tutti questi dissidii pendevano 
e la Repubblica versava in forse di sé medesima per 
coloro che macchinavano di opprimerla col pretesto 
di salvarla, Ottobono e Cornelio fratelli Fieschi, Adorni, 
Spinola, il Cardinale e Nicolò Doria parte congiunta- 
mente, parte disgiunti, con Francia e il Duca di Parma 
e Piacenza cospiravano per invaderla. Andrea Doria, 
l'Ambasciatore Figueroa e il Governatore di Milano 
Ferrante Gonzaga venivano informati che nella città 
di Lione dai francesi si era conchiuso trattato coi fra- 
teUi Ottobono e Cornelio Fiesco per occupare il do- 
minio di Genova; questi ultimi portatisi nel Borgo 



286 

di Valdetaro vi levavano 500 a 600 uomini con affi- 
damento di averne altrettanti dal Duca di Parma e 
Piacenza, ovvero di Castro, con quelli dovevano oc- 
cupare la porta di S. Stefano o dell' Arco, e per questa 
introdotti muovere il popolo colle grida di Francia e 
Adorno, all' uccisione del Doria. Ma giuste non erano 
tutte queste voci né gli Adorni uniti trovavansi con 
Francia e coi Fieschi, vero invece che congiuravano 
cogli Spinola per cacciare il governo del Doria, e im- 
pedire che egli venendo a mancare cadesse in mano 
di Adamo Centurione o del figlio; Andrea Doria 
però sgomentato a questo viluppo di cose chiedeva 
al Gonzaga gli si spedissero tosto quei 400 spagnuoli 
destinati a reprimere i moti di Siena dove la libertà 
italiana disperatamente ancora difendevasi dai fuo- 
rusciti fiorentini, ma venute quelle forze in Ge- 
nova , e per esse presidiata la città , allontanavasi il 
pericolo dell'invasione de' Fieschi aiutati da Francia 
e dal Farnese, e al Doria rinascevano i timori degK 
Imperiali e delle mene degli Spinola e degli Adorni 
congiunti a quelli contro di lui, sicché faceva sentire 
che le cose oggimai volgevano a tranquillità, e già 
la Repubblica ricomponevasi a pace senza bisogno di 
altri provvedimenti. Il Gonzaga però e l' ambasciatore 
Figueroa che aveano fatto fondamento sopra quella 
occasione non rifinivano dall' insistere per un più sta- 
bile ordinamento del governo, il quale, dicevano, non 
potere ottenersi senza un permanente gagliardo pre- 
sidio, quindi Agostino Spinola proponevano eletto a 



287 

capo di questo, e la ricostruzione del Castelletto; e 
il Gonzaga con Francesco Grimaldi, e il Figueroa con 
Adamo Centurioni né tenevano vivaci ragionamenti; 
ma Tuno e l'altro dal Doria indettati schermi vansi, 
e il Centurioni rispondeva che quando le galere tor- 
nate sarebbero da Napoli dove trovavansi per difen- 
dere il Viceré Pietro di Toledo minacciato dal popolo 
levato a tumulto, il quale opponevasi all'uffizio della 
santa Inquisizione che vi si voleva istituire, sarebbe 
stato agevole il dare stabile ordine alla città , che non 
potevasi per allora venire a risoluta operazione, che del 
resto il Doria prometteva di fare in modo che la 
Repubblica rimanesse sempre a divozione di S. M., e 
siccome si replicava per parte del Figueroa che l' Im- 
peratore non potea essere tranquillo senza una forza 
comandata da un capo abile e sicuro , e quindi 
continuamente accennavasi all' Agostino Spinola, il 
Centurioni lasciava cadere il discorso né altro più 
soggiungeva non sapendo come toccare così spinoso 
argomento che per la parte imperiale ad altro non 
riusciva che a togliere la Repubblica di mano al Doria 
per darla allo Spinola disposto ad essere il più docile 
ed obbediente ministro delle più assolute volontà im- 
periali, a rendere in altri termini la propria patria 
interamente soggetta a Carlo V. 

Non altrimenti il Grimaldi inviato dal Doria al- 
l' Imperatore, comportavasi nel suo passaggio in Mi- 
lano col Gonzaga; questi stringevalo d'ogni parte, 
mostrandogli che quelli del governo correvano peri- 



288 

colo di essere dal popolo o dalla plebe tagliati a pezzi 
e la città tolta alla divozione di S. M. Il Grimaldi 
rispondeva: essere parere del Principe e de' Gover- 
natori che riducendosi lo stato colla forma già sta- 
bilita , e tenendosi per due altri anni una buona 
guardia, si avea per certo di vivere in pace, poiché 
la parte contraria dimenticato avrebbe i rancori e le 
male soddisfazioni in che era al presente. Ma il Gon- 
zaga a tali parole nonché appagarsi incalzava nel pro- 
posito con più efficaci ragioni, e il Grimaldi allegava 
che per la difesa, per cui tanto in contrario si con- 
tendeva, si pensava di acconciare le porte della città 
di maniera che quelli eh' erano dentro potessero starvi 
sicuri. Soggiungeva il Gonzaga che ciò non bastava, 
perchè, quantunque potessero resistere per tre o quattro 
giorni non V avrebbero fatto per tanto che fosse ve- 
nuto quel soccorso che solo potevano aspettarsi dallo 
stato di Milano. Replicava il Grimaldi che avevano 
ancora pensato di fare una strada coperta che andasse 
dalla porta di S. Tommaso, eh' era quella del Principe, 
al baluardo di S. Giorgio, il più eminente di tutti, il 
quale essendo serrato per la parte della città servirebbe 
come un castello (i). 

XCIX. — A queste risposte non istavasi contento 
il Gonzaga, il quale per altro mezzo, quello della for- 
tezza, volea raggiungere il premeditato fine, quindi 
appiccava più vive pratiche col Cardinale Gerolamo 

(i) V. Documenti dell' archivio di Simancas; Docum. cxv « 

CXXII. 



289 

Doria , che anch' egli nemico di Andrea , gli portava 
invidia dell' eminente dignità arrogatasi sulla Repub- 
blica , e divisava porsi , come Agostino Spinola , in 
sua vece. Il Cardinale a trattare seco lui, inviava in 
Milano Giuliano Salvago suo fidato, il quale spone- 
vagli che a tener quieta Genova non conoscevasi altro 
modo che quello di mettervi dentro un vicario di S. 
M. con suprema potestà sul criminale, e con la guardia 
in tutto dipendente da esso. Ma il Gonzaga oppone- 
vagli che neppure con ciò potevasi conservare pacifi- 
cata, imperocché se la guardia fosse di poco numero 
e debole non si sarebbe tolta la speranza a' tumul- 
tuanti di potere levarla a sedizione quando voglia loro 
ne fosse venuta, se di grosso numero e forte, come 
dovea essere, in quel caso la città non vorrebbe', né 
potrebbe sopportare, né tollerare la spesa ; e qui destra- 
mente accennava alla fortezza persuadendolo che quello 
era il vero rimedio contro tutte le infermità di quella 
città ; e il Salvago soggiungeva che tutti i buoni, e che 
amavano il buon vivere et ben essere (che sono molti) 
giudicavano il medesimo; e il Gonzaga vedendo pro- 
spero il vento, andava innanzi confermandolo nella 
savia opinione, pregandolo che tanto di sua parte ri- 
ferisse al Cardinale, mentre l' altro replicava che bene 
conosceva cosi questo come gli altri suoi seguaci in- 
clinati tutti alla medesima opinione (i). Intanto il 
Gonzaga di tutto rendendo consapevole l' Imperatore, 

(i) V. Documenti dell'archivio di Simancas, Doc. cxxiii. 

19 



290 

scrivevagli che col Grimaldi mandatogli dal Doria 
persistesse nella proposta perchè il Principe e i suoi 
partigiani erano quelli soli che la disturbavano, ag- 
giungevagli che il Domenico Doria a lui spedito in 
Milano dallo stesso Principe concorreva confidente- 
mente nel parere della fortezza. 

Ora Andrea Doria trovavasi per ogni lato circuito 
ed osteggiato nella suprema autorità che volea man- 
tenere senzachè gli bastassero le assicurazioni ch'egli 
andava ripetendo che quel governo da lui istituito an- 
dava a sangue alla maggioranza e alla più cospicua 
parte de' cittadini, non avendo a nemici che pochis- 
simi e della più vile plebe; che oltre i Fieschi e co- 
loro tutti che si traevano seco , gli erano contrari! 
Adorni, Spinola, e il più eletto numero della stessa 
famiglia dei Doria, discendenti di Oberto, di Lamba, 
di Luciano e di Pagano Doria i veri, e i più grandi 
personaggi di quella casa. Quelle leggi pertanto abbor- 
racciate a suo talento e profitto col danaro di Adamo 
Centurioni, Ansaldo Grimaldi, e Sinibaldo Fiesco mi- 
nacciavano rovina, e cotanta opera cosi destramente 
edificata stava per cadere con lui, quando non ismar- 
ritosi del grand' animo che aveva, tornate che fossero 
le galee di NapoH, gli parve venuto il tempo propizio 
di aiutarsi ancora con nuovi mezzi e scongiurare in 
tal guisa r irrompente procella. 

La quale si addensava più grave sul suo capo per 
nuovi artifizi trovati dal Gonzaga a spingerlo alfine 
al partito eh' egli voleva ; scrivendo al Principe e ad 



291 

Adamo Centurioni, egli fingeva di avere a sua di- 
sposizione cento nobili genovesi pronti a sottoscri- 
vere per r opera della fortezza. Questa invenzione 
li stimulava di sorte che viddero di potere trarre 
un' utilità particolare da quello che senza pericolo 
proprio non era più dato loro di differire. Quindi 
riscrissero che si farebbe risoluzione buona e stabile 
in servigio di S. M. ma che bisognava avere il 
dolce da una mano e dall' altra lo acerbo; che il 
dolce lo aveano, e bisognava usarne per appagar con 
esso li appettiti di molti e giustificare V atto della 
forza quando si avesse dovuto ricorrere a quella; 
deir acerbo mancavano , e bisognava aspettarlo ed 
erano le galee, delle quali si volevano valere, in caso 
di violenza per aumentar le forze; infine che avendo 
consultato con S. M. volevano aspettar Francesco 
Grimaldo per conoscerne le intenzioni. 

Il Gonzaga conobbe i' industria delle nuove dila- 
zioni , e il modo, com' egli si esprime, di vender cara 
a S. M. la sospirata risoluzione e vi scoperse che il 
Principe con questi trovati avesse grandissima mira 
e speranza al rimanente dello stato dei Fieschi, per 
la qual cosa, riferendo al Ministro Granvela tutto 
r occorso, significavagli che conoscendosi la via facile 
e netta, e che solamente avea tanto del difiìcile e del 
fangoso quanto costoro volevano, era di parere che 
S. M. si scuoprisse alla libera con Francesco Grimaldi 
e gli dicesse essergli occorso questo modo della for- 
tezza non per levar la libertà ai Genovesi, la quale 



292 

intendeva che fosse sempre la medesima eh' era allora, 
ma per assicurar la città e sé stessa da innovazioni, 
conoscendo apertamente che di queste non potevano 
mancare se le cose di quella città si lasciassero nel 
presente e pericoloso stato ; aggiungendo , di voler 
questo servigio per mano del Principe Doria, come 
n' ebbe degli altri , ed a lui averne V obbligo ; con 
questo S. M. potrebbe conchiudere che avea deliberato 
con effetto di compiacerlo negli appettiti suoi circa il 
contado del Fiesco. Pregava quindi il Ministro che . 
S. M. facesse questa deliberazione col Principe e col 
Centurioni per mezzo del Grimaldi, ed insistesse con 
perseveranza fino all' ultimo, che senza dubbio le vo- 
glie sue sarebbero adempiute, perchè il negozio ne 
portava seco la istessa facilità, e non gli contristava 
che r appettifo dei due predetti (i). 

C. — Giungevano le galee, e Andrea Doria, parte 
dai numerosi ed intestini e più famigliari nemici com- 
battuto, parte dai beni del Fiesco adescato, risolvevasi 
air opera; mille uomini chiedeva da Milano a Ferrante 
Gonzaga, altrettanti da Firenze al Duca Cosimo dei 
Medici, venuti i quali, presentavasi in Senato, espo- 
nendo: sapersi come Sua Maestà erasi contentato di 
lasciarli in libertà, nella quale aveali mantenuti porgendo 
loro ogni aiuto affinchè la si potessero conservare; 
che visto aveano tuttavia ciò che dal Conte Fiesco 
ed altri cittadini seguaci di lui, si era tentato contro 

(i) V. Documenti di Simancas, Doc. cxxvn. 



293 

l'Imperatore, la Repubblica, e se stesso, e poiché 
poco e lieve era stato il castigo si vedevano ora fatti 
più insolenti non cessando di pensare è procurare ogni 
danno contro il servizio della medesima Maestà Sua, e 
porre in continua agitazione quella città, per la qual 
cosa divisato aveva sia per provvedere al medesimo 
servizio imperiale, sia per pacificare la città, essere 
necessaria la riforma della signorìa e degli altri go- 
verni, e come allora otto erano i governatori col Doge 
non fossero più di quattro, e quattro pure in luogo 
degli otto i procuratori, il Consiglio maggiore com- 
posto di 400, si riducesse a cento; ed un presidio si 
stabilisse di ottocento uomini, é affinchè queste cose 
avessero legalmente effetto, la Signoria nominasse una 
baUa di dieci o dodici cittadini incaricata di formare un 
progetto che venisse dal gran Consiglio approvato, il 
quale ancora deliberasse la somma necessaria allo sta- 
bilimento e stipendio del presidio. 

Però queste riforme se bastavano al Doria per me- 
glio assicurare a sé, e a' successori il possesso della 
Repubblica; non erano quelle che si chiedevano dai 
ministri imperiali al conseguimento di quel fine me- 
desimo desiderato con uguale cupidità dal signor loro. 
L* Ambasciatore Spagnuolo se ne apriva col Doria , 
dicendogli che la sola fabbrica della fortezza avrebbe 
potuto difender la città dagl' interni ed esterni nemici, 
col mezzo di cui si sarebbe risparmiata la spesa eziandio 
del presidio; ma colui rispondeva che a ciò veramente 
avea pensato ma che non gli pareva in quel principio 



294 

cosa prudente il farne motto per non alterar gli animi, 
oltreché richiedevasi tempo e danaro di cui difettavasi; 
e r Ambasciatore a siffatta risposta acquietavasi e scri- 
vevane ali* Imperatore, essere anch* esso di parere che 
vivendo il Doria si poteva per quelle riforme rimanere 
sicuri, non cosi dopo la sua morte (i). 

Non però dello stesso avviso mostravasi il Gonzaga 
d' animo più tristo ed avveduto , geloso , nemico del 
Doria per 1 favori di Carlo che gli erano fitte spine 
nel core. Saputo il progetto della riforma , scriveva 
tosto al ministro Granvela che il Principe accelerava 
quella esecuzione , perchè quando S. M. trattasse della 
fortezza, vorrebbe trovare il modo di replicare, dicendo, 
che lo aver diminuito il numero di quei del Consiglio 
fosse bastato. Giudicava quindi non esser bene lasciar 
pigliar piede a questo modo di governo, ma che con 
quelle ragioni già dette , e le altre che a S. M. e a 
sua signoria occorressero, col ritorno di Francesco 
Grimaldo si mandasse un gentiluomo al Principe, 
dandogli instruzione delle ragioni le quali facevano 
che S. M. non tenesse per durabile quel governo e 
lo astringesse al fatto del castello, perchè con questo 
e col soddisfarlo e compiacerlo di qualche suo inte- 
resse , credeva di certo si disporrebbe a far tutto quello 
che S. M. comandasse; e perchè, aggiungeva, come 
V. S. vedrà, hanno trovata la scusa che di presente 
mancavano del modo di poter fare il detto castello, 

(i) V. Documenti di Simancas, Dee. cxxv. 



295 

gli pareva che a questo sì dovesse rispondere che S., 
M. di mala voglia il farebbe esso, perchè non vor- 
rebbe che in questo caso si credesse la intenzione 
sua essere di soggiogare quella città, che il più ono- 
revole per tutti sarebbe che essi il facessero e lo des- 
sero a S. M. confidati in lei , che avesse a tenerlo 
per fireno d'insolenti e perpetuo stabilimento del go- 
verno ultimamente fatto; che se pure insistessero e 
volessero che S. M. lo facesse per lei, egli credeva 
che non si potesse fare spesa migliore , né di più 
gran profitto (ij. 

(i) V. Documenti di Siraancas, Doc. cxxvii. 



CAPITOLO SESTO 



Carlo V vedendo come il ijegozio della fortezza andava fallito, ordina a* suoi 
ministri che ne cessassero ogni maggiore istanza con Andrea Doria per non alie- 
narne l'animo; quindi per cattivarselo gli assegna le terre del Fiesco, a sé riser- 
vati Pontr emoli e Valdetaro ; e il luogo di S. Stefano d* Aveto conceduto ad 
Antonio Doria ; aumento di pensione ad Agostino Spinola e nomina del figlio dì 
liu a paggio dello stesso Imperatore; assegnamento di 400 scudi annui a Fran- 
cesco Grimaldo ; intanto si continuano i raggiri verso il Doria dall' Ambasciatore 
Spagnuolo per 1' erezione della fortezza ; Adamo Centurione con nuova proposta 
tenta di renderne inutile ogni maggior tentativo; Ferrante Gonzaga con pia 
astutd consiglio scrive ali* Imperatore di trattarne col cardinale Gerolamo Doria. 



CI. — Per questi avvisi, e queste iterate istanze de' 
ministri imperiali che oltre la nuova forma di governo, 
e il gagliardo presidio consigliavano la fortezza, né si 
tenevan sicuri delle cose di Genova, se non del suo 
dominio che solo potea per quella ottenersi , V Impe- 
ratore, trattandone pritna coli' ambasciatore del Doria 
e vedendo 1' aperta opposizione di questo, sia perchè 
del presidio intendeva aver esso il comando, e dopo 
di lui Adamo Centurioni coi figli, sia perchè con- 
trario deliberatamente alla fortezza, ordinava che senza 
abbandonarne il disegno, si procedesse prudentemente 
per non inquietarlo, né di Agostino Spinola si trattasse 
a capo della guardia perché da lui avversato , né della 
fortezza se non a tempo debito e luogo; quindi con- 
formandosi al parere del Gonzaga sperando di meglio 



297 

disporne 1' animo soddisfacendogli di quanto più viva- 
mente desiderava, voleva, e con suo sovrano decreto ^ 
gli assegnava le terre del Conte Fiesco e suoi jfratelli 
con la giurisdizione e rendita loro, eccettuati Pontre- 
moli e Valdetaro a sé riservati, e il luogo di s. Ste- 
fano conceduto per intercessione dello stesso Principe 
ad Antonio Doria ; coli' obbligo però di soddisfare alle 
ragioni dotali di Eleonora Cibo vedova del Conte Gian 
Luigi Fiesco , assicurate sul castello di Cariseto in 
Lunigiana , e quello di ricevere da esso V investitura 
feudale e prestargli lo stesso omaggio che soleano il 
Conte Fiesco e i fratelli. 

Quanto all'Agostino Spinola riconoscendo i grandi 
servigi resi, e la sua profonda devozione inverso l' Im- 
pero, né potendo accomodarlo di alcuna terra dei 
Fieschi senza inframmettere odio, e maggiore nimi- 
cizia tra- lui e il Doria, decretava che oltre la pen- 
sione che avea nello stato di Milano, se gli doves- 
sero pagare per ogni mese cento scudi di soldo in 
aggiunta del suo ' trattamento , e il figlio di lui si ri- 
cevesse a paggio presso l' Imperatore medesimo. L' am- 
basciatore Francesco di Grimaldo per l' affezione da 
lui dimostrata all' imperiale servizio , per tenerselo 
grato, e meglio ancora per i buoni uffizj che avrebbe 
fette nel procurare l' edificazione della fortezza ponendo 
la sua patria in servitù gli si assegnavano in mer- 
cede 400 scudi annui sulle estrazioni della Sicilia (i). 

(i) Vedi documenti di Simancas. Doc. cxxx. 



298 

Intanto secondo gli ordini e la mente di S. M. 
dovendosi regolare colla maggior cautela e prudenza, 
il Figueroa in Genova destramente esplorava di bel 
nuovo r animo del Boria e del Centurione e pren- 
deva a dire loro , che sebbene V Imperatore si confi- 
dasse interamente nel primo per la servitù ed affezione 
che gli avea mostrato in ogni cosa, ed esperienza 
che non poteasi meglio desiderare, vero era però che 
trattandosi di affare cosi grave, negar non si poteva 
la necessità inevitabile della fortezza, col mezzo di cui 
soltanto era possibile di conservare la libertà di Gè- 
nova, resistendo alla furia popolare e difendendo la 
Signoria e la Nobiltà da essa , che ciò e tutto il resto 
dipendeva da lui. Rispondeva il Boria che se potesse 
darebbe persino a S. M. le chiavi del paradiso, come 
quelle di Genova, che lo stesso sarebbe colla fabbrica 
del castello, ma di questo proporre al presente non 
gli pareva savio senza che andasse in rovina, e ne* 
primi fondamenti si distruggesse quanto appena si era 
cominciato; che il meglio gli sembrava di attendere 
gli effetti della intrapresa riformazione , si facesse 
quindi il piccolo consiglio, si stabilisse la guardia, si 
procurasse il danaro necessario a mantenerla , impe- 
perocchè i seicento uomini che si erano condotti 
venivano pagati con danari tolti a prestanza , che in 
seguito, se si vedesse non essere bastante il rimedio, 
allora solo potrebbesi pensare al castello, comechè era 
suo saldo proposito che si assicurasse il nuovo go- 
verno colla guardia per cui quella città costantemente 



299 

rimanesse nel servizio di S. M. Alle quali parole re- 
plicando altre cose V Ambasciatore , soggiungeva il 
Doria: che il solo pericolo da temersi era quello della 
sua morte, ma da quel di 6 novembre al Natale, in 
• cui poneasi ad effetto la nuova riforma , poco vi 
aveva, e che quantunque in cosi breve termine la sua 
morte avvenisse, rimanevano tutta,via molti uomini 
dabbene servitori fedeli di S. M. che del resto sapeva 
come il Cardinale Doria per mezzo di Don Ferrante 
Gonzaga avea inviato ad offerire la città a S. M. pe- 
rocché quelli che si trovavano fuori del governo voleano 
saperne più degli altri, che ne trattavano gli affari. Il 
Figueroa stupito a quei dire sdegnoso e fiero del 
Principe, come meglio gli venia fatto, tentò di miti- 
garne r animo , certificandolo della molta fiducia che 
in lui riponeva l'Imperatore, persuadendolo che pie- 
namente ignorava quanto in ultimo gli riferiva; mail 
Doria con accento più risentito aggiungeva : — Non 
forarlo esso, che sicura notizia ne avea dalla stessa 
Imperiale Corte ricevuta. 

Il di seguente, recavasi Adamo Centurione in casa 
dell' Ambasciatore, narravagli come alla passata notte 
avea pensato intorno a ciò che del castello si era 
trattato col Principe per la sicurezza di Genova, per 
il mantenimento della sua libertà e per conservarla 
in divozione di S. M. sopra del quale avvisava che 
si poteva operare in maniera che lo stesso Amba- 
sciatore significasse alla Signorìa in nome di S. M. 
dicendole ch'era questa informata del mutamento di 



300 

governo che per meglio conservarlo .si era fatto, che 
ben le piaceva, ma non lo giudicava ancora sufficiente, 
rimedio per sua sicurezza, se non fosse accompagnato 
da una fortezza per cui potessero guardarsi e star si- 
curi da ogni evento , poiché essendo necessario , po- 
trebbero anche venire ajutati da Lei. Proponendosi 
la pratica in tal guisa sperava V avrebbero accolta; 
se no si avrebbe avuto modo di ricorrere ad altri 
mezzi. Rispondeva V Ambasciatore piacerle la proposta, 
ma che avea fi'a gli altri V inconveniente che quando 
la Signorìa facesse la fortezza e volesse averla in sua 
mano, S. M. poco ancora potrebbe rimanerne sicura; 
ma, soggiungeva il Centurioni, il più che si ha a te- 
mere è il sollevamento del popolo contro la Signoria e 
la Nobiltà, che si deve con S. M. favorire contro di 
quello, e che per tale rispetto non era sconveniente 
che la fortezza restasse nelle loro mani dalle quali 
sarla più facile ottenerla dopo che fosse fatta. A questo 
giro di parole V Ambasciatore gli chiedeva se di ciò 
si era consultato col Principe, e avutane negativa ri- 
sposta colla conclusione che non dovevasi però di 
nulla trattare finché non si vedesse 1' esito di quello 
che si era intrapreso, accorgevasi che tutto si veniva 
a risolvere alla medesima sostanza, quantunque per 
diversi termini (i). 

CU. — Mentre questo accadeva tra T Ambasciatore 
Spagnuolo , il Doria e il Centurioni , Ferrante Gon- 



(i) V. documenti dell' archivio di Simancas. Doc. cxxxiii. 



301 

zaga che con più acuto e maligno discernimento 
procedeva irremovibile inverso il fine prefisso facea 
palese all' Imperatore che il Principe Doria dopo avere 
in mercede ottenute le terre dei Fieschi, trascurava di 
operare quanto aveva promesso, che era poi suo par- 
ticolare disegno di non volere mandar ad effetto la 
fortezza ; la quale mancando , darebbe cagione che la 
città cadesse in seguito in mano a' firancesi con grave 
pregiudizio di S. M. che necessario essendo un rimedio, 
poiché la stessa M. S. gli avea commesso quel negozio, 
egli ne tratterebbe destramente per mezzo del Cardi- 
nale Doria ad insaputa del Principe sino a che si po- 
tesse almeno venire a conclusione, e quando per questa 
fosse inevitabile il suo intervento, si potrebbe allora 
significarglielo con ciò dimostrandogli che non essendo 
difficile operare senza esso, sarebbe egli di certo dive- 
nuto più arrendevole, né oppostosi a che s'intrapren- 
desse quello che mal poteva più impedire (i). 

(i) V. documenti di Simancas. Doc. cxxxvi. 



CAPITOLO SETTIMO 



Tumulti di Napoli contro l'Ufiizio della S. Inquisizione voluto introdurvi da Carlo V; 
fiotta sotto gli ordini di Marco Centurioni che vi naviga con proporzionate forze 
per sedarli; l'Imperatore meglio avvisato rinuncia al suo disegno; congiura contro 
Pier Luigi Farnese Duca di Parma e Piacenza e suo assassinio ; brutta parte che 
vi prendono Ferrante Gonzaga e Andrea Doria; ipocrisia di Carlo V. 



CHI. — Finora troppo più di quello che facea di 
mestieri io mi intrattenni intorno ai diversi particolari 
che la lamentevole istoria compongono del governo 
dal Doria istituito nell'anno di 1528. Prefisso mi era 
di raccoriitare ciò che tacciuto o per ignoranza, o per 
parzialità veniva dagli storici nostri che scrivevano di 
quei tempi, giovandomi dei nuovi documenti prodotti 
in luce, colla scorta de' quali ho diligentemente tes- 
suta la mia narrazione; se io non erro potei provare 
che fra il cozzo delle diverse ambizioni degli antichi 
Nobili venuti al governo , tutti pretessendo V amor 
della patria, non vi era però alcuno di essi che 
non divisasse di occuparne il dominio soggiogandola 
allo straniero cui vilmente serviva e si obbligava ad 
ogni più vergognosa condizione purché gli venisse 
conseguito V intento , e lo straniero accorgendosi di 
quelle trame, e bene conoscendone le arti, tutti gli 



305 
adoperava, e di tutti faceasi scherno, promettendo, e 
le promesse violando, e quelli sgannati intanto segui- 
vano a tramare e congiurare per dimostrarsi potenti, 
riescire pericolosi, se non tanto da prevalere nell' am- 
bito proposito, da offerirsi almeno a mercato più van- 
taggioso e divenire più caramente comperati con da- 
nari, con onori, e con terre a spese e pregiudizio della 
Repubblica; qui stava e riponeano essi V amore e la 
libertà della patria. 

Questo posto avendo in chiaro, dalle interne divi- 
sioni passo al racconto degli esterni avvenimenti che 
sono a quelle connessi, e ne davano loro lo stimolo 
e r esempio. 

CIV. — Il volersi stabilire in Napoli da quel Viceré 
D. Pietro di Toledo l'uffizio dell'Inquisizione colle 
forme e col disegno che si era seguito in Ispagna, 
mosse a tumulto il popolo, e cosi gravemente che il 
presidio Spagnuolo collo stesso Viceré credettero per 
la meglio di ritirarsi nei castelli donde colle artiglierie 
e colle sortite menavano strage dei Napoletani; i 
quali sdegnati,- già più dell'obbedienza all'Imperatore 
non serbavano che le apparenze; reggendosi con 
gov^no indipendente. Il Viceré, scarso avendo il pre- 
sidio, insufficiente per difesa, quindi esposto in breve a 
mortale pericolo, ebbe ricorso ad Andrea Doria per 
efficaci e pronti ajuti. Avea questi il governo delle 
venti galee, ma sprovvedute d' uomini e di materiali, 
perocché nella notte della congiura, turchi e forzati 
condannati al remo si erano fuggiti, quelli in Barberia 



304 

sopra la galea Temperan:(ay questi riparando alle mon- 
tagne tagliate aveano le catene, di tavolati e di cor- 
redi privati li scafi sicché per riordinarle, ed armarle 
si richiedeva un' egregia somma di danaro, della quale, 
come soleva, difettando il Doria volgevasi ad Adamo 
Centurioni che gliene faceva comodità, pronto sempre 
a soddisfarlo, e tenerselo obbligato che cosi a lui di- 
visava succedere nel primato della Repubblica come 
il figlio suo Marco Centurióni succeduto era all'ucciso 
Gianettino Doria nella luogotenenza e direzione delle 
galee. Infatti sotto il governo di colui navigava la squadra 
in prima al golfo della Spezia imbarcando le genti che 
il Governatore di Milano aveavi spedito dalla Lom- 
bardia, indi a Foce d' Arno, per pigliare al suo bordo 
alcune milizie fiorentine di Cosimo de' Medici; infine 
giunta a Napoli ne rinforzava il presidio tenendolo 
abbastanza sicuro per tutto quel tempo che stettero gli 
ambasciatori a ritornare da Madrid dove la città di 
Napoli aveagli inviati per comporre coli' Imperatore 
il negozio dell' Inquisizione , e scusare il moto popo- 
lare che vi avea data cagione. Tornati che fiirono, 
recando la composizione per cui non più dovea intro- 
dursi l'uffizio inquisitorio, perdonavasi la città eccet- 
tuati venti de' capi del tumulto, e pagarsi dovevano 
2o/mIla scudi di emenda; ciò seguito Marco Centu- 
rioni colle 20 galee veleggiò verso di Genova. 

CV. — Intanto ferveva la guerra in Germania de' 
Cattolici contro i Protestanti; Carlo V combatteva 
questi e vincevali facendo prigionieri 1' Elettore di Sas- 



305 
Sonia ed il Langravio d' Assia sulle rive dell'Elba; indi 
con iscaltrite arti di stato per non porsi a discrezione 
de' Cattolici, e tenere specialmente in isgomento il 
Pontefice e meglio indurlo a suoi fini , lusingava i 
Protestanti, e nelle diete di Augusta fingeva volere 
trarre le due parti ad una conciliazione, mentre della 
C'esca vittoria giovandosi e dell' acquistata potenza , 
costringeva i Principi e le terre fi*anche alle spese di 
un esercito di 20/mila fanti e 4/mila cavalli che l' Im- 
pero e li Stati di Casa d' Austria con una forte lega 
fi:a di loro difendessero. Alla stregua dei prosperi 
successi insaziabili facevansi le ambizioni sue, sicché 
fu detto eh' egli abbracciasse la monarchia universale. 
Dell'Italia, dove di questa volea recare il centro, po- 
neasi intanto ad allargare i confini, e le diverse città del 
Ducato milanese fortificava colle artiglierie trasportate 
dalle germaniche terre per esso occupate, presidiavale 
con fanti spagnuoli sopra i quali facea fondamento di 
maggior fedeltà; e disegnando crear Duca di Milano 
il proprio figlio Filippo richiedevale che giurassero a 
favore di quello e di lui. In tutti questi immoderati 
suoi fini avea per consigliere, aiuto, e maestro Fer- 
rant& Gonzaga, il quale come Genova studiavasi di 
porre sotto l' immediata signoria dell' Imperatore, così 
volea fare di Parma e Piacenza. Che se il primo di- 
segno non gli riuscia per l'astuzia del Doria, per le 
ricchezze di Adamo Centurioni, che coli' egregie somme 
di danaro imprestate a Carlo V lo si tenne obbligato 
per modo che non ebbe animo d' inimicarselo, ed in- 



20 



3o6 

fine per V odio agli spagnuoli del popolo genovese, e 
della stessa nobiltà divisa in vecchia e nuova, di leg- 
gieri invece gli venne fatto di ottenere colà il secondo 
intento, mentre la nuova e mal ferma Signoria Piacen- 
tina vi era odiatissima dalla Nobiltà, sola potente, cui 
come vassallo obbediva il popolo, la quale avendo il 
Gonzaga dalla sua parte più non trovò ostacolo. Dirò 
del modo che tenne con qualche ampiezza di parole 
perocché il fatto va collegato alle cose di Genova in 
questi tempi accadute. 

evi. — Il Pontefice Paolo III smembrava dagli 
Stati della Chiesa Parma e Piacenza, aggiuntele da 
Leone X, formandone un Ducato per il figlio Pier 
Luigi Farnese V anno 1545. Egli ne riceveva la in- 
vestitura, ma l'Imperatore non la ratificava. Il Duca 
avea di fironte la nobiltà e il popolo , la prima forte 
per i feudi e le castella che possedeva, avezza a vita 
libera e sciolta perocché lontana dalla principal sede 
del governo, sicura dei legati che vi si mandavano 
da Roma , facili ad essere corrotti da lei ; il popolo 
invece misero e servo, taglieggiato da' Nobili. Il Far- 
nese credette far suo fondamento anzi sopra di quello 
che su questi, quindi leggi e decreti tutti informati ad 
abolizione dei privilegi , ad uguaglianza di tributi e 
d' imposte , a proteggere i poveri contro i ricchi e 
potenti, a snidar questi dalle loro rocche, obbligandoli 
all'abitazione in città. Fin qui, era un fi-eno e potea 
aver sembianza di giustizia , ma V imprudente ed avido 
Duca non si tenne pago a ciò e volle trascorrere al- 



307 

r usurpazione e all'oppressione; toglieva Cortemag- 
giore ai Pallavicini , Castel S. Giovanni agli Sforza 
parenti suoi, Paviglio ai Gonzaga, il possesso di Ro- 
magnese ai Dal Verme, e tentava di rapire la terra 
di Brescello al Duca di Ferrara. Precipitavasi nello 
stesso tempo a parte francese , rendeasi complice de* 
Fieschi , e degli Strozzi e gli uni e gli altri ajutava 
contro il dominio imperiale in Italia. Di queste sue 
macchinazioni si acquistavano notizie dapprima, e certe 
prove dappoi dal Ferrante Gonzaga, che volea perderlo, 
e ne aveva istruzioni dall' Imperatore che gli scrivea 
in seguito a relazioni a lui fatte addi 14 gennaio del 
1547: Che lo Stato di Parma e Piacenza essendo di 
molta importanza per T Impero, di grande utilità sa- 
rebbe se si potesse fare pratiche per impadronirsene, 
ma procedere si dovesse con simulazione e secreto; 
ricordando che a Pier Luigi non mai gli venne ac- 
cordata r investitura di quelle terre, né mai conceduto, 
né fatta cosa per cui se ne potesse dedurre pregiudizio 
alcuno alla natura del feudo, o diritto del sacro im- 
pero , tanto più che poca sicurezza e confidenza si 
davea avere in questa gente dei Farnesi, specialmente 
per le pratiche e intelligenze che tenevano colla Francia, 
la ricuperazione e riunione delle quali terre all' antico 
Stato, sarebbe un freno all' ambizione firancese, nonché 
il vero mezzo per il sostentamento e conservazione 
del Ducato milanese, e per gli altri potentati d' Italia, 
tanto più che il Duca di Firenze gli era per devozione 
e fede soggetto. Pertanto procedesse avanti nelle pra- 



3o8 

tiche che gli accennava dove avessero vero fondamento, 
ed altre ne intraprendesse, guadagnando sempre gente 
come andava facendo al proprio disegno, di guisachè 
sopravvenendo alcuna buona congiuntura o di sede 
vacante od altra di cui si potesse giovare, il tentativo 
mostrandosi opportuno, si avesse modo di mandarlo 
ad effetto (i). 

Invano dissimulava il Farnese, e avendo con potente 
mano, data opera alla congiura di Gian Luigi Fiesco 
credeva di mostrarsene inconsapevole, o almeno non 
partecipe, consegnando al Doria i complici di quella, 
postisi in salvo nelle terre del suo ducato ; invano alle-- 
gava di voler conservate all' Impero le castella e i 
feudi di Valdetaro e Calestano da lui occupati dopo 
il fallito tentativo, mentre seguitava a congiurare coi 
superstiti fratelli Ottobono e Cornelio Fieschi, e ac- 
coglievali presso di sé, e somministrava loro d' accordo 
colla Francia ajuti d' uomini e di danaro. Il Gonzaga 
esplorandone qualunque operazione stava al varco per 
coglierlo e vedeva armarsi poderosamente il Farnese 
in Cortemaggiore sotto pretesto di decidere colle armi 
una contesa col comune di Cremona per le ghiare del 
Po, e poco dopo per quella del Romagnese dar com- 
missione di 8 mila archibugi alle fabbriche bresciane, 
dei .quali solo 5 mila gli consentiva il veneto governo; 
a questi apparecchi Ferrante Gonzaga facea formida- 
bile massa di gente in Bobbio e ricorreva all'insidie, 

(i) V. documenti dell' archivio di Simancas. Doc. xxxvi. 



309 

proponendo a Carlo V di occupare Piacenza per mezzo 
di un tafferuglio di due suoi malandrini, che avrebbe 
fatto nascere alle porte di quella città ; poi, suggeriva 
uno stratagemma ancora più laido per rubare Parma; 
Carlo, sebbene non fosse migliore del suo Ministro, 
sentiva che la dignità del sovrano per arti si svergo- 
gnate, ne andava di mezzo, né il cuore di padre (che 
qualche fiata sei rammentava) gli bastò di vedere 
esposta a grave pericolo Margherita sua figlia moglie 
di Ottavio figlio di Pier Luigi; quindi disdisse le 
proposte ; Ferrante non indietreggiava per ciò, stu- 
diava di barattar Siena con Parma e Piacenza spe- 
gnendo cosi quella generosa Repubblica, e togliendola 
agli artigli di Cosimo de' Medici che già stavano per 
ghermirla. Ma la condotta e la leggerezza di Pier 
Luigi lo liberava dall' attendere a siffatti disegni por- 
gendogli il destro di soddisfare con maggiore agevo- 
lezza air iniquo proposito. Aveva il Duca dato prin- 
cipio alla fabbrica di un castello, e pensando non ancor 
quello bastante alla propria sicurezza, volevane un altro, 
lamentavano i Piacentini la detestata opera agli avanzi 
di una morente libertà esiziale, ma più la nobiltà per 
i particolari rancori nemica del Farnese ne menava 
scalpore, e le ire popolari infiammava ; Ferrante vide 
alfine giunto propizio il momento e coli' animo pronto 
e feroce si diede ad afferrarlo ; mandò tosto Luigi 
Gonzaga per tentare il cuore di Giovanni Anguissola 
che già congiurava, e aspettava tempo e modo per dar 
compimento al tentativo, l' erezione della nuova rocca 



310 

ne troncò gì' indugi, e indettatosi cogli amici ne scal- 
dava r animo, e deliberavali allo scoppio ; Ferrante 
dava avviso all'Imperatore (13 Giugno 1547): tutto 
essere pronto ; i congiurati non altro chiedere, preso 
il Duca ed occupata la cittadèlla, che un po' di gente 
per difesa della terra ; non potersi por tempo in mezzo, 
già il Papa trattar di cedere Parma e Piacenza alla 
Francia ; vedesse l' Imperatore supremo il momento, 
grave il pericolo. Colui assentiva, ma ipocritamente 
raccomandava non si ponessero le mani sul Duca 
(12 Luglio 1547). Il Ferrante che avea divisato di* 
volerlo nelle sue ne commetteva l'arresto a Luigi 
Gonzaga, e al milite Gazzino ; patti erano che i con- 
giurati oflBrirebbero la città a Carlo V, con questo che 
fossero banditi i beni degli Ottimati avversi all'Im- 
pero, e che seguito il fatto, non si tenesse conto dei 
morti, e delle spogliazioni di quel di, ma tutto si ri- 
tenesse di buona preda; locchè significava che impu- 
nemente dovevasi assassinare il Farnese. Intanto An- 
nibal Caro inviato dal Duca in Milano , scrivevagli 
addi 17 Luglio di quello anno 1547. Di qua siamo 
odiati, invidiatiy sospetti. Si desidera di nuocere alle cose 
di V. E., e forse n' é stato fatto il disegnch. 

C VII. — In questo due nuovi personaggi entravano 
in iscena a rendere più ignominioso lo spettacolo, di- 
mostrando come lo straniero servivasi degli odj inte- 
stini a svergognare nonché a signoreggiare l'Italia, 
Siccome Andrea Doria vendicavasi col rapire le galee 
pontificie, dell'eredità di Visconte Doria contrastatagli 



da Paolo III, cosi adesso voleva trarre vendetta della 
complicità di Pier Luigi Farnese nella congiura di Gian 
Luigi riesco , e della uccisione dell' addottato Gia- 
nettino; quindi fin da i.° Febbrajo 1547 scriveva al 
Principe Filippo che ogni di si andava più scoprendo 
quel trattato della congiura del Fiesco essersi fatto in 
Roma con consulta del Cardinale Farnese e notizia 
del Papa e del Duca di Piacenza e con intelligenza 

de' Francesi sicché, si soggiungeva, consi- 

derasse S. A. se queste erano opere del medesimo 
Vicario di Cristo (i). E poiché Paolo III scolpavasi 
coli' Imperatore dichiarandosi affatto inconsapevole 
delle macchinazioni dei Fieschi, il Doria con sua let- 
tera del 19 Marzo ne smentiva le asserzioni e soste- 
neva r affare delle galere del Papa accordate al Fiesco 
essere stata una compra simulata, e tutto proceduto 
d'accordo tra lo stesso Papa, il Duca suo figlio, e i 
Francesi (2). E più specialmente addi 20 Aprile 

« che il Duca di Piacenza teneva la gente 

» sua pronta per dargli soccorso con quattromila fanti, 
» secondo gli avea promesso, ed è da presuponere 
» con ragione, che non fosse senza noticia ed intel- 
» ligencia del Papa con la evidencia de la andata in 
» persona, la estate passata, del détto Conte a Roma, 
» et li ragionamenti del Cardinal Farnese et altri av- 
» visando V. M. che ancora adesso Scipione fi^atello 
» .minore del detto Conte si tiene in Roma residente 

(1) V. Documenti dell' Archivio di Simancas, Doc. Lxviii. 

(2) V. Documenti come sopra, Doc. lxxxv. 



312 

» in casa della Marchesa di Massa, il quale può es- 
» sere intrattenuto a diversi oggetti, come V. M. pru- 
» dentissima meglio di tutti* saprà considerare, essendo 
» già pochi giorni che fii chiamato in Roma, et non 
» si mostra, se non che va di notte secretamele ac- 
» compagnato da ministri del Papa medesimo ; et le 
» galere sono pagate al solito, non ostante stiano nel 
» porto^ et quello che si avanza del soldo va in be- 
» nefizio delli Fieschi, et li danno anche V entrate del 
» borgo di Valdetaro et di Calestano (i). » 

Ed infine addi 29 Agosto informava il Gonzaga 
come i Fieschi avessero coli' ajuto di Francia e del 
Farnese riannodate le fila dei loro disegni , e che il 
Duca di Piacenza non cessava d' incitare, e far tutto 
il peggio che poteva (2). 

CVIII. — Ma qui fira il Doria e il Gonzaga rime- 
scolavansi le consuete rivalità, il secondo nella sozza 
impresa da lui da molto tempo ordita non volea com- 
pagni, né dividere con altri il merito e il fi-utto del 
meditato assassinio : il Doria oltre la vendetta che co- 
vava, portava ancora speranza che chiarito il Farnese 
reo dinanzi all' Imperatore avrebbe potuto trarre pro- 
fitto dalla decadenza dei feudi di Valdetaro e Cale- 
stano, sicché prima dell'ultima sua lettera si era posto 
d' accordo con Girolamo Pallavicini di Cortemaggiore 
bandito dal Farnese, e col conte Laudi, il quale spe- 
cialmente confermava nel proposito della congiura, 

(i) V. Documenti dell' Archivio di Simancas, Doc. xciv. 
(2) V. Documenti come sopra, Doc. cxvi. 



313 

con promessa eziandio di soccorrerlo e d' interporsi 
presso di Cesare, perchè ne ritraesse quel guiderdone 
che una cosi grande azione meritavasi ; anzi scrive il 
Casoni essere corsa fama che il Doria promettesse 
fino al Laudi per bene premiarlo di cosi grande a:(ione 
di dargli per nuora la sorella del morto Gianettino 
Doria, con una dote di contanti assai ragguardevole: 
La qual cosa,zggìungQ lo stesso Annalista, é stata da 
molti creduta, cosi perché il suddetto matrimonio poco dopo 
segui, come ancora, perché Andrea eh' era nella vendetta 
assai caldo, succeduta la morte del Duca Pier Luigi, 
scrisse una lettera di condoglien:i^a al Pontefice, quasi 
con quelle medesime frasiy colle quali già quegli si era 
seco condolso della morte di Gianettino (i). 

Certo è che il Doria insieme con D. Alvaro De' 
Luna castellano di Cremona, offerivano anch' essi la 
città di Piacenza a Carlo V, promettendola sulla pa- 
rola e la fede di Girolamo Pallavicini e del conte 
Laudi. Carlo della novella trama dava notizia a Fer- 
rante, il quale vedendosi turbato il disegno, né com- 
portando che altri più vi si mescolasse, conchiudeva 
nuovi patti coi congiurati, e li stimolava ad affrettare 
il colpo, mentre fingeva 1' addolorato, e pregava si ri- 
spettasse almeno la vita del figlio Ottavio allora ignaro 
d' ogni cosa giunto in Piacenza, senonchè, poco dopo 
partito, i capi della congiura Pallavicini, Laudi, An- 
guissola e Gonfalonieri rimasti liberi, ed impazienti di 

(i) Annali della Repubblica di Genova, Ann. 151.7, lib. V, 
pag. 200. 



raggiungere il fine, e ridomandato V obblio delle vit- 
time, richiesta per patto la riduzione del censo, più 
non pensarono che a compiere V impresa la quale in- 
fatti ponevasi ad effetto il mezzodì del io Settembre 
del 1547; r Anguissola balzato con due compagni nelle 
stanze del Duca lo stese pugnalato a terra. I congiu- 
rati alzato il ponte si erano impadroniti della Rocca, 
la quale mostravasi tutta in iscompiglio ; la fama del 
fatto era tosto corsa per la città, il popolo che amava 
il Duca si levava a tumulto , il Terni capitano del 
Farnese con mille fanti accorreva, e i congiurati ver- 
savano in grave pericolo, quando preso il cadavere 
deir assassinato lo mostrarono al popolo, e siccome 
questo ancora ne dubitava , lasciaronlo cadere nella 
fossa affinchè cessasse in lui ogni dubbio, e per cat- 
tivarselo gli abbandonarono a saccheggio la cittadella, 
lusingandolo colle grida di libertà; il Terni fu per- 
suaso a desistere da ogni difesa per colui che più non 
era. Intanto lo sparo del cannone avvertiva Lodi e 
Crema che V assassinio era compiuto ; D. Ferrante 
n' ebbe subitamente V avviso, e accostossi alla città, e 
D. Alvaro de' Luna, colui che con Andrea Doria aveala 
offerta a Carlo V accorreva in nome di questo ad oc- 
cuparla. Due giorni dopo vi entrò il Gonzaga coi 
profughi piacentini ; non so se più iniquo od ipocrita, 
mostrò dolore, domandò conto del cadavere, lo fece 
disseppellire, e di nobili arredi ricoperto, riporre in 
cassa munita del suo suggello; perchè venisse recato 
nel tempio della Madonna di Campagna. Imitandone 



315 
r esempio Andrea Boria ne scrisse lettera di condo- 
glianza al Pontefice padre dell' assassinato, ma serven- 
dosi delle stesse firasi di quella a lui scritta, come narra 
il Casoni, per la morte di Gianettino; alla vendetta 
aggiungeva ìa derisione ; cosi Pier Luigi Farnese con- 
giurava per Francia con Fieschi contro il Doria colla 
morte di Gianettino, cosi Andrea Doria per l'Impe- 
ratore congiurava con Landi, Anguissola, Pallavicini, 
e Gonfalonieri contro il Farnese colla morte di lui; 
cosi tra Carlo V e Francesco I pendevano le misere 
sorti d' Italia, e Piacenza, Parma e Genova venivano 
trattale da coloro che millantavansi di esserne i libe- 
ratori! Ritorno alla storia di Genova. 



CAPITOLO OTTAVO 



Pratiche tenute dal Gonzaga col Cardinale Gerolamo Doria per ottenere lo scopo 
della fortezza; ragguagli che,<«e scrive all' Imperatore intorno al suo abboccamento 
collo stesso e ai consigli dal Cardinale suggeriti per rendere a Carlo V più £adle 
il dominio di Genova ; Congiura di Nicolò Doria figlio del Cardinale , coi fratelli 
Fieschi, e di concerto colla Francia ; essendo scoperta, Niccolò si salva colla fuga; 
avviso di essa del Gonzaga all' Imperatore ; complicità di Paolo Spinola nella 
congiura de' Fieschi; essendo per le sue lettere scoperta, riesce a mettersi in si- 
curo in Venezia ; lettera di lui scritta da Venezia al Doge , Governatori e Pro- 
curatori della Repubblica. 



CIX. — La quale città se il Doria aveva deliberato 
di volerla per se, e la propria famiglia. Ferrante Gon- 
zaga voleva come Parma e Piacenza assoggettarla al- 
l' Imperatore, e poiché i tentativi da lui finora pro- 
vati, tutti per r accortezza del Principe, e le ricchezze 
del Centurioni andavano falliti volgevasi ad altro spe- 
diente ed ampio glielo somministravano i maligni umori 
che nella Repubblica e nella stessa famiglia di Andrea 
ribollivano contro di questo. D' uopo era al Gonzaga 
vincere il partito della fortezza, e di un forte presidio 
sotto il comando di Agostino Spinola cagnotto di 
Carlo V; invano avealo tentato fino a quel di; ora 
si appigliava a nuovo mezzo. Era un Girolamo Doria 



3^7 
discendente dal famoso Lamba Doria vincitore de' Ve- 
neziani a Curzola nel 1298, e capitano di Genova, il 
quale, essendogli morta la moglie Luigia Spinola, 
postosi nella carriera ecclesiastica veniva insignito del 
Cappello Cardinalizio. Trovandosi ancora ammogliato 
interveniva nelF anno di 1528 fra i dodici Riformatori 
che le leggi decretavano di quel governo le quali a grande 
potenza innalzavano Andrea. Il Cardinale Gerolamo 
avea con quattro figlie avuto dal suo matrimonio colla 
Spinola un unico maschio per nome Niccolò che spo- 
sava a Camilla Fieschi figlia di Sinibaldo, e quindi 
sorella di Gian Luigi e degli altri fratelli di costui. 
Dopo accaduta la congiura il Cardinale Gerolamo ve- 
dendo come Andrea procedesse contro la famiglia Fie- 
sco con brutta ingordigia e con inaudita ferocia, in- 
dustriandosi a far comparire un mostro il cognato del 
figlio, e fratello della sua nuora, gli parve che non vi 
essendo tutta in esso né la ragione, né la sincerità, 
gli mancasse ancora di riguardo, e alla ingordigia delle 
terre dei Fieschi, e alla premeditata ferocia per ispo- 
gliarneli e perseguirli si aggiungesse pure la trascura- 
tezza e il disprezzo per coloro che aveano cooperato 
alla sua grandezza, sicché andandogli innanzi in ric- 
chezza che ricchissimo era, ed in nobiltà perocché di- 
scendente dal più glorioso ramo dei Doria, studiò modo 
a rovesciarlo di queir altezza, cui egli stesso con altri 
mal cauti aveanlo elevato. Il Gonzaga avutone sen- 
tore non mancò di tramestarvisi per trarne profitto, 
proponendosi per esso di ottenere ciò che altrimenti 



3i8 

non gli era riuscito ; ne fece pertanto destramente ten- 
tare r animo e in ispecialità sopra il fatto della for- 
tezza, e ne raccolse : che « il Cardinale era tanto 
inclinato e sviscerato al servizio di S. M. quanto 
si potesse dire, desiderosissimo di vedere la patria 
sua stabilita nel servigio di quella e sotto V ombra 
sua. Quanto allo stato presente, diceva, di conoscere 
manifestamente che vi moltiplicavano tuttavia tristi 
umori, non avea quiete se non apparente, e quella 
forma di governo non gli pareva in alcun modo 
durabile, e che sebbene la fortezza fosse il migliore 
e più fermo modo che si potesse trovare per assi- 
curarsene, nondimeno non gli pareva che si dovesse 
proporre, né tentar ora cosi ex-abrupto cosa di 
tanta importanza, e che porterebbe tanta ombra e 
gelosia al popolo di volergli occupare la libertà; 
né potria questa domanda farsi mai tanto modesta, 
tanto coloritamente che non fosse per causare una 
generale mala soddisfazione. Ma, per cominciar da 
più basso, pareva al detto Cardinale che S. M. do- 
vesse per ora procurare di avere la città e fortezza di 
Savona, la quale essendo vicino a Genova XXV mi- 
glia, et su la marina, e di tanta importanza a quella 
città, che si era veduto sempre quelli essere padroni 
di Genova che lo erano stati di Savona, e se non 
assoluti, almeno tanto molesti, che si era veduto 
manifestamente nei tempi passati che Genova non 
avea mai potuto vivere con quella stecca negli oc- 
chi. Questa cosa al parer suo sembrava più &cile 



319 

» da ottenere e meno scandalosa ; ed ottenuta questa, 

» se si fosse veduto poi non bastare, si poteva ten- 

» tare anco T altro rimedio della fortezza in Genova. 

» E neir uno e V altro caso il detto Cardinale prò- 

» metteva, e si offeriva confidentemente, di favorire 

» con li dipendenti suoi il servizio di S. M, con tutte 

» le forze e con tutta T autorità sua, poiché sebbene 

» il principe Doria fosse servitore di S. M. nondimeno 

» si vedeva chiaramente eh' egli procurava tuttavia più 

» il particolare interesse, che il serviT^io imperiale, e la quiete 

» della Patria. Il modo poi d' incaminare questa pare 

» a lui che sia che V. M. per dar maggior autorità 

Mi al fatto, mandi un suo a posta, che con l'ambasciator 

» Figueroa proponga e tracti il negozio. Ma sopra 

» tutto desidera il detto Cardinale che di questi par- 

» ticolari che escono da lui ne sia fatta riserva e sieno 

» tenuti secreti ; perchè, riuscendo o no, egli non 

» abbia a restarne sullo stomaco al popolo; ed ap- 

» presso che queste feste di Natale sotto colore di 

» venire a visitare una sua figliuola a Valenza di 

» Lombardia, vederà di abboccarsi in ogni modo 

» meco in qualche luogo o su qualche caccia, mos- 

» trando che sia all' improvviso per dare manco so- 

» spetto che sia possibile, e se altra cosa resterà 

» da risolvere, o discorrere si farà allora tra noi; 

» e che fratanto mi terrà diligentemente avvisato ciò 

» che alla giornata si andrà scoprendo degno di no- 

» tizia; acciochè io ne possa avvisar la M. V. , o 

» farne le provvisioni che da me potranno uscire ». 



320 

Cosi scriveva Ferrante Gonzaga ali* Imperatore il Di-^ 
cembre del 1547 (i). 

ex. — Mentre in tal guisa il padre congiurava col 
Gonzaga contro Andrea Doria e propone vasi il modo 
perchè la Repubblica più facilmente venisse assogget- 
tata air Imperatore, il figlio di lui Niccolò congiurava 
col Cardinale De Bellais contro lo stesso Doria af- 
finchè fosse sottomessa a' Francesi. Niccolò Doria, 
fornito di molte ricchezze, e di gran seguito nella città, 
come già dissi era cognato dei firatelli Fieschi, avendo 
a consorte la sorella loro Camilla, egli ne aveva ab- 
bracciate le parti, e continuava con Ottobono e Cor- 
nelio Fieschi ad esser loro unito in tutti i tentativi 
che tuttavia facevano, diguisachè fin dal gennajo dello 
stesso anno di 1547 veniva per avviso di un agente 
segreto, indicato da Piacenza come complice delle trame 
ed intelligenze che i Fieschi seguitavamo a mantenere 
in Genova e col Duca Pier Luigi Farnese (2). Nei primi 
mesi del 1548 una grande ragunata di genti facevasi 
segretamente ai confini di Modena e Reggio, e sem- 
bra fossero destinate all' esecuzione del trattato che il 
Niccolò Doria teneva col nominato Cardinale De Bel- 
lais, cui il Papa e il Cardinale Farnese di lui nipote 
consentivano ; nel tempo istesso che quelle genti si 
raccoglievano, licenzia vansi da Bologna 300 fanti, che 
congiunger do ve vansi con esse. U ambasciatore Fi- 

(i) Vedi Documenti dell* Archivio di Simancas. Doc. cxxxvri, 
pag. 223. 
(2) Vedi Documenti dell' Archivio di Simancas, V. Doc. Lxn. 



32.1 

gueroa venuto intanto a cognizione del trattato, com- 
municavane la notizia alla Signoria, che citato il Doria 
a comparire assentavasi improvvisamente dalla città. 
Ferrante Gonzaga avvisato di Questo ne scriveva al 
Cardinale, il quale rispondeva che voleva farlo presen- 
tare; ma non prestandovi egli fede, sebbene si. fosse 
servito di lui per abbassare V autorità del Principe ed 
agevolare il negozio della fortezza, significava all' Im- 
peratore da Vigevano addi 9 marzo del 1548, che il 
citarlo era stato uno stesso di avvertirlo che se ne 
doveva fuggire e piacesse a Dio che qui cessasse il 
male, e non fosse uscito di Genova un nuovo Strozzi. 
Quanto al volerlo presentare che prometteva il Car- 
dinale padre, conchiudeva : Se lo farà, sarà con tal si- 
cure:(p^a che non ci sarà chi abbia animo di mirarlo, non 
che far altro, e tanto più si verrà in cogni/^ione della 
poca parte che ha V. M, in Genova ; la qual cogni:(ione 
potrebbe generar di molti mali (i). 

CXI. — Nel medesimo tempo o poco innanzi sco- 
privasi la corrispondenza che coi Fieschi , e il Duca 
Farnese intratteneva Paolo Spinola. Gli Spinola erano 
tutti nimicissimi di Andrea Doria, ma divisi in due • 
rami di S. Luca e di Luccoli, il primo di essi avendo 
a capo il capitano Agostino cospirava cogli Adorni 
per sottomettere interamente la Repubblica a Carlo V, 
ponendosi in luogo del Doria al governo di questa, 

(i) Vedi Documenti come sopra, V. Doc. cxxxix. Nota, 
pag. 228-229. 

2t 



322 

il secondo cui apparteneva Paolo Spinola parteggiava 
per Francia. Sorprese le lettere di lui, recaronsi dal- 
l' ambasciatore Figueroa ad Andrea Doria, e ad Adamo 
Centurioni, i quali mostravansi già consapevoli. del fatto, 
di cui avevano ricevuta communicazione da un fratello 
dello stesso Paolo con affidamento di non fargli alcun 
danno ; però dicevano esser questa pratica e intelli- 
genza nuova, e che in cosa di siffatta qualità non si 
poteva procedere all'arresto di sua persona senza darne 
parte ai due supremi sindacatori, che ciò fatto, la se- 
guente notte sarebbesi spiccato 1' ordine dell' arresto. 
Ciò nondimeno si attesero due giorni, e intanto av- 
visato lo Spinola si salvò colla fuga. Condottosi a 
Venezia e colà riunitosi agli altri fuorusciti scriveva 
poscia addi 6 Aprile del 1548, un'assai minacciosa 
lettera al Doge, Governatori e Procuratori della Re- 
pubblica che sebbene già pubblicata dal Sig. Avvocato 
Edoardo Bernabò Brea (i), è pregio di queste istorie 
di qui riferirla : 

(( All' Ill.mo et Ecc.mo Duce Mag.*'* Sig.'' Guber- 
» natori e Procuratori della eccelsa Republica di Gfr- 
» nova. 

» Ill.mo Sig." Duce Mag.*"* Sig.'' Gubernatori e Pro- 
» curatori. Havendo le V. S. fatta fare per una pub- 
» blica grida eh' io fra termine di uno meise me do- 
» VQSSQ a presentare a render conto de' fatti miei, 

(i) Sulla Congiura del Conte Gio. Luigi Fieschi, Documenti 
inediti raccolti e pubblicati dall' Avvocato Edoardo Bernabò Brea, 
pag. 135- 



323 

» altrimenti se intendese ch'io fiissi vostro ribello, 

» sotto la pena contenuta nel bando, e non essendomi 

» detto bando prima di adesso prevenuto alle orecchie, 

» sono constrecto de far nova suplica a quelle pregando- 

» le, come persone giuste quale presupongo che siano, 

» che vogliano prima farmi gratìa di prolongare il 

» termine e conciedermi giusto spatio e competente 

» de puotermi a presentare, riponendomi nel primiero 

» stato, non altrimenti se il bando fussi andato al pre- 

» sente. E perchè conosco manifestamenti che in tutte 

» le città sono delli maligni, massime in la Vostra 

» che n' abbonda più che tutte V altre, essendovi in- 

» finiti contrarli alla virtù, alla quiete, e alla libertà 

» del Vostro eccelso dominio, di maniera che li po- 

» veri Cittadini non hanno ormai altro di libero se 

» non il nome, e colui che fussi assicurato da V. S. 

» HLme, sarebbe sicuro solamente di nome e non di 

» fatti, però è cosa necessaria che li homini si assi- 

» curino con migliori cautele da quelli che nella città 

» manifestamenti hanno occupata la libertà, che dalla 

» Repubblica stessa, tra quali tenendo Andrea Doria . 

yf il principato ed essendo principe in facti e nome, 

» havendo più autorità e forse maggiori che non 

» hanno. le S. V. Ill.me massime conoscendolo in 

» eflfetti nemico capitalissimo di tutta la nostra fami- 

» glia, pertanto le suplico che volendomi fare la prima 

» gratia, mi facino anche la seconda da farmi bavere 

» il salvo condocto e libero reducto espedito d' ogni 

» molestia, travaglio palese e occulto, directe ed in- 



324 

» directe, per se e per altri che dependessero da detto 

» Andrea Doria. In oltre perchè con vostra e mia 

» vergogna manifestamenti si vede che la Sacra Maestà 

» de r Imperatore si piglia più cura e pensiero di detta 

» Vostra Città che s'ella fussi sua sugietta anzi schiava, 

» e in nome amico e in effetti è padrone e signore, però 

» essei;ido io forsato a passare per il paese de detto im- 

» peratore, volendo de qua venire nella Città Vostra, 

» per questo le suplico a farmi havere vero salvo con- 

» ducto da Don Ferante suo luogotenente generale in 

» ItaUa del medesmo tenore e substantia delli altri. E 

» per fornir la mia Suplica, havendo inteiso che contro 

» ogni iustitia e fiiori d'ogni costume e antiquo uso TUf- 

» ficio di San Georgio à intromesso la sua autorità in 

» detto bando, però saranno contente farmi havere uno 

» salvo conducto del medesmo tenore delli altri da detto 

» Ufficio, li quali salvi condocti havuti e ricevuti da 

» subito mi verrò a porre nelle mani Vostre per remet- 

» termi al Vostro buon iuditio, sapendo che non sarà 

» contaminato d'altrui malevolenza, havisando quelle 

» che se bene ritracto mi sonno in Venetia e congiun- 

» tomi al numero delli altri fuorusciti, questo solamenti 

» è facto per sicurtà della mia propria vita e non per 

» contrafare e oppormi ad alcun Vostro volere, ma in 

» caxo che V. S. lU.me non mi facino avere i detti 

» salvi condocti e ridocti non si maraviglino s' io non 

» mi apresento volendo assicurare la vitta mia sopra 

» tutte r altre cose, né per questo pensarò d'haver perse 

» le mie jurisditioni in altro tempo apresso di V. Ill.me 



325 

» Sìg/*% alla cui bona gratia humìlmente mi racco- 
» mando. 

» Da Venetia a di sei di Aprille del anno del 1548. 
» Di V. S. IlLme 



» Bon Servitore e Figliolo 
» Paolo Spinola. » 



LIBRO QUARTO 



CAPITOLO PRIMO 



Orìgine , studi , costumi , qiudità di Giulio Cibo ; sue discordie colla madre per il 
marchesato di liassa; evidente di lui complicità nella congiura di Gian Luigi 
Fiesco suo cognato. 

CXII. — Sejionchè tutte queste trame di uomini 
particolari, aveano in quel momento relazione, ed erano 
parti connesse di più vasta macchinazione che si an- 
dava allora tessendo contro il governo del Doria e 
quello deir Imperatore, da cui il primo derivava la 
propria origine e potenza. Come Niccolò Doria co- 
gnato di Gio. Luigi Fiesco, tal' era Giulio Cibo mar- 
chese di Massa, perocché sorella di questo, Eleonora 
Cibo moglie di quello. Dirò di lui, della congiura 
eh' egli ordì, delle cause che la originarono, delle arti, 
e dei mezzi di cui si giovò, dell' infausto fine che la 
ebbe traendolo in gran parte da una pregevole memo- 
ria storica dell'Illustre canonico Francesco Musettini(i). 

(i) Ricciardo Malaspina e Giulio Cybo, Memoria storica del 
Canonico Francesco Musettini Vicepresidente della R. DepuU- 
zione di Storia Patria per la Sotto-Sezione di Massj^-Carrara. 
(Modena, per Carlo Vincenzi, 1864). 



327 

Alberico marchese di Massa sposava la primogenita 
sua Eleonora con Scipione Fiesco zio di Gian Luigi; 
morta quella il vedovo Fiesco impalmava con Ric- 
ciarda secondogenita sua; moriva il Fiesco, ed essa 
per volere del pontefice Leone X rimaritavasi con 
Lorenzo Cibo, di cui padre Franceschetto figlio di 
Papa Innocenzo Vili e madre era Maddalena di Lo- 
renzo de* Medici detto il Magnifico, sorella di Pietro 
Signor di Firenze e dello stesso Pontefice Leone X. 
Da siffatto maritaggio nascevano Eleonora sposata 
poscia al Conte Gian Luigi del Fiesco, Giulio, ed Al- 
berico. Ricciarda per disposizione testamentaria del 
padre dovea godere del marchesato di Massa e Car- 
rara finché il primogenito che di lei fosse nato avesse 
raggiunta T età dei venti anni , coli' obbligo a questo 
di pagare alla madre 14 mila scudi d' oro. La quale 
gelosissima del potere temendo il nuovo sposo d' in- 
dole fiera ed ambiziosa, essendo Tanno di 1525, in- 
dirizzavasi segretamente a Carlp V pregandolo a vo- 
lerle concedere Y investitura del Marchesato, locchè le 
si accordava con l'imperiale diploma del 16 luglio 1529, 
per cui Massa e Carrara perduta la indipendenza dive- 
nivano un feudo imperiale. Il marito Lorenzo sdegna- 
tosi dell' atto inconsulto della moglie che per cupidità 
di stato facea perfino vergognoso sacrificio della libertà 
propria, e di quella de' suoi popoli, prese con essa un 
assai fiero contegno, e fii guerra, ed odio tra' conjugi, 
e Lorenzo ebbe modo coi favori di Clemente VII, 
che i Medici ai Cibo andavano tenuti d' ogni grandezza 



328 

ecclesiastica cui erano saliti, che venisse dichiarato per 
un altro diploma imperiale del 21 Marzo 1530 essere 
compadrone colla moglie del marchesato di Massa e 
suo successore sopravvivendole senza figli legittimi. 
Questo colmò la misura de' vicendevoli risentimenti, 
e decise della separazione loro; Ricciarda coi figli a 
Roma , Lorenzo recossi ad abitare nella sua villa 
d' Agnano vicino a Pisa. La discordia domestica 
nocque all' educazione dei figli , poiché come Giulio 
era prescelto dal padre, Alberico lo fii dalla madre, 
e dall'esempio fimesto animati i sudditi, alcuni par- 
teggiavano per Giulio, altri, per il fratello Alberico, 
invano lo zio cardinale Innocenzo, e Cosimo de' Me- 
dici travagliandosi a cessarne la divisione. Intanto Ric- 
ciarda addi 7 Aprile del 15^3 otteneva nuovo diploma 
che le facea facoltà di disporre per testamento del 
feudo di Massa a favore di quello dei due figli che 
più le sarebbe tornato a grado; infine con altro di- 
ploma del 26 Settembre 1541 riusciva a far annullare 
quello dei 21 Marzo 1530, rivocata essendo col primo 
la concessione a prò di Lorenzo, che Carlo V dichia- 
rava contraria ai diritti di Ricciarda, né consentanea 
a giustizia. Intromettevasi inutilmente il Cardinale co- 
gnato a sedare le dissensioni, e vedendo non potergli 
venir fatto in alcuna guisa risolvevasi egli stesso a 
condursi in Massa e prendere le redini dello stato, e 
Ricciarda lietissima della risoluzione volentieri gliel con- 
sentiva. In questo, il giovine Giulio correva V anno sedi- 
cesimo di sua età, e qual egli si fosse lo dirò, togliendo ad 



329 

imprestito le parole medesime del canonico Musettini, 
che meglio noi potrei di me stesso farlo: « Fornito 

» da natura d' intelligenza pronta e perspicace, e d* in- 

» gegno facile e accorto, avea risposto con singolare 

» profitto alle cure de' suoi maestri e istitutori ; e per 

» cultura di mente e per gentilezza di modi faceasi 

» molto distinguere fira i giovani di sua condizione, 

» dei quali era appena alcuno che Y aggiugnesse per 

» avvenenza e robustezza di corpo. Il Cardinale suo 

» zio scorgendo in esso insieme a molte belle qualità, 

» un naturale ardente, intollerante di freno, e giu- 

» dicando aver egli bisogno d' informarsi per tempo 

» alla vita dei grandi e alle arti della politica; per- 

» suasosi che al doppio scopo di temperarne il ca- 

» ratiere e di addestrarne la mente, gioverebbe assai, 

» se Giulio passasse qualche anno alla Corte, d' intesa 

» con Lorenzo e Ricciarda, procurò la di lui ammis- 

» sione alla Corte Imperiale in qualità di gentiluomo 

» dì bocca. Ottenutone facilmente il beneplacito del- 

» r Imperatore Carlo V, dispose perchè Giulio par- 

» tisse tosto pel suo destino, riccamente corredato, 

» come il suo rango, e lo splendore di si gran corte 

» esigevano. Accolto con ogni maniera di distinzione, 

» e ben presto ricercato e desiderato dalle più cospicue 

» Éimiglie di Principi e Signori, non venne meno al 

» decoro e nobiltà di sua condizione. Nei tre anni che 

» passò lontano da' suoi , seppe si bene cattivarsi 

» r amore di Carlo, e l'ammirazione dei cortigiani, 

» che a tutti si rese accettissimo non meno per le 



330 
sue belle e nobili maniere che per la vivacità e 
brio singolare di sua giovinezza. O caracolasse su 
bizzarro cavallo, o in torneo manegiasse la lancia 
o la spada, o si trovasse in lieti convegni, o pren- 
desse parte in serie adunanze, la sveltezza, la gra- 
zia, lo spirito, il senno del Marchese di Massa erano 
su la bocca di tutti. Sul finire del terzo anno di sua 
lontananza dall' Italia e dalla famiglia , sollecitato 
dallo zio Innocenzo al ritorno, prese comiato dal- 
l' Imperatore e dai numerosi suoi amici, e in lieta 
compagnia di Signori e Cavalieri suoi pari si avviò 
alla volta d' Italia , afiirettando in suo core il mo- 
mento di riabbracciare i parenti, e più ancora quello 
di far prova di sua abilità nel governo del suo Mar- 
chesato, di cui, non dubitava, avrebbe ottenuto fa- 
cile rinunzia dalla Madre (i). » 
CXIII. — Ei s' ingannava ; conduttosi in Roma 
dov' era la madre col fi'atello Alberico avviato nella 
carriera ecclesiastica, dopo le liete accoglienze dei primi 
giorni, fece a quella sentire com' ei desiderava di aversi 
il governo dello stato suo; al che, mutando di repente 
colei viso e contegno, rispose sdegnosamente : — Non 
lo sperasse, essere lei la Marchesa di Massa, e mentre 
viveva, niuno ne otterrebbe il governo. Giulio da tale 
risposta indispettito lasciava Roma, recavasi a Massa, 
dove lo zio Cardinale travagliavasi a calmarlo, indi 
dal padre a Pisa ; che se questi aveva il torto di scal- 

(i) Op. cit. pag. 17-18. 



331 

darne le ire, maggiore, e primo era quello della madre 
che negava di restituire al figlio quanto per diritto del 
testamento dell' avo gli apparteneva. La quale temendo 
r animo ostile del marito e del figlicj, severissimi or- 
dini mandava al suo castellano di Massa Pietro Gas- 
sano, vietasse V accesso al Castello di Giulio, tenessesi 
in guardia d'ogni inganno e sorpresa; né parendosi 
ancora sicura, essa stessa si conduceva in Massa per 
meglio soprawegliare ad ogni evento che gliene po- 
tesse turbare il possesso. Trovavasi sul cadere del 1545 
in Carrara col Cardinale cognato quando Giulio con- 
cepì il disegno di sorprenderla, farla prigioniera, e co- 
stringerla in tal guisa alla rinuncia di quel potere che 
avea negato alle siie preghiere. E il tentativo gU riusci, 
e padrone già era del Castello, quando alle istanze, 
alli consigli e alle supplicazioni del Cardinale zio s' in- 
dusse ad abbandonare la fortezza occupata, colla pro- 
messa che quegli avrebbe composta ogni sua differenza 
colla madre, e ottenutogli il governo del Marchesato. 
Ma non appena ebbe sgombro colla sua gente il Ca- 
stello, che Ricciarda riavutasi dallo spavento della 
sorpresa, parti di repente, e riportossi a Roma, donde 
più altiera ed indignata di prima spedi ordini rigoro- 
sissimi al castellano Pietro Gassano per la custodia 
della fortezza, commettendogli, che, lei mancando, lo 
stato venisse rimesso ad Alberico suo secondogenito. 
Giulio fece minacele, il Cardinale diede consigli, la 
Madre spregiò le prime non ascoltò i secondi, e tirò 
inflessibile innanzi nelle sue ire, e nelle sue ambizioni. 



332 

Allora Giulio si appigliò a più decisive risoluzioni, 
rivolsesi per soccorso a Cosimo de' Medici duca di 
Firenze, al Principe Andrea Boria e ai Marchesi di 
Lunigiana; potè nel settembre del 1546 raggranellare 
mille fanti e cento cavalli, con questi invase il terri- 
torio di Massa e Carrara, e se ne insignori. Ma il 
castellano Pietro Gassano provvedutosi d' uomini e di 
munizioni ritraevasi nella fortezza , e opponeva colà 
una fierissima resistenza ; la quale non potendo Giulio 
superare, mandò a Genova e il Boria richiese di ar- 
tiglieri e cannoni; e colui lo soddisfece dando ordini 
a Gianettino Boria che tornando da Livorno allorché 
fosse rimpetto a Massa, calasse a terra e quello fa- 
cesse che Giulio Cibo gli avrebbe ordinato. Avuti que- 
sti artiglieri e cannoni, la fortezza si arrese non prima 
però di vedersi i suoi difensori minacciati dell' ucci- 
sione delle mogli, e dei figli che tutti trovavansi in 
mano degli assalitori. Il castellano Gassano odiatissimo 
per la sua irremovibile fedeltà a Ricciarda , fii dopo 
parecchi giorni della resa sorpreso in sua casa dal ca- 
pitano Moretto Venturini, fidatissimo di Giulio, e da 
altri in numero di 50, quindi messo crudelmente a 
morte insieme a due suoi figli e ad un nipote. Del- 
l' assassinio si diede colpa a Lorenzo e Giulio padre 
e figlio Cibo, senonchè, per quanto non si ha prova 
che il disapprovassero, non vi ha però quella che il 
comandassero, certo è che il Gassano fomentava gli 
odj tra madre e figlio, e sapendosi in grande avver- 
sione di quest' ultimo, infiammava l' animo della prima 



333 

a maggior ira contro di lui. Venuto Giulio al pos- 
sesso dello stato si diede a migliorarne Y amministra- 
zione, a fortificarne con gagliarde difese le parti più 
deboli, a tenere in rispetto i partigiani della Madre, 
indi colle alleanze a provvedersi di maggiori forze per 
ogni eventualità, ristringendosi specialmente col Duca 
di Firenze, e contraendo promessa di matrimonio con 
Peretta Djoria sorella di Gianettino e nipote del Prin- 
cipe Andrea. Egli è in questo tempo che accadde la 
congiura di Gian Luigi Fiesco cognato di lui. 

CXIV. — Giulio col Marchese di Fosdinuovo ed 
altri Marchesi accompagnati da mille cinquecento uo- 
mini muovevansi da Massa verso di Genova; il ca- 
nonico Musettini nella lodata sua memoria, afferma 
che tale mossa avea per fine di accorrere in favore 
dei Doria; senonchè a siffatta affermazione contrasta 
una lettera del capitano della Spezia Gasparo De' For- 
nati scritta alla Repubblica alle ore due del 4 Gen- 
naio 1547 ove riferisce che quella mattina dovevansi 
trovare al Bor ghetto i detti marchesi coi 500 uomini 
destinati per Genova, ed egli ciò inteso aveva spedito 
colà il suo Vicario per intendere dalle loro Signorie 
la causa di quella novità con avvertirli bene di ciò 
che si facevano perchè gli pareva che fosse in pregiu- 
dizio della RepubbUca (i). Ora se alle ore due del 
di 4 dovevansi trovare al Borghetto, certo è che eransi 

(i) Sulla Congiura del Conte Gio. Luigi Fieschi,^ Documenti 
mediti raccolti e pubblicati dall' Avvocato Edoardo Bernabò Brea, 
pag. 154, Doc. XIV. 



334 
mossi da Massa la mattina almeno del giorno 3, ma 
se ' la congiura scoppiava la notte del due Gennaio, in 
qual modo Giulio ne avea ricevuto notizia da Genova 
a Massa e tempo bastante gli era conceduto ad ordi- 
narli, e incamminarli al Borghetto per la mattina del 
giorno 4 per vie dirupate ed alpestri quali esistevano 
allora ? E procedendo innanzi, chi gli aveva spedito 
r avviso ? non Gianettino eh* era ucciso, non Andrea 
Doria eh' era fuggito appena udita la morte del ni- 
pote, non r Ambasciatore Spagnuolo che stava egli 
pure per mettersi in salvo , non quei pochi che in 
quella notte si riunirono in Senato inconscii intera- 
mente del fatto , né sapendo quali ne fossero i veri 
autori, e quale scopo si avessero prefisso ; appena nel 
decorso del giorno 3 e 4 potè rimettersi il Governo 
dallo stordimento che aveanlo colpito. Se per le ad- 
dutte circostanze non potea Giulio essere informato 
dello scoppio della congiura, opponendosi il ristretto 
termine di tempo colla difficoltà, e la distanza de* luo- 
ghi, eppur lo sapeva a tale da raccogliere 1500 uomini 
in tempo adatto ed utile e indirizzarli alla volta di Ge- 
nova, non altrimenti questo può spiegarsi che con un 
concerto precedente del Cibo coi Fieschi, che quindi 
per essi non per il Doria si muovesse cogli altri 
Marchesi ad ajuto, e si arrestasse nel cammino, ri- 
volgendosi addietro, non già perchè più di soccorso 
non abbisognasse il Principe, che non ancora era tor- 
nato in Genova, e questo versava tuttavia in pericolo, 
ma perchè gli pervenne che i Fieschi aveano avuto 



335 
la peggio ed egli sentì che senza potere rimetterne 
la fortuna sarebbesi compromesso. Naturale era allora 
per lui il dare a quella mossa di armati il motivo es- 
sere accorso a difesa dei Doria e non dei Fieschi, e 
ciò per isfiiggire ad ogni sospetto di complicità, e il 
Doria sei credette, o se ne infinse e ringrazioUo, per 
la qual cosa il Cibo fatte tornare addietro le solda- 
tesche con duecento uomini tra cavalieri e pedoni im- 
barcossi per Genova, dove a festa venne accolto dal 
Principe, e la promessagli sorella di Gianettino gli 
accordò in isposa colla cospicua dote di scudi d'oro 
ventimila. Ma tuttociò non può essere, secondo le più 
volgari convenienze, accaduto che dopo qualche tempo 
della morte del nipote, imperocché nei successivi giorni 
a quello della fallita congiura ben altro Andrea Doria 
avea in mente che di maritare la figlia calde le ceneri 
ancora del padre, e si voleva avanti ogni cosa prov- 
vedere per lui alle sorti di quel governo da esso isti- 
tuito, minacciato d' ogni parte dagl' interni ed esterni 
nemici. Concludo quindi che Giulio Cibo era congiu- 
rato col cognato Fieschi , pronto a soccorrerlo, e se 
ne astenne quando conobbe di non poterlo con utile 
de* congiurati, e senza pericolo suo, e il Doria dissi- 
mulando conchiuse in seguito le nozze, riservandosi, 
come soleva, a tempo più opportuno la vendetta. 



CAPITOLO SECONDO 



Giulio Cibo privato del Marchesato di Massa dalla Madre, abbandonato dal Cardinale 
suo zio, dal Duca di Firenze, ingannato d' Andrea Doria e tenuto a bada da Fer* 
rante Gonzaga, prende parte alia Congiura dei fì-atelli Fieschi e fuorusciti geno* 
vesi coi Cardinali francesi Di Bellay, e Lorena, prima in Roma e poi in Venezia; 
fatto arrestare da Ferrante Gonzaga, viene condotto nel Castello di Milano, pro- 
cessato, torturato, e decapitato. 



CXC. — A questa intanto andava pure pensando 
Ricciarda, e cosi seppe fare, e la pratica condusse con 
tanta energia e con tale un accorgimento che riusci ad 
ottenere da Carlo V che commettesse al Governatore 
di Milano Ferrante Gonzaga V esame delle quistioni 
che dividevano madre e figlio, curandone il compo- 
nimento, e disponendo a norma di giustizia (i). E il 
Gonzaga ponea tosto mano all' opera, e primamente, 
pendendo il giudizio, ordinava la consegna della for- 
tezza» di Massa in mano dello zio Cardinale Innocenzo 
Cibo, rassegnando al medesimo il governo del Mar- 

(i) V. Documenti dell' Archivio di Simancas, Doc. cxxx, 
pag. 109. 



337 
chesato, ciò per comando ed autorità dell'Imperatore 
e padrone del feudo. Non cosi tosto Giulio il seppe 
"che salito in istizza, e studiato modo di resistere al- 
l' imperiale prescrizione pensò alla difesa. Ricorse per 
consiglio ed ajuto al Duca Cosimo, al Principe Doria, 
ai Marchesi di Lunigiana, ma il primo già rimpro- 
verato dal Cardinale per le fornite soldatesche al ni- 
pote, e più per timore di Carlo V, e del Gonzaga 
che vedeva tramestati nello spinoso negozio lo con- 
sigliò di arrendersi ed acconciarsi ai voleri imperiali; 
il Doria parte per le stesse ragioni del Medici, e parte 
forse per il sospetto in cui già teneva il Cibo gli sug- 
gerì lo stesso. Uscito d' ogni speranza appigliavasi egli 
a violenti disegni, partiva per Pisa, si abboccava col 
padre nella villa d' Agnano; colà parecchi armati per 
ordine del Duca Cosimo introduttisi intimavangli o 
di arrendersi al comando dell' Imperatore, o di rima- 
nere prigioniero infinchè non avesse consegnato il 
Castello di Massa. Negava Giulio l' obbedienza alle 
volontà di Carlo, e la consegna del Castello, costi- 
tuivasi prigioniero; chiuso nella cittadella di Pisa già 
d'alcuni giorni, recavasi a visitarlo il Cardinale zio, 
e colla dignità del grado, e colla dolcezza delle ma- 
niere, e colla persuasione delle ragioni lo ridusse a 
consegnare il Castello, promettendogli che tanto sa- 
rebbesi adoperato colla madre che l'avrebbe costretta 
a rinunciargli il Marchesato. Infatti cosi egli traVa- 
gliavasi a quest' uopo e con si saldo proposito che 
Ricciarda consentiva alla rinunzia mediante una dote 



22* 



333 

conveniente al suo stato di scudi quaranta mila d' oro 
sborsatale dal figlio. Seguita dopo ciò la riconciliazione 
tra r uno e V altro, Giulio avea modo di mettere in- 
terne la metà di quella somma, e pagarla; dell' altra 
metà non si dava pensiero , poiché sapea di poterla 
sborsare colla dote della moglie. Era questa costituita 
per r appunto in 20/mila scudi d' oro di cui gli an- 
dava debitore Andrea Boria; gli scrisse, esponendogli 
il bisogno in cui trova vasi per ricuperare lo Stato; 
non rispondeva, e da nuove lettere del Cibo, e della 
nipote Peretta stimulato, ristringevasi a, vaghe incon- 
cludenti parole; vide allora il primo la necessità di 
recarsi a Genova; parti da Fosdinuovo, e qui venne, 
e accolto fu cortesemente dal Boria, ma quando si fu 
air argomento della- dote , questi adducendo le gravi 
spese sostenute per la congiura del Fiesco, le stret- 
tezze in cui avealo lasciato, dichiarò ricisamente im- 
possibile- per allora di farne lo sborso; e comechè 
Giulio reiterava con maggiore vivacità le istanze, il 
Boria fatto il viso severo, e superbo il contegno, 
trasse fuori un conto di spese incontrate per lui nel- 
r occupazione di Massa , cosicché fatto il ragguaglio 
di nulla, o poco gli andava più debitore. Il Cibo 
avrebbe con fondamento di ragione potuto opporgli 
quelle da lui sostenute per i mille cinquecento uomini 
mossi a suo soccorso nella congiura dei Fieschi, e cosa 
inesplicabile , non ne fece motto ; il quale silenzio 
sempre più ne dimostra che meglio a favore dei con- 
giurati che del Boria essendo quegli destinati, temette 



339 

che il Prin(;ipe nel suo diniego, attendesse di rinfac- 
ciarglielo se più avesse toccato quella dilicata materia. 
Certo è che il discorso rimase troncato e indispettito 
lasciata Genova portossi Giulio a Milano dove pensò 
di mettersi in grazia con Ferrante Gonzaga e nar- 
randogli per esteso quanjo lo teneva separato dalla 
madre gli si raccomandò affinchè gli fosse cortese 
dell* eflScace opera sua ; ma il Gonzaga , che come 
sappiamo, era scaltrissimo e tristo, rispose vaghe pa- 
role, ma chiuso in sé stesso nulla che potesse rive- 
larne il recondito pensiero. Accadeva in quel mentre 
la congiura contro il Farnese Duca di Parma , e la sua 
uccisione; Ferrante indettato coi congiurati, suscitatore 
ed aiuto degli stessi accorreva ad occupar Piacenza in 
nome dell' Imperatore e nella spedizione aveva com- 
pagno il Cibo, il quale sperava cosi di avvantaggiarsi 
neir animo di lui, e per tale servigio col potente suo 
mezzo riceverne in compenso la restituzione dello Stato. 
Finita la spedizione, e interrotta quella di Parma per 
la tema delle armi francesi che rumoreggiavano alle 
spalle, Giulio congedossi dal Gonzaga, e trattenutosi 
alcun tempo in Piacenza , per Parma e Pontremoli 
tornò a Fosdinuovo. Il dolore per il dominio che 
vedeva toltogli in cosi brutto modo , V inquietudine 
dell' animo lo traevano di bel nuovo a Roma , spe- 
rava suir opera dello zio che la madre avrebbe indutta 
al condono, o alla dilazione del pagamento dei 20/mila 
scudi, contava ancora di potergli in qualche guisa rac- 
cogliere colà; ma tutto gli andò fallito, il Cardinale 



340 

zio mostravasi tiepido per non dire indiflferente , la 
madre contenta fors' era nell' intimo suo che non le 
si pagassero i 20/mila scudi per avere una ragione 
di non restituire Io Stato ; il Gonzaga già cominciava 
a sospettarlo, e quello che a titolo di deposito a nome 
dell' Imperatore gli aveva occupato, divisava unirlo al- 
l' impero; Cosimo de' Medici vedendolo in manifesta 
disgrazia, non voleva rovinar sé per lui ; Andrea Doria 
negandogli la dote dei 20/mila scudi da lui costituita 
alla nipote col pretesto di un compenso delle spese 
per r occupazione di Massa o lo riduceva al silenzio, 
o lo costringeva a dir quello che attendeva per rim- 
proverargli la sua doppiezza, e dichiarargli ch'egli 
aveva un nemico di più , e il meglio formidabile di 
tutti. Per questa pericolosa condizione di cose poiché da 
tanti e potenti avversar] osteggiato ed insidiato, come 
disperato era lo stato suo, disperato cosi fu il rimedio 
cui deliberò di appigUarsi. Quindi stando in Roma, prese 
a mostrarsi arrendevole alle insinuazioni del Duca di 
Parma Ottavio Farnese figlio dell'assassinato Pier Luigi,, 
col quale già passando per Parma, é fama, si fosse ab- 
boccato, e qualche ragionaménto accadesse fira di loro 
che accennava alle future trattative, Giulio sfogò seco 
l'ira che lo invadeva contro Carlo V, il Gonzaga, il 
Medici di Firenze, la madre, lo zio Cardinale, ma 
specialmente contro Andrea Doria; dopo di questo 
gli venne fatto un bel giorno d' incontrare il Cardi- 
nale di Bellay che condottolo seco nel suo palagio di 
Belvedere lo intratenne delle sue ragioni e dei torti 



341 
che gli si commettevano dai Ministri imperiali, e ve- 
duto avendo che T esca pòrtagli rendea ottimo eflfetto, 
andò innanzi confidandogli, sarebbesi fatto degno del 
più largo favore del Re di Francia, quando di un 
importantissimo affare avesse voluto torsi V incarico. 
n Cibo a cosi subita proposta stette in forse, e seco 
stesso pensando a più astuto concetto , rispose : aver 
mestieri di pigliar tempo, fatta matura considerazione 
tornerebbe. Andò quindi difilato all' ambasciatore Ce- 
sareo D. Diego Mendozza, e manifestò V occorso, chie- 
dendogli facoltà di trattare col Cardinale di Bellay e 
cogli altri ministri fi-ancesi per bene assicurarsi di un 
trattato che stavano ordinando contro V Imperatore ; 
portava speranza, soggiungeva, di condurre a meta un 
suo speciale disegno, per cui sarebbero caduti in balia 
del Governatore di Milano due forti luoghi del Pie- 
monte; reso cosi importante servigio, non dubitava, 
conchiudeva, che V Imperatore non fosse per restituirgli 
lo Stato. 

E cosi sembrandogli avere ciurmato V Ambasciatore 
Spagnuolo facea ritorno al Bellay che introducevalo 
presso il Cardinale di Lorena, e V Ambasciatore fi^an- 
cese. Questi gli pose innanzi che ì vincoli di parentela 
eh' egli aveva per la famiglia dei Medici con Caterina 
allora Regina di Francia gli davano obbligo di rendere 
singolare servigio alla corona, in tal modo egli sareb- 
besi Éitto degno dei premj già destinatigli dal Re. Dopo 
cotesto esordio gli rivelarono il trattato che aveano 
con parecchi cittadini genovesi di rivolgere lo stato 



342 

della Repubblica, senonchè abbisognavano di un capo 
ardito e di nome illustre affinchè più sicuramente ne 
indirizzasse i consigli e ne regolasse le operaàoni, e 
questo capo dovea esser lui. Còlto in tal guisa dalla 
vanità e dall' ambizione dei promessi premj ed onori, 
il Cibo prontamente proflFerivasi, chiedendo a guider- 
done r annua pensione di duemila scuti e il grado 
di Colonnello di fanteria; tutto concedevangli e accom- 
miatato e soddisfatto partivasi. Tornava all'ambascia- 
tore Mendozza, riferiva il partito a lui fatto di ri- 
nunciare lo Stato al Re di Francia, e del trattato di 
cui già aveva accennato narrava confuse particolarità 
che lo avvolgevano in contraddizioni. Senonchè l'av- 
veduto ministro e con questo più ancora il Gonzaga 
già da qualche tempo l' aveano in sospetto, e a tutte 
le sue operazioni tenevangli dietro, e quanto macchi- 
nava e trattava sapevano. Un cotal Paolino da Casti- 
glione d' Arezzo, essendo dai primi anni molto fami- 
gliare di Giulio, dal quale molti beneficj avea ricevuto, 
gli era venuto in cosiflFatta intimità, che a lui ogni 
confidenza faceva, e tutto conosceva quanto egli divi- 
sava ed operava. Costui, abusando del segreto, e tra- 
dendo il suo Signore, poneasi d' accordo colla madre 
Ricciarda, ed è fama che per consiglio , e istigazione 
di lei rendesse di tutto informato Ferrante. Verosimile • 
è tal cosa non tanto come più favorevolmente si ama 
interpretarla che la madre s' inducesse a ciò per sal- 
vare il figlio, quanto invece per interamente perderlo, 

• 

imperocché con questo mezzo decaduto egli da ogni 



343 
diritto del principato, ella non temeva più ostacolo a 
rivendicarlo. 

CXVI. — Ora, trascorsi alcuni giorni il Cibo ri- 
conducevasi a' Ministri francesi. Era bandita una cena 
in casa il Cardinale De Belay; tratto egli in una se- 
greta stanza, trovavasi in compagnia di Cornelio 
Fiesco, di Tommaso Assereto e Paolo Spinola fuo- 
rusciti di Genova; con essi conveniva del modo di 
occupare la città e il Fiesco dava promessa che Ot- 
tobuono suo fratello e gli altri fuorusciti, tra i quali 
Nicolò Doria figlio del Cardinale Gerolamo, i quali 
trovavansi a Venezia , pronti ofFerivansi con meglio 
di 500 uomini a levare a tumulto la città, dove ve- 
nisse fatto d' introdurveli. Il Cibo mostrava di poterlo 
agevolmente per mezzo di alcune sue navi,* né temere 
che queste recandosi in porto sotto il suo nome ve- 
nissero visitate da quella che tenevasi a guardia di 
esso, prometteva ancora con molta facilità di far en- 
trare non poca, gente in Genova collo specioso pre- 
testo di condurla a Milano per incorporarla nel reg- 
gimento che gli avea conceduto il Gonzaga. Alle quali 
proflFerte, aggiungeva Paolo Spinola che a lui bastava 
l'animo di riporre in sua casa a poco a poco cento 
uomini circa , i quali al tempo convenuto sarebbonsi 
insignoriti del pubblico palazzo, e messa a sollevazione 
la città. Trattavano quindi secondochè riferisce il Ca- 
soni, deir uccisione di Andrea Doria, di Adamo Cen- 
turioni, e di ^Itri cinque, o sei de' più ragguardevoli 
cittadini che seguitavano la parte spagnuola, e Giulio 



344 
diceva che ciò si potea agevolmente eseguire per mezzo 
di alcuni suoi uomini al servizio del Doria e del Cen- 
turioni. Dopo di ciò sollicitato dai Ministri francesi si 
mosse per Venezia. Poco prima della partenza fa dal 
Cardinale Farnese nipote del Papa che gli fece animo, 
dicendogli che desse opera pure alle promesse cose, 
imperocché oltre il favore del Re si avrebbe quello 
del Pontefice che avea deliberato di togliere gli Stati 
d' Italia all' oppressione imperiale. Finora inseparabile 
al suo fianco era stato Paolino, e quanto veduto aveva 
ed udito, jtutto riferito al Gonzaga, giunto a tal punto 
che l'intero disegno vedevasi ordito e deliberata l'ese- 
cuzione, non credette né prudenza più, né bisogno di 
rimanersi in sua compagnia, quindi s* infinse ammalato 
e scusossi' di seguitarlo a Venezia. Nella quale città 
venuto Giulio con Paolo Spinola, ed Alessandro Tom- 
masi Sanese già servitore del Cardinale De Bellay, e 
della Casa Farnese, datogli per consigliere, fii insieme 
con essi dall' Ambasciatore di Francia , cui rimise le 
lettere dei Cardinali e si riferi per diversi particolari 
del negozio. Andò quindi, seguitando le stesse arti, 
dall' Ambasciatore imperiale per tenerlo a bada, e rac- 
contandogli del finto trattato di cui già avea intratte- 
nuto a Roma il Mendozza e a Milano il Gonzaga, e 
quegli come questi di ogni cosa informato e con di- 
ligenza sorvegliandolo fece le mostre di credergli. La 
vigilia del Natale si tenne adunanza de' congiurati in 
casa di un Gaspare Botto genovese dove molti fuo- 
rusciti fira i quali Ottobuono Fieschi, Ottaviano Zino 



345 
e il Conte Galeotto della Mirandola, egli vi rese conto 
delle pratiche di Roma, della deliberazione di quei mi- 
nistri, e del modo di eseguirle, vi parlò con mordace 
eloquenza, e con animg singolare, talché i convenuti 
dalle sue parole concitati si profFersero e chiarironsi 
pronti ad ogni evento. La festa di Natale accompagnò 
r Ambasciatore di Carlo V a messa in S. Marco, e 
alla sera si ricondusse in casa Botto dove coi fuoru- 
sciti si fecero diversi ragionamenti, decidendosi alfine 
di attenersi a ciò che in Roma si era deliberato. Questo 
fatto, di tutto diede ragguaglio all' ambasciatore fran- 
cese aflSnchè ne informasse i Cardinali, ed egli parti- 
colarmente ne scrisse a Scipione Fiesco che in Roma 
pure dimorava. Alcuni giorni appresso il servitore di 
questi arrivò in Venezia recando seco tremila scudi 
mandati dai Cardinali, duemila per lui in conto di sua 
pensione, mille per Ottobuono e Paolo Spinola. Ri- 
cevuti quelli si accommiatò dall' ambasciatore firancese 
e avuto da esso il contrassegno per il Governatore 
di Mondovi che doveva invadere il Genovesato con 
duemila fanti, ordinò allo Zino si recasse a Genova 
per ivi raccoglier gente, allo Spinola andasse in Gar- 
&gnana ove era la ragunata gente de' fiiorusciti per 
trasportar veli, ed egli s' incamminò a Ferrara; a Fran- 
colino presso il Po s' incontrò col Cardinale di Guisa 
che meglio infiammoUo a seguitare l' impresa, e da 
Ferrara continuò per Parma, colla medesima intrepi- 
dità e sicurezza di proposito , sebbene il Duca della 
prima, e il Governatore della seconda (che Ottavio 



346 

Farnese trovavasi in Roma ) lo ammonissero che i 
Ministri Imperiali stavano in grande sospetto di lui, 
per avventura già consapevoli d* ogni suo tentativo; 
le medesime ammonizioni li vennero date dal Podestà 
di Calestano ; il Cibo gittata la sorte, a nulla badando 
procedeva oltre, e con dieci uomini a sé riuniti dello 
stato di Parma, per 1' Ancisa a 22 gennaio del 1548 
scendeva a Pontremoli. Colà sostatosi pel rinfresco di 
cavalli, e già rimessosi in viaggio, ecco farsegli innanzi 
il Governatore del luogo con una mano di archibugieri 
spagnuoli che lo assalgono; all' improvvisa aggres- 
sione Giulio tenta salvarsi colle grida di Gatto, Gatto 
per sollevare quei terrazzani già vassalli dei Fieschi; 
ferito nel capo , è fatto prigioniero , e col capitano 
Sanese per comando di Ferrante Gonzaga condotto 
a Milano (i); in quel castello processato, torturato, 
e confessato avendo ogni cosa, come reo di maestà 
collo stesso Sanese rimase condannato nel capo; e la 
sentenza sopra entrambi eseguita fu la mattina del 
18 maggio. Indirizzò Giulio a suo padre, madre e 
zio Cardinale una lettera di raccomandazione e di 
perdono , un sonetto , che ci fa fede del suo molto 
valore in poesia, e con cui raccomanda la sua anima 
a Dio; e ricevuti con profonda rassegnazione, gli ul- 
timi conforti di nostra religione intrepido e con grande 
costanza mori. Non diversa fortuna toccò poi in Ge- 
nova ad Ottaviano Zino, il quale quantunque sconsi- 

(i) V. Documenti dell' Archivio di Simancas^ Dee. CXXXDC 
Nota, pag. 227 e 230. 



347 
gliato a ritornarvi, fu preso, e fatte palesi le trattative 
del Congresso di Venezia, i consigli e i nomi dei 
congiurati, si decapitò, e il suo cadavere in una bara 
col capo tronco fii esposto al pubblico. Il delatore e 
traditore Paolino non isfiiggi però alla pena che la 
violata amicizia , e il più infame abuso di un' intima 
confidenza si meritavano, che addi 23 luglio del 1564 
venne ucciso in Milano per mano di Gaspare Ventu- 
rini, fido servitore e compagno fino alla morte di 
Giulio Cibo. In* Genova, gli altri congiurati, poiché 
meglio sagaci si tennero lungi dai dominj imperiali, 
e da quelli della Repubblica, vennero chiariti per ri- 
belli, e incamerati i loro beni, fi^a quelli fu il Conte 
Scipione Fiesco firatello di Gian Luigi, giovinetto di 
diecisette anni, che già, scoppiata appena la congiura, 
avea scritta la lettera da me più sopra riferita alla 
Repubblica; V essere adesso avvolto nella nuova trama 
lo fé' decadere da ogni ragione di successione nei feudi 
di sua famiglia, dipendenti dall' impero, oltre il rima- 
nere condannato nella pena capitale. Cosi ebbe prin- 
cipio , seguito e fine la congiura di Giulio Cibo co- 
gnato del Conte Gian Luigi Fiesco , e continuazione 
di quella da costui ordita. 



CAPITOLO TERZO 



Il numero dei G>ngiurati contro il governo dal Doria istituito si va sempre più 
moltiplicando ; i ministri di Carlo V , posposto ogni riguardo , chiedono con 
irrevocabile proposito 1' erezione della fortezza ; il Gonzaga rimanda in Genova il 
Commissario Gismondo Fanzino ; sua relazione inviata all' Imperatore ; parere 
dell' ingegnere Gio. Maria Olgiati intomo al modo, luogo e spesa di tale costru- 
zione ; Il Doria stretto da tante parti conviene sulla sua neceessità richiedeado 
però due condizioni, 1' una che si facesse nel bastione di S. Giorgio, l'altra che 
si aspettasse a &rla alla venuta del Principe Filippo ; il Gonzaga riscrìvendo all' Im- 
peratore lo consiglia a non accettarle, ordinando subito «la fabbricazione. 



CXVII. — Intanto il governo d' Andrea Doria sta- 
bilito , d' ogni parte accennava a rovina ; egli che 
millantava che soli pochi , e vili erano coloro che 
l'avversavano non potea, eziandio dissimulando, non 
riconoscere che quanti invece erano cittadini cospicui e 
potenti, tanti mostravansi nella Repubblica i capi di varie 
congiure che attentavano alla distruzione del vacillante 
suo edificio; ogni di scoprivansi relazioni, intercetta- 
vansi corrispondenze coi ministri fi'ancesi, coi pontificj, 
col Duca Ottavio di Parma, coi fuorusciti genovesi, 
che ognor più aumentavano di numero e d' audacia, 
a Roma , a Parma , alla Mirandola e in Venezia ; si 
cospirava contro di lui pel Re di Francia, e per l'Im- 
peratore, stavano col primo i Fieschi, i Giustiniani, i 
Doria del ramo più illustre e primogenito, col secondo 



349 
gli Spinola e gli Adorni, i De Marini, tutti governati 
da capi esperti e doviziosi; era costretto egli a dif- 
fidare de' suoi più intimi sopra i quali facea maggiore 
assegnamento a sostegno di quello stato , lo stesso 
Adamo Centurioni di cui si serviva e per consiglio 
e per danaro, gli era sospetto, poiché certo strugge- 
vasi r animo di lui temendo che piuttosto ad un 
Centurioni che ad un Doria di sua famiglia potesse 
toccare la successione di quel principato che con si 
profondo accorgimento aveasi innalzato sulla patria. 
Il Governo Spagnuolo avvedevasi di quelle intestine 
discordie, e facendone suo prò', spingeva con più ar- 
dore ed audacia innanzi la pratica della fortezza; bene 
avrebbe il Doria a questa consentito, quando unica- 
mente fosse servita a mantenerne la Signoria, trasmet- 
tendola sicura ed integra alla propria famiglia, senonchè 
li prevedeva destinata a rendere Genova soggetta inte- 
ramente all'imperiale, sebbene con lusinghiere parole 
da Carlo, dal Gonzaga e dal Figueroa gli si volesse 
per adescarlo farli credere che ciò era per rafforzarne 
il dominio^ e mantenerlo saldo ne' suoi successori. 
Tra queste arti volpine pendeva la Repubblica vittima 
della tirannide intestina o della straniera. A liberarsi 
dalle infide e moleste istanze che d' ogni parte oggimai 
lo stringevano, bene il Doria opponeva l' indipendenza 
e la libertà della patria, e lo specioso argomento quan- 
tunque conosciuto dagli avversarj , come effetto della 
più fina astuzia, teneagli dapprima in rispetto; temevano 
che insinuato dal Doria nel popolo, avrebbe peggiorate 



350 

le condizioni loro; infine quel timore superato, riso- 
lutamente vollero venirne alla conclusione; e la for- 
tezza si richiese con aperto irrevocabile proposito. 

Nella seconda metà di febbraio del 1548 Ferrante 
Gonzaga inviava al Principe Doria in Genova la stessa 
persona della quale inconscj, ed imprudenti i francesi 
servivansi per mezzo di riportar dentro e fuori di quella 
città lettere ed ambasciate per un nuovo trattato contro 
di questa , desiderando se era possibile , che il Doria 
chiarissesi un tratto del pericolo in che stava conti- 
nuamente la Repubblica e la persona sua in particolare, 
operando che colui che a sé avea riferite cose tali, le 
riferisse e discoprisse ancora a lui. L'inviato esegui 
quanto gli era commesso , ed il Principe mostrando 
di essere rimasto capace d' ogni cosa, disse manderebbe 
a Milano Camillo suo segretario a trattarne col Go- 
vernatore; il quale avendolo invano atteso per qualche 
giorno , contro il parere anche dell' ambasciatore Fi- 
gueroa, spediva in Genova il Commissario Gismondo 
Fanzine destrissimo uomo e prudente con incarico di 
notare e riferire sugli umori e le condizioni di quella 
città , e r incaricato adempiendo al mandato , notava 
e riferiva , e la sua relazione il Gonzaga inviava al- 
l' Imperatore. La quale relazione poteva riassumersi 
nei tre seguenti capi: 

I.** Gelosia del Principe che altri che lui si me- 
scoli nelle cose di Genova, poiché a sé solo vuole 
riservato ogni potere, ed ogni incombenza che le ri- 
guardi; 



351 

2.** Facilità di fortificare il baluardo di S. Giorgio; 
3.*' Necessità di una fortezza alla quale con lieve 
spesa potrebbe ridursi il Castelletto. 

Questi due ultimi capi venivano a confondersi in 
un solo, e la relazione confortata dalle parole e rac- 
comandazioni del Gonzaga a Carlo V riusciva alle 
seguenti conclusioni: 

Che Agostino Spinola e tutti coloro che non affet- 
tavano superiorità (alludevasi al Doria) e perciò giu- 
dicavano senza passione ed erano umili servitori di 
S. M. e il Fanzino medesimo specialmente, intende- 
vano che Genova non potea essere in istato peggiore 
di quello che trovavasi al presente, per le ragioni tante 
volle discorsesi , che se in apparenza mostrava altri- 
menti e vivevasi quieta, ciò avveniva soltanto perchè 
ogniuno aspettava la morte del Principe Doria che 
p^ea vicina, cui mentre viveva, aveano pur qualche 
considerazione, e invero, molti non potendo aspettarla 
perchè temevano di perdere la occasione pronta e fa- 
cile, cercavano di accelerarla con violenza, e i firancesi 
prontissimamente gli aiutavano , come si era veduto , 
e forse non appieno , giudicando e gli uni e gli altri 
che la vita sola del Principe si opponesse colla sua 
autorità ai disegni loro ; ma se quella mancasse aveano 
per compita ogni altra cosa che disegnavano. Adunque 
perchè S. M. era giunta al termine , che a lei stava 
di comandare, non si credeva che fosse da indugiare 
il £u:Io, per assicurarsi e in vita e in morte del Prin- 
cipe da tanto male, fermandosi tuttavia in questo come 



352 

in evangelio, che a peggio non potea stare il servigio 
suo di quello che ora si stava. Che il Principe rimet- 
tendo alfine il far della fortezza allo arbitrio e coman- 
damento di S. M. , né altra difficoltà' opponendo che 
quella della spesa , questa per avviso dell' ingegnere 
Giovan Maria Olgiati non potea esser molta, impe- 
rocché quel baluardo di San Giorgio guardato che 
fosse da cinquanta fanti, bastava a tener in fileno la 
terra per molti di, e il Castelletto, che in Genova, 
chiamavano il Vecchio , fatto già in tempo dei Dogi 
e poi disfatto, si poteva ridurre in fortezza in poco 
più di quaranta giorni, perchè se dalla banda di dentro 
era rotto, da quella di fuori vedevasi ancora tutto sano, 
si che servendo il detto baluardo per una grossa guardia, 
mentrechè il Castelletto si facesse, e il castello poten- 
dosi fare in cosi poco spazio, come avvisava l'inge- 
gnere , non ci occorrerebbe il tempo di tre anni, né 
per conseguenza tanta spesa come affermava il Prin- 
cipe, e quando non si potesse condurre a perfezione, 
basterebbe supplire alla sua imperfezione coli' inchiu- 
dervi dentro alcuni pezzi di grossa artiglieria. Senonchè, 
posto che fosse anche molta la spesa sarebbe sempre 
minor male nel farla, che tenendo impegnate , si che 
S. M. non potesse servirsene, venti galere, soltanto 
per conservarsi i genovesi in sua divozione; le quali 
galere con tuttociò non bastavano; e che i Genovesi 
facessero fondamento sopra le galere. S. M. lo dovca 
ritrarre da quello che Adamo Centurione diceva, cioè, 
che partendo qssq per condurre il Principe Filippo 



353 
duopo era di accrescere la guardia della città di tre- 
cento fanti. Adunque se la città non volesse e non 
potesse tollerare cosi grossa spesa , come finalmente 
non potrebbe e non vorrebbe, le galere volendo altre 
volte partire, avrebbono da star impegnate in Genova, 
perdendo S. M. cento venticinque mila scudi 1' anno 
che dava loro di soldo, per non volere investirne cin- 
quantamila una sola volta in una fortezza ; nella quale 
investiti che fossero frutterebbero il cento per cento. 
Ma se S. M. giudicasse pure che non fosse utile non 
usare dell' autorità sua nel comandare la fortezza, non 
almeno lasciare di attendere al negozio del baluardo 
di S. Giorgio , sollicitando che subito fosse eseguito , 
perchè nel pericolo grande che si correva, ogni cosa 
era salutare, e questa del baluardo non poteva non 
essere tale in un caso impensato ; oltreché sarebbe un 
principio, il quale potrebbe in poco spazio di tempo 
terminare nella fortezza che allora disegnavasi. 

Cosi riferiva il Commissario Fanzino, opinava l'In- 
gegnere Olgiati, avvalorava, e scriveva il Gonzaga al- 
l' Imperatore addi 20 marzo 1548 (i). 

CXVIII. — Dal concorso di tante forze riunite contro 
di lui, astretto il Doria, si risolvè alfine di lasciar dacanto 
quella sua libertà antica, come l'ambasciatore Figueroa 
si esprimeva scrivendone al Governatore Ferrante, e 
congiungendosi al parere di tutti che la fortezza fosse da 
farsi e tanto necessaria, che senza di essa non sarebbe 

(i) V. Documenti dell' Archivio di Simancas, Doc. cxxxix. 

23 



354 
possibile che quello Stato si mantenesse, richiedeva però 
due condizioni , V una che si facesse nel bastione di 
S. Giorgio, r altra che si aspettasse a farla alla venuta 
del Principe Filippo ; ma V una e V altra venivano ri- 
gettate e disdette dal Gonzaga, perocché il bastione, 
notava, di San Giorgio era posto in un luogo detto 
il Borgo, non compreso nella città, né la poteva do- 
minar tutta, né giovava valersi del* soccorso che vi 
entrasse , benché grossissimo , ogni volta che quelli i 
quali avessero la città chiudessero una certa porta che 
ci era, la quale rimarebbe in loro potere, concludevasi 
pertanto che ninno sito si offeriva migliore per quello 
che si disegnava, che il detto Castelletto vecchio e per 
la spesa e per la forza. La quale edificazione nella si- 
curtà che si aveva a pigliare di Genova , la celerità 
era sommamente necessaria; e perciò, dove la venuta 
del Principe Filippo o si prorogasse tanto , che poi 
non si avesse tempo di fabbricare nell' anno presente, 
o si rimettesse all' anno futuro , questa dilazione sa- 
rebbe molto pericolosa e forse porterebbe qualche in- 
conveniente, consigliavasì quindi e lodavasi che fin da 
ora si procedesse all' esecuzione , senza differir più , 
mentre che il Doria trovavasi ben disposto ed era in 
autorità ; imperocché l' anno vegnente non sapevasi 
dove sarebbe stato, né quanto fosse per poter fare; 
questi particolari riscriveva il Gonzaga all' Imperatore 
mandandogli il disegno del Castelletto vecchio di Ge- 
nova, il parer suo, e quello dell' Ingegnere Olgiati con 
lettere del 24 e 28 maggio 1848. 



CAPITOLO QUARTO 



Andrea Doria per pigliar tempo invia all' Imperatore Adamo Centurioni, vita, viaggi, 
azioni gloriose di questo ; venuto egli alla presenza di Carlo propone prima della 
fortezza l' esperimento della riforma del governo ; V Imperatore decide doversi 
quel negozio rimettere alla venuta del Principe Filippo in Genova ; Trama ordita 
in Piacenza contro di questa Repubblica, la quale tosto che fatta soggetta alla Spa- 
gna , il Principe Filippo verrebbe dichiarato re d* Italia ; il governo del Doria 
avendone segreto avviso da Roma, provvede alla propria difesa e rispinge ogni 
proposta che si faceva dal Duca di Firenze e da Ferrante Gonzaga di spedire 
in Genova ragguardevole numero di gente armata col pretesto di meglio onorare 
la venuta del Principe Filippo ; Riforma del governo operata dal Doria ristrin- 
gendolo vieppiù in mano di pochi, colla nuova legge detta del Garibetto. 



CXIX. — Versando il Doria in cosi crudeli an- 
gustie quinci dall' interni dissidj , e da continui tenta- 
tivi di congiure e di summosse, minacciato quindi e dalle 
esterne insidie assalito, venne in deliberazione di ri- 
volgersi dirittamente a Carlo, mandandogli Adamo 
Centurione, V uomo che se di lui occultamente rivale, 
cionondimeno era il suo più necessario sostegno, e nel 
fatto di cui si trattava, avendo comunanza d' interessi, 
dovea desiderare un medesimo fine. Avea egli incarico 
per allontanare il pericolo e V opera della fortezza di 
proporre invece di questa una grossa guardia che pre- 
sidiasse la città, e la riduzione del governo in mano 
di pochi. 



3S6 

In queste istorie che dal 1528 corrono all'anno di 
1548 in cui ci troviamo, già molte fiate ci occorse 
di parlare del Centurioni come il più dovizioso , più 
grande cittadino di Genova, e tale da non temere il 
paragone del Doria dove fornito fosse stato di più 
astuto ingegno eh' egli non era, per cui rimastogli in 
questo minore, dovea a quello servire di strumento, an- 
ziché andargli innanzi come per molte ragioni il potea, 
nel tenere il principale grado della Repubblica. La po- 
tenza , la ricchezza , la nobiltà d' animo di sì famoso 
personaggio rendono necessarie alcune speciali notizie 
della vita ed azioni di lui. Il cognome dei Centurioni 
deriva da un albergo così chiamato, per varie famiglie 
principali della città che insieme si aggregavano, fra 
le quali li Oltramarini. Questo nome con quello degli 
Usodimare, de* Mari , de' Marini, e' indica abbastanza 
l'origine loro, che nei primi tempi del Comune ge- 
novese dieronsi alla navigazione e per marittime gesta 
e per commerciali negozj divennero doviziosi e potenti, 
infatti della virtù, scienza ed ardimento loro nelle na- 
vigazioni e nei viaggi abbiamo prova segnalatissima nel 
Paolo Centurione cugino di Adamo che in questi stessi 
tempi proponeva allo Czar di Russia il disegno di far 
passare le preziose mercanzie dell'India per la parto 
del settentrione , togliendone cosi il monopolio dei 
Portoghesi che lo si aveano arrogato dopo la sco- 
perta del Capo. Agostino Giustiniani e Bartolomeo 
Ganduccio ci narrano che un Giovanni Orsino figlio 
terzo del Conte di Cole in Puglia , essendo l' anno 



357 
di 1241 venne mandato dal Pontefice Gregorio IX a 
servizio della Repubblica con 100 uomini d' arme 
mentre trovavasi questa minacciata dall' Imperatore 
Federico II. Dimorando quegli in Genova si congiunse 
in matrimonio con Serafina figlia di Oltramarino 
principalissimo e ricchissimo cittadino e per tal modo 
continuò egli la chiara prosapia degli Oltramarini, 
comechè morto , un figlio postumo di lui chiamato 
collo stesso nome di Giovanni , toltosi ad educare 
dalla madre e dall' avolo materno , rimase solo erede 
delle facoltà delli Oltramarini, e insieme del ramo pa- 
terno degli Orsini , prendendo il cognome dei primi 
e trasmettendolo per lunga serie d' anni a' suoi di- 
scendenti finché si confuse ed estinse nell' Albergo 
dei Centerioni. Ora Adamo uscito di cosi nobile e 
potene schiatta ne fece vieppiù risplendere la virtù 
e la grandezza; Andrea Doria conoscendone la ster- 
minata ricchezza, divisò di servirsene come mezzo 
necessario a' suoi fini, e la lealtà del Centurioni 
soggiacque all' astuzia di lui , sicché l' ebbe per aiuto 
efficacissimo nella riforma delle leggi del 1528, e dopo 
di allora sempre lo si tenne auxiliario potente e congiunto 
in tutto ciò che occorreva pella conservazione durevole 
dello Stato da lui fondato. Adamo e per le chiare 
sue imprese, militando sotto le insegne imperiali, e 
per le insigni sue liberalità si rese sempre più utile 
al nuovo ordine di cose talché più largo il firutto potè 
raccoglierne Andrea, imperocché se lice i grandi ai 
piccoli fatti comparare, il Centurioni a Pompeo, e il 



358 

Doria a Giulio Cesare si avrebbe a paragonare, che 
al primo come al Romano ricco potente, ma modesto 
e forse nelle civili Eiccende trepidante né sempre ri- 
soluto non piacquero la arti subdole conche solo 
avrebbe potuto al supremo posto innalzarsi, il secondo 
invece scarso a danaro, d' ingegno più destro e pro- 
cacciante non indietreggiò come Cesare di gittarsi a 
partiti che bastavangli a dargli in balia la Repubblica, 
di guisachè come Pompeo Giulio , Adamo Andrea 
fece signore di quella. 

Delle azioni del Centurioni si hanno a menzionare 
quelle della Goletta e di Tunesi, e delle guerre Ger- 
maniche specialmente, nelle quali militò sempre a sue 
spese senz' alcuno stipendio ripetere dall' Imperatore, 
al quale anzi , abbisognando 20o/mila pezzi per la 
guerra di Algeri, si racconta, eh' ei profferse di dargli 
in quella moneta che più gli fosse piacciuta, e la ri- 
cevuta mandatagli dall' Imperatore , abbrucciò poscia 
al camino dinanzi a lui; a' ministri imperiali nelle 
più gravi urgenze fece larghi prestiti, ma i più impor- 
tanti ed egregi al Doria per iscioglierlo soventi dalle 
più pericolose angustie in cui trovavasi quel suo go- 
verno, a sostenere il quale facea di mestieri all' arti- 
fizio accoppiare il danaro di cui il Doria difettava. A 
Cosimo de' Medici Granduca di Firenze in una sola 
volta diede 200/mila scuti d' oro, e 800/miIa pezzi da 
8 reali spese nella compera dal marchesato di Stepa 
e Pedrera in Ispagna. Da Oriettina figlia di Marco 
Grimaldi sua consorte gli nacquero due figli. Marco 



359 

che succedette a Gianettino Doria nel governo delle 
galee imperiali con titolo di luogotenente generale del 
Principe Andrea, non senza segreto rancore di questo 
che quella carica voleva al figlio di Gianettino riservata, 
morì prematuramente, vivendo il padre, e le memorie 
del tempo, di tal morte inopinata, fanno misteriose 
congetture; egli fu di prode e sagace ingegno, segna- 
landosi in molte ragguardevoli imprese al servizio di 
Carlo V. L' altra prole di Adamo fu Ginetta che sposò 
con dote di éo/mila scuti d' oro a Gianettino. Si narra 
eh' ei r avesse innanzi promessa al Conte Gio. Luigi 
Fiesco , ma . di ciò avendo data communicazione al 
Principe Andrea, aggiungendogli di avere per suo ge- 
nero scelto il principale personaggio della Repubblica, 
questi gli rispose di essersi errato, perocché Gianet- 
tino essendo da lui destinato a succedergli sarebbe 
stato maggiore del Fiesco, che quindi la figlia meglio 
avrebbe allogata nel primo che nel secondo; locchè 
saputosi dal Centurioni ruppe la fede data al Fiesco 
e Ginetta congiunse con Gianettino; per la qual cosa 
alle diverse cagioni di avversione che ebbe il genovese 
cospiratore contro i Doria, si vuole che questa ancora 
si aggiungesse per istimolarlo più ferocemente alla 
congiura. 

CCX. — Intanto Adamo Centurioni venuto alla 
presenza dell' Imperatore tentando di rimuoverlo dal 
disegno della fortezza proponeva anzitutto il rimedio 
della riforma del governo per esperimento, e quando 
questo non fosse bastato, ammetteva si potesse soltanto 



360 

allora procedere all' edificazione di essa; ma il Gon- 
zaga cui di tutto teneva informato Carlo , disdiceva 
la proposta, mostrando grave il pericolo che corre\^ 
in Genova il dominio imperiale sia per gì' interni ne- 
mici, sia per le insidie de' firancesi e del rumoreggiare 
delle armi loro nel vicino Piemonte, che secondava 
il Pontefice; e siccome il Centurioni allegava che se 
nel suo particolare desiderava la fortezza non potea 
volerla per ragione del pubblico, consigliava il Gon- 
zaga che S. M. gli facesse anteporre il suo particolare 
in questi due modi: il primo la sicureT^T^a della casa, 
persona e facoltà sua^ il secondo V alte:i^:(a a che sale, 
perché con questo me/^T^o si fa il primo uomo di quella 
città e poco meno che Signore ^ poiché S. M. riconoscerà 
questo servigio in gran parte da lui e si terrà obbligato 
a tirarlo pia avanti in quella Repubblica che uotno 
ci sia. 

. L' Imperatore intanto decideva doversi quel negozio 
rimettere alla prossima venuta del Principe Filippo 
in Genova; dove tra questi, il Duca d'Alba, il Gon- 
zaga, l' ambasciatore Figueroa, e Andrea Doria sa- 
rebbesi preso più speciale concetto di quello si avea 
ad operare. 

Ma sotto di cotesta dilazione covavasi una trama, 
e il viaggio del Principe Filippo in Italia cui dovea 
profittare era rivolto a darle forza ed effetto. 

I prosperi successi testé delle armi imperiali otte- 
nuti contro i Principi protestanti in Germania, aveano 
alzato r animo di Carlo ad immoderati intendimenti, 



^6i 

sicché desiderando egli di ampliare le ragioni, e V au- 
torità deir impero, divisava di renderne la dignità ere- 
ditaria nella sua casa, e nel figlio Filippo. Sgomentati 
essendo dalle recenti vittorie imperiali, gli elettori, 
impotenti erano ad opporsi, altro non restava quindi 
che ad indurre il fratello Ferdinando e il figlio di lui 
Massimiliano alla rinuncia, cedendo la dignità al ni- 
pote e cugino Filippo; profferivasi in compenso al 
primo il Ducato di Wurtemberg, a Massimiliano l' ele- 
zione al regno di Boemia col governo dei regni di 
Spagna neir assenza del Principe Filippo e il matri- 
monio di lui colla principessa Maria prima figlia di 
Carlo; ma né Ferdinando, né Massimiliano, per quanto 
iterate e larghe le profferte vollero mai consentire alla 
rinuncia , per la qual cosa V Imperatore costretto a 
porne giù il disegno , né per altro volendo lasciare 
di far grande coli' acquisto di nuova potenza il figUo, 
cosi dal Duca d' Alba e da Ferrante Gonzaga indet- 
tato , deliberò di dichiararlo Re d' Italia , e perché il 
divisato regno avesse fondamento sicuro e gagliarda 
difesa contro i Principi italiani, insignorirsi di Genova, 
colla quale verrebbe ancora ad ottenere una singolare 
forza marittima. A questo fine il Duca d' Alba dovendo 
accompagnare in Ispagna per le sponsalizie con Maria 
r Arciduca Massimiliano , avea commissione nel suo 
passaggio in Italia di stabilire quanto era necessario 
air occupazione di Genova; dopo di che venuto il 
Principe Filippo , uscito sarebbe V imperiale diploma 
che dichiaravalo Re d' Italia. 



362 

Entravano nella macchinazione oltre il Duca d' Alba, 
Ferrante Gonzaga, Cosimo Duca di Firenze, e vergo- 
gnoso a dirsi ! Tommaso De' Marini Gentiluomo Geno- 
vese gran confidente dell' Impero (copio le parole dell' an- 
nalista Casoni) (i), con altri molti, i quali, mentre 
r Arciduca Massimiliano a grand' onore era ricevuto 
in Cenova, e nel proprio palazzo per quattro giorni 
sontuosamente dal Doria ospitato, trattavano in Pia- 
cenza convenuti della rovina e servitù di essa. Al mi- 
cidiale congresso assistevano in persona il Conzaga, 
e il Demarini con parecchi altri partecipi dell' insidioso 
trattato, il Medici per mezzo di un suo ministro, e 
per un Segretario il Duca d'Alba, concorrevavi il 
primo per la promessa di Siena e del principato di 
Piombino tolto agli Appiano , per la dignità di Go- 
vernatore della sua patria ridotta in servitù di Spagna 
il Demarini. Di quanto però si convenisse tra di loro 
per molti giorni radunati nulla potea traspirarsi, men- 
tre in grandissima angustia stavasi in Italia, e spe-. 
cialmente in Roma, dove per la sorpresa di Piacenza, e 
l'assassinio del Duca Farnese sapeasi il Pontefice di quali 
perfidie fosse capace il Conzaga; però egli a Carlo 
Orsino che in suo nome teneva il governo di Parma 
scriveva, raccomandandogli ogni arte, ed ogni mezzo 
adoperasse per penetrare il segreto ; e 1' Orsini veniva 
in cognizione che non solo trattavasi di sorprendere 
Cenova, ma Bologna, e la persona stessa del Papa 

(i) Annali della Repubblica di Genova, an. 1 548, lib. v, pag. 211. 



3^3 

trovavasi mal sicura, cui si minacciava di fare quanto 
già al suo predecessore Clemente VII. Queste notizie 
spedite dall'Orsino a Gio. Batta Piovano suo agente 
in Roma, a Leonardo Strata nobile genovese suo ami- 
cissimo communicoUe, che subitamente trasmettevale 
a Genova. Ricevute quelle fu grande turbazione in 
Senato, alcuni non prestandovi fede, opinavano non 
doversi ricorrere a straordinarj provvedimenti affinchè 
non si mostrasse diffidenza degli Spagnuoli, altri in- 
vece più assennatamente giudicando, proposero si pen- 
sasse a difendersi e premunirsi contro le verosimili 
insidie ; e il partito degli ultimi vincendo , crear onsi 
quaranta nobili con dugento uomini d' ogni ordine, 
per ciascuno di essi, incaricati d' invigilare alla sicu- 
rezza della città, pronti ad accorrerne in ogni evento 
alla difesa. In questo veniva meglio in luce il trattato 
di Piacenza, imperocché un inviato del Gonzaga pre- 
sentavasi in Genova chiedendo si dovessero alloggiare 
quivi duemila cavalli e altrettanti fanti per il prossimo 
arrivo del Principe Filippo, il qual male poteva, dicevasi, 
per mare condursi quella gente che pur era necessaria 
alla sua dignità; scriveva nel medesimo tempo il Duca 
di Firenze domandando 1' alloggio per due reggimenti 
di cavalleria, ed altrettanti di fanteria, poiché deside- 
rando venire a Genova ad ossequiare il Principe, avea 
d' uopo condursi seco per difendersi da' fuorusciti fio- 
rentini. Non essendo allora più dubbio sulla verità 
delle cose esposte dallo Strata rispondevasi dal Senato 
al Gonzaga che non voleva alloggiar gente prima di 



364 

conoscer quella che seco portavasi il Principe, questa 
conosciuta, si provvederebbe ; e siccome replicavasi e 
sfacciatamente insistevasi dal Gonzaga , aggiungendo, 
già essere pronto al viaggio con quelli uomini destinati 
di guardia allo sbarco di S. A. alteramente si riscrisse : 
che se con maggior comitiva di venti persone fosse 
venuto, le porte gli si sarebbero chiuse in faccia. In- 
fine poiché nuove e più importune istanze ripeteva 
egli, conchiudevasi, non più di dugento cavalli, e tre- 
cento fanti spagnuoli potesse condur seco, i quali però 
non in città, ma lontano sei miglia da essa avrebbero 
trovato alloggio nella villa di Sestri. Al Duca di Fi- 
renze più ricisamente rispondevasi in paese amico ba- 
stargli r ordinaria sua guardia, oltre questa vietarglisi 
ogni vicinanza a' confini ; queste deliberazioni signifi- 
cate, il Gonzaga, fu costretto a rinviare indietro le 
altre genti che aveasi tratte seco, e già erano per en- 
trare nei domii)]' della Repubblica; e il Medici in luogo 
suo mandò il figlio dell' età d' anni dieci col seguito 
di 50 persone. 

CXXI. - — Mentre il Principe Filippo apparecchia- 
vasi alla sua spedizione d' Italia, Andrea Doria col- 
r armata avea fatta vela per imbarcarlo in Ispagna. 
Alcun tempo prima però della partenza, come ne avea 
fatta proposta all' Imperatore, volendo pigliar tempo 
per mandar a vuoto il disegno della fortezza, le cose 
di Genova si erano per lui a più stretto governo or- 
dinate. I nobili vecchi, appellati di S. Luca, paghi non 
si mostravano eh' espulsi dal governo fin dall' anno 



3^5 
di 1339, mercè le nuove leggi del 1528 avessero ciò 
nuUameno potuto esservi ammessi, che sebbene ristretti 
di numero pretendevano di parteciparvi in egual modo 
dei nuovi detti di S. Pietro, i quali per doppia quan- 
tità li superavano, diguisachè il Doria e per meglio 
ristringere a sé la nuova forma di governo, liberandola 
dal pericolo delle popolari sedizioni, e per soddisfare 
a coloro che nel primato della Repubblica lo sostene- 
vano, e per trovar modo ad un tempo da evitare la 
fortezza che sotto il pretesto della pubblica sicurezza 
ad ogni patto chiedeva Carlo V, ottenne dai due col- 
legj r elezione di otto principali cittadini , i quali do- 
vessero insieme con lui considerare quanto si conve- 
niva .a far meglio sicura la Repubblica , riferendone * 
poscia al Senato. Gli otto incaricati operando a talento 
del Doria, stesero la relazione loro che dal Senato ap- 
provata ebbe vigore di legge, e si chiamò del Qua- 
rantasette e volgarmente per ischerno del Garibetto, 
comechè il Doria che la promosse, fosse solito dire, 
che con essa voleva dar garbo, o sesto alle pubbliche 
cose. Per questa legge ordinavasi, che laddove prima 
eleggevasi tutto il Consiglio dei 400 a sorte , e cosi 
da cinque dei CoUegj i ventotto elettori del Doge, e 
dei Governatori, in appresso invece il maggior con- 
siglio fossse di trecento cittadini a sorte, e a palle gli 
altri cento; da questi 300 a sorte, e cento a palle in 
quest' ultimo modo se ne eleggessero cento che for- 
merebbero il minor consiglio, nell' elezione dei primi 
cento del Consiglio Maggiore e dei cento del Minore 



TT>wTTìr ,:a£ àat CoU^ gli otto Pro- 

i*nn*. i S ^^iiorpr^ i coque Sindacatori Supremi, e 

. sjiiiì: -aa. Aiipsrrair 3^H Siraordinarj, e i medesimi 

csnu -OS. CjEs^uir Minore fossero gli Elettori dei 

"'"^Ttirctr CTL ài Vfwr larixàvano la nomina del Doge 

i 4ji. ^jo^^irxainri. Li sajra le^e altro non essendo 

ciu -UT r-jiìéljr Tar^yx jrrare il rumore a' Nobili di 

S. T*j2irr^ ^vTsir^ i"iccoiaTÌ, imperocché per lo in- 

Tum::. J iksarmi ^ Canssga ùcendosi a sorte , tutti 

^ ccrradin^ aHrnri'imfrrj^ ^ccerxao partecipare del governo, 

TuercTi -nràina^ x v^ci sì ne divideva il potere fra i 

iar ?.:r:rci. ^^sr ci ^qxielE di S. Pietro essendo i più 

lujrrwr^ ni T^jiiiTrxnc* rseUa maggior parte allontanati. 

?li ^ irai»: I r:;£c:c3C£::io destatoà nel 1528, cagione 

Ò0-. r;vc;. e ò£k cocpjre da noi descritte che tutti 

r:?TCK"h>i:ronc ci: ìT-tì fi^cff-a trascorsi, invece di se- 

^iir^s^ Tcc:5ic ccc rcu vixe querele, e macchinazioni a 

ìCOCcxiT^ d-f^Tnicnòv-tsì per tutte le parti della Repub- 

Kici rjjenrrc ron p^ic-i g^ antichi nobili di avere ri- 

occr<^ il Govcrn^o ali* aristocrazìa , lo incanmiinavano 

ili* olìcarchìa. 



CAPITOLO QUINTO 



Viaggio del Principe Filippo sopra una flotta di 98 legni comandata d' Andrea Doria ; 
Sua domanda di voler alloggiare nel pubblico palazzo; fiera risposta e rifiuto del 
Doria ; arrivo, solenne ricevimento di lui in Genova, e alloggio sontuoso nel pa- 
lazzo di Fassolo. 



CXXII. — Pertanto tra 1' oligarchia e la straniera 
servitù pendeva lo stato quando Andrea Doria muo- 
veva coir armata in Ispagna, e dopo di avere sbarcato 
r arciduca Massimiliano recatosi a Vagliadolid , dove 
celebrò le nozze coli' Infanta Maria, riceveva al bordo 
della sua Capitana il Principe Filippo. Numerosa era 
la flotta di 98 legni, dei quali cinquantotto galee, e 
40 navi, delle prime, erano diecinove di Andrea Doria, 
sei d' Antonio Doria, due del Signor di Monaco, due 
di Visconte Cicala, le altre dei regni di Carlo ; delle 
seconde, cinque genovesi condotte a prezzo, le rima- 
nenti fra Biscaine, Fiamminghe e Portoghesi. Salpando 
dal porto di Roses veleggiavasi per la Provenza, ma 
contrarj essendo i venti per la stagione invernale fu 
d' uopo qualche giorno sostare in Acquemorte , e al- 
l' isole d' Jeres, dove vennero approvvigionati di viveri 



5t>S 

T*er :i2 vascello s;*ed:toTÌ di Genova dall' ambasciatore 
Fic-icr.-vL. RirkrIiiLVisì con più favorevole tempo il viag- 
or, ì n^enr-e T :irr:Lara a andava accostando alle ma- 
rirìi i' Itilii, er.rr:-va il Principe Filippo a particolare 
r:^l:ncr.:ì:r.to col Dorìa, e tentatolo sopra le cose di 
Gen.^v::, crJeicv::^:!:, quando fosse giunto in città dove 
scTiòbc il suo clloggio, « In casa mia. Altezza, dove 
T i^^r.irrc £Ioì:cò T-uìr^isto Padre Vostro. » — Ma 
Fi'.::^r»v-^, 50^c'"-r.ccva^li_ volere allo^snare nel Pubblico 
P-'.^irro : e il Dorìa : « Monsignore volete dunque 
> usjmr.i n^cno onore di quello che mi fece l'Impe- 
y rjitv^re Padre Vostro, e quand'io portava speranza 
Ti^ che ir.iiiMore acquisto avrei potuto procacciarmi in 
T» questo primo Vostro passaggio, verrò invece a per- 
V dervi di molto ? Deh ! non vogliate farmi questo 
^^ :or:.^, imperocché ciascuno direbbe che mal vi te- 
^^ ncsre contento del mio servizio. » Filippo nonché 
arrendersi a quella risposta con maggiore pertinacia 
insisteva ; dover essere sua stanza il Palazzo' della Si- 
gnoria ; allora il Doria di aspetto e di accento mutato 
replicava : Io r:on posso qucst' alloggiamento permet- 
hTvi , non esscrJo in poter mio; allorché saremo a 
Gcm>i\ì Voi ne fare'c Joman.ìa a chi ha autorità di 
darlo, e se II verrà conceduto ne rimarrete servito. Temo 
forte perJ che ijnei Signori che dentro vi sono, nonvor- 
ranno uscirne. Lo quali parole profferite con modo 
fiero e risoluto mossero a sdegno Y animo orgoglioso 
del Castigliano Signore di sortachò, voltategli le spalle, 
si pose con altri a favellare. Senonchè a maggiore ini 



369 

doveva accendersi poco dopo quando per una fregata 
ebbe lettere del Gonzaga che gli davano avviso essere 
ita in dileguo la trama di Piacenza per V accortezza 
e antiveggenza de' Genovesi; questa notizia cosi ne 
alterò la mente, turbandone gli orditi disegni, che più 
non voleva sbarcare in Genova, ma in Savona passando 
quindi in Lombardia ; il Duca d' Alba però mostran- 
dogli nonché la sconvenienza , il pericolo di tal pro- 
posto che dando ragione al sospetto de' Genovesi, 
avrebbe potuto con essi sollevare qualche gran moto 
in Italia, a più sano consiglio il ridusse; per la qual 
cosa sceso a Ventimiglia accolse con apparente cor- 
tesia i quattro Ambasciatori della Repubblica Luca 
Giustiniano, Francesco Lomellino di Battista, Luciano 
Spinola, e Bartolomeo Maggiolo che seguitaronlo a 
Savona; nel porto di cui entrato altri otto Ambascia- 
tori genovesi, capo de' quali Agostino Lomellino, ven- 
nero a fargli onore. Disbarcato a Savona, costi ma- 
gnificamente trattoUo Benedetta Spinola ricchissima 
vedova, e furono a trovarlo i Principi e Signori, tra 
i quali il Cardinal Coria Spagnuolo, Francesco d' Este 
fratello del Duca di Ferrara, Ferrante Gonzaga, e" il 
Principe d' Ascoli ; recossi ad udir la messa a N. D. di 
Savona, e dimoratovi due giorni continuò il viaggio 
per Genova. Veleggiava 1' armata verso di questa, or- 
dinata in tre parti, 1' antiguardo con D. Garzia di To- 
ledo generale delle galee di Napoli, la battaglia reg- 
geva il Doria con le sue galee, e quelle dei particolari 
genovesi, stando in mezzo la capitana; governava il 

24 



370 

retroguardo D. Bernardino Mendozza colle galee di 
Spagna. Bellissimo a vedersi era il mare tranquillo 
solcato da* remi di varj colori dipinti, le poppe de' legni 
per oro fregiate e risplendenti, le antenne per mille 
bandiere appariscenti che alle propizie aure sventola- 
vano, mentre per entro le maggiori galee i concerti 
delle più liete sinfonie risuonavano. Pervenuti vicini 
alla Lanterna un fiero disastro accadeva, rompendo ad 
uno scoglio la galea Leona di Napoli , naufragando la 
ciurma, il presidio, molti signori e cortigiani Spagnuoli; 
accorsi subitamente i battelli delle altre galee, vennero 
tratti a salvamento. Ora, V armata partita dal porto di 
Rosas il 2 Novembre, sorgeva in quello di Genova 
addi 25 dello stesso mese, fulminavano le artiglierie 
della reale Capitana del Doria a lieto saluto, rispon- 
devano a quello i posti della città, i castelli, i ba- 
stioni, i soprastanti monti ; intanto la Capitana acco- 
stavasi al borgo di Fa§ciolo dove sopra un ponte di 
barche costrutto scendeva il Principe nel Palazzo del 
Doria. Dugento soldati della Repubblica quinci e quindi 
schierati stavano di guardia, sulla parte più eminente 
del ponte erano ventiquattro Capitani circondati da 
copioso numero di nobili Cittadini, il Doge e i Sena- 
tori che fattisi al cospetto del Principe onorevolmente 
salutandolo, accoglievanlo , indi con riverenti parole 
festeggiavanlo i Cardinali Doria e Cibo, Monsignor di 
Matera Nunzio del Papa, gli Ambasciatori delle Re- 
pubbliche, degli Stati d' Italia, e dei Regni soggetti 
alla imperiale Corona. Egli per un gran portico , a 



371 

queir occasione di legno vagamente apparecchiato, che 
congiungeva il ponte al palazzo, in questo entrava, 
dove le più magnifiche sedi vedevansi che si avesse 
allora qualsiasi Principe in Italia ; perocché vi si fosse 
testé condotto a meta ogni più sontuoso restauro che 
da gran tempo il Doria faceavi eseguire, e i dipinti di 
Pierino del Vaga, e del Pordenone, e le scolture del 
Mortorsoli, e le opere famose di altri celebri artisti 
per l'ampie sale, per le. scale, e negli attigui giardini 
vi risplendessero in tutta la loro bellezza. , L' interior 
parte delle sale ricchissimi arazzi, e broccati d' oro e 
di seta, e sontuosi apparati fregiavano d' ogni parte, 
le camere del Principe maravigliosamente addobbate 
degnissime mostravansi dell' Ospite Augusto. Il Doria 
trattò con regia sontuosità non solo lui, ma tutta la 
Corte che volle in quelle sue splendide stanze allog- 
giata ; e il trattamento riesci nonché generoso, ma con 
prodigioso silenzio ordinato, poiché tutto a suon di 
fischietto ad usanza di galea comanda vasi ed eseguiva ; 
e per dare avviso di quando entrava, od usciva qual- 
che gran Signore o Ambasciatore sulla piazza dinanzi 
ai Palazzo collocato si era un gran globo sormontato 
da corona d' oro che ad ogni entrata od uscita get- 
tava razzi, e spari faceva somiglianti a colpi di arti- 
glierie. 



CAPITOLO SESTO 



Ginsigli tenuti nel palazzo Doria dal Principe Filippo col Duca d*Alba, Ferrante 
Gonzaga, e 1* Ambasciatore Spagnuolo per trattare collo stesso Doria di ciò che 
si dovea operare per la sicurezza di Genova, la conservazione del suo libero stato 
e per tenerla salda nel servizio imperiale ; il Doria venuto all' adunanza opina che 
la riforma del governo divisata da lui doveva bastare senza ricorrere ad altro ri- 
medio ; opposizioni che gli si fanno, repliche e contrasti d* ambo le parti ; con- 
cludono di radunarsi altra volta ; intanto per ordine del Principe Filippo il Duca 
d' Alba si abbocca con Adamo Centurioni, dalle parole del quale si accorge eh' era 
suo fine di succedere al Doria nella stessa autorità che avea questi nella Repob- 
blica ; si decide di conseguire per forza quanto desideravano impedendo la rifbrnu 
del governo ; Ferrante Gonzaga consiglia, lasciando in disparte il Doria e il Cen- 
turioni servirsi dell* opera più sicura di Antonio Doria, del colonnello Agostino 
Spinola e Cardinale Doria ; obbiezioni che si fanno dal Duca d' Alba e dall' Am- 
basciatore Figueroa a siffatto partito ; si conclude di nulla eseguire senza prinu 
consultarne l' Imperatore. È invitato il Doria ad una nuova adunanza , la quale 
pure fallisce allo scopo ; tentativo di tiunulto in Genova fatto nascere dal Prin- 
cipe Filippo e dai suoi ministri per occupare con violenza il pubblico palazzo; 
andato questo a vóto, cosi consigliato dal Duca d' Alba, Filippo decide di fiire il 
suo solenne ingresso in città e recarsi ad udire la messa nel Duomo ; festosa ac- 
coglienza a lui &tta dovunque ; suoi principeschi ricevimenti , e partenza per 
Milano. 



C XXIII. — Filippo, secondo il disegno del Padre 
voleva essere e dichiararsi re d' Italia, e dal possesso 
e dalla Signoria di Genova dovea prendere inizio la 
nuova regia dignità; a questa spingevanlo, ed ajutavano 
il Duca d' Alba, Ferrante Gonzaga, Cosimo de* Medici 
duca di Firenze, V Ambasciatore Figueroa, e in ispecie 
Tommaso Demarini, e il colonnello Agostino Spinola 



373 

• genovesi e servidori umilissimi imperiali. Importantis- 
sime adunanze teneansi immantinenti a questo fine dal 
Principe tostochè in Genova arrivato col Duca d' Alba, 
il Gonzaga, e V Ambasciatore Spagnuolo e nello stesso 
* palazzo che gli era cosi cortesemente e splendidamente 
, conceduto ad ospitalità. Il giorno seguente al suo ar- 
rivo ordinava egli che dinanzi a lui si adunassero i 
tre sunominati; i quali venuti, e richiamando a me- 
. moria ciò che a S. M. si era scritto dall' Ambasciatore, 
da Don Ferrante, e dal Duca d' Alba, quanto loro da 
; quello fii risposto, ciò che trattato con Francesco di 
f Grimaldi e Adamo Centurioni intorno allo stesso ne- 
gozio, decisero che il Principe si rivolgesse al Doria e 
., mostrandogli grande fiducia, gli dicesse avergli S. M. 
'\ Cdrdinato che tostochè giunto a Genova trattasse con 
. Ini di quello si aveva ad operare cosi per la sicurezza 
, di quella città e la conservazione del suo libero stato, 
come per tenerla salda nel servizio di lei ; vedesse 
- quindi quando si dovessero radunare , quali e quanti 
trovarsi presenti con lui alla radunanza affinchè prin- 
cipalmente col parer suo, si pigliassero quelle delibe- 
razioni che stimate fossero più convenienti. Unifor- 
^DOiandosi il Principe a quanto gli era suggerito, scrisse 
al Doria, e questi rispose : stare a' suoi ordini, poter 
essere presenti il Duca d' Alba, Don Ferrante, e V Am- 
^basciatore, congiuntamente con essi direbbe il parer 
'Sao. Sul cadere del medesimo giorno ragunaronsi; di- 
.inostrò Filippo che S. M. desiderava dar ordine alle 
cose di Genova, sia per il maggior bene di essa, sia 



374 

per la sicurezza e perpetuità del suo servizio, sia an- 
cora per accrescimento e conservazione della Casa del 
Doria e della costui discendenza, chiese quindi il parer 
suo. Ed egli da lontano togliendo il principio del suo 
discorso, disse che fin d' allora che Francesco di Gri- 
maldi fu inviato a S. M. si era trattato che per conse- 
guire r effetto che si voleva, conveniente stata sarebbe 
r edificazione di una fortezza nella città coi danari di 
essa, da riporla poscia in mano della M. S. ma che 
fin d' allora come adesso, egli la stimava cosa impos- 
sibile, tanto per non aver modo di sopperirvi alla 
spesa, versando in grande necessità, quanto per il ti- 
more di trovarsi esposti a cadere in soggezione. Ed 
essendogli replicato che se la città non poteva sob- 
barcarsi a tale stipendio, S. M. vi avrebbe col proprio 
danaro provveduto, dove egli trovasse modo ciò si fa- 
cesse col volere dei cittadini , rispose che non mai 
questi vi si sarebbero di buon grado prestati ; che se 
gli si domandasse il parere della forma che a tenersi 
si avrebbe quando si volesse ricorrere alla forza, li- 
beramente il direbbe senza tema che alcuno al mondo 
facesse violenza alla sua volontà perocché ni il suo 
interesse^ né quello della sua Casa gli premeva ni alito 
fine aveva fuori che il solo del servi:(io di S., M. Dopo 
di ciò, seguitò, che non usandosi le vie della forza, 
ma regolandosi con quella umanità che S. M. soleva 
adoperare nelli altri affari de' suoi sudditi, sembravagli 
che occorrendo allora le feste del Natale, epoca in 
cui si ha per costume di rinnovare i magistrati di 



375 

questa città, molto conveniente sarebbe di operarne 
la riforma riducendosi il Consiglio a minor numero, 
per cui non più di quattro fossero i presenti otto pro- 
curatori, e con ciò, e col chieder egli che gli si desse 
autorità d' intervenire in tutto come uno di essi, locchè 
credeva gli sarebbe accordato per le passate macchina- 
zioni ed offese contro la persona sua, ridotto il ne- 
gozio in mano di pochi, facile diverrebbe il trattare 
e dar ordine a quello della fortezza, o a ciò che più 
convenisse ; questo essere il migliore rimedio, conchiu- 
deva, per il quale con maggiore agevolezza sarebbesi 
pervenuti a provvedere con istabile forma alla Re- 
pubblica. 

A queste parole si replicava in contrario che il ri- 
medio proposto buono era per il presente, ma siccome 
gli uomini sono mortali, esso mancato per V autorità 
di cui la città si reggeva, non potea più applicarsi al- 
l' avvenire ; oltreciò, ridotto il governo in pochi, so- 
pra i quali egli prevaleva, certi soltanto si potea essere 
e sicuri di quelli che componevano la Signoria, la 
quale non amava senza dubbio né le novità , né le 
mutazioni, ma dire non si doveva altrettanto degli 
uomini sediziosi e della medesima plebe, che sollevati 
a tumulto, né la Signoria sarebbe di per sé bastata a 
sedarlo, né aver esso forza d' ajutarsi e difendersi. 
A quest' ultima obbiezione rispondeva il Doria, essere 
acconcio il rimedio di un gagliardo presidio che avrebbe 
repressi i sediziosi ^ e impeditone il tumulto ; m' alla 
prima non seppe che opporre , solamente osservava 



376 

che la fortezza sarebbe stata cosa molto sicura quando 
in una sola notte potesse fabbricarsi, e alla mattina 
vedersi compiuta, com' era fama che anticamente s' in- 
nalzassero le castella, ma essendo mestieri di molti 
giorni con maestri e materiali , mentre si lavorava, 
scoppiati sarebbero i tumulti, e quelli della città po- 
trebbero valersi di altre forze, ricorrere a* Francesi, o 
a chi più loro piacesse, propizia avendo V occasione e 
adducendo che si tentava spogliarli della propria li- 
bertà, cosicché ripeteva esser d' uopo servirsi per ora 
di altro mezzo eh' era la riforma del governo riducen- 
dolo a minor numero. E siccome, nuovamente gli 
venne replicato che una vòlta ottenuta la volontà della 
Signoria per la fabbrica della fortezza, si provvederebbe 
in guisa che non succedessero tumulti, né i maligni 
cercassero, o potessero impedirne V esecuzione , egli 
nulla più rispose, concludendo essere la pratica ridotta 
a questi due termini, il primo donde e come si avesse 
a trovar il danaro per la fabbrica della medesima for- 
tezza, il secondo del modo e della forma con che si 
potesse eseguire, ed ora suU' uno , ora suU' altro ra- 
gionando riusci più risolutamente al primo spediente 
della riforma del governo. Infine il riassunto di tutti 
questi discorsi si fu che la materia era di tanta" gra- 
vità da non potersi in una volta pigliare veruna ri- 
soluzione, che meglio fosse di ben maturarla e tornare 



a radunarsi ; frattanto per ordine di Filippo si abboc- 
casse il Duca d' Alba con Adamo Centurioni , e fa- 
cendogli per parte dell' Imperatore larghe promesse 



377 
per sé e per il figlio tentasse di tirarlo a quello che 
si voleva. Quanto gli era commesso eseguiva il Duca, 
prometteva accrescimento di grandezza ad Adamo, e alla 
sua Casa, ma quegli rispondeva, a suo giudizio non es- 
sere la fortezza praticabile, né quel rimedio necessario, 
laddove T aumento della guardia , e la riduzione del 
governo a minor numero bastavano a serbar libera la 
città e in devozione di S. M. soggiungeva, che prima 
d*ora erasi pr offerto a S. M. sempreché avesse voluto 
colla forza mandar ad effetto il disegno del Castello, di 
riporre in questo la sua persona, i suoi beni, e quelli 
de' suoi amici, m' al presente, affinchè non paresse di 
farvi ostacolo, abbandonerebbe la città per vivere altro- 
ve, comeché avea possessioni negli stati diversi di S. M. 
colle quali gli era agevole di menar comoda vita senza 
che avesse d' uopo di ajuto ed assistenza per V erezione 
di detta fortezza. E il Duca replicandogli che siccome il 
Doria avea offerto all' Imperatore di togliersi in mano 
il governo della città, ordinandolo a suo talento, senza 
darsi pensiero di altro, eh' egli ne farebbe la proposta, 
caldeggiandone la pratica , avvertiva lo stesso Duca 
esser assai più facile la costruzione della fortezza che 
il porre lo stato ad arbitrio di S. M. come proponeva 
il Doria. Alle quali parole sdegnato Adamo , altera- 
mente rispose che il Principe non farebbe né 1' una, 
né r altra cosa , e sebbene a lui non si addicesse il 
dirlo, era pur vero che non s' intendeva il Doria delle 
cose di Genova, né conosceva gli umori che ne tur- 
bavano la tranquilHtà, mentre avendo sempre atteso 



37S 

alle cose della guerra, a lui avea abbandonato T inca- 
rico di conoscere e trattar i civili negozj , né perciò 
dovea recare stupore che ne ignorasse le condizioni. 

E incalzando il Duca : che il rimedio da lui pro- 
posto non era durevole , rispondeva che in questo 
mondo non si potea avere cosa alcuna che si sperasse 
perpetua, che quella si provasse della riforma, e quando 
fallisse a buon fine, coloro tutti che desideravano il 
bene della città e del servizio della M. S. se ne rimet- 
terebbero air Imperatore medesimo. 

Dalle quali ultime espressioni il Duca si accorse che 
fine era del Centurioni, dopo la morte del Principe, 
avventurarsi all' acquisto del potere, pensando succe- 
dergli nella medesima autorità, né ciò riuscendogli 
confidarsi in S. M., e prestarsi allora a quello di cui 
adesso si trattava. Intanto cotesta volta ancora discon- 
clusi i tre chiamati a consiglio accommiatavansi da 
Filippo e trascorsi alcuni giorni per ordine di esso 
tornavano a radunarsi due volte e lungamente insieme 
discutevano quanto dovea operarsi. Premettevano, che 
il Centurioni pensava di temporeggiare per guadagnar 
meglio ciascun giorno quel!' autorità che allora pos- 
sedeva il Principe in Genova, e in cui divisava suc- 
cedergli, che S. M. senza dimostrarlo, dovea guardarsi 
dall' accrescergliela, ma vedere di diminuirla, affinchè 
mancando quegli, eh' essendo vecchio e decrepito non 
potea tardar di molto, non si trovassero nei medesimi 
termini in cui erasi adesso col Doria; che non doveasi 
approvare la riforma del governo a' pochi, giacché que- 



379 

sti a voglie loro V ordinerebbero mercè la stessa autorità 
di S. M. allegando che conveniva ciò si facesse per 
soddisfarla, non aVendo quella voluto, né potuto essi 
ottenere altra forma per liberarsi dalla fortezza per la 
quale con- tanta tenacità s' insisteva ; in questo modo 
si avrebbero obbligati i cittadini e Y autorità imperiale 
porgerebbe ad essi forza per conseguire quanto essi 
desideravano ; quindi più difficilmente sarebbonsi pre- 
stati ai voleri di S. M. e maggiore impossibilità 
avrebbe incontrato il negozio ; manifesto essendo che 
coloro i quali posti verrebbero da essi al Governo, 
essendo loro tenuti ne professerebbero le stesse opi- 
nioni. Parve pertanto meglio opporsi destramente alla 
riforma quando volessero tentarla, due grandi vantaggi 
ricavandosi dall' opposizione, Y uno la mancanza del- 
l' autorità che avrebbero per quella conseguito, Y altro 
che S. M. adducendo come mancato il mez^o che 
consideravano qual rimedio bastante alla quiete della 
città, non altro rimaneavi che questo della fortezza. 
Addottato ciò si decise di valersi delle stesse parti dalle 
quali travagliata era la Repubblica, e per qssq impe- 
dire che la riforma si proponesse ; a tal uopo ebbe 
incarico Y ambasciatore Figueroa di trattare secreta- 
mente cogli avversarj del Doria e del Centurioni, af- 
finchè quando in Consiglio se ne facesse la proposta, 
opponessero di avere inteso che non era quella la 
volontà di S. M. Però, molte difficoltà si rilevavano 
nel ricorrere a siflFatto spediente, imperocché non po- 
teasi prima di tutto evitare che noi sapessero il Doria 



380 

e il Centurioni, cui si avea riservata la pratica, locchè 
sarebbe cagione di molti inconvenienti, si trattò allora 
che Filippo dicesse al Boria che la cosa era di tanto 
peso ed importanza eh' ei voleva consultarne S. M. e 
siccome la risposta non potea giungere per le pros- 
sime feste natalizie, epoca in cui si eleggevano i ma- 
gistrati della Repubblica, cosi si avrebbe la dilazione 
di un anno, nel qual tempo vi sarebbe agio di pen- 
sare e deliberare ciò che meglio tornava di fare. 01- 
treciò per rendere ferma e sicura Genova in devozione 
di S. M. dopo la morte del Doria, non essendo suf- 
ficiente rimedio il presidio, si discusse molto, e dopo 
varj partiti si appigliarono a quello che per nessuna 
via doveansi interrompere le trattative col principe 
Doria e con Adamo Centurioni, perseverando nel- 
l'idea che solo ed ultimo rimedio fosse questo della 
fortezza temperandone il modo secondochè a S. M. 
fosse piaciuto. 

E qui, il Ferrante Gonzaga ponea in campo un al- 
tro tentativo ; veduto avendo, egli diceva, che le per- 
sone nelle quali stava la principale autorità in Genova 
per avergliela data l'Imperatore, cosi male gli corri- 
spondevano, bene era appiccar pratica con altri pochi, 
e tali cui si potesse far sperare che S. M. saria largo 
di singolare mercede, promettendo a ciascuno di essi 
di renderlo il più ragguardevole uomo di quella città; 
e tre,' secondo lui, doveano essere i preferiti, Anto- 
nio Doria, il colonnello Agostino Spinola, e il Car- 
dinale Doria, ad ognuno de' quali aveasi diversamente 



38i 

a parlare, per esplorarne V animo, inducendoli a favo- 
rire r opera della fortezza; al cardinal Doria oltre la 
promessa comune agli altri due di divenire il più auto- 
revole e potente di Genova , profFerirsegli per il ri- ^.^ 
torno del figlio fuoruscito ; aggiungeva il Gonzaga che 
per avergli altre volte parlato, avea. egli speranza di 
trarlo più facilmente a quello che si desiderava ; a tutti 
e tre poi raccomandar sopra tutto il segreto, e in tal 
guisa continuare la pratica tanto con essi quanto col 
Centurioni e col Doria ; che se i tre sunominati vio- 
lassero il segreto nulla potea seguirne di male, impe- • 
rocche gli ultimi due sarebbonsi accorti ch'essi pure 
dissenzienti, altri si aveano sui quali poteasi fare as- 
segnamento, né il Doria avrebbe ragione di dolersene 
trattando soltanto di far sicura la città dopo la sua 
morte. 

Ma il Duca d' Alba, notava, che saputosi di ciò dal 
Doria, era certo eh' ei se ne sarebbe tenuto offeso, e 
mutato partito, coli' autorità che aveva da S. M. che 
per niun modo gli si poteva rivocare', tutto sarebbe 
per istornare e distruggere quanto per altre vie si trat- 
tasse e tramasse, sentendo la diffidenza in cui si teneva, 
sicché la cosa si ridurrebbe a tale da- cadere in molti 
grandi inconvenienti. 

Rilevava ancora l' Ambasciatore Figueroa , essere 
impossibile il segreto, poiché ciascuno dei menzionati, 
e particolarmente Antonio Doria, e il Cardinale Doria 
aveano persone alle quali comunicavano, e davano 
parte d' ogni loro negozio, il primo ad Ettore Fiesco 



382 

parente del Conte Gian Luigi, e cognato di esso An- 
tonio, e il Cardinale , Gio. Batta Lercari, appassionato 
della fazione francese, i quali ne farebbero la maggiore 
pubblicità, non fosse^ altro che per ostentazione e di- 
mostrazione di essere messi a parte di si grande af- 
fare, onde si facea capitale sopra di essi ; inoltre Adamo 
Centurioni vedendo andar in dileguo il suo disegno di 
succedere come pretendeva nell' autorità del Principe 
Doria, essendo in sua balia la forza delle galere, uomo 
manesco com' era, avrebbe potuto salirvi sopra, trarsi 
in mare concertandosi colla Francia, od apparecchiare 
in tal guisa le cose in Genova che potesse tornare 
agevolmente entrando in essa, destarvi il tumulto e 
cosi mettervi il disordine e la disunione da conseguire 
il suo intento ; già, soggiungeva il Figueroa , di tal 
fine conosceva il mezzo , essendoché quando Cesare 
TrivLilzio tencii quella citti per i Francesi, il Centu- 
rioni il più intimo amico suo, fu il primo ad ingan- 
narlo e porsi contro di lui, adoperandosi a tutt' uomo 
perchè ne venisse cacciato. 

Ad onta di coteste ragioni, il Gonzaga perseverava 
nella prima opinione, ragionando che Antonio Doria 
e il Cardinale osserverebbero il segreto per essere 
capitali nemici di Andrea, del colonnello Agostino 
Spinola nemmeno era da dubitarne, e niun pericolo 
si correva quantunque il Principe e il Centurioni giun- 
gessero ad averne notizia ; che quest' ulthno non mai 
si sarebbe appigliato a qtiello che V Ambasciatore af- 
fermava, con perdere V egregia quantità di danaro che 



383 

S. M. gli doveva insieme a que' beni che comprato 
testé aveva nello stato di Milano; che infogni caso 
non vi era paragone tra la perdita delle galee, e la 
grandissima utilità si ricavava dall' assicurarsi del do- 
minio di Genova colla fabbrica della fortezza. 

L* Ambasciatore a siffatto ragionamento temperava 
il suo parere e venia quasi nella sentenza di Don Fer- 
rante, ma il Duca d' Alba persisteva tuttavia dicendo 
che in ninna maniera si doveva trattare né in generale, 
né in particolare coi summentovati tre del castello 
senza prima consultarne S. M. 

Si fecero quindi altre preposte, e finalmente d' ac- 
cordo si convenne di non conferire maggiore autorità 
al Centurioni prima di togliergli a poco a poco quella 
che già possedeva ; che riguardo al presidio, non po- 
tesse essere minore di 700 fanti, né accettare la dila- 
zione da lui consigliata ; . non dovrebbe comporsi inte- 
ramente, né di Alemanni, né di Spagnuoli, né d' Italiani; 
ne avesse il comando il Figueroa ; si trattasse coi tre 
ma col più prudente modo che si potesse, affinché suc- 
cedendo la morte del Doria , si conservasse la città 
nella divozione dell' Imperatore , e riuscisse possibile 
la costruzione del Castello ; si accettasse 1' offerta del 
colonnello Agostino Spinola che seguita la morte del 
Principe si teneva bastante co' suoi parenti ed amici 
a mantener Genova nella soggezione imperiale senza 
che ne accadessero novità. 

Fatta questa conclusione sciolse Filippo l'adunanza 
e il giorno dopo chiamò a sé il Doria, e chiestogli del 



384 

giorno che meglio gli piaceva per un nuovo consiglio 
col Duca & Alba, il Gonzaga e V ambasciatore, si accor- 
darono per il domane di quello; ragunati che furono 
e la stessa pratica posta in campo, dopo molti argo- 
menti e raggiri, e malizioso destreggiarsi dell'una, e 
r altra parte fu il risultato che il Doria ad altro non 
si potè indurre se non che rimanesse il governo in 
mano di lui e di Adamo Centurioni con altri pochis- 
simi loro aderenti con una guardia che li tutelasse. 

Volli tuttociò, e forse con soverchia minutezza, nar- 
rare, come si legge descritto nella relazione che ne 
mandò il Principe Filippo a suo padre (i), affinchè 
bene- si conoscessero gli umori diversi che travaglia- 
vano le intime parti della Repubblica, e quali uomini 
e di qual carattere fossero quelli che se ne conten- 
devano il Principato, e se chiamar si debba libertà la 
forma di governo che pretendevano stabilirvi, non 
piuttosto una Signoria che pendeva tra Andrea, An- 
tonio, il Cardinal Doria, Agostino Spinola, e Adamo 
Centurioni, né potè riuscire assoluta per il primo 
meno per generosità sua, che per li insuperabili osta- 
coli che vi posero gli altri , i quali pure volevanla 
per essi. 

CXXIV. — Intanto, sebbene tah e tante difficoltà 
s' incontrassero , non si usciva però di speranza dai 
ministri imperiali di sottometter Genova in ogni modo, 
poiché col dominio di essa doVea Filippo salire a quello 

(i) V. Documenti dell' Archivio di Simancas, Doc. cxliv. 



385 

di tutta Italia; e poiché col mezzo delle narrate trat- 
tative, e dei diversi tentativi provati col Doria e il 
Centurioni si riconosceva che dall'autorità imperiale 
accettavano essi soltanto quella parte che serviva a 
stabilire e far sicura la loro, pare, che volendo otte- 
nere r intento mentre lo stesso Filippo trovavasi in 
Genova , ricorressero ad uno stratagemma , il quale 
dove fosse riuscito, li liberava da ogni altro successivo 
esperimento. Il giorno 3 dicembre di queir anno 1548 
per violenza degli Spagnuoli, o per sospetto del po- 
polo , accadeva un gran tumulto nella città; questo 
ultimo impugnate di subito le armi precipitavasi verso 
il Molo dove in alcune osterie stavano i primi; i birri 
della città, e i soldati della guardia di Palazzo accor- 
revano, e tentavano di sedare quel moto che minac- 
ciava di farsi grave e pericoloso, quando il colonnello 
Agostino Spinola con maggiori forze, e più risoluta 
audacia cacciavasi per entro i tumultuanti, e riusciva 
a frenarli mentre faceva imbarcare gli Spagnuoli. 

Erano tre giorni dell* occorso fatto quando un più 
gagliardo e feroce scoppiando, attestava la manifesta 
volontà degr imperiali di muovere a rumore e con- 
fusione la città per trarne profitto. 11 Principe Filippo 
forse per concertati fini ordinava venisse imprigionato 
un D. Antonio d'Arze, e a maggior sicurezza chie- 
deva licenza al Senato che fosse condotto da sei sol- 
dati nella torre del Palazzo. Volendosi poscia ricon- 
durre air armata , ottanta archibugieri in ordinanza , 
metà de' quali con micce accese, giungevano fino al- 

25 



386 

r ingresso del Palazzo dove Filippo voleva alloggiare, 
e il Doria avea detto temere che quelli che vi erano 
non volessero uscirne ; la guardia chiuse tosto i rastelli 
ed essi a far impeto per entrarvi di forza; al quale 
atto i soldati italiani posta mano alle armi, presero 
a mettersi in difesa, intanto dai corridoj e dalle altre 
parti del palazzo accorrevano colà nuovi soldati, e le 
porte di esso serravansi con frequenti colpi di ar- 
chibugio, per cui alcuni Spagnuoli ne cadevano uccisi; 
seguiva un accorruomo di tutto il popolo sollevato 
alla voce che gli Spagnuoli volessero per sorpresa 
occupare il pubblico palazzo, chiudevansi le botteghe, 
una numerosa e minacciosa moltitudine sopraggiungeva 
sulla piazza dove gli Spagnuoli spaventati a quella vista 
non sapeano che operare ; la cosa stava per riuscire 
a memorabile rivolta , quando la prudenza del Doge 
e dei due Governatori di Palazzo, fatte aprire le porte 
tentarono di calmare quegli animi sdegnati, ma vano 
sarebbe stato il loro tentativo , se non era Andrea 
Doria, che girando in seggiola per la città coli' auto- 
rità, e col rispetto che gli si aveva da tutti calmò il 
tumulto; venne dopo di lui un segretario della Re- 
pubblica che a suon di tromba ordinò di por giù le 
armi, e ritrarsi ciascuno alle proprie abitazioni, sicché 
il rumore fu queto. Il Doria recatosi in Senato lamentò 
il fatto, e fu da questo mandato a darne soddisfazione 
al Principe Filippo accusandosi la volubilità della plebe, 
la confusione de' soldati, il dispiacere del governo che 
non potè in tempo antivenire V accaduto. Ma al Doria 



38? 
e al Governo non ispiacque vedere il popolo geloso 
della propria libertà subitamente commuoversi al pe- 
ricolo di quella, e Filippo sia per V esito infelice della 
male ordita trama , sia per vedere in non cale tenuta 
la sua persona da' Genovesi montò in tale stizza che 
issofatto decideva partirsi , senonchè il Duca d* Alba 
mostrandogli le funeste conseguenze dell' inconsiderata 
decisione non solo riuscì a trattenerlo, ma dopo quel 
giorno stesso a deliberarlo di fare il suo ingresso in 
città, dove fino allora non era entrato , e recarsi ad 
udire la messa nel Duomo. 

Quinci e quindi si gareggiava dunque di simulazione, 
d' inganno, d' ipocrisia, per la qual cosa se il figlio del 
grande Imperatore , nei regni di cui non tramontava 
il sole, cotanto onore volea fare a Genova entrandovi 
alfine a mo' di Principe, coloro che ne maneggiavano 
le sorti, e voleano rimanervi nonché nello stesso, ma 
in maggiore grado, doveano colla più splendida pompa 
riceverlo, e tanto più in generale infingerne V esulta- 
zione, quanto più vergognosamente gli erano falliti i 
più reconditi disegni della Signoria genovese. Infatti^ 
dovunque arazzi vedeansi che adornavano* la strada e 
le finestre, archi trionfali sulle piazze e per ogni luogo 
dove avea a passare folla di popolo festante e plau- 
dente, ed iscrizioni ed epigrafi che ne dicevano le 
lodi, ne magnificavano le virtù. All'ingresso di S. Lo- 
renzo il Cardinale Arcivescovo, il Doge, i Senatori, 
e il Principe Doria furono ad accoglierlo insieme con 
tutto il suo seguito, e dopo la messa venne accom- 



' 388 

pagliato al palazzo di Fasciolo. Al dopopranzo di quel 
giorno, trascorsa di bel nuovo la città, visitandone le 
fortificazioni, andò in Carignano, e da quel còUe si 
compiacque del superbo spettaccolo del mare, dei giar- 
dini e dei palazzi sottoposti; nei due giorni successivi, 
visitò la moglie del Doria, di Marco Centurioni figlio 
di Adamo, e la vedova di Gianettino, alle quali fece 
preziosi doni di gioie e di diamanti; ammise alla sua 
presenza gli Ambasciatori di Venezia, di Siena, di 
Lucca, dei Duchi di Savoja, di Ferrara , di Mantova, 
di Ottavio e del Cardinale Farnese di Parma, il figlio 
del Duca di Firenze, e quelli del Cardinale di Burgos 
e di Ravenna; fatti questi ed altri ricevimenti fira i 
quali della nobiltà genovese del portico di S. Lua 
in ispecie , correndo V undici di decembre parti con 
tutta la Corte, avviandosi a Milano, dove per breve 
tempo soffermatosi, seguitò il cammino in Germania 
in cui pervenne dopo 40 giorni di soggiorno in Italia, 
accoltovi festevolmente, odiatovi mortalmente, sgannato 
del fine pel quale era venuto. 



CAPITOLO SETTIMO 



Lettere del Prìncipe Filippo d* Ala di Trento e da Roveredo ali* Ambasciatore Figueroa, 
e air Imperatore suo padre, che consigliano e raccomandano di adoperare alfine la 
forza sia per V erezione della fortezza, sia per un forte presidio in Genova ; nuovi 
tentativi che si fanno a tale uopo dal Figueroa col Doria ; risposte fiere e riso- 
lute del secondo al primo ; in un successivo abboccamento il Doria propone che 
r Imperatore imisca la Repubblica allo stato di Milano ; Ferrante Gonzaga reso 
consapevole di queste trattative scrive al Principe Filippo che il Doria in quelle 
proposte altro scopo non si prefiggeva che di sconvolgere la pratica, gì' indica il 
modo con cui l' Imperatore deve rispondergli ; Filippo fa di tutto consapevole il 
padre ; e gli suggerisce quanto a lui pareva si avesse ad operare per meglio con* 
durre la pratica ; scrive quindi una seconda lettera ali* Ambasciatore Figueroa ; 
nuovo abboccamento di questo col Doria, nuovi artifizj usati con lui per indurlo 
al fine propostosi, resi inutili ; contezza che ne dà al Principe Filippo, mentre gli 
espone la maniera con cui divisava di condursi ; nuova congiura ordita da Gio. 
Batta Defornari Ex-Doge, scoperta per un Frate Gemente Francescano col mezzo 
della tortura ; il Defornari per corruzione dei giudici viene solamente condannato 
air esigilo. 



CXXV. — Non perciò questo fine poneasi ancora in 
obblio, che quantunque Filippo cosi egli fallite in Ge- 
nova vedute avesse le proprie speranze, non si rimaneva 
tuttavia dal seguitare i suoi disegni e i più audaci 
tentativi contro di quella, comechè, viaggiando pure 
per r AUemagna, d* Ala di Trento , e da Roveredo 
scriveva lettere al Figueroa, e al padre suo che tutte 
ne manifestavano T animo in queir intento profonda- 
mente fisso. Addi 23 gennaio del 1549 significava al 



390 
primo come Y Imperatore si fosse compiacciuto di ciò 
che gli riferiva il Duca d' Alba della risposta del Doria 
intorno alla contrastata fortezza, del modo che tener 
conveniva per innalzarla, e come egli ne avesse al- 
fine in effetto conosciuta la grande necessità senza 
che si offerisse altro rimedio, che questo di adoperarvi 
la forza, imperocché , sebbene da principio i cittadini 
potessero mostrarsene scontenti, intenderebbero poscia 
zelare la M. S. il mantenimento della loro Ubertà, e 
il desiderio anzi di accrescergliela , locchè da molto 
tempo .tenendo per fermo , per V amore e il rispetto 
in che aveva il Doria, non volle cosi ricisamente pro- 
porglielo, finché non si accorse eh* egli stesso cono- 
sceva quanto disperate fossero le cose di quella città, 
se non vi si provvedeva prontamente con tal rimedio; 
inte'sa ora le sua risoluzione, come sperava che fosse, 
era lieto di conformarvisi desiderando che venisse 
posta ad effetto, e intendere ad un tempo del modo 
ed ordine che a lui pareva doversi osservare, essendo 
che tutto avea da eseguirsi secondo il volere e con- 
siglio di lui. 

E qui, Filippo raccomandava al Figueroa nell'atto 
che al Doria avrebbe rimesse le lettere di S. M. di 
farlo persuaso della grande fiducia e sicurezza che si 
riponeva in lui , del molto amore e della stima in 
che si teneva la sua persona, che quindi stendesse un 
Memoriale di tutto quello che giudicava essere fatto. 

Né a questo ancora standosi pago, una seconda let- 
tera dallo stesso luogo di Ala di Trento, e nello stesso 



391 

giorno gli spediva, ingiungendogli ogni maggiore de- 
strezza usasse col Doria , traendolo a spiegare nel 
Memoriale particolarmente quanto meglio riuscisse 
conducente al proposito. 

Indi sempre nel medesimo giorno con una terza 
lettera scritta pure il di 23 gennaio da Roveredo facea 
palese al padre quanto credeva della risoluzione del 
Doria, opinando, che avendo questi cosi liberamente 
consentito a' voleri dell' Imperatore fosse piuttosto per 
complire con S. M. che per tralasciare le difficoltà do- 
vendo eseguirli, locchè sarebbe uno spingere innanzi 
il negozio , riservandosi ad opporre la impossibilità 
dell' esecuzione; infatti egli consigliava che adope- 
randosi la forza, ciò succedesse quando le galere fos- 
sero fuori della Darsena , per la qual cosa non si 
troverebbe egli costretto a pigliarvi parte, dopodiché 
domandava dove si avesse a cercar questa forza, come 
e di qual maniera usarla. 

In appresso, il Principe Filippo trattava dell'altra 
difficoltà del danaro necessario all'uopo, e di questo, 
diceva, si dovesse leggiermente passare traendo i sol- 
dati Spagnuoli che sarebbonsi adoperati dal Regno di 
Napoli e dallo Stato di Milano già pagati per quei 
presidj, in tutto il tempo di tre o quattro mesi al più, 
richiesti a porre in difesa il Castelletto, il quale me- 
glio che ogni altro luogo mostravasi addatto all'o- 
pera che si voleva costrurre. 

Riguardo alla stessa guardia che S. M. desiderava 
contemporaneamente mantenere in Genova colla for- 



392 
tezza, osservava che di ciò si sarebbe trattato colla 
scelta del capitano quando quella fosse innalzata. 

Non dovea infin,e tenersi in gran conto ciò che si 
opponeva che facendosi questa imperesa, impedivasi 
r altra contro il rinegato Dragut che in quel mentre 
più che mai infestava le coste del Mediterraneo, con- 
ciossiachè V assicurarsi di Genova che stava per to- 
gliersi al dominio imperiale avesse ben maggiore 
importanza delle scorrerie del pirata algerino. 

Intanto come ne riceveva commissione dall' Impe- 
peratore e dal Principe Filippo , T ambasciatore Fi- 
gueroa rimettevasi con maggior calore e sagacità a 
negoziare col Doria. Questi dissimulando quanto già 
addietro intorno alla stessa pratica si era più volte 
trattato, rispondeva che egli non si confidava d'in- 
durre il popolo genovese di buon grado all' edifica- 
zione del Castello, né credeva vi fosse persona tanto 
autorevole, da renderlo contento, che però per tal via 
non era possibile, e doveasi adoperare la forza, cui 
non si avea a ricorrere stando in Darsena le galere. 
Vedendo poi come adesso S. M. e S. A. fossero ve- 
nuti in questo sentimento della forza, e ne chiedessero 
il suo parere, avvisava, non esistere una giusta cagione 
di farlo senza recarsi a tale che potesse dare occasione 
ad alcuna guerra di grave danno alle cose di S. M. 
con acquistarsi egli stesso un mal nome non solo in 
Genova ma in tutta l' Italia perocché quando erasi 
accordato con S. M. venendo a suo servizio, capito- 
lavasi che posta avrebbe quella città in libertà e ne la 



393 
manterrebbe, dandole favore ed ajuto contro chiunque 
tentasse perturbarla; che per tutte queste ragioni gli 
sembrava non sì avesse legittimo motivo di usarle la 
forza, tanto più che stava in potere di S. M. di far 
quanto desiderava ogni qualvolta lo chiedesse. 

A questi sensi posti per la prima volta in campo 
con inaspettato ardimento dal Doria, meravigliato ri- 
spondeva il Figueroa : ben sapersi egli che S. M. 
•dopo di avere resa libera Genova, non mai avea la- 
sciato di difenderla, sia con uomini, sia con danaro, 
e ultimamente quando il Re di Francia essendo a 
Torino, pareva che qualche disegno ordisse contro 
di essa, comandava a lui stesso che nella difesa vi 
concorresse per metà a carico dell' erario imperiale; 
che nella congiura del Conte Fiesco, e nell* offesa 
ricevuta dal Doria nel sangue e nelle sostanze, T Im- 
peratore pensava a far sicura la città, non già toglien- 
dole, ma conservandole il suo libero Stato, e affinchè 
la posterità di lui acquistasse maggiore preminenza 
ed autorità sopra tutte le altre genovesi famiglie. 

Ciò udito, ripigliava il Doria che la congiura del 
Fiesco, era affare di un privato, non di tutta la città, 
e perchè V Ambasciatore gli opponeva , esser questo 
un errore, mentre tranne pochissimi che lui seguita- 
vano per interessi particolari, e per i danari di Adamo 
Centurioni che divisava succedergli nella medesima 
autorità, tutti gli altri e nobili e popolari l'avversavano, 
ed osteggiandolo cospiravano colla Francia contro di 
lui, e l'Imperatore che gli serviva oggimai solo di 



394 
scudo e di difesa, rispondeva, la cosa essere di tanta 
graviti che d' uopo Éicevasi di pensarvi molto sopra, 
ciò Éitto sarebbonsi riveduti, e deciso "kvrebbono quello 
che con maggior calma e maturità si addiceva a ne- 
gozio di tale importanza, 

Rivedeansi dopo due giorni, non senza che il Doria 
se ne fosse consigliato col Centurioni , e 1* esito del 
nuovo abboccamento si fu che egli non vedeva modo 
per cui si potesse accingere alla fabbrica del Castello, 
perocché, sebbene in tal caso fossero necessarie grandi 
somme di danaro per la sua costruzione, né meno di 
tremila soldati per tenerla, non si sarebbe tuttavia riesciti 
a mantener quieta la città, preferendo i cittadini di darsi 
piuttosto al diavolo che rimanersi soggetti. Ben pen- 
sando , ei soggiungeva poi , vi sarebbe un rimedio , 
ed era, che S. M. conferisse V investitura dello Stato 
di Milano a S. A., aggiungcndavi pur qtiella della Re- 
pubblica , nel che egli si adoprerebbe , e riuscito che 
fosse, S. M. avea allora giusta ragione di usare la 
forza nel disegno, e nell'esecuzione della fortezza; e 
siccome V Ambasciatore chiedevagli se di tal guisa 
potrebbe S. M. restar sicura, rispondeva il Doria; 
non potendo veramente promettere, ma colla potenza 
e grandezza che possedeva tutto essere possibibile al- 
l' Imperatore, tanto più che a' genovesi tornava indi- 
spensabile il traffico con Milano senza cui non poteano 
vivere e il Signore di Milano lo era pure di Genova, 
e maggiormente lo sarebbe S. M. 

Queste cose discusse V Ambasciatore scriveva il 



395 
29 gennaio del 1549 a S. A. non senza fargli osser- 
vare essere d' esito incerto, e sopra cui non dovea 
farsi fondamento ciò che veniva proposto dal Doria, 
il quale appena fosse cessato di vivere le fazioni che 
allora si agitavano, e congiuravano avrebbero prorotto 
a manifesta insurrezione, e reso vano ogni antecedente 
rimedio dove non fossero da una stabile e gagliarda 
forza impediti. Conchiudeva, avergli infine il Doria 
raccomandato, che per le notizie ricevute da uno for- 
zato riscattatosi, il Corsaro Dragut avendo accresciute 
le sue piraterie, essere di somma necessità di opporvi 
una virile resistenza, se non si voleva vedere invase 
quanto prima e orribilmente devastate le isole di Sar- 
degna e di Corsica. 

CXXVI. — Di tutti questi fatti e tentativi usati col 
Doria rendeasi pure consapevole Ferrante Gonzaga, 
il quale da queir uomo astutissimo eh' egli era, lancia 
spezzata di Carlo V^ nimicissimo d' ogni italica libertà, 
e della Genovese Repubblica in ispecie, rispondeva al 
Principe Filippo addi 6 febbraio 1549. 

Che la molta spesa e il lungo tempo allegati dal 
Doria nel negozio della fortezza, non erano veri a 
giudizio dell' ingegnere Gio. Maria Olgiati , il quale 
avea detto e confermato bastargli un mese soltanto 
per ridurre a fortezza il sito disegnato del Castelletto 
vecchio, in ogni caso lieve tornare sempre la spesa 
di fronte all' importanza del fatto che si avea tra le 
mani. Contraddirsi il Doria laddove affermava essere 
ingiusta cosa e violazione delle capitolazioni di S. M. 



396 

refezione della fortezza proposta col consenso de* 
Genovesi e con quelle condizioni da essi domandate 
per la conservazione della loro libertà, e giusta invece 
r investitura forzata del dominio libero di quella città 
al Ducato Milanese , senz' alcuno rispetto alla stessa 
loro libertà. 

Ma questo modo di parlare, soggiungeva egli, era 
conforme a quello sempre tenuto dd Principe in ad- 
dietro, quando stretto da ragioni e dal debito suo, 
non avendo risposta alcuna valida in contrario, volle 
sconvolgere questa pratica; per cui potevasi di leg- 
gieri conchiudere, che evidentemente il Principe Boria 
conoscesse quello si proponeva essere salutare alla 
patria sua, e al servizio di S. M. e di S. A. ma po- 
tere in lui più che questa ragione V ambizione del- 
l' esser tenuto padre della patria , e la persuasione e 
forza di coloro che lo governavano, i quali pensando 
da poi, la morte di lui, di fare i fatti loro sotto 
l'ombra di S. M. e S. Altezza s'ingegnavano diver- 
tirlo dal diritto cammino. 

Ora poi, continuava, che la cosa proposta dal Doria, 
vuole egli stesso si abbia a fare per forza, e S. M. ed 
Altezza erano deliberati di non usarla, secondo la ri- 
soluzione presa in Genova, si avrebbe a cominciare 
dall' abbassar quelle persone che si opponevano per 
loro disegno e innalzare le aderenti al desiderio di S. M. 
e con lo andare di mano in mano trattando e dispo- 
nendo le cose di maniera che dopo la vita del Prin- 
cipe si potesse conseguire l' effetto che ora non si 



397 
poteva. Intanto per togliere a' maligni di difFormare 
ed esagerare il disegno della fortezza, che certo non 
potea rimanersi segreto, consigliava che S. M. stessa 
lo chiarisse in forma pubblica, esprimendosi nel modo 
seguente : 

« Che S. M. poiché segui quel disordine del Conte 
» Fiesco avendo conosciuto il pericolo nel quale 
» stavano le cose di quella città, di essere occupate 
» e dominate dalla temerità di particolari cittadini e 
» da persone ingorde, ed essendo il servigio di S. M. 
» tanto congiunto con il beneficio loro, che non può 
» non avere quella gelosia e cura delle cose di essi che 
» ha delle cose proprie, né non portar loro quell'istesso 
» amore, che ha continuamente pensato d' allora in 
» qua ai rimedii che ci sarebbono per conservar la 
» quiete e libertà loro e la devozione che essi le por- 
» tano; e che dopo lunghe considerazioni e diverse, 
» desidereria che si fondasse un castello, il quale 
» avesse a star in mano di S. M. per fireno degF in- 
» solenti ed inquieti, e per sicurtà de' buoni, e pacifici; 
» e, che per aver questo nome di Castello non so che 
» di grave in prima faccia, S. M. dichiara, e vuole 
» che sappiano che Ella non intende che le sia dato 
)) in mano, né di accettarlo, se non con tutti quei 
)} capitoli e tutte quelle condizioni eh' essi sapranno 
» addimandare per salvezza della libertà loro presente 
» e futura mentre durerà la successione di lei; men- 
)) tr' Ella altra cosa non pretende di fare, se non con- 
» servarli lungamente liberi a sua devozione dalle 



398 

ingorde voglie di coloro che cercano di opprimergli, 
per questo viene con essi alla libera, e procede 
chiaramente, come possono vedere per questa pro- 
posta, perciò che vuole che questa chiarezza e sin- 
cerità sia lor argomento della buona intenzione con 
che si muove ; e che una delle principali cause che 
lo confermano in questa opinione e rimedio del 
Castello, è ricordarsi che quella repubblica fa gros- 
sissima spesa per assicurarsi, e nondimeno sta sèm- 
pre nel medesimo pericolo ; e pare a Lei che il 
Castello farebbe questo primo beneficio, oltre a tutti 
gli altri, che gli disgraveria in gran parte di detta 
spesa, conciossiachè dove ora mantengono otto, o 
settecento fanti , allora ne avrebbono a mantener 
dugento soli nel Castello, e cento o centocinquanta 
nel Palazzo, affrancando la spesa di tutto il resto, 
e come, è detto, essi sarebbono sicuri dove ora non 
sono tali ; e finalmente che, giudicando S. M. que- 
sto rimedio essere necessarissimo, non ha voluto 
mancar di anteporlo, perchè dove essi non lo giu- 
dichino tale, e non se ne contentino , almeno lo- 
noschino il buon animo di S. M. V amore che lor 
porta, e la cura che tiene di quella pratica ; ed Ella 
per quel che tocca , non si possa dolere di aver 

mancato a sé medesima in alcun tempo » (i) 

Ciò detto, andava il Gonzaga considerando quali 
mali e quali beni vi potevano essere cosi la Maestà 

(i) Documenti dell'Archivio di Simancas ; Doc. cxux. 



399 
Sua procedendo verso la Repubblica, e risolveva che 
male alcuno non ve n' avea, e beni invece non pochi 
fra i quali quello che quando un' altra volta, si trat- 
tasse di questo negozio dopo la morte del Principe 
Doria, se per allora prudenza fosse di non doverlo 
recare ad effetto, non tornerebbe né nuovo (essendo 
stato di tanto tempo innanzi dato a considerare e ru- 
minare in pubblico), né duro , come parrebbe se si 
aspettasse a proponer la fortezza al tempo che si vo- 
lesse fare. Altrimenti, se questo modo non si tenesse 
al presente, per assicurare il pubblico e il particolare, 
né adesso né in altro tempo si potria avere speranza 
di ottenere l'intento, perché come essi con la sopra- 
detta proposta leverebbero il credito ai maligni , cosi 
i maligni, essi tacendo, non lo toglierebbero ai buoni. 
Riguardo a ciò che V Ambasciatore Figueroa diceva 
che potendosi ottenere dai Genovesi che la guardia 
che tengono la tenessero di Alemanni, conche si po- 
trebbe star con sicurtà ; notava, non aver esso 1' Ale- 
manno per buono a combattere nella città, perché 
nella città vi avea bisogno principalmente di archibugi 
e i Tedeschi non ne usavano se non pochi ed erano 
uomini piuttosto da campagna ; che se i Genovesi ac- 
cennassero che più fossero per essere loro cari i Te- 
deschi nel castello che altra nazione, si potrebbe loro 
proporre e promettere di tenerveli dentro sotto però 
capo spagnuolo ; perché a suo giudizio, S. A. potrebbe 
fidarsene interamente, massime essendo governati da 
persona destra. 



400 

Conchiudeva, confermarsi tanto più nell* accennata 
opinione, in quantochè, venendo eseguita, giustifìcavasi 
ancora, a parer suo, V altro negozio di Siena, e a darsi 
questo da dire, e considerare alle genti : -che S. M. 
commetteva che si facesse il castello in Siena, perchè 
i Sanesi ne la supplicavano , mandandovi un ambascia- 
tore a domandarle forma di vivere e legge, e lasciava 
di commettere che si facesse in Genova , benché ivi 
fosse altrettanto necessario , solo perchè i Genovesi 
non se ne contentavano ; che era segno manifesto della 
sua bontà e modestia, non volendo sforzare mai i po- 
poli che r erano soggetti a far cosa che tornasse con- 
tro la voglia e soddisfazione loro, benché fosse a quelli 
salutifera e necessaria (i). 

CXXVII. — Queste cose sentite dal Principe Filippo 
consigliavasene col Duca d' Alba che indivisibile per 
ordine del padre gli stava a' fianchi, e dal monastero 
di Erbesperg in Germania dove trovavasi , ne dava 
addi 13 Febbrajo 1549 sollecita contezza all'Impera- 
tore, esponendo che due cose si aveano a considerare; 
r una al riguardo della lettera di Don Ferrante, V altra 
di provvedere al pericolo in cui travagliavasi quella 
città sia al presente sia per l'avvenire. 

Che due punti dovevansi fissare per rispondere alla 
lettera ; il primo che S. M. si sgravasse dell' accusa 
mossagli dal Doria, che volesse violare le sue pro- 
messe le quali aveagli fatte quando venne al suo ser- 

(l) V. Dee. Cit. CXLIX 



vizio di mantener la città in libertà; ordinando al- 
r ambasciatore rispondesse al Doria : non mai S. M. 
aver avuto per fine né adesso intendere di togliere 
la libertà a Genova, anzi desiderato e voluto sempre 
in essa conservarla, e per questo adoperati tutti i mezzi 
e rimedi che sembravanli più convenienti , e il mag- 
gior testimonio esserne lo stesso Principe, imperocché, 
quando proponeva egli al Duca d' Alba che S. M. po- 
nesse un governatore nella città ritenendola in sua 
potestà, per la ragione che i molti danni ordinar] e 
straordinarj che la desolavano, né vi era modo a ri- 
pararvi, né quei signori del Governo aveano forza da 
esercitare giustizia contro i perturbatori, e quindi im- 
possibile di continuare in tal guisa, il Duca conoscendo 
i voleri di S. M. rispose che non mai V avrebbe ac- 
cettata, perché la era un' offesa manifesta alla sua li- 
bertà; e a ciò conforme S. M. istessa li fece risposta; 
che quindi lungamente si trattò dei mezzi che si vo- 
levano ed abbisognavano al più stabile ordine della 
Repubblica, e ninno più adatto se ne rinvenne di quello 
della fortezza, e di questo sempre S. M. ebbe ad intrat- 
tenersi sulla proposta e col consentimento dell' istesso 
Principe. 

Venendo ai rimedj che si richiedevano per il pre- 
sente e per lo stato avvenire di Genova, S. A. sug- 
geriva, che non s' insistesse più sulla fortezza col Do- 
ria, né gli si consentisse di trattarne nei consigli della 
Repubblica, poiché egli con tal modo altro non vo- 
leva che far cadere in disistima la M. S. dimostrando 

26 



402 

che egli era costretto a piegare dinanzi ad una forza 
maggiore. 

Riguardo alla investitura proposta dal Doria di Ge- 
nova congiunta al Ducato di Milano , notava S. A., 
altro non essere che un artifizio per pigliar tempo, 
diguisachè giunto questo avrebbe opposte le stesse dif- 
ficoltà che ora adduceva per la fortezza. 

Conchiudeva che siccome nella vita del Principe non 
si potava ottener più di quello che si avea avuto finora, 
rimaneva di provvedere soltanto al futuro , e questo 
era di non lasciar crescere in maggiore autorità coloro 
che si sapevano contrari e vedere anzi di abbassarli, 
innalzando invece i più devoti, tenendosi quindi ben 
affezionato Agostino Spinola con dargli alcune spe- 
ranze, senza però scendere ad alcuna materiale indi- 
cazione ; nello stesso modo comportarsi col Cardinale 
ed Antonio Doria, ma con questi doversi procedere 
più cautamente senza addivenire a particolarità, trat- 
tando ciascuno di essi secondo la sua natura, e poi 
sperare nel tempo che di giorno in giorno porgerebbe 
migliore espediente. 

Quanto al riporre la guardia sotto gli ordini del- 
l' Ambasciatore come Antonio Doria consigliava al 
Duca d' Alba, gli pareva buon consiglio, e riferirsene 
allo stesso Ambasciatore il quale conoscendo esserne 
facile r effetto di subito vi si adoperasse ; non però 
servirsi de' Tedeschi, come assai bene opinava Don 
Ferrante. 

Per l'impresa contro Dragutte, era d'avviso, che 



403 

non si andasse a quella prima di aver dato sesto alle 
cose di Genova. 

CXXVIII. — Dopo di questa lettera, una seconda 
lo stesso Principe Filippo addi 8 marzo 1549 ne in- 
dirizzava da Heidelberg all' ambasciatore Figueroa in 
Genova dove per lui si ripeteva tutto quanto avea 
nella prima esposto ali* Imperatore suo padre aggiun- 
gendoli di più che veduto e considerato il disegno di 
Don Ferrante non era mente di S. M. di adottarlo, 
imperocché facendosi pubblica la pratica della fortezza, 
come quegli opinava, dove tanti e diversi erano gli 
umori, ne sarebbe di certo derivato qualche disastro, 
e data si avrebbe occasione di appiccare relazioni a 
più inquieti con Francesi, e altri potentati prevenen- 
doli, e di tutto tenendoli avvisati , e vedendo intera- 
mente fatta palese T intenzione di S. M. non rimar- 
rebbero dal tentare ogni sforzo per impedirne V effetto; 
cosicché, ben ponderata ogni cosa, non conveniva di 
seguir quel consiglio, ponendo in pubblico il negozio 
che tornerebbe più difficile per V interpetrazione di un 
fine diverso da quello che avea mosso S. M. Racco- 
mandava quindi al Figueroa se ne aprisse soltanto con 
alcuni che meglio stimasse bene affetti, giustificando 
ma in nome proprio, il buon volere dell' Imperatore 
deliberato a proteggerli e mantenerli in libertà, poiché 
essendo essi persone oneste e leali e da lui ben co- 
nosciute servirebbero a levare ogni ombra di sospetto. 
Infine, replicavagli quanto già avea scritto al padre di 
procurare che coloro i quali sapeva contrarj all'ere- 



404 

zione della fortezza non crescessero in autorità, e anzi 
studiar modo di abbassarli con destrezza e dissimula- 
zione; e qui faceagli pure raccomandazione di grati- 
ficare con vaghe speranze Agostino Spinola, il Cardi- 
nale, e Antonio Doria, e con questi due ultimi condursi 
più cautamente ; comechè non si avesse ad irritare il 
Principe, né Messer Adamo che distoglieva, e abbin- 
dolava il primo pensando di succedere nella medesima 
fama ed importanza che avea il Doria nella città; lo 
incaricava specialmente, come pratico delle cose di 
Genova, d' invigilare all' esecuzione del negozio, e go- 
vernarsi secondo la conoscenza che aveva del carat- 
tere di ciascuno per non obbligare il Principe a qualche 
disperato partito, tanto che posto in diffidenza non te- 
messe si ricorresse ad altro mezzo per tutto quello 
che riguardava il servizio di S. M. 

Quanto alla guardia della città lo ragguagliava do- 
versi rimanere nelle sue mani come Antonio Doria 
proposto aveva al Duca d' Alba , propizia occasione 
essendo quella per la fabbrica del castello da doversi 
cogliere quando lo giudicasse a proposito , segnata- 
mente offerendosi . allora la partenza del Doria dalia 
città ; e di tutto poi sempre gì' ingiungeva alfine, te- 
nerli avvisati affinchè S. M. potesse conoscere secondo 
r opportunità, e il successo delle cose , ciò che con- 
veniva di fare. 

CXXIX. — Il Figueroa ricevute quelle istruzioni 
si abboccava col Doria e addi 20 marzo dell'avuto 
abboccamento porgeva notizia a S. A. scrivendo : che 



405 
il Principe, ricordandogli quanto sempre S. M. avea 
avuto a cuore la utilità, e la libertà di Genova, e quanto 
fatto per conservargliela, rispondevagli, non esser me- 
stiere che egli scusasse S. M. poiché credeva alle sue 
intenzioni, come glielo assicurava, che quanto avean 
detto, non era già per farne carico a S. M. ma sol- 
tanto per dimostrare non potersi eseguire ciò che 
quella e S. A. richiedevano , che se si fosse potuto 
farlo intendere ad altri com' esso lo intendeva e ere- 
deva, poco si avrebbe durata fatica per venirne alla 
conclusione, perciò avea pensato, ed esaminato in sé 
stesso, il mezzo che tener si doveva onde persuader 
la Repubblica alla edificazione del castello, ma colla 
ragione aver veduto non essere agevole, né colla forza 
potersi tentare, traendosi seco grandi inconvenienti, e 
pericolo manifesto per le cose di S. M. ed A. tornando 
non solo odioso a quella città, m* a tutta Italia, vicini 
essendo i Francesi, attenti sempre e cupidi per quanto 
potevano ad abbassare la grandezza imperiale ; oltreciò, 
non sapere che cosa avrebbono fatto il Papa, i Vene- 
ziani e gli altri stati, che quindi teneva per il meglio 
che S. M. si contentasse delle presenti condizioni, 
senza ricorrere alla forza perché nel primo caso ne 
avrebbe avuto buon nome, nell' altro odio, e tanto il 
voler suo avrebbe durato, quanto la forza. Ricordarsi 
del Re Luigi XII, al tempo di cui veduto aveva tre 
volte perduto il castello, ed ultimamente il castello e 
la lanterna, avendolo tolto ed occupato i cittadini, 
senza Tajuto d! alcun principe; che quanto era stato 



4o6 

da lui proposto per V investitura di Genova al Ducato 
di Milano, dovevasi attribuire alla considerazione che 
già altre volte Genova stette sotto i Duchi di Milano, 
i quali aveanla in protezione, ponendovi un governa- 
tore che ne amministrava il criminale, ma i cittadini 
conservavano T amministrazione civile coi proprii an- 
ziani che governavano le loro faccende ; parergli questo 
il mezzo più ovvio, e potersi proporre con miglior 
colore di quello della fortezza. A queste parole repli- 
cava r Ambasciatore, sembrargli tal mezzo più diflicile, 
perocché i Genovesi per esso avrebbero interamente 
perduta h libertà; e il Doria, soggiungeva negando, 
per la ragione che T investitura dovea esser fatta con 
accordo e capitolazioni, e si accetterebbe più facilmente, 
per la necessità che Genova avea dello stato di Mi- 
lano non potendo sussistere senza di essa. Venuto a 
parlare del successo del Conte Fiesco, notava il Doria, 
che ora ìion potria più essere perchè ninno teneva 
più quel grado che egli aveva, che anzi da quel caso 
doveasi toglier T esempio della dimostrazione che ne 
porse la città, la quale essa sola senza V ajuto di al- 
cuno si mantenne, e stette ferma nel servizio di S. M. 
Il Figueroa gli fece allora osservare che Dio solo era 
stato che vi pose rimedio, benché non fosse mancato 
r ajuto degli uomini, e la dimostrazione della città 
essersi ridotta a non pigliar parte, né per gli uni, né 
per gli altri. Infine conchiuse il Doria eh* egli era 
Vassallo di S. M. e di S. A. e che per V obbligo che 
ne avea, sentiasi costretto a dire quanto stimava pel 



407 

suo giudizio esser vero, mentre sempre avrebbe ob- 
bedito loro, senza interesse né della sua casa, né della 
sua posterità, avendoli S. M. tanti benefizj fatti, che 
ciò gli bastava; e poi doveva quella in breve condursi 
in Italia, che allora recato sarebbesi a baciargli le mani 
e {.piedi e trattato avrebbe con essa di tutto ciò che 
occorreva. L' Ambasciatore aggiungeva, S. M. e S. A. 
tenerlo entrambe in piena fiducia, e durante la sua 
vita non dubitavano della quiete della città, ma dopo 
di lui rimaneva questa in manifesto pericolo per non 
esser persona di tanta autorità che si potesse avere in 
rispetto quanto esso. Rispondeva il Doria, che questo 
non doveasi temere, perché lui mancando, di necessità 
la Repubblica non avea altro partito che di volgersi 
a S. M. poiché tuttoché possedeva riposto era nei regni 
di lei, e tanto più lo avrebbe fatto in difetto di lui 
per avere chi bastantemente T aiutasse, e V indirizzasse 
ne* suoi interessi; che quindi sebbene più egli non fosse 
vi avrebbero persone collo stesso fine da lui prefissosi 
per soccorrere, ed indirizzare la città al servizio di S. M. 
ed A., che del resto alcuni che pensavano di ereditarne 
la parte, esser potrebbe che ne acquistassero meno. 
Questo diceva il Principe per Antonio Doria e per la 
poca intelligenza che passava fira di loro, quantunque 
della stessa fanìiglia, o per Agostino Spinola, assai 
ben veduto dalla città, e sebbene si comportasse con 
molto rispetto verso di lui da non potersene lamentare. 
Per il secondo capitolo che si prescriveva di esporre 
al Principe gF inconvenienti della presente condizione, 



4o8 

e la necessità di dare stabile assetto alle cose della Re- 
pubblica, e per il bene di Sua Casa unitamente al ser- 
vizio di S. M. il Doria affermava, poiché era stata 
restituita a libertà non aver egli mai veduta la città 
così disposta a conservarla sotto la protezione del- 
l' Imperatore e di S. A. anzi per poter far questo si 
era dato ordine di tenere apparecchiata la pecunia ba- 
stante a pagare mille fanti che giustificava essere suf- 
ficienti alla conservazione di quello stato; a questo 
proposito replicava, che se quando accadde il fatto 
del conte Fiesco, si fosse proposto il castello, temendo 
i cittadini di trovarsi esposti ad altro siffatto caso, o 
peggiore, teneva per certo vi si sarebbero acconciati ; 
ma ora che avean provato quello che per sé stessi 
potevano fare col danaro raccolto per il presidio di 
mille uomini non gli sembrava che per veruna ma- 
niera si dovesse trattarne, al quale riguardo rimette- 
vasi a ciò che avea poc' anzi detto. Il Figueroa per 
farsi via alle istruzioni che avea, entrava allora opportu- 
namente a dire che ben sarebbe stato di procurare che 
la guardia fosse di Alemanni ; ma il Doria opponeva 
che riuscirebbe di difficile effetto, perché ne nasce- 
rebbero sospetti, che però cadendo la necessità di 
aumentarla, in tal caso ben si potria proporre per 
maggior sicurezza che 1' aumento fosse di Alemmani ; 
senonché V Ambasciatore accorgendosi che non si an- 
dava al fine cui egli mirava, non fece più motto, poiché 
era sua intenzione che non potendosi effettuare V opera 
del castello, altro non vi aveva che tenere un forte 



409 

presidio di Alemanni da un buon capitano comandati, 
il quale di concerto coi migliori aflfezionati a S. M. 
ed A. sarebbesi potuta conservare la 'città in un tu- 
inulto popolare di cui più facilmente si doveva temere, 
finché non si fosse ricevuto ajuto o per terra dallo 
stato di Milano, o per mare d' altra parte. Opinava 
però che qualunque suggerimento si volesse fare al 
Principe, molto bene ei lo intendeva e sapeva, indi 
tanto più rendevasi necessario di procedere seco lui 
cautamente, e secondo il tempo e le circostanze ac- 
cordargli in fatto di tal materia quello che più si af- 
facesse al proposito. 

Dopo di tutto ciò r Ambasciatore intertenevasi so- 
pra gli altri punti eh* erano dal Principe Filippo indicati 
aflSnchè porgesse il suo ajuto, e consiglio. 

Il primo era se conveniva, come proponeva D. Fer- 
rante, di trattare direttamente della fortezza colla Si- 
gnoria, il Figueroa rispondeva che dovendosi farne 
communicazione col Doge e coi Governatori, ventidue 
in tutti, e ciascuno dei quali avea opinione contraria, 
avrebbono interpretata la cosa secondo la propria in- 
clinazione, e però in buona o cattiva parte, e siccome 
tutti erano gente che amavano li scandali, cosi in di- 
versi modi sarebbesi divulgata, e V intenzione di S. M. 
fi'aintesa, e calunniata dalle loro passioni, materia assai 
agevole avrebbe oflFerta per essi a pensare e procurare 
il male ; tanto più vedendo che non si procedeva per 
mezzo del Principe Doria, giudicherebbero esser questi 
d'opinione contraria, per la qual cosa non si guada- 



410 

gnerebbe col popolo, e molto si perderebbe col Doria, 
sembrando che S. M. cercasse di avviare il negozio 
per il canale dèlia Signoria mostrando diffidenza di 
esso ; miglior avviso era dunque di lasciar questo in 
disparte, quindi come pensavano, venendo al proposito 
trattarne coi più confidenti , ma con pochi soltanto, 
per la ragione che sebbene parecchi vi avessero fedeli 
servitori di S. M. ed A. in siffatto argomento però 
facendo molto conto della propria libertà la sentireb- 
bero male, malignando le leali intenzioni di S. M. 

Il secondo punto di abbassare i male ÌAclinati, e 
ajutare i ben disposti specialmente Agostino Spinola, 
Antonio Doria e il Cardinale, in quello che a lui spet- 
tava dicea di farlo, in modo però che non ne venisse 
sospetto al Doria, sempre mostrandogli che tutto da 
lui dipendeva; ed eccettuato Agostino Spinola, ben si 
guarderebbe di trattare con altri di tale materia, quan- 
tunque Antonio Doria se ne fosse aperto col Duca d* Alba 
e dato il suo parere di ciò che avesse a farsi, ma 
non sapea come la penserebbe intorno alla fortezza, 
quando si deliberasse di fabbricarla; del resto, egli 
comportavasi con essi tutti ugualmente, e nelle pub- 
bliche dimostrazioni non facea differenza tra Fr^osi 
ed Adorni, tra Doria e Spinola. Vero è che offeren- 
dosi il caso di chi mostrasi disposto a servire per 
propria utilità, e convenienza e di quelli che sono 
servitori nati in tal fede, e moriranno in essa, egli 
facea differenza, e S. M. dovea ricordarsi che avendo 
a gratificare alcuni, bene era preporre questi a quelli. 



411 

essendoché i secondi fossero servitori leali, e i primi 
per necessità. Del resto (seguitava) , dopoché trova- 
vasi in Genova, aver sempre procurato di conservare 
alle loro M. ed A. i proprj servitori, ed altri nuovi 
procacciargliene, e generalmente con tutti benevol- 
mente condursi, affinché i ^buoni si conservassero, e i 
cattivi si convertissero ; col Principe adoperar tutto 
ciò eh' era necessario a mantenerlo in devozione di 
S. M. ed A. sebbene conosceva che serviva ad esse 
con intera fede, ma nella presente occorrenza, te- 
neva per certo che non si spiegava abbastanza, non 
fidandosi di procedere avanti in quello eh' egli avrebbe 
proposto, opponendovisi V avanzata sua età, e la per- 
suasione di quelli che lo circondavano. Con Messer 
Adamo Centurione dissimulava tutto ciò che poteva, 
perocché dopo che S. A. era partita da Genova, sem- 
brava che si tenesse in disparte da ogni negozio, dando 
agio al Doria che potesse parlare e fare senza esser 
egli testimonio di quanto accadeva. Pensava, cosi ope- 
rasse con arte, sapendo che il Principe non osava ri- 
solvere alcuna cosa senza communicarglielo , infatti, 
ogniqualvolta eh' esso trattava con lui di quella ma- 
teria della fortezza, pigliava tempo a pensarvi, per 
aver agio di porgerne communicazione col Centurioni ; 
intanto, prometteva, quanto a lui di tenerseli entrambi 
ben affezionati secondo il poter suo, come avea fatto 
fin qui. 

Riguardo al punto della guardia del Castello che 
giusta il parere di Don Ferrante abbia ad essere piut- 



412 

tosto di Spagnuoli che di Alemanni, o almeno Spa- 
gnuolo il capitano, il Figueroa rispondeva, tener esso 
la medesima opinione, ed avere proposto gli Alemanni 
non per il Castello, ma perchè con essi, e coi parti- 
giani di S. M. ed A. si potesse meglio in un tumulto 
di popolo o di altro caso qualunque conservare quella 
città, e ciò che diceva a S. A. presentemente, si era 
già convenuto collo stesso Principe Doria. E per quello 
che si tratta a suo carico dovesse tenere la guardia 
esso stesso sotto i suoi ordini, soggiungeva sarebbe 
stato molto a proposito del servizio di S. M. ed A. 
se si fosse seguitato il disegno stabilito con Antonio 
Doria, imperocché padroni essendo del presidio far si 
potrebbe quanto si richiedeva; ma come S. A. non 
ignorava, avea egli già avuto questo incarico, che era 
più di cerimonia che di sostanza, comechè la gente 
essendo d'italiani, i capitani veniano scelti da essa, e 
in caso di necessità sarebbero obbligati a recj^rsi dove 
volesse mandarli, anziché dove egli dicesse , quindi 
tornare più ad apparenza che ad importanza. Tuttavia, 
se fosse suggerito dal Doria, accetterebbe, poiché 
S. M. ed A. r ordinavano, ma credeva noi farebbe, 
perocché V altre volte che fu fatto, é stato con inten- 
zione che non entrasse in quella carica persona che 
non dipendesse da lui; per la qual cosa era pur certo 
che non V otterrebbe messer Agostino Spinola come 
pensionato di S. M. (i). 

(i) Archivio Simancas, Doc. cui. 



4^3 
Tutti questi raggiri forse troppo da me diffusamente 
narrati, erano però necessarj nonché utili a sapersi, 
come essi si rilevano dai Documenti dell' Archivio di 
Simancas, affinchè in argomento tanto soggetto a con- 
testazione addi nostri fosse ben posto in luce il carat- 
tere degli uomini che vi ebbero parte principale, e come 
ciascuno d' essi piuttosto che desiderare la libertà della 
Patria, aspirava a signoreggiarla all' ombra del protet- 
torato straniero, che alla sua volta mirava, cadendone 
r opportunità, a mutarsi in aperta tirannide. 

CXXX. — Intanto, se da una parte non si rima- 
nevano le trame spagnuole, sventate, e tenute a freno 
dalle ambizioni cittadinesche, dall' altra ripigliavansi le 
francesi. Un frate Clemente francescano venendo di 
Francia a Genova mentre nel suo passaggio giunto 
era a Ceva di Piemonte, per ordine del Gonzaga era 
fatto prigione ; e posto alla tortura, svelava una grave 
macchinazione ordita da Gio. Batta Defornari stato 
Doge della Repubblica dal 4 Gennaio 1545 al 3 dello 
stesso mese del 1547 ; né inverosimilmente creduto 
complice dei Fieschi, locché sempre più ci dimostra 
con quanta falsità affermasse il Doria che il partito 
de' congiurati fosse di pochi e spregevoli plebei, se lo 
stesso Doge eh' era allora vi si trovava certamente av- 
volto. Deponeva fra i tormenti Frate Clemente che il 
Defornari, il quale allora teneva l'ufficio di Procura- 
tore Perpetuo, aveva stretto un trattato col Re di 
Francia per darli in balia la città, quando in essa scop- 
piasse qualche tumulto, ovveramente accadesse la morte 



414 

del Principe Doria ; le quali cose trasmesse dal Gon- 
zaga alla Signoria, questa fece prendere il Defornari, 
e lo rinchiuse sotto buona custodia nella torre del pub- 
blico palazzo unitamente ad altri due dei quali sospet- 
tavasi. Quindi si usarono le maggiori diligenze affinchè 
si ponesse in chiaro tuttociò che il frate aveva, co- 
stretto dalla tortura, deposto. Allora i signori del Go- 
verno conosciuta bene la trama ne riposero la causa 
in mano del Podestà, dei giudici del Maleficio, e di 
un Dottore della Rota, perchè deliberassero, e proffe- 
rissero la sentenza, questi rimisero il processo all' in- 
quisito affinchè entro un certo stabilito termine si di- 
fendesse; infine il di 4 novembre del 1549 si emanò 
la sentenza colla quale il Defornari venne perpetua- 
mente condannato all'esiglio dalla città e suo dominio, 
e confinato nel luogo di Anversa prescrittogli dalia 
Signoria. 

« Di siffatta sentenza, scriveva il Figueroa da Gè- 
» nova addi 8 novembre 1549 (i), al Principe Fi- 
» lippo, molta parte della città ebbe a rimanere mal 
» soddisfatta, e specialmente i gentiluomini (ovvero i 
» Nobili Vecchi del Portico di S. Luca) perchè sem- 
» brava loro non fosse fatta giustizia, né frenato il 
» prevalere de' Popolari incoraggiati in tal guisa ad 
» intraprendere simiglianti trattati, e altri peggiori, e 
» certo fu cosa di malo esempio, e che seco si trae 
» grandi inconvenienti , perchè oltre il danno della 

(i) Archivio di Simancas, Dee. CLm. 



4IS 
» città, vi ha la poca considerazione e il rispetto per- 
» ciocché appartiene all' autorità di S. M. avuto ri- 
» guardo che detto è specialmente nel processo, come 
» in caso di tumulto, o di morte del Principe Doria, 
» il Defornari avrebbe procurato che la città venisse 
» in mano del Re, la qual cosa cosi vergognosa e 
» colpevole non si sa pensare come siasi tenuta in 
» non cale. » 

Seguitava T Ambasciatore a scrivere che da quanto 
poteva egli giudicare di quel negozio , non era stato 
condotto secondo la volontà de' Governatori, perocché 
i Giudici si fossero corrotti con lettere del Duca di 
Ferrara e del Signor Gerolamo Da Correggio, essendo 
di Correggio il Dottore della Rota, e di Modena il 
Podestà, il quale sopra quella pratica avea rice- 
vute commissioni dal Cardinale di Trento, e d'altre 
particolari persone ragguardevoli e di molta impor- 
tanza ; che provocarono pareri dell' Alciato , e di un 
Senatore dello stato di Milano nominato Gio. Batta 
Stirco cremonese; per cui si era meravigliato oltre- 
modo che sapendo essi quanto a siflFatto negozio an- 
dasse congiunto il servizio di S. M. abbiano avuto ar- 
dimento di dare tale parere; di cui, diceva, averne 
dato avviso a Ferrante Gonzaga, il quale essendo stato 
promotore della cosa, a lui stava di metterla in evi- 
denza. Del principe Doria, non potea giudicarsi, ma 
egli credeva che ordinerebbe si facesse giustizia, né si 
volle mostrare, affinchè non si ricorresse a lui. Ciò 
che esso Figueroa aveva fatto, era stato di sollecitarli 



4i6 

a rendere giustizia per la tranquillità della Repubblia; 
non per parte di S. M. giacché temeva dell' esito, il 
quale restando nei presenti termini si correa rischio 
di perdervi la riputazione, tanto più ch*ei non avea 
mai potuto prevederlo, avendo la Signoria cosi pale- 
semente dimostrata la propria risoluzione di voler pu- 
nito quel trattato. 

Conchiudeva, come dopo avere esposto tuttociò 
a S. A. gli veniva a notizia che il Podestà ricevute 
avea lettere dal Cardinale Farnese molto importanti 
sul proposito, fatte da lui a petizione de' Francesi, e 
credeva che i Giudici tutti fossero stati corrotti con 
danari (i). 

(i) Archivio di Simancas, Doc. d.* CLin. 



CAPITOLO OTTAVO 



CONCLUSIONE. 

CXXXI. — Ed eccomi pervenuto all' anno di 1550 
termine da me prefisso alla presente istoria. Se noi 
rivolgiamo indietro lo sguardo sino a quello di 1528 
donde presi le mosse si parrà come questi 22 anni di 
cui narrai gli avvenimenti sieno tra i più tempestosi 
e funesti della genovese repubblica. Bene parecchi altri 
de' trascorsi nel medio evo 1' avvolsero in mezzo a 
dolorose vicende di guerre intestine, di governi stra- 
nieri , ma questi non erano allora che deboli ed 
inetti, chiamati soltanto come ad imporre una tregua 
al conflitto delle fazioni, perocché rappresentavano il 
governo, ma non ne rimaneva per essi mutata né la 
sostanza, né la forma; che se accennavano di oltre- 
passare i termini di quelle tutelari condizioni per le 
quali si erano invocati, issofatto, ed a furore eziandio 
di popolo, venivano espulsi. Le discordie intestine si- 
mili a quelle di Atene e di Roma non erano che un 
mezzo per mantenere quel giusto equilibrio tra la no- 

27- 



4i8 

biltà e il popolo che dell'una e dell'altro stimolan- 
done l'attività, e come a cète aguzzandone l'ingegno, 
toglievano ad entrambi il vicendevole soverchiarsi ed 
opprimersi, e intanto quelli stimoli, e quella gara di 
un reciproco fervore procacciavano alla Repubblica 
una cotale vita giovanile, agitata e procellosa se vuoisi, 
• ma robusta e potente, feconda di grandi fatti che ne 
costituivano l'epoca della maggior sua grandezza po- 
litica, commerciale e letteraria. 

Ed invero, di cosi gloriosa epoca ne raggiungeva 
Atene la meta nel declinare del quinto secolo av. G. C. 
mentre più ardevano le dissensioni sue civili per le 
due grandi parti di Pericle e di Nicla, e Roma poco 
innanzi quelle di Mario e di Siila ; Firenze a' tempi 
degli Albizzi e dei Ricci; Genova dal dogato di Si- 
mone Boccanegra nel 1339 al 1528, ultimo termine 
dello stato suo popolare che ne segna la decadenza. 

Alla quale, per altro non volse che per le stesse 
vicende che tutti gli altri antichi stati travagliarono 
colla trasformazione loro del governo popolare nel- 
r aristocratico ; imperocché, siccome soggiacque Atene 
dopo la guerra peloponesiaca al prevalere in Grecia 
della lacedemone oligarchia, Roma alla dittatura di 
Giulio Cesare e all' impero di Augusto , Firenze alla 
Signoria di Cosimo de' Medici che ben tosto minò 
al principato, cosi Genova alla riforma delle leggi 
operata d'Andrea Doria. 

Laonde, da quanto son venuto narrando colla scorta 
de' nuovi documenti, non può sorger dubbio oggimai 



4^9 

che gli antichi Nobili feudali per esso richiamati al 
supremo comando della .Repubblica , sfrenatamente 
non prorompessero a quelle immoderate cupidità di 
assoluta Signoria, che il governo popolare aveva fino 
allora rattenute e combattute ; non trovando quindi 
più ostacolo, perocché oppressa la forza che le teneva 
in rispetto ; quanti erano di quelle antiche famiglie, 
tanti furono i rivali del Doria, che d' origine uguali 
e di condizione, ordirono congiure, destarono moti e 
tumulti per contrastargli quel dominio e quel primato 
che migliore ragione di, essi non avea di rivendicare 
a sé solo ; perciò, non fu più il vicendevole concor- 
rere delle due classi nell' esercizio del sommo potere, 
ma il permanente ed insidioso conflitto dell' una fra 
i diversi uomini suoi che vilipesa la rivale, coli' ajuto 
dello straniero , a lei tanto solamente dell' occupato 
dominio consentirono, quanto bastava a soddisfazione 
di un' apparente legalità, e a non interamente inimi- 
carsi quel popolo che si aveano vinto e non domo. 
Ben so che mi si opporranno le condizioni de' tempi, 
e il traboccare della potenza di Carlo V cui V uno e 
r altro emisfero oggimai obbedivano. Ma questa po- 
tenza da chi fu fatta e mantenuta in Italia? Senza 
Andrea Doria, Cosimo de* Medici Duca e poi Gran- 
duca di Firen2le, e Ferrante Gonzaga avrebbe potuto 
esistere, ed esistendo mettere profonde radici ? Se in- 
vece di sagrificare a singolari biasimevoli fini, a basse 
gelosie e detestabili ingordigie di personale o gentilizia 
utilità, si fossero piuttosto confederati e vólti a ser- 



420 

bare illesa T indipendenza d'Italia, e l'universale li- 
bertà dei singoli cittadini, che a farsi sostegno e difesa 
dell' esosa tirannide spagnuola, avrebbe potuto mai que- 
sta tanto allargarsi? 

Perchè Andrea Doria ridurre a tale lo stato che 
nonché ogni nobile delle diverse fazioni, ma quasi 
ogni membro della sua stessa famiglia divenne un 
capo di congiurati contro il governo da lui stabi- 
lito, cosicché si può affermare senza tema di errore, 
che non solo dal 1528 al 1550 in cui ho io condotte 
queste istorie, ma fino al 1575, corrono 47 anni, o piut- 
tosto una non mai interrotta successione di congiure, 
di sedizioni, *e di tumulti che mettono a repentaglio 
la Repubblica e fanno di questa sua ricuperata libertà 
la più amara politica ironìa ? Né si sarebbero pure di 
certo quei moti incessanti arrestati al 1575, se le leggi 
di Casale dettate in quell'anno dallo straniero, non 
avessero colla costui autorità presidiata l' infausta opera 
sua. E perché le grandi famiglie di Adorni e Fregosi 
nonché di escludere dal formare albergo, ma cosi si 
studiò di opprimere e perseguitare che ninna di qssq 
per il corso di 279 anni quanti ne trascorsero dal 1528 
al 1797 potè mai tornare alla dignità del Dogato che 
tanto illustre avea reso dal 1339 al 1528? Eppure 
Andrea Doria alla magnanimità dei Fregosi andava ob- 
bligato d' infiniti beneficj, e dei principj di quella gran- 
dezza cui egli sali. 

E seguitando, a conforto di prova lo stesso ordine 
di queste idee, perché Cosimo de' Medici, e i suoi 



421 

successori, ipocriti, stupidi pressoché, e dissoluti tutti, 
tanto corruppero la eletta e indomita indole del ge- 
neroso popolo fiorentino da farne una mandra di pecore? 

Perchè Ferrante Ganzaga che avea pure grande e sa- 
gace intelletto e tutte le arti da divenire un nobile 
principe italiano, converti il primo a raffinata perfidia, 
e le seconde a nefandi raggiri, a scellerate imprese 
raccomandati contro la propria patria? 

Perchè tutti e tre ch'esser poteano la principale 
forza, difesa e speranza d* Italia servirono turpissima- 
mente allo Spagnuolo , e mendicarono ignobilmente 
da quello onori, favori e privilegj, ogni concessione 
de'qu^li segnava un passo di decadenza nazionale, e 
apparecchiava quella politica, morale, intellettuale ser- 
vitù che per tre secoli vilissimamente tutti disonorando, 
ci colpi, e le famiglie principesche istesse dei due ul- 
timi trasse a decrepitezza di vizio, di regno e di vita? 

Mi si soggiungerà: più di Carlo V doveano forse 
gittarsi in balia di Francesco I di Francia ? Ma T Ita- 
lia era forse ridutta allora a cotesto stremo di non 
poter altro scegliere che, o la cupa malvagità del 
primo, o la leggerezza, e slealtà del secondo ? E Ve- 
nezia non istava là per formare con essi tale una lega 
ed una potenza che traendo seco i minori stati, e a 
Paolo III dando animo e sicuro indirizzo, avrebbero 
tutti insiememente avvalorata V indipendenza della Pe- 
nisola ? Perchè tradirla a S. Maura ed a Lepanto , e 
lasciarla sola e abbandonata a discrezione del Turco, 
donde poi Cipro e Candia le vennero manco, e Scio 



422 

a Genova fii tolta, e in tal guisa gli ultimi avanzi di 
quelli coloniali stabilimenti scomparvero che con tanta 
g^<HÌa del nome italiano aveansi le due repubbliche 
fiondato in Oriente; per la qual cosa entrambe an- 
n^hitdte , ed adulate dall' in&usta dominazione 
austro-ìspana giacquero consunte ed isterilite dai mi- 
cidiali influssi di quella? 

Imperocché, Venezia invano raccomandata ad una 
imbelle neutralità disarmata venne da una mano di 
mal arrivati condotta ad eccidio; e Genova incontrò 
lo stesso ineluttabile fitto non ancora volti i 50 anni 
che il magnanimo suo popolo aveva vergata la più 
gloriosa pagina delle sue storie. E perchè nel 1797 
nuovamente non si ridestò? sarebbe forse temerario 
il rispondere, perchè dopo tanto valoroso ardimento 
e largo sagrificio di nobili vite nel 1746 dimostrato, 
si accorse essersi sopra di lui ribadito più duro il 
giogo dell' antico governo dal Doria istituito ? Ecco le x 
conseguenze di una funesta politica che altro princi- 
pio e fine non aveva che V amore di sé, e che aflSdata 
interamente all' ingegno di im solo uomo , quando 
quello mancò ne' suoi successori, la repubblica divenne 
un cadavere. Non i tempi gli uomini, ma gli uomini 
sono che fanno i tempi; è la parte dello spirito che 
crea e governa la materia; a questa sentenza non v'ha 
obbiezione che basti. 

Egli era pertanto questo il solo modo dopo i co- 
piosi documenti venuti in luce, con cui essere voleano 
considerati e descritti gli avvenimenti e gli uomini di 



423 
questi 22 anni di storia, e specialmente le vere ca- 
gioni delle due congiure di Gian Luigi Fiesco e Giu- 
lio Cibo cognato di lui. Già io facea osservare in pa- 
recchi luoghi della presente istoria quanta poca fede 
si meritino gli antichi scrittori che ne hanno trattato # 
i quali o prezzolati, o ligj al governo istituito dal Doria, 
o male informati e ripetendo spesso i più recenti ciò 
che quelli aveano affermato, altro non fecero che ca- 
lunniare, e svillaneggiare i vinti, servilissimo omaggio 
tributando a' vincitori; che chi altrimenti fino al 1797 
avesse osato di scrivere , il minor male che gliene 
poteva incogliere era di venire V opera sua per mano 
del boja abbrucciata. 

Dopo quel tempo, e tra i contemporanei, colui che 
scrivendone siasi veramente innalzato sulla volgare 
schiera e liberatosi dall' antico pregiudizio, sacrificando 
animosamente alla sola verità , parmi fuor di dubbio 
il dotto ed illustre mio amico Comm. e Prof. Ema- 
nuele Celesia dettando un assai elegante libro sulla 
congiura dell* infelice Gian Luigi Fiesco. Che se col- 
r acume di quel robusto intelletto eh' egli ha potè in- 
dovinare non poche volte il vero carattere del suo 
protagonista e il sincero scopo di quella cospirazione, 
piuttosto che provarlo ed accertarlo coli' evidenza dei 
fatti, si deve attribuire a che non anco si conoscevano 
allora quei documenti che ne hanno quindi messa in 
piena luce la verità. La posteriore pubblicazione di 
essi estratti dagli Archivj di Simancas, fatta dalla So- 
cietà Ligure di Storia Patria ha reso a me possibile^ 



424 

ciò che non tornò a lui per difetto de* medesimi; ed 
io tale ne feci tesoro per la narrazione di questi 22 anni 
di storia, <:he qualunque mio giudizio intomo ai iatti 
e agli uomini che vi sono rappresentati, e lo spirito 
di cui li ho informati, altro non sieno che la conse- 
guenza inevitabile della prova che sorge da quelli; 
questo io noto affinchè ciò che narrai più che a sto- 
rica verità non mi venga imputato a maligna passione 
di animo nemico, che non ebbi mai, né ho. 



INDICE 



LIBRO PRIMO 



CAPITOLO PRIMO 

La Repubblica d i Genova per opera cQ Andrea Doria trapassa dal governo di Fran- 
cia sotto la protezione dell* imperiale di Carlo V. dcciata dei Francesi; descri- 
zione della fortezza del Gutelletto, sue varie vicende e sua resa; provvedimenti 
di difesa contro le minaccie francesi ; ambasciatore di questi venuto in città , a 
raccomandare il mantenimento della data fede al Re ; fiera risposta del senato ; 
assedio e resa di Savona , di Novi , Ovada e Gavi Pag, 7 



CAPITOLO SECONDO 

Riforma delle leggi oprata da Andrea Doria ; istituzione dei 28 oilherght^ prima ori- 
gine di essi; tentativo &tto dai Francesi per assalire e sorprendere la città, va- 
lorosa difesa di Andrea Doria; ordinamento delle milizie cittadine, trattato tra 
Giano Fregoso per tornare Genova sotto il dominio del Re di Francia; luttuose 
condizioni d'Italia; trattato di Barcellona tra Clemente VII e Carlo V; di 
Cambray tra Carlo V e Francesco I; turpe abbandono fiitto da entrambi dei 
loro alleati; Andrea Doria con 15 galee trasporta l'Imperatore da Barcellona in 
Genova; suo ricevimene solenne, ed alloggio nel pubblico Palazzo; incorona- 
zione di lui in Bologna a re d' Italia ed imperatore per mano di Papa Gemente VII ; 
quistione di precedenza tra gli ambasciatori genovesi e il senese f spedizione di 
Andrea Doria contro Ariadeno Barbarossa Signore di Algeri , e di Michele Defer- 
rari contro un corsaro di Valenza; provvedimenti per meglio fortificare la Città 
e leggi diverse finanziarie , suntuarie e politiche emanate dal nuovo governo; Am- 
basciatori inviati dalla Repubblica al Duca di BCilano, e al Re di Francia affinchè 
i mercanti genovesi vengano riammessi a commerciare nei porti della Provenza e 
del Delfiaato Pag. $2 

27* 



426 



CAPITOLO TERZO 



Funesti effetti dei trattati di Barcellona, Madrid e Gunbrai, disegni di Francesco I, 
nei quali fa entrare il Pontefice Clemente VII; lamentevoli condizioni del Com- 
mercio dei Genovesi , impedito dai divieti , e infestato dalle piraterìe del governo 
di Francia; fiera tempesta nel porto di Genova seguita da vaa. terribile incendio; 
ascrizioni alla nobiltà ; 1' esercito turco e l' imperiale si trovano a fronte senza 
venire a combattimento , perchè il primo è costretto ad accorrere alla difesa della 
Morea onde impedire le conquiste che vi andava facendo Andrea Doria ; il Ponte- 
fice Clemente VII spaventato dai favorevoli successi delle armi imperiali rompe 
ogni trattativa con Francesco I e si ristrìnge con Carlo V; abboccamento in Bo- 
logna , progetto di lega tra gli Stati italiani , in prima osteggiato , e poi conchiuso; 
Ambasciatori dei genovesi colà per muovere l'Imperatore contro il Re di Francia 
a tutela del loro commercio ; venuta in Genova di Carlo V , ospitato principesca- 
mente da Andrea Doria nel suo palazzo di Fassolo ; matrimonio di Catterina de* 
Medici nipote del Papa con Enrico figlio secondogenito di Francesco I; viaggio 
del Papa a Marsiglia , suo incontro colà , e particolari concerti col Re di Francia, 
sua venuta ed accoglienza in Genova; tentativi di conciliazione tra la Repubblica 
e Francesco I, specialmente pel ristabiliménto delle relazioni commerciali inter- 
rotte dalla perfidia del Duca di Milano; preparativi guerreschi fatti dalla Francia, 
accompagnati da congiure ordite contro il nuovo governo stabilito dal Doria in 
Genova , scoperte e punite colla morte dei loro autore .... Pag. 87 

CAPITOLO QUARTO 

Grande armamento ed impresa contro di Tunisi sotto gli ordini di Andrea Doria, 
presente Carlo V, presa della Goletta e della città di Tunisi, fuga del Pirata 
Ariadeno Barbarossa che ne avea usurpato il dominio, ristabilimento del Sovrano 
Muleassen che n* era stato espulso con obbligo di omaggio ali* Imperatore 
Carlo V ............ Pag. 103 

CAPITOLO QUINTO 

Guerra de' Francesi in Piemonte ; morte di Francesco Duca di Milano ; quistioni per 
la successione di quel Ducato ; Andrea Doria consiglia Carlo V ad appropriarselo ; 
rinnovazione della lega dell'Imperatore coi principi d'Italia; infelice spedizione 
delle armi imperiali in Provenza, e delle Francesi condotte da Cesare Fregoso 
contro di Genova ; fine infausta della guerra di Provenza , morte di Antonio di 
Leyva che l' avea consigliata; venuta in Genovs^ dell'Imperatore, e rapido sno 
ritorno in Ispagna ; nuove provvidenze fatte dalla Repubblica per meglio fortificar 
la Città, generosità di molti cittadini, specialmente delle confraternite delle Ca- 
saccie e di Ansaldo Grimaldi, origine delle sue ingenti ricchezze. . Pag. 109 



CAPITOLO SESTO 

Si raccende la guerra tra Francesco I e Carlo V , si recano in Genova a compimento 
le fortificazioni, morte del Duca Alessandro dei Medici, successione di Cosimo dei 
Medici. Il papa Paolo III induce ad un abboccamento e ad na tregua il Re di 



427 

Francia e 1* Imperatore in Kizza. Trattato di lega contro il Turco tra il Papa , 
r Imperatore e i Veneziani ; venuta in Genova dei prixhi due. Abboccamento di 
Carlo V e Francesco I in Acquemorte dLProvenza sulla capitana di Andrea Doria , 
incontro di questi col Re, e sue fiere risposte. Guerra del Papa, Imperatore e dei 
Veneziani contro il Turco; sleale condotta di Andrea Doria che ricusa di vincere 
per indebolire e disonorare i Veneziani , affinchè più &cilmente si abbandonino in 
balla deir Imperatore , e sia così compiuta la servitù d' Italia. Il Papa istesso 
veduta la frode di Carlo e la slealtà del Doria consiglia Venezia ad accordarsi col 
Turco ad ogni patto Pag. 123 



CAPITOLO SETTIMO 



Sollevazione di Gand contro Carlo V, il quale passando di Francia per recarsi a 
reprimerla viene incontrato, e ricevuto colla più onorevole e cordiale accoglienza 
da Francesco I che inganna e vilmente offende colla promessa del Ducato di Milano , 
e delle nozze della propria figlia con Carlo d* Orleans cui l' avrebbe investito ; 
entrambi poi ingannano la Repubblica di Venezia , la quale avvedutasi dell* inganno 
si scosta dalla lega e conchiude con grave suo pregiudizio una pace col Turco. 
Grandissima carestia in Genova , fondazione dei pubblici granai , creazione dell* Of- 
ficio dei Poveri, tentativi infelici di seminare a grano le terre di Porto Vecchio 
in Corsica , fabbrica delle mura di Porta d* Arco , accrescimento della torre del 
Pubblico Palazzo , e ampliazione del Porto. Presa del corsaro Dragut , vergognoso 
mercato che si fa della sua liberazione per opera di Andrea Doria; infierisce la 
carestia; inaspettata estrazione di grano dalla Provenza ottenuta da Francesca I 
per Cesare Fregoso a fstvore di Genova. Abboccamento in Lucca dell* Imperatore 
con Paolo III Pontefice , che lo esorta a conciliarsi col Re , ostinazione dell' Im- 
peratore. Assassinio dei due ambasciatori francesi Antonio Rincone e Cesare Fregoso , 
perpetrato com*è fiuna, dal Marchese del Vasto per ordine di Carlo V. Pag. 135 



CAPITOLO OTTAVO 



Nuova lega di Francesco I con Solimano imperadore dei Turchi contro Carlo V; 
costui intraprende una spedizione per occupare Algeri per mezzo di numerosa flotta 
sotto gli ordini di Andrea Doria ; furiosa tempesta che ne impedisce 1' approdo , e 
distruggendone la maggior parte delle navi ne manda a male il tentativo; onori 

• e premj dall' Imperatore conferiti ad Andrea Doria che avea sconsigliata 1* impresa ; 
riarde la guerra in Lombardia , Fiandra, e nei luoghi finittimi della Spagna ; pira- 
terie esercitate dal Barbarossa nel Mediterraneo , dalle quali si premunisce Genova 
con nuove fortificazioni lungo le due Riviere. Assedio e liberazione di Nizza per 
parte dei Turchi, essendo la flotta loro sbattuta e dispersa dalla tempesta. Luigi 
Alamanni mandato da Francesco I fa proposte in nome di questo al Senato della 

• Repubblica, che vengono rigettate; piraterie del corsaro Barbarossa. Vittoria dei 
Francesi contro gì' Imperiali in Piemonte ; pace di Crespy fra Carlo e Francesco ; 
dissensioni civili in Genova tra i Nobili Antichi che si erano impossessati 
del governo e i Nuovi che ne venivano espulsi; ristaurazione e pxirgazione del 
porto ... ..... ._.,. *^^%* 14$ 



428 



LIBRO SECONDO 



CAPITOLO PRIMO 

Vere cagioni della congiura di Gian Luigi Fiesco. Malcontento dei Nobili Kuovi, 
colla riforma delle Leggi del 1528 operata d'Andrea Doria sottoposti ali* autoriti 
ed incorporamento dei 28 Alberghi, quasi tutti composti dei Nobili Vecchi; neces- 
sità del Doria e della sua Duione di mettere la Repubblica in balla di Carlo V 
per poterne interamente maneggiare il governo. Funeste conseguenze di siffiitta 
politica nonché per Genova, per 1* Italia tutta ; primi tentativi di congiura contro 
il nuovo stato repressi col sangue. Povertà della discendenza di Andrea, diversa 
da quella famosa dei Doria vincitori alla Meloria, a Curzola, al Bosforo, e alla 
Sapienza; egli astutamente si aiuta delle ricchezze di Adamo Centurioni, Ansaldo 
Grimaldi, e Sinibaldo Fiesco', prodigalità di quest'ultimo a £[ivore del governo 
istituto dal Doria, per le quaU muore lasciando nelle maggiori strettezze la pro- 
pria famiglia Ptg, 157 

CAPITOLO SECONDO 

Origine e grandezza della famiglia Fieschi, illustri personaggi di essa; natura e 
carattere di Gian Luigi; ingiusto e indegno paragone che gli scrittori della con- 
giura , fanno di lui con Alcibiade e Catilina ; suoi motivi particolari , e ragioni di 
avversione e di odio contro di Gianettino Doria, fomentate in lui dai suoi 
famigliari Pag. 169 

CAPITOLO TERZO 

Prime pratiche della Congiura tenute forse dal Fiesco cogli Adomi ; probabili tenta- 
tivi di accordo di lui col Papa; ragioni di odio di questo contro di Carlo V e 
Andrea Doria ; viaggio di Gian Luigi a Roma e a Piacenza ; trattative di esso con 
Paolo III, con Guglielmo di Bella! ambasciatore di Francia e Pier Liiigi Farnese 
Duca di Parma e Piacenza; suo ritorno in Genova, e consiglio ivi tenuto da lui 
con Gio. Batta Verrina, Raffaele Sacco e Vincenzo Calcagno; confessioni del 
primo e rivelazioni del secondo; il console dei tessitori di seta si presenta al 
Fiesco per eccitarlo al soccorso di quell'arte caduta in povertà dopoché i capitali 
dei nobili vecchi invece di servire a sostenerla e farla prosperare s' impiegavano 
ad usura in Ispagna ; cortese accoglienza fatta dal Fiesco al console , e poi ai tessi- 
tori cui egli soccorre e promette di sovvenire più largamente in avvenire. Pag, 18$ 

CAPITOLO QUARTO 

Nuovo Consiglio tenuto dal Fiesco con Verrina, Sacco e Calcagno; loro pareri 
diversi circa lo scopo che si doveva prefiggere alla congiura, circa il mezzo • il 
tempo di eseguirla ; si fissa la seconda notte di gennaio del 1 547 . Po^ . M5 



429 

CAPITOLO QUINTO 



Il Verrina infiamma gli animi del popolo alla imminente sollevazione; il Hesco si 
reca al palazzo del Principe Doria, suoi modi cortesi che tolgono ogni sospetto 
contro di lui tanto nel Doria, come nell* Ambasciatore Spagnuolo; ottiene da 
Gianettino quanto gli domanda; partito di là, visita le diverse case dei Nobili di 
S. Pietro, invitando questi ad una cena nel suo palazzo di Violato; descrizione 
di esso ; parlata del Fiesco ai convenuti ; suo ultimo addio alla consorte Eleonora; 
ordini e incarichi da lui dati ai congiurati; morte di esso e di Gianettino ad im 
tempo; fuga di Andrea Doria; paura dell'ambasciatore Spagnuolo; confusione e 
terrore nel Senato che manda frequenti deputazioni per conoscere il vero essere 
di quel tumulto; Gerolamo Fiesco fratello di Gian Luigi si pone a capo de* sol- 
levati, ma udita la morte di quello, la maggior parte di essi si allontana dal 
seguirlo Pag. 213 

CAPITOLO SESTO 

Pietro Paolo Lasagna solleva 1' animo dell' ambasciatore spagnuolo spaventato dal 
tumulto dei Congiurati. Deputazioni mandate dal Senato per conoscerne il disegno ; 
si scopre che Gian Luigi non è più, ma Capo loro il fratello Gerolano; la scom- 
parsa del primo dirada il numero di coloro che seguitavano il secondo ; Discussione 
in Senato sul modo di trattare i Congiurati ; si delibera \m generale perdono ; 
Elezione in Doge di Benedetto Gentile; Avvisi che giungono al Governo di moti 
che tutti si collegano a quello dell* accaduta Congiura . . . Pag, 228 



LIBRO TERZO 



CAPITOLO PRIMO 

Diseg^ diversi e raggiri dopo là congiura, di Ferrante Gonzaga , dell' Ambasciatore 
. Spagnuolo, di Andrea Doria e dell'Imperatore, tutti cercano di appropriarsi la 
maggior parte dei feudi posseduti dai Fieschi; il Gonzaga e l'Ambasciatore Fi- 
gueroa specialmente consigliano l' Imperatore di afferrare quell' occasione per me- 
glio hni soggetta la Repubblica servendosi di Agostino Spinola il più affezionato 
de* suoi servitori. Congiura di questo cogli Adomi che si compenetra con quella 
del Hesco, e viene contemporàneamente ordita con una terza. L'Imperatore invia 
1* ordine a Ferrante Gonzaga di occupare le terre dei Fieschi , inducendo nello 
stesso tempo Andrea Doria e Agostino Spinola a riformare il governo di Genova 
in modo che fosse più dipendente dall' Imperiale. Il Doria recatosi in Senato, non 
ostante la più viva opposizione fa rivocare il decreto di perdono poco innanzi ai 
congiurati accordato. Nuovi tumulti in Genova , ed avvisi da Roma e da Piacenza 



430 

di nuove congiure che dipendenti da quella dei Fieschi si vanno tramando cootro 
il governo dal Doria istituito. Esecuzione del bando contro i congiurati; lettera 
di Scipione Fiesco fratello minore di Gian Luigi al Doge e ai Governatori per ri- 
vendicarsi il dominio de* feudi dal quale dovevano decadere i suoi maggiori. fra- 
telli ; astuto parere di Ferrante Gonzaga a Gurlo V per impedirne l' effetto. Pdf. 241 

CAPITOLO SECONDO 



Isunze e differenze dei diversi contendenti per appropriarsi le terre dei Fie$chi; 
s'inviano all'Imperatore due ambasciatori Ceva Doria per parte della Repubblica, 
e Francesco Grimaldi per quella di Andrea Doria, per conto del qtule il Grimaldi 
ottiene da Gurlo V tutto ciò che il Ceva Doria aveva istruzione di procurare 
a benefizio della Repubblica; brutto maneggio di Andrea in siffatto negozio; si 
delibera l' espugnazione del castello di Montobbio ; descrizione del sito ; 1* impresa 
viene affidau ad Agostino Spinola Pag. 2$6 



CAPITOLO TERZO 

Assedio del Castello di Montobbio; resistenza degli assediati; trattative di accordo; 
discussioni e diversità di pareri in Senato sull* accettazione delle condizioni pro- 
poste dagli assediati; in pendenza di quelle il generale Spinola corrompe una 
parte dei soldati forestieri allo stipendio dei Fieschi , e per tradimento occupa la 
fortezza ; notizia datane d' Andrea Doria a Carlo V ; UfEziali , Dottori , e Giudici 
mandati in Montobbio per 1* esame e il processo dei congiurati ; nuova discussione 
in Senato sulla sorte dei medesimi; il peggiore partito si vince per Andrea Doria ; 
Gerolamo Fiesco, Gio. Batta Verrina e Desiderio Cangialanza vengono condannati 
a morte che tosto si eseguisce in Montobbio, mentre accaduta appena 1* occupazione 
di quella fortezza, senza forma di giudizio, sono scannati per ordine del Commis- 
sario Domenico Doria, Vincenzo Calcagno, Gerolamo Manara e due altri servitori 
dei Fieschi ; distruzione del Castello di Montobbio ; divisione delle terre della Si- 
miglia dei Fieschi fra l' Imperatore, il Duca di Parma e Piacenza , Andrea Doria , 
Antonio Doria ed Ettore Fiesco , Pag. 264 



CAPITOLO QUARTO 



Contesa delle diverse fazioni che aspirano ad impossessarsi della Repubblica ; relazione 
sulle vere condizioni di essa di un Pancino Gismondi inviato a tale uopo in Genova 
da Gonzaga, per consiglio del quale l' Imperatore cogliendo il destro di quelle dis- 
sensioni propone che a difesa efficace si ordini un sufficiente presidio in Genova 
al comando di cui si nomini Agostino Spinola , e si rifabbrichi ad un tempo la 
fortezza di Castelletto ; il Doria per ischermirsene manda Francesco Grimaldi a 
Carlo V; suo abboccamento in Milano con Ferrante Gonzaga sopra i partiti che 
dividono la Repubblica ; giudizio che ne forma il Gonzaga e suoi consigli ali* Im* 
peratore, nuove proposte a questo di Andrea Doria , e pareri allo stesso mandati 
dall' Ambasciatore Figueroa Pag. 275 



431 
CAPITOLO QUINTO 

Nuòve nucchinazioni contro il governo del Dona dei fratelli Fieschi , Adorni , Spi- 
nola , del drdinale e Kicolò Doria di concerto con Francia e il Duca di Parma e 
Piacenza ; timori di Andrea Doria ; insistenza del Gonzaga e dell* Ambasciatore 
Figueroa affinchè venga eletto a G)mandante di un presidio gagliardo di difesa 
Agostino Spinola , e si dia opera alla ricostruzione del Castelletto ; loro vive 
istanze perciò con Adamo Centurione e Francesco Grimaldi ; pratiche ulteriori a 
tal fine del Gonzaga col Cardinale Gerolamo Doria e per esso col suo inviato 
Giuliano Salvago che interamente concorre nelle idee di lui per un grosso presidio 
in Genova e la fabbrica della fortezza ; stratagemma dello stesso Gonzaga di una 
sottoscrizione di cento nobili genovesi per 1* opera della fortezza : Andrea Doria 
fii.intendere indirettamente ali* imperatore il difetto di denaro che si aveva per 
costruirla , il Gonzaga consiglia in prima di contentare il Doria coli* abbandonargli 
qualche altro feudo dei Fieschi ; indi scrivergli che il medesimo imperatore era 
disposto a fare le spese per la edificazione di detta fortezza. Intanto il Doria 
stretto in tal guisa da ogni parte, si accinge alla riforma del governo riducendolo 
vieppiù alla forma aristocratica Pag, 28$ 

CAPITOLO SESTO 

Carlo V vedendo come il negozio della fortezza andava fallito, ordina a* suoi 
ministri che ne cessassero ogni maggiore istanza con Andrea Doria per non alie- 
narne l'animo; quindi per cattivarselo gli assegna le terre del Fiesco, a sé riser- 
vati Pontremoli e Valdetaro ; e il luogo di S. Stefano d* Aveto conceduto ad 
Antonio Doria; aumento di pensione ad Agostino Spinola e nomina del figlio dì 
lui a paggio dello stesso Imperatore; assegnamento di 400 scudi annui a Fran- 
cesco Grimaldo ; intanto si continuano i raggiri verso il Doria dall* Ambasciatore 
Spagnuolo per l'erezione della fortezza; Adamo Centiirione con nuova proposta 
tenta di renderne inutile ogni maggior tentativo; Ferrante Gonzaga con più 
astuto consiglio scrive all' Imperatore di trattarne col cardinale Gerolamo 
Doria Pag, 296 

CAPITOLO SETTIMO 



Tumulti di Napoli contro TUffizio della S. Inquisizione voluto introdurvi da Carlo V; 
flotta sotto gli ordini di Marco Centurioni che vi naviga con proporzionate forze 
per sedarli; l'Imperatore meglio avvisato rinuncia al suo dbegno; congiura contro 
Pier Luigi Farnese Duca di Parma e Piacenza e suo assassinio ; brutta parte che 
vi prendono Ferrante Gonzaga e Andrea Doria; ipocrisia di Carlo V. Pag, 302 

CAPITOLO OTTAVO 

Pratiche tenute dal Gonzaga col Cardinale Gerolamo Doria per ottenere lo scopo 
della fortezza; raggiiagli che ne scrive all' Imperatore intorno al suo abboccamento 
coHo stesso e ai consigli dal Cardinale suggeriti per rendere a Carlo V più facile 



432 

il dominio di Genova ; Congiura di Kicolò Doria figlio del Cardinale , coi fratelli 
Fieschi, e di concerto colla Francia ; essendo scoperta, Niccolò si salva colla fuga ; 
avviso di essa del Gonzaga ali* Imperatore ; complicità di Paolo Spinola nella 
congiura de' Fieschi; essendo per le sue lettere scoperta, riesce a mettersi in si* 
curo in Venezia ; lettera di lui scritta da Venezia al Doge , Governatori e Pro- 
curatori della Repubblica Pag. 316 



LIBRO QUARTO 



CAPITOLO PRIMO 

Origine , studi , costumi , qualità di Giulio Gbo ; sue discordie colla madre per il 
marchesato di Massa; evidente di lui complicità nella congiura di Gian Luigi 
Fiesco suo cognato Pag. 326 

CAPITOLO SECONDO 

Giulio Cibo privato del Marchesato di Massa dalla Madre, abbandonato dal Cardinale 
suo zio, dal Duca di Firenze, ingannato d' Andrea Doria e tenuto a bada da Fer- 
rante Gonzaga, prende parte alla Congiura dei fratelli Fieschi e fuorusciti geno- 
vesi coi Cardinali francesi Di Bellay, e Lorena, prima in Roma e poi in Venezia ; 
fatto arrestare da Ferrante Gonzaga, viene condotto nel Castello di Milano, pro- 
cessato, torturato, e decapitato . Pag. 336 

CAPITOLO TERZO 

Il numero dei Congiurati contro il governo dal Doria istituito si va sempre più 
moltiplicando ; i ministri di Carlo V , posposto ogni riguardo , chiedono con 
irrevocabile proposito 1' erezione della fortezza ; il Gonzaga rimanda in Genova il 
Commissario Gismondo Fanzino ; sua relazione inviata- ali* Imperatore ; parere 
dell' ingegnere Gio. Maria Olgiati intorno al modo, luogo e spesa di tale costru- 
zione ; Il Doria stretto da tante parti conviene sulla sua neceessità richiedendo 
però due condizioni, 1' una che si facesse nel bastione di S. Giorgio, l'altra che 
si aspettasse a farla alla venuta del Principe Filippo ; il Gonzaga riscrivendo all' Im- 
peratore lo consiglia a non accettarle, ordinando subito la fabbricazione. Pag. 348 

CAPITOLO CIUART O 



Andrea Doria per pigliar tempo invia all' Imperatore Adamo Centurioni, vita, viaggi, 
azioni gloriose di questo ; venuto egli alla presenza di Carlo propone prima della 
fortezza 1* esperimento della riforma del governo ; l' Imperatore decide doversi 



433 

quel negozio rimettere alla venuta del Principe Filippo in Genova ; Trama ordita 
in Piacenza contro di questa Repùbblica, la qiule tosto che &tta soggetta alla Spa» 
gna , il Principe Filippo verrebbe dichiarato re d' Italia ; il governo del Doria 
avendone segreto avviso da Roma, provvede alla propria difesa e rbpinge ogni 
proposta che si faceva dal Duca di Firenze e da Ferrante Gonzaga di spedir* 
in Genova ragguardevole numero di gente armata col pretesto di meglio onorare 
la venuta del Principe Filippo; Riforma del governo operata dal Doria ristrin- 
gendolo vieppiù in mano di pochi, colla nuova legge detta del Garibetto. Paq. 355 



CAPITOLO QUINTO 



Viaggio del Principe Filippo sopra una flotta di 98 legni comandata d* Andrea Doria ; 
Sua domanda di voler alloggiare nel pubblico palazzo; fiera risposta e rifiuto del 
Doria ; arrivo, solenne ricevimento di lui in Genova, e alloggio sontuoso nel pa- 
lazzo di Fassolo Pag. 367 

CAPITOLO SESTO 



Consigli tenuti nel palazzo Doria dal Principe Filippo col Duca d' Alba, Ferrante 
Gonzaga, e l'Ambasciatore Spagnuolo per trattare collo stesso Doria di ciò che 
si doveà operare per la sicurezza di Genova, la conservazione del suo libero stato 
e per tenerla salda nel servizio imperiale ; il Doria venuto ali* adunanza opina che 
la riforma del governo divisata da lui doveva bastare senza ricorrere ad altro ri- 
medio ; opposizioni che gli si fanno, repliche e contrasti d' ambo le parti ; con- 
cludono di radunarsi altra volta ; intanto per ordine del Principe Filippo il Duca 
d' Alba si abbocca con Adamo Centurioni, dalle parole del quale si accorge eh* era 
suo fine di succedere al Doria nella stessa autorità che avea questi nella Repub- 
blica ; si decide di conseguire per forza quanto desideravano impedendo la riforma 
del governo ; Ferrante Gonzaga consiglia, lasciando in disparte il Doria e il Cen- 
turioni servirsi dell* opera più sicura di Antonio Doria, del colonnello Agostino 
Spinola e Cardinale Doria ; obbiezioni che si fanno dal Duca d' Alba e dall' Am- 
basciatore Figueroa a siffatto partito ; si conclude di nulla eseguire senza prima 
consultarne l' Imperatore. È invitato il Doria ad una nuova adunanza , la quale 
pure fallisce allo scopo ; tentativo di timiulto in Genova fatto nascere dal Prin- 
cipe Filippo e dai suoi ministri per occupare con violenza il pubblico palazzo ; 
andato questo a vóto, cosi consigliato dal Duca d* Alba, Filippo decide di fare il 
suo solenne ingresso in città e recarsi ad udire la messa nel Duomo ; festosa ac- 
coglienza a lui fintta dovunque ; suoi principeschi ricevimenti , e partenza per 
Milano Pag. 372 

CAPITOLO SETTIMO * 

Lettere del Principe Filippo d' Ala di Trento e da Roveredo all' Ambasciatore Figueroa, 
e air Imperatore suo padre, che consigliano e raccomandano di adoperare alfine la 
forza sia per 1* erezione della fortezza, sia per un forte presidio in Genova ; nuovi 
tentativi che si fanno a tale uopo dal Figueroa col Doria ; risposte fiere e riso- 



434 ■'•. ' X*- 

Iute del secondo al primo ; in un successivo abboccamento i( Dom propone Ac 
V Imperatore unisca la Repubblica allo stato di Milano ; Ferrante Gonzaga reso 
consapevole di queste trattative scrive al Principe Filippo che il Doria in quelle 
proposte altro scopo non si prefiggeva che di sconvolgere la pratica, gl*infU<;a il 
modo con cui 1* Imperatore deve rispondergli ; Filippo fa di tutto consapeVjiIe .il 
padre ; e gli suggerisce quanto a lui pareva si avesse ad operare per meglit<-coo- 
durre la pratica ; scrive quindi una seconda lettera ali* Ambasciatóre Figueroa ; 
nuovo abboccamento di questo col Doria, nuovi artifizj usati con lui per iàdurlo 
al fine propostosi, resi inutili ; contezza che ne dà al Principe Filigpo, mentre gli 
espone la maniera con cui divisava di condursi ; nuova congiura ordita da Gio. 
Batta Defomari Ex-Doge, scoperta per un Frate Clemente Francesouip col mezzo 
della tortura; il Defomari per corruzione dei giudici viene solamente iiopàg/msLto 
air esigilo Pag, 389 

CAPITOLO OTTAVO 



Conclusione Pag. 417 






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